To the Moon

di ___Page
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


«Spiaggia, mare, chiringuito, ragazze in bikini… Ahhh fratelli! Io amo l’estate!»
«Ma l’estate non ama te» gli fece presente Bonney, dandogli una sonora manata sulla schiena già rossa. «Santo Roger, Melville! Sei in spiaggia da quanto? Venti minuti? E ti stai già gremando! Ma come fai?» domandò la rosa mentre lanciava la porzione ancora fumante di patatine fritte sul proprio telo, nei pressi dell’ombrellone, agitando Izou che se ne stava accoccolato all’ombra per non rischiare di rovinare il suo prezioso incarnato pallido.
«Bonney non avvicinarmele nemmeno! Non lo sai che fanno ingrassare solo a respirarle?»
«Seh, seh, come vuoi» si grattò una chiappa Bonney prima di lasciarsi cadere a gambe divaricate e prendere a mangiare le patatine a manciate abbondanti.
«Ti sei depilata male l’inguine» le fece presente il moro dopo alcuni secondi, con voce piatta e nasale.
Sabo sollevò appena il capo dalla propria spugna per lanciare un’occhiata in direzione dei propri amici. Rilassarsi con loro nei paraggi non era contemplabile ma, tanto, Sabo non sarebbe riuscito a rilassarsi comunque in quel momento.
«Dunque Marco, otto orizzontale: “La ville lumiere”»
«Parigi»
«Perfetto. dodici verticale: “Può esserlo una nave”. Inizia con la P»
«Pirata»
«Pi-ra-ta. Okay! Nove orizzont…»
«Ma chi lo sta facendo sto cruciverba?! Ace o Marco?»
«Marco. Ace lo compila» rispose prontamente Sabo, mentre Satch, il segno della manata ancora evidente sulla schiena, si allungava verso l’ombrellone sotto cui Koala condivideva l’ombra con Izou, stesa a pancia in giù, un libro tra le mani.
«Ehi meraviglia della natura, mi passi la protezione che me ne metto un po’?» ammiccò il ragazzo, facendo ondeggiare il ciuffo a banana. «O magari preferisci mettermela t… Ouch!»
«Oh Satch scusa!» esclamò senza la minima punta di dispiacere Koala quandò la bottiglietta di plastica si schiantò sui connotati dell’amico. «Non volevo prenderti il naso, miravo ad altro. Colpa del sole, che ci vuoi fare» si strinse nelle spalle tornando a leggere.
Bonney si mise in bocca un’altra manciata di patatine. «Ti prego, Kay-Kay, ripensaci.  Non puoi davvero essere etero. Sei troppo intelligente per sprecare la tua vita con un uomo!»
Koala scosse il capo, ridacchiando. «Anche Ishley lo è»
«E infatti non mi sono ancora arresa nemmeno con lei»
«Ehi piano, piano. Bonney BonBon stai cercando di convertire Kay-chan all’omosessualità? Perché potrebbe essere la volta buona che troviamo un punto d’inc…»
Con un sospiro rilassato, Sabo tornò a girare la testa verso il mare. Era una giornata da dipinto, il cielo terso, il sole che rifletteva sulla superficie del mare, l’acqua così invitante, le onde alte il giusto. Era, insomma, una giornata quasi perfetta, la decima dei loro due lunghi mesi di vacanza, la prima per Satch e non solo.
Era lì con gli amici di una vita, l’ultimo esame della sessione estiva già un lontano ricordo ed entro il primo pomeriggio sarebbe arrivato anche quel gran bastardo del suo migliore amico, nonché amore della sua vita nell’universo parallelo inventato da Izou in cui tutti loro avevano gli orientamenti sessuali invertiti – e in cui Izou aveva anche il genere invertito, perché tra essere etero e avere le tette era decisamente meglio avere le tette –.
Quindi sì, era una giornata quasi perfetta e lo sarebbe stata senza il quasi se non per quel piccolissimo minuscolo problema che tanto lo impensieriva.
Si tirò un po’ più su quando la intravide in lontananza, tornare finalmente dal suo giro che, quella mattina, era durato un po’ più del solito.
Un chilometro di capelli corvini, lentiggini e occhi blu e profondi come il mare al largo.
Eccolo, il suo problema.
Monkey D. Ishley.
In due parole, sua sorella. A voler scendere più nel dettaglio del loro effettivo legame di parentela, la figlia del secondo marito di sua madre con cui si era ritrovato a vivere sotto lo stesso tetto cinque anni prima. Appena due anni di differenza, un caratterino a cui nemmeno l’allora quindicinale amicizia con Koala lo aveva preparato e una nuova responsabilità, che non aveva mai avuto e a cui si era abituato più in fretta di quanto avrebbe mai osato sperare.
Lei era l’unico problema di quell’altrimenti perfetto quadro.
A onor del vero, Sabo doveva ammettere che era improprio additare Ishley come problema. Non faceva niente di male, non lo stava facendo nemmeno in quel momento, mentre si avvicinava pagayando, in piedi sulla tavola galleggiante, come una moderna Pochaontas.
«Oh Ish! Oh che visione!» Satch si mise in ginocchio, le mani al petto all’altezza del cuore mentre Ishley si faceva portare a riva dalla corrente, senza perdere l’equilibrio nemmeno mentre cavalcava un cavallone. «Sembri una dea uscita dalle onde!»
No, il problema non era decisamente lei.
«Ma tu pensa» commentò, piegandosi per afferrare la tavola prima che la risacca la portasse via. «Te sembri un deficiente uscito dalla sabbia, invece»
Sabo sorrise, soddisfatto. La sua lingua e la risposta pronta erano due degli aspetti che più gli piacevano di lei.
«Kay che fai?» si accigliò Ace quando Koala lasciò perdere il libro e prese a spostare manciate di sabbia a due mani, come per scavare una buca.
«Preparo la fossa per l’ego di Satch. Finalmente ora ci staremo comodi in macchina» spiegò con gli occhi che brillavano di bastardaggine, spingendo Ace a mollare le parole crociate per andare ad aiutarla.
«Non affannatevi troppo ragazzi. L’ego di Satch non si uccide così facilmente, temo» li avvisò Izou, facendo ciondolare un piede nell’aria con il suo sorrido sardonico e felino, per poi vedere immediatamente confermata la propria considerazione.
«Non c’è bisogno che nascondi quanto sei felice di rivedere il tuo paparino, Ish» ribatté infatti Satch, mani sui fianchi, mentre seguiva con gli occhi ogni movimento di Ishley. «Non mi dai nemmeno un bacio?»
«Satch!» lo ammonì Sabo.
Il problema erano i suoi amici e il loro modo di fare da marpioni incalliti. E se tenere a bada Ace era semplice, essendo che con Ishley non lo faceva, Satch era tutt’altra storia.
«Oh dai Sabo, non fare il fratello geloso. Non pretenderai che finga di non notare tutto quel ben di dio in nome di una ventennale amicizia»
Ishley sospirò rassegnata, strizzandosi i capelli e rubando sorrisi comprensivi alle sue due amiche e a Izou.
«…’ziato l’università anche lei ed è maggiorenne, non ha più bisogno che le fai da guardia del corpo»
«Io faccio quello che mi pare se si tratta di lei, chiaro? È mia sorella» vibrò a denti stretti il biondo, mentre piccole gocce d’acqua atterravano sulla sua schiena e un paio di gambe snelle entravano nel suo campo visivo.
«Se ti do un bacio la pianti e ti calmi prima di portargli il cervello all’ebollizione?» Ishley si avvicinò a Satch, raccogliendo rapida i capelli umidi in una treccia e indicando Sabo con un cenno del capo.
«Se me lo chiedi così, come posso dirti di no?» ammiccò Satch, strappandole infine una risata, mentre si tirava sulle punte per raggiungere la sua guancia.
«È andato bene il viaggio?»
«Oh sai com’è? A viaggiare in compagnia si va sempre in giro volentieri»
«In compagnia?» si accigliò Ishley.
«Il mio Ego è venuto con me»
«Oh giusto, come ho fatto a non accorgermene» si picchio un palmo in fronte. «Scusa Ego di Satch, tu come stai?»
«Un po’ massacrato da te ma ancora in forma smagliante» rispose Izou da sotto l’ombrellone.
«E parlando di grandi ego, a quanto pare ne è arrivato un altro in anticipo» fece presente Bonney, attirando l’attenzione di tutti verso il fondo della spiaggia pubblica.
Un ragazzo alto, più alto di tutti loro, zazzera mora spettinata e ghigno strafottente si stava avvicinando, già in costume e con la t-shirt con cui aveva viaggiato buttata sulla spalla insieme al proprio telo da mare. Loro da lì non lo potevano vedere ma sapevano che da dietro l’effetto era potenziato dal tatuaggio che gli prendeva tutta la schiena, mettendo in risalto i muscoli e il divario tra spalle larghe e bacino asciutto.
«Che gran bastardo» scosse il capo Satch. «Lui sì che sa come fare un’entrata di stile» commentò nel notare le molte paia di occhi femminili che si giravano a seguirlo, libri e riviste che venivano abbandonati, palline che cadevano dimenticate dai racchettoni, creme solari che scivolavano via da mani unte.
La verità era che Law non faceva assolutamente niente perché la sua entrata fosse “di stile”. Era arrivato prima del previsto e non aveva avvisato per fare una sorpresa, certo, si era tolto subito la maglietta per meglio affrontare il caldo cocente, era vero, e aveva un bel sorriso felice sul volto, innegabile.
Ma non c’era nulla di artefatto, lui stava camminando e basta, solo che Satch era troppo orgoglioso per accettare che Trafalgar Law, camminando, rimorchiasse.
Bonney e Izou si scambiarono un’occhiata d’intesa, consci che stava per arrivare la parte che preferivano.
Quel momento in cui la decina di ragazze che sperava di strappargli almeno uno sguardo, o che calcolava rapidamente quante sere a disposizione aveva ancora per lasciarsi rimorchiare da uno che sicuramente la cambiava ogni sera, veniva investita dalla dura realtà come fosse stata un’onda decisamente troppo alta e violenta.
«Fate largo, fate largo!» urlò Ace mentre granelli di sabbia schizzavano da tutte le parti per lo scatto di Koala, lanciata ora sulla spiaggia a tutta velocità.
Sì per Bonney e Izou era impagabile l’espressione di tutte quelle ragazze, di cui ormai godevano da due estati a quella parte, quando Koala gli saltava al collo e tutte loro dovevano per forza rendersi conto che sì, sì il loro seduttore seriale era in realtà un bravo ragazzo con la testa sulle spalle e una devozione per la ragazzina di un metro e sessanta che stringeva tra le braccia come se fosse stata questione di vita o di morte.
«Sei arrivato prima» soffiò Koala al suo orecchio, inspirando a pieni polmoni il suo odore, gli occhi chiusi.
«Volevo farti una sorpresa» rispose Law, aggiustando la posizione per raggiungere l’ombrellone senza rimetterla a terra.
«Credo mi si sia appena cariato un dente»
«Ace dai, lasciali stare» lo ammonì Marco. «Non si vedono da quindici giorni»
«”Si vedono” è da leggere come “scopano”» precisò Bonney.
Ishley scoppiò a ridere mentre si accomodava di fianco all’amica, gambe al sole e testa all’ombra.
«Questo ombrellone sta diventando troppo affollato» si lamentò Izou mentre Law rimetteva Koala a terra per essere libero di salutare tutti e Sabo si alzava per andargli incontro e stringerlo in un goliardico abbraccio.
«Tutto bene?»
«Un po’ accaldato ma bene»
«Che ne dici di un bel bagno?» propose subito Sabo, seguito a ruota da Ace. «L’acqua è uno spettacolo oggi, fratello»
Law esitò un momento, lanciando un’occhiata a Koala che stava scrutando Ishley da molto vicino, una mano a lato del suo volto.
«Può venire anche lei tranquillo» lo avvisò Ace, con fare magnanimo, e un lampo attraversò gli occhi della ragazza.
«Venivo anche se tu non eri d’accordo sai?» lo freddò con un sorriso psicotico e gli occhi vitrei, prima di addolcire lo sguardo nel riportarlo su Ishley. «Ti dispiace?» le chiese, materna, e Ishley corrugò le sopracciglia.
«Che?! Ma figurati, no! Vai!» la incitò con un sorriso teso la cui origine non dipendeva certamente dall’imminente allontanamento di Koala e di cui solo gli occupanti dell’ombrellone sembravano a conoscenza a giudicare dalle occhiate che si scambiarono mentre Ishley cercava di concentrarsi sulle parole crociate abbandonate da Ace, inutilmente per altro.
«Vai Kay-Kay» la rassicurò Bonney mentre si girava a pancia sotto e si slacciava il bikini. «Ci siamo qui noi»
Con un’ultima occhiata non troppo convinta a Ishley, Koala si alzò in piedi e si affrettò a recuperare gli amici che si dirigevano verso il mare ridendo e scherzando ad alta voce, mentre all’ombrellone Izou e Bonney si scambiavano un’altra occhiata d’intesa, contando mentalmente in perfetta sincronia.
Uno, due, tre.
Ishley crollò il capo soffiando dal naso, nascose il viso tra le braccia incrociate e prese a mugugnare di fastidio, sbattendo le gambe nella sabbia in un gesto di sfogo. Andò avanti per dieci secondi buoni prima di risollevare la testa, inspirare a pieni polmoni e scuotere appena il capo.
«Okay» dichiarò, riaprendo le parole crociate. «Ora va meglio»
«Certo, come no» commentò Izou a sopracciglio alzato.
Bonney si tirò su, senza preoccuparsi di coprirsi il seno e subito un fischio risuonò attraverso la spiaggia.
«Ehi bambola che schianto!»
«Vai a ingoiarti lo scroto!» ribatté Bonney prima di concentrarsi su Ishley. «Bimba, non puoi continuare così» le disse, accarezzandola con gli occhi.
«Bon potresti rimetterti il costume?» le domandò Ishley, guardandola di striscio, più per ignorare le sue parole che perché le creasse un qualche problema avere di fianco l’amica in topless.
Bonney si illuminò e le lanciò uno sguardo carico di malizia. «Perché? Le trovi interessanti? Ti fanno sentire confusa? Non ti devi preoccupare, è normale all’inizio, basta che segui il flusso e…»
«Bon è etero!» esclamò Izou, guardandola da sotto in su, le dita intrecciate sulla nuca e una gamba accavallata all’altra.
La rosa lo fulminò furente. «Devi sempre rompermi le uova nel paniere? E poi che ne sai? Magari è pansessuale o… o pluriorientata o…»
«Anche se lo fosse, comunque andrebbe a parare sempre nell’eterosessualità, fattene una ragione» la ammonì acidamente il moro. «No dico, ma la vedi?» indicò poi a braccio teso l’amica che ora si era completamente sdraiata sul telo, pancia in sotto, il viso appoggiato sulle braccia, una guancia lentigginosa deformata e l’espressione depressa. «Non dovevamo fare le parole crociate?» le chiese Izou, senza ottenere reazione.
«Santo cielo! Ma tu pensi di vivere così per i prossimi due mesi?!» esplose Bonney, riuscendo quanto meno a strapparle un sospiro.
«Hai qualche suggerimento su cosa dovrei fare?» domandò piatta Ishley, senza alcun vero interesse nei confronti della risposta.
Tanto sapeva già cosa Bonney stava per suggerirle e, purtroppo, non era un consiglio praticabile per lei. Anche se avrebbe potuto esserlo e lei voleva tanto che lo diventasse. Dopotutto, per essere praticabile sarebbe bastato levarselo dalla testa.
«Vai e rimorchia!» allargò le braccia Bonney che, così in ginocchio com’era, in quella posa pareva quasi stesse pregando una qualche divinità. Difficile dire quale. Del cibo, forse, o del sesso.
Sì, Ishley avrebbe dato non sapeva cosa per riuscire a levarselo dalla testa, e non tanto perché ci tenesse a seguire il consiglio di Bonney ma perché la sua vita da praticamente un anno a quella parte stava diventando invivibile e quella sarebbe stata l’estate peggiore di tutte.
Avrebbe dato non sapeva cosa per tornare indietro e non rendersi conto, continuare a vivere nell’ignoranza e nella convinzione che vederlo flirtare con qualunque forma di vita femminile entrasse in contatto le desse fastidio perché quando faceva il coglione era insopportabile, e non perché avrebbe voluto che facesse il coglione proprio con lei.
Santo Roger, quanto.era.patetica!
«Ish dico sul serio! Dio, ti basterebbe incrociare per mezzo secondo lo sguardo di uno qualsiasi dei tizi che ti guardano quando vai in mare con la pagaya in mano per avercelo ai tuoi piedi! Sai che darei io per riuscire a rimorchiare così?»
«Oh ma tu riesci Bonney BonBon, solo che non ti piacciono gli uomini» canticchiò Izou, senza pietà.
«Stai zitto, nessuno te l’ha chiesto! Ish, senti…»
«Non sono interessata» la freddò Ishley, girando il viso dall’altra parte. Bonney si immobilizzò, lo sguardo vitreo e incredulo.
Non era interessata?  Non era interessata?!
E come pensava di superare la cosa allora?
«E se provassi a parlarci, invece?» propose Izou, in un raro slancio di diplomazia, rotolando sul fianco e puntellando il capo contro la mano. «Avevi detto che una volta uscita di casa lo avresti fatto ed è un anno ormai che non stai più dai tuoi»
«Parlarci?» domandò Ishley, sollevando il capo dalle braccia. «Parlarci?! E per dirgli che?! Non hai sentito cos’ha detto prima?! Lui può fare quello che gli pare se si tratta di me perché sono sua sorella» marcò duramente l’ultima parola, girandosi poi verso Bonney, prima di ripetere: «Sorella!»
Bonney la fissò atona alcuni secondi, le braccia incrociate sotto al seno scoperto. «Sorella, non guardare me. Io te l’ho detto cosa fare»
Ishley liberò un altro sospiro. Era un casino. Era un autentico casino.
Si era messa in…
«Un autentico casino» cantilenarono all’unisono Bonney e Izou e Ishley riaprì gli occhi stranita.
«Ho pensato di nuovo ad alta voce?»
«M-mh» mugugnò Izou, annuendo a ritmo con Bonney.
«Ecco visto?! Mi sta flippando il cervello!» si lamentò Ishley, rotolando a pancia sopra solo per avere le mani libere da ficcarsi tra i capelli.
Con gli occhi puntati al cielo cercò di fare un po’ di ordine nei suoi pensieri confusi. Non sarebbe dovuto essere così. Era la prima volta che si innamorava, non sarebbe dovuto essere un simile incubo.
Certo non sarebbe stata la prima né l’ultima a sperimentare un primo amore non ricambiato ma tutte le amiche che lo avevano affrontato prima di lei le avevano giurato e spergiurato che, nel mezzo della sofferenza e della rassegnazione, quel tripudio di nuove sensazioni come battito accelerato, farfalle nello stomaco e brividi a fior di pelle valevano assolutamente la pena di essere provate.
Il primo amore era bello, che fosse ricambiato o meno, che fosse destinato a durare o no.
Il primo amore era sempre bello per tutti.
Ma non per lei. Lei era Monkey D. Ishley e, oltre ad avere un gigantesco problema di totale mancanza di filtri e una capacità di oscillazione emotiva che avrebbe fatto un baffo a uno schizofrenico, tendeva nella vita a fare sempre tutto in maniera molto alternativa, persino quando non lo faceva di proposito.
E non era certamente per scelta ponderata e volontaria che aveva perso la testa per lui, proprio per lui, suo fratello, Monkey D. Sabo.
Che poi non fossero davvero fratelli era il fulcro di tutta la faccenda. Ritrovarsi sotto lo stesso tetto con lui alla soglia dell’adolescenza e delle tempeste ormonali era stato gestibile proprio grazie a quella vocina nella testa che, per tutto il liceo, le aveva ripetuto che avrebbe dovuto disgustarla anche il solo pensiero di approcciarlo con intenzioni meno che caste. Le aveva dato retta, ci aveva creduto, ci aveva voluto credere, strenuamente, con fiducia, per tre anni.
Poi Sabo aveva iniziato l’università, era andato via di casa e tornava solo nei fine settimana e Ishley aveva abbassato la guardia. Ma c’erano sempre gli occhi attenti di Dragon e Betty a ogni suo rientro a casa, e quand’anche non ci fossero stati, avevano ancora compagnie diverse all’epoca ed era stato solo l’ultimo anno di liceo che Ishley avevano iniziato a uscire con il suo gruppo, scoprendo che proprio coloro che per anni aveva creduto la vedessero solo come la sorellina minore di Sabo erano in realtà amici più fidati e leali di quelli che aveva creduto di avere fino a quel momento.
Era stato subito dopo l’ultimo anno di liceo. L’anno in cui aveva deciso che voleva capire cos’avesse di così incredibile questo “sesso” al punto di perdere la verginità con Drake, l’ultimo anno a casa con i suoi, l’ultimo anno lontana da Sabo prima di ricominciare a vederlo quasi con la stessa frequenza di prima, incrociandolo in giro per l’università o accettando e proponendo un caffè insieme a cadenza settimanale, per non parlare dei viaggi in macchina da e verso casa, i weekend che tornavano a Raftel da Marijoa per salutare.
Era stato subito dopo la maturità, proprio lì a Waterwheel, alla casa al mare che Dragon e Betty non usavano più da anni.
Era stato allora che la voce nella sua testa si era fatta sempre più fievole fino a sparire. Non c’erano più occhi attenti a tenerla d’occhio, regole da rispettare sotto un tetto che non le aveva mai fatto mancare niente, sguardi severi a cui doversi giustificare.
Era stata libera, libera di pensare e ammettere almeno con se stessa quello che in realtà pensava da anni, che aveva sempre pensato.
Sabo non era suo fratello. Sabo era il sedicenne bello e dal sorriso smagliante con cui, dalla sera alla mattina, si era ritrovata a dividere la casa, la televisione, i cereali della colazione. Sabo era il ragazzo che aveva forse un po’ odiato all’inizio ma che subito, sin dal primissimo giorno, era stato capace di farla ridere, che con il tempo si era fatto apprezzare, a cui aveva imparato a volere un bene che sapeva essere reciproco e di cui, alla fine, contro ogni buon senso e migliore intenzione, si era perdutamente innamorata.
E ora Sabo era il ventunenne che faceva strage di cuori tra le sue compagne di giurisprudenza e non solo, in università e non solo, che la conosceva meglio di chiunque altro sulla faccia del pianeta, che sapeva meglio di chiunque altro come consolarla e tirarla su, e che dichiarava a spron battuto e ad ogni occasione che lei era sua sorella. Se il cuore di Ishley fosse morto un decimillimetro cubico per volta in ogni occasione in cui Sabo aveva pronunciato quella parola rivolta a lei, Ishley sarebbe già dovuta essere defunta e sepolta.
«Okay» batté le mani la ragazza, improvvisamente ringalluzzita, rotolando di nuovo pancia sotto. «Elenchiamo tutti i suoi difetti. Vizi, brutte abitudini, tutte le cose negative che ci vengono in mente di lui»
Sì, quello decisamente poteva funzionare, aprirle gli occhi e farle superare la barriera che le impediva di giudicare lucidamente Sabo.
«Comincio io» azzardò, pur sapendo quanto fosse difficile ma era necessario per andare oltre. Doveva davvero sforzarsi se voleva disinnamorarsi una volta per tutte. «È un coglione» annunciò, conscia che nessuno avrebbe potuto contraddirla su quel punto.
Anche se certo…
«Questo poco ma sicuro» commentò subito Bonney.
«Sì, però è quel coglione piacevole» ribatté Izou. «Insomma è quel coglione che sa essere serio quando serve, però ti fa ridere e si sa, alle ragazze piace un uomo che le faccia ridere»
Ecco appunto.
Ishley fissò l’amico a occhi sgranati, incredula per alcuni secondi, poi scosse il capo decisa a continuare con la propria strategia. «E poi russa» tentò, già a corto di idee.
«Russa come un bisonte» precisò Izou, agitando un dito nell’aria.
«Certo è incredibile come nonostante questo, quando dorme sia assolutamente adorabile. Viene voglia di coccolarlo persino a me» asserì Bonney, mentre si sistemava meglio sul suo telo, tornando a coprire le tette, per il bene della pressione sanguigna di molti degli uomini presenti in spiaggia.
«Sì ma non ti permette comunque di dormire. Anche se poi è il tipo che ti porta la colazione a letto, eh»
«Che scocciatura la colazione a letto» grugnì Bonney. «Magari pure cucinata da lui»
«Che poi Ish, c’è un lato negativo che li batte tutti» argomentò Izou, dandole una flebile speranza. «Ti conosce meglio di chiunque altro» proseguì il moro, quasi che stesse rivelando un segreto di stato. «Sa esattamente cosa ti piace e cosa non ti piace, come tirarti su il morale…» prese a elencare Izou
«Izou ha centrato un gran punto sai? Questo toglie tutto il piacere della scoperta»
«Il tuo colore preferito, il tuo gusto di gelato preferito…»
«Le tue allergie» sentì il bisogno di dare un contributo Bonney.
«Eccerto. Vuoi mettere l’ebbrezza di un bello shock anafilattico al primo appuntamento perché ti ha fatto assaggiare il suo dolce a base di arachidi?» la freddò Izou con un’occhiata atona.
«Era un esempio come un altro, Madama Sbutterfly! Oh e sai anche cosa?!  Ci sono ottime probabilità che sia in grado di capire in tempo reattivi molto più brevi del maschio medio dove ha sbagliato quando ti fa arrabbiare. Cioè, voglio dire, che noia sarebbe?!»
«Bon, Bon, credo che abbiamo detto qualcosa di sbagliato» Izou si affrettò ad avvisare l’amica quando notò l’espressione di Ishley, che spostava gli occhi vitrei da uno all’altra.
Bonney si sporse verso di lei per scostarle una ciocca dal volto. «Ish, bimba, è tutto a posto?»
«Ma voi due da che parte state?!» domandò Ishley, al limite di sopportazione.
Aveva una voglia di Sabo adesso, di vederlo, di sentirlo ridere, di farsi abbracciare con una scusa qualsiasi. Che amici perspicaci che aveva! Davvero una gran botta di culo!
Con un sospiro si alzò dal proprio telo. «Sentite, io vado a prendermi un the al bar» li informò mentre si liberava dalla sabbia. «Voi volete qualcosa?»
«Un mojito per me» rispose senza vergogna Bonney.
«Alle dieci del mattino?»  
«È il mio ultimo desiderio prima che Kay ci uccida per averla fatta deprimere ancora di più. E poi fatti i…»
Ishley smise di ascoltare, scartando agile tra spugne e ombrelloni, diretta verso il Bell-Mère, il piccolo bar che rifocillava l’intera spiaggia pubblica. Praticamente un chiringuito allargato, a pianta rotonda e cinque tavolini, in grado di smaltire valanghe di ordini in serie grazie all'agile rapidità della proprietaria, che in quanto donna era anche in grado di registrare nuove ordinazioni, mentre comunicava le vecchie a Chabo, il suo aiutante stagionale. Portamonete stretto in mano, Ishley si avvicinò al chiosco, appropriandosi silenziosa di uno sgabello libero e un po' defilato, sull'estremità sinistra del bancone frontale.
Una nuvola lilla al profumo di crema solare le sfrecciò davanti non appena ebbe finito di sistemarsi sull'alta seduta. Cinque bicchieri vuoti, abbandonati a un passo da lei, vennero impilati in appena due gesti, e uno straccio pulito arrivò a lucidare il pianale aranciato fino a sotto il naso di Ishley.
«Alcolico o socialmente accettato vista l'ora?» domandò Nojiko, con un sorriso e gli occhi grigi che brillavano tanto quanto il suo incarnato bronzeo.
Che si chiamasse Nojiko, lo sapevano tutti in spiaggia, per lo meno chi era solito andare lì o chi si tratteneva per più di un weekend. Era una di quelle persone che restavano impresse, spumeggiante, amichevole, dalla battuta sempre pronta.
Ishley ci mise un momento a reagire alla domanda, un breve momento che le servì a processare un moto di gratitudine verso la sconosciuta che ben conosceva, come tutta la spiaggia d'altronde, per essere riuscita a strapparle una risata.
«Uno e uno. The freddo e mojito»
«Pesca o limone?»
«Fai tu» alzò le mani Ishley, ricevendo in cambio un occhiolino e un "arrivano subito", prima che Nojiko si ributtasse in pasto a chi aveva già ordinato, tra cui c'era chi con insistenza avrebbe voluto offrirle anche qualcosa di più che un cocktail.
Ovviamente, il Bell-Mère brulicava di vita, come sempre e a praticamente tutte le ore, ma non era un brutto spazio vitale dove aspettare. L'ombra assicurata dalla copertura in paglia era un toccasana contro la luce solare che la spiaggia quasi bianca rifrangeva, la brezza che le accarezzava le gambe una coccola, il profumo di uno dei mandarini in vaso che punteggiavano la piattaforma gittante rigenerava a ogni respiro. 
E poi, di norma, Ishley era una persona rilassata e non facilmente vittima dell’impazienza. Non trovava disagevole attendere anche se da sola, di solito ne approfittava per guardarsi intorno e meglio assorbire l’atmosfera estiva.
Nemmeno il pensiero che, se fosse tornata all’ombrellone dopo di lui, avrebbe potuto trovare Sabo a flirtare con qualche vicina di spiaggia riusciva a preoccuparla, perché Satch era finalmente arrivato e, con Satch nei paraggi, sapeva che qualunque tentativo di Sabo, come anche quelli di Ace, sarebbe andato a buca. Forse solo Law sarebbe riuscito ad agganciare e inchiodare una ragazza nonostante il cappellone in giro, ma era una sfida a cui Law non era più interessato da tempo ormai.
Tuttavia, quella mattina l’universo sembrava volerla mettere a dura prova e nonostante la sua indole calma e quasi stoica, nonostante la contagiosa allegria di Nojiko e la piccola iniezione di buon umore, che era riuscita a inocularle al suo arrivo, l’attesa stava diventando snervante. Non sarebbe potuto essere altrimenti, in fondo, se tutte le coppiette felici della spiaggia avevano deciso di riunirsi nei paraggi. Sembrava che ovunque posasse lo sguardo ci fosse qualcuno che flirtava o tubava.
I quattro ragazzi al calcetto erano solo in apparenza focalizzati sulla loro partita, anche se certamente la competizione era sincera. Ma ad ogni gol segnato o preso, oltre alla reazione della riccissima ragazza dai capelli verdi che assisteva, e che strappava ogni volta un'occhiata di pura adorazione a uno dei quattro, anche gli altri tre avevano chi cercare. Il riccio indie boy ce l'aveva con la versione giovane di Izou, ormai ne era certa, Ciuffo Blu stava con Riccioli Rossi, non c'era alcun dubbio, e gli ultimi due, il moro e la biondina le davano tutta l'impressione di essere innamorati senza sapere di essere ricambiati dall'altro.
Ishley non sapeva se le facessero più tenerezza o più invidia. Era quasi tentata di andare a parlarci, almeno che loro potessero essere felici, ma poteva non essere la migliore delle idee, forse era meglio pensarci bene o proprio non pensarci affatto e guardare altrove.
Un ragazzino castano sui quattordici e gli occhi più dolci che avesse mai visto stava offrendo una granita a una bimba alle soglie della pubescenza, con capelli blu e il costume viola e bianco. I tentativi di rimorchio ai danni di Nojiko non si erano ancora placati e, quando vide poco distante un tizio improbabile con un costume terribilmente simile a un pannolino da neonati, che veniva osannato da un gruppetto di cinque ragazze con più tette che cervello per aver fatto punto a bocce, Ishley valutò seriamente di lasciar perdere il the e il mojito, o magari di chiedere sotto banco al volo solo la sua lattina e battere in ritirata, tanto non era che Bonney se lo fosse meritato, il mojito.
«Arrivo eh» le sfrecciò nuovamente davanti Nojiko, mostrandole i pollici alzati.
«No ma guarda non...» provò a fermarla senza successo, liberando un lungo sospiro.
Poteva andarsene, nessuno la tratteneva. Ma se poi Nojiko avesse preparato il mojito si sarebbe sentita in colpa per lo spreco, nei confronti tanto della barista quanto dell'ambiente.
Si riappoggiò al bancone rassegnata e non erano passati più di cinque minuti quando risollevò la testa, eppure il chiosco era ora più vuoto che pieno.
C'era un bimbo che mangiava un ghiacciolo, una probabile madre che si stava armando con lattine di bibita e brick di succhi e altri tre avventori ancora in attesa oltre a lei.
«Hai deciso?» stava chiedendo un ragazzo a quello che era con lui, che tuttavia non aveva affatto l'aria di avere deciso un bel niente.
«Mmmmmmh» mugugnò infatti, scrutando la griglia delle patatine come se fosse un Poignee Griffe da decifrare.
«Volevi quelle sale e aceto» gli ricordò l'amico, un diplomatico tentativo di schiodarlo da lì con gentilezza.
«Si ma è cambiata la marca, non conosco questa marca, poi magari c'è troppo sale, quelle sale e aceto troppo salate sono immangiabili. Ehi scusa!» si allungò tutto il tipo, quando Nojiko si avvicinò al terzo avventore oltre a loro due e Ishley, per servire il suo ordine che, a naso, Ishley pensava fosse l'ultimo prima del suo agognato the e mojito.
«Dimmi tutto» sorrise Nojiko, sempre sul pezzo.
«Questa nuova marca di patatine, sono tanto salate?» chiese e se la barista era stata presa in contropiede non lo diede a vedere.
«Non più del normale, me l'hanno caldamente consigliata»
«Ah okay» mormorò il tipo, non molto convinto. «Ma tu le hai provate?»
«Non ho ancora avuto modo» continuò imperterrita nel proprio lavoro Nojiko.
«Mh capito» mugugnò l'altro, tornando a fissare lo stand.
L'amico, che qualcuno un giorno avrebbe fatto santo, alzò lo sguardo, incrociando per un attimo quello di Ishley, e le sorrise per poi prodursi in una smorfia esasperata che quasi le fece scappare una risata.
«Quindi sale e aceto?» ritentò dopo un'altra manciata di secondi.
«Mmmmh non lo so. Ehi scusa, ma queste sono piccanti?»
«Dipende cosa intendi per piccante»
«Forse meglio di no allora. Ma quindi non hai assaggiato nemmeno le classiche? Sempre per il sale dico...»
«Nope, neanche le classiche» negò Nojiko, mentre dava il resto al penultimo avventore a parte loro. «Ecco a te, grazie»
«E invece le rustiche sai come sono? Perché le rustiche a volte sono un po' tipo affumicate e se lo sono poco mi piacciono ma se lo sono tanto poi...»
Ishley non provò neanche a fermarsi quando le mani calarono un po' più forte del dovuto sul bancone nel rimettersi dritta. «Amico» chiamò con una lievissima nota isterica nella voce «Prendi quelle al pepe rosa e lime, lì! Più giù... più giù... sinistra... eccole! Quelle non hanno sale, sono dodici grammi meno delle altre perché il lime costa ma al netto dello svantaggio quantità-prezzo il sapore compensa quindi prendi quelle e vai» inalò a fondo a fine tirata, studiando l'espressione scioccata del ragazzo e cogliendo vagamente quella divertita del suo amico. «Okay?!»
«O-okay»
«Fantastico!» esalò esasperata nel girarsi, già pronta ad archiviare la faccenda come perdita dei filtri numero non era dato sapere.
«Nojiko dovresti assumerla»
Ishley guardò sorpresa il ragazzo fulvo, che non la stava guardando di rimando, ma sorrideva sincero a Nojiko.
«Voglio dire, può gestire sia i clienti che gli scocciatori, è come un tuo clone»
«Chabo hai sentito? Stai per perdere il lavoro!» alzò la voce Nojiko, rivolta verso l'altro lato del chiosco.
«Che cosa?!»
«Ehi, non voglio avercelo sulla coscienza!» protestò Ishley con un sorriso.
«Io sono Pen e, scherzi a parte, ti sono debitore per aver frenato la follia di Clione» buttò un'occhiata all'amico che, patatine strette in mano, stava aspettando Pen a distanza di sicurezza.
«Io sono Ishley ed è stato un piacere» rispose Ishley, sorreggendo la testa con la mano. «Sia conoscerti che il resto, quando vuoi, puoi anche chiamarmi, funziono anche da remoto»
«Ah» rise Pen. «Sei troppo gentile, dovrò offrirti da bere. Ma ora purtroppo devo andare, grazie per la limonata Nojiko e buona giornata a tutte e due signore»
«Buona giornata a te!» lo salutò Ishley con la mano, portandola poi alla treccia mentre si rigirava verso il bancone, di nuovo sorridente.
Non fece in tempo ad appoggiarsi che una lattina verde prato entrò nel suo campo visivo, con un leggero "thud" contro il legno.
«The verde ai fiori di sambuco. Ho scelto io come da accordi» le sorrise Nojiko. «Vuoi un bicchiere?»
«Oh no, grazie, mi basta una cannuccia» la fermò Ishley, servendosi da sola dal barattolo delle cannucce.
«Flirt interessante comunque» commentò la barista, spostando gli ingredienti necessari al mojito dagli scaffali al banco da lavoro. Ishley sobbalzò, gettando qualche canuccia fuori dal barattolo.
«Come?!» chiese con voce acuta e occhi sgranati.
«No dico, ne ho viste di tutti i colori in vita mia e, lungi da me dire che fosse uno dei peggiori, non lo era, non avevo mai visto un flirt così cauto»
«No ma guarda che ti sbagli, io non stavo flirtando» agitò le mani nell'aria la mora.
«Sicura? Non ci sarebbe niente di male» si strinse nelle spalle Nojiko, strappandole un sospiro.
«Lo so, è che anche volendo non...» Ishley agitò una mano in aria con un altro sospiro. «Lascia stare»
Nojiko la osservò da sopra la spalla qualche secondo, indecisa sul da farsi solo per un istante.
«Hai litigato con la tua ragazza?»
«Che cosa?» domandò stavolta perplessa Ishley, alla schiena di Nojiko che non sembrava intenzionata a voltarsi.
«Perdonami, è che da qui si vede il vostro ombrellone e prima ti ho notata discutere animatamente con la ragazza dai capelli rosa. Non volevo farmi gli affari vostri, giuro, è solo...»
«Sei fuori strada, Bonney non è la mia ragazza»
Nojiko si immobilizzò, lanciandole un'altra occhiata da sopra la propria spalla.
«Ah no?!»
«No affatto! Cioè non che ci sia niente di male ma anche fossi lesbica mi farebbe troppo strano, è una delle mie più care amiche» allungò il braccio Ishley, un gesto a metà tra indicare l'ombrellone e spingere via l'idea di lei e Bonney in intimità.
«Se tu fossi lesbica, quindi Bonney lo è?» Nojiko diede le spalle al mojito, ripulendo le mani in uno strofinaccio. 
«Sì lo è, o forse è pansessuale, non lo abbiamo ancora capito, e cerca di convertire anche me, e anche Kay, e a Kay no, per carità, poi bisognerebbe mandare Law in terapia, ma a me forse servirebbe davvero cambiare orientamento sessuale» un altro sospiro, il terzo.
«Per lo stesso motivo per cui quello di prima non era un flirt?» domandò cauta Nojiko, chinandosi appena con il busto.
«A-ah» confermò Ishley, coprendosi gli occhi, le dita nei capelli.
«Per lo stesso motivo per cui non hai l'aria di voler tornare al tuo ombrellone?»
Ishley scostò le mani senza abbassarle, la fissò qualche secondo, combattuta, per poi annuire lentamente, gli occhi grandi come il mare alle sue spalle.
Nojiko piegò le labbra color melograno in un sorriso materno e pieno di comprensione e si rimise dritta.
«Ti prendo un bicchiere»
 

