Eileen

di Pan84
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Davanti allo specchio rifletto me stessa, capelli nero corvino ricadono in morbidi boccoli sulle spalle.

È forte il contrasto con il vestito bianco di seta e organza che indosso.

In vita una cinta color cremisi dello stesso colore del ciondolo di rubini che porto al collo.

«È incantevole Signora», continuano ad adularmi le mie servitrici, come api attorno alla loro regina.

«Il giorno più bello della sua vita» continuano a ronzare, ma allora perchè i miei occhi riflettono solo spavento e tristezza?

Una morsa mi attanaglia lo stomaco, "Così deve essere" continuo a ripetermi come una litania da giorni.

«Mia Signora, Sir Damon è qui per vederla».

«Fatelo entrare» rispondo con voce austera.

«Gradirei parlare con lui in privato. Lasciatemi sola» sono avezza ormai agli ordini e le mie ancelle con un frusciare di vesti a capo chino, si allontanano.

Io resto sola in attesa di Damon.

Non riesco nemmeno a sostenere il mio sguardo riflesso figurarsi il suo ora. Distolgo lo sguardo dalla mia sconsolata immagine e mi allontano dallo specchio.

Lontana da una realtà che non riesco ad accettare ricado stanca e stremata sulla poltrona di broccato accanto alla finestra.

Un leggero bussare alla porta mi ritrascina alla realtà.

«La porta è aperta» dico.

Un tremito mi scuote quando avverto la sua presenza nella stanza. Istintivamente vorrei corrergli incontro e cercare riparo tra le sue braccia, conforto nella sua voce e compassione nei suoi occhi, ma tutto quello che riesco a fare è restare pietrificata nella mia posizione con lo sguardo perso oltre la finestra.

Sento i suoi passi avvicinarsi e fermarsi alle mie spalle.

«Tutti ti aspettano di sotto. E' quasi ora, dobbiamo andare», dice in modo solenne dandomi del tu, lo fa solo quando siamo soli.

Ma avverto nella sua voce un che di rotto, di spezzato: il suo cuore.

Non rispondo e aspetto che continui.

«Volevo accertarmi che stessi bene»

A quelle parole mi alzo in piedi e con occhi supplicanti mi volgo verso di lui. 

«Come posso stare bene?»

Incontro il suo viso, pelle color ambra, capelli scuri che alla luce del sole rivelano riflessi dorati.

Le mie mani si protendono verso le sue che si incontrano stringendosi

all' unisono con le nostre anime.

« Tranquilla, andrà tutto bene», mi dice con voce rassicurante. «Io sarò lì accanto a te»

Gli prendo il viso tra le mani ancora calde dopo il contatto e incontro il suo sguardo, occhi più profondi di una caverna, azzurri con schizzi verdi come smeraldo sepolto negli abissi del mare. Avvicino le mie labbra alle sue e mi perdo nel suo bacio, forse l'ultimo.

Quegli occhi, i suoi occhi sono nei miei, sono i miei.

E... mi sveglio.

Era solo un sogno.

Con ancora addosso il peso di quello sguardo prendo con difficoltà contatto con la realtà. Mi metto seduta sul letto, afferro il bicchiere d'acqua che ho messo sul comodino la sera prima e bevo tutto d'un fiato.

Fisso la radio sveglia digitale che con il suo rosso metallico mi avverte che sono ancora le cinque del mattino. Accanto a me il respiro regolare di Matt, il mio fidanzato, fa da sottofondo al mio inquieto stato d'animo.

"Era solo un sogno, devo cercare di riaddormentarmi prima che suoni la sveglia" dico a me stessa.

Affondo la testa sotto il piumone, mi sfioro le labbra con la mano e arrossisco. Le sento ancora calde al ricordo di quel bacio.

Alle otto sono in treno diretta al lavoro, riesco a conquistarmi un posto a sedere nel rush mattitutino. Il rumore è assordante, alzo il volume del mio IPod e mi isolo dal resto del mondo.

Non riesco a distogliere il pensiero da quel sogno, troppo reale per non essere vero. Il volto di quel ragazzo, ogni tratto del suo viso troppo dettagliato, troppo vivido, per essere frutto della mia fantasia.

Scuoto la testa con forza, come se volessi cancellare dalla mia mente quell'immagine, come si fa con un disegno fatto sulla sabbia e nel mio rimuginare per un soffio non perdo la mia fermata.

Facendomi largo tra la folla scendo dal treno. "Il piacere di vivere a Roma". Dico a denti stretti a me stessa, maledicendo la mia testardaggine nel voler continuare a vivere in questa città.

Con Matt eravamo giunti ad un compromesso, una villetta alle porte di Roma per conciliare il suo desiderio di tranquillità e il mio stupido amore per la città eterna.

Non avevo minimamente considerato lo scontro con la triste realtà di una vita da pendolare, e l'inferno del treno regionale ogni mattina per arrivare al lavoro.

Fino a due anni prima vivevo in un piccolo monolocale nel cuore di Roma ad un passo da Campo dei Fiori e a cinque minuti a piedi dalla galleria dove lavoro.

Poi, dopo che Matt è entrato nella mia vita, quel nido al centro è diventato troppo piccolo per due e così ora affronto questo inferno tutti i giorni.

Dopo treno e bus arrivo già stanca, sono da poco passate le nove e mezza ed entro in galleria trascinandomi pesantemente.

Tyler mi saluta sorridendo, il suo buon umore a volte diventa davvero fastidioso.

«Il ritorno degli Zombie» dice ridendo a crepapelle non appena posa gli occhi su di me.

«Caffè...» dico agonizzante gettando la borsa sulla mia scrivania.

Dorothy Circus Gallery, la mia seconda casa ormai da quattro anni.

All'interno delle sale esponiamo pezzi di giovani artisti del pop surrealismo.

Stiamo allestendo una nuova mostra che avrà luogo tra due settimane. Un campo minato di scatoloni e cornici, la nostra trincea di guerra per i prossimi quindici giorni.

Tyler accende lo stereo, lavorare senza musica è per noi impossibile.

"Dancing Queen" degli Abba risuona tra le pareti tappezzate di velluto rosso.

Tyler fa qualche piroetta aprendo uno scatolone indicandomi sul tavolino lì vicino la mia tazza di caffè fumante.

Non posso che lasciarmi scappare un sorriso nonostante il mio umore.

«Non riesci davvero a resistermi» dice il mio collega venendomi incontro e invitandomi a ballare.

Avere a nostra completa disposizione la galleria chiusa al pubblico per allestimento è davvero rilassante.

Tyler riesce con poco a farmi dimenticare il mio cattivo umore da pendolare e dopo aver finito di ballare gli chiedo «Allora, com'è andata ieri con la tua nuova fiamma?»

«Ah, quello. Altro che fiamma...si è rivelato un fuoco di paglia. Era una checca isterica peggio di me. E voleva solo scopare. L'ho lasciato con le mutande abbassate nel bagno del Mucca Assassina»

Gli scoppio a ridere in faccia immaginando la faccia di quel poverello abbandonato senza pietà.

Tyler è l'unico dei miei amici gay a non accontentarsi di relazioni fortuite e scappatelle. A quasi trent'anni è ancora alla disperata ricerca del vero amore.

Siamo amici dai tempi dell'università, ci siamo trovati seduti vicini nelle retrovie della classe per caso.

Da poco era iniziata la lezione di arte contemporanea e lui come una star si era presentanto con dieci minuti di ridardo. Aveva esitato un attimo all'ingresso, e incurante dello sguardo gelido del professore aveva scelto con cura il posto dove sedersi. Proprio accanto a me.

Aveva da subito attaccato bottone dicendomi, «Sei quella che mi è sembrata la meno sfigata in questo mare di perdenti» riferendosi ai miei compagni di corso.

Da quel giorno siamo diventati culo e camicia.

A pranzo incontro la mia vecchia amica Caroline, la razionalità e la pragmatica fatte donna. Ci incontriamo all'uscita del suo ufficio e ci dirigiamo verso il nostro bistrò preferito. E' un piccolo dining cafè che ha aperto da poco. Si accede tramite una piccola scaletta di legno che affaccia su una strada secondaria.

L'ambiente è molto confortevole e familiare. Lo staff ci accoglie con un sorriso e la cameriera ci fa strada verso il nostro tavolo, in fondo alla sala. Sediamo sui divanetti di velluto e diamo uno sguardo ai piatti del giorno. Dopo aver fatto le nostre scelte ci rilassiamo e le racconto il breve il sogno della scorsa notte.

E lei: «Devi finirla di dare troppo peso ai sogni e alle tue strambe sensazioni. Se mi dessi retta capiresti che c'è una spiegazione razionale per ogni proiezione del nostro inconscio», mi aggredisce.

Io la guardo scettica e continuo ad ascoltare la sua manfrina.

«Te lo dico io Elena qual è l'interpretazione a questo sogno, ansia pre matrimoniale. Tutto qui. Piantala con queste paturnie e pensa piuttosto alla luna di miele!».

Con un sospiro le rispondo: «Forse hai ragione, mi faccio sempre condizionare troppo da queste cose», ma in fondo cerco di convincere più me stessa che lei. «E' solo che... va beh, dai lascia perdere...». continuo a mangiare svogliata la mia insalata.

«A proposito» mi incalza Caroline «com'era sto strafigo che hai baciato? Dai, condividi con la tua amica i dettagli piccanti» ammicca curiosa.

«Troppo anche per te!», le rispondo e finiamo col ridere come bambine.

Più tardi in attesa dei nostri caffè, Caroline si scosta un ciuffo di capelli biondi dalla fronte e mi ricorda, «Allora, per stasera alle 21.30 da McGregory. Ci vediamo tutti direttamente lì, non fare tardi.».

Avevo completamente dimenticato l'appuntamento di stasera.

Nel frattempo arrivano i nostri caffè, con un gesto automatico verso un cucchiaino di zucchero nella tazza, girando il caffè alzo lo sguardo e rispondo distrattamente, «Tranquilla, io e Matt saremo puntualissimi»

Porto la tazzina alla bocca e penso che sarà l'ennesima serata passata in compagnia di persone che fingono interesse per me e la mia vita.

Caroline mi fissa con sguardo torvo, « So a che cosa stai pensando! Smettila di fare l'asociale. Una piccola festicciola pre nozze ci sta tutta.»

«Rilassati, verrò.» Le rispondo rassegnata.

Quella sera al McGregory ci sono davvero tutti.

Gli amici di sempre e le persone che non vedevo da anni che mi si avvicinano chiedendomi notizie della mia vita, per poi spostare il discorso sulla loro di vita, molto più interessante della mia.

Le voci attorno a me si confondono e diventano un suono indistinto.

Bevo un altro sorso del mio drink, ma l'alcool mi resta in gola e mi blocca il respiro.

Con una scusa mi allontano dalla sala per cercare riparo e ritrovare un po' d'aria.

Mi dirigo verso il bagno. Entro e chiudo a chiave la porta dietro di me.

Mi appoggio allo stipite di mogano scuro, provando a rallentare il respiro, chiudo gli occhi. Mi aggrappo al piano del lavandino.

Alzo lo sguardo e lascio scorrere l'acqua. Con la mano mi bagno le labbra e la fronte. Guardo il mio volto allo specchio. L'acqua mi ricade sui capelli e sulle guance rosse e roventi per i troppi cocktail bevuti.

Avrei dovuto andarci più piano, penso con rammarico asciugandomi il viso.

Chiudo di nuovo gli occhi e faccio un profondo respiro.

