The end where I begin

di _Pulse_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The end where I begin ***
Capitolo 2: *** Crazy without you ***
Capitolo 3: *** Prime luci nell'oscurità ***
Capitolo 4: *** Ricordare: siamo sicuri? ***
Capitolo 5: *** «Destini incomprensibilmente intrecciati» ***
Capitolo 6: *** Know everything ***
Capitolo 7: *** Una notte insonne: il romanticismo e i ragazzi, due mondi differenti? ***
Capitolo 8: *** Decisioni difficili ***
Capitolo 9: *** Il matrimonio ***
Capitolo 10: *** Epilogo: Another Neverending Story ***



Capitolo 1
*** The end where I begin ***


Nota: Eccolo qui, l'attesissimo sequel di "Surf che Passione" Embè, embè... eccolo qui. Non so che dire, oltre al solito insulso "Spero che vi piaccia". Beh, la verità è sempre una qualità apprezzata, no? Quindi, Spero che vi piaccia! Che sia all'altezza delle vostre aspettative e... Passo ai saluti, se no non lo posto più questo capitolo ^^ :
Scarabocchio_: Socia, grazie di tutto. Sia per i commenti che per le belle serate passate a chiacchierare su msn. Ci scarichiamo addosso tutti i problemi del mondo, ma in un certo senso è bella come cosa. Sono contenta di averti conosciuta e, come sai (Hai le anticipazioni, gli altri ti odieranno!), questo sequel è per te. Credo molto in te, pessimista, e a volte riesci a tirarmi giù, di nuovo con i piedi per terra, perchè nel mondo non bisogna mai essere troppo positivi... Va bè, questa è una cosa nostra. Comunque, grazie per tutte le recensioni che hai lasciato e ne aspetto ancora tante per questo! Ti voglio bene, by your optimistic Socia! Bacio gigante!!
tokiohotelfurimmer: Ciao! Ma come stai?! A me non è ancora arrivato niente, eh... O_o Vedrai che Bill e Camilla combineranno molto più un qualcosa, e Jinny e Tom... beh, leggere per sapere! La solita miss pefidia.
marty sweet princess: Amante degli happy ending che spera sempre e comunque in un lieto fine, ci si rivede! Spero che con questo sequel sarai felice, perchè ne combinerò delle belle!
Ladysimple: Grazie mille per i complimenti, sono molto felice che questa resterà la tua fanfiction preferita! Wow, sono commossa... Va bè, non mi potete vedere, ma piango ogni volta che ci penso. Vedrai, Tom, quel buzzurro, ne combinerà delle belle anche qui, ma userà un pò di più la testa, e quella cosa tanto fragile e segreta che ha in mezzo al petto... il cuore. Strano, ne? Basta con le anticipazioni!!
niky94: Grazie, perchè non te ne perdi una!! Un bacio grande grande.
Kvery12: Grazie! Spero che questa volta... faccia uno strappo alla regola, ti deve piacere!! Eheh, un bacio!

Grazie anche a tutti quelli che hanno letto, anche se mi aspetto molte nuove persone a commentare, perchè io non mi accontento mai, lo ammetto!! Un bacio, la vostra stramba "autrice" Ary.



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Sometimes we don't learn from our mistakes
Sometimes we've no choice but to walk away, away
Tried to break my heart
Well it's broke
Tried to hang me high
Well I'm choked
Wanted rain on me
Well I'm soaked
Soaked to the skin

It's the end where I begin
It's the end where I begin

1
The end
where I begin

 

Erano passati otto mesi. Otto cavolo di mesi senza lei, spenti seppure fossero stati molto impegnativi tra le interviste, la promozione dell’album, che avevano registrato quando ancora lei c’era, e il nuovo tour.

Non riusciva a capire bene cosa c’era che non andava: avevano tutto, eppure… Forse faceva finta di non vedere, cercava in ogni modo di convincersi che non era la sua assenza la causa del suo umore sempre fiacco, ma che da un po’ di tempo era stressato. Ma tutti sapevano che non era così.

C’era Bill che ogni tanto cadeva in stati di tristezza assoluta durante i quali non voleva fare altro che piangere perché le aveva fatto una promessa e, a causa della lontananza, degli impegni e anche un po’ del fratello e di quello che provava lei ogni volta che lo sentiva, non era riuscito a mantenerla. Ci era riuscito per un paio di mesi, ma poi il loro rapporto sembrava così freddo che aveva preferito non chiamarla più, anche per il suo stesso bene.

Mentre Tom era lì seduto a pensare a tutte quelle cose e molte ragazze gli lanciavano occhiate seducenti, si scolava un bicchiere dopo l’altro, evidentemente poco attratto da quel party, e guardava con la coda dell’occhio Gustav e la sua nuova ragazza, conosciuta un pomeriggio di ben tre mesi prima, prima di un concerto, scambiarsi smancerie che lo deprimevano sempre di più.

«Che fai Tom, te ne stai lì impalato o ti decidi e te ne scopi una?», chiese Georg scocciato da quel Tom non più Tom.

Se gli mancava così tanto, perché non la chiamava? Georg Se lo chiedeva spesso, ma capiva bene il perché, dopotutto. Era stata solo colpa sua se si erano lasciati e non voleva ammettere così grossolanamente il suo errore. Però… quando gli sarebbe passata? Non gli piaceva vedere Tom in quelle condizioni, anche perché se stava così lui, Bill stava dieci volte peggio a causa della sua trasparenza d’animo. Tom tendeva a nascondersi e a tenersi tutto dentro, mentre Bill si lamentava continuamente con loro, fino ad assorbirgli tutta la linfa vitale.

Mancava a tutti, non c’erano dubbi, ma in qualche modo dovevano pur andare avanti.

«Allora?», chiese ancora all’amico che fissava con occhi languidi il suo bicchiere mezzo vuoto.

«No, stasera non mi va, vai tu», gli disse.

«Senti», si mise seduto al suo fianco sul divanetto e gli mise una mano sulla spalla. «Non puoi andare avanti così!»

«Bill finalmente mi ha detto quel famoso: “Te l’avevo detto!”, sai?», sospirò.

«E quando?»

«Stamattina.»

«È per questo che oggi sei più giù del solito?»

«Più giù del solito? Oh, grazie Georg, questo sì che mi tira su di morale!»

«Ma scusa… perché non metti da parte l’orgoglio e la chiami?»

«Non mi vuole più sentire e fa bene.»

«E chi te lo dice?»

«È così, so che è così! Dopo tutto quello che le ho fatto… non merito una seconda opportunità, nemmeno da lei.»

«Tom, tutti meritiamo una seconda possibilità, se siamo sinceri.»

«Già, con lei non mi sono comportato bene.»

«Invece ti sei comportato bene, secondo me.»

«Mi stai prendendo per il culo?»

«No. Tom, tu le hai detto subito di non sperare troppo nel lieto fine, mi sembra. Sei stato onesto, non l’hai presa in giro e te ne sei sbattuto la minchia come avresti fatto con una qualunque.»

«Ma lei non è una qualunque, lo so. Ho sbagliato. Di brutto.»

«Tom, devi riprenderti. Non so come, ma in qualche modo devi, non sopporto di vederti così, nessuno di noi può. Ok?»

«Ok, ci proverò. Grazie.»

«Dovere, amico. Che hai intenzione di fare, ora?»

«Credo che tornerò a casa.»

«Ok, portati dietro anche Bill, non si diverte per niente.»

«Ci copri tu con David?»

«Ci mancherebbe altro. Ci vediamo domani, allora.»

«Ok, notte Georg.»

Si alzò dal divanetto e si stiracchiò le braccia. Incrociò lo sguardo di Gustav e lo salutò con una mano. Lui ricambiò distratto, così preso dalla sua bella.

Non credeva potesse mai succedere, ma in quel momento lo invidiò perché lui aveva la persona che amava al suo fianco e lui no.

Cazzo, era innamorato di lei e non se ne era mai reso conto, non aveva mai aperto gli occhi veramente e quelle erano le conseguenze che doveva pagare.

Girò per l’intero locale fra le luci soffuse dei privè, quelle appena più forti del bar e quelle della pista da ballo, un po’ preoccupato perché non trovava Bill da nessuna parte.

Finalmente lo vide in un angolo, che rideva da solo con un grande bicchiere in mano. Lo raggiunse quasi di corsa e lo sorresse mettendogli un braccio intorno alla vita.

«Ehi, fratellone!», gridò.

«Molla l’osso, sei ubriaco», gli disse un Tom severo rubandogli il bicchiere di mano.

«Uffa, sei proprio un guastafeste!»  

«Sì, ringrazia solo di avere un guastafeste che ti vuole bene. Forza, andiamo a casa.»

Lo condusse fuori dal locale e lo fece sedere in macchina. Stava per mettere in moto, quando si sentì osservato e lo guardò: stava piangendo.

«Perché piangi, Bill?», gli chiese a fatica con un groppo in gola.

«Mi manca Jinny.»

Tom chiuse gli occhi e sospirò appoggiando la testa al sedile.

«A chi non manca, eh?»

«Perché non la chiamiamo?»

«Solo le tre del mattino, Bill.»

«E allora? Dai, ti prego, chiamiamola.»

Odiava vedere suo fratello in quelle condizioni e per il fatto che erano gemelli riusciva a percepire il suo malessere come se fosse proprio, e non era una bella sensazione. Sospirò addolcendosi e tirò fuori il cellulare.

«Se non ci risponde la prima volta basta, ok?», gli disse, ma Bill era troppo contento anche solo per ascoltarlo.

Tom ci mise infinitamente poco a trovare il suo nome in rubrica, abituato com’era a fissarlo nelle notti insonni, e con gli occhi lucidi mise il vivavoce.

C’era il silenzio più assoluto e così anche loro avevano trattenuto il respiro, poi una voce addormentata li fece sobbalzare.

«Si può sapere chi cazzo è quest’ora di notte?! Io domani ho anche scuola!», gridò alquanto impedita da uno sbadiglio.

Si fissarono e Bill si lasciò scappare un sorriso, mentre Tom era imbambolato, i polmoni stretti in una morsa d’acciaio.

La sua voce era… era lei, la stava sentendo, dopo otto mesi di silenzio era di nuovo lì, che gli parlava. Era fin troppo irreale.

«Allora, si può sapere con chi ho l’onore di parlare?!»

«Ciao, sono Bill!», urlò lui ancora fra le lacrime.

«Chi?! Io non conosco nessun Bill, mi sa che hai sbagliato numero! E ora buona notte!»

Chiuse la chiamata e Bill guardò il cellulare, una nuova fitta nel cuore lo percosse e si trovò a piangere più di prima.

«Era lei…», soffiò. «Non mi vuole più sentire…»

«Magari non ti ha riconosciuto», optò il chitarrista, ma con speranze pari a zero.

«Tomi, voglio che torni tutto come prima!»

«Bill, non so che altro dirti oltre che è stata tutta colpa mia. Se ti avessi ascoltato, a quest’ora…»

Tom venne travolto da Bill che lo abbracciò e lo strinse forte a sé, nascondendo il viso nell’incavo della sua spalla.

«Tomi, non dire così», sussurrò.

«Ma è la verità!»

«Voglio andare a casa», si scostò e lo guardò intensamente negli occhi prima di sedersi nella maniera più composta possibile sul proprio sedile ed asciugarsi le lacrime sulle guance.

«Ok, andiamo, domani ci aspetta una lunga giornata.»

 

***

 

Ok, se l’erano cercata, Benjamin aveva tutta la ragione e il diritto del mondo a rimproverarli, ma Tom vedeva che negli occhi del loro management c’era anche qualcos’altro, soprattutto contro di lui. Non bastava il dolore che già di per sé provava? No, ci si doveva mettere pure lui con le sue frecciatine.

Da quando aveva saputo da suo fratello quello che era successo alla sua nipotina Jinny e quello che aveva fatto Tom, anche se lei aveva detto poco o niente di tutto quello che avevano combinato, l’aveva sempre guardato male, con quel cenno di ostilità nei comportamenti e negli sguardi.

Tom era sempre rimasto in silenzio e aveva subìto, così come doveva essere, ma quando Benjamin metteva in mezzo quella storia con cose che non c’entravano niente, come il ritardo di mezz’ora che avevano fatto lui e Bill quella mattina, no, non lo sopportava. Ma era stato zitto anche in quel caso, lottando contro la rabbia, perché sapeva che non sarebbe andata a finire bene comunque.

Finita la ramanzina aveva solo voglia di andare a prendersi un caffè, visto che quella mattina non avevano fatto in tempo a fare niente a causa del mostruoso ritardo, perché ne aveva davvero bisogno. E poi fare quattro passi lo avrebbe aiutato a scaricare la tensione.

Arrivò alla macchinetta con le mani nelle tasche e si accorse di non avere con sé la chiavetta. Doveva averla lasciata a casa nella fretta.

Di bene in meglio, complimenti!

Sospirò infastidito e si mise appoggiato al muro di fronte ad essa, a guardare il pavimento e a riflettere.

Si rese conto che Benjamin non aveva mai parlato esplicitamente di Jinny con lui e che lei non era mai sulla sua bocca. Per certi versi era un bene, per altri un male: se ne avesse parlato si sarebbe trovato con il cuore spaccato ad ogni singola parola e non poteva permettere di far vedere a tutti come soffriva; ma se non ne parlava lui si ritrovava costretto a viaggiare con la fantasia e ad immaginarsela. Non sapeva che faceva, come stava… non sapeva nulla di lei, era come sparita dalla faccia della terra.

Una volta l’aveva pure sognata: era bellissima, come sempre, senza il gesso alla caviglia, e sorrideva al sole, sdraiata sulla sabbia. Poi era arrivato Riky e il sogno si era chiuso in bellezza con un bacio e una risata fra i due alle spalle di Tom, trasformandosi in un incubo. Quella notte non era più riuscito a dormire.

«Ehm… mi scusi…»

Sgranò gli occhi nel sentire quella voce così simile alla sua. Era la donna seduta dietro il bancone della reception, che lo guardava e sorrideva imbarazzata. Aveva due occhi verdi che Tom associò dolorosamente identici a quelli di Jinny, ma preferì non pensarci troppo.

«Ha bisogno di qualcosa?», gli chiese.

Era una donna sulla quarantina, di corporatura esile, i capelli biondi e corti, anch’essi molto simili a quelli di Jinny, raccolti in una coda sulla nuca.

«No, non si preoccupi. Lei è nuova? Non mi sembra di averla mai vista prima.»

«No, in verità sono qui da una settimana.»

«Oh, non me ne sono accorto.»

«Sembra molto sulle nuvole in questo periodo, Herr Kaulitz.»

«Come fa a sapere chi sono?»

«Beh, chi non vi conosce?», sorrise e Tom si impose di non pensare a quanto simile fosse a quello di Jinny, ma lo fece lo stesso.

«Già, me ne ero dimenticato. Comunque puoi chiamarmi semplicemente Tom.»

«Ok, come preferisci. Io sono Victoria.»

«Piacere.»

«Piacere mio. Scusa se sono impertinente, ma posso sapere che fai qui? Benjamin non sembrava contento del vostro ritardo.»

Tom la guardò stranito. Cos’era tutta quella confidenza con il loro management?

«Volevo dire… Herr Ebel, ovviamente», si corresse arrossendo.

«Sì, mi sto prendendo una pausa. Avevo l’intenzione di prendermi un caffè, ma mi sono accorto di aver dimenticato la chiavetta a casa. E visto che non avevo voglia di tornare indietro sono rimasto qui.»

«Oh, capisco. Se vuoi posso offrirti qualcosa io.»

«Non ti disturbare.»

«Nessun disturbo, so come può essere dura incominciare la giornata senza caffeina.»

Ancora quel sorriso gli fece male ed evitò di guardarlo.

Victoria gli porse gentilmente il bicchierino di caffè e tornò alla sua postazione dietro al computer. Lui la osservava di sottecchi, senza farsi notare.

Era pazzesco come si somigliassero! Tentava di non pensarci, ma era più forte di lui.

«Tom!»

Si sentì chiamare e vide Bill, Georg e Gustav venirgli incontro.

«Che ci fate tutti qui fuori?», chiese.

«Siamo venuti a cercarti, visto che non tornavi più!»

«Mi sono solo preso una pausa.»

«Un po’ troppo lunga per i gusti di Benjamin», fece notare Gustav.

«Me ne frego, oggi è insopportabile.»

«C’è anche da dire che la colpa è vostra», disse Georg.

«Sì, ma può capitare! Non vedo perché debba fare le tragedie greche!»

Rimasero tutti a fissarsi per qualche secondo in silenzio quando sentirono una voce alle loro spalle, che Tom riconobbe subito come quella di Victoria.

«Oh, no! Si è impallato di nuovo il computer! E adesso?»

Si girarono tutti contemporaneamente e la guardarono. Lei sorrise imbarazzata e fece un cenno con la mano come per scusarsi, per poi cercare qualcosa nella borsa. Tirò fuori il suo cellulare e chiamò qualcuno, il tutto guardata dai ragazzi.  

«Jennifer? Oh, menomale che hai risposto! Si è impallato ancora in computer! Non è che potresti fare un salto qui? Non me la sento di chiamare… ecco. Già l’altra volta mi ha fatto la ramanzina perché credeva che fosse stata colpa mia, quindi… Grazie tesoro, sei un amore.»

Ci sono milioni di Jennifer al mondo, ci sono milioni di Jennifer al mondo, ci sono milioni di Jennifer al mondo… si disse Tom con i pugni stretti nelle tasche.

«Scusate, potreste non dire niente a… Herr Ebel?», chiese con tono supplichevole.

«Ok, non ti preoccupare. So come ci si sente ad essere presi di mira», disse Tom facendole l’occhiolino.

 

***

 

Era in un ritardo pazzesco all’appuntamento con Camilla e in più ci si era messa pure sua madre ad incasinarle tutto. In verità era andato tutto male da quella mattina, quando, alle tre, qualcuno che probabilmente aveva sbagliato numero l’aveva svegliata chiamandola al cellulare.  

Ok, calma, rilassati, si disse, ma al contrario cominciò a correre presa dal panico immaginandosi la faccia furiosa di Camilla quando l’avrebbe vista.

Andò a sbattere accidentalmente contro una ragazza sbucata fuori dal nulla e tutti i suoi disegni si sparsero sul marciapiede.

«Oddio, scusa!», disse subito la ragazza, chinandosi ad aiutarla.

«No, figurati, non è colpa tua. Sono io che ti sono venuta addosso.»

«Va bè, questo non importa. Guarda che disastro!»

Li raccolsero in più fretta possibile e la ragazza non poté non notare che aveva un vero talento nel disegnare e si complimentò facendola arrossire.

«Oh, scusami tanto, io sono Arianna.» 

«Piacere Arianna, io sono Jennifer.»

«Ok, Jennifer. Dove dovevi andare così di corsa?»

«Al lavoro da mia madre, alla Universal!»

«Tua madre lavora alla Universal?»

«Sì, fa la segretaria, perché?»

«Non mi pare di averla mai vista.»

«Anche tu frequenti la Universal?»

«Sì, ci… lavora il mio ragazzo!»

«Oh, capisco! Allora possiamo fare la strada insieme!»

«Oh, va bene!»

 

***

 

Sì, era impossibile. Oddio, visto come si somigliavano poteva anche essere, ma si rifiutava anche solo di pensare che fosse così. Non poteva esserlo e basta. Non poteva essere la sua Jennifer, punto e stop.

«Non credevo avessi una figlia, non hai nemmeno la fede», disse Tom sporgendosi sul bancone.

«Oh, beh, io e mio marito abbiamo divorziato tempo fa», disse con amarezza.

«Mi dispiace», balbettò.

Era stato fin troppo duro e non se n’era nemmeno accorto preso com’era a negare l’eventualità che quella Jennifer fosse proprio la sua.

«E quanti anni ha tua figlia?»

«Tom, sarà meglio andare», disse Bill che sentiva già puzza di guai e di ricordi.

«No, aspetta un attimo», lo azzittì e tornò a guardare Victoria.

«È un po’ più piccola di te, ha fatto diciotto anni ad agosto.»

Si sentì mancare, per fortuna c’era il bancone a sorreggerlo.

«Tom, stai pensando a quello che penso io, vero?», chiese Gustav.

Tom annuì e guardò Victoria confusa, che guardava a turno tutti i ragazzi che avevano pian piano allargato un sorriso sulle labbra, tranne Tom che era quasi impallidito.

Sentirono la porta scorrevole aprirsi dietro di loro e si girarono di scatto, pronti ad accogliere la bellissima sorpresa che gli era capitata in quella giornata iniziata con il piedi sbagliato.

Entrarono due ragazze: una familiare e una fin troppo familiare.

La prima era Ary, la ragazza di Gustav, la seconda era… Jennifer, o, per meglio dire, Jinny. Non era cambiata molto, a parte l’altezza e i capelli biondi di nuovo lunghi e divisi in piccole treccine che da lontano potevano pure sembrare rasta sottili, raccolti in una coda sulla nuca.

«Jinny, sei proprio tu!», urlò Tom ben radicato sul posto.

Aveva tentato in tutti i modi di non illudersi, di non sperare inutilmente che quella fosse la sua Jennifer, ma quella che era entrata era proprio lei, proprio la sua piccola Jinny.   

 

***

 

Quella voce, quel viso, quelle labbra, quegli occhi… ma soprattutto quel sorriso le scatenarono in testa una confusione tale da chiudere gli occhi. Venne travolta da miriadi di immagini: risate, sorrisi, scherzi, litigate, pianti, la luna, parole, un’onda, il mare, il sole che calava al tramonto, ma erano tutte così mescolate e, come dire, sfuocate che non ci capì niente. In più, era da tantissimo tempo che non la chiamavano più Jinny. C’era qualcosa che non quadrava, assolutamente.

«Jennifer, stai bene?», le chiese preoccupata la madre, raggiungendola e mettendole una mano sulla fronte.

«Sì, mamma, sto bene, è stato solo un… giramento.»

Fissò i ragazzi di fronte a sé e sentì la testa pulsare. Sapeva chi erano, era fin troppo semplice capire che quei quattro erano i Tokio Hotel, uno dei gruppi più famosi in Germania, ma c’era qualcos’altro di cui sentiva l’importanza, ma che non riusciva a ricordare.

Li aveva visti altre volte, in televisione, sui giornali, e non le aveva mai fatto nessun effetto. Perché dal vivo sì? Perché sentiva dei ricordi premere così tanto nella sua testa, senza sapere quali ricordi?

«Come… come fai a sapere come mi chiamo?», chiese al ragazzo biondo dalla pettinatura rasta. Se non sbagliava era il chitarrista della band e si chiamava Tom, fratello gemello di Bill, quello con i capelli neri, affianco a lui.

«Che cosa?», chiese a bocca aperta.

«Jinny, siamo noi!», disse Bill quasi spaventato.

«Voi… Voi siete i Tokio Hotel, giusto?»

«Sì! Ma noi siamo anche… amici. O, perlomeno, lo eravamo. Non so se lo siamo ancora, comunque spero di sì perché…»

«Bill, smettila di parlare, non si ricorda di noi», sussurrò Gustav ad occhi sgranati, la mano sulla bocca di Bill.

«Davvero non ti ricordi tutto quello che abbiamo passato assieme?», chiese ancora più piano Georg.

Jinny spalancò gli occhi, quasi in lacrime, indietreggiando, e si portò le mani alla testa, sembrava davvero spaventata.

«No, io… io non mi ricordo… Mamma…»

«No, Jinny, sono qui! Non ti preoccupare, va tutto bene.»

La abbracciò e Jinny nascose il viso nella sua spalla, visto che era qualche centimetro più alta di lei.

«Jinny!», gridò Benjamin vedendola fra le braccia di sua madre. «E voi, tornate subito in studio!», ringhiò ai ragazzi, indicandogli la strada con il braccio.

Loro, assieme ad Ary, iniziarono ad avviarsi, ma continuavano a guardare quello strano trio: Jinny, sua madre Victoria e Benjamin.

«Victoria, ti avevo detto di non farla venire qui!», le gridò lui.

«Lo so, ma mi si è impallato di nuovo il computer!»

«Sai che me ne frega di quel cavolo di computer! Lei non doveva venire qui!»

«Ma perché?!»

«Ah, vi prego, smettetela!», gridò Jinny e i due si guardarono truci, chiudendo le bocche.

Jinny li guardò e si passò le mani sul viso, poi si sistemò la coda e per un brevissimo ma lunghissimo momento incontrò lo sguardo di Tom, ancora lì a guardare.

Non sapeva perché, ma quegli occhi le facevano venire i brividi.

Chi era lui? Chi era lui per lei? Perché il cuore le batteva così forte? Perché la faceva sentire così fragile e allo stesso tempo così invincibile? Mai come prima sentì il bisogno di sapere chi fosse.

Il suo cellulare suonò e la distrasse dal suo sguardo magnetico, costringendola a cercarlo nella borsa e a rispondere.

«Pronto?», tremò, incrociando di nuovo quel nocciola stupendo.

«Jinny! Ma dove sei? Cavolo, ci dovevamo vedere un’ora fa!»

«Sì, lo so Camilla, scusami. Arrivo subito.»

Guardò sua madre e suo zio e fece un breve cenno del capo prima di girarsi e di far aprire le porte scorrevoli. La tentazione fu troppo forte: controllò ancora all’interno e di nuovo il suo sguardo la fece rabbrividire, ma allo stesso tempo arrossì e si trovò a fare un timido sorriso.

 

 

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Nota: La canzone che dà il titolo a questo capitolo, oltre che a questa FF (continuo di “Surf che Passione”), è The end where I begin, dei The Script. E questa è la traduzione, per chi è interessato:
A volte non impariamo dai nostri errori / E volte non abbiamo scelta ma camminiamo via, via / Prova a rompere il mio cuore / Bene, si è rotto / Prova a mandarmi in alto / Bene, soffoco / Pioggia carente su me / Bene, sono impregnato / Impregnato sulla mia pelle / È la fine dove io inizio / È la fine dove io inizio.
Grazie a tutti, grazie per il supporto, vi voglio bene *__*  Ary

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Capitolo 2
*** Crazy without you ***


Nota:  Ringrazio velocemente Scarabocchio_ , la mia Socia!! (*Che anche quando è pessimista a livelli assurdi è sempre lei e le voglio bene... Ora finalmente scoprirai cos'è successo a Jinny! Contenta? Spero di sì, dai...*) Poi ringrazio layla the punkpricess (*Che fra i suoi mille dubbi e tormenti ha anche il tempo di starmi a sentire!! XD*) Grazie a tutti quelli che hanno letto, mi aspetto tante altre recensioni da chi non aveva capito che questo era il continuo di "Surf che Passione"! ***Eheh, infatti non sembrava, eh?*** Baci, Ary___

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2
Crazy
without you

 

Camilla voleva solo dormire. Insomma, era una persona come tutte le altre, no? Ed era stanca come tutti. Non capiva perché lei non potesse avere un po’ di pace per dormire, come qualsiasi persona normale.

Suonarono al campanello. Non aveva capito come il suo disturbatore fosse riuscito ad entrare all’interno del palazzo senza che lei andasse al citofono. Non se lo chiese troppo, semplicemente soffocò il viso nel cuscino, stando sotto alle coperte.

«Camilla!»

Spalancò gli occhi ed emerse dalle coperte. Come aveva fatto a… Lui era… lì!

Si liberò dall’intricato bordello di coperte e lenzuola e traballò di corsa fino alla porta. Ci andò a sbattere addosso, ma fu bellissimo vedere dall’occhiello Bill che la chiamava. Ma non c’era solo lui: c’erano anche Tom, Georg e Gustav. Una felicità incontenibile la avvolse e aprì con furia tutte le serrature, poi spalancò la porta. Voleva saltargli addosso, ma non lo fece.

Notò che i ragazzi la stavano osservando con la testa sulla spalla, lo sguardo perso più o meno in basso. Si controllò anche lei e si rese conto di essere in pantaloncini corti e in reggiseno, come di solito dormiva.

«Oh, bene!», disse imbarazzata, correndo all’interno e strappando il lenzuolo dal letto per avvolgercisi dentro.

«Ciao ragazzi», disse più tranquilla, sistemandosi i capelli arruffati sulla testa. «Come avete fatto a sapere dove abitavamo? E perché siete venuti?» La felicità era stata spazzata via dalla rabbia.

«Possiamo entrare?», chiese Bill.

«Se proprio dovete», incrociò le braccia al petto e si trascinò in cucina, dove trovò il bricco di caffè già pieno: opera di Jinny. Controllò l’orologio e si vergognò di sé stessa. Era quasi mezzogiorno e si era fatta trovare mezza nuda da quei ragazzi.

«Ti abbiamo svegliata?», gli chiese quella voce d’angelo di Bill.

«Già.»

«Ieri sera hai fatto le ore piccole?»

«Ma… non mi pare che siano affari tuoi!», sbottò girandosi.

«Sì, hai ragione, scusa», abbassò il capo e lei si sentì in colpa, ma non poteva essere così debole con lui solo perché le piaceva da morire da più o meno nove mesi!

«Allora, perché mi avete buttata giù dal letto a quest’ora?»

«Perché Jinny non si ricorda di noi?», chiese Tom, prendendosi una sedia e sedendosi, le braccia incrociate sul tavolo.

Camilla si paralizzò con la tazza fra le mani e abbassò lo sguardo.

«Non ve ne siete mai fregati in tutto questo tempo, perché vi interessa adesso?»

«Ci è sempre interessato!», disse Bill.

«Ah sì?»

«Sì, mi pare ovvio!»

«E dov’eravate quando Jinny ha avuto quel maledetto incidente? E quando era in coma? E quando si è risvegliata dopo tre mesi? E quando non si ricordava nemmeno il suo nome? Dov’eravate?! Dov’eravate?!»

«Che… cosa?», sussurrò Tom, completamente sbalordito.

«È così, è per questo che non si ricorda di voi. In testa ha come dei buchi… Adesso sa cosa vuol dire avere il Leerdammer al posto del cervello…»

Battuta troppo infelice per commentarla. I ragazzi fecero finta di niente, forse magari nemmeno se n’erano accorti. 

«Ma com’è successo?», chiese Gustav.

«Era notte. Jinny era uscita e… Dio, se solo non l’avessi lasciata da sola, come sempre…», strinse i pugni e scoppiò a piangere. Si coprì il viso con le mani, cominciando a singhiozzare.

«Camilla…», Bill si alzò e l’abbracciò, soffocando le lacrime nel proprio petto.

«È stato orribile… è stata portata in ospedale e… l’hanno operata d’urgenza, ha rischiato la vita, Bill! E poi è entrata in coma e lo è stata per tre mesi… Credevamo tutti che non ce l’avrebbe fatta… Poi, un giorno come tanti, si è svegliata, ma… non ricordava assolutamente nulla. Ci è voluto un po’ prima che ricordasse chi era, chi era la sua famiglia, chi i suoi amici… Mi ha riconosciuta subito quando mi ha vista», fece un piccolo sorriso. «Ma non mi merito tutto questo… Lei è così buona con me…»

«Camilla, ma mi stai prendendo in giro?!», gridò Tom sbattendo le mani sul tavolo.

«Secondo te io mi diverto a dirti queste cose, no?!», gli gridò liberandosi dalla stretta di Bill.

«Perché non ci hai chiamati?! Perché ci hai avvisati?!»

«Perché non vi siete fatti sentire voi?! A questo punto credo che per Jinny sia meglio così! È stata così male senza di voi che magari, se avesse saputo che poteva perdere la memoria in quel modo, avrebbe fatto l’incidente di proposito!»

«Non ti permettere!», la spinse con la schiena alla credenza, stringendole forte le mani intorno ai polsi.

«Tom, lasciala!», si intromise Bill, prendendo il fratello per la maglietta e scansandolo.

Camilla guardò Tom sprezzante e corse in camera sua, sbattendosi la porta dietro.

«Dico, Tom, ma sei impazzito?!», gli gridò in faccia Georg.

«No, lei mi ha istigato!»

Lasciò perdere l’incazzatura e si risedette, la testa nascosta fra le braccia. Aveva solo voglia di piangere, e se non fosse stato per Bill l’avrebbe fatto, lì, davanti a tutti.

«Tomi, ecco perché non si ricordava di me, l’altra sera.»

«Già, hai ragione», sussurrò, gli occhi spenti.

«Per favore, andatevene.»

Si girarono tutti verso l’entrata della cucina e videro Camilla, vestita, gli occhi tristi, quasi imploranti.

«Tra poco arriva Jinny, andatevene.»

«Che cosa?! Dobbiamo raccontarle tutto!», disse Tom.

«Pazzo, come puoi anche solo pensarlo? È l’unica cosa che non dobbiamo fare! Non si può. Pensa a cosa accadrebbe se le si raccontassero cose che non ricorda tutte insieme… andrebbe in panico.»

«Come è successo ieri», disse Gustav.

«Cosa?! Vi ha visti?!», gridò Camilla.

«Sì, è venuta alla Universal e…»

«Oh mio Dio, chissà Benjamin come si sarà arrabbiato!»

«A proposito di lui, che ha che non va?», chiese Tom.

«Ha assunto la madre di Jinny da voi, ve ne sarete accorti, no?»

«E con questo?»

«Beh, Victoria e suo fratello sono divorziati, perciò non vanno molto d’accordo, ma l’ha dovuta assumere lo stesso per Jinny. Adesso lei vive stabilmente qui, vicina a sua madre.»

«Davvero?»

«Già.» Gettò uno sguardo all’orologio. «Jinny sarà qui a momenti, vi prego…»

«Ok, va bene. Grazie per averci raccontato queste cose, Camilla, non dev’essere stato facile. E scusami per prima, non volevo», disse Tom.

«Non importa.» Si scambiarono un leggero sorriso e poi si abbracciarono, stringendosi forte.

Bill sentì un pizzico di gelosia, ma sapeva che non sarebbe mai potuto succedere niente fra lui e Camilla. Quel giorno per poco non si erano menati!

Pian piano uscirono tutti di casa e Bill e Camilla restarono da soli in cucina, a guardarsi negli occhi in silenzio.

«È passato tutto questo tempo…», sussurrò lei. «Non ti sei mai fatto sentire…»

«Lo so, ma non ti ho mai detto addio. Mi sei mancata tanto.»

Camilla arrossì e abbassò lo sguardo mordicchiandosi le labbra.

«Non posso stare sempre ad aspettarti, Bill.»

«Lo so, ma questa è la mia vita.»

«Almeno farti sentire una volta in otto mesi!»

«Mi faceva così male starti lontano che non sono mai riuscito a chiamarti, anche se volevo.»

«Oh, Bill, come posso fidarmi?»

«Come non potresti fidarti di questo cucciolo?», fece gli occhi dolci sorridendo e si avvicinò a Camilla.

«Che stupido che sei. Sul serio, Bill, non lo so…»

Si mise davanti a lei e le cinse i fianchi con le mani, appoggiando la fronte alla sua.

Camilla si sentì rabbrividire, ma fu un brivido piacevole, in quanto non si era mai sentita così bene in quegli otto mesi. Era stata fra le braccia di due o tre ragazzi, ma mai nessuno l’aveva fatta sentire in quel modo, come se fosse in paradiso.

«Camilla?»

«Uhm?»

«Ti voglio bene.»

«Anch’io, cretino che non sei altro.»

«Ah, adesso pure mi insulti?»

Si guardarono sorridendo e lui le accarezzò i capelli castani chiari, quasi biondo cenere, sistemandoglieli dietro l’orecchio, sfiorandole la guancia rosea.

«Dì… dì a Tom che se proprio vuole, può raccontare a Jinny quello che non ricorda, ma poco per volta e senza pretendere nulla», sussurrò lei che comunque non riusciva a schiodare gli occhi blu da quelli nocciola di lui.

«Ok, glielo dirò», sospirò Bill allontanandosi.

Si avvicinò alla porta ed impugnò la maniglia, poi si girò di nuovo e Camilla gli corse fra le braccia, baciandolo sulle labbra con le mani fra i suoi capelli neri.