§
 

Sabo apprezzava che i costumi maschili fossero più simili a dei pantaloni che a degli slip. A meno ovviamente di non essere un maschio con la fissa dei costumi a slip, certo. Ma avendogli la moda concesso di scegliere, Sabo era ben felice di poterlo fare e apprezzava che i costumi maschili più gettonati e facili da trovare assomigliassero a dei pantaloni alla zuava, perché questo significava che avevano le tasche.
E per Sabo era fondamentale avere a disposizione delle tasche in alcuni momenti della sua vita. Come in quello, per esempio. Era fondamentale poter ficcare le mani in tasca quando si sentiva nervosamente a disagio, e Sabo si sentiva per forza nervosamente a disagio se Ace si impuntava ad affrontare quella questione del tutto ridicola. Non sapeva neppure perché gli stesse dando corda, non c’era neanche da discutere dal suo punto di vista.
«Satch è insistente!»
«E Ishley adulta! E sa difendersi da sola, come hai visto»
Sabo lo guardò con rancore e indignazione. Porca miseria, erano cresciuti insieme, possibile che non capisse?
«Ma da che parte stai tu, eh?!»
«Dalla parte di chi ha ragione. E stavolta tu hai torto» proseguì imperterrito Ace, in un raro slancio di matura razionalità che, di tutti i momenti della sua vita, proprio in quel frangente doveva coglierlo?!
«Satch è un marpione seriale e io sarei quello che ha torto?!»
«E con Ish scherza e basta. Ma che ti credi?» fu il turno di Ace di mostrarsi indignato. «Che se pensassi che fa sul serio non mi metterei di traverso anche io? È una sorella per me!»
«Ah certo» rise Sabo, per niente divertito. «Facile parlare per te, mica devi rendere conto a Dragon se le succede qualcosa» borbottò, la voce più fievole, conscio di quanto sembrasse una scusa.
Purtroppo per Sabo, quel giorno Ace aveva deciso di essere perspicace oltre che maturo e ne era conscio anche lui.
«Dragon» ripeté con tono piatto. «Lo stesso Dragon che quando è venuto fuori che sua figlia si era fatta deflorare da Drake le ha stretto una spalla e le ha detto “gli errori nella vita fanno crescere, le cazzate servono solo a imbarazzarti, ricordatelo”? Quel Dragon?»
«Dragon è iperprotettivo»
«Non lo è! E per “se le succede qualcosa” intende un incidente tipo un coma etilico, un’overdose, uno schianto con il motorino o un’onda che se la porta via, non un’eventuale limonata con Satch» Sabo sgranò gli occhi, inorridito e omicida, costringendo Ace ad aggiungere: «Che tanto non avverrà mai! Sabo…» il moro prese un profondo respiro, gli passò un braccio sulle spalle e sorrise con quella sua faccia da schiaffi che faceva venire voglia di strozzarlo. «Fratello, ascolta. Perché non la smettiamo con questa farsa e non ammetti che il problema non è affatto Satch o la necessità di tenerla d’occhio per conto di Dragon?»
Sabo sussultò, dentro. Ma sapeva di aver sussultato anche fuori e che Ace se n’era accorto, manco avesse avuto bisogno di una conferma.
«Non so di che stai parlando» scosse il capo biondo, sorridendo nervoso. I pugni dentro alle tasche del suo costume si fecero più stretti. «Ovviamente lo faccio anche perché è mia sorella e…»
«O perché non è affatto una sorella per te» lo interruppe Ace.
Sabo si sentì raggelare ma continuò imperterrito a sorridere con leggerezza. «Non dire stronzate. Certo che è mia sorella»
«Non lo è mai stata»
«E tu che ne sai?»
«Perché per me lo è e mi vedi forse agitarmi tanto per quattro moine che Satch le fa?»
«Ma sei sicuro che il tuo unico neurone sia in grado di recepire un comportamento complesso come le moine di Satch?» ribatté acido il biondo, indicando verso il mare dove il loro amico cappellone ci stava provando spudoratamente con una povera moretta che aveva avuto la sventura di capitare tra le sue grinfie.
A pochi metri di distanza Law, Marco e Koala si refrigeravano a mollo e Sabo avrebbe dato via un rene per poterli raggiungere, non tanto per il caldo quanto per sfuggire alle grinfie di suo fratello e dei suoi pessimi tentativi di psicanalizzarlo.
Il braccio di Ace si strinse più forte intorno al suo collo, senza fare male mentre lui sorrideva comprensivo. «Okay, ho capito, non ti senti ancora pronto ad affrontare la quest…» si interruppe quando un suono inaspettato risuonò nell’aria. Ace guardò Sabo attentamente. «Sei stato tu ad abbaiare?»
«Ma sei deficiente?» ribatté Sabo mentre il suono si ripeteva alle loro spalle.
In simultanea ruotarono di centottanta gradi e abbassarono lo sguardo verso un batuffolo di pelo a chiazze di colore, fermo a pochi passi da loro, la lingua penzoloni, un orecchio in piedi e l’altro piegato, il musetto da cucciolo inclinato di lato. Ace si accosciò subito, mentre Sabo si piegava in avanti con il busto.
«Ma guarda che bel cucciolo abbiamo qui!» esclamò, già in brodo di giuggiole.
Sabo doveva ammettere che, personalmente, non avrebbe definito quel cane “bello”. Non che fosse esperto di estetica, o di cani, né che avesse un’opinione particolare su quel cane. Gli suscitava affetto e istinto protettivo, gli veniva voglia di coccolarlo e lo trovava carino. Ma oggettivamente, era piuttosto certo che se avesse fermato una persona a caso chiedendone il parere, non si sarebbe sentito dire che quel cane era “bello”.
Inquietante però, quello sì.
L’eterocromia lo faceva apparire leggermente strabico, e l’occhio azzurro dava l’impressione di essere un pelo più sporgente di quello marrone, colpa anche della chiazza grigia e bianca che contornava l’occhio chiaro, opposta a quella nera intorno all’occhio scuro.
Ma per Ace, come per Koala, tutti gli animali erano stupendi e meritevoli di affetto, il che spiegava, entrambi amavano spesso affermare, la loro sacra pazienza nei confronti di Satch e di Sabo.
«Dove te ne vai tutto solo soletto?» domandò Ace e tanto bastò perché la creatura balzasse in avanti e in braccio al moro. Ace lo prese al volo, ridendo e cercando di schivare le sue leccate, con scarso successo. «Ehi, ehi, quanto entusiasmo!» esclamò rimettendosi in piedi con il cane stretto al petto.
«Kumachi!!!»
Un grido femminile e preoccupato li raggiunse, tra lo sciabordio delle onde e il chiacchiericcio della spiaggia.
«Kumachi!!!»
Sabo la individuò facilmente, che correva tra tutta la gente che invece camminava placida lungo il litorale. Codini rosa che frustavano l'aria e un costume amarena a pois neri con una specie di gonnellina attaccata agli slip, quella cosa che piaceva tanto anche a Kay e che gli aveva detto anche come si chiamava, ma lui alla fine si confondeva sempre con i vol-au-vent.
«Kumachi!!!» chiamò un'altra volta ancora, guardandosi attorno con gli occhi carbone carichi di frenesia. Sabo sventolò un braccio nell'aria con perfetto tempismo e riuscì ad attirare la sua attenzione, indicando poi il botolo che stava mummificando Ace con la propria saliva.
La osservò sgranare gli occhi, poi tirare un sospiro di sollievo che era anche una boccata di ossigeno per la corsa appena sostenuta prima di precipitarsi verso di loro.
«Grazie al cielo!» esclamò a due passi di distanza. «Kumachi eccoti!» si avvicinò a Ace, tendendo le mani verso il cagnolino che ora leccava l’aria nella speranza di raggiungere la pelle della sua padrona. «Mi hai fatto morire di paura, non devi scappare così! Non si fa!» lo rimproverò, mani sui fianchi, prima di espirare sollevata e rimettersi ben dritta. «Grazie mille» mormorò con sincera gratitudine, anche se lo sguardo sembrava sfuggire il contatto diretto.
«È più che altro lui che ha trovato noi» minimizzò Ace, maneggiando con maestria il cucciolo che non sapeva più da chi voleva andare. Forse solo sdoppiarsi avrebbe risolto il suo dilemma.
«Oh, davvero?» si accigliò la ragazza, riscuotendosi poi in un turbinio di ciocche alla fragola. «Beh grazie comunque, io...»
«Sono teschi?»
«C-come?» domandò, presa in contropiede.
«Quelli sul tuo costume» indicò con il mento Ace, un sorriso gentile sul volto. «Sono teschi no?»
La rosa abbassò gli occhi, quasi a controllare se quelli che sembravano pois fossero effettivamente teschi, una frazione di secondo soltanto prima di mettersi sulla difensiva. «Sì, perché?»
«Sono una figata» assicurò Ace.
«Oh» fu l'immediata reazione della ragazza, il suo secondo "oh" ma abbastanza diverso dal primo.
Sabo spostò gli occhi da suo fratello alla sconosciuta un paio di volte. Forse stava assistendo a qualcosa ma non era certo di cosa fosse il qualcosa.
«Grazie» mormorò più incerta la rosa, prima di rialzare le difese e allungare le braccia per riprendersi il cane. «Io ora comunque dovrei andare e...»
«Ehi ragazzi! Che state fac… Oh ehi! Ciao splendore!» si lanciò in avanti Satch quando si accorse della nuova arrivata, sgomitando Ace che usò la propria prontezza di riflessi per proteggere Kumachi con la sua non indifferente mole.
La rosa lo squadrò con evidente disgusto e Sabo non sapeva se fosse per ormai automatizzata tendenza a mettere un freno a Satch o per evitare che la ragazza decidesse di andarsene, separando così brutalmente Ace e Kumachi, quando decise di intervenire.
«Satch com'è l'acqua?» lo richiamò, occhiando di striscio a Ace che si spostava fino a mettersi tra il cappellone e la rosa, per preservare lo spazio vitale dell'ultima. «Fredda?»
«No, si sta bene»
«E allora perché sei uscito?»
Satch lanciò un'occhiata assassina a Sabo, per poi virare all'ammiccante. «Che domande! Volevo avere il piacere di fare la conoscenza della signorina...?»
«Perona» avanzò lei, permettendo inaspettatamente a Satch di farle il baciamano. «E quella sulla mia mano non è acqua, è la saliva del mio cane» aggiunse quando ormai Satch l’aveva già baciata, con un sorriso sadico.
Ace la guardò colpito, Sabo scoppiò a ridere di gusto e Satch incassò con nonchalance, resistendo all’impulso di ripulirsi le labbra sull’avambraccio.
«Ehi Satch!»
Il cappellone si girò in direzione della voce, che si mischiava con il fruscio della risacca e il garrire dei gabbiani, e sgranò gli occhi con stupore verso la ragazza statuaria e dai capelli color perla che correva verso di loro dal mare. «È ancora valido l'invito?»
«Certo che sì, io credevo che te la saresti data a gambe alla prima occasione»
«Come?» domandò lei perplessa, mani sui fianchi e pelle gocciolante.
«No niente, ragazzi lei è Yamato, è qui da sola e le ho proposto di unirsi a noi»
«Hai un ombrellone?» domandò prontamente Ace, che, a inizio vacanze, era stato tra i procrastinatori dell'acquisto di un secondo ombrellone al grido di "c'è tempo, c'è tempo" e ora se ne stava pentendo.
«Puoi scommetterci amico»
«Fantastico, sei la benvenuta!»
«Grazie! Ma tu chi sei, piccolo batuffolo d'amore?»
Sabo percepì prima ancora di vedere lo shock mascherato da indignazione sul volto di Perona e scivolò verso di lei, con un comprensivo sorriso.
«Beh, visto che Yamato ha un ombrellone, se vuoi unirti anche tu...»
«Sono qui con delle amiche ed ero venuta solo a recuperare Kumachi» protestò, un attimo prima di venire investita dalla risata di Ace, che cercava di evitare con scarso successo le poderose leccate di Kumachi, sotto lo sguardo rapito di Yamato.
«Amico, ehi, piano! Anche io ti voglio bene, ma ho già fatto il bagno stamattina!»
«Buona fortuna» mormorò Sabo.
«Piccolo ingrato» sibilò Perona e Sabo si lasciò sfuggire una risata.
«Comunque, io ora devo andare» annunciò il biondo, avviandosi e alzando il braccio a salutare Law e Koala che non avevano seguito Marco fuori dall'acqua.
«Hai esaurito l'autonomia lontano da Ishley?»
«Fottiti Satch»
«Allora Yamato, dove hai l'ombrellone che andiamo a prenderlo?» chiese Ace, cercando di mettere giù un riluttante Kumachi che guaiva a tutto spiano. «Piccolo devi tornare dalla tua padrona, io non posso...»
«E va bene, vengo anch'io!» esplose di colpo Perona, stupita dalle sue stesse parole. Ma che altro avrebbe dovuto fare?! Kumachi e Ace erano carini, davvero troppo per dividerli.
«Oh grandioso» sorrise sghembo signor carino numero due, strappando a Perona uno scocciato schiocco di lingua. «Allora in marcia ciurma!»

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Si chiamava Nadir.
Era giovane, piena di coraggio e di amore. Era una guerriera, come tutti nella tribù, era una curatrice, era una donna.
Era bella e sembrava che la natura stessa l'avesse generata, come molti nella tribù.
Era piena di gioia ed era piena di amore e un giorno, senza preavviso, senza un motivo, ne aveva scoperto la forma più sublime.
Si era innamorata, Nadir.
In un giorno di primavera alle cascate, un incontro di sguardi, un incontro da lontano aveva portato due anime destinate più vicine che mai. Si erano cercate, si erano incontrate ancora, si erano scoperte e un’intera stagione era passata perché Nadir potesse capire. Poi una sera d'estate, con il sale sulla pelle e il sangue nelle vene rombante, come tamburi di battaglia, Nadir aveva smesso di cercare di capire e aveva iniziato a vivere una vita di cui aveva solo assaggiato racconti e fantasie.
Così erano passati tre anni. All’ombra della foresta, al riparo nelle grotte, sulle labbra e nel cuore un segreto, tra le mani la propria vita. Non lo aveva potuto dire a nessuno, Nadir, eppure mai si era sentita meno sola, mai come in quel momento in cui nessuno, neppure le persone a lei più care, la conosceva davvero.
Tranne l’amore della sua vita, una donna come lei.
E questo, Nadir non lo sapeva, sarebbe stata la sua disfatta. Non tanto che fosse una donna come lei, questo no. Avrebbero potuto vivere di attimi rubati fino all’ultimo dei propri giorni, avrebbero potuto abbandonare le proprie tribù ed essere il mondo l’una dell’altra.
Se solo Mawar non fosse stata scelta, proprio lei fra tante, per ricucire uno strappo che rischiava di lacerarsi irrimediabilmente, tra la propria tribù e quella di Nadir.
Un’unione per una guerra.
Due vite distrutte per molte preservate.
L’aveva implorata Nadir, di fuggire insieme, sparire e lasciare che un’altra prendesse il suo posto ma Mawar aveva scelto il dovere, a discapito dell’amore.
Nadir le aveva sorriso. Le aveva sorriso quel giorno, augurandole tutta la gioia possibile, mentre la guardava legarsi irrimediabilmente a un uomo, un membro della sua stessa tribù. Le aveva sorriso ogni volta che i loro occhi si erano tornati a cercare, le aveva sorriso ogni volta che la loro pelle si era sfiorata più o meno per caso.
Non aveva smesso di sorridere, Nadir, mentre lentamente moriva dentro, sfibrata da un dolore che nessuno poteva capire, che nessuno avrebbe capito.
Nessuno avrebbe potuto accettare quell'amore, finito solo nella sostanza ma non nella sua più intrinseca essenza.
Sarebbe stato il più grande dei disonori, secondo solo all'unica soluzione a cui Nadir, la giovane, bella e piena di vita Nadir, non faceva che pensare.
Smettere di soffrire, smettere di provare. Smettere di essere così piena di amore e di vita. 
Aveva provato ad allontanarsi dalla terraferma, da tutto ciò che le ricordava troppo amore e troppa gioia di una stagione rubata ma per quanto al largo andasse, in quella notte di luna piena, i ricordi, il dolore, erano sempre con lei. Non c'era massa d'acqua che potesse allontanarla da ciò che viveva dentro di lei.
Nadir lo sapeva, lo aveva saputo anche mentre portava la canoa al largo e pagayava senza posa sulla strada di luce che la luna proiettava sulla distesa cristallina. Ma solo in quel momento, in mezzo al mare, la luna allo zenit sopra di lei, Nadir ne prese coscienza.
Sollevò il capo, sconfitta, sfinita.
«Ti prego» un sussurro, certo, ma non meno potente del calmo sciabordio delle onde, protetto dalla notte. «Ti prego, fammi dimenticare. Portati via... tutto... tutto questo, ti prego, ti prego... ti... ti prego... portami via»
Il mattino seguente, la canoa era di nuovo in mezzo alle altre, attraccata, sembrava non avesse mai lasciato la riva.
Di Nadir, però, non c'era più traccia.
La cercarono in lungo e in largo, la cercarono con speranza e con rassegnazione.
Ma di lei non c'era più traccia.
Quella notte, se qualcuno si fosse preoccupato di guardare il cielo, avrebbe visto la luna, senza preavviso, senza un motivo, diventare rosa.
 

 


«Signori e signore, il miracolo è avvenuto! Abbiamo due ombrelloni!» Ace aprì le braccia, aspettandosi invano un giro di applausi.
«Sarebbe bastato comprarlo» fece presente Izou. «O barattarlo con Satch»
«Ehi!» protestò il cappellone.
«Ci abbiamo provato ma non lo ha voluto nessuno» Marco fece spallucce.
«Ehi!! Io sono qui!»
«Sì, ti vediamo e mi stai anche intralciando la visuale» si lamentò Bonney, sporgendosi per rimirare meglio Yamato, sistemando il pezzo sopra del costume a cadenza regolare.
«Fai prima a toglierlo»
«Fatti gli affari tuoi, Izou»
«In un'altra vita. Ace» chiamò, indicando poi con il mento verso Perona, che a un passo da lui lo fissava con le mani sui fianchi e l'espressione contrariata.
«Ti spiace? Posso almeno mettermi all'ombra, visto che praticamente sono qui per farti un favore?»
«Ma prego Voodoo» Ace si fece da parte, il sorriso intoccato, stendendo il braccio con gesto teatrale. «Accomodati! Non abbiamo mai avuto così tanta ombra»
«Voodoo? Cosa sarebbe Vood...»
«Ehi ciao! Abbiamo delle nuove amiche?» un caschetto caramello e due occhi blu spuntarono da dietro la schiena di Ace.
«Dove sei stata? E dove hai lasciato Law svenuto?»
«A contare i granelli di sabbia» ribatté Koala, sgattaiolando sotto l'ombrellone numero uno a recuperare una spugna, mentre Izou sillabava "quindici giorni" agli altri, guadagnandosi un pizzicotto.
«Ouch, Kay!»
«Non ho saputo resistere»
«A che cosa esattamente?» sogghignò Izou che non aveva davvero bisogno di una risposta, ma comunque il sorriso eloquente di Koala lo era.
«Law comunque è passato al Bell-Mère a prendere dell'acqua, il viaggio lo ha disidratato»
«Sì, certo, "il viaggio"»
«Quindi questo ombrellone da dove arriva?» Koala ignorò prontamente la battuta.
«È mio! Piacere, Yamato! E loro sono Perona e Kumachi! Io ho conosciuto Satch, Perona ha conosciuto Ace e Sabo e ora siamo qui!»
«È un piacere anche per me, io sono Koala, lui è Izou e lei che ti guarda come se fossi un gigantesco cono gelato è Bonney»
«Spero sia un complimento!» rise Yamato, accomodandosi tra Marco e Ace, attirando l'attenzione sul fatto che solo Sabo era rimasto in piedi.
«Qualcosa non va, fratello?»
«Ish è andata da tanto a fare il bagno?»
«Ish è al bar» Sabo sobbalzò quando Law gli spuntò alle spalle, metabolizzando l'informazione in un decimo di secondo.
«Oh. Davvero?» domandò, perplesso e stranito.
Era strano che Ishley andasse al bar, oltre al fatto che si portavano un sacco di rifornimento da casa, lei era quella che più di tutti odiava l’inquinamento che lattine e bottiglie di plastica provocavano. Ovviamente non era né impossibile né allarmante che Ishley avesse deciso di andare a prendere qualcosa al chiringuito, ma se Law l'aveva vista, come mai era tornato senza di lei?
«Come mai non l'hai aspettata?»
Law si strinse nelle spalle. «Stava parlando con la barista e un tipo, non mi ha neanche notato e non volevo disturbare»
«Un tipo?»
«Un tipo, sì. È un problema?» chiese Law, senza distogliere lo sguardo da lui, nonostante l'impulso di incrociare quello di Ace.
Sabo mandò giù, un saporaccio in bocca e una brutta sensazione alla bocca dello stomaco.
«No. Perché dovrebbe?» si sedette finalmente anche lui, rigido come un ciocco di legno e gli occhi che volevano dardeggiare verso il Bell-Mère.
«Amico, a me attacchi sempre una pezza infinita e poi uno sconosciuto al bar va ben...»
«Satch, stai zitto» lo ammonì Sabo.
Non andava bene. Figuriamoci se andava bene! Era tutto il contrario di "bene"!
Ma non poteva farci niente e neanche darlo a vedere, perché Ishley era sua sorella e stavolta non poteva neanche giocarsi quella carta.
«E quindi? Venite spesso a Waterwheel?» chiese Yamato, sfregandosi le mani.
«Non abbastanza se non ti avevo ancora incontrato baby» ammiccò Bonney ma Marco non diede tempo a Yamato di ribattere.
«Praticamente tutti gli anni»
«Per me è la prima volta» affermò Perona, tenendo d'occhio Kumachi che stava scavando una buca nella sabbia.
«Ah sì?» si esaltò Yamato. «Allora sarai emozionata per il tuo primo Cahya Mera»
«Suppongo di... sì?» ribatté incerta Perona, voltandosi verso Ace in cerca di aiuto, ma il moro non sembrava saperne più di lei.
«È una nuova ricorrenza locale?»
«Nuova?» chiese conferma Yamato con una smorfia tra l'incerto e il divertito prima di venire colpita da un dubbio. «Aspetta, sei serio? Non sai cos'è il Cahya Mera?»
«È il festival di stasera Ace» venne in suo aiuto Izou ma con scarso successo.
«Festival...»
«Con la musica in piazza e le lanterne di carta»
«Okay mi dice qualcosa»
«Che c'è la luna rosa» intervenne Koala.
«Ah sì! Il plenilunio al perineo!» lo schiocco di dita di Ace fu seguito da qualche attimo di perturbato silenzio.
«Per un attimo stavo quasi credendo in lui»
«Io lo apprezzo, è un modo originale per definire le emorroidi»
«Perigeo, Ace, con la G»
«Aspetta, aspetta!» sgranò gli occhi Sabo. «È quello il Cahya Mera?»
«Cioè la musica e le lanterne ci sono perché è un festival?!» domandò nello stesso momento Satch, prima che il silenzio calasse di nuovo.
«Siete imbarazzanti»
«Mi obbligate a dare ragione a Izou ma santo Roger!» esclamò Bonney. «Non fate un cervello in tre!»
«Sembri stupita dalla cosa, Bonney» commentò piatto Law, prima di attaccarsi alla bottiglia dell'acqua.
Perona girò gli occhi da uno all'altro, seguendo come poteva lo scambio di battute a mitraglia, colpita non sapeva se dalle loro capacità comunicative o da quella vaga impressione di aver voglia di ridere.
«Ma quindi...» non si rese conto di aver aperto bocca finché non sentì la propria voce. Di solito con gli estranei stava più riservata che poteva, insomma perché degli sconosciuti si sarebbero dovuti fare gli affari suoi? «...questo Cahya Mera? È legato a qualche tradizione?»
«Beh c'è una leggenda» rispose Yamato, posando un dito sul mento e Perona trattenne suo malgrado il fiato. 
Una leggenda, una leggenda locale, lei adorava le leggende!
«La leggenda di Nadir, ne hai mai sentito parlare?» chiese ancora Yamato.
Perona la fissò per un lungo attimo, gli occhi grandi fissi in quelli di Yamato, per un tempo abbastanza lungo da strappare un grugnito a Bonney, per poi scuotere il capo.
«Perchè non ce la racconti, Yami?» propose Ace, prendendola in contropiede.
«Ma voi la conoscete e io non vorrei mai...»
«Non l'abbiamo mai sentita raccontata, sempre solo letta. A parte Ish ma lei non è qui» intervenne Koala, sistemandosi contro Law e inforcando gli occhiali da sole. «E poi magari conosci qualche dettaglio che noi non sappiamo»
«Oh» sgranò gli occhi Yamato, prima di aprirsi in un sorriso «Oh beh quand'è così...» chiuse per un attimo gli occhi e prese un profondo respiro, prima di iniziare a raccontare.
 

 
§

 
«E quindi questo è quanto» Ishley riprese la cannuccia tra le labbra e raccolse le ultime gocce di the verde con un gorgoglio, sotto lo sguardo comprensivo di Nojiko.
«Che situazione, tesoro» sbuffò la barista, guancia spalmata sulla mano e busto in avanti, appoggiata al bancone. «Certo questo Sabo non è molto sveglio»
«Perchè?!» Ishley sollevò la testa, più in fretta di quanto le sarebbe piaciuto ammettere. Non che Nojiko avesse detto niente di male, ma l'idea di aver dipinto Sabo come un idiota non le piaceva. Certo lo era, era idiota a volte, ma era anche brillante e gentile e altruista.
«Per questo» la indicò Nojiko con l'indice. «Non so come fa a non accorgersi di come lo guardi»
Ishley sgranò gli occhi, le guance calde, e poi abbassò lo sguardo, con il cuore che batteva a mille. «Magari quando sono con lui non si vede»
«Ne dubito»
«Io ci sto attenta»
«Certe cose non le puoi controllare, credimi»
«Beh io comunque non voglio che se ne accorga. Cambierebbe tutto e tanto non c'è possibilità»
«Magari smetterebbe di flirtare con chiunque davanti a te»
«E anche di essere spontaneo e confidarsi con me e chiedermi pareri. No, non è questo che voglio» scosse il capo Ishley, in panico alla sola idea e anche un po' mortificata nei confronti di Izou, Bonney e Kay, a cui aveva sempre detto che ci voleva parlare, che ci avrebbe parlato.
Ma non sapeva neanche lei cosa fosse successo, a un certo punto Sabo aveva iniziato a sottolineare con insistenza il loro presunto legame di parentela e per male che facesse, era meglio di nessun legame.
Al di là dell'amore, voleva bene a Sabo, teneva al loro rapporto. Con un movimento fluido si piegò verso il bancone, appoggiando la fronte al legno. «Vorrei solo dimenticare tutto. Tutto quello che provo, smettere di provarlo e non ricordare di averlo mai provato»
Nojiko si bloccò con in mano il bicchiere del mojito iniziato e mai finito, il cui ghiaccio si era ormai completamente sciolto. «Davvero?»
«Sì» si risollevò Ishley. «Sì, non starei più male, non mi sentirei sempre sul chi vive quando sono con lui e potrei sperare di riuscire a vederlo anche io come un fratello prima o poi» argomentò con passione, e gesticolando, mentre Nojiko si avvicinava al lavandino per buttare il ghiaccio sciolto, attenta a non perdersi una parola. «Cosa che non accadrà mai, perché io saprò sempre di averlo amato, anche se smettessi, e lui invece non mi vede neanche come una donna ma come una sorella!»
«Mh» mugugnò Nojiko, finendo di asciugarsi le mani, prima di posarle sui fianchi con fare riflessivo. «Potresti provare»
«Che cosa?»
«A dimenticare» fece spallucce la barista. «Stasera è il Cahya Mera»
Ishley la fissò qualche istante prima di parlare. «Non sei seria»
«Perchè no? La Luna esaudisce i desideri stanotte, e il tuo è così sincero»
«Sì ma tu non credi che possa davvero funzionare. Andiamo Nojiko, è una favola!» protestò la mora.
«Chi lo sa? In fondo la tua storia è così simile a quella di Nadir»
Ishley boccheggiò senza parole, non sapeva se per la convinzione di Nojiko che la Luna potesse davvero cancellarle selettivamente la memoria e i sentimenti, o se perché una parte di lei stava pensando che magari poteva funzionare.
Che, magari, poteva valere la pena provarci.
Ma, purtroppo o per fortuna, era una parte piccola, più piccola di quella che, in risposta, provò un improvviso quanto violento desiderio di tornare all'ombrellone.
«Ti preparo il mojito»
E di tornarci subito.
«No non serve» la bloccò di slancio, alzandosi dallo sgabello. «Scusa, io ora...» indicò con il pollice di una mano e l'indice dell'altra verso l'ombrellone. «Quanto ti devo?»
«Offre la casa»
«Oh. Oh grazie! E... e grazie anche per l'ascolto»
«Non dirlo nemmeno» le sorrise Nojiko, sporgendosi ad accarezzarle una guancia. «Se hai bisogno, mi trovi qui. E salutami Bonney!» alzò la voce mentre Ishley si allontanava.
 

