Luglio. di KHREM (/viewuser.php?uid=697129)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Pane caldo appena sfornato. ***
Capitolo 2: *** Essere soli. ***
Capitolo 3: *** La mancia. ***
Capitolo 4: *** Dietro l'angolo. ***
Capitolo 5: *** Come polvere dietro sè. ***
Capitolo 6: *** Il dolore delle stelle. ***
Capitolo 7: *** Il rintocco delle dieci. ***
Capitolo 8: *** La sala d'attesa. ***
Capitolo 9: *** Allucinazioni. ***
Capitolo 10: *** Aria di casa. ***
Capitolo 11: *** Profumo di dubbi. [prima parte] ***
Capitolo 1 *** Pane caldo appena sfornato. ***
Il
caldo, durante il mese di luglio di quell'anno, ricordo era
insopportabile.
Luglio,
il mese in cui la scuola è già finita da un pezzo
e settembre è ancora un mondo lontano.
Ricordo
quel mese di luglio come una luce che strazia le tenebre.
Luglio...quante
volte pronuncerei questa parola all'infinito.
Io
mi chiamo Dafne e adesso vi racconterò la parte
più importante della mia vita.
Avevo
25 anni ed ero una modella in carriera.
Avevo
iniziato a 19 anni come modella editoriale.
Una
carriera breve dicevano.
Poi
un giorno, alla soglia dei 23 anni arrivò la svolta, ed io
diventai una modella commerciale.
Ero
entrata in un mercato enorme che spaziava dalla pubblicità
all'interno delle riviste ai cartelloni pubblicitari.
Per
una modella come me, lavorare in questo settore poteva offrire grandi
opportunità, ma ogni scelta che facciamo ha il suo prezzo e
le sue conseguenze.
Mezzogiorno
era alle porte e come da mia abitudine, con le mie due amiche e
colleghe di scatti, andavo a prendere il pane caldo appena sfornato.
Stavamo
entrando nel panificio quando vidi una ragazza dietro di noi, e
così Leila per gentilezza le tenne la porta aperta.
«Grazie»
ci rivolse un sorriso.
«E
di che? Figurati amore!» rispose Leila.
Leila
era così, chiamava amore anche i muri, era sempre sorridente
ed era capace di fare amicizia anche con se stessa.
Io
continuavo ad accennare un sorriso, mentre le mie amiche parlavano dei
vari gossip da corridoio, senza decidersi a scegliere cosa comprare.
Non
riuscivo ad udire cosa dicevano loro.
Ero
presa da quella ragazza che non avevo mai visto prima.
Emanava
qualcosa di dolce, tanta timidezza e nello stesso tempo c'era un velo
di tristezza nei suoi occhi mascherato da un tenero sorriso.
La
vedevo imbarazzata.
Credo
non sapesse la nostra capacità di allungarci per svariati
minuti prima di metterci d'accordo e lei come la foglia più
leggera d'autunno, se ne stava lì in un angolino in
compagnia del profumo del pane, delle nostre voci e di un posto nuovo
tutto da conoscere.
«Prego,
cosa desidera?» chiese Salvina a lei.
La
ragazza si guardò intorno e poi diede un'occhiata a noi
incontrando il mio sguardo.
«Eh...io...ecco
sto, sto dopo di loro...» disse con quel suo modo impacciato
di indicarci.
«Ah,
non preoccuparti cara! Quelle tre befane impiegano una vita a
scegliere! Metà della mia vecchiaia la devo a
loro».
Scoppiai
a ridere: «Ti prego Salvina, non fare aspettare
più questa ragazza e servila per favore».
La
ragazza mi rivolse un sorriso abbassando lo sguardo, ringraziandomi e
poi si girò nuovamente verso Salvina.
«Allora
cara, come posso aiutarti?»
«Si,
salve. Dunque, io vorrei sapere che tipi di pane sono quelle due
pagnotte con il sesamo sopra.»
Salvina,
indicò prima una e poi l'altra: «Allora cara,
questa è una pagnotta preparata con farina di mais e
quest'altra è una pagnotta contenente la farina di grano
tenero.»
La
ragazza ci pensò un attimo.
«Ok,
gentilmente vorrei quella di grano tenero...»
«Ma
certo, intera o metà?»
«Metà
grazie.»
«Grazie
a te.»
Salvina
era intenta a dividere il pane a metà e ad avvolgerlo
accuratamente come solo le sue mani sapevano fare da anni.
«E
come si chiama questa bella ragazza?» a Salvina piaceva tanto
interagire con i clienti e con quelli nuovi che sperava sempre di veder
tornare.
«Io
mi chiamo Ellie.»
«Oh
ma che bel nome! Sei italiana?»
«Si,
si è solo che mia madre durante i nove mesi di attesa doveva
pur passare il tempo!» disse sorridendo Ellie.
«Caruccia
'sta ragazzetta» continuò Salvina, poi
digitò alla cassa e diede il pane ad Ellie.
«Sono
2 e 15 cara.»
Salvina
le diede il resto e poi la ragazza uscì dall'altra porta
senza ripassare dove eravamo noi.
«Allora
ragazze che vi do'?» chiese sorridendo.
«Scusa,
Salvina, puoi aspettare un secondo?»
«Va
bene...in tanto proseguo a servire.»
Diedi
una gomitata a Leila.
«Senti,
devi assolutamente seguire quella ragazza e cercare di carpire
più informazioni possibili, soprattutto se torna...inventati
qualsiasi cosa, ma fermala!»
Leila
mi rivolse un sorrisino malizioso arricciandoci una ciocca di
capelli «lascia fare a me tesoro...» le
diedi una spinta «e dai sbrigati
su!»
Leila
uscì correndo, si fermò, guardò a
destra, poi a sinistra e poi finalmente vide la direzione presa dalla
ragazza e iniziò a correre.
«Scusa!
Ehi! Ragazza!» correva agitando la mano sinistra come se
stesse salutando qualcuno e con la borsa a braccino monco dall'altra
parte.
«Oddio
mio, come cazzo ha detto che si chiama?!» continuava a
sbracciarsi.
«Ah
si!! Ellie!!»
La
ragazza si girò e Leila iniziò la sua recita.
«Ti
sono caduti questi mentre compravi il pane» le
allungò delle monete.
«Oh,
grazie! Non ci avevo fatto caso.»
«Sei
nuova di queste parti? Non ti ho mai vista. Sai noi siamo delle clienti
abituali del panificio di Salvina.»
La
ragazza mise i soldi in tasca e poi rispose.
«Ehm
no, in realtà sarò qui di passaggio per un
po'...»
«Ah
per le vacanze?» chiese con un sorrisetto da stupida Leila.
«Magari,
in realtà mia madre è ricoverata qui nel centro
di riabilitazione.»
Leila
tornò seria.
«Oh,
capisco...beh spero si rimetta presto!»
La
ragazza sorrise.
«Io
mi chiamo Leila e le altre mie due amiche sono Dafne e
Carola.»
Si
strinsero la mano.
«Allora
ci rivediamo presto?» domandò Leila.
«Penso
di si» rispose con un sorriso Ellie.
«Ok,
ciao!»
Leila
scappò di corsa e ci beccò mentre uscivamo dal
panificio.
«Dimmi
che hai scoperto qualcosa di utile», dissi guardandola mentre
sistemavo il portafoglio nella borsa.
«Eccome
amore! La vedremo da queste parti per un po' dato che ha la madre al
centro di riabilitazione», le rispose controllandosi le
unghia.
«Al
centro di riabilitazione hai detto eh...»
Mi
passai la mano tra i capelli più volte e iniziai a pensare.
In
quel preciso momento noi tre fummo assalite da decine di fotografi che
tra flash e domande ci avevano ormai circondate e ci tenevano
prigioniere da qualsiasi altra via d'uscita.
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NOTE:
il prossimo capitolo
verrà pubblicato il 21/07/2018 e intanto se vuoi lascia un
tuo pensiero su questo che hai appena letto! :) inoltre ti invito, se
non l'hai già fatto, a leggere le mie storie precedenti, e
se ti fa piacere passerò anche a leggere le tue storie (il
giorno a cui mi dedicherò alle varie letture e alle
recensioni è il martedì, ricordatelo u.u).
Puoi scrivermi per
qualsiasi cosa: consigli, suggerimenti e critiche sono sempre i
benvenuti. :)
Grazie per la lettura
e a presto!
KHREM
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Capitolo 2 *** Essere soli. ***
Cosa
significa essere soli?
Ellie lo sapeva bene.
Ellie si alzava ogni mattina e la casa era vuota.
Ellie arrivava in cucina e non si sentiva l'odore del caffè
appena pronto e dei cornetti appena sfornati.
Ellie non aveva bisogno di fare la fila per andare al bagno, era troppo
solo anche lui.
Ellie non aveva nessuno che l'accompagnasse a fare la spesa, che
l'aiutasse con le borse pesanti, che la venisse a prendere fin sotto
casa.
Ellie non si preoccupava di accendere internet sul telefono appena
sveglia perché nessuno attendeva con ansia un suo
“buongiorno”, né tanto meno qualcuno
aveva premura di rivolgerlo a lei.
E' vero, Ellie era piccola, era giovane, ma era già troppo
sola per aspettare di esser vecchia per diventarlo.
Ed era difficile star dietro a tutto: c'erano tante spese a cui
pensare, una mamma di cui le condizioni di salute erano pessime, un
padre assente, i libri rimasti in vetrina da anni ormai,
così come i suoi sogni e nessuno su cui poter contare nei
momenti peggiori.
Per Ellie il Natale signifcava non avere nessuno a cui fare dei regali
e qualcuno che pensava a cosa regalarle.
Ellie, faceva dei lavoretti per mantenersi e mentre si recava a pagare
le bollette, in piazza vedeva i suoi coetanei al bar a scattarsi
foto-ricordo, a ridere e a bere birra.
E così, abbassava lo sguardo, si allargava e camminava
veloce per superarli, soffocare la sua emarginazione per poi continuare
la sua strada così vuota, così incomprensibile,
così piena di solitudine.
Però Ellie sorrideva, sorrideva sempre.
Ellie era gentile nonostante gli altri fossero indifferenti con lei e
sapeva essere dolce, tanto dolce nonostante tutta la sua amarezza, e
sapeva dare carezze nonostante tutti gli schiaffi presi.
Però la vita sa essere molto strana come le persone ed
Ellie, proprio come me, non aveva ancora avuto l'opportunità
di essere felice.
Quel giorno, dopo essere andata a trovare la madre al centro di
riabilitazione, il medico che l'aveva in cura, le aveva confidato degli
esiti negativi, esiti che facevano capire che le condizioni di sua
madre si sarebbero soltanto aggravate col passare del tempo.
«Ellie, cercheremo di fare tutto il possibile per tua
madre.»
