The end where I begin di _Pulse_ (/viewuser.php?uid=71330)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The end where I begin ***
Capitolo 2: *** Crazy without you ***
Capitolo 3: *** Prime luci nell'oscurità ***
Capitolo 4: *** Ricordare: siamo sicuri? ***
Capitolo 5: *** «Destini incomprensibilmente intrecciati» ***
Capitolo 6: *** Know everything ***
Capitolo 7: *** Una notte insonne: il romanticismo e i ragazzi, due mondi differenti? ***
Capitolo 8: *** Decisioni difficili ***
Capitolo 9: *** Il matrimonio ***
Capitolo 10: *** Epilogo: Another Neverending Story ***
Capitolo 1 *** The end where I begin ***
Nota:
Eccolo qui, l'attesissimo sequel di "Surf che Passione"
Embè, embè... eccolo qui. Non so che dire, oltre
al solito insulso "Spero che vi piaccia". Beh, la verità
è sempre una qualità apprezzata, no? Quindi, Spero che vi
piaccia! Che sia
all'altezza delle vostre aspettative e... Passo ai saluti, se no non lo
posto più questo capitolo ^^ :
Scarabocchio_:
Socia, grazie di tutto. Sia per i commenti che per le belle serate
passate a chiacchierare su msn. Ci scarichiamo addosso tutti i problemi
del mondo, ma in un certo senso è bella come cosa. Sono
contenta di averti conosciuta e, come sai (Hai le anticipazioni, gli
altri ti odieranno!), questo sequel è per te. Credo molto in
te, pessimista, e a volte riesci a tirarmi giù, di nuovo con
i piedi per terra, perchè nel mondo non bisogna mai essere
troppo positivi... Va bè, questa è una cosa
nostra. Comunque, grazie per tutte le recensioni che hai lasciato e ne
aspetto ancora tante per questo! Ti voglio bene, by your optimistic
Socia! Bacio gigante!!
tokiohotelfurimmer:
Ciao! Ma come stai?! A me non è ancora arrivato niente,
eh... O_o Vedrai che Bill e Camilla combineranno molto più
un qualcosa, e Jinny e Tom... beh, leggere per sapere! La solita miss pefidia.
marty
sweet princess: Amante degli
happy ending che spera sempre e comunque in un lieto fine, ci si
rivede! Spero che con questo sequel sarai felice, perchè ne
combinerò delle belle!
Ladysimple:
Grazie mille per i complimenti, sono molto felice che questa
resterà la tua fanfiction preferita! Wow, sono commossa...
Va bè, non mi potete vedere, ma piango ogni volta che ci
penso. Vedrai, Tom, quel buzzurro,
ne combinerà delle belle anche qui, ma userà un
pò di più la testa, e quella cosa tanto fragile e
segreta che ha in mezzo al petto... il cuore. Strano, ne? Basta con le
anticipazioni!!
niky94:
Grazie, perchè non te ne perdi una!! Un bacio grande grande.
Kvery12:
Grazie! Spero che questa volta... faccia uno strappo alla regola, ti
deve piacere!! Eheh, un bacio!
Grazie
anche a tutti quelli che hanno letto,
anche se mi aspetto molte nuove persone a commentare, perchè
io non mi accontento mai, lo ammetto!! Un bacio, la vostra stramba
"autrice" Ary.
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Sometimes
we don't learn from our mistakes
Sometimes we've no choice but to walk away, away
Tried to break my heart
Well it's broke
Tried to hang me high
Well I'm choked
Wanted rain on me
Well I'm soaked
Soaked to the skin
It's the end where I begin
It's the end where I begin
1
The end where
I begin
Erano
passati otto mesi. Otto cavolo di mesi senza lei,
spenti seppure fossero stati molto impegnativi tra le interviste, la
promozione
dell’album, che avevano registrato quando ancora lei
c’era, e il nuovo tour.
Non
riusciva a capire bene cosa c’era che non andava:
avevano tutto, eppure… Forse faceva finta di non vedere,
cercava in ogni modo
di convincersi che non era la sua assenza la causa del suo umore sempre
fiacco,
ma che da un po’ di tempo era stressato. Ma tutti sapevano
che non era così.
C’era
Bill che ogni tanto cadeva in stati di tristezza
assoluta durante i quali non voleva fare altro che piangere
perché le aveva
fatto una promessa e, a causa della lontananza, degli impegni e anche
un po’
del fratello e di quello che provava lei ogni volta che lo sentiva, non
era
riuscito a mantenerla. Ci era riuscito per un paio di mesi, ma poi il
loro
rapporto sembrava così freddo che aveva preferito non
chiamarla più, anche per
il suo stesso bene.
Mentre
Tom era lì seduto a pensare a tutte quelle cose e
molte ragazze gli lanciavano occhiate seducenti, si scolava un
bicchiere dopo
l’altro, evidentemente poco attratto da quel party, e
guardava con la coda
dell’occhio Gustav e la sua nuova ragazza, conosciuta un
pomeriggio di ben tre
mesi prima, prima di un concerto, scambiarsi smancerie che lo
deprimevano
sempre di più.
«Che
fai Tom, te ne stai lì impalato o ti decidi e te ne
scopi una?», chiese Georg scocciato da quel Tom non
più Tom.
Se
gli mancava così tanto, perché non la chiamava?
Georg Se
lo chiedeva spesso, ma capiva bene il perché, dopotutto. Era
stata solo colpa
sua se si erano lasciati e non voleva ammettere così
grossolanamente il suo
errore. Però… quando gli sarebbe passata? Non gli
piaceva vedere Tom in quelle
condizioni, anche perché se stava così lui, Bill
stava dieci volte peggio a
causa della sua trasparenza d’animo. Tom tendeva a
nascondersi e a tenersi
tutto dentro, mentre Bill si lamentava continuamente con loro, fino ad
assorbirgli tutta la linfa vitale.
Mancava
a tutti, non c’erano dubbi, ma in qualche modo
dovevano pur andare avanti.
«Allora?»,
chiese ancora all’amico che fissava con occhi
languidi il suo bicchiere mezzo vuoto.
«No,
stasera non mi va, vai tu», gli disse.
«Senti»,
si mise seduto al suo fianco sul divanetto e gli
mise una mano sulla spalla. «Non puoi andare avanti
così!»
«Bill
finalmente mi ha detto quel famoso: “Te l’avevo
detto!”, sai?», sospirò.
«E
quando?»
«Stamattina.»
«È
per questo che oggi sei più giù del
solito?»
«Più giù del solito?
Oh, grazie Georg, questo sì che mi tira su di
morale!»
«Ma
scusa… perché non metti da parte
l’orgoglio e la
chiami?»
«Non
mi vuole più sentire e fa bene.»
«E
chi te lo dice?»
«È
così, so che è così! Dopo tutto quello
che le ho fatto…
non merito una seconda opportunità, nemmeno da
lei.»
«Tom,
tutti meritiamo una seconda possibilità, se siamo
sinceri.»
«Già,
con lei non mi sono comportato bene.»
«Invece
ti sei comportato bene, secondo me.»
«Mi
stai prendendo per il culo?»
«No.
Tom, tu le hai detto subito di non sperare troppo nel
lieto fine, mi sembra. Sei stato onesto, non l’hai presa in
giro e te ne sei
sbattuto la minchia come avresti fatto con una qualunque.»
«Ma
lei non è una qualunque, lo so. Ho sbagliato. Di
brutto.»
«Tom,
devi riprenderti. Non so come, ma in qualche modo
devi, non sopporto di vederti così, nessuno di noi
può. Ok?»
«Ok,
ci proverò. Grazie.»
«Dovere,
amico. Che hai intenzione di fare, ora?»
«Credo
che tornerò a casa.»
«Ok,
portati dietro anche Bill, non si diverte per
niente.»
«Ci
copri tu con David?»
«Ci
mancherebbe altro. Ci vediamo domani, allora.»
«Ok,
notte Georg.»
Si
alzò dal divanetto e si stiracchiò le braccia.
Incrociò
lo sguardo di Gustav e lo salutò con una mano. Lui
ricambiò distratto, così
preso dalla sua bella.
Non
credeva potesse mai succedere, ma in quel momento lo
invidiò perché lui aveva la persona che amava al
suo fianco e lui no.
Cazzo,
era innamorato di lei e non se ne era mai reso
conto, non aveva mai aperto gli occhi veramente e quelle erano le
conseguenze
che doveva pagare.
Girò
per l’intero locale fra le luci soffuse dei privè,
quelle appena più forti del bar e quelle della pista da
ballo, un po’
preoccupato perché non trovava Bill da nessuna parte.
Finalmente
lo vide in un angolo, che rideva da solo con un
grande bicchiere in mano. Lo raggiunse quasi di corsa e lo sorresse
mettendogli
un braccio intorno alla vita.
«Ehi,
fratellone!», gridò.
«Molla
l’osso, sei ubriaco», gli disse un Tom severo
rubandogli il bicchiere di mano.
«Uffa,
sei proprio un guastafeste!»
«Sì,
ringrazia solo di avere un guastafeste che ti vuole
bene. Forza, andiamo a casa.»
Lo
condusse fuori dal locale e lo fece sedere in macchina.
Stava per mettere in moto, quando si sentì osservato e lo
guardò: stava
piangendo.
«Perché
piangi, Bill?», gli chiese a fatica con un groppo
in gola.
«Mi
manca Jinny.»
Tom
chiuse gli occhi e sospirò appoggiando la testa al
sedile.
«A
chi non manca, eh?»
«Perché
non la chiamiamo?»
«Solo
le tre del mattino, Bill.»
«E
allora? Dai, ti prego, chiamiamola.»
Odiava
vedere suo fratello in quelle condizioni e per il
fatto che erano gemelli riusciva a percepire il suo malessere come se
fosse
proprio, e non era una bella sensazione. Sospirò
addolcendosi e tirò fuori il
cellulare.
«Se
non ci risponde la prima volta basta, ok?», gli disse,
ma Bill era troppo contento anche solo per ascoltarlo.
Tom
ci mise infinitamente poco a trovare il suo nome in
rubrica, abituato com’era a fissarlo nelle notti insonni, e
con gli occhi
lucidi mise il vivavoce.
C’era
il silenzio più assoluto e così anche loro
avevano
trattenuto il respiro, poi una voce addormentata li fece sobbalzare.
«Si
può sapere chi cazzo è quest’ora di
notte?! Io domani
ho anche scuola!», gridò alquanto impedita da uno
sbadiglio.
Si
fissarono e Bill si lasciò scappare un sorriso, mentre
Tom era imbambolato, i polmoni stretti in una morsa d’acciaio.
La
sua voce era… era lei, la stava sentendo, dopo otto
mesi di silenzio era di nuovo lì, che gli parlava. Era fin
troppo irreale.
«Allora,
si può sapere con chi ho l’onore di
parlare?!»
«Ciao,
sono Bill!», urlò lui ancora fra le lacrime.
«Chi?!
Io non conosco nessun Bill, mi sa che hai sbagliato
numero! E ora buona notte!»
Chiuse
la chiamata e Bill guardò il cellulare, una nuova
fitta nel cuore lo percosse e si trovò a piangere
più di prima.
«Era
lei…», soffiò. «Non mi vuole
più sentire…»
«Magari
non ti ha riconosciuto», optò il chitarrista, ma
con speranze pari a zero.
«Tomi,
voglio che torni tutto come prima!»
«Bill,
non so che altro dirti oltre che è stata tutta
colpa mia. Se ti avessi ascoltato, a
quest’ora…»
Tom
venne travolto da Bill che lo abbracciò e lo strinse
forte a sé, nascondendo il viso nell’incavo della
sua spalla.
«Tomi,
non dire così», sussurrò.
«Ma
è la verità!»
«Voglio
andare a casa», si scostò e lo guardò
intensamente
negli occhi prima di sedersi nella maniera più composta
possibile sul proprio
sedile ed asciugarsi le lacrime sulle guance.
«Ok,
andiamo, domani ci aspetta una lunga giornata.»
***
Ok,
se l’erano cercata, Benjamin aveva tutta la ragione e
il diritto del mondo a rimproverarli, ma Tom vedeva che negli occhi del
loro management
c’era anche qualcos’altro, soprattutto contro di
lui. Non bastava il dolore che
già di per sé provava? No, ci si doveva mettere
pure lui con le sue
frecciatine.
Da
quando aveva saputo da suo fratello quello che era
successo alla sua nipotina Jinny e quello che aveva fatto Tom, anche se
lei
aveva detto poco o niente di tutto quello che avevano combinato,
l’aveva sempre
guardato male, con quel cenno di ostilità nei comportamenti
e negli sguardi.
Tom
era sempre rimasto in silenzio e aveva subìto,
così
come doveva essere, ma quando Benjamin metteva in mezzo quella storia
con cose
che non c’entravano niente, come il ritardo di
mezz’ora che avevano fatto lui e
Bill quella mattina, no, non lo sopportava. Ma era stato zitto anche in
quel
caso, lottando contro la rabbia, perché sapeva che non
sarebbe andata a finire
bene comunque.
Finita
la ramanzina aveva solo voglia di andare a
prendersi un caffè, visto che quella mattina non avevano
fatto in tempo a fare
niente a causa del mostruoso ritardo, perché ne aveva
davvero bisogno. E poi
fare quattro passi lo avrebbe aiutato a scaricare la tensione.
Arrivò
alla macchinetta con le mani nelle tasche e si
accorse di non avere con sé la chiavetta. Doveva averla
lasciata a casa nella
fretta.
Di
bene in meglio,
complimenti!
Sospirò
infastidito e si mise appoggiato al muro di fronte
ad essa, a guardare il pavimento e a riflettere.
Si
rese conto che Benjamin non aveva mai parlato
esplicitamente di Jinny con lui e che lei non era mai sulla sua bocca.
Per
certi versi era un bene, per altri un male: se ne avesse parlato si
sarebbe
trovato con il cuore spaccato ad ogni singola parola e non poteva
permettere di
far vedere a tutti come soffriva; ma se non ne parlava lui si ritrovava
costretto a viaggiare con la fantasia e ad immaginarsela. Non sapeva
che
faceva, come stava… non sapeva nulla di lei, era come
sparita dalla faccia
della terra.
Una
volta l’aveva pure sognata: era bellissima, come
sempre, senza il gesso alla caviglia, e sorrideva al sole, sdraiata
sulla
sabbia. Poi era arrivato Riky e il sogno si era chiuso in bellezza con
un bacio
e una risata fra i due alle spalle di Tom, trasformandosi in un incubo.
Quella
notte non era più riuscito a dormire.
«Ehm…
mi scusi…»
Sgranò
gli occhi nel sentire quella voce così simile alla
sua. Era la donna seduta dietro il bancone della reception, che lo
guardava e sorrideva
imbarazzata. Aveva due occhi verdi che Tom associò
dolorosamente identici a
quelli di Jinny, ma preferì non pensarci troppo.
«Ha
bisogno di qualcosa?», gli chiese.
Era
una donna sulla quarantina, di corporatura esile, i
capelli biondi e corti, anch’essi molto simili a quelli di
Jinny, raccolti in
una coda sulla nuca.
«No,
non si preoccupi. Lei è nuova? Non mi sembra di
averla mai vista prima.»
«No,
in verità sono qui da una settimana.»
«Oh,
non me ne sono accorto.»
«Sembra
molto sulle nuvole in questo periodo, Herr
Kaulitz.»
«Come
fa a sapere chi sono?»
«Beh,
chi non vi conosce?», sorrise e Tom si impose di non
pensare a quanto simile fosse a quello di Jinny, ma lo fece lo stesso.
«Già,
me ne ero dimenticato. Comunque puoi chiamarmi
semplicemente Tom.»
«Ok,
come preferisci. Io sono Victoria.»
«Piacere.»
«Piacere
mio. Scusa se sono impertinente, ma posso sapere
che fai qui? Benjamin non sembrava contento del vostro
ritardo.»
Tom
la guardò stranito. Cos’era tutta quella
confidenza
con il loro management?
«Volevo
dire… Herr Ebel, ovviamente», si corresse
arrossendo.
«Sì,
mi sto prendendo una pausa. Avevo l’intenzione di
prendermi un caffè, ma mi sono accorto di aver dimenticato
la chiavetta a casa.
E visto che non avevo voglia di tornare indietro sono rimasto
qui.»
«Oh,
capisco. Se vuoi posso offrirti qualcosa io.»
«Non
ti disturbare.»
«Nessun
disturbo, so come può essere dura incominciare la
giornata senza caffeina.»
Ancora
quel sorriso gli fece male ed evitò di guardarlo.
Victoria
gli porse gentilmente il bicchierino di caffè e
tornò alla sua postazione dietro al computer. Lui la
osservava di sottecchi,
senza farsi notare.
Era
pazzesco come si somigliassero! Tentava di non
pensarci, ma era più forte di lui.
«Tom!»
Si
sentì chiamare e vide Bill, Georg e Gustav venirgli
incontro.
«Che
ci fate tutti qui fuori?», chiese.
«Siamo
venuti a cercarti, visto che non tornavi più!»
«Mi
sono solo preso una pausa.»
«Un
po’ troppo lunga per i gusti di Benjamin», fece
notare
Gustav.
«Me
ne frego, oggi è insopportabile.»
«C’è
anche da dire che la colpa è vostra», disse Georg.
«Sì,
ma può capitare! Non vedo perché debba fare le
tragedie greche!»
Rimasero
tutti a fissarsi per qualche secondo in silenzio
quando sentirono una voce alle loro spalle, che Tom riconobbe subito
come
quella di Victoria.
«Oh,
no! Si è impallato di nuovo il computer! E adesso?»
Si
girarono tutti contemporaneamente e la guardarono. Lei
sorrise imbarazzata e fece un cenno con la mano come per scusarsi, per
poi
cercare qualcosa nella borsa. Tirò fuori il suo cellulare e
chiamò qualcuno, il
tutto guardata dai ragazzi.
«Jennifer?
Oh, menomale che hai risposto! Si è impallato
ancora in computer! Non è che potresti fare un salto qui?
Non me la sento di
chiamare… ecco. Già l’altra volta mi ha
fatto la ramanzina perché credeva che
fosse stata colpa mia, quindi… Grazie tesoro, sei un
amore.»
Ci
sono milioni di
Jennifer al mondo, ci sono milioni di Jennifer al mondo, ci sono
milioni di
Jennifer al mondo… si
disse Tom con i pugni stretti nelle tasche.
«Scusate,
potreste non dire niente a… Herr Ebel?», chiese
con tono supplichevole.
«Ok,
non ti preoccupare. So come ci si sente ad essere
presi di mira», disse Tom facendole l’occhiolino.
***
Era
in un ritardo pazzesco all’appuntamento con Camilla e
in più ci si era messa pure sua madre ad incasinarle tutto.
In verità era
andato tutto male da quella mattina, quando, alle tre, qualcuno che
probabilmente aveva sbagliato numero l’aveva svegliata
chiamandola al
cellulare.
Ok,
calma, rilassati, si
disse, ma al contrario
cominciò a correre presa dal panico immaginandosi la faccia
furiosa di Camilla
quando l’avrebbe vista.
Andò
a sbattere accidentalmente contro una ragazza sbucata
fuori dal nulla e tutti i suoi disegni si sparsero sul marciapiede.
«Oddio,
scusa!», disse subito la ragazza, chinandosi ad
aiutarla.
«No,
figurati, non è colpa tua. Sono io che ti sono venuta
addosso.»
«Va
bè, questo non importa. Guarda che disastro!»
Li
raccolsero in più fretta possibile e la ragazza non
poté non notare che aveva un vero talento nel disegnare e si
complimentò
facendola arrossire.
«Oh,
scusami tanto, io sono Arianna.»
«Piacere
Arianna, io sono Jennifer.»
«Ok,
Jennifer. Dove dovevi andare così di corsa?»
«Al
lavoro da mia madre, alla Universal!»
«Tua
madre lavora alla Universal?»
«Sì,
fa la segretaria, perché?»
«Non
mi pare di averla mai vista.»
«Anche
tu frequenti la Universal?»
«Sì,
ci… lavora il mio ragazzo!»
«Oh,
capisco! Allora possiamo fare la strada insieme!»
«Oh,
va bene!»
***
Sì,
era impossibile. Oddio, visto come si somigliavano
poteva anche essere, ma si rifiutava anche solo di pensare che fosse
così. Non
poteva esserlo e basta. Non poteva essere la sua Jennifer, punto e
stop.
«Non
credevo avessi una figlia, non hai nemmeno la fede»,
disse Tom sporgendosi sul bancone.
«Oh,
beh, io e mio marito abbiamo divorziato tempo fa»,
disse con amarezza.
«Mi
dispiace», balbettò.
Era
stato fin troppo duro e non se n’era nemmeno accorto
preso com’era a negare l’eventualità che
quella Jennifer fosse proprio la sua.
«E
quanti anni ha tua figlia?»
«Tom,
sarà meglio andare», disse Bill che sentiva
già
puzza di guai e di ricordi.
«No,
aspetta un attimo», lo azzittì e tornò
a guardare
Victoria.
«È
un po’ più piccola di te, ha fatto diciotto anni
ad agosto.»
Si
sentì mancare, per fortuna c’era il bancone a
sorreggerlo.
«Tom,
stai pensando a quello che penso io, vero?», chiese
Gustav.
Tom
annuì e guardò Victoria confusa, che guardava a
turno
tutti i ragazzi che avevano pian piano allargato un sorriso sulle
labbra,
tranne Tom che era quasi impallidito.
Sentirono
la porta scorrevole aprirsi dietro di loro e si
girarono di scatto, pronti ad accogliere la bellissima sorpresa che gli
era
capitata in quella giornata iniziata con il piedi sbagliato.
Entrarono
due ragazze: una familiare e una fin troppo
familiare.
La
prima era Ary, la ragazza di Gustav, la seconda era…
Jennifer, o, per meglio dire, Jinny. Non era cambiata molto, a parte
l’altezza
e i capelli biondi di nuovo lunghi e divisi in piccole treccine che da
lontano
potevano pure sembrare rasta sottili, raccolti in una coda sulla nuca.
«Jinny,
sei proprio tu!», urlò Tom ben radicato sul posto.
Aveva
tentato in tutti i modi di non illudersi, di non
sperare inutilmente che quella fosse la sua Jennifer, ma quella che era
entrata
era proprio lei, proprio la
sua piccola
Jinny.
***
Quella
voce, quel viso, quelle labbra, quegli occhi… ma
soprattutto quel sorriso le scatenarono in testa una confusione tale da
chiudere gli occhi. Venne travolta da miriadi di immagini: risate,
sorrisi, scherzi,
litigate, pianti, la luna, parole, un’onda, il mare, il sole
che calava al
tramonto, ma erano tutte così mescolate e, come dire,
sfuocate che non ci capì
niente. In più, era da tantissimo tempo che non la
chiamavano più Jinny. C’era
qualcosa che non quadrava, assolutamente.
«Jennifer,
stai bene?», le chiese preoccupata la madre,
raggiungendola e mettendole una mano sulla fronte.
«Sì,
mamma, sto bene, è stato solo un…
giramento.»
Fissò
i ragazzi di fronte a sé e sentì la testa
pulsare. Sapeva
chi erano, era fin troppo semplice capire che quei quattro erano i
Tokio Hotel,
uno dei gruppi più famosi in Germania, ma c’era
qualcos’altro di cui sentiva
l’importanza, ma che non riusciva a ricordare.
Li
aveva visti altre volte, in televisione, sui giornali,
e non le aveva mai fatto nessun effetto. Perché dal vivo
sì? Perché sentiva dei
ricordi premere così tanto nella sua testa, senza sapere quali
ricordi?
«Come…
come fai a sapere come mi chiamo?», chiese al ragazzo
biondo dalla pettinatura rasta. Se non sbagliava era il chitarrista
della band
e si chiamava Tom, fratello gemello di Bill, quello con i capelli neri,
affianco a lui.
«Che
cosa?», chiese a bocca aperta.
«Jinny,
siamo noi!», disse Bill quasi spaventato.
«Voi…
Voi siete i Tokio Hotel, giusto?»
«Sì!
Ma noi siamo anche… amici. O, perlomeno, lo eravamo.
Non so se lo siamo ancora, comunque spero di sì
perché…»
«Bill,
smettila di parlare, non si ricorda di noi»,
sussurrò Gustav ad occhi sgranati, la mano sulla bocca di
Bill.
«Davvero
non ti ricordi tutto quello che abbiamo passato
assieme?», chiese ancora più piano Georg.
Jinny
spalancò gli occhi, quasi in lacrime, indietreggiando,
e si portò le mani alla testa, sembrava davvero spaventata.
«No,
io… io non mi ricordo…
Mamma…»
«No,
Jinny, sono qui! Non ti preoccupare, va tutto bene.»
La
abbracciò e Jinny nascose il viso nella sua spalla,
visto che era qualche centimetro più alta di lei.
«Jinny!»,
gridò Benjamin vedendola fra le braccia di sua
madre. «E voi, tornate subito in studio!»,
ringhiò ai ragazzi, indicandogli la
strada con il braccio.
Loro,
assieme ad Ary, iniziarono ad avviarsi, ma
continuavano a guardare quello strano trio: Jinny, sua madre Victoria e
Benjamin.
«Victoria,
ti avevo detto di non farla venire qui!», le
gridò lui.
«Lo
so, ma mi si è impallato di nuovo il computer!»
«Sai
che me ne frega di quel cavolo di computer! Lei non
doveva venire qui!»
«Ma
perché?!»
«Ah,
vi prego, smettetela!», gridò Jinny e i due si
guardarono truci, chiudendo le bocche.
Jinny
li guardò e si passò le mani sul viso, poi si
sistemò la coda e per un brevissimo ma lunghissimo momento
incontrò lo sguardo
di Tom, ancora lì a guardare.
Non
sapeva perché, ma quegli occhi le facevano venire i
brividi.
Chi
era lui? Chi era lui per
lei? Perché il cuore
le batteva così forte? Perché la faceva
sentire così fragile e allo stesso tempo così
invincibile? Mai come prima sentì
il bisogno di sapere chi fosse.
Il
suo cellulare suonò e la distrasse dal suo sguardo
magnetico, costringendola a cercarlo nella borsa e a rispondere.
«Pronto?»,
tremò, incrociando di nuovo quel nocciola
stupendo.
«Jinny!
Ma dove sei? Cavolo, ci dovevamo vedere un’ora
fa!»
«Sì,
lo so Camilla, scusami. Arrivo subito.»
Guardò
sua madre e suo zio e fece un breve cenno del capo
prima di girarsi e di far aprire le porte scorrevoli. La tentazione fu
troppo
forte: controllò ancora all’interno e di nuovo il
suo sguardo la fece
rabbrividire, ma allo stesso tempo arrossì e si
trovò a fare un timido sorriso.
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Nota:
La canzone che dà il titolo a questo capitolo, oltre che a
questa FF (continuo di “Surf che Passione”),
è The
end where I begin, dei The
Script. E questa è la traduzione,
per chi è interessato:
A volte non
impariamo dai nostri errori / E volte non abbiamo scelta ma
camminiamo via, via / Prova a rompere il mio cuore / Bene, si
è rotto / Prova a
mandarmi in alto / Bene, soffoco / Pioggia carente su me / Bene, sono
impregnato / Impregnato sulla mia pelle / È la fine dove io
inizio / È la fine
dove io inizio.
Grazie a tutti, grazie per il supporto, vi voglio bene *__* Ary
|
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Capitolo 2 *** Crazy without you ***
Nota:
Ringrazio velocemente Scarabocchio_
, la mia Socia!! (*Che anche quando è pessimista a livelli
assurdi è sempre lei
e le voglio bene... Ora finalmente scoprirai cos'è successo
a Jinny! Contenta?
Spero di sì, dai...*) Poi ringrazio layla
the punkpricess (*Che fra i
suoi mille dubbi e tormenti ha anche il tempo di starmi a sentire!!
XD*) Grazie
a tutti quelli che hanno letto, mi aspetto tante altre recensioni da
chi non
aveva capito che questo era il continuo di "Surf che Passione"!
***Eheh,
infatti non sembrava, eh?*** Baci, Ary___
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2
Crazy without
you
Camilla
voleva solo dormire. Insomma, era una persona come
tutte le altre, no? Ed era stanca come tutti. Non capiva
perché lei non potesse
avere un po’ di pace per dormire, come qualsiasi persona
normale.
Suonarono
al campanello. Non aveva capito come il suo
disturbatore fosse riuscito ad entrare all’interno del
palazzo senza che lei
andasse al citofono. Non se lo chiese troppo, semplicemente
soffocò il viso nel
cuscino, stando sotto alle coperte.
«Camilla!»
Spalancò
gli occhi ed emerse dalle coperte. Come aveva
fatto a… Lui era… lì!
Si
liberò dall’intricato bordello di coperte e
lenzuola e
traballò di corsa fino alla porta. Ci andò a
sbattere addosso, ma fu bellissimo
vedere dall’occhiello Bill che la chiamava. Ma non
c’era solo lui: c’erano
anche Tom, Georg e Gustav. Una felicità incontenibile la
avvolse e aprì con
furia tutte le serrature, poi spalancò la porta. Voleva
saltargli addosso, ma
non lo fece.
Notò
che i ragazzi la stavano osservando con la testa
sulla spalla, lo sguardo perso più o meno in basso. Si
controllò anche lei e si
rese conto di essere in pantaloncini corti e in reggiseno, come di
solito
dormiva.
«Oh,
bene!», disse imbarazzata, correndo all’interno e
strappando il lenzuolo dal letto per avvolgercisi dentro.
«Ciao
ragazzi», disse più tranquilla, sistemandosi i
capelli arruffati sulla testa. «Come avete fatto a sapere
dove abitavamo? E
perché siete venuti?» La felicità era
stata spazzata via dalla rabbia.
«Possiamo
entrare?», chiese Bill.
«Se
proprio dovete», incrociò le braccia al petto e si
trascinò in cucina, dove trovò il bricco di
caffè già pieno: opera di Jinny.
Controllò l’orologio e si vergognò di
sé stessa. Era quasi mezzogiorno e si era
fatta trovare mezza nuda da quei ragazzi.
«Ti
abbiamo svegliata?», gli chiese quella voce
d’angelo
di Bill.
«Già.»
«Ieri
sera hai fatto le ore piccole?»
«Ma…
non mi pare che siano affari tuoi!», sbottò
girandosi.
«Sì,
hai ragione, scusa», abbassò il capo e lei si
sentì
in colpa, ma non poteva essere così debole con lui solo
perché le piaceva da
morire da più o meno nove mesi!
«Allora,
perché mi avete buttata giù dal letto a
quest’ora?»
«Perché
Jinny non si ricorda di noi?», chiese Tom,
prendendosi una sedia e sedendosi, le braccia incrociate sul tavolo.
Camilla
si paralizzò con la tazza fra le mani e abbassò
lo
sguardo.
«Non
ve ne siete mai fregati in tutto questo tempo, perché
vi interessa adesso?»
«Ci
è sempre interessato!», disse Bill.
«Ah
sì?»
«Sì,
mi pare ovvio!»
«E
dov’eravate quando Jinny ha avuto quel maledetto
incidente? E quando era in coma? E quando si è risvegliata
dopo tre mesi? E
quando non si ricordava nemmeno il suo nome? Dov’eravate?!
Dov’eravate?!»
«Che…
cosa?», sussurrò Tom, completamente sbalordito.
«È
così, è per questo che non si ricorda di voi. In
testa
ha come dei buchi… Adesso sa cosa vuol dire avere il
Leerdammer al posto del
cervello…»
Battuta
troppo infelice per commentarla. I ragazzi fecero
finta di niente, forse magari nemmeno se n’erano accorti.
«Ma
com’è successo?», chiese Gustav.
«Era
notte. Jinny era uscita e… Dio, se solo non
l’avessi
lasciata da sola, come sempre…», strinse i pugni e
scoppiò a piangere. Si coprì
il viso con le mani, cominciando a singhiozzare.
«Camilla…»,
Bill si alzò e l’abbracciò, soffocando
le
lacrime nel proprio petto.
«È
stato orribile… è stata portata in ospedale
e… l’hanno
operata d’urgenza, ha rischiato la vita, Bill! E poi
è entrata in coma e lo è
stata per tre mesi… Credevamo tutti che non ce
l’avrebbe fatta… Poi, un giorno
come tanti, si è svegliata, ma… non ricordava
assolutamente nulla. Ci è voluto
un po’ prima che ricordasse chi era, chi era la sua famiglia,
chi i suoi amici…
Mi ha riconosciuta subito quando mi ha vista», fece un
piccolo sorriso. «Ma non
mi merito tutto questo… Lei è così
buona con me…»
«Camilla,
ma mi stai prendendo in giro?!», gridò Tom
sbattendo le mani sul tavolo.
«Secondo
te io mi diverto a dirti queste cose, no?!», gli
gridò liberandosi dalla stretta di Bill.
«Perché
non ci hai chiamati?! Perché ci hai avvisati?!»
«Perché
non vi siete fatti sentire voi?! A questo punto
credo che per Jinny sia meglio così! È stata
così male senza di voi che magari,
se avesse saputo che poteva perdere la memoria in quel modo, avrebbe
fatto
l’incidente di proposito!»
«Non
ti permettere!», la spinse con la schiena alla
credenza, stringendole forte le mani intorno ai polsi.
«Tom,
lasciala!», si intromise Bill, prendendo il fratello
per la maglietta e scansandolo.
Camilla
guardò Tom sprezzante e corse in camera sua,
sbattendosi la porta dietro.
«Dico,
Tom, ma sei impazzito?!», gli gridò in faccia
Georg.
«No,
lei mi ha istigato!»
Lasciò
perdere l’incazzatura e si risedette, la testa
nascosta fra le braccia. Aveva solo voglia di piangere, e se non fosse
stato
per Bill l’avrebbe fatto, lì, davanti a tutti.
«Tomi,
ecco perché non si ricordava di me, l’altra
sera.»
«Già,
hai ragione», sussurrò, gli occhi spenti.
«Per
favore, andatevene.»
Si
girarono tutti verso l’entrata della cucina e videro
Camilla, vestita, gli occhi tristi, quasi imploranti.
«Tra
poco arriva Jinny, andatevene.»
«Che
cosa?! Dobbiamo raccontarle tutto!», disse Tom.
«Pazzo,
come puoi anche solo pensarlo? È l’unica cosa che
non dobbiamo fare! Non si può. Pensa a cosa accadrebbe se le
si raccontassero
cose che non ricorda tutte insieme… andrebbe in
panico.»
«Come
è successo ieri», disse Gustav.
«Cosa?!
Vi ha visti?!», gridò Camilla.
«Sì,
è venuta alla Universal e…»
«Oh
mio Dio, chissà Benjamin come si sarà
arrabbiato!»
«A
proposito di lui, che ha che non va?», chiese Tom.
«Ha
assunto la madre di Jinny da voi, ve ne sarete
accorti, no?»
«E
con questo?»
«Beh,
Victoria e suo fratello sono divorziati, perciò non
vanno molto d’accordo, ma l’ha dovuta assumere lo
stesso per Jinny. Adesso lei
vive stabilmente qui, vicina a sua madre.»
«Davvero?»
«Già.»
Gettò uno sguardo all’orologio. «Jinny
sarà qui a
momenti, vi prego…»
«Ok,
va bene. Grazie per averci raccontato queste cose,
Camilla, non dev’essere stato facile. E scusami per prima,
non volevo», disse
Tom.
«Non
importa.» Si scambiarono un leggero sorriso e poi si
abbracciarono, stringendosi forte.
Bill
sentì un pizzico di gelosia, ma sapeva che non
sarebbe mai potuto succedere niente fra lui e Camilla. Quel giorno per
poco non
si erano menati!
Pian
piano uscirono tutti di casa e Bill e Camilla
restarono da soli in cucina, a guardarsi negli occhi in silenzio.
«È
passato tutto questo tempo…», sussurrò
lei. «Non ti sei
mai fatto sentire…»
«Lo
so, ma non ti ho mai detto addio. Mi sei mancata
tanto.»
Camilla
arrossì e abbassò lo sguardo mordicchiandosi le
labbra.
«Non
posso stare sempre ad aspettarti, Bill.»
«Lo
so, ma questa è la mia vita.»
«Almeno
farti sentire una volta in otto mesi!»
«Mi
faceva così male starti lontano che non sono mai
riuscito a chiamarti, anche se volevo.»
«Oh,
Bill, come posso fidarmi?»
«Come
non potresti fidarti di questo cucciolo?», fece gli
occhi dolci sorridendo e si avvicinò a Camilla.
«Che
stupido che sei. Sul serio, Bill, non lo so…»
Si
mise davanti a lei e le cinse i fianchi con le mani,
appoggiando la fronte alla sua.
Camilla
si sentì rabbrividire, ma fu un brivido piacevole,
in quanto non si era mai sentita così bene in quegli otto
mesi. Era stata fra
le braccia di due o tre ragazzi, ma mai nessuno l’aveva fatta
sentire in quel
modo, come se fosse in paradiso.
«Camilla?»
«Uhm?»
«Ti
voglio bene.»
«Anch’io,
cretino che non sei altro.»
«Ah,
adesso pure mi insulti?»
Si
guardarono sorridendo e lui le accarezzò i capelli castani
chiari, quasi biondo cenere, sistemandoglieli dietro
l’orecchio, sfiorandole la
guancia rosea.
«Dì…
dì a Tom che se proprio vuole, può raccontare a
Jinny
quello che non ricorda, ma poco per volta e senza pretendere
nulla», sussurrò
lei che comunque non riusciva a schiodare gli occhi blu da quelli
nocciola di
lui.
«Ok,
glielo dirò», sospirò Bill
allontanandosi.
Si
avvicinò alla porta ed impugnò la maniglia, poi
si girò
di nuovo e Camilla gli corse fra le braccia, baciandolo sulle labbra
con le mani
fra i suoi capelli neri.
«Mi
sei mancato tanto anche tu, Bill», gli disse con gli
occhi lucidi.
Si
sorrisero e Bill uscì a testa alta, un sorriso fiero
sulle labbra e le mani in tasca. Dopo troppo tempo si era sentito
veramente
bene, e il merito era solo ed esclusivamente Camilla.