 
§

 
Il silenzio regnava sovrano sotto agli ombrelloni. La spiaggia era tranquilla, solo lo sciabordio delle onde in lontananza, qualche grido lontano di altri gruppi di amici o di chi faceva il bagno.
E per la prima volta in molti anni, oltre ad avere due ombrelloni, tutti e otto erano zitti nello stesso momento, ammutoliti. Se fosse stata lì, lo sarebbe stata sicuramente anche Ishley, così come lo era anche Perona, nonché Kumachi che si era sdraiato sulla sabbia a dormire.
Quando Yamato aveva finito di raccontare, l'improvviso silenzio era stato quasi da ferire le orecchie, eppure nessuno ancora si era azzardato a romperlo.
«Wow» fu Ace a osare, esalando a bocca schiusa. «È stato... wow. No? Ragazzi? Voodoo?» si girò verso Perona che annuì piano e, ancora troppo scossa dall'emozione per sentirsela di parlare, si appuntò mentalmente di intimare a Ace, più tardi, di non chiamarla mai più a quel modo, che non era affatto carino.
«Non l'avevo mai sentita raccontata così» mandò giù Izou, mentre Law scoccava un bacio sulla tempia a una commossa Koala.
«Ehi ragazzi!» la voce cristallina, che sembrava entusiasta di vederli, quasi che neanche fosse andata in spiaggia insieme a loro quella mattina, ed era un dettaglio che la diceva lunga, almeno a Koala. Frenò a pochi passi dall'ombrellone, sciogliendo il pareo dai fianchi prima di sedersi con un movimento fluttuante tra Perona e Sabo. Il sorriso si fece più spento sul suo viso e corrugò le sopracciglia, scrutandoli uno ad uno. «State bene? Ho... ho interrotto qualcos... Bon stai piangendo??»
«È allergia!» protestò Bonney. «E dov'è il mio mojito?»
«È ancora mattina, Bon. Ma davvero che è successo? E da dove arriva questo ombrellone?» alzò gli occhi per poi riabbassarli su Perona, che la guardava allibita dal numero di parole al secondo che riusciva a pronunciare. «Noi due non ci conosciamo» affermò, rallentando il ritmo, prima di tendere una mano. «Io sono Ishley»
«Perona piacere» rispose la rosa, stringendole la mano con non molta convinzione.
«Io sono Yamato, Ishley, piacere di conoscerti!» si buttò in avanti l'altra, in una nuova esplosione di gioia ed entusiasmo. «Mi sa tanto che è colpa mia se li vedi strani, gli ho raccontato una storia non molto allegra»
«Sei riuscita a zittirli tutti quanti, fai miracoli!» rise Ishley, facendo un'altra panoramica dei suoi amici, che erano anche la sua famiglia, per bloccarsi sull'unico che su carta era famiglia e con cui avrebbe voluto essere solo amica. Sabo la stava guardando con tanto d'occhi, come se stesse cercando di memorizzare ogni dettaglio di quel momento, un'espressione di lieve panico sul volto. «Sabo» Ishley si sporse verso di lui, ferro di fronte a una calamita. «Che hai?»
«Niente, io... io...» Sabo chiuse gli occhi un istante, per riordinare i pensieri, e una sua mano si mosse da sola a sfiorarle una guancia. «È solo bello vederti»
Ishley trattenne il fiato, la pelle dello zigomo che pizzicava, divisa tra la voglia di urlare e la voglia di afferrare Sabo e baciarlo fino a farlo svenire per mancanza d'aria. E Ishley sapeva anche che la seconda opzione Sabo neanche se la meritava, perché anche se gli avrebbe fatto impressione venire baciato dalla propria sorella, Ishley era brava a baciare, eccome se lo era.
«Okay! Chi vuole farsi un bagno prima di pranzo?» batté le mani Ace, sbloccando la situazione. «Voodoo?»
«Io lo faccio» alzò una mano Koala, staccandosi da Law. «Ish tu vieni?»
«Ma non lo avete appena fatto?» domandò confuso Satch, mentre anche Izou si alzava e spazzava via qualche granello di sabbia, aggregandosi.
«E allora? Il mare mica è tuo» ribatté Bonney dando una mano a Ish per aiutarla a mettersi in piedi, prima di sillabare un furente "Leggi la situazione" al cappellone che non riuscì comunque a leggere il suo labiale.
«Io mi chiamo Perona, comunque»
«Oh ma lo so, Voodoo»
«Ma cosa...»
«Vengo anche io!» li avvisò Yamato, per la gioia soprattutto di Bonney. «Sapete, siete proprio una bella compagnia ragazzi!»
 

 
§

 
A Ishley il Cahya Mera piaceva.
La musica la emozionava, il profumo del cibo le metteva appetito e buon umore, il lancio delle lanterne la scaldava dentro e l'atmosfera in generale la elettrizzava.
Le piaceva indossare un bel vestito, acconciare i capelli, truccarsi un po'.
A Ishley il Cahya Mera piaceva.
A piacerle meno era quella situazione, quelle sensazioni tutt'altro che positive.
Non era emozionata nè elettrizzata, di appetito neanche a parlarne.
Rannicchiata sulla cesta dei panni, nel bagno numero due di tre della casa, quello al piano superiore e riservato alle ragazze, il completo gonnellone/top corto a barca già addosso e i capelli ancora sciolti, Ishley avrebbe solo voluto fondersi con il muro e sparire.
Era stanca nell'animo, come mai avrebbe pensato di potersi sentire. Amare Sabo era sfibrante, fingere di non amarlo ancora di più, per cercare di capirlo probabilmente le mancavano le energie.
La guancia ancora formicolava dal tocco di quella mattina, formicolava se ci pensava, non per il contatto in sé ma perché aveva la sensazione di aver colto qualcosa nel suo sguardo e nel suo gesto che non voleva concedersi di afferrare.
Una possibilità di essere per Sabo importante in un modo non dissimile a cui Sabo era importante per lei.
Una speranza che non aveva chiesto, a cui non si voleva aggrappare perché destinata a infrangersi come un'onda sugli scogli. Era ovvio che Sabo tenesse a lei al di sopra della media. Erano fratelli.
E poi c'era Nojiko o, più precisamente il consiglio di Nojiko.
Tanto allettante quanto spaventoso, difficile da ignorare e da prendere in considerazione. L'idea che un'entità superiore potesse entrarle nella mente e modificare i suoi ricordi o forse il non sapere come il suo rapporto con Sabo si sarebbe potuto modificare se davvero avesse funzionato.
Ma, alla fine, Sabo non avrebbe mai saputo e lei non si sarebbe ricordata, alla fine così com'erano le cose nel momento attuale le faceva solo male, alla fine... alla fine, forse, dopotutto, non voleva smettere di amarlo e forse dipendeva dal momento di connessione di quella mattina o forse no.
Sì, decisamente Ishley era confusa e, nonostante fosse la notte della luna di fragola, voleva scomparire ma forse la luna non aveva ancora iniziato a dispensare desideri perché la porta del bagno si aprì e occhi familiari si posarono sicuri su di lei, individuandola all'istante.
«Kay» sollevò il capo dalle ginocchia nel primo slancio vitale da ore. «Shandia, sei stupenda» esalò squadrando l'amica, che brillava nell’abito bianco e azzurro, i colori che tutti avrebbero cercato di indossare quella sera, i colori del Cahya Mera. la frangia raccolta in una treccia e il resto dei capelli arricciati in un disordine ricercato.
«È tutto merito dell'abbronzatura, non so ancora chi devo ringraziare per non essermi scottata quest'anno» minimizzò richiudendosi la porta del bagno alle spalle. «Vuoi una mano con i capelli?»
Ishley aprì la bocca per non dire niente. Sapeva che quella di Kay era una scusa, sapeva che mentirle era inutile e non era neanche sicura avesse senso stare ad acconciarsi i capelli.
«Sempre che tu voglia uscire»
L'unica cosa che non sapeva era come facesse ancora a stupirsi quando Kay la capiva senza bisogno di parole.
Anche se, certo, nello stato in cui versava probabilmente lo avrebbe capito anche Satch, che si era vestita e truccata solo per prendere tempo senza destare sospetti.
«Non ho ancora deciso» scrollò le spalle nude. «Voi cominciate pure ad andare, davvero»
«Se speri di riuscire a trattenerti con una scusa mentre noi andiamo al festival, devi sapere che qualcuno non è affatto disposto a lasciarti qua» avanzò di qualche passo, la gonna frusciante intorno alle caviglie sottili. «Ma per fortuna siamo in un paese libero e se non vuoi venire, o non vuoi venirci con noi, basta che tu lo dica» le sorrise comprensiva mentre Ishley sgranava gli occhi.
«Io non... a me piace andare al Cahya Mera con voi, davvero, io...»
«Lo so» Koala la interruppe sul nascere. «Ish, nessuno si sognerebbe mai di prenderla sul personale»
«Oh sì, posso immaginare quanto sia piacevole stare in mia compagnia ultimamente» ribatté ironica la mora, staccando finalmente le mani dalle ginocchia per gesticolare. «Dopo avervi promesso che ci avrei parlato, poi! Più e più volte!»
«Beh, ammetto che Bonney e Izou hanno pensato di metterti gli antidepressivi nel cappuccino per farti tornare divertente come una volta. Sto scherzando!» esclamò con una lieve risata, impossibile da trattenere, quando il panico si addensò negli occhi blu notte dell'amica. «È vero, è qualche giorno che sei spenta ma più che depressa sembri arrabbiata. E se ci dispiace per qualcuno, è per te»
Ishley la fissò, la bocca appena aperta a immettere più ossigeno. «Kay, io... Io non so bene cosa dovrei fare, cioè, so cosa dovrei fare ma non so... cosa fare...» sospirò a corto di una spiegazione più chiara e articolata.
«Sai cosa devi fare?»
Per fortuna, Koala non aveva bisogno di molte parole.
«Devi fare quello di cui hai più voglia. Se vuoi stare qui, resta, non è un crimine non avere voglia di uscire» Koala le posò le mani sulle spalle, cercando i suoi occhi con i propri. «Ma se posso darti un consiglio, il Cahya Mera è bello anche se ci vai da sola e tu non meriti di perderti una serata di festa. Sabo se ne farà una ragione»
Ishley lasciò che un brivido la scuotesse, vibrando sui palmi dell'amica, l'unica da cui non voleva nascondersi.
«E poi, mica glielo dobbiamo dire che esci da sola, lui può anche pensare che resti qui»
«Giusto. Senti Kay...» smosse le spalle la mora. «Chi è che non è disposto a lasciarm...»
«...'rida! Ah! Eccovi qui voi due! Ho interrotto qualcosa di intimo?» la porta si spalancò senza grazia alcuna, a lasciare entrare Bonney, anche lei mozzafiato nei pantapalazzo di impalpabile stoffa turchese, abbinati al corpetto bianco, e con i capelli raccolti in una coda di cavallo alta il necessario a esporre per bene tutto l'undercut che le ornava la nuca.
«Ovviamente, che domande» fece spallucce Koala, senza colpo ferire.
Bonney le fissò per un attimo quasi con astio, prima di inspirare a fondo, e Ishley si schiacciò istintivamente contro il muro. «Oh è così eh?» Bonney caricò e in tre falcate era su di loro, le mani, e anche la bocca, a toccare ogni centimetro di pelle sensibile al solletico. «Come avete osato non invitarmi?!­» Pochi istanti e Ishley neanche sapeva come, ora si trovava a terra, sfinita dalle risate e in un ammasso di arti insieme alle sue due sorellone putative.
«Okay, sul serio, che succede?» domandò di nuovo Bonney non appena le risate scemarono e Ishley sapeva che la risposta non le sarebbe piaciuta per niente.
«Ish non esce subito, aspetta un po’»
Bonney le lanciò un’occhiata perplessa e interrogativa, poi tornò su Koala e poi di nuovo su Ishley.
«Ci raggiungi dopo?»
«Ehm, forse?­» tentò la morettina senza troppa convizione.
Mille saette, per nulla rassicuranti, accesero gli occhi di Bonney e Ishley avrebbe giurato di riuscire a vedere i suoi neuroni collegare freneticamente i pensieri e produrre troppe parole al secondo, che si sarebbe incartate sulla sua lingua di lì a breve, lasciando fuoriuscire solo insulti e parolacce. E d’altronde era l’ultima cosa che voleva, essere motivo di preoccupazione e fastidio per chi le voleva tanto bene, ma non abbastanza da mettere in secondo piano ciò che voleva lei.
«Penso sia un cambio di programma interessante. Fai a bene a scappare un po’ dalla solita routine, bimba»
Ishley sgranò gli occhi incredula, e quasi si strappò il collo per girarsi verso Koala alla ricerca di una conferma di aver sentito bene e non essere impazzita. E da come Koala sorrideva soddisfatta probabilmente no, non era impazzita ma Bonney aveva appena affrontato una questione che la infastidiva oltre ogni dire con calma e maturità. Forse quello sarebbe stato l’ultimo Cahya Mera e non si sarebbe più neanche dovuta preoccupare di Sabo, visto che il mondo stava chiaramente per finire.
«Potresti persino scoprire nuove tradizioni tipiche della serata, senza i fratelli meraviglia e banana man a rallentarti con le loro gare»
Ishley provò uno spasmo di malinconia, celata da una risatin sotto i baffi, al pensiero di perdersi le solite diatribe provocate da Satch e dallo spirito competitivo di Sabo, in cui avrebbe finito per farsi coinvolgere anche Izou, dopo Ace,  e a cui Marco avrebbe tentato diplomaticamente di mettere fine una singola volta, senza successo, prima di rinunciare.
Ma sopra ogni cosa, Ishley provò gratitudine.
«Visto che per uscire, esci, se vuoi una mano con i capelli…­» offrì anche Bonney ma Ishley scosse il capo,
«Metto il foulard. Ma grazie» declinò con un sorriso, che scomparve dopo un attimo di stasi dello spazio e del tempo, per lasciare il posto a un’espressione ancora più basita della precedente quando Bonney si chinò ad abbracciarla.
«Se cambi idea, chiama, ti veniamo a recuperare ovunque sei»
Ishley strinse più forte, e cercò con gli occhi che pizzicavano Koala, intenta a sorridere di fronte alla scena, con quel suo modo sempre sereno e materno di sorridere.
«Va bene, Bon, promesso» mormorò con il nodo in gola, prima di venire liberata e ritrovarsi di nuovo sola in bagno in un fruscio di seta e lino.
Si alzò piano dal pavimento, avvicinandosi alla finestra aperta da cui filtravano nel bagno gli odori e i rumori della festa giù in paese. Un nuovo spasmo le prese lo stomaco, stavolta di eccitazione.
Sì, poteva essere davvero interessante e unica come serata, Ishley voleva crederlo. Ishley voleva godersela. E non riusciva a credere che Bonney l’avesse presa così bene.
Probabilmente perché non aveva sentito suddetta Bonney macinare insulti e minacce di morte per l’avvocato mentre si allontanava dal bagno.
 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


«Ho bisogno di cioccolato»
«Sono sicura che troveremo qualcosa, Pur, abbi fede»
«Ehi Perona!»
Viste da fuori, le quattro ragazze non sembravano avere niente in comune. Del tutto diverse in stile, abbigliamento e carattere, formavano forse il gruppo più eterogeneo sceso nelle brulicanti strade di Waterwheel quella sera.
Certo non era facile da affermare, sia vista la quantità di gente che si era riversata nelle vie della piccola cittadina di mare, sia perché in verità, e chi si fosse preso la briga di osservarle più attentamente se ne sarebbe subito accorto, le quattro amiche erano parecchio affiatate. In perfetta sintonia.
«Perona»
«Mh?»
«Cerchi i tuoi nuovi amici?» Aisa si schiantò su Perona con un sorriso saputo, distraendola dal suo guardarsi intorno con attenzione.
«No, assorbo l'atmosfera. E non sono miei amici»
«Modalità tsundere attiva» avvisò Reiju, occhiando uno stand che forse in altre circostanze sarebbe potuto apparire defilato, ma c'erano così tante bancarelle e persone che non sembrava esistere una logica nell'allestimento di alcunché. «Pur, là mi sembra che vendono dolci»
«E chi te l'ha chiesto?» ribatté acida Pudding, coprendosi poi la bocca con la mano, gli occhi che imploravano perdono. «Oddio Rei, scusa! Non volevo è che me lo hai detto proprio come lo dice Yonji»
«Questa vacanza non doveva servirti tra le altre cose a non pensare a lui?»
«E che colpa ne ho io se me lo ricorda?! Sono fratelli!»
«Pudding, tutto ti ricorda Yonji. Le cuffie per la musica di Perona, i civici con il numero quattro, il gelato menta e cioccolato e, per ragioni che mi sfuggono e non voglio conoscere, anche le meduse. Davvero, non pensi sia ora di deporre le armi e chiamarlo?» argomentò con quanta più delicatezza Reiju.
«No e non è come dici, non più» asserì solenne, braccia strette sotto il seno. «Non mi fa più nessun effetto, quel tempo è ormai passato»
«Ehi, ciao Yonji!» sollevò il braccio in aria Aisa, guardando poco oltre la spalla di Pudding, che saltò su come una molla mentre si girava di scatto verso molta gente che andava e veniva per la strada, nessuno in alcuna maniera anche solo lontanamente simile a Yonji.
«Aisa...»
«E l'altra che continua a cercare i suoi nuovi non amici» sospirò Aisa.
«Ci ho passato mezza mattina, perché mai dovrei definirli amici?»
«Perchè ci hai passato mezza mattina?»
«Per Kumachi e perché non sapevo se tornando vi avrei trovate ancora all'ombrellone e a me non piace stare da sola!»
«Okay, mi hai convinto» confermò Aisa, dopo un istante di riflessione, incurante dell'occhiata esasperata e genuinamente assassina dell'amica. «Poi però ce li presenti?»
«Sto pensando di barattarti direttamente con Satch» scattò Perona, attirando tutta l'attenzione su di sé.
«Chi è Satch?» chiese con falsa noncuranza Reiju, mentre Pudding si appropriava del braccio libero di Perona, fiutando l'imminente fuoco incrociato ai danni della sua migliore amica.
«Non quello che pensate voi. Credo che la piazza principale sia di qua» indicò a braccio teso una delle strade illuminate con lanterne di carta dai colori delicati. Profumo di erbe aromatiche aleggiava nell'aria, che vibrava per i bassi della musica ancora indistinguibile da quella distanza, ma già abbastanza vicina da attirarle come una calamita.
«E quindi, questo Satch?» ritornò all'attacco Aisa una volta imboccata la via prescelta.
«Ha il ciuffo a banana, probabilmente una brutta scottatura sulle spalle ed è appicicoso» ribatté indefessa Perona, che dopo aver incassato battute e insinuazioni per tutto il pomeriggio non aveva intenzione di farsi smuovere neanche sotto tortura. «Ma carino»
«Carino» ripeté Reiju, a metà tra una domanda di conferma e una presa di coscienza.
«Sì beh, sono tutti carini. Non nel senso di carini carini, cioè sono carini anche esteticamente e come gruppo, tipo che sono armonicamente carini ma non carini carini. Solo carini. E basta»
«Carini e basta» annuì Reiju, prima di rivolgere un sorriso beffardo alla propria migliore amica, la cui espressione lasciava trasparire non poca confusione. «Capito, Aisa?»
«Veramente non...»
«E qualcuno di carino carino» chiese Pudding. «Per me, dico»
«Per te mh?» ci rifletté Perona. «Forse qualcuno c'è. È un bel tipo, spalle larghe, ghigno strafottente...»
«Già mi piace»
«...sopracciglia a ricciolo, si chiama Yonji e sta aspettando che tu lo chiami»
«Anche tu?!» si indignò Pudding.
«Ehi, io lo dico per te» mise in chiaro Perona. «Non ti godi le vacanze così e comunque, mi spiace, ma l'unico carino carino è Ace e non è adatto a te»
«Oh» la bocca di Reiju si arrotondò con eleganza praticamente all'istante, prima di piegarsi in un sorriso etereo. «Quindi qualcuno di carino carino effettivamente c'è»
«E Rei intende qualcuno che tu, Perona, trovi carino carino» precisò Aisa.
Perona si accigliò, spostando gli occhi da Reiju ad Aisa e ritorno. Normalmente avrebbe sottolineato quanto fossero poco carine a volerla usare come argomento di gossip ma le conosceva troppo bene per stupirsi o lamentarsi della cosa.
«Perchè siete così ossessionate dai miei nuovi non amici?» decise invece di chiedere.
«Perchè non vogliamo che ti fai frenare anche quest'anno dalla tua fobia del flirt estivo» fece spallucce Aisa, con la delicatezza di un panzer.
Perona sbatté le palpebre lentamente, per tre volte.
«La mia cosa?!»
«È successo anche l'anno scorso e due anni fa» argomentò Reiju, senza colpo ferire.
«A proposito di chi non si gode le vacanze»
«Non esiste una fobia del genere»
«Eppure tu ce l'hai»
Perona sgranò gli occhi e aprì la bocca ma nessun suono vibrò nella sua gola. Era senza parole, davvero senza parole. Non potevano essere serie, eppure lo sembravano eccome.
«Perona non fraintendere è che... ecco...» cercò di spiegarsi Reiju.
«Oggi sei tornata all'ombrellone parlando di questi tizi che hai incontrato per caso e sembravi contenta» intervenne Pudding. «Tipo molto contenta, come se ti fosse successa una cosa di quelle belle belle. E non vogliamo che rinunci a qualche possibile evoluzione di questa faccenda solo perché hai paura dei flirt estivi» si strinse nelle spalle a mo' di scuse.
«Ma... ma... anche tu?!»
«Ehi, io lo dico per te!» ribatté Pudding, i suoi occhi di colore diverso lampeggiarono per un attimo. «E poi...»
«Perona? Sei tu?»
Perona si voltò più o meno forse dove era arrivata la voce che la chiamava, ancora stordita dalle rivelazioni delle amiche.
Non si riconosceva in quella descrizione eppure Pudding, Aisa e Reiju sembravano così convinte delle proprie affermazioni.
«Ehi! Sì, sei tu!» esclamò un concentrato di luce pura che Perona ci mise ancora qualche secondo a identificare come Yamato. «Non ero sicura perché non vedevo in giro il botolo. A proposito dov'è? Con Ace?»
«N-no, è rimasto con la signora che ci affitta la casa, era stanco e... Non ho idea di dove sia Ace» rispose Perona, cercando di recuperare il filo del discorso e anche di aggiungere che non le interessava minimamente dove Ace fosse.
«Oh sono certa che questa condizione cambierà molto presto. Mi fa piacere che siete venute alla festa! È sempre bello accogliere nuovi turisti con questa atmosfera!» Yamato allargò le braccia, ignorando l'interdizione di Perona nel rivolgersi alle sue amiche che, dal canto proprio, ignorarono l'interdizione di Perona per dare retta a Yamato.
«Sei tipo nel settore turistico?» si accigliò Aisa.
«Che?! No no! Voi invece siete le amiche con cui Perona è qui in vacanza» le indicò con l'indice, il braccio piegato. «Centro?»
«Perfetto» confermò Reiju.
«Ah che piacere conoscervi!­» esclamò Yamato con occhi brillanti. «Non so come ringraziarvi per prendervi cura della nostra Perona­»
«Oh ma figurati­» ribatté prontamente Aisa, mentre Pudding sfoderava il suo peggior cipiglio possessivo. «Non si resiste a quegli occhioni, chiunque l’avrebbe raccolta, siamo solo arrivate prima»
«Appunto!» rincarò la dose Pudding, impedendo a Perona di minacciare di morte Aisa o, forse, di attuare direttamente la minaccia. «Siamo arrivate noi per prime! Noi!» mise in chiaro mentre marcava il territorio anche fisicamente.
«Oro olimpico!» sparò entrambi i pollici al cielo Yamato, per poi piegarsi verso Pudding con un misto di stupore e apprezzamento. «Ma che spettacolo questi occhi» mormorò con una trasparenza di cui neanche il più diffidente degli uomini avrebbe potuto dubitare. «Beh io devo andare, buon Cahya Mera. Ciao Ishley!» annunciò che già si allontanava, il braccio piegato a salutare.
Ancora frastornata dall’uragano formato ragazza che le aveva appena investite, Perona si voltò di tre quarti, ritrovandosi faccia a faccia con l’altro soggetto femminile non proprio socialmente funzionale della compagnia. Ovviamente non era come se lei per prima potesse definirsi tale, men che meno la sua migliore amica né le due figlie di Mefisto con cui ormai faceva gruppo da quattro anni.
E Ishley le piaceva, tanto.
Le era piaciuta a pelle sin dal primo momento, nonostante la quantità di parole che riusciva ad articolare al secondo.
Yamato al confronto era una pivella.
«Ciao Perona­­! Ma era Yamato quella?»
«E chi altri?» confermò Perona, mentre studiava come, rispetto a quella mattina in spiaggia, Ishley avesse un’aria molto più distesa. Perona non ci avrebbe fatto neanche caso se durante il bagno a cui si era aggregata non fossero state dette cose eloquenti o meno, ma lei si era aggregata e cose erano state dette e quindi Perona sapeva che Ishley non se la passava particolarmente bene.
In quel momento non lo dava certo a vedere, con i capelli sciolti sulle spalle, l’abito brillante, il trucco luminoso. Forse aveva sistemato la faccenda nel pomeriggio.  
«Dove sono gli altri?­­­» domandò e Ishley si strinse nelle spalle.
«Non lo so­»
O forse no.
«Sono uscita dopo, non mi sentivo molto bene, lo… lo stomaco…­­» fece una smorfia, muovendo una mano davanti all’addome. «E quindi niente, sono io con me stessa. Non volevo perdermi il Cahya Mera» sorrise anche alle tre amiche di Perona che non stavano neanche fingendo di non ascoltare.
«Perché non ti unisci a noi allora?­» Pudding si sporse in avanti, nello stupore generale.
Considerato che Yamato aveva appena risvegliato il suo lato più possessivo e che Ishley sembrava andare d’accordo con Perona, la reazione meno prevedibile per lei era decisamente invitarla a restare.
Ma Ishley non sapeva nulla di tutto ciò e trovò estremamente gentile l’offerta.
«Io non vorrei mai…­­»
Troppo gentile per rifiutare.
«Se vi fa piacere volentieri!­» si corresse dopo un istante di esitazione.
Un piacevole calore le pervase il petto quando le altre due amiche di Perona la trascinarono tra loro, o meglio quella chiamata Aisa la trascinò mentre quella chiamata Reiju si limitò ad agganciarsi al suo braccio libero. Fatto sta che nel giro di pochi minuti Ishley stava guidando il gruppetto per le strade di Waterwheel, a braccetto con due estranee che la ricoprivano di domande e insinuazioni, costantemente richiamate da Perona e Pudding.
E per la prima volta da settimane la morsa allo stomaco fu sul punto di svanire del tutto. Dopotutto, Ishley se lo sentiva che sarebbe stata una splendida serata. 
«Dove volete andare?»
«Tu dove vuoi portarci?­­» sorrise serafica Reiju.
«La piazza principale è di là­» spiegò Ishley, dopo un momento di esitazione. «Ma da questa parte c’è un gruppo di ragazzi che suona, non è un’esibizione concordata ma è diventata un’abitudine e infatti si mettono sempre nello stesso posto ogni anno, così chi vuole ascoltarli sa dove trovarli. Spesso si balla anche»  
«Non te lo facciamo ripetere due volte allora» ribatté Reiju, ancora agganciata al braccio della new entry del gruppo. Fu solo quando, dopo una camminata non tanto lunga sotto a lanterne di carta e tra bancarelle brulicanti di vita, colori e profumi, giunsero nello spiazzetto antistante una manciata di negozi che lei e Aisa la lasciarono finalmente libera, per avvicinarsi ai margini della folla già riunita, dietro cui la musica si levava al cielo.
«Ehi Ish, tutto bene?­» la affiancò all’istante Perona, prendendola sottobraccio. La parte della giovane non impegnata a tenere d’occhio Pudding e sue eventuali ritorsioni verso la nuova arrivata, per aver osato provare a rubarle la migliore amica, rimase sinceramente colpita dalla naturalezza con cui aveva compiuto il gesto, lei che concedeva la propria confidenza solo a pochissime persone e solo dopo molto tempo. Ma non era il momento di stare a pensarci. «Ascolta se ti importunano o fanno qualcosa di fuori luogo, dimmelo. Non sono cattive, solo un pochino…» sadiche suggerì la voce nella sua testa, ma decise di ignorarla e scacciarla con un cenno secco del capo. «…senza filtri, ecco­»
Ish lanciò un’occhiata verso di loro, senza sganciarsi da lei, continuando a camminare tra la folla. «Senza filtri eh? Già le adoro» sussurò con un sorriso, ricevendone uno in risposta.
 

 
§

 
«Trafalgar, non ho passato un’ora e mezza a sistemarle i capelli perché tu rovinassi tutto con la tua patologica libido. Molla un po’ il colpo»
«Non ti darà mai retta, lo sai Bon?»
«E sappiamo tutti che sei solo invidiosa»
«Per non dire ipocrita, di eccessiva libido parlando»
«E finitela anche voi, sembrate i tre dell’ave maria»
«Avete ragione tutti e quattro» concluse Marco, saggiamente, ignorando le varie occhiate che furono spedite nella sua direzione, per poi rubare le parole a Ace, quando lo vide battere le mani e sfregare insieme i palmi. «Andiamo a prendere da mangiare?»
«Mi hai letto nel pensiero, amico!­» si esaltò il moro, dandogli una goliardica pacca sulla spalla a cui Marco rispose con un mezzo sorriso, difficile dire se di scherno o sincero.
«Non era molto difficile»
«Io sono con Marco, leviamoci questa incombenza»
«Finalmente qualcuno che dice cose sensate» Bonney diede manforte a Izou.
«Da dove iniziamo?» si guardò intorno Ace, l’eccitazione ai massimi storici. Come sempre, al Cahya Mera c’era l’imbarazzo della scelta e, come sempre, si sapeva che lui, Sabo e Bonney avrebbero provato di tutto, ma bisognava comunque decidere un punto di partenza. «Fratello, tu da dove dici di iniziare?»
«Ehi eccola! Ho visto Ish!» fu la risposta del biondo, che era stato presente solo nel corpo negli ultimi quindici minuti, il collo perennemente allungato a scrutare tra la folla. Bonney morse tra i denti un’imprecazione, mascherandola con un sospiro mentre Izou al suo fianco arcuava un sopracciglio.
«No, non è lei» lo liquidò Law senza pietà.
«M-mh Law ha ragione, non è il suo vestito» confermò Koala, mentre un’aura di desolazione circondava la figura di Sabo.
Un giro di occhiate rimbalzò da uno all’altro quando Sabo lasciò cadere a peso morto capo e spalle con uno sbuffo.
«Qualcosa ti preoccupa?»
«Se vuoi posso tornare a casa a controllare se Ish è ancora là e sta b…»
«No Satch, non voglio che tu, di tutti gli individui presenti, vada a sincerarti delle condizioni di mia s… di Ishley» lo trucidò con gli occhi, prima di distogliere lo sguardo quando la lingua gli inciampò tra le labbra. «Basta telefonarle»
«È una buona idea, chiamala così poi possiamo andare a mangiare»
«Ace!» tre voci e cinque paia di occhi lo investirono con disapprovazione, mentre Sabo si rimetteva a cercare tra la folla, il collo allungato.
«Che c’è?!»  
Bonney e Koala si scambiarono un’occhiata fatta di complicità ed esasperazione e una muta conversazione intercorse tra di loro, per gentile concessione del Trafalgar che aveva smesso di attentare all’acconciatura di Kay per cinque minuti.
«Dai su, gambe in spalla culo di marmo, andiamo a cercare cibo» Bonney diede una gomitata a Ace, indicando con un cenno del capo in direzione del torrione, prima di aggiungere: «E possibilmente anche gnocca»
«Ehi ehi ehi, diciamoli precisi i programmi. Se si rimorchia, ci sono anch’io» si intromise subito Satch, affiancando Bonney sull’altro lato.
«Noi restiamo ancora un po’ in piazza a vedere se individuiamo Ish, okay?» affermò Koala, lasciando che fosse Law a comunicare non verbalmente che in realtà lo facevano solo per Sabo e che nessuno aveva intenzione di stalkerare la piccola di casa e che, anzi, Sabo se l’era solo cercata.
 «Okay» Izou scrollò le spalle, stiracchiando un po’ la schiena. «Allora io ne approfitto per andare a fare scorta di shampoo solido, poi ci riaggiorniamo nella chat di gruppo» si avviò verso la strada che ospitava la bancarella che gli interessava, solo per fermarsi fatti due passi.
«Vengo con te, Izou» lo raggiunse Marco in una singola falcata. «Mi sgranchisco le gambe»
«Prendiamo anche le lanterne!» alzò la voce Izou, ricevendo un cenno di risposta da Koala, mentre già lui e Marco si immergevano tra la folla.
Watherweel brulicava di odori e suoni, di turisti e abitanti del luogo, di vita e malinconia. L’onda bianca e azzurra si muoveva fluida tra le bancarelle, sotto alle file di lampadine dalla luce calda e rosata che illuminavano gli stand, le finestre delle case, ogni angolo della cittadina.
Come ogni anno, il Cahya Mera era una magia.   
«Sabo è strano oggi» fu Marco a spezzare il contemplativo silenzio in cui erano caduti camminando. Izou gli lanciò un’occhiata in tralice.
«Intendi più del solito?» provò a buttarla sull’acido, salvo poi sforzarsi di pensarci con più impegno quando Marco alzò un sopracciglio con rimprovero. Izou sospirò. «Era piuttosto impanicato di perdere Ish di vista»
«Quindi non me ne sono accorto solo io»
«Secondo me è perché Ish ha “conosciuto un tizio” al bar della spiaggia» fece le virgolette con le dita, scettico. Ci avrebbe scommesso la sua collezione di kanzashi che non era niente degno di nota e che Law lo aveva detto solo per provare a svegliare Sabo e mettere fine a quell’agonia. «Però Sabo non può avanzare nessuna pretesa e se Ish stasera è voluta uscire con qualcun altro, il tizio del bar incluso, ha tutto il mio appoggio»
«La situazione di Sabo non è semplice»
«Lo so, non dico questo» Izou gesticolò per sottolineare il concetto. «Ma anche l'onestà verso se stessi è importa...»
«Ciao Izou!!»
«...'nte. Yamato?» si voltò accigliato, scrutando tra la folla e non lo vide arrivare. La botta lo prese alla sprovvista, spingendolo all'indietro e di lato, faccia a faccia con un ragazzo, anche lui intento a mantenere l'equilibrio.
«Scusa» alzò le mani ai lati del viso, per poi passarne una tra i capelli.
«Figurati!» anche Izou sollevò una mano in segno di rassicurazione e saluto, flashando un sorriso prima di riprendere il discorso dove lo aveva lasciato e continuare per la propria strada con Marco.
Il ragazzo avrebbe fatto altrettanto se qualcosa di luccicante a terra non avesse attirato la sua attenzione. Socchiuse gli occhi mentre si chinava a raccogliere un oggetto lungo e sottile, in argento, alla cui estremità era attaccata una pallina dello stesso materiale, finemente traforata, da cui penzolava una fila di pietruzze turchesi. Non aveva idea di cosa fosse ma qualcosa gli diceva che non sbagliava a intuire a chi appartenesse.
Si rimise in piedi ma era già troppo tardi, il moro con cui si era scontrato era già sparito tra la folla. Il ragazzo scrutò ancora un momento e poi si strinse nelle spalle, infilando attentamente in tasca l'oggetto non meglio identificato, prima di tornare sui propri passi.  
 