Il Dr. Labua le poggiò una mano sulla
spalla «devi cercare di sostenerla, ancora di
più.»
Ellie tirò su un forte respiro.
«Ellie, tua madre ha bisogno di te»
continuò il dottore.
Ellie prese il suo marsupio e iniziò a sistemarsi per andar
via, e poi si rivolse al dottore per un'ultima volta.
«E a me chi mi sostiene?»
«Tu sei giovane, hai tutta la vita davanti Ellie.»
Lei lo guardò negli occhi con la rabbia che le ribolliva
dentro.
«Già...quante volte ho sentito questo discorso e
intanto la vita non fa altro che scorrermi sotto i piedi.»
Ellie andò via di corsa e il Dr. Labua non riuscì
a fermarla per scusarsi, per essere stato così superficiale
e banale nel darle appoggio con frasi di circostanza, con frasi di cui
già si era pentito.
Infondo Ellie, lui la capiva benissimo.
Ellie viaggiava sull'autobus con lo sguardo perso tra gli occhiali da
sole ed i respiri profondi che cercavano di trattenere quelle lacrime
che avevano bisogno di sprigionarsi, per liberarla dalla rabbia e dalla
voglia di arrendersi su tutto.
Le persone parlavano, arrivavano spintoni quando dovevano scendere e
per Ellie era come se anche una coltellata non le avrebbe fatto nulla,
talmente lei era persa dentro se stessa.
Ad Ellie, non importava più nulla, per lei era come se
avesse perso tutto senza avere niente in realtà.
Era come se lei era una di quelle persone destinate a non aver mai
niente di bello.
Una di quelle che falliscono sempre.
Una di quelle che non smettono mai di soffrire, pagando anche le colpe
degli altri.
Perché infondo la vita di Ellie, fino a quel momento, non
era stata altro che un conto salato degli errori fatti da chi le stava
attorno e di chi li ha commessi quando lei ancora neanche era venuta al
mondo.
Io non riuscivo a smettere di pensarla.
Non riuscivo a smettere di pensare a come poterla rivedere di nuovo, a
come poterle parlare, a come poter entrare nella sua vita.
«Senti carina, adesso mi sono rotto le scatole! O fai un bel
sorriso o te ne torni a casa! Diamine!»
«Scusami tanto Bernardo, dammi solo 5 minuti di pausa e poi
ti prometto che avrò il sorriso più acceso del
mondo.»
Bernardo sbuffò ma capiva quanto potesse essere stressante
la posizione per me.
A me doveva sempre andar bene tutto e comunque, ora ero un personaggio
pubblico e i miei problemi dovevo lasciarli a casa perché
tanto se non venivano strumentalizzati, non interessavano a nessuno.
Presi una bottiglietta d'acqua e poggiai la testa sull'enorme
finestrone dello studio fotografico.
Si vedeva mezza città.
Leila si avvicinò a me e mi fece una carezza.
«Ci stai ancora pensando Dafne?»
Io iniziai a bere un po' d'acqua senza risponderle.
«Dafne, era solo una sconosciuta...tra l'altro mi pare anche
che fosse solo una ragazzina che non sa neanche contare il resto. Non
ne vale la pena dammi retta.»
Io mi spostai e Leila tolse la sua mano.
«Non è questo Leila...lascia stare, non puoi
capire cosa ho sentito. Tu sei solo abituata a cavalcare stalloni senza
neanche sapere di che razza sono!»
Leila mi afferrò per un braccio: «ehi bada a come
parli!»
Io mi allontanai di nuovo.
«Anche se è vero quello che dici e anche se hai la
luna storta oggi, non devi darmi della troia davanti al
fotografo!»
«Perché...» continuai «adesso
ti intendi anche di fotografia?»
Ci mettemmo a ridere tutte e due e poi Leila mi disse: «sta
tranquilla...troveremo un modo.»
Bernardo, tirandosi più su i pantaloni, ci guardò
e iniziò ad urlare.
«Allora cocca! Vedo che il sorriso ti è tornato!
Muovi quel bel culo che hai e fammi dei sorrisi da prima copertina,
cazzo!»
«Arrivo, arrivo!»
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NOTE:
il prossimo capitolo
verrà pubblicato il 23/07/2018 e intanto se vuoi lascia un
tuo pensiero su questo che hai appena letto! :) inoltre ti invito, se
non l'hai già fatto, a leggere le mie storie precedenti, e
se ti fa piacere passerò anche a leggere le tue storie (il
giorno a cui mi dedicherò alle varie letture e alle
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benvenuti. :)
Grazie per la lettura
e a presto!
KHREM
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Capitolo 3 *** La mancia. ***
Essere soli.
Quella
mattina mi ero alzata prestissimo.
Avevo la giornata libera ed ero
intenzionata a sprecarla tutta per sapere di più su Ellie.
Avevo
capito che se volevo trovarla potevo contare solo sulle mie forze e
sul mio desiderio di rivederla.
Avevo già in mente un piano e
così senza neanche fare colazione, mi preparai alla svelta e
andai
immediatamente al centro di riabilitazione che mi aveva indicato
Leila.
Volevo sbrigarmi, fare presto.
Volevo vederla anche
quello stesso giorno.
Non potevo e non volevo più perdere altro
tempo.
Sulla
strada, fortunatamente, non trovai traffico.
Ero anche riuscita ad
infilarmi con la macchina in un posto perfetto.
Mi piaceva mettere
la macchina all'ombra anche se sapevo che i sedili sarebbero scottati
lo stesso al mio ritorno.
Presi la borsa dal sedile accanto e dopo
essere scesa, con la chiave dell'auto a distanza, chiusi tutto.
Avevo
l'allarme, dopotutto quella macchina era uno dei lussi che mi ero
concessa e a cui tenevo di più.
Entrando
nel centro di riabilitazione, si sentiva un silenzio assoluto,
spezzato da qualche passo di un'infermiera o dalle ruote del carrello
con le medicine per i pazienti.
Quel posto metteva ansia,
tristezza, angoscia.
Perchè posti che servono a far curare la
gente debbano sempre farti sentire sulla pelle il brivido della
morte, già solo a guardare pavimenti e pareti?
Addentrandomi
nella sala d'attesa per i nuovi ingressi e le uscite, avevo
già
intravisto la mia preda.
Un tipo con gli occhiali, cornetto metà
in bocca e metà sulla camicia, e magari con tanta voglia di
guardare
due belle tette a distanza ravvicinata.
«Buongiorno!»
esclamai sorridendo.
«La fila per il ticket non
è ancora
disponibile. Stiamo avviando adesso il terminale.»
«Non si
preoccupi io sono qui solo per avere delle informazioni.»
«Allora
le faccio presente che sul nostro sito internet può trovare
tutte le
informazioni riguardo ingressi ed uscite, orari visite, contatti col
personale in struttura, ricevimento dei dottori, aperture dei reparti
per le visite specialistiche esterne e anche i moduli da compilare e
spedire o per email o per posta bollata.»
Mi rispose senza
neanche guardarmi mentre continuava a leggere il giornale e a cercare
tesori nascosti nel suo naso.
Io contai fino a dieci e poi
continuai a sorridere.
«Il tipo di informazioni che
cerco io, mi
creda, non si trovano sul vostro sito web.»
Lui posò il
giornale, spinse i suoi occhiali verso il centro degli occhi e poi
rispose: «che cosa vuole signorina?»
Poggiai la mia
scollatura sul bancone, fortunatamente ci separava il vetro.
«Lei
che ne pensa?» lo vidi sbuffare mentre si
tirava indietro con la
sedia.
«Apprezzo il suo tentativo, ma
le sue tette non potranno
mai farmi effetto.»
Iniziai a ridere e a fare la
cretinella.
«Dunque le piacciono le tavole
da surf...»
Mi guardò con
dissenso.
«Sono gay...ora se non le
dispiace: arrivederci.»
Mi
fece un sorrisetto divertito e poi iniziò a digitare al
computer.
«Arrivederci.»
Risposi scocciata.
In
quel momento mi squillò il cellulare e odiando profondamente
il
telefono che suona in pubblico, presi subito la chiamata.
«Ehi
Leila, non dormi stamattina?»
«Ma dove sei? Ero venuta a
suonarti, ma la tua adorata custode impicciona del palazzo, ha detto
che sei uscita presto.»
«Si, sono uscita presto e qui
c'è
un cazzone che mi sta già facendo perdere tempo!»
«Ma dove
sei?»
«Sono al centro di
riabilitazione...»
«No,
non ci posso credere...va bene, ok, che è successo?»
Le
raccontai la scenetta con l'impiegato e poi lei mi diede subito la
sua dritta.
«Sganciagli dei soldi bella
addormentata!»
«Hai
ragione! Non ci avevo pensato!»
«Come vedi la bellezza non
sempre è abbastanza.»
Sorrise con la voce.
«Grazie Leila.
Senti per oggi...»
«Non vuoi rotture di scatole,
ricevuto.
Sta tranquilla, aspetterò una tua telefonata.»
Sorrisi anche
io.
«Sei una vera amica.»
«Ciao Dafne.»
Bloccato
lo schermo del telefono, lo misi in borsa e tirai fuori qualche
banconota da mostrare a quell'idiota.
Mi avvicinai agguerrita e
determinata ad avere le informazioni che mi servivano.
Bussai al
vetro.
«Cosa desidera ancora signorina?» chiese lui.
«Senti
bello, sei veramente molto antipatico, sei l'anti-cordialità
in
persona e non hai idea del tempo che mi stai facendo perdere, ma
veniamo al dunque.»
Sventolai due pezzi da
€ 50,00.
«Voglio
avere delle informazioni, tutte quelle che hai in quel cazzo di
computer su una donna che è stata ricoverata qui due giorni
fa. Ti è
chiara la dinamica? Tu mi stampi quello che voglio e io oggi ti
regalo mezzo stipendio.»
Accennai un sorriso da una che
sa fare
affari.
Lui ci pensò un attimo e dopo fece segno con le mani, un
tre.
«Rischio il posto, non posso
dare informazioni private sui
pazienti.»
«E che cosa significa tre?»
«Voglio €
300,00.»
«Trecento euro?! Ma che...»
«O così o
chiamo la sicurezza e la faccio accomodare fuori.»
Mostrai le
altre banconote.
«Due minuti e le stampo tutto
signorina.»
Mi
rilassai e la contentezza già aveva preso posto sul mio
volto.
«Bene, fantastico!»
Per far passare
quei pochi minuti iniziai a ticchettare con le unghia sul
bancone.
«Ecco qui tutte le informazioni
a noi disponibili. Non
è stato difficile poiché due giorni fa solamente
una paziente ha
fatto ingresso qui nella struttura. Tenga.»
Mi sistemai i
fogli nella borsa e poi iniziai a contare i soldi.
