Deus ex machina di Eliele (/viewuser.php?uid=374758)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Apparizioni e presentimenti ***
Capitolo 2: *** Un pizzico della mia realtà ***
Capitolo 3: *** Spiacevoli incontri ***
Capitolo 4: *** Ciò che faccio e ciò che sono ***
Capitolo 5: *** Dissensi tra i ranghi ***
Capitolo 6: *** Qui c'è qualcosa che non quadra ***
Capitolo 7: *** L'orologio è partito, la lancetta gira ***
Capitolo 8: *** Tra nuove seccature e soliti demoni ***
Capitolo 9: *** Il calore della morte ***
Capitolo 10: *** Stupida, stupida, stupida... ***
Capitolo 1 *** Apparizioni e presentimenti ***
<
I vampiri si dirigono ad est,
sulla quattordicesima > la voce gracchiante del suo migliore
amico,
deformata dal microfono che portava all’orecchio, le
rimbombò in testa.
Quanto
mai ho acconsentito a questa cosa pensò
Buffy, sistemandosi
l’auricolare. Da quando, un anno prima avevano fermato
l’ennesima Apocalisse e
distrutto la Bocca dell’Inferno di Sunnydale, tutto era
cambiato. Le potenziali
Cacciatrici dell’intero pianeta
erano diventate effettive Cacciatrici e Buffy e i suoi amici le avevano
cercate
per tutto il mondo, radunandone diverse centinaia. Poi le avevano
stanziate in
diverse “cellule operative” (battezzate
così da Andrew) in ogni continente. Buffy
e gli altri si erano divisi le responsabilità
dell’addestramento e, in certi
casi, dell’educazione delle nuove Cacciatrici. Avevano deciso
di stabilire un
“quartier generale segreto” nei pressi di ogni
Bocca dell’Inferno, dove poter
organizzare efficacemente l’azione anti-demoniaca. Andrew
aveva insistito per
dotare ogni base di tecnologie piuttosto avanzate, “prese in
prestito” da
diversi suoi contatti. Da qui il microfono all’orecchio che,
dotato anche di un
GPS funzionale, permetteva di tenere sotto controllo le nuove reclute e
i loro
spostamenti. Buffy avrebbe preferito fare le cose alla vecchia maniera,
la
Caccia con il fidato paletto e l’amico istinto per
intenderci, ma si ritrovò ad
acconsentire alle proposte degli amici. Le sembrava di essere tornata
ai tempi
dell’Organizzazione, ma doveva ammettere che il nuovo sistema
aveva i suoi
vantaggi. Dopotutto, tenere d’occhio centinaia di ragazze
dotate di
superpoteri, molte delle quali animate dagli istinti ribelli
dell’adolescenza,
non era né facoltativo né facile. In quel momento
Buffy e cinque Cacciatrici
novelline, appena arrivate a Craterside, stavano inseguendo un gruppo
di
non-morti, una ventina più o meno che stavano fuggendo
costeggiando il tratto
est dell’interstatale 121, probabilmente in cerca di una
grotta o di
un’improbabile cripta nei dintorni. Buffy rimpiangeva i tempi
in cui ogni
borioso vampiro che incontrava si buttava senza esitare in un sano e
mortale
duello contro di lei. Ma con l’improvviso incremento delle
Ammazzavampiri,
molti demoni, si
davano alla fuga. Fin
dall’inizio dei tempi, fu stabilita la
nascita di una Predestinata per ogni generazione, la sola ed unica
Cacciatrice
in grado di combattere e sconfiggere tutte le Forze del Male. Ma a
seguito
dell’ultima Apocalisse, per sconfiggere il Male Primordiale,
Buffy e la sua
banda erano riusciti a cambiare le regole: grazie alla Falce,
un’ascia dai
poteri incredibili, Willow, la strega potentissima del gruppo,
riuscì a
spezzare il vincolo, permettendo ad ogni potenziale Cacciatrice del
pianeta di
indossare le vesti di supereroina. Quindi Buffy non poteva biasimare i
vampiri,
visto e considerato che una sola Cacciatrice era già un
grosso guaio,
trovarsene ad affrontare cinque era veramente un suicidio.
< Sarà
meglio dividersi! > disse Buffy
ad alta voce < tu, Jasmine, vieni con me. Le altre prendano il
fianco destro
e sinistro >
< Veramente io sarei
Jennifer >
< Ok, Jennifer
dobbiamo andare >. Fino a
quel momento aveva conosciuto più di 300 neo-Cacciatrici, e
imparare i loro
nomi si stava rivelando un’impresa piuttosto ardua. Andrew
aveva proposto di
affidare un numero a tre cifre ad ogni Cacciatrice e farlo stampare sul
braccio
con inchiostro verde brillante, ma la proposta era stata bocciata
all’unanimità. Bocciata nel senso che il giovane
criminale informatico aveva
assaggiato un bel calcio nel sedere, assestatogli da una giovane
recluta alle
prime armi. Calcio che gli era costato cinque punti di sutura alla
fronte. Da
quel momento Andrew fu molto più attento a limitare i suoi
malsani suggerimenti
di fronte alle neo-Cacciatrici.
Ma
dividersi fu inutile perché il
bosco convergeva in un’unica direzione e dopo pochi minuti si
ritrovarono tutte
nello stesso punto: le tracce dei vampiri si erano interrotte 200 metri
più
avanti, dove un piccolo torrentello melmoso indicava la via verso un
condotto
fognario. La puzza dei liquami che fuoriuscivano dal dalla fogna era
quasi
insopportabile. Appena aveva visto l’entrata del condotto
mille campanelli
d’allarme le erano risuonate in testa. Non
mi piace. Fu il primo pensiero che le ronzò in
testa. Con tutte le possibili vie
di uscita sarebbe stato difficile
stanare i vampiri e, allo stesso tempo, se i vampiri si fossero
organizzati
efficacemente, sarebbero potute cadere facilmente in trappola. Buffy si
sistemò
nuovamente il microfono all’orecchio che tendeva a cadere di
lato
Xander
rispose subito, impostando la
frequenza in modo tale che solo Buffy potesse sentire la sua voce
< Sissignora,
siamo già all’opera. Dammi un secondo. Mmmh un
minuto. Aspetta ancora un
attimo. Diamine, la connessione è lentissima! >
Buffy
sospirò. In quanto a
tecnologia avrebbero dovuto fare qualche aggiornamento. Dopo qualche
minuto le
nuove Cacciatrici davano già segnali di impazienza. Alcune
bisbigliavano
frenetiche tra loro:
<
Ma non dovremmo entrare? >
<
No stupida potrebbe essere una
trappola! >
<
Io direi di tornare indietro,
non possiamo rischiare! >
<
Ma siamo sicure che Xander.. >
Buffy
decise di mettere fine al
chiacchericcio. < Ok, ragazze adesso dovete darvi una calmata.
Una delle
virtù principali di una Cacciatrice è la
pazienza. Per elaborare un piano
efficace è necessario pensare. E pensare richiede tempo e
pazienza. Dovete
ricordare che la pazienza la gemella dell’intuito, non
sottovalutatela > I
bisbigli si ridussero percettibilmente, fino a scomparire. Ora le
ragazze
guardavano Buffy come se pendessero dalle sue labbra Bel
discorso si congraturò Buffy tra se e se avrei dovuto farlo a me stessa tanto tempo fa. Ho
sempre odiato
pazientare
Sentiva
che le ragazze non erano
pienamente consapevoli di ciò che comportava essere una
Cacciatrice. Molte di
loro erano guidate unicamente dalla loro esuberanza e dalla
“superbia di
superpoteri” che le portava a gettarsi contro il nemico senza
esitare e senza
pensare alle conseguenze. In tutte le spiacevoli circostanze che si era
ritrovata a fronteggiare, Buffy aveva sempre seguito ciò che
le diceva il suo
istinto anche se questo le
urlava a
squarciagola di scappare. Ed era per questo che era ancora viva. Non
era ancora
riuscita a trasmettere questo vitale insegnamento alle ragazze e sapeva
che
sarebbe stata una missione alquanto difficile.
Finalmente
Xander si fece sentire:
< Ok Buffy, abbiamo trovato la pianta delle fognature.
È enorme, ci sono
diversi cunicoli che si diramano in tutte le direzioni. Al centro
dovrebbe
esserci una sorta di discarica aperta. Ma la mappa risale a molti anni
fa, non
so se può essere ancora affidabile. Con tutti i condotti in
uscita che ci sono
i vampiri potrebbero essere andati dovunque. Potrebbe essere solo una
perdita
di tempo >
<
Grazie Xander. Ci sentiamo
dopo. > Buffy mise in stand-by l’auricolare. <
Missione annullata
ragazze. Si torna a casa >
Vide
alcune facce contrite, altre
sollevate. C’è ancora
molto lavoro da
fare si ritrovò a pensare Buffy mentre si
accingevano a tornare indietro molte di loro
non si rendono conto delle
loro capacità né sanno come sfruttarle al meglio
Ma
una voce preoccupata ruppe il
silenzio: < Aspettate! Dov’è Jennifer?
>
Buffy
si guardò attorno. < Jennifer!
> chiamò, non aspettandosi davvero una risposta. Maledizione! Quella ragazza è una testa
calda, dovevo immaginare che
avrebbe fatto qualcosa di stupido prima della fine della giornata.
Buffy
fece due calcoli. Non poteva essersene andata da più di
cinque minuti quindi,
se avessero fatto in fretta, avrebbe potuto raggiungerla in breve
tempo. Ma non
poteva lasciare lì le ragazze e in quel momento Jennifer
poteva essere già in
pericolo. Era una Cacciatrice ma era pur sempre una ragazzina, non
aveva mai
combattuto in un vero scontro e avrebbe dovuto uccidere venti vampiri
da sola.
Decisamente, non ce l’avrebbe fatta.
<
Va bene ragazze. Dietro di me e
fuori i paletti > Si addentrarono il più
silenziosamente possibile nel
cunicolo. Il soffitto dei condotti era crollato in più punti
e la debole luce
lunare rischiarava il pavimento sotto di loro. Buffy avvertiva che
c’era
qualcosa che non andava. Analizzate le tracce, avevano appurato che i
vampiri
sapessero con sicurezza dove dirigersi. Sembrava che conoscessero molto
bene il
posto. Ma, a meno che la loro aspirazione non fosse diventare dei bei
mucchietti di cenere, non era molto adatto come rifugio diurno.
Qualunque
vampiro non avrebbe gradito passare la notte in luoghi ammuffiti e
puzzolenti,
per quello ci pensava già di giorno. Buffy sentiva crescere
sempre di più la
sensazione di inquietudine. Più avanti intravide un oggetto
luccicante. Lo
raccolse. Era una piccola croce di legno che Buffy aveva visto al collo
di
Jennifer. Brutto segno. Le croci,
insieme all’acqua santa, erano tra i pochi oggetti in grado
di ferire un
vampiro. Per ucciderlo, invece, si poteva conficcargli un pezzo di
legno nel
cuore oppure esporlo alla luce del sole. Due metodi oltremodo efficaci.
<
Ragazze adesso… > Si girò di
scatto, colta da un’improvviso presentimento. Dietro di lei
non c’era nessuno.
< Ragazze! > chiamò poco convinta. Silenzio,
solo lo scrosciare timido e
costante dell’acqua corrente. Dove
accidenti sono finite? Si ricordò improvvisamente
degli auricolari che
ognuna di loro portava all’orecchio. Devo
ancora abituarmi a questi maledetti aggeggi
<
Xander, controllami la
posizione delle ragazze. Non so cosa sia successo ma ci siamo separate
>
Nessuna risposta. < Xander! > Dall’apparecchio
non giunse alcun rumore.
Poi uno sfrigolio. E un botto. Bene ci
mancava anche questa! Il microfono era esploso.
Buttò a terra quel che
rimaneva dell’ auricolare e, solo in quel momento, si rese
conto di essere
sola. Era una situazione in cui era abituata a trovarsi, dopo anni di
Caccia
solitaria, eppure, dopo i mesi passati in compagnia del vociare e delle
risate
delle nuove arrivate, si accorgeva della solitudine molto
più di prima. Beh sarà
come tornare ai vecchi tempi
pensò Buffy mentre si addentrava nel cunicolo. In quella
fogna non c’era nulla
per potersi orientare e quindi dovette procedere alla cieca, ma, in
breve
tempo, si rese conto che la sua impresa sarebbe stata più
difficile del
previsto: quel posto era come un labirinto. Buffy procedette a tentoni,
cercando un qualsiasi segno del passaggio delle ragazze. Non
trovò alcuna
traccia, né di loro né dei vampiri. Il dedalo di
cunicoli si diramava sempre
uguale e non c’era alcun modo per capire da che parte
dirigersi. Buffy
cominciava a irritarsi, le sembrava di camminare da ore e
l’olezzo e la puzza
di fogna non aiutavano favorivano certo il suo umore. < Buffy!
> un
grido, alla sua destra. Si mise a correre il più velocemente
possibile, stando
bene all’erta, con il paletto in mano, pronta per qualsiasi
sorpresa.
altre urla, questa volta davanti a
sé. < Sono qui! >
urlò in risposta. Poi le voci si moltiplicarono, ora le
sentiva tutte, le
ronzavano intorno come api che circondano l’alveare:
moltissimi sussurri
inframmezzati, bisbigli confusi, imploranti richieste d’aiuto
< Buffy…Buffy…
> Qualcuno stava giocando con lei. Cercando di ignorare tutte i
mormorii che
ruggivano insistentemente nella sua testa, procedette ancora fino ad
arrivare,
finalmente, ad una svolta decisiva. Si ritrovò in un ampio
salone circolare,
illuminato da decine torce fiammeggianti infisse sul muro. Doveva
essere la
discarica centrale di cui aveva parlato Xander; peccato che quel posto
non
assomigliava affatto ad una discarica. Il pavimento era ricoperto di
una specie
di melma gommosa, di un inquietante colore rosso scuro. La volta
stellata si
rifletteva sotto di lei, ballava con il fuoco di molteplici torce
appese al
muro, creando un gioco di ombre multicolori. A terra si vedevano delle
sagome
confuse, che parevano danzare sinuosamente. Eppure intorno a Buffy non
c’era
nessuno. Perlomeno, nessuno che si potesse vedere. Le voci si fecero
più
chiare, più forti, come se la loro fonte fosse
più vicina. Buffy decise di
concludere questa storia < Ora basta! So che ci siete! Venite
fuori! >
Nel giro di pochi secondi un’ombra emerse dalla terra, i suoi
contorni si
delinearono lentamente, fino a formare la figura di una donna
bellissima dalla
folta chioma bionda e riccia e dagli occhi color ambra. Era vestita
sobriamente: indossava una lunga tunica nera che
le avvolgeva il corpo dalle forme sinuose e
ai piedi portava un paio di sandali di cuoio. Buffy notò che
la sua caviglia
era avvolta da un monile d’argento finemente elaborato. Al
centro del petto era
stampato un disegno d’argento, un sole lucente che si
stagliava limpido nella
penombra della notte, in netto contrasto con il colore scuro della
veste. Il
sole lampeggiava ritmicamente. Buffy rimase incantata dalla sua
visione, i suoi
occhi, come ipnotizzati seguivano il percorso lento e regolare dei suoi
lunghi
raggi pulsanti. Le sembrava di udire un canto che fuoriusciva dal
cerchio
solare, una sorta di musica eterea proveniente da un altro mondo,
accompagnata
da voci soavi.
Buffy
si riscosse all’improvviso
< Chi sei tu? > chiese, cercando di recuperare la
lucidità
La
Cacciatrice appariva rilassata,
ma le sue dita tamburellavano impercettibilmente
sull’impugnatura del paletto.
Nonostante l’aspetto apparentemente innocuo,
quella donna aveva un qualcosa in grado di ammaliare chi
le stava
intorno e quindi poteva essere ben più che pericolosa.
Nonostante il breve
momento di contemplazione avesse
suscitato in Buffy un senso di beatitudine, sapeva che tutto questo
poteva
essere un inganno.
Sul
viso candido come la neve della
signora era stampato un sorriso enigmatico.
<
Sono solo una messaggera, Buffy
Summers > la voce, sensuale tanto quanto il suo aspetto,
sembrava della
consistenza del fumo, come se si potesse afferrare le sue parole solo
per
qualche istante, prima di lasciarsele sfuggire dalla punta delle dita.
<
Come conosci il mio nome? >
<
Anche di Sopra e di Sotto si sente
parlare di te, Cacciatrice. Dovresti sentirti onorata di questo >
<
Di cosa stai parlando? Comandi
tu il manipolo di vampiri? >
<
Gli Impuri sono stati solo
frutto della tua immaginazione, semplici immagini create
all’interno della tua
mente. Dovevo trovare un modo per farti venire da me. Io porto un
messaggio,
Cacciatrice >
<
Che genere di messaggio? Dove
sono le mie compagne? > Buffy cominciava a spazientirsi,
più tempo passava
minori erano le probabilità di trovare le ragazze tutte
intere. Sempre che le
avesse ritrovate.
<
I tuoi Seguaci stanno bene, in
questo momento sono nelle rassicuranti braccia di Morfeo. Ho poco
tempo,
Cacciatrice, non mi è permesso stare qui più del
necessario. Ma ci sono tante
cose che devo dirti > Il volto della donna si fece
improvvisamente serio.