 
§

 
«Credetemi, queste due cavità sono il risultato di anni e anni di allenamento»
«Satch, io vorrei tanto che tu fossi in grado di usmare gnocca a distanza ma, siccome sappiamo che questo non è possibile e, anche se lo fosse, tu non sei chiaramente stato benedetto con questa abilità, restiamo sul cibo, okay?» Bonney puntò due indici pistola verso l'amico, imitando il suo gesto distintivo ma con un'espressione scettica che rovinava volutamente l'insieme. «Usa le tue magiche narici per districarti tra tutti questi odori e trovare lo stand che fa i calamari grigliati»
«Da quando sei così schizzinosa sul cibo, Bon?»
«Non sono schizzinosa, Ace, ho solo voglia di calamari. E comunque non è chiarissimo da dove arrivi l'odore di cibo, in ogni caso» si strinse nelle spalle indicando a braccia tese le tre stradine che si estendevano davanti a loro.
«Possiamo sempre dividerci» considerò Ace, senza perdersi d'animo.
«Ah nope, negativo Portuguese» ribatté immediatamente Bonney. «Poi toccherebbe a me recuperarvi e non ho nessuna intenzione di farvi da balia, io sono qui per mangiare»
«Credevo l'obiettivo fosse anche rimorchiare» protestò Satch.
«Con la sfiga che porti non penso che vedrò neanche l'ombra di un pelo fino alla fine dell'estate» sbuffò Bonney, proprio mentre una figura alta e slanciata e atletica e famigliare, sgusciava fuori dalla folla che colmava la stradina centrale, i capelli color perla tinti di azzurro sulle lunghezze che svolazzano nel vento.
«O forse no»
«Ehi ragazzi!» si sbracciò Yamato, le mani piene di spiedini.
«Ehi Yami!» rispose con lo stesso entusiasmo Ace.
«O-oh ma buona sera bambola»
«Satch, giù le mani, l'ho vista prima io» fece in tempo a sibilare Bonney prima di ricomporsi.
«Ehi! Come va?!» Yamato si fermò di fronte a loro, ondeggiando con gli spiedini che emanavano un profumo paradisiaco. Un profumo di...
«Calamari! Eccoli!» Satch indicò gli spiedini e la loro portatrice con due indici pistola.
«Eccoli!» confermò Yamato con una risata.
«Dove li hai presi?» non perse tempo Ace e Yamato indicò con una manciata di spiedini verso la stradina da cui era arrivata. «Ma sono tutti lì per mangiare, se volete questi vi conviene fare il giro da quella strada, e passare dalla piazzetta della vecchia pesa. Ne volete qualcuno intanto?»
«Volent...»
«Portuguese» lo interruppe con aria di rimprovero Bonney, lasciando però così campo libero a Satch, che affiancò Yamato per metterle un braccio sulle spalle con la sua "mossa del giaguaro".
«Accetto solo se te ne fai offrire altri» le fece l'occhiolino, senza provocare il minimo cambiamento di espressione o attitudine nella ragazza.
«Sei un cavaliere Satch, ma davvero, non sono tutti per me. Ho solo dato ragione, e dimostrato che l'aveva, al venditore in un dibattito con un cliente ed era così soddisfatto che mi ha letteralmente riempito di spiedini. Ecco» ne ficcò tre in mano al capellone per poi fare lo stesso con Ace e Bonney. «E poi devo andare da un'altra parte, ma ci si vede in giro, okay?»
Si avviò con solo uno spiedino per mano, girandosi un'ultima volta per ribadire «Passate da là!» prima di sparire tra la folla.
I tre rimasero immobili e interdetti, gli spiedini grondanti di salsa rivolti al cielo terso.
«Ecco» Bonney fu la prima a sbloccarsi. «L'hai fatta scappare, Melville. Complimenti» lo accusò per poi partire a passo di marcia verso la stradina prescelta, quella segnalata da Yamato.
«Io le donne le faccio scappare solo nella mia direzione, Bon»
«Ma sono fantastici questi calamari. Ehi oh, ma mi aspettate?!»
 

 
§

 
Le amiche di Perona erano una forza della natura. Non che Perona non lo fosse, Ishley non la conosceva ancora abbastanza ma aveva visto a sufficienza da sapere che quelle quattro erano spiriti affini. Semplicemente la rosa non esprimeva il proprio potenziale con la stessa spensieratezza di Aisa e Pudding, e neanche con la stessa sofisticata noncuranza di Reiju.
Si era preoccupata che fosse il contesto a frenarla, di averla messa in una situazione per lei disagevole, ma tutte l’avevano rassicurata che si era presto allontanata dalle danze, in corso nella piazzetta, perché davvero aveva voglia di uno spiedino di frutta caramellata. Reiju l’aveva raggiunta poco dopo per comprarsi un’acqua tonica, Ish si era fatta la treccia per muoversi più liberamente e Pudding e Aisa erano rimaste con lei a scatenarsi.
Pudding aveva un senso del ritmo invidiabile, Aisa compensava con l’entusiasmo, ed entrambe l’avevano ormai eletta a loro ufficiale insegnante di danze tribali, seguendo con attenzione ogni suo passo.
«Ma quindi tu sei shandiana?» le stava chiedendo in quel momento Pudding, mentre riprendevano fiato ai margini della pista improvvisata, poco lontane da Perona e Reiju.
«Sì esatto. Per questo conosco le danze, ma non sono originaria di Waterwhill»
«Che figata! Non ho mai conosciuto qualcuno di discendenza indigena! E parli anche la lingua?»
«Garantito» annuì Ishley, che di vantarsi non era il tipo ma gli occhi delle due ragazze brillavano come quelli di un bambino a Natale, e la scaldavano dentro. Se pensava che aveva avuto intenzione di restarsene a casa...
Stava passando una serata bellissima, proprio come le aveva assicurato Kay, proprio come aveva desiderato per se stessa.
Il nodo allo stomaco era sempre lì, la malinconia e l’angoscia non volevano saperne di lasciarla in pace, ma anziché sentirsene avvolta come in un pesante mantello, ora aleggiavano solo intorno a lei, come la lunga coda di un abito che Ishley avrebbe preferito non avere ma che era molto più portabile di quanto avrebbe mai pensato.
C’era lei, nella propria testa, e lei soltanto. Felice, emozionata, senza rimpianti e non chiedeva altro almeno per una sera. Almeno per quella sera.
«Ehi ma guarda chi si vede!»    
«Nojiko!» si illuminò Ishley, nel riconoscere la sua barista preferita.
Fasciata in una splendida tuta bianca e azzurra, che faceva brillare ancora di più la pelle bronzea e gli occhi grigi, i capelli sciolti su una spalla con un nastrino bianco a decorarli.
«Sei mozzafiato» mormorò Ishley, sinceramente ammirata, mentre Nojiko la abbracciava.
«Senti chi parla» rise la barista, per poi prendere il viso della più giovane tra le sue mani. «Come sono limpidi questi occhi stasera» commentò con un sorriso materno.
«Ehi Ish, chi è la tua amica? Vuole unirsi a noi?» s’intromise Aisa, in overdose di entusiasmo e nuove conoscenze, strappando una risata a Ishley ma togliendola anche dall’impaccio di rispondere al commento di Nojiko.  
«Aisa, lei è Nojiko, Nojiko lei è… Bonney?»
«Bonney?» si accigliò Aisa.
«Bonney?!» si allertò Nojiko, girandosi di scatto verso dove Ishley stava guardando. Riuscì a cogliere un lampo rosa tra la piccola folla prima di notare, con la coda dell’occhio, l’espressione di Ishley. Tesa, colma di apprensione, anche impanicata.
Qualcosa non andava.
Anche se Nojiko non poteva sapere che dove c’era Bonney poteva benissimo esserci anche Sabo e che incontrare Sabo quella sera per il cuore di Ishley sarebbe stato troppo, perché non avrebbe lasciato correre, non avrebbe nascosto di essere preoccupato per lei, non Ishley, ma sua sorella e Ishley non lo poteva davvero tollerare più, anche se Nojiko non sapeva nulla di tutto ciò che si agitava dentro la sua nuova amica, sapeva che qualcosa non andava.
Con un’ultima fugace occhiata nella direzione opposta a quella dove aveva intenzione di dirigersi, prese Ishley per il gomito, l’espressione determinata. «Andiamo a fare due passi»
“So cosa succede, ti guardo io le spalle”, questo dicevano gli occhi di Nojiko e Ishley si sentì sciogliere dal sollievo.
«Qualcosa non va?» domandò Aisa, ricordando a Ishley della sua presenza e che no, non aveva tempo di spiegare tutta la storia alla vivace e fin troppo curiosa ragazza.
«Io…»
Non c’era tempo.
«Ha solo bisogno di prendere un po’ d’aria in una zona più tranquilla» intervenne Nojiko iniziando a trascinarla via ma una mano le afferrò il polso e strattonò appena. Ishley stava già per mettersi a imprecare quando si accorse che era quella di Aisa e che il suo palmo formicolava per la punta di una penna che scorreva rapida sulla sua pelle. Da dove Aisa l’avesse tirata fuori, non ne aveva idea.
«Ecco, è il mio numero. Tienici aggiornate per favore, anche domani» parlò rapida mentre, altrettanto rapidamente, finiva di scrivere e la lasciava andare, non senza uno sguardo d’intesa con Nojiko.
Forse nessuna delle due aveva chiaro come stessero le cose, ma Ishley aveva l’impressione che avessero intuito molto più di quanto ci si sarebbe potuto aspettare. E andava bene così, non era un segreto di stato in fondo, né i suoi sentimenti né il disagio e la rabbia che provava in quel momento verso Sabo.
Andava davvero bene così.
«Grazie Aisa, salutami le altre» mormorò prima di seguire con cieca fiducia Nojiko.
 

 
§

 
Perona non era mai stata l’anima della festa ed era convinta non lo sarebbe stata mai. Non era un pensiero disfattista o che la faceva stare male. Era semplicemente una definizione come un’altra di ciò che era.
Non l’anima della festa, appunto.
Era una persona precisa, puntuale, pignola. Non ne faceva passare una neanche alle sue amiche, odiava stare da sola e aveva una gran paura di restarci, ma questo non le aveva mai insegnato a essere più indulgente. Forse, anche per questo aveva preso un cane.
Fatto sta che Perona non era l’anima della festa, non ci era proprio portata, ma questo non significava che fosse una persona passiva. Proposte lei non ne faceva mai, a meno che non ci fosse qualcosa di interessante al cinema, ma non significava che non accogliesse quelle che arrivavano con entusiasmo. Insomma, il suo personalissimo modo di esprimere entusiasmo. Aiutava a organizzare, appoggiava le idee.
Non era l’anima della festa ma sapeva divertirsi. In quel momento, ad esempio, anche se non si era lanciata in pista se non per pochi minuti insieme alle altre, si stava divertendo.
L’atmosfera era magica, Waterwheel così viva, le decorazioni bellissime.
Alzò la mano libera dallo spiedino di frutta caramellata, ormai quasi vuoto, e l’agitò nell’aria in risposta all’entusiastico saluto di Pur, che le strappò un sorriso e uno scuotimento di capo.
Era tutta matta, la sua amica, ma era così felice di vederla finalmente spensierata e senza patemi.
«Bello il vestito»
Perona scoccò un sorriso a Reiju, prima di sfilare con i denti un pezzo di pesca. «Grazie­» mugugnò con i denti stretti sul frutto e le labbra piegate.
«Posso commisionarne uno?» domandò la bionda e Perona lasciò cadere la pesca, recuperandola con la mano, occhi sgranati. «So che l’hai fatto tu» bisbigliò, scostandosi il ciuffo biondo-fragola, mentre riportava la cannuccia della sua bibita tra le labbra. «Sei brava»
«Ho solo giocato un po’ con la macchina da cucire» fece spallucce Perona. «Ma grazie»
«Modalità tsundere disattivata, vedo» si guadagnò uno schiocco di lingua Reiju, che però continuò indefessa a sorridere serafica. «Comunque complimenti meritati, hai talento. A differenza di Aisa con la danza» commentò con voce intrisa di affetto per la propria migliore amica, mentre allungava il collo per individuarla tra la folla. Perona scoppiò a ridere, allungandosi a sua volta per sbirciare le amiche, salvo accigliarsi una volta individuate. «Dov’è Ish?» domandò più a se stessa che a Reiju. Si mosse all’indietro per salire sul marciapiede alle sue spalle e guadagnare qualche centimetro, solo per scoprire che aveva sbagliato la distanza, sentire il tallone inciampare nel rialzo di cemento e perdere rovinosamente l’equilibrio.
Alzò d’istinto la mano per salvare ciò che restava del suo spiedino e chiuse gli occhi pronta al colpo alla schiena, l’altro braccio verso il suolo, se non che a finire a terra fu solo il suo sedere, due mani a tenerla per i gomiti per aggiustare la traiettoria di caduta e attutirla, per quanto possibile.
«Ehi, tutto a posto? Ti sei fatta male?»
Perona alzò gli occhi, incredula, verso la lentigginosa faccia da schiaffi che la sovrastava e che si illuminò a giorno. «Voodoo!»
«Ace, ciao, che… che coincidenza» lo salutò, mentre si rimetteva in piedi con il suo aiuto e si spazzolava nervosamente il vestito. E Perona era consapevole che non fosse stato per Reiju a due passi non avrebbe avuto nessun motivo di essere nervosa.
Ma Reiju era a due passi da loro e si era messa in fila per le gambe quando distribuivano la discrezione.
«Stai bene?»
«Sì davvero e tu? Grazie dell’aiuto»
«Figurati, sfido chiunque a vedersi i piedi in questo macello. Ma dov’è Kumachi?»
«Ah sì, l’ho lasciato dalla signora che ci ha affittato la casa, sai con il caos e dopo i fuochi, non volevo che si stressasse» spiegò, neanche avesse dovuto giustificarsi con lui, e dovette negare a se stessa che stava per scusarsi con Ace per non averlo portato.
Ace annuì, comprensivo. «Capisco, ci sta. È bello vederti» aggiunse poi, dal nulla.
Perona rimase interdetta e valutò anche se chiedere se davvero gli faceva piacere vedere lei anche se Kumachi non c’era.
«E wow, che look! Stai benissimo!»
«Io… anche tu, cioè grazie! Io…»
«Perona non mi presenti il tuo amico?»
Perona inalò a fondo, maledicendosi per non essersi allontanata subito da Reiju, ed esalò dalle labbra schiuse. «Sì. Ace lei è la mia amica Reiju, Reiju ti presen…»
«Oh, Ace! Quell’Ace, giusto?» Reiju allungò una mano.  
«Quell’Ace?» le fece eco il ragazzo, lusingato.
«Perona ci ha parlato di te» 
«Sì, Reiju, quell’Ace»
«Non esageravi, è davvero carino» lo squadrò Reiju, le braccia incrociate sotto il seno.
«Non ho mai detto che è “davvero carino”!» protestò Perona, per poi sgranare gli occhi. «Oh con questo non voglio dire che…»
«Satch! Ehi Satch sono qui!» si sbracciò improvvisamente Ace, fagocitando le ultime parole di Perona con le proprie.
Perona, per tutta risposta, avrebbe voluto sotterrarsi, ancora di più adesso che la sola persona meno discreta di Reiju li stava per raggiungere. E Reiju, per lo meno, era indiscreta con intenzione.
«Ace, per caso hai visto Bonney? L’ho persa di v… Oh ma buonasera mademoiselle» ghignò Satch, posando gli occhi su Reiju che chinò il capo in un cenno di saluto.
«Buonasera. Il Satch disponibile per il baratto?» lo indicò con un indice Reiju, a cui era noto non sfuggisse mai niente.
«Voodoo mi accompagni a prendere uno di quelli?» domandò Ace, indicando lo spiedino di frutta su cui solo un acino d’uva bianca ormai permaneva, isolando se stesso e Perona dal resto della conversazione. «Muoio di fame»
«Ah sì, cer…»
«Ragazzi, io e Perona andiamo a prendere del cibo, a dopo» la sospinse via senza neanche aspettare una risposta, Ace, senza neanche aspettare la sua di risposta, in effetti.
Perona non poteva negare di sentirsi lievemente confusa, mentre scartava tra la gente per ritrovare lo stand che vendeva la frutta caramellata, verso l’inizio dell’altra strada che sfociava nella piazzetta. Confusione che aumentò quando Ace le posò una mano sulla spalla. «Prendi aria, Voodoo, Satch la terrà impegnata per un po’»
Perona si girò a guardarlo senza parole.  
«Mi sei sembrata un po’ a disagio» si strinse nelle spalle Ace, con sorriso da schiaffi a cui Perona rispose aggrottando le sopracciglia, incerta su come si sarebbe dovuta sentire.
«Reiju è mia amica!» protestò, mentre Ace allungava le monete al venditore e ritirava il proprio spiedino.
«Non ne dubito. Anche Satch è mio amico, uno dei migliori» ribatté il moro, con un’occhiata eloquente che le strappò suo malgrado una risata dal naso.
Perona percepì un piacevole calore diffondersi in tutto il suo addome, nel petto e più su fino alle guance. Era stato un gesto incredibilmente carino, non poteva negarlo, anche se certo, poteva averlo fatto per provarci con lei. Il che nel caso non sarebbe stato un problema, perché in vacanza era normale rimorchiare o provarci, anche lei lo faceva. Non aveva nessuna malattia del flirt estivo, checchè ne dicessero le sue amiche.
Questo però non significava che ci dovesse provare con chiunque e Ace era carino ma questo neanche significava che Perona in automatico dovesse provarci con lui o accettare le sue avances. Non che Ace sembrasse intenzionato a farne, anzi sembrava soddisfatto così, con la prospettiva della frutta caramellata e la soddisfazione di averle dato una mano.
Come un amico.
Sì, lo conosceva poco ma probabilmente poteva classificarlo come un amico. Un’amicizia estiva ecco, quello era Ace.
E quindi non era certo per qualche fobia che non ci voleva flirtare. Era solo buon senso.
Ecco, sì.
«Grazie»
«Ma di niente Voodoo»
 

 
§

 
Nojiko non era originaria di Waterwheel. Era arrivata lì quasi per caso e, per caso, aveva trovato un luogo da chiamare casa, in un momento della sua vita in cui non si sarebbe potuta sentire più persa.
Non era una grande città, non era un luogo ricco di opportunità e opzioni. Caparbiamente, Nojiko si era dovuta scavare una nicchia per se stessa fino a diventare parte integrante e linfa vitale della comunità. Fino a venire a sua volta accolta dal luogo che lei aveva accolto nel proprio cuore.
E quindi Nojiko non era originaria di Waterwheel ma la amava come se le avesse dato i natali, e l'impegno profuso per quel pezzo del suo cuore non era certo passato inosservato. Così, complice anche la bassa densità demografica, Nojiko era piuttosto conosciuta nella cittadina, nonostante vi trascorresse solo quattro mesi all'anno e da neanche un lustro. Un favore che comunque Waterwheel aveva solo ricambiato vista l'incredibile capacità della barista di memorizzare volti e nomi, e non solo di chi a Waterwheel aveva fissa dimora.
Qualcuno diceva che Nojiko avesse la capacità di vedere le anime e quell'affermazione la faceva sempre sorridere, per quanto la lusingasse. Interessarsi agli altri le veniva naturale e capirli era semplicemente empatia ricevuta in dono, così come la sua memoria.
Per questo Nojiko trovò strano che la ragazza che l'aveva appena salutata non le solleticasse nessun ricordo.
Alta, statuaria, i capelli bianco perla lunghi oltre la metà della schiena, non passava certo inosservata, ancor meno con il look total white iridescente che sfoggiava.
Era bella, desiderabile, eppure non le suscitava nessuna attrazione di tipo romantico o sessuale. A farla avvicinare era curiosità e una sincera voglia di farci due parole, anche se non ricordava chi fosse.
D'altronde anche la misteriosa ragazza non l'aveva chiamata per nome, si era limitata a un silenzioso ma inequivocabile saluto con la mano e poiché non c'era nessun altro nei paraggi, non poteva avere neanche dubbi che ce l'avesse con qualcun altro.
Forse non si erano mai neanche incontrate ma aveva davvero importanza?
«Ehi ciao!»
«Ciao! Bella serata?»
«Come ogni Cahya Mera» rispose la ragazza, mentre Nojiko la affiancava, con un sorriso.
«Hai ragione» posò gli avambracci sul muretto che dava sul mare. La mente le corse a Ishley, che era voluta restare da sola in spiaggia, e sperò di cuore che la sua nuova amica iniziasse presto a stare meglio. Se lo meritava. Quella ragazza si meritava un sacco di felicità.
«Il mio amico Izou ha perso il suo kanzashi» affermò la ragazza vestita di luna, strappandola alle proprie riflessioni.
Nojiko corrugò le sopracciglia, gli occhi davanti a sé. «Mi dispiace. Spero non ci fosse troppo affezionato»
«In realtà potrebbe ancora ritrovarlo»
«Tu dici?»
«Beh ha diritto anche lui a un desiderio questa sera» ribattè la ragazza, con un sopracciglio alzato e un sorriso sghembo che presero Nojiko così in contropiede da strapparle una risata.
«Hai ragione. Di nuovo» concesse con un cenno del capo, subito prima di vedere il proprio sguardo attratto verso l'alto da una luce in movimento, seguita subito da altre tre. «Ci siamo» mormorò tornando ad addossarsi al muretto, imitata dalla propria compagna, gli occhi di entrambe fissi sulle fiamme dai riflessi terracotta, che punteggiavano il cielo terso e denso, crescendo in numero sempre maggiore.
Rimasero così per un po', a guardare le lanterne, che portavano vergati i desideri di chi le aveva librate nel cielo, fino alla Luna.
«Tu non hai nessun desiderio?»
Nojiko le lanciò un'occhiata di striscio, senza realmente distogliere lo sguardo dal mosaico di luci, e fece spallucce.
«So aspettare. Anzi lo preferisco»
La ragazza mormorò un assenso, forse, o forse era un mugugno riflessivo. Nojiko glielo avrebbe anche chiesto ma non fece in tempo.
«E se aspettando tu, fai aspettare anche qualcun altro?»
Stavolta Nojiko si girò completamente verso la propria interlocutrice, che la guardava a sua volta apertamente, nessuna ombra di giudizio sul volto, solo sincera curiosità e una punta di divertimento.
Nojiko la fissò anche più incuriosita, per non dire sospettosa, che quella ragazza stesse parlando di qualcosa di specifico, che magari sapesse qualcosa.
Poi un sorriso ammiccante, quasi malizioso, le piegò le labbra.
«Saprò farmi perdonare»
Fu il turno della ragazza dai capelli perla di scoppiare a ridere. «Bella risposta, mi piace» si complimentó, girandosi di nuovo verso il mare. Stavolta fu Nojiko a non muoversi, per squadrarla ancora un istante.
«E tu? Desidèri?» chiese alla fine, quando si accorse che la dissonanza che tentava di afferrare era che anche lei fosse senza lanterna.
La ragazza non si voltò, gli occhi fissi al cielo che riflettevano le luci e un sorriso appena accenato sulle labbra. Un'espressione quasi di affetto, come se con lo sguardo stesse abbracciando ogni persona che aveva lanciato una lanterna.
«Diciamo che io sono più brava a dare. Oh e buon Cahya Mera» le lanciò un'occhiata.
Nojiko sbatté le palpebre più colpita che mai. Ma onestamente, non era come se non potesse capire quella misteriosa sconosciuta con cui però si sentiva così in sintonia.
Tornò ad addossarsi al muretto, più vicina, abbastanza da sentire il calore che emanava.
«Buon Cahya Mera a te»
 

 
§

 
Era stato uno strano Cahya Mera.
Non più bello o più brutto degli anni precedenti, solo diverso. Strano certo, perché Ishley non era con loro, perché al momento del lancio delle lanterne per la prima volta non erano tutti insieme e perché, ultimo ma non meno importante, Izou aveva perso il suo kanzashi e non ne aveva fatto una tragedia.
La sua convinzione di aver incrociato Yamato quando Kay l’aveva poco dopo vista arrivare dalla parte diametralmente opposta, e le conseguenti congetture che erano seguite, forse lo avevano distratto dalla reale portata drammatica dell’accaduto.
Ma era stato un bel Cahya Mera anche quell’anno, anche se diverso. L’unica nota stonata era che Sabo non se l’era per niente goduto. A dirla tutta, non ci aveva neanche provato e Law non lo biasimava. Non perché Sabo avesse una qualche forma di ragione ma Law non era il tipo di persona che incolpava gli altri per le proprie inclinazioni fintanto che non sconfinavano nel patologico, qualora queste non incontrassero il suo gusto. Se Sabo non aveva in corpo di reagire, lui non aveva un solo problema al mondo con quella decisione. Non aveva rovinato la serata, certamentente non a lui, dubitava che per gli altri fosse diverso e non perché non gli volessero bene ma, anzi, per il motivo opposto.
Ace, che era rimasto con Bonney e Satch a vedere le lanterne dalla piazzetta della vecchia pesa di Waterwheel, gli aveva scritto per sapere come se la cavava il suo fratello figlio di un’altra madre, e Law avrebbe scommesso che una parte della sua mente era rimasta rivolta a Sabo per tutta la sera. Izou e Marco, che ci avevano messo ben più del dovuto a tornare armati di lanterne e saponette di shampoo – Law sospettava per provare a ritrovare il kanzashi perduto –, si erano presentati con un vassoio di polpette di granchio sperando di stimolargli l’appetito.
A nulla era valso il tentativo e si erano risolti a tenergli una silenziosa compagnia mentre si intrattenevano tra loro, senza riuscire più di tanto a coinvolgerlo.
Una tazza di fumante caffè nero apparve sotto al suo naso, strappandolo alle proprie riflessioni. Si girò verso Kay, che ancora stropicciata di sonno e con addosso il prendisole non era di mezza oncia meno bella che la sera prima con l’abito pennellato addosso. Law prese il caffè dalle sue mani, prima di scostare la sedia e accoglierla sulle proprie gambe per la colazione.
Lanciò una sadica occhiata di ammonimento a Bonney, per prevenire eventuali commenti al vetriolo dettati da gelosia mista a invidia, ma constatò che l’amica doveva aver alzato troppo il gomito perché aveva tutta l’aria di essere alle prese con un pessimo doposbornia. Ace, dal lato opposto rispetto a loro, aveva un sorriso trasognato spalmato in faccia che lo faceva apparire rilassato, fatto o lobotomizzato in base all’angolazione da cui lo si guardava. Izou non aveva spiccicato mezza parola, vittima di un tardivo attacco di depressione per la perdita del kanzashi e non fosse stato per Satch, che commentava ad alta voce le notizie più stupide che internet gli propinava, imbeccando continuamente conversazioni non verbali tra lui e Marco, la cucina sarebbe stata immersa nel più pacifico dei silenzi.
Law aveva più di Kay tra le braccia per apprezzare quella prima mattina al mare. Non avrebbe osato sperare in un inizio di vacanza tanto tranquillo e, forse, in effetti, aveva gioito troppo presto.
Kay si sollevò dal suo petto, dritta e in allerta, quando Sabo si schiantò contro lo stipite della porta, arrivando di volata dalle scale e strappando non solo Law dal proprio Nirvana.
«Non c’è»
Law vide riflessa la propria stessa espressione sulle facce di Izou e Ace, un’evenienza a dir poco unica nonché preoccupante. E Sabo era in effetti preoccupante. Così tirato e agitato, gli occhi quasi fuori dalle orbite.
«Chi?!»
«Ish» ansò il ragazzo, le nocche bianche per la presa sul legno. «Non è in camera, i bagni di sopra sono entrambi liberi, non c’è la sua borsa all’ingresso, non è tornata stanotte!»
«Fratello calmati» Ace si alzò mentre Law si passava pollice e indice sugli occhi.
Non lo biasimava, era vero, ma ora sì quell’inclinazione al panico di non avercela sottocchio rasentava il patologico. Lo aveva ammesso solo con lui, forse perché Law lo aveva fatto sentire sotto esame con i suoi impietosi commenti, che durante il racconto della leggenda di Nadir, nella sua mente la forse mai esistita indigena si era presentata con le fattezze di Ishley. Che quando Nadir aveva chiesto alla luna di farle dimenticare il suo stomaco si era fatto di pietra per l’orrore, che quando Nadir era scomparsa Sabo aveva provato freddo e un senso di vuoto e di mancanza e si era sentito scivolare qualcosa tra le dita, come fosse stata sabbia.
Il tempo o la vita.
Law aveva il massimo rispetto dei sentimenti dell’amico, non lo avrebbe mai deriso per una sensazione così vivida nonostante non avesse un’origine logica o scientifica. Ma da lì ad aver passato il resto della giornata a geolocalizzare Ishley con il solo ausilio del proprio istinto primordiale ne passava. Sperava che vista la rassegnazione della serata precedente, la nottata avrebbe cancellato gli ultimi residui di quella brutta esperienza, dissociativa, spirituale, extracorporea, Law non avrebbe saputo come definirla. Ma, a quanto pareva, non era andata così, e Sabo rischiava il proprio equilibrio mentale nonché di trasformarsi in uno stalker.
A malincuore fece alzare Koala, cedendole però subito la sedia.
«Sabo, sei bloccato nella tua testa, riprenditi» lo prese di petto, con l’aria di essere pronto a tutto per farlo tornare in sé.
Sabo sgranò ancora di più gli occhi, così tanto che sembrava stessero per scoppiargli le cervella.
«Non è nella mia testa, Law!» lo apostrofò con voce distorta. «Tu per caso la vedi?­»
«Vedere chi?»
Law non avrebbe mai deriso l’amico per i suoi sentimenti. Mai e poi mai. Ma se era raro per lui provare l’impulso di ridere, allora stava accadendo qualcosa di raro, perché la serie di microespressioni che attraversarono la faccia di Sabo, unite alla situazione in sé, avrebbero messo a dura prova chiunque.
Solo Satch, comunque, non riuscì a trattenersi e, ciò nonostante, pur essendo Satch, aveva mascherato come meglio poteva la reazione e questo la diceva lunga su quanto la preoccupazione per la poca normalità che Sabo ancora preservava fosse, ormai, una faccenda di gruppo.
Law comunque non lo poteva biasimare, Satch, non Sabo. Ishley aveva avuto un tempismo comico da copione nell’apparire sulla porta della cucina, la tutina copricostume addosso, la pelle ancora umida dalla doccia mattutina, un asciugamano con cui si stava tamponando qualche ciocca sfuggita al raccolto e la peluria del coppino.
Sorrideva, nonostante l’espressione interrogativa che virò al perplesso quando Sabo si ostinò a fissarla come fosse un fantasma, senza parlare.
Fu Izou a schiarirsi sonoramente la gola e Law sospirò, esasperato ma grato di non vedersi costretto a fargli del male fisico per farlo rinsavire.
«Pensavo non fossi tornata a casa» riuscì ad articolare con tanto di tono fermo e scrollata di spalle, la facciata di sempre di nuovo attiva e funzionante. Ma per poco.
«E dove altro sarei dovuta andare?» rise Ishley, a sottolineare l’assurdità della cosa. «E anche fosse, non ci sarebbe stato da allarmarsi, il tasso di criminalità di questo posto è tipo zero e poi io so difendermi, sono forte» piegò il braccio a mostrare il muscolo effettivamente tonico. «Vedi? Ti preoccupi troppo, fratellone»
Il tempo sembrò fermarsi mentre Ishley gli dava un goliardico pugnetto sul pettorale, prima di entrare in cucina, posare l’asciugamano sullo schienale di una sedia libera e approcciare il frigo. Nel tempo che Ishley ne studiò il contenuto, ognuno rimbalzò con lo sguardo su tutti gli altri.
Lo shock la faceva da padrona, particolarmente evidente sulle facce di Bonney e Izou, Satch aveva la bocca spalancata e un incipiente sorriso e Koala fissava l’amica con un misto di incredulità e sospetto.
E Sabo, beh, era pietrificato. Gli occhi pieni di panico, le labbra serrate, solo il respiro grosso che gli sollevava il petto a ondate tradiva il fatto che non fosse una statua.
Ishley che richiudeva il frigo, armata di yogurt da bere, spezzò l’incantesimo. Chi più chi meno cercò di tornare a comportarsi normalmente – secondo la normalità di ciascuno –, quando la mora si diresse al tavolo per pescare due biscotti, chiaramente senza intenzione di accomodarsi.
«Non fai colazione con noi, Ish?» domandò Satch, più divertito di quanto lui stesso si rendeva conto fosse consono alla situazione.
«Voglio fare un giro un po’ più lungo ma non voglio giocarmi tutta la mattinata» spiegò prontamente Ishley, argento vivo addosso.
Satch si svaccò sulla sedia, inclinando un po’ il capo all’indietro, verso di lei «Ci mancherai»      
Tutti si sarebbero aspettati che Sabo gli sibilasse di piantarla, gli dicesse qualcosa. Ma nessuno si sarebbe aspettato che Ishley gli sorridesse con affetto prima di piegarsi su di lui e scoccargli un bacio sulla guancia.
«Ma ci vediamo presto. Okay, io vado! A dopo!» annunciò, lasciandosi alle spalle un’ammutolita compagnia di amici, per poi caricarsi tavola e pagaya in spalla e uscire sgranocchiando biscotti.
La porta si chiuse senza un tonfo e Bonney aspettò di sentire lo schiocco del cancelletto, per esprimere il pensiero di tutti come prime parole della giornata.
«Che cazzo. Sta. Succedendo?»   

