Half-Blood

di Signorina Granger
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Scelta OC ***
Capitolo 3: *** La Causa ***
Capitolo 4: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 5: *** Maxine Keenan ***
Capitolo 6: *** Edric Marlowe ***
Capitolo 7: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 8: *** Raphael Salazar Sparrow ***
Capitolo 9: *** Faye Jones ***
Capitolo 10: *** Erik Jonathan Murrey ***
Capitolo 11: *** Penelope Gray ***
Capitolo 12: *** Rain Mirabelle Mallow ***
Capitolo 13: *** Aeron Blake ***
Capitolo 14: *** Wyatt Leon Hill ***
Capitolo 15: *** Audrey Celia Simmons ***
Capitolo 16: *** Haze Rashid Mallow ***
Capitolo 17: *** Larisse Anna Millard ***
Capitolo 18: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 19: *** Erzsébet e Carmilla Bathkein-Horváth ***
Capitolo 20: *** Quinn Richards ***
Capitolo 21: *** Ludwig Siyah Maverick ***
Capitolo 22: *** Hunter Blaine ***
Capitolo 23: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 24: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Half-Blood


Prologo 
 
 
Londra, Covent Garden, 9 pm
 
 
La strada secondaria era buia e poco illuminata, l’unica fonte di luce era un lampione agganciato ad uno degli edifici che si affacciavano sulla via quasi deserta, illuminando debolmente le uniche due figure che la stavano attraversando.
 
Avrebbero potuto accendere le proprie bacchette per farsi un po’ più di luce, ma passare inosservati era esattamente ciò a cui miravano, intento non facilitato dagli abiti che indossavano, a dir poco inusuali per la maggior parte dei cittadini della capitale. 
 
“In fondo alla strada?”
 
La ragazza si voltò mentre si rivolgeva al collega, che annuì mentre procedevano uno accanto all’altra dopo essersi Materializzati all’inizio del vicolo, rimasti in silenzio fino a quel momento. 
“Sì.”
 
La strega riportò lo sguardo davanti a sè, fermandosi qualche metro più avanti ma restando nella penombra offerta dall’edificio accanto a cui si trovavano – forse un negozio ormai chiuso –, gli occhi castani fissi su un punto preciso: davanti a loro si ergeva una piccola piazza, molto più illuminata rispetto alla stradina appena percorsa, e la sua attenzione si focalizzò su un piccolo gruppo di persone che stava uscendo da quello che aveva tutta l’aria d’essere un ristorante. 
 
“Lui o lei?”
 
Parlò senza staccare gli occhi dalla famiglia che le si parò davanti, composta da quattro persone, osservando la donna sorridere alla figlia più piccola mentre le sistemava il berretto di lana sulla testa e suo marito tenere per mano la bambina più grande, impegnato a dirle qualcosa.
 
“Nessuno dei due.”
Si voltò di scatto verso il collega, serrando la mascella prima di parlare con un tono ancora più basso, sibilando una manciata di parole con crescente e palpabile irritazione:
 
“Non si era parlato di una bambina.”
“Non sono io che decido. Ma se non te la senti, possiamo sempre tornare indietro e dire al nostro caritatevole e magnanimo superiore di mandare qualcun altro, o di cambiare obbiettivo.”
 
“Callate.”
Audrey tornò a concentrarsi su quella che sarebbe rimasta ancora per poco una famiglia normale e felice ed Erik, accanto a lei, tacque, continuando a tenere le mani infilate nelle tasche della lunga giacca, una che stringeva l’impugnatura della sua bacchetta. 
In effetti non aveva mai parlato una parola di spagnolo in tutta la sua vita, ma dopo diversi anni passati uno accanto all’altra quasi tutti i giorni aveva comunque intuito il significato di quell’intimazione, che tante volte si era sentito ripetere da quando conosceva Audrey: chiudi la bocca.
 
Nessuno dei due si mosse o disse nulla per qualche istante, entrambi impegnati ad osservare quella famiglia, finché il mago non parlò di nuovo, voltandosi verso la collega e inarcando un sopracciglio:
 
“Tra poco se ne andranno.”
Lo so. Quale delle due?”    Audrey piegò le labbra in un’appena percettibile smorfia, osservando le due bambine e parlando con un tono piatto e sbrigativo, come se volesse concludere la faccenda il più rapidamente possibile:
 
“La più piccola.”
Certo, una bambina morta in più, una in meno, che cosa vuoi che cambi…”
 
“Vuoi che lo faccia io?”
“No. Ci penso io. Aspettami qui.”
 
Un attimo dopo Erik guardò Audrey tirare fuori la bacchetta dalla tasca della giacca e muovere, al contempo, qualche passo in avanti, avvicinandosi alla famiglia. 
 
Erik chinò leggermente il capo, osservando un punto indefinito del cemento ai suoi piedi, ma distogliere lo sguardo non gli impedì comunque di sentire l’ormai familiare ed inequivocabile rumore di un incantesimo che veniva lanciato, seguito subito dopo da delle urla che di certo si sarebbero aggregate a quelle che già lo tormentavano ogni notte da anni.
 
Riportò gli occhi sulla collega, trovandola in piedi davanti al fragile e minuto corpicino della bambina abbandonato sul marciapiede, il berretto che sua madre le aveva messo poco prima per proteggerla dal freddo le era scivolato dal capo e ora giaceva accanto a lei, una singola nota di colore acceso in mezzo a tutto il resto.
Per un attimo Audrey non si mosse, gli occhi fissi sul volto pallido della bambina, i cui occhi erano spalancati ma vitrei, poi girò sui tacchi, voltandosi verso il resto della famiglia apparentemente sotto shock, e senza dar loro il tempo di muoversi o dire qualcosa sollevò nuovamente la bacchetta, lanciando un secondo incantesimo non verbale.
 
Erik vide gli occhi dei genitori e della figlia maggiore farsi vacui e capì cosa stesse facendo la collega, guardandola chinarsi per chiudere sbrigativamente con due dita le palpebre della bambina subito dopo, mentre la sua famiglia si riprendeva lentamente.
 
Un paio di secondi dopo Audrey stava già tornando verso di lui, rapida e silenziosa, la bacchetta di nuovo sparita all’interno della giacca, mentre alle sue spalle i tre Babbani si risvegliavano dal momentaneo stato di incoscienza senza prestare particolare attenzione ai due sconosciuti e accorgendosi della bambina che giaceva priva di sensi e di vita sul marciapiede, ma senza poterla riconoscere.
 
“Spero per te che la famiglia fosse questa, perché non ucciderò un’altra bambina, stanotte.”
 
Il sibilo di Audrey fu l’ultima cosa che sentì, poi la strega lo afferrò per un braccio e si Smaterializzò, fornendogli comunque un’ultima visuale della scena che aveva davanti: l’uomo e la donna si erano avvicinati alla bambina per capire se fosse viva o meno, ma la figlia più grande non li aveva imitati e teneva gli occhi chiari fissi proprio su di loro con aria assorta e la fronte aggrottata, guardando quei due bizzarri estranei sparire con un piccolo scoppio subito dopo, dissolvendosi e portandosi via per sempre tutti i ricordi che aveva della sorellina.
 
 
 

“Non ti muovere.”

