Him di fiona3 (/viewuser.php?uid=510640)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Moonlight ***
Capitolo 2: *** Erythema ***
Capitolo 3: *** Awareness ***
Capitolo 4: *** Sickness ***
Capitolo 5: *** Balance ***
Capitolo 6: *** Look ***
Capitolo 7: *** Smell ***
Capitolo 1 *** Moonlight ***
Him
Era tardi. Stava varcando la soglia della biblioteca, per riporre
l’ultimo libro, prima di dirigersi verso la stanza delle ragazze.
Ripensava alla piacevole serata: la cena, le risate, le chiacchiere
fino a notte inoltrata… Poi, uno per volta, i suoi nakama
avevano cominciato a ritirarsi e solo lei si era trattenuta a dialogare
con Law.
Le piaceva la sua compagnia, nonostante la sua mezza aria di
superiorità: con lui poteva avere quel tipo di rapporto
intellettuale che in linea di massima le mancava con i Mugiwara. Anche
se, a dirla tutta, non le pesava poi così tanto. A questo
pensiero, le labbra si incresparono istintivamente in un sorriso che
racchiudeva tutto l’affetto che nutriva per loro: non li avrebbe
scambiati per tutti i professori del mondo.
Stava per accendere la luce, quando avvertì una presenza
indefinita: c’era un forte odore di alcool, probabilmente
sakè. Dalla finestra filtrava la luce della luna, che delineava
una sagoma seduta sul davanzale: capelli scompigliati, fisico possente,
una bottiglia in mano. Ruotò la testa nella direzione da cui
proveniva il suono dei passi che accedevano alla stanza e la luce
rifletté dal lato sinistro del volto. Si limitò a
fissarla.
“Zoro…?”
Nessuna risposta.
“Ti senti bene? Quanto hai bevuto?”
Ancora niente.
Robin cominciò ad avvertire una sensazione difficile da definire. Restò bloccata pure lei.
Dopo attimi infiniti, finalmente lui parlò: “Cosa ci trovi in lui?”. Un sospiro, appena percepito.
Robin si sentì confusa: “Lui chi?”, chiese, in un
tono che trasudava tutta la sua mancanza di comprensione; ma non
ricevette risposta. Zoro la fissava senza muovere un muscolo, come se
cercasse di abbandonare la propria forma fisica e dissolversi in un
pensiero, un’anima, una sensazione che potesse penetrare dentro
di lei e ottenere quelle risposte che a lui parevano così
inaccessibili.
Con estrema calma, Robin poggiò il libro sul tavolo e
tentò di avvicinarsi, per controllare quanto effettivamente lui
stesse male: era stranissimo.
A pensarci bene, non era improvviso, questo cambiamento: erano giorni
che si faceva vedere poco in giro ed era più taciturno del
solito. Aveva posto poca attenzione a questi dettagli, rispondendosi
che, probabilmente, stava trascorrendo più tempo in allenamenti
e meditazione. Succedeva ogni tanto anche prima, soprattutto dopo uno
scontro importante, in cui lui si era reso conto di qualche difetto
nella propria preparazione. Ora però non c’era stato
nessun grosso combattimento che avesse potuto incrinare
quell’autostima a volte fin troppo pompata. E soprattutto, mai
prima aveva saltato così tanti pasti. Che qualcuno glieli stesse
portando nella coffa? Era alquanto improbabile: avrebbe notato se
qualcuno si fosse allontanato da tavola in modo pressoché
costante. Ma possibile che nessuno si fosse accorto di nulla? A quanto
pare, avevano tratto le sue stesse conclusioni.
Ma cos’era successo? Perché si comportav…
Improvvisamente un volto si fece largo fra i suoi pensieri e si rese
conto di chi fosse quel “lui”.
La sua confusione si amplificò: Zoro era geloso di Law?
Perché mai? Non era il tipo da offendersi se qualcuno lo
strappava dal centro dell’attenzione – non che di solito
fosse così socievole. “Cosa ci trovI in lui?” Non aveva parlato al plurale…
Come se lui stesse seguendo il suo filo di pensieri, in quel momento,
con una lentezza estenuante, si alzò e le si avvicinò.