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Bonney era una persona diretta.
Si poteva coniugare quella descrizione in molti modi, raramente lusinghieri, ed era di fatto ciò che avveniva. E certamente Bonney aveva dei difetti, che spesso venivano presi per ciò che non erano.
Era sboccata, non maleducata.
Era protettiva, non possessiva.
Era diretta, non senza filtri.
Se per esempio qualcuno a caso le avesse chiesto in quel momento perché fosse tanto scura in volto, non è che gli avrebbe raccontato gli affari suoi e delle persone a lei vicine. Ma non vedeva perché mai sforzarsi per nascondere il fatto di essere inviperita.
Lo era, lo era eccome e non la si poteva biasimare. Non se tanta carne fresca aveva occhi solo per il Portuguese, quel maledetto. Sulle prime non le aveva neanche riconosciute, non fosse stato per Perona che si era presentata sprovvista di cane – che a quanto pare aveva preso troppo sole e un po' di febbre –, ma munita di amiche.
Bonney ci aveva messo un po' a realizzare che già le conosceva, anche se non le ricordava causa sbronza, e che forse era stata stupida a lanciarsi sull'alcool anziché su una di loro al Cahya Mera.
Ma non una di loro aveva dato segni di interesse per chiunque che non fosse Ace, con l'eccezione, Bonney stentava a crederlo, di Satch.
Un po' perché Satch era impossibile da ignorare e un po' perché erano due bastardi fortunati, Melville e Portuguese.
Che poi Bonney lo sapeva che Satch era così di natura, che non era una posa, un'esagerazione, che quella mattina il ciuffo a banana neanche le cercava le attenzioni delle quattro nuove arrivate, soddisfatto com'era dal bacio spontaneo ricevuto da Ish.
Ecco, Ish.
Lei era l'altra metà della questione, l'altra metà del malumore.
Perché era strana, non c'era un altro modo per descriverla, era strana, era in qualche modo sfuggente, pur restando presente e partecipe a tutto ciò che quella mattina stava succedendo.
Ishley era strana e Bonney era preoccupata.
Perché se di Bonney una cosa si poteva dire, oltre che era diretta, era anche che non c'era oncia di amore che ricevesse che non tornava al mittente moltiplicata.
Era vero, Bonney poteva insultare Satch anche dodici volte al giorno, ma guai a chi osava farlo al di fuori della loro cerchia.
Se la sua Ish stava male e neanche poteva prendersela con chi ne era la causa, perché l'imbecille stava anche peggio, non le si poteva chiedere di sorridere.
Anche se, a onor del vero, Ish non sembrava stare male.
Però era strana, era come diversa, Bonney non riusciva a trovare l'aggettivo.
“Finta” sarebbe stato forse adatto ma Bonney aveva visto Ishley tentare di dissimulare così tante volte ciò che provava per Sabo senza mai riuscirci che non riusciva neanche a prendere in considerazione quella possibilità. E che Ishley avesse smesso di provare dalla sera alla mattina quell'amore che la faceva brillare nell'anima, era impensabile. Era come se si fosse dimenticata, semplicemente, il che non era ovviamente plausibile.
Ma anche se Bonney avesse trovato una spiegazione, quale che fosse, non sarebbe comunque stata soddisfatta, perché Bonney voleva solo che Ishley tornasse normale e non importava quanto serena e frizzante si mostrasse. Ish non era Ish, Bonney lo sapeva e basta e la rivoleva indietro.
«Ahi-ahi. Quelli sono occhi che hanno bisogno di vedere cose belle»
Ora bisognava dire che Chabo non c’entrava niente. Mai nessuno era stato più nel posto sbagliato al momento sbagliato di lui in quell’istante però avrebbe anche potuto restare zitto. Certo le sue intenzioni erano buone. Con Nojiko che si era dovuta assentare, si era coraggiosamente fatto carico del chiringuito e questo comprendeva prendersi anche cura degli avventori. Non avrebbe potuto più guardare Nojiko negli occhi se avesse semplicemente ignorato il malessere di quella ragazza che gli aveva chiesto una piadina kebab.
Ma Chabo non era Nojiko e non sapeva leggere bene le persone come Nojiko né, conseguentemente, scegliere bene le frasi di apertura come Nojiko. Capì di aver fatto il passo più lungo della gamba quando la ragazza dai capelli rosa si mise a ringhiare.
«Che hai detto?»
«S-se volevi anche il caffè da portar via» tartagliò rapido il mulatto, facendo quasi cadere la piadina per lo spavento, evento che sarebbe sfociato quasi certamente nel suo omicidio. Ringraziò i propri riflessi e si affrettò ad avvolgere la pietanza nella stagnola e a tenderla alla ora sua legittima proprietaria.
«Tieni il resto» borbottò monocorde Bonney, allontanandosi dal bancone con un’ondeggiamento della mano per saluto.
Chabo espirò sollevato per lo scampato pericolo ma rimase a guardarla allontanarsi ancora un momento, le mani sui fianchi.
«Certo che due parole con Nojiko le avrebbero fatto proprio bene»
 

 
§

 
C’era una rientranza tra gli scogli a est della spiaggia, un fenomeno geologico indefinito destinato a diventare, in qualche decennio, una cala. In quel punto, gli scogli più bassi erosi dal mare spuntavano alla giusta altezza per sedercisi sopra, sgabelli naturali a pelo d’accqua, posto d’onore per assistere alle gare di tuffi dalle rocce più alte lì accanto, o punto di appoggio per le spedizioni amatoriali di snorkeling.
Law e Koala si erano dati lì il primo bacio e la compagnia era certa che non si fossero limitati solo al primo bacio, sebbene i due avessero sempre glissato.
Era poco frequentato e, ovviamente, lo spot preferito da Ace e Sabo per fare il bagno. Izou non si era stupito che Ace lo avesse subito proposto a Perona e compagnia, e trovava ironico che ad aggregarsi fosse stata, oltre a lui e Satch, Ishley e non Sabo. E se proprio in virtù della sua assenza, Izou sapeva che Sabo non si stava godendo quel bagno, sull’altro fratello meraviglia aveva dei legittimi dubbi.
Comodamente accomodato sul suo sgabello naturale, trovava antropoligicamente affascinante ciò che stava accadendo. Era certo di aver letto la situazione con la stessa facilità di un libro della prima infanzia, scritto a caratteri molto grandi e con illustrazioni esplicative.
Reiju era una macchina da guerra. Incalzava domande e commenti alle risposte di Ace con la precisione di un cecchino, senza mai perdere un colpo, tirando le fila della conversazione per mantenerla sul leggero mentre collezionava informazioni e dettagli sul suo amico, a beneficio di qualcuno che non coincideva con la sua stessa persona.
Izou lo sperava, per Reiju, perché era evidente che tutte quelle attenzioni fossero poco gradite a Ace. O meglio gli sarebbero state gradite in altre circostanze, in cui suddette attenzioni non gli avessero impedito di dedicarne altrettante a Perona, che, dal canto proprio, poteva essere scocciata per le troppe attenzioni di Reiju a Ace o per le troppo poche attenzioni di Ace a lei.
Izou lo sperava un po' anche per sé, perché se ci aveva visto giusto su Reiju e se Reiju aveva visto ciò che vedeva anche lui, la situazione era a dir poco esilarante.
E senza sfociare nel drammatico, Izou non avrebbe disdegnato una bella risata quella mattina in cui, oltre al lutto per il suo kanzashi, ci si metteva la preoccupazione per Ish.
E per Sabo, certo, ma cosa prendesse a Sabo era lampante.
Ishley invece...
Scrutò attraverso le lenti scure verso la fetta di acqua dove lei e Satch stavano istruendo Aisa e Pudding sulle zone più ricche di vita marina da osservare, prestando le proprie maschere con boccaglio. Lei e Satch era da tutta la mattina che facevano comunella e, se Izou lo avesse conosciuto meno bene, probabilmente lo avrebbe classificato come uno stronzo indegno dell’amicizia di Sabo.
Ma Izou lo conosceva bene e sapeva che anche Satch era preoccupato e se stava approfittando della loro ritrovata complicità era per non lasciarla sola, per cercare di capire. Tutti stavano cercando di capire ma nessuno sapeva cosa dovessero cercare di capire.
«Ehi!»
Izou riportò lo sguardo davanti a sé ritrovandosi la visuale quasi interamente occupata dalla faccia lentigginosa di Ace, a due bracciate da lui. Un ghigno mefistofelico gli si dipinse in faccia.
«Ora d’aria?» domandò e Ace non riuscì a non voltarsi per un attimo verso Reiju, tradendo l’effettivo disagio che aveva iniziato ad accusare in compagnia della ragazza. «Se vuoi possiamo nasconderti ma credo serva un protocollo protezione testimoni, ha l’aria di una che ti risucchia l’anima fin da dentro lo stomaco»
«Sai la cosa strana… grazie…» si issò sullo scoglio, dove Izou gli aveva fatto spazio, appoggiandosi spalla a spalla all’amico. «Non penso neanche di essere il suo tipo»
«Non pensi di esserlo o è che speri di essere più il tipo di qualcun altro?» gli lanciò un’eloquente occhiata in tralice Izou, a cui Ace con un po’ di ritardo sorrise, per poi passargli il braccio sulle spalle.
«So benissimo di essere il tuo tipo, Izou»
«E come non potresti, Portuguese? Sei irrestitibile» stette al gioco il moro, quello con gli occhi un po’ a mandorla, mentre portava la testa sulla spalla di Ace. «E poi perché dici che non sei il suo tipo? Ti sminuisci sempre» protestò Izou. «Di piuttosto che è lei a non essere il tuo tipo»
«Ma non è per sminuirmi» Ace fece spallucce, obbligando Izou a rialzare la testa. «È l'istinto che me lo dice» afferrò l'aria davanti al proprio stomaco, a sottolineare il concetto della viscelarità del suo istinto.
Già, l'istinto.
Lo stesso che diceva a Izou che c'era effettivamente qualcosa da capire, qualcosa da indagare, qualcosa di strano riguardo a Ish.
«Sembra finalmente serena eh?» fu di nuovo Ace a strapparlo dalle proprie riflessioni. Izou gli lanciò solo un'occhiata prima di tornare sull'amica.
«Già»
«Certo è stato inaspettato e beh... Odio vedere Sabo che sta così male. Ma se Ish è felice...»
«Noi abbiamo cercato di dirglielo in ogni modo, Ace»
«Lo so» borbottò sottovoce Ace, mentre dondolava la gamba immersa. «È che sai com'è quell'idiota. È, ecco...»
«Un idiota?» suggerì Izou, strappandogli una risata.
«Secondo te è il tipo del bar?»
«Non lo so, Ace» sospirò Izou. «In realtà mi sembra improbabile che abbia mai rappresentato una reale alternativa. Magari ha solo deciso di andare avanti con la sua vita, magari cambierà orientamente sessuale, magari espatria…»
«Magari stai esagerando»
«Sì hai ragione» concesse Izou, con un gesto svolazzante della mano. «La cosa veramente strana è che Ish è sempre stata pessima a recitare, soprattutto se si tratta di Sabo. Quindi com’è possibile che fino a ieri si struggeva e oggi è così pacifica?»
Ace agitò le gambe sott’acqua, fissandosi i piedi attraverso la superficie cristallina. «Non so che dire»
«Già. Neanche io. Ma per fortuna tu ora puoi tenere la testa occupata, la tua stalker sta lasciando libero il campo» gli diede di gomito per fargli presente Reiju che nuotava verso il gruppo impegnato nello snorkling, allontanandosi da Perona.
Neanche il tempo di indicargliela e Ace si era già ributtato in acqua.
Izou si puntellò con le mani dietro di sé, le gambe allungate.
«Non romperla, è di porcellana!» gli urlò dietro con un sorrisetto saputo, ricevendo un medio in risposta.
Shandia, adorava l'estate.
 

 
§

 
«Okay, che stai facendo?»
Reiju trovava che Perona fosse adorabile da imbronciata. Madre Natura l’aveva dotata di una bocca di rosa color sorbetto, dalla forma a cuore e carnosa, che, quando era contrariata, Perona sporgeva in un broncetto alla francese delizioso, corredato da un nasino naturalmente arricciato e occhi che restavano enormi anche da corrucciata. Veniva voglia di strapparglielo a baci e, forse, in un paio di occasioni, Reiju l’aveva provocata di proposito per godersi quell’espressione.
Questo non significava che Reiju lo avrebbe ammesso, né che lo faceva sempre senza un fine ultimo che andasse al di là del proprio trastullo personale, sebbene a volte i due coincidessero.
«Un bagno rinfrescante, suppongo» rispose senza esitazione, smuovendo l’acqua intorno a sé per tenersi a galla e godere del suono liquido del mare calmo. «Ahhh che meraviglia. Tu non trovi sia una giornata splendida, Perona?»
Perona era troppo impegnata a tenere il suo fantastico broncetto per rispondere. Reiju lo sapeva anche senza guardare ma, posto che Reiju aveva un debole per quel broncetto, decise di dare comunque una sbirciata.
«Non sembri convinta»
«Sai di cosa parlo, Rei»
Reiju sorrise, un sorriso che urtò e sollevò Perona al contempo, perché finalmente si parlava a carte scoperte e solo il cielo sapeva quanto fosse sfibrante Reiju quando si impegnava. Il cielo e ora, probabilmente, anche Ace.
«Gli ho solo fatto qualche domanda, per conoscerci meglio»
«Gli hai fatto il terzo grado» precisò più acida di quanto avrebbe voluto ammettere, Perona, appoggiata a uno scoglio, i piedi puntellati a una piccola sporgenza immersa.
«Se non voleva, poteva non rispondere»
«Se fosse scortese, cosa che non è. E poi perché pensi che si sia allontanato?!»
«A sentire lui per andare a vedere che Izou stesse bene»
«Sì certo» sibilò scettica Perona, roteando gli occhi al cielo.
«Ti dispiace che sia andato via, Perona?»
Perona chiuse gli occhi e prese un profondo respiro. Il tono saputo di Reiju di solito la riempiva di soddisfazione, perché quasi mai era rivolto a lei, o ad Aisa e Pur, ma quasi sempre a gente che se lo meritava, quel tono saputo. In quel momento però, ciò che Perona provava era omicidio.
«Mi dispiace perché, come tu e le altre vi siete premurate di sottolineare a più riprese, è mio amico e tu lo hai messo a disagio»
«Sono desolata, non era mia intenzione» mormorò senza ombra di pentimento Reiju, mentre si sdraiava per rinfrescare la testa nell’acqua salata.
«Rei, so cosa stai cercando di fare. E tu sai che io so» ritrovò per un attimo la calma ma sapeva, sentiva che era destinata a svanire. «E non funzionerà­»
«Dipende da cosa spero di ottenere»
«Di sbloccare la mia “fobia da flirt estivo”» Perona fece le virgolette con le dita con un’altra alzata di occhi al cielo che le impedì di vedere il sorriso felino formarsi sulle labbra di Reiju.
«Oh quindi ora ammetti di averla?»
«No, Rei, non ho nessuna fobia io! Sarò asessuata o come si dice, perché mi deve interessare per forza flirtare?»
Perona non aveva mai visto Reiju smuoversi dalla sua serafica calma, per nessuna ragione al mondo e si era quindi ripromessa di restare sempre calma anche lei, quando ci discuteva. Essere l’unica arrabbiata era snervante, ancora di più quando Reiju aveva quell’espressione gongolante in volto, mentre si avvicinava fluttuando a pelo d’acqua.
«Perché…» Si immerse un breve attimo, per riemergere poi proprio di fronte all’amica, portando il proprio viso molto vicino al suo così da poter appena sussurrare, seducente: «…flirtare è piacevole e a Ace piace farlo con te, tu ti assicuro che non sei asessuale, si dice così, e lui è davvero molto, molto carino,  Perona»
Qualunque velleità di cacciarla sott’acqua con la testa, foss’anche stato solo per non vedere più quel sorriso sadico e soddisfatto mentre lei era lì che fumava, si dissolse come sale nel mare.
«Oh. Un’improvvisa voglia di snorkeling» Reiju sollevò una spalla in un gesto di stupita noncurnaza, prima di sparire in acqua, lasciando da sola Perona che si rese conto troppo tardi di essere rimasta interdetta un momento di troppo. 
«No ehi Rei! Aspetta! Cosa vuol dire che a lui piace flirtare con me?!» provò a richiamarla ma, anche l’avesse sentita, Perona sapeva che Reiju non si sarebbe neanche sforzata di fingere il contrario e non le avrebbe risposto comunque. «Maledizione» sibilò agli scogli e al mare.  
Quella pulce nell'orecchio era l'ultima cosa che le serviva. Avrebbe avuto bisogno di mettere Reiju alle strette, obbligarla a specificare quali atteggiamenti di Ace classificava come "flirtare con lei".
 Era certa che fossero travisati o persino inventati di sana pianta, tutto per provocarla e spingerla a flirtare lei con lui. Aveva più di un valido motivo per sospettarlo e per di più non avrebbe mai voluto finire per mettersi ad analizzare involontariamente ogni singolo dettaglio delle sue interazioni con Ace, sarebbe stato alquanto... Disturbante.
In fondo il ragazzo aveva un cuore d'ore, era socievole per natura e un po' paraculo, quel genere di persona sempre pronta a prodigare aiuti e dare soprannomi a tutti. Non era come se fosse niente di speciale il fatto che la chiamasse...
«Voodoo!»
Il cuore di Perona si schiantò contro la sua gabbia toracica, mentre la sua proprietaria sobbalzava per lo spavento.
«Oh accidenti scusa!» Ace accelerò le bracciate per avvicinarsi più in fretta.
«No figurati, ero distratta io» lo rassicurò Perona, con uno sguardo raggelante che sarebbe andato bene per giurare vendetta eterna a un nemico atavico. Si schiarì la gola e scosse la testa. «Come sta Izou?»
«Bene, si gode l'estate. Sta da Izou» si strinse nelle spalle il moro, mentre Perona si spostava per fargli spazio sullo scoglio. Fu con orrore che si rese conto in quel momento che era già iniziata.
La sua attenzione verso ogni movimento di Ace aveva raggiunto la soglia massima in una manciata di secondi, tesa a raccogliere eventuali segnali di flirt che Perona non era neanche certa di saper riconoscere. D'altronde lei non flirtava, era il fulcro dell'intera faccenda, magari neanche era capace, come faceva a capire se qualcuno flirtava con lei?!
Ace si posizionó accanto a lei e la flashò con un sorriso ma neanche questo aveva per forza un qualche profondo significato.
Da quel che aveva avuto modo di vedere, Ace sorrideva sempre, a chiunque per giunta e la vicinanza era inevitabile in quella situazione.
«Sei preoccupata per Kumachi?»
Perona batté le ciglia, colta alla sprovvista, perché sì in effetti una parte della sua mente era rimasta fissa alla creatura per tutta la mattina. 
«Beh un pochino, ma mi dispiace soprattutto non averlo qui» sospirò Perona. «È più semplice tenere a bada lui che Rei, oltretutto»
Un attimo di silenzio seguì e poi Ace scoppiò a ridere di cuore, con sollievo della rosa, che si portò due dita alle labbra nel sentire una risata nascere anche sulle sue.
«Era tremenda, lo so»
«Oh no, io direi molto azzeccata invece» si schiarì la gola Ace. «Ma a tal proposito, volevo chiederti, Rei fa sempre così? Cioè Sabo ha una compagna di corso che è un po' così, si chiama Robin e fa sempre un sacco di domande, ma non so se Rei è come Robin o se come dire... Cioè non vorrei che, oh non prendermi per arrogante, ma non vorrei che avesse un secondo fine perché, ecco, io non sono interessato»
Un altro attimo di silenzio e stavolta fu la risata di Perona a romperlo.
La risata di Perona era singolare. Qualcuno avrebbe detto ridicola – era in effetti successo –, qualcuno avrebbe detto adorabile, anche se Perona non gradiva l'aggettivo.
Ace era certo che non l'avrebbe scordata mai.
Ricordava una civetta, ma più acuta che profonda, un po' graffiata, come anche era la sua voce, e crepitante, come un falò nel silenzio di una notte stellata. 
Perona la odiava ma ancora di più odiava il fatto di non riuscire a smettere, nonostante la cosa stesse diventando invalidante. Non riusciva quasi più a respirare e le lacrime iniziavano a oscurarle la vista. Da fuori doveva sembrare una pazza nevrastenica.
Un altro scroscio fu la goccia che fece traboccare il vaso e con uno scatto di rabbia, Perona si impose di darsi una calmata, frenò i gorgoglii e si schiarì la gola. «Sei serio?!­»
Ace fece spallucce.
«Mai nessuno, che io ricordi, ha detto di non essere interessato a Reiju» ribattè, e suonava quasi un rimprovero, non fosse stato per la sua espressione, un misto di incredulità e di “ma che problemi hai” che però non smosse di un centimetro il Portuguese nella sua convinzione.
Anzi, si piegò ancora di più verso Perona, un sorriso quasi contemplativo in volto. «Io preferisco ragazze più spontanee e, possibilmente, goth»
Perona sobbalzò impercettibilmente, un po’ per il viso di Ace così vicino, un po’ perché era certa di esserci appena riuscita. Aveva riconosciuto un flirt. Perché quello doveva essere per forza un flirt, no?!
Purtroppo, per impercettibile che fosse stato, il movimento bastò a farle mettere un piede in fallo e farla scivolare dalla poco pratica pedana naturale, dritta sott’acqua.
Così, era quello un flirt. Perona non era sicura di cosa provasse al riguardo. Lo stomaco le sfarfallava, in effetti, e non era una brutta sensazione, ma forse era perché Ace l’aveva colta alla sprovvista ma comunque aveva detto la cosa giusta con l’intonazione giusta e nel momento giusto anche. Insomma ci sapeva fare, o almeno credeva Perona, non che fosse esperta.
Stava ancora metabolizzando quella nuova inattesa esperienza, che si accorse di essere ancora sott’acqua e che forse era il caso di uscire. Bastarono poche spinte per infrangere il pelo dell’acqua, e ritrovarsi di fronte a Ace, con l’urgenza dipinta in faccia e le mani pronte ad afferrarla, cosa che in effetti fece con estrema delicatezza, studiandola poi un momento prima di mormorare con un sorriso: «Voodoo, che scherzi fai?»
Per l’amor del cielo, che aveva da sorridere sempre?! E perché le sue lentiggini dovevano essere così carine e… e… ipnotiche e i suoi occhi… sembrava che ci fosse il sole in fondo ai suoi occhi. 
«Perona!»
«Perona, ommioddio, stai bene?»
Perona si sentì strappare di violenza dalla trance e provò l’impulso di gemere una protesta ma durò troppo poco per darsi di pena di negarlo, quando Pur le arrivò addosso di volata per abbracciarla.
«Ci hai fatto prendere uno spavento, mio dio!»
Perona la strinse di rimando, accigliandosi, «Ma sono stata sotto così tanto?» chiese nel notare anche Satch, Izou e Ishley che si erano fermati a un metro per non assediarla, ma visibilmente corrucciati.
«Abbastanza da far tuffare Ace per recuperarti»
«Oh sì, è stato così eroico! Vorrei che succedesse a me!» si sciolse Aisa, prendendo un’occhiata scettica da ciascuna delle amiche storiche.
«Ma tu odi le cose romantiche» fece notare piatta Pur.
«E infatti ho detto eroico»
«Sì, infatti chi ha parlato di romantico?!» si allarmò Perona, cambiando rapidamente fazione per dare manforte ad Aisa.
«Comunque per fortuna era solo un falso allarme, anche se forse ora è meglio tornare all’ombrellone» intervenne pratica Reiju e Perona si accorse che Pur tremava contro di lei e dubitava fosse di freddo, visto il caldo che c’era.
«Sì forse è il caso» confermò Perona, coccolando un attimo ancora Pur prima di staccarsi da lei per fluttuare insieme agli altri verso riva.
Ace rimase indietro, uscendo per ultimo dietro al quartetto, mentre Izou, Ishley e Satch già si avviavano all’ombrellone, o meglio agli ombrelloni. Quando, quella mattina, le quattro ragazze si erano presentate con il proprio, proponendo di unire le forze per più ombra Ace si era esaltato alle grida di “Il miracolo è avvenuto” e “Non abbiamo mai avuto così tanta ombra”, a cui Bonney aveva risposto acidamente se pensava di fare così ogni volta che qualche anima pia prestava loro un ombrellone aggiuntivo, cosa di cui erano sprovvisti tra le altre cose anche grazie a lui che a inizio vacanze era stato tra i procastrinatori dell’acquisto di un secondo ombrellone, sostenendo che c’era tempo. Ace non le aveva risposto e in realtà stava ancora cercando di capire cosa intendesse Bonney, visto che davvero non era mai capitato prima, ma ormai aveva deciso di archiviare la faccenda come una Bonney di cattivo umore e basta.
«Ace senti…» Ace si girò verso Aisa che si stava sfilando le scarpette da immersione, saltellando su una gamba sola per non perdere l’equilibrio.
«Dimmi Aisa»
«Non voglio essere invadente ma Ish sta meglio oggi no? Voglio dire, non è tutta una posa giusto?»
Ace lanciò un’occhiata davanti a sé, dove Ishley si stava già allontanando insieme a Satch e Izou. La vide dare uno spintone a Satch, incassarne uno a sua volta e colpirlo con una manciata di sabbia bagnata in rappresaglia. Izou sollevò un braccio per proteggersi dagli schizzi di terra e protestò con veemenza, strappando una risata a Ishley mentre gli si avvicinava per abbracciarlo.
Ora il problema di dare una risposta ad Aisa era che Ace avrebbe dovuto darne due. Perché Ace non credeva che quella fosse una posa ed era davvero felice se Ishley era più serena. Ma non era così sicuro che quella situazione fosse meglio per Ish. Perché se solo avesse saputo, se solo quell’idiota non fosse stato così caparbio nel negare l’evidenza e ora…
«Sì sta meglio» annuì, rivolgendosi di nuovo ad Aisa. «Ish è pessima a recitare»
Anche Aisa annuì, felice della risposta, per poi accelerare per recuperare Reiju e Pudding, lasciando Ace in compagnia di Perona.
«Tutto bene Voodoo?» non perse tempo Ace ma, stavola, Perona rispose subito al sorriso.
«Tutto bene» confermò e prese un profondo respiro. «Grazie per prima, per esserti buttato per… per me»
«Lo avrei fatto per chiunque. Ma farlo per te è stato un onore» abbassò appena il tono, come aveva fatto poco prima sullo scoglio e lo stomaco di Perona sfarfallò di nuovo. «E comunque non ho fatto nulla, hai un resistenza incredibile in apnea!» alzò la mano per farsi dare il cinque ma Perona lo ignorò e anzi, si piegò per evitare il suo braccio alzato mentre gli si faceva più vicina.
«Beh nel caso ti trovassi a corto di ossigeno, sai chi cercare» sussurrò roca, gli occhi socchiusi, per poi dargli subito le spalle e allontanarsi, lasciandolo lì attonito e imbambolato.   
Perona si fece violenza per non mettersi a correre o anche solo accelerare l’andatura, mentre sentiva la faccia diventare progressivamente sempre più rossa fino a sfiorare il viola.
Non riusciva a credere di averlo fatto. Aveva flirtato. Aveva davvero flirtato!
E, mio dio, se era stato divertente!
 

 
§

 
«È incorreggibile» ridacchiò Ishley, mentre spalla a spalla con Izou, osservavano Satch fare il cascamorto con le ragazze a cui aveva riportato il volano, lanciato troppo in là.
«Già ma chi lo vorrebbe diverso?» sospirò Izou, un sorriso a celare la sua tensione.
La sbirció di sbieco, aspettandosi che Ishley rispondesse "Beh Sabo".
«Beh io no di certo»
Izou non sapeva cosa pensare. Sabo se l'era cercata – e non che per questo fosse meno dispiaciuto per l'amico – e Ishley aveva tutto il diritto di stare bene anche se lui stava male. E Izou sarebbe solo dovuto essere felice di vederla così serena, Izou era felice di vederla così serena ma era anche perplesso. Ishley a Sabo sembrava semplicemente non pensarci e non come risultato di un sovrumano sforzo. Aveva come trovato il modo di obliterarlo dalla propria testa e Izou non era affatto certo che fosse una cosa buona, che a Ishley facesse bene.
«Lo sai?» si rimise ben dritto e si piegò appena in avanti, portando una mano al coppino dell’amica. «È davvero bello vederti così senza nuvole» le sorrise con un affetto da stringere il cuore e, in effetti, il cuore di Ishley si strinse in un lieve spasmo.
«Ehi ehi!» si girò verso l’amico, prendendogli il viso tra le mani per fargli abbassare la testa e premere insieme le loro fronti. «Izou che ti prende?»
«Credo sia sollevato da come finalmente riesci a tenere a bada la tua cotta per Sabo. Eravamo tutti preoccupati per te, Ish­»
Izou si pietrificò, pervaso da una rabbia che non era neanche rivolta specificatamente a Satch, quanto più alla sua mancanza di tatto, alla sua incapacità di leggere le situazioni e al suo pessimo tempismo. Tutte cose imputabili a Madre Natura che però non era lì così da potersela prendere con lei.
Ovviamente una volta tanto che il capellone decideva di non fare l’idiota morto di gnocca, ma di parlare da amico, riusciva a sbagliare momento e parole e lo faceva con la delicatezza di un panzer. Ma doveva anche ammettere che forse gli aveva appena levato le castagne dal fuoco. Izou non aveva nominato Sabo nel caso in cui in realtà Ishley si stesse sforzando eccome, ma in fondo era lì che voleva arrivare. Voleva avere conferma che Ishley stesse bene davvero, che avesse davvero trovato il modo di convivere con quella situazione che l’aveva sfibrata fino al giorno prima.
«La mia cotta per Sabo?»
Izou smise di cuocere Satch a flambé per riportare gli occhi su Ishley, incredulo. Okay, tecnicamente definire quella di Ish per Sabo “una cotta” era improprio, era riduttivo, forse anche eufemistico visto che quell’amore a Ish stava risucchiando l’anima ma che si mettesse a cavillare su quello dopo aver passato la mattina a fingere di non provare più nulla…
«Cos’è un riferimento a qualcuna delle vostre battute?! Perché devo dirvelo ragazzi, io non vi ascolto sempre sempre, insomma vi adoro ma quando ne sparate dieci al minuto a volte disattivo il cervello e questa l’avrò persa perché mi sfugge proprio il riferimento»
Izou, gli occhi due fondi di bottiglia, tossì una risata e mosse rapido gli occhi verso Satch e di nuovo indietro su Ishley. «Okay, Ish, è chiaro che hai deciso di fare sul serio e non biasimo il tuo desiderio di vendetta ma con noi non serve, insomma, siamo dalla tua parte»
Ishley sbattè le palpebre un paio di volte, poi fu il suo turno di girarsi verso Satch prima di tornare su Izou. «Ahhh sì, lo immagino, voglio dire, siamo amici no? E lo apprezzo anche se non so di che vendetta tu stia parlan…»
«Contro Sabo» ribatté Izou, troppo agitato ora per potersi contenere.
«Ma perché, che cosa mi avrebbe fatto?!»
«Beh da dove iniziare…»
«Satch per favore! Ish…» Izou la prese per le spalle, determinato. «Ascolta, va bene voler andare oltre ma così ti fai del male. Capisco in sua presenza ma non fingere anche con noi di non amarlo»
«Okay» Ishley mosse le mani nell’aria, come a cercare di trasmettere calma all’esagitato amico. «Izou ovviamente io amo Sabo»
Izou percepì un’irrazionale ondata di sollievo pervaderlo e si odiò con ogni fibra del proprio essere. Lui che auspicava che Ishley potesse superare una volta per tutte quella sofferenza, ora si sentiva sollevato ad averne conferma. Ma non poteva farci niente, aveva così bisogno di ritrovare la loro Ish.
«È mio fratello»
Non aveva neanche ancora tirato il proverbiale respiro, che si ritrovò a imprecare internamente.
«Ish intendo romanticamente!»
«Non so di cosa tu stia parlando» rise la mora e Izou soffiò dal naso.
«Ma perché sei così testarda?!»
«Izou» Ishley gli riprese il viso tra le mani. «Io non so di cosa tu stia parlando» scandì, guardandolo negli occhi con uno sguardo così limpido e trasparente e sincero.
E no, non era possibile, non lo era eppure Izou sapeva quanto Ishley fosse pessima a dissimulare, ma anche se avesse improvvisamente imparato, Izou conosceva a sufficienza sia Ishley che la recitazione per poter affermare che no, quella non era una recita, perché neppure un’interpretazione da Oscar sarebbe stata credibile come gli occhi di Ishley in quel momento.
Izou deglutì a vuoto, mentre una nuova consapevolezza provava a sedimentarsi in lui.
Non era possibile eppure sembrava proprio… sembrava proprio….
«Sembra quasi che tu ti sia dimenticata»
«Izou?»
Izou si sentì strappare dal proprio shock incipiente, prima che quella nuova informazione riuscisse a raggiungere il suo core spirituale, da una voce mai sentita. Forse era proprio perché voleva distrarsi da quello che stava accadendo prima di realizzarlo appieno, che a quello sconosciuto era bastato chiamarlo una volta per avere tutta la sua attenzione.
«Sì?» cercò nella direazione da cui la voce era più o meno arrivata, dove stava un ragazzo dai capelli rossi, gli occhi verdi, le spalle larghe, un sorriso quasi di scuse.
«Scusate l’interruzione io… Ish?»
«Pen! Ehi ciao!» si illuminò Ishley, mentre il ragazzo, Pen, le si avvicinava per stringerle una spalla. «Non sapevo vi conosceste!» spostò gli occhi da Izou a Pen, accarezzando con una mano il dorsale del nuovo arrivato, per ricambiare il saluto.
«In effetti non ci conosciamo» ribattè Izou, nonostante una sensazione di vaga familiarità. Aveva l’impressione di averlo già visto, da qualche parte.
«No infatti, ma ho qui una cosa che penso sia tua»
Un’ondata di gratitudine e gioia pervase Izou quando Pen estrasse dalla tasca un ogetto lungo e sottile, in argento satinato, con una decorazione di palline azzurre finemente cesellate, penzolante da un’estremità.
«Il mio kanzashi!» Izou si buttò quasi in avanti, prendendo il monile dalla mano che glielo porgeva con una cura quasi sacra. «Ma come hai fatto? L’ho perso tra la folla, al Cahya Mera, cioè… Aspetta» Izou lo studiò più da vicino, osservò come si passasse una mano nei capelli spettinati. «È con te che mi sono scontrato. Shandia scusa, io…»
Come non si era accorto che fosse rosso? Era uno dei suoi punti deboli.   
«Eri davvero molto sovrappensiero. Ti avrei rincorso ma sei sparito in tempo zero e con il casino che c’era…»
«No ma figurati! Cioè è già incredibile che tu lo abbia conservato, quante probabilità c’erano che potessi restituirmelo?» lo rassicurò a parole, gli occhi incollati al kanzashi, che non gli sembrava quasi vero di nuovo nelle sue mani.    
«Ho immaginato fosse importante per te» Pen si strinse nelle spalle, riuscendo a riportare l’attenzione di Izou su di sé.
«Come?»
«Beh al Cahya Mera tanta gente si mette le cose più belle che ha e poi è tenuto molto bene. Si vede che ci fai manuntenzione. Ah scusa, è che studio restauro» spiegò con un gesto svolazzante della mano, per poi passarsela di nuovo tra i capelli. Izou si chiese come doveva essere, passare la mano tra quei capelli così vaporosi da essere quasi ingiusti ma si riscosse subito.
«Beh cavolo vi siete trovati allora! Izou studia design»
Izou si girò verso Ishley che, traditrice, li osservava insieme a Satch nella stessa posa in cui, poco prima, stava osservando Satch con lui.
«Che avete da fissare?­»
«Oh nulla, nulla»
«Vi prego, continuate!»
«Siete così carini»
«Devi perdonarli» Izou tornò a rivolgersi a Pen, con il suo cipiglio più malizioso «È che una coppia felice non sanno cosa sia, loro due»
«Izou sei un infame!»
«Senti chi parla! E poi… Aspetta» si accigliò improvvisamente, lasciando di nuovo perdere i propri amici. Per Pen, di nuovo. «Ma come fai a sapere il mio nome? Non ci siamo mai presentati»
«Me l’ha detto Nojiko» ribatté prontamente Pen.
«Nojiko? E chi è Nojiko?»
«La proprietaria del Bell-Mére» s’intromise Ishley, tornando ad affiancare Izou che non perse tempo a passarle un braccio sulle spalle nude. «Le ho parlato io di te, ma non sapevo che avessi perso il kanzashi»
«Sì quello gliel’ha detto un’altra tizia, poi lei ha collegato che forse l’Izou del kanzashi poteva essere il tuo Izou e…» indicò verso Ishley, mentre l’altra mano si bloccava nel gesticolare. «Sinceramente, mi è sembrata una spiegazione un po’ contorta, ma ti giuro che è tutto casuale, non sono uno stalker e volevo solo restituirtelo»
Izou prese un profondo respiro. «Grazie. Davvero» strinse il kanzashi nella mano, portandosela al petto. E poi sorrise come un gatto del Cheshire. «Comunque se mi avessi stalkerato non mi sarei lamentato»
«Oh Shandia. Scusa Pen, stamattina non ha preso le medicine» lo canzonò Ishley, strappando al rosso un sorriso accecante.
«Sarà stato troppo in lutto per il kanzashi e si è dimenticato»
«Ah! Visto?! Finalmente qualcuno che mi capisce!» Izou lo indicò a mano piena e braccio teso, parlando con gli amici prima di girarsi verso di lui e restare, per un lungo attimo, agganciato al suo sorriso con il proprio.
«Perché non vieni con noi, Pen? Ti presentiamo gli altri» fu Ishley, ancora una volta, a intervenire, con la consapevolezza di interrompere il momento ma tutte le intenzioni di fare un favore a… beh ai suoi amici, entrambi.
Pen allargò le braccia, gli occhi che brillavano. «Come potrei rifiutare?»
«Grande» rise Ishley, staccandosi da Izou per affiancare il rosso, facendo strada.
Izou rimase fermo dov’era per un attimo, l’espressione di nuovo seria e riflessiva, puntata sulle figure di Pen e Ishley. Soprattutto Ishley.
«Ehi amico» non si mosse neppure quando Satch si portò al suo fianco, puntando anche lui gli occhi davanti a sé. «Tu non pensi che Ish si sia dimenticata per davvero, no?!»
Satch era un buon amico. Bisognava conoscerlo, certo, ma se un metro di paragone si poteva prendere per capire quanto in effetti lo fosse, era la lealtà dei suoi amici.
Satch era un buon amico e anche se era un’analfabeta situazionale, definizione coniata da Kay e adottata da tutti loro, compensava con la comunicazione non verbale. Non c’era espressione di Izou, Ace e addirittura Marco che gli sfuggisse. Era il primo ad accorgersi quando Bonney, Ishley o Koala avevano qualcosa che non andava. Sabo e Law aveva deciso di lasciarli a macerare nella loro latente omosessualità e reciproca comprensione ma, in realtà, quando voleva e se si impegnava, capiva anche loro con un solo sguardo.
Per questo Izou non ebbe bisogno di dare una risposta verbale alla domanda di Satch. Sapeva, e ne era grato, che l’eloquente occhiata che gli aveva lanciato bastava e avanzava.
«Andiamo» sospirò. «Ho l’impressione che sarà una giornata impegnativa»  
 

