Alexei & Cat

di queenjane
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Alexei & Cat Kings of Men ***
Capitolo 3: *** I Tears in Heaven ***
Capitolo 4: *** Bucefalo ***
Capitolo 5: *** From the Hell ***
Capitolo 6: *** You and Me ***
Capitolo 7: *** Always US ***
Capitolo 8: *** I am pround of You, my Knight ***
Capitolo 9: *** Look Me ***
Capitolo 10: *** My Hero, Go ***
Capitolo 11: *** Game of Gods ***
Capitolo 12: *** Alexander Palace ***
Capitolo 13: *** Fuentes ***
Capitolo 14: *** Time Out, Wine and Love ***
Capitolo 15: *** A Quarrel ***
Capitolo 16: *** End ***
Capitolo 17: *** The Return ***
Capitolo 18: *** Sissy (sorellina) ***
Capitolo 19: *** El picador y el lobo ***
Capitolo 20: *** I Trust in You ***
Capitolo 21: *** Aleksey My Hero ***
Capitolo 22: *** A spoiled Prince ***
Capitolo 23: *** Always a Team ***
Capitolo 24: *** My beloved Little One ***
Capitolo 25: *** My Little One, ALexei ***
Capitolo 26: *** Hymn for the Missing. ***
Capitolo 27: *** Never More ***
Capitolo 28: *** This is The End, My Friend ***
Capitolo 29: *** Prisoners The Dark Side ***
Capitolo 30: *** I Need You ***
Capitolo 31: *** Alexei & Cat Waiting The Still Spring ***
Capitolo 32: *** Grow Old With Me.. Alexei the Soldier” ***
Capitolo 33: *** For You and Me ***
Capitolo 34: *** Cat ***
Capitolo 35: *** Argo - The Soldier Prince ***
Capitolo 36: *** The Soldier and The Rose ***
Capitolo 37: *** Why? My life for a rent ***
Capitolo 38: *** Believe Me ***
Capitolo 39: *** A Journey, Tears and Secrets ***
Capitolo 40: *** Remain ***
Capitolo 41: *** If You Believe ***
Capitolo 42: *** Good Life, Soldier Prince ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


... Il quartiere generale.
 Rumori e segretezza... E tanto lo zarevic, il diletto e viziato erede al trono dormiva, un dolce peso morto contro le mie gambe, incurante di tutto, una mano tra le mie. Rilassato, in quiete, una volta tanto, che si agitava anche nel sonno.
“ Cat”, aveva mormorato il  nomignolo, Cat per Catherine... Un sospiro ... Il mio.
Che sarebbe successo? Quanto avremmo passato?
Era testardo e viziato, mi esasperava e divertiva come mai nessuno.
 Un soldato in fieri.
Un monello.
Amato.
Il mio fratellino.

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Capitolo 2
*** Alexei & Cat Kings of Men ***


 Era una sorta di incubo a occhi aperti.
Maledetta guerra.
Maledetti tedeschi.
Maledetta me. Se non mi avesse conosciuto e sposato non sarebbe morto come un cane, lontano da casa, alla schiena, lui che era stato  un soldato e un uomo coraggioso per tutta la vita.
Mio marito, Luois, de Saint Evit, sposato nel giugno 1913, morto nel settembre 1914, la sua sfortuna primigenia era stata innamorarsi di me, Catherine, nata nel 1895, lo stesso anno della prima figlia dello zar, Olga, amica, sorella e quanto altro, ero cresciuta al Palazzo di Alessandro, dimora degli zar, un privilegio, convivendo educazione e risate con le quattro granduchesse, Olga, Tatiana, Marie e Anastasia, adorando lo zarevic, delicato, fragile e bellissimo.
Un’infanzia e una adolescenza, in armonia, nonostante tutto, fino a scoprire il vaso di Pandora.

Fu allora che cominciò la mia lotta, entrando a pieno titolo nell’età adulta, dopo avere esaurito  tutte le mie lacrime.
Convinsi per sfinimento  mio zio Aleksander, elaborando un piano di stratagemmi e sotterfugi, mi reclutò come agente segreto per la polizia segreta russa, la Ocharana, per il mondo sarei partita come infermiera volontaria sulla Marna. All’epoca riteneva che avrei mollato dopo un mese, come no, ero selce, fumo, disperazione.
Peripli e incastri, la polizia segreta russa collaborava con i servizi inglesi e francesi, ebbi degli incarichi, un nome in codice, Cassiopeia 130.

Appresi a stare da sola, conoscendo una solitudine che non avrei mai reputato possibile.
Ho cercato il nome di mio marito nelle ore e nei giorni, una stella, un segreto, navigando tra vino e torpore, ah se mai avessi amato mai avrei sofferto, mi sentivo indegna.
Nelle notti insonni e solitarie, tornavo alla mia antica passione per la lettura. Omero, Machiavelli, Dante, Shakespeare e Flaubert, le lingue straniere, ero una furtiva ombra che danzava sotto le stelle, i lampioni, una principessa di neve.
E l’ora che precedeva l’alba era buia e fredda, mi sentivo svuotata, un cavo proiettile, rievocavo mio fratello e Olga e i suoi, un momentaneo abbandono. Solo una distrazione, un pensiero.
E un lampo azzurro, Cat, quando torni…
Non lo so, Alessio.
Forse mai più.  Dimentica, starai meglio senza di me..
 Sei solo un bambino, scorderai, no? O mi auguro questo, per te. E le assenze mi straziavano
All’atto pratico, oltre a passare da una  lingua all’altra,avevo imparato a montare e smontare le armi, sparare a un bersaglio, la lotta libera e molto altro. Addestrata come un soldato una spia.. non una principessa o una infermiera, vi sarebbe stato da ridere.
Inferno in terra, la trincea, il lamento dei feriti.. le granate.
Ero Cassiopeia 130, una spia che si occupava di combattere la rivoluzione strisciante, lecito ogni mezzo, compreso barare e mentire, la disperazione danzava nel cuore..
Poche e essenziali necessità, poi, la fame, il sonno ed  il sesso. Tutto istintivo, primario, i bisogni erano quelli di cui sopra, scoprivo la lotta tra la mente e il corpo, il mio corpo Giuda, eterno traditore, che si ricordava del respiro, della vita, ma non di quelle che aveva custodito, due volte avevo concepito e due volte avevo perso i figli di Luois nel grembo.
Mi insegnò poi Alessio a combattere, un giorno dopo l’altro, una dura lezione che appresi da LUI,  amava la vita e ci teneva, la malattia lo aveva reso delicato come un vetro veneziano e, pure, non mollava,  fosse solo per avere un giorno in più.

PER IRONIA O CASO CERCAVANO UN SOGGETTO COME ME, CHE CONOSCESSE LE LINGUE, SAPESSE CAVALCARE E .. BELLA E SEDUCENTE, UNA PIETRA DA SCOCCARE, UN PROIETTILE PER UNA FIONDA.



La sopravvivenza, come suole dirsi, quando alla paura, istintiva, subentrò una gelida collera, che voleva quello?
.. Ti piacerà, puttana, sei  vestita  da ragazzo e..NO.
Ero una bastarda, una puttana, ma non la sua, quindi non aveva nessun diritto di infliggermi quella violenza, né io avevo da riscontare quel peccato specifico.
Voleva togliersi i pantaloni, un muro alle mie spalle, dinanzi il mio potenziale stupratore e il suo alito fetido di vino.
Battaglie perse, guerre mai iniziate, un codardo come il marito di mia madre.
E valeva essere la pena essere una bastarda, pur di non essere stata generata da un vigliacco.
E un lampo azzurro, Cat, quando torni..
Non lo so, Alessio. E mi manchi, come Olga, come tutti... Tornerò, per Te, per Voi.
NON VOGLIO MORIRE così .
Un colpo al ventre, capelli strattonati, un coltello che cambiava proprietario e un dolore lancinante al braccio sinistro, rantoli e.. i miei passi che guadagnavano la cima del vicolo, cercavo la notte e le sue ombre propizie, uccidi per legittima difesa, per istinto, come un animale non devo sentirmi in colpa, non cercavi vendetta
Al mio alloggio mi spogliai, i denti stretti per non urlare il mio dolore, il suo sangue e il mio, lo squarcio sull’arto.. Bruciai  i vestiti nella stufa, gli stivali li gettai e il medico che mi curò non fece domande, si limitò a prescrivere di mangiare carne, riposarmi e che ero fortunata, un colpo più preciso e andavo al Creatore. Il sangue mi batteva dentro le orecchie, non cedere, non mollare, discendi da Felipe de Moguer, un combattente nato e combatti da una vita, che fai molli ora? NO. E allora stringi i denti e vai avanti.
Stilai il mio rapporto, riferendo di un incidente, i giornali segnalarono una rissa tra vagabondi, un morto e finì con una cicatrice in più e altra innocenza perduta per me. E volevo i miei fratelli
Alessio, mi manchi, come Olga, come tutti... Tornerò, per Te, per Voi. Te lo prometto.
In principio era per darmi un contentino, ma ebbi la fortuna di centrare degli obbiettivi e divenni indispensabile, non amo rievocarli, è solo una nebbia confusa, segni tangibili la mia cicatrice, consegno il resto all’oblio, al dio delle guerre, delle battaglie.
 
 
“Basta Alessio!! Non torna, non tornerà!” glielo aveva chiesto in un sussurro, senza aspettare che si riprendesse, era stanca e irritabile dopo ore di turno in ospedale, tra gemiti e feriti.
“Sei cattiva!!”enunciò.
“Smettila di chiamare Catherine, di cercarla .. ti ha promesso qualcosa? Di specifico” scrollò le spalle.  Se all’ospedale di Caterina vi era una certa organizzazione, un letto per ogni ferito, bende, medicinali e quanto altro, come era nelle trincee? Orrore.. E si andava avanti un minuto alla volta, la ragazza si sentiva impregnata dell’odore di medicine, etere, sangue, e tanto altro.. Aveva timore che le rimanesse appiccicato, voleva fare un bagno e.. suo fratello la cercava per quello.. Gli assenti non tornano, mai più.
“No.. però. Mi manca.” Come al solito, come sempre.
“Sarò cattiva e quello che ti pare .. ma non tornerà, mai più. La principessa che conoscevamo.. ha una nuova casa, altri amici” speriamo, per te, Catherine, che ritrovi un  minimo di pace, tanto non ti rivedrò mai più.
“E allora?” ansioso, impaziente.
“E’ finita, zarevic, non tornerà mai più, impara a dimenticare”
“NO”
“Invece sì. Mi sono abituata io, a stare senza, figuriamoci te “ E mentiva, sapendo di mentire. Le mancava, a prescindere, era una amputazione,  era sempre la sua migliore amica, una sorella, e  le aveva detto, ferita, straziata, spero solo di non vederti mai più.
“Sei bugiarda e sei cattiva, scrive..”
“Alessio .. non la rivedrai più, per come la conoscevi, ha finito, io ho finito..”il pianto del bambino si perse tra le nuvole, non osò infierire e tanto era finita, prima capiva e meglio era, anche se quelle parole erano una coltellata
 “Lasciami solo! Lasciatemi in pace!!”
“Calmati, rischi di sentirti male! Ti lascio se ti calmi, promesso.” E l’aveva cercata lui, a proposito.
“La voglio..”
“Che ti ha detto, quando ti ha salutato?”
“Cerca di stare bene e .. addio.. Colpa tua, se avete litigato solo colpa tua..” Olga diventò color brace, quindi sbiancò, fosse stato un ragazzino normale non la avrebbe passata, non doveva, che imparasse “Addio significa mai più.. Se abbiamo litigato o  meno non è di tua spettanza..”
“Invece sì..se le conseguenze mi riguardano! Dove vai, Olga?”
“In corsia e ..tanto da questo orecchio non ci senti” una pausa “Sono stanca, Alessio, facciamo turni di 12 o 14 ore e preferisco continuare” scrollò la testa, gli sfiorò una spalla. “ E non va, non va”
“Olga .. scusami”
“Scusami tu, Alessio " lo abbracciò per un momento " Anche se è andata via ne parlo, ci penso.." 
"Guarda che .. ”
.. living every day like it is your last. Applicando la filosofia di Alexei, la sua infantile saggezza, era lui il vero drago, il lupo ed il combattente. E mi mancava, una ferita sempre aperta.
E io mancavo a lui.
Alexei aveva scritto una composizione in russo, per le sue lezioni, nel 1914.  “La porta si apre e un ufficiale entra nella stanza, si siede e suona il campanello. Viene un valletto” Lei gli avrebbe detto che poteva descrivere l’ambiente, il dialogo, ma la cantastorie era lei, non lui..  Cat.. Continuò a leggere.
Venne celebrato in servizio. Il reggimento marciò accompagnato da una folla immense, tutte le signore erano alla stazione per dare il loro arrivederci. Il treno lasciò la stazione, tutti dicevano "Hurrah." La moglie di A. P. tornò a casa in lacrime (…)Andò in chiesa, mise una candela di fronte all’icona della madre di Dio e pregò, con fervore” Come facevano tutte le donne, mogli, madri, fidanzate, sorelle che avevano il loro uomo alla guerra.
Trascorse un mese. Il reggimento in cui serviva A. P. fu destinato a combattere contro i tedeschi. In una battaglia il reggimento ebbe delle perdite, alcuni ufficiali vennero feriti, tra questi A. P., alla testa ed al petto (…) All’ospedale, una delle sorelle di misericordia lo vide e lo riconobbe, era suo marito. Le ferite erano serie, il paziente venne mandato a curarsi nella sua città natale di Chisinau. Sua moglie lo accompagnò (..) Si ristabilì e tornò al reggimento, portando con sé scarpe e indumenti caldi per i soldati. Sua moglie tornò all’infermeria. Entrambi sono vivi e stanno bene e rimarranno in guerra fino alla fine. 
The end.
A.R. 1914"
In the war until the end
Settembre 1915, Mogilev, Quartiere Generale.
Mi chiamarono lupo, tempesta, ero lodata come una segreta punta di diamante della polizia segreta, un soldato militante.
Per altri Cassiopeia era un lupo bastardo, un ermafrodito, una puttana, le voci così esagerate da parere irreali e quindi senza fondamento.“Che il diavolo ti porti, ragazzina. “La voce di mio zio era grave “Pensavo che dopo poco ti scocciassi, ti impaurissi e che volessi tornare strisciando da tua madre e invece.. NO. E nulla ti è mancato“
“Avete sbagliato tiro. Sono stata utile, malgrado tutto, e nel giro di una settimana ho catturato chi mi sorvegliava, ammetterete che non ero una fessa”
“Già, purtroppo. O per fortuna. Almeno non hai l’arroganza di considerarti indispensabile.”
“ Per adesso, no. Posso congedarmi? Ho ..”la stanchezza mi era piovuta addosso, come una cappa malinconica, quanto tempo era che non riposavo senza il sottofondo di rumori molesti o il suono dell’artiglieria, la tensione nei muscoli e negli arti contratti? Già il non ricordarmene era una risposta adeguata, come il mancare di osservare bene mio zio ed i dettagli della sua stanza, la mia ironia era stata fuggitiva.
“Meriti una pausa. Domani incontrerai lo zar. Lui voleva trovarti già oggi, è qui con il suo erede, il ragazzino si considera un soldato, veste l’uniforme e mangia pane nero come le truppe, non che mangi molto, a dire la verità ma è davvero bravo, anche se ciarla senza sosta, una volta superata la timidezza. Sei spiritata, magra, con due occhiaie da paura, gli faresti impressione, domani gli farai meno spavento, o lo spero“ Sorrisi ascoltando quella descrizione di Alessio, evitai di offendermi sul paragone ad uno spaventapasseri.
Tacque per un momento, soppesando se dirmelo o meno, poi decise per la verità
“ Quando l’imperatore ha saputo l’identità di quella tale persona, chi era Cassiopeia, stava per picchiarmi. E non vi era modo per farti tornare indietro. Le tue operazioni andate a buon fine hanno acceso la sua curiosità,  ignorava chi fosse quella spia, il nome vero. Ha chiesto, in segreto, ho dovuto dirglielo”
Cassiopeia era il mio nome da agente
 Mi chiamavano lupo e puttana, tempesta la definizione più gentile.
Era la guerra, l’oblio. Ero come Achille, il terrore dei nemici, chi osava sussurrare quel nome? Se pensavo che un tempo, discutendo con Olga, osservavo di amare il saggio re Ulisse, la situazione attuale aveva dell’ironia senza misura,Dio si divertiva a giocare a dadi.
“ Cosa gliene importa, scusate, allo zar, di  me?”
“ Più di quanto credi, ragazzina. Sei una amazzone per davvero, e sul serio”Enigmatico.
Scrollai le spalle e uscii nella  sera settembrina, sulla soglia mi girai di scatto, il tramonto mi rivestiva di zaffiro e indaco, piccoli toni di rosso e ciliegia, un crepuscolo amaro, gli dei della guerra erano davvero lontani.“Non chiamatemi più ragazzina, non lo merito.” Ero magra e sottile, i corti capelli da ragazzo, con stivali e pantaloni potevo passare, come in effetti passavo per un maschio, la giacca ben stretta e le bende allacciate sullo sterno, nascondeva lo scarno petto, con un cappello calato sul viso mi mimetizzavo bene. E nessuno si sarebbe aspettato di trovare la discendente di Felipe de Moguer vestita in quella guisa, tutti la pensavano infermiera volontaria nelle trincee di Francia, vedova, martire in fieri, una matta conclamata.
“Hai ragione, scusami. Il tuo alloggio è nella parte posteriore. Tranne che lo zar, nessuno potrebbe riconoscerti, solo suo figlio e il suo marinaio di guardia, i suoi precettori non sono molto svegli ” almeno lo sperava. “ E meno male che la zarina e le granduchesse non sono qui”
“Lo ha portato qui?cioè è sempre qui..” quell’inverno era stato bene, sempre, non vi era stata nessuna grave crisi, per quanto di pubblico dominio, come quella di Spala.
Fece un cenno di assenso e lo lasciai alle sue carte.
Cat, quando torni??
Non lo so, Alessio.
Ho solo una grande voglia di rivederti..
Il mai più non esiste.
Sono sempre viva e mi manchi, mi mancate tutti.
E per il tuo bene, spero di non vederti.
Sono tornata.
Alessio .. cosa fai?
 
Il mio nome, nella polizia segreta, era di Cassiopeia 130, come le più luminosa costellazione dell’universo in cui ballavano gli astri .. da bambina, Olga sosteneva che erano lampade accese dagli spiriti amici.
Ed io ero solo buio.
Quando mi addestravano, poche, intense settimane,  benedicevo la stanchezza fisica, ero un automa che non si concedeva il lusso delle lacrime, mio zio era il mio diretto superiore che si rendeva complice di un azzardo, di una follia di cui si era pentito, ma ormai era andata.
Un bagno caldo, un letto morbido, un bicchiere di vino bianco, non badai ai particolari, ero tra amici, o aspiranti tali, mi fidavo .
Per quella sera non chiedevo di meglio.
Mi sdrai supina, le braccia aperte, aspettando un sonno senza stelle o sogni, come Felipe de Moguer, il mio antenato, in attesa delle battaglie.
Io sono Catherine e questa è la mia storia.
Dalla mia avevo la fortuna dei Rostov-Raulov, ero una giocatrice d’azzardo senza carte, giocavo con la vita, senza fallo, arrogante e egocentrica come mio solito.
 
Era passato un anno, era il settembre 1915 ed ero a Mogilev, il quartier generale dello zar.
Il patriottismo più sfrenato aveva portato ad assaltare l’ambasciata tedesca della capitale, che mutò nome in Pietrogrado, molto più slavo,  ai concerti vennero espunti i musicisti come Bach e Beethoven, venne abolito l’albero di Natale, che era una usanza teutonica.
Idiozie.. detto da quella che odiava i tedeschi era una suprema ironia. Anzi, un sarcasmo estremo.
Poi erano cominciate le perdite, i lutti e i morti, mancavano le munizioni e i fucili, al principio del 1915 vi era tale carenza di cappotti, stivali e uniformi che i soldati erano costretti ad aspettare la caduta dei nemici per prendere le armi e  i cappotti e via dicendo.
Si parlava di corruzione e ammutinamento, di spie che ridicevano i piani, i primi a essere chiamati in causa la zarina e il suo starec innominato, ovvero Rasputin, lascivo, senza misura, spiato e che spiava. Circolavano nuovi e feroci aneddoti sulla famiglia imperiale, un ufficiale riferì di avere trovato lo zarevic in lacrime, che non sapeva per chi piangere, che se perdevano i russi singhiozzava lo zar, se subivano perdite i tedeschi frignava la zarina .. "E lo per chi devo piangete?" Alessio non avrebbe mai fatto una tale affermazione, chiariamo, tranne che rende l'idea di come era il clima.. 
Le truppe russe combattevano le forze della  Germania e dell’Austria Ungheria sul fronte orientale, perdendo perdite immani.
Il generale Denikin, ritirandosi dalla Galizia, aveva scritto che l’artiglieria pesante spazzava via intere file di soldati, che i reggimenti erano finiti a colpi di baionette, che i ranghi dei soldati diminuivano e le pietre tombali si moltiplicavano. Chi sopravviveva, era a rischio per le infezioni  e chi non riportava lesioni fisiche aveva incubi duraturi.
Tra la primavera e l’estate del 1915, vi furono un milione e quattrocentomila tra morti e feriti, 976.000 i prigionieri.
E poi il 5 agosto era caduta Varsavia. Ultimo omaggio della Grande Ritirata.
A quel punto lo zar aveva deciso di assumere il comando delle truppe, recandosi al quartiere generale di Mogilev, esautorando suo cugino, il granduca Nicola, già comandante supremo delle truppe.
Un grave errore, che in caso di altre perdite, sarebbe stato associato ai disastri e peggio ancora, lontano dalla capitale, la zarina avrebbe sparso i suoi malefici effetti, coadiuvata da Rasputin.
I tedeschi erano nemici, lei era la Nemka, l’infida, la tedesca, la spia di suo cugino Guglielmo, Kaiser di Germania, nata principessa tedesca per i più era una straniera, che aveva dominato e dominava lo zar, che gli aveva dato un solo figlio maschio dopo anni, fragile e delicato,  che dicevano deforme, gobbo e ritardato.
Quella l’opinione accreditata, gli ambasciatori di Francia e Inghilterra avevano cercato di dissuadere Nicola II da quella determinazione, tutti i ministri del suo governo si erano dimessi per protesta e non era servito, che era lì.
Rasputin, nelle more, aveva combinato un altro dei suoi scandali, al ristorante Yar di Mosca, aveva importunato pesantemente un gruppo di donne, esibendo en plein air i suoi genitali, provocando una zuffa e, non contento, aveva urinato in pubblico. Alle rimostranze del gestore del locale, aveva ribattuto che era intoccabile, la vecchia (la zarina?) gli permetteva di fare tutto.  Uno scandalo più grande dei soliti, pardon, che si aggiungeva a quelli che creava con monotona regolarità, quando risiedeva nella capitale, la polizia lo spiava e lo proteggeva, annottando su dei taccuini chi entrava e usciva dal suo appartamento, la corte di adoratrici e  quanto altro, una delle favole della capitale.
Pensavo a quelle cose, il giorno dopo, le palpebre socchiuse, tra le mani una tazza smaltata di caldo caffè, godendomi il calore del sole e il profumo delle foglie, il semplice privilegio di essere sempre viva, un cavaliere con i quattro arti intatti, un proiettile da esplodere che era in carica.
“Principessa, che hai combinato?”
“Ho combattuto, Maestà, sono un soldato” Mi inchinai, tra le mani la tazza di caffè. Erano circa le sette di mattina, lui era giunto in anticipo, ma io ero sveglia da una ora abbondante.
Le parole fluirono automatiche, per un breve momento mi chiesi cosa facesse Olga, lei si era augurata di non vedermi mai più, io continuavo a pensarla, nessuno poteva vietarmi quell’esercizio dolente, intuivo che mi pensava ogni singola ora, poteva . Speravo che stesse bene, al meglio, pardon, considerate le circostanze, lei come le sue sorelle, scacciando il pensiero di Alessio e del mio fratellino. Che se li avessi rivisti, li avrei portati via con me, dispersi per sempre verso l’orizzonte, una fantasia, come avrei fatto con  un ragazzino di otto anni, curato un emofiliaco, per favore.. appena sapevo badare a me stessa, figuriamoci se ero in grado di gestire lo zarevic.
“Oh.. Principessa. Catherine. Figlia mia”Quelle frasi penetrarono la mia dura scorza, capivo ma non volevo capire, il segreto che aveva spartito con mia madre per tutta la vita, avevo evitato con cura una idea così assurda che poteva essere vera.
Figlia mia poteva essere un eufemismo, che lui ero lo ZAR, il piccolo Padre, detto Batiuska, padre del suo popolo, io una sua suddita, sua figlia, ero tanto brava a raccontare storie che alla fine finivo pure io per credervi.
“Chiamatemi lupo, tempesta, o meglio Cassiopeia.”
“Catherine” Mi posò le mani sulle spalle, mi ero rialzata, una stretta salda e ferma. “Sei solo Catherine, il resto..”una pausa “Catherine, alla francese, lingua che parli benissimo.. Catherine e non ti sminuisco, sei una amazzone, un tornado..”
I suoi occhi chiari alla stessa altezza dei miei, scuri come miele.
Non mi sottrassi a quella limpida occhiata, tutto scemò nel silenzio.
Rievocai il suo braccio che mi accompagnava a un ballo, il permesso di poter sposare mio marito, la stretta al suo funerale, compresi .. o cominciai a capire.
Posai una mano sulla sua schiena, mi strinse le dita.
Se il destino fosse stato diverso sarei stata Ekaterina Nicolaevana Romanova, figlia dello Zar, sorella di Olga, Tatiana, Marie e Anastasie Romanov, oltre che di Alessio Romanov.
La  sua primogenita concepita in una luminosa primavera, così lontana che pareva già una leggenda.
La figlia segreta, la bastarda dello Zar
ERO IO.

 
“Te lo affido”enunciò, la voce grave, i movimenti pesanti, mentre il ragazzino vibrava di gioia, aveva fatto fessi sia me che suo padre, i suoi occhi trionfavano di gioia e soddisfazione, un folletto, birichino e malizioso.
Dormiva nella stessa stanza, sempre lo seguiva passo per passo,  e non trovandolo quella mattina si era vestito piano e lo aveva tallonato, voleva fargli una sorpresa e la sorpresa l’aveva ben fatta a entrambi, lui credeva che non si sarebbe svegliato, confidando nel suo sonno immobile, di bambino e aveva altri pensieri, ritrovare ME e tanto altro (Nicola apprese che quando aveva incontri molto delicati doveva affidarlo a persone di fiducia, per non ritrovarselo ai talloni, il talento nell’evadere e spuntare all’improvviso era infinito).
Aveva seminato il suo marinaio infermiere, le guardie,tralasciamo che era davvero presto, una felice combinazione, il suo nuovo passatempo, più cresceva e meno tollerava l’essere guardato a vista, era diventato bravo come un agente della polizia segreta, un vero segugio a cercare varchi, osservare e via così.  Ed era presto, veramente presto.
Ed era una alba come una altra, pallide nuvole scialbavano il cielo a oriente, tipiche della fine dell’estate, indaco e grigio, pensava a tutto, tranne che non si sarebbe aspettato di trovarmi.
Vestito come un ragazzo che seguiva le truppe, nel suo lungo cappotto di cadetto, vicino al quartiere generale, era passato come un semplice soldato, la figura sottile ed elegante.
La sorpresa, reciproca, un momento immobile, poi avevo aperto le braccia e mi si era buttato addosso, lo slancio così forte da far quasi perdere l’equilibrio, eccolo che mi si era stretto contro. Con gioia, incredula lo guardavo. 
Cat”
“Aleksej, amore, ciao”lo baciai, commossa, sussurrando, non mi pareva vero che fosse con me“ Tesoro mio, che bello, come sei diventato grande..” le ginocchia per terra, lo serravo tra le braccia, stretta con pari zelo.
Lui mi  riempiva il viso di baci, le dita contro i miei corti capelli. L’ultima volta che mi avevo visto li portavo lunghi fino alla vita,raccolti in suntuose trecce o chignon,  nel 1915 erano corti come quelli di un paggio irriverente, castano scuro, scintille mogano che si accendevano sotto i barbagli del sole, rubino e melagrana scuro.
Era cresciuto e, insieme, era rimasto il fanciullo che avevo amato, che amavo, desideroso di storie,che amava Achille.
Di profilo, ora ci somigliavamo come incisioni, mio zio lo aveva, infine, capito, ignorando volutamente il prezzo pagato da mia madre Ella. E non formulava la domanda, una coincidenza, ci poteva stare, di più no.
Io pensavo solo a me stessa e ai miei guai, mentre Ella cercava di fare il proprio e l’altrui bene, presiedeva ai comitati caritativi, educava il mio fratellino, dei suoi sogni o delle sue speranze nulla diceva, era una principessa, in attesa, costante, la sua bellezza si era tesa e raffinata, era sempre molto bella, nonostante la malinconia, ormai aveva scavallato le quarantaquattro primavere.
“ Cosa fai qui?” Ridendo. Commosso.  “Sei tornata, Catherine, Cat, sei tu.. Vero, non era un addio” già .. avevo fatto finta di non sentire quella sua domanda, ansiosa, precisa, illudendomi che era un bambino e avrebbe dimenticato, conoscevo tante lingue e tante parole, non avevo saputo mentirgli su quella questione specifica. “Ti tocco, ci sei, sei vera”
“Una sorpresa. Forse. Hai sbattuto da qualche parte?sono io … più ossa che carne, e tanto sono io, Zarevic, ti fa male qualcosa”
“NO. Catherine. Sono sicuro” prevenendo la successiva, ansiosa domanda.
“Sono qui, in segreto” Le mie labbra si aprirono in un sorriso mentre valutava gli stivali, i pantaloni e la scura giacca che indossavo.
“ E non devo dirlo”, contrattò svelto. “Desidero .. Anzi voglio che.. “
Lo zar scosse la testa, rassegnato. “Sentiamo, cosa vuoi?”
“Alessio. Aleksej Nicolaevich, Zarevic, bambino mio  .”Gli toccai le spalle, poi la fronte. “Cosa vuoi?” Una mezza idea la avevo.
“Passare la giornata con te. Con te, Catherine, Papa. Mi è mancata, la voglio, è mia” Ricordava così tanto Olga da spezzarmi il fiato, e non ero la sola, anche lo zar pensava la stessa cosa. E io volevo stare con lui”Senza marinai o precettori. Per favore, ti prego, Papa“un tono a mezza strada tra la supplica e il comando, e mi si era cacciato e stretto addosso, ricambiato con trasporto, lo stringevo ed era una liberazione dal dolore e dal buio di quelle lunghe stagioni.
“Va bene. Dalle retta, le devi obbedire in tutto, nessun capriccio, non scappare a  destra e manca, come fai di solito, o è la volta buona che ti metto in punizione, te la senti, principessa?”Un cenno con il mento, non volevo deludere lo zarevic nel breve periodo, nel lungo lo avrebbe imparato troppo presto.
“Lo sapevo, che tornavi, anche se ci hai messo tanto”Glissammo di correggere il refuso grammaticale. Mi augurai di saperlo gestire, intanto mi si era già attaccato alle gambe, per maggiore sicurezza, e sradicarlo sarebbe stato un duro affare . E io gli avevo messo le mani sulle spalle, a stento mi ero trattenuto dal prenderlo di nuovo in braccio, eravamo noi, di ritorno, attenti e fragili, finalmente lo rivedevo, un tesoro senza merito.
 Rise quando lo baciai sulle guance, gioia, stupore, meraviglia, il suo nome un incantesimo contro il male, lui ripeteva Cat e mi stringeva, districarlo sarebbe stata una inutile cattiveria. E sarei andata via, senza fallo, la felicità di quei momenti l’avrebbe riscontata alla partenza.
Per questo avrei preferito non vederlo. E intanto me lo caricai addosso, ero tornata a casa.
“Alessio, zarevic, tesoro”
“Prendimi in braccio.. forza” mi sdraiai sull’erba, stringendolo “Forza, Catherine, dai”mi mise i gomiti sul petto, ridendo da capo, enunciando che ero tanto buffa. “Il MIO DRAGONE” ricordando una mia storia.
Quel pomeriggio avrebbe segnato la prima delle nostre scriteriate imprese.



Alexei Nicolaevic Romanov e sua sorella alla conquista del mondo.

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Capitolo 3
*** I Tears in Heaven ***


L’alba doveva sorgere, era la prima settimana di ottobre 1915, ripensavo a quando avevo trovato Alexei, i frammenti di quelle poche giornate tornavano, a ondate.
 
“Lo sai che è una parentesi?”
“Sì, Catherine”
“Che mi devi dare retta”
“ Ma ..”corrugando la fronte, un preludio a qualche questione spinosa.
“Cosa?”
“Se sei in Francia, che ci fai in Russia?”Eccoci, era davvero intelligente, altro che storie.
“Un segreto, Aleksej.” Camminavamo nei boschi vicini alla città, ogni tanto mi toccava il fianco con la spalla, il polso con le dita, giusto per sincerarsi che non fosse un incantesimo, che vi fossi per davvero. Le foglie cadute componevano un arazzo, rame, oro e bronzo sotto i piedi, nell’aria profumo di mele e more, sopra di noi volavano stormi di rari uccelli migratori.
Che  scuse si sia inventato lo Zar, gli espedienti li ignoro ancora oggi, pregavo tutti i santi del calendario e alcuni di mia invenzione che non accadesse nulla, un urto poteva avere affetti deleteri.Ed era  l’ennesima prova di quanto Nicola II si fidasse di me, affidando il figlio delicato e cagionevole a una persona non meglio specificata, che tornava sgangherata e spiritata da ingaggi non  meglio definiti. Sua moglie sarebbe inorridita, con ogni buon diritto, sottolineo,  ogni sera alle nove entrava nella stanza dello zarevic, pregava davanti alle sue icone, come se il bambino fosse a casa, attendeva le sue note giornaliere e scriveva a sua volta, invitando lo zar a fare attenzione.
“Come un soldato. Io sono un soldato dello zar”Omettendo la stanchezza, le missioni compiute, gioco o caso, mete rincorse senza scopo, e vinte per caso.
Strinsi le palpebre.“Ma non combatto in trincea”Semplici parole per spiegare il nuovo destino, dai giorni dell’addio che mi ero forgiata dall’anno prima.
“ In un altro modo, un reparto segreto. Già. A Olga piace Achille, a te il re Ulisse. Che si traveste e cerca sempre una soluzione”
“Perfetto, hai centrato il punto” peccato che Cassiopeia fosse un misto tra Achille e Ulisse. La lezione l’aveva appresa e declinata in modo sorprendente.
“A Olga manchi. Non dice nulla, ma scorre 10 volte le tue lettere, quelle che ci mandi, diciamo che sono pensieri raffazzonati, anzi manchi a tutti. E tanto lei non lo dirà mai, almeno a me, appena lo ammette tra di sé ” Improvviso. L’amore non segue il merito, io che ritenevo di non meritare nulla ne ricevevo, accadeva e basta, che ironia.
“ Ti ricordi la storia di Achille, dei travestimenti e degli incantesimi?“Parole semplici per spiegare l’inenarrabile. Una mano sulla schiena, rimisi a posto una ciocca di capelli sul viso, frammenti di tenerezza.
Una pausa, Alessio mi osservava con tanto di occhi  sgranati, una sfumatura di zaffiro e indaco nello sguardo (come ha avuto poi Felipe, Andres aveva indovinato che sarebbero tornati dove meno li attendevo, quel nostro primo figlio era il nostro reciproco capolavoro).Omisi di chiedere di Olga,nello specifico,  in quei momenti, che non dovevo guardarmi la spalle, la sua mancanza era un tizzone avvelenato.
Capì al volo che non ero pronta a parlare di Lei, che a sua volta ben di rado mi nominava.Eravamo in un momento di pausa, per intrattenerlo e non camminare per ore avevo avuto la leggiadra idea di insegnargli a smontare e rimontare la pistola, una vera. Davanti ai suoi 
perché  e  cosa, mi ero alleggerita, ridendo di cuore, se vuoi ti insegno.
“ Tieni così le mani, le braccia così..”
“Tre, due e uno..!
“Bravissimo.. hai preso le pigne!!!
Odore acre di polvere da sparo, la resina.. giusto due tiri, per evitare di ritrovarci addosso una pattuglia. Se non fosse stato malato come era avrebbe avuto un grande potenziale, era preciso e coordinato, le mie non erano illusioni affettuose. Sarebbe andato a caccia, a cavallo, avrebbe giocato a tennis, si sarebbe arrampicato sugli alberi, avrebbe giocato e si sarebbe goduto in pieno la vita.“.. ho fame”.
Annuendo.
Tirai fuori due panini, ripieni di prosciutto e formaggio, Alessio aveva così fame da spazzolarlo in pochi minuti, in genere farlo mangiare era una lotta, una supplica e una contrattazione, non aveva mai appetito, ogni pasto era una tortura per lui e i suoi, si alzava di continuo, faceva le smorfie, parlava e parlava, era un successo fargli mangiare tre o quattro forchettate, non lo inibiva nemmeno la presenza di estranei, anzi, era ancora più bizzoso. Definirlo maleducato e irrispettoso era un eufemismo. O era un modo per controllare gli altri, una situazione che poteva gestire. Il cibo, osservo, lui che era monitorato a vista.
E colsi quella grazia inopinata, di non supplicare per un boccone..


Era un rischio, ogni movimento brusco poteva essere fonte di una crisi, ma, ormai, era cresciuto ed era un errore che fosse controllato a vista, come un infante. Doveva essere più autonomo possibile per avere maggiore auto controllo e la Stavka era una grande avventura, in un dato senso, lontano dal palazzo di Alessandro e dalle ossessioni materne, ansie giustificate peraltro e basate sulla imprevedibilità del morbo. Che, cresciuto, non sarebbe stato il suo bene se fosse rimasto un moccioso viziato e petulante. E insieme era un macroscopico azzardo, poteva stancarsi troppo, prendere più spesso malattie o semplici scossoni rimanendo in treno con conseguenze inenarrabili.
“Con Papa, abbiamo visitato un ospedale di feriti, è stato .. duro. C’era puzza, i malati si lamentavano e molti non avevano un braccio o una gamba, o mancavano entrambi. O deliravano per il dolore”
“E che hai fatto?” bloccai il movimento, lo volevo accarezzare, una tenerezza potente e sconosciuta.
“ Il saluto militare e detto che ero orgoglioso, che erano valorosi, anche se era tremendo che fossero .. feriti. Mutilati. E visitato le truppe, tante sai”  Mi scostò delle ciocche di capelli dalla fronte, sfiorando la cicatrice, quella della caduta a cavallo del 1906, poi la guancia, la appoggiai contro il suo palmo, per un momento. 
“ 
C’est le guerre, Alexis” Lo dissi in francese, una leggerezza apparente, è la guerra, Alessio, incartando i resti del mio panino.
Mi era passata la fame tuttavia. Avevo timore di quello che mi avrebbe riservato mio zio. Se lo zar esponeva suo figlio, il suo solo erede a quelle realtà, a me che sarebbe spettato?
“ Già, vedo, sei una principessa soldato. Come il dragone della tua storia segreta”
“ Te la ricordi?”
“Sì, poi anche Olga le racconta. Vedi, fa l’infermiera con Mamma e Tata,(l’affettuoso nomignolo per Tatiana) il pomeriggio legge o suona per chi sta meglio, dei convalescenti, sta insegnando a scrivere meglio a un soldato, si chiama Michael.. e legge, come sempre, e ha annotato le storie che dicevi su un quaderno, le ripesca e le ridice” la cronaca di un bambino che raccontava una nostalgia.

Spero solo di non vederti mai più.. Come no..
Sbattei le palpebre, mi stava venendo da piangere “Già, alcune sono belle. Mi  manca..”E le avevo forgiate per sottrarmi a un lungo incubo, una bambina diffidente, curiosa e arrogante, amata solo da Olga e ricambiata in ben misero modo.
“Ritorna e fate pace, se avete litigato, anche se lei nega e tanto è colpa sua. Comunque stasera, mi racconti te qualcosa”
“ Va bene. Aleksej, lei  non c’entra nulla.. ho fatto tutto io“Deglutii e mi ricomposi. Non era un litigio, era uno scontro tra Titani, una lotta fra sorelle, la riconciliazione sarebbe stata ben difficile.
“Intanto stamattina non ti ho pesato per bene, quanto sei cresciuto? Fatti sollevare, vieni qui” Mi allacciò per la vita, lo sollevai contro il fianco, come sempre, come al solito. I lineamenti delicati, fini e regolari, i capelli castani e le iridi meravigliose, indaco e zaffiro, era alto e sottile, gli arti snodati e magri, una meraviglia, la mia.


Dopo, con il senno degli anni, ho capito che per lo zarevic quella fu una parentesi incantata. Sempre oppresso dai divieti, dal non fare, la permanenza alla Stavka con lo zar, con annessi e connessi, fu un punto di luce.
Era un piccolo soldato e tutto poteva accadere, compreso il ritrovare me.
E Andres fu suo amico, nonostante la differenza di età.
Un segreto, una favola. Amara, che, in fondo, era sensibile e timido e le continue crudeltà e molto altro gli fecero più male che bene, rendendolo nel lungo periodo irrequieto e frettoloso, con incubi notturni e risvegli continui, e mi si attaccò e lo feci attaccare a me oltre misura, peraltro ricambiato.

E lo avevo fatto cavalcare.
E risentivo ancora la sua rabbia, il suo dolore quando ero andata via, per quanto gli avessi promesso che gli avrei scritto, che ci saremmo sentiti al telefono.
“E’ un ragazzino”
“Lo so Andres” il più fidato braccio destro di mio zio, aveva 12 anni più di me, da qualche settimana eravamo insieme, due segreti agenti alla conquista del mondo.
“E ..” tacqui, pescando il tomo di anatomia patologica, che trattava di emofilia, la patologia di cui soffriva Alessio.
.. vedevo la malattia, non lui. “E nulla.. rientriamo”
Aveva pianto una settimana filata, dopo che ero andata via, mi disse poi, prima di andare a dormire, suo padre non lo forzò a spiegarsi, ma la malinconia gli rimase.
Non se lo meritava.
E nemmeno io. "Zarevic" .

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Capitolo 4
*** Bucefalo ***


Nell’estate del 1910 la famiglia imperiale si recò in Germania, per un ciclo di cure termali vicino a Friburgo.  E venni invitata pure io, non commentai, appresi poi come il mio tesoro si fosse fatto scaltro.
“Zarevic ..”
“Cat.. “ un dolce e sghembo sorriso, aveva perso i denti da latte davanti.”Lo sai che accarezzo le pecore  e gli agnellini.. “ una pausa, mi si buttò addosso, lo serrai contro di me, ascoltando le sue buffe e grandi imprese, aveva spinto uno dei suoi cuginetti, uno dei figli del Granduca Ernie,  su una macchina-giocattolo e poi sul’altalena e accarezzato agnellini, appunto.
  Quando voleva era dolce, e comunque era ben conscio del suo rango  di erede ed era spesso preda dell’arroganza.
Una volta, appurato che gli avrebbero obbedito, chiese agli appartenenti di un reggimento di cui era comandante onorario di buttarsi dentro una fontana, con uniformi e sciabola sguainata, venne obbedito  e ne rise fino alle lacrime.
Alle parate cui lo conduceva suo padre, urlava i suoi motteggi, “  Bravo, avanti così, ma cosa fai, i bottoni sono sghembi.”
Entrando talvolta nello studio dello zar, pretendeva che il ministro di turno si alzasse in piedi per salutarlo e, cortese, gli stringeva la mano.
Con lui ve la caverete male, asseriva ridendo Nicola quando si allontanava.
Per timore che, preda di un capriccio, si facesse male tirando un calcio a un mobile come tutti i  bambini normali, nessuno lo riprendeva, così che il fanciullo faceva tutto a modo suo, con il risultato che divenne recalcitrante e maleducato, viziato oltre ogni dire e obbediva solo a suo padre, atteso che la servitù aveva la consegna precisa di non contrariarlo in nulla, pena la scomunica, ironizzava Olga con me, di contrabbando, è proprio l’imperatore dei viziati, la tua è una definizione azzeccata.
MALEDETTA EMOFILIA, riflettei…
Le sorelle, ormai cresciute, dinanzi agli estranei  restavano sedute a braccia incrociate o  ricamavano, la voce bassa, sempre composte a tavola, salvo scatenarsi quando erano da sole.
Uno sfogo di energia, dai doveri declinati dalla inesorabile volontà della loro madre.
“Sono contento che sei qui..” ancora “Tu?”
“Certo..”gli presi una mano, gli scaldai le dita, e arrivò una confidenza “Volevo un cavallo, sai uno di quelli alti.. Mamma ha detto che devo aspettare ancora, ma che potevo chiedere quello che volevo .. tutto. E ho chiesto che venissi”
“Bravo Aleksej, sei magistrale” diplomaticamente parlando era stato impareggiabile.
“Mica rivai in Spagna?”rievocando i miei giri
“Fatto questa primavera”Ahumada era il mio posto magico. E avevo avuto altre proposte di matrimonio, per mia somma perplessità.
“Va a finire che ti stabilirai là” rise Tatiana avvicinandosi“Quanti figli ha il tuo parente..?”
“Tre maschi, Enrique, Jaime e Andrej” pronunciai quel nome in fretta, alla russa, ricordando un giovane malinconico dai grandi occhi verdi, in spagnolo era Andres “Tutti scapoli, peraltro..” vai a vedere che trame imbastiva mia mamma, se non accalappiavo il granduca Dimitri, che peraltro si svagava correndo dietro a molte sottane, come da tradizione Romanov, insieme alla carriera militare che aveva intrapreso di recente.
“Vedi..?” Tanik non continuò il suo ragionamento, che ci ero arrivata “Ma la religione qual è?”
“Cattolica romana”
“Allora nulla.. che ti dovresti convertire” per lei la questione era chiusa, allora, io soprassedetti, la giovane età per un matrimonio poteva reggere ancora come scusa(.. e quando sposai Andres mi convertii di corsa al cattolicesimo, che la madre di un principe Fuentes deve seguire quella religione e tanto è un’altra storia)
“Oggi andiamo a Friburgo”disse Aleksej e quindi “Cat.. non ti sei accorta di qualcosa?” malizioso.
“Zarevic.. possibile che ..”esasperata, realizzando che abile come un prestigiatore mi aveva tolto il nastro e sciolto i capelli, non gli avevo badato per mezzo minuto  e mi aveva fatto quel dispetto.
“Tienili sciolti, grazie”  e mi sorrise “Prendimi in braccio”
Incrociai le mani sui gomiti “Che hai saltato? Un per piacere o simili” sorridendo, ogni tanto ci provavo e avrei ceduto in pochi attimi
“Principessa Raulov, per cortesia, prendetemi in braccio”
“Con piacere, grazie”
“Prego”mi appoggiò la testa sulla spalla, me lo allacciai addosso “Sei stanco?”
“Ho corso vicino alle fontane, abbiamo giocato a nascondino vicino ai cespugli di rose”era stanco, allora e non voleva ammetterlo.
“Molto carino.”
“Cat.. ho fame” Tanik si mise a ridere “Questa la segno sul calendario..”
Quindi "E dai Aleksej, come sei permaloso" aveva messo il broncio, serrandosi contro di me, mi misi a ridere "Zarevic, tu non hai mai appetito.. va bene, vediamo di assaggiare qualcosa della cucina tedesca..che è ora di pranzo" Scese e si avviò, tenendo me e Tanik per mano, mangiò mezza porzione di pollo arrosto e insalata di patate, per i suoi standards  un pasto abbondantissimo. Tralasciando che l'altra metà del pasto me la rovesciò addosso, eravamo seduti al tavolo dei bambini, lo avevo messo sulle gambe e lo imboccavo, non si vergognava né all'estero o in patria di essere viziatissimo. Che pazienza, Aleksey, rilevavo e rilevo, dopo avevi sonno, e non volevi mollare, mi stesi vicino a te dopo averti messo il pannolone, un patto, io rimanevo, come volevi, te non facevi troppi capricci, Una concessione, tanto i pannolini ti toccava portarli a prescindere, per il riposino nel pomeriggio e la notte, tua madre voleva così. Eri buffo, severo e tenero"Non sono un bimbo piccolo" Avevi voglia di giocare, sempre, la tua volontà si scontrava con le debolezze fisiche, ti strinsi forte, ei stanco "Sei il mio tesoro e mi fai compagnia" una pausa "Io ho sonno, dormo, mi fai compagnia? Da sola dormo poco" Chiusi gli occhi, ti avevo distratto, sancisti che ero sempre una fifona, avevo paura dei temporali e di stare da sola, variavo sempre con qualcosa. .. Sweet dreams, Aleksey, sleep well.
 
  Dai quaderni di Olga Romanov alla principessa Catherine “ ..i giorni dorati di quell’estate, una meraviglia infinita. Passeggiate nei campi, pic-nic, risate e corse a perdifiato, raccoglievamo funghi e fiori.. E i pomeriggi a Friburgo a guardare le vetrine, in incognito, io e te, mamma e Tata, che ristoro, tra le stradine acciottolate, la torre della cattedrale che si innalzava in calcare rosso, agile e leggiadra, i giardini.. E le scorpacciate di torta e caffè, infilando in uno dei locali.. E il gusto dei mirtilli raccolti direttamente dai cespugli, Aleksej provvedeva a segnarti di blu le guance, da quanto si impiastricciava. Ed era buffo vedere Papa in abiti civili e circolare senza che ci riconoscessero, la scorta discreta.. Ed eri bellissima, Catherine, finalmente ti era passato il complesso di essere un corvo, irradiavi sorrisi e gioia di vivere.. “Sai perché voglio bene a Cat..” a nostra madre che si stampò un sorriso di circostanza “.. perché è buffa e non si arrabbia mai.. Oggi ha aperto la porta e le è andato addosso un secchio pieno d’acqua, che avevo fatto mettere da Nagorny..” “Alexei!!” Quindi “Poverina..” “Invece mi ha ringraziato che aveva caldo..” a dire la verità ti eri arrabbiata come una iena, in privato, a volte trovavi davvero irritanti gli svaghi di mio fratello,  borbottando per un pezzo che era una peste, poi avevi lasciato stare andando a mettere qualcosa di asciutto.. “
 
Vamos, Tintagel” lo spronai con la voce e i talloni, era giunto fresco fresco dalla Russia, il mio baio.
 Avevo  fatto mettere la sella da uomo anche in quel di Friburgo, per calmarlo dal lungo viaggio in treno.
Luogo dell’allenamento  era un prato vicino al castello luogo del soggiorno degli zar e compagnia. Mio zio mi fece segno di andare aventi, annotando che usavo lo spagnolo, poche parole,  i movimenti fluidi, eravamo noi, discreti, era presto.
 La mattina era appena sorta,  Tintagel aveva calpestato l‘erba, gli steli schiacciati emanavano un dolce profumo, tra i suoi zoccoli spuntava l’oro dei ranuncoli
 “Sei una vera amazzone, continua Catherine” fumando la sua usuale sigaretta “Mento in alto, testa dritta, braccia sui fianchi, metti meglio il gomito..”  una pausa, battendo le mani “ L’imperatrice d’Austria Elisabetta era la più grande amazzone dei suoi tempi, tu dei nostri..” mi schernii modesta, ero “immodesta” cavalcando come una zingara, come se lavorassi in un circo e tanto.. Mi divertiva, mi piaceva, mi faceva sentire viva.
Rampai e feci corvettare Tintagel, immergendoci nel nostro magico mondo quando captai il silenzio.
Mi girai sulla spalla, oltre a mio io vi era lo zar con Alessio in braccio che osservano lo spettacolo della sottoscritta che montava a uomo, le gonne spumose intorno ai sottili rilievi di ginocchi e polpacci
“Che fate R-R?” ridendo “Una passeggiata interessante.. la nostra”
“Nulla di che, Maestà, la principessa è un portento a cavallo”
“Lo notiamo .. Catherine” senza traccia di collera, osservai che pareva .. commosso, orgoglioso, come se vedesse uno spettacolo meraviglioso mentre lo zarevic gli sussurrava qualcosa contro la barba
“Chiedilo a lei” enunciò alla fine
“Per favore, Cat, posso salire con te?” un tono deciso, che non era quello delle sue lagne e dei capricci. E ci teneva, davvero, vibrava per l’aspettativa, era un fremito come una lepre marzolina.
Lo  zar fece un cenno di assenso con la testa
“Ma niente galoppate o che, giusto?Immobili” si fidava di me come di se stesso, rilevai, la zarina non voleva per gli urti ma Alessio era un vero Romanov, adorava i cavalli.
La sua voglia di vivere, di essere come gli altri si scontrava con i limiti della sua malattia, stava a noi trovare un modo di fargli fare le cose senza ossessionarlo con i divieti.
 
“Cat, ti prego”
“Certo” me lo passarono, mi spinsi leggermente indietro per dargli posto sulla sella, la schiena dritta, le redini in una mano, schioccai la lingua, per immobilizzare Tintagel
Gli posai la mano sulle scapole per raddrizzarlo, la postura corretta , e gli passai le briglie, tieni,  ti tengo va bene, circondandolo con le braccia
“Cat..” in estasi
“Fermo zarevic, nessun movimento brusco, parliamo quando siamo scesi” un tono duro e secco, a cui avrebbe sempre obbedito “ Per favore”
“Guarda davanti a te..”
Lo zar lo fece scendere, smontai a mia volta con il fiato corto “Grazie, è stato bellissimo,”rilevò attaccandosi al mio collo, per riflesso me lo strinsi addosso “Si è avverato .. quasi”
“Cosa?”
“Le stelle cadenti.. Volevo andare su un cavallo alto e l’ho fatto, uno dei desideri, ma cavalcare.. “
“Dopo .. poi, Alessio” Molti anni dopo, glielo avrei fatto fare, saremmo cresciuti entrambi, più io di lui.
“.. e gli altri..”
“Non li dire, che poi non si avverano”
“Mi racconti di Bucefalo..?”
Allibii, che ne sapeva lui.  “Gli affreschi in sala da pranzo, ho chiesto, Catherine, è il ciclo di Alessandro Magno.. e c’è questo cavallo, baio, con una macchia candida sulla fronte.. che fece tante guerre e conquistò un bell’impero .. grande, grandissimo..”
“Detto tutto tu..”
“Era un grande .. dai racconta, giuro che non ti sciolgo la treccia, almeno per questa volta”
“Allora.. “
“E’ un grande come mio padre, anche se in modo diverso. L’altro giorno passeggiavamo in campagna e un carrettiere aveva perso il suo carico, Papa lo ha aiutato, che non riusciva a caricarlo e.. Non lo aveva riconosciuto, tranne che è stato contento.. Boh .. Papa dice che se un uomo occupa un’alta posizione non deve darsi arie”
“Giusto” seguendo quella linea di pensiero, gli zar cercavano di allevare senza troppo lusso i loro bambini, invitandoli a trattare con cura e rispetto le loro cose, mantenere l’ordine ed il decoro, delegare una parte della loro mancia mensile per fare beneficenza, dormivano, almeno le ragazze, su lettini da campo. Vivevano nel lusso, ma non dovevano esaltarsi.
O avevano tentato.
Che  lo zarevic rimaneva ben viziato a livello di comportamento. Sorvolando che avevo contribuito molto pure io, chiaro. O era l’eccezione che derogava alla norma, che ogni tanto lo avevo brontolato, quando era piccolo per farlo mangiare ogni boccone era una frase della storia, e mi zittivo quando tirava addosso molliche o altro, la tecnica del silenzio, era curioso e riprendevamo, di pazienza ne avevo poca in generale e con lui la trovavo, facevo di necessità virtù. Che mi ripagava, nel breve e lungo momento, affettuoso, era una stella caduta, lui, arguto e divertente, se non fosse stato la peste che era lo avrei definito un angelo
Nel 1910, comunque la moda era arrampicarsi sugli alberi, io e Olga aprivamo le file, le confidenze fluivano, la predilezione reciproca,costante e immutabile.. un baluardo e uno scudo contro le brutture della vita.”
“Volevo farti una domanda”
“Dimmi..”
“È su tuo padre, quando hai avuto l’incidente a cavallo..”
“Caspita, era il 1906  ne hai passato di tempo a rimuginare, continua, non ti offendere” coprendole una mano con la mia per un momento. E tante verità non potevo dirle, per  me, per lei.
Aveva uno sguardo vuoto, strano ma ..
“Vedi, Olga.. “ Dovevo raccontare della sua predilezione per la bottiglia, i suoi giorni alla deriva, era un bravo attore ma lo sapevo, lo intuivo dai movimenti farfallini e dal brio eccessivo, che da un pezzo non cavalcava più per tema di incidenti imbarazzanti. Ma era mio padre e lei la mia migliore amica, due lealtà configgenti da dirimere, e inghiottivo il resto dell’incubo.
“Beve, Olga, ecco tutto e mia madre si tiene occupata, lo evita, come me quando non è il caso, ovvero quasi sempre, giusto mio fratello riceve più attenzioni, per dire “Guardai in avanti, la sua pena che pesava sulla schiena.
“Oh  .. Catherine. Cat, mia principessa.
“Il loro è stato un matrimonio combinato, nessuno era la prima scelta dell’altro. E non si sono mai trovati in accordo su nulla che nell'essere in disaccordo” La verità, nuda e cruda, tranne che mi faceva male fino al midollo, quindi iniziai a scendere e lei mi raggiunse, dopo, per farmi smaltire la rabbia e l’imbarazzo, fissavo senza vedere il mondo circostante poi mi sfiorò la spalla.
“ E’ la loro vita, Catherine, non la tua, e tu ti sposerai  per amore”
“Come no”Sorrisi, adulta, amara-“Non mi sposerò mai  Olga, sarò la tua dama di compagnia e staremo sempre insieme..”
“Cretina, ti sposerai e dai retta, se avrai una bambina … le darai come secondo nome il mio.”
“Non il primo?-“con ironia.
“No, non sono così vanitosa. E un maschio lo chiamerai Nicholas, giusto. O Philippe, se non Felipe, come il tuo antenato”Adorava Felipe de Moguer, il combattente, il pirata.
“Non mi sposerò e non avrò figli, Olga. Tu e io staremo insieme, sempre, ti sposerai, sarò la tua ancella e la madrina dei tuoi figli, mai mi sposerò, dai retta.”
“Come no, Catherine, avrai dei figli e ti sposerai.”
“No”
“Invece sì”
“Non penso”
Sì, dammi retta. E ti sposerai per amore.- lo ribadiva, ci credeva e forse potevo crederlo io pure. Due romantiche, a prescindere, che credevano nel lieto fine.”
“Non credo proprio.”
Sbagliavo in pieno, come appurammo poi.
Avrai il tuo lieto fine, Cat. “
Andres e Felipe,lo sono stati, il mio lieto fine,ma a quale prezzo.
 
Il giorno dopo portai tre sigarette di contrabbando, un accendino, foglie di menta, dovevo esaudire un suo desiderio, fumare, due principianti alla riscossa, che tossirono a più non posso.
Ma così era.
Od era stato, tornai al presente, al 1915, chiedendomi se dovevo scavarmi da subito una fossa.  
“Siamo amici, Cat..?”chiese Alexei, serio.
“Penso di sì, io mi fido di te e viceversa”
Glielo ripetei in quella mattina di ottobre, facendolo montare su il novello Bucefalo, riflettendo che potevo iniziare a prendere una pala. Infatti, si affermava che il cavallo di Alessandro Magno, fosse un Akhal-Teke. Detti anche "Levrieri del Deserto" per la loro velocità ed eleganza, ad Alexei quel ciclo pittorico a Friburgo era piaciuto e ora avevamo uno splendido, docile esemplare.
 “Però devo darti retta”
“Eh certo, che con i cavalli io me la cavo”
“Sennò? “
“.. ti raccolgono con il cucchiaino, Alexei”
“Molto poco, che sono magro” ridacchiò, il monello, attaccandosi ai miei fianchi. E sbuffavo divertita “Senti, Alexei, tra una cosa e l’altra.. ti preparo per la rivista, mio prode cavaliere”
“Mm .. da tuo zio è una falange nella falange, l’elite dei segreti” annuii “Che sennò non mi toccherebbe”  cavalcare, non stare perennemente attaccato alle sottane e alle ansie di sua madre, si sorbiva le mie, declinate dal rimpianto, invece. “Yes”
“Un segreto”
“Iniziamo Alexei”
Ed era portato, un cavaliere nato.  Per gradi, doveva passare da un pony, un mulo a .. era basilare che comparisse a quella rivista accanto a suo padre, a cavallo. Non a piedi o portato in braccio da un marinaio o un cosacco, doveva essere forte e .. Se gli veniva un accidente, sarebbe stata colpa mia. Farlo cavalcare.. via. E tanto era alla Stavka, lontano dal Palazzo di Alessandro, la residenza degli zar, a rischio di scossoni e malattie.. E, venuto il suo turno di salire al trono, non sarebbe stato il suo bene se fosse rimasto capriccioso e viziato, lontano dalla realtà, apparendo debole e fragile. Bofonchiai qualcosa, Lo zar si fidava, ancora più incosciente di me, se si sentiva male per quanto sopra sarebbe stata solo COLPA MIA. E lui era un lottatore, fin da piccolo, la sua volontà si scontrava con la fragilità fisica, i limiti del morbo.Dissi qualcosa, sempre sorridendo, circa la postura e via cos'.
“Ogni giorno faremo qualcosa, ma non tutto insieme” presi le redini di controllo, avevamo girato nel recinto di allenamento al chiuso, per un’oretta. Alexei scese di malavoglia, tuttavia mi obbediva senza storie. “Farai le tue cose, lezioni, eccetera, mica puoi sparire infinitamente nell’entourage di mio zio ..”
“Ma ci sarai?” annuii. “.. questo ingaggio sono io?” Sorrise a trentadue denti, tutto contento. “Molto bene”

Ed era stanco, e capriccioso, come da prassi, dopo, lo feci addormentare a fatica. Lo zar finì la riunione verso le 23.30, dormiva da un pezzo tra le mie braccia, accampati su un divano, un dolce peso morto contro di e tanto .. “NO”
“Non agitiamolo”
“Per carità”
… che importava? Avevo un diploma da infermiera. Avevo curato incubi e ferite. Quindi potevo tenere lo zarevic.. In teoria, nella pratica era un altro affare. Magro era magro, tranne che dormiva come un ghiro, con tutto il suo peso, contro di me.

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Capitolo 5
*** From the Hell ***


Sapevo curare o era Alexei a curare me, forse era reciproco, mi stesi tirandomelo addosso, rievocando il passato, l’estate del 1912. Andata e ritorno dall’inferno, purtroppo, per noi e lui.
 
 La mattina eravamo stati sugli scogli, una gita sulla costa   e ci eravamo svagati, divertiti e lo zarevic avrebbe proseguito ad infinitum, adorava saltare nell’acqua, costruire castelli di sabbia e raccogliere conchiglie, vogare. Tranne che era stanco, sua madre gli aveva promesso che ci sarebbe stata un’altra escursione più avanti, dopo avere fatto delle foto, eravamo in piena estate boreale e la notte era solo un pallido riflesso, il cielo era un nastro perfetto e sfumato di azzurro e rosa pesca. 
Mi era sembrato che scivolasse, ma non potevo dirlo, aveva vicino i suoi marinai barra tate ben vicine.. O forse dopo, nella vasca, un bagno veloce per togliere la sabbia.
E il medico di bordo lo aveva visitato, Aleksej aveva detto di non avere nulla.
Quello che  era strano, conoscendolo, era che si fosse fatto mettere a letto, nel primo pomeriggio, senza i soliti capricci, o forse non voleva far saltare la gita, quando gli conveniva era obbediente e mi ero pentita di quel pensiero maligno.
Ancora, il mio stupore era salito nel non avere udito i suoi strepiti, che sicuro come la morte detestava che gli mettessero il pannolone, per la notte o un riposino, a prescindere dalle crisi, in quello eravamo migliorati, fino ai suoi sei anni sua madre glieli faceva portare sempre.


Un’oretta  e mezzo dopo, la famiglia imperiale faceva delle foto “ufficiali”, mi ero schernita dal partecipare, il mio odio per le pose formali era leggendario, venivo decente solo se non me lo dicevano.
E avevo notato che lo zarevic camminava rigido, sulla sinistra.
Le  onde che battevano pigre sullo scafo, qui c’è qualcosa che non torna.
E mi ero avvicinata al Dr Botkin, sussurrando che mi pareva che camminasse male, scaricando il peso sulla destra e non piegava il ginocchio sinistro, appunto,  
Marie aveva osservato ridendo che aveva le mani calde, 
non è che ti senti poco bene, lui che le aveva perennemente fredde.

Alessio cercava di sorridere, disinvolto, ed era sudato,  vedevo il suo viso imperlato di sudore, ancora, lo avevo annotato quando mi aveva dato un bacio di saluto sulla guancia.. e soprattutto aveva ancora il pannolino, quando sta male vuole farsi toccare il meno possibile.


Il medico aveva iniziato a muoversi, io ero stata più veloce, stava per giungere in un punto sconnesso del ponte dove inciampavi se non facevi attenzione “Zarevic..”il mio corpo era stato un cuscinetto che gli aveva ammortizzato la caduta contro il legno,  mi si era serrato addosso, per istinto, gli avevo messo una mano sulla nuca, sussurrando tranquillo, lo avevo accostato contro di me, la sua gamba destra contro il mio busto, sostenendo la sinistra, e alzandomi in fretta lo avevo portato dentro, approfittando della confusione, da sempre attenta al protocollo, lo prendevo in braccio a quel modo in pubblico .. che avevo fatto  ..
La gamba sinistra, rigida, immobile..che hai .. non la pieghi..
E poi me lo avevano tolto dalle braccia e mi sarei messa a piangere. Che lo sentivo piangere  e poi urlare, con nitida precisione..
“Che ti fa male?”
“Il ginocchio.. “
“Quella maledetta.. forse lo ha spinto..” la Vyribova, querula e indisponente
“No..mi faceva male da prima… e..”
“Maestà, la principessa Raulov ha segnalato che aveva male alla gamba .. Se non prendeva batteva una testata..” e la Vyribova, querula e indisponente rincalzava che era colpa mia (quel pomeriggio sono andata vicina a strozzarla..)
“No.. fatto tutto io..”
“Perché..”
“Perché le cose non le dici mai..”
“Alexei .. dì la verità.. ti ha fatto qualcosa Catherine..?”
“NO.. lei no, te lo giuro Mamma.. lei è brava .. ” ancora “Mamma, Cat .. non mi ha fatto nulla!! Anya è una bugiarda..”
“Mamma, voglio Catherine !!”e ancora “Dice sempre tutto, anche se non voglio!! Ai dottori, di quando sto male o sono stanco.. Sempre!! E' peggio lei dei marinai” la zarina si mise a piangere. Fosse stato utile le avrei fatto compagnia.

Alix mi aveva ringraziato, poi, una volta compreso, lui mi aveva detto che ero cattiva, avevo rovinato tutto, perché non posso essere come tutti, perché.. era arrabbiato nero, il resto di quel pomeriggio, sera e notte, mentre urlava e gemeva per i dolori si era fatto avvicinare da tutti, tranne che da me e Marie, avendo io riferito a Botkin, lei osservato che forse stava poco bene non fummo ammesse.. dopo, che nel breve momento mi voleva.
“Ti vuole vedere” avevo posato la tazza di tè, ormai fredda nella porcellana smaltata, a fiorellini, ravvivandomi i capelli con le dita, erano le sei di mattina e l’equipaggio si era dovuto mettere tamponi di cotone nelle orecchie per non sentire le sue urla, dopo ore i gemiti erano scemati, calati, forse era in fase di remissione.  Io ero nella mia cabina, la pagina di un libro aperta a caso, da ore, prima ero stata con Marie e Anastasia, cercando di distrarle, Olga era insieme ad Alix e Tata con lo zarevic.
“Va bene, Olga, arrivo subito..”
“Io vado a dormire un poco..”Era esausta, le occhiaie scavavano un solco sul suo viso rotondo  “Idem Mamma e Tanik..”
“Olga.. stava già male, non l’ho fatto cadere io, te lo giuro su quello che vuoi”
“CAT.. Grazie. Non hai colpe, gli hai evitato di cadere malamente, alla peste.. E lo ha detto, che non lo hai spinto, si era fatto male da prima. È una peste,ma non è un bugiardo…”
“ La Vyribova sostiene che lo ho spinto” amara. Lei era la migliore amica di Alix, già una volta mi avevano allontanato e non avevo combinato nulla, ora ero sospettata di avergli fatto male
“CATHERINE..idiota, quella mette solo zizzania. Dai, vai da lui” mi ero tormentata per ore. E non era vero. Mi aveva passato un braccio sulla vita, strofinando la guancia contro la mia spalla, affettuosa, per rassicurarmi “Vai, so che you love Aleksey for all the long, and he loves you .. too Go.”


SEI CATTIVA .. perché lo hai detto” era esangue, spiritato, i candidi  cuscini che lo sostenevano aveva più colore di lui
“Stavi male..”
“Per me è troppo chiedere di poter fare una gita, essere come tutti..” Per la collera riusciva a parlare, sovrastando il dolore, la stanchezza. Tacqui , spiazzata
“Hai rovinato tutto.. Perché non posso essere come tutti, perché?”Avevo taciuto, di nuovo, senza toccarlo, oltre a soffrire a livello fisico era tormentato dalla sua fragilità, che scivolava e aveva una crisi.. “Togliti di torno, voglio mia mamma”
“Si è stesa un’oretta…” che sennò sarebbe collassata
“Chiama Tatiana” “Anche lei.. si è stesa..”
“ E va bene, forza, vieni qui”  Tata era bravissima, passava ore ad assisterlo e a giocare con lui, quando stava male, tranne che un poco di riposo occorreva pure a lei.
E gli sistemai i cuscini,mi  mandava via e poi mi voleva, e mi sentivo in colpa, come se lo avessi spinto io.
Asciugai il sudore, in tanti anni ero diventata brava ad assisterlo
“Perché non posso essere come tutti, perché..”gli appoggiai una mano sul braccio, mi allacciò le dita “Perché..”
“Mi dispiace, Alessio, ma stavi male, volevo evitare che stessi peggio.. Per mio fratello Alexander avrei fatto uguale..”si mise a piangere, piano, desolato.
“E non è colpa tua, ci sono nato così, disgraziato”

E mi arrabbiai io, ero partita per la tangente “Disgraziato è chi non ha nessuno,  chi non è amato.. il discorso lo facciamo quando stai meglio, non ti devi stancare”Gli baciai i capelli, badando a non sfiorare la gamba lesa, mi misi sul lato destro “Sai quanto ti voglio bene?” Aprendo le mani, tracciando il segno dell’infinito. E sapevo che il Dr Botkin era sulla soglia, vigilava, e lui sapeva che ero più disgraziata io dello zarevic, in un dato senso, che il marito di mia madre, il principe Raulov, aveva picchiato me e lei, da sempre,  fino  a incidermi la schiena a frustrate.. L’ultima rottura, lo sfregio, la separazione definitiva. Preferivo non pensarci, per non ammattire, ero oltre la rabbia, non avevo dormito, che in genere non lo volevo toccare, appunto, se aveva una crisi, più o meno in atto, per tema di dargli più dolore.
“Aleksej, zarevic, mio prediletto, unico e viziato .. Cocciuto come un mulo, un lottatore nato..” aveva riso tra le mie braccia, realizzando poi quella novità. “Vieni qui.. “Serrandolo addosso, il viso contro il mio collo, gli baciai i capelli, gli toccai la nuca “Vieni qui .. Non ti faccio male, vero ?”
“ ..no.. “
“Aleksej, zarevic..amore, abbracciami”
Quando mai gli dicevo che gli volevo bene? Allora molto poco.  Ed era un evento incredibile che lo toccassi, quando aveva una crisi, del genere come la neve che cade in Castiglia in estate, quando all’ombra vi sono 40 gradi. O lo appellavo in modo tenero, molto dopo, ai tempi dei miei ingaggi, sancì che a volte riuscivo a essere dolce, ma va.

“Fatti visitare, se vuoi torno dopo”
“No .. resti, mi dai la mano” Avevo obbedito, già allora, dopo, se avessi voluto avrei abbattuto le distanze.


Una frase di una storia, un boccone. Le trame di un caleidoscopio, giocare con i soldatini, leggere .. boh.. Tartarino di Tarascona, Peter Pan e ridere e tenerlo tranquillo.
Mi appoggiava la testa contro la clavicola, il libro aperto davanti, serravo le palpebre e inventavo, la brezza batteva sui visi e i capelli, alla fine si appisolava e lo circondavo con il braccio libero, era leggero come un sacco di piume, era un tesoro il mio, appunto. “Racconta.. un boccone, una frase della storia e mi devi imboccare”
“Allora.. Altezza imperiale, potremmo partire da una storia di pirati e tesori..” Se lo chiamavo imperatore dei viziati avevo ben ragione, e tanto avevo contribuito io pure..E lo preferivo in quella modalità che prostrato dalla sofferenza.
“Aspetta, che fretta abbiamo.. io non ne ho..Mangia con calma” gli pulivo il viso sporco di minestra,mi sorrideva, un paio di volte mi imboccò lui, figuriamoci.
E diventai un tormento nel breve periodo, se non stava con sua madre o le sorelle, lo zar compariva a rate, voleva me.


“Braccio” mi aveva comandato dopo  quattro giorni
“Aspetta..”  lo avevo circondato e sollevato con dolcezza, portandolo fuori su una sdraia
“Ti voglio bene, Zarevic” 
“Io no..”
“Ah.. “ che soddisfazione e tanto decodificai che mi stava prendendo in giro, aveva un angolo delle labbra sollevato in un sorrisino”Ti adoro, Cat, è diverso”
“Tu sarai un grande rubacuori, fidati” e mi aveva smontato lo chignon, intanto, i capelli mi piovvero sulle spalle, fino alla vita, una massa castano scuro venata da riflessi ramati che avvolse tra le dita “Ed un birbante” sorrisi, esasperata, tenera, facendo una treccia improvvisata
“Me le hai prese poi le conchiglie?”
“No.. sì“tuffai le mani in tasca e le ritirai“Secondo te, in quale mano sono?” Mettendogli i pugni chiusi davanti, alle volte ero più bambina di lui.
“ In tutte  e due..”
“O in nessuna..”
“In tutte e due” baciandomi le guance
 “Aleksey.. vuoi fare le bolle di sapone?Guardami” “
“Posso soffiare..questo posso farlo”
“Scusami”

Maledetta Emofilia, riflettei.

E poi si era rialzato io ero rientrata a San Pietroburgo, mentre la famiglia imperiale si recava a Spala per le cacce autunnali, pareva risolto e così non era, che poco dopo aveva avuto un’emorragia spaventosa che  lo aveva quasi  spedito al Creatore. E di averlo trattato in quel duro modo me ero pentita per un pezzo, dopo, e tanto me ne ero andata, senza appello o revisione.
Nel settembre 1912, la famiglia Romanov si recò a caccia nelle tenute polacche di Spala, dopo che lo  zarevic si era ripreso dal suo incidente.
Viaggiavano sul treno imperiale, un palazzo in miniatura, le carrozze di uno squisito color blu esterno con le aquile dorate simbolo della dinastia dipinte sopra. Era tutto raffinato, perfetto, imperiale, appunto, anche se ogni viaggio era effettuato su due treni uguali, per tema di attentati, in modo che non si sapesse quale fosse il mezzo effettivo usato dallo zar e i suoi.
Non mancavano i momenti ameni, come quando il treno si fermò sui binari di Smolensk e  i Romanov presero il tè con i nobili del luogo. Infatti, quella volta Alexei riuscì a mettere le mani su un calice di champagne e svuotarlo, senza essere intercettato, e, gaio, iniziò a intrattenere signore e signorine, strappando risate e sorrisi. Un rubacuori, lui, che, tornato sul vagone, raccontava le conversazioni, lamentando un certo brontolio nello stomaco.


Spala era nel cuore della foresta polacca, al termine di una lunga strada sabbiosa, una villa di legno a due piani, il bosco così fitto che la luce solare non penetrava mai e toccava tenere accesa la luce elettrica finanche di giorno.
La grande attrattiva era appunto l’attività venatoria, dai  cervi fino ai fagiani e galli cedroni, le partite seguivano un rigido protocollo, la sveglia alle sette con un corno da caccia, il pranzo nella foresta accompagnato dagli  ottoni della banda militare, per poi procedere ad abbattere cervi che vantavano dalle dieci punte in avanti nelle corna. Ogni giorno era stilato un inventario, il tramonto era color ruggine e sangue, le torce illuminavano le prede cadute che venivano catalogate e segnate su appositi registri.
Alix guardava Alexis e decise che poteva imparare meglio il francese, che Spala offriva ben pochi diversivi, oltre l’attività venatoria, che il bambino non praticava di certo.
I suoi studi, irregolari a causa della malattia, erano molto indietro, non certo per colpa sua, quando stava male la convalescenza era spesso lunga, ma quando era in salute non stava fermo, si annoiava nel dovere restare seduto e ascoltare le lezioni, saltava da una domanda all’altra e nessuno gli badava e si scocciava.
Era troppo intelligente, bisognoso di stimoli e non solo di nozioni, usare un frustino o picchiarlo sulle mani per indisciplina erano strumenti educativi coevi che su lui non sarebbero mai stati applicati, per fortuna aggiungo io.
Per distrarlo, la zarina decise di portarlo a fare un giro in carrozza, insieme alla imprescindibile Anna Vyribova, lo  fece sedere in mezzo a loro.
La strada era piena di buche e scossoni , la passeggiata disagevole, dopo vari chilometri di urti Alessio iniziò a lamentarsi di avere dolore alla gamba e allo stomaco, quando rientrarono era praticamente svenuto per il dolore.


L’emorragia era ripresa, intensa, violentissima, il gonfiore si era spostato, causando quella crisi. Dai vasi lacerati della gamba il sangue fluiva nella parte inferiore dell’addome, pareva che avesse mangiato un pompelmo tanto era gonfio.. La gamba sinistra era tenuta sollevata, per dare al sangue un nuovo sbocco, per alleggerire la pressione, il liquido colava, nell’addome non si espandeva oltre e fluiva.
Alessio urlava per il dolore e lo sforzo di respirare.
“Voglio Catherine!! Mamma! Dove è..”
“Mamma aiutami . “
“Mamma.. Dio non ne posso più!!”
“Cat.. dove sei..”
Una supplica di amore e disperazione.
“Basta così Alix” enunciò lo zar, prendendo da parte sua moglie, il viso bianco come quello di una statua di marmo “Chiama Rasputin, chi ti pare..  Ma Catherine viene.. è tuo figlio, la vuole ed è tutto.” Scrutò Olga che era una statua di sale, anche se non avevano urlato, sempre bassi i toni, e la ragazza li aveva sentiti “ Scrivile tu..”
“CAT..!!!”
“Sei contenta mamma.. ?eh? cosa aspettiamo.. Dimmelo!!”
“Non è di famiglia.. “ in affanno. “Non si deve sapere..”
“E’ mia amica, una sorella.” Glissò come una sorella, forse l’aveva capita, prima ancora di me, che eravamo i fratelli Romanov, un baluardo, bastardi o legittimi che fossimo.
“E’ MIA SORELLA” una pausa “ Gli vuole bene e mi fa ridere.. E la voglio con me, fine” e comprese di avere vinto una partita, definitiva, che non la avrebbe più ostacolata.
“Viene, Bimbo, viene .. non ti lascia.. solo che .. “ gli sfiorò una spalla “Non mollare. Viene ma resisti..”
 
 
Venni convocata in via urgente da San Pietroburgo, dove ero, una emergenza, secco il testo del telegramma,  e mia madre non fece commenti, non era il suo stile e mi sorpresi a pensare che sapesse qualcosa, era una donna intelligente e con un tatto infinito. “Vieni, per favore, subito. Olga” lei per me c’era stata in un numero infinito di volte, quando ero stata male, potevo ben ricambiare, mai avrebbe usato quei toni se non in caso di emergenza.
Da anni i pettegolezzi si sprecavano, Maman non mi chiedeva nulla, mai.
Nel frattempo, mio fratello era cresciuto e Ella lo aveva staccato dalle sue gonne, lo adorava e lo viziava, ma non voleva che crescesse debole o smidollato.
A quel punto, penetrai anche io nel loro magico mondo e fu un ristoro, Alexander aveva il potere di farmi ridere fino alle lacrime con i suoi stravaganti perché, le battute fulminanti e le marachelle.
Vivace e birichino, aveva un punto di contatto con lo zarevic, adorava le mie storie, si fermava addirittura a ascoltare.


Il viaggio in treno verso la Polonia fu lungo, il paesaggio grigio e spoglio, piatti boschi e paludi, la luce che stagnava, incerta, una dura attesa, cosa avrei trovato, ma fu peggio vedere il mio piccolo principe preda della sua malattia.
“Altezza imperiale"Le mie ginocchia toccarono obbedienti la sponda del letto, nonostante il tremore,celate dalla provvidenziale gonna, mentre mi inchinavo, il viso era stravolto dal dolore, la pelle tirata e la fascia lombare e la gamba sinistra gonfia, contorta oltre ogni descrizione. Alessio, tra un rantolo e l’altro, invocava, aveva invocato Dio e sua madre. Io ebbi la fortuna di giungere in una breve pausa e mi veniva da piangere per come era ridotto, osai appena toccarlo su una spalla, era rannicchiato su un fianco, l’arto sinistro sollevato.
Ti voglio bene, Alessio.. Glielo avevo detto, per una volta..
“ Cat. “la zarina mi chiamò con il mio nomignolo, strano, annotai ma scorsi il suo viso opaco, le ciocche grigie che striavano i suoi capelli dorati, la sua desolazione feroce e impotente, in meno di un mese era invecchiata di 10 anni.
“Grazie per essere venuta. “
“Grazie a voi, Maestà imperiale. Ecco, pensavo di raccontare a sua Altezza imperiale una storia che forse non conosce, ovvero le avventure di Sinbad il marinaio, oppure del drago  e della rosa. Magari le ho già raccontate, potremmo creare nuovi particolari..”Una delle mie formule magiche, l’attacco delle mie storie, sillabe che erano il ponte di congiunzione per altri mondi.
“Racconta .. avanti, per favore”la voce sottile come brina. Presi una mano dello zarevic, racchiudendo il palmo contro il suo. “Cat.. “
“Sono qui, Alessio..” Per tutto il tempo che vuoi..
Raccontai di un drago combattente e di Achille, rose e fiori, cercando di non piangere.
“Adesso vai, Catherine, si è assopito e tu riposati un poco, le ragazze ti aspettano. Oggi stava un poco meglio” con un piccolo cenno, mi permise di congedarmi e tornò a scrutare suo figlio, non fossimo state io e lei l’avrei abbracciata, ma non osai. Da quando aveva avuto i primi sintomi non si era staccata da lui, o quasi, dormendo in poltrona, senza quasi mangiare, ora dopo ora non si era mossa dal suo capezzale.
 
“È a rischio di setticemia e peritonite” mi raccontò Tatiana, quando passai nella stanza che divideva con Olga.
I gemiti e i lamenti del principe erano continui e costanti, tanto che la servitù si metteva batuffoli di cotone nelle orecchie per lavorare, al solito il mondo esterno nulla conosceva di quella crisi, lo zarevic era indisposto in modo lieve e quello era quanto. Perfino le sorelline più piccole, Marie e Anastasia, sapevano che stava poco bene, la verità era un lusso ignoto anche in famiglia.
Alessandra non lasciava il suo capezzale, ascoltava i suoi lamenti, invocava Dio di liberarlo da quel dolore, sua madre di aiutarlo , era uno strazio senza fine o misura.
In tre sapevamo che era un lottatore nato, ma il problema era che mai era stato così male, senza requie, per tanti giorni filati.
Stava un poco meglio.. un eufemismo.
Per lui non potevo fare molto, dopo la breve tregua del pomeriggio stava di nuovo malissimo, ma per le sue sorelle sì, suggerii di mangiare qualcosa, il nostro digiuno non l’avrebbe certo guarito, chiaro, ma stare male anche noi per l’inedia non gli avrebbe certo giovato.
Olga mi disse che ero una stupida, poi si mise a ridere,avevo ragione io e lei torto, almeno per una volta, e la strinsi, in modo meccanico, un piccolo conforto.
Quella notte, dopo anni, dormimmo insieme, o meglio vegliammo insieme. Ero sul fianco, le mie braccia la circondavano, dormi, dicevo, se succede qualcosa ti sveglio, prometto, sei sicura, sì, sono sicura, poi si unì Tatiana, erano passati i tempi in cui ci abbracciavamo in tre sul loro lettino da campo, narrando le mie fiabe, tuttavia strinsi entrambe, la mia era solo una misera elemosina rispetto alle ore e  i giorni che avremmo vissuto, alle esperienze condivise.
La mattina presto Olga mi scosse per le spalle, un gesto delicato. “Ti voglio bene, Catherine, grazie”
“Ma non faccio nulla di speciale”
“Come no, ci sei sempre”.. costante come un corvo o la malasorte, pensai, ignorando il resto.

 
 “Quando si muore, si smette di provare dolore?”parlava così piano che dovetti accostare l’orecchio al viso di Alessio.
“Penso di sì, ma nessuno è mai tornato a raccontarlo. Un filosofo greco raccontava che è come dormire e poi ci si ritrova dinanzi a un fiume, dentro una grotta, e che se bevi quell’acqua dimentichi tutto e poi rinasci .. Lasciamo stare, ora mi metto a raccontarti del Lete e dei soldati. Anche Achille, sai, il leggendario guerriero venne immerso da sua madre in un fiume speciale, da renderlo invulnerabile, tranne che in un punto ..
Fece un sorrisino. Gli strinsi una mano, leggera come farfalla, quando stava male non voleva farsi toccare da nessuno, tranne sua madre, tanto forte  era il dolore, medici e infermiere dovevano, ma LUI si agitava, non voleva, le sue deboli proteste erano uno strazio.
 Ed era un combattente, ora e sempre.
“Se muoio, devi dire che voglio essere sepolto all’aperto nella foresta, solo un monumento di sassi.”
“Va bene, lo dirò, te lo prometto” E lo trattavo da adulto, come si meritava, Alessio capiva sempre molto di più di quanto ritenessero gli altri, o tentavo, lo avevo viziato pure io, ne ero consapevole e tanto si finiva sempre lì.
“Achille aveva il tallone debole. Quando ho voglia le cose le imparo anche io, voglio essere forte come Achille.”una breve pausa, si sentiva un filino meglio, ma a volte, prima della fine, vi è una apparente ripresa, e poi l’agonia della morte.
Aveva 40 gradi e mezzo di febbre da  giorni, la temperatura non diminuiva e il cuore non poteva reggere all’infinito.
La sua crisi divenne un affare di stato, prevedendo il protocollo che, in caso di morte imminente dello zarevic, dovesse farsi un annuncio ufficiale per preparare la nazione alla perdita.
Il bollettino venne trasmesso e venne somministrata l’estrema unzione, nel prato davanti al palazzo venne costruita una tenda trasformata in cappella provvisoria, che Spala non disponeva di una Chiesa, tutta la Russia pregava per lo zarevic.
Caddi sulle ginocchia, imitata da molti altri, pregando per la sua salute.
I capelli mi si rizzarono sulla nuca quando scorsi una bara foderata di velluto viola e filigranata d'oro nell'anticamera; distante, volevo piangere in pace e trovai quell'apparato. Già, ogni volta si preparavano al suo decesso, il sudario, in filo d'oro, era tirato fuori e posato sul catafalco che avrebbe custodito le spoglie, ne facevano uno nuovo per anno, seguendo la sua crescita, posandolo in una lontana anticamera fuori dalla sua vista, mettendo finanche un cuscino con un alto bordo di pizzo dorato. No. Anche lì. NO.
Con un sorriso sardonico sfrangiai un angolo di prezioso tessuto, un punto segreto, usando delle forbicine che portavo sempre con me

A quel punto la zarina Alessandra spedì un telegramma a Rasputin in Siberia e la risposta giunse ore dopo, parlava di guarigione e tutti si meravigliarono, a partire dai medici che lo davano per spacciato e più ancora quando lo zarevic ebbe una impercettibile ripresa, che si rivelò costante.
Era tutto rarefatto e sospeso, le icone e le candele con il loro caldo odore, cera pregiata, un quadro vivente della desolazione. Alessio era immobile, il respiro superficiale.
La sua vocina rimbombò come un secco proiettile, il rombo di un cannone nella mistica atmosfera “Ho fame..Olga? Tata..” riconobbe sua sorella che lo prese tra le braccia, piangendo “Mi spiace..siete stanche”
“Tranquillo..come sono felice” lo raccolse contro di lei “Cat..c’è?”
“Sì ..Alessio, c’è sempre stata..ti farà mangiare lei come da tradizione, un boccone, una storia” In genere ogni boccone era una frase ma sorvoliamo, riflettè tra di sè il bambino

“Niente fiume e niente grotta”
“Che dici?
“Una nuova storia; Anastasia.”
“Sarà per un’altra volta. Speriamo il più tardi possibile”Strinse gli occhi, un barbaglio azzurro e divertito.
“Ci conto. Sarai forte, davvero, come Achille o Piero il Grande”
“ Lo so. Quando torno a casa, manda tuo fratello a giocare da me.”
-“Certo, ti metterà a soqquadro tutto, parlerà senza posa..” Alexander poteva essere snervante, con la vivacità e il brio di tre bambini. Fu il mio turno di stringerlo tra le braccia e riempirlo di baci, come di distrarlo con nuove storie.
Ogni frase un boccone con cui lo imboccavo, era viziato e intelligente, sapeva come rigirarmi.
Io come le sue sorelle, per non tacere di sua madre.
A mia discolpa annovero di averlo viziato ma ne ero ben consapevole.
Trangugiò due cucchiate di minestra fredda con del pane con una lentezza esasperante “Ti eri preoccupata.. eh” aveva il viso pallido e contratto e tanto mi pareva un miracolo, anche se era sfinito, gli occhi erano immensi, due lampade azzurre. “Sei stato veramente male” gli pulii il mento con delicatezza, aveva un bavaglio per non sporcare le lenzuola e compagnia, il busto alto grazie alla pila di cuscini. “Vedo. Non hai detto nulla” lo avevo tenuto stretto per un pezzo, baciandolo, felice oltre ogni immaginazione, luce e calore e dolcezza, delicata come una piuma “Del per piacere e compagnia.. che mi importa..” gli sfiorai una guancia, era un miracolo. “Non ti lascio, Aleksey.. Io e Olga e Tata facciamo i turni, cerca di riposarti .. Se ti svegli, oltre a tua mamma, trovi una delle tre, Marie e Anastasia di giorno..” Una pausa “Tranquillo.. cerca di stare tranquillo, la passiamo insieme, una delle tante” “Dammi due cucchiate e taci” ruvido per nascondere la commozione, poi mi serrò il collo con le braccia E come apriva le mani me lo stringevo addosso, sempre dal lato destro, attenta a tutto. Per un pezzo avrebbe dovuto portare un apparecchio ortopedico di metallo per raddrizzare la gamba e curarsi con bagni di fango caldo per non rimanere zoppo. Era il mio piccolino, la meraviglia e la fragilità Stava meglio e tanto rimaneva malato, suo padre disse che pareva fatto di cera, anche se i medici lo rimpinzavano come potevano. E vedevo che si sforzava di mangiare, per farci contenti, tranne il cibo era.. da malati, poco appetitoso, rilevai assaggiando un boccone quando era fuori vista. 
Chiesi al Dr Botkin se fosse una balzana idea, lui approvò, avvisandomi di non restarci male se non avesse gradito, lo zarevic aveva ben poco appetito, in generale, non era un bimbo goloso.
Quando mi riprendevo dal morbillo,il profumo del pane tostato, con burro caldo e marmellata mi aveva aperto il naso e lo stomaco, Alessio adorava i mirtilli, quell’estate a Friburgo, nel 1910 li divorava, la faccia diventava blu. 
“Ti prego, Cat, ora non ho fame..”
“Mangio io ..Magari pensa a cosa vuoi giocare”
“Che è..?” guardò il piatto con dei quadratini sminuzzati, percepì il profumo “Vuoi sentire..”
“Grazie, Cat..” scrollai la testa, mi si appoggiò alla clavicola e gli carezzai i capelli, aveva spolverato tutto “Sei la sola che se ne ricorda.. dei miei gusti.”
“Macchè..”
“Mi hai giocato..”
“Qualcosa che mangi con appetito dovrà pure esistere, Alessio, e ho preferito non forzarti..”
Nevicava, dal cielo e dai sempreverdi fiocchi cadevano, l’aria sapeva di pulito e rinascita, eravamo sempre vivi, con nuova voglia di fare.
Lo zar fece altre battute di caccia, le granduchesse giocarono a tennis, le guance colorite per il moto, perfino lo zarevic si azzardò a uscire, ben avvolto nelle pellicce, per un breve giro su una carrozza trainata da un pony.
Dopo un mese la famiglia imperiale lasciò Spala, le strade spianate a mano e ricoperte di sabbia, per evitare ogni scossone, il treno procedeva lentamente. A circa 20 chilometri orari.
Quando tornai a palazzo Raulov, nella mia stanza, trovai un mazzo di rose, bianche con una squsita sfumatura color crema nei petali, legate da un semplice nastro verde pallido “Dalle serre di Crimea, i mirtilli saranno per l’estate. Baci AN”

“Cat, a che pensavi?” si era svegliato, accidenti a lui. Dormivamo in un divano letto a una piazza e mezzo, una stanza riservata negli alloggi del mio zione, le sue guardie ci vegliavamo, truppe riservate in una zona riservata “A quanto ti voglio bene e quante ne abbiamo passate, insieme”
“Cat”
“Cerca di dormire” ruvida.
“Tu pure! “
E anche quello era un atto di fiducia.
Indiscriminata.
E reciproca.
“Ti voglio bene Alexei” anche se prepararlo per la notte, dopo averlo fatto mangiare e averlo lavato, tra un “Obbedisci” “Non schizzare” “Mi rifiuto di portarti in bagno con me!!” e avergli messo il pannolone per il sonno era un lungo affare. E ne valeva la pena, sempre, tuttavia, quando sussurrò che mi voleva bene mi sciolsi come un panetto di burro. L'anno avanti ero andata in pezzi, mi stavo riprendendo a malapena e lui mi teneva in piedi. "Cat" "EH" "Dopo che sei andata via ho pianto" una pausa " Per una settimana" "Ti mancavo" Oddio, Alexei. "Ma ci siamo sentiti subito per telefono, ti ho scritto tutti i giorni" "Mi mancavi" ostinato ..Pure tu. Oddio, che fare?'

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Capitolo 6
*** You and Me ***


“Dimmi, Alexei, che c’è” aveva smontato da cavallo, leggero, lo osservavo, mi pareva tutto a posto.
“Nulla di particolare " annui, me lo disse dopo "Era.. pensavo a quando ero dentro all’armadio, sognavo di cavalcare, sai”
“EH??”
Aveva da compiere sei anni, il viziato principe ereditario dalle cattive maniere a tavola, la delizia della famiglia, era in carrozza con Olga, mentre lo zar assisteva a una parata di boy scout, lui si voleva unire e Olga lo aveva contenuto a livello fisico, tanto che il ragazzino le aveva mollato un ceffone in faccia “Non puoi, se ti urtano .. o che.. stai male” “Io non posso mai fare nulla” la rabbia, la frustrazione, contro di lei, che non aveva fatto un fiato, gli aveva trattenuto la mano, l’urto dello schiaffo non le aveva causato un vero dolore fisico, Alessio, non ce la aveva con lei, quanto con la vita, non poteva fare nulla (andare in bicicletta, giocare a tennis, che stava male, sua madre sempre aveva l’emicrania, pregava e piangeva..che si ritrovava a letto, divorato dai dolori.. mai una volta che la zarina si fosse premurata di raccontargli una favola, mai, giocare un poco con lui, al contrario di Olga, Tata o Catherine, sorvolando su Marie e Anastasia).
Olga, lontano da occhi ufficiali, gli aveva baciato la mano. “Mi spiace, non posso” e si era ritirata in camera sua, le spalle curve, in tempo di poco aveva sentito il suo pianto, singhiozzi amari, uno sfogo, piangendo, lei che era sempre composta, senza alcun cedimento. Alessio aveva passato due ore al chiuso, al buio,  senza muoversi, dentro l’armadio, la punizione dello zar. E per un paio di  giorni di seguito aveva dato il suo dessert alla sorella, era contrito, sul momento.

Il 1910, un anno di tragedie immateriali e ribellioni. "Tu?" una sola sillaba di disprezzo. La  zarina mi aveva scrutato più inquisitoria del solito,appurando che ero cresciuta e la somiglianza con mia madre, a quando era una ragazza come me.Le evidenze sempre più suntuose e marcate, i capelli castani che nel sole vibravano di ramati riflessi, ero  alta e snella, senza goffaggini apparenti. La copia della giovane principessa Ella, che, in segreto, aveva conquistato principi e granduchi,  l’allora zarevic Nicola l’avrebbe voluta sposare, essendosene innamorato, tranne che non era possibile,che le regole dinastiche erano precise.. Uno zar, un erede al trono dovevano sposare una straniera, per evitare conflitti e diatribe nel Paese.. E mia madre Ella, secondo i pettegoli, lo aveva ricambiato, tranne che si era sposata presto e male,  con Pietr Raulov. E Nicola II aveva voluto che io e le sue figlie fossimo amiche, festeggiando la gioiosa congiuntura che io e Olga eravamo nate nello stesso anno. Lui stesso, come mio zio Sasha e Pietr Raulov, erano cresciuti insieme, amici, compagni d’armi e avventure. E mia madre Ella era tra le dame preferite dell’arcinemica di Alix, ovvero la zarina vedova. Non poteva farla riscontare ad Ella, aguzzò le armi contro di me, inventando un plausibile pretesto. Si convinse, infatti, che fossi io a istigare Olga ed essere intrigante e malevola, a discutere di Rasputin, nessuno doveva creare attriti o ingerenze tra lei e il sant’uomo giunto dalla Siberia, nemmeno l’amica di sua figlia. Fu un esilio, una dura stagione, una desolata nostalgia.
Correvano appunto i primi mesi  dell’anno 1910 quando Alessandra decise che la mia frequentazione non risultava più essere gradita.Anzi era inopportuna, non confacente.
Non lo disse in questi esatti termini, non in mia presenza, ma gli effetti erano quelli.
La istigavo alla ribellione, al malumore, sosteneva Alix, la mia era una cattiva influenza e andava estirpata, come se fossi una gramigna. Solo perché Olga non tollerava la presenza di Rasputin, l’Amico, anzi il Nostro Amico, come lo appellava la zarina, si faceva abbindolare da chi fingeva di darle retta, nessuno doveva contrastare la volontà imperiale di ricevere il santone, il novello Messia che sosteneva che per salvarsi occorreva peccare sempre di più. Tranne che di religione o di quel finto contadino, i cui scandali erano la favola della capitale, non avevamo mai parlato, se non scarni accenni, io e Olga. .(... Contadino poi ucciso nel dicembre 1916 da un attentato complottato dal principe Jusopov, il granduca Dimitri Romanov e un deputato della Duma, Puriskev ..Buttarono il cadavere nella Neva ghiacciata, quando si seppe che il finto monaco era morto la gente ballava e la zarina Alessandra piangeva.. )Un esilio e toccava aspettare le domeniche, quando visitavano San Pietroburgo e ci ritrovavamo da Olga, la zia delle ragazze, la sorella di Nicola II.
Erano  solo miseri surrogati rispetto alla frequentazione di prima, ci sarebbe voluto poi Aleksei che voleva le mie storie, sempre e comunque, e sua madre aveva esaurito le scuse plausibili e non, non potevo essere sempre malata, in viaggio o in visita.
Per scambiare due parole e ridere, era mio zio a tenermi allegra, mia madre era occupata da Sasha e mio padre era ancora più evanescente del solito. Non era cattiveria, lei mi riteneva abbastanza grande per arrangiarmi da sola, mentre mio fratello era piccolo.
Un grande affare, come no. Un primo assaggio dell’età adulta e la luce del tramonto bagnava i petali delle rose come sempre … come ai tempi degli antichi dei, che riempivano forse i bagagli di sogni e parole, una mia remota fantasia.

Già, ma non era una fantasia il distacco che mi mostrava il principe Raulov mio padre, il suo viso evanescente come fumo, un fiordaliso, pareva quasi non volersi affezionare a nessuno per il timore forse della perdita, era rimasto presto orfano e la sua educazione era stata severa, spartana .. Il massimo della confidenza era dirmi che amava la torta di mele cosparsa di vaniglia  Inutile aggiungere che quando mi presi la briga di cucinarne una, sotto la supervisione della cuoca, neanche si degnò di mangiarla..
E meglio quello dei ciclici accessi di violenza cui ogni tanto si lanciava, ma io ero dura come una pietra, una selce, volevo essere amata e di amore ne ricevevo ben poco, ero davvero pretenziosa in quel particolare ambito.Nei fatti era mio zio che si occupava di me, insegnandomi a cavalcare, a smontare le armi e sparare, a farmi ridere anche quando non avevo voglia, inimitabile scanzonato, uno scapolo d’oro che dribblava con eleganza di gatto le manovre matrimoniali della giovane zarina .. .
Per sua fortuna, la fortuna bara dei Rostov Raulov, ereditata dal nostro mitico antenato Felipe, la devota amica di Alessandra, Anna Vyribova, si era sposata, nel 1907, risparmiando ad Aleksander un immenso imbarazzo, che non era roba da poco rifiutarla, era la prediletta ancella della Zarina, la sua amica personale.
 Il matrimonio era stato poi annullato per mancata consumazione, e la giovane damigella, figlia di un cancelliere di Corte, ronzava mite e indolente presso la sua imperiale amica, che con il trascorrere del tempo divenne sempre più importante ed asfissiante..
Alix, nella sua immensa vanità, riteneva di non potere sbagliare e non accettava critiche da nessuno, così che la Vyribova, che le dava sempre ragione, divenne la sua favorita.
Più ed ancora, era una fedele, entusiasta seguace di Rasputin.
 Nel contempo era noiosa, senza particolari attrattive, dimessa e poco spiritosa, tanto che Alessandra stessa la chiamava la vacca .Tanto era.
Di sicuro a lei non sarebbe venuto certo in mente di paragonare le stelle ad aculei argentati come ad Olga o raccontare storie sulle brumble roses.
La mia unica, prediletta Olga, mia ombra e mio riflesso .
Legate troppo e ancora, volevamo vivere mille avventure, vedere il mondo, come due foglie simili in uno stesso ramo.
Nella distanza, ho vissuto mille avventure, per lei  e per me, ma non basta.
Non basterà, siamo state amiche e sorelle, troppo o troppo poco.
 “Sei triste“Mio zio Aleksander constatava, da buon diplomatico non palesava mai direttamente il suo pensiero in generale e, nel particolare, sulla zarina, ma compativa lo zar per  che aveva una simile moglie.Non era esperto in materia di matrimonio, essendo scapolo e gaudente,solo aveva avuto due figli dalla sua amante borghese, oltre che sfoghi collaterali. Che  ironia. Spesso Dio si divertiva a giocare a dadi, per davvero.
“Sfogati, avanti”.
“Mi manca, sono le mie amiche.” A momenti avrei detto “Le voglio”come  Alessio, sbattendo i piedi, una viziata ragazzina.
“Catherine, siete cresciute insieme e siete molto legate “ Mi strinse il gomito, per darmi conforto..
Era serio, lui sempre scanzonato e irriverente su tutto, aveva la stessa età dello zar ma a me pareva sempre un ragazzo.
Tuttavia, in quel momento, realizzai  che nella sua barba vi erano fili grigi e aveva le rughe. Le stagioni erano passate pure per il principe mio zio, aveva quarantadue anni, nel 1910, due figli illegittimi nati dalla sua amante borghese, oltre che sfoghi di passaggio.
Membro ufficioso del governo, aveva poi un ruolo nella polizia segreta dello zar, si muoveva in vari ambiti con saggezza e discrezione.Diciamo che non ero sempre concentrata su me stessa, alle volte ero empatica pure io. “Ma non odiarla, se vi tiene separate, da una parte è sola tranne la Vyribova, non ha amiche.” le sue parole erano vere e affilate come coltelli.” Venendo a noi.. State crescendo e se non è adesso … prima o poi la vita vi dividerà. Che ne so, vi sposerete, per le granduchesse più grandi si parla di un matrimonio con il principe di Galles, con quello ereditario di Romania e via così. E tu rinunceresti a avere una tua vita, una famiglia, per stare con lei? Potresti .. un domani ti sposerai.”
“NO“Avevo quindici anni, non riuscivo a immaginarmi quella possibilità. A onor del vero, erano pochi i matrimoni felici da cui trarre ispirazione. Cominciavo dai miei genitori, i principi Raulov, spaziando su vari altri fronti, la nascita di mio fratello li aveva resi meno freddi e scostanti, erano brina e ghiaccio, peccato che non si sopportassero. Insieme, leggevo romanzi d’amore, ero romantica, in fondo, come aveva indovinato Olga, ma non sapevo a quale santo votarmi. Ideali e realtà poco andavano in accordo, contava più la nostra fantastica amicizia, che, omettendo Olga e le sue sorelle, non avevo amici.
E perderla era una punizione che credevo di non meritare.
Ero  troppo strana, esotica, diversa.
La bellezza ereditata da Ella, lo stretto legame con le granduchesse, l’intelligenza creavano una specie di barriera, un confine.
Nel 1906, quasi andata al creatore dopo una caduta da cavallo, mia madre aveva ritenuto allevarmi secondo le mie potenzialità, che riguardavano la storia, le lingue e la letteratura, non certo l’educazione riservata a una principessa ( primeggiavano buone maniere, ricamo e musica, effetti in cui ero negata).
Un proclama di orgoglio, ma, insieme, una maledizione.
Ero  troppo strana, esotica, diversa, ripeto, mi chiamavano la spagnola, la straniera, forse fu la Vyribova a coniarlo, come epiteto, ignara preveggente.
E in Spagna eravamo tornati ancora, nel 1910, nella primavera.. Il castello dei nostri parenti iberici era davvero un luogo magico, di mio eterno incanto.
AHUMADA, la fortezza delle meraviglia, una rocca immutabile, potente e salda.
“Spero di sbagliarmi, che non starete più insieme“Aggiunse conciliante, ma sapevo che non ci credeva fino in fondo, mi sentivo vuota senza Alessio o le sue sorelle, una marionetta slegata, senza punti di riferimento. “Ricordati, poi, in ogni caso, che Olga Nicolaevna ti vuole bene, non pretenderebbe MAI che tu non avessi un marito o dei figli. Che, perdonami, Catherine, altri destini alternativi non ne vedo. Una ragazza può fare ben poco di diverso.”ed ero diventata un soldato, il lupo e la tempesta, mi ero reinventata come una fenice, Fuentes nei gesti e nei fatti, salvo diventare madre, quando non ci credevo più, mi vietavo di pensarci.
FELIPE.
LEON. 
I nomi dei miei figli, la mia rivincita, la mia conquista.
Avevo conquistato un nuovo regno. Un impero, un continente.
Fuentes, poche sillabe, un ruggito nei secoli.
Ero un Ulisse in gonnella, che si inventava nuovi peripli, rotte  diverse.

Comunque, fu lui, mio zio,  a insegnarmi a smontare e caricare una pistola, un fucile, a perfezionarmi nell’arte di cavalcare a pelo, a uomo, a moltiplicare lo studio delle lingue, capacità che in seguito tornarono utili in modo imprevedibile.
O mi addestrava, sulla scorta del principio che mai si può  sapere?
E poi ritornai, Aleksei voleva le mie storie, le storie di Cat e Alessandra amava suo figlio più della sua stessa vita e mi concesse di tornare, trovammo un modus vivendi.
Ne ignoravo le ragioni precise, lo intuivo che poteva non sopportare me o Ella Raulov, ma amava suo figlio e anteponeva il suo bene al proprio.
Dopo compresi, anche troppo bene.
Solo che io ero una ragazza, ribelle, irrequieta, non proprio simpatica,a dirla tutta, ero una vera spina nel fianco, ma il vero caos lo aveva combinato mia madre, insieme allo zar, io ero un effetto e una conseguenza, non la causa scatenante, ma Alix aveva il dono di dare sempre la colpa a chi non godeva delle sue simpatie, o traslava, meglio rifarsela con me, che con mia madre, che non poteva toccarla in modo diretto, facendo soffrire gli altri.
E avevo capito come mutare odio e rabbia.
Una magica alchimia.
Che nella mia vita, ho adorato Olga, le sue sorelle e Alessio. Che, a prescindere dalla sua malattia, non meritava di crescere come uno smidollato, preda dei suoi capricci e impulsi, né di soffrire per la mancanza di una persona a cui voleva bene, ovvero io, che stava lontano senza che lui ne comprendesse i motivi. È amica tua, ti vuole bene e ti fa ridere, aveva detto una volta a Olga, perché non può stare sempre con noi.. perché? Già. Chi aveva cuore di spiegargli quei misteri. E io avevo perso quella amicizia, senza nemmeno potermi difendere…

 
Entrai nella stanza dei giochi, rivedendo le pareti tappezzate di cretonne verde, i giocattoli  ordinati, di tutte le fogge, forme e dimensioni, dai trenini alle bambole, piccole e grandi, con suntuosi vestiti di seta e minuscoli stivali in vera pelle, accurate e perfette, come i soldatini con cui amava giocare Alessio, come un teatrino, i puzzle e i domino, la tenda indiana, le finestre alte, illuminate dal sole, i piedi che si muovevano silenziosi sulla moquette.
Un cenno, giocava sul pavimento, in una divisa da marinaio, la testa castana dalle ciocche ramate assorta in qualche battaglia, davanti aveva una vasta teoria di militari giocattolo e piccoli cannoni.
“Zarevic, una persona chiede di voi” Olga, con dolcezza “Si può avvicinare..”
 “Olga, CAT” fermo, mi ero raccolta vicino a lui, la gonna color crema sulle ginocchia, una mano vicina, senza muovermi, magari non gradiva, si doveva riabituare come l’anno avanti, varie le assenze,  in altre occasioni mi sarebbe saltato diretto in braccio “Cat, sei qui” incredulo “Posso?”
“Certo, cosa aspetti, ops ..non mi sono inchinata e..” e mi si era già buttato addosso, le mie braccia come un riparo, una fortezza lo avevo cullato per un pezzo, maledicendo sua madre e le sue fisime, mi mancava, sempre, eravamo legatissimi, perché restare separati? Tra dire e fare,appunto, mi si era già attaccato come una foglia di edera, ricambiato con zelo, stretto addosso con amore, disperazione, gli baciavo la fronte, i capelli, le guance,  le sue manine sul viso, lo serrai contro la clavicola, con le gambe mi si era già attaccato ai fianchi, gli toccai la schiena, le scapole magre, sollevandolo in un piccolo giro di danza
“Hai finito con i viaggi, le visite, le malattie?” un sussurro, la testa contro la mia clavicola, annodato stretto. Tutte scuse che gli propinava sua madre, cercando di essere logica, io ai pranzi domenicali, un misero surrogato rispetto alla frequenza di prima, ero spesso distante, la testa altrove “Verrò ogni volta che potrò, fammi chiamare quando vuoi, d’accordo, ora andiamo a giocare, scommetto che hai tante cose da farmi vedere” risposi, piano “Certo, un trenino elettrico e ..” “Giochiamo Alessio, pensa a questo, cerca di non essere triste!” quindi, ispirata “ E ti tengo sempre sollevato, ti scaldo le mani, ti massaggio le gambe, ti prevengo” una sua richiesta ai suoi marinai, agivo in via cautelare, appunto, sorrise, radioso, se mi preferiva un motivo vi era.

Per l’ora del tè, scrutai la porcellana dei piatti, i decori di rose e foglie che li orlavano, passando quindi su il profilo di Anna V. e della zarina, che mi fissavano, allibite “Buon pomeriggio, lo zarevic mi ha requisito” alzando la testa e serrando il bimbo tra le braccia, che mi allacciò sul collo “.. vero, mi imbocchi..” “Basta che mangiate tutto, va bene, zarevic” “Si” una impresa da titano, del mio viziato autocrate in fieri che era, ci riuscimmo, tempo una manciata di ore, e ritornammo, affiati, da tradizione.

Diciamo che la bizza più grande di Aleksey ero io, nel breve  e lungo periodo, senza pericolo.

In quel periodo, lo zar era meccanico, lontano ed assorto, faceva il cosiddetto dovere coniugale perché così doveva essere. “Allora, Alix, gli abbiamo preso una montagna di giocattoli e assicurato idonei compagni di giochi, chi vuole” e lei taceva, le labbra strette, la fronte corrugata
“Catherine, la mia figlioccia, la nipote del mio amico Rostov-Raulov, senza fallo” una retorica constatazione “E questo e’ quanto, non piangere, non accampare svenimenti o mal di testa, le palpitazioni o altro .. ” un duro tono che ben di rado le serviva, lui che la accontentava in tutto “Alessio deve stare bene e finché la vuole, non aggiungo altro, basta così per tutto, hai visto come sorride appena la vede, anche se sta male”
“Ma Padre Grigori, il Nostro Amico, Anna V..” che Alessio mi adorasse era una constatazione di fatto, e viceversa, quello non lo avrebbe mai smentito
“Padre Grigori ora non è qui, mai avuto a che ridire sulla principessa Raulov, o sbaglio.. Anna .. lasciamo perdere, argomento chiuso, da quella volta in Crimea, che pretendeva che NON sapesse cavalcare, Catherine, e l’ha invitata a provare, certo pensando che si sarebbe ricoperta di ridicolo e ridicola era lei, che la ragazza ha lasciato tutti a bocca aperta, cavalca come una vera amazzone,  lasciamo stare” E Alix tacque, sapeva quando era il caso di tacere. “Alessio con lei sta bene, lo sai” era viziato e capriccioso, ma io cercavo di trattarlo come un bambino normale, senza tare o limiti, stava bene in quel senso, che di miracoli non ne compivo, purtroppo, oltre che amarlo poco più facevo. Non si trattava di essere buoni o cattivi, penso ora, tranne che la zarina aveva il dono di dare sui nervi a tutti, ed era una persona buona, in fondo, peccato che fosse  ottusa e lo zar in genere passivo, sommerso dai senso di colpa per mia madre  Ella e per me.
Era un uomo buono, in fondo, la sua sola disgrazia era regnare,  ebbe a dire a mio zio R-R e suo cugino, il granduca Alessandro, quando suo padre morì nel 1894, stroncato dalla nefrite, pochi momenti dopo, cosa ne sarebbe stato di tutti loro, della Russia, non era pronto a diventare imperatore, non lo aveva mai desiderato e non aveva nemmeno idea di come parlare ai ministri. Era totalmente smarrito a vestire quei panni. Nel tardo pomeriggio di quel giorno di novembre 1894, eretto un altare, i cannoni avevano rombato per il defunto zar, le campane avevano suonato per il nuovo, che giurava fedeltà all’impero, la voce tremante, diventando “Sua Maestà imperiale imperatore e supremo autocrate di tutte le Russie, supremo zar Nicola II" Quando nell’estate del 1910 andammo a Friburgo lo ritenni un vero stratega, Alessio.
Il mio Alessio.
E scopriva che il mondo era un luogo di sofferenza, ogni giorno in misura maggiore.
“Sei un maschio mancato, Cat” strinsi le spalle, mentre osservava i miei stivali alti, da cavallerizza, i pantaloni scuri e la giacca, sbuffando, i capelli corti. Mi dissi d’accordo, sbuffò, sardonico quindi aggiunse “ E comunque mi piace, mi fai fare tante cose “ Nonostante la malattia, che gli impediva di essere libero, cavalcare, correre a destra e manca.. Salire ogni santo giorno sul nostro Akhal-Teke lo riempiva di gioia e meraviglia, e sapeva che cercavo di non stargli troppo con il fiato sul collo, di trattarlo da adulto e non da ragazzino malato. Cercavo, non era scontato che vi riuscissi, avevo avevo riflettuto in seguito, dopo che me ne ero andata la prima volta, che lo lasciavo per svolgere le mie missioni, un compito superiore, ricordandogli, come un metaforico schiaffo, cosa era .. O si riteneva.  Un infermo, che non poteva muoversi, che non poteva avere. Mi ero sentita in colpa per un pezzo, la solita ipocrita, peraltro, che tanto andavo e tornavo ..
“Sai, con Papa abbiamo visitato un altro ospedale e uno dei feriti si lamentava che sua moglie non aveva i soldi per raggiungerlo, che erano poveri, ora li ha. Ho chiesto che venissero dati, per il treno e un sussidio“si attivava sempre per aiutare gli altri, agiva rapido, senza intermediazioni, bastava che lo sapesse.
“Bravo, io comunque che ti farei fare”
“Cavalcare.. smontare e rimontare le armi, mi risenti le lezioni e … “ elencò le varie cose. A suo credito va osservato che mi dava retta, bizze e capricci erano deputati per il cibo e il dormire.. Come da prassi. Consolidata, mica potevo pretendere troppo.
E lo zar, che per ovvie ragioni non voleva e poteva delegare ai suoi marinai, quando eravamo da R-R non poteva fargli da balia asciutta e delegava me, con il risultato che diventammo legatissimi, come non mai.
 
Quella sera, osservai la stanza.
 
I miei libri.
 
I suoi soldatini giocattolo.
 
Il necessario per scrivere.
 
Le carte da gioco.
 
Un vaso di fiori e bacche autunnali.
 
I suoi cambi nell’armadio, vicino ai miei.
Due tazze, vicino il samovar con il tè.
Una scacchiera.
Lui.
Io.
Tutto un mondo.
 
Ringraziando Old-Fashioned, che mi ha concesso di usare un suo commento, da cui è partito lo spunto per questo capitolo. Leggete le sue storie, è un mito.

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Capitolo 7
*** Always US ***


“Con Papa, abbiamo visitato un ospedale di feriti, è stato .. duro. C’era puzza, i malati si lamentavano e molti non avevano un braccio o una gamba, o mancavano entrambi. O deliravano per il dolore”
“E che hai fatto?”
“ Il saluto militare e detto che ero orgoglioso, che erano valorosi, anche se era tremendo che fossero .. feriti. Mutilati. E visitato le truppe, tante sai”  
Lo sguardo grigio azzurro si oscurò, attesi senza forzarlo.
In particolare, nell’autunno del 1915, lo Zar aveva passato in rivista le truppe del Generale Tcherbatchev. Dopo la  cerimonia, il sovrano desiderando conoscere le perdite sofferte dalle truppe chiese ai comandanti di ordinare ai tutti gli uomini che avevano combattuto fin dal principio delle ostilità (agosto 1914) di alzare le mani. 
L’ordine venne impartito e, tuttavia, solo poche braccia si alzarono rispetto a centinaia di teste, in intere compagnie non si alzò neanche un pollice.
 
L’episodio produsse una grande impressione ad Alessio, che aveva realizzato in modo diretto, crudo quegli orrori.
“Ah Alexei” sospirai a mia volta, persa in altri ricordi. Mi ero raccolta il viso tra le mani, la tensione che mi rendeva esausta, i gomiti sulle ginocchia, poi mi ero rialzata, senza fallo, un dragone combattente, ero ACCIAIO .. UN DEMONIO. E la tristezza, con Andres eravamo andati vicini alle trincee..Che orrore, che delirio, fango, puzzo, vomito, un inferno in terra, che il lusso di un bagno caldo era per me e non per quei disgraziati. E  le missioni compiute, gioco o caso, mete rincorse senza scopo, e vinte per fortuna. Già, Andres, l’altro asso nelle manone onnicomprensive di mio zio, a quei tempi mi interrogavo molto poco sul legame che andavamo costruendo, io e Andres.
“Cat, posso stare con te, stasera?” una pausa “Ho chiesto a Papa, se tu sei d’accordo..” Un cenno di assenso. “Quando vai via?”
“Tra una settimana” tra due giorni sarebbe sfilato a cavallo, avrei aspettato che .. non gli succedesse nulla, quindi sarei ripartita per l’ennesimo ingaggio. “Fisicamente, dico” che avevo lavorato anche in quell’annesso, traducendo una valanga di report, in francese e inglese, a uso e consumo degli alleati.. Già, tra i miei tanti talenti, oltre alla mancanza di modestia, vi era una felice combinazione per le lingue. “Dice che non devo darti fastidio..o starti appiccicato”
“Figuriamoci, mi fa piacere ..”
“Anche se faccio le bizze?”
“Sul cibo e dormire è la tua prassi consolidata, per quanto ne so” un risolino. Misi un ciocco di legno dentro la stufa. “Alexei, qui ti bado io.. sei abituato ai tuoi marinai, alle tate, alle nurses e cameriere.. “
“E mia madre e le mie sorelle” mi strinse, dolce. E qui eravamo in zona di guerra, mi aveva trovato e non voleva perdermi. Mi voleva bene, mi adorava.. e io.. IO.. il solito senso di colpa, che forse espiavo appena un poco.
Per tante cose era ancora un bambino, aveva 11 anni, da  che aveva memoria ero sempre stata con lui.., che dava per scontato che il suo piccolo mondo non sarebbe mai cambiato.  E nel 1913 me ne ero andata, novella sposa, dopo avere scoperto di essere una bastarda..
Era stato dopo Spala, nel gennaio 1913, si tenne uno splendido ballo per i 18 anni della principessa Catherine nel palazzo Raulov, a San Pietroburgo, uno spunto per anticipare le grandi  celebrazioni di quell’anno, il tricentenario dei Romanov .
Parteciparono finanche le due granduchesse più grandi, con immenso sollievo di tutti la zarina Alessandra, invitata, dichiarò di essere indisposta e non presenziò.
I saloni erano colmi di fiori freschi, rose e gigli provenienti dalla mite Crimea, i vestiti preziosi che frusciavano, come le uniformi e i rinfreschi erano mirabili,i lampadari e le candele a profusione illuminavano la scena, una scena in una squisita commedia, un tableau vivant agli dei della pace.
Lo zar Nicola II, in alta uniforme, accompagnò le sue figlie al ballo e la principessa Ella sorrise nel vederlo, il suo piccolo sorriso intimo e segreto, che per un battito concedeva a lui solo, prima di rivestire la sua squisita maschera di allegria e buon umore, che vestiva nella buona e nella cattiva sorte.
Lei era vestita di un fumoso color blu, era sottile e flessibile, i capelli raccolti in alto e portava disinvolta perle e zaffiri, lui agile e leggero nei giri di danza, scrutando il favoloso profilo di Ella, il collo eretto e la sua carnagione perfetta.(… lei sì che è una vera zarina, nell’aspetto  e nei modi, Maestà imperiale, come al solito e come sempremai una volta che si sia saputo che la pelle della principessa Ella si copra di chiazze rosse come quella di Alessandra,  la zarina, per non tacere del resto, confidarono a Marie, l’imperatrice vedova, che in segreto, tra sé e sé, si rammaricava che Ella da giovane avesse avuto tante buone qualità ma non rango sufficiente per aspirare alla mano dell’erede al trono, e Nicholas si era accontentato).
Quella sera mi sentivo una perfezione, leggera come una bolla di sapone, levigata, porgendo la mano da baciare.
Dall’alto del mio metro e settantadue, dominavo le pieghe spumose del mio vestito chiaro, un fiume di seta e chiffon, il corpetto incrostato di perle e argento che scintillava a ogni respiro, i drappeggi ad arte, mi davano più seno, portavo orecchini di perle e diamanti in coordinato con la tiara appuntata sui capelli e la collana sul collo
(Quando incontrai Andres, ero vestita da uomo, con i capelli corti, una rompiscatole incalzante, ma ero sempre io)
Le granduchesse erano vestite in tenui colori, rosa pallido e chiffon, una fascia di argento sui capelli, perle alle orecchie, gli occhi accesi e scintillanti di aspettativa mondana.
Ballai con lo zar, mio zio e tanti altri e poi arrivò il momento magico.
“Posso avere l’onore, Principessa?”
“Sì, Monsieur De Saint Evit
”Era un giovane uomo che faceva parte dell’entourage dell’ambasciata francese, il profilo fermo e squisito come il principe di una antica miniatura, mi sorpassava di una mezza testa, robusto senza essere grasso,scuro di occhi e capelli, compito e elegante. Lui per me non era nulla e viceversa, me lo ripetevo, ma era solo un esercizio vano, mi attraeva in modo irresistibile.
Vorticammo, in perfetto accordo, le mie gonne che fendevano come una prua spumosa le acque costruite dai passi creati dai suoi piedi, inebriati e inebrianti.
Alla fine osservai che  i balli parevano essersi abbreviati, lasciai a malincuore la sua mano, come lasciando andare un pezzo di me ...
Buffo, lo avevo incrociato molte volte in quelle sere invernali, a teatro, a qualche concerto, apprezzandone la perfetta gentilezza, gli inviti per il mio ballo di compleanno erano stati distribuiti numerosi, lui era solo uno dei tanti …. Giusto, che mi doveva importare di lui, tornavo a ripetermi, ma lui mi piaceva e io piacevo a lui, poco ma sicuro, quello mi dicevo, cercando di sfumare i miei trasporti e le mie fantasticherie.
Dopo il mio flirt a 14 anni con Philippe, non avevo avuto più nulla, tranne che qualche simpatia che non oltrepassava i confini del lecito e del buon gusto, ancora dovevo iniziare a comprendere a fondo le regole di quel gioco, forse il più bello e antico del mondo, quello dell’amore.
“Sei splendida” Constatò Tatiana, quando ci ritrovammo per una pausa noi tre, un sipario di tranquillità, io che appoggiavo un vassoio con tra flute di champagne su un tavolino e mi tamponavo la fronte, le ciocche scure e suntuose dei miei capelli che viravano nel mogano e nel rame alla luce delle lampade.
“Anche voi e state riscuotendo un successo immenso.”
“Hai ammiratori molto carini.”
“Tatiana, smetti di osservare quel bicchiere e brindiamo, invece.
“Appunto, il divertimento è appena iniziato.”
“Olga sei impossibile, tu, Catherine sei pazza”Tatiana aveva un temperamento serio e austero, la salvava dalla perfezione l’amore per le sete e i bei vestiti.
“ Cin  cin..”
“A proposito, Catherine, l’ultimo con cui hai ballato ti mangiava con gli occhi.” Catherine, amata e amatissima, un lupo, una leggenda. 
“Evento comune stasera, no?“Risi. Glissando che mi mangiavo anche io LUI con gli occhi.
“E tu altrettanto, lo sai che è prassi consolidata che poco tempo dopo il ballo ufficiale venga dato un annuncio di nozze?”Sorrisi, sposarmi io e con chi? Che si inventava? Dovevo andare all’università, altro che sposarmi.
“Sorella, non dire scemenze.” Intervenne Olga, uno strano puntiglio,  mentre io poi mi ritrovai a riflettere che Tatiana sapeva scorgere segni e sfumature molto meglio di tanti altri, minimi segnali irrilevanti ma era pur vero che, mancandomi un innamorato, perché dovevo perdere la testa per quel francese. Bugiarda, anche allora, per quanto giovane e inesperta, sapevo di essere una bugiarda.
“Catherine, mia sorella ti vuole bene e più o meno siete sempre state in pari” osservò mentre tornavamo alle danze, Olga che si era già avviata.
“Direi di sì. Non su tutto, non sempre.” disse “mia sorella” per rimarcare il concetto, ci riflettei a posteriori.
“Non sarà sempre cosi”Mi fermai per un momento, le sue parole contenevano l’eco di quelle pronunciate da mio zio, il mio padre putativo, tanto tempo prima, che un giorno la vita ci avrebbe separato, scrollai la testa e mi imposi di non pensarci.
Intanto goditi la tua festa
Che terminò alle cinque di mattina, Saint- Evit lasciò il palazzo tra gli ultimi, la traccia delle mie nocche persa tra le sue. E già mi mancava, un presagio in questa vita che sarebbe stata tanta lunga, senza di lui.
Le lettere di mia madre le scoprii dopo due o tre giorni, il mio mondo andò in frantumi, come un uovo di Fabergè, prezioso e delicato, una volta rotto più non si ricompone. E  appresi la coesistenza, nel medesimo giro di danza, di rabbia e tristezza e la potenza salvifica della passione.
E forse potevo capire il principe Raulov, ma non giustificava quello che aveva fatto a me e mia madre, o forse lo ignorava.
Pensieri ossessivi e dolorosi, mi veniva da piangere e mi imponevo di sorridere.
Continuai a visitare la famiglia dello zar, a sorridere, giocare con Alessio, che si sottoponeva a cicli di dolorosi massaggi e bagni nei fanghi termali, massaggiandogli le mani fredde, sussurrando in francese e in inglese che era un eroe, un piccolo Achille.
Il mio combattente.
Che voleva godere la vita, non tollerava restrizioni  e la malattia era una condanna, da quando era nato, la mia era invisibile, un anatema, l’essere una  probabile bastarda, come avevo appreso.
Mi sentivo una bara, una giocoliera, Felipe, il mio antenato, ritornava come un monito. Nato fuori da legittime lenzuola, suo padre nobile, la madre una contadina,  aveva visto la luce in Spagna, salvo passare alla corte di Caterina II, aveva combattuto, guadagnandosi una sorte diversa e i suoi titoli, sposato una principessa russa, salvo poi sposarsi in seconde nozze per amore.
Aveva forgiato una dinastia nelle terre dell’est, io che discendevo da lui potevo e dovevo agire. Non rimanere una foglia in balia della sorgente, me ne sarei andata, inventando una nuova sorte.  Al diavolo tutto. Compreso Alessio che mi cercava sempre, il suo viso deluso e le sue braccia vuote le scordai, anzi le omisi.  Tanto, si meritava di meglio che sprecare il tempo con me.
Egoista fino alla mia ultima stilla.
Che poi lui mi avrebbe amato, a prescindere, i bambini sanno sempre perdonare, inventano un loro magico mondo. Anche no, lui poi rilevava che gli badavo sempre, che gli volevo bene.
“Catherine” serissimo.
“Dimmi, ti serve qualcosa?” mi misi alla sua destra, gli massaggiai la schiena, in automatico, scacciai i pensieri per dedicarmi a lui, a stare sempre su quel divano si stava chiaramente scocciando. E camminava ancora male, si doveva aggrappare ai mobili o essere sostenuto, Deverenko e Nagorny lo portavano in braccio, se non usava la sedia a rotelle o un bastone. Alcune volte ci pensava Marie, salvo piazzamerlo  spesso in grembo, lo serravo delicata e paziente, lo amavo sempre
“Una spiegazione..”
“Su.. “
“Cosa è la domenica di sangue, quella del 22 gennaio 1905.?”in un fiato, circospetto, come se non volessi farsi sentire.
 “Possibile che ascolti tutto.. “ esasperata, che gli dovevo dire.. La verità.
“Urlavano .. Papa no, ma uno dei suoi consiglieri, dicevano delle persone.. di quella domenica.. “
“Perché sei così curioso..” Sempre. E quello glielo avevo insegnato io, di chiedere e ben pochi gli rispondevano, considerandolo troppo piccolo. Era malato, non stupido, era acuto.“ E va bene, te lo dico, solo che sono cose delicate, e.. “avrei fatto meglio a tacere e tanto avrebbe chiesto fino allo spasimo, senza risultato e si sarebbe incaponito in maniera peggiore “.. non avevi nemmeno sei mesi, si erano verificati dei disordini per l’epifania,” ovvero un attentato a suo padre, era partito un colpo di cannone che aveva frantumato le finestre del palazzo d’Inverno, io e Olga ne sapevano qualcosa, delle schegge di vetro ci erano piovute addosso, per miracolo non eravamo rimaste ferite. “.. insomma,  erano proibiti gli assembramenti e ci fu questa marcia, Alessio, davanti al Palazzo d’Inverno” solo che gli zar erano a Carskoe Selo, al palazzo di Alessandro “.. 12.000 persone, per lo più lavoratori,  operai, che chiedevano salari più equi, un minimo,  lavorare 8 ore al giorno e non 14 o16, un giorno di riposo a settimana .. “ Mi interruppi, il peggio doveva arrivare“.. i soldati hanno aperto il fuoco, zarevic, contro gli scioperanti, uomini, donne e bambini, che non avevano armi.. Brutto” e la neve si era tinta di sangue. I morti in via ufficiale furono 92, con centinaia di feriti, ma certo i  numeri erano più elevati, comunque la capitale era rimasta sconvolta, era cinico, barbaro sparare contro una folla inerme che invocava lo zar e condizioni più decenti.
“Non è possibile.. “ smarrito, incredulo.
“E’ successo, Zarevic, bada a quello che chiedi o scopri, non sempre le risposte sono gradite” eh, Catherine.. tu ne sai proprio qualcosa.

“ E il massacro dell’incoronazione.. “
Una tragedia che aveva funestato gli inizi del regno, nel 1896. Lo guardai, era attento, voleva la verità, una tragica e vera storia.
Nel mese di maggio 1896 si svolgeva la solenne incoronazione a Mosca, la cerimonia dentro il Cremlino fu di superba bellezza e lusso.
Era la completa assunzione al trono, l’investitura di forma, dopo quella di sostanza al momento della morte di Alessandro III.
La cattedrale dell’Assunzione rutilava di ori e icone, di una folla abbigliata in modo splendido, che resistette circa cinque ore, il tempo dell’elaborata celebrazione, tra salmi e prediche, le fiammelle delle candele vorticavano sospinte dai palpiti d’aria come l’incenso che saliva dai turiboli, gli zar erano commossi mentre venivano cinti della sacra corona.
Erano  i signori della Russia, incoronati, gli unti del Signore, solo Dio e gli angeli erano loro superiori, avvolti da porpora e ermellino parevano divinità, ieratiche e perfetti nei volti e le espressioni. Tale sensazione si era avuta la sera prima, quando Alix, affacciatisi al balcone per salutare la folla, ricevette un mazzo di fiori dai notabili. Quando lo aveva preso in mano, un congegno nascosto aveva inviato un messaggio alla centrale elettrica di Mosca, che rispose inviando la corrente a tutte le lampadine, rosse, verdi, viola e blu, poste su ogni albero, cupola e cornicione, così che tutte le luci si accesero, stelle palpitanti, la città a festa illuminata solo per LEI
Venne tenuto un imponente banchetto per i nobili e i dignitari, mentre quello per il popolo era stato organizzato nei pressi della spianata di Chodynka, usata come luogo di esercitazioni militari, quindi ricco di buche e fossati.
Erano stati allestiti teatri, grandi buffet per recare i cibi e i doni dell’incoronazione, 20 spacci pubblici per le bevande, insomma una grande fiera,  ma la sera che precedeva il banchetto per il pubblico era circolata nel popolo la voce che i doni commemorativi non sarebbero bastati per tutti, quindi la folla cominciò a radunarsi per essere in prima fila fin dai primi bagliori dell’alba.
Da una cronaca di quei giorni "Una forza di polizia composta da circa 1800 persone non riuscì a mantenere l'ordine pubblico e sfollare quanti si erano radunati. L'ondata di panico che si verificò non durò più di quindici minuti nei quali 1 389 persone furono calpestate a morte e all'incirca 1 300 furono ferite.”
Lo  zar dichiarò che non si sarebbe presentato al ballo organizzato per quella sera presso l’ambasciata francese, ma gli zii paterni, lo convinsero a parteciparvi ugualmente per non offendere il diplomatico di Parigi. Alla fine,Nicola II si arrese.
Il commento di Witte, ministro di lungo corso: «Noi ci aspettavamo che la festa venisse annullata. Invece essa ebbe luogo come se nulla fosse accaduto e le danze vennero aperte dalle Loro Maestà ballando una quadriglia. Fu una serata infausta: l'imperatrice appariva sofferente e l'ambasciatore britannico ne informò la regina Vittoria.”
Molti russi ritennero che il disastro del campo di Chodynka fosse un presagio del fatto che il regno sarebbe stato infelice; altri, usarono la tragedia per rimarcare la spietatezza dell'autocrazia e  la superficialità del giovane zar e della sua "consorte tedesca".
Principiarono a chiamare l’imperatore "Nicholas the Bloody", ovvero Nicola il Sanguinario.
Un regno cominciato nel sangue si sarebbe concluso nel martirio e nella tragedia, riecheggiando un luogo comune, lo pensai cullando Alessio tra le braccia, era tetro e meditabondo, mi aveva allacciato con il braccio,  per quanto dietro ai miei affanni prevenni le sue lacrime di sconforto, lo baciai sulla fronte, ti voglio tanto bene, sai, mi spiace. Lo tenevo sicuro.. diceva .. Magari. Non gli avevo risparmiato né il dolore né altro, lo amavo e basta, ben misero ricavo e gli propinavo verità amare.



Comunque, finalmente poteva uscire, sulla sedia a rotelle, avvolto in calde coperte e morbide pellicce di zibellino, le mani guantate, respirava soddisfatto la fredda aria invernale, le iridi della sfumatura del cielo sgombro da nuvole. “Guarda, zarevic.. “indicando la delicata trama delle orme sulla neve, un ricamo di piccoli passi “Sono i vostri cervi addomesticati, saranno andati a mangiare il fieno che gli viene portato sotto le tettoie”
“E quelle?”
“Di un coniglio, credo”
“Andiamo a vedere il fortino di neve e la pista delle slitte..” ancora “Guarda, Cat, le nuvole.. ti sembra un vascello..? od un orso..”
“E dove va?” passando vicino a una panchina con della neve fresca e farinosa, feci una palla veloce e lo colpii sulla spalla “Non vale..”
“Tira, Aleksej, allunga le mani .. vedrai quante pallottole..”
“Grazie, Catherine” lo avevo messo nelle condizioni di giocare anche se non poteva muoversi con le gambe, quelle battaglie gli piacevano e Anastasia e Marie erano arrivate di rinforzo.
“Prego..” gli misi giù un ciuffetto di capelli, che spuntava perenne, irriverente come lui “Senti, Cat, ma nel parco ci sono i lupi siberiani?” eravamo nelle stanze dei bambini, cretonne verde con gai fiori e mobili di legno chiaro e lucido, con una miriade di giocattoli e stufe di maiolica per riscaldare gli ambienti, oltre a vari camini.
“Anche no, si mangerebbero cervi e conigli e zarevic in un solo boccone!!”
“Uffa, prendimi quel libro, c’è questa bella illustrazione di un lupo..”  raggiante di ingegno si inventò lui qualcosa, ah che meraviglia, che evadesse dai limiti almeno con la fantasia. “Il canto del lupo..”
“Che canto?”
“Se ululano per segnalare possono anche cantare.. penso io. Lui” decodificai Rasputin” viene dalla Siberia e ne inventa di cose..ma io ho più fantasia”
“Questa è suggestiva”
“E io preferisco le tue, di storie, sempre, mi racconti il drago e la rosa..?” prese di sua spontanea volontà del pane con la marmellata, malizioso “Non ho l’apparecchio ortopedico, almeno per ora, mi puoi prendere un poco in braccio?”
“Alessio.. dai, vieni qui”rinchiudendolo con delicatezza, era fragile e prezioso come un uovo di Fabergè, appunto,uno dei gioiellieri  della corona che ogni anno, per Pasqua, creava uno squisito capolavoro. Nicola II usava regalarne due, una alla madre, uno alla moglie, ne ricordo uno smaltato d’oro, con le aquile bicipite dei Romanov  incise sopra, aprendolo ecco apparire una replica in miniatura della carrozza dell’incoronazione, perfetta, compresa la scaletta pieghevole per accedere all’interno. Altri erano rosa e azzurro o d’argento, con brillanti e perle, con squisiti intarsi, all’interno, premendo un bottone, ecco apparire  un ritratto dello zar o dei principi imperiali o un modellino in oro di un palazzo amato.
“Scusami se sono troppo ansiosa, ho sempre paura che possa succederti qualcosa” un piccolo sussurro all’orecchio, mi appoggiò la schiena contro il torace, lo cullai per un poco, il mento sopra i suoi capelli.
“Almeno lo dici” decise di cambiare argomento “ A proposito, mi toccherà imparare per bene come fare IO un baciamano, quelli che fanno a me non li conto, e con le mie sorelle ci viene troppo da ridere..”
“Farò da cavia” concludendo per lui.
“Ecco, brava..” ridemmo anche noi, prima di imbastire qualcosa di passabile, lui sosteneva che ero più severa io dei suoi precettori in quell’ambito.


Comunque, la stagione mondana del 1913, a prescindere dalla solita assenza di Nicola II e dei suoi più intimi famigliari, brillò per sfarzo ed arroganza.  Mia madre Ella partecipò al ballo della principessa Obolenskij ispirato alla mitologia ellenica,  gli ospiti si aggiravano nel magnifico palazzo neoclassico avvolti in tuniche e sandali, mangiando grappoli d’uva e sorbendo i vini provenienti dalla Crimea, mentre la neve cadeva copiosa. Meriel Buchanan, figlia dell’ambasciatore inglese, per il ballo nella loro ambasciata si premurò di creare vari tableaux vivants aventi un tema macabro, basti pensare che, tra gli altri, figuravano Barbablù e Jack the Ripper. E la contessa Kleinmichel organizzò una serata di splendide danze in bianco e nero, ove gli ospiti parevano confondersi sullo sfondo dei pavimenti marmorei del suo palazzo, appunto a scacchi, candidi e neri.
Fiorivano le danze ed i pettegolezzi, come quello sul famoso Nijinskij, ballerino di punta al teatro Marinskij, che ebbe l’idea di danzare con un costume indossato direttamente sulla pelle, le sue grazie en plein air sotto gli occhi dell’imperatrice madre, che, presente sul palco imperiale, si era fatta dare un binocolo e aveva osservato per un momento o due, salvo allontanarsi in fretta. Il giorno dopo, il ballerino era stato bandito.
E sapevo, visitando poveri e orfanotrofi, che la situazione era satura, una volta mio zio R-R sbraitò che per ogni poliziotto e per ogni centocinquanta abitanti di Piter vi erano, a voler stare modesti, tre o quattro prostitute, che era incredibile!
 
E che importava, la guerra era in mezzo ai piedi. Non commentai limitandomi a aprire le braccia. “Vieni qui, pulcino, abbracciami”
Mi volò addosso “Per la rivista devi esserci” in tono dimostrativo, certo.
“Certo, non dico nelle prime file ma certo che ci sono, prevedo che sarà uno spettacolo, in ogni caso non tirare pedate…. Quando, mica se”
“Certo, che sennò ti staccano la testa e ci giochi a pallone..!!”
“Zarevic, continuiamo” seria, solo fargli l’occhiolino lo rasserenò dalla mia posizione. “Intanto mangia qualcosa, devi essere in forze..” mangiò da solo, alle 21.30 dormiva (a casa lo mettevano a letto verso le 20.00), abbracciato al cuscino, dopo 10 minuti mi stesi vicino a lui, ridendo .. “Obbedisci” “Non mi schizzare” “Vai in bagno” sottointeso prima che ti metta il pannolone per la notte. Ridendo per dire, il clima era serio, scrutai il suo amato visetto, le sopracciglia castane, il naso sbarazzino, sfiorando una guancia.
“Cat “
“Eh.. “ all’una di notte ero poco reattiva, in genere.
“Devo andare in bagno”
“Subito”
Si fidava di me.
E io di lui.  

IN TUTTO. You were never alone, your family was always there for you, the whole time, like me. And You for me,too.

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Capitolo 8
*** I am pround of You, my Knight ***


Lo avevo preparato, pregando mentre si allacciava i bottoni, controllando che fosse tutto a posto. “Sono fiera di te, zarevic, sempre”
“DA” ovvero sì in russo.
“Guarderò e..”
“Quando ho finito ti voglio”
“CERTO” gli appoggiai le mani sulle spalle. Sicura e determinata. Lo scrutai, si allacciava i guanti di pelle, controllava gli alamari e il cappello, era perfetto e straziante, i grandi occhi azzurri attenti, concentrati. “E.. fidati Alessio, di me e di te, sei bravissimo, un portento”
“Sicura??”
“Sicuro” trattenni il fiato e la voglia di abbracciarlo, patetica, ricambiai la stretta sul polso “SONO FIERA DI TE” una pausa “VIA” Ancora “Vai Zarevic, sono fiera di te”
Quando doveva comparire in pubblico gli succedeva sempre qualcosa, ironizzai dentro di me. Per le celebrazioni del tricentenario dell’ascesa al potere dei Romanov, correva l’anno 1913, non si reggeva in piedi, a causa dei postumi di Spala.  Infatti, nel  maggio 1913, la  famiglia Romanov si imbarcò in un pellegrinaggio commemorativo in onore di Michele I, risalendo il Volga con un battello a vapore fino a Kostroma ove viveva quando apprese di essere salito al trono.
Olga, sorella dello zar, rievocò le manifestazioni di lealtà, le folle riunite per dare una fuggevole occhiata, persone che si inginocchiavano per baciare l’ombra di Nicola II, gli applausi.
Mio zio R-R  scorse invece la mera curiosità, le celebrazioni non avevano colpito nessuno in particolare, le speranze del popolo di una rinascita, di un miglioramento non trovarono riscontro.
Comunque, l’arrivo a Mosca, capitale storica, ove Michele I era stato incoronato, fu un trionfo. 
Scesero alla stazione circondati da un numero incredibile di dignitari, lo zar salì su un cavallo bianco e cavalcò da solo, sessanta piedi davanti a tutti e alla sua scorta, verso il Cremlino dalle rosse mura circondato da una folla plaudente, come un conquistatore, facendosi beffe degli eventuali attentati.
Le decorazioni erano superbe, drappi di velluto con i simboli dei Romanov sul boulevard di Tyerskaya, ogni edificio coperto di pennoni, bandiere e quanto altro, forse ancora più suggestive di quelle di San Pietroburgo.
Nicola II scese nella Piazza Rossa, tutte le processioni religiose convergevano lì, si incamminò tra folle di sacerdoti metropoliti vestiti di velluto e raso, dalle lunghe barbe, vi era odore di cera e incenso che si levava dai turiboli, sacri inni vibravano nell’aria, camminando leggero sulla passatoia di velluto scarlatto per entrare nella cattedrale.
R-R sentì un colpo al cuore quando scorse il giovane zarevic, che doveva percorrere a piedi le ultime cento iarde come la zarina e le sue sorelle, prima di entrare nella cattedrale, una volta scesi dalle carrozze.
Stava a malapena in piedi, ancora i postumi dell’emofilia, o almeno così suggeriva un libro di recente pubblicazione, “Dietro il velo della Corte Russa”,  tanto che un cosacco della guardia lo prese tra le braccia, portandolo dentro, tra le esclamazioni addolorate di tutti.
Il piccolo  principe raddrizzò la testa e le spalle, senza fallo, deglutendo il nodo che gli serrava la gola, R-R si inchinò profondamente, fino a rimanere senza fiato, non aveva mai onorato gli zar Nicola II o suo padre Alessandro III con quel tributo.
 
“Ciao ragazzi, ci vediamo dopo tanto” ero passata da Peter Hof, la residenza imperiale per l’estate sul golfo di Finlandia, un pomeriggio di maggio, le rose e i lillà fiorivano, esatti, precisi
“Salvo nuove, sì, Catherine” Olga compì il gesto di darmi un bacio formale, a mezz’aria, senza toccarmi, guancia e braccia sospese, non mi sfiorava dall’annuncio del fidanzamento e del prossimo matrimonio con Luois. Nella forma era lieta per me, nella sostanza mi avrebbe messo all’angolo e scossa per le spalle, per capire, quella  rivelazione non le tornava.
Ma lei non doveva conoscere la mia disperazione, il senso di egoismo  ed impotenza
“Salvo nuove?”
“.. dopo il pellegrinaggio fluviale, siamo stati a Livadia” ricordai passeggiate sulla spiaggia, il suo braccio contro il mio, risate, ore dorate che non sarebbero più tornate, scherzi e risate durante una partita a tennis, una cavalcata.. le ore a discutere su Ulisse e Achille
“Vero, io dietro al matrimonio.. ogni giorno ne spunta una”
“Presumo,  e dopo la luna di miele dove contate di stabilirvi?”
“Parigi.. Luois è nato là, il suo incarico sta scadendo” avessi voluto, avessi chiesto allo zar che avrebbe richiesto a chi di competenza glielo avrebbero prorogato e non volevo, avevo chiesto di sposarlo e tanto era, Luois si sarebbe costruito la sua carriera per i talenti, non per i buoni uffici della sua fidanzata, non mi sposava per interesse di carriera.
“Ah..” e me ne andavo, e tanto, la voglia di sussurrare “Olga” e stare con lei non mi era passata, e viceversa, solo una smarrita intuizione.  Sbiancò leggermente, si riprese e rilevò che a  maggio si sposava la figlia del Kaiser tedesco, a giugno io, era l’anno dei matrimoni, poi ”Scusami, io devo andare a ..” generica e fece per allontanarsi.
“Olga..”  a bassa voce
“Catherine.” Mi girai svelta e lei aveva già cambiato espressione, e aveva sussurrato il mio nome, io il suo.
E tanto ero troppo avanti, non si poteva tornare indietro.  Mi appiccicai addosso un sorriso  e proseguii, lo zarevic mi era saltato tra le braccia.  “Cat, fammi un sorriso vero !! sei troppo tirata!”mi  scoccò un bacio e mi portò ad ammirare le rose bianche, un perfetto e candido tripudio.
 
Il grande evento regale del 1913 dell’Europa  fu il matrimonio a Berlino della figlia di Guglielmo II, imperatore di Germania, con il principe di Hannover, il 22 maggio. La città rutilava di bandiere, stendardi e pavesi, la stazione ferroviaria dove giungevano i vari sovrani era presidiata come un campo militare, da soldati  e agenti in borghese, per tema di attentati.
Il banchetto di Stato fu allietato da 250 ospiti, tra uniformi e gioielli era tutto un grande, immenso scintillio.
Il Kaiser, Guglielmo, in uniforme di gala da dragone reale inglese, l’ordine russo di Sant’Andrea di traverso sul petto, dava il braccio alla regina Mary d’Inghilterra, seguiva re Giorgio V, in uniforme da colonnello dei dragoni prussiani, conduceva la moglie del Kaiser. Lo zar, pure lui nell’uniforme di colonnello dei dragoni prussiani con l’ordine dell’Aquila nera degli Hohenzollen, dava il braccio alla zia del Kaiser, mentre Alessandra seguiva accompagnata dal principe ereditario tedesco, Guglielmo, alias “Piccolo Willy”
festeggiamenti mascheravano la tensione, le danze il nervosismo, le candele nei lampadari di cristallo balenavano nei preziosi intarsi dei mobili e sui monili, un ultimo palpito di luce prima che scoppiasse la catastrofe.
Che l’anno dopo il mondo era in guerra, scoppiava il primo conflitto mondiale.
 
 E mi sono sposata IO nel mese di giugno 1913 a Peter Hof, con Luois, mie damigelle le granduchesse, invitati gli zar e la zarina madre e molti altri.
Usammo la cappella reale, sotto le volte immense, tra le lesene dorate e fiori a profusione.
Alix sorrideva, era tranquilla e a suo agio, quel giorno non lamentava alcun malanno,  mi sposavo e andavo via, regalo migliore non potevo farle.
Mio fratello Alexander portò il cuscinetto delle fedi senza inciampare, serio e compito, mia madre pianse per buona parte della cerimonia, in modo composto, era commossa.
Infine, era stata migliore di me, mi aveva lasciato andare, aveva voluto che mi sposassi per amore.
Era amore, allora come oggi, con il senno del dopo, so che lo avrei sposato comunque.
E Alessio stava appena in piedi.

.. che era cambiato? Tutto e nulla, valutò Olga, seguivano la stessa ruotine di sempre, le vacanze a Livadia, il ciclo di lezioni, visite a comitati organizzativi e beneficenza, la presenza costante della Vyribova, presso la cui “augusta “ dimora (o meglio angusta, chiosava la ragazza, tra sé, era un microscopico villino con le fondamenta fatte male, vi era un freddo perenne) la zarina riceveva le visite di Rasputin e spesso loro passavano la serata, se non era Anya a venire da loro.
Lo zar, dopo cena, leggeva ad alta voce, libri in russo o in inglese, loro ragazze leggevano, ricavano o lavoravano a maglia, la domenica la zia Olga, se erano a Carskoe Selo, le portava con Alessio a pranzo dalla nonna paterna e poi a un tè, un giro per i negozi.
Senza fallo, il tea time delle 17 era servito su candide tovagliette, squisite le argenterie e le porcellane, burro e pane caldo o i biscotti inglesi che adorava la zarina.
“.. Altezza Imperiale! Auguri di buon compleanno“
“Ciao, grazie!! Bella invenzione, il telefono!”
“Ti ho mandato il regalo e una lettera, tranne che gli auguri preferivo farteli a voce.. già 18”
“E tu 19 a gennaio, vecchietta! “Ridendo, anche se non era una grande spiritosaggine “Per il resto, tutto a posto, Catherine? Qui nulla di particolare..”
“Tutto a posto, Olga le linee telefoniche non sono un granché, ti saluto ora prima che cada la linea. Un abbraccio”
“Un abbraccio anche a te, sono contenta di averti sentito “
“Ciao”
Mancava lei, ecco tutto, e tanto doveva farsela passare. E mancava a tutti loro fratelli, soprattutto allo zarevic. Poteva averlo avvisato, di Parigi e che avrebbe vissuto lì, ma per il bambino era dura. Era capitato che si svegliasse, di botto, chiamandola a gran voce, confuso sul momento, salvo rimanerci male, che non vi era. E non la potevano chiamare al telefono, in continuazione, anzi, che la piantasse, sarebbe stato meglio, la tua maledetta amica, come diceva Alessandra, la ama anche a distanza.
Lei aveva la sua vita, come loro. Il legame non si era spezzato, era diventato diverso, una specie di mutamento, una alchimia, che, in sincerità, se non avesse avuto dei problemi su questioni basilari con la madre, Catherine non lo avrebbe combinato, quel casino. E giustamente non lo aveva detto, che in fondo erano affari suoi, come lei, Olga,  non le diceva tutto.
Solo che lei ci arrivava, alla lunga, spiegarlo allo zarevic era un duro affare. Per tante cose era ancora un bambino, come aveva rilevato, che non si aspettava cambiamenti nel suo piccolo mondo, si era abituato ad averla sempre con lui, lo faceva ridere e aveva una grande pazienza, a livelli epici, per farlo mangiare e nel sopportare le sue monellerie, che si erano acuite e moltiplicate, con la complicità di Anastasia.
Si scrivevano, lettere singole, oltre che collettive, indirizzate da e per OTMA (acronimo formato dalle iniziali delle figlie delle zar) a e per Catherine De Saint-Evit.
“Cara Olga..” 
“Cara Catherine …” 
Scriveva in fretta, in francese, annotando qualche riflessione sui libri che andava leggendo, descrizioni sui cicli delle stagioni, qualche potin (pettegolezzo mondano) o annotazioni sulla moda, a volte metteva dei fiori pressati di Carskoe Selo o altri posti.
Catherine ricambiava, sul medesimo stile, botta e risposta, le mandava rose prese a Versailles, ove era stata in visita, e descrizioni dei quadri del Louvre, mentre lei Olga, guardava con occhi nuovi le squisite collezioni del Palazzo d’Inverno e dell’Ermitage. E riflessioni, aneddoti brillanti o salaci.
Sapendo che Tatiana e Marie erano appassionate di moda, si premurava di mandare riviste sull’argomento, per avere i vari aggiornamenti senza aspettare troppo.
“Giusto te e lei vi potete divertire con questi argomenti pesanti” brontolò una volta Anastasia, che era stramazzata dopo mezza pagina in cui disquisivano di Achille e Ulisse, peraltro in francese, che la ragazzina scriveva veramente malino. “Siete veramente pesanti” rincalcò il termine.
“Buon per te, che non ti astio allora con l’argomento..”
“Meno male.. le socie del club della mitologia e della storia e delle lingue, che noia, sei Olga” facendole una linguaccia “ E a te che dovrebbe mandare, sentiamo? Un nuovo tipo di lombrico da impiantare nelle soffitte del palazzo?” la più giovane delle granduchesse a volte aveva passatempi poco imperiali, come allevare vermi, tentativi che causavano l’irritazione dei genitori e l’altrui ilarità.
“Anche”
“Anche no, fila a studiare va”
“.. mi manchi, accidenti a te.. manchi a tutti Cat, ogni tanto Alessio piange e chiede di te, mica gli va giù.. eri la persona che gli stava meno addosso, che cercava di lasciarlo libero, quello che poteva fare e NON il proibito” scancellò la frase “…noi vediamo i limiti dell’emofilia, che non può fare nulla.. e tu cercavi di lasciarlo fare..”
“ Sai, Zarevic, …. quando il re era assente, invasero il regno, ma il principe combatté, trasformandosi in un drago possente, verdi come smeraldi le scaglie, occhi rossi, lunga venti metri la coda, ringraziando la principessa sua sorella, che aveva trovato l’incantesimo, lui la proteggeva, però almeno a quelle cose badava lei.… alla fine, lo chiamarono dragone, tanto era intrepido e potente. La principessa, all’occorrenza poteva diventare il dragone della leggenda, non era un maschio mancato, semmai era una Amazzone, per combattere, fosse successo qualcosa al principe, ma anche no, in caso contrario, era bravaSai,  il principe diceva che doveva combattere sempre, con onore, per proteggere chi amava, senza arrendersi mai, e non mi devi dire diventerai il drago della leggenda Catherine.. o un lupo che canta nelle albe” Catherine gli aveva sussurrato quella fiaba prima di andarsene. 