Buffy
sentì un improvviso bisogno di
ascoltare. Aveva la sensazione che ciò che avrebbe udito le
sarebbe stato di
vitale importanza per il futuro < Parla. Ti ascolto >
<
Presto, prima di quanto
possiate prevedere, una nuova Apocalisse attraverserà questo
mondo > Il tono
della donna era grave, venato di una nota di tristezza. < Voi
lotterete. Ma
non vincerete>
<
Che genere di Apocalisse? Chi
ti ha detto questo? >
<
Nessuno, Cacciatrice. Io ho la
capacità di vedere il futuro, il passato e il presente. Per
me spazio e tempo
non esistono. La Vista va oltre il tangibile. Oltre ciò che
tutti possono
vedere > Le ombre sul pavimento cominciarono a vorticare creando
un insieme
confuso di immagini. Un tempio dai mille colori fulgidi e brillanti. Un
prato,
coronato da centinaia di fiori disposti in un arcobaleno colorato. Al
centro di
quello spettacolo naturale si cominciò a distinguere una
macchia di colore
rosso purpureo. Si allargò sempre di più fino a
tingere tutta l’erba e i fiori
del suo colore mortale.
Buffy
sentì le viscere stringersi in
una morsa e distolse lo sguardo. < Che razza di magia
è questa? Sei una
strega? >
<
No. Non puoi comprendere quello
che hai visto. Solo noi Alti Profeti possiamo sapere cosa
succederà poiché
vediamo Avanti e Indietro, di Là e di Qua >
<
Ora basta parlare per enigmi!
Dimmi quello che sai! Cosa avverrà? Cosa dobbiamo fare per
fermarlo? >
<
Nulla. Voi non potete fermarlo.
Voi sarete sterminati >
La
morsa che Buffy sentiva si fece
più forte. < Abbiamo sempre combattuto. In ogni
Apocalisse. E abbiamo sempre
vinto, alla fine. Come sarà diversa questa? A che cosa
dobbiamo prepararci? >
La
voce della donna si indurì < Non
potete fermarla. Dovete scappare. Dovete nascondervi. Dovete andare
dove non
possono trovarvi. Non ci sarà più speranza per
questo mondo >
<
In che cosa sarà diversa questa
Apocalisse? > insistette la Cacciatrice
Il
volto della donna si intristì
< Hai rotto l’equilibrio, Cacciatrice. Deve essere
ristabilito >
<
Come ristabilito? Che cosa
arriverà? > Buffy non cominciava a non sopportare
più l’atteggiamento
misterioso della donna.
<
Arriverà ciò che voi non potete
combattere. Potete solo scappare. Non mettere in pericolo la tua gente,
Cacciatrice. Se vi opporrete, sarete distrutte >
La
Cacciatrice ne aveva abbastanza
di enigmi e parole vuote Ok, basta con le
buone Buffy si lanciò in avanti, con
l’intenzione di afferrare la donna e
costringerla a parlare più chiaramente, ma prima che potesse
anche solo
toccarla, ella svanì. Che cosa..?
<
Sei troppo impetuosa
Cacciatrice. Ciò che vi ha reso forti, sarà
ciò che vi distruggerà >
Buffy
si guardò intorno, cercando la
donna. Sembrava scomparsa, perlomeno nel piano fisico. < Che
cosa posso fare?
> Buffy si accorse suo malgrado che la sua voce aveva assunto un
tono
disperato.
<
Devi solo ricordare… > il
suono si abbassò sensibilmente di tono, come se la sorgente
si stesse
lentamente allontanando < che la strada… > ora
le parole erano appena udibili
< si può cambiare.. > In un attimo tutto
finì. Le voci, che fino a quel
momento avevano tormentato la testa di Buffy, sparirono. Le ombre
furono
risucchiate nel vuoto, insieme al colore rosso del suolo. Le torce
scomparvero.
Buffy si ritrovò improvvisamente lì, pensierosa e
inquieta, in mezzo a una
discarica puzzolente. Solo un rumore disturbava il silenzio appena
conquistato:
il russare ritmico e costante di cinque ragazze addormentate.
Willow
si alzò piano dal letto, cercando di non fare rumore.
Qualcosa aveva destato il suo sonno. Una sensazione, forte quanto
presentimento
si stava faceva largo dentro di lei, scavando nel suo cuore, nel
tentativo di
trasmetterle un messaggio. Nell’aria si percepiva
elettricità, non
l’elettricità naturale, ma una sorta di
elettricità magica, persistente e
continua come la quiete prima della tempesta. Willow si chiuse in bagno
cercando di riordinare i pensieri. Sarebbe successo qualcosa di grosso.
Lo
percepiva, ma non riusciva a concretizzare chiaramente ciò
che sarebbe
accaduto. Chiuse gli occhi, cercando di esplorare dentro di
sé per trovare
qualcosa che potesse indicarle la via da percorrere. Ma mille pensieri
le
affollavano la mente. Come si sarebbe comportata? Avrebbe dovuto dirlo
agli
altri? E se poi si fosse sbagliata? Lei e i suoi amici erano
già impegnati su
diversi fronti, non voleva dar loro altre preoccupazioni per la testa.
Sentì un
paio di braccia cingerle la vita.
<
Ehi piccola. Va tutto bene? > Willow sorrise e si
appoggiò al corpo sodo e muscoloso della sua ragazza,
Kennedy.
<
Sì, sto bene. È che ieri sera ho mangiato troppo,
probabilmente non ho digerito > Non era mai stata brava a
mentire e
probabilmente Kennedy se ne accorse ma non disse nulla.
<
Vieni, andiamo a letto. Ci penso io a farti rilassare >
Quando le loro labbra si incontrarono e le loro lingue si incrociarono,
Willow
non pensò più a nulla. Eppure anche
lì, nel bel mezzo dell’estasi
dell’amore,
la sensazione pungeva. Sarebbe arrivato qualcosa. Qualcosa di potente.
La
scossa stava arrivando.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Un pizzico della mia realtà ***
C’è
solo fuoco. Le sue spire, di un colore giallo-rosso, lambiscono delle
figure
indistinte, dalle sembianze umane che squarciano il cielo con le loro
urla
ferite. C’è tanto sangue. Sull’erba.
Sugli alberi. Sui fiori. Su di me. Una
voce, familiare ma eterea, emerge dal caos.. Promettimelo…
Promettimelo…
<
Lexie vieni giù, i ragazzi devono
andare a scuola! > lo strillo mi sveglia di soprassalto.
Picchio
la nuca contro la testiera del letto
soffocando un’imprecazione. Ho il cuore in gola, brividi
gelati lungo il corpo
e il pigiama è appiccicato alla mia pelle sudata. Cerco di
scacciare dalla
mente l’ennesimo incubo che ogni tanto perseguita il mio
sonno e inizio a
pensare alla solita ruotine che scandisce le mie ore diurne. Mi alzo e,
tanto
per migliorare il mio umore mattutino, mi guardo allo specchio. Due
occhi di
colore blu elettrico mi restituiscono lo sguardo, capelli neri corvini
molto
spettinati fanno da
contorno alla mia
faccia pallida ancora assonnata e occhiaie profonde mi segnano il
contorno
degli occhi. Ok, addio autostima. Sto proprio uno schifo.
L’orologio segna le 7.40
quindi sì sono decisamente in ritardo. Frugo
nell’armadio e, nel mucchio
informe che dovrebbe contenere l’agglomerato dei miei
vestiti, pesco a caso un
paio di jeans corti e una maglietta nera con un una spirale multicolore
al
centro, una delle mie preferite. Percorro il corridoio di corsa e mi
fiondo verso il bagno. Ma un ragazzino allampanato mi supera di slancio
e mi
sbatte la porta in faccia.
< Joey!
> urlo infuriata.
Potrei
tranquillamente rompere la serratura,
aprire la porta e buttare fuori di peso la giovane peste che sta
occupando il
mio bagno ma questo non è il mio stile. Perlomeno non qui.
Decido quindi di far
colazione e scendo in salotto. Come al solito, è un
disastro. Inciampo su
mucchi di vestiti sparsi qua e là e quando raggiungo il
tavolo devo lottare
contro l’invasione di scatole di cibo e bottiglie vuote per
accaparrarmi una
tazza di cereali. Mentre mi godo il croccante bottino conquistato con
fatica,
la osservo. Gina è lì , accasciata su una delle
tante sedie che avrebbero bisogno
di una rivisitazione all’imbottitura sgualcita. È
ubriaca già di prima mattina.
Una volta aveva abbastanza autocontrollo su di sé da evitare
le pesanti sbronze
mattutine ma, ultimamente, è difficile che non si scoli
almeno un bicchierozzo prima
del sorgere dell’alba. Mi sorprende che sia riuscita, poco
prima di crollare inerte
sulla sedia, a sbraitare così forte. Mi preparo in fretta e
furia, usando il
pettine di riserva e sciacquandomi nel lavabo della cucina. Un paio di
teste
arruffate emergono dallo stipite della porta.
<
Pronti per andare? > chiedo, cercando
di infondere nella mia voce un pizzico di entusiasmo. Non funziona.
Jane, un
piccolo angioletto biondo di sei anni mi guarda assonnata, e Max mi fa
un
sorriso tirato e un po’ confuso. Mmmh a quanto pare devo
ancora allenare
ulteriormente la mia capacità di trasmettere entusiasmo
nelle giovani menti fanciullesche.
Max è l’ultimo arrivato. È qui da un
paio di mesi. Non ha detto una sola parola
da quando è stato recuperato. Non so quale sia la sua
storia, ma di sicuro non
prevede unicorni saltellanti e arcobaleni lucenti, come quelle di tutti
noi del
resto. Siamo i ragazzi della 107esima casa famiglia di Los Angeles. Io,
Joey, Jane
e Max. Joey viene dal riformatorio di Upper Street, sulla
quattordicesima, così
come Jane. Mentre il piccolo Max l’hanno trovato su una
strada in periferia,
raggomitolato in fondo a un cassonetto di immondizia, che piangeva
impaurito. È
un miracolo che siano stati gli Agenti Paritari a trovarlo prima di
qualcun
altro o di qualcosa di altro. Nessuno sa cosa gli sia successo o quanti
anni
abbia. Sappiamo solo che dopo un breve periodo in un orfanatrofio,
è stato
scelto per il Programma. Ogni anno pescano a caso alcuni ragazzini dai
riformatori, dai penitenziari giovanili, dalle strade e inseriscono le
povere
piccole anime sbandate in una Casa Famiglia, per portarli sulla via
della
redenzione. Questa è la storia ufficiale. In
realtà si tratta soltanto di scaricare i
ragazzini problematici al primo sconosciuto che passa, che
però è abbastanza
furbo da capire che gli assegni mensili possono essere piuttosto utili
a
migliorare la sua triste e penosa vita. Ovviamente non sono delle cifre
esorbitanti, ma sono sufficienti per permettere una vita quanto meno
dignitosa,
difficile da trovare di questi tempi. Ma, chissà
perché, nelle Case Famiglia è
stato riscontrato un progressivo aumento di Affidatari totalmente
sballati, o
pieni fino al collo di debiti di gioco oppure sempre sbronzi, come nel
caso di
Gina. Ma per spiegare la difficile realtà in cui ci troviamo
oggi, bisogna
partire dall’inizio. Dal momento della Rottura, tutto
è cambiato. Anni e anni
fa la barriera intradimensionale tra i le realtà si
è spezzata. Si sono
riversati nel nostro mondo migliaia di mostri e di demoni di ogni
genere e
specie. Il Grande Male è arrivato, ha distrutto ogni
briciolo di resistenza ed
è scoppiato il caos. Esercito, militari, governo, forze di
polizia, cittadini,
tutti hanno cercato di contenere i danni combattendo gli
invasori con ogni mezzo, riuscendo a
conquistare una situazione di stallo. Ma a causa della guerra
prolungata, molte
città sono state distrutte. Interi paesi sono stati rasi al
suolo, insieme ai
loro abitanti. Quando tutto sembrava perduto, loro sono arrivati.
Pochissimi si
sono presentati come salvatori aiutando
i pochi sopravvissuti a sterminare i mostri e a riportare
l’ordine nelle poche
comunità umane ancora rimaste in piedi. Altri hanno
preferito ritirarsi nell’ombra
allungando le loro radici malsane nei meandri delle città.
Ma la maggior parte
di loro si sono appropriati di interi Paesi, alleandosi con i demoni,
istaurando una dittatura e uccidendo tutti coloro che si opponevano al
loro
governo. In breve hanno sedato le ultime rivolte e hanno istaurato
un’alleanza con
il mondo dei demoni o per meglio intenderci, hanno stabilito un
rapporto
gerarchico che prevedeva la loro suprema sovranità. Poi
hanno stabilito le
proprie leggi, e hanno preteso l’obbedienza incondizionata di
demoni e umani. Insomma,
in altre parole, ne hanno fatte di cotte e di crude. Ma si sa, come
insegnano
il mito e l’epica, gli Dei seguono solo i loro capricci.
Il
Programma impone alcune regole, allegramente esposte
nell’atrio di casa e
pronte ad essere “ analizzate attentamente e studiate con
perizia“da noi
Affidati (cit. del nostro assistente sociale: Gary Linders,
più comunemente
noto come il Vecchio G. L. ). In sintesi ecco i principali
“decreti
inviolabili”:
1
)Rispettare il proprio Affidatario come una figura genitoriale (ehm
questo
punto non mi è proprio chiaro, Gina una figura genitoriale?
Ma per favore…)
2)
Frequentare la scuola senza riportare alcun debito a fine anno OPPURE
(il
maiuscolo non è mio, notate la serietà di questi
tipi ) trovarsi un lavoro per supportare
il difficile compito di mantenimento dell’Affidatario
3)
Rispettare l’orario del coprifuoco imposto dal vostro
Affidatario (che cosa si
intende esattamente per coprifuoco? Le mie lacune scolastiche tendono a
farsi
sentire sempre più spesso ultimamente)
Se
ti beccano a infrangere una di queste
sommarie, sei fuori e ti guadagni un biglietto, questa volta di sola
andata,
per il Riformatorio. Se ti beccano. E con questo ho detto tutto.
Visto
che sono in vena di esibire le mie
conoscenze storiche, vorrei fare più chiarezza sulla
situazione in cui i
cittadini di Los Angeles si sono ritrovati dopo la Rottura. Con la
Seconda
Invasione gli Dei hanno preso il controllo praticamente di tutte le
città del
Nord America. Una volta conquistato il proprio pezzo di mondo, hanno
fatto
erigere statue e manifesti in loro onore (come ben si sa, gli Dei sanno
essere
piuttosto vanitosi e amano farsi idolatrare come figure divine, mmmh so
che lo
sono ma non è questo il punto). Comunque, ritornando alla
storia, L.A. è stato
un caso più unico che raro. In seguito alla Prima invasione,
la città si è
spaccata in tre parti (nord, sudest e sudovest) ognuna delle quali
è stata
reclamata da qualche tronfio buffone, la cui storia forse
racconterò più
avanti. Dopo pochi anni di governo, nei quali si sono susseguiti
combattimenti
per la conquista di ogni parte della città, gli
pseudo-leader sono stati detronizzati
da una figura misteriosa, apparsa alla giuda di un cavallo bianco, con
una
scintillante armatura color carbone e un elmo nero borchiato che non
faceva
intravedere nulla del volto al di sotto di esso (Jane ha molta fantasia
ma è
anche piuttosto brava a raccontare le storie ). Di questo strano tipo
si sa
poco o, meglio, praticamente nulla. Pare che nessuno l’abbia
più visto dopo la
prima, trionfante apparizione. Lui (o lei), conosciuto in
città come il
Solitario, è a capo di una sorta di Confraternita, formata
da strani individui mascherati
che difendono la città dalle rare incursioni di ribelli.
Tutto questo è quello
che si conosce di lui. Molti credono che sia un Dio, visto che al
Secondo
Arrivo è stato lasciato in pace. Altri credono che sia un
demone dotato di
poteri talmente grandi da intimidire persino gli Dei. Io penso che sia
soltanto
un tipo abbastanza furbo da sapere che ci sono molteplici mezzi per
mantenere
il potere e l’intelligenza
è il
principale. Sotto il suo dominio, le leggi sono semplici e chiare: non
si
uccide, non si ruba, non si rompono i coglioni agli altri. Ogni mese,
nel
giorno del Riscatto, ogni umano deve versare diversi litri di sangue
(maggiori
o minori a seconda dell’età), per nutrire il
popolo demoniaco. A questi ultimi
è vietato uccidere gli umani o fare a loro cose malvagie
come strappargli gli
occhi o mangiargli un arto o cose del genere. Per favorire la
convivenza umano-demoniaca
è stato creato un corpo di Polizia Paritaria che
è formata sia da componenti
umani che demoniaci che si occupano di far rispettare le leggi. In
questo modo umani
e demoni hanno l’illusione di avere ancora un poco di
controllo sulla propria
vita. Si occupano loro dei crimini minori (furti, scazzottate, piccole
faide
mafiose…), mentre il sequestro e l’omicidio sono
di competenza dei membri della
Confraternita. I Confratelli si scomodano solo quando di tratta di
possibili
opere di ribelli.
Mentre
porto i ragazzi a scuola penso che, nel
ghetto in cui viviamo, il nostro piccolo nucleo di Affidati
può dichiararsi
fortunato. I ragazzi possono
studiare visto che una delle poche scuole
rimaste attive (e in piedi) in città è
a 5 km dalla nostra via. E io ho un lavoro che ci permette di campare
(o meglio
due, ma il secondo non è proprio un lavoro come lo intende
la maggioranza delle
persone). Mi occupo di consegnare pacchi da una parte
all’altra della città. È
un lavoro meno noioso di quanto sembra e presenta divesi vantaggi: ad
esempio,
posso passare da Quartiere a Quartiere senza problemi, mentre la
maggior parte
dei lavoratori deve rimanere nella propria Zona. Penso che temano
riunioni
private in bunker segretissimi volti a reclutare anime propense ad atti
ribelli,
o qualcosa del genere. Ognuno deve rimanere nella propria Zona e a
mezzanotte
scatta il Coprifuoco per tutte le persone che non sono autorizzate a
lavorare
di notte. La nostra compagnia ha turni sia notturni che diurni, non
chiedetemi
perché, ma per me è meglio così.