Audrey si divincolò dalla stretta dell’uomo che l’aveva trascinata dentro quella vasta e caotica sala, gremita di ragazzi che, come lei, ci erano stati trascinati dentro praticamente a forza, ma non ebbe il coraggio di aprire bocca, limitandosi a deglutire e abbassare lo sguardo. 
La ragazza sbattè le palpebre, ordinandosi mentalmente a ricacciare indietro le lacrime – non l’avrebbero mai vista piangere, l’avrebbero costretta a fare qualunque cosa, ma non piangere – mentre l’uomo si allontanava, lasciandola sola con le braccia strette al petto in mezzo a molti suoi ex compagni di scuola che, come lei, stavano aspettando che qualcuno dicesse loro cosa fare e perché fossero lì. 

Sollevò lo sguardo solo quando fu certa che si fu allontanato, chiedendosi sinceramente se fosse stata una buona idea: forse non era la strada giusta da intraprendere, ma non sopportava l’idea di passare la vita senza fare niente, confinata a marcire dentro la casa di qualche famiglia ben più agiata e fortunata della sua. 
Era circondata, nell’ingresso dal pavimento ricoperto da un parquet scuro e illuminato da un lampadario dall’aspetto vagamente lugubre, da ragazzi che avevano la sua età, alcuni avevano qualche anno in meno, altri forse erano più grandi…. Conosceva di vista molti di loro e ignorava gran parte dei loro nomi, ma avevano di certo una cosa in comune: erano tutti Mezzosangue, ed erano tutti piuttosto spaventati.

Nelle settimane successive Audrey, ripensando a quella sera che aveva cambiato la sua vita forse per sempre, si sarebbe chiesta perché non avesse cercato qualche faccia amica, perché non fosse andata alla ricerca di qualcuno che conosceva bene per farsi un po’ di forza. 
La verità era che non aveva quasi il coraggio di muoversi, restando ferma come le era stato detto nel punto in cui il suo garbato accompagnatore l’aveva lasciata prima di andare, probabilmente, a tormentare qualcun altro. 

Audrey non si mosse, le braccia strette al petto e con il battito cardiaco accelerato, ma il suo sguardo vagò ugualmente intorno a sè, sui volti che la circondavano, ritrovandosi quasi sollevata nel trovarvi impresse le sue stesse emozioni. 
Fu proprio mentre studiava i ragazzi che la circondavano che scorse un paio di occhi azzurri fissi su di sè, occhi che si ritrovò a riconoscere senza esitazione nonostante non li vedesse da circa un anno. 

Lo osservò di rimando senza muoversi di un centimetro nella sua direzione per qualche istante, restando immobile anche quando fu lui ad avvicinarlesi, rivolgendo all’ex compagna di Casa un’occhiata quasi cupa: 

“Ciao Audrey.”  Erik le si fermò davanti, guardandola quasi come se non fosse affatto felice di vederla lì e Audrey piegò le labbra in un debole, tirato sorriso privo della minima forma di gioia: 

“Ciao Murray… anche tu hai optato per l’Accademia degli Assassini?”
“Mi ci vedi a lustrare pavimenti?”
“No, in effetti no.”  Audrey scosse il capo e Erik abbozzò un sorriso, guardandola come se fosse felice di vederla, anche se non lo disse ad alta voce. 


“Cosa pensi che succederà, adesso?”
“Non ne ho idea. Ma immagino che questa volta non ci sia il Cappello Parlante a darci il benvenuto.”




L’aria era fredda e Audrey inclinò le labbra in una debole smorfia mentre sollevava il bavero della giacca, camminando con falcate lunghe e decise per raggiungere la sua destinazione il più rapidamente possibile: odiava il freddo. Era arrivata al punto di odiare Londra, in effetti, se non l’Inghilterra intera. A volte si chiedeva perché vivesse ancora il quel grigio ed umido buco. 

Attraversò rapidamente la strada e raggiunse la soglia dell’ormai familiare ristorante quasi con sollievo, aprendo la porta a vetri senza alcuna esitazione e lasciandosi sfuggire un appena percettibile sospiro, felice di essersi finalmente lasciata il freddo alle spalle. 
La strega non si mosse per qualche istante, impegnata a guardarsi intorno mentre si sfilava i guanti foderati, muovendosi solo quando scorse Erik seduto, manco a dirlo, al tavolo che occupavano sempre. 

“Vedo che non mi hai aspettato. Come sei galante.”

Audrey inarcò un sopracciglio, avvicinandosi al collega a grandi passi e prendendo posto di fronte a lui per rivolgergli un’occhiata eloquente, che venne ricambiata con una scrollata di spalle mentre il suo interlocutore addentava un grissino con aria annoiata:

“Scusa, ma hai insolitamente tardato stasera… stavo per venirti a cercare, tu non sei mai in ritardo.”
“Lo so, ma ho avuto qualche Problema a Trafalgar Square. Lasciamo perdere.”

Audrey scosse il capo, decisa a far cadere il discorso mentre allungava una mano per prendere un grissino a sua volta dal cestino del pane, addentandolo con un’espressione cupa dipinta sul volto. 

“Hai fame?”
“Non credo, mi si è chiuso lo stomaco. Quando avrai in finito e sarai in comodo, potremo andare.”
“Non mettermi fretta, sei tu quella in ritardo!”
“Scusa, sia mai che il tuo metabolismo possa subire qualche alterazione…”

La strega alzò gli occhi castani al cielo, abbandonandosi contro lo schienale della sedia e desiderando ardentemente di avere un comodo giaciglio a disposizione per potersi finalmente riposare, ma Erik non sembrava avere fretta e continuò a consumare la sua cena con una calma quasi disarmate, tanto che dopo qualche minuto l’amica di vecchia data prese il piatto e lo allontanò dalla sua portata, ignorando la sua espressione contrariata:

“Non mangio da stamattina!”
“Lo faccio per la tua linea, niente carboidrati di sera. Muoviti, andiamo.”
“Va bene…”

Erik roteò gli occhi ma decise di non sollevare l’ennesima polemica, alzandosi e seguendo Audrey verso la cucina del ristorante come ogni volta in cui cenavano lì, ossia almeno un paio di volte a settimana. 

Imboccarono il corridoio che portava alle toilette e Audrey si fermò davanti alla porzione di parete lasciata vuota tra le due porte, guardandosi fugacemente intorno prima di sollevare la bacchetta e colpire pigramente una sequenza di mattonelle, che scivolarono di lato un attimo dopo per mostrare ai due una rampa di scale del tutto buia che scendeva nel seminterrato. 

La prima volta in cui l’aveva vista farlo, Erik le aveva chiesto perché fosse così sicura che fosse il luogo giusto. E ricordava chiaramente di averla vista sorridergli, quasi divertita, sostenendo che nessuno avrebbe trovato sospetto vedere le stesse persone mettere periodicamente piede dentro un ristorante. 

Senza contare che, aveva aggiunto poi la ragazza con una scrollata di spalle, usare una libreria come “quartier generale” sarebbe stato un cliché bello e buono. 



 
 
 
……………………………………………………………..
Angolo Autrice
 
 
Salve!
Ebbene sì, l’ennesima Interattiva, solo che questa volta si basa su un gigantesco What If: se Voldemort non fosse morto, quella notte, ma Harry al suo posto? 
 
Come si può intuire dal titolo, la storia verterà sulla situazione che si ritrovano a vivere i Mezzosangue sotto questo regime, perciò TUTTI i personaggi che mi manderete dovranno esserlo, nessuna eccezione. E sottolineo la differenza tra Mezzosangue e Nato Babbano, che qui verranno, come avete potuto leggere, eliminati.
 