Era l’erede al trono, fragile e delicato, l’unico maschio, adorato e vezzeggiato, ed era solo.
Potevano venire a giocare con lui, i figli di un marinaio, i cadetti della scuola militare, ben di rado i suoi cugini, di più il figlio di Ella Rostov-Raulov, ma era più piccolo di lui, li dividevano tre anni, e tanto non avrebbe mai sperimentato cosa significava essere in una classe, litigare e giocare con gli altri bambini, che una caduta poteva avere effetti letali.

Le lezioni principiavano alle nove di mattina, con una pausa dalle undici a mezzogiorno, in cui, tempo permettendo, faceva una gita in carrozza o in auto, con uno dei suoi tutori e  i marinai, riprendendo poi le lezioni fino al pranzo, cui seguiva una pausa ulteriore, all’aperto, nel pomeriggio.  Le sue sorelle e, quando poteva, lo zar, si univano e Aleksey giocava con loro, scendendo in slitta da una montagnola di neve, le guance arrossate per il freddo e gli occhi ridenti, oppure giocava con Vanka, l’asinello già appartenuto a un circo, che lo divertiva con buffe smorfie e ragli, che ti tirava una testata sulle tasche per scoprire eventuali delizie. Alle quattro le lezioni riprendevano, con una pausa per il tè pomeridiano,  faceva poi cena alla sette, il resto della famiglia alle otto e finiva la giornata con la lettura di uno dei suoi libri preferiti.

“.. sai, Catherine, le materie sono il russo, il francese, l’aritmetica, religione, storia e geografia, inglese, la mitologia greca e romana me la propinavi solo tu..”

“.. Achille ti piaceva, Zarevic, lui era il più grande guerriero del mondo conosciuto.. comunque, sono contenta dei tuoi bigliettini, un abbraccio Catherine” 
 
Tutto sommato, rifletteva lo zar, lui aveva passato una bella infanzia con i suoi fratelli, Giorgio e Michele,giochi, lezioni e risate e punizioni condivise, ma Alessio, all’atto pratico, poteva contare sulle sue  sorelle, e i compagni di gioco gli mancavano, non era certo la stessa cosa. Vi andava pensando compiendo quella gita estemporanea in Crimea, eravamo nel mese di aprile1914, li accompagnavano Gilliard, l’insegnante di francese e pochi altri, aveva due auto, una la guidava lui stesso.  La natura era meravigliosa, fiori e profumi, una lussureggiante sinfonia di colori mentre percorrevano le foreste di pini vicino ad Yalta.
Nicola rimase commosso nel vedere suo figlio che giocava e saltava, era la gioia di vivere personificata, si era ripreso, alla fine.

“Che hai combinato di bello, Catherine?”una delle nostre solite telefonate settimanali.
“Ho preso il diploma di infermiera di primo soccorso, ho fatto gli esami e li ho passati con la lode” se pensavo che volevo fare, ai tempi, l’università alla Sorbona, un diploma da infermiera era stato relativamente facile.
“Bravissima..” percepii una sfumatura esitante, era la fine di maggio e io sarei ritornata in Russia entro poche settimane “Che c’è, Olga?”
“A giugno andremo in Romania, per ricambiare la visita che ci hanno fatto” torsi il collo per guardare l’aerea struttura della torre Eiffel, la svettante struttura di ferro su cui ero salita con Luois, la paragonavo a una torta, un bizzarro lampadario, poi scrutai la fede nuziale.
“Così è, in via ufficiale, Olga”
“E in via ufficiosa..”
“Rilevo che il principe Carol di Romania ti è vicino per età..un vostro fidanzamento e successivo matrimonio sarebbe ben visto, sia a livello politico che..”
“Catherine!! “Esasperata e divertita “Tanto hai detto quello che nessuno si premura di dirmi, a cui sono arrivata” una pausa ulteriore “Se non volessi, Papa non mi obbligherebbe, ha giurato che ognuna delle sue figlie si sposerà per amore, come lui e mia mamma, ora come ora non voglio lasciare la Russia”
“Olga, io sono l’ultima persona che può dirti qualcosa..” cercai di non influenzarla, né in positivo o in negativo “ Valuta se ti piace o meno.. In ogni caso, potresti tornare in Russia ogni volta che vorrai”
“Sarei una straniera in casa mia”  Lei era russa e voleva rimanerlo, riflettei.
“Olga, io dicevo che non mi volevo sposare e l’ho fatto in tempo di poco, quando mi sono innamorata, ripeto, valuta”
“Sei diventata una vera diplomatica. A proposito, hai detto che mi deve piacere.. e se non piacessi io a lui?”
“Olenka, tu piaceresti a qualunque uomo e non tirare fuori che sei la figlia dell’imperatore, per favore! Hai tante buone qualità, sei splendida sia fuori che dentro, i difetti li hai, non sei una santa e i tuoi pregi sono ben superiori!” e capì la mia sincerità, anche se eravamo per telefono a leghe di distanza, lei rimaneva la mia migliore amica e io la sua.
“Non vedo l’ora di rivederti, Madame!” ridendo
“Pure io, un bacione”

Comunque, la visita vi fu, andarono sullo yacht Standard a Costanza, in un caldo e radioso mese di giugno.
Onori militari, spari a salve e colpi di artiglieria, ogni nave del porto aveva le sue bandiere innalzate. Olga e i suoi vennero ricevuti dal re Carol e dalla regina Elisabetta, poetessa e scrittrice sotto il nome di Carmen Sylva, Canto dei boschi, tradusse tra sé la ragazza, mentre venivano ricevuti dal resto dei rumeni. Carol era carino, ma insipido, nonostante la sua fama di Don Giovanni, mentre si incamminavamo alla cattedrale per un solenne Te Deum.
Era vestita di chiaro, con un grande cappello a fiori, ultima novità di Parigi, il principe era gentile, mentre le famiglie  parlavano in privato, argomenti generici e svagati, la bellezza dei centrotavola, il tempo favorevole per navigare, che delizia la privata residenza di Carmen Sylva ove erano, da lei fatta costruire sulla scogliera. La regina rumena annotò che amava stare per ore sulla terrazza, ascoltando il mare, sospesa tra terra e cielo, rilevò che anche la sua amica, Sissi  d’Austria, l’imperatrice, quando le aveva fatto visita aveva amato quel sito, poverina, ormai era morta da  quasi 16 anni, uccisa da un anarchico. La granduchessa prese un pezzo di pollo al crescione, era delizioso, meglio di Carol che cercava di fare colpo su di lei, annuiva e parlava a tratti, cortese, senza avere pregiudizi. Non mi dice nulla, rifletté, dopo la rivista, mentre si preparava per cena, studiando come sorridere.
Comunque la sala dei banchetti era regale, fiori a profusione, dolci le musiche di sottofondo, la sera declinava in una romantica notte, combinazione di sicuro effetto, al pari delle pareti di stucco bianco decorate da piccole lampade elettriche.. Annotò il muso lungo delle sorelle, nei limiti della buona creanza, Alessio non partecipava direttamente, per tema che ne combinasse una delle sue, la scusa ufficiale era che alle nove dormiva già. La verità era che a tavola era una mina vagante, i suoi svaghi potevano essere irritanti, una volta aveva trafugato una scarpa a una dama ignara (durante un banchetto di stato), infilandosi sotto la tavola e l’aveva consegnata allo zar, che lo aveva redarguito, e si era affrettato a riportarla, la poveretta aveva fatto un salto, accorgendosi che vi aveva messo una fragola. Sennò  si alzava di continuo, parlava sempre e non mangiava.
 Il ricevimento fu breve.


Dai quaderni di Olga “.. non me la sono sentita, Catherine, ecco tutto, chiesi a Papa di poter posticipare, ero giovane, avevo tempo, o pensavo di averne, tornai al palazzo di Alessandro con sollievo, di nuovo PeterHof a luglio, era passato un anno abbondante da quando ti eri sposata. L’estate scintillava, dorata e calda come una bocca di leone, quando saresti comparsa? Oziosa domanda, leggevo su una panchina vicino a una fontana, le gocce d’acqua che provenivano dagli spruzzi mitigavano la calura. Percepii un paio di mani che si allacciavano sul mio viso, sopra gli occhi, e profumo di arancia amara e rosa, le essenze che amavi usare. “Catherine” finalmente, tu, era il nostro particolare tipo di saluto “Olga” mi abbracciasti, un sorriso che danzava tra labbra e occhi, radiosa come l’estate, appunto. “Non è possibile” rilevando il vestito chiaro, che sottolineava la vita sottile e la carnagione, perle ai lobi, al collo il monile che ti avevamo regalato per un natale di tanti anni prima, con una piccola perla “ Racconta dai” “Cosa?” “Dimmi te..” ed era facile, come se non ci fossimo mai lasciate, la confidenza rifluiva, senza imbarazzo


Eravamo cresciute, tutte. Tatiana mi superava di qualche centimetro, tranne che con le sue proporzioni perfette non ci badavi, era snella e perfetta, la sua timidezza apparente smorzata dalle mie solite chiacchiere, Marie era diventata bellissima, la carnagione chiara che si accompagnava a folti capelli castani, sottile e con un bel seno, altro che la “piccola grassa bau-bau” come la chiamavano le altre, aveva una forza incredibile, tanto che riusciva a sollevare i suoi precettori, uomini adulti.. e rimaneva sempre gentile e quieta E Anastasia restava minuta, in termini di statura, con capelli biondo rossi che scintillavano come le sue battute, era e rimaneva un enfant-terrible, le sue spiritosaggini colpivano sempre  “Ecco qui le vecchie zitelle appassionate di mitologia.. sempre su Achille e compagnia, come siete pesanti.. “
“Davvero.. ?” Gonfiai le guance, feci una smorfia, sventolando la vera nuziale, ero una grassa signora maritata
“Dai Alessio, ci hai fatto diventare idioti da come la volevi e ora manco spiccichi un ciao” lui diventò rosso come un papavero, timido tutto insieme
“Anastasia, lascialo tranquillo” le sussurrai “Non lo mettere in imbarazzo”
“Siii.. Sapessi..”
“Basta” la interruppe Tata, accigliata e soprasedette.
 Timido e riservato, o forse, in quell’anno, o quasi,  gli era passata la nostalgia, o non era più abituato a me, con Olga ci eravamo scritte e sentite per telefono almeno una volta a settimana, rimarginando la frattura.



Univamo l’utile al dilettevole, io e Luois con quella visita. A luglio il presidente francese si sarebbe recato in via ufficiale in Russia, dove stavamo soggiornando, che le cancellerie europee erano in pieno fermento.
Poche settimane prima uno studente serbo aveva ucciso a Sarajevo l’arciduca Francesco Ferdinando, erede degli Asburgo, se vi fosse stata una dichiarazione di guerra il gioco degli equilibri e delle alleanze, il senso dell’onore avrebbero condotto al conflitto.
La Russia per tradizione proteggeva i popoli slavi e la Serbia era composta da slavi. Se fosse stata guerra sarebbe stata di tutti contro tutti.
Effetto domino, diceva Luois, rilevando la singolare (come no) coincidenza che durante la visita del presidente francese erano state organizzate due parate militari di vaste proporzioni.
Il Kaiser Francesco Giuseppe scrisse al suo imperiale collega tedesco, Guglielmo, che quello era un crimine efferato, non imputabile a un singolo individuo, la complicità era certo da imputare al governo serbo, che voleva unificare tutti gli slavi, situazione che poteva essere un pericolo per i suoi domini e certo non potevano lasciare correre. 
L’arciduca Francesco Ferdinando era morto a Sarajevo il 28 giugno 1914, poche ore dopo, in Siberia, nel suo villaggio di provenienza, Rasputin  venne accoltellato da una finta mendicante, in realtà una prostituta con turbe mentali, allo stomaco, ferendolo dallo sterno all’ombelico, lo operarono di urgenza ma era mezzo morto, rimase a letto per mesi.  E non morì, per sventura comune.



Come rilevato in altre sedi, Anastasia aveva il gusto per gli scherzi e le buffonate, a volte era .. pesante. Solo che assorbiva come una spugna le tensioni (in particolare, lo zar era preoccupato per la questione serba, Alix per Rasputin, che Olga si sposasse e varie altre eventuali) e si sfogava a modo suo, quando io e Olenka avemmo l’onore di un tuffo improvvisato in acqua.
Una risata e due braccia che ci spingevano dentro uno dei laghetti del parco, osservando la fioritura delle ninfee da un pontile e .. splash, eccoci versioni sirenette, fradice e annaspanti “Anastasia!!”
“Peste” lei rideva e batteva le mani
“Sembrate due meduse e..” le acconciature sfatte, i vestiti adorni di alghe e ..
”Ti diverte eh”
“Si..” le presi il polso e, con grazia inopinata, tuffai pure lei
“Non vale!!”
“Bien sur, imp” la schizzai,  il livello non giungeva oltre il metro e trenta, non saremmo affogati, decisi, mentre Olga, scemata la prima arrabbiatura, rideva a tutto spiano.
“Che inventate?”
“Prendiamo il fresco, Alyosha” rispose la monella imperturbabile, e lui entrò ridendo a sua volta, mentre il povero Nagorny, il suo marinaio che poteva aspirare a un posto di angelo per la sua pazienza, si metteva le mani tra i capelli, disperato.
“Vieni, dai, zarevic” gli tesi le dita e le afferrò.
“Siete buffissime”
“Continua e fai un tuffo pure tu..bagnato per bagnato” e non lo avrei fatto, per gli urti, mai
“No” mi si serrò addosso “Ora sei tu, non sei più seria.. “
“Ah..” seria, proprio, con tutti i vestiti fradici e i capelli pietosi, poi realizzai che la timidezza gli era passata.
 “Vuoi venire sulla schiena?”
“Nuovo mezzo di locomozione..” non replicai, gli diedi un  bacio e me lo strinsi addosso.


“Zarevic, direi che può bastare” mi aveva messo il suo cappello in testa, eravamo un tantino ridicoli, tra tutti e quattro, Anastasia si era posata una ninfea sopra l’orecchio, Olga era senza fiato da quanto rideva, Nagorny si tratteneva a stento “Le prove per la crociera.. vieni?”
“Se vengo invitata..”
“Cinque giorni, poi viene Poincarè e siamo di nuovo a Peter Hof“Il presidente della repubblica francese “Tuo marito pure può venire“ chiosò lo zarevic “In crociera ..”
“Grazie” poi riflettei che dovevo cambiarmi e asciugarmi, senza che nessuno vedesse la mia schiena massacrata dalle cicatrici.


“Mi sono abituata così” dissi “A fare da sola..”finii di allacciare l’asola della camicia,  mentre Olga scuoteva la testa “Sei ancora più indipendente del solito.. e va bene, tranne che Nastenka è improponibile” A letto senza cena, una  settimana senza dolci e tre ore supplementari di lezioni al giorno,la marachella l’avrebbe ben riscontata, mentre Alessio, nulla, che era entrato in acqua spontaneamente, e tanto vi erano sempre due mesi e due misure. “Meno male che Tata ha la tua stessa taglia..Domani riavrai le tue cose lavate e stirate.. Buffo, da una parte”
 
“Una brutta storta, è saltato al momento sbagliato e.. ha preso con la caviglia l’ultimo scalino della passerella che portava al ponte dello yacht” Olga trattenne il fiato “E all’inizio pareva nulla..invece..” mi tappai le orecchie, sentivo le urla e i gemiti, l’emorragia sottocutanea che seguiva un urto era sempre tra le più dolorose
“E non pensare di portare sfortuna, Cat, da agosto dell’anno scorso” un sussurro contro il mio orecchio “ ne ha avute.. meno rispetto a quando era piccolo, e  tanto ogni mese o quasi abbiamo dolori articolari, febbri, emicranie e via così, gonfiori spontanei se traffica troppo con un coltello o prende un colpo alle braccia”
Scrutai il mare, le onde che danzavano sullo scafo, verdi e azzurre, increspate di bianco, gli isolotti quieti, la perfetta geometria della costa, il paesaggio quieto e sempre uguale. “Piuttosto, hai preso un bel diploma ufficiale da infermiera..”

Ma lì non interveniva l’infermiera, ma la ragazza che gli voleva bene, si abbattè gemendo contro la mia clavicola, i lamenti smorzati contro di me, lo serrai cercando di non mettermi a piangere, lieta che Luois fosse rimasto a Pietroburgo, che mi avrebbe chiesto spiegazioni e io sarei stata muta. Eravamo innamorati, felici, e alcune cose non potevo condividerle, come i segreti di Ella, il grande affetto per i fratelli Romanov, come io non capivo la sua ossessione per la vita militare, fossero scoppiate le ostilità sarebbe partito di gran carriera, che ritenesse una perdita di tempo (finché non fossero giunti figli, almeno) il mio amore per i libri e la cultura, la mia indipendenza sotterranea. Su come gestivo la casa e i ricevimenti nessun rilievo, ero cresciuta osservando mia madre e me la cavavo. Passato il primo impatto della luna di miele, stavamo scoprendo la realtà di tutti i giorni, un adattamento più da parte mia che sua.
“Sdraiati, sui guanciali” tenendogli una mano, asciugavo il sudore “Sei diventata davvero brava”annotò la zarina, aveva le occhiaie pure lei, solchi scuri peggio di suo figlio “Ho preso il diploma ufficiale  da infermiera” sussurrai “Questa primavera.. “ “Non ti dedichi solo ai libri o ai balli..” “No” ero stanca e innervosita, come lei, se stavamo troppo a contatto rischiavamo un litigio e non era il caso “Scusa è che..” non terminò la frase, mi sono chiesta per un pezzo cosa volesse dire. E sapeva che Alessio mi voleva bene e viceversa, che, vai a sapere come, riuscivo a tenerlo tranquillo.

Era amore, comunque, tra fratelli, tenerlo quando si inarcava e gemeva, asciugargli la fronte, la sua mano che mi carezzava il viso in una pausa, “Cat” “Alexei..”, l’aprire l’oblò per cambiare aria e osservare l’alba, che, immutabile, sorgeva a prescindere da noi che avevamo passato la notte in bianco e che lo faceva sorridere. Nessuno aveva il potere di alleviare quel dolore.
Mi andai a riposare per un paio d’ore, lo dovevano lavare e cambiare, prendendo dell’acqua, un toast. 
Una pausa, al rientro mi appiccicai un sorriso di circostanza, come se non avessi mai visto la cabina tappezzata in toni chiari, con tante icone, i giocattoli sugli scaffali, foto di famiglia e tappeti preziosi, aveva passato una notte orrenda e sul momento vi erano scarsi miglioramenti, mi ritrovai a pregare, la prima volta in tanti anni, figuriamoci, per lui, non per me.
Ti voglio tanto bene Alessio e tanto a nulla serve.. e lo stringevo, delicata, era un tesoro, un fragile bucaneve da non mollare. E lui, a prescindere dalla debolezza fisica, era già un vero imperatore, dolce, accorto e ironico, dotato di infinita pazienza.

Dai quaderni di Olga “.. Poche settimane dopo arrivò un dolore immenso, senza preavviso, che ti portò a dimenticare, almeno in apparenza, a desiderare la morte, tu che hai sempre amato la vita, l’oblio.. rimanesti tre giorni con Alessio, alternandoti con me e mamma, le altre sorelle, alla fine stava meglio, il 19 sbarcando a PeterHof, da due giorni aveva un poco di requie, tranne che dovette essere portato via a braccia, che non poteva camminare.. Per contrappasso, io e te, filammo a cavallo, dopo anni ebbi la ventura di vederti schizzare al galoppo, saltare muri ed ostacoli, una dea della guerra in fieri”
Nel mese di luglio 1914 il presidente francese Poincarè visitò la Russia, per rinsaldare le relazioni diplomatiche.
Intanto, come noto, Olga aveva rifiutato di sposare il principe Carol di Romania, in giugno la corte aveva visitato la sua equivalente rumena, all’apparenza erano visite di cortesia, di sottofondo si preparavano mosse matrimoniali sullo scacchiere. Preparativi ufficiosi, ma Olga voleva rimanere in Russia, voleva sposare un russo, lo zar, come mi aveva accordato la libertà  di sposarmi con uno straniero, per amore, mai avrebbe costretta SUA figlia a lasciare la patria e unirsi in matrimonio con chi non voleva, non sopportava di essere una straniera nel suo stesso paese. Se le avesse imposto di obbedire, certo sarebbe ancora viva, dolorante, fragile, ma sempre viva, allora non sapevamo. Come non avevo ancora l’esatta percezione di  quanto mi avrebbe amato, ero sua, e mi avrebbe lasciato libera, come una tigre od un lupo, nessuno mi ha amato come lei, nessuno mi amerà poi così.


E la mente tornava a poche settimane prima uno studente serbo aveva ucciso a Sarajevo l’arciduca Francesco Ferdinando, erede degli Asburgo, se vi fosse stata una dichiarazione di guerra il gioco degli equilibri e delle alleanze, il senso dell’onore avrebbero condotto al conflitto.
La Russia per tradizione proteggeva i popoli slavi e la Serbia era composta da slavi. Se fosse stata guerra sarebbe stata di tutti contro tutti.
Effetto domino, diceva Luois, rilevando la singolare (come no) coincidenza che durante la visita del presidente francese furono organizzate due parate militari di vaste proporzioni.
Uno spettacolo marziale, enfin, le squadre che marciavano, le bande militari, qualche coro dalla folla, vecchi e giovani, infine ecco lo zar in groppa a un cavallo bianco, superbo e magnifico, dietro di lui i suoi zii e cugini, poi le carrozze con a bordo la famiglia imperiale.
Salutai con un cenno della mano guantata, mentre l’altra stringeva discreta quella di Luois, intanto che la banda modulava l’Inno della Sera, era il tramonto, sangue e ruggine,  e un presagio di guerra.
“Mi ha dato la Legione d’Onore!” lo zarevic sventolò il cordone, il pranzo con Poincarè era terminato e brillava di orgoglio
 “E’ un attestato di stima, Aleksej”
“E dice che parlo bene il francese, con un ottimo accento”
“Monsieur Gilliard è un ottimo precettore”
“ E tu una grande chiacchierona, come sempre!” ironico, affettuoso “Grazie Cat!!”
“E di cosa?”
“Di tutto”
I bambini lo sanno quando sei triste.Ti vengono vicino e ti fanno credere di aver bisogno di coccole. Ed invece sono loro che le fanno a te, mi prese il viso tra le mani, soffiando tra le ciocche di capelli, eravamo in confidenza, di nuovo, si fidava.



 Dai quaderni di Olga Romanov alla principessa Catherine”.. tempi e frammenti, avevi partecipato alla visita ufficiale e ritrovarci era stato un piacere amaro, eri preoccupata come tutti per il probabile scoppio di un conflitto armato, effetto domino, in sintesi. Dicesti queste parole mentre osservavamo i fuochi artificiali sulla nave France, mi sembra che fosse la cena finale con relativi annessi. Due bicchieri di champagne presi al volo, approfittando della calca, e brindammo, cin-cin, ognuno nei propri pensieri. Si risolverà in qualche modo, dissi io, socchiudendo le palpebre e osservando le stelle che danzavano, tremolanti. Come sempre, la tua battuta fiorì, arguta e divertente, peccato che eri allegra solo in apparenza, atteggiamento condiviso da molti, se non tutti. “

Mio marito era anche un soldato, oltretutto, Russia, Francia e Inghilterra erano alleate, come tra loro Germania e Austria, la mossa di una avrebbe implicato quella delle altre, bisognava restare uniti, rifletteva lo zar, che in fondo, riteneva Guglielmo II, imperatore di Germania, troppo accorto per gettare il suo paese allo sbaraglio, mentre Francesco Giuseppe d’Austria era vecchio e voleva certo morire in pace.
Vienna aveva mandato richieste e ispettori in Serbia, sostenendo che l’assassinio del granduca era frutto di un complotto organizzato da Belgrado, la pistola era stata fornita da funzionari serbi  e le guardie di confine erano cospiratori. Si chiedevano poteri illimitati per le indagini degli ispettori austriaci, di sopprimere tutti i gruppi nazionalistici e cessare la propaganda contro Vienna..
 
Il 28 luglio 1914, la Serbia ricevette la dichiarazione di guerra dell’Austria, il giorno dopo iniziarono i  bombardamenti di Belgrado.
Per tradizione, Santa Madre Russia si considerava protettrice dei popoli slavi e la Serbia si rivolse allo zar per avere aiuti, Nicola II ordinò di mobilitare le truppe ai confini contro l’Austria, che a sua volta venne soccorsa da Guglielmo II.
Non si trattava di scaramucce contro la Germania, la Turchia o il Giappone, era contro il mondo, tutti contro tutti, già parte della storia.
Il 31 luglio, a mezzanotte, l’ambasciatore tedesco, Pourtales,  si recò dal ministro russo degli esteri,Sazonov, con un messaggio da Berlino: la Russia, doveva annullare entro 12 ore la mobilitazione delle truppe.
A mezzogiorno del primo agosto non era giunta alcuna risposta e il Kaiser ordinò alle sue truppe di andare sui confini.
Sempre quel primo agosto Pourtales si recò da Sazonov, chiedendo che la Russia annullasse la mobilitazione, lo chiese tre volte e la risposta fu sempre negativa, era troppo tardi. “In tal caso, Signore, il mio Governo mi incarica di trasmettervi il seguente messaggio”la voce si inceppò, poi riprese “ Sua maestà l’imperatore, mio augusto sovrano,  nel nome dell’impero, accetta la sfida e si considera in stato di guerra contro la Russia” Erano le 19.10. 
La famiglia imperiale cenava alle 20, in genere, ma Nicola II tardava, Alessandra attese suo marito per quasi un’ora, prima che lui comparisse, scosso e nervoso, comunicandole che era stata dichiarata la guerra. Alessandra scoppiò in pianto e lasciò la stanza.



Il due agosto, dal Palazzo d’Inverno a San Pietroburgo, Nicola II dichiarò guerra alla Germania. Migliaia di persone affollavano la piazza quando lo zar, con moglie e figlie, scese dal battello e percorse la banchina prima di scomparire nell’edificio, dentro la vasta sala di Nicola per un solenne Te Deum. Al centro era stato eretto un altare, su cui era l’icona della Vergine di Kazan, il simbolo più venerato dal credo ortodosso.
Tutti erano seri e tesi, raccontò poi Olga, molte donne o ragazze come me tormentavano fazzoletti, gli occhi arrossati, gli uomini nervosi, il viso di mamma pareva scolpito nel marmo, alla fine della cerimonia i presenti si inginocchiavano, baciavano le mani, quindi  uscimmo sul balcone che dava sulla Piazza, drappeggiato di rosso, sotto vi era una folla immensa.
Erano trascorsi meno di dieci anni dalla domenica di sangue occorsa  in quel luogo, ora la folla con i suoi boati acclamava lo zar e i suoi, dopo averlo maledetto come un tiranno e un distruttore.
Si levò l’inno nazionale. “Dio salvi lo zar/ Forte e potente/ Possa egli regnare per la nostra gloria/ Regnare affinchè i nostri nemici possano tremare/ O zar ortodosso / Dio salvi lo zar”


Alessio ancora non camminava ed era rimasto a Peter Hof, dispiaciuto. Come al solito, lui non poteva fare nulla, non era come gli altri, pensava ed era il ritratto della desolazione “… hai voglia di stare con me, invece?”
  “Catherine, perché non sei a Piter..”stupito, contento
“Mi perdo un bagno nella folla, ore in piedi..” presi posto sul divanetto accanto a lui, nel piccolo padiglione vicino a una delle tante fontane, lontano il rombo del mare, il golfo di Finlandia recava brezze e sale, odore di rose, era abbronzato, e tanto magro. Nagorny mi fece un cenno, si rilassò, valeva sempre l’ordine inespresso, dello zar, che se ero nelle vicinanze potevamo allentare il controllo “No davvero, Alessio, mi fa piacere stare con te, posso?”
“ E me lo chiedi, mi sei mancata tanto..” Anche tu, non lo dissi.  E tanto mi toccava il braccio, la spalla, come se non credesse che fossimo sempre lì.  Mi imposi di scherzare, amarlo come sempre.  O al mio meglio, meno peggio rispetto al passato, comunque.
Accolsi il suo cenno, abbracciandolo, a quel giro come apriva le mani lo stringevo, era in credito, di strette e abbracci, anzi lo era per pezzo, me lo issai in grembo, era leggero come un sacchetto di piume, badando alla caviglia, che non prendesse urti “Diventerai alto, sai,come lo zar Alessandro III, tuo nonno, o giù di lì, guarderai tutti dall’alto in basso, la mia è una facile previsione, guarda che ossa lunghe tieni, sicuro segno di altezza ” Le mie scemenze vennero accolte da una risata di gioia, insieme eravamo due chiacchieroni senza misura. “Per essere una  donna sono alta, 1 e 72, giusto Tata è più alta di me..e con le sue proporzioni perfette non ci badi..E tanto mi supererai, Alessio” Eri il mio bambino, zarevic, fine. Eri mio e basta. “Non vedo l’ora che mi superi di peso e altezza, verrà la volta che parrà impossibile che eravamo così” mi fece il solletico “Ma forse la magia funzionerà ancora “ tirai fuori un copeco da dietro una delle sue orecchie, le aveva buffe, fin da quando era nato.
“Dove è il trucco, dimmelo! Dai”
“Tutto può essere se credi”
“DAI!!” ridendo”Dimmelo!”
“Che ne so..” e apparve un altro copeco 
“Non è nella maniche” valutò, osservando che mi toccavano il gomito, non vi erano nascondigli
“Ottima ed esaustiva osservazione..”
“Sempre in giro mi prendi, uffa..” ancora “Dimmelo..”
“No .. Si .. Forse” lo scrutai sorridendo,imprimendo il momento.
“Figuriamoci!” “Zarevic, ora basta solletico sei una peste!!” Poi “E una delizia”
“LO SO” fiero e buffo, lo strinsi tra le braccia
“Ti voglio tanto bene Alessio” arrossì leggermente “Sempre”
“LO SO”
 
Dal diario di Olga Romanov del mese di agosto 1914, che Catherine tradusse in inglese, francese e spagnolo, per suo privato uso, cronache giornaliere, prima della loro definitiva separazione, nel 1917 a  Carskoe Selo.“3 agosto, Papa ha visitato Alessio, ancora non cammina per la storta alla caviglia. Ieri è apparso al balcone del palazzo d’Inverno, la folla  cantava l’inno nazionale.. Ho pianto, di pena e commozione. Ha giurato che non farà mai la pace finchè un solo nemico calcherà il suolo della Russia, le parole dello zar Alessandro ai tempi in cui Napoleone dichiarò guerra  (..) Finito di leggere per la centesima volta M. B. (Acronimo per Madame Bovary) .  Mamma ha detto a M. Gilliard, il nostro precettore di francese, come non sopporti l’imperatore tedesco, lo ritiene falso, millantatore e arrogante. 
5 agosto, anche l’Inghilterra ha dichiarato Guerra.  Mamma è preoccupata per lo zio Ernie, che il Kaiser lo abbia mandato a combattere in Francia, Belgio o .. Russia? È un militare, ma sono fratelli cosa farà.. osserva che non riconosce più la Germania in cui è  nata e cresciuta, ha ricordi così poetici della sua infanzia, peccato che nelle ultime visite abbia trovato il suo paese natio così cambiato da non riconoscerlo affatto. Ho riletto l’Iliade, venuta Catherine per un thè. 
9 agosto. Papa è preoccupato per la sessione della Duma, fatto una lunga passeggiata, Sunbeam sta un poco meglio, il 12 compirà 10 anni, il 17 andremo a Mosca per rispettare la tradizione, lo Zar deve chiedere la benedizione divina su Lui  e la Russia per questa guerra. 
12 agosto. Compleanno di Alexei, già dieci. Venuta Catherine nel pomeriggio, era raggiante di gioia, manco ha scartato i regali per giocare con lei, con noi.
Eri fragile, bellissimo, Alessio, my little one, la tua allegria si scontrava nella tristezza che avevi nello sguardo. Rievoco quelle ore, glissammo che non ti reggevi in piedi per la storta, sancendo che stavi in braccio come una coccola, un regalo. 
 
La Germania dichiarò guerra alla Russia il primo agosto, passata la metà del mese mio marito, Pietr Raulov e mio zio partirono per gli acquitrini della Prussia orientale, assieme alle truppe.
 
Dal diario di Olga Romanov “17 agosto, la folla dalla stazione al Cremlino era incredibile. Immensa, festante, inneggiava e le campane suonavano a distesa. " God save the Tsar !", l’inno nazionale risuonava in ogni angolo.  Domani Boysy sarà in grado di camminare fino alla cattedrale.. La grande incognita. Spero, ma non credo, ogni volta che deve apparire in pubblico gli accade qualcosa. Passato notte con lui, ha dormito  male, voleva Catherine.. la ha chiamata per un pezzo. Pensava che fosse a Parigi, si è confuso, e tanto la voleva uguale.
18 agosto, Sia Papa che Mama hanno deciso che Alessio  presenzierà alla cerimonia, anche se non cammina, non ce la fa, piangerebbe per il dolore, sarà presente lo stesso, portato in braccio da un cosacco.  Susciterà un putiferio, speriamo bene. Messa solenne, visita alle reliquie.. e l’entusiasmo delle folle continua a essere fervido, senza misura“ Catherine annotò che era stato visto come un presagio di sventura, il principe ereditario pareva fatto di cristallo tanto era fragile e la gente aveva ritirato fuori le storie che la zarina portava solo malasorte, era venuta in Russia dietro a una bara, dopo la morte del suocero, era tedesca e la sua lealtà  era solo apparente. Vergò ai margini che abbracciò lo zarevic, dolce, tranquilla, senza rimpianti, rassicurandolo, che era tutto a posto, lo amava, senza dirlo a parole, e Alessio si calmò, si fidava di lei.


Comunque, lo zarevic aveva ben appreso il suo mestiere di principe ereditario, che deve essere sempre compito, regale, affabile come dimostrò a Mosca sempre in quei giorni. Con il precettore Gilliard, ogni mattina uscivano in auto (una delle sue grandi passioni, come gli aeroplani) e visitavano vari posti, come la collina dei monaci, da cui si scorgeva la valle della Moscova e della città, dalle quaranta volte quaranta chiese, ricca di cupole a cipolla dorate, celesti e candide,  con snelli campanili, parchi e palazzi, immensa e solenne, i colori smaglianti in quella fine estate.
Da quell’altura Napoleone aveva visto la città, prima di entrarvi nel 1812.
Mosca, la terza Roma, una meraviglia, senza confini o misura, rifletteva il ragazzino, quando l’auto si fermò, per la ressa di persone in una delle strette stradine, gente comune o contadini che erano venuti al mercato o a vedere lo zar. “Lo zarevic!! Lo Zarevic” lo avevano riconosciuto, andandogli incontro, alcuni addirittura salirono i gradini dell’auto e lo sfiorarono. “L’ho toccato! Ho toccato l’erede!”
“Testa alta, un sorriso e una parola gentile per  tutti è sempre un bene” un consiglio che Catherine gli aveva dato, inopinato, risorse dalla memoria, erano esuberanti, gentili, non doveva spaventarsi da quelle manifestazioni di affetto, scorse i sorrisi e nonostante il pallore e l’imbarazzo ricambiò, un sorriso e un palmo teso.
“Grazie.. Viva la Russia.. Grazie..” gli sfioravano le mani, le baciavano,  toccavano la spalla, come se fosse una sacra icona, sorrideva e finalmente due poliziotti dispersero la folla e l’auto proseguì.
E aveva fatto quanto doveva, nonostante la sorpresa, la novità e l’imbarazzo, era un vero principe, senza se e senza ma.


La Germania dichiarò guerra alla Russia il primo agosto, passata la metà del mese mio marito, Pietr Raulov e mio zio partirono per gli acquitrini della Prussia orientale, assieme alle truppe.
Rimasi ancora, aiutando mia madre nell’organizzare ospedali militari nei nostri palazzi  e nelle nostre tenute, la principessa Ella faceva parte del comitato della Croce rossa presieduto dalla zarina madre.
Intanto, Alessandra aveva organizzato un ospedale militare a Carskoe Selo, decidendo di frequentare con le due figlie maggiori un corso per infermiere.
A Tannenberg, in Prussia, i russi rimasero schiacciati tra i prussiani e le sabbie mobili,con perdite ingenti.
Fu allora che iniziò a dirsi che se il conflitto andava male era colpa della Nemka, la tedesca, la zarina Alessandra.
Ci si aspettava una vittoria rapida e facile, l’esercito russo era immenso, uno schiacciasassi, peccato che mancassero addestramento, armi e munizioni.
E mio marito, il conte di Saint-Evit fu tra i primi a cadere.

Lo seppi al Palazzo di Caterina, che era stato riconvertito in ospedale militare.
Il vassoio di medicinali che tenevo mi scivolò dalle mani e le schegge si infransero a terra. Osservai i frammenti e il pulviscolo della polvere che danzava nell’aria, quindi marciai tra le rovine, testa alta e spalle erette.
Ero la moglie di un combattente, figlia di una principessa militante, mai avrei pianto in pubblico.
“.. gli hanno sparato alla schiena, ormai si erano ritirati e.. Non ci sono parole per dire quanto mi dispiace, il dolore che provo per te, figlia mia”
 
L’inizio della mia tragedia effettiva.




Dai quaderni di Olga Romanov alla principessa Catherine” Arrivai il prima possibile, mi dissero che ti stavi riposando, entrai lo stesso, riconoscevo l’eufemismo. Avevo le labbra piene di parole di consolazione, ma.. avevi la schiena appoggiata al muro, lo sguardo fisso e di pietra, eri invecchiata di dieci anni in un solo giorno, le gonne sparse intorno come i petali di un fiore rotto, le ginocchia sotto al mento, una posa di consolazione “Catherine ..”Un minimo cenno della testa. Scivolai sul pavimento accanto a te, un braccio che ti sfiorava. Non esisteva una sola parola, in nessun linguaggio umano che poteva consolarti e scemò il silenzio. Eri pietra, ghiaccio e neve, spezzataAlla fine, avevo il davanti del vestito inzuppato delle tue lacrime, salato e amaro, nemmeno una sillaba, mi avevi buttato la testa in grembo, le spalle che sussultavano .. Ti sfiorai la nuca e piansi in silenzio a mia volta, ti addormentasti per sfinimento, risvengliandoti a tratti, ti feci inghiottire due cucchiate di minestra a stento, eri peggio di Alessio, e tanto meditavi sotto le braci, lo stallo era solo apparente. Mi addormentai pure io, era possibile che fossi legata così ad un’altra persona, ovvero te.. Tu ed io, legate a triplo filo, cenere ed assenzio divise eppure vicine”
 
 
Alla sfilata battei le mani.
Era marziale e perfetto, un cavaliere alla  conquista del mondo.
Ero fiera di lui, I's pround of you, my Knight.
 
 
 
 

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Capitolo 9
*** Look Me ***


“SST.. niente critiche, solo complimenti” enunciò Alexei, il suo sorriso che rimandava l’eco del mio.
“Riassumo, superbo, zarevic” senza toccarlo, quello era uno scambio di report e osservazioni.
“Avevi previsto tutto”
“NO.. ma a livello statistico capita, lo so, che durante una rivista ci siano spari a salve, ho preparato il nostro Bucefalo, ti ho detto come fare, sei stato magnifico, Alexei” tralasciando che mi era venuto un mezzo infarto.
“Tu da cavallo sei caduta nel 1906 per degli spari a salve”Un incidente, e per poco non ero andata al Creatore.
“Tutto il male  non viene per nuocere”
“OH CAT" adorante, felice, incredulo che se la fosse cavata.
Nel settembre 1914, quando mio marito Luois morì, vano  riferire come mi sentii. Disperazione, impotenza, panico, dolore, come se il mondo intero mi fosse crollato addosso.
E così era.
Decisi di reagire, in un modo o l’altro.
Maledetta guerra.
Maledetti tedeschi.
Maledetta me. Se non mi avesse conosciuto e sposato non sarebbe morto come un cane, lontano da casa, alla schiena, lui che era stato  un soldato e un uomo coraggioso per tutta la vita. Queste parole come una litania, un incantesimo, l’odio che germogliava come un fiore velenoso dentro il petto, nessun loto, nessuno oblio .
Osservavo tutto a occhi asciutti, colloquio dopo colloquio con mio zio, che, oltre che dell’esercito, si occupava anche della Polizia segreta zarista, la Ocharana.
Fui snervante, lucida, senza isterie.
Volevo andarmene.
Dovevo andarmene.
Una cosa Alix me la aveva insegnata, ovvero l’organizzazione, che occorre avere un piano, mai improvvisare.
Rievocavo Luois, mi pareva impossibile dover vivere senza di lui, eppure lo avevamo seppellito, i funerali erano stati celebrati, ero vestita di scuro, nero su nero.
“Luois, je suis moi.
“Catherine .. Mon amour. 
“Oui, il a dit oui, je serai ta femme. 
“Catherine ?Je t’aime.
“Moi aussi, je t'aime. Je t'aimerai pour toujours.
Quelle parole lontane, il suo sorriso quando ci eravamo incontrati, la passione dei nostri corpi, il battito di cuore e anime.
In quei pochi mesi che era durato il nostro matrimonio eravamo stati felici, che prezzo avevamo pagato.
Che prezzo.
Lui morto,io in fuga.
Je t'aimerai pour toujours.
E per sempre sei rimasto dentro di me Luois.





“Sei una vigliacca, una codarda.”
“Allora non merito alcuna perdita di tempo. No?”
Un nuovo dolore, un abbandono ulteriore. Avevi ragione, ero una vigliacca.
“Perché.. che hai in testa. Cosa vuoi dimostrare andando in Francia, come infermiera volontaria, come se qui in Russia non avessimo ospedali e feriti.
“È il mio desiderio.” Voglio morire Olga, non è incubo, tu hai fede e io no.. E la notte mi inghiottirà, e non divorerà te. La disperazione come una pestilenza. Via da me.
“E saresti andata via, senza dire nulla, il solito fatto compiuto, lo ho saputo solo per caso. “alla rabbia si mischiava la pena. Bene .. via così. Contavo di scappare alla chetichella, invece dovevo andare fino in fondo, fino alla feccia. Strinsi i pugni, le braccia incrociate dietro la schiena, dovevo andare avanti, senza lussi. Chi mi amava era maledetto, Olga, me ne andavo per proteggerti, allora ne ero davvero convinta.  Te, come i tuoi, mia madre e mio fratello, volevo la vendetta, e quando ebbi l’occasione omisi, altre erano le cose più importanti.  
E allora volevo e  dovevo punirmi. E reagire, che se il mondo mi era crollato addosso, non volevo essere una vittima, passiva, rassegnata. E la ragazzina intrepida che ero stata balenava tra le braci, quella che aveva strappato un frustino al principe Raulov e le aveva prese al posto di mia madre.
“Se resto in Russia .. Non riesco a resistere.”ed era la verità.
 
“E te ne vai. Quando ti sei sposata, va bene ne avevi motivo. Era la passione, il grande amore,diciamo così, ora.. che vuoi dimostrare? Tuo marito è morto. Nessuno te lo riporterà indietro. Ogni tua ipotetica vendetta, atto di eroismo o che non ha senso, a lui non servirà. Servirà a te, nel tuo egoismo, sei solo una grande egoista, Catherine, come al solito, pensi solo a te stessa.” Dura come una punta di selce, di ossidiana.
Silenzio.
Eravamo nel salottino privato di mia  madre a Pietrogrado, come avevano ribattezzato la capitale, in un patriottico impeto, sole a discutere.
Sole per dire, che i cosacchi della guardia che la avevano condotta lì aspettavano fuori.
La stanza, piccola e intima, con i fiori freschi e i libri e mobili pregiati, ci accoglieva con le sue luci mutevoli. Il richiamo potente di una infanzia condivisa, fino alla fanciullezza e alla adolescenza, da fuori il profumo di glicini tardivi e rose fumose.
Un tesoro perduto.
“Non importa. Non mi interessa”
“Importa a me, rispondi a questo. Se lo sapessi, di come sarebbe andata a finire lo avresti sposato”
Silenzio. Ancora. 
Mi imposi di raddrizzarmi e allargare i pugni. Nel mio egoismo, anche allora, sapevo che lo avrei sposato.
“La nuova tecnica, non rispondere. Con tutte le lingue che conosci, è una suprema ironia che non cavi una parola in francese o inglese o spagnolo, finanche di latino“Un sospiro, omise il tedesco, che non avrei risposto di me, a parti invertite io avrei fatto peggio, sicuro “Meglio chiudere qui, Madame. E tanto sarebbe sì lo stesso“
“Chiedo congedo, Altezza Imperiale, devo finire di prepararmi.” Partirò, qualunque cosa tu dica o faccia, risparmiamoci questo strazio, è solo uno stillicidio.
Una occhiata in tralice, di traverso. I capelli raccolti in uno chignon biondo dorato, il viso stravolto dalla furia, un vestito chiaro, dai riflessi iridescenti. Avevi ragione, ogni vendetta o eroismo o ardimento a Lui non sarebbe servito, che era tra i morti.
Non dovevi sapere di come mi maledivo, del senso di perdita e maledizione, che avrei ucciso quel tedesco con le mie mani.
NO.
Tu eri una principessa, io una bastarda.
“Vattene.  Questo è un addio, allora. Hai il mio permesso, congedati.”
“Avete ragione è un addio, Altezza Imperiale.” Il titolo formale, lei lo aveva sempre aborrito e mai voluto in privato, per segnare il punto formale, di netto distacco.
Mi inchinai tre volte, avanzando all’indietro, tre flessioni perfette, l’ultima così profonda che mi lasciò senza fiato per un momento, come prescriveva l’etichetta.
Quello non era il congedo tra due amiche, due sorelle, ma tra una granduchessa e una suddita, non guardava ma il decoro andava rispettato. Era ruotata di spalle, forse per celare i singhiozzi, che la figlia di un soldato non piange mai.
“Pensavo che fossi mia amica, una sorella. Invece ho sbagliato, o almeno una volta lo eri, sa il Signore quanto ti ho voluto bene“Quelle parole, come coltelli nelle carni, un soffio, una benda“E saresti andata via, senza un saluto, come se fossi una sconosciuta. La solita egoista.”
Eri la mia amica, mia sorella e me ne andavo. Codarda e vigliacca, avevi ben ragione. Una volta, di ritorno da un viaggio da casa, ero ritornata, ma quello era un periplo senza ritorno.  Odiami … Io non merito nulla.
“Vi auguro di dimenticare, Altezza Imperiale. “
“E così sia. Io dimenticherò ma Voi no, Voi mai. Addio, Madame De Saint Evit. Ricordate che non vi è peccato peggiore chi tradire chi si fida di te. Mio fratello e le mie sorelle vi vogliono bene, andate a salutarli, per loro, non certo per Voi, non capirebbero e si sentirebbero abbandonati, senza perché. Specie Alessio, non capirebbe, vi è molto legato e.. Non voglio che pianga o vi cerchi, chiedendo quando tornerete, quest’anno che eravate a Parigi .. Lasciamo perdere, anche se, correttamente, avevate indicato l’estate, peccato che un anno per un bambino sia lungo, infinito. Diciamo chiaro e tondo che ve ne andate, senza data di ritorno, non create aspettative. Già che ci siamo, mandate due righe, giusto per forma e auguriamoci che dimentichi, in fondo i bambini fanno così.  Io spero solo di non vederti mai più.”
 L’ultima frase era  appena sussurrata, ma la percepii lo stesso, finsi il contrario e cadde il silenzio.
Addio Olga.
Dimentica, se puoi.
Starai meglio senza di me.
 
Io spero solo di non vederti mai più.
Sia così.
 
 
Dal diario di Olga, “21 settembre 1914. Addio.  Ho  finito e mi viene da piangere, neanche io ci credo, non si vuole fare amare. In qualunque modo ti mostri, qualsiasi maschera indossi..dentro di te sei una sola.. quando lo capirai??”



 “Che bello, uno spaniel.”
“Già come lo chiamerai, Zarevic? Vedo che ti rimane simpatico”
“Joy. O Achilles “ Stringendo il cucciolo che gli avevo regalato tra le braccia. Rapito. Contento, e sul momento non rilevava il mio viso scavato, che ero un corvo in lutto, abbracciò me e il cagnolino, almeno avrebbe avuto qualcuno che sarebbe stato sempre con lui, fedele, che non lo avrebbe lasciato.
Lo zar era al fronte, la zarina mi aveva elargito i suoi complimenti “per il tuo altruismo, a presto, vai a salutare i ragazzi” ma era l’ultimo passo. Olga non c’era, ometteva di presentarsi,ormai ci eravamo dette tutto. Vi vogliono bene, andate, a salutarli non capirebbero e si sentirebbero abbandonati, senza perché.. . Specie Alessio, definire senza limite l’affetto che aveva per me era solo una perifrasi. E mi aveva assestato una stoccata riferendo che aveva chiesto di me e cercato e voluto.
E tanto ero oltre la misura.
Volevo solo chiudere gli occhi e non svegliarmi mai più.
Almeno da morta non avrei patito in quel modo.
“Meglio Joy.” Gioia in inglese, che ironia, che sarcasmo, ma lui doveva stare bene, senza sentire le mie bestemmie, i piani di congedo e fuga.
“Joy Achilles. “ Era cresciuto, ancora, sarebbe diventato alto e ben fatto,mi abbracciò per la vita rovesciando il viso, premendolo poi contro il busto, annotando il mio vestito scuro, da lutto, alla fine, che Luois fosse morto non glielo avevo detto, e tanto… lui ascoltava tutto, sempre, anche se non pareva..mi si serrò addosso, stretto.
“Le mie storie le ricordi. “ una cosa che gli lasciavo, un dono d’amore e tanto ero vuota e spenta, nulla meritavo.
“Certo. Sempre” Gli accarezzai capelli, leggera.
“Io pure.”
“Anastasia, che fai.. “un movimento fluido e ci strinse entrambi.
“Cat. Quando torni?” Un sussurro che finsi di non sentire, infinitesimale, una bolla di sapone, un soffio di voce dello zarevic.
Probabilmente mai più. Non tornerò mai più.
Gli diedi un bacio e mi congedai, approfittando di una scusa. “Cat..” “Addio, zarevic, cercate di stare bene”
 “MA..”
⏳ “Sempre” accostai la guancia contro la sua, tenera, una recita, me ne volevo solo andare e tanto.. Congedati con onore, lascia che ti ricordino tranquilla, non isterica, non vi rivedrete più, fai uno sforzo.
Per staccarmi presi spunto dal cucciolo, che stava mordicchiando un guanciale.
 
Quello era un addio, mi ricordai di sorridere, senza fallo, poi strinsi Marie e Tatiana.
Quando andai a prendere l’auto, attesi che l’autista mi aprisse la portiera, mi girai di scatto, la sensazione di essere osservata.
Dal secondo piano del palazzo di Alessandro, la mano appoggiata contro il vetro, eri lì, un raggio piombò contro i pannelli illuminando le ciocche delle sfumature dell’oro e del bronzo, come un’immagine, un dipinto .
Chinai la testa, un piccolo cenno e salii.
Mai ho sentito di un lupo che abbia pianto.


Dai quaderni di Olga Romanov” la guerra, iniziata con tanto slancio, recò invece delle promesse vittorie morti e feriti e sconfitte inenarrabili. Lo so con cognizione di causa, che nel mese di agosto 1914 avevo frequentato con mia madre e Tatiana un corso per infermiere, trovandoci poi a lavorare nel Palazzo di Caterina riconvertito in ospedale militare, dopo avere assistito a una messa alle sette di mattina. Se tutto andava male la colpa era dei tedeschi e quale migliore capro espiatorio della zarina nata in Germania? Il pomeriggio frequentavamo i corsi supplementari, la mattina assistevamo agli interventi, facendo le medicazioni e assistendo e confortando come potevamo. Sporcizia, fatica, nausea.. la prima volta che mi hanno dato un braccio amputato da mettere via stavo quasi per vomitare, a malapena sono riuscita a non svenire. Leggevo i giornali, interrogavo gli ufficiali, cercavo di capire. E mi mancavi, anche se tenevo duro. Era un addio, no.  Ai tuoi tanti gesti impulsivi e scriteriati ero abituata, definirti egocentrica era un dato oggettivo, tranne che a quel giro non ne venivo a capo. La morte di tuo marito era stata un colpo atroce, choc, panico e dolore, ma tagliavi tutti i ponti e te saresti andata senza un saluto. Lo seppi per puro caso da tua madre, che non sapeva a quale santo votarsi per farti rimanere.. “Parlatele voi .. per favore. Siete la solo persona che può convincerla..” Hai fatto soffrire me, hai fatto soffrire lei che ti dissi, non vi è peccato peggiore che tradire chi si fida di te. E con Alessio ti avevo tirato una stoccata non indifferente, ti adorava e gli eri mancata, come gli sei mancata a prescindere.  Io spero solo di non vederti mai più. Quell’ultima frase, detta a voce bassa, l’avevi sentita, eccome, ti volevo far soffrire ed ero ben riuscita nello scopo, senza ricavarne altro che amarezza, mi ero pentita il momento dopo averla pronunciata. Ma sono andata avanti, non avevo molta scelta, tutti noi ci raccontiamo delle storie per proseguire, mi domando quale sia stata la tua, e so di averti ferita a morte, a nulla è servito.
Ancora dai quaderni”.. comunque, a rate davi notizie, giungevano dei biglietti, indirizzati a CARA OTMA, le iniziali mie e delle mie sorelle, nulla di rilevante, nel primo anno di guerra ne avrai mandati una decina, per lo più brevi annotazioni, personali per i compleanni e gli auguri, poche frasi di prammatica. Chilometri di distanza, nessun obbligo, tranne che mi mancavi. Non volevo, tanto era, uno dei tanti effetti collaterali. E mi arrabbiavo con me stessa, eri stata impulsiva, sventata e egoista, pur soffrendo. Ognuno reagisce a modo suo, lezione appresa nei lunghi turni di infermiera. Vestita con l’uniforme e il velo bianco, la croce rossa ricamata, mi confondevo. Ero una sorella di misericordia. Davo il mio contributo, una goccia nel mare, sempre meglio di nulla. Come tutti, anche Marie e Anastasia, divenute patrone di un ospedale. Leggevano per i feriti al pomeriggio, lavoravano a maglia le loro cose, giocando a carte e dama per intrattenerli, scrivendo a casa sotto dettatura, cucendo vestiti e bende e fasciature. A malincuore andavano a lezione. Oltre all’attività di infermiera, facevo pure io quelle cose, insieme a Tata, in più suonavo il pianoforte. E cercavo di non pensare alle serate trascorse dalla Vyribova, che, tranne che per un concerto settimanale si ripetevano con monotona cadenza. Non vi era verso di sottrarvisi, io ero indocile, ingrata e ribelle.. As usual. E non sopportavo il Nostro Amico, come mia madre definiva Rasputin, come se le sue preghiere fossero davvero quelle di un re taumaturgo, calmava l’ansia di mia madre, non quella di Alessio.. Cat .. perché mi hai detto dopo, quando pensavamo di esserci perse per sempre e ci siamo ritrovate sull’orlo, che quando Luois de Saint Evit è morto avevi abortito per la seconda volta, eri incinta di due mesi appena, andava tutto bene, la prima gestazione poteva essersi conclusa in aborto per la precocità, la giovane età, la seconda si era chiusa per il trauma.. Ci credo che eri piena di dolori e tormenti, pure.. Potevi dirmelo. Per proteggermi, te ne sei andata, definirti contorta ed egoista è sempre stata una perifrasi. Eri il dragone solitario delle tue storie, eri ancora e sempre la mia principessa, poi di ritorno, amore non significa possesso, quando hai avuto la libertà sei ritornata, le fragilità che erano diventate un punto di forza, non ti sei arresa. E quando ho saputo .. la realtà della violenza, eri una tigre, una combattente da sempre, egoista per non arrendersi“
 
Ero riuscita ad andarmene senza scoppiare. Non sarei tornata mai più. Addio, Olga.
 
“CAT” ed ero tornata.
A dispetto di tutto, era forse  un destino,, una  vocazione..  “Look me” "Wonderful"
 
 

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Capitolo 10
*** My Hero, Go ***


 
“Sei un monello, Alexei” scherzai, alla fine di quel giorno, stava bene, nessun gonfiore, mal di testa o altro. Eravamo nelle private stanze di mio caro zione, R-R, nella stanzetta in cui dormivamo, io e lui. Era frenetico, entusiasta, parlava a tutto spiano, saltando di palo in  frasca.
“Quando Mr Gibbes (il precettore di inglese) mi vide la prima volta ero sui nove anni e lo misi in imbarazzo, lo fissavo per tutto il tempo, vestiti, modi di fare, e interrompevo spesso la lezione per chiedere di portarmi dei dolci, una volta facemmo dei cappelli di carta e io continuai fino allo sfinimento”
“Già e poi brontolavano che non avevi mai fame..De gustibus non est dispuntandum” ll’aria estiva vibrava, dorata, era una stagione bellissima, mite ed opulenta “Sempre meglio di quando mi sono infilato sotto un tavolo e ho preso la scarpa di una damigella d’onore, portandola a mio padre, un trofeo che ho reso e, dopo, lei ha strillato”
“Che ci avevi messo, una fragola Ormai credo che sia diventato un episodio leggendario” gli era stato vietato l’accesso al tavolo serale per settimane, era un genio nel combinare guai, pieno di gioia di vivere. Il degno complice di Anastasia, per gli scherzi e le buffonate. A circa otto anni, durante un party per bambini, era saltato da un tavolo all’altro, imitato dai suoi sodali. Quando Nagorny, il marinaio, avevano cercato di calmarlo aveva detto gaio “Tutti i grandi devono uscire” e cercava di mandarli via.
“Comunque il gusto per gli scherzi mica mi è passato..”
“Ah già” risi. Era stato alla Stavka, poche settimane prima, una cena per soli uomini, vi era il granduca Sergej Mikailovich, uno dei cugini dello zar, e a R-R, il mio zione, Alessio entrava nella stanza da pranzo e ne usciva, molte volte, snervante come sempre, quando era rientrato con le mani dietro la schiena R-R si era messo in allarme, che stava dietro la sedia di Sergej Mikailovich, che mangiava, peraltro. All'improvviso lo Tsesarevich aveva sollevato le mani, teneva mezzo melone nascosto dietro di sé, svuotato della polpa, rimaneva solo il succo, che era caduto sulla testa del Granduca. Il liquido era scorso sulla faccia e sul collo, così copioso che il poverino non sapeva come fare, un improvvisato e non gradito cappello. I presenti si erano a stento trattenuti dal ridere, mentre lo zar si conteneva appena e il colpevole aveva lasciato ridendo la stanza da pranzo, a mia volta risi e lo feci stendere vicino a me “Non è tardi ma è stata una giornata lunga..”
“A Carskoe Selo”la residenza abituale dello zar e famiglia”Mi mettono a letto alle otto”
“E magari sbaglio, dovresti andare prima” che erano le nove e tre quarti.
“NO”
 
 
Ti ricordi, Alessio, di quando eri un piccoletto, e ti domandavo “Che navi hai visto?” eravamo in Crimea, tu eri sui quattro anni, credo.
“Nessuna”ironico, un gioco per distrarti, che ti sarebbe piaciuto muoverti sempre e ti stancavi in fretta, tenerti fermo richiedeva pazienza e fantasia.

Non era vietato  e nemmeno era il caso di dichiararlo in modo espresso, tutto il tempo che passavamo insieme. In via ufficiosa, vi era il  placet dello zar. Nagorny e compagnia avevano la consegna di non interferire se lui, Aleksey voleva stare con me, ero sicura e qualificata, definire che lo adoravo era riduttivo. ..E tanto le verità palesi sono sempre le più nascoste..
“Cioè, Zarevic? Niente?” Stesa vicino a te, facevi tanti capricci, ne vincevi tante ma non sempre, non su tutto.
“Io invece ho visto la nave di Ulisse, che tornava ad Itaca, gli scudi sulle fiancate mezzi rotti, e che importa, i marinai e i guerrieri sono invecchiati, nuova pelle è cresciuta sulle loro cicatrici e tornano a casa..”
“Cat.. ma che dici?” perplesso e divertito, chissà che avrei inventato.
“Nulla, una nave che ho visto”
“Allora ci imbarchiamo?”variando su tema, quel lontano pomeriggio, oggi torno a noi, ai ricordi.
 
“Xanto è un nome ben strano” un’occhiata con Olga, forse eravamo giusto noi due a sapere, dell’augusto consesso riunito per il tè pomeridiano che era l’appellativo di uno dei due cavalli di Achille. In Crimea, un perduto pomeriggio durante le vacanze
“Già.. già” quelle surprise, la Vyribova sapeva declinare qualche altra parola oltre ad “oh.. oh..”, il ministro Witte era rimasto perplesso dei suoi scambi vocali e ripetitivi, l’idea di conversazione della V. era di ripetere e enfatizzare quanto sosteneva l’interlocutore, senza aggiungere troppe idee. Avevo preso una sorsata di tè. Anche a Livadia, come a Carskoe Selo, il servizio era in argento massiccio, su candide tovagliette, che accompagnava uno squisito servizio, con cibi dolci e salati, i biscotti inglesi che Alix prediligeva e fette di caldo pane imburrato. In Spagna si mangiava tardi per pranzo, nel pomeriggio inoltrato, per il caldo, ogni tanto i particolari tornavano a tradimento. Mi era piaciuta, almeno lì mi mimetizzavo, non ero l’unica a essere scura di occhi e capelli, non ero la solita diversa.
“ E voi principessa Raulov, che osservate, siete stata una amazzone eccellente o almeno così.. che avete avuto un brutto incidente” Un calcio di Olga mi aveva fatto riemergere dalle mie fantasticherie, la cara V. mi rivolgeva parola, in apparenza simpatica, in realtà mi dava della fifona. Se dichiaravo di essere  brava avrei peccato di immodestia, se mi schernivo sarei passata da incapace. “Vi ringrazio dell’interesse, la caduta è stata tre anni fa, comunque ho riniziato…” ecco, diciamo la verità, siamo oggettivi. Annotai che la V. odorava di scadente acqua di colonia, un pomposo sorriso che mi ricordava una rotonda cipolla. La zarina era la sola a sopportarla, un mistero mai varcato che supera la mia sapienza, che la V. era improponibile per me, sia quando avevo 13 anni che 22 e sempre, Olga non l’aveva sopportata per conto suo, Tatiana ne aveva avuto pena, nel lungo periodo, ma lei era buona, sapeva perdonare.

“Dimmi che non monterai ad uomo” stavamo prendendo il fresco dopo cena, sotto di noi i fiori dei giardini erano un oceano liquido e colorato, di delicati colori.
“Olga assolutamente no.. sarà all’amazzone, su Xanto. Mi spieghi perché una donna di 25 anni (la V., che ne aveva appunto 25, allora)”… deve provocare una ragazza di 13?”avevo una mezza idea, volevo sentire il suo parere. Era il 1909.
“Per darti una lezione di modestia..lei cerca di interpretare i pensieri di mamma..”
“Mai pensato che tua mamma abbia interesse di come cavalco..”
“E sminuirti.. I cavalli a noi Romanov piacciono e.. sarò esplicita, mia nonna paterna vedrebbe con favore un tuo matrimonio con Dimitri”
“E molti vedrebbero con favore un tuo matrimonio con lui..”di rimando, per evitare fratture, che lo zarevic vi era, peccato che avesse (definizione minima) una salute precaria e la legge salica, instaurata da Paolo I nel 1796, vietava alle donne di salire sul trono. E Alix aveva ormai 36 anni, la possibilità che avesse un altro maschio erano limitate, per l’età,  oppure, poteva concepire ancora e  avere l’ennesima bambina, la statistica non aveva giocato a suo favore in quel senso. Tanto per dirne una,  sua cognata Xenia, aveva avuto sei maschi e una sola femmina, Irina, una donna su due riusciva a avere un figlio maschio senza troppa fatica ..Lei ..no invece. E mia madre aveva avuto mio fratello a 36 anni, forse era l’eccezione che sanciva la regola, Ella ebbe solo due gestazioni, la mia e quella di Sasha.
“Siamo cugini, la chiesa ortodossa proibisce queste unioni, in genere, tranne che mia zia Xenia ha sposato Sandro Mihalovic e sono cugini..” Appunto, se uno vuole trova sempre un escamotage, i divieti si eludono, si aggiustano le prescrizioni.
“Senti .. ora a 13 anni siamo troppo giovani per pensare al matrimonio, avremo tempo “ non che ci tenessi a sposarmi, anzi, e la scusa della giovane età poteva reggere ancora per qualche anno.
“ Spero di non avere un pubblico  assiepato ..” Se Fuentes, il mio Andres dalle verdi iridi (va bene, Andres, ti ho pensato sempre anche quando non vi eri !! fingendo poi di avere scordato) aveva affrontato un toro in una arena gremita, curandosi solo di salvare la propria e altrui pelle, io potevo ben riuscire, e mi comparve il “sorrisetto diabolico”, che la mia amica paventava, per una parte, che la allietava per l’altra, il divertimento e le risate erano sempre assicurate
“Se non altro sono molto più leggera di Dimitri e userò una coperta più spessa, quel cavallo salta come un grillo che ha la schiena escoriata, ho controllato prima di cena”
“Niente corvetta o balzi, grazie”
“Peccato, sarei ben più spettacolare”
“Lo so che sei fantastica”
“La regina delle Amazzoni sono io”
“Uffa, Cat, bada a non essere troppo modesta, che non saresti tu”ironica e potente, ridacchiammo come due sceme. Mi manchi già da ora…

Il cielo aveva assunto una calda gradazione di pesca sopra di noi, le prime stelle si accendevano, quiete e perfette, le nuvole erano grigie e traboccanti di luce come il petto di una tortora. Era il tramonto, una pausa momentanea.
Dai quaderni di Olga Romanov alla principessa Catherine “ ..se hai paura non vai da nessuna parte, osservasti una volta,  e ne convenni quando ti vedemmo su Xanto. Avevi un’amazzone grigio tortora, i capelli raccolti in una treccia e cavalcavi sulla sella da donna come se non avessi nessun pensiero al mondo. E ti scocciava, Xanto avrebbe reso di più montato ad uomo e non avevi osato, per non creare uno scandalo.. E non mi ero inalberata che sapevo che eri sicura, compita, non avevo paura e tu nemmeno, forse saresti stata davvero e sul serio una regina delle Amazzoni allora.. la naturalezza. La precisione.  Fantastica.. voltasti il cavallo di lato, facendolo sgroppare e scalciare, nel recinto di allenamento e.. “
Gli feci saltare il recinto, rampai nella luce del mattino come una stella cadente.
 Cavalcavo il vento.
 
“Zarevic, che succede?” aveva una faccia chiusa e tempestosa, un uragano pronto a scoppiare “I bimbi non volano, dicevi..”
“In genere no..”era arrabbiato e frustrato, capii, la Vyribova per poco non aveva sbattuto i piedi per terra, per la strizza, mentre cavalcavo .. la avevo battuta. Un suo gioco cui avevo partecipato senza volere e tanto avevo ragione io, da allora in poi, ogni volta che mi vedeva era una gioia corrisposta. Come no, ci ignoravamo a vicenda, una cura reciproca,e  la mia antipatia toccò lo zenit quando giovane moglie di Andres, incinta di molti mesi, suggerì che mi fosse infedele, una pura frottola aggiungo, enunciata solo per turbarmi. A stento mi trattenni, lasciamo stare.  
“Zarevic.. una volta sono volata da cavallo e mi sono fatta male, lo sai” gli misi una mano sulla spalla, ero impiastrata di sudore e tanto non se curava “Sei grande, Alessio, ma non per questo, non ancora.. Io ho passato mesi ed anni ad allenarmi, prima di volare”
“Sicura?”
“Un giorno volerai  nel vento a cavallo, ora come ora sarà tra le mie braccia.. vado?” annuì e lo sollevai, per sua delizia, mettendolo sulle spalle "Bimbo vola!!"
Bimbo vola.. ora e sempre.
Lo ripensai, cullandolo vicino a me, anni dopo avremmo avuto quella soddisfazione, ora la avevamo avuta, a dispetto di tutti e tutto.
A glass masquerade …I  love you, Alexei, you remain strong despite the harsh realities of life that you  faced during your way.  Most of all, for your bravery and courage.
Go my hero!

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Capitolo 11
*** Game of Gods ***


Dai nostri biglietti“Sono stato tanto contento..ora manca davvero poco, a presto Yours Alexei”

“Il famoso conto alla rovescia.. L’Eneide ci aspetta. E magari anche qualcosa su leoni rampanti e via così.. Ti voglio tanto bene..Un bacione”

A volte gli dei si divertono a giocare a dadi, infischiandosene della volontà e delle umane illusioni. 
Aveva preso un colpo di freddo visitando le truppe, starnutendo così forte da avere una violenta emorragia al naso, tanto che il suo tutore Gilliard e il medico imperiale avevano violato l’ordine tassativo di Nicola II di non essere disturbato, che era in corso una riunione informale, importante, tranne che lo zarevic contava di più, la sua salute aveva la precedenza .
Ero rientrata alla Stavka, ennesimo periplo, vestita da ragazzo, i capelli corti come il mio nuovo uso, con una stanchezza millenaria nelle ossa quando bussarono all’ufficio dell’imperatore, mentre controllava le mappe e le avanzate con me, mio zio e Andres.
Per esperienza, in quei momenti concitati, sapevo che nessuno badava a chi tampinava lo Zar, eravamo tutti anonimi, ombre sfuocate, quindi gli ero corsa dietro. Il cuore mi rotolava dentro il petto, e mi ero fermata, impalata rigida, quando lo avevo visto, respirando rapida e superficiale, come quando Andres mi aveva tirato un pugno sullo stomaco, sbattendomi per terra, alla fine mi ero innamorata di un sogno che poi divenne amore, un amore lungo una vita.
No. NO, No.
Il palmo contro le labbra, vedendo la cauterizzazione, le bende impregnate di sangue.
NO.
I suoi lamenti.. era l’inferno, un dolore che non meritava.
Come ricevere un ulteriore colpo sul viso, sullo stomaco.
NO. NO.
Come quando il principe Raulov mi aveva frustato, incidendo la mia schiena, chè avevo osato contrastarlo, picchiava mia madre per l’ennesima volta.
NO. NO.
Mi ero morsa le dita a sangue.
No, Aleksej, no.
“.. deve stare su.. è agitatissimo.. Speriamo che…” Brusii soffusi “ I suoi marinai sono esausti..non vuole stare fermo”
Ha paura.. idioti, ha dolore ed ha paura.. come ne avrei io, come chiunque, dategli un bacio, non toccatelo solo per fargli male.. Male per dire, occorre per le medicazioni, e nelle pause dell’emorragia non merita forse di essere confortato?Dategli una carezza, stringetegli una mano, imbecilli..
 
“Vuole ..insomma quando riusciva a parlare voleva sua madre, le sorelle e..Cat..? “ “Il gatto..”
VOLEVA ME.
“Qui ne abbiamo altri due, di marinai” la voce di Andres, gli avevo posato una mano sul braccio, parla tu, svelto in azione, Fuentes “Scusate.. eccoci “e tanto Botkin, uno dei medici imperiali, mi aveva riconosciuto al volo, e sarebbe stato ben muto, il suo viso era una maschera, io mi ero inclinata nell’ombra.
“Troppa gente.. Maestà, proviamo con questi nuovi, tutti fuori..”
“Cosa avete combinato?”Scosse la testa, il medico che mi aveva assistito tanti anni prima ritenne saggio omettere altre indagini
“Nulla di particolare.. Mi sa che Cat sono io, mi chiama sempre così”

“Aleksej, zarevic..”mi ero inginocchiata davanti a lui, era sporco di sangue e sudore, gli occhi appannati per il dolore e le lacrime, agitato senza rimedio.
“Zarevic sono Catherine..” in tono basso “Mi ci metto io, vuoi, a tenerti sul divano?”Una pausa “Ora ti pulisco il viso, non so il dolore che provi,sst, tranquillo, ci sono, sei Achille, un eroe, resisti a tutto, sei fortissimo, tesoro, sei il mio eroe”
Gli avevo tamponato le macchie di sangue e sudore, e tanto era meglio se mi mettevo dietro, stupida che ero.
E mi aveva riconosciuto, gli occhi si spalancarono, infiniti, azzurri “Va bene se Andres ti tiene sollevato, fidati, è bravissimo, solo un attimo, il tempo di sedermi..” quando era piccolo, piccolo davvero, intendo, e aveva una crisi, e il dolore lo intontiva, lasciandolo prostrato, che non mangiava o dormiva, solo gemeva, andavo (se era possibile) e mi accostavo vicina, senza toccarlo..
Che avevo paura di fargli ancora più male, parlando per minuti od ore, alla fine ci addormentavamo, e mi ritrovavo le sue manine sul viso, tra i capelli, entrambi esausti, che cercava un contatto, e quando stava bene non facevo pari a tenerlo in braccio, a giocare con lui, a viziarlo.
Ora era diverso, ero diversa, io, ammaccata e lucida, era il mio zarevic, il mio fratellino, c’ero e dovevamo affrontarla insieme, se voleva.
Appoggiai la schiena al divano, una posizione sgraziata, maschile, e aprii le braccia
“Ci siamo, piano eh.. che c’è? Andres..” “
Salve zarevic, ora vi lascio, c’è Catherine, va bene.. Ssst, andrà tutto a posto, sst querido”Sussurrò qualcosa in spagnolo, in quel suo linguaggio melodioso, che ricordava la musica del vento tra le foglie, me lo appoggiò addosso come se fosse un tesoro.Gli posai una mano sul petto, si sollevava con minore affanno “Zarevic, sono qui”
 
“Tienilo calmo, sarai meglio di una medicina, lo sa solo lui quanto ti voleva” Risposi con un cenno della testa.
Lo zar si allontanava, non sopportava a lungo i gemiti di Alessio,come al solito, Andres lo seguì per chiedere istruzioni, i suoi occhi verdi avevano incrociato i miei per un breve momento, saldandosi insieme, poi rientrò.
Sussurrai “Sono qui, Alessio, amore ”Scemenze per distrarlo, o consolarlo, oppure distrarre me stessa, almeno un poco, non so nemmeno se mi ascoltasse, sennò non sarei stata io, giusto due frasi per non smentirmi, ne dubito, anzi, stava troppo male, pure ebbe ancora una piccola reazione, mi serrò il polso mentre alzavo il busto, non ti lascio, sussurrai, tranquillo. Sono qui, non è il delirio ci sono davvero, resto, vuoi?.
Forse sussurrò Cat, uno strazio reciproco. .
 Ero appoggiata contro il grande divano, la schiena di Alessio contro il mio torace, lo avvolgevo tra le braccia, la testa che quasi sfiorava la sua, le ciocche castane mescolate, ogni tanto mi toccava il polso, spostandosi mi posava la guancia sul seno, o aspirante tale, che di curve non avevo tante, ero snella fino alla magrezza estrema.
Che ironia, mesi prima quando lo avevo portato a cavallo, non era successo nulla, era bastato un raffreddore per ridurlo in quelle condizioni, la pelle color carta, il battito irregolare. Già.
Sono qui. Sei qui. Non ti lascio, tieni duro, la passiamo insieme, va bene?cerco il coraggio, il distacco, sempre, tranne che ti adoro, Zarevic, non mi lasciare sola, se puoi. So che soffri, scotti di febbre e io non posso fare a meno di te, sei la mia parte migliore, con te non sono dura, arrogante e distaccata, superba come Lucifero, rimani ancora un poco, resisti, bambino mio, e che posso fare, se non tenerti tra le braccia.. e ti voglio tanto bene, perché non te lo ho detto a voce, invece di scriverne.. sono una disgraziata, una cretina..
 
I chirurghi imperiali avevano cauterizzato la narice, un processo doloroso, senza guardare chi lo teneva tra le braccia, cambiando le bende quando si impregnavano di sangue, uno valeva l’altro, bastava tenere calmo il regale paziente.
E tanto erano vincolati dal segreto professionale, Botkin, poveraccio, era abituato alle mie stranezze da anni. Avevo badato a parlare il meno possibile, cercando di non mettermi a piangere nel sentire i suoi gemiti, sapevo che i singhiozzi lo agitavano ancora di più. Ero stanca, piena di pena e rabbia.
“Deve stare su che da sdraiato rischia un maggiore sanguinamento”
Nicola aveva mandato un telegramma a sua moglie, che stava volando alla Stavka, reputando prudente non farlo muovere in treno per riportarlo alla capitale.
Mancava una settimana a Natale, almeno a quello di rito cattolico,realizzai. La nascita del Salvatore, ma cosa festeggiare se l’erede di tutte le Russie fosse morto, il mio era un pensiero blasfemo, cosa raccattare in quei momenti. E serrai lo Zarevic, gli avevo promesso di tornare per il Natale cattolico e non così.
Non volevo, non era giusto, ne avevo tante da farmi perdonare e non poteva morire a undici anni per una epistassi.. Per lui, è un bambino malato e ha una voglia di vivere che rompe ogni argine, a te di morire non importa nulla e ..
 
Aleksey..Sillabo il tuo nome, torno al presente, mi calmo, a te serve una persona lucida, non una isterica.
Ho più paura adesso di quando ero vicina alle trincee e il rumore delle granate rombava nell’aria, sono qui e vorrei essere da un’altra parte, rinuncio a comprendere, manco ci provo. O, in semplicità, quando soffre chi ami vorresti che fosse un incubo ed essere altrove e mica funziona così.
 
“Sei incredibile, lupo”
“In genere sostieni che sono una scocciatura”
“Siamo una buona squadra e sì, ti ho fatto un complimento. “Strinsi ancora più forte Alessio, osservando che le bende erano candide da almeno sei minuti, vigile, non parlava ma ascoltava. Gli sfiorai una guancia, se riflettevo che ai tempi della crisi dopo Spala, al palazzo di Alessandro, neanche lo volevo prendere in braccio, vi era di che ridere, seriamente. E ora ero una spia, un membro della polizia segreta, una peccatrice senza fallo, che lo stringeva e cullava, scherzando
 .. ”
 
Sospese il racconto, Andres, improvvisate parole, mentre rientravano i chirurghi, le bende erano di nuove intrise di sangue. Cauterizzarono, Andres, immobile, in un angolo, le dita di Alessio contro il mio polso, una stretta così forte da lasciare il segno, sussultava per il dolore, appena un gemito rivelava il grado della sofferenza .
Sentivo i mormorii, il nuovo marinaio infermiere, sul serio i miei travestimenti erano ben fatti e poi ci lasciarono soli, avevano riscontrato che tante persone agitavano Alessio, lo serrai cercando di tenere ben alto il busto, gli massaggiai lo stomaco, le costole, movimenti improvvisati, colmi di delicatezza, ti voglio tanto bene, zarevic, cerco di tenerti tranquillo, taccio che le storie le racconta Andres, io intervengo a tratti, sono con te, sempre, e so che ti reca conforto essere toccato in modo dolce, gentile. Pregai che Alessandra giungesse presto, che fosse sempre vivo. Intanto, le mie braccia e le mie gambe erano una specie di fortezza contro cui si abbandonava, capiva che avrei voluto difenderlo da ogni male, la voce del mio principe un incantesimo contro il buio. E che lo amavo, non lo avrei più lasciato senza un saluto vero.
“Racconta Andres”
“Rostov Raulov era venuto in Spagna per un libro di memorie, sul vostro capostipite., Felipe, mio padre Xavier dei Fuentes lo accolse e lo invitò a fare un giro. Il principe cadde nel fosso.. Passeggiava e finì come un allocco nella mia trappola. Poi gli sono rimasto simpatico..Lasciamo perdere”
Risi per non piangere, Alessio si mosse, credo che ne rise anche lui di quella cosa inopinata. In parte, serrò la schiena contro il mio sterno, percepii il movimento delle sue dita sui polsi, mi rovesciai un poco in avanti, rafforzando la stretta delle braccia, e si calmò, ascolta, Alessio, ho paura come te, e insieme siamo forti, ascolta il battito del cuore, dice che ce la caveremo.
 
“E andiamo con le storie dei Fuentes e dei pirati, queste so, non ho grande inventiva, che spetta a te, cara Catalina ”Andres mi passò un asciugamano, asciugai la fronte allo zarevic, potevo solo abbracciarlo. Quando ero arrivata a Spala, non avevo visto tutto. Alessio capiva Catalina in spagnolo, Catherine, lui intuì prima di me e Andres dove saremmo finiti.
 
 
 
Compresi la zarina, il suo strazio, almeno un poco. I particolari, ossessivi. La trama di legno delle pareti, le ciocche di Alessio che si intrecciavano alle mie quando chinavo la testa contro di lui, l’eco della cauterizzazione nell’aria ferma, fuori era caduta la neve, l’impronta delle falangi dello zarevic sui miei polsi, mi aveva stretto così forte mentre i medici facevano il loro lavoro,da lasciarmi poi i lividi, oltre che il segno delle unghie, il corpo inarcato e teso per il dolore, tenevo il busto alto, i pantaloni che indossavo,grigi, con un piccolo strappo sulle ginocchia, che ancora non avevo rammendato, gli avevo accostato la testa sul seno, a tratti.. ascolta, Alessio, ho paura come te, e insieme siamo forti, ascolta il battito del cuore, dice che ce la caveremo.
Alla fine era stato Andres a portare dell’acqua, una caraffa e una ciotola di ghiaccio in cubetti, glielo avevo sussurrato piano. Bevvi avida, avevo sete e fame, il mio corpo baro, eterno Giuda, si ricordava sempre di vivere. Diede una carezza al ragazzino sulla fronte, poi gli passò un cubetto di ghiaccio sulle labbra riarse, a farlo bere non si fidava, che poteva venirgli un attacco di tosse, pessimo nelle sue condizioni, ma era disidratato, con infinita pazienza ne passò quattro o cinque. Appena accennavo a muovermi mi stringeva ancora di più, come se lo volessi lasciare, e avevo sete, mi raccomandai ad Andres. Se non l’ho amato in principio, ho cominciato allora. Dico di Andres, che volevo bene a Alessio da un pezzo. Ed anche allora sapevo di mentire a me stessa, le scuse che tiravo fuori, le balle per non dare ai sentimenti il loro nome.. Io e il mio armadio personale avevamo fatto l’amore dieci giorni esatti dopo il nostro primo incontro, nell’ora che precedeva l’alba ognuno era per l’altro uno sfogo, una tregua. Anzi, sesso, come lo definivo, uno sfogo di lussuria, potevamo non sopportarci in principio, tranne che a letto siamo andati d’accordo fin da subito. Ed era una difesa, era piacere e amore, i nostri corpi erano ferro e calamita, acqua per purificare, fuoco per la reciproca attrazione. Pure ammettere di amare qualcuno richiede coraggio. Quali negazioni formulare, chè, indagando, avevo appreso una cosa che mi aveva fatto inorridire di me stessa. E dovevo arrendermi, lo amavo, ti amavo, Fuentes maledetto. Per le cicatrici sulla schiena aveva rilevato che era insieme a mio zio quando avevano sistemato Pietr Raulov, si era solo rammaricato di non avergliene suonate più forte. E che non dovevo vergognarmi di nulla, avevo agito per giustizia, per difendere mia madre.
“Alessio, ascolta, la tua mamma sta arrivando. Probabilmente non rimarrai qui alla Stavka, tornerai al Palazzo di Alessandro” Le parole scorrevano piano, avevo la gola roca”Per la convalescenza. Io non mi posso far vedere, lo sai, per le coperture. Non ti agitare, ascoltami. Torno a Pietrogrado, non ti lascio, cerco di fare pace con Olga, va bene, tra poco vado via, sono qui e ci vediamo presto.. “Lo avevo spostato sul braccio sinistro, tenendolo con l’altro, con una fatica immane mi sfiorò una guancia, l’unico segno di colore che aveva sul viso erano le mezzelune viola sotto gli occhi e le sopracciglia castane” Va bene, sto zitta, qualcosa ci inventiamo, piccolo principe.” Sbatté le palpebre due volte, come a dire no. quando non riusciva a parlare aveva elaborato quel sistema, due volte no, una sì. Non capivo. Tamburellò le dita sulla mia guancia, a fatica, e la toccai. Era salata di lacrime. “Non devo piangere, va bene. Hai ragione, non me ne ero proprio accorta” Per discrezione, Andres aveva voltato le spalle, osservava con interesse la tappezzeria del muro. Aspettò che mi ricomponessi, mi riuscì a tirare fuori un sorriso poi scambiammo la posizione, staccare il bambino dalla mia stretta fu una amputazione.
Lui, come me, era un coacervo, una contraddizione in termini, ironico e irriverente, si vestiva di maschere, poteva risultare ed era spesso insopportabile, superbo e egocentrico, sfrenato e carnale, come la sottoscritta. Dotato di umanità, non si tirava indietro dinanzi a nulla, fosse un ingaggio che consolare un ragazzo malato. Passai Alessio nelle sue braccia, gli diedi un bacio, non osavo affermare ci vediamo presto, aspettavo i secondi, ogni minuto che passava senza che le bende si impregnassero di sangue era ottimo. “Io vado, ragazzi. A presto. Ciao Alessio, ciao Andres” mi persi a asciugare la fronte del bambino, era madida di sudore, come la gola, la carotide batteva sotto le dita, in affanno, ma stava un poco meglio, gli tamponai i capelli sudati e l’avevo detto.. Idiozia. Gli appoggiai il viso per un momento contro il plesso solare, senza premere. “ A PROPOSITO, sono tornata.. E ci rivediamo, sai come riesco a essere petulante e egocentrica, no” Gli baciai le mani, ridendo, sommessa, i palmi più piccoli tra i miei,stringendoli, ricambiò“Alessio, amore, ora devo andare davvero, mi spiace, e ci ritroviamo. Guarda, non piango, cerca di stare tranquillo, sì, perfetto, ti voglio tanto bene, so che lo sai, e lo devo dire, so che mi vuoi bene pure tu.. arriva a casa, diamoci due o tre giorni di tregua, di riposo, poi arrivo, mi vuoi vero”Un battito di ciglia” Solo diamoci un poca di tregua, che è stata lunghissima, soprattutto per te..”Tacqui e ci scambiammo una occhiata preziosa, miele contro zaffiro, senza sillabe. Seppi, una sorta di prescienza, che sarebbe rimasto. “Riposati, amore,a presto, sono con te. Ora no, ma se vuoi al Palazzo di Alessandro ti tengo in braccio, dormo con te, ti porto fuori, ora che vuoi?“avevo inteso e non stavo capendo male il gesto , mi ricomposi.”Il mio monello preferito, eh,ripassamelo Andres, tutto a posto, vuole che lo tenga ancora!”Me lo raccolsi addosso, tenendolo in alto”Poi quando vado, non ti agiti ..” Inarcò le sopracciglia, era un sì. “Aleksej, bambino mio, tesoro mio grande” declinai ogni forma di amore e tenerezza, osservai che doveva mangiare, che poi me lo divoravo seduta stante, ora sei tutto ossa e volontà, tesoro mio.. Mi diede un bacio sulla guancia, aveva le labbra secche, riarse, gli feci bere un poca d’acqua e gli cambiai la casacca militare. “Aleksej..” mi prese una mano, rimanemmo in silenzio, lui era il mio guerriero, un lottatore, ora e sempre.
La sua più grande impresa era resistere all’emofilia, senza soggiacere al richiamo della morte, dell’oblio.
 
 
“Adesso devi andare davvero, Lupo,” enunciò Andres, dispiaciuto alla fine “Qui ci penso io”
 Staccai le mani, a malincuore, lo zarevic mi sorrise, alla fine lo avevo cambiato, era fradicio, ed era esausto, il mio tesoro, e tanto non dormiva.
Mi toccò il viso, i capelli come quando era piccolo, gli deposi un piccolo bacio all’angolo delle labbra, un gesto di affetto che voleva da anni e avevo sempre omesso, scostandomi quando tentava, che io non ero sua madre o una delle sue sorelle, e lui ribatteva che mi voleva bene come  loro.
 “Ora, zarevic, devo andare e tanto torno presto a scocciarti” si tese per ricambiare, lo lasciai fare, doveva sorridere, e  premetti il pugno sul cuore e scattai via sul serio, vietandomi di toccarlo ancora, che non sarei più andata .
Mi girai sulla porta e sorrisi a tutti e due “A presto..”
 
 
E tanto ero poco lontana, la schiena contro una parete, la testa sulle ginocchia e piangevo, uno sfogo necessario, pregando, mentre il calore si raffreddava, Dio che cretina.Cercavo la saggezza, il distacco, ero il lupo, il tormento e tanto con Alessio e i nostri fratelli non mi riusciva. E lo avevo tenuto sollevato, senza scostarmi o recedere, quello non contava.. Appunto..   
 
( Non te ne andare, resta.. )
 
“La chiamo lupo perché è agile e scattante come quella fiera, ha un fondo indomabile, selvatico. Non che sia sempre simpatica o altro, ..”Andres parlava piano in russo, sia lui che Alessio fissavano la porta dove era sparita Catherine con un vassoio tra le mani, a breve sarebbe arrivata la zarina e il rischio di fare saltare le coperture era troppo elevato. Nell’aria restava una traccia del suo profumo, leggera come una scia, arancia amara, sudore e lavanda, annotò Andres “Una volta ha indicato la zuccheriera, per il caffè, invece vi era dentro il sale. È a modo suo, molto, lo sapete meglio di me, una grande solitaria”Alessio sbattè due volte le palpebre, in segno di diniego, Andres ormai lo aveva inteso” NO? Sa stare da sola, vi è differenza, avete ragione, se può mantiene sempre la sua parola. Anzi, la mantiene sempre, come noi Fuentes, in fondo come me discende da una schiatta di combattenti. Ne riparliamo, certo, cercate di stare bene, quando avrete fiato, mi mancano le vostre chiacchiere incessanti, Altezza Imperiale, a presto”Bussarono alla porta, era lo Zar o chi per lui.
“..”lo abbracciò, poteva essere suo figlio, un gesto che osava solo allora. Un nome sorse dalla memoria, lo strazio di quei giorni lontani non finiva mai..
 
Xavier..Xavier dei Fuentes. In spagnolo, Xavier significa Casa .. Nuova Casa… tornava quando meno se lo aspettava, suo figlio.
 
“ A presto, Maestà, Altezza Imperiale” Si erse in tutta la sua statura, scattò sull’attenti, il saluto militare, era stato un soldato, per anni, le vecchie abitudini sempre affioravano. Ed anche il ragazzino era un soldato, che combatteva ben dure battaglie per sopravvivere,  cui andava ogni onore e rispetto,  e se ne andò.
 
“Sbagliate, piccolo principe, come vi chiama Catherine, lei come me è una grande solitaria, un lupo,sa amare ma teme che chiunque ami andrà incontro alla rovina..E per paura e orgoglio omettiamo di dire che amiamo, tranne che in rare occasioni” sussurrò piano, parlando per sé e tra sé.
 
Se suo figlio fosse sopravissuto sarebbe stato appena più grande dello zarevic, era nato nel 1901, come la sorella di Alessio, Anastasia .
Lo aveva chiamato Xavier, come aveva deciso con Isabel,come il principe suo padre, Xavier dei Fuentes, che riposava accanto a  sua madre, sua moglie Isabel, e alla nonna paterna, nella cappella di famiglia dei Fuentes.
Fino alla fine del mondo.
Quella sera, dopo così tanto tempo che nemmeno lo ricordava, entrò in una chiesa e accese una candela.
“Pater Nostrum.. “e mi cercò, un bisogno cieco e disperato, uno sfogo di saturazione e energia nervosa, reciproco, facemmo l’amore, disperati e impotenti, poi lo mandai a cercare notizie, se stava bene, doveva stare bene. Vi era sua madre, l’emorragia era cessata, a posto.
ALEKSEY.
TESORO.
Not to say good-bye..
Ovviamente, la zarina sostenne che era tutto merito di Rasputin, da lei avvisato, che aveva pregato per il ragazzino, se la crisi era stata domata. Non che Andres facesse i miracoli, l’essere un santo che spargeva grazie non rientrava tra i suoi meriti molteplici. Ed anche io avevo pregato, la cecità apparente di Alessandra mi procurava una rabbia senza misura, Rasputin era un millantatore, lei una finta ingenua. Preferiva la supina adorazione della sua amica Vyribova a chi osava contrastarla, si illudeva di essere lei sola in grado di governare e avere il necessario discernimento per essere al timone di comando. Di un impero, quando non comandava nemmeno in casa sua in pieno, che in tanti anni ancora non aveva imparato il prezzo esatto delle patate che si vendevano ai mercati di Carskoe Selo. Per favore.
 
Ti amo, Catherine, voglio sposarti, pensava intanto Andres… E io singhiozzavo come una fontana, riflettendo, tranquillo, Alessio, sei con me, non ti succederà nulla Illusa....

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Capitolo 12
*** Alexander Palace ***


Quando  ero piccola  avevo voluto molto bene, alla zarina, peccato che con gli anni, sostenendo che portassi alla ribellione e al malumore le sue figlie, specie Olga, avesse cercato di allontanarmi e ben percepivo, avevo percepito quella freddezza. In fondo, ce l’aveva con mia madre e io le somigliavo parecchio e.. Insieme, mi era affezionata, l’affetto di fondo era rimasto, reciproco, tranne che come carattere, abitudini, modi di vivere ed età eravamo agli opposti. Una tregua armata, poniamola in questi termini, che a breve le sarei piovuta tra capo e collo, a costo di prendere a testate le guardie imperiali, avrei fatto visita ad Alessio. Ammettiamolo, almeno tra noi che ero una spina nel fianco, una immensa rottura di scatole. E .. Alexei.. il suo visetto bianco, color carta, quello strazio senza fine o ritorno, le mie braccia erano vuote, in quelle ore infinite … una alchimia, eravamo insieme, lo avevo visto lottare come un leone, un respiro dopo l’altro, non si era arreso.
Alle volte, la sua più grande impresa era non arrendersi mai.

Mia madre era in Crimea con mio fratello, l’aveva invitata la zarina madre per il Natale e si rammaricava che fossi tornata senza preavviso, il principe Raulov, il suo illustre marito da circa un quarto di secolo, oltre che il mio violento, ubriacone e manesco padre di nome, era al fronte, certo non a combattere, era a bere o giocare d’azzardo. L’avevo rassicurata, mia madre, dal rancore ero approdata alla tenerezza, suonando convincente alle mie e alle sue orecchie, ormai ero adulta, vedova e infermiera volontaria, avrei fatto una breve sosta per poi ripartire,vi era mio zio, a badarmi o viceversa. Non ci vedevamo dal settembre 1914, ci eravamo scritte e sentite per telefono, quando potevo, se avesse saputo la verità, mi avrebbe legato alla sedia per impedirmi fisicamente di andare via. A modo suo, la principessa Ella era  tra le persone più coraggiose che conoscessi. Io una vigliacca combattente, il principe Raulov era al fronte in Galizia, per modo di dire, due codardi in trincea.
Respirai a fondo, ricordavo fin troppo bene il litigio che avevo avuto con Olga, l’anno avanti, tuttavia ero stata invitata per “un tè”, un gentile bigliettino dello zar, ero nella piccola villetta che mio zio R-R aveva a Carskoe Selo, non mi ero sentita di andare a palazzo Raulov e passare serate di divertimento nella capitale.  OLGA.
OLGA.
Eravamo state amiche una vita intera, sorelle, prima che me ne andassi e .. Che farne, di me stessa?
I primi due giorni li avevo passati a dormire, leggere e fare bagni, un ottimo ristoro mentre rifacevo il punto della situazione, vietandomi di pensare ad Andres, non sapevo che scuse inventarmi, quali negazioni formulare, ché, indagando, avevo appreso una cosa che mi aveva fatto inorridire di me stessa. E dovevo arrendermi, lo amavo, Fuentes maledetto, ti amavo, in fondo, molto in fondo sapevo che mi amava pure lui, per quanto avesse orrore dei sentimenti, visti i suoi trascorsi di tragedia (aveva perso sua moglie, morta per le lesioni del parto, il bimbo era morto dopo una settimana tra le sue braccia, aveva 18 anni all’epoca, altri sarebbero impazziti, lui no, ma per poco, il prezzo era stato il suo esilio volontario, la freddezza e la distanza)

Alessio stava meglio, dal letto era passato al divano, già qualcosa, almeno dalla tarda mattina fino a sera, con un intervallo nel pomeriggio per un sonnellino.. O lo mettevano a riposare, conoscendolo dormiva ben poco. E ignoravo quanti mesi avrebbe impiegato per riprendersi in modo effettivo, che quella crisi era stata devastante.   
Che avrei fatto? La visita promessa e poi sarei ripartita, poco ma sicuro. Nuove rotte e infiniti peripli per obliare, almeno un poco, la mia disperazione, un altro scopo, ci raccontiamo tante storie, per andare avanti e quella mi piaceva. E sapevo che, nella prima privata occasione, rivolevo stare con Andres.
Mi sfiorai la cicatrice sul braccio sinistro, era orrenda, uno squarcio irregolare che potevo celare con le maniche, uno zig zag nella tenera carne. Ed ero dimagrita così tanto che il busto non serviva nemmeno più, ma lo avrei indossato, per i capelli sempre corti avrei messo uno chignon posticcio, per vestito un color grigio fumo, da mezzo lutto, anche se, in via teorica, le vedove solo dopo 18 mesi potevano “alleggerire”. I  particolari del mondo e delle sue forme riemergevano. Se pensavo che la regina Vittoria aveva portato il lutto per quasi 40 anni, vi era di che meditare.
“Principessa Raulov, Madame, una persona chiede di voi,è nel salotto”la cameriera interruppe le mie riflessioni e sbuffai impaziente “Ho dato ordine di non volere essere disturbata. Tassativo, non credo sia difficile da capire”
“Madame, perdonate è Sua Altezza Imperiale” Tra finire di dire chi era e il precipitarmi la poveretta rimase sola.
Bussai e aprii.

Dai quaderni di Olga Romanov alla principessa Catherine”.. La porta si aprì in un lampo e ci ritrovammo davanti. “Altezza Imperiale, Olga Nicolaevna “, una piccola riverenza, poi rimanesti in attesa. Giusto, ero venuta io, spettava a me parlare e tutte le parole volarono fuori dalla mente, tutti i bei discorsi preparati erano scomparsi. E sapevo molte lingue, come te, tranne che non ci incastrava dirti che eri dimagrita. Ti ho vista mettere su peso una volta sola, già, ma era normale, peso per dire, a fine primavera 1917 pesavi 64 chili per un metro e 72, nell’estate 53 per ovvie ragioni, allora non sarai stata oltre i 48 vestita, io attualmente devo solo tacere, eri snella fino a essere troppo magra, come ti reggevi in piedi un mistero e tanto eri la mia Kitty Cat, la mia gattina, che aveva paura e sorrideva “ …certo che nella primavera 1917 avevo messo peso, ero solamente incinta, mio figlio Felipe sarebbe nato nel giugno..
“Sei dimagrita..” le prime parole, in francese, dopo un anno, tesi le sopracciglia, quindi scoppiai a ridere.
“Giusta considerazione, come voi. Altezza imperiale, mi avete fatto una sorpresa,sul serio.”Ritornai seria e respirai “Ma non siete certo venuta per parlare di queste banalità” Un cenno di assenso. Alessio.. vuoi che facciamo pace.. rievocando il suo peso tra le braccia, la testa contro il petto, erano passati anni, mesi, una vita e sempre noi eravamo. Prima di allora non mi ero  concessa di amarlo in quel modo, aveva percepito la differenza, gli argini rotti, amarlo lo avevo sempre amato, era delicato, fragile, e non mi ero concessa di travolgerlo con il mio affetto se non ora, dopo assenze e ritorni. Fianco su fianco, in quelle ore passate e trascorse, mentre lo cauterizzavano e lo tenevo sollevato, eravamo diventati una squadra, io ci sono per te  e te per me, come io e Fuentes in altri ambiti, come io e Olga in altri tempi.
“ Avevate ragione, a dire che ero una vigliacca, una codarda, nessun atto di eroismo o martirio me lo avrebbe restituito ..Per favore, fatemi continuare”Parlavo a braccio e sapevo una cosa che tu ignoravi, almeno allora credo e spero che tu non lo abbia intuito. O forse sì.. Non lo so. Lo avevo capito a Mogilev, una certezza limpida e adamantina,avevo rifatto i calcoli sulle date e la mia nascita. E avevo confrontato la calligrafia di una delle lettere d’amore di mia madre con quella dello zar. Il passato ritornava, i pezzi combaciavano in modo diverso.
“No. È un ordine, allora io .. Sono stata orribile”
“Avevate ragione” Eravamo sorelle, figlie dello stesso padre, non potevo cambiare il destino di nascita, potevo fare qualcosa come Cassiopeia per evitare che il trono fosse rovesciato. Già allora vi erano complotti e progetti, che nei quindici mesi successivi avrebbero portato al disastro, un orrore che nessuno avrebbe mai osato immaginare, figuriamoci viverlo.
“E siamo quello che siamo..Tremanti fiammelle, sparsi  frammenti contro l’infinito” Citai quanto avevi scritto in un biglietto, anni prima, una vita prima, per un mio compleanno.
“Amiche e sorelle. Nonostante litigi e distanze” Le ultime parole, quelle di chiusura.  Lei era una poetessa, in fondo, io una principessa canta storie.
“O ci possiamo riprovare. A tornare amiche. Ai primi gennaio riparto” Secca.  
“Ci avrei scommesso”Una risata amara, senza allegria “Che ripartivi. A questo giro, almeno, lo hai detto in faccia. È bello rivederti anche se l’ultima volta avevo detto che..”
“.. non volevi vedermi mai più. Ho sentito, anche se ho finto il contrario, sono stata tra le tue amiche” Tranne che la vita è già troppo breve per sprecarla nel falso orgoglio e nel rimpianto, quella lezione l’avevamo appresa, sia pure in modi e declinazioni diverse. Ero scivolata al Tu. 
“Qui ti sbagli. Sei la mia migliore amica, l’unica che abbia mai avuto o avrò, oltre le mie sorelle, piantiamola con questo melodramma”..Sai, Cat, raccoglie le storie su un quaderno, legge le tue lettere, le manchi e lei manca a te..lo zarevic mi aveva raccontato quella nostalgia. E lei, a sua volta, mi era mancata, come un arto amputato. Un arcobaleno ed una assenza.
“ Ottimo”
“Cambiando argomento, che sennò avresti troppa soddisfazione, perché ti sei tagliata i capelli?Si vede da una versta di distanza che lo chignon è posticcio” mi toccò la nuca, un abituale gesto possessivo che non avevamo obliato. Eravamo state amiche una vita intera per lasciare che i mesi e gli anni trascorsi inghiottissero tutto.
“Diciamo che li ho tagliati per praticità, dove sono stata le comodità sono ridotte al minimo, per non dire assenti.” Ma  avevo Andres e quindi andava più che bene.
“Immagino, forse” Non credo proprio, Olga, tacqui in ogni caso, mi veniva da ridere e piangere insieme.
“Andiamo insieme a Carskoe? Se ti fa piacere, vorrei visitare l’ospedale al Palazzo di Caterina e vedere l’organizzazione, anche se .. Lascia perdere il caos.”
“Alessio non vede l’ora di rivederti, è stato male, si sta riprendendo ora. Male parecchio, intendo, mia madre è convinta che stia bene grazie a ..”il suo  sorriso frantumato dalle parole.
“Ho sentito le voci. Con rispetto, è un affare che non viene compreso, la sua predilezione per quel siberiano.”  E l’incomprensione genera pettegolezzi e maldicenze, un campo in cui Alix eccelleva, spesso suo malgrado, a quel giro se la cercava. Una volta aveva definito Rasputin un incompreso, puro come un giglio di campo, mio zio aveva chiosato, lontano da indiscrete orecchie, che quei poveri fiori si erano seccati nel paragone.
“Appunto”Stese un braccio e mi prese la mano, con naturalezza.
“Andiamo. E Catherine, mettiti un turbante, con quello chignon sei ridicola”
Oui, ma chere”. Baciai le sue nocche sottili, sussurrando ti voglio bene Olga, quanto mi sei mancata. Fece la finta tonta, si limitò a stringere i palmi, al polso sinistro portava un braccialetto dorato che le avevano regalato i suoi per il dodicesimo compleanno, per buona sorte.

Una stretta calda e delicata, mano contro mano, polso su polso e cuore su cuore,  le domande sospese e rinviate, ricordo che non la mollavo o viceversa, le serrai il gomito e quindi entrai nel palazzo di Alessandro, osservando, stupita,  come gli addobbi festosi non contemplassero gli abeti di Natale. “Un ukase di mio padre li ha aboliti, troppo teutonici, altri suoi ordini ( ukase- n.d.a) hanno vietato di suonare Mozart o Bach ai concerti per il principio di cui sopra” La figlia della zarina, nata in Germania, parlò in tedesco, io risposi che ero giunta come regalo inopinato, avessi voluto potevo evitare di farmi vedere, ma ero lì e si sapeva, era venuto fuori, glissare sarebbe stato da vigliacchi. Tacendo che avevo promesso a Alessio che non lo avrei lasciato.
Sei sempre la solita, un sussurro divertito, lasciò la mano e mi fece strada, tranne che mi fregai bellamente della imperiale etichetta, la toccai, possessiva, ancorandomi al suo gomito. E il mondo mi apparteneva di nuovo, i sogni in tasca, i pugni allentati.
E non la volevo lasciare, come Alessio si affidava a me, io mi affidavo a lei, alla fine dei passi era Olenka il vero riparo, il mio rifugio dalle violenze.  
Quando il principe Raulov, prima della definitiva rottura, picchiava me o mia madre, era sapere che Olga mi voleva bene, che ci sarebbe sempre stata, a impedirmi di affondare nel buio e farmi sommergere, tralasciando come mi fossi poi comportata. E chi sopravvive, forgiandosi tra distanze ed oblii, è per lo più egoista, io ne ero la prova.



Tatiana sorrise, un lampo negli occhi a mandorla allungati, da orientale,  ormai eravamo quasi alte uguali, lei mi superava di tre o quattro centimetri, una gioia trionfante, tranne che era perfetta, snella  e ben proporzionata, non si badava alla sua statura. Ormai abituata a mio zio e Andres, che svettavano come pini, mancando di ben poco il metro e 90,  poco altro annottavo, mi ero abituata alle loro dimensioni.  
Marie e Anastasia mi abbracciarono, osservando ( e dai!!), che ero troppo magra, Tanik  solo che non avevo bisogno del busto, tanto era snella. E radiosa. Come quando avevo 14, 15 anni e i capelli sciolti,  lunghi fino alla vita, ero in Spagna, di nuovo e da capo, era stata un’epidemia di proposte di matrimonio, più o meno serie, per il coraggio dimostrato alla grande caccia, l’avvenenza e via così. Osserviamo che mi ero leggermente fissata con gli iberici, uno in particolare, e la Spagna mi attraeva, come un magnete.


“Decoro, ragazze, fate troppa confusione” la voce di Alessandra, come una staffilata interruppe la gioia del ritrovo, sospendendo un momento di eterna dolcezza.
Mi inchinai, piegando il dorso, come esigeva l’etichetta, percependo che le ragazze avevano tenuto il contatto fisico, Anastasia la mano, Marie un braccio sulla mia vita sottile, eravamo un baluardo. 
“No è che.. “Annaspò Alix, ero la sua nemesi come mia madre, sempre in contrasto e guerra. ”Baby, lo zarevic, aspetta Madame De Saint-Evit e..
“Si stava riposando e Catherine è venuta a salutarci,Mama” La quieta voce di Tatiana, era la sua figlia prediletta e mi voleva bene, senza raggiungere il trasporto di Olga o Anastasia, o no, era riservata, impenetrabile salvò da uno scontro, un cortese dato di fatto.
Sono lieta di rivedervi, Maestà Imperiale”
“Io Voi, la vostra è una breve visita” Mi inchinai, da capo, capendo che se non sparivo in pochi giorni, il mio era un pensiero malevolo ma certo azzeccato, mi avrebbe fatto andare via lei, io che istigavo alla ribellione le sue figlie, ero arrogante, troppo sicura di me e la mia sicurezza si trasmetteva come una marea inesorabile, ineludibile, sicurezza che, uscita dalla porta, era rientrata dalla finestra, moltiplicata fino all’eccesso. Eravamo alle solite, no..

Magra, tirata, mi tese la mano da baciare, all’uso dei russi, optai per una nuova riverenza e strinsi le nocche, alla maniera inglese.  
Vestiva di scuro,  una sobria acconciatura, le rughe più marcate, rispetto all’anno avanti, era preoccupata per lo zarevic, il lungo conflitto e tanto altro. Annotai il crocifisso di zaffiri, l’anello con una grande perla e che non portava smalto, allo zar non piaceva e lei, fosse vicino o lontano, badava a quei suoi piccoli desideri.
“Siete diventata molto diretta, Madame” madame De Saint-Evit, il mio defunto marito, che riposava nei campi elisi degli eroi, morto troppo giovane e troppo presto per un colpo sparato alla schiena. E non era la guerra, quella era una morte assurda, senza giustificazioni o altro.
Ecco, il mio sorriso, come una eco, per non rispondere o cogliere provocazioni. Ero sopravissuta a due aborti, alla vedovanza, a una coltellata, spari e sibili,agli ingaggi di mio zio, sopportavo quel rompiscatole di Andres, che quando voleva era meraviglioso, quindi  la potevo fronteggiare, come se nell’infanzia o l’adolescenza mi fosse mancato qualcosa.
 Ero la figlia di Ella Rostov-Raulov, qualcosa significava, che a mia madre la faccia tosta mai è difettata.Ed ci volevamo bene, in fondo, nonostante tutto.
Mamma .. Aiutami.. non avere paura bambina mia, vicina o lontana io sono sempre con te..le tue parole, il tuo sorriso fragile, intimo.
“Molto bene, lo zarevic avrebbe piacere di incontrarvi, per di qua”
Entrai nella stanza dei giochi, rivedendo le pareti tappezzate di cretonne verde, i giocattoli  ordinati, di tutte le fogge, forme e dimensioni, dai trenini alle bambole, piccole e grandi, con suntuosi vestiti di seta e minuscoli stivali in vera pelle, accurate e perfette, come i soldatini con cui amava giocare Alessio, come un teatrino, i puzzle e i domino, la tenda indiana, le finestre alte, illuminate dal sole invernale, i piedi che si muovevano silenziosi sulla moquette.

E  lo zarevic era su un divano, la schiena sorretta da una miriade di cuscini, una coperta sulle gambe come ai tempi della convalescenza di Spala, tra le mani due soldatini  e delle biglie, la carnagione bianca come un petalo di camelia, le occhiaie meno evidenti. Con una uniforme da marinaio, sul colletto le iniziali in cirillico, A. N., Aleksey Nicolaevich, intrecciate a quelle di suo padre, N. A., Nicola Aleksandrovic, un legame tra le generazioni.

Baby, look, there is Catherine, for You, my darling” In inglese.
Catherine, you’re there” radioso.
“ Yes, Your Highness” Un inchino.
“Come to me” Aprendo il viso in un sorriso,ricambiato,  le braccia per una stretta.
“I have promised, I am called back, I see you again” la fronte contro la mia clavicola, i polsi sulla mia vita sottile, come Marie, posai i palmi sulla sua schiena, delicata, avvertendo il segno delle vertebre, i rilievi sporgenti, troppo alto e troppo magro, il mio piccolino.
“Are really you?”
“Yes.. my dear.. I am always the same, I am unique, like you” kissing his cheek, his forehead, my Zarevic… My miracle.
“I am so glad..” mi strofinò il viso contro il collo, un suo usuale gesto di affetto.

 
“Devi mangiare, Alessio, per rimetterti presto in piedi. Lo so che hai poca fame, in generale,prova però. E scusa se ti assillo” Sussurrai delle tenerezze in inglese, francese e spagnolo, Andres me lo aveva ben insegnato, lo avevo imparato, mai appreso sul serio, una piccola fitta di desiderio. E la sua lingua di nascita divenne il nostro linguaggio preferito, come per me e Olga il francese. Discendente da uno spagnolo, olivastra di carnagione, amante di un iberico rompiscatole, chi mi vietava di apprendere seriamente quella lingua, che forse un giorno la Spagna sarebbe stata la mia nuova patria.. E avevo amato Ahumada, la rocca dei Fuentes, come un ristoro.  Ero fissata, e avevo le mie ragioni.
 “Non ho fame, uffa, sempre le stesse cose, vieni qui, stringimi anche di più, mica mi rompo” da come stringeva lui, rischiava di rompere ME, lo baciai, leggera da capo, cercando di imprimere ogni dettaglio tra le falangi.  
“Per gola, no. Sennò come fai a andare dietro a Andrej, mi ha detto che ti vuole passare a trovare, o a me” Un piccolo sussurro, per non farci sentire.
“Vero, verrà, credo, tu rimani un poco.” Tradotto, non mi lasciare..
“Sì, per un pezzettino, va bene” Poi “Ho fame” che ti inventi, zarevic? Sei pallido ed inappetente e tanto le idee non ti mancano..  mi vuoi prendere in giro, ci scommetto.


“Mangi da solo” era la prassi, di farsi imboccare, quando stava poco bene e spesso sconfinava nell’abuso e nel capriccio, della serie mi trattate come un bambino piccolo e io mi comporto da tale. Sua madre formulò la richiesta, rimanendo poi spiazzata, mentre un tavolino per fare colazione a letto, in questo caso sul divano compariva magicamente. “Certo, solo per piacere (per evitare di essere brontolato) mi racconti qualcosa, Catherine?Magari sugli arabi e la caduta di Granada? Sai qualcosa sul periodo, no? Fine XV secolo, mi pare. Enciclopedia Raulov, altro che quella britannica” tesi le labbra in un sorrisino, ricambiato. Come facesse a sapere della reconquista destò l’altrui perplessità, la Storia non era precisamente la sua passione elettiva. Andres vi aveva messo le sue zampette, pardon zampone, particolare che conoscevo, credo, solo io, ed era ironia, Fuentes era sempre un ingombro.

“ Vera o di fantasia? Qualcosa ne so, anche se a fine 1400 manco ero per l’aria, comunque..”
“ Bella lunga, vedi tu..” Mi venne in mente che adorava i cavalli, ci meditai un momento mentre lui attaccava con la prima forchettata, inarcando l’imperiale sopracciglio, della serie, comincia, io mangio. Almeno la minestra.
“I re di Spagna, Ferdinando e Isabella, cingevano d’assedio Granada, l’ultimo regno arabo della penisola iberica“le parole galoppavano, senza fretta, mentre Alessio mangiava, con calma. “Si diceva che il palazzo dell’Alhambra, il forte rosso dalle infinite e sorgive fontane, con stupendi giardini non dovesse mai cadere e invece non fu così, infatti la città si arrese il 6 gennaio 1492 e l’ultimo re arabo, Boabdil,consegnò le chiavi della città su un cuscino di seta. E.. mentre si allontanava a cavallo, si girò a osservare Granada una ultima volta da un passo di montagna sospirando, subito rimproverato dalla madre che vedendolo in quello stato disse: Piangi come una donna questo reame che non hai saputo difendere come un uomo’ e anche oggi esiste, c’e’ un passo chiamato ancora oggi ‘il sospiro del moro’… “ La zarina si mise a ridere, intanto Alessio, con esasperante lentezza, masticava e anche le sue sorelle ascoltavano, attente, se mi avevano appellato principessa Sherazade un motivo vi era di sicuro .
“Un ragazzo, un principe rimase là, era un esperto e conosceva i segreti su come addestrare i cavalli arabi, sapeva come farli impennare e scalciare e impennare, buttando giù un soldato, con gli zoccoli davanti.. “le perle che portavo ai polsi e alle orecchie brillarono come frammenti di luna, descrivendo quelle macchine da guerra.
“Questa te le sei inventata.. che mica c’era, credo”
“Chi lo sa.. tu c’eri? Passiamo ad altro, abbiamo ancora un piatto e il dolce e …posso bere un poca d’acqua? Una pausa, che ho la voce roca”Uno stop, come per lo zarevic, e tanto non lo lodai, non ci doveva prendere il vizio, almeno non subito, tuttavia gradì un momento di riposo.
“No, non c’ero, che credi. E neanche ho il bagaglio cognitivo per confutarti, le necessarie conoscenze per discutere sul punto de quo..e ..quindi..”Usando quelle auliche parole mi prendeva allegramente in giro, anche il latino il furfante, sorrisi di puro cuore” Racconta, piuttosto, per favore: Ancora” Chiuse  gli occhi, con aria da pseudo martire, io raccontavo e lui aveva da far lavorare le imperiali mascelle, un compromesso accettabile. Ed era tanto comico.
“Non ce la faccio più.. Però ..” mi tese la posata “Da solo, eh..” “Da solo ho finito..Se  vuoi, continua tu.” Si  pulì il viso sporco di minestra, mancava il secondo e il dolce, oltre che la frutta.  “Zarevic..”
“Principessa..” Ironico, tenero. “Zarevic.. Su, io non ho fretta” “Appunto..”



Tornarono le antiche abitudini, lo imboccai e ogni forchettata era una frase della storia, fino alla reciproca saturazione, basta per ora.. Pescai dai miei personali ricordi, avevo visitato Granada nel 1905, rimanendo sorpresa dalla bellezza dell’Alhambra, costruita in rossa pietra, dallo splendore dei giardini. Sorvolai sulla corrida e un certo picador, ovvero Andres, i ricordi tornavano, vibranti, nitidi.
“Ho sonno, dormo qui sul divano e  quando mi sveglio la voglio, Catherine, Kitty Cat, Gattina, Cat e..” borbottò, lo strinsi ridendo.
 Per maggior tutela mi serrò una mano, possessivo, non ci verso di annullare la stretta, aveva fiducia che non lo avrei lasciato e si premurava che non avvenisse, furbo lui, gli sfiorai una guancia, con tenerezza.
Sua madre non fece un fiato,  alle cinque venne servito il tè, su un tavolo bianco con il servizio d’argento, rito mai mutato, come i biscotti inglesi e il pane caldo con il burro, chiacchiere lievi, io presi una tazza.
Io ero tornata, lui l’accidente lo aveva passato, il mio imperatore dei viziati.
La zarina era allibita, che la buona volontà dello zarevic di mangiare, se raccontavo qualcosa, perdurasse, anzi.


 In genere era estenuante, un logorio, fargli prendere un boccone e da un lato aveva le labbra increspate in un sorriso, era proprio una comica.
Idem come sopra per cena. Raccontavo, poi lo imboccavo, sempre noi. Alix tirò fuori delle vecchie foto, dei suoi soggiorni in Italia, Firenze e Venezia, quando sua nonna la regina Vittoria svernava al Sud. Giovane e splendida, eccola nei giardini di aprile, a Firenze, stupita che vi fossero già l’erba e i fiori, rispetto agli inverni tedeschi, avvolta dalla luce dei canali di Venezia, che lo zar Pietro il grande aveva voluto ricreare costruendo la sua capitale, tanto che l’avevano appellata la Venezia del Nord. Sorridente e lieve, aveva vent’anni, lei, eccola qui, a 43, oppressa dalle preoccupazioni e dallo sfinimento, che tornava serena, almeno per un poco. “Firenze era splendida..”annotò “E sui colli vi è il Collegio della Santissima Annunziata, ove le educande ricevono una ottima educazione, è tra i più rinomati..” “Io ho rischiato di finirci..” risi “A 10 anni ..” “Alla fine.. “Cassò il commento, che poteva venirne fuori una Catherine molto più educata, magari sposata a un italiano.. Non infieriamo, non discutiamo, decisi “ La principessa Maria Josè del Belgio vi è entrata quest’autunno” disse Tata “A  questo collegio che dite..” “Ah..”il Belgio era un alleato della Russia, come l’Italia, la Francia e l’Inghilterra “E’ nata nel 1906, il principe ereditario d’Italia nel 1904..”Fiori d’arancio in fieri, pronosticai, dopo o prima, mentre, tanto per rimanere in tema,  il principe ereditario di tutte le Russie non aveva interrotto quelle chiacchiere, che mi era voluto venire in braccio, lo accontentai, alla fine aveva finito di mangiare, sei  stato davvero bravissimo, enunciai.


 Mi allacciò il collo con le braccia, uno sguardo di pura e ricambiata adorazione. “Lo so e sei brava tu pure..” me lo adagiai in grembo, le gambe magre che toccavano le mie, decisi che per quanto mi era possibile preferivo tenerlo in braccio, al diavolo se non aveva fiato per camminare, avrei fatto io per lui.
Dopo la crisi che aveva avuto era una passeggiata compiere quei gesti. E lui era tanto più calmo.


( Io non vorrò mai capire fino in fondo. Olga, la mia primogenita, la adora, Alessio la predilige e le altre mie figlie la portano in palmo di mano. Ho cercato di allontanarla, ma come un tumore, è sempre qui, costante come la malasorte. Non lo vorrò mai sapere fino in fondo, prima del nostro fidanzamento ufficiale, chi impediva a Niki di andare a letto con la ballerina K. e  la principessa Ella, concependo una bambina che potrebbe essere il segreto dello zar, la sua vera primogenita, il suo gioco di dadi, la sua bastarda, la ragazza nata nella solitudine e nella tempesta.. Catherine, figlia dei lupi e delle assenze, bella e perfetta come una miniatura, ti ho amato e odiato insieme. E mi devo ricordare che nel novembre 1893 avevo rifiutato Nicolas in via definitiva, l’aprile 1894 è stata la mia ultima occasione e l’ho colta, Ella e lui potrebbero benissimo avere avuto una relazione e tanto non voglio sapere, od anche no, a volte basta un amplesso e fine, lei da giovane era splendida, colta e sono cresciuti insieme, suo marito una disgrazia privata, è bella anche ora, ha un anno più di me e le danno 35 anni al massimo ) 


 
Dai quaderni di Olga alla principessa Catherine” Alessio ti era sempre stato molto affezionato, poco ma sicuro, tranne che a quel giro era diverso. Ti sedesti sul bordo del divano e lui si appoggiò contro di te con una grande naturalezza, mentre gli cingevi la schiena, teoricamente era un pezzo che non vi vedevate.  Come no, non era timido, affatto, ti prendeva in giro e sorrideva, tu eri meno tesa, rigida rispetto al passato. Era stato male a Mogilev per un raffreddore violentissimo, nostra madre temeva di trovarlo morto e aveva pregato padre R. di pregare. Lo aveva riportato a casa per la convalescenza e, rispetto ad altre volte, era meno insofferente e teso. Papà, il giorno prima aveva pranzato con il principe R-R, tuo zio, che aveva riferito che eri sul posto. E  si era impuntato che dovevi venire, nostra madre che diceva che forse eri troppo impegnata, era una maestra  nell’inventare scuse,al che lui aveva ribattuto che sarebbe andato lui, a piedi,  aggiungendo per favore, ti prego Mamma, in un tono deciso, che non era quello dei suoi capricci o delle bizze estemporanee. In quei mesi alla Stavka era maturato, poco ma sicuro, e se avessi giocato d’azzardo avrei scommesso che ci incastravi qualcosa” certo che sì, sempre.
 

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Capitolo 13
*** Fuentes ***


E come da prassi, me ne andai, dietro ingaggi e missioni, tranne che Olga aveva scoperto il segreto, che ero nella polizia segreta, la Ocharana, e si impegnò a tenerlo, avvisandone poi Alessio.
Alix, sua madre, poteva non sopportarmi, alla lunga, as usual, ricambiata peraltro, pure annottava che con me lo zarevic era contento, non si lamentava del riposo obbligato, mangiava e pazienza se quando ero a Carskoe o dintorni mi voleva sempre. A prescindere da assenze e ritorni, sempre, come si vide sopra.
Paziente e delicata, non rilevava alcun difetto veniale, nella sottoscritta, tranne tre, immensi, essenziali e senza rimedio, l’essere figlia di Ella, la sicurezza in me stessa, indomabile, che sconfinava nell’arroganza,  e la predilezione che mi riservavano
 
E pure ci volevamo bene, ero la figlia di Ella Rostov-Raulov, una calamità che non aveva cercato, e non osava spingere fino al punto estremo contro me le sue ossessioni, che non ero stata concepita per farle un dispetto, mica avevo chiesto io di venire al mondo .
A modo nostro ci volevamo bene, ripeto.
Leave it all behind.
Olga non reputava degno di stima il principe Jussopov, marito di Irina, sua cugina. Il principe, che avrebbe poi ucciso Rasputin l’anno dopo, aveva tratto vantaggio di una legge che consentiva ai figli unici di evitare il servizio militare. Vestiva da civile in un’epoca in cui molti Romanov e soldati feriti che Olga e Tatiana avevano curato, come avrebbero poi continuato a fare, combattevano e si immolavano. Non fa nulla, tutto vestito e curato, già tanto se sfoglia una rivista, mi raccontò, pareva un pavone spennato. 
Irina Alessandrovna Romanov, una delle più belle ragazze della nostra generazione, figlia della sorella dello zar, Xenia, e del granduca Alessandro si era incaponita su Jussopov, noto eccentrico, dai gusti bisessuali, ricchissimo, colto e bello, si erano sposati nel 1914 e l’anno dopo avevano avuto una figlia, Irene. Xenia, la nonna era così preoccupata che la zarina Alessandra, in un raro empito di umorismo, aveva detto che pareva la madre e non la nonna.  (..La tripletta delle bellezze, osservò Andres, tempo dopo, tu di gennaio, lei di luglio e Olga di novembre, il 1895 è stato l’anno delle più belle principesse di sempre, anche se altre granduchesse Romanov sono assai affascinanti .. Quando era così, gli avrei torto il collo..)
Stava riepilogando una lista, per dei medicinali,  lo stress di curare mutilati e moribondi le aveva inciso una ruga profonda sulla fronte, annotai.
Ero passata a portarle una tazza di caffè, era uno degli ultimi giorni. Troppa fatica, mi hanno ceduto i nervi, mi raccontò ancora,a  settembre scorso  ho rotto tre pannelli di una finestra con l’ombrello, il mese avanti ho buttato delle bende dalla finestra, da ottobre svolgo per lo più lavoro di ufficio, non reggo più le operazioni e mi hanno fatto anche delle iniezioni di arsenico. 
La panacea per la depressione o i disordini nervosi, dissi io.
Per me stava bene, era sua madre fissata, Alix da anni viveva di Veronal, a base di arsenico, appunto, fino a definirsene satura e la depressione o le crisi nervose che attribuiva a Olga erano solo un riflesso del suo malessere cronico. Oppure non era adatta a svolgere quel lavoro, fisicamente e mentalmente era un logorio. In quel senso, Tata era molto più resistente, vedere ferite aperte non le procurava alcun disagio, anzi, lei pareva non possedere debolezze e difetti dei comuni mortali, dalla perfezione la salvava solo l’amore per la moda e gli accessori.  Poi era tutto relativo,  io dovevo solo tacere su quello che combinavo.
“Le persone in buona salute mentale non distruggono i vetri a ombrellate”
“Eri in angoscia per qualcuno, o qualcosa, oppure deve essere stata la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso.”l’avrei giustificata sempre, in ogni caso, aveva ragione anche se era in torto, per me” Se può consolarti, negli ospedali vicino alle trincee, i dottori si addormentano in piedi dopo turni massacranti e spesso fuori dalle osterie, i soldati piangono, senza essere ubriachi, per la disperazione di quello che hanno vissuto” era ben vero, parlavo, purtroppo per me, con cognizione di causa.
“Non oso immaginare quello che puoi avere visto..”
“Quando sono andata ero già fuori di testa, per Luois e il secondo aborto, magari sono rinsavita”Una ironia amara, pesante, a mio danno.
“EH?Dimmelo, non tirarti indietro”
“A novembre 1913 sono rimasta incinta, ho saltato un ciclo peccato che a gennaio abbia perso il bambino, pare una cosa frequente, nella prima gestazione, anche se avrei preferito che non succedesse, non a me almeno. “Chinai la testa, rievocare quello era sempre straziante, avevo aperto bocca, meritava di sapere, troppo facile gettare il sasso e poi ritirare la mano, anche se le avrebbe fatto male, un altro fardello, pure meritava di conoscere perché fossi stata così superba e sventata. Già, i miei lentissimi tempi di reazione e ripresa, un vero bradipo.
Parlavo piano, dopo quasi due anni mi faceva sempre male pensarci, figuriamoci affrontare un discorso, notai che aveva posato la penna, alzandosi in piedi, venendomi vicina. Già, avevo lanciato una notizia di forte impatto.
“Sono qui, non sei sola”
“Lo so. E tanto non lo merito, taci.  A metà  estate ero di nuovo in attesa, stavo bene, dovevo evitare fatiche eccessive o emozioni devastanti, pozioni che ho ben assaggiato quando ho saputo che Luois era morto. Me ne sono andata perché stavo impazzendo, credevo di non avere altre scelte” Mi parve di sentire l’addome contrarsi, quel dolore devastante, il sangue che  colava tra le gambe, scacciai quella visione, vi era un motivo se non volevo aprire più gli occhi, allora.
Cadde il silenzio, così immobile che potevamo quasi illuderci di sentire la neve cadere, fuori.
Un giorno sarebbe stata pronta a confidarsi, not yet. Figuriamoci io, avevo tempi da bradipo, lentissimi.  Giusto a cambiare il pannolino ad Alessio, quando stava male,   ero svelta, se me lo permetteva.  
Mi strinse da dietro, per un momento. “Si può scegliere, sempre. Cerca di stare attenta, di stare bene.” Poi” Sono contenta di sapere.. Ora inizio a capire..per una volta non sei scappata.. Non mi fa piacere quello che ti è successo, bada, quanto di comprendere..”E mi sarei portata tutto dietro, l’avevo già persa due volte, e mi aveva perdonato, la terza non la avrei rischiata. E tanto mancava ancora un pezzo.
 Giorni di tregua, pausa. Frammenti preziosi, palpitanti e teneri. Ingaggiammo una battaglia epica di palle di neve, con Olga ci divertimmo (io e lei) a cavalcare nel parco imperiale, al diavolo il freddo, ridendo di tutto e nulla. Eravamo le figlie dell’inverno, due principesse di neve.
Facendo le infermiere, sia Tata che Olga fecero esperienze che altrimenti non avrebbero mai avuto. Parlavano con le altre infermiere dell’ospedale, donne che non avrebbero certo incontrato se non vi fosse stato il conflitto, conoscevano i  nomi dei loro bambini, le storie delle loro famiglie.
In alcune occasioni, si erano recate  con loro a fare acquisti nei negozi di Carskoe, usando la piccola mancia mensile che ricevevano, sbalordendo le loro accompagnatrici, che le vedevano scegliere modesti fogli di carta o annusare un profumo, le figlie dello zar come comuni mortali, tralasciando come Nicola e Alessandra avessero allevato tutti i loro figli in modo severo, spartano, senza troppi fronzoli, o avevano tentato. Che  lo zarevic rimaneva ben viziato a livello di comportamento. Sorvolando che avevo contribuito molto pure io, chiaro. O era l’eccezione che derogava alla norma, che ogni tanto lo avevo brontolato, quando era piccolo per farlo mangiare ogni boccone era una frase della storia, e mi zittivo quando tirava addosso molliche o altro, la tecnica del silenzio, era curioso e riprendevamo, di pazienza ne avevo poca in generale e con lui la trovavo, facevo di necessità virtù. Che mi ripagava, nel breve e lungo momento, affettuoso, era una stella caduta, arguto e divertente, se non fosse stato la peste che era lo avrei definito un angelo
“E’ la questione della guerra, come se anche noi non soffrissimo” e lei aveva sofferto per me, una principessa egoista e senza metodo, tacendo che il suo stesso fratello era una vittima. Il bambino, che avevo stretto, cambiato, imboccato, ridendo esasperata, delle sue trovate, brontolato per i capricci, il mio imperatore dei viziati. Che mi aveva confortato e fatto sorridere quando ero cupa, satura per i dispiaceri, sensibile e attento.
“Vi vedono come icone, come divinità, non come persone comuni, passami il termine, chi si aspetterebbe di trovarti a un pomeriggio musicale a fini di  beneficenza” Il taglio dei cappotti era sobrio, come la misura dei vestiti, grigio perla,  tinta che preferivo al malva  da mezzo lutto, sussurravamo piano, le guardie del corpo erano in incognito, lo zar le aveva dato il permesso per quella sortita ed ero il suo chaperon ( ..la fai distrarre), quando tirai una potente gomitata nel fianco della poverina. “Andres…”
Dai quaderni di Olga Romanov alla principessa Catherine”.. in quei pochi giorni, condensammo anni e rotti di lontananza. A proposito, di quel pomeriggio a San Pietroburgo, non certo una serata mondana ma un concerto a fini di beneficenza, mi arrivò una portentosa gomitata, sussurrasti “Andres” e controllai, ben di rado eri così istintiva. Avevi parlato di una persona affascinante, non di un ragazzo avventato, chissà perché mi venne in mente lui !! Alto, imponente e maestoso, vestiva l’uniforme del reggimento degli ussari a cavallo (come appurammo poi, una gentile concessione a R-R), riempiva tutta la stanza. Si girò e ci vide. Anzi, vide te, un sorriso gli sorse sulle labbra, come quando scorgi qualcosa di bello, amato e desiderato. Un cenno della mano, che la musica stava iniziando. Annotai che aveva gli occhi verdi, un colore scuro e profondo, come le foglie primaverili.. Piaceva, eccome, non fosse stato tuo fin da allora..“I miei omaggi, signore” Nell’intervallo era venuto con due bicchieri di limonata, ci eravamo spostate nel foyer, un angolo appartato per conversare meglio. “Vi piace il concerto?Vivaldi e Coroelli, compositori italiani, onde evitare situazioni spinose. “ era stato emanato il divieto di suonare i tedeschi, che spreco, che spregio. “Già. Io ..”Ci presentasti, in fretta, lui si inchinò, parlava bene il russo, con appena uno strano accento. “Andrej Fuentes, conte de la Cueva, figlio del principe Fuentes” come spiegasti poi, anche se era l’ultimo figlio, aveva un suo titolo personale, capii che era figlio di madre russa, nato in Spagna. Poi mi ricordai, che avevi partecipato con i tuoi a un matrimonio in Spagna, nel 1905, di lettere, di Granada e di tante descrizioni. Un cerchio che si saldava. In ogni caso, Andres  fu amabile, gentile e divertente, corretto. Come il ferro che è attratto dalla calamita, non potevate stare lontani l’uno dall’altra. Foste stati soli, vi sareste saltati addosso.. E non smettevate di sorridervi e guardarvi, e marcavate il reciproco territorio, tu sei mio, lei è mia..Mi augurai che riuscisse a renderti felice. E che non facessi troppe scemenze.. Ti volevo bene, te ne voglio, dicevo sei mia, tranne che non eri una personale proprietà della scrivente, vi era differenza e così sia, perché scrivo così lo sai. Ebbi la soddisfazione di vederti diventare color brace, quando lodai il tuo buon gusto, mormorasti grazie, io prego, mi esasperavi e facevi ridere come sempre, 40 anni in due, eravamo due ragazze, alla fine“
“Ho accompagnato mia madre alla Stavka, quando Alessio stava male, e nel raccogliere le sue cose, ho trovato questo”Indicò un libriccino sottile, la copia dell’Iliade che avevo lasciato, la conosceva benissimo, non poteva sbagliarsi. Il cuore mi saltò in gola, nei polsi un sudore gelido. Se ero in Francia, in quei periodi che avevo millantato di essere infermiera volontaria sulla Marna, come era finito in Russia? Ripeto, Olga osservava tutto, annottava tutto e ti spiazzava alla fine, senza fallo. Sapeva che quel libro la principessa Catherine lo portava sempre con sé e alle coincidenze molteplici non credeva.
ORA PARLAVAMO SERIAMENTE.
“Era in prestito”Inutile negare l’evidenza, alcune pagine erano annotate dalla mia calligrafia, che conosceva benissimo, in altre vi erano macchie di cibo e vino, era consumato, riletto e prezioso, lo avevamo scorso assieme fino alla nausea. La avrei offesa e sminuita, senza motivo.
“ Ora cosa sei, Achille, o il re, Ulisse?” Sei un guerriero o un saggio che trama nell’ombra, che va avanti a testa bassa, che lascia solo morte o rovina, pianti o allegria?
“Entrambi. Ci provo, almeno”
“Ocharana?” il nome della polizia segreta, una sola, potente parola, soffiata sulla mia tempia.
Feci un cenno di assenso. Ero nelle sue mani. Se avesse parlato, sarebbe saltato tutto, pure come potevo caricarla di quel segreto, come se LEI  mi avesse mai tradito, quando io, come Giuda, l’avevo rinnegata, dietro ai demoni della guerra e delle bugie.
“C’est le guerre, Catherine. Ognuno fa quello che può, da te era quasi scontato aspettarsi qualcosa sullo stile delle Amazzoni, ironizzo a caso e tanto..” Mi posò una mano sulle labbra, per non farmi parlare a sproposito, le iridi azzurre e luminose come un vessillo da combattimento, una stella splendente. “ Se e quando vorrai, o potrai, parlerai. Solo che.. “
“Dimmi” per istinto avevo proteso una mano verso la porta.
“..per favore, Cat, non scappare..te lo chiedo come favore personale” mi conosceva bene e capiva meglio ancora.
“No” accostai la fronte sulla sua spalla “ Sono già scappata, senza voler dirlo, che ne ho ricavato.. Nulla, tranne che di perderti”
 “E io non ti ho capito, quindi siamo pari.. riproviamo, ci stiamo riprovando, Catherine, a essere amiche” E sorelle, e tanto era una cicatrice che non si sarebbe rimarginata
 
“Devi stare attenta, più che puoi. E voglio avere tue notizie, settimana per settimana, inventati qualcosa con tuo zio, il telefono. O scrivimi, anche quattro parole, dimmi che sei sempre intenta a scocciare”Sorrise”E tanto ne pentirò il momento stesso in cui lascerai Carskoe Selo, mais..”
“Non mi hai mai tradito, non sei mai venuta meno a una promessa che mi hai fatto”
“Come no, e non vedermi come una santa o una martire, una saggia asceta. Solo che .. il mondo alla fine di questa guerra cambierà, è già cambiato. E tu sei come una tigre, non posso tenerti in gabbia, devi essere libera “ Anche per me, riflettei, anche per me.. E mi faceva quel dono, immenso e senza pari.
“Tornerò. Quando posso“
“Sono patetica, vero?Sinceramente”
“No, Olga,no, tu, tu hai il coraggio di esternare i sentimenti.. Amare richiede coraggio”
Non so chi abbracciò chi, per primo, aveva ragione, ognuno faceva quello che poteva, era la guerra. Mille anni condensati in pochi minuti, da bambine avevamo progettato di vedere il mondo, viaggiare, mille avventure in una sola vita, la libertà e formare una famiglia. Mi amava come una sorella, aveva affermato che ero sua e mi rese libera, ecco la differenza, a volte un attimo è per sempre, citando Alice nel Paese delle Meraviglie, osservazione che mi fece dopo Alessio, in un’altra occasione.
E sarei tornata (..spero non dentro a una bara..)
Quella era la mia battaglia.
 
Quella sera ci bevemmo insieme due bicchieri di vino rosso, superbo, spagnolo dalle cantine pregiate dello Zar, Rojas. Complesse manovre e segnali, in modo irrimediabile il desiderio si faceva liquido in vene e arterie, volevo Andres come non ho mai voluto nessuno, dopo o prima, rievocavo il miele della sua pelle, il gusto salato del sudore nell’incavo del collo, il suo corpo teso e inarcato quando raggiungeva l’orgasmo e poi la successiva tregua, le sue labbra erano come una melagrana, un rosso frutto, e sfioravano le mie. E viceversa, lui per me e io per lui. E, molto in fondo, sapevo che lui pure mi amava, nonostante e a dispetto di se stesso.
 
Da un rapporto di Cassiopeia 130 a Sua Eccellenza, il principe Rostov-Raulov”..  Il villaggio non l’ha seguito nelle sue scorribande, hanno impiccato i monaci alle corde delle campane,capovolto il crocifisso, chiuso i sopravissuti nelle case, dando poi fuoco, dopo il saccheggio e lo stupro.  Buttando poi il sale nei campi, affinché non cresca poi l’erba per decenni. Due vedette sono state mandate in avanscoperta, tranne che è stata presa una decisione unanime, ovvero seppellire i morti, non rientrava tra gli ordini, ma era dovuto, Eccellenza, come atto di misericordia, noi siamo soldati dello ZAR, non mercenari, poi è giunta la soffiata decisiva



Ci eravamo dispersi e frammentati, giusta la soffiata
Gettai via la giacca, per avere agio nei movimenti,saltando in avanti, mentre le pallottole esplodevano, poi mi accorsi che Andres non era più al mio fianco.
Fronteggiava uno dei disertori, che era rimasto indietro, combattevano corpo a corpo, da dove era spuntato non so dirlo nemmeno oggi.
Urlai il suo nome a squarciagola, oltre  il rimbombo.
“ANDRES!!”
“Muoviti, prendilo, non è nulla, ti copro con la pistola!!”  Lo aveva ucciso ma non si reggeva in piedi, la caviglia era uscita dall’articolazione.. Momenti concitati, e non mi sarei tirata indietro, ero oltre la paura, che situazione.
“FUENTES!!Ahora y por siempre” Il grido di battaglia di Felipe il bastardo mi sgorgò dalle labbra,  che era quello della famiglia di suo padre, eco di altre battaglie, infiniti giorni trascorsi nei secoli  e ora, nel presente, vibrava.
E la mia voce si disperdeva come il rombo di un tuono in primavera, l’urlo di guerra dei Fuentes contro gli arabi e i nemici, parole potenti come un incantesimo.
“FUENTES!!Ahora y por siempre"
“FUENTES!!Ahora y por siempre..Vamos, LOBO !!!” la voce di Andres faceva eco alla mia, scandendo il mio nome di battaglia.
Sono il  Dragone, il lupo e la tempesta.
Questa è la tua battaglia.
Non mi importa di morire.
VAI DRAGONE.
E’ LA TUA BATTAGLIA.
Mi hanno poi raccontato che parevo una Furia, una Erinni, combattendo nel corpo a corpo, via, via, una collera fredda e lucida, oltre il limite ed il dolore.
Erano quattro, io quasi da sola, i rinforzi erano solo gli spari di copertura di Andres.
CAOS.
Come ho fatto e cosa ho fatto.
Non ho buttato via la mia giovinezza per far trionfare questo disertore, ogni battaglia vinta è un passo per la salvezza.
Non ho lasciato i miei fratelli per far perdere lo ZAR.
Non ho lasciato mia sorella per un capriccio, una chimera.
Non volevo che Alessio mi aspettasse invano, sarei tornata, mai gli avevo promesso nulla invano e tanto potevo morire, la morte mi avrebbe risparmiato il suo strazio e il suo dolore.
Poi sono arrivati i soldati.
Ho girato la testa, un lieve ed impercettibile movimenti, ho visto che stavano soccorrendo Andres, aveva finito le pallottole, io le avevo terminate da un pezzo, avevo solo la spada ed un pugnale nello stivale destro, ma sono scattata in avanti.
“Aspetta sei SOLA!
Io sono il dragone. 
Questa è la mia battaglia.
Non mi importa di morire.
Se succederà sarà per qualcosa in cui credo, per chi amo.

( …. quando il re era assente, invasero il regno, ma il principe combatté, trasformandosi in un drago possente, verdi come smeraldi le scaglie, occhi rossi, lunga venti metri la coda, ringraziando la principessa sua sorella, che aveva trovato l’incantesimo, lui la proteggeva, però almeno a quelle cose badava lei.… alla fine, lo chiamarono dragone, tanto era intrepido e potente. La principessa, Catherine, all’occorrenza poteva diventare il dragone della leggenda, non era un maschio mancato, semmai era una Amazzone, per combattere, fosse successo qualcosa al principe, ma anche no, in caso contrario, era bravaSai, magari, il principe diceva che doveva combattere sempre, con onore, per proteggere chi amava, senza arrendersi mai, diventerai il drago della leggenda Catherine.. Ti voglio bene Alessio.. Sempre).

Io sono il dragone.
Questa è la mia battaglia.
Non mi importa di morire  
Da capo, non ho buttato via la mia giovinezza per far trionfare un miserabile.
Non ho lasciato i miei fratelli per far perdere lo ZAR.
Non ho lasciato mia sorella per un capriccio, una chimera.
Se succederà sarà per qualcosa in cui credo, per chi amo.
Perdonami, Alessio,  ti ho promesso che sarei tornata, potrebbe non succedere. 
I seguaci erano stati uccisi, ma se lui andava via iniziamo da capo con nuovi saccheggi
“Ammazzami, su”
“…..”
“FUENTES!!Ahora y por siempre” gridando a squarciagola- le parole di battaglia dei Fuentes, la mia liberazione urlata sotto quel plumbeo cielo di marzo. 

( Io non sono giudice, giuria e boia, io sono il dragone, il lupo, la tempesta dello ZAR. E non valico il limite).
“Ti dichiaro in arresto in nome della ZAR, Nicola II”Scandendo in russo.
Continuò con le oscenità, demonio,  puttana, bastarda, una donna che usa le armi, le più gentili, ma intanto gli avevo puntato lo stiletto contro la gola ed un gioioso calcio all’inguine, un vizio, oltre che una brutta ferita alla gamba, ben venga, io ho vinto, lui ha perso.
Sangue, ferro e polvere da sparo.
Poi realizzai che la manica destra, dalla parte dell’avambraccio era  impregnata del MIO sangue, le gambe molli.
Cicatrici gemelle.
Ne sorrisi, quale simmetria, ora potevo essere stanca, il viso impiastrato di sudore e sudiciume, l’arto sollevato per far defluire il sangue.
Avevo ucciso per difesa, poi ferito per giustizia.
Nei secoli, il dono di Felipe de Moguer, il fiero bastardo, che si era reinventato vita e titoli, vivendo mille vita in una.
Discendevo da guerrieri e conquistatori, dai signori delle montagne millenarie, ero una Fuentes, ora e per sempre, una fenice.
Ero la bastarda dello Zar. E quella parola non mi recava più alcun dolore. Olga, Tanik, Marie, Anastasia, Alexei e Sasha, mi mancate, che il vento vi rechi un mio bacio.
“FUENTES!!Ahora y por siempre”  Sussurrai ad Andres, le labbra vicine, che si sfiorarono, sale e fumo, due sopravissuti.
Poi mi accorsi di essere  mezza sorda, non sentivo da sinistra per i rimbombi degli spari a poca distanza dalla mia testa, avevo rischiato di prendere una pallottola nel cranio, e mi ero lanciata senza nessuna cautela.
Guardando poi meglio la ferita, inorridii, la stoccata aveva mancato di pochi centimetri l’arteria radiale, se la prendeva ero morta, le lesioni sulle gambe, tagli e ematomi poco contavano.
“Oggi ti sei battuta come una vera Fuentes”Osservò quella sera, accanto al fuoco, le fiamme danzavano sul suo viso, era remoto e bellissimo. “Hai il coraggio di un leone”
“Sono stata un’incosciente” mi ero buttata sulla linea di fuoco senza riflettere.
“Come no”
“Discendo da Felipe, lui era un Fuentes di sangue, non di nome”
“Non importa il nome, importa chi sei TU. Sei una Fuentes, Catherine, ahora y por siempre”E un giorno sarei stata la sua principessa, la sua rompiscatole, unica e preferita, se avessi voluto un figlio lui sarebbe stato il padre ideale.. Anche più di uno.
Eravamo di guardia a sorvegliare il prigioniero, il nostro turno, mi ero buttata una coperta sulle spalle, cercavo di ignorare i borbottii continui, poi Andres sentì demonio e puttana, bliad in russo, al mio indirizzo, e gli mollò un gancio, così iniziò a lamentarsi con ragione, mi  misi vicino a lui.
“La caviglia?”
“Il braccio”Indicando una fasciatura di fortuna, che aveva rappezzato lui. “Sono stata meglio, diciamo che agogno un bel bagno caldo”
“E un bel letto” Lo fissai e rise.
“Ti amo, Andres”
“Ti amo, Catherine” Era la prima volta che ce lo dicevamo.
In modo esplicito.
E le stelle brillavano su di noi.
 
“FUENTES!!Ahora y por siempre
¡Estaremos con usted en esta lucha hasta el final!
Saremo uniti fino alla fine del combattimento!
hacia el fin del mundo
..fino alla fine del mondo.
“FUENTES!!Ahora y por siempre.
Il grido di battaglia nei secoli dei Fuentes, intero.
 
Volevo Andres come non ho mai voluto nessuno, dopo o prima, rievocavo il miele della sua pelle, il gusto salato del sudore nell’incavo del collo, quella sera facemmo l’amore due volte, in rapida successione sulla nuda terra, le sue labbra, ciliegia e melagrana, che sfioravano le mie, io ricambiavo, le nostre mani, impudiche, in ogni dove, era AMORE.
Quando era dentro di me, mi sentivo al sicuro, la guerra non ci toccava, era mio e solo mio.
La terza fu tenera, quieta. 

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Capitolo 14
*** Time Out, Wine and Love ***


 “Se esistesse una pozione per l’oblio, il suo inventore farebbe soldi a palate” Andres scolò il bicchiere di vino, l’ennesimo, annotai, senza correggerlo,  e lo posò sul tavolo, sporco e lurido, altri cerchi e segni di bicchieri, di allegrie e trascuratezze. Eravamo a P., in una misera taverna, liberi che avevamo finito a quel giro.
“Confermo, hai le tue ragioni”
“ E tu le tue” Volevo chiedergli cosa avesse, tuttavia ero diventata abbastanza saggia da attendere. Mi sfiorai l’avambraccio destro, poi sorrise, le iridi appuntate poi in un punto lontano, indefinito, sfiorando un medaglione che portava al collo, sempre.
“Ti spiace se vado a fare una passeggiata?”dove sarebbe arrivato con tutto l’alcool ingurgitato era un mistero. Ed era per dimenticare, la rabbia, le assenze, la gioia di essere sempre vivi.
“Vai, tranquillo” Mi versai un bicchiere di vino, che aveva?  Presto o tardi me lo avrebbe detto, previdi, e di sicuro non mi sarebbe piaciuto, almeno non mi aveva fatto pat pat sulla testa, come un cane.
“Scusami, è che .. Oggi è il 26 marzo, per me è un anniversario difficile”
“Non devi dirmi nulla, se non vuoi. Non vi è nessun obbligo, non abbiamo alcun obbligo”
“Tu non mi obblighi a nulla.. Vedi, Cat, sono stato solo così a lungo che .. Mi pare un dono essere tornato a amare, o una cosa che  non merito” e mi chiamava Cat, il privato, amato nomignolo con cui mi appellava Olga e  poi i suoi, Cat, una sillaba, per Catherine, ma voleva anche dire “gatto”in inglese, Olga poi amava i gatti, mai saputo sul serio se era per tenerezza o ironia. E baro, sapendo di barare, Olga diceva Cat quando iniziava  a parlare, il nome alla russa era troppo lungo per una minuscola e solenne bambina, di preferenza mi chiamavano Catherine alla francese, daccapo era sempre molto lungo. Ma i gatti le piacevano, quindi? Per Alessio sarei stata sempre Cat, lo rievocai per un momento, il mio monello, poi tornai a noi.
“Racconta” Eravamo in due a spartire quelle sensazioni, Luois era morto da appena 18 mesi e lo amavo, Dio se lo amavo, a dispetto di tutti, me compresa, Andres l’insopportabile. E mi baciò, le sue labbra sapevano di vino e fumo, poco prima aveva preso una sigaretta, io stessa avevo tirato due boccate. Già .. mi ero innamorata di un sogno, che poi era diventato amore, accidenti a me e lui. Avevo solo 21 anni..e già molte vite alle spalle.
Mi porse il medaglione, in silenzio, sganciai il pendaglio. Conteneva una ciocca di capelli neri, che cadde morbida sul palmo, poi una foto. Riconobbi un Andres di non più di 18 anni, con la barba, come spesso portano i giovani per parere più maturi, come accade in quell’età, accanto al lui una ragazza splendida, armoniosa, dai chiari capelli, che si appoggiava al suo braccio. Erano giovani, radiosi, innamorati.
“Chi è?”indiscreta o forse no, se me lo mostrava potevo chiedere.
“Mia moglie. Isabel”
Fu come se mi avesse tirato un pugno allo stomaco, mi ricordai che mio zio aveva accennato che Andres aveva vissuto una tragedia privata, non lo aveva esplicitato e mai io avevo chiesto.
“Sembrate molto innamorati”
“Già. “Un altro metaforico pugno,stavolta  al plesso solare, ma sapevo che mi amava, o quantomeno che era attratto da me e viceversa, una potente alchimia, nessuna parola, parlavano i corpi.
E non era lussuria, il cieco cozzare di due bacini che si saldavano, unita a lui mi sentivo invincibile, a casa,estasi e tormento. Eppure mi aveva detto che non aveva moglie o figli,  lui aveva tanti difetti, ma amava i bambini, lo avevo visto interagire con Alessio, che avrebbe fatto ammattire un santo, senza sbuffare, gli piaceva, aveva sempre un sorriso od una caramella se capitava di incontrare qualche fanciullo.. E non avrebbe mai lasciato la sua donna, lui era fedele, se dava la sua parola, il suo amore non si tirava indietro. Una moglie.
 E lei era bionda, dalla foto indovinavo i suoi riccioli dorati come un campo di grano della Castiglia in estate, e la ciocca nel medaglione era scura, come la chioma di Andres, che avevo accarezzato tante volte.
Poteva mentire su mille cose e non su quello.
Dopo Luois e prima di lui, avevo avuto  brevi  avventure, strette per sentirsi meno soli, il calore di un corpo, giusto uno sfogo, sapevo declinare le differenze, per quanto giovane, tra mera attrazione e un quid in più. Forse. E non mi raccontavo storie per farmi contenta. E, in fondo, gli oblii che stordivano, il passare da una stretta all’altra, le ubriacature, colmavano il vuoto? Mi sentivo sola comunque, e tanto..  A mio dispetto, ero sempre viva. E amata, anche quando ero orribile, superba come Lucifero, sapevo che mia madre, mio fratello e Olga mi amavano.. E Alessio, come Tata, Marie o Anastasia.. Mi volevano bene. Respinsi il ricordo dello zarevic, ancora,  anche se non avessi avuto figli, lui sarebbe rimasto sempre il mio bambino.
“Dimmi, Andres, io ti ascolto. Fuentes, ahora y por siempre” da un pezzo ero io la tua unica, cercavi me e una sigaretta e i nostri momenti  nelle albe sospese.
“Il  26 marzo 1899 mi sono sposato, io e Isabel ci conoscevamo fin dall’infanzia, una amica di mia sorella Marianna, aveva due anni più di me” la mia gola era murata a secco. “Bionda, bellissima, delicata, il mio primo amore”Un sorriso distante, remoto, obliquo. E mentre la rievocava, mi sentivo gelosa, misera, intuivo quindi che fosse morta, lui non si sarebbe mai accompagnato a prostitute o concubine o intrattenuto relazioni,più o meno appaganti,  da ultimo con me, come aveva fatto in quelle stagioni, se avesse avuto una moglie ad attenderlo in Spagna o dove diavolo fosse.
No, aveva tante magagne, era un furfante, un rompiscatole, e non avrebbe mai abbandonato Isabel, o chi per lei. Lui era fedele, la sua parola d’onore era sempre una, non mutava, se la dava.
Era andato via dalla Spagna nel 1901, tornato solo due volte, un motivo vi era e si apprestava a narrarlo, il suo dono, mi amava e condivideva tutto, fino alla ultima goccia di cenere e assenzio
E io lo amavo, a mia volta, avrei ascoltato i suoi sussurri
Era partito che era un ragazzo, poco più grande di Alessio, ora descriveva un ragazzo innamorato, che non osava chiedere altro alla vita, se non di stare con sua moglie, come me quando avevo sposato Luois, alla fine.
Isabel, piena di misericordia e grazia, amazzone eccelsa e provetta, amata.  Amatissima.
Isabel his dream.
“Enrique, il primogenito di mio padre, il mio cosiddetto fratello maggiore, è sempre stato uno scavezzacollo. La sua sola morale il piacere, il suo volere un dogma, andava a puttane e voleva l’amore, che ne so. Lui, il primo, l’erede di nostro padre, che erediterà tutto, e poi .. invidiava me.” E ancora lo amava, era suo fratello, e certo doveva averlo odiato. E avrei saputo, volente o nolente.
“Alcune persone nascono così, Andres, votate alla infelicità propria ed altrui. “ Omisi di toccarlo, pensai a Olga, che mi aveva amato e perdonato, nonostante tutto.
“Molestava le figlie dei contadini, dava il meglio di sé alle feste del paese. Al diavolo fossero o meno consenzienti, si ubriacava e attaccava scaramucce, millantava che un Fuentes doveva fare quello, giocava d’azzardo e perdeva, faceva finta di fare il servizio nell’esercito a Madrid e invece ..Era entrato in brutti giri”
NO.
I Fuentes proteggono la loro gente, sono come i Pirenei, accoglienti, indelebili.
“Era il mese di aprile 1901 quando Enrique giunse a casa, raccontò di avere contratto debiti di gioco che non poteva ripagare, che quella gente era pericolosa. Nostro padre non volle sentire ragioni, suo il debito, suo il disonore, lo aveva avvisato, e lui aveva continuato, certo che lo avrebbe protetto. Aveva ragione a avere timore, quei soggetti vennero a riscuotere il loro e passarono alle vie di fatto, appurato che nulla avrebbero avuto, venne incendiata una parte del castello.A scopo dimostrativo.  Il tempo era caldo e secco, le fiamme si propagarono e io accorsi. Te la dico come una cronaca, una notizia su un giornale, ma vi è da credere che non è così, fidati.  Misi in salvo non so quanti, domammo le fiamme. E così  Isabel, fece la spola per salvare le persone, inalò non so quanto fumo, nelle sue condizioni un  dramma, che era incinta di più di sei mesi, ma lei era così. Buona, generosa. Mio padre era ed è il principe Fuentes Cat, quella era la mia gente, cercai di non farli ardere vivi e..HO PENSATO A TUTTI TRANNE CHE A MIA MOGLIE... INCINTA” Una lacrima danzò nei suoi occhi, la scostò con fastidio”Un parto in anticipo, ma a rischio, scelse di dare una possibilità al bambino. Era un maschio. Vi fu un inchiesta, un esame autoptico, il medico aveva avuto ragione, se salvava Isabel, il bambino era andato, viceversa  era morta lei, che era già messa male. E mia moglie scelse nostro figlio. XAVIER. XAVIER FUENTES. Nato e morto nel giro di una settimana, mio figlio.”Strinse le mani, poi le allungò verso la ciocca, compresi che era del suo perduto bambino.
Aveva messo tutti al sicuro, non aveva salvato sua moglie e suo figlio, rabbia e senso di colpa lo avrebbero tormentato per sempre, fino alla fine dei suoi giorni.
“Era minuscolo e perfetto, Catherine, il mio piccolino. XAVIER FUENTES; come mio Padre, che ora riposa accanto a Isabel e mia madre, da allora fino alla fine del mondo. Fosse nato anche solo di due settimane in più, avrebbe avuto la possibilità di salvarsi, lottò per una settimana, ma era troppo presto, era un Fuentes, un principe combattente che voleva vivere.  Ed Enrique era sopravissuto, millantava che  era solo una tragedia. E l’ho odiato per non odiare me stesso, quando venni via gli avevo rotto un braccio e fatto saltare i denti, chiedeva il mio perdono.  Come no, io, cadetto, avevo protetto la mia gente, non protessi l’erede dalla mia furia, tacendo che avevo perduto mia moglie e mio figlio per .. Me ne sono andato per il mondo per non uccidere, Enrique e me stesso, quei due li trovai poi. E la Spagna è  di sicuro un posto migliore senza di loro.  “


Poi “Avrò sempre nostalgia di Isabel e mi mancherà, come il ragazzo che sono stato,  mi chiederò sempre che padre sarei stato con Xavier. Che vita avremmo avuto. E il tempo è passato, e torno ad amare, completamente ...Solo una volta ci sono andato vicino, lei .. fosse stata libera, saremmo stati insieme e tanto.. lasciamo stare. AMO TE. E non solo ora, ma per sempre. Unica e rara, non la sostituirai.. Scusa la confusione.. E so solo che ti amo, con tutto  me stesso. Io ti amo e ti amerò per sempre Catherine”
“E così io. Per sempre, io ti amerò per sempre,  Andres, sposami”
La sua risata fu un ululato nella notte. “Sì.. Il tempo di trovare un sacerdote e .. gli anelli, magari un vestito .. E farci un bagno”
“Aspetta. Io ..” Quel desiderio, che era un imperativo, una conquista. Glielo dissi, degli aborti, lui ribatté che ben difficilmente avremmo concepito, usando lui preservativi, io un diaframma di cera, per sicurezza spargeva fuori il seme, e che non gli importava, voleva me e non ipotetici figli, ma consci che l’argomento era di importanza basilare, stabilimmo di riparlarne. E intanto facevamo l’amore come se non vi fosse un domani, sopravissuti, da allora in poi. Felipe e Leon non erano nemmeno per l’aria, diciamolo.