Era troppo sveglia, sicuramente aveva già capito cosa lui stesse
cercando di comunicarle.
Il volto di lui fu illuminato dalla luce lunare e Robin sentì lo
stomaco contorcersi. Si aspettava di vedere in lui un’espressione
adirata o infastidita, come di solito si confà alla gelosia. Non
lo aveva mai visto così triste…
La fronte aggrottata in cui si disegnavano le tre rughe che gli si
formavano fra le sopracciglia quando era serio; le labbra appaiate e
stirate, quasi a volerle serrare ad ogni costo, nel timore che
rivelassero verità troppo sconvolgenti che l’alcool stava
riesumando dal baratro in cui le aveva affondate; le narici dilatate
come prima di uno scontro, ad arraffare ogni briciolo di ossigeno che
potesse aiutare il cervello a continuare a prevalere sull’istinto
– da quando aveva iniziato a notare così tanto i dettagli
di Zoro? – ; i pomelli arrossati, per effetto del sakè o
di quel tumulto di emozioni che, si vedeva, lo stavano dilaniando.
Ma non poté non sciogliersi nell’osservare
quell’occhio così umido e mai così lontano dalle
lacrime. La scrutava con intensità, quasi a chiederle
perché gli stesse strappando l’anima a brandelli coi suoi
denti bellissimi e perfetti. Robin ebbe l’impressione che la
stesse implorando di avere pietà di lui; stava iniziando a
provare disagio di fronte a quello sguardo penetrante ma immobile: cosa
fissava? Perché era venuto lì? Solo lei accedeva a quella
stanza con regolarità. Cosa voleva da lei?
Cosa continuava ad osservare con tanta ostinazione?
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Capitolo 2 *** Erythema ***
2. Erythema
Zoro si era sentito avvampare quando la luce della luna aveva
accarezzato il suo volto divino. Come poteva essere una donna umana,
quella? Si era perso ad ammirarla in quella sua espressione confusa e
preoccupata. Era in apprensione per lui? O la stava semplicemente
spaventando? Non avrebbe avuto tutti i torti: non era da lui ridursi in
queste condizioni per nessun motivo al mondo.
Dopo tante ore trascorse a contemplarla di nascosto, finalmente poteva
osservarla da vicino: quegli occhi azzurri concentrati come quando
leggeva una lingua morta a cui era poco avvezza; qualche capello
ribelle che si attaccava alla gota destra come ogni volta che si
fermava ad ascoltare qualcuno che la divertiva, appoggiando il viso
sulla mano, che iniziava a sudare; quelle labbra carnose e invitanti in
modo quasi scandaloso, leggermente dischiuse, nell’incertezza fra
continuare nell’interrogatorio o tacere.
Poi una fitta dolorosa all’altezza dello sterno lo aveva colto,
quando aveva notato quel leggero arrossamento sul mento, ipotizzando
che la causa risiedesse nello sfregamento con della barba. Era
all’altezza giusta per un pizzetto… O magari era solo
l’esito di un prurito, magari per colpa di una zanzara.
Restò parecchio tempo a contemplarlo, mentre parte
dell’immensa tristezza che lo aveva in pugno da giorni lasciava
il posto ad una rabbia crescente. Distolse lo sguardo di scatto, per
evitare di peggiorare ulteriormente la sua situazione.
Riuscì a sollevare una mano e, con lentezza disarmante, quasi
col timore che il solo contatto delle sue dita ruvide e callose con
quella cute diafana potessero rovinarla per sempre, prese a staccarle
leggermente quei pochi capelli dalla guancia.
Sentì Robin sussultare – era sorpresa o intimorita?
– e poco dopo fremere, chiudendo gli occhi ed esalando un lieve
sospiro dalla bocca socchiusa.
Le piaceva? Ponderò l’eventualità che la risposta
potesse essere affermativa; prese fra le dita una ciocca lì
vicina e la accarezzò fino in fondo.