 
§

 
Koala non era un’amica invadente. Era altruista e disponibile, a volte troppo le diceva Law, ma solo perché si preoccupava di quanto si facesse coinvolgere.
Il fatto che Kay fosse una persona altruista e disponibile, in fondo, era tra i motivi che lo avevano fatto innamorare. Così come il fatto che fosse un’amica non invadente.
Kay sapeva lasciargli i suoi spazi, aveva sempre saputo come farlo, senza per questo smettere di tendergli la mano, finché, senza neanche sapere come, era stato lui a inziare a desiderare sempre più ardentemente che quegli spazi fossero riempiti da lei. E in uno slancio di possessività e passionalità, Law mai avrebbe negato che gli avrebbe fatto piacere essere il pensiero che riempiva tutti i momenti vuoti di lei.
Ma Law sapeva che non era così e che, se lo fosse stato sarebbe stato patologico e malsano. In fondo lui per primo aveva pensato di non stare bene quando si era ritrovato a pensare solo a lei, in piena fase di innamoramento.
No, ovviamente e per fortuna, Kay non pensava solo ed esclusivamente a Law ogni istante della propria esistenza e la loro storia non aveva diminuito la disponibiltà di Koala, il suo altruismo, il suo interessarsi senza invadere la sfera personale dei propri amici. Era prodiga di consigli ma aspettava quasi sempre che le venissero richiesti e, se non lo faceva, se interveniva, era solo se qualcuno di loro stava per fare, o stava facendo, qualcosa di platealmente molto stupido.
In quel momento, però, Kay si stava pentendo di non essere intervenuta, o probabilmente non con abbastanza invadenza, in una questione che era platealmente molto stupida agli occhi di tutti ma che tutti si trovavano concordi a non poter forzare.
Law glielo leggeva in faccia. Sapeva di non poter essere che, al massimo, il terzo pensiero per Kay in quel momento, dopo Sabo e dopo Ishley. Lo sapeva perché, quando non era intenta a osservare il mare con cipiglio accigliato, non era a lui che aveva rivolto la propria attenzione neanche una volta mentre giocava a racchettoni con Sabo, che ne mancava dieci su dodici, e che quel paio che riusciva a prendere, per gentile concessione divina e del vento, le scaraventava via con una forza da far sorprendere non si fosse ancora rotto il racchettone.
Law guardò la pallina color amarena volare oltre la propria testa, decisamente fuori portata anche per la massima estensione del proprio braccio e, fluttuando su un refolo di aria salata, rimbalzare su tre ombrelloni prima di tuffarsi nella sabbia, ben più distante delle precedenti. L’espressione atona, Law riabbassò lo sguardo sul proprio migliore amico, ex compagno di banco, lo yin del suo yang, che si affrettò ad alzare la mano per prendersi la colpa e poi partire di corsa dietro la pallina.
«Vado io!» annunciò l’ovvio. Qualsiasi cosa per tenersi occupato.
Law sospirò, guardandolo sprintare via. Non era esattamente preoccupato per lui, era più un senso di responsabilità di non lasciarlo a macerare in una disperazione decisamente ingiustificata, visto che aveva fatto di tutto per finirci dentro fino al collo in quella disperazione. Law non avrebbe però mai voluto che si martoriasse più del necessario, che scegliesse l’apatia alla rabbia, a costo di non lasciarlo solo, perché poi non è che fosse un peso fargli compagnia anche se non era il solito, solare, scanzonato Sabo.
Okay, forse dopotutto Law era preoccupato per lui.
Ma era preoccupato anche per Kay.
Il racchettone abbandonato lungo la gamba, si avvicinò ai due ombrelloni che proiettavano più ombra di quanta ne servisse a Marco e Kay, che stavano facendo insieme le parole crociate, non senza insistenti e fugaci occhiate di Koala al mare e alla partita di racchettoni.
Si fermò un istante accanto a Marco, che guardo verso di lui in muta comunicazione, prima di acovacciarsi di fronte a lei.
«Ehi»
«Ehi!» si illuminò subito Koala, ma con meno luce del solito. «Scusa non ho fatto neanche un po’ di tifo, come va la partita?»
Law sorrise, un sorriso vero, un evento a cui probabilmente solo Koala poteva affermare di aver assistito e a cui, naturalmente, ora anche Marco aveva assistito ma Marco era discreto e probabilmente non lo avrebbe detto a nessuno. Non che in caso contrario a Law sarebbe importato qualcosa.
«Non farti di questi problemi» si sporse in avanti e prese il mento di Koala tra due dita per baciarla. «E comunque sto vincendo io» posò la mano a terra e sfilò le gambe da sotto il corpo per sedersi di fronte a lei. «Che succede?» allungò di nuovo il braccio, stavolta a sfiorare con due polpastrelli il naso di Koala, prima di posare la mano sul lato del suo collo.
Koala sospirò, la mano che quasi in autonomia si alzava ad accarezzare a sua volta il braccio di Law, ma gli occhi sfuggenti. Sentì il pollice di Law sfiorarle la mandibola, un calmo incitamento a parlare con lui ma Koala sospirò di nuovo e si morse il labbro.
«Kay pensa di aver detto qualcosa di sbagliato a Ishley ieri sera»
«Marco!­» protestò Kay sottovoce, fulminando il biondo che però si strinse nelle spalle.
«Glielo avresti comunque detto»
Kay si passò una mano sul viso, sfregando un occhio con la base del palmo, incastrando poi le dita nei capelli. Con immane sforzo si girò verso Law.
Law che le diceva sempre di farsi coinvolgere meno, di lasciar correre di più. Law che chissà cos’avrebbe pensato del suo intervento visto ciò che aveva causato. Law che la guardava in paziente attesa, con incrollabile fiducia negli occhi.
«Io…» il terzo sospiro, l’ultimo prima di abbassare finalmente la barriera che raramente alzava e che a niente serviva con Law, laddove già durava poco con chiunque. «Ieri sera per sdrammatizzare le ho detto che Izou e Bonney volevano metterle gli antidepressivi nel cappuccino, ma ho specificato che scherzavo! E le ho anche detto che la vedevamo arrabbiata e ci dispiaceva per lei ma non ho mai avuto l’intenzione io… E poi l’ho pure convinta a uscire e l’ho lasciata da sola» portò la mano a pugno alla fronte e chiuse gli occhi, i denti stretti. «Che stupida»
«Kay, non hai fatto niente di male» fu Marco a intervenire e gli occhi di Law a confermare le parole del biondo, quando Koala riaprì i propri, per niente convinta.
«Sta facendo finta e potrebbe essere per quello che le ho detto io. Era già preoccupata di suo e io per cercare di tranquillizzarla, gliel’ho confermato»
«Però poi è uscita, ha incontrato Perona e le sue amiche, ha passato la serata con loro» le ricordò Marco, ricevendo una grata occhiata da Law.
«Non tutta la serata» negò Kay, la voce bassa. Era evidente che ci aveva pensato molto bene, che ci continuava a pensare, che ci stava pensando dalla colazione. «Poi si è allontanata, lo ha detto Aisa, ed era da sola e non stava bene. Insomma dai, cioè…» Kay rise, una risata per niente divertita. «Come fa a stare bene?! Ish non è così, lei non finge, odia fingere. Starà facendo uno sforzo enorme per apparire così tranquilla e io la conosco, dovete credermi, lei sta male a nascondere cosa prova davvero e io ho paura che possa crollare»
«Ish è esasperata dalla situazione con Sabo, non è necessariamente colpa di qualcosa al di fuori del suo ostinarsi a trattarla con distacco. Kay…» Law aggiustò la presa sul collo della ragazza. «…non hai niente da rimproverarti. Sei un’amica fantastica e Ishley lo sa»
Kay sorrise debolmente e lasciò andare un ultimo sospiro, più tremulo degli altri, segno che si stava calmando dal suo incessante arrovellarsi il cervello. Law fece la più debole delle pressioni e fu abbastanza perché Koala si lasciasse andare in avanti, senza peso, contro di lui.
«Però Kay ha ragione» considerò Marco, ora accigliato mentre inseguiva un pensiero che si accingeva a condividere. «Ish odia fingere ma è anche incapace a recitare» si girò a guardarli, le gambe raccolte al petto. «Non può mica aver imparato dalla sera alla mattina»
Koala lo fissò corrucciata, con la testa incastrata sotto il mento di Law, che invece verbalizzò per entrambi. «Che vuoi dire?»
«Non so eh, ma voi ci credete al Cahya Mera?»
«Precisa» mormorò asciutto Law.
«I desideri alla Luna. Voi ci credete che vengono esauditi? Perché io sì, ci credo»
«Non…» Kay si sollevò da Lawma senza allontanarsi da lui. «Cosa stai suggerendo?»
«Ecco…»
«Se stai per insinuare che Ish avrebbe chiesto di dimenticare i suoi sentimenti per Sabo, fai meglio a cucirti la bocca Newgate­­­»
Tre paia di occhi si alzarono su una sibilante e determinata Bonney.
«Ish non lo farebbe mai» concluse definitiva e qualsiasi protesta, conferma o smentita venne inghiottita da una risata troppo vicina e troppo familiare per permettere di continuare la discussione. E, per lo meno, Ishley rideva e sembrava farlo di cuore.
Bonney si lasciò cadere nella sabbia, pizzicando la carta stagnola che la separava dalla sua agognata piadina, usando senza tante cerimonie Marco come schienale. Con la coda dell’occhio notò una faccia sconosciuta insieme ai suoi tre amici e decise di aprire bene le orecchie senza per questo rinunciare al suo momento di autoerotismo culinario.
Mica era maleducazione se non partecipava alla conversazione perché stava mangiando, in fondo. Semmai il contrario.
«Quello è il tuo kanzashi?» chiese Marco, mentre Kay sbirciava Ishley e Law teneva d’occhio entrambe.
«L’unico e solo!» annunciò Izou, prima di appoggiare la mano sul gomito dello sconosciuto e sospingerlo appena avanti. «Pen lo ha trovato e me lo ha riportato»
«Beh grazie, amico» Marco allungò un braccio, porgendo il pugno chiuso a Pen. «Non sai che servizio hai reso a tutti noi»           
«Non dargli retta, esagerano per abitudine ormai. Comunque! Loro sono Bonney, Marco, Law e Kay» li indicò uno ad uno Izou, orgoglioso di presentarli a Pen.
«Ehi che mi sono perso?» un sorriso smagliante fece capolino tra loro, proprio mentre Ishley finiva di sedersi di fianco a Koala, che la teneva d’occhio neanche troppo discretamente, ma niente, non la minima ombra passò sul viso di Ishley all’arrivo di Sabo, accolto anzi con un sorriso di fraterno affetto. Non certo il sorriso innamorato che ormai ognugno di loro avrebbe riconosciuto ovunque.
Se non fosse stata preoccupata, Koala sarebbe stata ammirata di tanta bravura.
«Izou ci presenta il suo futuro fidanzato» biascicò Bonney tra un boccone di piadina e l’altro, beccandosi un’occhiataccia da Izou e una spallata di ammonimento da Marco.
«Piacere sono Pen»
«Sabo, piacere mio» si allungò Sabo ad afferrare la mano tesa del nuovo arrivato e Law sentì Koala tendersi contro di lui.
D’altronde non era sfuggita neanche a lui l’occhiata di striscio che Pen aveva lanciato a Ishley al nome “Sabo”, se non che Ishley non sembrava neanche essersi accorta. Si girò verso Koala che si era girata verso di lui, comunicandole con gli occhi che sì aveva visto ma di stare tranquilla e, con suo sollievo, la sentì riappoggiarsi contro di sè.
Ora a preoccuparlo era più che altro Sabo, che ritratta la mano e si passava la pallina da un palmo all’altro in evidente disagio, non certo per Pen, a cui comunque in circostanze diverse avrebbe rivolto troppe domande in troppo poco tempo, fedele al suo sempiterno entusiasmo di conoscere gente nuova.
Ma al momento Sabo avrebbe voluto rivolgere una singola domanda a una sola persona, su cui girò lo sguardo più malinconico che mai gli si era dipinto in volto, in un momento in cui lei non lo stava guardando e la pallina gli sfuggì di mano, sparata in avanti insieme a lui dall’inattesa pacca sulla spalla.
«Fratello, stai bene?» si allarmò Ace, realizzando a scoppio ritardato l’ovvia poca prontezza di spirito che quel giorno affliggeva suo fratello.
«Tranquillo, sono di ferro» lo rassicurò Sabo, con falsa arroganza, affiancandolo. «Ace ti presento Pen!» indicò il rosso, con una mano, mentre con l’altra abbracciava il fratello per le spalle, un ghigno in faccia a cercare di imitare più che più poteva il suo vecchio sé.
«Benvenuto!» Ace picchiò il pugno contro il suo, poi distese il braccio, la mano aperta verso le ragazze che lo avevano appena raggiunto, armate ciascuna di una differente lattina. «Loro sono Aisa, Pudding, Reiju e Perona» terminò, posando il palmo sulla spalla della rosa.
«Fantastico, s’è fatto l’harem» sbuffò Bonney.
«Che?!» Pur lanciò un’occhiata verso di lei, che però stava addettando la piadina.
«Ma senti amico» si fece avanti Ace, sorriso storto e smagliante. «Non è che per caso hai un ombrellone che vuoi portare qui da noi?»
«Oh santo cielo Portuguese!»
«Ace ora basta!»
«Neanche ci sta un altro ombrellone»
«Ma sei diventato un accumulatore seriale d’ombra?!»

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Comunque, Pen un ombrellone lo avrebbe anche avuto.
Portarlo “lì da loro” certo sarebbe stato più facile a dirsi che a farsi, a meno di non portarci anche tutta la compagnia, ma alla fine non era stato neanche più oggetto di discussione e Pen era rimasto a usufruire della loro ombra senza contribuire.
«E bravo Pen che ci porta dalle ragazze!» gli scompigliò i capelli Shachi, aggrappandosi al suo collo fin quasi a strozzarlo per l’entusiasmo.
«Si beh» sbuffò Clione. «A parte che non state considerando che abbiamo Ikkaku e comunque non è che in vacanza bisogna rimorchiare per forza ah!»
«A parte che io vi toccherei al massimo con l’asta dell’ombrellone e dalla parte appuntita, Clione fa il difficile perché non vuole rivedere la nuker delle patatine»
«Non è una nuker
«Eccome se lo è»
«E tu non sei esattamente un tank»
«Non devi avere paura, ti proteggo io»
«Siete degli stronzi!» protestò Clione, scrollandosi di dosso uno sghignazzante Uni. «Skua, almeno tu!» cercò con malriposta speranza l’aiuto dell’amico che, come sempre, si limitò a guardarlo, sbattere le palpebre un paio di volte e tornare a farsi gli affari suoi.
Pen non era sicuro di averla mai neanche sentita, la voce di Skua. A volte scriveva direttamente sul loro gruppo whatsapp quando erano tutti insieme e nessuno si stupiva della cosa. D’altra parte erano stati anni di amicizia online a forgiarli nell’affiatato gruppo che ora si muoveva per le strade di Waterwheel e, per quel gruppo, Pen doveva ringraziare Shachi e la sua testardaggine, che lo aveva preso talmente per esasperazione da convincerlo, ormai sei anni prima, a unirsi alla compagnia di geek con cui giocava a videogame di ruolo, nel vasto e sconfinato internet.
Pen li adorava, forse con qualche riserva su Skua, che era un pelino competitivo e aveva fatto una missione di vita attentare all’incolumità del suo alter ego digitale, anche se tecnicamente appartenevano alla stessa Gilda, ma gli voleva comunque un gran bene.
Per questo quando la compagnia di Izou e Ishley, dopo averlo accolto a braccia aperte, gli aveva proposto di unirsi a loro quella sera, Pen aveva subito incluso anche i propri amici storici nell’invito, con grande gioia ed entusiasmo di quelli appena acquisiti.
E quindi, eccoli lì.
«…’lora Ikka, come va con Kamazo the killer? Ha già dichiarato il suo eterno amore per Warchant
Letteralmente eccoli lì.
«Non è uno di molte parole»
«Beh te lo può sempre mostrare»
«Secondo me qualcosa le mostra ma non è l’am… off! Skua!»
Pen si girò, verso Skua che si era spostato silenziosamente al suo fianco per osservare ciò che stava osservando lui, con un Shachi ora schiantato addosso.
«Dio, sei inquietante» mormorò Pen, la voce appena incrinata, mentre Ikka si portava al suo altro lato.
Pen allungò il braccio a indicare un gruppo eterogeneo seduto un po’ ovunque nei pressi del chiosco della vecchia pesa, per rispondere all’inespressa domanda dell’amica a cui in effetti non serviva esprimere la domanda.
«Sono loro» confermò una richiesta che non era neanche stata verbalizzata, prima di piegare il braccio e rispondere al saluto del ragazzo moro con lo chignon, con leggibile entusiasmo sul volto.
Almeno, leggibile per Ikkaku.
«Oh» si fece più vicina la mora, parlando direttamente al suo orecchio. «Di lui non mi avevi detto…»
«Ikka…»
«È davvero molto carino»
E sì, Izou era davvero molto carino quella sera, o qualcuno avrebbe detto proprio attraente, anche perché un po’ si era impegnato per esserlo, forse un pelo più del solito. O forse era solo la gioia di aver ritrovato il kanzashi o ancora una brutta sindrome premestruale che lo faceva vedere male allo specchio e lo aveva obbligato a impegnarsi di più.
Satch se n’era inventate di ragioni alternative e non aveva ancora smesso con la telecronaca sullo stato emotivo di Izou, strappando ammonimenti ma anche più di una risata a Marco, il che era tutto dire, tanto che Izou stesso non aveva reagito che sorridendo alle frecciatine dell’amico. In parte anche perché sorridere gli veniva facile quella sera.
Troppo, lo aveva provocato Bonney.
Mai abbastanza, era intervenuta in suo aiuto Ishley.
Izou, il braccio ancora sollevato in saluto, girò lo sguardo verso i suoi amici, un gruppo ormai talmente allargato da essere sparpagliato in più punti della piazzetta, e non trattenne un sospiro.
Perché ovviamente l’unica che mancava era quella che si era rivelata la più attenta ai suoi sentimenti quella sera. Quella che gli aveva detto di sorridere anche più di così se se lo sentiva. Ishley, appunto, che non era uscita con loro, di nuovo, ma era rimasta a casa davvero, stavolta.
Doveva crederci davvero che Ishley stava bene? Pensava ancora che Sabo in fondo se l’era cercata? Non è che la faccenda era sfuggita di mano a tutti e due perché erano testardi e si rifiutavano di parlare?
Non avesse sentito quello che aveva sentito quella mattina, dalla bocca di Ish e mentre la guardava negli occhi, non avesse Satch condiviso la sua stessa impressione…
«Ehi!»
Quello non era comunque il momento per pensarci.
«Ehi Pen» il sorriso tornò alla carica, impossibile da controllare anche se lo faceva sentire un sedicenne alla prima cotta.
«Ehi Izou»
Silenzio.
La ragazza alta, formosa e procace accanto a Pen sgranò gli occhi, guardando incredula il suo amico, prima di avanzare di un passo. «Piacere io sono Ikkaku» tese la mano a spezzare il campo visivo dei due ragazzi e, sperava, anche l’imbarazzante stasi in cui si era ritrovata invischiata.
«Oh Ikkaku! Quella Ikkaku?!» chiese conferma con un’occhiata a Pen, Izou, mentre afferrava la mano della mora. «Pen mi ha parlato di te»
«Cosa belle, spero» sorrise lei, imitata subito da Izou.
«Sperare è lecito»
Ikkaku si irrigidì, la mano ancora incastrata in quella di Izou, e si girò con sguardo vitreo verso Pen, che rideva di cuore. Ikkaku gli lanciò un’occhiata assassina.
«Ehi non gli ho detto niente io» alzò le mani in segno di resa, il rosso, ma non riusciva a smettere di ridere.
Ikkaku sbuffò a labbra chiuse e abbozzò un sorriso tra il divertito e l’omicida. «Vi siete trovati, non c’è che dire»
«Non sei la prima che ce lo dice» ribatté Izou, rubando un’occhiata a Pen. «Venite, vi presento gli altri»
 

§
 

Il Cahya Mera durava tecnicamente solo una sera, la sera delle lanterne, la sera della luna rosa.
Ma le molte ore investite nel decorare Waterwheel di lampadine e lanterne davano un frutto che si poteva ammirare per settimane, finché qualcuno del piccolo comune marittimo non si decideva a farle staccare, generalmente dopo aver visto il prezzo lievitato della bolletta.
Anche alcuni venditori ambulanti si trattenevano per qualche giorno, e le bancarelle erano molte meno della serata appena trascorsa, molto più ordinate.
Senza il gruppo di musicisti ufficiosi e le danze, la piazzetta della vecchia pesa appariva diversa ma altrettanto accogliente e risultava più semplice orientarsi.
Ciò nonostante, avevano perso Aisa.
«È andata con Bonney a comprare non ho capito cosa»
«Beh speriamo Bonney ce la riporti tutta intera» Reiju sorrise serafica. 
«In che senso?» si accigliò perplessa, Pur, e Reiju inclinò il capo all'indietro per guardarla, seduta dietro di lei, su un gradino più alto del dismesso chiosco costruito proprio accanto alla famigerata pesa.
«Mi colpisce sempre quanto sei ingenua quando non si parla di Yonji. Con lui sei tutta fuoco.»
Pur sgranò gli occhi, in un'espressione indignata che virò subito al furente, mentre la sua pelle candida si tingeva di prorpora.
«Non nominarlo davanti a me» sibilò tra i denti e Kumachi abbaiò per solidarietà o forse in realtà aveva tutt’altro fine. Perona era felice che stesse finalmente meglio e di esserselo potuto portare ma preferiva tenerlo al guinzaglio, non voleva rischiare di perderlo di nuovo tra la folla.
«E comunque non avevo semplicemente capito che lo intendevi in quel senso» si imbronciò, gli occhi diversi che balenavano nella penombra. «Aisa non batte quella sponda»
«Sì ma non credo che a Bonney interessi» commentò Perona, coccolando il cucciolo tra le orecchie. «Flirterebbe anche con gli ombrelloni per avere più chance» fece spallucce, ignara dell'occhiata che Reiju e Pudding si stavano scambiando, entrambe con il sorriso, una sadico, l'altra speranzoso.
«Ma pensa, ora la nostra bocca di rosa riconosce un flirt e teorizza addirittura. Pugno di fuoco ti ha proprio cambiata, Perona»
Perona provò la canonica scarica di fastidio di quando Reiju si allietava a discapito della loro sanità mentale, ma forse non era neanche solo quello.
«Pugno di f... Cosa sarebbe pugno di fuoco?»
«Un nomignolo. Ti piace?»
«No» sibilò a sopracciglia corrugate. «Non mi piacciono i nomignoli lo sai»
«A parte Voodoo» considerò Pudding, con un'ingenuità che non era dato sapere se fosse autentica o simulata.
Perona sgranò gli occhi, omicida, è si impose di contare fino a dieci, prima di riprendere fiato e affermare:
«Io non ho nessun problema con i flirt»
«Ma nessuno ha detto che…» fece per protestare Pudding con finta, stavolta Perona ne era certa, innocenza, se non che la chioma biondo fragola di Reiju invase il suo campo visivo quando la ragazza si sporse verso Perona, invadendo più che poteva il suo spazio vitale.
«Dimostralo»
Il sorriso di Reiju era un’arma. Un’arma fatta di sfida e sadismo e lucidalabbra al peperoncino non tanto per rimpolpare le labbra, quanto più per tenere a bada gli scocciatori e selezionare in modo naturale i corteggiatori. Un’arma letale per una Perona esasperata e sottoposta da ore che sembravano giorni, se non settimane, alle costanti e ineludibili osservazioni non richieste di Reiju Vinsmoke su lei e Ace, Ace e lei, lei con Ace e Ace che faceva con lei cose che…
Si alzò in piedi senza quasi rendersene conto, il guinzaglio stretto in mano e Kumachi che guaiva curioso ai suoi piedi, in atttesa di capire cosa sarebbe accaduto. Perona si lisciò la gonna con espressione da battaglia.
«E va bene» esalò, gli occhi socchiusi che lanciavano pugnali prima di voltarsi e studiare i presenti nella piazza.
Pen, il tipo rosso che aveva tutte le intenzioni di farsi Izou, non si era presentato solo e i suoi amici avevano accerchiato, per ragioni difficili da congiurare, un impassibile eppure in qualche modo coinvolto Law. Uno di loro svettava su tutti gli altri, spallato, capelli folti, ricci e neri e incarnato olivastro, quasi mulatto.
Sì, sarebbe andato molto bene, sarebbe stato un vero piacere zittire Reiju flirtando con lui.
«Andiamo Kumachi»
Nuvolette di polvere sabbiosa si sollevarono al suo passaggio tanto camminava decisa, il cagnolino al seguito che non perdeva un passo, ma, soprattutto, ignara dell’espressione delle due amiche che la fissavano sconvolte.
Entrambe, sconvolte e incredule e che soddisfazione sarebbe stata per Perona vedere Reiju in quel momento, se solo si fosse voltata un istante.
«Ma dove va?­»
«Non lo so»
«Ace non è lì»
«Lo vedo, Pur!»
«E perché tu, di tutte le persone, stai perdendo la calma?»
«Perché non doveva andare così, okay?!»
Pudding la fissò a occhi sgranati, per qualche secondo cercò di ricordare se l’avesse mai vista così, poi lasciò perdere e sgranò gli occhi a sua volta ma per l’improvvisa comprensione.
«Oh. Ohhhh! Quindi era questo il tuo obbiettivo?! Gran bella strategia, davvero!» battè le mani un paio di volte, Perona ormai troppo lontana per sentirle. «Ricordami, ricordami di non chiedere mai il tuo parere se dovesse servirmi un piano arguto»
«Ora stai esagerando»
«Sono davvero felice che tu abbia deciso di non metterti in mezzo tra me e Yon, perché siete fratelli, ringrazio il cielo»
«Pur…»
«Non sto esagerando, Rei! Ace è lì, proprio lì se si gira la vede che…. Che cosa fa?! Lo sta accarezzando sul pettorale?! Ma quando lo ha sfilato dal gruppo e si è presentata?! Dobbiamo fare qualcosa!»
«Ah io non faccio niente, non sono brava a quanto pare con le strategie»
«Ti sembra il momento di fare l’offesa?! Oddio no, non posso guardare!»
 