«Mi sei mancato tanto anche tu, Bill», gli disse con gli occhi lucidi.

Si sorrisero e Bill uscì a testa alta, un sorriso fiero sulle labbra e le mani in tasca. Dopo troppo tempo si era sentito veramente bene, e il merito era solo ed esclusivamente Camilla.

Scese le scale di corsa e vide gli amici già in macchina, Tom semisconvolto che guardava fuori dal finestrino. Bill si guardò intorno e poi vide Jinny arrivare con un ragazzo che le teneva un braccio fra le spalle, e ridevano assieme.

Ora capiva perché il fratello aveva avuto quella reazione.

Si abbassò il cappellino sugli occhi per non farsi riconoscere e attraversò velocemente la strada per raggiungere l’auto.

«Tom, stai tranquillo, è solo un suo compagno di scuola», gli disse sedendosi accanto a lui.

«Un suo compagno di scuola? Ma io lo uccido!»

«Tom, per favore, non dire cavolate.»

Non riusciva a togliersi quel sorrisino ebete che aveva dalle labbra, talmente era felice.

«Che cazzo hai da sorridere in quel modo, tu?», gli chiese allora Tom, incazzato perché Bill sembrava felice e lui no.

«Niente, perché?»

«Perché davvero hai un sorriso che non vedevamo da tempo», gli disse Georg.

«Oh, davvero?»

«Ok, cos’è successo con Camilla? Possibile che dobbiamo sempre tirarti fuori le cose di bocca con la forza? E menomale che tu sei sempre quello che parla di più!»

«Non è successo niente!», tentò di sviare, ma le occhiate che gli arrivarono in risposta dicevano chiaramente che nessuno se l’era bevuta.

«Ok, ci siamo baciati! Ma nulla di più.»

«Iniziamo a ragionare.»

Tom girò il viso ancora verso il portone di Jinny e vide il ragazzo baciarle la guancia frettolosamente e correre via. Si sentì sollevato quando lo vide allontanarsi, ma si sentì anche attratto dall’idea di andare da lei e di stringerla forte a sé, baciarla, e non sulla guancia, di accarezzarla, di spogliarla…

«Tom? Oh? Mi stai ascoltando?!»

«No, e non voglio farlo», disse con un gesto della mano, chiudendo gli occhi e immaginando la scena con lui e Jinny sotto alle coperte. Era proprio sul più bello quando Bill lo scosse e lo fece tornare alla realtà.

«Cosa cazzo vuoi?!», gridò irritato.

«Camilla mi ha detto di dirti che se proprio vuoi puoi dire a Jinny quello che non ricorda, ma poco per volta e senza pretendere nulla.»

Wow, quella ragazza era un portento! Non era mai riuscito nessuno a fargli ricordare le cose così perfettamente! Eppure ricordava tutto di lei, dal primo all’ultimo particolare, ed era anche naturale ricordare così chiaramente, come se la vedesse ogni giorno e la conoscesse da una vita.

«Mmh, ok. Ma vorrei che si ricordasse da sola di me», disse con un filo di amarezza nella voce.

«E se non dovesse farlo?», chiese Gustav.

«Non riesco a credere che possa aver dimenticato… noi.»

«Beh, poteva anche andarle peggio, no?»

«Sì, hai ragione, però…»

«Ti dispiace.»

Tom annuì sconsolato, abbandonandosi al sedile di pelle nera.

«Dispiace a tutti, Tom, non solo a te.»

«Ma per me ha un significato diverso. Insomma, prima mi amava, adesso non sa nemmeno chi sono!»

«Non dev’essere bello, capisco.»

«Devo cominciare tutto da capo… e farla innamorare di nuovo di me.»

«Senza fare casini, possibilmente. Questa è la tua seconda possibilità, Tom, non buttarla.»

«No, certo che no. Farò di tutto perché si innamori ancora. E questa volta non sarò così insicuro, so cosa voglio.»

 

***

 

Jinny si mise seduta sulle scale di fronte al portone, con le mani sotto al mento. Pensò che Camilla probabilmente stava ancora dormendo, dopo la notte insonne che le aveva fatto passare a causa dei suoi pianti e delle sue lamentele perché non riusciva a ricordarsi delle cose che magari, se le avesse sapute, avrebbe ritenuto importanti, e non voleva disturbarla.

Sospirò e guardò una macchina scura allontanarsi: sembrava anche piuttosto costosa e il modello le ricordava qualcosa, ma, come troppe volte era successo, non sapeva cosa.

Chissà se prima o poi sarebbe riuscita a ricordare tutto. Non sopportava di avere quei maledetti buchi in testa. Quella era la sua mente, non potevano rubargli i ricordi così a piacimento!

Si rese conto che quella era la prima volta che desiderava così tanto ricordare. Non si era mai posta seriamente il problema, prima, si diceva sempre che avrebbe ricordato pian piano, con il passare del tempo, ma quella volta no, voleva ricordare tutto e subito. C’entravano forse quel misterioso ragazzo, che tanto misterioso poi non era visto che era il chitarrista di una delle band più famose del globo, che con un solo sguardo le aveva scatenato tutte quelle immagini alla rinfusa nella testa, e i suoi amici?

Chi erano? Chi erano stati per lei in un passato più o meno recente? Che ruolo avevano avuto nella sua vita? Dovevano per forza essere qualcuno se aveva trovato le loro canzoni sul suo iPod fra un repertorio composto solo da musica hip hop!

Quant’era frustante non riuscire a ricordare una parte di sé, della propria vita, tanto quanto lo era quando si metteva nei panni dei non-ricordati. Neanche per loro doveva essere una meraviglia, visto che loro ricordavano lei ma lei non ricordava loro. Era come se… li avesse cancellati.

Lei non voleva fare del male a nessuno, erano stati gli altri a fargliene a lei, quando aveva fatto quell’incidente.

Era successo tutto così in fretta, però era una delle cose che per prima aveva ricordato, con terrore e spavento.

La strada era buia e stava ascoltando una canzone che aveva subito associato ad una dei Tokio Hotel, di cui però non sapeva il titolo, e piangeva. Non sapeva perché, ma ricordava solo che piangeva guidando la sua porche grigio metallizzata. In un attimo aveva visto dei fari abbaglianti che le venivano incontro a folle velocità, nella sua corsia, e poi l’impatto, sordo e tremendo, e la sua macchina che si accartocciava, lei che miracolosamente si era salvata.

Tremò aprendo gli occhi e si alzò dal gradino, scuotendo la testa per mandare via quei ricordi.

Per esempio, perché riusciva a ricordare quell’evento terribile, che avrebbe di gran lunga preferito non ricordare affatto, piuttosto che eventi felici che non ricordava, come il suo decimo compleanno? Al suo posto c’era il vuoto, come se non avesse mai vissuto quella giornata.

Aveva rimuginato molte volte su quell’aspetto, sul voler sapere e non voler sapere. Chissà quante cose che magari voleva sapere poi si sarebbero trasformate in cose che non avrebbe voluto sapere.

Anche i ricordi con quei ragazzi a cui era così attaccata e così decisa a voler ricordare si sarebbero rivelati solo dolorosi? Sarebbe stata l’ennesima delusione?

Chissà.

Non le importava in quel caso, perché aveva visto negli occhi del ragazzo rasta della sofferenza quando lei non era riuscita a riconoscerlo, e voleva, chissà per quale motivo, renderlo felice e dirgli: «Sono riuscita a ricordare, so chi sei e cosa abbiamo passato assieme!».

Chissà se poi quelle parole sarebbero state la verità, dopotutto.

Chissà se sarebbe stata così felice dopo aver ricordato, o se invece sarebbe stata peggio, come quando aveva voluto sapere della sua famiglia e aveva scoperto che i suoi erano divorziati da molto tempo e che si erano riavvicinati molto quando lei era stata male.

Chissà.

Tutto era diventato incerto nella sua vita, da quando aveva avuto l’incidente, e non sapeva mai come affrontare il presente e il futuro, a causa di quei buchi in testa che le toglievano esperienze ed errori che magari poteva evitarsi se li avesse ricordati.

Ma in fondo, era così importante il passato? Era così importante ricordare?

Jinny aveva diciotto anni, lo sapeva, ma per lei era come essere appena nata e conoscere già molte cose. Per il resto doveva ancora imparare e ricominciare da capo. Allora perché non ricominciare davvero, senza essere influenzata dai ricordi, come se si partisse di nuovo da zero senza guardarsi indietro?

Jinny sorrise vedendo Camilla sdraiata sul divano, che dormiva. Appoggiò silenziosamente la borsa a terra e prese il lenzuolo del suo letto che chissà come mai era lì e glielo sistemò addosso.

Ce l’avrebbe fatta a ricominciare, lo stava già facendo.        

 

***

 

«Jinny, sei sicura di voler uscire stasera?»

«Sì, perché?», si sistemò il vestito nero sui fianchi, non facendo molta attenzione all’amica.

«No, sai, tanto per sapere.»

«Camilla, non ho paura di uscire, ho paura di guidare.»

«Ok, ma vedi di non bere niente!»

«Non avevo bevuto, tanto per ricordatelo.»

«Sì, lo so, però…»

«Camilla, vatti a preparare, o faremo tardi.»

«Ok, mettiti quegli stivali, ti stanno da Dio!»

«Quali, quelli al ginocchio, di pelle, con il tacco?»

«Esattamente quelli!»

«Sì, tanto avevo intenzione di mettermeli.»

«Ok, allora metto un po’ di matita e le scarpe e andiamo.»

«Sì, brava.»

Camilla uscì dalla camera di Jinny e si diresse nella sua, per fare come aveva detto, quando il suo cellulare squillò e la costrinse a deviare la rotta, girando per il salotto.

«Pronto?»

«Ehm, ciao Camilla! Sono io, Bill.»

«Oh, ciao!»

«Che fai?»

«Mi stavo preparando per uscire con Jinny.»

«Dove andate di bello?»

«C’è l’inaugurazione di un nuovo locale in centro e abbiamo deciso di farci un salto, giusto per vedere com’è.»

«Vi dispiace se ci uniamo a voi? Non abbiamo niente da fare!»

«No, almeno non per me.»

«E per Jinny è ok?»

«Un attimo, glielo chiedo.»

Si girò e vide Jinny sistemarsi una collana, le treccine che le cadevano sul viso.

«Jinny, ti dispiace se vengono anche i Tokio Hotel?»

«Uhm, no», scrollò le spalle, anche se al solo pensiero di rivedere quel ragazzo le erano venuti i brividi.

«Bill, sta bene anche a lei.»

«Ok, perfetto! Allora ci becchiamo lì!»

«Sì, ciao.»

Camilla mise il cellulare nella borsa e poi guardò l’amica che cercava il suo, trovandolo poi sotto al cuscino del divano.

«Perché mi guardi così?», le chiese osservandosi.

«No, non è quello: sei perfetta. Però… davvero non ricordi niente?»

«Dovrei?»

«Beh… forse sì, forse no.»

«Vedo che anche tu hai le idee chiare!»

«È… complicato.»

«Come tutto ormai. Dai Camilla, muoviti, ho voglia di divertirmi stasera.»

«Se lo dici tu…», chinò il capo e andò in camera sua.

 

***

 

«Tom, sei nervoso?»

«No, figurati!»

«Non esserlo, per favore, sei irritante», lo allontanò Bill.

«Come sei di conforto, grazie!»

«Faccio del mio meglio», sorrise.

Tom sbuffò e scosse la testa, quando la macchina si fermò di fronte al nuovo locale già gremito di gente.

Scesero ed entrarono, alcune ragazze li riconobbero e li salutarono con tanto di baci ed abbracci, ma ormai ci erano abituati. Tom nemmeno ci era stato a pensare, aveva subito cercato con lo sguardo Jinny: aveva una voglia assurda di vederla. 

Notò una ragazza passare in mezzo alla folla che si scatenava in pista, diretta verso i bagni, ma fu per una frazione di secondo e non riuscì a distinguerla da tutte le altre.

«Camilla è là, vieni», lo trascinò il fratello.

Era seduta su un divanetto, le gambe accavallate, lasciate scoperte da un vestito abbastanza corto.

«Ciao!», la salutò entusiasta Bill, sporgendosi per baciarla, lei ricambiò con un bacio a fior di labbra.

«Ciao ragazzi!»

«Ciao…», dissero gli altri fissando lei e Bill con la fronte corrugata. Tom alzò le spalle, incurante, e cercò ancora Jinny.

«Ma Jinny dov’è?», chiese Georg al posto suo.

«È andata un attimo in bagno», rispose Camilla fissando Tom.

Sapeva perché lo guardava in quel modo, così la evitò e guardò alcune ragazze ballare. Erano anche carine, ma nessuna lo stimolava come riusciva a fare Jinny.

«Ehi bambola!»

Tutti si girarono e videro Jinny fermarsi a parlare con un ragazzo, quello che l’aveva chiamata in quel modo che Tom trovò odioso e così poco adatto alla sua figura elegante e delicata.

Quando si liberò dell’impiastro si diresse verso di loro con un sorriso che a Tom fece male, molto male, perché non era solo per lui, ma per tutti, ed era per quello che fece molto più male.

«Ciao a tutti, che casino che c’è!»

Era bellissima, Tom non riusciva a staccarle gli occhi di dosso. Indossava un vestito nero lungo fino a metà coscia, degli stivali neri di pelle, lunghi fino al ginocchio, con il tacco, che gli fecero venire i brividi, e intorno alla vita una cintura argentata, come l’ombretto che le accarezzava gli occhi.

«Chi era quello?», chiese Camilla alzando un sopracciglio.

Jinny si guardò intorno e adocchiò ancora il ragazzo che l’aveva fermata, causando in Tom una reazione che ben conosceva ormai: la cosiddetta gelosia.

«E io che ne so?!», ridacchiò.

«Beh, Jinny, vestita così fai colpo», disse Gustav.

Ci si metteva pure lui?! Tom gli lanciò un’occhiataccia e lui nascose un sorriso divertito.

«Splendore, vieni a ballare o no?», le chiese un altro ragazzo, mettendole le mani sulle spalle nude.

«Sì, perché no?», lanciò un’occhiata a Camilla e mosse la mano e in labbiale disse che era carino mentre si avviava con lui in pista, tenendogli la mano.

«Dio, uccidili tutti, ti prego!», esclamò Tom buttandosi sul divanetto e prendendo il bicchiere che aveva in mano Camilla.

«Compreso te?», gli chiese ridendo, guardandolo bere tutto d’un fiato la bevanda.

«Sì, già che c’è», sollevò le spalle.

«Ma… sbaglio o Jinny…», Georg indicò le sue curve con le mani, sorridendo maliziosamente. Tom gli tirò un pugno sulla spalla, accecato dalla rabbia.

«Ehi! Io facevo solo un’osservazione!»

«Non ti permettere nemmeno di guardarla!»

«Cioè… tu ti fai i film porno quando la vedi e io non posso nemmeno guardarla?»

«Io posso», unì le braccia al petto, offeso.

«Sì, comunque», disse Camilla annuendo. «È diventata più… donna, si vede. Cazzo, in questi mesi ha raggiunto la mia taglia di reggiseno! Tra un po’ mi supera!»

Quella frase attirò lo sguardo di tutti sul suo seno, lei diventò tutta rossa e abbracciò Bill per nascondersi, che rise sotto i baffi.

Tom guardò Jinny ballare assieme a quel tipo, muovendo i fianchi e sorridendo ogni tanto. Già, era diventata proprio una donna, una bellissima donna, ma dentro era sempre la solita ragazzina, la sua piccola Jinny.

La canzone, ovviamente resa ballabile nelle discoteche, che accompagnava i suoi movimenti così perfetti e sensuali non la conosceva, ma ne capì alcune parole, ferendolo in un modo inaspettato:

 

You can’t walk back in my life
You had your chance to be by my side
I don’t have to hear you cry to know
Just go
I gave you my word and I promised to love you
Go, it’s over
You had your chance
Just go
There’s nothin’ inside me that still feels connected to you
To me you’re already gone

 

Jinny, dal canto suo, non poteva fare a meno di gettare qualche occhiata al divanetto sul quale c’erano Camilla e i ragazzi. Il tizio con cui ballava era carino, ma mai come Tom. Lui era così semplicemente bello che se ci pensava le veniva l’acquolina in bocca.

Una volta di più in quella giornata volle ricordare, così chiuse gli occhi, lasciandosi trasportare dalla musica, e tentò di concentrarsi, ma non ci fu nulla da fare.

Le salì un magone in gola e i suoi occhi si spensero. Sentiva che era importante, ma finché non sapeva cosa non riusciva a definire quanto fosse importante.

«Qualcosa non va, splendore?», le chiese il ragazzo che ballava con lei, posandole le mani sui fianchi.

«Sì, non mi va più di ballare, scusa», si liberò dalla sua stretta e andò da Camilla.

Notò lo sguardo di Tom addosso, arrossì ma nessuno lo notò a causa delle luci di vari colori che illuminavano la sala.

«Camy, andiamo a casa?», le chiese toccandole il braccio.

«Perché, che hai?»

«Niente, io…»

«È stato quello là?», chiese Tom, sembrava pure incazzato. «Perché se è così dimmelo che lo pesto!»

Jinny rimase spiazzata dal suo comportamento e non disse niente. Che poteva dire? E perché si comportava in quel modo? Come se fosse… geloso. Nemmeno si conoscevano e… Forse era lei a non ricordare lui, ma si conoscevano.

«Camilla, per favore.»

«Ma io volevo restare!»

«Va bene, come vuoi», Jinny prese le chiavi della macchina dell’amica e la guardò facendole girare intorno al dito.

«No, tu sei proprio matta se cedi che ti lascerò guidare!», si alzò in piedi di scatto e le strappò le chiavi di mano.

Jinny sospirò di sollievo, perché avrebbe fatto una figuraccia se il suo piano non avesse funzionato. Lei aveva paura di guidare e non lo avrebbe fatto molto presto.

«Bene, allora andiamo a casa, mi manca l’aria.» Cercò la sua giacca nera e la vide dietro a Tom.

E ora?

L’unica cosa che le venne in mente di fare fu prenderla, sporgendosi su Tom e sfiorandogli la schiena con la mano per afferrarla. Quando si trovò con il viso accanto al suo orecchio, rimase ferma un istante, ricordando quel profumo, e sussurrò, in modo tale che nessuno se ne accorgesse:

«Chi sei?», quasi sconfortata, gli occhi tristi, poi si alzò e guardò Tom in viso. Altro brivido, altra scossa elettrica.

«Adesso muoviti però!», disse Camilla tirandole un pizzicotto.

«Sì, a-arrivo», scosse la testa e raggiunse l’amica, lo sguardo incantato in quello di Tom, visibilmente rapito e sorpreso anche lui.

E ora?

 

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Nota: La canzone presente in questo capitolo è Just go, di quel gran figo di Jesse McCartney. Vi consiglio di sentirla. Se qualcuno vuole sapere che cosa vuol dire, la traduzione, fatta da me ovviamente, quindi non vi fidate troppo! Ma il succo è questo: Tu non puoi tornare nella mia vita / Hai avuto la tua possibilità di stare al mio fianco / Non ho bisogno di sentirti piangere per sapere / Vai / Ti ho dato la mia parola e ho promesso di amarti / Vai, è finita / Tu hai avuto la tua possibilità / Vai / Non c’è niente dentro me che mi fa sentire ancora connesso a te / Per me tu sei già andata.

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Capitolo 3
*** Prime luci nell'oscurità ***


Nota: 3° Capitolo! Ciao a tutti! Grazie per le recensioni al secondo capitolo: Scarabocchio_ (la mia Socia… Ti voglio bene! ^^ Un bacione!) e Ladysimple (Ciao! Eheh… Non ti preoccupare, e poi non sembrava davvero il sequel… Va bè, l’importante è che tu ora lo sappia e che ti piaccia, cosa più importante, e ancora più importante è che tu mi lasci un sacco di recensioni ^^ Lo so che non è giusto che Jinny abbia dimenticato Tom, ma che ci vuoi fare… è così.)

Alla prossima, grazie a tutti! E continuate a seguire! ^__^ Ary__<3

 


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3
Prime luci nell’oscurità

 

Non credeva di essere riuscito ad uscire senza l’autorizzazione di Benjamin, che non gli avrebbe mai dato, e senza guardie del corpo, e ancora meno credeva di essere riuscito a scoprire quale fosse la sua scuola e i suoi orari, e di esserci di fronte.

Erano anni che non vedeva una scuola e fu stranamente a disagio trovandosene una davanti. Gli aveva portato alla mente amari ricordi, come le risse in cortile per difendere Bill che veniva sempre preso in giro dai bulli più grandi perché dicevano che sembrava una femmina quando si truccava e si metteva lo smalto. Quante botte avevano preso lui e Andreas per proteggerlo!

Ma l’amaro in bocca sparì appena vide Jinny uscire con altri studenti dalle porte vetrate e scendere le scale fra due leoni di marmo bianco.

Era una bellissima giornata di sole e l’aria era fresca e profumava di primavera. Si sentiva felice e forse la causa, oltre l’arrivo della primavera, di cui non si era mai interessato troppo, era proprio vedere Jinny sorridere e ridere con una sua compagna di classe, prima che si separassero.

Lui era appoggiato alla sua macchina, sotto l’ombra di un grande ciliegio in fiore. Riusciva a vedere bene Jinny dalla propria posizione, e sperava che anche lei riuscisse a vederlo e soprattutto a riconoscerlo, siccome aveva gli occhiali da sole scuri e il cappellino calato sul viso più del solito per non farsi riconoscere da possibili fans, che l’avrebbero riconosciuto comunque se avessero voluto.

Trovò Jinny bellissima con le treccine sciolte, che le arrivavano fino al gomito, libere di andare di qua e di là, seguendola in ogni movimento, nonostante lei dovesse tirarsele indietro ogni tanto perché le cadevano sul viso; anche il modo in cui le spostava gli piaceva.

Aveva una maglietta semplice rossa e dei pantaloncini pinocchietto a quadretti bianchi e rossi, scarpe da ginnastica bianche.

Quanto le era mancata… Era così felice di averla di nuovo accanto, però non era più la stessa cosa, perché lei lo vedeva quasi come un estraneo. Era una sensazione bruttissima, ma anche per lei non doveva essere bello non ricordare.

Quando Jinny alzò la testa incrociò subito il suo sguardo e si fermò in mezzo alla scalinata, mentre gli altri studenti le passavano accanto indisturbati, proprio come se non esistesse, senza chiedersi perché lei fosse ferma.

Sentì un brivido e quella sensazione non le fu nuova: quella di rabbrividire per lui era normale, ma ciò che l’aveva fatta tremare in realtà era stato sapere inconsciamente che si era già sentita isolata dal mondo quando incontrava i suoi occhi, che quella non era la prima volta, ma non ricordava esattamente quando e perché, sapeva solo che era successo.

E quando Tom le sorrise fu come vedere aperte le porte del paradiso: un sogno ad occhi aperti, solo molto più bello e reale.

Qualcosa la spingeva da lui, qualcosa tendeva ad allontanarla. Così, incerta, si avvicinò e si guardò intorno prima di salutarlo, ma era proprio lei che aspettava: un’ondata di gioia e un inspiegato rancore la travolsero.

«Ciao», disse.

Ah, la sua voce… Quanto aveva sognato, Tom, quel melodioso suono, e gli sembrava un sogno sentirsi salutare in quel modo timido e dolce, invece che in uno scorbutico e pieno di rabbia, come aveva sempre immaginato che fosse il loro primo saluto dopo la loro separazione.

«Ciao, Jinny.»

«Che ci fai qui?»

«Ti porto a casa», aprì la portiera e la invitò ad entrare, ma lei rimase ferma a fissarlo.

«Beh, che c’è?», chiese intimorito da quello sguardo indagatore.

Ma cosa si aspettava, che lo accogliesse a braccia aperte e che accettasse un invito che poteva essere così esplicito da praticamente un estraneo? Si era illuso un’altra volta e prima o poi si sarebbe fatto davvero male.

Jinny spinse la portiera e la chiuse, poi tornò a guardare Tom.

«Ma tu chi sei?», gli chiese.

«Questa domanda me l’hai già fatta, l’altra sera.»

«E allora rispondimi.»

«Camilla ha detto di non dirti troppe cose assieme e/o cose che potrebbero traumatizzarti.»

«La tua identità mi dovrebbe traumatizzare?»

«No, non intendevo quello!», si lasciò scappare un sorriso. «Io volevo dire che sentirti dire certe cose così all’improvviso potrebbe essere…»

«Scusa se ti interrompo, ma potresti toglierti gli occhiali?»

«E perché? Che hai contro i miei occhiali?»

«Contro i tuoi occhiali nulla, ma mi innervosisce parlare con una persona e non guardarla direttamente negli occhi.»

Si ritrovò a sorridere, poi a ridere a crepapelle, così tanto da doversi appoggiare alla macchina.

«Che… Perché ridi?»

«Sei sempre la solita, Jinny. Mi facevi sempre queste menate assurde.»

«E tu… mi ascoltavi?», chiese trovando un sorriso a sorprenderla sulle proprie labbra.

«No, assolutamente no!»

«Ah, bene. Ma noi due andavamo d’accordo?»

Si trovarono di nuovo a ridere, ognuno per un motivo proprio: Tom perché aveva pensato a tutti i momenti in cui alternavano litigate da record a situazioni davvero romantiche nelle quali erano complici e anche amanti perfetti; Jinny perché aveva semplicemente sentito l’istinto di ridere di fronte a quel ragazzo che sprigionava allegria da tutti i pori, e in più si era accorta che stavano discutendo amabilmente del suo, del loro, passato che non ricordava.

«Allora, che fai? Ti accompagno a casa o vai a piedi?», chiese Tom dopo che si furono calmati un po’.

«Mamma dice di non accettare passaggi dagli sconosciuti, ma credo proprio che tu non lo sia, vero?»

«No, infatti», disse amaramente, abbassando lo sguardo.

«Mi dispiace, io vorrei ricordare, ma…»

«No, Jinny, non è colpa tua. Solo che… ecco, questa situazione è un po’ strana.»

«Per te?»

«Per me, per te, per tutti, credo.»

«Uhm.»

«Allora, che hai deciso? Sai, io avrei anche un lavoro e questa è la mia pausa pranzo.»

«Non mi pare che qualcuno ti abbia chiesto di venire qui, o mi sbaglio?»

«No, non ti sbagli, ma continui a non rispondermi.»

«Tu ti togli gli occhiali?»

«Mi ero dimenticato di quanto potessi essere insopportabile a volte!», sbuffò, ma se li tolse comunque. «Contenta adesso?»

Cavolo, aveva degli occhi stupendi, da togliere il fiato, seppure non avessero nulla di particolare, riuscivano a trasmettere un qualcosa di unico, quasi magico, che ancora Jinny non riusciva bene a definire. O forse era solo il normale effetto che avevano su di lei quegli occhi nuovi ma ben conosciuti in qualche parte perduta di lei?

«Sì, sono contenta, perché hai degli occhi troppo belli per essere nascosti in questo modo.»

Tom arrossì impercettibilmente, e per nascondere anche quel piccolissimo segno di debolezza di fronte alla sua Jinny fece un sorriso malizioso.

«E secondo te perché li nascondo? Se le fan dovessero catturarmi e tenermi in una gabbia dorata per l’eternità te la vedrai tu con Bill e gli altri?»

«Oh, ma bene! Io ti faccio un complimento e tu nemmeno mi ringrazi?»

«Grazie», sorrise sincero.

Jinny si incantò di fronte a quella specie di ottava meraviglia e qualcosa nella sua testa scattò riportandola ad una pizza e ad un Tom che le sorrideva in quel modo, seduto accanto a lei. Ma quello fu solo un breve ritaglio di tutta la scena, il resto era confuso e sfuocato.

«Jinny, stai bene?», le chiese Tom allungando un braccio per sorreggerla, ma non ce ne fu bisogno: Jinny scosse la testa e lo guardò corrugando la fronte.

«Tu… ti piace la pizza con… con le patatine fritte?», chiese confusamente, sentendosi in imbarazzo per quella domanda stupida.

«Oddio, Jinny, ti sei ricordata di me?!» Voleva saltare dalla gioia.

«No, non proprio… Mi sono ricordata solo della pizza e di quel sorriso che mi hai fatto prima, era identico.»

«Oh, beh, è un passo avanti!»

«Già», sorrise timida, abbassando lo sguardo sui propri piedi.

«E qui ritorniamo alla solita domanda: vuoi questo passaggio o no? Mi sono tolto pure gli occhiali, sto rischiando la vita!»

«Se rischi la vita per darmi questo passaggio devi tenerci davvero molto.»

«Beh… sì, è così.»

Jinny arrossì di colpo e quasi rimase a bocca aperta davanti a quella confessione.

Ma perché lei non riusciva a ricordarlo? Cosa c’era stato tra loro? Perché doveva subire tutto quello? Era un’agonia.

«Chi… chi ti dice che devo andare a casa?», glissò abilmente.

«Allora ti accompagno dove devi andare.»

«Ok, credo che facevi prima a costringermi a salire in macchina, visto che non mi dai altra scelta!»

«Già, ma io sono un cavaliere. Dai, sali», le aprì ancora la portiera e Jinny si infilò in auto portandosi la borsa a tracolla sulle gambe.

Appena si mise seduta e si guardò intorno un altro flashback si impadronì di lei: era buio e c’erano loro due in macchina, che parlavano, poi Tom le aveva sfiorato la guancia e il ricordo si era spezzato all’improvviso, ricordandole molto il fastidiosissimo episodio che le era capitato qualche settimana prima quando il segnale dell’antenna se n’era andato a causa del temporale lasciando lei e Camilla senza tv. C’era già stata in quella macchina, ma non sapeva né quando né perché.

«Tom…»

«Uhm?»

«Portami a casa», disse guardando fuori dal finestrino.

«Che è successo? Hai ricordato qualcos’altro?»

Jinny scosse il capo e Tom sospirò perché era evidente che avesse ricordato qualcosa, ma che non glielo volesse dire. Forse aveva ricordato le lacrime che aveva versato per lui, forse proprio il loro addio…

Mise in moto e l’accompagnò a casa, nel silenzio più religioso che potesse esserci. Ogni tanto lui la guardava con la coda dell’occhio, ma non trovava mai il suo sguardo, sempre perso fuori dal finestrino, quindi si trovava a fissare le sue treccine e a sorridere pensando che se già quand’erano lunghi le davano fastidio e si lamentava, chissà adesso!

«Quando ti sei fatta le treccine?», le chiese.

«Cosa?», si girò e lo guardò sorpresa. «Non ti stavo proprio ascoltando.»

«Sì, l’avevo notato. Ti ho chiesto quando ti sei fatta le treccine.»

«Oh, un po’ di tempo fa, dopo l’incidente», si tirò ancora indietro due treccine che le sfioravano il viso. «Ma già non le sopporto più.»

«Ci avrei scommesso», mormorò sorridendo.

«Eh?»

«No, niente.»

«Invece hai detto qualcosa.»

«Ho detto che ci avrei scommesso.»

«Ah. Sembra che tu sappia molte cose di me. Ma da quanto ci conosciamo?»

«Un po’.»

«Un po’, quanto?»

«Jinny, non credi di esserti sforzata troppo oggi?»

«Tom, ti prego.»

Sospirò. Lei che pregava lui, dopo tutto quello che le aveva fatto e di cui lei non ricordava nulla. Gli sembrò assurdo, uno stupido sogno dal quale si sarebbe risvegliato da lì a poco con la delusione nel cuore.

Parcheggiò di fronte al suo portone e spense il motore. Si girò meglio verso di lei e la guardò negli occhi.

Com’erano belli quegli occhi verdi che gli erano tanto mancati, che tanto aveva sognato e desiderato vedere, nei quali aveva sperato di rispecchiarsi ancora, un giorno, ed ora erano lì, di fronte ai propri.

«Noi abbiamo vissuto nella stessa casa per due mesi, la scorsa estate, è da allora che ci conosciamo.»

L’espressione sbigottita ed incredula di Jinny cambiò rapidamente in una sinceramente divertita.

«Mi stai prendendo in giro?»

«No, è vero.»

«Cioè… io e te, da soli, nella stessa casa?»

«No, in verità non c’eravamo solo noi due: c’erano anche Bill, Georg e Gustav.»

«Il resto dei Tokio Hotel?»

«Sì, loro.»

«Ma com’è possibile?»

«La storia è molto lunga e… pazzesca, se ci penso!»

«Ti prego, raccontamela.»

«Davvero, Jinny, non credo sia il caso, per oggi è abbastanza. Magari domani.»

«È solo una scusa perché tu mi vuoi vedere anche domani», disse imbronciata e con un filo di rossore sulle guance.

«Domani, e dopodomani, e il giorno dopo ancora… Jinny, mi sei mancata tantissimo.»

«Cosa?»

«Lo so che non puoi capire ancora, ma… avevo bisogno di dirtelo. Ho fatto molti sbagli, con te, ma non voglio più ripeterli, te lo assicuro.»

«Io non ci sto capendo niente, lo sai?»

«Sì, lo so, ma non importa», le accarezzò la guancia e le spostò dal viso una treccina ribelle, sorridendo.

«A domani, Jinny», le sussurrò prima di baciarla appena sullo zigomo.

Jinny si paralizzò sul sedile sentendo le labbra del ragazzo a contatto con la propria pelle, arrossendo violentemente sulle guance e su tutto il viso in generale.

Le sue labbra… com’è che le ricordava così bene eppure non sapeva di averlo mai baciato? Nonostante l’ennesimo buco nella sua memoria si sentì felice e con le farfalle nello stomaco quando incrociò i suoi occhi sereni.

«Hai ricordato qualcos’altro?», le chiese sollevando un sopracciglio.

«Cosa te lo fa pensare?»

«Non so, sorridi in quel modo…»

«No, adesso sorrido perché ho voglia di sorridere, non c’entra nulla il mio passato. Ciao Tom, chiunque tu sia, ci vediamo domani.» Gli sorrise e aprì la portiera della macchina per scendere.

«Ciao… piccola», disse Tom.

Jinny si fermò ad occhi sgranati, di spalle alla vettura. Era così che la chiamava sempre… aveva ricordato la sua voce mentre le parlava piano, lei fra le sue braccia, stretta a quel calore che le provocò dentro tanta nostalgia.

Si girò di colpo e lo fissò, senza sapere bene che fare. Si schiarì la voce, quella poca che aveva a causa dell’imbarazzo, e disse:

«L’amore è come… un’onda», tremò. «Me l’hai detto tu, vero?»

Tom scese dalla macchina di corsa e l’abbracciò, nascondendole il viso nel suo petto, stringendola forte.

Le era mancata tantissimo e un qualcosa di lui, in lei, stava riaffiorando, pian piano. Poteva sperare, poteva davvero credere che insieme ce l’avrebbero fatta, che con un po’ di fortuna e molta fatica sarebbero riusciti a ricominciare da capo, senza badare agli errori, solo tenendoli presenti per non ricascarci di nuovo.    

 

***

 

Camilla gli sfiorò i capelli con le labbra, sorridendo, per poi passare baciargli il viso e le labbra, mentre le sue braccia la avvolgevano in un abbraccio.

«Non corriamo un po’ troppo?», sussurrò lei.

Si guardarono negli occhi e scoppiarono a ridere, alternando altri baci alle risate.

«Tu credi?», le chiese.

«No, per niente.»

«E allora?»

«È stato bello… lo vuoi il secondo round?»

«Mmm, magari…», le accarezzò i capelli e le catturò ancora le labbra fra le sue.

Sentì il proprio cellulare suonare e allungò il braccio senza aprire gli occhi, lasciandosi baciare da lei, andando a tentoni sul comodino.

«Camilla?»

«Uhm?»

«Mi daresti il tempo di vedere chi rompe?»

«Ok, ma solo un minuto.»

«Grazie.»

«Ti scoccia se io mi accuccio qui?», si sistemò meglio con la testa sul suo petto e gli sorrise.

«No, per niente.»