Poi, però, il dolore causato dal pensiero che la risposta reale
a quella folle domanda sarebbe stata negativa lo scoraggiò dal
proseguire. Tentò di andarsene.
Si sentì trattenere da una sua mano all’altezza del gomito
e non poté che girarsi di scatto, con un’espressione di
incomprensione piuttosto chiara.
“Cosa c’è?” La voce sembrava tremarle.
Zoro si liberò dalla presa e afferrò la maniglia, ma ancora una volta venne bloccato.
“Lasciami” Sembrava una supplica.
“Spiegami” Un sussurro.
“Tzs” Un sorriso sarcastico gli si formò sul volto. “Lasciami andare”.
“No”.
Zoro trasse un profondo sospiro e si voltò nella sua direzione, senza però fornirle la risposta che voleva.
Lei allora cominciò a far scorrere verso l’alto la mano
che aveva ancora ferma nell’incavo del suo gomito, fermandola a
livello della spalla. Lui si sentì ribollire a quella carezza,
più o meno volontaria che fosse: quante volte aveva sognato una
situazione simile, mentre la spiava sfiorare le pagine di quei tomi
antichi?
Non riuscì a trattenersi, incolpando il sakè:
abbassò la testa e prese a strusciare la propria guancia sul
dorso di quella mano angelica.
Robin fu sorpresa dalla dolcezza di quel gesto: quanto doveva star
soffrendo per arrivare a richiedere una tenerezza simile, lui che mai
mostrava affetto con qualsivoglia tipo di effusione ai propri amici?
Forse quei due anni di lontananza avevano pesato molto anche su di lui;
forse si era risvegliato in lui il terrore della solitudine, di aver
perso ancora una volta l’unica forma di famiglia che la vita gli
avesse concesso: gli amici. Nella sua solitudine si rispecchiò
la sua e rivisse il senso di abbandono e di rifiuto che avevano
caratterizzato la sua vita. Mostri, li aveva sempre definiti la gente.
Forse la vita di Zoro non era stata troppo meglio della sua.
Senza quasi accorgersene, ruotò la mano, cosicché il suo
palmo si trovò ad accogliere la guancia di lui. Zoro ne
sembrò ustionato: sgranò l’occhio e si
ritirò.
Fu quell’azione che iniziò ad instillare in lui il dubbio
che forse lei un po’ ci teneva, a lui. O probabilmente le stava
solo facendo pena.
Di nuovo si sentì invadere dall’ira e stavolta non
riuscì a controllarsi appieno: lasciò la presa sulla
bottiglia, che cadde senza frantumarsi, ma riversando a terra il
proprio contenuto; afferrò Robin con la mano destra per il
bacino e con l’altra per la nuca, tirandole leggermente i
capelli. Lei soffocò un gemito, ma non traspariva paura dai suoi
occhi: sembrava essersi abbandonata a lui.
Tuffò il naso fra i suoi capelli, proprio dietro
l’orecchio, e aspirò profondamente: fiori. Perché
era così diabolicamente perfetta? Perché gli era
diventato così impossibile resisterle?
Cominciò a scendere con lentezza estenuante, accarezzandola con
la punta del naso, mentre con la destra le accarezzava la coscia,
lasciata scoperta dallo spacco della gonna. La guancia, il
collo… Robin iniziò a fremere a quel contatto. Il petto,
giù fino all’incavo dei seni…
Stavolta il gemito le uscì prima che potesse rendersi conto di quel che il suo corpo le stava comunicando.
Fu Zoro ad esserne colpito. Si sollevò, nell’intento di
guardarla negli occhi per capire cosa volesse, ma si scontrò di
nuovo con quell’eritema sul mento.
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Capitolo 3 *** Awareness ***
3. Awareness
La passione e l’ira si mescolarono in un vortice di
disperazione. Che cos’era diventato? Si era davvero lasciato ammaliare così
tanto da una donna da arrivare all’autodistruzione? Non mangiava da giorni, non
dormiva; nemmeno riusciva più ad allenarsi. Ma il suo onore aveva ora raggiunto
l’oblio: si era ridotto a tentare di sedurla, pur nella convinzione che lei
appartenesse già a quell’altro.