Scese
le scale di corsa e vide gli amici già in macchina,
Tom semisconvolto che guardava fuori dal finestrino. Bill si
guardò intorno e
poi vide Jinny arrivare con un ragazzo che le teneva un braccio fra le
spalle,
e ridevano assieme.
Ora
capiva perché il fratello aveva avuto quella reazione.
Si
abbassò il cappellino sugli occhi per non farsi
riconoscere e attraversò velocemente la strada per
raggiungere l’auto.
«Tom,
stai tranquillo, è solo un suo compagno di
scuola»,
gli disse sedendosi accanto a lui.
«Un
suo compagno di scuola? Ma io lo uccido!»
«Tom,
per favore, non dire cavolate.»
Non
riusciva a togliersi quel sorrisino ebete che aveva dalle
labbra, talmente era felice.
«Che
cazzo hai da sorridere in quel modo, tu?», gli chiese
allora Tom, incazzato perché Bill sembrava felice e lui no.
«Niente,
perché?»
«Perché
davvero hai un sorriso che non vedevamo da tempo»,
gli disse Georg.
«Oh,
davvero?»
«Ok,
cos’è successo con Camilla? Possibile che dobbiamo
sempre tirarti fuori le cose di bocca con la forza? E menomale che tu
sei
sempre quello che parla di più!»
«Non
è successo niente!», tentò di sviare,
ma le occhiate
che gli arrivarono in risposta dicevano chiaramente che nessuno se
l’era
bevuta.
«Ok,
ci siamo baciati! Ma nulla di più.»
«Iniziamo
a ragionare.»
Tom
girò il viso ancora verso il portone di Jinny e vide
il ragazzo baciarle la guancia frettolosamente e correre via. Si
sentì
sollevato quando lo vide allontanarsi, ma si sentì anche
attratto dall’idea di
andare da lei e di stringerla forte a sé, baciarla, e non
sulla guancia, di
accarezzarla, di spogliarla…
«Tom?
Oh? Mi stai ascoltando?!»
«No,
e non voglio farlo», disse con un gesto della mano,
chiudendo gli occhi e immaginando la scena con lui e Jinny sotto alle
coperte.
Era proprio sul più bello quando Bill lo scosse e lo fece
tornare alla realtà.
«Cosa
cazzo vuoi?!», gridò irritato.
«Camilla
mi ha detto di dirti che se proprio vuoi puoi
dire a Jinny quello che non ricorda, ma poco per volta e senza
pretendere nulla.»
Wow,
quella ragazza era un portento! Non era mai riuscito
nessuno a fargli ricordare le cose così perfettamente!
Eppure ricordava tutto
di lei, dal primo all’ultimo particolare, ed era anche
naturale ricordare così
chiaramente, come se la vedesse ogni giorno e la conoscesse da una
vita.
«Mmh,
ok. Ma vorrei che si ricordasse da sola di me»,
disse con un filo di amarezza nella voce.
«E
se non dovesse farlo?», chiese Gustav.
«Non
riesco a credere che possa aver dimenticato… noi.»
«Beh,
poteva anche andarle peggio, no?»
«Sì,
hai ragione, però…»
«Ti
dispiace.»
Tom
annuì sconsolato, abbandonandosi al sedile di pelle
nera.
«Dispiace
a tutti, Tom, non solo a te.»
«Ma
per me ha un significato diverso. Insomma, prima mi
amava, adesso non sa nemmeno chi sono!»
«Non
dev’essere bello, capisco.»
«Devo
cominciare tutto da capo… e farla innamorare di
nuovo di me.»
«Senza
fare casini, possibilmente. Questa è la tua seconda
possibilità, Tom, non buttarla.»
«No,
certo che no. Farò di tutto perché si innamori
ancora. E questa volta non sarò così insicuro, so
cosa voglio.»
***
Jinny
si mise seduta sulle scale di fronte al portone, con
le mani sotto al mento. Pensò che Camilla probabilmente
stava ancora dormendo,
dopo la notte insonne che le aveva fatto passare a causa dei suoi
pianti e
delle sue lamentele perché non riusciva a ricordarsi delle
cose che magari, se
le avesse sapute, avrebbe ritenuto importanti, e non voleva disturbarla.
Sospirò
e guardò una macchina scura allontanarsi: sembrava
anche piuttosto costosa e il modello le ricordava qualcosa, ma, come
troppe
volte era successo, non sapeva cosa.
Chissà
se prima o poi sarebbe riuscita a ricordare tutto.
Non sopportava di avere quei maledetti buchi in testa. Quella era la
sua mente,
non potevano rubargli i ricordi così a piacimento!
Si
rese conto che quella era la prima volta che desiderava
così tanto ricordare. Non si era mai posta seriamente il
problema, prima, si
diceva sempre che avrebbe ricordato pian piano, con il passare del
tempo, ma
quella volta no, voleva ricordare tutto e subito. C’entravano
forse quel
misterioso ragazzo, che tanto misterioso poi non era visto che era il
chitarrista di una delle band più famose del globo, che con
un solo sguardo le
aveva scatenato tutte quelle immagini alla rinfusa nella testa, e i
suoi amici?
Chi
erano? Chi erano stati per lei in un passato più o
meno recente? Che ruolo avevano avuto nella sua vita? Dovevano per
forza essere
qualcuno se aveva trovato le loro canzoni sul suo iPod fra un
repertorio
composto solo da musica hip hop!
Quant’era
frustante non riuscire a ricordare una parte di
sé, della propria vita, tanto quanto lo era quando si
metteva nei panni dei non-ricordati.
Neanche per loro doveva
essere una meraviglia, visto che loro ricordavano lei ma lei non
ricordava
loro. Era come se… li avesse cancellati.
Lei
non voleva fare del male a nessuno, erano stati gli
altri a fargliene a lei, quando aveva fatto quell’incidente.
Era
successo tutto così in fretta, però era una delle
cose
che per prima aveva ricordato, con terrore e spavento.
La
strada era buia e stava ascoltando una canzone che
aveva subito associato ad una dei Tokio Hotel, di cui però
non sapeva il
titolo, e piangeva. Non sapeva perché, ma ricordava solo che
piangeva guidando
la sua porche grigio metallizzata. In un attimo aveva visto dei fari
abbaglianti che le venivano incontro a folle velocità, nella
sua corsia, e poi
l’impatto, sordo e tremendo, e la sua macchina che si
accartocciava, lei che
miracolosamente si era salvata.
Tremò
aprendo gli occhi e si alzò dal gradino, scuotendo
la testa per mandare via quei ricordi.
Per
esempio, perché riusciva a ricordare quell’evento
terribile, che avrebbe di gran lunga preferito non ricordare affatto,
piuttosto
che eventi felici che non ricordava, come il suo decimo compleanno? Al
suo
posto c’era il vuoto, come se non avesse mai vissuto quella
giornata.
Aveva
rimuginato molte volte su quell’aspetto, sul voler
sapere e non voler sapere. Chissà quante cose che magari
voleva sapere poi si
sarebbero trasformate in cose che non avrebbe voluto sapere.
Anche
i ricordi con quei ragazzi a cui era così attaccata
e così decisa a voler ricordare si sarebbero rivelati solo
dolorosi? Sarebbe
stata l’ennesima delusione?
Chissà.
Non
le importava in quel caso, perché aveva visto negli
occhi del ragazzo rasta della sofferenza quando lei non era riuscita a
riconoscerlo, e voleva, chissà per quale motivo, renderlo
felice e dirgli: «Sono
riuscita a ricordare, so chi sei e cosa abbiamo passato
assieme!».
Chissà
se poi quelle parole sarebbero state la verità,
dopotutto.
Chissà
se sarebbe stata così felice dopo aver ricordato, o
se invece sarebbe stata peggio, come quando aveva voluto sapere della
sua
famiglia e aveva scoperto che i suoi erano divorziati da molto tempo e
che si
erano riavvicinati molto quando lei era stata male.
Chissà.
Tutto
era diventato incerto nella sua vita, da quando
aveva avuto l’incidente, e non sapeva mai come affrontare il
presente e il
futuro, a causa di quei buchi in testa che le toglievano esperienze ed
errori
che magari poteva evitarsi se li avesse ricordati.
Ma in
fondo, era così importante il passato? Era così
importante ricordare?
Jinny
aveva diciotto anni, lo sapeva, ma per lei era come
essere appena nata e conoscere già molte cose. Per il resto
doveva ancora
imparare e ricominciare da capo. Allora perché non
ricominciare davvero, senza
essere influenzata dai ricordi, come se si partisse di nuovo da zero
senza
guardarsi indietro?
Jinny
sorrise vedendo Camilla sdraiata sul divano, che
dormiva. Appoggiò silenziosamente la borsa a terra e prese
il lenzuolo del suo
letto che chissà come mai era lì e glielo
sistemò addosso.
Ce
l’avrebbe fatta a ricominciare, lo stava già
facendo.
***
«Jinny,
sei sicura di voler uscire
stasera?»
«Sì,
perché?», si sistemò il
vestito nero sui fianchi, non facendo molta attenzione
all’amica.
«No,
sai, tanto per sapere.»
«Camilla,
non ho paura di uscire,
ho paura di guidare.»
«Ok,
ma vedi di non bere niente!»
«Non
avevo bevuto, tanto per
ricordatelo.»
«Sì,
lo so, però…»
«Camilla,
vatti a preparare, o
faremo tardi.»
«Ok,
mettiti quegli stivali, ti
stanno da Dio!»
«Quali,
quelli al ginocchio, di
pelle, con il tacco?»
«Esattamente
quelli!»
«Sì,
tanto avevo intenzione di
mettermeli.»
«Ok,
allora metto un po’ di matita
e le scarpe e andiamo.»
«Sì,
brava.»
Camilla
uscì dalla camera di Jinny
e si diresse nella sua, per fare come aveva detto, quando il suo
cellulare
squillò e la costrinse a deviare la rotta, girando per il
salotto.
«Pronto?»
«Ehm,
ciao Camilla! Sono io, Bill.»
«Oh,
ciao!»
«Che
fai?»
«Mi
stavo preparando per uscire con
Jinny.»
«Dove
andate di bello?»
«C’è
l’inaugurazione di un nuovo
locale in centro e abbiamo deciso di farci un salto, giusto per vedere
com’è.»
«Vi
dispiace se ci uniamo a voi?
Non abbiamo niente da fare!»
«No,
almeno non per me.»
«E
per Jinny è ok?»
«Un
attimo, glielo chiedo.»
Si
girò e vide Jinny sistemarsi una
collana, le treccine che le cadevano sul viso.
«Jinny,
ti dispiace se vengono
anche i Tokio Hotel?»
«Uhm,
no», scrollò le spalle, anche
se al solo pensiero di rivedere quel ragazzo le erano venuti i brividi.
«Bill,
sta bene anche a lei.»
«Ok,
perfetto! Allora ci becchiamo
lì!»
«Sì,
ciao.»
Camilla
mise il cellulare nella
borsa e poi guardò l’amica che cercava il suo,
trovandolo poi sotto al cuscino
del divano.
«Perché
mi guardi così?», le chiese
osservandosi.
«No,
non è quello: sei perfetta.
Però… davvero non ricordi niente?»
«Dovrei?»
«Beh…
forse sì, forse no.»
«Vedo
che anche tu hai le idee
chiare!»
«È…
complicato.»
«Come
tutto ormai. Dai Camilla,
muoviti, ho voglia di divertirmi stasera.»
«Se
lo dici tu…», chinò il capo e
andò in camera sua.
***
«Tom,
sei nervoso?»
«No,
figurati!»
«Non
esserlo, per favore, sei
irritante», lo allontanò Bill.
«Come
sei di conforto, grazie!»
«Faccio
del mio meglio», sorrise.
Tom
sbuffò e scosse la testa,
quando la macchina si fermò di fronte al nuovo locale
già gremito di gente.
Scesero
ed entrarono, alcune
ragazze li riconobbero e li salutarono con tanto di baci ed abbracci,
ma ormai
ci erano abituati. Tom nemmeno ci era stato a pensare, aveva subito
cercato con
lo sguardo Jinny: aveva una voglia assurda di vederla.
Notò
una ragazza passare in mezzo
alla folla che si scatenava in pista, diretta verso i bagni, ma fu per
una
frazione di secondo e non riuscì a distinguerla da tutte le
altre.
«Camilla
è là, vieni», lo trascinò
il fratello.
Era
seduta su un divanetto, le
gambe accavallate, lasciate scoperte da un vestito abbastanza corto.
«Ciao!»,
la salutò entusiasta Bill,
sporgendosi per baciarla, lei ricambiò con un bacio a fior
di labbra.
«Ciao
ragazzi!»
«Ciao…»,
dissero gli altri fissando
lei e Bill con la fronte corrugata. Tom alzò le spalle,
incurante, e cercò
ancora Jinny.
«Ma
Jinny dov’è?», chiese Georg al
posto suo.
«È
andata un attimo in bagno»,
rispose Camilla fissando Tom.
Sapeva
perché lo guardava in quel
modo, così la evitò e guardò alcune
ragazze ballare. Erano anche carine, ma
nessuna lo stimolava come riusciva a fare Jinny.
«Ehi
bambola!»
Tutti
si girarono e videro Jinny
fermarsi a parlare con un ragazzo, quello che l’aveva
chiamata in quel modo che
Tom trovò odioso e così poco adatto alla sua
figura elegante e delicata.
Quando
si liberò dell’impiastro si
diresse verso di loro con un sorriso che a Tom fece male, molto male,
perché non
era solo per lui, ma per tutti, ed era per quello che fece molto
più male.
«Ciao
a tutti, che casino che c’è!»
Era
bellissima, Tom non riusciva a
staccarle gli occhi di dosso. Indossava un vestito nero lungo fino a
metà
coscia, degli stivali neri di pelle, lunghi fino al ginocchio, con il
tacco,
che gli fecero venire i brividi, e intorno alla vita una cintura
argentata,
come l’ombretto che le accarezzava gli occhi.
«Chi
era quello?», chiese Camilla
alzando un sopracciglio.
Jinny
si guardò intorno e adocchiò
ancora il ragazzo che l’aveva fermata, causando in Tom una
reazione che ben
conosceva ormai: la cosiddetta gelosia.
«E
io che ne so?!», ridacchiò.
«Beh,
Jinny, vestita così fai
colpo», disse Gustav.
Ci si
metteva pure lui?! Tom gli
lanciò un’occhiataccia e lui nascose un sorriso
divertito.
«Splendore,
vieni a ballare o no?»,
le chiese un altro ragazzo, mettendole le mani sulle spalle nude.
«Sì,
perché no?», lanciò
un’occhiata a Camilla e mosse la mano e in labbiale disse che
era carino mentre
si avviava con lui in pista, tenendogli la mano.
«Dio,
uccidili tutti, ti prego!»,
esclamò Tom buttandosi sul divanetto e prendendo il
bicchiere che aveva in mano
Camilla.
«Compreso
te?», gli chiese ridendo,
guardandolo bere tutto d’un fiato la bevanda.
«Sì,
già che c’è»,
sollevò le
spalle.
«Ma…
sbaglio o Jinny…», Georg
indicò le sue curve con le mani, sorridendo maliziosamente.
Tom gli tirò un
pugno sulla spalla, accecato dalla rabbia.
«Ehi!
Io facevo solo
un’osservazione!»
«Non
ti permettere nemmeno di guardarla!»
«Cioè…
tu ti fai i film porno
quando la vedi e io non posso nemmeno guardarla?»
«Io
posso», unì le braccia al
petto, offeso.
«Sì,
comunque», disse Camilla
annuendo. «È diventata più…
donna, si vede. Cazzo, in questi mesi ha raggiunto
la mia taglia di reggiseno! Tra un po’ mi supera!»
Quella
frase attirò lo sguardo di
tutti sul suo seno, lei diventò tutta rossa e
abbracciò Bill per nascondersi,
che rise sotto i baffi.
Tom
guardò Jinny ballare assieme a
quel tipo, muovendo i fianchi e sorridendo ogni tanto. Già,
era diventata
proprio una donna, una bellissima donna, ma dentro era sempre la solita
ragazzina, la sua piccola Jinny.
La
canzone, ovviamente resa
ballabile nelle discoteche, che accompagnava i suoi movimenti
così perfetti e
sensuali non la conosceva, ma ne capì alcune parole,
ferendolo in un modo
inaspettato:
You
can’t walk back in my life
You had
your chance to be by my side
I don’t
have to hear you cry to know
Just go
I gave
you my word and I promised to love you
Go,
it’s over
You had
your chance
Just go
There’s
nothin’ inside me that still feels connected to you
To me
you’re already gone
Jinny,
dal canto suo, non poteva
fare a meno di gettare qualche occhiata al divanetto sul quale
c’erano Camilla
e i ragazzi. Il tizio con cui ballava era carino, ma mai come Tom. Lui
era così
semplicemente bello che se ci pensava le veniva l’acquolina
in bocca.
Una
volta di più in quella giornata
volle ricordare, così chiuse gli occhi, lasciandosi
trasportare dalla musica, e
tentò di concentrarsi, ma non ci fu nulla da fare.
Le
salì un magone in gola e i suoi
occhi si spensero. Sentiva che era importante, ma finché non
sapeva cosa non
riusciva a definire quanto
fosse
importante.
«Qualcosa
non va, splendore?», le
chiese il ragazzo che ballava con lei, posandole le mani sui fianchi.
«Sì,
non mi va più di ballare,
scusa», si liberò dalla sua stretta e
andò da Camilla.
Notò
lo sguardo di Tom addosso,
arrossì ma nessuno lo notò a causa delle luci di
vari colori che illuminavano
la sala.
«Camy,
andiamo a casa?», le chiese
toccandole il braccio.
«Perché,
che hai?»
«Niente,
io…»
«È
stato quello là?», chiese Tom,
sembrava pure incazzato. «Perché se è
così dimmelo che lo pesto!»
Jinny
rimase spiazzata dal suo
comportamento e non disse niente. Che poteva dire? E perché
si comportava in
quel modo? Come se fosse… geloso. Nemmeno si conoscevano
e… Forse era lei a non
ricordare lui, ma si conoscevano.
«Camilla,
per favore.»
«Ma
io volevo restare!»
«Va
bene, come vuoi», Jinny prese
le chiavi della macchina dell’amica e la guardò
facendole girare intorno al
dito.
«No,
tu sei proprio matta se cedi
che ti lascerò guidare!», si alzò in
piedi di scatto e le strappò le chiavi di
mano.
Jinny
sospirò di sollievo, perché
avrebbe fatto una figuraccia se il suo piano non avesse funzionato. Lei
aveva
paura di guidare e non lo avrebbe fatto molto presto.
«Bene,
allora andiamo a casa, mi
manca l’aria.» Cercò la sua giacca nera
e la vide dietro a Tom.
E
ora?
L’unica
cosa che le venne in mente
di fare fu prenderla, sporgendosi su Tom e sfiorandogli la schiena con
la mano
per afferrarla. Quando si trovò con il viso accanto al suo
orecchio, rimase
ferma un istante, ricordando quel profumo, e sussurrò, in
modo tale che nessuno
se ne accorgesse:
«Chi
sei?», quasi sconfortata, gli
occhi tristi, poi si alzò e guardò Tom in viso.
Altro brivido, altra scossa
elettrica.
«Adesso
muoviti però!», disse
Camilla tirandole un pizzicotto.
«Sì,
a-arrivo», scosse la testa e
raggiunse l’amica, lo sguardo incantato in quello di Tom,
visibilmente rapito e
sorpreso anche lui.
E ora?
-----------------------------------------------------
Nota:
La canzone presente in questo
capitolo è Just
go, di quel gran figo
di Jesse McCartney. Vi consiglio di sentirla. Se qualcuno vuole sapere
che cosa
vuol dire, la traduzione, fatta da me ovviamente, quindi non vi fidate
troppo! Ma
il succo è questo: Tu
non puoi tornare
nella mia vita / Hai avuto la tua possibilità di stare al
mio fianco / Non ho
bisogno di sentirti piangere per sapere / Vai / Ti ho dato la mia
parola e ho
promesso di amarti / Vai, è finita / Tu hai avuto la tua
possibilità / Vai / Non
c’è niente dentro me che mi fa sentire ancora
connesso a te / Per me tu sei già
andata.
|
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Capitolo 3 *** Prime luci nell'oscurità ***
Nota:
3° Capitolo! Ciao a tutti! Grazie
per le recensioni al secondo capitolo: Scarabocchio_
(la mia Socia… Ti
voglio bene! ^^ Un bacione!) e Ladysimple
(Ciao! Eheh… Non ti
preoccupare, e poi non sembrava
davvero il sequel… Va bè, l’importante
è che tu ora lo sappia e che ti piaccia,
cosa più importante, e ancora più importante
è che tu mi lasci un sacco di
recensioni ^^ Lo so che non è giusto che Jinny abbia
dimenticato Tom, ma che ci
vuoi fare… è così.)
Alla prossima,
grazie a tutti! E continuate a seguire! ^__^ Ary__<3
-------------------------------------------------------------
3
Prime luci nell’oscurità
Non
credeva di essere riuscito ad
uscire senza l’autorizzazione di Benjamin, che non gli
avrebbe mai dato, e
senza guardie del corpo, e ancora meno credeva di essere riuscito a
scoprire
quale fosse la sua scuola e i suoi orari, e di esserci di fronte.
Erano
anni che non vedeva una
scuola e fu stranamente a disagio trovandosene una davanti. Gli aveva
portato
alla mente amari ricordi, come le risse in cortile per difendere Bill
che veniva
sempre preso in giro dai bulli più grandi perché
dicevano che sembrava una
femmina quando si truccava e si metteva lo smalto. Quante botte avevano
preso
lui e Andreas per proteggerlo!
Ma
l’amaro in bocca sparì appena
vide Jinny uscire con altri studenti dalle porte vetrate e scendere le
scale
fra due leoni di marmo bianco.
Era
una bellissima giornata di sole
e l’aria era fresca e profumava di primavera. Si sentiva
felice e forse la
causa, oltre l’arrivo della primavera, di cui non si era mai
interessato
troppo, era proprio vedere Jinny sorridere e ridere con una sua
compagna di
classe, prima che si separassero.
Lui
era appoggiato alla sua
macchina, sotto l’ombra di un grande ciliegio in fiore.
Riusciva a vedere bene
Jinny dalla propria posizione, e sperava che anche lei riuscisse a
vederlo e
soprattutto a riconoscerlo, siccome aveva gli occhiali da sole scuri e
il
cappellino calato sul viso più del solito per non farsi
riconoscere da
possibili fans, che l’avrebbero riconosciuto comunque se
avessero voluto.
Trovò
Jinny bellissima con le
treccine sciolte, che le arrivavano fino al gomito, libere di andare di
qua e
di là, seguendola in ogni movimento, nonostante lei dovesse
tirarsele indietro
ogni tanto perché le cadevano sul viso; anche il modo in cui
le spostava gli
piaceva.
Aveva
una maglietta semplice rossa
e dei pantaloncini pinocchietto a quadretti bianchi e rossi, scarpe da
ginnastica bianche.
Quanto
le era mancata… Era così
felice di averla di nuovo accanto, però non era
più la stessa cosa, perché lei
lo vedeva quasi come un estraneo. Era una sensazione bruttissima, ma
anche per
lei non doveva essere bello non ricordare.
Quando
Jinny alzò la testa incrociò
subito il suo sguardo e si fermò in mezzo alla scalinata,
mentre gli altri
studenti le passavano accanto indisturbati, proprio come se non
esistesse,
senza chiedersi perché lei fosse ferma.
Sentì
un brivido e quella
sensazione non le fu nuova: quella di rabbrividire per lui era normale,
ma ciò
che l’aveva fatta tremare in realtà era stato
sapere inconsciamente che si era
già sentita isolata dal mondo quando incontrava i suoi
occhi, che quella non
era la prima volta, ma non ricordava esattamente quando e
perché, sapeva solo
che era successo.
E
quando Tom le sorrise fu come
vedere aperte le porte del paradiso: un sogno ad occhi aperti, solo
molto più
bello e reale.
Qualcosa
la spingeva da lui,
qualcosa tendeva ad allontanarla. Così, incerta, si
avvicinò e si guardò
intorno prima di salutarlo, ma era proprio lei che aspettava:
un’ondata di
gioia e un inspiegato rancore la travolsero.
«Ciao»,
disse.
Ah,
la sua voce… Quanto aveva
sognato, Tom, quel melodioso suono, e gli sembrava un sogno sentirsi
salutare
in quel modo timido e dolce, invece che in uno scorbutico e pieno di
rabbia,
come aveva sempre immaginato che fosse il loro primo saluto dopo la
loro
separazione.
«Ciao,
Jinny.»
«Che
ci fai qui?»
«Ti
porto a casa», aprì la portiera
e la invitò ad entrare, ma lei rimase ferma a fissarlo.
«Beh,
che c’è?», chiese intimorito
da quello sguardo indagatore.
Ma
cosa si aspettava, che lo
accogliesse a braccia aperte e che accettasse un invito che poteva
essere così
esplicito da praticamente un estraneo? Si era illuso un’altra
volta e prima o
poi si sarebbe fatto davvero male.
Jinny
spinse la portiera e la
chiuse, poi tornò a guardare Tom.
«Ma
tu chi sei?», gli chiese.
«Questa
domanda me l’hai già fatta,
l’altra sera.»
«E
allora rispondimi.»
«Camilla
ha detto di non dirti
troppe cose assieme e/o cose che potrebbero traumatizzarti.»
«La
tua identità mi dovrebbe
traumatizzare?»
«No,
non intendevo quello!», si
lasciò scappare un sorriso. «Io volevo dire che
sentirti dire certe cose così
all’improvviso potrebbe essere…»
«Scusa
se ti interrompo, ma
potresti toglierti gli occhiali?»
«E
perché? Che hai contro i miei
occhiali?»
«Contro
i tuoi occhiali nulla, ma
mi innervosisce parlare con una persona e non guardarla direttamente
negli
occhi.»
Si
ritrovò a sorridere, poi a
ridere a crepapelle, così tanto da doversi appoggiare alla
macchina.
«Che…
Perché ridi?»
«Sei
sempre la solita, Jinny. Mi
facevi sempre queste menate assurde.»
«E
tu… mi ascoltavi?», chiese
trovando un sorriso a sorprenderla sulle proprie labbra.
«No,
assolutamente no!»
«Ah,
bene. Ma noi due andavamo
d’accordo?»
Si
trovarono di nuovo a ridere, ognuno
per un motivo proprio: Tom perché aveva pensato a tutti i
momenti in cui alternavano
litigate da record a situazioni davvero romantiche nelle quali erano
complici e
anche amanti perfetti; Jinny perché aveva semplicemente
sentito l’istinto di
ridere di fronte a quel ragazzo che sprigionava allegria da tutti i
pori, e in
più si era accorta che stavano discutendo amabilmente del
suo, del loro,
passato che non ricordava.
«Allora,
che fai? Ti accompagno a
casa o vai a piedi?», chiese Tom dopo che si furono calmati
un po’.
«Mamma
dice di non accettare
passaggi dagli sconosciuti, ma credo proprio che tu non lo sia,
vero?»
«No,
infatti», disse amaramente,
abbassando lo sguardo.
«Mi
dispiace, io vorrei ricordare,
ma…»
«No,
Jinny, non è colpa tua. Solo
che… ecco, questa situazione è un po’
strana.»
«Per
te?»
«Per
me, per te, per tutti, credo.»
«Uhm.»
«Allora,
che hai deciso? Sai, io
avrei anche un lavoro e questa è la mia pausa
pranzo.»
«Non
mi pare che qualcuno ti abbia
chiesto di venire qui, o mi sbaglio?»
«No,
non ti sbagli, ma continui a
non rispondermi.»
«Tu
ti togli gli occhiali?»
«Mi
ero dimenticato di quanto
potessi essere insopportabile a volte!», sbuffò,
ma se li tolse comunque. «Contenta
adesso?»
Cavolo,
aveva degli occhi stupendi,
da togliere il fiato, seppure non avessero nulla di particolare,
riuscivano a
trasmettere un qualcosa di unico, quasi magico, che ancora Jinny non
riusciva
bene a definire. O forse era solo il normale effetto che avevano su di
lei
quegli occhi nuovi ma ben conosciuti in qualche parte perduta di lei?
«Sì,
sono contenta, perché hai
degli occhi troppo belli per essere nascosti in questo modo.»
Tom
arrossì impercettibilmente, e
per nascondere anche quel piccolissimo segno di debolezza di fronte
alla sua
Jinny fece un sorriso malizioso.
«E
secondo te perché li nascondo?
Se le fan dovessero catturarmi e tenermi in una gabbia dorata per
l’eternità te
la vedrai tu con Bill e gli altri?»
«Oh,
ma bene! Io ti faccio un
complimento e tu nemmeno mi ringrazi?»
«Grazie»,
sorrise sincero.
Jinny
si incantò di fronte a quella
specie di ottava meraviglia e qualcosa nella sua testa
scattò riportandola ad
una pizza e ad un Tom che le sorrideva in quel modo, seduto accanto a
lei. Ma
quello fu solo un breve ritaglio di tutta la scena, il resto era
confuso e
sfuocato.
«Jinny,
stai bene?», le chiese Tom
allungando un braccio per sorreggerla, ma non ce ne fu bisogno: Jinny
scosse la
testa e lo guardò corrugando la fronte.
«Tu…
ti piace la pizza con… con le
patatine fritte?», chiese confusamente, sentendosi in
imbarazzo per quella
domanda stupida.
«Oddio,
Jinny, ti sei ricordata di
me?!» Voleva saltare dalla gioia.
«No,
non proprio… Mi sono ricordata
solo della pizza e di quel sorriso che mi hai fatto prima, era
identico.»
«Oh,
beh, è un passo avanti!»
«Già»,
sorrise timida, abbassando
lo sguardo sui propri piedi.
«E
qui ritorniamo alla solita
domanda: vuoi questo passaggio o no? Mi sono tolto pure gli occhiali,
sto
rischiando la vita!»
«Se
rischi la vita per darmi questo
passaggio devi tenerci davvero molto.»
«Beh…
sì, è così.»
Jinny
arrossì di colpo e quasi
rimase a bocca aperta davanti a quella confessione.
Ma
perché lei non riusciva a
ricordarlo? Cosa c’era stato tra loro? Perché
doveva subire tutto quello? Era
un’agonia.
«Chi…
chi ti dice che devo andare a
casa?», glissò abilmente.
«Allora
ti accompagno dove devi
andare.»
«Ok,
credo che facevi prima a costringermi
a salire in macchina, visto che non mi dai altra scelta!»
«Già,
ma io sono un cavaliere. Dai,
sali», le aprì ancora la portiera e Jinny si
infilò in auto portandosi la borsa
a tracolla sulle gambe.
Appena
si mise seduta e si guardò
intorno un altro flashback si impadronì di lei: era buio e
c’erano loro due in
macchina, che parlavano, poi Tom le aveva sfiorato la guancia e il
ricordo si
era spezzato all’improvviso, ricordandole molto il
fastidiosissimo episodio che
le era capitato qualche settimana prima quando il segnale
dell’antenna se n’era
andato a causa del temporale lasciando lei e Camilla senza tv.
C’era già stata
in quella macchina, ma non sapeva né quando né
perché.
«Tom…»
«Uhm?»
«Portami
a casa», disse guardando
fuori dal finestrino.
«Che
è successo? Hai ricordato
qualcos’altro?»
Jinny
scosse il capo e Tom sospirò
perché era evidente che avesse ricordato qualcosa, ma che
non glielo volesse
dire. Forse aveva ricordato le lacrime che aveva versato per lui, forse
proprio
il loro addio…
Mise
in moto e l’accompagnò a casa,
nel silenzio più religioso che potesse esserci. Ogni tanto
lui la guardava con
la coda dell’occhio, ma non trovava mai il suo sguardo,
sempre perso fuori dal
finestrino, quindi si trovava a fissare le sue treccine e a sorridere
pensando
che se già quand’erano lunghi le davano fastidio e
si lamentava, chissà adesso!
«Quando
ti sei fatta le treccine?»,
le chiese.
«Cosa?»,
si girò e lo guardò
sorpresa. «Non ti stavo proprio ascoltando.»
«Sì,
l’avevo notato. Ti ho chiesto
quando ti sei fatta le treccine.»
«Oh,
un po’ di tempo fa, dopo
l’incidente», si tirò ancora indietro
due treccine che le sfioravano il viso.
«Ma già non le sopporto più.»
«Ci
avrei scommesso», mormorò
sorridendo.
«Eh?»
«No,
niente.»
«Invece
hai detto qualcosa.»
«Ho
detto che ci avrei scommesso.»
«Ah.
Sembra che tu sappia molte
cose di me. Ma da quanto ci conosciamo?»
«Un
po’.»
«Un
po’, quanto?»
«Jinny,
non credi di esserti
sforzata troppo oggi?»
«Tom,
ti prego.»
Sospirò.
Lei che pregava lui, dopo
tutto quello che le aveva fatto e di cui lei non ricordava nulla. Gli
sembrò
assurdo, uno stupido sogno dal quale si sarebbe risvegliato da
lì a poco con la
delusione nel cuore.
Parcheggiò
di fronte al suo portone
e spense il motore. Si girò meglio verso di lei e la
guardò negli occhi.
Com’erano
belli quegli occhi verdi
che gli erano tanto mancati, che tanto aveva sognato e desiderato
vedere, nei
quali aveva sperato di rispecchiarsi ancora, un giorno, ed ora erano
lì, di
fronte ai propri.
«Noi
abbiamo vissuto nella stessa
casa per due mesi, la scorsa estate, è da allora che ci
conosciamo.»
L’espressione
sbigottita ed
incredula di Jinny cambiò rapidamente in una sinceramente
divertita.
«Mi
stai prendendo in giro?»
«No,
è vero.»
«Cioè…
io e te, da soli, nella
stessa casa?»
«No,
in verità non c’eravamo solo
noi due: c’erano anche Bill, Georg e Gustav.»
«Il
resto dei Tokio Hotel?»
«Sì,
loro.»
«Ma
com’è possibile?»
«La
storia è molto lunga e…
pazzesca, se ci penso!»
«Ti
prego, raccontamela.»
«Davvero,
Jinny, non credo sia il
caso, per oggi è abbastanza. Magari domani.»
«È
solo una scusa perché tu mi vuoi
vedere anche domani», disse imbronciata e con un filo di
rossore sulle guance.
«Domani,
e dopodomani, e il giorno
dopo ancora… Jinny, mi sei mancata tantissimo.»
«Cosa?»
«Lo
so che non puoi capire ancora,
ma… avevo bisogno di dirtelo. Ho fatto molti sbagli, con te,
ma non voglio più
ripeterli, te lo assicuro.»
«Io
non ci sto capendo niente, lo
sai?»
«Sì,
lo so, ma non importa», le
accarezzò la guancia e le spostò dal viso una
treccina ribelle, sorridendo.
«A
domani, Jinny», le sussurrò
prima di baciarla appena sullo zigomo.
Jinny
si paralizzò sul sedile sentendo
le labbra del ragazzo a contatto con la propria pelle, arrossendo
violentemente
sulle guance e su tutto il viso in generale.
Le
sue labbra… com’è che le
ricordava così bene eppure non sapeva di averlo mai baciato?
Nonostante
l’ennesimo buco nella sua memoria si sentì felice
e con le farfalle nello
stomaco quando incrociò i suoi occhi sereni.
«Hai
ricordato qualcos’altro?», le
chiese sollevando un sopracciglio.
«Cosa
te lo fa pensare?»
«Non
so, sorridi in quel modo…»
«No,
adesso sorrido perché ho
voglia di sorridere, non c’entra nulla il mio passato. Ciao
Tom, chiunque tu
sia, ci vediamo domani.» Gli sorrise e aprì la
portiera della macchina per
scendere.
«Ciao…
piccola», disse Tom.
Jinny
si fermò ad occhi sgranati,
di spalle alla vettura. Era così che la chiamava
sempre… aveva ricordato la sua
voce mentre le parlava piano, lei fra le sue braccia, stretta a quel
calore che
le provocò dentro tanta nostalgia.
Si
girò di colpo e lo fissò, senza
sapere bene che fare. Si schiarì la voce, quella poca che
aveva a causa
dell’imbarazzo, e disse:
«L’amore è
come… un’onda»,
tremò.
«Me l’hai
detto tu, vero?»
Tom
scese dalla macchina di corsa e
l’abbracciò, nascondendole il viso nel suo petto,
stringendola forte.
Le
era mancata tantissimo e un
qualcosa di lui, in lei, stava riaffiorando, pian piano. Poteva
sperare, poteva
davvero credere che insieme ce l’avrebbero fatta, che con un
po’ di fortuna e
molta fatica sarebbero riusciti a ricominciare da capo, senza badare
agli
errori, solo tenendoli presenti per non ricascarci di nuovo.
***
Camilla
gli sfiorò i capelli con le
labbra, sorridendo, per poi passare baciargli il viso e le labbra,
mentre le
sue braccia la avvolgevano in un abbraccio.
«Non
corriamo un po’ troppo?»,
sussurrò lei.
Si
guardarono negli occhi e
scoppiarono a ridere, alternando altri baci alle risate.
«Tu
credi?», le chiese.
«No,
per niente.»
«E
allora?»
«È
stato bello… lo vuoi il secondo
round?»
«Mmm,
magari…», le accarezzò i
capelli e le catturò ancora le labbra fra le sue.
Sentì
il proprio cellulare suonare
e allungò il braccio senza aprire gli occhi, lasciandosi
baciare da lei,
andando a tentoni sul comodino.
«Camilla?»
«Uhm?»
«Mi
daresti il tempo di vedere chi
rompe?»
«Ok,
ma solo un minuto.»
«Grazie.»
«Ti
scoccia se io mi accuccio
qui?», si sistemò meglio con la testa sul suo
petto e gli sorrise.
«No,
per niente.»
«Bene.
Ora guarda chi è e muoviti.»
«Stai
calma, zuccherino.»
Camilla
ridacchiò a quel soprannome
e Bill controllò il messaggio che gli era arrivato:
Bill,
sono di fronte alla
sua scuola, ciò vuol dire che tra poco è a casa.