“Olga?”
“Cat.. che hai?”
“Sono sempre viva. Non ti voglio spaventare, ma è stata dura, siamo al telefono..”
“Dieci giorni.. ho pensato di tutto, sono dieci giorni .. nemmeno una riga, una parola.. pensavo che fossi morta o ti fosse preso un accidente senza rimedio. Accidenti  a te, Lupo.”
“Olga.Scusami, ero fuori, non potevo.. Non sono un piccione viaggiatore, solo un’idiota”
“ Cretina.., sei solo una cretina, dimmi cosa sghignazzi.. Che ti sento. E ridi, dopo dieci giorni che non ti davi segni.. E le balle che ho dovuto dire ad Alessio, per non agitarlo, che ti avevo sentito“
“Dagli un bacio  per me, come alle ragazze” che ha combinato’??me lo rividi con gli occhi della mente, il suo sorriso birichino, le risate, la voce sottile, le iridi fantastiche, zaffiro e indaco, che viravano nel grigio scuro quando aveva i pensieri. La dolcezza di quando lo abbracciavo, e la piega ostinata di labbra e fronte quando faceva un capriccio, i modi esasperanti e il fascino che sapeva esercitare quando voleva. Il trionfo di quando era montato a cavallo, la gioia nello sparare con una vera arma, lo strazio per la sua crisi di dicembre, Cat, Kitty Cat, Catherine,  ti aspetto. Da peste sono diventato un angelo, un folletto..  
“Certo. Cat.. fisicamente sei tutta intera?”
“Sì, ho due braccia e due gambe, mica male”
“Stupida.. Quando ci vediamo” Stabilendo una data, pochi minuti se andavamo stretti. Poi “Come stai, davvero.” Aveva decodificato.
“Moralmente ho l’umore sotto i tacchi, è stato orrendo”
“ Scusa gli insulti”
“Hai ragione..”
“Piantala o ti stacco le orecchie.. Bene, stai ridendo, meglio..”per disperazione, senza fallo.
“Pure tu. Una cosa importante,anzi due, Olga, ti voglio bene e mi manchi.”
“Torna.. non mi lasciare ancora e di nuovo. Anzi, vengo io. Veniamo.. Dio, quanto ti vuole“una pausa che compresi al volo.
“E io voglio voi. Olga, che ha combinato?”
“Chi? La peste.. davvero, non si gestisce più.. Io non ne posso più, mi sta esaurendo, più di quanto non sia”la peste era Alessio e, quando si metteva, lo era davvero, uno stillicidio. “Ha fiutato la balla, mica è stupido, e ..magari lo fosse.  Ti vuole sentire, e .. basta, te lo dico a voce. Puoi richiamare tra un’ora, che te lo passo..”
“Va bene..” 

“Ciao”
“Ciao ..Aleksej..”Silenzio..
“Ed ora si è ammutolito.. Senti, noi restiamo d’accordo come detto prima.. E va bene, tieni, basta che parli, Aleksej..”
Nulla. “A presto, Cat.. che qui non ci siamo…”
“Sono io, Zarevic.. cinque minuti, va bene e poi basta..” fiatai, per provocare la sua reazione, di proposito.
“NO!! Non voglio” indignato “Allora cinque ore o cinque giorni, ti aspetto..” “Ciao..”tenero. E la linea cadde. Misi la testa tra le ginocchia, morivo dalla voglia di rivederli.

 
“Ti aspetto”avevo detto a Olga e mi buttai tra le sue braccia, al momento, travolgendola, baciandola sulle guance, mormorando grazie. Poi si scostò, prendendomi sottobraccio, le sue dita guantate contro il mio gomito, più possessiva di me e ancora più magra.
“In treno c’è chi ti aspetta, indovina .  Ora entriamo e ..Fortuna vuole che mamma sia a fare un giro agli ospedali e che.. Sennò non sarebbe venuto e non OSO immaginare che avrebbe fatto “un sorriso esasperato, divertito
“ Grazie, Olga” di tutto e per tutto, mi tirò un colpetto sul gomito, ci intendevamo, come da prassi.
“Figurati” Con una buffa, severa smorfia.
“Magari lo smuovi” passammo dal freddo di fuori a un caldo da serra, mi slacciai il cappotto, togliendo i guanti, perplessa.
“Altezza Imperiale, zarevic” era seduto, a breve distanza, glissai di affermare, Alessio amore che hai?
Valutai che era sempre magro, e tuttavia era cresciuto ancora di statura. “Ferma qui. Se ti vuole, deve fare quattro passi”
Lui fece una smorfia, si stava mettendo a piangere, e mi accorsi che lo faceva a bella posta. Il solito viziato, no?
Olga mi impose di stare ferma, dopo un piccolo inchino che avevo fatto, un cenno delle dita“Vuoi tornare al Quartiere Generale e va bene, a primavera, però ti devi muovere, Alessio, basta manfrine e giochetti, ora non attacca, se uno ti dice le cose ti devi fidare”Severa “Devi recuperare peso, e piantarla con le bizze, mi pare che questa qui sia ben viva, ti devi fidare, se ti dico le cose. “ mi strinse il braccio, netta e precisa” Manco fossi un lacchè, che te la deve passare al telefono, appena ci sentiamo tra noi, e te la passo e fai scena muta, salvo metterti a frignare e dire no,  a fine comunicazione”
Mangiare, ovvero una tortura. Essere bravo, un traguardo che mancava spesso, e tanto rimaneva viziatissimo, indovinai come a quel giro si fosse impuntato per venire, e le bugie che aveva dovuto tirare fuori Olga“Ciao Cat, aspettami allora” Posai un ginocchio per terra e aprii le mani. Si tirò in piedi e mi raggiunse barcollando, pochi passi e una fatica immane, lo sollevai, mi allacciò per il collo e io lo serrai contro di me, come tanto tempo prima, quando imparava a camminare, le sue gambe strette intorno alla vita “Ha funzionato, però” “Cosa?” Io e Olga “Ti volevo sentire e non era mai possibile, tu eri sempre vaga, Olga, troppo..” “E non .. che hai combinato, Zarevic?” sia io che Olga sorvolammo sulle conversazioni telefoniche, quando me lo richiese sempre finsi di non sentire, cambiando argomento, e lui capì, lasciando perdere“Ho iniziato a mangiare sempre meno e fatto i capricci, tattica efficace, sono l’imperatore dei viziati, no”Perdendo le forze, andando indietro invece che avanti. Scossi la testa, la vicinanza ed il respingere, avevi sofferto troppo Alexei, eri un bambino sensibile e la guerra ti aveva recato un incubo dopo un altro e infinite avventure, ti presi un palmo e lo studiai, come una mappa, non ti avevo riempito di baci per rispetto “ Mi spiace, Sunshine..” “Tu sei la più brava, accidenti a te” rispetto a chi o cosa..?“Ti ho promesso che in primavera inventiamo qualcosa di bello, “Deglutii, imponendomi di non piangere “Ma ti devi reggere in piedi, per te, non per gli altri..” mi aveva cacciato la testa sul seno, o aspirante tale, lo circondai, cauta, con le braccia, da capo e di nuovo, era grande e lo trattavano, lo trattavamo, me compresa,  come un bimbo piccolo, che si comportava ed esasperava nello stesso modo, annotai che gli avevano messo un pannolino per il giorno. “ E Andrej?” il mio armadio personale, il suo amico, un prediletto per entrambi“Lui se la cava, Zarevic, come al solito. Lo sai come è diventato un armadio?”Cercando di farlo ridere ..avessi avuto una frusta a sette nodi me la sarei tirata addosso per punirmi, di averlo fatto arrivare a quei livelli, ignorando che Aleksej aveva valutato le opzioni, sommato le cifre, tale era lo spasimo di rivedermi  e non lo avevo certo obbligato, e tanto.. Voleva controllare lui, non essere controllato, mi voleva sempre, a ogni costo“Mangiando sempre, la quantità di cibo che riesce a ingurgitare è prodigiosa, si mangerebbe un bue per pranzo..” rise, come Olga. “FUENTES!!Ahora y por siempre”sillabai. “Migliorerò, Cat “(alla fine mi chiamava sempre in quel modo, un tenero abbreviativo) “Lo so e ti aspetto, ora e sempre.”
Maggio?..” “Maggio, quando farà meno freddo. Vedrai .. “Intanto Olga prese un piatto con dei biscotti, avanti, lui fece una smorfia e mi serrò il viso contro il collo. Disperato “Ora subito?” “ SI’’. Sbuffò e prese un mezzo biscotto, io l’altro, vai continua, Alessio.. Tre dolcetti, una vittoria.  Una parentesi infinita, gioia e dolore. “Forse è meglio se non ci vediamo più”, osservai,” Ti fa troppo male Aleksey. Non ti meriti tutti questi affanni e..”  “No..NO” brava a me, lo avevo agitato“Farò il bravo, mangio tutto, niente bizze, non mi lasciare.. per favore. Rimani un poco” mi allacciò le braccia al collo, e non era un capriccio, ma la disperazione“Non .. “ un piccolo e perduto frammento, me lo issai in grembo “Perdonami” una pausa, a volte ero troppo impulsiva, nonostante tutto.  E mi cercava, ricambiato, con gli occhi, mi serrava con le mani, rimasi a dormire con loro, la camicia da notte una gentile concessione della granduchessa, niente marinai e lo gestisci te, ruvida per nascondere la commozione, mi ha fatto ammattire, da quanto ti voleva.


  “Ti adora, disgraziata che sei” il quieto sussurro di Olga “Non ci piange lui, alla fine lo hai calmato, e lo fai tu?di agitarti.. Davvero, Cat, perché non ti lasci amare e basta? Sarebbe più semplice” e tacque, omettendo di specificare, se per me o lui o lei, o in generale. Sospirò e strinse entrambi, io aveva vita facile, tornavo, novella eroina, giorno per giorno lo gestivano lei e la zarina e Tanik, io e lo zar al fronte. “Stasera niente Rojas, abbiamo uno Chambertin della Borgogna” “Buono, sa di nocciole e rose..” “Quante orecchie hai?” mi rimbeccò“Due ..” “ E quante bocche?” Una risposi alla sua retorica domanda. “Ascolta di più e parla una volta di meno..” facemmo un brindisi muto poi presi Alessio tra le braccia, la sua testa contro la mia spalla, sussultò e si girò contro di me nel sonno, reagiva sempre al mio tocco, alla mia voce, lo scrutai per ore, i tratti delicati,la pelle candida come il cuore  di un tronco di salice, la neve, mormorai favole e ninna nanne. Verso le due iniziò ad agitarsi, lenta tranquilla, venti a uno che aveva un incubo lo scossi piano. “Cat, sei tu..?” “Sì.. hai avuto un brutto sogno..” “Sì, era buio e ..”Rabbrividì, scosso da un tremito, non proseguì oltre“Ci sei.. Vero?” “Sì..Vuoi dormire con me..“mi stesi vicino a lui, come a Carskoe Selo “Grazie..” “Piano, non svegliamo Olga..”che era già sveglia, peraltro, tranne che voleva vedere come lo gestivo, pronta a intervenire in caso di bisogno, e glissai. “Sì, l’ho fatta diventare verde..” “Sst, Aleksey.. metti la testa sulla mia spalla, le mani tra le mie, te le scaldo, piano.. non ho fretta tesoro. Pensiamo a qualcosa di bello.. che ne so, quando scendi dallo Standart e raccogli le conchiglie, fai il bagno ..” “I castelli di sabbia.. accarezzo i gatti..”gli baciai i capelli, malefico quel nomignolo.. “O fai volare un aquilone con Anastasia e .. corri avanti e indietro, sei una scheggia”Sfumai le parole, sorrisi per non mettermi a piangere. “I need you.. “ “I am  there..”una pausa  “I don’t go away, I need you now”cercando di scacciare l’incubo dell’ultimo ingaggio.


“Cantare no che sei stonata”mi sfotté la mattina. “Mangia, che sei troppo magra”  “Mangia tu, piuttosto “lo rimbeccai, gli avevo cambiato il pannolino,  e tanto mi ingiunse di tenere chiusi gli occhi e indovinare cosa toccava, la fronte, le guance, mi  dava tanti piccoli baci, uno cadde sulle labbra chiuse, come capitava con le sue sorelle, lo allontanai ridendo annoverando che era un rubacuori, come no, ribattè, fosse possibile vorrei farti fare tutto a modo mio. Concluse dicendo che se combinavo ancora uno scherzo del genere mi avrebbe strozzato, magari si era messo d’accordo con Olga. “Cercherò” affermai, mentre mi dava un piccolo bacio e rischiava di strozzarmi sul momento,da come stringeva. “Non ti basta, vero, Zarevic.. “piano “No.” Intanto me lo tirai addosso, meditando. “ E non dire .. ti voglio, non mi lasciare..” “NO. Solo perché non mi lasci” trionfante“ALEKSEJ.. non ti ho detto nulla” “Lo hai fatto, sei qui, con me, a parole sei brava, io guardo i fatti, se non volevi non eri qui, puoi andare e venire, ma ti ho trovato, quella volta e non ti mollo più” Bestemmiai mentalmente e mi aveva fregato”Qualche giorno.. sono l’erede, comanda mio padre, ma pure io conto..NO?” sbattendo gli occhioni, seducente. Mi aveva fregato. Ci aveva fregato. E aveva ragione.. “E chi ti lascia..” borbottai, ruvida. “Passami un braccio dietro il collo, ci alziamo, sarà una lunga giornata” lo raccolsi contro di me, nell’ultimo ingaggio avevo rischiato di non vederlo mai più, lo trattenni addosso, per quanto agnostica per non dire atea qualcosa voleva significare “Resto.. diciamo cinque minuti..” E rise, aveva capito che era una battuta. “Cinque ore” “Cinque anni, vamos, mi hermanito” In spagnolo, che non lo capiva. “Ci vestiamo, facciamo colazione e poi si studia, e parliamo e giochiamo, zarevic” gradiva il programma, il mio furbone “Un passo alla volta, eh” trattenni il fiato “Alessio” “Cat..” “Io ti vizio troppo ..scusami” di tutto e nulla, troppo da spiegare o troppo poco. E sarebbe stato per sempre. Per cinquanta e rotti anni.


“Olga.. so che servirà a poco, te lo sei sorbito te, insieme al lavoro negli ospedali e a tutto, però.. Non va, se scappo dopo poco rimango una leggenda, invece.. ci fermiamo un poco“ ”Tutto tuo.. divertiti, come già rilevato, te lo appioppo volentieri” ironica a bella posta. Lo zar si fermava a vistare quella particolare località, con Olga e lo zarevic, trovammo il sistema di evadere, confonderci. Una pausa ed un ristoro, lei aveva Michael a cui badare, spariva per ore, presa dal vedere famiglie, comitati e via così, oltre al suo interludio privato, io stavo con lo zarevic.
“Per la pratica, alla Stavka te lo godi te, Catherine, quindi fai le  prove..” ironica e per prendere una pausa, che quei mesi erano stati lunghi, per tutti.
“Devi mangiare..” “Pure tu, zarevic..”Si mise un tovagliolo per non sporcarsi, si era accomodato sulle mie gambe, ci riuscimmo, tranne che fatica. E ne valeva la pena.”Come quando ero piccolo”osservò lui “Sai che novità, Aleksej, tutto a modo tuo” “Qualcosina..” ci mettemmo sul tappeto, fuori era davvero freddo, giocammo con i soldatini, a carte, con un caleidoscopio, l’inventiva era abbondante per entrambi, poi gli diedi un libro da scorrere. “Studia qualcosa..” “Raccontami qualcosa..” mi confutò  “A che punto sei con la storia russa? E inglese e francese?”Me lo disse, attaccai con qualche nozione, parlando in francese, mi  ascoltava, attento.
 “Good..Viens ici”me lo raccolsi addosso, scemò il silenzio, gli scaldai le mani. E sapevo che, nelle sue condizioni, avrei fatto molto peggio. “Il principe di Granada che allenava i cavalli da guerra..magari fece una spedizione nelle Americhe ..E ..” mi raccontò LUI qualcosa, alla fine sancii che era bravissimo.  Aveva ascoltato. Una pausa di tenerezza, mi scrutò con quei suoi grandi occhi azzurri, sfiorando una guancia
“Si riparte”mormorai tra me, mettendo la borsa sulla spalla, conteneva un paio di cambi, un quaderno, del sapone e un libriccino “Mi mancherai, Zarevic, ti posso sollevare? Oops, chi ci riesce, quanto sei ingrassato..” “Come no,”il viso contro il collo”Papa ti ha salutato, e anche a lui dispiace, quando vai via..” “Non ti rattristare troppo, in questi giorni siamo stati bene, ci siamo divertiti con le carte, le storie..” “HO mangiato e studiato, anche”rise “Ti prego, per favore.. stai attenta” “Certo, altrettanto tu, intesi? “ “E se ti manco puoi sempre rimanere..”logica ineccepibile che non raccolsi “Ora no, zarevic. Maggio e niente capricci” lo misi giù, mi prese una mano. “Lo so.. Olga l’hai salutata?” “Certo che sì. Ci sentiamo al telefono, ti va bene?” “Abbastanza” tra tutto e nulla, meglio un poco. “Ti voglio sentire, eh” “Basta che parli..” “Uffa..” “Ciao Aleksey” invece di proseguire senza voltarmi, al solito, mi rigirai e me lo ritrovai addosso, lo strinsi. Omettevo quel gesto, che era un invito, a volte era meglio un taglio netto, via il dente e via il dolore. Ed era uno strazio reciproco, allora glielo dissi “Ti avevo preparato una sorpresa ma .. Venti giorni da oggi, vengo una settimana a Pietrogrado. Di più non ti posso accontentare .. Raccolta medicinali” “LO VEDI.. alla fine mi accontenti sempre” illuminandosi di gioia “Ci provo, è diverso, Zarevic..sono una squinternata e una pasticciona” “Sei un’amazzone” “Alexei, non mi mettere su un piedistallo.. Non mi adorare, non ne vale la pena” scrollò la testa “Sei di porfido, cocciuto come un mulo…!” “No.. “ “Sì..” Uno stop, che potevamo andare avanti in quel modo per un pezzo. “E intelligente, divertente, molto ironico” “Grazie, lo so” “Ciao, zarevic, a prestissimo” “Non lo dici..” “Cosa?” giuro, non sapevo se  ridere o piangere “Di stare bene, di essere bravo” “Sei bravissimo” “Lo so..”buffo, fiero “.. quando hai voglia..” finii la frase a bella posta, mi tirò un colpo sul gomito “Ciao” “Comunque, sei troppo magra” l’anno dopo si sarebbe posta la questione inversa, sarei diventata un tacchino farcito, un bignè per una gravidanza non voluta, ma desiderata, al cui termine avrei avuto il principe dell’estate, il mio diletto primogenito, Felipe“Senti chi parla” lo abbracciai “Ciao” “ Ciao” poi “CAT…” “Che vuoi?”irritata, divertita,  ruotai il busto e lo serrai “CAT..” “Sei bravo, Aleksej, come sempre, davvero .. devo andare..” “Va bene, hai ragione” si scostò e mi congedai, alla fine e sul serio, vincendo la voglia di richiamarlo, che non avremmo mai finito. 
Alexei loved taking people for a drive in his "Bebe Peugeot".. Mi promise un giro.

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Capitolo 15
*** A Quarrel ***


 San Pietroburgo, aprile 1916.
“..è tosto” Andres si rialzò dal mio letto, sereno,  andando a sciacquarsi
“E’ un monello, lo sai” osservai il gioco di luci e ombre sulla sua schiena, i rilievi squisiti delle vertebre e la trama dei muscoli,  il suo petto e i tatuaggi, una vera opera d’arte, abbracciando il cuscino bordato di pizzo. Sapeva di lui, annotai.
Ci godevamo una meritata licenza a casa di mio zio, dormendo quando eravamo sazi, la notte era lunga come sempre. Ed eravamo andati a passeggio sulla prospettiva Nevskij, a braccetto, una qualunque coppia di innamorati, a cena fuori, a prendere un tè e .. la normalità di quei gesti, di quella parentesi era stata fantastica e parlavamo di tutto un poco, sia cose serie che giocose.
Stare con Andres era un lenitivo all’ansia, era una pausa, un incanto.  E meritavamo di meglio di vivere alla giornata, come due eterni clandestini.
“Ti adora..peraltro ben ricambiato”
“Vuole bene pure a te.. “sorrise “ Vero .. è rimasto zitto per un mezzo minuto intero..”
“E ti ha dato la mano.. Spiazzato”che rimanesse muto per la commozione o lo stupore era ben raro.
“ A te vogliono bene anche le due granduchesse più piccole.. “ironico, che tra Alessio e Anastasia che giocavano con  lo spaniel dello zarevic e i gatti dei Romanov, quel pomeriggio, era entrato il mal di testa a entrambi.
“Per dire, piccole, Anastasia fa 15 anni a giugno, Marie 17.. E ha una grande forza, solleva un letto di ferro... Sia lei che Nastya sono infermiere volontarie, patrone di un ospedale a testa, le grandi sono diplomate e .. Leggono per i feriti al pomeriggio, lavorano a maglia le loro cose, giocando a carte e dama per intrattenerli, scrivendo a casa sotto dettatura, cucendo vestiti e bende e fasciature. A malincuore vanno a lezione. Sono brave, voglio bene pure a loro, tranne che i miei prediletti sono Olga e Alessio”
“Già. Ma tu visiti gli orfanotrofi, fai le raccolte e ..” manco fossi stata una santa, come no, ero decisamente peccaminosa con lui, in quella stanza, il corpo rilassato dopo l’amore
“Prendo il tè con Olga e Tata..” E varie altre, perfino Tatiana, riservatissima, aveva gradito l’improvvisata della sottoscritta, quei suoi grandi occhi a mandorla, allungati, di uno splendido grigio azzurro, si erano illuminati di gioia.
E la primavera principiava, la neve si andava sciogliendo, scorgevano i primi fiori alle bordure delle aiuole tra verdi pennellate di erba, i biancospini erano una candida schiuma. “Tata ciao..” una breve stretta e poi Aleksej mi aveva monopolizzato, sfinendomi di chiacchiere. Mangiava senza capricci, dormiva tranquillo, le bizze un lontano ricordo, cercava di stare bene..
Una settimana era volata, osservò Alix quando mi congedai, osservando il mio vestito grigio fumo, le perle e il mio sorriso,  sempre impegnata con i turni in ospedale ci eravamo incrociate il giusto. “Buon rientro al tuo lavoro, Catherine..”
“Grazie” mi inchinai e le baciai la mano, alla russa, ci teneva, bastava tanto poco per evitare le frizioni di nervi
“ Vai da Alessio.. Stai quanto vuoi..”
“ Me ne vado..”
“Gli manchi, ci manchi sai quando non ci sei..”
“Eh..” ci manchi.. come no. O forse sì. A piccole dosi mi reggeva.  

“Qui sei fantastico..” osservai le foto, Alexei compariva in uniforme in varie attività, dal saluto militare ad essere in trincea, con o senza suo padre, le mostrine dell’uniforme con le sue iniziali A. N. iniziate a N. A., usanza russa, un legame tra generazioni, gli appellativi di padre e figlio che si legavano tra loro. O con il suo spaniel, Joy, mentre studiava, con vari ufficiali, o in pose scherzose con le sorelle, in automobile, peraltro ferma, con lui al volante,  o vicino a un cannone od un aereo, di cui certo chiedeva i meccanismi, la velocità..
“ .. mangio il pane nero e la zuppa dei soldati, marcio e mi alleno e.. Sono un soldato io pure.”
“Lo so, a fighter prince, un principe combattente”
“E ..”mi illustrò qualcosa su moto e aeroplani, lo adoravo quando era così.
“Maggio quando..”
“Dal tre o quattro.. quando fa caldo, zarevic.. che ne so.” Ero seduta, mi strinse da dietro, rovesciai la testa contro la sua spalla, ricambiando la stretta. “Non vedo l’ora..”gli baciai le dita. “Ti va di far volare un aquilone..”
Mi rivenne in mente una volta in Crimea, era sulle spalle di Nagorny, teneva in mano il filo e lo faceva innalzare, abilissimo. “Vola, vola ..” doveva compiere sette anni, era esile e abbronzato, con i pantaloni corti e una camicia da marinaio, il profumo delle rose e del mare stordiva, poi me lo aveva passato e lo avevo fatto schizzare ancora più in alto, una rapida torsione del polso “Brava .. Catherine! Lascialo, libero, via!!”  “Facciamolo insieme.. me lo potete passare, signor Nagorny?” ero sempre gentile, con loro, chiamandogli signore Derevenko o Nagorny, usando per favore e simili. E mi era salito tra le braccia, ridendo, che andava sulle nuvole, magari fino in America e facendo ciao con la manina.
“Vola, aquilone, vola per me..!!” correva, estasiato, facendo una gara con quell’uccello di carta, di leggero cartone blu e azzurro, con la coda dorata, il mantello da cadetto e gli stivali da soldato, mi aveva mollato il berretto per non perderlo, due ombre, la sua per terra, l’altra che si innalzava nel vento, che ogni tanto si univano e mischiavano
“Bravissimo, Zarevic.. “
“Vieni, prendimi..” E lo ripresi, dopo un poco, sollevando le gonne, ero agile, leggera. E gli occhi azzurri vibravano di gioia, aveva appena un poco di fiatone, mi si buttò addosso ridendo, la spalla contro la parte alta del mio braccio, gli rimisi il cappello “Mandalo un poco tu..” “Dammi” “Uffa.. lo fai volare più alto..” “Sono più alta.. liberiamo..??” mi accoccolai sui talloni, per evitare troppa disparità tra le stature, contammo e via..
“Secondo te dove arriva?”
“In Spagna..”Sollevando l’augusto sopracciglio
“Aleksej Nicolaevic”
“C..alina..” storpiando le sillabe
“Catalina.. se mi devi prendere in giro!” e  lo sapeva pronunciare, nessuno pretendeva che imparasse lo spagnolo, tranne che i nomi di battesimo erano facili, per uno che parlava russo, inglese e francese.
“Forza, torniamo dentro..” 
“Tralasciando che lo sai dire bene.. se hai voglia” e tacqui, che aveva il suo sguardo dalle mille domande e uscite che ti spiazzavano
“ Basta che lo sappia scandire bene Fuentes anzi il tuo Fuentes ..da?”
“Torniamo dentro, fammi strada..”mi offrì il braccio e scrollò la testa. “ A prenderti in giro se non reagisci non vi è gusto..”
“Non sento, sono sorda”
“Già.. a bella posta” E anche no, da sinistra sul momento lo ero, a causa dei rimbombi delle pallottole, come non ci avessi lasciato le penne rimaneva un mistero. E tanto non lo doveva sapere, era un argomento proibito, un segreto.
“Aleksey..non vedo l’ora di esserci a maggio” “Pure io” “Staremo bene, starai bene.. spero con me” esitante “Non blaterare invano.. ci divertiremo, e studio, lo so, sei peggio te di marinai e precettori“
Aveva una volontà di ferro, infinita come il rosso oro dei Nibelunghi, in tempo di poco infine recuperò, il suo premio era tornare alla Stavka e ci si impegnò,senza fallo o misura. Che detta tra noi a Carskoe e dintorni, guardava gli altri giocare, LUI non partecipava, vedeva la vita e non la viveva, la malattia si scontrava con la sua voglia di essere come tutti, il suo tormento e la sua rabbia.  
 
Andres appoggiò la schiena al tronco dell’albero, godendosi il semplice piacere della stagione,  dopo i peripli degli ingaggi compiuti con Catherine nel corso di quel lungo inverno e della incipiente primavera. Era mancato poco che fossero morti, altro che stare attenti, cercò di non pensarci, non troppo almeno, gustando la delizia di quei momenti sospesi, lei era sempre mezza sorda da sinistra, lui riniziava a stare meglio adesso, non si era rotto la caviglia che per un pelo, la slogatura portava ancora i suoi strascichi. L’erba era verde, gli alberi fiorivano impudichi nonostante le battaglie, il sole era tiepido.
“Gli farà piacere?”Alessio girò il viso contro la spalla della ragazza, parlando sottovoce. Catherine gli passò le braccia intorno alla vita, facendogli cenno di parlare nell’orecchio destro, il sinistro era ancora fuori uso. Ed accoccolata sui talloni, gli sguardi erano allo stesso livello, quelli di lei scuri, come miele, onice, quelli dello zarevic di un limpido color zaffiro, il sole accendeva le ciocche castane di entrambi di riflessi color mogano, virando nel rame scuro.
“ Certo, sarà contento. Che sei diventato timido tutto insieme?” sorrise, senza rispondere, con lei era in confidenza, da sempre, la adorava anche se ora portava i capelli corti come quelli di un paggio irriverente, vestita da ragazzo (.. diciamo che sono un soldato, Alessio, se ne è mai visto uno con la  gonna e il busto?).
“Vai. Perché scuoti la testa, avesse mai mangiato bambini.. Eh.. ottima strategia”incredula e commossa che saltasse e volesse giocare, non pareva il ragazzino di due mesi prima, un tenero, debole  fantasma.
Andres percepì la mani di Catherine davanti agli occhi, le conosceva bene, quindi si prestò al gioco, badando a restare fermo, come se dormisse, poi sentì una piccola risatina e un altro paio di palmi, una misura più piccola, che provvide a bloccare.
“Chi è?” Elencò una serie di nomi, dicendo infine che si arrendeva.
“Sono IO!”
“Io chi?! Magari lo zarevic?”
“Certo..”  e via con una risata. Il bambino gli buttò le braccia al collo, Catherine strinse entrambi.
Lo zar e R-R osservavano, in disparte.  Commossi, una piccola parentesi di serenità, quindi Nicola II, che si fidava di Catherine come di se stesso, decise di tornare indietro, Alessio meritava di stare tranquillo con loro, senza affanni o guardie, in quella occasione e ancora di più e non sarebbe stata l’eccezione che faceva la regola.

My  life has been like Yours, in a certain way” Andres  usò l’inglese, la mia vita è stata come la vostra, in un certo senso. “ Games and rules.. Some fancy, not only duties” Giochi e regole, del divertimento, non solo doveri.
“Sì, ma .. Ci siamo divertiti” lo aveva riportato a pesca, pro forma, che tanto non avrebbero preso nulla, era in vena di chiacchiere. Di sicuro lui non aveva giocato con un erede al trono, Catherine era un discorso a parte, lo adorava e il bambino la ricambiava, smisurato e possessivo.
Valutò i gesti, il taglio degli occhi, il modo di sorridere di entrambi, le verità palesi sono sempre le più nascoste.
“ Ieri vi è caduto questo, alla fine dovevo andarmene e ve lo restituisco oggi” Estrasse un piccolo portafoglio di cuoio, logoro per l’uso, ove era incisa una A, in alfabeto latino. Andres si toccò il collo, il medaglione era sempre là
“Lo hai aperto?” Era scivolato al Tu senza badarvi, per lo sorpresa e lo sgomento.
“No. Fidati..Anche se ero curioso. Posso?“
“Tanto non vi sarebbe nulla di male, guarda pure, ma se fai delle domande le risposte potrebbero non piacerti. Vado?”  Un cenno di assenso e lo aprì, estraendo il frammento di una conchiglia, scheggiata, e una foto.
Alessio osservò un giovane Andres, portava la barba, tranne che si vedeva che era un ragazzo, che giocava a fare l’uomo, come accadeva sovente a quell’età, accanto a lui una splendida fanciulla, la cui testa gli giungeva appena alla spalla, dai chiari capelli, per quanto si intuiva, con lineamenti regolari e armoniosi. Si tenevano sottobraccio, intimi, teneri e sorridenti.
“ E’ molto carina, come si chiama?”
“Isabel. Mia moglie”.
 
 
Un gioco di specchi e coperture, era dato notorio che R-R, il mio diletto zione,  aveva svariati collaboratori, che andavano e venivano, discreti, che a loro volta avevano dei subalterni, se qualcuno si azzardava a ficcare il naso si sarebbe ritrovato allegramente fottuto, termine duro ma vero, si andava dai pestaggi alle minacce fino al confino in Siberia, era un duro ruolo e gli scrupoli non erano un lusso che poteva concedersi.
Avanti e indietro, passavo per il suo attendente, che dormiva vicino a lui, sapevo confondermi e travestirmi, e comunque nessuno si sarebbe aspettato di trovarmi lì.
Io e Andres prendemmo il ruolo ufficioso di “guardiani” dello zarevic, facendo spedizioni in ogni dove al Quartier Generale e nelle campagne circostanti, diventando rispettivamente il terzo e il quarto marinaio, il mio nome de plume era Paul Paulovic e lui era Andrej Andrevich, invenzione di Alessio, che osservò che se qualcuno gli chiedeva con chi era i suoi accompagnatori dovevano avere un nome.
Se doveva regnare, bene che vedesse come era la vita fuori dalle cancellate dorate della Corte, lo Zar ne aveva convenuto e il ragazzino risplendeva, dopo, quando il suo mondo era ridotto a una stanza e a un letto, con finestre sbarrate poteva ricorrere alla memoria e sognare di essere altrove, sollevandosi dal  dolore e dalla noia .
D’altronde, promise di obbedire in tutto e per tutto, almeno a ME, (notiamo la diplomazia e la scappatoia), di non fare capricci, non contestare, che se gli succedeva qualcosa Fuentes finiva impiccato o fucilato, io in convento, o viceversa.  
Non che ci contassi molto, sulla cieca obbedienza, poi mi sono ricreduta, era cresciuto e maturato, gli veniva chiesto di dare retta e, se fuori, di non scappare, avvisare quando era stanco, le staffe le perse solo una drammatica volta e ci misi del mio, la presunta adulta nominale.
Agili e snelli, i narcisi svettavano fieri sui prati, araldi della primavera e lui non era da meno.
Segreto più, segreto meno, perché no?
Una manciata di occasioni, che si perdono nelle trame del tempo, tesori perduti.
Immagini, frammenti, ricordi.
I treni lo affascinavano, non si stancava di chiedere il funzionamento e osservava binari e traversine e bulloni, domandando agli addetti ai lavori questo e quello. Si era poi costruito una vasta cultura sui sommergibili e gli aerei, andare nei cieli e nei mari era una sua grande aspirazione. Come e più di Anastasia odiava le nozioni obbligatorie, tuttavia era molto intelligente, se qualcosa lo interessava ti sfiniva con la curiosità e domande inopinate e sorprendenti.
La concentrazione con cui osservava un filo d’erba, una lumaca,  passando alle margherite.
“Per te”,  porgendomi una corolla che infilavo sopra l’orecchio. “Grazie”
Aspettava a gloria quei momenti, potevano essere la mattina o il pomeriggio, mi raccontava quello che aveva studiato quel giorno, chiedeva spesso di poter dormire con i  nuovi marinai, lo Zar nicchiava, non tirare troppo la corda, ragazzino, annotava, che poi spariscono, vediamo, comunque qualche cambio lo avevo, fin da subito, non era questione di se ma di quando .
Le passeggiate e si fermava a ascoltare un picchio, lo zirlo di un tordo.
La sua mano che scivolava nella mia, lo osservavo con attenzione per cogliere eventuali segni di fatica,  quindi mi fermavo, con la scusa di volere prendere il sole.  Mi appoggiava la testa in grembo e scrutava il cielo, sai, mi piace pensare di tutto un poco e godermi le nuvole e il sole e la bellezza della stagione, chissà che uno di questi giorni non mi venga impedito di farlo.. A quelle uscite tacevo, ne avrei avute tante da ribattere e sarebbero state solo banalità, cercavo di ascoltare.

Un ritorno di fiducia, un preludio alla maternità il mio. Ed alla gioia, quando era arrivato alla Stavka, la prima persona di cui aveva chiesto ero io,  Aleksej, buttandomisi addosso con un impeto travolgente. “Cat..” “Zarevic.. “”Sono qui..” “Già, monello.. per dire..” annottando la sua crescita, da un mese all’altro mutava, il suo viso e le espressioni, ormai era cresciuto, non era più l’infante che si attaccava alla mia schiena imparando a camminare, un mancato Peter Pan tra  le mie braccia, il fanciullo stretto contro il mio grembo tra una crisi di emofilia e l’altra, il principe combattente della Stavka, che non mancava di prendermi in giro.. “Forse..” una pausa “Mi mandi via..” “ E che dici.,hai trovato altro, sei arrivato ora..” il cielo era grigio, rimbombavano gli spari, lo distrassi con dolcezza. “Vai via sei vuoi..” le famose e ultime parole, le mie. “NO. Che facciamo?” “Una passeggiata sul fiume?” “E picnic e falò..” ”Va bene, iniziamo..”
Sia Andres che io cercavano di trattarlo come un ragazzino normale, ben era dura non cedere all’ansia, il mio Fuentes rammentava anche troppo bene la crisi di emofilia a cui aveva assistito nel dicembre precedente.
Lo zarevic tirò una manciata di sassi, colpendo, esatto,  una pigna che cadde, aveva mirato senza dare troppo caso.
Se non fosse stato malato come era avrebbe avuto un grande potenziale, era preciso e coordinato,  non erano illusioni affettuose. Sarebbe andato a caccia, a cavallo, avrebbe giocato a tennis, si sarebbe arrampicato sugli alberi, avrebbe fatto di tutto  e si sarebbe goduto in pieno la vita.
A proposito di cavalli, aveva sfiancato sia lui che Catherine per poter fare un giro. Infatti, a settembre 1915 la ragazza aveva avuto l’idea geniale, brillante od idiota, varie potevano essere le prospettive,  di farlo montare in sella su un cavallo, andando al passo, e aveva avuto la fortuna che non gli fosse venuta una emorragia.
Ma se doveva imparare meglio ora che poi, se succedeva qualcosa a suo padre avrebbe regnato LUI, e non sarebbe stato il suo bene essere fragile e malato.
E trattarlo come un bambino normale era una ben dura prova. Dolcezza, comprensione, non pietà..
Ci pensò, mentre si buttavano nel fiume Dpner, per una nuotata.
L’angolo era tranquillo, con scarse correnti, faceva caldo e Andres aveva fatto lo stesso con i suoi fratelli.
Si tolse giubba e camicia, Alessio lo imitò, si tuffò e rise, schizzandolo d’acqua.
“Sai nuotare?” si corresse “Sapete nuotare?”
“Un poco. Insegnami, a Cat dò sempre del tu, tu sei sempre con Cat .. devo dare del Tu pure a Te”
Passarono un pomeriggio tra scherzi e risate, Alessio rideva apprendendo i  vari stili, sbuffando quando Andres lo portava fuori, che aveva le mani raggrinzite per freddo e stanchezza, ma era come Andres..Come un bambino normale, quindi non protestava, con le mani squamate per lo stare troppo in acqua.
“ E questo medaglione?”
“Cosa..”
“Che c’è.. “Pigro.
“Una foto di Isabel” E il pendaglio conteneva tra le valve una ciocca di scuri e morbidi  capelli, quelli di Lei  erano stati dorati come un campo di grano della Castiglia.
“Dimmi di lei, se vuoi”
“L’ho sposata a 16 anni, ero solo un ragazzo, lei il mio primo amore, sai, era bellissima e la sua risata era dolce come musica. Era una amica di mia sorella Marianna, due ribelli, due indomabili, tranne che i pregi sorpassavano i difetti.”
Alessio tacque, intuiva il suo dolore.
“Era bella” la declinò al passato, che se Andres avesse avuto una moglie in Spagna non sarebbe stato lì, a perdere tempo con lui, anche se non dava affatto quell’impressione.  Mi vuole bene, lo so, ma non lo dice.
“Era una persona buona, ormai è tanto che è morta” Appunto.. Mi spiace, ma non glielo disse, gli sfiorò una spalla, per confortarlo.
Il passato, inesorabile, tornava, ma non poteva dirlo a quel bambino attento, a lui non sarebbe servito, per lui, Andres, era una tortura, i suoi occhi diventarono freddi come verde giada, due braci. E rievocò una delle poche persone a cui aveva detto, chissà che combinava, se stava bene.. e tanto a nulla serviva. ( Erzsi..)

Un preludio alla maternità, il mio, la fiducia era ritornata.
E la curiosità di Alessio andando a Mogilev, osservava le strade e le vetrine, girando la testa, lo sguardo che si rabbuiava scorgendo le fasce nere sulle maniche, i mutilati, annotava tutto.
 Esplodendo poi con me, disgraziata. Imbecille e cretina, lui era il mio tesoro e non gli badavo, lo davo per scontato.
“Sai, con Papa abbiamo visitato un altro ospedale e uno dei feriti si lamentava che sua moglie non aveva i soldi per raggiungerlo, che erano poveri, ora li ha. Ho chiesto che venissero dati, per il treno e un sussidio” già, si attivava sempre per  aiutare gli altri, agiva rapido, senza intermediazioni, bastava che lo sapesse.
“Bravo tesoro”Distratta, tesa. Omisi finanche una carezza, una  stretta di mano.
“Non mi ascolti, hai la testa da un’altra parte”Vero.. lasciamo perdere “Catherine, oggi mi sa che Olga è quasi svenuta al telefono, quando ti ho passato, ma perché le hai detto tutto a posto, ti voglio bene e me la hai ripassata subito? Sarai stata due secondi” e avevo affermato le cose più importanti, guai a me se ricadevo nel vizio di essere dispersa e dispersiva. E non ero in vena, neanche Olga, pur se assente mi scuoteva. Tranne che lei sapeva delle mie lente reazioni di bradipo, che quando ero in quella modalità era meglio lasciarmi perdere nel mio brodo, che aprivo bocca a caso, senza riflettere, Aleksej no, non aveva avuto l’onore metaforico.
“ E se ascoltava qualche altra persona?”Tipo la zarina, che aveva quell’abitudine, quando lo Zar era a Carskoe più di una persona giurava che si mettesse in ascolto, quando conferiva con generali o  ambasciatori, o sollevava l’altra cornetta, e a chi riferiva? Rasputin o chi per lui, pettegolezzi e maledizioni a carico di entrambi stavano toccando nuovi apici, cassai il pensiero, la chiamavano la tedesca, Nemka, bliad’, puttana, nella stessa frase, le avevo sentite, anche quella stessa mattina e ringraziato il Signore che non avesse compreso.
O no. Per quanto dietro ai miei casi, vedevo che era nervoso, petulante, parlava senza posa, saltando di palo in frasca, apriva e chiudeva i  libri, osservava la stanza dove “dormivo”(agli effetti pratici condividevo il letto con Andres, nella camera accanto,  era meglio che ignorasse). Era passato a trovarmi li per il pomeriggio e osservava quanto poco vi fosse, libri, materiale per scrivere, in un angolo la bacinella per lavarsi,un pettine e un asciugamano,  unica concessione alla frivolezza un vaso con delle giunchiglie di un cremoso color giallo.
“Sì .. però”E spostava i libri, saltellava sulla gamba, mi imposi di tacere, che se ne stesse fermo. Ed era troppo nervoso, idiota io a non badarci, quando era così petulante aveva qualche pensiero, indizi che stava valutando.
“E quindi?”
“Cosa..??” Spazientita.
“Non mi ascoltavi.” In effetti no, mi era entrato il mal di testa e l’irritazione
“Sei cattiva, io .. “
“Puoi ripetere per favore?”Arrabbiata. Irritata “ E basta, a agosto fai dodici anni, e ti comporti come un bambino  di tre, sei snervante, mi hai scocciato, togliti”Cattiveria peggiore non la potevo dire. “Via.. VAI VIA” Un tono duro, che ben di rado gli era stato riservato. “TOGLITI.. lo capisci o no” per rincarare la dose “Alessio, TOGLITI! Non ne posso più!”
“NO!! CATTIVA, Sei cattiva ”Tirò una gomitata e prese il vaso, vi fu una esplosione di cocci, acqua e fiori caduti.

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Capitolo 16
*** End ***


“ALESSIO!”Mi  precipitai accanto a lui, maledicendomi, una scheggia di porcellana mi penetrò  nel ginocchio,non badai al dolore fisico ma a lui,  era rimasto  immobile, sgomento e spaventato.  “ALESSIO, ALESSIO” isterica, senza controllo.
La tensione di prima era svaporata come rugiada.
“Ti sei ferito? Ti fa male qualcosa? Scusami, io..” Mi buttò le braccia al collo, lo presi in braccio, in automatico,  intanto lo tastavo per vedere se aveva ferite, se le articolazioni si erano gonfiate, non la finivo più, se gli veniva una crisi sarebbe stata solo colpa mia. Lo misi a sedere sul tavolo, gli sfioravo la schiena, le braccia,  il suo nome mormorato come una litania, come potevo essere stata così stupida, non piangevo per non aggiungere caos al dramma, cattiva, sei cattiva, diceva, colpendomi il petto e le spalle, me lo buttai addosso per riflesso, senza altre parole, in genere lo calmava, smise di agitarsi.
Erano passati pochi minuti, lunghi una vita.
A vederlo stare sempre bene, mi ero illusa che stesse bene.
Affondai il viso nei suoi capelli, mi preparai al peggio.
 
“Scusami, non volevo .. è che ..basta, non ho nulla. Guarda. GUARDAMI; ASCOLTAMI! È UN ORDINE” Si tolse la casacca, con un movimento secco, mettendo un braccio di traverso per farmi desistere dalle mie ansie, si era calmato, allo spavento era subentrata l’irritazione, non era più smarrito nella paura. “CATHERINE! Non trattarmi pure tu come un bambino piccolo, per favore, se mi sono fatto male lo so. Per favore, te lo chiedo per favore, non voglio andare via, non mi mandare via”
Nessun livido, nessun segno, osservai il gomito. Nessun gonfiore, ma poteva manifestarsi anche dopo ore O giorni“Andiamo fuori, per favore.” Si rivestì e  mi si buttò contro il petto, le gambe allacciate intorno ai miei fianchi, facendomi un sorriso  tirato mentre lo sollevavo, quanto poco pesava rispetto a un normale ragazzino della sua età”Scusami ” gli massaggiai la schiena, si rilassò un pochino.
“Scusami tu. Cosa vuoi fare?Ti ascolto” tardi, ma lo ascoltavo. Per favore, non trattarmi pure tu come un bambino piccolo .. Per favore..Quando realizzai sarei voluta sprofondare..Per favore, non mi mandare via, non voglio andare via. Fossi stata saggia sarei dovuta sparire da un pezzo, in  missione, gli avremmo detto che ero morta. Sarebbe stato meglio di ora, nel lungo periodo. 
“Una passeggiata, andiamo, è così bella la primavera, fammi scendere”
“Sì, però fammi ripulire, che è pieno di schegge, aspettami qui,”Mi mossi, rapida, radunando i cocci con una granata insieme ai petali, in un angolo, girata osservai che il sangue sul ginocchio si era già seccato, lo flettei e non mi dava fastidio, solo una piccola macchia rosso scuro.
“Asciuga l’acqua con uno straccio” dalla soglia, da cui non si muoveva, di un passo, saltellava sulle gambe, tenendosi il gomito incriminato con l’altra mano.
“Sì, ora andiamo”
“Non ho nulla, inutile che chiedi”Sbuffò. Idiota, imbecille, non ero altro, già aveva gonfiori spontanei e non lo avevo guardato, stupida folle che ero. Avevo dimenticato di come era prima di Spala, che bastava un urto alla caviglia o al polso per generare una crisi, semplicemente battendo una sedia, un tavolo che lo riducevano a letto, per giorni e settimane..E avevo litigato con lui come con Alexander, come se fosse stato un bambino normale. Senza emofilia. “ E tanto non me lo diresti, ora,  che ti ho fatto arrabbiare,  fammi vedere” lo osservai, poi lo presi per mano, me lo imposi, lui muto ed era diventato rosso. “E io farei uguale, zarevic, sempre”
”Cat, che vuole dire bliad?”contrattaccando
Aveva sentito. Accidenti a me e a lui. Si era trattenuto salvo poi fare tutti quei capricci, non sempre le sue domande avevano risposta, sei troppo piccolo e via così. Ed era viziato, va bene, e insieme era la rabbia, che lo faceva esplodere. E trattarlo sempre come un bimbo piccolo non aiutava, lo frustrava in maggior  misura.
“E’ una parolaccia, detta per offendere una donna, per significare che non ha onore o morale, veramente pesante”
“Ah.” Tirò una manciata di sassi, rabbioso, risentito. Perdonami tesoro mio, ma vuoi la verità, te la servo in  bocconi amari.
“Peggio che bastardo?”E tutte quella parolacce dove le aveva imparate. Effetti collaterali della vita al Quartiere Generale, i militari non erano educande e lui annotava tutto, sentiva tutto e chiedeva quando meno uno se lo aspettava, spesso senza avere risposta e la frustrazione lo faceva comportare male. Ed io ero la bastarda dello zar suo padre.
“Per alcuni sì” Tanto valeva affrontare l’argomento”Hai sentito Nemka bliad?”La puttana tedesca, ovvero la zarina Alessandra, la sua amata madre.  Io ero sia una bastarda che una puttana, realmente parlando, ero una figlia illegittima ed ero andata a letto con vari uomini senza essere sposata, e lei no, che ironia, riflettei con amaro sarcasmo, e intanto dovevo tamponare la situazione.
Nuova manciata di sassi, che interpretai come un assenso.
Omisi di toccarlo.
“Perché? Spiegamelo, che mica va bene” mi sedetti su un masso, le gambe flesse, le mani raccolte sulle ginocchia, quasi toccavano gli stivali alti,da cavallerizzo impolverati, i pantaloni da equitazione marroni, come a cercare una fuga o una risposta. Perdonami tesoro mio..e mi tieni ancora in conto, come se avessi le risposte. Bambino mio, perdonami, che ti ho fatto. E tanto sono lacrime di coccodrillo, non ho ascoltato e ho parlato a proposito. Volevi essere rassicurato e ti volevo mandare via.. che ho capito della vita.. Nulla. Saresti meglio nel lungo periodo se fossi morta o dispersa Aleksej, nel breve ti mancherei.. e ora stai male
. Scossi la testa. Dall’agosto 1915 fino alla Rivoluzione, in Russia vi sarebbero stati 26 nuovi ministri, un continuo carosello, la gente apriva i giornali e scommetteva sulle nuove nomine, qualche buontempone aveva detto che eravamo a Londra, a Piccadilly Circus, ogni sera un nuovo programma, il cuoco imperiale non mutava,  i ministri sì.
Impressione generale era che fosse la zarina a comandare, seguendo i consigli del duo Rasputin e Vyribova, portando tutto allo sfascio.
Corruzione, incompetenza, tutto allo sfascio e la colpa era del capro espiatorio, l’incompresa per eccellenza.
La Nemka, di teutonica nascita.
Che confusione. Molti non capivano perché continuasse il conflitto, con quelle immani, perdite e privazioni e lutti.
“La guerra ha portato tanto dolore e per alcuni è più facile dare la colpa a una persona sola, offendendola senza motivo, e non è una grande spiegazione.” Che Alix tutto era tranne che una spia del cugino imperatore, era la moglie dello zar, la madre del suo erede, non li avrebbe mai traditi.
“Non la conoscono e la giudicano” I pugni stretti, il viso arrossato, pieno di collera”Non è giusto” mi ricordava Olga fino allo sfinimento, tranne che io e lei di salute stavamo bene, un urto per noi non era dannoso, quante volte eravamo cadute, giocando .. Lui no, non poteva.
E non era giusto che fosse così malato, a volte le cose capitano e non si capisce chi abbia colpa di cosa e così via.
E non era giusto che il governo del Kaiser fomentasse i rivoluzionari che dopo la Rivoluzione del 1905 soffiavano sulle ceneri per rovesciare il trono dello Zar, come ben sapevo.
E la corruzione, che non vi fossero cibo e munizioni, e che un tedesco avesse sparato a mio marito Luois alla schiena, e che .. Preferivo non pensarci per non impazzire. Era ingiusto, aveva ragione e non se ne consolava.
“E’ mia madre. Avrei voluto farli fucilare tutti, ma .. non sono solo loro, vero?”
“Sì. “Soffiai quella sillaba affermativa, tanto valeva dirgli la verità, era troppo intelligente, troppo, arguto e dissacrante. Per un malato che ringraziava la zarina per il suo conforto, altri dieci la denigravano. E se non fosse stato lui, avrei mentito per consolarlo, lo avrei solo preso in giro. O forse no. La voglia di proteggerlo, trattandolo come un bimbo piccolo si scontrava con la sua acutezza. No, non sarebbe stato giusto.
“Prima, quando mi sono arrabbiato, tu stavi pensando a qualcosa della guerra, di personale, che ti fa stare male, parecchio male”Il suo intuito mi colpì come il metaforico sasso, annuii con la testa, poi sentii che mi metteva qualcosa tra le mani.
“Grazie.”Dei fiori, un piccolo mazzo.
“Torniamo alla Stavka” Camminammo in silenzio, per un tratto, poi mi prese per mano, aprì le labbra come per richiedermi qualcosa e tacque, intanto gli accarezzavo il palmo, una lieve farfalla danzava dinanzi a noi. Non va, Catherine, tienilo lontano, ti ama e cosa ne ricava? Solo dolore.. E tanto.. Lui combatte la malattia, tu i demoni, se lo allontani sarà un sollievo momentaneo, nel lungo periodo un dolore, per entrambi, l’adulta nominale sei tu, decidi per il meglio, o il  meno peggio, guarda  avanti. E ricordati che è un bambino, non la malattia, anzi la malattia lo ha reso maturo, mica è un idiota od un imbecille come dicono, anzi.
Respirai a fondo. Sente bene e capisce meglio ancora..
“Che hai?” gli avevo lasciato la mano, si girò a guardarmi, la testa sopra la spalla, come facevo io. Un gesto appreso o innato?alle volte, osservandolo, vedevo i miei gesti, il modo di scrollare le spalle, quando non sapevo o volevo rispondere, un angolo sollevato delle labbra quando pensavo a cose mie, belle, intrecciare le mani sul petto quando meditavo.. O viceversa.
“Nulla di particolare, Zarevic”
“Eccoci..”rabbioso,  mi riprese le dita e marciò verso casa, lo affermò, netto, dicendo “Taci, non hai capito nulla.  Di come deve essere“ Poi “Sono stanco, prendimi in braccio”Lo sollevai contro la spalla, mi toccò la guancia, me lo allacciai contro il busto, lo sterno premuto contro il mio,  serrò le caviglie dietro la mia schiena,  nel pugno i fiori che mi aveva raccolto,rilevai che i marinai gli avevano messo il pannolino fin dalla mattina, tastando il rigonfio sui fianchi, una misura pratica per non impazzire, se scivolava o  batteva da qualche parte era un caos, quindi meglio prevenire, tralasciando che lui lo aborriva. La sua malattia era una fonte infinita di complicazioni, poteva bastare un nulla per mandarlo a morte, anche un urto. E io che facevo? Lo trattavo male, senza difetto o aggiunta., gli massaggiai la schiena, annegavo nel senso di colpa
Se fosse possibile, vorrei scambiare, che mi venga un accidente al posto tuo. E so che non sei stanco, lo fai per farti stringere senza essere brontolato, cammino piano per far durare il momento. Non lo deludere.. come no..  Mi viene in mente una foto, sono seduta nella mauve room di tua madre, su una poltrona da cui si vedono i giardini, the photo’s corner, ho quasi dieci anni, tu quattro mesi, sei avvolto in una copertina candida, la testolina contro la mia spalla, ti avvolgo tra le braccia, scattano una foto e ti metti a piangere, che dormivi, mi sono tirata in piedi e ho camminato con te per la stanza, cercando di calmarti, eri buffo e morbido, mi avvolgevi il dito con il pugnetto, ora fai lo stesso gesto, quando ti sposto..Oddio, Aleksej.. Perché? Perché? Ti ostini a volermi, mi vuoi bene e ne ricavi solo una tesa esasperazione e dolore..Sfiori il filo d’oro della collana con la perla, la porto dal Natale del 1905, un simbolo, una gioia. Deglutisco e cerco di non piangere. A cosa ti serve che ti voglia bene se ti reco solo dolore?nulla..
Rientrando, trovai che cocci e petali erano spariti e Andres.
“Ciao a tutti e due, Zarevic, Catherine”
“Ciao” Nessuna domanda, rilevava certo che non era aria, Alessio che non parlava, lo avevo fatto scendere ed ero preoccupata che temevo ancora una crisi e di certo il vaso non si era rotto da solo.
La luce del tardo pomeriggio fluiva nella stanza, batteva sul tavolo mentre mettevo i fiori in un bicchiere, dando riflessi scintillanti ai miei capelli, percepivo gli occhi di Andres sulle mani, il viso.
Catalina, Estaré listo mañana, como lo has ordenado.”  Sarà tutto pronto per domani, come da te richiesto, tradussi tra me dallo spagnolo, quando non volevamo farci capire usavamo quella lingua.
Poi mi chiese se volevo del caffè, ve ne era appena fatto, sorpreso che Alessio non chiedesse di averne  o nessuna domanda, come quella di tradurre le parole di cui sopra, era un cattivo segno. Tra le buone qualità che Andres possedeva, la discrezione non era certo la minore, un’altra persona sarebbe saltata a chiedere che avevamo, innervosendo ulteriomente me e il bambino. Che poi avessi un certo pensiero era normale.
“Io torno da R-R, questa sera ne avremo fino a tardi. “
“.. c’è anche mio padre,?”Si incuneò nella conversazione, interrompeci, non lo brontolai perchè mi sentivo in colpa, ci annegavo come il duca di Clarence nella malvasia,  e si incupì ancora di più.
“Sì, Alessio e..” e mi venne in braccio, dimmi quando sei diventato grande Alessio, che passaggi ho perso.. Che vedevi oltre le trovate bislacche dei cosidetti adulti e ci perdonavi, dimmelo. Che ti ho fatto, bambino mio..
“Sono passato appunto per questo, per dire che se..”
“Sì. Mi ha preceduto. Bravo il mio Papa” Lo zar si fidava al punto che, ove avessi voluto, lo zarevic poteva anche dormire lì, era un pezzo che lo chiedeva, avevamo addirittura dei ricambi. “Mi mandi via tu, Catherine..? Dimmelo, che mi tolgo subito” per farmela riscontare, subito e di corsa.
“NO..”
Dire che mi sentii un verme è retorico, inutile. Incurvai le spalle, come se fosse passato uno spiffero di freddo, una sconfitta. Le frustate del principe Raulov mi avevano dato meno dolore.  Uno strazio senza pari.

( E ora parlerà e dirà che mi sono comportato male e.. finirà tutto. Si è anche fatta male, ha una macchia rosso scuro sul ginocchio, non ho detto nulla e me ne sono accorto lo stesso,  i grandi non tirano gomitate ai vasi, se mi viene un accidente la colpa la daranno a lei e non a me, anche se non è colpa sua. E non avrà più fiducia in me, anzi non la ha più, e le sono scattati i nervi come con suo fratello, come se fossi un bambino normale, come quando le mie sorelle litigano tra loro. Con me no, non scattano mai, che temono le mie bizze e che tiri un calcio o altro e che mi venga una crisi,non ha  più fiducia.. E ABBIAMO LITIGATO COME SE FOSSI NORMALE. E ora si sente in colpa .. Mi chiamano l’imperatore dei viziati .. con ragione).
Feci un cenno di assenso
“Cat.. Ehi”
“Aspetta Alessio, ti scaldo le mani, magari vuoi un poca d’acqua? “annuì, mangiò qualcosa di malavoglia, si fece lavare e spogliare senza commenti, in genere si divertiva a farmi il solletico, a parlare, vivace e spumeggiante, invece era tetro e meditabondo, il cuore mi sanguinava.
Perché non ti fai amare e basta, Cat, sarebbe più semplice per tutti.. Ti adora, disgraziata, sono davvero una disgraziata.. e tanto ti ha allacciato le braccia al collo, gli hai messo una mano sul viso come al solito ..ti tira un calcio sulle gambe, gli metti i piedi tra i tuoi polpacci.Come al solito...basta, ora dormi.. “Ci sei?” poche e strazianti sillabe “Sì.. se mi alzo è per tua comodità..ora ti do un bacio, prova a dormire Zarevic Notte” 
Quella sera fecero veramente tardi, non era una scusa di Andres per evitarmi, e io feci ancora più tardi a riflettere, sia prima che dopo.
Rimasi di veglia accanto, su una dura sedia, attenta a ogni respiro, pregando che non gli venisse una crisi. E mi ero alzata che doveva stare comodo
La presunta adulta ero io, lui solo un bambino che mi dava lezioni.
Ne avevo di che imparare su cosa fosse davvero importante.
Potevo apprendere tante cose dai libri e rimanevo una immensa stupida per altre, lo sapevi bene Olga.
“Andres, buona notte”
“Buonanotte a te. Dorme?”
“Sì. Stasera sto con lui,la notte si sveglia spesso per gli incubi. Alla lunga stare alla Stavka lo innervosisce troppo.. e non vorrei che si spaventasse in un ambiente estraneo. E non è un moccioso viziato, è un mio pensiero,  figuriamoci,, Oggi per sbaglio è caduto il vaso, colpa mia” Annuì. “Senti, io non vado, non per quello e non domani”
“Potrebbe essere l’unica e l’ultima  occasione che avrai per vendicarti, hanno individuato quel tedesco che ha ucciso Luois. “Lo sapevo e insieme avevo appreso cosa davvero contasse.
“Forse sì o forse no.”Una piccola pausa infinitesimale. “Notte, amore, a domani”
“ A domani, amore mio”Avevamo  parlato pianissimo, in spagnolo, poi mi sollevai a baciarlo sulle labbra, un congedo tenero.
Mio zio stava ben zitto, aveva il fondato sospetto Andres e io condividessimo il letto, oltre agli ingaggi, ma la situazione era talmente peculiare che non fiatava, lo Zar evitava di porsi la questione, credo, pure aveva avuto vent’anni e il sangue ardente anche lui, ero così fuori dalle regole da crearmene io di proprie. Ma sapeva, una certezza che mai nulla avrebbe scalfito, che amavo Alessio e  che lo avrei sempre protetto, come mio fratello Alexander. Non potevamo essere una famiglia normale, quindi ci si arrangiava come poteva. Fine. E lo amavo a modo mio, egoista e contorto, un misero ricavo per lui. Me ne devo andare..
“Cat. Dove eri?”quando rientrai, nemmeno fossi stata indovina.
“Qui fuori, mi potevi chiamare” Avevo  lasciato accesa una piccola lampada, in un angolo, per non inciampare al buio. “Come stai? “
“Benino” Una pausa e sussurrò“Riposati, stai scomoda. Anzi”La voce sottile”Se non sei troppo arrabbiata, mettiti sdraiata accanto a me, sopra le coperte, almeno ti abbraccio”
 “Va bene. Sono preoccupata, non arrabbiata,  o almeno non troppo. Quante volte ti sei svegliato?”
“Tre con questa, ma sto bene.. Solo i pensieri. Per mamma. Non è giusto..”
“Uno può anche cambiare idea. Notte, tesoro, davvero, siamo stanchi tutti e due” Per favore, non trattarmi anche te da bambino piccolo..Per favore,,Le sue parole mi risuonarono in testa come un gong, una perduta eco.. Non voglio andare via, non mi mandare via Perché? Perché?
“Dici come Olga. O Tata. A volte dormo con loro. E sei buffa come loro”
Esta bien, mi valente guerrero”..”Va bene, mio coraggioso guerriero”
“Cat, non parlare in spagnolo, non lo capisco”
“Ho detto, va bene, notte” Ci eravamo rilassati, la guardia abbassata, guai se gli davo corda, avrebbe passato la notte in bianco. Almeno ti abbraccio..lui. Io lo strinsi, sa Dio quanto avrei voluto tenerlo lì con me, per sempre. Annotai  un movimento leggero sul viso e il collo, come se volessi imprimere i lineamenti di una traditrice, una spergiura nelle falangi. “Basta, è tardi, dormiamo”
“Si’…Anzi no”
“”SSt “ Contro il petto, non mi mandare via, non voglio andare via..
“Riposati, Alessio  ” per quanto riesca possibile. Lo raccolsi tra le braccia, cauta, sfiorando  i rilievi delle giunture e articolazioni. Perdonami, vedo la malattia e non la persona. È più forte di me.
“Non lo dici”irritato
“ Cosa..”
“ Lo sai.. Allora sei una bugiarda. E sei cattiva, prima non eri così. Ti riusciva a essere dolce, non spesso, ma abbastanza”
“Notte, amore, è stata una giornataccia..Davvero, scusami, che devo dire”
Solo che gli volevo bene e avevo omesso, ero troppo stravolta.
“Lascia stare..” arrabbiato, poi lasciò perdere e chiuse le palpebre, mi si incuneò addosso, rabbioso, possessivo “Notte Zarevic”.
“Ti voglio bene, e guai a te se piangi, ti controllo cosa credi” Deglutii a secco, puro piombo e fiele. Mi poggiò la guancia sul seno, nel silenzio il solo rumore era il suono del respiro.

Mi viene in mente una foto, sono seduta nella mauve room di tua madre, su una poltrona da cui si vedono i giardini, the photo’s corner, ho quasi dieci anni, tu quattro mesi, sei avvolto in una copertina candida, la testolina contro la mia spalla, ti avvolgo tra le braccia, scattano una foto e ti metti a piangere, che dormivi, mi sono tirata in piedi e ho camminato con te per la stanza, cercando di calmarti, eri buffo e morbido, mi avvolgevi il dito con il pugnetto, ora fai lo stesso gesto..Oddio, Aleksej..Salve atque vale, ciao e addio.. davvero, chiudiamola qui. E tuttavia questo glielo devi, e poi chiudi.  E mi sfiori la fronte e le guance, dando un piccolo bacio sulle labbra, come per le tue sorelle,e loro non lo avrebbero fatto succedere questo casino, nemmeno Anastasia che deve compiere 15 anni. E te lo lascio fare, che in genere non voglio. Va bene, bisogna chiuderla.  
“Io..”
“Sì o no, se non vuoi non ti obbligo”
“Ti fidi?”Diffidente e cauto. La voglia di darmi fiducia si scontrava con il casino che avevamo combinato il giorno prima, ognuno aveva la sua colpa e responsabilità.
“Sì. Sempre e non sbaglio”
“Stamattina pensavo che.. Mi hai salutato appena, mi hai mandato via” Lo avevo svegliato, a dire il vero,  lavato e rivestito,lui non aveva fatto  bizze, a suo merito, mentre io ero già con il metaforico piede fuori dalla porta, impaziente, gli avevo dato appena un bacio, un ben misero congedo rispetto al suo viso imbronciato, districandomi dalla sua stretta, basta zarevic, non sono la tua balia.. E lo avevo ferito, anche non volendo, per l’ennesima volta. Una campionessa, io, nel combinare disastri, nei confronti di lui, adorato da tutti, centro esatto della sua famiglia, futuro signore di un sesto del mondo, tale era l’estensione delle Russie,  e veniva trattato male da una persona che adorava. Inutile averlo avvisato, che ero una pasticciona, una squinternata, ormai si era incaponito.
 
 E se avessi dato retta all’impulso lo avrei tenuto in braccio, senza fallo, trattandolo come un infante, sussurrando bugie consolatorie, per tutto il tempo. Nel breve termine avrebbe gradito, forse, nel lungo no, che era malato, non idiota o altro. Una piccola tregua per il nostro litigio. E sapeva che lo adoravo e che spesso omettevo le parole.
“Ero di furia ma dovevo fare una corsa importante, non ti volevo mandare via”
“ E quando vai? Che tanto, alla fine sparisci sempre, lo hai come vizio”come fosse una ovvia constatazione.
“ Non oggi e non subito, comunque presto” Mi misi le mani in tasca, avevo le nocche gonfie ed escoriate.
“Pareva una cosa importante, che dovevi andare via stamani” Avevo scelto Lui, per una volta avevo anteposto il mio egoismo e la vendetta a chi contava di più, anche se non era molto.
“Sì, lo è, ma ne avevo una altra da fare”
“Cioè? Se puoi dirmelo”Curioso come sempre, solo un velo di diffidenza che si alzava.
“Quei soldati che ieri insultavano la Zarina sono sotto processo. Sono ripassata, da me, e ho fatto la segnalazione. Erano sempre alla stessa osteria, a bere fuori all’aperto dalle dieci di mattina, brutta abitudine ma efficace per prenderli.. Segnalazione alle competenti autorità, chiariamo, che io non sono certo un giudice, nessuno deve essere offeso senza motivo, senza essere conosciuto” E tanto era una goccia nel mare, per entrambi.
Non finii di dire, lo avevo lasciato senza parole.
“ E .. posso?Ti fidi ancora?” Come se fosse importante e lo era. Sicuro.
“Certo. E scusami ancora “Mi posò un polpastrello contro le labbra, segno che dovevo tacere, il primo cenno che potevo avvicinarmi, non lo avrei toccato, se non lo avesse voluto, dovevo ricordarmi che era una persona, non l’emofilia.
“Il ginocchio ti fa male?” Scossi la testa. “Ieri ti è entrata una scheggia”
“E’ a posto, il sangue ha coagulato presto” per me era una banalità, per lui poteva essere un dramma. “ Te ne sei accorto, vedo”
“Mica sono scemo, che credi.” incollerito,serrando i pugni, quindi vide la mia faccia desolata e si calmò. Come facevo sbagliavo.
“Era un graffio, ero preoccupata per te” Roteò gli occhi, si stava di nuovo irritando. Avevo omesso l’arrabbiatura che mi era presa, che, con l’attuale e tardivo senno, era stata proprio da idioti.
“Vedi, sei come tutti, alla fine. Mi trattate come un bambino piccolo. So che devo stare attento,o provarci, non ho tre anni”Era malato, non stupido. Me lo ripetei e dava dolore. Fece una pausa, rilevai che mi aveva rintuzzato punto per punto sulla mia uscita del giorno avanti, che era snervante e che si comportava come se avesse tre anni” Grazie Cat, comunque,  per un po’ lasciamo perdere, sei d’accordo, se mi innervosisco è peggio”
Annuii, senza toccarlo, lo avrebbe preso come un insulto o che lo commiseravo, dolcezza e comprensione, occorrevano, non che fosse oggetto di pietà”Mamma viene a trovare Papa alla Stavka, c’è anche Olga, credo, lei è la tua prediletta, insieme potete fare tutte le cose, passeggiare, andare a cavallo e leggere e ridere, vuoi bene solo a lei e hai ragione. Ciao”  si era avviato alla porta e la richiuse piano.
E molti mesi dopo, quando mio fratello Sasha combinò un guaio incredibile, mi accusò di volere bene solo allo zarevic.
 “A presto” un affilato sussurro.
E tirai una manata al tavolino, per l’impotenza, la frustrazione, incurante del dolore alle nocche.
Alle  volte ero peggio io di un bambino.  E insultavo lui, complimenti. E avessi affermato che lo adoravo non mi avrebbe creduto, con ogni ragione e diritto.
Era meglio chiuderla lì, prima che accadesse qualcosa di irreversibile.
Il mio “a presto”  significava mai più.

.. e avevo cambiato idea, Cat, ma eri sparita.. Sono tornato dopo 8 minuti, già non c’eri. Rimaneva solo il profumo di lavanda e arancia amara, nell’aria, il tuo,   e poi “Zarevic..” ti eri messa la giacca da equitazione, che andavi a cavallo per smaltire la frustrazione, conoscendoti, ballavi sui piedi, impaziente “Io..” “Ti serve qualcosa?”E mi guardavi, come ne capissi tanto più di me, ti volevo e insieme era meglio se mi tenevo a distanza, mi esasperavi, mi volevi bene e, tanto, rimanevi imprevedibile. Scossi la testa, incerto “ Una pausa, va bene..come stanotte. “ e mi ricordavo tutte le volte che mi avevi fatto ridere, tenuto in braccio, distratto quando stavo male, ed eri troppo dura,come se qualcosa ti rodesse, non ti lasciavi amare“Non cambia la questione.. però..” “Lo so..”tranne che ero tornato indietro io, mica mi avevi chiamato tu..”Non è molto logico..” “Benvenuto nel mondo dei grandi, Zarevic” “Non mi prendere in giro..” “Sono seria, purtroppo..” “E troppo magra”passandoti un braccio sulla vita, ti premetti il viso contro il fianco “Mi puoi toccare, lo sai” le dita sulle spalle, togliendo un invisibile filo di polvere.Poi “Non voglio crescere, se deve essere così..”arrabbiato, valeva la pena di diventare grande se facevi soffrire chi ti voleva bene. Olga aveva pianto a serate e notti intere, dopo che ti eri sposata, dopo che eri andata via, e dopo che eri tornata, salvo negare l’evidenza, che era colpa tua. E vi adoravate “Sei cresciuto, stai crescendo ..”un tocco esitante sui capelli..avevi paura che mi arrabbiassi? “Non voglio..”mi carezzavi le scapole, ancora le ali non mi erano spuntate “Come Peter Pan. Ti è sempre piaciuto.” “Ah..  ma la polverina magica ci manca, avevi ragione, su quello” Un cenno di assenso “ Ora devo andare..davvero” se avevi messo nella disperazione la tua migliore amica, mia sorella, a me che avresti riservato..??Ignorando che eri disperata, isterica per altri e tuoi motivi“Va bene, Zarevic” scostandoti, delicata. “A presto, Catherine.” “Aleksej..a presto” In un tono strano, come di addio, di congedo definitivo, no mi sbagliavo. E questa non la vuoi ricordare tranne che mi richiamasti subito a gran voce “Alexei!!!”Scattai e mi ricopristi di baci “Scusami.. stai bene .. lo so, ti posso accompagnare  dallo zar tuo padre, fallo per me.. “ o era per me, mi mancavi dopo poco, ormai mi ero abituato, a averti intorno, sempre “E ti lascio in pace, non ti disturberò oltre” e mi stringevi e ricoprivi di baci, le dita tra le mie scapole, impaziente, scusa, dicevi, tutto a posto. “Cat” “Scusami..”  “Dobbiamo prendere le misure, io sono passato da.. essere monitorato a vista ad arrangiarmi…”eri una principessa guerriera, Cat, io un impiastro che faceva i capricci, mi volevi bene ma non volevo, non in quel modo “Pensiamoci sopra, vuoi, Cat?” Annuisti, rapida, poi mi accompagnasti, altri cinque minuti ed era per stare un poco insieme, che mi ritenevi in grado di andare da una parte all’altra senza che ne combinassi troppe. 
.. Non va, così è uno strazio. Era meglio chiuderla lì, prima che accadesse qualcosa di irreversibile.  Il mio “a presto”  significava mai più.
La fine delle nostre imprese.
Siamo amici, no, Cat? Ti fidi di me..era un solo, unico immenso sbaglio.

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Capitolo 17
*** The Return ***


Era stata pirite, l’oro degli stolti? Una mera vanità.
Mi ero fidata davvero e sul serio di Alessio oppure era stato solo un lungo inganno? E viceversa, lui mi voleva bene, anche se ero letale, egoista, sventata. Ero sparita dietro ai miei casi, dopo la lite, sua madre e le sue sorelle erano venute al Quartiere Generale, a trovare lui e lo zar, io mi ero eclissata. E tanto mi aspettava, io aspettavo lui.
 
Da un report di Cassiopeia 130  a sua Eccellenza il Principe Rostov-Rulov..”.abbiamo  fatto cantare un bolscevico in esilio, tale LP, di come la Germania voleva minare il potere offrendo aiuti e finanziamenti capillari ai bolscevichi, una rete capillare e clandestina, dopo il 1905 non si sono arresi.(..)comunque anonimi donatori  tedeschi hanno finanziato gli ospedali russi, LP, un idiota perso nel suo piacere, arrestato alla frontiera, così  confermando la fiducia accordata. Non sarà né l’ultimo né il primo (..) Va bene che Marx aveva origini ebraiche, ma non tutti gli ebrei sono bolscevichi, scusate il gioco di parole (..) Vi possono essere tranne che la religione ebraica nulla vi incastra, sono ATEI, alcuni sono di provenienza tedesca e francese e via così ”
E  varie altre, così fitte che Olga manco le ricordava. (non voleva, chiariamo), tranne che di uno scontro in vicolo, una rissa, che aveva dovuto uccidere per salvarsi, leggeva tra le righe, aveva indovinato chi fosse Cassiopeia 130 e perché suo padre tenesse quei dispacci sulla scrivania, copia di altre copie, nessuno avrebbe saputo dire quale fosse l’identità di quella spia, nessun nesso con una certa principessa, erano stati abili. E Olga sapeva che lo Zar non lo avrebbe detto a sua madre, sarebbe stata capacissima di dirlo a Rasputin, perché lui era un uomo di Dio, che ubriaco sparlava a destra e manca. E probabilmente Alessandra non ci avrebbe creduto, la avrebbe ritenuta troppo improbabile, anche per Catherine. Le donne nella Ocharana era una ristretta minoranza, lei era l’elite dell’elite. Purtroppo, che le cose erano andate troppo avanti e non poteva ritornare, tanto dipendeva da lei, un pezzo sullo scacchiere per molti altri..
Marzo 1916“ ..Eccellenza Serenissima, perdonate il crudo linguaggio che segue, tranne che ognuno si sarebbe sentito male a vedere quel che segue Il disertore P. era il capo di un gruppo di disertori che mettevano a ferro e fuoco un certo settore del fronte orientale, scappando a nascondersi nelle retrovie tedesche dopo un saccheggio. (..) Ci siamo avvicinati sui nostri cavalli, quando l’odore ci ha travolti (..)Il villaggio non l’ha seguito nelle sue scorribande, hanno impiccato i monaci alle corde delle campane,capovolto il crocifisso, chiuso i sopravissuti nelle case, dando poi fuoco, dopo il saccheggio e lo stupro sono arsi vivi, l’odore era quello di un rogo.  Buttando poi il sale nei campi, affinchè non cresca poi l’erba per decenni. Già  che c’erano hanno stuprato ANCHE  una donna incinta e poi le hanno squarciato il ventre, è spirata tra le mie braccia (..)Due vedette sono state mandate in avanscoperta, tranne che è stata presa una decisione unanime, ovvero seppellire i morti, non rientrava tra gli ordini, ma era dovuto, Eccellenza, come atto di misericordia, noi siamo soldati dello ZAR, non mercenari, poi è giunta la soffiata decisiva”
“.. Vi è stata una imboscata, inopinata, io e F. ci siamo frammentati e dispersi. Lui ha dovuto uccidere uno dei disertori, lottando corpo a corpo, si è slogato la caviglia, salvo poi resistere e coprirmi, che se P. fuggiva eravamo punto e a capo. (..) Lo ho preso, mi scoccia riferire come lottando abbia rimediato una ferita sull’avambraccio destro, uno spostamento minimo  avrebbe comportato la recisione dell’arteria radiale di chi scrive, con probabile decesso, che non vi erano medici nei dintorni.. Attualmente non sento da sinistra per le pallottole che mi sono esplose vicine al cranio, perdonate l’ironia se ho evitato l’incontro”
Maggio 1916, “Eccellenza  Serenissima, vi scriviamo per segnalare come alcuni soldati fuori da una osteria alle 10 di mattina insultavano pesantemente la ZARINA, dandole della Nemka Bliad in quel di Mogilev. Abbiamo provveduto a segnalare a chi di competenza  (..) Ci spiace rilevare come il nome della Zarina sia accostato a quello di Rasputin, che, senza esagerare è certo un dissoluto, un libertino e un fornicatore, i suoi scandali sono ben noti, nessuno capisce la sua vicinanza alla Famiglia Imperiale e questo reca grave nocumento..” 
“Segue annotazione, scusate la scrittura dobbiamo aggiungere come abbiano detto che lo Zarevic era deforme, epilettico e ritardato, le solite voci, ripetute al momento dell’arresto dei sobillatori, che circolano da anni, (..) Ho le nocche gonfie, che li ho picchiati, quindi scriviamo veramente male e tutto possiamo dire dello Zarevic ma non quanto sopra (,,) Perdonate l’eccesso ma converrete che chi insulta lo Zarevic insulta il trono stesso, lussi non concessi nella attuale situazione e nemmeno prima”
Da un annotazione di tale S. S:, che lo Zar aveva sottolineato “ C. è eccezionale, come già rilevato in altre sedi, pure a questo giro non ha conosciuto requie. C. e F. si sono trovati nel mezzo. (..) F. ha lottato corpo a corpo, coprendo C. che avanzava, non si sa come abbia schivato le pallottole (..) Era oltre i limiti, persone così fanno la differenza. Il suo coraggio ha dell’inenarrabile, non si lamenta di nulla, anche se abbiamo passato giornate a cavallo, mangiando ben poco, senza comodità od altro, è il primo elemento a ridere e scherzare, cercando di tenere allegri”
E tutti gli ulteriori rapporti concordavano, Cassiopeia 130 diceva sempre e solo la verità non esagerava i suoi meriti, semmai li ironizzava,  nessuno lo definiva maschio o femmina, era Cassiopeia dalle cento battaglie, il lupo, la tempesta. Eccezionale, che spesso dava sui nervi. Era lei, che emergeva. E qui non entravano le ascendenze, il coraggio di nascita, era lei, che si era guadagnata sul campo i gradi della sua libertà, banale ma vero, il dragone delle sue storie, amata e lontana, la sua principessa. Simpatica come un pugno nei denti, insostituibile, piena di grazia e antiche paure, che non mollava mai.
Intrepida. Coraggiosa. Melodrammatica. Innamorata, ironica e egocentrica, stupida combina guai, mia principessa militante. Amavi Ulisse e ora sei Achille, terrore dei nemici.  
“Altezza Imperiale,che c’è?”  scesi ansimando da Castore, su quel baio si filava come il vento, altro che storie. Lo legai, quindi tornai da lui, lo zar lo aveva portato nel campo spianato dove mi allenavo, una misura dovuta, di stare sempre in esercizio, montavo a uomo, ore prima mi ero allenata con le armi dopo una certa spedizione infruttuosa, l’incoerenza si aggiungeva e sommava ai miei tanti difetti. O no, non potevo essere sempre una vigliacca, che scappava sempre e compariva a rate. Altro che regina delle amazzoni.. Zarevic, eri un illuso.
Convinta di non avere spettatori, avevo battuto  i talloni nel ventre del cavallo, avevo fatto rampare sulle zampe posteriori, una magia, avanti e indietro, la schiena contro quella di Castore per filare più veloce, andando avanti fino allo sfinimento, annotando alla fine la presenza dello zar. A volte si spingeva fino a lì nelle sue passeggiate, mi osservava, i suoi occhi sulla schiena erano una cauta benedizione e superavo margini e limiti, andando oltre ogni stanchezza, solo scesa avevo osservato Alessio. Quei numeri quando era nei dintorni li avevo sempre evitati, per non rendergli ancora più grama la frustrazione di non poter cavalcare, come avrebbe desiderato e come meritava.
Teneva la testa leggermente inclinata, e con la visiera calata non ne vedevo gli occhi.
Mi piegai su ginocchio, incerta, a distanza di sicurezza, non lo avrei toccato se non avesse voluto. Ero coperta di polvere e sudore da capo a piedi, le guance  arrossate, intorno alla vita il foulard di Olga,  a furia di portarmelo dietro chissà come lo avrei ridotto. E Nicola II intanto si allontanava e suo figlio mi fissava imperscrutabile, ora, lo smalto azzurro e trasparente delle iridi non rivelava i suoi pensieri”.. Io da fare, ci pensi tu Catherine? Se Alessio vuole può dormire da te”
“Bravissima, cavalchi il vento”
O era un saggio o un superficiale, non sapevo decidermi, lo zar, dico. “Altezza Imperiale” mi inchinai da capo, anche se lo metteva in imbarazzo, in genere, va bene lo zar, era dovuto, in generale, lui era modesto in quell’ambito.
“Stamattina dov’eri?” secco. Senza preamboli. “Sono venuto nella tua stanza e.. Pensavo che fossi sparita, senza un saluto, quella mattina che hai dormito con me e Olga, mi potevi svegliare, me lo avevi detto e tanto..“ con un tono amaro, da adulto che ben poche volte gli avevo sentito usare e fu come se avesse tirato un pugno nelle costole, rimasi senza fiato.
“Mi volevi?.. Stamattina, ero venuta a ..” Mi ricomposi e glielo dissi.
E  si mise a ridere, sollevato. “Davvero?e mi cercavi, io da una parte e te da un’altra” lo avevo pensato, di sparire, da brava vigliacca. Non se lo meritava, lo avrei solo preso in giro e trattato da idiota, nemmeno io lo meritavo.
“Lo so che sei grande, sei cresciuto.. ma forse avevi cambiato idea, che ancora non sei del tutto adulto, non ti offendere, però, ti ho visto che eri solo un bambino e spesso non rifletto su come sei cresciuto, cioè quanto sei cresciuto, scusami per il limite. E ti vizio e ti ho viziato tanto, devo smettere” Arrossì e non rispose, mi prese una mano e strinse le dita, ritraendosi subito dopo. “Per le misure hai ragione, magari proviamo a prenderle insieme, vuoi? Forse sarà più facile, per entrambi, me sopratutto” annuì con un piccolo sorriso.
Avevo una voglia di abbracciarlo da portare via e non era il momento. Hai una possibilità, non la buttare ai porci..
”Hai fiducia?”Mi scostai i capelli impiastrati di sudore dalla nuca, corti a qualcosa servivano
“Sì. Pure tu, credo”Incerto su dove volessi parare “Che dovrei fare?”
“Salire su Castore. Alessio, vuoi? Nessun obbligo, ci riproviamo” Impulsiva e scriteriata, se doveva succedere qualcosa che fosse per quanto  desiderava fino allo spasimo, aveva fatto diventare scemi sia me che Andres a chiedere di cavalcare di nuovo, non era stato accontentato, il mio principe lo aveva portato a nuotare. In quel mese di maggio, era alto, magro e snello, abbronzato e in forma, non pareva emofiliaco, affatto, semmai il ritratto della salute, più grande dei suoi quasi 12 anni. Chiedeva a me e lui, sapendo che alla lunga lo avremmo accontentato o inventato qualcosa per non farlo sentire inferiore. Potevo dirgli fino allo sfinimento che era straordinario, il mio campione, alla lunga lo avrebbe preso come irrisione, si parametrava ai ragazzi “normali”, in salute, che si sbucciavano i gomiti e le ginocchia salendo sugli alberi e via così, a Sasha, il figlio di Ella, mio fratello  a tutti e non capiva che gli volevo bene perché era lui, che non lo compativo perché era  malato. Mi dava sui nervi, mi faceva ridere e piangere, e non era la malattia, era lui, che avevo imparato a vedere il ragazzino, o ci provavo.  O almeno credo, che certe mie trovate impulsive e scriteriate non me le spiego altrimenti. “SIIII” lo disse tre volte, incredulo, entusiasta, gli sibilai di tenere basso il volume, gli stavo concedendo qualcosa a cui aspirava da sempre, a stento si trattenne dal fare salti o capriole, fermo per tema che cambiassi parere.
“Usa le mie mani per salire” Intanto sistemavo le gambe, delicata, accorciando le staffe per la sua misura, accarezzando Castore che brucava, dopo la fatica si riposava, lo zarevic era salito dopo avere usato i miei palmi. “Infila.” Deglutii e lo osservai, sorridendo, non aveva davvero nessuna paura. Ed ero abile, ormai, dopo tanti anni, alla peggio lo avrei sceso, evitando di immaginare cadute apocalittiche e altre morbose fantasie. Ma lui non aveva timore, già sulla groppa del baio si sentiva in cima al mondo.  Tralasciando che su un pony od un mulo era salito, sapeva di non dovere essere brusco, avventato.
“Oddio, è altissimo. Io non scendo. Andiamo al passo? E non ho paura, non chiedere.” Ti fidi era sottointeso, ci capivamo. Vediamo se causo volontariamente una sciagura senza ritorno, solo per farmi perdonare, almeno un poco.. Signore,  io e Te siamo andati ben poco d’accordo, sono ipocrita a rivolgermi a Te, solo è per Lui, fai che vada bene, che non gli succeda nulla.. 
“Stai fermo, immobile, non muovere i piedi, le mani sul pomello della sella, respira e non fare altro fino a quando non te lo dico. Per il resto immobile”Ordinai, secca, un tono a cui non aveva mai replicato o dissentito, mentre usavo un masso come mio montatoio, le redini in una mano e risalii. La fiducia di tanti anni ritornava.  Ridacchiò quindi enunciò “Cat..” incerto si appoggiò sul mio petto,usuale fonte di protezione, scossi la testa e lo raddrizzai, un movimento tra le sue scapole, lieve e preciso.
“Non girarti, guarda avanti e a dritto, schiena alta e mento in fuori, tieni le redini e dagli un piccolo colpo con i talloni, so che lo sai fare, sei bravissimo. “ Un piccolo e dolce trotto, il vento danzava leggero tra le dita e i capelli. “ Io sono qui dietro, non dovrebbe schizzare al galoppo,  che è stanco ma fai piano, comunque metto le mani IO sul pomello, comandi TU Alessio, quindi regolati, passo e poi trotto, come ora, bravissimo ancora”  E il terreno era piano, senza rilievi, incrociai le dita, sperando che non si sentisse male. Saranno stati non più di tre o quattro minuti che lo resero felice.
“E’ stato bellissimo, grazie”Scese con rammarico, cauto, seguendo le mie istruzioni,  si mise sul fianco, lo presi per le ascelle e planò sul prato, un arco secco e perfetto, poi  mi cinse con le braccia, il bacio che mi diede sulla guancia sancì che mi aveva perdonato e sciolse ogni rabbia.
“Non mi toccare, ora che sei sceso, sono piena di polvere, mi devo lavare..e allora va bene”Rideva, a tutto spiano, poi si appoggiò contro il mio fianco, era felice oltre ogni immaginazione, gli dissi di aspettare che dovevo strigliare Castore, pochi ed esperti movimenti.
A distanza di anni, di una vita, ritornano i particolari, la sua felicità, intatta, immensa, la dolcezza, dopo mi prese per mano, gli circondai le spalle con il braccio, mentre ritornavo nel mio alloggio, alla fine me lo caricai sulla schiena, bravissimo, tesoro, eccoci, scendi, alla fine   prese un libro in inglese e si mise a leggere, devo studiare qualcosa, intanto vai a lavarti, fila, un ordine affettuoso, enunciò annotando che al piacere doveva succedere il dovere. Grazie Signore..
Con me era sempre molto affettuoso, ricambiato, ma nelle occasioni ufficiali era diventato autocratico, come suol dirsi, dotato di auto controllo e educazione, aveva imparato a non scomporsi, in fondo era il figlio dello Zar e portava una maschera dovuta. E in privato i gesti affettuosi venivano naturali, come con mio fratello Alexander. Affetto anche fisico, baci e strette e abbracci, con il senno di poi come potevo toglierli quella gioia, a lui e a me.
Feci un bagno freddo, lavando anche  i capelli, rivestendomi in fretta e ritornando dopo una ventina di minuti, la testa avvolta in un asciugamano. Altro segno di fiducia, a lasciarlo solo, senza monitorarlo a vista, apprezzò.
Alla fine, era un bambino dolce, che amava disegnare navi e aeroplani e giocare alla guerra, con i soldatini o le armi giocattolo.
Lui osservava perplesso un piatto su cui era posata il quarto di una torta, mezza bruciata. “Ma i cuochi di tuo zio non sanno fare meglio?” Trattenni le risate, poi lo enunciai. 
“Io, semmai. Sto imparando a cucinare. Sto migliorando, leggermente, rispetto ad aprire scatolette o fare un uovo sodo”Una volta, anni prima, quando il principe Raulov aveva detto che amava la torta di mele, ne avevo fatta una perfetta con l’aiuto della cuoca, lui l’aveva scansata. Già. Inghiotti  un fiotto di amarezza. La bambina era cresciuta, fine.
“Questi alloggi sono funzionali, due camere, la stanza da bagno e  il salotto-cucina” Osservò, accorto. .
“Confermo, alla lunga mi basta avere i miei libri e poco più. “
“Già. E avere le stalle vicine, senza cavalli non sai stare, e i fiori, sono belli, giunchiglie”Indicando un vaso di fortuna, ovvero una tazza per il caffè, di metallo, che in caso di gomitate non si sarebbe rotta, evitando i cocci. “Se vuoi te ne regalo uno più bello” per scusarsi dello scatto, come se fosse stata colpa sua. E mi toccò la spalla, lo presi sulle gambe, sbuffando divertita, irritata, gli sfiorai i capelli.
 “Vuoi assaggiare, la torta?” Come aspetto era bruttina, chiariamo, ma era commestibile, Andres  apprezzava gli esperimenti, e lui si divertiva a cucinare, impastare e sperimentare, un po’ come a letto.
Già, aveva molti talenti, un uomo dalle tante risorse, che aveva fatto dell’indipendenza il suo vessillo.
“E’ buona, pensavo peggio”Ammise poi lo zarevic e tornò al libro, sbirciai che era “David Copperfield”, si immerse nella lettura, continuando a pescare dal piatto, finendo il tutto.
“Era troppo poca” Si lamentò “Ne facciamo una?”Le sopracciglia mi si persero fin dentro la fronte, da come le avevo sollevate per lo stupore. “Di torta, dico, hai le uova, lo zucchero, la farina, il lievito e le mele, vero?” allibii, mai scordare che Alessio era attento a tutto, anche alle torte e alla loro preparazione
Alla fine, venne fuori un impasto decente, ma lui era pieno di farina, lo spedii a lavarsi mentre infornavo, me la aveva tirata addosso, la farina, per giocare, era pieno fino ai capelli.
“Eccomi, il bagno non lo faccio, che i secchi sono pesanti e se schizzo e scivolo..potrebbe essere un guaio ”Scrollò le spalle
” Non che ci tenga, bada, a dovere aspettare i comodi dei marinai e anche loro ne farebbero a  meno,  tranne che mi serve aiuto.”Fece una pausa” Ti ricordi di Spala, di come stavo”Annuii, un brivido di orrore, mi vietai di abbracciarlo” Non ho mai capito se  mi sono sentito male per avere sbattuto contro lo scalmo di una barca, o se sono scivolato dentro la vasca, mi sono successe tutte e due le cose, prima, che a Spala mi è venuta l’emorragia andando in carrozza .. Ed in crociera  ti eri accorta che stavo male, come hai fatto”curioso.
“ Camminavi  rigido, sulla sinistra ed eri in un lago di sudore, dopo il tuo riposino pomeridiano, con le mani calde.. le hai perennemente fredde.. Fossi stata meno idiota ci dovevo riflettere subito, invece .. “




La mattina eravamo stati sugli scogli, una gita sulla costa   e ci eravamo svagati, divertiti e lo zarevic avrebbe proseguito ad infinitum, adorava saltare nell’acqua, costruire castelli di sabbia e raccogliere conchiglie, vogare. Tranne che era stanco, la zarina gli aveva promesso che ci sarebbe stata un’altra escursione più avanti, dopo avere fatto delle foto, eravamo in piena estate boreale e la notte era solo un pallido riflesso.  Mi era sembrato che scivolasse, ma non potevo dirlo, aveva vicino i suoi marinai barra tate ben vicine.. O forse dopo, nella vasca, un bagno veloce per togliere la sabbia. E il medico di bordo lo aveva visitato, Aleksej aveva detto di non avere nulla.Quello che  era strano, conoscendolo, era che si fosse fatto mettere a letto, nel primo pomeriggio, senza i soliti capricci, o forse non voleva far saltare la gita, quando gli conveniva era obbediente e mi ero pentita di quel pensiero maligno, solo mi ero stupita di non avere udito i suoi strepiti, che sicuro come la morte detestava che gli mettessero il pannolone, per la notte o un riposino, a prescindere dalle crisi, in quello eravamo migliorati, fino ai suoi sei anni sua madre glieli faceva portare sempre. Un’oretta  e mezzo dopo, la famiglia imperiale faceva delle foto “ufficiali”, mi ero schernita dal partecipare, il mio odio per le pose formali era leggendario, venivo decente solo se non me lo dicevano.  E mi ero messa a osservare le onde che battevano pigre sullo scafo. E tanto qualcosa non mi tornava, per istinto, mi ero avvicinata al Dr Botkin, sussurrando che mi pareva che camminasse male, rigido, scaricando il peso sulla destra e non piegava il ginocchio sinistro, Marie aveva osservato ridendo che aveva le mani calde, non è che ti senti poco bene, cercava di sorridere, disinvolto, ed era sudato,  ancora, lo avevo annotato quando mi aveva dato un bacio di saluto sulla guancia.. Il medico aveva iniziato a muoversi, io ero stata più veloce, stava per giungere in un punto sconnesso del ponte dove inciampavi se non facevi attenzione “Zarevic..”il mio corpo era stato un cuscinetto che gli aveva ammortizzato la caduta contro il legno,  mi si era serrato addosso, per istinto, gli avevo messo una mano sulla nuca, sussurrando tranquillo, lo avevo accostato contro di me, la sua gamba destra contro il mio busto, sostenendo la sinistra, e alzandomi in fretta lo avevo portato dentro, approfittando della confusione, da sempre attenta al protocollo, lo prendevo in braccio a quel modo in pubblico .. che avevo fatto  .. La gamba sinistra, rigida, immobile..che hai .. non la pieghi..E poi me lo avevano tolto dalle braccia e mi sarei messa a piangere. Che lo sentivo piangere  e poi urlare, con nitida precisione.. “Che ti fa male?” “Il ginocchio.. “ “Quella maledetta.. ha spinto..” la Vyribova, querula e indisponente “No..mi faceva male da prima… e..” “Maestà, la principessa Raulov ha segnalato che aveva male alla gamba .. Se non prendeva batteva una testata..” e la Vyribova, querula e indisponente rincalzava che era colpa mia“No.. fatto tutto io..” “Perché..” “Perché le cose non le dici mai..” “Alexei .. dì la verita.. ti ha fatto qualcosa Catherine..?” “NO.. lei no, te lo giuro Mamma.. lei è brava .. ” ancora “Mamma, Cat .. non mi ha fatto nulla!! Anya è una bugiarda..” “Mamma, voglio Catherine !!”e ancora “Dice sempre tutto, anche se non voglio!! Ai dottori, di quando sto male o sono stanco.. Sempre!! E’ peggio lei dei marinai” la zarina si mise a piangere. Alessio mi amava, sempre, lo guardavo a vista come un cerbero e insistevo per fargli fare le cose, sempre.
 “Mi hai acchiappato a tempo.. prima che cadessi” Abbastanza, mi corressi tra me. Alix mi aveva ringraziato, poi, una volta compreso, lui mi aveva detto che ero cattiva, avevo rovinato tutto, perché non posso essere come tutti, perché.. era arrabbiato nero, il resto di quel pomeriggio, sera e notte, mentre urlava e gemeva per i dolori si era fatto avvicinare da tutti, tranne che da me e Marie, avendo io riferito a Botkin, lei osservato che forse stava poco bene non fummo ammesse.. dopo, che nel breve momento mi voleva. “Ti vuole vedere” avevo posato la tazza di tè, ormai fredda nella porcellana smaltata, a fiorellini, ravvivandomi i capelli con le dita, erano le sei di mattina e l’equipaggio si era dovuto mettere tamponi di cotone nelle orecchie per non sentire le sue urla, dopo ore i gemiti erano scemati, calati, forse era in fase di remissione.  Io ero nella mia cabina, la pagina di un libro aperta a caso, da ore, prima ero stata con Marie e Anastasia, cercando di distrarle, Olga era insieme ad Alix e Tata con lo zarevic. “Va bene, Olga, arrivo subito..” “Io vado a dormire un poco..”Era esausta, le occhiaie scavavano un solco sul suo viso rotondo  “Idem Mamma e Tanik..” “Olga.. stava già male, non l’ho fatto cadere io, te lo giuro su quello che vuoi” “CAT.. Grazie. Non hai colpe, gli hai evitato di cadere, alla peste.. E lo ha detto, che non lo hai spinto, si era fatto male da prima” “ LA Vyribova ha detto che lo ho spinto” amara. Lei era la migliore amica di Alix, già una volta mi aveva allontanato e non avevo combinato nulla, ora ero sospettata di avergli fatto male“CATHERINE..idiota, quella mette solo zizzania. Dai, vai da lui” mi ero tormentata per ore. E non era vero. Mi aveva passato un braccio sulla vita, strofinando la guancia contro la mia spalla, affettuosa, per rassicurarmi “Vai, so che you love Aleksey for all the long, and he loves you .. too Go.”
“SEI CATTIVA .. perché lo hai detto” era esangue, spiritato, i candidi  cuscini che lo sostenevano aveva più colore di lui “Stavi male..” “Per me è troppo chiedere di poter fare una gita, essere come tutti..” Per la collera riusciva a parlare, sovrastando il dolore. Avevo taciuto, spiazzata “Hai rovinato tutto.. Perché non posso essere come tutti, perché?”Avevo taciuto, di nuovo, senza toccarlo, oltre a soffrire a livello fisico era tormentato dalla sua fragilità, che scivolava e aveva una crisi.. “Togliti di torno, voglio mia mamma” “Si è stesa un’oretta…” che sennò sarebbe collassata “Chiama Tatiana” “Anche lei.. si è stesa..” “ E va bene, forza, vieni qui”  Tata era bravissima, passava ore ad assisterlo e a giocare con lui, quando stava male, tranne che un poco di riposo occorreva pure a lei. E gli sistemai il cuscino sotto il ginocchio, quelli dietro la schiena, mi  mandava via e poi mi voleva. Asciugai il sudore, in tanti anni ero diventata brava ad assisterlo “Perché non posso essere come tutti, perché..”gli appoggiai una mano sul braccio, mi allacciò le dita “Perché..” “Mi dispiace, Alessio, ma stavi male, volevo evitare che stessi peggio.. Per mio fratello Alexander avrei fatto uguale..”si mise a piangere, piano, desolato. “E non è colpa tua, ci sono nato così, disgraziato” E mi ero arrabbiata io, ero partita per la tangente “Disgraziato è chi non ha nessuno,  chi non è amato.. il discorso lo facciamo quando stai meglio, non ti devi stancare”Gli baciai i capelli, badando a non sfiorare la gamba lesa, mi misi sul lato destro “Sai quanto ti voglio bene?” Aprendo le mani, tracciando il segno dell’infinito. E sapevo che il Dr Botkin era sulla soglia, vigilava, e lui sapeva che ero più disgraziata io dello zarevic, in un dato senso, che il marito di mia madre, il principe Raulov, aveva picchiato me e lei, da sempre,  fino  a incidermi la schiena a frustrate.. L’ultima rottura, lo sfregio, la separazione definitiva. Preferivo non pensarci, per non ammattire, ero oltre la rabbia, non avevo dormito, che in genere non lo volevo toccare, se aveva una crisi, più o meno in atto, per tema di dargli più dolore. “Aleksej, zarevic, mio prediletto, unico e viziato .. Cocciuto come un mulo, un lottatore nato..” aveva riso tra le mie braccia, realizzando poi quella novità. “Vieni qui.. “Serrandolo addosso, il viso contro il mio collo, gli baciai i capelli, gli toccai la nuca “Vieni qui .. Non ti faccio male, vero ?” “ ..no.. “ “Aleksej, zarevic..amore, abbracciami”
Quando mai gli dicevo che gli volevo bene? Allora molto poco.  Ed era un evento incredibile che lo toccassi, quando aveva una crisi, del genere come la neve che cade in Castiglia in estate, quando all’ombra vi sono 40 gradi. O lo appellavo in modo tenero.
“Fatti visitare, se vuoi torno dopo” “No .. resti, mi dai la mano” Avevo obbedito, già allora, dopo, se avessi voluto avrei abbattuto le distanze.
Una frase di una storia, un boccone. Le trame di un caleidoscopio, giocare con i soldatini, leggere .. boh.. Tartarino di Tarascona, Peter Pan e ridere e tenerlo tranquillo. Mi appoggiava la testa contro la clavicola, il libro aperto davanti, serravo le palpebre e inventavo, la brezza batteva sui visi e i capelli, alla fine si appisolava e lo circondavo con il braccio libero, era leggero come un sacco di piume, era un tesoro il mio, appunto. “Racconta.. un boccone, una frase della storia e mi devi imboccare” “Allora.. Altezza imperiale, potremmo partire da una storia di pirati e tesori..” Se lo chiamavo imperatore dei viziati avevo ben ragione, e tanto avevo contribuito io pure..E lo preferivo in quella modalità che prostrato dalla sofferenza. “Aspetta, che fretta abbiamo.. io non ne ho..Mangia con calma” gli pulivo il viso sporco di minestra,mi sorrideva, un paio di volte mi imboccò lui, figuriamoci.
E diventai un tormento nel breve periodo, se non stava con sua madre o le sorelle, lo zar compariva a rate, voleva me. “Braccio” mi aveva comandato dopo  quattro giorni “Aspetta..”  lo avevo circondato e sollevato con dolcezza, portandolo fuori su una sdraia, cercando di non stringerlo troppo addosso per non mostrare il rigonfio del pannolone.. “Ti voglio bene, Zarevic”  “Io no..” “Ah.. “ che soddisfazione e tanto decodificai che mi stava prendendo in giro, aveva un angolo delle labbra sollevato in un sorrisino”Ti adoro, Cat, è diverso” “Tu sarai un grande rubacuori, fidati” e mi aveva smontato lo chignon, intanto, i capelli mi piovvero sulle spalle, fino alla vita, una massa castano scuro venata da riflessi ramati che avvolse tra le dita “Ed un birbante” sorrisi, esasperata, mi feci una treccia “Me le hai prese poi le conchiglie?” “No.. sì“tuffai le mani in tasca e le ritirai“Secondo te, in quale mano sono?” Mettendogli i pugni chiusi davanti. “ In tutte  e due..” “O in nessuna..” “In tutte e due” baciandomi le guance, avevamo poi soffiato le bolle di sapone, due matti in fieri.
E poi si era rialzato io ero rientrata a San Pietroburgo, mentre la famiglia imperiale si recava a Spala per le cacce autunnali, pareva risolto e così non era, che poco dopo aveva avuto un’emorragia spaventosa che  lo aveva quasi  spedito al Creatore. E di averlo trattato in quel duro modo me ero pentita per un pezzo, dopo, e tanto me ne ero andata.
Ma se te vai, poi torni, mi aveva detto Alessio, una volta da piccoletto, una logica acuta e serena, sempre.

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Capitolo 18
*** Sissy (sorellina) ***


“ Ero meno idiota a 17 anni.Brava, vero”
“Non sei idiota e anche fosse.. ne varrebbe la pena. Almeno per una volta ho fatto come un ragazzo normale. L’altro giorno hai fatto bene ad arrabbiarti, per il vaso..” rizzando la testa, in posizione di attacco.
“Mi sono spaventata da morire e preoccupata non sai quanto, ed ero anche arrabbiata, fidati, per prima. Ho discusso con te come con mio fratello, Sasha, brava, una campionessa. E mi spiace, che pensavo ai miei casi e non ti davo retta” e lo avevo ferito. Parlai a dritto, come una mitragliatrice, per vincere l’imbarazzo, reciproco.
“Ma ci sei passata sopra e mi hai fatto fare” Fece una pausa “Cercherò di stare bene, sempre, trattami come lui, poi sono un osso duro” Ancora “Mica mi puoi dare la tua attenzione sempre.. no” mi scrutava, attento, calmo.
“Me lo auguro, con tutto il cuore, che tu stia bene, trattarti come Sasha, non te lo auguro, gli rispondo sempre male, almeno prima, l’attenzione ..ti farebbe piacere avermi sempre addosso tutti i giorni, senza fallo o pause” già, ormai aveva quasi nove anni, non mi vedeva da quasi due, gli avevo preferito Alessio. Censurai il pensiero, come è difficile amare.. E tacqui, meglio evitare di parlare a ruota libera, che mi avrebbe detto di sì, mi voleva bene a prescindere da limiti e difetti. E io a lui, che quando si metteva era un viziato rompiballe …

“Comunque, più cresco meglio è. Mia madre è convinta che le preghiere di Rasputin servono, per me, che alla fine guarirò. Quando avrò 17 anni, per volontà di Dio”deglutii a vuoto” Ma per la mia malattia non c’è cura, posso solo cercare di stare bene. Non che lo veda tanto, lei lo trova da Ania Vyribova, la sua amica ( la sua sola amica, riflettei).. E anzi mai lo vedo. Poi è sporco, puzza e farfuglia cose strane, storie strampalate, preferisco le tue. Giusto quando sono stato male a dicembre. Tira fuori quella torta..Ehi, Catherine, Cat, Kitty Cat “ declinò, sfiorandomi il viso”  guarda che le orecchie le ho, li ben sentiti i discorsi dei medici e di Mamma e Papa, sono anni che dicono sempre le stesse cose. Faccio finta di dormire e parlano, mica sono sordo o scemo, siete voi grandi che non capite.”come una constatazione normale, mettendo pure me, scriteriata imbecille, nel novero degli adulti. “Sì, mi piacerebbe, averti sempre tra i piedi, alla peggio ti mando in Spagna o in America. E tanto tu credi solo in te stessa, Dio o i santi nemmeno ti entrano in testa, hai fatto cenno solo per farmi contento” credevo solo in me stessa, in linea di principio e difesa, che quando ero una bambina mi chiedevo dove fosse Dio quando il principe Raulov picchiava mia padre o dava altri tormenti.. Pregavo e non accadeva nulla.. Alla fine avevo smesso. Mormorai, scostati Zarevic, non ti voglio bruciare per il calore e tirai fuori il dolce, sollevando in automatico le maniche della camicia per il caldo del forno, se fossi stata meno sconvolta avrei omesso.
Vide subito le cicatrici e  le toccò con la punta delle dita, osservandone i rilievi contorti, definirle orrende era un eufemismo, anche se erano ormai scolorite,  spalancò gli occhi, un suo segno di preoccupazione.
“Queste?”
“Incontri ravvicinati con un coltello e una stoccata, un giorno ti dirò, di specifico, ora sono troppo sconvolta,non pensavo che fossi così.. così..” una pausa “Te lo chiedo come favore Alexei”
“Stai tranquilla, non è successo nulla..”era lui a confortare me, che cosa assurda.
“Mi dispiace, Alessio, per tutto” che tu sia malato, di essere una bastarda, una egoista.. combatto, tranne che il vero esempio e guerriero sei tu, senza fallo, viziato e amato, amatissimo.. 
“ E dai, basta” mi baciò il viso, per distrarmi. Mi fido di te, siamo amici, non erano solo vane parole, ora lo sapevamo entrambi.
“Oggi ci siamo divertiti”Osservai, imprimendo nella memoria lui nel mio grembo, la delicata stretta delle mie braccia, perdonami Alessio, ti volevo tenere al sicuro e non ci riesco,le botte, l’indifferenza e  le frustate che ho preso davano meno dolore” E il cavallo e la torta, quando sarai arrabbiato con me per qualcosa pensa a questo, che riesco anche a farti divertire..” io posso chiuderla, per te sarebbe peggio, sarei ancora più egoista di quanto sia stata, senza giustificazione alcuna.
“ Ma che ti inventi, passiamoci sopra. “Scrollò il capo, saggio”Stanotte dormo qui?”
“Come vuoi” Mi venne in mente che lo zar non lo voleva ai talloni per qualche incontro amoroso, maligno il pensiero ma certo azzeccato. Avevo sentito le chiacchiere di contrabbando, che si scopava, a intervalli, una bella donna, bruna e affascinate, la cui descrizione mi ricordava la  principessa Ella, e non certo qualche altra, gli attribuivano la Virybova, insomma … Ella, la principessa mia madre, e tanto le cose si fanno sempre in due.  E non volevo giudicare, ero la loro bastarda, un tantino ipocrita avere a che ridire, specie dopo quello che mi aveva detto Alessio, la sua consapevolezza su Rasputin e la sua malattia era inopinata. Ero fuoco  e gelo, se avessi potuto lo avrei difeso da tutto e tutti. Ma non potevo. Lo avrei difeso da incubi e maldicenze, tutto, ma più che spaccarmi le nocche con alcuni soldati che lo deridevano non avevo saputo fare. Brava. Applausi a me, che era solo una goccia nel mare.  E tanto potevano essere solo maligni pettegolezzi, senza alcuna verità..
In punto di cronaca, IO  mi scopavo Andres, quindi non ero certo migliore di loro, omettendo che il mio era un peccato di lussuria, fornicazione, il loro adulterio, doppio, che entrambi erano sposati.  E chi giudica chi, proprio dovevo fare la morale. IO, a loro.  È  fortuna poter amare chi è libero di ricambiarti, non tutti hanno questa libertà, le parole che Ella mi aveva sussurrato quando era morto Luois acquisirono un altro significato. Già una volta l’avevo  condannata, imparando poi sulla mia pelle che tranciare giudizi senza conoscere è l’arte più facile del mondo. Scossi la testa e tornai allo zarevic. Fidarsi, in un dato senso, un atto di abbandono e amore, non tutti lo condividevano op praticavano.
 
“Sì. Certo. Ma questa torta?” eccomi al presente, gli sorrisi sghemba, non lo rendere ansioso, si fida di te, ti vuole bene.
“Per dopo cena, devi mangiare in modo decente, anche se il profumo è buono” bastarda o meno ero con mio fratello, amato e amatissimo.
“ E con che dormo, non ho nulla” di ricambio, petulante.
“Alessio Nicolaevich Romanov, Zarevic di tutte le Russie, atamano di tutti i cosacchi, “Seria, serissima” .. dormirete in camicia..” the one and the only in my arms..
“ E dai, che tono serio.” Malizioso ma si era spaventato, ero troppo formale. Spavento per dire, ma erano le sette e mezzo, gira e gira, dovevo imbastire una cena, non ero affatto Cubat, il raffinato cuoco imperiale. Andres era dietro alle riunioni, eccetera, Alessio brontolò che voleva la torta, feci due panini, con prosciutto e formaggio, li mangiò, avido, poi si dedicò al dolce. Stava crescendo, attacchi inopinati di fame erano prevedibili, anche se a volte pensavo che vivesse d’aria, aveva un talento speciale nel digiunare se il pasto non gli piaceva e le cose che gradiva erano scarse, anzi nulle o quasi.


“Quella è Antares, dello Scorpio” me la indicò sbadigliando, la testa  contro il mio grembo, avevo buttato una coperta sul prato e mi indicava le stelle, fingevo di non sapere “ Che punge” Mi tirò un colpo nel costato, per scherzo, me lo issai sulla pancia.”Sdraiati qui e stai quieto, fatti dare un bacio” Sulla guancia. “Altro che Scorpio, qui mi sembra che fioriscano gli angeli e le rose, guarda da sdraiato che spettacolo” Lo strinsi possessiva aprendo quindi le braccia, doveva essere libero e non soffocato.  Poi “Dopo mettiti della pomata all’arnica, avrai scoperto dei muscoli indolenziti che nemmeno pensavi di avere, guarda che è normale ..”
“Sì” Lo massaggiai io, gambe, schiena, braccia, polsi e mani e gomiti,  pregando di non trovare gonfiori o altro, ebbi fortuna, altro che.  Intanto, fiducioso, mi si era addossato sul ventre, ridendo e scrollando la testa, che lo baciavo e gli facevo il solletico, netta e precisa, ti voglio bene lo sai.
Più cresceva, meglio sarebbe stato, una ristretta cerchia di emofiliaci, se non moriva nella prima infanzia, raggiungeva l’età adulta e se la cavava. Leopoldo d’Albany, figlio della regina Vittoria, era giunto a trent’anni, i piccoli figli emofiliaci di Vittoria Eugenia regina di Spagna tenevano duro e il cugino prussiano di Alessio, Waldemar, aveva ormai 27 anni.
“Perché mi chiami piccolo principe?” meglio quello di imperatore dei viziati..
“Per affetto, che credi. “Bene, non aveva sonno, come Sasha, ma lui aveva la principessa Ella, nostra madre, era l’erede dei Raulov, viziato e spensierato, quante belle storie mi rappresentavo, la verità, nuda e cruda, è che mi pareva di essere più indispensabile a Alessio che a lui. Balle, badiamo, ma avevamo 12 anni di differenza, due figli unici, in un dato senso, preferivo lo zarevic, che in fondo la gelosia verso di lui non mi era mai passata. Per mia colpa, mia massima colpa, una lucida peccatrice, con Sasha poi abbiamo avuto tutta una esistenza per venire a patti ed intenderci. 
Alessio  si girò a scrutarmi, osservando le guance abbronzate, i lineamenti sottili, mi sfiorò una ciocca castana, ormai i capelli  erano ricresciuti e arrivavano fino alle spalle, li legavo in una pratica coda. “Sei bella anche così, anche se ti vesti da maschio e sono corti. I capelli, prima ti arrivavano fino allo vita, mi divertivo a smontarti la treccia o l’acconciatura e dopo, sbuffavi ed era tanto  divertente, ora invece ..“già, era un suo divertimento che non condividevo.
“Grazie, non che mi importi della cosiddetta avvenenza fisica, ho altro a cui badare. E meno male, non sai quanto era irritante, perdevi un mucchio di tempo a pettinarti e tu smontavi tutto, almeno ora sono tranquilla”
“Se fossi meno bella ci baderesti, fidati”serafico, forse mi sfotteva o forse no.
“Eccoci, hai quasi 12 anni, e fai i discorsi di un ragazzo di ..20? 18? Che  ti inventi con Andres?” Già, nonostante l’età anagrafica, se era in vena, ti spiazzava con le sue osservazioni acute. Mi sorrise e cambiò argomento, per mio sommo imbarazzo, quale era il santo che avevano messo alla graticola?. Al momento non mi giungeva in mente e tanto mi sentivo appesa, cercavo di distrarlo e tanto continuava, Alessio,  a volte eri davvero un tormento.
“Ma tu dove dormi?Se sto nel tuo letto, mica puoi stare sempre accampata sulla sedia..O ti infili in quello di Andres, che ora non c’è, ma non siete sposati e lui non è tuo fratello, se ritorna dove vai, già è poco conveniente che stiate così, senza chaperons”
“ALESSIO, in cucina c’è un divanetto, alla peggio vado lì o ci finisci tu, se continui, intesi, anzi ci vai diretto” Diventai di brace, dal petto il rossore si diffuse al collo e viso e orecchie, lui mi riduceva sempre in imbarazzo, ero fuori da ogni regola e misura, bastava un bambino a farmi scattare” Che discorsi ti inventi, io allibisco” Né confermare, né negare, che nel letto (e non solo..) di Andres infilavo eccome, a prescindere dal matrimonio, ci mancava solo l’incesto.
“Senti, facessimo come a Carskoe Selo, a gennaio?”Contrattò, intanto gli massaggiavo le mani, una abitudine dura a morire, che le aveva sempre tanto fredde, cambiando argomento, che il tono mi era salito di mezza ottava .
“Mi pare una ottima idea. Alessio, queste osservazioni..evita di farle, con lo zar o altri, per favore” forse era San Lorenzo martire. E l’idea di base era farlo dormire con me.
“Perché?”Che dovevo riscontare.. Mi veniva da ridere, a prescindere. “Ma se sto zitto, scusa, lo so, che poi passi un guaio, anzi lo passiamo”  gli accarezzai i capelli, cingendolo con delicatezza, troppo o troppo poco da dire, gli scaldai di nuovo le mani fredde, soffiando tra un dito e l’altro” E’ che mi manchi tanto, quando non ci sei” e mi era già addosso senza fallo, da un pezzo, come un cucciolo.
“Grazie, anche se non sono sempre simpatica o gentile”
“Sei buona, in fondo. Se fossi perfetta, non saresti tu”Soffocò una risata contro la mia clavicola, come mi conosceva bene, ormai, poi sbadigliò. “Notte, Cat. Rimani con me. Not let me go
“Va bene. Sono qui, stanotte se ti svegli mi troverai sempre accanto a te”
“Lo so. Sono patetico, vero?Sinceramente”
“No, no, tu, tu hai il coraggio di esternare i sentimenti.. Amare richiede coraggio,  io ne ho in quantità scarsa su questo fronte”
“Certo .. “Ironico. Gli serrai le mani, dall’addio ero traslata al senso di possesso più sfrenato. ALEKSEY...
“Sei un ometto, ormai..fidati. E insieme sei il mio adorato, viziato piccolo principe” E rise, un suono dolce e raro. “Il mio imperatore dei viziati”
“Dimmi la verità.. Non mi arrabbio. Avevi pensato di sparire, senza un saluto..”
Sospirai “Ci ho pensato, tranne che non sarei stata corretta. Troppo facile, combinare un guaio e togliere le tende“
“Ah.. potevi dirmi una balla” In tono neutro.
“Sei grande, Zarevic, le bugie le riconoscevi  subito, quando eri piccolo, ti tratterei da stupido senza motivo, ora, non ce lo meritiamo, nessuno dei due”
“Prendo atto, Cat.. Preferisco sapere” Tralasciando che io e Olga, di comune intesa, gli avevamo mentito, che ci eravamo sentite quando ero dietro al disertore, e invece no. L’eccezione che fa la regola, pensai, amara
“E mi tratti da grande..cioè le cose me le dici, non urli troppo e non me le dai tutte vinte, non subito, almeno” I grandi e le loro magagne, che ritratto sconsolante, Alessio
“Ci provo, e tanto ti sei sorbito una mia scenata..” gli posai la testa sulla mia spalla, lo baciai sulla fronte, rilevando che si era fatto tardi, era meglio dormire, mi interrogò con gli occhi, nessun pannolino, ma se devi andare in bagno mi svegli, va bene?
“Sst, Catherine, grazie” con una breve rotazione lo strinsi, non ti lascio, stai tranquillo, rimani quanto vuoi.. 

E, appunto,  sapevo di viziarlo e che, insieme, mi si stava attaccando troppo, e viceversa, che stare senza di lui era una penitenza. Quella notte si rigirò nel sonno un paio di volte,  vorrei poter dire che rimasi sempre di veglia, tranne che dormivo della grossa, mi limitai a stringerlo più forte e mugugnare qualcosa, della serie, buona notte, dalle dieci alle sei riuscì a fare una tirata e io dietro, io che lo tenevo al sicuro, per favore, era reciproco, era una favola che si raccontava. Il mio piccolo principe combattente.  My one and the only..
“Vestimi” lo avevo lavato, ora che voleva?
“Anche no, stai benissimo, io faccio da me. “previdi che si stava arrabbiando, facile conclusione, salvo spiazzarmi “Poi controlli che sia tutto   a posto, aiutami, dai, per favore “ aprì i palmi, supplichevole, usava fare così quando voleva convincermi,  mi si rannicchiò addosso. 
“Zarevic, sei un ottimo oratore” E non era incapace, ma ansioso e viziato, lo aiutai, imponendomi di non discutere con lui per quelle scemenze.
Lo zar comparve in quell’intermezzo.
“Maestà, salve, che ne dite, posso tenere con me tutta la giornata sua Altezza Imperiale?” scostai le mani dal colletto di Alessio, ormai era a posto, lui me le serrò, non ci aveva capito nulla, non lo respinsi per non farmelo attaccare alle gambe, che era micidiale, peggio dell’edera, gli cinsi le spalle, mi salì in braccio, lo accolsi in automatico, accidenti a lui, disse, ti prego, Papa, dai Catherine, per favore.. e mi ricopriva il viso di baci, morbida, osservai che era mio e basta, mio e solo mio, che me lo sarei  mangiato e rise come di una grande buffonata, non lo respingere senza motivo, cretina, gli vuoi bene e lui ti adora, fallo stare bene, che stai bene tu pure...cerca di farlo ridere, che lo hai reso triste abbastanza.
O aveva capito tutto, che non gli resistevo, un sorriso e mi scioglievo, mi rigirava, furbo lui.
“Accomodati. Però ti devi allenare, ubi maior minor cessat” Rideva sotto la barba. Splendeva, avrei scommesso le mani che la principessa Ella era nei paraggi e così era. Lo appresi decenni dopo, dalla diretta interessata..
“..Eh?’ Che dite”Alexei  si gettò in braccio a suo padre, gli raccontò che era stato a cavallo, che si era divertito e aveva studiato, salii di punteggio e non volevo. Tranne che era naturale, senza artifici, alla fine, abituato a essere portato in braccio dai marinai o dai cosacchi quando non camminava per un attacco di emofilia, o per un capriccio, afferrava la differenza nel saltare addosso a chi voleva bene e lo ricambiava.
“Ancora arnica?” Gli massaggiai i polsi, le mani e i gomiti, nessun gonfiore, meno male, lo zar me lo aveva ripassato, era contento, in estasi, omisi di badare alla commozione paterna.
“Mi ci hai fatto il bagno, Cat. Oggi come ti alleni? Con il cavallo?”
“A sparare ai bersagli. Castore fallo riposare, poverino”
“Già.” Con rammarico. Reciproco. “E qualcosa facciamo”
“Facciamo??!
“Eh certo, che devo fare solo io ..”
“NOOO..”contro la mia spalla, come d’uso mi posò il viso contro il collo.
“Sì..”
“Mi prendi in giro” scrollai la testa e lo abbracciai, era il mio prezioso e unico senza fallo.”Facciamo .. Però dammi retta, per favore”
 
“Bravissimo, Alessio, sei uno spettacolo”
“Ho un fucile giocattolo sul modello di quelli veri, figurati se non so smontare e rimontare” pausa “Però mi fa piacere che mi hai fatto sparare con le armi vere, almeno 5 volte”
“ E hai centrato, non è la fortuna del principiante”
“E sai che sono diventato bravissimo a nuotare, l’altro giorno non mi hai visto, vuoi?”timido, a un tratto,che dovevamo ancora prendere le misure in quel nuovo rapporto. Se accettava  che fossi una amazzone militante, io dovevo dargli fiducia, cercare di non mettergli l’ansia, senza scocciarlo con le mie scenate e i miei malumori.
“Sì, lo so che sei bravissimo.”  Si girò a sorridermi, raggiante, l’arma tra le mani, il sole che batteva sui capelli e sulla casacca da caporale, quell’anno aveva avuto quella gioia, di indossare una vera uniforme rispetto a quelle onorarie che via    via rivestiva,  davvero un fiero  soldato, un principe militante, quando da semplice cadetto aveva avuto le mostrine era stato così contento da non parlare.”In tutto. E che stai attento, sennò non te lo avrei fatto fare”
“Ora riposati, sei stato superbo, Alessio” ero entrata in acqua, come una naiade, una ninfa dei boschi, in pantaloni e camicia, battendo le mani, mentre nuotava, entusiasta, io stessa avevo tirato due bracciate.
Il livello dell’acqua non mi giungeva oltre la vita, gli avevo fatto cenno di raggiungermi, ero ferma come una boa,  era contento come non mai.  Mi raggiunse e mi strinse, gli proposi di stendersi sulla schiena e stare sul dorso, la nuca contro il mio avambraccio, la luce e il sole battevano sui nostri gesti, pollice su pollice, era piccolo e insieme era  grande.. “Facciamo una gara?” propose “ Cat.. hai barato” “ Ho vinto io che vuoi?” “Hai comiciato a nuotare quando contavo..” Risi e lo feci volteggiare, schizzandoci a vicenda, poi uscii con lui per una mano, gli stivali nell’altra e camminai scalza, se non mi asciugavo sai che risate.
“Va bene a modo mio, mi riposo” intanto si rivestiva e io lo aiutavo, ovvero lo vestivo, il mio imperatore dei viziati. “Cioè ?” gli infilai la camicia, una manica e poi l’altra, rimettendola nei pantaloni, allacciandogli i bottoni. Un tono in apparenza leggero, intanto osservavo eventuali gonfiori, se sudava, la stanchezza. Fu il turno della casacca, brontolando, Alexei, lo fai apposta, sei in grado di farlo da solo. Spiegati, dai. Smettila di giocare, che mi consumi ..troppo solletico ..  
Appoggiai la schiena al tronco e a sua volta si appoggiò a me, facendosi richiudere, come quella volta a dicembre, con la differenza che stava bene e non aveva alcuna crisi. “Mi è entrato un po’ di mal di testa, non spaventarti, fa parte del nostro patto, che devo avvisare”
“Sì” Soffiai, massaggiandogli le tempie. Quindi”Dici che ti tengo al sicuro, Alessio, mi fa piacere,  non fissarti su questo, mica sono una maga o una santa, i miracoli  non li faccio, so che lo sai. E una precisazione, è falso che voglio bene solo a Olga, ti adoro.” Magari, avrei voluto che stesse bene, sempre, se avessi potuto operare magie o miracoli.
“Lo so, e so che vuoi bene anche alle altre di OTMA, non solo ad O” Pausa” A volte sembri tu la più grande, come se fossimo davvero fratelli” non replicai e lo strinsi tra le braccia ancora più forte.
“ E ti sto sempre appiccicato che una volta o l’altra sparirai, sicuro, è il tuo vizio, quindi faccio la scorta. Di bei ricordi. E poi sono in credito, per tutte le volte che non ci sei stata. Ora basta parlare e, comunque, ti voglio bene anch’io” in credito con interessi, dal gennaio 1913 in avanti, fino a giugno 1913 ero stata presente fisicamente e con la testa da una altra parte, nella guerra contro mia madre. E mi ero sposata andando in Francia, per una anno, nel 1914 giusto un paio di mesi ed ero schizzata via. Serrai le palpebre, mormorai piano “Scusami” “Almeno non mi tratti da scemo dicendo che non è vero o che non succederà” “Citando Olga, uno può sempre scegliere e migliorare, aggiungo io, e basta così, zarevic, o provare a imparare dai propri errori” “Va bene, vedremo che inventi, sono contento che non mi hai detto balle” forse sbagliavo, o forse no, tranne che per istinto dimostravo fisicamente tutto l’affetto che avevo per lui. Era un bambino, era un giovane adulto, era la perfezione. L’ho amato per come ho potuto, fino all’ultima goccia, era assenzio e cenere, era Aleksej, il mio bambino, il mio piccolo principe, che ha combattuto una vita intera, senza mai arrendersi.


 “Definirvi legati è un eufemismo”Osservò quella sera Andres. “Non è una critica, bada, è un bambino meraviglioso e gli vuoi bene, ricambiata. Cat, quando hai fatto arrestare quei soldati che insultavano la zarina, un paio erano stati pestati, che avevano un occhio  nero e avevi le nocche gonfie. Oltre alla madre, avevano insultato anche ..”Annuii.
“Non sai che rabbia mi è presa, e loro sono una goccia infinitesimale, non sono una santa Andres”Misi le mani incriminate sotto le ascelle” Li avrei voluti ammazzare e non sarei stata di certo migliore.. Vendetta, non giustizia”
“Probabilmente con l’assassino di Saint-Evit ricapiterà l’occasione, pensaci quando sarà il momento”
“Sst, non voglio che  senta, dovrebbe essere qui a momenti..”
Troppo tardi. “Sei grande, e tanto alle volte sbagli pure tu, vedi che ho ragione a dire che mi tieni sempre al sicuro.”
“Ci provo, alla lunga ci penserai da solo, va bene..E dai Alessio, basta, mi soffochi con tutti questi baci”Ricambiati,  si calmò.
“ I marinai uno e due in licenza, che spettacolo, i miei precettori allibiscono, sai che sono diventato bravo tutto insieme e non dire che lo sai, che ero già bravo”
“Sono prevedibile, vero,  che te ne fai. “ Era solenne, meraviglioso.
“Ti tengo sempre con me.”
“Andiamo bene, ti vizio troppo . Senti, io mi devo mettere della pomata all’arnica, mi aiuti, e poi tocca a te”
Seduta al tavolo, infilai le lunghe gambe tra i piedi di Andres, che mi sfiorò la caviglia, rapido, mentre Alessio non ci badava, mi aveva regalato un vaso di porcellana di Sevres a fiori e contemplava l’effetto. Era il suo modo per scusarsi, il mio fu di rimanere con lui, rassicurarlo e tranquillizzarci.
Ho tanti ricordi di Alessio, tra i primi che fioriscono alla mente vi è quella sera, in cui si appoggia dietro di me, sereno e sorridente, la testa sulla mia spalla, abbracciandomi da dietro e poi scivolando nel mio grembo. Gli misi il mento sui capelli, ricambiando la stretta, le mani allacciate “Sai di arancia amara e lavanda” Dolcezza, sintonia, legame profondo “Sei come una fortezza invalicabile”
“Mi arrendo”Scherzai, “Hai ragione tu, ti preparo per la notte, va bene, vedo che fai sì con la testa.”

Da un appunto di Andres, scritto su un brogliaccio di fortuna, ogni tanto annotava i suoi pensieri su carta, poi li buttava, quello lo bruciò per sicurezza, ma anni dopo lo avrebbe saputo riscrivere a memoria, come in effetti fece, che Catherine andava rievocando quella storia, la loro storia”..il principe Raulov era tuo padre di nome e non nei fatti, che era omosessuale, pur celando bene quanto era, le prostitute che frequentava assicuravano che.. non concludeva, aveva gusti troppo particolari, fidati, la principessa Ella deve avere passato l’inferno in terra nel suo letto. Oltre che fuori, come te. E a Mogilev, lo capii eccome chi era tuo padre, nei fatti, mi bastava guardare, e ognuno vede quello che vuole vedere, Cat, tutti ciechi, ma io vedevo e tacevo. Ad Alessio eri legatissima e lo hai difeso con le unghie ed i denti, cercando di tenerlo al sicuro, come osservava lui.  I gesti, le inclinazioni del viso, il modo un poco sghembo di sorridere, come alzavate le spalle, il sole che accendeva di riflessi rossi i vostri capelli scuri, corti, tanto altro, suggeriva che eravate figli dello stesso padre, ovvero lo Zar. Questa sera non lo hai offeso, asserendo che erano cose che non capiva, hai cercato di calmarlo e rassicurarlo, con ottimi risultati. E i miei segreti sono i tuoi, io ti amerò per sempre, lo sai, senza una piega lo hai tenuto stretto, delicata, lo hai  tranquillizzato. ERAVATE IN SIMBIOSI“
Dai quaderni di Olga Romanov alla principessa Catherine”..ti ho già scritto che i miei genitori e Marie ci hanno preceduto a Ekaterinemburg, mentre noi siamo rimasti, che Alessio ha avuto un attacco gravissimo di emofilia, forse il peggiore dopo Spala, qui metto quello che ho omesso, non per caricarti di un peso, ma renderti partecipe. Sembrava tentare il fato di proposito,  usava scivolare per le scale di casa su una tavola di legno, come una slitta e rimase ferito, una volata, all’inguine. Sapeva che poteva morire, e non ne aveva timore, la sua paura riguardava quello che potevano fargli e farci in prigionia. . Ha avuto la febbre altissima, dolori lancinanti, delirava e  parlava di essere stato a galoppo a cavallo, di avere sparato e che non era successo nulla, di un bosco, una valle incantata piena di luce e fiore, di un cavaliere che andava incontro all’orizzonte, suo unico limite il mondo e non altro. Ha invocato per ore il tuo nome, Catherine, Cat, fino allo spasimo, ti voleva, diceva che lo avevi sempre tenuto al sicuro, che eri come la fortezza di Ahumada, che proteggeva tutto e tutti. La mamma ha pianto per tutto il tempo,  in quei momenti, a prescindere da tutto, ti avrebbe rivoluta. E così io, sapendo che non c’eri non per un capriccio, una bizza, ma perché non avevo voluto, non avevamo voluto che ci seguiste in esilio dal Palazzo di Alessandro, non eri sola, non più, e ti ho spezzato il cuore, anche se non volevo, anche Aleksej ti avrebbe voluto in Siberia, salvo comportarsi da grande, che vi era chi aveva più bisogno di te e non voleva essere egoista, avevi già fatto così tanto.. lo disse lui, e aveva ragione. E   mi sei mancata, ci sei mancata, ogni singolo giorno, mi ero abituata a stare con te, con voi.. Oh, Cat, sei stata davvero una splendida amica, una sorella, la mia sorellina

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Capitolo 19
*** El picador y el lobo ***


“Vedrai che spettacolo, Alessio, i Fuentes al gran completo”
“Che racconti?” curioso secondo suo costume. 
“Viene una delegazione dalla Spagna, la regina della mia terra è una cugina di tua madre.”
“ Ma la Spagna è neutrale, scusami, lo sanno anche le pietre,  Andres. E poi ..hai detto  che è la tua terra, allora perché sei in Russia? Di Ahumada, il castello dove sei nato, mi hai descritto quasi ogni pietra e  dici che è casa tua, ami la Spagna e sei qui, a me fa piacere bada, ma non capisco.” Spiazzato dall’acutezza del bambino, tacque per un momento. Troppi sveglio, troppo intelligente, se lo era trovato per caso ai talloni e lo zarevic lo aveva fatto da subito oggetto della sua preferenza, tacendo gli apici cui era giunto con Catherine, la sua amata e prediletta ì. 
“Probabilmente ci tornerò, alla fine della guerra, salvo ..”Rimanerci secchi, indovinò lo zarevic, omise di dirlo per non portare sfortuna” Comunque, alcuni membri dell’esercito spagnolo hanno chiesto congedo al re Alfonso per venire a combattere come volontari in Russia, e LUI  ha acconsentito. La  neutralità non viene rotta e abbiamo un bel gruppo scelto. La regina già che vi era ha inviato dei messaggi e materiali benefici raccolti dalla Croce Rossa in aiuto per gli ospedali per la zarina Alessandra, sua cugina”
“ E che c’entrano i Fuentes?” Curioso,  non vedeva il nesso. “E questa che è ? Esercito iberico, credo, quale reparto”Indicando la suntuosa uniforme su cui brillavano le mostrine da generale,svariate medaglie,  era un dato inopinato, che significava?Lo aveva sempre visto vestito come un civile, a volte con la divisa degli ussari a cavallo, con il grado di capitano una gentile concessione, ed ora? Uno dei suoi segreti e tanto .. Non l’avrebbe indossata, senza titolo, poco ma sicuro, lo conosceva abbastanza, adesso, da sapere che brillava per modestia, non per tracotanza.
“Chi guida l’ambasciata è il principe Fuentes, mio padre, e ci sono i  miei fratelli, Enrique e Jaime. Stasera in via eccezionale mi sono messo l’uniforme dei dragoni a cavallo spagnoli, il mio reggimento, od almeno lo era, e questo il mio grado, con annesse medaglie”vi aveva militato per poche stagioni, nell’adolescenza, fino ai 18 anni, lui e Isabel avevano vissuto tra Ahumada e Madrid, si era distinto durante una rivolta degli anarchici e molto altro, acquisendo poi l’ultima mostrina per un caso inopinato.
“ SEI UN GENERALE?..E me lo dici solo ora, lo sai quanto mi piace l’esercito ..” Basito. Incredulo” Chissà Cat come sarà curiosa,  proprio ora doveva andare via? E lei lo sa..” Desolato che non avesse voluto raccontare . E Cat.. come sparsi e concentrici raggi, la preferenza che accordava alla ragazza si riverberava su chi LEI amava, compreso Andres, ed era la guerra, tempi ampi e diversi, che, in modo normale, nessuno avrebbe vissuto.
“Ma se ti ha salutato, che ci hai preso l’abitudine a dormire con lei? Sì, lo sa, di tutta la storia, di me conosce diverse cose, alcune carine, altre meno” In effetti, aveva dormito dal “terzo e quarto marinaio “per la terza volta consecutiva, un gran evento. L’affettuoso appellativo dato a Cat e Andres, dopo i due marinai ufficiali, loro erano quelli ufficiosi, rispettivamente battezzati Paul Paulovic e Andrei Andrevich. Ma veniva la zarina e lei non voleva farsi trovare nei paraggi, ma Alessio era così triste che Andres se lo era portato a pesca per distrarlo, la ragazza mancava a entrambi sia pure per motivi diversi.. Che combinano, rifletteva ogni tanto lo zarevic.
 “ERO un generale.. mi sono congedato da un pezzo, in modo formale e illimitato”
“Ne approfitto. Lei è buona, che credi, e mi tiene sempre al sicuro” Una santa, proprio, lasciamo perdere.. a volte il porfido era più tenero di Te, Alexei, sfinivi senza fallo quando ti impuntavi su qualcosa. Ed io ero più cocciuta, te lo concedo, di un mulo, un mulo iberico. E avevamo visto l’alba che sorgeva, era tanto che lo volevi, rosa e grigio, sfumature di turchese, il giorno sorgeva pallido, sfumato come il cuore di una rosa tea, ti avevo preso tra le braccia, annottando soddisfatta che duravo maggior fatica, finalmente avevi preso peso, era una gioia, un miracolo.
“Lo so che è buona, anzi, ma finisce in tempo, non ti ci fissare, che se una volta ha bisogno, che fai, non la aiuti..Comunque,  figurati se curiosa come è  non vuole vedere, io e le uniformi siamo agli antipodi, su, zarevic“
“Non potevi andare con lei?” omise di chiedere il motivo del suo ritiro, altre persone non avrebbero fatto pari a mettersi in mostra, e lui no. Mi sa che Catherine ha trovato pane per i suoi denti, e viceversa..La voglio. 
Scosse la testa “E’ una cosa che deve fare da sola,  anzi vuole farlo da sola, per ritrovare un poca di pace. Te lo ha già detto una volta, lei è come una tigre, o un lupo, non la posso mettere in gabbia, torna presto, comunque Zarevic.. diciamo tra una settimana e dieci giorni”
“Io non capisco, siete veramente complicati” Irritato. Pensieroso. “Se non ti muovi a sposarla, me la sposo io. Sicuro? A me ha detto molto di più”
“Ah ..mi tremano i polsi, Zarevic.. senza offesa sta con i tempi lunghi, che se dice prima e poi non arriva.. ti prenderebbe solo in giro, questa te la dico io fidati.. Sei precoce, davvero” ( E mi avresti sposata da un pezzo, Fuentes, ma i dubbi erano legittimi, non volevo che dopo anni mi rinfacciassi che non ti avevo dato figli..tralasciando la nostra successiva e rapida fecondità, a dare retta avremmo avuto un figlio all’anno)
“ E non mi prendere in giro, tu. Mia mamma dice che se vuoi bene a qualcuno è tuo e non deve andare via, o almeno non troppo”
“Ben vero, è una donna saggia” Come no e non si sarebbe mai permesso, in fondo non la conosceva e non voleva giudicare.
“ E perché tuo padre non ti ha trattenuto? Gli vuoi bene e certo te ne vuole lui, ne parli con grande affetto”
“Perché amandomi, sapeva che non potevo rimanere. Amore non significa possesso, anche se..”Spesso si confondono i due concetti, omise di dirlo, ma lo zarevic aveva colto il messaggio,
“Io spero che ritorni presto, Catherine”
“A chi lo dici”
“Ripeto, non vi capisco”  Poi”Non essere triste, meno ci pensi, prima arriva” Gli tirò un pugno scherzoso sul braccio, per essere tra uomini avevano anche troppo di sentimenti.  Ma quando aveva parlato di matrimonio non scherzava, tranne che ancora era troppo piccolo.
“Conoscerai le mie sorelle e mia madre, preparati. Tatiana è molto bella, cioè sono tutte molte graziose, oh ..insomma” Aleksey arrossì un poco, se LEI lo avesse sentito, si sarebbe indisposta, si era ben accorto di come si guardavano, quando pensavano di non essere osservati, un paio di volte li aveva visti baciarsi sulle labbra e taceva, che se dava stura alle sue osservazioni sapeva che avrebbe passato un guaio. E per lui era più semplice, si volevano bene, perché si complicavano la vita con inutili riflessioni?
“Ho capito.  Le foto  le ho ben viste, tranne che attualmente la mia preferenza va alle castane,” (ANDRESS!!)”E a una in particolare, senza offesa per le granduchesse. E a quella, prima o poi farò una proposta, onorevole, che mi guardi così, se non mi muovo la sposi te”Andres ghignò. (ECCO, BRAVO!! ERO IO VERO??) “A proposito, nel corso della cena ufficiale o giù di lì, verrà di sicuro fuori la storia degli eroi della Calle Mayor, e simili, ricorda che è stato solo un caso e che ho fatto il mio dovere, e no, non chiedere che la saprai anche troppo presto, fidati, e mi farai diventare verde con le storie del reggimento, eccetera, che hai le domande pronte..” Alessio sbuffò, come  lo conosceva bene, ormai.  E meno male che Catherine era stata muta sull’essere stata in Spagna, in uno specifico castello, di un matrimonio e di una corrida, almeno fino al momento, sennò sarebbe diventato un tema fisso, per loro comune disperazione. Come fu in seguito.  
“La sposi?” tornando al discorso di prima.
“Se mi vorrà, sì, con tutto il cuore. E per ora lo sai solo TU, non spargere la notizia, che sarebbe imbarazzante per entrambi se lo sapessero gli altri prima di lei, ottimo sistema per indisporla per quattro o cinque mesi filati nel lungo periodo, nel breve non oso immaginare che inventerebbe, con ragione poi.”
“Direi.. Capacissima di diventare un drago e bruciarci tutti..”
“Non sfidiamo troppo la sorte, quando si arrabbia .. Altro che lupo o tigre. Davvero, zarevic, che passiamo un guaio tutti e due” si passò un dito sulla gola, ridendo. (Su, Andres,  ero così tremenda..?? Avrei fatto peggio, cosa credi..)
“E l’anello è pronto? Usa così, ti dichiari, romantico che alle donne piace sempre.. Due frasi e ti dichiari, meglio in ginocchio,  e le metti l’anello, magari prima qualche bacio, per vedere se andate d’accordo. O è meglio dopo?? Forse entrambi” (Zarevic, eri precoce, altro che, eri già un pezzo avanti) “ Le piacciono i diamanti e le perle..Sai. E  ti piace, anche se è tanto strana, ha letto tanti libri e sa tante storie, un maschio mancato. Sa appena attaccare un bottone e fa buone torte, di sapore, che come aspetto sono bruttine. E’ stonatissima, il pianoforte non lo sa suonare però le piace la musica, Vivaldi  tra i preferiti, evita di parlarci di ricami o che, è negata” Andres era in bilico tra ridere o abbracciarlo, optò per dire “Zarevic, se non mi muovo la sposi tu sul serio. La conosco e credo di avere ben scelto. E sei molto informato, troppo, per la tua età” Tenero, ironico.”E grazie per le informazioni”  chiuse le palpebre per un momento, LUI  lo scrutava, indagatore, malizioso. “A me lo puoi dire” (Aleksej .. se ero con voi ti prendevo in braccio diretta per la commozione)
(…Scelta di cosa Andres, a proposito? Mica ero un rotolo di seta, da acquistare, un oggetto, ero e sono una persona… E tu un supremo rompiscatole , secondo solito)
“E va bene.. Non mi piace e basta, la amo”  (Già meglio, Fuentes..)
“E lei ama te, sicuro, non si fa baciare sulle labbra da tutti, giusto da te.. che vi ho visto, sai”
“Alessio!! ALEJO!!” scandalizzato, divertito. 
Lo  zarevic si mise a ghignare, battendo le mani “Guarda che si vede.. che vi volete bene. E la devi sposare, fine e ora andiamo”  mentre Andres borbottava qualcosa in spagnolo, comprese Alejo e chico, e altre parole che non conosceva e si guardò bene dall’indagare.
(E avrei voluto vedere dal vivo la scena, mettere in imbarazzo Andres è epica impresa riuscita a pochi, a me lo zarevic metteva sulla graticola con costante frequenza, per una volta l’onore era toccato ad altri )
Ancora “Lei è come la rocca di Ahumada.. protegge tutti, io proteggerò lei, la amerò per sempre, a prescindere..”
“Lei mi vuole bene”



“Mio caro Padre, sono davvero felice di rivedervi, questi anni sono passati in un baleno.. Non declinatemi come santo o martire, alla lunga ho compreso che l’odio genera solo odio e solo l’amore porta amore, scusatemi il sentimentalismo. Come già accennato, io e Enrique ci siamo scritti e riconciliati., alla peggio, e non dimentico come si è comportato con me a Madrid nei giorni di maggio e giugno 1906. E poi, per quanto può valere, non mi arreca nessun sollievo che abbia sofferto e soffra, nessuno mi riporterà indietro Isabel o Xavier. Ma voglio andare avanti e.. Siamo i tre fratelli Fuentes, i figli del Principe Fuentes, questo legame sarà per sempre, a prescindere da tutto e nonostante tutto. Vostro figlio Andres, conte de la Cueva. Ps Se vi riesce, evitiamo di tirare fuori in continuazione la storia degli Eroi di  Calle Mayor e simili, in fondo l’eroe, principale, o presunto tale, ovvero io, ha fatto solo il suo dovere” Da una missiva di Andres a suo padre, il principe Xavier.
 