Tuttavia, gli OC potranno essere di due “tipi”, per così dire… ma per farvi capire meglio vi metto direttamente un estratto del libro da cui la storia prende ispirazione:
 
“I Mezzosangue hanno solo due possibilità: venire addestrati per diventare Sentinelle con il compito di combattere e uccidere o diventare servitori nelle dimore dei Puri.”
 
 
Potete mandarmi, quindi, studenti di questa scuola “speciale” chiamata Covenant oppure OC più grandi che sono già Sentinelle formate. Qualunque cosa scegliate, faranno tutti parte di un gruppo di ribelli chiamato “La Causa”.
Consiglio spassionato: molto probabilmente sceglierò più Sentinelle che studenti, quindi se notate che mi sono già arrivate venti richieste per ragazzi più giovani cercate di variare.
 
 
Regole:
 
  • Le iscrizioni sono aperte fino al 25/03, avete tempo fino alle 19 per mandarmi le schede, e la Scelta verrà pubblicata probabilmente intorno a Pasqua
  • Potete partecipare con due OC al massimo, nella recensione dovete segnare sesso, età e se le possiede “peculiarità” del personaggio: non è mia abitudine, ma in questa storia accetto anche Animagus, Veela, Metamorphomagus, Lupi Mannari ecc, ma ovviamente costituiranno una minoranza, quindi cercate di dare un’occhiata alle altre recensioni per variare
  • Se il vostro OC è una Sentinella potete affibbiargli un’abilità particolare, come Alchimista, Occlumante, Legilimens o qualunque cosa vogliate
  • Se scegliete di mandarmi degli studenti, la loro età dev’essere necessariamente compresa tra i 18 e i 20 anni, se invece mi mandate una Sentinella, l’età va dai 24 ai 30 anni.
  • La recensione al Prologo dev’essere una recensione vera e propria e non semplicemente “voglio partecipare con una Sentinella di 25 anni”
  • Come ho detto, i vostri OC DEVONO essere Mezzosangue (come, ad esempio, Seamus Finnigan, con un genitore mago e l’altro no). Perciò, se volete potete anche mandarmi un OC con un cognome appartenente alle Sacre 28, ma allora sua madre dovrà essere per forza una Babbana.
  • Se sparite per tre capitoli di seguito il vostro OC verrà eliminato, quindi se sapete che per un paio di settimane non potrete recensire, avvisate
 
Detto ciò… la scheda:
 
 
Nome: 
Età:
Nome in codice: 
Aspetto: 
Prestavolto:
Descrizione psicologica: 
Storia e famiglia: (iscriversi al Covenant ha il suo prezzo, quindi se il vostro OC nasce in una famiglia economicamente non avvantaggiata, potrebbe aver passato qualche anno a lustrare pavimenti delle Sacre 28 prima di iniziare a studiare, per questo l’età può variare tra studenti del Covenant che sono allo stesso ano, non c’è un’età prestabilita per iniziare l’addestramento)
Perché è entrato nella Causa:
Abilità specifica: (solo per le Sentinelle)
Abilità per cui si sta preparando (solo per gli studenti)
Materie dove riesce bene e viceversa:
(solo per gli studenti)*
Fobie/debolezze:
Passioni/Talenti:
Cosa ama, cosa no: 
Descrivere percorso scolastico: 
Come ha vissuto lo svolgersi della guerra: 
Come vive la situazione attuale:

Patronus: 
Bacchetta: 
Amicizie/Inimicizie: 
Relazione: (ne ha già una? Volete che ne abbia una all’interno della storia? Non scrivete solo “sì”, “no” per favore)
Animale: (di qualunque tipo, anche creature magiche, sbizzarritevi pure) 
Altro: (se il vostro OC è un Animagus ecc inseritelo QUI)
 
*: le materie sono, circa, le stesse di Hogwarts, solo che come è possibile immaginare al Covenant più che studiare DCAO studiano Arti Oscure e basta... e fanno ampia pratica di Legilimanzia e Alchimia, mentre non sono presenti Divinazione e Storia della Magia. 
 
Ultima nota… Non solo Voldemort qui è vivo e vegeto, ma anche alcuni personaggi che nell’ultimo libro sono morti/spediti ad Azkaban/hanno perso la memoria, quindi diversi Mangiamorte, lo dico nel caso li nominassi e qualcuno me lo facesse notare.
 
I miei personaggi:
 
 
Audrey Simmons, 27 anni, Sentinella, ex Serpeverde, esperta di Creature Magiche “Vixen”
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Erik Murray, 28 anni, Sentinella, ex Serpeverde, torturatore, “Knife”
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Credo che sia tutto, ma ovviamente se avete domande sono più che ben accette. 
A presto, 
 
Signorina Granger
 

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Capitolo 2
*** Scelta OC ***


Scelta OC
 
 
Buongiorno!
Eccomi finalmente con la Scelta, anche se mi spiace dovervi presentare solo una misera lista e non un capitolo vero e proprio… di solito non lo faccio e mi dispiace, ma nei giorni scorsi sono stata fuori casa e ho avuto modo di leggere le schede e decidere chi scegliere e chi no solo stamattina e non volevo farvi aspettare troppo a lungo.
 
Mi sono allargata più che potevo, ma qualcuno è rimasto fuori comunque… come sempre, invito chi è non stato scelto a non prendersela, ma mi sono arrivate davvero molte schede.
 
Ed ora, ecco la lista:
 
Sentinelle: 
 
 
Aeron Blake, 27 anni, ex Grifondoro, Legilimens, “Shadow”
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Carmilla Bathkein-Horvàth, 24 anni, ex Serpeverde, Legilimens, Animagus, “Sappho”
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Edric Marlowe, 27 anni, ex Corvonero, Legilimens e volo, “Jack”
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Erzsébet Bathkein-Horvàth, 24 anni, ex Serpeverde, Pozionista e Occlumante, Animagus, “Holmes”
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Faye Jones, 27 anni, ex Tassorosso, Occlumante, “Doxy”
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Haze Rashid Mallow, 27 anni, ex Corvonero, Occlumante e combattente, “Cappellaio”
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Maxine Keenan, 26 anni, ex Grifondoro, Psicomeria, “Scheggia”
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Nathan Larsson, 28 anni, ex Grifondoro, Legilimens, “Drake”
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Quinn Richards, 27 anni, ex Grifondoro, Rettilofono, “Reaper”
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Rain Mirabelle Mallow, 24 anni, ex Grifondoro, banshee, “Alice”
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Studenti:
 
 
Hunter Blaine, 20 anni, “Hound”
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Larisse Anna Millard, 19 anni, “Psyche”
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Ludwig Siyah Maverick, 18 anni, “Paladino”
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Penelope Gray, 20 anni, “Diamond”
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Raphael Salazar Sparrow, 20 anni, “Werewolf”
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Wyatt Leon Hill, 19 anni, “Mowgli”
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E’ tutto, cercherò di pubblicare il primo capitolo il prima possibile, quindi a presto!

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Capitolo 3
*** La Causa ***


La Causa 



Il corridoio era buio, illuminato solo da una torcia che proiettava arzigogolati arabeschi su una porzione di pavimento e sulla parete di pietra. Si trovava in uno dei punti più alti dell’edificio, senza alcuna fonte di calore, e la sua schiena venne attraversata da un brivido mentre procedeva a passi svelti sul pavimento coperto in parte da un tappeto scuro, nel silenzio più totale.
Ludwig deglutì e si voltò senza smettere di camminare, lasciandosi una fugace occhiata alle spalle per controllare di essere effettivamente solo mentre si avvicinava sempre di più alla sua destinazione: aveva il battito cardiaco accelerato e stava sudando freddo, pregando di non incrociare nessuno sul suo cammino mentre si accingeva a raggiungere la pesante porta chiusa infondo al corridoio. 