Ti aspetto giù, stronzo che se
la fa con la migliore amica di Jinny e io non faccio proprio un bel
niente.
Bill
trattenne una risata e un
insulto che avrebbe di certo rivolto al fratello appena lo avrebbe
visto.
Menomale
che era lui il Sex-Gott
tanto discusso! Adesso si lamentava perché Bill faceva sesso
con la ragazza che
gli piaceva, perché, sì, Camilla gli piaceva sul
serio, e lui no con Jinny? Era
anche il minimo dopo quello che le aveva fatto passare, e visto che non
ricordava nulla.
«Chi
era?», chiese Camilla.
«Tom.
Dice che è andato a prendere
Jinny a scuola e tra un po’ è a casa. Quindi, devo
andare.»
«Davvero
Tom vuole raccontarle
tutto? Non crede che quando saprà quello che
c’è stato fra loro e quanto lui
l’ha fatta soffrire vorrebbe cancellarlo apposta dalla sua
testa?»
«È
sempre stato corretto con lei, e
non vuole fare diversamente. È innamorato sul
serio.»
«Beh,
spero vivamente per lui che
non faccia altre cavolate. Ah, mi dici perché dobbiamo fare
i clandestini?»
Bill
alzò le spalle e si rese conto
di non aver mai pensato seriamente a quel fatto: era già da
un po’ che si
vedevano, eppure lo avevano sempre tenuto nascosto a Jinny.
Perché? Boh. Era
stato così la prima volta per i vari imbarazzi, ma
adesso… non ce n’era motivo!
«Glielo
dici tu?»
«Ok,
per me va bene. Crede ancora
che stia con quell’altro!»
«Ti
ordino di dirglielo, perché tu
sei solo mia», la baciò ancora con ardore e venne
tentato dal suo corpo che
aderiva al proprio.
«Devo
andare», sussurrò e si levò
le coperte di dosso.
In un
attimo si vestì, ma si
accorse che c’era qualcosa che mancava, un dettaglio
fondamentale.
«Camilla?»,
alzò il sopracciglio.
Lei lo guardò finta ingenua, la testa sulla spalla e gli
occhi da cerbiattina
indifesa.
«Mi
servirebbe la maglietta che hai
addosso.»
«Oh,
questa? Non posso tenerla?»
«Non
so, vuoi farmi andare in giro
a petto nudo?»
«Nessuno
ne risentirebbe, anzi»,
alzò le spalle con gli occhi al soffitto e un sorriso
birichino.
«Ne
risentirebbe la mia voce se
scomparisse, sai com’è, faccio il cantante. Senza
contare i danni psicologici
derivanti dalle ramanzine di David e Benjamin che subirei,
ovviamente.»
«Beh,
in questo caso… vieni a
prendertela», sorrise pure con gli occhi e si nascose di
più fra le lenzuola,
ridendo piano.
«Oh,
Camilla, mi farai impazzire!»
Si
gettò sul letto e la prese dopo
un po’ di combattimenti e cuscinate. Si guardarono negli
occhi con il sorriso
sulle labbra e Bill fece scorrere le proprie mani sui suoi fianchi,
tirandole
via la maglietta. Si chinò sul suo petto e lentamente la
baciò dappertutto,
sentendola sospirare ogni tanto, ad occhi chiusi.
«Devo
proprio andare, mi dispiace»,
le sussurrò all’orecchio.
«Bill…
ti prego…»
«Zuccherino,
lo sai che vorrei
restare, ma non posso.»
«Ma
Bill…»
«Mi
mancherai tanto», le stampò un
bacio sulle labbra e si alzò.
Si
infilò la maglietta e recuperò
il cellulare, mentre Camilla lo seguiva avvolta nel lenzuolo, gli occhi
tristi.
«Ok,
vado.»
Si
avvicinò alla porta e la aprì,
ma poi si girò di nuovo verso l’interno:
guardò Camilla e le fece un sorriso.
«E
dai, non fare quella faccia.
Mica sparisco!»
«Torni?»
«Sì
che torno. Questo è solo un
arrivederci.»
«L’ultima
volta che me l’hai detto
sei tornato dopo otto mesi.»
Bill
chiuse la porta e andò da lei,
la strinse forte e sfregò il naso contro la sua guancia e il
suo collo,
respirandone il profumo dolce.
«Camilla,
tu non sai quanto mi sei
mancata.»
«Bill,
se davvero fosse stato così
mi avresti chiamata, saresti venuto a cercarmi.»
«Allora
potrei dire la stessa cosa
di te!»
«No,
perché ero io la scema che ti
aspettava.»
«E
adesso che mi hai, non ti
basta?»
«Io
ti ho?»
«Sì!»
«Non
sono una fra le tante… di cui
ti dimenticherai quando partirai e avrai tutte le groupie ai tuoi
piedi?»
«Ma
per chi mi hai preso? Io non
faccio queste cose.»
Camilla
sollevò le sopracciglia e
unì le braccia al petto.
«Ok,
qualche volta l’ho fatto, ma
non ero con nessuna ragazza!»
«Noi
due…», stava per chiedere
sbalordita, ma non riuscì nemmeno a terminare la frase a
causa di
quell’improvvisa timidezza, persino tremava.
«Non
lo so, tu vuoi?»
«E
se fosse solo un’illusione,
Bill?»
«Camilla»,
le prese le spalle e la
guardò negli occhi. «Pensa a cosa vuoi e fidati,
sia di te stessa che degli
altri, per una buona volta.»
Si
spostò e uscì dall’appartamento,
senza guardarsi più indietro.
Era
il colmo che una ragazza, anzi,
che proprio Camilla dicesse quelle cose di lui. Non lo conosceva
affatto se la
pensava così.
Però
anche lui era stato piuttosto
duro… non doveva risponderle in quel modo… Ora
che ci pensava si sentiva anche
un pelino in colpa. Dopotutto quelle erano solo paure e lui avrebbe
dovuto rincuorarla,
invece quello che gli aveva detto lo aveva fatto andare in bestia e
aveva
reagito in quel modo.
Beh,
non si poteva tornare
indietro, quindi fece un respiro profondo e scese trotterellando
giù dalle
scale.
Alla
seconda scalinata incontrò
Jinny e si abbassò il cappellino sugli occhi facendo un
sorrisetto. Erano
settimane che passava di lì, che si incrociavano sulle
scale, ma lei non lo
aveva mai riconosciuto. In parte lo divertiva e in parte lo rendeva
triste,
perché Jinny era stata davvero importante per
lui… era diventata la sua
migliore amica col passare del tempo…
«Ciao
Bill», lo salutò allegra,
passandogli accanto, muovendo la testa a destra e a sinistra, lasciando
che le
treccine la seguissero.
Ok,
come non detto.
«Cosa?»,
si fermò in mezzo alle
scale e la guardò, ma lei andò dritta per la sua
strada, senza badare a lui,
era come se fosse su un altro pianeta, oppure come se avesse appena
assunto una
dose consistente di droga, che la faceva vivere in un mondo tutto suo,
felice
ed irraggiungibile.
Se la
immaginò come una hippy, ma
finì per scoppiare a ridere e ad agitare la testa per darsi
una calmata.
«Ciao
Jinny», alzò le spalle e
continuò a scendere le scale con il sorriso sulle labbra.
Stupendo
il modo con cui Jinny
riuscisse a renderlo felice nonostante non si ricordasse di lui,
semplicemente
con i suoi comportamenti tutti speciali ed unici che gli facevano
sempre
ritornare il buon umore e i suoi stati d’animo
così contagiosi.
Uscito
dal portone vide il fratello
appoggiato alla sua macchina scura, lo stesso sorriso da ebete di
Jinny, lo
sguardo felice perso sul cemento di fronte a sé.
«Ma
dico, vi siete drogati assieme
tu e quella svitata di Jinny?», gli chiese portandosi le mani
ai fianchi.
«Uhm?»,
Tom sollevò la testa e il
suo sorriso parve a Bill molto più ampio e da bambino, uno
di quelli che non
vedeva da tempo, semplice e così vero, che gli
riempì il cuore di gioia.
A
quanto pareva la presenza di
Jinny non faceva bene solo a lui: era una droga molto piacevole per
tutti
quanti.
«Drogati?
Ma sei tu che ti sei
fumato qualcosa con Camilla! Forza, dimmi che è successo. E
questa volta voglio
anche i particolari.»
«Tom,
faresti prima a comprarti un
porno», sogghignò.
«Oh,
senti un po’ quali parole
sconce escono da questa boccuccia d’oro!»
Risero
assieme e salirono in
macchina.
«Allora,
le porcate che fate tu e
Camilla me le racconti sì o no?»
«Solo
se prima tu mi dici cos’è
successo con Jinny.»
«Bill,
faresti meglio a comprarti
uno di quei film romantici e mielosi che ti piacciono tanto.»
«Oh,
senti che parole così insolite
escono dalla tua boccuccia tutt’altro che d’oro!
Davvero è stato così
romantico?»
«Jinny
inizia a ricordarsi di me.»
«Davvero?
Che bello!»
«Già,
non vedo l’ora di dirlo anche
agli altri. Da quello che ho visto riesce a ricordare quando vive
episodi che
ha già vissuto in passato, o comunque vedendo o sentendo
qualcosa che le
ricorda il passato, quindi, se sto più tempo possibile con
lei ricorderà molto
più in fretta!»
«Bene,
Tom! Poi che altro è
successo?»
«Niente
di ché. Non è cambiata per
niente, è sempre una rompiballe pazzesca!»
Risero
ancora e dopo fu il turno di
Bill a raccontare e Tom lo costrinse a dire anche i particolari,
dicendogli di
lasciar perdere la timidezza.
Era
stata una pausa pranzo intensa
e piena di scoperte, di felicità e ancora di dubbi, di
ricordi sfuocati, ma
dopo troppo tempo Tom si era sentito vivo davvero. Ed era solo merito
di quella
ragazza magnifica, quella ragazza che amava, la sua piccola Jinny.
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Capitolo 4 *** Ricordare: siamo sicuri? ***
Nota:
Eccomi qui! Premetto che questo
capitolo è per la mia Socia (ovvero Scarabocchio_),
lei lo sa perché, ma lo dirò anche a voi che
siete qui non a perdere tempo,
spero XD Ieri abbiamo litigato e mi sono sentita veramente una stupida
(Non
smetterò mai di dirlo) perché, che cavolo, lei
non c’entrava niente! Me la sono
presa con lei ingiustamente e le chiedo ancora umilmente scusa. Socia,
ti
voglio tanto bene e a causa della mia ex migliore amica che mi ha fatto
soffrire davvero tanto (tu lo sai -.-) adesso ho molta paura di perdere
le
persone a cui tengo. Anche se potrebbe sembrare stupido, strano (Come
noi ^^) e
prematuro dire una cosa del genere, però… ti
voglio davvero bene! Con questo
capitolo a te dedicato spero di farmi perdonare e di farti passare un
po’ di
questo nervosismo che c’è nell’aria,
perché mi piace sentirti quando sei
felice! Bene, ora passo ai ringraziamenti:
Scarabocchio_:
Prima come sempre ^.^ E
beh, scusa, prima a recensire, prima nei ringraziamenti, no? Mi sembra
una cosa
logica. Bene, ti dirò… Bill e Camilla…
eh, che dire senza dire… tutto? Leggi e
vedrai cosa combinano quei due “teneroni sempre in cerca di affetto”.
Continua a seguire, mia
prediletta ^^
Ladysimple:
Ciao! Sono contenta che ti
piaccia. Jinny incomincia a ricordare… chissà se
soffrirà… bah… Leggere! Grazie
mille per le recensioni.
marty sweet
princess: Felice di essere
stata un bel passatempo mentre aspettavi tua madre XD Jinny
(L’hai scritto
giusto!!) ha perso la memoria, fin qui ci siamo, ma siamo davvero
sicuri che
sarà tutto rosa e fiori? Beh, tu spererai di sì,
conoscendoti, però diciamo che…
devi leggere! Eheh, Miss Perfidia colpisce sempre a sorpresa. Dai, mi
aspetto
un’altra bella recensione lunga, perché stai
davvero migliorando! Un bacio,
grazie!
Ringrazio anche
tutti quelli che hanno letto, alla prossima, grazie! Ary
------------------------------------------------------------
4
Ricordare:
siamo
sicuri?
I
giorni passavano e portavano con
loro speranze che aumentavano e sorrisi che non facevano altro che
ampliarsi e
diventare sempre più belli e veri, sinceri e finalmente
felici.
Non
avevano mai visto Tom così
euforico e pieno di vita, iperattivo e pronto a fare qualsiasi cosa. In
più era
da un po’ che non lo sentivano litigare e sbraitare con la
gente. Di solito
quando stava così voleva dire che aveva una vita sessuale
molto attiva, ma
quella volta il sesso non c’entrava niente, non ce
n’era proprio l’ombra.
Strano, eh?
A
loro piaceva quel Tom, e
speravano che rimanesse così per
l’eternità, perché era magnifico
vederlo in
quel modo dopo averlo sopportato nei mesi in cui non era
veramente… vivo. Ora
era più vitale e pieno di energie di prima.
«Ragazzi,
che ore sono?»
«Uhm…
le due meno venti, perché?»
«Oddio,
di già?! Jinny esce
adesso!», gridò sottovoce, per non farsi sentire
da Benjamin che poteva essere
sempre in agguato, pronto a catturarlo e a tenerlo segregato per
l’eternità fra
quelle quattro mura.
Si
alzò e cercò con lo sguardo le
chiavi della macchina. Qualcuno gliele porse e sorrise afferrandole.
«Grazie!»,
disse. Solo quando alzò
lo sguardo si rese conto che quello era Benjamin, pronto anche ad
ucciderlo sul
posto, di fronte al suo gemello e ai suoi migliori amici.
«Benjamin!»,
disse nervosamente,
chiedendo aiuto con lo sguardo.
«Tom.
Posso sapere dov’è che vai
tutti i giorni a quest’ora?»
«A
mangiare!»
«Non
ti sono bastati i quattro
panini alti più o meno come un grattacielo di venticinque
piani che ti sei
mangiato circa un’ora fa?»
«Ehm…»
«Tom
ha il verme solitario», salvò
la situazione Georg.
«Dovresti
curarti, allora.»
«Gli
fa compagnia!», ridacchiò
Bill.
«Già.
Vedi di tornare presto.»
Annuì
e si avviò, quando sentì il
suo cellulare suonare. Lo prese e sobbalzò vedendo il nome
di Jinny sul
display.
Era
in ritardo, ok, ma aveva anche
lui una vita, non era il suo taxi privato! In più doveva
chiamare proprio in
quel momento, con Benjamin nei paraggi?
Il
management lo guardò e gli
indicò di rispondere, alzando un sopracciglio. Lui
ridacchiò nervosamente e poi
curvò le labbra all’ingiù pigiando il
tasto verde.
«Ciao…
Carmen, che vuoi?»
«Carmen?
Tom, guarda che sono
Jinny!»
«Ti
ho chiesto, che vuoi? Sono di
fretta.»
«Bah,
non ti capisco. Comunque non
venire a scuola, oggi sono rimasta a casa.»
«Come
mai?»
«Oggi
è venerdì e a scuola noi facciamo
un venerdì sì e uno no, e questo è
un… venerdì no.»
«Ma
perché non hai avvisato prima?»
«Perché
so come sei tu alla
mattina, l’ultima volta mi hai quasi sbranata! Sembravi un
orso svegliato in
pieno letargo!»
Era
ovvio, l’aveva chiamato alle
sette meno venti di mattina, praticamente all’alba per lui,
quella pazza!
Ricordò
con un sorriso le alzatacce
per niente faticose per andare a fare surf con il sole che nasceva,
solo lei e
lui, fra le onde del mare.
«Oh,
capisco, quindi il locale è
chiuso.»
«Che
cosa? Tom, non è che posso
stare a giocare a Indovina
il messaggio
in codice!»
«Dicevo
che non vengo… al locale. E
quindi… quando riapre?»
«Mi
sto incazzando, ti avverto.»
«Cazzo,
ma mi capisci quando
parlo?! Allora, c’è un mio vecchio…
vecchissimo zio che non vuole che mangio
nel locale dove lavori tu e io lo devo fare di nascosto, quindi,
quand’è che ci
vediamo? Cioè… quand’è che
riapre il locale?»
Jinny
lo stava facendo sudare!
«Oh,
c’è mio zio lì?»
«Vedo
che inizi a capire qualcosa!»
Tutti
lo guardavano e lo mettevano
in ansia, chi più chi meno: c’erano Bill, Georg e
Gustav che volevano scoppiare
a ridere di fronte ai suoi tentativi di mantenere il segreto e quindi
di
salvarsi la vita, facendosi credere pure un dipendente da fast-food. E
poi
c’era Benjamin che, si vedeva dalla faccia, non sapeva
più che pensare: quel
ragazzo stava bene oppure era da curare immediatamente, prima che lo
perdessero
definitivamente?
«Uhm…
stasera il locale è aperto?»,
le chiese allargandosi il colletto della maglia, sentendosi sudare.
«Cosa?
Mi… mi stai chiedendo di
uscire?»
«Probabilmente
sarò lì verso le
otto.»
«Tom!
Noi siamo… amici, non puoi…!»
Il
silenzio che arrivò dall’altra
parte le fece capire molte più cose rispetto a
mezz’ora di parole con lui. Quel
ragazzo era tutto particolare, tutto a modo suo in fondo, prima o poi
si
sarebbe dovuta adattare.
«Oh,
noi eravamo più di semplici
amici, non è così?»
«Senti,
Carmen, ne riparliamo
stasera, va bene?»
«Ok,
ma te la farò pagare. Carmen
non mi piace per niente!»
«Sì,
sì, come vuoi.»
«Ah,
aspetta!»
«Che
c’è ancora?»
«Che
cosa… che cosa mi devo
mettere?», gli sussurrò, come se ci fosse lei con
Benjamin addosso. «Insomma,
questo è un appuntamento?»
«Il
solito andrà benissimo.»
«Uhm,
come vuoi. Allora a stasera.»
«Ciao,
ciao.»
Chiuse
la chiamata e guardò i
quattro paia di occhi che aveva puntati addosso, senza sapere
più cosa
inventarsi: quella ragazza lo aveva prosciugato di qualsiasi inventiva!
Anche
se con lei bisognava averne sempre tanta, doveva ammetterlo.
«Quella
cameriera si è attaccata a
me come una cozza ad uno scoglio», ridacchiò.
«Ha visto che ero in ritardo e…
tack, mi ha chiamato!»
«E
da quando dai il tuo numero di
cellulare alle cameriere appiccicose?» chiese Benjamin.
«Ahm…
da adesso?»
«Sarebbe
meglio che tu non lo
facessi, lo sai bene.»
«Sì,
lo so, ma di lei ci si può
fidare.» Guardò Bill con occhi imploranti, che
dicevano da soli: Aiuto!
Ma
non fu Bill a salvarlo, bensì la
madre di Jinny, Victoria, che bussò alla porta e disse a
Benjamin che c’era un
signore che lo attendeva alla reception.
Sentiva
di amare quella donna!
Quasi quanto sua figlia. Quasi. Per quella volta l’aveva
scampata, ma per
quanto sarebbe riuscito a tenere la bocca ben chiusa?
«Da
dove ti è uscito Carmen?»,
chiese Bill scoppiando a
ridere quando il management fu lontano.
«Intanto
l’ho scampata», gli fece
una linguaccia.
«Non
ci posso credere, ma ti rendi
conto di ciò che hai appena fatto?», chiese Gustav.
«Cosa?»
«Hai
invitato Jinny – sebbene a
modo tuo – ad uscire fuori, questa sera!»
«Oh,
sì…», si grattò la nuca
arrossendo.
«Volevo farlo da un po’.»
«Dove
la porterai?»
«Ancora
devo pensarci, datemi
tempo, adesso sono troppo stanco. Mi ero dimenticato quanto fosse
difficile
quella ragazza!»
***
Jinny
si passò l’asciugamano sulla
testa e sorrise allo specchio, per poi saltellare, in accappatoio, in
camera di
Camilla per avvertirla che quella sera sarebbe uscita con Tom. Non
sapeva
perché ma era felicissima, anche se quella situazione era
davvero strana.
«Camilla!
Indovina?!»
Si
fermò sulla porta, a guardarla
mentre cantava a squarcia gola un pezzo di una canzone romantica e
malinconica,
usando come microfono un cuscino, con addosso solo una maglietta stile
Tom e le
mutande.
«You are the moonlight of my life every
night… Giving all my love to you… My beating
heart belongs to you!!!»
«Ti
prego,
Camilla, così mi deprimi!»
«Se,
come no, hai un sorriso lungo
tre chilometri circa, niente riuscirebbe a deprimerti. Che
cos’è successo?»
«Forse
è meglio di no, se stai
così.»
«Si
tratta di Tom, per caso?»
«Sì!»,
batté le mani di fronte al
viso, saltellando.
«Dai,
spara.» Si tuffò sul letto a
gambe incrociate, spegnendo lo stereo.
«Mi
ha invitata ad uscire,
stasera!»
«Davvero?»,
chiese allibita.
«Sì!»
Camilla
scoppiò a ridere e a
rotolarsi sul letto, le braccia strette intorno alla pancia.
«Perché
ti comporti così?», le
chiese Jinny, ingenua e anche un po’ demoralizzata da quella
reazione.
Cioè,
lei era strafelice, tanto che
voleva gridarlo al mondo, e la sua migliore amica le rideva in faccia?
«Ma
sei sicura che stiamo parlando
della stessa persona?», aveva le lacrime agli occhi da quanto
aveva riso.
«Perché?»
«Tom
non può averti invitata ad
uscire, non è da lui! A meno che non ci sia qualcosa
sotto.»
«Cioè?»
«Cioè
vuole solo portarti a letto e
usa questa tattica! Furbo, però.»
«Ma
perché dici così? Non è
vero!»
«Jinny,
tu non lo conosci!»
«Sì,
sì che lo conosco! Meglio di
te sicuramente!»
«Jinny,
sto solo cercando di
proteggerti!»
«Proteggermi
da cosa?!»
«Da
lui! Da colui che ti ha fatta
star male per più di due mesi, fino a quando hai avuto
l’incidente e te lo sei
dimenticato!»
«No,
io non ti credo, Tom non può
avermi fatta del male! Tu sei solo gelosa perché Tom mi
invita ad uscire e Bill
non lo fa e viene qui solo per spassarsela un po’ con
te!»
E
così Camilla aveva detto a Jinny
che aveva quello strano rapporto con Bill. Le aveva raccontato tutto,
paure e
non, litigate e sorrisi, e non l’aveva presa male, ma adesso
stava usando quel
suo stesso dolore contro di lei.
Era
rossa di rabbia, Camilla non
l’aveva mai vista così. Fra la delusione e la
frustrazione riuscì pure a notare
come potesse essere strana la vita: fino a poco tempo prima avrebbe
scommesso
che invitare a cena una ragazza fosse un comportamento consono a Bill,
non a
Tom! E invece i ruoli si erano invertiti. E la sua migliore amica, che
aveva
sofferto così tanto e aveva pure perso la memoria, si
ritrovava più felice di
lei, che soffriva come mai aveva fatto in vita sua, a causa di un
ragazzo al
quale nemmeno sentiva di essere legata da un qualcosa di più
oltre al sesso.
Jinny
si girò facendo gocciolare
dappertutto le treccine e si diresse a passo spedito verso la sua
camera,
sbattendosi la porta alle spalle.
Una
migliore amica non doveva
comportarsi in quel modo! Doveva gioire se gioiva l’altra,
non distruggerle lo stato
di estasi in cui si trovava! Però…
c’era qualcosa che non quadrava: perché
aveva detto che Tom l’aveva fatta soffrire prima
dell’incidente? Che cosa aveva
fatto? Jinny non lo ricordava e forse aveva fatto male ad arrabbiarsi
con lei
in quel modo, forse avrebbe fatto meglio a fidarsi di lei, invece di
aggrapparsi ad un sogno. Se poi le previsioni di Camilla fossero state
esatte,
cioè che Tom voleva solo portarla a letto, che figura ci
avrebbe fatto? E poi,
con che coraggio sarebbe tornata da lei e dirle: «Avevi
ragione tu»?
Si
tuffò sul letto e affondò la
faccia nel cuscino. Possibile che non avesse nemmeno un ricordo fisico
dei quei
quattro ragazzi? Aveva vissuto con loro per due mesi, non poteva aver
bruciato
tutto! Già la sua memoria era andata in fumo, ci mancava
solo il resto del suo
passato.
Si
alzò e per prima cosa si vestì e
avvolse in un asciugamano quelle cavolo di treccine, che si
trovò ad odiare
ancora di più nel profondo quando una di esse si
incastrò con la finestra che
stava chiudendo.
Iniziò
a svuotare il suo armadio in
cerca di qualcosa di carino da mettere. Sì, Tom le aveva
detto che il solito
sarebbe andato benissimo, ma lei voleva farsi trovare carina da lui.
Arrossì
solo al pensiero e si gettò
alla scrivania per cercare la sua collana portafortuna, che,
però, le aveva
regalato Camilla. Sollevò le spalle e la cercò
fra i cassetti, senza molto
successo, visto il suo poco ordine. Sua madre aveva proprio ragione
quando
diceva che era disordinata in un modo assurdo. Ma lei era
un’artista, viveva
nel suo mondo privato, sopra una nuvola, e non le interessavano i
giudizi degli
altri. O almeno, ci provava.
Infognata
fra milioni di schizzi,
un diario di quando aveva sei anni che non ricordava nemmeno di avere e
altre
cianfrusaglie varie, trovò una collana. Era una collana,
ovviamente, ma non era
quella che le aveva regalato Camilla. La fissò tenendo il
cordino nero,
controluce, e ancora una volta la sua mente venne travolta da un sacco
di
immagini, tutte scollegate fra loro e tutte così vivide da
farle venire i
brividi.
Lei
appoggiata al caldo petto di
Tom, con il sorriso sulle labbra, mentre le accarezzava i capelli; un
mazzo di
girasoli; Bill che si lamentava perché lei aveva appena
detto che erano gli
unici uomini della loro vita ed erano gelosi; Tom che se la rideva
sotto i
baffi, lo sguardo rivolto al pavimento; lei che diceva che voleva
scoprire chi
era stato a mandarle quei fiori e quella collana; Bill che le augurava
buona
fortuna.
Era
una collana che per ciondolo aveva una tavola da
surf di
legno, con sopra il disegno di un tramonto sul mare e un delfino che
saltava
nell’acqua.
Guardandola
ancora meglio ricordò a tratti un pomeriggio passato in
spiaggia coi ragazzi, a
ridere e a scherzare sul suo ammiratore segreto.
Si
mise seduta sul letto con il ciondolo stretto in mano, gli occhi
chiusi, e
tentò di ricordare ancora. Ci riuscì, ma fu
brevissimo e molto sfuocato:
l’unico particolare che era riuscita a cogliere era stato il
sorriso unico ed
inconfondibile di Tom e le sue dita che le sfioravano la pelle del
collo,
accarezzandole la collana.
Aprì
gli occhi di colpo e respirò velocemente, come se fosse
stata a corto di
ossigeno. Cavolo, lei e Tom erano stati davvero insieme! E
chissà cosa cavolo
avevano fatto!
Sentì
la porta di Camilla sbattere
e uscì quasi di corsa, preoccupata per l’amica.
«Camilla!
Camilla, Camilla, dove
vai?»
«Vado
a farmi un giro!»
«Camilla,
mi dispiace!»
Camilla
si girò e la guardò. Si
strinsero in un abbraccio e Camilla scoppiò a piangere,
nascondendo il viso
nell’incavo della sua spalla.
«Camilla,
vuoi che resti qui
stasera?»
«No,
tu… tu devi uscire con Tom, ci
tieni davvero, si vede.»
«No,
sul serio, se vuoi resto.»
«Ma
perché tu sei così buona con
me?»
«Cosa?
Ma tu sei la mia migliore
amica!»
«Ma
come fai ad essere la mia
migliore amica dopo tutto quello che ti ho fatto?»,
singhiozzò guardandola
negli occhi.
«Tu?
Ma che cavolo… tutti quanti mi
hanno fatto qualcosa?»
«Sì,
Jinny, e io sono sempre stata
la prima! Quando hai fatto l’incidente eri da sola, quando
hai litigato con Tom
ti ho abbandonata per fare sesso con un ragazzo che non conoscevo
nemmeno e…
Oh, Jinny, mi dispiace così tanto…»
«Camilla…»,
le accarezzò le guance
e le asciugò le lacrime, facendo un sorriso dolce.
«Sarò tanto buona, ma sai
perché?»
«Perché
sei scema, ecco perché.»
«Lo
so che essendo sempre buoni si
può anche non ricevere nulla in cambio, ma… so
che con te ne vale la pena,
perché so che tu ci sarai sempre per me, e che anche se a
volte sbagli non
importa! Ci sarò io qui, ad aiutarti, come tu ci sei sempre
me. Ok?»
Annuì
e tirò su col naso, facendo
un sorriso timido.
«Ora
chiamo Tom e gli dico che
stasera resto a casa. Con te.»
«Ti
prego, Jinny, non lo fare.»
«Camilla,
non mi divertirei sapendo
che tu sei a casa da sola, non riuscirei nemmeno a non pensarti per un
momento.
E Tom non ne sarebbe felice.»
«Jinny!»
Jinny
le tappò la bocca con la mano
e le stampò un bacio sulla guancia, ridacchiando.
«Pizza
e film?»
«Oh,
sei più cocciuta di un mulo!
Fai quello che ti pare.»
«Grazie
Camilla.»
«Però
penso sia meglio che tu
glielo dica di persona, a Tom.»
«Ok,
allora faccio un salto lì e
poi torno subito qui. Ah, passo a prendere la pizza.»
«Va
bene, dai, muoviti.»
Si
sorrisero e Jinny prese le
chiavi di casa ed uscì. Prese la sua bicicletta e si mise a
pedalare per
raggiunse la Universal nel minor tempo possibile. Non le piaceva
lasciare
Camilla da sola, soprattutto sapendo che non stava così bene
da poter resistere
e non piangere. E non le andava che piangesse da sola, se proprio
doveva farlo.
La
brezza sul viso, l’aria fresca
che le entrava nei polmoni, le ricordò il mare, quel mare
che gli mancava
tanto, e una risata inconfondibile, quella di Tom che rideva facendo
surf con
lei.
Si
trovò a sorridere e scese dalla
bicicletta, entrò nella hall e vide sua madre intenta a
trafficare con il
computer. Non le era mai piaciuta la tecnologia, diciamo pure che aveva
un
rapporto abbastanza ostile con essa, ok, la odiava, ma ormai era
così, e si
doveva adattare.
«Ciao
mamma, sai dove posso trovare
Tom?»
«Jennifer!
Che spavento che mi hai
fatto prendere!», si portò una mano sul cuore e le
sorrise. «Sì, è in studio.
Oh, stai attenta a non farti beccare da Benjamin.»
«Ma
mamma, io sono stufa di
nascondermi. Che cosa cambia tanto? Secondo me sarebbe meglio
dirglielo.»
«Fai
come credi, tanto non ti fa
cambiare idea niente.»
«Grazie
mamma, ora vado.»
Le
sorrise e andò in studio. Sapeva
bene dov’era, suo zio l’aveva fatta crescere
lì dentro, fin da quando era
bambina, e ricordava bene ogni singola piastrella.
Bussò
alla porta e sentì la voce
dei quattro ragazzi incorare perfettamente un
«avanti».
«Permesso…»
«Jinny!
Che ci fai qui?», chiese
Tom alzandosi in piedi e rompendo una corda della chitarra.
Era
già la quarta che faceva fuori
in una giornata, non era possibile!
«Sì,
noi… dovremmo parlare.»
«Di
cosa? Se sei venuta fino a qui
dev’essere una cosa importante.»
«Infatti.
Preferisci parlare qui o…
da soli?»
«Come
preferisci.»
Jinny
alzò le spalle e chiuse la
porta, appoggiandocisi con la schiena.
«Stasera
non si può fare», andò
dritta al punto.
«E
perché?», balbettò Tom,
sgranando gli occhi.
Gli
era crollato il mondo addosso.
Aveva fatto così tanta fatica a chiederle di uscire e
ora… lei gli diceva che
non si poteva fare. Ma che scherzi erano quelli? Ok che non
l’aveva trattata
bene, che aveva voltato le spalle all’amore una volta,
però non doveva
prendersela così tanto con lui, era ingiusto.
«È
successo… un imprevisto», guardò
Bill con la coda dell’occhio, stringendosi le mani.
«Si
tratta di Camilla, non è così?»,
disse lui, abbassando il capo.
«Sì,
e… non mi va di lasciarla
sola, non questa sera.»
«Ma
che cos’è successo?», chiese
Gustav.
«Non
lo so e non mi interessa, a me
importa solo che Camilla non stia male. Si è messa ad
ascoltare canzoni
romantiche e depressive!», mosse la mano. «No, no,
non lo voglio sapere,
grazie. Finirei per starci male anch’io.»
«Ok,
come preferisci…», disse Tom
risedendosi e cercando di sfilare la corda rotta dalla sua amata
chitarra, ma
era così nervoso e con gli occhi lucidi che gli tremavano le
mani e non
riusciva a fare un fico secco.
«Tom…
te la sei presa?»
«No,
no, stai tranquilla.»
«No,
invece…»
Si
guardarono negli occhi e Tom si
trovò costretto a cedere, di fronte al verde al quale non
sapeva mentire.
«Ok,
mi dispiace, però…
sopravvivrò.»
Suonò
il cellulare di Jinny e si
scusò prima di rispondere. Tom approfittò del suo
momento di distrazione per
passarsi il braccio sugli occhi.
Ma
perché aveva quell’istinto di
piangere? Aveva solo posticipato l’uscita, non aveva
rifiutato! Non c’era
motivo di sentirsi così male! Eppure… aveva il
cuore a pezzi.
«No,
te lo scordi! Tu non vai da
nessuna parte senza di me! Cosa… No, io non sono cocciuta,
mi preme soltanto il
tuo bene. Camilla, ti prego, non dire queste cose assurde.
Tom… Tom non se l’è
presa. O almeno così dice, ma non è vero, glielo
si legge in faccia.»
«Jinny,
ti sento», disse Tom, e lei
arrossì.
«Camilla,
ok, va bene, mi hai
appena fatto fare una figuraccia. Smettila, ok, va bene,
uscirò con Tom!»
«Davvero?!»,
gridò entusiasta lui,
alzandosi di nuovo in piedi e volendo fare i salti di gioia, ma
radicò bene i
piedi a terra.
Jinny
sorrise timida e girò un poco
il viso verso il cellulare, quasi a nascondersi, e le treccine le
coprirono la
guancia con successo.
«Sì,
ok, arrivo. No che non…
Camilla, ti prego! Basta, non ti permetto di dire queste cose! Ma
davvero?»
Jinny
guardò Tom e lui alzò le
spalle chiedendole che cosa c’era che non andava con lo
sguardo. Lei si sistemò
il cellulare sulla spalla e si tirò indietro i capelli.
«Il
tuo soprannome è davvero Sex-Gott?»,
gli chiese ridendo.
«Una
volta lo era», disse lui.
Una
volta, molto tempo prima, ma
ora che aveva ritrovato la ragazza per la quale veramente provava
qualcosa, non
se la sarebbe fatta scappare, avrebbe rinunciato al titolo per lei, e
anche
volentieri. Lei era lei, non poteva competere con le altre, loro erano
zero in
confronto a lei.
«Ha
detto che lo era una volta»,
disse a Camilla. «Ok, a dopo scema. E smettila di ascoltare
quella canzone, non
ti aiuta! E non ti affogare nel gelato. Perché non uscite tu
e Bill?»
«Cosa?»,
quasi Bill si soffocò con
la sua stessa saliva.
«Sì,
perché no? Dovrete pure
tornare a parlarvi! E non voglio che Camilla stia male per colpa tua,
sia
chiaro.»
«Oh,
Jinny, è bello sapere che non
cambi mai», disse Gustav facendole un sorriso che le
provocò non pochi ricordi
che la fecero sorridere a sua volta, come le loro chiacchierate in
cucina e le
risate che si facevano assieme.
«Ciao
Camilla, a dopo», salutò
l’amica e fece un sorriso timido ai ragazzi, soprattutto a
Tom.
«Allora
per stasera è ok?», chiese
lui, un sorriso a trentadue denti.
«Sì,
penso di sì», si morse il
labbro.
«Ok,
bene! Allora ti passo a
prendere alle otto.»
«Va
bene. Devo andare ora, ciao»,
fece un cenno con la mano e uscì fuori dalla stanza
guardandosi intorno, per
non farsi beccare da suo zio.
Quella
situazione con lui non le
piaceva per niente, sapeva che se li avrebbe scoperti da solo sarebbe
stato
peggio, eppure non aveva il coraggio di dirglielo. Per chi aveva paura?
Per lei
o per Tom? Quanto affetto provava verso quel ragazzo? Solo lei non lo
sapeva.
Tutto il mondo sì e lei no, bello.
***
Camilla
guardò Jinny e sorrise
stringendosi le gambe al petto, la testa sulla spalla.
«Ma
sto bene davvero?», chiese
ancora, in piena fase di panico da pre-uscita.
«Sì,
Jinny, come te lo devo dire?
You’re beautiful!»
«Ah,
ma smettila per favore.»
«Perché,
non posso parlare in
inglese? È la mia lingua!»
«Non
parli inglese da quando…»,
Jinny si girò e si mise seduta al suo fianco, dispiaciuta.
«Mi dispiace»,
sussurrò.
«Non
fa niente», disse a testa
bassa.
I
genitori di Camilla erano
entrambi inglesi, ma da quando era nata lei si erano subito trasferiti
in
Germania. Aveva imparato sia l’inglese che il tedesco, ma
aveva smesso di
parlare la sua lingua madre quando suo padre era morto
d’infarto, qualche mese
prima. C’era già stato un principio, in
precedenza, quando erano al mare,
all’ospedale avevano detto che non era nulla di grave, ma non
era così.
«Sicura
di star bene?», le chiese
premurosa.
«Sì!
Prima che usi anche questa
scusa per stare a casa!»