Sento una mano toccarmi la spalla,

Eileen, Mia Signora..." , mi sento sussurrare all'orecchio da quella voce che ho già sentito nei miei sogni. 

Apro gli occhi, mi giro di scatto e una folata d'aria gelida mi colpisce, spalanca la porta poco prima chiusa a chiave e si perde nel corridoio.

Mi guardo attorno, sono completamente sola.

Una paura primordiale mi scorre come un brivido lungo la schiena.

Corro verso il corridoio e incontro Matt.

«Tutto bene piccola?» mi chiede con apprensione.

«Prima sei entrato in bagno?» gli chiedo.

«No, perchè? Ti vedo strana, c'è qualcosa che non va?» mi chiede sinceramente preoccupato.

«Mi è sembrato che ci fosse qualcuno, non so...» gli rispondo con fare concitato.

«Tesoro, forse hai bevuto un po' troppo. Ti prendo dell'acqua», mi cinge la vita e mi bacia sulla guancia.

Mi avvicino al bancone insieme a lui. Bevo l'acqua e poi mi dirigo sola verso l'uscita per prendere un po' d'aria.

Siedo poco distante dall'entrata del pub su una panchina di legno e provo a fare ordine nel vortice dei miei pensieri.

«Sicuramente quella voce è stata frutto della mia immaginazione, eppure... sono sicura di non aver bevuto così tanto... quel nome Eileen... surrurrato appena, è della stessa persona del sogno della notte scorsa.»

L'aria frizzante che mi colpisce il volto mi ricorda che siamo ancora ai primi di Marzo. Per il freddo mi stringo nelle spalle e decido di tornare dentro al caldo. Quando sento qualcosa sfiorarmi le caviglie.

Mi sporgo in avanti e vedo un grosso gatto nero che si strofina su di me. Quasi volesse scaldarmi e trovare un po' di coccole.

«Ehi, tu! Da dove sbuchi fuori?» tendo una mano per accarezzarlo, ma mi sfugge via. Riesco a sfiorargli appena la coda.

Con un salto sale sulla panchina, mi si avvicina e appoggia la testa sul mio grembo. «Hai freddo anche tu?» gli chiedo, e mi risponde con un miagolio sommesso.

Mi accorgo che porta al collo un piccolo ciondolo. Non la solita medaglietta per gatti, ma un piccolo medaglione in metallo. Lo prendo tra le dita e seguo il contorno dell'incisione riportata: due mani che abbracciano un cuore sormontato da una corona.

Sfioro ancora il rilievo e leggo:

Per l'amicizia son le mani

Per l'amore è il cuore

In alto li sovrasta la Corona

Di lunga ed eterna Lealtà

Il gatto solleva il capo e per un istante ci fissiamo. Resto rapita dal suo sguardo magnetico.

La porta del pub si spalanca e la luce di dentro inonda con il suo fascio la panchina.

«Ecco dov'eri finita!». La voce di Caroline rimbomba nel silenzio della strada.

Con uno scatto il gatto salta giù dalla panchina e atterra sul marciapiede , corre via spaventato sparendo dietro l'angolo.

«Dai torna dentro, qui si gela» mi dice Caroline tenendo con una mano aperta la porta del locale. Mi alzo e la seguo dentro.

Nella mia testa risuonano ancora quelle parole incise sulla medaglietta.

Una filastrocca per bambini imparata tanto tempo fa.  

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Lungo la scalinata di marmo bianco risuonano i nostri passi.

Sono l'unico rumore a parte il battito del mio cuore. Man mano che avanzo verso la cappella avverto in lontananza il brusio della congregazione riunita.

Fiaccole pendenti alle pareti illuminano il mio cammino. L'ultimo cammino da donna libera da doveri, dal peso della responsabilità, dal mio infausto destino.

L'ultima possibilità di poter scegliere chi amare.

Damon è al mio fianco, la sua presenza è per me più fonte di rimpianto che di conforto.

Il portale di legno massiccio si spalanca al nostro arrivo. Le tre navate sono avvolte dal profumo di rose e mimose che fanno bella mostra sugli altari laterali, iluminati dalla traballante luce delle candele. La chiesa è avvolta da un leggero fumo, come foschia in una fredda mattina invernale, rende tutti i contorni indistinti.

Dall'entrata centrale riesco a malapena a intravedere il fondo della navata principale. Avanzo lungo il corridoio rivestito di broccato bordeaux e l'immagine nel fondo dapprima sfocata inizia a prendere forma.

Al mio fianco la figura di Damon diventa sempre più inconsistente, ad ogni passo lo sento più distante, fino a quando svanisce del tutto quando i miei occhi incontrano il profilo del mio nuovo destino.

Il rituale non mi permette di guardarlo in viso, abbasso lo sguardo. Le sue dita, lunghe e bellissime, stringono il manico di un pugnale d'argento. Non riesco a vedere il suo volto, ma solo per un istante intravedo i suoi occhi di ghiaccio che si riflettono sulla lama.

Occhi di polvere di luna, così diversi da quelli caldi e rassicuranti di Damon, mi scrutano con insistenza e avverto in quegli occhi l'ombra di qualcosa di oscuro, qualcosa che contrasta con la purezza di quel colore. Ombra nera come la pece, come le penne di un corvo che brillano nella notte.

Trattengo il respiro e in un istante sento quell'ombra avventarsi su di me e affondare la lama prima sul mio polso sinistro e poi sul suo.

Terrorizzata spalanco gli occhi nel buio della notte.

Sono sola in camera da letto, Matt è ancora chiuso nel suo studio al pc.

Cerco di alzarmi facendo leva sul braccio sinistro, ma un dolore lanciante al polso mi sorprende e ricado di nuovo sul letto.

Accendo la luce sul comodino e giro il braccio per vedere meglio. La cicatrice che ho da quando ero bambina pulsa rossa sulla mia pelle bianca.

"Forse sto ancora sognando", ma mi rendo presto conto che non è così. Sono completamente sveglia.

Tutto questo non ha senso....

Quella cicatrice è lì da quando avevo circa tre anni. In un pomeriggio di primavera giocando tra le aiuole del giardino di mia nonna caddi su un muretto di mattoni rossi e mi tagliai il polso. Uscì molto sangue, la ferita era molto profonda, mi portarono subito al pronto soccorso per mettermi i punti. Da allora è sempre stata lì e fino a ieri soltanto una sottile linea bianca sulla mia pelle, ora invece brucia come se fosse fresca.

Ricado stanca e stremata sul cuscino, lascio la luce accesa, non me la sento di dormire sola al buio e tento di riprendere sonno.

Normalmente alla luce del giorno tutto appare diverso, anche l'incubo più spaventoso si dimentica, si perde tra i frammenti della vita. Ma stavolta nemmeno il sole, il caffè caldo sul tavolo, la radio accesa riescono a farmi cancellare quel ricordo. Perchè ne porto ancora il segno livido su di me.

«Tesoro, stai uno schifo» le parole di Tyler mi schiaffeggiano al mio arrivo in galleria.

«A volte la tua schiettezza è davvero crudele, lo sai?»

«Scusa, ma davvero stai di merda» dice facendo spallucce.

«Lo so.» Mi lascio andare ad un lungo sbadiglio mendicando un sorso del caffè che sta bevendo.

Non me lo nega e mi passa la tazza con occhi pietosi.

«Saresti potuto venire l'altra sera al pub» gli punto un dito contro accusandolo.

«Amore, non ce la potevo fare... Passare il venerdì sera in compagnia dei tuoi pseudo amici e del tuo nerd omofobo futuro marito sarebbe stato troppo per i miei poveri nervi»

«Matt non è omofobo» minimizzo.

«Ah! Questa è la cazzata delle ore...» guarda per un attimo l'orologio fisso alla parete «nove e quaranta» proclama con enfasi.

«Se potesse mi spruzzerebbe addosso il pesticida per eliminarmi»

«Esagerato»

Mi fissa alzando gli occhi al cielo.

Non è un segreto che tra loro non ci sia feeling.

Colpa di quell'uscita infelice che Matt ebbe dieci minuti dopo aver conosciuto Tyler.

«Ma tu ci sei nato così o ci sei diventato?»

«E tu, ci sei nato stronzo o ci sei diventato?» gli aveva risposto acido Tyler.

Quello fu l'inizio della fine di un'amicizia morta prima di nascere.

Non posso certo biasimarlo se ancora adesso, a distanza di anni, Tyler cerchi di evitarlo.

«Quindi ammetti che sia un nerd» La voce del mio amico mi riporta alla realtà.

«Programmare videogiochi lo inserisce di diritto in quella categoria, non potrei contraddirti»

«Allora, mi dici cosa c'è che non va?»

«Ultimamente non dormo bene.» Gli rispondo distrattamente ricordando ancora con paura i dettagli del sogno della notte scorsa. Mi tiro giù la maglia sul polso per coprire il più possibile la citatrice, non voglio che lui la veda, non voglio nemmeno vederla io, così rossa e ancora dolorante sulla mia pelle.

«Il nerd ti fa fare gli straordinari a letto?»

«Magari, niente di tutto questo.» sorrido tristemente.

«La mia era solo un battuta» rincara la dose Tyler.

Gli ripasso la sua tazza ormai vuota, mi sono finita il suo caffè come vendetta ai suoi commenti al vetriolo.

Dopo un'intensa settimana di lavoro siamo finalmente giunti alla fine.

Alle pareti le donne di Felix, l'artista scelto per la prossima mostra, sono pronte per l'esposizione.

Tyler scende dalla scala ammirando l'ultimo quadro.

Un ultimo ritocco ai faretti e la collezione sarà pronta per l'inaugurazione di sabato. Ci scambiamo uno sguardo soddisfatto, contenti di aver finito il lavoro in anticipo di tre giorni sulla tabella di marcia. Pregustando qualche giorno di puro ozio mi stiracchio per allentare la tensione sulle spalle.

«Panino con la porchetta per pranzo?» mi domanda Tyler affamato.

Il nostro paninaro di fiducia dista dieci minuti a piedi dalla galleria.

Butto uno sguardo all'orologio, immersi nel lavoro non ci siamo resi conto che sono quasi le due del pomeriggio.

«Sto morendo di fame» dico prendendo la borsa.

Non appena usciamo per strada sentiamo una voce alle nostre spalle.

«Merce in consegna» Un ragazzo in jeans e felpa mi porge un foglio da firmare.

«Aspettiamo qualcosa per oggi?» chiedo a Tyler, sorpresa di quella consegna.

«Non mi pare» dice lui seccato, riaprendo la porta della galleria.

Il ragazzo scarica da un van due enormi scatoloni. Controllo la bolla e quando leggo il nome del mittente un brivido freddo mi scuote la schiena.

«Chi le manda?» chiede Tyler curioso provando a sbirciare dietro le mie spalle.

«Crudelia» gli rispondo terrorizzata.

Mai soprannome fu più adatto. Rebekah Mikaelson, proprietaria del Dorothy Circus Gallery di Londra e Roma, non indossa pellicce di cuccioli di dalmata. Noi abbiamo avanzato l'ipotesi che quella donna indossi abiti realizzati in pelle umana. Di tutti quelli che avevano lavorato per lei e che non sono riusciti a sopravvivere.

Una possibilità più che plausibile visto lo stato d'inquietudine in cui è capace di lasciarti non appena incroci il suo sguardo.

«Tyler...» esordisco con voce ferea. «Hai controllato la mail oggi?»

«No, non ancora» dice lui ancora ignaro dellla bomba che sta per scoppiare sulle nostre teste.