«Bene. Ora guarda chi è e muoviti.»

«Stai calma, zuccherino.»

Camilla ridacchiò a quel soprannome e Bill controllò il messaggio che gli era arrivato:

 

Bill, sono di fronte alla sua scuola, ciò vuol dire che tra poco è a casa. Ti aspetto giù, stronzo che se la fa con la migliore amica di Jinny e io non faccio proprio un bel niente.

 

Bill trattenne una risata e un insulto che avrebbe di certo rivolto al fratello appena lo avrebbe visto.

Menomale che era lui il Sex-Gott tanto discusso! Adesso si lamentava perché Bill faceva sesso con la ragazza che gli piaceva, perché, sì, Camilla gli piaceva sul serio, e lui no con Jinny? Era anche il minimo dopo quello che le aveva fatto passare, e visto che non ricordava nulla.

«Chi era?», chiese Camilla.

«Tom. Dice che è andato a prendere Jinny a scuola e tra un po’ è a casa. Quindi, devo andare.»

«Davvero Tom vuole raccontarle tutto? Non crede che quando saprà quello che c’è stato fra loro e quanto lui l’ha fatta soffrire vorrebbe cancellarlo apposta dalla sua testa?»

«È sempre stato corretto con lei, e non vuole fare diversamente. È innamorato sul serio.»

«Beh, spero vivamente per lui che non faccia altre cavolate. Ah, mi dici perché dobbiamo fare i clandestini?»

Bill alzò le spalle e si rese conto di non aver mai pensato seriamente a quel fatto: era già da un po’ che si vedevano, eppure lo avevano sempre tenuto nascosto a Jinny. Perché? Boh. Era stato così la prima volta per i vari imbarazzi, ma adesso… non ce n’era motivo!

«Glielo dici tu?»

«Ok, per me va bene. Crede ancora che stia con quell’altro!»

«Ti ordino di dirglielo, perché tu sei solo mia», la baciò ancora con ardore e venne tentato dal suo corpo che aderiva al proprio.

«Devo andare», sussurrò e si levò le coperte di dosso.

In un attimo si vestì, ma si accorse che c’era qualcosa che mancava, un dettaglio fondamentale.

«Camilla?», alzò il sopracciglio. Lei lo guardò finta ingenua, la testa sulla spalla e gli occhi da cerbiattina indifesa.

«Mi servirebbe la maglietta che hai addosso.»

«Oh, questa? Non posso tenerla?»

«Non so, vuoi farmi andare in giro a petto nudo?»

«Nessuno ne risentirebbe, anzi», alzò le spalle con gli occhi al soffitto e un sorriso birichino.

«Ne risentirebbe la mia voce se scomparisse, sai com’è, faccio il cantante. Senza contare i danni psicologici derivanti dalle ramanzine di David e Benjamin che subirei, ovviamente.»

«Beh, in questo caso… vieni a prendertela», sorrise pure con gli occhi e si nascose di più fra le lenzuola, ridendo piano.

«Oh, Camilla, mi farai impazzire!»

Si gettò sul letto e la prese dopo un po’ di combattimenti e cuscinate. Si guardarono negli occhi con il sorriso sulle labbra e Bill fece scorrere le proprie mani sui suoi fianchi, tirandole via la maglietta. Si chinò sul suo petto e lentamente la baciò dappertutto, sentendola sospirare ogni tanto, ad occhi chiusi.

«Devo proprio andare, mi dispiace», le sussurrò all’orecchio.

«Bill… ti prego…»

«Zuccherino, lo sai che vorrei restare, ma non posso.»

«Ma Bill…»

«Mi mancherai tanto», le stampò un bacio sulle labbra e si alzò.

Si infilò la maglietta e recuperò il cellulare, mentre Camilla lo seguiva avvolta nel lenzuolo, gli occhi tristi.

«Ok, vado.»

Si avvicinò alla porta e la aprì, ma poi si girò di nuovo verso l’interno: guardò Camilla e le fece un sorriso.

«E dai, non fare quella faccia. Mica sparisco!»

«Torni?»

«Sì che torno. Questo è solo un arrivederci.»

«L’ultima volta che me l’hai detto sei tornato dopo otto mesi.»

Bill chiuse la porta e andò da lei, la strinse forte e sfregò il naso contro la sua guancia e il suo collo, respirandone il profumo dolce.

«Camilla, tu non sai quanto mi sei mancata.»

«Bill, se davvero fosse stato così mi avresti chiamata, saresti venuto a cercarmi.»

«Allora potrei dire la stessa cosa di te!»

«No, perché ero io la scema che ti aspettava.»

«E adesso che mi hai, non ti basta?»

«Io ti ho?»

«Sì!»

«Non sono una fra le tante… di cui ti dimenticherai quando partirai e avrai tutte le groupie ai tuoi piedi?»

«Ma per chi mi hai preso? Io non faccio queste cose.»

Camilla sollevò le sopracciglia e unì le braccia al petto.

«Ok, qualche volta l’ho fatto, ma non ero con nessuna ragazza!»

«Noi due…», stava per chiedere sbalordita, ma non riuscì nemmeno a terminare la frase a causa di quell’improvvisa timidezza, persino tremava.

«Non lo so, tu vuoi?»

«E se fosse solo un’illusione, Bill?»

«Camilla», le prese le spalle e la guardò negli occhi. «Pensa a cosa vuoi e fidati, sia di te stessa che degli altri, per una buona volta.»

Si spostò e uscì dall’appartamento, senza guardarsi più indietro.

Era il colmo che una ragazza, anzi, che proprio Camilla dicesse quelle cose di lui. Non lo conosceva affatto se la pensava così.

Però anche lui era stato piuttosto duro… non doveva risponderle in quel modo… Ora che ci pensava si sentiva anche un pelino in colpa. Dopotutto quelle erano solo paure e lui avrebbe dovuto rincuorarla, invece quello che gli aveva detto lo aveva fatto andare in bestia e aveva reagito in quel modo.

Beh, non si poteva tornare indietro, quindi fece un respiro profondo e scese trotterellando giù dalle scale.

Alla seconda scalinata incontrò Jinny e si abbassò il cappellino sugli occhi facendo un sorrisetto. Erano settimane che passava di lì, che si incrociavano sulle scale, ma lei non lo aveva mai riconosciuto. In parte lo divertiva e in parte lo rendeva triste, perché Jinny era stata davvero importante per lui… era diventata la sua migliore amica col passare del tempo…

«Ciao Bill», lo salutò allegra, passandogli accanto, muovendo la testa a destra e a sinistra, lasciando che le treccine la seguissero.

Ok, come non detto.

«Cosa?», si fermò in mezzo alle scale e la guardò, ma lei andò dritta per la sua strada, senza badare a lui, era come se fosse su un altro pianeta, oppure come se avesse appena assunto una dose consistente di droga, che la faceva vivere in un mondo tutto suo, felice ed irraggiungibile.

Se la immaginò come una hippy, ma finì per scoppiare a ridere e ad agitare la testa per darsi una calmata.

«Ciao Jinny», alzò le spalle e continuò a scendere le scale con il sorriso sulle labbra.

Stupendo il modo con cui Jinny riuscisse a renderlo felice nonostante non si ricordasse di lui, semplicemente con i suoi comportamenti tutti speciali ed unici che gli facevano sempre ritornare il buon umore e i suoi stati d’animo così contagiosi.

Uscito dal portone vide il fratello appoggiato alla sua macchina scura, lo stesso sorriso da ebete di Jinny, lo sguardo felice perso sul cemento di fronte a sé.

«Ma dico, vi siete drogati assieme tu e quella svitata di Jinny?», gli chiese portandosi le mani ai fianchi.

«Uhm?», Tom sollevò la testa e il suo sorriso parve a Bill molto più ampio e da bambino, uno di quelli che non vedeva da tempo, semplice e così vero, che gli riempì il cuore di gioia.

A quanto pareva la presenza di Jinny non faceva bene solo a lui: era una droga molto piacevole per tutti quanti.

«Drogati? Ma sei tu che ti sei fumato qualcosa con Camilla! Forza, dimmi che è successo. E questa volta voglio anche i particolari.»

«Tom, faresti prima a comprarti un porno», sogghignò.

«Oh, senti un po’ quali parole sconce escono da questa boccuccia d’oro!»

Risero assieme e salirono in macchina.

«Allora, le porcate che fate tu e Camilla me le racconti sì o no?»

«Solo se prima tu mi dici cos’è successo con Jinny.»

«Bill, faresti meglio a comprarti uno di quei film romantici e mielosi che ti piacciono tanto.»

«Oh, senti che parole così insolite escono dalla tua boccuccia tutt’altro che d’oro! Davvero è stato così romantico?»

«Jinny inizia a ricordarsi di me.»

«Davvero? Che bello!»

«Già, non vedo l’ora di dirlo anche agli altri. Da quello che ho visto riesce a ricordare quando vive episodi che ha già vissuto in passato, o comunque vedendo o sentendo qualcosa che le ricorda il passato, quindi, se sto più tempo possibile con lei ricorderà molto più in fretta!»

«Bene, Tom! Poi che altro è successo?»

«Niente di ché. Non è cambiata per niente, è sempre una rompiballe pazzesca!»

Risero ancora e dopo fu il turno di Bill a raccontare e Tom lo costrinse a dire anche i particolari, dicendogli di lasciar perdere la timidezza.

Era stata una pausa pranzo intensa e piena di scoperte, di felicità e ancora di dubbi, di ricordi sfuocati, ma dopo troppo tempo Tom si era sentito vivo davvero. Ed era solo merito di quella ragazza magnifica, quella ragazza che amava, la sua piccola Jinny.

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Capitolo 4
*** Ricordare: siamo sicuri? ***


Nota: Eccomi qui! Premetto che questo capitolo è per la mia Socia (ovvero Scarabocchio_), lei lo sa perché, ma lo dirò anche a voi che siete qui non a perdere tempo, spero XD Ieri abbiamo litigato e mi sono sentita veramente una stupida (Non smetterò mai di dirlo) perché, che cavolo, lei non c’entrava niente! Me la sono presa con lei ingiustamente e le chiedo ancora umilmente scusa. Socia, ti voglio tanto bene e a causa della mia ex migliore amica che mi ha fatto soffrire davvero tanto (tu lo sai -.-) adesso ho molta paura di perdere le persone a cui tengo. Anche se potrebbe sembrare stupido, strano (Come noi ^^) e prematuro dire una cosa del genere, però… ti voglio davvero bene! Con questo capitolo a te dedicato spero di farmi perdonare e di farti passare un po’ di questo nervosismo che c’è nell’aria, perché mi piace sentirti quando sei felice! Bene, ora passo ai ringraziamenti:
Scarabocchio_: Prima come sempre ^.^ E beh, scusa, prima a recensire, prima nei ringraziamenti, no? Mi sembra una cosa logica. Bene, ti dirò… Bill e Camilla… eh, che dire senza dire… tutto? Leggi e vedrai cosa combinano quei due “teneroni sempre in cerca di affetto”. Continua a seguire, mia prediletta ^^
Ladysimple: Ciao! Sono contenta che ti piaccia. Jinny incomincia a ricordare… chissà se soffrirà… bah… Leggere! Grazie mille per le recensioni.
marty sweet princess: Felice di essere stata un bel passatempo mentre aspettavi tua madre XD Jinny (L’hai scritto giusto!!) ha perso la memoria, fin qui ci siamo, ma siamo davvero sicuri che sarà tutto rosa e fiori? Beh, tu spererai di sì, conoscendoti, però diciamo che… devi leggere! Eheh, Miss Perfidia colpisce sempre a sorpresa. Dai, mi aspetto un’altra bella recensione lunga, perché stai davvero migliorando! Un bacio, grazie!
Ringrazio anche tutti quelli che hanno letto, alla prossima, grazie! Ary

 

 
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4

Ricordare: siamo sicuri?

 

I giorni passavano e portavano con loro speranze che aumentavano e sorrisi che non facevano altro che ampliarsi e diventare sempre più belli e veri, sinceri e finalmente felici.

Non avevano mai visto Tom così euforico e pieno di vita, iperattivo e pronto a fare qualsiasi cosa. In più era da un po’ che non lo sentivano litigare e sbraitare con la gente. Di solito quando stava così voleva dire che aveva una vita sessuale molto attiva, ma quella volta il sesso non c’entrava niente, non ce n’era proprio l’ombra. Strano, eh?

A loro piaceva quel Tom, e speravano che rimanesse così per l’eternità, perché era magnifico vederlo in quel modo dopo averlo sopportato nei mesi in cui non era veramente… vivo. Ora era più vitale e pieno di energie di prima.

«Ragazzi, che ore sono?»

«Uhm… le due meno venti, perché?»

«Oddio, di già?! Jinny esce adesso!», gridò sottovoce, per non farsi sentire da Benjamin che poteva essere sempre in agguato, pronto a catturarlo e a tenerlo segregato per l’eternità fra quelle quattro mura.

Si alzò e cercò con lo sguardo le chiavi della macchina. Qualcuno gliele porse e sorrise afferrandole.

«Grazie!», disse. Solo quando alzò lo sguardo si rese conto che quello era Benjamin, pronto anche ad ucciderlo sul posto, di fronte al suo gemello e ai suoi migliori amici.  

«Benjamin!», disse nervosamente, chiedendo aiuto con lo sguardo.

«Tom. Posso sapere dov’è che vai tutti i giorni a quest’ora?»

«A mangiare!»

«Non ti sono bastati i quattro panini alti più o meno come un grattacielo di venticinque piani che ti sei mangiato circa un’ora fa?»

«Ehm…»

«Tom ha il verme solitario», salvò la situazione Georg.

«Dovresti curarti, allora.»

«Gli fa compagnia!», ridacchiò Bill.

«Già. Vedi di tornare presto.»

Annuì e si avviò, quando sentì il suo cellulare suonare. Lo prese e sobbalzò vedendo il nome di Jinny sul display.

Era in ritardo, ok, ma aveva anche lui una vita, non era il suo taxi privato! In più doveva chiamare proprio in quel momento, con Benjamin nei paraggi?

Il management lo guardò e gli indicò di rispondere, alzando un sopracciglio. Lui ridacchiò nervosamente e poi curvò le labbra all’ingiù pigiando il tasto verde.

«Ciao… Carmen, che vuoi?»

«Carmen? Tom, guarda che sono Jinny!»

«Ti ho chiesto, che vuoi? Sono di fretta.»

«Bah, non ti capisco. Comunque non venire a scuola, oggi sono rimasta a casa.»

«Come mai?»

«Oggi è venerdì e a scuola noi facciamo un venerdì sì e uno no, e questo è un… venerdì no.»

«Ma perché non hai avvisato prima?»

«Perché so come sei tu alla mattina, l’ultima volta mi hai quasi sbranata! Sembravi un orso svegliato in pieno letargo!»

Era ovvio, l’aveva chiamato alle sette meno venti di mattina, praticamente all’alba per lui, quella pazza!

Ricordò con un sorriso le alzatacce per niente faticose per andare a fare surf con il sole che nasceva, solo lei e lui, fra le onde del mare.

«Oh, capisco, quindi il locale è chiuso.»

«Che cosa? Tom, non è che posso stare a giocare a Indovina il messaggio in codice

«Dicevo che non vengo… al locale. E quindi… quando riapre?»

«Mi sto incazzando, ti avverto.»

«Cazzo, ma mi capisci quando parlo?! Allora, c’è un mio vecchio… vecchissimo zio che non vuole che mangio nel locale dove lavori tu e io lo devo fare di nascosto, quindi, quand’è che ci vediamo? Cioè… quand’è che riapre il locale?»

Jinny lo stava facendo sudare!

«Oh, c’è mio zio lì?»

«Vedo che inizi a capire qualcosa!»

Tutti lo guardavano e lo mettevano in ansia, chi più chi meno: c’erano Bill, Georg e Gustav che volevano scoppiare a ridere di fronte ai suoi tentativi di mantenere il segreto e quindi di salvarsi la vita, facendosi credere pure un dipendente da fast-food. E poi c’era Benjamin che, si vedeva dalla faccia, non sapeva più che pensare: quel ragazzo stava bene oppure era da curare immediatamente, prima che lo perdessero definitivamente?

«Uhm… stasera il locale è aperto?», le chiese allargandosi il colletto della maglia, sentendosi sudare.

«Cosa? Mi… mi stai chiedendo di uscire?»

«Probabilmente sarò lì verso le otto.»

«Tom! Noi siamo… amici, non puoi…!»

Il silenzio che arrivò dall’altra parte le fece capire molte più cose rispetto a mezz’ora di parole con lui. Quel ragazzo era tutto particolare, tutto a modo suo in fondo, prima o poi si sarebbe dovuta adattare.

«Oh, noi eravamo più di semplici amici, non è così?»

«Senti, Carmen, ne riparliamo stasera, va bene?»

«Ok, ma te la farò pagare. Carmen non mi piace per niente!»

«Sì, sì, come vuoi.»

«Ah, aspetta!»

«Che c’è ancora?»

«Che cosa… che cosa mi devo mettere?», gli sussurrò, come se ci fosse lei con Benjamin addosso. «Insomma, questo è un appuntamento

«Il solito andrà benissimo.»

«Uhm, come vuoi. Allora a stasera.»

«Ciao, ciao.»

Chiuse la chiamata e guardò i quattro paia di occhi che aveva puntati addosso, senza sapere più cosa inventarsi: quella ragazza lo aveva prosciugato di qualsiasi inventiva! Anche se con lei bisognava averne sempre tanta, doveva ammetterlo.

«Quella cameriera si è attaccata a me come una cozza ad uno scoglio», ridacchiò. «Ha visto che ero in ritardo e… tack, mi ha chiamato!»

«E da quando dai il tuo numero di cellulare alle cameriere appiccicose?» chiese Benjamin.

«Ahm… da adesso?»

«Sarebbe meglio che tu non lo facessi, lo sai bene.»

«Sì, lo so, ma di lei ci si può fidare.» Guardò Bill con occhi imploranti, che dicevano da soli: Aiuto!

Ma non fu Bill a salvarlo, bensì la madre di Jinny, Victoria, che bussò alla porta e disse a Benjamin che c’era un signore che lo attendeva alla reception.

Sentiva di amare quella donna! Quasi quanto sua figlia. Quasi. Per quella volta l’aveva scampata, ma per quanto sarebbe riuscito a tenere la bocca ben chiusa?

«Da dove ti è uscito Carmen?», chiese Bill scoppiando a ridere quando il management fu lontano.

«Intanto l’ho scampata», gli fece una linguaccia.

«Non ci posso credere, ma ti rendi conto di ciò che hai appena fatto?», chiese Gustav.

«Cosa?»

«Hai invitato Jinny – sebbene a modo tuo – ad uscire fuori, questa sera!»

«Oh, sì…», si grattò la nuca arrossendo. «Volevo farlo da un po’.»

«Dove la porterai?»

«Ancora devo pensarci, datemi tempo, adesso sono troppo stanco. Mi ero dimenticato quanto fosse difficile quella ragazza!»

 

***

 

Jinny si passò l’asciugamano sulla testa e sorrise allo specchio, per poi saltellare, in accappatoio, in camera di Camilla per avvertirla che quella sera sarebbe uscita con Tom. Non sapeva perché ma era felicissima, anche se quella situazione era davvero strana.

«Camilla! Indovina?!»

Si fermò sulla porta, a guardarla mentre cantava a squarcia gola un pezzo di una canzone romantica e malinconica, usando come microfono un cuscino, con addosso solo una maglietta stile Tom e le mutande.

«You are the moonlight of my life every night… Giving all my love to you… My beating heart belongs to you!!!»

«Ti prego, Camilla, così mi deprimi

«Se, come no, hai un sorriso lungo tre chilometri circa, niente riuscirebbe a deprimerti. Che cos’è successo?»

«Forse è meglio di no, se stai così.»

«Si tratta di Tom, per caso?»

«Sì!», batté le mani di fronte al viso, saltellando.

«Dai, spara.» Si tuffò sul letto a gambe incrociate, spegnendo lo stereo.

«Mi ha invitata ad uscire, stasera!»

«Davvero?», chiese allibita.

«Sì!»

Camilla scoppiò a ridere e a rotolarsi sul letto, le braccia strette intorno alla pancia.

«Perché ti comporti così?», le chiese Jinny, ingenua e anche un po’ demoralizzata da quella reazione.

Cioè, lei era strafelice, tanto che voleva gridarlo al mondo, e la sua migliore amica le rideva in faccia?

«Ma sei sicura che stiamo parlando della stessa persona?», aveva le lacrime agli occhi da quanto aveva riso.

«Perché?»

«Tom non può averti invitata ad uscire, non è da lui! A meno che non ci sia qualcosa sotto.»

«Cioè?»

«Cioè vuole solo portarti a letto e usa questa tattica! Furbo, però.»

«Ma perché dici così? Non è vero!»

«Jinny, tu non lo conosci!»

«Sì, sì che lo conosco! Meglio di te sicuramente!»

«Jinny, sto solo cercando di proteggerti!»

«Proteggermi da cosa?!»

«Da lui! Da colui che ti ha fatta star male per più di due mesi, fino a quando hai avuto l’incidente e te lo sei dimenticato!»

«No, io non ti credo, Tom non può avermi fatta del male! Tu sei solo gelosa perché Tom mi invita ad uscire e Bill non lo fa e viene qui solo per spassarsela un po’ con te!»

E così Camilla aveva detto a Jinny che aveva quello strano rapporto con Bill. Le aveva raccontato tutto, paure e non, litigate e sorrisi, e non l’aveva presa male, ma adesso stava usando quel suo stesso dolore contro di lei.

Era rossa di rabbia, Camilla non l’aveva mai vista così. Fra la delusione e la frustrazione riuscì pure a notare come potesse essere strana la vita: fino a poco tempo prima avrebbe scommesso che invitare a cena una ragazza fosse un comportamento consono a Bill, non a Tom! E invece i ruoli si erano invertiti. E la sua migliore amica, che aveva sofferto così tanto e aveva pure perso la memoria, si ritrovava più felice di lei, che soffriva come mai aveva fatto in vita sua, a causa di un ragazzo al quale nemmeno sentiva di essere legata da un qualcosa di più oltre al sesso.

Jinny si girò facendo gocciolare dappertutto le treccine e si diresse a passo spedito verso la sua camera, sbattendosi la porta alle spalle.

Una migliore amica non doveva comportarsi in quel modo! Doveva gioire se gioiva l’altra, non distruggerle lo stato di estasi in cui si trovava! Però… c’era qualcosa che non quadrava: perché aveva detto che Tom l’aveva fatta soffrire prima dell’incidente? Che cosa aveva fatto? Jinny non lo ricordava e forse aveva fatto male ad arrabbiarsi con lei in quel modo, forse avrebbe fatto meglio a fidarsi di lei, invece di aggrapparsi ad un sogno. Se poi le previsioni di Camilla fossero state esatte, cioè che Tom voleva solo portarla a letto, che figura ci avrebbe fatto? E poi, con che coraggio sarebbe tornata da lei e dirle: «Avevi ragione tu»?

Si tuffò sul letto e affondò la faccia nel cuscino. Possibile che non avesse nemmeno un ricordo fisico dei quei quattro ragazzi? Aveva vissuto con loro per due mesi, non poteva aver bruciato tutto! Già la sua memoria era andata in fumo, ci mancava solo il resto del suo passato.

Si alzò e per prima cosa si vestì e avvolse in un asciugamano quelle cavolo di treccine, che si trovò ad odiare ancora di più nel profondo quando una di esse si incastrò con la finestra che stava chiudendo.

Iniziò a svuotare il suo armadio in cerca di qualcosa di carino da mettere. Sì, Tom le aveva detto che il solito sarebbe andato benissimo, ma lei voleva farsi trovare carina da lui.

Arrossì solo al pensiero e si gettò alla scrivania per cercare la sua collana portafortuna, che, però, le aveva regalato Camilla. Sollevò le spalle e la cercò fra i cassetti, senza molto successo, visto il suo poco ordine. Sua madre aveva proprio ragione quando diceva che era disordinata in un modo assurdo. Ma lei era un’artista, viveva nel suo mondo privato, sopra una nuvola, e non le interessavano i giudizi degli altri. O almeno, ci provava.

Infognata fra milioni di schizzi, un diario di quando aveva sei anni che non ricordava nemmeno di avere e altre cianfrusaglie varie, trovò una collana. Era una collana, ovviamente, ma non era quella che le aveva regalato Camilla. La fissò tenendo il cordino nero, controluce, e ancora una volta la sua mente venne travolta da un sacco di immagini, tutte scollegate fra loro e tutte così vivide da farle venire i brividi.

Lei appoggiata al caldo petto di Tom, con il sorriso sulle labbra, mentre le accarezzava i capelli; un mazzo di girasoli; Bill che si lamentava perché lei aveva appena detto che erano gli unici uomini della loro vita ed erano gelosi; Tom che se la rideva sotto i baffi, lo sguardo rivolto al pavimento; lei che diceva che voleva scoprire chi era stato a mandarle quei fiori e quella collana; Bill che le augurava buona fortuna.

Era una collana che per ciondolo aveva una tavola da surf di legno, con sopra il disegno di un tramonto sul mare e un delfino che saltava nell’acqua.

Guardandola ancora meglio ricordò a tratti un pomeriggio passato in spiaggia coi ragazzi, a ridere e a scherzare sul suo ammiratore segreto.

Si mise seduta sul letto con il ciondolo stretto in mano, gli occhi chiusi, e tentò di ricordare ancora. Ci riuscì, ma fu brevissimo e molto sfuocato: l’unico particolare che era riuscita a cogliere era stato il sorriso unico ed inconfondibile di Tom e le sue dita che le sfioravano la pelle del collo, accarezzandole la collana.

Aprì gli occhi di colpo e respirò velocemente, come se fosse stata a corto di ossigeno. Cavolo, lei e Tom erano stati davvero insieme! E chissà cosa cavolo avevano fatto!

Sentì la porta di Camilla sbattere e uscì quasi di corsa, preoccupata per l’amica.

«Camilla! Camilla, Camilla, dove vai?»

«Vado a farmi un giro!»

«Camilla, mi dispiace!»

Camilla si girò e la guardò. Si strinsero in un abbraccio e Camilla scoppiò a piangere, nascondendo il viso nell’incavo della sua spalla.

«Camilla, vuoi che resti qui stasera?»

«No, tu… tu devi uscire con Tom, ci tieni davvero, si vede.»

«No, sul serio, se vuoi resto.»

«Ma perché tu sei così buona con me?»

«Cosa? Ma tu sei la mia migliore amica!»

«Ma come fai ad essere la mia migliore amica dopo tutto quello che ti ho fatto?», singhiozzò guardandola negli occhi.

«Tu? Ma che cavolo… tutti quanti mi hanno fatto qualcosa?»

«Sì, Jinny, e io sono sempre stata la prima! Quando hai fatto l’incidente eri da sola, quando hai litigato con Tom ti ho abbandonata per fare sesso con un ragazzo che non conoscevo nemmeno e… Oh, Jinny, mi dispiace così tanto…»

«Camilla…», le accarezzò le guance e le asciugò le lacrime, facendo un sorriso dolce. «Sarò tanto buona, ma sai perché?»

«Perché sei scema, ecco perché.»

«Lo so che essendo sempre buoni si può anche non ricevere nulla in cambio, ma… so che con te ne vale la pena, perché so che tu ci sarai sempre per me, e che anche se a volte sbagli non importa! Ci sarò io qui, ad aiutarti, come tu ci sei sempre me. Ok?»

Annuì e tirò su col naso, facendo un sorriso timido.

«Ora chiamo Tom e gli dico che stasera resto a casa. Con te.»

«Ti prego, Jinny, non lo fare.»

«Camilla, non mi divertirei sapendo che tu sei a casa da sola, non riuscirei nemmeno a non pensarti per un momento. E Tom non ne sarebbe felice.»

«Jinny!»

Jinny le tappò la bocca con la mano e le stampò un bacio sulla guancia, ridacchiando.

«Pizza e film?»

«Oh, sei più cocciuta di un mulo! Fai quello che ti pare.»

«Grazie Camilla.»

«Però penso sia meglio che tu glielo dica di persona, a Tom.»

«Ok, allora faccio un salto lì e poi torno subito qui. Ah, passo a prendere la pizza.»

«Va bene, dai, muoviti.»

Si sorrisero e Jinny prese le chiavi di casa ed uscì. Prese la sua bicicletta e si mise a pedalare per raggiunse la Universal nel minor tempo possibile. Non le piaceva lasciare Camilla da sola, soprattutto sapendo che non stava così bene da poter resistere e non piangere. E non le andava che piangesse da sola, se proprio doveva farlo.

La brezza sul viso, l’aria fresca che le entrava nei polmoni, le ricordò il mare, quel mare che gli mancava tanto, e una risata inconfondibile, quella di Tom che rideva facendo surf con lei.

Si trovò a sorridere e scese dalla bicicletta, entrò nella hall e vide sua madre intenta a trafficare con il computer. Non le era mai piaciuta la tecnologia, diciamo pure che aveva un rapporto abbastanza ostile con essa, ok, la odiava, ma ormai era così, e si doveva adattare.  

«Ciao mamma, sai dove posso trovare Tom?»

«Jennifer! Che spavento che mi hai fatto prendere!», si portò una mano sul cuore e le sorrise. «Sì, è in studio. Oh, stai attenta a non farti beccare da Benjamin.»

«Ma mamma, io sono stufa di nascondermi. Che cosa cambia tanto? Secondo me sarebbe meglio dirglielo.»

«Fai come credi, tanto non ti fa cambiare idea niente.»

«Grazie mamma, ora vado.»

Le sorrise e andò in studio. Sapeva bene dov’era, suo zio l’aveva fatta crescere lì dentro, fin da quando era bambina, e ricordava bene ogni singola piastrella.

Bussò alla porta e sentì la voce dei quattro ragazzi incorare perfettamente un «avanti».

«Permesso…»

«Jinny! Che ci fai qui?», chiese Tom alzandosi in piedi e rompendo una corda della chitarra.

Era già la quarta che faceva fuori in una giornata, non era possibile!

«Sì, noi… dovremmo parlare.»

«Di cosa? Se sei venuta fino a qui dev’essere una cosa importante.»

«Infatti. Preferisci parlare qui o… da soli?»

«Come preferisci.»

Jinny alzò le spalle e chiuse la porta, appoggiandocisi con la schiena.

«Stasera non si può fare», andò dritta al punto.

«E perché?», balbettò Tom, sgranando gli occhi.

Gli era crollato il mondo addosso. Aveva fatto così tanta fatica a chiederle di uscire e ora… lei gli diceva che non si poteva fare. Ma che scherzi erano quelli? Ok che non l’aveva trattata bene, che aveva voltato le spalle all’amore una volta, però non doveva prendersela così tanto con lui, era ingiusto.

«È successo… un imprevisto», guardò Bill con la coda dell’occhio, stringendosi le mani.

«Si tratta di Camilla, non è così?», disse lui, abbassando il capo.

«Sì, e… non mi va di lasciarla sola, non questa sera.»

«Ma che cos’è successo?», chiese Gustav.

«Non lo so e non mi interessa, a me importa solo che Camilla non stia male. Si è messa ad ascoltare canzoni romantiche e depressive!», mosse la mano. «No, no, non lo voglio sapere, grazie. Finirei per starci male anch’io.»

«Ok, come preferisci…», disse Tom risedendosi e cercando di sfilare la corda rotta dalla sua amata chitarra, ma era così nervoso e con gli occhi lucidi che gli tremavano le mani e non riusciva a fare un fico secco.  

«Tom… te la sei presa?»

«No, no, stai tranquilla.»

«No, invece…»

Si guardarono negli occhi e Tom si trovò costretto a cedere, di fronte al verde al quale non sapeva mentire.

«Ok, mi dispiace, però… sopravvivrò.»

Suonò il cellulare di Jinny e si scusò prima di rispondere. Tom approfittò del suo momento di distrazione per passarsi il braccio sugli occhi.

Ma perché aveva quell’istinto di piangere? Aveva solo posticipato l’uscita, non aveva rifiutato! Non c’era motivo di sentirsi così male! Eppure… aveva il cuore a pezzi.

«No, te lo scordi! Tu non vai da nessuna parte senza di me! Cosa… No, io non sono cocciuta, mi preme soltanto il tuo bene. Camilla, ti prego, non dire queste cose assurde. Tom… Tom non se l’è presa. O almeno così dice, ma non è vero, glielo si legge in faccia.»

«Jinny, ti sento», disse Tom, e lei arrossì.

«Camilla, ok, va bene, mi hai appena fatto fare una figuraccia. Smettila, ok, va bene, uscirò con Tom!»

«Davvero?!», gridò entusiasta lui, alzandosi di nuovo in piedi e volendo fare i salti di gioia, ma radicò bene i piedi a terra.

Jinny sorrise timida e girò un poco il viso verso il cellulare, quasi a nascondersi, e le treccine le coprirono la guancia con successo.

«Sì, ok, arrivo. No che non… Camilla, ti prego! Basta, non ti permetto di dire queste cose! Ma davvero?»

Jinny guardò Tom e lui alzò le spalle chiedendole che cosa c’era che non andava con lo sguardo. Lei si sistemò il cellulare sulla spalla e si tirò indietro i capelli.

«Il tuo soprannome è davvero Sex-Gott?», gli chiese ridendo.

«Una volta lo era», disse lui.

Una volta, molto tempo prima, ma ora che aveva ritrovato la ragazza per la quale veramente provava qualcosa, non se la sarebbe fatta scappare, avrebbe rinunciato al titolo per lei, e anche volentieri. Lei era lei, non poteva competere con le altre, loro erano zero in confronto a lei.

«Ha detto che lo era una volta», disse a Camilla. «Ok, a dopo scema. E smettila di ascoltare quella canzone, non ti aiuta! E non ti affogare nel gelato. Perché non uscite tu e Bill?»

«Cosa?», quasi Bill si soffocò con la sua stessa saliva.

«Sì, perché no? Dovrete pure tornare a parlarvi! E non voglio che Camilla stia male per colpa tua, sia chiaro.»

«Oh, Jinny, è bello sapere che non cambi mai», disse Gustav facendole un sorriso che le provocò non pochi ricordi che la fecero sorridere a sua volta, come le loro chiacchierate in cucina e le risate che si facevano assieme.

«Ciao Camilla, a dopo», salutò l’amica e fece un sorriso timido ai ragazzi, soprattutto a Tom.

«Allora per stasera è ok?», chiese lui, un sorriso a trentadue denti.

«Sì, penso di sì», si morse il labbro.

«Ok, bene! Allora ti passo a prendere alle otto.»

«Va bene. Devo andare ora, ciao», fece un cenno con la mano e uscì fuori dalla stanza guardandosi intorno, per non farsi beccare da suo zio.

Quella situazione con lui non le piaceva per niente, sapeva che se li avrebbe scoperti da solo sarebbe stato peggio, eppure non aveva il coraggio di dirglielo. Per chi aveva paura? Per lei o per Tom? Quanto affetto provava verso quel ragazzo? Solo lei non lo sapeva. Tutto il mondo sì e lei no, bello.

 

***

 

Camilla guardò Jinny e sorrise stringendosi le gambe al petto, la testa sulla spalla.

«Ma sto bene davvero?», chiese ancora, in piena fase di panico da pre-uscita.

«Sì, Jinny, come te lo devo dire? You’re beautiful!»

«Ah, ma smettila per favore.»

«Perché, non posso parlare in inglese? È la mia lingua!»

«Non parli inglese da quando…», Jinny si girò e si mise seduta al suo fianco, dispiaciuta. «Mi dispiace», sussurrò.

«Non fa niente», disse a testa bassa.

I genitori di Camilla erano entrambi inglesi, ma da quando era nata lei si erano subito trasferiti in Germania. Aveva imparato sia l’inglese che il tedesco, ma aveva smesso di parlare la sua lingua madre quando suo padre era morto d’infarto, qualche mese prima. C’era già stato un principio, in precedenza, quando erano al mare, all’ospedale avevano detto che non era nulla di grave, ma non era così.