Era ora di cena, tutti erano radunati in mensa per il pasto e il cielo di Londra era già buio; a Ludwig girovagare per la scuola a quell’ora non piaceva, specie se da solo, ma era uno dei momenti migliori per muoversi se non si voleva incontrare nessuno. 
Raggiunse la porta, alta circa due metri e munita di una vistosa serratura, oltre che di cardini volutamente cigolanti, quasi con un sospiro di sollievo, prendendo la maniglia fredda delicatamente prima di mormorare una singola parola:

“Penny?”

Non ottenne alcuna risposta e il ragazzo si morse il labbro inferiore, a disagio, non volendo immaginare come dovesse stare l’amica: faceva freddo, di certo la stanza era totalmente priva di luce e le pareti in quell’ala dell’edificio era sempre tremendamente umide. Lo sapeva perché era stato lì dentro anche lui, un paio di volte.

Ludwig chiamò l’amica di nuovo, ma invece di sentire la voce della ragazza rispondergli udì un debole fruscio, come se si stesse trascinando a peso morto verso la porta. 
Il ragazzo fece scivolare una mano all’interno della tasca dei pantaloni neri, estraendone parzialmente una grossa moneta d’oro per darci una rapida occhiata: si era accorto subito del cambiamento dei numeri incisi sopra e del calore e di certo anche gli altri, ma la prima cosa che aveva fatto era stata andare a recuperare Penelope. O almeno provarci.


“Non credo che in questo modo le sarai molto utile, Lud.”
Ludwig sobbalzò e si voltò di scatto, sospirando quando si trovò davanti una ragazza dai capelli ramati, che lo guardava con un sopracciglio inarcato, le braccia conserte e un’espressione scettica sul volto delicato. 

“Non… non risponde, forse ha perso i sensi.”
“Beh, non abbiamo tempo.  Spostati.”

Larisse fece un passo avanti e Ludwig ne fece uno indietro di riflesso, arrossendo leggermente e chinando il capo mentre la ragazza tirava fuori la bacchetta per armeggiare con la serratura, non osando controbattere di fronte al tono sbrigativo e freddo della compagna. 


*


“Il gradino.”

Erik imprecò a mezza voce, afferrando il freddo corrimano di metallo per non scivolare mentre Audrey, accanto a lui, procedeva a scendere la rampa leggermente a chiocciola con le mani nelle tasche, senza neanche voltarsi verso di lui.

“Grazie per averlo detto troppo tardi come al solito.”
“Figurati.”

Erik lanciò un’occhiataccia all’amica, che però non se ne curò affatto ed estrasse dalla tasca del soprabito nero un mazzo di chiavi mentre si avvicinava ad una porta chiusa, infilandone una nella toppa per aprirla mentre Erik lanciava un’occhiata sospettosa ai piedi della strega, che sfoggiava un paio di troncherei neri con il tacco. 
Come faceva a non scivolare mai sulle scale umide con scarpe del genere? Si chiedeva da anni se non avesse applicato un qualche incantesimo alle suole, ma non osava chiederlo. 

Quando Audrey ebbe aperto la porta il collega la seguì in un corridoio più stretto, superando gli scaffali traboccanti di vivande che fungevano da dispensa per poi fermarsi davanti ad un altro muro, che la strega aprì allo stesso modo di quello che fungeva da “ingresso” alle cantine. I mattoni scivolarono rapidamente sui lati formando un piccolo arco e mostrando una seconda porta, la cui chiave venne cercata con calma snervante da Audrey, mentre alle sue spalle Erik sbuffava, impaziente:

“Mi hai tolto la cena perché avevi fretta e ora ci metti così tanto?!”
“Tranquillo bambino che fa la fame, se farai il bravo ti porterò le quesadillas. E poi non ha senso avere troppa fretta, siamo sempre tra i primi ad arrivare.”

Audrey si strinse nelle spalle con calma piatta, parlando con un tono piuttosto neutro mentre apriva finalmente la porta, permettendo ad entrambi una visione completa della stanza che avevano davanti. 


*


Raphael attraversò il corridoio quasi di corsa dopo aver lasciato rapidamente la mensa, fermandosi davanti ad una della lunga fila di porte per poi aprirla senza nemmeno bussare: in mezzo al disordine c’era un ragazzo dai capelli castani seduto su uno dei due letti, un libro in mano, che alzò lo sguardo quando sentì la porta aprirsi.
Le labbra di Raphael si stesero in un sorriso e rivolse un cenno col capo al compagno, gli occhi scurissimi quasi luccicanti:

“Andiamo, Mowgli.”
“Gli altri?”
“Ho visto Larisse lasciare la mensa prima di me, Lud non si è proprio presentato… pensavo fosse qui.”

Wyatt scosse il capo mentre si alzava, affrettandosi a lasciare il libro sul comodino per infilarsi le scarpe mentre Raphael restava fermo sulla soglia della stanza. 

“Non lo vedo da un’ora.”
“Forse è già lì. Coraggio, andiamo.”


“Hunter?”
“Hound non si è visto.”


*



Dopo essere rimasta per quelle che le erano sembrate interminabili ore ferma nella stessa posizione – seduta sul pavimento freddo, contro la pietra umida con le gambe raccolte contro il petto e la testa abbandonata di lato – muovere anche solo la testa le procurò una dolorosa fitta alla base del collo e alla parte superiore della schiena. Penelope si lasciò sfuggire un lieve gemito, chiudendo gli occhi brucianti e chinando nuovamente la testa, stringendo leggermente la presa sulle sue gambe doloranti e tremanti. 


Sentiva distrattamente le voci di Ludwig e di Larisse, voci familiari che le procurarono un debole moto di sollievo, ma era certa di non essere in grado di alzarsi e la gola le bruciava tanto da non permetterle di parlare a voce alta e farsi sentire dai suoi amici. 

Penelope deglutì e si mosse, mordendosi il labbro per trattenere le lacrime mentre si trascinava verso la porta, cercando di ignorare la gamba sinistra dolorante che non riusciva a muovere.




Hunter attraversò il lungo quanto lugubre corridoio a grandi passi, le braccia abbandonate lungo i fianchi che dondolavano ad ogni suo passo e le mani chiuse a pugno con decisione mentre teneva lo sguardo fisso davanti a sè.
Quando sentì un paio di voci familiari parlottare con fare concitato si trattenne dall’alzare gli occhi al cielo, assottigliando leggermente lo sguardo per mettere a fuoco le figure di Ludwig e di Larisse mentre li raggiungeva:

“Che cosa state facendo?!”
“Arrampicata su parete rocciosa. Secondo te cosa stiamo facendo? Cerchiamo di tirare fuori Penny.”

“Penny è lì dentro?”  Hunter si fermò davanti ai due e granò gli occhi, inorridito e parlando con una nota improvvisamente allarmata nella voce prima di tornare serio, serrando la mascella mentre tirava fuori la bacchetta:

“Bene, ci penso io.”

Larisse roteò gli occhi ma non fece alcun commento, limitandosi ad alzare le braccia in segno di resa prima di farsi da parte mentre Ludwig si limitava ad assistere con apprensione, preoccupato per l’amica ma anche di essere visti. I Carrow sarebbero stati senza dubbio molto felici di far avere compagnia a Penelope. 