«Da quando non lo fai?»

«Da tre giorni, forse... o quattro.»

«Cazzo»

Mi avvicino al pc e faccio il login. Attendo con la stessa paura di un aritificiere in procinto di disarmare un ordigno esplosivo.

Nella casella in entrata ci sono cinque mail, tutte di Crudelia.

Leggo il testo di ognuna. Il nostro duro lavoro dei giorni passati è stato mandato a puttane.

La megera ha creduto bene di cambiare la prossima esposizione. I dipinti appena arrivati devono essere messi in esposizione entro sabato. Questi i suoi ordini.

Quello che abbiamo fatto in una settimana dovrà essere rifatto in tre miserabili giorni. La fame mi è completamente passata. Col volto cereo senza dire una parola giro lo schermo del pc verso Tyler.

Un silenzio di tomba avvolge la galleria. Tyler si lascia cadere stremato sulla sedia di fianco alla scrivania.

«Avresti potuto controllare le mail però e che cazzo» mi lascio scappare chiudendo con forza il portatile.

In quell'istante il telefono della galleria squilla. Tyler si lascia andare ad un urlo isterico quando legge sul display il nome della strega.

«È lei!» urla in preda al panico.

«Rispondi!» gli dico cercando di sovrastare i suoi acuti.

Scuote la testa convulsamente portandosi una mano alla bocca.

Esasperata, al quarto squillo rispondo io zittendo Tyler, poi premo il tasto del vivavoce.

«Ce ne hai messo di tempo per rispondere» la voce della strega dall'altro capo del telefono risuona più stridula del solito. Parla un italiano dal fastidioso accento inglese.

«Salve Rebekah, come stai?»

«Non prendiamoci in giro, non te ne frega un cazzo di come sto. Arriviamo al sodo. Sono arrivati i quadri?»

«Sì, proprio adesso» lancio un'occhiataccia ad Tyler che continua a saltellare in preda al panico.

«Bene, sistemateli secondo l'ordine che vi ho inviato in allegato per mail. Tutto deve essere perfetto per sabato. »

«Ma la mostra di Felix? Insomma che dico a lui?»

«Gli ho già parlato. Slitta al mese prossimo. Imballate tutto e tenete in deposito.» Ordina senza mezzi termini.

«Perchè quella femminuccia del tuo collega non risponde alle mie mail?»

Tyler strabuzza gli occhi e impallidisce.

«Siamo stati occupati con l'allestimento e ci siamo dimenticati di controllare i messaggi in arrivo» cerco di dividere con lui la colpa, mi fa troppa pena al momento.

«Male, molto male» sentenzia Crudelia. Riesco a immaginarla mentre scuote la testa in segno di dissenso, con una sigaretta in bocca e quei capelli  biondi lunghi sempre maledettamente troppo perfetti.

«Se dovete fare gli straordinari fateli, ve li pagherò extra. Ma devi assicurarmi che sarà tutto pronto per il mio arrivo»

«Il tuo arrivo?»

«Crudelia qui?? Noooooooo!» sibila Tyler portandosi le mani sul viso. Un urlo di Munch quasi perfetto.

Lo fulmino con lo sguardo e gli intimo di starsi zitto.

«Sarò a Roma sabato sera, arriverò un paio d'ore prima dell'inaugurazione, con me ci sarà anche il nuovo artista. Trattate con cura le sue opere, mi raccomando e non fate casini»

«Stai tranquilla» le rispondo stremata.

«Tyler!» Non appena sente il suo nome prounciato da Rebekah il mio amico scatta sull'attenti. 

« Sì, dico a te! So che siete in vivavoce. Azzardati un'altra volta a ignorare le mie mail e saprai cos'è l'inferno. Ti ci vedrei bene nel girone dei sodomiti» Conclude la chiamata sghignazzando, una micaccia degna della migliore strega delle favole.

Nonostante lo stato di emergenza decidiamo comunque di andare a pranzo.

A stomaco vuoto non saremmo in ogni caso buoni a nulla.

Seduti in piazzetta ci godiamo il nostro panino e una coca cola ghiacciata.

«É la prima volta che Crudelia decide di cambiare tutto così in fretta.»

«L'artista che ha scovato deve essere un genio per averla fatta smuovere dalla sua roccaforte di Londra.»

«Dormi da me stasera? Così non dovrai preoccuparti dell'ultimo treno e domani possiamo iniziare presto.»

«Grazie. Dopo chiamo Matt e gli chiedo di portarmi un cambio per i prossimi due giorni»

Mi tiro su le maniche del maglione, il sole di ottobre scalda più del dovuto.

Non passa molto tempo prima che Tyler noti la brutta ferita sul mio polso sinistro.

«Che hai fatto?»

«Nulla» gli dico coprendo la cicatrice con l'altra mano. «Mi sono bruciata con il forno» gli mento. Non saprei in ogni caso come potergli spiegare quel segno.

Consumiamo velocemente il nostro pranzo e torniamo alla galleria.

Decidiamo di imballare di nuovo i quadri di Felix e portarli in deposito prima di aprire i nuovi scatoloni. Anche se la curiosità di vedere chi è riuscito a mettere in quello stato di agitazione Rebekah, è enorme.

Soltanto verso le sei del pomeriggio riusciamo a liberare di nuovo le pareti.

Porto una parte dei dipinti in deposito e nel frattempo approfitto per chiamare Matt.

«Dormivi ancora?»

«Sì dato che ho lavorato tutta la notte...» risponde con la voce impastata dal sonno.

«Scusa. Senti, oggi vieni a Roma?»

«Sì, vengo in macchina. Mi vedo con i ragazzi alle otto, perchè?»

I ragazzi sono i suoi amici e colleghi più nerd di lui. Di solito le loro serate si risolvono nel vedersi a casa di Stefan, pizza, coca cola e l'ultimo video game uscito. Indagine di mercato per studiare le aziende concorrenti secondo Matt, secondo me invece un modo per giocare ai videogame avendo come alibi il lavoro.

«Perfetto! Senti potresti portarmi un cambio, no anzi due di biancheria e vestiti? Anche lo spazzolino e la pochette dei trucchi, quella che tengo sempre in bagno nel cassetto a destra.»

«Parti?» mi chiede sbadigliando.

«No, è arrivato un lavoro urgente da fare entro sabato e tornare a casa mi porterebbe via troppo tempo»

«E dove dormi? In Galleria?»

«No, da Tyler. È più comodo» gli rispondo.

«Lo dici come una decisione e non con il tono di chi dovrebbe chiedere il permesso»

«Come scusa? Dovrei chiederti il permesso per fare gli straordinari sul lavoro?» inizio ad alterarmi.

«No, ma chiedermi come la penso se dormi in casa di un altro uomo... magari sì.»

«Matt, stiamo parlando di Tyler» respiro profondamente tentando di mantenere la calma.

«Lo so chi è»

«Appunto. Di che diavolo ti preoccupi?»

«È un uomo»

«Sì, ma è gay. È come se dormissi da Caroline»

«No, non è la stessa cosa. Fanno tutti così quelli come lui... perchè pensi che i froci abbiano solo amiche donne? Perchè così possono palparle senza essere presi a pugni, tanto sono froci loro!»

«Ma che cazzo dici?» il sangue ormai mi ribolle nelle vene.

«Dico quello che penso»

«È una stronzata» sbotto.

«Senti non voglio che dormi là» dice seccato, ormai completamente sveglio.

«Non decidi tu.»

«Vuoi il tuo cambio di vestiti o no?»

«Lascia stare va'. Non venire. Mi compro tutto da H&M. Ci vediamo lunedì sempre se prima non decido di andare a letto con Tyler e di mollarti, brutto cretino che non sei altro!»

Le ultime parole gliele dico urlando. Chiusa in deposito mi lascio andare ad un urlo di frustrazione. La lampada al neon sopra la mia testa con piccolo scoppio si spegne. Resto completamente al buio.

«Benissimo, ci mancava solo questa» dico esasperata. Le mie parole rimbalzano sulle pareti della stanza, metto sul telefono la modalità torcia e avanzo verso la porta.

«Tyleeeer» urlo dal fondo delle scale. «Il neon si è fulminato di nuovo»

«Arrivo!» dopo pochi minuti scende portando una scatola lunga contenente il nuovo neon.

«Ma come cavolo è possibile? È la terza volta questo mese»

«Ma che ne so io.» dico stringendomi nelle spalle.

«Mi sa che è colpa tua tesoro. Ma che sei radioattiva o cosa?»

«Certo, adesso ho anche il potere di fulminare le lampadine»

Tyler nel frattempo prende il treppiedi e sale per cambiare il neon. Io gli faccio luce con il telefono.

Dopo poco il buio scompare e siamo di nuovo illuminati da quella luce fredda.

«Devo assentarmi un un'oretta. Vado a comprare un cambio di biancheria e qualche vestito per questi due giorni»

«Posso prestarti io qualcosa»

«Grazie mi faresti un favore»

«Ma il nerd non doveva portarti una borsa?»

«Lascia stare» taglio corto, non ho voglia di ripensare alle stupidità che è stato in grado di dire quello che tra poco meno di sei mesi diventerà mio marito.

Tyler sembra leggermi nel pensiero.

«Sei ancora in tempo per cambiare idea» mi dice mettendomi una mano sulla spalla.

Non rispondo nulla, gli sorrido e risalgo al piano di sopra. Abbiamo una montagna di lavoro che ci aspetta.

La curiosità può essere un pregio, ti spinge a indagare, a crescere, ad imparare quello che prima ignoravi. Ma può diventare anche uno tra i peggiori difetti, quando si lega all'impazienza, all'incoscienza anche di fronte ad un pericolo e ti spinge a fare quel passo che forse non avresti mai dovuto fare.

Sono le dieci di sera, sola in galleria, dopo che Tyler è uscito a prendere qualcosa per cena, sono seduta tra le scatole ancora chiuse arrivate nel primo pomeriggio.

Abbiamo deciso di tirare fuori i nuovi quadri soltanto il giorno dopo. Dopo aver passato una giornata a impacchettare l'altra collezione ci siamo detti che avremmo iniziato soltanto domani.

Mi guardo attorno, l'orologio batte i secondi rumorosamente, la galleria è troppo silenziosa. Decido di mettere un po' di musica, il silenzio mi mette a disagio, a maggior ragione se sono sola. Mi rialzo per afferrare il mio telefono sulla scrivania vicina. Metto una delle prime canzoni in playlist, ma dopo le prime note il telefono si spegne. Non ho portato con me il caricabatteria. Sono di nuovo sola e circondata dal silenzio più assoluto.

Getto uno sguardo agli scatoloni, scrollo le spalle e mi dico "Ma sì, portiamoci avanti con il lavoro" miserabile scusa verso me stessa, quando in realtà il mio inconscio muore dalla voglia di dare una sbirciatina. Prendo il taglierino e apro con cautela il primo pacco.

Nessuna carta da imballaggio a proteggere i quadri, ma piume.

Centinaia di piume nere come la pece.

Le sposto per riuscire a prendere il primo quadro che sollevo delicatamente, alcune restano sulla superficie della tela. Ci soffio sopra e una pioggia di piume nere mi danza intorno. I miei occhi si fermano su quel dipinto ad olio.

Una donna nell'angolo destro della tela è rannicchiata su se stessa, le mani a coprirsi il volto, vestita di bianco è il ritratto della disperazione. Tutto attorno una fitta foschia bianca la circonda, candore spezzato dal nero di molti corvi che la guardano con occhi pietosi. Quegli animali sembrano condividere con lei lo stesso straziante dolore. Solo allora mi accorgo che le piume che proteggevano il quadro sono piume di corvo. Lunghe, liscie e spaventosamente nere.

