Redattore e Mangaka sono come Culo e Slip: Indivisibili e Sozzi

di lirin chan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Genio ***
Capitolo 2: *** Soddisfazioni ***
Capitolo 3: *** Scadenze ***
Capitolo 4: *** Ispirazione ***
Capitolo 5: *** Scopo ***
Capitolo 6: *** Trama ***



Capitolo 1
*** Genio ***


Redattore e Mangaka sono come Culo e Slip: Indivisibili e Sozzi
 
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Genio

Quando Hijikata Toushiro, redattore da quasi due anni del famoso settimanale Jump, si mise a sedere sulla scomoda sedia e alzò lo sguardo verso l’ennesimo aspirante ‘nuova stella del fumetto mondiale che Oda spostati’, sgranò un poco gli occhi. Di solito davanti a lui si presentavano per lo più bambinetti appena usciti dalle superiori, con le capacità narrative di un gibbone che vuole la banana, invece, stravaccato sulla sedia all’altra parte del piccolo tavolo, stava un adulto. Non era raro che ne arrivassero, ma, di solito, erano molto tesi e vestiti con i loro abiti migliori; il tizio davanti a lui era appoggiato con un gomito al tavolo e si reggeva la testa affollata di scompigliati e crespi capelli argentati sfoggiando un’espressione priva di vita, la noia trapelava dalle iridi rossicce. La camicia a maniche corte bianca con motivi blu era sporca in più punti di strane macchioline rosate e con evidenti segni di non aver mai visto un ferro da stiro da quando era stata comprata in qualche mercatino delle pulci.
Davanti a lui stava un Madao.
Che aveva fatto di male per meritarsi quella seccatura? Ieri aveva addirittura offerto della succulenta maionese a dei gattini affamati, perché il dio dei fumatori Mayokami lo aveva punito in quella maniera?
Sospirò, per poi tirare le labbra in un sorriso di circostanza.
“Sono Hijikata Toushiro, lieto di conoscerla, signor…” guardò il nome stampato sul foglio di valutazione. “Sakata Gintoki san.”
Quest’ultimo fece a malapena un verso gutturale, forse giusto per far capire che era vivo.
Quello stronzo già gli stava sul cazzo come la metro piena il lunedì mattina.
Tornò a fissare il foglio che aveva in mano, giusto per smetterla di guardare la feccia dell’umanità sedutogli davanti.
“Vedo che è la prima volta che prova a farsi pubblicare… Non ha mai nemmeno presentato una one shot a qualche concorso…” Perfetto, ed era solo lunedì.
Finalmente il tizio diede segni di avere almeno la capacità di capire il linguaggio umanoide, lentamente alzò la testa e lo fissò con occhi privi di voglia di vivere. La lontananza dalle sopracciglia gli davano l’aria di un pesce morto.
“Quando sei un genio non hai bisogno di certe cazzate, no?”
Quello fu il suo primo incontro con Sakata Gintoki, il genio incontrastato della stupidità.
 
 

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Capitolo 2
*** Soddisfazioni ***