Convinzione, certo, perché lei non aveva esplicitato alcunché, ma i fatti erano
inequivocabili: da quando quello era
salito a bordo, lei non sembrava avere occhi per nessun’altro.
Con un grugnito rabbioso, si staccò da lei, che barcollò,
essendosi assuefatta alla sua presa.
Robin ritornò lucida e fu travolta da troppe sensazioni
contemporanee per poter essere decifrate allo stesso tempo: il piacere, il
desiderio che continuasse, la frustrazione per quell’interruzione così brusca.
Ma soprattutto quella confusione che non accennava a chiarirsi.
“Ho… ho fatto… qualcosa di sbagliato?” Non riuscì però a
guardarlo in faccia, mentre sussurrava a fatica quelle poche parole. Continuava
ad osservare l’alcool fuoriuscito dalla bottiglia, che si stava spandendo per
tutto il pavimento. Si sentiva in quel modo anche lei: liquida, indefinita,
priva di forma. In pochi minuti, Zoro aveva cancellato ogni sua convinzione,
almeno in ambito emotivo-sentimentale. Rufy l’aveva accolta senza proteste;
tutti loro, chi prima chi dopo, l’avevano accettata, rispettata, difesa
strenuamente. Persino lui. E lei, per la prima volta in vita sua, aveva trovato
un posto da poter chiamare casa. Non
si era certo posta il problema del ruolo
che ogni singolo componente di quella ciurma avrebbe rivestito nella sua esistenza.
Loro erano nakama. Tutti, senza eccezione, né preferenze. Ma in quei pochi
istanti si era trasformato il suo rapporto con lo spadaccino. E improvvisamente
tante cose di sé stessa le parvero più chiare: la tendenza a stare con lui più
che con gli altri, se c’era l’occasione; l’attenzione prestata in modo quasi
maniacale alle sue più piccole abitudini; le centinaia di volte in cui si era
ritrovata ad osservarlo senza ragione, mentre dormiva, si allenava, parlava con
Chopper. Provò rapidamente a fare dei confronti: non aveva idea
dell’espressione che facesse Nami di fronte ad un cibo poco gradito, o quante
volte al giorno Franky si rifornisse di cola, né come si schiarisse la voce
Usop prima di raccontare una balla. Di Zoro sapeva tutto…almeno tutto ciò che
lui le permetteva di captare.
Zoro la stava fissando allucinato, in preda a emozioni che
non si prendeva più la briga di tentare di distinguere. Era forse impazzita?
Prima si divertiva con quello e poi,
come se niente fosse, passava a lui? Erano poche le cose che sapeva di lei, ma
non gli aveva mai dato l’impressione di essere una farfalla che vola di fiore
in fiore. “E me lo chiedi?!” ringhiò, facendola sobbalzare. In cambio, da lei
ebbe uno sguardo completamente perso, con gli occhi che cominciavano ad
inumidirsi, che lo spiazzarono ancora una volta. Di fronte alla possibilità di
farla piangere, fu invaso da un senso di colpa tale che, senza preavviso, la
abbracciò.
Un abbraccio strettissimo, che non le consentì nemmeno di
ricambiare: rimase con i gomiti piegati, gli avambracci appiccicati al petto di
lui. Ora però stava esagerando: un minuto prima si comportava come se lei fosse
la cosa più preziosa al mondo e subito dopo tornava a maltrattarla. Il suo
orgoglio si risvegliò, si divincolò dalla presa e lo spinse via con veemenza.
“Ma insomma, che ti prende?!” la voce le tremava. Lo vide oscurarsi in volto e
guardare a terra, poi riavvicinarsi a lei con più cautela. Fece scivolare le
mani sul bordo della gonna, fino a cingerla dolcemente e si piegò per
appoggiare la fronte sulla sua morbida spalla. Robin ricambiò la stretta.
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Capitolo 4 *** Sickness ***
4. Sickness
“Cosa c’è che non va? Sei così strano… Sono giorni che ti
comporti come…come se fossi infastidito da qualcosa…o da qualcuno…”
Non rispose. Come faceva quella donna ad avere già
analizzato e compreso tutto?