«Sa cosa
penso degli uomini?» chiesi sorridendo.
«Cosa?» domandò
lui perdendo l'attenzione sui soldi.
«Che siete tutti dei
coglioni.»
«Come scusi?»
Domandò stupito lui.
Sorrisi
quando già avevo rimesso i soldi nella borsa.
«Non finanzierò
mai un reato.»
Fu un secondo.
Scappai come una lepre fuori
dal centro di riabilitazione e montai in macchina, premendo sul gas
come in uno di quei film d'azione americani dove si fa tutto
all'ultimo respiro.
Ero
già abbastanza lontana dal centro di riabilitazione, quando
per
placare la mia adrenalina da fuga, decisi di fare colazione al bar e
con la scusa visionare con calma quei fogli.
Entrai e mi sedetti
ad un tavolo più appartato, lontano da occhi indiscreti.
Un
cameriere si avvicinò vedendomi accomodare ed io ordinai una
spremuta d'arancia e un cornetto integrale.
Da quelle carte
appresi il grave stato di salute della madre e mi chiedevo
già se
potevo essere utile in qualcosa.
Fogli pieni di analisi e grafie
degne dell'Antico Egitto.
Scorrevo le pagine.
Pagine su
pagine.
Tirai su un sospiro di sollievo quando tra quei fogli
lessi anche il numero di telefono di Ellie.
Avevo già voglia di
andare sotto casa sua, ma pensai subito che quello potesse essere
solo uno stupido colpo di testa.
Così presi il suo numero e lo
salvai nella mia rubrica.
Speravo di poter vedere la sua foto
sulla chat.
Un tuffo al cuore.
Era lei.
Così come l'avevo
vista nel panificio.
Accennava un sorriso e il suo sguardo
sembrava entrarmi dentro come un vortice che ipnotizza e non fa
capire più niente.
«Ecco la sua ordinazione.»
Disse il
cameriere tenendo il vassoio da una parte e lo scontrino
dall'altra.
«Tenga pure il resto.»
Pagai la
colazione.
«Grazie mille!»
Sistemai per bene ogni cosa
nella borsa, presi una salvietta bagnata per pulirmi un po' le mani e
poi iniziai a mangiare.
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NOTE:
il prossimo capitolo
verrà pubblicato il 24/07/2018 e intanto se vuoi lascia un
tuo pensiero su questo che hai appena letto! :) inoltre ti invito, se
non l'hai già fatto, a leggere le mie storie precedenti, e
se ti fa piacere passerò anche a leggere le tue storie (il
giorno a cui mi dedicherò alle varie letture e alle
recensioni è il martedì, ricordatelo u.u).
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benvenuti. :)
Grazie per la lettura
e a presto!
KHREM
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Capitolo 4 *** Dietro l'angolo. ***
Essere soli.
Avevo
il suo numero di telefono.
Sapevo dove abitava.
Potevo persino
incontrarla ad un determinato orario.
Avevo tutto, ma non riuscivo
a fare i conti con il coraggio che mi mancava e che dovevo recuperare
per compiere il primo passo verso di lei.
Quello che avevo fatto
quel giorno per sapere di lei, non lo avevo mai fatto per nessuno,
nemmeno per aggiudicarmi un appuntamento importante di lavoro.
Forse
nemmeno per me stessa.
Questo mi faceva paura.
Ne valeva
veramente la pena correre dietro ad una persona che poteva anche
rivelarsi un bidone?
Sentivo il cuore stretto stretto, come in una
scatola e pronto ad esplodere. Se c'era un modo per provare ad essere
felice era quello di iniziare a chiedermi cosa volessi veramente.
E
così feci.
Cosa volevo?
Lei, io volevo lei.
E per averla
ero anche disposta a correre il rischio di perdere e ritrovarmi col
cuore spezzato.
La sensazione era quella di percorrere un
labirinto pieno di specchi, ma per quanto essi potevano essere
ingannevoli, almeno una via d'uscita ero sicura che esistesse.
Così
come per ogni altra cosa.
Stavo
girando senza meta nel quartiere di Ellie, un po' per conoscerlo
meglio e un po' per rilassarmi da tutto lo stress di quel
periodo.
D'altronde guidare rilassava chiunque, anche una persona
come me e farlo di sera aveva tutto un altro sapore: le strade erano
libere, le luci dei lampioni facevano atmosfera e l'aria fresca dopo
un caldo giorno d'estate, che attraversando quel finestrino aperto mi
accarezzava la pelle.
Ellie, ogni sera aveva l'abitudine di andare
a prendere un litro di latte fresco al distributore in piazza.
E
anche quella sera non mancò a quel suo appuntamento.
Tirò fuori
dalla tasca le monete per prendere una bottiglia di plastica e dopo
si avvicinò allo sportello da dove usciva fuori il latte.
«Guarda!
Guarda!»
Ellie si guardò un attimo intorno, ma non vide
nessuno.
Introdusse l'euro, posizionò la bottiglia sotto
l'erogatore e poi fece avviare la macchina tramite un
pulsante.
«Ahahahah!»
Ellie sentì il suono di un
otturatore, come se qualcuno avesse appena scattato una
fotografia.
Ellie iniziava ad innervosirsi, sapeva che lì spesso
girava un gruppetto di ragazzi e ragazze che si divertivano a dare
fastidio, così si sbrigò a chiudere col tappo la
bottiglia,
stringendolo per bene e infilò il latte nella busta di
plastica che
si era portata.
Quando si girò il suo corpo si scontrò con
quello di un ragazzo e subito dietro di lui si avvicinarono altri
sette ragazzi, tra cui quattro ragazze.
L'avevano
circondata.
Ellie si trovava con la schiena attaccata al
distributore e uno di loro gli strappò dalle mani la busta
con il
latte passandola ad un suo amico.
«Ragazzi...ma secondo voi
è
un maschio o una femmina?» chiese agli altri il ragazzo
che per
primo l'aveva bloccata.
Iniziarono tutti quanti a ridere mentre
Ellie iniziò a tremare.
Una delle quattro ragazze stava
riprendendo tutto con il cellulare.
«Secondo me possiamo
scoprirlo toccando con mano, eh? Che ne dite?»
Fu un altro ad
allungare le mani provando a palparla, ma Ellie non ci pensò
un
secondo, non voleva farsi toccare e così reagì e
diede lui uno
spintone.
Il suo amico le diede un pugno nello stomaco per
vendicarsi dello spintone.
Ellie si piegò un po' tenendosi le
braccia sull'addome, ma sempre lo stesso ragazzo la prese per la
maglietta e la scaraventò a terra.
In quel preciso istante io
passavo proprio di là con la macchina e tra tutti i film
mentali che
mi ero fatta, non avrei mai immaginato di rivederla così.
Mentre
frenavo, vidi una ragazza gettarle addosso tutto il litro di latte
che Ellie aveva appena comprato e poi le buttò la bottiglia
sulla
testa.
Scesi di corsa dall'auto con l'ombrello che tenevo sempre
nel sedile posteriore contro i temporali estivi improvvisi e nel
frattempo qualcuno di loro vedendomi arrivare come una furia
iniziò
a scappare finché tutti quanti sparirono lungo la strada
dividendosi.
Ellie
era rimasta a terra accartocciata.
Quello che più mi colpì di
lei in quel momento è che non piangeva neanche, respirava un
po' a
fatica e cercava ancora di proteggersi da mani che adesso non le
avrebbero più fatto del male.
Mi buttai per terra vicino a lei e
cercai di tirarla su piano piano.
Volevo capire se era cosciente,
se dovevo chiamare qualcuno e se c'era un posto nelle vicinanze dove
poter chiedere un aiuto immediato.
Iniziai ad avvolgerla tra le
mie braccia per farle sentire un po' di calore umano, per calmarla,
per farle capire che ero lì per proteggerla.
«E' tutto finito.
Sta tranquilla.»
Ellie era tutta sporca di latte
e aveva del
sangue sul viso che era colato anche un po' sui suoi indumenti.
Le
avevano dato anche dei pugni sul naso e sulla bocca, forse anche
vicino all'occhio.
«Ora ti porto all'ospedale.»
Le dissi
mentre stavamo cercando di tirarci su lentamente.
«No...non
voglio andare...all'ospedale...»
Fece un respiro profondo.
«Ti
prego...voglio andare...a...casa.»
Presi dei fazzoletti per
tamponarle un attimo i punti in cui sanguinava ancora un po'.
«Ti
porto a casa, ma prima deve vederti un medico, ok?»
Mi fece
cenno di si con la testa.
Trovai il modo di far poggiare Ellie con
le spalle al distributore e le dissi che andavo a prendere la
macchina per avvicinarla il più possibile a lei.
Fatto questo,
andai sul lato passeggeri anteriore e spinsi abbassando il sedile
fino ad un certo punto, in modo che lei potesse star comoda ma non
sdraiata e soprattutto non con la testa all'indietro.
«Vieni.
Tieniti a me.»
Ellie continuava a tremare per il dolore.
«Ce
la fai? Non ti preoccupare di sporcarmi e tieniti a me.»
Sentii
le sue braccia che senza forze si appoggiavano sulle mie spalle.
In
quel momento capii che non l'avrei più lasciata.
Sistemata
Ellie entrai in macchina anche io e azionai le sicure.
Prima di
partire volevo pulirle un po' il viso.
Il naso aveva smesso di
sanguinare mentre la bocca ne aveva ancora per un po'.
Presi una
delle bottiglie d'acqua che avevo, altri fazzoletti e con tutto il
tatto possibile iniziai dalla fronte, passai per le guance fino ad
arrivare al collo.
Lei non fiatava anche se in alcune parti poteva
avvertire delle fitte.
Ero riuscita a toglierle tutto il sangue
che aveva, e adesso si iniziavano a vedere qualche ematoma, i lividi
e in qualche punto il colore della sua pelle.
Quando terminai,
Ellie aprì gli occhi e mi sorrise appena.
«Tieni, ho altra
acqua, bevine un po'.»
L'aiutai a bere e poi mentre
scendevo
via con la mano lei mi afferrò con la sua.
«Grazie...» mi
disse con voce flebile.
Io non resistetti e allungai la mia mano
sul suo viso.
Le sfioravo delicatamente una guancia e poi iniziai
ad accarezzarle i suoi capelli corti.
Ellie
non sembrava affatto un maschio, aveva solamente i capelli corti, un
viso dolce e un abbigliamento semplice.
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NOTE:
il prossimo capitolo
verrà pubblicato il 25/07/2018 e intanto se vuoi lascia un
tuo pensiero su questo che hai appena letto! :) inoltre ti invito, se
non l'hai già fatto, a leggere le mie storie precedenti, e
se ti fa piacere passerò anche a leggere le tue storie (il
giorno a cui mi dedicherò alle varie letture e alle
recensioni è il martedì, ricordatelo u.u).