<
Lexie, siamo arrivati> la voce della
piccola Jane mi riscuote dai miei pensieri. Spesso ho la testa tra le
nuvole,
ma visto quello che faccio, ogni tanto bisogna concedermelo. Lascio i
piccoli
davanti a quella che un tempo era una delle principali scuole di L.A.
che ora
si presenta come un edificio fatiscente di sette piani.
L’intonaco dei muri è
completamente andato e da qui si riescono a scorgere cartelloni
sbrindellati e
teste arruffate attraverso i pezzi di un muro ormai decadente. La Davis
School,
un tempo destinata all’istruzione dei rampolli di famiglie
ricche, è diventata
una scuola unitaria: ospita principalmente bambini delle elementari e i
pochi
ragazzi sopra i dieci anni che vanno ancora a scuola. Joey è
uno di quelli.
Nonostante sia una testa calda, la scuola gli è sempre
andata a genio. Forse
perché anche lui è molto intelligente. Tutta la
sua stanza è piena di pezzi di
metallo e di parti di ricambio arrugginite che Joey usa per costruire
strane
apparecchiature di cui non ho mai indagato il possibile uso.
Mentre
mi allontano dalla scuola, i ragazzi
mi salutano. Jane agita la manina, Max mi rivolge un mezzo sorriso e
Joey mi fa
una bella linguaccia. Tipico.
Ora
è tempo di lavorare. Vado alla Jumpy
House, il centro di controllo operativo della compagnia di spedizioni.
Lì è
sempre un caos. Tra pivellini incapaci di sistemare un pacco dietro la
bici e
le urla del capo che cerca rabbiosamente l’attenzione di
qualche corriere, non
sai dove girare la testa. Un ragazzone alto e muscoloso con una bici
sottobraccio, mi chiama con un gran sorriso che, noto subito, non si
scorge nei
suoi brillanti occhi turchesi.
<
Ehi Lexie! >
<
Robbie! > gli vado incontro e ci abbracciamo.
< quando sei tornato? > gli chiedo sorridendo.
<
Stamattina! >
<
Come sta? >
Gli
sparisce il sorriso e lo sguardo si intristisce
di colpo. Aveva chiesto una settimana di permesso per restare nella
Zona Sud,
dove il suo fratellino era rinchiuso in un ospedale governativo,
sospettato di
essere stato infettato da un virus soprannaturale. Non poteva lasciare
la Zona
fino ad accertamenti, ma prima che partisse non sembrava che fosse
così grave.
Lo
tiro in un angolo, per allontanarci da
orecchie indesiderate.
<
Che cosa è successo? > chiedo,
temendo la sua risposta.
<
Non ce l’ha fatta Lexie > la voce
gli trema appena < lui non… l’ho
visto… lui era… > Non trova le parole e
quindi si zittisce. Lo stringo forte e lui sotterra il viso nella mia
spalla. È
rarissimo che si faccia vedere così, persino con me.
<
Allora? Finito di lavorare
scansafatiche? > Davanti a noi si trova il capo a braccia
conserte che
picchetta insistentemente il dito sul suo avambraccio. Al suono della
sua voce
Robbie si stacca di scatto da me e senza una parola va a prendere i
suoi
pacchi.
<
Faccio io le tue consegne oggi> gli
dico seguendolo a ruota e ignorando le proteste di “mancata
educazione” del
capo-
<
No > replica lui con troppa fermezza
< io ho bisogno di fare qualcosa, qualsiasi cosa >
<
Va bene, sicuro > rispondo,
stringendogli il braccio. Mentre si allontana si gira dalla mia parte,
mi
guarda e sillaba un “grazie”.
La
mia giornata prosegue tranquilla. Tra pacchi da consegnare, mance da
ricevere e
ragazzini da riportare a casa, è già sera. Ed ora
sì che inizia il
divertimento.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Spiacevoli incontri ***
La mattina
dopo Willow
si svegliò con lo stesso presagio della notte passata.
Cercò di distrarsi
preparando una ricca colazione. Pancakes con sciroppo
d’acero, frullato di
banana e kiwi, e una tazzona di cereali con latte caldo, la colazione
preferita
della sua ragazza. Kennedy uscì poco dopo dalla camera.
Indossava solo una
lunga canottiera, che aveva preso da uno dei tanti scatoloni del
trasferimento.
Erano riuscite a comprare un piccolo ma comodo appartamento fuori
città. Il
proprietario aveva cercato di venderlo di fretta e furia, ad una cifra
bassissima e, non appena aveva ricevuto il denaro era sparito, senza
neppure
disturbarsi a prendere le sue cose. Le due ragazze scoprirono presto
perché: un
fantasma infestava il suo appartamento. Si trattava di una vecchia
signora, che
si era suicidata lì una decina di anni prima. Willow
stabilì subito un contatto
con lo spirito, per capire l’origine della sua pena. Aveva
scoperto che la
donna rimpiangeva il fatto che il figlio non avesse mai ricevuto la sua
lettera
di addio, in cui gli spiegava la sua intenzione di farla finita e gli
garantiva
l’accesso a tutta la sua
eredità. Ma, in
mancanza del testamento, spedito al giovane, ma mai arrivato, il marito
della
signora, nonché patrigno del ragazzo, aveva ottenuto tutti i beni della moglie.
Così Willow aveva
rintracciato il giovane con un semplice incantesimo di tracciamento,
gli aveva
spiegato la situazione, lo aveva aiutato a ritrovare la lettera e le
cose si
erano presto sistemate. La signora, finalmente in pace con
sé stessa, aveva
effettuato beatamente il trapasso. Per una strega, contattare il mondo
degli
spiriti non era un’impresa tanto difficile. Gli spiriti
lasciavano segni
ovunque, e ogni persona dotata del minimo potere magico poteva
facilmente
coglierli e interpretarli. Soprattutto una strega potente come Willow.
I poteri
della giovane andavano oltre ogni immaginazione, tanto che doveva
sempre porsi
un limite, perché la tentazione di superare i confini
naturali della Magia per
introdursi in un mondo potente, oscuro e inarrestabile, non le dava
tregua. Una
volta, quando la sua fidanzata Tara era stata uccisa da un violento
psicopatico
misogino, Willow aveva perso la testa. Si era donata alla magia Oscura,
grazie
alla quale non solo aveva torturato e ucciso Warren, ma aveva anche
colpito e
ferito decine di persone
innocenti.
Ritornata in sé, aveva posto un freno all’utilizzo
della magia. Ma, dopo
l’evocazione della Falce, era finalmente riuscita a trovare
un certo
autocontrollo su di sè. Aveva trovato un equilibrio con
sé stessa, ma doveva
ancora faticare giorno per giorno per mantenerlo.
Kennedy
accompagnò la
sua uscita dalla camera con un sonoro sbadiglio. < Buongiorno!
Mmmh che
profumino.. Pancakes! >
<
Già! Con lo
sciroppo d’acero.. Poi i cereali e il frullato di ...>
<
banana e kiwi!
> Completò Kennedy,afferrando la tazza e bevendo il
suo contenuto tutto di
un fiato < ti ho già detto quanto ti amo? >
< Mmmh
forse un paio
di volte, ma mi piace se continui a dirlo >
Kennedy
scoppiò a
ridere e la trasse a sé per un bacio. In un attimo si
trovarono a terra,
avvinghiate. Willow, tra un bacio e l’altro,
riuscì a biascicare un paio di
parole < Latte.. Raffredda.. >
< Ne
> Kennedy
approfondì il bacio, inaugurando un appassionato gioco di
lingue <
scalderemo > la sua bocca si spostò in giù
a mordicchiarle il collo <
altro > la sua bocca si spostò ancora più
in giù e cominciò a baciarle
l’incavo dei seni < dopo >
Ovviamente a
Willow
passò di mente tutta la storia della colazione ma, a
metà del rito di
svestimento, il telefono squillò prepotentemente, facendole
sobbalzare. <
Rispondo io > sospirò Willow alzandosi in piedi. Con
la canottiera di
Kennedy ancora in mano raggiunse la cornetta. < Pronto? >
Una voce
più che
familiare le rispose < Sono io >
< Ciao
Buffy! Va
tutto bene? Come vanno le nostre novelline? >
< Oh
loro stanno
bene > rispose Buffy con una voce apparentemente neutra <
Ma ho bisogno
di parlarti, da sola >
Willow
riusciva ad
avvertire una nota di preoccupazione nella voce della sua migliore
amica <
Ma va tutto bene? >
<
Sì, cioè credo di
sì.. Ci vediamo alla biblioteca centrale tra una decina di
minuti? >
< Va
bene. Mi
preparo e arrivo. Ci vediamo tra un attimo >
Kennedy vide
la fronte
aggrottata della sua fidanzata < Che cosa succede? >
Willow la
fissò di
rimando < Non lo so > Ma di
sicuro
non è qualcosa di buono
----
Si stava
facendo tardi
e loro erano chiuse in una sala vecchia e ammuffita da più
di tre ore.
Probabilmente si trovavano nell’ala
meno
curata e frequentata di tutta la biblioteca. Grossi tomi impolverati
riempivano
scaffali di legno resinoso e agli angoli dei muri si riuscivano a
scorgere
chiaramente decine di fitte ragnatele dall’aria praticamente
centenaria. Sarebbe il posto di Giles si
ritrovò a
pensare Buffy mentre si rigirava distrattamente la matita tra le mani.
<
Avremmo dovuto
chiamare gli altri > disse Willow sconfortata, abbandonandosi sullo schienale della
sedia.
< Non
voglio dar
loro altre preoccupazioni > dissentì Buffy
trattenendo uno sbadiglio <
Poi probabilmente non è nulla >
< Su
questo non
posso darti ragione > replicò Willow < te
l’ho detto che c’è qualcosa
nell’aria e la tua apparizione o illusione che sia a qualcosa
deve avere a che
fare con questo >
La porta
venne aperta
di scatto, facendole alzare in piedi di scatto. Una donna riccioluta
con gli
occhiali si fermò decisa
sulla soglia.
Buffy fece scivolare il blocco degli appunti sopra Demonologia
moderna e Apparizioni
comuni
<
Ragazze tra 10 minuti chiudiamo. Vi conviene sgomberare >
comunicò
severamente la bibliotecaria < E se vedo ancora una volta una
lattina come
quella sulla scrivania vi potete scordare di tornare >
E poi, lanciando loro
un’ultima occhiata di
traverso, lasciò la stanza. Buffy e Willow si guardarono.
< Mi
ricorda la
professoressa Smiley > disse Buffy mentre raccoglieva i libri
< Te la
ricordi? Quella che ci ha fatto supplenza in quarta.. Era simpatica
quanto lei
>
< è vero,
un po’ le somiglia. Ti ricordi
che quando era infastidita frantumava i gessetti sulla lavagna e...
>
< si metteva a
correre istericamente da una
parte all’altra della classe > completò
Buffy scoppiando a ridere. Willow,
che prendeva piuttosto sul serio la scuola e tutto ciò che
la riguardava,
riuscì a rimanere seria solo per qualche istante, prima di
essere contagiata
dalla risata dell’amica.
< è raro
trovare un’insegnante di latino e
greco completamente normale > singhiozzò Buffy tra
una risata e l’altra <
E quella volta che… >
Ma Willow non
stava
più ascoltando. Una piccola lampadina gli si era accesa in
testa, una lampadina
che lampeggiava sempre più velocemente, cercando di attirare
la sua attenzione.
< Che succede?
> chiese Buffy
interrompendo quello che ormai era diventato il suo monologo
Pensa,
Willow, pensa all’improvviso
si ricordò le parole della professoressa Smiley –
Era il protettore delle Muse
e veniva venerato da poeti e musicisti che ritenevano che le loro
capacità
provenissero direttamente da lui. Per la sua magnifica bellezza veniva
spesso simboleggiato
come un sole..—
< Apollo! >
urlò Willow, saltando in
piedi. Buffy la guardò interrogativa. < Apollo era il
Dio della musica e
della poesia > spiegò < tra le sue varie
rappresentazioni c’è il sole
>
Buffy non
riusciva a
capire il collegamento < Dal sole alla musica ci siamo. Ma non
ti sembra di
giungere a una conclusione un po’ troppo affrettata? >
domandò Buffy,
piuttosto perplessa.
< No
no. Sono certa
che Apollo centri qualcosa. Hai detto che la nostra donna aveva una
cavigliera?
>
<
Sì. Una sorta di
spirale d’argento. Sembravano dei rami intrecciati >
< Rami
intrecciati?
Allora ci siamo! Quello che hai visto era un alloro, un altro dei
simboli di
Apollo >
<
Quindi pensi che
Apollo si sia presentato a me in sembianze femminili per non farsi
riconoscere?
>
< No,
non credo. Se
avesse voluto nascondersi, non avrebbe lasciato così tanti
indizi… Ma la donna
deve essere sicuramente collegata a lui. Dobbiamo chiedere a Giles
>
< Come
procede la
situazione in inghilterra? > chiese Buffy, cambiando argomento.
Non aveva
notizie del signor Giles da quando era partito, un mese prima, per
dirigere le
operazioni delle Cacciatrici in Europa. Dopo la distruzione di Sunnydale a Cratersade, a Monaco e a
Tokyo, tre enormi
Bocche dell’Inferno avevano improvvisamente aperto le loro
fauci, sputando
sulla terra svariate centinaia di demoni e mostri. Molte delle nuove
Cacciatrici si erano quindi trovate a combattere il Male oltreoceano.
< Ho
sentito che lì
le cose non procedono molto bene > rispose Willow < i
demoni sono tanti e
le Cacciatrici inesperte. In più ne hanno radunate ancora
poche. Ma se la
caverà. Poi ci sono Faith e Dawn con lui >
<
Già. Spero che la
mia sorellina non combini troppi guai… Mi chiedo ancora come
le sia venuto in
mente di seguire Giles… > borbottò
irritata. Quella peste di sua sorella le
mancava.
< Non
è più una
bambina. Ha messo la testa sulle spalle > Willow
sbadigliò < Sono
distrutta. Andiamo, dai. Continueremo le ricerche domani >
Raccolsero i
materiali e si diressero verso l’uscita
La parte
più
frequentata della biblioteca sembrava vuota. I tavoli, prima gremiti di
studenti laboriosi, erano spogli di qualsiasi libro o appunto. <
Siamo
proprio gli ultimi > notò Buffy. Ma anche i corridoi
erano bui e deserti e
qualcuno aveva spento
le luci.
< Forse non si sono
accorti che c’eravamo
ancora noi > suggerì Willow, poco convinta. Si erano
già trovate in
situazioni simili e non era mai finita bene.
<
Forse >
rispose Buffy, estraendo il paletto. Intravidero un’ombra
sfuggente tra uno
scaffale e un altro. < Chi è là? >
chiamò. Oggi non faccio altro che
seguire ombre e voci pensò sconfortata e
divertita allo stesso tempo.
<
Signora
bibliotecaria? > Un paio di fruscii, prima a destra e poi a
sinistra, le
fecero voltare di scatto.
<
Willow, puoi fare
un incantesimo che ci faccia capire dov’è questa
cosa? > sussurrò Buffy.
< Ci provo >
mormorò in risposta la
strega. < Indicas anima >
Il
palmo di Willow si colorò di rosso, riflettendosi sugli
scaffali vicini <
non c’è nessuno qua dentro >
informò Willow non percependo alcuna forma di
vita.
< Nessuno di vivo o
nessuno nessuno? >
domandò Buffy, assumendo automaticamente una sua posizione
difensiva < Non..
> Prima che Willow potesse finire la frase, un enorme serpente
scarlatto
emerse dal retro di uno scaffale, e con un colpo di coda la
buttò violentemente
a terra. Prima che potesse fare qualunque cosa, Buffy era
già saltata sopra il
mostro, cercando di trafiggerlo con l’unica arma a sua
disposizione al momento:
il paletto. Ma la pelle del mostro era talmente spessa che quel pezzo
di legno,
per quanto appuntito, non riusciva a trafiggere.
<
Willow! >
gridò Buffy, mentre cercava di non essere disarcionata dalla
testa del serpente
che sballonzolava su e giù, nel vano tentativo di
togliersela di dosso <
Potresti cortesemente passarimi un’arma decente? >
< Subito! >
Il borsone
era stato
scagliato piuttosto lontano e non avendo il tempo materiale per
raggiungerlo,
Willow ricorse nuovamente alla magia. < Advenis
me! > La Falce, l’arma primordiale delle
Cacciatrici, sfrecciò dalla
stanza fino ad appoggiarsi direttamente sul palmo di Willow. Buffy che
nel
frattempo era stata buttata giù dal collo del mostro gettava scaffali in ogni
direzione, tentando
di schivare le zanne mortali della bestia. < Buffy! >
Willow le lanciò la
Falce. La Cacciatrice l’afferrò al volo e
passò al contrattacco. Il mostro,
prima inesorabile, sembrava essere più titubante. Forse la Falce lo spaventa pensò
Buffy, aumentando la presa
sull’impugnatura dell’arma vediamo
di
punzecchiarlo un po’ Si lanciò da una
libreria all’altra, zizzagando per
tutta la sala. Il mostro la inseguì e chiuse le fauci a
vuoto a meno di mezzo
metro da lei. Buffy approfittò del momento di stasi del
serpente per colpirlo
direttamente sulla lingua. Tranciò il pezzo biforcuto che
cadde a terra con uno
spiacevole “tonf”. Il mostro si girò
verso di lei, fissandola irato con i
grandi occhi fiammeggianti. < Ops > esclamò
Buffy, alzando l’ascia per
colpire di nuovo. Ma la coda del mostro fu più veloce e la
sbattè a terra.
Prima che si rialzasse, Willow lanciò un incantesimo
< Relaberis! > Il
serpente venne alzato in aria e sbattuto contro
lo scaffale più vicino. Sedie, tavoli e mobili si
ribaltarono dappertutto e
pagine di libri svolazzarono in aria come libellule. Le due amiche si
misero in
posizione di difesa, aspettando la mossa successiva
dell’avversario. Ma il
serpente, con un ultimo sibilo, si allontanò strisciando. La
Cacciatrice e la
strega si diedero il cinque, contente della rapida vittoria.