«Sicura di star bene?», le chiese premurosa.

«Sì! Prima che usi anche questa scusa per stare a casa!»

Risero assieme e Jinny si accoccolò fra le braccia dell’amica, lasciandosi accarezzare le treccine come se fosse una bambola, la bambolina personale di quella bambina un po’ cresciuta di Camilla.

«Sembro così tanto nervosa?»

«Abbastanza. Vedrai, andrà benissimo, già me lo immagino.»

«Camilla, sei sicura? Guarda che resto a casa se non te la senti di restare da sola, non me ne frega niente.»

«Jinny, ti ho già detto di non preoccuparti. Me la caverò! E poi stasera c’è Una mamma per amica

«Oh, come ho fatto a dimenticarmene!»

«Scema!», le tirò uno schiaffo sul braccio e iniziarono a lottare sul letto, ridendo a crepapelle.

«Ah, solo perché sei vestita in questo modo perfetto non ti picchio!», disse Camilla bloccandole i polsi.

«Brava, ottima decisione, perché se no vincerei io.»

«Sì, l’importante è crederci!»

Le due si guardarono in silenzio, perse l’una negli occhi dell’altra, poi il suono del campanello le fece sobbalzare. Jinny scattò in piedi e guardò l’orologio: otto in punto.

Cavolo, non se lo sarebbe mai aspettato da uno come Tom. Tom… chi era in realtà? Che voleva da lei? Che cosa avevano passato realmente insieme?

Il suo stomaco si aggrovigliò tutto e Camilla la prese per mano portandola in salotto, dove la mise seduta sul divano, colta da una nuova fase di ansia.

Calmati Jinny, è tutto ok, va tutto alla grande, si disse facendo dei grandi respiri profondi mentre l’amica andava alla porta ad aprire.

No, non era tutto ok, non andava tutto alla grande, per niente! Tremava e sentiva le gambe molli, il cervello incapace di ragionare come avrebbe dovuto.

Camilla aprì la porta e Jinny trattenne il respiro quando vide Tom vestito di tutto punto, con una maglietta di un azzurro metallizzato e i soliti jeans oversize. Insolitamente non aveva il cappellino e la fascia, ma solo i suoi biondi rasta legati sulla nuca.

Il suo sorriso era così… perfetto… Ma com’era possibile? Era un angelo fatto a persona.

«Ciao», salutò lui gettando subito un’occhiata a Jinny.

Anche lei non scherzava: indossava un vestito azzurrino, un copri spalle nero e le ballerine nere. Il trucco era semplice e aveva raccolto le treccine che le cadevano ostinatamente sul viso in un fermaglio sulla nuca, lasciando sciolte le altre, ad accarezzarle la schiena.

Tom si guardò e poi guardò ancora Jinny:

«Giuro che non ci siamo messi d’accordo con l’abbinamento dei colori», sorrise a Camilla.

«Sì, ehm… l’azzurro è…», incominciò a dire timidamente Jinny, ma Tom non la lasciò finire.

«Il tuo colore preferito. Menomale che avevo detto che il solito sarebbe andato benissimo. Sei bellissima.»

Jinny arrossì sulle guance e lo fece ancora di più quando vide Tom tirare fuori dalla schiena un mazzo di bellissimi girasoli, che le ricordarono ancora la collana e quel pomeriggio passato a fare surf.

«Ho pensato che… ecco, i girasoli sono i tuoi fiori preferiti», disse lui grattandosi la nuca.

«Oh, sì, è vero», disse Jinny imbarazzata quanto lui da quella situazione.

Quante cavolo di cose sapeva di lei, porca di quella miseria? Doveva essere stata davvero una cosa seria se si ricordava quei particolari, ma non restò su a pensarci molto perché Camilla la guardò e con un movimento della mano le disse di alzarsi e di andare.

«Questi li prendo io», si offrì Camilla prendendo i fiori e portandoli in cucina.

Jinny e Tom rimasero a guardarsi a vicenda, non nascondendo un piccolo sorriso soddisfatto, quando lui corrugò la fronte e fissò poco sotto al suo mento.

Ecco, lo sapevo che questo vestito era troppo scollato!, pensò Jinny morendo di vergogna.

«Quella… quella è…», disse incredulo Tom, sfiorandole la pelle intorno al collo.

Ogni suo tocco era infuocato, Jinny sentiva la propria pelle bruciare sotto alle sue dita.

«Cosa?», abbassò anche lei lo sguardo e si accorse di avere la collana appartenente all’epoca dei ragazzi addosso, che non c’entrava un fico secco con il resto.

«Oh, questa? L’ho trovata sta mattina, era in fondo ad uno dei cassetti, sommersa fra molta altra roba», disse sul vago.

Pensò di togliersela perché non ci azzeccava praticamente nulla con quello che aveva addosso, ma vedendo il sorriso e gli occhi brillanti di felicità di Tom pensò che era decisamente il caso di tenerla. Che gliel’avesse regalata lui? Non lo ricordava e non glielo chiese, era già abbastanza in imbarazzo.

«Ok, fatto, ora potete andare, gentilmente? Ho un appuntamento con Una mamma per amica, io», disse Camilla, spingendoli fuori dall’appartamento, facendo finire accidentalmente Jinny fra le braccia di Tom, facendola arrossire di colpo.

Camilla, io ti uccido! E lo farò con le mie stesse mani, stanne certa!

Si scostò velocemente da lui e si strinse nel copri spalle, guardando male l’amica all’interno, che fece la faccia d’angioletto con tanto di aureola e ali candide.

«Forza, andate!», li intimò.

«Camilla, mi raccomando», disse Jinny.

«Tu non ti preoccupare, starò benissimo! Divertitevi!», li salutò con la mano e poi chiuse la porta.

Non aveva aspettato un «Anche tu» da loro, tanto sapeva che da Jinny sicuramente non sarebbe arrivato, e comunque non lo voleva sentire.

Si gettò sul divano e accese la televisione. Bene, perfetto, il telefilm per il quale aveva tanto rotto le scatole era già iniziato.

Corse a prendere le patatine e una bottiglia di Coca Cola e poi si rifiondò sul divano. L’aspettava una serata di totale tranquillità: lei e la televisione. Era tristissimo se pensava che la sua migliore amica era ad una cena romantica con il fratello gemello, non più Sex-Gott – solo per lei, tra l’altro –, di Bill, il ragazzo di cui, fortunatamente o sfortunatamente – dipendeva dai punti di vista –, si era innamorata perdutamente.

Sospirò di fronte ad una scena romantica, ad un bacio in mezzo al prato buio della sera, e si accorse di una calda lacrima che le scendeva sulla guancia. Come se nulla fosse ci passò il dito sopra e la levò. Ormai ci era anche abituata.

A volte l’amore faceva davvero schifo. A lei non serviva l’amore! Era una cosa che faceva solo del male. E lei non voleva stare ancora male a causa di un ragazzo. Però non voleva nemmeno restare zitella a vita e nemmeno diventare lesbica. Così abbandonò la faccia nel cuscino e lo strinse. Pensò a Bill e a tutte le ore trascorse in quel letto che era proprio nella camera al suo fianco, la sua. Adesso, se avesse potuto scegliere fra averlo solo per sesso e non averlo proprio avrebbe scelto la prima opzione, senza alcun dubbio.

L’amore poteva mandarti tanto in basso quanto in alto, dipendeva dai momenti e dalle persone. Sapeva che Bill era un bravo ragazzo, ne era certa, ma non capiva perché con lei si comportasse in quel modo. Forse era lei quella che pretendeva troppo da lui, cose che non poteva dare a causa di svariati motivi. Forse, semplicemente, non erano fatti l’uno per l’altra e doveva farsene una ragione.

Sentì il campanello suonare e sbuffò passandosi le mani sul viso.

Quella scema di Jinny deve aver per forza dimenticato qualcosa. Ma io non lo so, quella ragazza non ce la fa più!

«Jinny, cos’hai…?», si fermò e guardò Bill di fronte a sé, che la guardava con il suo sorriso tenero e malizioso allo stesso tempo.

«Bill! Che ci fai qui?», si portò le mani sui fianchi.

Sapeva che Tom e Jinny uscivano e aveva pensato bene di andare da lei per passare un’altra notte di fuoco, ovviamente, ma si sbagliava di grosso. Camilla non sarebbe caduta nella sua trappola un’altra volta. O almeno ci avrebbe provato.

«Passavo di qui e… Perché hai pianto?»

«Cosa?»

Le passò una mano sulla guancia calda e Camilla chiuse gli occhi cercando inutilmente di trattenere le lacrime, che scivolarono lentamente sul suo viso e poi sul suo mento.

«È colpa mia, vero?», le disse piano, avvicinandosi.

«No, è l’amore che fa schifo», singhiozzò.

«Io non la penso in questo modo.»

«Per forza, tu non stai dalla parte di chi soffre, tu stai dalla parte di chi se ne sbatte il cazzo.»

«Cosa? No, non è vero!»

«Per quale motivo sei qui? Io avevo un appuntamento.»

«Con chi, le patatine e quell’insulso telefilm?», sorrise.

«E chi ti dice che è insulso? È bellissimo!»

«Ah, per favore!»

«Vuoi aprire un dibattito sui telefilm?»

«Se ci tieni tanto… ma ti avverto, non guarderò molto, però so capire se le cose sono belle o no.»

«Oh, su questo non ho dubbi. Se sei qui ci sarà qualche motivo, no?», sorrise maliziosamente.

«Camilla!»

«Che c’è? Allora, vuoi entrare o no?»

«Sì, ma non so se riuscirò a controllarmi una volta dentro.»

«Ho promesso a Jinny che non avrei fatto cazzate.»

«Quindi, venire a letto con me è una cazzata?»

Bill entrò nell’appartamento e guardò Camilla sedersi sul divano e riprendere il telecomando in mano.

«Sì, soprattutto se poi non ti fai sentire per un’intera settimana.»

«Secondo te perché l’ho fatto?»

Aveva i capelli perfettamente lisci sulle spalle, gli occhi penetranti già di loro contornati da uno strato spesso di trucco nero, il viso chiaro illuminato dal riflesso della televisione. Camilla faceva fatica a concentrarsi sulle sue parole e a pensare a qualcos’altro oltre a quanto fosse bello.

«Perché?», tremò.

Bill sorrise e si mise seduto al suo fianco, un braccio sullo schienale, quasi ad avvolgerle le spalle.

«Non per farti star male sicuramente», le sussurrò a pochi centimetri dal suo viso.

«Ah no?», corrugò la fronte.

«Ti ricordi quello che ci siamo detti l’ultima volta?»

Come faceva a non ricordarsene? Era stato così infinitamente doloroso…

«Sì», annuì ad occhi bassi.

Bill le prese il mento fra le dita e le fece guardare i suoi occhi. Camilla venne percossa da un brivido e si scostò dolcemente, raccogliendosi una gamba al petto.

«Ti ho dato il tempo per riflettere, Camilla. Spero che tu l’abbia fatto, perché io ci ho pensato giorno e notte.»

«Io in verità ho cercato in tutti i modi di non pensarti, ma credo che sia ovvio ciò che voglio veramente.»

«E cosa vuoi?»

«Te.»

«Questo implica molte cose, sai? Se non ci hai riflettuto potresti anche pentirtene.»

«Bill, starei molto peggio senza te, credimi.»

«Beh, se è così allora…»

«Tu cosa sei disposto ad offrirmi?», gli chiese mettendogli una mano sulle labbra, allontanandolo dal suo viso.

«Tutto ciò che posso, perché tu mi piaci sul serio. Aspettavo soltanto che tu facessi chiarezza in quella testolina bacata che ti ritrovi.»

«Testolina bacata a chi?!»

«A te, zuccherino.»

Camilla arrossì a quel soprannome e si lasciò abbracciare da lui, che la fece sdraiare sul suo petto. Lei si accucciò e sospirò felice sentendo di nuovo quel calore dentro, il profumo di lui su di lei, il cuore finalmente sereno che batteva nel petto.

L’amore poteva essere davvero amaro, ma quando trovavi l’antidoto… ah, se era dolce.

«Bill?»

Le accarezzava i capelli con una mano, sfiorandole la schiena sotto alla maglietta con l’altra.

«Uhm?»

«Forse hai ragione tu, questo telefilm non è tutto questo spettacolo.»

«Che ti dicevo?», le prese il viso fra le mani e la baciò, mentre passava la pubblicità.

 

***

 

«Non ho mai riso tanto in vita mia!»

«E secondo te di chi è la colpa?»

«Ovviamente tua!»

«Cosa? Guarda che è il vino che hai bevuto, stupida.»

«Non ho bevuto tanto, sono lucida!»

«Se, come no.»

«Davvero!»

Risero ancora e Jinny appoggiò la testa al sedile, guardando la luna nel cielo scuro della notte, illuminato da tante piccole stelle lucenti.

Erano in macchina, di fronte al portone di Jinny. La cena era stata spettacolare, tutto era stato magnifico e considerando che Tom aveva organizzato tutto in poche ore aveva fatto davvero un ottimo lavoro. Si era divertita tanto e il merito era solo di quel ragazzo unico che aveva affianco.

«Sono contento che tu sia venuta, alla fine. Mi dispiace per Camilla, ma…»

«Tom! È la mia migliore amica!», rise tirandogli un rasta.

«Ahia! Ma ti sei rincretinita?! Guarda che fa male! Adesso vedi», le tirò una treccina e lei rispose di nuovo, anche se era praticamente bloccata dalle braccia forti di lui.

«Tom, lasciami subito!»

«Sei tu che hai iniziato!»

«Guarda che se non mi lasci…»

«Che fai, ragazzina che non sei altro?»

«Ah, questo non dovevi dirlo!», lo morse sul collo e Tom la lasciò preso alla sprovvista, ma era stato piacevole, tanto che aveva chiuso gli occhi.

Jinny chiuse gli occhi a sua volta e quel morso diventò un bacio leggero, le sue labbra che sfioravano delicatamente la sua pelle.

«Mi chiedevo una cosa, Tom», disse imbarazzata, ritraendosi di scatto.

«Che cosa?», disse distrattamente, ancora rapito da quel bacio che gli aveva ricordato loro, in tutta la loro spensierata e tormentata storia.

«Visto che tu sai tante cose di me… dimmi, io sono…»

«Jinny, fai la timida?», sorrise e le accarezzò la guancia, per poi scendere incontrollatamente sul suo collo.

Quanto gli mancava il sapore del suo collo. Si sentì un vampiro assetato di Jinny e mandò via quelle immagini eccitanti dalla sua testa.

«Sì, beh… non dovrei nemmeno chiedertelo. Che ne sai tu?»

«Beh, dai, ormai ci sei, dimmi.»

«Ma io sono vergine?»

Tom boccheggiò di fronte a quella domanda. Che le doveva dire? Una sensazione di disagio lo avvolse e l’unica cosa che riuscì a fare fu glissare.

«No, Leone, sei nata ad agosto.»

«Non in quel senso, Tom. So qual è il mio segno zodiacale. Mi chiedevo se avevo… già fatto sesso prima. Tu lo sai? Perché io… io non mi ricordo.»

«Oh, beh…», abbassò lo sguardo e si allontanò piano da lei, ritornando pienamente sul suo sedile dopo la lotta. E adesso? Non poteva più mentire, anche perché l’aveva inchiodato con lo sguardo.

«Ok, non sono vergine», disse Jinny amareggiata. «E l’ho fatto con te, Tom.»

Lui annuì e strinse i pugni sulle ginocchia, ricordando quella magica notte, la loro notte, la notte in cui Jinny aveva vissuto la sua prima volta.

«Mi dispiace tanto, Tom. Ma ricorderò, un giorno, te lo prometto. Dimmi solo se me ne pentirò.»

«Jinny, io… te l’ho detto, ho fatto molti sbagli, e quello più grande è stato lasciarmi scappare ciò che di più prezioso avevo fra le mani, senza nemmeno rendermene conto in realtà.»

«Tom… ora devo andare.»

«Scusami, Jinny.»

«Come posso perdonarti per una cosa che non ricordo? Quando saprò, deciderò.»

«A questo punto non so se voglio che tu ricordi, vorrei solo ricominciare da capo e non sbagliare più», ammise.

«Anch’io.»

«Anche tu cosa?», la guardò negli occhi e fu un tuffo al cuore quando notò i propri specchiati in quelli di lei, così perfettamente, come una volta, quando ancora erano felici assieme.

«Non so se voglio ricordare, perché da quello che vedo tu sei… tu tieni molto a me. Ma vedi… non posso far a meno di ricordare, è stata la mia vita. Tu non puoi capire come ci si sente quando non si riesce a ricordare, è come se in quel periodo non fossi esistita.»

«Sì, posso immaginarlo.»

Jinny sorrise e Tom cercò di ricambiare nel miglior modo possibile, ma le sue funzioni vitali cessarono quando lei si avvicinò e gli cinse il collo con le mani, per poi baciarlo pianissimo sulle labbra.  

Non aveva dimenticato: le sue labbra erano dolci e amare, come l’amore, irresistibili. Ricordò molti baci fra loro e nei posti più differenti, provocandole un turbinio di emozioni che a stento riuscì a controllare e a far sì che Tom non si accorgesse di ciò che stava avvenendo dentro di lei: un viaggio con la memoria nel passato, trasportata solo ed unicamente dalle emozioni che lui riusciva a provocarle, così vive e inconfondibili.

«Grazie Tom», gli sussurrò con la punta del naso che sfiorava il suo, un sorriso timido sulle labbra.

«E di cosa?»

«Di essere qui e di provarci comunque, conta molto per me. Ma non se ce la farò quando ricorderò, dovrai avere pazienza.»

«Jinny, se solo ricordassi sapresti che io con te ho sempre avuto molta pazienza.»

Jinny si lasciò scappare una risata leggera, che contagiò Tom in minima parte, che sentiva il respiro di lei contro il suo.

«Mi sono divertita stasera, grazie. Buona notte.»

«Buona notte, Jinny.»

Lei non resistette e gli sfiorò ancora le labbra con le sue, sentendosi come un fiume in piena, che trasbordava gioia e felicità dappertutto. Si spostò e dopo un ultimo sguardo e un sorriso scese dall’auto ed entrò nel portone.

Che serata magnifica. Chissà cosa sarebbe successo se Camilla l’avesse tenuta a casa con lei invece di mandarla. Si sarebbe persa un sacco di magnifiche emozioni e di ricordi. Quel giorno erano stati davvero tanti e si sentiva stanca, ma felice. In un modo in cui poche volte si era sentita, o perlomeno ricordava di essersi sentita.

Infilò le chiavi nella serratura della porta, ma si accorse che era aperta: ciò voleva dire che Camilla era ancora sveglia.

Entrò e vide la luce della televisione accesa, come aveva immaginato; solo dopo si rese conto che c’era qualcun altro.

«Ciao Jinny», sussurrò muovendo la mano, un sorriso gioioso sulle labbra.

«Bill? Che ci fai tu qui?»

«Shhh! Abbassa la voce, Camilla dorme!», la rimproverò.

«Oh, scusa», sussurrò avvicinandosi al divano e dandogli una mano a coprire l’amica con la coperta.

«Sembra un angioletto quando dorme», ridacchiò Jinny spostandole una ciocca di capelli castani dalla fronte.

«Già. Beh, com’è andata con Tom?»

«Bene», arrossì e si morse il labbro.

«Che cosa… che cos’è successo?»

«Niente, perché?»

«Così, volevo sapere.»

«No, non è successo niente», sviò dirigendosi verso la cucina.

«Jinny?»

Si girò e lo guardò in silenzio, le braccia stese lungo i fianchi. Lui si avvicinò e l’abbracciò timidamente, lasciandola sorpresa.

«Mi dispiace di non essere riuscito a mantenere la promessa», le disse piano, stringendola di più al suo petto. «Mi sei mancata tantissimo.»

Jinny ricordò diversi episodi, ma quello che più la colpì fu quel pomeriggio passato a piangere fra le sue braccia, immersa in un dolore che non sapeva da cosa era provocato, anche se un’idea ce l’aveva e ci aveva appena cenato.

«Non è colpa tua, Bill», gli massaggiò la schiena, sospirando.

«Ah no? Invece sì, è tutta colpa mia. E tu avevi ragione quando dicevi che non dovevo farti delle promesse se non sapevo se sarei riuscito a mantenerle. Quindi, è tutta colpa mia.»

«Penso che… che avrei smesso di risponderti io, se non l’avessi fatto tu. Mi faceva troppo male sentirti così lontano.»

«Tu… tu ti ricordi, allora!», la prese per le spalle e la guardò negli occhi con i suoi che iniziavano a riempirsi di lacrime.

«L’ho ricordato adesso. Bill, sei il mio migliore amico, mi sei mancato anche tu», nascose il viso nel suo petto e lo strinse lasciando affiorare le lacrime.

Era per loro che piangeva la sera dell’incidente, solo per loro. Il ricordo di quella sera la fece star male e le informazioni di quasi due mesi della sua vita, a pezzi, si accavallavano l’una sopra l’altra, facendole pulsare la testa. Aveva bisogno di tempo per incamerare tutto e fare ordine.

Tirò su col naso e lo guardò, poi si sottrasse all’abbraccio e andò in camera sua, asciugando le lacrime.

«Buona notte, Bill», sussurrò prima di chiudersi la porta alle spalle.

Rimase nel più totale silenzio, appoggiata alla porta chiara con la schiena, gli occhi chiusi, la testa che le girava vorticosamente e le immagini disordinate che contribuivano ad aumentare quel dolore che a stento sopportava.

Andò in bagno e riempì un bicchiere d’acqua, ci sciolse un’aspirina e bevve velocemente. Poi si guardò allo specchio: le lacrime avevano rovinato il trucco che Camilla le aveva messo con tanta precisione e riconobbe i suoi occhi spenti in quelli di un altro periodo, lontano o forse no.

Quanti pianti si era fatta per quei quattro ragazzi? E per Tom, soprattutto? Non aveva nemmeno più tanta voglia di ricordare, ma ora che non voleva ricordare le veniva in mente tutto; prima che voleva sapere non cavava un ragno dal buco.

Non sarebbe stato facile con loro, e qualcosa le disse che non lo era mai stato. Quello era il suo destino, chissà cosa le avrebbe riservato in un futuro di cui aveva sinceramente timore. 

Uscì e vide che Bill se n’era andato, così chiuse la porta a chiave. Schioccò un bacio sulla guancia all’amica addormentata e si diresse in camera di Camilla. Prese il cd sulla sua scrivania e si rintanò di nuovo nella propria stanza. Mise il cd nello stereo e si sdraiò sul letto liberandosi di tutti i vestiti, rimanendo così in reggiseno e mutande. Chiuse gli occhi e si abbandonò alla musica grazie alle grandi cuffie.

Chissà quando sarebbe riuscita ad addormentarsi: i ricordi non volevano smettere di fluire, sempre più nitidi.

Chissà quanto tempo ci avrebbe messo a recuperare quelle ore, quei giorni, quei mesi, quegli anni di cui non sapeva niente. Forse tanto, forse niente.

 

I walked for miles ‘til I found you
I’m here to honor you
If I lose everything in the fire
I’m sending all my love to you

 

 

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Nota: La canzone “depressiva” che canta a squarciagola la nostra Camilla e che successivamente accompagna Jinny in una notte piena di ricordi è Last night on earth, dei Green Day, non proprio stile Jinny, ma è una canzone stupenda, davvero romantica e da ascoltare. Vi metto la traduzione di questi versi: You are the moonlight of my life every night / Giving all my love to you / My beating heart belongs to you (=Tu sei il chiaro di luna della mia vita ogni notte / Ti ho dato tutto il mio amore / Il mio cuore che batte appartiene a te) I walked for miles ‘til I found you / I’m here to honor you / If I lose everything in the fire / I’m sending all my love to you (=Ho camminato per miglia sino a trovarti / Sono qui per onorarti / Se perdessi tutto nel fuoco / Ti mando tutto il mio amore)

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Capitolo 5
*** «Destini incomprensibilmente intrecciati» ***


Nota: 5 capitolo!! Finalmente ce l'ho fatta, eheh. Non vi anticipo niente perchè solo perfida, e vado subito con i ringraziamenti: 

Scarabocchio_: Grazie Socia, per tutte le belle parole che sempre mi dici... Sono contenta che le mie parole sono come le ciliege, cioè che una tira l'altra! Ahahah Ma trascuri sempre un fatto che per te può essere da nulla, ma per me no! Anche tu sei speciale, e non cercherei mai un'altra Socia, bradipo o no che tu sia! (Sei sempre tenera lo stesso ^^) E ora passiamo alla ff. Spero che tu abbia capito Bill e Camilla, cosa combinano quei due... perchè è davvero un pò complicato, me ne rendo conto! Ma io sono fatta in modo strano, sai no? E la chiarezza con me o c'è, fin troppa, oppure non c'è.. Accettami per quel che sono! XD
layla the punkpricess: Sarai pure distratta, ma la penso esattamente come te: Jinny deve ricordare, perchè così potrà decidere meglio; ed è vero che Tom e Jinny sono davvero carini insieme, lo so!! ^^ Sono la luce dei miei occhi, anche se a volte mi fanno davvero disperare...
marty sweet princess: Ed ecco qui la mia indaffarata! Che però mi lascia sempre qualche recensione qua e là ^^ Grazie, innanzitutto. E poi vorrei dirti che anche io mi sono imbarazzata per Tom quando ho scritto quella cosa, ma dovevo da copione e quindi... ahahah!! E non dev'essere stato bello sentirsi dire che non lo ricordava più, perchè per Tom è stato importante... quasi come una prima volta anche per lui, capiscilo... è tenero anche lui infondo. Sono contenta che Camilla e Bill ti siamo piaciuti, perchè non sapevo se erano venuti bene, ma con questo ho risolto i miei problemi!! Ahah, un bacio, alla prossima!
Ringrazio anche tutti quelli che hanno letto e una persona in particolare, Ale, che ho conosciuto su msn e che mi dice sempre che le piace tanto questa ff. Grazie!!
Buona lettura, a presto, Ary!!


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5
«Destini
incomprensibilmente intrecciati»

 

«Ok, basta, basta! Che cavolo vi prende?», gridò David entrando nello studio, nel bel mezzo di una registrazione.

Tom scosse il capo e si rese conto di aver iniziato una canzone che non c’entrava niente con quella che stavano suonando.

«Scusa David, è colpa mia!»

«No, Tom. Eh? Tom Kaulitz ammette i suoi errori! Ma che gioco è questo? Adesso spunteranno fuori le telecamere e tutti diranno: “Sei su scherzi a parte!”»

«No, davvero, suonavo una canzone diversa, non so a che pensavo.»

«Eh, ce ne siamo accorti», commentò Georg.

«Ma ciò che più mi stupisce è che Bill ha cantato la canzone insieme a te, invece di accorgersi dell’errore! Che cavolo vi prende? Non vi sarete mica innamorati, vero?»

Bill e Tom si guardarono preoccupati, il primo lisciandosi nervosamente una ciocca di capelli neri sulla spalla e il secondo mordicchiandosi il piercing al labbro.

«Oh mio Dio ci mancava solo questa!», sbuffò con le mani nei capelli. «Pausa, mi ci vuole una pausa! Vado a prendermi un caffè sull’Himalaya!»

Si sbattè la porta alle spalle e i quattro si guardarono, poi alzarono le spalle: una pausa non avrebbe fatto di certo male a nessuno.

Davanti ad una bella tazza di caffè, seduti su un tavolo lasciato in mezzo al corridoio dove c’era la famosa macchinetta, dal quale si riusciva a vedere il bancone della reception e la hall, si trovarono a parlare di ragazze.

«Con Jinny com’è andata, Tom?», chiese Gustav.

«Bene, credo.»

«Credi?»

«Sì, beh… Jinny ricorda sempre più di noi e a questo punto ho paura che non voglia più stare con me per le cose che ho fatto.»

«Vedrai che capirà», lo incoraggiò Bill sorridendo.

«Sta mattina le ho mandato un messaggio, ma non mi ha risposto. Ho sbagliato?»

«Cosa c’era scritto?», chiese Georg.

«Buon giorno Jinny, ieri sera sono stato bene e spero anche tu. Ci sentiamo, ciao.»

«Mmh, quanto sei casto!»

«Senti, non voglio sbagliare ancora. Prima troppo impulsivo, ora troppo casto?»

«No, fai bene Tom, finché non ricorderà è meglio così, fidati», disse Gustav annuendo.

«E… per curiosità, quando gliel’hai mandato?», chiese Georg.

«Cosa, il messaggio? Quando mi sono svegliato.»

«Cioè?»

«Alle otto e mezza, circa.»

«Era già a scuola da un pezzo, cretino. Magari ha il cellulare spento e non l’ha visto, è per questo che magari non ti ha risposto.»

«Oh, hai ragione Gustav, sai?»

«Come sempre.»

«Tu con Ary come va?»

«Bene. Lei e Jinny stanno diventando amiche, sai?»

«Mmh? Mi fa piacere! E tu con Camilla?», diede una gomitata fraterna a Bill e lui sorrise prima di bere dalla sua tazza. «Che cos’è successo ieri sera?»

«Niente, ci siamo messi assieme», disse timidamente, stringendosi nelle spalle.

«Davvero? Non ci posso credere!», balzò giù dal tavolo Tom, mettendosi di fronte a lui e prendendolo per le spalle. «Anch’io voglio mettermi con Jinny», si lamentò.

«Chiediglielo!», disse Victoria da dietro la scrivania, gli occhi al computer e un sorriso sulle labbra. «Scusate se ascoltavo i vostri discorsi, ma urlavate.»

«Dici davvero che dovrei? Non è troppo presto?»

«Se è quello che vuoi tanto vale provarci», sollevò le spalle.

«E se dovesse dirmi di no? Insomma… noi ci abbiamo già provato e…»

«Jinny è già stata con te?!», gridò con voce strozzata Victoria, alzandosi in piedi e raggiungendo i ragazzi. Tom ebbe paura di lei per qualche motivo e indietreggiò, portandosi le mani di fronte al petto.

«E quando?!»

«Quest’estate», tremò.

«E tu… Oh, non ci posso credere!», sbraitò andando a passi pesanti di nuovo al bancone.

«Che cosa?», chiese Tom.

«Benjamin!», gridò Victoria.

«No, no, che vuoi fare?», chiese allarmato, prendendola per un braccio.

«Vado a fare un po’ di sano shopping. Non posso credere che tu non ti sia fatto vivo quando ha avuto l’incidente! Rischiava di morire e tu chissà dove cavolo eri!»

«Lo so benissimo quello che ho fatto, e mi dispiace, ma non lo sapevo! E poi… non ci parlavamo più dopo la fine della nostra storia… è stata piuttosto seria e…»

È stata piuttosto seria. Bill avrebbe voluto avere una telecamera a portata di mano per riprenderlo, quelle confessioni non erano cose da tutti i giorni ed era strano che si fosse aperto così proprio con sua madre. Forse a causa di quegli occhi che erano uguali a quelli di Jinny…

Victoria lo guardò intensamente negli occhi e poi sospirò, intanto arrivò Benjamin.

«Sì? Che c’è Victoria? Ancora problemi con il computer?», sogghignò.

«No, voglio solo andare a spendere gli alimenti di tuo fratello in shopping sfrenato», gli rispose con tanto di tono.

«A proposito, ha chiamato, ha detto che vuole vederti», roteò gli occhi nauseato.

«Ma chi, Gabriel?», chiese lei arrossendo sulle guance.

«Sì, quell’adorabile uomo che è mio fratello.»

«E perché vorrebbe vedermi?»

«E io che ne so? Non faccio da messaggero!»

«Che… che cosa ha detto poi?»

«Che ti avrebbe raggiunta qui il più presto possibile.»

Victoria lasciò perdere lo shopping e si mise seduta dietro la scrivania, in fibrillante attesa del suo ex marito padre di Jinny. Si vedeva lontano un miglio che era ancora innamorata di lui.

Tom aveva un presentimento, ma non pensò troppo, anche perché i continui battibecchi fra Victoria e Benjamin lo divertivano parecchio.

Improvvisamente si ricordò di Jinny e i battiti del suo cuore aumentarono quando vide l’ora sull’orologio appeso alla parte. Si affrettò a salutare e uscì senza proferire parola: chi sapeva aveva capito.

In poco tempo arrivò alla sua scuola e si posizionò sempre al solito posto, aspettando l’arrivo della sua piccola. Dopo un po’ si chiese che fine avesse fatto, visto che non era uscita e non rispondeva al cellulare. Decise di entrare dentro e di dare una controllata.

I corridoi erano deserti e quella sensazione di disagio e di ripudio verso la scuola premevano forte contro il suo petto. Per la prima volta capì come davvero poteva sentirsi Jinny quando aveva quei tremendi flashback inopportuni: Bill che veniva preso in giro; le risate di tutti alle loro spalle per il loro sogno che pareva irrealizzabile, che loro comunque non avevano mai lasciato a marcire in un cassetto; i ragazzi gelosi e violenti perché nonostante tutto i gemelli Kaulitz avevano più ammiratrici di tutti gli altri messi assieme; i professori che non li lasciavano mai in pace, anche se avevano voti a dir poco invidiabili, e si lamentavano solo per il loro aspetto esteriore. Parlavano tanto di libertà, ma appena qualcosa era fuori dal comune, che fosse stato positivo o negativo, gli tappavano le ali.

Ma ora gli angeli volavano, e in alto, sempre più in alto…   

Sentì un forte odore di vernice e così aprì la porta di quella che doveva essere una specie di laboratorio e vide Jinny di fronte ad una grande tela appesa al muro, un grembiule bianco (macchiato ovviamente) da chimico addosso, degli occhiali trasparenti e una bandana azzurra sulla testa, che le raccoglieva le treccine dietro le spalle. Gli sembrò buffa e allo stesso tempo bellissima nel suo ambiente naturale, quasi come se fosse in mezzo all’oceano, con macchie di colore addosso.

La guardò mentre immergeva una pallina di spugna grande come un suo pugno in un barattolo di vernice bianca e poi la riprendeva mettendo dentro tutta la mano. Jinny si allontanò dalla tela: ogni suo passo scricchiolava sul pavimento completamente ricoperto di plastica trasparente, come i muri, per evitare che si sporcassero. Si preparò come una giocatrice di baseball e poi la lanciò. La pallina rimbalzò sulla tela lasciando un’impronta bianca sullo sfondo nero e rotolò per terra, fino ad arrivare ai piedi di Jinny.

«Se vuoi entrare devi essere incellofanato pure tu», gli disse raccogliendola e giocandoci.

«Cosa?»

Jinny lo guardò e sorrise levandosi gli occhiali e portandoli sopra la testa, si mise le mani ai fianchi.

«Non ti vorrai mica sporcare, vero?»

Tom si guardò e poi sorrise scuotendo la testa: doveva tornare alla Universal e non voleva avere addosso schizzi di vernice. Benjamin avrebbe sospettato troppo di una loro possibile riunione, visto che sua nipote era un’artista.

«Che cosa stai facendo?», le chiese avvicinandosi e mettendosi accanto a lei di fronte al quadro.

«Secondo te?»

«Non avevo mai visto questa tecnica di pittura.»

«Oh, quella della pallina?», la mosse nella mano.

«Già. Che cosa rappresenta?», indicò il disegno astratto di fronte a loro.

«Quello che c’è dentro me», rispose Jinny. Si avvicinò alla tela ed indicò passo per passo le cose che spiegava. «Le parti nere sono le parti di me ancora oscure, quelle che nessun essere umano scoprirà mai veramente di sé stesso, oltre ad essere… beh, le parti della mia vita che non ricordo.»

«È una buona parte, non credi?»

«Sì, sono più le cose che non so che il contrario.»

«E quegli schizzi colorati?»

«Ogni colore rappresenta un sentimento: nella nostra vita proviamo tantissime emozioni e in modo molto sparso, vedi?»

«Sì, in effetti è molto incasinato. Però hai usato solo tre colori: il rosso, il blu e il verde. I sentimenti non sono così pochi.»