Risero
assieme e Jinny si accoccolò
fra le braccia dell’amica, lasciandosi accarezzare le
treccine come se fosse
una bambola, la bambolina personale di quella bambina un po’
cresciuta di
Camilla.
«Sembro
così tanto nervosa?»
«Abbastanza.
Vedrai, andrà
benissimo, già me lo immagino.»
«Camilla,
sei sicura? Guarda che
resto a casa se non te la senti di restare da sola, non me ne frega
niente.»
«Jinny,
ti ho già detto di non
preoccuparti. Me la caverò! E poi stasera
c’è Una
mamma per amica!»
«Oh,
come ho fatto a
dimenticarmene!»
«Scema!»,
le tirò uno schiaffo sul
braccio e iniziarono a lottare sul letto, ridendo a crepapelle.
«Ah,
solo perché sei vestita in
questo modo perfetto non ti picchio!», disse Camilla
bloccandole i polsi.
«Brava,
ottima decisione, perché se
no vincerei io.»
«Sì,
l’importante è crederci!»
Le
due si guardarono in silenzio,
perse l’una negli occhi dell’altra, poi il suono
del campanello le fece
sobbalzare. Jinny scattò in piedi e guardò
l’orologio: otto in punto.
Cavolo,
non se lo sarebbe mai
aspettato da uno come Tom. Tom… chi era in
realtà? Che voleva da lei? Che cosa
avevano passato realmente insieme?
Il
suo stomaco si aggrovigliò tutto
e Camilla la prese per mano portandola in salotto, dove la mise seduta
sul
divano, colta da una nuova fase di ansia.
Calmati
Jinny, è tutto ok, va tutto alla grande, si
disse facendo dei grandi
respiri profondi mentre l’amica andava alla porta ad aprire.
No,
non era tutto ok, non andava
tutto alla grande, per niente! Tremava e sentiva le gambe molli, il
cervello
incapace di ragionare come avrebbe dovuto.
Camilla
aprì la porta e Jinny
trattenne il respiro quando vide Tom vestito di tutto punto, con una
maglietta
di un azzurro metallizzato e i soliti jeans oversize. Insolitamente non
aveva
il cappellino e la fascia, ma solo i suoi biondi rasta legati sulla
nuca.
Il
suo sorriso era così… perfetto…
Ma com’era possibile? Era un angelo fatto a persona.
«Ciao»,
salutò lui gettando subito
un’occhiata a Jinny.
Anche
lei non scherzava: indossava
un vestito azzurrino, un copri spalle nero e le ballerine nere. Il
trucco era
semplice e aveva raccolto le treccine che le cadevano ostinatamente sul
viso in
un fermaglio sulla nuca, lasciando sciolte le altre, ad accarezzarle la
schiena.
Tom
si guardò e poi guardò ancora
Jinny:
«Giuro
che non ci siamo messi
d’accordo con l’abbinamento dei colori»,
sorrise a Camilla.
«Sì,
ehm… l’azzurro
è…», incominciò
a dire timidamente Jinny, ma Tom non la lasciò finire.
«Il
tuo colore preferito. Menomale
che avevo detto che il solito sarebbe andato benissimo. Sei
bellissima.»
Jinny
arrossì sulle guance e lo
fece ancora di più quando vide Tom tirare fuori dalla
schiena un mazzo di
bellissimi girasoli, che le ricordarono ancora la collana e quel
pomeriggio
passato a fare surf.
«Ho
pensato che… ecco, i girasoli
sono i tuoi fiori preferiti», disse lui grattandosi la nuca.
«Oh,
sì, è vero», disse Jinny
imbarazzata quanto lui da quella situazione.
Quante
cavolo di cose sapeva di
lei, porca di quella miseria? Doveva essere stata davvero una cosa
seria se si
ricordava quei particolari, ma non restò su a pensarci molto
perché Camilla la
guardò e con un movimento della mano le disse di alzarsi e
di andare.
«Questi
li prendo io», si offrì
Camilla prendendo i fiori e portandoli in cucina.
Jinny
e Tom rimasero a guardarsi a
vicenda, non nascondendo un piccolo sorriso soddisfatto, quando lui
corrugò la
fronte e fissò poco sotto al suo mento.
Ecco,
lo sapevo che questo vestito era troppo scollato!,
pensò Jinny morendo di vergogna.
«Quella…
quella è…», disse
incredulo Tom, sfiorandole la pelle intorno al collo.
Ogni
suo tocco era infuocato, Jinny
sentiva la propria pelle bruciare sotto alle sue dita.
«Cosa?»,
abbassò anche lei lo
sguardo e si accorse di avere la collana appartenente
all’epoca dei ragazzi
addosso, che non c’entrava un fico secco con il resto.
«Oh,
questa? L’ho trovata sta
mattina, era in fondo ad uno dei cassetti, sommersa fra molta altra
roba»,
disse sul vago.
Pensò
di togliersela perché non ci
azzeccava praticamente nulla con quello che aveva addosso, ma vedendo
il
sorriso e gli occhi brillanti di felicità di Tom
pensò che era decisamente il
caso di tenerla. Che gliel’avesse regalata lui? Non lo
ricordava e non glielo
chiese, era già abbastanza in imbarazzo.
«Ok,
fatto, ora potete andare,
gentilmente? Ho un appuntamento con Una
mamma per amica, io»,
disse Camilla, spingendoli fuori dall’appartamento,
facendo finire accidentalmente
Jinny
fra le braccia di Tom, facendola arrossire di colpo.
Camilla,
io ti uccido! E lo farò con le mie stesse mani, stanne certa!
Si
scostò velocemente da lui e si
strinse nel copri spalle, guardando male l’amica
all’interno, che fece la
faccia d’angioletto con tanto di aureola e ali candide.
«Forza,
andate!», li intimò.
«Camilla,
mi raccomando», disse
Jinny.
«Tu
non ti preoccupare, starò
benissimo! Divertitevi!», li salutò con la mano e
poi chiuse la porta.
Non
aveva aspettato un «Anche tu»
da loro, tanto sapeva che da Jinny sicuramente non sarebbe arrivato, e
comunque
non lo voleva sentire.
Si
gettò sul divano e accese la
televisione. Bene, perfetto, il telefilm per il quale aveva tanto rotto
le
scatole era già iniziato.
Corse
a prendere le patatine e una
bottiglia di Coca Cola e poi si rifiondò sul divano.
L’aspettava una serata di
totale tranquillità: lei e la televisione. Era tristissimo
se pensava che la
sua migliore amica era ad una cena romantica con il fratello gemello,
non più
Sex-Gott – solo per lei, tra l’altro –,
di Bill, il ragazzo di cui,
fortunatamente o sfortunatamente – dipendeva dai punti di
vista –, si era
innamorata perdutamente.
Sospirò
di fronte ad una scena
romantica, ad un bacio in mezzo al prato buio della sera, e si accorse
di una
calda lacrima che le scendeva sulla guancia. Come se nulla fosse ci
passò il
dito sopra e la levò. Ormai ci era anche abituata.
A
volte l’amore faceva davvero
schifo. A lei non serviva l’amore! Era una cosa che faceva
solo del male. E lei
non voleva stare ancora male a causa di un ragazzo. Però non
voleva nemmeno
restare zitella a vita e nemmeno diventare lesbica. Così
abbandonò la faccia
nel cuscino e lo strinse. Pensò a Bill e a tutte le ore
trascorse in quel letto
che era proprio nella camera al suo fianco, la sua. Adesso, se avesse
potuto
scegliere fra averlo solo per sesso e non averlo proprio avrebbe scelto
la
prima opzione, senza alcun dubbio.
L’amore
poteva mandarti tanto in
basso quanto in alto, dipendeva dai momenti e dalle persone. Sapeva che
Bill
era un bravo ragazzo, ne era certa, ma non capiva perché con
lei si comportasse
in quel modo. Forse era lei quella che pretendeva troppo da lui, cose
che non
poteva dare a causa di svariati motivi. Forse, semplicemente, non erano
fatti
l’uno per l’altra e doveva farsene una ragione.
Sentì
il campanello suonare e
sbuffò passandosi le mani sul viso.
Quella
scema di Jinny deve aver per forza dimenticato qualcosa. Ma io
non lo so, quella ragazza non ce la fa più!
«Jinny,
cos’hai…?», si fermò e
guardò Bill di fronte a sé, che la guardava con
il suo sorriso tenero e
malizioso allo stesso tempo.
«Bill!
Che ci fai qui?», si portò
le mani sui fianchi.
Sapeva
che Tom e Jinny uscivano e
aveva pensato bene di andare da lei per passare un’altra
notte di fuoco,
ovviamente, ma si sbagliava di grosso. Camilla non sarebbe caduta nella
sua
trappola un’altra volta. O almeno ci avrebbe provato.
«Passavo
di qui e… Perché hai
pianto?»
«Cosa?»
Le
passò una mano sulla guancia
calda e Camilla chiuse gli occhi cercando inutilmente di trattenere le
lacrime,
che scivolarono lentamente sul suo viso e poi sul suo mento.
«È
colpa mia, vero?», le disse
piano, avvicinandosi.
«No,
è l’amore che fa schifo»,
singhiozzò.
«Io
non la penso in questo modo.»
«Per
forza, tu non stai dalla parte
di chi soffre, tu stai dalla parte di chi se ne sbatte il
cazzo.»
«Cosa?
No, non è vero!»
«Per
quale motivo sei qui? Io avevo
un appuntamento.»
«Con
chi, le patatine e
quell’insulso telefilm?», sorrise.
«E
chi ti dice che è insulso? È
bellissimo!»
«Ah,
per favore!»
«Vuoi
aprire un dibattito sui
telefilm?»
«Se
ci tieni tanto… ma ti avverto,
non guarderò molto, però so capire se le cose
sono belle o no.»
«Oh,
su questo non ho dubbi. Se sei
qui ci sarà qualche motivo, no?», sorrise
maliziosamente.
«Camilla!»
«Che
c’è? Allora, vuoi entrare o
no?»
«Sì,
ma non so se riuscirò a
controllarmi una volta dentro.»
«Ho
promesso a Jinny che non avrei
fatto cazzate.»
«Quindi,
venire a letto con me è
una cazzata?»
Bill
entrò nell’appartamento e
guardò Camilla sedersi sul divano e riprendere il
telecomando in mano.
«Sì,
soprattutto se poi non ti fai
sentire per un’intera settimana.»
«Secondo
te perché l’ho fatto?»
Aveva
i capelli perfettamente lisci
sulle spalle, gli occhi penetranti già di loro contornati da
uno strato spesso
di trucco nero, il viso chiaro illuminato dal riflesso della
televisione.
Camilla faceva fatica a concentrarsi sulle sue parole e a pensare a
qualcos’altro oltre a quanto fosse bello.
«Perché?»,
tremò.
Bill
sorrise e si mise seduto al
suo fianco, un braccio sullo schienale, quasi ad avvolgerle le spalle.
«Non
per farti star male
sicuramente», le sussurrò a pochi centimetri dal
suo viso.
«Ah
no?», corrugò la fronte.
«Ti
ricordi quello che ci siamo
detti l’ultima volta?»
Come
faceva a non ricordarsene? Era
stato così infinitamente doloroso…
«Sì»,
annuì ad occhi bassi.
Bill
le prese il mento fra le dita
e le fece guardare i suoi occhi. Camilla venne percossa da un brivido e
si
scostò dolcemente, raccogliendosi una gamba al petto.
«Ti
ho dato il tempo per
riflettere, Camilla. Spero che tu l’abbia fatto,
perché io ci ho pensato giorno
e notte.»
«Io
in verità ho cercato in tutti i
modi di non pensarti, ma credo che sia ovvio ciò che voglio
veramente.»
«E
cosa vuoi?»
«Te.»
«Questo
implica molte cose, sai? Se
non ci hai riflettuto potresti anche pentirtene.»
«Bill,
starei molto peggio senza
te, credimi.»
«Beh,
se è così allora…»
«Tu
cosa sei disposto ad
offrirmi?», gli chiese mettendogli una mano sulle labbra,
allontanandolo dal
suo viso.
«Tutto
ciò che posso, perché tu mi
piaci sul serio. Aspettavo soltanto che tu facessi chiarezza in quella
testolina bacata che ti ritrovi.»
«Testolina bacata
a chi?!»
«A
te, zuccherino.»
Camilla
arrossì a quel soprannome e
si lasciò abbracciare da lui, che la fece sdraiare sul suo
petto. Lei si
accucciò e sospirò felice sentendo di nuovo quel
calore dentro, il profumo di
lui su di lei, il cuore finalmente sereno che batteva nel petto.
L’amore
poteva essere davvero amaro,
ma quando trovavi l’antidoto… ah, se era dolce.
«Bill?»
Le
accarezzava i capelli con una
mano, sfiorandole la schiena sotto alla maglietta con
l’altra.
«Uhm?»
«Forse
hai ragione tu, questo
telefilm non è tutto questo spettacolo.»
«Che
ti dicevo?», le prese il viso
fra le mani e la baciò, mentre passava la
pubblicità.
***
«Non
ho mai riso tanto in vita
mia!»
«E
secondo te di chi è la colpa?»
«Ovviamente
tua!»
«Cosa?
Guarda che è il vino che hai
bevuto, stupida.»
«Non
ho bevuto tanto, sono lucida!»
«Se,
come no.»
«Davvero!»
Risero
ancora e Jinny appoggiò la
testa al sedile, guardando la luna nel cielo scuro della notte,
illuminato da
tante piccole stelle lucenti.
Erano
in macchina, di fronte al
portone di Jinny. La cena era stata spettacolare, tutto era stato
magnifico e
considerando che Tom aveva organizzato tutto in poche ore aveva fatto
davvero
un ottimo lavoro. Si era divertita tanto e il merito era solo di quel
ragazzo
unico che aveva affianco.
«Sono
contento che tu sia venuta,
alla fine. Mi dispiace per Camilla, ma…»
«Tom!
È la mia migliore amica!»,
rise tirandogli un rasta.
«Ahia!
Ma ti sei rincretinita?!
Guarda che fa male! Adesso vedi», le tirò una
treccina e lei rispose di nuovo,
anche se era praticamente bloccata dalle braccia forti di lui.
«Tom,
lasciami subito!»
«Sei
tu che hai iniziato!»
«Guarda
che se non mi lasci…»
«Che
fai, ragazzina che non sei
altro?»
«Ah,
questo non dovevi dirlo!», lo
morse sul collo e Tom la lasciò preso alla sprovvista, ma
era stato piacevole,
tanto che aveva chiuso gli occhi.
Jinny
chiuse gli occhi a sua volta
e quel morso diventò un bacio leggero, le sue labbra che
sfioravano
delicatamente la sua pelle.
«Mi
chiedevo una cosa, Tom», disse
imbarazzata, ritraendosi di scatto.
«Che
cosa?», disse distrattamente,
ancora rapito da quel bacio che gli aveva ricordato loro, in tutta la
loro spensierata
e tormentata storia.
«Visto
che tu sai tante cose di me…
dimmi, io sono…»
«Jinny,
fai la timida?», sorrise e
le accarezzò la guancia, per poi scendere incontrollatamente
sul suo collo.
Quanto
gli mancava il sapore del
suo collo. Si sentì un vampiro assetato di Jinny e
mandò via quelle immagini
eccitanti dalla sua testa.
«Sì,
beh… non dovrei nemmeno
chiedertelo. Che ne sai tu?»
«Beh,
dai, ormai ci sei, dimmi.»
«Ma
io sono vergine?»
Tom
boccheggiò di fronte a quella
domanda. Che le doveva dire? Una sensazione di disagio lo avvolse e
l’unica
cosa che riuscì a fare fu glissare.
«No,
Leone, sei nata ad agosto.»
«Non
in quel senso, Tom. So qual è
il mio segno zodiacale. Mi chiedevo se avevo… già
fatto sesso prima. Tu lo sai?
Perché io… io non mi ricordo.»
«Oh,
beh…», abbassò lo sguardo e si
allontanò piano da lei, ritornando pienamente sul suo sedile
dopo la lotta. E
adesso? Non poteva più mentire, anche perché
l’aveva inchiodato con lo sguardo.
«Ok,
non sono vergine», disse Jinny
amareggiata. «E l’ho fatto con te, Tom.»
Lui
annuì e strinse i pugni sulle
ginocchia, ricordando quella magica notte, la loro notte, la notte in
cui Jinny
aveva vissuto la sua prima volta.
«Mi
dispiace tanto, Tom. Ma
ricorderò, un giorno, te lo prometto. Dimmi solo se me ne
pentirò.»
«Jinny,
io… te l’ho detto, ho fatto
molti sbagli, e quello più grande è stato
lasciarmi scappare ciò che di più
prezioso avevo fra le mani, senza nemmeno rendermene conto in
realtà.»
«Tom…
ora devo andare.»
«Scusami,
Jinny.»
«Come
posso perdonarti per una cosa
che non ricordo? Quando saprò,
deciderò.»
«A
questo punto non so se voglio
che tu ricordi, vorrei solo ricominciare da capo e non sbagliare
più», ammise.
«Anch’io.»
«Anche
tu cosa?», la guardò negli
occhi e fu un tuffo al cuore quando notò i propri specchiati
in quelli di lei,
così perfettamente, come una volta, quando ancora erano
felici assieme.
«Non
so se voglio ricordare, perché
da quello che vedo tu sei… tu tieni molto a me. Ma
vedi… non posso far a meno
di ricordare, è stata la mia vita. Tu non puoi capire come
ci si sente quando
non si riesce a ricordare, è come se in quel periodo non
fossi esistita.»
«Sì,
posso immaginarlo.»
Jinny
sorrise e Tom cercò di
ricambiare nel miglior modo possibile, ma le sue funzioni vitali
cessarono
quando lei si avvicinò e gli cinse il collo con le mani, per
poi baciarlo
pianissimo sulle labbra.
Non
aveva dimenticato: le sue
labbra erano dolci e amare, come l’amore, irresistibili.
Ricordò molti baci fra
loro e nei posti più differenti, provocandole un turbinio di
emozioni che a
stento riuscì a controllare e a far sì che Tom
non si accorgesse di ciò che
stava avvenendo dentro di lei: un viaggio con la memoria nel passato,
trasportata solo ed unicamente dalle emozioni che lui riusciva a
provocarle,
così vive e inconfondibili.
«Grazie
Tom», gli sussurrò con la
punta del naso che sfiorava il suo, un sorriso timido sulle labbra.
«E
di cosa?»
«Di
essere qui e di provarci
comunque, conta molto per me. Ma non se ce la farò quando
ricorderò, dovrai
avere pazienza.»
«Jinny,
se solo ricordassi sapresti
che io con te ho sempre avuto molta pazienza.»
Jinny
si lasciò scappare una risata
leggera, che contagiò Tom in minima parte, che sentiva il
respiro di lei contro
il suo.
«Mi
sono divertita stasera, grazie.
Buona notte.»
«Buona
notte, Jinny.»
Lei
non resistette e gli sfiorò
ancora le labbra con le sue, sentendosi come un fiume in piena, che
trasbordava
gioia e felicità dappertutto. Si spostò e dopo un
ultimo sguardo e un sorriso
scese dall’auto ed entrò nel portone.
Che
serata magnifica. Chissà cosa
sarebbe successo se Camilla l’avesse tenuta a casa con lei
invece di mandarla. Si
sarebbe persa un sacco di magnifiche emozioni e di ricordi. Quel giorno
erano
stati davvero tanti e si sentiva stanca, ma felice. In un modo in cui
poche
volte si era sentita, o perlomeno ricordava di essersi sentita.
Infilò
le chiavi nella serratura
della porta, ma si accorse che era aperta: ciò voleva dire
che Camilla era
ancora sveglia.
Entrò
e vide la luce della
televisione accesa, come aveva immaginato; solo dopo si rese conto che
c’era
qualcun altro.
«Ciao
Jinny», sussurrò muovendo la
mano, un sorriso gioioso sulle labbra.
«Bill?
Che ci fai tu qui?»
«Shhh!
Abbassa la voce, Camilla
dorme!», la rimproverò.
«Oh,
scusa», sussurrò avvicinandosi
al divano e dandogli una mano a coprire l’amica con la
coperta.
«Sembra
un angioletto quando
dorme», ridacchiò Jinny spostandole una ciocca di
capelli castani dalla fronte.
«Già.
Beh, com’è andata con Tom?»
«Bene»,
arrossì e si morse il
labbro.
«Che
cosa… che cos’è successo?»
«Niente,
perché?»
«Così,
volevo sapere.»
«No,
non è successo niente», sviò
dirigendosi verso la cucina.
«Jinny?»
Si
girò e lo guardò in silenzio, le
braccia stese lungo i fianchi. Lui si avvicinò e
l’abbracciò timidamente, lasciandola
sorpresa.
«Mi
dispiace di non essere riuscito
a mantenere la promessa», le disse piano, stringendola di
più al suo petto. «Mi
sei mancata tantissimo.»
Jinny
ricordò diversi episodi, ma
quello che più la colpì fu quel pomeriggio
passato a piangere fra le sue
braccia, immersa in un dolore che non sapeva da cosa era provocato,
anche se
un’idea ce l’aveva e ci aveva appena cenato.
«Non
è colpa tua, Bill», gli
massaggiò la schiena, sospirando.
«Ah
no? Invece sì, è tutta colpa
mia. E tu avevi ragione quando dicevi che non dovevo farti delle
promesse se
non sapevo se sarei riuscito a mantenerle. Quindi, è tutta
colpa mia.»
«Penso
che… che avrei smesso di
risponderti io, se non l’avessi fatto tu. Mi faceva troppo
male sentirti così
lontano.»
«Tu…
tu ti ricordi, allora!», la
prese per le spalle e la guardò negli occhi con i suoi che
iniziavano a
riempirsi di lacrime.
«L’ho
ricordato adesso. Bill, sei
il mio migliore amico, mi sei mancato anche tu», nascose il
viso nel suo petto
e lo strinse lasciando affiorare le lacrime.
Era
per loro che piangeva la sera
dell’incidente, solo per loro. Il ricordo di quella sera la
fece star male e le
informazioni di quasi due mesi della sua vita, a pezzi, si
accavallavano l’una sopra
l’altra, facendole pulsare la testa. Aveva bisogno di tempo
per incamerare
tutto e fare ordine.
Tirò
su col naso e lo guardò, poi
si sottrasse all’abbraccio e andò in camera sua,
asciugando le lacrime.
«Buona
notte, Bill», sussurrò prima
di chiudersi la porta alle spalle.
Rimase
nel più totale silenzio,
appoggiata alla porta chiara con la schiena, gli occhi chiusi, la testa
che le
girava vorticosamente e le immagini disordinate che contribuivano ad
aumentare
quel dolore che a stento sopportava.
Andò
in bagno e riempì un bicchiere
d’acqua, ci sciolse un’aspirina e bevve
velocemente. Poi si guardò allo
specchio: le lacrime avevano rovinato il trucco che Camilla le aveva
messo con
tanta precisione e riconobbe i suoi occhi spenti in quelli di un altro
periodo,
lontano o forse no.
Quanti
pianti si era fatta per quei
quattro ragazzi? E per Tom, soprattutto? Non aveva nemmeno
più tanta voglia di
ricordare, ma ora che non voleva ricordare le veniva in mente tutto;
prima che
voleva sapere non cavava un ragno dal buco.
Non
sarebbe stato facile con loro,
e qualcosa le disse che non lo era mai stato. Quello era il suo
destino, chissà
cosa le avrebbe riservato in un futuro di cui aveva sinceramente timore.
Uscì
e vide che Bill se n’era
andato, così chiuse la porta a chiave. Schioccò
un bacio sulla guancia
all’amica addormentata e si diresse in camera di Camilla.
Prese il cd sulla sua
scrivania e si rintanò di nuovo nella propria stanza. Mise
il cd nello stereo e
si sdraiò sul letto liberandosi di tutti i vestiti,
rimanendo così in reggiseno
e mutande. Chiuse gli occhi e si abbandonò alla musica
grazie alle grandi
cuffie.
Chissà
quando sarebbe riuscita ad
addormentarsi: i ricordi non volevano smettere di fluire, sempre
più nitidi.
Chissà
quanto tempo ci avrebbe
messo a recuperare quelle ore, quei giorni, quei mesi, quegli anni di
cui non
sapeva niente. Forse
tanto, forse niente.
I
walked for miles ‘til I found
you
I’m here to honor you
If I lose everything in the fire
I’m sending all my love to you
-------------------------------------------------------------
Nota:
La canzone “depressiva” che canta
a squarciagola la nostra Camilla e che successivamente accompagna Jinny
in una
notte piena di ricordi è Last night on
earth, dei Green Day, non
proprio stile Jinny, ma è una canzone stupenda,
davvero romantica e da ascoltare. Vi metto la traduzione di questi
versi: You are
the moonlight of my life every night
/ Giving all my love to you / My beating heart belongs to you (=Tu sei
il
chiaro di luna della mia vita ogni notte / Ti ho dato tutto il mio
amore / Il mio
cuore che batte appartiene a te) I walked for miles ‘til I
found you / I’m here
to honor you / If I lose everything in the fire / I’m sending
all my love to
you (=Ho camminato per miglia sino a trovarti / Sono qui per onorarti /
Se
perdessi tutto nel fuoco / Ti mando tutto il mio amore)
|
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Capitolo 5 *** «Destini incomprensibilmente intrecciati» ***
Nota:
5 capitolo!! Finalmente ce l'ho fatta, eheh. Non vi anticipo niente
perchè solo perfida, e vado subito con i
ringraziamenti:
Scarabocchio_:
Grazie Socia, per tutte le belle parole che sempre mi dici... Sono
contenta che le mie parole sono come le ciliege, cioè che
una tira l'altra! Ahahah Ma trascuri sempre un fatto che per te
può essere da nulla, ma per me no! Anche tu sei speciale, e
non cercherei mai un'altra Socia, bradipo o no che tu sia! (Sei sempre
tenera lo stesso ^^) E ora passiamo alla ff. Spero che tu abbia capito
Bill e Camilla, cosa combinano quei due... perchè
è davvero un pò complicato, me ne rendo conto! Ma
io sono fatta in modo strano, sai no? E la chiarezza con me o
c'è, fin troppa, oppure non c'è.. Accettami per
quel che sono! XD
layla
the punkpricess: Sarai pure
distratta, ma la penso esattamente come te: Jinny deve
ricordare, perchè così potrà decidere
meglio; ed è vero che Tom e Jinny sono davvero carini
insieme, lo so!! ^^ Sono la luce dei miei occhi, anche se a volte mi
fanno davvero disperare...
marty
sweet princess: Ed ecco qui
la mia indaffarata! Che però mi lascia sempre qualche
recensione qua e là ^^ Grazie, innanzitutto. E poi vorrei
dirti che anche io mi sono imbarazzata per Tom quando ho scritto quella
cosa, ma dovevo da copione e quindi... ahahah!! E non dev'essere stato
bello sentirsi dire che non lo ricordava più,
perchè per Tom è stato importante... quasi come
una prima volta anche per lui, capiscilo... è tenero anche
lui infondo. Sono contenta che Camilla e Bill ti siamo piaciuti,
perchè non sapevo se erano venuti bene, ma con questo ho
risolto i miei problemi!! Ahah, un bacio, alla prossima!
Ringrazio anche tutti quelli che hanno
letto e una persona in
particolare, Ale,
che ho conosciuto su msn e che mi dice sempre che le piace tanto questa
ff. Grazie!!
Buona lettura, a presto, Ary!!
-----------------------------------------------------------------
5
«Destini
incomprensibilmente
intrecciati»
«Ok,
basta, basta! Che cavolo vi
prende?», gridò David entrando nello studio, nel
bel mezzo di una
registrazione.
Tom
scosse il capo e si rese conto
di aver iniziato una canzone che non c’entrava niente con
quella che stavano
suonando.
«Scusa
David, è colpa mia!»
«No,
Tom. Eh? Tom Kaulitz ammette i
suoi errori! Ma che gioco è questo? Adesso spunteranno fuori
le telecamere e
tutti diranno: “Sei su scherzi a parte!”»
«No,
davvero, suonavo una canzone
diversa, non so a che pensavo.»
«Eh,
ce ne siamo accorti», commentò
Georg.
«Ma
ciò che più mi stupisce è che
Bill ha cantato la canzone insieme a te, invece di accorgersi
dell’errore! Che
cavolo vi prende? Non vi sarete mica innamorati, vero?»
Bill
e Tom si guardarono
preoccupati, il primo lisciandosi nervosamente una ciocca di capelli
neri sulla
spalla e il secondo mordicchiandosi il piercing al labbro.
«Oh
mio Dio ci mancava solo
questa!», sbuffò con le mani nei capelli.
«Pausa, mi ci vuole una pausa! Vado a
prendermi un caffè sull’Himalaya!»
Si
sbattè la porta alle spalle e i
quattro si guardarono, poi alzarono le spalle: una pausa non avrebbe
fatto di
certo male a nessuno.
Davanti
ad una bella tazza di
caffè, seduti su un tavolo lasciato in mezzo al corridoio
dove c’era la famosa
macchinetta, dal quale si riusciva a vedere il bancone della reception
e la
hall, si trovarono a parlare di ragazze.
«Con
Jinny com’è andata, Tom?»,
chiese Gustav.
«Bene,
credo.»
«Credi?»
«Sì,
beh… Jinny ricorda sempre più
di noi e a questo punto ho paura che non voglia più stare
con me per le cose
che ho fatto.»
«Vedrai
che capirà», lo incoraggiò
Bill sorridendo.
«Sta
mattina le ho mandato un
messaggio, ma non mi ha risposto. Ho sbagliato?»
«Cosa
c’era scritto?», chiese
Georg.
«Buon giorno Jinny, ieri sera sono stato bene
e spero anche tu. Ci
sentiamo, ciao.»
«Mmh,
quanto sei casto!»
«Senti,
non voglio sbagliare
ancora. Prima troppo impulsivo, ora troppo casto?»
«No,
fai bene Tom, finché non
ricorderà è meglio così,
fidati», disse Gustav annuendo.
«E…
per curiosità, quando gliel’hai
mandato?», chiese Georg.
«Cosa,
il messaggio? Quando mi sono
svegliato.»
«Cioè?»
«Alle
otto e mezza, circa.»
«Era
già a scuola da un pezzo,
cretino. Magari ha il cellulare spento e non l’ha visto,
è per questo che
magari non ti ha risposto.»
«Oh,
hai ragione Gustav, sai?»
«Come
sempre.»
«Tu
con Ary come va?»
«Bene.
Lei e Jinny stanno
diventando amiche, sai?»
«Mmh?
Mi fa piacere! E tu con
Camilla?», diede una gomitata fraterna a Bill e lui sorrise
prima di bere dalla
sua tazza. «Che cos’è successo ieri
sera?»
«Niente,
ci siamo messi assieme»,
disse timidamente, stringendosi nelle spalle.
«Davvero?
Non ci posso credere!»,
balzò giù dal tavolo Tom, mettendosi di fronte a
lui e prendendolo per le
spalle. «Anch’io voglio mettermi con
Jinny», si lamentò.
«Chiediglielo!»,
disse Victoria da
dietro la scrivania, gli occhi al computer e un sorriso sulle labbra.
«Scusate
se ascoltavo i vostri discorsi, ma urlavate.»
«Dici
davvero che dovrei? Non è
troppo presto?»
«Se
è quello che vuoi tanto vale
provarci», sollevò le spalle.
«E
se dovesse dirmi di no? Insomma…
noi ci abbiamo già provato e…»
«Jinny
è già
stata con te?!», gridò con voce strozzata
Victoria, alzandosi
in piedi e raggiungendo i ragazzi. Tom ebbe paura di lei per qualche
motivo e
indietreggiò, portandosi le mani di fronte al petto.
«E
quando?!»
«Quest’estate»,
tremò.
«E
tu… Oh, non ci posso credere!»,
sbraitò andando a passi pesanti di nuovo al bancone.
«Che
cosa?», chiese Tom.
«Benjamin!»,
gridò Victoria.
«No,
no, che vuoi fare?», chiese
allarmato, prendendola per un braccio.
«Vado
a fare un po’ di sano
shopping. Non posso credere che tu non ti sia fatto vivo quando ha
avuto
l’incidente! Rischiava di morire e tu chissà dove
cavolo eri!»
«Lo
so benissimo quello che ho
fatto, e mi dispiace, ma non lo sapevo! E poi… non ci
parlavamo più dopo la fine
della nostra storia… è stata piuttosto seria
e…»
È
stata piuttosto seria.
Bill avrebbe voluto avere una telecamera a portata di
mano per riprenderlo, quelle confessioni non erano cose da tutti i
giorni ed
era strano che si fosse aperto così proprio con sua madre.
Forse a causa di
quegli occhi che erano uguali a quelli di Jinny…
Victoria
lo guardò intensamente
negli occhi e poi sospirò, intanto arrivò
Benjamin.
«Sì?
Che c’è Victoria? Ancora
problemi con il computer?», sogghignò.
«No,
voglio solo andare a spendere
gli alimenti di tuo fratello in shopping sfrenato», gli
rispose con tanto di
tono.
«A
proposito, ha chiamato, ha detto
che vuole vederti», roteò gli occhi nauseato.
«Ma
chi, Gabriel?», chiese lei arrossendo
sulle guance.
«Sì,
quell’adorabile uomo che è mio
fratello.»
«E
perché vorrebbe vedermi?»
«E
io che ne so? Non faccio da
messaggero!»
«Che…
che cosa ha detto poi?»
«Che
ti avrebbe raggiunta qui il
più presto possibile.»
Victoria
lasciò perdere lo shopping
e si mise seduta dietro la scrivania, in fibrillante attesa del suo ex
marito
padre di Jinny. Si vedeva lontano un miglio che era ancora innamorata
di lui.
Tom
aveva un presentimento, ma non
pensò troppo, anche perché i continui battibecchi
fra Victoria e Benjamin lo
divertivano parecchio.
Improvvisamente
si ricordò di Jinny
e i battiti del suo cuore aumentarono quando vide l’ora
sull’orologio appeso
alla parte. Si affrettò a salutare e uscì senza
proferire parola: chi sapeva
aveva capito.
In
poco tempo arrivò alla sua
scuola e si posizionò sempre al solito posto, aspettando
l’arrivo della sua
piccola. Dopo un po’ si chiese che fine avesse fatto, visto
che non era uscita
e non rispondeva al cellulare. Decise di entrare dentro e di dare una
controllata.
I
corridoi erano deserti e quella
sensazione di disagio e di ripudio verso la scuola premevano forte
contro il
suo petto. Per la prima volta capì come davvero poteva
sentirsi Jinny quando
aveva quei tremendi flashback inopportuni: Bill che veniva preso in
giro; le risate
di tutti alle loro spalle per il loro sogno che pareva irrealizzabile,
che loro
comunque non avevano mai lasciato a marcire in un cassetto; i ragazzi
gelosi e
violenti perché nonostante tutto i gemelli Kaulitz avevano
più ammiratrici di
tutti gli altri messi assieme; i professori che non li lasciavano mai
in pace,
anche se avevano voti a dir poco invidiabili, e si lamentavano solo per
il loro
aspetto esteriore. Parlavano tanto di libertà, ma appena
qualcosa era fuori dal
comune, che fosse stato positivo o negativo, gli tappavano le ali.
Ma
ora gli angeli volavano, e in
alto, sempre più in alto…
Sentì
un forte odore di vernice e
così aprì la porta di quella che doveva essere
una specie di laboratorio e vide
Jinny di fronte ad una grande tela appesa al muro, un grembiule bianco
(macchiato
ovviamente) da chimico addosso, degli occhiali trasparenti e una
bandana
azzurra sulla testa, che le raccoglieva le treccine dietro le spalle.
Gli
sembrò buffa e allo stesso tempo bellissima nel suo ambiente
naturale, quasi
come se fosse in mezzo all’oceano, con macchie di colore
addosso.
La
guardò mentre immergeva una
pallina di spugna grande come un suo pugno in un barattolo di vernice
bianca e
poi la riprendeva mettendo dentro tutta la mano. Jinny si
allontanò dalla tela:
ogni suo passo scricchiolava sul pavimento completamente ricoperto di
plastica
trasparente, come i muri, per evitare che si sporcassero. Si
preparò come una
giocatrice di baseball e poi la lanciò. La pallina
rimbalzò sulla tela
lasciando un’impronta bianca sullo sfondo nero e
rotolò per terra, fino ad
arrivare ai piedi di Jinny.
«Se
vuoi entrare devi essere
incellofanato pure tu», gli disse raccogliendola e
giocandoci.
«Cosa?»
Jinny
lo guardò e sorrise levandosi
gli occhiali e portandoli sopra la testa, si mise le mani ai fianchi.
«Non
ti vorrai mica sporcare,
vero?»
Tom
si guardò e poi sorrise
scuotendo la testa: doveva tornare alla Universal e non voleva avere
addosso
schizzi di vernice. Benjamin avrebbe sospettato troppo di una loro
possibile
riunione, visto che sua nipote era un’artista.
«Che
cosa stai facendo?», le chiese
avvicinandosi e mettendosi accanto a lei di fronte al quadro.
«Secondo
te?»
«Non
avevo mai visto questa tecnica
di pittura.»
«Oh,
quella della pallina?», la
mosse nella mano.
«Già.
Che cosa rappresenta?»,
indicò il disegno astratto di fronte a loro.
«Quello
che c’è dentro me», rispose
Jinny. Si avvicinò alla tela ed indicò passo per
passo le cose che spiegava.
«Le parti nere sono le parti di me ancora oscure, quelle che
nessun essere
umano scoprirà mai veramente di sé stesso, oltre
ad essere… beh, le parti della
mia vita che non ricordo.»
«È
una buona parte, non credi?»
«Sì,
sono più le cose che non so
che il contrario.»
«E
quegli schizzi colorati?»
«Ogni
colore rappresenta un
sentimento: nella nostra vita proviamo tantissime emozioni e in modo
molto
sparso, vedi?»
«Sì,
in effetti è molto incasinato.
Però hai usato solo tre colori: il rosso, il blu e il verde.
I sentimenti non
sono così pochi.»