“E’ per colpa di Law?”
Robin non ottenne una risposta verbale, ma si sentì
afferrare più strettamente. Sembrava un bambino terrorizzato e indifeso, che
lottava disperatamente fra la verità e l’orgoglio e si aggrappava a lei,
speranzoso di trovarvi salvezza.
“Ma cosa ti dà tanto fastidio di lui?” lo chiese
delicatamente, timorosa di vederlo schizzare di nuovo.
“E tu…che ci trovi in lui?” non aveva ancora ottenuto
risposta a quella domanda che lo tormentava da giorni.
“In che senso?”
“Lo sai benissimo” un sibilo, a denti stretti.
“No che non lo so. Non parli. Spiegati.”
Zoro si sentì impazzire e non resistette più: aveva bevuto
troppo anche per il suo fisico. Sollevò la sinistra e le afferrò la nuca,
mentre la spingeva contro la libreria. Robin mugolò leggermente allo scontro e
lui approfittò delle labbra socchiuse per buttarcisi con rancore e passione.
Non gli uscì il bacio su cui tanto aveva fantasticato: le sue labbra erano
morbide più di quanto immaginasse ma lui era troppo iroso, contratto. Ne
scaturì un bacio rozzo, a scatti. Tentò di intrufolare la lingua fra i suoi
denti, ma ne ricevette un morso. Aprì l’occhio ed incontrò lo sguardo severo di
Robin. Evidentemente, per lei, non era una spiegazione sufficiente.
Sciolse l’abbraccio e la afferrò per le spalle, incurante di
procurarle dolore. Non era neanche lontanamente paragonabile a quello che lei
stava infliggendo a lui. Robin aveva paura, ora: mai aveva visto Zoro perdere
il controllo e mai si sarebbe aspettata da lui che lo perdesse in un simile
contesto. Non sapeva come comportarsi. Lui la stava fissando col volto
contratto e l’occhio sbarrato, i denti digrignati. Sembrava volesse affondare
le dita nelle sue spalle.
“Non sopporto la sua aria di superiorità. Non sopporto che
decida tutto per tutti. Ma soprattutto non sopporto che stiate così tanto
insieme. Vedere come gli occhi ti brillano alle sue osservazioni da
professorino. Come ridi alle sue battute intellettuali. Come curi il tuo
aspetto da quando lui è qui. E ancor
più detesto il modo in cui lui ti
guarda, con quel misto di lascivia e presunzione! Cos’avete fatto fino a
quest’ora, eh?! No, per carità, non voglio sentirlo!”
E di nuovo si spinse via da lei.
Robin lo fissava come se fosse preda di un delirio
psicotico.
E questo non fece che alimentare il suo livore.
“Che c’è?! Speravi che nessuno se ne accorgesse? Che foste i
soli abbastanza svegli da notare quanto schifosamente…” E si bloccò,
boccheggiante, incapace di proseguire. Nella sua testa, il discorso continuava
con “amoreggiate” ma non riuscì ad articolare la parola, in preda ad un conato
di vomito.
Il buio copriva il colorito rosso fuoco e insieme verdastro
che stava assumendo, ma Robin percepì i singulti e tentò di avvicinarglisi per
tranquillizzarlo.
Zoro era davvero geloso di lei? Provò a richiamare alla
mente situazioni in cui lui poteva aver manifestato interesse nei suoi
confronti ma non ne trovò. E non c’era da stupirsi: era Zoro. Lui non tradiva
mai i propri sentimenti, tanto da dare l’impressione, a volte, di non averne.
Lui aveva il suo scopo da raggiungere e non si sarebbe lasciato distrarre.
Adesso Zoro era di spalle e respirava con affanno. Robin lo
abbracciò da dietro, poggiando la fronte sulla sua nuca e carezzandogli il
torace. Lo sentì rabbrividire, quindi irrigidirsi. Si era imposto di non
parlare ancora: aveva già raggiunto livelli di umiliazione vergognosi. Fu lei a
riprendere, soffiando sul suo collo: “Non so perché ti stia comportando così.