«Ho preferito racchiudere tutte le emozioni in tre grandi gruppi: il rosso è il gruppo dell’amore, della passione, della felicità e della vita in generale. Il blu è quello della tristezza, della malinconia, della rabbia, della morte. Invece il verde è la situazione di transizione: non sei né felice né triste, né vivo né morto. Ci sei e basta.»

«E tu dove sei, nei tre gruppi?»

«Io credo di essere un misto di tutti e tre, sì… dipende dai momenti. Tu?»

«Nel rosso.»

«Come mai?», chiese arrossendo e stringendo nervosamente la pallina in mano. Perdeva ancora un po’ di colore, era fresco a contatto con la sua pelle, ma non le importava.

La sera prima aveva dormito sì e no qualche ora, rapita dai ricordi, e aveva avuto il tempo di riflettere anche sulla serata passata assieme a lui: alla fine Camilla non aveva avuto ragione, perché lui non le aveva fatto capire in nessun modo di voler andare a letto con lei. Ma Jinny aveva ricordato certe cose… come le loro litigate frustranti, i loro fraintendimenti, e in quei momenti aveva visto un Tom diverso da come lo aveva conosciuto dopo aver perso la memoria. Era davvero cambiato e non sapeva se essere felice o meno. Chi era lei? Perché per lui era così importante da cambiare in quel modo?

Le si strinse un nodo in gola quando lui si avvicinò e la guardò negli occhi con i suoi splendidi e brillanti con la luce del sole pomeridiano che entrava da una finestra ed illuminava tutta la stanza. Sembravano persino felici, quegli occhi.

«Perché ora ci sei tu, e non potrei essere più felice di riaverti al mio fianco, in qualsiasi modo: tu ci sei e… mi va bene così», le sorrise e le sfiorò la guancia con la mano, per poi tornare a fissare il quadro.

Jinny bruciava, stava andando letteralmente a fuoco e doveva fare assolutamente qualcosa. Recuperò un pennello grande e lo immerse nella vernice verde.

«Vuoi che ti faccio vedere come si fanno gli schizzi di colore?», gli chiese nel modo più indifferente possibile.

«Sì!»

«Allora devi spostarti.»

Tom si spostò di qualche metro e Jinny si posizionò di fronte alla tela: fece scorrere velocemente le dita sulla punta del pennello, puntato verso il punto in cui doveva macchiarlo, e l’effetto che ottenne fu uno schizzo di colore verde sovrapposto ad uno blu; le dita già bianche a causa della pallina impregnata di vernice appunto bianca diventarono verdi.

«Wow, bello, ma ci si sporca troppo per i miei gusti», disse Tom con un sorriso.

«L’arte non è solo visiva, ma anche di tutti gli altri sensi.»

«Allora ho ragione quando dico che il sesso è un’arte!»

«Uhm… sì», sollevò le spalle.

Ecco il solito Tom! La cosa la rassicurò e allo stesso tempo la rese nervosa.

Si guardarono e risero assieme, senza sapere bene perché.

«Ah, Tom, mi sono dimenticata di chiederti: come mai sei qui?»

«Volevo salutarti, visto che non rispondi ai messaggi.»

«Sono a scuola, fino a prova contraria, e quindi ho il cellulare spento.»

«Mmh. Quindi ieri…»

«Ieri mi sono divertita, te l’ho già detto.»

Tom la guardò e sorrise appena, arrossendo contro il suo volere, così tornò con lo sguardo al disegno.

«Non mi hai detto che cosa significa quella pallina bianca», la indicò.

«Oh, è la chiarezza che si espanderà nella mia testa, prima o poi.»

«E poi è finito così?»

«Uhm… Cavolo, non si dovrebbero distrarre gli artisti in fase creativa!»

«Oh, io sono fatto apposta per distrarti», disse con una voce simile a quella del lupo cattivo di fronte a cappuccetto rosso.

«Come ti permetti?! Vieni qui!»

«Oh, no, non ci pensare nemmeno! Non mi sporcherai mai!», e scappò via da lei.

Lo rincorse per l’intero laboratorio e quando si mise da solo con le spalle al muro, Jinny avvicinò pericolosamente le dita al suo viso e con un sorriso soddisfatto gli rigò la guancia di verde.

«Jinny, sai questo che vuol dire?», ringhiò, anche se divertito.

«Che mi vuoi tanto bene e mi porgerai l’altra guancia invece di rispondere con la stessa mia moneta?», chiese con la faccia da angelo.

«No, per niente! Jinny se ti prendo ti faccio diventare blu!»

«Oh no, come i puffi no!»

«Oh sì!»

Jinny gridò ridendo e scappò da Tom che la rincorreva. Le ricordava molto qualcosa, qualcosa che c’entrava con un carrello della spesa, una moneta e il parcheggio di un centro commerciale, ma il momento che stava vivendo era così intenso che non riusciva a pensare concretamente a qualcos’altro.

Sentì la mano di Tom prenderle il braccio e in un attimo si ritrovò di fronte a lui, stretta al suo petto. Arrossì sentendo i loro corpi così vicini e venne percossa da un brivido quando i loro sguardi si incrociarono e i colori dei loro occhi, seppure differenti, si mescolarono fra loro creando un colore tutto nuovo, speciale e unico.

«Non vorrei dirtelo, ma questo grembiule era un tantino sporco. Mi sa che ti sei fregato da solo», ridacchiò Jinny abbassando lo sguardo.

«Jinny, non mi importa», sussurrò Tom. Lei alzò lo sguardo sorpresa e vide gli occhi di lui diventare lucidi, il sorriso lasciar spazio alla nostalgia. «Non mi importa nient’altro oltre te.»

«Tom… io…»

«Ieri sera mi hai baciato, perché?»

«Perché avevo bevuto qualche bicchiere di troppo», si scostò da lui, pietrificato e lacerato nel petto.

Non poteva essere… Non poteva essere così! Jinny stava fuggendo di nuovo, era l’unica spiegazione. Perché la sera precedente era stato tutto così perfetto, Tom si era sentito finalmente felice e le cose che si erano detti erano state così profonde e sincere che… no, Jinny non poteva dire che l’aveva baciato solo perché aveva bevuto qualche bicchiere di troppo. Forse lui aveva accelerato un po’ troppo e lei si era trovata costretta a reagire in quel modo. Tom si era aperto del tutto e lei si stava pian piano richiudendo.

In fondo… la sua opportunità l’aveva avuta, otto mesi prima, e non l’aveva saputa cogliere. Ora doveva pagarne le conseguenze, ancora più amare della lontananza.

Che Jinny avesse ricordato e non volesse più avere nulla a che fare con lui?

Tom non si dava pace, ma non poteva stare lì come una statua ancora per molto. Si girò e vide la sua piccola Jinny sbarazzarsi del grembiule e degli occhiali dopo essersi lavata accuratamente le mani sporche di vernice, appenderli accanto agli altri e prendere la sua borsa.

«Tom, dovresti pulirti», gli disse indicandogli il viso.

Per fortuna nel loro contatto ravvicinato non si era sporcato altro, la vernice sul grembiule di lei doveva essere asciutta.  

«Sì, ehm… Jinny?»

«Uhm?»

«Mi dispiace.»

«Sì, lo so, lo penso anch’io che il verde ti doni», sorrise appena e si avviò alla porta che dava sul giardino, quella da cui era entrato Tom.

«Non intendevo quello», disse Tom con gli occhi tristi.

Jinny aprì la porta e si fermò con la mano su di essa. Girò il capo verso di lui e gli sorrise.

«Allora non hai nulla di cui scusarti.»

«Questo è quello che credi tu.»

«Già, ed è quello che dovrebbe contare se mi dici che ti dispiace, no?»

«Sì, penso di sì.»

Jinny sorrise annuendo e uscì fuori, all’aria aperta. Si sistemò con la schiena contro al grande ciliegio in fiore, di fronte alla macchina scura di Tom. Alzò lo sguardo e la luce del sole che filtrava fra i delicati petali rosa le colpì il viso, chiuse gli occhi alla brezza leggera e a quel buon profumo e qualcosa le ricordò ancora una volta il mare.

Quanto le mancava il suo mare, il mare dove se solo ci fosse andata avrebbe ricordato tutto alla perfezione. Il dottore le aveva detto che per ricordare bastavano dei sentimenti, delle frasi o delle immagini molto forti ed importanti per lei, che le avrebbero fatto tornare la memoria. Quindi anche ritornare in un luogo così pieno di ricordi le sarebbe stato d’enorme aiuto.

E Tom… con Tom era riuscita a ricordare più cose in due settimane che in tre mesi. Era davvero così importate per lei se le faceva ogni maledettissima volta quell’effetto?

«Ti devo accompagnare a casa?»

Sobbalzò e lo guardò al suo fianco, le mani affondate nelle grandi tasche dei jeans.

«Ti ho fatta spaventare?», sorrise.

«No, figurati! La prossima volta fammi direttamente morire d’infarto!»

«Scusami, non l’ho fatto apposta. Allora, devo riaccompagnarti a casa?»

«Sì, penso di sì. Però, prima…»

«Cosa?»

«Potresti, ecco… dirmi come ci siamo conosciuti, per favore? È tanto che ci penso, eppure non riesco a ricordarmelo.»

«Oh, è stato così divertente!», rise e si appoggiò accanto a lei, le spalle appoggiate al tronco e un ginocchio piegato.

«Davvero?»

«Sì. In pratica ci siamo trovati costretti a convivere per uno sbaglio commesso da Benjamin e tuo padre. Non si erano messi d’accordo bene e… ci siamo conosciuti. Strana la vita, eh?»

Al racconto seguì un flashback dentro la testa di Jinny e dovette chiudere gli occhi per non essere distratta da Tom e per godersi l’intera scena: erano in salotto e stavano facendo pari e dispari con occhi da rivali, per conquistarsi l’ambito solaio. Alla fine aveva vinto lei e Tom aveva preso a calci tutte le cose che gli capitavano sotto al naso. Probabilmente odiava essere sconfitto. Dopo quello accadde un fatto molto particolare, ma che le era successo altre volte con lui: ricordò, come se facesse parte dello stesso ricordo, una serata passata davanti alla tv, una lotta per il telecomando e i loro corpi l’uno addosso all’altro. E poi Jinny che diceva a Tom di levarsi perché la stava a dir poco schiacciando perché non era leggero come una piuma. E sentì quel brivido che solo a causa sua sentiva ogni volta.

«Eh già», disse riprendendosi dal ricordo. «Abbiamo fatto pari e dispari per il solaio, me lo ricordo.»

«Sì, e come sempre hai vinto tu. La solita fortunata», disse con un gesto della mano.

«E… com’è che ci siamo affezionati tanto l’uno all’altra?», chiese lei quasi tremando. Aveva paura e voglia di scoprirlo.

«Ti dice niente Riky?», la guardò negli occhi e Jinny notò un certo fastidio da parte sua, ma ne parlava comunque, perché lei gliel’aveva chiesto.

«Sì, mi… mi ricorda qualcosa, ma molto, molto lontanamente.»

«Bene, perfetto così! Non ricordartelo neppure, non ne vale la pena. Quello stronzo ti ha fatto stare malissimo per un sacco di tempo e ti ha fatto pure credere di aver capito l’errore, quando invece voleva solo riallacciare i rapporti con te per raggiungere tuo padre per far diventare famosa la sua amante.»

Cavolo, ora che ci penso è peggio di Beautiful!

«Magari l’ho preso a pugni?»

«Esattamente, è stata la stessa sera in cui noi due abbiamo…», Tom si fermò improvvisamente e guardò in basso, gli occhi tristi e spenti.

«Fatto l’amore? La sera del mio diciottesimo compleanno, mi ricordo», disse Jinny tranquillamente.

«E da quant’è che te lo ricordi?»

«Credi che abbia importanza?»

«No, però…»

«Da ieri notte. Non riuscivo a dormire e mi è venuto in mente.»

«Oh, capisco.»

«Non so come ho fatto a dimenticarlo.»

«Perché?»

«Perché basta una volta con te che non te la scordi più.»

Tom rise appena e alzò la testa per guardarla negli occhi.

«Mi sei mancata tanto, sai?», sorrise con gli occhi velati dalle lacrime.

«Non so se mi sei mancato», alzò le spalle. «Cioè… mancato sì, è ovvio, ma non so se avevo davvero voglia di rivederti, dopotutto.»

«Ma quante cose ricordi, precisamente?»

«Più o meno tutto, però alcune parti le vedo sfuocate. Forse non le voglio davvero vedere, ecco.»

«Anch’io non avrei mai voluto combinare quei disastri e farti soffrire.»

«Ti credo.»

«Sul serio?»

«Sì.»

«Abbiamo un’altra possibilità, posso far sì che non sbagli più. Jinny…»

«Tom, io credo alle tue parole. Ma sei davvero sicuro che i fatti ci saranno? Abbiamo una seconda possibilità, ma sei davvero disposto a rinunciare a tutte le altre per me? Che cos’è cambiato rispetto ad otto mesi fa?»

Tom si mise di fronte a lei e le cinse i fianchi con le mani, appoggiando la fronte alla sua.

«È cambiato il fatto che ora so cosa voglio. E so anche che cosa provo.»

«E cosa provi?»

«Io…»

Sbagliava o era arrossito davvero? E così platealmente davanti a lei, senza nessuna difesa, inchiodato nei suoi occhi brillanti alla luce del sole? Era arrossito, si era messo a nudo di fronte a lei, ma ora che davvero sapeva di volerla e di amarla, soprattutto, lo avrebbe rifatto milioni di volte ancora.

«Tu?»

«Io… Jinny, è così complicato dire quelle due parole!»

«Davvero?»

«Se non le ho mai dette in vita mia ci sarà pure un motivo, no?»

«Già.»

«Jinny, io… io… io ti… Jinny io ti amo!»

Prese fiato, manco avesse corso per due chilometri e mezzo, e incrociò lo sguardo di Jinny, senza sapere più cosa fare. Solo lei riusciva a metterlo in quelle situazioni tremendamente imbarazzanti.

«Credo che peggio di così non poteva andare», ridacchiò amaramente Jinny abbassando lo sguardo.

«Che cosa intendi dire?»

«Che tu finalmente ti sei aperto e io non so cosa provo per te. Prima era il contrario, i ruoli si sono scambiati.»

«Odio Beautiful, accidenti!», sbraitò Tom allontanandosi e dando un pugno debole sul tetto della sua amata Cadillac nera.

E questo che c’entra?, si chiese Jinny, ma sollevò le spalle e non ci badò più di tanto, doveva essere un’altra delle stranezze di Tom.  

«Ma perché cazzo dev’essere sempre così complicato fra noi?»

«Ce lo siamo scelto noi il nostro destino, Tom, è colpa nostra.»

«No, è solo colpa mia invece, perché se io avessi capito subito quello che provavo, invece di fuggire…»

«Tom, vieni qui», gli ordinò Jinny.

Lui camminò lentamente, quasi scocciato, con le mani in tasca, ma quando Jinny lo prese per i fianchi e lo avvicinò a sé sentì un brivido e l’incazzatura gli passò in un istante, perdendosi nei suoi occhi sbarazzini. 

«Se madre natura ti ha fatto stupido non è colpa tua», gli baciò la punta del naso ridendo.

«Questa me la segno, la dirò a Bill la prossima volta che mi darà dell’imbecille.»

«E comunque tu sei così sicuro che la colpa sia solo tua, quando invece non è così. Quella sera avrei perso comunque la memoria, era il mio destino. E si dà il caso che il mio destino è così incomprensibilmente intrecciato al tuo.»

«Jinny, lo sai che se io non ti avessi lasciata…»

«Ma che cazzo, Tom! Ti ho appena detto che il mio destino e il tuo sono incomprensibilmente intrecciati e tu continui a darti la colpa?! Perché non mi baci e basta, ora che è il momento adatto?»

«Ti devo baciare veramente? Io so che scapperai, quando ricorderai di più.»

«Tom, tu vai contro i tuoi stessi motti!»

«Tipo?»

«Carpe Diem, Leb’ die Sekunde, e tutte le cose che scrivete nei testi delle vostre canzoni e che ripetete fino alla nausea nelle interviste!»

«Ho capito che con te questi motti non servono, perché se ti bacio adesso e se tu te ne andassi, aver vissuto quel secondo non mi servirebbe a niente, anzi, mi farebbe stare ancora più male. Quindi è meglio averti quando sarai convinta, che averti per un po’ e poi non averti più.»

Menomale che lui era il ragazzo che odiava i se!

«Tom, non ti accontenti mai!»

«No, e sono un ingrato.»

«L’importante è riconoscere i propri difetti», sorrise maliziosa. «E sai qual è un mio difetto?»

«Ah, ne hai talmente tanti!»

«Ma grazie!», gli tirò uno schiaffo sul braccio, senza forze a causa delle risate.

«Il mio più grande difetto è non riuscire a resisterti», gli sussurrò sfiorandogli il collo con le dita.

«Uhm?»

«Già.»

«Vuoi davvero che ti baci?»

«Se non lo fai tu lo farò io, quindi…»

La baciò stringendola di più e Jinny si sentì le ali al cuore, tanto leggera da riuscire a volare in cielo e non scendere più. Finalmente avrebbe vissuto veramente sulla sua nuvoletta. Ma avrebbe rinunciato volentieri alla vista in prima fila del cielo stellato di una sera d’estate per stare lì dov’era con Tom. Le avrebbe sortito lo stesso identico effetto.

Le sue labbra erano calde e morbide, dolci con quel retrogusto amaro causato dal fumo, e non aveva dimenticato la sensazione del suo piercing freddo che accarezzava le sue di labbra. Per non parlare poi delle sue mani che la sfioravano appena, anche se sentiva che lui l’avrebbe voluta avere subito, e che conoscevano ogni parte di lei, anche la più segreta, che però stavano fisse sui suoi fianchi per non cedere alla tentazione e rovinare tutto.

Il cellulare di Tom suonò, ma lui non si spostò dalle labbra di Jinny, anzi, se ne fregò a continuò a baciarla con passione, sfiorandole ora la schiena, ora le treccine sulle spalle.

«Tom, ti sei dimenticato che tu eri quello che non voleva baciarmi? Credo che una pausa non farebbe…»

«Sono anche quello che non si accontenta mai», le ricordò prima di perdersi di nuovo ad accarezzarle le labbra con le sue, senza fretta.

«Tooooom…»

«Ok, ok, va bene», disse staccandosi a fatica da lei e tirando fuori dalla tasca il cellulare.

 

Ma dove ti sei cacciato? Qui è arrivato il padre di Jinny, io se fossi in te non me lo perderei.

 

«Chi è?»

«Oh, ehm… Jinny…»

«Sì?»

«Ci… ci sarebbe una cosa che… che dovrei dirti…»

«Che cosa?»

«Sì, beh… tuo padre…»

«Che c’entra mio padre?»

«Voleva vedere tua madre e… e ora è alla Universal.»

«Davvero?»

«Già.»

«Allora andiamo!»

«Ma sei pazza? Se ci vedessero arrivare assieme penserebbero…»

«Non me ne frega niente di quello che pensano o penserebbero. A te?»

«Diciamo solo che Benjamin potrebbe uccidermi.»

«E perché dovrebbe farlo?»

«Beh, dopo quello che è successo fra noi… Non vuole che succeda di nuovo, ecco.»

«Faremo in modo che non succeda più. E adesso, per favore, potremmo andare? Grazie.»

Salirono in macchina e in breve tempo arrivarono alla Universal. Subito nella hall videro Benjamin già incazzato nero che borbottava qualcosa guardando il fratello e Victoria che parlavano un po’ più in là; e il resto dei TH in un angolo che guardavano da tutte e due le parti.

«E voi due che ci fate assieme?!», gridò Benjamin con una furia paragonabile a quella di un omicida.

Tom vedeva già la sua testa su un piatto d’argento: per Jinny non avrebbe di certo pensato al gruppo dei Tokio Hotel, anzi, avrebbe fatto fuori anche loro senza alcuno scrupolo se le avessero fatto qualcosa di male.

«Zio, io e Tom usciamo insieme!», disse Jinny unendo le mani di fronte al viso. «Non è una cosa fantastica? Non sei contento per me? Io sono felicissima!»

Stava parlando in un modo mieloso e con gli occhi da angioletto-cerbiatto – una fusione letale per i cuori teneri –, ma Benjamin non parve accorgersi del quasi imbroglio. Certo, Jinny era felice, ma non avrebbe mai fatto tutte quelle scenate. Lo stava facendo solo per Tom e lui sarebbe stato costretto a ricambiare adeguatamente il favore, visto che gli stava salvando la vita.

«Uhm… sì», disse Benjamin sconfitto, ricevendo un grosso abbraccio e un bacio da parte della nipote. «Ma se osa solo pensare di farti qualcosa di male dimmelo, non avrò pietà», lo incenerì con lo sguardo e Tom deglutì.

«Sì, zietto, non ti preoccupare! Nemmeno io avrei pietà se fossi in te.»

«Ma grazie…», mormorò Tom alzando gli occhi al cielo, mentre Bill, Georg e Gustav se la ridevano sotto i baffi.

La loro Jinny, non era proprio cambiata. Ed era bello che fosse così.

«Jennifer?», la chiamò sua madre.

Lei si girò e guardò suo padre e sua madre, l’una affianco all’altro, che sorridevano. Non li vedeva sorridere assieme da… praticamente mai.

«Sì?», chiese nervosa. Improvvisamente vederli così, come non li aveva mai visti, l’aveva agitata e non sapeva cosa aspettarsi.

«Domai sera ceniamo assieme, ti va?», le chiese il padre.

«Sì, certo!»

«Ok, bene, allora a domani principessa.»

«Ma ora dove vai?»

«Devo sbrigare alcune faccende di lavoro, ci vediamo domani sera», la baciò sulla fronte e uscì dalle porte vetrate.

Jinny si girò e guardò sua madre, ferma ancora con lo sguardo sulla porta, un sorriso che sinceramente non sapeva se abbinare a felicità o amarezza.

«Mamma?»

«Sì, che c’è?»

«A cosa pensi?»

«Che non ho nulla da mettermi per la cena!», disse sorridendo emozionata, le lacrime agli occhi.

«E io che mi stavo preoccupando sul serio!», rise e l’abbracciò.

«Che giornata del cacchio», disse Benjamin imbronciato. «Prima Jinny e Tom, poi Victoria e Gabriel, ma che cosa sta diventando questo posto? Lo studio di Stran’amore, per caso?!»

«C’è David che è andato a prendersi un caffè sull’Himalaya, perché non lo raggiungi?»

«Ottima idea, Gustav. Chissà se lassù riuscirò a rilassarmi.»

«Sì, con lo yeti che fa palline di gelato con la neve fra i piedi? Ne dubito», disse Jinny stringendosi nelle spalle, facendo ridere tutti.

Jinny e Tom si guardarono negli occhi e sorrisero, arrossendo entrambi.

Forse era proprio vero che i loro destini erano incomprensibilmente intrecciati, in un modo assai complesso, ma comunque apprezzato.

Tom non poteva di certo lamentarsi, visto anche che le cose troppo semplici non gli erano mai piaciute.

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Capitolo 6
*** Know everything ***


Nota: Ecco qui per voi il capitolo numero 6! Ah, comunque è iniziata l'estate! Che bello! Godetevela!! ^^
Ringrazio Ladysimple (*Ero sicura che ti sarebbero piaciuti Tom e Jinny!!*) e Kvery12 (*Grazie, multilingue! Vedrò di creare un lieto fine! P.S. L'ultima frase su Tom vuol dire proprio quello che c'è scritto, che non può lamentarsi perchè non gli sono mai piaciute le cose troppo semplici, XD Continua a recensire, mi raccomando!!*) Poi un Grazie enorme sempre ad Ale (o Frenzy) di msn, che mi sostiene! E, ovviamente, a tutti quei timidoni che leggono e poi non mi lasciano le recensioni!! Ahahah, grazie__<3, Ary.

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6
Know everything

 

«Hi!»

«Camilla, ma sei tu?»

«Oh, sì, sono io! Che c’è?»

«Ciao.»

«Ciao.»

«Che stai facendo?»

«Mmh, cercavo di prepararmi la cena, ma sono un disastro senza Jinny!»

«Io ho un’idea migliore, perché non vieni qui?»

«What?!»

«Sì, dai! Per favore…»

«Ma gli altri non ci sono?»

«No, escono», guardò gli amici sul divano e Tom negò con la testa, l’espressione imbronciata e le braccia strette al petto, ben radicato sul divano.

«E dove vanno di bello?»

«Che cosa te ne frega? Dai, fai contento il tuo Bill!»

«Ok, va bene.»

«Ok, hi!», la salutò emozionato, ridendo per quell’inglesismo che si era diffuso nella loro chiacchierata.

«Bill, aspetta!»

«Che cosa c’è?»

«Non so dove abiti.»

«Oh, che stupido! Dai, passo a prenderti io.»

«Ok, see you.»

Chiuse la chiamata con Camilla e guardò con gli occhi dolci Gustav, Georg e Tom sparsi per il salotto: chi seduto intorno al tavolo, chi sulla poltrona e chi sul divano, come il suo amato gemello.

«Ok, per me non c’è problema, tanto devo uscire con Ary.»

«Oh, grazie Gustav! Io l’ho sempre detto che sei il migliore!», si avvicinò contento, aprendo le braccia.

«No, non ti azzardare», Gustav lo allontanò mezzo schifato.

«Ah, come sei cattivo», sbuffò. «Era solo un abbraccio!»

«I tuoi abbracci mi irritano, non so perché.»

«Mai fatto il test delle allergie? Magari sei allergico a Bill», disse Georg.

«Sì, potrebbe anche essere.»

«La finite?! Tu, Georg, non devi uscire?»

«Mmh, no.»

«E perché no? Dai, per favore! Levati dalle scatole.»

«Cacciato da casa mia, possibile?», mormorò alzandosi e andando l’appendiabiti, dove prese la giacca. Raggiunse Gustav già fuori dalla porta e si avviarono assieme.

Due sono andati, adesso manca il terzo… e il più difficile da corrompere, pensò Bill controllandosi le unghie di fronte al fratello gemello, silenzioso e con il viso duro come il marmo.

«Ancora qui sei?», gli chiese.

«Già.»

«Perché noi a vai a farti un giro pure tu, invece di fare la muffa sul divano?»

«Perché non so dove andare.»

«Oh, beh… su quello non c’è problema! Puoi anche fare il barbone qui sotto.»

«Bill? Ho la faccia di uno che vuole scherzare?»

«Uhm… no.»

«E quindi vedi di non scassare i coglioni, per favore.»

«Senti», si mise seduto accanto a lui e gli cinse le spalle con il braccio, avvicinandolo a sé. «So che avresti preferito andare con Jinny a quella cena, ma… non credi siano cose di famiglia? E… delicate?»

«E se avesse bisogno di me?», disse con gli occhi tristi.

Bill era molto sorpreso dal comportamento del fratello: non l’aveva mai visto così preso da una ragazza, innamorato e tanto in pensiero quando non c’era. Era anche un po’ irritante a volte, ma vederlo al settimo cielo quando stava con Jinny era la giusta consolazione.

«Non potrai mai essere sempre al suo fianco, inizia ad abituarti a questa cosa.»

«Non ci voglio nemmeno pensare, impazzirei!»

«Se impazzisci quando non la vedi per più di tre ore di fila, pensa quando non la vedrai per mesi!»

«Ah, no, no!», si tappò le orecchie.

«Tom? Ti prego, non fare il bambino, tu sei il più grande fra i due!»

«Non voglio lasciarla, mai più», abbracciò Bill e appoggiò la testa al suo petto, in cerca di consolazioni.

«E nessuno ti ha mai detto che lo dovrai fare. Oh mio Dio, Tom! Ma ti vedi?! Da quando vieni a cercare le coccole da me?! Sbaglio o l’amore ti rammollisce?!»

«Cazzo, però!», si tirò su e lo guardò incazzato. «Quando vuoi farmi le coccole ti incavoli perché non voglio, quando invece ne hai l’opportunità mi cacci via?! Deciditi!»

«Scusa Tomi!», lo abbracciò di nuovo felice e lo strinse a sé. «È che è strano vederti così, mi ci devo abituare.»

«Mi sono innamorato…», sospirò.

«Chi l’avrebbe mai detto, Sex-Gott.»

«Non mi chiamare così, io non sono più quello.»

«Sì, hai ragione, scusami. Allora… Cosa siete tu e Jinny?»

«Un… un bel niente.»

«Ma?»

«Ma ci siamo baciati due volte.»

«Uhm, mi sembra di ritornare al passato. Magari alla terza volta funziona! Tre è il numero perfetto.»

«Mmh, magari.»

«Senti, Tom…»

«Cosa?»

«Allora ti levi o no dalle scatole? Sai, volevo organizzare una cenetta romantica con Camilla e…»

«Ma porca di quella vacca, io sono depresso perché mi manca Jinny e tu pensi alle cenette romantiche con Camilla?!»

«Quante volte io ero depresso e tu te ne andavi in giro con le troiette?!»

«Mai!»

«Già, hai ragione», sussurrò abbassando lo sguardo. «Ma io ci tengo tanto a Camilla…»

«Dai, io mi chiudo in camera, fate come se non ci fossi.»

«No, Tom, io…», tentò di dire, ma il fratello era già salito al piano superiore e si era sbattuto la porta alle spalle.

Si fece una doccia bollente per sciogliere i muscoli e poi si infilò il pigiama, cioè una maglietta bianca e dei pantaloncini corti e larghi. Si guardò allo specchio e sbuffò, poi iniziò a parlare da solo, con la sua immagine riflessa: non era impazzito, aveva solo voglia di sfogarsi e di dire tutto quello che pensava, cose che non avrebbe mai detto, o forse sì, chissà, immaginando di avere Jinny di fronte a sé.

«Una volta tu hai detto che mi amavi. E io che ho fatto? Ti ho risposto: “Lo dici solo perché abbiamo litigato”. Tu sei scoppiata a piangere, ovviamente. Sono stato un deficiente, non avrei mai dovuto dirlo. Mi dispiace. Ora sono io che ti dico che ti amo e tu… tu non sai che fare. Ma tra noi non esiste la parola SEMPLICITA’

Perché va bene che non gli piacevano le cose troppo semplici, ma così era troppo complicato!

Con quella domanda in testa si abbandonò al letto e chiuse gli occhi con le mani dietro la nuca, rivolto al soffitto.

Avrebbe pagato oro per essere a quella cena con Jinny, per starle accanto e rassicurarla. Sapeva come ci si sentiva, anche i suoi genitori una volta avevano fatto una cosa del genere, per fargli credere che un po’ di normalità c’era, ma era stato fin troppo umiliante e sconfortante, soprattutto, perché lui e Bill avevano visto con i loro occhi la freddezza con la quale la loro mamma e il loro papà si guardavano: quella non era più una famiglia, solo un collage riuscito male per il bene dei figli, che si era rivelato un vero disastro.

Chiuse gli occhi e si mise sul fianco. Sospirò e prese il suo iPod dal comodino, si mise le cuffie e si mise ad ascoltare canzoni a caso, di cui non seguiva nemmeno il ritmo. Non riusciva a smettere di pensare a Jinny, nemmeno un istante.

Ormai era normale che fosse sempre nei suoi pensieri, lo era da quasi dieci mesi, ma quella sera era diverso: non si era mai sentito così in pensiero per lei, forse perché sapeva quello che stava passando e voleva starle accanto, forse perché l’amore per lei era aumentato senza che lui se ne accorgesse.

Non si era accorto di essere innamorato per due mesi, figurarsi se si accorgeva a che livelli arrivava ad amarla. L’amore era sempre l’amore, alla fine, non bisognava nemmeno pensarci molto, era così e basta, non c’erano alternative.

Si rese conto di essere molto fortunato, perché si era innamorato – finalmente – di una ragazza stupenda, sia dentro che fuori, e non poteva chiedere di meglio.

Staccò le cuffie innervosito, non aveva proprio voglia di fare niente se non pensare alla sua Jinny. E quale metodo migliore se non imbracciare la sua Gibson e scriverle una canzone? Avrebbe unito lavoro e amore. Anche se era la stessa cosa, in pratica: il suo lavoro era la musica, il suo primo grande amore.

Stava per scrivere i primi accordi su un foglio, quando sentì qualcuno bussare alla porta.

«Chi è?», chiese scocciato. Sapeva che era Bill, era l’unico rimasto in casa.

«Tomi, te la sei presa?»

«No.»

«E dovrei crederti?»

«Per favore Bill, lasciami in pace.»

«Ti ho portato una sorpresa.»

«Se mi hai portato Jinny ti amo con tutto il mio cuore, altrimenti te ne devi andare.»

«No, non Jinny, però…»

«Ciao Tom», disse Camilla aprendo la porta e salutandolo con la mano. «Certo che tuo fratello la tira proprio lunga quando ci si mette», sorrise.

«A chi lo dici…»

«Vuoi?», gli porse un piatto con un pezzo di torta, sedendosi sul letto. «Te lo manda Jinny. Ha detto che si è ricordata che era la tua preferita e… l’ha cucinata sta mattina.»

«Che tenera, non doveva!», disse Tom con il cuore sciolto.

«Sì, già, ehm… please, torna il Tom di sempre, fa un certo effetto vederti così.»

«Solo perché ho detto che è tenera?»

Camilla si strinse nelle spalle e sollevò le sopracciglia.

«Ok, va bene, quanto siete rompicoglioni voi due», prese il piatto e mangiò la prima forchettata.

«Questo è il Tom che conosco! Quello che ci insulta!», esultò Bill lanciandosi sul letto, accanto a Camilla.

 

***

 

Che serata. Solo a lei poteva capitare una cosa del genere.

Suo padre non aveva badato a spese, come al solito, aveva prenotato il ristorante più lussuoso di Amburgo, uno con i lampadari di cristallo e i violinisti che suonavano, dove tutti si vestivano eleganti.

Non era il suo ambiente, eppure quella sera si era preparata come meglio poteva: indossava un vestito lungo nero a brillantini, le scarpe nere lucide col tacco e aveva gli occhi contornati da matita e mascara neri. Non era proprio a suo agio, ma lo faceva per i suoi genitori.

Era seduta sul lato, invece suo padre e sua madre, bellissima con quel vestito rosa antico che avevano comprato in quel pomeriggio di shopping, erano l’uno di fronte all’altra, che si guardavano e si lanciavano sorrisi ogni tanto.

Le sembrava di essere di troppo, di essere un fantasma del passato, come se dovesse ancora nascere, come se loro si fossero appena innamorati. Perché, sì, davano l’impressione di essere davvero innamorati.

«Jennifer, perché non ci racconti un po’ quello che sta succedendo con Tom?», chiese suo padre ad un certo punto.

Quasi non si strozzò con il vino rosso che stava sorseggiando.

«Che cosa?», chiese ad occhi sgranati.

«Sì, insomma… tu e Tom…», disse sua madre, incitandola a parlare.

«Io e Tom non siamo proprio niente», disse Jinny arrossendo.

Chissà come mai, ma dire quella frase l’aveva fatta star male. Loro non erano niente, loro erano tutto.

«Benjamin vi ha fatto molte storie?», le chiese Gabriel.

«Abbastanza, non lasciava mai in pace Tom, poverino.»

«Ci ho parlato io, non dovete più preoccuparvi.»

«Grazie papà, non dovevi. L’avrei fatto io comunque, prima o poi.»

«Figurati principessa, per me è stato un piacere.»

Sentì il proprio cellulare vibrare nella borsetta che teneva sulle gambe, sotto al tovagliolo.

«Scusate, torno subito», si scusò ed uscì dal ristorante.

Doveva ricordarsi di ringraziare Tom, l’aveva salvata da una situazione poco piacevole, in più aveva proprio bisogno di una boccata d’aria.

«Ehi», lo salutò.

«Ehi», rispose quasi sussurrando, la sua voce calda ed eccitante che le fece chiudere gli occhi. Jinny si appoggiò con la schiena alla parete, abbandonandosi al dolce suono delle sue parole.