Ne prendo una e me la passo tra le dita, seguo il contorno del corpo di quella donna con la punta della piuma, e in basso a destra noto la firma dell'artista.

Klaus

 

Quel nome suona di malinconia. Ricordo ritrovato per caso, dimenticato, non ancora vissuto ma inspiegabilmente familiare. 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


L'aria della notte carica di umidità penetra nella soffitta.
Un tempo lo studio della Maestra. Damon e Eileen da bambini erano soliti passare il loro tempo libero ascoltando le storie di eroi e principesse dimenticati nel tempo.
Il tetto a spiovente di legno cigola ad ogni soffio di vento, il pavimento di mattoni, un tempo bianchi, giace appensantito da una coltre di polvere. Libri ammucchiati sugli scaffali osservano dall'altro, tronfi del loro sapere trattengono il respiro in attesa.
Al centro un lungo tavolo di legno illuminato da decine di candele.
«È l'unico modo per comunicare con lei» Damon afferra il grande libro e lo apre sul tavolo al centro della stanza.
«Sai già che formula usare stavolta?» chiede Enzo perplesso.
Damon sicuro, volge lo sguardo verso il libro.
«Sarà il Grimorio a sceglierla per me.»
Il grande libro si apre, le pagine ingiallite dai secoli scorrono rapide sollevando un sottile strato di polvere che danza per pochi secondi alla luce delle candele.
Nell'attimo in cui Damon visualizza l'immagine di Eileen nella sua mente, il Grimorio si ferma e le parole brillano nel buio della soffitta.
«E' deciso!» Damon legge la formula e raccoglie le sue energie.
«Sei sicuro di quello che fai? Potrebbe esssere pericoloso, non dovresti...»
«Ti prego, non mollarmi adesso. Ho bisogno di te amico mio, ora come non mai.» dice Damon appoggiando la mano sulla spalla del suo fedele compagno di ventura.
«Non ti mollo. Te l'ho promesso.»
 
Da sempre amici, da che ne hanno memoria. Un legame fatto di assoluta lealtà e fiducia tipica dell'amicizia maschile. Così diversa da quella femminile fatta invece di gelosia, invidia, giudizi.
Più fratelli che amici, Damon e Enzo hanno sempre fatto squadra.
Il primo impulsivo e passionale, il secondo razionale ed analitico. L'uno l'antitesi dell'altro e per questo praticamente complementari.
Vicini di culla dal giorno della nascita, sempre l'uno a fianco dell'altro.
Enzo sa bene che non volterebbe le spalle al suo migliore amico per nessuna ragione al mondo, che lo appoggierà anche in quest'ultima disperata impresa.
 
 
«Se qualcuno se ne accorgesse sarebbe un casino enorme.» Enzo non riesce a nascondere la sua paura.
«Nessuno sospetta nulla, non preoccuparti. I sogni può vederli solo lei. E' l'unico modo»
«E' questo che mi terrorizza, Damon. Non dovremmo varcare il limite. Questa è già la seconda volta»
«In passato per proteggerla l'ho allontanata. Ma adesso ho bisogno di lei, se riportarla a me significa oltrepassare il confine, lo farò»
Enzo annuisce rassegnato.
Damon si avvicina al baule in cui sono stati custoditi gli oggetti che possono ricollegare le loro anime. Si inginocchia, solleva il coperchio del baule da cui prende una scatola di legno scuro. L’appoggia poi accanto al Grimorio.
«Fammi luce».
Enzo solleva la candela, la luce illumina la scatola. Sul coperchio sono incise due iniziali
 
D&E
 
Damon apre la scatola, al suo interno una piccola ampolla di vetro.
La prende con cautela tra il pollice e l'indice della mano destra e l'avvicina alla luce della fiamma. All'interno brilla vermiglio il sangue della sua Eileen.
Enzo afferra il ritratto e lo poggia sul tavolo.
Una ragazza, capelli neri ondulati le ricadono morbidi sulle spalle. Siede all’ombra di una grande quercia, il sole che filtra tra il fogliame le colora il viso. Sorride dolcemente. Il vestito color lavanda, stretto in vita e largo in fondo, mette in mostra le fattezze della donna che sta crescendo in lei. Tra le dita una coroncina di piccole margherite.
«Scusa l'attesa, mia Signora» sussurra Damon sfiorando il contorno del viso della donna del ritratto.
Apre l'ampolla e ne versa poche gocce sul ritratto. Il sangue si espande denso lungo la corona di fiori bianchi che la ragazza del ritratto tiene tra le sue fragili dita, colorando di rosso vermiglio i petali delle margherite.
Con voce profonda recita la formula.
 
“Sciolgo il tuo cuore e la tua memoria con il sacro potere
Vedrai la verità
Allontana ogni timore, ogni bugia.
Invoco il potere del sangue per entrare in te”
 
 
 
La luce della luna filtra tra le fessure della tenda lasciata semi aperta, in lontananza risuona un leggero tintinnio.
«Ecco il segnale».
Scosto le pesanti coperte, punto i piedi nudi sul tappeto e scendo dal letto. Tutto è avvolto dal buio della notte. Unica guida, la luce argentea della luna.
Mi incammino lungo il corridoio, il pavimento di legno scricchiola ad ogni mio passo e trattengo il respiro per non fare più rumore del necessario; come se anche il solo respirare potesse svelare la mia presenza, o meglio, la mia assenza dal letto.
Indosso una camicia da notte lunga fino ai piedi, forse troppo grande per il mio corpo di bambina.
L’unico modo per arrivare in giardino senza essere scoperti è un piccolo passaggio dal sottoscala a cui si accede da una porticina. L’ha scoperta Damon poco tempo fa, adesso è fuori ad aspettarmi.
Eccitazione e paura mi riempiono lo stomaco e mi solleticano la schiena. Il senso del proibito ha un sapore così emozionante, soprattutto per due ragazzini di dieci anni.
Mi faccio coraggio stringendo in mano il rubino rossso sangue che costodisco da sempre. Scendo le scale e mi trovo davanti la porticina, la spingo con attenzione pregando che non faccia troppo rumore.
Entro nello stretto corridoio avvolto da una coltre di polvere e umidità. Richiudo la porta alle mie spalle e inizio a correre verso l’uscita. In fondo un piccolo cancelletto di ferro. Lo spingo e sono fuori.
Respiro con avidità la fresca aria della notte.
Senza guardarmi alle spalle mi dirigo verso il luogo dell’appuntamento. La rugiada del prato mi solletica i piedi e bagna l’orlo della mia camicia da notte. Vado oltre il prato e lo stagno sulla cui superficie il profilo civettuolo della luna si riflette splendido come solo sa fare durante le notti di plenilunio.
Arrivo all’ingresso del labirinto di siepi. Sicura di non perdermi seguo con la mano sinistra la parete del dedalo. Dritto, destra, sinistra, destra e finalmente arrivo nel punto stabilito.
Damon è ad aspettarmi seduto su una piccola panca di marmo bianco. Anche lui a piedi scalzi, indossa un pigiama blu a maniche lunghe. E’ alto per avere dieci anni e il pantalone gli lascia scoperte le caviglie. Mi corre incontro e mi abbraccia.
Ridiamo tutti e due per la nostra prima riuscita fuga notturna e ricadiamo a terra l’uno a fianco all’altra.
«Iniziavo a preoccuparmi»
«Ho fatto il prima possibile. Hai portato tutto?»  gli chiedo rialzandomi. Inizia a frugarsi nelle tasche e tira fuori uno smeraldo ovale identico per forma e grandezza al mio rubino, dei piccoli germogli di rosa avvolti con cura in un piccolo sacchetto di velluto verde. Li poggia sul marmo della panchina.
«Dovrebbe essere tutto» sorride divertito.
«Credi che funzionerà?»
«L’unico modo per scoprirlo è provarci»
Disponiamo i boccioli di rosa ancora chiusi sul prato per formare un semicerchio ai cui estremi sistemiamo il mio rubino e il suo smeraldo.
Ci prendiamo per mano e con occhi complici un po’ per gioco, un po’ sul serio, diamo inizio al nostro primo rituale.
Come ci ha insegnato la Maestra, chiudiamo gli occhi, e pronunciamo all’unisono la formula, illuminati dallo sguardo seducente della luna.
 
“I nostri cuori un solo battito
Le nostre anime un solo fiato
Torneranno a fiorire le rose
In un abbraccio delicato”
 
Riapriamo gli occhi e trattenendo il respiro restiamo in attesa.
Dopo pochi istanti i piccoli boccioli di rosa iniziano a crescere e a dischiudere i loro petali. Si rivelano in un semicerchio perfetto di splendide rose rosse e bianche.
Ci guardiamo l’un l’altro testimoni del primo successo dei nostri poteri. Sorridiamo compiaciuti e ci avviciniamo per cogliere i fiori uno ad uno. Ma non appena le nostre piccole dita ne sfiorano i petali, le rose si richiudono su loro stesse per poi appassire. Nelle nostre mani solo un piccolo cumulo di cenere nera.
Ci fissiamo e nel momento in cui poso lo sguardo su Damon il suo volto di latte sparisce per far posto ai lineamenti fieri e sicuri di un adulto. I suoi occhi non mi guardano più divertiti, ma pieni di orrore.
In un attimo non siamo più bambini. Quello che avevamo iniziato come un gioco non è altro che l’inizio del nostro tremendo ed oscuro destino.
 
 
I sogni creano l’illusione di una realtà che non c’è. Quando è  notte conservo ancora la speranza di averlo accanto al mio risveglio, ma ogni incubo ha inizio con il sorgere del sole.
 
Al risveglio tutto svanisce, resta solo un vaga sensazione di quello che ho sognato. Il mondo reale si fa strada con forza spazzando via tutto.
«Anche stanotte l’ho incontrato».
Completamente sveglia mi guardo attorno tentando di prendere contatto con la realtà. Sono ancora a casa di Tyler nel suo divano letto, anche stanotte sono sua ospite. Ultimo giorno di lavoro, finalmente domani ci sarà l’inaugurazione della mostra e potrò tornare a casa. Mi avvolgo nella coperta di lana bianca ed esco sul balcone.
 
Protetta dal buio mi siedo in veranda, lo sguardo rivolto al cielo stranamente luminoso per essere le tre del mattino.
I raggi della luna illuminano la mia ombra, notte di luna piena, notte come quella del mio sogno.
Mi avvicino al davanzale e sfioro i boccioli di una piantina di rosa ormai appassita. Tyler non ha mai avuto il pollice verde.
Chiudo gli occhi, e ripeto in un sussurro ancora una volta la formula che con insistenza echeggia ancora nella mia testa.
 
“I nostri cuori un solo battito
Le nostre anime un solo fiato
Torneranno a fiorire le rose
In un abbraccio delicato”
 
Li riapro e aspetto.... Nulla.
«Devo essere impazzita» sorrido della mia stupidità.
Ritorno dentro, chiudo il balcone e decido di tornare a letto.
Sulla veranda i raggi della luna baciano i boccioli di rosa che dischiudono piano i loro petali.
Un gatto nero sale sul davanzale e avvicinandosi al vaso, annusa i fiori appena sbocciati. Fissa la mia immagine stesa sul letto.
Eileen... il tuo potere si sta risvegliando....
Le rose ondeggiano alla brezza della sera rosse e bianche, splendenti.
Ma io questo non lo saprò mai.
Al mio risveglio il giorno dopo solo un cumulo di cenere.
 