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Soddisfazioni
 
Non aveva mai odiato il suo lavoro, benché non fosse stata la sua prima scelta. Si era laureato con lode in una delle più prestigiose università del Paese per diventare giornalista, combattere il crimine denunciando le grandi potenze (i classici sogni da universitario comunista radical chic), ma i casi della vita e la crisi economica lo avevano visto costretto a inviare curriculum alle più disparate tipologie di aziende: da quasi tutte aveva ricevuto risposte negative, da alcune nessuna e una sola lo aveva ritenuto degno di un colloquio.
Quello era stato il deprimente percorso che lo aveva condotto dove era in quel momento: seduto in un triste e sudicio appartamento intento a correggere un capitolo di un manga demenziale incentrato su un tizio svogliato e senza uno scopo.
Quante battute sul cazzo si potevano fare? Quel deficiente riusciva ad inserirne almeno sei a capitolo.
Stava per cancellare l’ennesima battuta troppo sconcia quando udì il grido che ormai era il suo incubo da otto mesi, ovvero da quando i grandi capoccioni di Jump avevano deciso che un certo coglione con la permanente naturale era degno di far parte della grande famiglia di Jump.
“Waa! Non ce la faccio più!” Stava urlando Sakata Gintoki, lanciando in aria alcune tavole che Shinpachi, il quattrocchi addetto ai retini, recuperò al volo. “Mi si incrociano gli occhi! Voglio uscire! Voglio dormire! Voglio mangiare un parfait al cioccolato fatto con il latte alla fragola e gli azuki sopra! Lo voglio!”
“Sakata san, la prego di calmarsi!”
“Lascialo stare, Shin chan… Ha una delle sue crisi alimentari alla Big Mom – aru.” Biascicò l’altra aiutante addetta ai chiaroscuri, Kagura.
Il mangaka si voltò subito verso la ragazzina.
“Non osare nominarmi quello stronzo di Oda! Mi ha scambiato per un cameriere alla festa di Jump!”
“A quanto mi ha raccontato Sougo chan te ne andavi in giro con un vassoio di tartine rubato, ovvio che ti ha scambiato per un cameriere.” Ribatté lei, senza staccare gli occhi dal foglio.
“Dì a quel sadico del tuo ragazzo di farsi i cazzi suoi!”
Quella era l’ultima goccia che per quel giorno poteva sopportare.
“Basta!” Urlò sbattendo le mani sul kotatsu. “Se non vi date una mossa giuro che vi sbudello tutti e tre e faccio uno scendiletto con la vostra pelle!” Ripensandoci col senno di poi fu una cosa totalmente sbagliata da dire dato che Hijikata dormiva su un futon, ma in quel momento bastò per far tacere immediatamente almeno i due ragazzini.
L’unico rimasto era il capobranco dei gorilla. Fissò negli occhi il lavativo e lo sfidò a lamentarsi anche solo una volta, puntandogli addosso uno dei taglierini per i retini.
Sakata sudò freddo e poi si rimise a disegnare.
Hijikata non aveva mai odiato il suo lavoro, anzi, doveva ammettere che nascondeva soddisfazioni sconosciute.
 

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Capitolo 3
*** Scadenze ***


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Scadenze
 
La porta si aprì lentamente, rendendo subito udibili due starnuti potenti.
“Allora non è vero che gli stupidi non prendono il raffreddore.” Era stranamente divertente osservare lo sguardo di puro odio che quegli occhi trasudanti febbre riuscivano a fare.
“Prendi la tua roba e vattene, stronzo.” Ordinò Gintoki, con voce ridicolmente nasale.
Ciabattò dentro l’appartamento, fra fazzoletti moccicosi, bottigliette di bibite energetiche vuote e altra spazzatura varia. Ed erano passati solo due giorni dalla sua ultima visita.
“Strano che tu sia riuscito a finire il capitolo in tempo.” Era sinceramente ammirato, di solito erano sempre gli ultimi a consegnare a causa del carattere di merda di quell’escremento umano che aveva davanti.
Gintoki non ribatté nulla e si limitò a mettersi a sedere nel kotatsu, accasciandosi sul tavolino mentre cercava di avvolgersi con la coperta.
“Volevo donare al mondo almeno l’ultimo barlume della mia genialità, prima di dire addio a questa vita.” Rispose, chiudendo gli occhi.
Hijikata prese in mano la busta vicino alla testa argentata, controllando distrattamente che dentro ci fosse effettivamente il capitolo e non gli sconti del supermercato; non aveva intenzione di farsi fregare per la terza volta.
“Se hai tirato fuori un buon lavoro non ho niente da obiettare.” Disse, ghignando.
Il mangaka ridacchiò piano, sarcasticamente.
“Molto divertente, ma lo so che ti sentiresti solo, Toushiro…” Lo sentì biascicare mentre scivolava lentamente nel sonno. Sentì il suo respiro farsi regolare, vide la sua schiena scendere e salire piano.
Il cretino si era addormentato nel kotatsu come un moccioso.
Sospirò, avvicinandosi e inginocchiandosi vicino al mangaka.
“Ohi, se dormi qui non guarirai mai, domani devi iniziare a lavorare al prossimo capitolo…” Disse, provando a scuoterlo un poco, ma l’altro non dava segni di risveglio.
Sbuffò, ridacchiando.
“Peggio dei bambini.” Sentenziò, appoggiando il gomito sul tavolino e sorreggendosi la testa.
Si mise un attimo a godersi la pace della notte, di solito quell’appartamento era così caotico da non riuscire nemmeno ad ascoltare i propri pensieri, come il suo proprietario.
Osservò Gintoki. Era la prima volta in dieci mesi che lo vedeva immobile, a parte le rarissime volte in cui lavorava con concentrazione.
Doveva ammettere che, da un punto di vista puramene oggettivo, era passabile alla vista, a parte quel groviglio di laniccia dell’ombelico che si ritrovava sulla testa. Senza rendersene conto ne sfiorò una ciocca, passandosi fra indice e pollice i capelli argentati rendendosi conto che non erano ispidi come aveva sempre creduto, avevano una loro morbidezza.
“Toushiro… Freddo…” Quelle parole addormentate lo risvegliarono dai suoi pensieri, si alzò dal kotatsu e prese una delle coperte malamente abbandonate lì vicino per poi adagiarla sulle spalle di Gintoki.
Ovviamente tutte quelle premure erano date dal suo buon cuore di redattore e nient’altro. Non ci teneva in nessuna maniera a quel lavativo rasenta scadenze. Infatti poco dopo, quando consegnò il capitolo al reparto stampa, si pentì di ogni azione misericordiosa che aveva elargito.
Quel pezzo di merda non aveva disegnato tre pagine.
 