Puoi
scrivermi per
qualsiasi cosa: consigli, suggerimenti e critiche sono sempre i
benvenuti. :)
Grazie per la lettura
e a presto!
KHREM
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Capitolo 5 *** Come polvere dietro sè. ***
Ellie
era così sfinita che
quando arrivammo sotto casa mia lei dormiva già da un po'.
Prima di scendere dalla macchina,
restai a guardarla per qualche minuto.
Sembrava una bimba.
Riposava come un piccolo angelo
distrutto.
Nel frattempo avevo già scritto
a Maria.
Io e lei avevamo fatto il liceo
insieme e nonostante le nostre diversissime carriere, non ci eravamo
mai perse di vista e lei oltre che essere stata una mia grande amica,
diventò anche il mio medico di fiducia.
«Ehi...dove siamo?» chiese
Ellie svegliandosi.
Sganciai la mia cintura per
potermi girare di più verso di lei.
«Qui ci abito io...» risposi.
Ellie muoveva la testa per
osservare ciò che intravedeva appena dal finestrino.
«Qui?» domandò ancora una
volta Ellie mentre io mi ero dipinta in volto un sorriso imbarazzato.
«E quando devi andare al bagno,
che cosa fai? Chiami un taxi?»
Venne da ridere a tutte e due.
«Tu vieni con me e lo scoprirai
quando ti scappa.»
Scesi dall'auto e mi apprestai ad
aprirle lo sportello e ad aiutarla ad alzarsi.
«Wow.»
Rimase meravigliata Ellie quando
entrammo nell'ingresso.
«Nessuno sa di questo posto
eccetto la persona che verrà a prendersi cura di
te» le dissi
accompagnandola nella sala mentre Anna, una delle mie domestiche, ci
veniva incontro.
«Oh ma Signorina! Se ci avesse
detto che sarebbe arrivata, le avremmo fatto trovare qualcosa di
pronto in tavola!»
«Non preoccuparti Anna. Abbiamo
avuto una serata scioccante...»
Anna si mise le mani sul volto
«oh cielo! Ma cosa è successo a questa
ragazza?»
«Ti presento Ellie. Aveva appena
comprato del latte quando dei bastardi l'hanno aggredita...»
«Come mi dispiace...viviamo in
un mondo così crudele. Posso fare qualcosa per te
cara?», le
domandò con un tenero sorriso Anna.
Ellie era completamente spaesata
e stanca.
«Ti
ringrazio Anna. Ci penso io
e poi a momenti dovrebbe essere qui Maria, la dottoressa, ti
ricordi?»
«Ma certo che mi ricordo! E'
così tanto una cara ragazza anche lei!»
Mi sedetti accanto ad Ellie.
«So che adesso ti sembra tutto
un gran casino, ma vedrai che già domani, dopo una bella
dormita, ti
sentirai un po' meglio.»
Ellie annuì con la testa mentre
non la smetteva di fissare il tavolinetto che avevamo davanti.
«Io non so più niente» disse
poi «non so neanche cosa significhi sentire casino quando
nella
testa c'è solamente il vuoto.»
«Mi dispiace...», Ellie rivolse
a me lo sguardo «perché stai facendo tutto questo?
Perché non mi
hai semplicemente portata al pronto soccorso e lasciata lì?
Ci
avrebbero pensato gli altri dottori a prendersi cura di me. Non era
necessario tutto questo...».
Stavo per risponderle quando Anna
annunciò l'arrivo di Maria.
«Ciao
Dafne! Ho fatto il più
veloce possibile per raggiungervi! Come sta la ragazza?»
Ellie si alzò di colpo e poi
disse «sto bene...voglio solo tornarmene a casa.»
«Non puoi andare via così,
Maria è venuta qui a posta per visitarti.»
«Non posso? Scusa, ma tu chi sei
per dirmi quello che devo fare?»
«Io non...».
«Mi hai salvata! E ti ringrazio,
davvero, ti sono molto grata. Ma voglio tornare a casa.»
«Non
ti sto sequestrando.»
«Se
per “non ti sto sequestrando” intendi portarmi a
casa tua invece
che all'ospedale, muovermi a tuo piacimento e dirmi quello che devo
fare e dove devo stare, allora mi hanno veramente colpita per bene
prima!»
«Ma
non ci arrivi Ellie? Io voglio solo aiutarti!»
«Vuoi
davvero aiutarmi?»
«Certo
che lo voglio!»
«Allora
non arrogarti il diritto di entrare nella mia vita solo
perché avevi
bisogno di ripulirti la coscienza con una buona azione.»
«E
sai che ti dico io invece?», Ellie continuò a
fissarmi.
«Cosa?»
«Che
sono io a non volere che tu entri nella mia vita. Forse avrei dovuto
anche lasciarti lì a terra, saresti stata sicuramente
più
contenta!»
Ellie
non perse tempo a rispondermi.
«Ma
che cosa te ne fai di tutta questa ricchezza se poi sei così
povera
dentro?»
Sprofondai nella delusione.
Ci rimasi così male che mai
avrei immaginato di non riuscire a rivolgerle più la parola.
«Maria, se vuole farsi visitare
bene e sennò se ne può tornare subito a casa. Mi
sa che ho arrecato
fin troppo disturbo a questa ragazzina.»
Mi avvicinai all'orecchio di
Ellie «scusa tanto se volevo aiutarti...dovresti imparare a
badare a
te stessa...ho anche il tuo sangue addosso e mi fa un po' schifo,
sai?...»
Presi la mia borsa e corsi fuori senza neanche salutare.
Andai via e montai in macchina
mentre Anna si precipitò fino al mio finestrino bussando con
enfasi.
«Signorina cosa dobbiamo fare
con...» rimasi col finestrino chiuso e dopo una breve
retromarcia
andai via lasciando dietro di me la polvere del terreno.
Anna rientrò nella sala «è
andata via...», disse a Maria.
Maria sospirò e dopo aver
guardato un attimo Ellie disse: «adesso risolviamo tutto
Anna.»
Maria comprese la reazione di
Ellie e un po' meno la mia fuga.
Ellie era semplicemente stanca,
sotto shock e aveva bisogno di sentirsi a casa.
Dopotutto aveva appena subìto
un'aggressione e si trovava con delle estranee, e non aveva avuto
neanche il tempo di avvertire qualcuno della sua famiglia.
«Senti
Ellie, c'è qualcuno che può venirti a
prendere?»
Ellie
disse di no con la testa e abbassò lo sguardo sedendosi.
Maria
si chinò vicino a lei e le accarezzò le mani.
«Mi
dispiace per il tuo screzio con Dafne. Ti assicuro che lei aveva
tutte le buone intenzioni. Ti va se adesso ti visito? Poi ti
riaccompagno io a casa e ti lascio anche il mio numero di telefono se
dovessi avere bisogno.»
Ellie si lasciò visitare mentre
io tornando al mio appartamento in centro, mi feci una doccia veloce
per togliermi i residui di quella sera.
Poi andai a letto e spensi il
telefono.
Anche se sapevo già che non
avrei mai chiuso occhio, spensi la luce e mi strinsi forte al
cuscino.
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NOTE:
avrei dovuto
pubblicare questo capitolo il 25, arrivo con qualche ora di ritardo ma
eccomi qua; il prossimo capitolo
verrà pubblicato il 27/07/2018 e intanto se vuoi lascia un
tuo pensiero su questo che hai appena letto! :) inoltre ti invito, se
non l'hai già fatto, a leggere le mie storie precedenti, e
se ti fa piacere passerò anche a leggere le tue storie (il
giorno a cui mi dedicherò alle varie letture e alle
recensioni è il martedì, ricordatelo u.u).
Puoi
scrivermi per
qualsiasi cosa: consigli, suggerimenti e critiche sono sempre i
benvenuti. :)
Grazie per la lettura
e a presto!
KHREM
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Capitolo 6 *** Il dolore delle stelle. ***
Maria quella notte
riaccompagnando a casa Ellie, aveva avuto modo di conoscerla un po',
di farla parlare anche per dimenticare il più velocemente
possibile
la paura di quell'aggressione.
Aveva capito che Ellie non era
affatto una ragazzina, come l'aveva denominata Dafne prima di andar
via, ma soprattutto aveva capito che portava tanti pesi sulle sue
spalle e che nessuno l'aveva mai aiutata ad alleggerirsi un
po'.
Parlando tra un incrocio e un semaforo, Maria venne a
conoscenza della storia medica della madre di Ellie e si
impegnò con
lei affinché potessero trovare insieme una cura.
«A che ora
dovrai essere al centro di riabilitazione domani?»
«Per le 11.00
circa.»
«Facciamo che ti passo a prendere alle 10.30 sotto casa?
Così cercherò anche di parlare col Dr. Labua per
saperne di più
sui dettagli tecnici della faccenda. Voglio sapere ogni singola cosa
della storia clinica di tua madre.»
Maria tirò il freno a mano e
le sorrise.
«Sistemeremo ogni cosa Ellie.
Si aggiusterà
tutto, devi solo fidarti un po' di me.»
«Grazie per
avermi riportata a casa e grazie anche per l'impegno che ti sei presa
con me.»
«Non potevo lasciarti da sola.
Per tutto il
resto: è il mio lavoro e non potrei mai girare lo sguardo
dall'altra
parte se so che posso fare anche mille tentativi. D'altronde non ho
studiato soltanto per autografare ricette nel mio studio medico.»
Si
salutarono guancia a guancia e poi Ellie scese dalla macchina.
Prima
di mettere in moto, Maria la salutò di nuovo e
per poi
ripartire.
Ellie mise le mani nelle tasche e non furono
necessarie chissà quali ricerche per capire che non aveva
più le
chiavi di casa e che probabilmente le aveva perse chissà
dove.
Forse
sono ancora lì...vicino al distributore. Magari mi sono
cadute a
terra quando quello lì mi ha spinta.
Si avviò lentamente
verso la piazza.
Era veramente a pezzi e anche quei pochi passi le
costavano troppo.
Cavolo, ho la vista un po' offuscata.
Si
tenne per un attimo la mano sulla fronte chiudendo gli occhi e poi li
riaprì e inizò a cercare nei dintorni del
distributore.
Maria,
approfittando di un semaforo che come al solito sembrava sempre
essere dipinto di rosso, scrisse un messaggio che inviò
subito a
Dafne:
"Non so che diavolo ti è preso, ma so che tu non
sei così. Sei stata veramente molto ignorante con Ellie.
L'ho appena
riaccompagnata a casa. Questo è il suo numero: 347*******
chiamala.
Un bacio. P.S. Non avresti
dovuto farla addormentare in macchina, ma avresti dovuto tenerla
sveglia e lucida. Fortunatamente non ha perso né conoscenza
né l'orientamento. Ho avuto modo di constatarlo
personalmente."