“A presto, Andres.” Si era chinato a baciarmi, ricambiato, fino a restare entrambi senza fiato, mi ero sollevata sulle punte, allacciandolo per il collo, aderendo al suo corpo, centimetro per centimetro, poi mi ero sciolta, un passo all’indietro.
“Vorrei poter venire con te, fidati, ma non vuoi”
“Lo so, pure .. devo farlo, sono la solita egoista, stronza, devo”
“Fammi venire con te.”
“No, hai promesso.”La mia  secca replica, più aspra di quanto avrei voluto.
“Ci ho provato, tranne che la devi sbrigare da sola. Io non decido per te, lo sai.”
“Mi hai poi detto che la Spagna era un  luogo più sicuro senza quei due, non mi hai detto come”
“Se mi conosci, lo sai..”forse..
“ Ciao Andres, picador senza paura, eroe della Calle Mayor.. Mio amore”
“Ciao amore. “ e non aveva sbuffato sentendo annoverare quei titoli, alla fine se li meritava e l’ultimo era il più gradito. “Alla fine di tutto sei il mio amore”
“E tu il mio, sempre.. Ti amerò per tutta la vita, a prescindere da tutto”
“E io amerò te..sempre, forever and for always”


Olga aveva ripescato le lettere e le veniva da sorridere”.. Mio zio R-R ai tempi remoti, tipo 1896 e giù di lì voleva scrivere un libro di memorie sul nostro antenato Felipe ed è andato a cercare le origini, in Spagna, ove ha fatto amicizia con il principe Xavier Fuentes, i Fuentes erano la famiglia di origine di Felipe. Abitano in un castello favoloso, si chiama Ahumada ed è sui Pirenei, da dove ti scrivo adesso (descrizione in fondo, curiosona, che ti devo raccontare un sacco di cose) Allora, il principe Fuentes ha quattro figli, tre maschi e una ragazza, che si sposa domani. Si chiama Marianna, è bella e gentile, non si scoccia di rispondere alle mie domande, sul come e i perché, ha gli occhi verdi e i capelli scuri, è alta come la tua mamma (..) La cappella era piena di zagare, sai qui sono fissati, e le donne portano la mantilla, con un pettine, che è una specie di velo, il mio è di seta. La cosa buffa è che le donne sposate lo portano nero, le nubili bianco o avorio, come fosse uno dei nostri veli da sposa. Comunque Marianna si è sposata con il vestito tradizionale, nero, con ricami favolosi, in testa una mantilla scura, le zagare portate dappertutto, sul corsetto, il bouquet, nei capelli insieme ai gioielli. Lo sposo le ha offerto 13 monete d’oro, lei altrettanto, questo scambio indica la condivisione delle finanze e LUI che offre una dote a LEI. Poi hanno passato una corda sui polsi degli sposi, stringendola leggermente, per indicare che non si separeranno mai più Chiaramente la cerimonia era in latino e non ci ho capito nulla, in meno di una ora ce la siamo cavata, quando sono usciti scoppiavano petardi e mortaretti, fuori gettavano il riso e gli sposi sono passati attraverso una galleria di spade sguainate, degli amici e dei fratelli di Marianna (Enrique, Jaime e Andres, spero di avere traslitterato bene) e hanno scandito il motto dei Fuentes e dei Cepeuda..”Fuentes, ahora y por siempre” (Fuentes, ora e per sempre) “Estrella por Espana” (Una stella per la Spagna??) la festa è durata fino a tardi, sono corsa da una parte all’altra con un gruppo di ragazzine, la mantilla data a mia mamma, per non perderla  (..)Ho ballato con i grandi..Comunque anche guardare era uno spettacolo, i tre fratelli Fuentes sono alti, come  il cugino dello Zar, il granduca  Nicola e i suoi Zii.. Hanno tutti gli occhi scuri come il loro padre, Xavier, mentre Andres li ha verdi come Marianna, li hanno presi dalla madre, che era nata in Russia, pensa un poco.. Il principe Xavier era venuto a San Pietroburgo in Grand Tour nel 1878, contava 18 anni e lì ha trovato Sofia R. della stessa età e si sono sposati nella chiesa cattolica di Santa Caterina della capitale.. Comunque, Andres Fuentes, anche se è bello, ha sempre un fondo di tristezza, come se avesse il muso. Ballando, gli ho tirato un pestone (due, rettifico) e mi veniva da ridere, tutti erano stati contenti e lui .. Boh pareva fosse una penitenza. ..Chica pestifera ha esclamato e altro .. Ragazzina pestifera, ma dai ..Nota: descrizione di Ahumada. ..” E descriveva le mura solide, ornate dall’edera, il giardino interno, che era un posto splendido che offriva pace e sicurezza, mille e rotti anni di storia, una fortezza imprendibile, sulla torre principale potevi prendere le stelle, tanto ti parevano vicine, il profumo di resina e le risate, i picchi acuti delle montagne, le meraviglie di alba e tramonto.”…. PPS Marianna Fuentes ha 24 anni, non è certo una ragazzina, ma si è sposata per amore, vedessi come è contenta.. PPPS a mia madre il vestito da sposa spagnola è piaciuto così tanto che se ne è fatta fare uno su misura con annessa mantilla.”
“.. abbiamo visitato Granada, devi vedere come è bello il palazzo dell’Alhambra di rossa pietra, i giardini con le fontane belli come quelli dei palazzi dello ZAR Tuo Padre (..) E abbiamo visto una corrida (…) che qualcosa è andato storto, il toro era davvero infuriato e ha preso un braccio del matador con le corna.. Una brutta ferita e la bestia era davvero infuriata, uno dei picador è sceso da cavallo e ha agitato il drappo rosso (muleta) davanti al toro e lo ha finito .. Ero zitta per l’orrore, che rischiava di .. Insomma, ha ucciso il toro e salvato il matador.. Quando si è tolto il cappello, lo ho riconosciuto ..Era Andres, il più giovane dei Fuentes. Ora che il figlio di un principe faccia queste cose è ben strano, almeno per noi, ma qui in Spagna ragionano a modo loro e addirittura un grande re del loro passato, Ferdinando, era solito toreare e combattere nell’arena. Abitudine che rientra tra quelle di re Alfonso, il loro attuale sovrano quindi ci siamo. Comunque, è stato molto coraggioso. Senza paura. Lo hanno acclamato e i fiori cadevano sulla sabbia”
Era uno spettacolo meraviglioso.
Il servizio era superbo, tavole di bisso e Fiandra, impeccabile argenteria, le luci elettriche si mescolavano a quelle delle candele e ai gioielli delle donne e alle dorature delle uniformi, brindisi e conversazioni fluivano nella dolce aria estiva.
La zarina Alessandra sorrideva rigida al principe Xavier dei Fuentes, si era inchinato con squisita cortesia sulla sua mano, omettendo di manifestare disagio per la sua pelle a chiazze, le aveva portato i saluti della regina Ena, insieme alle scorte di medicinali dalla Spagna, e altro giunto dalla delegazione che guidava, che accompagnava il contingente di volontari giunto dalla remota penisola iberica.
Vestita di nero, al collo una croce di zaffiri, appariva affaticata e tuttavia molto bella, la versione adulta e raffinata delle sue splendide figlie, che si godevano una cena semi informale, era la guerra e quel caso andava celebrato, un aiuto per la pace e nuovi combattenti, un curioso ossimoro.
Nel corso delle portate si rilassò, Xavier le chiese molti particolari, complimentandosi per l’idea di organizzare un comitato per aiutare le donne incinte e le puerpere, e via così, il respiro le tornò normale.
Giovani ufficiali che facevano confusione e brindavano, Alessandra osservava le sue figlie a quella cena, le chiacchiere gentili ed informali, Olga e Tatiana erano sedute vicine ai principi Enrique e Andres Fuentes, Jaime  a Marie e Anastasia, alternati a altri, Alessio in giro, insieme allo zar, che si recava posto per posto per ringraziare, era gentile e lo zarevic, ascoltava, senza fare troppe domande.
Un brindisi, un ruggito.
“Agli eroi della calle Mayor! Celebriamo Andres Fuentes!! Viva la regina Vittoria Eugenia! Viva re Alfonso! Lode allo Zar! Alla zarina!!”
“Ho fatto solo il mio dovere, che dite, non era coraggio, ma caso!!”
“Zitto, sempre così” E le storie partirono, erano passati ormai 10 anni, praticamente una vita.
La principessa Vittoria Eugenia aveva contratto matrimonio con il re di Spagna a Madrid nell’ ultimo e glorioso giorno di maggio 1906, partecipavano sua madre e i fratelli e i principi del Galles.
Dopo la cerimonia nuziale, la processione reale tornava al Palazzo Reale quando un attentato venne compiuto in danno dei sovrani
L’anarchico Morral lanciò una bomba sulla carrozza reale.
La regina aveva voltato la testa per osservare la Chiesa di Santa Maria, che le mostrava il re Alfonso, la sua gonna bianca si macchiò del sangue della guardia che cavalcava accanto alla carrozza.
I cavalli erano partiti al galoppo, Andres li aveva fermati, era vicino, un gioco, un caso, lui salvava tutti tranne che sua moglie e suo figlio, era ardito, malinconico e sobrio, l’anarchico Matteo Morral Roca aveva ucciso 20 persone e ferito altre 100 nel tentativo di assassinare il re di Spagna.. lanciando una bomba travestita da bouquet nuziale nella Calle Mayor
Era un Fuentes, un eroe.
Dopo l’attentato, Morral aveva cercato di allontanarsi nella folla, ma lo avevano riconosciuto, tra gli altri Enrique e Jaime Fuentes, lanciati al suo inseguimento.  Una lotta e un segreto, Morral non era passato attraverso la giustizia del re, ma Andres e i suoi fratelli erano stati osservati, amati e scrutati.
Andres si era ritirato dai dragoni nel 1901, un congedo formale e illimitato, pure Alfonso gli aveva conferito il grado di generale, per i meriti di cui sopra.
Lo zar annotò che Aleksej aveva gli occhi sgranati come due rotondi piattini per lo stupore.
In effetti, un conto era leggere quelle vicende su freddi rapporti, altro sentirle narrare dal vivo ..Tacendo che il bimbo le apprendeva allora, quando aveva affidato Aleksej a Catherine e Fuentes si era premurato di apprendere chi fosse lui, seriamente, che R-R non si fidava del primo venuto ed era obbligo controllare. E ne era valsa la pena, l’iberico valeva tanto oro quanto pesava. E se la ragazza era intelligente, come in effetti era, se lo sarebbe sposato, prima o poi.
Era Andres dei Fuentes, un eroe, per gioco o per caso. “Ma lasciamo stare .. quel che conta è che il re di Spagna, lode e onore al suo nome, mi permise di fare il picador alla corrida che si celebrava per le sue nozze..”
“ Già, il picador di Granada, che..” E raccontarono la storia, nuovi brindisi e giuramenti, Alix osservava che suo figlio  era muto, allibito, i pugni stretti, mentre venivano fuori le leggende di cui sopra. Andres  dei Fuentes, un eroe, leggenda senza fine
“.. e non dire nulla!!  Tu sei Andres Fuentes, l’eroe” sussurrò nella calca al suo orecchio, facendo finta di osservare gli alamari d’oro della sua manica.
.. che si ubriacava e andava a puttane, notte dopo notte, con i suoi fratelli, ecco i tre Fuentes riuniti, percepì il suo sussurro, indovinando che odiava essere al centro dell’attenzione. E non era quello, gli avrebbe spiegato poi. E intanto era salito fino in cima al grado delle sue preferenze, sarebbe stato un suo mito, un punto di riferimento cui aspirare, un perfetto  e cortese cavaliere che era così pratico da risultare cinico.
Lo osservò, incerto, non avrebbe mai fatto una bizza in quella situazione, lo avrebbe disonorato e si sarebbe disonorato a sua volta. Che era suo amico, il cavaliere i cui tatuaggi raccontavano simboli e storie, che aveva cura di lui, lo aveva portato a pescare e a nuotare, raccontato leggende  e tanto altro.
Intercettò una coppa di champagne abbandonata e alzò il calice. Non come la volta che, insieme ad altri ragazzini, avevano vuotato alcuni bicchieri di vodka, abbandonati, prendendo una sbornia  solenne .. allora aveva otto anni, era un moccioso, ora era cresciuto. Abbastanza, annotò tra sé, di certo non si sarebbe addormentato come un sasso, come allora, né suo padre lo avrebbe preso in giro, dandogli dell’avvizzato ubriacone.
Cadde il silenzio.
“Un brindisi al prode Andres Fuentes, l’eroe!! “ Scandì, era il figlio dello zar, tutti si fermarono per ascoltare, gli venne in mente Catherine e il suo amato viso, quando lo abbracciava e prendeva in giro Andres, ne sa di cose di me, alcune carine, altre meno, aveva osservato lui, deglutì proseguendo “Onore al picador e a tutto! Fuentes ahora y por siempre..” In spagnolo. Cinque parole che aveva imparato.
“Ai Fuentes!!”
Un momento di silenzio.
E tutti brindarono a Andres, allo zarevic e ai suoi.
Gli applausi scoppiarono come fuochi di artificio.
Andres lo osservava con le iridi velate, un principe solenne, in uniforme come lui, non arretrava o batteva ciglio. 
Catherine sarebbe stata orgogliosa di entrambi, e lo era, come disse poi.
Lo zarevic annotò una stretta di mano di Andres, rapida, netta e un brindisi “A Catherine “ “SI’”


 
Alessio entrò nello studio di R-R, facendo il finto tonto, ma fiutava aria di sorpresa, anche lui ne aveva imbastita una. Suo padre gli aveva detto di andare là a prendere un libro che aveva dimenticato e lui si era prestato, osservando che lo accompagnava Andres, che lo aveva mollato sulla soglia, strizzando un occhio.
Passava a salutarlo, ogni tanto, ma in quei giorni erano  pieni e stava con sua madre e le sue sorelle. Alessandra aveva fatto una gaffe non indifferente con Fuentes padre, quando gli aveva chiesto l’età precisa dei figli, rilevando che era un peccato che nessuno dei tre figli maschi fosse sposato e che la figlia Marianna si fosse sposata a 24 anni, proprio lei che  a 22 anni era diventata zarina, chiedendo se avesse nipoti.  Si, ne ho sei, cinque maschi e una femmina, e aveva sussurrato che Andres era rimasto vedovo molto giovane e che Jaime era un sacerdote cattolico, con voto di celibato. (Nel novero aveva elencato anche il figlio di Andres, Marianna ne aveva avuti cinque, era giusto includerlo..) Il tono era stato fermo e preciso, non le aveva mancato di rispetto e la aveva messa metaforicamente in riga, cambiando poi argomento, chiedendo di illustrare meglio l’organizzazione dei reparti ospedalieri che dirigeva.
“Qualcuno mi ha riferito che non vedevi l’ora che tornassi”
“Cat!” la ragazza si mise in ginocchio, aprendo le braccia, le si buttò addosso, felice, premendosi contro di lei.  “Mi sei mancata”
“Anche tu, tanto” gli diede due baci sulle guance,  notò che aveva un graffio sullo zigomo, glielo toccò, e insieme, percepiva qualcosa di differente. Come se la tensione si fosse sciolta, un peso tolto dalle spalle, non lo aveva mai abbracciato così. Fiduciosa ..ecco.  E gioiosa, gli angoli si erano smussati, forse per la prima volta si concedeva di amarlo in pieno, l’affetto aveva rotto gli argini, senza misura “Lo so e sono contento di vederti. Davvero. Pensavo che andassi per due o tre mesi, invece sei ritornata dopo una settimana”
“E’ andata così, meglio, credimi, fatti guardare, non riempirmi di baci ..” Lo sollevò contro il fianco, secondo le loro abitudini, come se non volesse più staccarsi. “ E ora per quanto sparisci?” ansioso.
“Resto alla Stavka e dintorni, Alessio, se vado verrò a salutarti ogni volta, ho preferito stare con i tempi lunghi, che se dico prima.. e poi non arrivo, ti prenderei solo in giro, tralasciando che ti avrei scritto e telefonato, lo sai, amore, Alexei”omise di dire che sarebbe rimasta a tempo indeterminato, non lo voleva illudere, che non si sapeva mai.  E aveva detto se e non quando, già qualcosa, una sfumatura non da poco, che aveva decodificato. Intanto lo zarevic gradiva i suoi nomignoli affettuosi “ Dici a me dei baci, e pure tu non scherzi, sei come un gatto, davvero.. coccoli e ti vuoi fare coccolare..tranne che non hai negato, sull’assenza lunga..allora era meno”lei lo serrò ancora più stretto, mugugnò che non sapeva la precisa durata, voleva fargli una sorpresa.  Dando sempre per scontato che non sarebbe morta, opzione che lo zarevic rifiutava sempre di tenere in conto.
“ Ho anche io una sorpresa!”Annunciò, ridendo, quando bussarono, potevano essere passati meno di dieci minuti. “Fammi scendere. Che poi brontola, dice che mi vizi troppo, forse ha ragione, ma non glielo diciamo”
“ Ma chi? Cosa..?Alessio, che hai combinato..” sgomenta. E tanto lo aveva messo dietro di me, in posizione di difesa
“OLGA!” mi premetti le mani sulla bocca, per lo stupore, la gioia, la sorpresa la ebbe LUI che vide la sua riservata sorella buttare la sua proverbiale freddezza alle ortiche e stringermi con un solo movimento, per non tacere di me che le ero saltata addosso, ridendo,  commossa.
“Ciao, principessa militante, Cassiopeia..!”Sussurrò, strofinando il naso contro il mio, come da ragazzine.
“LO SAI?” allibita.
“I report..”Scandì. “Mia stupida, coraggiosa eroina e nessuno collegherebbe, troppo folle anche per te, Papa li tiene sulla scrivania”Per una volta, rimasi a corto di parole.  Mi stringeva, possessiva, una spada nel vento, Olga.
“Non sono un’eroina, mi ci sono trovata nel mezzo”
“ Te la sei cercata..Grazie, Alessio, sorpresa migliore non potevi farmela”
“Anche Andres ne ha una per te,  Cat. Ma non te la dico..”Sibillino. E basito, che io e Olga ci abbracciavamo, a vicenda, tenere, senza commenti.
“Andiamo bene..”Sussurrai divertita.  “ A presto, ragazzi.” Un passo indietro e scattai sull’attenti, poi cambiai idea e li strinsi.
“Ti senti bene, Cat? Sei diventata affettuosa in un colpo solo.. Più del solito”
“Ho risolto una questione..difficile. Da ora in avanti, potrò solo stare meglio, Olga”
“ E viziare lo zarevic come non mai, guardatevi, “Ironica, commossa”Chi te lo stacca di dosso” per essere equo, Alexei la circondò con l’altro braccio, ecco tre dei fratelli Romanov riuniti, un baluardo.  Forse era più semplice se mi lasciavo amare. Sussurrai “Alexei.. finchè mi sarà possibile non ti lascio più”  lui mi venne addosso, senza fallo o replica, me lo caricai sul fianco e annottavo la sua stretta “Non mi mandi via? “ “Se vuoi sì..” “MA NO..” Omise altro che vi era Olga, e mi guardò così a fondo da farmi vergognare.
“.. quando me lo sono ritrovata davanti, catturato dai nostri, prigioniero di guerra, sono rimasta in silenzio. Avrei potuto ammazzarlo seduta stante e nessuno avrebbe osservato nulla, potevo avere la mia vendetta. Gli ho chiesto solo perché.. Cosa ha grugnito..? Perché hai ucciso un uomo a Tannenmberg, sparandogli alla schiena, nel 1914, a settembre,quando si erano ritirati”Mi scrutai le nocche, rievocando l’afrore e il sudicio, quel tedesco lurido, la collera e la voglia di vendetta, il suo sguardo stupito. “Non me lo ricordo, me ho ammazzati tanti per divertimento..”Sputando per terra, ormai che aveva da perdere, aveva detto quello.
Gli avevo tirato uno schiaffo con precisione micidiale, tutta la rabbia e la frustrazione e il dolore concentrato in quel manrovescio. Lui è morto, Cat, ogni cosa che farai, ogni atto di egoismo o altro, sarà per te e non per lui, ed era ben vero. Il mio orgoglio di Lucifero, che mi aveva fatto patire l’inferno, l’arroganza, l’amore, cosa poteva prevalere?
Luois .. Sarebbe sempre rimasto con me, un dolce ricordo, avrei sempre avuto nostalgia della ragazza che ero stata, della vita che avremmo avuto insieme, se l’arroganza di un folle non me lo avesse portato via.
Ed ero rinata, in senso metaforico, con nuova pelle sulle cicatrici, pronta a ripartire. E  se lo avessi ucciso non sarei stata migliore di lui, quella morte non aveva motivo, solo un gioco di dadi e.. Come sarei riuscita a guardare Alessio o Alexander negli occhi..o toccarli senza sentirmi un’assassina a sangue freddo? Giustizia, non vendetta.. Non sei un giudice, sei un soldato dello zar. Olga aveva ben colto nel segno, quando mi aveva accusato di essere egoista e vigliacca nell’andarmene, aggiungendo dopo, molto dopo, quando ci eravamo riconciliate, che si poteva sempre scegliere.
E avevo scelto. Di essere il lupo, non un cane bastardo. Letale ma non vendicativa.
“.. lo hanno processato, riconoscendolo colpevole di saccheggio e..”Enumerai i capi di accusa, uno più grave dell’altro”Il tribunale di guerra, mica io, condannandolo poi alla fucilazione. Ho assistito e gli ho augurato di ricordarsi quel nome all’inferno, Luois de Saint- Evit. Ero così intorpidita che ho sbattuto contro il muro  e mi sono fatta questo graffio al viso, manco me ne sono accorta”
Pausa. “..quando sei andato via dalla Spagna, mi hai detto che era un luogo più sicuro, senza  quei due.  E non li hai ammazzati, semmai li hai fatti arrestare, e ..poi ..”
“ Hai indovinato. E il mio dolore era troppo grande e la mia casa troppo piccola, per contenerlo. E ho compiuto mille peripli.. Il picador, l’eroe di Calle Mayor..l’intrepido Fuentes, come no, che si ubriacava e andava a puttane. E tanto odiarmi per essere sopravissuto a nulla è servito, come a te.”
E come la fenice, rinascevo, mille vita in una.

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Capitolo 20
*** I Trust in You ***


Quello che non cambiava mai era la curiosità inesauribile di Alessio, una penitenza che mi toccava spesso, tra virgolette, aveva il potere infinito di cacciarmi  in imbarazzo. Anche se in fondo mi divertivo, mi spiazzava sempre.
“Mi spiace che Mamma e le mie sorelle siano andate al Palazzo di Alessandro,  Fuentes padre è stato molto gentile con lei, gli farà vedere come ha organizzato gli ospedali” E i due fratelli di Andres e il resto del gruppetto di volontari iberici erano andati al fronte, dove si erano innestati  molto bene, allegri e rumorosi erano combattenti senza misura.
“Fuentes padre è una persona squisita, credimi, e poi gli ha piacere tornare alla capitale, ha conosciuto lì la madre di Andres, Sofia. Erano giovani tutti e due “  E risultare simpatico alla zarina senza filtri, di primo acchito era ragguardevole impresa, asso che poi avremmo sfruttato di lì a poco.
“Ma non ti annoi a stare sempre da sola,?Cioè, cavalchi, spari, traduci i rapporti e..”E la notte dormivo ben poco, da quando ero ritornata la passione aveva fatto un salto in avanti, ora, oltre che amanti, con Andres eravamo amici. E scopritori, inventavamo mille tracce e nuove rotte, navigando verso il piacere. Era come avere sempre fame e sete e non saziarsi mai.
“E sto con te, ti pare poco? E ancora non ti sei scocciato di avermi sempre addosso”Figuriamoci, non ci voleva nemmeno scherzare, si rabbuiò all’istante, per come mi aveva conosciuto potevo togliermi senza indugi. E non l’avrei più fatto, almeno volontariamente, mai più. Aveva capito, in fondo, che ero cambiata, che mi ero tolta un peso dalla schiena e non ponevo più limite nel dimostrare  l’affetto che avevo per lui, che la fiducia era ritornata”Poi ho da leggere una montagna di cose” Vaga
“  Va male, vero?”
“Ci sono state molte perdite, lo sai” E le chiacchiere salivano come un vortice, si vociferava di complotti e attentati, io stessa con Alessio non osavo allontanarmi più di molto. Quell’estate stava bene, pareva davvero rientrare nel novero ristretto di emofiliaci che avrebbero varcato l’età adulta.
“ Lo so, ma ti volevo chiedere un’altra cosa.. Quando c’è stata la cena degli spagnoli ed è venuta fuori la storia di Calle Mayor eccetera “Se la era fatta narrare ad infinutum e di arene e corride e Ahumada, nonché dei leggendari dragoni, che combattevano a cavallo e poi terminavano a piedi,  fino a quando Andres gli aveva intimato di smetterla, serissimo. Aveva smesso di chiedere a lui e NON  A ME, per mia comica, somma disperazione”Andres mi ha detto che andava a puttane e si ubriacava.. Cioè?”
“Cioè cosa? Possibile che chiedi solo a me..Alessio, mi metti in imbarazzo, davvero” lo scrutai, attenta.  E continuava, il furbacchione.
“Tu le cose me le dici sempre, non come gli altri, che sono sempre troppo piccolo, non sono adatte a un bambino, che tra parentesi è lo zarevic, i cui desideri dovrebbero essere ordini, eccetera, le mie sorelle non penso che saprebbero, la Mamma.. evito” sbuffai tra di me,  mi ricomposi, Olga ne sapeva sempre qualcuna, leggeva e ascoltava di tutto, non era cieca alle cosiddette circostanze del mondo, eppure non osavo immaginare la reazione. Anzi, glissavo per principio, ci avrebbe appeso per le orecchie o si sarebbe messa a ridere, omettendo di rispondere, se fosse stata di buon umore.  In caso contrario.. evitiamo di immaginare. Anche Tata era sveglia, ingenua solo in apparenza, e ti faceva sempre sentire in difetto, come se certe carenze terrene non la toccassero. Sulle piccole non stilavo previsioni, forse ignoravano i cosiddetti fatti della vita, sul momento. Me lo presi sulle gambe, come d’uso, mi circondò il collo con un braccio “Vai, ti ascolto..” Avevo sperato di passare la gabella, e tanto non avevo scampo, lo avevo abituato in quel modo. Tralasciando che molto spesso mi divertivo a raccontare e spiegare.
“ Sono cose che fanno gli uomini, quando hanno passato il limite, o per noia o sconforto o divertimento.. Pare sia molto virile consumare liquori o, per gli scapoli, andare nei luoghi di piacere.. A puttane, detta in modo rozzo. E..sorvoliamo sugli sposati e le loro amanti..”Mi scappò di bocca, fortuna fu che non badò all’ultimo inciso, sennò potevo metaforicamente seppellirmi.
E glisso, che fu un affanno cercare di spiegare senza inerpicarmi in giri troppo moralistici o ampollosi, cercai di essere semplice, diretta, io avevo 14 anni quando avevo avuto quelle curiosità, e Alessio era stato istigato.  Andres, accidenti  a te, foste stati più in confidenza, te lo avrei appioppato di volata. Tralasciando che LUI era in confidenza con me, ormai non lo stupivo più di niente.
“.. poi mamma dice che i figli di zia Miechen sono immoralmente precoci, Boris voleva sposare Olga, ma lei non ha voluto.” Entrambe, a quel giro sia Alix che Olga si erano trovate d’accordo, caso da annoverare negli annali familiari. Il mio adulto in fieri, che ti spiazzava con profonde verità o sciocchi capricci, già, era appunto un ragazzino.
“Non sarebbe stato un grande affare, per tua sorella, ha venti anni più di lei ed è.. debosciato. Troppo vecchio e non ne è innamorata, soprattutto “ Invece per Boris sarebbe stato il cosiddetto colpo da 90 sposare Olga, l’unione con la figlia dello Zar sarebbe stato un passo verso il trono, che i Vladimirovici desideravano e non ottenevano.. Cirillo, sposato con Vittoria Melita di Edimburgo, ex cognata di Alix, aveva perso rendite e titoli per quel colpo di testa, era tornato solo di recente, per la guerra, il fratello più piccolo, Andrea, viveva more uxorio con Matilde K. la ballerina ex amante dello Zar. E lo stesso Michele, fratello di Nicola, con il suo recente matrimonio morganatico, aveva perso punteggio....Più si scendeva nella dinastia Romanov, maggiore era la sete di potere e gli scandali.
“Andres ne ha dodici più di te, non è troppo vecchio”
“Alessio, non puoi paragonare Andres a un crapulone debosciato..”reagendo, sdegnata” Lui è oro vero, fino in fondo, mica pirite” il sottointeso, ovvero il matrimonio, lo intuivo.  E capivo che stava lottando con se stesso, voleva dirmi qualcosa e si asteneva.
“E cosa sarebbe? Un crapulone debosciato.. La pirite è l’oro degli scemi, luccica ed è solo apparenza, Andres invece è bravo”Mi presi il viso tra le dita, desolata, prima di acchiapparlo di nuovo “Una persona piena di vizi.. senza ritegno o misura.. ”
“…”
“Alla Stavka è più  semplice, agisci senza perderti dietro a questo o quello scandalo..”
“E io ascolto troppo, vero?”Per alleggerire l’atmosfera.
“Un poco troppo, ma sai mantenere i segreti, merce rara, fidati, spesso la gente va oltre il limite”
“E tu eri oltre il limite, quando sei andata via, non volevi più vivere e quindi morire era la meno?” La stoccata, improvvisa.
“Sì. Come lo hai capito?”Scosse le spalle, come quando non voleva o non sapeva rispondere. Già, come osservava alle volte, c’è chi ha tutto e chi nulla, lui amava la vita ed era a rischio in ogni momento, l’emofilia come una costante spada di Damocle, chi poteva goderne, dell’esistenza, la buttava alle ortiche. Gliela dovevo di essere sincera, che nei suoi confronti poteva essere una suprema presa di giro e, nella pratica, lo era.
“.. Olga ne discuteva con Tata, una volta, dicevano che avevi sofferto troppo e ti sentivi in colpa per essere sopravissuta, che ti pareva di non avere nulla o nessuno per cui lottare. Io ho ascoltato di nascosto“ Se ne fossero accorte, avrebbero omesso, e non era parlarmi dietro alla schiena, mi volevano bene ed erano preoccupate per me.  E lui avrebbe capito lo stesso, per altri giri.
“Ah” Una sola sillaba. E mi sentivo il metaforico verme.
“Ma Tata ha detto che ti saresti ritrovata”Corrugò le sopracciglia, teso, per ricordare, serissimo.”Anche se ci dovevi sbattere la testa. Ma non al muro” Mi sfiorò la fronte, la cicatrice della caduta da cavallo del 1906 era sempre là, in  senso letterale avevo già dato.
“Magari Olga avrà detto che ci sperava, ma non ci contava, che ho i tempi di reazione da bradipo, che mi guardi così, un poco la conosco” Sorrise e mi si tuffò contro il petto, mi dondolai avanti e indietro con il busto, mille pensieri passavano per l’aria.  Che poi, quando mi ero trovata alle soglie di un ipotetico trapasso, due volte per tutte le cicatrici che avevo sulle braccia, saltiamo il resto,  avevo lottato per vivere, non volevo morire, ero tornata ad amare. E amavo quel bambino, ora e sempre.
“Già, voi vi intendete, alla lunga, sempre. Senti, stasera posso dormire da te?”
“Come al solito, ormai è un mese che ci onori, almeno una volta a settimana. “
“ E dai, mi comporto bene,passeggiamo o facciamo una torta, mangio tutto e mi diverto”
“Più che a vedere i film?”Lo provocai, affettuosa. Adorava le proiezioni cinematografiche, in alcuni casi pareva di essere lì sul serio, disse, scrivendolo poi sul suo diario “ Fai la classifica e dividi in accettabile, medio, buono..Ottimo ancora mi manca”gli sfiorai il ginocchio, affettuosa, possessiva.
“Dipende. Poi il Papà è preoccupato, è sempre in riunione e dopo sta sveglio a pensare, lo sento che si agita. Se gli chiedo che ha mi dice di dormire e non scocciarlo. E lo so che ha i pensieri, li hai anche tu leggendo quella barcata di carte” Già, la nuova occupazione era rileggere e sintetizzare i rapporti, definirli tetri era riduttivo, ne giungevano a vagonate, poi traducevo in inglese e francese. E a volte (molto spesso),  Alessio mi faceva compagnia, si metteva al tavolo con i suoi libri e quaderni, cercando di non interrompermi ogni cinque minuti, vedeva la ruga che mi tagliava la fronte, ero io a chiedergli se gli serviva qualcosa, se conosceva tutte le parole o che stava leggendo di preciso, per dimostrare che aveva la mia attenzione, anche se non lo monitoravo attimo per attimo. Gli dedicavo qualche minuto e tornavo ai dispacci, dopo un’ora, una mezz’ora, mi chiedeva dell’acqua, un panino, due biscotti o di risentire le lezioni, quando vedeva che avevo la fronte ridotta a una serie di solchi profondi. O mi dava un bacio, per distarmi, era un bambino molto dolce, affettuoso in privato, sensibile oltre ogni dire, continuavo e intanto lo prendevo in braccio.
 Alessio in greco significa il protettore e mi recava sollievo dalle ombre, fine. Il mio adulto in fieri, che ti spiazzava con profonde verità o sciocchi capricci, già, era appunto un ragazzino. Sono i grandi che non capiscono, aveva rilevato una volta. E i segreti sapeva tenerli, quando era appena un moccioso aveva appreso a non rivelare nulla sulla sua malattia o  su Rasputin, anche a persone che vedeva tutti i giorni e lo amavano, come il suo precettore svizzero Gilliard. Io lo avevo compreso per altri giri, per mio sommo strazio, orecchiando qualche commento e scorrendo un manuale di anatomia patologica, e alla fine lo avevo chiesto ad Olga, il suo silenzio era stato la conferma, come la successiva battuta, preferirei che fossi meno sveglia e curiosa. Ed  ero ben stata in Spagna, nel 1909, si sapeva che la regina Vittoria Eugenia aveva avuto due bimbi emofiliaci, lei e Alix erano cugine, le loro madri avevano generato dei bimbi malati e..ci voleva poco a trarre le conclusioni.
Altre volte, quando ero satura, da sola, sellavo Castore e facevo i miei numeri da circo, fino ad essere esausta, galoppando come una invasata.
Corruzione, fame, perdite, complotti. Da sentirsi male e tutti, dal primo all’ultimo, davano la colpa alla zarina e a Rasputin.
Feci un’eccezione alla regola che mi ero imposta. “Vuoi che ti porti in braccio fino a casa? So che stai bene e tutto, che non sei stanco, però mi farebbe piacere”  Lui diceva che in quel modo  si sentiva al sicuro, come no, ma si era rattristato, quindi se poteva dargli conforto, era inutile negarglielo, e tanto aveva già aperto le mani.  Mi si appoggiò alla spalla, gli massaggiai la schiena “Verrà il giorno che faremo il contrario, sarai tu a portare in braccio me”  “Intanto va bene così, Catherine.. Come la volta del vaso, che .. avevi ragione a arrabbiarti, però mi hai tenuto stretto uguale.” “Non eri stanco, almeno non fisicamente”Annotai. Solamente stravolto da pena, rabbia e spavento “ Ho cercato di migliorare e pure tu, Aleksej. Te lo avevo detto, che ci provavo, almeno quella volta che mi hai fatto vedere come nuotavi bene” “Come lo avevi capito? Non credo che hai tirato a indovinare, stai scuotendo la testa, pure.. E lo so, hai detto che ero bravissimo” non corressi il refuso grammaticale, a volte risultavo insopportabile e fissata pure a me stessa“Alessio, dai è passata, tranquillo.. “ non mollava, ormai era curioso, attento, gli misi un braccio dietro le scapole, per farmi vedere “Ti conosco da quando sei nato, un poco ho imparato a decifrarti, e viceversa.. “Temevo che ti venisse un accidente, ecco cosa, l’adulta ero io e avevo fatto succedere un casino, brava a me,  figuriamoci se non ti portavo in braccio, mi limitai a pensare  e credo che avesse inteso, manco lo avessi affermato ad alta voce.. “Va beh, soprassediamo”. In fondo non era passato poi tanto tempo, poche settimane, ecco tutto, realizzai,  lo strinsi più forte, involontariamente. “Cat, fai piano” gli massaggiai le gambe, a fine pomeriggio mi vietai di tenerlo in braccio.
“Inventami un sogno per cacciare l’incubo” Lo stavo mettendo a letto, quella sera di fine giugno quando se ne uscì con quella richiesta inopinata. Già troppe visite alle truppe e agli ospedali pieni di feriti e moribondi lo avevano innervosito, senza rimedio, in aggiunta vi ero io. A volte pensavo che sarebbe stato meglio che non ci fossimo incrociati.
“Quale? Te lo ricordi o sai che è un incubo..” rettificai “ So che ne fai tanti, questo è specifico o no?”
“ Non so dove sono, però è buio, sento le pallottole che esplodono e non mi posso muovere, c’è odore di sangue e .. “ mi misi di fianco, piccoli mormorii affettuosi, cingendolo mentre gli toccavo i capelli, la fronte, se ne parlava, poteva liberarsene, e non era solo.
“Chiudi gli occhi, c’è una valle piena di fiori, siamo tra le montagne e le punte acute sono piene di neve (sst.. rilassati, accostati al mio petto, tranquillo, nessuno ti imbroglia, senti le mie mani, sono qui) .. Un bosco a sinistra, verde, un basso rimbombo di zoccoli .. Luce, foglie, profumo d’erba. Ed ora il cavaliere, su un baio altissimo, procede senza timore, ogni tanto si diverte con qualche numero, non ha nessuna fretta, quindi il cavallo rampa sulle zampe posteriori, saluta il cielo e l’estate,  corre nel vento che porta il rombo del mare. Al suo passaggio la gente lo acclama, lo applaude e il baio cammina su un tappeto di fiori, lo amano, che è forte e coraggioso ..I suoi capelli scintillano, mogano e rame sotto il sole, ha gli occhi azzurri e grandi mani (gli sfiorai i capelli, si era rilassato, un mezzo sorriso sulle labbra) Via, verso l’orizzonte, dopo essersi fermato a bere un bicchiere di vino con i suoi amici e avere scambiato dei baci con qualche  bella ragazza  (Sorrise apertamente, finalmente rilassato, cacciando le mani sotto le mie ascelle, i piedi tra i miei polpacci) Nessun timore o paura, la semplice gioia di essere vivo, le strade del mondo il suo regno, solo limite l’immaginazione” Attesi a proseguire, che si fosse addormentato “Il suo nome Alessio Nicolaevic Romanov, zarevic, atamano di tutti i cosacchi, re del tempo e  del sogno ..”
 “Ma un vestito da donna te lo rivedrò mai addosso?”
“Prima o poi ..Comodità, sto meglio in pantaloni”  Mi misi la cintura intorno alla vita, definirmi sottile era un eufemismo, allacciando la giacca, misi la pistola dentro la fondina, risposi leggera, scherzosa, come una mandorla salata, dolce e amara insieme.
Scrollò la testa, sconsolato “Sei un maschio mancato” Andres con R-R a compiere un giro ispettivo, per una volta sarebbe stato un piacere averlo tra i piedi, se non altro per arginare momentaneamente il bambino, sarebbe tornato solo in giornata, quando attaccava a essere così petulante aveva qualcosa. E se  Andres mi gradiva, in pantaloni o meno, buon per noi.
“Forse.. Vuoi fare colazione qui o ti riporto subito?”
“Posso rimanere con te anche oggi..”Poi” Lo fai apposta per farmi mangiare.”
“Anche, a supplicarti è estenuante e non risolvo nulla. È uno scambio, no?”
“Un ricatto..”in un dato senso, aveva ragione.
“Vedila come vuoi” Con quel sistema ero riuscita a fargli mettere su un paio di chili,  risultato non indifferente, salvo che ogni tanto aveva degli attacchi di pura golosità Poi mi rivenne in mente la volta del vaso, tanto per essere in tema con i discorsi del giorno avanti “Alessio, non ho voglia di discutere.. né di farti arrabbiare, per questo. Mangerai se e quando avrai fame.. si cambia regola, ti va bene”
“Va bene” E mi provocava fino a vedere dove poteva spingersi,  il limite oltre cui sarei esplosa e tracimata.“Dove sta l’inganno? Come per le medicine o l’olio di ricino Per il mio bene..certo” amaro. Adulto e spiazzante, il cipiglio delle sue iridi, azzurre, a volte succedeva, pareva davvero un ragazzo di 20 anni, maturo e lucido“Dite … va bene, anche se non ne ho bisogno, e mi tocca prenderle uguale, le medicine, anche se non voglio, non mi servono, succede, sai. Il trucco c’è sempre. Come con te, ora ci sei, e tanto sparirai. E al diavolo se ti voglio bene”
“Nessuno. Non con me, di trucchi, e ti voglio bene Aleksey.. Perché...” Era pallido e sudato, ebbi il secondo metaforico campanello di allarme. Anzi, suonava  uno stormo intero di campane, a martello, mi interruppi“ Che succede, Aleksey..? ”
“ Ho il braccio gonfio” gli tremavano le labbra.
Soffocai un grido di puro orrore. Era una ematoma spontaneo, evento che ogni tanto capitava e riguardava gli arti. Non aveva preso colpi, non si era stancato troppo, non lo avevo portato a cavallo, non lo avevo fatto sparare..perché? Era la malattia, la sua imprevedibilità
“Mettiti sul divano per favore, fermo, lo sai. Devo avvisare tuo padre, il medico” cercando di stare calma, di non sbattere la testa al muro.
“Devo avvisare.. Abbi pazienza qualche minuto, non sarai da solo per molto..”
“ Ma voglio te.. “ una piccola,reciproca pausa. Poi  dissi” Mi prometti di stare calmo, di non alzarti e non muoverti? Rimani sollevato, con il braccio in alto.”
“Sì..”.
“Ottimo, tesoro mio, solo pochi minuti” Già tesa, in partenza, verso lo scatto, tranne che non avevamo finito. Gli sfiorai il ginocchio, bambino mio..  “ E preferisco non spostarti per maggiore tranquillità.. Sarei capacissima di inciampare e buttarti per terra per la fretta..”
“Non mi lasciare, ti prego, per favore, non sparire.. Come sempre, Catherine. Ho bisogno di te, mi fai sentire sicuro”
Omisi di rispondere, mi limitai a una carezza, sussurrando “Aleksey.. ora ti lascio, perché devo.. quando è così servono i medici, non IO” E sentii il suo pianto sconsolato fin dalla porta chiusa, mi allontanai a lunghe e rapide falcate, le mani vuote, fosse stato utile sarei rimasta con lui e se piangeva era peggio. “Aleksey, torno presto .. prestissimo, solo che devo avvisare. Per favore, smetti .. cinque minuti, ti visitano e poi vediamo”  “CI vediamo..” “Se non ti calmi non penso proprio, che mi prenderò la colpa e non mi vedrai più, fidati” odiandomi mentre lo dicevo Scattò, indignato “Muoviti. Subito.” E mi ero staccata con violenza, dalle sue braccia
E non si mosse, rimase immobile, senza fallo, mi ero trattenuta dal tornare indietro e stringerlo, per non perdere tempo, serviva un medico e lo zar, nell’immediato, non io.
Lui prometteva, manteneva tutto, io non ascoltavo e non badavo nemmeno alle piccole cose.
“Guarda che non è colpa tua o altro, è una cosa spontanea, si riassorbirà in fretta, basta che stia a letto tre, quattro giorni” enunciò lo zar dopo che il medico di corte lo aveva visitato e mi stava togliendo una cappa di piombo dal torace.  Ed ero inciampata per la fretta, sbattendo mani, gomito e ginocchia, ero macchiata di fango ed erba, dei tagli sui palmi, ero ruzzolata come una cretina,  così di fretta che manco guardavo dove mettevo i piedi. Almeno in quello ero stata saggia a non spostarlo, tralasciando che avrebbe destato maggior attenzione una persona che correva con un bambino in braccio.. Sballottarlo non era mai un buon affare.
“ Poteva succedere in ogni momento e.. Te lo detto subito”
“Io.. capisco se..ho finito. Con lo zarevic” Ho fallito. La fiducia non la meritavo.. “Solo permettetemi di salutarlo, per lui, non per me”
“NO. Non è colpa tua, anzi.. con te Alessio sta bene, si sente al sicuro, è tranquillo, anche se ti sfianca con la sua curiosità,  e Dio sa quanto ne ha bisogno. Fidati, di lui e di te. Ora è grande, se ha una emorragia spontanea se ne accorge, non fosse altro che per il dolore, il gonfiore, e non dice una sillaba, non vuole essere trattato da malato. A te lo ha detto. Vai da lui
“Mi date una grande responsabilità.. Io non so se ci riuscirò. Non so come fare”
“Trattalo come Alessio non come un piccolo bambino emofiliaco, come fa zarina.. come spesso faccio io, tu vedi come è, non lo compatisci, non ti  maledici per avergli passato il morbo, viziandolo a prescindere“E non era nemmeno colpa sua, io sarei impazzita nel corso di quegli anni, avevo avuto due aborti, un dolore infinito, un figlio così malato era un purgatorio in terra, “ E ormai è andata. Per le coperture non ti preoccupare, ci penso io, i marinai uno e due sono in licenza, Botkin non dirà una parola.. Riuscire riuscirai, ricordati di quando si è sentito male per il raffreddore, di come sei stata lì.  Hai combattuto in più di una decina di ingaggi e non sei mai arretrata.”
“Allora era per me stessa, non era coinvolto nessuno che amavo.. Vado, se mi accordate il permesso”
“Vola”
“…”
Era nella mia stanza, triste e rassegnato, pensava di ritornar al punto di partenza, al palazzo di Alessandro, ove era curato, vezzeggiato, prigioniero, pur con tutte le migliori intenzioni. E credeva che mi avrebbero dato la colpa, grazie alle parole pronunciate in fretta per calmarlo, invece.. sollevò la testa, confuso, poteva essere una proiezione di fantasia che fossi lì, tese il braccio destro, quello sano per stringermi.”Cat..sei qui. Sei venuta a salutarmi, vero e poi vai via? Grazie per essere passata, ti hanno messo in punizione.. Spero di no”malinconico, ineludibile. Decideva l’emofilia, non lui, piangeva per quello, credo.
“Non ti lascio, resto, finchè lo vuoi TU, zarevic”Un sussurro affettuoso, gli posai le falangi sulla nuca, possessiva, sa Dio che quello che avevo sofferto, ma valeva la pena, se serviva a rassicurarlo, tanto che trasse   un sospiro di sollievo. “E non mi lasci, ti voglio, puoi per favore “  e non era un capriccio, ma la disperazione.
Lo strinsi, muta, tranne che un poderoso no non articolavo, insieme eravamo due grandi chiacchieroni. E gli dovevo una spiegazione “ Certo, non sparisco, zarevic, anche io ho bisogno di stare con te” niente illusioni o prese in giro.  E solo il diavolo sapeva perché mi amasse, volesse e preferisse in quel modo. Quando era piccolo lo avevo stretto, cullato e amato, inventato mille distrazioni per i limiti dell’emofilia, e tanto non mi tornava. Ho bisogno di te.. quale era il motivo.. “Perché?”
“Perché mi rendi migliore.. “
“Bell’affare, ci fai. Proprio. Sono viziato, petulante e ansioso..”almeno sapeva riconoscere di avere qualche difetto.
“E una meraviglia, la mia. E ora basta, vediamo che organizzare..” una pausa “Aleksej.. tesoro, quanto ti metti, sei .. improponibile, ecco, ma le tue qualità superano i difetti, quindi..  E mi ci sono messa pure io nell’impresa di dartele vinte, sempre“rise e mi tirò un colpo sul costato “Eccoci..” “Già..” “Catherine..  mi mettono il pannolino, in questi casi, mi spiace” “Farò io.. permetti, il diploma di infermiera lo ho, quindi..quando eri piccolo qualche volta ti ho pure cambiato,  figurati” Si mise a ridere, era inutile mortificarlo, era malato, non era colpa sua “Accomodati, tutto tuo, citando Olga” “Tutto mio sì..”strofinai il viso contro il suo collo, affettuosa, come lui, poi presi il pannolone e glielo misi, cercando di essere rapida e delicata, non era certo il primo o l’ultimo che gli avrei messo. E lo strinsi, attimo per attimo, le mie braccia come un  baluardo.
 Aveva un  ematoma spontaneo al braccio sinistro,  del ghiaccio per far defluire il gonfiore, dietro la schiena una barca di cuscini, sarebbe passata presto se non subentrava qualche complicazione.
Ogni quarto circa d’ora si agitava, spasmi intermittenti, il sangue defluiva rapido e cercava di non lamentarsi.
Fu una giornata campale, rimasi con lui quasi tutto il tempo, cercando di inventare qualcosa per distrarlo.
A fargli compagnia, asciugandogli la fronte sudata, stringendolo dal lato destro quando gli spasmi lo facevano drizzare, in fondo se gli veniva un accidente gli avevo promesso che sarei stata con lui .
Avevo fatto il corso da infermiera, in teoria, nella pratica cercai un minimo di distacco, per entrambi.
“Sei sudata intinta..”
“E’ giugno, fa caldo. Vuoi bere un poca d’acqua?”Mi ero tolta la giacca, rovesciato le maniche ed ero accaldata. E mi fidavo, le mie cicatrici sulle braccia le avrebbe viste solo Olga, prima Andres e basta.
“Sì. “Un momento di pausa, una pendola battè le due pomeridiane, Botkin era passato a visitarlo un altro paio di volte, enunciando che il decorso sarebbe stato abbastanza rapido.
Lo zar si era affacciato, trattenendosi qualche minuto con suo figlio, mentre io avevo mangiato qualcosa in piedi .
Bevve qualche sorso dal bicchiere con la cannuccia, la testa contro il mio gomito, gli tamponai il sudore, io volevo essere amata, e l’amore, amare qualcuno  era quello ? Certo che sì. Gli cambiai la casacca sudata, sorridendo, ne abbiamo passate tante insieme, Alessio, passiamo pure questa, va bene, sorrise annuendo, mi strinse la mano destra, non mi lasciare, una muta frase.. congiunsi i palmi, lo serrai contro la spalla.  Ho una paura folle, e so che percepisci i fatti, non le parole, che ti voglio bene. Te ne ho sempre voluto, chiariamo, solo ora mi permetto di amarti in pieno. Con limiti e gesti, perdonami il risultato troppo vago.
“Non sei sparita”
“Basta. E scusami, era il solo sistema che mi venisse in mente per calmarti.  E voglio stare con te,  ora finiamola. Sai cosa.. vorrei vederti giocare a pallone, magari con Andres, mi ha detto che sei velocissimo, agile, a nuotare so già, quando vuole ha una grande pazienza, vero ”
“Sì.. mi ha anche insegnato a tirare di boxe, pensa te..”una pausa “Catherine..del trucco.. So che mi vuoi bene..e..”
“E tu ne vuoi a me..lo so, in questo nessun trucco, Zarevic”
“Scusami..”
“No, stai tranquillo..forse ho capito.. Non ti lascerò più volontariamente, senza un saluto, cercherò di perdere il vizio di sparire”gli posai il mento sui capelli, lo strinsi mentre si inarcava per gli spasimi di dolore.
“Che hai fatto a gomito e ginocchia?”indicando i graffi e le macchie d’erba.
“ E alle mani.. ero così di fretta che sono inciampata e caduta” fortuna fu che si mise a ridere della mia volata, immaginandomi stile sacco di patate. Lo baciai sulla fronte, le guance e le spalle scavate,il mio Aleksey. Mio e basta.
 (  “Questa è da comiche..”
“Cosa Andres.” Mi aveva passato le mani sulla schiena contratta, ci eravamo stretti stanchi, un momento di conforto.
“Ha sentito la zarina e ha omesso di dire della crisi..” Ci arrivai al volo.
“Ah.. capisco la comica. Il suo Rasputin dice che può fiutare le crisi a distanza, invece nulla. Un ben strana coincidenza.. Speriamo che se lo tolga dai piedi” In spagnolo, pianissimo. Respirando il profumo  della sua pelle“Che si decida. “ che Alix e il siberiano fossero amanti, la favola più nota, era ben falsa, ma il suo ascendente, gli intrighi con la Vyribova e una corte di corrotti e corruttori, erano tristemente famosi, disonorava il trono e ledeva la fiducia della gente nello Zar. E, insieme, dato che nessuna medicina umana poteva guarire Alessio, si appellava a mistici e santoni.. Che confusione. “Pare che  poi Rasputin ci abbia marciato, che si sia messo a studiare ipnosi e che i cialtroni appiopino porzioni..”
“Non ci sono prove, Fuentes. Prove reali, intendo. Ora, oltre che aiutante informale di R-R, lo sei anche dello Zar?” uno stanco cenno, si era ritrovato coinvolto anche in quello, cercando di mantenersi defilato, cauto, per evitare chiacchiere e maldicenze.  “A dopo. Rimango io con lo zarevic, inutile agitarlo..”
“ E poi ti chiedi perché ti vuole sempre..”)
Tornai all’acqua, bevve. “Cat. Mi racconti della Spagna..”
La crisi gli era venuta nello spartano alloggio che dividevamo io  e Andres, non lo spostammo, ma lo spazio era ridotto. “Qui abbiamo un problema”mi disse lo zar.”Vuole stare con te, ma se non ti sdrai stramazzi. E ti vuole nella stessa stanza.” Vedi quali livelli hai raggiunto?, pareva sottintendere, che inventare.  
“Abbiamo una brandina, la apro e la metto nella stanza, con un paravento” Aprii i palmi per prevenire proteste. “Per dare il cambio e avere un minimo di privacy”
“ Brava”
Mi stesi  verso mezzanotte,lo avevo cambiato un paio d’ore prima, dopo che il medico era passato, tutto tranquillo, considerato il tutto, sprofondando volontariamente in  un dormiveglia di piombo, vestita, un leggero lenzuolo di lino, c’era lo zar, verso le due gli diede il cambio Andres, si voleva evitare che la notizia venisse fuori, pochi e fidati intimi, lui mi svegliò verso le cinque, per andare a stramazzare di là.
“Ciao, ti è riuscito a dormire un poco?”Un filo di voce.
“Dormiveglia, ma ero lì. “ Gli presi la mano destra, l’accostai al viso. Lui aveva un aspetto orribile, con le occhiaie, pure il gonfiore era scemato, a occhio e croce, si era riassorbito velocemente.
“ Va bene. La maggior parte della fatica la fai tu..”
“Volentieri e non piangere, se non voglio una cosa non la faccio, intesi.. quando starò poco bene, mi curerai tu, e non sbuffare, Alessio, se prendo una storta e che, mi puoi leggere qualcosa o portarmi dell’acqua.. e farmi scappare la pazienza, non piangere, per me, il dolore va bene, ma non devi piangere per me, che invece di vegliare ho dormito, se avevi bisogno di me ero a poca distanza..Aleksej, tesoro, cerco di fare meglio che posso, devi avere pazienza con me..  ” e poi mille scemenze affettuose per distrarlo, intanto con una bacinella e una spugna lo aiutavo a lavarsi,  adagiandolo sulla branda, parlando a getto continuo, almeno per quello lo  sapevo gestire,   e poi..”Ho fame..”
“Sentiamo che dice Botkin”
“Come, mi vuoi fare mangiare anche se non voglio e ora che ho fame mi tieni digiuno, la risconti, credimi” Ironizzò.
Giornate campali, osservo ora, ma lo adoravo e viceversa. Aveva fiducia in me, mi voleva, tranne che non ero medico, più dell’acqua non mi sarei azzardata a dare, e  mi presi un rimprovero senza fine. Come, vuole mangiare e lo tenete digiuno..Anche. che ne so che può mangiare senza affanni..  Se gli viene un attacco di tosse e il boccone gli resta in trachea non voglio responsabilità (come se già non ne avessi). Lui è il vostro bambino, fine, dissero,
Alla fine dei salmi  si fece imboccare, giusto per sfottermi, farmela riscontare, ecco, latte e biscotti sciolti, uguale per merenda e spuntino, a pranzo una passata di verdure, che la mano destra non era lesa e tanto era.
Viziato, impossibile, amato e amatissimo.
“Quel soggetto nulla ha previsto” Rasputin indovinai.  Nessuna comunicazione.
“Sst, Andres” Lo ammonii, bassa la voce “Si è addormentato ora”  mi chinai verso il suo viso addormentato, come una madre, realizzo, ora. “ E’ stanco, ha passato giornatacce. “Mi incuneai sul fianco, cingendolo senza sfiorare il braccio sinistro, sussurrando che era tutto a posto, stai tranquillo, Alessio,  non ti lascio. Lo avevo nutrito, cambiato, stretto, consolato, era il mio bambino ora ed allora.
“Certo, e potrei avergli dato un sonnifero o che per calmarlo” E mi sarei fatta frustrare .. Come no. Lo tenevo calmo standogli vicina, un’ora in fila all’altra, cercando di non essere cattiva, non illuderlo o prenderlo in giro.
“Non dire scemenze, lo adori” Tacqui, senza replica, me lo accostai sul seno, baciandolo sulla fronte, le guance, abbracciandolo senza premere .
“Puoi barare su tutto, mai sui tuoi fratelli”come una constatazione, un’ovvietà. In spagnolo, per non farci intendere.
“Hai capito?” Un soffio.
“Ho capito” Madri diverse, figli di uno stesso padre.  Nonostante titoli o rango. “Sei come la rocca di Ahumada, una fortezza, tutti proteggi ma te..”
“Mi proteggi te, Andres”  Mi tirai in piedi, gli diedi un bacio sulle labbra. “E lui, a modo suo. Fisicamente è fragile , dentro è già un vero imperatore” Il mio aggiunsi dentro di me, che mi aveva salvato dal buio mille volte.
“Ti proteggi da sola, ed è un segreto che non dirò, non diremo” Poi “ Una sera potrei avere l’onore di cenare con te, da solo?” Annuii, che sorpresa mi andava preparando, come se non immaginassi. Forse.
Ebbi l’impressione che Aleksej avesse scorto il nostro bacio, in genere badavo a non scambiare tenerezze con lui presente. Per prudenza e pudore.. tranne che dormiva, giusto, glissando che me lo aveva pur detto che sapeva fingere molto bene. “Io vado di là stacci tu un pochino” 
 

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Capitolo 21
*** Aleksey My Hero ***


Andres fece compagnia ad Aleksej per un’oretta e li sentii confabulare  ( gli avevo mostrato un certo anello, Catherine, anticipando quello che avrei chiesto una sera a breve, e Lui mi aveva assicurato di avere ben taciuto, abbastanza, perlomeno, rettificò, Cat non si è arrabbiata..)
Arrabbiata su cosa, indagai, facendo la finta tonta, hai voglia di venire  un poco in braccio, zarevic. Sali da destra, tesoro, per il braccio, se vuoi mangiare qualcosa preferisco così, quando hai voglia, va bene, non guardarmi torvo. 
La seconda notte mi stesi vicina allo zarevic, dormimmo un paio d’ore, Andres vegliava, sonnecchiando a tratti, un soldato nella notte.
E tanto quando doveva tornare alla Casa del Governatore, gli spiaceva, lo enunciò chiaro e tondo.
“ Oggi ritorno alla casa del Governatore, nel pomeriggio”
“Segno che stai meglio,il gonfiore è sparito, lì ci sono tutte le tue cose, i giocattoli, i libri, io no, sono troppo ingombrante”cercando lo scherzo, mi tirò un pugno sul palmo “ Va bene, mi mancherai tanto. “
“Vorrei poter rimanere qui, con te, con voi” una pausa “Con mamma, le mie sorelle..”
Scrollai la testa “Non si può”Senza elencare i motivi, che era un rischio, che alla lunga ci si sarebbe chiesto dove fosse e con chi fosse lo zarevic, via così. E non almeno titolo ufficiale, tranne che un affetto immenso. Ed egoista, che lo avrei voluto tenere sempre con me, anche se la convivenza giornaliera con sua madre … Ehm.. una penitenza reciproca.
“Così sei peggio di un fantasma. E Olga fidati che si è scocciata a saperti chissà dove, a non sapere mai cosa inventi di preciso, come Tata e compagnia, se sapessero”
“Ad agosto vengo in visita ufficiale da R-R, per il tuo compleanno, forse..”Non aggiungere altro, non fare promesse vane, me lo imposi. “E lo Zar ha già fatto una concessione enorme a permettermi di tenerti qui, lascia stare che sei stato poco bene. “
“ E tua madre.. chissà che pensa..” Cocciuto. Aveva fiutato la traccia. Con il suo intuito era il minimo.
“Alessio, la questione è tra me e lei, lascia perdere, che non è di tua competenza.”Secca e dura. Dopo riflettei che non nominava mai il principe Raulov, io di lui non dicevo mai nulla, che aveva intuito? “A gennaio ho fatto 21 anni, sono maggiorenne” Con annessi  e connessi. “Posso decidere da sola, teoricamente non sono più una bambina. Basta così, per favore” Mi squadrò, ironico.
“Se fossi perfetta non saresti tu. “ Già e.. Tacqui. “ Prendimi in braccio, rimaniamo così senza litigare. Ormai le misure le prendiamo bene, quando vado mi limiterò a salutarti con un sorriso, da vero principe”
“Già, mio caro.”
Poi “Cat, che facciamo?”
“Le bolle di sapone, ti va..” E tornavo bambina, il mio deserto fioriva. Risi forte, senza tenerezza apparente, fingevo di essere severa per la commozione, nessuna illusione, i silenzi, il mio zarevic che a fine pomeriggio non mi voleva mollare,il braccio sano dietro al mio collo, quello martoriato steso, lo cullai fino a passarlo al Dr Botkin  ( Ora ve la cavate, verrà poi la volta che non vorrà poi mollarvi..)”Ha mangiato, l’ho cambiato, siamo a posto, a domani, Alessio, non frignare che cambi idea, questo è un capriccio e davvero, devi andare.”Gli baciai i polsi, lo tenni per un momento, vietandomi altro. Lo amavo e lo viziavo, come mai nessuno. “Ti voglio”ribadì il concetto ” Morra cinese, chi vince decide, ci stai?” Una soluzione elegante “Solo una partita” “ Va bene, chi vince decide” Vinsi io, le forbici tagliano la carta, quindi andai a prepararmi, lo accompagnai fino a dove possibile, un contentino, che non gli tornava, avevo tirato giù le dita un momento dopo di lui, impercettibile, ormai avevo imparato a prevedere le sue mosse, meno male che non aveva realizzato .  “Zarevic,  ci vediamo..domani?Non sparisco”  “VA BENE, fila, noiosa” Non mi lasciare Alessio, ho bisogno di te, mio piccolo grande eroe.
 
Quella sera Andres mi chiese di sposarmi.
Quale fu la mia risposta?
 


“Andata. Faccio da sola.. grazie per avermi portato qui,”
“Catherine, hai il polso destro fuori uso, te lo ha quasi rotto, lascia stare i lividi e .. accidenti a te, scusami, scusami”Se non ero svenuta era un puro sforzo volontario, avevo compiuto una fatica immane nel compiere pochi passi, sostenendomi contro Olga, anzi, scaricandole addosso quasi tutto il mio peso, fortuna che ero leggera,  il braccio sinistro sulle sue spalle, mi aveva allacciato per la vita e raggiungere il divano era stato come approdare a Itaca. 
“Ferma, tienilo in questa fasciatura.. Ti devi fare aiutare e poi.. lo so delle cicatrici che hai sulla schiena” Mi asciugò la fronte imperlata di sudore. “So che le hai, non come te le sei fatte, di sicuro non da sola..” di sicuro non mi auto flagellavo, sapeva che ero agnostica, nel profondo, per non definirmi atea.

Intanto mi disinfettava i tagli e le lesioni superficiali, lo choc aveva attutito per un poco le fitte di dolore che avvertivo, mi sentivo come se mi fosse passata sopra una mandria di cavalli, avevo preso non so quanti calci, miracolo che non mi fosse venuta una emorragia. Serrai i denti per non urlare. E intanto mi aveva spogliato, con delicatezza, la fiducia era totale, mi fidavo di lei più che di ogni persona al mondo.
“Rotto era peggio”
“Già.. Cicatrici in più, come al solito, Cassiopeia dai mille casini. “
“Non ci piangere, non vale la pena”
“Hai sventato un attentato contro mio padre e ..”La diga di autocontrollo stava svanendo, si impose la calma.
“Sai  come è, Glinka, ha scritto “Una vita per lo Zar”, funziona così . e non ho fatto tutto io, non avete addirittura i pupazzi e un piccolo teatrino per rappresentarlo..”
“  .. .”
“Non hai preso la morfina, quindi non vaneggi, sei proprio tu..” Risi, appena.
“Tieni il ghiaccio, sei piena di lividi, mia stupida, coraggiosa eroina e pessima paziente, fatti aiutare, non essere sempre orgogliosa..”
“Ti voglio bene Olga.”
“Lo so.” Mi carezzò la parte sinistra del viso. “Cerca di riposarti, taci, ci sono io”
“ Te lo dirò quando avrò un poco di fiato”
“Alessio ti vorrà vedere.. Scommetto che ha già rincominciato”
“NO.Per favore, ci starà male. Sono un rottame, non voglio nessuno, Olga, solo tu e Andres “ Poi realizzai” Cosa?. Rincominciato?
“Catherine, cerca di riposarti.. Ne riparliamo. E starà molto peggio se non ti vede, la avete combinata insieme, per dire, ci sta rincretinendo, ti vuole, è agitatissimo”
“Non ha nemmeno 12 anni, è ancora un bambino”
“E’ lo zarevic ..Nostro padre aveva 13 anni quando vide morire suo nonno, dilaniato da una bomba. È l’erede. E 12 anni li compie tra poco, o hai dimenticato.. Ti vuole, accidenti a lui, e non gliene importa un accidente se sei un rottame, non lo puoi proteggere da tutto” Potenti parole, era solo ed ancora un bambino, acuto, viziato e precoce, il mio prediletto,  meritava di bene e meglio di quelle miserie. E tanto era. E sentire Olga che imprecava mi ridusse al silenzio. Era andata, mi aveva data per morta pure lei, ignorando che l’erba gramigna, come ero e sono io, mai muore. “Stupida combina guai se morivi ti ammazzavo io ..” Mi strinse dal lato sano, arrabbiata per non piangere.

Aveva sfiancato lo zar, mio zio, Olga e Andres, convinto che mi fosse successo qualcosa di brutto, che fossi morta, se non mi vedeva mi era successo quello, ipotesi plausibile e probabile, Cat I need You, don't leave me. Infine, minacciò di prendere a calci e testate una porta, a rischio di avere una emorragia, come arma risolutiva, la voglio, ribadì il concetto espresso con rinnovato vigore, casomai non si fosse compreso. Lo zar stava per tirargli un ceffone, ci mancava solo che si facesse venire una crisi,  e Olga lo agguantò”BASTA ALESSIO” si frappose tra lui e la porta
“LA VOGLIO”il bambino le serrò la vita, cercò di smuoverla e lei non si scostava di un pollice
“ALESSIO, è sfinita, non vuole vedere nessuno, lasciala in pace..” Tremava sotto le sue dita
“Allora è morta e non me lo volete dire.. E tanto a te vuole sempre..e viceversa, te e Andres, solo te e lui”
La ragazza chiuse le palpebre per un momento, straziata “Per favore, ti prego..”
“Va bene,  vieni, non le saltare addosso e stai calmo. Guai a te se urli. Ha il viso pieno di tagli, il polso destro slogato, per poco non glielo ha rotto per la torsione, la schiena piena di lividi per i calci..”Sgranava gli occhi, errore, lo aveva spaventato ancora di più. “ E se non vedi, chissà che inventi. Scusa Alessio scusami.. ci ha fatto morire di paura e se fai così non ci aiuti, scusa se ti ho risposto male.. “ lo strinse, rapida e decisa, poi gli fece strada, notò che aveva il palmo freddo, contratto contro il suo.
A te vuole sempre e viceversa.. non voglio nessuno, Olga, solo tu e Andres.. solo te e lui.
“Alessio, ti vuole bene, ti vuole proteggere ..”
“ E COME?Prende a pugni chi mi insulta, protegge Papa e te, e .. Si vergogna a farsi vedere?Per non agitarmi??”
  “Ha l’orgoglio di Lucifero.. poi i pugni me li spieghi, eh“ 

La stupida eroina, alias cretina ambulante, ovvero io, intorno alle dieci di sera dormicchiava intontita, seduta, con una svariati di cuscini a sostegno, che da sdraiata le veniva da urlare per il dolore, un fiorellino, in sintesi, come diavolo riuscisse Alessio a non impazzire quando aveva una crisi era un mistero. Ma la morfina non la volevo. Se resisteva lui ce la potevo fare io, no? O provarci.
“Catherine ..”
“Ciao, tesoro” allungai la sinistra, la prese e mi carezzò il palmo.
“E’ colpa mia.. “
“No. Sei stato bravissimo, invece, quelli della  Ocharana devono prendere spunto da te..Ehi ..” Mi cinse da sinistra, le spalle che tremavano, lo circondai “Non devi piangere per me, lo sai..sst..” Una pausa, sospirai”Mi fai un piacere.. Sganciami la collana, voglio mettere l’anello di fidanzamento.. Ci sposiamo, lo sai”
“Sì, la sorpresa era quella.. Ho taciuto bene, sarebbe stato imbarazzante se lo avessi saputo dopo gli altri” sorrise, un timido baluginio, cercando di ricomporsi.
“Meno male che non lo hai perso in quel caos..”Il sospiro di Olga, appurando che oltre al cerchietto vi tenevo la perla che mi avevano regalato, oltre la fede nuziale di Luois, con il suo nome e la data. Le cose a cui tenevo di più, il suo foulard azzurro era in una tasca.
“Alessio, io sono stanca, che ne dici se proviamo a rilassarci.. Siediti e chiudi gli occhi, non mi lasciare la mano, ci sono ..”Appoggiò la testa alla mia spalla, finsi di addormentarmi quasi subito. Finsi appunto, lui no, che era esausto.
“Avrebbe preso a calci o testate la porta, ci ha fatto impazzire” un sussurro quando fummo certe che dormiva. “ Lo porto via..NO? Va bene, non scuotere la testa” e aveva ragione a essere agitato, potevo benissimo averci lasciato le penne, in azione non ci aveva mai visto. E potevo sparire,sì certo,.. appena riuscivo a respirare senza lanciarmi in bestemmie, figuriamoci.
“.. E’ stato bravissimo davvero, sai. Osserva tutto e non gli è sfuggito che quel tale avesse l’uniforme in disordine” Eravamo a K., lo zar passava in rassegna le truppe e io mi accingevo a fare un giretto ricognitivo, informale, per saggiare la situazione, le chiacchiere informali nelle retrovie, quando Alessio mi aveva fatto un cenno, da lontano, strabuzzando gli occhi. Un segnale convenuto quando vedeva qualcosa di trasandato, avevo annuito, seguendo il suo sguardo e..
Lo zar era al sicuro, circondato da R-R, Andres, uno stuolo di ufficiali, avevo strizzato le palpebre e mi si era ghiacciato il sangue.
L’istinto, freddo e lucido, di un predatore.
Io sono il lupo, la tempesta, un soldato che veglia nella notte.
Ai rapporti, alle volte erano spillate delle foto segnaletiche di anarchici e compagnia, quello .. SI’.  Che agguati e complotti erano sempre nell’ordine..
“Mattias, per piacere, “Era uno del gruppetto con cui avevamo preso il disertore quella primavera, era calmo e posato” Vai da F. e digli che le allodole cantano” Una frase convenuta per adottare misure di massima sicurezza”Io vado al bagno..”Per indicare che avrei avvicinato il soggetto, lui dava meno nell’occhio di me.
“.. e sono scattate le misure di salvaguardia. “Osservò Olga , era venuta a trovare suo padre, a turno, almeno una delle sorelle si recava per quell’incombente, quando era arduo organizzare una visita cumulativa di Alix e di tutte le altre.” Ha riferito un sospetto e ci siamo allontanati, scortati senza fallo, giusto tu gli potevi andare dietro a ..”
“La regola è questa, verificare..” Si era allontanato e .. lasciamo perdere, mi rammentai. “L’addestramento prevede questo, senza fallo”
“Uno scontro nei cortili interni, l’ho messo fuori uso. “ Una poderosa ginocchiata all’inguine, la reazione di lui torcere il polso destro, tirarmi almeno tre calci allo stomaco, suoni e sensazioni confuse, come diavolo fossi riuscita a tirare fuori lo stiletto dallo stivale sinistro e tirargli un fendente nel ventre. Un  mistero e tanto avevo il segno dei suoi piedi sulla schiena.
Per fortuna erano arrivati i rinforzi, ero rotolata sul fianco e rialzata in piedi a stento.
“E non hai avuto paura..”
“E’ stato strano.. Paura mi è venuta dopo.” Che il soggetto aveva una rudimentale bomba artigianale, una moda tra anarchici e attentatori. “Il cervello si sdoppia in due, credo”
“Come dopo l’attentato del 1905, quello dell’Epifania. E poi..Io e Tata eravamo a Kiev quando quel terrorista ha lanciato una bomba a teatro e Stolipyn è morto ..Era il 1911”Un brivido. “Papa non ha perso il controllo, anche Alessio è stato calmo, mais.. Quando ha realizzato che eri tu.. si è messo a tremare come una foglia, Fuentes lo ha calmato, anche lui sa come prenderlo” Poi “Voglio leggere i rapporti”
“Va bene.. e ti verrà lo sconforto. Olga .. oltre ai complotti contro lo zar, è pieno di veleno contro la persona che una volta hai paragonato a un favoloso albero di Natale “Sua madre decodificò, veloce” E il suo amico” Rasputin, che non mi fidavo a parlare troppo, lo zarevic poteva pure fingere di dormire.
Tacqui esausta e strinsi Alessio,per un momento.
Volli attribuire al dolore fisico, allo sfinimento le lacrime che mi rigavano il viso, silenziose.
“.. appena sei viva, disgraziata, non piangere” quella sera lei e Alessio rimasero a dormire con me, o almeno vegliare. Lui si svegliò, a dire poco, dieci volte, Olga si appisolò forse un paio d’ore, io trascorsi la notte in bianco, consapevole di loro a poca distanza, anni dopo avrei amato e vegliato i miei figli in quel modo, merito di Olga e Alessio, chiariamo. Accarezzai il viso di lui, rilevando che mi stringeva dal lato non leso, tears of an angel, my little, beloved one.
 
 “Infermiera migliore non la potevo avere..”Annoverai la settimana dopo, a Mogilev, mentre Olga leggeva i report, in una pausa.
“Lo so e anche Alessio è stato contento di essere utile, era così contento di portarti dell’acqua o parlare..Sei stata più malleabile, alla fine dormivi per sfinimento. Dio quanto parla, peggio di te ” avevo mesi di sonno arretrato, ne avevo approfittato, spiazzando poi tutti, che con la sinistra riuscivo a mangiare, nonostante buffe manovre, già ero ambidestra.
“Dei giorni di riposo non fanno male.” Peraltro forzato, che ero tutta un taglio e un dolore.
E lo zarevic scuoteva la testa ramata, il male voluto non è mai troppo, ora capisco perché sei la più brava, e da capo, ho fatto il mio dovere, tesoro, non mi mettere su un piedistallo, e tanto era partito per la tangente, a stento si asteneva dal ricoprirmi di baci.. non vedevo l’ora di riportarlo a cavalcare, sparare, una passeggiata. 
Eravamo noi, sempre vivi, con semplici cose che ci davano la misura di quanto poco bastasse per essere felici. Le mani strette, sei una guerriera Cat, sei magistrale.. E io a confutare, non me lo meritavo ..Io non sono nulla, sono un impiastro.. NO. Sei il mio tesoro, sempre, la cosa più bella che ho.. Il mio angelo, davvero, Alessio, se ti dovesse succedere qualcosa ..E se non era per te poteva finire peggio.. Tranquilla, non ti mollo.. Catherine. Dammi un bacio, sdraiati vicino a me, siamo esausti.. Certo.. Ti tengo la sinistra, non ti lascio.. No, va bene, tranquillo, riposati, siamo sicuri.. serrandolo con la sinistra, non mi lasciare, Alessio, per favore. Che barzelletta, rilevava lui, ma perché mi vuoi così bene? E tu perché mi sei così affezionato? Una domanda ad un’altra domanda, per non rispondere, una mia tecnica magistrale, now and forever me and You, Alexei, are friends, I trust in You. 
 “E questa è la casa delle meraviglie, dei due cavalieri..R-R è molto organizzato.”In codice, che capiva benissimo che spartivo il letto con Andres, da un pezzo, e ormai eravamo fidanzati. “Sei così fuori dalle regole che te ne sei creata di tue personali..E con Alessio sei affettuosissima” tralasciando che lo zarevic mi si attaccava alle mani, alla giacca, appena possibile, cercava come non mai, in privato, il contatto fisico, e viceversa, una rassicurazione a prescindere, ce  lo meritavamo entrambi.
“Fare sempre di testa mia, la troppa sicurezza non è sempre un pregio, principessa. Ma anche una difesa, se chi deve amarti ti dice che sei uno zero, o  ti armi di arroganza o soccombi.. “Congiunsi le falangi, ignorando la voglia di mettere il braccio destro alla sciarpa che portavo come novella fasciatura. “Una volta ti ho raccontato che sia io che mia madre evitavamo il principe Raulov, quando beveva. Sei anni fa, periodo più, periodo  meno. Quello che ho omesso era che .. non sempre bastava.. Negli anni, ha sempre avuto cura di dirmi che non servivo a nulla, ero pestifera e inutile. Da sobrio e da ubriaco, in  alcuni periodi era intrattabile, e non solo a parole, no, non te lo dico, già così è straziante. E le mie armi erano le storie e i libri, e stare con voi. Sempre si sopravvive, arduo stabilire il prezzo da pagare. Se Raulov non mi sopportava tanto valeva essere una iattura con cognizione di causa. “ Una dura e fredda logica. 
“Mi spiace, Cat, non sai quanto .. Io..”
Scrollai le spalle, versandomi del caffè. “Non ti ho mai detto nulla, difficile indovinare, testa alta e sorridi, a prescindere, mia madre è sempre stata di questo avviso.”
“Un matrimonio combinato, diventato un inferno..” Era annichilita.
“Alle parole sopravvivi, fingi che ti scivolino addosso, come acqua sopra un sasso, peccato che .. Una sera li ho sentiti discutere, era molto tardi, lui aveva perso non so quale cifra al tavolo verde e chiedeva a mia madre di intercedere con R-R, che si era stufato di pagare a nastro. Dico di Alessio, che ha il vizio di origliare, ma io ero molto peggio, sedici anni.. Aveva un frustino e..Le assestò una scudisciata in viso” una rosa di sangue fiorì sulle sue guance delicate.
Ero schizzata a difenderla, la rabbia e la frustrazione di anni esplose in un solo ruggito, ero una fiera, una combattente, gli avevo strappato di mano quell’arnese di tortura ed era andato fuori controllo, mi aveva colpito sulla schiena, in rapida successione, poi aveva smesso, che mia madre gli aveva tirato in testa una caraffa di brandy vuoto, ecco la leonessa che difendeva i suoi cuccioli, lui era stramazzato per terra.
Con lui avevamo finito entrambe, che si arrangiasse. Poteva sopportare per sé, Ella, non che toccasse i suoi figli.
Cercai di estraniarmi, finendo di narrare che non avevamo avuto ripercussioni o strascichi, che mio zio gliele aveva suonate di persona, metodo incongruo ed efficace per  fargli capire come fosse facile l’abuso con chi non può difendersi. E che Fuentes lo aveva lietamente aiutato, congiunsi le mani sotto il mento, come una sfinge.
Nessuna vendetta anche per il futuro.
E da quel momento avevo fatto conto di essere orfana, solo la figlia di Ella. Era solo una figura di rappresentanza.
I codardi sono lupi con le pecore, agnelli con i lupi, R-R e Fuentes in combinato disposto lo avevano inibito per sempre.
“Forse è stata quella la volta che sono diventata grande, per difenderla come non mai da quelle mani.. O a dieci anni, per poco non mi spezzò la mascella” O infinite altre volte, a prescindere che indossassi la gonna corta,  i capelli sciolti..
“Perché non me lo hai detto? “ tacqui, capì che mi vergognavo, IO, tornò al punto di partenza, lei mi avrebbe aiutato, sempre, ignorando che tutto l’amore che mi aveva dato era un baluardo in quello stillicidio.
“ Te le ho viste una volta per sbaglio, ti sei sempre cambiata e rivestita da sola.. Senza cameriere. In verità pensavo che fosse una delle tue tante trovate bislacche“
Tra le scapole avevo un geroglifico di cicatrici grazie alle staffilate, lasciamo stare gli altri segni sulla spina dorsale, squarci che  avevano messo una lunga eternità a saldarsi, io a non impazzire per il dolore. Quando  mio zio le aveva viste, fresche,  aveva perso la calma, come Ella lanciando la caraffa, non lo aveva inibito mentre mi assisteva, disse solo che lei era lei, adulta, io solo una ragazzina che le aveva prese per averla difesa e  non era giusto, che quei segni me li sarei portati per sempre addosso. La violenza reca solo violenza, è vero, tranne che era il solo linguaggio che Raulov capiva,
“Quando ..? Credimi, ci sono sempre stata attenta..”
“.. dopo una prova dalla sarta, quando provavi il vestito, da sposa, nel 1913, avevo scordato una cosa e.. Eri girata, le braccia sollevate e ho visto..Pensavi di essere sola.” E non aveva chiesto, per quanto anche allora fossimo in disaccordo, intuiva che non ne avrei fatto un fiato“ E Fuentes..? “Mi toccò la schiena, esitante.
“Si rammarica di non avergliene date di più” Una muta intesa. Andres, pupillo di mio zio, mio amore di una vita intera.
“Ora inizi con le tue maschere”esasperata .
“Tu hai sempre avuto il potere di calmarmi e rassicurarmi, Olga, fidati”
Un gesto compiuto da bambine, poi ripetuto da adolescenti e giovani donne, palmo contro palmo, gli avambracci accostati, una sensazione di pace e quieta malinconia.
Tears in heaven.
Ero svuotata da tutto, leggera e libera, un seme nel vento.


Come aveva previsto, le era venuto lo sconforto, in estrema misura,  a leggere. Si diceva che lo zar aveva come amante la Vyribova,(!!!) fosse un ubriacone e uno iettatore, che la zarina fosse l’amante di Rasputin, i cui scandali erano incredibili. Un saggio, come no, sua madre era cieca, rifletté Olga, suo padre cercava di arginarla come poteva. L’idea di dover camminare con  il bastone benedetto da Rasputin, come di pettinarsi con un lercio pettinino usato dal siberiano per accomodare  la barba, tutte idiozie che gli raccomandava Alessandra erano state accolte con un grazie, ma lui non li usava. E gli scandali, l’esercito allo sbando, la corruzione, si cercava un capro espiatorio e la colpa era data a Rasputin, alla zarina tedesca e allo Zar.
“Se posso parlare liberamente, Maestà, mi ricollego a quando scritto nei miei rapporti al principe Rostov-Raulov, a quanto denunciato dal cappellano capo del vostro esercito, Savelskij, dal ministro degli interni Scerbatov, da vostra madre e da molti altri”
“Continua, nessuna censura”
“I comportamenti sono scandalosi, è colluso con la corruzione del governo, si parla che sveli segreti militari, è un satiro degenerato, attira odio e irrisione, nessuno comprende il motivo della sua influenza. La fiducia che nutrono in voi, Maestà Imperiale, soldati e marinai,è erosa da questo legame..” Olga percepì la voce di Catherine, netta e chiara, che si era alzata di una mezza ottava, sapeva che era lì “E vi sono complotti e tentativi vari o per uccidervi o per scalzarvi dal trono, come ben sappiamo”
“ La zarina  si fida di lui”
“Per presunte capacità di sedare le crisi di emofilia dello zarevic. Che dice di sentire da lontano, ma ..”
“Quando ha avuto l’ematoma spontaneo, nulla.. “
“Maestà,  posso congedarmi?”
“Vai. “Anche Catherine sapeva dove era il limite, e aveva parlato in modo sincero, si era guadagnata quel diritto come soldato, per averci quasi lasciato la vita e le spettava. Per paradosso, non aveva da perdere nulla e si concedeva il lusso di parlare chiaro.
“Olenka, andiamo a cavalcare?” Semplice “Per svuotarti la mente, tanto ..”



“Carta .. forbici .. sasso.. Foglio, che avvolge il sasso, ho vinto io Cat, tre a uno per me!”
“Bravo “le avvolse le dita, erano in una faggeta nei dintorni del Quartiere Generale, all’ombra per trovare ristoro dal caldo, i fiori estivi, papaveri e rosolacci, che sgomitavano  sui bordi del prato, davanti a noi una tovaglia con piatti di formaggio e carne fredda, pane e burro salato e una torta di mele e ciliegie che mi faceva venire l’acquolina, era impossibile avere cattivi pensieri.
“Cat, posso far vedere a Olga come so sparare? “
“EH??” Sbiancò, senza fallo.
“Lo so fare, tranquilla, vado?”
“Accomodati.. Olga, riprenditi” Pigra, come se fosse un dato assodato.
Una pazienza infinita, lo assecondava per quanto poteva e all’occorrenza gli diceva di no. “Mi rifiuto di sprecare il cibo, se non hai fame non mangi, va bene, questa è la regola, non butti la roba in terra, non è uno scherzo, non è divertente”
Alessio sbuffò senza osare continuare. A casa avrebbe gettato in terra il piatto o si sarebbe messo a piangere per la strizza, annotò Olga tra sé, invece rimase calmo. L’adorazione era reciproca, e tuttavia voleva conoscere il limite a cui sarebbe potuto arrivare prima che lei si arrabbiasse. Un confine ben lungo, come per la principessa Ella arrivare a tirare una caraffa di vetro addosso al marito. Olga rabbrividì. Ella Rostov-Raulov era sempre allegra, solare e ridente, non avrebbe mai osato immaginare la sofferenza dietro la smagliante facciata. E ometteva i paragoni, ci provava, ognuno era quello che era. E Katherine con Alessio ci sapeva fare, lo distraeva e, nei limiti, lo trattava come un ragazzino della sua età, in bilico tra infanzia e adolescenza,  non  il fragile malatino. Forse si somigliavano dentro più di quanto ci si aspettasse, due lottatori senza rimedio, nessuno dei due mollava, pur variando le esperienze.  Che, in fondo, lo zarevic voleva essere trattato come una persona normale..


La piccola cucina dei futuri coniugi Fuentes offriva più di un punto di riflessione.
“ Che regalo vuoi per il tuo compleanno, Alessio?” Il ragazzino sorrise.
“Una torta di quelle che cuciniamo insieme.. Anzi, la facciamo assaggiare ad Olga, dai..” E Cat aveva messo del pane tostato in un piatto a fette,  con del burro fumante in riccioli, mentre cucinavano Alessio ne mangiava, brontolando se Cat ne voleva un boccone o se gli suggeriva di spolverarsi il mento dalle briciole.
Se non sfondi la porta  centrale, assedia di lato. Ottima strategia, consigliò di spargere della vaniglia per esaltare l’aroma delle mele fresche, poi si misero a parlare del matrimonio, mentre lo zarevic sbuffava.
“Indosserò un vestito della tradizione spagnola..”
“ E le misure.. Ah, usi quello che si era fatta confezionare la principessa Ella? Nella lettera avevi scritto che le piaceva così tanto da farsene confezionare uno su misura” Già, lei e Fuentes erano alle seconde nozze, per bypassare l’imbarazzo e i paragoni non volevano nulla di troppo trionfale, e tanto.. il pensiero le corse a Saint-Evit, ad un giugno trionfante.  Il 1913, poco più di tre anni prima e mille vite trascorse.
“Sì, anche se andrà ristretto ed arricciato sul davanti” Una pausa”Olga, Alessio, scusatemi, sono stata di una maleducazione incredibile.. Verrete alla cerimonia, vero, con tutte le altre sorelle? E gli zar.. A te lo avevo detto per telefono, Olga, ma non ne avevamo ridiscusso“ E la principessa Ella e tuo fratello, i Fuentes al gran completo.. E stavano imbastendo qualcosa, rifletté Olga, ai tempi di Luois il rito era stato celebrato secondo il rito ortodosso e si erano sposati civilmente, Catherine a volte era così pratica da risultare cinica.
“Iniziamo a preparare il terreno con discrezione..Ai primi di settembre finiscono i due anni di lutto, quello stretto, e mi sposo il nove..” La zarina Alessandra ne avrebbe avuto a che ridire, tranne che Cat se ne infischiava.
“.. guarda che se non te  lo chiedeva, ti sposavo io..” allacciandole le braccia al collo, affettuoso, possessivo.
“E’ un grande onore, davvero, grazie..”Era commossa. Non opinò che era troppo vecchia, che non era possibile, lo lasciò stare e lo cinse delicata. Per un momento, appena un soffio, alzandosi in piedi, per non fargli urtare gli spigoli di una sedia o del tavolo, lo posò per terra.
“ E comunque non sei un maschio mancato, Cat, sei bella a prescindere” Poi “ Ma dopo dove andrete a stare? In Spagna.. o ..”e le era di nuovo addosso.
“Per ora in Russia.. “Gli circondò le spalle. Soffiando sulle sue mani “A Mogilev e a Carskoe Selo .. R-R ci ha regalato la sua villetta” Lo voleva sapere e gli dava le coordinate, che sarebbe rimasta. Per abituarsi. Già, quando era schizzata a Parigi, l’aveva voluta e cercata, era stata dura, ora che era cresciuto erano anche più legati, complici, e si sarebbe sentito escluso e messo all’angolo, se non avesse saputo. Per il momento, che prima o poi sarebbe giunto il momento del distacco.   
“Niente Palazzo Raulov? “Catherine scosse la testa.
“Mi piace il piccolo formato e.. una coppia sposata da poco deve stare per conto suo”
“Saggia mossa, sai che Mamma si è sempre lamentata di avere sempre la suocera in mezzo ai piedi, che lei e Papa non avevano mai pace”
Era vero, ma sia Olga che Catherine reagirono sdegnate, stesse zitto.
“ Sente tutto.. e ti spiazza, quando meno lo attendi” Sancii, precisa, passando le dita sulla schiena di Alessio, che mi strinse ancora più forte, “Sst, sei al sicuro, tranquillo..”
“Ti si è attaccato ancora di più”
“Purtroppo per lui”Amara, netta,  era un dato di fatto. “ E bene per me.. “
“Geloso per caso?”
“Un po’… dormo qui, vero” non domandava, era un dato fattuale.
“Contento te. Torte bruciacchiate, pochi giocattoli, che sennò qui diventava una succursale della stanza dei giochi, ti conviene?... Alessio, sto scherzando, non fare smorfie” una pausa “ Se avrò un figlio, sono contenta di avere già un poca di pratica con lui, bambino benedetto.. Sono qui, con te, non ti lascio”
“Quando.. non se.. alla fine sarai una brava mamma”lui era il mio tallone d’Achille, la mia debolezza, gli avrei voluto regalare il mondo. “Sei è un bel numero”
“Falla iniziare con uno..”Olga, pensando come me alle mie gravidanze interrotte “Anche uno sarebbe bellissimo”
“Due, senza troppa differenza di età..”
“Gemelli, almeno facciamo prima Alessio”
"Sarebbe bello" per non ridere, quasi soffocai nel tè.

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Capitolo 22
*** A spoiled Prince ***


Ella Raulov scrutò lo zar, una lunga occhiata armoniosa.
Da quando era alla Stavka, con la scusa di recare una visita a suo fratello R-R, si erano ritrovati, spartendo amplessi appassionati e famelici, nonostante l’età, una parentesi, un atto di guerra, innamorati da decenni, a prescindere da sorte, rango e matrimoni.

“Sei la mia oasi di quiete”
“Meno male” e lo ritrovava invecchiato, scavato dalla tensione, la barba lunga e gli occhi che vagavano, salvo posarsi su di lei.
“Mi sento come Giobbe.. Questa guerra Ella.. Mi devi promettere che dopo il matrimonio di Catherine non rientrerai alla capitale.. Rimani in Crimea con Sasha, proteggi te e mio figlio
“Niki, ci sono state tante perdite e ancora ve ne sono, ma fidati .. NE verrai a capo, comunque rimarrò vicino alla zarina vedova..”
“ E Catherine si protegge da sola, Fuentes comunque ..”
“Si proteggeranno a vicenda..”
“Ora discutiamo di questa faccenda, per bene”
Ella gli raccontò ulteriori dettagli e lo zar scoppiò a ridere. “Un colpo magistrale.. “
“So di sembrarti fuori di testa, Ella …”
Era ben vero, tuttavia glissò. “Enrique Fuentes ne ha fatte nere, tuttavia si è riscattato negli anni. O ci ha provato e questa è una grande occasione”
Recitò il titolo dei Fuentes al gran completo, era pura armonia.
“Una princesa Fuentes”usò i termini spagnoli “deve essere di religione cattolica” venne in mente a entrambi Alix, che nell’autunno  del 1893 aveva rifiutato la proposta di matrimonio di Niki per non abiurare il luteranesimo di nascita (una zarina doveva essere di fede ortodossa, senza fallo), per il profondo legame con la religione della sua infanzia. 
Ella se lo era preso, la loro relazione, almeno la prima parte era cominciata allora, LEI non si sarebbe peritata a mutare, alle volte era pratica fino ad essere cinica. Forse, a prescindere, sarebbe stato meglio se l’allora zarevic avesse sposato una principessa prussiana o Elena di Francia, peccato che fosse tardi, su tutta la linea. Per loro..  Non per Catherine e Andres,  lei  e lo zar avevano fatto solo un paio di figli insieme ed erano in ritardo di quasi un quarto di secolo.
“Comunque, Niki, Fuentes è l’unica persona che non si approfitterà mai della situazione per cercare privilegi o altro.. Ha titoli e appannaggi favolosi di suo. Non è santo, badiamo, tranne che ha molto buon senso e ..”
“Già, R-R compì una buona scelta”
“Gli capitò tra le braccia dopo una tragedia,  giovane per età, non per esperienza, era un uomo” Come Catherine, dopo le tragedie era una donna. Il dolore troppo grande e la loro casa troppo piccola.
“Poi comparirai, ufficiale..”
“Già, Niki. A proposito, dove è Alessio?” Gli accese una sigaretta, tirando una boccata, gliela passò, sfiorandogli un polso. “In genere è sempre vicino a te..” E non si sarebbe azzardato a incontrarla, con il figlio nei paraggi, nei fatti e negli atti era squallido, ne convenivamo entrambi, e tanto era.
“ Con Catherine. A sfiancarla..”
“Non voglio sapere che ha inventato.. mi basta che stia bene e sia contenta” la sigaretta era terminata e lui stava iniziando a carezzarla, per comune accordo tacquero.
 
“FUENTES!!Ahora y por siempre..¡Estaremos con usted en esta lucha hasta el final!..Saremo uniti fino alla fine del combattimento! Hacia   el fin del mundo..fino alla fine del mondo.FUENTES!!Ahora y por siempre.”  Finii di tradurre per Alessio, che mi aveva chiesto il motto completo, e lo ricapitolava.
“Molto bello ..Uniti senza mollare, ora e sempre, fino alla fine del mondo ..! chissà che paura quando andavano addosso ai nemici..”
“Troppo lungo,.. Dici Fuentes, ahora y por siempre, fidati. Ed è già terrificante” Rise sbarazzino.”Questa settimana arriva Tata, te ufficiale quando vieni?”
“Intorno al tuo compleanno. Il mal di testa come va?”
“Meglio. Il polso?”Mi sfiorò il destro, qualche fittarella vi era ancora. Facendo gli scongiuri, tralasciando qualche ematoma spontaneo, sporadici accessi febbrili, le emicranie, stava bene da dicembre, Alessio. Bene rispetto alla spada di Damocle dell’emofilia, ogni giorno che trascorreva senza una crisi era una vittoria, e cercava di non essere un perenne invalido, alle volte riflettevo che io ero la sua punizione peggiore, un soldato militante, che faceva quello che lui avrebbe voluto e non poteva, per sua disperazione.
“Comunque, Olga è allibita che mi fai sparare..” Un eufemismo, ecco. Aveva omesso di strozzarmi per puro miracolo, giusto  le pedate che avevo eroicamente preso mi avevano evitato lo strangolamento.
“Vero .. Ora resta in silenzio dieci minuti, per favore, devo finire di tradurre qui” l’ennesimo report negativo, che amarezza.
“Sei nella Ocharana, vero, come Andres? Ti è scappato il paragone quando eri mezza pesta, dopo il tentativo .. Non sei stata molto esplicita, e ci sono arrivato uguale”
“Di attentato contro lo zar” Conclusi per lui. “Mai dubitato del tuo intuito. E ti ho sempre detto che era un segreto.. Comunque, con il servizio attivo, di monitoraggio, spero di avere finito. Saremo io e le carte”
“Meno male” Poi “Guardi me .. che non è poco”
“Ti guardi da solo.” Sorrise.
“Cat,  Andres dove è infilato? È un po’ che non lo vedo..”
“Tutto a posto, deve sistemare una faccenda prima del matrimonio con suo padre e i suoi fratelli..” Ne avevamo parlato e io non lo avrei forzato né in un senso od un altro.
Mollai il report, ormai eravamo in fase indiscriminata di chiacchiere.
“Penso che abbiano litigato per una cosa grave” Annuii, omettendo cosa “Lui pronuncia poco volentieri il nome di suo fratello più grande..”
“Giusto, poi hanno trovato un sistema.” Socchiusi le palpebre, persa nei miei pensieri, Alessio osservava l’anello di fidanzamento.  “Questione di tatto e misure, un poco come noi, Alessio”
Una princesa Fuentes deve essere di religione cattolica, vero, e io ero agnostica, per non definirmi atea nel profondo.
Infine, erano questioni solo mie.
Definirmi pratica era un cauto eufemismo, nella mia parte potevo risultare cinica fino a giungere all’osso.
Enrique si era riscattato, in un certo senso, il tempo aveva riconciliato i due fratelli Fuentes, Andres voleva andare avanti..
Nessuno gli avrebbe ridato indietro Isabel o Xavier, la vita che avrebbero avuto, poteva essere visto come un risarcimento, un tentativo di generosità, o un modo di scaricarsi alle responsabilità che gli derivano dalla nascita, o forse era una commistione.
“.. non che sia diventato santo tutto insieme, figuriamoci, Andres, ma coglierei i cosiddetti due piccioni. Pensaci e poi ritroviamoci, in fondo sappiamo entrambi quale dovrebbe essere il vero principe Fuentes, come in effetti è, a prescindere dall’ordine di nascita. E andremmo a stabilirci nelle Antille, amo il caldo..“ Quel frammento di lettera, che Enrique aveva scritto al mio fidanzato, ritornava alla memoria.
E io non lo avrei forzato, doveva essere libero di scegliere, come aveva lasciato libera me.
A ogni buon conto, nonostante l’assenza, Andres aveva sempre devoluto i tre quarti del suo appannaggio di conte de la Cueva alla gente di Ahumada, ancora celebravano il suo nome, era l’eroe della Calle Mayor e tanto altro.
Che a prescindere da titoli, rango, ordine di nascita, appunto, era, nella sostanza,  Andres il vero principe dei Fuentes, conte di Sierra Morena, Signore di Ahumada y la Cruz.
Il mio principe.
E la Spagna era la sua vera casa, Ahumada il suo baluardo, nonostante anni di lontananza.
“Alessio, finisco dopo, ti va un tè?” Annotai che era impallidito 
“Provo a dormire un poco, magari mi passa l’emicrania” mi vietai di incombere, ansiosa, se mi agitavo si agitava anche lui.
Si appisolò per un’oretta, una pezzuola di cotone strizzata nell’acqua per dargli del refrigerio. Era rilassato, in quiete, le sopracciglia castane arcuate sopra le palpebre chiuse, i capelli scuri nella penombra, i lineamenti sottili e armoniosi, il respiro regolare.
Annotai divertita tra me che era sempre magro, ma meno emaciato rispetto alla primavera, che forse era cresciuto ancora. Al principio del 1916 sarà stato sul metro e 40, ora era quasi un metro e mezzo, aveva preso dallo zar Alessandro III che aveva rasentato la statura di un gigante. Me lo misi tra le braccia, si rilassò contro di me, come con le altre sorelle, si sentiva al sicuro, amato e protetto. E con lui mi sentivo amata e protetta, fisicamente era delicato come un soffione e tanto era un combattente, mai mollava la presa, acuto, ironico e dissacrante era un tesoro.
Credo che fu allora la prima volta in assoluto che mi concessi di fantasticare sui figli che avremmo avuto io e Andres,  di sicuro alti e scuri.
Dalla proposta di matrimonio avevamo omesso le precauzioni e, in fondo in fondo, volevo concedermi uno spicchio di speranza.
E lui era il mio bambino, il mio fratellino, il primo accesso che ho avuto alla maternità, il mio amico, due scriteriati alla conquista del mondo.
 
Lo zar aveva ritenuto opportuno concedere maggiore autonomia alla Polonia, voleva che, a un anno e rotti dalla presa di Varsavia, vi fosse maggior slancio, alla fine della guerra avrebbe concesso l’indipendenza, ecco, come alla Finlandia.
Saggia mossa, peccato che avrebbe minato l’autocrazia, evento che Alix non poteva tollerare.
Voleva preservare intatta l’eredità del figlio, non cedere una iota del potere che avrebbe avuto.
Lo zar doveva essere come Pietro il Grande, Ivan il Terribile, l’imperatore Alessio, schiacciare tutti sotto i piedi, gliene scriveva e già questa circostanza era foriera d’ironia.
Nicola II era l’autocrate senza cui la Russia non sarebbe esistita, ma nelle sue missive diceva che era lei a “portare i pantaloni”, si intuiva che aveva ella sola sufficiente discernimento per governare, o così riteneva. E la Duma? I ministri? Tutti traditori, corrotti, sleali o/e imbecilli.??  Il capo della cancelleria militare, il principe Orlov, era così a disagio ogni volta che doveva incontrarla da assumere valeriana in copiosa quantità per calmarsi, tanto che ne puzzava.
Piombò alla Stavka, insieme a Tatiana, dopo che le sue lettere e telefonate non avevano riscontro
Era l’8 agosto 1916.
 Nel settembre successivo mi sarei sposata.
“Mamma”Articolai quelle due sillabe, commossa, il mio viso raccolto tra le sue mani, le mie dita che le stringevano i polsi. Piccole rughe le scalfivano la pelle, le ciocche erano scure, le iridi liquide di gioia, pareva che ci fossimo salutate appena ieri, invece.. Era stupenda, un chiaro vestito di seta scintillante, piccoli zaffiri e diamanti illuminavano la sua carnagione, era sempre snella Una regina delle fate ..
“Figlia mia, bambina adorata.. “
“Io..”
“Non parlare, va bene così. Che mi metto a piangere di gioia..”
“Stai piangendo.. Sei felice, mamma?”
“ Se tu sei felice, lo sono io pure e ..Pronta e..”Si allontanò per valutarmi, enigmatica, poi sorrise, ancora, enunciando. “Tuo fratello sta scalpitando con tuo zio e ..”
“Sasha!!!
“Catherine..!!”Mi si buttò tra le braccia, così di slancio da buttarmi per terra, in una nuvola di polvere e baci. Tenerezze inespresse e una ridda confusa..
“Allora ora diventi spagnola?....”
“Aspetta.. aspetta..”
Risi come non mai.
 
“Io resto allibita, Principe Fuentes” La zarina si sventagliò, perplessa.
“Io sono contento, Maestà Imperiale. L’ha conosciuta che era una bambina, poi l’ha rincontrata come donna. “
“Ha un carattere difficile, credetemi. Pure è leale e coraggiosa..” (Mio suocero mi riferì poi e io allibii.. Sicuri che stavamo parlando di me? )
“Sono contento della scelta di mio figlio. La nipote di R-R gli ha ridato la serenità. Sul carattere difficile ne ho già avuto un assaggio con mia figlia Marianna.”
Molto dopo Alessandra mi confidò che quella novità l’aveva spiazzata, pure chi era lei per opporsi?
Giocò a favore che Fuentes padre godesse della sua simpatia, una delle poche volte in cui non errò nella valutazione di una persona, avevano entrambi un grande senso dell’amicizia e, dell’onore. E di Andres finanche sua cugina, la regina Vittoria Eugenia di Spagna, aveva avuto parole di lode”..non solo per gratitudine, che peraltro sarà ben presente, sempre, è il nostro eroe di Calle Mayor, quanto per un dato di fatto. I Fuentes sono una famiglia di persone leali,  loro patrimonio è la  parola d’onore ” 
Ancora, mia madre era d’accordo, lo zar anche, ero maggiorenne, non ero figlia SUA, chi era lei per sindacare? Inutile mettere veti, sarebbe passata da invidiosa, maligna e accentratrice.
Più ed ancora, era un segno di speranza nella lunga notte buia di quel conflitto, da ultimo e non meno, si confermava nella sua idea che da me vi era da aspettarsi di tutto, sia nel bene che nel male, che le mie sorprese erano di una scontata prevedibilità.
“Va bene.. Nove settembre avete detto?Sarà l’occasione per vedere le vostre usanze”
“Nulla di sfarzoso, chiariamo”
Il principe Raulov aveva inviato i suoi auguri, adducendo che per una serie di importanti manovre militari non avrebbe presenziato, tanto avrebbe provveduto R-R.
Meglio così per tutti, chiosò Ella, nei fatti erano separati, mai più avrebbe spartito nulla con Pietr Raulov, e non avrebbe chiesto il divorzio, che, a prescindere dallo scandalo, le avrebbe portato via Alexander, per ripicca.
 
“Io ho il mal di testa, troppe emozioni per una vecchia signora, “Annotò Ella, ironica. Non aveva voglia di vedere la zarina e si era inventata un malessere, declinai, in fondo non la biasimavo. Scuse e mezzucci, tuttavia, dato che ero alla Stavka in via ufficiale potevo ben comparire.
Trovai Alix di buon umore, sorridente, che aveva sventato la lesione dell’autocrazia dei polacchi e dei finlandesi, Fuentes padre ci aveva già parlato in via informale, lo aveva ricevuto molto spesso, lui voleva costruire un ospizio ed un ospedale ad Ahumada, trovava efficaci le idee della zarina.
Due stranieri che si intendevano.
“Catherine, Alexander..”Mio fratello taceva, una volta tanto, si inchinò con grazia incantevole e  sorrisi. Eravamo nel salottino del vagone del treno imperiale, una suntuosa riproduzione della amata mauve room, fiori e mobili di Marple’s, tessuti a fiorami di chiaro cinz.
“Vi trovo molto bene. Magari, vuoi andare a giocare con Alessio, Tata sarà qui a momenti con Madame Vyribova..”
“Vai Sasha..”
“Gradite del thè?.”Poi “Ci hanno dato in via informale un lieto annuncio, Catherine e vedo un meraviglioso anello per conferma” le rughe si distesero, a quel giro era contenta per me.
“Vi hanno detto giusto, Maestà Imperiale. “Stesi le falangi. Il diamante luccicò, Andres aveva ottimo gusto.
“Fuentes, l’eroe di Calle Mayor, valoroso senza pari” e bello, curioso, rompiscatole, un ingombro di qualità e difetti, che adoravo.
“L’ho conosciuto da bambina, ritrovato poi, dopo il lutto.”Una constatazione oggettiva. Non mi dovevo giustificare, né con lei o con nessuno. Né allora né mai.
“Siete sempre incredibile, davvero, sempre, mai ti arrendi”
“Ci provo”
“Have a good life, with Him”sincera. 
 
 
“Pensavo peggio, in fondo, Olenka”
“Nemmeno fosse un cerbero, a Mamma piacciono i matrimoni, semmai è rimasta male Tatiana, anche se ho cercato di preparare il terreno.  Accenni sparsi sul conte, messo le tue lettere a bella posta in giro. Che, senza offesa, lei ha disegnato il tuo abito da sposa per Saint-Evit, poteva ben restarci male e non poco di questa cosa...  L’augurio era che ti risposassi, tranne che il solito fatto compiuto arreca fastidio. Come se non avesse capito che io sapevo, tranne che è così riservata  ed è ben arduo sapere cosa pensa davvero. Le due piccole .. una festa, in fondo sono due romanticone. “
Ero a Carskoe Selo nel villino che R-R aveva regalato a me e Andres per le nozze, stavo valutando di dare giusto una rinfrescata alle pareti, spostare qualche mobile, dopo stagioni in cui avevo badato a me stessa ritenevo non necessarie molte comodità o agi scontati, Olga parlava in sottofondo.
“Oggi sei di umore ciarliero” Eravamo transitate nel guardaroba, i gelsomini stordivano con il loro profumo.  Nel mezzo, su un manichino,  vi era un capolavoro di seta nera, con ricche maniche e squisiti ricami.
“Già, vediamo questo vestito.. Fila a provare, ti aiuto io ” Che Tata, con la passione che aveva per gli accessori e la moda latitasse, era un chiaro segnale. Incurvai le spalle, la preferenza era per Olga e Alessio, e pure.. Amiche e sorelle, che ferivano e si ferivano. E avevo combinato tutto io. Ed era migliore di me, alla lunga, sapeva comprendere e perdonare.
“Che meraviglia.. Seriamente, sei splendida” Mi allacciò per la vita, osservando il riflesso nella cornice.
Seta nera che cadeva spumosa, i ricami cangianti che vibravano a ogni respiro, il corpetto arricciato per illudere che vi fosse più seno.
Appuntai la mantilla, inclinai il viso di tre quarti.
“Già. Vediamo il resto”
“I gioielli. Posso aprire?” Indicando una scatola di pelle  marezzata, con una “F” in rilievo in sfoglia d’oro zecchino. Curiosa, intenta.
“Che splendore..”  Rilevato dalla figlia dello Zar era un complimento di non poco conto. Li aveva portati apposta Marianna dalla Spagna, era arrivata con il treno diplomatico, in verità non si sarebbe persa quella cerimonia per nulla al mondo. Definirla carismatica era ben poco, osservo solo che era la versione femminile di Andres, nel bene come nel male.
Negli scomparti dell’astuccio vi era una parure, collana, orecchini e bracciali con annessa tiara, i profili segnati da una suntuosa filigrana, che risaliva al 1750 circa, che un Fuentes aveva  fatto per la sua promessa sposa, da allora in poi la indossava ogni futura princesa, come pure le principesse Fuentes alle loro nozze.
Una tradizione come una altra, lo splendore cangiante dei rubini che brillavano sotto i raggi del sole, i monili, ripuliti e restaurati con cura, erano degni di una regina, se non di una imperatrice. La donna virtuosa vale più dei rubini, ricordai.
“Regali ..”
“ Da principessa, appunto. “
“Spiegati”
Glielo dissi e sorrise. “ Sono felice per te, per lui.. solo che ..”
“Mi sono convertita” Ché la madre di un principe Fuentes deve essere di religione cattolica, mi avevano somministrato battesimo, confessione, comunione e cresima in una sola sessione la settimana prima, cerimonia su cui avevo fatto ben pochi cenni.
“Me lo immaginavo. Oggi è il 27 agosto, mancano meno di due settimane.”Annuendo.  Da inizio mese non dormivo più con Andres e mi mancava, vederci con tanto di champerons era un tantino ridicolo. 
“Suona bene.. Tua madre che ha commentato?”
“Mia la vita, mia la decisione. Comunque..” Iniziai a sganciarmi il corsetto dietro la schiena.
“Comunque vada, te lo meriti” Appoggiando una mano tra le scapole, le cicatrici occultate dalla sottoveste di chiffon.
“Speriamo..”
“Speriamo che a Alessio passi la luna storta.. In genere con tuo fratello sono sempre andati d’accordo, chissà perché gli ha tirato in testa il fucile giocattolo” Causandogli un bernoccolo non indifferente e rimediando una punizione esemplare. Quando ero con la zarina e Tata e la cara V., avevamo sentito un urlo, Alexander, il mio sussurro, quattro vele si erano innalzate a controllare, la seta delle gonne ricordava il sartiame di un veliero, appena avevo salutato Tatiana e poi ..
Alix si stava inalberando che pensava a qualche trovata inopinata di Sasha, tranne che il marinaio Nagornyi aveva rilevato che era tutta opera dello zarevic, mio fratello gli aveva solo chiesto se poteva vedere il fucile e per tutta reazione glielo aveva buttato addosso, dopo un saluto e una stretta di mano.  Lui era rimasto fermo, immobile, senza reagire, anche troppo calmo per avere quasi nove anni, sapeva che non doveva essere ciarliero e rumoroso, tranne che Alessio non aveva mai avuto quelle reazioni. La visita si era interrotta e lo avevo riportato da Ella, che era rimasta basita. “Che gli hai dettoChe hai fatto?””Nulla, Maman, anche se mi ha fatto male, credimi. Gli ho solo chiesto se potevo usarlo, abbiamo i testimoni.. Figurati se il marinaio dice le balle. Io a te non le dico mai, Mamma, comunque, lo sai, se non per non mangiare troppe verdure, che ora non ci incastra nulla   ” Mistero, tuttavia sia lo Zar che Alix avevano convenuto che non era comme au fait, provocare una lesione a un bambino più piccolo, senza nessuna provocazione, che circostanza imbarazzante. Il 12 agosto aveva il compleanno, vi doveva essere una piccola festa, che venne cancellata, i regali dopo, al momento non se li meritava, intanto nessuna torta, lo zar mi aveva inibito dal passare, pensa a te e non a lui, ti sposi, non puoi badare ai capricci di un moccioso viziato in eterno..  Duro come non lo era mai stato.
Ed ero arrabbiata nera, che modi erano, potevamo stare tranquilli e invece compiva quelle manfrine.
Glissai, mi dovevo sposare, non avevo voglia di perdere  tempo o fiato dietro a un principino viziato, il mio prediletto.
Tra me, Sasha ed Ella, eravamo tre accentratori, tre rutilanti rompiscatole, con una marea di cose da recuperare. Portai Alexander a cavallo, senza remore, estasiato mi adorava, era un cavallerizzo nato. Passo, trotto, galoppo, Sasha, bravissimo, vai da solo.. E gli ostacoli e i muretti li salto con te, osservava, e schizzavamo via, rapidi e netti. E con Alessio sarebbe stato lo stesso, se non fosse stato malato, quello che avevo fatto era quanto umanamente potevo.
Gli avevo fatto il bagno, raccontato storie, passeggiato per ore, Sasha mi amava, nonostante le assenze,  il lutto e la distanza.. La gelosia un poco era passata.
E Alessio mi mancava tranne che non capivo il punto esatto. E mi mancava e basta, quel ragazzino era pura magia. Nonostante tutto. Mi ero abituata a stare con lui, vedevo il mondo in modo diverso, ero migliore, meno arrogante e tesa, mi faceva stare bene.
E tanto non comprendevo quello scatto, deliberato,  non era mai stato cattivo in modo volontario con nessuno, anzi, se poteva aiutava sempre, era sensibile, attento alle altrui sofferenze, avendo patito sulla sua pelle da quando era un bebè. O era invidia, si parametrava a Sasha o ai cosiddetti ragazzi normali, ma quella bizza non gliela era stata condonata. Od era geloso di me? Possibile se non probabile,  non era certo una giustificazione.
“Sono scappato”
“ E allora?” Indifferente, strigliando Castore, immaginavo che prima o poi lo avrei trovato lì, seduto su una balla di fieno come se fosse la norma. Lo Zarevic nella stalla, via, tralasciando che a scappare era bravo, nel 1915 aveva fatto fessi me, lo zar, i suoi marinai eccetera, confondendosi come un piccolo cadetto, in quei mesi poteva solo migliorare.
“Io.. ”
“Alessio, spiegami che non capisco, per favore resta lì, Castore è stanco e potrebbe tirare dei calci, anche io sono stanca” Indifferenza, da capo, mentre finivo, solo in apparenza che gli badavo, eccome.
“Scusami” finito,  chiusi il box, rimasi in piedi vicino a lui.
“Dillo a Sasha, non a me”  avevo nostalgia di lui e non così “Ti aveva fatto qualcosa, preso in giro..” una arrampicata sugli specchi, Sasha era sincero, in generale,  balle a nostra madre mai le avrebbe dette, se non per questioni da poco, come mangiare meno verdure o giocare dieci minuti in più.”NO” Poi  avevo ricordato come ero stata, piena di paure e nuove ardimenti, quando Raulov picchiava mia madre. La rabbia cieca. Le collere improvvise. Gli scatti. Soffrivo e soffriva anche lui, variando i motivi.
Un sospiro,  mi ero avvicinata. “Io non sarò mai come lui, non potrò cavalcare o saltare senza fallo che.. vi ho osservato, sai..Dopo. E voleva una cosa mia. Ed ha già te..” Aveva risolto mollandogli il giocatolo in fronte, ottimo, logica ineccepibile, beccandosi una punizione esemplare,  che al suo compleanno ci teneva eccome.
“Mica sono una sua proprietà! “Mi ero inginocchiata, abbracciandolo, al diavolo tutto. “Alessio, lo dico per te. Impara a controllarti, che ne ricavi e non dire Cat, da dove scappi” Che ti porti sempre tutto dietro.   Già.  Io lo avevo imparato allora, ci avevo sbattuto la testa e tanto..
“ E ti voglio bene a prescindere, non è per me, è per te..”Stringendolo, senza fallo, una carezza sulla magra schiena, una stretta sul polso, leggera , rapida, quanto mi era mancato. “Dai, vieni ” Mi si era allacciato addosso, mi aveva posato il viso contro il collo, era ancora un bambino, il mio prediletto, nonostante l’esasperazione “Mi sei mancato, Alexei, ma così non va.. che ne dobbiamo fare di te?” Una retorica domanda. Gli avevo baciato una tempia “Ti voglio bene anche se a volte fai ammattire con questi comportamenti…”
“Sicura?” mi si era stretto ancora più addosso
“Sì, però ora.. rientra, sennò ci mandano dietro due o tre pattuglie.. ci vediamo a settembre..per i cavalli qualcosa inventiamo, dai, e non subito, ora NO” Intanto guardava Castore senza chiedere nulla, sapeva che ero al limite, desiderava farci un giro.  E non lo aveva violato, lo amavo e non gliele davo sempre vinte, non tutte, che in un’altra occasione sarebbe salito volentieri.
“Ti accompagno per un pezzettino, devi rientrare..”
“Sono stanco. “ Avevo glissato la battuta, potevo accontentarlo no? Viziato per viziato.. “Ti porto fino a dove posso, stringimi, forte forte, non mi lasciare..” aveva riso. “Ci penserò, su tutto, Cat.. Kitty Cat, Catalina. La mia Catherine”
“SST”Lo avevo messo giù e abbracciato nel lungo crepuscolo, Dio quanto lo amavo, quindi era corso via, si era girato un paio di volte, gli avevo fatto un cenno, poi era approdato da un marinaio, pardon tata come diceva mio zio, omettendo che obbediva a bacchetta a Alexei, quando era più piccolo si metteva a quattro zampe  e si faceva montare a cavalluccio.
E lui aveva scordato, meno male. Tra finire in un fosso come un allocco, per svago dei fratelli Fuentes,  o essere il cavallo a dondolo dello zarevic, non so quale esperimento  Sasha R-R avrebbe preferito ripetere.
Tornai al presente, mi sganciai i monili. “Alla fine, gli passerà. Fidati ” e mi mancava, accidenti a lui. “Quando converrà che può fare poco altro, è un asso in questo, come me”
 

“Andres che spettacolo.. Senza champerons, preparativi, isterie su cibi, vestiti e ordini..”
“Io, te, il mare e  i cavalli..”Una piccola insenatura, un momento per ritrovarci in quiete. Relativa, che avevamo fatto l’amore sotto il cielo estivo, la sabbia sotto la mia schiena nuda era ruvida e graffiava come la sua barba.
“Per due della Ocharana è una barzelletta. Evadere.”Celiò, poi tornò serio ”I riferimenti a te e Cassiopeia sono spariti, bruciati, nessuno può risalire, io sono solo una F. generica”  Aspirai l’aroma degli aghi di pino, quello della sua pelle.
“Era praticamente un mese..”
“Già, ci siamo abituati bene.. Senza fallo.” Fece una pausa “Quando ho sposato Isabel ero vergine, pensavo che fosse come quando si accoppiano due animali, invece..  Amore, tenerezza, passione. I bordelli e le avventure sono venuti dopo” Era giovane, in salute, ardente, senza obblighi, era di tutte per non essere di nessuna. Nelle nostre notti più sfrenate giungevamo fino a tre, quattro amplessi, aveva l’esperienza e non più l’energia della gioventù, doveva essere stato un giovane, irruente leone. E mi era andata bene, mi ricordavo bene la sua confidenza, che in quei lunghi anni si era innamorato, di nuovo, e lei non era libera, sennò se la sarebbe presa, eccome. E mi vietavo di indagare, in fondo eravamo NOI due, e anche io avevo un bel passato ingombrante.
“Per appagare almeno la brama fisica. Capisco”
“E non è solo lussuria, mi piace parlare con te, addormentarmi e svegliarci insieme, mi sento .. in pace.”
“ E non solo, Andres” Gli scivolai sopra, sinuosa, per scacciare la malinconia.
Lavorammo di buona lena per togliere la tristezza.
Credo che lo concepimmo allora, il principe della speranza.
Quello sarebbe rimasto l’ultimo, privato interludio a due prima delle nozze, era il 29 agosto 1916.
Comunque, ci vedevamo quando veniva a disquisire circa gli arredi, per la misura della fede, incombente cui provvedeva R-R con sommo diletto, a qualche cena, via così.
Ed, il sorriso che mi rivolse Alessio, ai primi di settembre brillava come gli astri dell’emisfero boreale, eravamo a posto.
Come se si fosse calmato e rassicurato. E certo, mai dubitare di lui, era bravo, se era in vena, a piegare le circostanze a suo piacimento.
“Si fanno le prove, princesa?” Principessa in spagnolo, mi girai sul fianco e me lo trovai addosso, sullo sfondo Tanik e Marie. “Ciao a tutti, che piacere”Mi inchinai, deferenza accolta da uno sbuffo risentito, in privato non gradivano “Vediamo, vi sposate nella cappella dell’ambasciata iberica?” “Si .. “ “Siamo qui con i cosacchi di scorta..” Rapida. Tatiana era entrata in modalità attiva “Vediamo di inventare qualcosa con ‘sta tradizione spagnola.. “ “Anastasia dove è?” “A far ammattire Andrej Fuentes..” “Il generale Andres Fuentes, è nato in Spagna, chiamalo come si deve” la corresse Alessio “Sui vermi da usare a pesca..” “Zitto, tu, gioca con la principessa, ci hai fatto una testa come non mai” “ Eh certo.. “ lui “ Catherine, dimmi i fiori.. e gli accessori”  alla fine soprassedetti, che mi strattonava per il polso, voleva la mia attenzione, ci mettemmo a giocare a nascondino, udite udite, che volevo scampare all’ennesima prova di vestiario. “Sst, non ridere monello.. che ci  trovano” “Sei buffissima” “Taci, che ci sentono” “Va bene..”Mi si accostò alla spalla, si divertiva come e più di me. Grazie Tanik, pensai, sei migliore di me, io chissà che avrei inventato..
“..” “Grazie..” “Figurati se me lo perdevo”, commossa.. e non la toccai, non era da lei. Pure quando mi vide, con il vestito scuro, i gioielli e la mantilla si commosse, ancora, salvo valutare come ottimizzare gli effetti.
Ero snella, radiosa, mi sentivo un incanto.
“Come un quadro, una miniatura” “Tutte le spose sono splendide il giorno delle loro nozze, mica durante le prove” Io, sardonica secondo il mio stile.
“Tu in particolare, va bene?” Tata confabulò con Marianna per un pezzo. Quelle due andavano proprio d’accordo, Marie andò a verificare che il mio fidanzato fosse sopravissuto allo sfoggio di sapienza di Anastasia, senza stramazzare, a volte riusciva a far cadere fisicamente le braccia dal tronco, da quanto sfiniva.  Aveva  cinque anni quando aveva principiato ad allevare lombrichi, o vermi, o che ne so, e aveva continuato, acquisendo un ampio  bagaglio cognitivo in materia, che esibiva volentieri, avesse applicato la stessa diligenza all’aritmetica e alla traslitterazione del francese, i suoi studi ne avrebbero tratto maggior giovamento. E quella mania perdurava, nonostante i tentativi di sventarla. Appreso che Alessio amava la pesca, aveva impiantato l’ennesimo allevamento nelle soffitte del Palazzo di Alessandro, con somma irritazione dei genitori e altrui divertimento.
“Grazie, di nuovo” “Grazie a te di avere badato a..” “Al mio monello preferito, eh,  io mi sposo e devo stare con te..” ridendo e mi saltò addosso, lo zarevic, e chi altri? “SEI MIA” “SEMPRE, peccato che sia troppo vecchia per te” Leggera, casuale. “Magari la principessa Ileana di Romania no..Cinque anni meno di te, molto graziosa, ti piace, Sunshine..”Un partito adeguato, come ai suoi tempi Carol per Olga, che aveva declinato la cortese manovra di accerchiamento. Non vi fosse stata la guerra, lei e Tata sarebbero state sposate da un pezzo, Marie fidanzata di sicuro. Lo zarevic arrossì, gli era simpatica, celere cambiò argomento, annotando che era l’ora del tè e, mirabile dictu,  aveva fame.
Per dire, che si fece imboccare, il mio diletto imperatore dei viziati “Cat” “Alexei.. ti adoro” “Lo so” “ E volontariamente non ti lascerò mai più, senza un saluto” un piccolo sussurro. “Domani tornate..” “Certo.. “ sorrisi, senza sperdermi in frantumi. “Sennò .. “una perduta eco, a prescindere dai toni di occhi e capelli, l’adorazione è reciproca, ricambiata, e tanto era un viziato piccolo principe, che faceva i capricci.

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Capitolo 23
*** Always a Team ***


“Ci siamo, sei contento Andres? Nessun ripensamento, spero” lo scrutò con attenzione, rise della sua battuta, che Catherine gli avrebbe torto di sicuro il collo se le combinava qualche scherzo.. Quindi tolse un minuscolo pelino che aveva osato posarsi sulla manica dell’uniforme, non sapeva che dire, di preciso.
“Sì.Grazie per essere passato a salutarmi”Alessio deglutì, emozionato, pensando che era una grazia essere lì e partecipare, dimenticando, almeno per un poco le sue afflizioni. Andres  gli strinse le spalle, una piccola pausa. Alto e imponente, era uno splendido membro dei dragoni a cavallo spagnoli, reggimento in cui aveva militato nella sua prima, luminosa giovinezza, prima delle tragedie.  Gradi e medaglie sul petto e le spalle, onorificenze ricevute per merito, e Alessio percepiva la sua indifferenza, per lui erano tiri della sorte, non vi aveva badato, non aveva cercato ed era un eroe, tra parentesi il suo come Catherine.
“Io sono contento di avere fatto pace con Sasha, alla fine gli ho regalato il fucile e va bene così”
“Notiamo che Catherine ti aveva fatto avere un modello bellissimo”
“Con le mie iniziali e tutto sul calcio, era il regalo di compleanno, ma io l’ho avuto il 6 settembre, con Sasha mi sono riappacificato il 3. E tu il pony ..Grazie, Andres, andiamo in chiesa, NON devi fare tardi”
“Dopo l’arrivo della sposa, la cerimonia dura circa un’oretta, Jaime è abbastanza veloce. “
“Speriamo, tanto ho mangiato a colazione, principe Fuentes”
“Come fai a saperlo..? Che non abbiamo detto nulla..”
“EH..??? Aspetta, tu hai titolo di conte, era per battuta, che in genere sbuffi e ora sei sorpreso..” Con malizia.
“ Enrique è sempre stato innamorato di una donne della borghesia, a modo suo, chiariamo” sarebbe stato bene nei panni di un sultano, rifletteva, e in fondo lui poteva ben tacere. Dalla memoria sorse il viso di Isabel, luce ed armonia, sostituito da quello di LEI, con le stelle di diamanti che le illuminavano i capelli, che aveva sfilato, mentre facevano l’amore, quindi, ecco,  quello di Catherine, simmetrico e perfetto. Signore, fate che non sbagli, che non si penta mai di avermi sposato.. è tanto giovane, rispetto a me.
“ E se la sposa, si degrada, a livello nobiliare. Il cugino di mio padre; Kirill, ha sposato una divorziata, mio zio Michele una donna di rango inferiore, un bel caos.” Sintetico e celere, quindi disse “Andres, muoviamoci, deve fare tardi la sposa, non tu..che avete inventato?”
“Sennò mi strozza con le sue manine.. la sposa”( Ne sarei stata capacissima, fidatevi..)“Niente, abbiamo trovato un’intesa. .”
“Cioè, ha rinunciato alla primogenitura per un piatto di lenticchie, come quello della Bibbia?”
“In un dato senso, ma lui .. Ha sempre detto che solo per un gioco di dadi era il primogenito, che ero più adatto io.”
“Così lui diventa un signor nessuno e tu l’erede..Ah, però. Bella responsabilità, che gestirai, te la cavi sempre tu, comunque muoviti, sennò la tua principessa ti prende a legnate, seriamente, seguita dalla tua amabile sorella, altro che diventare signore di Ahumada e compagnia, pensa se arriva prima la sposa dello sposo, all’altare, ti strozza, minimo, come hai detto”
“Non è così tremenda. Marianna, mia sorella dico, che Catherine me la sposo con cognizione di causa, sapendo come è.. Su” sorrise malizioso (ANDRES ..che volevamo insinuare?)
“Insomma. È  senza tanti giri di parole. Marianna, dico, a mia sorella Tata piace, le è davvero simpatica”
“E’ cresciuta con tre maschi, diciamo che sa il fatto suo” Si impose di essere allegro, senza malinconie. “Sai che suo marito è più giovane di lei di un paio d’anni? Cioè, ha la mia età, all’epoca ne dissero .. che era troppa vecchia, chissà se avrebbero avuto figli, invece .. Ne hanno avuti cinque”E Marianna era fertile come una melagrana, uno dei blasoni dei Cepeuda. “Daniel, Nicolas, Andres, Elisabetta e Jaime” magari ci sarebbe scappato il sesto, la marchesa avrebbe voluto un’altra bambina e Raul si sarebbe impegnato ad accontentarla. Se glielo avesse chiesto, le avrebbe portato la luna e gliele avrebbe deposta ai piedi.
Alessio immagazzinò l’informazione, Fuentes padre a precisa domanda della zarina aveva detto di avere sei nipoti. Forse un bambino era morto in tenera età, pure non era il caso di fare osservazioni, gli era sorta in mente un’ipotesi. Xavier 1901 era scritto sul tatuaggio, della rosa che il leone rampante teneva sulle zampe, piccole lettere e numeri.  La bellezza del mondo e le sue fragilità, non è solo guerra. Pochi mesi dopo, Andres si sarebbe fatto altri tatuaggi, per celebrarmi e celebrarci, una piccola speranza.


Comunque, non eri in ritardo, semmai in anticipo, arrivasti alle undici e trenta spaccate nella piccola cappella nell’ambasciata spagnola della capitale, senza andare a scomodare la chiesa.  Tono minimo, o ci si provava.
Alix si mise a starnutire per il profumo di zagare, dava alla testa, da quante erano, fiori e fiori a profusione, con le rose e il mirto, intrecciati con nastri chiari e nodi d’amore (Tanik..!! ti eri superata, grazie ancora, avevamo passato la sera precedente in quell’occupazione, io, te, Marianna e le altre granduchesse, tranne che alle nove mi avevate mandato via, casomai la stanchezza mi avesse rovinato la carnagione.. ma va.. )  mentre Alessio, tranquillo, osservava la passatoia di velluto rosso,  le candele e quanto altro.
La zarina era vestita di azzurro, una lieve tinta  pastello, concessione alla lieta giornata, a mettere la mantilla non si era azzardata, troppo esotico, per i suoi gusti, alle orecchie e alla gola perle e zaffiri, in tinta con il suo cappellino e i guanti.
Olga e Tatiana erano in chiffon rosa cipria, Marie e Anastasia di un tono più scuro, con annessi accessori, pietre preziose e cangianti incastrate tra le alte uniformi, Enrique e Xavier padre e alcuni spagnoli del contingente dei volontari, Jaime vestiva i paramenti pastorali.
In punto di cronaca, il principe Raulov aveva inviato ulteriori, diplomatiche scuse, rifletteva Ella, sotto la mantilla di seta nera, che la snelliva ulteriormente, era armoniosa e fluida in un vestito a chiffon con piccoli fiori. Sasha controllava l’orario, i secondi non passavano mai.
Alla fine, intorno alle 11.42, R-R e io apparimmo.
Mi sentivo una pianta di arance ambulante, le zagare erano intrecciate nel bouquet, appuntate nel corsetto e tra i capelli raccolti, sorrisi a mia cognata, che mi avrebbe fatto da testimone, anche lei aveva la mantilla ed era nei vestita nei toni del verde acqua, che sottolineava le sue iridi di smeraldo.

Dai quaderni di Olga Romanov alla principessa Catherine”..Ora ed allora eri di una superba avvenenza, luccicavi di gioia, perdonami il lirismo. Quando Fuentes sollevò la mantilla, ti sorrise, ricambiato, le zagare intrecciate nei capelli raccolti, scintille color mogano e i monili da princesa, appunto, il rutilare dei rubini e la squisita fattura dei gioielli, una visione ieratica. Molto bella la lettura, la lettera di San Paolo, Spes contra Spem, liberi dentro, al pari del passaggio della corda sui polsi, per indicare che eravate uniti per sempre, la dazione delle  13 monete, lo sposo che reca una dote alla sposa.. Quando diceste “Volio et accipio”, scambiando le fedi, da portare all’anulare destro, mi premetti il fazzoletto sugli occhi, commossa, come molte persone..la cerimonia terminò verso le una meno dieci. “
 
“FUENTES!!Ahora y por siempre..¡Estaremos con usted en esta lucha hasta el final!..Saremo uniti fino alla fine del combattimento! Hacia   el fin del mundo..fino alla fine del mondo.FUENTES!!Ahora y por siempre.”  .FUENTES!! .FUENTES!!
Uscendo nell’aria settembrina, sottobraccio, percorremmo una galleria formata dalle spade sguainate dei miei cognati, di mio suocero e gli altri ufficiali, mentre scandivano il motto dei Fuentes, tutto intero, augurando salute e felicità ai principi Fuentes, conti di Sierra Morena, Signori di Ahumada y la Cruz.
E iniziò la festa. .
FUENTES!! .FUENTES!!

“Posso..?”Alessio attese con pazienza il suo turno, dopo che avevo compiuto il giro con Sasha. Ero in una piccola saletta a rinfrescarmi l’acconciatura, di là la confusione aveva raggiunto ritmi epici, da accampamento acheo quando me li ero visti comparire a chiedere un ballo alla sposa, seguendo l’ordine di età, che poi sarebbero iniziate le danze SERIE. Mi tolsi le scarpe con il tacco e danzai scalza, per evitare una disparità eccessiva tra le altezze, loro erano serissimi peraltro. E nella pausa mi erano saltati addosso entrambi, uno a destra, l’altro a sinistra,una confusione di braccia  e baci.
“Certo” Si inchinò e mi allacciò la vita con un braccio, stendendo la mano per prendere la mia, mentre gli sfioravo la spalla.
Vorticammo senza fallo, in perfetto accordo, una musica silenziosa, giri armoniosi, al termine sorrisi e lo ringraziai, i suoi occhi di zaffiro e indaco erano irradiati da una grande gioia.
“Sei bellissima e io sono contento di avere ballato con la sposa. Ti saluto ora, che poi dopo ci sarà confusione..” Mi inginocchiai e lo strinsi, ricambiata, allacciata per il collo, le gonne sparse intorno come un ruscello oscuro.
“ Le domande te le prendi un’altra volta, princesa.” Rise e mi baciò sulla tempia.
“Ci avrei scommesso.  Alessio”Gli sfiorai il palmo”Ti ricordi che mi avevi promesso un ballo?”
“AH.. Ora sto bene” Mi baciò le mani. “Dopo il raffreddore e la crisi.. Mi hai fatto ballare in braccio a te e raccontavi la storia del bucaneve, Prima. Ora sto bene. O  cerco, stai bene pure tu”
“Sì.”
“Principessa Fuentes..”  sfiorò i rubini della collana, la guancia contro la mia.
“Zarevic.”
“Ti ricordi quello che diceva Alice al Bianconiglio, su quanto tempo è il per sempre?”
“A volte, solo un secondo..” citai, esatta.
“Che vi ha copiato il motto?”
“Non credo.. “Spiazzata “ Alessio sei una meraviglia..”
“Lo so. Vai Cat, che ti aspettano” e quei momenti erano un per sempre. “ E tanto sei sempre mia” intendendo credo che avevamo condiviso tanto fino ad allora ed il più ancora ci aspettava.
“Aspettino, vieni qui, come Sasha” Li strinsi entrambi, senza altre parole, poi mi rialzai e rimisi le scarpe, rientrando a testa alta e schiena eretta, una mano serrata dallo zarevic, l’altra da Alexander.
Il potere dei gesti.
E quando mi facesti leggere il tuo diario, Alessio, su quel giorno, piansi “ 9.9.1916, Cat si è sposata con A. F. Buon cibo, cerimonia veloce, è stato bello ballare con lei, dopo. Mi sono sentito grande, era contenta, tanto, ha sorriso tutto il giorno. E mi pareva scattante, tranne che Olenka ha detto  che era stanca, si doveva riposare..” un piccolo trafiletto che mi fece ridere dopo. “Boh.. valli a capire i grandi
  
Verso le nove di sera, quel benedetto giorno, mi assentai per dieci minuti, con la scusa dell’acconciatura, invece feci un brindisi con i fratelli Romanov, si ritiravano e anche io non vedevo l’ora di farlo, che dovevo saltare addosso al mio legittimo consorte.
Risate, scherzi e auguri, la luce di settembre era un caleidoscopio di suoni e colori, morbida come le nostre parole leggere.  Eravamo felici. Gli ultimi raggi del sole calante illuminavano il mio anulare destro, con la fede nuova di zecca, vi era inciso Andres 9.9.1916.Belovednella mia “Catherine. 9.9.1916. Forever”nella sua.
Dai quaderni di Olga “ Alessio ci fece morire dal ridere quando, rientrando verso casa, osservò che parevate stanchini..Lui vibrava di eccitazione, era contentissimo, per un giorno non avevamo pensato alla guerra o alle perdite.. Mamma scosse la testa, eravate tutt’altro che “stanchini”, gli effetti della vostra presunta stanchezza si videro molto presto, era tutto il giorno che vi mangiavate con gli occhi. Strano che non abbia l’emicrania, ancora Mamma, salvo glissare che il monello si era allarmato, sarà solo stanca, Papa nascose la risata in un fazzoletto, era un eufemismo, tradotto.. festeggiate..“Che ho detto di tanto buffo?”mi chiese, che quella sera si impuntò che lo mettessi a letto io“Nulla di particolare, tesoro, era il modo” “Ah..quando la vedo?” “Presto..” “Domani?” “Dagli qualche giorno per riposarsi.. saranno esausti” Borbottò un piccolo uffa,  intanto gli davo un bacio, mi sdraiai vicino a lui, finchè non si addormentò, Quella sera un poco ti ho invidiato, avevi un marito e di sicuro vi sareste ben “riposati” E pensavo a Michael…. Ogni tanto riesco a sorridere ancora, che bello, ho peccato di superbia, accidia, irosità e .. lussuria, non è tra i primi comandamenti, nemmeno tra gli ultimi. Non era una gara, chiariamo, diciamo che, mutatis mutantis siamo sempre rimaste in sincronia” 
 
“Principe”
“Principessa..”
“Una festa bellissima, superba.. Tua sorella e la granduchessa…sono state impagabili, efficientissime”
“Già. Abbiamo mangiato, bevuto, riso e ballato, fatto le foto e..”
“Ci siamo sposati..”
“Sei mia moglie e ..”Mi baciò il dorso della mano, finalmente soli, sul tavolo una bottiglia di champagne ghiacciato e della frutta fresca.
“A noi, picador..”sarei stata sua fino alla morte. E lui mio per sempre.
Rotolammo tra le lenzuola profumate di lavanda, dopo che mi aveva aiutato a spogliarmi, operazione lunga ed estenuante, ogni bottone un bacio, una carezza, io altrettanto, ero così felice da non respirare o quasi.

“Alessio! Amore, sono qui”Lo sollevai sul fianco, quel giorno ero vestita alla creola, morbide gonne, un corpetto delicato, colori tenui, senza busto, una idea sostenuta da Marianna, la sua tenuta privata, quando non era a corte, usata durante le gravidanze, tessuti comodi,   non usare il busto, non dipendere dalle cameriere, una camicia bianca e ampie gonne spumose.
“Eccoci..  Scusa la nostra irruenza” Olga mi circondò con il braccio, ironica, lo zarevic mi aveva “sequestrato”, una ridda di baci, e chiacchiere, impaziente”E che fate, scusa.. sono  giorni che siete spariti..Olga ha detto che dovevate riposarvi”ci scrutammo, io e lei, le labbra tese in un identico e gemellare sogghigno.
“Ehm, Aleksej Nicolaevich.. Varie cose”
“Tipo”
Omisi di rispondere,  ero diventata di uno splendido rosso peperone, quindi porpora, nonostante l’abbronzatura leggera “Tipo??”non avevo scampo, mi avrebbe sfinito per dieci giorni filati se non rispondevo. Ma rideva, non era indispettito.
“Di tutto. Cuciniamo, parliamo e abbiamo in mente di fare lunghe cavalcate. Tesoro, sei in partenza per Mogilev?” Olga si faceva aria con le mani, stava ridendo silenziosa, assistendo all’assedio di curiosità cumulativa, leggendaria dello zarevic, alla sua immaginazione di bambino le varie cose, avevo declinato i fatti secondari, senza balle, pure ritenevo di non dovergli spiegare il significato di una appassionata luna di miele. Che la nostra stanchezza era in effetti “prodigiosa”… Allora neanche immaginavo quanto.
“No, ma vado a fare un giro con Papa, per le truppe, Mogilev tra qualche settimana, e ti volevo salutare.” Cincischiando contro la clavicola, il corpetto mi regalava una taglia in più di seno, grazie alle ruches e ulteriori ruches correvano dal gomito al polso,  lui ci giocava, un poco in imbarazzo. Tradotto, sei sempre tu?Che devo aspettarmi..Come se il matrimonio avesse prodotto chissà quale mutamento,una alchemica variazione, e tanto gli parevo sempre la solita. Sul momento, che poi cacciò alcune osservazioni, dopo, di cui non mi offesi giusto che era lui.
“Bene. Come sei garbato.” Era trascorso un anno da quando aveva trovato me e lo zar in una livida alba, gli era venuta una crisi per un raffreddore, io avevo fatto un gran numero di ingaggi,avevo fatto pace con Olga, mille e una avventura. E le torte, cucinate insieme come le volte che lo avevo  addormentato e fatto sparare, sempre noi.. E avere imparato, la giustizia, non la vendetta.
“Lo so”
“Disse la viziata al viziatissimo..”chiosò Olga, abbracciando me e Alessio. La circondai con il braccio libero, con l’altro serravo la peste, che mi abbracciava, valutando il tono luminoso della sua carnagione
“Olga..”Riluceva, pura gioia.  Mi venne una idea e la squadrai, in quel periodo ero sensibile ai miei amori e quelli altrui, diciamo così. Sorrise, pura malizia.
 “Lo  sai  che sono montato su un aereo, fermo, chiaro, magari un giorno imparerò a pilotare come a cavalcare. Seriamente. Quando rientri al quartiere generale, tu, piuttosto?”
“Inizio ottobre più o meno” Gli appoggiai la fronte sul plesso solare.
“Perché fai sempre così? Lo hai fatto alla Stavka, quando avevo la crisi per il raffreddore, e sempre..”
“Sai.. Per gli antichi, l’anima risiedeva nel plesso solare, ecco, mi piace pensare che appoggiandovi la fronte si riesca a sentire tutta la forza dell’amore, dell’affetto.. Una storia che mi sono inventata quando ero una ragazzina, ehi, cosa ti commuovi”
“Come è la storia che eri alla Stavka per il raffreddore..?” chiese Olga, per stemperare la commozione.
“A settembre 1915, mi ha pescato in versione ufficiosa, meglio di un poliziotto.. Ero a prendere le consegne e sono rientrata a dicembre, quando aveva ..”inorridii di quel ricordo, ero rimasta con lui per ore, tenendolo sollevato, ci aveva messo mesi a riprendersi, gli strinsi una mano, lui non mollava mai.
“La crisi. Non ti eri fatta ammazzare, io avevo passato l’accidente..  O ci provavo”
“Giusto.”
“Ma con il servizio attivo hai finito, vero, ti limiterai a guardare i rapporti..eh, Cat”  un dato di fatto, non volevo che si preoccupasse.
“Credo proprio di sì..” Poi “Scusatemi, sono in luna di miele, un poco di riposo me lo sono meritato” tacendo che avevo salvato lo zar, loro sapevano, come no, era difficile ma a modo nostro ce la cavavamo.
“Ti riesce a farmi fare un giro in incognito a Piter?, prima di riandare?” era in modalità adorante, vezzosa, quella a cui non dicevo quasi mai di no, mi si era attaccato ai fianchi, era difficile e insieme facile, doveva camminare sulle sue gambe, a modo nostro, ci davamo la rotta, e lui doveva essere libero, io lo proteggevo, pensava ed era il contrario..
“Vediamo, Alessio” E tanto sapeva che era un sì. Sua sorella sbuffò, se era viziatissimo, un motivo vi era di sicuro. “Ti darò retta” “Speriamo” me lo strinsi addosso.”Forse sei la sola persona a cui dà retta, insieme a Papa, di primo acchito, neanche nostra madre ha l'onore”sia io che lo zarevic avemmo il buon gusto di arrossire. “E  neanche urla, come Mamma” disse Alessio “E tanto faccio come voglio” “Non con me, Alessio, lo sai”  Una pausa “Non sempre”
“Ho detto di no ed è no, fine, obbedisci senza fiatare” omisi di dire, almeno per una volta, appellandomi alla pazienza che si stava esaurendo. Le mani sulle spalle, cercavo di bloccarlo, la visuale parata dal mio corpo,se tirava un calcio o si faceva male era un guaio, per l’emofilia. Ma non poteva fare quel casino. Allibì che non lo assecondassi e cercavo di calmarlo, lo avevo portato a fare un giro a San Pietroburgo, appunto,che in quel principio di autunno era veramente tetra, i viali erano pieni di soldati con fasce nere su un braccio, civili vestiti di scuro, mendicanti in ogni dove. Chi poteva andava in Crimea o in Finlandia, per sfuggire al duro inverno che si avvicinava e agli stenti. Anche la Neva pareva più torbida e gonfia, il cavaliere di bronzo, la statua che come una sentinella vegliava la città avrebbe dovuto affrontare un ben duro compito, resistere  come tutta la Russia che entrava nel terzo inverno di guerra, le foglie erano cadute, formando un variegato tappeto color ambra e rame e oro, calpestato come le vite di tutti i soldati morti o feriti fin dal principio.
“Io faccio come voglio, sono lo ..” cercò di sgusciare dalla mia stretta, mentre gli tappavo la bocca, se proclamava che ero lo zarevic come si accingeva a fare, eravamo allegramente fottuti. Mi morse le dita, non mollai, senza premere.
“Basta, Alessio”Un duro sibilo “Respira e calmati, passiamo oltre” Lo presi per la manica, non raccolsi la provocazione, non lo toccavo, che forse non voleva e intanto lo contenevo.  Che il gruppetto che spregiava la zarina e il suo amante siberiano (Rasputin!!!) aveva colto   nostri movimenti, lo zarevic si era incollerito e .. No.  Non potevamo ingaggiare una rissa. E si rese conto di avere esagerato, cercò di calmarsi. “Basta”
“ Farai una segnalazione.. Hanno insultato anche te, che è un pederasta” Mi aveva stretto il polso, rapido, solo il rossore sul collo ed il viso  testimoniava la sua collera. E sapeva che in fondo avevo ragione, non potevamo metterci a fare a botte ed aveva realizzato quello che aveva combinato, di darmi un morso.
“Certo, hai ragione ad arrabbiarti, che quei gesti sono crudi, espliciti..” Fortuna che non si erano accorti che ero una donna, mi ero travestita, come al solito, e meno male, benedissi che fosse giorno e che la mia figura sottile fosse comparabile a quella di Androgino. Per una volta ero contenta di essere magra, senza curve abbondanti.
“Volgari… Sempre peggio”le foglie scrocchiavano secche sotto i nostri stivali, la zarina era a compiere una visita benefica ai vari ospedali, non parlava con il suo teutonico cugino, tanto era. .
“Fermati, calmati. “Avevo il fiato corto e un principio di nausea. Mi bloccai di colpo, le mani affondate nelle tasche, il sudore che mi intrideva. Cos’è? Poi sorrisi tra di me.
“Due contro sei, sono in superiorità numerica..Secondo te quanti ne potevamo mettere fuori uso, salvo guai? Ragiona, tesoro, lo so che è dura, sono parole che fanno male, però  valuta” contando anche lui, come era giusto per una eventuale rissa. Annotò, orgoglioso che lo includevo nel novero, nonostante le intemperanze, sperando che non sviluppasse il vizio di mordere. E contento che non mi fossi indisposta per il suo scatto, il suo sollievo palese, evidente.
“Hai valutato bene.. E tanto se insultavano me li facevi neri, altro che cinque o dieci, e ora che ridi, che ho detto..” Perplesso, e la rabbia era scemata. Gli posai un mano sulla guancia, scosse la testa, mai in pubblico ero stata così affettuosa. “Aleksej Nicolaevic”
“TE sei tutta scema.. va bene, che si fa?” poi “Scusami.. è che ..” scrollai la testa “Siamo pari, io ti ho bloccato”  augurandomi che non sviluppasse il vizio di mordere.
“Andiamo a prendere una tazza di tè e della torta, qui vicino c’è una sala carina” Che frequentavo ai tempi remoti, nel 1913, ai tempi degli incontri segreti con Luois. Scacciai il ricordo “La parolaccia te la spiego dopo, intesi, che se mi metto a parlare in inglese e francese ci scambiano per spie tedesche  e non voglio dovere spiegare a tuo padre come siamo finiti nella fortezza dei Santi Pietro e Paolo, se prima non mi torce il collo, ipotesi molto probabile, e tua mamma lo precede, fidati, e avrebbero ben ragione” si mise a ridere, la aveva scambiata per una battuta, come no.
“No ..No. Tieni il fazzoletto, hai sudato”Mi tamponai la fronte e il collo.
“Stai bene, Cat?”
“Ho fame..”
“A te ha fatto male il matrimonio, fidati” Serio. Nascosi la risata nel fazzoletto, invece che la manica mi prese la mano, scrollando il capo e compatendo Andres, la sorella se la era ritrovata, la moglie se la era scelta, affermò, serissimo. Gli strinsi il palmo, senza offendermi, lui tirò uno strattone e mi si incamminò vicino, le dita allacciate.
“Oh ..In genere hai poco appetito, e hai preso due pezzi e finito il mio, va bene che il cibo non si spreca, e sorridi, sei ancora più strana del solito” Eccolo..di certo rifletteva che mi mancava qualche rotella.
“Zarevic, tralasciando la parte degli insulti, ti è piaciuto?” Eravamo sul treno che dalla capitale riportava a Carskoe Selo, avevo il permesso per portarlo fuori tre o quattro ore, meglio rispettare le consegne, un sussurro.
“Sì, la sala era carina, anche se vi era poco assortimento e la libreria molto bella, la giostra mi è piaciuta, però..”
“  Quella è una parola brutta, non la usare, è peggio che bliad, intesi. O bastardo
“Va bene. Grazie, Cat. “
“Grazie a te, che proteggi.”Mi fissò come se fossi impazzita, certo meditò che Andres andava proprio santificato, come no.. “Il significato del tuo nome, in greco, colui che protegge..”
“Ah e.. sai che non me lo aveva mai detto nessuno, mai nessuno che mi dica le cose interessanti, continua, su “ Andres significa valoroso,in greco,  gli spiegai, Olga  santa (!!!) Tatiana figlia di Tatius, dal latino, passammo tutti i nomi delle sue sorelle, dei suoi genitori, pure quando mi chiese il significato del mio esitai.
“E’ brutto?”
“Applicato a me, abbastanza ironico, katros, la pura” mi sorrise, in effetti era abbastanza inopinato. La mia omonima santa di Alessandria, dalla immensa cultura, che voleva rimanere vergine e non convertirsi, tanto da subire il martirio sulla ruota,che si era rotta per evitare l’onta, per essere sicuri che morisse l’avevano quindi decapitata,  e poi gli angeli l’avevano condotta in cielo. Ehm… io ero molto carnale e sfrenata, fosse stato possibile avrei passato le notti a fare l’amore con Andres.
“Dipende. Va bene i libri, solo  te ne vedrei meglio uno del tipo .. Amante dei cavalli, esiste, no..”Mi venne in mente ed allibii. “Felipe .. il maschile, femminile Felipa “
“Traduci, capisco che è spagnolo” Lo declinai in russo e in francese, feci una addenda mentale. Felipe Fuentes, principe, conte di Sierra Morena, Signore di Ahumada y la Cruz. MIO FIGLIO.
“Meglio Catherine, pardon Catalina, di Felipa” Poi “Greco e latino, eh..”
“Fino al latino ci arrivo, il greco .. no, tranne qualche sparsa definizione.”
“Comunque, sono cresciuto, l’altra volta, per gli insulti, abbiamo litigato di brutto. Invece.. Li segnali, vero?” e lo facemmo insieme
“ Certo. Ti ho trattenuto per evitare un guaio peggiore, e non ti volevo fare male, era per te “ la precedenza la aveva sempre e comunque la sua tutela, fisica, in primo luogo.  E se era quello che sospettavo, per me, non era il caso di ingaggiare una rissa.
“ Lo so, che lo fai per me e il tuo prezioso collo”A cui si era stretto. “Scusa, ma Felipe non era il nome del primo principe Rostov-Raulov”
“Bravissimo”lo abbracciai “A prescindere, è un bel primo appellativo”
“ Lo so che sono bravo”
“Non ne dubito affatto” Ricevetti un colpo sulle scapole, sdegnato, poi si calmò.
“E modesto”
“Soprattutto”
“Ti adoro, Zarevic”
“Lo so.. ma stai bene, sul serio” Lo distrassi, svelta, in un dato senso mai ero stata meglio.  Alessio, amore mio, tu sai comprendere tutti, il silenzio diventa parola. “Sto benissimo..Solo, ti posso coccolare?”
“Ribadisco, sei diventata tutta strana e peggio di prima dopo il matrimonio,” Una pausa poi mi scoccò una delle sue meravigliose occhiate color indaco e zaffiro “Vieni qua, che aspetti.. “
“Zarevic, siamo in anticipo di un’oretta.. io stilo la segnalazione, mi aiuti, vero?in due facciamo meglio, siamo una squadra, quello che non fatto caso io  lo hai visto e viceversa..”
“Sì.. Io per te, te per me”
“Sicuro”  finalmente lo trattavo da grande, annotò, compilai il report, indicando il luogo, il reggimento di appartenenza ed il grado (ringraziando Alessio, che li sapeva a memoria), il numero dei soggetti e una piccola descrizione fisica, firmammo Cassiopeia 130 e  A. N. R, “Poi da R-R, sicuro che ce ne saranno altre e le metteremo insieme” “Sicura?” “Molto” una pausa “Mi fido di te, Alessio, lo sai, cerco di dimostrartelo, sempre” .
 
“Saresti un ottimo precettore” sancì Olga, un complimento portentoso per lei che amava i libri “La sai l’ultima di Alessio? Ha chiesto un ciclo più dettagliato e approfondito su Pietro il Grande, Caterina II.. E ha strappato a Mamma la promessa che quando avrà 14 anni di imparare il latino”
“Ottimo. Almeno alla Stavka si terrà occupato..”
“Si diverte imparando. Come noi su altri fronti.. Da una parte è contento di essere a casa, ci mancherebbe, tranne che adora il Quartiere Generale, gli piace, e un poco gli manchi”
“Ben vero. Manca pure a me, ci eravamo abituati.. Anche se riesce a mettermi in costante imbarazzo.. Tornando a noi, mi insegni una cosa e non mi prendere in giro..”Posai il palmo sul ventre piatto, la fede sull’anulare destro brillava sotto il sole.
“Perché?” Glielo dissi e mi scrutò, commossa.
“Forse.. è molto presto, però questa soddisfazione posso togliermela”
“ E tua madre?Andres..?”
“Cosa? Che devono dire.. Nulla, che sei la prima persona in assoluto a cui lo dico, anche se lui non è uno sciocco, ci arriverà” una pausa ” .. per me sei importante, lo sai”
Deglutì e mi strinse il braccio, le appoggiai la testa sulla spalla e rimanemmo in silenzio. Il vento di fine settembre era lieve e dolce come il sussurro di un pianoforte, un attimo che era un per sempre, nel parco imperiale di Carskoe.
Il mio viso appartiene al vento e all’acqua, il corpo al ferro ed al fuoco, la mia  memoria al regno della precisione. Ero una fenice, riapparsa dalla sua ceneri
 
 
Indugiava contro la gola, la sensazione della barba che cresceva contro la tenera pelle del collo era una squisita tortura su cui mi abbandonavo.
“Dobbiamo parlare, ora che dici?" Affermai dopo, la voce dolce come miele, i capelli sparsi a ciocche sul cuscino, mi scrutava, intento, come se vedesse una meraviglia, le piccole rughe di quando sorrideva, le iridi di un tenero color giada,
“Su cosa?”
“Che torno alla Stavka..Non ti mollo, cosa credi”
“Certo che sì, cara principessa...”Incrociai le mani dietro alla nuca, cercando di rifare il punto. Noi eravamo ben felici, tranne che il conflitto era peggiorato di nuovo per i russi, la situazione era allo sbando. Quel mese di settembre lo avevamo trascorso in modo appassionato, per lo più chiusi nella nostra casetta, le uniche uscite quella volta a Piter con Alessio, una segnalazione dovuta, un paio di visite agli ospedali, cavalcate e ... Diciamo che per i domestici eravamo due fantasmi, ci vedevano ben poco. Attrazione, armonia, calamita.. una fantastica luna di miele.