“Forse dovremmo andare, siamo già in ritardo e se dovessero scoprire che Penny è uscita sarebbe solo peggio per lei.”
“Voglio vedere come sta.”
“Già, non possiamo andarcene e lasciarla qui!”

Larisse fulminò Lud con lo sguardo di fonte alla sua esclamazione, ma per una volta il ragazzo non distolse lo sguardo di fronte a quello glaciale della rossa e lo ricambiò con decisione, determinato a non dargliela vinta per una volta e a non lasciare l’amica sola in chissà quali condizioni.

Hunter accennò ad un sorriso con le labbra quando sentì la serratura scattare dopo l’ennesimo incantesimo, afferrando la maniglia e aprendo la porta il più piano possibile per attenuare il cigolio dei cardini. Sentì Ludwig sporgersi alle sue spalle per sbirciare l’interno della piccola stanza quadrata e cercare così di vedere l’amica mentre il biondo accendeva la bacchetta con un “Lumos” non verbale, udendo il debole gemito di protesta di Penelope di fronte alla luce improvvisa, che la costrinse a chiudere gli occhi. 

“Penny!”
“Fa’ silenzio! Vuoi che ci sentano e ci trovino qui?”

Larisse sbuffò, intimando a Ludwig di tacere mentre Hunter, dopo un attimo di esitazione, sospirava e si avvicinava al corpo tremante e rannicchiato sul pavimento della bionda, inginocchiandosi accanto a lei:

“Che cos’hai combinato, Diamond?”
“Sto una favola, non vedi?”

Il flebile e roco sussurro della ragazza lo fece sorridere leggermente, allungando una mano per toccarle il viso e farla voltare delicatamente verso di lui, osservandole il labbro sanguinante, gli occhi arrossati e il livido sullo zigomo destro. 

“Sì, ti trovo bene, sei splendida.”
“Grazie Hound.”

“Gli altri ci hanno convocati, dobbiamo portarti da loro e rimetterti in sesto.”
“No, andate voi… è già rischioso che scompariate in cinque, ma se venissero a controllarmi e non mi trovassero sarebbe peggio.”

Penelope tossì, reggendosi a fatica sul pavimento con i gomiti mentre il petto le duoleva ad ogni parola pronunciata. Larisse esitò ma poi annuì, mormorando che aveva ragione mentre guardava l’amica con una nota di preoccupazione dietro lo sguardo freddo e incurante.

“Ma Penny, non possiamo…”
“Lud, mi lasceranno qui fino a domattina e qui resterò. Andate voi, non preoccuparti.”

Ludwig non rispose, ma guardò l’amica con malinconia mentre Larisse annuiva, parlando a bassa voce e continuando a tenere le braccia strette al petto:

“Se la curassimo se ne accorgerebbero.”
“Quindi la lasciamo in questo stato?”

“Voi due andate, io resto qui con lei per un po’.”

Penelope sollevò la testa e rivolse un’occhiata perplessa all’amico, ma Hunter troncò sul nascere le sue obiezioni e quelle dei compagni, intimando con tono piatto ai due di raggiungere Raphael e Wyatt. 

“Bene, come vuoi. Andiamo, piccoletto.”
“Ho solo un anno in meno di te, sai?”

Hunter guardò i due girare sui tacchi e allontanarsi, dopo che Lud ebbe rivolto un’ultima occhiata apprensiva ad una Penelope stregata, prima di chiudere la porta con un piede e sedersi sul pavimento accanto all’amica, prendendola delicatamente per le spalle per aiutarla a rimettersi seduta e ad appoggiarsi a lui. 

“Mi dici che cosa hai fatto per finire qui dentro?! È da quanto sei qui?”
“Non lo so, era pomeriggio… le quattro, credo. La vecchia stronza mi ha beccata a liberare i due undicenni che ieri abbiamo usato come cavie per la Maledizione Cruciatus.”
“Così hanno pensato di usare te come cavia?”

Penelope annuì e chiuse gli occhi, appoggiando la testa contro la spalla del ragazzo mentre questi le massaggiava delicatamente la schiena, sospirando e scusandosi mentalmente con la ragazza per non essersi accorto di nulla.

“Domani appena ti fanno uscire vai in Infermeria.”
“A Raphael una volta hanno proibito di andarci e lo hanno lasciato agonizzante, non so se mi ci manderanno.”
“Non dovresti parlare!”
“Sei tu che mi stai parlando!”

Penny aggrottò la fronte, rivolgendo un’occhiata torva al ragazzo prima di tossire e sospirare affannosamente, lasciandosi stringere dalla presa rassicurante dell’amico, che rimase in silenzio a sua volta, gli occhi fissi sulla debole luce emessa dalla sua bacchetta.


*


“Oh, ce l’avete fatta.”
“Scusate, Erik doveva finire di cenare.”

Audrey alzò gli occhi al cielo mentre entrava nella stanza e Erik, dietro di lei, chiudeva la porta dopo averle rivolto un’occhiataccia. 

La collega però lo ignorò e si avvicinò ad uno dei due divanetti, occupato da una ragazza dai lunghi capelli castani che ci si era stravaccata sopra. Maxine rivolse un debole sorriso divertito ad Erik prima di rivolgersi direttamente ad Audrey che si sfilò il soprabito e si accomodò sul bracciolo, accanto a lei:

“Murrey, sempre il solito.”
“Max, non ti ci mettere.”

Erik sbuffò e si avvicinò al divanetto sistemato a ridosso della parete opposta, trovandosi così seduto direttamente di fronte alle due colleghe mentre Faye, seduta di fronte al tavolo, si limitava a sorridere leggermente. 

“Perché siamo sempre i primi ad arrivare?! Hai contattato tutti?”
“Certo che l’ho fatto, staranno arrivando. Rilassati, Erik.”

Audrey annuì e indirizzo un lieve cenno della mano all’amico, invitandolo a non preoccuparsi e liquidando il discorso mentre Max si rimetteva dritta sul divano, rivolgendolesi:

“Come è andata stasera?”
“Avevo solo un giro di ricognizione da fare, niente di che. A voi com’è andata?”

“Due morti.”

La voce di Faye, piatta come se avesse detto che tempo faceva, risuonò nella stanza per la prima volta da quando Audrey ed Erik erano entrati e ne seguì solo un tetro silenzio, mentre l’uomo si guardava i piedi con ostinazione e Audrey fissava lo sguardo sul camino acceso.

Anche Maxine non disse niente, limitandosi a sbuffare mentre si rimetteva comoda sul divano mezzo sfondato da quanto era stato usato, le braccia conserte e gli occhi chiari fissi sul soffitto mentre teneva le gambe leggermente piegate.

Faye abbassò lo sguardo, limitandosi a guardarsi le mani appoggiate sul tavolo rettangolare intorno al quale erano soliti sedersi quando dovevano discutere di qualcosa d’importante e cercando di non pensare alla ragazzina di non più di tredici anni che aveva dovuto uccidere solo un’ora prima.
Nessun’altra disse nulla e la stanza rimase in silenzio finché la porta non si aprì di nuovo, permettendo a due uomini di entrare.

“Questa trafila infinita per entrare comincia a stufarmi, perché non possiamo Materializzarci direttamente qui?”
“Perché sarebbe meno sicuro, Larsson. Scendere qualche gradino non ti farà male.”