§
 

A Law, tendenzialmente, gli estranei non piacevano. A volte non gli piacevano neppure le persone che conosceva, i suoi amici non gli piacevano nei suoi giorni più bui, perché facevano parte dell’umanità e per lo stesso motivo non gli piaceva neanche se stesso, a volte.
L’unica persona per cui Law era incapace di provare odio e fastidio era Kay, ma Kay non era probabilmente umana, perché ci volevano capacità di un altro mondo per comprendere Law, comunicare con lui e, nei suoi giorni più bui, continuare ad amarlo incondizionatamente.
Comunque era facile pronosticare che, giornata buona o meno, se una persona era estranea a Law non sarebbe piaciuta. Non in assoluto, ma nell’immediato, a meno che suddetta persona sconosciuta tenesse le dovute distanze e non occupasse il suo spazio vitale, dandogli il tempo che lui avrebbe reputato necessario per decidere se, con la giusta conoscenza e frequentazione, quella persona sarebbe potuta iniziare a piacergli o meno, a Law gli estranei non piacevano.
Non sapeva cosa fosse la simpatia a pelle ma sull’antipatia preventiva era imbattibile.
«Io non posso crederci»
Per questo Izou era ragionevolmente sconvolto da ciò a cui stava assistendo.
Certo qualcuno, qualcuno a caso, avrebbe colto la palla al balzo per dirgli che era lui a esagerare nel descrivre l’approccio di Law nella socialità ma il qualcuno era impegnata ad amabilmente conversare con Bonney e Aisa mentre il suo fidanzato, amore della sua vita, misantropo senza speranza, mostrava con orgoglio malcelato il proprio vecchio account di War of Warcraft agli amici appena conosciuti di Pen.
E anche Kay si stava godendo lo spettacolo, non lo perdeva di vista un istante neppure mentre chiacchierava, e il Trafalgar avrebbe avuto una nottata coi fiocchi, poteva dirlo solo guardando in faccia la sua amica, che però non appariva incredula perché secondo lei Law non era poi così malomostoso come Izou sosteneva.
Ma Kay era innamorata, non vedeva le cose lucidamente, no? Ovviamente no, perciò era del tutto normale che Izou fosse tanto sorpreso.
«Davvero c’erano più probabilità di assistere all’estinzione causa asteroide che a questo»
«Non sarai un tantino esagerato?»
Izou si voltò ammiccante, ritrovandosi Pen molto più vicino di quanto pensasse e studiando per un attimo il suo volto prima di ribattere: «Pen, esagerazione è il mio secondo nome, ma in questo caso no, non sto esagerando» sorrise sornione e vide la gola del rosso guizzare. Avrebbe voluto baciarla. Morderla. Non solo la gola.
«Beh ammetto che è sorpredente anche per me. Esiste una certificazione per avere a che fare con Shachi senza rischiare di sporcarsi la fedina» si strinse nelle spalle, ascoltando Izou ridere sommessamente. Avrebbe potuto ascoltarlo ridere tutta la sera, o anche solo respirare piano accanto a lui. Non sapeva cosa gli prendesse, non si era mai sentito così prima, non aveva mai provato un simile trasporto per una persona appena conosciuta, una simile attrazione per una persona vista di sfuggita tra la folla. Non sapeva cosa fosse ma non gli importava e, sicuro come il moto di rivoluzione e rotazione della Terra, aveva intenzione di seguire il flusso. Fece un passo ancora e si piegò verso Izou, quel poco che poteva data la scarsa differenza tra le loro stature. «Mi fa davvero piacere che vadano tutti così d’accordo, sai?» soffiò piano, quasi al suo orecchio, senza scostarsi di un centimetro quando Izou si voltò di nuovo verso di lui, picchiando quasi i loro setti nasali insieme.
«Anche a me. Fa davvero tanto… tanto… piacere…»
Pen prese aria quando Izou si allungò inequivocabilmente, così vicino da poter sentire il profumo di menta del suo respiro, gli occhi già calamitati alle sue labbra. Non ci sarebbe voluto niente, solo inclinare di qualche centesimo di grado il capo, chiudere gli occhi e lasciare che accadesse, e qualcosa si stava già muovendo anche a sud del suo equatore.
Non ci sarebbe voluto niente, eppure non stava accadendo e non sarebbe accaduto, non subito. Pen imprecò tra sé e sé mentre la bocca anziché chiudersi su quella di Izou, si apriva per fermare tutto e rovinare irrimediabilmente l’atmosfera.
«C’è una cosa che devo dirti»
Poteva pensare un’uscita più pessima? No, non poteva e a giudicare dalla sua espressione anche Izou lo credeva. Anche se appariva più perlpesso che deluso.
«Oh. S-sì beh certo, ti ascolto»
Pen sospirò.
«Forse è meglio se ci allontaniamo un po’»
«Devo preoccuparmi?»
«È solo una cosa privata»
«Devi dirmi una cosa privata prima di baciarmi? Allora sì che devo preoccuparmi»    
«No Izou, aspetta…»
«Oppure è che non vuoi affatto baciarmi»
«Come?! No! Cioè sì! Cioè, certo che voglio baciarti, ma…»
«C’è un ma, fantastico»
«Ma tu fai sempre così?»
«Solo quando mi agito molto o quando un ragazzo appena conosciuto sente il bisogno di dirmi una cosa privata prima di un innocente bacio senza pretese, il che mi agita molto»
«Magari non voglio darti solo un bacio senza pretese»
 «Al momento non mi stai dando proprio niente»
«Perché ho bisogno di parlarti!»
«D’accordo, ti ascolto!»
«Ma non qui»
«Gli scenari che mi vengono in mente sono uno più catastrofico dell’altro»
«Ascolta, è che…» Pen sospirò di nuovo, si riavviò il ciuffo e si chino all’orecchio di Izou. Un brivido percorse la schiena di entrambi nonostante tutto. «Si tratta di Ishley»
Ora, c’era da dire che l’espressione di Izou non era meno perplessa di poco prima ma stavolta c’era almeno una forma di comprensione nei suoi occhi. Pen sapeva di non poter cantare vittoria troppo presto ma non si negò una punta di sollievo.
«Ishley?» chiese conferma Izou, parlando a bassa voce.
«Sì. L’ho incontrata al Cahya Mera. Ma vorrei spiegarti per bene»
Izou lo studiò, pensieri che con la diffidenza o il ripensamento non avevano nulla a che fare, nonostante la sua espressione accigliata. Poi, con un movimento fluido come le onde del mare, allungò un braccio e intrecciò le sue dita con quelle di Pen, che spostò gli occhi dalle loro mani al volto di Izou un paio di volte, il respiro un po’ corto.  
«Vieni» gli sorrise Izou. «Spostiamoci un po’»  
 
 
§
 

Parlare con Uni non si era rivelato affatto male, senza neanche volerlo avevano in comune più del previsto. Non che fosse esattamente la stessa cosa, ma lui studiava come grafico e lei masticava parecchio di programmi di disegno e simili e a Uni sembrava anche interessare davvero del suo hobby.
Aveva anche il fisico perfetto per immaginare di vestirlo con così tanti stili diversi da poter immaginare un catalogo intero solo con lui.
Perona se la stava anche cavando bene, ne era certa, forse perché non le veniva neanche così forzato. Insomma flirtare era divertente davvero, non poteva negarlo, aiutava a svuotare la mente, a parlare con spensieratezza.
Se solo non fosse stata così distratta.
A sua discolpa, non sapeva cosa prendesse a Kumachi, per continuare ad abbaiare e tirare il guinzaglio, forse avrebbe dovuto lasciarlo con le ragazze ma in realtà le dava l’alibi perfetto per non rischiare un’invasione del proprio spazio vitale, che però non era proprio la forma mentis più adatta durante un flirt, quindi forse non era poi così spensierata, né così concentrata sul flirt, forse non era Kumachi a distrarla, anche se…
«Kumachi ma che ti prende?!» tirò appena il guinzaglio, afferrandolo con due mani quando il cagnolino riuscì quasi a sfilarle la presa tanto tirava furiosamente. «Perdonami, non so cos’abbia stasera» lanciò una rapida occhiata a Uni che scosse la testa con un sorriso, prima di accovacciarsi accanto al suo peloso amico che abbaiava senza posa, tutto teso verso una direzione ben precisa. «Piccolo che succede?» lo accarezzò tra le orecchie, seguendo la traiettoria del suo sguardo.
Si bloccò con la mano posata sul pelo morbido e il respiro in gola, colta alla sprovvista dal battere improvvisamente frenetico del suo cuore, dalle farfalle nel suo stomaco, dal calore alle guance e dal formicolio in tutto il corpo.
Ed era strano, perché in fondo era sempre così quando vedeva Ace, ma mai lo aveva sentito in modo così vivido, o forse era solo l’inconscio paragone con Uni, forse era che mentre lei flirtava spudoratamente con un altro, lui chiacchierava sereno e sorridente con Marco.
E quel sorriso, Shandia, quel sorriso.
C’era da stupirsi che Kumachi stesse impazzendo per andare da lui? Che Kumachi l’avesse distratta? Non aveva già avuto in diverse occasioni la conferma che Kumachi capiva meglio di lei di cosa avesse bisogno?
O di chi.
Si rimise in piedi, quasi come in trance, così in difficoltà a distogliere lo sguardo per rivolgersi a Uni in realtà con una certa urgenza.
«Ah io credo di dovermi allontanare un momento, possiamo riprendere dopo al limite e… Scusa eh…»
«No no, non preoccuparti, tanto io mica scappo! Ehi comunque è stato un piacere conoscerti, sei forte!»
«Ah grazie. Sei… forte anche tu» lo indicò che già indietreggiava, prima di voltarsi e accelerare il passo, il guinzaglio di nuovo in entrambe le mani.
Perona non lo avrebbe mai confessato ad alta voce però con se stessa lo aveva ammesso quasi subito dopo il fortuito incontro in spiaggia: il sorriso di Ace le faceva uno strano effetto.
Era come se la scaldasse dentro, era un sorriso che sapeva di divertimento e comprensione e gentilezza senza limiti. Tutte cose che Perona avrebbe voluto nella propria vita, con un tocco di acqua salata a condire il tutto per bene.
Forse per questo si accorse subito che qualcosa non andava nel sorriso di Ace e,  conseguentemente in lui. Era come se non arrivasse agli occhi, come se fosse una piega che le sue labbra erano ormai abituate ad assumere più che espressione di un sincero piacere, provato in compagnia di un amico.
E anche così la guidava come una luce nel buio, dritta al suo obiettivo, ormai non più trascinata da Kumachi ma al passo con lui. Anzi, se possibile, ora aveva ancora più fretta di arrivare da lui ma questo non le impedì di bloccarsi a un paio di metri dalla coppia di amici.
Forse interrompeva un momento personale, dopotutto se Ace aveva qualche pensiero ne stava magari parlando con Marco, anche se era Marco che parlava con lui e le sembrava strano che Ace avesse quell’espressione mentre riceveva consigli su una qualche questione che lo preoccupava, anche se in effetti c’era un che di amaro nei suoi occhi, nella sua postura, tutto.
Era già pronta a fare retromarcia quando Kumachi diede uno strattone al guinzaglio e un attimo dopo Marco stava stringendo la spalla di Ace in segno di saluto, prima di allontanarsi da lui.
Se non avesse saputo che era impossibile, avrebbe sospettato che Marco leggesse nel pensiero e avesse sentito le sue considerazioni mentali, visto il tempismo, e quell’attimo di stupore fu tutto ciò che servì a Kumachi per strattonare definitivamente la sua padrona fino alla sua agognata meta.
«E-ehi piccolo!» Ace si chinò subito a coccolare il botolo quando se lo ritrovò praticamente sdraiato sui piedi, il venduto, e si intrattenne qualche istante, prima di sollevare gli occhi, quegli occhi così caldi e gentili, come il suo sorriso, e rimettersi in piedi con Kumachi sotto a un braccio e l’altra mano tra le sue orecchie.
«Ciao Voodoo»
«Ciao…»
Perona lo sapeva. Sapeva di averci visto giusto. Ace sorrideva ma il suo sguardo malcelava una tensione che non sapeva di rabbia ma di tristezza. Qualcosa non andava, doveva aver ricevuto una brutta notizia, qualcuno doveva avergli fatto qualcosa o…
«Tutto okay? Volevi parlarmi? Marco dice che sembrava volessi parlarmi…»
Perona si sentì sprofondare e sgranò gli occhi. Merda. Non era stato affatto tempismo e Marco non leggeva affatto nel pensiero ma era così discreto da averla notata senza che lei se ne accorgesse. Non riuscì a evitare di girarsi smarrita alla ricerca del biondo, nella speranza fosse ancora nei paraggi così da levarsi di torno e lasciarli proseguire nella loro chiacchierata.
Lei in fondo non sapeva neppure per cosa fosse andata lì da lui.
«Ah no io… Ma dov’è finito?! Cos’è, si dissolve nell’aria?! Ora lo richiamo così finite di parlare, io non dovevo dirti niente in particolare»
«Oh capisco»
Delusione. O rassegnazione?
Non si chiese nemmeno perché fosse tanto recettiva verso tutti quei dettagli, dalla postura al tono della voce.
Si chiese perché Ace guardasse a terra, dondolando da un piede all’altro, chiaramente a disagio, mentre corrugava le sopracciglia curate.
«Che c’è?»
Non voleva suonare così dura, non voleva di certo dargli un ordine, ma faticava a tollerare l’idea che qualcuno potesse averlo ferito tanto.
«Mh? Ah no niente, niente» rimise Kumachi a terra con un’ultima carezza, poi infilò le mani in tasca e riabbassò gli occhi a terra. Sembrava un bambino e il cuore le si strinse fino a fare male.
«Ace…»
«Neanche io voglio trattenerti, ho visto che hai trovato compagnia stasera, mi fa piacere» risollevò gli occhi e il sorriso era tornato.
Non il sorriso di Perona, quello che in due giorni le aveva mandato il cervello in pappa, ma quello di stasera, quello privo di verve, e un lampo di sofferenza più evidente gli attraverò le iridi scure nel pronunciare quelle parole.
Qualcosa fece click nella mente di Perona e l’incredulità la sopraffece per un attimo.
Per lei? Stava così per lei?!
Perché l’aveva vista chiacchierare con Uni e… no. Non chiacchierare. Flirtare, flirtare con Uni! Razza di cretina!
Perché si faceva sempre provocare così? E perché non aveva fatto quello che andava fatto, anche se significava darla vinta a Reiju che poi forse in fondo voleva ottenere proprio quello e…
Smise di pensare e allungò le mani verso i baveri della camicia di Ace, poi piegò le braccia, chiuse gli occhi ed era fatta.
La bocca di Ace era sulla sua, le sue labbra si mossero su quelle del ragazzo con uno slancio di cui non pensava di essere capace, e non era successo niente di catastrofico, anzi era ancora viva. Molto molto viva.
Estremamente viva quando Ace posò le mani sui suoi fianchi, prima quasi cauto, poi sempre più deciso, fino a stringere le braccia intorno alla sua schiena e aderire completamente a lei, mentre rispondeva con impeto al bacio.
Una mano grande e calda si posò sulla guancia di Perona quando si separarano per riprendere fiato, le punte del naso che si toccavano. E il sorriso era tornato. Stavolta sì quello di Perona, quello caldo e accogliente e gentile e un po’ perculante che lei adorava. Lo adorava.
«Questa non me l’aspettavo»   
«Era una specie di scommessa scema, non volevo fare questo per vincere una scommessa io…»
«Però ci avevi pensato?»
«Sì, ci avevo pensato»
«Temevo che i giorni dei nostri flirt fossero già finiti»
«N-no, assolutamente no, non sono fin…»
La mano si spostò sotto al suo mento e Ace la stava baciando di nuovo e Perona sapeva che li stavano guardando, qualcuno li stava guardando per forza, e la stava dando vinta a Reiju, che avrebbe gongolato fino all’Apocalisse per questo e poi non aveva idea di dove tutta questa storia sarebbe andata a parare.
E non gliene fregava niente.
 

§
 

Andato.
Il tempo di chinarsi a raccogliere l’oggetto in metallo e rialzarsi ed era scomparso, come un lampo dentro una nuvola.
Pen era riuscito a compiere solo pochi passi noncuranti prima di estrarre l’oggetto non identificato dalla tasca e rendersi conto che in realtà avrebbe voluto tornare indietro a cercarlo.
Era stata una frazione di secondo ma era certo che avrebbe riconosciuto il suo volto in mezzo a mille. Lo aveva colpito, lo aveva davvero colpito. I suoi tratti simmetrici, gli occhi allungati e il sorriso.   
E un po’ per questo, un po’ perché aveva la sensazione che quello strano oggetto fosse importante, Pen sarebbe voluto tornare indietro a cercarlo ma che speranze aveva di ritrovarlo seguendo a casaccio una direzione in cui più o meno il ragazzo era andato, di cui sapeva solo essere quella opposta alla propria, in una città trasformata in un’enorme piazza senza strade né delimitazioni di sorta?   
Così Pen era saltato veloce sul muretto che delimitava la camminata lungo il mare e aveva provato a scrutare tra il marasma, senza successo, e poi si era seduto e lì era rimasto per un po’, casomai magari il moro fosse tornato indietro.
Era stato dopo circa un quarto d’ora che si era alzato, l’oggetto sempre in mano, gli aveva lanciato un’ultima occhiata e si era avviato di nuovo per tornare dagli amici, stavolta senza rimetterlo in tasca.
«Bel kanzashi!» un fulmine bianco gli sfrecciò accanto, così in fretta da farlo quasi vacillare, lasciandolo anche interdetto e disorientato per un attimo.
«Dici a me?» domandò al nulla, anche se in effetti era circondato da una multitudine di gente ma nessuno gli stava prestando attenzione. Forse se l’era sognato anche se trovava difficile immaginarsi una parola come “kanzashi”.
Per la seconda volta si strinse nelle spalle e per la terza riprese a camminare ma si fermò di nuovo nel riconoscere una figura molto familiare risalire dalla spiaggia da uno dei passaggi che si aprivano nel muretto, a mezzo di un’impervia scaletta di pietra, con l’agilità di un’antilope.
«Ciao, Jiji!»
Nojiko sollevò lo sguardo per un attimo spaseata, non tanto come se non lo avesse riconosciuto, quanto più come se si fosse dimenticata dove fosse, per poi ricordarsene e aprirsi in un sorriso.
«Pen!»
«Tutto bene?» le si avvicinò senza nascondere la preoccupazione.
«Tutto bene» gli sorrise con più nubi di quante Pen non fosse abituato a vederne nei suoi occhi.
«Uhm, d’accordo…»
«Che hai lì?» Nojiko gli si fece più vicina, nuovamente padrona della situazione e come sempre con quel sentore di materno che la faceva somigliare tanto a un angelo custode.
«Ah non… non lo so, lo ha perso un ragazzo tra la folla, ci siamo scontrati e credo sia un kaz… kas…»
«Kanzashi»
«Sì esatto!» la indicò con il dito, celando lo stupore più che poteva.
Chissà chi gli aveva urlato dietro poco prima.
«Che fai? Lo tieni tu? Vuoi far crescere i capelli?»
«Anche se fosse andrebbero tutti verso l’altro, sfidando le leggi della fisica» rise il ragazzo, per poi stringersi nelle spalle. «No, niente è che mi dispiaceva lasciarlo abbandonato lì, e poi magari…» “potrei essere fortunato e reincontrarlo” «…qualcuno lo avrebbe calpestato, sarebbe stato uno spreco no? Io penso che, a volte, è giusto prendersi cura anche di ciò che non è nostro»
Nojiko lo guardò con tanto d’occhi e inspirò a fondo, il sorriso nuovamente scomparso.
«Hai ragione Pen» mormorò ora mortalmente seria. «Ci sono situazioni in cui si prendono a cuore cose o persone che neanche si conoscono o si conoscono a malapena» affermò decisa, gli occhi saettanti verso la spiaggia da cui era appena risalita e ignara dell’espressione indagatrice del proprio interlocutore.
«Nojiko, sei sicura di star bene?­»
«Oh sì!» tornò svelta su di lui, allungò una mano alla sua guancia e sorrise nuovamente. «Solo qualche pensiero che però posso solo aspettare che passi. Non è in mio potere fare molto di più. Ora devo andare però, perdonami se non ti faccio compagnia ma…»
«Non scusarti» alzò la mano libera dal kanzashi, Pen, un gesto quasi solenne, prima di sciogliersi in un sorriso mozzafiato. «È sempre un piacere vederti» si chinò a darle un bacio sulla guancia e ricevette ancora una carezza prima che Nojiko si allontanasse nella notte.
Attese ancora qualche secondo, per essere davvero certo che non sarebbe tornata indietro, prima di lasciare che la curiosità avesse la meglio e, con un movimento agile, scendere tre scalini della ripida rampa in pietra, sbirciando con insistenza verso la spiaggia, a destra e a sinistra.
Poi ancora a destra.
Senza la luna piena e così luminosa e rosa, sarebbe stato impossibile vedere a un palmo dal naso, ma i fattori atmosferici erano a suo favore, quel tanto che bastava per riconoscerla e restare ancora una volta stupito di quanto il mondo fosse piccolo.
Esitò, non perché avesse qualche dubbio sul volerla incontrare, sul volerci parlare, ma perché, se metteva insieme i pochi indizi che gli sembrava di aver raccolto, aveva il legittimo sospetto che forse Ishley voleva starsene da sola.
Ma Nojiko era turbata e Pen non voleva fare finta di niente, così scese gli ultimi scalini, pronto anche a ricevere insulti se Ishley non avesse gradito la sua iniziativa, e si avvicinò, affondando con le scarpe nella sabbia candida.
«Ehi! Sei proprio tu?»
La guardò scrutare nella sua direzione, non tanto per il buio ma per recuperare il ricordo associato alla sua faccia, e poi distendere il viso.
«Pen, giusto?» chiese conferma, tanto per andare sul sicuro.
«Bingo. E tu Ishley» sfilò le mani dalle tasche, attento a non far cadere fuori il kanzashi, e la indicò con l’indice, mentre copriva l’ultimo metro che li separava. «Come stai?»
«Mh» sospirò lei, stringendosi nelle spalle. «Seduta» rise, alludendo alla sdraio su cui si era accomodata. «E tu?» lo guardò dal basso verso l’alto, mentre si fermava davanti a lei.
«Solo, soletto. Certo che è piccolo il mondo, ho appena incontrato anche Nojiko» disse noncurante, tenendola d’occhio giusto per vederla rabbuiarsi un istante.
«Oh. Pensa. Beh suppongo che Waterwheel non sia poi così grande, anche se al Cahya Mera la densità demografica sembra aumentare per magia» tornò subito a sorridere, puntando poi gli occhi alla luna.
Il silenzio scese tra loro e Pen era già pronto a congedarsi, sebbene a malincuore, ben prima che la finestra di conversazione fosse chiusa.
«Vuoi sederti?»
Pen la guardò sorpreso ma poi si avvicinò alla sdraio e prese posto nello spazio libero accanto a lei.
«Credevo volessi stare sola»
«Infatti è così. Ma la spiaggia è di tutti» gli diede una lieve spallata e poi puntò gli occhi alla luna una volta ancora. «Tu ci credi alla leggenda dei desideri?»
Anche Pen guardò in su, verso l’astro rosa. «Che la luna stasera li esaudisce?»
«Sì»
«Forse. Non ci ho mai provato»
«Oh, un ragazzo che ha tutto»
«O forse solo un po’ fifone. Bisogna stare attenti a ciò che si desidera, non dicono così?»
Per la seconda la vide rabbuiarsi e pur avendola appena conosciuta doveva ammettere che non gli piaceva per niente vederla così. Come certamente non era piaciuto a Nojiko prima di lui.
L’unghia di Ishley che grattava contro il tessuto a nido d’ape teso sul telaio, fece vibrare tutta la sdraio.
«Qualcosa non va?»
«Tu hai ragione ma mi chiedevo se…» spostò gli occhi su di lui, aprì la bocca, la richiuse, prese un bel respiro «Tu desidereresti di… ecco di… liberarti di un amore a senso unico?»
Pen sbatté le palpebre un paio di volte, grato che in fondo il problema fosse il più vecchio del mondo e non qualcosa di più grave, per realizzare solo a scoppio ritardato quanto fosse però grave la domanda di Ishley.
«Come?! Aspetta che… tipo intendi, dimenticare?»
Non sembrava sbagliato, affatto, poter smettere di soffrire per un amore non corrisposto, accadeva nel mondo a migliaia di persone ogni giorno, era anzi auspicabile ma così, con l’intercessione di un fenomeno mistico di dubbia funzionalità, suonava simile a un’aberrazione.
E Ishley che si strinse nelle spalle in risposta, gli gelò il sangue nelle vene.
«Io, io…» si prese un momento per riordinare i pensieri. Stavano parlando di qualcosa che non era neanche tecnicamente possibile, lui Ishley non la conosceva, di chi fosse a farla soffrire così non aveva presente nemmeno la faccia. Avrebbe potuto darle ragione, per lenire almeno un po’ il suo dolore. Ma se poi Ishley lo desiderava davvero e funzionava? Poteva convivere con la consapevolezza di non averle detto ciò che davvero pensava? E perché se la stava prendendo così a cuore? «Non lo so, immagino che se lo stai pensando è perché non hai trovato altre vie per… aggiustare la situazione? Non voglio essere giudicante!» alzò le mani ai lati del viso. «Ma di fatto non serve un intervento divino per disinnamorarsi di qualcuno, anche se ci vuole di più e fa più male»
Per un lungo istante, nel quale Ishley si limitò a fissarlo, pensò di averla offesa. Poi però la ragazza prese un bel respiro. 
«È complicato» ammise e, anziché abbassare il capo, tornò a guardare la luna. «Non cerco una scappatoia, penso solo sarebbe meglio se mi dimenticassi proprio di averlo mai amato» una lacrima le rotolò sulla guancia, fermata dalle sue stesse dita, in un gesto di rabbia.
«Okay…» esalò piano Pen, passandosi una mano tra i capelli. «Anche se fosse una scappatoia non… è che è una cosa grossa così. Non puoi tornare indietro capisci? Se lo fai e funziona, lo avrai perso per sempre. Devi essere sicura, davvero sicura che dimenticare tutto è quello che vuoi, perché quando si sta male si sta male, io lo so, ma, se tu lo ami così, per il tipo di persona che mi sembri, non penso sia una di quelle situazioni in cui non c’è niente di bello da tenere con sé. Non è che devi dirlo a me, dico solo, pensaci bene»
Ishley aggrottò le sopracciglia. A chiunque altro avrebbe risposto che ci aveva pensato bene ma per qualche motivo, il modo di fare di Pen forse, per qualche motivo si sentiva di poter affermare che forse non è che ci avesse pensato poi così tanto.
Perché Pen aveva c’entrato un punto importante e non lo diceva per Sabo, neanche lo conosceva Sabo, lo diceva per lei, solo ed esclusivamente per lei.
«Sei una bella persona Pen, lo sai? Di quelle che dovrebbero essercene di più come te»
Pen sgranò gli occhi, preso in contropiede, il viso che diventava un tutt’uno con i suoi capelli, nascosto dalla penombra.
«Io, cioè, gr…»
Le prime note di Starway to Haeven esplosero nel momento che si era creato, da dentro la tasca dei cargo alla zuava color panna di Pen. Il ragazzo sussultò per la vibrazione contro la coscia, dimentico di vivere in un mondo con cellulari e tecnologia.
Ishley sembrava uscita da un’altra epoca, in fondo, così come tutto quel parlare di possibili poteri lunari sulla mente delle persone gli avevano dato un senso di mistico, che si frantumò nel più realistico dei modi quando Pen estrasse il telefonino, che lampeggiava il nome di Shachi sullo schermo.
«Scusa»
«Fai pure, ci mancherebbe»
«Pronto, Shaq…»
 
«Questa parte non credo ti interessi»
«Ma se hai raccontato fin qui un motivo ci sarà»
«Sì, ma il motivo è dopo la telefonata»
«E io ti ascolto»
 
«A dopo» sospirò mentre chiudeva la telefonata e rimetteva il telefono in tasca. Non sapeva quanto fosse durata la telefonata ma una chiamata di Shachi, per corta che fosse, si protraeva sempre oltre il necessario. «Ehi scusa, un mio amico che…»
Una brezza carica di un profumo che Pen non aveva mai sentito, senza un grammo di salsedine né aroma di vegetazione marittima, soffiò proprio mentre si girava verso Ishley, quasi a volerlo far voltare più in fretta.
E normalmente Pen non ci avrebbe dato così peso, normalmente avrebbe visto una ragazza incantata a guardare la luna, ma lo sguardo di Ishley aveva qualcosa di vacuo, il corpo immobile e rilassato, le mani abbandonate in grembo. Un brivido gli corse lungo la schiena e lui corse verso di lei, mentre un’altra folata di quella brezza batteva la spiaggia, trattenne l’impulso di posarle le mani sulle spalle.
«Ishley? Tutto bene?»
Nessuna risposta.
La luna si rifletteva piena e acceccante nei suoi enormi occhi blu e persi, le labbra schiuse a immettere aria con una calma innaturale.
«I-Ishley?» ritentò e deglutì a vuoto prima di allungare la mano. «Ishley!» alzò appena la voce mentre stringeva il suo braccio e si accovacciava davanti a lei.
Il sollievo gli allargò i polmoni quando Ishley sbattè le palpebre, per un attimo confusa, per poi subito sorridergli, turbata da niente.
«Oh scusa Pen! Hai detto qualcosa?»
Come se non fosse successo alcunché. E forse non era successo alcunché, ma forse…
«No, io ho appena chiuso la telefonata con Shachi»
«I tuoi amici ti reclamano?»
«Non proprio, volevano assicurarsi fossi vivo»
«Non vuoi andare da loro?»
«E lasciarti tutta sola? Che razza di gentiluomo sarei?»
La risata esplose cristallina, inadulterata. Diversa da quelle precedenti ma non artefatta o finta. Sembrava solo più spensierata che mai.
«Forse Nojiko aveva ragione a dire che da fuori sembrava un flirt»
Pen si strozzò quasi con la sua saliva. «Cos… No ehi aspetta, io, ecco, io non… non batto quella sponda, cioè…»
«Oh, che razza di gentiluomo? Spezzarmi il cuore così, senza neanche lasciarmi illudere?!»
 