< Devo
portare in
pattuglia un paio di ragazze nuove > informò Buffy,
mentre uscivano dall’edificio.
< Vuoi
che venga
con te? > chiese Willow, proseguendo sulla strada selciata del
cortile della
biblioteca
< No
tranquilla.
Vai pure a casa >
Le due amiche
presero
direzioni diverse. Da dietro un cespuglio, un paio di occhi
fiammeggianti
seguivano ogni loro movimento. Il serpente sapeva che quelle piccole
insignificanti creature credevano di averlo sconfitto. Ma lui si era
ritirato
per un semplice motivo: aveva ricevuto ordini precisi. Testare ma non
mutilare.
Valutare ma non uccidere. Doveva essere tutto pronto. Presto, molto
presto, il
suo Padrone sarebbe arrivato.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Ciò che faccio e ciò che sono ***
Un
fruscio.
Mi schiaccio sul muro gelido di mattoni dietro di me. Lui aguzza la
vista,
cercando di scorgere qualcosa oltre l’oscurità, ma
non mi vede. Sono piuttosto
brava a nascondermi tra le ombre. Ho dovuto imparalo fin da piccola,
una volta
mi serviva per scappare, ora mi è utile per cacciare. Il mio
obiettivo è un
demone skitis , un essere basso e
squamoso, agile e veloce, ma un po’ stupido. Ha artigli
lunghi e affilati come
coltelli e un paio di corna ricurve. A quanto pare il tipo ha fregato
il mio committente,
portandogli via un bel po’ di grana. Il mio compito
è quello di stanarlo e
ucciderlo, senza troppo clamore e, subito dopo, far sparire il corpo.
Ho i
muscolì un po’ indolenziti e ho proprio voglia di
sfogarmi su qualcosa. L’occasione
arriva in un lampo. Lo skitis gira in uno dei viottoli laterali,
allontanandosi
dalla strada principale. Mi arrampico su un tetto vicino e decido di
seguirlo
da sopra, saltando silenziosamente da una ringhiera
all’altra. Una pioggerella
leggera comincia a cadere, formando impercettibili pozze
d’acqua al suolo. Finalmente
lo skitis si ferma in uno spiazzo isolato. Gira il suo testone da una
parte
all’altra, come se avvertisse qualche odore
nell’aria. Prima di concludere una
commissione, amo studiare il mio bersaglio. Mi piace scoprire
atteggiamenti e
comportamenti di ogni specie demoniaca. Dopotutto bisogna conoscere a
fondo il
proprio nemico. Ma questo skitis non è una preda
interessante e quindi decido di
finirla in fretta. Spicco un salto e piombo su di lui. Non riesce a
emettere un
suono perché gli spezzo il collo nel giro di un secondo.
Troppo facile, mi sa
proprio che stasera i miei muscoli rimarranno profondamente
insoddisfatti.
Prendo il corpo che puzza di melma e uova marcite (ho sentito dire che
gli
skitis mangiano escrementi umani e inizio a credere che sia vero) e lo
butto
nel primo bidone che incontro. Il
suo
olezzo si può confondere con gli altri deliziosi odorini che
fuoriescono dal
cassonetto della spazzatura. Peccato che le figure dei netturbini siano
fuori
moda oggigiorno. Sfilo dal suo collo massiccio il pendaglio rosso che
mi serve
da prova e mi avvio verso il Greese, il locale dove il mio contatto
riesce a
procurarmi la maggior parte dei lavori. È uno squallido bar
in fondo a Down
Street, una larga bettola affollata incassata tra un anonimo condominio
grigio
e un altro. Tutti si ubriacano e giocano d’azzardo ben oltre
l’orario del
Coprifuoco ma gli Agenti Paritari chiudono un occhio perché
ci sono anche loro
che se la spassano nei locali.
<
Ehi
bellezza! > un fischio mi raggiunge dal fondo della strada. Sono
un paio di
uomini ubriachi che frequentano abitualmente il locale. Non appena mi
riconoscono balbettano un saluto molto meno lascivo e si allontanano a
passi
veloci. Ho una fama piuttosto brutta qui da questa parti ma a me va
bene così.
Meno gente mi sta intorno meno rischi per me e per loro. Anche se
c’è sempre
l’altro lato della medaglia. Ovviamente i Cacciatori di
Taglie sono fuorilegge
e quindi devo stare sempre all’erta. Anche se è
improbabile che qualche Agente
Paritario cerchi di arrestarmi o mi segnali ai Confratelli, con il
rischio di
incorrere nell’ira dei boss di strada (i miei datori di
lavoro richiedono
spesso i miei servigi), non si può mai essere sicuri. Per
questo non posso
permettere che mi riconoscano e porto un lungo giubbotto di pelle nero
e un
cappuccio scuro per nascondermi il viso. Al collo ho un medaglione che
possiedo
da quando ho memoria. È a forma di opale squadrato, di un
colore argento
intenso, al centro c’è un disegno strano, una
sorta di ascia d’argento che si
poggia su un fiore rosso fuoco, probabilmente un giglio. Lo indosso
solo quando
vado a caccia, non so esattamente il motivo ma sento che devo farlo. Lo
tengo
però sotto il colletto perché la stessa
sensazione mi dice di che non è il caso
di mostrarlo troppo in giro.
Entro
dal
retro del bar, dove Reek mi aspetta.
<
Ehi
Gamba di Legno! Da quanto sei fuori ad aspettarmi? > Reek mi
piace. È un
criminale dal cuore d’oro. Devolve sempre più
più di metà del suo bottino agli
orfanelli delle strade e non si preoccupa neanche di nasconderlo. Un
demone del
fuoco gli ha incenerito la gamba durante la prima invasione ma lui non
si è mai
arreso. Ha combattuto fino alla disfatta. Molti dicono che fosse uno
dei più
forti Ribelli all’epoca, ma ora è costretto a
passare il tempo a pulire banconi
sudici in una puzzolente via di uno dei quartieri più
malfamati di L.A. Se i
Confratelli scoprissero che è ancora vivo, la cosa migliore
che gli potrebbe
capitare è l’esecuzione in pubblica piazza.
Mi
fa un
sorriso che riesco appena a scorgere sotto la folta barba grigia
< Sapevo
che avresti finito presto stanotte! Un compito del genere per te
è un gioco da
ragazzi >
< Vero> asserisco. La
modestia non è il mio
forte.
Mi
porge il
mio danaro: 100 dollari freschi di stampa. Per il poco che ho dovuto
faticare
sono fin troppi ma io accetto sempre di buon grado.
Gli
faccio
appena un cenno < Ci vediamo >
<
Aspetta! Ho un
altro lavoro se ti interessa! >
<
Di che
si tratta? >
<
C’è un
cliente che vuole una persona >
<
Una
persona? Lo sai che non accetto quel genere di commissioni >
<
Non so
esattamente che cosa sia >
< In
che
senso? > domando, perplessa. Di solito Reek è
più preciso nel descrivermi
l’aspetto e le capacità dei miei target.
<
Mi
hanno solo detto che il compenso è di 5000 dollari a lavoro
finito >
<
Cosa
c’è sotto? > Con 5000 dollari posso
mantenere tre persone per almeno 3 mesi.
Ma sotto i soldi facili c’è sempre qualcosa che
puzza.
<
Sai
che non posso dirti nulla del committente. Ma per questa volta
farò
un’eccezione. È arrivato tutto vestito di una
tunica rossa con un copricapo
color porpora che gli nascondeva tutto il volto, persino gli occhi! Io
ne ho viste
di cose strane nella mia vita, ma di tipi come lui mai. Prima che
potessi dire
qualcosa, mi dice: “Lo puoi trovare in piazza Devon alle 2.00
di stanotte.
Porta una spada con l’elsa scheggiata. 5000 dollari a lavoro
finito. Per il
compenso domani stessa ora. Solo il migliore può
riuscirci.” Poi è svanito,
senza aggiungere altro >
Una
scossa
di adrenalina mi pervade tutto il corpo. Ho la sensazione che questo
tipo non
sia un criminale di basso taglio con cui ho a che fare di solito
< Lo prendo
>
Una
ruga di
preoccupazione gli solca il volto, facendolo sembrare molto
più vecchio < Non
sei costretta a farlo > dice < te l’ho detto
solo perché sei una delle
migliori e credevo fosse giusto che sapessi. Ma non per questo devi
buttarti in
una missione ignota. Ci sono troppe incognite. Dovremmo cercarlo e
chiedergli
qualche informazione in più… >
<
Ormai
ci sono dentro. Ci vediamo domani >
Reek
fa per
dire qualcosa, ma io sono già sparita nella notte.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Dissensi tra i ranghi ***
Buffy si
rigirò nel
letto, inquieta. Il suo sonno era agitato. Vedeva immagini nitide ma
sfuggenti,
sentiva suoni distinti ma lontani: fuoco e fiamme,
un vociare urlante di persone prese da una
furia bestiale, un volto che si china su di lei. Capelli biondi
arruffati. <
Spike! > urlò Buffy e si svegliò. La sua
figura era ancora impressa nella
sua mente come se gli fosse stata marchiata a fuoco sulla pelle.
Quell’irritante
vampiro narcisisita era riuscito a scavarle l’anima e a
raggiungere il suo
cuore; con un processo lento e doloroso, era riuscito a superare tutte
le sue
barriere emotive e a raggiungerla lì, al centro della sua
essenza. Ed ora era
morto, risucchiato in un medaglione che aveva provocato la distruzione
della
sua città natale, nonché (ex) sede di
un’enorme Bocca dell’Inferno, Sunnydale.
Poco prima che Spike si sacrificasse, Buffy aveva ammesso di fronte a
lui di
provare qualcosa, un sentimento che tanto aveva cercato di reprimere
nei mesi
precedenti. Aveva capito in qualche modo di amarlo. Non sapeva
né come né
perché ma sapeva che quell’emozione che provava
quando stava con lui era in
qualche modo amore, un amore pieno di sofferenza e passione. Un amore
intenso.
Un amore unico. Ed ora Spike era scomparso, nel giro di pochi battiti di ciglia. E Buffy
non aveva ancora
superato la sua perdita, tutte le parole non dette, le occasioni
sprecate
aleggiavano lì nella sua mente, pungendole il cuore e
l’anima. Si alzò e si
vestì. Era ancora presto, non stava neppure albeggiando, ma
aveva deciso di
fare un salto alla Base per vedere come procedevano le cose. Non
sarebbe
comunque riuscita a riaddormentarsi, i ricordi del passato la
perseguitavano
incessantemente.
La base si
trovava in
una vecchia scuola abbandonata, lontana da occhi indiscreti e separata
dall’ultima casa del quartiere da un vasto parco verde la cui
vegetazione, non
curata da anni, aveva ripreso il suo selvaggio aspetto.
L’aveva trovata per
caso Xander, mentre sfuggiva da un branco di vampiri assetati di
sangue. In
pochi mesi le vecchie aule e sale erano state trasformate in dormitori,
palestre, posti di controllo. Mentre percorreva il viale sterrato verso
quella
che ormai considerava casa, vide in lontananza, oltre un mucchio di
arbusti
incolti, una ragazza con i capelli corti e ricci, con una bella
dotazione
di lentiggini che
sembrava avere più o
meno 16 anni. Buffy le si avvicinò.
<
Ciao. sei di
pattuglia? > le chiese, ben sapendo che avevano deciso che le
pattuglie
dovevano essere formate almeno da 3 elementi. Lei si girò di
scatto, fissandola
un po’ stralunata.
<
Pattuglia? No no,
io vengo da via. Mi hanno detto di venire qui > disse, con un
tono un po’
incerto.
< Sei una delle nuove
allora! > dedusse
Buffy < vieni ti accompagno dentro. Io sono Buffy > Si
avviò verso
l’entrata ma si accorse che la nuova arrivata non la stava
seguendo. La ragazza
la stava fissando
intensamente < Buffy
Summers? > domandò con uno strana sfumatura nella
voce.
<
Sì sono io. Vedo
che la mia fama è leggendaria > scherzò la
Cacciatrice sorridendo.
<
Sì è vero >
sussurrò la ragazza, cambiando improvvisamente espressione.
Buffy ebbe appena
il tempo di reagire, prima che la ragazza estraesse dal fianco una
pistola. Si
lanciò nell’arbusto più vicino e il
primo proiettile le passò a due centimetri
dal braccio. Questa è la mia
settimana
fortunata si ritrovò a pensare la Cacciatrice,
mentre si addentrava rapidamente
tra cespugli, restando bassa. Riusciva a percepire la ragazza che si
muoveva in
modo un po’ impetuoso davanti a lei, si girava da una parte
all’altra,
nell’evidente tentativo di individuarla tra la fitta
vegetazione. Muovendosi il
più basso possibile, si nascose dietro una panchina di legno
piena di graffi e
sfregi. L’erba era piuttosto alta ed edere incolte si
arrampicavano sul legno
consunto come ragni sulla ragnatela. I passi della ragazza si fecero
più vicini
e Buffy riusci a scorgere un paio di pantaloni scuri che si muovevano
sopra
l’erba alta, appena a una
decina di
metri da lei. La ragazza guardava a destra e a sinistra sempre
più velocemente,
come un serpente che cerca di individuare la sua preda. Nonostante lo
sguardo
indurito, Buffy notò come la mano che stringeva la pistola
non avesse una presa
poi così salda. Estrasse un paletto e mirò alla
mano della ragazza. Con un
colpo secco e preciso, l’impugnatura dell’arma
andò a colpire il dorso della
mano che, istintivamente, sciolse la presa. Prima che potesse chinarsi
a
riprendere la pistola, Buffy le si lanciò addosso,
buttandola a terra. Con il
ginocchio la inchiodò al
suolo.
< Chi sei? >
le chiese < Pensavo
fossi una mia fan >
La ragazza
cercò di
dibattersi. Nonostante non avesse problemi nel tenerla ferma, Buffy
notò che la
ragazza aveva una forza superiore alla media. Era una forza da
Cacciatrice.
< Sono
venuta a
portare un messaggio > ansimò lei continuando invano
a dimenarsi.
< Oh > si
stupì Buffy < Questa è la settimana
dei messaggi. Non potreste semplicemente mandarmi una mail? Siamo nel
XXI
secolo, ricordate? >
< Non
tutte siamo
dalla tua parte. Non puoi schiavizzarci. Non puoi imporre a tutte di
venire nei vostri centri-prigione. Noi abbiamo una
nostra
vita, e decidiamo noi cosa fare > disse con un tono
sorprendentemente neutro
e quasi meccanico.
<
Imporre? Noi non
imponiamo niente. Potete venire qui se volete conoscere di
più sui vostri
poteri e e su quello che dovrete affrontare > Buffy era
sbalordita. Chi era
quella ragazza? Chi l’aveva mandata? Il discorsetto che aveva
appena sentito
sembrava imparato a memoria.
< Noi
non vogliamo
venire da voi. Noi vogliamo essere libere >
Questa
ragazza ha qualcosa che non va pensò Buffy sembra che le abbiano fatto il lavaggio del
cervello
<
Senti ragazzina >
La Cacciatrice la tirò su e la tenne per il colletto
< Non so chi tu sia e
non me ne frega niente delle tue manie da liberismo. So soltanto che
sei
arrivata qui con una pistola in mano e non hai esitato a premere il
grilletto.
Ora o mi dici perché sei qui veramente oppure ti
darò un buon motivo per
preoccuparti >
La ragazza la
guardò,
tentando di capire se doveva rispondere o meno alla domanda <
Sono qui per
Levy >
< Chi
è Levy? >
Il nome le suonava familiare, ma non riusciva ad associarlo ad alcun
volto
conosciuto.
< Levinia.
La
ragazza che state trattenendo contro la sua volontà. Lei
è una mia amica. Mi
hanno detto che l’avrei trovata qui >
< Chi
te l’ha
detto? > domandò Buffy, aumentando la presa
<
Delle persone >
<
Quali persone? Di
chi stai parlando ?> la Cacciatrice iniziava a spazientirsi
<
Altre
Cacciatrici. Cacciatrici come me e Levy >
< Voi
non siete
Cacciatrici. Le Cacciatrici sono nate con un dovere, con una missione
da
compiere. Non sono delle criminali che usano le loro
capacità per commettere
crimini >
< Ehi
Buffy! >
Una schiera di tre giovani figure emerse dagli arbusti. Erano tre
Cacciatrici
che avevano completato l’addestramento base da un paio di
mesi e che aiutavano
Buffy e gli altri con le novelline. Probabilmente avevano appena
accompagnato le nuove ragazze in pattuglia e stavano tornando alla Base.
< Ciao
ragazze!
Dobbiamo entrare e chiacchierare con questa ragazza e la sua amica.
Sembra che
qui ci siano sempre più dissensi tra i nostri ranghi
> Lasciò la presa e la
ragazza tentò di scappare, ma fu subito bloccata da due
Cacciatrici. Non
vedendo vie di fuga, la ragazza fece la sostenuta < Va bene.
Ascolterò cosa
avete da dire > disse compunta e si incamminò verso
l’ingresso, scortata da
Buffy e dalle altre.
(…)
< La
situazione è
peggiore del previsto > dichiarò Buffy. Si erano
riuniti in una vecchia sala
professori che era stata adibita a centro riunioni, era ancora un
po’ malmessa
e disordinata ma riusciva comunque a servire allo scopo. Le riunioni
erano
aperte a tutti ma a quest’ora le Cacciatrici erano ancora in
giro in pattuglia o
stavano riposando al piano di sotto. Per molte di loro la base era
diventata
una vera e propria casa. Per evitare qualsiasi problema con i genitori,
Andrew
e Willow erano riusciti a falsificare documenti che attestavano la
partecipazione delle ragazze ad una scuola prestigiosa, la cui
frequentazione
era riservata alle menti più brillanti di tutta
l’America.