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Capitolo 24
*** My beloved Little One ***


Chi poteva lasciava la capitale, si recava in Crimea o Finlandia, per scampare al duro inverno che si avvicinava, alle perdite e ai lutti..
Si metteva in salvo.
La carenza cronica di artiglieria per le truppe russe causava morti a non finire, la corruzione era ovunque e dovunque.. La Romania era entrata in guerra il 27 agosto 1916, a  fianco della Russia, Austria e Germania e Bulgaria l’avevano occupata, attaccando dai vari punti cardinali, lo Zar aveva inviato le truppe ma la lunga distanza aveva reso difficoltoso il processo, tanto che a inizio ottobre la nuova alleata era stata conquistata dagli imperi centrali, o quasi.
Una disfatta, un immane disastro.
Lo zar era sempre in perenne riunione, a visitare le truppe, teso, preoccupato,il suo onore gli impediva di lasciare il conflitto, aveva giurato di non arretrare, nuanca, mai, pure la realtà degli eventi era inconfutabile, i suoi generali erano convinti che non avrebbero mai rotto la resistenza dei nemici, un disastro, totale, continuo.
Mio zio fumava una sigaretta dietro l’altra, come Nicola II, a mia memoria non era mai stato tanto teso e nervoso, mi appioppò una pila di report da tradurre e riassumere, sequestrando Andres  nei fatti, se non a parole,a stento lo vedevo, se non quando si ritirava a dormire o per i pasti. Era il suo braccio destro, la persona di cui più si fidava e lo sapevo, ormai eravamo parenti, lo considerava suo “figlio”, un amato nipote acquisito. Mia madre Ella e mio fratello erano in Crimea, io non volevo mollare il mio leggiadro consorte, ormai si era rassegnato, un fait accompli. O lui non voleva mollare me, Andres Fuentes, che tornava ad amare e ruggire, il giovane ed irruente leone era cresciuto, e forse non era diventato saggio, ascetico e senza desideri, tornava dalle distanze, la nostra passione non conosceva riposo o misura.
Quando lo zar aveva portato Alessio alla Stavka, le lettere di sua madre erano giunte, giornaliere, tese, ansiose e tenere. Tra le altre, scriveva “ Controlla che Tiny non faccia troppe scale, non può camminare a lungo” “Bada al braccio di Baby, non farlo correre troppo per il treno che non deve prendere colpi” “A Baby piace vangare e lavorare, è così forte che dimentica di stare attento” E via così, ogni sera alle nove pregava nelle stanze vuote di suo figlio, pregando e sperando.
“Catherine, che facciamo?”sempre mi appellava Catherine o Cat, ansioso e possessivo, ricambiato in uguale misura, tornati alla stavka, ovvero al Quartiere Generale delle truppe, lo zarevic era sempre fisso con me. Amato e ricambiato, scriveva a sua madre ogni giorno brevi letterine, la pensava e le scriveva, tranne che adorava stare con la sua scema preferita, una scriteriata oltre misura, ovvero me. 
“Aspettiamo che spiova”
“CAT”
“Alessio.. tesoro” soffiai in un alito il suo tenero appellativo,  stava tanto con me, lo accudivo e lo scrutavo, fissa, che volevamo.. alla fine dei giochi, Alessio mi custodiva sempre. Appunto.
Eravamo sotto una tettoia di fortuna, gli cinsi le spalle, per scaldarlo, si mise la mia sciarpa sul collo (evitiamo di prendere freddo, mi manca il raffreddore) Scrutai le nuvole, strizzando gli occhi, previdi che l’acquazzone sarebbe durato poco.
“Piove sempre”
“Quasi. Sediamoci..”
“Tutto a posto, marinaio numero tre” Ormai passava molto tempo con me, I suoi precettori e marinai si erano ammalati di febbre, una epidemia, una strage, per quarantena stava  lontano, altri erano in licenza.  “.. comunque sono contento che siete arrivati”
“Avevo notato, a momenti mi strozzavi” dopo gli avevo detto che i soggetti che denigravano la zarina e il sozzo siberiano erano in stato di arresto, mandati in Siberia,  il rapporto lo avevamo compilato insieme giusto che lo sapesse.
“.. E dai, sono migliorato. “Mi appoggiò la testa sulla spalla, lo cinsi per scaldarlo.
“Era per prenderti in giro, sei molto più calmo”
“ E studioso, se non mi metto per tempo Gilliard mi fa nero, mi ha assegnato non so quanta roba” allungò la schiena, stese le gambe, come un gattino, il mio cucciolo.
“Magari dopo studi” E io traduco, che depressione “Mangiando qualcosa”
“Non ho fame” come volevasi dimostrare. “Voglio giocare” una pausa”Quando hai finito”
“Io, te che cosa c’entri.. Tesoro, se non hai fame non mangi, lo sai, abbiamo fatto una regola, basta che non fai il maleducato” Scosse la testa, ero diventata golosa in un colpo solo, soprattutto di frutta (meno male che era quello..) E zuppe calde, pollo arrosto, sperando di non diventare a mia volta un tacchino farcito extra size. “Scusami, lo so” ridacchiò “Se vuoi posso leccare il piatto o saltellare per la stanza.. E dai, Cat, scherzo, lo facevo prima, ora no..”
Era il secondo ciclo che saltavo, riflettei, mentre gli rispondevo, o quasi “Alessio, sorvoliamo, domani andiamo a raccogliere funghi, scommetto che è pieno, senti che odore”
“EH? E che sei un cane da tartufo, hai sviluppato un fiuto, io non percepisco nulla, ora annusi i funghi..”perplesso.
“Concentrati.. Il profumo delle foglie, l’odore della pioggia, e.. “
Scosse la testa “Stamattina ti sei lavato con il sapone di tuo padre?”
“Sì, come fai a saperlo” Sbigottito. In tripla misura. “Per .. il mio era finito”lo serrai ancora più stretto, chissà se si era accorto che in piedi non lo prendevo più in braccio, per non sforzare i muscoli dell’addome, e tanto se omettevo si imbronciava.
“Lo so, in fondo sono una maga”Sorrisi, il lampo candido del mio sorriso, avevo dei bei denti, anche se ero e rimanevo petulante. “ Scherzo, ho sviluppato un buon olfatto, è buffo, sai” Rectius, ero diventata sensibile oltre ogni dire agli odori, ai profumi, altro sintomo, oltre alle voglie. Due o tre mattine mi ero svegliata con la nausea, ero in ritardo di circa due mesi.. E il seno si  era ingrandito, almeno un poco, rispetto all’usuale piattume, la pelle del viso era luminosa, mi sentivo radiosa.. Sperando di avere preso da mia madre, almeno la gravidanza, che non aveva sofferto troppo di nausea o vomito, mi aveva raccontato, giusto i primi tre mesi, una serena gestazione e due parti infernali, di 20 ore cadauno, in dato senso era da capire se aveva avuto solo due figli, intervallati da 12 anni. E la pelle di Andres era il profumo più bello, la sera riceveva una trionfale accoglienza. A regola, ci saremmo dovuti astenere dai rapporti, tranne che .. Che uso e uso, aveva chiosato mia madre Ella, dipende dalla donna e dall’uomo, nelle case di piacere, alcune prostitute hanno rapporti e.. i bambini arrivano, senza fallo, come se noi donne non dovessimo provare desiderio. La zarina madre era rimasta scandalizzata, a quel giro, poi aveva convenuto che sono le donne che devono decidere, non certo i maschi, meglio tenere il marito nel proprio letto che mandarlo a zonzo in quelli altrui. Una conversazione del luglio 1914, ormai si parlava senza peli sulla lingua, la zarina Maria si era accompagnata ad un certo gentiluomo.. Comunque, con il marito che mi ritrovavo io era una buona cosa. Forse era una voglia come un’altra.
“Va beh, poi mi spiegherai .. Te sai di arancia amara, rosa, lavanda, e lo so chè usi questa roba per lavarti”
“Già. Lo hai ben visto, zarevic” Gli diedi un bacio.
“ E che ti inventi..Con Olga e Tata e Marie ci avete cicalato un pomeriggio intero, di profumi e lozioni, facevate entrare il mal di testa.. Proprio cose da donne“
“Ma tu ascolti tutto”
“Basta”  Serio. Senza nessun scarto apparente, i suoi umori cambiavano come le nuvole ed il vento“Mi fai cavalcare?E sparare? Di nuovo, Cat”Sospirai. “ Controlla che Tiny non faccia troppe scale, non può camminare a lungo” “Bada al braccio di Baby, non farlo correre troppo per il treno che non deve prendere colpi” “A Baby piace vangare e lavorare, è così forte che dimentica di stare attento”.. ma lui era un ragazzino, gli adulti dovevano vigilarlo. E farlo sentire un invalido sarebbe stato peggio. Per lui.. e se si faceva male? E non era più un infante, era grande, acuto e spiritoso, era giusto lasciarlo libero il più possibile, chi meglio di lui conosceva i limiti.. E voleva superarli, era .. arduo. Ma lui era il mio amico, il mio Alexei, dovevo badare a lui e non alla sua malattia, non dovevo sommare i due concetti.
“Hai voglia?”questione retorica, giusto, e tanto era.
“Sì. Se puoi, se ti riesce, per favore.  Sei la sola, come Andres, che mi tratta come un ragazzo ..”serio, appunto, non era un capriccio passeggero, era viziato e rabbioso, e tanto del suo rancore dipendeva dalla malattia, dalla fragilità.
“Di 12 anni..”Prevenni O ci provo. “Fammi riflettere Alessio, su come fare..”Non ti voglio  indispettire, nemmeno ti posso far fare come se non avessi l’emofilia.. e so che mi stai mettendo alla prova, senza appello, vuoi essere trattato come un ragazzino normale, stavi per dirlo. Perché non sono come tutti? Perché non posso essere come gli altri? Quante volte lo hai pensato, lo hai detto quando non ne potevi più..
“Aspetta, non ti arrabbiare, pensavo che mio fratello ha 9 anni, so come trattare con lui, bene, insomma, mica con uno grande come te”Annaspando su metaforici specchi” Ti offendi se ti tratto come lui “Come no, aspirava a essere trattato come gli altri, senza lo spettro del morbo”A lui .. lo porterei al passo e al trotto, al limite, io dietro, per sparare .. come al solito, tranne che lo Zar ti deve dare il permesso, intesi, prima dell’inizio”
“Va bene” come convinse Nicola II è un mistero che ancora oggi ignoro.
“Se hai il permesso, bada bene, mi devi dare RETTA sempre. Alla prima alzata di ingegno che inventi chiudiamo sine die, cioè senza appello, ci proviamo, da capo,  Aleksej, io mi fido di te, a tua volta mi devi obbedire, per te, e con Sasha sarebbe uguale. La prima volta che ha fatto di capo suo ha chiuso, senza revisioni” dura e severa. “ E devi continuare a studiare e a impegnarti, bambino benedetto, non mi saltare in braccio, dai..” e mi riempiva di baci, il visetto contro la mia spalla, capii che era contento a prescindere dall’eventuale esito, che tacque per un pezzo “Ti darò retta. Non ti farò arrabbiare”
“Ora sei convinto..” Sospirai “ E’ una cosa importante, che tu non disobbedisca ..Per piacere, Alessio, qui non si tratta di darmi un bacio in più o in meno, ma della tua ..” tutela fisica. Perché sono così idiota, perché, riflettei tra me.. “Della mia sanità mentale, almeno la poca che rimane“ mi corressi 
“NOO. Questa è la cosa più bella che ho Catherine.. Fidati. Sei strana ma va bene, sai quanti matti ci sono in giro, tu sei il meno”
“Sei molto consolante, zarevic”lo abbracciai, possessiva, dopo avergli tirato un piccolo sculaccione. Era mio e basta, in quei momenti, fine trasmissioni.
“Ti obbedirò sempre”
“Ci conto .. “
“..e non è una speranza vana, ho imparato”
E così fu senza fallo, anche se dopo ero esausta per la tensione.
Che mascheravo sempre, o ci provavo, ero allegra e irriverente, silenziosa quando traducevo, tenera quando lui studiava, libri e quaderni, ogni tanto gli davo un bacio, dolce quando lo abbracciavo. E lui era contento, adorava andare a cavallo, in piano, al passo, in un recinto con la sabbia, sparare e.. mi dava retta,  senza capricci o alzate di ingegno.
E io adoravo lui, ricambiata, adesso si tratteneva un paio di sere a settimana, a cena e per dormire ( tradotto, mia madre Ella era tra i piedi), si divertiva, senza misura, ma il momento più bello era quando mi buttavo sul divano della cucina e aprivo le braccia, Andres fumava una sigaretta sul portico, poi rientrava e appurava di essere battuto, sui gradi, un erede al trono che abbracciava una principessa, lui rideva e mi baciava il viso, le mani tra i capelli.
E il leone e la rosa, la fenice, avventure e pirati.
Dormiva sereno, la fronte contro il mio braccio.
Tuttavia, quando appresi che a fine ottobre sarebbero andati a Carskoe Selo e poi a Kiev per salutare la zarina madre mi sentii sollevata. 
Una pausa, egoista, che non dovevo preoccuparmi dei colpi o di un raffreddore, e tanto me la ero voluta, a  mio discarico posso solo osservare che non mi scattarono più i nervi, non con lo zarevic, almeno.
“Cat”Mollai rapida la traduzione, scattando in piedi, se esordiva con il mio nomignolo era un cattivo segno come che ignorasse il mio gesto di abbracciarlo, avevo aperto le braccia, rapida, e si era scostato, di un passo..
Che succedeva.. A QUEL GESTO AVEVA SEMPRE REAGITO, irritato o divertito, a volte arrabbiato, ma ora..?   
Fuori pioveva, tanto per gradire, era pioggia, fango e morti in trincea, un cupo dopo pranzo, il cielo color inchiostro.
Un cupo novembre, per essere in tema, il tavolo era pieno di dispacci e fogli, avevo le nocche sporche d’inchiostro, davanti a me una tazza di caffè amaro, una arancia a spicchi.
E una marea di rapporti da tradurre.
“ Zarevic”ricorsi alla formalità.
Si tolse il cappotto umido, il cappello, omise la battuta, ero in pantaloni con un maglione di lana a collo  alto, a coste beige, non aspettavo nessuno, in genere diceva che ero un maschio mancato, per affetto ed esasperazione. Pessimo segno, come che mettesse subito in ordine. Non lo assillare, è già nervosissimo ora. È arrossito e tiene le spalle troppe rigide, si è seduto di schianto sul divanetto e..  ormai avevo appreso a declinare in modo abbastanza esatto le sue gioie, le tristezze e lì non ci voleva tanto, che hai bambino mio, che ti è successo? Altro che Alessio il Terribile, come lo chiamavano per le sue cattive maniere, il modo in cui esasperava, Aleksej.. perché non ti comporti male...se non mi toccava era un pessimo segno, in privato era affettuossimo.
Andres mi fece un cenno dalla porta, enunciò solo che doveva ritornare in riunione, l’odore di sigaretta si percepiva da sette passi di distanza, alzò le sopracciglia, un cenno .. Te lo dico dopo o un affare del genere.
Respirai la pioggia, la disperazione sottile.
“Posso..?!” nemmeno fosse stata la mia cucina e il mio divano, e tanto era. Mi sedetti vicino a lui, che avevano inventato a Kiev con la zarina madre. La sensazione generata dal disastro rumeno era stata grande, il ministro degli esteri, Sturmer, era considerato responsabile di quelle disfatte e raccoglieva sempre maggiori poteri .. lo odiavano per il nome, le sue azioni, manteneva il potere solo grazie (pareva) all’essere un protetto di Rasputin, si sosteneva che millantasse simpatie per la Germania, il suo cognome era tedesco. Corruzione, imbrogli, peculato, un capo di accusa più grave dell’altro. E tutti chiedevano allo zar di prendere misure energiche, di sicuro la zarina madre aveva impetrato in quel senso, domandando di levare dai piedi Rasputin, Alessandra e compagnia. A dicembre si sarebbe riunita la Duma e si prospettavano scontri, avversità, complotti.. Trattenni la lingua tra i denti, non lo innervosire ancora di più, mi prese una manica, stropicciando la lana, non chiedere nulla, non gli stare addosso, il viso girato.
Una specie di abbandono, buttò la maschera e le spalle tremavano, pensai, Aleksej bambino mio, che ti è successo?
Con una rapidità che non ritenevo possibile, mi posò il viso contro  il petto, rigirandosi, le braccia sul mio collo,  serrandosi ancora di più quando cercai di guardarlo in faccia. Già, non mi ricordavo come fosse rapido a sparare, un cavaliere in sella, quando stava bene era agile, svelto, una  scheggia, perché omettevo in altri momenti. Le spalle gli sussultavano, stava piangendo, piano, desolato, mi imposi di respirare adagio, calma, lo serrai con un braccio, lo sfioravo con l’altro, possessiva, me  lo serrai contro il busto.
Rabbia e stupore.
Che avevi combinato? 
 Alessio ..eri il mio bambino, in quel momento e nel passato e sempre. Ti sfiorai la nuca, sussurrai qualcosa a caso. Nulla. Che succedeva?
“ Aleksej, non ti forzo, sfogati, solo mi devi dire se ti fa male qualcosa. A livello fisico, intendo, per favore.” Un piccolo no a distanza, gli posai il mento sui corti capelli castani, lo baciai a caso, come sua madre quando aveva un pensiero, anzi, come lei consolava me, da piccola, per quanto fossi asfissiante e rompiscatole. Senza essere un genio, ci voleva ben poco a comprendere che stava soffrendo. Imponendomi di respirare piano,a intervalli regolari, senza forzarlo ...va bene.. facciamo in un altro modo, calmati, respira … che cazzo era successo???  Cazzo ripetuto tre volte. Non gli mettere ansia, che a te sta venendo l’ansia.
“Perché dici le parolacce..”
Avevo imprecato a voce alta senza riflettere“Perché sì, va bene” Tacendo l’ovvietà che mi stava venendo una sincope, che c’è zarevic, mi limitai a pensarlo. Ridacchiò, poi percepii che mi sfiorava la collana con la perla, giocherellava con le dita della mia mano destra, poi ci diede un bacio che ricambiai. E la maternità mi aveva già cambiato, avevo appreso la pazienza, l’attesa. Gli strinsi il gomito, quanto era esile, Sasha Raulov, il figlio di mia madre Ella, aveva le ossa lunghe come lui ed era tanto più robusto. Mio fratello, come lui,  ricordai, e mi straziava, Sasha .. Aleksej. Per favore. Che c’è?
La freddezza di chi devi amarti e non lo fa ferisce più del caldo e del freddo, Aleksej lo andava imparando allora, in modo esatto, gli stringeva il cuore e si sentiva solo.   E con me non lo era, credo. Mi aveva voluto bene quando ero cupa sia dentro che fuori, potevo ricambiare, almeno un poco, e tanto sarei stata sempre in debito.
“Non è una risposta” Almeno si era calmato, rovesciò il viso e mi guardò. Aveva lo sguardo oscurato da dolore, rabbia e pena, una mistura che mi strinse il cuore, come il suo viso arrossato per il piangere. E sapevo decodificare, variava l’equazione, quello era il risultato, una bambina che tornava dalle assenze.  La bambina che ero stata, arrabbiata, sempre sulla difensiva.. che temeva gli sguardi del principe padre, i movimenti sofferti di sua madre, fino a esplodere, furia cieca, una ribelle ora e  sempre.
“Paghi pegno, le regole non sono solo per me, quattro copechi, lo hai detto quattro volte, una signora non impreca, Cat”sbuffando nel rabbuffo, distratto dalla sua tristezza, i suoi occhi color zaffiro foschi, quasi neri.
“Sarò ben lieta, Aleksej.”Ripescai un fazzoletto dalla tasca e glielo diedi. Si soffiò il naso, premendosi contro il mio maglione, odorava di fumo di treno, sudore, leggero, infantile, pane e prezzemolo (.. ma che avevi mangiato zarevic??)
“Per favore, vai a lavarti le mani, puzzi di fumo”
“Fumano tutti, io non ho colpa..” Poi capì l’antifona, implicita, e andò a sciacquarsi, gli davo il tempo di ricomporsi e a me di riprendere la calma.
“Io devo finire qui, è urgente, poi sono da te..” Aleksej tesoro mio…
“Fai con calma, sono io che ti ho interrotto, piuttosto, me lo dai un foglio e ..” si interruppe, le matite e gli acquarelli erano terminati da un pezzo, però lo soccorsi.
“Le matite nuove, da inaugurare prima del previsto, apri il cassetto, sono per te”
“Grazie. Quindi mi pensi anche quando non ci sono, non sono una perdita di tempo, un rompiscatole viziato senza speranze. Scusa se ho saltato il per favore o simili”
“Alessio, lo hai un copeco?Una parolaccia, paghi pegno, no, non lo hai, quindi io ne metto solo tre. Compensiamo, io denaro non ne presto. Non dire idiozie, che non è aria, intesi?Io a te ci penso sempre, fidati”
“Sì. “ radioso. Lo brontolavo ed era contento, che avevano fatto.. Non era possibile, in genere si adombrava.
“Mi arrabbio e sorridi ? ”ero basita.
“Se di me non ti importasse nulla, mica mi brontoleresti, mi abbandoneresti a me stesso..”
“Aleksej, basta, mi fai piangere..che dici, lo sai che ti voglio bene, anche se non te lo dimostro tanto..”Strinse ancora più forte la manica e io lo serrai ancora di più, davvero, che succedeva, a mia memoria era ben raro che mi fosse incuneato addosso a quel modo. “Cat.. non piangere, ora sto calmo… Fidati di me”gli presi le mani, le strinsi, Aleksej, per favore..
“Mi fido.. Ecco qui il foglio e il resto, però prima .. Scusami, sono un disastro, disorganizzata come pochi”Poi” Una pausa, zarevic, vieni qui.. sono in pausa, brr che mani umide, fattele scaldare”Bambino mio, che ti hanno fatto?, lo pensai e basta, intanto lo toccavo, esitante, Aleksej, le scapole, la schiena”E senti come sei contratto, va bene, ti massaggio come con Olga, un poco, ehi....Aleksej, disegna, io devo finire qui, davvero, è urgente”
“Lo so..”Sbuffando. E si era calmato e rassicurato. Bambino mio, che ti hanno fatto, che è successo?ti metto sulla sedia, ecco il foglio e le matite, ti abbraccio e nulla osservi, aspetto, osservo, ora sei calmo, le spalle un poco rilassate. Mi impongo di non soffocarti di baci o inutili strette.
Finii di tradurre dopo quaranta minuti, quando alzavo lo sguardo vedevo che trafficava con i pastelli, poi lo riabbassavo, e sapevo che mi scrutava.
A disegnare era bravo, come lo zar, come le sue sorelle, specie Marie, avevo una cartella piena dei suoi schizzi.
“Che succede di brutto?” al termine, quando avevo impilato i rapporti. 
 “L’imperatore d’Austria Franz Joseph sta male, ormai ha 86 anni e ..varie ipotesi, una più cruda di un’altra, il suo erede Carlo, lo dicono più uomo di chiesa che di armi. Per la Russia, non sarebbe un male, se cerca la pace, ma i suoi consiglieri sono guerrafondai fino all’osso, speriamo che non aizzino una ulteriore offensiva”  in modo sintetico, quello era. Senza aggiungere che non doveva farne cenno con nessuno, lo sapeva.
“Non guardare, Cat, è una sorpresa, per favore. Leggi, piuttosto”Aveva rigirato il foglio, le matite sparse in un colorato arcobaleno.
“Va bene, tu resta al tavolo, io mi metto in poltrona, non vedo, fidati” Infilai tre copechi in un salvadanaio, a ogni buon conto, poi presi i ferri da calza e un ammasso bitorzoluto da un cestino. Olga poteva avermi insegnato, tranne che era rimasta prostrata dall’ilarità a vedere gli sgorbi che cacciavo fuori a sferruzzare, dopo tanti anni di inattività ero solo peggiorata. Mossa a compassione, tra una risata e l’altra, come era contenta di divertirsi a spese mie, mi aveva dato due modelli, fatti da lei e un foglio riepilogativo, con le istruzioni, passo dopo passo.  Forse avrei avuto più chance a imparare l’arabo della maglia. Olga e le altre sorelle non erano state abituate all’ozio, a stare con le mani in  mano, ricamavano, facevano l’uncinetto o la maglia, leggevano o incollavano foto, io propendevo per quelle due ultime attività, che, appunto, dalle mie manine venivano fuori dei disastri, oggetti di dubbia utilità, le mie pezze ricamate erano buone giusto per fare dei cenci da usare per terra.
“ Grand Maman ha chiesto di essere più deciso, a lui “ Mi bloccai, parlava mentre disegnava, mi voltava la schiena, trafficava con i colori, la sua vocina sommessa uno sfogo “Hanno discusso, lei e Papa, senza badare a chi ci fosse. Di sicuro la zia Ella e altri parleranno con mio padre, mia mamma. E Papa era d’accordo, solo che era irritato, nervoso, mi ha risposto male due volte” Pessimo segno, con il suo adorato bambino era sempre quieto e gentile “ E mi ha detto di togliermi di torno, che..” Discutevano e i toni si erano accesi, gli avevano ingiunto di togliersi dai piedi, mentre il litigio si spostava.
Aveva obbedito, poi si era accorto di avere lasciato la sua carabina giocattolo ed era rientrato, dove era? Dietro al divano.. E Nicola II e sua madre erano ritornati, la loro discussione procedeva tra una stanza e l’altra, camminavano e litigavano, i toni irosi, le voci alte, così presi da non accorgersi di lui.
“La devi bandire, Nicolas, devi fare qualcosa, è matta, non ci sono altre spiegazioni. Mandala in convento, in manicomio, a Livadia, in Siberia, dove ti pare ma  toglila di torno”
“E’ mia moglie”
“Bell’affare, ci hai fatto, ne hai ricavato solo guai,quattro femmine e un solo maschio con ammalato, che non sa nemmeno stare in groppa a un cavallo o tirare un grilletto, che può morire per un raffreddore di troppo”
“ Mamma, basta, non ti permettere”
“Sarebbe stato meglio se avessi sposato Ella Rostov-Raulov, quando eravate giovani eravate innamorati. La tua Ella, dimmi quel che vuoi ma la hai amata e non era un capriccio, mica ti è passata, la ballerina K. ..È stata uno sfogo di gioventù, Ella invece..l’amore di una vita” dure parole che contenevano una lontana verità.
Alessio era rimasto immobile, ghiaccio e sale, si era raccolto le ginocchia contro il petto,  il dolore che germogliava dentro il cuore, l’anima. Mamma.. Catherine..
 “Ormai è andata, Mamma, è passata una vita, anche .. Le regole non le ho fatte io, uno zar, uno zarevic deve sposare una straniera.. Lo sai, i sentimenti nel nostro mondo hanno poca importanza” e non aveva negato, non aveva sostenuto che fossero malevole stoccate. Quindi era vero. Ella era la madre di Cat, la novella principessa Fuentes. E Alessandra, sua madre, sosteneva che si erano sposati per amore, ma .. non era stata la sua prima scelta.
“Volevamo cambiarle, nel 1889, quando sei uscito fuori con Alix. E abbiamo lasciato perdere, eri giovane, infiammabile, le origini familiari di Ella non erano impeccabili, il suo antenato era un bastardo, per quanto avesse acquistato rango e titoli con le sue sole forze. Ed era già promessa, in via informale a quel cretino di Raulov, che Jussupov a confronto è un principiante. No, non potevate se non a prezzo di uno scandalo.. Eri lo zarevic, erede al trono” Un sussurro, era persa in un rimpianto. Jussupov, marito della principessa Irina Romanov, era bisessuale, andava con donne e uomini, Raulov aveva una vena di crudeltà che Feliks non possedeva, comunque. Io  e il principe Raulov siamo incompatibili, gli aveva detto Cat più di una volta, sancendo chiaramente che non avrebbe tirato un fiato sull’argomento, il viso chiuso come una nuvolosa e buia giornata, non  intendo parlarne, inutile che chiedi, Alessio, non ti dirò nulla.
“Sua figlia ha sposato l’erede dei Fuentes.. Andres” lo zar sapeva di non essere stato il prediletto di suo padre, lo zar Alessandro III, che piegava una forchetta per divertimento dei figli al pari di un ferro di cavallo a nude mani.. Ligio, ferreo ed infaticabile era stato un gigante, dalla tonate voce, che lo aveva educato ai piaceri della vita. Senza insegnargli gli affari di governo, le metier du roi.. E poi si era ammalato a 49 anni, facendo di lui il sovrano, la disgrazia peggiore che poteva capitargli.
“E si è convertita di corsa al cattolicesimo, che la madre di un principe cattolico deve seguire quella religione. Senza se e ma. Come fece al volo Vittoria Eugenia di Battemberg prima di sposare il re di Spagna. Io ai tempi, prima di sposare tuo padre, sul credo ortodosso. Mica come qualcuno di nostra conoscenza che ti ha tenuto in bilico per anni e al penultimo momento si rifiuta di cambiare, salvo mutare poi idea”La zarina Alessandra, che aveva mutato religione dopo una strenua lotta con la sua coscienza, o almeno così enunciava. Lo zarevic percepì la malevola stoccata” Catherine se lo è preso e subito, un marito con i fiocchi, l’eroe della Calle Mayor, bello e ricco, non le farà troppe corna e .. speriamo che si sbrighi a dargli un maschio, meglio più di uno, anziché stare dietro a quella perdita di tempo, un rompiscatole viziato senza speranze  che è tuo figlio, lo adora, stravede per lui da quando era un moccioso, valla a capire, ha l’istinto materno fortissimo oppure adora le cause  perse, se potesse gli darebbe il mondo, lo ama senza ricavo, lo ama e basta“ insultava sia me che lo zarevic, senza distinzione,  a proposito. Come se l’amore seguisse pesi o misure, con Alessio era più quanto ricevevo di quanto davo, sempre, che cosa incongrua. E Andres, ci eravamo sposati da pochi mesi, perché doveva essermi infedele? O era cinica perché la realtà non dava adito ai sogni, se non poche volte. Sentire Alessio che mi riferiva quelle frasi mi dava la nausea, non le aveva inventate, era straziante, una sola agonia, un groppo in gola. Lo amavo, Alessio, vero, il mio egoismo non concedeva appello o revisione, che causa persa, lui non mollava di una iota e mi rendeva migliore.
La discussione era proseguita in un’altra stanza, sentiva i toni alti e non comprendeva quello che dicevano.
Era rimasto lì per un pezzo, senza muoversi. Annichilito. Una voragine. Per un figlio è ben dura sentire quelle cose sulla propria madre, oltre che appurare di essere appena tollerato.. Essere considerato un disastro. Ma CAT mi vuole bene..o mi ha ingannato, sempre.. NO. NO. Mi vuole bene. Cat..dove sei? Non mi lasciare solo.
“Alessio.. Quando è successo?” Schizzai accanto a lui, comprendevo appieno cosa significasse vedere rosso, come se fossi un toro e mi agitassero la muleta, il drappo scarlatto,  dinanzi. Bambino mio, che ti ha fatto,  è successo davvero ? È orribile. 
“Ieri. Poi Papa si è arrabbiato che ero sparito, voleva ripartire e non mi trovavano, in treno non mi ha parlato e guardava fuori dal finestrino. Scuoteva la testa e fumava. Quando siamo arrivati ho chiesto di poter venire qui, da te e la nonna manco la ho vista, e non voglio, non voglio” Deglutì “Non te lo volevo dire e.. Poi..” Lo guardai. Come mi fissava. Amore. Adorazione. E tremore, come se non lo considerassi per nulla. “Alessio.. ti voglio bene” sempre, lo dissi per istinto”Balle. fai come credi, credi a chi vuoi .. Ma io sono qui e ti ascolto,  non sei una perdita di tempo.. ANZI, ti voglio tanto bene, anche se a volte fai ammattire, con le tue trovate, scusami, e passeranno, lo so, prima o poi,  e tanto sei la cosa più bella che ho  “Combatti il buio con me Zarevic..”Sst, Alexei.. SST tesoro mio” respirai “E’ stato.. orribile e.. “stavo male io per lui e una crisi isterica sarebbe servita a molto poco, per entrambi. L’adulta o presunta tale ero io, di cui si fidava, sennò avrebbe taciuto e quello strazio lo dilaniava, come un cancro, una metaforica ferita che non rimarginava.
“TI senti meglio, ora che ti sei sfogato?”Annuì.  Stai calma, non puoi marciare a Kiev e tirarle il collo.. Concentrati su di lui, cerca di non essere irruente, aprire bocca e lasciare correre. Ricorda un’altra bambina, di tanto tempo fa.
“Lo sai solo tu. Per favore, abbracciami ancora”
“Vieni qui”Posai le ginocchia sul pavimento, mi serrò in silenzio, ricambiato, gli appoggiai la fronte sul plesso solare. Ti voglio bene, sono qui, senti tutto l’affetto che ho per te, senza fallo, senza misura.
“La zarina e tua nonna non si sono mai intese, un dato di fatto”Sollevò la testa dalla mia spalla, giocava di nuovo con la collana e la perla, le dita intrecciate, tanto valeva tenerlo calmo e rassicurarlo, diceva che con me si sentiva al sicuro, sfruttavo quella sua preferenza. Si raccolse ancora più stretto.”Lei parla sempre a ruota libera, infischiandosene delle conseguenze,  Olga l’ha messa in croce per la fronte, fatti raccontare da lei, mmm?, non tenere in conto quello che dice” feci una pausa “Provaci. È stato orribile, Alessio, ferisce me sentirtelo raccontare, figuriamoci te sentire..” gli si incresparono le labbra e, tuttavia, rimase calmo.
“ E tua madre?”
“Mia madre cosa? Io all’epoca non c’ero, che ne so che hanno combinato, è passata una vita, inutile rinvangare..”Sollevai le sopracciglia “Con il principe Raulov non si sono mai intesi, questo è, diciamo che sono incompatibili, va bene?”
“Di lui non dici mai nulla, come Sasha.. Neanche a ..” Al tuo matrimonio è venuto, avevo inteso.
“Alessio, come è incompatibile per mia madre lo è anche per me e non aggiungo altro. Meglio stare a distanza, basta così” Sbuffando mormorò va bene, aveva intuito che non avrei aggiunto altro, come da prassi. “Ti prego, Alessio, per me è un argomento doloroso..Se ci penso mi arrabbio e me la rifarei con te..Non voglio che succeda, perdona il limite, se soffri tanto la fai riscontare a chi ami, anche se non ci incastra nulla. ” una raffazzonata spiegazione che si fece bastare, molto più di quello che gli avessi mai enunciato.
“ Cat, comunque non è vero che sono una perdita di tempo, un rompiscatole viziato senza speranze  e che ti sprechi con me. Intanto .. ti tengo occupata, ti faccio ridere”Netto, deciso. “ Qualunque cosa dica la nonna, l’erede al trono sono io e non mio zio Michele o altri. Sono malato ma aspetta e vedrai, se un giorno regnerò, sarò come Pietro il grande o Caterina II” si raddrizzò, le spalle erette e il mento in fuori, fierissimo. “Anche se sono troppo debole, fragile” quelle parole lo avevano ferito, come un lupo azzannato dalla tagliola, aveva il cuore stretto, che in fondo in fondo lo pensava pure lui.
Quando chi devi amarti ti considera una nullità, o ti armi di arroganza o soccombi.. Come era vero. Io ero diventata una egocentrica di primo rango, una vera autocrate. Ed era il mio bucaneve, il mio tesoro.
“Quelle che sono le tue debolezze apparenti (calcai di proposito quella parola)  potrebbero diventare i tuoi punti di forza, no?” una casuale e apparente osservazione, e anche no, lo amavo e lo volevo rassicurare. Ora forse mi avrebbe creduto, quanto sancivo che lo adoravo, che era la cosa più bella che avevo.
“Cioè”
“Sei molto sensibile e quindi saprai ascoltare chi ha bisogno, quando sai che ci sono dei problemi agisci da subito per risolvere, no? A stare attento ai colpi hai imparato.. Sarai saggio, accorto.. E fino a prova contraria, armi e cavalli ti piacciono e ti stai impratichendo, mica ti ha visto, lo sappiamo in pochi che ti stai preparando. Addirittura vai al passo da solo, tieni le redini tu, io mi limito a guardare” Alessandra mi avrebbe ammazzato direttamente, se avesse saputo, nei suoi panni avrei fatto uguale pure io, e tanto doveva imparare.  Almeno le basi.
“ Certo.. Anche se sei sempre in tensione che mi succeda qualcosa”
“Sì, e cerco di non starti troppo addosso. Mi spiace, non ti volevo mettere in ansia” Mi aveva sgamato. Per favore, non mi trattare pure tu come un bambino piccolo .. Ci avevo provato, e tanto, le abitudini di una vita erano ardue da scordare, se pensavo che, appena nato, lo avevo sfiorato appena con un pollice..ritraendomi poco dopo,  ne avevo fatti di passi avanti, e ancora non vi eravamo, o no. O in semplicità sarei stata demente a lasciarlo fare senza preoccuparmi.“E per la tua età sei molto maturo, fidati, quando hai voglia”
“ Cerco di stare bene. Se tu non fossi in ansia, saresti una stupida e non lo sei affatto.”mi diede un bacio all’angolo delle labbra, rapido, approfittando, che in genere non volevo, mai. Sorrisi, posai la guancia  sulla sua. “Lo strappo, eh.. che la regola è quella, io non sono tua madre, questi gesti sono per lei, non per me” sorvolando sulle sorelle..
“ E sei un lottatore, non molli mai, come Achille” Seria.
“Alle volte, mi sembra di impazzire per il dolore, quando ho una crisi. Seria, e me lo ricordo sai, anche quando ero piccolo .. venivi sempre da me, se potevi, e mi raccontavi qualcosa,  avevo dolore e mi distraevi ..Non mollavo, sapevo che prima o poi saresti arrivata, come Mamma, come le mie sorelle” Non aprii le cateratte per miracolo “ E che mi volevi bene, e mi vuoi bene, solo che non sapevi gestirmi al meglio.. Avevi paura a toccarmi, di farmi male, e invece.. ” gli sfiorai le labbra con un bacio, IO, un gesto volontario, tenerezza, amore. Per la seconda volta, evitai un’inondazione di lacrime.
“Non lo posso immaginare..il patimento, dico.. Avevo paura a toccarti Alessio, di farti male, anche non volendo.. ”La volta del raffreddore, del dicembre 1915,impressa a futura memoria, mi rimbalzava in testa,  da come mi stringeva avevo i polsi martoriati dai lividi e dai segni delle sue unghie, spasmi involontari per segnare il confine della sofferenza.  E sapevo delle emicranie, dei dolori alle articolazioni, delle febbri intermittenti, a dare retta.. Ogni mese ve ne era una..Sorvolando sulla tua infanzia e la crisi di Spala, come gestirti ..Ci abbiamo messo anni a prendere le misure, un soffio, un  battito a diventare inseparabili. Spero di averti distratto, almeno un poco, il tuo dolore era il mio, Alessio, sapevo combattere corpo a corpo e le parole erano stanche, miseri viandanti contro il tuo dolore. E tu rassicuravi ME. “Poi siamo diventati una vera squadra.. perdonami, se non ci siamo riusciti subito..”
“Passiamo ad altro, sennò ti rattristi” Pausa, tracciò i contorni del mio viso con le mani  “Posso assaggiare un po’ di caffè?delle sorelle hai taciuto, a proposito”
“ Va bene, solo un goccio, eh, che hai disegnato? Sulle sorelle .. nulla, che mica posso ripetere sempre le stesse cose” me lo accostai sulla spalla, gli diedi un bacio sulla tempia.
“ VA beh.. guarda”
E rimasi senza parole. Uno scudo, inquartato. Aveva schizzato un bocciolo di rosa, un leone rampante, una torre e una conchiglia.
“Non sarà perfetto, e tanto si capisce, anche se è stilizzato, molto, pardon”
“Io so tracciare appena una riga dritta.” 

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Capitolo 25
*** My Little One, ALexei ***


Andres passò verso le 18 a prendere le traduzioni, annotò che si era calmato. “Alessio, siamo impegnatissimi.. Ti spiace rimanere con la principessa..? A cena e se si fa tardi.. ”
“Che succede..”
“L’arciduca Carlo di Asburgo ha inviato una proposta di pace separata, in segreto..Se l’Austria Ungheria si ritira .. Siamo un passo avanti”
“Intanto deve prendere il trono, FJ è sempre vivo.. Anche se ben malandato. E il suo entourage segue pedissequamente il Kaiser Guglielmo” A voce bassissima. “Sei ben stato a Vienna nel 1909  e nel 1911, Andres” lui ghignò, malandrino.
“Erszi d’Asburgo aveva il suo fascino, princesa, toh, questo è il cambio per lo zarevic per domani” annotai che aveva usato il nomignolo ungherese, come se fosse una persona cara, un pigro sorriso sulle labbra.
“Chi è? Erszi d’Asburgo, dico” Inarcai la schiena contro il divano, cingendolo con le braccia, mi era salito sulle gambe, senza fallo, prima di rispondere, non vedevo l’ora di tornare alle nostre piccole abitudini.
“La nipote di Francesco Giuseppe, la figlia del suo unico erede, che morì giovane” Suicida in quel di Mayerling, con la sua amante, dicevano, l’imperatrice Sissi non si era più ripresa da quella tragedia, era perita a Ginevra in un attentato nel 1898 “Erszi è il suo nomignolo, Erzbet è il corrispettivo ungherese di Elisabetta, come sua nonna l’imperatrice” Io avevo dalla mia la giovinezza e di essere la moglie di Andres, riflettei, imponendomi di non trarre conclusioni avventate, tranne che da mio marito era abituata ad aspettarmi di tutto, l’intuito mi faceva subodorare una certa traccia. Con buon diritto e ragione, appurai in seguito.
 “ A Papa i tedeschi non piacciono, questa primavera quando era a casa, tra una visita e l’altra, eravamo in giardino e ho tirato una palla di neve da dietro ad Anastasia, che non se ne era accorta. Papa se ne è accorto, invece, e mi ha sgridato, che mi dovevo vergognare, che mi ero comportato come un Tedesco, attaccare da dietro, senza possibilità di difendersi.. Mamma è tedesca di nascita, però..” perplesso, le voci dicevano che sua madre era una spia tedesca, l’untrice del trono, la Nemka malefica e arrogante che aveva recato solo disgrazie.
“Ed  è stata allevata alla maniera inglese, da sua nonna la regina Vittoria, e sono 22 anni che vive in Russia.. Lo zar la definiva la sua principessa inglese..”Un dato fattuale. 
“E tuo figlio sarà un principe spagnolo o russo?”All’improvviso, seguendo il filo di una riflessione nota a lui solo. “Cattolico, combatterà contro la Russia con i polacchi, per essere indipendenti? Cat,  ci devi pensare”
“Magari avrò solo delle principesse..”Sorrisi. lieve “Indomabili e ribelli, come me, come Marianna o sua figlia, che per quanto piccola promette bene” e ve ne era un’altra, di cui allora ignoravamo l’esistenza, Andres compreso, di principesse Fuentes.  Omettendo il resto.
“E Olga.. lei è una ribelle nata..”
“Zarevic, hai ragione, comunque.. Se avrò un figlio e .. lui non combatterà contro la Russia,  sarà fedele.. Andres è cattolico e.. sua madre era russa, mi pare che sia ben leale al trono, e la Spagna è a molti chilometri da qui, quando finirà la guerra vogliamo tornarci, non credo che la questione si porrà. E se fosse, sarà fedele al trono” Un continente o quasi di distanza da lì, da noi. Mi frantumai, in imbarazzo, evitando altro, che si era incupito, al pari di me” Cambiando argomento,  stasera dormi qui, va bene”annuì.
“Che si mangia..” Senza approfondire oltre, alla fine lo sapeva  che Ahumada era la destinazione finale, anche se non ci voleva pensare.
“Andres.. Che mi guardi, mica mangio lui..ha fatto una insalata di pollo freddo, del pane, fosse per me resteremmo digiuni.. O vivremmo di scatolame”
“Come se non aveste possibilità di camerieri.. O cuochi” Poi ci arrivò “Tralasciando che volete stare in pace..”
“E fidati, stare con te è un piacere.” Spolverò la cena.
Alle nove e venti dormiva, stremato, erano state giornatacce. Lo avevo spogliato, attenta, tenera, senza rilievi o ironie, lasciando la mano quando si era addormentato. Era arrivato a fidarsi di me in modo totale, purtroppo o per fortuna.
Tornai a sferruzzare, studiando le istruzioni. E tanto non era serata, alle undici si era svegliato già due volte, per gli incubi, avevo fatto il viottolo tra la cucina e la cameretta.
“Aleksej .. qui fanno tardi davvero”Le sue dita sull’avambraccio, era rigido, teso, voleva addormentarsi e temeva gli incubi, le parole della zarina madre di sicuro lo tormentavano come un tarlo. E fuori pioveva,  mi ero stesa vicino a lui, tranne che non volevo e potevo passare la serata in quello stretto lettino.
“Vai a dormire, tranquilla..” come no, voleva il contrario, che rimanessi  e non osava domandare.
“Ti va di dormire con me.. Di là, invece”osservai io. “Qui ci mettiamo Andres, quando ritorna”
“Come l’uomo di casa” Annuendo. “Però cammini da solo.. In braccio no che mi spezzo la schiena” Volevo evitare sforzi all’addome, casomai che.. ed era già schizzato in piedi, lo inibii dal mettersi a saltare sul materasso con una lunga e scura occhiata, fece giusto un saltello pro forma.
“Però devi parlare con tuo padre, se vuoi un consiglio” Non confermò né dissentì.  “Alessio .. solo una storia, prima te ne ho dette già due..”
“ Va bene, Cat.. Muoviti ho sonno”Finii di cambiarmi dietro al paravento, piombai sul materasso e gli presi una mano. “Notte, zarevic, ti voglio bene”
“Lo so” mi sfiorò la guancia. “Raccontami del cavaliere, sono il tuo ometto, vero?”
“Dunque..al mio ometto, cresciuto .. “alla fine, gli sfiorai le labbra con le dita, per la seconda volta nella serata gli diedi un bacio sull’angolo “Chiudi gli occhi, monello, sogna del cavaliere e delle sue ragazze, e vieni qui, stringimi” Si affrettò all’istante, io rimasi di veglia, mi veniva sonno di giorno e non di notte.. E godevo quel privilegio, di stare con Alessio, la vita al Quartiere Generale mi aveva concesso quel dono.


“Chi cosa..”
“A che ora sei rientrato?” Bofonchiò verso l’una meno venti, assonnato Andres, ricambiando i miei baci, osservando che non gli spiaceva trovarmi in quel lettino, a  dargli la buonanotte, ho cercato di fare piano, infatti, ma io sono un segugio, sempre di punta.  Rise e scivolò dentro di me, dopo ci scambiammo qualche tenerezza affettuosa.  Alle due e trenta ero di ritorno, spostando il cuscino che avevo lasciato, magari riusciva a fare una tirata, Alessio.
Tutto sommato era stata una buona idea, un paio d’ore dopo iniziò ad agitarsi e lo scossi, piano, abbracciandolo. È un incubo, tranquillo, sei con me, non succede nulla.. Avrei voluto sbattere al muro la zarina madre, invece che avanti era tornato indietro, era troppo teso, nervoso.. ricacciò la testa contro il mio seno, ricordò che quando avevo sventato l’attentato contro suo padre, poche settimane prima, a luglio, ero dipesa di malavoglia da Olga, tanto stavo male per le lesioni, io che ero Lucifero, la personificata indipendenza, che mi raccomandavo a una altra persona per essere lavata e accudita e mi scocciava, figuriamoci lui, lui dipendeva da me per non stare dietro agli incubi e ai cattivi pensieri.
Finalmente approdammo alle sette, l’alba era caliginosa, le tortore tubavano, mi sussurrò ciao, ho fame.  Nascosi un sorriso e una risata, gli scarruffai i capelli e mi alzai, per rivestirmi dietro il paravento. Il seno era leggermente più grande, radiosi i toni della pelle, i miei occhi erano di un radioso color ambra, il secondo ciclo ormai era ben saltato. Ciao Felipe ..meno sette mesi. 
“Cat..” “Che vuoi?” “Mi sono lavato  e vestito da solo!” trionfante “Bravissimo.. ! come sempre” le cose le sapeva fare, tranne che era viziato. 

 “Già pronto?” si stupì. Osservai  che mi ero alzata alle sei per apparecchiare, mettere il caffè, il latte. Pane tostato e prosciutto, una mezza crostata del giorno prima, non ci trattavamo male. Niente uova fritte o bacon, il giorno avanti mi era venuto un portentoso attacco di nausea a percepire l’aroma di fritto, che mi aveva prostrato e stramazzato per mezza giornata. Andres la mattina era sempre poco reattivo, se non mangiava, si limitò a sprofondare nel cibo e nel caffè, io nel succo di arancia. Dopo colazione, tornai al mio monello preferito.
“Accidenti, sei cresciuto ancora.”Misurai la  sua altezza, annottando che aveva messo su un paio di centimetri”Un metro e mezzo, bene, se non di più”
“Supero Anastasia..O quasi, a lei scoccia essere la più piccola la più bassa, una volta voleva fare arrestare una nostra cuginetta che aveva un anno meno di lei e la superava..” Poi “Aiutami a abbottonare il cappotto, per favore, questi bottoni sono duri”Gli diedi una mano, quindi ecco il berretto tra le sue chiacchiere e risate, lo baciai sulla guancia, era calmo, tranquillo rispetto al giorno avanti (se lo sa sua madre strozza la suocera e io l’aiuto..è ritornato indietro, invece di andare avanti) “…” “Altezza, grazie per la compagnia, a presto” Sorrise, tacendo un momento, una punta di malinconia che ben di rado gli avevo visto emergere“Io invece ringrazio te. Per tutto.” “Buono studio, caporale Romanov” gli feci il saluto militare “Vi aspetto oggi pomeriggio per una passeggiata, magari ti spingo sull’altalena” “Sì.” Erano le otto e mi era venuto sonno, tornai a letto per un quello che voleva essere un riposino di dieci minuti e dormii fino alle undici filate. Anche quello era un sintomo di gravidanza. OLE’.
“Convento, esilio o manicomio?Che alternative ho..”
“Allontanare lo starec.. Maestà, la gente non comprende questa cosa.. E i complotti sono infiniti”
“Compresa la mia stessa madre..Lasciamo perdere”
“Mettetela agli arresti domiciliari..la zarina madre”dalla lingua biforcuta. 
Rise, la prese per una battuta, io ero seria. “Speriamo bene con l’arciduca Carlo.. FJ ha la polmonite, forse non si riprenderà..”una pausa. Un silenzio “ Lo zarevic con te sta bene.. “
“Gli voglio bene.. Pure non sarà per sempre, alla fine della guerra andremo in Spagna..”il vento sbatteva il cappotto intorno alle mie gambe magre, affondai le mani nelle tasche, il viso contro la sciarpa azzurra che mi aveva regalato Olga, quella primavera, così che avevo sempre qualcosa di suo con me. “Lo so, lo sa anche Alessio..”l’erba era secca e riarsa, i campi bianchi per la brina come un pulviscolo di diamanti  “Finchè ti sarà possibile.. “
“Majestad..” Maestà, alla spagnola. Mi inchinai.  Poi feci il saluto militare, sbattendo i tacchi, un salice flessuoso e sottile. “Viens, Alexis”  ci girellava intorno, giocava alla guerra e ai tesori, si divertiva anche da solo e tanto mi voleva, annottavo come aspettasse il segnale per venire, senza interrompere la conversazione dei grandi. Io, se fosse stato possibile, lo avrei voluto sempre con me, insieme alle ragazze e a Sasha,  e non potevo, era già un dono immenso quello che avevamo“La passeggiata e l’altalena..”Mi ricordò, ridendo “Certo” Mi prese sottobraccio, le mani intrecciate sul gomito, poi scattò in avanti, correndo “Aspetta.. mi stanco solo a vederti schizzare qua e là” “E allora riposati, corro io per te..” dopo tre secondi netti ”Vieni, Cat, prendimi”si fece acchiappare e sollevare, sull’altalena mi spinse lui, poi fu il suo turno,  anche quella sera volle rimanere da me.
“Sei dolce, bella e spiritosa..”infilò quella tripletta di complimenti dopo cena, aggiungendo che voleva della torta “E sai fare le pommes frites..”ridacchiai, alla fine pelare delle patate, tagliarle a bastoncini e friggerle ero in grado, avevo imparato l’anno che ero a Parigi, Luois, il mio primo marito, ne andava pazzo, mi aveva raccontato che erano state inventate ( forse) dai venditori di strada del Pont Neuf in Paris, appunto, poco prima della rivoluzione francese del 1789. “Me la cavo, su” e pensare a Luois per una volta mi faceva sorridere, un ricordo divertente.
Comunque, Alessio si era tranquillizzato, si svegliò solo una volta, rassicurato, che dormiva nel letto matrimoniale, io a poca distanza. Tutti rimedi che avevo appreso su me stessa, tanti anni prima, quando il principe Raulov mi picchiava o sferzava mia madre, stare con lei mi faceva sentire sicura. E variavano i fattori, ovvio, tranne che volevo evitare un risultato di sofferenza. Cercavo di farlo stare bene, sempre, per quanto mi riusciva. Per tante cose, stare bene o male, eravamo in simbiosi.
 
“Olenka, ciao, come va?”
“Si va.. te?”
“Meno sette.. forse..”
“Ottimo.. Mia cara. La maglia non procede, vero?” sbuffai, mi prendeva in giro pure per telefono.
“Imparerei prima l’arabo.. “  l’etere, riflesso dalla cornetta, propagò la sua ilarità-
“Mi manchi .. Buon compleanno, Olga”
“Grazie.. Fidati, andrà bene.. Dai un bacio a Felipe”
“Prego e ricambia, Felipe o Felipa.. “
“ Ti prego .. No”  rise fino allo sfinimento.
“Quando glielo dici, ufficiale?” Che tanto, in via ufficiosa lo sapeva, non era uno stupido e sapeva contare, Andres, aveva annotato, da un pezzo mi scrutava, in tralice, sorridendo, come un uomo che aspetti una gradita sorpresa.
“A dicembre, per il Natale cattolico.. o per il 30 novembre, se resisto, il suo onomastico, a ora lo sai solo tu, il suo compleanno è troppo avanti”
“Quando è nato, Andres..?” una curiosa addenda, sapeva che era del 1883, mai aveva INDAGATO IL GIORNO.
“Il 28 gennaio 1883..”
“Cat, è una barzelletta? Una delle tue criptiche battute note solo a te..”
“Non oso.. troppo anche per me. “ io ero nata il 27 gennaio 1895. Nati sotto cieli diversi, con lingue, religioni  e culture differenti, io una principessa dei regni orientali, lui un principe dell’occidente, ci eravamo incontrati, innamorati e ritrovati.. Lui era il mio destino, io il suo.
“Appunto.. ”
“E te, Olga.. come va sul serio.. In amore..”Non rispose, rise, un silenzio che era un assenso.
Ci salutammo così, spumose e allegre
Ahora y por siempre, spes contra spem, liberi dentro.
E le tigri ruggiranno, ribelli, primavera per primavera.
A prescindere da tempo e distanza.
 
“Riposi in pace, povera Erszi, povera in senso traslato”
“Aveva 86 anni e coda, Franz Joseph, ha regnato per 68 e tanto .. “Socchiusi le palpebre, il mio sguardo tagliente come una lama di Toledo, scuro acciaio forgiato per combattere.
“L’imperatore Carlo .. non è riuscito a continuare quello che aveva intrapreso, vorrebbe la pace e ..il suo entourage non lo consente, guerrafondai dal primo all’ultimo”Era il 23 novembre 1916, FJ era deceduto meno di 48 ore prima ed i telegrafi lavoravano senza sosta.
“Se non è subito, non sarà mai più. Andremo avanti fino allo stremo..”
“Già. Sono stato a Vienna nel 1909, fisso, che vi ero già stato un mesetto nel 1908, l’anno della crisi dei Balcani, e tirava aria di conflitto già allora, l’Austria aveva annesso la Bosnia dopo trenta anni di protettorato, la guerra non era questione di se, ma quando. L’attentato di Sarajevo ha innescato un rogo, nel 1914, il Kaiser lo aveva scongiurato nel 1911 e tanto.. Io ho visto Solferino, pare abbia detto, senza che a nulla sia servito” rievocò un vecchio dalle candide basette, la figura snella avvolta in una giubba bianca, con i pantaloni scarlatti, l’uniforme che aveva vestito per la maggior parte della sua vita di adulto, era stato il più indefesso funzionario del suo impero,che lavorava sempre per i suoi “popoli”
“Ci hai parlato, di persona, vero”una constatazione. 
“Sì. “ e si era perso per un momento, gli occhi delle assenze, indefinito, che faceva girare la testa e accelerare il polso.
“Erszi, presumo.” La gelosia retrospettiva, del passato di chi hai amato è come un veleno. Andres il leone, il principe, la spia e il baro, colto, raffinato e bellissimo, cavallerizzo esperto, ne aveva sedotte in larga misura.
“Cat.. lei era la nipote prediletta del Kaiser, la sola cosa che era rimasta del principe Rodolfo, l’ha cresciuta, educata e protetta, amandola e viziandola.  Indomita e splendida, si impuntò di voler sposare suo marito che all’epoca era fidanzato con un’altra donna e ..”
“Nozze d’amore oscurate dalla gelosia..”Non era semplice, affatto, i pettegolezzi erano giunti fino in Russia, come lei fosse ribelle e anticonformista, pronta alle liaisons, come peraltro il suo consorte, impalmato nel 1902. Quel lungo discorso di Andres mi aveva fatto rizzare le antenne.
“Andres, nel 1909, avete simpatizzato”Una perifrasi. “E nel 1911..”Mio zio sfruttava tutte le sue carte, Andres era il suo migliore elemento, e tanto mi schizzava dagli occhi, a prescindere. Sì, lui era di tutte per non essere di nessuna, annotai tra me, era giovane, ardente, senza obblighi di sorta verso alcuno. Le confidenze che passano in un’alcova sono spesso le più attendibili. Ed eravamo sposati, ora, guai a lui se passava nel letto di qualche altra e altrettanto per me. Ed Erszi era davvero molto bella, ammisi di malavoglia, una forza della natura, viziata e affascinate, ben poteva far perdere la testa a un uomo, e di sicuro Andres .. Non sarebbe tornato a Vienna se non avesse avuto voglia. E se lei non fosse stata già sposata, chi le vietava di prenderselo? Una volta, prima di me, si era innamorato e se lei fosse stata libera.. me lo aveva detto tanti mesi prima e il mio istinto suggeriva scenari che non volevo approfondire, per non guastarmi il presente con il suo passato. Tanto non mi sarebbe servito, non sarebbe stato utile a nessuno.
Decisi di essere matura, di non tormentarlo con i fantasmi, non ero un’arpia. E la mia sicurezza era grande e senza misura.. E avevo vissuto già troppa vita per amareggiarci invano. “Tua nipote si chiama Elisabetta in suo onore, magari”
“Moglie,  a te non posso nascondere nulla..”Spiazzato dal mio intuito, le palpebre socchiuse, una sorta di  saracinesca sulle sue iridi verdi, ora accese da un guizzo birichino. Da monello, appunto, colto con le mani nella marmellata, mi ricordò in maniera incongrua lo zarevic o Sasha quando complottavano qualche cosa.
“Alla tua, alla nostra, Andres..” Scolai un goccio di vino, Chablis. “E che il mondo trovi presto pace..ivi compresa Erszi. Salud ..” Beninteso, se non fossi stata più giovane di lei, bella, nonché la moglie di Andres sarei stata molto meno magnanima, allora ero giovane, non certo ingenua o altro. Poi me lo portai a letto, senza fallo, ancora più ardente del solito, tanto che si trovò la schiena segnata dai miei graffi, era mio e basta, le altre andassero all’inferno. Comprese all’impronta che ero gelosa e tanto glissò. Che appresi molto altro. Con Andres la realtà superava ogni immaginazione, era sempre un superlativo ingombro. E quel fatto specifico lo ignorava.  Accidenti a entrambi in ogni caso.


“Aleksej, cosa aspetti .. Entra, è freddo”
“Le mani ..”
“Cosa..”Poi decodificai.
“So scrivere con tutte e due, meglio con la sinistra..”
“Non ti avevo mai vista..”Già, ero ambidestra, una rara minoranza, pure preferivo usare la cosiddetta mano del diavolo. Attualmente.
Applicazioni di colpi e frustino, quando ero piccola, mi avevano dissuaso da quell’applicazione, salvo che in quegli ultimi mesi, stante la vagonata di rapporti avevo iniziato di nuovo, finivo con una e riprendevo con l’altra, alla fine la variazione di scrittura era ben minima e mi risparmiavo fastidiosi spasmi e contratture.
“Non che ci tenga a farlo sapere, non è comme au fait, sai..”
“Perché..”
“Abitudine, ignoranza, si scrive solo con la destra, in genere,  a furia di frustate  mi sono ben dissuasa, Zarevic”Sorrisi, amara “Ho ripreso da poco, per la montagna di documenti. E dopo avere scoperto che anche Mozart era mancino.. Forse”E si era rattristato, almeno la sua malattia lo aveva salvato da quelle aberrazioni educative. Avevo le nocche macchiate di inchiostro, dinanzi a me la mia attuale distrazione, ovvero tradurre l’Iliade dall’inglese in spagnolo, ambiziosa meta in cui mi ero arenata.
“Eri piccola.. e ti frustavano?”Inorridito.
“Sei anni, sette, anche se forse ho imparato prima.. Boh.. Più che altro bacchettate sui palmi,  erano dolorose“Me li sfiorò i palmi con i pollici. “Ho preferito soprassedere. E passiamo ad altro,  oggi abbiamo il mio onomastico, dai Alessio, è tutto a posto” non lo potevo sempre distrarre, a memoria mai lo avevo voluto prendere in giro.
“Auguri, Cat.”Si tuffò contro il mio maglione a collo alto, lo serrai addosso “Ti  puoi mettere una gonna, anche una alla creola..”ancora “Quando sarò zar, nessun bambino dovrà essere picchiato per come scrive, farò le leggi e  le ispezioni.. “ lo serrai commossa, quindi mormorai “Eh.. “in riferimento alla gonna.
“Per la sorpresa, sennò finisce che la sorpresa la fai tu. Io a vederti in pantaloni mi sono abituato, se tuo marito nulla osserva...cosa ridi”
“Che avete inventato? Qualche magia..Come questa”Feci apparire un copeco da dietro il suo orecchio, soprassedendo, se gli avessi narrato i miei primi addestramenti sarebbe inorridito, altro che pantaloni, quando mi coricavo ero piena di rabbia, tagli e lividi, la prima prova un pugno allo stomaco, molte si ritiravano, io avevo appioppato una testata. E continuato, figuriamoci se mi ritiravo. Ero ostinata come un mulo spagnolo.. nel bene come nel male.
“Dove è il trucco..”
“Boh.. Aspettami qui, mi cambio”
“Andres che ti ha regalato..”
“Una cosa reciproca..” trasognata, rispondendogli dalla porta chiusa della camera dove mi cambiavo.
“Cosa?” e tacevo, va bene che aveva la precedenza, su tante cose, ma Andres in quel caso era in cima.”COSA???”esasperato ed esasperante.
“Orecchini, ispirati dal colore dei miei occhi.. Oro bianco con topazi e onice, Aleksey non essere petulante”
“Anche troppo romantico..”Fece una piccola smorfia “Che incastra il reciproco, comunque. Non sono petulante, IO” come no.

Gli insegnai al volo il trucco della moneta, per rinviare la questione. E tanto non gli tornava uguale, era perplesso. Come del mio grazie, sarebbe stato saggio, accorto, quando avesse regnato, sarebbe stato magistrale, era bravissimo, enunciai, fin da quando era l’erede. Sorrise timido, a volte capitava anche quello. E battè le mani quando mi vide riapparire, un vestito di raso verde chiaro che sottolineava la mia vita (ancora) sottile e con gli orecchini di cui sopra “Sei bellissima, Cat, una vera principessa, una fata”
“Quando ritorni a cena da me, avrai un bel po’ di pommes alla francese” ovvero patatine fritte, le sapevo fare e gradiva, rise
“Va bene, ma sei bella a prescindere”
 
 
Il 25 novembre 1916, giorno del mio onomastico, santa Caterina di Alessandria, arrivarono in regalo le fate madrine, ovvero la zarina e le granduchesse, per una visita alla Stavka. Che il giorno dopo era l’anniversario del matrimonio imperiale, correva il 26 novembre 1894 quando si erano sposati. Lo festeggiavano sempre, come quello di fidanzamento, due pietre miliari della loro storia. Nell’aprile del 1894 si erano fidanzati a Coburgo, dopo cinque anni tristi, di lettere e separazioni, Alessandra era stata ripagata della sua attesa con “dolci baci”, quel giorno era vestita di grigio e la primavera trionfava, raccolsero dei fiori, compirono romantiche passeggiate e via così. Alcuni mesi dopo, sposandosi nel novembre, del 1894, appunto, lo zar Alessandro III morto da poco, era in lutto, unica eccezione il suntuoso abito da cerimonia.
 Tornando a noi, invece, ci divertimmo come non mai, passeggiate nei boschi spogli, visite alle famiglie, partite a carte, la tregua di una falena, prima della scossa.
“Sei negata, senza rimedio.. Hai il foglio di istruzioni, i modelli e tanto.. “
“Mi darò all’arabo, meno complicato. Già tanto se so attaccare un bottone”
“E continuerai fino a quando non ti riesce. Come quando cadesti da cavallo, fino a quando non sei rimontata in sella non hai avuto pace..”
“Già, che tempi” mi sventagliavo, frenetica, percepivo fino a stordirmi il profumo di rose e verbena che usava Alix, ci si era fatta il bagno? No, ero un cane da tartufo,  la nausea passò, solo un breve momento, avevo fronte e ascelle bagnate di sudore, ricacciai il conato.. ma le nausee vi sono anche la sera? Speriamo di no.. Alix scorse il gesto e sorrise, fu tra le prime a indovinare che ero incinta, avendo provato svariate volte l’esperienza. Per discrezione, omise indagini o domande, ricordava fin troppo bene la sua prima gravidanza, era criticata per come si comportava e, insieme, era monitorato ogni suo gesto e sfumatura, una valanga di inopportune attenzioni che la soffocava. Non mi avrebbe riservato il medesimo trattamento, con mio abbondante piacere e gaudio.
“Già, che testa dura.. Amante dei cavalli”
“Il significato del nome Filippo, amante dei cavalli”la prostrai per l’ilarità, meno male.
“Sempre peggio, vero?”Serissima, d’improvviso. “Ce la hanno tutti con..”
“Gli zar e il protetto della zarina..”Ovvero Rasputin, tornando serissima.
“Perché?” come Alessio, oddio..
“Stanchezza, Olga, tanti non capiscono il perché la guerra continui.. E viene data la colpa a chi comanda”
“E’ orribile..” Sussurri nella sera di fine novembre.
“E fa venire l’ansia.. “Era tutto un complotto e un mormorio, avrei scommesso la mia fortuna personale che vi erano così tanti calderoni che nessuno sapeva a chi dare retta.
Restammo in silenzio,  mi posai la mano sul ventre, sempre piatto, me la strinse “L’inverno finirà, e .. andrà meglio, Catherine. Sperare serve a qualcosa, no, i soldati sono molti e valorosi, la guerra finirà..E poi ..”
“In estate .. sentirai che strilli”
“Scherzi sempre, tu. Anche su..” tuo figlio, che ti ha già cambiato.
“Sennò non sarei io ..”
Bonne chance, Felipe, a tojours” poi “Magari dillo al tuo caro consorte”
“ Lo sa, in via ufficiosa. “
“Eh..?”Poi ci richiamarono e tornammo alla partita di carte, avevamo scambiato quelle battute in una pausa di qualche minuto.
“Tu non hai remore..”
“Smack” le toccai  una spalla.
“Il ciclo .. “Decodificò rapida.  E allibita.  “Non è possibile..” le sorrisi, ironica.
“Invece sì..”Sorrise, di rimando, esasperata. “Beh.. buon divertimento, essere sposati ha i suoi vantaggi”
“Eh..?” Sorrise, stavolta, enigmatica, il suo sorrisetto delle lontananze, da schiaffi. 
“Un presente da parte nostra” Eravamo insieme, a cena, era il 30 novembre 1916, giorno di Sant’Andrea, il mio personale Andrea era in ottima forma, annotai, il viso disteso, sorridente.
Plurale maiestatis, mia cara? Come noi per il tuo regalo” Gli orecchini di topazi e onice montati su oro bianco mi cingevano i lobi, quelle pietre, sotto certi giochi di luce, aveva annotato che richiamavano il colore dei miei occhi.  Ero splendida, in un abito rosso scuro, rubino, con un disegno di perline grigio antracite su maniche e scollo, i capelli raccolti, mi ero immersa nell’acqua di rose
“Apri..su” Un portasigarette d’argento, cesellato, con il suo monogramma “AF”, Andres Fuentes, emerse dal piatto pacchettino, ricoperto di carta dorata con un fiocco di raso, verde.
“Squisito..”Aprì l’interno e allibì.
“:….Chi ha compiuto l’opera”inarcando un sottile sopracciglio, intanto che cercava di capire.
“Ehm.. io .. fanno leggermente ribrezzo, ed il meglio della produzione. Conta il pensiero no.”
“Catherine.. Amore ..”Nei suoi grandi palmi vi erano due palline di lana abbastanza informi, una rosa ed una azzurra, ovvero l’intento era di fare due scarpine da neonato ed erano .. cassiamo, prima o poi avrei imparato seriamente l’arabo.
 “ Mio tramite, i tuoi figli sono lieti di augurarti felice onomastico” Pausa “O nostro figlio, che avere due gemelli in un solo colpo la vedo dura..O figlia”
Si inginocchiò davanti e mi appoggiò il viso sul ventre, le spalle sussultavano.
“Andres..”
 
“Andres cammina a quattro metri da terra.. Buone notizie? Hai un sorriso che va da un orecchio all’altro, nipotina mia”cicalò R-R, il mio caro zione, mentre prendevo la linea per parlare con mia madre. Un colloquio e due servizi, i fratelli Rostov-Raulov erano legatissimi.
“Aspetta e senti, zione. È una cosa bella, fidati.” Sorridevo già in partenza, annotai che mi osservava il giro vita, mica era nato ieri, lui.
Maman, je suis Catherine .. “ Due banalità di rito,  quindi enunciai “..E..siediti, Mamma.”
“Sentiamo .. “ridacchiò.
“Non so da quale parte iniziare.. “
“Sei contenta, lo sento dal timbro.. Fiocco rosa o azzurro?? No, troppo presto..AUGURIIIIIIIIIII”
“Maman, .. come lo sai?”
“Sono tua madre ..Vedrai che intuito svilupperai, ottimo, Cat..”usò il nomignolo con cui mi chiamava Olga, un segno di tenerezza. “Quando arriverà.. ?”
“Da metà giugno in avanti.. Solo manteniamo il profilo basso.. E dimmi, abbiamo precedenti gemellari, che tu sappia..” che conoscendola avrebbe diffuso la notizia gioiosa per tutto l’impero. 
R-R aveva un sorriso da un orecchio all’altro, imitando me, peraltro, diventava bis zio. Anni  prima, al tempo dell’esilio che Alix mi aveva tributato, convinta che incoraggiassi Olga a essere una ribelle, che non tollerava Rasputin e la Vyribova, ( come se Olga abbia mai avuto bisogno del mio permesso per ragionare con la sua testa, andiamo!!) mio zio mi aveva detto che un matrimonio, una famiglia sono il destino di una ragazza, io mi ero risentita, dimostrandogli che io avevo fatto di tutto e di più, poi, salvo arrendermi a quella semplice, risoluta felicità.
Amavo Andres, avere un figlio da lui rappresentava il coronamento dei miei sogni, delle speranze.
“No ..e abbiamo sempre una prima volta, chissà che non sia la tua e non dire “Mamma” sdegnata. No, aspetta Felipe Rostov-Raulov ebbe una coppia di gemelli dalla moglie, nel 1700, magari..” Mi sfotté lei. Credo di essere diventata di uno smagliante color verdino, in quella occasione.
“Grazie, Maman.. Merci 1000 fois”
“Prego.. “Con una inopinata agilità, pesava sui 90 chili per un metro e 85, il mio caro zione aveva preso una bottiglia di pregiato champagne che teneva in serbo per le grandi occasioni, tipo per una massiva vittoria o una richiesta di armistizio. Ah però..
“Vado a chiamare Andres, finalmente qualcosa da festeggiare.. “ sorrisi.
 
 
“Come nascono i bambini?” Ti pareva.. lo osservai,  mi fissava, curioso, gli misi giù una ciocca di capelli, che spuntava sempre,perenne  irriverente, come lui.
“Tu cosa ne sai, mica posso darti definizioni che sai già..” Non per non rispondergli, capiamoci, che come riusciva a farmi ridere o imbarazzare Alessio è riuscito a ben pochi. Ed era bello avere tutta quella confidenza, che si sentisse sicuro a domandare, avere risposte e che non lo avrei punito.
“Di certo non dalla cicogna o sotto un cavolo, e non credo dai brindisi”Ironico. Avevano, come suole affermarsi, fatto il pieno di libagioni, il chiasso aveva raggiunto livelli da accampamento acheo tanto che alla fine, scocciato dai brindisi e dalla gazzarra,  aveva chiesto a suo padre di poter venire da me, dalla sua prediletta “Di sicuro è stato Andres, solo in quale modo, quello, voluto da Dio ..”
“Continua, è interessante, cioè..  Ti rispondo, Alessio, solo non voglio ripetere cose che già conosci, certo che è stato lui, ci mancherebbe altro” mi sfiorò l’anulare della destra, toccando il rilievo della vera d’oro.
“Lo scorso anno mia cugina Irina ha avuto una bimba e la ha chiamata come lei. Fantasiosa, eh, peraltro.”Risi, la mano premuta contro le labbra”Quindi ho chiesto a Mamma da dove arrivasse, che prima era magra come te, poi le è venuta la pancia e poi ha avuto Irene, ho domandato. Avevo chiesto anche prima, ma si passava dai cavoli alle cicogne o mi dicevano di non occuparmene, che guarda caso sono sempre troppo piccolo. Specie se chiedo qualcosa di interessante.”
“Sono argomenti delicati”
“……”

“E cercherò di comportarmi sempre bene, o provarci. Mi fa più piacere avere la tua attenzione così che quando pianto qualche bizza..”Era la sera dei miracoli ?Da annotare sul calendario, decisi. “Tra te, Olga e Tata mi avete fatto diventare scemo a furia di prediche. Anche Marie, Anastasia no, non è credibile, ne inventa peggio di me.”Ah però. “Alla fine, quando ho tirato il fucile addosso a tuo fratello, ho avuto sì l’attenzione e mi sono buscato una punizione coi fiocchi. Invece se mi comporto bene ho più privilegi”Capito il ragazzino.? Chiamiamolo fesso.  Omettendo il resto, Dio quanto ti volevo bene Alessio, eri intuitivo, delicato, irriverente. “E da Maria e Anastasia e soprattutto Mamma. E Papa”
“Va bene, basta ciarle, mi hai convinto..dammi un bacio”
“Nulla.. però ti vorrei chiedere una cosa”
“Aleksej .. senti, non occorre che ogni volta tu chieda a ME o Andres il permesso se poter rimanere qui a mangiare o dormire, sei sempre il benvenuto, SE lo Zar acconsente. A me, a lui, non domandare più.”
“Come a casa..” Prevenne la mia replica”In un certo senso” tossii per occultare la commozione. E non era la gravidanza a rendermi più sensibile. “Sei a casa, che credi” una pausa “Non è certo il lusso del palazzo di Alessandro..mancano i camerieri e via cosi..Io faccio un poco di tutto, Andres cucina..ma stiamo insieme, ci divertiamo“
“Cat.”mi interruppe “Lo so, siamo amici, in fondo”
 

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Capitolo 26
*** Hymn for the Missing. ***


“Mi diverto di più con te” enunciò lo zarevic, mentre scartabellava le foto dell’album. Lui e Andres con le canne da pesca e un bottino di due pesci, che faceva il bagno nel fiume, con un pallone da rugby tra le mani, le guance rosse e gli occhi accesi, in uniforme, che studiava, nell’atto di dire qualcosa a Cat. Cat che odiava le foto e soprassedeva per lui, eccola in bianco e grigio, un momento ancorato.. foto non ufficiali, scatti di vita, di una risata, una passeggiata, una torta, frammenti che componevano un ricco insieme..  
“Grazie, però devi cercare di stare con i ragazzi della tua età, sono così noiosi i cadetti quando vai a casa o i figli di Botkin.. giocate alla guerra, o che..”
“Troppa deferenza, Andres, e poi ..sei forte”
“Mica posso fare la lotta con te, Zarevic, sono troppo cresciuto”
“No..”Chiuse l’album fotografico con uno schiocco, “Ma  ci sai fare con i ragazzi, mi hai insegnato a tirare di boxe e ..giocare a calcio, pescare e nuotare, sai un sacco di cose”
“Ci provo”Andres congiunse le dita dietro la nuca, sospirando. “Per i miei cinque nipoti sono un bravo zio..Dicono loro, e sono cose che farebbe tuo padre, se non fosse lo zar, lo sai”  Alexei osservò la piccola smorfia del suo amico, il gesto di aprire il medaglione e contemplare una ciocca scura, racchiusa tra quelle valve. Stava pensando a Xavier, il figlio che aveva avuto da Isabel, sua prima moglie, nato troppo presto e morto dopo una settimana. Da un lato la notizia della gravidanza di Catherine lo aveva riempito di una gioia profonda, dall’altro era ritornata una quieta malinconia, quello che poteva essere e non era stato, l’eco di quei giorni lontani, di quella sofferenza forse sarebbe finito solo con la sua morte. E si sentiva di nuovo giovane, potente, era bastato tanto poco a fecondarla. E sarebbe bastato tanto poco, una complicanza del parto per farla morire e sarebbe stata sua la colpa, aveva resistito alla peggio, una volta, non poteva succedere qualcosa anche a lei. La amava, con il senno degli anni maturi, la frenesia della sua gioventù ormai passata, era tutto, era nulla, era Catherine, l’amazzone, la rompiscatole, il suo tesoro, il segreto dello zar. Zar che era il suo vero padre, sorella di quell’amato e viziato ragazzino che faceva vibrare il mondo con la sua magia, cui voleva bene a prescindere, un lottatore nato. Gli ricordava Xavier, solo la morte lo aveva sconfitto, suo figlio entrava nelle sue mani spalancate, tanto era minuto, le sue ciglia una spolverata di oro scuro, era minuto e perfetto. Gli somigliava e tanto..
Xavier .. represse di mormorarlo. NO. Il figlio che avrebbe avuto da Catherine si sarebbe chiamato Felipe..una bimba Marianna, come sua sorella, o Sofia, come sua madre. Sophie ..la principessa delle assenze.
“Sei bravo, Andres, davvero”
Omise il gesto, non aveva voglia di rispondere a eventuali domande del principe ereditario, si alzò in piedi e gli appoggiò la mano sulla spalla “E sei bravo pure tu, zarevic, sempre”
“Lo puoi fare, se vuoi vedere la foto, non ti chiedo nulla” che la sua curiosità era leggendaria, ardua da smorzare, tuttavia capiva quando non era il caso.
“Ah.. Lascia stare, non ha importanza. E non chiedere a Catherine, ti risponderebbe e intanto per lei sarebbe un dolore, per piacere..”incassò la lingua tra  i denti, sei nipoti Fuentes, cinque della marchesa Cepeuda, la bella Marianna dalle  verdi iridi, varie ipotesi, alcune complicate, ve ne era una ben semplice che lo rattristava. Ha avuto un figlio ed è morto, fine, di Isabel ha sempre parlato al passato, era una persona buona..mi disse così, tralasciando che ha sposato Cat in chiesa, se hai divorziato non credo si possa fare.
Sulla rosa che aveva tatuata sul braccio era scritto Xavier 1901, in caratteri nitidi e curati, piccoli per un piccolo principe.
“Va bene. Cambiamo argomento. Ora che Sturmer è caduto, ed hanno nominato Trepov, a Pietrogrado procede meglio” una smorfia, una chiosa “Che prima era San Pietroburgo, alias Piter, molto più carino.. ma che vuoi era troppo tedesco”
“Insomma, Zarevic, è abbastanza caotico” Trepov aveva chiesto allo Zar, interpretando un comune sentire, di far dimettere il ministro degli  interni Propotov, di scarsa efficienza e spaventosa corruzione.
I prezzi del cibo erano triplicati, il mercato nero fioriva, i ministri del governo imperiale si alternavano in un continuo carosello, dall’agosto del 1915 fino al dicembre 1916 vi furono quattro diversi primi ministri, cinque all’interno, quattro al dicastero dell’agricoltura e tre in quello della guerra.
Propotov, che era un sodomita e uno squilibrato con mistiche visioni,la Madonna gli appariva alla sera, infatti, suo unico merito era venerare Rasputin, era al ministero dell’interno, cui facevano riferimento la polizia ufficiale e quella segreta, la Ocharana.
A quel punto, il principe Rostov- Raulov, zio di Catherine, aveva fatto sparire gli incartamenti di Cassiopeia 130, onde non risalire alla sua vera identità, vi erano illazioni  o sospetti, non venne fuori, per maggiore sicurezza era stato detto che l’agente era disperso dall’estate del 1916, lui, Andres, era solo una generica F.
Lo zar era d’accordo, in principio, con Trepov, ma Alessandra non ne voleva sapere, così che vi era un increscioso impasse. Alix non voleva saperne di allontanare Rasputin, che pareva avvertire che i suoi giorni erano ormai contati, se perdeva la protezione della zarina era finita.  E minacce, complotti, la stessa imperatrice madre suggeriva di allontanare Alessandra, spedirla in convento, in Crimea, ovunque, come di togliere il siberiano dai piedi..
“Zarevic, ti va un thè? Rimuginare serve a ben poco, teniamoci occupati”
“D’accordo, sai fare tante cose tu. Chi ti ha insegnato a cucinare?”
“Un poco in qua.. un poco in là, a furia di essere sempre in giro. Soprattutto è merito o colpa della leonessa di Ahumada”
“La leonessa di Ahumada?? Chi è”
“E dai che la conosci, almeno di vista. Vediamo se indovini.. è mora, con gli occhi verdi, una calamità che mi è capitata, sostieni”
“Tua sorella?La marchesa?” basito.
“Bravissimo, Marianna Sofia Fuentes, maritata Cepeuda.. Che ti prende per sfinimento, dura come una selce..E di una scommessa persa”
“Racconta. SUBITO”
“E certo” smosse le mani divertito, dopo il racconto“ Ma Cat è Cat, lo sai, comunque,  la vostra mamma non le diceva nulla a ...”
“Ciao, ragazzi!!Intervenni prima che lo zarevic chiedesse in dettaglio della principessa madre, Sofia. Ero rimasta in ascolto sulla soglia ed erano così presi che non mi avevano rilevato “Catherine!!Sai di vento e di neve,”Mi premette il viso sul maglione, nemmeno non mi vedesse da un anno, invece che dal giorno avanti, mi prese il braccio.
“Hola, hombres!!Hi, men” Tradussi, a suo beneficio. Poi”Comunque, non è solo tremenda, ha anche un grande coraggio.. “
“O poco senso del limite, ti riferisci alla volta che sgusciò a cercare un gruppetto che si era perso nei valichi, rischiando l’assideramento?”
“Sì.. Decidi tu. Che se non sbaglio ti buttasti in mezzo ad una arena del salvare un torero”Alessio rise di quel piccolo battibecco, immaginò la scena.
“Come un gladiatore..”
“Già, ci prendiamo questo tè?” Attento, sensibile, Andres evitò un argomento delicato, non aveva voglia di parlare di sua madre.



“.. O è orgoglio o è umiltà, arrangiarsi da soli, non dipendere da nessuno, quale delle due?”Mi chiese quando lo riaccompagnavo da noi, Andres era a un passo di distanza, lo zar aveva acconsentito a lasciarlo anche quella sera, era snervato per la situazione della guerra e Alessio percepiva tutto il suo nervosismo, preferiva che rimanesse tranquillo.
 “Dipende dalla persona, Aleksej”Gli serrai la mano, spiazzata.
“Indipendenza, Cat. “Rise e scappò avanti, leggero come un fiocco di neve, che aveva cominciato a cadere. “Prendimi” lo agguantai dopo dieci metri, poi scattai io, arrivando correndo fino all’ingresso, poi, girati, e mi colpì con una palla di neve sulla spalla, lo presi a mia volta, mi faceva sorridere.  Come no. Mi serrò la vita con un braccio, lo portai dentro, annottando che era sporco di fango  e neve.
“Ora ti fai il bagno”
“NO” ripetuto due volte. “NO, no” cocciuto. “Non voglio”per poco non disse non vojo come quando era piccolo
“Alessio” ricordando che era aiutato, per evitare che scivolasse, si facesse male, la crisi di Spala era sempre un duro monito. “Ti aiutiamo noi.. Niente marinai, va bene, e guardati, tremi per il freddo, hai le mani gelate e i piedi ..” brontolò uffa e non voglio per tutto il tempo, come un ragazzo di 12 anni, che preferisce stare sporco, a preparare la vasca avevo mandato mio marito, come a lavarlo, tranne che mi chiamarono dopo poco. “Mi ha schizzato dalla testa ai piedi, il monello.. Catherine, pensaci tu..” e l’acqua pioveva da ogni dove, ci schizzava seduto, senza muoversi. “Stai di vedetta, va” brontolai, mentre lo lavavo e insaponavo, passando poi un telo asciutto, era in piedi, un braccio sul mio collo, lo tenevo senza fallo, per non farlo scivolare, lo passai ad Andres per il passaggio successivo, non volevo inciampare né sforzare i muscoli dell’addome. Era tenero, solenne, un tesoro. .Poi gli misi la camicia da notte, erano solo le sette di sera e tanto era stanco, gli raccontai un paio di storie, spilluzzicò qualcosa,  e alle otto dormiva, le mani cacciate sotto le mie ascelle, i piedi tra i miei polpacci. la mattina si svegliò tardi, alle dieci, tacendo che verso le due e le sei mi aveva chiamato per farsi accompagnare in bagno, preferivo quello a mettergli il pannolino, secondo altrui uso, stava bene, perchè mortificarlo con quella che per lui era una umiliazione. 
“Cat”
“Alexei.. ora sei tranquillo.. vedo..”
“Che ho perso..”
“Nulla.. è domenica”
“La messa.. “
“Sei a tempo.. tesoro, vuoi un poco di caffè..”
“ Un goccio affogato nel latte, va bene”
“Niente battute sui gatti” mi strofinò il viso contro il collo, lo serrai per un momento”Con un paio di brioche” che il suo stomaco gorgogliò, glorioso annunciando che voleva mangiare
“ Se hai fame..”
“Ho fame.. “ mi poggiò la testa sul seno, gli accarezzai i capelli, era la sua pausa prima di affrontare il giorno.
“Ieri hai detto che Cat è Cat…cioè?”
“Sei tu, nel bene e nel male, Cat, troppo particolare..”
“Ah..che nel mio genere sono unica..”
“Pure troppo”
Aleksey Nicolaevich!!” divertita, sorridente “Alzati, prima che ti mangi!!”
Dai quaderni di Olga Romanov alla principessa Catherine” “.. in quel mese  di dicembre 1916 provarono in molti a convincere mia madre ad allontanare Rasputin. Alessandro Mihalovic Romanov, il marito di mia zia Xenia, chiese un privato colloquio a Papa  e venne ricevuto da entrambi, gli chiese quanto sopra e Mamma lo interruppe. Idem per la principessa Palej o la granduchessa Vittoria Melita, la moglie di Cirillo, a prescindere che non la poteva vedere per i loro trascorsi, il divorzio dallo zio Ernie, suo primo marito, oltre che le successive nozze con Cirillo. Ma il colloquio più straziante è stato con mia zia Ella, era venuta apposta dal suo convento di Mosca, dove si era ritirata dopo la morte del marito, dedicandosi alle opere buone e alla preghiera. Doveva rimanere qualche giorno. Il loro affetto era grande, è stato al matrimonio di lei che i miei genitori si sono incontrati, a casa di lei che Mamma ha soggiornato per la prima volta in Russia, l’ha sempre amata, consigliata, aiutata.  Appena giunta a Carskoe, nella mauve room, ha affrontato il discorso, chiedendole di allontanare R., per il bene della Russia e della famiglia. L’ha interrotta subito, chiedendole di non insistere in quei discorsi, che erano solo calunnie. Ha insistito e Lei le ha detto di finirla, un ordine tassativo “E’ inutile che sia venuta allora” “Sì..””Avrei fatto meglio a non venire..” “Sì..” è andata via alcune ore dopo, l’abbiamo scortata alla stazione, comprendendo che qualcosa si era rotto per sempre tra  loro..”


Le due sorelle non si sarebbero più incontrate.


Ancora” ..la  bella notizia di quel mese fu l’annuncio ufficiale della tua gravidanza, che bello, anche ora ne rido, io lo sapevo dal principio, che mi avevi chiesto di insegnarti a fare due scarpine da neonato.. E nulla, ti avevo spiegato a voce, dato un foglio riepilogativo e tanto.. Non era nelle tue specifiche competenze, ma andava bene uguale. In ogni caso, nei primi giorni di dicembre Papa e Alessio vennero per qualche giorno e LUI ce la servì all’ora del thè serale, io nascosi il sorriso dentro la tazza, discreta e ironica. Mamma rise e scosse la testa, fece portare dello champagne. Che se ne era accorta alla cena per l’onomastico, ti sventagliavi, per i profumi, annoverò che eri tra le poche fortunate che non soffriva di troppi problemi digestivi e nausee. Altra cosa che la rallegrò fu apprendere che ad Ahumada era stato costruito un ospedale, intitolato alla “Emperatriz Alejandra”, inaugurato alla presenza della regina Ena di Spagna, che le mandò una missiva affettuosa per corriere diplomatico. Fuentes padre era stato di parola, celere, abile e svelto. Il reparto pediatrico era intitolato a Xavier Fuentes…Ed ho pianto per quel bambino, la sua piccola vita è stata quella di un angelo, di una speranza, perdona la retorica Cat..”


“.. non per intenti celebrativi del nostro nome, solo per ricordare un bambino che c’è stato e non è più, ovvero il nostro primo nipote, figlio di Andres Fuentes, vissuto e morto nel giro di una settimana, nel 1901, Xavier dei Fuentes”la regina Ena mandò il discorso inaugurale, spagnolo con la traduzione inglese, Alessandra lo scorse il giorno dopo, contenta di non averlo letto con suo figlio presente.
Quella era stata la tragedia di Andres Fuentes, l’eroe di Calle Mayor, il picador senza paura, il principe occidentale, il generale dei leggendari dragoni spagnoli, il cavaliere dagli occhi verdi.
Le venne da deglutire a vuoto, peggio che avere un figlio malato è sopravvivergli. E non avresti pensato a nulla, lui era una persona allegra, carismatica, con un grande valore, sicuro di sé fino all’eccesso. Se lo avesse letto, si sarebbe rattristata e, innegabilmente, lo Zarevic le avrebbe chiesto il motivo, era cresciuto davvero molto, era sempre più sensibile e posato, che non si accontentava più di balle o facili distrazioni. Anche se viveva ora per ora con l’ansia costante dell’emofilia, non riusciva a immaginare la sua vita senza di lui, cento volte lo avrebbe fatto nascere, senza nessun rimpianto.
“Tu lo sapevi. Olga? ” ormai si era rassegnata a quella confidenza, la loro confidenza inossidabile, sempre presente. 
Un destino, una linea di confine.
“Sì. “Un soffio. “ Me ne ha accennato, prima del matrimonio. Che le avevo chiesto perché Andres se ne fosse andato così giovane, un ragazzo di 18 anni. “Come aveva fatto lei, Catherine, dopo la vedovanza, contando appena 19 anni “Ha risposto che aveva avuto un dolore troppo grande e che la sua casa era troppo piccola. E che sperava di renderlo sereno. Non è sempre una superficiale, fa finta di esserlo, Mamma, a modo suo è una persona sensibile. ” (Abbastanza, Olga.. abbastanza)
“Speriamo che vada bene, entrambi se lo meritano” per una volta, le venne in mente che le allegrie, la sicurezza granitica, che a volte rasentava l’arroganza,  le smaglianti apparenze di Catherine nascondessero dei grandi dolori, da occultare al resto del mondo. Come Ella Raulov. Poi “E Catherine ha una grande fortuna, un’amica come te, è ben raro nella vita trovarne”

..me ne sono andato perché il mio dolore era troppo grande, e la mia casa troppo piccola, Alessio. Mio figlio era minuscolo e perfetto.. Un principe combattente, un Fuentes..che non mollava, solo la morte lo ha sconfitto. E io sono rimasto solo. 


Quando Andres seppe di come era intitolato il reparto, tirò una manata all’architrave della porta, così forte che rimase il segno nel legno. “Non ne aveva diritto, che c’incastra mio figlio.. Il mio primogenito”neanche badava al dolore, tanto era su di giri. Il suo primogenito, vero, che aveva amato, un lottatore, fosse stato meno prematuro sarebbe sopravissuto e la  vita sarebbe stata ben diversa.
A quel giro litigammo come due dementi.



“Ha più buonsenso lo zarevic di tuo marito..”disse mio zio verso le due meno venti, rispettavo la consegna, piuttosto che giungere in ritardo anticipavo.
“E’ schizzato subito a cercarti,il cretino di Andres, mentre lui ha detto che se doveva stare con voi per la giornata, aveva poco senso che ricomparisse dopo dieci minuti.  Rilevando che quando ti fossi calmata, saresti tornata. Così me lo sono portato dietro al mio studio..”R-R versione balia era una comica, annotai tra me. Poteva definire Aleksey viziato, ansioso e petulante, e, in fondo, gli voleva bene“Ora è di là..Solo, sei calma, non ti scatteranno i nervi con lo zarevic, le scenate lo indispongono”Ansioso
“Appunto per non farmeli saltare sono uscita a cavallo, e prima ancora sono tornata che si era agitato”
“Idiota, hai fatto dei numeri .. Prega di non sentirti male, di non abortire, che non voglio dovere consolare quel ragazzino se ti succede qualcosa..Dopo avere strozzato tuo marito. Coraggio o senso del limite..Tu mai, come tua madre e i suoi casini, quelli che le capitano e quelli che combina, da sempre, come Marianna de Cepeuda, tre matte in giro, Dio mi scampi e liberi da voi, come lo zarevic. Che, tanto per dire, è stato ben zitto, ha chiesto solo di poter mangiare qualcosa. E ha capito che eri nera, solo perché gli vuoi bene non sei schizzata via”duro " Catherine, quel bambino ti adora" 
“Gli avrei spaccato qualcosa in testa..ad Andres ”
“Lui non è Raulov..” Un sussurro
“Se si comporta come lui ho qualche pregiudizio.. Basta, non voglio discutere oltre, che la questione è tra me e Andres”Imponendomelo “E meno male che la maggior parte del litigio era in spagnolo, che non capisce..” “ E tu sì. Avete sentito tutto?.” ”Abbastanza..” “Zio, io sto con lo zarevic, avvisa Andres, prima che ammattisca del tutto a cercarmi. Ci troviamo a casa, tra qualche ora, sperando di essere più tranquilli!”

“Ciao, che fai?”
“Studio.. O ci provo. “Posò il libro sul tavolo di legno intarsiato, lo studio di R- R era arredato con mobili di pregio, mappe alle parerti e volumi rilegati, di squisita fattura. Si alzò in piedi e mi prese una mano, osservando che era fredda, me la scaldò, gesti rovesciati di quello che facevo io con lui.
“Eri arrabbiatissima” “ Sì Alessio, e non ero arrabbiata con te,  sono uscita per calmarmi. “
Non mi volevi..”
“Zarevic, ero fuori di me. Avrei rischiato di aprire bocca e dire cose che non pensavo..scusami per tutto, ma sono qui, ho rispettato l’orario” “Cioè, ti fa arrabbiare qualcuno e te la prendi con qualcun altro..Molto maturo e poi il bambino sono io, come al solito” Mi strappò il primo sorriso della giornata. “E hai evitato.. Sparendo per ore.” Mi hai fatto preoccupare era sottointeso, pure.. “A volte ti arrabbi anche tu, e se qualcuno ti sta troppo addosso che fai..” “Scatto.. Quella volta della nonna, mi hai fatto calmare e poi.. Sapevo che eri lì, ma se mi facevi tante domande avrei fatto una bizza..E sapevo che tornavi, me lo avevi detto” Non insistetti oltre, ci eravamo intesi, pure aveva bisogno di essere rassicurato.  Dio, come mi aveva stretto quella mattina..Mi appoggiò il viso contro il plesso solare, gli circondai la schiena con le braccia, dandogli un bacio sulle mani. “E te ne vai, poi?”la sua paura”Senza dirmi nulla” “No, Zarevic, te lo già detto, non capiterà più che scompaia all’improvviso per un ghiribizzo”
“Veramente è la prima, che lo dici a voce alta” Vero..  “Non sei tornata solo perché era un ordine” scrollai la testa “Ti ho fatto preoccupare a sufficienza, ci mancava solo che arrivassi in ritardo” tralasciando che potevo essere caduta, avere battuto una testata
“E’ che.. una volta Andres mi ha detto che la sua casa era troppo piccola e il suo dolore troppo grande e se ne è andato. Te lo hai già fatto. Non era un ghiribizzo, come osservi. Era per i figli, Xavier.. Ma i tuoi bambini.. Cat, mica vai via di nuovo??” lo spagnolo non lo capiva?dicevamo, oppure era inglese o RUSSO quando ci eravamo presi a metaforiche coltellate?
“Non me ne vado più Alessio.. Però.. Andiamo con ordine, zarevic. Ad Ahumada hanno aperto un ospedale intitolato “Emperatriz Alejandra”, come la tua mamma, e un reparto si chiama “Xavier Fuentes”, in onore e memoria di un bambino morto troppo presto, cioè il figlio di Andres.. Lui se ne è andato quando era un ragazzo per non impazzire per il dolore..E ne parla poco e mal volentieri, è una ferita ancora aperta..”Semplici sillabe, era teso, attento, in ascolto “Ed è bastato questo per farlo scattare..E tu?Figli ..”allibito, addolorato ”Ero incinta e li ho persi.. la seconda volta è stato quando mi hanno detto che era morto Luois. Anche io me ne sono andata per non impazzire, o almeno ero convinta di questo” una lacrima scivolò solitaria sulla guancia, me la asciugò con un bacio “Invece sei tornata. Hai me, hai Olga e le mie sorelle. Tua madre ti vuole bene, come Sasha.. E Andres ti adora, la risolverete” Sorrise per infondermi coraggio, un dono, come l’aver appreso che mi fidavo, davvero e sul serio di lui, che non eravamo complici solo nelle scemenze. “E i gemelli..” “Scherzaci, un precedente vi è..Sul serio” “Poi ti proteggo IO. Che precedente?” “I figli di Felipe  de Moguer…erano due” “Moguer..??” “Il nome spagnolo..” e passammo ad altro, alle sei lo salutai, o provai, speravo che Andres fosse ritornato e quella la dovevo affrontare senza distrazioni. “Domani ci sei?” “Sì. E il giorno dopo e quello dopo ancora, va bene?”
“Sicura, davvero?” “Sì, zarevic” “ A domani, Cat”Mi strinse per un momento e lo sollevai, se non mi era venuto un accidente a cavalcare come un demonio lo potevo pure prendere in braccio. “Finalmente.. Era da tanto che non lo facevi più” “Allora per questo sei ancora d’accordo? Poi non ti lamentare se ti tratto come un bimbo piccolo”ironica e tenera  “Mi vizi, è diverso” l’ultima parola, la sua, come il sorriso, gli tirai un colpo scherzoso sui fianchi “A domani, tesoro”Un cenno. La violenza. Della guerra e degli abbandoni, mi aveva visto fuori di me e ora mi si era attaccato alle gambe, lo avevo già lasciato tante volte. Quella no..  Non si voleva staccare, cercare un contatto .. NO. Inespresso e per questo non meno violento, mi aveva descritto le scena con la zarina madre, un litigio portentoso e aveva assistito, in modo indiretto al mio con Andres, apprendendo come riuscissimo ad andare fuori controllo e ci amavamo, io e Fuentes. E te ne vai, senza dirmi nulla, le sue parole, la sua paura, lui che non aveva timore di nulla, quanto gli costava. E si fidava di me, in modo completo, totale. “Anzi, resto ancora un poco, ti va?”Nessuna scusa verbale, lo serrai a caso. “Sì, grazie. Però non litigate di nuovo?” “Sa dove sono e che ci troviamo a casa” “Se non volevi non ti facevi trovare” “Probabile, zarevic” “Definirvi complicati ed infantili è banale, e tanto non mi rispondi, sorridi e basta “ ”SST, sei troppo saggio, zarevic” “Ho fame e prendimi in braccio” “Le due cose sono legate, presumo, vieni qui” “Non mi prendere in giro, dai ti prego” Vezzoso, sollevando un sopracciglio “Prevedo che sarai un grande rubacuori, Alexei, ci rigiri TUTTI” Rise, serrando il viso contro il mio collo. “Sì e no. Ti voglio tanto bene, Cat” “Colpita e affondata” tacqui un istante“ Alexius vir est..” “ E ora che hai detto? Cat, spiegami ..”  “Alessio è un eroe, in latino, davvero.. Vir, un termine che indicava l’uomo come forte e valoroso, la derivazione latina del greco eroe”, mi scrutò da sotto in su, le iridi azzurre e perplesse “Se è una battuta, non la capisco” Invece era un vero uomo, un eroe. “Lascia perdere, va bene, Cat..” me lo allacciai contro il busto, morbida. “Ti voglio bene Zarevic, ricordatelo sempre, sono sempre io, nonostante errori e arrabbiature”  Mugugnò un sì, mi si rannicchiò addosso, mi aveva amato quando ero cupa, fuori e dentro di me, con la tipica ostinazione dei bambini, si meritava più di ogni altra persona di non subire i miei malumori e crisi di nervi. Gli baciai il polso, annoverando divertita che batteva un poco più forte“Come si dice cavaliere in spagnolo?” “Cabellero” “Hai presente del cavaliere che mi dici, quello che beve qualche sorso di vino e ha baciato delle belle ragazze?” Annuii “ Io sono come il cavaliere” Mi raccontò che aveva preso qualche sorso di vino di contrabbando, e che aveva baciato Alexandra, la nipote di una dama di corte della zarina, doveva essere sulla guancia, invece lei aveva voltato la testa e le labbra si erano incontrate, un lieve sfiorarsi, delicato come una brezza estiva. Lei era molto carina, occhi scuri e capelli biondi, snella e ben proporzionata, aveva due anni più di lui, l’incidente era stato accolto da affettuose prese di giro dei presenti. Diventò rosso come un pomodoro virando quindi al mattone quando sancii che il cavaliere era lui. “Sei andato su Castore, qualche sorso di vino te lo sei ben bevuto, la ragazza l’hai baciata, anche se per sbaglio ..Gli amici ce li hai, ci siamo, Aleksej..” “E’ stato strano..” “Lo capirai meglio tra qualche anno.” “E Andres quanti anni aveva quando ha baciato una ragazza?se te lo ha detto, che un poco gelosa lo sei”acuto come sempre “14, io invece sui 15.. ed è stato prima, sarei assurda a essere gelosa del suo passato, o ci provo “Quella gli mancava. “ Invece con la figlia di Deverenko è stato per penitenza, pagava pegno e.. “ “ E bravo Aleksey vale quanto sopra, sarai un rubacuori, davvero precoce” avevi 12 anni e pochi mesi, che fare con te se non amarti? Mi sfiorasti l’angolo delle labbra con un bacio, scossi la testa, io non conto nella lista, tesoro. “Come no” lo preparai per la notte, poi, il suo viso che premeva contro la clavicola,  gesti usuali e consueti, sempre, come il massaggio alla schiena, le mani da scaldare, la storia della  buonanotte. “Però avevo ragione, tu sei davvero particolare” “ Ma va, Alessio” “Kitty Cat, gattina” “Sìì, ci manca un gattino, magari con un fiocco rosso, ne avevo uno da piccola, a otto anni, con somma fantasia lo avevo chiamato Cat, se Olga veniva a trovarmi non sapevo chi chiamava dei due” E Raulov lo aveva fatto sparire, da allora non avevo più voluto un animale, da tenere con me, avevo ripiegato sui cavalli. “Davvero? Ti piaceva..” “Sì, ero tremenda.. sai che la prima volta che ho visto Andres era il 1903 e correvo dietro a Cat..”gli diedi un bacetto “Entrai di gran carriera e travolsi un ragazzo, cadde una risma di fogli, una pioggia per terra” “Ti scusasti? Povero Andres, eh, il presunto buon giorno si vede dal mattino ”gli tirai una offesa, sdegnata occhiata “Anche no, ripresi il gatto e feci un sorriso e andai via” rise “Eri una peste” “Abbastanza..poi Andres l’ho sposato” chiusi gli occhi, il mento contro i suoi capelli, lo avvolsi come un bozzolo “Ma ti vuole bene e tu vuoi bene a lui, la risolverete, anche se oggi da quanto litigavate buttavate giù i muri “si girò tra le mie braccia, un segnale, cerca di rassicurarlo, mi imposi “Resto fino a quando non ti sei addormentato, ti ho fatto passare una giornataccia, mi spiace per la scenata” “L’ultima parte mi hai fatto ridere e sei stata con me, le magagne passano” “Alessio, amore..” finse di russare, aspettai ancora un poco. “Non sei solo” Non sarai mai solo, te lo prometto. Che lezione mi hai servito.
 “Maldita mujer, fui loco buscando para usted”aprendo la porta, eccolo.
“Andres, estoy aquì”o ci mettevamo a ridere o litigavamo da capo o.. “Mi sono calmata e poi..”
“Io non sono Raulov.” Feci un cenno di assenso, osservando che era esausto “E non ti trovavo…quando sei schizzata a cavallo..Io.. Meno male che hai avvisato tuo zio e se non volevi mica ti saresti fatta trovare”
“TU..”Ognuno interrompeva l’altro, scusa, chiariamo, aspetta.. E tanto avremmo litigato ancora, negli anni a venire, sia per cose serie che banalità, parole frantumate e confuse, intanto iniziò a spogliarsi e..”Andres, ho una voglia” gli posai il dorso della mano sul petto, inebriandomi del suo profumo, traslammo a letto, riscaldandoci a vicenda, un atto di fiducia, alla fine della notte il suo sesso, svuotato e innocente, riposava contro il mio.
Nel mese di novembre, si era riunita la Terza Duma e i membri espressero tutto il risentimento della Russia.
Puriskevic, deputato conservatore, così a destra che si diceva che dopo di lui vi fosse solo un muro, denunciò i ministri imperiali, in toni veementi, tuonanti, sostenendo che erano burattini di Alessandra e Rasputin. Il capo del partito moderato, Miljukvov accusò Sturmer di peculato, Alix e Rasputin di abuso di potere e tradimento, parola che venne scandita da tutti nei momenti successivi.
Il discorso di M., stampato e distribuito illegalmente in milioni di copie, fece il giro di tutto il Paese, aumentando il risentimento, la paura. Fino alla primavera non vi sarebbe stata alcuna battaglia, il lungo inverno forniva una pausa in quel senso. E tanto, detta in sintesi, perfino i servizi segreti inglesi avvertirono lo Zar che doveva essere deciso, che vi era la minaccia di una rivoluzione, se non cambiava rotta, concordando con i suoi consiglieri, nell’immediato futuro.
Alla fine, Sturmer cadde, sostituito da Trepov, ministro dei trasporti, Nicola II non diede retta ai consigli di Alix, che lo implorò di non dare retta a nessun altro, se non a padre Rasputin, supplica che lo zar ignorò.
  Nel 1916, nei buoni salotti della capitale si osservava che l’imperatrice doveva essere tolta di torno, mandata in Crimea, era così odiata che la sua stessa vita era in pericolo, i complotti per rovesciare lo zar non parevano più questione di se, ma di quando.

Che amarezza, annoverai tra me, mentre facevo una foto ad Alessio che studiava, un piccolo momento tranquillo. Sul tavolo il quaderno, scriveva e aveva davanti una mela, la testa china e il viso concentrato. “Poi tocca a te”
“Sai che non mi piace essere fotografata, zarevic”un automatico rimando,  sempre cedevo.
“Tu no e io sì?”spostò i fogli
“Cresci da un mese all’altro, almeno abbiamo testimonianze..” le spalle più larghe, le gambe lunghe, il ragazzino stava diventando un adolescente, senza perdere la sua grazia. Anche se lo imbarazzava il tono di voce che stava cambiando, il pomo d’Adamo in evidenza, ogni tanto si guardava allo specchio, controllando eventuali segni di peluria, che latitava al momento. Il mio ometto, il mio piccolo principe, che dire,  era appena ieri che barcollava stringendo le mani, un piccolo infante a cui cambiavo i pannolini, il combattente che a Spala non aveva mollato, il soldato che mangiava pane nero come i militari in trincea, il fanciullo viziato e compassionevole, irritante ed arguto che mi metteva in imbarazzo, sempre, acuto, lieve, dove era finito il tempo.
.“Facciamola insieme”un compromesso, odiavo le foto, ma amavo lui, quindi ecco la via di mezzo.
“Aggiudicato” affettuoso lo era sempre, tranne che non lo toccavo se non lo chiedeva, a quell’età poteva essere una bella ingerenza, cercavo di rispettarlo, sempre.
Vicinanza, non petulanza, non ero certo la Vyribova, che pretendeva di avere tempo e coccole e attenzioni della zarina e dei suoi figli, in fondo era una povera invalida, ora, tranne che le dinamiche sfuggivano ai più. Se la zarina alla lunga la definiva asfissiante, tributandole l’epiteto di Vacca, perché non la allontanava? Olga se la vedeva come il fumo negli occhi, non la sopportava come il sommo Rasputin, il suo temperamento solo in apparenza imbrigliato. Olga e i suoi segreti, il suo sorriso, ritrovato nelle foto e nei ricordi. Dove era finito il tempo, già, io che, adolescente e prima ancora odiavo le foto, appunto, definendomi un “corvo”( un complesso, chiosava Olga, ti inventavi i problemi dove non vi erano...)  soprassedevo per amore di Alessio.. “Cat..” “Alessio, che vuoi” cresceva e tanto lo viziavo a prescindere “Un bacio e una storia, abbracciami” 
E con Olga mi scrivevo, ci telefonavamo, ognuna faceva quello che doveva, tranne che il pensiero era sempre e fisso e reciproco, sostituiva le nostre chiacchierate.
Era la mia migliore amica, mia sorella, eravamo due satelliti che ruotavano intorno alla vita, sempre in sintonia, variavano forme e sostanze, ora, tranne che eravamo sempre legate, ironiche e potenti, sempre noi.  Ironia, che definire Olenka sarcastica era un eufemismo.
Alessandra amava vestire le sue figlie a coppie, educarle alla parsimonia e alla rettitudine, alla religione ed al decoro ..Olga e Tata erano dette “The Big Pair”, Marie e Anastasia “The Little Pair” .. Un ossessivo controllo materno, come usava, Alessandra era un faro, un mentore ed una guida.. che non calcolava gli imprevisti, il punto divergente della retta.
Ovvero io.
Un seme sghembo e spurio, la bastarda dello zar suo marito, la primogenita delle tempeste, The big Pair eravamo io ed Olga, due potenti rompiscatole.
The true beginning 

“Siamo stati a Novgorod, Cat, per visitare gli ospedali dei feriti, noi quattro sorelle, Mamma e Madame Vyribova, ci ha accolto il governatore provinciale alla stazione. La città è antica, circondata da frutteti, ora spogli e hanno donato a Mamma le mele dell’ultimo raccolto, conservate con cura (..) Nessuna ovazione, solo una tranquilla compostezza [tradotto, il governatore doveva avere selezionato la folla] La visita all’ospedale, i vari monumenti, la funzione religiosa e un party tea organizzato dai nobili..E siamo andate a vedere una famosa starica che vive nel monastero di Desjatin,Maria Michajlovna, di 107 anni, per avere la sua benedizione. Anziana è anziana, ha proclamato benedicendo Mamma “Rallegrati, sposa senza corona. Ecco l’imperatrice martire Alessandra” Madame V. si è inginocchiata e ha baciato la mano della starica e di Mamma, piangendo commossa (!!!), per rialzarla ci sono voluti un paio di tentativi..Che inventate  al Quartiere Generale? Che combina il nostro amante dei cavalli? Ps Ti salutano anche Tanik, Marie e Anastasie, dai un bacio ad Aleksey per noi” 
“..a chi ti riferisci? Mio marito ha una smoderata passione per gli equini, come ben noto.. No, battute a parte, ove fosse un maschio, Felipe ci piace molto, e tanto giugno è ben lontano, intanto sul momento presente è venuta mia mamma con Sasha per il Natale (cattolico), lo Zarevic lo ha cooptato per costruire un fortino di neve, pupazzi, battaglie e varie altre, compreso giocare a pallone, Andres dietro, anche l’austero principe Rostov Raulov, ovvero mio zio  della partita. La principessa Ella è elettrizzata all’idea di diventare nonna, è prodiga di consigli e tenerezza, mi assicura che quando lo sentirò muoversi sarà un regalo giornaliero. E intanto io mi regalo peso, vivo di frutta e insalata, pollo freddo, e pochi dolci, tenendo conto che in genere avevo poco appetito, ora sono perennemente affamata.. Scherzo, tranne che colazione, pranzo, uno spuntino e cena mi sono ricordati con svizzera precisione da un certo languorino.. E intanto continuo a visitare le famiglie dei contadini, i reparti ospedalieri, etc, tranne che mi stanco più facilmente di prima. Sarà una sistemazione inopinata, e tanto l’eccezione che conferma la regola sono sempre io.. PS chi scrive è lo Zarevic, Olenka, notiamo il cambio di scrittura, portando via la penna a Catherine, che sbuffa, intanto un bacio a TE e Mamma e Tanik e Marie E Imp..(nomignolo con cui era appellata Anastasia, peste per traduzione) PPS Catherine sbuffa di nuovo che si era fatta uno chignon e glielo ho demolito PPPS Olga un bacio da entrambi, per tutti, e alla prossima, che andiamo sulla slitta, abbiamo costruito una montagnola di neve ..notato che ho scritto in francese senza errori? La tua amica mi ostina a parlarmi in questa lingua, sennò salta direttamente allo spagnolo, di cui capirò 20 parole al massimo.. No, non ha corretto..la sua parlantina si affianca a quella di M. Gilliard, solo io li batto” Alessio scriveva in coda alla corrispondenza, era sereno, tranquillo, le sue maniere erano migliorate e non si faceva pari ad aiutare chi aveva bisogno di aiuto, conforto. Era quello che in russo si chiamava “cuore d’oro” e lo era, ad esempio quando seppe che il generale V. aveva perso il figlio in una battaglia, si sedette  vicino a lui e lo confortò, poche e sagge parole non retoriche. In fondo, difetti a parte, aveva sofferto fin da piccolo per l’emofilia, se qualcuno poteva comprendere dolore e sofferenza era proprio lui.
“..Ciao Catherine, un saluto affettuoso, al volo e una risata. Come noto, Anastasia non scrive bene in francese, a questo giro si è superata, doveva scrivere di Francesco e il suo guanto, scopo della copiatura era quello, tranne che la traslitterazione era orrida, Mr G. la ha brontolata per le sue atroci maniere di copiare, LEI ha replicato che le sue maniere sono fini, il suo spelling (apparentemente) no.. Che, essendovi neve e ghiaccio, non si può certo arrampicare sugli alberi per sfuggire alle lezioni, abitudine che ha ben sviluppato …che potrebbe rompersi un braccio o una gamba, magari confinata a letto e allora non evaderebbe più..”
“… scrivo due righe per calmarmi, Olga, tremo letteralmente di rabbia, e pena e preoccupazione. Mio fratello Alexander ama i cavalli, peccato che non abbia ancora raggiunto i livelli che avevo io alla sua età, nove anni e rotti, tralasciando la volta che sono caduta.. Senza perdere il filo, visto gravidanza e cavalcate non vanno d’accordo, ho smesso di montare a cavallo, che Castore non è una tranquilla giumenta.. Uno e settanta al garrese, un cavallo da corsa..Hai presente? E che fa Alexander?? .. Lo ha sellato e montato, senza ammazzarsi nell’impresa, e vi è salito, peccato che abbia perso il controllo .dopo poche iarde. Che una bestia di quelle dimensioni e temperamento non la può gestire un ragazzino come lui, improvvisando, che gli esiti sono disastrosi.. si è spaventato e ..(…) Mio zio per recuperarlo si è rotto la tibia, da quanto Castore scalciava, imbizzarrito, Alexander ha fatto un volo portentoso e non si è ammazzato per miracolo.. E Castore è talmente lesionato che non so se arriverà a domani, lo abbiamo recuperato che era ormai azzoppato, era caduto malamente. E mio zio non  ha più vent’anni, ma 48 e una frattura come questa non ci voleva.. E il cretino di Alexander, che è solo un cretino, tralasciando i lividi sta bene e meno male.. Tranne che si è comportato in modo superficiale e ne pagherà, come ne ha già pagato le conseguenze. In punizione lo metterà nostra madre, non certo io, rilevo solo che deve vedere con i suoi occhi gli effetti della sua alzata di genio. Lo porterò a vedere come sta Castore, giusto per saggiarne le conseguenze, e temo che toccherà abbatterlo.. Lo zio lo ha già visto, a questo punto è in licenza forzata ed è arrabbiato. Sono arrabbiata e sono triste.. A dopo..”piegando il gomito, contro il foglio, scoppiai a piangere come una fontana, recuperai appena il controllo per non essere isterica o altro, stavo per scoppiare. Felipe  .. figlio mio, che madre ti ha riservato la sorte..
”Cat..” ”Vieni con me, “dopo avere valutato le sue condizioni, tranne i lividi stava bene, almeno fisicamente  “NO..” “Non ti picchierò od altro, in punizione ti metterà la Mamma..” “Se  sta male, che importa.. Un cavallo vale l’altro..” “ AH NO: come a dire che un fratello vale l’altro.. O uno zio, eh”amara “Tu vuoi bene solo allo Zarevic..e tuo fratello sono io”amaro “Sasha, muto, ora vieni con me, muoviti”
E lo portai, decisa, guarda, tranne che non lo respingevo, il suo braccio intorno ai fianchi, la paura, mia e sua, che poteva essere morto. Come Anastasia, compiva le sue trovate, ecco lui, tranne che la monella non aveva mai inventato qualcosa di così epico o disastroso.

Cataplasmi, dolore, l’odore di ferro del sangue, i nitriti di lamento, era sul fianco, passai il braccio sulla spalla di Sasha per bloccarlo e tanto  mi si era già attaccato alla vita“NO..” “Invece sì.. Impara come le tue azioni hanno conseguenze..” lo vedevo pure io, senza essere un veterinario che le lesioni erano troppo gravi “Lo zio si è spaccato la tibia, Castore ..”sospirai, me lo tirai in braccio, come Alessio “LUI non voleva, diceva che era una scemenza..che finiva male” “Chi lui?” perplessa“ Lo zarevic.. diceva che  a cavallo sei brava, come un maschio, come tuo marito, che Castore lo gestivi tu e basta e..” “Visto che risultato.. manca poco ti ammazzi, lo zio vai a sapere quando si rimette e..” il cavallo andrà abbattuto. Lo pensammo entrambi, la sofferenza di quell’animale era senza misura, reagiva al mio tocco, inarcando il collo e tanto aveva due zampe rotte “Non piangere..” “Sasha, ora basta..” una pausa “Vai da Mamma.. io sono troppo stanca e arrabbiata” “Tu non mi vuoi bene” mi accusò. Non replicai, dissi solo basta, i suoi occhi scuri, tanto simili ai miei si scontrarono senza recedere “Picchiami, avanti” “Ah no,Sasha.. Posso alzare la voce, mai le mani, che a nulla serve.. Né frustrarti.”  “Dovresti, me lo meriterei” “Non serve..Sarebbe solo violenza su violenza.” Abbassò lo sguardo. “Ma tanto tu vuoi bene solo allo zarevic, sempre” mi strappò il cuore dal petto come seta, artigli che laceravano la carne “Sempre.. qualunque cosa faccia” “Ora vai da mamma” E mi assestò lo sparo finale, in via metaforica “Mi correggo, mi vuoi bene, almeno un poco, tranne che il tuo solo prediletto è lo zarevic” “Sasha.. fermati qui, intesi” che stavamo per varcare il limite, e aveva ragione, come ho amato Alessio a lui non è mai capitato.


“Catherine ..”Alessio mi fece riemergere dal torpore, percepii le sue dita sul viso, calde sul ghiaccio della mia pelle. “Zarevic.. “ Una pausa, gli strinsi un polso. Brutto segno, che mi chiamasse con il nome intero.. “Basta.. lo vegli da tanto ” carezzò Castore,  era vestito da militare, un cappotto grigio su cui brillavano le mostrine, osservai che era aveva messo su qualche altro centimetro“Zarevic..” Volevo essere in ogni dove e non lì, con quel ragazzino che amavo, addolorato, lo amavo  e tanto ne avevamo sempre una, altro che un piccolo mondo idilliaco  “E’ il tuo cavallo, ci hai cavalcato il vento.. Era bellissimo starvi a vedere, ci salivi su con un solo, agile movimento”Una pausa, era lucido e composto “ Ed è mio amico, il mio cavallino..” lo scrutò  riverso sul fianco, reagiva anche a lui “Cat..sta soffrendo..” “Si rimetterà.. spero..” “Ci speri.. già. Sai quello che va fatto” “NO..” Mi strinse, come tante volte io avevo stretto lui, per confortarlo, preciso. “Sì.. Lascialo andare“ Mi tirai in piedi, ricambiai la stretta “Salutalo, Alessio. Io vado via qualche minuto..quando ritorno farò rumore” un addio privato, che se si fosse voluto sfogare non lo avrei umiliato con la mia presenza. Mi premette il mento contro il fianco, lo serrai con le  braccia “ Ora vado” “Cat.. la prima volta che lo ho cavalcato mi sono sentito un re, comandavo io e ..” “Era bravo, come te, lo sai” una pausa, un ragazzino vestito da soldato, che rideva, trionfante, in un dolce pomeriggio di primavera aleggiò nell’aria, una eco potente e non dimenticata, che faceva una cosa da sempre vietata per la sua malattia, che era come tutti “Alessio zarevic, salutalo, è il tuo cavallino..”  “Non è giusto..” e di rado la vita lo era, lo avevamo appreso da un pezzo. “Sst, zarevic, qualche minuto, salutalo” e gli faceva male, e sarebbe stato peggio se non lo avesse fatto, se ne sarebbe pentito per un pezzo.
Al ritorno tossii, facendo scrocchiare le foglie sotto i tacchi, voltai la testa, si era messo il cappello ben calcato.
 

 
Addio, Castore.
Galoppa su verdi prati, corri e sgroppa, una freccia, corri per i campi dell’Eliso aspettando il cavaliere. 
Hymn for the Missing. 

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Capitolo 27
*** Never More ***


“.. lo ho salutato, Andres, raccontandogli che avrebbe smesso di soffrire..  Potevamo rimanere, io e Catherine, quando lo abbattevamo, per non lasciarlo solo..” Mio marito gli passò un braccio intorno alle spalle, annottando che erano più ampie, era cresciuto davvero in quel lungo anno, se ripensava alla crisi che lo aveva quasi ammazzato, per il raffreddore era davvero un miracolo che fossero lì, ammaccati e lucidi e sempre loro, cercava di confortarlo.
“Perché non mi ha voluto..Mi ha fatto capire che non era il caso..”Scrollò le spalle “A casa abbiamo un cimitero per i nostri animali, sai cani e gatti.. Un piccolo angolo di un’isola artificiale, quella dei bambini, si chiama, con una casa, un ponte..Ma Castore.. direi qui, lui stava bene qui”
“Sulla spianata dove andavano ad allenarsi, è un bel posto Zarevic.”
“Lui era come quei cavalli da guerra.. Correva e saltava nel vento, era bello starli a vedere.. E mi dava retta, ci sono stato al passo, a volte al piccolo trotto..”Sorrise, nonostante la tristezza, era bravo e sapeva che era un segno, immenso, della fiducia che avevo in lui. “Poi Catherine è andata da Alexander.. credi che gliele darà?”
“No.. lei non alzerebbe mai le mani su un bambino, la violenza porta solo violenza.. “
“Ma ha fatto una cosa grave..” grave e netto, voleva applicare la giustizia, non la prepotenza, il mio Alexei.
“Cercherà di ..farlo riflettere, ne ha prese così tante quando era piccola, senza ragione, che non lo rifarebbe mai “ l’ultima frase in spagnolo, che Alessio non comprese. O finse, a quel punto non avrei saputo valutare. E capì un’altra faccenda “Andres, lo ha abbattuto Cat” disse  alla fine “Alessio, domandalo a lei” “Allora è un sì..” fiatò
“Zarevic, Aleksey.. ormai hai imparato a conoscerla”
“Sì e  no, ma fa male”
"Amare fa male, e ne vale la pena.."
"Allora sono grande, eh.."

“.. lo ho abbattuto io, Olenka, non ho voluto che lo Zarevic rimanesse lì, poi ho ordinato che fosse messo in una spianata poco distante dalla Stavka, dove andavamo ad allenarci, un prato che in primavera si riempie di fiori, luci ed erba. E sono rimasta fino alla partenza con mia madre, Sasha e mio zio, che andrà a svernare in Crimea, con gesso e sorella e nipote.. Lasciando ad Andres l’onere e l’onore di molti suoi compiti.. Ti scrivo, che, come un animale cerca la fuga, io la solitudine, il silenzio, come se fosse un disonore avere debolezze.. Già. Come fai a sopportarmi, Olga? A volte sono così fissata e insopportabile che non mi reggo io per prima, a tra poco che sta arrivando lo Zarevic”
“.. una piccola nota, non ho letto quello che ha scritto, mi dispiace così tanto, Olga..Ho abbracciato Cat da dietro, ho rievocato alcuni buffi episodi, sono riuscito a farla sorridere.. Per un poco, che le spiaceva,e ho visto i filmati, di quando era in Spagna, per la seconda e la terza volta.. E sono rimasto IO basito..le cose divertenti che ha fatto le so sempre a rate, mica lo sapevo che aveva ucciso un lupo o che a 14 anni filasse come una vera amazzone” come no, lo sapeva, incurante. “ A letto, zarevic, ti racconto qualcosa..” “ Certo”
Le bolle di sapone.
Una risata.
La gioia. Nonostante tutto.

“…. e’ stato dolcissimo, senza essere lezioso, sapeva che ero triste, le proiezioni cinematografiche una idea di Andres, una copia che ci ha mandato Marianna, mia cognata, giuro che non le avevo mai viste..In effetti, sono rimasta spiazzata .. 1909, 1910.. Io e la marchesa Cepeuda andavamo in giro, di tutto un poco, esplorando i dintorni (.. diciamo che giravo molto da sola, una libertà incredibile, che ho ben apprezzato..).. Il torrente, il capanno di caccia, una radura in cui crescevano i melograni.. l’ospitalità della gente, poche parole e ti offrivano un bicchiere di vino e pane e prosciutto.. Nulla del lusso di quando vi era la regina Ena e il re Alfonso, alla grande caccia.. E il branco di cavalli inselvatichiti che corrono sul prato, io che mi avvicino ad uno.. mah.. la mia attuale cognata non mi ha trucidato per miracolo..Pensieri sconnessi, come me stasera Olga.. Nonostante il dolore rido, ora vado a mettere a letto lo zarevic, è tardi e siamo stanchi. “ tardi era per Alessio, per la cronaca le undici di sera, ignoravo il resto, la perdita, le ulteriori disfatte. Che il giorno dopo, senza saperlo, era l’ultimo che passava al Quartiere Generale, la mattina non si voleva alzare. “Va bene..rimaniamo così.. tranne che alle otto  ti butto giù, ti vesto anche se non vuoi” “Sono stanco.. mettiti qui” scherzando“Solo un poco”le dita contro il mio polso, lo osservai, stava bene, non osservai rilievi o ematomi, stava bene. Il mio bambino, il mio tesoro, il mio Alexei.
 Alla fine ci alzammo, abitudini consolidate, la colazione, il bagno, studiare.. Sono contenta di non essere stata brusca, impaziente, come un presagio.
E di averlo portato a passeggio nei prati, il fiato che diventava ghiaccio e condensa,  per sparare ai bersagli, accogliendo la sua gentilezza, un braccio passato sulla vita, lui una carezza sui corti capelli castani, reciproca concessione una foto, le stelle diventavano blu, come la mia gonna, lui ride di non so cosa, ci hanno immortalato così, allegri e tranquilli.
La sera gli feci le mie famose patate francesi, ovvero patatine fritte, ridemmo, la quieta prima del disastro.

“.. curiosa di vederle, in quella foto dove hai 14 anni e sei di profilo, tenendo le redini sei radiosa, assorta, una Fuentes in fieri. E sei venuta davvero bene, che non ti ha chiesto di metterti in posa. Chissà a cosa pensi.. Forse all’epidemia di proposte di matrimonio di cui eri stata oggetto, che si rinnovarono la volta successiva.. Davvero, Catherine, portavi i capelli sciolti, orecchini di perle alle orecchie, eri solo una ragazza, che non aveva ancora compiuto il suo ingresso in società e .. Od, ancora, riflettevi sul lupo che avevi abbattuto..??La Spagna ti è piaciuta, sempre, altro che storie, ora occorre vedere come è Ahumada e dintorni, quando venite?..Ti voglio tanto bene, Kitty Cat. Al diavolo quando sei insopportabile, sei sempre troppo dura, difetti ne hai, se fossi perfetta non saresti tu..” lessi, attribuendo le lacrime alla stanchezza e alla commozione, per scritto ritrovavo le battute dello zarevic, era  rimasto per l’ennesima volta da me, a cena, dopo no, purtroppo.
 “..che storia è che R. è sparito? Lo zar ha letto i telegrammi di Tua Mamma, che chiedevano di ritornare, Alessio era scocciato di lasciare la Stavka, spera di ritornare presto, che ora ha preso il via, tra studio, ispezioni e quanto altro.. Sarà splendido, una volta grande, quando vestirà l’uniforme..” intanto lo avevo messo a letto nel vagone del treno imperiale,
“Cat..”gli avevo rimboccato le coperte, tralasciando che mi si era stretto addosso
“  Alexei.. domani sei al Palazzo di Alessandro, torni  a casa per il natale ortodosso, e anche prima . Rivedi la tua mamma e le tue sorelle, saranno contente.”
“ Voi cattolici avete già festeggiato..”un massaggio sulla schiena, tra le scapole, a volte fosse diventato un angelo ansioso, non rilevai ali sul momento.
“ E tu dietro, con mezzo calice di champagne..”
“ Ci troviamo, vero ? “ la voce incerta, i toni rotti in bilico tra l’infanzia e l’adolescenza
“Certo, che pensi.. mica ti liberi di me.”.
“Prometti che non mi lasci..”
“Alexei, ora che hai l’ansia....Certo che non ti lascio. Vengo quando vuoi. Promesso.”
“Va bene.. mettimi il pannolino, per favore, per sicurezza”
“Alessio, no..”
“Sì, ti prego”
“No, sei grande” tacendo che a volte glielo avevo messo per sicurezza, quando era esausto e lo avevo cambiato senza rilievi.
“Tanto poi me lo mettono, che credi, fallo te, per piacere, hanno ancora paura che cada nell’andare in bagno e ..me lo mettono ancora, sei la sola che la notte si alza per accompagnarmi in bagno ” una pausa straziante, non lo feci supplicare oltre, alla fine rotolò sulla schiena, mi tese le braccia, lo raccolsi contro di me.
E piccoli sussurri, la neve cadeva leggera, un attimo incantato, mi baciò, si fidava, aspettai che si addormentasse, gli lasciai un biglietto sotto il cuscino Ciao, zarevic.. un pensiero, per dirti buongiorno, ti ho dato un bacio, prima di venire via, fai conto che sia quello del buongiorno, appunto Un abbraccio Catherine ps Mi manchi già da ora” . Lo avevo scrutato per un pezzo, prima che il treno partisse, eri il mio bambino zarevic, guai a chi ti faceva qualcosa.

“.. Carskoe Selo, 1 gennaio 1917, 14 pomeridiane. Al volo, Cat, ti scrivo al volo. Come sai il 30 dicembre abbiamo saputo che R. era sparito, che la sera precedente era stato a palazzo Jussopov, per una visita a Irina.. [moglie di F. Jussupov] e si erano sentiti degli spari ed aveva detto che si sarebbe recato lì alla nostra cara V. Mamma si è allarmata nel  corso del giorno seguente, che a metà pomeriggio la polizia ha trovato macchie rosso scuro vicino al ponte Petrovskij sulla Malaja Nevka,  un punto in cui il ghiaccio è sottile e ben può sparire un cadavere. Vicino una soprascarpa marrone, che una delle figlie di R. ha riconosciuto come sua. Allo Yacht club non si parlava di altro, che era morto, che vi erano implicati Jussupov, marito di mia cugina Irina, e Dimitri, il nostro amato cugino, che è apparso pallido e provato. Jussopov ha negato ogni presunto addebito, ha spiegato che gli spari uditi erano dovuti agli eccessi di una festa, che avevano ucciso un cane e lo avevano buttato nella Neva.. Dimitri negli ultimi tempi aveva fatto spesso visita a R., ora ne capisco il motivo.. Papa è tornato con Alessio a Carskoe Selo, la situazione è difficile, Mamma e Anna V. piangono..(..) Hanno ritrovato il corpo all’alba, congelato e mutilato.. “
“… Olga .. mi spiace”
.. Mamma ha chiesto che la polizia le consegnasse tutto quanto trovato addosso al corpo, la camicia insanguinata, un braccialetto di platino con il monogramma imperiale, una piccola croce d’oro che portava al collo, sarà seppellito il 3 gennaio in un angolo del parco di Carskoe, ove la V. vuole fare costruire una chiesa.. Mi sento così egoista, distante, vedo il dolore di mia Mamma e della V. e mi pare tanto artefatto, teatrale..“
“Cat, puoi venire a Carskoe Selo per favore con Andres? Mi manchi tanto. Alexei”
“Siamo già in viaggio, Altezza imperiale, mi mancate” 

Quando arrivai aspettai di essere in privato per abbracciarlo, mi misi in ginocchio e lo raccolsi addosso
“Cat”
“Alessio, io per te, te per me, ci teniamo al sicuro a vicenda”
“Certo” mi accarezzò i capelli raccolti in un morbido chignon, tenero e dolce
“Meglio che possiamo”
“Sicuro” feci una pausa, avessi avuto un metaforico specchio mi sarei rivista nel passato cercando di essere migliore, i ricordi non erano più un tormento “Sempre”
“Cat.. dammi fiducia”
“Certo, ripeto” gli posai una mano sulla guancia, me la baciò e ci rialzammo, in mutuo accordo decidemmo che sarebbe rimasto tra noi.
Mi porse il braccio, splendido e garbato, la sua uniforme perfetta contro il mio vestito di seta crepe de Chine color zaffiro, facevamo un figurone.
“Olenka ti aspetta, è triste” triste per sua madre, le altre ragazze avevano il viso gonfio, era morto un “santo”, un martire, il profeta che parlava del mare e delle nuvole e peccava come un sibarita. Mm ..

“Catherine. Amica mia”
“Sorella mia”, mi scappò di bocca
“Alla fine siamo sorelle onorarie” Olga mi cullò tra le braccia, ero corsa verso di lei, il mio rifugio, mi sfiorò il naso contro il suo, la punta era sempre fredda “Come state? Tu e il mio nipotino, onorario”
“Affamati, ma ce la caviamo..Tu?” mi serrò la schiena con un braccio “Ora ti racconto, è orribile” nel suo salottino privato, quello che divideva con Tata, sedetti sul divano a fiori, il fuoco crepitava, un libro era sul bracciolo, la scrivania piena di fogli, pareva una tranquilla scena e aveva il viso livido per le occhiaie.
Olga.. 
Nella notte tra il 28 e 29 dicembre 1916, Feliks Jussupov e il medico Lazovert presero Rasputin e lo accompagnarono nel palazzo del primo, in una stanza insonorizzata per procedere al Gran Complotto.
Rasputin si era fatto convincere dall’idea di incontrare la principessa Irina, moglie di Feliks J., splendida tra le splendide dame della corte dello zar, la sua avvenenza era squisita, che l’avesse conquistata?
A modo suo aveva cercato di presentarsi il meglio possibile, lavandosi con sapone a buon mercato, barba e capelli sistemati con cura. Pantaloni di velluto nero, una camicia di seta gialla con fiorellini e un cordone intorno alla vita da cui pendevano vari fiocchi completavano l’insieme.
 I cospiratori volevano togliere di mezzo il Male Oscuro, la Spia Tedesca, il Demonio, tante belle giustificazioni, all’atto pratico  era un omicidio.. Con cura, avevano preparato quattro bottiglie di Madera avvelenato al cianuro, cianuro iniettato per maggior cura anche nei pasticcini. Partecipava poi il granduca Dimitri, amato nipote dello zar e cugino prediletto dei suoi figli ed il deputato Puriskevic, che aveva accusato Rasputin di corruzione e tradimento nel suo discorso alla Duma in novembre. Erano in una stanza al piano superiore.
Jussopov parlava amabilmente con R., che beveva e mangiava i cibi avvelenati, senza dare cenni di sentirsi male, parlarono e Felicks suonò la chitarra, cantando due ballate gitane, e salendo poi dagli altri congiurati.. Satana non moriva, occorreva sparargli..
Felix sparò colpendo Rasputin nel petto tra lo stomaco ed il fegato per poi risalire al piano di sopra, ove bevve per farsi coraggio.
Sceso ancora, si convinse che era davvero il demonio, Rasputin riaprì gli occhi e si lanciò per la scale, cercando di uscire, barcollando nella notte e verso la salvezza, riuscì ad andare nel cortile.
 Purishkevich scese  e sparò ripetutamente a Rasputin. Uno  dei proiettili penetrò il rene destro e si conficcò vicino alla spina dorsale, alla fine cadde nella neve, che si imbrattò di sangue.
In uno stato di parossismo totale, Jussupov colpì violentemente il siberiano, che si decise a morire, finalmente!!
A questo punto, due poliziotti in servizio alla città, sentiti gli spari e avendo visto il via vai di autoveicoli, si insospettirono: uno di loro, prima interrogò senza esito il maggiordomo di Jusupov, poi, si avvicinò al palazzo; Purishkevich si vantò di aver ucciso Rasputin e chiese al poliziotto di non rivelare la notizia ai superiori, che vennero informati a ogni buon conto.
Il corpo venne  avvolto in un telo blu, legato con delle corde e ficcato nell’auto di Puriskevic.
Attraversarono la città fino al ponte Petrovskij sulla Neva e vi gettarono il cadavere.
 La notte era finita.


Alle 8:00 della mattina seguente, la polizia si presentò all'appartamento di Rasputin e chiese alle figlie dove fosse il padre; dopo tre ore di attesa, la scomparsa fu segnalata ad Anna Vyrubova la quale avvisò l'imperatrice, sottolineando come la principessa Irina fosse assente da Pietroburgo. A quel punto il ministro degli interni, menzionò il racconto del poliziotto.
Su ordine di Alix, fu disposta una inchiesta la quale provvide immediatamente a controllare l'appartamento, il conto in banca e la corrispondenza di Rasputin per poi concentrare la propria attenzione su alcune macchie di sangue rinvenute presso una porta secondaria di Palazzo Jusupov.
 Il principe Felix cercò di spiegare le macchie di sangue affermando che nel corso di una festa di benvenuto, tenuta la sera prima, uno dei suoi cani era stato ferito; quanto al comportamento tenuto da Puriskevich, disse che la sera precedente aveva parlato sotto effetto di alcolici; chiese, inoltre, una udienza presso l'imperatrice ma la Zarina si limitò a dire che avrebbe potuto spiegare l'accaduto tramite una lettera
Alle 22:00 della sera stessa, Purishkevich, dopo aver aiutato i principi Felix e Dimitri nella stesura della lettera, lasciò la città per andare al fronte.
 Il giorno seguente, fu provato che il sangue rinvenuto era umano e il principe Yusupov e il granduca Dmitrij furono posti agli arresti domiciliari.
Frattanto, nel pomeriggio, furono rinvenute tracce di sangue ed uno stivale presso il Bolshoy Petrovsky; lo stivale fu riconosciuto dalle figlie di Rasputin stesso e, per l’effetto,la polizia riprese le indagini, la mattina dopo fu trovato il corpo congelato, poi sottoposto a esame autoptico.
Lo aveva ucciso il terzo proiettile che, dopo aver lacerato il lobo frontale, era uscito nella parte posteriore del cranio; fu, inoltre, estratto il secondo (l'unico a non essere stato sparato a distanza ravvicinata) e fu esaminato il contenuto dello stomaco; non furono rinvenute tracce di acqua nei polmoni (segno, quindi, che Rasputin fosse già morto al momento di essere buttato dal parapetto) né di cianuro nello stomaco.
 Infine, furono esaminate le ferite superficiali: quella all'occhio destro, compatibile con lo stivale, la frattura nasale e alla guancia, dovute probabilmente all'impatto o al grappino usato per trascinare il cadavere fuori dall'acqua
Su richiesta del granduca Alessandro Romanov, suocero del principe Jusupov, lo Zar escluse la possibilità di un processo e decise di inviare il granduca Dimitri ed il principe Jusupov in esilio, Puriskevic era già al fronte.
Olga disse poi che era stata una fine orribile, anche se lui era stato “malvagio”, e loro, i Romanov, erano una tale famiglia, che uno poteva spaventarsi ad ammettere che erano parenti.
Sorvolando che Pietro il Grande aveva fatto uccidere suo figlio, sventato un complotto in cui lo voleva scalzare, Caterina II rovesciò suo marito Piero e per maggior tutela lo fece strozzare da altri, tanto per rimanere con gli esempi più famosi..  Di cosa stupirci? Adulteri, gelosie e complotti continuavano nel 1600 come nel 1900..
Rasputin  aveva predetto che se fosse morto per mano dei parenti dello zar, Nicola II avrebbe perso il trono e sarebbe morto entro due anni assieme ai suoi familiari.

L’inchiesta fu superficiale, celere e veloce, non si voleva scoprire troppo il vaso di Pandora. Tanto per dirne una, la granduchessa Ella, sorella di Alix e cognata dello zar, aveva ricevuto la sera prima del famoso attentato un telegramma da Dimitri, in cui chiedeva la benedizione divina su quanto si accingeva a fare, lei era una monaca, un esempio di probità e aveva avallato un omicidio?
Perfino le blande misure, adottate dallo zar, ovvero mandare Jussupov nella sua bella tenuta in Crimea, Dimitri sul Caucaso dal suo reggimento furono accolte di malanimo. 
Comunque, in poche ore tutta la capitale fu a conoscenza della notizia, anche se i giornali non ne fecero menzione esplicita, si leggeva a titolo di esempio che un individuo aveva fatto visita a un tale con altre persone e, scomparso, uno dei soggetti aveva dichiarato che il primo non era stato a casa del secondo, anche se era vero il contrario. La gente andò ad accendere candele davanti all’icona di San Dimitri nella cattedrale di Nostra Signora del Kazan, abbracci e gioia collettiva, l’innominabile era morto 


Allegria ed un amaro naufragio, pensai, ricitandomi come a novembre “Che belli..”lo zarevic mi passò il braccio intorno alle spalle, mi ero chinata per osservare ben sei bucaneve in un solo colpo. L’inverno era freddissimo, rare le giornate che consentivano di stare all’aperto senza rischiare una polmonite, a meno di non essere ben coperti, vedevo solo i suoi grandi occhi tanto era imbacuccato tra sciarpa, cappello, cappotto e guanti.  Senza parole, lo osservai mentre correva sul sentiero, reggevo i bucaneve e lui saltava, fingeva di essere un aeroplano, gli arti superiori spalancati, come le ali di un aereo, appunto, correva e spiccava il volo
“Mia madre pensa che la sua malattia sia un modo per mettere alla prova la sua fede . .E che un santone come Rasputin .. come è stato sia stato un messaggero di Dio. Davanti a lei recitava il pio e profetico contadino, per il resto era lo spirito della dissipazione, mettiamola così, con il suo harem di ammiratrici” era oggettiva, o tentava.
Con la Vyribova in testa, tra lei e Alix non sapevamo chi fosse più affranta. Vyribova che ora soggiornava al palazzo di Alessandro, la zarina le aveva chiesto di trasferirsi lì per tema che la prossima vittima fosse lei. Olga cercava di vederla il meno possibile, ragguardevole impresa cui si impegnava stazionando nel suo ufficio direttivo e facendo qualche visita agli orfanotrofi o altri ospedali, in incognito, con la sua amata gallina, ovvero io.
Mi ero insediata a Carskoe Selo, nella villetta già di proprietà di R-R, suo dono per le nozze, ero spesso ospite al palazzo di Alessandro, senza fallo.


Alix aveva fatto mettere un biglietto nella bara, “Mio amato martire, mandami la tua benedizione, che mi possa guidare nel triste e difficile cammino che devo ancora percorrere quaggiù. Ricordati di noi dal cielo nelle tue sante preghiere” . La funzione era stata breve e veloce, e tanto il dolore, lo sgomento della zarina continuavano, era prostrata, non era solo un teatro wagneriano, come pensava Olga, una variazione della sua tragica e isterica madre nell’arena del martirio, una santa.
 Al solito, Alessandra comandava, piangeva e si disperava, Alessio lo gestivano Olga, Tata e i marinai, più me, come quando era più piccolo .. La zarina è mia madre, ma la mia mamma sei te, come Olenka e Tanik.. che esasperazione, quando diceva così e tanto era vero. Tralasciando che ora si arrangiava da solo, scatti e capricci un lontano ricordo. Dandogli maggiore autonomia, aveva imparato a controllarsi, una benedizione.
“Olga, io .. Non ho la fede che hai tu o le tue sorelle” Le passai un braccio sulla vita, percependo i rilievi di ossa e muscoli e lo scrutavo,onice contro zaffiro, i nostri occhi diverse schegge di vetro che scintillavano“ Ma una cosa la so.. Ha l’emofilia, ed è un guerriero, non molla mai ..con una voglia di vivere senza rimedio ..” cincischiando su parole e sentimenti.
“Spiegati..” alla peggio erano solo parole,  sorridevo, occultando i dispiaceri, sua madre piangeva ora per ora. In privato, che Rasputin era un suo baluardo per la malattia di Aleksey. E diventando madre a mia volta, o ci provavo, che la gravidanza era a buon punto, mi ero smussata, ero meno critica. E voleva bene a suo figlio e lui voleva bene a me, di qui la tolleranza, gli avrebbe regalato la luna in un piatto, figuriamoci la sottoscritta.. Alix si era convinta di essere sola, tranne che per pochi intimi, considerando gli eventi trascorsi, tutti i torti non li aveva. E avevo imparato da un pezzo che una persona tragica, abbia ragione o meno, attira meno di una allegra, smagliante, che non si lamenta, mio esempio Ella Rostov-Raulov, mia madre, sopravissuta a una dura infanzia, a un marito da incubo, cercava sempre di fare meglio che poteva, lamentarsi è solo una perdita di tempo, Catherine, fidati.

“E’ nato così e non ha colpe..”la malattia si passa di madre in figlio, aveva iniziato la regina Vittoria e il morbo si era trasmesso alla sua discendenza, nelle case regnanti di Germania, Spagna e Russia. Sorvolando che uno dei cuginetti di  Alessio, John, soffriva di epilessia e da anni viveva nella campagna inglese, isolato dalla sua famiglia. Nato nel 1905, sarebbe morto nel 1919, dopo una crisi devastante del suo male.
” Non c’entra nulla con la fede di tua madre, una messa alla prova o che. .. Spiegami perché le bestie abortirebbero i loro cuccioli  o le assassine partorirebbero” feci una pausa, senza spingerci oltre, quello della religione era un campo minato, io la vedevo in un modo e lei in un altro, fine E io avevo ucciso, ero una assassina per difesa e tanto.. E se Alexei avesse potuto scegliere, avrebbe voluto essere normale, sicuro,normale senza emofilia, che tristezza. 
“Dio ha visto le tue preghiere, il tuo bambino non  morirà, aveva detto a Mamma..”
“Olga, parli con me, non altri.. Una coincidenza..” Mi svuotai di ogni pensiero e mi scrutò, capiva più di quanto dicessi e di segreti ne avevamo spartiti molti.
“Una cosa la so, Cat. Prima ancora di diventare madre, sei stata una mamma con lui, nonostante tutto. E ti ama e lo ami.. Anzi, sei una mamma“ la Sua Mamma, aggiunse piano, e udii lo stesso. Povero Alessio.
“Bel ricavo, alla lunga, tutta una serie di affanni…” guardai ancora “ZAREVIC, VENITE qui ..” agitando una mano e alzando il tono di voce. E mi morsi le labbra per non dire attento a non scivolare, vi è il ghiaccio, non ti agitare, per evitare la modalità mamma ansiosa, o chioccia, inutile contare quante volte lo avessi tenuto tra le mie ali, pardon,  braccia.
“Non sono sua madre, comunque”leggermente piccata. Nel lungo termine lo sarei diventata
“Stupida, meravigliosa testarda. Che sei.  Lo ami e tanto.. E riesci a tenerlo tranquillo, niente smorfie.. che poi ti fanno male” mi sciolsi  in una risatina. 
Alessio non sarebbe più tornato alla Stavka.
Never more.

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Capitolo 28
*** This is The End, My Friend ***


Dai quaderni “.. puoi pensare e scrivere quello che vuoi, tranne che i gesti non mentono.. Guardavi Aleksej con occhi d’aquila, attenta a ogni gesto, apristi le braccia e  lui ti si fiondò addosso, mentre  brandiva i precoci bucaneve, ti congratulavi e non lo mollavi, disse che era un poco stanco, come no, voleva farsi coccolare senza essere brontolato.. E ti aveva buttato le braccia sul collo, come al funerale di padre R. rimanesti con lui, attimo su attimo. Eri e sei la sua mamma, fine della discussione“Ah Aleksey.. mi viene in mente una foto.” “Quale ?” “Sono seduta nella mauve room della zarina e ho te in braccio, dormivi e zac, il  rumore ti ha svegliato, anzi, ero io che ti avevo stretto di più, per la sorpresa ed il nervoso ed ho camminato  per calmarti” “Eravate buffissimi, tutti e due, dovevi fare dieci anni, lui avrà avuto quattro mesi..Della serie, passa il tempo e non cambiate mai” “ E appena mi fermavo, ti mettevi a piangere, riprendevo a camminare e smettevi, via così per un pezzo.” “Che mi dovevi dare retta, sempre, ora ti fai fotografare senza troppe smorfie” “Scaltro pure se piccolo” ti toccò il naso, poi ti chiese di mollare la stretta. E avevamo appurato che non fosse troppo stanco o sudato, dicevamo, prima ancora di partorire eri una mamma, come io e le mie sorelle, con la differenza che nei limiti lo lasciavi fare. Non che lo amassi di meno, anzi, era ancora di più.”
“Una metafora, glielo avevo raccontato dopo Spala”Un ricordo di puro orrore, avevo lo sguardo velato, rievocando come era, le urla e gli spasimi, che invocava la morte come una liberazione. Intanto faceva a gara di palle di neve con le altre sorelle, Marie e Anastasie erano tornate dai loro reparti, ogni giorno continuavano a portare fiori, un sorriso, scrivere per chi aveva bisogno. E visitavano il cimitero dei caduti costruito per dare l’ultimo riposo a chi era morto, un omaggio, una preghiera. Ed erano ancora ragazzine, che si divertivano con poco.  Che la guerra era in stallo, ma i feriti abbondavano. Tanik era in reparto, era inflessibile, infaticabile, la sua resistenza era ultraterrena, mai nessun cedimento apparente. “Un inverno la zarina Caterina II scorse un bucaneve precoce e lasciò una guardia a vigilare, che era una cosa splendida ma bisognosa di attenzione, che resisteva .. “
“Mi chiedo quale sia il bucaneve e chi la guardia, tra i due. E di Achille, a quel giro me lo ricordo pure io” Una pausa “Non è che gli vuoi bene, qualcosa di più..” io ero il bucaneve e Aleksej la guardia. E viceversa, uno scambio di ruoli, lo amavo fino allo spasimo. Eravamo amici, compagni di armi e segreti.
“Ti adora, disgraziata, citando te” Sbuffò e stava per replicare quando colsi un movimento con la coda dell’occhio “Buttiamoci giù, che attaccano con le palle di neve..” Da davanti, in rapida e simultanea maniera, finimmo sul morbido e candido manto, attaccando a nostra volta.
E lo sentii.
Come avere inghiottito champagne a digiuno, un lieve battito intorno all’ombelico. Come una farfalla, premetti il palmo sul ventre, sorpresa, si incurvava appena e Lui.. c’era. La neve mi piovve sul viso e le spalle, non reagii.
FELIPE..  sussurrai dentro di me, un nuovo sfarfallio.
FELIPE.. è la tua mamma, benvenuto, tesoro mio.  E ora concentriamoci .. E Olga comprese al volo, senza che nulla osservassi, mi leggeva il viso come un libro aperto, quando non mettevo filtri,che leggeva dopo poco, chiariamo,  mi posò il palmo aperto sull’addome, dalle profondità del mio corpo salì un nuovo palpito, che percepì nonostante la pelliccia, gesti di confidenza che avrei concesso a lei e pochi altri “ E qui chi abbiamo? “Un ulteriore fremito, che quando mio figlio decise di muoversi si annunciò, ineludibile, senza fallo.
“Ciao, ci sei, allora Felipe .”Commossa “Potrebbe essere la digestione.. O una bambina, cosa ne sai “ coprendole le mani con le mie “ Io so che sarà un maschio, fidati, lo so” Un piccolo sospiro “E tanto io non ho mai torto.. Sarà Felipe.. Che, perdonami, Felipa in russo è uno strazio” per farmi ridere. “Forse.. e tanto..” le grida di Alessio su non so cosa, la protesta di Anastasia, Marie  che metteva pace ci inibirono dal proseguire“Tanto nulla, vai dai tuoi bambini elettivi..” che si sentiva Olga e Catherine, e Cat in ogni angolo “Dai nostri, semmai” “Alessio e Anastasia te li becchi tu” mi si cacciarono entrambi tra le braccia, ridendo, proprio due bambini. “Vieni qui, zarevic” mi si serrò addosso, annotai che ero stanca e avevo freddo, filammo a prendere il tè, ridendo, la gioia era ancora possibile.
Gli scoccai un raro gesto di affetto, un bacio vicino all’angolo delle labbra, un tenero tributo che richiedeva alle sue sorelle e a sua madre, le spalle accostate per non farmi vedere “ Grazie, CAT”
“Prego”
“Che bello quando sei affettuosa”
 “Mi manchi, Aleksey”confessai “Mi ero abituata a stare con te molto di più”
“Anche tu, sei brava a fare le patatine fritte come nessuno, mi facevi ridere tanto..” un barbaglio azzurro, divertito “Quando me le rifai?”

La gente continuava a benedire chi aveva ucciso Rasputin, vi erano scioperi, manifestazioni in onore della “domenica di sangue” del 1905, la Duma aveva riaperto i lavori. Nulla di risolto, in pratici termini, se il freddo inibiva l’offensiva, andava osservato come gelo, viveri scarsi e prezzi esosi esautorassero le persone, la cui dieta principale era zuppa e pane raffermo. 
“Davvero, Alessio, è troppo pericoloso.. ci sono tanti disordini, insultano i cosacchi a cavallo che pattugliano le strade e lanciano i sassi.. non voglio rischiare di farci male”
“Voglio fare un giro a Piter con te.. Ti prego, voglio uscire, Cat, non ne posso più..La mamma piange sempre, per il suo Amico ..”Strinsi le labbra, dannato Rasputin, se pensavano di annientarla avevano ottenuto solo di moltiplicare le  ansie della zarina e togliere il suo scudo, che in fondo usava il siberiano come paravento per propugnare le sue idee e lui era sempre stato abile nel far coincidere le idee di Alix con le sue, salvo poi morire come era morto. E moltiplicare le sue preoccupazioni per Alessio, il timore che gli venisse una crisi fatale e senza rimedio.
”E mi stanno tutti addosso..”Malinconico, serio come non mai “Ordini di mamma, e papà si arrabbia e ordina il contrario e poi lei di continuare…” scosse la testa, una bella contraddizione in termini “ A momenti mi farebbe stare sulla sedia a rotelle e portare sempre in braccio dai marinai. E non va, mica sto male, vorrei fare una bizza poi vedo come è triste e cerco di stare calmo, e non vedo più i miei amici, sai i cadetti o i figli di Deverenko e.. Mi manca Sasha, è stato bello quando è venuto a Mogilev con la tua mamma, prima che combinasse il guaio”mi abbracciò da dietro, la fronte contro la spalla, la nursery era piena di giochi, luce e calore e lui desolato, un sole spento
“Spero che passi, Alexei”diplomatica, che gli dovevo dire, che erano misure dettate da una isterica ansia, un modo per controllare una sfuggente situazione..
 “Comunque, te lo anticipo, qualche ragazzino verrà a giocare.. Non puoi stare sempre con i grandi.. Me lo ha detto tuo padre”
“Gioco volentieri con te e le mie sorelle, ma anche loro tra lavoro come infermiere negli  ospedali e visite.. Non possono sempre starmi dietro. Per disperazione, mi metto a studiare” lo feci girare verso di me, stupita, basita, di solito lui e lo studio erano agli antipodi.
“Cioè, può essere anche piacevole..” una pausa, era saturo di premure e attenzioni ed era corretto quello che andavamo combinando? Sempre dietro alle sue spalle, un segreto e.. Sapendo che IO, ove si fosse sentito male, lo avrei tenuto in braccio per tutto il tempo, salvo stramazzare, o che non avrei fatto pari a portarlo in bagno, per renderlo indipendente, come era, aveva dodici anni, mica due,  avrei bandito i pannolini che gli appioppavano.
“ E glielo ho detto, che non sono un bambino piccolo, che prenderò i miei provvedimenti, Mamma non ci crede e ..”Rimasi seria “Alexei, se ti porto fuori mi devi dare retta, lo sai”
“Da da..” disse in russo e mi cinse con le braccia. “Oppure portami a vedere l’orfanotrofio, hai avuto delle belle idee”  ne ebbi un’altra “Ora vuoi giocare a carte?” Tentiamo, non possiamo sempre agire di nascosto. “Abbracciami, invece”mi vietai di chiedergli se avesse l’emicrania o qualche dolore e tanto gli avevo promesso che sarebbe uscito. Ne presi coscienza come del suo bisogno cieco e disperato di evadere.