 

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Capitolo 4
*** Ispirazione ***


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Ispirazione
 
Alzò gli occhi dal foglio per godersi la leggera brezza primaverile che aveva cominciato ad entrare dalla finestra aperta. Era tiepida e rinfrescante, gli ricordava quando si era ritrovato a guardare il cielo in quel parco, ormai quasi tre anni prima.
Senza un soldo.
Senza una casa.
Senza un obiettivo.
Da solo.
Non era mai stato il tipo da abbattersi per certe cose, ma la prospettiva di vivere per il resto dei suoi giorni sotto un cartone non era mai stato fra i suoi obiettivi primari, men che meno essere l’oggetto di certe occhiatacce della gente.
Aveva sorpassato i venticinque anni ed era sdraiato malamente sulla panchina di un parco pubblico in piena settimana lavorativa, con la classica aria di chi non aveva nessuno scopo, era ovvio che la gente normale gli stesse lontana.
Quelli come lui non erano ben visti, erano degli scarti della società, qualcosa da evitare: i madao.
“Hai letto l’ultimo capitolo di Bleach?! Hitsugaya è troppo figo!”
“Da grande voglio essere come Naruto!”
“Eh?! Che sfigato! È meglio Zoro!”
Ah, i mocciosi non avevano proprio idea di cosa fosse la vita vera. Non c’era nessun nemico finale da abbattere, nessuno power up potente da sbloccare e, spesso, l’impegno contava meno di zero.
La vita degli esseri umani per lo più era composta da giorni inutili volti solo ad arrivare a fine giornata, con piccoli sprazzi di contentezza qua e là che andavano difesi più delle tettone dei manga.
Gintoki si ritrovò a fissare il cielo, pensando a come sarebbe stato un eroe di Jump che non aveva voglia di fare nulla.
Un madao come lui.
Senza un soldo.
Senza una casa.
Senza un obiettivo.
Da solo.
Quello stesso giorno spese i suoi ultimi spicci, che in origine dovevano essere dedicati all’ultimo parfeit al cioccolato della sua vita, per un quaderno a fiorellini e delle matite.
Sorrise al pensiero di quanto fosse pieno di vita e speranze in quel periodo, prima di incontrare lui.
“Ohi, lavativo, se non ti rimetti a lavoro salti la prossima pausa per andare al cesso!”
Sospirò.
“Maledetto redattore demoniaco…” Borbottò riprendendo il pennino in mano e ricominciando a disegnare le infradito del personaggio; si appuntò mentalmente di fare una battuta su quanto fossero scomode quelle ciabatte anche solo per andare in spiaggia, figuriamoci per combattere battaglie spaziali, quando sentì il tocco delicato di una mano sulla testa. Le dita di Hijikata passarono fra i capelli scompigliati e li tirò un poco indietro, arruffandoli ancora di più. Il tocco svanì prima ancora di rendersi conto di quanto fosse calda quella mano.
“Se finisci la pagina, quando torno ti porto un parfeit al cioccolato.”
Gli venne da ridere e poi da piangere, mentre dalla finestra ricominciava a soffiare il vento del pomeriggio.
“Uno di quelli di marca?”
“Figurati! Non mi pagano abbastanza per fare il babysitter a te, capelli di merda!”
“Spilorcio!”