Ma posso dirti che le tue impressioni non sono corrette. È vero: mi piace
parlare con lui, ma niente di più.” Sentì che Zoro tentava di divincolarsi
dalla presa, quindi strinse più forte. Aspettò che si fermasse. “Se c’è
qualcuno per cui provo un interesse particolare, non è certo lui”, la sua voce
si era fatta ancor più debole: Zoro azzardò a definirla quasi triste. Si
concentrò, aspettando che lei continuasse. Ma così non fu.
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Capitolo 5 *** Balance ***
5. Balance
Restarono in quella posizione per diversi minuti, immersi
nei propri pensieri, nel tentativo di ritrovare la tranquillità necessaria per
uscire degnamente da quella situazione.
Robin comprese che non avrebbe ottenuto grandi risultati a
parole: lui era la persona più testarda e orgogliosa che conoscesse e
tutt’altro che assuefatto al dialogo.
Ma d'altronde, tra di loro, era sempre
stato così: con uno sguardo riuscivano a riportare a galla l’uno le esperienze
più dolorose dell’altro e, allo stesso tempo, ad esorcizzarle, a viverle nel
proprio Io come se vi avessero partecipato realmente. Perché avrebbero voluto
esserci, anche solo come presenza, come una carezza.
Potevano trascorrere
pomeriggi interi stando vicini, ma senza emettere fiato, e scoprirsi uniti come
se fossero stati una cosa sola da sempre.
Provavano un certo senso di
appagamento in tutto questo: riuscire a trovare un’unione speciale, quasi
segreta, ma senza dubbio unica, in un modo che fosse “concesso”, senza
stravolgere l’equilibrio bellissimo di quella famiglia.
Poi, però, qualcosa di sconvolgente era successo. E forse Zoro ne aveva risentito di più.
Di colpo, lui
aveva smesso di avvicinarla e lei era stata troppo distratta per ricercarlo. Distratta dalla sua sete inesauribile di
sapere.
Si sentì egoista e dannatamente stupida.
Dopo tanto tempo insieme, dopo
aver instaurato un rapporto così speciale ma precario, come aveva potuto
permettere che venisse incrinato in una maniera tanto sciocca? È vero: Zoro,
preda della gelosia, della solitudine, del senso di abbandono, si era lasciato
trasportare troppo dalla fantasia, arrivando ad immaginare cose che generavano
un vago senso di disgusto anche a lei. Però era anche vero che lei non aveva
fatto nulla per aiutarlo, sebbene mai avrebbe potuto immaginare una reazione
così spropositata.
Ma mai neppure si sarebbe potuta spingere ad immaginare che
quello spadaccino potesse innamorarsi.
Men che meno, che potesse succedere anche a lei.
Decise perciò che avrebbe tentato di dimostrargli per chi
provasse qualcosa di speciale.
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Capitolo 6 *** Look ***
6. Look
Era consapevole del fatto che avrebbe dovuto dirglielo: lei aveva
diritto di saperlo, no?
Si era sentito avvolgere da dietro ed ebbe l’impressione che
una corrente elettrica lo attraversasse. Ripensò a Skypiea, a quando l’aveva
vista irrigidirsi e poi crollare. La collera e il dolore.
No, non l’avrebbe mai rivelato. A che scopo poi? Era una
situazione a dir poco assurda. Non era mai successo niente tra di loro, a
malapena si parlavano ma, per qualche insensato motivo, lui aveva preso a
considerarla sua. E lui si
considerava suo. Solo quando
quell’idillio era stato incrinato aveva cominciato a comprendere che, in
realtà, era tutto avvenuto solo nella sua testa.
Stava sforzandosi per mantenere il controllo, nonostante il
suo caldo respiro sull’orecchio. Era una bellissima tortura. Avrebbe voluto
restare in quella posizione all’infinito e al contempo voleva scappare da
quell’umiliazione crescente.