E non era corretto che Alessandra prendesse certe decisioni e suo  marito il contrario, io che  assecondavo, lo zar, mi veniva naturale, pure era equo agire sempre di nascosto.  NO..
E Alessio nel mezzo, che se veniva fuori qualcosa, l’avrebbe riscontata lui. “ Per favore, Cat, io non ho fatto nulla di male “
“Aleksey.. “
“Per favore”
The tears of an angel, I think. “Please, Catherine” “Stop, we’ll see” “Promised?” “Promised. “vedremo, e tanto glielo avevo promesso, rigirandomi senza parere.
E così fu.
Intanto, vennero dati ricevimenti e feste, gli zar cercavano di dare l’impressione che tutto andasse bene. Ed era una mascherata, un naufragio.
Vi furono concerti nei salotti, commedie per i ragazzi.
Ad un banchetto di Stato in onore dell’alta commissione britannica, Alix comparve in un abito color crema con ricami azzurri e argentati, la sua squisita bellezza che ritornava, ma il suo sorriso si era spento. Eravamo presenti pure io ed Andres, io in rosa cipria, lui con la sua uniforme da generale dei dragoni spagnoli, aveva iniziato a rivestirla da un giorno all’altro.In fondo, per quanto membro della Ocharana, rimaneva un militare di alto livello, veniva a patti con il passato, alla fine, per vivere meglio il presente. Mangiammo crema d’orzo, torta in aspic, pollo con insalata di cetrioli e gelato al mandarino, il cibo era squisito, l’ambiente elegante e tanto mancavano allegria e divertimento.
“Che hai inventato sulle braccia?”rilevai, quando ci ritirammo, annottando le fasciature per passare ad un argomento più allegro.
“E dove lo hai scovato un tatuatore? Erano anni che avevo voglia di farmene di nuovi”scrollai le spalle “Per te questo ed altro..fammi vedere. Sono curiosa. ..” togliendo le bende
Una rosa bianca, di squisita perfezione, sull’avambraccio destro, ove lessi “Catherine”, che la sua rosa invernale ero io.


Ed  i disordini continuavano  e mi pareva di essere di nuovo nel 1905, quando vi era stata la domenica di sangue ed una mezza guerra civile. E si parlava di cospirazioni per far abdicare lo zar in favore di Alessio, la situazione stava degenerando.  Alix era odiata da tutti, era considerata la paladina della Germania e ne parlava finanche la gente comune. 
Avevo letto il segreto rapporto redatto dalla Ocharana intorno alla metà di gennaio, sulla situazione del governo “..Nei vari ambienti della società circolano le voci più allarmanti, da un lato sull’intenzione del governo di prendere misure reazionarie e dall’altro, su presunti piani di elementi e gruppi ostili che starebbero organizzando disordini e moti rivoluzionari” 
In uno dei loro ultimi colloqui, Rodzjanko, presidente della Duma, rappresentò lo zar come fosse di dominio pubblico che l’imperatrice emettesse ordini senza che lui lo sapesse, come  i ministri parlassero direttamente con lei, che era odiata in tutto il paese, la ritenevano la paladina della Germania.
Nicola chiese dei fatti, delle prove, che non vi erano, ammise R.,  ma la tendenza generale era quella, che si evinceva dalle linee della sua politica.
“Maestà non costringete il popolo a scegliere tra voi ed il bene del Paese”
“E’ mai possibile che per 22 anni abbia cercato di operare per il meglio e per 22 anni sia stato tutto un errore?”
“Sì, Maestà, per 22 anni avete seguito una strada sbagliata”
Lasciò il palazzo convinto che Alix doveva rinunciare a ogni interferenza, era odiata e vituperata in tutti gli ambienti. Le medesime considerazioni, attuare le riforme, creare un governo affidabile, eliminare l’ingerenza di Alessandra erano state rappresentate dagli ambasciatori alleati, francesi e britannici, senza alcun esito.
 
 “Alessio”
“Cat, mi fa male la testa” accostai la guancia alla sua, era calda, era stato un giorno tranquillo, senza giochi
“Vuoi andare  un poco a letto” prassi di quando aveva qualcosa, rispose con una smorfia “No? E magari sì, è pomeriggio.. ti metto io, come a Mogilev”
“Ho caldo e ho freddo..” mani e piedi  finirono sotto le mie ascelle e tra  i miei polpacci, me lo serrai addosso, ricordando che pochi giorni avanti un piccolo cadetto aveva giocato con lui ed Olga nella neve, gli avevano diagnosticato il morbillo.. No, non poteva essere Quando lo avevo preso, quelli erano i sintomi. Lo convinsi a mettersi a  letto, alla fine,rimettendo in ordine i suoi vestiti, al bando le cameriere e i marinai, chiamai poi per il medico, mi aveva cacciato il viso contro il petto “Mi fa male la luce, troppa, Mamma “
“La chiamo..”
“ Chi chiami..Mamma è qui”sintetico
“Chi è Mamma?” allibita , che delirava?
“Tu ..” come se fosse una cosa ben ovvia, scontata io come Olga e Tata, le sue mamme elettive. Da sempre.. Per strazio della zarina sua madre. E non era il delirio, ne era convinto. E non mi aveva mai chiamato mamma prima di allora“Bene Alessio” una pausa “Cerca di riposarti, ti racconto una cosa..quando eri piccolo mi hai chiamato Catherine o Cat dopo tanto. “

… “Ora basta.. Gioco io” “No” e lo serravo. “Chi sono io? “ “..oh..” Per boh. “Sono Catherine.. dillo” E lo sillabavo e taceva, il furbone e lo cedevo ad altre braccia, quando dovevo ritirarmi..E si metteva a piangere, quando scomparivo, andando avanti per un pezzo se non tornavo, mi si buttava addosso e giocava, da capo e di nuovo con me, mi tirava i capelli, mi sorrideva, faceva buffe smorfie.“ E dì Cat, va bene uguale” Una pausa e un sospiro “ Come tua sorella Olga” Ancora “Zarevic, che volete..” e mi strattonava le ciocche, serrandosi “ Basta.. “Lui zitto, viziato e  bizzoso.
“Basta ..” “No. Decide Bimbo”“ Chi è bimbo?”“Baby..” Alix lo appellava bimbo, Baby, un tenero vezzeggiativo che principiò allora, come Little One. “La bambola?” e tante altre eventuali, e lui corruscava il visetto, lo stringevo e mi si rannicchiava addosso, fingendo di essere offeso “ Lo zarevic è bellissimo .. ma chissà chi è Bimbo, boh..” Un sorriso “ A Bimbo voglio bene, solo a lui” mi arrivò un calcio, io tirai un colpo sul suo sederino fasciato dal pannolone.
“Aleksej, tesoro..bravissimo..” Me lo caricai in grembo, rapida, come tanti anni dopo .. Avevo aperto le mani ed aveva camminato barcollando tra le mie braccia, mi ero sollevata, con lui in trionfo, dritto come un fuso“ Altro che Bimbo.. “ “Bimbo bravo” lui a me.
“ Va bene..Bravi tutti e due, ma Bimbo sa chi sono, voi no..”
“NOOO..  Tu .. Cat..” “CHI? Chi sono “ commossa, in estasi.
“TU.. CAT:.” Prese fiato, una smorfia, concentrato “Catherine ..”  E lo avrebbe detto molto prima, tranne che non voleva darmi soddisfazione.

Tornai al presente, si era appisolato, accostai le tende e andai a chiamare chi di competenza. non era possibile che fosse come sopra
Tatiana scrisse a suo padre, lo zar, nei primi giorni di marzo, marzo 1917 “..ora siamo veramente tristi, abbiamo pianto quando sei andato  via. Stiamo molto tempo di sopra, Olga è a letto, come Alessio, facciamo i turni per visitarli.. Alessio sta  spesso con Catherine, lo fa ridere e lo tiene tranquillo, gli racconta di un magico cavallino, di paesi lontani, della Spagna, di una radura di melagrani su i cui tronchi ha inciso le varie nostre iniziali, quando era in là.. So che quando la guerra finirà andrà a vivere per sempre in Spagna, e mi spiace, anche se il suo posto è là, è la principessa Fuentes  

Dalle annotazioni di Alexander Rostov Raulov in Crimea”.. a marzo sono cominciati i disordini, la gente aveva fame, i prezzi delle cibarie dall’inizio del conflitto erano aumentati del 400 per cento..l’8 marzo, donne affamate si sono unite a gruppi di scioperanti e socialisti, gridavano “Abbasso l’autocrazia” e cantavano la Marsigliese. Le violenze sono cominciate il 9 marzo, hanno saccheggiato i negozi per prendere il poco cibo rimasto..(..) Tafferugli, pattuglie male in arnese ..(..) scoppiò l’anarchia, il governo era paralizzato, sparatorie.. i soldati che sparavano gli uni contro gli altri e si unirono ai rivoltosi.. Effetto domino.(.) il governo si dimise e ne venne formato uno provvisorio, il cui leader era Kerenskij..Lo zar era alla Stavka (.) Saccheggi e vandalismi, sui palazzi sventolavano le bandiere rosse..La guardia imperiale disertò (…) L’abdicazione di Nicola II, per sé e suo figlio, a favore di suo fratello Michele, che rinunciò a sua volta al trono, fecero terminare 304 anni di storia..” 

Da una nota di Andres Fuentes “.. ero con lo zar, via via che giungevano le informazioni, tutti lo scongiuravano di abdicare in favore di Aleksej, sotto la reggenza del granduca Michele,  per evitare un bagno di sangue, che era scoppiata una rivoluzione, che l’odio per l’imperatrice aveva toccato il parossismo estremo.  Quasi tutti i suoi generali gli chiedevano di abdicare, perfino suo cugino Nicola Nicolevic aveva pregato in ginocchio per quello. Rostov-Raulov fu il solo a dichiararsi contrario, come me. “Non fatelo, per favore” sottovoce, mi scrutò a lungo, il viso non tradiva alcuna emozione “Pensateci ancora”  passando a guardare il paesaggio innevato fuori dai finestrini, per un pezzo “Lascerò il trono a mio figlio” si fece il segno della croce, imitato da tutti e appose la firma  sull’atto predisposto, vergando 15 marzo 1917, ore 15.00.  Fumò continuando a scrutare fuori, in silenzio, poi chiese di parlare con il dottor Federov.”Ditemelo in tutta franchezza, la malattia di mio figlio è incurabile?”  “La scienza ci insegna, sire, che non vi sono cure e tuttavia alcuni malati, qualche volta, giungono ad un’età avanzata. Tuttavia, Aleksey Nicolevic è alla mercé di qualsiasi accidente..” Difficilmente avrebbe cavalcato, sempre doveva fare attenzione a non stancarsi troppo, a non compiere movimenti azzardati.. E sicuramente, il governo provvisorio, già ostile agli imperatori, ben difficilmente gli avrebbe concesso di tenere con sé il ragazzo, in caso di esilio li avrebbero separati.  Lo zar scosse la testa, mormorò tristemente che lo sapeva, che Aleksey non avrebbe potuto servire la Russia come voleva per lui, aveva quindi il diritto di tenerlo con sé e i suoi. E tanto non era giusto, Catherine. Verso le nove giunsero due inviati della Duma e del Governo provvisorio, iniziarono con i loro sproloqui e vennero interrotti da un cortese cenno della mano “Il discorso non serve, ho deciso di rinunciare al trono, fino alle tre di oggi pensavo a favore di mio figlio, ora ho mutato opinione in favore di mio fratello, confido che comprenderete i sentimenti di un padre. Firmò un nuovo atto di abdicazione, secondo i propri desideri, mantenendo invariata la data e l’ora. Come noto, Michele non accettò e finì così” 

“Alessandro e Bucefalo, aveva il mantello scuro e una piccola macchia candida sulla fronte e accompagnò il suo reale padrone nelle battaglie, alla conquista del mondo. Riportate ferite mortali, nella battaglia di Idaspe, non permise al suo padrone di montare un altro cavallo e, facendo appello alle ultime sue forze, lo portò alla vittoria. E in tramonto di ruggine e sangue, o almeno così immagino, sul far della  sera, coperto di sudore e di sangue, Bucefalo si stese al suolo e morì per le lesioni ricevute, all’età di vent’anni…” cercavo di non pensare al caos che regnava nella capitale, ad Andres che era a Mogilev con lo zar, raccontavo, il suono della mia voce un quieto mormorio. Presi una mano di Alessio, l’accostai al viso, baciandone il palmo, dormiva per la maggior parte del tempo, aveva il morbillo, come Olga e Tata, a febbraio dei cadetti avevano giocato con lui e Olga nella neve e avevano poi riferito che uno aveva il morbillo, quindi ecco il contagio.  Un sonno irrequieto, che non lo ristorava, aveva 40 di febbre.
“Morbillo in forma grave.. con la temperatura molto alta..” nel 1907 me lo ero buscato, pure io, stando così male che mi avevano somministrato l’estrema unzione, un miracolo che fossi scampata,l’anno avanti avevo fatto una portentosa caduta da cavallo, battendo una testata e per poco non ero finita all’altro mondo “Principessa, dovreste riposarvi”
“Non ti preoccupare per me, Alessio, l’ho già avuto.. “ a rate, riemergeva dal torpore, era fradicio di sudore “Sì, ma sei incinta.. se succede qualcosa al bambino” si preoccupava per Lui e Me, gli altri, mai per sé.
“Non gli succederà nulla.. Io l’ho avuto, qui dentro non gli succede nulla“gli tamponai il viso, prese un poca d’acqua, che situazione, che disastro “Qual è l’animale più testardo, lo sai?” mi chiese.
“Il mulo, credo, quelli iberici sono i più testoni” fece un sorrisetto “Vatti a riposare, fallo per me”
“Va bene..tra un poco” lo accontentai dopo mezz’ora, rimasi con lui, che spesso chiamava Cat, Catherine, stordito e se mi percepiva vicino si calmava, gli raccontavo mille scemenze per distrazione e preferivo essere là con lui, che sola a rimuginare, più per me che per lui, che aveva la febbre. Balle, mi voleva bene e io volevo bene a lui, eravamo legati a doppio e triplo filo, fragili da soli, invincibili insieme.
Anche la Vyribova si era ammalata di morbillo, l’imperatrice faceva la spola tra lei e i ragazzi, io giravo al largo, che malata o meno, aveva sempre il potere di darmi sui nervi, sacrosanto. Planai nella stanza dove avevo dormito tante volte da bambina, da ragazza quando mi recavo al Palazzo di Alessandro, atterrando sul divano con un tonfo sgraziato. Ero stanca, ingrossata, di malumore, altro che la sua rosa invernale, come mi appellava Andres, soprattutto preoccupata per i disordini, avrei pagato per avere mio zio e la sua ironica saggezza.. Ed era in Crimea, con mamma e Sasha, finalmente si sentiva meglio. La capitale era in pieno fermento per i disordini, tuttavia avessero assaltato palazzo Raulov avrebbero ricavato ben poco, i quadri erano riproduzioni, i mobili imitazioni,  l’argenteria era scarna, i gioielli erano con lei a Livadia, vi era poco da prendere, la stessa cantina era sfornita, il principe Raulov aveva una sua curiosa e contorta ironia .. Casa mia a Carskoe Selo era ancora più sobria, quindi avrebbero rastrellato molto poco.. Assente Andres, con i ragazzi malati, preferivo stare al Palazzo di Alessandro..
I miei prediletti, che le sorelle di misericordia Romanov non compivano solo I loro doveri di infermiere, ma erano anche una buona compagnia per I soldati feriti, leggevano loro, gli aiutavano a scrivere lettere a casa, giocavano a carte con loro, li portavano fuori per un poca di aria, o, in semplicità, si sedevano vicino a loro e parlavano. Anche io mi sedevo, raccontavo a caso o leggevo..
Un periodo surreale e devastante.

Il suono inconfondibile degli spari  ruppe il silenzio della sera

“Maestà che succede?” Alessandra si fece il segno della croce, portava la divisa da infermiera sopra il vestito nero, il velo sui capelli raccolti, era tragica e fiera, una martire in fieri “ Dicono che una folla di 300.00O stia marciando sul palazzo.. Non abbiamo paura, non dobbiamo avere paura, è tutto nelle mani di Dio. Domani arriverà l’imperatore, andrà tutto bene..”
“Il conte B. comunque ha fatto bene a richiamare dei reggimenti..” lo aveva fatto il giorno avanti, saggia misura precauzionale, vari battaglioni per 1.500 uomini, che si erano appostati nel cortile  tra il corpo principale del palazzo  ed il colonnato corinzio, altri  dinanzi all’ingresso principale e poco lontano, accendendo fuochi per scaldarsi e sistemando un enorme cannone.
“Papà sarà sbalordito”
“Giusto Anastasia, giusto..”
Scopo dei soldati ammutinati era portare la zarina e Alessio alla fortezza dei santi Pietro e Paolo, ma, giunti al villaggio  di Carskoe Selo fecero irruzione in un negozio dove si approviggionarono di vino e vodka, a quel punto si ubriacarono a puntino.
Venne uccisa una sentinella a meno di 500 metri dal palazzo, dalle nove di sera in avanti risuonarono colpi di fucili.
“Sono manovre speciali” spiegò ai ragazzi, Alessandra, per tranquillizzarli, io mi mordevo la lingua, cercando di stare calma, mi era stato detto di tacere, per non agitare, finché fosse stato possibile
Rimanemmo nel salotto verde, io e  Anastasia, vai a sapere chi reggeva chi, i colpi risuonavano nel freddo, lei mi serrava per la vita, io le cingevo le spalle “Ho paura”un piccolo sussurro.
“Andrà bene.. guarda tua mamma, sta parlando con i soldati” Un nero mantello di pelliccia gettato sopra la divisa da infermiera, la accompagnavano Marie e la contessa B. 
Era buio, le truppe erano in allineate in ordine di combattimento, la prima fila in ginocchio nella neve, gli altri in piedi dietro di loro, i fucili pronti, Alix passava di soldato in soldato, sussurrando che avevano tutta la sua fiducia, che la vita dello zarevic era nelle loro mani, quelli erano amici, loro devoti.
“Paura la ho anch’io, comunque” ci sedemmo, cercando la calma, mi imposi di respirare piano, rievocare momenti migliori, la mente tornò alla rocca di Ahumada, le pietre color miele in un tramonto, baluardo mai preso, che aveva resistito ai secoli e agli assedi, la casa dei Fuentes. Casa mia.
“Quanta?” lei che era vivace e mercuriale come una lepre marzolina, era quieta, tesa. “Parecchia” era inutile che facessi l’eroina, non dovevo dimostrare nulla a nessuno “Cerca di pensare a qualcosa di bello, per rilassarti”  mi venne in mente Andres, nuova, vero, l’ultima volta che avevamo fatto l’amore, l’8 marzo mattina, il gusto di sale della sua pelle, appena più forte di quello di una mandorla, un tenero saluto, avevo dormito stretta a lui, come sempre, in quell’alba che doveva partire per Mogilev con lo zar era stato lento, dolce, sospirai involontariamente “A cosa stai pensando..?”
“A un posto in Spagna, una radura sulle montagne, ci crescono i melograni, buffo che reggano in quel clima, vicino ad Ahumada, sai .. sui Pirenei, il castello dove è nato Andres, casa nostra” spalancò gli occhi “Ci sono stata .. anni fa ed è bello, Anastasia..  “
“Descrivimelo” chiuse gli occhi, cercò di rilassarsi, eravamo sui Pirenei, le mani allacciate. Rividi me stessa che osservavo delle iniziali, una A, una I, Andres ed Isabel, una M e una R, Marianna e Raul, scavate, io che a mia volta incidevo i tronchi, leggera, tracciando una C, per me, Catherine, e OTMAA, per Olga, Tatiana, Marie, Anastasia e Alessio, assenti erano sempre con me, pure in Spagna.  Una lettera per ogni tronco. Lo splendore estivo che rivestiva di una dorata patina il mondo, avevo 14 anni, una stagione di scoperte e curiosità, di vedermi finalmente bella, una ragazza scura di occhi e capelli, perle ai lobi, che fissandosi in uno specchio si era vista finalmente in quel modo “Dico casa.. che era bello, essere lì. Le persone sono di poche parole, ma ti offrono un bicchiere di vino, del prosciutto.. Ballando magari su una festa improvvisata, e..”
“Casa è con chi stai bene..”
Passammo la nottata sul divano, senza svestirci, Alix si stese, gli spari durarono fino alle cinque, poi gli ammutinati tolsero il disturbo.
Li aspettavamo per  le sei di mattina, lo zar con Andres e compagnia, non venne nessuno.
“Sarà stato trattenuto per la neve, il treno” cercando di offrire una scusa logica.
“Il treno non è mai in ritardo.. mai”disse Anastasia, uno sbadiglio le frantumò il viso, lo ricacciò contro il mio gomito, le presi una mano, mio figlio era sempre pimpante, a tutte le ore, o pareva, con le sue mossette ed  i calci.. Quindi accostai il suo palmo al ventre, lei ci appiccicò la guancia, le sue braccia sui miei fianchi, sussurrando qualcosa che non sentimmo “Cat, io ho sonno, ti stendi da me? Per me e Marie è una gioia sentirlo, non devi stare sempre con Olga, Tata e Alessio” bofonchiai un sussurro, cerca di dormire, naufragando nel senso di colpa. “Fai i turni”
Alessandra iniziò a mandare telegrammi, quella mattina e nei giorni successivi, tentando di contattare il marito, ritornarono tutti indietro con la scritta  in alto, in matita blu”Indirizzo della persona indicata sconosciuto” 
Le truppe a difesa del Palazzo di Alessandro iniziarono a disertare, la situazione peggiorava di ora in ora, staccarono le conduttore idriche, solamente rompendo il ghiaccio del lago avevamo l’acqua fresca, tagliarono le linee elettriche .
“Tu hai la febbre, Anastasia..”
“Sto bene..”
Le toccai la guancia, scottava, una tragica replica della scena con Alessio, le ingiunsi di mettersi a letto, Marie annotò di sentirsi strana e non fiatò oltre, per non preoccupare sua madre, poi le venne il raffreddore, il morbillo e la polmonite doppia. “Non mi posso ammalare, devo aspettare che torni Papa, Mamma ha bisogno di me..”  “Tesoro, sei stata bravissima..”
“NO”
“Sì..” io stavo bene, loro no, ero incinta, non malata, tralasciando il mal di schiena, che la notte andavo in bagno tre o quattro volte, che l’aroma di fritto o profumi troppo intensi mi davano la nausea.

Ho completamente rimosso dalla memoria la notizia dell’abdicazione, i frammenti sono vaghi, ancora oggi è uno strazio ripensarci, dimentico per salvarmi dalla disperazione, sempre.
Ma non scordo la guancia di Alessio contro il petto, che sussurrava “Cat, tienimi al sicuro”, e non ci riuscivo, in quella battaglia non potevo aiutarlo, se non in misero modo. Stavo con lui, tanto, gli raccontavo le favole, ricordi, di Castore e del cavaliere, le storie della reconquista di un regno, e lo tenevo tra le braccia quando si agitava, lo cambiavo quando era fradicio, a costo di prendermi un rabbuffo, ero incinta, giusto avere contratto il morbo anni prima mi salvava dal contagio. E dovevo pensare a mio figlio, tranne che Alessio si faceva toccare da me e pochi altri senza agitarsi, si era abituato in quel modo, e non lo avrei mutato, ormai le vecchie abitudini non morivano mai. Già, stupida eroina, mi definiva Olga, con ogni ragione e diritto, mulo iberico io, senza recedere di una iota
“Cat”
“Sono qui, Alessio, amore”
“Mi fa male la testa”
“ Chiudi gli occhi, cerca di dormire”


Dei servi che si erano recati a Piter tornarono con dei manifesti che recavano l’annuncio dell’abdicazione, lo stesso annuncio venne recato il venerdì pomeriggio dal granduca Paolo, zio di Nicola II, a quel punto Alessandra barcollò e lasciò la stanza, arrivando in una vicina, vi eravamo io e Marie, vacillava così tanto che la sostenemmo fino alla scrivania. “Abdiquè..”
“Quanto deve avere sofferto, da solo, io non l’ho aiutato..”
Pianse, come pianse in seguito annunciandolo ai membri del seguito, tuttavia sostenne che era la volontà divina per salvare la Russia.

Alix si impose di andare nella stanza dei giovani malati, seguire la solita ruotine per non agitarli, solo Marie sapeva, essendo presente, e aveva pianto a sua volta, cercando di non esagerare, per non rendere sua madre ancora più ansiosa.

Era la fine di una vita, di un mondo.

Mi escoriai le nocche sbattendole al muro quando ero da sola, impotente e frustrata, una vertigine senza appello.
Uno strazio surreale e senza ritorno, come Andres quando era impotente, il suo mondo che era crollato, quando aveva perso Isabel e Xavier.
Ero in frantumi.
No.
No, come quando avevo capito che Alessio aveva l’emofilia, il mio urlo si era perso tra le montagne, mi sentivo persa, senza appello, rimedio, tranne che poi lo amavo a prescindere, o tentavo, fifona mi definiva Alessio quando aveva cinque anni, io 14..  a 22 anni restavo una vigliacca, mi curavo solo di lui.

Da una nota di Andres Fuentes “.. ero con lo zar, via via che giungevano le informazioni, tutti lo scongiuravano di abdicare in favore di Aleksej, sotto la reggenza del granduca Michele,  per evitare un bagno di sangue, che era scoppiata una rivoluzione, che l’odio per l’imperatrice aveva toccato il parossismo estremo.  Quasi tutti i suoi generali gli chiedevano di abdicare, era la mattina del 15 marzo 1917..perfino suo cugino Nicola Nicolevic aveva pregato in ginocchio per quello. Rostov-Raulov fu il solo a dichiararsi contrario, come me. “Non fatelo, per favore” sottovoce, mi scrutò a lungo, il viso non tradiva alcuna emozione “Pensateci ancora”  passando a guardare il paesaggio innevato fuori dai finestrini, per un pezzo “Lascerò il trono a mio figlio” si fece il segno della croce, imitato da tutti e appose la firma  sull’atto predisposto, vergando 15 marzo 1917, ore 15.00.  Fumò continuando a scrutare fuori, in silenzio, poi chiese di parlare con il dottor Federov.”Ditemelo in tutta franchezza, la malattia di mio figlio è incurabile?”  “La scienza ci insegna, sire, che non vi sono cure e tuttavia alcuni malati, qualche volta, giungono ad un’età avanzata. Tuttavia, Aleksey Nicolevic è alla mercè di qualsiasi accidente..” Difficilmente avrebbe cavalcato, di sicuro, come sempre, doveva evitare di stancarsi troppo, a livello fisico, per non compromettere le articolazioni. E sicuramente, il governo provvisorio, già ostile agli imperatori, ben difficilmente gli avrebbe concesso di tenere con sé il ragazzo, in caso di esilio li avrebbero separati.  Lo zar scosse la testa, mormorò tristemente che lo sapeva, che Aleksey non avrebbe potuto servire la Russia come voleva per lui, aveva quindi il diritto di tenerlo con sé e i suoi. E tanto non era giusto, Catherine. Verso le nove giunsero due inviati della Duma e del Governo provvisorio, iniziarono con i loro sproloqui e vennero interrotti da un cortese cenno della mano “Il discorso non serve, ho deciso di rinunciare al trono, fino alle tre di oggi pensavo a favore di mio figlio, ora ho mutato opinione in favore di mio fratello, confido che comprenderete i sentimenti di un padre. Firmò un nuovo atto di abdicazione, secondo i propri desideri, mantenendo invariata la data e l’ora. I due inviati controfirmarono come testimoni e venne steso uno strato di vernice sulla firma. Come noto, Michele non accettò e finì così” 

Lo zar mi raccontò che prima di tornare al Palazzo di Alessandro, a Mogilev, il quartiere generale ove aveva abdicato nel marzo 1917, ebbe la visita di sua madre, l’imperatrice vedova accompagnata dalla principessa Ella ..imitabile, la sua Ella.. mia madre.

Madre e figlio rimasero a colloquio due ore, poi la zarina madre li lasciò soli per una mezz’ora.. evento che non venne mai diffuso. 
Fu la loro ultima volta, anche se ancora non lo sapevano, lo zar sperava in un esilio in Inghilterra”Non è finita, Ella, adesso vai, che si sta facendo tardi-“Le dita di lei contro la maniglia, si girò di scatto.
Ti ho sempre amato, Nicholas “ Per la prima e unica volta a voce..
“Ti ho sempre amato anch’io, Ella, per quanto ho potuto, per come ho potuto..”
“Forse il solo possibile, per noi..” una pausa “ Abbi cura di te e Sasha.. Catherine ti deve raggiungere prima che la gravidanza sia troppo avanti”
“Come se non la conoscessi.. Verrà ma non adesso, più avanti” 

Trascorsero tre giorni, giunse il 21 marzo.  
Giorni di stallo, di miseria, di amore, mi alternavo al capezzale dei malati, leggevo, giocavo con i soldatini con Alessio, a carte con Olga e Tata, raccontavo scemenze ad Anastasia e.. mi preoccupavo, mon Dieu. E giravo al largo, nei limiti del possibile, dalla zarina.. Marie un punto di contatto, fingeva di ritenere i miei silenzi, a prescindere dalla forma e dagli inchini, con sua madre una magagna della mia gravidanza.. In generale, che nello specifico avevamo già discusso, quando mi convocò avevo le meni gelate, pena e terrore, per entrambe.

Alle dieci di mattina raggiunsi Alix nel suo salotto malva. “Siediti per favore e ascolta.. Lo Zar tornerà domani”
Andai su una poltroncina rosa chiaro, scrutando il suo viso pallido e tirato” Il Governo Provvisorio ha mandato il Generale Kornilov per informarci, quale onore, che sia io che lo Zar siamo sotto arresto e tutte le persone che .. non vogliono rimanere devono lasciare il palazzo di Alessandro entro le quattro, per non essere confinate” Mi poggiò una mano sulla spalla, con affetto, la strinsi per un momento
  “ Tra poco Gilliard dirà ad Alexei ..tutto.. Io alle ragazze. Tu..” Marie sapeva, dalla prima all’ultima notizia “Io resto con voi”
“Domani torna tuo marito e decide lui..”Mi rimbeccò, con tenerezza, esasperata e divertita. “Sei testarda come ..”Non trovava definizioni, sorrise per un breve momento“La gravidanza ti ha reso ancora più ostinata” Fissammo entrambe il mio ventre sporgente, mentre mio figlio si muoveva dentro di me. Non portavo il busto, quando mi spostavo da una stanza all’altra usavo una scialle, la sorella di Alix, Irene di Prussia, aveva aperto la strada “Posso ritirarmi..?Mi vorrei stendere un paio d’ore”ero stanca, mi doleva ogni  osso e muscolo “Cat, ho avuto cinque figli, lo so come ti senti..anche tre o quattro, senza offesa, nessuno ti disturberà. Sei stanca e affaticata, lo so, vieni verso le due, anzi  le tre”Forse, e tanto dovevo fare un’azione preventiva.  Speriamo. Al dolore delle granduchesse e di Alessio per l’abdicazione avrei pensato dopo, erano malati e la notizia li avrebbe fatti sentire peggio. “Ve lo prometto” 

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Capitolo 29
*** Prisoners The Dark Side ***


Gilliard disse ad Alessio che lo zar sarebbe ritornato il giorno successivo dal Quartiere Generale e non vi avrebbe più fatto ritorno.
“Perché?” Teso, allibito.
“Vostro padre non è il Comandante  in Capo.” Il fiume, la casa del governatore, scherzi e risate, una sera di pioggia, le truppe e il sorriso di Cat.. Castore e sparare. Perché? Che era successo?Perché Papa non è più il comandante ..Ancora, ti voglio bene Alessio, ricordatelo anche quando sarai arrabbiato con me, che riesco anche a farti divertire.. Sei come a casa, Alessio, stiamo insieme, ci divertiamo. Studi ma ti diverti..  Erano stati in giro, per la capitale e le campagne, i boschi e avevano spartito cene e chiacchiere e risate, non ti lascerò mai volontariamente senza un saluto od un bacio, lo sai.. No. NO. Mi ha lasciato.. NO.
Dopo un momento o due il precettore aggiunse” Sapete, vostro padre non vuole essere più zar, Aleksey Nicolaievich.” Lo scrutò spiazzato, cercando di decodificare gli eventi. “COSA! Perché?” che succede?
“E’  molto stanco e ultimamente ha avuto tanti problemi”
“Sì, Mamma mi ha detto che hanno fermato il suo treno mentre voleva tornare qui. Ma non potrebbe tornare a essere Zar?” fissando l’uomo, poi le icone che tappezzavano la sua parete, illuminate da tante candele, gli spiegava che suo padre aveva abdicato a favore del granduca Michele, che  a sua volta aveva rinunciato al trono. “E chi sarà Zar, allora?” Gilliard disse che non lo sapeva, sul momento nessuno, Alessio non compì alcuna allusione ai suoi diritti di erede, era diventato rosso e si stava agitando, dopo un breve silenzio chiese, mancando l’imperatore, chi avrebbe governato la Russia.
“Hanno formato un governo provvisorio, che governerà il Paese ..ci sarà una Assemblea Costituente e forse vostro zio Michele riprenderà il trono..” Aleksej fece un piccolo cenno con la testa, poi domandò se poteva chiamare sua madre, per favore, o la principessa Fuentes.
“Mama, non andrò più al Quartiere con Papa?”chiese il ragazzino
“No, mio caro, mai più”la replica, abbracciandolo.
“Potrò vedere i miei reggimenti o i miei soldati?”Ansioso, Alix scosse la testa, mentre gli occhi, azzurri, immensi,  gli si riempivano di lacrime “Oddio.. e lo yacht, e tutti i miei amici, non salperemo mai più?”Continuava a indagare, mentre a sua madre si spezzava il cuore, rispose di no, che lo “Standard” non era più loro.
“Mamma.. cosa è tutto questo rumore?”Porte sbattute, passi concitati
“ Tutte le persone che .. non vogliono rimanere devono lasciare il palazzo di Alessandro entro le quattro, per non essere confinate, fanno i  bagagli e ..” gli mise le mani sulle orecchie, premendolo contro il petto “Non ci badare, Aleksej..” “Voglio Catherine” come fossi stata una zattera in quel naufragio“Dopo, alle tre, si sta riposando.. davvero, Alessio, rischia di sentirsi male “  “La voglio” “Dopo, alle tre” “Ti prego, Mamma, per favore, lei dice sempre che devo chiedere con educazione..Scusami se lo dico ora” Alessandra si trattenne a stento dal piangere, adorava suo figlio, in fondo amava pure me, la bastarda di suo marito, concepita per caso e prosperata per un accidente. “Non mi lasciato, vero?” “NO, Alessio..figuriamoci” una pausa, benedisse di non avermi fatto sgombrare Lei prima “Ma devi avere pazienza..” “Per il bambino” “Sì..” e tanto dopo meno di dieci minuti richiedeva di me, e poi a intervalli, il nostro affetto reciproco superava ogni peso, misura e riguardo.
Ero indolenzita in ogni osso e muscolo, era l’una passata, scrutai l’orologio al polso, imponendomi di muovermi, senza fallo. Era freddo, avevo fame e i piedi mi si erano congelati, il ventre mi pesava come uno scudo, Felipe barra Felipa si agitava a tutto spiano, era sempre in ottima forma per far girare le scatole a sua madre, in ogni caso, e i suoi fratelli,anni dopo, non sarebbero stati da meno. Bambino mio, smettila di fare le capriole..hai ragione, sono ore che non mangio..spero di sbagliarmi, ora entriamo in cucina e .. feci una giravolta, sorridendo. Le cucine imperiali sono immense come una serra, pieni di aromi e rumori, io ci mi raccapezzo e pure .. Non di solo pane vive l’uomo, Felipe, quindi piantala, saremo in tempo a nutrirci.
“Posso? Sono Catherine” Trassi un profondo sospiro. Nessuna risposta, ritentai.
“Entrez..” comparve il vassoio, ecco il mio pancino, infine io. Olga e Tanik mi fissarono allibite. “Imbecille.. ora porti i pesi” l’affettuoso benvenuto di Olga, provò ad alzarsi e tanto era ancora debole, riuscì appena a sollevarsi sul cuscino, la mia mano tra le scapole le evitò un malcapitato atterraggio.
“Avete mangiato..?” Olga scosse la testa “Panini?”
“Una delle poche cose che so fare senza bruciare mezza roba..”scandendo piano le parole, che Tata aveva degli ascessi nelle orecchie per il morbillo e non sentiva, osservava le labbra e occorreva scrivere su un quaderno, per non escluderla.  Mi sorrise quindi fece danzare una mano nell’aria, annuii. Vi fu una serie di calcetti e piroette, mi sedetti sul bordo, stringendole il palmo, contro il ventre, se andava tutto bene il bambino sarebbe arrivato in giugno, intorno al suo compleanno.
Olga mi prese la mano libera, polso su polso, battito su battito e cuore su cuore. “Non riesco a crederci”
“Nemmeno io..” e tanto ogni sillaba sarebbe stata vana, io ero sconvolta, figuriamoci loro, tutta l’esistenza che era ruotata nell’essere figlie dello zar, consce del loro rango e umili e leali.. Ora.. chi sarebbero state..Le tue sorelle, sempre, Cat, ma loro non lo sanno, tu sì, ti sei inventata una galassia di vite, loro no, porta amore e pazienza, sei la loro sorella elettiva
“Andrà tutto per il meglio”Tanik, che parlava a fatica. “Intanto siamo insieme e..”Una lacrima le solcò il viso affilato, ci stringemmo, tutte e tre, cercando un reciproco conforto come tanti anni prima, a Spala. Amore, gli vuoi bene, non lasciarti andare..sii forte per loro, per te e Alessio, tuo figlio e Andres“Alle quattro chiudono i cancelli..Vai, Cat, sei sempre in tempo”
“NO. Quello che dovevo fare l’ho fatto” indicai il vaso, baciai Tata sulla guancia, affettuosa come non mi ero mai concessa di essere, se non con Alessio. “Rose dalla serra, per voi e le altre ragazze e vostra madre, bianche e rosa, quelle blu sono invenzione Fuentes, per me” “..una scemenza che ha inventato Andres..”Scrissi sulla pagina, vietandomi di piangere “ha immerso tre rose bianche nell’inchiostro blu e me le ha regalate .. lui afferma di non essere romantico, invece è vero il contrario” Rievocai il suo sorriso, le sue iridi d’erba, il suo corpo premuto contro il mio,la sua risata,  estasi e tormento, come fossimo riusciti a spaccare un letto per la foga. Non doveva accadergli nulla, non poteva lasciarmi sola. Un tremito mi scosse le spalle.
“Grazie, mangiamo, dai. Scusa se ti ho insultato, volevi essere carina..”
“Segno che stai fisicamente meglio, se sei bisbetica, Olga” mi tirò il cuscino addosso, o tentò. Sorridi, sempre a testa alta, sussurrai tra me le parole di mia madre Ella, mi appellai al coraggio che aveva sempre avuto, in tutta la vita. “ Vai da Aleksej, poi” mi sussurrò “Noi siamo una squadra..” le baciai la fronte “Volo.. A dopo, Tanik” Mi chinai e mi sfiorò la guancia. “Sempre e comunque..”
Mi incrociai con Gilliard in corridoio “Glielo avete detto..?” Un cenno alla porta.
“Sì. Aleksey Nicolaievich chiede di voi da stamattina, principessa Fuentes. La zarina ha fatto la spola tra le figlie e lui.. “ ho avuto cinque figli, so come ti senti, stanca e affaticata, vieni verso le due, le tre.. Mi imposi di non piangere. E le avevo dato retta, erano le tre meno venti. “Aspetto che esca ..” Rispettala come ha rispettato te. “ E’ molto agitato, per tutto” una piccola pausa, un frammento “Pensa che siate andata via, senza un saluto, che non vi rivedrà più, che lo abbiate lasciato” Mi trattenni per pura volontà “ E sbaglia, secondo voi lo lascerei, volontariamente, senza un bacio o un arrivederci?” “NO” Tranne che per quello era ancora un bambino. E noi gli adulti, povero Alessio, avevo voglia di scardinare la porta, che rabbia.
“Dimmi la verità, Mamma, è andata via e non la rivedrò mai più, come il Quartier Generale, i miei amici e i ..soldati. Ho perso tutto ”quieto, rassegnato. “Ho perso anche lei. Mi ha lasciato.”Alessandra non rispose, di certo mi stava maledicendo, le pareva incredibile, di nuovo e ancora, che mi fosse così affezionato. “Mando a chiamarla, Alessio, le ho detto io di aspettare, è stanca..”I Fuentes sono persone leali, la loro parola d’onore una volta data non viene meno.. sono le tre, o quasi, dove sei, Catherine? Si girò verso la parete, Alix gli carezzò una spalla pregando che ci fossi, sistemando le coperte. Che dirti, se non ci sarà.. e so che non ti lascerà, ti vuole bene, o almeno credo, quella  testarda. “Poteva salutarmi, lo ha sempre fatto” ferito “Almeno questo” Alessandra deglutì “Figurati se manca, e .. ora basta. Aspetta un bambino Sunshine, deve stare tranquilla, calmati” “Non è per dire.. per farmi stare tranquillo?” Alix sbuffò, fingendo di non sentire, lo rassicurò, per come poteva e il mondo crollava addosso, polvere e rovine, quanto era passato da quando le avevo detto che, in caso di incendio, malati e bambini sono i primi a essere portati via? E lei no, che non voleva spostare i figli malati, aspettava comunicazioni dallo Zar? Due cocciute, entrambe in torto, comunque i premurosi rivoluzionari della capitale, per evitare fughe, avevano prontamente bloccato la circolazione dei treni da e per Carskoe Selo. Non ci potevamo più muovere e ben difficilmente Nicala II  ci avrebbe raggiunto “.. sei una maledetta testarda, decido io..pensa a tuo figlio, ai miei ci penso io” “In caso di incendio malati e bambini sono i primi a essere portati via.. “ “Continua e vai via TU, principessa Fuentes” ero stata zitta per un momento, aveva scandito il mio titolo come un insulto “E mio figlio ti vuole bene, quindi rimani e bada..” a stento ci eravamo tollerate per forma, fino a quell’Armaggedon, un delirio senza rimedio “Bada a te”e  aveva taciuto, che Alessio mi voleva, si sentiva “CAt” da dietro la porta, eravamo planati da lui, il mio pancione (allora un adorabile panciotto)  e io.
Mi fissò allibita. “Avevate detto le tre, posso?” “Ti vuole e.. “ scrutò le rose che avevo tra le mani, annottando che mi ero inchinata “ Sono stata nella serra.. ho preso delle rose per voi e le vostre figlie. “Le passai un bocciolo, il profumo spumoso stordiva, un piccolo patetico omaggio “Prima ero da Olga e Tanik..”Sorrise “Vai Catherine.. Nessun obbligo, lo sai” “Ci troviamo alle cinque per il tè, se lo Zarevic non mi trattiene”
“ Aleksey?”Non si girava. Al suono della mia voce aveva sempre reagito, tranne che gli era crollato il mondo addosso. Gli sfiorai una mano, era caldo, ma non aveva la febbre, gli presi il polso tra le dita per misurare il battito cardiaco, era un poco  in affanno, normale, considerando che aveva avuto il morbillo con febbre altissima e notizie ferali quando si stava un poco riprendendo. E contro ogni ragionevolezza o previsione sapeva che volontariamente non lo avrei lasciato.
Aleksej, tesoro”, sussurrai da capo,la luce del pomeriggio invernale era quieta e dolce, le tende un poco scostate, che troppa luce faceva entrare il mal di testa, effetto collaterale del morbillo, e tanto guardava la parete, come in un bozzolo.  Mi sedetti sulla sponda e misi la destra tra lui e il muro, dopo un poco me la strinse, congiungendo le dita, palmo su palmo. “Perché? L’erede sono.. ero..io”Un sussurro frammentato, i suoi sogni e identità in frantumi.
“Per non lasciarti, “la sola e unica spiegazione razionale, che mi veniva in testa, di certo non gli sarebbe stato concesso di rimanere insieme, e lui era malato, aveva bisogno della sua famiglia, ed era una clamorosa lesione legale dei suoi diritti, il padre era prevalso sull’imperatore. E tanto non era quello il momento per tali valutazioni. “In situazioni come queste, chi abdica va in esilio e.. c’è un consiglio di reggenza.”
“Sono  quasi le quattro, Cat”guardò l’orario dal mio polso. Una frase che non mi aspettavo, poi ci arrivai, credo “ Chiuderanno le porte e verrà un reggimento dalla guarnigione di Carskoe Selo, quello di questi giorni andrà via” con la sinistra gli sfiorai la guancia, stava piangendo, senza rumore. Gli carezzai i capelli, erano morbidi come seta,  mi serrava ancora la destra, mi baciò le dita “Resto, Aleksey, anche dopo le quattro, ti va di metterti seduto, appoggiato ai guanciali? Piano, senza fretta” “Guarda che non sei obbligata, mi hai salutato, va bene” “Non ti lascio, testardo che sei” In inglese, francese e spagnolo, mi arrischiai in latino, riuscii a farlo ridere, per quei buffi suoni, alla fine aveva cambiato posizione e mi scrutava, gli occhi chiari e delicati come il mare quando sorge l’alba. “Che hai detto? Che mica ho capito”
“Cat, che succederà?” si era calmato, meno male, in qualche modo.
“Vediamo un giorno alla volta, domani torna tuo padre”
“E Andres, Cat non ti lascio sola” Se non me lo arrestano per cavargli informazioni, o Dio sa cosa, maledetti, mio zio R-R ha dato noia a tanti e non lo possono acchiappare, che è in Crimea, all’epoca malediva il suo accidente, ora invece è la sua salvezza, che è fuori dai giochi, penserà a  tua madre e a Sasha, li terrà al sicuro e viceversa. Tu sei solo potuta andare a piedi all’ospedale e.. Se hanno arrestato lo zar, a lui che combineranno?se ti perdo, non so che ne sarà di me, di noi e tuo figlio. Il suo nome sarà Felipe Fuentes, principe, conte di Sierra Morena, signore di Ahumada y la Cruz.. Quando nascerà deve avere un padre. Andres .. non mi lasciare. “Vediamo, lo so che non  mi lasci sola”balle ad Alessio non le avevo mai dette, in generale, come regola, almeno, non intendevo iniziare proprio quel giorno e speravo di sbagliarmi.
Alle quattro sentimmo una micidiale accozzaglia di rumori, i topi lasciano la nave che affonda, pensai, cinica, gli circondai le spalle con il braccio, si appoggiò contro di me, le porte si chiudono e siamo prigionieri. I soldati non ci tuteleranno, ci faranno la guardia. Speriamo che una donna incinta li muova a compassione..
“Sei sempre in tempo ad andare..”
“Alessio, basta, per favore. Tata è sorda per gli ascessi, tu che scusa hai?che ci senti bene, non me lo ridire più”
“Ne abbiamo passate tante insieme, in qualche modo faremo” mi imposi di sorridere, senza fallo. “Ottimo, tesoro, ti posso stringere”  mi allacciò le braccia al collo, gli circondai la schiena, strofinò il viso contro il mio collo, il solito gesto affettuoso di sempre, a quel punto mi posò la testa sul seno, lo allacciai addosso “Faremo, in qualche modo, Alessio,  sicuro” “Lo so” eravamo stati ed eravamo amici io e lui, a prescindere da tutto, non lo avrei mai lasciato in modo volontario, lo sapeva, ma tra desiderare e otttenere il passo era ben lungo, oh Alexei.
In qualche modo facemmo, non vi era tanta scelta, credo
“Finché non torna Andres, dormo sul divano della tua camera o in quello delle tue sorelle, va bene?”
“Ora non ti piace più stare da sola?” spiazzante, dolcissimo. 
“Non voglio più essere sola” una pausa “Mi fai tanta compagnia, se sono troppo appiccicosa dimmelo, il permesso è sottinteso, per favore”
Zar, Aleksey Nicolaevich Romanov, Aleksey II, che ora l’imperatore sei TU. Lo pensai e basta, ancora oggi ne sono convinta.
“Mi dici del cavaliere?”Un sogno per scacciare un incubo. “E di Ahumada” ancora “Però quando sei stanca ti fermi, non ti devi sentire male, posso?”mi toccò la pancia, gli rispose un calcetto “ Per lui, no. Comunque, Cat, prendi in giro te stessa, sei te quella fissata con prego e per favore”
“Che ne sai?Potrebbe essere una bambina, e dai Alessio.. La deroga”
“Boh.. E soprattutto per te”
”Dunque..” e tanto aveva già capito che Andres non sarebbe arrivato il giorno dopo, come lo avevo inteso io.
“Perdonami Alessio.. l’anno scorso ti ho fatto una scenata, che non ti volevo.. “ gli sfiorai il gomito, lo avevo respinto, dietro ai miei casi, aveva sentito le chiacchiere malevole. Cercando un conforto da me, che non gli avevo badato e aveva fatto una bizza memorabile per nostra imperitura e comune memoria. A quel giro mi era andata di lusso, non aveva avuto crisi, anche se aveva sbattuto forte il braccio
“Cat.. soffrivi” alitò contro il mio viso “E …”si era sfogato, a costo di sentirsi male “Mi hai preso in braccio, ora no, ma mi consolavi e volevi bene, vero” una pausa, era una constatazione
“Sempre, in teoria che lo sai..in teoria, che nella pratica ero carente” 
 “Va bene così, Cat, a livello statistico ci può stare.” Si fermò a riflettere, una ruga di concentrazione sul visetto ”.. mia madre ..“la zarina, annotai ” piange e prega, ma non mi racconta mai nulla .. e non gioca mai con me, devo sempre stare attento e … Attento, non saltare, non giocare troppo forte, non affannarti, eccetera” netto e preciso, ripetè le frasi con consumata abitudine. 
“Alessio.. è tua madre.. E ti viene detto da me, e Olga e Tata, eccetera, lo sai”“ E la mia mamma sei tu, sempre, come Olga e Tata..”  una persona, specie quando è malata, ha più bisogno di affetto e compagnia degli altri, Alix aveva sofferto troppo, e .. Effetto era che Alessio si sentiva più a suo agio con me, Olga o Tata, adorava suo padre.. Con Alix era sempre cauto, circospetto, sapeva che era la sua ragione di vita. E non si abbandonava a quel suo affetto goloso e ingordo. Una madre come una guida ed un faro, peccato che lui volesse, come tutti i bambini una MAMMA che giocava con lui, gli raccontava le cose e.. Tranne che quando aveva sentito gli insulti era andato fuori controllo. L'affetto esclusivo di Alix, oltre a scatenare la gelosia delle sue sorelle, le dicerie e via così,  aveva avuto l'effetto di allontanare Alessio, in una data misura, senza rimedio. Mi tremarono i polsi“E comunque faremo, magari, alla fine farò per davvero il soldato”
“Ottima prospettiva” lui .. un soldato? Ma se rischiava ogni poco di sentirsi male per un brusco movimento, tacendo che io, donna, avevo combattuto in tanti ingaggi, senza morire.. No. O forse sì.. Era una favola che si raccontava per non impazzire, non era una persona che piangeva sul latte versato, ma.. Optai per il silenzio, per non dire uno sproposito.

La speranza è l’ultimo dono, senza quella non vale la pena di continuare. 


“Notte, Cat”
“Notte, Alessio, rimango qui con te, tranquillo, non ti lascio” calcai sulle ultime sillabe
“Grazie “ mi avvolsi nella vestaglia di seta blu giacinto, sotto la camicia da notte, avevo messo le lenzuola e qualche coperta sul divano, mi stesi dopo avergli dato un bacio. Era un incubo, giusto..?!


“Non dormi vero..?”
“Non mi riesce..”Piccoli sussurri verso mezzanotte, l’una,  non dissi altro, mi sdraiai accanto a lui, contenta di non essere ancora una balena spiaggiata, nelle dimensioni, sussurrò grazie, chiuse gli occhi azzurri, il dolore muto, fuori e dentro di noi.. Alexius vir est, Alessio è un eroe, un vero uomo, glielo sussurrai con delicatezza, non era una sciocca battuta, quanto la verità.
Sometimes, words are too much poorer, the silence is the only way. I kept him in my arms for a long time, hour by hour.

Alix faceva la spola tra la sua stanza e quelle delle figlie, si reggeva in piedi per pura forza di volontà. “Tu gli vuoi davvero bene”
“Non ho fatto nulla di speciale ..”
“Dalla teatralità alla modestia, eh..” mi rintuzzò, e le intanto le cedevo il posto, saranno state le quattro. “Io sono  sul divano”
“Sei uno sfinimento, Catherine” Pausa “Ma Deverenko..” uno dei marinai “Non è passato, troppa confusione.. credo. Comunque è a posto”.

Alle undici meridiane del 22 marzo, lo zar arrivò, accompagnato dal principe Dolgorouky, maresciallo di Corte, gli toccò farsi identificare, poi salì direttamente nelle stanze dei figli, dove Alix lo aspettava.  
Gli corse incontro leggera, come una ragazzina al suo primo amore, la tensione si sciolse nel loro abbraccio. “E’ per il bene della Russia, ne verremo fuori ..” “Sia fatta la volontà di Dio..” “Perdonami Alix..” “ Hai fatto quello che ritenevi giusto..” E tanto realizzò dopo, in toto, sul momento era troppo stordita per il sollievo di ritrovarsi. Per la guerra, i suoi titoli tedeschi non avevano più alcun valore, ora, avendo lo zar abdicato, lei non era nulla, e aveva sempre tratto giovamento e forza dal sapere chi era. Da una parte, che i ragazzi fossero ammalati, la salvava da ossessive riflessioni, dall’altra, appunto perché erano in precarie condizioni di salute, non li aveva voluti spostare. I suoi detrattori risolsero la questione appellandola direttamente, Alessandra Feodorovna, oppure Nemka bliad, la puttana tedesca, con puntuale mancanza di originalità,  lo zar era il “Signor Colonnello

“Principessa Fuentes” Dolgorouky mi scrutava addolorato, indugiando sul mio viso, avevo gli orecchini di onice e topazio, passando poi alla fede e all’anello di fidanzamento, avevo incrociato le mani, il diamante catturava la luce di quel tardo mattino.
“Principe” Eravamo nella classe della granduchesse, aroma di legno e cera per mobili, polvere di gesso. “Starò calma, senza fallo.. Preferisco non disturbare, le loro maestà devono conferire in pace con i figli,”Annuì “Ma mio marito non c’è..”Mi raddrizzai in tutta la mia statura, dovevo essere calma e composta, ero una Fuentes, una combattente, ora ed allora
 “Lo hanno preso appena scesi dal treno.. E si immaginava un affare del genere, mi ha detto di consegnarvi questo..per non opprimere ancora di più..” lo zar e evitare l’onta di una perquisizione, D. gli avrebbe fatto il piacere e non lo avrebbe mai messo a rischio” ..tanto, mi ha riferito che il medaglione contiene due foto e dei capelli, la cartella dei disegni dello zarevic e una lettera d’amore per voi, che non avrei passato un guaio..” declinò le generalità di chi l’aveva preso, mentre io mi lanciavo in tutto una serie di improperi mentali, insulti sanguinosi e senza rispetto. Una signora non impreca a voce alta e di parolacce ne avevo imparate fin troppe.
“Capi di imputazione? Dove lo hanno portato?”
“ Attività di spionaggio. Non meglio definiti.  Al momento è a Carskoe Selo, nella prigione locale, hanno minacciato che la prossima destinazione sarà la fortezza dei Santi Pietro e Paolo. Hanno atteso che lo zar passasse oltre e ..  Non ha opposto resistenza, anche se ci speravano, si è messo a ridere ed è andato”Tipico suo. “Questo governo provvisorio è una grande accozzaglia e.. Per quello che vale, un principe come lui, con i suoi titoli, non è una spia. Principessa, mi ha dato anche la sua vera nuziale” Me la infilai al pollice della destra..In automatico e tanto mi andava larga.  Se mi avessero sferrato un pugno sarei stata meno male. 
“Lo so. Grazie, davvero, siete stato un amico.” 
“Per voi questo e altro, principessa”Mi baciò la mano, un frammento del vecchio mondo che restava. Mi agganciai il medaglione al collo. 

Solo essere incinta mi indusse a mangiare un boccone, non osai né aprire le valve né leggere la lettera, scorsi i disegni di Alessio, indugiando ogni tanto sulla busta sigillata.
Mi mancava il coraggio. Maldito Fuentes, se mi fai lo scherzo di morire ti ammazzo io. Non mi lasciare sola Andres.. Se tu sei una spia tedesca, perché non arrestano la Vyribova? O me? E ti sei spogliato di tutto, in senso metaforico,   per non offrire appigli a chi ti interroga, sapere che qualcuno ti aspetta è un modo per torturare. E torturano me, che non so se ti rivedrò.. E’ peggio di quando è morto Luois, la sua fine è stata un dramma, in qualche modo sono andata avanti e.. Verrei a piedi da te e.. Speriamo che la mia trovata di ieri serva a qualcosa. Ti amo, Andres, non mi lasciare, voglio passare la mia vita con te, non puoi morire come un imbecille per cose che non hai mai fatto. Maledetto Fuentes 


Ed in ogni caso sei spagnolo, la Spagna è neutrale, i Fuentes una famiglia dai molti appoggi, con denaro e prestigio, questo maledetto governo provvisorio non vorrà rischiare un incidente diplomatico.. Vogliono informazioni, per fabbricare la corda con cui impiccare lo zar.. E in prigione può accadere di tutto. Ero incinta, non rincitrullita.  Magari lo fossi stata.. 
“Principessa Fuentes” Il viso di Alessio era tenero e solenne, il tono formale “Vostro marito mi ha dato un incarico”
“Ditemi” Gli davo del Voi, in maniera infallibile quando era l’erede, non avrei mutato abitudine ora. “Il principe Fuentes mi ha detto che, ove fosse mancato, io  dovevo avere cura di voi, di te..” tenero e solenne, soffriva, cercava di distrarmi “ Prima di andare alla Stavka” Lo sapevo “Quindi cercherò di non farvi ammattire..Catherine, Kitty Cat, Catalina” il pomeriggio lo passammo a giocare a dama, senza fretta, con vari intermezzi.
Lo so, vieni qui, Aleksej, Alexis, Alexius, Alejo, Little One, Beloved, little prince” declinai i suoi nomi nelle varie lingue e i suoi nomignoli,alcuni di famiglia, altri di mia invenzione, mi circondò con le braccia “Mi voglio alzare “
“Va bene”affermai “Sennò come fai a badarmi. Vai piano, ormai sono giorni che non scendi dal letto..” Cauta lo feci mettere seduto sulla sponda, tacqui, mi passò un braccio sulla vita, io uno sulle spalle, mi si appoggiò contro il fianco “Siamo una squadra, io  e te “
“Certo, Alessio, con calma” “ E .. “ “SST dopo” una squadra incongrua, come no ed eravamo noi. Si mise sul divano, recuperai la scacchiera.
 “Cat. Una volta mi hai detto una cosa”
“Quale, te ne ho dette tante..”
“Era dopo che avevi detto del bambino, ufficiale, poi raccontavi che ti ricordavo una bambina che avevi conosciuto..” Perché mi vuoi bene, già, la risposta era stata un fantastico perché sì, mi ricordava come ero stata, cocciuta, irriverente, cresciuta nella rabbia e nella violenza, che si era armata di arroganza per non soccombere, che aveva scelto di amare alla lunga, invece che l’odio, aveva capito che era una omissione, che quella ragazzina che cercava di stare bene non sarebbe più tornata, gli avevo premuto la faccia contro il petto per non fargli vedere la mia espressione. “Mi dici chi era?Solo un tentativo, se indovino mi dici la verità” “Va bene, Aleksej”Prese fiato, meditando. “Eri TU”  “Ero io. Solo ..ne possiamo parlare un’altra volta?” “Non ti agitare. “ “Continuiamo la partita.. Hai vinto, guarda qui” mi sorrise. “Perché stamattina quando Papa è salito da noi non ti sei fatta vedere? “ dicevamo, mi cacciava sempre in imbarazzo.. 
“Alessio, dovevate essere voi, Lui, tua mamma e le ragazze, vi siete ritrovati dopo tanta preoccupazione.. “
“ Lui crede che tu lo incolpi perché hanno arrestato Andres..” “Tesoro.. è un equivoco grosso come una casa, lui non è una spia e..”Mi chinai sul suo orecchio, non volevo farmi sentire “Si risolverà in qualche modo, fidati, e per me stai tranquillo, una donna incinta non la toccano..”
“Già .. fai tenerezza e poi..” Mi si accostò, gli avevo detto una bugia, volontariamente, sperando che fosse l’ultima volta,  per proteggerlo, che, per quanto le guardie mi badassero il giusto, in fondo ero l’amica delle granduchesse, una dama di compagnia, senza legami di parentela con la famiglia imperiale, ufficiali, se mi volevano fare qualcosa non vi era gravidanza che tenesse. Entravo, uscivo, carina e gentile e gli fosse venuto in mente qualche tiro potevo fare ben poco.
Tanto per dare la misura di come sarebbe stato il clima, di umiliazione e scherno, si iniziò dal giorno successivo al rientro dello zar a Carskoe Selo. Era uscito per passeggiare in giardino e le guardie gli sbarrarono il passo, si girò e una guardia gli mise davanti, fino a quando non lo circondarono in sei, che con armi o pugni lo mandavano da una parte all’altra. “Di qua no, Gospodin Polkovnik!” (signor Colonnello) “Non posso permetter che tu vada in quella direziona, Gospodin Polkovnik!” “Gospodin Polkovnik!” Alla fine rientrò, la sua dignità intatta.
Altre volte, quando andava in bicicletta, si divertivano a ficcare le baionette nei raggi delle ruote per farlo cadere, gli rifiutavano il saluto, salvo portargli via il piatto, al momento dei pasti, sostenendo che aveva mangiato a sufficienza, sorvolando che piluccavano direttamente dei bocconi dal piatto delle ragazze per un assaggio. E questo non era che un assaggio rispetto agli apici che vennero poi raggiunti.
Un pomeriggio, mentre uscivo dalla stanza di Alessio insieme al precettore di  francese, Gilliard,  incrociammo dieci soldati in corridoio. “Cosa volete, signori?”
 “ Vogliamo vedere l’erede” torvi.
“E’ a letto, non può essere visto” Gilliard, che prevenne la mia rispostaccia.
“ E gli altri?”mi ero parata davanti alla porta, pancione compreso, per non farli passare, mi pulsava la testa e avevo dolore alle caviglie, ora neanche un malato aveva diritto di riposarsi
 “Non stanno bene, signori” ribattei io, cercando di essere affabile.
“ E lo zar dove è? “Scossi la testa, non lo sapevamo. “Non lo so, per favore, andate via, non bisogna fare rumore, ci sono dei malati” Se ne andarono, camminando piano, le voci basse.
“Grazie, Monsieur..” gli sorrisi “Stavo per rispondere male..”
“Voi siete sempre gentile, principessa, con tutti” In caso di isteria, potevo dare la colpa alla gravidanza e vi era ben poco da ridere, rilevai. I ragazzi stavano sempre male, la ripresa lenta, il caos era sovrano. La Vyribova era sempre a Palazzo e la sua presenza preoccupava tutti, per Alix. I soldati la attaccavano, la insultavano,sgualdrina l’epiteto più gentile, come sentimmo io e Gilliard. “Collegano il nome dell’Imperatrice al suo, la uccideranno, spesso sono ubriachi e male in arnese” “Già..”Se ammazzavano lei potevano fare lo stesso ad Alix.
L’odio e il disprezzo erano al parossismo, i Romanov, Rasputin e compagnia erano odiati, sui giornali vi erano vignette su vignette, sconce e  caricaturali della tedesca e del suo siberiano, in una lei si faceva il bagno  in una tinozza piena di sangue e diceva “Se Nicky uccidesse più rivoluzionari farei il bagno così più spesso”
E la tomba di Rasputin era stata scoperta nella notte del 23 marzo, da un gruppo di soldati che avevano forzato il coperchio della bara,m dopo averla dissotterrata. Il viso dello starec era diventato completamente nero ed il tanfo era orrendo, i militari avevano caricato il corpo su un camion e lo avevano portato nella vicina foresta di Pargolovo, dove, una volta cosparso di benzina, avevano appiccato fuoco.  La spoglia era bruciata per sei ore e il vento ne disperse le ceneri, lo starec aveva predetto che il suo corpo non avrebbe trovato pace dopo la sua morte e così fu. E aveva pronosticato pure che, ove fosse stato ucciso dai famigliari dello zar, Nicola II avrebbe perso il trono e la vita nel giro di due anni. Mi raccolsi il viso tra le mani, esausta, depressa, preoccupata. Quando Alix aspettava Alessio, uno specchio era caduto dal muro, senza nessuno che lo toccasse, un presagio di sventura e lui era arrivato, bellissimo, un dono, una speranza, malato senza rimedio. 
 E mo figlio scalciava vivace come lui. I movimenti netti e precisi.
 
Il primo aprile Alessio si sentiva molto meglio, tanto che si azzardò ad uscire dalla sua camera e andare a messa, nella suntuosa cappella privata. Vi erano Nicola II, Alix, Tanik e Olga, più altri membri della corte che condividevano il piacevole soggiorno. Erano lontani come una galassia i momenti in cui Olga e Tata apparivano alla cattedrale di Kazan, l’interesse che mostravano per i loro vicini. Olga studiava i vestiti e i cappelli delle donne, attenta, divertita, mentre Tata abbassava gli occhi se si sentiva osservata. Sottili ed eleganti, con chiari abiti e larghi cappelli, erano splendide, come oggi, anche se i loro pensieri erano concentrati sul futuro.
Quando il sacerdote pregò per il successo delle armate russe e alleate, gli zar caddero in ginocchio, imitati da tutti.
Io intanto ero a colloquio con Jaime e Enrique, uno straordinario privilegio, per evitare attriti, appena lo aveva saputo mio zio si era messo subito in moto. … il nome ed i soldi dei Fuentes davano molti privilegi.  E io ero trottata nel reparto ospedaliero, riservato ai cattolici, il pomeriggio prima della  Grande Ritirata, degli arresti effettivi, pregando di trovare Jaime, che recava i suoi servizi spirituali, oltre .. E gli avevo dato i miei gioielli, tranne quelli cui ero più affezionata o i più amati, e contanti, affinché avesse liquidità per corrompere chi di competenza, quelle abitudini non morivano mai. Alla fine mi rimanevano gli orecchini del mio onomastico, oro bianco con topazi e onice, la collanina con la perla, le fedi nuziali e l’anello di fidanzamento con il diamante. Fine.
Ed in ogni caso mio marito era  spagnolo, la Spagna neutrale, i Fuentes una famiglia dai molti appoggi, con denaro e prestigio, questo maledetto governo provvisorio non vorrà rischiare un incidente diplomatico.. Vogliono informazioni, per fabbricare la corda con cui impiccare lo zar.. E in prigione può accadere di tutto. Ero incinta, non rincitrullita, ripeto. La pena di morte era stata abolita, mi ricordai, uno dei primi graziosi provvedimenti del nuovo governo. E tanto gli incidenti succedevano, malesseri improvvisi.. e mortali.
Ricordai che il primo aprile 1917, domenica, cadeva la domenica delle Palme, la pasqua cattolica dopo una settimana, Jaime mi impartì una frettolosa benedizione, lui, un sacerdote, e in quel caso metteva al suo posto la famiglia, sempre, era il fratello di Andres Fuentes, il signore delle montagne, Andres il cadetto che si era inventato una storia e un destino dalle tragedie, discendenti di una storia millenaria. E il figlio di Andres scalciava nel mio grembo. Felipe Fuentes, il mio piccolo principe delle attese.
In Inghilterra, la Casa dei Comuni aveva celebrato la caduta del tiranno, a Parigi il ministro Thomas aveva telegrafato a  Kerensky le sue congratulazioni e fraterni saluti, gli Stati Uniti d’America, alla vigilia della loro entrata in guerra, riconobbero prontamente il nuovo regime.

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Capitolo 30
*** I Need You ***


Il tre aprile 1917 Kerensky giunse a Palazzo, il Ministro della giustizia del governo provvisorio che intendeva interrogare la zarina sulle sue “attività sediziose” durante la Guerra.  Alix aveva distrutto la maggior parte della sua corrispondenza, prima del 1914, ma, ove avesse voluto, K.  la poteva accusare di tradimento.  Aveva una camicia blu, senza colletto o polsini, grossi stivali da operaio, era leggermente incongruo, mi raccontò poi Olga, ha dato la mano a Papa, che la ha stretta, mentre Mamma l’ha sfiorata appena. E poi si era rivolto ad Alessandra dicendo “ La regina d’Inghilterra chiede notizie dell’ex zarina” Ex zarina, la prima volta che le era tributato il nuovo epiteto, il viso  diventò color brace, tuttavia rispose di stare relativamente bene, anche se il cuore le causava problemi come al solito.
Kerensky visitò tutto il palazzo, frugò in ogni dove,  aprendo le porte e controllando in ogni stanza, si mise finanche a verificare quello che vi era sotto i mobili, dichiarando che durante il periodo delle indagini gli zar avrebbero dormito separati, che si sarebbero visti solo ai pasti, in presenza di un ufficiale e che bisognava parlare in russo. E parlò privatamente con Nicola II, precedendolo, una evenienza che la diceva lunga.
Ah, il buon K. aveva fatto abolire la pena di morte per differenziarsi dal bieco regime di cui aveva presto il posto e per rassicurare il ci-devant Imperatore che non lo avrebbero impiccato o che. Questa la sottesa ironia.

Per Alessio fu un trauma, era la prima volta che vedeva suo padre ricevere ordini ed obbedire come una recluta, forse andava realizzando allora cosa fosse accaduto.
Si murò nel silenzio, dopo avermi fatto notare che, vestito da operaio o meno, K. era arrivato al Palazzo di Alessandro con una delle auto private dello zar, guidato da uno degli chauffeur del  garage imperiale, era stato ben svelto ad acquisire privilegi di cui al nuovo status.

Prima di lasciarci, Kerenskij si recò nelle camere dei malati, ove la Vyribova andava riposando, si nascose sotto il lenzuolo, mentre l’uomo si presentava “Sono il ministro della Giustizia, dovete vestirvi e andare subito a Pietrogrado” lei non si mosse di un millimetro, al che K. ordinò di convocare il Dr Botkin, chiedendo se Anna fosse in condizioni di partire, la risposta fu positiva. Come già rilevato, tenere la V a palazzo era un pericolo per l’Imperatrice, che i loro nomi erano apertamente collegati, con penose minacce, spesso ubriachi e male in arnese sancivano che prima avrebbero ammazzato Anna e poi Alessandra.

Alix insistette per farla rimanere, Anna era invalida, sola, malata, ma non ci fu scampo, la V mise qualcosa in valigia e andò a salutare Alessandra nella Galleria dei ritratti. Entrò zoppicando, aiutata dalle stampelle, in lacrime, Alessandra l’abbracciò, come Tatiana. Con gli occhi di allora e di poi, era patetico, strappalacrime. Un melenso addio in grande stile.  Anna annotò poi nelle sue memorie che Tatiana le chiese un piccolo dono come ricordo della loro amicizia, ricevendo la sua vera nuziale. Mentre lasciava il palazzo, la V. vide Alessandra in piedi, sulla porta, che indicava il cielo, dicendo “Lassù saremo sempre insieme”
 Io e la cara V. non ci eravamo mai sopportate, ci ignoravamo, e tanto sapevo che cercava sempre di mettermi in cattiva luce. Prima di Spala aveva sostenuto che avessi fatto cadere Alessio, (mi sarei fatta tagliare le mani, figuriamoci)e  che fossi rimasta incinta prima del matrimonio, con Luois.. Ai tempi dei soggiorni all’estero mi aveva coniato l’epiteto di spagnola, straniera, salvo strozzarsi per invidia  quando avevo sposato Andres ed ero rimasta incinta dopo un battito di ciglia, che Andres...lo voleva quasi ogni donna del circondario, lei non era certo immune. 
Poteva farmi pena e io pena non ne avevo, ero cattiva? Forse, certo.. Un rigurgito amaro, da delinquente, come diceva Heine posso perdonare di cuore i miei nemici quando sono sconfitti o in punto di morte.  Dopo l’abdicazione rimase nella fortezza dei Santi Pietro e Paolo per molti mesi, fino ad agosto, prigioniera per le sue attività politiche. Al corrente delle voci che giravano sulle sue presunte attività sessuali (orge con i funzionari di palazzo, Rasputin, con lo zar e finanche con Alessandra), Anna chiese di essere sottoposta a visita medica e, incredibile, venne dichiarata pubblicamente vergine.  
Poi si sottrasse alla prigionia, andando in Finlandia, raccolse poi le sue agiografiche memorie, lei era una colomba, pura e candida, Rasputin un solenne incompreso. Diventò una suora laica, che vendeva lacrime e lettere e ricordi. 
 
“.. vedi, Catherine, io ho detto la verità. “smise un attimo di ricamare, amara, indefinita “ Mi ha chiesto delle mie attività  nelle politica, del ruolo che aveva Rasputin nel governo. Ma io e lo zar abbiamo sempre parlato di tutto, la politica aveva un ruolo importante.. E padre Grigori.. io l’ho sempre visto come un uomo di Dio, umile ed innocente, che mi dava consigli e preghiere” ne era convinta, repressi la risposta tagliente, una fiammata del mio vecchio temperamento conficcando le dita dentro i palmi “La sofferenza purifica per il Paradiso” in buona fede, strinsi di nuovo i pugni, con mio marito rinchiuso in galera ne avevo di che rispondere.  Filai da Alessio, senza fallo, che volevo aprire bocca e lasciare correre. E non era il caso, in quelle lunghe giornate ero diventata adulta, come Olga e Tata, quando facevano le infermiere, Marie e Anastasia, cresciute di colpo quando era scoppiata l’anarchia.
Mi inchinai alla zarina e alle sue illusioni.


 “Cat” Aleksey mi massaggiava la schiena, una scusa per coccolarmi e avere cura di me, quindi ecco una leggera variazione di tono, lieve come un filo di seta. “Sì?”
“Sai che ..i soldati sono maleducati, si rifiutano di dare la mano a Papa, non si inchinano e ne dicono di tutti i colori.” Lo avevo visto sì, come provocassero e schernissero il signor Colonnello Romanov, il suo serafico aplomb. Le ragazze ingoiavano, Alessio arrossiva, si tratteneva, per lui era un fatto personale, lo zar era passato da essere un semidio ad un comune e vituperato mortale. “Come se non contasse nulla.. Io non sono nulla”
“Alessio” mi girai, senza scattare come una biscia cercando le parole, troppe o troppe poche, si fida di te, in modo totale, agisci in modo responsabile, attento “ E’ successo altro?Dimmelo, se vuoi
“ “Deverenko..”
Uno dei suoi marinai-infermieri aveva cambiato giubba, un voltagabbana della novella rivoluzione, di punto in bianco aveva deciso di essere stufo di servire lo zarevic, nonostante i lauti compensi. “Si è buttato su una poltrona, scomposto, mi diceva arrogante di portargli questo o quello..” omisi di prenderlo tra le braccia, non avrebbe gradito. “In modo villano, io cercavo di accontentarlo, poi è venuto il valletto di Papa e ha detto di lasciare perdere.. Io ho aggiunto che forse era più utile nella capitale che a dare ordini all’ex zarevic”una fiammata di orgoglio, una replica intelligente “Se ne è andato, sai”
“Alessio, tu sei un principe, sempre, a prescindere, lo hai rimesso al suo posto, è stato Deverenko a passare da idiota, a essere umiliato, non tu” scrollò la testa, uno scatto rabbioso, prevenne il mio gesto di consolazione “Non dire balle, non abbiamo più nulla rispetto a prima, non siamo più nulla” allontanandosi per maggiore sicurezza
“Rifletti su questo. Andres Fuentes, mio marito, ha vissuto per anni con veramente poco, nonostante le sue ricchezze ed i suoi titoli ed onori.  Alla Stavka sei stato per un pezzo con noi, vivevamo in due o tre stanze, cucinava lui e..”Sorrisi, un breve frammento, si girò a fissarmi “Era un principe o no? E una volta mi hai detto che fare da sé è orgoglio, umiltà od indipendenza.. Ritieni che Andres sia un principe od un pezzente? Tu non sei da meno di lui, non sei da meno di nessuno”e su quella retorica domanda mi alzai in piedi, i movimenti lenti “A prescindere da tutto.  A fighter prince, un lottatore”
“E magari un soldato, eh..” Fiutai la provocazione, lessi tra le linee. Poteva e anche no, quello era il suo sogno e la sua malattia un anatema, una emorragia poteva venire anche all’improvviso, senza nulla, in genere non si lamentava mai, cercava di guardare sempre avanti, chi lo sapeva meglio di lui quello che gli succedeva. “Sei troppo grande per credere sempre alle favole, Catherine, non te le raccontare”sancì adesso, amaro, mi vietai di replicare, che per quel giorno ne aveva avute abbastanza, tra Kerenskij, la Vyribova che si era tolta,  gettando la zarina nello sconforto, abbandoni e diserzioni. Ed io restavo sempre convinta che non vi fosse disgrazia peggiore che non essere amati.. gli dissi anche altro.
E voleva stare solo, tollerava appena Nagorny, l’altro suo marinaio-infermiere, in quelle lunghe, infinite notti..
Kerensky tornò di nuovo, dopo la sortita del tre aprile, per le  sue indagini. Enunciò che durante l’inchiesta lo zar sarebbe stato separato dalla zarina, si sarebbero giusti solo ai pasti e all’ora del thè, a condizione di parlare in russo, alla presenza di un ufficiale delle truppe di guardia. Loro due, senza i figli, non raccolsero la provocazione, l’ingiuria.  “E’  ingiusto, è spregevole, possibile che gli facciano questo.. il suo sacrificio per evitare di spargere una singola goccia di sangue e lo trattano così.. Tutto per il bene della Russia!” Gilliard annotò lo sfogo della zarina, era diventato un punto di riferimento “Questa amarezza avrà certo termine” in quale vita, pensai, in quella che viviamo o in quelle che verranno.. Mi accostai vicino ad Olga, senza parole, il mio riparo, tesaurizzavo ogni momento, egoista, facendo scorta. Forse quella egoista ero io a non volermene andare, se veniva fuori che ero il  lupo ..

In un primo momento Kerensky voleva isolare la zarina, tranne poi riflettere che sarebbe stato di una crudeltà senza pari separare una madre dai suoi bambini malati, così aveva messo in isolamento lo zar. Quindi, potevano prendere i pasti ed il tè insieme, ripeto, loro due senza stare con i figli, vederli sì ma non insieme.
 Chiusi la bocca, senza commentare. Gli volevano insegnare l’obbedienza, come andavano facendo i Soviet.
E l’esercito si stava sfasciando, la disciplina cedeva, la lettura dei giornali era veramente deprimente.
 
“Niente fiori o frutta, che sono lussi per noi, secondo il grazioso parere del governo provvisorio”
“Mi sembra una totale scemenza, Anastasia, tralasciando che …”
“E tu hai le voglie” ridacchiò, a dare retta consumavo frutta fresca per un reggimento, quello che non poteva trovare la via principale rientrava dalla finestra, una pratica prassi .. Assurdo, come tutta la situazione. “Certificazione medica, la mia gravidanza è ben palese…”Anastasia sorrise, un minuscolo frammento, tuffò le mani contro il mio ventre teso, giunsero dei calcetti di conforto e risposta “ Che tutta non riesci a finirla e quindi interveniamo noi..Quando usciamo prenderò qualche fiore o abbiamo qualche disposizione che lo vieta” scrollò le spalle, minimo avrebbe fatto di capo suo, la sua intemperanza nascondeva un messaggio più profondo, se venivano tolte quelle semplici cose, di cosa sarebbero stati privati?
“Ormai hanno abbandonato le serre” tetra scrutando un vaso vuoto in cui avevano  capeggiato le rose che avevo portato la famosa mattina prima che decretassero gli arresti ufficiali, ormai appassite le avevano messe via, pressate per conservarle. Non erano solo le serre, pensai, fingendo di leggere qualcosa, le misure di sicurezza a cui erano sottoposti i Romanov da prigionieri erano ben diverse da quelle conosciute quando erano al potere. Solo le persone di casa e i membri del seguito potevano parlare al telefono, usando un apparecchio centrale situato presso il corpo di guardia, ogni cosa che entrava e usciva era controllata.  A titolo di esempio erano aperti i tubetti di dentifricio, il cioccolato ridotto in scaglie e i vasetti di yogurt frugati con sudice dita.

Come rilevava, sarcastica, Anastasia fiori freschi e frutta erano un “lusso” per i Romanov, una cosa che non potevano più avere, come il ricco seguito del passato, la maggior parte aveva tolto le tende il prima possibile.  Chi era rimasto pareva davvero sopravissuto a un naufragio.
Tuttavia, quello che era fuori da ogni apparente logica era il comportamento delle guardie.  Una volta Tata e la baronessa B., una delle poche dame di compagnia rimaste, trovarono un soldato che, stanco di rimanere in piedi, si era seduto su una ricca poltrona, corredandosi di cuscini, e leggeva il giornale, i piedi su uno sgabello e il fucile per terra. Un’altra volta, lo zar vide dalla sua finestra una guardia che pisolava durante il suo turno, abbracciato al suo fucile!!  Una aveva proibito ad Alessandra di chiudere le tende, quando voleva vestirsi, e lei doveva andare dietro a un paravento per l’incombente.
Era depressa, anche se cercava di farsi coraggio. Giunse  una lettera indirizzata  a “ la ex Baronessa Buxhoeveden, la ex Dama di Corte della Ex Imperatrice di Russia”, Alix ne rise, divertita, che nacque una facezia che veniva ripetuta spesso in famiglia “Non chiamatemi più imperatrice, sono solo una ex..”  e la situazione rimaneva grave, solo per dirne una il Soviet di Pietrogrado, capeggiato dai bolscevichi, chiedeva che tutti i Romanov fossero messi agli arresti nella Fortezza dei Santi Pietro e Paolo, la temuta prigione del passato regime, anticamera della morte. Il governo provvisorio si barcamenava come poteva, resisteva da un giorno all’altro, per non affondare a sua volta.. I bolscevichi.. nel 1905 per un soffio non avevano preso il potere, l’occasione era troppo ghiotta.  Dalle voci di corridoio  pareva che uno dei più famosi leader, Lenin, fosse rientrato, dal suo esilio svizzero. In un treno tedesco.  Lenin, il cui fratello maggiore era stato giustiziato per ordine dello zar Alessandro III, padre di Nicola.  La legge del taglione, un fratello per un fratello, e io avevo il mio. Aleksey .. che pensava di non essere più nulla, ed era tutto.
Arresti domiciliari, privilegi razionati, perché per i pettegolezzi e le voci i Romanov avevano troppi privilegi e la parola “prigionieri” avrebbe assicurato maggior protezione. A chi o cosa, a proposito?
 
“Posso?”  Aleksey si sedette vicino a me, cauto
“Vieni..”
“Da quando in qua dipingi le uova?” aspirò l’odore delle tempere, scrutando il tavolo invaso dai miei tentativi di dipingere, appunto, in vista della Pasqua ortodossa, era costume dare uova dipinte. In genere si usava bollirle,  solo non mi pareva il caso di mettermi a spadellare con i coloranti naturali per  ottenere i colori Era la prima volta, dalla sua considerazione che ero troppo grande IO per le favole, che si avvicinava di sua volontà.. Aveva rimuginato bene, quando Kerensky era venuto per la seconda volta gli aveva dato la mano e aveva chiesto serafico se, essendo lui K., ministro della giustizia, trovasse legale che lo zar avesse abdicato pure per lui. La sortita aveva causato un imbarazzato silenzio, dopo l’imperatore gli aveva spiegato che lo aveva fatto per non fargli riscontare i suoi errori “Come se non li stessimo scontando tutti ora, come se non li scontassi ora” aveva ribattuto, amaro, lucido, se ne era andato seguito da Nagorny, maleducato come non mai con i suoi genitori, così infuriato che manco un soldato lo aveva tallonato, aveva uno sguardo autocratico, che inceneriva e bandiva ogni replica.
Un trattamento simile lo aveva riservato alle sue sorelle, l’uscita di cui sopra me la aveva riferita Tata, basita, mai Alessio aveva avuto quelle sortite.  Con me no, aveva provato giusto una volta a rispondermi male, ero in camera sua a leggergli qualcosa, guardava fuori dalla finestra, il viso contratto, accigliato  e aveva sbuffato, rumoroso. E lo avevo rimesso subito a posto, per dire. “Lasciami solo” dandomi le spalle. “Guardami, Aleksey, questo non è modo”
“Fuori di qui” con una rapidità inopinata lo avevo girato, una rapidità che non sperimentavo da settimane “Ti lascio solo” una stretta delicata sulle spalle e mi era uscita, volontariamente, una frase di taglio “Se non ha più piacere ad avermi tra i piedi, va bene, tranne che solo un pezzente risponde o tratta male a una donna incinta” era diventato rosso come un peperone, mormorando “Scusa”, quindi “Stanotte puoi venire ..”  un piccolo cenno di assenso, cercare un contatto e respingere, era arrabbiato, frustrato e aveva paura, una mistura odiosa, aggiungiamo che stava arrivando l’adolescenza.. Lo capivo, da una parte, dall’altra doveva contenersi, per sé, per non scendere a un rango infimo. A passare da pezzenti  erano i soldati, Deverenko, il suo marinaio che aveva disertato, non lui o lo zar, che rispondeva ai soprusi con la gentilezza. Non reagire alle provocazioni è indice di superiorità, credo, anche se appare il contrario “Sì..” “Per favore è sottointeso”  “Ecco.. a dopo, Alessio”   quella sera ero stata zitta, niente storie, niente chiacchiere, mi ero limitata a stargli vicino, una mano allacciata “Come fai..” “A ..”un gesto vago, che indicava tutto o nulla “Ti voglio bene, lo sai” “Anche se mi comporto male, “  “Io ti voglio bene sempre..E DA SEMPRE..  solo che alcuni comportamenti danno sui nervi” gli strinsi il palmo, per indicare che non lo lasciavo, come già affermato in altre occasioni, che pazienza, io che non la avevo con lui la trovavo a prescindere, che l'adulta, almeno a livello nominale ero io  “ ..vedremo” “Ti posso stringere” un adolescente, mai forzare, potevano essere passati pochi giorni, per lui era la contabilità di una vita, tralasciamo della recente malattia “NO” forte come un sasso, respirai il senso di perdita e glielo avevo detto, cercami quando vorrai, se lo vuoi “Va bene..posso andare sul divano..” “Come vuoi”
“Sveglia .. svegliati, Aleksey”gli sfiorai la mascella, era sempre liscia, senza barba, un dolce sussurro, ero scattata appena si agitava, aveva ancora gli incubi  Un breve battito delle ciglia “Mamma “  “Sei nella tua stanza al Palazzo di Alessandro, sono Catherine, sono qui .. “ “Mamma ..”un possessivo abbraccio, le sue mani sul petto, soffiando tra un dito e l’altro, la notte declinava nella sua oscurità  e infilò la testa nell’incavo della  mia clavicola, gli carezzai i capelli, mi sfiorò la guancia, era seta e fumo, il mio bambino, quello che aspettavo si mosse a tutto spiano “Good day, principess” “Good day, Alexei .. “ era vestito con l’uniforme dei Lancieri, grigia, con il grado di caporale, le mostrine, di tutto punto era bellissimo. Riemersi intontita dal divano, avevo fame, dovevo andare in bagno, confusa e leggiadra come un anatroccolo arruffato “Abbiamo cercato di fare poco rumore, io e Nagorny, ti sei addormentata alle  cinque “ erano le sette, pisolavo alle ore più sceme  “Mi hai tenuto stretto ” una constatazione, un ovvio rilievo “Aleksey..” “Era una pausa” declinò impermeabile a ogni emozione, odorava di sapone e fieno, rilevai, mentre mi flettevo a prendergli una mano “Lo so.. tranne che avrei piacere che mi accompagnassi alla mia stanza” “Va bene” mi porse il braccio, allacciando la mano con la mia, un vero cavaliere.. Fallo scegliere, mi imposi, gli sorrisi, si comportava come si comportava, era una messa alla prova, ricercava sempre l’attenzione, per saggiare  il suo limite, oltre cui sarei esplosa.
“Aleksey.. dipingo le uova per tentativo .. mi aiuti?” non rispose, iniziò a trafficare, un pennello in mano
“Fisicamente sto meglio,  non devo sempre stare a letto o spostarmi sulla sedia a rotelle” di punto in bianco, mi prese una mano, ripassando i colori, saldo e netto “Ottimo”
“Catherine, ti posso fare una domanda”
“Dimmi”
Come eravamo cauti e lievi e temevo le sue uscite, il mio piccolo principe delle rovine, erede delle malinconie, luminoso come quella primavera che andava iniziando, oro puro “ La tua croce di battesimo..” portavo solo la sottile catenina d’oro con la perla, un regalo di Olga e compagnia per il natale del 1905. La tradizione ortodossa prescriveva di portare sempre la croce di battesimo,  un uso che non condividevo da tanto. “L’ho persa tanti anni fa, nel 1906.” La mia spettacolare caduta da cavallo nel marzo 1906, appunto, montavo all’amazzone, per poco non ero andata al Creatore, sbattendo la testa. Dopo mi ero specialiazata nel montare ad uomo, una zingara militante.
“Quando sei caduta” Alessio mi sfiorò la cicatrice sulla fronte, memento di quei mesi, ormai la linea era ben occultata lo baciai a caso sul polso, arrossì “Mica la hai buttata via”
“Assolutamente no”  
Catherine, I love you”, in inglese I love you significa sia “ti voglio bene “ che “Ti amo”, decodificò la poliglotta che era in me, mi accontentai del bacio affettuoso di cui sopra. “Me too
“Aspetta, ripassale così..”
“Grazie”
“Prego..Quando ti senti meglio, vieni  fuori per una passeggiata”
Io uscivo un pochetto, lo zar faceva lunghe passeggiate, accompagnato ora da Tata o Olga o Anastasia, o un suo aiutante di campo. Un semplice divertimento era rompere il ghiaccio nei canali, un movimento rapido e flessuoso. Il mondo candido e freddo, quando il sole batteva sulla neve pareva un magico arazzo, una fantastica composizione, il cielo azzurro, i rami nudi e i sempreverdi. Mettevo la giacca con il collo di pelliccia di Andres, che praticamente mi faceva da  cappotto, vista la disparità di stature e struttura delle spalle, così ampia che la mia pancia non si vedeva, in quelle settimane mi sentivo una torta che stava lievitando, ora per ora. I cambiamenti del corpo, i movimenti del bambino sempre più netti, a ogni ora del giorno e della notte, a dare retta avrei dormito e basta, la schiena mi doleva, il bagno era una tappa fissa e giornaliera, ogni poche ore, tiravo avanti a frutta fresca e verdure, acqua, poco vino, odori troppo forti mi cacciavano la nausea, non vomitavo per puro sforzo di volontà, della serie, grazie Andres che mi hai messo in queste condizioni  “Mi sento una papera ..gonfia .. stanca Catherine the duck, Catherine la papera”
“Un tacchino ben farcito” mi sfotté Olga, un piccolo sorriso, sennò non sarebbe stata lei “Ma va là..Sei splendida e non lo dico per consolarti”già, pancia o pancione a parte, annotavo una splendida carnagione, un viso luminoso e il seno che era cresciuto, le spalle meno spigolose, ero una giovane e bella donna, dai folti capelli castani, con splendidi occhi di onice e scuro miele..
“Andres mi troverebbe bella.. anche così” se ne parlavo poteva andare bene, non era un tabù, credo
“Certo, sempre sostenuto,io,  che avesse un ottimo gusto. Tornerà. Notizie Cat?”
“Non so nulla di nuovo, tranne che non è stato spostato. E mandava i suoi saluti”esasperata, divertita, era un supremo ingombro, un impiccio anche da assente. Non  ne potevo più. Lo volevo con me. “Alla mia bella moglie.. in ogni situazione mi vede bellissima, de gustibus..”citai in latino, completò la frase, essere colti era una distrazione, quindi passò all’inglese.
“..concordo,  mio caro bignè” le feci il solletico, quindi sbadigliai “Notte, Olga”
“Puoi stare nella camera..” invece che sul divano, mi alzavo ogni due ore circa, il bambino premeva allegro sulla vescica, appunto,  e quando stavo con Tata e lei a  un certo punto univamo i loro lettini, mi piantavo nel mezzo e dormivamo insieme, il reciproco calore un conforto, una tregua, che mi rilassavo. E se mi fossi sentita male non ero da sola, soprattutto. Ora mi era venuto anche quell’assurdo timore.. la gravidanza, almeno quella, fu una costante ansia, credo. Con le successive sarei stata meno tesa, le avrei godute di più. Una a stretto giro, la successiva quando non ci pensavo più .. Inutile osservare che, quando ho avuto una femmina, l’ho viziata come non pochi. 
Venerdì santo, 13 aprile 1917, secondo il calendario ortodosso la Pasqua sarebbe caduta due giorni più tardi. Alla fine, era venuto un lavoro passabile, aveva rilevato Aleksey, ripassando ogni santo guscio colorato, le labbra strette per la concentrazione, l’usuale ciuffo che spuntava perenne, osservando, irriverente che era un bene che fosse intervenuto lui.  Feci una smorfia, alla fine i biglietti di auguri erano carini, la mia  calligrafia era bella, come impatto visivo. “E dai, Cat, ti prendo in giro” I biglietti, le uova, i kuliches e i paskas (rispettivamente pane e dolci pasquali), le candele e  la messa, le campane che avrebbero squillato tutto il giorno. “Sei stata carina” “Gentile, anzi.. Ho una cosa per te, Aleksey” una tavoletta di cioccolata intera, non frantumata, Mamma mi aveva fatto inviare un cesto di provviste dalla Crimea, cioccolata, appunto, e caffè, con un bigliettino “Buona Pasqua, Mamma e Sasha” senza altro aggiungere, che doveva dire. Ti penso, ti voglio bene, sei una testarda era sottointeso.. “Sfuggita all’ispezione.. bello, lo divido con Anastasia. Tu ne vuoi?” scrollai la testa. “ E Marie. Anche se Tata e Olenka ne volessero, farebbero a meno, le mamme fanno così” “ E piantala di dire, che io e Tata e Olga siamo le tue mamme onorarie” “Ma è vero..” “Definirti cocciuto è un eufemismo, sai” mollai la discussione che stava per sorgere “E da una parte hai ragione, con te mi sono addestrata, da sempre” “Sarai una brava mamma, fidati, lo so” tesi le sopracciglia, un  cenno di assenso, mi prendeva per sfinimento “E già lo sei, brava” proprio, da uno a dieci, zarevic mio eri testardo cento..  E sapevo che lo pensavi a tua volta, mi scrutavi, affettuoso e sereno, ti baciai sulla fronte, rompendo la consegna di non assillarti con i gesti di affetto, facesti una smorfia dopo un minuto di troppo, ti aveva fatto piacere e tanto non mi avresti dato la soddisfazione, la intuivo dai gesti, non dalle parole, tralasciando che io ero peggio di te, a 13, 14 anni.
 
Dai quaderni di Olga Romanov alla principessa Catherine “ La neve si scioglieva, spuntavano i primi fiori, i suoni delle campane, come in tutte le luminose primavere della nostra infanzia, per Pasqua, la speranza sorgeva, ostinata come i primi boccioli delle rose. Il venerdì santo andammo tutti alla Confessione,  il Sabato, alle nove e trenta vi fu la messa e la comunione, la sera verso le 11.30 il servizio di mezzanotte. La suntuosa cappella,  i turiboli da cui si dipartiva l’incenso, il salmodiare del coro, il profumo delle candele votive.. Tutto come sempre, e anche no. Ilcolonnello Korovitchenko, comandante del Palazzo di Alessandro e amico di Kerensky, oltre altri tre ufficiali di guardia erano presenti. Il servizio terminò alle due di notte, quindi lo scambio dei doni. Io andai a letto, senza partecipare alla cena di Pasqua, come Marie ed Aleksey, eravamo troppo stanchi, dopo lo scambio dei doni in biblioteca, appunto. Rischiavo di addormentarmi sul tavolo, dicesti poi, eri esausta e stare in piedi per troppo tempo ti faceva gonfiare le caviglie, farti ammettere una debolezza era un unicum. Ed  in caso contrario, saresti passata da bugiarda, bastava uno sguardo per annotare come la stanchezza fisica  ti avesse prosciugato di ogni energia, avevi le occhiaie sul viso. E tanto la conversazione languì presto, subentrò il silenzio in tutti, specie da parte di Papa”
 
Come era doveroso, da bambina, assistevo alle lunghe liturgie obbligatorie, mi confessavo  e prendevo la comunione, ed era solo apparenza. Dio poteva essere sorridente, lontano e remoto nelle icone, mai si era palesato nelle lunghe notti in cui pregavo che facesse terminare il tormento, il dolore,  i movimenti sofferti di mia madre Ella, che fosse l’ultima volta che prendevo uno schiaffo o una spinta o che mi trattasse male. Sobrio od ubriaco, il principe Raulov, alla fine ero diventata una iattura con piena convinzione e coscienza. Se chi deve amarti sostiene che sei una nullità o ti armi di arroganza o soccombi, io ero diventata  egocentrica come pochi, decisa a sfuggire alla mia capricciosa infelicità. Comunque, presi parte ai riti di quella Pasqua, partecipando alle cerimonie, appunto, tranne che non mi confessai o presi la comunione, per forma ero cattolica. Mi ritrovai a riflettere e pregare, per i Romanov e Andres e Sophie.. la piccolina, a un tratto la sentivo simile a me. L’uomo che le aveva dato la vita, Andres, era in prigione, come l’ex zar, ero la sua bastarda, la bastarda dello zar. I fratelli.. Io ero con i miei, Erzsi aveva generato altri quattro figli prima di Sophie,  fratellastri, a rigor del vero, io ne aspettavo un altro. Sophie.. Andres ci aveva parlato al telefono, una volta a settimana, da fine gennaio, brevi cronache infantili, ridendo quando le aveva promesso una bambola per il compleanno, rectius glieli aveva strappato “.. certo, piccola principessa. Anche a me piace la neve, ti arriva.. sicuro, certo..” il sole mi batteva contro le palpebre chiuse, ero nella terrazzo che circondava il palazzo di Alessandro. “Sophie.. il tuo è un bel nome, mi piace.. Anche mia madre, sai, si chiamava Sophie.. Sofia” Andres era una voce sull’etere, non la aveva mai vista di persona e la amava. Pregai che il regalo arrivasse, sarebbe stato spergiuro per forza maggiore “In greco significa sapienza.. eh, che dici, piccola principessa, hai ragione, anche la tua bisnonna si chiamava Sofia..” rievocare quei dialoghi era ridurre il cuore a brandelli, gli occhi a una saracinesca chiusa. Andres si infilava nei passi, nei pensieri, era impossibile che non sopravivesse. “Piccola principessa, io la settimana prossima starò fuori per un pezzo. E non ti preoccupare, lo so che sei nata ad aprile.. Vediamo.” Erszi aveva protestato per quella faccia tosta, piccola principessa un accidente.. Voleva un regalo e lo avrebbe avuto, Andres le avrebbe regalato la luna, i suoi figli lo rigiravano come molle cera. Intanto, Alexei, il mio piccolo principe, si godeva l’aria aperta, il superbo sole primaverile sulla terrazza che circondava il palazzo di Alessandro, i capelli scuri venati da sfumature color rame. Mi ritornò la memoria della volta in cui si credeva Peter Pan .. E Alessio a sua volta, in senso traslato, era davvero il mio bambino, mi rigirava con  un battito di ciglia da un pezzo.
A quei tempi, fino a tre o quattro anni, ai maschietti si facevano allungare i capelli, portavano spesso vestine con le gale e i ricami, pareva una bambola e tanto non lo era.
Era viziato, bizzoso, quando voleva qualcosa prendeva per sfinimento, se qualcuno osava negargliela, aggiungiamo che era giunto dopo anni, attese infinite ed era il solo maschietto, erede, il centro dell'universo per i suoi genitori.Ed era vivace, intelligente, molto dolce, se sorrideva sorridevi a tua volta, se non eri di pietra.

Il mio piccolino, annotavo tra me, che quel giorno mi aveva fatto prendere una sincope.
Ero entrata nella mauve room di sua madre a prendere il suo ricamo, già allora avevo una mia indipendenza che portava via, ritenevo che potevo far da sola piuttosto che dipendere da cameriere e lacchè, Alix non si rassegnava alla mia inettitudine in materia e cercava ancora di insegnarmi, e le davo retta, buona la volontà e pessimi gli esiti, i miei ricami erano buoni solo per orlare gli stracci da cucina.
Allora, aveva detto sopra il cassettone e.. Avevo sbarrato gli occhi, era impossibile. 
Era sopra il mobile. Lo zarevic.. una sedia lo aveva aiutato ad arrampicarsi, come aveva fatto a scavalcare il suo lettino e giungere indisturbato fino a lì?.

“Ciao, Cat”Solenne.  Oddio, ma non doveva fare il riposino? Come era riuscito a evadere..?Vai a vedere che aveva ragione la zarina madre quando annotava che tate e nurses si prendevano troppe pause e non sorvegliavano gli imperiali bambini, specie lui che era mercuriale e vivace come una lepre marzolina
“Ciao, Alexei, che fai?”Se mi fossi mossa in fretta o avessi cacciato un urlo, si sarebbe spaventato, a  il rischio di battere una testata, già allora avevo notato che stava spesso poco bene, passava molto tempo a letto. Non sapevo che cosa avesse, di quei tempi in modo preciso,  tranne che avevo ben visto come a volte scoppiasse a piangere senza apparente motivo,  indicando le gambe, un gomito.. che aveva urtato un mobile o aveva preso una storta. E urlava per ore, fino a gemere, un filo di voce, senza mangiare o dormire, sua madre non lo lasciava mai. Alcune volte, quando diceva Cat e si capiva che mi voleva, mi mettevo vicino a lui, senza toccarlo, che avevo paura di fargli male e sorridevo, raccontando a caso, di tutto un poco, fino a quando non si addormentava. Ero un terremoto e per lui una quieta brezza, Alix avrebbe fatto di tutto per tenerlo tranquillo e io ci riuscivo. E non chiedevo nulla, la mia curiosità che sfiniva diventava muta dinanzi ad Alix e a quei suoi occhi desolati, impotenti. E alle volte mi ero appisolata io pure e sentivo poi le sue manine tra i capelli, sul viso, cercava un contatto, e mi ritraevo, era fragile come un cristallo veneziano, avevo timore di fargli male, anche non volendo.

E avevo paura anche in quel momento, se prendeva lo slancio e si faceva male poteva accedere di tutto come niente. Ricordai che un fratello della zarina, Frittie, era morto a tre anni per i postumi di  una caduta.
Io a tre avevo tirato via la trina sul ripiano ove erano posate delicate porcellane di Meissen, Sevres e Limoges, causando uno sfracello di cocci e non avevo riportato lesioni, tranne che due cene saltate. Fino ai 5 o 6 anni poi ero sempre piena di tagli, lividi e ferite, come Olga, due campionesse nel combinare guai, saltavamo dappertutto e inciampavamo in continuazione, e quella era la meno dei guai che combinavo.
In un’altra occasione, quando avevo aggiunto righe e spirali  contorte e colorate con i pastelli ai diletti quadri delle ninfee di Monet che mia madre collezionava, Ella non mi aveva rivolto parola per una settimana. Tacendo della volta che ero montata su un cornicione e non volevo scendere, era stata messa una scala in appoggio al muro e mia madre in persona era dovuta salire per convincermi a farla finita. E non avevo visto Olga per un mese filato, tale era stata la sanzione, dopo che avevo dato a mamma la viola del pensiero che avevo trovato.. per te, mio padre non ti regala mai un fiore od un gioiello, fatto io..E lei si era commossa, tranne che non poteva lasciare correre. Ed ero magistrale nello svincolare ed evadere. Insomma, ero stata ( per alcuni lo ero ancora e lo sarei rimasta negli anni) un terremoto ambulante e sapevo riconoscere un mio pari.

“Bimbo vola” Eh? Stai a vedere che Anastasia gli aveva raccontato di Peter Pan, in quel periodo ci si era fissata, saltava sul materasso pretendendo di volare.
“Peter Pan, dici?” Mi avvicinai di un passetto, lui rise mostrando i dentini da latte, un sorriso incantato.
“Bimbo vola..ora” ogni tanto si definiva bimbo, rammentai. Batté le manine. Ora vuole volare LUI.. Un brivido di orrore serpeggiò tra le scapole..se lo lasciavo per cercare rinforzi con ogni probabilità si sarebbe lanciato.
“Molto bene, ma la polverina la ha, bimbo? Quella magica, per volare, dico” fece una smorfietta “Che sennò gli viene una cicatrice come a me.. Io sono volata da cavallo, sai, glielo dici tu a bimbo”raccogliendo il gioco e la sfida.
“Vedere..”
“Ecco … tocca”mi scostai le ciocche dalla fronte e vide il rilievo, intanto mi tesi e lo presi tra le braccia, era in salvo, distratto, con il piffero che lo avrei mollato.

Bua?” mi diede un bacio, era un modo per far cessare il dolore.
“Sì.. E faceva male, tanto” una pausa, mi sedetti su un divanetto, sempre tenendolo addosso, la sua testolina sulla clavicola, un braccio che gli circondava il sederino avvolto dal pannolone, mentre cercavo di calmarmi, gli sistemai il vestitino, i capelli spettinati, indecisa tra riempierlo di baci o tirargli uno sculaccione. Glissai entrambe le ipotesi. Lui non è tuo, ricordalo .. lui non è nessuno per te e tu non sei nessuno per lui. Il buonsenso contro la tenerezza che mi ispirava, indoviniamo cosa prevalse “ Le ali tra le scapole mica le hai, zarevic, volano gli aerei, gli aquiloni, mica i bimbi, sai..” gli posai il pugno contro la schiena"O gli angeli, ma tu sei troppo birichino, che sbuffi, è vero".

“Portami da Mamma, io sono bravissimo” ordinò, obbedii in automatico e Alix sbarrò gli occhi, mi aveva chiesto il ricamo e tornavo con suo figlio, che mi aveva sciolto la treccia e strattonava le ciocche abbarbicato addosso.. che teoricamente doveva fare ben altro che essere là. Le venne in mente che potevo averlo preso di contrabbando, disobbedendo alla consegna che non doveva essere disturbato quando dormiva, salvo scuotere la testa, era la sorpresa.

Eravamo nella balconata che correva intorno al Palazzo di Alessandro, nella bella stagione amava trascorrere lì del tempo, per prendere aria, che aveva spesso mal di schiena e sciatalgia e camminava ben poco, ricordo il vento portava il profumo delle rose, così intenso da stordire, come fumo.
“Tesoro..” vezzeggiò il bambino, scoccando a me una curiosa occhiata, io avevo la lingua annodata e mi sedetti che avevo le gambe in gelatina, mi aveva accorciato la vita di un paio d’anni, il monello. Anastasia si prese una punizione memorabile, che raccontava quelle storie a quel bambino irrequieto e vivace, io dei complimenti, che l’avevo ben gestito, Alix prima di inalberarsi aveva ascoltato quello che voleva lo zarevic e avevamo ricostruito l’accaduto. La tata venne licenziata, con buona ragione, aggiungo io.
Ed Alessio la capì, che mi ero spaventata, era piccolo, mica fesso.
Mangiava ben poco e se qualcuno lo imboccava, della serie, un boccone, una frase di una storia, riuscivamo nell’impresa di fargli spilluzzicare qualcosa. In questo settore, delle storie, io me la cavavo, era una prassi, dato che era viziatissimo, l’imperatore dei viziati, lo chiamavo io, tranne che se iniziava a tirare molliche di pane o serrare le mascelle, mi zittivo, rincominciando quando smetteva di essere birichino, anche se lui si riteneva bravissimo, la modestia non era il suo principale pregio, in ogni caso “Paura ..?” Mi interruppe nel mezzo di una frase, avevo rimesso il cucchiaio nel piatto, pazienza non lo avrei forzato, e continuavo a raccontare. Sollevò un sopracciglio castano, interrogativo. “Su cosa?”
“Per volo..”
“Abbastanza, zarevic.. Non ne vuoi più, eh?  Di minestra“ scrollò la testa “Ma storia la vojo.. e se non mangio tu stai zitta”che la prassi era quella, collaudata da un pezzo.“ E dai, per oggi finisco, se non ne vuoi più va bene così”
“Allora tanta paura, tu..” Non risposi, tanto aveva inteso. Mi tese le braccia e sciolsi le cinghie del seggiolone, mettendogli le mani sotto le ascelle, attenta che non urtasse gli spigoli "Braccio Catherine"lo raccolsi in grembo, togliendogli il bavaglio, mentre lui si ripuliva il mento usando il davanti del mio vestito. Nessun rilievo, allora la capì di più ancora che mi ero ben spaventata.
“Volare senza ali la vedo dura, però abbiamo gli alianti, i biplani e mongolfiere e dirigibili..”un piccolo elenco di cui prendeva nota, attento.
“Racconta..”
“Bada bene che nessuno dei piloti è volato dai mobili” Rise della chiosa.
“Tu da cavallo.. però”mi rimbeccò, attento.“ E te lo sconsiglio, come esperimento, di battere testate, poi vedi tu” scrollò le spalle, gli avevo posato il mento sui capelli, registrai le sue gambe intorno alla vita, lo cinsi ancora con le braccia, doveva stare comodo, percepii la stretta delle sue mani sul collo, lo raccolsi ancora più stretto, lo baciai sulla fronte, rise. “Non è una buona idea, vero” era precoce, davvero, l’anno dopo si sarebbe divertito a imparare gli alfabeti e le lingue. Non si applica, avrebbero detto poi i suoi precettori, pensa sempre ad altro, e si annoiava facilmente, per la mente brillante, quando aveva voglia le cose le imparava. Anni dopo, scorrazzando a Mogilev, tra me e Andres ci avrebbe sfinito e assediato, reconquista e arabi e compagnia gli argomenti più gettonati. Iliade, Odissea ed Eneide gliele raccontavo io a rate in quelle lunghe notti di prigionia, si entusiasmava.

Comunque, il giorno successivo al volo sventato era apparso il primo modellino di un aliante, comprato nel più bel negozio di giocattoli della capitale, Alix accettò il mio consiglio, fu il primo di una lunga collezione che lo appassionò sempre. E che lo appassionava ancora, rilevai che aveva un modello tra le mani. “Una novità, Alessio?” “Un nuovo gioco, CAT” il suo palmo scivolò nel mio, un atto di fiducia, chiesto e ricambiato. Con affetto, mi strinse da dietro, per le spalle, quella primavera torna ancora nei miei ricordi. Il biancospino come una neve incendia le siepi,  i narcisi si piegano sotto il sole e le ombre, il ghiaccio che si scioglie, un dolce e melodioso battito. Aleksey, il mio bucaneve, il piccolo principe delle rovine e delle malinconie, che trovava inopinate allegrie. “Domani non vedo l’ora di uscire .. Pensi che vedrò i nostri cervi addomesticati, e i cigni..”Adorava osservarli, darli da mangiare, amava gli animali. Tossicchiai, imbarazzata. “Non credo”meglio che lo sapesse, senza illudersi, per non rimanere poi deluso “Perché, che è successo? Cat, non mi dire balle” un piccolo sussurro“Le guardie..li hanno sparato, a fine marzo”respirò e deglutì  “Non è giusto” “Per favore, Aleksey Nicolaivich, per favore..” omise ogni ulteriore commento, si tenne calmo, temevo che desse in escandescenze. Nessuno scatto di nervi e il buon umore era passato, una scura ombra sul viso, percepii che era teso “Perché non me lo hai detto” “Sinceramente, non me lo avevi chiesto” e non mi passava per la testa. Di dirglielo, avevo altro su cui riflettere. “Prendo atto” “Scusami” “Mica è colpa tua se sono delle bestie e non mi volevi agitare” “Stasera cambio turno, sto con te” non fece un fiato, trovò il modo di sorridere di nuovo.
 
Dai quaderni di Olga Romanov alla principessa Catherine” Pasqua era appunto il 15 aprile, la sera alle sette vi fu l’ennesima funzione religiosa negli appartamenti dei Bambini. Quando il sacerdote pregò per il Governo Provvisorio, Papa si fece il segno della croce, difficile rilevare se fosse ironico  o meno. Il giorno dopo, finalmente un’uscita nel parco, il tempo superbo, un poca d’aria con solo la scorta che fingevamo di non vedere. Rompemmo il ghiaccio,  sia per divertimento che per fare un poco di movimento, poi scorsi che sopra  i muri che circondavano il parco un movimento di persone, che gesticolavano e ci osservavano, con grandi e spumeggianti fischi,un nuovo spettacolo. Mi imposi di fingere che nulla fosse, come sempre, solo la mascella rigida testimoniava la mia collera, che le parole si sentivano molto bene, meretrice la più gentile. Il pomeriggio successivo, tornando indietro dalla passeggiata, una guardia fermò Papa  sul sentiero “Non potete passare, Signore”Alessio arrossì, scorsi l’ondata che gli imporporò il viso e le orecchie, i pugni stretti contro i fianchi, quelle sere Mamma sbraitava che non era possibile, Papa una vittima e si torceva le mani. Ma a stare con Alessio, Marie o  Anastasia mica ci pensava, come da tradizione eravamo io, Tata e Te. Io e Tatiana, sfiancate dal recente morbillo, te con quella pancia che non finiva più per la gravidanza, pancia per dire, il ventre ti esplose solo nell’ultimo mese, che, scherzando, pareva davvero una coppia di gemelli, per come eri magra e poi lievitata era uno spasso prenderti in giro. E quando andammo in Siberia ti ho spezzato il cuore, scusa il melenso linguaggio, tranne che avevi fatto tanto, non volevo e potevo essere egoista, e nemmeno Alessio, nessuno di noi.. E saresti venuta, lo so, eri come la rocca di Ahumada, immutabile e potente, tutti proteggevi, chi proteggeva te era un mistero..Forse tuo marito, vi proteggete a vicenda... ti voglio bene, Cat, qualsiasi cosa succeda nessuno ce lo porterà via, avevamo bisogno di te e tanto una persona ci batteva su tutta la linea" 

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Capitolo 31
*** Alexei & Cat Waiting The Still Spring ***


Tra le varie carte che ogni tanto giungevano, ecco che un giornale della capitale pubblicò “Una lettera aperta ad Alessandra Feodorovna”, la zarina che, ex o meno, era esecrata a prescindere. “ Tutto si è compiuto, la Russia è finalmente libera dal giogo.. “ La tirannia aveva avuto termine, che Alix per oltre un ventennio aveva tradito e venduto la Russia, nazione che l’aveva accolta a braccia aperte.  Diceva di essere stata tedesca come la grande Caterina, tranne che avevano in comune solo il luogo di nascita, la sua era una ridicola presunzione. Aveva confidato solo in Rasputin, mentore, consigliere e certo altro ancora. Solo orizzonte di Alix la sua cucina, mai era stata una vera imperatrice, aveva tradito tutti, non aveva fatto nulla, ringraziasse che non fosse stata messa al rogo o a morte in altro modo. 
Le chiacchiere, sempre, era vero che Alix, giovane imperatrice, metteva bocca sulle spese di gestione e come lamentavano gli economi non conosceva i prezzi correnti delle patate, ma non giustificava quell’attacco, il feroce odio di cui era vittima. 
“IO SONO UN CAPRO ESPIATORIO” 
Olga la strappò dalle mani di sua madre, le labbra strette. “Sono solo bugie” le tremavano le labbra “Feccia”  Alix fece un piccolo cenno con la testa, passava le giornate sul divano,  si imbottiva di Veronal, un medicinale a base di arsenico, che usava per dormire e calmarsi, perennemente sedata per non impazzire. Ne era satura, rilevava poi, ma si teneva stordita per non esplodere in continuazione. 

L’odio e il disprezzo erano al parossismo, i Romanov, Rasputin e compagnia erano odiati, sui giornali vi erano vignette su vignette, sconce e  caricaturali della tedesca e del suo siberiano, in una lei si faceva il bagno  in una tinozza piena di sangue e diceva “Se Nicky uccidesse più rivoluzionari farei il bagno così più spesso” 
Una abitudine che si consolidò, le uscite giornaliere nel parco, come la folla sugli spalti che fischiava e rumoreggiava “Il Tiranno!” “La puttana tedesca che andava con il diavolo” “Le puttanelle che facevano le orge con i soldati.. e mandavano i dolci avvelenati ai bambini!” “Quello con la malattia inglese” “Tiranno” “Traditore” “Moccioso” il vento recava quei motteggi, il teatrino dell’insulto la nuova moda. Dicevamo, le uscite giornaliere, poi il permesso di poter coltivare un orto, per tenersi occupati. E i problemi giungevano anche qui, il portone del palazzo di Alessandro, quello principale, era sempre aperto con sommo ritardo. Alessandra usava la carrozzina, i suoi problemi di sciatica e cuore le impedivano di passeggiare con marito e figli, e le guardie brontolavano, lo ritenevano una perdita di tempo. 

La curiosità verso Alessandra toccava apici da capogiro, i soldati formavano un corteo per il giardino, “Nemka”, tedesca, puttana e traditrice le parole più gettonate, sussurrate in modo che sentisse, omaggi alla carrozzina che passava, lei ingollava, serafica solo in apparenza. Aveva preso l’abitudine di sedersi su una coperta sotto un albero, ricamando, cercando di arginare i curiosi appollaiati sui muri.  Quella volta, la sua dama di compagnia, baronessa B. si era allontanata per non so quale consegna, una delle guardie atterrò gentilmente e senza preavviso sulla sua coperta. “Ora facciamo a turno” Alessandra non protestò, per evitare che tutta la famiglia fosse fatta  rientrare, tacque e ascoltò un concione, della serie “Disprezzate il popolo, non vi piace incontrare la gente e odiate la Russia”
“Vi devo confutare” con gentilezza, ma ferma “Nei primi 10 anni di matrimonio ho avuto cinque figli, che ho seguito personalmente, in seguito la cattiva salute mi ha impedito di viaggiare” Convincente, che era verità, come la sua successiva risposta sdegnata, quando il gentile soldato (sono sarcastica) insinuò che, essendo tedesca di origine, aveva certo simpatie verso gli eserciti del Kaiser “Ero tedesca in gioventù, ma ho sposato un russo, i miei figli sono russi, mi sento russa” intanto la baronessa B. aveva chiamato un ufficiale, la guardia si alzò, fece un piccolo cenno del capo e le strinse la mano, “Sapete, avevo una diversa idea di voi, mi sono sbagliato” e si comportò da allora in avanti in maniera cortese, una goccia, occasionale, come le lettere di conforto, la maggior parte erano un peana di odio e vituperio. 
E il 25 aprile 1917 portò una ingombrante e splendida sorpresa. Ero andata in biblioteca, con la scusa di vedere un certo libro, in verità volevo stare dieci minuti da sola, mi era venuto in mente di insegnare qualcosa di latino ad Alessio e alle due più piccole, che a breve avrebbero ripreso le lezioni, guariti, passare le ore dentro il palazzo senza alcun programma era un tedio.  Il tempo all’aperto era sempre troppo breve e la folla che rumoreggiava insulti fuori dai mura di cinta mi indisponeva, avessi avuto un fucile avrei sparato qualche colpo in aria per disperderli. Come allo zoo e le bestie erano umani, ovvero la famiglia del colonnello Romanov e il loro entourage. Tiranno lui, sgualdrina lei, le granduchesse delle lussuriose, Alessio un “moccioso” Per inciso, era tornato di nuovo Kerenskij, il Dr Botkin avrebbe chiesto, stante le condizioni di salute dei ragazzi, il permesso di andare a Livadia, magari, sarebbe stato bello e tanto non sarebbe andato a buon fine, non era possibile al momento. Inoltre, non vi era ancora alcuna notizia sulla partenza per l’Inghilterra, il che denotava che avesse scarso ascendente, Kerenskij ed il malefico governo provvisorio. Per la cinquantesima volta nella giornata pensai ad Andres.
Una piccola fitta alla schiena mi ammonì a non sforzarmi mentre mi tiravo sulla punta dei piedi per prendere il volume, sentii la porta aprirsi e non mi girai, certo era una delle guardie. 
Silenzio e un sospiro, quindi sentii che la persona si avvicinava. 
Una allucinazione dei sensi, udito e olfatto, quel modo di muoversi, quel profumo, a furia di desiderarlo ero ammattita. 
“CATHERINE..”
“ANDRES “
E il tempo si fermò.
Ci guardammo. 
E il tempo si fermò.
Gli sfiorai il viso con la mano “Andres, AMORE..” 
Era tornato, il mio incubo nel breve periodo era finito
..quando sono entrato nella stanza di Mamma, ho notato che sorrideva, la prima volta in quel lungo mese, come le mie sorelle. “Abbiamo una sorpresa.. Alexei. Una cosa bella. “ ”Sarebbe..” Non una nuova umiliazione? Una nuova maniera di comportarci? Un regalo che le guardie non abbiano rovistato con le sudice mani, aprono i vasetti di yogurt, riducono in scaglie la cioccolata e.. Nessuna lettera, i giornali raccontano che mia madre è una sgualdrina, mio padre un tiranno, alcune guardie sostengono che le mie sorelle sono delle meretrici e il mio marinaio Nagorny a stento mi trattiene, la rabbia come un demone..“Un armadio vivente dotato  di strepitoso appetito .. Ti  suona famigliare? “la voce di Catherine, divertita. Anche lei, era un soldato, una guerriera, la mia mamma elettiva che mi dice, è per te, non rispondere alle provocazioni dei pezzenti, Alessio, ho fiducia in te, sei e rimani un principe. E mi ha fatto cavalcare e sparare, prima, un duro scambio, io ero felice, lei in pensiero, che la mia malattia è imprevedibile, basta una piccola abrasione e rischio di morire per una emorragia, e tanto non mi faceva sempre stare a letto, fosse successo qualcosa ne valeva la pena, per una volta facevo come tutti, come un ragazzo normale “ANDRES..!!”  “Salve, Alexei Nicolaevich.. “
.. gli ho dato la mano, ricordandomi che ero grande “Che ne dite.. c’è posto per un’altra persona..?” Poi ho capito e mi sono tolto un peso “Rimanete..?” “Sì..” e mi sono buttato addosso ad Andres, al diavolo ogni compostezza “Sei dimagrito..”mi aveva stretto per un momento, sorridendo “E Catherine ingrassata, quindi compensiamo”,”Aleksey Nicolaevich”e ridemmo della mia uscita.
“Bravissimi” Marie ballò due passi di danza con Andres, resistendo stoico ai pestoni, una bella coppia, osservò Cat. Che fremeva per restare sola con suo marito e tanto rimasero a cena, quel giorno Kerensky aveva stabilito che le indagini erano finite, mia madre non era una spia tedesca che aveva tradito la Russia, brindammo, anche io, un goccetto di vino. Papa lesse qualcosa, a voce alta, alle nove andai a  letto “Notte, Cat”contro la sua spalla rivestita di seta “Visto..” “Sì..ti posso dare un bacio” “E mi racconti del cavaliere..” Quella sera ho sognato di essere a cavallo e galoppare tra le montagne, ero ancora lo zarevic e tutti mi obbedivano. Ed ero scattante, elastico, sano, in una parola, come tutti, il mio corpo non era stato scalfito e segnato dalla malattia, MAI. E la mattina ero da solo, fuori le guardie che brontolavano, era iniziato il nuovo giorno di prigionia. Ho abdicato per te e me per non farti riscontare i miei errori, ha detto Papa, io ho replicato che li stavamo scontando tutti ora, me compreso. Il ministro della giustizia, kerensky, mica ha risposto alla mia domanda se era legale che avesse abdicato pure per me. Perché non è legale, come non è legale che Andres abbia passato un mese in galera, lui una spia? Figuriamoci. Come dire che Cat non mi vuole bene, mi adora, a prescindere.. E non mi tratta da malato o bimbo piccolo, quello che ho sempre voluto.

“ E tu cosa mi insegni?” Aleksey strinse il gomito di Andres, un attimo veloce, il principe Fuentes restò basito e commosso, lo zarevic cercava la sua COMPAGNIA, al solito e nonostante tutto “Geografia, europea, se volete” “Sei ferrato, no, magari sai il nome di quasi ogni torrente, dai Pirenei alle Alpi e via così” “Certo “ senza falsa modestia, o almeno non troppa “Mi mancano i tutori..Papa e mia madre” Andres annotò che secondo uso, se non era presente,  chiamava Alessandra Feodorvona madre, Mamma era epiteto che riservava solo a Catherine, Olga e Tata, le sue vere mamme, che lo curavano e giocavano tutto il tempo con lui, mentre Alessandra, appunto, già zarina di tutte le Russie pregava e piangeva, e via così, perdendo ben poco tempo nelle attività pratiche e giornaliere di suo figlio, urlando che tutto doveva essere come au fait. Un affetto senza misura, che gelava suo figlio, che a sua volta l’amava e teneva la distanza  Alessio si sentiva più a suo agio con Catherine, Olga o Tata,appunto,  adorava suo padre.. Con Alix era sempre cauto, circospetto, sapeva che era la sua ragione di vita. E non si abbandonava a quel suo affetto goloso e ingordo. Una madre come una guida ed un faro, peccato che lui volesse, come tutti i bambini una MAMMA che giocava con lui, gli raccontava le cose e.. non stesse tutto il tempo con un santone e una devota amica. Tranne che quando aveva sentito gli insulti era andato fuori controllo. L'affetto esclusivo di Alix, oltre a scatenare la gelosia delle sue sorelle, le dicerie e via così,  aveva avuto l'effetto di allontanare Alessio, in una data misura, senza rimedio.
“Sì, che hanno detto? La nuova moda sarà per caso trovare insegnanti in chi non lo fa di professione” affondò la zappa nel terreno, un netto e fluido movimento, ora potevano  coltivare un angolo del grande parco di Alessandro come un orto, o far crescere le rose “Con Gilliard .. sai ci insegna il francese, lui che è svizzero, va bene,  comunque hanno fatto il punto della situazione, mio padre mi insegnerà storia e geografia, mia madre religione, la Buxhoeveden inglese, aritmetica la Schneider e Russo il Dr Botkin, Gibbes l’inglese” saltellava sulle gambe, si fermò un momento “  Catalina Fuentes espagnol y latin” Aleksey cacciò una smorfia, quindi sorrise, la consegna era parlare in russo e Andres la evadeva con nonchalance  “Traducete, intanto” “Catherine Fuentes spagnolo e latino e .. varie altre,”una piccola chiosa “A voi e alle vostre sorelle più piccole”  “I miti, Iliade, Odissea ed Eneide, non mi annoio, sai” “Buon per noi e in caso lo direste senza indugio“ “Perché mi dai del Voi, comunque” “Per rispetto, no?”  “E io ti do del tu..” “Come credete più opportuno” E si inchinava, un cenno leggero della testa, una deferenza e un rispetto che non erano mai venuti meno, oltre che forma era sostanza. “Comunque Andres non vi è nulla di male a imparare, anche da chi non fa l’insegnante per professione” lo rintuzzò. “Eccomi..EccoVi”

Ti voglio bene Alessio, anche quando scocci a giornate e ore intere, peggio di tua sorella.. e tanto da qualcuno hai preso.

..dall’Inghilterra, dopo l’iniziale offerta di ospitalità, non era pervenuto più nulla, tutto pareva fermo e sospeso, mentre quel mese di maggio declinava. Le lezioni, l’orto, le passeggiate, le letture la sera ad alta voce, cercando di ignorare angherie e umiliazioni, le rare messe.

“Maestà, per voi” chinai la testa e le porsi un ramo di lillà dalle bianche sfumature, con delle piccole rose raccolte a caso “Catherine” una pausa “Principessa Fuentes, grazie” mi  sfiorò il polso, le lacrime le scorrevano sul viso, era il Veronal, pensai, a base di arsenico, che la rendeva così emotiva, erano passati troppi affanni e secoli da quando mi voleva bene, una semplice bambina che cresceva e la adorava

"Tu?" una sola sillaba di disprezzo. La  zarina mi scrutava più inquisitoria del solito,appurando che ero cresciuta e la somiglianza con mia madre, a quando era una ragazza come me.
Le evidenze sempre più suntuose e marcate, i capelli castani che nel sole vibravano di ramati riflessi, ero  alta e snella, senza goffaggini apparenti.
La copia della giovane principessa Ella, che, in segreto, aveva conquistato principi e granduchi, che l’allora zarevic Nicola l’avrebbe voluta sposare, essendosene innamorato, tranne che non era possibile,che le regole dinastiche erano precise.. Uno zar, un erede al trono dovevano sposare una straniera, per evitare conflitti e diatribe nel Paese.. E mia madre Ella, secondo i pettegoli, lo aveva ricambiato, tranne che si era sposata presto e male, nel 1890 con Pietr Raulov. Tranne che Nicola II aveva voluto che io e le sue figlie fossimo amiche, festeggiando la gioiosa congiuntura che io e Olga eravamo nate nello stesso anno. Lui stesso, come mio zio Sasha e Pietr Raulov, erano cresciuti insieme, amici, compagni d’armi e avventure. E mia madre Ella era tra le dame preferite dell’arcinemica di Alix, ovvero la zarina vedova. Non poteva farla riscontare ad Ella, aguzzò le armi contro di me, inventando un plausibile pretesto.
Si convinse, infatti, che fossi io a istigare Olga ed essere intrigante e malevola, a discutere di Rasputin, nessuno doveva creare attriti o ingerenze tra lei e il sant’uomo giunto dalla Siberia, nemmeno l’amica di sua figlia.
Fu un esilio, una dura stagione, la nostalgia così forte da chiudermi la bocca dello stomaco.  Poi passata ed era stato uno stillicidio, il primo atto, ora..
“Scusatemi, so che amate i fiori e..” nessuno glieli portava più, mi ero premurata in buona fede, credo, una sfida alle meschinerie del governo provvisorio, su “inutili lussi” Mi sorrise, appoggiai la fronte sulle sue ginocchia, mi sfiorò i capelli “Grazie per tutto”, un lieve sussurro. “Mi spiace, ho sbagliato..” nessun rilievo, forse pensava alla lunga guerra che la aveva opposta a mia madre Ella, a sua suocera, al mondo intero, alla ragazzina rompiscatole che ero stata, sempre nel mezzo, prediletta da suo figlio e Olga, portata in palmo di mano dalle altre granduchesse, vituperata dalla Vyribova .. Non lo sapevo,  era una tregua reciproca.. I bambini non hanno colpa Alessio, non scelgono di nascere da una nubile o una sposata, tranne che io ero la bastarda dello zar, che amava i suoi fratelli fino allo sfinimento, eravamo insieme, mi imponevo di non contare solo su quello

Le serrai una mano, forse ero meno cattiva di quanto pensassi, chissà che avrei combinato io a parti invertite, a gestire una situazione difficile, sul filo del rasoio, con il senno del dopo siamo tutti bravi “ Scusatemi..” “Catherine, sei sempre nel mezzo da quando sei piccola.” Zittì la mia replica, le dita sulle mie labbra “Dammi del tu, “ un momento di silenzio “ E bada ad Alessio, lui ti vuole bene sul serio” uno strazio reciproco “Lui è il tuo bambino” insomma, me lo volevano appioppare tutti.LO SAPEVO CHE ERA IL MIO BAMBINO.“E..” “Lasciami sola, grazie..” Mi inchinai e lasciai la stanza, la sua mauve room, il suo rifugio contro il mondo, mondo che aveva abbattuto ogni barriera.  Era invecchiata, giorno per giorno, una icona della tragedia, le ciocche sempre più grigie, magra e le rughe marcate, pareva più vecchia dello zar, anche se aveva quattro anni meno di lui..
 
“Come è stato?” Aleksey  gli servì la  domanda mentre controllava un esercizio di inglese, nessuno li sentiva  “Lunga, lunghissima  ..”rispose Andres cauto, gli occhi verdi socchiusi “Che ti hanno fatto?” riferendosi al mese di soggiorno in galera, mio marito valutò l’opzione più congrua, nessuna bugia e nemmeno voleva agitarlo “.. principalmente mi provocavano” lo avevano definito un traditore, un figlio di puttana e un cornuto, sputato nei piatti dove mangiava e tanto .. Non aveva reagito. “Confessa e te la cavi” “Non ho nulla da confessare..” la replica. Minacce e blandizie, si era finto idiota .. “Le spie sono punite con la morte” “Ma non hanno abolito la pena capitale..di recente, che ho perso” “Potresti testimoniare che lo zar è un traditore..” 
Tornò ad Alessio “Non rispondevo, cercavo di passarci sopra”
“Ah.. “
“Pensavo a qualcosa di divertente. A una calamità naturale”
“Bella definizione per Catherine”  (ALESSIOO!!)
“E chi dice che era lei..?” sardonico.
“Andres, chi era?” un sorriso “Io no davvero..” una pausa “Giusto?”
“Negli anni recenti sono stato a pesca, con quella persona..”
Si riferiva a lui, decodificò lo zarevic, ridacchiando, in effetti si erano divertiti e lo aveva fatto diventare verde, tra domande e chiacchiere, cacciandolo in imbarazzo, impresa epica che era riuscita a ben pochi “Che comunque sa sempre il fatto suo, intelligente, spiritoso, con una parlantina infinita” Alessio arrossì “E tornando al discorso di prima, se rispondevo alle provocazioni avrei fatto il loro gioco e non mi conveniva. Non che fosse facile, bada, cercavo di estraniarmi, tra virgolette, alla fine l’ho spuntata.. Non solo per merito mio”
“Ci hanno messo le zampe i tuoi fratelli e Cat”un cenno di assenso. Alessio non lo fregavi, poteva fingersi ingenuo e non lo era.  
“E anche tu, sapevo che era in buone mani, mia moglie, che avevi cura di lei”
“Si e no, alcune volte l’ho trattata male” chinò la testa, mortificato, Andres bandì l’etichetta e lo toccò, sulla spalla “Era in ottime mani, sempre, grazie”
“Prego, tornando al compito, vi sono errori?”
“No, bravo Aleksej”
Erano nella stanza degli studi di Alessio, la sua classe, sulla poltrona d’angolo la zarina sferruzzava, ascoltava lì le sue lezioni come lo zar. Osservando lo spagnolo e suo figlio alle scrivanie, sopra di loro mappe geografiche, sulla Russia e l’Europa continentale. Per non tacere delle teche che contenevano le collezioni di insetti, farfalle e uccellini, per le lezioni di scienze, tutte curiosità per mantenere viva l’attenzione di Alksey, che si annoiava spesso e facilmente, un poco come Catherine, prima che sua madre sostituisse il tradizionale percorso di studi (ricamo, economia domestica e via così) con sessioni impegnative di lingue, letteratura e storia dell’arte straniere.. E storia.. Come con Alessio, se lo interessavi si divertiva e ti faceva divertire a tua volta nello spiegare e imparare.
“Nessun errore, sicuro”
“Sicuro”e non discutevano della lezione, quanto della sostanza.
“E se uno sbaglia?”
“Si corregge”
“Tu hai mai sbagliato?”
“Spesso .. e ho cercato di imparare”
“Sarai un bravo PAPA’, fidati”
Aleksey voleva bene ad Andres, in un dato senso era il suo eroe, un campione da cui trarre esempio, parlavano ben poco di sentimenti, ma si apprezzavano, il cameratismo maschile, credo.
Preferiva l’eroe irruento, il picador alla serena abnegazione dello zar, era meno umiliante, per lui.  E Andres non era pirite, il luccicante ed apparente oro degli stolti, era forma E sostanza.

I partiti estremisti domandavano intanto che Francia e Inghilterra dovevano proseguire da soli la guerra, che la Russia di doveva ritirare, per lo zar uno strazio, il governo provvisorio avrebbe resistito?
Allora i bolscevichi erano ben pochi, una sparuta legione che proclamava “Pane, terra e libertà”, con agguerriti agenti.. sarebbero saliti al governo, un “rimpasto” e non si sarebbero fermati nella loro scalata al potere.

“Marmellata di mirtilli, cioccolato, patatine fritte e torta di mele, e una insalata, pane fresco”
Enunciò Alessio, a casaccio, la mano sul mio gomito, facendo strada a me e al mio pancione, dietro Olga, Tata, Marie e Anastasia, cenavamo tra noi, nella stanza da pranzo delle ragazze, con il tavolo rotondo, le sedie di betulla, il cordino per chiamare i domestici era in disuso, come il bianco piano verticale non era stato più toccato. Mangiammo in fretta, al diavolo le guardie e le preoccupazioni, una serata dolce e amara, come quando ero una bambina, scrutando le nuvole e aspettavo un principe.
Uno mi atterrò sulle ginocchia  e sussultai, sospesa dalle mie fantasticherie “ Che c’è. Aleksey? “ “Nulla, stai bene?” “Certo, ce la caviamo” lo raccolsi per un momento, un bacio a caso.
Dai quaderni di Olga alla principessa Catherine “ ..Alessio ti si era attaccato a dismisura, in quelle infinite settimane, e viceversa. E da prima, alla Stavka, stare con te era probabilmente i tre quarti della gioia e del divertimento. Un nuovo esperimento, ti era stato affezionatissimo fin da piccolo, poi ti eri sposata ed eri andata via, da giugno 1913 ricomparisti qualche giorno in agosto, rientrando l’anno dopo per un paio di mesi. Sentì la tua mancanza, più cresceva e più ti si affezionava, sapessi quante volte si è svegliato, chiedendo di te, rimanendo deluso, perché non c’eri, ti inventavi una nuova vita a Parigi, giusto, ma gli mancavi e mi mancavi..Scoppiò la guerra, rimanesti vedova e sparisti di nuovo, ti ha rivisto a rate e il 1916 al Quartiere Generale, con te, con Andres, è stato tra i periodi più belli. Adesso, in quella lunga primavera del 1917 ti rispondeva spesso male, un poco come eravamo noi alla sua età, era l’adolescenza, non la malattia, ti provocava e sfidava, cocciuto e sfibrante. E avevi la sua fiducia, ti diceva se gli faceva male il braccio o la testa, lo confortavi, poche e secche battute, lo spronavi a reagire.. Senza compatirlo o trattarlo da malato, hai sempre cercato di farlo, sorvoliamo che lo hai viziato in maniera esponenziale. Logico che ti “preferisse”, e tu gli eri attaccatissima a tua volta, guai a chi te lo toccava. E ora.. Cat, da quanto è magro pare fatto di seta e cera, così pallido da essere trasparente, l’unica cosa di vivo sono gli occhi, brillanti e curiosi, a ogni rumore si tende, spera di vederti, anche se la ragione dice che non ci vedremo mai più, lo abbraccio, reagisco per me e noi, l’ultimo attacco di emofilia lo ha quasi ammazzato, ha delirato per ore e ti voleva “Arriva, Aleksey.. quando potrà..” “Bugiarda, io non la vedrò mai più e nemmeno te” “ E che ne sai”.. baciando i suoi pugni chiusi, era la rabbia, la frustrazione, io come lui” e arrivai alla casa a destinazione speciale, un diavolo disperato. Non certo l’ultima volta che lo stupivo, e non era per lui, quanto per me. Tra me e Andres eravamo due matti allo sbaraglio, e Olga ha saputo, anche quando è morta, che l’ho amata fino all’ultimo, fosse servito avrei barattato la mia vita per la sua. “Stupida coraggiosa” l’amabile esordio, stringendomi così forte che mi era mancata l’aria “Come al solito, a proposito, ti voglio bene..” “Perché..” “Perché sì..” e non vi era nulla da aggiungere, su quello.
 
Intanto, i bolscevichi prendevano piede, in maggio il governo provvisorio venne “rimpastato” con l’aggiunta di alcuni membri che rappresentavano i lavoratori ed i soldati. “Pane, terra, libertà” questo lo slogan, che trovò svariati proseliti. Il capo, Lenin, era giunto in aprile su un treno tedesco e si era acquartierato nella dimora di Matilda K., un tempo suntuosa abitazione, adesso devastata dai saccheggi, Matilde K., un tempo amante dello zar e prima etoile del balletto imperiale. 
Ai primi di giugno esibivo un trionfante pancione, un profilato usbergo. E  da una settimana all’altra avevo la sensazione di lievitare, forse erano due gemelli, per quanto fossi  esile,  magra di struttura di base,  in quell’ultimo mese il ventre mi era esploso, un budino ben cotto, una pagnotta che era lievitata ai massimi  gradi. Andres mi aveva tolto la fede, avevo le dita gonfie come le caviglie ed i piedi, alla fine mettevo i suoi stivali, tanto per dire la misura, per stare comoda. Andres portava un suntuoso 47, io un 40, in tempi normali, un leggiadro piedino da Cenerentola che era lietamente aumentato. E manco li vedevo i piedi, per la pancia, magari erano aumentati pure i polpacci, solo non stilavo paragoni.
Era il caldo e la gravidanza, una (in)felice combinazione, mi sentivo una zampogna, appunto. Sedendomi, trasalivo, sentendo il corpo del feto che premeva contro il mio, era energico e spumeggiante come un cavallino su un prato.  E avevo sempre sonno, mi alzavo tardi la mattina, verso le nove, alle cinque di pomeriggio avevo già sonno.
“Non sarà ancora per molto” osservò Andres.
“Vedremo..se penso che in inverno, pattinando sul ghiaccio, riuscivo ad andare all’indietro e a saltare mi pare passato un secolo, avevo 16 anni, troppo alta, troppo magra, ero una libellula” ora ondeggiavo come una papera al vento passando da una stanza all’altra, mi appoggiavo ai mobili, alle pareti, il fiato corto,  ne avevo 22, la gravidanza quasi al termine causava quell’effetto, un costante affanno. Conseguenza del pancione e del peso ora raggiunto, tranne che tutti mi vedevano bellissima, paffuta e ridente. Ispiravo tenerezza, come i bambini, the Children, lo zar usava annotare così dei suoi figli, tralasciando che Olga andava per i 22, Alessio per i 13.
“E ..” sapevo a cosa stava pensando.
“Presumo che ne vorrai un altro, a stretto giro”
“Perché no” gli occhi luminosi, una verde scintilla divertita, non raccolse la mia scherzosa canzonatura.
“Basta che ..tu sia gentile, non faccia troppe critiche”
“Cosa..?Ma che ti inventi,” allibito
“La zarina madre, Marie Feodorovna, ha sempre criticato la nursery imperiale, affermando che ..”
“Olga.. “alzò il viso dal libro, eravamo nella balconata che correva intorno al palazzo di Alessandro per prendere un poca d’aria “..Fosse brutta, con la fronte troppo grossa, Tata noiosa, Marie un piagnisteo ambulante e Anastasia l’ennesima inutile femmina che non poteva ereditare il trono.. .” con esatta precisione, si declinava in terza persona per prendere la distanza.
“Che persona svanita, per non dire altro, il 1895 è stato l’anno di nascita delle più belle principesse di sempre” Olga sorrise a quella esternazione, io di più “Senza offesa per le altre principesse, mia pattinatrice, mia ballerina”
“Ma non è possibile, glielo hai già raccontato..”
“Cosa, Olenka?” intanto avevo portato le mani al pancione, rispondevano calci e pugni, mai che si placasse, un bandito come il padre.
“Di quando avevamo sette  anni e ..mi misuravo la fronte, davanti a uno specchio”
“Ah..E io affermai che ne diceva tante, ma non ti conosceva sul serio”
“Una vera irriverente..già”
“Non sapeva nulla della tua intelligenza portentosa, del talento al pianoforte, e via così, constatazioni e non certo lodi di maniera, eh” e vedevo una ragazzina non sempre gentile od empatica, con splendidi capelli biondi, occhi chiari, gentile quando e se voleva, la ragazzina che era ora accanto a me, una giovane donna, una principessa militante e misericordiosa, Andres scosse il capo, le riteneva cose da donna, da capo, era sconvolgente quanto fossimo in sintonia, Olga mi sfiorò il ginocchio.
“Catherine,  di difetti ne ho a iosa, e mai ho criticato gratuitamente un bambino o sono stato poco gentile, in linea generale, in modo volontario, figurati con i miei figli” serio, tossicchiò, commosso, poi sancì che aveva voglia di fumare e ci lasciò alle nostre chiacchiere, appoggiandosi alla balconata di ferro, aggiungendo, come era vero, che non glielo avevo rappresentato.
“Cat, marito migliore non lo potevi trovare”
“Credo” Scrutai il meraviglioso fondoschiena di Andres, era appoggiato, pigro, al ferro della ringhiera,  il desiderio che sorgeva, bastardo .. facevamo l’amore anche se ero al termine della gravidanza, lo preferivo con me, piuttosto che fuori dal mio letto, anche se mi sentivo gonfia come una vescica, lo spogliai mentalmente dai vestiti, rividi i suoi tatuaggi, i nei sparsi, le cicatrici e i rilievi. 1895, l’anno delle più belle principesse di sempre, galante con me e Olga, as usual, compito e affabile.. E gli avrei torto il collo, era solo mio. E io solo sua, il senso di possesso e l’amore, quale era l’esatto confine, boh.  Gli scatti famelici e appassionati erano passati in seconda  linea, ora era lento e dolce. E fissava come un allocco, senza parole, la mia pancia, era felice, come me, nonostante tutto, la sua guancia ispida di barba si posava sul mio ventre sporgente, un tenero buongiorno. E io stringevo le sue chiappe, toniche e vigorose tra le mani, una pura  meraviglia. E si spostava verso il mio sesso, palpitante.
“Figli..?”
“Gemelli..” mi toccai il ventre, rispose un piede, una manina, boh, ormai mi sentivo un dirigibile, così grossa che forse erano davvero due bambini, in un colpo, Andres seminava e io raccoglievo.
“Macchè, ne fabbricherete uno alla volta..” un momento sospeso “Figli vostri e adottivi, la tua vocazione è la maternità, ironia, tu non volevi sentire parlare di matrimonio o figli quando eravamo bimbe”
Feci una battuta a caso.. Maternità.. Mi stava  pensiero il primo parto, figuriamoci il resto, ormai prendevo un giorno alla volta. E Sophie? Che pensavo, una madre la aveva, Erszi, io ero solo la moglie di suo padre, sarei stata una sua amica, volendo, non altro. Ed ero la mamma in senso traslato dello zarevic, di Aleksey, anzi era lui che mi aveva eletto tale per sfinimento “Forse.. “
“Grazie, Catherine”
“E  basta, sono io che ringrazio te” una pausa “Sperando di non rimanerci secca”
“Fammi questo scherzo e ti ammazzo io” senza altro dire, avevo paura “Alessio non te lo perdonerebbe, se ci resti, di parto”
“Non comanda lui, in questo”
“SST” mi abbracciò “Andrà tutto bene, Cat, la paura è normale, ma siamo insieme, ti aiuterò se posso” registrai il suo privato sussurro, mi fidavo di lei, più che di ogni persona al mondo o quasi.
Dai quaderni di Olga Romanov per la principessa Catherine “.. a volte, riflettendo su quel lontano episodio infantile, pensavo che lo dicessi per misericordia,che ero bella,  tu eri uno splendore fin da bambina, osservavano che avevi colori stupendi, suntuosi, come una piccola ninfa … invece ne eri convinta e avrei fatto meglio a darti retta.. Avevi ragione, come spesso accadeva. Poi quando avevi diciassette, diciotto anni ti lamentavi di essere troppo alta e troppo magra, quasi una beffa, per mia sorella Anastasia, che si riteneva bassina e grassottella .. Parevi una principessa orientale, come Sherazade, e mia nonna predisse che avresti fatto girare testa e polsi a molti uomini, aggiungendo che sarebbe stato lo stesso per me e Tatiana .. Per lo sbigottimento, per poco non caddi dalla sedia..  Tu eri bella, come Tata, io .. lasciamo stare. Non mi piacevo, Cat, fine della storia nonostante mi rassicurassi sul contrario, che difetti a parte, sarei piaciuta. E poi mi sono innamorata e, guardandomi nei suoi occhi, mi sono vista bella, sul serio ..Michael, a love, a sin, a secret.. quella sera ho fatto la doccia e ho pianto. Comunque, tornando a noi, apprezzavo tuo marito, era dolce e arguto.. La mia è invidia, Catherine, io me lo sarei preso e di corsa. Non come S., un flirt e poi si era eclissato, per me era amore, tranne che aveva obbedito a mia madre, fidanzandosi con Olga, Olga K., io ero la figlia dello zar e lui nessuno. In termini dinastici e di rango. E  le foto sullo Standard di quel periodo tradiscono la mia ripulsa,  braccia conserte, un serio cipiglio, mi aveva tradito, per dire, solo qualche bacio  e rari abbracci, cerco di mettere ogni tipo di distanza, in primis fisica. Tu Andres te lo eri scelto e di corsa, ottima opzione, scusa il crudo linguaggio, Cat, ma lui era la tua passione e viceversa,io Michael lo avevo voluto, il mio principe soldato, e non lo ho sposato,  ho preso quello che potevo prendere, sventata, e non me ne sono pentita, e dopo siamo diventati amici, solo il buonsenso e la fedeltà, mia e sua, nei confronti dell’impero, dello zar, mi ha impedito di perderci la testa del tutto.. Ed ero già una ribelle, una gramigna rispetto agli austeri dogmi di mia MADRE, già, tutta forma, lei, mai sostanza.. che non aveva torto, erravano gli altri, LEI giammai. E ammettevi di avere paura, che fatto sensazionale, per confortarti la baronessa B. e altre raccontavano cronache apocalittiche di parti che duravano ore, che vi erano complicazioni.. Logico che non volessi sentire. Ed eri giovane, tua madre, tua nonna non avevano avuto complicazioni, la tua stessa cognata, Marianna era sopravissuta a cinque parti e ora aspettava il sesto bimbo,  aveva 36 anni, su Cat, coraggio”
 
Da una lettera di Olga Romanov dalla prigionia di Carskoe Selo a una amica, dopo le formule di saluto“.. ogni pomeriggio, dalle due alle cinque usciamo, facendo qualcosa in giardino .. Se non è troppo lontano, Mamma viene fuori con noi e si mette sotto una coperta, vicino agli alberi e l’acqua, Papa ( con altri) fa passeggiate e sega gli alberi morti, Alessio gioca nell’Isola dei bambini, corre,   a volte nuota (..)Diamo l’acqua alle piante, oltre all’orto, coltiviamo il giardino, le rose (..) Abbiamo organizzato un piano di studi e lezioni, studio inglese con Marie.. Storia russa ed europea, nel cosiddetto tempo libero preparo il corredo, come le mie sorelle, per il bimbo della principessa Fuentes, alias Catherine, e leggo la storia europea, e romanzi..” 
 
“Andres” pronunciò il suo nome esatto, in spagnolo, Fuentes annoverò la sua stretta, chiedeva protezione, lo serrò con il braccio contro il suo addome, stese l’altro contro l’aria, per un momento, quindi lo posò contro di lui “Cosa è successo, dimmi Alejo” un soffio, il suo nome in spagnolo
Giocavo con il mio fucile giocattolo, me lo hanno tolto, dicevano che avevo armi, armi vere”  
“Chi?” gli passò le mani sulla schiena, una volta il principe Xavier suo padre aveva fatto lo stesso, quando combatteva conto l’oscurità e la disperazione, la fronte posata contro la lapide che custodiva i resti mortali del suo primo figlio, desiderava morire, lui che aveva sempre amato la vita, sempre. Variava l’evento, pensò Andres, e sarebbe bastato tanto poco per scatenarlo. Suo padre pensò Andres era un grande di Spagna, una figura inferiore al principe ereditario, forse il titolo più grande del regno iberico,  dopo quello di principe ereditario, appunto,   e nulla avrebbe consolato Alessio, che giustamente nulla ne sapeva “Dimmi, sfogati se vuoi”
“I soldati..”
Andres imprecò nella sua lingua, dedusse il ragazzino, dal tono parevano parolacce e belle pesanti “Spiegami meglio, non ti brontolo o che, solo fammi capire” E magari si calma, è agitatissimo, il mio sistema per arginarlo, spiegami.  Come faceva Catherine, tranne che ora l’onore di gestirlo era di sua spettanza.
“Ero all’isola dei Bambini e mi esercitavo con il fucile appunto, un ufficiale è andato da Monsieur Gilliard dicendo che doveva prendermi appunto l’artiglieria, che le guardie avevano deciso così, e dovevo consegnare. L’ho posato e sono andato vicino a mia madre, che era seduta sull’erba a pochi passi da noi. Un momento dopo ecco l’ufficiale e due soldati, Gilliard  ha cercato di spiegare e mia madre gli ha chiesto di ritentare, ma non c’è stato modo, se ne sono andati via con il trofeo, una grande, bellica conquista”
“Proprio, ironizzi  in modo sarcastico ed esatto come mia moglie” 
“Da qualcuno ho imparato, fidati”
Vi era del vero. Ad agosto avrebbe compiuto 13 anni, era alto, una struttura sottile ed elegante, e gli occhi non erano quelli di un ragazzino della sua età, diffidenti e cauti, di chi ha troppo visto “E Gilliard mi ha riferito che l’ufficiale lo ha preso da parte, rilevando che la faccenda lo ha stressato, atteso quanto aveva da fare”
“Sono ridicoli loro, mica tu”
“Guarda che del fucile non mi importa.. “Insomma, rilevò Andres, vediamo di organizzare qualcosa “Arco e frecce, giocattolo, ne hai mai avuti?”
“No.. “
“Te ne facessi uno ? Semplice, eh, magari con qualche freccia e ti costruisco un bersaglio”
“Grazie, Andres” e intanto lo zarevic si era costruito un suo metaforico riparo, alla fine dei giochi lo proteggevano i Fuentes, Catherine e Andres, Olga e Tata e le sue sorelle, Gilliard il precettore e il marinaio Nagorny. Infatti, sua madre, la zarina, suo padre, lo zar, pregavano e torcevano le mani, senza trarre alcun fiato per difenderlo o distrarlo in modo evidente, diretto.
Il Colonello Kobylinsky, nuovo comandante del palazzo di Alessandro, riconsegnò il fucile della Discordia ad Aleksey, smontato, pezzo per pezzo. Da allora in poi, ci giocò solo nella sua stanza.  Andres gli fece un arco giocattolo, corredato da frecce. E li rivedo buttati a giocare con  i trenini elettrici, a ridere a tutto spiano per minimi eventi, battute note solo a loro, per terra, Andres che gli insegna a usare quel benedetto arco e a tirare di boxe, dettagli ancora più specifici, Alessio che sfida il mondo, si sente invincibile.  Al sicuro e protetto.
 