«Disturbo?»

«No, anzi, stavamo entrando in discorsi imbarazzanti.»

«Tipo?»

«Papà ha iniziato a parlare di te e…»

«Io sono imbarazzante?»

«Stupido, non intendevo in quel senso! È che io mi imbarazzo a dire certe cose, sai come sono.»

«Sì, timidina. Come sta andando?»

«Né bene né male, così.»

«Quindi… verde?»

Jinny sorrise. «Sì, verde. Che cosa stai facendo?»

«Nulla di particolare, suonavo un po’. Camilla ha portato la torta, grazie.»

«Oh, non c’è di che.»

«Jinny, sei sicura che vada tutto bene?»

«Sì, perché?»

«Sembri stanca.»

«Sì, in effetti un po’ lo sono», si ravvivò le treccine sulla nuca. «Sai che quando sono entrata mi hanno guardato i capelli per ben cinque minuti? Qui sono vestiti tutti come pinguini… Non hanno mai visto delle treccine?»

«Ah, sì, capita pure a me e a Bill. Non ti preoccupare, basta tirare fuori i soldi.»

«Già.» Risero assieme.

«Allora… ci sentiamo domani», disse Tom.

«Sì, ci sentiamo domani.»

«Jinny?»

«Sì?»

«Mi manchi.»

«Ahm… sì, ciao.»

Chiuse velocemente la chiamata, imbarazzata, ma si sentì subito una stupida: perché non aveva detto che gli mancava pure lui e che avrebbe preferito stare con lui invece che ad una cena in un ristorante snob a vedere i propri genitori flirtare come se fossero ragazzini?

La verità era che aveva ancora un po’ di paura. Aveva ricordato il dolore che le aveva causato e… non sapeva ancora se fidarsi del tutto.

Si trovò comunque a sorridere e rientrò dentro, visto che iniziava a fare un certo fresco senza il copri spalle.

Si sedette di nuovo al tavolo, sorridente, ma i suoi non le chiesero niente, persi com’erano nel ricordare i momenti felici della loro famiglia.

«Victoria, ti ricordi quando Jennifer è caduta nel torrente ghiacciato, in montagna?»

«Sì, menomale che era primavera. L’abbiamo asciugata con il phon. Tu ti ricordi, Jennifer?»

«No», disse amaramente.

«Oh, scusami tesoro», le disse la madre, passandogli la mano sul braccio.

«Non fa niente», sorrise.

«Sapete, mi manca la nostra famiglia», disse Gabriel.

Jinny e Victoria si guardarono mentre lui prendeva qualcosa dalla tasca della giacca e si alzava con il pugno dietro la schiena.

Jinny guardò la scena come se fosse un film, con gli occhi velati dalle lacrime e il respiro bloccato in gola.

Suo padre si inginocchiò accanto alla madre e le porse una scatoletta di velluto, la aprì e le sorrise dolcemente, mostrandole il bellissimo diamante che conteneva.

«Victoria, mi vuoi sposare? Di nuovo?»

«Oh, Gabriel… Sì», disse con le lacrime agli occhi pure lei.

Gabriel le infilò l’anello al dito e la baciò. Ora Jinny sapeva cosa voleva dire amare: nonostante tutti quegli anni e tutti gli errori commessi, suo padre aveva capito che amava sua madre e le aveva chiesto di ricominciare di nuovo con lui.

Pensò a Tom e si trovò con le guance rigate dalle lacrime e un sorriso sulle labbra: quella sera anche lei aveva capito molte cose.

Quando suo padre si risistemò e il tempo delle lacrime cessò, sulle quali nessuno aveva fatto domande pensando che fossero per il momento romantico, arrivò il dessert, per concludere in bellezza, e Jinny aveva proprio esagerato: fetta enorme di torta al cacao con tanto di panna e ciliegina.

«E adesso?», chiese Victoria.

«E adesso cosa?», chiese a sua volta Gabriel.

«Insomma, ci sposiamo e poi?»

«Avevo pensato di trasferirci tutti in America.»

«Che cosa?!», a Jinny stridette la forchetta nel piatto.

In America? In America?! Suo padre era impazzito! Come aveva anche solo potuto pensare che lei, dopo tutto il tempo che ci aveva messo per ricordare, avrebbe abbandonato così facilmente… Tom?  

L’aveva detto pure lei che loro non erano proprio niente, ma… si sentiva male al solo pensiero di doverlo abbandonare di nuovo. Si sentiva schiacciata da qualcosa e pesante dentro, e non a causa delle calorie della torta. Il suo cuore era diventato un macigno insopportabile, il che voleva dire una sola cosa: era innamorata di Tom.

«Non voglio lasciarvi sole ancora, voglio stare con voi più tempo possibile, e visto che lavoro principalmente in America… Sempre se siete d’accordo.»

Per sua madre non c’erano problemi, avrebbe fatto di tutto per Gabriel, ma Jinny? Era disposta a lasciare tutto per la famiglia? Sarebbe stata in grado di dimenticare di nuovo e di rifarsi una vita? Un’altra volta?

«Jennifer, stai bene?», le chiese premurosa la madre, accarezzandole una guancia. «Sei pallida.»

«No, sto… sto bene», balbettò lei facendo un sorriso tirato. «Wow, è… fantastico.»

Altro che fantastico, altro che bene… Non stava né bene né quella situazione era fantastica. Per niente. Ma come faceva a dirlo a quei due innamorati? Come poteva distruggere i loro sogni?

Già, ma i suoi di sogni?

 

***

 

Il viaggio di ritorno in macchina era stato imbarazzante, però non ci fece molto caso, presa com’era a piangersi addosso perché non riusciva ad aprirsi come voleva a Tom.

Lei provava qualcosa per lui, solo che ancora era così insicura… Cazzo, quanto odiava le situazioni così complicate!

Salì in casa e si sentì ancora più depressa quando si accorse che Camilla non c’era. Doveva essere andata da Bill e company, visto che lei usciva.

Alzò le spalle sospirando e andando in cucina, infatti, vide un bigliettino lasciatole proprio da Camilla:

 

Hi, darling!
Sono da Bill… Arrivo prima che posso! :)
Kisses, your crazy Camy.

 

Si diresse in camera sua e si fece una bella doccia bollente, non si struccò nemmeno, lasciò che l’acqua le scivolasse sul viso, appoggiandosi alle piastrelle fredde della parete.

Singhiozzò pensando a Tom, al modo in cui gli avrebbe detto addio. Come avrebbe fatto?

Acqua e lacrime si mescolarono, Jinny si portò le mani sul viso, soffocando i singhiozzi inutilmente, sempre più forti contro di lei.

Uscì dalla doccia più distrutta di prima, il trucco sbavato sotto agli occhi e una pessima cera. L’America le era sempre piaciuta, ma si trovò ad odiarla.

Si infilò una maglietta e un paio di slip a caso e si buttò fra le lenzuola, le cuffie dell’iPod nelle orecchie, la luce del comodino accesa.

Si sentiva stanca e triste, il sonno c’era ma lei non voleva dormire, non ancora. Era ancora troppo impegnata a pensare a suo padre che aveva chiesto a sua madre di sposarla… beh, quello era positivo. Forse l’unica cosa positiva di quella serata, senza contare la piacevole chiamata di Tom.

Guardò lo schermo illuminato dell’iPod e lesse il nome della canzone: Fall to pieces, di Avril Lavigne. Lei non ascoltava quel genere di musica, probabilmente le aveva messe Camilla quando il suo iPod era andato a farsi fottere.

Non era proprio quello che le ci voleva, ma non cambiò, si lasciò cullare da quelle parole e da quella melodia, chiudendo gli occhi.

 

I don’t want to fall to pieces
I just want to sit and stare at you
I don’t want to talk about it
I don’t want a conversation
I just want to cry in front of you
I don’t want to talk about it
‘cause I’m in love with you

 

Sentì la porta della propria camera aprirsi e vide con la coda dell’occhio Camilla. Le stava parlando, ma non sentiva a causa della musica.

«Eh?», le chiese levandosi una cuffia, senza alzare la testa dal cuscino.

«Ti ho chiesto com’è andata la cena», le sorrise con la spalla appoggiata allo stipite della porta.

«Ne parliamo domani, Camilla», chiuse gli occhi. «Ho sonno.»

«Ok, come vuoi.»

Si avvicinò a lei e la baciò sulla guancia, dopo aver spento la luce del comodino. Le accarezzò le treccine e Jinny fece un minuscolo sorriso per rassicurarla, per poi ritornare a piangere quando fu uscita dalla stanza.

Si rannicchiò di più e nascose le lacrime nel cuscino, stringendolo sotto alla testa.

 

Want to know who you are
Want to know where to start
I want to know what this means
Want to know how to feel
Want to know what is real
I want to know everything, everything

 

 

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Nota: Quest’ultima canzone è, come avete letto, Fall to pieces, della magica Avril Lavigne. L’ho trovata perfetta per questa ultima scena, spero vi abbia comunicato come davvero si sente Jinny in questo momento. Comunque vi metto la traduzione: Non voglio rompermi in mille pezzi / Io voglio solo sedermi e fissarti / Non voglio parlare né avere una conversazione / Voglio solo piangere di fronte a te / Non voglio parlarne perché sono innamorata di te.
Voglio sapere chi sei / Voglio sapere da dove partire / Voglio sapere che cosa significa tutto questo / Voglio sapere come sentirmi (emozionarmi) / Voglio sapere cosa è reale / Voglio sapere tutto (ogni cosa), tutto (ogni cosa).

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Capitolo 7
*** Una notte insonne: il romanticismo e i ragazzi, due mondi differenti? ***


Nota: Hi everyone! *Versione Camillesca XD*  Come va? Io sono quasi esaurita perché ci ho messo un’infinità a scegliere il nome per questo capitolo, il settimo. Ero indecisa fra solo Una notte insonne, Il romanticismo, Il romanticismo e i ragazzi e Il romanticismo e i ragazzi, due mondi differenti? Avrete notato sicuramente che la soluzione al mio problema è stato unire tutti questi titoli in uno. È un po’ lunghetto, eh? Però va bè, è bello perché descrive proprio questo capitolo! Vi inietta già nell’atmosfera romantica! Un bel capitolo romantico per i/le romanticoni/e! Spero che mi sia venuto bene perché mi trovo sempre meglio a scrivere cose tristi ç_ç Ma ci ho messo ancora del mio! Eheh. Leggete, che è meglio!

Ringraziamenti:

Ladysimple: Grazie per il complimento!! Sì, il papà di Jinny non è proprio un genio, eh? 
Sì, come vedi sto continuando. 
La canzone di Avril è una delle mie preferite e la adoro... ^^ 
Bacio. 

layla the punkprincess: Sì, è un casino, me ne rendo conto.. eheheh, l'ho scritta io! Sid incombe su tutti noi.. XD 
Grazie per la recensione, alla prossima!

 
 

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7
Una notte insonne: il romanticismo e i ragazzi, due mondi differenti?

 

Si svegliò ansimante, la fronte imperlata di sudore. Si guardò intorno, ancora un po’ spaventata: era seduta sul letto, in camera sua, la luce della luna entrava dalla finestra ed illuminava parte della stanza, tra cui anche il suo letto e metà del suo dolce viso.

Si coprì la faccia con le mani, respirando lentamente per cercare di regolarizzare i battiti del suo cuore impazzito. Forse per cause sconosciute, forse per quella malattia che si chiamava amore.

Aveva fatto un incubo, quello che aveva visto non era nient’altro che uno stupidissimo incubo. Anche se tentava di cancellarle dalla testa, quelle immagini di Tom che rideva e poi scompariva nel buio, lasciandola sola in mezzo al niente, la continuavano a tormentare.

Si alzò dal letto e andò in cucina a prendersi un bicchiere d’acqua. Lì, in quel preciso istante, alle 3:42 minuti, decise che non sarebbe proprio più riuscita a dormire, quindi tanto valeva trovarsi qualcosa da fare.

C’era una bella luna fuori, così si vestì in fretta, con le prime cose che trovò nell’armadio, cioè un vecchio paio di jeans che adorava e una maglietta abbastanza larga per il suo fisico snello, poi una felpa assurdamente rosa (lei odiava il rosa) regalatale da sua madre al suo sedicesimo compleanno, e le scarpe da ginnastica, afferrò la giacca, il cellulare, le chiavi di casa e uscì.

Rabbrividì quando una folata di vento freddo le sfiorò il viso. Si strinse nelle spalle e camminò per le vie illuminate solo dalla luce fioca dei lampioni e dai fari delle poche macchine che passavano in quella notte fredda, oltre che dalla luna.

Non sapeva dove stava andando e nemmeno le interessava infondo, ma quando si trovò di fronte ad un palazzo che trovò familiare allora sì che iniziò a farsi qualche domanda.

Tappò quella fonte inesauribile di dubbi che era la sua testa e senza pensieri salì le scale lentamente, non aveva fretta lei, non quella notte. Non sapeva nemmeno perché era lì.

Di fronte alla porta, restò a fissare il pavimento, morsicandosi il labbro. Pensò che era una stupida: cos’era andata a fare lì alle quattro di notte? Perché? Per quale assurdo motivo? Beh, non lo sapeva con certezza, il suo subconscio l’aveva portata fino a lì, e un motivo doveva esserci per forza, no?

Sbuffò da sola e si mise seduta di fronte a quella porta, insultandosi da sola, dandosi della deficiente, le gambe strette al petto e la testa fra le ginocchia, la schiena appoggiata alla parete.

Aveva sentito una canzone, quella sera, prima di addormentarsi, doveva sempre essere di Camilla perché lei non ascoltava di certo i Paramore. Prima di sentirli non sapeva nemmeno chi erano. Comunque, il fatto era che aveva sentito quella canzone e in particolare dei versi l’avevano colpita.  

You're pushing and pulling me down to you
But I don't know what I want
No, I don't know what I want

Già. Non era difficile capire perché l’avevano colpita, visto che la traduzione, se il suo inglese, sempre rimproverato da Camilla per il suo scarso impegno, non la tradiva, era: Tu mi stai spingendo e tirando verso di te, ma io non so cosa voglio. No, io non so cosa voglio.

Jinny stava esattamente così: c’erano momenti in cui Tom la spingeva via, sembrava distante e freddo chissà perché; e poi c’erano momenti in cui era dolce e la tirava a lui, la voleva quasi ad ogni costo al suo fianco. Lei che già non capiva molte cose a causa della sua scarsa memoria che pian piano aveva recuperato, che cosa doveva dedurne? Era anche per questo che non sapeva bene cosa voleva. Sentiva che voleva Tom, in un certo senso, ma quel senso era… lo stesso in cui la voleva lui?

Che confusione! Sarà perché ti amo…

Stava iniziando a sclerare se lei, un’amante incallita dell’hip hop e in generale della musica house ed elettronica, si metteva a pensare alle quattro di notte ad una canzone de I Ricchi e Poveri quando aveva problemi ben più seri per la testa.

Però era vera quella canzone… Tutti i suoi dubbi, tutta quella confusione, non erano forse dovuti al fatto che lei in realtà amava…?

Scosse la testa e riprese il filo logico del suo discorso, non aveva tempo da perdere per quelle domande a cui non sarebbe mai riuscita a darsi comunque una risposta.

Lei non era un pupazzo, e Tom non poteva giocarci e strapazzarla come voleva per un po’ e poi abbandonarla su uno scaffale.

Dovevano entrambi prendere delle decisioni, ma era veramente difficile. In più, quella sera suo padre aveva deciso di incasinarle ancora di più la vita mettendo in ballo quella cosa del trasferimento in America. Non riusciva ad immaginarsi come lui l’avrebbe presa, e lei che avrebbe fatto? Come cavolo avrebbe fatto a dirglielo, innanzitutto?

Altro sospiro e tirò fuori dalla tasca dei jeans il cellulare. Era inutile stare lì seduta in mezzo ad un corridoio buio a fare la muffa, al freddo oltretutto, aspettando chissà quale ascesa divina che sarebbe stata in grado di darle una mano, ma anche due. Ci voleva un’intera schiera di mani per farla uscire almeno in parte sana da tutti quei casini in cui si era cacciata. E la colpa era solo sua, di Tom, volendolo proprio dire.

Ma sarebbe stata così incasinatamente bella se non fosse tornato nella sua vita? Proprio no.

Cercò il suo numero in rubrica. Solo il suo cellulare era così pacco da non avere la modalità ricerca nome. Fino ad arrivare alla T, eh, a voglia! Si sarebbe ben presto mummificata.

Quando ci arrivò, fortunatamente, si mise il telefono all’orecchio e si mise ad ascoltare il suono ritmico dei bip, mentre all’interno dell’appartamento sentiva la suoneria del suo cellulare.

Ridacchiò, notando che la suoneria di Tom era anche la sua canzone preferita. Che strane coincidenze.

Sentì un tonfo aldilà della porta e si alzò preoccupata, ma poi la voce assonnata di Tom la distrasse.

«Jinny? Ma sei scema?! Perché mi chiami alle… quattro di notte, oh mio Dio! Tu sei completamente…»

«Non sei contento di sentirmi?»

«Ahm… la verità? Sì.»

«Quindi… non importa se ti ho svegliato alle quattro di notte e se sono fuori dalla porta, vero?»

«No, certo che no. Tu che cosa?!»

Pochissimo tempo dopo, non aveva nemmeno fatto in tempo a chiudere la chiamata, vide Tom di fronte a sé, la porta spalancata.

«Ciao», lo salutò.

«Ma che ci fai qui?», chiese sorpreso.

Stava sognando, non era possibile che Jinny fosse lì a quell’ora di notte. Era assurdo, eppure sembrava così reale!

«Non… non riuscivo a dormire.»

«Solo perché non riuscivi a dormire? Ma tu non abiti qua vicino, come sei venuta?»

«A piedi.»

«Ma sei matta?! A quest’ora di notte?! E se ti fosse successo qualcosa?!»

«Mi avresti avuta sulla coscienza.»

«Io? Perché?»

«Perché… è… per te, in un certo senso… che sono venuta.»

«Eh?»

«Tom, secondo me tu stai ancora dormendo.»

«Potrebbe essere», si grattò la nuca, abbastanza confuso. «Beh, però… entra.»

«Grazie, perché si congela qui fuori.»

Entrò nell’appartamento. Era proprio come se l’era immaginato: molto confusionario e disordinatissimo. Si vedeva proprio la mancanza di un ente femminile in quella casa.

«Allora, mi spieghi perché sei qui?», le chiese dopo aver chiuso la porta ed averla raggiunta in salotto.

«Te l’ho detto, perché non riuscivo a dormire.»

«Jinny, io… non ti credo.»

«E perché non dovresti?»

«Perché so come sei fatta. A volte… inventi delle scuse per tenere nascosto ciò che ti fa più soffrire.» La guardò in viso e si accorse che il suo sorriso era sparito, lasciando spazio ad un’espressione malinconica. «È… è successo qualcosa alla cena, non è così?»

«Non voglio parlarne», scappò dal suo sguardo.

«Allora credo tu abbia sbagliato a venire qui, perché io voglio saperlo, perché… non riesco a vederti così, voglio aiutarti, se posso.»

«Evidentemente non puoi ed altrettanto evidentemente ho sbagliato a venire qui. Sì, credo proprio tu abbia ragione.»

Gli passò accanto arrabbiata e pentita, per raggiungere la porta, ma Tom la prese per il polso e la trattenne.

Si girò e lo guardò negli occhi, un brivido la percorse come un ricordo passato, facendola tremare al confronto coi suoi occhi.

«Ti prego, ora… resta», le sussurrò.

«Perchè dovrei? L’hai detto tu che ho sbagliato a venire.»

«Non volevo che tu… te ne andassi. Prometto che non parleremo di questo, dimmi solo che cosa devo fare.»

Jinny lo guardò titubante, poi abbassò lo sguardo, si fissò i piedi imbarazzata. Avrebbe voluto dirgli di tutto, di cose su cui discutere ne aveva a quintali, ma anche una sola parola le sembrava impossibile da pronunciare.

«Non ci sto capendo niente, ho bisogno di una sigaretta», mormorò Tom sovrappensiero, lasciandole la mano e andando alla ricerca di un pacchetto fra tutto quel disordine, dopodiché si diresse in terrazza.

Jinny, rimasta sola in salotto, strinse i pugni e le venne voglia di gridare e di sbattere i piedi a terra, ma si controllò perché quella non era casa sua e le avevano insegnato la buona educazione. E poi non voleva svegliare Bill, Georg e Gustav. Già non voleva che sapessero che lei era lì, se l’avessero scoperta avrebbero fatto una valanga di domande e lei che gli avrebbe risposto? «Non lo so perché sono qui»? Non era stata sicuramente una bella idea andare a casa loro se voleva che fosse un segreto, ma ormai c’era e che ci poteva fare?

Raggiunse Tom in terrazza e si appoggiò al parapetto con le braccia, imitando la sua posizione.

Era così dannatamente bello ai raggi della luna… Sembrava che anche lei si prostrasse a lui come un fedele al proprio dio e che volesse avvicinarsi per sfiorarlo, per averlo per sé anche un solo attimo. Jinny sapeva che voleva dire aver addosso quella sensazione, e sorrise amareggiata guardando in basso, la strada silenziosa e deserta.

«Pensavo che potremmo uscire, una di queste sere», disse incerta ed imbarazzata, schiarendosi la voce, senza guardarlo nemmeno.

«Uhm?»

Anche quando fumava era bellissimo, una cosa senza paragone. Si passò la lingua fra le labbra, evitando di incrociare i suoi occhi.

Se non riusciva a guardarlo negli occhi come avrebbe potuto fare a dirgli che forse si sarebbero divisi?

«Sì, a ballare. Un mio amico fa una serata in un locale qua vicino e mi chiedevo…»

«Non è che io adori ballare.»

«Scusa se non so tutto di te, mamma mia!»

«Perché gridi?»

«Non grido.»

«Eh no.»

«Sei tu che rispondi in modo così scontroso.»

«Ho solo detto che non adoro ballare. Tu?»

«Mmh, non tanto. È Camilla l’appassionata.»

«Non sembrava quella volta che ti strusciavi su quello là.»

«Ah, sei geloso!», lo indicò sorridendo maliziosamente.

«Non sono geloso», borbottò, dicendo ovviamente il falso, a sé stesso per giunta, e spense la sigaretta.

«Come vuoi tu…»

Restarono per un attimo in silenzio a guardare ancora la strada, Jinny sentì il corpo di Tom sfiorare il proprio, doveva essersi avvicinato, ma non osò controllare, anche perché aveva il viso così rosso che nemmeno la notte avrebbe potuto celare.

«Ma sei brava a ballare», fece notare Tom, un sorrisetto furbo sulle labbra.

«Pure che mi guardavi…», scosse la testa, incominciando a ridere. «Sicuramente più brava di te sono.»

«Io ballo solo quando ne traggo qualcosa.»

«Cioè quando devi rimorchiare.»

«Mi pare ovvio.»

«Ovvio.»

Per la strada passò una macchina e si fermò proprio nel parcheggio di fronte alla terrazza. Ne uscirono una ragazza e un ragazzo, avevano lasciato pure le portiere aperte e la radio accesa, e si misero seduti sul cofano ancora caldo a baciarsi.

«Simpatici quelli», disse sarcastica Jinny, negando con la testa.

Era proprio quello che le ci voleva vedere una coppietta di innamorati che alle quattro di notte si baciavano in un parcheggio sotto alla luce della luna. Proprio il massimo, quando invece con Tom era tutto così stramaledettamente incasinato.

«Sì, guarda, fanno ridere.»

«Io ho detto che sono simpatici, non che fanno ridere. Vedi, non sei per niente romantico, non ne capisci niente di queste cose.»

«Sì, forse hai ragione.»

«Forse? Io ho ragione.»

«E va bene, come vuoi… Ritornando al ballo, io sono bravo in verità.»

«Io non ci credo…»

«Ti batterei ad occhi chiusi.»

«Vuoi scommettere?»

«A quando la sfida?»

Si guardarono con occhi da rivali e per la radio accesa della macchina dei ragazzi passò una canzone che cancellò tutto il resto dalla loro testa.

Restarono entrambi fermi a guardarsi e poi Tom azzardò un passo verso di lei, che sorrise dolcemente e si lasciò abbracciare, le braccia di lui intorno alla vita di lei e quelle di Jinny intorno al collo di Tom.

And I will never try
To deny that you are my whole life
‘Cause if you ever let me go
I would die so I won’t run
I don’t need another woman
I just need you or nothing
‘Cause if I got that
Then I’ll be straight
Baby, you’re the best part of my day

Jinny doveva proprio ringraziare quei due simpaticoni, a qualcosa erano serviti.

Ballavano lentamente, abbandonati l’uno nelle braccia dell’altro, persi in quell’istante che pareva eterno e così romantico da sembrare assurdo.

«Chi è quello romantico, allora?», sussurrò Tom.

«Beh, mi hai sorpreso», arrossì e abbassò lo sguardo.

Tom sorrise e sospirò, appoggiando la guancia sui suoi capelli, chiudendo gli occhi. Lui l’aveva detto che l’avrebbe battuta ad occhi chiusi.

Jinny, dal canto suo, aumentò il contatto fra loro e rabbrividì, ma quella sensazione era troppo bella anche solo per spostarsi di un millimetro.

Si sentì pizzicare il naso, così gli occhi, che si riempirono velocemente di lacrime. Come avrebbe fatto senza di lui, dall’altra parte del mondo? Sola e sperduta, con una nuova vita, nella quale sarebbe cambiato irreparabilmente ancora tutto, facendola star male?

«Jinny?»

«Eh?», tremò tirando su col naso.

«Piangi?»

«No, ma va’», appoggiò il mento alla sua spalla, in modo tale che non potesse vederla, e si passò una mano sugli occhi. Per fortuna non si era truccata.

«Ma a chi vuoi darla a bere?», sospirò.

«Dai Tom, per favore.»

«Lo so che sono troppo romantico, ma non devi piangere per questo.»

Riuscì a strapparle una risata e le tornò il buonumore. Lo guardò e sorrise con le mani sulle sue spalle forti.

La canzone ormai era finita e i ragazzi stavano per rientrare in auto ridacchiando, Tom capì subito quello che stavano per fare, e anche Jinny, perché si guardarono negli occhi e scoppiarono a ridere.

«Quanto sono romantici!», commentò Tom, per poi far ricominciare a ridere tutti e due come scemi sulla terrazza.

«Sarà meglio entrare, eh», propose Tom.

«Sì, lasciamogli un po’ di privacy.»

Jinny aveva notato subito qual’era la camera di Tom, visto che era l’unica con la porta aperta spalancata. Così attraversò sicura il corridoio, trascinandoselo dietro tenendolo per mano, e lo lasciò solo per tuffarsi sul letto.

«Beh, che c’è?», chiese sorridente, sistemandosi il cuscino dietro la testa.

«E io… che dovrei fare?», sembrava persino imbarazzato.

«Assolutamente niente, devi solo venire qui, se ti va.»

Tom annuì e la raggiunse, si mise sdraiato al suo fianco, ma finì per farle da cuscino, in quanto lei si appoggiò con la testa e un braccio al suo petto, il pugno chiuso, richiedendo affetto.

«Ho fatto un incubo, è per questo che non riuscivo a dormire», gli confidò, lasciandosi accarezzare le treccine alla luce della luna, gli occhi chiusi e il respiro pesante dalla stanchezza.

«E che incubo era?»

«Era brutto, veramente brutto.»

«Non vuoi parlare nemmeno di questo, a quanto vedo.»

«Preferirei di no.»

«Ok.»

Era bellissima la sensazione di averlo accanto, di sentire il suo calore, di sentire la sua pelle sfiorare la propria, di sentire il suo cuore battere tranquillo nel petto. Era semplicemente bello stare accoccolata fra le sue braccia, sentendosi protetta e al sicuro.

«Mi è mancata questa sensazione», disse più a sé stessa che a Tom, pensando che era proprio così e non poteva farci niente.

Al cuor non si comanda. Ma è tutto così maledettamente complicato!

«Quale?»

«Questa. Stringimi più forte, Tom.»

Lui la guardò e si lasciò abbracciare meglio, con entrambe le braccia intorno alla sua schiena, lei interamente sopra di lui. Ricambiò l’abbraccio con piacere, godendosi quel momento che sapeva essere momentaneo, perché la mattina dopo Jinny sarebbe tornata alla carica con i suoi dubbi e la sua freddezza riguardo i suoi sentimenti e la loro strana situazione.

Il suo profumo era sempre lo stesso, buono e così indimenticato nella sua testa. Era diventato parte di lui, un tempo, e gli era mancato, come tutta la sua piccola Jinny. Come la sensazione di averla di nuovo fra le braccia, di stringerla, di baciarla, di accarezzarla. Le era mancato tutto di lei, e ancora, anche se l’amore per lei era ormai assodato dentro di lui, non riusciva ad ammetterlo liberamente.

«È mancata anche a me, Jinny», le sussurrò all’orecchio, ma si accorse che si era addormentata.

Sorrise e la sistemò al suo fianco sotto al lenzuolo, la testa sul cuscino, il viso di nuovo sereno. Si mise accanto a lei e rimase ancora un po’ ad osservarla dormire, senza sapere perché lo faceva, ma solo sentendosi bene.

Forse anche le cose così banali e che un tempo avrebbe considerato inutili prendevano sfumature diverse quando si era innamorati.

Chissà.

 

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Nota: Le canzoni di questo capitolo sono I caught myself dei Paramore (tra l’altro anche colonna sonora di Twilight ^^), e With you di Chris Brown. Della prima canzone ho già inserito nel capitolo la traduzione *Furba, ne?* e della seconda la scrivo qui di seguito: E non proverò mai / a negare che tu sei tutta la mia vita / Perché se tu mai mi lascerai / io morirei, non riuscirei ad andare avanti / Non ho bisogno di nessun altra donna / solo te o nessuna / Perché se riesco ad avere te / andrei benissimo / Piccola, tu sei la miglior parte della mia giornata.
Grazie a tutti di cuore! I love you <3 _Ary_

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Capitolo 8
*** Decisioni difficili ***


Nota: Ecco qui il nuovo capitolo a ben 5 giorni di distanza! Ragazzi, io lavoro anche in vacanza!! Eheh.. Per voi oltre che per il mio piacere personale.. ^^ Allora voglio più recensioni, eh!! Perché se no com’è sta storia?? Dai, vi pregooooo!! Grazie, un bacio, Ary!!

marty sweet princess: Grazie, sono contenta che ti sia piaciuta, romanticona! Continua a recensire, eh (è una minaccia ò_ò ahahah) un bacio, Ary

BigAngel_Dark: Grazie, sia per la recensione e tutti i complimenti! Continua a seguire e a recensire, mi raccomando! XD

Grazie a tutti quelli che hanno letto, vi voglio bene!! Ary

 

 

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8
Decisioni difficili

 

Si strinse nelle spalle e, sistemate le cuffie nelle orecchie, cominciò a correre, il cappuccio calato sulla fronte.

 

Because when I arrive, I
I’ll bring the fire
Make you come, alive
I can take you higher

 

Già, proprio così, si trovò a pensare.

Quando arrivava Tom le accendeva quel fuoco dentro, la faceva vivere davvero, come mai aveva vissuto prima, e chissà quanto in alto ancora poteva portarla. Quello era solo un assaggio delle vere potenzialità di Tom, lo ricordava con il sorriso sulle labbra. Quello era solo l’inizio della loro avventura che chissà come sarebbe andata e quanto sarebbe durata davvero.

Era abbastanza presto, il sole era timido di fronte a lei, le fronde degli alberi filtravano la luce, illuminando la rugiada sull’erba del parco di un verde brillante.

Pensò di nuovo a quella strana cena, all’America e a Tom.

Quante cose erano successe da quando lo aveva ritrovato! Era assurdo se ci pensava: aveva passato mesi senza di lui, senza saperne l’esistenza o quasi, vivendo anche bene, in un certo senso, e adesso che ce l’aveva non voleva mai farne a meno e si sentiva soffocare senza. Era peggio della droga quel ragazzo, o almeno lo era per lei. E ci era ricascata un’altra volta dopo la disintossicazione.

Da quando era stata a casa sua, quella notte, aveva cercato in tutti i modi di stargli il più lontano possibile, sia per l’imbarazzo che si era creato fra loro, sia per la paura di affrontarlo e di dirgli la verità. E facendo così aveva solo peggiorato la situazione, perché sicuramente si era insospettito ancora di più e alla prima occasione sarebbe riuscito a cavarle le parole di bocca. Ci riusciva sempre lui.

«Jinny!»

Corrugò la fronte e si fermò togliendosi una cuffia. Si girò e vide Ary correre dietro di lei, con il fiato corto.

«Cavolo Jinny, quanto corri! È mezz’ora che ti seguo senza riuscire ad acchiapparti!», sorrise.

«Oh, scusami.»

«Sei nervosa?»

«Abbastanza.»

«Ah, ecco perché correvi così.»

«Già, mi sono lasciata trasportare. Allora che mi racconti?»

Mentre parlavano si misero a correre assieme, stando l’una accanto all’altra seguendo il vialetto del parco, superando pian piano il laghetto e i giochi per bambini.

«Nulla di che, tu?»

«Mmh… tutto ok.»

«Jinny, non sono stupida. È successo qualcosa?»

«Preferirei non parlarne, scusa.»

«Oh, ok, come non detto.»

«Come vi siete conosciuti tu e Gustav?», cambiò discorso.

«Ad un loro concerto! Ero riuscita ad ottenere i pass per il backstage. Lì ci siamo conosciuti ed è stato un colpo di fulmine per entrambi», aveva gli occhi che le brillavano. «E tu e Tom?»

«Mmm, confusione fra mio padre e Benjamin, è stato per puro caso.»

«Ma da quanto vi conoscete? Sembrate così… perfetti assieme… c’è molta sintonia fra voi.»

«Dici? Ci conosciamo da circa dieci mesi.»

«Wow, ma è tantissimo!»

«Già.»

«Cavolo, è una storia da romanzo questa! Secondo me avrebbe tantissimo successo se qualcuno ci scrivesse su una fanfiction!»

«Che cos’è una… fanfiction

«Oh, beh, delle storie che scrivono i fan sulle loro celebrità preferite, oppure anche sui manga, sui film, sui libri…»

«E tu scrivi?»

«Oh, cavolo, sì!»

«Allora potresti scriverla tu», alzò le spalle.

«Io?! Ma sei impazzita?!»

«Sì, perché no?»

«Jinny, non dire sciocchezze.»

«Ok, fai come credi.»

«Jinny, posso chiederti una cosa?»

«Sì, dimmi.»

«Tu ami Tom?»

Jinny si paralizzò sul posto, il suo cuore diventò di ghiaccio e poi bollente, avendo una reazione chimica dentro di lei che la fece cadere a terra.

«Jinny, stai bene?» Ary si inginocchiò al suo fianco e le mise una mano sulla spalla.

«Sì, sto bene», sussurrò Jinny, gli occhi spiritati.

Si lasciò cadere sull’erba fresca, chiudendo gli occhi a quel cielo così terso.

«Jinny, dovresti dirglielo», le disse sospirando.

«Prima aveva paura lui di dirmelo, ora ho paura io, ma si può?», soffiò con le lacrime agli occhi. «E poi è una cosa complicata…»

«Mi spieghi la storia?»

Ary si sistemò a gambe incrociate al suo fianco e l’ascoltò parlare per ore, senza preoccuparsi del tempo, tanto ne aveva, mentre prendeva appunti su un quadernino. Forse l’idea di scrivere una fanfiction su di loro non era poi così cattiva.

Jinny si era confessata e ora Ary sapeva tutto di lei, tutti i sentimenti che aveva provato, anche se leggermente sfuocati, tutte le risate, i sorrisi, le lacrime, le litigate, i pomeriggi intensi, le sere passate a parlare, i baci, la sera in cui avevano fatto l’amore per la prima ed unica volta… le aveva detto tutto, non aveva più segreti per lei.