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Capitolo 5
*** Scopo ***


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Scopo
 
Gintoki all’inizio non distolse lo sguardo dal disegno, si grattò un orecchio e solo dopo alzò gli occhi verso il suo redattore che sembrava sull’orlo dell’omicidio.
“Sei sordo? Cosa non hai capito di quello che ti ho detto? Non farò una cosa tanto schifosa.”
Hijikata, con una punta di rabbia mista a insofferenza, ebbe l’istinto di tirargli una capocciata.
“Sei un bambino per caso? Non è qualcosa che puoi ignorare!”
Kagura e Shinpachi li osservavano, mentre riordinavano gli strumenti di lavoro.
“Non mi pare una cosa così tragica…” Provò ad intervenire il ragazzo, ma venne fulminato da due paia di occhi che lo fecero tornare allo stato embrionale.
Kagura, come sempre, evitava di intromettersi e si limitò a scattare una foto dei due uomini per inviarla a Sougo commentandola ‘Papà e mamma fanno casino’.
Gintoki tornò a fissare con sguardo di fuoco il suo redattore.
“Non lo farò.”
A quel punto ad Hijikata si schiacciò uno dei pochi nervi sani che gli erano rimasti da quando aveva cominciato a lavorare con quel mentecatto. Batté i pugni sul tavolino basso.
“Sei appeso a un filo, fallito di un mangaka! Sei in caduta libera nelle classifiche! Non puoi continuare a scrivere cazzate! Devi dargli un senso!”
Gintoki, per tutta risposta, si infilò l’indice nel naso e il suo sguardo si fece ancor più da ebete. Era la sua classica posa di quando si era stancato di discutere.
“Non ho intenzione di trasformarlo in un manga di combattimento tra imbecilli per il destino dei ninja o di farlo diventare il re dei pirati.” Tirò fuori una caccola e la osservò. “So cosa vogliono quegli strozzini di Jump; vogliono i power up per farci i videogiochi e gli anime, non è per questo che non esco da settimane da questo tugurio e mangio solo ramen istantanei… Che cazzo, tra un po’ comincerò a urlare ‘dattebayo’ e a rincorrere la gente urlandogli di tornare a Konoha…”
“E perché lo stai facendo?!”
Per qualche attimo si sentì solo il rumore delle auto e della gente che passava in strada. Hijikata attese una reazione dal mangaka, ma questo non si mosse dalla sua posizione di fissatore di caccole.
Vedendo quello sguardo spento e lontano, il redattore si alzò in piedi con rabbia; la pazienza ormai esaurita.
“Sei un lavativo con un pessimo senso dell’umorismo e igiene personale, mangi spazzatura e ti lamenti come un bambino di tre anni, ma ho sempre pensato che volessi di più. I caporedattori pensano a vendere i gadget agli otaku, non posso negarlo, ma la storia che lasci, il significato che vuoi trasmettere, quello è nelle tue mani.” In fretta, raccolse la borsa e gli ultimi bozzetti sul tavolo. “Lascia perdere.”
Gintoki non si mosse dalla sua posizione mentre Hijikata si avviava alla porta, soffermandosi un poco prima di aprirla.
“Non credevo fossi così stupido.”
Quando la porta si richiuse, il silenzio fu rotto solo dal rumore di un’altra foto scattata da Kagura.
Credo che mamma stia per piangere
 