«Ho
preferito racchiudere tutte le
emozioni in tre grandi gruppi: il rosso è il gruppo
dell’amore, della passione,
della felicità e della vita in generale. Il blu è
quello della tristezza, della
malinconia, della rabbia, della morte. Invece il verde è la
situazione di
transizione: non sei né felice né triste,
né vivo né morto. Ci sei e basta.»
«E
tu dove sei, nei tre gruppi?»
«Io
credo di essere un misto di
tutti e tre, sì… dipende dai momenti.
Tu?»
«Nel
rosso.»
«Come
mai?», chiese arrossendo e
stringendo nervosamente la pallina in mano. Perdeva ancora un
po’ di colore,
era fresco a contatto con la sua pelle, ma non le importava.
La
sera prima aveva dormito sì e no
qualche ora, rapita dai ricordi, e aveva avuto il tempo di riflettere
anche
sulla serata passata assieme a lui: alla fine Camilla non aveva avuto
ragione,
perché lui non le aveva fatto capire in nessun modo di voler
andare a letto con
lei. Ma Jinny aveva ricordato certe cose… come le loro
litigate frustranti, i
loro fraintendimenti, e in quei momenti aveva visto un Tom diverso da
come lo
aveva conosciuto dopo aver perso la memoria. Era davvero cambiato e non
sapeva
se essere felice o meno. Chi era lei? Perché per lui era
così importante da
cambiare in quel modo?
Le si
strinse un nodo in gola
quando lui si avvicinò e la guardò negli occhi
con i suoi splendidi e brillanti
con la luce del sole pomeridiano che entrava da una finestra ed
illuminava
tutta la stanza. Sembravano persino felici, quegli occhi.
«Perché
ora ci sei tu, e non potrei
essere più felice di riaverti al mio fianco, in qualsiasi
modo: tu ci sei e… mi
va bene così», le sorrise e le sfiorò
la guancia con la mano, per poi tornare a
fissare il quadro.
Jinny
bruciava, stava andando
letteralmente a fuoco e doveva fare assolutamente qualcosa.
Recuperò un
pennello grande e lo immerse nella vernice verde.
«Vuoi
che ti faccio vedere come si
fanno gli schizzi di colore?», gli chiese nel modo
più indifferente possibile.
«Sì!»
«Allora
devi spostarti.»
Tom
si spostò di qualche metro e
Jinny si posizionò di fronte alla tela: fece scorrere
velocemente le dita sulla
punta del pennello, puntato verso il punto in cui doveva macchiarlo, e
l’effetto che ottenne fu uno schizzo di colore verde
sovrapposto ad uno blu; le
dita già bianche a causa della pallina impregnata di vernice
appunto bianca
diventarono verdi.
«Wow,
bello, ma ci si sporca troppo
per i miei gusti», disse Tom con un sorriso.
«L’arte
non è solo visiva, ma anche
di tutti gli altri sensi.»
«Allora
ho ragione quando dico che
il sesso è un’arte!»
«Uhm…
sì», sollevò le spalle.
Ecco
il solito Tom! La
cosa la rassicurò e allo stesso tempo la rese nervosa.
Si
guardarono e risero assieme,
senza sapere bene perché.
«Ah,
Tom, mi sono dimenticata di
chiederti: come mai sei qui?»
«Volevo
salutarti, visto che non
rispondi ai messaggi.»
«Sono
a scuola, fino a prova
contraria, e quindi ho il cellulare spento.»
«Mmh.
Quindi ieri…»
«Ieri
mi sono divertita, te l’ho
già detto.»
Tom
la guardò e sorrise appena,
arrossendo contro il suo volere, così tornò con
lo sguardo al disegno.
«Non
mi hai detto che cosa
significa quella pallina bianca», la indicò.
«Oh,
è la chiarezza che si
espanderà nella mia testa, prima o poi.»
«E
poi è finito così?»
«Uhm…
Cavolo, non si dovrebbero
distrarre gli artisti in fase creativa!»
«Oh,
io sono fatto apposta per
distrarti», disse con una voce simile a quella del lupo
cattivo di fronte a
cappuccetto rosso.
«Come
ti permetti?! Vieni qui!»
«Oh,
no, non ci pensare nemmeno!
Non mi sporcherai mai!», e scappò via da lei.
Lo
rincorse per l’intero
laboratorio e quando si mise da solo con le spalle al muro, Jinny
avvicinò
pericolosamente le dita al suo viso e con un sorriso soddisfatto gli
rigò la
guancia di verde.
«Jinny,
sai questo che vuol dire?»,
ringhiò, anche se divertito.
«Che
mi vuoi tanto bene e mi
porgerai l’altra guancia invece di rispondere con la stessa
mia moneta?»,
chiese con la faccia da angelo.
«No,
per niente! Jinny se ti prendo
ti faccio diventare blu!»
«Oh
no, come i puffi no!»
«Oh
sì!»
Jinny
gridò ridendo e scappò da Tom
che la rincorreva. Le ricordava molto qualcosa, qualcosa che
c’entrava con un
carrello della spesa, una moneta e il parcheggio di un centro
commerciale, ma
il momento che stava vivendo era così intenso che non
riusciva a pensare
concretamente a qualcos’altro.
Sentì
la mano di Tom prenderle il
braccio e in un attimo si ritrovò di fronte a lui, stretta
al suo petto.
Arrossì sentendo i loro corpi così vicini e venne
percossa da un brivido quando
i loro sguardi si incrociarono e i colori dei loro occhi, seppure
differenti,
si mescolarono fra loro creando un colore tutto nuovo, speciale e unico.
«Non
vorrei dirtelo, ma questo
grembiule era un tantino sporco. Mi sa che ti sei fregato da
solo», ridacchiò
Jinny abbassando lo sguardo.
«Jinny,
non mi importa», sussurrò
Tom. Lei alzò lo sguardo sorpresa e vide gli occhi di lui
diventare lucidi, il
sorriso lasciar spazio alla nostalgia. «Non mi importa
nient’altro oltre te.»
«Tom…
io…»
«Ieri
sera mi hai baciato, perché?»
«Perché
avevo bevuto qualche
bicchiere di troppo», si scostò da lui,
pietrificato e lacerato nel petto.
Non
poteva essere… Non poteva
essere così! Jinny stava fuggendo di nuovo, era
l’unica spiegazione. Perché la
sera precedente era stato tutto così perfetto, Tom si era
sentito finalmente
felice e le cose che si erano detti erano state così
profonde e sincere che…
no, Jinny non poteva dire che l’aveva baciato solo
perché aveva bevuto qualche
bicchiere di troppo. Forse lui aveva accelerato un po’ troppo
e lei si era
trovata costretta a reagire in quel modo. Tom si era aperto del tutto e
lei si
stava pian piano richiudendo.
In
fondo… la sua opportunità l’aveva
avuta, otto mesi prima, e non l’aveva saputa cogliere. Ora
doveva pagarne le
conseguenze, ancora più amare della lontananza.
Che
Jinny avesse ricordato e non
volesse più avere nulla a che fare con lui?
Tom
non si dava pace, ma non poteva
stare lì come una statua ancora per molto. Si
girò e vide la sua piccola Jinny
sbarazzarsi del grembiule e degli occhiali dopo essersi lavata
accuratamente le
mani sporche di vernice, appenderli accanto agli altri e prendere la
sua borsa.
«Tom,
dovresti pulirti», gli disse
indicandogli il viso.
Per
fortuna nel loro contatto
ravvicinato non si era sporcato altro, la vernice sul grembiule di lei
doveva
essere asciutta.
«Sì,
ehm… Jinny?»
«Uhm?»
«Mi
dispiace.»
«Sì,
lo so, lo penso anch’io che il
verde ti doni», sorrise appena e si avviò alla
porta che dava sul giardino,
quella da cui era entrato Tom.
«Non
intendevo quello», disse Tom
con gli occhi tristi.
Jinny
aprì la porta e si fermò con
la mano su di essa. Girò il capo verso di lui e gli sorrise.
«Allora
non hai nulla di cui
scusarti.»
«Questo
è quello che credi tu.»
«Già,
ed è quello che dovrebbe contare
se mi dici che ti dispiace, no?»
«Sì,
penso di sì.»
Jinny
sorrise annuendo e uscì
fuori, all’aria aperta. Si sistemò con la schiena
contro al grande ciliegio in
fiore, di fronte alla macchina scura di Tom. Alzò lo sguardo
e la luce del sole
che filtrava fra i delicati petali rosa le colpì il viso,
chiuse gli occhi alla
brezza leggera e a quel buon profumo e qualcosa le ricordò
ancora una volta il
mare.
Quanto
le mancava il suo mare, il
mare dove se solo ci fosse andata avrebbe ricordato tutto alla
perfezione. Il
dottore le aveva detto che per ricordare bastavano dei sentimenti,
delle frasi
o delle immagini molto forti ed importanti per lei, che le avrebbero
fatto
tornare la memoria. Quindi anche ritornare in un luogo così
pieno di ricordi le
sarebbe stato d’enorme aiuto.
E
Tom… con Tom era riuscita a
ricordare più cose in due settimane che in tre mesi. Era
davvero così importate
per lei se le faceva ogni maledettissima volta quell’effetto?
«Ti
devo accompagnare a casa?»
Sobbalzò
e lo guardò al suo fianco,
le mani affondate nelle grandi tasche dei jeans.
«Ti
ho fatta spaventare?», sorrise.
«No,
figurati! La prossima volta
fammi direttamente morire d’infarto!»
«Scusami,
non l’ho fatto apposta.
Allora, devo riaccompagnarti a casa?»
«Sì,
penso di sì. Però, prima…»
«Cosa?»
«Potresti,
ecco… dirmi come ci
siamo conosciuti, per favore? È tanto che ci penso, eppure
non riesco a
ricordarmelo.»
«Oh,
è stato così divertente!»,
rise e si appoggiò accanto a lei, le spalle appoggiate al
tronco e un ginocchio
piegato.
«Davvero?»
«Sì.
In pratica ci siamo trovati
costretti a convivere per uno sbaglio commesso da Benjamin e tuo padre.
Non si
erano messi d’accordo bene e… ci siamo conosciuti.
Strana la vita, eh?»
Al
racconto seguì un flashback
dentro la testa di Jinny e dovette chiudere gli occhi per non essere
distratta
da Tom e per godersi l’intera scena: erano in salotto e
stavano facendo pari e
dispari con occhi da rivali, per conquistarsi l’ambito
solaio. Alla fine aveva
vinto lei e Tom aveva preso a calci tutte le cose che gli capitavano
sotto al
naso. Probabilmente odiava essere sconfitto. Dopo quello accadde un
fatto molto
particolare, ma che le era successo altre volte con lui:
ricordò, come se
facesse parte dello stesso ricordo, una serata passata davanti alla tv,
una
lotta per il telecomando e i loro corpi l’uno addosso
all’altro. E poi Jinny
che diceva a Tom di levarsi perché la stava a dir poco
schiacciando perché non
era leggero come una piuma. E sentì quel brivido che solo a
causa sua sentiva
ogni volta.
«Eh
già», disse riprendendosi dal
ricordo. «Abbiamo fatto pari e dispari per il solaio, me lo
ricordo.»
«Sì,
e come sempre hai vinto tu. La
solita fortunata», disse con un gesto della mano.
«E…
com’è che ci siamo affezionati
tanto l’uno all’altra?», chiese lei quasi
tremando. Aveva paura e voglia di
scoprirlo.
«Ti
dice niente Riky?», la guardò
negli occhi e Jinny notò un certo fastidio da parte sua, ma
ne parlava
comunque, perché lei gliel’aveva chiesto.
«Sì,
mi… mi ricorda qualcosa, ma
molto, molto lontanamente.»
«Bene,
perfetto così! Non
ricordartelo neppure, non ne vale la pena. Quello stronzo ti ha fatto
stare
malissimo per un sacco di tempo e ti ha fatto pure credere di aver
capito
l’errore, quando invece voleva solo riallacciare i rapporti
con te per
raggiungere tuo padre per far diventare famosa la sua amante.»
Cavolo,
ora che ci penso è peggio di
Beautiful!
«Magari
l’ho preso a pugni?»
«Esattamente,
è stata la stessa
sera in cui noi due abbiamo…», Tom si
fermò improvvisamente e guardò in basso,
gli occhi tristi e spenti.
«Fatto
l’amore? La sera del mio
diciottesimo compleanno, mi ricordo», disse Jinny
tranquillamente.
«E
da quant’è che te lo ricordi?»
«Credi
che abbia importanza?»
«No,
però…»
«Da
ieri notte. Non riuscivo a
dormire e mi è venuto in mente.»
«Oh,
capisco.»
«Non
so come ho fatto a
dimenticarlo.»
«Perché?»
«Perché
basta una volta con te che
non te la scordi più.»
Tom
rise appena e alzò la testa per
guardarla negli occhi.
«Mi
sei mancata tanto, sai?»,
sorrise con gli occhi velati dalle lacrime.
«Non
so se mi sei mancato», alzò le
spalle. «Cioè… mancato sì,
è ovvio, ma non so se avevo davvero voglia di rivederti,
dopotutto.»
«Ma
quante cose ricordi,
precisamente?»
«Più
o meno tutto, però alcune
parti le vedo sfuocate. Forse non le voglio davvero vedere,
ecco.»
«Anch’io
non avrei mai voluto
combinare quei disastri e farti soffrire.»
«Ti
credo.»
«Sul
serio?»
«Sì.»
«Abbiamo
un’altra possibilità,
posso far sì che non sbagli più.
Jinny…»
«Tom,
io credo alle tue parole. Ma
sei davvero sicuro che i fatti ci saranno? Abbiamo una seconda
possibilità, ma
sei davvero disposto a rinunciare a tutte le altre per me? Che
cos’è cambiato
rispetto ad otto mesi fa?»
Tom
si mise di fronte a lei e le
cinse i fianchi con le mani, appoggiando la fronte alla sua.
«È
cambiato il fatto che ora so
cosa voglio. E so anche che cosa provo.»
«E
cosa provi?»
«Io…»
Sbagliava
o era arrossito davvero?
E così platealmente davanti a lei, senza nessuna difesa,
inchiodato nei suoi
occhi brillanti alla luce del sole? Era arrossito, si era messo a nudo
di
fronte a lei, ma ora che davvero sapeva di volerla e di amarla,
soprattutto, lo
avrebbe rifatto milioni di volte ancora.
«Tu?»
«Io…
Jinny, è così complicato dire
quelle due parole!»
«Davvero?»
«Se
non le ho mai dette in vita mia
ci sarà pure un motivo, no?»
«Già.»
«Jinny,
io… io… io ti… Jinny io ti
amo!»
Prese
fiato, manco avesse corso per
due chilometri e mezzo, e incrociò lo sguardo di Jinny,
senza sapere più cosa
fare. Solo lei riusciva a metterlo in quelle situazioni tremendamente
imbarazzanti.
«Credo
che peggio di così non
poteva andare», ridacchiò amaramente Jinny
abbassando lo sguardo.
«Che
cosa intendi dire?»
«Che
tu finalmente ti sei aperto e
io non so cosa provo per te. Prima era il contrario, i ruoli si sono
scambiati.»
«Odio
Beautiful,
accidenti!», sbraitò Tom allontanandosi e dando un
pugno
debole sul tetto della sua amata Cadillac nera.
E
questo che c’entra?, si
chiese Jinny, ma sollevò le spalle e non ci badò
più
di tanto, doveva essere un’altra delle stranezze di Tom.
«Ma
perché cazzo dev’essere sempre
così complicato fra noi?»
«Ce
lo siamo scelto noi il nostro
destino, Tom, è colpa nostra.»
«No,
è solo colpa mia invece,
perché se io avessi capito subito quello che provavo, invece
di fuggire…»
«Tom,
vieni qui», gli ordinò Jinny.
Lui
camminò lentamente, quasi
scocciato, con le mani in tasca, ma quando Jinny lo prese per i fianchi
e lo avvicinò
a sé sentì un brivido e l’incazzatura
gli passò in un istante, perdendosi nei
suoi occhi sbarazzini.
«Se
madre natura ti ha fatto
stupido non è colpa tua», gli baciò la
punta del naso ridendo.
«Questa
me la segno, la dirò a Bill
la prossima volta che mi darà
dell’imbecille.»
«E
comunque tu sei così sicuro che
la colpa sia solo tua, quando invece non è così.
Quella sera avrei perso
comunque la memoria, era il mio destino. E si dà il caso che
il mio destino è
così incomprensibilmente intrecciato al tuo.»
«Jinny,
lo sai che se io non ti
avessi lasciata…»
«Ma
che cazzo, Tom! Ti ho appena
detto che il mio destino e il tuo sono incomprensibilmente intrecciati
e tu
continui a darti la colpa?! Perché non mi baci e basta, ora
che è il momento
adatto?»
«Ti
devo baciare veramente? Io so
che scapperai, quando ricorderai di più.»
«Tom,
tu vai contro i tuoi stessi
motti!»
«Tipo?»
«Carpe Diem,
Leb’
die Sekunde,
e tutte le cose che scrivete nei testi delle vostre canzoni e che
ripetete fino
alla nausea nelle interviste!»
«Ho
capito che con te questi motti
non servono, perché se ti bacio adesso e se tu te ne
andassi, aver vissuto quel
secondo non mi servirebbe a niente, anzi, mi farebbe stare ancora
più male.
Quindi è meglio averti quando sarai convinta, che averti per
un po’ e poi non
averti più.»
Menomale
che lui era il ragazzo che odiava i se!
«Tom,
non ti accontenti mai!»
«No,
e sono un ingrato.»
«L’importante
è riconoscere i propri
difetti», sorrise maliziosa. «E sai qual
è un mio difetto?»
«Ah,
ne hai talmente tanti!»
«Ma
grazie!», gli tirò uno schiaffo
sul braccio, senza forze a causa delle risate.
«Il
mio più grande difetto è non
riuscire a resisterti», gli sussurrò sfiorandogli
il collo con le dita.
«Uhm?»
«Già.»
«Vuoi
davvero che ti baci?»
«Se
non lo fai tu lo farò io,
quindi…»
La
baciò stringendola di più e Jinny
si sentì le ali al cuore, tanto leggera da riuscire a volare
in cielo e non
scendere più. Finalmente avrebbe vissuto veramente sulla sua
nuvoletta. Ma
avrebbe rinunciato volentieri alla vista in prima fila del cielo
stellato di
una sera d’estate per stare lì dov’era
con Tom. Le avrebbe sortito lo stesso
identico effetto.
Le
sue labbra erano calde e
morbide, dolci con quel retrogusto amaro causato dal fumo, e non aveva
dimenticato la sensazione del suo piercing freddo che accarezzava le
sue di
labbra. Per non parlare poi delle sue mani che la sfioravano appena,
anche se
sentiva che lui l’avrebbe voluta avere subito, e che
conoscevano ogni parte di
lei, anche la più segreta, che però stavano fisse
sui suoi fianchi per non
cedere alla tentazione e rovinare tutto.
Il
cellulare di Tom suonò, ma lui
non si spostò dalle labbra di Jinny, anzi, se ne
fregò a continuò a baciarla
con passione, sfiorandole ora la schiena, ora le treccine sulle spalle.
«Tom,
ti sei dimenticato che tu eri
quello che non voleva baciarmi? Credo che una pausa non
farebbe…»
«Sono
anche quello che non si
accontenta mai», le ricordò prima di perdersi di
nuovo ad accarezzarle le
labbra con le sue, senza fretta.
«Tooooom…»
«Ok,
ok, va bene», disse
staccandosi a fatica da lei e tirando fuori dalla tasca il cellulare.
Ma
dove ti sei cacciato? Qui
è arrivato il padre di Jinny, io se fossi in te non me lo
perderei.
«Chi
è?»
«Oh,
ehm… Jinny…»
«Sì?»
«Ci…
ci sarebbe una cosa che… che
dovrei dirti…»
«Che
cosa?»
«Sì,
beh… tuo padre…»
«Che
c’entra mio padre?»
«Voleva
vedere tua madre e… e ora è
alla Universal.»
«Davvero?»
«Già.»
«Allora
andiamo!»
«Ma
sei pazza? Se ci vedessero
arrivare assieme penserebbero…»
«Non
me ne frega niente di quello che
pensano o penserebbero. A te?»
«Diciamo
solo che Benjamin potrebbe
uccidermi.»
«E
perché dovrebbe farlo?»
«Beh,
dopo quello che è successo
fra noi… Non vuole che succeda di nuovo, ecco.»
«Faremo
in modo che non succeda
più. E adesso, per favore, potremmo andare?
Grazie.»
Salirono
in macchina e in breve
tempo arrivarono alla Universal. Subito nella hall videro Benjamin
già
incazzato nero che borbottava qualcosa guardando il fratello e Victoria
che
parlavano un po’ più in là; e il resto
dei TH in un angolo che guardavano da
tutte e due le parti.
«E
voi due che ci fate assieme?!»,
gridò Benjamin con una furia paragonabile a quella di un
omicida.
Tom
vedeva già la sua testa su un
piatto d’argento: per Jinny non avrebbe di certo pensato al
gruppo dei Tokio Hotel,
anzi, avrebbe fatto fuori anche loro senza alcuno scrupolo se le
avessero fatto
qualcosa di male.
«Zio,
io e Tom usciamo insieme!»,
disse Jinny unendo le mani di fronte al viso. «Non
è una cosa fantastica? Non
sei contento per me? Io sono felicissima!»
Stava
parlando in un modo mieloso e
con gli occhi da angioletto-cerbiatto – una fusione letale
per i cuori teneri
–, ma Benjamin non parve accorgersi del quasi imbroglio.
Certo, Jinny era
felice, ma non avrebbe mai fatto tutte quelle scenate. Lo stava facendo
solo
per Tom e lui sarebbe stato costretto a ricambiare adeguatamente il
favore,
visto che gli stava salvando la vita.
«Uhm…
sì», disse Benjamin
sconfitto, ricevendo un grosso abbraccio e un bacio da parte della
nipote. «Ma
se osa solo pensare di farti qualcosa di male dimmelo, non
avrò pietà», lo
incenerì con lo sguardo e Tom deglutì.
«Sì,
zietto, non ti preoccupare!
Nemmeno io avrei pietà se fossi in te.»
«Ma
grazie…», mormorò Tom alzando
gli occhi al cielo, mentre Bill, Georg e Gustav se la ridevano sotto i
baffi.
La
loro Jinny, non era proprio
cambiata. Ed era bello che fosse così.
«Jennifer?»,
la chiamò sua madre.
Lei
si girò e guardò suo padre e
sua madre, l’una affianco all’altro, che
sorridevano. Non li vedeva sorridere
assieme da… praticamente mai.
«Sì?»,
chiese nervosa.
Improvvisamente vederli così, come non li aveva mai visti,
l’aveva agitata e
non sapeva cosa aspettarsi.
«Domai
sera ceniamo assieme, ti
va?», le chiese il padre.
«Sì,
certo!»
«Ok,
bene, allora a domani
principessa.»
«Ma
ora dove vai?»
«Devo
sbrigare alcune faccende di
lavoro, ci vediamo domani sera», la baciò sulla
fronte e uscì dalle porte
vetrate.
Jinny
si girò e guardò sua madre,
ferma ancora con lo sguardo sulla porta, un sorriso che sinceramente
non sapeva
se abbinare a felicità o amarezza.
«Mamma?»
«Sì,
che c’è?»
«A
cosa pensi?»
«Che
non ho nulla da mettermi per
la cena!», disse sorridendo emozionata, le lacrime agli
occhi.
«E
io che mi stavo preoccupando sul
serio!», rise e l’abbracciò.
«Che
giornata del cacchio», disse
Benjamin imbronciato. «Prima Jinny e Tom, poi Victoria e
Gabriel, ma che cosa
sta diventando questo posto? Lo studio di Stran’amore,
per caso?!»
«C’è
David che è andato a prendersi
un caffè sull’Himalaya, perché non lo
raggiungi?»
«Ottima
idea, Gustav. Chissà se
lassù riuscirò a rilassarmi.»
«Sì,
con lo yeti che fa palline di
gelato con la neve fra i piedi? Ne dubito», disse Jinny
stringendosi nelle
spalle, facendo ridere tutti.
Jinny
e Tom si guardarono negli
occhi e sorrisero, arrossendo entrambi.
Forse
era proprio vero che i loro
destini erano incomprensibilmente intrecciati, in un modo assai
complesso, ma
comunque apprezzato.
Tom
non poteva di certo lamentarsi,
visto anche che le cose troppo semplici non gli erano mai piaciute.
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Capitolo 6 *** Know everything ***
Nota:
Ecco qui per voi il capitolo numero 6! Ah, comunque è
iniziata l'estate! Che bello! Godetevela!! ^^
Ringrazio
Ladysimple
(*Ero sicura che ti sarebbero piaciuti Tom e Jinny!!*) e Kvery12
(*Grazie, multilingue! Vedrò di creare un lieto fine! P.S.
L'ultima frase su Tom vuol dire proprio quello che c'è
scritto, che non può lamentarsi perchè non gli
sono mai piaciute le cose troppo semplici, XD Continua a recensire, mi
raccomando!!*) Poi un Grazie
enorme sempre ad Ale
(o Frenzy) di msn, che mi sostiene! E, ovviamente, a tutti quei
timidoni che leggono e poi non mi lasciano le recensioni!! Ahahah,
grazie__<3, Ary.
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6
Know everything
«Hi!»
«Camilla,
ma sei tu?»
«Oh,
sì, sono io! Che c’è?»
«Ciao.»
«Ciao.»
«Che
stai facendo?»
«Mmh,
cercavo di prepararmi la
cena, ma sono un disastro senza Jinny!»
«Io
ho un’idea migliore, perché non
vieni qui?»
«What?!»
«Sì,
dai! Per favore…»
«Ma
gli altri non ci sono?»
«No,
escono», guardò gli amici sul
divano e Tom negò con la testa, l’espressione
imbronciata e le braccia strette
al petto, ben radicato sul divano.
«E
dove vanno di bello?»
«Che
cosa te ne frega? Dai, fai
contento il tuo Bill!»
«Ok,
va bene.»
«Ok,
hi!», la salutò emozionato,
ridendo per quell’inglesismo che si era diffuso nella loro
chiacchierata.
«Bill,
aspetta!»
«Che
cosa c’è?»
«Non
so dove abiti.»
«Oh,
che stupido! Dai, passo a
prenderti io.»
«Ok,
see you.»
Chiuse
la chiamata con Camilla e
guardò con gli occhi dolci Gustav, Georg e Tom sparsi per il
salotto: chi
seduto intorno al tavolo, chi sulla poltrona e chi sul divano, come il
suo
amato gemello.
«Ok,
per me non c’è problema, tanto
devo uscire con Ary.»
«Oh,
grazie Gustav! Io l’ho sempre
detto che sei il migliore!», si avvicinò contento,
aprendo le braccia.
«No,
non ti azzardare», Gustav lo
allontanò mezzo schifato.
«Ah,
come sei cattivo», sbuffò. «Era
solo un abbraccio!»
«I
tuoi abbracci mi irritano, non
so perché.»
«Mai
fatto il test delle allergie?
Magari sei allergico a Bill», disse Georg.
«Sì,
potrebbe anche essere.»
«La
finite?! Tu, Georg, non devi
uscire?»
«Mmh,
no.»
«E
perché no? Dai, per favore!
Levati dalle scatole.»
«Cacciato
da casa mia, possibile?»,
mormorò alzandosi e andando l’appendiabiti, dove
prese la giacca. Raggiunse
Gustav già fuori dalla porta e si avviarono assieme.
Due
sono andati, adesso manca il terzo… e il più
difficile da
corrompere,
pensò
Bill controllandosi le unghie di fronte al fratello gemello, silenzioso
e con
il viso duro come il marmo.
«Ancora
qui sei?», gli chiese.
«Già.»
«Perché
noi a vai a farti un giro
pure tu, invece di fare la muffa sul divano?»
«Perché
non so dove andare.»
«Oh,
beh… su quello non c’è
problema! Puoi anche fare il barbone qui sotto.»
«Bill?
Ho la faccia di uno che
vuole scherzare?»
«Uhm…
no.»
«E
quindi vedi di non scassare i
coglioni, per favore.»
«Senti»,
si mise seduto accanto a
lui e gli cinse le spalle con il braccio, avvicinandolo a
sé. «So che avresti preferito
andare con Jinny a quella cena, ma… non credi siano cose di
famiglia? E…
delicate?»
«E
se avesse bisogno di me?», disse
con gli occhi tristi.
Bill
era molto sorpreso dal
comportamento del fratello: non l’aveva mai visto
così preso da una ragazza, innamorato
e tanto in pensiero quando non c’era. Era anche un
po’ irritante a volte, ma
vederlo al settimo cielo quando stava con Jinny era la giusta
consolazione.
«Non
potrai mai essere sempre al
suo fianco, inizia ad abituarti a questa cosa.»
«Non
ci voglio nemmeno pensare,
impazzirei!»
«Se
impazzisci quando non la vedi
per più di tre ore di fila, pensa quando non la vedrai per
mesi!»
«Ah,
no, no!», si tappò le
orecchie.
«Tom?
Ti prego, non fare il
bambino, tu sei il più grande fra i due!»
«Non
voglio lasciarla, mai più»,
abbracciò Bill e appoggiò la testa al suo petto,
in cerca di consolazioni.
«E
nessuno ti ha mai detto che lo
dovrai fare. Oh mio Dio, Tom! Ma ti vedi?! Da quando vieni a cercare le
coccole
da me?! Sbaglio o l’amore ti rammollisce?!»
«Cazzo,
però!», si tirò su e lo
guardò incazzato. «Quando vuoi farmi le coccole ti
incavoli perché non voglio,
quando invece ne hai l’opportunità mi cacci via?!
Deciditi!»
«Scusa
Tomi!», lo abbracciò di
nuovo felice e lo strinse a sé. «È che
è strano vederti così, mi ci devo
abituare.»
«Mi
sono innamorato…», sospirò.
«Chi
l’avrebbe mai detto,
Sex-Gott.»
«Non
mi chiamare così, io non sono
più quello.»
«Sì,
hai ragione, scusami. Allora…
Cosa siete tu e Jinny?»
«Un…
un bel niente.»
«Ma?»
«Ma
ci siamo baciati due volte.»
«Uhm,
mi sembra di ritornare al
passato. Magari alla terza volta funziona! Tre è il numero
perfetto.»
«Mmh,
magari.»
«Senti,
Tom…»
«Cosa?»
«Allora
ti levi o no dalle scatole?
Sai, volevo organizzare una cenetta romantica con Camilla
e…»
«Ma
porca di quella vacca, io sono
depresso perché mi manca Jinny e tu pensi alle cenette
romantiche con
Camilla?!»
«Quante
volte io ero depresso e tu
te ne andavi in giro con le troiette?!»
«Mai!»
«Già,
hai ragione», sussurrò abbassando
lo sguardo. «Ma io ci tengo tanto a
Camilla…»
«Dai,
io mi chiudo in camera, fate
come se non ci fossi.»
«No,
Tom, io…», tentò di dire, ma
il fratello era già salito al piano superiore e si era
sbattuto la porta alle
spalle.
Si
fece una doccia bollente per
sciogliere i muscoli e poi si infilò il pigiama,
cioè una maglietta bianca e
dei pantaloncini corti e larghi. Si guardò allo specchio e
sbuffò, poi iniziò a
parlare da solo, con la sua immagine riflessa: non era impazzito, aveva
solo
voglia di sfogarsi e di dire tutto quello che pensava, cose che non
avrebbe mai
detto, o forse sì, chissà, immaginando di avere
Jinny di fronte a sé.
«Una
volta tu hai detto che mi
amavi. E io che ho fatto? Ti ho risposto: “Lo dici solo
perché abbiamo
litigato”. Tu sei scoppiata a piangere, ovviamente. Sono
stato un deficiente,
non avrei mai dovuto dirlo. Mi dispiace. Ora sono io che ti dico che ti
amo e
tu… tu non sai che fare. Ma tra noi non esiste la parola SEMPLICITA’?»
Perché
va bene che non gli
piacevano le cose troppo semplici, ma così era troppo
complicato!
Con
quella domanda in testa si
abbandonò al letto e chiuse gli occhi con le mani dietro la
nuca, rivolto al
soffitto.
Avrebbe
pagato oro per essere a
quella cena con Jinny, per starle accanto e rassicurarla. Sapeva come
ci si
sentiva, anche i suoi genitori una volta avevano fatto una cosa del
genere, per
fargli credere che un po’ di normalità
c’era, ma era stato fin troppo umiliante
e sconfortante, soprattutto, perché lui e Bill avevano visto
con i loro occhi
la freddezza con la quale la loro mamma e il loro papà si
guardavano: quella
non era più una famiglia, solo un collage riuscito male per
il bene dei figli,
che si era rivelato un vero disastro.
Chiuse
gli occhi e si mise sul
fianco. Sospirò e prese il suo iPod dal comodino, si mise le
cuffie e si mise
ad ascoltare canzoni a caso, di cui non seguiva nemmeno il ritmo. Non
riusciva
a smettere di pensare a Jinny, nemmeno un istante.
Ormai
era normale che fosse sempre nei
suoi pensieri, lo era da quasi dieci mesi, ma quella sera era diverso:
non si
era mai sentito così in pensiero per lei, forse
perché sapeva quello che stava
passando e voleva starle accanto, forse perché
l’amore per lei era aumentato
senza che lui se ne accorgesse.
Non
si era accorto di essere
innamorato per due mesi, figurarsi se si accorgeva a che livelli
arrivava ad
amarla. L’amore era sempre l’amore, alla fine, non
bisognava nemmeno pensarci
molto, era così e basta, non c’erano alternative.
Si
rese conto di essere molto
fortunato, perché si era innamorato – finalmente
– di una ragazza stupenda, sia
dentro che fuori, e non poteva chiedere di meglio.
Staccò
le cuffie innervosito, non
aveva proprio voglia di fare niente se non pensare alla sua Jinny. E
quale
metodo migliore se non imbracciare la sua Gibson e scriverle una
canzone?
Avrebbe unito lavoro e amore. Anche se era la stessa cosa, in pratica:
il suo
lavoro era la musica, il suo primo grande amore.
Stava
per scrivere i primi accordi
su un foglio, quando sentì qualcuno bussare alla porta.
«Chi
è?», chiese scocciato. Sapeva
che era Bill, era l’unico rimasto in casa.
«Tomi,
te la sei presa?»
«No.»
«E
dovrei crederti?»
«Per
favore Bill, lasciami in
pace.»
«Ti
ho portato una sorpresa.»
«Se
mi hai portato Jinny ti amo con
tutto il mio cuore, altrimenti te ne devi andare.»
«No,
non Jinny, però…»
«Ciao
Tom», disse Camilla aprendo
la porta e salutandolo con la mano. «Certo che tuo fratello
la tira proprio
lunga quando ci si mette», sorrise.
«A
chi lo dici…»
«Vuoi?»,
gli porse un piatto con un
pezzo di torta, sedendosi sul letto. «Te lo manda Jinny. Ha
detto che si è
ricordata che era la tua preferita e… l’ha
cucinata sta mattina.»
«Che
tenera, non doveva!», disse
Tom con il cuore sciolto.
«Sì,
già, ehm… please,
torna il Tom di sempre, fa un
certo effetto vederti così.»
«Solo
perché ho detto che è
tenera?»
Camilla
si strinse nelle spalle e
sollevò le sopracciglia.
«Ok,
va bene, quanto siete
rompicoglioni voi due», prese il piatto e mangiò
la prima forchettata.
«Questo
è il Tom che conosco!
Quello che ci insulta!», esultò Bill lanciandosi
sul letto, accanto a Camilla.
***
Che
serata. Solo a lei poteva
capitare una cosa del genere.
Suo
padre non aveva badato a spese,
come al solito, aveva prenotato il ristorante più lussuoso
di Amburgo, uno con
i lampadari di cristallo e i violinisti che suonavano, dove tutti si
vestivano
eleganti.
Non
era il suo ambiente, eppure
quella sera si era preparata come meglio poteva: indossava un vestito
lungo nero
a brillantini, le scarpe nere lucide col tacco e aveva gli occhi
contornati da
matita e mascara neri. Non era proprio a suo agio, ma lo faceva per i
suoi
genitori.
Era
seduta sul lato, invece suo
padre e sua madre, bellissima con quel vestito rosa antico che avevano
comprato
in quel pomeriggio di shopping, erano l’uno di fronte
all’altra, che si
guardavano e si lanciavano sorrisi ogni tanto.
Le
sembrava di essere di troppo, di
essere un fantasma del passato, come se dovesse ancora nascere, come se
loro si
fossero appena innamorati. Perché, sì, davano
l’impressione di essere davvero
innamorati.
«Jennifer,
perché non ci racconti
un po’ quello che sta succedendo con Tom?», chiese
suo padre ad un certo punto.
Quasi
non si strozzò con il vino
rosso che stava sorseggiando.
«Che
cosa?», chiese ad occhi
sgranati.
«Sì,
insomma… tu e Tom…», disse sua
madre, incitandola a parlare.
«Io
e Tom non siamo proprio
niente», disse Jinny arrossendo.
Chissà
come mai, ma dire quella
frase l’aveva fatta star male. Loro non erano niente, loro
erano tutto.
«Benjamin
vi ha fatto molte
storie?», le chiese Gabriel.
«Abbastanza,
non lasciava mai in
pace Tom, poverino.»
«Ci
ho parlato io, non dovete più
preoccuparvi.»
«Grazie
papà, non dovevi. L’avrei
fatto io comunque, prima o poi.»
«Figurati
principessa, per me è
stato un piacere.»
Sentì
il proprio cellulare vibrare
nella borsetta che teneva sulle gambe, sotto al tovagliolo.
«Scusate,
torno subito», si scusò
ed uscì dal ristorante.
Doveva
ricordarsi di ringraziare
Tom, l’aveva salvata da una situazione poco piacevole, in
più aveva proprio
bisogno di una boccata d’aria.
«Ehi»,
lo salutò.
«Ehi»,
rispose quasi sussurrando,
la sua voce calda ed eccitante che le fece chiudere gli occhi. Jinny si
appoggiò con la schiena alla parete, abbandonandosi al dolce
suono delle sue
parole.
«Disturbo?»
«No,
anzi, stavamo entrando in
discorsi imbarazzanti.»
«Tipo?»