«Uff, Jinny, che storia complicata! Non so se riuscirò a scriverla», sorrise.

«Ah, l’importante è provarci e crederci.»

«Mmh? Allora perché non provi anche tu e ci credi?»

«Ary!», disse imbarazzata.

Però aveva ragione: lei dava tanti bei consigli, ma non li applicava mai. Anche lei doveva provare e crederci, con Tom, perché infondo era quello che voleva.

Si alzarono dall’erba e si diressero alla Universal: sarebbe stata una lunghissima giornata.

Rimase per tutto il pomeriggio lontana dai luoghi che solitamente Tom frequentava, come sempre in quel periodo, anche con un piccolo aiuto da parte di suo zio che aveva sempre tenuto impegnati tutti e due, ben lontani l’uno dall’altra.

Jinny stava camminando velocemente per il corridoio, con in mano delle fotocopie che le aveva chiesto sua madre, ma ad un certo punto si sentì trascinata per un braccio.

Si trovò in una stanza, forse quella delle pause, e guardò la mano che l’aveva afferrata per il braccio: era quella di Tom, non c’erano dubbi.

«Che cosa cavolo sta succedendo?», le disse.

Notò che non c’era solo lui lì, ma anche Ary, Gustav, Georg e Bill, seduti sui divanetti di pelle blu alle pareti.

«Di cosa stai parlando?», rispose lei cercando di liberarsi dalla sua stretta, il viso sofferente.

«Perché hai chiesto a Benjamin di tenermi lontano da te?! Perché per una sera vieni a dormire da me e per due giorni fai come se non esistessi?!»

La notizia lasciò tutti a bocca aperta, tranne Ary che l’aveva saputo in anticipo quella mattina.

«Perchè ti comporti così?! Un giorno esisto e l’altro no!»

Strano, anche Jinny a volte si trovava a pensare alla stessa cosa: c’erano giorni in cui si sentiva desiderata da lui, come quella sera, e poi altri giorni in cui non era proprio nessuno.

«Tom, lasciami stare!»

«No, non ti lascio stare finché non mi dici quello che hai. Che ho fatto? Sei arrabbiata con me? Perché?»

«Tom, mi stai facendo male, lasciami!»

Le lasciò il polso e ficcò le mani in tasca, il viso duro, ma gli occhi tristi.

«Allora?», le chiese.

«Tom, per favore, non è il caso», scosse la testa abbassando lo sguardo.

«Che cosa non è il caso?! Che cosa c’è che non va?!»

«Tutto non va!», gridò con le lacrime agli occhi.

Si appoggiò alla parete e si lasciò scivolare a terra, con le gambe strette al petto e il viso nascosto fra le braccia.

«Che cosa… che cosa stai dicendo?», sussurrò Tom, inginocchiandosi al suo fianco.

«I miei si sposano, di nuovo», disse sollevando il capo.

«È questo il problema? Non è una cosa… bella?», le accarezzò le guance rosse asciugandole dalle lacrime.

«Sì, sarebbe fantastico solo se…»

«Continua.»

«Solo se non ci trasferissimo in America», singhiozzò prima di guardarlo dritto negli occhi e di sentirsi senza ossigeno di fronte a tanta bellezza.

Si alzò di scatto e corse fuori dalla stanza, evitando di guardare l’espressione scioccata di Tom.

Chiuse gli occhi quando sentì la porta sbattere e poi si tirò su, trattenendo le lacrime. Non poteva piangere, non di fronte a quella ragazza che chissà come mai era lì. Ok che era la ragazza di Gustav, ma non aveva il diritto di spiare tutto quello che facevano e di vedere in faccia tutti i loro problemi.

Sapeva che Ary non c’entrava niente, ma non trovava nessuno a cui dare la colpa, su cui sfogare tutta la sua frustrazione. Si sentiva malissimo, con un grande peso nel cuore, diventato di piombo. 

«In America?», chiese fissando il gemello.

«Tomi…»

«Non la perderò un’altra volta, non ancora!»

«Tomi, non…»

«Se lo può anche scordare che io la lasci andare dall’altra parte del mondo così!»

«Tom, stai piangendo.»

«Eh?»

Bill gli indicò il viso e Tom si portò le mani sulle guance: erano rigate da calde lacrime salate. Era vero, stava piangendo.

«Porca puttana!», gridò uscendo dalla stanza e sbattendosi la porta alle spalle come aveva fatto Jinny poco prima.

Aveva bisogno di respirare un po’ d’aria fresca e di sgranchirsi le gambe, così si abbassò la visiera del cappellino sul viso e si infilò gli occhiali da sole, si mise le mani in tasca e si incamminò verso il parco che non era molto lontano dalla Universal.

Camminava nel vialetto in mezzo agli alberi, senza far caso ai bambini che giocavano sulle altalene e sugli scivoli, aveva altro a cui pensare, quando scorse una figura familiare seduta sulla panchina di fronte al laghetto, i gomiti sulle ginocchia e le treccine sciolte sulla schiena mosse dal vento leggero.

Si avvicinò e le mise le mani sulle spalle, baciandole piano la testa. Si mise seduto al suo fianco e rimase in silenzio a fissare i pesci che nuotavano nell’acqua, fra le alghe e i sassi.

Pian piano Jinny si avvicinò sempre di più a lui e si accucciò sotto al suo braccio, chiudendo gli occhi, con la testa e le mani sul suo petto.

«Piccola, è la tua famiglia», disse.

«Lo so», sussurrò sconsolata.

«Hai voluto tanto che questo accadesse, quindi hai tutto il diritto di decidere e di fare quello che ritieni giusto per te, senza guardare in faccia nessuno. Per te sarà impossibile, visto che cerchi sempre e comunque di fare felici tutti. Ma a volte non si può, è la vita.»

Jinny soffocò una risata amara e si strinse di più a lui. Si sentiva troppo bene fra le sue braccia, non voleva lasciarlo, ma allo stesso tempo voleva stare con la sua famiglia di nuovo unita.

Guardò il viso di Tom, ne percorse i lineamenti con lo sguardo, leccandosi ogni tanto le labbra. Quant’era bello… Gli tolse gli occhiali da sole e glieli ficcò in mano, sbuffando, poi ritornò a contemplarlo come se fosse una divinità greca.

«Non ti libererai facilmente di me, sappilo», disse Tom con un sorriso malizioso sulle labbra.

Aveva notato che lo stava guardando, come se fosse l’ultima volta che si vedessero, come se lo stesse fotografando con gli occhi per ricordarselo benissimo per il resto della sua vita.

«Ah no?»

«No», le alzò il viso e la guardò negli occhi.

«Non sarà semplice, Tom.»

«Quando mai è stato semplice con te?»

«Ma questa volta è diverso…»

«Non mi dà fastidio il fuso orario. E poi ci vedremo ogni tanto, anche a costo di prendere l’aereo una volta al mese.»

«Tu odi l’aereo.»

«Ma per te lo prenderei anche tutti i giorni, se necessario.»

«Tom…»

«Ti amo, Jinny, e nulla potrà mai cambiare quello che provo per te, mi dispiace.»

Jinny si alzò e andò via frettolosamente, senza guardarsi indietro, gli occhi stracolmi di lacrime.

Era così tremendamente difficile… I ricordi di loro due la distruggevano, la laceravano dentro senza lasciarle tregua, la distruggevano come il pensiero che prima o poi si sarebbero detti addio. Perché… sì, sarebbe successo. O così credeva.

Arrivò a casa e, senza nemmeno pensare a perché la stanza di Camilla fosse chiusa, entrò: vide Camilla e Bill, sul letto, sotto alle coperte, che appena la videro arrossirono, ma subito dopo la guardarono preoccupati.

«Jinny!», gridò Camilla cercando di liberarsi dall’intricato groviglio di coperte che li avvolgeva.

«No, lascia perdere. Scusate», sussurrò chiudendo di nuovo la porta.

«Jinny! Oh cazzo, Bill levati!»

Corse in camera sua e ci si chiuse dentro, bloccò la porta trascinandoci davanti la scrivania, con enorme fatica, e poi si tuffò sul letto, dove si nascose sotto le coperte e soffocò le lacrime e i singhiozzi, mentre Camilla tentava di entrare e la chiamava a gran voce. Lei non l’ascoltava, non lo avrebbe fatto.

Possibile che un matrimonio, una cosa bella dopotutto, riuscisse a rendere così infelici le persone?

 

***

 

Ary si strinse nelle spalle e sospirò, tirò fuori il cellulare dalla tasca dei jeans.

Pensava ancora a Jinny e Tom, a quello che era successo poco prima, di fronte a tutti. Jinny le aveva detto che aveva paura di dirglielo, della sua reazione, ma non era così difficile capire che non era semplice paura quella che la bloccava, ma paura di lasciarlo, paura di amarlo.

 

Ciao Socia, come va? Spero meglio te che me… :(

 

Socia! Ma perché, che è successo? Me ne vuoi parlare?

 

È tutto un casino… non ne posso parlare perché dovrebbe essere un segreto, però sono preoccupata per una mia amica.

 

Mi dispiace… :( Vedrai che si sistemerà tutto! E se te lo dico io, pessimista come sono, puoi starne certa!

 

Ahahah, speriamo… Grazie Socia! Ti voglio bene

 

Di niente! Ti voglio bene, bacio!

 

Si erano conosciute su internet, accomunate dalla passione della scrittura e da un gruppo, i Tokio Hotel, ed erano subito diventate amiche, in un loro certo modo strano.

Abitavano distanti, eppure si sentivano quotidianamente. Nemmeno con certe sue amiche che conosceva dalla nascita Ary si sentiva così spesso. Per quello era strano. Ma bello.

Erano diventate Socie (il perché non si poteva dire – Top Secret –) e si erano subito caratterizzate per le loro qualità e i loro difetti: Ary era quella più ottimista, quella che però scriveva le fanfiction tristi; Virginia, così si chiamava la Socia, era un po’ più pessimista, un po’ meno insicura di sé, pronta a mettere in gioco tutto anche per un minimo errore, quella che nonostante tutto scriveva sempre storie con un lieto fine. Tutte e due molto sensibili ed attaccate alle amiche, quindi profonde credenti di quella religione chiamata amicizia, e stronze quanto bastava nei momenti più neri (tanto da dire che le bionde erano oche, tranne Ary che era biondo cenere).

Insieme si supportavano – e sopportavano – tutti i giorni, su internet e via cellulare. Erano una strana coppia, ma erano sempre una bel duo.

Chissà cos’avrebbe fatto la sua Socia se fosse stata al posto suo, se Jinny avesse chiesto a lei di scrivere una fanfiction sulla complicata storia fra lei e Tom. Che cosa avrebbe risposto? Che cosa avrebbe fatto?

Sorrise immaginandosi che avrebbe rifiutato pesantemente l’invito dicendo che non era capace e blablabla…  Ma era fatta così, la sua Socia, e le voleva bene.

Vide passare Gustav per il corridoio, grazie alle finestre che davano sul retro del palazzo, dove stava lei, seduta sulla scala antincendio.

«Che ci fai qui?», le chiese sorridendo.

«Stavo pensando», alzò le spalle.

«E come va?»

«Procede. Tu che ne pensi di Tom e Jinny?»

Gustav sorrise e abbassò il capo. Si mise seduto al suo fianco e lei rimase a guardarlo con una mano che reggeva la testa, il gomito sulla gamba.

«Sono due insicuri, instabili, paurosi e stupidi.»

«Oh cavolo, quanti complimenti. Ti ringrazierebbero se fossero qui.»

«Ma è la verità. Non si decidono mai a mettersi insieme, anche se è evidente che lo vogliono entrambi; hanno paura di tutto, ciò vuol dire che si fasciano sempre la testa prima di rompersela, nemmeno ci provano, capito? Pensano subito in negativo. Poi sono instabili… ah sì, perché un giorno si amano e un giorno si odiano, un giorno stanno appiccicati e un altro se ne stanno uno da una parte e uno dall’altra. E poi sono stupidi, oh così stupidi, perché… non vedono che si amano? Sembra che abbiano le fette di salame davanti agli occhi!»

Ary rise. Stare accanto a lui era bello, ma non provava nulla in particolare, era solo felice perché le piaceva stare in sua compagnia. Forse… non era il suo tipo di ragazzo, forse non era così innamorata come credeva. Ma almeno loro ci avevano provato, avevano passato tanti bei momenti insieme, e sapeva che non sarebbero andati persi se magari un giorno sarebbe finita fra loro.

«Credi che ce la faranno mai?», chiese lei.

«Con buone probabilità fra… cinquant’anni? No, spero davvero che ci arrivino, perché si fanno male da soli.»

«Già.»

Si guardarono negli occhi per un istante e Gustav si alzò velocemente, quasi a fuggire, e disse che doveva raggiungere gli altri. Ad Ary sembrò proprio una scusa inventata al momento, ma non le fece né caldo né freddo, anzi lo salutò sorridendo.

 

***

 

Uscita dalla sua camera, gli occhi gonfi e rossi dal pianto, vide Bill e Camilla in cucina, che parlavano a bassa voce, probabilmente anche di lei, e poi sentì il campanello suonare. Lei sbuffò e si gettò sul divano, ad occhi chiusi. Non aveva voglia di fare assolutamente niente, e così avrebbe fatto.

Camilla passò di lì per andare ad aprire, ma non disse niente, per non infierire. Ormai la conosceva bene.

«Oh, ciao Tom, che ci fai qui?»

Jinny si sentì morire. Tom? Ma che ci faceva lì, sul serio? Si coprì il viso con un cuscino e soffocò un grido sbattendo i piedi per terra, in preda ad una crisi esistenziale. Se doveva soffrire così, allora tanto valeva morire!

«Jinny, che ti prende?», chiese Tom stando di fronte a lei. Le levò il cuscino dalla faccia e si accorse del trucco sbavato e degli occhi che testimoniavano di per sé che aveva pianto. E anche tanto.

«Piccola…»

«Ti prego, vattene», mormorò.

«No che non me ne vado, sei matta?!»

«Tom!»

«Lo so come mi chiamo!»

«Deficiente», riuscì a farla ridere.

«Perché non andiamo a farci un giro, invece di stare qui a piangerci addosso?», propose Camilla.

«Oh, tu sì che sei di conforto», disse ancora Jinny, prendendo un altro cuscino per stringerselo al petto.

«Già, lo so», le tirò la guancia fino a farle male.

«E dove vorresti andare?», chiese Bill.

«Al centro commerciale! È un sacco che non ci vado… Voglio prendermi qualcosa di nuovo!»

«Sì, un pomeriggio di shopping sfrenato è proprio quello che mi ci vuole!», disse sarcastica Jinny.

«Dai, se vuoi ti accompagno all’inferno», la sostenne Tom, con quel sorriso che la fece incantare per un secondo.

«Tanto non puoi stare chiusa qui, usciamo!», Camilla la trascinò per il braccio e la fece alzare contro la sua volontà.

La sua fine era segnata.

Erano andati tutti con la macchina di Tom, tanto per cambiare. Camilla si era subito fiondata in un negozio di abbigliamento, mentre Jinny era andata a prendersi un gelato. Tom l’aveva accompagnata, ma per tutto il tempo non si erano rivolti la parola. Era straziante come cosa, per entrambi.

«Camilla si è persa fra la marea di vestiti che ha preso?», chiese sedendosi su un puff accanto a Bill.

«No, è in camerino.»

«Strano che tu non l’abbia raggiunta», sogghignò.

«Cosa intendi dire?»

«Non so, lo fate sempre! Mi chiedevo come mai adesso…», si prese uno schiaffo sul braccio da parte di un Bill offeso, lei rise e si continuarono a picchiare e a rincorrersi per tutto il negozio, prendendosi pure una sgridata da una commessa, perché quello non era un parco giochi per bambini.

«Ma chi si crede di essere quella?», sbuffò Jinny risedendosi, dopo aver buttato la coppetta vuota del gelato, il cucchiaino di plastica azzurra ancora in bocca.

Si mise accanto a Tom e senza nemmeno accorgersene si appoggiò alla sua spalla con la testa, gli occhi chiusi, e lui le avvolse un braccio attorno alle spalle e l’altro attorno alla vita.

«Io odio venire qui con Camilla, se siamo fortunati usciremo stanotte.»

«Ah beh, Bill è la stessa cosa.»

«Allora sono fatti apposta l’uno per l’altra.» Ridacchiarono.

«Jinny, perché non ti provi questa?», chiese Camilla euforica, ma appena li vide così si addolcì e unì le mani sul petto. «Ma come siete teneri!»

Jinny e Tom si guardarono, lei era a dir poco terrorizzata: non poteva permettersi quelle cose! Solo adesso si era accorta di come erano finiti: quasi appiccicati, come una vera coppia.

«La mia piccola… Smack!», Tom le stampò un bacio in fronte ridendo e poi la guardò negli occhi sorridendo.

«Sì! Dammi qua!», Jinny scappò da lui, liberandosi quasi con la forza dal suo abbraccio, strappò la maglietta a Camilla e si chiuse a chiave in un camerino. 

Si sedette sullo gabellino accanto allo specchio, le gambe strette al petto e la testa fra le ginocchia.

Perché tutto doveva essere così complicato?

Aveva voglia di piangere, ma non poteva ancora, sarebbe stato un casino se Tom l’avesse vista di nuovo in quello stato: avrebbe rincominciato con le domande e si sarebbe dato tutta la colpa, come sempre.

«Jinny, è tutto a posto?», chiese Camilla fuori dalla porta.

«Sì, adesso arrivo», disse poco convinta, fissando la maglietta bianca che aveva fra le mani.

Sospirò e se la infilò, si guardò allo specchio. Era anche carina, le stava bene, ma non le piaceva, per un motivo in particolare.

«Allora, come ti sta?»

«Male.»

«In che senso male?»

«Non mi piace.»

«Come no? È bellissima invece!»

«Dai Camilla, per favore, usa la testa!»

«Che cosa…? Ah, ho capito.»

«Ecco.»

«Si può sapere di cosa state parlando?», chiese Bill, ma nessuno badò a lui.

«Beh… fammi vedere, magari se l’aggiustiamo…»

Jinny sospirò ad occhi chiusi ed uscì dal camerino. Camilla la guardò e Tom rimase quasi senza fiato, Bill pure.

«Guarda, si vede tantissimo!», sussurrò Jinny all’amica.

«Ma va’, non è vero! E io che pensavo peggio!»

Era una maglietta stretta, con degli strappi sui fianchi e sul petto, appena sopra al seno, e Jinny si lamentava per qualcosa che aveva sul fianco sinistro.

«Ma che cosa, scusa?», balbettò quasi Tom, non riuscendo a chiudere la bocca da quanto era bella.

«Tom, tu la vedi?» Jinny si girò sul fianco e spostò Camilla.

Tom fissò il fianco di Jinny e solo dopo pochi minuti e dopo essersi avvicinato aveva visto la cicatrice lunga più o meno dieci centimetri che aveva.

«Ah, questa!», la sfiorò con un dito, Jinny si ritrasse e la coprì con la mano, abbassando lo sguardo.

«Ma perché te ne vergogni?», chiese Camilla stufata.

«Perché non mi piace.»

«Ma l’hai fatta… insomma… c’entra con… l’incidente?»

Jinny annuì e rientrò nel camerino per togliersela, in silenzio.

Camilla, Bill e Tom si guardarono con amarezza, poi Camilla prese Bill per mano e si avviarono alle casse, Tom rimase da solo di fronte al camerino di Jinny.

Quando uscì, di nuovo con la sua maglietta addosso, guardò Tom seduto lì di fronte, le mani unite e i gomiti sulle ginocchia, lo sguardo basso.

«Dove sono andati gli altri due?»

«A pagare, credo.»

Tom si alzò e si avvicinò a lei, Jinny ne ebbe quasi timore, ma appena sentì le sue braccia forti stringerla al suo petto chiuse gli occhi e si lasciò andare. All’inizio non aveva saputo cosa fare, infatti era rimasta con le braccia stese lungo i fianchi, ma poi aveva ricambiato con le braccia legate attorno alla sua schiena.

«Jinny, mi dispiace tanto», le sussurrò.

«Per cosa?»

«Per l’incidente… e per il fatto che io non c’ero.»

«Non avevi nessun motivo per esserci.»

«Invece sì», la prese per le spalle e la guardò negli occhi. «Jinny… non so se ti rendi conto di quanto tu sia importante per me. Se non fossi sopravvissuta… che avrei fatto?»

«Questo non lo so», sollevò le spalle. «Ma sono qui, ora.»

«Già.»

Si guardarono ancora negli occhi e poi Tom si avvicinò per baciarla, ma lei spostò il viso e lui, sospirando afflitto, non poté fare altro che sfiorarle la guancia.

«Questo come lo devo interpretare?», le chiese.

«Non potrà mai funzionare tra noi.»

«E chi te lo dice?»

«Tom, ti è chiaro il concetto che io andrò in America?»

«E allora?»

«E allora… allora non può funzionare!»

«Deve funzionare! Io…»

Jinny gli mise una mano sulla bocca e quando fu sicura che non dicesse di nuovo quelle due parole che sempre aveva sognato di sentirsi dire da lui, ma che in quel momento l’avrebbero fatta solo soffrire, gliela tolse e si allontanò per raggiungere Camilla e Bill che li aspettavano fuori dal negozio.

«Jinny!», la chiamò Tom. Lei si girò e lo guardò. «Almeno… potremmo essere amici.»

Jinny sorrise annuendo, ma nessuno dei due ci credeva veramente, sarebbe stato impossibile anche quello, perché l’amore che Tom provava verso di lei avrebbe impedito una loro possibile amicizia, e quello che Jinny doveva ancora capire di provare avrebbe fatto lo stesso.

Però, con quelle parole impossibili, riuscirono a sorridersi, anche perché l’uno senza l’altro sarebbero stati incompleti. Tanto valeva vivere quei momenti.

 

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Nota: Tanto per farvelo sapere la canzone all’inizio del capitolo è Let it rock, di Kevin Rudolf e Lil’ Wayn. Non sapevo che canzone mettere, visto che non seguo molto l’hip hop, genere che segue invece Jinny, e l’unica che si avvicinava un po’ era questa. Mi piacevano quei versi e li ho abbinati così, però il resto della canzone non è che centri molto. Va bè, non importa (@_@)
Ah, una cosa che invece importa è che vi devo svelare una cosuccia: avete notato che è entrato in scena, già dal primo capitolo in verità, un nuovo personaggio, Ary, la ragazza di Gustav. Bene, quella sono io! E non mi ci sono ficcata dentro perché ho manie di protagonismo… (Ehm… un pochino? XD) Ma perché mi è venuta quest’idea, della Fanfiction dentro la Fanfiction. E poi c’è anche la sua Socia, che è anche la mia! E tutta la descrizione che ho fatto su loro due è la descrizione di… noi due! Socia, ti voglio bene! Grazie per avermi concesso di usare il tuo nome e i tuoi pregi e i tuoi difetti in questa ff che ti piace tanto (Non chiedermi quando mi hai dato il permesso perché mi sono appena ricordata che non te l’ho mai chiesto! O_o)
Bene, detto questo, vi saluto, direi che per oggi è abbastanza! Alla prossima, Ary.

 

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Capitolo 9
*** Il matrimonio ***


9

Il matrimonio

 

Jinny respirò profondamente l’aria fresca e pulita: sapeva di sale, semplicemente di mare e di… di Tom.

Cancellò dalla mente il suo viso, i suoi occhi, le sue labbra, ma facendo così lo ricordò solamente di più, avendo una voglia incontrollabile di lui, in tutti i sensi. Ed era la prima volta che lo voleva anche in quel modo.

Arrossì e si sistemò le trecce dietro le spalle, prima di girarsi e di guardare il personale del catering che sistemava le ultime cose per il matrimonio dei suoi genitori che ci sarebbe stato quella sera, poco prima del tramonto.

Guardò dalla riva del mare la casa dove aveva vissuto forse i due mesi più belli e dolorosi della sua vita.

Quella mattina, quando era arrivata e aveva messo piede in casa, dopo una breve occhiata, si era ricordata così tante cose assieme che si era dovuta sedere sul divano.

Ogni cosa lì dentro era piena di ricordi e nella sua testa aveva sentito come un Big Bang in miniatura esplodere, facendole ricordare finalmente tutto, gioie e dolori.

Ed ora che sapeva si era resa conto che Tom era davvero cambiato per lei, che aveva capito sul serio che cosa voleva e che cosa provava. Ma ora era lei quella confusa. Che cosa avrebbe fatto non lo sapeva nemmeno lei.

Si incamminò per ritornare a casa quando Camilla la chiamò per dirle che i TH erano andati a suonare per un programma televisivo sulla spiaggia, non lontano da dove era lei.

Jinny sospirò e quando sentì le prime note in lontananza si affrettò a raggiungere l’altro lato della spiaggia, dietro gli scogli, correndo a piedi nudi sulla sabbia tiepida.

Vide il palco circondato da tantissime persone: fan che urlavano i loro nomi, con cartelli e reggiseni pronti a volare verso di loro.

Sentì un pizzico di gelosia, ma poi avvistò Camilla e Ary a bordo palco e si creò un varco, beccandosi pure qualche spintone e qualche insulto, per raggiungerle.

Il suo sguardo e quello di Tom si incontrarono per un attimo e lui sorrise ammiccando verso il vestito che indossava.

Cazzo, non mi sono cambiata!, imprecò nella sua testa, portandosi una mano sopra al seno messo in evidenza dal vestito.

Era un vestito bianco a sfumature rosa, che avrebbe dovuto indossare quella sera, lo aveva messo per le prove generali e si era dimenticata di cambiarsi, presa dalla fretta.

Le urla si intensificarono quando partirono le note di By your side.

Tom quando suonava era semplicemente incantevole, non riusciva a togliergli gli occhi di dosso, e lui non era da meno in quanto gli lanciava sorrisi ed occhiate ogni volta che poteva.

C’erano tantissime persone, eppure sembrava che ci fossero solo loro due, nel loro mondo protetto, racchiusi in una bolla invisibile.

 

No one knows how you feel
No one there you’d like to see
The day was dark and full of pain
You write “Help” with your own blood
Cos hope is all you’ve got
You open up your eyes, but nothing’s changed

 

Jinny e Tom si guardarono e lui si perse nei suoi occhi verdi, così unici e spettacolari che quasi si sconcentrò e perse il filo della canzone. Jinny se ne accorse e sorrise mordicchiandosi il labbro, abbassando lo sguardo.

Jinny era sola, nessuno capiva come si sentiva, i suoi giorni erano scuri e pieni di dolore, ma continuava a sperare, perché era l’unica cosa che aveva. Ogni giorno apriva gli occhi e vedeva che nulla era cambiato.

 

I don’t want to cause you trouble
Don’t want to stay too long
I just came here to say to you
Turn around… I am here
If you want it’s me you’ll see
Doesn’t count… far or near
I can hold you when you reach for me

 

Era stata così per molto tempo, ma un giorno tutto cambiò: si ritrovò in casa quattro ragazzi, apparentemente strani e così ragazzini, ma presto cambiò idea su di loro e si innamorò pure. Si era innamorata di Tom, e chissà se lo era ancora.  

Non volevano causarle problemi, assolutamente no, poteva capitare a chiunque di mescolare i capi da lavare e far uscire i vestiti rosa.

Loro c’erano stati per lei, in ogni occasione, e lei c’era stata per loro. Erano diventati una grande famiglia e a loro non importava se erano lontani o vicini, perché potevano contare sul bene che si volevano e se avevano bisogno di un abbraccio lo avrebbero avuto.

 

Your life is meaningless, your diary full of trash
It’s so hard to get along with empty hands
You’re lookin’ for the rainbow, but it died not long ago
It tired to shine just for you until the end

 

Jinny ricordò i momenti duri passati con loro, a piangere e a soffrire, ma insieme ce l’avevano sempre fatta. Avevano combattuto contro il dolore, la delusione, la sconfitta, e come una grande famiglia, rimanendo uniti, erano riusciti a vincere e a sorridere ancora.

 

I don’t want to cause you trouble
Don’t want to stay too long
I just came here to say to you

I am by your side
Just for a little while

 

Ricordò quelle parole, dette a Bill molto tempo prima, in un pomeriggio di lacrime:

«… Volevo solo dirti che ovunque saremo, anche se fossimo dall’altra parte del mondo, noi ci saremo sempre per te, saremo sempre al tuo fianco.»

«Ehi, questa l’ho già sentita. I’m by your side, just for a little while…»

«Già, proprio così.»

Si passò le mani sul viso, spazzando via le lacrime che involontariamente le erano scese sulle guance, e sorrise ricambiando lo sguardo di Tom.

 

If the world makes you confused
And your senses you seem to lose
If the storm doesn’t wanna diffuse
And you just don’t know what to do
Look around… I am here
Doesn’t count… far or near

I’m by your side
Just for a little while

 

Già, quante volte Jinny si era sentita confusa e persa, senza sapere che cosa fare? Si era girata e ogni volta aveva visto Bill, Georg, Gustav… e Tom, porgerle la mano per aiutarla ad alzarsi, per dirle di andare avanti, senza guardarsi indietro.

E ora era lei a dover dire a loro che ovunque sarebbe andata loro sarebbero stati sempre al suo fianco, come lei al loro, anche se si sarebbe trovata dall’altra parte del mondo.

 

Turn around… turn around
I am here… Turn around
Doesn’t count… far or near
Turn around… If you want it’s me you’ll see
Turn around
I can hold you when you reach for me
Turn around… I am here
Doesn’t count… far or near

I am by your side
Just for a little while…

 

«We’ll make it if we try», sussurrarono assieme Tom e Jinny, guardandosi negli occhi, mentre le ultime note di chitarra si perdevano nell’aria.

Jinny si trovò costretta ad asciugarsi ancora le lacrime e poi strinse nel pugno il ciondolo che portava al collo: la collana che le aveva regalato Tom.

Lo salutò con lo sguardo e un sorriso timido e se andò, tornando all’altra spiaggia, quella dove si stavano ancora svolgendo i preparativi.

Si sarebbero visti quella sera, al matrimonio, e questo, comprensibile o incomprensibile che fosse, rasserenò entrambi.

 

***

 

Jinny guardò sua madre di fronte ad un grande specchio, con una sarta che le ronzava intorno per ricamarle qualche orlo, infilzandole il vestito con tanti di quegli spilli che poteva anche sembrare una bambola vudù. Ma per il resto era bellissima, dietro il suo vestito bianco e il velo trasparente.

«Jinny, ciao!», la salutò emozionata, prendendosi un richiamo dalla sarta che pretendeva che lei restasse ferma come un statua. Cosa impossibile per sua madre e in generale per tutte le donne agitate che si sposano.

«Ciao mamma, sei splendida», le disse.

«Pure tu, piccola.»

Piccola… Tom la chiamava sempre così. Ma perché tutto glielo ricordava?

Si mise seduta sul letto e appena toccò quel materasso familiare ricordò la loro magica notte passata fra le lenzuola di quel letto a fare l’amore.

Chiuse gli occhi e scosse la testa, concentrandosi sul vestito di sua madre: era lungo, non le si vedevano nemmeno i piedi, e aveva delle finissime ricamature sul corpetto stretto, che ne evidenziava le belle curve nonostante l’età, che brillavano alla luce del sole del pomeriggio.

Ormai mancavano poche ore all’evento e un po’ agitata si sentiva pure lei. Insomma, avrebbe assistito al matrimonio dei suoi genitori, non uno qualunque! Sarebbe stata testimone della loro unione e avrebbe dovuto far sì che nulla li dividesse di nuovo. 

«Jennifer, lo sai che questo è lo stesso vestito che ho usato al primo matrimonio con tuo padre?», disse Victoria con gli occhi brillanti, cercando di stare più ferma possibile.

«Oh… bello.»

«Ti piace il bouquet?»

Camilla, con una mano sotto al mento, annoiata, le porse il bouquet con l’altra, alzando il sopracciglio e sbuffando.

Ora che guardava bene si era messa fra Camilla e Ary: assieme facevano il trio delle depresse! Lei non sapeva cosa fare con Tom, Camilla avrebbe preferito ficcarsi in un angolo appartato con Bill, e Ary…

«A te che è successo, Ary?», le chiese.

«Io e Gustav ci siamo lasciati», sospirò tenendosi il viso fra le mani, i gomiti sulle ginocchia lasciate scoperte dalla gonna blu che indossava.

«Davvero? E perché?»

Ary sollevò le spalle. «Non eravamo fatti apposta per stare assieme, stiamo molto meglio come semplici amici.»

«Però ti dispiace», disse Camilla sporgendosi per vederla in viso.

«È ovvio, ma passerà presto, non vi preoccupate», sorrise. In fondo non l’aveva nemmeno presa troppo male.

«Ma allora la scriverai quella… storia?», le chiese Jinny gesticolando.

«Si chiamano fanfiction.»

«Sì, beh, è uguale.»

«Credo di sì. Dopo tutta la fatica che ho fatto per tirare fuori le cose dal tenero cuoricino nascosto di Tom non posso non scriverla!»

«Tom ti ha parlato di… noi?»

Annuì con la testa, stringendosi nelle spalle.

«E-e-e c-che cosa ti ha detto? Dimmelo immediatamente!»

«Ho avuto paura che ti si fosse incantato il disco, da come balbettavi! Comunque… Jinny, questa è la tua storia, vivila senza anticipazioni, per favore!»

«Ary, sei crudele!»

«Peggio, sono perfida!»

«Mi lascerai con il fiato sospeso fino alla fine, pura ed effimera incarnazione della perfidia!»

«Già», sogghignò. «Miss Perfidia colpisce ancora.»

 

***

 

Tom era al piano di sotto, che tentava di sistemarsi una cavolo di cravatta.

Che cazzo stava facendo?! Era stato invitato ad un matrimonio, ma ciò non voleva dire che doveva cambiare il suo look! Ok, la verità era che voleva stupire Jinny, ma non ci si trovava proprio. E poi aveva un certo presentimento che se l’avesse visto conciato in quel modo proprio anti-Tom si sarebbe messa a ridergli in faccia.

Se la levò con rabbia e la lanciò via, si sbottonò i primi due bottoni della camicia bianca e completò l’opera con i soliti jeans oversize, scuri, e le scarpe da ginnastica nere e bianche.

Si guardò allo specchio soddisfatto e si sistemò il colletto della camicia come se fosse un rapper, facendo tutte le scenate allo specchio.

«Ecco, sono in questi momenti che mi chiedo: perché a me? Signore, perché è toccato a me un fratello così rincoglionito?»

Tom si girò e guardò il fratello con le braccia strette al petto, in modo tale da non poterle alzare perché se solo gli avesse sfiorato quell’opera d’arte che erano i suoi capelli perfettamente in piedi sarebbe successo il finimondo.

«Rincoglionito a chi? Ripetilo se ne hai il coraggio.»

Ma Bill non lo aveva nemmeno ascoltato, intento com’era a fargli un giro di trecentosessanta gradi intorno e a guardarlo.

«Cos’è, credi per caso che una camicia faccia innamorare pazzamente Jinny?», gli chiese sollevando il sopracciglio e sorridendo in quel modo tanto odioso che Tom finiva sempre per amare.

«E tu lo sai che con quei capelli ti faranno sedere in ultima fila perché toglierai la visuale a tutti?», ridacchiò.

«Cazzo, non ci avevo pensato! E ci ho messo così tanto a farli così! E tu avvisarmi prima no?!»

«Scusa, chi era il rincoglionito fra i due?»

«Tu e sempre tu rimarrai, io mi sono solo distratto e non mi è venuto in mente.»

«Forse la lacca che usi tutti i giorni con effetto prolungato ti corrode il cervello.»

«Carina Tom, questa me la segno, solo che sarebbe meglio così, senti qua: forse i nidi di pidocchio che ti si sono annidati in testa ti succhiano anche quel poco di materia grigia che hai per cervello.»

«Na, era meglio la mia», disse muovendo la mano.

«Ok, sento che qui se qualcuno non farà l’intelligente finiremmo per non smetterla più con questi amabili complimenti, quindi… mi sacrificherò io per te.»