Chi gli aveva concesso il diritto di pensare che Robin
sarebbe rimasta sempre lì, ad aspettarlo realizzare il suo sogno e quello di
Rufy? Come poteva ipotizzare che una donna come lei, con tutto ciò che poteva
ottenere dalla vita, avrebbe atteso che lui fosse pronto a intraprendere una
vita sentimentale? Pensava forse che lei vivesse con l’unico obiettivo di
venire accettata da lui? Ma a pensarci bene, come poteva anche solo immaginare
che una donna simile potesse interessarsi ad uno come lui? Non aveva mai dato
segnali di alcun tipo: dopo Enies Lobby, era stato praticamente sempre lui ad
avvicinarla in quei pomeriggi infiniti sul ponte, nonostante non trovasse mai
poi niente da dirle.
Il profumo di Robin gli aveva ormai impregnato le narici.
Non sentiva altro. Riusciva ad ubriacarlo all’istante. Forse aveva attribuito
al sakè delle colpe ingiuste.
La consapevolezza della sua completa idiozia gli era
piombata addosso come un macigno, come una secchiata d’acqua marmata,
all’improvviso, al primo sguardo che quei due si erano scambiati. Da quel
momento, lei non aveva più avuto momenti di solitudine: persino quando leggeva
qualcosa, quello era lì per
sbandierare la sua opinione. E lui non aveva più avuto occasioni per gustare la
serenità che le infondeva la sua vicinanza, quando poteva gettarle occhiate
furtive ed individuare ogni volta un nuovo dettaglio. Lui non aveva quel tipo
di opinioni. Lui non poteva intrattenerla.
In fin dei conti, Sanji non aveva tutti i torti a chiamarlo
“alga senza cervello”: se davvero ne avesse posseduto uno, avrebbe fatto di
tutto per evitare di arrivare a quel punto, fin dai primi segnali d’allarme.
Ora, però, perché Robin si stava comportando così? Lo
prendeva in giro? Aveva detto che provava interesse per qualcuno e poi si era
bloccata.
Fu in quel momento che avvertì le sue labbra carnose e
leggermente umide poggiarsi sul suo collo e indugiarvi. Con difficoltà ricacciò
dentro un sospiro ma, d’istinto, abbassò la palpebra e piegò la testa dal lato
opposto, per farle spazio. Cercò di comprendere cosa fare e, soprattutto, se
mandare alle ortiche anche gli ultimi barlumi di orgoglio rimastigli.
Robin si staccò e cominciò a lasciargli leggeri, dolci baci,
risalendo fino all’orecchio, con una lentezza disarmante. Aveva intrufolato le
mani sotto la sua veste, tracciando delicatamente dei cerchi sul suo petto. Lo
stomaco si strinse fino a fargli male e un calore immenso cominciò a risalire
dalle viscere. Non aveva immaginato mai di potersi sentire così.
Da giorni ormai agognava una sua attenzione e ora lei gliela
stava concedendo in un modo che non avrebbe mai osato sperare.
Fanculo l’orgoglio.
Non riusciva a resisterle.
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Capitolo 7 *** Smell ***
7. Smell
Giunta dietro all’orecchio, vi si soffermò, cercando di
aspirare tutto il suo odore. “L’olfatto
umano è l’unico senso che viene percepito istantaneamente;”, le aveva
spiegato Law poco prima, “raggiunge la
corteccia cerebrale senza essere prima filtrato dal talamo: arriva
incondizionato e immediato, perciò può evocare ricordi e sensazioni che ci
sembrano privi di senso: va oltre la ragione”. Forse anche questo spiegava
l’apparentemente assurdo senso di benessere che le infondeva la sola presenza
di Zoro. Come se l’anima di lui si librasse e andasse a toccare direttamente la
sua.
Le labbra le si incresparono in un sorriso divertito, al
pensiero di come lui avrebbe reagito se avesse saputo che le ero tornato quello alla mente. Anche se quello aveva contribuito a farle fare
chiarezza sui propri sentimenti.
Zoro si voltò di scatto. Sembrava offeso. Le leggeva nella
mente? O credeva che ridesse di lui?