 

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Capitolo 6
*** Trama ***


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Trama
 
“Che cazzo ci faccio qua?” Borbottò, schiacciando con la scarpa la sigaretta appena fumata.
Era proprio per colpa di quel primate sottosviluppato se si trovava a quell’ora di notte ad osservare con sguardo incazzato l’oscuro palazzo.
Un’ora fa, precisamente alle due del mattino, il suo telefono aveva cominciato a squillare proprio mentre il film horror che stava vedendo era arrivato al momento culminante, facendolo leggermente sobbalzare (Balle, aveva urlato così forte da svegliare il vicino). Quando aveva visto chi era resistette alla voglia di lanciare il cellulare fuori dalla finestra così forte da raggiungere casa di quel demente e ucciderlo perforandogli la testa vuota.
“Che vuoi?” Aveva risposto, irritato.
Vieni a casa mia. È un ordine.” Il cretino aveva riattaccato. Era diventato il suo cameriere, d’ora in poi si sarebbe chiamato Sebastian.
Erano tre giorni che non passava dallo studio del mangaka, comunicando solo con il quattrocchi per sapere se il grande genio stava lavorando oppure costruendo cazzi di cartapesta. A quanto pareva Sakata aveva circondato la sua scrivania con una tenda di lenzuola a fragoline e non parlava da quel giorno, lavorando soltanto.
Se pensava che così gli sarebbe passata l’incazzatura si sbagliava di grosso.
“Spero che ne valga la pena.” Borbottò quando, dopo aver fatto a fatica due piani di scale, si ritrovò a bussare alla porta dell’appartamento. Appena uno spiraglio di luce filtrò dall’apertura fu accompagnata da uno strano tanfo, un misto fra uova marce e cane bagnato. Quando fu del tutto spalancata Hijikata si ritrovò davanti un ammasso di immondizia umanizzata.
“Ti stavo aspettando.” Disse il secchio della spazzatura, grattandosi la pagliuzza che aveva in testa.
“Chi cazzo saresti? Il mostro delle fogne di Tokyo?!” Esclamò il redattore, coprendosi naso e bocca con la mano.
Il mangaka si dette uno sguardo addosso e poi tornò a guardare Hijikata.
“Potrei essermi dimenticato di lavarmi.”
“Non è normale essere ridotti così in tre giorni! Trasudi sporcizia!”
Gintoki alzò gli occhi al cielo e si inoltrò nell’appartamento ridotto ad una discarica ambulante. Si appuntò di far fare l’antitetanica ai due mocciosi.
Prima che potesse aprire bocca si ritrovò in mano dei fogli spiegazzati. La scrittura l’avrebbe riconosciuta fra mille, scarabocchiata con appunti sparsi per tutte le pagine, leggere era uno strazio. Riuscì comunque a capire che erano appunti per la trama del manga.
“L’hai scritta.”
“Già.” Rispose il mangaka annusandosi un’ascella e facendo una smorfia di disgusto.
“In tre giorni.”
“Sono un genio, dopotutto.”
“Era ora.”
“Stai sempre a lamentarti, sembri un vecchietto con le emorroidi.” Disse, avvicinandosi al redattore. “Ho pensato che ci saresti rimasto male se mi avessero cancellato il manga. Non volevo vedere di nuovo il tuo faccino triste, Toushirou.”
Hijikata sbuffò.
“Figurati, fallito di un manga-”
Non si rese conto cosa stesse per fare quel cretino, probabilmente la puzza che emanava gli aveva annebbiato il cervello e perfino quando le labbra di Gintoki sfiorarono le sue non riuscì a muoversi.
Rimase fermo, pietrificato, stringendo fra le mani i fogli già stropicciati.

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