Ellie continuò a cercare invano.
Non
c'era nessuna traccia delle sue chiavi.
Tornò sotto casa sua
senza neanche sapere cosa poter fare.
Quando andava a prendere il
latte non si portava mai il cellulare appresso.
E nel suo edificio
non esisteva nessun citofono e l'unica vicina di casa che aveva era
una signora anziana di 90 anni che ormai ci sentiva molto poco.
Non
poteva certo mettersi a gridare Ellie, non ce l'aveva neanche la
voce.
Ellie era stremata.
Rimase qualche minuto con la testa
appoggiata al cancello.
Due lacrime rigarono il suo viso, ma
neanche loro avevano più la forza.
Ellie si lasciò andare giù
per terra.
Guardò i suoi vestiti sporchi, quelle tracce di sangue
rimaste sulla maglietta.
I segni delle botte.
La testa che le
faceva così male.
Avrebbe voluto così tanto potersi addormentare
col suo cuscino sotto la testa, essere dentro la sua casa, che anche
se era piccola la faceva sentire al sicuro.
Pensava a sua madre, a
cui era riuscita a dare la buonanotte prima di uscire e almeno per
questo non doveva preoccuparsi.
E poi pensava che in quel momento
nessuno al mondo si stava chiedendo dove lei fosse.
Dentro il suo
cuore sentiva la sua invisibilità.
Sentiva che a nessuno
importava di lei perché alla fine nessuno era lì
con lei.
Voleva
crollare, ma rimase sveglia.
Aveva troppa paura di addormentarsi
lì davanti al cancello.
Ed è vero, io quella notte non ero
lì con lei, ma ero ancora sveglia nel mio letto e non
potendo
dormire presi il telefono e lo riaccesi.
Lessi subito il messaggio
di Maria, anche se mi fece sorridere il numero di telefono di Ellie,
perché io ce l'avevo già fin dal principio.
Non solo mi ero comportata da egoista, ma anche da incoscente facendola
dormire.
Credevo che fosse la
cosa migliore farla riposare...che disastro che sono!
Erano le quattro
quando nonostante lei potesse dormire provai a chiamarla.
Squilla...
Squilla...
Dai
rispondi...
Squilla...
Nessuna risposta.
Dovevo immaginarlo,
sarà crollata dal sonno.
Mi sentivo una persona orribile.
Ero
stata così perfida, mi ero comportata da stronza e
le avevo
detto cose che non pensavo.
Avevo solo avuto paura di perderla e di
essermi solamente illusa.
Avevo solo pensato a me stessa e a quello che provavo io.
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NOTE: a
sorpresa è arrivato questo nuovo capitolo; ci vediamo tra le
parole del prossimo domenica 29/07/2018.
Intanto se vuoi lascia un
tuo pensiero su questo che hai appena letto! :) inoltre ti invito, se
non l'hai già fatto, a leggere le mie storie precedenti, e
se ti fa piacere passerò anche a leggere le tue storie (il
giorno a cui mi dedicherò alle varie letture e alle
recensioni è il martedì, ricordatelo u.u).
Puoi
scrivermi per
qualsiasi cosa: consigli, suggerimenti e critiche sono sempre i
benvenuti. :)
EFP continua a cambiarmi dimensione e font dei capitoli. Non so perché, ma io ho sempre impostato le stesse cose, quindi chiedo scusa se il carattere e le dimensioni di ogni capitolo vi risulteranno diverse.
Grazie per la lettura
e a presto!
KHREM
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Capitolo 7 *** Il rintocco delle dieci. ***
PRIMA
DI COMINCIARE:
ti invito a leggere ogni frase di questo capitolo lentamente,
dando un tono ad ogni parola che incontri.
Voglio che tu senta questo capitolo addosso alla tua anima da lettore.
Immaginate una mattina d'estate.
Una di quelle mattine in cui la gente va al mare.
Una mattina di quelle assolate.
Una di quelle mattine in cui tutto sembra diverso.
I bambini che schiamazzano e i genitori che urlano loro di non
allontanarsi.
I clacson, i mercanti, le chiacchiere di quartiere, il caffè
al bar, la fila alla posta.
E adesso, immaginate quella stessa mattina, come un'ombra oscura che si
getta sulla gente, sulle strade, sulle macchine.
Come una sfumatura di nero, che inizia a sovrastare ogni cosa che
incontra.
Immaginate di ascoltare il silenzio torbido di un momento, che resta si
indimenticabile ma che inesorabilmente vorremmo cancellare per sempre
dalla nostra vita.
Immaginate il rintocco delle campane di una chiesa.
Immaginate la gente che a cerchio e curiosa guarda ciò che
tutti noi pensiamo essere lontana, descritta solo nei film, che fa
tremare.
Quella mattina fu ritrovata riversa al suolo, gelida come un canto
d'inverno.
Indossava ancora gli abiti del giorno prima.
Nessuno si accorse di lei, una persona così sola.
Dicevano che la morte, così improvvisa e così
strana, colpisce senza badare a chi, che cosa e perché.
La morte, l'unica persona che non fa distinsione di sesso, di razza, di
età, di portafoglio.
Davanti al cancello c'era un'ambulanza, arrivata troppo tardi.
Davanti al cancello c'era un carro funebre, arrivato troppo presto.
Davanti al cancello c'erano persone, arrivate senza mai essere arrivate.
«Che cosa è successo?» chiese Maria ad
un macabro spettatore, chiudendo lo sportello dell'auto e
precipitandosi.
«L'hanno trovata morta...poverina...Lei...».
Maria cessò di ascoltarlo e quando arrivò davanti
al cancello, ormai aperto dalle forze dell'ordine che erano giunte sul
posto chiamate da un commerciante del marciapiede di fronte, si
trovò davanti persone che facevano avanti e indietro, come
le lancette di un orologio impazzite.
Si avvicinò ad un infermiere che era lì e chiese:
«mi scusi ma che cosa sta succedendo qui?!»
«Lei chi è? Una parente?»
domandò lui.
«Sono un medico...il suo medico...»
L'infermiere la prese da parte e la aggiornò sulla
situazione.
«E' stata trovata morta questa mattina, erano circa le 8.00
quando ci hanno chiamati. Dai primi rilevamenti, lei è morta
nella notte a seguito di un trauma cranico dovuto o ad una caduta o a
delle percosse.»
Maria indietreggiò.
Mise una mano sulla bocca e gli occhi si bagnarono di lacrime.
Iniziò ad ansimare Maria, stava per piangere ma era la prima
volta in vita sua che rimase così sconvolta, così
inerme.
Mentre cercava di riprendere il respiro, il suo sguardo cadde sul retro
dell'ambulanza che era rimasta con un portellone aperto.
Si avvinò lentamente tenendosi sull'ambulanza
stessa.
«Oh mio Dio! Oh mio Dio! No!!!!» si mise le mani
tra i capelli urlando dalla disperazione.
Vide un lettino ed un lenzuolo bianco che avvolgeva un corpo, vicino un
medico che continuava a scrivere su una specie di cartella.
«Mi scusi non può stare qui! Si deve allontanare!»
l'infermiere di prima la portò via da lì e poi
disse a tutti i presenti la stessa cosa: «mi dispiace, ma non
potete stare qui...lo spettacolo è finito, per
favore!»
Maria vide mettere i sigilli davanti al cancello.
«La prego! In che ospedale la state portando?»
chiese agitatamente Maria.
«A quello centrale signorina. E' stata richiesta l'autopsia,
infatti abbiamo appena mandato via il carro funebre, adesso non serve.
Ci vorranno un paio di giorni.»
Maria si allontanò per pemettere all'ambulanza di partire.
Si avvicino alla sua auto, entrò, e con tutta la forza che
aveva si mise a sbattere i palmi delle mani contro il volante.
Entrò in uno stato di disperazione forte, acuta, spietata.
Si sentiva in colpa.
Si sentiva un medico fallito.
Aveva sbagliato tutto e aveva lasciato sola una persona che quella
notte avrebbe avuto bisogno di cure.
Era stata superficiale, banale e poco attenta.
Ma doveva calmarsi.
Adesso doveva dirlo a me e raggiungere quel corpo ormai troppo
stremato per poter dire ancora una parola.
E poi sarebbe dovuta andare al centro di riabilitazione.
Non sapeva con quale forza ci sarebbe andata, ma doveva.
Adesso era il suo dovere, lo stesso dovere che avrebbe dovuto prendersi solo
poche ore prima.
«Pronto Maria, buongiorno! Stavo per chimarti!»
«Ciao Dafne...senti dovremmo vederci subito.»
«Che succede? Stai bene?»
«Non posso parlartene per telefono, ma...»
«Ma? Parla Maria! Sai che mi puoi dire
tutto.»
«Si tratta di Ellie.»
«E' successo qualcosa?»
«Dafne, vieni all'ospedale centrale...ne parliamo
lì...»
«Ok, il tempo di arrivare.»
Maria posò il telefono sul cruscotto dell'auto.
Si abbracciò al volante.
Mi dispiace Ellie, mi
dispiace.
Girò un po' la testa verso il marciapiede e
l'occhio le cadde in un punto preciso del cancello.
Uscì dalla macchina.
Si guardò intorno e poi di soppiatto si avvicinò
fino al punto che le interessava e raccolse qualcosa.
Rientrò in macchina e aprì il suo pugno chiuso.
Questo è il
biglietto che avevo dato ad Ellie col mio numero di telefono...per
qualsiasi necessità...
Forse voleva chiamarmi per chiedermi aiuto...
Maria si lasciò andare ad un pianto lungo
minuti, finché poi asciugandosi le lacrime partì
per l'ospedale.
Voleva e doveva arrivare prima di me.
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NOTE: a
sorpresa ecco a te il nuovo capitolo; ci vediamo tra le
parole del prossimo domani, 29/07/2018.
Spero che questo capitolo ti sia piaciuto e aspetto di conoscere le tue
sensazioni. :)
Lascia un
tuo pensiero su quello che hai appena letto! :) So che un po' di
persone stanno seguendo la storia e sapere cosa ne pensate mi
può solo che aiutare a migliorarmi e per me è importante :) non siate timidi u.u
non mangio mica io u.u;
inoltre ti invito, se
non l'hai già fatto, a leggere le mie storie precedenti, e
se ti fa piacere passerò anche a leggere le tue storie (il
giorno a cui mi dedicherò alle varie letture e alle
recensioni è il martedì, ricordatelo u.u).
Puoi
scrivermi per
qualsiasi cosa: consigli, suggerimenti e critiche sono sempre i
benvenuti. :)
EFP continua a cambiarmi dimensione e font dei capitoli. Non so
perché, ma io ho sempre impostato le stesse cose, quindi
chiedo scusa se il carattere e le dimensioni di ogni capitolo vi
risulteranno diverse.