< Ci
sono altre,
non sappiamo quante, che lavorano
in
proprio e con questo non intendo che cacciano demoni da sole >
continuò Buffy
< Pensavamo
che Levinia fosse un caso
isolato invece da quanto abbiamo saputo dalla ragazza solo qui in
America sono
più o meno una ventina e altre si stanno unendo alla banda
>
<
Cacciatrici con
le pistole. Qui non c’è più religione
> sospirò Xander
< Ma
che vogliono?
Qual è il loro scopo? > domandò Kennedy
<
Vogliono la
libertà di scelta, come la chiamano loro. Vogliono usare i
loro poteri non per
combattere il Male ma per i loro fini che… >
<
Nella maggior
parte dei casi non includono aiutare le vecchiette a portare le pesanti
borse
della spesa > completò Xander mentre giocherellava
distrattamente con una
penna. < Ok, la smetto > si arrese vedendo gli sguardi
degli amici
<
Andrew, hai quasi
finito o devo aiutarti? > chiese Willow al giovane nerd che
stava
trafficando con il computer < Non
vorrei che tutto saltasse in aria come i nostri nuovi e super
microfoni-auricolari
ultramoderni…>
< Non
è colpa mia
se è saltato tutto. L’elettricità qui
non è il massimo > borbottò Andrew
< Comunque ho fatto! > Lo schermo si accese
all’improvviso e comparvero
due volti distinti, protesi verso una telecamera invisibile. Una
ragazza dai
capelli lunghi e corvini li fissava con un sorrisetto sulle labbra,
mentre un
uomo sulla sessantina, con un paio di occhiali tondi e
un’aria severa cercava
di spostare qualcosa di fronte a se.
< Non
capirò mai la
funzione di questi aggeggi > borbottò tra se e se.
< è facile
signor Giles > esordì Willow
< Basta che lei guardi
dalla nostra
parte e cominci a parlare. Vedrà che funzionerà!
> Poi scoppiò a ridere,
insieme a tutti gli altri.
< Ridete pure,
ragazzi > disse
Giles < Ma vedrete che queste
macchine saranno la rovina dell’umanità ,prima o
poi > Buffy aprì la bocca
per parlare ma Giles la precedette < Prima che tu chieda, Dawn
è andata a
fare qualche commissione in città. Mi ha detto di salutarti
e che non ti devi
preoccupare >
<
Ok > disse Buffy, non proprio rassicurata
<
Tutto a posto
Faith? > chiese Kennedy alla Cacciatrice sullo schermo
< Si,
qui tutto
butta alla grande. Le ronde sono sempre più divertenti
>
Finiti i
convenevoli,
Buffy continuò < Bene ora che ci siamo tutti possiamo
decidere come
comportarci con le Levinia e le altre… > Il suo
discorso venne interrotto
dal bussare frenetico alla porta. Pochi attimi dopo una ragazza
asiatica sulla
ventina, dai grandi occhi a mandorla e dallo sguardo deciso,
entrò dalla porta.
Era una delle ragazze più esperte, Kada che aveva
già una grande esperienza sul
campo. < Levinia e la sua amica sono scappate. Due delle ragazze
le stanno
inseguendo > comunicò, senza guardare nessuno in
particolare
<
Xander, vai con
Keda, prendete il motorino. Quando incontrate le altre, unitevi a loro
e
seguitele a piedi. Ma non fatevi vedere, dovete fargli credere che vi
abbiano
seminato. Voglio sapere dove vanno e chi incontrano >
<
Sì capo >
saltò su Xander, facendo uno scherzoso saluto militare. Una
volta che
Keda lasciò la stanza, tutti i presenti misero a fissare Buffy: <
Che
succede? Ho per caso un brufolo sul naso?> chiese la
Cacciatrice,
preoccupata, cercando di specchiarsi sullo schermo di un computer.
<
è che sembri un
generale > spiegò Willow
< in
senso positivo
> chiarì Kennedy
< Stai
diventando
una vera leader B. > disse Faith, facendole
l’occhiolino
Giles
annuì
sorridente, si vedeva quanto fosse fiero di lei. La fase
“gelosia da comando”
era stata superata, insieme all’ultima apocalisse.
< Non
dite
sciocchezze > replicò Buffy < Qui le cose le
decidiamo insieme >
<
Sì si vede >
sussurrò Xander a Willow con un sorrisetto sulle labbra.
Ma
un’occhiataccia di
Buffy lo spinse ad uscire in fretta dalla porta. Mentre facevano il
punto su
alcune questioni, la Cacciatrice si ritrovò a pensare a
quello che lei e Willow
avevano scoperto e ciò che avevano dovuto affrontare. Oltre
ai demoni, alle
nuove Bocche dell’Inferno, ai serpenti giganti e alla donna
misteriosa, ora
c’era anche il problema della ribellione tra le Cacciatrici.
Ma Buffy era
fiduciosa, sapeva che ce l’avrebbero fatta ad affrontare
tutto ancora una
volta. Ne era assolutamente convinta. Ma sarebbe stato abbastanza?
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** Qui c'è qualcosa che non quadra ***
Mi
infilo nel mio solito tombino a 100 metri
dal Greese e mi trovo nel dodicesimo condotto del quartiere. Conosco a
menadito
ogni centimetro di queste fogne che, insieme ai tetti, sono i posti
più sicuri
che che da molti anni ho imparato a sfruttare. Una volta pullulavano di
vampiri
ma ora che i succhiasangue hanno abbastanza soldi e potere per
comprarsi una
casa ultramoderna con vetri anti-ultravioletti, i condotti sotterranei
sono
stati abbandonati. Solo certe zone sono ancora occupate, non
più da esseri zannuti
ma per lo più da vagabondi o ragazzi di strada. Finalmente
arrivo nel mio “piccolo”
covo: è una stanza rettangolare, più o meno venti
metri per quindici. Una porta
di ferro un po’ arrugginita ne definisce l’entrata.
C’erano due cunicoli di
uscita che mi sono occupata di sbarrare con massi pesanti. Al loro
posto ho
creato un’uscita sotterranea che, dopo aver percorso una
cinquantina di metri
ancora più sottoterra sbocca sotto il ponte di Wek Street, a
circa 500 metri da
casa mia. Il pavimento del Covo è
ricoperto da tappeti di tutti i tipi e ho dipinto le pareti di un
bianco
accecante. Mi ci è voluto un bel po’ per ripulire
questo posto da ragnatele,
rifiuti e topi ma ne è valsa la pena. In fondo ci sono le
attrezzature di
allenamento: due manichini imbottiti di stoffa e una sagoma di legno
che mi fa
da bersaglio per il lancio di coltelli, una delle mie
specialità. In un
angolino ho piazzato un letto a due piazze, ricoperto da un copriletto
rosso
scuro che ho fregato dalla camera di Gina. Accanto al letto
c’è un comodino di
legno di frassino nel quale tengo le attrezzature mediche di base. E
poi,
ovviamente, c’è l’armeria. È
sotto un cassettone dal doppio fondo. L’ ambiente
è illuminato da fioche lampade ad olio piazzate in punti
strategici. Ecco, questa
è la mia seconda casa. Solitamente mi ci fermo dopo una
notte particolarmente
intensa di caccia, quando mi alleno e quando non posso presentarmi a
casa in
certe condizioni (per esempio con una ferita purulenta e zampillante
che mi
attraversa da parte a parte). E in molte altre occasioni. Apro il terzo
cassetto dell’armadio a muro di fronte al letto, giro la
maniglia tre volte a
sinistra e una a destra e il pannello superiore scivola lentamente via. Prendo due daghe
d’acciaio che allaccio negli
appositi foderi dietro la schiena, sei coltelli che infilo nei posti
più
improbabili, un paio di paletti e una balestra di colore nero pece.
Cambio il
giubbetto nero con un cappuccio scuro di materiale quasi aderente che
si adatta
perfettamente al mio collo e alla mia testa, mentre dal naso in
giù un pezzo di
stoffa scura mi nasconde il volto. Per i lavori più
difficili non uso il
cappuccio largo perché mi limita la visibilità. E
ho la sensazione che questo
lavoro sarà tutt’altro che facile.
Esco
dal Covo e uscita dalle fogne, prendo
subito la via per i tetti. Amo la visibilità da
lassù. Ti permette di tenere
d’occhio chiunque, dai semplici cittadini che lavorano
duramente per
sopravvivere un altro giorno, agli Agenti Paritari che si occupano di
qualche
rissa o di piccoli furtarelli fino ai pochissimi Confratelli che girano
solitari per le strade. Ti sembra di avere il controllo di tutto e di
tutti,
tranne che del cielo, che ti fissa minaccioso da lassù.
Mentre proseguo a passi
svelti, un presentimento molto forte mi porta a bloccarmi e ad
acquattarmi a
terra. Mi guardo intorno, leggermente innervosita. Scorgo in un attimo
ciò che
i SDP (così chiamo il Senso del Pericolo, il mio buon amico)
mi ha segnalato. A
neanche 50 metri da me, appena sotto quattro balconi dalla mia
posizione, c’è
uno di loro. È vestito col tipico abbigliamento da Becco,
con una tunica blu
chiaro, chiusa da una cintura di pelle scura alla vita. Porta un
copricapo a
forma di becco d’aquila, che permette di intravedere solo la
linea delle labbra
e il contorno degli occhi. Improvvisamente si blocca e sento che il suo
sguardo
si sposta nella mia direzione. Mi butto a terra e rimango immobile
trattenendo
il respiro. In giro si dice che i Confratelli riescano a percepire la
presenza
umana grazie al respiro. Non so se sia vero o meno ma mi sono allenata
per ogni
evenienza: riesco a trattenere il fiato fino a 10 minuti,
all’inizio è
praticamente un gioco da ragazzi ma a partire dal 7-8 minuto ti sembra
che un
camion di diverse tonnellate sia parcheggiato comodamente sul tuo
petto. Ma per
fortuna il Becco sembra perdere rapidamente interesse e decide di
continuare
per la sua strada. Aspetto ancora qualche minuto prima di alzarmi, non
sia mai
che Becco si sia appostato all’angolo per tendermi un
agguato, ma la strada
davanti a me si rivela libera e il mio SDP sta quieto quieto. Senza
incontrare
altri spiacevoli ostacoli, raggiungo rapidamente il quartiere Devon e
mi
apposto sul secondo tetto più alto che dà sulla
piazza principale. In questo
modo vedo tutto ciò che accade sotto di me. Il posto
è deserto, ormai a
quest’ora tutti i buoni cittadini rispettosi del Coprifuoco
sono a nanna, non
si vede neanche una luce nelle finestre sporche e opache dei palazzi
che si
affacciano sulla piazza. Cerco di studiare l’ambiente, in
cerca di qualsiasi
indizio che mi segnali il passaggio del mio obiettivo. Per
mezz’ora non succede
nulla. Poi all’improvviso una figura indistinta emerge dalla
strada a sudest.
Lo osservo. Sembra tremare dal freddo. Si stringe addosso una giacca
sgualcita
e si guarda nervosamente intorno ogni 2-3 secondi. Sembra un lavoratore
sbronzo, ma non troppo, perché gli è rimasto un
briciolo di senno per sapere
che non dovrebbe essere ancora fuori a quell’ora.
Probabilmente ha passato
l’intera giornata a…
Un
piccolo scricchiolio alla mia destra
interrompe i miei pensieri e mi fa scattare in difesa. Faccio appena in
tempo a
sguainare le mie armi quando un colpo di spada sta per raggiungermi il
fianco.
Mi scanso appena in tempo e devio il secondo attacco con la punta della
daga.
Facciamo entrambi un balzo indietro e ci scrutiamo per un attimo. In un
millisecondo
mi accorgo che questo non è il mio uomo. Niente spada, ma
solo un paio di asce
talmente lucide e affilate che sembrano appena uscite dalla fucina di
un fabbro
medievale. Veste rosso scuro e in viso… oh è il
Senza Volto, il tipo che mi ha
descritto Reek. Copricapo porpora e mancanza di pelle scoperta.
è come un unico
ammasso rosso in movimento. La forma del volto si riesce a scorgere
appena
sotto la tela purporea. Bene perfetto, il mio presunto
datore di lavoro da la caccia a me ossia al
cacciatore che dovrebbe cacciare il suo obiettivo. Qui
c’è qualcosa che non
torna.
<
Senti amico > faccio per dire ma il sibilo
di un ascia che mi passa a tre centimetri dalla testa mi induce a
interrompermi.
<
Capito. Non vuoi parlare > Scaglio
un primo affondo su di lui che riesce a parare all’ultimo
istante. Fin da
subito mi accorgo quanto sia agile e potente il mio avversario. Lui
è veloce
con le sue armi tanto quanto lo sono io con le mie, stoccata dopo
stoccata
sembra che nessuno di noi possa prevalere.
<
Senti, toglimi una curiosità > gli
dico, mentre schivo il suo colpo diretto allo stomaco < ma sotto
tutto quel
rosso, ce li hai gli occhi? >
Lui sta
zitto, ma mi sembra che aumenti il ritmo d’attacco. Che abbia
colto la leggera
punta di ironia? Poverino, magari si è offeso. Ci troviamo
ingrovigliati tra
daghe e asce fino a trovarci petto a petto.
<
Chi sei? > gli ringhio mentre cerco
di sfilare la daga dalla sua ascia. Lui non dice niente ma riesce a
buttarmi a
terra. Sta per buttarsi contro di me quando esita un attimo fissandomi
il
petto. Porto una terza, non sono certo definibile come una tettona,
magari il
tipo è un po’ troppo arrapato? Oppure è
stato conquistato dal mio mantello
ultima-moda. Illuso, non glielo darò mai, è
costato un sacco di soldi! O
meglio, molte corde, grimandelli e fughe. Comunque il suo stand-by di
mezzo
secondo mi basta. Mollo la presa su una daga, sfilo un coltello dal
polso e
glielo scaglio contro centrandolo in pieno petto. Tutto questo in pochissimi istanti. Rovina a
terra senza
emettere un fiato. Magari non sa neppure respirare, chi lo sa. Mi
avvicino a
lui per prendere il mio coltello. Sono curiosa di capire che cosa si
nasconde
sotto la stoffa che gli copre il viso. E in più, voglio
qualche risposta. Un
leggero movimento del braccio mi indica che è ancora vivo,
ma a malapena. Sto
per sfilargli il cappuccio dal volto quando la sua mano si serra sul
mio polso.
Riesco appena a sentire i suoi ultimi sussurri prima che il corpo
sparisca,
letteralmente, davanti ai miei occhi.
<
tu..l’ultima.. >
Sto
ancora cercando di elaborare tutto
quello che ho visto e sentito quando intravedo con la coda
dell’occhio qualcosa
o, meglio qualcuno, sotto di me. Sta camminando svelto in mezzo alla
piazza, ha
un passo deciso, come se avesse una meta ben precisa da raggiungere.
Porta un
lungo mantello nero e una grossa spada dall’elsa scheggiata
è poggiata sulla
sua schiena. Non riesco a vederlo in volto, ma il mio sesto senso mi
dice che il
mio obiettivo, che finalmente ho trovato, non è un demone.
Ma neppure un umano.
Il mio Sesto Senso (altrimenti detto SDP) mi
dice che è qualcosa di altro. Anche se, dopo
questo interessante incontro ho deciso di non rischiare la pelle per il
compenso, decido di seguirlo lo stesso, perché il tipo mi
incuriosisce. O più
probabilmente perché non ho niente di meglio da fare
stanotte. Subito mi
accorgo che non sono l’unica che trova il suo tragitto degno
di attenzione.
Altre due sagome scure, che identifico come Senza Volto, lo seguono
sotto di
me. A differenza del mio loquace amico, questi sono armati di lunghi
coltelli ai
fianchi e hanno l’arco sguainato, con una freccia tra le
punte delle dita. La
situazione si fa sempre più confusa. Mi assumono e poi
cercano di uccidermi. Che
abbiano cambiato idea? No perché adesso altri due cercano di
terminare il
bersaglio. Che quello che mi ha attaccato fosse un disertore? Proprio
non è
chiaro nulla di questa faccenda. Mmmh stanotte ho fatto esercizio di
spada,
perché non allenarsi anche un po’ con la balestra?
Incastono un dardo
nell’apposita entrata. Miro alla testa del primo Senza Volto
e il mio dardo lo
centra in pieno. Prima che il corpo del primo faccia
“puff” il secondo si gira
di scatto dalla mia parte scoccando la freccia verso di me. Abbiamo
tirato
insieme. Ma mentre il mio colpo lo ha centrato direttamente nel collo,
il suo
mi ha appena sfiorato. Sento un leggero pizzicorio al braccio. Ho
appena il
tempo di rendermi conto che c’è qualcosa che non
va, prima che mi si oscuri la
vista e perda i sensi.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** L'orologio è partito, la lancetta gira ***
Xander
e Keda si inoltrarono nel folto della boscaglia. Le tracce delle loro
compagne
e delle fuggitive finivano al limitare dell’unica strada
sterrata percorribile
con un mezzo a motore. Keda si abbassò al suolo e si
chinò sulle impronte < Dovrebbero
essere passati di qui da meno di mezz’ora, sono ancora molto
fresche >
ipotizzò lei, tastando la densità del terreno.
<
Sai seguire le tracce? > chiese Xander, un po’
stupidamente. Si sistemò la
benda sull’orbita vuota, maledicendo quel pezzo di stoffa
nera che tendeva fastidiosamente
ad appiccicarsi alla pelle.
<
Sì, mio padre è un cacciatore >
<
La Cacciatrice figlia del Cacciatore, questa è forte
> esclamò Xander < o
forse no > ritrattò vedendo l’espressione
accigliata della ragazza < Ok,
raggiungiamo le altre >
Procedettero
per quasi mezz’ora, si stava facendo nuovamente buio e
uno spicchio di
luna era già visibile sopra di loro. La gita nel bosco si
stava rivelando più lunga
del previsto.