«Papà
ha iniziato a parlare di te
e…»
«Io
sono imbarazzante?»
«Stupido,
non intendevo in quel
senso! È che io mi imbarazzo a dire certe cose, sai come
sono.»
«Sì,
timidina. Come sta andando?»
«Né
bene né male, così.»
«Quindi…
verde?»
Jinny
sorrise. «Sì, verde. Che cosa
stai facendo?»
«Nulla
di particolare, suonavo un
po’. Camilla ha portato la torta, grazie.»
«Oh,
non c’è di che.»
«Jinny,
sei sicura che vada tutto
bene?»
«Sì,
perché?»
«Sembri
stanca.»
«Sì,
in effetti un po’ lo sono», si
ravvivò le treccine sulla nuca. «Sai che quando
sono entrata mi hanno guardato
i capelli per ben cinque minuti? Qui sono vestiti tutti come
pinguini… Non
hanno mai visto delle treccine?»
«Ah,
sì, capita pure a me e a Bill.
Non ti preoccupare, basta tirare fuori i soldi.»
«Già.»
Risero assieme.
«Allora…
ci sentiamo domani», disse
Tom.
«Sì,
ci sentiamo domani.»
«Jinny?»
«Sì?»
«Mi
manchi.»
«Ahm…
sì, ciao.»
Chiuse
velocemente la chiamata,
imbarazzata, ma si sentì subito una stupida:
perché non aveva detto che gli
mancava pure lui e che avrebbe preferito stare con lui invece che ad
una cena
in un ristorante snob a vedere i propri genitori flirtare come se
fossero
ragazzini?
La
verità era che aveva ancora un
po’ di paura. Aveva ricordato il dolore che le aveva causato
e… non sapeva
ancora se fidarsi del tutto.
Si
trovò comunque a sorridere e
rientrò dentro, visto che iniziava a fare un certo fresco
senza il copri
spalle.
Si
sedette di nuovo al tavolo,
sorridente, ma i suoi non le chiesero niente, persi com’erano
nel ricordare i
momenti felici della loro famiglia.
«Victoria,
ti ricordi quando
Jennifer è caduta nel torrente ghiacciato, in
montagna?»
«Sì,
menomale che era primavera.
L’abbiamo asciugata con il phon. Tu ti ricordi,
Jennifer?»
«No»,
disse amaramente.
«Oh,
scusami tesoro», le disse la
madre, passandogli la mano sul braccio.
«Non
fa niente», sorrise.
«Sapete,
mi manca la nostra
famiglia», disse Gabriel.
Jinny
e Victoria si guardarono
mentre lui prendeva qualcosa dalla tasca della giacca e si alzava con
il pugno
dietro la schiena.
Jinny
guardò la scena come se fosse
un film, con gli occhi velati dalle lacrime e il respiro bloccato in
gola.
Suo
padre si inginocchiò accanto
alla madre e le porse una scatoletta di velluto, la aprì e
le sorrise
dolcemente, mostrandole il bellissimo diamante che conteneva.
«Victoria,
mi vuoi sposare? Di
nuovo?»
«Oh,
Gabriel… Sì», disse con le
lacrime agli occhi pure lei.
Gabriel
le infilò l’anello al dito
e la baciò. Ora Jinny sapeva cosa voleva dire amare:
nonostante tutti quegli
anni e tutti gli errori commessi, suo padre aveva capito che amava sua
madre e
le aveva chiesto di ricominciare di nuovo con lui.
Pensò
a Tom e si trovò con le
guance rigate dalle lacrime e un sorriso sulle labbra: quella sera
anche lei
aveva capito molte cose.
Quando
suo padre si risistemò e il
tempo delle lacrime cessò, sulle quali nessuno aveva fatto
domande pensando che
fossero per il momento romantico, arrivò il dessert, per
concludere in bellezza,
e Jinny aveva proprio esagerato: fetta enorme di torta al cacao con
tanto di
panna e ciliegina.
«E
adesso?», chiese Victoria.
«E
adesso cosa?», chiese a sua
volta Gabriel.
«Insomma,
ci sposiamo e poi?»
«Avevo
pensato di trasferirci tutti
in America.»
«Che
cosa?!», a Jinny stridette la
forchetta nel piatto.
In
America? In America?! Suo padre
era impazzito! Come aveva anche solo potuto pensare che lei, dopo tutto
il
tempo che ci aveva messo per ricordare, avrebbe abbandonato
così facilmente…
Tom?
L’aveva
detto pure lei che loro non
erano proprio niente, ma… si sentiva male al solo pensiero
di doverlo
abbandonare di nuovo. Si sentiva schiacciata da qualcosa e pesante
dentro, e
non a causa delle calorie della torta. Il suo cuore era diventato un
macigno
insopportabile, il che voleva dire una sola cosa: era innamorata di
Tom.
«Non
voglio lasciarvi sole ancora,
voglio stare con voi più tempo possibile, e visto che lavoro
principalmente in
America… Sempre se siete d’accordo.»
Per
sua madre non c’erano problemi,
avrebbe fatto di tutto per Gabriel, ma Jinny? Era disposta a lasciare
tutto per
la famiglia? Sarebbe stata in grado di dimenticare di nuovo e di
rifarsi una
vita? Un’altra volta?
«Jennifer,
stai bene?», le chiese
premurosa la madre, accarezzandole una guancia. «Sei
pallida.»
«No,
sto… sto bene», balbettò lei
facendo un sorriso tirato. «Wow, è…
fantastico.»
Altro
che fantastico, altro che
bene… Non stava né bene né quella
situazione era fantastica. Per niente. Ma
come faceva a dirlo a quei due innamorati? Come poteva distruggere i
loro
sogni?
Già,
ma i suoi di sogni?
***
Il
viaggio di ritorno in macchina
era stato imbarazzante, però non ci fece molto caso, presa
com’era a piangersi
addosso perché non riusciva ad aprirsi come voleva a Tom.
Lei
provava qualcosa per lui, solo
che ancora era così insicura… Cazzo, quanto
odiava le situazioni così
complicate!
Salì
in casa e si sentì ancora più
depressa quando si accorse che Camilla non c’era. Doveva
essere andata da Bill
e company, visto che lei usciva.
Alzò
le spalle sospirando e andando
in cucina, infatti, vide un bigliettino lasciatole proprio da Camilla:
Hi,
darling!
Sono da Bill… Arrivo prima
che posso! :)
Kisses, your crazy Camy.
Si
diresse in camera sua e si fece
una bella doccia bollente, non si struccò nemmeno,
lasciò che l’acqua le
scivolasse sul viso, appoggiandosi alle piastrelle fredde della parete.
Singhiozzò
pensando a Tom, al modo
in cui gli avrebbe detto addio. Come avrebbe fatto?
Acqua
e lacrime si mescolarono, Jinny
si portò le mani sul viso, soffocando i singhiozzi
inutilmente, sempre più
forti contro di lei.
Uscì
dalla doccia più distrutta di
prima, il trucco sbavato sotto agli occhi e una pessima cera.
L’America le era
sempre piaciuta, ma si trovò ad odiarla.
Si
infilò una maglietta e un paio
di slip a caso e si buttò fra le lenzuola, le cuffie
dell’iPod nelle orecchie,
la luce del comodino accesa.
Si
sentiva stanca e triste, il
sonno c’era ma lei non voleva dormire, non ancora. Era ancora
troppo impegnata
a pensare a suo padre che aveva chiesto a sua madre di
sposarla… beh, quello
era positivo. Forse l’unica cosa positiva di quella serata,
senza contare la
piacevole chiamata di Tom.
Guardò
lo schermo illuminato
dell’iPod e lesse il nome della canzone: Fall to pieces, di
Avril Lavigne. Lei non ascoltava quel genere di musica, probabilmente
le aveva
messe Camilla quando il suo iPod era andato a farsi fottere.
Non
era proprio quello che le ci
voleva, ma non cambiò, si lasciò cullare da
quelle parole e da quella melodia,
chiudendo gli occhi.
I
don’t want to fall to pieces
I just want to sit and stare at
you
I don’t want to talk about it
I don’t want a conversation
I just want to cry in front of you
I don’t want to talk about it
‘cause I’m in love with you
Sentì
la porta della propria camera
aprirsi e vide con la coda dell’occhio Camilla. Le stava
parlando, ma non
sentiva a causa della musica.
«Eh?»,
le chiese levandosi una
cuffia, senza alzare la testa dal cuscino.
«Ti
ho chiesto com’è andata la
cena», le sorrise con la spalla appoggiata allo stipite della
porta.
«Ne
parliamo domani, Camilla»,
chiuse gli occhi. «Ho sonno.»
«Ok,
come vuoi.»
Si
avvicinò a lei e la baciò sulla
guancia, dopo aver spento la luce del comodino. Le accarezzò
le treccine e
Jinny fece un minuscolo sorriso per rassicurarla, per poi ritornare a
piangere
quando fu uscita dalla stanza.
Si
rannicchiò di più e nascose le
lacrime nel cuscino, stringendolo sotto alla testa.
Want
to know who you are
Want to know where to start
I want to know what this means
Want to know how to feel
Want to know what is real
I want to know everything,
everything
---------------------------------------------------
Nota:
Quest’ultima canzone è, come
avete letto, Fall
to pieces,
della magica Avril Lavigne. L’ho trovata perfetta per questa
ultima scena,
spero vi abbia comunicato come davvero si sente Jinny in questo
momento.
Comunque vi metto la traduzione: Non
voglio rompermi in mille pezzi / Io voglio solo sedermi e fissarti /
Non voglio
parlare né avere una conversazione / Voglio solo piangere di
fronte a te / Non
voglio parlarne perché sono innamorata di te.
Voglio sapere chi sei / Voglio sapere da
dove partire / Voglio sapere che cosa significa tutto questo / Voglio
sapere
come sentirmi (emozionarmi) / Voglio sapere cosa è reale /
Voglio sapere tutto (ogni
cosa), tutto (ogni cosa).
|
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Capitolo 7 *** Una notte insonne: il romanticismo e i ragazzi, due mondi differenti? ***
Nota:
Hi everyone! *Versione Camillesca
XD*
Come va? Io sono quasi
esaurita
perché ci ho messo un’infinità a
scegliere il nome per questo capitolo, il
settimo. Ero indecisa fra solo Una
notte
insonne, Il romanticismo,
Il romanticismo
e i ragazzi e Il romanticismo e i ragazzi, due mondi
differenti? Avrete notato
sicuramente che la soluzione al mio problema è
stato unire tutti questi titoli in uno. È un po’
lunghetto, eh? Però va bè, è bello
perché descrive proprio questo capitolo! Vi inietta
già nell’atmosfera
romantica! Un bel capitolo romantico per i/le romanticoni/e! Spero che
mi sia
venuto bene perché mi trovo sempre meglio a scrivere cose
tristi ç_ç Ma ci ho
messo ancora del mio! Eheh. Leggete, che è meglio!
Ringraziamenti:
Ladysimple:
Grazie per il complimento!! Sì, il papà di Jinny
non è proprio un genio, eh?
Sì, come vedi sto continuando.
La canzone di Avril è una delle mie preferite e la adoro...
^^
Bacio.
layla the punkprincess:
Sì, è un casino, me ne rendo conto.. eheheh, l'ho
scritta io! Sid incombe su tutti noi.. XD
Grazie per la recensione, alla prossima!
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7
Una notte insonne:
il romanticismo e i ragazzi, due mondi differenti?
Si
svegliò ansimante, la fronte
imperlata di sudore. Si guardò intorno, ancora un
po’ spaventata: era seduta
sul letto, in camera sua, la luce della luna entrava dalla finestra ed
illuminava parte della stanza, tra cui anche il suo letto e
metà del suo dolce
viso.
Si
coprì la faccia con le mani,
respirando lentamente per cercare di regolarizzare i battiti del suo
cuore
impazzito. Forse per cause sconosciute, forse per quella malattia che
si
chiamava amore.
Aveva
fatto un incubo, quello che
aveva visto non era nient’altro che uno stupidissimo incubo.
Anche se tentava
di cancellarle dalla testa, quelle immagini di Tom che rideva e poi
scompariva
nel buio, lasciandola sola in mezzo al niente, la continuavano a
tormentare.
Si
alzò dal letto e andò in cucina
a prendersi un bicchiere d’acqua. Lì, in quel
preciso istante, alle 3:42
minuti, decise che non sarebbe proprio più riuscita a
dormire, quindi tanto
valeva trovarsi qualcosa da fare.
C’era
una bella luna fuori, così si
vestì in fretta, con le prime cose che trovò
nell’armadio, cioè un vecchio paio
di jeans che adorava e una maglietta abbastanza larga per il suo fisico
snello,
poi una felpa assurdamente rosa (lei odiava il rosa) regalatale da sua
madre al
suo sedicesimo compleanno, e le scarpe da ginnastica,
afferrò la giacca, il
cellulare, le chiavi di casa e uscì.
Rabbrividì
quando una folata di
vento freddo le sfiorò il viso. Si strinse nelle spalle e
camminò per le vie
illuminate solo dalla luce fioca dei lampioni e dai fari delle poche
macchine
che passavano in quella notte fredda, oltre che dalla luna.
Non
sapeva dove stava andando e
nemmeno le interessava infondo, ma quando si trovò di fronte
ad un palazzo che
trovò familiare allora sì che iniziò a
farsi qualche domanda.
Tappò
quella fonte inesauribile di
dubbi che era la sua testa e senza pensieri salì le scale
lentamente, non aveva
fretta lei, non quella notte. Non sapeva nemmeno perché era
lì.
Di
fronte alla porta, restò a
fissare il pavimento, morsicandosi il labbro. Pensò che era
una stupida:
cos’era andata a fare lì alle quattro di notte?
Perché? Per quale assurdo
motivo? Beh, non lo sapeva con certezza, il suo subconscio
l’aveva portata fino
a lì, e un motivo doveva esserci per forza, no?
Sbuffò
da sola e si mise seduta di
fronte a quella porta, insultandosi da sola, dandosi della deficiente,
le gambe
strette al petto e la testa fra le ginocchia, la schiena appoggiata
alla
parete.
Aveva
sentito una canzone, quella
sera, prima di addormentarsi, doveva sempre essere di Camilla
perché lei non
ascoltava di certo i Paramore. Prima di sentirli non sapeva nemmeno chi
erano.
Comunque, il fatto era che aveva sentito quella canzone e in
particolare dei
versi l’avevano colpita.
You're
pushing and pulling me down to you
But I don't know what I want
No, I don't know what I want
Già.
Non era difficile capire
perché l’avevano colpita, visto che la traduzione,
se il suo inglese, sempre
rimproverato da Camilla per il suo scarso impegno, non la tradiva, era:
Tu mi stai
spingendo e tirando verso di te,
ma io non so cosa voglio. No, io non so cosa voglio.
Jinny
stava esattamente così:
c’erano momenti in cui Tom la spingeva via, sembrava distante
e freddo chissà
perché; e poi c’erano momenti in cui era dolce e
la tirava a lui, la voleva
quasi ad ogni costo al suo fianco. Lei che già non capiva
molte cose a causa
della sua scarsa memoria che pian piano aveva recuperato, che cosa
doveva
dedurne? Era anche per questo che non sapeva bene cosa voleva. Sentiva
che
voleva Tom, in un certo senso, ma quel senso era… lo stesso
in cui la voleva
lui?
Che
confusione! Sarà perché ti amo…
Stava
iniziando a sclerare se lei,
un’amante incallita dell’hip hop e in generale
della musica house ed
elettronica, si metteva a pensare alle quattro di notte ad una canzone
de I Ricchi e
Poveri quando aveva problemi
ben più seri per la testa.
Però
era vera quella canzone… Tutti
i suoi dubbi, tutta quella confusione, non erano forse dovuti al fatto
che lei
in realtà amava…?
Scosse
la testa e riprese il filo
logico del suo discorso, non aveva tempo da perdere per quelle domande
a cui
non sarebbe mai riuscita a darsi comunque una risposta.
Lei
non era un pupazzo, e Tom non
poteva giocarci e strapazzarla come voleva per un po’ e poi
abbandonarla su uno
scaffale.
Dovevano
entrambi prendere delle
decisioni, ma era veramente difficile. In più, quella sera
suo padre aveva
deciso di incasinarle ancora di più la vita mettendo in
ballo quella cosa del
trasferimento in America. Non riusciva ad immaginarsi come lui
l’avrebbe presa,
e lei che avrebbe fatto? Come cavolo avrebbe fatto a dirglielo,
innanzitutto?
Altro
sospiro e tirò fuori dalla
tasca dei jeans il cellulare. Era inutile stare lì seduta in
mezzo ad un
corridoio buio a fare la muffa, al freddo oltretutto, aspettando
chissà quale
ascesa divina che sarebbe stata in grado di darle una mano, ma anche
due. Ci
voleva un’intera schiera di mani per farla uscire almeno in
parte sana da tutti
quei casini in cui si era cacciata. E la colpa era solo sua, di Tom,
volendolo
proprio dire.
Ma
sarebbe stata così
incasinatamente bella se non fosse tornato nella sua vita? Proprio no.
Cercò
il suo numero in rubrica.
Solo il suo cellulare era così pacco da non avere la
modalità ricerca nome.
Fino ad arrivare alla T, eh, a voglia! Si sarebbe ben presto
mummificata.
Quando
ci arrivò, fortunatamente,
si mise il telefono all’orecchio e si mise ad ascoltare il
suono ritmico dei
bip, mentre all’interno dell’appartamento sentiva
la suoneria del suo
cellulare.
Ridacchiò,
notando che la suoneria
di Tom era anche la sua canzone preferita. Che strane coincidenze.
Sentì
un tonfo aldilà della porta e
si alzò preoccupata, ma poi la voce assonnata di Tom la
distrasse.
«Jinny?
Ma sei scema?! Perché mi
chiami alle… quattro di notte, oh mio Dio! Tu sei
completamente…»
«Non
sei contento di sentirmi?»
«Ahm…
la verità? Sì.»
«Quindi…
non importa se ti ho
svegliato alle quattro di notte e se sono fuori dalla porta,
vero?»
«No,
certo che no. Tu
che cosa?!»
Pochissimo
tempo dopo, non aveva
nemmeno fatto in tempo a chiudere la chiamata, vide Tom di fronte a
sé, la
porta spalancata.
«Ciao»,
lo salutò.
«Ma
che ci fai qui?», chiese
sorpreso.
Stava
sognando, non era possibile
che Jinny fosse lì a quell’ora di notte. Era
assurdo, eppure sembrava così
reale!
«Non…
non riuscivo a dormire.»
«Solo
perché non riuscivi a
dormire? Ma tu non abiti qua vicino, come sei venuta?»
«A
piedi.»
«Ma
sei matta?! A quest’ora di
notte?! E se ti fosse successo qualcosa?!»
«Mi
avresti avuta sulla coscienza.»
«Io?
Perché?»
«Perché…
è… per te, in un certo
senso… che sono venuta.»
«Eh?»
«Tom,
secondo me tu stai ancora
dormendo.»
«Potrebbe
essere», si grattò la
nuca, abbastanza confuso. «Beh, però…
entra.»
«Grazie,
perché si congela qui
fuori.»
Entrò
nell’appartamento. Era
proprio come se l’era immaginato: molto confusionario e
disordinatissimo. Si
vedeva proprio la mancanza di un ente femminile in quella casa.
«Allora,
mi spieghi perché sei
qui?», le chiese dopo aver chiuso la porta ed averla
raggiunta in salotto.
«Te
l’ho detto, perché non riuscivo
a dormire.»
«Jinny,
io… non ti credo.»
«E
perché non dovresti?»
«Perché
so come sei fatta. A volte…
inventi delle scuse per tenere nascosto ciò che ti fa
più soffrire.» La guardò
in viso e si accorse che il suo sorriso era sparito, lasciando spazio
ad
un’espressione malinconica.
«È… è successo qualcosa alla
cena, non è così?»
«Non
voglio parlarne», scappò dal
suo sguardo.
«Allora
credo tu abbia sbagliato a
venire qui, perché io voglio saperlo,
perché… non riesco a vederti così,
voglio
aiutarti, se posso.»
«Evidentemente
non puoi ed
altrettanto evidentemente ho sbagliato a venire qui. Sì,
credo proprio tu abbia
ragione.»
Gli
passò accanto arrabbiata e
pentita, per raggiungere la porta, ma Tom la prese per il polso e la
trattenne.
Si
girò e lo guardò negli occhi, un
brivido la percorse come un ricordo passato, facendola tremare al
confronto coi
suoi occhi.
«Ti
prego, ora… resta», le
sussurrò.
«Perchè
dovrei? L’hai detto tu che
ho sbagliato a venire.»
«Non
volevo che tu… te ne andassi.
Prometto che non parleremo di questo, dimmi solo che cosa devo
fare.»
Jinny
lo guardò titubante, poi
abbassò lo sguardo, si fissò i piedi imbarazzata.
Avrebbe voluto dirgli di
tutto, di cose su cui discutere ne aveva a quintali, ma anche una sola
parola
le sembrava impossibile da pronunciare.
«Non
ci sto capendo niente, ho
bisogno di una sigaretta», mormorò Tom
sovrappensiero, lasciandole la mano e
andando alla ricerca di un pacchetto fra tutto quel disordine,
dopodiché si
diresse in terrazza.
Jinny,
rimasta sola in salotto,
strinse i pugni e le venne voglia di gridare e di sbattere i piedi a
terra, ma
si controllò perché quella non era casa sua e le
avevano insegnato la buona
educazione. E poi non voleva svegliare Bill, Georg e Gustav.
Già non voleva che
sapessero che lei era lì, se l’avessero scoperta
avrebbero fatto una valanga di
domande e lei che gli avrebbe risposto? «Non
lo so perché sono qui»?
Non era stata sicuramente una bella idea andare a
casa loro se voleva che fosse un segreto, ma ormai c’era e
che ci poteva fare?
Raggiunse
Tom in terrazza e si
appoggiò al parapetto con le braccia, imitando la sua
posizione.
Era
così dannatamente bello ai
raggi della luna… Sembrava che anche lei si prostrasse a lui
come un fedele al
proprio dio e che volesse avvicinarsi per sfiorarlo, per averlo per
sé anche un
solo attimo. Jinny sapeva che voleva dire aver addosso quella
sensazione, e
sorrise amareggiata guardando in basso, la strada silenziosa e deserta.
«Pensavo
che potremmo uscire, una
di queste sere», disse incerta ed imbarazzata, schiarendosi
la voce, senza
guardarlo nemmeno.
«Uhm?»
Anche
quando fumava era bellissimo,
una cosa senza paragone. Si passò la lingua fra le labbra,
evitando di
incrociare i suoi occhi.
Se
non riusciva a guardarlo negli
occhi come avrebbe potuto fare a dirgli che forse si sarebbero divisi?
«Sì,
a ballare. Un mio amico fa una
serata in un locale qua vicino e mi chiedevo…»
«Non
è che io adori ballare.»
«Scusa
se non so tutto di te, mamma
mia!»
«Perché
gridi?»
«Non
grido.»
«Eh
no.»
«Sei
tu che rispondi in modo così
scontroso.»
«Ho
solo detto che non adoro
ballare. Tu?»
«Mmh,
non tanto. È Camilla l’appassionata.»
«Non
sembrava quella volta che ti
strusciavi su quello là.»
«Ah,
sei geloso!», lo indicò
sorridendo maliziosamente.
«Non
sono geloso», borbottò,
dicendo ovviamente il falso, a sé stesso per giunta, e
spense la sigaretta.
«Come
vuoi tu…»
Restarono
per un attimo in silenzio
a guardare ancora la strada, Jinny sentì il corpo di Tom
sfiorare il proprio,
doveva essersi avvicinato, ma non osò controllare, anche
perché aveva il viso
così rosso che nemmeno la notte avrebbe potuto celare.
«Ma
sei brava a ballare», fece
notare Tom, un sorrisetto furbo sulle labbra.
«Pure
che mi guardavi…», scosse la
testa, incominciando a ridere. «Sicuramente più
brava di te sono.»
«Io
ballo solo quando ne traggo
qualcosa.»
«Cioè
quando devi rimorchiare.»
«Mi
pare ovvio.»
«Ovvio.»
Per
la strada passò una macchina e
si fermò proprio nel parcheggio di fronte alla terrazza. Ne
uscirono una
ragazza e un ragazzo, avevano lasciato pure le portiere aperte e la
radio
accesa, e si misero seduti sul cofano ancora caldo a baciarsi.
«Simpatici
quelli», disse
sarcastica Jinny, negando con la testa.
Era
proprio quello che le ci voleva
vedere una coppietta di innamorati che alle quattro di notte si
baciavano in un
parcheggio sotto alla luce della luna. Proprio il massimo, quando
invece con
Tom era tutto così stramaledettamente incasinato.
«Sì,
guarda, fanno ridere.»
«Io
ho detto che sono simpatici,
non che fanno ridere. Vedi,
non sei per niente romantico, non ne capisci niente di queste
cose.»
«Sì,
forse hai ragione.»
«Forse?
Io ho ragione.»
«E
va bene, come vuoi… Ritornando
al ballo, io sono bravo in verità.»
«Io
non ci credo…»
«Ti
batterei ad occhi chiusi.»
«Vuoi
scommettere?»
«A
quando la sfida?»
Si
guardarono con occhi da rivali e
per la radio accesa della macchina dei ragazzi passò una
canzone che cancellò
tutto il resto dalla loro testa.
Restarono
entrambi fermi a
guardarsi e poi Tom azzardò un passo verso di lei, che
sorrise dolcemente e si
lasciò abbracciare, le braccia di lui intorno alla vita di
lei e quelle di
Jinny intorno al collo di Tom.
And
I will never try
To deny that you are my whole life
‘Cause if you ever let me go
I would die so I won’t run
I don’t need another woman
I just need you or nothing
‘Cause if I got that
Then I’ll be straight
Baby, you’re the best part of my day
Jinny
doveva proprio ringraziare
quei due simpaticoni, a qualcosa erano serviti.
Ballavano
lentamente, abbandonati
l’uno nelle braccia dell’altro, persi in
quell’istante che pareva eterno e così
romantico da sembrare assurdo.
«Chi
è quello romantico, allora?»,
sussurrò Tom.
«Beh,
mi hai sorpreso», arrossì e
abbassò lo sguardo.
Tom
sorrise e sospirò, appoggiando
la guancia sui suoi capelli, chiudendo gli occhi. Lui l’aveva
detto che
l’avrebbe battuta ad occhi chiusi.
Jinny,
dal canto suo, aumentò il
contatto fra loro e rabbrividì, ma quella sensazione era
troppo bella anche
solo per spostarsi di un millimetro.
Si
sentì pizzicare il naso, così
gli occhi, che si riempirono velocemente di lacrime. Come avrebbe fatto
senza
di lui, dall’altra parte del mondo? Sola e sperduta, con una
nuova vita, nella
quale sarebbe cambiato irreparabilmente ancora tutto, facendola star
male?
«Jinny?»
«Eh?»,
tremò tirando su col naso.
«Piangi?»
«No,
ma va’», appoggiò il mento
alla sua spalla, in modo tale che non potesse vederla, e si
passò una mano
sugli occhi. Per fortuna non si era truccata.
«Ma
a chi vuoi darla a bere?»,
sospirò.
«Dai
Tom, per favore.»
«Lo
so che sono troppo romantico,
ma non devi piangere per questo.»
Riuscì
a strapparle una risata e le
tornò il buonumore. Lo guardò e sorrise con le
mani sulle sue spalle forti.
La
canzone ormai era finita e i
ragazzi stavano per rientrare in auto ridacchiando, Tom capì
subito quello che
stavano per fare, e anche Jinny, perché si guardarono negli
occhi e scoppiarono
a ridere.
«Quanto
sono romantici!», commentò
Tom, per poi far ricominciare a ridere tutti e due come scemi sulla
terrazza.
«Sarà
meglio entrare, eh», propose
Tom.
«Sì,
lasciamogli un po’ di privacy.»
Jinny
aveva notato subito qual’era
la camera di Tom, visto che era l’unica con la porta aperta
spalancata. Così
attraversò sicura il corridoio, trascinandoselo dietro
tenendolo per mano, e lo
lasciò solo per tuffarsi sul letto.
«Beh,
che c’è?», chiese sorridente,
sistemandosi il cuscino dietro la testa.
«E
io… che dovrei fare?», sembrava
persino imbarazzato.
«Assolutamente
niente, devi solo
venire qui, se ti va.»
Tom
annuì e la raggiunse, si mise
sdraiato al suo fianco, ma finì per farle da cuscino, in
quanto lei si appoggiò
con la testa e un braccio al suo petto, il pugno chiuso, richiedendo
affetto.
«Ho
fatto un incubo, è per questo
che non riuscivo a dormire», gli confidò,
lasciandosi accarezzare le treccine
alla luce della luna, gli occhi chiusi e il respiro pesante dalla
stanchezza.
«E
che incubo era?»
«Era
brutto, veramente brutto.»
«Non
vuoi parlare nemmeno di
questo, a quanto vedo.»
«Preferirei
di no.»
«Ok.»
Era
bellissima la sensazione di
averlo accanto, di sentire il suo calore, di sentire la sua pelle
sfiorare la propria,
di sentire il suo cuore battere tranquillo nel petto. Era semplicemente
bello
stare accoccolata fra le sue braccia, sentendosi protetta e al sicuro.
«Mi
è mancata questa sensazione»,
disse più a sé stessa che a Tom, pensando che era
proprio così e non poteva
farci niente.
Al
cuor non si comanda. Ma è tutto così
maledettamente complicato!
«Quale?»
«Questa.
Stringimi più forte, Tom.»
Lui
la guardò e si lasciò
abbracciare meglio, con entrambe le braccia intorno alla sua schiena,
lei
interamente sopra di lui. Ricambiò l’abbraccio con
piacere, godendosi quel
momento che sapeva essere momentaneo, perché la mattina dopo
Jinny sarebbe
tornata alla carica con i suoi dubbi e la sua freddezza riguardo i suoi
sentimenti e la loro strana situazione.
Il
suo profumo era sempre lo
stesso, buono e così indimenticato nella sua testa. Era
diventato parte di lui,
un tempo, e gli era mancato, come tutta la sua piccola Jinny. Come la
sensazione di averla di nuovo fra le braccia, di stringerla, di
baciarla, di
accarezzarla. Le era mancato tutto di lei, e ancora, anche se
l’amore per lei
era ormai assodato dentro di lui, non riusciva ad ammetterlo
liberamente.
«È
mancata anche a me, Jinny», le
sussurrò all’orecchio, ma si accorse che si era
addormentata.
Sorrise
e la sistemò al suo fianco
sotto al lenzuolo, la testa sul cuscino, il viso di nuovo sereno. Si
mise
accanto a lei e rimase ancora un po’ ad osservarla dormire,
senza sapere perché
lo faceva, ma solo sentendosi bene.
Forse
anche le cose così banali e
che un tempo avrebbe considerato inutili prendevano sfumature diverse
quando si
era innamorati.
Chissà.
-----------------------------------------------------------------
Nota:
Le canzoni di questo capitolo
sono I caught
myself dei Paramore
(tra l’altro anche colonna sonora di Twilight
^^), e With you
di Chris Brown. Della
prima canzone ho già inserito nel capitolo la traduzione
*Furba, ne?* e della
seconda la scrivo qui di seguito: E non
proverò mai / a negare che tu sei tutta la mia vita /
Perché se tu mai mi
lascerai / io morirei, non riuscirei ad andare avanti / Non ho bisogno
di
nessun altra donna / solo te o nessuna / Perché se riesco ad
avere te / andrei
benissimo / Piccola, tu sei la miglior parte della mia giornata.
Grazie a tutti
di cuore! I love you <3 _Ary_
|
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Capitolo 8 *** Decisioni difficili ***
Nota:
Ecco qui il nuovo capitolo a ben 5 giorni di distanza! Ragazzi,
io lavoro anche in vacanza!! Eheh.. Per voi oltre che per il mio
piacere
personale.. ^^ Allora voglio più recensioni, eh!!
Perché se no com’è sta
storia?? Dai, vi pregooooo!! Grazie, un bacio, Ary!!
marty sweet princess:
Grazie, sono contenta che ti sia piaciuta,
romanticona! Continua a recensire, eh (è una minaccia
ò_ò ahahah) un bacio, Ary
BigAngel_Dark:
Grazie, sia per la recensione e tutti i complimenti!
Continua a seguire e a recensire, mi raccomando! XD
Grazie
a tutti quelli che hanno
letto, vi voglio bene!! Ary
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8
Decisioni difficili
Si
strinse nelle spalle e,
sistemate le cuffie nelle orecchie, cominciò a correre, il
cappuccio calato
sulla fronte.
Because
when I arrive, I
I’ll bring the fire
Make you come, alive
I can take you higher
Già,
proprio così, si
trovò a pensare.
Quando
arrivava Tom le accendeva
quel fuoco dentro, la faceva vivere davvero, come mai aveva vissuto
prima, e
chissà quanto in alto ancora poteva portarla. Quello era
solo un assaggio delle
vere potenzialità di Tom, lo ricordava con il sorriso sulle
labbra. Quello era
solo l’inizio della loro avventura che chissà come
sarebbe andata e quanto
sarebbe durata davvero.
Era
abbastanza presto, il sole era
timido di fronte a lei, le fronde degli alberi filtravano la luce,
illuminando
la rugiada sull’erba del parco di un verde brillante.
Pensò
di nuovo a quella strana
cena, all’America e a Tom.
Quante
cose erano successe da
quando lo aveva ritrovato! Era assurdo se ci pensava: aveva passato
mesi senza
di lui, senza saperne l’esistenza o quasi, vivendo anche
bene, in un certo
senso, e adesso che ce l’aveva non voleva mai farne a meno e
si sentiva
soffocare senza. Era peggio della droga quel ragazzo, o almeno lo era
per lei. E
ci era ricascata un’altra volta dopo la disintossicazione.
Da
quando era stata a casa sua,
quella notte, aveva cercato in tutti i modi di stargli il
più lontano
possibile, sia per l’imbarazzo che si era creato fra loro,
sia per la paura di
affrontarlo e di dirgli la verità. E facendo così
aveva solo peggiorato la
situazione, perché sicuramente si era insospettito ancora di
più e alla prima
occasione sarebbe riuscito a cavarle le parole di bocca. Ci riusciva
sempre
lui.
«Jinny!»
Corrugò
la fronte e si fermò
togliendosi una cuffia. Si girò e vide Ary correre dietro di
lei, con il fiato
corto.
«Cavolo
Jinny, quanto corri! È
mezz’ora che ti seguo senza riuscire ad
acchiapparti!», sorrise.
«Oh,
scusami.»
«Sei
nervosa?»
«Abbastanza.»
«Ah,
ecco perché correvi così.»
«Già,
mi sono lasciata trasportare.
Allora che mi racconti?»
Mentre
parlavano si misero a
correre assieme, stando l’una accanto all’altra
seguendo il vialetto del parco,
superando pian piano il laghetto e i giochi per bambini.
«Nulla
di che, tu?»
«Mmh…
tutto ok.»
«Jinny,
non sono stupida. È
successo qualcosa?»
«Preferirei
non parlarne, scusa.»
«Oh,
ok, come non detto.»
«Come
vi siete conosciuti tu e
Gustav?», cambiò discorso.
«Ad
un loro concerto! Ero riuscita
ad ottenere i pass per il backstage. Lì ci siamo conosciuti
ed è stato un colpo
di fulmine per entrambi», aveva gli occhi che le brillavano.
«E tu e Tom?»
«Mmm,
confusione fra mio padre e
Benjamin, è stato per puro caso.»
«Ma
da quanto vi conoscete?
Sembrate così… perfetti assieme…
c’è molta sintonia fra voi.»
«Dici?
Ci conosciamo da circa dieci
mesi.»
«Wow,
ma è tantissimo!»
«Già.»
«Cavolo,
è una storia da romanzo
questa! Secondo me avrebbe tantissimo successo se qualcuno ci scrivesse
su una
fanfiction!»
«Che
cos’è una… fanfiction?»
«Oh,
beh, delle storie che scrivono
i fan sulle loro celebrità preferite, oppure anche sui
manga, sui film, sui
libri…»
«E
tu scrivi?»
«Oh,
cavolo, sì!»
«Allora
potresti scriverla tu»,
alzò le spalle.
«Io?!
Ma sei impazzita?!»
«Sì,
perché no?»
«Jinny,
non dire sciocchezze.»
«Ok,
fai come credi.»
«Jinny,
posso chiederti una cosa?»
«Sì,
dimmi.»
«Tu
ami Tom?»
Jinny
si paralizzò sul posto, il
suo cuore diventò di ghiaccio e poi bollente, avendo una
reazione chimica
dentro di lei che la fece cadere a terra.
«Jinny,
stai bene?» Ary si
inginocchiò al suo fianco e le mise una mano sulla spalla.
«Sì,
sto bene», sussurrò Jinny, gli
occhi spiritati.
Si
lasciò cadere sull’erba fresca,
chiudendo gli occhi a quel cielo così terso.
«Jinny,
dovresti dirglielo», le
disse sospirando.
«Prima
aveva paura lui di dirmelo,
ora ho paura io, ma si può?», soffiò
con le lacrime agli occhi. «E poi è una
cosa complicata…»
«Mi
spieghi la storia?»
Ary
si sistemò a gambe incrociate
al suo fianco e l’ascoltò parlare per ore, senza
preoccuparsi del tempo, tanto
ne aveva, mentre prendeva appunti su un quadernino. Forse
l’idea di scrivere
una fanfiction su di loro non era poi così cattiva.
Jinny
si era confessata e ora Ary
sapeva tutto di lei, tutti i sentimenti che aveva provato, anche se
leggermente
sfuocati, tutte le risate, i sorrisi, le lacrime, le litigate, i
pomeriggi
intensi, le sere passate a parlare, i baci, la sera in cui avevano
fatto
l’amore per la prima ed unica volta… le aveva
detto tutto, non aveva più
segreti per lei.
«Uff,
Jinny, che storia complicata!
Non so se riuscirò a scriverla», sorrise.
«Ah,
l’importante è provarci e
crederci.»
«Mmh?
Allora perché non provi anche
tu e ci credi?»
«Ary!»,
disse imbarazzata.