Grazie per la lettura
e a presto!
KHREM
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Capitolo 8 *** La sala d'attesa. ***
Dopo
aver saputo il motivo della chiamata di Maria e la corsa in ospedale,
ci ritrovammo in una piccola sala d'attesa.
Lei seduta ed io ero mezza sdraiata con la testa sulle sue gambe.
Mi accarezzava i capelli mentre io parlandole tenevo stretto un
fazzoletto vicino al viso.
Le avevo raccontato tutto su Ellie.
Le avevo raccontato quanto fosse stato forte il mio desiderio di
conoscerla sempre di più.
«E' tutto così ingiusto...che modo di andarsene
è questo?» dissi.
«Sai Dafne...non mi capita tutti i giorni di incontrare
qualcuno che ama un'altra persona con tutta se stessa...senza neanche
sapere chi è.»
Riflettevamo su quanto fosse così raro "amare" e su cosa
fosse in realtà questo sentimento che fa così
tanta paura a tutti.
Ci chiedevamo se tutte quelle persone che si tenevano per mano, si
amassero davvero, o se quel tenersi per mano fosse solo per paura della
solitudine.
Oggi le persone hanno perso il senso dell'amore.
L'amore è unico e indissolubile, unisce e migliora la vita
di tutti quelli che vengono accarezzati da questo sentimento.
Eppure non sentivamo altro che parole di gente perennemente infelice,
forse perché sempre abituata a rincorrere ciò che
per loro è più conveniente, ciò che
non li espone troppo, ciò che gli fa credere di poter essere
in un posto carino in cui poter stare anche se in realà si
desidera sempre di essere altrove e con qualcun altro.
Anche se poi di nascosto, già solo con la mente cerchiamo
quello che veramente vorremmo avere tra le braccia e intorno a noi.
L'amore è coraggio.
L'amore è uno specchio nell'anima dell'altro.
L'amore non ti fa soffocare.
L'amore è quella cosa che ti fa pensare che hai tutto e non
ti manca più niente.
L'amore è un pensiero dolce che non si scontra con dubbi e
incertezze.
L'amore è chiuedere gli occhi e pensare alla stessa persona
che si è appena addormentata al nostro fianco.
L'amore ti fa amare, ti fa anche trovare l'amore per te stesso.
L'amore non ti permette mai di smettere ma ti dà modo di
continuare.
«Ti va un caffè Maria?» chiesi a lei
alzandomi.
«Stai Dafne, te lo vado a prendere io.»
«No, preferisco muovermi un po'...questo posto mi sta facendo
morire un'altra volta.»
Andai verso il distributore di caffè mentre cercando qualche
moneta nel portafoglio, mi ricordavo di quando Leila era corsa dietro
ad Ellie per darle il resto che in realtà non aveva perso.
Mi chiedevo come sarebbe andata se fossi stata io a correrle dietro per
darle quel resto.
Se fossi stata io a tenerle la porta quando entrò nel
panificio.
Mi chiedevo come sarebbe stato se invece di prendere e andarmene le
fossi rimasta accanto e l'avessi accompagnata io a casa.
Se ci fossi stata
io...avrei potuto salvarla...
Poggiai il mio pugno chiuso e stretto sul distributore e
in quel momento la mia testa iniziò a girare.
Il distributore.
Mi sembrava ancora di vedere Ellie lì a terra davanti a quel
maledetto distributore.
«Cazzo!» diedi una botta forte al distributore.
«Dafne...», Maria venne dietro di me ed io mi girai
e la strinsi forte.
Iniziai a piangere tra le sue braccia che un po' tremavano e un po'
cercavano di sorrgermi.
«Non fare così Dafne...ti prego...»
disse.
«E' morta!...Se n'è andata!...Non c'è
più!...Io non posso rivederla più da nessuna
parte...non posso neanche chiederle scusa per come mi sono comportata
con lei ieri sera...», mi liberai dalla stretta di Maria
ferocemente.
«Dafne...»
«Lasciami stare ti prego...ho bisogno di stare sola. Vado a
prendere un po' d'aria.»
«Si...» rispose Maria abbassando la voce e
strofinandosi nervosamente un braccio.
Maria tornò a sedersi sperando di poter parlare con qualcuno
il prima possibile.
Doveva essere forte ma aveva solo voglia di scappare da quell'inferno
che in poche ore aveva cambiato letteralmente la sua vita e la stima
che aveva di se stessa.
Maria aveva i capelli biondi lunghi e lisci e gli occhi celesti.
Adesso quegli occhi celesti come il cielo sembravano un cielo cupo e
grigio pronto a dare tempesta.
«Lei è la Dottoressa Maria Ricci?»
chiese un medico in camice bianco appena uscito dal reparto.
«Si, sono io.»
«Bene, so che la defunta era una sua paziente, quindi ho
pensato che volesse avere la sua cartella medica con tutti i vari
appunti riportati dei rilevamenti fatti. Questi ovviamente sono i
primari, per i secondari, come sa, ci vorrà qualche giorno.
Ci metteremo d'accordo per farglieli avere, ok?»
«Si, la ringrazio. »
Il medico le strinse la mano.
«Di nulla e condoglianze. Si vede che lei ci tiene molto ai
suoi pazienti. Glielo leggo negli occhi.»
Il medico andò via sparendo per i corridoi della sala
d'attesa.
Maria si sedette di nuovo.
Fece un respiro profondo.
Nel frattempo io mi ero andata a rifugiare vicino ad un muretto.
Ero in piedi a braccia conserte, ma il fatto di poggiare le spalle
sulla parete mi faceva sentire sorretta.
Volevo svenire.
Volevo urlare.
Volevo spaccare tutto.
Volevo...non so cosa volevo.
Mi pesavano gli occhi.
Iniziavo a vedere un po' sfocato, così tanto che iniziai a
confondere le persone che passavano.
E fu lì che io ebbi la mia prima allucinazione.
Vidi Ellie tra quella gente che mi sorrideva.
Provai a chiudere gli occhi per qualche secondo decidendo poi che forse
era meglio tornare da Maria.
Avevo paura, non so che cosa mi stava succedendo, ma qualsiasi cosa
stesse accadendo non volevo esserne partecipe.
Maria era rimasta con la cartella clinica in mano perché non
aveva il coraggio di leggere quel responso che si aspettava
già.
Ma doveva farlo e non poteva farlo nessun altro al posto suo, e non
sarebbe stato giusto tener chiuso quel fascicolo.
Voltò la copertina con tutta la lentezza che non aveva mai
posseduto neanche per fare un'iniezione.
Fu un attimo quando il suo sguardo crollò.
«Ma cosa...? Non è possibile.»
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NOTE: capitoli
un po' ansiogeni, non è vero? u.u Beh lascia una tua
recensione e se
non l'hai già fatto, vai a leggere le mie storie precedenti,
e
se ti fa piacere passerò anche a leggere le tue storie (il
giorno a cui mi dedicherò alle varie letture e alle
recensioni è il martedì, ricordatelo u.u).
Ah.
Vuoi sapere quando esce il prossimo capitolo?
Facciamo che non te lo dico e lo scoprirai solo restando qui con me. u.u
Puoi
scrivermi per
qualsiasi cosa: consigli, suggerimenti e critiche sono sempre i
benvenuti. :)
Grazie per la lettura
e a presto!
KHREM
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Capitolo 9 *** Allucinazioni. ***
Maria
era rimasta con la cartella clinica in mano perché non
aveva il coraggio di leggere quel responso che si aspettava
già.
Ma doveva farlo e non poteva farlo nessun altro al posto suo, e non
sarebbe stato giusto tener chiuso quel fascicolo.
Voltò la copertina con tutta la lentezza che non aveva mai
posseduto neanche per fare un'iniezione.
Fu un attimo quando il suo sguardo crollò.
«Ma cosa...? Non è possibile.»
Si alzò di colpo.
«Devo
subito dirlo a Dafne!»
Maria trascinò via la sua borsa, il fascicolo da cui
pendevano fuori i fogli, e iniziò a correre per tutto il
reparto e i corridoi che la separavano dall'uscita.
Io mi avviai per rientare, ma l'immagine di Ellie, continuava a
seguirmi.
Camminavo più forte e adesso sembrava anche che Ellie mi
stesse chiamando.
Non sapevo più come fare, non riuscivo a smettere di vederla
e ascoltarla e così cominciai a correre anche io, come
Maria, attraversando tutto il cortile dell'ospedale.
Correvo, correvo, correvo, scappavo da questa allucinazione.
Evitando persone, macchine e stralci di aiuole.
Arrivai all'ingresso e prima di salire quei pochi gradini, mi fermai un
attimo per riprendere fiato.
In quello stesso istante però, arrivò Maria con
tanti fogli penzolanti e la sua borsa che era finita con un manico
staccato.
«Dafne!
Oddio, finalmente ti ho trovata!»
«Maria...devi
portarmi via da qui! Immediatamente! Non mi sento per niente bene...ho
paura...».
Maria si mise a cercare e poi estrasse il foglio che le interessava.
«Cazzo,
ma hai sentito cosa ti ho detto?»
- Maria mi guardò un'istante prima di tornare a mettere in
ordine il resto dei fogli.
«Ti
ho detto di portarmi via da qui!»
Maria si mise al mio fianco, come per farmi vedere o leggere qualcosa.
Io le rivolsi uno sguardo incredulo, era come se praticamente lei
avesse dei tappi alle orecchie e non ascoltasse quello che le stavo
pregando di fare.
Maria però insistette.
«E'
inutile che mi fai leggere queste 'cose'...io non...non le capisco, non
le guardo neanche...Che cosa vuoi Maria?».
Stava per illustrarmi quello che voleva farmi notare quando ad un
tratto sentii una forte stretta al braccio.
«Dafne!»
Mi voltai di colpo senza guardare e tirai una sberla a vuoto con
l'altra mano, facendo cadere tutti i fogli di Maria a terra.
Maria si chinò mentre io rimasi pietrificata.
«Dafne,
sono io, Ellie. Ti sei già dimenticata di me?»
«Ellie!!!
Tesoro!!!»
- Esultò Maria abbracciandomi.
Io dedicai loro ancora uno sguardo, finché Maria non si
girò per dirmi:
«Dafne,
ho cercato di dirtelo ma tu non volevi ascoltarmi!»
Io non avevo capito un cazzo, ma vedendo Maria abbracciare Ellie,
riuscii a capire che non avevo avuto nessuna allucinazione, non ero
diventata pazza tutta d'un tratto e in un solo secondo mi gettai
piangendo tra le braccia di Ellie, che mi strinse forte senza sapere in
realtà il vero motivo del mio pianto a dirotto e degli occhi
pieni di gioia di Maria.