«Okay, quindi hai flirtato con Ishley senza volerlo, non mi sembra così grave. Io lo faccio sempre, di proposito, e non sono neanche gay»
«Satch non è il momento! E chi ha detto che potevi ascoltare?! No, non rispondere!»
«Mi confondi le idee, Izou…»
«Non sei sceso così nel dettaglio per slancio artistico» prese aria il moro e avanzò di un altro passo verso Pen. Sarebbe anche potuta sembrare una mossa decisiva se non fosse stato in realtà agitato e Pen si sarebbe potuto crogiolare nella sua espressione mortalmente seria, se non fosse stato mortificato. «Credi che lo abbia fatto? Ha desiderato di dimenticare Sabo?»
«I-io…» Pen si strinse nelle spalle, le parole che spingevano sulla lingua per uscire. «L’ho riaccompagnata a casa e lei mi ha chiesto di fare finta di niente se ci fossimo rivisti e volevo sapessi che è per questo che stamattina mi sono comportato in modo normale con lei ma non sapevo che foste nella stessa compagnia, non è stato un modo subdolo per avvicinarti anche se volevo avvicinarti eccome e sì, io credo che lo abbia fatto e che lei stessa si sia resa conto che qualcosa è successo o non mi avrebbe chiesto di fare finta di niente, ma non so dire se sia consapevole di cosa è effettivamente successo, se è davvero successo quello che io, e ora anche tu, penso sia successo» riprese aria, quasi cianotico in viso.
«Non credevo esistessero altre persone in grado di dire così tante parole al minuto, oltre Ish e te»
«Satch!»
«Va bene, va bene, sto zitto!» alzò le mani il ragazzo in segno di resa, mentre Izou tornava a dedicare tutta la propria attenzione a Pen.
Un sorriso sottile comparve sulle sue labbra, mentre mani curate salivano a circondare la mandibola del rosso.
«Grazie per avermelo detto»
Anche senza avere le dita sul suo collo, Izou avrebbe potuto rendersi conto di quanta saliva Pen aveva appena mandato giù, mentre spostava gli occhi sulle sue labbra, poi di nuovo sul suo viso e poi, nonostante i suoi sforzi, di nuovo sulle sue labbra.
«Beh ecco io-io… io volevo solo… che…»
«Ragazzi, scusate…»
«Satch! Non hai proprio altro da fare?! Tipo, non so, andare ad ann…»
«Ehi aspetta! È che…»
Izou non avrebbe dato peso alla sua richiesta, e nemmeno al dito indice che indicava poco oltre Pen, non fosse stato per l’espressione di Satch che, una volta tanto, non aveva niente di divertito o perculante.
Si girò quasi con cautela, non era certo di cosa avrebbe trovato ma le possibilità erano abbastanza scarse da non fargli sentire sorpresa nel riconoscere uno sconvolto Sabo che li guardava a pochi passi di distanza. Troppo pochi per non aver sentito.
Il cuore di Izou sprofondò nel suo stomaco.
Quanto aveva sentito?
«Sabo…»
Il petto di Sabo prese ad alzarsi e abbassarsi come un mantice mentre anche Pen si girava, ben conscio di cosa stava succendendo e delle conseguenze.
«Amico, ehi! Sembra ti stia per venire un attacco di panico. Perché non rallenti un po’?» li affiancò anche Satch, scambiando un’occhiata con entrambi.
«Lei ha… lei ha davvero…»
«Non lo sappiamo!»
«Infatti! È solo una mia congettura, non so se ha davvero espresso un desiderio e se… sì insomma, mi sono fatto suggestionare e prendere dalla preoccupazione ma a ripensarci bene che la Luna possa esaud…»
«Lei mi amava?»
Fu come se tutta Waterwheel avesse smesso di emettere suono in quel preciso momento. Fu solo un attimo e sembrò durare una vita.
Poi Izou sospirò, mortificato dalla sofferenza dell’amico, ma anche incredulo e forse esasperato.
«Dio, Sabo, sul serio?»  
Sembrò sul punto di cadere quando fece due passi indietro, lo sguardo perso, la fronte sudata.
«Sabo…»
«Io… io…»
«Che succede?»
«Sabo? Stai bene?»
La domanda era tanto inutile quanto distante, ovattata, come se provenisse da un’altra dimensione. Forse stava per svenire, forse non era la scelta più saggia ma la sola cosa a cui riusciva a pensare era allontanarsi da lì. Allontanarsi da lì subito, dai suoi amici, dalla sua famiglia, da tutto quello che gli confermava e ricordava quanto era stato idiota, quanto tempo aveva perso e che ora Ishley… Ishley…
«Sabo aspetta!»
«Lascialo andare»
Persa. L’aveva persa. Ora non era più un atroce dubbio ma una certezza.
Era scivolata via da lui, come Nadir sulle acque del mare, in una notte di luna di fragola.
«Ha bisogno di fare pace con se stesso»
E lui l’aveva lasciata andare.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Era come una zolletta di zucchero di quelle piccole e cubiche, rimasta incastrata tra le scaglie color biscotto delle case circostanti, dalla forma e architettura più tradizionale.
Ishley adorava quella casa che da fuori pareva quasi un giocattolo, adorava la punta di azzurro con cui era dipinta, il profumo al suo interno e la terrazza sempre fresca grazie alla grande tettoia che ne copriva la metà e a cui erano appese tre sedie sospese, che sempre si litigavano.
Non quella sera, certo.
Era rimasta a casa solo lei e aveva persino potuto scegliersela, la sedia sospesa. Con un bicchiere di the freddo in mano e il sapore dei biscotti all’avena di Satch ancora a solleticarle le papille, come il tappeto di erba sintetica le dita dei piedi, le sembrava quasi di essere in un resort cinque stelle.
L’aria era perfetta, croccante al punto giusto, con una leggera brezza al sapore salino a rinfrescare un caldo altrimenti cocente, la notte profumata e illuminata dalla luna calante e dalle luci della città.
Provare a guardare le stelle sarebbe stato inutile, lo era sempre dal Cahya Mera per un’intera settimana a seguire ma Ishley non se ne lamentava. Con lo sciabordio delle onde sulla battigia, si sarebbe anche potuta addormentare mentre dondolava appena nella piccola oasi domestica.
Era quasi perfetto.
Quasi.
La perfezione, comunque, era sopravvalutata e lei apprezzava da sempre le piccole cose della vita, già il fatto di riuscire a stare così era qualcosa di cui essere molto grati.
Senza fastidi, senza tensione, senza…
Si sollevò appena dal morbido cuscino in pula di farro, chiedendosi se si fosse solo immaginata il rumore di passi sulle scale, se fosse lo scricchiolare del parquet o un gatto che si era intrufolato nell’abitazione.
Era certa ci fossero più alte probabilità che si trattasse di un fantasma piuttosto che di un malintenzionato ma, accidenti, doveva essere un fantasma ben depresso a giudicare da come strascicava i piedi.
Ormai certa che a sorpresa qualcuno della compagnia doveva essere rientrato prima, e non per motivi ameni, si tirò ancora più su e, aggrappandosi alle corde di bambù intrecciato si voltò sbirciando da sopra lo schienale ricurvo verso la portafinestra di accesso alla terrazza.
Sarebbe tornata alla teoria del fantasma se non avesse saputo riconoscere quel volto anche al buio. E Sabo era così tirato e pallido che avrebbe preoccupato un estraneo, figurarsi lei.
«Ehi! Che succede?!­» si mise in ginocchio, facendo oscillare pericolosamente l’amaca ovale, ma restando ben salda. A ben guardare, aveva rischiato più Sabo di cadere per lo spavento del trovarsela lì.
«Ish»
Un soffio, niente di più, un’esalazione e quello che aveva visto il fantasma sembrava lui. Anzi no, non come se avesse visto un fantasma. La guardava come quella mattina, quando si era palesata in cucina dopo la doccia.
«Sì?»
«Non… non pensavo di trovarti qui» mandò giù a fatica mentre Ishley si accigliava.
«Davvero? Mi pareva di averlo detto, che rimanevo a casa»
«Ah. Ah s-sì, che idiota, ora che ci penso…­­»
L’espressione di Ishley si fece ancora più perplessa nell’osservare Sabo che apriva e chiudeva le mani con gesti quasi inconsulti, e scese cauta dalla sedia sospesa per avvicinarsi, con ancora più cautela. «Sabo, stai bene? Se… hai bisogno di parlare o di restare da solo, io…»
«No»
Ishley si immobilizzò al tono del ragazzo e solo per questo non fece un passo indietro.
«No?»   
 «No, io…» Sabo sospirò, poi tutta la facciata di tensione parve sgretolarsi, schiacciata dal peso di qualcosa che somigliava a disperazione. Si passò una mano sul viso, il volto contratto in una smorfia di fatica, mentre risollevava lo sguardo su di lei.  «Non sto molto bene in realtà ma non credo sia giusto farlo diventare un tuo problema»
Un egoista, ecco cos’era. Era solo un egoista. Come se non sapesse che Ishley si sarebbe preoccupata. Una delle creature più gentili e altruisite del pianeta e poi per lui, per lui… La sua preoccupazione per lui era da sempre… da sempre…
Come aveva fatto a essere così cieco?
«Sabo non dire cavolate! Parlami, se posso aiutarti»
Come aveva potuto ignorare per tutto quel tempo… Come aveva fatto a resistere a quel sorriso?  
«Siamo fratelli, no?»
Se lo avesse preso a sberle avrebbe fatto meno male, ma se lo avesse preso a sberle non gli sarebbero neanche venute le lacrime agli occhi come sperava non fosse appena successo a giudicare da quanto gli pizzacavano. Perché non era tanto essersi appena sentito definire “fratello” da lei, era essersi appena reso conto di quanto doveva averla fatta stare male, ogni volta che l’aveva definita sua “sorella”.
Aveva provato quello ogni singola volta? Come faceva a non odiarlo?
Illuso lui a credere che fosse difficile chiamarla “sorella”. Era infinitamente peggio sentirselo dire.
«È complicato, Ish» si allontanò di qualche passo da lei, muovendosi verso il centro del pergolato e colpendo con una gamba una delle sdraio. Ricacciò le imprecazioni in gola, tanto non faceva poi così male, il dolore al petto sovrastava tutto. «Non so neanche se capiresti»
«Perché? Si tratta di una ragazza?» aprì le braccia, lei, il tono quasi scherzoso, per poi ridimensionarlo subito di fronte al cambio di espressione di Sabo, che sembrava aver perso ogni talento recitativo mai avuto. «Oh, okay, è una ragazza, pessima uscita scusa. Però cioè dai! Almeno prova, magari invece posso aiutarti, sono una donna anche io sai?!»
Lo sapeva.
Sabo lo sapeva, lo aveva visto accadere, ne era consapevole molto più di quanto sarebbe dovuto esserlo, tutto il suo corpo era consapevole che Ishley fosse una donna.
E mai avrebbe reagito così alla notizia che lui poteva avere un serio problema di cuore prima di quella maledetta giornata. Così spensierata e piena di buone intenzioni.
Così… disinteressata.
«S-sì, lo so, ma è… complicato…»
«Okay… Se non vuoi nemmeno provare…»
«Ish è…»
«Complicato sì, mi pare di aver afferrato il concetto» lo interruppe monocorde, il tono più irritato di quanto avrebbe voluto. Delusa, ecco come si sentiva. «Sai cosa? È un problema mio, hai tutto il diritto di non voler parlare degli affari tuoi con chicchesia, e devo accettare che probabilmente non vuoi confidarti sulle donne con la tua sorellina, in realtà penso sia normale, è solo che siccome siamo nella stessa comp…»
«Si tratta di te, Ish!»
Egoista. Dannato egoista.
«M-me?» la guardò sbattere le palpebre, forse anche vacillare. Era tutto così complicato, ora, ed era tutta colpa sua. «Tu stai così per qualcosa che riguarda me, che è complicato e ci posso anche credere ora, e che potrei anche non capire. Perché non dovrei capire qualcosa che mi riguarda?»
Avrebbe voluto urlare, Sabo, ma sapeva di non averne diritto e si impose calma.
«Perché non sai che è successo»
«No certo che no, tu non me ne parli, quindi come potrei…»
«Intendo che è successo a te ma tu non lo sai perché non… lo ricordi»
«Non lo ricordo»
«No»
«Sono confusa. Se mi è successo perché non lo ricordo? Cos’è, ho picchiato la testa e…» Sabo la guardò distendere improvvisamente le sopracciglia e sgranare gli occhi. Avrebbe voluto così tanto poter ridere. Ishley lo faceva sempre ridere tanto, con la sua spontaneità. «Oh, oh santo cielo, non starai per dirmi che ho quella strana amnesia per cui ogni giorno il mio cervello si resetta e io ricomincio a vivere sempre dallo stesso giorno e ogni ventiquattro ore mi dimentico e in realtà ho tipo trentasette anni e penso di averne solo ventuno, può succedere! Ci hanno fatto anche un film!»  
Ishley riusciva a farlo ridere persino quando aveva solo voglia di piangere.
«Non prendermi in giro!»
«Non lo faccio!» alzò le mani in segno di resa. «Non lo faccio. Giuro. E non hai né trentasette anni né quella brutta amnesia» riuscì ad articolare ancora con il sorriso prima di perderlo di nuovo. «Tu hai espresso un desiderio al Cahya Mera, ma perché il desiderio fosse esaudito devi per forza aver dimenticato di averlo espresso»
Ishley lo guardò sinceramente interdetta per un lungo attimo, un attimo in cui a Sabo sembrò di scorgere un lampo di comprensione nei suoi occhi, ma era chiaro che fosse solo frutto della sua immaginazione.
Glielo stava dicendo. Glielo stava dicendo davvero. Egoista.
«Sembra complicato. Cosa potrei mai aver desiderato che richieda una manovra del genere?»
«Di dimenticare»
«Dimenticare?»
«Sì»
«Dimenticare qualcosa di generico tanto per vedere se funzionava o…»
Sabo prese un respiro. C’erano così tante cose che avrebbe potuto dire. Scuse, bugie. Ora che servivano non riusciva più a verbalizzarne neanche una. «Dimenticare me»
Il silenzio calò denso come poco prima in città, ma stavolta i rumori di sottofondo erano vividi in lontananza e Sabo forse avrebbe preferito smettere di sentire qualsiasi cosa perché ora, ora arrivava la parte davvero difficile. E Ishley, forse, per la prima volta in tutti quegli anni, lo avrebbe odiato sul serio.
«Ma io so perfettamente chi sei» asserì, ora serissima, avanzando di un passo verso di lui con espressione indagatrice e Sabo seppe di non avere più speranza di sfuggire. Neanche la voleva.
Ishley avrebbe capito e lo avrebbe odiato e andava bene così. «Quindi stiamo parlando di dimenticare qualcosa che ti riguarda»
«Sì, è… è così»
«E cosa?»
Sabo non avrebbe mai creduto che parlare potesse spaventarlo tanto. Sentiva le ginocchia molli, il pavimento della terrazza come sabbie mobili. Forse aveva anche bisogno di vomitare.
«Quello che provavi per me»
Non sapeva se Ishley lo aveva sentito. Si era sentito a malapena lui e la pausa di silenzio gli fece venire parecchi dubbi. Ma Ishley stava chiaramente riflettendo, non era in attesa di una risposta, stava rimettendo insieme i pezzi.
Per forza, perché era così intelligente e arguta lei.
Avrebbe rimesso insieme ogni cosa. Ogni cosa, tranne lui.
«Provavo qualcosa per te. Ho desiderato di dimenticarlo e ora, di conseguenza, non ricordo neanche di aver espresso il desiderio. E tu stai così per questo. Perché?»
Ora le sabbie mobili dovevano esserci davvero. Perché oltre a sentirsi sprofondare, Ishley gli sembrava altissima, come se fosse affondato di un metro abbondante.
«Ish…» provò a implorare ma in fondo sapeva di meritarlo. Per essere un egoista e per il karma e quella roba lì di cui non ci capiva poi molto nella teoria ma iniziava ad afferrarlo nella pratica.
«Se non lo dici mi lascerai dedurre una risposta che credo di avere indovinato, nel qual caso è indifferente che tu lo dica o meno, tranne che se lo dici fugherai ogni dubbio che io possa avere dedotto la risposta sbagliata. È la tua chance migliore, credimi»
«Merda, merda, merda» scosse il capo, allontanandosi di qualche passo come un leone in gabbia, per poi portarsi le mani nei capelli con disperazione e rabbia. Avrebbe voluto potersi picchiare da solo. «Ho rovinato tutto!»
«Sabo dimmelo!»
«Perché sono innamorato di te, Ish!»
Non aveva avuto intenzione di urlare ma non gli importava. Che lo sentisse il vicinato, tutta Waterwheel, il mondo intero. Che differenza faceva? L’unica a cui ormai era troppo tardi dirlo era davanti a lui.
La guardò vacillare e sperò fosse per l’urlo e non per un improvviso bisogno di scappare lontano da lui.
«Sono innamorato di te, da non so più nemmeno quanto» ammise, ormai sconfitto. Nascondere i dettagli non aveva senso tanto quanto dirli. «Non è iniziata subito ma con il tempo sei diventata così tante cose. Ti ho voluto bene dal primo momento ma poi sei diventata una confidente, la più fidata delle compagne, la mia…» strinse l’aria con le mani, mani irrimediabilmente vuote. «…la mia ancora. E ora perderò ogni cosa»
Silenzio, di nuovo, ma più breve e poi quell’espressione che conosceva così bene, come tutte le sue espressioni, quella di quando Ishley cercava di capire qualcosa che in realtà aveva già capito, tanto per essere certa di potersi arrabbiare, anche se era già arrabbiata.
«E come mai, quindi, se io provavo qualcosa per te, che suppongo possa tradursi in un “ero innamorata di te” e tu sei innamorato di me, io ho chiesto alla Luna di dimenticare?»
«Perché io…»
«A-ah»
«Io ti ho sempre fatto… credere che ti vedevo solo come un sorella»
«Oh» non era sorpresa. Era solo furiosa, era evidente e a Sabo sembrava che fosse furiosa per la cosa sbagliata, che qualcosa fosse fuori posto. Si sentiva così confuso. «Capisco. E come mai?»
«Ish io ti avevo detto che era…»
«Complicato, sì, me lo ricordo ma ormai hai tolto il coperchio al vaso quindi ora parla perché sto ancora aspettando di dare un senso all’aver rinunciato a tutto questo»
Sapeva che aveva ragione lei, sapeva di non avere scelta. Si lasciò cadere sulla sdraio alle sue spalle, interessato alla punta delle proprie scarpe ma conscio di doverle il rispetto di guardarla in faccia.
«Non ho mai avuto un padre. Mi sono sempre raccontato di non averne bisogno poi è arrivato Dragon. E tu con lui» la indicò con la mano, prima di passarsela sul viso e lasciar ricadere pesantemente il braccio. «Lo sai, la sera della prima cena insieme, quando ci siamo conosciuti che ti ho portato Lindbergh. Io mi sentivo un idiota a regalare un gatto peluche a una ragazza di quattordici anni» rise appena, una risata fatta di ricordi e rimorso. «Avevi solo due anni meno di me, non volevo pensassi che ti stessi trattando da bambina ma neanche presentarmi a mani vuote e i fiori mi sembravano ambigui. Ma tu sei stata così felice di quello stupido gatto e…»
«Non è stupido!» Ishley chiuse per un attimo gli occhi per imporsi calma. «Lindbergh non è uno stupido gatto, perdonami, continua»
Sabo prese un altro respiro. «È stato il primo sorriso che mi hai rivolto, ho sentito che volevo difenderlo quel sorriso. E io… Avrei voluto portarti dei fiori così tante volte, senza neanche un’occasione, ma avrebbe cambiato ogni cosa e io non volevo rovinare tutto, non volevo rischiare di… deludere Dragon. Deludere te»
«Papà»
«Come?»
«È papà, non Dragon. E quindi hai pensato di eliminare il problema alla radice?»
«Siamo diventati una famiglia, non lo abbiamo chiesto noi ma se poi le cose fossero andate male, avrebbe esarcebato ogni rapporto, io non volevo…»
«Essere un rovinafamiglie»
«Non ho detto…»
«Tuo padre non se n’è andato per causa tua e lo sai. E se non lo sai e ora che lo affronti. Papà ti vede come un figlio e tutto questo è incredibilmente stupido! Se non volevi fare danno perché me lo dici ora che ho dimeticato tutto? Cosa sei, un mitomane?!»
«Sei arrabbiata»
«No, no ti sbagli, sono molto arrabbiata e sto aspettando una risposta»
«Perché ora che ti ho persa mi rendo conto cosa significa rinunciare a te e se potessi avere una seconda possibilità ti giuro che cambierei ogni cosa, Ish! Ogni cosa!»
«Ogni cosa?»
«Ogni… ogni cosa»
«Se avessi una seconda possibilità»
«Sì…» intrecciò saldamente le dita tra loro e chinò il capo, le ciocche bionde a oscurargli il bel volto simmetrico. «Ma so che non si può»
La sentì inspirare a fondo e se avesse potuto si sarebbe solo rannicchiato contro la testata della sdraio, sperando di scomparire.
«Sei molto serio a riguardo. Non parli sull’onda del momento?»
Una domanda legittima che gli strappò un’amara risata. Non poteva darle il minimo torto per tutta quella diffidenza, neppure alla Ishley che non ricordava come lui si fosse comportato fino ad ora. Anche questa Ishley aveva diritto di dubitare.
Il capo ancora chino, lo scosse due volte prima di risollevare a fatica lo sguardo.
«No. Sono molto, molto serio. Ti amo, Ish»
Era un idiota. Glielo avevano detto spesso, più o meno seriamente, ma Sabo non ne aveva mai preso coscienza come ora. Aveva seriamente pensato potesse essere una bella cosa per Ishley sentirsi dire tutto questo, la confessione che aveva sempre meritato e mai aveva ricevuto, e improvvisamente si accorse come invece a questa Ishley dovesse suonare una condanna.
Perché questa Ishley non vedeva Sabo che come un fratello.
Non era una confessione, era una condanna e lo realizzò solo quando gli occhi di Ishley si riempirono di lacrime e si portò una mano alla bocca, dandogli le spalle.
«Ish!» si alzò di scatto, il braccio allungato ma lei era troppo distante per riuscire a toccarla ed era decisamente meglio così. «Aspetta io non…»
«Io non posso credere che… non posso credere che… bastasse questo!» si rigirò di scatto, lo sguardo ora infuocato. Faceva paura. Era bellissima. «Sul serio?! Sei davvero davvero serio?!»
Sabo si guardò intorno spaesato, non lo avrebbe ammesso mai che in fondo stava anche ricontrollando dove si trovava la porta. «I-io…»
«Vorrei picchiarti!»
«Penso di meritarlo ma…»
«Sabo! Ho odiato fare questa cosa!»
«Mi dispiace, Ish, davvero, io… A-aspetta, tu ricordi?»
«Sì che mi ricordo! Ho desiderato di imparare a recitare, non di dimenticarti! E che Shandia mi sia testimone, ha funzionato anche troppo bene!» si passò le mani sul viso con un grugnito, ignara di cosa stava succedendo a pochi passi da lei.
A dire il vero, neanche Sabo che lo stava subendo avrebbe saputo dire cosa gli stava succedendo. Si sentiva stordito, la testa staccata dal corpo e le gambe leggere. La voce gli uscì così roca e bassa che non era sicuro che Ishley lo avesse sentito.
«Tu sei ancora innamorata di me?»
«È questo che ti è rimasto dell’intera situazione?» rialzò lo sguardo Ishley e Sabo si riscosse, facendo quasi un passo indietro.
«Beh sì! Cioè no, no volevo dire… anche se insomma… ma no chiaramente no! Lo so, lo so che sei stata male e sei furibonda, lo capisco, io-io… dimmi come posso rimediare e lo farò, qualsiasi cosa, davvero qualsiasi c…»
«Baciami»
«C-che cosa?!»
«Ho detto: baciami»
Sembrava trasfigurata o forse era come la vedeva lui. Era una visione, con gli occhi balenanti di determinazione e le labbra che brillavano nel buio, inumidite di saliva e rosse di una rabbia che Sabo ora trovava paurosamente eccitante.
Avrebbe voluto godersi la magia del momento, la formicolante aspettativa, memorizzare ogni istante necessario a coprire la distanza, prendere Ish tra le braccia e…
Avrebbe tanto voluto ma non appena il senso delle parole di Ishley raggiunse il suo cervello, le gambe si stavano già muovendo, le sue e anche quelle di Ishley, e prima ancora di realizzare come aveva Ishley già stretta al petto e le labbra che divoravano le sue.
Non aveva mai provato un calore più bello e non gli importava di tremare come un bambino. Le mani di Ishley che lo accarezzavano sulla testa e sulla schiena erano rassicuranti come una ninna-nanna ma di certo non era sonno che gli conciliavano e deglutì a vuoto, più teso di quanto gli sarebbe piaciuto ammettere, quando le sentì spostarsi davanti per sfilargli la camicia.
Si scostò per guardarla, gli occhi lucidi e pieni di urgenza ma anche preoccupazione e affetto e desiderio. «Sei sicura?»
Si chiese cos’avesse fatto per meritarsi il sorriso che Ishley gli rivolse, mentre portava una mano alla sua guancia, senza allontanarsi dal suo petto. «Non c’è niente che voglio di più»
E di colpo Sabo era grato delle sdraio contro cui inveiva ogni sera che passavano là sopra, perché ci picchiava sempre contro e si riempiva di lividi. E se le sedie sospese avessero potuto parlare…
Le sfilò la tutina leggera, facendola scivolare giù dalle spalle, prima di sfilarsi la camicia e stendersi, il braccio teso per accoglierla sopra di sé.
«Ish… Mi dispiace tanto, non volevo farti stare così male, io…» un bacio lo interruppe, un bacio calmo, controllato, un bacio di conforto e amore.
«Va bene, va bene. Ora non ha più importanza. Ora mi stai facendo bene. Ma devi promettermi che non ci ripenserai, perché io non posso…»
«Non succederà. Non ci ripenserò, non tornerò sui miei passi, non ho intenzione di lasciarti andare. Mi è bastato perderti una volta. Ti amo, Ish»
Prima uno sbuffo, poi una vera risata che sembrò far brillare più forte le poche stelle visibili. «Non so se mi abituerò mai» premette la fronte contro la sua. «Ti amo, Sabo»
Andava tutto bene.
Improvvisamente la serata peggiore della sua vita si era trasformata nella più bella e Sabo non era affatto certo di esserselo meritato ma non avrebbe sprecato l’occasione.
Andava tutto bene, con Ish tra le braccia e sotto la luna che li spiava curiosa e materna, attraverso il pergolato.
 

§
 

Era una strana sensazione da provare al risveglio.
Non l’aria che correva tra le dita dei piedi, quella era piacevole. Non la luce più intensa che se si fosse trovata in camera, quella non era fastidiosa filtrata dalle assi di legno.
Ishley ci mise pochi istanti di dormiveglia a realizzare che si trovava ancora in terrazza e quasi nulla a ricordare perché e soprattutto con chi.
Dunque ora era chiaro il perché di quella sensazione sebbene non gli apparisse meno strana, e sorrise con gli occhi ancora chiusi e il cervello ancora perso in un sogno che non era più tale. Stiracchiò le gambe, incastrate tra le sue, e tese il busto, strusciando la testa sotto al suo mento, come un gatto intento a fare le fusa.
«Spero tu non mi abbia fissato tutta la notte» mormorò con voce rauca, prima di alzare le palpebre e reclinare il capo.
«Ti preoccupi per il mio ritmo sonno-veglia?»
«No. È che lo troverei terribilmente inquietante» si allungò a baciarlo sulla guancia e Sabo mugugnò con sfacciata soddisfazione richiudendo gli occhi, ancora di più quando Ishley lasciò scorrere la mano sul suo petto, lungo lo sterno e più giù, sempre più giù, oltre l’ombelico e fino all’orlo dei boxer. Un polpastrello si infilò appena sotto alla fascia elastica per poi tornare subito indietro e prendere a disegnare cerchietti intorno al capezzolo sinistro, facendone grugnire il proprietario.  
«Ish, così mi uccidi» inarcò appena la schiena, diviso tra piacere e bisogno, per poi prendere un profondo respiro e imporsi calma. «Me la vuoi far pagare vero?»
Ishley piegò il braccio e si sistemò meglio sul fianco, il capo posato sul palmo e i capelli che scendevano come una cascata di seta nera, l’altra mano che instancabile continuava a solleticare il petto di Sabo. «Puoi giurarci»
Sabo allungò il braccio per avvolgerle la guancia nel proprio palmo mentre Ishley portava le stesse due dita che lo stavano dolcemente torturando sul suo viso, acarezzando a fior di pelle la fronte, il naso, gli zigomi, la mandibola, le labbra, come se stesse ridisegnando ogni suo connottato.
La guardò perdere il sorriso di scherno, mutandolo in un’espressione di rapita serietà di cui sospettava di essere il riflesso, e avrebbe pagato per sapere cosa le passasse per la testa in quel momento ma non aveva intenzione di guastare quell’atmosfera quasi mistica.
Era tutto vero.
Ecco cosa passava per la testa di Ishley in quel momento. Stava metabolizzando per l’ennesima volta e definitivamente che era successo davvero, che era tutto reale.
Si sentiva sfinita a dire la verità, anche se non svuotata. Non è che fosse una sorpresa, Ishley era conscia che nelle ultime quarantott’ore aveva vissuto una serie di sconvolgimenti emotivi senza precedenti.
Non si era mai sentita così sfiduciata come negli ultimi due giorni ma neanche così speranzosa come negli ultimi due giorni, e in conclusione mai così confusa come negli ultimi due giorni.
Ora sapeva di non essere stata una povera illusa a credere di aver visto dei segnali da parte di Sabo, ma la speranza aveva oscillato dalla possibilità di essere ricambiata sempre più verso l’accettazione che non sarebbe mai avvenuto e che forse c’era una soluzione per non dilaniarsi l’anima e alla fine si era assestata su quell’estremo.
Aveva deciso di mettersi per davvero al primo posto dopo aver parlato con Nojiko e Kay e aveva poi, ovviamente, scelto la strada meno facile dopo aver parlato con Pen ma le sue intenzioni erano buone davvero. Non avrebbe mai, mai immaginato che la sua piccola messinscena avrebbe portato a una simile svolta.
Poi Sabo era arrivato in terrazza con tutta quella disperazione in corpo e Ishley aveva iniziato a capire cosa stesse realmente accadendo e le era bastata una frazione di secondo per decidere di farla sporca e giocarsi il tutto per tutto. Non si era sbagliata.
Non si era illusa su Sabo, non aveva visto ciò che voleva vedere, non si era arrabbiata a vuoto per la sua testardaggine.
Aveva espresso il desiderio giusto, ancora di più ora che sapeva che funzionava, ancora di più visto quanto bene funzionava. Non riusciva ancora a credere di essere riuscita a mantenere la facciata anche dopo aver realizzato che Sabo era sul punto di confessarsi.
Ma a Sabo tra le sue braccia, a quello ci credeva.
«A cosa pensi?»
«A te»
E aveva anche un po’ di gente da ringraziare, con cui sdebitarsi, anche se non immaginava in che modo, soprattutto con Pen e Nojiko…
La bocca di Sabo la colse di sorpresa ma chiuse gli occhi all’istante, il corpo più veloce del suo cervello ad abbandonarsi, nonostante uno strano pensiero cercasse di farsi strada nella sua mente.
«Sabo, a-asp… mmmmmh»
Nojiko.
C’era qualcosa che… le stava sfuggendo…
Si ritrovò a cavalcioni su di lui, le cosce strette alla sua vita, l’intimità contro il suo addome e si maledisse mentalmente per essere così sensibile e così innamorata, mentre si piegava su di lui senza neanche bisogno di pensare a cosa fare e a come farlo.
Era tutto così naturale e se poi Sabo la guardava così… così speranzoso. Come se ancora avesse paura di vedersela scivolare dalle mani, come qualcosa di vicino ma non abbastanza da afferrarlo, pieno di aspettativa e di fiducia, come Nojiko…
Aspetta come Nojiko?!
Che cosa…
Il pensiero riuscì finalmente a raggiungere il suo telencefalo, poche ma inconfondibili immagini pregne di un significato tutto nuovo. Non se ne faceva una colpa, sapeva di stare così male da essere più che giustificabile il non essersi accorta della speranza che Nojiko aveva manifestato quando le aveva detto che Bonney era lesbica e di nuovo quando l’aveva intravista nella folla al Cahya Mera.
«Bonney e Nojiko»
«C-come?!­­»
«Bonney e… Bonney e Nojiko!» si aprì in un sorriso, ancora a cavalcioni su di lui, felice dell’improvvisa rivelazione come una bambina davanti a un uovo di pasqua. «A Nojiko interessa Bonney! Romanticamente!»
«È una… bella notizia, suppongo»
«Lo è! Eccome se lo è, sono perfette insieme e tu…» piegò il capo di lato, l’espressione che virava al famelico. «Mmmmh tu sei un capolavoro, se non avessi così tanta fretta di avvisare Bon non sai che ti farei»
Sabo sentì il cuore sprofondare o forse era il sangue che si concentrava ancora di più al basso ventre.
«Me la stai facendo pagare vero?»
«Vero» confermò, stendendosi di nuovo su di lui per un bacio. «Ma è vero anche che possiamo recuperare alla cala. Shandia sì, voglio farlo alla cala» strusciò il naso sul lato del suo viso, prima di alzarsi da lui. «Non ci metterai tanto a raggiungermi vero?» saltò giù, recuperando in una bracciata i suoi vestiti ai piedi della sdraio.
«Aspetta, ma hai addosso solo la mia camicia»
«Mi copre abbastanza e mi fermo a prendere il costume, lo metto in spiaggia. Non è come se avessimo qualcosa da nascondere, giusto?» si girò sulla soglia della portafinestra, una domanda inespressa negli occhi e il sorriso sul volto.
«Giusto» ribatté Sabo senza esitazione e Ishley scoppiò a ridere. Avrebbe potuto ascoltarla ridere per il resto dei propri giorni.
«Ti amo, vado, ciao»
«Cos… Ish ma aspetta! Vengo con te!»
Si precipitò alla portafinestra, già conscio che la sua sola speranza era infilarsi il primo costume e la prima t-shirt che trovava e recuperarla mentre scendeva alla spiaggia. Si fermò sulla soglia, le braccia appoggiate agli stipiti e si concesse un attimo per ascoltarla canticchiare mentre scendeva le scale, euforica e piena di vita come solo lei sapeva essere.
«Mio dio, quanto la amo»
 

§


Waterwheel era una piccola città e Yonji non si era aspettato certamente una metropoli. Certo gli ci erano voluti quattro giri sempre uguali per capire che aveva visto solo l’anello esterno del borgo marittimo e che, semplicemente, al centro non poteva accedere, non con il SUV.
Era stato di pancia che aveva deciso di mollare il macchinone nel parcheggio di un supermercato da cui probabilmente lo avrebbero rimosso con il carroattrezzi nel giro di un paio di giorni, e noleggiare una bicicletta. Il giro poi, tra balconi carichi di fiori rampicanti e gatti all’apparenza selvatici ma ben tenuti, aveva avuto del pittoresco.
Ora però la vena turistica si era esaurita e Yonji aveva dovuto accettare la difficile e ciònonostante non sorprendente realtà che sua sorella, sangue del suo sangue, gli aveva dato un indirizzo non solo errato ma proprio inesistente.
Sapeva di averla fatta grossa con Pur stavolta, non irreparabile per carità, ma comunque molto grossa. Lo sapeva sì e infatti non aveva chiesto niente, non aveva implorato, non aveva cercato scorciatoie, si era messo in macchina e aveva strusato benzina senza pensarci due volte, per arrivare da lei il prima possibile appena aveva potuto e, anche sì, dopo aver messo a tacere l’orgoglio.
Evidentemente per Reiju non era sufficiente, anche se certo la parte difficile doveva ancora venire. Doveva ancora parlare con Pur, scusarsi, ottenere il suo perdono ma evidentemente secondo Reiju doveva sudarsela ancora di più visto che, a causa del suo giochetto, non aveva idea di dove trovarla, in un paesino di milleottocentosettantuno abitanti esclusi però i turisti, di cui non conosceva minimamente la geografia.
Partire dalla spiaggia, comunque, sembrava una buona idea, soprattutto perché il lungomare era di dimensioni relativamente contenute, eppure anche così a Yonji sembrava un’impresa delirante.
Se solo gli fosse arrivato un piccolo aiuto dall’alto, qualcosa di semplice, ad esempio la risata singolare di Perona o un urlo banshiaco della sua Pur o….
«Cerchi qualcuno?»
Si voltò sorpreso verso la voce, il manubrio della bicicletta verde evidenziatore stretto in mano per non farla cadere. Una donna che a occhio e croce poteva essere alta quanto lui era seduta su una panchina del lungomare, all’ombra di un cappello di paglia a tesa molto larga, da cui sfuggivano ciocche color perla.
«Non voglio farmi gli affari tuoi, sembrava più di una semplice sosta. E comunque quella non è neanche una bici per grandi corse» indicò con un cenno il mezzo a due ruote, facendo ondeggiare il copricapo sfrangiato.
«Cerco qualcuno in effetti ma non penso tu possa aiutarmi, non è di qui, è solo in vacanza»
«Come il settanta per cento degli esseri umani presenti a Waterwheel in questo periodo dell’anno» piegò il capo di lato la donna, incrociando le braccia al seno. «C’è un bar a metà della spiaggia, si chiama Bell-Mère. La proprietaria, Nojiko, conosce un sacco di gente, soprattutto i turisti, io farei un tentativo. Devi solo stare attento a Bonney, è un po’ possessiva. La tua ragazza ha qualche tratto particolare?»
La conversazione aveva un che di surreale ma Yonji non avrebbe saputo dire cosa esattamente. La tipa aveva fatto una scommessa sui grandi numeri, era solo la cosa più probabile che si trattasse della sua ragazza e lui non solo non aveva la profondità riflessiva di chiedere come facesse a sapere che si trattava della sua ragazza, e chi le diceva che lui avesse una ragazza o che fosse etero, ma non aveva neanche intenzione di complicarsi l’unica parvenza di aiuto che gli era arrivata.
«Ha gli occhi di colore diverso. E una sua amica ha i capelli rosa, una risata strana e un cane che fa spavento»
La ragazza piegò il capo all’indietro per mostrare il viso sorridente. «Direi che hai abbastanza per provare con Nojiko. Buona fortuna»
«Grazie!» la salutò con la mano di piatto alla fronte, come un soldato, il sorriso smagliante e nuovamente speranzoso. Ripartì con baldanza, portando la bicicletta a mano, sul lungomare per non rischiare di andare oltre il bar incriminato, scartando una coppia intenta a baciarsi, con non poca passione all’ombra di un pino marittimo.
«Vuoi andare al cinema stasera?»
«Spero sia una frase in codice per altro, Pen…»
Se non lo avesse sentito parlare, non si sarebbe neanche accorto che il moro era un ragazzo in realtà, tanto erano lunghi i suoi capelli. Buon per loro, pensò Yonji, e chissà che non fosse di buon auspicio tutto quell’amore nell’aria.
Per essere una non poi così estesa spiaggia di una non poi così piccolo borgo marittimo, comunque, il lido di Waterwheel era un tanto caotico quanto variopinto agglomerato di persone e colori, punteggiato da ombrelloni senza alcun continuum cromatico. Come il contenuto di una confezione di Smarties rovesciato al suolo. Aveva qualcosa di magico.
E forse era fortuna o forse era che in quel marasma di scadente cotone a tinte sgargianti saltava facilmente all’occhio il chiringuito con la copertura di paglia, più esotica del luogo stesso in cui sorgeva.
Doveva essere quello il Bell-Mère.   
Ringalluzzito, sganciò il cavalletto della bicicletta e non si premurò di assicurarla a nessun palo. Non sembrava verosimile che in un posto così potessero rubargliela e anche fosse supponeva che sarebbe stato facile individuare il ladro. In fondo nei cartoni animati il cattivo di solito è uno solo.
Scese rapido lungo la passerella e, a costo di sembrare superficiale, sperò di trovare presto Pur e risolvere anche prima, perché moriva dalla voglia di fare un tuffo in quell’acqua cristallina insieme a lei. La tipa gli aveva detto di parlare con Nojiko, che supponeva dovesse essere la stanga dietro al bancone ma dubitava che lo scricciolo con le lentiggini con cui parlava fosse la possessiva Bonney, non foss’altro per il biondo che, proprio sotto gli occhi di Yonji, la sorprese di spalle afferrandola per i fianchi, per poi baciarla come se dovesse verificare la corretta anatomia del suo apparato orale.
Fu solo in quel momento che si rese conto che il biondo non si era avvicinato da solo, che c’era un ragazzo moro con lui, e in braccio al ragazzo moro una creatura difficile da immaginare ma impossibile da dimenticare dopo averla incontrata una volta.
Avrebbe dovuto chiamarsi Incubus, secondo lui, e mai avrebbe osato dirlo a Perona perché teneva ai propri genitali, ma il punto non era quello, il punto era che Kumachi era con il tipo moro che stava con il tipo biondo, chiaramente innamorato perso della tipa lentigginosa con cui parlava poco prima Nojiko, a cui evidentemente non avrebbe dovuto chiedere un bel niente.
Perché non poteva esserci un altro cane come Kumachi in tutto l’universomondo, figuriamoci a Waterwheel, dove Yonji sapeva di poter trovare Perona, e conseguentemente la sua Pur, e Perona stava chiaramente con quelle persone.
Si mise a correre, con il sorriso sulla faccia.
Adorava l’estate e probabilmente Waterwheel era il suo nuovo posto preferito.



Angolo dei saluti:

Ecco, come dire, lo avevo pronto e non mi sono ricordata di pubblicare. L'arrivo della figlia due mi ha abbastanza sconvolto e ce la caviamo come meglio si può. 
MA! 
Non potevo certo lasciare questa storia incompiuta ancora fino alla prossima estate, quindi eccola qui, terribilmente fuori stagione. Per fortuna The Cure non ha stagionalità, anche se non posso fare promesse su quando riuscirò ad aggiornarla, per chi è interessato, si intende. 
Voi siete stati fantastici ad avere tutta questa pazienza e continuare a seguirmi fino ad ora, nonostante i tempi biblici richiesti. 
Sono felice perché con tutti i rimaneggiamenti che ho fatto  questa storia è un po' una summa del mio percorso con i personaggi, dal 2014 ad oggi, a parte un paio di ship  dinamiche che sono cambiate ancora, ma non così tanto in fondo. 
Quindi ovviamente la cosa da fare è ringraziarvi, non avendo i fondi per una statua alla memoria imperitura, a chi mi ha sostenuto sia in corso di scrittura sia leggendo la storia e apprezzandola nonostante le modifiche e le stranezze che ci metto dentro. 
Ad esempio Yamato... 
Non so se sono riuscita a spiegare chi è davvero Yamato in questa storia, ma scriverla così è stato indubbiamente appagante e divertente. 
Grazie in particolare a Ann11na, a Sara senza H, a Eros e a Mary.
Mary tu questa storia l'hai vista proprio nascere e crescere e mai potrò esprimere quanto sia prezioso il tuo supporto e il tuo immancabile entusiasmo, le tue idee e i nostri confronti.
Eros tu sei arrivato a storia già molto inoltrata ma hai dato un contributo senza il quale To the Moon non sarebbe la stessa storia oggi.
Anna, Sara, scusate se non riesco sempre a rispondere alle recensioni. Devo ammettere che mi mancate, ma sappiate che non vi dimentico. 

Come sempre, pace e bene a tutti. 
A presto. 
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