 Nathan sbuffò debolmente alle parole di Audrey, entrando nella stanza e raggiungendo il tavolo a grandi passi per poi sedersi di fronte a Faye. 

Edric, invece, non disse nulla e andò a sedersi accanto ad Erik, le mani sprofondate nelle tasche del cappotto nero. 
Parlò solo dopo qualche altro istante di silenzio, gli occhi chiari fissi sul pavimento:

“Avete chiamato anche i ragazzi?”
“Sì. Dovrebbero arrivare a breve.”
“Lo spero, non abbiamo tempo da perdere.”


*


Rain scendeva le scale appena dietro al cugino, che camminava a passo spedito tenendo la bacchetta accesa in mano. 
Non avevano parlato molto, quella sera, e conoscendo Haze la ragazza aveva preferito rispettare il suo voler restare in silenzio: dopo anni si poteva dire abituato, ma Rain sapeva benissimo che uccidere quella donna gli era costato molto. Specie considerando che l’avevano trovata impegnata a spingere un passeggino con un bambino addormentato dentro.

Quando imboccarono il corridoio la ragazza però decise di fare qualcosa, affrettandosi il passo per raggi7 bere il cugino e prenderlo sottobraccio, parlando con il tono più dolce che le riuscì:

“Stai bene, Haze?”
“Certo. Benissimo.”
“Sono tua cugina, con me puoi parlare…”
“Ho detto che sto benissimo.”

Rain esitò di fronte al tono brusco di Haze, irrigidendosi leggermente e annuendo mentre sentiva il cugino sospirare, parlando con un filo di voce:

“Scusami.”
“Non fa niente. Però penso comunque che dovresti aprirti di più invece di tenerti tutto dentro, cuginetto. Fallo con me, almeno.”
Rain si sforzò di sorridergli e Haze annuì, voltandosi leggermente verso di lei e ricambiando con una debole inclinazione delle labbra verso l’alto:

“Sai che non è nella mia natura.”
“Ma le persone cambiano. Hai intenzione di fare l’orso fino alla fine dei tuoi giorni, per caso?”
“Se anche così fosse? E poi non è detto che avremo una vita poi così lunga, dopotutto.”

Rain fece per rimproverare il cugino, intimargli di non dire quelle cose neanche per scherzo, ma Haze si voltò verso la porta per aprirla e le fece capire che voleva chiudere quel discorso, così la bionda rimase in silenzio, limitandosi a rivolgergli un’occhiata leggermente torva.


*


“Siamo in ritardo. Le ragazze ci uccideranno.”
Aeron sbuffò mentre scendeva rapidamente le scale, gettando una fugace occhiata al suo orologio da polso e maledicendosi mentalmente mentre Quinn, alle sue spalle, procedeva con molta più calma e con un debole sorriso a stendergli le labbra rosee sul volto pallido, le mani nelle tasche e un’espressione tranquilla in netta contrapposizione con quella tesa dipinta sul volto dell’amico:

“Sciocchezze, Audrey mi adora.”
“Oh certo, che sbadato... Scusa, errore mio. Quindi dici che quando ti dice di chiudere la bocca lo fa per devozione?”
“Assolutamente. Lo fa da dieci anni, ormai è un segno d’affetto.”

“Non ne dubito.”

Aeron alzò gli occhi al cielo mentre si affrettava ad aprire la porta e superare la dispensa con il collega subito dietro. 

“Secondo te Hunter ha portato le lasagne? Muoio di fame.”
“Se non abbiamo cenato è solo perché grazie a te ci siamo persi a Covent Garden!”
“Ehy, orientarsi col buio è più difficile, Blake.”


*


“Ce la diamo una mossa?”
“Un momento, è sigillata!”

Wyatt sbuffò mentre armeggiava con la serratura dell’aula dove si esercitavano con l’Occlumanzia e la Legilimanzia, cercando aprire la porta. Alle sue spalle Larisse, che teneva la bacchetta accesa stretta in mano, alzò gli occhi al cielo e mormorò che sarebbero dovuti arrivare prima dell’alba, possibilmente, mentre Raphael si voltava verso di lei, rivolgendole un sorriso:

“Rilassati Psyche, non cominceranno senza di noi se ci hanno chiamati.”
“Beh, non mi va comunque di sorbire la ramanzina di Audrey, quindi facciamo in fretta, grazie.”

“Ecco, Miss Acidità. Prego, dopo di lei.”
La serratura scattò e Wyatt si spostò di lato, facendo cenno alla ragazza di precederlo con un lieve sorriso stampato sul volto che Larisse ignorò, limitandosi a superarlo per entrare, seguita subito dopo da Ludwig e da Raphael. 
Wyatt entrò per ultimo, chiudendosi la porta alle spalle per poi raggiungere i compagni di fronte alla parete opposta, guardando Larisse picchiettare rapidamente la bacchetta su alcuni mattoni e aspettare che si spostassero. 

Dietro la prete non c’era una porta, bensì un armadio. E questa volta il turno di sorridere spettò a Raphael, che allungò il braccio per indicare l’armadio nero:

“Prego, prima le signore.”
“Finitela o vi strozzo.”
“Beh, visto che avevi tanta fretta…”

Larisse alzò gli occhi al cielo ma decise di non replicare, limitandosi a sospirare – rimpiangendo la presenza di Penelope – mentre si avvicinava all’armadio, sparendo al suo interno subito dopo.


“Bene… Lud? Tocca a te.”
Ludwig, alle parole di Wyatt, rivolse un’occhiata incerta all’armadio, avvicinandosi al mobile incantato mentre apriva leggermente l’anta: lo aveva usato molte volte e funzionava, lo sapeva, ma ogni volta provava comunque un po’ di nervosismo. Aveva il timore che potesse, prima o poi, mandarlo a finire chissà dove o restarci incastrato dentro, senza riuscire ad uscire. 

Ma allo stesso tempo non poteva – e non voleva – tirarsi indietro, così imitò Larisse ed entrò nell’Armadio Svanitore, chiudendosi l’anta alle spalle e chiudendo gli occhi con decisione dopo essersi concesso un debole sospiro.


*


Quando sentirono un lieve rumore all’interno dell’armadio nero addossato infondo alla stanza tutte le Sentinelle presenti si voltarono verso di esso, sull’attenti. Poi, quando l’anta si aprì, Max si issò di scatto a sedere sul divano, gli occhi chiari fissi sull’anta che si aprì e che permise ad una familiare ragazza dai capelli ramati di entrare nella stanza, rivolgendo un debole saluto a tutti i presenti. 

“Alla buonora… perché ci avete messo tanto?”
“C’è stato un… contrattempo con Penelope.”
“Cosa le è successo?”

Faye aggrottò la fronte, voltandosi verso la ragazza mentre Larisse, sospirando, sedeva infondo al tavolo, accanto a Rain:

“È nella torre.”
“Che cosa ha fatto?!”

Rain sgranò gli occhi, parlando con tono dispiaciuto e allarmato allo stesso tempo mentre Larisse scuoteva il capo, mormorando di non saperlo.

“Povera Penny… Chissà cosa le ha fatto quella schifosa sadica di Alecto.”
“Sappiamo tutti cosa le ha fatto, Rain.”

Erzsébet, seduta di fronte a lei, parlò tenendo le braccia conserte e gli occhi scuri fissi con aria torva sul ripiano del tavolo che aveva davanti, provocando qualche istante di tetro silenzio che si ruppe con l’arrivo di Ludwig, che uscì dall’armadio e sorrise ai presenti quasi con un che di sollevato. 