Maria ci lasciò sole, per andare a rintracciare il medico da
cui aveva avuto quelle carte e restituirgliele, ormai non servivano
più.
Quella notte non fu
Ellie ad essere morta, ma la sua vicina di casa di 90 anni.
E quando arrivarono i soccorsi, una macchina della guardia medica
portò via prima Ellie, recandosi all'ospedale, dove la
curarono e le diedero anche modo di lavarsi e cambiarsi, bere e
mangiare qualcosa.
Per questo quando Maria arrivò sotto casa di Ellie,
perchè si erano date appuntamento per le dieci, si
trovò davanti quella scena così devastante.
Passarono minuti, quando io ed Ellie eravamo ancora
abbracciate.
Sentivo ancora quel dolce imbarazzo di Ellie mentre la stringevo e
percepivo il suo respiro, come se cercasse di dirmi qualcosa e nello
stesso tempo di vivere in silenzio quel momento nostro.
Mi strinse ancora di più.
«Dafne...»
«Si,
Ellie?»
«Ho
caldo.»
«Oh
si, scusami...»
- stavo per allentare la presa quando lei, ancora una volta, mi strinse
ancora di più.
«No,
stavo scherzando, restiamo così...se ti va...mi viene
più semplice.»
Quel mio corpo che toccava il suo così, mi fece sobbalzare
il cuore più volte.
Era passato mezzogiorno ed io avevo i brividi di freddo.
«Dafne...io
volevo...»
«Volevi?»
«Ora...te
lo dico.»
«Ok...»
Fece un respiro più intenso.
«Volevo
chiederti scusa per come mi sono comportata con te. Tu volevi solo
aiutarmi ed io ti ho rifiutata come se tu fossi la cosa peggiore del
mondo.»
Disse tutto così velocemente, ma avevo capito ogni parola.
«Sono
io che dovevo capire che cosa stavi passando, non dovevo lasciarti
sola...mi dispiace tanto.»
«Ed
io invece dovevo fidarmi di te.»
Mi staccai dalle sue braccia per poterla guardare negli occhi.
Eravamo l'una di fronte all'altra, una decina di centrimenti,
perchè anche se non ci stavamo più abbracciando,
io avevo avvolto le mie braccia intorno alla sua testa, mentre le sue mani cingevano i miei fianchi.
Ci guardammo per un intenso secondo e poi le dissi:
«e
adesso, ti fidi di me?»
Lei mi sorrise e poi rispose:
«si,
adesso si.»
Mi stavo stringendo ancora un po' per avvinarmi di più al
suo viso quando Maria ci interruppe.
«Forza bellezze! Dopo questo bello spavento dobbiamo prenderci
assolutamente una giornata libera, tutte e tre insieme! Su!»
Ci staccammo, Ellie si mise tra me e Maria e tutte e tre iniziammo a
camminare per raggiungere la macchina, a braccetto.
«Di
quale spavento parli, Maria?»
Chiese
Ellie.
«Te
lo racconto strada facendo tesoro.»
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NOTE: spero
che questa storia inizi a tenerti un po' di compagnia e naturalmente
spero anche di averti fatto una bella sorpresa con Ellie.
Fammi sapere tutto quello che ti passa per la testa riguardo la storia,
mi sarà di certo utile e mi aiuterà a migliorare.
:)
D'ora in poi, non scriverò più qui sotto, nelle
note, la data in cui i capitoli seguenti verranno pubblicati.
Per prima cosa, è bella l'attesa e l'arrivo in aspettato e
seconda cosa, anche per evitare ritardi nella pubblicazioni dovuti a
ovvie giustificazioni.
Puoi
scrivermi per
qualsiasi cosa: consigli, suggerimenti e critiche, sono tutti sempre, i
benvenuti. :)
Grazie per la lettura
e a presto!
KHREM
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Capitolo 10 *** Aria di casa. ***
Erano
passati un po' di giorni, prima che Ellie potesse tornare a casa sua, a
causa di quei sigilli che la polizia aveva messo.
Dal giorno dell'incontro in ospedale, io non avevo più visto
neanche Maria per alcuni impegni di lavoro che mi constrinsero a stare
fuori città.
Riuscivo la notte con qualche minuto libero a dispozione, prima di
dormire, a comunicare con una delle due per sapere come stavano andando
le cose.
Avevo saputo che la mamma di Ellie, adesso veniva tenuta sotto
osservazione da Maria che aveva fatto in modo di trasferirla in una
clinica vicino al suo studio, un po' più seria e un po'
più costosa, ma questo Ellie non lo sapeva.
Ellie credeva che fosse solamente un semplice trasferimento.
Anche lei si stava riprendendo, qualche segno era ancora visibile, ma
la paura e i malesseri stavano ormai scomparendo.
«Buongiorno Signora!» esclamò Ellie
entrando appena nel chiosco.
«Oh, buongiorno cara! Tu devi essere Ellie,
giusto?» domandò la signora sorridente
stringendole la mano.
«Si, sono io! E' incantevole qui dentro Signora
Monica!»
Ellie si guardò intorno estasiata.
«Vieni cara, ti faccio vedere tutto il necessario prima di
lasciare nelle tue mani questo piccolo paradiso.»
Ellie, seguì le istruzioni della Signora Monica molto
attentamente.
Le diede delle dritte su come trattare con i clienti, come servirli,
come capirli affondo nelle loro richieste.
«E soprattutto mia cara, ricordati che le tue mani
accarezzeranno e cureranno delle piccole vite e non degli oggetti,
come tante persone credono.»
«Si, Signora Monica.»
«Ricordati che questi fiori e queste piante sono come le
persone: devi dar loro amore, portar loro rispetto e allora vedrai
crescere qualcosa di molto speciale in loro, a partire dall'essenza che
ti regaleranno.»
La Signora Monica fece una carezza al viso di Ellie «vedo nei
tuoi occhi una ragazza per bene, non credo di doverti dare molte altre
raccomandazioni».
Ellie aiutò la Signora Monica a prendere le sue cose
«ricordati solamente che per qualsiasi cosa puoi chiamarmi,
che sia giorno o che sia notte».
«Grazie infinite per la possibilità che mi sta
dando! Non la deluderò!» disse Ellie stringendole
entrambe le mani.
«Ne sono sicura figliola.»
Si salutarono ed Ellie rimase sola nel chiosco.
Tirò un sospiro di sollievo per essere riuscita a trovare
questo piccolo lavoro e continuò a guardarsi intorno e ad
ammirare tutti quei colori.
Il chiosco si trovava in un posto molto sicuro della città,
pieno di gente, pieno di negozi e non era molto lontano dal mare.
Ellie era immersa nei fiori, nei loro petali e nel fresco candido di
quella piccola oasi.
Bene, vediamo cosa
c'è da fare sulla tabella di marcia!
Aveva
ancora mezz'ora di tempo prima di aprire e così
iniziò a sistemare il piccolo magazzino all'interno del
chiosco.
Quei piccoli scaffali e quelle piccole dispense erano sempre tutte in
disordine e la Signora Monica le aveva dato carta bianca
purché tutto potesse essere finalmente sempre in ordine e
pulito.
Mmm...vediamo. Qui ci
sono tre scaffali, due cassetti con un piccolo ripiano e due sportelli
in basso.
Quindi potrei...sistemare le varie decorazioni, nastri e fasci colorati
sugli scaffali, così che sono visibili anche per i
clienti...nei cassetti potrei sistemare i vari arnesi che
utilizzerò per le decorazioni e le composizioni...e negli
sportelli potrei mettere le varie bombolette spray, qualche bottiglia
d'acqua e quei piccoli vasetti abbandonati li sotto...chissà
mai possano tornare sempre utili un giorno...il ripiano...meglio
lasciarlo libero.
Non ci sarà mai abbastanza spazio qui
dentro, ne sono sicura!
Ellie si grattò un attimo la testa guardando
con soddisfazione il piccolo magazzino.
In quel momento mentre lei era di spalle, bussai alla porticina del
chiosco.
Ellie aprì e vidi spuntare sul suo volto un'espressione
sopresa.
«Dafne! Che cosa ci fai qui?» le sorrisi e poi le
risposi «te lo dirò solo se prima mi fai
entrare».
Ellie mi fece entrare e mi prese uno sgabello per farmi sedere.
«Allora?» chiese sorridendo «vuoi tenermi
sulle...spine?»
Ci guardammo ridendo e poi mi decisi a risponderle.
«Sono scappata.»
«In che senso "scappata"?»
Mi avvicinai di più a lei con lo sgabello e poi le presi
tutte e due le mani accarezzandole.
«Oggi è il tuo primo giorno di lavoro Ellie ed io
volevo augurarti buona fortuna».
Mi guardò per un istante imbarazzata e poi distolse lo
sguardo e lasciò anche le mie mani.
«Dove
vai?» chiesi.
Lei
si voltò e mi rivolse un sorriso furbetto.
«Il
tuo colore preferito?» mi domandò.
«Il
rosso».
Ci
fu un silenzio assordante per qualche minuto, scandito da qualche
rumore prodotto da quello che stava facendo lei.
«Tutto
bene...Ellie?»
«Perfettamente!
Non aver paura!» esclamò ridendo.
Si
avvicinò a me con le mani dietro la schiena e poi disse
«adesso chiudi gli occhi e promettimi che qualsiasi cosa
accada, tu continuerai a tenerli chiusi»
La
guardai con sorriso stampato in faccia «non sono sicura di
poterti fare questa promessa...» lei mi fece una smorfia
«ma guarda che non ho mica intenzione di tirarti addosso una
scatola di insetti...».
Mi
guardò pregandomi di chiudere una buona volta gli occhi ed
io cedetti e senza più controbattere mi fidai di lei e
chiusi gli occhi.
Ellie
iniziò a farmi cadere sulla testa dei petali rossi
«ma che cavolo fai Ellie!?», quasi gridai ridendo,
«non aprire gli occhi, l'hai promesso!».
Continuò
a far cadere gli ultimi petali e poi non sentii più nulla.
«Adesso
posso aprire gli occhi?».
Ellie
si guardò prima intorno e poi mi diede il permesso.
«Ma
guarda cosa hai combinato!» le dissi alzandomi e pulendomi
dai petali.
«Ti
sei arrabbiata?» mi chiese.
«No...certo
che no Ellie. E' che non ho capito il senso di quello che hai fatto con
i petali...».
La
guardai un po' confusa.
«Cioè,
è stato divertente, ma...».
«Ma
è solo una stupida ragazzata, vero?»
«Non
volevo dire questo Ellie.»
«Ma
l'hai pensato...»
Mi
grattai la testa mentre qualche petalo cadeva ancora a terra.
«Ellie,
adesso devo andare. Devo tornare a lavoro e anche tu qui hai un gran
bel da fare. E' il tuo primo giorno.»