 
 
 
«Avete fatto un discreto lavoro».
La voce di Rebekah echeggia dall’ingresso della galleria.
Con il solito spocchioso tono, si guarda attorno sfilandosi con eleganza il soprabito che getta con noncuranza sul divanetto.
I capelli biondi color dell’oro, raccolti in uno chignon perfettamente spettinato, le incorniciano il viso da bambola.
Un velo di trucco a metà tra il “mi sono appena svegliata, ma resto comunque una strafica” e il “il mio makeup artist è un genio”.
Indossa un abito nero che la lascia scoperta la schiena, tacchi alti su cui cammina con invidiabile naturalezza. Ad ogni suo passo sul pavimento a scacchi bianchi e neri sento Tyler rimpicciolirsi schiacciato contro la parete, protetto dalla sua scrivania, completamente paralizzato da quell’apparizione.
Io cerco di non farmi intimidire e le vado incontro, gettando uno sguardo al mio amico ormai chiaramente KO.
«Felice che tu sia soddisfatta del nostro lavoro» oso rivorgele la parola.
«Soddisfatta. Che parola grossa. Direi che devo accontentarmi, come posso chiedere di più da voi?» sfiora con le dita il gircollo di perle che indossa guardandoci con aria di sufficenza.
Vorrei alzare gli occhi al cielo, ma so che lei lo noterebbe, nonostante sia di spalle a me.
A lei non sfugge nulla.
Opto invece per un mezzo sorriso.
«Andato bene il viaggio?»
«Discretamente»
Si siede alla mia scrivania guardandosi le unghie.
«Signorina, portami un caffè» comanda a Tyler senza guardarlo in faccia, poi punta i suoi occhi di ghiaccio su di me.
«Vai a prendere Klaus all’appartamento e portalo qui.»
«Io?»
«Vedi qualcun altro?»
«Potrebbe andarci Tyler» propongo leggendo sul viso del mio collega un terrore primordiale all’eventualità di restare solo con lei.
«No. Ci vai tu. Io e Tyler ci occuperemo del catering. Abbiamo tutto sotto controllo. Vero caro?»
Tyler deglutisce vistosamente sbiancando.
Crudelia mi allunga delle banconote, un biglietto e un mazzo di chiavi.
«Prendi un taxi, questo è l’indirizzo dell’appartamento. Klaus sta lavorando. Entra senza bussare, aspetta che lui finisca e non osare disturbarlo. A lui è anche permesso di arrivare in ritardo se gli aggrada.»
Ormai la sentenza è stata pronunciata, nessuna possibilità di appello.
 
 
 
 
Il familiare profilo della città scorre rapido dal finestrino, appoggio la fronte al vetro freddo.
Una volta salita sul taxi, tutta la stanchezza di una dura settimana di lavoro sembra cadermi addosso violentemente.
Dormire da Tyler ci ha aiutato a guadagnare tempo prezioso, ma mi ha tolto il sonno. Dormire in un letto estraneo è sempre dura per me. Senza dimenticare quei maledetti incubi che non mi danno tregua.
 Matt si è scusato per l’altra sera, portandomi il giorno dopo in galleria una borsa con le cose che gli avevo chiesto.
Sembra essersi arreso, almeno per il momento, al mio volere. Siamo arrivati ad una tregua strappandomi la promessa di trascorrere il prossimo week end da soli fuori città.
Preferirei restare a casa in pigiama e guardare gli arretrati delle ultime serie tv su Netflix, ma lui sta già organizzando la nostra mini fuga.  Magari ci farà bene staccare la spina.
 
 Osservo con occhio curioso la città; immagini di un passato lontano mi ritornano alla mente. Un tempo tutto sembrava più semplice, forse perchè visto dagli occhi di me bambina.
Sarebbe bello continuare a guardare il mondo con quegli occhi anche da adulti.
Persa nei ricordi arrivo all’appartamento. La macchina si ferma davanti un enorme palazzo signorile nel cuore di Roma.
Mi avvicino al portone in legno scuro e provo ad aprire la porta con le chiavi.
Mi accorgo che è socchiusa, la spingo e mi affaccio dentro.
«Permesso, c’è nessuno?» mi tappo la bocca con le mani ricordando l’avvertimento di Rebekah di fare tutto nel massimo silenzio.
Richiudo la porta alle mie spalle e cammino nell’ampio atrio dove si affaccia un’imponente scalinata in pietra.
Le mie scarpe risuonano nell’androne, salgo lentamente per poi ritrovarmi davanti un lunghissimo corridoio in penombra.
Varco la porta di quello che sembra il salone principale.Una credenza di legno in un angolo, un enorme divano bianco di fronte al camino spento, le tende aperte lasciano entrare gli ultimi raggi di sole della giornata.
Non avverto nessun suono, mi sorge spontenamente il dubbio che Klaus non sia in casa. Poggio la borsa sul tappeto in sala e proseguo verso il corridoio. Non so dietro quale porta si nasconda, e mi avvicino verso l’unica semi aperta da cui si intravede uno spiraglio di luce.  Apro con cautela lo stipite.
L' odore pungente dei colori ad olio e dei solventi impregna l'aria. Alle pareti enormi quadri di paesaggi mi danno il benvenuto. Vicino ad una grande finestra un pianoforte a coda, forse dimenticato da un po', rivela la sua polverosa presenza. Sul tavolo di lavoro al centro un mosaico di vasetti e pennelli dimenticati qui e lì accanto ad una grande tela su un cavalletto coperta da un telo bianco. Sullo sgabello è appoggiata la tavolozza dei colori ormai secchi.
Mi faccio coraggio ed entro nella stanza. Mi avvicino a quel dipinto, l’unico coperto. L’unico che sembra destare la mia curiosità. Afferro il telo e lo scopro.
La scena dipinta mi paralizza.
Nel quadro una giovane donna vestita di seta azzurra dà le spalle ad un grande specchio appeso ad una parete.  Regge in mano un flute di champagne, i capelli neri raccolti in una crocchia sulla nuca le lasciano scoperte le orecchie da cui pendono orecchini di diamanti.
Il vestito lascia intravedere le spalle e le stringe la vita mettendo in evidenza i seni ben torniti.
Ha il volto leggermente inclinato sul lato sinistro come se stesse conversando con qualcuno. I suoi occhi fissi verso il suo interlocutore che non compare direttamente nel dipinto, ma la cui immagine si riflette nello specchio alle spalle della donna.
Un uomo vestito in un elegante completo nero. Una rosa bianca all'occhiello e i suoi occhi di vetro fissi sulla donna. Un incontro forse, ad una festa.
La scena mi toglie il respiro, la donna dipinta ha i miei stessi occhi.
“Quella donna sono io.”
In basso a destra del quadro è riportata la firma dell'autore: Klaus.
 
 
 
Il rumore dei freni del taxi mi catapulta alla realtà, sono arrivata a destinazione.
Cosa diavolo è stato?
Un sogno? Un’allucinazione? 
Afferro la borsa ed esco con il cuore a mille.  L'aria frizzante della sera mi accarezza il volto e fa danzare i miei capelli che escono dal cappello di lana rossa che indosso. Sbadiglio e mi incammino verso l’appartamento che Rebekah mi ha indicato.
Arrivo davanti un enorme palazzo signorile, spaventosamente simile a quello che ho appena visto nella mia mente. Apro con le chiavi ed entro. Un’atmosfera irreale mi assale. I mobili del soggiorno sono ricoperti da teli bianchi, le tende chiuse, non lasciano passare che spiragli di luce, i libri sono ammassati in scatoloni di cartone appoggiati sul pavimento di legno accanto alla credenza. Tutto sembra stato abbandonato da tempo, e pronto per essere sigillato per sempre. Poggio la borsa sul tavolo e salgo le scale.
Stessa scena anche al piano di sopra, un silenzio interrotto solo dai mei passi sul pavimento di marmo fa da sottofondo. Inizio ad essere in ansia.
 “Dove sarà Klaus?”  
La camera da letto è avvolta nella penombra, un copriletto di lana lavorato all'uncinetto avvolge il materasso. Il tappeto ai piedi del letto è avvolto e appoggiato accanto sulla cassapanca di legno scuro.
Lascio la camera e vado verso quello che presumo sia lo studio di pittura. Ho paura di avere conferma di ciò che temo, di avere una prova reale e concreta di ciò che ho visto poco prima.
Apro la porta e la luce del tramonto inonda la stanza. Le tende sono aperte e i quadri che ricordavo appesi alle pareti non ci sono. Al loro posto solo l'ombra lasciata sulla carta da parati.
Il cavalletto al centro della stanza vuoto. Il pianoforte ricoperto di polvere fa capolino dal fondo della stanza.
Il quadro che ho visto nel mio sogno non c'è. Non so se essere sollevata o meno. Il silenzio e l'abbandono che risuonano in tutta la casa sono assordanti.
Poi mi accorgo che la camera principale è collegata ad una piccola cameretta da una porta bianca socchiusa. Mi avvicino con cautela ed entro nel massimo silenzio.
Klaus è di spalle alla porta. Una tela orizzontale su un cavalletto posto accanto alla finestra aperta. Ignaro della mia presenza continua a lavorare. Intinge il pennello sulla tavolozza poggiata di fianco alla tela. Un blu scuro, simile alla pece per dipingere il cielo di una città notturna arroccata contro le pendici di due monti. Poi infila il pennello dietro l’orecchio destro e sfuma il colore con i polpastrelli della mano sinistra.
Resto incantata dalla sua figura che risplende di arancio illuminata dagli ultimi raggi di sole della giornata.
Ferma sulla porta per un tempo indefinito, in religioso silenzio per non spezzare l’incanto dei suoi movimenti fluidi sulla tela.
È lui a notarmi. Nel momento in cui fa un passo indietro si gira verso di me rivolgendomi la parola.
 
 
 
«Pensavo fossi un fantasma, o un angelo muto»
Sapeva fin dall’inizio della mia intrusione.
«Rebekah mi ha detto di non disturbarla. Mi scusi»
«Dammi pure del tu. Sono Klaus»
«Piacere, Elena.» balbetto avanzando per stringergli la mano.
Mi rivolge un sorriso storto a metà tra galanteria e scherno.
Prende la mia mano e se la porta alle labbra sfiorandola appena con la bocca.
«Il piacere è tutto mio, Elena.» scandisce il mio nome con voce profonda alzando gli occhi dal basso, da quell’accenno di inchino che mi ha rivolto facendo il baciamano.
«Da dove vieni?»
«Originario del Nord Europa, ma vivo a Londra da anni» risponde con semplicità pulendo il pennello che aveva messo di nuovo dietro l’orecchio prima di girarsi verso di me.
Non è quello che voglio sapere. Non il paese, ma l’epoca” dentro di me le parole restano bloccate.
L’uomo che mi è davanti pur indossando Levis sdruciti e una maglia grigia aderente macchiata di colori ad olio, non sembra appartenere a questo mondo, ma ad una realtà dimenticata, ormai lontana. Come un protagonista di un film in bianco e nero, vestito di quella galanteria obsoleta, di quel romanticismo delicato che è ormai impossibile da ritrovare.
 