 
Olga e Tata vicino a un cespuglio di rose in piena fioritura, la vita sottile enfatizzata da una fascia chiara, con un immenso capello.
Aleksey seduto su un pontile di legno, vicino a lui il precettore Gilliard.
Anastasia che contempla perplessa una farfalla.
Marie appoggiata sul pontile, di profilo, assorta e remota.
Alessandra seduta vicino allo zar, un parasole in mano, che sorride.
All’apparenza parevano le solite foto, fatte anno per anno, durante l’estate, in vacanza,tranne che non era così.
Adesso una delle principali occupazioni era coltivare l’orto, passando anche tre ore filate a estirpare cespugli e togliere pietre, creando solchi dritti e profondi. Le giornate si erano allungate, le piantine presero vita, fagioli, rape, lattuga, verza (500 esemplari) che si allungavano sotto il sole, annaffiate da piogge occasionali, la folla continuava a insultare dai muri di cinta, ora era un poco meno.
Venne creato un altro orto, per la servitù, lo zar si mise ad abbattere i vecchi alberi, ormai secchi, del parco, tagliando poi i rami, per farne legna da ardere.
Provviste e legname, casomai fossimo rimasti lì ..
“Mi avete schizzato”
“Giusto un poco, tuffatevi, tutti e tre, te e i gemelli” Aleksey si divertiva a nuotare nel laghetto intorno all’isola dei Bambini, dove giocava spesso, schizzando, appunto, chi gli capitava a tiro, senza distinzioni.
“Dalla testa ai piedi” Erano i primi di giugno, mi era riuscito a dormire un poco di più rispetto al solito e avevo le caviglie leggermente meno gonfie, tanto che ero riuscita a passeggiare senza ritrovarmi con il fiato mozzo e le costole doloranti, per i movimenti del bambino. Ignorai le guardie, rovesciai il viso verso il sole, diciamo che erano parte dell’arredo, mi sedetti sul pontile, sperando che poi non servisse un argano a rimettermi su.
“Cat, tuffati”
“No, Aleksey, e mollami la caviglia” sottovoce “Non ti azzardare  a fare cose strane, che questa  è la volta buona che non ti parlo per una settimana”
“Non fai più nulla, sei sempre stanca” petulante, eh, ero solo incinta di nove mesi, non avevo voglia di spiegarglielo per l’ennesima volta, dopo avere rifiutato marce forzate (passeggiate) nel giardino, allora avevo appena il fiato di dargli il bacio della buonanotte, se era di umore.
“Non ho il fiato”appunto.
“Già, quando arriva?” gli strinsi il polso, leggera, un tacito ammonimento, per evitare che gli venisse lo sghiribizzo di buttarmi in acqua sul serio.
“Presto, spero, e farò una nuotata, promesso, dopo”
“Sì, come no” mi fece il solletico sul malleolo.
“Cioè? “
“Fossi lui o lei, o loro, non avrei tutta questa fretta di nascere” si appoggiò contro di me, lo circondai con il braccio
“Io non vedo l’ora, invece” in parte per conoscerlo, in parte perché mi sentivo un galeone pronto al naufragio, per esperienza personale e successiva, appurata allora per altre confidenze, arrivi a un certo punto e vuoi partorire e basta, non ne puoi letteralmente più. Non dormi, non digerisci, andare in bagno è un incubo … non stai bene in nessuna posizione.
“Le mie sorelle ti hanno fatto un arsenale di vestitini, fasce, che basterebbe per cinque bambini..”
“Li userò per i prossimi” se sopravivo al parto, questa è la prima gravidanza che porto a termine, la terza, dopo gli aborti, mio figlio ha la precedenza, tranne che Andres lo avrebbe odiato se mi avesse ammazzato, lo avrebbe amato nella forma e mai nella sostanza. E Alessio non se ne sarebbe fatto una ragione, alla fine, oltre alla prigionia non avrebbe tollerato una mia dipartita.
“Per il primo o prima, avete già deciso, se fossero due, invece? “perché ci eravamo fissati con i gemelli, perché, perchèè.. Mi misi a ridere, i pensieri morbosi erano un filo da non srotolare.
“Alejo” secca, in spagnolo.
“E che ho detto scusa che mi brontoli?”
“Si chiamerà Alejo, in spagnolo, Alessio come te”
“No, Cat, non voglio che usi il mio nome”
Il motivo me lo spiegò poi, sul momento lo interpretai come una bizzarria, un   capriccio estemporaneo dei suoi.
“Lo sceglierai tu, va bene, per un secondo  maschio, pensaci”allargai le braccia, mi tirò in piedi in qualche modo,  gli accarezzai i capelli, annotai il suo braccio sulla schiena, mi raddrizzai, era LUI un portento.
...fossi il figlio di Cat, starei per un pezzo nella sua pancia,sarei al sicuro, saldo, nessuno mi farebbe male, anche se lei è esausta, con le occhiaie, e mi ascolta, mi fa ridere nonostante le mie monellerie.. ed i capricci. E tanto mia madre sta sul divano, piange e si dispera. Alessandra Feodorovna è mia madre, Cat, Olga e Tata le mie mamme. Madre e mamma, due parole, un mondo diverso. Se sei intelligente, resta dentro, Felipe. Ti conviene. Sarai un maschietto, lo so. E tanto, intelligente o meno, non vedi l’ora di uscire..sei curioso, come sono curioso io,  di vederti, tua madre non vede l'ora. 
Catherine, 
 

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Capitolo 32
*** Grow Old With Me.. Alexei the Soldier” ***


12 giugno 1917, una pietra miliare la definì Olga, ridendo, in seguito. Una tragicomica, rilevavo, io, che sul momento mi divertivo molto poco. Una tradizione, che le cose le combinate sempre insieme, la sentenza di Tanik, una barzelletta, la pronuncia di Andres, che avrebbe voluto strozzarmi  quando si trovò nel parapiglia, prevedendo che suo figlio sarebbe stato un campione a fare tutto a modo suo. Come la madre, ovvero io ..
“Olga, rimettiti.. quando partorisco, mi devi aiutare” “Come no” “Scommettiamo un abbraccio che avrò bisogno di te” pensavo a quei frammenti di dialogo, di alcuni mesi prima, quindi risi, una breve pausa, che mi sarei messa a prendere il muro a testate. Ero isterica, disperata, partorivo..
“Non mi lasciare” ansimai “Deciditi, o sto con te o chiamo i dottori e il diretto responsabile delle tue attuali condizioni”  mi asciugò il sudore dal viso con la manica, ridacchiai per quella definizione di Andres, il mio Fuentes dallo splendido fondoschiena“Fossi in te non mi fiderei, a contare solo su di me, di parti ne ho visto solo uno” “E come è finita?” risi, isterica, di nuovo, una pausa dai dolori, annotai il suo viso madido, rovesciando la testa, serrandola per la vita “Che ne so, è il tuo, la teoria mi serve a poco, anche se ho passato il corso speciale per infermiera ostetrica con ottimi voti, la migliore del corso” sarebbe stato strano che qualcuno la superasse, riflettei e vi era poco da fare, eravamo in .. ballo, almeno io non potevo scappare, io che ero una maestra nelle fughe e negli abbandoni“Olga.. anche io di parti ne ho sperimentato solo uno, il mio” respirai, non ne potevo più “Se dovesse succedere qualcosa mio figlio ha la precedenza, lo sai” “NO. Catherine, No” “Invece sì, ahora..” smozzicai la prima parola del motto dei Fuentes tranne che il dolore ai reni mi percosse di nuovo, cacciai il fazzoletto tra i denti per non urlare a squarciagola, avevo perso il tempo, quanto passava tra uno spasimo e l’altro?
Comunque, partorii alla fine, era un maschio, Felipe.
Tra un urlo e l’altro e la disperazione.
 

 
La fronte alta, i capelli folti e scuri, i lineamenti fini, le palpebre minuscole sopra due iridi chiare, color ardesia, era squisito. Tre chili e ottocento grammi, polmoni perfettamente sani, dalla prima visita medica pareva tutto a posto, era nato a termine. Il breve parto non lo aveva fatto gonfiare, era sgusciato svelto come “un topolino”.. Insomma. Ero giovane, scattante e tonica, le lunghe cavalcate e camminate mi avevano lasciato in ottima forma, e tanto era stato .. intenso.  Travagliante, appunto.

 
 “Posso, possiamo?” Spuntarono quattro teste, bionde e castane, Tata, che guidava la delegazione,  lo raccolse con gentilezza, timida “Visto, arrivato più o meno per il tuo compleanno..” Le iridi grigie scintillarono di pura gioia, una seta cangiante e preziosa, quindi lo prese Marie e poi Anastasia. “Il mio regalo TATA” Lo scalpiccio dei passi, risatine gioiose, la camera ora aveva una piccola culla di vimini, semplice, con delle lenzuola di lino. Ero stata tassativa, avrebbe dormito con me, ci avrei pensato io, niente nurse o che.. Gli ameni soldati, constatando quella spartana frugalità, nulla eccepirono, anzi quel pomeriggio finsero di non vedere tutto il corteo che vi era. Andres era a brindare, credo, e tanto di bambini piccoli ne sapeva più di me, manovrava suo figlio con una sicurezza portentosa, senza ansie apparenti, la sua testa scura compariva a rate dalla porta, gemella di quella più piccola oggetto di adorazione. 
 “Vieni, Alessio, lo vuoi vedere” 
“E’ carino” imbarazzato, non sapeva che dire “Ma è tanto piccolo” gli strinse un piedino, rispetto a lui era davvero un piccolino, sorvoliamo che erano i miei piccolini.
“E’ bellissimo, cosa dici.. Perfetto” intervenne Tata, già, le avevo pronosticato che sarebbe giunto poco dopo il suo compleanno, era nata il 10 giugno, lui il 12, magari non vedevano l’ora di fare la reciproca conoscenza, era il più bel regalo che mai avesse ricevuto, almeno da parte mia. 
“Fidati, più grosso era anche peggio” mi ero lavata, data una spazzolata ai capelli, rispetto ad un’ora prima che grondavo per gli starnuti e il dolore, madida di sangue, i vestiti intrisi di umori, io isterica e Olga disperata, ero presentabile, quasi, credo. Mi adagiai sui cuscini, con un sospiro di sollievo, la fresca morbidezza del lino era un conforto. Le sue sorelle erano prese da mio figlio,  lo zarevic rimase sui margini, non gli tornava, enunciò solo “Cat, bravissima” 
“Dammi un bacio, Aleksey” mi sfiorò la guancia “E’ tutto a posto, sto bene, tranquillo” lo strinsi contro il busto, un movimento leggero e breve, lui appoggiò la fronte contro la mia”Abbiamo sentito le urla in giardino, mi sono spaventato, come tutti, quanto gridavi” e mi ero trattenuta, poverini tutti se sentivamo tutto il festival. 
“Ora è tutto a posto”  un momento “Sto bene, fidati, mi spiace averti spaventato, sono sicura sicura “ sorrise “Non mi prendere in giro, non mi rifare il verso, di quando ho l’ansia” mi carezzò una guancia “Sono grande, che credi” 
“Lo so, tesoro” 
“Ho brindato anche io, un poco di champagne”  ora lo reggeva, anni prima, aventi a Spala, ne aveva sgraffignato una coppa e aveva tenuto concione per tutto il pomeriggio, incantando le dame presenti, lamentando comunque che lo stomaco brontolava. E ancora, una volta, ad Yalta, mentre cercava i regali più graditi per i grandi ad un bazar di beneficenza aveva enunciato che lo champagne era una prelibatezza, che le bottiglie erano sì pesanti, prima che venissero bevute, avevo riso fino alle lacrime “Anche tre goccetti, eh, Aleksey” 
“Veramente erano due coppe” puntualizzò, divertito.
“Alessio” divertita, scandalizzata. 
Ero così  eccitata che non sentivo stanchezza o dolore, solo una gioia immensa, guardai di nuovo Andres, lui mi fece un piccolo cenno, ricambiai “Ve la sentite di tenerlo dieci minuti, vorrei dare un presente a mia moglie, grazie Tatiana Nicolaeva” Si innamorata di Felipe nel giro di poco, vederla così sorridente era portentoso ..Tenera, senza la perenne ruga di concentrazione che le attraversava la fronte. Lei ha desiderato un figlio più di te, Andres e Felipe ti sono capitati tra le braccia solo per un gioco della sorte, Catalina Fuentes, cerca di non essere troppo egoista. E mi declinai alla spagnola, la Spagna era la mia nuova casa, il mio posto magico, un riparo. 
“Per te…”mi sfiorò le labbra con un bacio, percepii le bollicine di champagne, il suo respiro tra i capelli, chiusi gli occhi, ecco una scatola tra le mani “Apri, da parte mia e di Felipe”un bracciale d’oro bianco, con topazi e onici, il fermaglio era una “F” con diamanti “Questo è da parte mia, invece”  Una collana, con topazi e onici, ecco la parure. “Ti amo”   “Da sempre e per sempre, Catherine, mi amor, mi querida” 
Dai quaderni di Olga Romanov alla principessa Catherine “ Mamma annotò che era un bambino splendido e non fece un fiato di quello che avevo “combinato”, come se averti aiutato fosse una cosa indecorosa, vide il duro cipiglio nel  mio sguardo, aveva già aperto bocca per sparare uno dei suoi santi assiomi, lei in teoria era sempre perfetta, in pratica..Lasciamo perdere, comprese che era una battaglia persa, una guerra che non avrebbe vinto. Rilevò, invece,  che era il ritratto di tuo marito, che era comune che i neonati avessero gli occhi color ardesia, ma era indefinita. Osservava Papa, definirlo commosso e orgoglioso era una perifrasi, che le tue sporadiche urla finali si erano sentite fino alla parte di giardino dove lavoravano, raggelando i presenti. Avevi urlato a squarciagola, solo nel finale non ti eri trattenuta, parevi una vittima sacrificale, da scannare. E tuo marito aveva mollato la vanga senza spiegazioni, correndo come una scheggia.  Tata era entrata in modalità adorante di tuo figlio meno di tre minuti dopo averlo visto, in concorrenza con Marie,  chi avrebbe indovinato che la mia seconda, riservata sorella,  chiamata la “Governante” fosse così.. dolce. Quello era un tipico tratto di Marie, lei sognava la maternità e tanti figli, Tata era a tenuta stagna, ben raro che esternasse qualcosa .. Io, dopo quel bailamme, ero lieta che fosse andato tutto a posto, Anastasia rilevò che ne sarebbe passato di tempo prima che fosse in grado di correre. E saltare. Alessio si limitò a un sorriso timido, forse andava realizzando allora  che era un bambino vero, in carne e ossa, non il misterioso “bignè” che avevi ospitato nel ventre per nove lunghi mesi, che avrebbe occupato tutto il tuo tempo e le tue attenzioni. Non che fosse ingenuo o altro, per alcune cose era anche troppo sveglio ( ma come lo sopportavi quando era petulante ?) solo che non ci aveva mai pensato, non gli era mai capitato. E alle nove di sera eri già collassata a dormire, Felipe a poca distanza. E tuo marito non brontolava, anzi, per alcune cose era davvero moderno, dicevi che Alessio era sempre stato viziatissimo, tu iniziavi da subito,a viziare tuo figlio,  in barba a ogni tradizione o norma educativa.  Nelle famiglie altolocate non usava affatto, in genere, che una madre allattasse di persona, non era comme au fait, mia madre, per averlo fatto, aveva ricevuto critiche su critiche, e nemmeno a lei era passata per la mente quella totale dedizione, tate e nurses primeggiavano. Uso spagnolo, diceva Andres, e tanto ho il (fondato) sospetto che era la scusa che tirava fuori dal cilindro ogni qual volta ne inventavate una, per non passare da originali. Quien sabe e chi lo sa. E tanto era figlio vostro, mica di altri, decidevate voi due
“Fai una foto, Catherine” obbedii, cercando di rimanere impassibile. Tutte e quattro le granduchesse perdevano capelli a ciocche intere dopo la malattia e avevano deciso di rasarsi la testa. Andando fuori, vestivano sciarpe e cappelli, tranne che, a un cenno di Olga, rimossero il tutto, le teste calve sotto il sole, una dettagliata, esaustiva malinconia. Una sfida e un sorriso contro lo stupore di Gilliard e la sorpresa indignata dei loro genitori “E’ un cattivo segno, di malaugurio”Alessandra.
“E’ una cosa spiritosa” intervenne Olga, scrollando la testa, i piccoli orecchini con le perle che parevano annuire con lei, come piccole lune altalenanti.
“A me parete un coro di cantori, o un gruppo di tartari, entrambi usano rasarsi” glissai io, evitando di osservare che anche per i carcerati vigeva quell’uso.
“O di reclute, anche loro si rasano a zero” annotò Aleksey. Io mi ero ritrovata direttamente con i capelli rapati quando avevo il morbillo, tagliandoli poi quando ero diventata un soldato ed una spia, adesso si erano allungati e le ciocche vibravano sotto il sole, riflessi di mogano e rame. E  riuscivo a comporre uno chignon che, alla prima occasione Aleksey smontava, una abitudine di quando era piccolo, che riappariva a rate, ormai ne ridevo, i problemi non erano quelli.  Sempre meglio di quando pretendeva di fare il barbiere, ci erano voluti gli argani dal dissuaderlo da quella sortita, che tagliava dappertutto e male, i suoi marinai-tate avevano avuto il piacere, come il precettore di inglese, Gibbes.
“E ora una noi”Tata si rimise il cappello, strinse Felipe tra le braccia, venne salutata con uno sbadiglio, scattai, rimanendo basita di come lui fosse tranquillo con lei, tranquillo lo era in generale, e pareva adorare Tanik, peraltro ricambiato con zelo e trasporto. “ Lo vizi, Tata, appena caccia uno strillo lo sollevi, sempre che le tue sorelle non le intercettino, fate i turni ..” io ero giusto la fonte di nutrimento e tacqui, sarebbe stato da egoista possessiva, e cercavo di non esserlo, me lo ero tenuto in grembo solo nove mesi, lottando con mal di schiena, insonnia, gonfiore e starnuti. E mi davano una pausa, in mani migliori non lo potevo lasciare. “E’ delizioso, davvero, sarà un conquistatore.. “ lei l’aveva accalappiata subito. “E’ tranquillo”
“E’ servito e riverito, mangia ogni tre ore, appena caccia uno strilletto viene preso in braccio..dicevo di Alessio, che era viziato, avrei fatto male a tacere”
“E’ bellissimo” le strinse un dito con le manine, una reciproca conquista.
“Ti ricordi a marzo, aprile quando dormivamo tutti e quattro insieme” lui nel pancione, io in mezzo ad Olga e Tata, prima che rientrasse Andres, un conforto, una vicinanza
“Sarebbe bello tenerlo… ma come si fa? “ Tata lo sollevò tra le braccia, le gambette oscillavano, se lo raccolse addosso, erano belli e fragili, una miniatura orientale in divenire.
“Dici con te e Olga? “ Si tenevano occupati con le lezioni, la cura dell’orto, e tanto..il tempo non passava. Avevano lavorato come infermiere, erano state  patronesse di molti comitati, attualmente erano solo le ex granduchesse, figlie di una tiranno e di una meretrice, che cercavano di occupare il tempo nell’attesa  dell’esilio, di rincominciare“Di notte?”
“Ma deve mangiare, lo allatti tu” e mio figlio sbadigliava e gorgogliava “Ne ho per tre” posai il palmo contro il seno dolorante, mi toglievo il latte e lo mettevo in un biberon, se all’una e alle quattro di notte,  giravo la testa sul cuscino e non mi alzavo, provvedeva Andres, che dire, l’eroe della calle Mayor, il picador era una costante sorpresa..
Maneggio le armi, ne ho fatte tante e non so gestire mio figlio, via su, Catherine, dormi. Se gli combino qualcosa so che mi torci il collo e io sono un padre diciamo moderno. E tanto dormi con un occhio solo, come i gatti, su .. Gli dava il biberon, lo teneva sulla spalla per il ruttino, sapeva fargli il bagnetto, cambiarlo,  che volevo? Avesse potuto lo avrebbe allattato lui, talmente era preso, era delicato, preciso, meglio di una tata.  E io ronfavo, anche se con un occhio solo, scattavo appena sentivo uno strilletto anche se, in apparenza, ero nel sonno più profondo, senza stelle o sogni.  Riflessi da mamma, altro che storie. Andres era un out sider, quando voleva, dei presunti usi e costumi in quell’ambito se ne fregava bellamente, come su altri fronti. Seguiva  le sue regole personali, aveva aspettato una vita intera prima di avere un altro  figlio, ora se lo voleva godere, ed era un uomo, un vero uomo.  In molti campi aveva le sue idee, quello era quanto, sbattendosene bellamente delle cosiddette convenzioni del mondo.
“Dopo le dieci, salvo variazioni, mangia all’una e alle quattro.. Lo vorresti tenere con te e Olga ? avete più pazienza di me”
“…pensi che saremo in grado? Ti fidi?” stupita, come se fosse un regalo che non ritentava di meritare, e dai.
“Il latte me lo tiro a prescindere”ero una latteria ambulante, appunto, tra le perdite alle tette e nelle parti intime, alle volte, mi sentivo una mucca. È normale, diceva l’ostetrico, in genere sono sei settimane, di perdite, passate potete riprendere i rapporti (non vedevamo l’ora). “Se non mi fidassi, non lo toccheresti nemmeno con un dito, senza offesa”
“Benissimo, e ci concedi questo permesso lo vorranno tenere anche Marie e Anastasia”
“Ora non ci sbilanciamo troppo, vedremo, prima vediamo con voi due” E glielo concessi, dopo la metà di luglio, chiariamo.


“Una specie di gioco” anche Alessio si era voluto tagliare i capelli, per solidarietà con le sue sorelle, spuntavano cinque teste rasate da sopra il divano della playroom. Macabro, parevano cinque grandi bambole. E sorrisi, cercando di non coltivare il malaugurio e i cattivi presagi.  Quel giorno aveva avuto la soddisfazione di buttarmi vestita dentro il laghetto, lo avevo acchiappato al volo, quindi mi ero stesa sul dorso, galleggiando, una minima nuotata “Brava, hai mantenuto”
“Se posso, sempre”
“Mi manca il mare, di quando eravamo in Crimea” tra le mani avevo una foto di noi sulla spiaggia, l’estate del 1912, prima di Spala “O le crociere sui fiordi in Finlandia, passeggiate, i picnic..”
“Nuotare.. Anche se ti svaghi nel laghetto ”Aleksey rotolò sulla schiena, sottile e fiero come un giovane salice, era un afoso pomeriggio di fine giugno, a occhio mi pareva cresciuto ancora di statura, le orecchie rimanevano buffe e tenere, nel viso abbronzato i suoi occhi parevano ancora più grandi ed azzurri “Sono stanco, credo che farò un pisolino ..”battendo un colpetto sul divano, un invito a fargli compagnia.
“Beh..chiudi gli occhi” la fronte era fresca, non aveva febbre o dolori, almeno non me lo aveva detto,  mi stesi vicino a lui, la sua testa si incastrò contro la mia spalla, pace se era caldo, lo cinsi tra le braccia, mi tirò un calcio affettuoso sui polpacci, come ai bei tempi “..che ne dici se mandiamo il nostro amico cavaliere a cavalcare sulla spiaggia..prendendo spunto da quello che mi hai detto” un mormorio di assenso “…il mare pare tutto uno con il cielo, azzurro e grigio, l’orizzonte quasi non si vede e il ragazzo cavalca con il baio sulla risacca, saltando tra i marosi che muoiono  a riva, il viso si impiastra di sale.. Fa una gara con i gabbiani, che volano sopra di lui, si specchia  nelle pozze d’acqua, ride e si diverte.. Come mi divertivo io a farlo” lo cinsi con delicatezza “E’ bello passeggiare a filo d’acqua” riaprì gli occhi “A volte correvo filato da te, e mi prendevi in braccio” “ E sorridevi” magari aveva voglia di fare due parole, altro che sonno, era una scusa “ Già” si irrigidì cosa partoriva la sua mente irrequieta e saltellante“Che succede? Aleksey, che hai”gli sfiorai le tempie, contenta che fosse in modalità affettuosa, per una volta.
“Perché hai usato il mio nome..non volevo, anche se è il secondo appellativo”
“Perché mi piaceva, Felipe, amante dei cavalli,  il tuo nome .. colui che protegge, Alexander, il figlio del sogno è una bella carrellata. Chi te lo ha detto?” mica rispose “Perché non volevi, Alessio, seriamente? Non voglio farti arrabbiare, spiegami”
“Perché lui non deve essere come me, in nessun modo”
“EH?” una sola sillaba interrogativa, la mia “Visto che sei così intelligente, arrivaci, avanti” non sospirai per la frustrazione, che pensava? Era geloso, un capriccio, una pensata estemporanea.  O no?  Una sfida e.. “Che vuoi dire, lui è un neonato di manco un mese, tu un ragazzo grande ”
“Come ero da piccolo?” ora iniziavamo con i nostri dialoghi a morsi, spizzichi e bocconi, che potevano durare a ore intere. E non era per irritarmi, magnanimo, mi concedeva un indizio.
“Bellissimo, paffuto e sorridente…” sul filo dei ricordi.  “Sembravi una bambola, e davi soddisfazione, cioè se ti mollavo ti mettevi a piangere, sorridevi e gorgogliavi, un vero rubacuori, se non ricomparivo la bizza era assicurata “gli baciai il polso, ridacchiò, il birbante “ Ed eri talmente bello e..” Oddio.
A sei settimane,  aveva cominciato a sanguinargli l’ombelico, il flusso era durato  per ore e il sangue non coagulava.
Era la sua prima emorragia.
Era emofiliaco.
Il giorno avanti mi aveva sorriso per la prima volta.

La consapevolezza mi investì, una dolorosa staffilata. Se avevo capito.

“Tesoro, Felipe non è come te,  per quello” le prime parole, quando ripresi fiato, riferendomi all’emofilia, capire finalmente il motivo era come ricevere un pugno nello stomaco. Almeno nella mia famiglia non vi erano precedenti  “E chi lo dice?” una nuova sfida, mia e sua, trattenni il fiato, mi imposi di evitare vuote formule rassicuranti. 
“Io e .. non è una balla per rassicurarti, lo so. Per  sbaglio tre giorni fa gli ho appuntato la manina con l’orologio, mentre lo cambiavo ed è uscito del sangue, un taglietto. Ha pianto, perché mi sono spaventata e.. ha coagulato subito,  Aleksey, era una piccola abrasione” lo dicevo per me e per lui, era stato un dramma, ero sua madre e lo facevo piangere. Inutile che Andres mi avesse rassicurato, poteva succedere, era uno sbaglio, avevo pianto come una fontana o forse era lo stress di quegli ultimi mesi, a volte mi chiedevo dove attingere la forza di non essere isterica. Retoriche domande, ammetto ora, mi bastava un momento come quello per ricordarmi di non cedere.  Una crudele e malinconica assenza, che tornava a rate
“Voglio vederlo, dopo, te lo dico io se non coagula o meno, sono esperto” una pausa straziante, sentii il sottile rilievo della sua stretta “Aleksey.. io ..” averlo potuto tenere al sicuro, sempre, lui che si illudeva che io lo tenessi al riparo, lo proteggessi “Mica è colpa tua se sono così, quindi non dirlo, mi spiace” le dita sulle labbra “Non lo auguro a nessuno, di rischiare la morte per un urto di troppo”ripresi le parole di una sera lontana, di novembre, di  quando era venuto nel mio alloggio, dopo un infelice soggiorno dalla zarina madre, che lo aveva definito un impiastro e una rovina, uno sfogo. 
“Sì ..ma ti ha reso sensibile, empatico verso chi soffre, quando sai che ci sono dei problemi agisci da subito per risolvere, no? Sarai saggio, accorto.. , lo sei già, rettifico. E hai imparato a stare attento, e fatto cose che non ritenevi possibili, no? Le armi e andare su Castore, che spettacolo” Un cavallo baio, superbo, di squisita bellezza, su cui avevo cavalcato il vento “E cerchi di stare bene, sempre, ami la vita, Aleksey, sei un esempio”mi diede un bacio all’angolo delle labbra, rapido, approfittando, che in genere non volevo, mai, da sempre, avevo ceduto solo da poco, in circostanze speciali. Sorrisi, posai la guancia  sulla sua. “Lo strappo, eh.. che la regola è quella, io non sono tua madre, questi gesti sono per lei, non per me” sorvolando sulle sorelle..
“ E sei un lottatore, non molli mai, come Achille” Seria. “Mi hai dato l’esempio, ripeto, di non arrendermi, il mio guerriero”
“Convinta te,  se mi riuscisse a crescere, avere dei figli, sarebbero come..”
“No, niente emofilia” pronunciai sottovoce la parola proibita, tacendo che il morbo passa di madre in figlia e che le nostre sorelle avrebbero potuto generare a dead walking child. A loved, frail baby boy. Il morbo mortale passa di madre in figlio, generi un maschio e gli dai la morte, se ha il morbo, alle volte era un miracolo che Alessio fosse arrivato al traguardo dei 13 anni, in genere gli emofiliaci morivano nella prima infanzia “ E non lo affermo per farti contento, Alessio, lo dice la scienza, non io.”
“Va bene” mi abbracciò ancora, aveva percepito il mio tono netto, deciso, senza repliche. “Rimaniamo un poco così” mi baciò sulla fronte, delicato “Grazie, Cat” scrollai le spalle, non ti inventare le cose, zarevic, che non ci siamo. Solitudine, candore, eravamo sempre noi. E Alessio percepì tutto l’amore che avevo, se ne rivestì come uno scudo, una protezione. “Forza.. appoggia la testa contro il mio gomito, stiamo insieme”
“Io e te, come prima” vide la mia replica sul punto di sgorgare “Lo so che non è come prima, hai un  figlio, e mi vuoi bene, però mi fa piacere, che tu stia con me, Cat, alcune cose restano sempre uguali, mi vuoi bene, me ne hai sempre voluto, come io a te”
Gli massaggiai le mani, palmo su palmo, tacendo per non rovinare tutto. Era bello, malinconico, come un giorno d’autunno.
Cat, portami via.. Tienimi stretto, per sempre, non mi lasciare. 
Dai quaderni di Olga alla principessa Catherine “ L’11  agosto 1917  Papa disse che entro pochi giorni saremmo partiti, destinazione sconosciuta, noi donne dovevano preparare delle pellicce e portare abiti caldi, ergo non sarebbe stata la Crimea. Una delusione immensa, che occhiata scoccasti a tutti, delusa, impotente, gli occhi quasi neri, fondi e bui. E le conversazioni,  per fare cambiare idea. Senza esito “Olga, ti prego” “NO” “Veniamo con voi, ci possiamo permettere di pagare .. la trasferta e il soggiorno, dico, Olga. Non saremo a sbafo, ti prego” “No, Catherine, NO”  "Olga, veniamo ..." Dio, come eri cocciuta, non ti rassegnavi, e mi volevi bene, la scocciatura una tua forma di affetto, come il mio no. Ci avevano proposto di raggiungere mia nonna a Livadia, decidemmo di non andare, per non lasciare i miei genitori. MA tu a Livadia ci dovevi andare eccome, meritavi una pausa. No, Cat, io avevo bisogno di te, dopo tanti anni, stavamo insieme dalla mattina alla sera, un privilegio, nonostante tutto, ma avevi un figlio, le sue esigenze prevalevano su tutta la linea. Il mio principino, che serravo tra le braccia, placido, paffuto e sorridente, una gara tra me e le mie sorelle, a tenerlo in  grembo, strappargli un sorriso.. FELIPE, il principe dell’estate, Felipe Alejo Alexander…  lo disse Alessio, ormai era grande, saggio.. Per dire. E il 12 compiva 13 anni, passò la giornata a mettere le cose in valigia, cicalando senza posa, ti metteva una cosa tra le mani e la ripiegavi, ti saltellava intorno, in quelo era un bambino, ancora, ti assediava, sorridevi, una pazienza infinita, gli davi un bacio e lo sguardo era triste, non voleva che fossi triste, almeno quello potevi lasciarglielo decidere, di essere bravo. Alla richiesta di nostra madre, venne portata la santa e miracolosa icona della Vergine dalla chiesa di Znamenia.. Tobolsk, Siberia, l’ironia che appresi, ci mandavano in esilio là, come nella passata epoca...i criminali politici in Siberia. E cercammo di porre in essere un giorno come l’altro, le lezioni, l’orto, i giochi, Alessio ci buttò nel laghetto. Dire addio, Catherine, a tutto, a partire da te, alla mia casa.. ti ho spezzato il cuore, saresti venuta, lo so, sempre, e avevi un figlio, che aveva la precedenza su tutto. Felipe, il tuo lieto fine, conquistato a un prezzo immane. Le stanze vuote del Palazzo di Alessandro, le tende tirate per nascondere le finestre, teli sui mobili per preservarli dalla polvere, la Galleria dei ritratti colma di bauli-armadi riempiti di fotografie, quadri, tappeti e quanto altro per la nuova dimora. E i bagagli, facemmo due mucchi di vestiti, uno più piccolo da portare con noi, l’altro per i centri di assistenza per i profughi e le vittime di guerra. Noblesse oblige, fino in fondo..  il 13 agosto era l’ultimo giorno, dovevamo partire in tarda serata, da mezzanotte ci mettemmo nella hall semicircolare, i bagagli in ogni dove. La partenza doveva essere all’una di notte, le ore passavano e nulla..Aleksey alla fine ti si era messo seduto vicino, verde di stanchezza, dopo avere girellato, con Joy, il suo cagnolino,  tra le braccia,la spalla che toccava la tua. E mia madre secondo uso piangeva, tu sparisti un paio di volte per allattare, pochi minuti e già mi sentivo male all’idea che non ti avrei rivisto per un pezzo, una lunga durata, forse una vita intera e tralasciavo che ero una ingrata, era già tanto quello che avevo avuto, nessuno ti obbligava a rimanere, dopo marzo, invece ..Grazie, Cat, sempre. Alessio ti stava vicino, la testa sulla tua spalla, ti aveva posato un braccio sulla vita, stringeva te e Joy, il cagnolino, come a non volersi più staccare “Cat profuma di rosa, lavanda e arancia amara, sempre“ disse molto dopo, sul battello.. Ce la diciamo tutta? Sì, ho pianto, come lui, un cuscino buttato sul viso, che la figlia di un soldato, di un imperatore mai esterna le sue emozioni in pubblico. Dico questo che poi ricomparve con gli occhi lucidi, di chi ha pianto, lo sguardo pesto, come me e Tata, Anastasia fece una battuta, tanto per essere diversa, Marie tirava su con il naso. E trovai il tuo primo biglietto il secondo giorno, era breve, che se lo avessero intercettato solo diceva “Buongiorno, un bacio, Ekaterina” tutto in russo, casomai avessero sospettato congiure. Che strano effetto vedere il tuo nome alla russa, Cat, noi che ci eravamo parlate e scritte una vita in francese. Ekaterina .. io ti ho chiamato sempre Cat, quindi Catherine alla francese, tuo marito Andres Catalina, saltuariamente..” 
Un solo nome e sempre io ero.

Catherine, la principessa delle rose e delle assenze, la signora della solitudine. Erede della desolazione, che risorgeva a nuova gioia.

“Auguri Alessio, tesoro mio”cercavo di essere sorridente,  smagliante per non tracimare “Sei diventato davvero grande, sai, ti ho visto che eri appena nato, figurati che osavo appena toccarti una manina.. ora..”
“Mi prendi in braccio, di corsa, il regalo è questo” sornione, mi tuffò il viso contro la clavicola, uno sbadiglio “Aleksey, tesoro mio, “ e ridevo, era tanto buffo “Fammi la lista, dei miei compleanni” Mi sedetti, erano le sei di mattina del 12 agosto 1917, lo strinsi con amore, con affetto, dei rubli allungati alle guardie mi garantivano quel breve privilegio, auguri in privato, minuti rubati “.. 1905, ero all’estero, 1906.. boh, 1907, ti tenevo sempre stretto, Dio, quante bizze facevi per dormire il pomeriggio, era   una lagna continua, tacevi solo se stavi con me, sempre”lo abbracciai, avessi potuto avrei infilato la porta, sempre lui in braccio e lo avrei portato via, lontano,e  continuai l’elenco, alcuni se li ricordava anche lui, nel 1914 avevamo visto l’alba che sorgeva, lo avevo preso tra le braccia “Ora sono cresciuto davvero tanto, non mi sollevi più, peccato” “Guardiamo fuori, è una giornata bellissima, pesi Alessio, sei diventato un colosso, manco sulla schiena ti carico” mi passò un braccio sulla vita, uno sbadiglio assonnato “Cat” il sole sorgeva, asciugando la rugiada sui fiori e le foglie, il cielo virava nelle chiare sfumature del celeste e di un tenero giallo, gli baciai i capelli  “Davvero, come sei diventato grande, non ci credo”

“Sono un osso duro, sempre, lo dici, ci devi credere! “uno scherzo che nascondeva una profonda verità, mai mollare, mai arrenderci. Glielo avevo detto nel settembre 1915, quando mi aveva rivisto dopo un lungo anno, inopinato. E nel 1916, eravamo diventati inseparabili, avevamo litigato, ci eravamo divertiti, prendendo nuove misure, legatissimi Un nuovo sviluppo, amore e reciproco rispetto, ho amato Alessio fino alla vertigine, all’assenza“Certo, Aleksey” una pausa “ E ci tenevo a salutarti, in privato”
“CAT..”una pausa “Grazie, di tutto e per tutto”

La giornata trascorse tra le cure dell’orto, le lezioni, fare i bagagli, servizi religiosi, venne portata la santa e miracolosa icona della Vergine dalla chiesa di Znamenia..
Sceglieresti di amare un bambino sapendo che questo sentimento potrebbe spezzarti il cuore.. Sì, io sì, ed era egoismo, il mio, Aleksey, tesoro mio.

Dai quaderni di Olga Romanov alla principessa Catherine “.. alla fine andammo via dal Palazzo di Alessandro alle 5.30 di mattina, del 14 agosto 1917, scortati da un nugolo di soldati. Salimmo lentamente sulle automobili, dopo che i bagagli erano stati caricati. Prima i miei genitori, poi noi figli, il seguito dopo. Avevi i capelli raccolti in uno chignon vagabondo,  un vestito color giacinto, gli  orecchini con le piccole perle che ti avevo regalato in un impeto sentimentale. Ti avevo dato la mano fino a dove era possibile, per evitare di tracimare, stavo per cambiare idea, dirti, “Vieni, non mi lasciare”, le dita intrecciate, un legame che era rimasto, da quando eravamo bambine, da adolescenti e infine giovani donne. Cat, ti avrei voluto con me, dal passato rimanevi solo tu e pochi altri, e non potevo pretendere che venissi a quel giro, la prigionia si sarebbe inasprita, che ironia, mio padre, da zar, aveva mandato molti in Siberia e lo stesso toccava a lui e  noi, sua famiglia. Ti tenevo per mano, eri tu la mia famiglia, la mia sorellina, la mia eroina, una stupida combina guai .. E parte della famiglia era composta da tuo marito e tuo figlio, di due mesi, e.. NO, Catherine, saresti venuta, hai tentato di farmi cambiare idea fino all’ultimo, sfinente e cocciuta, mica mollavi. Avevo bisogno di te, o viceversa, tranne che tuo figlio ci batteva su tutta la linea, lui aveva bisogno di te, aveva osservato Alessio, più di noi. E lo aveva straziato, si comportava da adulto, da saggio, era maturo e tanto .. stavo per cambiare idea, dirti, “Vieni, non mi lasciare” Una stretta, come il presidio di guardia di una amicizia che durava da quando avevo memoria, sospirai per non andare in frantumi, l’auto controllo di una lunga educazione serviva, non volevo dare spettacolo o pena. Eri mia amica, mia sorella, la mia famiglia, le tue gioie e sconfitte le mie, da sempre, e viceversa “Adios, principesa Fuentes” “Adios, Vuestra Alteza Imperial” un inchino formale, gesto ripetuto per me, Tatiana, Maria, Anastasia e Aleksey, come quella frase, le guardie non fecero un fiato. Te e Andres, con Felipe, insieme alla baronessa Buxhoeveden e al precettore Gibbes che ci avrebbero raggiunti in seguito rimaneste fermi fino all’ultimo momento, sotto il colonnato,  quando le portiere vennero chiuse e partimmo. Andres ti trattenne per la vita, ricambiasti la stretta, magari per non correrci dietro. Il cielo vibrava nei toni del miele e dell’arancio rosato, i primi raggi di sole spuntavano dai pini, mi voltai, la testa appoggiata al finestrino, la carovana si muoveva lenta, chiusi gli occhi, straziata..Girando la testa, scorsi una figura alla finestra del secondo piano, il punto dove, dagli appartamenti dei bambini, potevi scorgere tutto il viale, dove pensavo di averti detto addio quasi tre anni prima. Alzai la mano, imitata dalle mie sorelle, l’ultimo saluto, la tua testa castana non si scostò di un millimetro”

Corsi, senza decoro, facendo gli scalini tre alla volta, fino al secondo piano, la gonna raccolta tra le mani, aprendo la finestra con l’impeto di un corsiero e mi sporsi fuori, sventolando il fazzoletto fino a quando l’ultima auto scomparve nella foschia madreperlacea del mattino.
Strizzando gli occhi, scorsi, mi illusi di  quello, una mano guantata, delle mani guantate che mi salutava dalla auto dove eri, dove eravate. Nel settembre del 1914, quando me ne ero andata, il gesto a parti rovesciate era stato simile, e non volevi vedermi mai più, avevi detto, per la rabbia e l’esasperazione.
Quando non vidi più nulla, scivolai per terra, la schiena alla parete e piansi, la testa tra le ginocchia. Mi mancavate già da meno di dieci minuti.

Quella sera, la zarina scrisse una cupa lettera alla baronessa B., che si era vista passare davanti tutta la vita al Palazzo di Alessandro, da giovane sposa fino ad allora,  e si chiedeva quale futuro avrebbero avuto i suoi “poveri figli”.
ADDIO, CATHERINE.
 
Se  il governo inglese non accoglieva la famiglia imperiale, era la fine.

Era Alessandra a essere odiata, non suo marito … ma la famiglia imperiale rimase unita nella vita da prigionieri come prima, quanto regnava lo zar..
Li mandarono in Siberia nell’ agosto 1917, i bolscevichi gli stavano alle costole, aveva spiegato Kerensky allo zar e occorreva prendere misure energiche, evitando che i Romanov fossero sulla linea di tiro, vittime, merce di scambio, ostaggi.
Comunque fosse, il viaggio di trasferimento, in treno e in battello, si svolse senza incidenti di rilievo, tranne le cabine poco confortevoli del Rus, il battello, che Maria e Alessio presero il raffreddore.  Addirittura passarono via fiume dinanzi al villaggio natale di Rasputin, osservarono la sua casa a due piani che dominava le basse isbe, lo aveva predetto e si era avverato. Aleksey svegliò, la notte dopo, tutti con le sue urla di dolore,   gli era venuta una emorragia interna al braccio.
Cat.. Catherine, dove sei…
Alessio.. cosa fai?
 
Alessio trovò il biglietto spacchettando i suoi effetti personali, dentro la faretra che custodiva l’arco giocattolo e le frecce che gli aveva fatto Andres  “You’re not alone, You have your family and .. Together we spended great  times, I am always with You, near or far, I’ll be by your side. Sooner or later, we’ll meet again, my fighter prince. Don’t give up. Spain is waiting for You, like me. Yours loving Catherine

Da una lettera di Olga alla principessa Fuentes dei primi di settembre 1917“Abbiamo preso alloggio nella casa del governatore di Tolbosk, ridente e sperduta cittadina di 20.000 abitanti circa, occupando l’intero primo piano, il 26 agosto, dopo che la dimora è stata rimessa a posto. L’edificio si trova su via della Libertà,  ribattezzata in questo modo dopo i recenti eventi.  Una grande costruzione a due piani, con due terrazze, collocata dentro una vasta area recintata che comprende varie pertinenze, legnaia, serra, granaio, una rimessa per le carrozze. Abbiamo addirittura una teoria di piante grasse ed aspidistra, figurati, sono carine. Dormo in una stanza con tutte le ragazze, all’angolo, i miei genitori in un’altra, Alessio da solo, Nagorny occupa un’altra stanzetta. Per rendere più efficaci le misure, è stata costruita intorno alla casa un’alta recinzione di legno..Un poco come a Carskoe Selo, tuttavia manca lo spazio, siamo confinati in un piccolo orto e un altro piccolo spazio in cui vi sono le baracche dei soldati .. Sai che abbiamo addirittura un piccolo pollaio con galline che non si premurano affatto di fornire tante uova e alcuni tacchini(..) Aperto la scatola di profumi di Coty, arrivata  da Carskoe. Selo, grazie Cat, io ho usato subito l’essenza alla rosa, Anastasia la violetta. Tata e Marie ancora non hanno usato le rispettive essenze al gelsomino e al lillà (..) Pare una scemenza e invece non è, piccoli particolari che mi dimostrano che …”e quello era nulla, Olga, sorella mia. Eri annoiata e malinconica, senza rimedio.

Da una lettera di Catherine Fuentes alle granduchesse Romanov “.. non so se e con quale regolarità giungerà la corrispondenza, un saluto  da vostra Nonna, Marie Feodorovna (..) che alla fine siamo arrivati in Crimea, come si capisce dall’intestazione (..) Se mi ripeto, chiedo scusa, ragazze .. Mando foto di Felipe, che la prossima primavera avrà un fratello od una sorella, salvo imprevisti a fine aprile. Una barzelletta, tra  me e Olga passa meno di un anno, così sarà per i miei figli.  Andres saluta a sua volta,  alla fine Enrique è tornato in Spagna sul treno diplomatico, (…) ragazze, mi mancate..Di preciso, come state? Cosa inventate?mi mancano le serate nel salottino, chi leggeva, chi coccolava Felipe, lavorando l’ennesimo e squisito lavoro di maglia o ricamo, ne ho per sei bambini, altro che uno, tenui colori, giallo e verde, bianco, altri pezzi hanno ricamate le sue iniziali, FF, Felipe Fuentes, squisite come il suo piccolo pungo tra le mie mani, vedremo cosa porterà la primavera” Olga scommise da subito su un secondo  maschio. 
Nel settembre 1917, due commissari, su lamentela dei locali bolscevichi, vennero inviati in Siberia, si sosteneva che i prigionieri erano trattati con troppa deferenza. 
Nulla di rilevante, quando la zarina sedeva vicino alla finestra o sul balcone gruppi di curiosi si avvicinavano e si segnavano, un pio omaggio. Le ragazze guardavano dalle finestre della loro stanza e salutavano la gente, finché  i prodi guardiani minacciarono di sparargli addosso se avessero “ancora osato” .
E  i cittadini locali avevano inviato un pianoforte e omaggi di cibo, le guardie divennero poi meno assillanti, facevano addirittura due chiacchiere con le ex granduchesse quando passeggiavano in giardino, il colonnello K., che comandava la guarnigione, non era un carceriere feroce e dogmatico, tranne che i puri rivoluzionari inorridivano.

Nicola II e i suoi predecessori avevano mandato al duro confino siberiano più di un oppositore, se non a morte,  non doveva avere nessun privilegio. Quindi ecco due commissari che dovevano riferire, Pankratov e Nikolskij, entrambi erano stati in carcere in quel della Siberia. Il primo non serbava rancore,  tanto che si recò a far visita a Nicola, per non infrangere le regole della buona educazione e chiese di essere annunciato dal valletto dello zar. La conversazione fu formale, educata e gentile. Nikolskij, al contrario, entrò senza bussare in tutte le stanze private e insistette che tutti i prigionieri fossero fotografati, a scopo identificativo, ora l’uso era quello.  Quando, su ordine di Kerenskiy, giunse dalle cantine di Carskoe Selo una cassa di vini pregiati per i Romanov, N. ne fece  buttare direttamente il contenuto nel fiume Tobol senza manco farla aprire. 

Da una lettera di Olga alla principessa Fuentes di metà ottobre  1917”…Sono stata felice di sapere del  regalo che ti arriverà in primavera. Magari un altro fiocco azzurro? Una sensazione, poi boh.. Noi ce la caviamo, stiamo bene. I miei fratelli hanno iniziato le lezioni. (..) Ti scrivo nel grande ingresso, noi stiamo prendendo il tè, Aleksey gioca con I suoi soldatini a un tavolo separato, stasera Papa leggerà qualcosa alta voce (…) Cambio di scrittura e di persona, Cat, sono Aleksey, un bacio al volo.. A me piace molto il nome Leon, Leon Fuentes suona molto bene, guai a te se lo chiami come me, per primo appellativo, io devo essere il solo che quando dici “Alessio”. E scherzo, chiamalo come vuoi, mi manchi tanto, Cat (..) riprendo senza scorrere quello che ha scritto mio fratello, rilevo solo che mi chiedi come stai e cosa combini, qui la gente è gentile, come le guardie.. Abbastanza. Ecco, la criticona che sono solleva ironie e obiezioni. Hanno inviato in dono un pianoforte e pregiata cacciagione, peccato che  le tubazioni idrauliche funzionino ben poco. Vi è una piccola teoria di piante grasse, che mi piace osservare, (..) Good-bye, Catherine, my dear, a kiss. All of us embrace You and remember You, all my love is for You” 

“ Si dice che noi abbiamo la febbre, mentre, in realtà, è la febbre che ha noi” da Lucio Anneo Seneca, Lettere a Lucilio, 62/65, annotò Olga Romanov, con la sua solita ironia, Cat le aveva mandato quell'omaggio, in lettura. 

Da una lettera di Catherine Fuentes a Tatiana Romanov “..a Livadia ho incrociato B. T., che hai assistito con Olga, si è ripreso perfettamente e manda i suoi saluti, ricorda con gratitudine la vostra abnegazione. E  mi ha fermato Vassilissa B., una ragazza che il Comitato per Rifugiati da Te presieduto aveva inviato qui in Crimea, per ragioni di salute. (..)  Scrivo in una pausa,  che l’inchiostro si è asciugato, infatti ecco la prima firma di Felipe, il suo pollice nell’inchiostro, consideralo un saluto per Te  .. Ti voglio bene, Tata” 

Da una lettera di Marie Feodorovna, zarina madre, al figlio Nicola del novembre 1917, uno stralcio su ..“… la principessa Fuentes è un moto perpetuo, visita gli orfanotrofi e sanatori, senza requie. E continua ad occuparsi personalmente di suo figlio, se lo tira sempre dietro,  tranne che quando va dai malati o a cavallo. E lo tiene sempre con sé, mai visto un affare del genere, è una madre totalmente dedita.. Niente nurse o tate, suo figlio è il primo pensiero dalla sera alla mattina.. ed il marito la lascia fare sempre a modo suo .. Sua madre Ella Raulov nulla osserva, è una mina vagante, non si riguarda, anche se ora è in delicate condizioni” un eufemismo per dire che ero incinta.
Mio marito non diceva nulla, come mia madre, mio fratello  Aleksander si limitava a sbuffare, come mio zio “.. tu fai anche per lo zarevic Aleksey” Aveva dieci anni ora, i suoi occhi castani erano calmi e imperscrutabili, uno smalto di onice e  miele sui suoi pensieri, tranne che, dopo tanto, eravamo di nuovo insieme, apprese poi, nei fatti, che a lui ci tenevo, eccome “Mi manca, Cat” “Chi?” “Lo zarevic, chi..” sbuffando per la mia ottusità. Era nato nel settembre 1907, ora era un decenne dinoccolato, magro e solenne “Mi vuoi bene, e tanto è lui il tuo prediletto” “Sasha..” IL SUO NOMIGNOLO. “Già, e chiudiamola qui, tanto prima o poi .. se non viene lui, te lo riprendi te, o viceversa, anche Aleksey Nikoelavic ti adora” 

Le cerimonie religiose erano tenute nel grande salone del primo piano. Il sacerdote della chiesa dell’Annunciazione, il suo diacono e quattro suore erano autorizzati ad attendere ai servizi, tuttavia non vi era un altare consacrato per la messa, una grande privazione per i Romanov.  Ogni sera recitavano le preghiere e tanto non bastava.  Alla fine, venne accordato il privilegio di potersi recare in chiesa, la costruzione era in fondo alla strada, una consolazione che ebbero ben di rado.  In quelle occasioni si alzavano presto,  passavano attraverso due linee di soldati, attendendo alla prima messa del mattino, sempre soli in chiesa,  il pubblico escluso, poche le candele. 

Dai quaderni di Olga Romanov alla principessa Catherine “.. Ho letto tanto, in questi lunghi di mesi, di tutto e di più, come Tanik. Per nostro piacere e distrazione personale, mentre Aleksey, Marie e Anastasia iniziavano le loro lezioni alle nove, con una pausa dalle undici a mezzogiorno per una passeggiata collettiva. Il pranzo verso l’una, spesso Aleksey mangiava con Mamma nelle stanze di lei, per farle compagnia,  non si sentiva spesso bene, lei. Verso le due, uscivamo di nuovo nel giardino, per giocare o una passeggiata, fino alle quattro. Sai che sono diventata bravissima a tagliare la legna, mi ha insegnato Papa, era un onore darci il cambio con i miei fratelli. Dopo il tè pomeridiano, le lezioni duravano fino alle sei, la cena era un’oretta dopo. Dopo cena, giocavamo a carte, lavoravamo a maglia, Papa ci leggeva a alta voce, altre volte recitavamo pezzi di brillanti commedie, in francese o inglese (..) Una delle maggiori privazioni era la mancanza quasi totale di notizie, lettere e giornali..se arrivava qualcosa era sempre distorto e vecchio di giorni. Alessio andava a dormire alle nove di sera, salvo nuove, dicevamo le preghiere insieme, sbattendo i denti per il freddo, alle volte mi stendevo vicino a lui per trasmettergli in poco di calore, a turno con le altre sorelle, lui faceva altrettanto con noi. Non ci siamo mai pentiti di essere rimasti insieme, questo no, eravamo una famiglia”
 

 Ho ancora il menu del pranzo per il compleanno di Olga, me lo inviò per lettera, la sua scrittura nitida e delicata su cui posai il pollice. "Breakfast. 14 November 1917. Sturgeon solyanka (soup)
Pie
Cheese patties with sour cream
Goose (?) with cabbage and meat schnitzel
Pancakes with syrup.
 "  Era per sentirla più vicina, non può finire così, dissi ad Andres, la voce sommessa dopo l’orgasmo, l’attrazione continuava come sempre, nonostante e il parto e la nuova gravidanza, ero leggera e flessuosa come un salice, il viso che si serrava nel disgusto pensando alla ordalia, la dura prova che toccava ai miei fratelli “.. dobbiamo fare qualcosa” Io non li lasciavo, non li avrei mai lasciati. E non era quello il momento, di andare, cercavo di essere forte e coraggiosa. E tanto aveva ragione Sasha, a dieci anni aveva capito, prima di noi, che non mi sarei limitata a soldi, lettere e biglietti, sarei intervenuta di persona. 

Dalle memorie mai pubblicate di Boris T., membro del corpo di guardia, già soldato dell’esercito imperiale, ora rivoluzionario “.. A Tolbosk, in Siberia, era freddo, una cosa indicibile, anche per noi soldati ..  Giorni immobili, portavo biglietti, razioni di cibo in più, cercavo di non essere troppo volgare e opprimente..
Non dovevo farmi scoprire, pena la morte e la tortura.. 
Nicola II era lo zar dei miei giorni di bambino, volevamo la libertà, ma lui era stato l’imperatore, con sua moglie aveva portato il paese allo sfacelo, ma i loro figli che colpe avevano?. 
La famiglia imperiale cercava di trarre conforto dallo stare insieme, uniti, la fede li sosteneva ma era dura, pareva (e in effetti era) che tutti li avessero abbandonati..
Non i principi Fuentes, Andres mi aveva salvato la pelle, anni addietro, la gratitudine rimaneva. Inviavano lettere ufficiali e ufficiose, soldi per il cibo, e giacche e guanti e sciarpe, per Natale, e libri, erano saldi ed immutabili. 
Il cibo era razionato, la noia imperversava, la sorveglianza era stretta, il freddo si tagliava con il coltello, meno 56 gradi sotto zero.. Ricordo le granduchesse che passeggiavano nel giardino recintato, gonne nere, mantelli grigi e berretti di angora azzurra, le loro lamentele per la noia, il tempo non passava mai. 
Era organizzata una ruotine, i pasti, le lezioni, il pomeriggio la passeggiata, segando i ciocchi di legna, la sera le commedie recitate dai ragazzi.. 
A Natale si scambiarono dei doni fatti a mano, quaderni rilegati, nastri e sciarpe, il tempo dell’opulenza finito, il primo e ultimo Natale trascorso in esilio .. 
Le cerimonie religiose erano ben poche, come le missive che giungevano, è ben vero che in prigione ogni evento che rompeva la monotonia era degno di rilievo. 
Le umiliazioni senza motivo, gratuite, come sbattere addosso alle pareti di una stanza un animale in trappola per il solo gusto della crudeltà

“.. You Said You'd Grow Old With Me, your Friend, Alexei the Soldier”
 

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Capitolo 33
*** For You and Me ***


I ricordi suntuosi tornavano in quel lungo inverno, a dire il vero rifugiarsi nel passato era un grato esercizio per estraniarsi dal freddo. E dall’esilio, le corrispondenze intercorse erano un filtro contro l’umiliazione, il precipitare dalle stelle alle stalle. Olga si tuffò letteralmente nei libri, come Tanik, cercando di non soccombere alla malinconia.  Ad esempio, il 5 agosto 1913 era stata felicissima di andare con Tata, a cavallo, vestendo l’uniforme, in visita ai loro reggimenti, galoppando come una fiera amazzone e salutando ogni squadrone, ecco quindi in prima linea “We 2”, la formula con cui indicava sé e Tanik, la parata era stata “superba” e lei era stata “so unbelievably happy with today!!!”
Aveva anche la copia di una foto, dove ero di profilo, le redini in mano, avevo 14 anni, perle alle orecchie e i capelli sciolti sulle spalle, dove apparivo assorta e radiosa “una Fuentes in fieri”, mi aveva definito, ero venuta decente, per una volta senza smorfie, una altra foto di noi due dell’agosto 1914 a cavallo, uno degli ultimi epici pomeriggi di divertimento spartiti prima dei lutti e delle partenze, due dee della guerra in marcia.
 
Olga..
Tatiana.
Marie..
Anastasia.
Aleksey, I vostri nomi, un pugno sferrato, una assenza eterna.
Vivete sempre nel mio cuore. Torneremo a rivederci? Mi mancate. Scrivo  lenta e solenne, mi  mancano le vostre voci.. Idee? Che facciamo? Oggi hai sorriso.. vi cerco, tra le stelle e le assenze. Vivo, questo mi tocca, vi penso e vi cerco, con amore. Ci penso e  cerco.. Piccoli oggetti, un trascorso sorriso.
 
Da una lettera di Catherine Fuentes alle sorelle Romanov “..ho ritrovato nei libri foglie e fiori pressati, rose canine dal profumo di miele, violette dalle tenere foglie a forma di cuore, era uso raccogliere i fiori nelle gite, nelle passeggiate, uso condiviso, nostro e privato, il primo che mi ha regalato un fiore  è stato Aleksey..lui era piccolo,io solo una ragazzina, una rosa bianca, le mie preferite da sempre
 
 
Il freddo, il gelo, la temperature giunse a 56 gradi sotto zero, la casa del Governatore era una perenne ghiacciaia. Brividi su brividi, il salotto, che era la stanza più calda della magione, superava di rado i sette gradi, le correnti penetravano dagli spifferi delle finestre. La zarina aveva le dita così rigide che appena riusciva a muoverle, le toccò togliersi gli anelli che ostacolavano la circolazione, compresa la fede e l’anello matrimoniale, con la perla rosa che portava da quasi un quarto di secolo. Cercava di lavorare a maglia, calze per la famiglia o di rammendare i vestiti, erano pieni di buchi.
Lo zar portava dei pantaloni rattoppati e le sorelle Romanov si arrangiavano con la loro biancheria logora.  Per Olga era una suprema ironia, un tempo sua madre, sua nonne, le sue zie e altre   donne “adulte”  della famiglia imperiale ordinavano i vestiti a Parigi, da Worth o Paquin, o da Madame Brissac a San Pietroburgo, pagando prezzi esorbitanti.  Rideva ancora tra di sé delle economie di sua madre, che, cresciuta in modo austero, non tollerava sprechi, le sue figlie si passavano i vestiti tra loro, lei, Alessandra, che, ai bei tempi, ordinava vestiti fino a 10.000 rubli in un mese e questionava con gli economi del palazzo di Alessandro sul prezzo delle patate senza avere idea del prezzo effettivo dei tuberi, mentre lei, Olga, verso il 1914 lo aveva imparato. Dettagli. Adesso si arrangiavano come sopra, Catherine aveva mandato una caterva di guanti, sciarpe, cappelli di lana, e soldi, aveva il sospetto che la ragazza inviasse, oltre alle lettere giunte, soldi e presenti a raffica. E tutto arrivava a rate, se passava i filtri della corruzione e della maldicenza. E non era un esercizio di superbia, quanto essere pratici, in quelle condizioni.. “Sono doni fatti con il cuore, oltre al cibo, il freddo in Siberia porta via, ti mangia pezzo su pezzo, invio a raffica, che chissà se e cosa giunge (..) E soldi (..) Ragazze, se fosse successo a me, avreste fatto uguale” da una lettera di Catherine alle sorelle Romanov “Mi mancate tanto.” Anche Tu, Cat, sempre. 
Doni  e lettere giungevano anche dalla zarina madre, dalle sorelle dello zar, dame di compagnia, Anna Vyribova e altri fedeli monarchici, voglio essere equa.
 
E la vita era monotona,dura il tedio infinito abitava i giorni invernali, Alessandra insegnava il tedesco alle sue figlie, portava gli occhiali, leggendo i suoi libri di preghiere, la Bibbia e le orecchie erano sempre buone, la chiamavano la “Nemka Bliad”, la puttana tedesca, un epiteto di imperitura memoria.
A novembre 1917, in via teorica vi sarebbero dovute essere delle elezioni, invece il Governo Provvisorio venne rovesciato, i bolscevichi presero il potere  per una combinazione di circostanze favorevoli. Il 7 di quel mese, appunto, Kerensky aveva lasciato il Palazzo d’Inverno (sede del suo potere, come, ai tempi, per gli zar) e si diresse verso il fronte, cercando di raccogliere truppe fedeli. I ministri rimasti erano protetti da un gruppo di cadetti e un battaglione di donne soldato. Al di là della Neva, l’incrociatore Aurora issò le bandiere rosse e puntò i cannoni contro il Palazzo. I bolscevichi, molto per caso, occuparono le stazioni, le banche, l’ufficio postale, i ponti e la centrale dei telefoni. L’8 novembre i ministri rimasti si arresero, il governo provvisorio cadde, ecco la seconda rivoluzione.
L’evento di cui sopra non produsse cambiamenti de facto nella vita dei Romanov, se non molti mesi dopo.
 
Da una lettera di Olga Romanov alla principessa Fuentes, 18 novembre 1917 “ e l’ombra di Patroclo appare accanto ad Achille, ti suona famigliare? Ho ripreso Iliade, Odissea e compagnia, leggo molto, e, intanto scrivo le scene da imparare, sai che mettiamo su delle commedie, teatro russo e repertorio edoardiano. Marie, Anastasia e Aleksey ne sono entusiasti. (..) Ogni tanto ad Aleksey si gonfia il braccio, la gamba, ma non ha dolori (..) Spesso il brutto tempo  impedisce di fare passeggiate, una grande privazione (..) Ti invio il menu del mio compleanno..Un abbraccio Cat, sempre Tua Olga ps sono viva e tremo..PPS scommetto sull’azzurro
 
Quegli occhi azzurri spenti, abitati dal buio e dalla paura, un mare in burrasca, aveva paura e continuava a sognare, senza rimedio.
 
Lezioni, preghiere, giochi a carte e la sera commedie, per passare il tempo e sovrastare la noia..Una sera, a Tolbosk, Anastasia era il protagonista maschile di una commedia edoardiana, dal brillante tono, "Fare i bagagli", alla fine doveva voltate la schiena al pubblico, aprire la vestaglia e dire che, avendo già messo i pantaloni in valigia, non poteva andare.. Voltandosi, sollevò per sbaglio il lembo della vestaglia fino alla vita, mostrando  cosce e fondoschiena ben paffuti coperti dai mutandoni di lana di suo padre... Risero tutti, di cuore, zarina  compresa, Anastasia arrossì come una fragola scarlatta e matura.
Tatiana a Catherine”..Mia cara, grazie..E’ difficile non vedersi, certo ci incontreremo di nuovo in tempi migliori. Penso a tuo figlio Felipe, la tua lettera con le sue dita impresse nell’inchiostro è una delizia, ora di che colore ha gli occhi? Viviamo in quiete, senza troppa tensione, i giorni passano veloci, le lezioni  e le passeggiate, il pranzo al piano terra, in genere Alessio mangia con Mamma, loro due soli (..) Lezioni e tea time... Ho scritto a Marianna, ti bacio teneramente, ti voglio bene T.” 
Da una lettera di Olga Romanov” Aleksey cresce di statura da un mese all’altro, Cat, gioca con l’arco e le frecce che gli ha costruito Andres, io e Tata siamo  sempre più magre, Anastasia si lamenta di essere diventata un elefante, la vita larga e le gambe grasse, come era Marie, che ora sta diventando una vera e quieta studiosa. Mia madre esce poco, per il maltempo, il cuore le causa dei problemi,ancora, le sue solite palpitazioni,  ormai ha tutti i capelli grigi.. Trova conforto nel leggere la Bibbia e i libri di devozione, papa ci legge spesso, la sera, a voce alta. Sempre Tua Olga Ps scrive il tuo viziato principino, Cat, ogni giorno prego di rivederti, Aleksey alias il tuo piccolo principe”
Un Natale in esilio, una costante umiliazione, i Romanov alla gogna.
Segnalibri fatti con nastri di seta, acquerelli, quaderni rilegati furono i regali.  Guanti e calze, libri..
La mattina di Natale i Romanov, scortati da due file di soldati, giunsero alla chiesa alla fine della strada, una messa speciale, alla fine della liturgia il sacerdote  pregò usando i loro titoli imperiali, stralciarti dalla liturgia ortodossa, in luogo dei nomi di battesimo, un omaggio traslato che gli impedì di recarsi ancora in chiesa. L’incidente ne amareggiò la prigionia, il confino divenne ancora più stretto.
A Natale, la seconda attesa era ben palese, mi feci una foto, Andres che mi circondava le spalle, in braccio Felipe, il mio panciotto che si vedeva di profilo. Avevo sofferto di nausea giusto nei primi tre mesi, non riuscivo a cacciare nulla in bocca, la mattina, dopo pranzo e dopo cena,  vomitavo a gloria, deve essere un maschio, annotava mia mamma, quando si annunciano così presto.. dei campioni nel fare ammattire da subito la loro madre. E avevo un sonno perenne, senza sogni o stelle, da cui mi svegliava Andres, a  suon di baci“.. cara Olga, un abbraccio, sai che ho visto una rosa? Solitaria, spinosa, si è aperta dopo tanto, poi è spuntata decisa, delicati i petali,  poi allargando poco per volta il suo centro, luminoso. Solitaria, splendida come te”  glielo scrissi tra il suo compleanno e Natale, chissà se lo lesse.
 “Cara Catherine, ti scrivo da Tolbosk, è il 15 gennaio 1918, fa tanto freddo e mi manchi, ci manchi. Come stai? Come state?Mi ha fatto tanto piacere ricevere i biglietti di Natale, sei stata carina a mandare una giacca imbottita a testa, sciarpe e guanti e berretti e calze, che la nostra roba si era rovinata ed era piena di buchi, nonostante i rattoppi e i rammendi..Abbiamo costruito una montagnola di neve nel recinto quadrato, dove lanciarci con le slitte, tranne che le guardie l’hanno spianata e ne abbiamo costruita un’altra e tanto.. Seguo le lezioni, la sera organizziamo rappresentazioni teatrali con M. Gilliard come suggeritore e Anastasia, Marie e me come attori.. Olga legge tanto come Tatiana, con Papà seghiamo tanta legna .. Riprendo ora, che abbiamo mangiato storione e bliny con i soldi che avete inviato abbiamo potuto acquistare queste squisitezze, che sennò non era possibile, il governo provvisorio ci ha dato un budget di 600 rubli a testa, 4.200 in tutto, che siamo in sette (visto, aritmetica applicata..) e non basta per tutto..Mi manchi, era bello quando mi raccontavi le storie, Achille e l’Eneide e compagnia, mi prendevi tra le braccia e facevamo volare gli aquiloni.. Spero che ci mandino presto in Inghilterra, così ci rivedremo.. Da marzo ad agosto, a Carskoe Selo è stato bello, da una parte, che eravamo tutti insieme, poi è tornato Andres, avuto il vostro bambino.. Felipe.. E so che sareste venuti anche voi, tranne che Felipe aveva solo due mesi. A proposito, che fa? Ora vado a mangiare dei pancake, se pensi che non avevo mai appetito e mi brontolavi sempre, ne rideresti..Ciao, Cat, alla prossima, un bacio ..ps mi sono preso la rosolia, faccio pendant con le mie sorelle, una forma più leggera da cui mi sto rimettendo.. mi manchi.
                                                                                                    Yours Alexei” 
 
Quello che trapelava era la disperazione, la noia, il tempo che non passava mai. Alexei teneva un diario, ove annotava brevi frasi, quello che aveva fatto. I suoi pensieri si intuivano, noia, appunto, e speranza e voglia di ridere e giocare.  In quel gennaio, lui e le sue sorelle si presero la rosolia, tanto per non farsi mancare nulla del rosario di malattie e affanni.
Gennaio ’18“Oggi è stato come ieri e domani sarà lo stesso come domani. Dio, aiutaci, abbi pietà di noi
4 gennaio 1918 “Oggi ho ancora più bolle. Giocato a scacchi con Nagorny tutta la mattina, ora anche Maria è malata. È stato ordinato a tutti i soldati di rimuovere le loro spalline, ma io e Papa non l’abbiamo fatto
1916, anno in cui finalmente aveva avuto il piacere, la gioia e la soddisfazione di vestire una vera uniforme, a prescindere da quelle onorarie, con relative mostrine di lanciere caporale, mostrine   con le sue iniziali A. N. iniziate a N. A., usanza russa, un legame tra generazioni, gli appellativi di padre e figlio che si legavano tra loro. Gli piaceva indagare sulle automobili, i meccanismi di cannoni, aerei e sommergibili. Aveva mangiato il pane nero, come i soldati, la loro zuppa, si era allenato e aveva marciato, davvero era “soldier prince, un principe soldato”
Dal diario di Alessio, 6 gennaio ’18” Alzato alle sette. Preso tè con Papa, Tatiana e Anastasia. Maria sta un poco meglio e cammina per la stanza. Alle 18 abbiamo giocato a nascondino, facendo un gran chiasso.” I giorni uno uguale all’altro, ogni cosa sempre la stessa, la noia.
 
“Caro Alexei, ti scrivo la solita lettera settimanale, come alle ragazze, se la corrispondenza arriva in ritardo o a rate..  io vi penso e vi scrivo sempre. E mi manchi, mi mancate, ci mancate. Venendo alla tua lettera del 15 gennaio, ricordati questi doni sono fatti con il cuore, stai sicuro, e ho cercato di essere pratica, che di sicuro con il freddo siberiano guanti e berretti non bastano mai.. La fantasia, la memoria, sono doti che ho avuto fin da bambina, con le tue sorelle ci divertivamo a raccontarcele, solo che come Olga è portata per il pianoforte e Tata per la danza, io avevo questo dono, che mi è valso l’appellativo di principessa Sherazade, principessa cantastorie. E per  i cavalli, come amazzone me la sono sempre cavata, esageravi tu a dire che cavalcavo il vento e che era uno spettacolo solo starmi a vedere.. Ne prendo atto, come della circostanza che come sei riuscito a esasperarmi, farmi ridere o consolare delle mie tristezze è riuscito a ben pochi. …. Il mio fighter prince, un principe combattente, che non molla mai, come Achille. Te lo detto a Carskoe Selo, te lo ripeto ora, tu sei un lottatore, non molli mai, qualunque cosa accada, come un vero principe, a prescindere da titoli o rango.. Ti voglio tanto bene, Alexei.. (..)Venendo a Felipe, ormai ha sette mesi abbondanti e gattona, gli occhi sono sempre color ardesia, come quando era appena nato e .. farfuglia qualche sillaba, il tipico bambino direbbe “ma-ma”, mamma, invece lui “Tata”, ovvero Tatiana, ho continuato a parlargli di voi, e che tua sorella era quella con cui stava più volentieri.. Tata invece che mamma, per mia soddisfazione, e tanto è, va bene uguale..Mando una foto di noi tre.. Speriamo che, giunta la primavera e con il ghiaccio sciolto, vi rechiate in Inghilterra..
Il morbillo è una grande scocciatura, per le bolle che prudono, ps manchi tanto pure a me, ribadisco
Ciao Alexei, un bacio,
                                         yours Catherine che ti vuole tanto bene” 
Dal diario di Alessio” 24 gennaio 1918. Nel pomeriggio preso una botta alla mano e guardato Papa, che ha pulito il tetto dalla neve, e come portavano la legna in casa. Che noia.!!
“27 gennaio 1918, Auguri al volo Catherine, come sei diventata grande, hai ben 23 anni, come ne farà  Olga a novembre..Baci, Alexei alias monello PS Felipe somiglia davvero tanto a tuo marito, Tata si è messa a ridere della prima parola del bambino, annotando che per te non deve essere stata una grande soddisfazione” si e no, l’onere di nove mesi e del parto era toccato a me, tranne che Felipe prediligeva suo padre e una mia amata sorella, quindi di cosa dovevo lamentarmi? E tanto, da una parte, ci sformavo, quando mi chiamò “MAMMA”, feci una metaforica tripla, carpiata capriola di gioia.
Dal diario di Alessio “30 gennaio 1918. Dormito male stanotte. Mi fa male la gamba. Colazione con Mama, rimasto a letto tutto il giorno”
2 febbraio 1918, una breve nota di Olga “Auguri, cumulativi, in ritardo. E’ veramente freddo in questi giorni, siamo appena tornati da una passeggiata. Nell’angolo di una finestra abbiamo inciso una “C”. Dio ti benedica, mia cara, stai bene, con amore Tua Olga ps..io propendo per l’azzurro PPS accludiamo la seguente poesia ...Un bucaneve, in inverno, colmo di grazia, bianco.. Una luna perduta, sottile, delicato il centro di bianco oro, i petali si piegano, giocando con la brina.. La perfezione e la delicatezza” Una volta, la zarina Caterina II, in una delle sue passeggiate, aveva trovato un precoce bucaneve, incantata aveva ordinato che una guardia lo vigilasse, era perfetto, fragile e fiero. Capii l’antifona, non cedevano, erano fragili solo in apparenza, si guardavano a vicenda, eravamo sia il bucaneve che la guardia.
Never give up.
Dai quaderni di Olga Romanov alla principessa Catherine”..non vi è stato un preciso momento, di decodificazione, sai, quando il crepuscolo invade una stanza, non accendi la luce e ti trovi al buio. Era freddo, leggevo tanto, i servizi vespertini, le passeggiate, brevi eventi giornalieri.. La sopravvivenza. Costruimmo una montagna di neve, a gennaio, a marzo le nuove guardie la spianarono, che era un “divertimento”. Ci riducemmo a vedere la gente che passava dalle finestre, per avere un poco di ristoro, 22 anni, nel pieno della presunta giovinezza, avrei dovuto ballare, avrei potuto costruirmi una famiglia e invece ero con la mia, senza una vera distrazione. I miei genitori costantemente insultati, quando una volta erano semidei. La malinconia che mi abita come una vocazione, una principessa di gelo e neve, destinata a non svegliarsi in primavera. A prescindere dal fatto che la stanza dove dormivo con le mie sorelle era una vera ghiacciaia. E le cose andavano di male in peggio, sia in generale che in particolare. I bolscevichi avevano preso il potere, le notizie erano imprecise, tranne che si parlava di un armistizio tra la Russia e Germania, Austria, Bulgaria, una pace separata, l’esercito allo sbando, in dismissione, e i tedeschi avanzavano, pezzo su pezzo. Per noi, a Tolbosk, a partire dal gennaio 1918 il maggior assillo era il denaro, in cronica carenza, e il cambio delle guardie e ... “ senza mollare, la loro dignità ha resistito fino all’ultimo respiro.

In febbraio il governo smobilitò i soldati che erano appartenuto alle file imperiali, sostituendoli con giovani rivoluzionari, dalle brutali maniere. Questi ultimi prontamente incisero oscenità scurrili sulle altalene usate dai “bambini” e Alessio lo rilevò subito, tranne che lo zar tolse subito i sedili. Da allora in poi i soldati scrissero o fecero le loro caricature sulla recinzione, in alto, dove era impossibile toglierle. Il siberiano, Rasputin, che prendeva, da dietro, una posizione laida e oscena, la zarina Alessandra, la Nemka bliad, senza onore o decoro, per sicurezza vi era una corona di insulti, lo zar rappresentato con un bel paio di esplicative corna.

Alessio si prese un numero inimmaginabili di spinte quando diceva che non era vero o tentava di scancellarle, un trauma nel trauma, lui che era sempre stato trattato con i guanti di velluto, protetto, amato e coccolato. Che capisse gli insulti era pure peggio, ormai non era più un piccoletto ignorante.   E taceva, cercando di impedire alla collera di tracimare, pezzenti erano loro e non lui. Se lo ripeteva e faceva male.

Un decreto del governo provvisorio sancì per i Romanov lo stesso trattamento economico dei soldati, ovvero 600 rubli al mese, 4.200 per sette persone sarebbe stato sufficiente, peccato che la cifra doveva servire per  i membri del personale, cuochi, dame valletti e quanto altro.  “ A carico di Nicola Romanov, residente in via della libertà a Tolbosk, 7  persone, 4.200 rubli al mese
Lo zar preparò un budget, in base al quale si trovò a licenziare dieci persone. Li avrebbero serviti comunque, ma questo significava la povertà. Per grazia ricevuta, riuscirono ad arrivare 10.000 rubli, gli altri si erano smarriti lungo strada, che tamponarono un poco.  Quello era l’ennesimo invio di denaro da parte mia, e di Andres, e mia madre e mio zio, a quel giro erano 40.000 rubli, in quale maglia della corruzione si erano persi.
Tra ingaggi e rendite ne avevo da spendere.  Dieci vite non sarebbero bastate.

I pasti erano poco imperiali, burro e caffè erano stati considerati lussi inutili di cui i Romanov potevano fare a meno. Il pranzo era una minestra, carne o pesce, del vino, a cena, carne, verdura, alle volte pasta.  Gli abitanti di Tolbosk, saputo della situazione, inviarono  caviale, dolci, uova e pesce fresco, doni del cielo per la zarina.
Era la fede che li faceva andare avanti, giorno per giorno, potevano portare via ogni cosa, ma non le “nostre anime”, scrisse Alessandra alla sua amica Anna.  Perdonare i nemici, non cercare vendetta, trarre la forza di non cedere alle avversità, che questa vita non è nulla, a confronto dell’eternità. Olga ne scrisse in una poesia privata, cercava di capire la vita e sapeva di comprendere molto poco.
“Abbiate timore per le vostre anime, non per i vostri corpi. San Paolo”

“ Hesperia, la terra occidentale, come i romani chiamavano la Spagna,ma il nome della stella della sera è Espero. Mi sento di ghiaccio, fredda e eterna” annotò Olga, battendo tra loro le mani gelate. Non aveva fame, cedeva sempre mezza e rotta delle sue porzioni al fratello, che spazzolava tutto, la fame della adolescenza, pareva crescere da una settimana all’altra, aveva ereditato di certo l’alta statura dal nonno paterno, Alessandro III, che era stato alto circa 1.94. E si annoiava, non ne poteva più, i suoi sbuffi erano l’esternazione dei suoi e di quelli delle sorelle, la sua cantilena l’eco del loro disagio. “Voglio giocare, voglio andare in giro.. Mi annoio” E ancora “Cat ha scritto? Mi manca” “Ho fame” A 13, 14 loro erano magiche, pensava Olga, avevano condiviso il privilegio di una adolescenza e, ancora prima, di una infanzia in armonia, convivendo tanto. Si sentiva in colpa ad avere ignorato che Cat la aveva passata tra le botte e la violenza del principe Raulov, omettendo che lei non le aveva detto una sillaba, mai. Sulle ossa slogate, i lividi, gli insulti. Era già un miracolo che avesse saputo amare, non fosse diventata cattiva, più era triste e più sorrideva, Catherine dalle smaglianti apparenze, Catherine, principessa delle assenze, la signora delle favole, dai passi fatati.

La situazione pareva immobile e così non era, la confraternita di San Giovanni di Tolbosk (monarchica organizzazione che cercava di salvare i Romanov) era diventata un punto di aggregazione. Suo leader tale Boris Solovev, il cui padre era stato tesoriere del Santo Sinodo, era un vanesio, vanaglorioso, tuttavia aveva sposato la figlia di Rasputin,Maria, nell’ottobre del 1917, condizione che gli tributò la cieca fiducia della  zarina. Insomma, affabulò tutti, divenne un punto di riferimento per piani di riscatto, i monarchici gli offrivano denaro. Tramite canali ufficiosi di corrispondenza, rassicurava gli zar.
Comunque, il complesso piano di riscatto, non ebbe seguito, che non vi era, in alcun modo. Quando i Romanov vennero trasferiti, nell’aprile del 1918, Solovev era opportunamente agli arresti, in guisa tale che nessuna nulla poteva imputargli. Un norvegese di nome Lied aveva lavorato nel commercio negli anni che precedettero la guerra, in Siberia,  progettando una rotta che da Tolbosk giungeva fino al mar di Kara, risalendo il fiume. Nella primavera del 1918 venne convocato a Londra, convocato dalle alte sfere, per organizzare una missione che rimase senza esito alcuno. E poi giunse una serie di tentativi di salvataggio dal Kaiser Guglielmo di Germania, vi furono lettere che offrivano aiuti. Notiamo l’ironia, nemici di guerra da quattro anni, i tedeschi offrivano aiuto, lo zar rifiutò. E il Kaiser versava lacrime amare sulla sorte delle “principesse tedesche” in Russia, Alix e le sue figlie, che non dovevano subire troppe angherie, la regina Olga di Grecia riferì che vi piangeva a notte intere, sul destino delle principesse Romanov.
 
Ai primi di marzo 1918, il comitato dei soldati decise di abbattere la montagna di neve costruita nel retro della casa, uno dei pochi svaghi dei fratelli Romanov.  Per la domenica di Carnevale, la folla passava festeggiando sotto le finestre, i ragazzi si misero a guardare dalle finestre, annoiati fino alle lacrime, quello era uno spunto di svago, uno dei pochi rimasti come segare e ammucchiare legna.

Dal diario di Alessio “ 19 febbraio 1918. Passato tutto il giorno come ieri, nel pomeriggio giocato con Kolia e fatto una daga di legno con il mio pugnale. Giocato ad attaccarci.  ..(..)  11 Marzo 1918 .. Fatto male al piede, non posso mettere gli stivali. Così devo stare a casa tutto il giorno. (..) 24 marzo 1918. Sempre lo stesso, mangiato 16 pancake a pranzo. Una cerimonia religiosa alle 9. Di mattina. Il tempo è freddo e ventoso. Fatto bagno (..) 24 marzo 1918 tutto sempre uguale (..) la neve si scioglie e diventa fango (..) tirato palle di neve e con arco, l’arco che mi ha fatto Andrej F. ”

...l’esercito tedesco avanzava verso Pietrogrado, la capitale venne spostata a Mosca. L’esercito ormai era allo sfascio, i soldati avevano disertato a milioni.. I termini per il trattato di pace, firmato a Brest-Litovsk il 3 marzo 1918 furono umilianti. Ai tedeschi venne ceduto la maggior parte del territorio conquistato da Pietro il Grande in avanti, comprese la Polonia, la Finlandia, gli Stati Baltici, Ucraina e Crimea, buona parte del Caucaso, circa 60 milioni di persone vivevano in quei territori.. Inoltre, la Russia doveva pagare alla Germania sei miliardi di marchi, un quarto immediatamente, in oro, il resto  a rate entro l’ottobre 1918.  L’economia era finita, erano state date via un terzo delle regioni agricole, l’80%  delle miniere di carbone, l’accisa sulle estrazioni petrolifere, un terzo delle industrie tessili e un buon quarto delle ferrovie. Mio zio fece quel triste elenco, la contabilità delle perdite, non era un trattato di pace, quanto un tradimento, molti la pensavano come lui.

La guerra civile era dietro l’angolo. 

A Tolbosk, la notizia sconvolse Nicola e Alessandra, era “umiliante”, una disgrazia senza ritorno per la Russia.  Alix disse che avrebbe preferito morire in Russia piuttosto che essere salvata dai tedeschi.
E aprile portò un problema immane, che si aggiunse all’angoscia della prigionia.  Da quando i soldati avevano distrutto la montagna di neve, Alessio usava lanciarsi per le scale della dimora, usando una sorta di  slittino. Lo aveva sempre fatto, da anni, tranne che a quel giro, era veramente spericolato,  senza cura, come se volesse tentare la sorte. I risultati non si fecero attendere, purtroppo.

Gilliard e Nicola Romanov annotarono nei rispettivi diari che era confinato a letto, per un violento dolore all’inguine. Era stato così bene durante l’inverno, studiando, facendo le sue particine nelle commedie, giocando a palle di neve, segando il legno, divertendosi con l’arco e le frecce e il suo amico Kolia Deverenko “Mamma! Cat.. dove sei? Non no ho paura di morire, ma di quello che potrebbero farci”. La febbre altissima, delirava di un cavallo, che aveva cavalcato, lui, un sogno impossibile, un desiderio irrealizzabile.
Il dolore non gli dava un attimo di requie, urlava e gemeva, come a Spala. Era uno dei suoi peggiori attacchi di emofilia. Alla caduta si era sommata la pertosse, a furia di tossire le sue condizioni erano peggiorate, le sue urla si sentivano finanche in strada, erano l’eco di un rimorso, di un assenza e un esilio.

“Delirio febbrile, i dolori, lo hanno mandato fuori da ogni grazia dovete avere pazienza Maestà imperiale..39 di febbre, delira”
“Invoca le sue sorelle e Catherine Fuentes..” enunciò Alessandra Feodorovna” Febbre o meno..” Sempre. 
“Si  riprenderà..” E l’emofilia gliela aveva passata lei, la maledizione che si trasmetteva  di madre in figlia ai maschi, aveva amato e amava Alessio, più di ogni persona al mondo, tranne che quello smisurato affetto aveva causato, oltre la gelosia delle sue sorelle, di allontanare suo figlio. Che la amava e non si lasciava andare.
Lei è mia madre, ma .. Non mi ha mai raccontato una favola, mai, piangeva sempre, non ha giocato con me.. Stava sempre male, come ora.. Le mie mamme vere sono Olga, Tata e Cat.. E non le posso dire nulla, no, è malata e sta male.. Quando Alessandra sentì quel dialogo smozzicato tra suo figlio e Nagorny, il marinaio infermiere, sarebbe voluta morire, desiderando di scavare un buco per terra, aveva sbagliato tutto.. a partire da subito. Rasputin era solo una illusione, cui si era aggrappata per anni, fino alla tragedia. Era malato e cercava di proteggere lei.
Madre, non Mamma, tra quelle due parole cadeva un intero mondo, sommerso e nascosto.

Alessio, amore, che fai? Come va? Scruto le foto, in una sei di lato, stringi una sega a doppia lama,  il colbacco in testa, lo sguardo annoiato, il tedio appare in tutte le pose, come nelle lettere..Anche io non vedo l'ora di rivederti. 



La zarina scrisse alla sua amica Anna V. che Alexei era malato, confinato a letto, con una emorragia interna che lo faceva soffrire terribilmente.
Sul momento stava meglio, ma dormiva male e i dolori, per quanto meno acuti, non erano finiti. Era dimagrito terribilmente, il colorito giallastro, come a  Spala. Non aveva appetito e stare tutto il giorno sdraiato sulla schiena lo stancava, come cambiare posizione. Sua madre si alternava a vegliarlo tutto il giorno e la notte con le sue sorelle e il marinaio Nagorny e Gilliard. Ora le spalline dell’uniforme sia lui che suo padre le portavano solo al chiuso, per evitare che venissero tolte, un sommo insulto per Nicola, che aveva amato l’esercito, era stato un colonnello, Alessio aveva le sue mostrine da Caporale Lanciere, dal 1916, effettive, particolare che lo aveva riempito di gioia ed orgoglio.
Mancava una persona, Cat, la storica rompiscatole. Sempre presente.
Kitty Cat, gattina.
Cat.
Catherine de Saint Evit, in prime nozze.  Madame.
Princesa Fuentes, nelle seconde.
Mia principessa, per Olga, il suo ultimo possessivo sussurro.
Sorellina.

Da una lettera di Olga Romanov a Catherine Fuentes, dell’aprile 1918” ..Grazie per la lettera e i doni, uova, cartoline, la cioccolata per Alessio e… l’appunto, che avresti voluto inviare della marmellata di mirtilli, ma non hai osato, per tema che il vetro si rompesse. E libri, sempre graditissimi (..) Alessio sta un poco meglio, ma il sangue si riassorbe velocemente e ha ancora dolori. Ieri ha sorriso, ha giocato a carte e gli è riuscito a dormire un paio di ore nella giornata. È diventato magrissimo, con gli occhi enormi. Gli fa piacere che gli si legga qualcosa, qualcosa mangia ma non ha appetito, non che sia una grande novità, tranne che è vero, farebbe a meno di mangiare del tutto. Nostra madre sta con lui tutto il giorno, ogni tanto io e Tata o M. Gilliard le diamo il cambio, di notte io o Nagorny. Arrivato un gran numero di nuove truppe, dal governo bolscevico, insieme a un nuovo commissario di Mosca, un uomo chiamato Yakovlev. Speriamo di avere un servizio in casa, per Pasqua. Nevica, ma si scioglie tutto, diventando fangoso… una guardia si è premurata di distruggere sotto i tacchi degli stivali una violetta che Anastasia amava guardare, era spuntata e le piaceva vedere la progressiva geometria delle foglie e i fiori, anche questa distrazione ci viene negata” non mi raccontò che Alessio mi  invocasse, quello strazio senza  fine o ritorno, Cat, per Catherine, di un cavallo

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Capitolo 34
*** Cat ***


“Ci hanno mandato un vasetto di marmellata, gli abitanti di Tolbosk” disse Tata, cercando di sorridere “Indovina il gusto, Tesoro” “Non mi interessa” disse Aleksey, il viso pallido e magro, tirato verso la parete “Non ho fame, davvero” “Se ti racconto qualcosa, ti va un assaggio..?Comunque ti dovrebbe piacere.. Blu, tondi.. Mirtilli” una pausa “Come a Friburgo” sussurrò,LUI,  gli occhi spalancati, teso verso un passato felice, quindi tornò nella squallida stanza, ove era confinato e prigioniero. Alessio   scosse la testa “Dopo, magari”.. Allora mangiava goloso i mirtilli dalle siepi. Rideva e saltava, atterrando tra le braccia di Cat. Tata chiuse gli occhi davanti al dolore, per non soffrire più .. Una lunga e infinita battaglia, si arrese davanti alla sua inappetenza “A me non importa quanto ci metti” rilevò Olga quella sera .  “Anche una settimana, per quello che ho da fare” gli baciò la fronte, misurando il battito, cercando di non compatirlo, non aveva troppa febbre, gli aggiustò i cuscini “Dove vuoi che vada ..” Quindi “Alessio, Catherine manca anche a me, da impazzire, ma cerchiamo di non mollare” il ragazzino voltò la testa contro la parete, ostinato, da capo “Ti leggo qualcosa..” una pausa “La storia di Emma Fuentes, la figlia del re di  Spagna, Ferdinando di Aragona.. Una principessa. Aspetta e .. Arabi e reconquista.. Granada e i cavalli, argomento che ti appassionava..trascritto da chi sai tu” “Mi appassiona, leggi, per favore..” lo aveva scosso, annotò soddisfatta, gli circondò le spalle e attaccò a leggere.  Era come se Catherine fosse con loro, rilevò, era sempre presente, immutabile come il tempo, un antico e perduto ricordo.
Aleksey rise “.. ti ricordi quando mi raccontava del principe di Granada? Dicembre 1915.. e lo riprendeva da loro..il principe, e invece era una principessa, che era la figlia del re, anche se i genitori non erano sposati” Olga gli allungò un boccone di pane spalmato con la marmellata di mirtilli, lui masticò per riflesso, perso nei suoi pensieri “Ha copiato questa cosa in russo, carina, eh..Trastamara “ compitò la parola, senza badare alle smorfie di suo fratello per ingurgitare qualcosa, o alle implicazioni sui bastardi. Ora immobili, nessuno dei due dormiva, alla fine Alessio allungò una mano “Vieni qui, stenditi, sei stanca..” dispiaciuto, odiava essere malato“Prima ti cambio, cercherò di essere veloce” Con quella nuova crisi, che lo aveva confinato a letto, gli avevano rimesso i pannoloni, all the time, Alessio lo odiava come i commenti irridenti delle guardie, era una misura pratica che lo riempiva di rabbia e imbarazzo e  disperazione“No, per favore, lascia stare” “Dai, Aleksey..chiudi gli occhi, cerca di non pensarci..Nagorny ti ha cambiato all’una. So che preferisti un maschio, ma ti hanno vegliato a ore, per giorni, ora si riposano..Non ti sentire in colpa, Alessio, lo so che ti dispiace..E non è colpa tua, e’ quasi mezzanotte ” Quindi “..sst, tranquillo” il bambino percepì l’odore del sapone dozzinale, le mani di sua sorella che compivano lievi e veloci l’operazione,  era un pannolino riciclato, anche se pulito, quindi una coperta di lana sulle gambe,in più, era freddo ed aveva freddo . Quando era lo zarevic, tutto era nuovo, gli davano sempre il meglio. 
Ora che il suo mondo era ridotto a una stanza e a un letto, con finestre sbarrate, che dipendeva da tutti per essere cambiato e lavato e spostato, solo  poteva ricorrere alla memoria e sognare di essere altrove, sollevandosi dal  dolore e dalla noia e dagli occhi dolenti di sua madre. Per essere libero, anche se si sentiva invalido e storpio. Peggio che mai. 
Quello era il pensiero di Alessio. 
La stagione della Stavka.

Immagini, frammenti, ricordi. Agile e snello, pareva un giovane narciso, araldo della primavera.
I treni lo affascinavano, non si stancava di chiedere il funzionamento e osservava binari e traversine e bulloni, domandando agli addetti ai lavori questo e quello. Si era poi costruito una vasta cultura sui sommergibili e gli aerei, andare nei cieli e nei mari era una sua grande aspirazione. Come e più di Anastasia odiava le nozioni obbligatorie, tuttavia era molto intelligente, se qualcosa lo interessava ti sfiniva con la curiosità e domande inopinate e sorprendenti.
La concentrazione con cui osservava un filo d’erba, una lumaca,  passando alle margherite..
Le passeggiate e si fermava a ascoltare un picchio, lo zirlo di un tordo.
La mano che scivolava in quella di Cat, che lo scrutava con attenzione per cogliere eventuali segni di fatica,  alle volte si fermava,  con la scusa di volere prendere il sole, le iridi scure venate dalla preoccupazione. E  scrutava il cielo, sai, mi piace pensare di tutto un poco e godermi le nuvole e il sole e la bellezza della stagione, chissà che uno di questi giorni non mi venga impedito di farlo..
Le nuotate con Andres, le ore a pescare.
E tutto il tempo che aveva passato con Catherine,  a casa sua, le torte di mele, le patatine fritte.. E studiare, senza annoiarsi.
E avevano litigato, fino alla more, al delirio, Cat che lo aveva trattato senza riguardi, rispondendogli male, come se non fosse malato, le giravano i nervi e ne aveva fatto le spese lui, salvo poi riderne. Che bello..
E cavalcare, finalmente, da solo, su Castore un baio di squisita bellezza su cui la principessa Fuentes aveva cavalcato il vento.
E cercava di lasciarlo fare, sempre, anche se era ben conscio che mascherava la tensione, Catherine, dietro a un sorriso,una battuta,  di non opprimerlo con i divieti e anatemi, attento, non puoi, sapeva che l’amore per lui aveva vinto l’ansia, perché poi lo amasse in quel modo era un mistero che non osava varcare (.. Mi ama come una madre, una sorella ..). “Mi sento un re, in cima al mondo”
“Sei bravissimo” era in sella, fermo, Catherine gli aveva messo la guancia sul ginocchio, le sue iridi, onice e topazio, belle come il miele lo fissavano adoranti “Lo dici per farmi contento”
“Sei portato, davvero, Aleksey..prendilo per un complimento, dalla migliore amazzone di tutte le Russie”
“Modesta, eh.. tranne che è vero” Non barava, non mentiva, cercava di trattarlo da grande, senza gli anatemi della sua fragilità, l’emofilia non doveva ridurlo a una larva , a essere un povero invalido, come pensava sua madre“Abbastanza.. “il lampo candido del suo sorriso, il solito movimento di aprire le braccia, per farlo scendere, accostandolo contro di sé, sapeva di arancia amara, rosa e lavanda, il sapone lo usava sempre, Cat sapeva sempre di pulito, annotò che lo abbracciava, una tregua contro l’ansia “.. bravissimo, zarevic”una pausa”Il mio campione” ancora “Ti fermi a cena? Da me e Andres, dico. Abbiamo pane nero, la zuppa dei soldati, cose che mangi, ma anche una torta di mele, quella che abbiamo fatto ieri, eh, ne è avanzata..” “Mi fai le patatine fritte?” le aveva spazzolate in un baleno “Subito” e ridevano e scherzavano, teneri.
Smontare e rimontare le armi.. Il profumo. Il senso di sicurezza.. Ti voglio tanto bene Alessio..
Stare con lei era stato un privilegio, reciproco.
Ora lo sapeva, allora lo intuiva.
Una volta  si era addormentata vicino a lui, aveva posato le dita vicino alla sua fronte, per non interrompere il miracolo, era  rilassata, in quiete, si fidava, le difese deposte “Ciao, Cat” quando si era svegliata, raccogliendola tra le braccia,  il gesto speculare e gemello dei suoi “Ciao, tesoro” soffocando uno sbadiglio e una risata,  i movimenti rilassati “Come va?””Bene” “Sei tranquilla” “Certo, sempre, Alessio .. te sei una garanzia” “Proprio. .. “Con ironia. “ E invece sì, mio caro ometto” “Mi prendi in giro” “Mai su questo, ti voglio bene, campione”
 E posso  essere re degli spazi e del cosmo infinito, in una noce, che il mio regno è questo, parafrasando Shakespeare.
Catherine .. ti prego, vieni a prendermi, portami via. Anche se so che non ti rivedrò mai più. 
E chi te lo dice?
Io riprendo sempre quello che è mio. 
E Aleksey, tu sei   mio, e viceversa.
Fine. 
E  ti avrei ripreso, fine del dettato.
A torto o ragione,  eri mio. 
Ti  amavo, sempre. 
Ricambiata, avevo bisogno di te. 
E viceversa. 


 Il 22 aprile 1918 un gruppo di 150 soldati  a cavallo raggiunse Tolbosk, bolscevichi, giunse in loco comandato dal commissario Yakovlev, che doveva condurre le cidevant zar e la sua famiglia a Mosca.
Colpì la famiglia imperiale per la sua squisita cortesia, la sera del suo arrivo prese il tè con la coppia imperiale, chiamò lo zar “Maestà” e conversò in francese con Gilliard.  Mostrò al comandante K. Che comandava la guarnigione due lettere firmate da Sverdlov, presidente del comitato centrale di Mosca, che contentavano minacce di morte, nell’ipotesi in cui gli ordini di S. non fossero stati eseguiti. I Romanov dovevano lasciare Tolbosk, per evitare fughe in primavera.
Yakovlev il 23 aprile visitò l’intera casa da cima a fondo, quindi vide lo zar, che lo condusse in camera di Alessio, che era a letto. La zarina si stava preparando, la sua salute, tra sciatica e mal di cuore, oltre che la recente preoccupazione per suo figlio non le concedeva un momento di requie.  Yakovlev rifece una seconda visita al ragazzo malato, con un medico del reggimento dei soldati che lo aveva accompagnato, anche se a occhio si rendeva conto che non vi erano finte, era malato sul serio.  Stava troppo male per viaggiare, quindi mandò un telegramma per chiedere istruzioni. Si informò inoltre se i Romanov avevano molti bagagli.
Forse una partenza?
Dai quaderni di Olga a Cat “ ..sai quello che arrecava maggiore angoscia? La sensazione di essere stati scordati da tutti, che nessuno muovesse una mano per darci un aiuto, alla mercè di Yakolev. Dove erano i nostri fedeli, i buoni russi che ci avrebbero salvato? Appoggiavo la fronte alla finestra, i pensieri pesanti come le macine di un mulino. Per caso mi ero vista a uno specchio, con attenzione, dopo tanti mesi, parevo più vecchia dei miei 22 anni, il viso malinconico, così magra e affilata..E intanto speravo che stessi bene, in quelle settimane, salvo nuove avresti partorito di nuovo, il secondo figlio in meno di due anni. Scrutavo le tue lettere, almeno di una cosa ero contenta, che eri al sicuro, che nessuno ti avrebbe fatto nulla, e Alessio stava male, il peggiore attacco da anni, vomitava di continuo e non dormiva, ti chiamava, con ostinazione, sapendo che prima o poi saresti ritornata, inesorabile 
Cat.
Aleksey.. Son, brother, heir, the Czar,  my litlle one.

Leon Jaime Nicholas dei Fuentes nacque a Livadia il 23 aprile 1918, alle quindici di pomeriggio. Leon, come aveva suggerito Aleksey come primo appellativo, Jaime come mio cognato e per ricordare il giorno del suo probabile concepimento, il 25 luglio 1917, peraltro festa di San Giacomo apostolo,  protettore della Spagna, Nicholas come suo nonno materno, omaggio segreto.
Il mio secondo pezzo di immortalità. 
Pesava quattro chili e mezzo, con i capelli scuri e gli occhi verdi di suo padre, era squisito e perfetto. Mi immersi nei gesti semplici e antichi, di allattarlo, stringerlo tra le braccia, un nuovo principe Fuentes era nato,alla conquista del mondo, suo solo limite doveva essere l’orizzonte e l’immaginazione.


Gilliard raccontò, anni dopo, nelle sue memorie lo straziante pomeriggio del 25 aprile 1918. Aveva incrociato due servitori che piangevano, gli raccontarono piangendo che Yakovlev era venuto a dire allo zar che lo avrebbe portato via. Rientrato subito nella sua stanza, non osando comparire senza essere convocato, Tatiana Nicolevna aveva subito bussato. Era in lacrime e la pregò di seguirla, che la zarina lo voleva. Alessandra gli confermò quanto sopra, era fuori di sé, Yakovlev era stato appunto mandato da Mosca per prendere lo zar, la partenza per quella notte stessa.  Chi voleva poteva accompagnarlo, nessuna obiezione.
“Non posso lasciare che lo zar vada da solo. Lo vogliono separare dalla sua famiglia come prima“riferendosi all’abdicazione” Vogliono forzarlo, rendendolo ansioso.. Devo essere al suo fianco, ma il ragazzo è ancora così malato.. “se ci fossero state delle complicazioni, non lo avrebbe rivisto mai più lo sapeva “..O Dio che tortura, non so come fare..per la prima volta nella mia vita..”
Tatiana intervenne, dicendo “ Mamma, Papa deve andare per forza, a prescindere, qualcosa dobbiamo decidere” Potevano decidere di quello, sui particolari. Altro non era concesso. Gilliard  intervenne, dicendo che Alessio stava meglio, che tutti lo avrebbero vigilato.
“Mamma, abbiamo parlato, io e le mie sorelle. Olga baderà alla casa, io ad Aleksey, Anastasia farà quello che potrà, e Marie verrà con te” E Gilliard era persona della massima fiducia e discrezione, affidargli Alessio era una garanzia.
Alessio non aveva idea di quegli eventi. Quando, dopo pranzo, sua madre non comparve come di consueto, si sentì che chiamava “Mamma! Mamma!, la sua voce si udiva per tutta la casa. Quando apparve, lei aveva gli occhi rossi, gli spiegò che sarebbe partita con suo padre il mattino dopo, di stare tranquillo, si sarebbero ricongiunti il prima possibile. La famiglia passò tutto il pomeriggio e la sera con lui, forse poteva succedere un miracolo che ritardasse la partenza, la neve scendeva, turbinando in larghe falde.
La zarina sperava che il fiume straripasse, in una sortita di fedeli, nel genero di Rasputin..
Rien.
Nothing at all.  
Alle tre e trenta di mattina partirono, su scomode carrozze senza molle o sedili, in cui passeggeri potevano solo stare stesi o in piedi. I servitori misero della paglia, presa dalla porcilaia, oltre che un materasso sulla sola tarantas coperta per far sdraiare la zarina.
 
Pierre Gilliard annotò che dopo che gli zar e Marie se ne erano andati, Alessio pianse disperatamente nella sua stanza, la testa verso la parete, come le sue sorelle rimaste con lui, era allo stremo, si sentiva abbandonato. L’aria portava il rumore delle ruote delle slitte che si allontanavano. Olga si stese accanto a lui, prima le tirò un pugno sul braccio, non fece una piega, e lo abbracciò. E   lo tenne stretto per ore, inventando un futuro per tutti,anche se pareva impossibile, lo amava, come aveva amato Catherine Fuentes, la sua fragile e agguerrita principessa, cresciuta nelle macerie, erede di un passato in frantumi.
 
Quella prima sera, mentre vegliava suo fratello, Olga prese un quaderno e iniziò a scrivere, una sorta di lettera, una sfida, per non dimenticare, mai.
 Una sorta di lettera a Catherine.
Per non scordare, mai, il suo lato della storia.
Come Catherine aveva scritto ad Andres, quando era in galera, sua sola colpa apparente averla sposata, i suoi trascorsi da abile agente della polizia segreta mai pervenuti, come quelli di Catherine.
Catherine..
 
Il viaggio fu atroce, su un terreno gelato, la neve che si scioglieva, tutto un dolore per gli scossoni, l’acqua giungeva fino al petto dei cavalli.  Un cambio dei cavalli avvenne a Pokrovskoe, ove i carri si fermarono sotto la casa di Rasputin. La sua vedova, alla finestra, tracciò il segno della croce vedendo la zarina Alessandra, poi scomparve dietro le tende, un lento fantasma.
Vi fu poi un viaggio in treno, quando Yakovlev lasciò lo zar e i suoi a Ekaterimburg,  negli Urali, ebbe la seguente ricevuta, come se avesse consegnato della merce. “1. L’ex zar, Nicola Aleksandrovic Romanov
2. L’ex zarina, Alessandra Feoddorovna Romaova.
2. L’ex granduchessa Maria Nicolaevna Romanova.
Tutti da tenere in consegna nella città di Ekaterinburg
In auto, dalla stazione li portarono alla casa di un tale Ipatiev, un mercante”Cittadino Romanov, potete entrare” fu l’annuncio per la nuova dimora. A Olga vennero i brividi, tre secoli prima il primo zar della dinastia Romanov, Michele, aveva avuto l’annuncio della sua ascesa al trono al monastero Ipatiev, stava poco bene di salute come   Alessio.. No. ALFA  E OMEGA, fine e principio.. Lui aveva iniziato, loro avrebbero finito? Fu lieta, da un lato, di avere amato, di avere conosciuto la potenza della carne, Michael stretto tra le sue cosce, una ribellione e un peccato.. Labbra di ciliegia, petali di rosa, era la sua regina, lui non era un  principe, non era nessuno, in termini di rango, allora, nulla, come lei ora.. Tranne che una giovane donna innamorata, adesso,  alle prese con noia, malattia e prigione, ricordi e una nostalgia massacrante.
La casa a Ekaterimburg ove vennero alloggiati i Romanov apparteneva a un mercante, tale Ipatiev, appunto, a cui era sta requisita per “ragioni di stato” dai bolscevichi, che, presone possesso, imbiancarono tutte le finestre e eressero una palizzata in legno tutto intorno alla proprietà. Il locale Soviet la ribattezzò “casa a destinazione speciale”.
Nella sua ultima lettera a Anna Vyribova , Alessandra aveva scritto che l’atmosfera era elettrica, che la tempesta era in arrivo, ma Dio era pietoso e avrebbe avuto pietà di loro, le anime in pace, tutto “sarebbe stato per volontà di Dio”
Alessandra, stremata dal viaggio, dalle preoccupazioni per Alessio e le figlie rimaste a Tolbosk, si mise a letto, oppressa dal mal di cuore e dalle emicranie.
Pregò che..  la bastarda di Ella Rostov Raulov arrivasse  a prenderli tutti, per portarli via. Catherine aveva quel potere..  E li amava. Tutto il mondo li aveva lasciati, tranne lei e pochi altri. Bastarda.. che brutta parola per una bella persona.
Che Catherine … era nata nel gennaio, 1895, io e Nicola ci siamo fidanzati il 20 aprile 1894  e.. Nove mesi a ritroso, i primogeniti arrivano spesso in ritardo, poteva essere stata concepita prima .. Io lo avevo rifiutato, non posso imputargli questo adesso.. Gli avevo mandato una lettera in cui lo scioglievo da ogni legame, ogni promessa, non ritenevo giusto dovermi convertire.. Come sono lontani i tempi in cui mi ergevo a giudice e giuria, pretendendo di sapere tutto, essere infallibile. Quando mi confessò l’affaire con Matilde K., lo perdonai eccome, dicendo che in questo mondo siamo esposti alle tentazioni, che non sempre da giovani resistiamo, ma pentendoci e riprendendo la retta via Dio ci perdona..In quello ha avuto fiducia in me, nel resto no. Ho combattuto contro tutto e tutti, ora che mi resta..   Una eterna incompresa, ecco chi sono. La mia timidezza scambiata per arroganza, il cercare di aiutare Nicky nei suoi fardelli ingerenza e tradimento.. La Nemka Bliad, la puttana tedesca, traditrice e ottusa…
  
In questa casa fin dall’arrivo nulla ci è mancato, mi hanno detto di aprire la mia povera borsa, che conteneva dei sali, un fazzoletto e una piccola icona. Nicky è intervenuto subito a difendermi,  dicendo che finora avevamo avuto un trattamento cortese, da persone educate, la replica  è stata che non eravamo più a Carskoe Selo, un primo rifiuto lo avrebbe fatto allontanare dalla famiglia, un secondo ai lavori forzati. Mi sono trattenuta, l’ira il mio peggior peccato, tracimavo nelle piccole cose, resistevo nelle grandi..ho aperto la borsa. Noto che tutte le finestre sono dipinte di bianco,  sprangata, disegno una svastica, il mio simbolo del buon augurio, a matita, segnando la data 17/30 aprile 1918.
Ricordando gli occhi amari di Catherine, quando l’aveva mandata via, ogni volta, scuri come un fiume in inverno, nel 1910, credendo che istigasse Olga alla ribellione e al malumore, a non accettare “padre Grigory”. Offendendo entrambe, come se Olga non sapesse ragionare con la sua testa. Il mondo era corrotto, lei doveva essere guida e faro, proteggere tutti. E aveva fatto soffrire Alessio, in primo luogo, che non aveva avuto pace nonostante i giocattoli, le bizze sempre vinte fino a .. “Cat..” Erano puro amore, sempre. Tutte le volte che da piccolo lo aveva imboccato e giocato con  lui, raccontandogli storie. È buffa, e mi fa ridere, e tanto è peggio lei dei marinai, dei dottori, sempre attenta a quando mi stanco..E ancora, Spala, quell’Armaggedon senza fine o respiro “Catherine..” “Ti racconto una storia che non ti ho mai detto..” Ma la storia più bella era la vita. Che lei aveva soffiato nelle sue palpebre chiuse, ancorandolo da sempre e per sempre.

Si seppe verso il 7 maggio che il giornale “Il lavoratore degli Urali”pubblicò la notizia e molti curiosi si radunarono per la strada per vedere la casa dei prigionieri, che erano stati confinati al primo piano della casa, ove erano strettamente controllati da dieci guardie, oltre ad altre che piantonavano la strada.

Dai quaderni di Olga Romanov a Catherine Fuentes. “ .. la mancanza di notizie era dura, come le preoccupazioni, tranne che fisicamente Alessio stava un poco meglio, il primo maggio Tata lo convinse ad alzarsi, lo rivestì lei, per poi posarlo sulla sedia a rotelle, il marinaio Nagorny lo spinse sul terrazzo. “Non ne posso più” “Ti fa male qualcosa? La gamba..” “Non ne posso più..” rilessi il tuo biglietto, che lo aspettavi, intanto ero preoccupata, tra le tante, il tempo del tuo secondo parto ormai doveva essere terminato, scaduto. Come stavi? Eri sopravissuta a quello sconquasso fisico? Io propendevo per un altro maschietto.. Mancavano lettere e notizie, pensavamo che i miei genitori e Marie fossero a Mosca, invece il colonnello K. ricevette un telegramma che erano stati mandati a Ekaterimburg. Che era successo? Una Pasqua triste, mi sentivo affondare, come in una palude, nessuna notizia, dai miei e da te, niente di specifico. Casa Ipatiev, ripeto, tre secoli prima il primo zar Romanov, Michele, aveva avuto l’annuncio della sua ascesa al trono al monastero Ipatiev, stava poco bene di salute come   Alessio.. No. ALFA  E OMEGA, fine e principio..  ”
Non poteva finire, la nostra storia. 
Da una lettera cumulativa di Olga Romanov a suo padre, dalla Siberia agli Urali, quell’anno la Pasqua ortodossa cadeva il 5 maggio” .. da un telegramma abbiamo saputo che tutto è a posto. O Dio, come state? È terribile non essere insieme, non sapere nulla, dato che non sempre ci raccontano la verità (..) Dio sia con te, Papa (..) O.  continuo la lettera, Cristo è risorto. Vorremo sapere come avete celebrato la Pasqua, Mamma cara quando saremo finalmente insiemeDio vi protegga. La messa di mezzanotte e il servizio successivo sono stati fatto bene, era tutto bello e intimo (..) Il Piccolo ha dormito e non ha partecipato alla cene di Pasqua, neanche si è accorto che lo abbiamo portato nella sua stanza..Oggi abbiamo distribuito le uova(..) Sentiamo le campane.. Il tempo è brutto” 


Alessio sognava la Spagna, se la passava, voleva vedere la rocca dei Fuentes, immaginava Ahumada come una magica melodia, un ristoro, fatti e non parole.  Lui e le sue sorelle
Tolbosk, 7 maggio 1918 sei di pomeriggio, scrisse Anastasia, rispondendo a una lettera di sua sorella Maria da Ekaterimburg , dopo le formule di saluto e gli auguri di Pasqua “.. Alessio è davvero dolce, mangiamo a turno con lui, glielo ricordiamo, anche se alcuni giorni non ve ne è bisogno ..(..) Mi sto abbronzando, più di Olga e Tata, resto sempre un elefante nelle dimensioni.. (.) I pensieri sono con voi, mi mancate…a me e come tutti(.. ) Un  bacio A. [nastasia]”
Da una lettera di Maria Romanov  a sua zia Ella”E’ risorto! Ti baciamo, cara, tre volte, grazie per le cartoline, il caffè e la cioccolata! Mamma ha preso con piacere, appunto, una tazza del caffè che le hai inviato, le fa bene per le sue emicranie. Abbiamo saputo dai giornali che dal tuo convento ti hanno spostato a Perm.. Il mio indirizzo è Ekaterinburg, Comitato Regionale Esecutivo, al Comandante. Un bacio ..”
Le condizioni a casa Ipatiev erano barbare, manco funzionava l’acqua corrente, lavare i capelli e la biancheria una epica impresa, pensava Marie, che dormiva per terra, cercando di ignorare  le battute e le mani delle guardie. La zarina era la Nemka bliad, la puttana tedesca, suo padre, “Nicola il sanguinario” che beveva il sangue dei sudditi e godeva della  guerra. Ma il sole sorgeva, gli uccelli cantavano all’alba, non tutto andava per forza male.

Olga, leggendo le frammentarie notizie Yekaterinburg che dicevano che stavano bene, senza poco aggiungere, era di una calma dolcezza, leggere tra le righe era una pura agonia, una prigione, cercava di non tracimare.
Ed io, Cat, ero prigioniero in tripla misura, della mia malattia, della sedia a rotelle  e della casa del governatore a Tolbosk, scommettevo poi che lo stesso mi sarebbe toccato a Ekaterimburg, magari in modo peggiore. Città che sorgeva sui pendii orientali degli Urali, costruita su una serie di basse colline fitte di boschi di pini  e betulle. Città di fabbriche e miniere, ospitava un centro dei novelli bolscevichi, le strade lunghe, polverose, senza asfalto.  Vi erano viali con cedri e tigli, vasti giardini pubblici, le risorse delle miniere avevano procurato benessere, erano stati costruiti due favolosi alberghi, l’America e il Palais, su Viale Voznenskij che divideva in due la città, strada ove sorgeva la casa del mercante Ipatiev, dove misero Papa, Marie e mia madre.
Ahumada e i Pirenei, altre montagne, diverse dagli Urali, erano solo un sospiro sulle mie labbra riarse.


Una missiva della zarina madre, Marie, raggiunse Tolbosk, scritta verso la fine di aprile. Augurava buona Pasqua, dava notizie su Xenia e Olga, le sue figlie, chiedeva di loro e .. “..il 23 aprile è nato il secondo figlio dei principi  Fuentes, Leon, è stato battezzato secondo il rito cattolico il 25 aprile. Un bambino splendido, di quattro chili e mezzo, con i capelli scuri e gli occhi verdi. Catherine sta bene, ancora qualche giorno e partiranno per la Spagna” senza ulteriori commenti o altro.
MOLTO BENE…
E a nostra volta saremmo andati, senza ulteriore delazione.
Oriente noi, occidente voi ..
Bene, benissimo, avevi una famiglia Cat, due bambini piccolissimi, la Russia non era più in guerra, sareste andati a casa vostra in Spagna,  AHUMADA, il castello avito dei Fuentes, tra i picchi e le rose. Vi era un posto per me, lo sapevo, tranne che.. A dare retta all’istinto, conoscendoti, mia stupida, coraggiosa eroina, un bel giorno saresti infilata dalla porta principale, il viso imperscrutabile, la mia principessa, il lupo. FANTASIE, SPERAVO CHE RIMANESSERO TALI.
Cat ..
 

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Capitolo 35
*** Argo - The Soldier Prince ***


Il commissario Rodiov, assieme alle imprescindibili guardie rosse, sopraggiunse da Ekaterimburg a Tolbosk, per accompagnarci alla nuova destinazione, rifletteva Tatiana. E intanto giocava a carte con Alessio e Anastasia, lui sbuffava che era annoiato, cercava di essere brillante e il suo sorriso faceva male al cuore. Distrutto, sconfitto rispetto al ragazzino che era stato fino all’anno prima, quello che non gli aveva causato l’emofilia lo aveva provocato l’abdicazione dello zar, la prigionia ..
“Pensavo ..” Erano a pranzo, il menu erano cotolette stoppose con patate dure“Cosa?”
“Il digiuno del venerdì” 
“Ora è salutare patire la fame?”
“Forse..per chi pesca sì. Se al venerdì tutti mangiassero pesce, le famiglie dei pescatori sarebbero a posto per tutti i giorni della settimana..”
“Giusto” Alessio lanciò uno sguardo birichino, spostò la carne “Oggi è venerdì” Inutile dire che bambini e malati erano dispensati dal digiuno, lui rientrava in entrambe le categorie e non gli piaceva.
“Per saltare i pasti sei peggio di Cat” lo redarguì poi Olga, tralasciando che se era polemico si sentiva un filino meglio “Anche no, lei e' imbattibile, almeno prima che avesse i bambini, allora mangiava SEMPRE”
“Cerca di dormire, dai, fatti abbracciare”
E la sua fragile bellezza, il suo sorriso la commossero fin nelle ossa, come Catherine quando era in sospeso, prima di combinare una delle sue epiche scemenze.
Due bucaneve, fragili e delicati, vai a sapere chi guardava l’altro.
 
Un assaggio da subito, che le condizioni sarebbero peggiorate. Al peggio non vi è mai fine, pensava Olga, nel loro caso era una cauta perifrasi.
Che situazione.
Doveva venire un sacerdote, per la messa, non venne concesso “il privilegio”.
Scrollavo le spalle dinanzi agli stolti, alla stupidità degli scemi, me lo imponevo.
Ahora y por siempre, ora e per sempre, il motto dei Fuentes, antico di secoli rotolava nella mia mente.
I tuoi antenati lo avevano urlato nei decenni, nelle battaglie, come il tuo antenato Felipe, il bastardo forgiato dalle combattimenti, eroe e pirata, adoravo le sue gesta. E quel motto scandito in un dorato settembre, te sottobraccio a Andres che passavate sotto una galleria di spade, riso e petali di rose.
Ridevi, eri bellissima,  le zagare tra le mani e i capelli, sorridevi ed eri una una tortora che prendeva il volo ..
“Fino alla fine del mondo”
Il nostro è ormai finito Cat.
Stai con me, almeno nei ricordi, mai come ora ho bisogno di appellarmi al tuo coraggio.. .
Cat.
Ci venne proibito di chiudere la nostra stanza da letto a chiave.
Nonostante ogni ragione, sapevo che avresti messo i tuoi figli  al sicuro e saresti arrivata.
Che non avresti mollato.
Eri la dea della guerra, un titano.
Ed era una pazzia totale.
Dove sarebbe arrivato l'affetto, il debito che pretendevi di avere con me, che avevi saldato da un pezzo .. ?

“.. sapete, Eccellenza, perché il mio addestramento è stato rapido, riguardante il corpo a corpo, la difesa? Perché fin da ragazzina, nulla mi è mancato, tra ossa rotte, lividi e slogature, crescendo nell’ambiente violento di cui tacevo, il silenzio e la testardaggine.. Dando per scontata la padronanza nelle lingue e l’avvenenza fisica (altrui definizione, e non mia), la preparazione è stata rapida. E vi ho ben stupito nel primo ingaggio, tempo una settimana e avevo preso chi doveva vegliare su di me.. Sarebbe stato strano se non mi aveste mandato nessuno dietro per controllarmi e.. “Ci hai battuto su tutta linea” affermaste “Siete pronta”. Diciamo che mi ritenevate pronta, o fingevo di esserlo,le due cose ben potevano coincidere,  E ho iniziato..Ho avuto anche molta fortuna” un pezzo di report di Cassiopeia 130/Lupo/Catherine mi danzava dinanzi agli occhi.. Fortuna, ma anche un coraggio ai limiti dell’incoscienza..  Qual era il vero motivo, di quell’affetto che era rimasto, immutato, crescente,a dispetto di tutto? Lo sapevo, no? Per te questo e altro.. un pomeriggio, raccogliendo fiori, osservando le nuvole, i piedi scalzi, poi ci avevano chiamato per il tè, una solenne brontolata, non era come au fait.. So che è successo, on mi ricordo il momento preciso, un frammento di colore in questo mondo a tinte grigie e nere..
E noi resistevamo. Dicevo, non potevamo chiuderci nella nostra stanza, io e Tata e Anastasia.
Ma Alessio e il suo marinaio infermiere Nagorny li avevano serrati dentro.
Che idiozia. Lui era malato, aveva bisogno del medico, rimanevo senza parole. Anzi volutamente tacevo, se avessi cominciato sarei impazzita, del tutto.
Oddio .. Cat.. i termini laidi e osceni, la proposta di rapporti contro natura, contro la volontà.
 I sussurri indecenti, mia madre una meretrice senza onore, così noi sue figlie, invece che fare le infermiere, avevamo avuto un amante dietro un altro, che poi avevamo fatto uccidere, eravamo assetate di sangue e sesso, come la zarina Caterina II, che da vecchia andava con i giovani e li divorava.. Certo, come no.
E le manovre delle guardie.. i palpeggi.  Le mani, le strette sucide. Ho tirato una ginocchiata nei genitali a una, pregando poi che fossero troppe ubriache, l’arnese floscio per un abuso.
L’ordalia, il Golgota era  appena agli inizi.
Ed era primavera,  i fiori incorniciavano i rami e i prati, desideravo cavalcare, correre senza freni, baciare Michael. Essere giovane. Avevo solo 22 anni, me lo meritavo, forse. Tranne che ero la figlia dell’ex zar, Nicola l’ultimo, e della sua cagna tedesca. Le colpe dei padri ricadevano su noi figli, in questo caso anche della madri.
In treno, poi, in battello prima, il lento corteo verso gli Urali più profondi.
Che ne sarebbe stato di noi?
E Alessio ti aspetta, anche se lo nega, siete amici e compagni di armi, siete stati vicinissimi, condividendo battute solo vostre, scherzi scemi che capivate solo voi due, rassicurandovi a vicenda..
Pierre Gilliard raccontò nelle sue memorie l’ultima volta che vide i principi imperiali a Yekaterinburg, nel Maggio 1918, dopo che erano giunti su un treno speciale, lo avevano separato dai suoi pupilli: " Il Marinaio Nagorny, che aveva cura di Alexei Nikolaevitch, passò sotto  il mio finestrino del treno, portando il ragazzo malato tra le sue braccia, dietro di lui venivano le Granduchesse portando le valigie e i loro piccoli averi personali. Cercai di uscire per aiutarle, ma venni trattenuto bruscamente dentro la carrozza.. Tornai al finestrino,  Tatiana Nikolayevna veniva ultima e cercava di tenere in braccio il suo cagnolino e lottava contro una pesante valigia scura. Pioveva e a ogni passo affondava nel fango.”
In  quelle settimane, prima che si riunissero, Olga Nicolaevna aveva badato alla casa, Tatiana Nicolaevna allo zarevic, che stava sempre male, allora, per potersi muovere e anche Anastasia Nicolaevna aveva fatto  quanto poteva.  Preparavano i  bagagli, impacchettavano oggetti, ma Olga  sottraeva tempo al riposo per scrivere su un quaderno, una specie di sfida. Con attenzione, di nascosto, non era una novità, era sempre a trafficare con penne e carta.. E quello era un lascito privato, le sue memorie, in un dato senso, niente filtri o censure. Appunto, e dopo il viaggio, quando apprese che Gilliard era stato congedato gli consegnò il plico, dicendo che doveva darlo alla “mia principessa”, sempre che la consegna non gli procurasse guai.  
La nuova prigione era circondata da un alto muro, le finestre sprangate e verniciate di bianco, tranne una, le guardie e il loro comandante li insultavano in modo costante, entravano nelle stanze in ogni momento,giorno e notte, senza differenze, sempre, di sottofondo barzellette e canzoni oscene, frugando tra gli oggetti, portando via quelli che ritenevano più interessanti e di pregio. 
 Andare in bagno era un incubo, le pareti scrostate erano ornate di disegni pornografici che rappresentavano Alessandra e Rasputin, il monaco siberiano che sancivano essere stato suo amante nelle più sconce posizioni.
La colazione era dopo le preghiere, pane nero e tè, il pranzo una minestra e poco più, i guardiani non si peritavano a togliere il piatto allo zar o prendere con le mani luride dei bocconi.
A casa Ipatiev, Olga e le sue sorelle dovevano provvedere da sole a lavare la propria biancheria e impararono a fare il pane.
A turno, le ragazze facevano compagnia alla madre e al fratello, che era sempre confinato a letto e soffriva per il suo ultimo incidente, non si alzava e non camminava.
 Appena giunto nella nuova prigione si era fatto male ad un ginocchio, cadendo dal letto..come se lo avesse fatto di proposito, annotò lo zar nel suo diario, una nuova crisi che si sommava alla precedente. Quella notte non aveva dormito per il male e nemmeno i suoi, straziati dai suoi lamenti. Cat..
Per i testimoni, Olga appariva depressa e smagrita, pallida e sottile, come ebbe a dire una delle guardie, Alexander Strekotin, nelle sue memorie, e trascorreva molto tempo con il fratello, uscendo poche volte nel giardino, circondato da una alta palizzata.
Un’altra guardia annotava che quando camminava fuori, spesso il suo sguardo era tristemente fissato sulla distanza, in un passato che non poteva più tornare. Il marinaio Nagorny, che era rimasto sempre con loro, devoto ad Alessio in ogni battito e respiro, venne allontanato e messo nella locale prigione, ove fu poi fucilato, dopo che aveva protestato per il trattamento inflitto ai prigionieri e la ennesima ruberia, volevano sottrarre a un ragazzino malato una catena d'oro che reggeva  delle sacre immagini.. ( è facile essere smargiassi verso un inerme...e Alessio si era difeso sferrando calci e pugni, tre contro di lui, attaccava per difesa)
“Chi ti ha insegnato?” chiese Anastasia, allibita, ammirata “Lo sapevi fare.. i pugni, i colpi..”gli aveva fatto un occhio nero e.. bravo, Aleksey”
Mi devo difendere, devo fare da solo .. Non è giusto ..  CAT.. arriva.. vieni a prendermi…
“ E gli stavi rompendo la mascella” “Andrej.. lui era amico mio, lo sai, mi ha insegnato” guardandosi le nocche.
Era ancora amico suo, pensò, forse. Sentendo che le guardie arrestavano Nagarny, che aveva appena avuto il tempo di mormorare un “Arrivederci, Zarevic”gli era venuto voglia di piangere e non lo aveva fatto.
Cat..
“La principessa Fuentes .. vi adora, lo sapete”
“Perché? Sono un invalido, lo sai” un dialogo smozzicato, di quando erano chiusi a chiave dentro la stanza e la cabina del battello e poi in treno, lui murato a letto o in sedia a rotelle. “Cosa ci vede? Le faccio pena” (Alessio .. perché te lo raccontavi? Mi hai fatto ridere e piangere, dato sui nervi in maniera esponenziale, sempre, e ti ho viziato e coccolato oltre misura, pena .. MAI.. )
“Non è compassione, lei non compatisce nessuno, mai da sempre, lo sapete” Vero, lo aveva fatto cavalcare, raccontato storie, gli aveva fatto smontare le armi, avevano litigato fino al delirio, i suoi capricci e  i nervi di Car, la aveva sentita litigare con Andres fino al delirio, aveva fatto soffrire Olga, nonostante il loro legame inossidabile “Fa sempre di capo suo”  
“Zarevic”una parola potente e proibita “Lei ha passato l’infanzia a prenderle, dal principe Raulov, picchiava lei e sua madre, le voci sono circolate per anni .. “ Gli raccontò delle frustate, di una ragazza di 16 anni.. Taceva, Alessio, la gola serrata “.. e poi è cresciuta, penso che ci sia del vero, ma lei non ha mai mollato che diceva sempre che vi era qualcosa di bello, ovvero voi, le facevate vedere che il mondo poteva essere bello.. Non mollate, per favore”
Alessio .. vengo … aspettami.
Era diventato paziente. Seduto, si massaggiava la gamba. “Alexei .. ti fa male?”
“No”
“Invece sì..”
“Vedete sempre il dolore, ma mica c’è” Non lo voleva dire, voleva stare bene e contro ogni logica ci sperava, in modo remoto, si confermava lui per primo che era un illuso “Pensi che ce la farò?” Una volta a sua sorella Tatiana“Certo” “Bugiarda.. allora mi aspetto di vedere Cat”Una cosa impossibile, se non improbabile,  visto che lei era in Spagna. E peraltro aveva fatto bene. Tatiana tacque, quella era una opzione irrealizzabile.
L’inappetenza continuava, mangiare era una tortura e non era un capriccio, come quando era piccolo .. Ma se non assumeva cibo si indeboliva ancora di più, lo sapeva, ci provava ma quel piatto proprio non riusciva a ingollarlo. Il cuoco propose una altra opzione, più delicata, per il prossimo pasto, pagando il tutto di tasca sua, ma Alexei non volle, non dovevano spendere per lui. Cercava di non mollare ed il compito era arduo. Cat era sempre stata sfrontata, alle volte offensiva, ma sempre coraggiosa, affrontava critiche e complimenti a schiena dritta in ugual misura, sincera, era da ammirare pure quando si faceva odiare.
Sempre in quel giugno, a padre Sergei Storozhev venne chiesto di celebrare una messa a casa Ipatiev.  Rimase allibito nel vedere Alexei, che stava sdraiato su un lettino da campo. Era pallido fino  a parere trasparente, magro, e  si intuiva che era molto alto per la sua età, la coperta che lo ricopriva dalla vita in giù non celava la  sua statura. Solo gli occhi erano vivaci e brillanti, fissarono il prelato con curiosità. Una persona nuova. Vicino a lui sua madre, seduta su una sedia, vestita di blu scuro, senza gioielli. Il sacerdote annotò che la sua postura era “maestosa”, salvo poi riferire che pareva inferma, appena in grado di gestire le sue emozioni durante la funzione. 
Dai quaderni di Olga Romanov alla principessa Catherine, nata nel gennaio del 1895, sua amica e sorella elettiva: “… Mia principessa, ti ho scritto senza fronzoli o censure, per sfogo, un talismano contro la mia cronica insonnia  e i cattivi pensieri. I ricordi tornano, potenti come il rombo di un tuono lontano, delicati come  una perduta armonia. 
Immagini, impresse come quelle di un quadro, una foto. Due ragazzine con le trecce, io bionda, lei castana di capelli, le iridi di suntuosa ambra, come un remoto antenato spagnolo ..  che giocano a carte o scacchi.. e mi facevi sempre vincere, lo so..  trovando il modo senza che apparisse troppo palese, di palmare evidenza.. Che pattinano su un lago in inverno,ghiacciato,  sottili come danzatrici,  che parlano sotto una pergola di glicini e edera, nell’estate, dopo una passeggiata a cavallo.. I libri, passando da Cervantes a Flaubert a Omero, senza ordine, come le nostre parole .. E le tue storie, eri una narratrice di portentoso talento …
Avermi fatto ridere quando era tutto nero, senza uno spiraglio di luce .. 
Bisogna sempre celebrare il caso di essere vivi, respirare, al diavolo tutto .. diresti così, giusto.
E hai fatto ridere e sorridere Tatiana, Marie, Anastasia, confortato Alessio. Il mio fratellino, il tuo prediletto, ti ama Cat.. Ti adora .. E non hai dimenticato di portare i primi lillà della primavera nelle stanze di mia madre, in barba ai divieti delle guardie, che le negavano anche quel conforto .. Saresti venuta, lo so, my dear, pure non ti volevo esporre al rischio, alle umiliazioni .. Non sei scappata, non sei fuggita, hai obbedito a un mio ordine ..  E ti ho spezzato il cuore, anche se non volevo, e pure io mi son spezzata, ci davamo coraggio a vicenda.. Mi sei mancata in ogni singolo giorno, come una eterna amputazione. Ogni momento, siamo sinceri. Tu ci sei stata sempre, anche da assente.
Catherine.. quando saremo liberi, ti verrò a trovare e  berremo un bicchiere di vino e rideremo .. Ci sarai quando mi sposerò.. E ci sarò quando avrai degli altri figli (ricorda, per una bimba il secondo appellativo deve essere Olga..), mi sarebbe piaciuto conoscere il tuo secondo bambino, Leon..  Ora andiamo a Ekaterinburg, ma spero che presto saremo liberi .. Ti penso, sempre, ricordati di me, tua Olga Romanov..”Aveva poi aggiunto e cancellato qualcosa, cambiato idea e  rimesso altro“… see you soon, my friend, my sister, you are my memory and  my reflection. I love you, forever yours sister Olga Romanov..Se ci dovesse succedere qualcosa, farai e sarai la mamma di Aleksey, sarà il tuo bambino”
Ti aspetto, so che ti rivedrò, almeno una ultima volta. 
La nostalgia che giunge a tradimento, come la seta, un lungo tramonto estivo, nei giardini del tempo e della memoria ti ritrovo, in quiete. 
Lost worlds, neverending scars.
“…  un miraggio, un rimpianto. 
Lei era la padrona del mondo e delle rose. 

Addio, Catherine, principessa dell’altrove
Mia  immortale”.
Casa Ipatiev era al margine di una collina, le sue facciate erano  decorate con ornamenti di tardo stile impero,  fregi di stucco e ringhiere di ferro inserite nel tetto dipinto di verde, con due ingressi e un  piccolo giardino, la famiglia imperiale aveva a sua disposizione il primo piano, escludendo  la parte occupata dal comandante delle guardie.
E un salotto, con pianoforte e massicci mobili, vicino la sala da pranzo e tre camere da letto.
In una, d’angolo, con una gialla carta a fiori, in un letto matrimoniale dormiva lo zar con sua moglie, un lettino era occupato dallo zarevic. La  più grande, al fianco,  con un lampadario di vetro soffiato e una stufa e una specchiera era spartita dalle quattro granduchesse, la terza, intima e piccola era per la cameriera.
 La  sorveglianza era strettissima, le guardie non davano requie.
L’ultima missione, per me e Andres,  per puro miracolo ci eravamo infilati fino a lì, nel mezzo della guerra civile, spie tra le spie, l’ultimo degli ingaggi.
Dovevo essere  lucida, preparata, senza cedimenti emotivi.

Tutti i piani di salvataggio e riscatto, l’esilio inglese, fantomatico come un miraggio, un sedicente piano di fuga si erano arrestati quando avevano portato  Nicola Romanov, sua moglie e una delle figlie da Tolbosk fino a là, gli altri ragazzi li avevano seguiti dopo, che lo zarevic non stava bene, aveva avuto un attacco quasi fatale di emofilia. E stava ancora malissimo, che a casa Ipatiev aveva avuto una nuova crisi. Era pallido e esangue, lasciava il letto per la  sedia a rotelle oppure lo tenevano  in braccio, nelle stanze o nel giardino, quando lo spostavano.
Era caduto dal letto, era dimagrito così tanto che cambiare posizione gli aveva leso un ginocchio. Non stava in piedi e non camminava da molte da molte settimane. Sul suo diario, Nicola Romanov aveva annotato che pareva averlo fatto di proposito, o forse no, era carta, fumo, così pallido da ricordare una pergamena sbiadita che sarebbe scomparsa ben presto.
La casa era troppo sorvegliata, vi erano guardie su guardie, ogni tentativo di fuga avrebbe causato un massacro, sul momento.
E tanto dovevano sapere che vegliavo, che non erano soli, che a breve la guardia bianca avrebbe preso la città,  gli spari si sentivano.
E avevamo due guardie infiltrate. Mi vietavo ogni ipotesi, non volevo cedere all’ansia e alla disperazione.
Nessun messaggio segreto, che se lo intercettavano erano morti,  il soviet poteva raccontare che vi fossero state collusioni con stranieri e disertori..
Era mio padre.
Olga, Tata, Marie e Anastasia, le mie sorelle, Alessio, il mio tesoro.
Poco importava che fossi la bastarda dello zar, una spia e un segreto, erano la mia famiglia, avevo combattuto per un sogno e una vendetta, dovevo fare l’impossibile, Aleksej era il mio bambino.
E Andres con me.
Era un pazzo, un eroe, un coacervo, due matti ne fanno uno sano, no? E non avrei cambiato nulla al mondo, quando entrai nella casa a destinazione speciale, gli dei mi concessero il dono dell’imperturbabilità.
“Argo” aveva sussurrato Mattias ad Olga, una delle guardie infiltrate, gli avevo fatto ripetere quella parola fino allo sfinimento, durante il nostro colloquio informale. Che mi preparava a toccare il fondo della realtà, me lo aveva anticipato, quando entrai non vi volevo credere.
Le canzonature, le guardie ubriache e lascive, il comandante fradicio di vodka, che insultava lo zar, ogni richiesta era accolta dall’andare a quel paese, tiranno, bevitore di sangue, supportava le angherie, i piccoli furti, la lascivia. Quattro belle ragazze in balia di guardie tracotanti, che allungavano occhi e voci e mani. Come il comandante. Un incubo, come gli insulti allo zar, alla zarina e allo zarevic. Anche andare in bagno ..era una impresa ed una umiliazione. Per giungere al gabinetto, i prigionieri dovevano uscire dalle loro stanze, percorrere un corridoio collegato con la stanza delle guardie, passare la cucina e un altro corridoio, sempre tallonati, preceduti e seguiti dai carcerieri. E la porta accostata, notassero le caricature che ritraevano la zarina e il suo Rasputin..  
“Argo”come il cane di Ulisse, il solo che lo aveva riconosciuto, quando era tornato alla sua reggia, come un mendico straniero.
“Ogni tanto la casa va pulita, sarò una donna delle pulizie..”
“Badiamo che non se ne presentino altre, oltre a te..”
“Dì che non pagano” E avevo le mani callose, le unghie corte e rovinate, potevo passare per una contadina. Anzi, per come mi conciai nemmeno mia madre mi avrebbe riconosciuto. E mie foto non erano in giro. A posto. Potevo tentare di entrare.  Uscire .. un altro discorso. Andres rischiava di rimanere vedovo per la seconda volta, come me.
Argo.
Nel 1907, raccoglievo i capelli in una treccia voluminosa che mi pioveva sulla schiena, quando Aleksej non era nei paraggi, si divertiva a sciogliermela e poi a giocare con le ciocche..e ripassavo le sillabe di greco, inutile dire che avevo preso in mano l’Odissea.
Olga, of course, preferiva l’Iliade e Achille era tema di discussione e confronto. Era la più dotata e precoce tra i figli dello zar, avida di sapere e cultura, la sua intelligenza era un dono da sviluppare.
“Era il guerriero più forte, il terrore dei nemici”
“Era un irruento, agiva in preda all’ira e poi si pentiva. A me piace il re Ulisse, astuto e saggio”
“Che fa vincere con l’inganno”
“ Ma  viaggia e torna a casa sua”
“Achille fece una scelta, una vita breve ma gloriosa rispetto a una lunga e nell’oscurità” Scrisse quel nome sulla sabbia.
ACHILLES.
“E il mondo ancora lo ricorda e parla di lui”
“Sì, ma quando Ulisse lo trova come ombra nel regno dei morti, Achille rifiuta le sue lodi.. Afferma  "Vorrei da bracciante servire un altro uomo,senza podere e non con molta roba,piuttosto che dominare tra i defunti!"...
Sorrise e non rispose, uno sguardo tenero, indulgente.
 
A Ekatenerimburg avevano toccato il fondo della realtà e della prigionia, avevano ben studiato e appreso la pazienza, il senso di incertezza una costante questione. La casa e la strada erano pattugliate dalle guardie rosse, la sorveglianza era una continua umiliazione.
Il comandante della “Casa a destinazione speciale” Avdeiev rispondeva a ogni richiesta riguardo allo zar “Che vada all’inferno”. Sempre sporco, la divisa in disordine ed ubriaco entrava nella stanza di Alessandra per il solo gusto di spaventarla e irritarla. Le sentinelle entravano nelle stanze private in ogni momento, bestemmiando e raccontando barzellette sconce. Scortavano le ragazze in bagno, le invitavano a vedere le loro opere d’arte che tappezzavano le pareti, vignette sconce della meretrice tedesca e del suo “caprone”siberiano.. Se stavano al piano inferiore, le si sentiva cantare canzoni oscene, inni rivoluzionari, mentre i Romanov pregavano. Lo zar, le granduchesse erano i capri espiatori, ora che Nagorny era stato mandato via, toccava a  Nicola  portare in braccio il ragazzino, il pomeriggio, ove se la sentiva di uscire un poco.
Si alzavano alle 8, recitavano le preghiere., quindi la prima colazione, pane nero e tè, il pranzo era un momento glorioso per le sentinelle che toglievano il piatto allo zar o ne prendevano bocconi direttamente con le mani
 
.. sai Aleksey, mentre ero in viaggio dalla Crimea agli Urali, pensavo all’amore, un sentimento che domina tutta la vita, dalla scintilla dell’inizio alle ultime braci, pensavo che era una pura follia. I miei figli rischiavano di rimanere orfani, erano approdati in Spagna, alla fine, attraversando un continente squassato, due pacchi su un treno diplomatico, io e il loro padre alla deriva in quella missione.. Eravamo due vigliacchi o due eroi?
Ho paura a rispondere.
Mi fingo di ferro e pietra.
Olga.
Tatiana.
Marie.
Anastasia.
Alessio..
Io vengo sempre a riprendere quello che è mio, sempre.
Sono il lupo che canta nelle albe.
Una sventata.
Che ha appreso a essere indifferente,almeno nella forma.
The sun rose only for me.
Always.
Now and the forever.
   
 Al principio dell’estate 1918 la guerra tra l’armata rossa dei bolscevichi e dei bianchi favorevoli alla monarchia aveva coinvolto tutto il paese. Infatti,  la pace di Brest-Litonsk aveva consegnato la Crimea, l’Ucraina e molti altri territori  ai tedeschi, che li avevano prontamente occupati. In parallelo, in Siberia era scoppiata la rivolta dei cecoslovacchi, vi erano circa tra i 40.000 e 50.000 prigionieri che i rossi avevano cercato di arruolare in modo forzato con scarso esito, la maggior parte voleva andarsene.  Il 14 maggio 1918 era scoppiato a Celjabinsk uno scontro tra cechi  e ungheresi, i bolscevichi arrestarono i cechi. Tempo di tre giorni, l’esercito ceco aveva invaso la città, liberato i prigionieri e scacciato i rossi. Si unirono all’armata bianca, iniziò l’offensiva in Siberia, il sette e l’otto di giugno i cechi avevano occupato importanti centri bolscevichi, come Omsk e Samara.
I rossi persero  il controllo della ferrovia Transiberiana,  del Volga e di tutte le linee ferroviarie dagli Urali dirette a est. Ekaterinburg  rimase in contatto con Mosca solo con le linee telegrafiche.
Si combatteva, una battaglia senza regole o lealtà.
Lenin, il cui fratello maggiore era stato assassinato per avere tentato di uccidere lo zar Alessandro III, era della linea di pensiero che, ove si fosse presentata l’occasione, era basilare per la politica sterminare la famiglia imperiale.
La prima, reale azione fu la fucilazione del granduca Michele, il fratello dello zar, che venne prelevato il 12 giugno a Perm, ove era agli arresti domiciliari in un albergo. Preso assieme al suo segretario, furono condotti in un angolo isolato di una foresta alla periferia cittadina, fucilati e i corpi distrutti nella fornace di una fabbrica.  Dissero poi che era scomparso, una tecnica di confondere le acque. In parallelo circolarono voci che lo zar e i suoi erano stati uccisi, per saggiare la eventuale reazione della Russia e dei governi stranieri dinanzi a questa ipotesi. La risposta fu il SILENZIO
E ve ne era bisogno, di essere imperturbabile.
La città di Ekaterinburg era sui pendii degli Urali, basse le colline su cui era collocata, circondate  da folti gruppi di pini e betulle, sede di fabbriche e miniere.  Scoperte delle risorse minerarie, il denaro era affluito e la città era stata abbellita, da vasti viali alberati, un giardino pubblico lungo il lago che si trovava ai piedi delle colline. Vennero eretti due grandi alberghi, il Palais e l’America, sul viale Voznenskij che tagliava in due l’abitato. Su questa arteria si trovava casa Ipatiev, al margine di una collina, rinominata “Casa  a destinazione speciale”. La facciata della dimora dava appunto sul Viale V. e piazza dell’’Ascensione, ove era situata una cattedrale intonacata di bianco. Un lato della casa dava su via Voznenskaja, ove vi era un secondo ingresso.
Una palizzata di legno, le finestre imbiancate, i Romanov confinati a un solo piano..
Dieci guardie, una nell’atrio di ingresso del primo piano, una seconda nel corridoio posteriore, che conduceva al bagno e al gabinetto, e via così fino a controllare ogni angolo e avere la completa visuale.  Nella balconata del retro della casa e alla finestra di uno degli abbaini avevano messo due mitragliatrici.
Oltre alle guardie collocate all’interno, dieci, che vivevano nelle stanze del seminterrato, ve ne erano anche altre all’esterno, alloggiate in casa Popov, proprio di fronte, sulla via Voznenskaja. Settantacinque uomini in tutto, scelti per lo più tra gli operai locali.
Il comandante Adveviv aveva trentacinque anni, aveva detto Mattias, i suoi amici lo definiscono un vero bolscevico, rozzo, bevitore e maleducato.
Fissai le assi sconnesse del pavimento, lo sporco che si annidava in ogni dove, nelle narici il profumo di sapone.  Scrutai commossa le scarpe che occhieggiavano dalle gonne scure, fino a passare al rilievo sottile di vita e gomiti, una candida camicetta, sbattei gli occhi per non piangere e.. sentii la misura, quasi fisica di un esame attento, di uno sguardo lucido, abbassai la testa, scoprendo le maniche e arrotolando i polsini, apparve la cicatrice sull’avambraccio sinistro, il  pendant di un’altra che avevo nella parte alta dell’arto destro, due regali della guerra, dell’essere stata come un soldato.
Un respiro strozzato, girai il mento verso la spalla. 
“TU” sussurrò Olga, che mi aveva riconosciuto. A prescindere  dai vestiti logori, le spalle ingobbite e il sudicio di una settimana, fingevo di essere una contadina giovane, sporca e ignorante, le ginocchia piegate per nascondere la mia statura.
Argo ..
Il nome del cane di Ulisse, solo lui e la sua nutrice lo avevano riconosciuto quando era tornato, come un mendico straniero a Itaca, in incognito.
Per come ero conciata manco mia madre mi avrebbe riconosciuta, invece Olga era sempre Olga.
“Mia stupida, coraggiosa eroina” mi accolse con la solita ruvida gentilezza, un  abbraccio così forte da rompermi le costole era il successivo passaggio“perché” un sussurro, una questione che riassumeva tutta la nostra storia “Perché ti voglio bene, lo sai, sempre”un sospiro, un’eternità contro i suoi capelli .. Dio, grazie .. almeno vi vedo ..
“.. Mattias lo conosciamo, una delle vecchie guardie, i tuoi infiltrati, ha detto Argo fino a diventare scemo.. I mendicanti entrano in ogni dove, eh”
Annuii, mi baciava le guance, il mio viso tra le dita, davanti a noi uno secchio solmo di acqua con annessi strofinacci.
.. e strinsi Tatiana e Marie, svelta, dovevo passare le consegne, dire, non perderci nel valutare i danni della lontananza. “Vi voglio bene, lo sai” “Sì” tra me   e lei correvano meno di dieci mesi e pareva .. spenta. Vecchia, consapevole, magra e affilata, i grandi occhi azzurri come mio figlio Felipe, la sua assenza scagliata come un pugno nei denti.
Resistetti, avrebbe dimenticato che mi aveva chiamato “MAMMA” a ogni sussurro, prima che me ne andassi.
Felipe. Leon.. qualsiasi cosa fosse successo erano in Spagna, al sicuro, avevano attraversato un continente in guerra, inflessibili per quanto piccoli.  Xavier Fuentes, mia madre Ella e Sasha li avevano portati, loro erano al sicuro, mentre mio zio R-R aveva iniziato una nuova battaglia, si era unito alle truppe dei bianchi che combattevano i rossi, due colori contrapposti per il dominio su una nazione.
Ne vale la pena?
Sei una pazza, ed una egoista.
Dico di sì a entrambe le domande.
“Sei una pazza”
“E mio marito pure.. due pazzi ne fanno uno sano, forse”
“Vattene “ mi salutò lo zar “Che ci fai qui?” Toccandomi la spalla, come quando gli avevo chiesto di sposare Luois, cinque anni e rotti erano passati, e TANTO.. .. Figlia mia.. Papa, sussurrai, era  la ultima e prima volta che proferivo quel termine davanti a lui, scorsi la sua barba piena di fili grigi, le rughe.
“Vai da tuo fratello, è quasi un anno che ti aspetta”
“Prima devo pulire.. dobbiamo, il Signore ci scampi se viene fuori qualcosa” mi misi a fregare il pavimento, il lavoro di una mezza ora fatto in tre minuti “Ditegli che arrivo”
“Aleksey”gli baciavo la fronte,le guance, avevo lasciato un ragazzino, ritrovavo un adolescente,il viso fiero e solenne, pallido come una pergamena, così magro da stringere il cuore “Aleksey”mi sfiorò la guancia, rafforzai la stretta delle braccia “Ciao Cat” Per quanto potessi essermi preparata in teoria, mi veniva da piangere a vederlo. “Mica sto delirando” “No, sono io” mi tirò un  pizzicotto per cautela, risi, tornai seria, lo serrai, mentre parlavo, rapidi sussurri.. E ascoltavo, gli strofinai il pugno contro le scapole E parlavamo. “Aleksey, Alejo tesoro”
.. ne avrei avuto di tempo su cui riflettere, intanto ti stringevo, Cat, ricambiato con zelo, eri tesa, le braccia irrigidite quando lo dissero, non pronunciasti una parola e tanto  ormai avevo imparato a conoscerti, non quello che dicevi ma le tue reazioni, i gesti.
Il primo sussurro di Mattias ruppe l’aria.
NO.
NO.
“Lasciami, è un ordine” disse Alessio e intanto mi stringeva, disperato, come me “Ti saluto ora con un bacio e un arrivederci, qualsiasi cosa mi facciano o dicono, non reagire.. Non reagite, fate finta di nulla”
“NO” .. Cat non mi lasciare, ti prego, voglio stare con te, voglio venire in Spagna … NON MI LASCIARE. Dicevo una cosa e ne volevo un’altra, da prassi e tradizione, e non avevo la febbre,  mi avevi scosso, ricordandomi che esisteva il mondo, oltre la sedia a rotelle, le stanze chiuse e la tristezza, che di nuovo volevo sentire la pioggia sul viso, l’erba sotto le mani e ridere, avevo da compiere 14 anni me lo meritavo. Le colpe dei padri e delle madri non dovrebbero ricadere sui figli, come ci stava succedendo. E in mezzo a tutto quanto, mi sentivo di nuovo sicuro, che ..
“Invece sì… le truppe di rinforzo arriveranno al massimo verso il 25 luglio” lo baciai  sulla guancia, per quello che avevo sentito facevo prima a uscire con lui in braccio, andando come bersagli sotto una  mitragliatrice, le possibilità di uscirne vivi erano maggiori.. Oddio. “Ti voglio bene, Alessio, sempre” sussurrai, annichilita, il mio cervello che macinava, disperato.
Il secondo sussurro ruppe il momento, sussultai, Alessio mi aveva tirato un morso, mio malgrado mi scostai per istinto “Vattene, Cat..” una pausa “Scusami “
“Scusami tu.” Mi inchinai, vietandomi di toccarlo “Alessio, andremo via..”
“Già..” Morti o vivi, non poteva durare per sempre. Ed ero arrabbiato, rivederti confermava che potevo stare meglio,  ora avevo due possibilità su un milione, prima manco una me ne concedevo .
Eri leggenda, Catherine, mai ti saresti fermata.
Eri il sole.
 
Il terzo sussurro “Cerca di uscire in giardino e mangiare se ti riesce”mi stringesti per una breve eternità “Io non mi faccio ammazzare, intesi, ti porto via, ti voglio bene”
“Anche io, Cat, portami via”
“Ora no,  presto” E dimmi il motivo, quello vero. Non ti facevi ammazzare, come quando mi avevi salutato a Mogilev, nel settembre 1915, era una promessa. Tirai in alto il mento, le spalle indietro come quando avevo reagito alle guardie che mi volevano fregare una catena d’oro,  Nagorny agli arresti, suo solo crimine la devozione verso di me. Il tuo solo peccato l’amore che ci portavi.
Vidi mia madre invecchiare ancora di più nel giro di pochi minuti quando dicesti che il tuo primo figlio aveva gli occhi chiari.
La costernazione.
Ma ero arrivata fino a lì,  non potevo mollare.
Papa stracciò un foglio, la rabbia trattenuta quando Mattias dichiarò che ti avevano perquisito sia in entrata che uscita, per sincerarsi che non avessi nulla addosso, Avdeiev si era premurato di metterti le mani addosso con zelo, non raccontò balle. Il marito la aspettava fuori dalla porta, a quella puttana, disse poi Avdeiev, una stanga di due metri, o quasi,era circondato dai suoi e Andres li aveva messo paura.
BENE.
..avevo avvisato di non reagire, me per prima, che la rabbia stava tracimando quando mi aveva toccato, le spalle, il seno e le braccia, scendendo sui fianchi e i glutei e poi le gambe, scivolando verso il mio sesso. Mi sentivo un toro dentro l’arena, la scarlatta muleta agitata dinanzi a me, non scattai per puro miracolo.
Era violenza, e tanto, come affermava Shakespeare l'amore guarda con l'anima e non con gli occhi.
 

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Capitolo 36
*** The Soldier and The Rose ***


 “Ma si può essere più disperati per non dire altro..?”dichiarai ad Andres, di quel giorno avrei ricordato per sempre il calore della strette di Olga, il gusto salto delle mie lacrime.
E il furioso accoppiamento con Andres, uno sfogo di lussuria e disperazione.
“Sei sconvolta..” Un eufemismo, una cauta perifrasi, facevo prima a uscire con Alessio in braccio, piazzandoci sotto una delle mitragliatrici in funzione, e avevamo maggiori probabilità di sopravvivere. 
“Hanno ricevuto delle lettere” La prima all’inizio di giugno, che enunciava che gli amici non dormivano, attendevano l’ora della liberazione, la rivolta dei cechi scuoteva il potere dei bolscevichi .. Stare attenti e vegliare, ecco le istruzioni, seguì una risposta con la pianta della casa e la annotazione che Alessio era sempre a letto, che non si poteva muovere.  La seconda lettera si diffondeva a descrivere un piano di salvataggio, era necessario che una finestra fosse senza sigilli, per poter calare tutti..
La terza lettera giunse nel delirio, la guardia era stata rafforzata.
Se gliele avevano mandate i bolscevichi, ecco la scusa per ammazzarli.
Mi veniva da vomitare e lo feci, con zelo.

Dopo che eri arrivata Cat la risposta fu fredda, non potevamo e volevamo fuggire, solo la forza ci avrebbe portato via, come con la forza ci avevano portato via da Tobolsk, non avremmo dato alcun appoggio attivo
Il 5 luglio la guardia era cambiata, il giorno avanti era giunto un nuovo comandante Jurovskij, che aumentò le misure di sicurezza, una nuova mitragliatrice e di mettere delle sbarre alla finestra da cui dovevamo calarci, la  sola che era aperta per cambiare l’aria.
Era scostante e gelido,  pignolo fino alla nausea, fece inventariare i gioielli che la famiglia aveva addosso, facendo quindi apporre dei sigilli. Ignorando che la zarina e le granduchesse avevano i corsetti imbottiti di pietre preziose.
“Non potete entrare, ordini superiori”
“Come volete, ma questo latte chi me lo paga?”alzando la voce.
..nella strada c’era silenzio,una breve pausa dai  rumori mattutini,  sia Marie che Anastasia riconobbero la tua voce, che discutevi come una iena, in collera che quel giorno non potevi consegnare il latte.
Non eri venuta per sicurezza e se ti ammazzavano sia noi che i tuoi figli ne avremmo avuto un ben  misero risultato.
Cat. Catherine .. non me lo ero immaginato. “Alessio, se .. succede qualcosa, ogni cosa, promettimi che avrai cura di lei”
“.. ma che blateri Olga..” scherzava? Era impazzita? Intanto mi cambiava, a quasi 14 anni ero peggio di un infante, confinato a letto “Cat è forte solo in apparenza.. ha bisogno di te, per non impazzire”
Già, la violenza sia fisica che verbale, un surrogato di inferno, eri diventata grande tra le botte e le parole cattive.
“Alessio, promettimelo, di non mollare, che non la lascerai sola”
“Lo prometto” Allora non avevo idea del prezzo che avrei pagato, pensavo che fosse un discorso come tanti. “Siete amici, tu e lei”
“ E tu e lei ..”
“Sì.. “un breve sorriso, di speranza, era dimagrita, triste, immaginava meglio di noi quello che poteva capitare, quando Mamma aveva risposto alle lettere aveva sancito che avevamo fornito ai bolscevichi la scusa per ammazzarci tutti, un privato sussurro che Mamma eluse. Era disperata e ci avrebbe fatto morire tutti.. Tu credi solo in LEI.. la replica Certo. Che è la sola a essere venuta, con suo marito, lo sai ..  Se ho una sola speranza di scamparla  è grazie al lupo, la risposta. E finirono là.. per quanto ne so, Cat, ci avevi ridato la speranza, io mi imponevo di sorridere e mangiare, uscire un poco, in braccio a Papa, ero un soldato, quello il mio dovere dinanzi ai tuoi ordini inespressi. Fine del dettato.