Però
aveva ragione: lei dava tanti
bei consigli, ma non li applicava mai. Anche lei doveva provare e
crederci, con
Tom, perché infondo era quello che voleva.
Si
alzarono dall’erba e si
diressero alla Universal: sarebbe stata una lunghissima giornata.
Rimase
per tutto il pomeriggio
lontana dai luoghi che solitamente Tom frequentava, come sempre in quel
periodo,
anche con un piccolo aiuto da parte di suo zio che aveva sempre tenuto
impegnati tutti e due, ben lontani l’uno
dall’altra.
Jinny
stava camminando velocemente
per il corridoio, con in mano delle fotocopie che le aveva chiesto sua
madre,
ma ad un certo punto si sentì trascinata per un braccio.
Si
trovò in una stanza, forse
quella delle pause, e guardò la mano che l’aveva
afferrata per il braccio: era
quella di Tom, non c’erano dubbi.
«Che
cosa cavolo sta succedendo?»,
le disse.
Notò
che non c’era solo lui lì, ma
anche Ary, Gustav, Georg e Bill, seduti sui divanetti di pelle blu alle
pareti.
«Di
cosa stai parlando?», rispose
lei cercando di liberarsi dalla sua stretta, il viso sofferente.
«Perché
hai chiesto a Benjamin di
tenermi lontano da te?! Perché per una sera vieni a dormire
da me e per due
giorni fai come se non esistessi?!»
La
notizia lasciò tutti a bocca
aperta, tranne Ary che l’aveva saputo in anticipo quella
mattina.
«Perchè
ti comporti così?! Un
giorno esisto e l’altro no!»
Strano,
anche Jinny a volte si
trovava a pensare alla stessa cosa: c’erano giorni in cui si
sentiva desiderata
da lui, come quella sera, e poi altri giorni in cui non era proprio
nessuno.
«Tom,
lasciami stare!»
«No,
non ti lascio stare finché non
mi dici quello che hai. Che ho fatto? Sei arrabbiata con me?
Perché?»
«Tom,
mi stai facendo male,
lasciami!»
Le
lasciò il polso e ficcò le mani
in tasca, il viso duro, ma gli occhi tristi.
«Allora?»,
le chiese.
«Tom,
per favore, non è il caso»,
scosse la testa abbassando lo sguardo.
«Che
cosa non è il caso?! Che cosa
c’è che non va?!»
«Tutto
non va!», gridò con le
lacrime agli occhi.
Si
appoggiò alla parete e si lasciò
scivolare a terra, con le gambe strette al petto e il viso nascosto fra
le
braccia.
«Che
cosa… che cosa stai dicendo?»,
sussurrò Tom, inginocchiandosi al suo fianco.
«I
miei si sposano, di nuovo»,
disse sollevando il capo.
«È
questo il problema? Non è una
cosa… bella?», le accarezzò le guance
rosse asciugandole dalle lacrime.
«Sì,
sarebbe fantastico solo se…»
«Continua.»
«Solo
se non ci trasferissimo in
America», singhiozzò prima di guardarlo dritto
negli occhi e di sentirsi senza
ossigeno di fronte a tanta bellezza.
Si
alzò di scatto e corse fuori
dalla stanza, evitando di guardare l’espressione scioccata di
Tom.
Chiuse
gli occhi quando sentì la
porta sbattere e poi si tirò su, trattenendo le lacrime. Non
poteva piangere,
non di fronte a quella ragazza che chissà come mai era
lì. Ok che era la
ragazza di Gustav, ma non aveva il diritto di spiare tutto quello che
facevano
e di vedere in faccia tutti i loro problemi.
Sapeva
che Ary non c’entrava
niente, ma non trovava nessuno a cui dare la colpa, su cui sfogare
tutta la sua
frustrazione. Si sentiva malissimo, con un grande peso nel cuore,
diventato di
piombo.
«In
America?», chiese fissando il
gemello.
«Tomi…»
«Non
la perderò un’altra volta, non
ancora!»
«Tomi,
non…»
«Se
lo può anche scordare che io la
lasci andare dall’altra parte del mondo
così!»
«Tom,
stai piangendo.»
«Eh?»
Bill
gli indicò il viso e Tom si
portò le mani sulle guance: erano rigate da calde lacrime
salate. Era vero,
stava piangendo.
«Porca
puttana!», gridò uscendo
dalla stanza e sbattendosi la porta alle spalle come aveva fatto Jinny
poco
prima.
Aveva
bisogno di respirare un po’
d’aria fresca e di sgranchirsi le gambe, così si
abbassò la visiera del
cappellino sul viso e si infilò gli occhiali da sole, si
mise le mani in tasca
e si incamminò verso il parco che non era molto lontano
dalla Universal.
Camminava
nel vialetto in mezzo
agli alberi, senza far caso ai bambini che giocavano sulle altalene e
sugli
scivoli, aveva altro a cui pensare, quando scorse una figura familiare
seduta
sulla panchina di fronte al laghetto, i gomiti sulle ginocchia e le
treccine
sciolte sulla schiena mosse dal vento leggero.
Si
avvicinò e le mise le mani sulle
spalle, baciandole piano la testa. Si mise seduto al suo fianco e
rimase in
silenzio a fissare i pesci che nuotavano nell’acqua, fra le
alghe e i sassi.
Pian
piano Jinny si avvicinò sempre
di più a lui e si accucciò sotto al suo braccio,
chiudendo gli occhi, con la
testa e le mani sul suo petto.
«Piccola,
è la tua famiglia»,
disse.
«Lo
so», sussurrò sconsolata.
«Hai
voluto tanto che questo
accadesse, quindi hai tutto il diritto di decidere e di fare quello che
ritieni
giusto per te, senza guardare in faccia nessuno. Per te sarà
impossibile, visto
che cerchi sempre e comunque di fare felici tutti. Ma a volte non si
può, è la
vita.»
Jinny
soffocò una risata amara e si
strinse di più a lui. Si sentiva troppo bene fra le sue
braccia, non voleva
lasciarlo, ma allo stesso tempo voleva stare con la sua famiglia di
nuovo
unita.
Guardò
il viso di Tom, ne percorse
i lineamenti con lo sguardo, leccandosi ogni tanto le labbra.
Quant’era bello…
Gli tolse gli occhiali da sole e glieli ficcò in mano,
sbuffando, poi ritornò a
contemplarlo come se fosse una divinità greca.
«Non
ti libererai facilmente di me,
sappilo», disse Tom con un sorriso malizioso sulle labbra.
Aveva
notato che lo stava
guardando, come se fosse l’ultima volta che si vedessero,
come se lo stesse
fotografando con gli occhi per ricordarselo benissimo per il resto
della sua
vita.
«Ah
no?»
«No»,
le alzò il viso e la guardò
negli occhi.
«Non
sarà semplice, Tom.»
«Quando
mai è stato semplice con
te?»
«Ma
questa volta è diverso…»
«Non
mi dà fastidio il fuso orario.
E poi ci vedremo ogni tanto, anche a costo di prendere
l’aereo una volta al
mese.»
«Tu
odi l’aereo.»
«Ma
per te lo prenderei anche tutti
i giorni, se necessario.»
«Tom…»
«Ti
amo, Jinny, e nulla potrà mai
cambiare quello che provo per te, mi dispiace.»
Jinny
si alzò e andò via
frettolosamente, senza guardarsi indietro, gli occhi stracolmi di
lacrime.
Era
così tremendamente difficile… I
ricordi di loro due la distruggevano, la laceravano dentro senza
lasciarle
tregua, la distruggevano come il pensiero che prima o poi si sarebbero
detti
addio. Perché… sì, sarebbe successo. O
così credeva.
Arrivò
a casa e, senza nemmeno
pensare a perché la stanza di Camilla fosse chiusa,
entrò: vide Camilla e Bill,
sul letto, sotto alle coperte, che appena la videro arrossirono, ma
subito dopo
la guardarono preoccupati.
«Jinny!»,
gridò Camilla cercando di
liberarsi dall’intricato groviglio di coperte che li
avvolgeva.
«No,
lascia perdere. Scusate»,
sussurrò chiudendo di nuovo la porta.
«Jinny!
Oh cazzo, Bill levati!»
Corse
in camera sua e ci si chiuse
dentro, bloccò la porta trascinandoci davanti la scrivania,
con enorme fatica,
e poi si tuffò sul letto, dove si nascose sotto le coperte e
soffocò le lacrime
e i singhiozzi, mentre Camilla tentava di entrare e la chiamava a gran
voce.
Lei non l’ascoltava, non lo avrebbe fatto.
Possibile
che un matrimonio, una
cosa bella dopotutto, riuscisse a rendere così infelici le
persone?
***
Ary
si strinse nelle spalle e
sospirò, tirò fuori il cellulare dalla tasca dei
jeans.
Pensava
ancora a Jinny e Tom, a
quello che era successo poco prima, di fronte a tutti. Jinny le aveva
detto che
aveva paura di dirglielo, della sua reazione, ma non era
così difficile capire
che non era semplice paura quella che la bloccava, ma paura di
lasciarlo, paura
di amarlo.
Ciao
Socia, come va? Spero
meglio te che me… :(
Socia!
Ma perché, che è
successo? Me ne vuoi parlare?
È
tutto un casino… non ne
posso parlare perché dovrebbe essere un segreto,
però sono preoccupata per una
mia amica.
Mi
dispiace… :( Vedrai che
si sistemerà tutto! E se te lo dico io, pessimista come
sono, puoi starne
certa!
Ahahah,
speriamo… Grazie
Socia! Ti voglio bene
Di
niente! Ti voglio bene,
bacio!
Si
erano conosciute su internet,
accomunate dalla passione della scrittura e da un gruppo, i Tokio
Hotel, ed
erano subito diventate amiche, in un loro certo modo strano.
Abitavano
distanti, eppure si
sentivano quotidianamente. Nemmeno con certe sue amiche che conosceva
dalla
nascita Ary si sentiva così spesso. Per quello era strano.
Ma bello.
Erano
diventate Socie (il perché
non si poteva dire – Top Secret –) e si erano
subito caratterizzate per le loro
qualità e i loro difetti: Ary era quella più
ottimista, quella che però
scriveva le fanfiction tristi; Virginia, così si chiamava la Socia,
era un po’ più
pessimista, un po’ meno insicura di sé, pronta a
mettere in gioco tutto anche
per un minimo errore, quella che nonostante tutto scriveva sempre
storie con un
lieto fine. Tutte e due molto sensibili ed attaccate alle amiche,
quindi
profonde credenti di quella religione chiamata amicizia, e stronze
quanto
bastava nei momenti più neri (tanto da dire che le bionde
erano oche, tranne
Ary che era biondo cenere).
Insieme
si supportavano – e
sopportavano – tutti i giorni, su internet e via cellulare.
Erano una strana
coppia, ma erano sempre una bel duo.
Chissà
cos’avrebbe fatto la sua
Socia se fosse stata al posto suo, se Jinny avesse chiesto a lei di
scrivere
una fanfiction sulla complicata storia fra lei e Tom. Che cosa avrebbe
risposto?
Che cosa avrebbe fatto?
Sorrise
immaginandosi che avrebbe
rifiutato pesantemente l’invito dicendo che non era capace e
blablabla… Ma
era fatta così, la sua Socia, e le voleva
bene.
Vide
passare Gustav per il
corridoio, grazie alle finestre che davano sul retro del palazzo, dove
stava
lei, seduta sulla scala antincendio.
«Che
ci fai qui?», le chiese
sorridendo.
«Stavo
pensando», alzò le spalle.
«E
come va?»
«Procede.
Tu che ne pensi di Tom e
Jinny?»
Gustav
sorrise e abbassò il capo.
Si mise seduto al suo fianco e lei rimase a guardarlo con una mano che
reggeva
la testa, il gomito sulla gamba.
«Sono
due insicuri, instabili,
paurosi e stupidi.»
«Oh
cavolo, quanti complimenti. Ti
ringrazierebbero se fossero qui.»
«Ma
è la verità. Non si decidono
mai a mettersi insieme, anche se è evidente che lo vogliono
entrambi; hanno
paura di tutto, ciò vuol dire che si fasciano sempre la
testa prima di
rompersela, nemmeno ci provano, capito? Pensano subito in negativo. Poi
sono
instabili… ah sì, perché un giorno si
amano e un giorno si odiano, un giorno
stanno appiccicati e un altro se ne stanno uno da una parte e uno
dall’altra. E
poi sono stupidi, oh così stupidi,
perché… non vedono che si amano? Sembra che
abbiano le fette di salame davanti agli occhi!»
Ary
rise. Stare accanto a lui era
bello, ma non provava nulla in particolare, era solo felice
perché le piaceva
stare in sua compagnia. Forse… non era il suo tipo di
ragazzo, forse non era
così innamorata come credeva. Ma almeno loro ci avevano
provato, avevano passato
tanti bei momenti insieme, e sapeva che non sarebbero andati persi se
magari un
giorno sarebbe finita fra loro.
«Credi
che ce la faranno mai?»,
chiese lei.
«Con
buone probabilità fra…
cinquant’anni? No, spero davvero che ci arrivino,
perché si fanno male da soli.»
«Già.»
Si
guardarono negli occhi per un
istante e Gustav si alzò velocemente, quasi a fuggire, e
disse che doveva
raggiungere gli altri. Ad Ary sembrò proprio una scusa
inventata al momento, ma
non le fece né caldo né freddo, anzi lo
salutò sorridendo.
***
Uscita
dalla sua camera, gli occhi
gonfi e rossi dal pianto, vide Bill e Camilla in cucina, che parlavano
a bassa
voce, probabilmente anche di lei, e poi sentì il campanello
suonare. Lei sbuffò
e si gettò sul divano, ad occhi chiusi. Non aveva voglia di
fare assolutamente
niente, e così avrebbe fatto.
Camilla
passò di lì per andare ad
aprire, ma non disse niente, per non infierire. Ormai la conosceva
bene.
«Oh,
ciao Tom, che ci fai qui?»
Jinny
si sentì morire. Tom? Ma che
ci faceva lì, sul serio? Si coprì il viso con un
cuscino e soffocò un grido
sbattendo i piedi per terra, in preda ad una crisi esistenziale. Se
doveva
soffrire così, allora tanto valeva morire!
«Jinny,
che ti prende?», chiese Tom
stando di fronte a lei. Le levò il cuscino dalla faccia e si
accorse del trucco
sbavato e degli occhi che testimoniavano di per sé che aveva
pianto. E anche
tanto.
«Piccola…»
«Ti
prego, vattene», mormorò.
«No
che non me ne vado, sei
matta?!»
«Tom!»
«Lo
so come mi chiamo!»
«Deficiente»,
riuscì a farla
ridere.
«Perché
non andiamo a farci un
giro, invece di stare qui a piangerci addosso?», propose
Camilla.
«Oh,
tu sì che sei di conforto»,
disse ancora Jinny, prendendo un altro cuscino per stringerselo al
petto.
«Già,
lo so», le tirò la guancia
fino a farle male.
«E
dove vorresti andare?», chiese
Bill.
«Al
centro commerciale! È un sacco
che non ci vado… Voglio prendermi qualcosa di
nuovo!»
«Sì,
un pomeriggio di shopping
sfrenato è proprio quello che mi ci vuole!», disse
sarcastica Jinny.
«Dai,
se vuoi ti accompagno
all’inferno», la sostenne Tom, con quel sorriso che
la fece incantare per un
secondo.
«Tanto
non puoi stare chiusa qui,
usciamo!», Camilla la trascinò per il braccio e la
fece alzare contro la sua
volontà.
La
sua fine era segnata.
Erano
andati tutti con la macchina
di Tom, tanto per cambiare. Camilla si era subito fiondata in un
negozio di
abbigliamento, mentre Jinny era andata a prendersi un gelato. Tom
l’aveva
accompagnata, ma per tutto il tempo non si erano rivolti la parola. Era
straziante come cosa, per entrambi.
«Camilla
si è persa fra la marea di
vestiti che ha preso?», chiese sedendosi su un puff accanto a
Bill.
«No,
è in camerino.»
«Strano
che tu non l’abbia
raggiunta», sogghignò.
«Cosa
intendi dire?»
«Non
so, lo fate sempre! Mi
chiedevo come mai adesso…», si prese uno schiaffo
sul braccio da parte di un
Bill offeso, lei rise e si continuarono a picchiare e a rincorrersi per
tutto
il negozio, prendendosi pure una sgridata da una commessa,
perché quello non
era un parco giochi per bambini.
«Ma
chi si crede di essere
quella?», sbuffò Jinny risedendosi, dopo aver
buttato la coppetta vuota del
gelato, il cucchiaino di plastica azzurra ancora in bocca.
Si
mise accanto a Tom e senza
nemmeno accorgersene si appoggiò alla sua spalla con la
testa, gli occhi
chiusi, e lui le avvolse un braccio attorno alle spalle e
l’altro attorno alla
vita.
«Io
odio venire qui con Camilla, se
siamo fortunati usciremo stanotte.»
«Ah
beh, Bill è la stessa cosa.»
«Allora
sono fatti apposta l’uno per
l’altra.» Ridacchiarono.
«Jinny,
perché non ti provi
questa?», chiese Camilla euforica, ma appena li vide
così si addolcì e unì le
mani sul petto. «Ma come siete teneri!»
Jinny
e Tom si guardarono, lei era
a dir poco terrorizzata: non poteva permettersi quelle cose! Solo
adesso si era
accorta di come erano finiti: quasi appiccicati, come una vera coppia.
«La
mia piccola… Smack!», Tom le
stampò un bacio in fronte ridendo e poi la guardò
negli occhi sorridendo.
«Sì!
Dammi qua!», Jinny scappò da
lui, liberandosi quasi con la forza dal suo abbraccio,
strappò la maglietta a
Camilla e si chiuse a chiave in un camerino.
Si
sedette sullo gabellino accanto
allo specchio, le gambe strette al petto e la testa fra le ginocchia.
Perché
tutto doveva essere così complicato?
Aveva
voglia di piangere, ma non
poteva ancora, sarebbe stato un casino se Tom l’avesse vista
di nuovo in quello
stato: avrebbe rincominciato con le domande e si sarebbe dato tutta la
colpa,
come sempre.
«Jinny,
è tutto a posto?», chiese
Camilla fuori dalla porta.
«Sì,
adesso arrivo», disse poco
convinta, fissando la maglietta bianca che aveva fra le mani.
Sospirò
e se la infilò, si guardò
allo specchio. Era anche carina, le stava bene, ma non le piaceva, per
un
motivo in particolare.
«Allora,
come ti sta?»
«Male.»
«In
che senso male?»
«Non
mi piace.»
«Come
no? È bellissima invece!»
«Dai
Camilla, per favore, usa la
testa!»
«Che
cosa…? Ah, ho capito.»
«Ecco.»
«Si
può sapere di cosa state
parlando?», chiese Bill, ma nessuno badò a lui.
«Beh…
fammi vedere, magari se
l’aggiustiamo…»
Jinny
sospirò ad occhi chiusi ed
uscì dal camerino. Camilla la guardò e Tom rimase
quasi senza fiato, Bill pure.
«Guarda,
si vede tantissimo!»,
sussurrò Jinny all’amica.
«Ma
va’, non è vero! E io che
pensavo peggio!»
Era
una maglietta stretta, con
degli strappi sui fianchi e sul petto, appena sopra al seno, e Jinny si
lamentava per qualcosa che aveva sul fianco sinistro.
«Ma
che cosa, scusa?», balbettò
quasi Tom, non riuscendo a chiudere la bocca da quanto era bella.
«Tom,
tu la vedi?» Jinny si girò
sul fianco e spostò Camilla.
Tom
fissò il fianco di Jinny e solo
dopo pochi minuti e dopo essersi avvicinato aveva visto la cicatrice
lunga più
o meno dieci centimetri che aveva.
«Ah,
questa!», la sfiorò con un
dito, Jinny si ritrasse e la coprì con la mano, abbassando
lo sguardo.
«Ma
perché te ne vergogni?», chiese
Camilla stufata.
«Perché
non mi piace.»
«Ma
l’hai fatta… insomma… c’entra
con… l’incidente?»
Jinny
annuì e rientrò nel camerino
per togliersela, in silenzio.
Camilla,
Bill e Tom si guardarono
con amarezza, poi Camilla prese Bill per mano e si avviarono alle
casse, Tom
rimase da solo di fronte al camerino di Jinny.
Quando
uscì, di nuovo con la sua
maglietta addosso, guardò Tom seduto lì di
fronte, le mani unite e i gomiti
sulle ginocchia, lo sguardo basso.
«Dove
sono andati gli altri due?»
«A
pagare, credo.»
Tom
si alzò e si avvicinò a lei,
Jinny ne ebbe quasi timore, ma appena sentì le sue braccia
forti stringerla al
suo petto chiuse gli occhi e si lasciò andare.
All’inizio non aveva saputo cosa
fare, infatti era rimasta con le braccia stese lungo i fianchi, ma poi
aveva ricambiato
con le braccia legate attorno alla sua schiena.
«Jinny,
mi dispiace tanto», le
sussurrò.
«Per
cosa?»
«Per
l’incidente… e per il fatto
che io non c’ero.»
«Non
avevi nessun motivo per
esserci.»
«Invece
sì», la prese per le spalle
e la guardò negli occhi. «Jinny… non so
se ti rendi conto di quanto tu sia
importante per me. Se non fossi sopravvissuta… che avrei
fatto?»
«Questo
non lo so», sollevò le
spalle. «Ma sono qui, ora.»
«Già.»
Si
guardarono ancora negli occhi e
poi Tom si avvicinò per baciarla, ma lei spostò
il viso e lui, sospirando
afflitto, non poté fare altro che sfiorarle la guancia.
«Questo
come lo devo
interpretare?», le chiese.
«Non
potrà mai funzionare tra noi.»
«E
chi te lo dice?»
«Tom,
ti è chiaro il concetto che
io andrò in America?»
«E
allora?»
«E
allora… allora non può
funzionare!»
«Deve
funzionare! Io…»
Jinny
gli mise una mano sulla bocca
e quando fu sicura che non dicesse di nuovo quelle due parole che
sempre aveva
sognato di sentirsi dire da lui, ma che in quel momento
l’avrebbero fatta solo
soffrire, gliela tolse e si allontanò per raggiungere
Camilla e Bill che li
aspettavano fuori dal negozio.
«Jinny!»,
la chiamò Tom. Lei si
girò e lo guardò. «Almeno…
potremmo essere amici.»
Jinny
sorrise annuendo, ma nessuno
dei due ci credeva veramente, sarebbe stato impossibile anche quello,
perché
l’amore che Tom provava verso di lei avrebbe impedito una
loro possibile amicizia,
e quello che Jinny doveva ancora capire di provare avrebbe fatto lo
stesso.
Però,
con quelle parole
impossibili, riuscirono a sorridersi, anche perché
l’uno senza l’altro
sarebbero stati incompleti. Tanto valeva vivere quei momenti.
------------------------------------------------------
Nota:
Tanto per farvelo sapere la
canzone all’inizio del capitolo è Let it
rock, di Kevin Rudolf e
Lil’ Wayn. Non sapevo che canzone mettere, visto
che non seguo molto l’hip hop, genere che segue invece Jinny,
e l’unica che si
avvicinava un po’ era questa. Mi piacevano quei versi e li ho
abbinati così,
però il resto della canzone non è che centri
molto. Va bè, non importa (@_@)
Ah, una cosa
che invece importa è che vi devo svelare una cosuccia: avete
notato che è
entrato in scena, già dal primo capitolo in
verità, un nuovo personaggio, Ary,
la ragazza di Gustav. Bene, quella sono io! E non mi ci sono ficcata
dentro
perché ho manie di protagonismo… (Ehm…
un pochino? XD) Ma perché mi è venuta
quest’idea, della Fanfiction dentro la
Fanfiction. E
poi c’è anche la sua Socia, che è anche
la mia! E tutta la
descrizione che ho fatto su loro due è la descrizione
di… noi due! Socia, ti
voglio bene! Grazie per avermi concesso di usare il tuo nome e i tuoi
pregi e i
tuoi difetti in questa ff che ti piace tanto (Non chiedermi quando mi
hai dato
il permesso perché mi sono appena ricordata che non te
l’ho mai chiesto! O_o)
Bene, detto
questo, vi saluto, direi che per oggi è abbastanza! Alla
prossima, Ary.
|
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Capitolo 9 *** Il matrimonio ***
9
Il
matrimonio
Jinny
respirò profondamente l’aria
fresca e pulita: sapeva di sale, semplicemente di mare e di…
di Tom.
Cancellò
dalla mente il suo viso, i
suoi occhi, le sue labbra, ma facendo così lo
ricordò solamente di più, avendo
una voglia incontrollabile di lui, in tutti i sensi. Ed era la prima
volta che
lo voleva anche in quel modo.
Arrossì
e si sistemò le trecce
dietro le spalle, prima di girarsi e di guardare il personale del
catering che
sistemava le ultime cose per il matrimonio dei suoi genitori che ci
sarebbe
stato quella sera, poco prima del tramonto.
Guardò
dalla riva del mare la casa
dove aveva vissuto forse i due mesi più belli e dolorosi
della sua vita.
Quella
mattina, quando era arrivata
e aveva messo piede in casa, dopo una breve occhiata, si era ricordata
così
tante cose assieme che si era dovuta sedere sul divano.
Ogni
cosa lì dentro era piena di
ricordi e nella sua testa aveva sentito come un Big Bang in miniatura
esplodere, facendole ricordare finalmente tutto, gioie e dolori.
Ed
ora che sapeva si era resa conto
che Tom era davvero cambiato per lei, che aveva capito sul serio che
cosa
voleva e che cosa provava. Ma ora era lei quella confusa. Che cosa
avrebbe
fatto non lo sapeva nemmeno lei.
Si
incamminò per ritornare a casa
quando Camilla la chiamò per dirle che i TH erano andati a
suonare per un
programma televisivo sulla spiaggia, non lontano da dove era lei.
Jinny
sospirò e quando sentì le
prime note in lontananza si affrettò a raggiungere
l’altro lato della spiaggia,
dietro gli scogli, correndo a piedi nudi sulla sabbia tiepida.
Vide
il palco circondato da
tantissime persone: fan che urlavano i loro nomi, con cartelli e
reggiseni
pronti a volare verso di loro.
Sentì
un pizzico di gelosia, ma poi
avvistò Camilla e Ary a bordo palco e si creò un
varco, beccandosi pure qualche
spintone e qualche insulto, per raggiungerle.
Il
suo sguardo e quello di Tom si
incontrarono per un attimo e lui sorrise ammiccando verso il vestito
che
indossava.
Cazzo,
non mi sono cambiata!,
imprecò nella sua testa, portandosi una mano sopra al
seno messo in evidenza dal vestito.
Era
un vestito bianco a sfumature
rosa, che avrebbe dovuto indossare quella sera, lo aveva messo per le
prove
generali e si era dimenticata di cambiarsi, presa dalla fretta.
Le
urla si intensificarono quando
partirono le note di By
your side.
Tom
quando suonava era
semplicemente incantevole, non riusciva a togliergli gli occhi di
dosso, e lui
non era da meno in quanto gli lanciava sorrisi ed occhiate ogni volta
che
poteva.
C’erano
tantissime persone, eppure
sembrava che ci fossero solo loro due, nel loro mondo protetto,
racchiusi in
una bolla invisibile.
No
one knows how you feel
No one there you’d like to see
The day was dark and full of pain
You write “Help” with your own
blood
Cos hope is all you’ve got
You open up your eyes, but
nothing’s changed
Jinny
e Tom si guardarono e lui si
perse nei suoi occhi verdi, così unici e spettacolari che
quasi si sconcentrò e
perse il filo della canzone. Jinny se ne accorse e sorrise
mordicchiandosi il
labbro, abbassando lo sguardo.
Jinny
era sola, nessuno capiva come
si sentiva, i suoi giorni erano scuri e pieni di dolore, ma continuava
a
sperare, perché era l’unica cosa che aveva. Ogni
giorno apriva gli occhi e
vedeva che nulla era cambiato.
I
don’t want to cause you trouble
Don’t want to stay too long
I just came here to say to you
Turn around… I am here
If you want it’s me you’ll see
Doesn’t count… far or near
I can hold you when you reach for
me
Era
stata così per molto tempo, ma
un giorno tutto cambiò: si ritrovò in casa
quattro ragazzi, apparentemente strani
e così ragazzini, ma presto cambiò idea su di
loro e si innamorò pure. Si era
innamorata di Tom, e chissà se lo era ancora.
Non
volevano causarle problemi,
assolutamente no, poteva capitare a chiunque di mescolare i capi da
lavare e
far uscire i vestiti rosa.
Loro
c’erano stati per lei, in ogni
occasione, e lei c’era stata per loro. Erano diventati una
grande famiglia e a
loro non importava se erano lontani o vicini, perché
potevano contare sul bene
che si volevano e se avevano bisogno di un abbraccio lo avrebbero avuto.
Your
life is meaningless, your
diary full of trash
It’s so hard to get along with
empty hands
You’re lookin’ for the rainbow,
but it died not long ago
It tired to shine just for you
until the end
Jinny
ricordò i momenti duri
passati con loro, a piangere e a soffrire, ma insieme ce
l’avevano sempre
fatta. Avevano combattuto contro il dolore, la delusione, la sconfitta,
e come
una grande famiglia, rimanendo uniti, erano riusciti a vincere e a
sorridere
ancora.
I
don’t want to cause you trouble
Don’t want to stay too long
I just came here to say to you
I
am by your side
Just
for a little while
Ricordò
quelle parole, dette a Bill
molto tempo prima, in un pomeriggio di lacrime:
«…
Volevo
solo dirti che ovunque saremo, anche se fossimo dall’altra
parte del mondo, noi
ci saremo sempre per te, saremo sempre al tuo fianco.»
«Ehi,
questa l’ho già sentita. I’m by your side, just
for a little while…»
«Già,
proprio così.»
Si
passò le mani sul viso,
spazzando via le lacrime che involontariamente le erano scese sulle
guance, e
sorrise ricambiando lo sguardo di Tom.
If
the world makes you confused
And your senses you seem to lose
If the storm doesn’t wanna diffuse
And you just don’t know what to do
Look around… I am here
Doesn’t count… far or near
I’m
by your side
Just
for a little while
Già,
quante volte Jinny si era
sentita confusa e persa, senza sapere che cosa fare? Si era girata e
ogni volta
aveva visto Bill, Georg, Gustav… e Tom, porgerle la mano per
aiutarla ad
alzarsi, per dirle di andare avanti, senza guardarsi indietro.
E ora
era lei a dover dire a loro
che ovunque sarebbe andata loro sarebbero stati sempre al suo fianco,
come lei
al loro, anche se si sarebbe trovata dall’altra parte del
mondo.
Turn
around… turn around
I am here… Turn around
Doesn’t count… far or near
Turn around… If you want it’s me
you’ll see
Turn around
I can hold you when you reach for
me
Turn around… I am here
Doesn’t count… far or near
I
am by your side
Just
for a little while…
«We’ll make
it if
we try»,
sussurrarono assieme Tom e Jinny, guardandosi negli
occhi, mentre le ultime note di chitarra si perdevano
nell’aria.
Jinny
si trovò
costretta ad asciugarsi ancora le lacrime e poi strinse nel pugno il
ciondolo
che portava al collo: la collana che le aveva regalato Tom.
Lo
salutò con lo sguardo
e un sorriso timido e se andò, tornando all’altra
spiaggia, quella dove si
stavano ancora svolgendo i preparativi.
Si
sarebbero visti
quella sera, al matrimonio, e questo, comprensibile o incomprensibile
che
fosse, rasserenò entrambi.
***
Jinny
guardò sua madre
di fronte ad un grande specchio, con una sarta che le ronzava intorno
per
ricamarle qualche orlo, infilzandole il vestito con tanti di quegli
spilli che
poteva anche sembrare una bambola vudù. Ma per il resto era
bellissima, dietro
il suo vestito bianco e il velo trasparente.
«Jinny,
ciao!», la
salutò emozionata, prendendosi un richiamo dalla sarta che
pretendeva che lei
restasse ferma come un statua. Cosa impossibile per sua madre e in
generale per
tutte le donne agitate che si sposano.
«Ciao
mamma, sei
splendida», le disse.
«Pure
tu, piccola.»
Piccola…
Tom la chiamava sempre così. Ma perché tutto
glielo
ricordava?
Si
mise seduta sul
letto e appena toccò quel materasso familiare
ricordò la loro
magica notte passata fra le lenzuola di quel letto a fare
l’amore.
Chiuse
gli occhi e
scosse la testa, concentrandosi sul vestito di sua madre: era lungo,
non le si
vedevano nemmeno i piedi, e aveva delle finissime ricamature sul
corpetto
stretto, che ne evidenziava le belle curve nonostante
l’età, che brillavano
alla luce del sole del pomeriggio.
Ormai
mancavano poche
ore all’evento e un po’ agitata si sentiva pure
lei. Insomma, avrebbe assistito
al matrimonio dei suoi genitori, non uno qualunque! Sarebbe stata
testimone
della loro unione e avrebbe dovuto far sì che nulla li
dividesse di nuovo.
«Jennifer,
lo sai che
questo è lo stesso vestito che ho usato al primo matrimonio
con tuo padre?»,
disse Victoria con gli occhi brillanti, cercando di stare
più ferma possibile.
«Oh…
bello.»
«Ti
piace il bouquet?»
Camilla,
con una mano
sotto al mento, annoiata, le porse il bouquet con l’altra,
alzando il
sopracciglio e sbuffando.
Ora
che guardava bene
si era messa fra Camilla e Ary: assieme facevano il trio delle
depresse! Lei
non sapeva cosa fare con Tom, Camilla avrebbe preferito ficcarsi in un
angolo
appartato con Bill, e Ary…
«A
te che è successo,
Ary?», le chiese.
«Io
e Gustav ci siamo
lasciati», sospirò tenendosi il viso fra le mani,
i gomiti sulle ginocchia
lasciate scoperte dalla gonna blu che indossava.
«Davvero?
E perché?»
Ary
sollevò le spalle. «Non
eravamo fatti apposta per stare assieme, stiamo molto meglio come
semplici
amici.»
«Però
ti dispiace»,
disse Camilla sporgendosi per vederla in viso.
«È
ovvio, ma passerà
presto, non vi preoccupate», sorrise. In fondo non
l’aveva nemmeno presa troppo
male.
«Ma
allora la scriverai
quella… storia?», le chiese Jinny gesticolando.
«Si
chiamano fanfiction.»
«Sì,
beh, è uguale.»
«Credo
di sì. Dopo
tutta la fatica che ho fatto per tirare fuori le cose dal tenero
cuoricino
nascosto di Tom non posso non scriverla!»
«Tom
ti ha parlato di…
noi?»
Annuì
con la testa,
stringendosi nelle spalle.
«E-e-e
c-che cosa ti ha
detto? Dimmelo immediatamente!»
«Ho
avuto paura che ti
si fosse incantato il disco, da come balbettavi! Comunque…
Jinny, questa è la
tua storia, vivila senza anticipazioni, per favore!»
«Ary,
sei crudele!»
«Peggio,
sono perfida!»
«Mi
lascerai con il
fiato sospeso fino alla fine, pura ed effimera incarnazione della
perfidia!»
«Già»,
sogghignò. «Miss
Perfidia colpisce ancora.»
***
Tom
era al piano di
sotto, che tentava di sistemarsi una cavolo di cravatta.
Che
cazzo stava
facendo?! Era stato invitato ad un matrimonio, ma ciò non
voleva dire che
doveva cambiare il suo look! Ok, la verità era che voleva
stupire Jinny, ma non
ci si trovava proprio. E poi aveva un certo presentimento che se
l’avesse visto
conciato in quel modo proprio anti-Tom si sarebbe messa a ridergli in
faccia.
Se
la levò con rabbia e
la lanciò via, si sbottonò i primi due bottoni
della camicia bianca e completò
l’opera con i soliti jeans oversize, scuri, e le scarpe da
ginnastica nere e
bianche.
Si
guardò allo specchio
soddisfatto e si sistemò il colletto della camicia come se
fosse un rapper,
facendo tutte le scenate allo specchio.
«Ecco,
sono in questi
momenti che mi chiedo: perché a me? Signore,
perché è toccato a me un fratello
così rincoglionito?»
Tom
si girò e guardò il
fratello con le braccia strette al petto, in modo tale da non poterle
alzare
perché se solo gli avesse sfiorato quell’opera
d’arte che erano i suoi capelli
perfettamente in piedi sarebbe successo il finimondo.
«Rincoglionito
a chi? Ripetilo se ne hai il coraggio.»
Ma
Bill non lo aveva
nemmeno ascoltato, intento com’era a fargli un giro di
trecentosessanta gradi
intorno e a guardarlo.
«Cos’è,
credi per caso
che una camicia faccia innamorare pazzamente Jinny?», gli
chiese sollevando il
sopracciglio e sorridendo in quel modo tanto odioso che Tom finiva
sempre per
amare.
«E
tu lo sai che con
quei capelli ti faranno sedere in ultima fila perché
toglierai la visuale a
tutti?», ridacchiò.
«Cazzo,
non ci avevo
pensato! E ci ho messo così tanto a farli così! E
tu avvisarmi prima no?!»
«Scusa,
chi era il
rincoglionito fra i due?»
«Tu
e sempre tu
rimarrai, io mi sono solo distratto e non mi è venuto in
mente.»
«Forse
la lacca che usi
tutti i giorni con effetto prolungato ti corrode il cervello.»
«Carina
Tom, questa me
la segno, solo che sarebbe meglio così, senti qua: forse i
nidi di pidocchio
che ti si sono annidati in testa ti succhiano anche quel poco di
materia grigia
che hai per cervello.»
«Na,
era meglio la mia»,
disse muovendo la mano.
«Ok,
sento che qui se
qualcuno non farà l’intelligente
finiremmo per non smetterla più con questi amabili
complimenti, quindi… mi sacrificherò
io per te.»
«Non
è troppo faticoso,
Bill? Sei sicuro di volerlo fare?»
«Non
ti preoccupare, lo
faccio volentieri per il mio amato fratello gemello! Allora, sei
pronto?»
«Sì,
penso di sì.»