Il trillo del mio cellulare mi fa sobbalzare, lo ripesco dalla borsa. Avverto ancora addosso lo sguardo di Klaus.
«Rebekah, sì sono qui. No non ancora»
«Passami il telefono» Klaus mi si avvicina facendomi segno. Come se avesse letto il mio disagio e volesse salvarmi dalle grinfie della megera.
«Bekka, sì. Il tempo di cambiarmi e arriviamo. A dopo, ma chère
“Bekka” strabuzzo gli occhi sopresa dal tono familiare con cui si rivolge al mio capo.
«Andiamo?» rificco il telefono in borsa invitandolo a seguirmi verso l’uscita.
«Dammi dieci minuti per cambiarmi.»
«Ok.» Gli dico restando ferma davanti alla porta
«Resti qui per lo spettacolo?» un sorriso divertito compare sul suo perfetto viso mentre si alza la maglia scoprendo il ventre. Intravedo sulla sua pelle le curve dei suoi addominali, i miei occhi sono come rapiti dalla perfezione della sua pelle nuda. E immagino come sarebbe passare le mie dita su quei muscoli.
Rossa in viso, ancora stordita distolgo lo sguardo e mi fiondo in corridoio.
«Ti aspetto qui fuori» dico in preda al panico.
Dall’altro lato della camera sento il suono cristallino della sua risata mentre richiudo la porta.  Poi, una volta uscita, provo a riprendere fiato. Mi fa compagnia il battito del mio cuore e un eccitante terrore in vista della serata che sta per iniziare.
 
 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***




Se danzi col diavolo, il diavolo non cambia. È il diavolo che cambia te.
(8mm, Delitto a luci rosse)
 
 
«Sono una persona cattiva?»
«Certo che no» Damon mi prende per mano tentando di rassicurarmi.
«Allora perchè tutti mi odiano?»
«Non è vero. Io ti amo» sorride dolcemente.
«Oh, Damon.» scuoto la testa tentando di allontanarmi da lui.
Siamo nel sottopassaggio, quello che ormai usiamo sempre per le nostre fuge notturne.
L’unico posto in cui possiamo nasconderci senza essere trovati, l’unico posto in cui possiamo essere noi stessi senza essere giudicati.
«È tutta colpa del mio demone. Papà ne è convinto. Io non volevo far del male a Rose, ti giuro. È successo tutto così velocemente, io...» inizio a piangere disperatamente.
Damon mi tiene stretta stretta contro il suo petto.
«Tuo padre è troppo superstizioso. Non c’è nessun demone. Quella sciocca di Rose avrebbe fatto bene a badare alle sue parole. Se fosse stata più cauta a quest’ora sarebbe ancora viva.»
«Ma ti rendi conto? L’ho uccisa io!»
«Certo che no, non essere sciocca. È inciampata mentre stavate litigando ed è caduta nel fiume. È stato un incidente»
«Sono un mostro» mi nascondo il viso tra le mani.
«Io non vedo nessun mostro, soltanto la donna più bella che io abbia mai incontrato. Tu sei perfetta così come sei»
«Come fai ad esserne sicuro?»
«Lo sento, qui.» dice toccandosi il petto all’altezza del cuore.
«Guardami negli occhi» mi dice sollevandomi il viso, poi continua:
«Tu puoi essere quello che vuoi, non devi arrenderti. Combatterò anche per te»
Mi sollevo sulle punte dei piedi per avvicinarmi a lui. Gli prendo il viso tra le mani e lo bacio.
Provo a mettere a tacere quelle oscure voci che continuano a minacciarmi con l’unica arma che ho in mio possesso: il suo amore.
Affondo le dita tra i suoi capelli castani e quell’accenno di bacio si trasforma in fuoco.
Damon mi spinge contro la parete del corridoio premendo il suo corpo contro il mio.
Voglio credergli, devo credergli. Quell’ondata di energia che ho avvertito prima che Rose cadesse in acqua, non ha nulla a che fare con la sua morte. È stata una terribile disgrazia, tutto qui. Io non sono un’assassina.
Nell'istante in cui trovo i suoi occhi, il mio cuore sussulta e si accorda ai battiti del suo.
Ora il mio demone non è più solo una voce indistinta, ma ha preso forma.
Ha un volto familiare così caro da spezzare il cuore in due; il volto di Damon.
«Ovunque tu sia sarò con te, non avere paura di te stessa... il tuo potere può renderti libera.» mi sussurra fissandomi negli occhi.
Provo a rispondergli, ma le parole mi muoiono sulle labbra.
Una barriera mi tiene progioniera, mi sento afferrare le braccia e una forza mi allontana con violenza strappandomi da Damon. Sono ormai lontana dal suo abbraccio. Vedo la sua immagine allontanarsi e svanire in un vortice oscuro.
 
Riapro gli occhi e ancora una volta mi sveglio in preda all'inquietudine.
Odore di disinfettante e lavanda. Un mal di testa lancinante mi rende difficile anche aprire gli occhi.
Mi tocco la fronte con la mano e sento una fasciatura attorno alla mia testa. Mi guardo attorno ma non riconosco nulla di familiare.
Nel braccio destro l'ago della flebo. Non sono nella mia camera, ma in ospedale.
“E' successo di nuovo”. La voce della memoria fa riaffiorare ricordi confusi della serata trascorsa.
 L'incidente di ieri sera rivive davanti agli occhi.
Sono in macchina con Matt. Stiamo litigando, non ricordo per cosa, ma sono furiosa. Poi lo stridere dei freni sull’asfalto. L'impatto forte, solo il buio e in lontananza le luci di un'ambulanza.
Cerco di mettermi a sedere per riorganizzare le idee, ma ho paura di ricordare quello che in realtà il mio istinto sa già.
«Matt è morto. Ed è colpa mia. L'ho fatto ancora. Proprio come nel mio sogno...proprio come con Rose»
Un groppo mi stringe la gola, ma non si scioglie in lacrime.
Resta fermo lì, non è tristezza o disperazione. Ma puro senso di colpa perchè quello che sento adesso è solo l'ebrezza di essere ancora viva. Mi guardo attorno in cerca di aiuto, per ricevere un segno che mi dica che quello che sto vivendo è solo un altro incubo.
È notte fonda ancora, accanto al letto una sedia vuota e la porta della mia camera semiaperta.
«Sei sveglia»
«Klaus?»
Entra in camera chiudendo la porta alle sue spalle. Sorride dolcemente mentre si avvicina al letto.
«Resta stradiata. Non devi affaticarti mia cara»
«Che cosa è successo?»
«Hai avuto un brutto incidente»
«Matt?»
«È grave. Hanno portato anche lui qui»
«Devo vederlo.» dico in preda al panico scendendo dal letto.
«Tu non vai da nessuna parte» Klaus mi fa sedere sul letto poggiando con forza le mani sulle mie spalle.
«Io... devo sapere come sta. Se è ancora vivo.»
«Domani potrai vederlo. Ora devi riposare»
«Perchè sei qui?»
«Mi sono offerto di dare il cambio al tuo amico. Tayler? Se non sbaglio.»
Annuisco.
«È stato qui fino a pochi minuti fa. Devi considerarti fortunata ad avere un amico così affezionato»
«Lui è speciale» dico sincera.
«Avverto il medico di guardia che sei sveglia»
«No, non andare. Non lasciarmi sola»
Klaus si sede sul bordo del mio letto.
«Posso chiederti un favore?» sussurro.
«Puoi chiedermi qualsiasi cosa.»
«Ti spiace restare con me fino a quando non mi addormento?»
«Resterò con te per tutta la notte se vorrai.»
Sprofondo tra i cuscini. Il mio cuore è scaldato dal tepore delle coperte e sollevato dalla rassicurante presenza di Klaus.
Chiudo gli occhi. Non ci metto molto ad addormentarmi.
 Klaus si alza, si stende al mio fianco, una mano sotto la testa e con l'altra mi cinge la vita.
Infila una piuma nera lucida sotto il cuscino.
Avvicina le sue labbra al mio orecchio e poi pronuncia dolcemente:
«Per questa notte starò di guardia davanti alla porta dei tuoi sogni, veglierò su di te. Nessun fantasma si avvicinerà. Riposa tranquilla.Ora sei al sicuro
 
Al mio risveglio lui non c’è. Dopo tanto ho la sensazione di aver finalmente dormito un sonno senza incubi.
Mi metto a sedere, è mattino. Sento rumori di carrelli e stoviglie in corridoio.
Probabilmente è ora di colazione.
Dopo pochi minuti una sorridente infermiera apre la porta della mia camera tenendo in bilico un vassoio bianco.
«Buongiorno»
«Buongiorno»
«Ho portato la colazione. Come stai?»
«Meglio...credo.»
Mi metto a sedere mentre lei mi aiuta a sistemare i cuscini dietro la schiena e poggia il vassoio sul tavolino mobile fissato al letto.
Apre le finestre per cambiare l’aria poi senza scomporre il suo perfetto sorriso dice:
«Faccio entrare il tuo amico?»
«Sì grazie»
L’infermiera esce, e dopo pochi istanti entra in camera Tyler.
«Tesoro!» mi corre incontro abbracciandomi.
«Mi hai fatto spaventare a morte. Non farlo mai più!» con aria di rimprovero poggia sul comodino un piccolo mazzo di fiori.
«Come ti senti?»
«Un po’ stordita»
«Beh, lo immagino»
«Tyler, che è successo?»
«Non ricordi?»
«Solo che ero in macchina con Matt e abbiamo avuto un incidente»
«Pare che un cortocircuito all'impianto elettrico abbia messo fuori uso i freni della macchina. E' un miracolo che tu sia ancora viva»
«Matt?» chiedo terrorizzata.
«È in terapia intensiva.»
«L’hai visto?»
«No, io sono stato qui con te. Caroline è passata da lui. É grave»
«Devo andarlo a trovare» faccio per scendere dal letto, ma Tyler mi costringe a sedermi di nuovo.
 «Non fanno entrare nessuno»
«Ma se hai detto che Caroline è con lui»
«Sì, ma... davvero non ricordi altro?»
«No. Tyler che cosa mi stai nascondendo?»
«Forse è meglio così»
«Parlami!»
Una folata di vento fa chiudere con fracasso la finestra.
Tyler mi fissa con occhi spaventati.
«Sono stata io a chiudere la finestra?» dico a mezza voce.
Tayler non mi risponde, continua a guardarmi come se non mi conoscesse.
«Cosa è successo davvero la scorsa notte?» gli chiedo impaurita.
Ma Tayler non mi risponde.  
 
La sera precedente, quattro ore prima dell’incidente.
 
«Altri cinque minuti» Caroline affonda la testa sul petto di Matt.
Sono rintanati in camera da letto dal primo pomeriggio. Lo stesso letto che di solito Matt condivide con Elena.

«Dobbiamo essere alla galleria tra mezz’ora» brontola lui con finto fare irritato.
Lei sorride con malizia e inizia a stuzzicarlo solo come lei sa fare.
Scioglie i lunghi capelli biondi, i boccoli danzano sulle spalle bianche, li getta indietro poi inizia a baciargli il collo e scende lentamente lungo il suo petto, sul ventre fino all’inguine.
«Oh, tanto siamo già in ritardo» capitola Matt e chiudendo gli occhi si lascia andare ad un sospiro di puro piacere.
«Quando hai intenzione di parlare con Elena?» la voce di Caroline è spezzata dall’impazienza.
«Presto... le parlo presto...» ansima lui.
«No! Fallo stasera!» Caroline si stacca da lui mettendosi a sedere a gambe incrociate.
«Oggi?»
«Non continuo se non mi prometti di parlarle» mette il broncio.
«Sei davvero spietata» geme lui.
«Sono sei mesi che andiamo avanti così. O le parli tu o lo faccio io»
«Non arrabbiarti» Matt la stringe forte salendo cavalcioni su di lei.
«Le parlerò stasera, al nostro rientro»
«Me lo prometti?»
«Te lo prometto» la bacia dolcemente.
«Allora dove eravamo rimasti?» dice lui impaziente.
Caroline sorride divertita, gli mette le mani sulla schiena e avvicinandolo a sè lo bacia.
 