<
Dovrebbero essere davanti a noi > sussurrò Xander,
fissando nell’oscurità.
<
Lì c’è qualcosa >
mormorò Keda, indicando un punto a pochi metri alla loro
sinistra. Un paio di sagome scure, a malapena illuminate dal tenue
chiarore
lunare, erano distese a terra una decina di metri più
avanti. Un’occhiata più
vicino rivelò che si trattava delle loro compagne. Una di
loro era immersa in
una pozza di sangue con il cranio visibilmente sfondato e la seconda
aveva un
profondo taglio all’altezza dello stomaco e il suo petto si
alzava ed abbassava
in modo appena percepibile. Corsero verso di loro e si buttarono a
terra vicino
alla ragazza ferita.
< Stai tranquilla
> cercò di
rassicurarla Xander, prendendole la mano gelida < adesso ti
portiamo a casa >
<
No > rantolò lei, stringendo forte la mano del
ragazzo < io non ce la farò.
Xander… Ascolta > un violento attacco di tosse la
costrinse a fermarsi. Solo
quando sputò un grumo di sangue Keda e Xander si resero
conto che era troppo
tardi per salvarla. < Loro non sono sole..
C’è qualcuno di… > e con un
ultimo gemito il suo sguardo si fermò e si perse nel vuoto.
<
Dobbiamo portarle alla Base per una degna sepoltura >
mormorò afflitto
Xander. Lui si era addossato il compito di
accogliere le Cacciatrici e istruirle il meglio possibile
sui loro
compiti e su ciò che avrebbero dovuto affrontare.
All’inizio poche si
presentavano ad ascoltarlo ma una volta che le dicerie sulla sua
capacità di
sdrammatizzare scherzosamente durante le lezioni, abilità
che aiutava ad
smorzare la durezza degli argomenti affrontati, raggiunse tutta la
base, molte
altre si unirono alla sua Xlass (Xander-Class), come l’aveva
soprannominata lui
stesso. Le ragazze, i cui corpi martoriati si trovava davanti a lui in
quel
momento, erano frequentatrici regolari delle sue lezioni.
<
No > dissentì
Keda mentre chiudeva delicatamente
le palpebre delle sue compagne.
<
Che cosa no? > Chiese Xander dolcemente, cercando di cogliere la
strana
sfumatura nella voce della ragazza.
<
Io le conoscevo > la sua voce tremava di rabbia e le sue nocche
divennero
bianchissime per quanto forte stringeva l’impugnatura
dell’ascia che aveva
raccolto da terra.
Xander
le mise una mano sulla spalla, cercando di tranquillizzarla < Ti
capisco >
le disse < in tutti questi anni ho visto morire tantissimi
conoscenti e
amici. E il mio primo desiderio, dopo ogni morte, era quello di
impugnare
un’arma e andare ad uccidere quei bastardi schifosi, non
importa a quale costo.
Ma in questo modo non si ottiene nulla. Solo di farsi ammazzare >
Keda
si scostò rabbiosamente e si alzò in piedi
< Io vado. Tu fai quello che vuoi
> E si incamminò decisa
nell’oscurità della selva. Xander non
potè fare
altro che seguirla. Camminarono per quelle che parvero ore, e per un
paio di
volte il ragazzo era convinto che
avessero perso la strada ma Keda era una guida determinata e procedeva
imperterrita, come se sapesse esattamente dove andare. Finalmente la
loro
pazienza fu ricompensata. Il bosco si diradò
all’improvviso per far spazio ad
un’ampia collina erbosa che si allungava verso
l’orizzonte, piatta e
indifferente, fino a finire in quello che sembrava un ripido strapiombo.
<
Procediamo a testa bassa, siamo troppo esposti >
suggerì Xander, nonostante
non si vedessero o avvertissero pericoli imminenti.
Arrivati
in cima alla collinetta, si trovarono davanti a uno spettacolo
piuttosto
inatteso. Una ventina di metri sotto di loro erano piazzate a terra una
quindicina di tende, accavallate una vicino all’altra. Torce
infisse al suolo
circondavano il perimetro del campo che si trovava in un avvallamento
del terreno,
impossibile da scorgere dal bosco. La collina appena dopo la
vegetazione,
infatti, si interrompeva bruscamente come se qualche essere gigantesco
avesse
scavato un’enorme buca nel terreno.
Impossibile
pensò sbalordito Xander nessun
essere
umano sarebbe in grado di scavare una fossa di tale dimensione, nemmeno
con
ruspe o trebbiatrici. Tuttavia lo spazio sotto di loro non
era erboso, ma
terroso e non c’era un’ombra di vegetazione. Potrebbe essere caduto un asteroide
rimurginò Xander, non trovando
altra spiegazione “naturale” oppure
abbiamo di fronte l’opera di un demone. Sembrava un
vero e proprio
accampamento militare, con tanto di sentinelle che pattugliavano i
confini.
Xander tirò fuori il monocolo supertecnologico che Willow
gli aveva regalato da
poco e si mise ad osservare l’attività del campo.
Le tende, al cui interno non
si scorgeva nulla, erano raggruppate intorno ad uno spazio terroso
delimitato
da pali di legno e filo spinato. Intorno ad esso si erano riunite
diverse
persone che urlavano e fischiavano in direzione di quello che pareva un
recinto
per animali.
<
Guarda cosa stanno facendo > disse Xander, passando il monocolo
a Keda che
concentrò lo sguardo sul centro del campo.
<
Si stanno allenando. Mi sembrano tutte Cacciatrici. Aspetta…
quella è stata
sconfitta. Che cosa fanno? > Keda non credeva a quello che stava
vedendo.
Premette più forte il monocolo sull’occhio.
< Si stanno uccidendo >
sussurrò, sbalordita. Al centro dell’arena si
stavano fronteggiando quattro
Cacciatrici, ognuna delle quali impugnava un’arma diversa:
una spada lunga
dall’elsa d’acciaio, una lancia con la punta di
bronzo, una rete dal colore
dorato e un’ascia di ferro. A lato dell’arena,
appena sotto la recinzione di legno
che la delimitava, si trovava una figura immobile con il petto
squarciato e la
mano inerte ancora socchiusa su una mazza ferrata. Una pozza di sangue
stava
imprimendo il suolo, tingendo la terra bruna di un color bronzo. Un
paio di
ragazze si staccarono dalla folla e presero per le braccia la caduta,
trascinandola in una tenda. Nessuno sembrava aver fatto caso alla ragazza morta,
tutti erano
concentrati sul combattimento mortale.
<
Guarda a destra > sussurrò Xander, guidando il
monocolo verso quella
direzione. Al limitare dell’arena si trovava quello che,
dalle dimensioni e
dalla struttura corporea, si supponeva fosse un uomo. Guardava
indifferente lo
spettacolo davanti a sé, muovendo quasi impercettibilmente
la testa da un lato
all’altro del campo, come se stesse seguendo
un’ordinaria partita di tennis. Xander
vide che indossava una lunga tunica molto semplice, senza fronzoli o
decorazioni evidenti e una sorta di cappuccio che gli nascondeva il
volto. Solo
i leggeri movimenti del capo lo distinguevano da una statua a grandezza
d’uomo.
Keda zoomò su di lui.
<
indossa una sorta di saio lungo e un cappello in testa, anzi sembra
più un
copricapo > osservò la Cacciatrice
<
siamo invasi dall’Impero? > mormorò Xander
con amara ironia < Oppure il
rosso è di moda quest’anno? >
Molti
metri sotto di loro, appoggiato al recinto del campo, Ragnar osservava
lo
scontro mortale tra le reclute. Avevano ancora molto da imparare ma nel
giro di
qualche mese sarebbero state pronte. Le sopravvissute, accuratamente
selezionate tra la massa, sarebbero servite allo scopo. Una volta
terminato il
loro compito, le attendeva un destino certo.
Presto, molto presto, la stirpe delle Cacciatrici sarebbe
scomparsa da
questo pianeta.
<
Un accampamento? >
<
Quanti erano? >
<
Chi è quel tizio e cosa ci faceva lì? >
<
Perché le hanno uccise? >
In
sala riunioni c’era un gran trambusto. Tutti i presenti
sembravano aver aperto
bocca nello stesso istante, creando un vociare rumoroso e
controproducente per
tutti. La situazione era ben più grave del previsto e
un’atmosfera pesante
aleggiava nell’ambiente. La morte di due Cacciatrici, uccise
dalle loro stesse
compagne, aveva suscitato rabbia e confusione. La voce si era
rapidamente
diffusa ed ora la sala era gremita di neo-Cacciatrici, pronte ad
ascoltare
tutta la storia.
<
Ora basta! > urlò Willow, sovrastando di almeno due
toni la voce degli
altri. Tutti si zittirono. < Dobbiamo riorganizzare le idee e in
fretta.
Tutto sta accadendo velocemente e dobbiamo tutti concentrarci per
capirci
qualcosa > Alcune annuirono facendo un cenno del capo, altre si
limitarono a
guardarla, altre ancora scossero la testa, contrariate.
<
Dobbiamo scoprire il più possibile su quest’uomo o
demone che sia > continuò
Willow < Potrebbe usare una magia in grado di controllare le
ragazze >
<
Ma chi può esercitare un simile controllo? >
domandò una delle Cacciatrici.
Mentre
Willow tentava di rassicurare le ragazze, Giles, sventolando la mano
sullo
schermo, riuscì
ad attirare l’attenzione
di Buffy < Devo consultare qualche libro. La descrizione
è piuttosto vaga.
Un essere vestito di rosso con un copricapo? Non ne ho mai sentito
parlare e è
poco su cui lavorare >
<
Sei tu la biblioteca ambulante >
disse Buffy < le vostre ragazze potrebbero eseguire una ricerca
ad ampio
raggio sotto la tua guida > suggerì la Cacciatrice.
<
Mentre noi > intervenne Xander < Dobbiamo decidere come
gestire quel
gruppo di pazze scatenate ed assassine >
<
Io potrei fare
qualche ricerca sulle
magie legate al controllo mentale > si offrì Willow
<
Perfetto > sentenziò Buffy < Andiamo. Ragazze
seguite Xander. Dobbiamo
ideare un piano di azione > Mentre tutti raccoglievano le
proprie cose, stranamente
in silenzio, la mente di Buffy galoppava. Apparizioni
divine che si dichiarano messaggeri di un inevitabile Apocalisse. Un
grosso
serpente vorace mangiatore di carne. Una ragazza che tenta di
uccidermi. Un
gruppo di Cacciatrici impazzite che si uccidono a vicenda guidate da un
uomo
vestito di rosso. Che cosa sta succedendo?
Nonostante
tutti i loro sforzi, nessun libro, tomo, o foglio faceva un minimo
accenno all’Uomo
in Rosso. Giles e le ragazze che aveva radunato avevano cercato per una
settimana
intera non trovando alcuna informazione sul misterioso uomo. Buffy non
sapeva
cosa fare. L’attacco diretto era possibile, erano in
maggioranza e avrebbero
potuto sconfiggere facilmente il gruppo impazzito. Ma se
l’Uomo in Rosso era
veramente in grado di controllare le menti altrui, il loro attacco non
avrebbe
fatto altro che ingrossare le file del suo piccolo esercito. Buffy
sapeva che
potevano esserci altre ragioni dietro il comportamento delle ragazze ma
era
veramente possibile che molte di loro avessero deciso di seguire
l’Uomo in
Rosso spontaneamente? E che si uccidessero tra loro consapevolmente?
Buffy non poteva
crederci. Così decise di andare a studiare la situazione da
sola. Anche Willow
non era venuta a capo di nulla per quanto riguarda i presunti poteri
mentali
dell’Uomo in Rosso e Buffy non poteva più
aspettare. Attendere significava
lasciare che quel mostro costringesse sempre più ragazze a
compiere spregevoli
azioni a suo nome. Mentre
rifletteva
seduta sulla scrivania di un’aula ancora in disuso,
sentì un timido bussare
alla porta. < Avanti > disse Buffy perplessa e, allo
stesso tempo,
all’erta. Si fece avanti una ragazzina alta e magra dai
lunghi capelli biondi e
dagli occhi scuri. Non poteva avere più di 13-14 anni.
<
Scusami Buffy > esordì a voce bassa < posso
parlarti un momento? >
<
Certo > rispose la Cacciatrice con un sorriso < a patto
che non cerchi di
uccidermi puoi sederti tranquillamente >
La ragazza esitò,
non sapendo se ridere o
meno, poi si sedette imbarazzata.
< Come ti chiami?
> chiese Buffy, nel
tentativo di alleviare la sua evidente tensione.
<
Io sono Ferax. Vengo da Chicago. E volevo parlarti di Levinia. Io la
conoscevo
> Mentre parlava teneva gli occhi bassi, ostinatamente puntati
sul suo
stivale destro.
<
Ti ascolto, Ferax. E se vuoi puoi guardarmi negli occhi. Non mordo mica
>
Lei
arrossì fino alla punta delle orecchie e balbettò
< Scusami > la guardò
negli occhi per un secondo poi abbassò nuovamente lo sguardo.
< Levinia e io
frequentavamo la stessa scuola.
Lei è più grande di me ed è molto
brava in matematica. Io non tanto, così mi
dava qualche lezione nel tempo libero. È una ragazza molto
allegra, disponibile
e sincera. E parlo di qualche mese fa. Ma adesso… non riesco
più a
riconoscerla. So che l’avete fermata perché ha
aggredito il buttafuori di una
discoteca, è vero? >
<
Sì. Non aveva i documenti e non volevano farla entrare. A
quanto pare il
buttafuori è stato un po’ arrogante.
Così lo ha aggredito e gli ha spaccato il
naso. Oltre a procurargli diversi tagli sul volto e a incrinargli due
costole.
Siamo riuscita a portarla via appena in tempo. Ma non
c’è stata alcuna
denuncia. Probabilmente il buttafuori non voleva ammettere di essere
stato
pestato da una ragazzina >
Ferax
si schiarì la gola < Ecco, avevo sentito qualcosa del
genere. Ma vi dico che
lei non è così. È sempre stata gentile
con tutti, odiava la violenza e non
sopportava neppure i locali troppo rumorosi. È per questo
che andavamo così
d’accordo >
<
Cosa pensi che le sia successo? >
<
Io penso che sia stata posseduta da qualcosa >
<
E cosa te lo fa credere? >
<
è tutto successo quella sera. I suoi strani comportamenti
hanno cominciato a
vedersi da quel momento. Prima che cercasse di entrare in quel locale,
siamo
andate a bere qualcosa in un bar. Era normale, serena. Parlava di come
si
trovava bene con tutte noi, di come le piacesse
l’addestramento, di come fosse
divertente Xander e di come ti ammirava. Poi ha ricevuto una chiamata
ed è
andata fuori a rispondere. Quando è rientrata andava di
fretta, diceva che
aveva un impegno che non poteva rimandare. Non sembrava agitata, quindi
io sono
tornata tranquilla alla base. E poi ho sentito quello che aveva fatto
>
La
mente di Buffy galoppava, in cerca di un qualsiasi senso a tutta la
vicenda. La
Cacciatrice si maledì di non aver controllato il cellulare
di Levinia, quando
l’avevano riportata a casa. Ora lei era scappata, il
cellulare era sparito e
due ragazze erano state uccise.
<
Grazie Ferax. Questa è la prima vera pista che abbiamo da
giorni. Potresti
chiamare Willow e Xander? Per adesso vorrei che la faccenda rimanesse
tra noi.
Non vorrei suscitare panico. >
Ferax
sembrava molto sollevata, come se si fosse liberata di un peso
insostenibile.
< Si certo, Buffy. Non lo dirò a nessuno >
Ferax si alzò ma prima di
raggiungere la porta si fermò. Nello stesso momento Buffy si
girò verso la
finestra, che dava sul cortile, ora illuminato dal cocente sole
pomeridiano.
Senza dirsi una parola, si avvicinarono alla finestra e guardarono
giù. E lì,
in mezzo al prato incolto, stava una figura, ritta in piedi. Stava
puntando
verso di loro un arco. Buffy fece in tempo a chiedersi come mai non
avesse
ancora incoccato, prima di realizzare che, la sottile asta metallica
che stava
volando pigramente verso di lei, fosse proprio una freccia.
Buffy
si buttò a terra, trascinando con sé Ferax. Il
vetro esplose in mille frammenti
che ricaddero tutti su di loro, ferendole sul viso. < Stai
giù! > ordinò
Buffy, mentre avanzava a carponi alla ricerca di un arma. Un ennesimo
sibilo,
percepibile solo alle orecchie attente delle Cacciatrici,
annunciò la venuta di
un’altra freccia che si impiantò su un banco
ingiallito in mezzo all’aula.
Questo prese fuoco, e le fiamme, alimentate dal vecchio legno asciutto
che
costituiva la maggioranza dei mobili presenti, si innalzarono possenti
verso il
soffitto. < Vai a chiamare le altre! > urlò
Buffy a Ferax che annuì,
spaventata. Io vado a prendere quel
bastardo Buffy si lanciò di sotto e
atterrò al suolo indenne. L’uomo,
probabilmente convinto di aver completato il lavoro, si era
già allontanato di
parecchi metri e stava correndo rapidamente verso est. Buffy si
lanciò all’inseguimento.
Non era armata, era sola e quella poteva essere facilmente una trappola
eppure
sapeva che questa poteva essere un’occasione unica. Era
stanca di ricerche
interminabili e libri polverosi. Era il momento di passare
all’azione. Quell’uomo
(che a giudicare dalla descrizione di Xander era proprio
l’Uomo in Rosso) era
una fonte di informazioni preziosissima quindi doveva essere catturato.
Era
velocissimo e Buffy riusciva a stargli dietro a stento.
<
Fermati! > gli urlò < voglio solo parlare!