Insieme a Jurovskij giunsero dieci uomini, indicati genericamente come soldati lettoni e prigionieri di guerra ungheresi, che sostituirono le guardie precedenti. Cenavano con J. e il suo assistente, creando malcontento con chi vi era stato in precedenza.
Poco dopo giunse una quarta lettera che prometteva soccorso.  Furbescamente non fornivano nomi e informazioni precise su chi fossero, l’ora della liberazione era vicina ..
 
Al principio dell’estate 1918, come già ripetuto,  la guerra tra l’armata rossa dei bolscevichi e i bianchi favorevoli alla monarchia aveva coinvolto tutto il paese, la pace di Brest-Litonsk aveva consegnato la Crimea, l’Ucraina e molto altro ai tedeschi, che avevano prontamente occupato quei territori. In parallelo, in Siberia era scoppiata la rivolta dei cecoslovacchi, vi erano circa tra i 40.000 e 50.000 prigionieri che i rossi avevano cercato di arruolare con scarso esito, la maggior parte voleva andarsene.  Il 14 maggio 1918 era scoppiato a Celjabinsk uno scontro tra cechi  e ungheresi, i bolscevichi arrestarono i cechi. Tempo di tre giorni, l’esercito ceco aveva invaso la città, liberato i prigionieri e scacciato i rossi. Si unirono all’armata bianca, iniziò l’offensiva in Siberia, il sette e l’otto di giugno i cechi avevano occupato importanti centri bolscevichi, come Omsk e Samara.
I rossi persero  il controllo della ferrovia Transiberiana,  del Volga e di tutte le linee ferroviarie dagli Urali dirette a est. Ekaterinburg  rimase in contatto con Mosca solo con le linee telegrafiche.
Si combatteva, una battaglia senza regole o lealtà.
Lenin, il cui fratello maggiore era stato assassinato per avere tentato di uccidere lo zar Alessandro III, era della linea di pensiero che, ove si fosse presentata l’occasione, era basilare per la politica sterminare la famiglia imperiale.
La prima, reale azione fu la fucilazione del granduca Michele, il fratello dello zar, che venne prelevato il 12 giugno a Perm, ove era agli arresti domiciliari in un albergo. Preso assieme al suo segretario, furono condotti in un angolo isolato di una foresta alla periferia cittadina, fucilati e i corpi distrutti nella fornace di una fabbrica.  Dissero poi che era scomparso, una tecnica di confondere le acque. In parallelo circolarono voci che lo zar e i suoi erano stati uccisi, per saggiare la eventuale reazione della Russia e dei governi stranieri dinanzi a questa ipotesi. La risposta fu il SILENZIO.  
Emblematico quando venne scritto sul giornale “The Times” di Londra il 3 luglio, in ogni occasione in cui veniva fuori l’ipotesi di cui sopra, le persone ritenevano che fosse successo qualcosa  di grave, i bolscevichi erano impazienti, vi era la questione “dell’opportunità di definire il destino dei Romanov, in modo da liberarsi di loro una volta per tutte”.
Domenica 14 luglio venne detta la messa a casa Ipatiev, dopo la funzione tutti i Romanov baciarono la croce.
Il tempo era estivo, caldo e afoso fin dal mattino. Il 16 luglio 1918  passarono la giornata come di consueto, uscirono in giardino nel pomeriggio. La zarina lesse il Vecchio Testamento con sua figlia Tatiana, i libri dei profeti Amos e Abdia. “In questo giorno – oracolo del Signore Dio- farò tramontare il sole a mezzodì e oscurerò la terra in pieno giorno. Cambierò la vostra festa in un lutto e tutti i vostri canti in lamenti .. ne farò come un lutto per un figlio unico e la sua fine sarà come un giorno di amarezza” [8,9-10]
E la sera, dopo cena,  giocarono a carte, andando a letto verso le dieci e trenta.
Gli spari di una vicina postazione di artiglieria ruppero il silenzio, appena scese la notte.


Il 17 luglio, molto presto, un contadino che abitava in viale Voznenskij nelle  stanze a pianterreno di una dimora che sorgeva dinanzi a casa Ipatiev uscì in giardino per un bisogno.  Sentì  degli spari soffocati che provenivano dalla cantina della dimora di cui sopra, il rumore di un furgone Ford in moto, tornò dentro subito. Il suo compagno di stanza gli chiese se avesse sentito, lui rispose che aveva udito delle detonazioni, entrambi avevano capito. Non parlarono oltre, poco tempo dopo i cancelli di casa Ipatiev si aprirono e un furgone  piombò fuori a gran velocità.
Il ragazzo stava ora  sperimentando  solitudini indicibili, dentro di lui era come un  freddo che  gelava le ossa, le foreste fitte, il fango  che entrava in ogni pertugio, la tensione, l’essere feriti, l’attesa di combattere. E ricordava, anche se non voleva, non ne parlava come sua sorella, due testimoni dell’orrore sopravissuti. Lei lo guardava, azzurro su azzurro, il colore delle loro iridi, una sfumatura rara e inusitata, innocente al pari di loro, lui ricambiava, poi distoglieva gli occhi.
 Perché ? Quella parola gli rotolava dentro come un rombo di guerra, la ragazza, espletate le attività quotidiane dormiva, o fingeva, giaceva a occhi chiusi, il buio delle palpebre come un conforto. E  lui si fissava le  mani e .. smontava e rimontava le armi, in quello era bravo, gli era piaciuto, nella vita di prima, come il tempo passato con LEI e con LUI. Soprattutto con lei.
Gli piaceva anche ora, stare con LEI. E si sentiva protetto e al sicuro. Che paradosso,  dopo che era successo lo avevo avvolto tra le braccia, serrato addosso facendo attenzione alla sua gamba lesa, incurante del sangue, dello sporco e del sudore, forse voleva  trasmettergli  tutta la sua voglia di vivere, la  rabbia, lo aveva stretto come a non volerlo più lasciare. 
Un privilegio. 
E la rabbia. In primo luogo ce la aveva con LORO, ma soprattutto con se stesso. 
Per quanto storpio, invalido, debole,  era sopravissuto. 
Che sarcasmo atroce. 
 And I’m  a soldier.
A fighter.
 
… Quando mi aveva riconosciuto, aveva cercato di mettersi in piedi,a fatica,  ero volata da loro, ci eravamo stretti, tutti e tre, senza parole, così forte da farci male. Dopo, lui mi aveva buttato le braccia sul busto, la testa sul petto, sentendo le mie spalle che sussultavano mi aveva baciato una guancia, asciugato le lacrime con le mani, già non era il momento per quello... Io altrettanto, dovevamo calmarci e andare via, una prassi di sopravvivenza, da soldati.
Una radura, eravamo in quella maledetta parte di foresta, e il buio e la disperazione mi stavano sommergendo.
E sentivo Olga a un battito, vicina, anche se sapevo che era morta, solo quello, che mi era vicina, che sarebbe rimasta sempre, nei ricordi e nella memoria. E ancora non era il momento, avrei pianto dopo, per loro e mio padre, come per Alessandra, vite spezzate in nome di nulla..  
Olga e il suo sorriso.
Tatiana, il lampo grigio del suo sguardo che raccontava quello che non diceva... e mille e mille cose, petali e frammenti, ricordi e risate, una vita da vivere anche per loro. E la speranza era il bagliore di quei grandi occhi, ora come allora, una delicata sfumatura di azzurro come quando sorge l'alba, era un miracolo che fossero scampati all'eccidio, altro prodigio che avessimo lasciato Ekaterimburg  senza farci ammazzare. 
Ma che inventare, se non mi parlavi .. Anzi, non parlavi con nessuno, siamo giusti, ci intendevamo a gesti, ti facevi  accudire solo da me, di pura malavoglia,  e tanto eri furioso. Con la vita, la tua debolezza apparente, con me e tutto il mondo. Tralasciando che se mi assentavo un’ora, mi cercavi con gli occhi, “Non te ne andare” e appena ricomparivo mi serravi il polso, possessivo. E il sollievo ti si  dipingeva sul viso, guai a me se volevo cambiare aria, ubriacarmi o che.. Eri una mia responsabilità, era amore al principio, come ora, tranne che ero ghiaccio, neve e brina, la mia freddezza era solo apparente ..  fino a quando non ne combinasti una delle tue, a stretto giro, dopo le mie solitarie isterie del lutto.
Mi hai tirato addosso tazze, asciugamani, e via così, la rabbia di una vicenda terribile.. E comunque, avevi reagito, tranne che ti avrei appeso per le orecchie.
Oddio. Mi facevi ammattire, come quando eri piccolo, sempre.  Dicevo, mi allontanavo e .. non volevi, mi lanciavi certe occhiate da incenerire, inespressi sussurri, e tanto non mi avresti mai implorato di rimanere, o portarti con me, la notte mi volevi stare vicino .. appena facevo un movimento di distacco  mi eri subito addosso, le dita sul mio braccio, mi allungavo per metterti comodo, ci disponevamo in posizione di arrocco, difesa e scongiuro, tesoro, che dovevo fare con te se ero la prima a non sapere cosa fare con me stessa. Mi mancavi, Alessio, mi mancavi tanto, anche se eri vicino, mi mancava la tua voce, i tuoi sorrisi, la tua vivacità. E tanti che dovevo pretendere, eri scampato alla morte per un soffio, il trauma quando si sarebbe risolto.. Forse mai.
Mi sfogavo con Andres, il sesso era il mio sfogo, in quelle settimane ci allontanavamo pochi minuti e .. Era la voracità di vita, un gesto di sfida e guerra, da puttana e sopravissuta, lui taceva, mi desiderava fino a stare male, da quando stavamo insieme ne avevamo passate troppe insieme, la realtà superava la fantasie.
I particolari, immagini e frammenti, vivevamo sdoppiati, una specie di doloroso trance.
 “Quando si muore, si smette di provare dolore?”parlavo così piano che dovesti accostare l’orecchio al mio viso. Eravamo a Spala, nell’ottobre del 1912, uno dei miei peggiori attacchi di sempre, il dolore così forte che la morte  sarebbe stata una liberazione, un paradiso.  Non ne potevo più, alla lettera. Mi raccontarono poi che la servitù si doveva mettere il cotone nelle orecchie per svolgere le sue mansioni, le grida di dolore e i rantoli provocati dallo sforzo di respirare passavano i muri della villa. Non che fossi molto presente, la maggior parte del tempo ero semi incosciente, girato sul fianco e la gamba sinistra contorta, il viso esangue.  E stavo un filino meglio, quando ti feci quel discorso, meglio rispetto a quanto sopra, chiariamoci, almeno un poco.  Il giorno prima eri venuta,  mi avevi raccontato qualcosa, ero riuscito ad assopirmi.
“Penso di sì, ma nessuno è mai tornato a raccontarlo. Un filosofo greco raccontava che è come dormire e poi ci si ritrova dinanzi a un fiume, dentro una grotta, e che se bevi quell’acqua dimentichi tutto e poi rinasci .. Lasciamo stare, ora mi metto a raccontarti del Lete e dei soldati. Anche Achille, sai, il leggendario guerriero venne immerso da sua madre in un fiume speciale, da renderlo invulnerabile, tranne che in un punto ..” ti sorrisi, a malapena un incresparsi di labbra, percepii che mi sfioravi una mano.. Cat. Non piangevi, avevi le occhiaie fino al mento e il viso scavato, quando stavo male non volevi toccarmi, avevi paura di farmi male anche non volendo, quell’estate era stata una eccezione. Lo sai quanto ti voglio bene? A parole, nei fatti lo sapevo che mi adoravi, quando ero in forma, non facevo pari a giocare con te, abbracciarti, riempierti di baci e dispetti, anche se ci dividevano quasi dieci anni.  Ricambiavi, a volte parevi tanto più bambina di me. 
E sopravissi, anche se mi avevano dato l’estrema unzione, avevo superato ogni previsione, anche me stesso, poteva essere ..pacifico, eppure .. la vita mi piaceva, la amavo anche se potevo fare molto poco. Attento, non giocare troppo forte, bada agli urti .. E i lividi, il sangue che non coagulava, il dolore su nervi e giunture e febbre e delirio.. le conseguenze fatidiche e malefiche, bastava un nulla e .. Un momento era a fare chiasso con le mie sorelle, quello dopo ero piegato dal dolore. Mia madre diceva che le preghiere di padre Grigory mi aiutavano, ma .. per quello che avevo non vi era cura, ho passato mesi, anni, a fingere di dormire, i miei genitori e i medici che parlavano sopra la mia testa, come se fossi un idiota. Ero malato, mica scemo, trattarmi sempre come un bambino piccolo o un infermo alla lunga mi riempiva di rabbia. Potevo solo cercare di stare bene.
Ricordo un pomeriggio di fine dicembre, a Carskoe Selo, fermo su un divano ascoltavo le gesta di Achille, l’assedio di Troia e compagnia, TU eri vestita di chiaro, chiffon,credo,  i capelli raccolti sulla nuca, un raggio di sole faceva diventare color rame e bronzo le ciocche.  Una coperta buttata sulle gambe, che celava un arto stretto da un apparecchio ortopedico, per raddrizzarlo, camminavo male e a fatica, mi dovevano sostenere e mi aggrappavo ai mobili, alle pareti, ogni mossa un affanno. E l’apparecchio ortopedico era un arnese di tortura, lo tolleravo come i bagni di fango eccetera per far tornare dritta la gamba. La coperta celava anche il pannolone che portavo, cercavo di non pensarci., ormai lo portavo a giornate e lo odiavo, era necessario, che non mi reggevo in piedi, ma si poteva evitare diu cambiarmelo accompagnando il tutto da smorfie e sussurri, come se fossi un bebè, avevo 8 anni, mica due mesi..
Lo sbuffo divertito di Olga, che si mise a parlare degli dei greci e romani, Atena e Apollo, forse.
E poi “Il Dio del Regno dei Morti era Ade, giusto?”
“Giusto, Alessio.”
“Allora, Zeus governava la terra, Poseidone il mare e Ade gli inferi.”
“Per la mitologia sì. “ ti avevo anche chiesto di riferire che, ove fossi morto, che costruissero un monumento di pietre nella foresta per ricordarmi.
“E come divisero le cose? Ci fu una guerra o se la giocarono, tipo con le monete o..”
“Una guerra, la lotta tra i Titani. “
“Che tristezza, erano tutti fratelli e esclusero l’ultimo.”
“Sono vecchie storie, Alessio, lo sai vero.” 

“ Ade era il dio più potente, che il suo era l’ultimo regno.  E lui non aveva paura. Mi piace, cosa credi, lui era forte e coraggioso come Achille. Io sono come Achille.. Credimi.”
“Ci  credo.”
 Ci credi anche ora accidenti. Accidenti a me e a te. Stupida eroina.. Coraggiosa come il rombo di un tuono. 
Ed impaziente, lo percepisco nel modo in cui mi sollevi, nel piccolo sorriso sulle labbra. “Ti lascio un poco da solo, mm?” Staccando la mia mano dalla manica “Torno presto” Faccio una occhiata, della serie, mollami qui e non ricomparire. 
E tempo tre secondi mi rigiro inquieto, ti voglio richiamare. E il tuo nome è bloccato in gola. 
E mi ricordo di essere sempre vivo, percepisco i fili di erba sotto le dita, il calore del sole dietro lo schermo delle palpebre, un’ape ronza, sono vivo, come un cavaliere che era caduto riprendevo coscienza del mio corpo, dei rumori, perché me lo avevi ricordato e quando tornavi.. Godo il sole e la bellezza dell’estate, respiravo.
Ero vivo. 
Me lo ripetevo di continuo, non mi pareva vero. 
E pensavo, a frammenti- le chiacchiere, i sussurri, che il marito di tua madre era il tuo genitore solo in via nominale.
Che eri la .. prima scelta, in senso lato. Che mia madre non ha mai sopportato la tua, mai, a dare retta non sopportava pure te, tranne che eri il mio maggior capriccio, tra virgolette, sia nel breve e lungo periodo. È buffa, mi fa ridere.. potevano riempirmi di giocattoli, darmele sempre o quasi vinte, e tanto.. “Cat..” “Catherine”Mi hai sempre fatto sentire al sicuro, un baluardo, anche se mi hai ripetuto fino alla nausea che tu miracoli e magie non ne operavi. Lo so .. che credi, solo che .. alla lunga hai imparato a fidarti di me, come io di te, a non essere iperprotettiva e asfissiante, che amore era sapermi lasciare andare. Non hai mai detto una parola contro mia madre, mai. E ne avresti avuto motivo, lei diceva che eri una sventata, tua madre peggio di te, che ti lasciava stare, eri senza controllo, al contrario della zarina, ovvero lei, che tutto controllava e nulla comandava. La manda a giocare con gli orfani, la fa studiare e cavalcare e .. La tua misericordia, Cat, Kitty Cat, la mia gattina, come diceva Olga, se non avessi sviluppato la tua intelligenza, saresti stata frustrata, infelice, tua madre ti dava la libertà, perché .. poche sillabe, un dolore atroce
“Papa, dimmi la verità .. Cat è la tua bastarda?” Dopo che eri venuta, a casa Ipatiev, un sussurro contro la sua barba, ripensando a tutto il tempo che avevamo passato insieme, le storie, che quando c’eri non ero monitorato a vista, cavalcare e che alla Stavka eravamo sempre insieme. Insieme per dire, quando non eri dietro ai tuoi ingaggi o con Andres, tranne che mi facevi sempre sentire importante. E apprezzato. Che mi volevi bene sul serio, non avevi la vocazione per le cause perse come diceva mia nonna. 
“Alessio .. “
“Dimmi la verità”
Mia madre non aveva pianto, bizzarro, era solo invecchiata di una vita quando avevi risposto che il tuo primo figlio, aveva gli occhi chiari. Azzurri, avevi precisato, sulla domanda inespressa di Olga che aveva sorriso in tralice. Strano, mia madre piangeva sempre, se vi era disordine, che era incompresa, per me, per tutto .. MA.. era tramortita, come se un suo sospetto avesse preso corpo“Alessio”
“Dimmi Papa” 
“Prima di sposare la mamma, io ho voluto bene alla principessa Ella” Un eufemismo, Papa, quando litigavi con mia nonna, Marie, e lei ti aveva rinfacciato che Alix von Hesse, la puttana tedesca, o così dicono, era la tua seconda scelta, ti aveva rinfacciato che la principessa Ella ti amava, e tu lo amavi. Tu avevi taciuto, chi sta zitto acconsente, rilevo“A prescindere da tutto..”Dai voti matrimoniali e dalla società. Vero. E da Alix von Hesse und Rhein, mia madre. “Sì ?” 
“Alessio, non .. La vita non è semplice, io ho voluto bene alla  principessa Ella e alla tua mamma”
“Catherine è la tua bastarda” Percepii che voleva picchiarmi, un duro lampo che mi ridusse al silenzio, i pugni serrati, i miei e i suoi.
“Alessio, IO ti insegnato l’Onore. Offendi te e lei, oltre che me”
“Allora?”
“Onora tua sorella, sempre, prenditi cura di lei, come farà con te” un lascito morale, la mia eredità tra frantumi e rovine, mi sento un vuoto  profilo contro le ombre della sera. 
Proviamoci .. me lo ripeto.
Painting birds, butterflies and flowers, and the future.Since he was never alone, his family was always there for him the whole time :.. you're never alone, my little Prince, my soldier, my Alexei ..Your Cat, you said and say.. OH CAT..

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Capitolo 37
*** Why? My life for a rent ***


 “Perché..perchè” quella parola mi rotolava in gola, il dolore, la rabbia.
Piangevo, così forte che le spalle mi sussultavano, la diga di autocontrollo incrinata.
Non vi era alcuna pressante necessità sul cibo, di accudire Alessio, stare di guardia,  mi ero allontanata per sfogarmi in pace, lo avevo mollato (si fa per dire) su un pezzo di prato, Alessio, sperando che stare un minimo senza noi tra i piedi lo distraesse un poco, in quei mesi non aveva mai avuto il piacere di stare un poco solo. Prima gli piacevano il sole e la bellezza dell’estate, cercava di goderne.
Ora?  
Venti  metri, ma non volevo controllarlo, giuro, aveva il diritto di starsene in pace, io di sfogarmi, che stavo sul filo del rasoio, mi pareva di impazzire, gli girai la schiena, aspettami fino a quando non torno, meno isterica, saggia, rassegnata, oh Alessio, mio principe soldato che dovevo fare di me e di te?

 Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno. Così aveva detto Gesù sulla croce, loro erano passati in un Golgota di umiliazioni fino a quello, una morte atroce, come criminali, sepolti senza una croce, dispersi e smembrati.
Quando era morto Luois e avevo avuto gli aborti mi si era spaccato il cuore,  ora apprendevo cosa significasse perdere una persona amata, che, scoprivo, ora nella perdita era stata la mia metà,  la parte migliore, desideravo solo che fosse un incubo, da cui svegliarmi.
Che mondo sarebbe stato, da ora in avanti? Una notte senza fine, una perdita immane. Da desiderare di addormentarsi, per non svegliarsi mai più.
E ora, non cominciamo, non ti mettere in posa di martire, non ti compatire, hai un marito e due figli, tutta una serie di possibilità, che io non avrò più.. Lotta. Reagisci. E sarà dura e rischierai di perdere la ragione, e tanto non te lo permetto.. Io sarò sempre con te, lo sai .. nel cuore, nei ricordi, nessuno te lo porterà via, se non glielo permetterai ..
CAT.
TI PREGO.
NON MI LASCIARE.

 E aprii gli occhi, di scatto, come se fosse davvero con me. E mi  avrebbe detto quello.. Scorsi tre farfalle bianche davanti a me, posate su dei fiori rosa. Nella cultura giapponese le farfalle bianche erano i messaggeri dei morti, un ponte verso i vivi.
 Noi ora siamo in pace.. ora.
Ricordati di me …
Tutto il mio amore a chi si ricorda di me e di noi, così, alle volte, chiudevi le tue lettere, da ultimo.
 
Sempre.
Come se potessi dimenticarti…
Sarai sempre con me e tanto …
Mi sento Giuda, sono sopravissuta, la bastarda dello zar, respiro, faccio l’amore con  mio marito e scampo alle battaglie..
PHOENIX.
LA FENICE. 
Poi ..
“Alessio, vieni qui” le sue braccia sul collo, il  viso posato contro la sua clavicola, lo serrai addosso, almeno io conforto fisico, della reciproca presenza, potevamo offrircelo.
“SSt .. basta, Cat” una pausa “Don’t cry” Non piangere, sfiorandomi  “Non voglio” singhiozzai ancora più forte “E’ colpa mia quello che ti è successo.. che vi è successo” singhiozzai di nuovo “Non dire balle “ macinò due parolacce irripetibili, da soldato” .. quello che è successo in cantina.. tu non c’entri nulla, davvero” il tono aspro, deciso, mi asciugò le lacrime, un movimento solenne “E non voglio che mi lasci, intesi?”
“Non .. quando vorrai, se vuoi dimmelo” Lei me lo aveva detto, avevo appurato, mancava lui ..
Alexius vir es..” Alessio, sei un eroe, un vero uomo, capì all’impronta, il latino glielo avevo insegnato a sufficienza per tradurre quanto sopra“Proprio, Cat” Compresi, lui intendeva l’eroismo con atti eclatanti, io con la sopravvivenza, il non mollare mai la vita, con le unghie e i denti, giorno per giorno come lui. Ed ero così rintronata che manco mi ero accorta che era venuto, sommersa come ero a compiangermi<, forse era strisciato, osservai che le maniche erano sporche di fili d'erba e polvere. 
“CAT” si divincolò dopo un ultimo bacio “Hai ragione, sono troppo appiccicosa” cercando la mia leggendaria ironia “Come si fa?”
“Al solito.. un passo alla volta…”
Affermato da lui che non camminava era un ossimoro totale, ma io non colsi ironia nelle parole di Alessio, quanto una nuova sfida.
 “Ce ne andremo via.. starai bene..” mi ero ripresa, lui non parlava, già tanto che mi avesse raggiunta,e detto quelle frasi, “starai bene” era appena un sussurro, una profezia altisonante, che sentì, magari pensava che lo sfottessi alla grande ma in qualcosa dovevamo credere.. E  quella sera lo vegliai per ore, la trama delle palpebre, i pugni chiusi. Aveva camminato, aveva strisciato.. come aveva fatto.. Ora si reggeva in piedi, sostenuto,  non piegava il ginocchio, la lesione del suo ultimo attacco.  Che aveva  inventato .. Boh.. “Hai camminato?”Manco mi rispose. "Cammini, se vuoi"


Ripensai a un frammento di quel mattino avvelenato,  sarei potuta andare a cercare il furgone, ammazzare qualcuno e rimanere eliminata a mia volta. Mollare tutto e andarmene .. Potevo anche sopprimermi. “Aspetta..  posso sollevarti?”Lui aveva sbuffato, lo avevo  già fatto, mentre il mio cervello bacato si perdeva nelle sue ipotesi, mi ero già mossa. Barcollando un poco sotto il suo carico, era diventato alto e per quanto i recenti attacchi di emofilia lo avessero debilitato, facendogli perdere peso e colorito, pesava. “Che si fa?” le sue braccia allacciate sul collo, a cercare calore e riparo, la mia mano sotto al suo pannolone fradicio, avevo soppresso una mia imminente crisi isterica. Due sopravissuti che cercavano conforto da una disperata..
E l’istinto di sopravvivenza era il sedativo più potente, che li portava avanti.
Sbuffai, mi misi sul fianco, a circa un palmo da lui, senza sfiorarlo, mi riuscì a dormire fino un poco, inutile aggiungere che mi era già accanto, il palmo  contro il mio, una guancia che mi sfiorava il gomito, sulla schiena il calore di Anastasia.
Un momento di  quiete.
 
..non era tempo perso, annotava Andres, il lavoro che faceva Catherine con lui era puro amore, e pazienza, e viceversa, Catherine se non avesse avuto lui sarebbe andata in completo tilt. Entrambi sbuffavano, era impensabile che fossero così in simbiosi, lui si svegliava, il busto inarcato, teso, Cat lo stringeva,  accostandoselo vicino “Sst..” quando non lo vegliava a ore nella notte, come faceva Alessio, il viso accostato contro la spalla di lei. Io lo sapevo che parlava, a rate, ma parlava, almeno con me, poche frasi, “Ho fame”, “Dove siamo”, giusto alle sue sorelle non dava l’onore. E tanto che .. ce ne saremmo fatti di quei due ragazzini sopravvissuti a una strage, silenziosi, guardinghi.. Gli occhi color acquamarina, zaffiro e indaco..Lo sapevo. E lo sapeva anche Catherine, erano i suoi fratelli, due combattenti, come lei.
Ahumada..  La rocca dei Fuentes, la mia casa.  Magari sarebbe stata la loro casa. E pensavo a mio figlio Xavier, nel 1918 avrebbe avuto 17 anni, sarebbe stato un uomo.. E tanto viveva solo nei miei ricordi.. Era morto a una settima dalla nascita, il mio primogenito, il mio infinito rimpianto.
E pensavo..
 

Ed i sopravissuti celebrano il caso di essere sempre vivi, riti inventati e pronti sul momento.
Al diavolo i morti, sul giornale  “Le Matin” a Parigi, del 20 luglio 1918, si parlava della fucilazione dello zar, che lo zarevic e sua moglie erano stati portati via, nessun accenno alle figlie, le voci di terza e quarta mano che raccolsero i bianchi, quando espugnarono Ekaterinburg furono che erano tutti morti, la famiglia e quattro servitori, la casa era vuota,  la cantina piena di sangue e buchi dei proiettili. Vennero condotte delle inchieste. Informazioni di terza o quarta mano li davano tutti deceduti, al Pozzo dei Quattro Fratelli gli investigatori rinvennero  resti bruciati di scarpe, vestiti, schegge di gioielli e altro ancora che vennero ricondotti alla famiglia imperiale.
E non solo loro, se possibile la fine della sorella della zarina e di chi con lei era stata ancora più terribile, che almeno lo zar e i suoi erano morti nel giro di poco. Nell’aprile del 1918, un gruppo di bolscevichi aveva portato Ella dal suo convento di Mosca a Perm. Vedova dal 1905, si era dedicata alle opere di fede e carità, prendendo i voti. La accompagnava una delle sue consorelle, Barbara. A Perm, oltre a loro due imprigionate vi erano anche il granduca Sergio Mihajlovic, Igor, Ivan Costantino, i figli del granduca Costantino, ed il principe Vladimir Palej, figlio del granduca Paolo, nato dalle sue seconde nozze morganatiche. Da Perm li trasferirono poi a Alapaevsk, una città che distava 60 chilometri da Ekaterinburg, il 18 luglio 1918 vennero prelevati e portati via, fino a un pozzo isolato nella foresta, scortati da una divisione armata fino ai denti di rossi. E…
 “Scusami, Alessio” … si può sapere che hai, Cat? Mi scosto, e intanto continui a stringermi, una mano contro la mia magra schiena, mi sfiori il pannolone, reagisco scartando e mi stringi, ignorando la mia replica, mia sorella appare ancora più spiritata del solito,  che avete? Andres sta imprecando in spagnolo, presumo parolacce, pare sgomento, annichilito. E intanto mi baci i capelli, un attacco di possessivo affetto e costernazione. Ma che è successo mentre dormivo? Non è da te svegliarmi a meno che non sia qualcosa di grave, abbia  un incubo e te ne sia accorta o che tu sia spaventata da qualcosa o qualcuno“Non è possibile” ti interrogo con gli occhi , i automatico ti affaccendi a cambiarmi e il pannolone è asciutto scalcio e mugugno, non mi dai retta “Abbiamo parlato con dei soldati bianchi che vengono da Alapaevsk e .. “ Dove sta zia Ella, l’hanno liberata, come sta? Sospiri, incerta se dirmelo o meno. Parla, le cose me le hai dette sempre quando ero piccolo, ora voglio sapere, a  maggior ragione., intanto arriva un biberon di latte, piango mentre me lo cacci in bocca, bevi e zitto, mi tocchi la schiena , tastando che fai Il pannolone sia asciutto
Li avevano gettati vivi nel pozzo, tutti, per sicurezza avevano gettato delle granate.
“… non sono morti subito, per alcuni giorni è sentito un canto che proveniva dalle viscere della terra, non li hanno soccorsi per tema che i rossi tornassero e ammazzassero pure loro” la voce mi resta conficcata in gola, ti obbligo a guardarmi, come lo avete appreso che il decesso non è stato immediato? “E’ giunta l’armata bianca, hanno estratto i corpi e fatto l’autopsia. Ella Feodorovna ha usato un pezzo del suo velo  per bendare una ferita di Ivan Costantinovic, suo fratello Costantino  ha mangiato la terra..” Dopo ore o giorni erano scomparsi tutti, per l’ipotermia, le lesioni o la fame.
Deceduti.
Iniziai a agitarmi appena lo realizzai.
Non era possibile.
Agitazione per dire, respirava forte, le guance arrossate, gli occhi lucidi, mi tese le braccia, un gesto di conforto del passato, ora volontario. “SSt”
“Cerca di calmarlo”mi disse Andres in spagnolo, quelle morti avevano sconvolto anche lui, ne aveva sentite e vissute tante, definirlo basito, schiumante di rabbia era un eufemismo. Io ero annichilita, Ella Feodorovna era stata un modello di grazia e virtù, bellissima e pia, aveva dedicato il resto dei suoi giorni e delle sue opere, rimasta vedova dopo la morte del granduca Sergej, alla fede, alla carità.
“Vieni, tesoro”
 “Ci ha svegliato il Dr Botkin”aprì e richiuse i palmi, realizzai che mi stava parlando, mi scostai a guardarlo, le ginocchia raccolte sotto il mento “Saranno state le una e trenta, il comandante gli aveva chiesto di avvisarci che la situazione era insicura, dovevamo vestirci e passare la notte in cantina, era più facile proteggerci” la voce  era sarcastica, amara, il tono adulto “Abbiamo fatto con calma, siamo scesi verso le due, Papa mi portava in braccio” Entrambi vestiti con le loro uniformi, cappello, mostrine e stivali “Dopo me e lui, mia madre, le mie sorelle”In gonna scura e camicia chiara, Tata portava tra le braccia il suo cagnolino, la domestica due guanciali, al cui interno erano cucite delle scatole che contenevano gioielli, quindi il medico, il valletto e il cuoco. “.. ci portarono in quella stanza, ho contato ventitre gradini, per scendere” Sussurrai il suo nome, era perso in quell’orrore senza ritorno o rimedio, non osai confortarlo a vuoto, me lo premetti contro, in attesa o.
Alexei.
Amore.
“Non avevamo idea, sai. Il locale era vuoto, mia madre chiese se era proibito sederci, portarono due sedie, su una si mise lei, sull’altra Papa, sempre con me in braccio” Le nostre sorelle e i domestici rimasero in piedi, di fianco e di lato.
Venne acceso un furgone in cortile per coprire i rumori.
Il plotone di esecuzione era composto da dieci membri, oltre che da Jurovskij e il suo assistente Nikulin.
Occhi di onice.
Occhi di zaffiro.
“… Jurovskij dichiarò che, considerati i tentativi che i nostri parenti continuavano a fare contro la Russia sovietica, il comitato esecutivo degli Urali aveva deciso di giustiziarci. E vi erano le prove. Papa ha detto cosa,due volte, mica si sentiva, per il rumore del furgone, in cortile,  Olga quali prove? Avete prove scritte.. “mi sollevò il mento, con delicatezza, lei mi aveva difeso fino all’ultimo, era morta sapendo che li avevamo fregati, che non mi avevano scoperta,  io e Andres eravamo la punta della liberazione.  E comprendeva che poteva morire, come tutti loro, ogni giorno a casa Ipatiev era segnato da quell’incubo ..ma.. fedele fino all’ultimo, ero una Fuentes, per ascendenze e matrimonio, leale fino con i suoi fratelli. Quando ero infilata, dentro la casa-prigione, aveva compreso e perdonato. Lo zar, nostro padre, per essere andato a letto con mia madre e avermi generato, me per avere capito che eravamo sorelle, glielo avevo dimostrato nei fatti.
 Ero la sua principessa, il suo altrove, la sua veggenza  “Cat, non hanno capito .. quando sei venuta, non ci hanno capito nulla come che avevi infiltrato Mattias e un altro nel plotone” Mi morsi le labbra a sangue, avevo pensato che ci avessero scoperto e tanto mi sarei sentita in colpa fino al giorno della mia morte. “Ognuno aveva un bersaglio, dovevano mirare al cuore ma.. “Lo zar era stato colpito per primo alla testa, era crollato in avanti sul pavimento trascinando Alessio nella caduta. Una pallottola aveva colpito Alessandra sul cranio, aveva avuto appena il tempo di farsi  il segno della croce.
“Gli spari sono continuati, Papa era sopra di me, sentivo le urla, i pianti.. delle mie sorelle, della cameriera, lo strattonavo per la giacca” deglutì ancora incredulo che se la fosse cavata, ora stava strattonando me per la manica, posai la mano sopra il suo palmo.
“C’è stata una pausa .. Il buio, Cat, i particolari. Il fumo delle pallottole. Il sangue sul pavimento e la polvere. Sapeva di ferro. Il cuore mi stava uscendo dalle orecchie”
Solo Olga era deceduta in seguito alla prima scarica, Tata, Marie e Anastasia erano ancora vive, urlavano, coperte di sangue, si stringevano e .. Ancora spari, successivamente le avevano infilzate con le baionette, i corsetti imbottiti impedivano alle lame di affondare nelle carne.
Alla fine le  avevano ridotte al silenzio, come la cameriera, il cuoco, il valletto ed il Dr Botkin.
Pensai che la vita di Olga era cominciata e terminata tra gli spari. 101 salve avevano annunciato la sua nascita, nel  1895, nel 1918 era terminata in una cantina umida e polverosa, in mezzo alle detonazioni,  mi piegai in avanti per stringere nostro fratello, il testimone di quello strazio.
Amalo.
Proteggilo.
Ti adora
Tutto era durato una ventina di minuti, presero i battiti cardiaci, dichiararono i decessi. “Costantino mi ha sparato due volte, vicino alla testa, ha detto che dovevo stare zitto, che ce la avrei fatta .. Che …” Lo presi in grembo, il suo dolore era liquido, senza misura, avrei voluto ammazzarli a mani nude, tutti, mi appoggiò la testa sulla spalla, lo circondai con le braccia, mi sdraiai sulla schiena, un abbraccio intimo e possessivo, sapeva di erba e estate  e paura, il mio bambino delle fate, per una irriverente alchimia eri il mio bambino Alessio, io la tua mamma, la più improponibile e sgangherata che ti potesse capitare “Ho chiuso gli occhi, Cat, ho pensato che non ero lì ma in una valle piena di fiori, che cavalcavo .. Quando mi avevi raccontato del cavaliere, un sogno per cacciare un incubo, salutavo il cielo e l’estate. Ero su Castore, non avevo paura, le strade del mondo il mio regno..”
Forse sono diventata, in modo definitivo la tua mamma in  quella radura. Figlio del mio cuore, se non del mio grembo.
Avevano caricato i corpi sul camion, un cumulo indecente, senza pietà per i morti che avevano portato nella foresta alle porte della città.
L’autista aveva sbagliato strada, il furgone si era fermato.
“Abbi cura di tua sorella, dobbiamo muoverci e.. Vi viene a prendere..” gli avevano detto, Alessio aveva cullato Anastasia tra le braccia, incredulo, lui che era malato doveva curare? .. Alessio in greco antico significa “Colui che protegge”.
“Ogni giorno, con Andres, ci siamo spostati Alessio, Mattias e Costantino ci hanno recuperato per puro caso” Non oso immaginare cosa sarebbe potuto accadere, se non ci avessero trovato.
“Anche tre volte in una giornata, per le spie, i rossi”
“Già.. quei contadini che ci hanno aiutato, quanto li avete pagati?” Ci avevano tenuto nascosti e dato dei vestiti di ricambio, senza badarci troppo, la sua mente vivace che frullava verso altro.
“Molto” e ci avevano ringraziato, increduli.
Non li abbiamo più rivisti.
Tornai alla cronaca che mi avevano rappresentato, a quell’orrore senza fine.
Lost.
You’re lost.
Olga.
“Dimmi il resto Cat, come se facessi un report”
“Ero brava, sai, sai che facevo ridere mio zio, con qualche annotazione, quando non si arrabbiava per i guai in cui infilavo o mi cacciavo”
“Come se ora non lo fossi, dai .. peggio di così che mi può mancare?”cercando di essere ironico, coraggioso. “Poi mi racconti,  di quando eri un soldato”, intanto.gli avevo sistemato l ennesimo pannolone, di media erano sette od otto al giornose non di più, lui non ci badava ma era un continuo
Andres sosteneva che avevo gli occhi scuri come onice, a quel giro erano spalancati nell’immaginare quell’inferno.
 
Jurovskij  avrebbe in seguito dichiarato che i  gioielli e i diamanti cuciti negli abiti facevano rimbalzare i proiettili sui corpi delle donne che, ferite e spaventate, non smettevano di dibattersi in preda al dolore e al terrore, che il suo aiutante dovette consumare un intero caricatore e poi finirle a colpi di baionetta, non si davano la pena di mollare.
I corpi vennero portati nel vicino bosco di Koptiakij e dopo avere diviso due cadaveri dal mucchio, per rendere incerta una eventuale ricognizione, li spogliarono, li smembrarono e li buttarono in un pozzo.
Li riesumarono, seppellendoli poi in una fossa poco distante, buttando poi acido solforico, i visi fracassati con il calcio dei fucili per impedire che fossero individuati..
Il giorno successivo all'esecuzione, Sverdlov, interrompendo i lavori del comitato centrale di Mosca, mormorò qualcosa a Lenin; quest'ultimo allora disse ad alta voce: «Il compagno Sverdlov ha da fare una dichiarazione». «Devo dire» continuò Sverdlov «che abbiamo ricevuto notizie da Ekaterinburg. Per decisione del Soviet regionale, è stato fucilato Nicola II in un tentativo di fuga mentre le truppe cecoslovacche si avvicinavano alla città. Il presidium del comitato esecutivo centrale panrusso approva tale decisione». Seguì un "silenzio generale", fino a quando Lenin non propose di continuare il lavoro interrotto.
Il comunicato ufficiale alla popolazione fu diramato solo il 20 luglio, in quella data il quotidiano di Ekaterinburg Ural'skij rabočij pubblicò la notizia assieme a un articolo del giornalista Safarov:
« Ammettiamo pure che in questo caso siano state violate molte regole del processo borghese e non sia stato rispettato il tradizionale cerimoniale che nella storia è sempre stato riservato all'esecuzione delle teste coronate. Ma il potere degli operai e dei contadini ha manifestato un eccezionale spirito democratico. Non è stata fatta eccezione per l'assassino di tutte le Russie, che è stato giustiziato al pari di un qualsiasi brigante. Nicola il sanguinario non c'è più. E a buon diritto operai e contadini possono dire ai loro nemici: «Avevate scommesso sulla corona imperiale? Essa è perduta, raccogliete in cambio una testa coronata vuota!»

Avevo gli incubi, come te, Alessio, appena veniva il buio, sognavi di quella cantina. A prescindere da tutto, silenzi, dialoghi, orrore, il mio unico rimedio era sdraiarmi vicino a te e appisolarmi, ci arrangiavamo di giornata in giornata, ti tenevo perennemente vicino, ti cambiavo spesso il pannolone, o controllavo. Semplici gesti, ero arrivata a essere contenta dei lanci di oggetti, degli sbuffi e dei calci che reagivi, eri vivo e vitale, rabbioso, meglio così che senza risposte, chiuso nei tuoi silenzi, come quella sera, dopo che avevi raccontato “Odio dipendere da te, non mi voglio lavare”
“Arrangiati, per me puoi rimanere sporco tutto il tempo o far fare ad Anastasia o Andres” Con lui si vergognava, lei non sapeva gestirlo per lavarlo e cambiarlo, in quell’ambito. E non scherzavo, a costo di legarmi le mani sulla schiena ce lo avevo lasciato. E il pannolone alla fine glielo mettevo solo la notte, se volevo riposarmi tre o quattro ore,  a costo di mille manovre di giorno non volevo che lo usasse se non in casi speciali, di spostamento “No.. e tanto faresti prima a farmelo tenere sempre, e non vuoi” 
“Non vuoi tu, è diverso ..”Un sospiro “Non ti voglio punire, Alessio, né umiliare.. ma ti serve aiuto”A essere sorretto, eccetera, ma tanto .. “Meglio così, odio portare i pannolini” “Ci arrangiamo, credo” “Che perifrasi” una pausa “Cattiva” un brandello di pianto nella voce “Le guardie..” erano maligne che lo chiamavano poppante e via così, io cattiva nel senso opposto, che lo stimolavo, reagiva, non era abulico. “Allora”
“Ti ODIO” di nuovo "TI ODIO" 
“Avevo inteso”  schivai il pugno. "Che si fa, Alessio?"
“Anche  no .. Odio questa situazione, che mi manca? Scusami” mi prese una mano, la intrecciò con la sua, baciando il palmo “Ho paura, Alessio”di non farcela, che ti venga un accidente definitivo, che ci ammazzino, di non sopravvivere al lutto e … “Una cosa alla volta e tanto siamo una squadra, lo sai” "Già", convenni io, aspettai un poco, gli tolsi il pannolone sporco, lo lavai, allacciando quello pulito, poi me lo trattenni addosso, la sua testa contro la clavicola, sussurrai ".. in questo momenti sei al sicuro, ti prometto che non ti porteranno via, starai con me" "LO SO" Scontato, ovvio, anche no, adesso glieli facevo tenere tutto il tempo, no "Siamo noi, sempre"
Che ti poteva mancare Alessio?
Solo di capire una cosa per un’altra, colpa mia, in gran parte, ragionasti che ti volevamo scaricare e mi accorciasti la vita, tanto per gradire, palesando il tuo lato cocciuto, che spesso era insopportabile e tanto era quello che non ti faceva mollare, mai cedere di una iota, alle volte eri veramente impulsivo e scriteriato (chi mi ricordava?! Oziosa questione, eccomi allo specchio, il mio amore per te non era cieco ai nostri difetti e somiglianze).
“Alessio!!
“Dove sta?”
“Ma .. “
“Baby..”
“Little One.. “ Anastasia, usando i suoi antichi nomignoli.
“Alessio .. ALESSIO! Dove sei?”
"ALEJO" quello era Andres in spagnolo, lo chiamava in francese, inglese, poi, oltre che russo, se lo avesse saputo anche in serbocroato, urdu e via così. 
“Alessio ..  dove sei?”
“Salta fuori o ti appendo per le orecchie alla porta!”quando ne trovo una, che al momento manca. E quella ero io. 
“ALESSIO!!!” a squarciagola, caricai la  voce, nervosa, mi stava per venire una crisi isterica “… dove cazzo sei.” TI HO PERSO? Dove sei.. 
“Smettila di urlare!! Ti sentiranno fino al Polo nord o che, sono qui scema” corsi veloce quando sentii il suo contro urlo. E quando si arrabbiava andava oltre se stesso, ed era … Uno Zeus tuonante, non lo avevo mai visto in quella guisa, realizzai, sbigottita, sorvolando che mi stava per prendere una  arrabbiatura epica, che si mescolava al sollievo, era tutto intero, nessuno lo aveva portato via, non si era fatto male. Mi ero prefigurata scenari mitici, ansiosi, un completo disastro “Sempre con le parolacce, sono stufo dei vostri schiamazzi, parete oche bastonate”
“E tu a sparire.. SONO STUFA IO!!! Sentiamo il motivo, credevo di schiantare..”
“O in Danimarca, magari, ti sentono”
“Eh?” girai la testa, vidi Andres e Anastasia che erano comparsi sullo sfondo degli alberi, valutarono che era il caso di lasciarcela sbrigare tra noi, la questione era nostra. “Che ci incastra?”
Mi guardava dal basso verso l’alto, gli occhi scuri come un mare invernale, adirato, mi sembrava di incombere e  mi sedetti accanto a lui, il fiato corto, senza toccarlo che non era proprio il caso “Allora, Alessio?” fissando le mie mani rovinate, i palmi callosi e le unghie corte, rovinate e mangiate, la mia dieta in quelle settimane, aggiungevo le unghie al cibo, erano le mani di una contadina, non di una principessa, e tanto eri la cosa migliore che potessi avere, eri amato, cocciuto e viziato, una meraviglia ed una esasperazione. 
" Non voglio andare a Copenaghen da mia nonna.. Avevi detto che decidevo io e mia sorella decideva .. non tu... Non ci vogliamo stare con lei, hai capito?" respirò a fondo, cercando di non piangere “Vogliamo stare con te, con voi, abbiamo deciso così!! Non potete avere fatto tutta questa fatica per …  per questo!! I soldi li abbiamo, i gioielli che ha nel busto..li vendiamo e vi ripaghiamo .. vi ridaremo tutto quello che avete speso per i passaporti, i noleggi, gli ingaggi! Non ci credo, che tu abbia perso tempo, a accudirmi e tenermi abbracciato per questo, o no? Tu non rischi la vita  a caso, non almeno da quando sei diventata mamma. I soldi li hai, tra gli ingaggi e le ricchezze di tuo marito, da sempre “ lo placcai in un abbraccio, dura e netta, dei soldi non mi fregava nulla, anche se era grande lo riempii di baci, lo strinsi, possessiva, non doveva scappare “Allora perché” non riuscivo a inserirmi nel suo discorso, scostò il busto e le braccia, non voleva nemmeno essere sfiorato, ora, in compenso mi arrivarono dei pugni e mi imposi di non contenerlo  a livello fisico “Mia nonna non mi vuole, non .. NON MI  HA MAI VOLUTO LO SAI! Se prima ero un peso, un impiastro .. ora che sono?Cat .. non sono un pacco da accantonare e spedire, sono una persona, non mi metti in un angolo o in cantina.. E mi molli lì, come se quello che voglio non conti nulla. Non sei come loro, Jurovskiy e le guardie, prima mi volevi bene, sempre” e ancora, di rincalzo “Lei in Danimarca? Dalla Crimea ? Come ha fatto?” Mia madre e compagnia l’avevano lasciata nel maggio 1918, la zarina madre (ragionò Alessio, ora) non avrebbe mai mollato la sua patria adottiva, la Russia, fino all’ultima stilla di resistenza, lei era una principessa danese per nascita e aveva finito di considerarsi più russa di molti che erano nati là“Cioè? Lei non andrebbe mai in esilio, manco per salvarsi la vita, se non all’ultima chiamata .. Non è una martire. Ancora, non credo…” Non penso che volesse rientrare nell’elenco dei morti, non mi risultava.
“Sei cattiva come lei, comunque” il pianto nella voce, il mio tirarmi indietro lo aveva scosso “Come loro” una pausa “Non volevo che finisse così” Manco io Alessio, fidati.  E tanto avevi ragione te, avevo fatto un caos magistrale.  
Cattiva in modo diverso rispetto a quanto sopra.
" Ascolta dieci secondi, prima di saltare alle conclusioni " avevo voglia di prenderlo a schiaffi ed era tutto dire, vedevo come apriva e stringeva i pugni e reagiva, finalmente, dopo giorni. E parlava, il viso arrossato per la collera, infine non era abulico, fosse stato un bambino piccolo sarebbe stato più semplice da gestire e tanto non funzionava in quel modo, da una parte mi sarebbe piaciuto, avrei risparmiato affanni e casini " Vedi che ragioni .. .quando vuoi. Mica si tratta di tua nonna. Si tratta di Andres.. “
………………
Illusa, sei solo un’illusa.. mi aveva definito Anastasia, forse  a ragione o forse no. Che lo cambiavo, ci perdevo tempo, ci giocavo e mi sarei fatta ammazzare per lui, illusa vero, lo so, a sperare in un lieto fine.
Quando eravamo in mezzo al nulla e all'oblio, avevo tirato fuori la storia del Talmud, che se  chiamavi una persona con  un altro nome ne potevi cambiare il destino. Ero disperata, come LEI, e Andres era uscito fuori con l’appellativo del suo primo figlio, Xavier, nato prematuro e morto troppo presto, Xavier come suo padre, un nome amato, Xavier .. Xavier Fuentes, e tanto lo amavamo a prescindere. E Alessio non ne poteva più, non era il dolore fisico, che certo non gli mancava mai, quanto  la disperazione, il senso di vuoto, la colpa di essere sempre vivo.
Tornai  a noi “Senti, non funziona così, che sparisci e dopo fai le scenate, la devi piantare di fare finta di dormire, che capisci dopo una cosa per un’altra! Io ho sbagliato a non dirtelo, subito, eri  stravolto … E tu..  ti sei comportato da sconsiderato”
“Da che pulpito!! Tu cosa facevi, quando non ti tornava qualcosa?Sparivi e .. ”
“Basta, ti metto in punizione, basta intesi”
“E chi decide, sentiamo?”con sfida, puntiglio.
“IO e fine del dettato”
Quando usavi quel tono era meglio tacere, da una parte ero curioso di vedere che avresti inventato. E non ti era piaciuto il riferimento ai dileguamenti, da qualcuno avevo imparato, fidati.. E tacqui, che ti stava per venire un’arrabbiatura da segnare sul calendario, memorabile, avevi gli occhi  neri per la rabbia. E mi sentivo in colpa, volevo essere trattato da grande e mi ero comportato come un bambino.. Invece di chiedere, ero scappato e, in ogni modo, ero rimasto disorientato. E avevi pianto, cosa che detestavi e facevi ben di rado, almeno davanti a me, a mia volta odiavo le lacrime, che piangessi per me mi faceva sentire in colpa, da capo.

Mi ricordai che la madre di tuo marito era trapassata quando aveva circa 13 anni, Sofia il suo nome.
Mia madre era morta, un colpo di pallottola in fronte sparato dai nostri nemici, e avevo 13 anni, andavo per i 14. Rabbrividii.  Ed era caldo, l’afa pioveva nell’aria, ero sudato, incerto ed infelice, mi dovevi cambiare il pannolone, rilevai, me la ero fatta addosso “Appendermi per le orecchie non credo proprio, manca la porta”
“Alessio, continua … è proprio il caso di farmi saltare i nervi? Mi hai visto all’opera, sai come posso essere antipatica e CATTIVA” Tacqui, era vero.
Ma a quel giro volevi farmi riflettere, tu dietro. 
E intanto mi caricasti in braccio, attenta e lieve. "Sai che non ti picchierei, mai"
"Lo so" Ne avevi prese così tante quando eri piccola che mai avresti riservato ad altri quella tortura, non perchè ero malato. 

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Capitolo 38
*** Believe Me ***


“Ma che castigo è? Catherine” una sfumatura perplessa negli occhi, nella voce. E si divertiva, il mio furfante, in fondo.
“Zitto” la punizione era stare voltato verso un angolo, la sua schiena conto il mio torace, il mio ginocchio piegato per sostenere il suo ginocchio leso, lo avvolgevo con le braccia, casomai tentasse una nuova partenza barra fuga precipitosa.
Tacque, si rigirò. “Niente baci”severa, dopo che mi aveva sfiorato il mento, le guance, le tempie con tanti piccoli bacetti, mi imposi di non ricambiare.
“Perché ti corrompo” carezzandomi il viso. “Cat, Kitty Cat, gattina” come Olga, ai tempi immemori e felici sempre mi aveva chiamato “gattina” in inglese. Cat .. 
“Forse” e rideva, sghignazzai a mia volta, un modo come un altro per alleviare la tensione di quelle ore.  Anzi giorni, settimane e mesi,da quando avevo lasciato la Crimea, in maggio, fino ad ora era stata una totale disperazione, il massacro nella cantina uno stillicidio. Ci stavo male io a sentirne, figuriamoci Alessio, Anastasia, che vi avevano assistito, scampati per un pelo, alla morte, il dolore per Olga e le nostre sorelle, nostro padre, mi percosse il ventre in tentacoli serpentini. E non potevo viziarlo all’infinito, dandogliele vinte in perenne maniera. Era grande, dovevo trattarlo da tale. 
“Cerca di riflettere, dai, come me” omisi di aggiungere che ero esausta. E che mi rigiravi con un sorriso, come da prassi, percepii che mettevi le mani tra le mie e ti rilassavi, un calo di tensione, nonostante il mugugno che ero tutta ossa e muscoli, già. Ti voglio, Alessio, ti voglio tanto bene..
“Come alla Stavka, quella volta che avevo il raffreddore, mi tenevi così” una pausa “Avevo meno paura, sai, qualsiasi cosa fosse successa eri con me, non mi lasciavi solo”
E ora non era morto, Alessio aveva scampato il  decesso per puro miracolo, dal passato tornai a noi, lo strinsi, da capo, mi rituffai in quel ricordo, la gola piena di ragnatele, mi veniva da piangere come una deficiente. E non  era morto
a undici anni per una epistassi, a 14 era scampato a un eccidio.. Aleksey.. la paura, che avevo sperimentato vicino alle trincee, le granate che scoppiavano, era nulla in confronto a quei momenti. E la sua voglia di vivere rompeva ogni argine, non ammetteva deroga alcuna.
 E le mie braccia e le mie gambe erano una specie di fortezza contro cui si abbandonava, capiva che avrei voluto difenderlo da ogni male, sempre, tornò a rilassarsi e non andava, non poteva sparire in quel modo.
 “Hai sentito cosa ti dissi, quando sei andata via sul serio?”
“Allora.. che hai sussurrato, sentiamo? Mica ho avvertito nulla”
“Non te ne andare.. resta, ma forse l’ho pensato, dimmi una storia che non abbia fine, allora ci crederò, forse” 
 

…..E non era più un bambino, realizzai ora, un dolce e viziato ragazzino, reso fragile dalla sua patologia, nei mesi e nelle stagioni che erano seguite era mutato, un fighter prince, che non mollava mai, curioso, ironico ed esasperante, una meraviglia.
Alessio in greco significa colui che protegge ed era diventato il mio baluardo, un ristoro.
Nonostante la differenza di età, era il mio fratellino, il mio migliore amico, un eroe.
 Avevamo litigato. 
Eravamo diventati inseparabili. 
Eravamo cresciuti.
Che prezzo immane avevamo pagato entrambi. 
“Ti tenevo così, come altre volte”Sospirai. “Ti prego, cerca di riflettere quando fai le cose, per te, per tutti”gli sfiorai la punta del naso.
“Lo so, è importante”
“Come queste”gli diedi le mostrine che portava sulla casacca la notte del massacro, le iniziali A. N. intrecciate a quelle di N. A., Aleksey Nicolevic, Nicola Aleksandrovic, era quello l’uso, un omaggio tra le generazioni, un legame. Le avevo scucite con cura, prima di buttare via l’indumento imbrattato di sudore e sangue, il sangue di nostro padre e di sua madre. Anastasia era stata netta, buttalo, non lo vogliamo, non ci è servito, brucialo .. strappandosi il ciondolo che custodiva l’immagine di Rasputin,  una sua ciocca di unti capelli che le pendeva dal petto “NON E’ SERVITO A NULLA! !” come il suo biglietto, “Salvami e proteggimi”, una premura della zarina, Alessio mi disse di esserselo levato dopo la mia  visita, la ultima e prima a casa Ipatiev, si fidava di me e Andres, non del siberiano. Come da prassi. Rasputin aveva sedato Alessandra.. e tanto i suoi figli avevano sperimentato altro.  Non avevo tirato un fiato, né allora o poi, non vi riuscivo. 
“Sai che i rossi ci avevano ordinato di toglierle.. le mie mostrine”le prese tra i palmi, delicato. “Per offenderci, come se non avessimo onore”
“Un oltraggio, lo so” forse la punizione era chiacchierare tranquilli, lo stomaco mi gorgogliò. “Ho fame, mi fai compagnia?”
“Eh .. non posso mangiare?” basito “Mi scocci sempre con questo e … ora vorrei qualcosa, per favore”
Risi, rilevando che era stato educato. “Sono contenta” che avesse fame,  chiariamo, non che scappasse, il suo stomaco borbottò, come un eco di campana del mio. “Pane e formaggio”
“E mirtilli” una pausa “Ho visto un bel cespuglio” Mise le mostrine in tasca, tese le braccia, lo sollevai. “Lo sai che mi piacciono”
“Lo so”
Mi ricordai che, tornata a casa, Palazzo Raulov, dopo Spala, mi aveva accolto un mazzo di rose bianche, avvolte in un nastro verde, nella mia camera. Un suo ringraziamento, quei frutti sarebbero stati per l’estate successiva, avevamo trovato qualcosa che mangiava con appetito, senza smorfie.
Ah Alexei .. tossicchiai, imbarazzata, cambiai argomento “Una volta o l’altra tornerai a camminare”
“Seee… illusa” Tacqui un momento, lo aveva fatto, in qualche maniera si era mosso. Ora si reggeva in piedi, sostenuto,  non piegava il ginocchio, la lesione del suo ultimo attacco di emofilia che lo aveva confinato da settimane, mesi, ormai, a letto o in carrozzina, prima a Tolbosk, poi a Ekatenerimburg. Ora , invece, per spostarlo lo caricavamo in braccio. Comunque, che si tenesse in piedi era già qualcosa, tranne che qualcosa  aveva  inventato .. Boh.. “Hai camminato, forse?Quando piangevo ti sei spostato, l’altra volta, ora  eri sparito”nemmeno mi rispose. "Cammini, se vuoi" insistetti e lasciai perdere, ero svuotata e non avrei retto una lite che incombeva, gli occhi azzurri scuri, di ghiaccio, una nuvola. Ricordai che, dopo averlo recuperato, avevo notato un ramo, spoglio di foglie, vicino a lui, che poteva avergli fatto da bastone.
Chiusi gli occhi per un momento, mi abbandonai alla speranza.
 


Non che migliorasse dall’oggi al domani, si rimettesse in piedi e dimenticasse, come lei, solo che iniziarono a sfogarsi, la condivisione di un incubo a occhi aperti, avere toccato il fondo della realtà, una coppa di feccia e fiele bevuta fino all’ultima stilla.
Non sarebbe stato possibile, altrimenti. Non esisteva il fiume Lete, per dimenticare, non vi era il loto che conduceva all’oblio.. nemmeno lo avrebbero voluto, in fondo. 
Per non dimenticare. 
Quando salimmo in treno, un vagone sgangherato con i sedili in legno, iniziando il viaggio verso il porto di V. Anastasia osservò che i finestrini non erano sbarrati, respirò di sollievo, poteva capitare di tutto ma almeno .. Avete le armi e anche te le sai usare, rivolta ad Alessio, non è poco.
Era caldo, eravamo scomodi, e  si procedeva.
“.. a Tolbosk dicevamo le preghiere in un angolo della sala con icone e candele, ben di rado andavamo a messa.”
“.. la noia, anche se la ruotine era organizzata con preghiere, le letture, i pasti.. Papa leggeva ad alta voce …”
“E il freddo..”
“… organizzavamo delle recite. In inglese e francese, o in russo. Una volta, sai,  Papa”Alessio pronunciò quel nome senza inciampare nelle lacrime “ha interpretato un proprietario terriero, assai avido che cercava di frodare un povero contadino.. In una altra commedia vi era un vecchio medico di campagna,. Convinsi il Dr Botkin a farlo, gli feci intendere che solo lui poteva offrire una interpretazione esatta, alla fine lo fece.. !” Botkin ora era morto, insieme agli altri, si mise a guardare fuori dal finestrino senza vedere.  Dormivamo su due materassi buttati per terra, sempre meglio di nulla, e vedevo che aveva dolore, alla gamba, o mal di testa, e non si lamentava mai. “Stavo peggio a Tolbosk, non avevo paura di morire, ma di quello che potevano farci.. “Un sospiro “Ti chiamavo, ti ho chiamato tanto” le sue urla “Mamma! Catherine! Cat!” si sentivano fin nella strada, come che avesse cavalcato.. una delle sue crisi più tremende di emofilia.
Dalla nascita  a quel momento, sorvolando su quella del 1912, Spala e i suoi strascichi.
Era rimasto confinato a letto, quella primavera, con una emorragia interna quasi letale. E quando era migliorato, era solo una cauta perifrasi, dormiva male e i dolori, per quanto meno acuti, non erano finiti. Era dimagrito terribilmente, il colorito giallastro, come a  Spala, appunto. Non aveva appetito e stare tutto il giorno sdraiato sulla schiena lo stancava, come cambiare posizione. Sua madre si alternava a vegliarlo tutto il giorno e la notte con le sue sorelle e il marinaio Nagorny e Gilliard. Ora le spalline dell’uniforme sia lui che suo padre le portavano solo al chiuso, per evitare che venissero tolte, un sommo insulto per Nicola, che aveva amato l’esercito, era stato un colonnello, Alessio aveva le sue mostrine da Caporale Lanciere, dal 1916, effettive, particolare che lo aveva riempito di gioia ed orgoglio..
A Ekatenerimburg, aveva avuto una ulteriore ricaduta, capitombolando dal letto per cambiare posizione, vomito e insonnia e altro sofferenza come corollario. A onor del vero, nei panni di Alessio, avrei mollato da un pezzo, altro che storie.

Tacevo, le parole sarebbero state vane, inutili. Stavamo sempre insieme, gli potevo offrire  quello. Lo presi sulle gambe, mi circondò le spalle con il braccio, continuò a raccontare, allacciato stretto come se volesse difendersi da un mostruoso incubo, invece era una realtà durata circa un anno e rotti, una discesa negli inferi. Gli sfiorai i capelli. Istinto, forse per alcuni era pura esagerazione, quella ricerca continua di contato, tranne che se gli dava conforto, la vicinanza fisica, inutile negarglierla.
Dal suo punto di vista, mi spiegò una di quelle sere, lo avevo sempre tenuto al sicuro, coccolato e protetto, da quando era piccolo, pronta a dargli qualcosa nel momento esatto in cui la desiderava. Ed  avanti ancora, quando viveva al Quartier Generale con lo zar, durante la guerra,  ero forse stata  la sua compagnia preferita. E , nella prigionia a Carskoe Selo, nonostante le tempeste dell’adolescenza imminente e della prigionia, i litigi e il malumore, ci eravamo protetti, guardati e vigilati a vicenda. Ora, reduce da quelle atrocità, non avevo cuore di essere dura, arrogante e tenere la distanza.
“.. siamo arrivati in treno, ci hanno separato da Gilliard e via così.. “
“… osservati giorno e notte, le porte non si potevano chiudere a chiave ..”
“… le bestemmie …”
“Mangiavamo tutti insieme, sia noi che il personale, niente tovaglia o posate, solo dopo ci hanno concesso 5 forchette,da dividere in 15.. “ sbarravo gli occhi, era al di là di ogni possibile definizione.
“… Cat, Nagorny lo hanno mandato via solo perché mi aveva difeso, non voleva che mi rubassero una catenina d’ora con delle immagini sacre sopra il mio letto .. abbiamo fatto a botte“
“So che ti sei difeso e…”
“Che fine ha fatto” Deglutii e non risposi subito, intese al volo “CAT, come è morto”Sussultai afflitta “Fucilato in prigione .. ai primi di giugno”Fu Alessio a trasalire. “Perché …”
Avere avuto una risposta.
Mica l’ho trovata ancora, e sono passati tanti anni.
“A volte le cose succedono e non è colpa di nessuno, ma così..”
“Lo dicevo.. non che sia una grande risposta”
“Il potere dà alla testa”amaro, lucido, si mise a guardare fuori dal finestrino e dubito che vedesse alcun che di rilievo. Mi riscossi quando si spostò sulle mie gambe, fasciate dai pantaloni, un piccolo schiaffo impaziente sul mio ginocchio “Cat”
“Mmm?”

Eri spiritata, Cat, per i tuoi casi, che ne so. Parlasti a caso, distratta, in  quelle lunghe giornate  giocavamo a morra cinese, indovinelli e sciarade, un mazzo di carte  sgualcito il nostro sfogo, raccontavi, raccontavo, raccontavamo. Ogni tanto, dopo tre o quattro ore, mi controllavi il pannolino, se prima non mi ero arrossato in viso, mi mettevi sulla schiena e mi cambiavi, il tuo corpo e un angolo che facevano da schermo, mi massaggiavi le gambe doloranti, se cacciavo un pisolino era tra le tue braccia. Ero come un infante, dipendevo dagli altri, per le mie esigenze, e tanto non mi hai umiliato o preso in giro una sola volta, consideravi il tutto un inciampo, una parentesi che si sarebbe risolta
“Perché sei uno scocciatore, figuriamoci se può essere in perpetuo” la diagnosi di Andres
“Sono un invalido E uno storpio” calcando i termini
“Ti abbiamo mai trattato così? Da pobrecito” poveretto, in spagnolo, si stava arrabbiando
“Mi avete viziato”
“Oddio, Alessio .. sei un ragazzo intelligente, como mi mujer” la sua donna, tradussi “Comportatevi da tali” quindi “In maniera volontaria mai, non ti abbiamo mai trattato da invalido” ancora, tenne a rettificare.
Era vero. “E non cominciamo adesso” Anche quello era effettivo
“E comunque non sono uno scocciatore” Inarcò un principesco sopracciglio scuro, divertito. “Sicuro?”
“Non su tutto e non sempre” precisai, Andres non aveva quasi mai torto.  
Anche io raccontavo,  pareva incredibile avere scampato la morte in tutti quegli anni, una sorta di tragica ironia.  Violenze e massacri, da dubitare che un tempo vi fosse la concordia, la pace. La cieca testardaggine del disastro.
Omettevo le parti in cui ero sporca, taciturna, i silenzi, la passione selvaggia e feroce con Andres, gli oblii  e gli stordimenti iniziali,  lesioni aperte e spesso invisibili.
“… avevi paura?”
“Sì e no, mi veniva dopo … durante, ero troppo impegnata” una pausa “O prima, diciamo che cercavo di non pensarci, sarei stata imbecille in caso contrario, Alessio” annuì, quella non era una ballata di eroi ed epici miti. “O forse era come sdoppiarsi in due.. eh, Cat”
Era stato un lavoro, tra virgolette, sporco, faticoso, sul piano emotivo un risucchio.
Ero stata un agente segreto per la polizia segreta russa, la Ocharana, la copertura era stata essere infermiera volontaria sulla Marna. Mio zio, membro ufficioso della polizia segreta di cui sopra, riteneva che avrei mollato dopo un mese, come no, ero selce, fumo, disperazione. E tempo di una settimana avevo preso chi doveva proteggermi,ero stordita dalla disperazione tranne che non ero così idiota da speculare che avrebbe mandato una ragazza di 19 anni allo sbaraglio, senza reti di protezione.
Peripli e incastri, la polizia segreta russa collaborava con i servizi inglesi e francesi, ebbi degli incarichi, un nome in codice, Cassiopeia 130.

Avevo appreso a stare da sola, conoscendo una solitudine che non avrei mai reputato possibile.

Nelle notti insonni e solitarie, era tornata la mia antica passione per la lettura. Omero, Machiavelli, Dante, Shakespeare e Flaubert, le lingue straniere, ero una furtiva ombra che danzava sotto le stelle, i lampioni, una principessa di neve e brina.
 
Ora aveva 14 anni, meno di un mese prima aveva rischiato di non arrivarci, era orfano e sopravissuto a una strage, a dispetto di ogni rilievo, previsione o altro.
E lo stringevo, da capo, ormai ero traslata dall’essere una madrina del suo battesimo, atea quasi conclamata e  convertita al cattolicesimo, a essere la sua mamma.
A sei settimane, cominciò a sanguinargli l’ombelico, il flusso continuò per ore e il sangue non coagulava.
Era la sua prima emorragia.
Era emofiliaco.
Il giorno avanti mi aveva sorriso per la prima volta. Ora, mi sorrideva di nuovo ed ancora.  Il terrore di quando iniziava a andare carponi, a camminare, le dolorose cadute, i gonfiori e i suoi pianti. Ti posso solo amare, Alessio, sono una peccatrice, una bastarda e una puttana, l’affetto per te non è mai trasceso, giorno per giorno vivrò con la terribile ansietà che ha corroso tua madre e nostro padre.  Ne vale la pena.. sì, ora e sempre., parafrasando il motto dei principi Fuentes.

 
“My fighter prince, you’ re so brave, strong .. despite everything that happened to you”
“I know it, I’ve learnt it” Seriously. 
Da un appunto di Andres  Fuentes “ Alla fine, ce l’avevamo fatta. Eravamo a P. porto della  Siberia, la nave pronta, i documenti erano a posto, sia lui che lei avevano una nuova identità. Destinazione Danimarca, era un miracolo totale”
“Oggi cosa vuoi fare?” tornando a noi, lo portavo a fare il bagno, in quei giorni, nell'acqua muoveva le gambe senza pesi e faceva riabilitazione, ci divertivamo tra noi, 
“Stare in spiaggia, fare un bagno e .. sentire la verità, per davvero, che siamo fratelli, lo so” Mi prese il viso tra le mani, studiò la mia espressione sbarrata, da pesce lesso, gli baciai il palmo, ora era serissimo “Va bene, ormai il peggio di me lo conosci”
“Me lo ha detto Papa, dopo che eri venuta … Olga lo sapeva?” Scrollai la testa, energica “Io non glielo ho mai detto … credo che alla fine lo abbia capito, io ci sono arrivata molto dopo”
“Mai? Te e lei vi dicevate tutto”
“Mai a parole e tanto.. Non tutto, alcune cose erano solo sue e viceversa“ che quel legame, a prescindere da Alessandra, la gelosia di Tata, le apparenze, dalla vita era durato tra alti e basi, saldo e immutabile, la comprensione e quindi il perdono. Nessun gesto eclatante o iperbolico, andare avanti, senza mollare.
“Ora abbracciami, tienimi stretto, il peggio di te non mi interessa” Mia stupida, coraggiosa eroina, mi aveva appellato Olga, molte stagioni prima. Come se coraggio e stupidità procedessero, era ben credibile.  
“Che posso farne di peggio?”
“Sciocca, tu sei il meglio, sempre, anche se a volte .. anzi spesso, sei isterica, nervosa e prepotente”
“Smack” schioccai.
“E hai tante buone qualità ..”
“Bravo, tranne che noi donne preferiamo le lodi alle critiche, me compresa, hai ben imparato” ironica. Lo caricai in braccio, delicata, ormai era un movimento automatico, leggero, percepii il noto rilievo delle sue braccia sul collo, lui il mio movimento di serrarlo contro il petto, l’attenzione alla gamba lesa, gli feci una confidenza “Sai, a prescindere da tutto.. Io pensavo che non avrei mai avuto figli, di essere incapace, inabile .. Di non sapere amare niente e nessuno, invece.. “
“Risveglio la tua parte migliore, lo so” tenero “Anche se non si direbbe, di primo acchito, e tanto dopo mi dici” come ti definivi, eri uno scocciatore, su molti argomenti e temi.

Dopo raccontai la cronaca  di una tristezza senza fine, Aleksey.   Mia madre e le sue tristezze, la passione per lo zar, i demoni e la redenzione. Il mio odio, che mi aveva picchiato, il mio giudizio, il mio matrimonio con Luois, le assenze e le perdite, ero il lupo, Cassiopeia, la tua Cat. Molte definizioni, un solo amore.
Siamo noi che rimaniamo.
Omisi le lettere, quello era un affare privato di Ella Rostov Raulov e di Nicola Romanov, mi mancò il cuore di dargli, sul momento quel dolore, non mi sentivo ancora pronta. A prescindere da ogni valutazione o rilievo morale, mia madre ha avuto un matrimonio infernale, lo zar era stato fatto prigioniero e fucilato, qualunque peccato avesse compiuto lo aveva certo ben riscontato.
Mi AVEVA AMATO.
Quanto resta .. solo tremule fiammelle contro lo spettro del tempo, la barriera della memoria, al diavolo i dannati.
 
“Sirio. Aldebaran” indicando le stelle, parevano piccole lampade  dorate contro lo scuro drappo dell’orizzonte, per Olga erano lanterne abitate da spiriti amici. Sotto, il rumore dell’acqua, lo sciabordare del mare. Ci eravamo. “Belle..”
“Siete sicuri?”
“Certo..” fece una pausa, poi passò a indicare la costellazione del Leone, il suo segno zodiacale. “Tu hai cambiato idea?” irrigidendosi, lo bloccai prima che sparisse o scappasse, era un asso in quello, esalai rapida. “Figuriamoci, Alessio, mai, ormai abbiamo deciso. Io non cambio MAI idea. Sai come si dice mai in spagnolo?”
“Dimmelo”
“Nunca”   lo sillabò, attento. “Sai Cat perché ho suggerito Leon come primo appellativo?” per il secondo, adorato bambino, Leon Jaime Nicolas dei Fuentes.
“Uno, perché è uno degli stemmi araldici dei Fuentes, il leone che danza. Due, io sono del segno del leone .. Tre, tuo marito si chiama Leon”
“Come terzo appellativo” ridacchiai. “Il terzo maschio lo chiamo Alejo” sbuffò “Anche no, per te devo rimanere l’unico e il solo”
“Lo so, scherzo, per me sei unico, lo sai” gli baciai la guancia, omisi domande di ruotine, se dovevo cambiarlo, se aveva fame o sete o il mal di testa, me lo raccolsi contro.
 
Neverending story. 
Cat .. dimmi una storia che non abbia mai termine, alla fine ci crederò.
Non è colpa tua, tesoro, Alessio, anzi Xavier, te lo ripeterò fino alla fine del mondo, al termine ci crederai, lo so. I love You forever, I'll lack You for always

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Capitolo 39
*** A Journey, Tears and Secrets ***


“Bravissimi” Anastasia torse il polso, fece scorrere il filo e l’aquilone corse verso il cielo. Io avevo recuperato dei fogli di carta, Alessio i rametti e poi si era messo a costruire l’aquilone, usando il filo di cotone di un rocchetto “Siete stati bravi davvero” Annuii, il mento sopra le ginocchia, quello era un rito di congedo “Grazie”
Vola e dimentica, impara a ripetere addio al dolore..

Nel viaggio di andata, dalla Crimea fino alla Siberia, avevo ammazzato un soldato rosso, prima di giungere a Ekaterimburg. Le mani lordate di sangue, l’eccidio in cantina, solo Alessio e Anastasia sopravissuti.
Era per difesa, Andres .. lascio perdere, per me, per noi avrebbe compiuto una strage.  E viceversa, io non ero da meno.
Ancora  e di nuovo, eravamo soldati, complici.
Come ai tempi degli ingaggi, ero montata sopra un tetto, usando  le sconnessure del muro ed i ripiani delle mensole delle finestre come appoggio per i piedi, la grondaia e poi ero rotolata sulle tegole, certo più leggera di Andres e tanto ..  per poco non ero ruzzolata di sotto.
Ancora, mi ero addormentata a cavallo, dopo 35 ore di veglia, per un soffio non ero caduta di sella, a costo di spaccarmi l’osso del collo, solo l’istinto di sopravvivenza,  mille volte mobilitato, mi aveva fatto risvegliare.
Mattias, la guardia infiltrata, glielo aveva detto sia ad Alessio che Anastasia, lui si era convinto che, a prescindere dai miei momenti di fiacca e debolezza, ero una comune mortale, fossi davvero una eroina, una principessa dragone,. Un mito.
Ed intanto ..Rabbrividii pensando alle gesta di Alessio, salvo arrabbiarmi, non era uno storpio indifeso, non dovevo pensarlo, non lo dovevo compatire e nemmeno lui.
Era davvero un fighter, un combattente.
Eravamo stati amici, fratelli, compagni di armi.


Non dormivo, Cat, passammo la notte in bianco, dopo il volo dell’aquilone, ognuno murato nei suoi pensieri. E  ci muovemmo solo quando mi cambiasti il pannolino, ero fradicio, ti mormorai qualcosa, il viso contro il tuo, rimasi in attesa per un breve respiro, e affermasti “da”, sì in russo, di malavoglia, capivi il rito e tanto .. “Se ho bisogno sei la prima persona che chiamo” posasti la fronte contro il mio gomito, respirando per darti coraggio.  Era una idiozia, rischiavo di sentirmi male, forse, e da un lato ero convinto. “Sono sicuro, fidati” “Fatto tutto tu”  

Quando Alessio salì sullo scalandrone della nave che li portava via, ci mise una lunga eternità. Era in piedi, si spostava con la sola forza di volontà e delle sue  braccia, spostando il peso delle sue gambe malferme sul corrimano. Era un breve tratto, pochi passi, per una persona che saliva senza patemi.
Per lui, ogni attimo era una via crucis, sia fisica che morale,  ripeteva addio al passato, alla sua infanzia, una stagione lieve e aurea che doveva prepararlo ad  un futuro di regnante. Alla fanciullezza, in cui aveva vissuto come un soldato al Quartier Generale delle truppe a Mogilev. Alla stagione in prigionia, prima a Carskoe Selo, a Tolbosk e infine a Ekaterinburg,  e si preparava all’incertezza. Prendeva congedo dal mondo in cui era nato e cresciuto, si preparava per un altro, lasciando
una acclarata sofferenza per una amara incertezza.
Aveva alcune opzioni, andare dalla zarina madre, l’Inghilterra o l’America o..
Ahumada, la rocca dei Fuentes. Una alternativa e allora ben poco si dava il lusso di sognare, la sua mente era abitata da demoni, incubi e fantasmi, il futuro un lusso aleatorio. Osservò che Catherine passava un braccio sulle spalle di Anastasia, la tratteneva “Lascialo stare, per te, per lui” 
“Ha bisogno di aiuto”
“Lo fa da solo, dagli fiducia.. ce la farà“ mi squadrò, ironica. “Ci credi te e lui”
“E va bene così, siamo abbastanza, LUI è convinto “ ribadii,
 sul ponte mi allontanai di cinque passi, presi una sigaretta da Andres, la fumai rabbiosa, io che non fumavo mai, per perdere tempo, tenermi occupata. Era cresciuto, era grande, non potevo trattarlo da perenne invalido. Signore, ti prego.. Io che pregavo..  Un Dio indifferente, che non ascoltava nessuno.  Ricordai Alix che pregava nella chiesa di Nostra Signora a Carskoe Selo, le pareti invase dalle sacre icone, il profumo di incenso, si era appellata a Dio e Rasputin quando i medici le avevano tolto ogni speranza, nelle ombre tremule di icone e candele ripeteva “Dio è giusto”. Io che pregavo nelle lunghe notti di veglia, che Raulov smettesse di picchiare mia madre, che avesse altri affari che non fossero con la sua bottiglia. E le ossa e i lividi che dolevano, il mio corpo sottile di bambina devastato dalla violenza. “Cat” quando ero con lui, il sorriso di Olga e una cantina, casa Ipatiev, rumori di pallottole, fumo e rombi di cannoni. Occhi di onice, occhi di zaffiro. Fumai un’altra sigaretta, desiderando essere altrove, con i miei figli, a cavalcare, sull’orizzonte, perdermi e scappare. E tanto non funzionava in quel modo, il bene di Alessio prevaleva sul mio, anche in quella circostanza.
Il cerchio rossastro della sigaretta mi ricordava una perduta eco, un fuoco fatuo, ombre tremanti, milioni di destini e storie, invece eravamo lì, una sola possibilità.
Sei la sua mamma, ti considera tale, Catherine, mi ricordai e mi imposi, è nato due volte, una volta dalla zarina, questa da te, il tuo amore non ha limiti o confini, è figlio del tuo cuore, sempre è nel tuo cuore, ogni strada scelga, qualsiasi cosa diventi, lascialo libero.
“Mamma sarebbe volata.. a prenderti“
“Mamma non mi avrebbe mai fatto fare” rincalzò lui, lucido e amaro “ Lo sai, mi avrebbe tenuto a letto e fine, anzi avrebbe ordinato ai marinai di legarmi” Anastasia sussultò addolorata, era la verità, l’amore di Alix per lui, quella preferenza smoderata che aveva causato la gelosia delle sorelle, il dolore dello zar, aveva allontanato Alessio, che l’aveva amata e tanto..  “Da piccolo lo dicevi spesso, voglio Cat” Alessio annuì. E aveva l’esatta cognizione che Catherine fremeva, si fidava di lui, come Andres, e tanto gli pesava.
Addio.
“Cat.. per favore” mosse un passo, era sul ponte, era riuscito a salire lo scalandrone, si appoggiava contro il parapetto. Era pallido e sudato, pregai che non si sentisse male per la fatica, idiota io che lo avevo lasciato fare .. E  non lo trattare da invalido o menomato, lo sa lui fino a quale punto può spingersi, forse ha imparato il buon senso.. O forse no. Quando mi chiamò mi vietai di scattare, con delicatezza,  me lo caricai addosso incuneandolo contro il fianco, percepii il suo braccio, appoggiai la guancia contro la sua “Se ti reggo ce la fai a rimanere in piedi?”
“Sì, Rimaniamo fino a quando non si vede più terra..” si appoggiò contro di me, con tutto il peso, non barcollai, rimasi salda.
Non pianse, non fece un singhiozzo.
Left of me.
 
Non ne potevo più Cat, ero stanco, sudato e infelice. Mi rannicchiai contro di te, quando non si vedeva un solo filo di terra, la testa contro il tuo seno, il mio luogo di protezione e ristoro. “Ti va di mangiare un boccone” Scossi il capo, nell’aria il tuo sussurro. “Va bene, poi, quando te la senti” “Raccontami una storia” Un mio antidoto agli incubi e alla nostalgia, da sempre .. Mi raccontasti di cavalli, amori, lontananze .. caddi nel sonno, con un piccolo mormorio, come un ruscello in inverno, quando riposa.
Raccontami una storia che non abbia mai termine, forse alla fine ci crederò. 

Ti cambiai il pannolone, Alessio, la fatica ti aveva spossato, mettendotene uno pulito al volo, alla fine dormivi e tanto “CAT…” “Sono qui” serrandoti “Mamma..” finii di allacciarlo, rivestendoti, ti misi contro di me, sussurrando vecchie e nuove alchimie “La tua mamma Alessio è con te, sempre, è fiera di te, orgogliosa ..” Se parlavo per me o Alix.. lascio ai posteri la sentenza  “ Mamma.. “ “Stiamo fuori, all’aperto, la notte è tanto bella..”Annaspavi nelle vie del sonno, cercai la calma per entrambi.
Sapevo che non avrei messo più piede in Russia, never more. “SSt..” Due materassi buttati per terra, le cuccette erano strette e il pavimento della cabina non era tra i posti più scomodi dove avessimo dormito.  Orami mi ero abituata in quel modo.
Il mio bambino.
Ti appoggiai la nuca contro l’ansa del mio gomito, mi stesi vicino a te, eri fumo e cristallo e perfezione, il mio bambino, once and again, ti baciai le guance,  la fronte, i capelli.
 Uno spartiacque tra il dopo e il prima, una terra di mezzo per riflettere, fare il punto.
Viaggi, sia fuori che dentro di noi, su quella nave.
La previdenza organizzativa, sapevamo che da quel punto partivano le rotte per l’America e il Nord Europa, senza fallo.
Era basilare  andarsene via, che la guerra tra bianchi e rossi per il potere stava squassando la Russia.
A prescindere da chi avesse vinto, sarebbero rimaste solo cenere, macerie e disperazione.
 
Ancora, rimbalzi e peripli che si incuneavano nel presente, ricomponevo nella mente la lettera di Olga, i suoi quaderni” ..la  bella notizia di quel mese, il dicembre 1916,  fu l’annuncio ufficiale della tua gravidanza, che bello, anche ora ne rido, io lo sapevo dal principio, che mi avevi chiesto di insegnarti a fare due scarpine da neonato.. E nulla, ti avevo spiegato a voce, dato un foglio riepilogativo e tanto.. Non era nelle tue specifiche competenze, ma andava bene uguale. In ogni caso, nei primi giorni di dicembre Papa e Alessio vennero per qualche giorno e LUI ce la servì all’ora del thè serale, io nascosi il sorriso dentro la tazza, discreta e ironica. Mamma rise e scosse la testa, fece portare dello champagne. Che se ne era accorta alla cena per l’onomastico, ti sventagliavi, con troppo entusiasmo, per i profumi, annoverò che eri tra le poche fortunate che non soffriva di troppi problemi digestivi e nausee. Altra cosa che la rallegrò fu apprendere che ad Ahumada era stato costruito un ospedale, intitolato alla “Emperatriz Alejandra”, inaugurato alla presenza della regina Ena di Spagna, che le mandò una missiva affettuosa per corriere diplomatico. Fuentes padre era stato di parola, celere, abile e svelto. Il reparto pediatrico era intitolato a Xavier Fuentes…Ed ho pianto per quel bambino, la sua piccola vita è stata quella di un angelo, di una speranza, perdona la retorica Cat..”
“.. non per intenti celebrativi del nostro nome, solo per ricordare un bambino che c’è stato e non è più, ovvero il nostro primo nipote, figlio di Andres Fuentes, vissuto e morto nel giro di una settimana, nel 1901, Xavier dei Fuentes”la regina Ena mandò il discorso inaugurale, spagnolo con la traduzione inglese, Alessandra lo scorse il giorno dopo, contenta di non averlo letto con suo figlio presente.
Quella era stata la tragedia di Andres Fuentes, l’eroe di Calle Mayor, il picador senza paura, il principe occidentale, il generale dei leggendari dragoni spagnoli, il cavaliere dagli occhi verdi, di fumo e rovina. Era il mese di dicembre 1916. 
..me ne sono andato perché il mio dolore era troppo grande, e la mia casa troppo piccola, Alessio. Mio figlio era minuscolo e perfetto.. Un principe combattente, un Fuentes..che non mollava, solo la morte lo ha sconfitto. E io sono rimasto solo. 

Quando Andres seppe di come era intitolato il reparto, tirò una manata all’architrave della porta, così forte che rimase il segno nel legno. “Non ne aveva diritto, che c’incastra mio figlio.. Il mio primogenito”neanche badava al dolore, tanto era su di giri. Il suo primogenito, vero, che aveva amato, un lottatore, fosse stato meno prematuro sarebbe sopravissuto e la  vita sarebbe stata ben diversa.
Dovevo venire da voi, Cat, nel vostro alloggio, mi accompagnava tuo zio quando udimmo dei toni alti, di collera, impossibile fingere, ci fermammo impalati.
“Per ricordare, che credi. Proprio tu, che ti sei fatto tatuare il nome Xavier e 1901 sulla rosa che il leone rampante tiene tra le zampe, che hai dato la maggior parte delle tue rendite e dei tuoi ingaggi a scuole e orfanotrofi e ospedali..Proprio tu” la tua voce, Cat, la riconobbi appena tanto era alta.
“Era mio figlio, non il suo.. Se ci fosse stato un ospedale.. Se..Se non avessi pensato a soccorrere gli altri e solo a loro” Quella di Andres, che berciava più di te, tuo zio mi passò una mano sulla spalla, io capivo che eravate arrabbiati per qualcosa, lui decodificava le parole. “.. Quando ho chiesto ad Isabel di sposarmi, avevo quindici anni, lei diciassette, eravamo follemente innamorati, pieni di speranza, il mondo ci apparteneva, il nostro affetto un baluardo e... Cosa ci è rimasto. Toccava a me, non a loro..“
“Se e ma..La via verso l’inferno è lastricata dalle buone intenzioni, che credi.. “
Non urlare con me..”
“Sei tu che sei fuori controllo..allora come è colpa di Enrique, lo è di Marianna, Jaime e tuo padre, dovevi spaccare denti e braccio pure a loro, anzi li ammazzavi tutti e facevi prima”
 “E’ atroce.. Loro non c’entrano nulla”.
“E ti senti meglio a ubriacarti e a spaccare le cose?A essertene andato, sei diventato l’eroe di calle Mayor, il picador e la spia che volevi crepare, Andres, come me quando me ne sono andata.. Volevo crepare e tanto non mi è riuscito”
Le lingue le sapevate bene, Cat, eravate dei poliglotti, eravate spaziati dallo spagnolo al russo all’inglese, così che intesi. E apprendevo cose che nessuno mi aveva mai detto, orrore, violenza, un passato di lacrime e dolore. Mi sentii male per te, e per me, i litigi, le lacrime mi agitavano. E capivo molte cose, le malinconie, i silenzi, che nascondevi sotto una allegra ironia. Maschere su maschere, per difesa.
 “Ripeto.. non ne aveva diritto, era mio figlio, non il suo, me ne sono andato per non impazzire, magari scordavo”
“Andres, non dire balle, non raccontarti stronzate, ti sei fatto tatuare il nome Xavier e 1901 sulla rosa che il leone rampante tiene tra le zampe.. Non volevi dimenticare, non hai mai voluto dimenticare” annottando le parolacce, le sapevi, eccome, non eri una dolce fanciulla, quanto un vero soldato, oneri e onori compresi. Mi venne da sorridere, con amarezza, eri davvero un maschio mancato, e tanto ti volevo bene, la tua tenerezza era rara, riservata a pochi eletti, la mia principessa soldato.

“COSA NE SAI?Possibile che tu.. Calmati, pensa al bambino”
“Io cosa? l’abbiamo fatto insieme, o sbaglio? Non ti ridarò Isabel o Xavier, la vita che avreste avuto, pure.. QUANDO MI SCOPAVI MICA TI TIRAVI INDIETRO”
“Io non sarò Luois, mai, né questo bambino sostituirà quelli che hai perso..” Figli? Dove li avevi messi? Mai saputo che ne avessi avuti, Catherine. Scopavi? 
 “Smettila di bere così, non fare come il principe Raulov quando era ubriaco e picchiava mia madre o me, in verità lo faceva pure da sobrio. O mi frustava, le cicatrici che ho le hai ben viste.”  Respirai a fondo, non era possibile, Cat, no.
NO.
NO.
Il tuo corpo 
 “Non sono Lui..” una pausa, sia io che tuo zio R-R pensammo che vi sareste ammazzati, lui mi impose di non intervenire, riconobbi il tuo duro e ereditario cipiglio. “Sono cose loro .. private tra marito e moglie, e se urlano così …” Le apprendevamo pure noi, per reciproco e sommo imbarazzo.
 “Ti comporti, come Lui” Quindi uscisti, rigida e impalata per la rabbia, la linea dura della mascella, le mani in tasca, strette a pugno, sbigottendo quando ci vedesti, sussurrasti Alexei, felice come sempre di vedermi, da sempre, nonostante tutto.
 “Ciao, vado a fare un giro. Scusatemi, ora sono troppo arrabbiata, scusami Zarevic, a dopo”un inchino.
 “Se proprio devi andare vai..”capendo che a breve saresti esplosa di nuovo, meglio se ti toglievi, mia madre si arrabbiava con chi nulla incastrava con le  sue collere, tu preferivi cambiare aria, e tanto, dal rossore che avevi sugli zigomi capivo che eri nera, a memoria mia non ti avevo visto mai in quella guisa.
Salvo tornare, mi ero spaventato per quella esplosione di violenza, disperazione e rabbia.
"Zarevic"
 “Zarevic volete venire con me qualche minuto?” ti presi per il braccio.
“Alessio, io..”
“Parliamo dopo, Cat”
“Scusami.. non dovevi sentire..  “
"Ho sentito.. qualcosa.., anche troppo” ironico per difesa, andando da Castore, il tuo cavallo, conoscendoti lo avresti sellato e saresti sparita per ore, in altre occasioni potevano passare giorni o settimane, ma non funzionava così, eravamo amici, non potevi andartene sempre.
“Aleksej” il mio nome, un soffio di vento. 
“Sei arrabbiata nera”ti serrai per la vita, il viso contro il tuo stomaco, per rassicurarmi, eri lì, non eri sparita.
 “Ora ti calmi” il mio ordine, staccandomi alla fine, il viso arrossato, il tono fermo, calmo per non agitarti a tua volta, per me “Io rimango tranquillo e ti aspetto dopo, va bene?Ed è un ordine tassativo, principessa, guai a te se mi disobbedisci”
“Va bene, vai da mio zio, per favore”
“Ti ferma.. ??”io manco ci provavo.
“Anche no.. le principesse Raulov .. io e mia mamma..quando fanno così.. sono da mollare per la loro strada”
“Ti aiuto a sellarlo, vuoi?E non salgo o monto, ora sei troppo nervosa”
“Scusami, zarevic, scusami, ma non reggo altro..” in modalità isterica barra nervosa eri imprevedibile, lo so.
 “Alessio, mi devo sfogare, da sola”
“A cavallo, noto” roteando gli occhi, ed eri incinta, e tanto non ragionavi, rilevai tra me che eri una sconsiderata, con te stessa in primis.
“Torno nel pomeriggio”
“A che ore”
“Le sei”
 “E’ buio ..”
 “Dimmelo te l’orario, zarevic” un compromesso.
“Le due..Cat, ti aspetto. Vai, ora, e guai a te se ritardi”


Pochi minuti dopo si sentì un cavallo che rompeva al galoppo più sfrenato nella tarda mattinata invernale, non nevicava e in tempo di poco eravate spariti, affondavi i talloni nelle costole di Castore come un’indemoniata. Lui reagì con entusiasmo e rampò sulle zampe posteriori, eravate una sola immagine di perfezione, un mito, come la brina che gioca con i vetri e compie i suoi ricami. “E’ fuori controllo .. una vera amazzone“tuo zio, sospirando esasperato, mentre suggeriva immagini di libertà “Una matta allo sbaraglio, come sua madre, Dio ci scampi, e sua cognata, Marianna ” Una pausa “E Andres non va compatito, come moglie l’ha voluta e se la è scelta, se la è proprio cercata, guai a chi gliela portava via” come lo zar mio padre, aveva insistito per prendere in moglie mia madre contro tutto e tutti, salvo essere compatito, denigrato e schernito,  lei era una isterica per i più, che lo dominava, che non era stata buona nemmeno a dargli un erede sano, ovvero io, cercavo di non pensarci per non arrabbiarmi, essere triste.
“Ha scelto bene, come lei”
“Sul momento ne dubitano entrambi.. “lo squadrai, ironico, R-R era scapolo, e le sue amanti erano la favola della capitale, meno ipocrita lui di tanti altri, e forse ne capiva più di molti, meno simulatore, forse. Chissà se non si era sposato per l’incapacità di scegliere, il piacere affidato al caso.
Dal passato, la tua voce, un ricordo in frantumi.
“Ciao, che fai?”
“Studio.. O ci provo. “Posando il libro sul tavolo di legno intarsiato, lo studio di R- R era arredato con mobili di pregio, mappe alle parerti e volumi rilegati, di squisita fattura, alla fine eri venuta, rilevai che era un poco prima delle due, non eri in ritardo, semmai in anticipo.
 “Eri arrabbiatissima”
“ Sì Alessio, e non ero arrabbiata con te,  sono uscita per calmarmi. “
Non mi volevi..” reprressi la voglia di piangere, tu eri una amazzone, una principessa combattente, egoista e senza misura, entrambi meritavamo di meglio di patetiche scene. 
“Zarevic, ero fuori di me. Avrei rischiato di aprire bocca e dire cose che non pensavo..scusami per tutto, ma sono qui, ho rispettato l’orario”
“Cioè, ti fa arrabbiare qualcuno e te la prendi con qualcun altro..Molto maturo e poi il bambino sono io, come al solito” Sorridesti, contrita. “E hai evitato.. Sparendo per ore.” Mi hai fatto preoccupare era sottointeso, pure.. “A volte ti arrabbi anche tu, e se qualcuno ti sta troppo addosso che fai..”
Io ti ho sempre voluto Alessio, bada, tranne che una pazza isterica e delirante avrebbe nociuto a entrambi. Dopo, quando eri diventato un orfano, letteralmente piovuto e VOLUTO, bada il temine, tra le mie braccia, avrei cambiato registro, senza se e ma, nessun rimpianto, avrei anteposto il tuo bene, al mio. A mia discolpa posso affermare che nel 1916 ancora i miei figli non erano nati, ero all'oscuro di quanto e come avrei imparato ad amarti. Badando a sorvolare sul mio egoismo, il senso di inutilità (mio) e molto ancora, in una estate amara avresti appreso quel mio nuovo sapere. E non ero sola in quel percorso.
 “Scatto.. Quella volta della nonna, mi hai fatto calmare e poi.. Sapevo che eri lì, ma se mi facevi tante domande avrei fatto una bizza..E sapevo che tornavi, me lo avevi detto” senza insistere oltre, apristi le braccia, ti strinsi. “E te ne vai, poi?Senza dirmi nulla” che era il tuo vizio e difetto principale, Cat, non era affatto scontato che svanissi del tutto, come il profumo delle rose, una risata, un raggio di luna.
“No, Zarevic, te lo già detto, non capiterà più che scompaia all’improvviso per un ghiribizzo, in modo volontario”
“Veramente è la prima, che lo dici a voce alta” Vero..  “Non sei tornata solo perché era un ordine”
 “Ti ho fatto preoccupare a sufficienza, ci mancava solo che arrivassi in ritardo”una pausa “Ti voglio bene lo sai”

“E’ che.. una volta Andres mi ha detto che la sua casa era troppo piccola e il suo dolore troppo grande e se ne è andato. Te lo hai già fatto. Non era un ghiribizzo, come osservi. Era per i figli, Xavier.. Ma i tuoi bambini.. Cat, mica vai via di nuovo??” quando il tuo primo marito, Luois, era morto nel settembre 1914 era morto, eri sparita dalla sera alla mattina, senza appello. Soffrivi, e avevi fatto soffrire a tua volta chi ti voleva bene. A cominciare da Olga, pur se negava quella ovvietà. E la avevo sentita piangere a notti e sere intere, salvo negare l’evidenza, leale a te fino all’ultimo.  Io ci avevo sofferto a prescindere, alle volte chi ti vuole bene riesce a farti provare dolore in modo incommensurabile, dovevp esserci abituato e non avevo quella abitudine.
“Non me ne vado più Alessio.. Però." soffiando tra i miei capelli"... Andiamo con ordine, zarevic. Ad Ahumada hanno aperto un ospedale intitolato “Emperatriz Alejandra”, come la tua mamma, e un reparto si chiama “Xavier Fuentes”, in onore e memoria di un bambino morto troppo presto, cioè il figlio di Andres.. Lui se ne è andato quando era un ragazzo per non impazzire per il dolore..E ne parla poco e mal volentieri, è una ferita ancora aperta..”Semplici sillabe, ero teso, attento, in ascolto “Ed è bastato questo per farlo scattare..E tu?Figli ..”allibito, addolorato ”Ero incinta e li ho persi.. la seconda volta è stato quando mi hanno detto che era morto Luois. Anche io me ne sono andata per non impazzire, o almeno ero convinta di questo” una lacrima scivolò solitaria sulla guancia, me la asciugò con un bacio “Invece sei tornata. Hai me, hai Olga e le mie sorelle. Tua madre ti vuole bene, come Sasha.. E Andres ti adora, la risolverete” ora capivo, compresi che ti fidavi, non eravamo complici solo nelle scemenze. “E i gemelli..” “Scherzaci, un precedente vi è..Sul serio”anche se l’idea ti metteva pensiero, due bambini in un colpo solo erano una facezia burlona pure per te “Poi ti proteggo IO. Che precedente?”curioso “I figli di Felipe  de Moguer…erano due” “Moguer..??” “Il nome spagnolo..” e passammo ad altro.
 
Una discriminante tra il dopo e il prima, una terra di mezzo per riflettere, avevi osservato Cat, su quella nave oltre al nostro quartetto c’erano anche altre persone, oltre l’equipaggio, che avrebbero proseguito oltre Copenaghen. Per tacito pudore, evitavamo domande precise, eravamo tutti scampati a un diverso destino, una ecatombe.
Lei l’ho notata il secondo giorno, ero su una sedia sul ponte, a trarre beneficio dall’aria, dopo tanti mesi volevo goderne il più possibile, il sole e l’odore del mare.
Aveva un bel profilo, regolare e nitido, le labbra stanche e perfette, i capelli biondo scuro, lei.
Ero sempre vivo, senza fallo, malgrado tutto, non volevo pensare troppo a quella dannata miseria. Osservavo anche quella ragazzina, credo avesse la mia età.
 Si chiamava Annelise, un nome alla francese, i suoi avevano origini in quelle terre, trasferiti in  Russia, ora profughi.
Il mio primo amore.
Un piccolo e chiuso universo.
Sguardi e scarni sorrisi, stranieri lasciando la nostra casa.
 
Non era l’inizio di nulla, non era una romantica ballata, una canzone, solo un poco di conforto ed una pura emozione. “Qual è il tuo nome?”
“Xavier” Le labbra risplendevano alla luce delle lampade, le feci mie, un piccolo e rapido movimento. Vino e lacrime, annoto, e sangue sulle mani, prima.
Mi sentivo potente, immortale, come tutti.
Così sia.
E quindi il senso di colpa, il rimorso, la malinconia, come infinite gocce di pioggia, ero un lurido peccatore.
La mia  solitudine si incrociava con la sua.
E i cieli estivi, zaffiro, acquamarina e cobalto si inarcavano sopra di noi, con un pigro sbadiglio, ci salutavano, come i tramonti, freddi e delicati.
 
Anastasia meditava in disparte, cercava di venirne a capo. Solitudine relativa, tranne che si ritagliava i suoi spazi.
Le nuvole definivano l’orizzonte, come una linea di confine, parevano mappe geografiche, multiformi, il mare una striscia blu di satin
Io e Andres .. non voglio rievocare quello che combinavamo, era stato, almeno fino a  quel momento, il nostro sesso più orgiastico e sfrenato, lui usava il mio corpo, io il suo.
I se e i ma, il senso di colpa, per essere sempre vivi..
Quando Andres mi guardava, mi sentivo una dea.
Ci conoscevamo bene, ormai, mai rimanevamo perplessi l’uno dell’altra, il sesso e l’attrazione erano e rimanevano portentosi.
Lui era il mio amore, per lui sarei stata l’ultimo, credo, mi amava. Ci divideva solo il respiro.  L’ho amato per tutta la vita.
“Cat.. “mi girai di fianco, lo ascoltavo
“Grazie per tutto..”
“Figurati .. che avrei fatto, io, di specifico?” arrossì come un papavero, fino alle orecchie, credo, gli baciai una tempia sudata, era l’estate o un incubo.
“E’ che … “ avevo sentito che si agitava, un incubo, come da prassi, lo avevo scosso, passando dal sonno alla veglia in una frazione, dormivo vicino a lui. “Me lo merito … in fondo”
“Cosa?” Benissimo, attaccavamo con gli indovinelli. “Non mi devi dire tutto, non sei obbligato … “Anastasia si girò nel sonno, lo presi in braccio e uscimmo nell’aria fredda della notte, per parlare in pace, senza disturbare gli altri.
“Sono un peccatore ..”Si guardava le mani. Allora capii, una specie di limpida prescienza, con lui ero sempre sveglia, attiva. “Alessio, se hai accettato che sia  io che Andres siamo soldati”In qualche modo,  evento che implicava il poter uccidere, tirai su con il naso come lui “Perché non vai oltre e applichi lo stesso anche per te?Era per difesa.. se non lo avessi fatto, sarei morta. O rimanere ferita”
Una pausa, gli sfiorai il braccio gonfio, la sua malattia continuava inesorabile, gli si gonfiavano le articolazioni, tumefazioni collaterali e non dolorose, gli applicavo il ghiaccio, gli massaggiavo le mani, le gambe, le articolazioni, lo amavo sempre, come e più di me stessa, al pari dei miei figli assenti, so che in fondo all’anima lo sapeva. “Se non lo facevi .. a prescindere da me, credi che i miei bambini meritassero di rimanere orfani?”
“No..” una pausa “ASSOLUTAMENTE NO”
“Un soldato può anche uccidere, non è solo andare in parata, belli lustri”
“E’ dura” Scrollai le spalle, era vero.
Un profondo sospiro mi partì dal torace, era ineludibile. Era cresciuto, mi aveva difeso, così confermando che NON era un invalido, uno storpio e un incapace, io lo avevo imparato, in teoria, nella pratica ora lo aveva appreso pure lui.
Prima di raggiungere il porto in Siberia, aveva ucciso un rosso, dannata la sua miseria, per difendermi, la reazione veloce, istintiva. “Io.. “
“Mi poteva ammazzare. Mi poteva violentare. Poteva essere un ladro. Mi hai difeso, Alessio, mi hai protetto, lo hai fatto e sei stato … magistrale”
Aveva reagito prima che potessimo fare alcunché.
Era un eroe.
Era un rompiscatole.
Un folletto diabolico, dallo spirito arguto.
Che mi faceva ridere e piangere.
Era un titano.
Soprattutto, era il mio fighter prince.
Anche il mio bambino, my little prince.
A warrior, Aleksey full of grace.
..  
“Eccoci, ti piace?” Ero piena di progetti, idee e parole, mi imposi di non blaterare invano,  non so per quanto.
“Sì.. ma io.. noi … che faremo?” mi sfiorò il gomito. -
“Quello che vuoi. Vuoi un valletto maschile? Per ..” Scosse il capo, serrandomi con le braccia, rischiando di strozzarmi. “Vuoi me?” percepii un sì.
“Va bene.. hai ragione, sarei gelosa, sono abituata a fare tutto io” ridacchiò, chiusi le palpebre, un breve momento, sperando di non sclerare, IO, per il bene di tutti
“E’ questione di misure e abitudini .. cerca di essere paziente, Xavier” inciampai nel suo nuovo appellativo, se inventi un altro nome, puoi avere un altro destino, avevo detto in una delle prime serate di disperazione, Andres aveva sillabato “Xavier” il nome del suo amato primo figlio, la sua tragedia. “Dobbiamo prendere agio”
“Sì”
“Sai che significa Xavier, in spagnolo? Casa nuova..”
“Bellissimo”
 
 
 

Il nostro sgangherato quartetto era approdato a Copenaghen il 15 settembre 1918. Nessuno voleva lasciare nessuno, pochi i conciliaboli, decisi gli sguardi,  Andres portava Alessio in braccio,  io camminavo vicina, Anastasia mi teneva il gomito, i particolari, l’odore di sale e catrame, avevamo centrato l’obbiettivo di sopravvivere.
“Forse potevamo trovare di meglio”
“Va benissimo, invece”
Una casa in affitto, profumava di cera per pavimenti e limoni, tre camere da letto, la cucina, il salotto, vicina a una biblioteca e a una pasticceria. Nessuna cameriera, forse avremmo chiamato una ragazza a ore, ero abituata tenere pulito senza invasioni.
Lo volevo portare in giro, alle giostre, allo zoo, in libreria, a messa.
Volevo che ridesse.
Che stesse bene.
Che camminasse.
Ero piena di idee e progetti, ripeto.
Ma avevo anche una ASSENZA, un bisogno da colmare.
Varie ASSENZE.
OLGA.
TATA.
MARIE.
FELIPE.
LEON.
PAPA…
Sono orfana.
MAMMA.
Ferite che si sarebbero tramutate in cicatrici, quando un mistero
Le cose pratiche, i soldi da ritirare in banca, affanno e confusione, fare la spesa, pulire, comprare vestiti nuovi, che il mio piccolo principe era cresciuto di statura (ancora!) e via così.
Anastasia parlava molto poco, ogni tanto infilava una delle sue uscite taglienti, argute, per lo più era incredula, di essere sopravissuta, si chiedeva cosa farne di se stessa.
“Non devi chiedermi il permesso di nulla”
“Ma io ..” da una infanzia sotto sorveglianza, come principessa imperiale, chiusa e protetta, fino alla devastazione della prigionia, per giungere all’attualità dell’incognito e di essere orfana,  il passo era lungo. Con Alessio, nel 1916, ai tempi del Quartiere Generale, qualche volta a San Pietroburgo, eravamo andati in giro, in incognito, lui non era sgomento per quello, lei sì.
“Tu devi fare come ti senti, intesi”
“Nessuna regola?Mamma ce le imponeva sempre"
 Nessuna punizione o isteria, mi imposi.. nojn ero una martire, IO
 ”Anastasia, non sono un Cerbero” un sorvegliante infernale, recepì, forse Olga glielo aveva insegnato, una pausa “Solo .. se vuoi venire con me, che ne so dalla sarta” la biancheria e i vestiti stavano insieme per mera cortesia “Dimmelo, magari ci andiamo insieme” “Non so il danese o ..” scrollai le spalle “O lo spagnolo” scrollai le spalle, da capo, un movimento incurante e festoso, della serie imparerai.  Caricò una risatina nervosa, recepì l’ironia della situazione, si sarebbe applicata a studiare le lingue, senza pressioni, le sfide che sceglieva da sola  le piacevano. “O da sola .. dimmelo” “TI FIDI?” “CERTO CHE SI’”
"Anastasia, io NON “calcai il termine” sono tua madre, lei cercava di fare al meglio possibile" Per salvaguardia  dei morti, da noi vivi, lei tacque, ormai era andata.
Io ogni tanto sparivo nella vasca da bagno, le essenze di  rosa e arancia amara usate senza risparmio come il sapone, salvo riemergere avvolta in un telo, i capelli bagnati e scuri, pieni di nodi, una battaglia epica per districarli, parevo una ninfa oceanina o una disperata, che per poco non era dispersa nella vasca, appunto. Le gravidanze mi avevano segnato il fisico, i fianchi più larghi, la vita meno sottile, una suntuosa seconda aveva lasciato il posto del passato piattume, il busto non lo mettevo più, per regola e norma. A furia di spostare Alessio, mi erano venuti dei suntuosi muscoli sulle spalle e le braccia “Sei bellissima”annotava Andres, alla sua sgangherata ed improponibile moglie.
Scrutavo le foto dei miei bambini, l’ambasciata spagnola in quel della capitale danese aveva portato quel ristoro, i progressi della loro crescita, lettere di mia madre, colloqui al telefono. Il primo minuto sia Ella che io parevamo due ubriache rintronate, senza parole e il respiro in affanno. E di sottofondo percepivo mio fratello Aleksander, il suo cicaleccio, esalai “Come va?” banale.
“Ce la caviamo. Cat quando torni? Quando tornate? Mi manchi” netto e preciso, senza voli diplomatici. “Cat, lo hai portato via?”
“Sì, torniamo quando è finita la guerra, e ci muoviamo senza pericolo”
“Cat”
“Ti voglio bene”
“Lo so e pure io”
Piansi come un pavone sgozzato al termine.
 

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Capitolo 40
*** Remain ***


“Basta, che divento una teiera, sono pieno di tè”
Petulante.
“Non ho fame”
Scocciato.
“E’ troppo scomodo”
Nervoso.
“E’ troppo morbido”
Monello.
“Ho caldo”
Forse, che avevi la fronte calda, colpa mia che ti avevo messo due coperte sulle gambe, per dare calore.
“Ho freddo”
Vedi sopra, avevo tolto una coperta.
“Ho fame”
Lo segno sul calendario.

“Non ho fame”
La prassi, mi rifiuto di darti corda.
“Non mi voglio lavare”
Ti lavi, non transigo, prima o poi lo fai.

“Non voglio il pannolino”
Finchè non stai in piedi lo porti, lo sai.

“Voglio farmi il bagno”
Alleluia.

“Voglio il pannolone”
Sei stanco e sai che sono stanca, non vuoi che ti portiamo in bagno, ti adegui.

“Ho sonno”
Meno male che succede.
Battute infinite con Alexei, in quelle settimane, lui parlava, io rispondevo tra me e me, lo adoravo, da sempre, e ci conoscevamo tanto poco, cercavo di stare calma, o tentavo, l’adulta nominale ero io.

Come non ti sia riuscito ad evitare di scoppiare in collera Cat, resta un mistero. Ora, invece di murarmi nel silenzio, a una domanda rispondevo con un’altra questione e non me ne andava bene una, dicevo una frase e poi l’opposto, replicando no a dritto a ogni opzione.
Facevo i capricci, diceva Anastasia, che gusto ci trovi a farla ammattire lo sai solo tu, mi dava un bacio e non mi considerava, era matura od egoista nel riprendersi dalla perdita, senza badarmi?.
La frustrazione.
Senza motivo.
O tutti.
Non ne potevo più.
Le mie bizze, da annotare sul calendario, variavo con ostinata perseveranza.
E tu serafica, sorridente, senza repliche, non ti smontavi.
Nell’apparenza eri salda e tranquilla, senza mugugni.
Che andavi macchinando? Sicuro che andavi almanaccando qualcosa nella tua testolina, ti conoscevo abbastanza bene, ormai.
Perché non mi lasciavi perdere?
Da una parte volevo stare solo, a compartirmi, dall’altra, volevo e desideravo anche l’aria, la luce.
Cat mi avevi inviato alle rapide spedizioni, dal sarto, in biblioteca, allo zoo, alle giostre, in  chiesa, due ore al massimo, io dichiaravo di “No” a prescindere, e mi offendevo se non mi dicevi nulla.
 “Alessio, vuoi che ti porti in braccio “
“No”
“Proviamo con delle stampelle? Un bastone?” per camminare,  se volevo stavo in piedi e facevo qualche passo, il ginocchio mi dava meno fastidio.
“NO.”
“Sulla sedia a rotelle?”
“NO” all’infinito.
“Sai qualche altra parola, oltre a no?”
“NO” scrollando le palpebre.
“Che noia”
“Che noia lo dico io, Cat”
“Ah bene, dici altro oltre a no”
“NO”  ti sentii ridere di gusto, di pieno cuore o per i nervi.  E avevo infilato il tuo nomignolo, Cat, come da prassi.
Quello era un nostro tipico dialogo, con poche variazioni e misure.

Dall’agosto 1917 fino al luglio 1918, ti avevo aspettato per un anno, o quasi, eri my solace e tanto ero arrabbiato, curvo e sconfitto, mi bastava rivederti per sapere che non era così. Ero un guerriero, non avevo lucenti armature, e un giorno dopo l’altro ero vissuto, senza mollare a prescindere dalle mie crisi.
Sarei crollato senza te? Quien sabe, tranne che mi avevi insegnato a resistere, tu sostenevi il contrario.
La mia principessa guerriera.
Eri leggenda, Cat, eri il sole.
Io il solito impiastro.
E tanto la notte ti volevo avere vicino, e viceversa, se avevo un incubo mi svegliavi, e io te, anche tu avevi gli incubi di continuo. Una pausa, credo, prima della parata e dell’affondo. A volte, svegliandomi ti ritrovavo vicina, il calore e il respiro, mi stringevi “Aleksey” un quieto mormorio “Mamma” ti chiamavo in quel modo, anche se non volevi, dicevi che non ti spettava quell’epiteto, io ribattevo che giocavi da sempre con me, mi raccontavi le storie, mi confortavi, eri la mia mamma, come Olga e Tata, loro erano morte, mi restavi solo te, non replicavi, madre e mamma, due parole che significavano un mondo diverso, la zarina era mia madre. Ed eravamo talmente in confidenza e simbiosi, mi fidavo di te come nessuno al mondo, Cat, che la mattina prima che iniziasse l’ennesima, infinita giornata mi dicevo che forse ce l’avrei fatta. La tua presenza mi impediva di piangere per ore, volevo mia madre e mio padre, le mie sorelle, la vita di prima, prima della rivoluzione e della prigionia, intendo.
Ero stato l’erede al trono e quindi il figlio di un tiranno e di meretrice. Contrasti da incubo. E ora avevo solo te e Andres e Anastasia, un futuro incerto e tormenti garantiti. 
“Così non va sai” una pausa, ti mettesti a distanza, avevo passato i primi giorni da incubo nel torpore, nella disperazione, sempre aggrappato alle tue braccia, mi sentivo meno di niente e per te ero tutto, ti volevo tanto bene e ci conoscevamo così poco, Cat “Per te, che credi, non è vita.. a te è sempre piaciuto, vivere, così è uno stillicidio, Alessio”
“NO”
Riferito a mia madre, a te, alla sorte, gli assassini.
A mio padre che aveva abdicato, per sé e per me, una lesione senza ritorno dei miei diritti.
Da capo.
Non lo so.
Una negazione all’essere nato “disgraziato”, che un movimento troppo brusco mi poteva essere letale, a mia madre che aveva creduto in santi e santoni, in Rasputin, spengendo ogni buonsenso nella disperazione, nel rimorso e nella cattiva salute, che la malattia me la aveva passata lei, l’emofilia si era trasmessa dalla regina Vittoria in poi, la mia bisnonna, nelle case reali di Russia, Germania e Spagna.
La sofferenza.
La solitudine anche in mezzo alle persone.
“NOOO”
Ti tirai una spinta, ora avevo sviluppato anche il vizio di essere recalcitrante e bizzoso, usando una forza che non credevo di avere, rimanesti basita, per poco non andasti per terra, ti copristi il viso con le mani, per evitare sfregi. Borbottasti che non era aria, in punizione, a riflettere entrambi, il viso contro una parete, mi tenevi abbracciato. “Scusami” “Alessio, non mi piace questo comportamento” Rovesciai il viso verso l’alto per guardarti, eri chiusa e dura, le sopracciglia aggrottate e gli occhi erano neri, in senso metaforico e letterale (… quando ero piccola e angariata, sai quante volte Raulov mi ha sbattuto per terra? Chiudiamo qui, che di incubi ne abbiamo a sufficienza)
“Scusami”
“Scuse accettate e tanto in punizione rimani uguale” tuffasti la testa contro la mia spalla, sapevo che per poco non mi avevi picchiato, resistendo comunque al richiamo della frustrazione, dei nodi di angoscia e disperazione.

“Va bene”
Rimanesti  rigida, ricordai che le avevi prese quando eri piccola, posai la schiena contro il tuo torace, ti presi le mani, la testa contro la spalla, percepii che sospiravi, esasperata forse.  E divertita, una cosa inopinata “Non mi corrompi, Alessio” una pausa “In punizione meditativa rimani, come me, che non ho capito come trattarti”
“Non è una punizione, questa per me” mugugnai, ti baciai il palmo della mano, era calloso, avevi le unghie corte. Non era una punizione, ripeto. Era amore.
“Me lo immagino” Mi ritrovavo esatto nell’incavo delle tue braccia, mi sentivo al sicuro, come sempre, un innocente e un tiranno.
L’esilio e la disperazione, ora ero a casa mia.
Once and again.
Cat raccontami una storia che non abbia termine, alla fine ci crederò, ci crederemo.
….
Che palle, annottavo tra me e te lo concedevo, quella era una reazione al lutto, al dramma che ti era toccato, mi ricordavo la pazienza. Di non sbuffare o rispondere male, come un pezzo di ghiaccio in una giornata di primavera,  le parolacce mentali erano uno sfogo, che sennò sarei esplosa, mi conoscevo parecchio bene in quei frangenti. Dovevo e cercavo di essere impassibile.
Anastasia meditava parecchio, per conto suo, ribadisco, ogni tanto parlavate, non so di cosa, di specifico. E non me la sentivo di caricarla di quel fardello, del tuo accudimento pratico, tranne che, come già rilevato, con Andres ti vergognavi e lei non avrebbe saputo gestirti, nonostante la buona volontà, l’assistenza era complessa, definizione ridottissima.
E volevi me, lo avevi ribadito fino alla nausea.
Valletti e infermieri no, solo me.
Cercavo di capirti, Alessio, lo giuro.
La frustrazione.
Senza motivo.
O tutti.
Non ne potevi più, dicevi ogni tanto, non era colpa mia, di sicuro,  e ti dovevi sfogare, eri un asso Aleksey, e io ero una campionessa di testardaggine.
Bisognava valutare chi si sarebbe sfinito prima.
Se non mangiavi ai pasti, stavi a digiuno, non cedevo di una iota.
Non volevi uscire, sul momento non forzavo, troppo.
Ammettevo, almeno tra me, che ero una grande rompiscatole, non ti davo requie.
“Cosa fai, sono stanco” non sentii volutamente, lo misi seduto davanti al tavolo dinanzi a noi
“Ora mi aiuti, voglio fare una torta di mele e le patatine fritte” cibi che aveva adorato, a Mogilev, e dopo, che sapevo cucinare, insieme ad altri “Intanto mi mangio una fetta di pane con la marmellata di mirtilli” stanco o meno, pane caldo, burro e marmellata gli aprirono lo stomaco, prassi consolidata.
“Buffona,” enunciò lui mangiando la fetta, il sole accendeva di riflessi autunnali, ambrati i suoi capelli“Sai che li adoro, i mirtilli”
“Buffona” di nuovo  “Si dice che Bucefalo, appunto, il cavallo di Alessandro Magno, fosse un Akhal-Teke, un cavallo celeste” come un insulto e si divertiva come me, un ossimoro in termini.
“Giusto, credo di avertelo detto io” buttai via le bucce di mela, dentro il fuoco della stufa, l’aroma si sparse, gli diedi il tempo di leccare la pastella della torta senza che me ne accorgessi.
“E mi aspetta ad Ahumada?”
“Se vuoi, solo se vuoi”
“Intanto vorrei un quaderno per fare un diario”
Come Olga, come le nostre sorelle, scrivevano giorno per giorno i piccoli fatti, cronache di una vita che non sarebbe più tornata, le lezioni, le gite in slitta, visite di famiglia, partite a tennis  e quanto altro. Come aveva fatto lo zar, annotazioni giornaliere che avevano cadenzato la sua esistenza.
“Va bene” cambiai parere, andai a prendere una cosa“Forza, infilati questa giacca” porgendogli l’indumento, mi obbedì senza altre osservazioni, tranne sbuffare, sonoro.
“Perché?” intanto mi sentiva trafficare, cigolii e rumori, avevo aperto la porta.
“Cat?”
 “Non capisco”
“Cat?”
“Sì che capisci, usciamo, lo scegli te” una pausa “Dai, Alessio, per favore”
Spostò gli occhi da me e alla porta, soffiando. “Dammi il braccio, forza! Ci arrivo da solo, sostienimi solo un poco” Quando fu sulla sedia a rotelle, mi accoccolai sui talloni “Davvero, devi uscire” mi buttò le braccia sul collo, serrandomi forte, gli massaggiai la schiena, intanto appoggiavo il mento sopra la cima dei suoi corti capelli castani “Un’ora al massimo, per gradi, Catherine, tutto insieme non reggo”
“Promesso, fidati”
Mi guardò male, si fidava di me più di ogni persona al mondo e viceversa, era scontato e non lo era affatto, stavo per tracimare, se fossi esplosa me ne sarei pentita e tanto la persona adulta ero io, dovevo ricordarmene.
Ed era un primo pomeriggio, il cielo sfumato di cobalto, la luce del sole batteva sulle facciate delle case, regalando ambrati riflessi. Lui  osservò la gente, le strade, curioso. Gli  piaceva, fine del dettato. Ed era nervoso, osservai che stringeva i braccioli fino a farsi sbiancare le nocche. Trattamento d’urto, forse eccessivo, gli faceva male stare sempre chiuso, d’altra parte le mie risorse e la mia pazienza si stavano esaurendo.
“E’ stato così tremendo?” scrollò le spalle. “Io .. “eravamo di nuovo a casa, la sortita era durata meno di tre quarti d’ora, non gli avevo messo neanche il pannolino, provvidi al rientro, era così assorto che manco mi badava. Lascialo stare, non lo assillare. “Ma ..” una pausa “Sai che ..”
“Cosa Alessio?”
“Nulla” facendo una smorfia, frammentata, decodificai che non lo sapeva nemmeno lui, io che dovevo dire, nulla per non dire tutto. “Ti fa  voglia di riprendere a studiare qualcosa?”
“Voglio anche giocare, non tendere troppo la corda”
“A cosa?Morra cinese, dama, scacchi..” elencando con le mani.
“Anche e  .. vorrei disegnare”
“Mmm.. alianti e aeroplanini..” una rapida lista che gli era piaciuta, sempre, ricordai quando era piccolo, una volta, facevo le bolle di sapone e si divertiva a farle scoppiare tra le manine paffute “Sì” glielo richiesi “Alessio, scusa se ti ho assillato.. vorresti un valletto maschile? Saresti forse più a tuo agio, per  essere lavato e accudito, credo”viva la ripetizione..
“Io voglio te”Uno scatto limpido, senza fallo “Vieni qui, tranquillo, per quello stai tranquillo, non ti lascio”
“Sicuro?”
“Sicuro” tremavo, mi calmò, la sua agitazione cedeva il passo alla mia.
Io ero occupata da Alessio, in un certo senso era la mia fortuna, mi impediva di abbandonarmi alla cupezza, al dolore.
Anche se lo assillavo in maniera costante e esponenziale.
Per il resto di quel pomeriggio non tirai un fiato, con la scusa di pelare cipolle davo libero sfogo alle lacrime. Lui era assorbito dal quaderno, dai fogli sciolti e dalle penne e dai pastelli colorati. Mi misi a pulire da cima a fondo, le spalle che sussultavano.
Piangevo.
Mi mancava Olga, e Tata e Marie e i miei figli, avevo timore di quello che potevo dire o fare ….

“Hai pianto e non sono le cipolle”Alessio fece la sua diagnosi, verso le sette, sentii le sue mani sul viso,  mi faceva male la schiena, mi doveva venire il ciclo e avevo i nervi in procinto di scoppiare, ormai era abitudine e prassi. “Forse no, oppure sì”replicai.  
“Catherine” Mi sdraiai vicino al lui sul divano, il suo reame, mi fece il solletico, mi fece fare un sorriso con le dita. Gli baciai la fronte, tra una cosa e l’altra era l’ora di cena, alla fine.
Dal nuovo diario di Alessio “.. prima sera che scrivo qualcosa. Sono stanco, ho mangiato zuppa di cipolle, fatta da Cat, e pane e formaggio, mele croccanti. Mi sembra un componimento dei bambini piccoli, cosa ho mangiato, ma ho tanto da dire e anche nulla, da non sapere come fare” un banale esordio che poco rivelava e nulla nascondeva.
“Lo leggi?”
“No, sono cose tue private”
“Ma non ho nulla da nascondere”
“Cose tue private uguale” almeno quello, annotai. Si lavò i denti, andò in bagno, accompagnato da Andres, parlottando poi con  Anastasia, fino alle dieci di sera, risatine e sussurri divertiti, al loro invito, mi unii pure io, osservando un aliante, un modellino.
“Te lo porti a dormire?”
“Sì” lo fece ondeggiare sopra di sé, un breve volo, annodandomi le braccia mentre lo svestivo, mi aiutava, “Ti voglio bene, Cat” “Io pure, tantissimo” una pausa “So che lo sai” , almeno quello senza filtri, iperboliche parole, lo sapevamo, faceva piacere dirlo, gli misi il pannolone per la notte, prima o poi avrei smesso di lavarlo e cambiarlo, o almeno speravo “Sempre Cat” Ti scocciavo da quando eri piccolissimo, figuriamoci se non lo sapevi, tesoro mio, pure mi faceva piacere che ogni tanto me lo dicessi “I am your little prince”
You’re my treasure, Aleksey. Always ”
… mi amavi, Fuentes, sempre, che le tue esigenze cedevano il passo a quelle di un ragazzo scampato a un dramma, che aveva bisogno di me e io di lui, in quei giorni infiniti che si arrotolavano l’altro sull’uno, anteponevi il desiderio di condividere il letto con me, tutta la notte, rispetto ai bisogni di Alessio, che si era abituato, rilevo, a dormire con me a distanza di un palmo. Salvo spiazzarmi e spiazzarci, il mio bambino, chiuso nelle sue ineludibili fragilità che dentro era una gigante.
Un titano.
Ce la avrebbe fatta, sarebbe stato bene.
Bene nel senso che sarebbe sopravissuto al trauma e allo sconquasso, sarebbe diventato grande, un soldato, forse, e tanto era già un eroe, senza peso o misura.
 “Cat” mi chiamava, tenero.
“Sono qui”
“ Grazie”
“ E dai, io non faccio nulla di speciale,  piantala”
“Questo lo decido io, non tu”
Ma stava meglio, un giorno dopo l’altro, pace che si fosse fissato.  
 . E la guerra era ormai agli sgoccioli, andava veramente a rotoli per Austria e Germania. La Russia, con la pace separata di Brest-Litovsk del marzo 1918, si era tirata fuori dal parapiglia, trovandosi invischiata negli scontri tra Bianchi e Rossi, propedeutici per la guerra civile in suntuoso  corso.
Anche io avevo controllato, come da prassi, il lupo e Cassiopeia, la spia bara tornavano in quelle lunghe sere, era cambiata come l’estate che segue la primavera, un implicito percorso.
“Che inventa Andres?”. Alessio mi servì la domanda dopo colazione, io fissavo ipnotizzata un vaso con delle rose che mi aveva regalato, dai petali vellutati, quindi la tazza di caffè, era piena e fredda ormai, mi ero versata il liquido scordando di berlo, persa dietro alle mie vaghezze mentali “Di tutto un poco”

“Cat” tornai dal mio volo pindarico, nel passato, mi accorsi che aveva finito una brioche alla ciliegia E il mio caffè. “Ti fa male, freddo, dico”
“Cat, andiamo a fare una passeggiata? Per favore, eh”glissando sul mio appunto pro forma.
“Subito, ma te lo prendi decente, caldo”
“Che?”
“Il caffè” il sorriso gli arrivò fino alle orecchie.
E uscire gli era piaciuto.
Per gradi.
 
Camminammo nelle vie lastricate del centro, era una bella città, ricca di architettura, storia e salubrità. Osservavo i percorsi della luce, gli angoli. Rettifica, io camminavo e spingevo Alessio, sulla sedia a rotelle, gli promisi una sorpresa, scrutandolo con occhi d’aquila per vedere se era stanco, sudava, la folla gli dava fastidio.
Stupida.
Idiota.
Voglio che si goda la vita.
E non devi opprimerlo.
Muta, cretina.
“Che sorpresa?”
Dal nuovo diario di Alessio “… siamo stati a messa, una chiesa ortodossa a sette minuti a piedi da casa. Cioè, Cat, camminava, io ero sulla sedia a rotelle. Una funzione completa
Di due ore, non ricordo che si celebrava, ma era la casa di Dio, poteva sostare anche una principessa cattolica, convertita come me. Da quello che avevo capito, la Danimarca era tollerante ma i culti erano ammessi. Scrutai le icone, un piccolo, brillante movimento.
Dal nuovo diario di Alessio “…tornati a casa, sorpresa, il tappeto dei giochi
Era un angolo del salotto con tappeti morbidi, cuscini, un piccolo regno con libri e cuscini, un caleidoscopio. “Niente spigoli” rilevò Alessio, che non vi erano mobili, si poteva spostare da solo, senza patire il freddo, che il pavimento era di parquet. Niente sedia a rotelle, nessun pericolo immediato.
“Che idea”
“Un’idea, qualcosa che posso fare…”senza il perenne incubo di un urto contro un mobile. Un pensiero la cui semplice ovvietà lasciava basiti. Dopo anni di attento, sorveglianza e timore ..
Dal nuovo diario di Alessio senza data “… io non avrei dovuto fare nulla e avere nulla, che ero in un dato senso disgraziato, come dicevo gli altri potevano fare tutto e io nulla. E sono riuscito a ridere, mi piacevano i cavalli e le storie di Cat, l’esercito e i mirtilli.. Senza cedere”
Nessuno capitolava, si restava solo spiazzati.
Come Anastasia, quando pescò Andres che aveva finito di cucinare porc en croùte da cui colava burro alla mostarda, accompagnato da fagioli e patate, oltre che una tarte au citron. Il pane lo avevamo acquistato, la perfezione di Andres non si estendeva anche in quell’ambito“Sai cucinare?” gli fosse spuntata una altra testa sarebbe rimasta meno allibita.
La sua risata faceva vibrare le pareti “Ebbene sì” affermò Andres. “Raccontale della Leonessa di Ahumada” ghignò Alessio, prima di fiondarsi sulla cena. Inutile, avevo imparato a fare qualche torta, le patatine fritte, uova fritte e pollame, aprivo le scatolette di cibo con consumata perizia e poco altro e tanto Andres mi batteva serenamente su tutta la linea, accidenti. In compenso affermava che ero bravissima a tagliare la frutta per la macedonia e gradiva i nostri spuntini a base di fragole e panna, divorava i frutti e la sottoscritta ..  e viceversa ..Mm.
“La leonessa di Ahumada?? Chi è”
“E dai che la conosci, almeno di vista. Vediamo se indovini.. è mora, con gli occhi verdi, Alessio la ritiene una calamità che mi è capitata, la moglie me la sono cercata” gli giunse un colpo sul braccio, di mio finto sdegno.
“Tua sorella?La marchesa?”  con stupore, rincalcando le parole di Alessio, in una lontana stagione.
“ Marianna Sofia Fuentes, maritata Cepeuda.. Che ti prende per sfinimento, dura come una selce..E di una scommessa persa”
“Racconta. Immediatamente”
“Allora.. nel 1896, mio padre portò me e i miei fratelli in Africa, a caccia. “Alessio si mise in ascolto, da capo, vorace, Andres era meglio di un teatrino dei burattini, quando era in forma, come adesso, poteva tenere banco per ore ”. .Chiaramente la ragazza sapeva sparare.. Gazzelle, impala, e così via, ma la preda più ambita era il leone, ovvero il re della foresta. Con Jaime e Enrique stabilimmo che il primo che avesse abbattuto un leone, avrebbe imposto una penitenza agli altri.. eravamo dopo cena, bevendoci una birra, lei leggeva qualcosa poco distante, e tanto ascoltava, fidati, due orecchie tese come castelli per sentire quello che inventavamo. Intervenne, piccata, giustamente, che non era stata presa in considerazione e per evitare spargimenti di sangue, che lei ci avrebbe trucidati ben prima ..stabilimmo che avrebbe partecipato, anche se ritenevamo che fosse una cosa da maschi. Che non ci avevano capito nulla, infatti fu la ragazza a acchiappare il solo leone della spedizione e ci servì una lezione memorabile” si asciugò le  mani in un canovaccio, Anastasia sorrideva, incredula.
“Cioè.. ??Vi fece prendere lezioni di cucina?E vostro padre non osservò nulla??”
“ Disse che avevamo dato la parola e quindi dovevamo imparare, che Marianna ci aveva ben gabbati. Che imparassimo una cosa da donna, ecco l’ironia della leonessa”
Una pausa “E si raffredda, non voglio avere cucinato invano” affermò il picador, l’eroe della Calle Mayor, Andres Felipe Leon, principe Fuentes dai mille talenti e misteri.
E con Alessio, da capo e di nuovo, mi divertivo, ridevo e mi esasperavo.
E leggevo i giornali, anche indietro, l’offensiva dell’estate 1918, le battaglie e i ripieghi, Aleksey lo stratega diceva che era un massacro, vinti contro vinti, alla fine dei conti, vinceva chi resisteva un filo in più. E noi con lui. He is strong, brave, a Knight. I’ll tell you a story, Remain with me.

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Capitolo 41
*** If You Believe ***


Giorno per giorno, cominciava a stare meglio, almeno a livello fisico, scorgevo i miglioramenti, una progressione lenta e costante. Passavo anche sopra le sue bizze, ormai una prassi consolidata.
“Mi manca Joy e Monsieur Gilliard” enunciò Alessio, rigido. “Tanto, tantissimo”
Uno era il suo cagnolino, che lo aveva accompagnato dal 1914 in avanti, M. G. aveva passato con loro la prigionia, dal marzo 1917 in  poi, uno svizzero che era stato precettore di francese dei principi imperiali, quindi un supporto, un amico e un tutore, raccolsi il respiro, cercando la tranquillità. E li metteva sullo stesso piano.
Una scia e un soffio, ci teneva solo un palpito.
“Alessio,  che devo fare?”
“Nulla, parlo, mi sfogo” Un profondo sospiro “So che andresti a prenderli a piedi, per me, Joy era il mio cagnolino, lo coccolavo, me lo hai regalato prima di sparire nel 1914”il senso di colpa palpitò e pesò nella mia gola  “E M. Gilliard era sempre con noi, a Tolbosk quando stavo male mi leggeva tante cose, si toglieva le coperte per darmele, avevo sempre tanto freddo” lo serrai addosso, 1914 quando Luois era morto e io mi ero dileguata, diventando una spia, per personale vendetta e disperazione, avevo ritrovato poi lui e Andres.. . “Quando siamo arrivati a Ekaterimburg ci hanno separato,  lui mi guardava, dal finestrino, ci portavano via, Tata affondava nel fango, nel portare il suo cagnolino e la valigia, io ero in braccio a Nagorny e ..” me lo premetti addosso, una reazione spontanea, finchè avessi avuto fiato e vita non lo avrei più lasciato, doveva stare al sicuro, doveva stare bene. Bene emofilia permettendo, la nostra grande spada di Damocle.
“Io penso che un giorno lo rivedrai, Gilliard” quindi rettificai “Spero”In quel bailamme infernale se la era cavata, forse, perché non aveva seguito i Romanov. Trupp, il nipote di 14 anni del cuoco imperiale, era stato mandato via  qualche giorno avanti la strage, una sorta di decenza e avrebbero ucciso un ragazzo malato, come Alessio. Pensai a Luigi XVI e Maria Antonietta, un parallelismo calzante e da inquietudine, vi era stato una sorta di processo farsa e.. per gli zar nulla di quanto sopra. Ma i loro figli che colpa avevano? Una fiammata di odio mi torse il ventre, insieme al senso di impotenza, rimorso e frustrazione, un deleterio menu. Coraggiosi e potenti nel voler uccidere un ragazzino.

“Joy?”
“Alessio, non penso”
Rilevo qui che il cagnolino la scampò. “Non credo che lo rivedrai”
Dura, non  dovevo raccontargli balle. Increspò il viso “Sasha, invece, sì” riferendosi ad Alexander, mio fratello, l’ultimo figlio di mia madre Ella e di una passione perduta. “Se vuoi sì”  
“Cat, smettila di tormentarti, quello che è accaduto non è colpa tua..Finiscila, ti prego” Non gli risposi. Era uno stillicidio con cui avrei vissuto fino all’ultimo dei miei giorni.
“Sasha come sta? Gli piace la Spagna?” per distrarmi. Risposi in modo affermativo.
“Solo che .. “un’onda di perplessità nel viso e nella voce, da capo “Quando è venuto Sasha al Quartiere Generale, nel 1916, mi ha raccontato delle cose. Dopo che aveva combinato il guaio con Castore e tuo zio si era fatto male” Fu il mio viso a diventare dubbioso “Sono rimasto a sentirlo, lui era amico mio, credo che lo sia ancora” feci un cenno di assenso, indovinavo il senso di perdita, che qualcosa non andasse.
 
“… scrivo due righe per calmarmi, Olga, tremo letteralmente di rabbia, e pena e preoccupazione. Mio fratello Alexander ama i cavalli, peccato che non abbia ancora raggiunto i livelli che avevo io alla sua età, nove anni e rotti, tralasciando la volta che sono caduta.. Senza perdere il filo, visto gravidanza e cavalcate non vanno d’accordo, ho smesso di montare a cavallo, che Castore non è una tranquilla giumenta.. Uno e settanta al garrese, un cavallo da corsa..Hai presente? E che fa Alexander?? .. Lo ha sellato e montato, senza ammazzarsi nell’impresa, e vi è salito, peccato che abbia perso il controllo .dopo poche iarde. Che una bestia di quelle dimensioni e temperamento non la può gestire un ragazzino come lui, improvvisando, che gli esiti sono disastrosi.. si è spaventato e ..(…) Mio zio per recuperarlo si è rotto la tibia, da quanto Castore scalciava, imbizzarrito, Alexander ha fatto un volo portentoso e non si è ammazzato per miracolo.. E Castore è talmente lesionato che non so se arriverà a domani, lo abbiamo recuperato che era ormai azzoppato, era caduto malamente. E mio zio non  ha più vent’anni, ma 48 e una frattura come questa non ci voleva.. E il cretino di Alexander, che è solo un cretino, tralasciando i lividi sta bene e meno male.. Tranne che si è comportato in modo superficiale e ne pagherà, come ne ha già pagato le conseguenze. In punizione lo metterà nostra madre, non certo io, rilevo solo che deve vedere con i suoi occhi gli effetti della sua alzata di genio. Lo porterò a vedere come sta Castore, giusto per saggiarne le conseguenze, e temo che toccherà abbatterlo.. Lo zio lo ha già visto, a questo punto è in licenza forzata ed è arrabbiato. Sono arrabbiata e sono triste.. A dopo..
”Cat..” ”Vieni con me, “dopo avere valutato le sue condizioni, tranne i lividi stava bene, almeno fisicamente  “NO..” “Non ti picchierò od altro, in punizione ti metterà la Mamma..” “Se  sta male, che importa.. Un cavallo vale l’altro..” “ AH NO: come a dire che un fratello vale l’altro.. O uno zio, eh”aspra “Tu vuoi bene solo allo Zarevic..e tuo fratello sono io”amaro “Sasha, muto, ora vieni con me, muoviti”
E lo avevo portato, decisa, guarda, tranne che non lo respingevo, il suo braccio intorno ai fianchi, la paura, mia e sua, che poteva essere morto. Come Anastasia, compiva le sue trovate, ecco lui, tranne che lei non aveva mai inventato qualcosa di così epico o disastroso.
Siamo fratelli, pensi di essere migliore di lui? No, pure io ero stata avventata e scriteriata, sol per miracolo non avevo causato disastri.

Cataplasmi, dolore, l’odore di ferro del sangue, i nitriti di lamento, era sul fianco, passai il braccio sulla spalla di Sasha per bloccarlo e tanto  mi si era già attaccato alla vita“NO..” “Invece sì.. Impara come le tue azioni hanno conseguenze..” senza essere un veterinario si vedeva che le lesioni erano troppo gravi, abbatterlo sarebbe stato un atto di misericordia “Lo zio si è spaccato la tibia, Castore ..”  “LUI non voleva, diceva che era una scemenza..che finiva male” “Chi lui?” perplessa“ Lo zarevic.. diceva che  a cavallo sei brava, come un maschio, come tuo marito, che Castore lo gestivi tu e basta e..” “Visto che risultato.. manca poco ti ammazzi, lo zio vai a sapere quando si rimette e..” il cavallo andrà abbattuto, riflettei da capo, la sofferenza di quell’animale era senza misura, reagiva al mio tocco, inarcando il collo e tanto aveva due zampe rotte “Non piangere..” “Sasha, ora basta..” una pausa “Vai da Mamma.. io sono troppo stanca e arrabbiata” “Tu non mi vuoi bene”. Nessuna replica, avevo detto solo basta, i suoi occhi scuri, tanto simili ai miei si erano scontrati senza recedere “Picchiami, avanti” “Ah no,Sasha.. Posso alzare la voce, mai le mani, che a nulla serve.. Né frustrarti.”  “Dovresti, me lo meriterei” “Non serve..Sarebbe solo violenza su violenza.” Tenendo gli occhi bassi “Ma tanto tu vuoi bene solo allo zarevic, sempre” mi strappò il cuore dal petto come seta, artigli che laceravano la carne “Sempre.. qualunque cosa faccia” “Ora vai da mamma” che avrei tracimato E mi assestò lo sparo finale, in via metaforica “Mi correggo, mi vuoi bene, almeno un poco, tranne che il tuo solo prediletto è lo zarevic” “Sasha.. fermati qui, intesi” che stavamo per varcare il limite, e aveva ragione,da una parte.


“Catherine ..”eri seduta davanti a Castore, che era sul fianco, avevi una faccia vuota, inespressiva, ti toccai una guancia, eri gelata, mi chiamasti zarevic, stringendomi il polso.
Lo avevo saputo nel giro di poco “Basta.. lo vegli da tanto ” carezzando Castore,  ero vestito da militare, un cappotto grigio su cui brillavano le mostrine, lui si inarcò, mi sentii straziato, impotente a consolarti.  “E’ il tuo cavallo, ci hai cavalcato il vento.. Era bellissimo starvi a vedere, ci salivi su con un solo, agile movimento”Una pausa, era lucido e composto “ Ed è mio amico, il mio cavallino..” Mi ero sentito un vero cavaliere “Cat..sta soffrendo..” “Si rimetterà.. spero..” “Ci speri.. già. Sai quello che va fatto” “NO..” Negare sempre l’evidenza, sì oppure no, sospirasti, ti abbracciai, ricambiato. “Sì.. Lascialo andare“
 “Salutalo, Alessio. Io vado via qualche minuto..quando ritorno farò rumore” un addio privato, che se mi fossi voluto sfogare non sarei stato umiliato dalla tua presenza. “Ora vado” “Cat.. la prima volta che lo ho cavalcato mi sono sentito un re, comandavo io e ..” “Era bravo, come te, lo sai” una pausa, un ragazzino vestito da soldato, che rideva, trionfante, in un dolce pomeriggio di primavera aleggiò nell’aria, una eco potente e non dimenticata, che faceva una cosa da sempre vietata per la sua malattia, che era come tutti. Già ne parlavi al passato, Cat, le favole me le raccontavi solo in parte“Alessio zarevic, salutalo, è il tuo cavallino..”  “Non è giusto..” e di rado la vita lo era, lo avevo imparato da un pezzo, io in primis, sulla mia pelle, e non me ne rassegnavo. “Sst, zarevic, qualche minuto, salutalo” e  faceva male, e sarebbe stato peggio se non lo avessi fatto, lo avrei rimpianto per sempre. 
Al ritorno avevi tossito, facendo scrocchiare le foglie sotto i tacchi, calcai bene il cappello per non farmi vedere in viso e me ne ero andato, a un tuo cenno della mano.  
 
Addio, Castore.
Galoppa su verdi prati, corri e sgroppa, una freccia, corri per i campi dell’Eliso aspettando il tuo cavaliere. 
 
 “.. lo ho salutato, Andres, raccontandogli che avrebbe smesso di soffrire..  Potevamo rimanere, io e Catherine, quando lo abbattevamo, per non lasciarlo solo..” Mio marito gli passò un braccio intorno alle spalle, annottando che erano più ampie, era cresciuto davvero in quel lungo anno, se ripensava alla crisi che lo aveva quasi ammazzato, per il raffreddore era davvero un miracolo che fossero lì, ammaccati e lucidi e sempre loro, cercava di confortarlo.
“Perché non mi ha voluto..Mi ha fatto capire che non era il caso..”Scrollò le spalle “A casa abbiamo un cimitero per i nostri animali, sai cani e gatti.. Un piccolo angolo di un’isola artificiale, quella dei bambini, si chiama, con una casa, un ponte..Ma Castore.. direi qui, lui stava bene qui”
“Sulla spianata dove andavano ad allenarsi, è un bel posto Zarevic.”
“Lui era come quei cavalli da guerra.. Correva e saltava nel vento, era bello starli a vedere.. E mi dava retta, ci sono stato al passo, a volte al piccolo trotto..”Sorrise, nonostante la tristezza, era bravo e sapeva che era un segno, immenso, della fiducia che avevo in lui. “Poi Catherine è andata da Alexander.. credi che gliele darà?”
“No.. lei non alzerebbe mai le mani su un bambino, la violenza porta solo violenza.. “
“Ma ha fatto una cosa grave..”
“Cercherà di ..farlo riflettere, ne ha prese così tante quando era piccola, senza ragione, che non lo rifarebbe mai “ l’ultima frase in spagnolo, che Alessio non comprese. O finse, a quel punto non avrei saputo valutare. E capì un’altra faccenda “Andres, lo ha abbattuto Cat” disse  alla fine “Alessio, domandalo a lei” “Allora è un sì..” fiatò
“Zarevic, Aleksey.. ormai hai imparato a conoscerla”
“Sì e  no, ma fa male”
"Amare fa male, e ne vale la pena.."
"Allora sono grande, eh.."

“.. lo ho abbattuto io, Olenka, non ho voluto che lo Zarevic rimanesse lì, poi ho ordinato che fosse messo in una spianata poco distante dalla Stavka, dove andavamo ad allenarci, un prato che in primavera si riempie di fiori, luci ed erba. E sono rimasta fino alla partenza con mia madre, Sasha e mio zio, che andrà a svernare in Crimea, con gesso e sorella e nipote.. Lasciando ad Andres l’onere e l’onore di molti suoi compiti.. Ti scrivo, che, come un animale cerca la fuga, io la solitudine, il silenzio, come se fosse un disonore avere debolezze.. Già. Come fai a sopportarmi, Olga? A volte sono così fissata e insopportabile che non mi reggo io per prima, a tra poco che sta arrivando lo Zarevic”
“.. una piccola nota, non ho letto quello che ha scritto, mi dispiace così tanto, Olga..Ho abbracciato Cat da dietro, ho rievocato alcuni buffi episodi, sono riuscito a farla sorridere.. Per un poco, che le spiaceva,e ho visto i filmati, di quando era in Spagna, per la seconda e la terza volta.. E sono rimasto IO basito..le cose divertenti che ha fatto le so sempre a rate, mica lo sapevo che aveva ucciso un lupo o che a 14 anni filasse come una vera amazzone” come no, lo sapeva, incurante. “ A letto, zarevic, ti racconto qualcosa..” “ Certo”
Le bolle di sapone.
Una risata.
La gioia. Nonostante tutto.
Alessio, bambino mio.


“…e’ stato dolcissimo, senza essere lezioso, sapeva che ero triste, le proiezioni cinematografiche una idea di Andres, una copia che ci ha mandato Marianna, mia cognata, giuro che non le avevo mai viste..In effetti, sono rimasta spiazzata .. 1909, 1910.. Io e la marchesa Cepeuda andavamo in giro, di tutto un poco, esplorando i dintorni (.. diciamo che giravo molto da sola, una libertà incredibile, che ho ben apprezzato..).. Il torrente, il capanno di caccia, una radura in cui crescevano i melograni.. l’ospitalità della gente, poche parole e ti offrivano un bicchiere di vino e pane e prosciutto.. Nulla del lusso di quando vi era la regina Ena e il re Alfonso, alla grande caccia.. E il branco di cavalli inselvatichiti che corrono sul prato, io che mi avvicino ad uno.. mah.. la mia attuale cognata non mi ha trucidato per miracolo..Pensieri sconnessi, come me stasera Olga.. Nonostante il dolore rido, ora vado a mettere a letto lo zarevic, è tardi e siamo stanchi. “ tardi era per Alessio, per la cronaca le undici di sera, ignoravo il resto, la perdita, le ulteriori disfatte. Che il giorno dopo, senza saperlo, era l’ultimo che passava al Quartiere Generale, la mattina non si voleva alzare. “Va bene..rimaniamo così.. tranne che alle otto  ti butto giù, ti vesto anche se non vuoi” “Sono stanco.. mettiti qui” scherzando“Solo un poco” Alla fine ci alzammo, abitudini consolidate, la colazione, il bagno, studiare.. Sono contenta di non essere stata brusca, impaziente, come un presagio.
E di averlo portato a passeggio nei prati, il fiato che diventava ghiaccio e condensa,  per sparare ai bersagli, accogliendo la sua gentilezza, un braccio passato sulla vita, lui una carezza sui corti capelli castani, reciproca concessione una foto, le stelle diventavano blu, come la mia gonna, lui ride di non so cosa, ci hanno immortalato così, allegri e tranquilli.
La sera gli feci le mie famose patate francesi, ovvero patatine fritte, ridemmo, la quieta prima del disastro, nel naufragio e nell’Armageddon.



Poi Rasputin era sparito, ucciso dal principe Jusopov, dal granduca Dimitri nel dicembre 1916, tre mesi dopo vi era stata l’abdicazione dello zar..
“Prima che partissero, ci ho parlato. Era disperato Cat, era arrivato al punto di desiderare di prenderle e .. Sapeva che Raulov gliele avrebbe suonate fino ad ammazzarlo, disse proprio così. Il cognome, non altro. E aveva capito che tu non lo avresti mai fatto, che ne avevi prese così tante quando eri piccola da non ripetere l’esperimento con nessuno. Che i tuoi vivevano separati da anni, che lui era un ubriacone e un violento” Prevenni un travaso di bile e di rimorso “Alessio.. “ cercai la sua mano, la strinsi, come quella di Sasha, come avevo fatto durante una successiva ordalia, palmo su palmo, polso su polso e cuore su cuore.
“Così ho capito, perché non ne parlavi mai. E Sasha ha detto che tua madre non chiedeva il divorzio che lui glielo avrebbe portato via per dispetto, perché era minorenne, la legge funziona così, non perché gliene importasse qualcosa di lui, piangeva quando lo ha detto” si passò una mano sugli occhi, straziato. Gli faceva male. La sua sensibilità rimaneva, da sempre e per sempre. “E le voci vi erano a prescindere, che ti picchiava, Cat, me lo ha detto Nagorny, sai.. Tu eri e sei sempre stata gentile con tutti i sottoposti non trattavi male nessuno” gli affondai la testa in grembo, straziata, mi ero guardata le spalle da sempre, quando Rualov mi aveva sfondato la schiena a scudisciate, difendevo mia madre, le cicatrici erano rimaste, come la mia indipendenza e il mio nascondermi.. E tanto, anni, decenni di violenza non potevano rimanere muti, “Alessio.. io… “
“Tu nulla, Cat, eri una ragazzina ..tranquilla, le cose preferisco saperle” deglutendo. “Sasha come è riuscito a scamparla?”
“Che, nel dicembre 1917 hanno divorziato e la  tutela l’ha presa mia mamma”
“EH?” sbigottito senza scampo.
“Li abbiamo liberati Alessio!” che impresa epica, cattiva.
“Dimmi come”
Una breve cronaca dell’orrore, Raulov aveva perso l’ennesima somma al tavolo, reclamava moglie e figlio per mero conformismo.
Una scommessa vinta.
Io che per principio non giocavo mai di azzardo avevo fatto una partita a poker mia madre e mio fratello Sasha, questa la cronaca, avevo vinto e pagato, la scommessa sul piatto il divorzio di Ella e la custodia di Sasha, lui come Esau .. non la primogenitura, ma.. li aveva barattati. L’ho odiato, lo ho disprezzato e quindi mi faceva pena. Che complicanze, sia l’odio che l’amore sono sentimenti complicati.
“Comunque, ad Anastasia glielo detto io, che siamo fratelli, doveva saperlo .. E’ stato dopo che ero scappato, avete messo a soqquadro mezzo mondo per cercarmi, a furia di urla”e parolacce, avevo imprecato come uno scaricatore di porto.

“Non mi detto nulla”
“E’ tramortita, Cat, cerca di venirci a patti, lasciala stare ..”
“Grazie” che mi aveva evitato quel compito ingrato.
“Figurati”
Cat, raccontami una storia, la nostra.
Ora ci credo.

 
 
   



 

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Capitolo 42
*** Good Life, Soldier Prince ***


1921, un ruscello sui Pirenei spagnoli.
Una ragazza, una giovane donna, un ragazzo di 17 anni..

Liberavano un aquilone,
le rose, bianche e selvatiche,
corolle aperte nell’acqua, danzavano intorno a loro,
il rimpianto, la cura e il conforto.
Era il 17 luglio, tre anni erano trascorsi.
Il ragazzo serrò le braccia sulle spalle di entrambe.
“In memoria..”
LE PROTEGGEVA.
ORA E SEMPRE..
FUENTES
 
 
Un cavaliere in viaggio,
cupole e fontane e giardini, fiorire di marmi e chiese, balli improvvisati al suono di orchestrine sotto lampioni di carta, spezzare la frutta con le mani e bere vino bianco e... baci e risate.
Cavalco il vento.
Io sono la storia.
La mia storia.

 
 White Roses, for you and me, all my love for who remember us, we are immortal.
A prince soldier.
Good Life, Alexei, sweet Prince.
 

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