“Scusate il ritardo.”

Ludwig si guardò bene dal prendere posto accanto a Larisse, sedendo invece accanto ad Erzsébet e a Carmilla, che gli rivolse un lieve sorriso. 
Maxine, invece, era ancora immobile, seduta sul divano con gli occhi fissi attentamente sull’armadio, e parlò solo quando anche Wyatt e Raphael fecero il loro ingresso, guardando quest’ultimo chiudere l’armadio con la fronte aggrottata:

“Dov’è Hunter?”
“È rimasto al Covenant.”
“Perché?”
“Non voleva lasciare da sola Penny, credo.”

Maxine esitò ma poi annuì, incrociando le braccia al petto e appoggiandosi allo schienale del divano con un che di deluso nello sguardo. Ma mai quanto Faye, che sgranò gli occhi con aria incredula mentre si rivolgeva a Raphael:

“Come sarebbe che non viene?! Aveva promesso di portare le lasagne!”
“È vero! Io non ho neanche cenato!”

Audrey annuì, delusa a sua volta, e ignorò deliberatamente il sorrisetto soddisfatto che Erik le rivolse mentre Max sbuffava, borbottando che sarebbe passata a salutarlo più tardi, probabilmente.

“Al diavolo le lasagne, parliamo di cose serie adesso.”
“Le lasagne sono un argomento molto serio, Erzsébet.”
“Vero, ma ne parleremo più tardi. Ora. Richards, sei riuscito a scoprire dove andranno i Carrow la prossima settimana?”

Erzsébet si voltò verso Quinn, seduto a qualche posto di distanza sul lato opposto del tavolo, che si limitò ad annuire prima di rispondere, gli occhi color ghiaccio fissi su di lei:

“Cornovaglia.”
“Aspettate, i vermi schifosi levano le tende? Da quando?”
Audrey sgranò gli occhi, sporgendosi leggermente dal divano per poter guardare la collega in faccia, che si strinse nelle spalle:
“L’ho saputo lunedì.”
“E perché non l’hai detto prima?!”
“Nell’ultimo incontro tu e Max avete discusso sulla ricetta delle lasagne con Hunter, che colpa ne ho?”

Carmilla, seduta accanto alla gemella, alzò gli occhi al cielo e s’intromise prima di dare ad Audrey o a Max di rispondere:

“Il succo è che la prossima settimana i Carrow non saranno al Covenant. Non sappiamo per fare COSA, non penso serva che io vi ricordi quante cose non ci dicono, ma qualunque cosa debbano fare per conto SUO, ne dobbiamo approfittare.”
Haze, seduto in un angolo con le braccia conserte, sbuffò e sibilò qualcosa a denti stretti, gli occhi fissi con aria torva sul pavimento:
“Io ribadisco da mesi che dobbiamo liberarci di loro e basta.”

“Penso che farebbe molto piacere a tutti i presenti, ma non è così semplice. Dobbiamo muoverci con cautela, altrimenti dei presenti rimarrà solo un mucchietto di ossa rotte. Ragazzi, a voi hanno detto qualcosa?”
Carmilla si voltò verso Larisse, che annuì prima di rispondere con tono neutro:
“Solo che la prossima settimana non ci saranno. Ovviamente non ci hanno dato spiegazioni.”

“Bene. Allora sarebbe meglio iniziare a pensare a come muoverci mentre non ci sono…”
“E se mandassero qualcuno a controllare il Covenant?”

Nathan inarcò un sopracciglio ma Carmilla non si scompose, parlando con una scrollata di spalle:

“Faremo in modo che mandino NOI, in tal caso.”
“Carma ha ragione, non possiamo permettere che mandino qualcun altro, ne dobbiamo approfittare. E magari riservare una bella sorpresa per il ritorno dei Carrow, perché no.”

Quinn piegò le labbra in un sorriso compiaciuto e Andrey annuì, borbottando che per una volta era d’accordo con lui.

“Chi ti ha detto di chiamarla così, esattamente?”

Erzsébet inarcò un sopracciglio, senza curarsi del borbottio di assenso che aveva coinvolto tutti i presenti e rivolgendosi invece direttamente a Quinn, ignorando l’occhiata eloquente che la gemella le rivolse, come a volerla invitare di lasciar perdere:

“Da quando sei diventata l’avvocato di tua sorella, esattamente?”
“Da sempre, in realtà. Non le piace essere chiamata così, al di fuori di me.”
“In tal caso può dirmelo personalmente.”
“Lei è quella gentile, se non te ne fossi accorto.”
“No, se ne sono accorti tutti.”

Quinn continuò a sorridere e Carmilla sospirò, voltandosi verso la sorella e suggerendole con un’occhiata di lasciar perdere mente Erzsébet invece lo osservava di rimando con aria truce.

“Erzsébet, ignora Quinn e la sua faccia da sberle, purtroppo stare zitto non è nelle sue corde.”
“Proprio tu parli, volpacchiotta?”

Quinn si voltò verso Audrey e le sorrise, aggiudicandosi un’occhiata truce da parte della Sentinella:
“Non chiamarmi così.”

Faye, intuendo che Quinn avrebbe replicato, sollevò una mano per zittirlo e parlò a sua volta, alzando leggermente il tono di voce per farsi sentire da tutti i presenti:

“Fatela finita. Quinn, chiama le persone con i propri nomi, per favore. Non abbiamo molto tempo, dubito che riusciremo a rivederci tutti insieme prima che i Carrow partano e i ragazzi devono aver ben chiaro cosa fare o come comportarsi… perciò, dobbiamo decidere adesso. Come ci vogliamo muovere, esattamente?”


*


Il corridoio era deserto, con suo gran sollievo: non le andava affatto di incrociare qualcuno e sorbirsi qualche irritante domanda, che le avrebbe solo fatto perdere tempo prezioso. 
In realtà era piuttosto stanca e moriva dalla voglia di tornare a casa e andare a dormire… ma non prima di averlo salutato, certo.
Si fermò davanti alla sua porta e bussò leggermente, sperando che fosse ancora sveglio o che comunque non stesse gironzolando imprudentemente per la scuola. 

Non le andava affatto di vederlo torturato dai Carrow per qualche sciocchezza. 

“Vieni pure.”
Max sorrise appena e aprì la porta, posando lo sguardo sull’alto ragazzo biondo che se ne stava seduto sul letto prima di chiudersi la porta alle spalle e avvicinarglisi:

“Ciao, Moccioso.”
“Come mai qui? Ti sono mancato, alla riunione? Com’è andata?”
“Al solito, confusionaria. Ci hai fortemente deluse, comunque, noi aspettavamo con ansia le tue lasagne!”

Max sbuffò, fingendosi scocciata mentre si rannicchiava accanto a lui, facendolo sorridere mentre le sistemava un braccio sulle spalle esili:

“Mi dispiace, rimedierò. Non volevo lasciare Penny da sola.”
“Come sta?”
“Non benissimo, mi ha cacciato due ore fa, aveva paura che passassero a controllare e mi trovassero lì.”
“Ha ragione. Penny è molto più coscienziosa di te, Moccioso, almeno so di lasciarti in buone mani.”

Macine sorrise e gli arruffò affettuosamente i capelli, facendo sbuffare debolmente il “fratellino”:

“Sei tu quella che si mette nei guai e che avrebbe bisogno del badante.”
“Non è assolutamente vero. E portami rispetto, sono più vecchia di te!”
“Hai ragione, scusa, dopotutto mi hanno insegnato a rispettare gli anziani.”