> L’uomo si girò verso di
lei, continuando a mantenere il suo ritmo di corsa. Alla schiena aveva
una
faretra imbottita di cuoio, rosso come il vestito e le cocche delle sue
frecce.
Mentre correva, Buffy raccolse un sasso da terra e tentò il
tiro. La fugura,
colpita in testa, barcollò in avanti fino ad inciampare.
Buffy gli si buttò
subito addosso e calciò via l’arco che aveva
ancora in mano. In testa aveva un
velo rosso che non permetteva di scorgere il volto. Buffy gli
puntò il tacco
alla gola.
< Che cosa stai
facendo alle Cacciatrici?
Chi sei? > Egli non aprì bocca.
< Parla! > La
Cacciatrice spinse un po’
di più il piede. < Rispondimi e forse ti
lascerò andare! >
L’Uomo
in Rosso fece qualcosa che Buffy non si aspettava. Rise. Nonostante la
pressione alla gola, stava ridendo di gusto. Era una risata roca e
profonda, un
suono malvagio e ,chiaramente, non umano. < è troppo
tardi. L’orologio è
partito. La lancetta gira. > La voce, roca tanto quanto la sua
risata, sembrava
appartenere ad un altro mondo. Pareva che il demone (perché
ormai di
nient’altro poteva trattarsi) non avesse parlato per molto
tempo, perché le
parole gli uscivano a mozziconi, peraltro male accentate.
<
Che cosa…> Improvvisamente le afferrò la
caviglia e le torse il piede, facendola
rovinare a terra. Le tirò una gomitata in pancia, mozzandole
il respiro. <
Siete finite Cacciatrici. Il vostro tempo è andato >
Quando Buffy si alzò in
piedi con un colpo di reni, il demone era già sparito. Al
suo posto erano
comparse 8 Cacciatrici, pesantemente armate. Da una sola occhiata,
Buffy capì
che quelle ragazze potevano essere tutto, tranne i suoi rinforzi.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 8 *** Tra nuove seccature e soliti demoni ***
Le
palpebre fanno una fatica immensa ad alzarsi. Per quanto mi sforzi, non
riesco
a mettere a fuoco il luogo dove mi trovo. Mi accorgo di essere sdraiata
su
qualcosa di morbido e avverto
la
presenza di qualcuno seduto accanto a me. Mi pare un uomo altissimo, ma
non
riesco proprio a focalizzarmi chiaramente su di lui. Cerco di parlare
ma le
corde vocali non rispondono ai miei comandi. Una presa forte e allo
stesso
tempo delicata si stringe sul mio avambraccio. < Non muoverti.
Presto starai
meglio > Cerco di replicare ma in breve sprofondo nuovamente
nell’incoscienza.
Quando
mi sveglio per la seconda volta finalmente la mia vista sembra
funzionare. Mi
trovo in una stanza piuttosto sobria: a parte il letto e un comodino,
c’è
soltanto una piccola finestra davanti a me. Sembra un’anonima
stanza d’albergo
di uno dei tanti motel presenti nel ghetto. Questa volta non
c’è nessuno nella
stanza quindi decido di alzarmi con cautela. Dopo qualche protesta,
finalmente
i miei muscoli si muovono. Sono piuttosto confusa, ma riesco a sentire
distintamente il mio braccio pulsare. Ho una
benda fresca avvolta intorno
all’avambraccio. Dopo la lotta qualcuno mi ha trovato e
curato. Quindi me ne
devo andare, odio dover essere in debito con qualcuno. Se me ne vado
prima che
il mio salvatore si ripresenti non mi sentirò in debito con
nessuno visto che
non saprò chi è. Logico, no? Ho indosso gli
stessi vestiti di stanotte, tranne
il mantello che è in fondo al letto. Le mie armi sono
sparite. Ovviamente non
ho né il cappuccio né il colletto quindi chi mi
ha curato mi ha visto in
faccia. Di bene in meglio. Porto una mano al cuore, tastando il
familiare
contorno del mio medaglione sotto la maglietta. Per fortuna non me
l’hanno
portato via, so essere piuttosto cattiva quando di tratta del mio
medaglione.
Mi avvicino lentamente alla finestra, la stanza gira un po’
ma in complesso mi
sento meglio. È pieno giorno, a giudicare dalla posizione
del sole deve essere
il primo pomeriggio. Devo cambiarmi, prima di uscire. Sembro una
criminale con
questi vestiti (beh, in effetti lo sono), non passo certo per
un’efficiente
fattorina della Jeep House. Improvvisamente avverto un paio di occhi
fissi su
di me e mi giro di scatto. Brutta mossa, la stanza ricomincia a girare
vorticosamente. Davanti a me trovo un ragazzo giovane piuttosto alto.
Se ne sta
lì, a braccia incrociate, a fissarmi. Il primo dettaglio che
noto sono i suoi
occhi verde-grigio. Profondi. Tormentati. Pericolosi. Indossa una
maglietta
nera che gli avvolge gli addominali scolpiti e un paio di short
marroncini. Una
zazzera rosso scuro gli conferisce un’aria
da ribelle ma, paradossalmente, aiuta anche
ad addolcire un po’ la sua immagine ( ma di poco )
Ho
visto abbastanza e non ho tempo di convenevoli, quindi vado subito al
sodo <
Chi sei? >
< Non
puoi uscire adesso. Sei troppo debole > mi risponde
semplicemente, come se
non avessi detto una parola.
Mi
stampo un sorriso incerto sul volto < Grazie per avermi aiutato.
È la prima
volta che mi ubriaco > Cerco di arrossire, suppongo con scarsi
risultati. È
difficile che arrossisca. < Ma che ti posso dire >
continuo < questa
mia amica ha insistito perchè la accompagnassi a questa
festa dark > Poi
sfodero un sorriso timido da ragazza per bene, colta sul fatto di una
trasgressione impensabile.
Mi
guarda con quello sguardo impenetrabile che sembra in grado di scavarti
l’anima
< Hai tante doti, Alexis Donovick, ma la recitazione non
è uno di quelli >
mi dice, fissandomi con un sorriso difficilmente interpretabile.
Perfetto.
Non solo sa di che cosa mi occupo di notte ma conosce anche il mio
nome, e pure
il mio cognome. Di peggio in peggissimo, come suol dire Jane.
<
Ti hanno avvelenato > mi informa pacato come se stesse parlando
a un bambino
< Devi
riposare > Quindi mi
rivolge un altro dei suoi sorrisini, che comincio a trovare piuttosto
irritanti.
Bene,
quindi il Senza Volto mi ha lasciato un regalino di addio.
<
Avvelenato?
> ribatto cercando di inserire nella mia voce un po’
di stupore < Ho solo
esagerato un po’ stanotte > affermo facendo una faccia
accomodante. Mentre
converso amabilmente con il mio nuovo amico, sto valutando
l’ambiente che mi
circonda. A giudicare dall’altezza direi che la finestra
è collocata al secondo
piano e il palazzo di fronte non ha alcuna veranda o terrazzo su cui
atterrare
quindi dovrei saltare giù, ma questo è
impensabile. Beh in realtà sarebbe piuttosto
semplice, ma atterrando in piedi
incolume dopo un salto di parecchi metri, non vorrei ledere
l’autostima degli Agenti
Paritari che stanno pattugliando al di sotto. Quindi non mi resta che
passare
per la porta. Ma prima di stendere il mio nuovo amico e di uscire da
qui devo
capire che cosa sa di me.
<
Come conosci il
mio nome? Anche tu eri alla festa ieri? > domando, continuando
la farsa da “ragazza
ubriaca” < vedi, non ricordo molto… Non ci
saremmo limonati? > spalanco
gli occhi, fingendo orrore a tale possibilità. Le ragazze
perbene non fanno
certe cose con gli sconosciuti. < ti prego, non dire nulla ai
miei genitori,
si arrabbierebbero un sacco! > imploro sull’orlo del
pianto.
Di
nuovo quello sguardo
< Direi che
non c’è più bisogno di
fingere, Alex > replica < Ieri notte mi hai salvato. E
ora io ho salvato
te. So chi sei, ma non ti devi preoccupare. Non lo dirò a
nessuno >
Ecco,
adesso so chi è.
Il mio uomo. Il mio obiettivo. Confronto il giovane davanti a me con la
figura
scura che ho visto l’altra notte. L’altezza e la
proporzione del corpo
combaciano perfettamente. Come ho fatto a non accorgermi prima!
Lo
fulmino con lo
sguardo < Mi chiamo Lexie > preciso con una punta di ira.
Di solito
riesco a controllare di più la mia rabbia,
chissà, forse è un altro effetto del
veleno.
<
Entrambi sappiamo
che non è vero > Il suoi occhi incrociano i miei e io
assumo una faccia
esasperata, come se stessi parlando con uno un po’ fuori di
testa. Ma in realtà
si sta scatenando un tumulto dentro di me. Mi sale il groppo alla gola.
So che
sa di me, ma non può sapere quello. È
assolutamente impossibile, probabilmente
sto diventando paranoica.
Ancora,
vado dritta al
punto < Che cosa vuoi da me? >
Mi
pare di scorgere
qualcosa nei suoi occhi brillanti. Tensione? Aspettativa?
Soddisfazione? Magari
tutto quanto.
< Devo solo cambiarti
la medicazione e
applicarti un nuovo impacco di erbe. Poi potrai andare a casa >
Decido
di abbandonare
la mia copertura, già seriamente minata dalle mie scarse
capacità di
recitazione. Ormai è chiaro che il figuro è tutto
tranne che uno stupido < Non
mi piace che mi si diano degli ordini > dico, con una punta di
durezza nella
voce. Quel tipo neanche mi conosce, come fa a parlarmi così?
Probabilmente
si rende
conto di essere stato un po’ perentorio perché la
sua voce di addolcisce <
Non è un ordine. È solo una richiesta >
Faccio
due calcoli.
Posso stenderlo e scappare. O posso farmi cambiare la medicazione
così se ne
sta tranquillo. E poi scappare. Mmmh posso sempre picchiarlo
più tardi, quando
starò meglio. < Ok. Va bene > asserisco
fingendomi rassegnata < Ma
poi me ne vado >
<
Puoi stenderti? >
mi chiede < per favore? > aggiunge con una punta di
ironia, vedendo la
mia faccia. Poi mi fa il primo sorriso a denti scoperti da quando
è entrato. Labbra
allineate e dentatura perfetta. Come minimo questo qui si lava i denti
quattro
volte al giorno. Io sono una persona pulita, ma quel bianco allucinante
non
l’ho mai visto da nessuna parte. E sembra quasi un sorriso
sincero. Ok,
evidentemente questo veleno ha una moltitudine di effetti strani.
Comunque
fingo di non
aver notato la sua perizia nell’igiene dentale. < Sto
bene qui > dico con
un po’ troppa fermezza.
Mi
sembra che alzi gli
occhi al cielo, ma il movimento è talmente impercettibile
che magari me lo sono
pure immaginato. Mi svolge la benda dalla pelle e per la prima volta
vedo la
ferita. È un lungo taglio, ma non profondo e sembrerebbe un
colpo qualunque, se
non fosse per l’alone blu che la circonda e il debole odore
di carne marcita.
Fletto i muscoli e muovo la mano. Tranne qualche fitta a livello
dell’avambraccio,
mi sembra tutto a posto. Mi applica uno strano infuso aromatico sul
braccio che
mi da subito sollievo.
<
Va meglio? > mi
chiede.
<
Sto bene >
ribatto. La sua vicinanza mi provoca strane sensazioni, sento che
è pericoloso
e non so se posso fidarmi di lui. Il mio Buon Amico mi sussurra
qualcosa,
qualcosa che non riesco ancora a cogliere e a cui dare forma. Decido
quindi di ridefinire
gli spazi personali e mi allontano di diversi centimetri.
<
La gentilezza non
è proprio il tuo forte > nota tranquillamente mentre
mi cambia il bendaggio.
Trattengo il commento tagliente che ho sulla punta della lingua
< Ora vado >
Esito. Dopotutto non mi costa nulla, no? < Hai fatto un buon
lavoro> gli
dico tra i denti. Non voglio chiedergli delle armi, perché
magari mi ha trovato
dopo che mi hanno derubato di tutto. Quindi non sa di me ma mi sta
soltanto
provocando, per spingermi a spifferare tutto. Ma non mi sembra il suo
caso.
Comunque meglio non rivelargli niente, nel dubbio.
<
Stai dimenticando
le tue cose. Sono sotto al letto >
Quel
tipo è sempre un
passo davanti a me. Gli faccio un sorriso innocente e controllo
rapidamente il
mio arsenale. C’è tutto.
< Visto
che io so il
tuo nome, mi sembra giusto che tu sappia il mio. Sono Nickolas >
<
Piacere di averti
conosciuto > rispondo, educata. Mi avvio verso la porta e prima
di andarmene
lo fisso negli occhi sfoderando il sorriso più feroce che
riesco a fare < ah
dimenticavo, se mi segui, ti ammazzo >
Poi
mi giro e me ne
vado, senza guardarmi indietro.
(…)
Sono
circa le cinque di
mattina quando rientro a casa. Sono passata dal mio Covo, per lasciare
le armi
più ingombranti, ripulirmi la ferita, riposare un
po’ e mettere abiti “normali”.
Nonostante sia piena estate, ho messo una felpa con le maniche lunghe
che mi
copre il braccio. Il mio guardaroba è strapieno di maglioni
pesanti e magliette
con le maniche lunghe piuttosto larghe. Mi servono a coprire tanto le
ferite
quanto la loro veloce rimarginazione. L’ingresso è un disastro,
scarpe e cartelle semiaperte
invadono il pavimento, e intralciano la strada a chiunque entri. Se
dicessi ai
ragazzi di mettere un po’ a posto, lo farebbero di sicuro
(beh, con una sola
eccezione) ma è troppo divertente vedere Gina che,
rientrando da una sera di
sbronza, inciampa e impreca contro le stringhe ingarbugliate di qualche
scarpa
vagabonda. La cerco nel soggiorno. Di solito crolla prima di
raggiungere le
scale e io la trasferisco sul divano per risparmiare un po’
di delusione ai
ragazzi. Jane ha sempre gli occhi lucidi quando la vede a terra. Ma
oggi non
c’è, sarà riuscita a salire le scale.
Vado al secondo piano e la trovo in cima
al corrimano che mi fissa.
<
Dove sei stata? >
mi chiede, scandendo le parole. Ha gli occhi arrossati e
l’alito che puzza
fortemente, ergo si trova nella sua condizione ormai quotidiana, anzi
oggi
sembra peggio del solito.
<
Fuori > le
dico, sorpassandola.
Ma mi afferra un braccio e
mi sussurra: < So
dove vai, piccola bastardella. Tu tradisci. Tu stai con i ribelli. TU
NON
RISPETTI L’ORDINE DI QUESTA CITTà! > le
ultime parole le ha sbraitate
fortemente. Mi libero con uno strattone.
<
Sei ubriaca. Non
sai quello che dici. Vai a dormire > le ordino, cercando di
trattenere il
disprezzo dalla voce.
<
Ubriaca? Maledetta
ingrata! Ti rendi conto di cosa faccio io per voi? Di come vi mantengo?
Di come
vi ho fatto uscire dal buco da cui siete emersi? LO SAI? LO SAI?
>
Mi
allontano da lei e
sento che barcolla dietro di me, cercando di seguirmi. < Ora
basta > le
dico, la voce tremante dalla rabbia < i ragazzi stanno dormendo
>
<
Dormono grazie a
me! > urla, alzando la mano in aria < grazie a me che gli
do un tetto
sopra la testa. Grazie a me che..> poi strabuzza gli occhi e
cade a terra.
La prendo per le braccia e la trascino nella sua stanza. Mentre chiudo
la porta
la sento russare. Una testa emerge dalla porta di fronte, è
Joey che mi guarda.
Tante emozioni attraversano i suoi occhi scuri, talmente tante da non
riuscire a definirle tutte. Mi guarda con lo sguardo di un bambino
smarrito che
cerca disperatamente la strada di casa. Lo abbraccio forte, lui non
ricambia ma,
mentre lo stringo
per qualche attimo,
sento una lacrima che scende sul mio collo.
Vado
a dormire per
qualche ora. La mia stanza è incuneata in una mansarda sul
tetto. Quindi
soffitto a spiovente e muri stretti. Non è il massimo, ma ci
si vive. In più ho
una finestra che da sul tetto, da dove posso ammirare i boschi fuori
dalla
città. Siamo molto vicini al confine, dove gli Agenti
Paritari pattugliano con
turni doppi le strade. Mi butto sul letto ancora vestita. Non mi piace
molto
dormire ma, per fortuna, mi bastano 3-4 ore per affrontare in piena
forma la
giornata seguente. Lo so, è strano per la mia
età, ma sono fatta così. Qualcuno
bussa alla porta. È Max, che mi guarda dall’uscio.
Indossa un piccolo pigiama a
pois che era di Jane e in mano ha un piccolo coniglietto di peluche (mi
pare
che si chiami jinky o jonky o qualcosa di simile). < Va tutto
bene? > gli
chiedo, dolcemente. Lui si limita a fissarmi, senza dire nulla. Non che
mi
aspetti che dica qualcosa, parlerà quando
sarà pronto, non bisogna
mettergli fretta. Lui si avvicina titubante e mi porge Junky. Quando lo
prendo
dalla sua manina, sento che è tutto sudato. Il suo cuore
batte più veloce del
normale ed ha il petto che si alza e si abbassa freneticamente. E
allora
capisco. Lo prendo tra le braccia e ci infiliamo sotto le coperte.
Mentre sento
il suo respiro che diventa sempre più regolare, mi ritrovo
ad interrogarmi
sulla storia di Max. Come si è sentito dopo la perdita dei
genitori. Come si è
inserito nella vita dell’orfanatrofio. Come si sente adesso,
in questa Casa
Famiglia. Non ho risposte a questa domanda. So soltanto che qua dentro
siamo tutti perseguitati dagli stessi demoni.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 9 *** Il calore della morte ***
Questa situazione è da pazzi > commentò Xander, succhiandosi il pollice imbrattato di ketchup.