«Non è troppo faticoso, Bill? Sei sicuro di volerlo fare?»

«Non ti preoccupare, lo faccio volentieri per il mio amato fratello gemello! Allora, sei pronto?»

«Sì, penso di sì.»

«Bene, allora andiamo. Le ragazze ci aspettano.»

«Che? Che vuol dire che ci aspettano?»

«Che sono fuori che ci aspettano, loro sono già pronte. Ah, tu intendevi… ah, no, Jinny non c’è, accompagna sua madre.»

«Ah», disse triste.

«Ma la vedrai lì! Sarà come vedere la tua sposa!»

«Bill, per favore!»

«Ah, sei arrossito!»

«Ti sei realizzato? Bravo, complimenti, tanto non hai vinto niente. E ora muoviamoci.»

Arrivarono in spiaggia e le ragazze e Bill furono entusiasti dei fiori, dell’allestimento, dell’ambientazione e di tutte le cose stupende che c’erano, non facevano altro che parlarne.

A volte si chiedeva se davvero suo fratello fosse maschio, sul serio. “No, io ho solo senso estetico, cosa che tu non hai”, gli rispondeva sempre con il suo atteggiamento da primadonna.

Tom non era particolarmente interessato, ma sapeva bene che la cosa più bella doveva ancora arrivare: Jinny. Non vedeva l’ora di vederla per bene con addosso il vestito che quel pomeriggio aveva visto solo di sfuggita, mentre suonavano.

C’era il padre di Jinny, in completo grigio e cravatta rosa che emozionato attendeva Victoria, poi c’erano anche David, Benjamin, che ancora non approvava quell’unione nonostante dovesse essere felice per il fratello, e molte altre persone importanti della Universal che aveva solo sentito nominare.

Vide che Georg aveva già rimorchiato una ragazza, capelli rossi e mossi e un vestito verde che le risaltava gli occhi, in più aveva un bel sorriso luminoso. Doveva essere la figlia di una delle amiche di Victoria.

Gustav e Ary parlavano e ridevano un po’ più in là, anche se aveva saputo che si erano lasciati a causa della loro incompatibilità come amanti. Loro erano perfetti per essere amici e avevano deciso che sarebbe stato meglio così.

In fondo gli piaceva quella ragazza, era solo che a volte lo infastidiva come riuscisse ad entrargli nella testa, capendo sempre perfettamente come si sentiva.

Bill era con Camilla, che pomiciavano alla grande appoggiati ad una palma; e lui, ciliegina sulla torta ed osservatore indiscreto, era lì da solo come un deficiente. Ma la verità era che per Jinny avrebbe fatto la figura del deficiente altre due o tre milioni di volte.

Una macchina si fermò per strada e tutti presero posto. Pure adesso lo avevano lasciato solo. Per fortuna arrivò Ary che si mise accanto a lui e gli sorrise incoraggiandolo.

«Aspetta, non vorrai mica farmi altre domande, vero?», le chiese preoccupato.

«No, stai tranquillo. Voglio solo godermi lo spettacolo in prima fila.»

«Che cosa…?», ma non fece in tempo a finire la frase.

Sentì Bill trattenere il respiro guardando dietro di sé e quando anche lui si girò quasi ci restò secco: Jinny era… era… una visione celestiale. Un vero e proprio angelo con quell’abito bianco a sfumature rosa che con il sole del pomeriggio brillava. Aveva le treccine tenute dietro le spalle grazie ad un cerchietto rosa di velluto e aveva un fiore rosa chiaro vicino all’orecchio destro.

Le guance leggermente rosate presero colore appena incrociò lo sguardo di Tom e fece un sorriso timido, abbassando lo sguardo sui suoi piedi nudi. Aveva preferito così perché sapeva che comunque le scarpe piene di sabbia le avrebbero dato fastidio, quindi aveva eliminato direttamente il problema.

Accompagnò sua madre, altrettanto bella e quasi ringiovanita, accanto a suo padre e poi andò a sedersi. Caso volle che l’unico posto libero era quello accanto a lui.

Jinny guardò in cielo sorridendo, sapendo che lui la stava guardando, e con un sorriso e un mezzo sbuffo divertito si mise seduta al suo fianco.  

Era proprio quello che Ary avrebbe voluto che accadesse e le si illuminarono gli occhi: per lei quel matrimonio non era nulla in confronto a quello che le accadeva di fianco. Sentiva così tante emozioni percorrere i corpi dei ragazzi che… ah, era una pacchia!

La cerimonia durò relativamente poco, o forse così era sembrato a Tom perché aveva passato la maggior parte del tempo a guardare Jinny e a percorrere con lo sguardo i lembi di pelle chiara che il vestito le lasciava scoperti, partendo dalle gambe, le braccia, il collo, fino ad arrivare al suo viso dolce e delicato che aveva avuto voglia di baciare piano, pianissimo, in modo tale che lei nemmeno se ne accorgesse.

Per il ricevimento si riunirono tutti nella villa, adornata ancora da fiori e trasformata in un enorme salone con i tavoli del buffet al posto del solito arredamento del salotto. E avevano sistemato la grande torta, di tantissimi piani, al centro.

Jinny era in angolo, appoggiata alla parete, che infilzava la sua fetta di torta alla panna con la forchetta e poi la lasciava lì. Non era proprio dell’umore giusto per festeggiare, visto che in solaio erano già pronte le sue valigie e tutta la sua roba per traslocare in America.

Suo padre aveva voluto celebrare il matrimonio lì in spiaggia in Italia, oltre per la magnifica ambientazione, anche per farle fare un ultimo giro in quel luogo ricco di ricordi ed emozioni mai dimenticate, solo assopite in un angolo della sua memoria. La mattina dopo sarebbero partiti e chissà se avrebbe mai più rivisto quel mare.

«Lo sai che non si gioca con il cibo?»

«Sì, mammina», disse ridacchiando e guardando Tom di fronte a lei. Appena incontrò il suo sorriso le venne spontaneo ricambiare, ma il suo prese una piega amara e triste.

Chissà se l’avrebbe mai più rivisto, il suo Tom.

«Che cosa ti prende?», le chiese abbandonando il piatto vuoto sul tavolo.

«Non mi va più, la vuoi?», gli chiese. Come se davvero quello fosse il problema e Tom tanto stupido da cascarci, no?

Lui sollevò il sopracciglio destro con il suo sorriso sfrontato sulle labbra, facendo venire i brividi a Jinny, e guardò la torta e poi lei.

«Sei proprio un bambino», disse lei prima di prendere una forchettata e di portargliela alla bocca.

«Sì, lo so», disse lui facendole l’occhiolino.

«Sai che domani parto, vero?», disse di nuovo seria Jinny.

Quasi non si strozzò con lo champagne abbinato alla torta.

«Domani?! Ma stai scherzando, vero?»

«Come se potessi scherzare su una cosa del genere», mormorò guardando in basso. Ora le scarpe ce le aveva: bianche con tanto di fiocco, con il tacco.

Tom appoggiò anche il suo piatto sul tavolo e la prese per un braccio, la condusse sopra le scale e in solaio si abbandonarono al letto, sdraiati l’uno accanto all’altra a pancia all’aria, lo stesso letto che a Jinny causava delle sensazioni molto piacevoli, ma solo se era da sola, non con il protagonista delle sue fantasie.

Di fronte a loro il sole stava quasi per tramontare dietro il mare, che ancora sospirava lentamente grazie alle onde.

«Quanti ricordi questa casa», sospirò Jinny.

«Eh già. Che effetto ti ha fatto tornarci?»

«Mi sono venuti i brividi.»

«Anche a me.»

«Sai, credo di doverti ringraziare.»

«A me?»

«Sì, anche gli altri, perché mi siete sempre stati vicini, eravate diventati un po’ la mia famiglia.»

«E ora… non lo siamo più?»

«Ci vorrà del tempo, però vi voglio bene come allora.»

Nessuno dei due fiatò più, rimasero in silenzio, cullati dal lento movimento delle onde.

«Tom…», sussurrò per paura di rovinare quel momento.

Il suo viso illuminato dal sole arancione intenso era ancora più bello, la sua pelle brillante ed invitante.

«Andiamo a fare surf?»

Si guardarono negli occhi e sorrisero, ricordando i bei momenti passati fra le onde a ridere e a scherzare.

«Non so se mi ricordo come si fa», disse lui alzandosi.

«Cos’era, una battuta per caso?», lo rimproverò lei prendendogli la mano che gentilmente le aveva offerto.

Al contatto con essa si sentì bruciare e rabbrividire allo stesso tempo, ma tentò di fare finta di nulla, tenendo per sé ciò che provava dentro.

Risero piano e uscirono dalla porta sul retro, raggiunsero la casetta di legno e recuperarono le loro tavole da surf, ancora intatte e così magicamente belle ai loro occhi.

«Quanto mi è mancata», disse Tom sfiorandone la superficie.

«Dobbiamo passargli un bel po’ di cera, sono quasi nove mesi che non le usiamo!»

«Già. Mi mostri tu come fare, coach

«Vedo che le cattive abitudini non le perdi mai!»

«No, mai», sorrise birichino e le stampò un bacio sulla guancia prima di uscire con la sua tavola sotto braccio.

«Ah, una cosa», lo richiamò, sebbene fosse ancora rossa di vergogna. Lui si girò e fece sbattere la coda della tavola con la porta, incastrandosi.

«Jinny, l’hai fatto apposta!», gridò, anche se voleva scoppiare a ridere.

«No, te lo giuro, non volevo! Io volevo solo chiederti se avevi intenzione di entrare in acqua con i jeans e la camicia, che tra l’altro ti dona molto», disse arrossendo e leccandosi le labbra ricordando il suo petto e il sapore così buono della sua pelle.

«Oh, grazie! Anche tu stai bene. Comunque, no, adesso andiamo a cambiarci.»

«Andiamo  

«Sì, non credo che tu voglia entrare in acqua con quel vestito e le scarpe col tacco.»

«Ah, hai ragione», disse imbarazzata. Stare vicino a lui per troppo tempo non le faceva bene, ma a stargli lontano stava peggio.

Si cambiarono velocemente, Jinny si mise la sua amata tuta che aveva trovato nell’armadio e notò con piacere che tutti gli sforzi che aveva fatto per mantenere la linea erano serviti a qualcosa, dopotutto. Tom invece si era messo il costume che Jinny adorava, che aveva portato sperando in una situazione come quella, bianco a fiori rossi, lungo fino al ginocchio, dal quale si intravedevano i boxer neri.

Dopo aver passato la cera sulle tavole parlando del più e del meno o semplicemente stando in silenzio, quel silenzio così ricco di parole, entrarono subito in acqua e Jinny ricordò perfettamente la sensazione di avere la pelle e le labbra salate, quel brivido quando riusciva a prendere bene un’onda e stava in piedi sulla tavola sicura di sé stessa e sentendosi nell’altro suo mondo: quello marino, al posto di quello sulla nuvoletta.

E nel suo mondo, quella sera, separato dalla spiaggia nella quale c’era stato il matrimonio dei suoi genitori che sicuramente l’avevano data per dispersa, c’erano solo lei, lui e le onde del mare.

Uscirono dall’acqua solo quando il sole ebbe dato il cambio alla luna e alle stelle e il mare divenne una distesa d’acqua brillante ai raggi lunari.

Sdraiati vicini su un asciugamano e coperti da un altro, Jinny chiuse gli occhi e respirò il suo profumo mettendosi sul fianco, abbracciandolo e poggiando la testa sulla sua spalla. Lui le avvolse la schiena con un braccio e sorrise al cielo.

Il calore di lui insieme a quello di lei era una sensazione unica che Jinny aveva voluto tante volte riassaporare, rivivere, perché il ricordo sinceramente non le bastava.

«Tom?»

«Uhm?»

«Tu credi che…»

Tom girò il viso verso di lei, incuriosito, e le punte dei loro nasi si sfiorarono. Si guardarono negli occhi e un brivido li percorse, poi Jinny sorrise e si avvicinò, Tom chiuse gli occhi e si lasciò baciare da lei, da quelle labbra che per la terza volta, finalmente, si posarono sulle sue.  

La stessa Jinny aveva detto che non poteva funzionare fra loro, ma doveva funzionare, perché… sì, si amavano. La passione e gli istinti erano troppo forti per resistere e non lasciarsi andare.

Jinny si mise a cavalcioni su di lui e lo baciò con più passione, tenendogli il viso fra le mani. Gli passò le mani sul torace, facendo rabbrividire sia lui e che lei, quando sentì le mani di lui sulla schiena.

«Jinny…», sussurrò Tom con la voce debole, già eccitato dai suoi tocchi delicati sul suo corpo.

«Sì?»

«Vorrei che questo momento non finisse mai.»

«Questa notte sarà solo nostra, di nessun altro», gli sussurrò all’orecchio, prima di mordicchiargli sensualmente il collo.

Tom sospirò e sciolse le treccine di Jinny, che gli ricaddero sul petto e lo solleticarono, ma invece di farlo ridere lo fecero eccitare ancora di più.

Ormai Jinny sentiva il desiderio di lui e anche il proprio, non aspettava altro. Scese a baciargli il petto, sentì di nuovo il sapore della sua pelle, se lo voleva godere fino in fondo, chissà per quanto non si sarebbero rivisti…

Quando arrivò all’ombelico Tom si mosse sotto di lei ed emise l’ennesimo sospiro, cercando di resistere e di non prenderla fra le braccia, di non stringerla e di non lasciarla più.

«Tom, tu mi vuoi, vero?», gli chiese.

«Più di ogni altra cosa», sussurrò.

«E allora perché non mi prendi? Sono già tua.»

A Tom brillarono gli occhi e fece scivolare la cerniera della tuta aderente di Jinny fino allo stomaco, notando con piacere che non aveva il costume sotto.

Anche Tom si perse a baciare il corpo di Jinny che tanto gli era mancato, quasi da impazzire, ma lo fece piano, dolcemente, senza fretta, anche se il desiderio premeva forte in tutti e due. Sapevano che se avessero aspettato sarebbe stato ancora più bello. E allo stesso tempo doloroso… Jinny se ne sarebbe andata…

«Jinny, non mi lasciare», le sussurrò baciandole il seno e facendola rabbrividire di piacere.

«Come potrei?»

«Io ti amo, Jinny.»

«Anche io ti amo, Tom. E non lo dico perché abbiamo litigato.»

«Sono ventiquattr’ore che non litighiamo.»

«Un nuovo record by Jinny & Tom», sussurrò.

Si guardarono in viso, completamente rapiti l’uno dall’altro, e nemmeno tre secondi dopo si stavano baciando con ardore, le loro lingue impegnate in una battaglia passionale e senza scrupoli, perché si era pur sempre in guerra e in guerra bisognava lottare, fino alla fine. Una guerra fra le emozioni e le paure, due acerrimi nemici di sempre.

Si tolsero lentamente i vestiti, o quello che avevano addosso, quella notte era solo loro, avevano tutto il tempo del mondo, mentre l’asciugamano che li ricopriva era scivolato e lasciava scoperta la schiena  bianca di Jinny che brillava alla luce della luna.

Tom l’accarezzò con le dita prima di prenderle i fianchi e di spingere il bacino contro al suo. Jinny mugolò di piacere, sentendolo dentro di sé, e, nonostante tutti i ricordi di quella sera ora così chiara, si concentrò solo sul presente, perché era quello che doveva vivere, quello che doveva finalmente godersi fino in fondo.

Si muovevano assieme, complici come mai, mentre i sospiri diventavano affannati, la pelle sudata e luccicante ai raggi lunari, le mani e le labbra avide sempre in cerca di nuovi punti segreti da stuzzicare e da scovare, come in una caccia al tesoro infinita, nel quale il solo scopo non era vincere, ma amare, amare veramente.

Jinny guardò Tom negli occhi e lui ricambiò sorridendo: erano accecati dall’amore. Si poteva dire che stavano raggiungendo il loro scopo.

Lei si aggrappò alle spalle di Tom, ficcandogli le unghie nella pelle, e con un’ultima forte spinta da parte di entrambi vennero assieme, i loro nomi gridati nella notte, dimostrando di essere in completa simbiosi, come molte altre volte era successo, e distrutti ma felici si abbracciarono, si lasciarono accarezzare dall’altro e dal vento, con quella pace e serenità nel cuore di cui tanto avevano sentito parlare, ma mai veramente come in quel momento avevano provato addosso. 

«Ti amo, piccola», sussurrò Tom accarezzando la pelle del suo collo con il proprio respiro affannato.

«Anch’io», gli rispose serena, respirando profondamente e stringendo i pugni sul suo petto, rassicurata dal suo abbraccio, prima di addormentarsi con il battito del suo cuore e il respiro lento del mare.

 

 

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Nota: Il mio romanticismo ha raggiunto i livelli massimi. Se siete orgogliosi di me lasciatemi una recensione! ^^ Grazie. In particolare ringrazio: marty sweet princess, la mia Socia Scarabocchio_ che sa già tutto quello che devo dirle e Utopy che finalmente ce l'ha fatta! Wow, vi adoro ragazze!! Un bacione enorme!! Ary 

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Capitolo 10
*** Epilogo: Another Neverending Story ***


10
Epilogo:
Another Neverending Story

 

Jinny sfiorò con le dita la stoffa blu del bracciolo della propria poltroncina. Guardò l’enorme vetrata di fronte a sé, sulla quale atterravano e partivano gli aerei, poi sollevò lo sguardo sul tabellone degli orari e notò che il volo dall’America era in ritardo di quindici minuti, ancora.

«Jinny, stai calma, per favore. Non essere così impaziente», le disse Ary annoiata. Non ricordava nemmeno più quante volte le aveva detto quella frase, talmente erano state tante.

«E pure tu, che credi?», sollevò lo sguardo su Camilla, che camminava avanti e indietro di fronte a loro, con un bicchierone di caffè in mano.

«Ragazze, non ce la faccio più», sussurrò Jinny tenendosi la testa fra le mani.

«Forza e coraggio, manca poco!»

«E se gli fosse successo qualcosa?», chiese Camilla bloccandosi improvvisamente e facendosi cadere del caffè sulla mano. «Cazzo!»

«Tieni, va’», Ary le lanciò un pacchetto di fazzoletti che aveva recuperato dalla borsa e poi fissò le due ragazze nervose.

«Dio, è solo in ritardo il volo! Quando vi ci mettete siete pessimiste peggio della mia Socia!»

«La tua Socia?», chiesero Jinny e Camilla sorridendo.

«Sì, perché quelle facce?»

«Scusa la domanda, ma chi sarebbe la tua… Socia

«È una mia amica, si chiama Virginia! È un po’ pessimista a volte, ma le voglio bene così com’è. Adora la vostra storia!», unì le mani sul petto e guardò Jinny con gli occhioni da cucciola.

«Uhm?», chiese sorridendo.

«Già. Però mi dice che sono affamata di recensioni e che sono solo il mio principale scopo…», disse con il labbrino.

Jinny e Camilla si scambiarono un’occhiata e un sorriso, sollevando il sopracciglio.

«Non vi guardate così, so a cosa state pensando! Non è vero! E poi, carissima Jinny, sei tu che mi hai detto di scriverla!»

«Giusto, hai ragione», annuì con la testa, tanto per farla contenta.

«E che cosa dice?», chiese Camilla.

«Uhm… Di Jinny dice che le piacciono i discorsi filosofici o strani che fa su Tom, soprattutto quando è triste. E poi dice che siete una bella coppia!»

«Oh, beh, ringraziala da parte mia», rispose sorridente.

«E, inoltre, dice che scrivo bene», le fece una linguaccia e risero assieme, dimenticandosi per un attimo di un volo che doveva arrivare dall’America…

«E queste tre belle ragazze che ci fanno qui?»

Camilla si girò all’improvviso con il fiato mozzato e gridò di gioia quando vide Bill di fronte a sé. Gli saltò in braccio e lo baciò, senza aggiungere altro.

Jinny scattò in piedi e lo cercò con lo sguardo all’interno della grandissima sala dell’aeroporto, sentendosi in ansia perché non lo vedeva arrivare da nessuna parte.

Venne afferrata per le braccia, da dietro, e finì con la schiena sulla poltrona, il viso all’incontrario, ma vide bene il suo di viso, altrettanto all’incontrario, i suoi occhi che la guardavano divertiti, il suo sorriso splendente sulle labbra.

«Tom!»

«Piccola!»

Erano precisamente un mese e tre settimane che non si vedevano e fu normale dunque che non appena ebbero varcato la soglia della suite di Tom fossero già intenti a spogliarsi e a baciarsi e a mordersi dappertutto, ridendo fra un «Ti amo» e «Un mi sei mancata» e l’altro.

Jinny indossava una canottiera a righe grigie e viola orizzontali, con la parte del petto stretta e la parte del ventre larga, che le cadeva leggera sulla gonna in jeans che portava.

Tom si sbarazzò in fretta dei suoi indumenti, lasciandola in un completo di velluto rosa con i bordi in pizzo neri.

Jinny ridacchiò vedendo il suo sguardo quasi incantato, come sempre, e gli sollevò il mento per baciarlo sulle labbra, prima di trascinarlo sopra di lei, fra le lenzuola.

E pensare che qualche mese prima era stata lei quella che doveva andare in aeroporto… e di certo non per aspettare qualcuno: se doveva andare, lasciando l’amore della sua vita…

 

***

 

Dopo la nottata passata in spiaggia a fare l’amore, Tom e Jinny tornarono alla villa, notando fra l’altro che era ridotta ad uno schifo dopo la festa che doveva essere durata parecchio anche dopo la loro sparizione misteriosa. Silenziosamente salirono le scale, per non svegliare gli altri, e si fecero la doccia assieme, unendo l’utile al dilettevole, per poi infilarsi di nuovo fra le lenzuola del grande letto di Jinny, in solaio, visto che era prestissimo.

Jinny si alzò sul gomito tenendosi il lenzuolo candido sul seno e lo guardò per una decina di secondi, poi la tentazione era stata troppo forte e gli aveva accarezzato con le labbra la guancia, il mento, fino ad arrivare alla gola e al suo pomo d’Adamo.

Stare con lui era una cosa magnifica, e quella sera aveva pure ricordato cosa voleva dire sentirsi legata a lui anche fisicamente: fare l’amore con lui era semplicemente bello.

«Jinny, ti prego non andartene», sussurrò Tom ad occhi chiusi, celando le lacrime.

Lei si scostò e si mise seduta, fissando le sue valigie sparse per la stanza. Si ravvivò le treccine sulla nuca e sospirò con quella tristezza nel cuore che le fece male, come sempre quando c’era qualcosa che non andava con lui.

«Lo sai che non posso fare altrimenti», sussurrò. «I miei genitori sono felici adesso…»

«E non per questo devi essere infelice tu!»

La raggiunse seduto sul letto, i rasta sciolti sulle spalle e sulla schiena. Le accarezzò la spina dorsale con la punta delle dita, e poi l’accolse in un abbraccio che le fece male, anziché bene come al solito.

Dopo un po’, rannicchiata contro al suo petto, si accorse che, chissà come, Tom era riuscito ad addormentarsi. Il suo respiro era pesante e regolare, come i sospiri del mare fuori dalle finestre. Lo fissò per interminabili secondi, lasciando scivolare qualche lacrima sul viso. Poche ma taglienti.

Non aveva voglia di vestirsi, così tirò fuori dalla prima valigia che le era capitata sotto al naso un paio di jeans e una maglietta bianca con una strana sfumatura rosa.

Si trovò a sorridere fra le lacrime, mentre se la infilava: quella maglietta era ridotta così perché Tom l’aveva fatta andare con una sua maglietta rossa che l’aveva macchiata irreparabilmente.

Scese di sotto come una morta, piano e traballando di qua e di là, e quando sentì delle voci in cucina si passò le mani sul viso e si preparò psicologicamente a quel suicidio.

Entrò in cucina e vide Bill, Georg, Gustav, Ary e Camilla seduti intorno al tavolo, ognuno con in mano una tazza di caffè.

«Ciao Jinny», sussurrò Camilla girando il cucchiaino lentamente, abbandonandosi ad un sospiro triste.

«Ciao», mugugnò Jinny, tirando su col naso.

Sinceramente non le fotteva un cazzo se la vedevano piangere, perché non era una macchina, aveva anche lei dei sentimenti ed era troppo distrutta per nascondersi e tenersi tutto dentro.

«Dove sei sparita ieri sera?», chiese Bill in tono mogio.

Bene, un clima depressivo era proprio quello che le ci voleva!

«Sono andata a fare surf con Tom», sussurrò versandosi il caffè nella sua tazza. «E poi se ti interessa abbiamo anche fatto l’amore per tutta la notte sulla spiaggia e ci siamo detti quanto ci amiamo. Ora partirò e… e non ci rivedremo mai più, a meno che non faccia un altro incidente e perda di nuovo la memoria.»

Era ormai in lacrime. Lasciò la tazza nel lavandino, ancora piena, tanto non avrebbe avuto la forza di far entrare niente nello stomaco che le si era chiuso: sentiva come un tappo di sughero in mezzo al petto, che le attutiva tutti i colpi, che poi riceveva in ritardo con una spinta ancora maggiore. 

Sentirono un tonfo di sopra e Jinny sobbalzò pensando a Tom. Poi sentirono anche una corsa sulle scale e videro Tom fiondarsi in cucina con le lacrime che gli rigavano le guance.

«Jinny, non farlo mai più!», gridò stringendola fra le braccia.

«Che cosa?», chiese lei.

«Mi sono trovato da solo, credevo fossi andata via!»

«Certo, e guarda caso sei inciampato in una mia valigia?»

Tom e Jinny si guardarono negli occhi e un piccolo sorriso apparve sulle loro labbra. Lui le asciugò le guance e la strinse ancora al suo petto.

«Dovresti vederti Tom, fai pena», disse Jinny.

«Vaffanculo Jinny.»

«Anche tu.»

«Tu non te ne vai da nessuna parte», affermò deciso.

«Tom, sarebbe comunque così! Saremmo costretti comunque a stare lontani per mesi a causa dei tuoi continui spostamenti!»

«No, non sarebbe la stessa cosa! Tu non te ne andrai in America.»

«Non mi vorrai mica legare e chiudere in cantina, vero?»

«Sì, se necessario.»

«Ma quanto cavolo sei stupido?»

«Non sono stupido, sono innamorato!»

Jinny arrossì, ma non staccò gli occhi da quelli di Tom. Lui la strinse soffocandole per un attimo il respiro e glielo tolse definitivamente con un bacio appassionato.

«Così è più difficile», disse Jinny cercando di spostarsi.

«Jinny!», la guardò in viso e si allontanò di qualche passo. «Ma tu vuoi partire sul serio?! È quello che davvero vuoi?!»

«No», mormorò tremando.

«E allora non andare, ti supplico. Tu non sai come sono stati i mesi senza te… loro possono confermare che non ero più io. Senza te… senza te, io… non sono niente, non sono me stesso.»

Jinny sgranò gli occhi e si morse con forza il labbro, portandosi una mano sulla fronte.

«Che… che c’è, Jinny?», chiese Gustav un po’ preoccupato.

«Ascoltavo… ascoltavo Ich bin nich’ ich», sussurrò ancora persa in quel ricordo, gli occhi vuoti.

«Quando?»

«Quando ho fatto l’incidente.»

«Oh, che bello!», disse sarcastico Tom, appoggiandosi con la schiena e la testa alla parete, chiudendo gli occhi per non scoppiare a piangere ancora.

«Tom, io sono tua.»

Lui sorrise appena e aprì un occhio per vederla, così tenera ed innocente, il solito micino di sempre, la sua Jinny.

Anche io sono tuo, quando lo capirai?

«Lo so», annuì. «Mi mancherai.»

«Anche tu, stupido bambino viziato di cui mi sono innamorata.»

«Sai, forse non ti amo più», disse offeso, incrociando le braccia, un sorriso nascosto fra le labbra.

«Sì che mi ami, io sono la tua piccola!»

«Mmh, hai proprio ragione. Vieni qui.»

Jinny corse fra le sue braccia e nascose il viso nel suo petto, lasciandosi accarezzare la schiena e le treccine sciolte sulle spalle.

Sentirono la porta aprirsi e i genitori di Jinny fecero capolino in cucina, mano nella mano.

«Ehi piccioncini, com’è andata la prima notte di nozze?», chiese Ary per alleggerire un po’ l’atmosfera.

Non poteva sembrarlo, ma adorava i lieto fine, e ne sperava tanto uno per la sua storia. Cioè… per la storia di Jinny e Tom, tanto tormentata ma tanto appassionante.

«Bene», rispose Victoria, dimostrando che Jinny aveva preso completamente tutto da lei, anche il modo in cui arrossiva sulle guance quando era imbarazzata.

«Jinny?», chiese suo padre.

«Io non vengo», mugugnò lei, stretta più che mai a Tom, soffocando le sue stese parole contro la sua maglia.   

«Cosa?»

«Ho detto che non vengo, non mi ci trasferisco in America, io voglio stare in Germania, con i miei amici e… Tom.»

«Oh, Jinny!», gridò Tom felice come un bambino.

Sua madre Victoria scoppiò a ridere mentre Gabriel nascondeva un sorriso e tirava fuori il portafoglio. Jinny, che ancora non ci credeva e aveva gli occhi sgranati per lo stupore, guardò suo padre tirar fuori cinquanta euro e porgerli a sua madre, che ridacchiò ancora e li strinse nel pugno.

«Io amo l’amore», esultò.

«Questa è bella, avevano scommesso su di noi!», disse Jinny scandalizzata.

«Eh già.»

«Io l’ho sempre detto che non sarebbe venuta», continuò sua madre, prendendosi gioco di Gabriel.

«Allora… non andrà in America?», chiese Camilla con di nuovo quella luce negli occhi, che le brillavano contenti.

«No, devo solo firmare il contratto per l’acquisto della nostra nuovissima casa ad Amburgo», disse Gabriel, mentre Victoria lo abbracciava di lato come una bambina che ha appena ricevuto una bambola nuova.

«E il fatto che dovevi starci vicine, che non volevi abbandonarci?», chiese Jinny.

«Non me ne importa, principessa. Lavorerò in Germania d’ora in poi, così almeno…»

«Tom!», gridò Jinny trattenendo le lacrime di gioia.

«Piccola!»

«Non ci lasceremo mai più!»

«Oh poverino…», commentò Camilla, per poi lasciarsi andare ad una risata che contagiò anche tutti gli altri.

 

***

 

E fu così che Jinny rimase ad Amburgo, in una Germania spesso fredda ed inospitale, ma che riusciva ugualmente a darle calore come il fuoco che sentiva dentro al suo cuore quando stava con le persone che amava: Bill e Camilla, che facevano ormai coppia fissa ed erano felicissimi assieme, Georg, Gustav, Ary, Eve (la rossa che aveva rimorchiato Georg al matrimonio della quale si era pazzamente innamorato e che era diventata amica di tutti), suo padre, sua madre, il suo piccolo fratellino che sarebbe nato da lì a pochi mesi… La sua grande famiglia, in pratica.

Ary aveva scritto la loro storia d’amore, ormai era alle ultime battute, seppure con tristezza, ma sapeva che quella storia, anche se lei non l’avrebbe continuata a scrivere, sarebbe durata per sempre, perché quello che si era instaurato fra Jinny e Tom, per quanto impossibile potesse essere, era amore vero, amore puro, amore pazzamente bello e pazzamente doloroso a volte, ma pur sempre amore.

Prese il suo computer portatile, si attaccò ad internet e con immensa soddisfazione postò l’ultimo capitolo, fresco fresco di quella mattina d’autunno in cui i Tokio Hotel erano ritornati da un mini-tour in America.

Rimase a tamburellare con le dita sul tavolo, mentre sentiva Jinny e Tom in camera ridere e scherzare dopo la doccia che si erano fatti ovviamente assieme.

«Piantala Tom, sei un maniaco!»

«Perché non posso toccarti il culo? Sono il tuo ragazzo, ne ho il diritto! E non per questo devo essere considerato un maniaco!»

«E dai, smettila, mi fai il solletico! Ary, salvami tu!»

Si aggrappò alle spalle dell’amica, ancora in accappatoio, mentre Tom si avvicinava sogghignando, mentre si infilava la maglietta larga che gli ricadde sui jeans oversize.

«Tom, Jinny, se scrivo “E vissero per sempre felici e contenti” è troppo scontato?»

«Ma cos’è, la nostra storia che è diventata anche tua? Giusto perché a me piace molto che tutti ficchino il naso nei miei affari provati, no?», chiese Tom affacciandosi sul computer.

«Come sei palloso!», borbottò Jinny beccandosi una boccaccia da parte sua.

«Ragazzi, è un problema serio! Non so come farla finire.»

«Scrivi: “E Tom rincorse Jinny per tutta la casa per toccarle il culo, anche se lei continuava a dire che era un maniaco. The End”.»

«Come sei profondo, Tom», disse Jinny alzando gli occhi al cielo, le mani unite sul cuore.

«Già, lo so! E ora vieni qui, devo vedere se hai la cellulite!»

«Io non ho la cellulite, puoi anche evitare di controllare!», gridò Jinny non sapendo da che parte andare, visto che Tom era dall’altra parte del tavolo. Si fissarono come due rivali e poi scoppiarono a ridere.

«E se scrivessi: “Questo non è la fine, ma l’inizio”? Che ve ne pare?», propose ancora Ary, ma quando sollevò lo sguardo dal computer vide Tom e Jinny che si baciavano, lui con una mano poggiata sul sedere di lei, dolcemente, senza atti osceni (per quanto potesse essere considerato toccare il fondoschiena della propria ragazza un atto osceno).

Ary vide, appeso alla parete su cui erano appoggiati, il quadro finalmente finito di Jinny: era praticamente tutto bianco, solo un angolo in alto a sinistra era nero, e poi era pieno di schizzi rossi e un po’ meno di quelli blu e verdi.

Il significato era chiaro, no?  

«Chi tace acconsente», mormorò sospirando felice e mettendosi all’opera per (non)concludere quella storia infinita.

 

The (no)End

 

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Nota: E anche questa storia è finita. Il lieto fine non poteva di certo mancare! Anche io sono una romanticona, infondo infondo. Spero che sia davvero piaciuta e vi ringrazio, perché se non ci fossero state così tante persone ad incoraggiarmi e a spronarmi a continuare non credo ci sarebbe stato un seguito.

Comunque. Saluto la mia Socia, Scarabocchio_, e spero che la sua comparsa in questo ultimo capitolo le sia piaciuta. Ti voglio bene tanto tanto tanto, pessimista mia! XD

 
Ringraziamentia tutti quelli che hanno letto, a tutti quelli che mi hanno supportata oltre che via recensioni anche su msn e via cellulare (*Vedi Scarabocchio_, la mia inimitabile Socia), e a tutti quelli che mi hanno lasciato le recensioni!! Scarabocchio_, layla the punkprincess, Ladysimple, marty sweet princess, Kvery12, BigAngel_Dark, Utopy. Grazie mille!!
 

Qui di seguito inserisco tutte le canzoni che ci hanno accompagnato in questa storia a lieto fine, per avere un po’ un indice per chi magari se le è perse e le vuole sentire:

 Surf che Passione

- Una canzone d’amore, Max Pezzali

- Se io non avessi te, Nek

- Tell me what to do, Metro Station (Titolo di un capitolo ^^)

- Bulletproof, Kerli (Titolo di un capitolo ^^)

- By your side, Tokio Hotel

- Geh, Tokio Hotel

 

The end where I begin

- The end where I begin, The Script (Titolo FF, titolo capitolo e canzone all’inizio ^^)

- Just go, Jesse McCartney

- Last night on earth, Green Day

- Fall to pieces, Avril Lavigne

- I caught myself, Paramore

- Sarà perchè ti amo, I Ricchi e Poveri

- With you, Chris Brown

- Let it rock, Kevin Rudolf e Lil’ Wayn

- By your side, Tokio Hotel

- Ich bin nich’ ich, Tokio Hotel

Grazie mille a tutti, alla prossima ff!! Un bacione, Ary

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