L’egoismo è nato con l’amore.
Due facce della stessa medaglia. Gli innamorati sono pronti ad andare contro il mondo intero pur di restare assieme, a rinnegare famiglia, amici e persone care in nome dell’Amore.
Chi dice che quello è il più nobile dei sentimenti è uno sciocco.
L’amore è meschino, inganna, ferisce, toglie il respiro.
Non c’è niente di dolce, solo pena e tanto, tanto dolore.
 
 
 
Soltanto verso sera riesco a sgattaiolare fuori dalla camera per far visita a Matt.
Salgo al terzo piano e percorro lentamente il lungo corridoio.
Stanza 210. Così mi ha detto l’infermiera del reparto.
Non ho il coraggio di entrare. Preferisco guardarlo dal vetro della piccola finestra della porta.
È steso sul letto. Una macchina monitora il suo battito cardiaco.
Non conosco l’entità delle sue ferite, non mi serve saperlo. So che è grave.
Istintivamente gli occhi mi si riempiono di lacrime, le asciugo con il dorso della mano e facendomi coraggio metto la mano sulla maniglia per aprire la porta. Soltanto allora mi accorgo che con lui c’è Caroline.
Seduta al suo capezzale gli accarezza i capelli. Poi si alza di poco e lo bacia sulle labbra, copiose lacrime rigano le sue guance.
Le persone di cui ti fidi sono le prime a tradirti” la voce dei miei sogni, quella di Damon echeggia nella mia mente.
Continuo a fissare Matt, la sua mano stretta in quella della mia migliore amica.
«Mi hanno tradito. Entrambi»
Poggio la fronte contro il vetro freddo
«Che voi siate maledetti!» dico tra i singhiozzi.
Un allarme scatta. Lo sento suonare con forza da dentro la camera.
«Codice Rosso!» sento urlare poche porte più in là dalla sala medici.
Matt si agita sul letto, scosso da convulsioni spalanca gli occhi.  Caroline si alza spaventata, urlando. Si guarda attorno in cerca d’aiuto e incrocia il mio sguardo.
Occhi di terrore i suoi contro i miei, carichi di odio.
 
Una volta trovato rifugio nella mia camera, mi guardo allo specchio del piccolo bagno. Gli occhi sono rossi e gonfi. Mi lavo il viso per cancellare le ultime tracce di quelle lacrime di rabbia.
Poi torno a letto stranamente calma. Ora ricordo tutto.
 
Dorothy Cyrcus Gallery, sera dell’inaugurazione della mostra di Klaus.
 
«Hai visto Matt?»
«No, perchè il nerd ci degnerà della sua presenza?»
«Molto spiritoso. Mi ha detto che passava a prendere Caroline e poi sarebbe venuto. Doveva essere qui un’ora fa» Sono stranamente in ansia, Matt non è mai in ritardo.
«Arriverà, tranquilla. Piuttosto perchè non parliamo di qualcosa di più interessante» Tyler beve un sorso di champagne appoggiandosi alla parete. La galleria è gremita di gente, clienti abituali e volti nuovi. Intravedo tra la folla Rebekah sotto braccio a Klaus mentre parlano con alcuni ospiti.
«Allora, che mi dici del bello straniero?»
«Klaus?» fingo di non stare al gioco,.
«Ovviamente. É un bocconcino...» Tyler si lecca le labbra fissandolo da lontano.
«Magari è gay»
«Sì, certo. Allo stesso modo in cui io sono etero. Non hai visto come ha salutato Crudelia?»
Una volta essere arrivata in Galleria ed essermi accertata che Tyler fosse sopravvissuto in mia assenza, avevo dimenticato per un attimo Klaus. Ma l’avevo notato anche io il modo in cui aveva circondato i fianchi di Rebekah posandole un bacio sul collo. Il sorrisino di piacere sul viso di lei lasciava intendere molto più che semplice amicizia.
Li osservo attentamente da lontano, anche un cieco capirebbe che tra loro c’è qualcosa.
«Secondo me lei se lo scopa a sangue»
Il commento sfacciato di Tyler mi fa andare di traverso il drink.
Tossisco forte per riuscire a riprendere a respirare normalmente.
«Al suo posto me lo fare anch’io» continua lui senza curarsi di me.
Sorrido ormai avvezza a quei commenti. Poi prendo il telefono e digito un messaggio.
«Matt dove sei?»
«Sto parcheggiando»
 
Decido di aspettarlo all’ingresso. Esco fuori e respiro con piacere l’aria fresca della notte romana.
Non posso negare che mi faccia parecchio strano immaginare Rebekah innamorata di qualcuno. Lui poi è mozzafiato. Insieme fanno una bella coppia, concludo nella mia testa.
Mi sporgo sul marciapiede per scorgere Matt e lo vedo avanzare illuminato dalla luce arancione dei lampioni del centro storico.
Caroline gli è vicino, come sempre sui tacchi, si aggrappa a lui per evitare di rompersi l’osso del collo sui sanpietrini.
Sono ancora lontani per accorgersi di me. Ma abbastanza vicini per me per lasciarmi vedere tutto. Anche quello che non dovrei.
Matt avvina a sè Caroline e le stampa un bacio  sulle labbra sotto l’ombra di un balcone. Lei sorride divertita e ricomponendosi i capelli gli sussurra qualcosa all’orecchio. Poi si allontana da lui e camminano fianco a fianco come se quel bacio non ci fosse mai stato.
 
 
 
 
 
 
 
 
 «Che possiate bruciare all’inferno»
 
Respiro profondamente, rialzo lo sguardo e uno spettrale sorriso di trionfo colora le mie labbra.
Soltanto una volta seduta sul letto noto sul comodino un enorme cesto di rose bianche ed un biglietto scritto a mano.
 
“Spero tu abbia dormito bene ieri notte.
Se vorrai veglierò sul tuo sonno ancora una volta.”
                                 Klaus
 
 
 
 
 
Damon e Enzo come ogni notte sono chiusi in soffitta. Il solito rituale per entrare nei sogni di Eileen. L’unico modo che Damon ha per farle ricordare.
L'immagine sulla foto trema e sbiadisce.
«Cosa diavolo succede?» esclama Enzo.
«Il contatto si è interrotto. Di nuovo.»
«Come è possibile?»
«Proviamo ancora» Damon ripende in mano la foto e recita per la seconda volta le parole dell’incantesimo.
 
“Sciolgo il tuo cuore e la tua memoria con il sacro potere
Vedrai la verità
Allontana ogni timore, ogni bugia.
Invoco il potere del sangue per entrare in te”
 
«Non succede nulla» dice Enzo in preda al panico.
«Dannazione!» Damon sbatte le mani sul tavolo di legno.
Serrando le mascelle sibila a denti stretti.
«C'è una sola spiegazione. Klaus! Come diavolo fa ad essere sempre un passo davanti a me? Fino a quando resto intrappolato qui, non posso fare nulla per contrastarlo. Devo andare da lei!»
In un gesto di ira chiude con violenza il Grimorio scaraventandolo a terra.
«Oh, Damon. Ti prego stiamo già rischiando abbastanza»
«Dobbiamo osare di più.» non riesce a darsi pace, al solo pensiero di sapere Klaus con l impazzisce di rabbia.
«Non sappiamo quali possano essere le conseguenze. Passare dall'altra parte Damon è roba grossa.»
«Posso farcela»
«Avevi promesso che non avresti fatto più uso del potere oscuro»
«Lo so, ma adesso solo quello può aiutarmi.»
In passato per proteggerla ha dovuto allontanarla, ora spetta a lui raggiungerla.
Damon stringe al petto la foto di Eileen, illuminato dalle candele le fa una promessa.
«Eileen, mia Signora, ti salverò ancora una volta

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


 – Se il diavolo non me l’avesse ispirato, non l’avrei mai commesso! – disse l’uomo.
Ma il diavolo rispose  – Se non ci fosse nessun uomo che mettesse in corso le mie fantasticherie, non sarei diavolo, ma sempre l’angelo di una volta.

(Christian Friedrich Hebbel)
 
 
Inizio di nuovo ad aver paura di dormire.
Da piccola odiavo dormire. Ogni volta che scendeva la sera, nel momento in cui il sole scompariva all'orizzonte, calava su di me un'angoscia pesante che mi opprimeva.
Guardavo sempre con sospetto le ombre che si allungavano per strada, quasi stessero lì lì per saltar fuori e venirmi a prendere.
Era una paura irrazionale, quasi automatica che mi prendeva ogni giorno.
Quando mi ficcavo sotto le coperte restavo ad occhi sbarrati ad ascoltare il buio per tentare di captare i suoi bisbigli.
Mi auguravo di non addormentarmi mai.
Ma ogni notte com'è naturale la stanchezza vinceva la mia volontà.
Quando abbassavo la guardia, le ombre che fino a poco prima erano accucciate agli angoli della mia camera, mi circondavano e mi portavano via nel loro oscuro mondo.
Crescendo mi sono abituata e ho in parte rimosso questa fobia.
Ma da qualche tempo sento nuovamente la vecchia angoscia tornare.
Gli incubi affollano i miei sogni. Una parte di me vorrebbe saperne di più, ma l'altra ne è terrorizzata.
Non appena mi addormento mi ritrovo nell'altra realtà e ogni nuovo giorno inizia con nuove paure e vecchie verità.
“Un sonno senza sogni...” sarebbe impossibile credo, ma ne avrei davvero bisogno.
 
Ormai buio, la pioggia batte sui vetri delle finestre.
Sono stata dimessa nel pomeriggio.
Matt è ricoverato, ancora vivo, ma in coma.
In lontananza le luci della città si intravedono appena.
Spalanco la finestra del balcone in camera poi fisso il letto, quello  che condivido con Matt, che non riconosco più come mio.
Stremata mi ci butto sopra cercando un po’ di pace.
Non voglio restare in questa casa, non voglio che lui mi trovi qui al suo ritorno. Si merita buio, silenzio e desolazione.
I ricordi dell’incidente sono ancora confusi, non ho alcuna intenzione di sforzarmi a rievocare quelle immagini.
Prego di aver dimenticato tutto, per sempre.
Stanotte sono sola. Fino a quando ero in ospedale Klaus è sempre stato al mio fianco.
“Vorrei fosse qui anche adesso.”
Bussano alla porta. Mi metto a sedere sul letto, mi alzo e corro a rispondere con la speranza che sia davvero lui.
Ed invece un’ondata di delusione mi travolge quando dall’altro lato compare Rebekah.
 