< Altrochè. Siamo ad un punto morto. Non ho mai visto Buffy così inquieta, neppure prima dell’ultima battaglia contro il Primo. > assentì Willow, sedendosi nuovamente sull’erba. Era uscita nel parco di fronte alla scuola per meditare ma Xander, hot dog in una mano e Coca Cola nell’altra, era corso fuori dalla scuola e si era fermato di fronte a lei, oscurandola dal sole. Non era il momento opportuno per parlare, ma Willow poteva vedere come l’amico ne avesse bisogno.
< Ma dobbiamo avere pazienza. Troveremo delle risposte. > continuò, spostandosi di un poco e incrociando nuovamente le gambe. Chiuse gli occhi. Poteva sentire i raggi solari accarezzarle la faccia. Amava meditare di fronte alla stella che era responsabile del perpetuarsi della vita, la faceva sentire in stretta connessione con la Terra e con tutti i suoi abitanti.
< Will, senti anche tu questo odore? >
< Di hot dog bruciato? > Da quando le streghe della Confraternita l’avevano iniziata al controllo della magia e aveva scoperto la meditazione, aveva iniziato una dieta vegetariana. L’idea di mangiare carne morta, che tanto stonava con la gioia della vita che aveva cominciato a percepire ogni giorno di più, aveva iniziato a entrare in conflitto con la sua armonia interiore.
Xander era ancora in silenzio, di fronte a lei. Willow aprì un occhio. < Xander, starei cercando di concentrarmi >
< Aiutatemi! Qualcuno mi aiuti >
Le urla di una ragazza, che provenivano dall’altra parte della scuola, fece saltare in piedi Willow. Senza dire una parola lei e Xander corsero verso l’origine della voce, seguite da alcune ragazze che erano uscite all’aperto, messe all’erta dalle stesse grida. Ora un forte odore di bruciato le inondava le narici, accompagnato da un denso fumo scuro trasportato dal vento. Qualcosa di grosso stava bruciando e l'istinto le diceva che non poteva trattarsi di un incidente di poco conto.
< Will cerca di fare qualcosa > le disse ansioso Xander, lasciando cadere il panino a terra < io entro e faccio evacuare le restanti > E si precipito all'interno senza guardarsi indietro.
Xander poteva sentire delle urla soffocate di qualcuno ma non riusciva a vedere nulla, il fumo era troppo denso e di un colore innaturalmente scuro. Nonostante il fazzoletto bagnato premuto sulla faccia, il fumo gli inondava la gola, dandogli una tremenda sensazione di soffocamento. La palestra adibita a dormitorio, dove molte ragazze stavano riposando nel momento del fatto, stavano nel piano sotterraneo nella parte Ovest ed era lì che Xander, Kennedy e alcune Cacciatrici incontrate sulle scale erano dirette. Mentre arrancava giù dalle scale, Xander sentiva sempre più la morsa del fumo nella gola. Arrivati alla palestra, Xander si trovò di fronte una scena che lo paralizzò. Parecchie ragazze giacevano ancora nei letti, incoscienti, probabilmente svenute dall’inalazione di fumo. Il fuoco che si propagava ad una velocità inaudita, aveva ormai invaso metà palestra, inghiottendo tutto ciò che si trovava sulla strada. Xander e le altre si guardarono, con gli occhi sbarrati e la stessa domanda stampata in fronte: come avrebbero fatto a portarle via tutte in tempo? Prima che potessero trovare una risposta, uno scricchiolio fortissimo li spinse a guardare in alto, sul soffitto, appena prima che una trave di grandezza titanica gli si rovesciasse addosso.
---
La velocità con cui l’incendio si era propagato era qualcosa di mai visto prima. Willow continuava a pronunciare formule e a lanciare incantesimi ma il fuoco sembrava immune a tutti i suoi sforzi di domarlo. Si tratta di fuoco magico pensò Willow, sull’orlo della disperazione. Non lo aveva mai incontrato in quella forma, non aveva idea di come agire per fermarlo e quel senso di impotenza la faceva urlare dentro. Deva, la bambina di 11 anni più giovane del gruppo, era rimasta vicino a lei, cercando di trattenere i singhiozzi, mentre le altre si adoperavano per lanciare secchi d’acqua sul muro di fuoco. Non sembrava esserci nulla da fare. Dalla finestra dell’ultimo piano, una delle poche rimaste intatte, si profilò la figura di una ragazza, completamente ricoperta di nero.
< Salta!! > urlò Willow < ti prendo io!! > La ragazza si gettò dalla finestra e Willow rallentò la sua caduta con un incantesimo lievitante.
La ragazza si riversò a gattoni, scossa da tosse e conati di vomito. Willow si gettò accanto a lei, alzandole la testa non troppo dolcemente < C’è ancora qualcuno agli ultimi piani? > la ragazza la guardò con gli occhi lucidi e iniettati di sangue.
< Nessuno.. solo Buffy > tossì < inseguito > Prese un attimo il fiato < responsabile > Poi svenì. Willow richiamò le ragazze impegnate con i secchi < aiutatela! > In men che non si dica, la parte est dell’edificiò crollò, portandosi dietro legno, cemento e qualsiasi altra cosa ci fosse al di sotto
< Cosa hai intenzione di fare?? > le urlò una delle ragazze di rimando, mentre Willow si avviava correndo nella boscaglia.
< Da questa parte non c’è più niente da fare!! Andate ad aiutare Xander e Kennedy, sono nell’ala ovest a cercare le altre ragazze! >
Senza aspettare risposta, corse nel bosco, pronunciando una formula di tracciamento. Se la ragazza non delirava e chi aveva causato quella distruzione era ancora in giro, Buffy avrebbe decisamente avuto bisogno del suo aiuto. Willow aveva letto di ben pochi demoni che potessero utilizzare un simile potere e tutti, dal primo all’ultimo, possedevano dei poteri magici che avrebbero dato filo da torcere a qualsiasi Cacciatrice. |
Ritorna all'indice
Capitolo 10 *** Stupida, stupida, stupida... ***
Dopo aver consegnato l’ultimo pacco della giornata a un vecchio scorbutico che non mi ha dato neppure un po’ di mancia (quanta pazienza devo avere per queste povere, vecchie generazioni) mi sto rilassando in una delle panchine fuori dalla Jeep House, insieme a Ronnie e Sara. Conosciamo Sara da quando abbiamo iniziato a lavorare qui. È una tipa a posto, con cui ci si va tranquillamente d’accordo. Fin dall’inizio ci prova con Ronnie e lui pare che cominci ad abboccare, nonostante tutto. Anticipo ogni possibile supposizione: non sono gelosa. Ronnie è come un fratello per me. Siamo stati compagni di stramberie, partner di furti e amici del crimine. Lui mi conosce meglio di qualunque altro, anche se non mi conosce del tutto. Sa che sono una brava ladra. Che so combattere fin troppo bene. Che so saltare da un tetto all’altro anche se a separarli ci sono diversi metri. Ma non mi ha mai chiesto come sapessi fare tutto questo o perché. Lo ha accettato e non ha mai indagato oltre quello che volevo fargli sapere. È per questo che andiamo molto d’accordo. Ora cerco di fare tutto per allontanare il suo pensiero dal fratellino. So che sta scoppiando dentro, vorrebbe indagare a fondo la questione, trovare i presunti responsabili e fargliela pagare. Vedo nei suoi occhi una sete di vendetta, la stessa che io, per ragioni molto simili, cerco continuamente di sotterrare e combattere. Per adesso fa di tutto per non fare emergere quella parte di sé, ma prima o poi lo farà. La sua rabbia uscirà in un botto, come un’esplosione. E io sarò lì e farò di tutto per evitare che si bruci.
< Andiamo a fare un salto da Snake? > chiede Sara mentre si fuma una sigaretta.
< Io ci sto > fa Ronnie, mentre se ne accende un’altra < Lexie? >
< Stasera passo ragazzi. Ho del lavoro da fare > dico, buttando il mio mozzicone a terra < anzi già che ci penso devo andare adesso. Ci si vede! > Mi fanno un cenno mentre mi allontano < Ah > aggiungo < Divertitevi! > faccio l’occhiolino a Ronnie che arrossisce impercettibilmente. Fa tanto il duro, ma io so che è un ragazzo molto diverso da come appare. Prendo la mia bici e mi avvio verso Storen Street. Reek sa che è da molto tempo che cerco un esperto di manufatti che mi possa dire qualcosa di più sul mio medaglione. Gli ho specificato che volevo qualcuno di bravo ma discreto, in grado di tenere la bocca chiusa qualunque cosa avesse scoperto. Insomma, un tipo professionale. E, finalmente, ho un indirizzo. Al confine della Zona, c’è un posto di blocco dove una pattuglia di Agenti Paritari controlla i documenti di ciascuno e si assicura che nessuno sgattaioli indisturbato dall’altra parte. Mi metto in fila. Davanti a me c’è una famigliola con una bambina in braccio di tre anni o giù di lì. Avverto il loro stato d’animo e capisco che stanno per fare qualcosa di cui più tardi si pentiranno. Infatti l’uomo, quello che suppongo che sia il padre, si agita nervosamente, trafficando nella sua giacca, dove intravedo un rigonfiamento. Okay, ora è sicuro che stanno per fare qualche cazzata. Mi avvicino a loro con aria indifferente e mi piazzo dietro l’uomo potenzialmente armato. Davanti a noi ci sono ancora due persone che aspettano di passare, quindi a occhio e croce dovrei avere un paio di minuti. Lo sfioro leggermente con la punta delle dita. Lui sussulta ma non si gira. < Senti > mormoro in modo che solo lui possa sentirmi < ci sono 7 Agenti. 4 umani e 3 demoni, ognuno dei quali potrebbe elettrizzarti prima ancora che tu possa emettere un solo fiato. Vuoi davvero mettere in pericolo te e la tua famiglia? Tornate da dove siete venuti e subito >
< Tu non capisci > sussurra con voce insolitamente ferma < mia figlia è malata e qui nel ghetto non possono curarla >
< Uccideranno te e arresteranno tua moglie e tua figlia se fai quello che hai in mente. Vuoi davvero questo? >
< N-non pos-so > mormora. Ora la sua voce trema, ma la sua mano si stringe più forte alla pistola.
< Vattene! > gli ordino a denti stretti < Creerò un diversivo > Ma l’uomo sembra non sentire più ragioni e rimane al suo posto. Maledetto cretino! Ma ha fatto la sua scelta. Io non posso farci niente. Ma faccio l’errore di incrociare gli occhi della bambina. Sono lucidi ma asciutti. Profonde occhiaie le segnano il viso magro e il suo sguardo è spento, non è uno sguardo di bambino ma uno sguardo adulto, consapevole delle sofferenze e dei mali che imperniano questo mondo schifoso. Maledicendomi ancora per la mia futura stupidità esco con noncuranza dalla fila e mi infilo velocemente in un viottolo secondario. Lascio la bici e indosso una felpa nera con cappuccio. Sistemo i coltelli (le uniche armi che mi arrischio a portare di nascosto ai posti di blocco) e mi arrampico rapidamente sulla palazzetta diroccata di fronte a me che da direttamente sul muro di cemento che sbarra il passaggio da questa Zona all’altra. Mi sporgo dalla balconata e vedo quattro guardie che sono piazzate sulle palizzate d’acciaio percorse da filo spinato. Sono fermi al loro posto e scrutano la folla sotto di loro. Tra loro ci sono i tre demoni, poco propensi ad interagire in qualsiasi situazione con gli esseri umani. Sono armati di fucili paralizzanti, l’arma standard degli Agenti Paritari. Gli altri tre sono davanti al cancello a controllare i documenti e spintonare chi si attarda un po’. Mi stringo il cappuccio con i lacci e preparo i coltelli. Tocca all’uomo e alla sua famiglia. Porgono dei fogli sgualciti che dovrebbero costituire il loro permesso al passaggio e che, ovviamente, sono stati falsificati. Il primo agente li guarda attentamente, alzando un sopracciglio. Mormora qualcosa al suo collega a cui passa il foglio. Poi quest’ultimo, dando un’occhiata veloce, miracolosamente, dà loro il via libera. Mentre il cancello viene aperto, ho un sospiro di sollievo, sollievo che dura pochi secondi. Uno degli agenti all’ingresso urla qualcosa alla famigliola e mette la mano sul calcio della pistola. L’uomo e la donna cominciano a correre all’impazzata, mentre gli Agenti Paritari gli puntano i fucili contro. Tutta la folla in attesa cade nel panico e comincia a urlare e scappare. Vedo subito che la famigliola non può avere speranze: stanno percorrendo una vasta piazza, priva di qualsiasi riparo e l’uomo sta sparando alla cieca dietro di sé mentre la moglie con la bambina piangente che si divincola in braccio cerca invano di aumentare il ritmo della corsa. Con un salto di qualche metro, atterro sulla palizzata. Il primo demone, un Yole scorbutico e stupido, non riesce neanche a esprimere la sua sorpresa perché gli taglio la gola in un secondo. Uno zampillio di sangue verdastro comincia a scorrere dal taglio, mentre cade a terra con un tonfo. Neanche il secondo demone riesce a rendersi conto di cosa sta succedendo perché il mio coltello lo centra nel cuore. Adesso ho tutta la loro attenzione. Gli altri due, un umano e un Kasir (una sorta di lucertola bipede) smettono di sparare sulla piazza e puntano i fucili nella mia direzione. Mi aggrappo al bordo del muro, scansando i proiettili elettrificanti e, dandomi lo slancio, atterro direttamente sul Kasir. Sibila arrabbiato e mi colpisce il braccio con uno dei suoi artigli lunghi e puzzolenti. Cerco di ignorare il dolore (tra l’altro mi ha colpito nello stesso punto dell’altra notte) e con un calcio lo scaglio di fronte a me, contro il suo compagno. Entrambi ruzzolano giù dal muro e si impigliano nel filo spinato. Ora tocca agli Agenti a terra che si sono già lanciati all’inseguimento dei fuggitivi. Sono quasi arrivati alla fine della piazza, ma non ho tempo di raggiungerli prima di perderli di vista, quindi afferro uno dei fucili abbandonati e miro a quello più in avanti, che sta per raggiungere la famiglia. Lo colpisco alle gambe, ma cade a terra all’istante, paralizzato. Ottengo quello che voglio: gli altri due lasciano perdere il loro precedente obiettivo e si dirigono su di me. Probabilmente pensano che un potenziale Ribelle che ha appena messo a terra la loro squadra, sia una preda più succosa rispetto a una delle tante famigliole di profughi che tenta di scappare dal ghetto. Mi appiattisco a terra, evitando per un pelo tre scariche che mi passano sopra la testa, schiantandosi sulla guardiola dietro di me. Sento che rallentano la loro corsa, probabilmente sono convinti di avermi beccato. In un attimo mi alzo con un coltello per mano, un secondo per mirare i due obiettivi e lancio. Cadono a terra, trafitti. L’adrenalina mi scorre in corpo, ho il cuore che batte all’impazzata e il respiro irregolare. Mi ci vuole qualche secondo per capire che non c’è un pericolo immediato. Regna un silenzio inquietante, persino i rumori della città sembrano lontani. Sto per saltare giù dal muro e volatilizzarmi quando un pugno mi raggiunge la schiena, lanciandomi in avanti e togliendomi il fiato. Ho appena il tempo di girarmi che un altro pugno si abbatte sul pavimento sotto di me, a due centimetri dalla mia testa. Con un colpo di reni mi alzo in piedi, colpendo il mio assalitore con un calcio alla faccia. È il secondo demone, uno Screezer piuttosto abile. Il mio coltello è inficcato nel suo cuore dove l’avevo lasciato quindi che diavolo... Ops, dimenticavo che gli Sceezer hanno il cuore vicino al braccio destro. Il demone riesce a abbattermi di nuovo a terra. < Ok, amico > gli dico, saltando in piedi. < Ora mi hai proprio stufato > Gli assesto un paio di pugni in piena faccia, facendolo arretrare. Poi con un calcio rotante lo spingo a tre metri da me. Sibila e allarga le braccia, mostrandomi gli artigli.
< Certo che voi Kasir siete proprio degli esibizionisti! > esclamo mentre afferro gli ultimi due coltelli e li lancio verso di lui. Uno dei due riesce a deviarlo con la mano artigliata, ma il secondo gli si conficca appena sotto l’ascella destra. Mi guarda sbalordito per un secondo, poi ruzzola a terra. Ci metto un attimo in più per realizzare che ora è davvero finita. Tutti gli Agenti Paritari sono a terra, immobili. Anche quello che si era impigliato nel filo spinato insieme al Kasir è ricoperto di sangue e non si muove. Un grumo di sangue all’altezza del collo suggerisce che le punte di acciaio gli abbiano perforato la carotide. Recupero rapidamente tutti i coltelli, nel caso ci sia qualcosa che possa ricondurre alla mia identità notturna e ritorno nel vicoletto, dove ho lasciato le mie cose. La felpa è tutta imbrombata di sangue, non posso portarmela dietro, non con l'alto rischio di perquisizioni. La nascondo in fretta sotto il bidone della spazzatura. Verrò poi a riprenderla stanotte, quando le acque si saranno calmate. Indosso i miei vestiti giornalieri: pantaloni chiari larghi e felpa blu con stelle rosse disposte a formale un triangolo isoscele (l’orrendo marchio della Jeep Company). Al petto l’immancabile cartellino “Jeep Express” con la mia foto appiccicata sopra. Per finire un bel cappello rosso, la mia aggiunta personale. Inforco la mia bici e quando i primi allarmi cominciano a suonare e i primi Agenti a scalpitare sono già a casa. Mi sa che dovrò nuovamente rimandare l’indagine sul mio medaglione. |
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=3197898
|