«Bene,
allora andiamo.
Le ragazze ci aspettano.»
«Che?
Che vuol dire che
ci aspettano?»
«Che
sono fuori che ci
aspettano, loro sono già pronte. Ah, tu
intendevi… ah, no, Jinny non c’è,
accompagna sua madre.»
«Ah»,
disse triste.
«Ma
la vedrai lì! Sarà
come vedere la tua sposa!»
«Bill,
per favore!»
«Ah,
sei arrossito!»
«Ti
sei realizzato?
Bravo, complimenti, tanto non hai vinto niente. E ora
muoviamoci.»
Arrivarono
in spiaggia
e le ragazze e Bill furono entusiasti dei fiori,
dell’allestimento,
dell’ambientazione e di tutte le cose stupende che
c’erano, non facevano altro
che parlarne.
A
volte si chiedeva se
davvero suo fratello fosse maschio, sul serio. “No, io ho
solo senso estetico,
cosa che tu non hai”, gli rispondeva sempre con il suo
atteggiamento da
primadonna.
Tom
non era
particolarmente interessato, ma sapeva bene che la cosa più
bella doveva ancora
arrivare: Jinny. Non vedeva l’ora di vederla per bene con
addosso il vestito
che quel pomeriggio aveva visto solo di sfuggita, mentre suonavano.
C’era
il padre di
Jinny, in completo grigio e cravatta rosa che emozionato attendeva
Victoria,
poi c’erano anche David, Benjamin, che ancora non approvava
quell’unione
nonostante dovesse essere felice per il fratello, e molte altre persone
importanti della Universal che aveva solo sentito nominare.
Vide
che Georg aveva
già rimorchiato una ragazza, capelli rossi e mossi e un
vestito verde che le
risaltava gli occhi, in più aveva un bel sorriso luminoso.
Doveva essere la figlia
di una delle amiche di Victoria.
Gustav
e Ary parlavano
e ridevano un po’ più in là, anche se
aveva saputo che si erano lasciati a
causa della loro incompatibilità come amanti. Loro erano
perfetti per essere
amici e avevano deciso che sarebbe stato meglio così.
In
fondo gli piaceva
quella ragazza, era solo che a volte lo infastidiva come riuscisse ad
entrargli
nella testa, capendo sempre perfettamente come si sentiva.
Bill
era con Camilla,
che pomiciavano alla grande appoggiati ad una palma; e lui, ciliegina
sulla
torta ed osservatore indiscreto, era lì da solo come un
deficiente. Ma la
verità era che per Jinny avrebbe fatto la figura del
deficiente altre due o tre
milioni di volte.
Una
macchina si fermò
per strada e tutti presero posto. Pure adesso lo avevano lasciato solo.
Per
fortuna arrivò Ary che si mise accanto a lui e gli sorrise
incoraggiandolo.
«Aspetta,
non vorrai
mica farmi altre domande, vero?», le chiese preoccupato.
«No,
stai tranquillo.
Voglio solo godermi lo spettacolo in prima fila.»
«Che
cosa…?», ma non
fece in tempo a finire la frase.
Sentì
Bill trattenere
il respiro guardando dietro di sé e quando anche lui si
girò quasi ci restò
secco: Jinny era… era… una visione celestiale. Un
vero e proprio angelo con
quell’abito bianco a sfumature rosa che con il sole del
pomeriggio brillava.
Aveva le treccine tenute dietro le spalle grazie ad un cerchietto rosa
di
velluto e aveva un fiore rosa chiaro vicino all’orecchio
destro.
Le
guance leggermente
rosate presero colore appena incrociò lo sguardo di Tom e
fece un sorriso
timido, abbassando lo sguardo sui suoi piedi nudi. Aveva preferito
così perché
sapeva che comunque le scarpe piene di sabbia le avrebbero dato
fastidio,
quindi aveva eliminato direttamente il problema.
Accompagnò
sua madre,
altrettanto bella e quasi ringiovanita, accanto a suo padre e poi
andò a
sedersi. Caso volle che l’unico posto libero era quello
accanto a lui.
Jinny
guardò in cielo
sorridendo, sapendo che lui la stava guardando, e con un sorriso e un
mezzo
sbuffo divertito si mise seduta al suo fianco.
Era
proprio quello che
Ary avrebbe voluto che accadesse e le si illuminarono gli occhi: per
lei quel
matrimonio non era nulla in confronto a quello che le accadeva di
fianco.
Sentiva così tante emozioni percorrere i corpi dei ragazzi
che… ah, era una
pacchia!
La
cerimonia durò
relativamente poco, o forse così era sembrato a Tom
perché aveva passato la
maggior parte del tempo a guardare Jinny e a percorrere con lo sguardo
i lembi
di pelle chiara che il vestito le lasciava scoperti, partendo dalle
gambe, le
braccia, il collo, fino ad arrivare al suo viso dolce e delicato che
aveva
avuto voglia di baciare piano, pianissimo, in modo tale che lei nemmeno
se ne
accorgesse.
Per
il ricevimento si
riunirono tutti nella villa, adornata ancora da fiori e trasformata in
un
enorme salone con i tavoli del buffet al posto del solito arredamento
del
salotto. E avevano sistemato la grande torta, di tantissimi piani, al
centro.
Jinny
era in angolo,
appoggiata alla parete, che infilzava la sua fetta di torta alla panna
con la
forchetta e poi la lasciava lì. Non era proprio
dell’umore giusto per
festeggiare, visto che in solaio erano già pronte le sue
valigie e tutta la sua
roba per traslocare in America.
Suo
padre aveva voluto
celebrare il matrimonio lì in spiaggia in Italia, oltre per
la magnifica
ambientazione, anche per farle fare un ultimo giro in quel luogo ricco
di
ricordi ed emozioni mai dimenticate, solo assopite in un angolo della
sua
memoria. La mattina dopo sarebbero partiti e chissà se
avrebbe mai più rivisto
quel mare.
«Lo
sai che non si
gioca con il cibo?»
«Sì,
mammina»,
disse ridacchiando e guardando
Tom di fronte a lei. Appena incontrò il suo sorriso le venne
spontaneo
ricambiare, ma il suo prese una piega amara e triste.
Chissà
se l’avrebbe mai
più rivisto, il suo Tom.
«Che
cosa ti prende?»,
le chiese abbandonando il piatto vuoto sul tavolo.
«Non
mi va più, la
vuoi?», gli chiese. Come se davvero quello fosse il problema
e Tom tanto
stupido da cascarci, no?
Lui
sollevò il
sopracciglio destro con il suo sorriso sfrontato sulle labbra, facendo
venire i
brividi a Jinny, e guardò la torta e poi lei.
«Sei
proprio un bambino»,
disse lei prima di prendere una forchettata e di portargliela alla
bocca.
«Sì,
lo so», disse lui
facendole l’occhiolino.
«Sai
che domani parto,
vero?», disse di nuovo seria Jinny.
Quasi
non si strozzò
con lo champagne abbinato alla torta.
«Domani?!
Ma stai
scherzando, vero?»
«Come
se potessi
scherzare su una cosa del genere», mormorò
guardando in basso. Ora le scarpe ce
le aveva: bianche con tanto di fiocco, con il tacco.
Tom
appoggiò anche il
suo piatto sul tavolo e la prese per un braccio, la condusse sopra le
scale e
in solaio si abbandonarono al letto, sdraiati l’uno accanto
all’altra a pancia
all’aria, lo stesso letto che a Jinny causava delle
sensazioni molto piacevoli,
ma solo se era da sola, non con il protagonista delle sue fantasie.
Di
fronte a loro il
sole stava quasi per tramontare dietro il mare, che ancora sospirava
lentamente
grazie alle onde.
«Quanti
ricordi questa
casa», sospirò Jinny.
«Eh
già. Che effetto ti
ha fatto tornarci?»
«Mi
sono venuti i
brividi.»
«Anche
a me.»
«Sai,
credo di doverti
ringraziare.»
«A
me?»
«Sì,
anche gli altri,
perché mi siete sempre stati vicini, eravate diventati un
po’ la mia famiglia.»
«E
ora… non lo siamo
più?»
«Ci
vorrà del tempo,
però vi voglio bene come allora.»
Nessuno
dei due fiatò
più, rimasero in silenzio, cullati dal lento movimento delle
onde.
«Tom…»,
sussurrò per
paura di rovinare quel momento.
Il
suo viso illuminato
dal sole arancione intenso era ancora più bello, la sua
pelle brillante ed invitante.
«Andiamo
a fare surf?»
Si
guardarono negli
occhi e sorrisero, ricordando i bei momenti passati fra le onde a
ridere e a
scherzare.
«Non
so se mi ricordo
come si fa», disse lui alzandosi.
«Cos’era,
una battuta
per caso?», lo rimproverò lei prendendogli la mano
che gentilmente le aveva
offerto.
Al
contatto con essa si
sentì bruciare e rabbrividire allo stesso tempo, ma
tentò di fare finta di
nulla, tenendo per sé ciò che provava dentro.
Risero
piano e uscirono
dalla porta sul retro, raggiunsero la casetta di legno e recuperarono
le loro
tavole da surf, ancora intatte e così magicamente belle ai
loro occhi.
«Quanto
mi è mancata»,
disse Tom sfiorandone la superficie.
«Dobbiamo
passargli un
bel po’ di cera, sono quasi nove mesi che non le
usiamo!»
«Già.
Mi mostri tu come
fare, coach?»
«Vedo
che le cattive
abitudini non le perdi mai!»
«No,
mai», sorrise
birichino e le stampò un bacio sulla guancia prima di uscire
con la sua tavola
sotto braccio.
«Ah,
una cosa», lo
richiamò, sebbene fosse ancora rossa di vergogna. Lui si
girò e fece sbattere
la coda della tavola con la porta, incastrandosi.
«Jinny,
l’hai fatto
apposta!», gridò, anche se voleva scoppiare a
ridere.
«No,
te lo giuro, non
volevo! Io volevo solo chiederti se avevi intenzione di entrare in
acqua con i
jeans e la camicia, che tra l’altro ti dona molto»,
disse arrossendo e
leccandosi le labbra ricordando il suo petto e il sapore
così buono della sua
pelle.
«Oh,
grazie! Anche tu
stai bene. Comunque, no, adesso andiamo a cambiarci.»
«Andiamo?»
«Sì,
non credo che tu
voglia entrare in acqua con quel vestito e le scarpe col
tacco.»
«Ah,
hai ragione»,
disse imbarazzata. Stare vicino a lui per troppo tempo non le faceva
bene, ma a
stargli lontano stava peggio.
Si
cambiarono
velocemente, Jinny si mise la sua amata tuta che aveva trovato
nell’armadio e
notò con piacere che tutti gli sforzi che aveva fatto per
mantenere la linea
erano serviti a qualcosa, dopotutto. Tom invece si era messo il costume
che
Jinny adorava, che aveva portato sperando in una situazione come
quella, bianco
a fiori rossi, lungo fino al ginocchio, dal quale si intravedevano i
boxer neri.
Dopo
aver passato la
cera sulle tavole parlando del più e del meno o
semplicemente stando in
silenzio, quel silenzio così ricco di parole, entrarono
subito in acqua e Jinny
ricordò perfettamente la sensazione di avere la pelle e le
labbra salate, quel
brivido quando riusciva a prendere bene un’onda e stava in
piedi sulla tavola
sicura di sé stessa e sentendosi nell’altro suo
mondo: quello marino, al posto
di quello sulla nuvoletta.
E
nel suo mondo, quella
sera, separato dalla spiaggia nella quale c’era stato il
matrimonio dei suoi
genitori che sicuramente l’avevano data per dispersa,
c’erano solo lei, lui e
le onde del mare.
Uscirono
dall’acqua
solo quando il sole ebbe dato il cambio alla luna e alle stelle e il
mare
divenne una distesa d’acqua brillante ai raggi lunari.
Sdraiati
vicini su un
asciugamano e coperti da un altro, Jinny chiuse gli occhi e
respirò il suo
profumo mettendosi sul fianco, abbracciandolo e poggiando la testa
sulla sua
spalla. Lui le avvolse la schiena con un braccio e sorrise al cielo.
Il
calore di lui
insieme a quello di lei era una sensazione unica che Jinny aveva voluto
tante
volte riassaporare, rivivere, perché il ricordo sinceramente
non le bastava.
«Tom?»
«Uhm?»
«Tu
credi che…»
Tom
girò il viso verso
di lei, incuriosito, e le punte dei loro nasi si sfiorarono. Si
guardarono
negli occhi e un brivido li percorse, poi Jinny sorrise e si
avvicinò, Tom
chiuse gli occhi e si lasciò baciare da lei, da quelle
labbra che per la terza
volta, finalmente, si posarono sulle sue.
La
stessa Jinny aveva
detto che non poteva funzionare fra loro, ma doveva
funzionare, perché… sì, si amavano. La
passione e gli
istinti erano troppo forti per resistere e non lasciarsi andare.
Jinny
si mise a
cavalcioni su di lui e lo baciò con più passione,
tenendogli il viso fra le
mani. Gli passò le mani sul torace, facendo rabbrividire sia
lui e che lei,
quando sentì le mani di lui sulla schiena.
«Jinny…»,
sussurrò Tom
con la voce debole, già eccitato dai suoi tocchi delicati
sul suo corpo.
«Sì?»
«Vorrei
che questo
momento non finisse mai.»
«Questa
notte sarà solo
nostra, di nessun altro», gli sussurrò
all’orecchio, prima di mordicchiargli
sensualmente il collo.
Tom
sospirò e sciolse
le treccine di Jinny, che gli ricaddero sul petto e lo solleticarono,
ma invece
di farlo ridere lo fecero eccitare ancora di più.
Ormai
Jinny sentiva il
desiderio di lui e anche il proprio, non aspettava altro. Scese a
baciargli il
petto, sentì di nuovo il sapore della sua pelle, se lo
voleva godere fino in
fondo, chissà per quanto non si sarebbero
rivisti…
Quando
arrivò
all’ombelico Tom si mosse sotto di lei ed emise
l’ennesimo sospiro, cercando di
resistere e di non prenderla fra le braccia, di non stringerla e di non
lasciarla più.
«Tom,
tu mi vuoi, vero?»,
gli chiese.
«Più
di ogni altra cosa»,
sussurrò.
«E
allora perché non mi
prendi? Sono già tua.»
A
Tom brillarono gli
occhi e fece scivolare la cerniera della tuta aderente di Jinny fino
allo
stomaco, notando con piacere che non aveva il costume sotto.
Anche
Tom si perse a
baciare il corpo di Jinny che tanto gli era mancato, quasi da
impazzire, ma lo
fece piano, dolcemente, senza fretta, anche se il desiderio premeva
forte in
tutti e due. Sapevano che se avessero aspettato sarebbe stato ancora
più bello.
E allo stesso tempo doloroso… Jinny se ne sarebbe
andata…
«Jinny,
non mi lasciare»,
le sussurrò baciandole il seno e facendola rabbrividire di
piacere.
«Come
potrei?»
«Io
ti amo, Jinny.»
«Anche
io ti amo, Tom.
E non lo dico perché abbiamo litigato.»
«Sono
ventiquattr’ore che non
litighiamo.»
«Un
nuovo record by Jinny & Tom», sussurrò.
Si
guardarono in viso,
completamente rapiti l’uno dall’altro, e nemmeno
tre secondi dopo si stavano
baciando con ardore, le loro lingue impegnate in una battaglia
passionale e
senza scrupoli, perché si era pur sempre in guerra e in
guerra bisognava
lottare, fino alla fine. Una guerra fra le emozioni e le paure, due
acerrimi
nemici di sempre.
Si
tolsero lentamente i
vestiti, o quello che avevano addosso, quella notte era solo loro,
avevano
tutto il tempo del mondo, mentre l’asciugamano che li
ricopriva era scivolato e
lasciava scoperta la schiena
bianca di
Jinny che brillava alla luce della luna.
Tom
l’accarezzò con le
dita prima di prenderle i fianchi e di spingere il bacino contro al
suo. Jinny
mugolò di piacere, sentendolo dentro di sé, e,
nonostante tutti i ricordi di
quella sera ora così chiara, si concentrò solo
sul presente, perché era quello
che doveva vivere, quello che doveva finalmente godersi fino in fondo.
Si
muovevano assieme,
complici come mai, mentre i sospiri diventavano affannati, la pelle
sudata e
luccicante ai raggi lunari, le mani e le labbra avide sempre in cerca
di nuovi
punti segreti da stuzzicare e da scovare, come in una caccia al tesoro
infinita, nel quale il solo scopo non era vincere, ma amare, amare
veramente.
Jinny
guardò Tom negli
occhi e lui ricambiò sorridendo: erano accecati
dall’amore. Si poteva dire che
stavano raggiungendo il loro scopo.
Lei
si aggrappò alle
spalle di Tom, ficcandogli le unghie nella pelle, e con
un’ultima forte spinta
da parte di entrambi vennero assieme, i loro nomi gridati nella notte,
dimostrando
di essere in completa simbiosi, come molte altre volte era successo, e
distrutti ma felici si abbracciarono, si lasciarono accarezzare
dall’altro e
dal vento, con quella pace e serenità nel cuore di cui tanto
avevano sentito
parlare, ma mai veramente come in quel momento avevano provato addosso.
«Ti
amo, piccola»,
sussurrò Tom accarezzando la pelle del suo collo con il
proprio respiro
affannato.
«Anch’io»,
gli rispose
serena, respirando profondamente e stringendo i pugni sul suo petto,
rassicurata dal suo abbraccio, prima di addormentarsi con il battito
del suo
cuore e il respiro lento del mare.
-----------------------------------------------------------------
Nota: Il
mio romanticismo ha raggiunto i livelli massimi. Se siete orgogliosi di
me
lasciatemi una recensione! ^^ Grazie. In
particolare ringrazio: marty
sweet princess, la mia Socia Scarabocchio_
che sa già tutto quello che devo dirle e Utopy
che finalmente ce l'ha fatta! Wow, vi adoro ragazze!! Un bacione
enorme!! Ary
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Capitolo 10 *** Epilogo: Another Neverending Story ***
10
Epilogo:
Another Neverending
Story
Jinny
sfiorò con le
dita la stoffa blu del bracciolo della propria poltroncina.
Guardò l’enorme
vetrata di fronte a sé, sulla quale atterravano e partivano
gli aerei, poi
sollevò lo sguardo sul tabellone degli orari e
notò che il volo dall’America
era in ritardo di quindici minuti, ancora.
«Jinny,
stai calma, per
favore. Non essere così impaziente», le disse Ary
annoiata. Non ricordava nemmeno
più quante volte le aveva detto quella frase, talmente erano
state tante.
«E
pure tu, che credi?»,
sollevò lo sguardo su Camilla, che camminava avanti e
indietro di fronte a
loro, con un bicchierone di caffè in mano.
«Ragazze,
non ce la
faccio più», sussurrò Jinny tenendosi
la testa fra le mani.
«Forza
e coraggio, manca
poco!»
«E
se gli fosse
successo qualcosa?», chiese Camilla bloccandosi
improvvisamente e facendosi
cadere del caffè sulla mano. «Cazzo!»
«Tieni,
va’», Ary le
lanciò un pacchetto di fazzoletti che aveva recuperato dalla
borsa e poi fissò
le due ragazze nervose.
«Dio,
è solo in ritardo
il volo! Quando vi ci mettete siete pessimiste peggio della mia
Socia!»
«La
tua Socia?»,
chiesero Jinny e Camilla
sorridendo.
«Sì,
perché quelle
facce?»
«Scusa
la domanda, ma
chi sarebbe la tua… Socia?»
«È
una mia amica, si
chiama Virginia! È un po’ pessimista a volte, ma
le voglio bene così com’è.
Adora la vostra storia!», unì le mani sul petto e
guardò Jinny con gli occhioni
da cucciola.
«Uhm?»,
chiese
sorridendo.
«Già.
Però mi dice che
sono affamata
di recensioni e che
sono solo il
mio principale scopo…»,
disse con il labbrino.
Jinny
e Camilla si
scambiarono un’occhiata e un sorriso, sollevando il
sopracciglio.
«Non
vi guardate così,
so a cosa state pensando! Non è vero! E poi, carissima
Jinny, sei tu che mi hai
detto di scriverla!»
«Giusto,
hai ragione»,
annuì con la testa, tanto per farla contenta.
«E
che cosa dice?»,
chiese Camilla.
«Uhm…
Di Jinny dice che
le piacciono i discorsi
filosofici o
strani che fa su Tom,
soprattutto quando è triste. E poi dice che siete una
bella coppia!»
«Oh,
beh, ringraziala
da parte mia», rispose sorridente.
«E,
inoltre, dice che
scrivo bene», le fece una linguaccia e risero assieme,
dimenticandosi per un
attimo di un volo che doveva arrivare dall’America…
«E
queste tre belle
ragazze che ci fanno qui?»
Camilla
si girò
all’improvviso con il fiato mozzato e gridò di
gioia quando vide Bill di fronte
a sé. Gli saltò in braccio e lo baciò,
senza aggiungere altro.
Jinny
scattò in piedi e
lo cercò con lo sguardo all’interno della
grandissima sala dell’aeroporto,
sentendosi in ansia perché non lo vedeva arrivare da nessuna
parte.
Venne
afferrata per le
braccia, da dietro, e finì con la schiena sulla poltrona, il
viso
all’incontrario, ma vide bene il suo di viso, altrettanto
all’incontrario, i suoi
occhi che la guardavano divertiti, il suo sorriso splendente sulle
labbra.
«Tom!»
«Piccola!»
Erano
precisamente un
mese e tre settimane che non si vedevano e fu normale dunque che non
appena
ebbero varcato la soglia della suite di Tom fossero già
intenti a spogliarsi e
a baciarsi e a mordersi dappertutto, ridendo fra un «Ti
amo» e «Un mi sei
mancata» e l’altro.
Jinny
indossava una
canottiera a righe grigie e viola orizzontali, con la parte del petto
stretta e
la parte del ventre larga, che le cadeva leggera sulla gonna in jeans
che
portava.
Tom
si sbarazzò in
fretta dei suoi indumenti, lasciandola in un completo di velluto rosa
con i
bordi in pizzo neri.
Jinny
ridacchiò vedendo
il suo sguardo quasi incantato, come sempre, e gli sollevò
il mento per
baciarlo sulle labbra, prima di trascinarlo sopra di lei, fra le
lenzuola.
E
pensare che qualche
mese prima era stata lei quella che doveva andare in
aeroporto… e di certo non per
aspettare qualcuno: se doveva andare, lasciando l’amore della
sua vita…
***
Dopo
la nottata passata
in spiaggia a fare l’amore, Tom e Jinny tornarono alla villa,
notando fra
l’altro che era ridotta ad uno schifo dopo la festa che
doveva essere durata
parecchio anche dopo la loro sparizione misteriosa. Silenziosamente
salirono le
scale, per non svegliare gli altri, e si fecero la doccia assieme,
unendo
l’utile al dilettevole, per poi infilarsi di nuovo fra le
lenzuola del grande
letto di Jinny, in solaio, visto che era prestissimo.
Jinny
si alzò sul
gomito tenendosi il lenzuolo candido sul seno e lo guardò
per una decina di
secondi, poi la tentazione era stata troppo forte e gli aveva
accarezzato con
le labbra la guancia, il mento, fino ad arrivare alla gola e al suo
pomo
d’Adamo.
Stare
con lui era una
cosa magnifica, e quella sera aveva pure ricordato cosa voleva dire
sentirsi
legata a lui anche fisicamente: fare l’amore con lui era
semplicemente bello.
«Jinny,
ti prego non
andartene», sussurrò Tom ad occhi chiusi, celando
le lacrime.
Lei
si scostò e si mise
seduta, fissando le sue valigie sparse per la stanza. Si
ravvivò le treccine
sulla nuca e sospirò con quella tristezza nel cuore che le
fece male, come
sempre quando c’era qualcosa che non andava con lui.
«Lo
sai che non posso
fare altrimenti», sussurrò. «I miei
genitori sono felici adesso…»
«E
non per questo devi
essere infelice tu!»
La
raggiunse seduto sul
letto, i rasta sciolti sulle spalle e sulla schiena. Le
accarezzò la spina
dorsale con la punta delle dita, e poi l’accolse in un
abbraccio che le fece
male, anziché bene come al solito.
Dopo
un po’,
rannicchiata contro al suo petto, si accorse che, chissà
come, Tom era riuscito
ad addormentarsi. Il suo respiro era pesante e regolare, come i sospiri
del
mare fuori dalle finestre. Lo fissò per interminabili
secondi, lasciando
scivolare qualche lacrima sul viso. Poche ma taglienti.
Non
aveva voglia di
vestirsi, così tirò fuori dalla prima valigia che
le era capitata sotto al naso
un paio di jeans e una maglietta bianca con una strana sfumatura rosa.
Si
trovò a sorridere fra
le lacrime, mentre se la infilava: quella maglietta era ridotta
così perché Tom
l’aveva fatta andare con una sua maglietta rossa che
l’aveva macchiata irreparabilmente.
Scese
di sotto come una
morta, piano e traballando di qua e di là, e quando
sentì delle voci in cucina
si passò le mani sul viso e si preparò
psicologicamente a quel suicidio.
Entrò
in cucina e vide
Bill, Georg, Gustav, Ary e Camilla seduti intorno al tavolo, ognuno con
in mano
una tazza di caffè.
«Ciao
Jinny», sussurrò
Camilla girando il cucchiaino lentamente, abbandonandosi ad un sospiro
triste.
«Ciao»,
mugugnò Jinny,
tirando su col naso.
Sinceramente
non le
fotteva un cazzo se la vedevano piangere, perché non era una
macchina, aveva
anche lei dei sentimenti ed era troppo distrutta per nascondersi e
tenersi
tutto dentro.
«Dove
sei sparita ieri
sera?», chiese Bill in tono mogio.
Bene,
un clima
depressivo era proprio quello che le ci voleva!
«Sono
andata a fare
surf con Tom», sussurrò versandosi il
caffè nella sua tazza. «E poi se ti interessa
abbiamo anche fatto l’amore per tutta la notte sulla spiaggia
e ci siamo detti
quanto ci amiamo. Ora partirò e… e non ci
rivedremo mai più, a meno che non
faccia un altro incidente e perda di nuovo la memoria.»
Era
ormai in lacrime.
Lasciò la tazza nel lavandino, ancora piena, tanto non
avrebbe avuto la forza
di far entrare niente nello stomaco che le si era chiuso: sentiva come
un tappo
di sughero in mezzo al petto, che le attutiva tutti i colpi, che poi
riceveva
in ritardo con una spinta ancora maggiore.
Sentirono
un tonfo di
sopra e Jinny sobbalzò pensando a Tom. Poi sentirono anche
una corsa sulle
scale e videro Tom fiondarsi in cucina con le lacrime che gli rigavano
le
guance.
«Jinny,
non farlo mai
più!», gridò stringendola fra le
braccia.
«Che
cosa?», chiese
lei.
«Mi
sono trovato da
solo, credevo fossi andata via!»
«Certo,
e guarda caso
sei inciampato in una mia valigia?»
Tom
e Jinny si
guardarono negli occhi e un piccolo sorriso apparve sulle loro labbra.
Lui le
asciugò le guance e la strinse ancora al suo petto.
«Dovresti
vederti Tom,
fai pena», disse Jinny.
«Vaffanculo
Jinny.»
«Anche
tu.»
«Tu
non te ne vai da
nessuna parte», affermò deciso.
«Tom,
sarebbe comunque
così! Saremmo costretti comunque a stare lontani per mesi a
causa dei tuoi
continui spostamenti!»
«No,
non sarebbe la
stessa cosa! Tu non te ne andrai in America.»
«Non
mi vorrai mica
legare e chiudere in cantina, vero?»
«Sì,
se necessario.»
«Ma
quanto cavolo sei
stupido?»
«Non
sono stupido, sono
innamorato!»
Jinny
arrossì, ma non
staccò gli occhi da quelli di Tom. Lui la strinse
soffocandole per un attimo il
respiro e glielo tolse definitivamente con un bacio appassionato.
«Così
è più difficile»,
disse Jinny cercando di spostarsi.
«Jinny!»,
la guardò in
viso e si allontanò di qualche passo. «Ma tu vuoi
partire sul serio?! È quello
che davvero
vuoi?!»
«No»,
mormorò tremando.
«E
allora non andare,
ti supplico. Tu non sai come sono stati i mesi senza te…
loro possono
confermare che non ero più io. Senza te… senza
te, io… non sono niente, non
sono me stesso.»
Jinny
sgranò gli occhi
e si morse con forza il labbro, portandosi una mano sulla fronte.
«Che…
che c’è, Jinny?»,
chiese Gustav un po’ preoccupato.
«Ascoltavo…
ascoltavo Ich
bin nich’ ich»,
sussurrò ancora
persa in quel ricordo, gli occhi vuoti.
«Quando?»
«Quando
ho fatto
l’incidente.»
«Oh,
che bello!», disse
sarcastico Tom, appoggiandosi con la schiena e la testa alla parete,
chiudendo
gli occhi per non scoppiare a piangere ancora.
«Tom,
io sono tua.»
Lui
sorrise appena e
aprì un occhio per vederla, così tenera ed
innocente, il solito micino di
sempre, la sua Jinny.
Anche
io sono tuo, quando lo capirai?
«Lo
so», annuì. «Mi
mancherai.»
«Anche
tu, stupido
bambino viziato di cui mi sono innamorata.»
«Sai,
forse non ti amo più»,
disse offeso, incrociando le braccia, un sorriso nascosto fra le
labbra.
«Sì
che mi ami, io sono
la tua piccola!»
«Mmh,
hai proprio
ragione. Vieni qui.»
Jinny
corse fra le sue
braccia e nascose il viso nel suo petto, lasciandosi accarezzare la
schiena e
le treccine sciolte sulle spalle.
Sentirono
la porta
aprirsi e i genitori di Jinny fecero capolino in cucina, mano nella
mano.
«Ehi
piccioncini, com’è
andata la prima notte di nozze?», chiese Ary per alleggerire
un po’
l’atmosfera.
Non
poteva sembrarlo,
ma adorava i lieto fine, e ne sperava tanto uno per la sua storia.
Cioè… per la
storia di Jinny e Tom, tanto tormentata ma tanto appassionante.
«Bene»,
rispose Victoria,
dimostrando che Jinny aveva preso completamente tutto da lei, anche il
modo in
cui arrossiva sulle guance quando era imbarazzata.
«Jinny?»,
chiese suo
padre.
«Io
non vengo», mugugnò
lei, stretta più che mai a Tom, soffocando le sue stese
parole contro la sua
maglia.
«Cosa?»
«Ho
detto che non
vengo, non mi ci trasferisco in America, io voglio stare in Germania,
con i
miei amici e… Tom.»
«Oh,
Jinny!», gridò Tom
felice come un bambino.
Sua
madre Victoria
scoppiò a ridere mentre Gabriel nascondeva un sorriso e
tirava fuori il
portafoglio. Jinny, che ancora non ci credeva e aveva gli occhi
sgranati per lo
stupore, guardò suo padre tirar fuori cinquanta euro e
porgerli a sua madre,
che ridacchiò ancora e li strinse nel pugno.
«Io
amo l’amore»,
esultò.
«Questa
è bella,
avevano scommesso su di noi!», disse Jinny scandalizzata.
«Eh
già.»
«Io
l’ho sempre detto
che non sarebbe venuta», continuò sua madre,
prendendosi gioco di Gabriel.
«Allora…
non andrà in
America?», chiese Camilla con di nuovo quella luce negli
occhi, che le
brillavano contenti.
«No,
devo solo firmare
il contratto per l’acquisto della nostra nuovissima casa ad
Amburgo», disse
Gabriel, mentre Victoria lo abbracciava di lato come una bambina che ha
appena
ricevuto una bambola nuova.
«E
il fatto che dovevi
starci vicine, che non volevi abbandonarci?», chiese Jinny.
«Non
me ne importa,
principessa. Lavorerò in Germania d’ora in poi,
così almeno…»
«Tom!»,
gridò Jinny
trattenendo le lacrime di gioia.
«Piccola!»
«Non
ci lasceremo mai
più!»
«Oh
poverino…»,
commentò Camilla, per poi lasciarsi andare ad una risata che
contagiò anche
tutti gli altri.
***
E
fu così che Jinny
rimase ad Amburgo, in una Germania spesso fredda ed inospitale, ma che
riusciva
ugualmente a darle calore come il fuoco che sentiva dentro al suo cuore
quando
stava con le persone che amava: Bill e Camilla, che facevano ormai
coppia fissa
ed erano felicissimi assieme, Georg, Gustav, Ary, Eve (la rossa che
aveva
rimorchiato Georg al matrimonio della quale si era pazzamente
innamorato e che
era diventata amica di tutti), suo padre, sua madre, il suo piccolo
fratellino
che sarebbe nato da lì a pochi mesi… La sua
grande famiglia, in pratica.
Ary
aveva scritto la
loro storia d’amore, ormai era alle ultime battute, seppure
con tristezza, ma
sapeva che quella storia, anche se lei non l’avrebbe
continuata a scrivere, sarebbe
durata per sempre, perché quello che si era instaurato fra
Jinny e Tom, per
quanto impossibile potesse essere, era amore vero, amore puro, amore
pazzamente
bello e pazzamente doloroso a volte, ma pur sempre amore.
Prese
il suo computer
portatile, si attaccò ad internet e con immensa
soddisfazione postò l’ultimo
capitolo, fresco fresco di quella mattina d’autunno in cui i
Tokio Hotel erano
ritornati da un mini-tour in America.
Rimase
a tamburellare
con le dita sul tavolo, mentre sentiva Jinny e Tom in camera ridere e
scherzare
dopo la doccia che si erano fatti ovviamente assieme.
«Piantala
Tom, sei un
maniaco!»
«Perché
non posso
toccarti il culo? Sono il tuo ragazzo, ne ho il diritto! E non per
questo devo
essere considerato un maniaco!»
«E
dai, smettila, mi
fai il solletico! Ary, salvami tu!»
Si
aggrappò alle spalle
dell’amica, ancora in accappatoio, mentre Tom si avvicinava
sogghignando,
mentre si infilava la maglietta larga che gli ricadde sui jeans
oversize.
«Tom,
Jinny, se scrivo
“E vissero per sempre felici e contenti”
è troppo scontato?»
«Ma
cos’è, la nostra
storia che è diventata anche tua? Giusto perché a
me piace molto che tutti
ficchino il naso nei miei affari provati, no?», chiese Tom
affacciandosi sul
computer.
«Come
sei palloso!»,
borbottò Jinny beccandosi una boccaccia da parte sua.
«Ragazzi,
è un problema
serio! Non so come farla finire.»
«Scrivi:
“E Tom
rincorse Jinny per tutta la casa per toccarle il culo, anche se lei
continuava
a dire che era un maniaco. The End”.»
«Come
sei profondo, Tom»,
disse Jinny alzando gli occhi al cielo, le mani unite sul cuore.
«Già,
lo so! E ora
vieni qui, devo vedere se hai la cellulite!»
«Io
non ho la
cellulite, puoi anche evitare di controllare!»,
gridò Jinny non sapendo da che
parte andare, visto che Tom era dall’altra parte del tavolo.
Si fissarono come
due rivali e poi scoppiarono a ridere.
«E
se scrivessi: “Questo
non è la fine, ma l’inizio”? Che ve ne
pare?», propose ancora Ary, ma quando
sollevò lo sguardo dal computer vide Tom e Jinny che si
baciavano, lui con una
mano poggiata sul sedere di lei, dolcemente, senza atti osceni
(per quanto potesse essere considerato toccare il
fondoschiena della propria ragazza un atto
osceno).
Ary
vide, appeso alla
parete su cui erano appoggiati, il quadro finalmente finito di Jinny:
era
praticamente tutto bianco, solo un angolo in alto a sinistra era nero,
e poi
era pieno di schizzi rossi e un po’ meno di quelli blu e
verdi.
Il
significato era
chiaro, no?
«Chi
tace acconsente»,
mormorò sospirando felice e mettendosi all’opera
per (non)concludere quella
storia infinita.
The
(no)End
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Nota: E anche questa storia
è finita. Il lieto fine non poteva
di certo mancare! Anche io sono una romanticona, infondo infondo. Spero
che sia
davvero piaciuta e vi ringrazio, perché se non ci fossero
state così tante
persone ad incoraggiarmi e a spronarmi a continuare non credo ci
sarebbe stato
un seguito.
Comunque. Saluto la mia Socia, Scarabocchio_,
e spero che la sua comparsa in questo ultimo
capitolo le sia piaciuta. Ti voglio bene tanto tanto tanto, pessimista
mia! XD
Ringraziamenti: a
tutti quelli che hanno letto, a tutti quelli che mi hanno supportata
oltre che via recensioni anche su msn e via cellulare (*Vedi Scarabocchio_,
la mia inimitabile Socia), e a tutti quelli che mi hanno lasciato le
recensioni!! Scarabocchio_,
layla
the punkprincess, Ladysimple,
marty
sweet princess, Kvery12,
BigAngel_Dark,
Utopy.
Grazie mille!!
Qui di seguito inserisco tutte
le canzoni che ci hanno
accompagnato in questa storia a lieto fine, per avere un po’
un indice per chi
magari se le è perse e le vuole sentire:
Surf che Passione
- Una canzone d’amore,
Max Pezzali
- Se io non avessi te, Nek
- Tell me what to do,
Metro Station
(Titolo di un capitolo ^^)
- Bulletproof,
Kerli (Titolo di un capitolo ^^)
- By your
side, Tokio Hotel
- Geh, Tokio
Hotel
The end
where I begin
- The end where I begin,
The Script
(Titolo FF, titolo capitolo e canzone all’inizio ^^)
- Just go,
Jesse McCartney
- Last
night on earth, Green Day
- Fall to
pieces, Avril Lavigne
- I caught
myself, Paramore
- Sarà perchè ti amo,
I Ricchi e Poveri
- With you,
Chris Brown
- Let it
rock, Kevin Rudolf e
Lil’ Wayn
- By your
side, Tokio Hotel
- Ich bin nich’ ich,
Tokio Hotel
Grazie
mille a tutti, alla prossima ff!! Un bacione, Ary
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