«Lo
so» mi allungò le chiavi della macchina che avevo
poggiato sul bancone e poi disse «allora ciao».
Mi
diede le spalle e iniziò a spolverare un po' il bancone e
poi ci passò su uno sgrassatore con una pezza bagnata.
La
guardai ancora un istante e ancora più confusa le dissi un
"ciao" sottovoce e uscii.
Entrai
nella mia auto, posai la borsa e misi in moto.
Ovviamente,
come spesso mi capitava, il cellulare iniziò a squillarmi e
così poco dopo dovetti accostare per rispondere.
«Che
diamine sempre la solita storia...ogni santa volta che metto
moto!»
Era
un numero anonimo e appena dissi "pronto?" mi chiusero il telefono in
faccia.
«Ma
che cavolo...» stavo per mettere il cellulare di nuovo nella
borsa quando vidi una scatolina, così la presi e le tolsi il
fiocchetto e il coperchio.
--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
NOTE: giornate
un po' sottosopra le precedenti a cui devo il ritardo della
pubblicazione di questo capitolo.
La pubblicazione verrà ripresa con un ritmo molto
più decente, promesso. u.u
Puoi
scrivermi per
qualsiasi cosa: consigli, suggerimenti e critiche, sono tutti sempre, i
benvenuti. :)
Grazie per la lettura
e a presto!
KHREM
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Capitolo 11 *** Profumo di dubbi. [prima parte] ***
La cintura mi stava letteralmente soffocando, così la
sganciai e nell'avvicinarmi di più al sedile accanto per non
far cadere sotto al sedile il contenuto della scatola, i miei occhi si
riflessero nello specchietto.
Non mi ero neanche accorta, presa dalla fretta e confusa dal gesto di
Ellie, di avere una corona di fiori in testa.
Posai tutto e sorrisi continuando a guardarmi.
Presi con cura la corona di fiori e cercai di annusarne ogni piccola
parte.
Si sentiva anche il profumo di Ellie.
Ebbi una vampata di calore fortissima che fece scottare il mio viso
come carne sulla griglia.
Rimisi la mia coroncina sulla testa e mi scattai una foto.
Mi lasciai andare per qualche istante con le spalle addosso al mio
sedile.
Iniziai a contemplare i raggi del sole che cominciavano a scaldare sempre
di più il vetro dell'auto.
Avevo difronte a me una lunghissima giornata di lavoro, ero di rientro
in città in giornata, ma sarebbe stata pur sempre faticosa e
stressante.
Avevo la testa annebbiata da molti pensieri in quel periodo e stavo
anche pensando di vendere quel enorme palazzo in cui portai Ellie dopo
averla soccorsa.
Non mi serviva, era troppo fastoso, troppo in vista per una che voleva
solo nascondersi.
Pensavo a come poter poi reinvestire i soldi ricavati dalla vendita e
se mai sarei riuscita a fare in modo che ne valesse la pena.
Poi ci stavano i domestici, non sapevo ancora se dar loro modo di
vivere altrove e sempre lavorando per me o se invece lasciarli andare
con una buona liquidazione.
D'altronde a me i domestici non servivano.
Io amavo starmene da sola per conto mio, a casa.
Ed ora che provavo ad immaginare come sarebbe stato svegliarmi con Ellie
accanto, capivo ancora di più quanto non avrei avuto bisogno
di nient'altro.
Smisi per un attimo di pensare e riposi di nuovo l'attenzione sulla
scatolina che avevo trovato nella borsa.
Ormai era già aperta.
La scatolina era piena di petali rossi, alcuni caduti anche nella borsa. Ancora altri "dannati" petali
rossi.
Capendo che Ellie aveva deciso di farmi una sorpresa, cercai con le
dita di scavare all'interno per vedere se ci fosse qualcosa ricoperto
dai petali.
E così fu, ci stava un bigliettino scritto da Ellie:
"Mi hai salvato la vita
e non ti ho ancora ringraziata per questo. Posso invitarti a cena da me
una di queste sere? Non ti avveleno promesso! Ellie."
In quel momento, una giornata che si prospettava piena di
caos, iniziò ad avere un senso.
Stavo per scrivere un messaggio ad Ellie, quando pensai che volevo
sentire ancora la sua voce, e così misi il vivavoce
nell'auto e mentre ripartii, il suo telefono iniziò a
squillare.
Avete mai provato quella forte sensazione del cuore che sta per uscirvi
fuori dal petto, mentre va a tempo con il suono degli squilli di un
telefono?
E mentre sentite quegli squilli in quegli interminabili secondi, inizia
a mancarvi il respiro, cominciate a cercare la sua voce tra i ricordi che avrete e su quella voce vorreste morirci volentieri,
dentro.
«Vuole ordinare dei fiori, Signorina?»
«In
realtà a me non interessano particolarmente i fiori in
questo momento...»
«E come posso
esserle utile allora?»
domandò Ellie con qul suo tono soffice.
«Vorrei parlare
con una certa persona che oltre ad aver ornato la mia mente piena di
pensieri, con una splendida corona di fiori, mi ha anche invitata a
cena.»
La sentii quasi sorridere in quei piccoli
istanti imbarazzanti ma dolci, di silenzio.
«Lei
è sicura che sia la stessa persona ad aver fatto entrambe le
cose?»
Io sorrisi.
«Ci metterei la
mano sul fuoco.»
«E allora,
cosa riferisco a questa persona? Per la cena intendo.»
Feci un piccolo respiro.
«...Che se le
va bene, domani sera sarebbe perfetto.»
«Facciamo
allora domani dopo le venti?» chiese
per conferma Ellie.
«Va benissimo.»
«A domani,
Dafne.»
disse, e mentre stava per riagganciare io mi precipitai con la voce per
bloccarla: «Ellie?»
«Si?»
- rispose lei.
«Grazie per la
sorpresa.»
Ci scambiammo gli ultimi saluti e poi
riagganciai.
[qualche ora dopo]
Mentre Ellie era immersa nei fiori, io ero assalita dai flash della
macchina fotografica di Bernardo.
«Oggi sei
particolarmente radiosa! Sei perfetta!» esclamò
entusiasto lui.
Gli dedicai un sorrisone e gli diedi una pacca sulla spalla.
Lui era un uomo sulla cinquantina, che dava si, l'impressione di essere
uno stronzo, ma in realtà amava così tanto il suo
lavoro, da voler ogni volta spaccare il minuto con la consegna degli
scatti.
Erano già un paio di anni che lavoravamo insieme e quando
purtroppo subivamo un cambio di produzione, e non era lui al timone
della carrellata di fotografie, io mi sentivo sempre un po' a disagio e
un po' persa.
Ci punzecchiavamo parecchio durante le ore di lavoro, a volte volavano
anche gli insulti tra la tensione e la pressione di dover fare tutto
all'ultimo minuto, ma c'era molta intesa tra il suo modo di porre
l'obiettivo e me in tutte le mie forme.
«Fra poco
arriva Mario lo sai?»
rise.
«Quello
lì ti ha praticamente messo gli occhi addosso e mi sa che
non vede l'ora di metterci anche le mani!»
Continuò a ridersela.
«Ah! Perfavore,
Bernardo.»
«Lui mi
guardò e poi disse: sta tranquilla, se quello inizia a
rompere, lo aggiusto io!»
Andai in camerino a cambiarmi per la prossima sessione e nel mentre che
aspettavo la truccatrice, iniziai a spogliarmi.
Mi tolsi le scarpe, il vestito intero che avevo addoso e rimasi in
intimo per qualche minuto.
Non ero sicura di dover cambiare anche quello, e quindi aspettavo che
entrasse chi di competenza per stabilirlo.
Mi spostai dal paravento per andare a prendere il mio cellulare che
avevo lasciato sul mobile con lo specchio.
Lo presi e mi sedetti ad aspettare sul divanetto rosso di pelle,
controllando qualche notifica e impostando come immagine del profilo,
quella foto che avevo scattato in macchina di mattina.
Mi stavo rilassando un po' nell'attesa, quando all'improvviso sentii
uno strano calore intorno al collo.
Mi toccai con una mano dietro, ma non avevo nulla di particolare.
Appena tolsi la mano, ebbi come la sensazione di un qualcosa di bagnato
e morbido che mi toccava.
Capii subito cosa diavolo era.
Mi alzai di colpo e inziai a dare di matto.
Lui rideva e se ne stava lì, a torso nudo, a guardarmi
soddisfatto.
«Che cosa
cavolo hai da guardare? Va fuori di qui!»
«Dai...non te
la prendere Dafne! Era solo un bacino tenero.»
«Mi fai
schifo...chi ti dà il permesso di fare una cosa del genere?»
«Come sei scorbutica...»
«Vattene, ho detto!»
«Anche se sei incavolata nera...non
hai idea di quanto sei sexy!»
«E' il mio camerino, cazzo!
Và fuori!»
All'improvviso si aprì la porta.
«Ehi, ma che succede qui dentro?»
domandò scossa Leila.
«E' Dafne che ha le sue cose...»
«Ciao Mario!»
gli disse Leila ammiccando un sorrisetto malizioso e poi
continuò «sai che a Dafne
non piace scherzare...», mi
lanciò un'occhiata aggiustandosi il rossetto agli angoli
della bocca.
«Mi ha sbavato sul collo! E questo
è il mio camerino!», dissi
incrociando le braccia.
«Era un bacio,
quello, carina.» , disse Mario avvicinandosi a me un'altra volta.
«E ti incazzi
così per un bacio, Dafne?»
aggiunse Leila.
Io mi sentivo ancora il suo fiato sul collo e quella sensazione di
bagnato non mi usciva dalla testa, così,
avendone abbastanza di tutti e due, presi per un braccio Leila
strattonandola.
«Andate fuori tutti e due!»
esclamai furiosa.
«Ehi, sta calma! Non ti preoccupare,
me ne vado...» ribatté Leila.
Leila iniziò ad uscire mentre Mario, seguendola, mi
mandò un bacio «ciao
amore».
«Vaffanculo
idiota!» afferrai la maniglia della porta e la sbattei forte
nel chiuderla.
--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
NOTE: ammetto
spudoratamente, che il capitolo precedente, era un po' lento, frutto di
una specie di ponte che credo stia bene per rallentare un po' gli
eventi della storia. Spero di essermi ripresa con questo capitolo. Se
così non fosse allora la magia è finita. u.u
Poi, mi è andato in tilt il program NVU che uso per l'html, quindi probabilmente il carattere risulterà più piccolo e non c'è verso stasera di metterlo a posto. Quindi, chiedo venia, poiché provvederò a sistemarlo a breve.
Puoi
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qualsiasi cosa: consigli, suggerimenti e critiche, sono tutti sempre, i
benvenuti. :)
Grazie per la lettura
e a presto!
KHREM
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