Robin addolcì la propria espressione in un sorriso caldo,
che però sparì subito, lasciandole uno sguardo intenso. Approfittò del fatto
che si fosse girato: sollevò una mano dal suo torace e gli afferrò
delicatamente la mandibola. Non smise di fissarlo, mentre gli si avvicinava
lentamente. Posò un bacio nello spazio fra le labbra ed il mento e lo osservò
abbandonarsi a lei. Ma non si mosse. Aveva paura di lei? O di se stesso?
Gli prese una mano, mostrandogli come carezzarle una
guancia. Lui parve sorpreso, ma non si ritirò: la sfiorava con il pollice,
compiendo dei semicerchi. Quelle dita così assuefatte alla brutalità sapevano
regalare delle sensazioni talmente dolci… A lei, mai oggetto di simili premure,
sembrò di rinascere, tornare bambina, ricominciare tutto daccapo. L’affetto, la
consolazione, l’innocenza: tutto ciò che non aveva mai fatto parte della sua
vita le piombò addosso all’improvviso, come a creare un abisso, un confine fra
il prima ed il dopo. Era tutto ciò che desiderava e solo lui poteva
fornirglielo.
Lo tirò ancor più vicino a sé e stavolta si gettò
direttamente sulla bocca. Con disperazione. Si tenne incollata a lui per degli
attimi infiniti, assaporando l’attesa del nuovo inizio, agognando che Zoro si
muovesse, cominciando a plasmarla in una nuova forma. Ma lui restava fermo,
terrorizzato. Finché Robin dischiuse le labbra. Bastò quello per scuoterlo
definitivamente.
Le passò le mani sulla schiena, rimarcando ogni sua curva.
Cercava nel contatto fisico la conferma che quello non fosse uno dei suoi
sogni, ma Robin che davvero si aggrappava a lui come se fosse la sorgente del
suo ossigeno. Risalì con la sinistra fino a quel collo diafano e delicatissimo
e lo usò come punto su cui far forza per premerla ulteriormente contro di sé.
Avrebbe voluto fondersi con lei. Avvolgersi a lei come a formare il guscio che
la isolasse del mondo che l’aveva aborrita fin dai suoi primi passi e lasciare
che lei si accoccolasse dentro di lui a riempire quel vuoto che non sapeva più
neanche giustificare.
L’altra mano era scesa a sfiorare leggermente il costato, la
vita, il fianco, per poi portarsi dietro e continuare a scendere. Quasi senza
volerlo, lei lo aiutò nell’impresa, sollevando lentamente la gamba. Erano
movimenti automatici, come eternamente ripetuti. La corsa di quella mano
fremente ma placida si arrestò solo all’incavo del ginocchio, su cui fece
pressione: la gamba, docile, si piegò, permettendogli di alzarla fino ad
ancorarsela in vita.
La sollevò, mentre con la lingua cominciava ad esplorarle la
bocca, e la sentì aggrapparsi ai suoi capelli. Forse davvero era lui che lei
voleva. Un focolaio di speranza cominciò a farsi spazio nel suo torace ed ebbe
l’impressione che la morsa che gli attanagliava lo stomaco e gli costringeva i
polmoni si andasse allentando. Era sollievo? Soddisfazione? Le unghie di Robin
affondavano nella sua nuca. Era gioia. E più quelle dita si artigliavano e più
cresceva.
Senza separarsene, la adagiò sul tavolo. Le mani di Robin si
erano pian piano intrufolate di nuovo sotto la sua veste: aveva ripreso con le
sue carezze pietrificanti, che gli annebbiavano la mente. Risarcivano ferite
invisibili che le cicatrici non avevano coperto. Nemmeno si era accorto che gli
aveva fatto scivolare l’abito dalle spalle, finché non avvertì le sue labbra
poggiarvisi e lasciarvi umidi baci. Quando alle labbra si sostituirono i denti,
non riuscì a trattenere un gemito roco: quella morsa era definitivamente andata
in frantumi.
Robin sollevò lo sguardo, come ipnotizzata.
Quella lacrima così faticosamente trattenuta le rotolò giù,
lungo la guancia.
Zoro non le aveva mai sorriso prima…
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