«Buonasera» Mi saluta sorridendo.
Trasalisco, lei non sorride mai.
«Non mi fai entrare?»
Senza dire nulla le faccio strada e chiudo la porta.
Si sfila il soprabito rivelando sotto l’impermeabile un tubino blu a maniche lunghe.
«Come stai?» mi chiede sedendosi sul divano.
«Meglio» dico a mezza voce.
«Come mai sei qui?» le chiedo.
«Tayler mi ha dato il tuo indirizzo. Volevo vedere come stavi»
Sembra sincera, genuinamente preoccupata per me.
«Posso chiederti qualcosa di caldo? Sono intirizzita dal freddo»
«Tè o camomilla?»
«Tè, grazie.»
Mi dirigo nel cucinotto a vista. Prendo dalla credenza due tazze e le metto su un vassoio. Accendo il bollitore dell’acqua.
Non riesco a sentirmi a mio agio con lei in casa.
«Mi dispiace non essere potuta passare in ospedale a trovarti, ma Klaus mi ha tenuta aggiornata sulla tua salute»
Arrossisco al pensiero di aver dormito con Klaus per cinque notti di fila.
«Non era necessario che venisse ogni sera»
«Oh, invece sì cara.»
La guardo in viso. «Non ti dà fastidio?»
«Certo che no. Mio fratello può passare le notti dove vuole e con chi vuole»
«Fratello?» la mia voce suona più alta del dovuto.
«Fratellastro per la precisione, stesso padre, madri diverse»
Nella mia mente soltanto adesso si spiega quella insana familiarità che avevo letto tra loro.
Verso il tè nelle tazze e lo porto in sala.
Mi siedo di fronte a lei, mi sento così inadeguata in tuta e senza trucco rispetto alla sua perfezione di bambola.
«Mi dispiace per quello che è successo. Come sta il tuo fidanzato?» beve un sorso di tè, poi poggia la tazza sulle gambe reggendola con entrambe le mani.
«Non è più il mio fidanzato»
«Avete litigato?»
«La sera prima dell’incidente. Lui mi ha tradito con la mia migliore amica»
«Capisco» annuisce come se sapesse di cosa stia parlando. Come se ci fosse passata anche lei.
«Non voglio restare qui. Chiederò a Tyler di stare per un po’ da lui»
«In realtà sono qui per farti una proposta.»
Lascio che continui.
«Io sono in partenza per Londra, mio fratello vuole restare ancora a Roma a dipingere. Potresti stare all’appartamento con lui. Gli farebbe bene avere un po’ di compagnia, come gioverebbe a te. Saresti al sicuro e faresti sogni tranquilli»
«Io...» non so come faccia a sapere la serenità che solo Klaus sembra riuscirmi a dare.
«Non ti stupire Elena. Lui aveva lo stesso effetto su di me da bambina. Quando non riuscivo a prendere sonno, scivolavo piano nel suo letto, mi abbracciava e mi teneva stretta stretta fino a quando cadevo addormentata.»
«Lo stesso è capitato a me. È come se lui abbia qualcosa... non so come spiegarti, qualcosa...»
«Qualcosa di magico» finisce lei la frase al mio posto.
Mi sorride e le rispondo con lo stesso sorriso.
«Domani una macchina ti verrà a prendere. Sistema le tue cose e fammi una telefonata quando sei pronta. Mio fratello sarà entusiasta di averti come ospite»
 
Quando Rebekah va via, mi sento in parte sollevata al pensiero di non dover restare più in questa casa, ma anche preoccupata di dormire da sola.
Stasera non c’è nessuno a vegliare sui miei sogni, solo il silenzio della pioggia.
 
 
 
Un leggero bussare alla porta mi sveglia. É notte fonda, solo una persona può farmi visita a quest’ora.
Scendo dal letto a piedi scalzi, apro piano la porta e il viso sorridente di Damon mi è addosso.
«Ti ho portato qualcosa»
«Non poteva aspettare domani?» sbadiglio portandomi una mano davanti la bocca.
«Assolutamente no»
«Per il tuo sedicesimo compleanno. Auguri!» dice porgendomi un sacchetto di stoffa legato con un nastro.
«Mancano ancora due settimane al mio compleanno»
«Lo so. Ma non potevo più aspettare»
Mi siedo a terra sul tappeto, lui resta in piedi con sguardo divertito.
Apro il sacchetto lasciando scivolare piano il nastro. All’interno un pentacolo fatto di rami intrecciati. Non mi serve chiedere dove abbia preso il legno, dall’odore so che appartiene al nostro ciliegio.
«Damon, è bellissmo»
«Penso sia perfetto per il tuo altare» si siede accanto a me.
«Grazie» mi getto su di lui abbracciandolo forte.
«Vieni con me, vediamo come sistemarlo»
Apro l’anta dell’armadietto in cui ho disposto gli oggetti per il mio altare personale.
Avrei voluto farlo sul comodino vicino a letto, ma non posso. Devo tenerlo a sicuro, lontano da sguardi indiscreti.
Lontano da mio padre.
 Un oggetto per ogni elemento, per ogni punto cardinale.
A Est per il vento; una candida piuma di colomba, a Sud per il fuoco; una candela profumata, a Ovest per l’acqua; un’ampolla di vetro contenente acqua di mare e a Nord per la terra; una conchiglia colma di sale.
Posiziono il pentacolo di Damon giusto al centro.
«Ora è perfetto» sorrido richiudendo a chiave le porte del mobiletto.
«Come vorrei non dovermi nascondere...» dico a mezza voce.
«Arriverà il momento giusto» mi consola Damon.
«Come vorrei vivere con tua madre, lei crede nella Dea, ti appoggia e ti ha permesso fino ad oggi di praticare la magia senza ostacoli»
«Anche tuo padre capirà Eileen, dagli del tempo»
«Lo spero...»
 
 Il mattino dopo mi sveglio presto, come ogni sabato, Rose mi aspetta per la nostra cavalcata lungo il fiume.
Lei è la mia amica ufficiale, quella che papà approva. L’unica che mi permette di frequentare.
Con Damon da qualche anno abbiamo iniziato i nostri incontri clandestini. Lui non è come me. Quelle le parole Mikael, mio padre, per rimarcare la differenza sociale tra noi. Damon figlio di Esther, la donna che ha fama di essere strega, ma che cura tutto il villaggio con le sue erbe, non è abbastanza per me.
Non ho mai fatto quello che dice mio padre, solo Rose  fa eccezione. Siamo amiche da sempre e nel suo essere dolcemente normale compensa la mia irruente stranezza.
È quasi ora, ma non mi affretto.
Prima di uscire apro il mobiletto e accendo due candele in onore della Dea. Nessun giorno può cominciare senza la preghiera di ringraziamento del mattino.
 
Benedici i miei piedi che cammineranno lungo il Tuo sentiero
Benedici le mie ginocchia che si piegheranno al sacro altare
Benedici il mio cuore che batte di compassione
Benedici le mie labbra affinchè possano dire la verità
Benedici i miei occhi perchè possano vedere i tuoi miracoli
Possa il tuo amore guidarmi oggi durante il cammino
Così sia.
 
Riapro gli occhi e mi avvicino all’altare per spegnere le candele. Non ci soffio sopra. Mai spegnere una candela in quel modo. Mi inumidisco i polpastrelli con un po’ di saliva e tocco lo stoppino per spegnere la fiamma.
In quel momento una cascata di riccioli rossi fa ingresso nella mia camera. Le guance di Rose sono rosse, il respiro un po’ affannoso. Avrà sicuramente corso lungo tutto il corridoio prima di arrivare da me.
«I cavalli sono già pronti. Sbrigati!» mi rimprovera non appena incorcia il mio sguardo.
Richiudo le porticine dell’altare immediatamente, ma non abbastanza velocemente. Rose ha visto quello che nascondo.
Di lì a pochi giorni lo dirà a mio padre e così con quel tradimento firmerà la sua condanna a morte.
 
 
 
Mi sveglio madida di sudore, spaventata e ancora sola.
In preda ad una terrorizzata frenesia mi butto giù dal letto mando un messaggio a Rebekah per chiederle di venirmi a prendere il prima possibile e inizio a infilare alla rinfusa in valigia quello che potrebbe servirmi una volta che avrò lasciato questa casa.
Rose... io me la ricordo...
Mi ha tradito e non l’ho mai perdonata.
Ho paura. Non ho memoria di lei in questa vita e nemmeno nella mia infanzia. Ma non so perchè è lì adesso in un angolo della mente e mi fissa con sguardo atterrito.
Vado alla ricerca del mio maglione preferito nel fondo dell’armadio. Quando lo tiro fuori la scatola di legno che custodisce i miei tesori di bambina cade a terra. Nella caduta si apre spargendo sul tappeto perline, conchiglie, braccialetti e piccoli ninnoli che qualche anno fa rappresentavano per me tutto.
Mi inginocchio per raccoglierli sistemandoli con cura all’interno del cofanetto. Impigliato tra le maglie di una collana di pasta un ciondolo a forma di stella.
Con cautela lo libero e subito dopo averlo davanti agli occhi lo lascio andare come se bruciasse.
Tra le mie mani c’era il pentacolo di legno fatto da Damon.
Il suo regalo per il mio sedicesimo compleanno.  
 
 
Nell'aria si avverte il profumo di pioggia, aria umida carica di elettricità; presagio di tempesta.
 Nuvole nere vengono sospinte dal vento forte, in pochi minuti ricoprono il cielo poco prima sereno, con una coltre scura e irreale.
La macchina corre sull'asfalto.
Klaus è alla guida, la mano destra appoggiata sul cambio e la sinistra sullo sterzo, lo sguardo fisso sulla strada.
Io seduta al suo fianco mi lascio sprofondare sul sedile. Seguo con gli occhi il profilo del suo viso.
«Forse riusciremo ad arrivare in città prima che venga a piovere.» mi dice senza distogliere lo sguardo dalla strada.
Annuisco e avverto una familiare calma nel tono della sua voce.
È venuto a prendermi, da questa sera sarò ospite nel suo appartamento. Siamo diretti alla galleria. Ho bisogno di tornare a lavoro e riprendere contatto con la realtà.
Il ciondolo a stella l’ho messo al collo sotto la maglia che indosso. Non ho voluto lasciarlo a casa. Non mi sembrava giusto.
Attraverso il finestrino scruto il cielo con apprensione e chiudo gli occhi.
La strada corre davanti a noi.  Siamo nel pieno della tempesta.
Dormo tranquilla seduta al fianco di Klaus, senza rendermi conto della pioggia battente che colpisce con forza i vetri dell’auto.
La fronte appoggiata alla cintura di sicurezza e il braccio sinistro che ricade morbido sul mio grembo.
Klaus mi osserva dormire.
Sfiora con le sue dita la cicatrice sul mio polso sinistro, sussurandomi: «questa volta ti tengo con me»
Le sue dita serrano il mio polso. Sul suo braccio una cicatrice identica alla mia.
 
Mi sveglio sentendomi toccare la spalla.
« Siamo arrivati.» mi sorride.
Guardo fuori dal finestrino e riconosco l’ingresso della galleria.
“Un altro brutto sogno.”
I tergicristalli si ricorrono sul parabrezza. La pioggia scende con cattiveria su di noi.
Tento di aprire lo sportello ma non ci riesco.
«Lascia che ti aiuti» mi dice.
Si sporge verso di me, allunga il braccio per togliere la sicura e aprire lo sportello.
Avverto il suo profumo su di me e osservo le sue mani e il suo polso.
Completamente immacolato, nessuna cicatrice.
 
Per un attimo ci fissiamo senza dire nulla.
«Grazie per il passaggio.» balbetto. Afferro la mia borsa e scendo dalla macchina.
«Di niente. Ci vediamo stasera a casa» dice un con sorriso incantevole.  Riavvia la macchina e sparisce dalla mia vista.
Attraverso la strada di corsa ed entro.
Tayler mi accoglie con una tazza calda di caffè e una smorfia pettegola sul viso.
«Era Klaus? Quello che ti ha appena accompagnato?»
Sorrido, contenta di aver ripreso contatto con la mia quotidianità.

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