Hunter abbozzò un debole sorriso, ridendo quando la cucinata della ragazza lo colpì in piena faccia. La sentì sbuffare e dargli dell’idiota a mezza voce mentre si alzava, stiracchiandosi e annunciando che sarebbe tornata a casa. 

“Buonanotte Max.”
“Anche a te. Comportati bene.”
“Anche tu.”


*


“Penny?”
Appoggiò la mano sulla pesante porta di legno e parlò in un sussurro, sperando che l’amica fosse cosciente e soprattutto che stesse bene. 
Non ottenendo alcuna risposta, tuttavia, Larisse sospirò, facendo un passo indietro e girando sui tacchi per allontanarsi, appuntandosi di passare nuovamente a controllare il mattino seguente, di buon ora.

“Sei venuta a controllare la tua amica? Che dolce.”
“Va’ a dormire Sparrow, è tardi.”

Larisse superò il ragazzo senza tante cerimonie, camminando a passo svelto sul pavimento di legno mentre Raphael la seguiva ad un passo di distanza, le mani in tasca e un debole sorriso stampato sul volto:

“Gironzolare da soli a quest’ora non è il massimo, qui, Psyche.”
“NON mi devi chiamare così QUI. Quante volte te lo devo ripetere?! E non mi serve avere la scorta.”

Larisse affrettò ulteriormente il passo, parlando in un sussurro quasi scocciato e senza nemmeno voltarsi verso il ragazzo, che invece si fermò qualche metro più indietro, limitandosi a guardarla allontanarsi:

“Come preferisci… buonanotte Larisse.”

Lei non gli rispose, esattamente come Raphael si aspettava, e quella che sentì poco dopo, alle sue spalle, fu una voce ben diversa:

“Pensi che sia lei?”
“… No. Non credo. Andiamo, Mowgli.”


*


“Non ti ho ancora sentito esprimere chiaramente un’opinione… Tu cosa ne pensi?”

Mentre camminavano sul marciapiede lungo la strada semi buia e deserta Audrey si voltò verso Edric, che le camminava accanto tenendo le mani sprofondate nelle tasche e lo sguardo fisso davanti a sè:

“Che ci metteremo in un mare di guai.”
“Ottimista come sempre.”
“Beh, tu mi conosci da molto, è nella mia natura.”

Edric si strinse debolmente nelle spalle, parlando con tono neutro mentre Audrey, dopo un attimo di esitazione, sospirava sommessamente:

“Qualcuno dovrà pur fare qualcosa, non credi?”
“Ovviamente, se si spera in un cambiamento. Dobbiamo solo sperare che non ci si ritorca tutto contro.”

“Dico davvero Edric, ogni anno che passa diventi sempre più ottimista, è sempre un piacere parlare con te.”
“Ti ringrazio. Sai che non parlo molto, e quando lo faccio dico solo le cose come stanno, qualcuno lo deve pur fare dopotutto.”






……………………………………………………………….
Angolo Autrice:

Salve miei cari e buona Pasquetta! 
Ecco il primo capitolo, ho fatto più in fretta che potevo… spero che vi sia piaciuto, anche se ovviamente è solo un’introduzione. Stavo pensando, inoltre, di strutturare la storia dedicando ad ogni personaggio un capitolo, così da poter mostrare per bene il passato e la storia di tutti… che ne pensate?
A presto, spero, con il seguito!
Buona giornata,

Signorina Granger 

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Capitolo 4
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2


Penny si svegliò di soprassalto a causa del forte cigolio dei cardini della pesante porta, che venne spalancata con poca grazia. La ragazza sobbalzò e fece per sollevarsi d’istinto, ma l’aver dormito rannicchiata sul pavimento e i lividi che si era procurata il giorno prima non glielo permisero e bloccò il movimento sul nascere con un lieve, involontario gemito di dolore. 

“Alzati, Grey. Hai lezione con me tra meno di un’ora e a meno che tu non voglia fare di nuovo da cavia per il resto della classe ti consiglio di sbrigarti.”

Amycus Carrow si avvicinò alla ragazza e, dopo averla afferrata malamente per le spalle, la costrinse ad alzarsi in piedi senza tante cerimonie, guardandola appoggiare una mano contro il muro per sorreggersi e mordersi il labbro inferiore per non lacrimare davanti a lui.

“Posso andare in Infermeria?”
“Basta che ti presenti in orario, non mi importa cosa fai ora… muoviti.”

Il Mangiamorte la spinse con poca grazia fuori dalla stanza, ignorando il dolore che la ragazza provava in praticamente tutto il corpo. Penelope sospirò di sollievo quando mise finalmente piede fuori dalla stanza, sollevata di vedere un po’ di luce entrare dalle grandi finestre ad arco mentre, stringendo le braccia al petto, s’incamminava a capo chino lungo il corridoio, impaziente di arrivare in Infermeria per potersi quantomeno stendere su un letto.

Aveva dormito malissimo e moriva dalla voglia di riposarsi un po’, ma avrebbe dovuto aspettare che l’orario di lezione finisse per farlo.

“Penny!”
La bionda si sforzò di sorridere quando sentì la familiare voce di Ludwig e alzò lo sguardo per posarlo sull’amico, guardandolo andarle incontro con un sorriso sulle labbra:

“Stai bene? Eravamo in pensiero… ti accompagno in Infermeria?”
“Non è necessario Lud. Hai fatto colazione?”

“Ti sei vista allo specchio? Ti stai davvero preoccupando per ME? Tu, piuttosto, da quanto non mangi?”
“Un po’.”  Penelope si strinse debolmente nelle spalle alla domanda dell’amico, che la prese delicatamente per un braccio per condurla lungo il corridoio e raggiungere le scale: non mangiava niente da diverse ore, ma la sola idea di mettere qualcosa sotto i denti le faceva venire un forte senso di nausea.

“Riesci a camminare?”
“Da quando sei tu che ti preoccupi per me, pulcino?”

Penelope sorrise con affetto all’amico, che borbottò che doveva smetterla di trattarlo come se fosse il suo fratellino da proteggere mentre una terza figura faceva la sua comparsa sulla soglia del pianerottolo, abbozzando un lieve sorriso mentre raggiungeva i due a grandi passi, gli occhi chiari fissi su Penelope:

“Eccoti qui… stai bene?”
“Sì, non preoccupatevi… Voglio solo andare in Infermiera e sedermi da qualche parte.”

Hunter però sembrò non sentire le sue parole e la strinse in un abbraccio quando l’ebbe raggiunta, chinandosi e appoggiando il capo sulla sua spalla mentre le labbra della bionda s’inclinavano in una smorfia, parlando con voce strozzata:

“Hunter, ti prego, ho già le ossa doloranti…”
“Oh, scusa. Mi dispiace, sono solo felice di vederti fuori da lì. Andiamo in Infermeria, coraggio.”

“Bene. Visto che ti accompagna lui io.. vado. Ci vediamo in classe, riprenditi.”

Ludwig sorrise prima di defilarsi in fretta e furia sotto lo sguardo perplesso dell’amica, che lo guardò allontanarsi mentre Hunter le metteva delicatamente una mano sulla schiena:

“Ma dove va così di corsa, all’improvviso?”
“Non ne ho idea, è amico tuo, non mio… Coraggio, andiamo. Ce la fai?”
“Non sono una moribonda, Hunter!”

Penny gli rivolse un’occhiata quasi torva, ma accettò comunque di buon grado il braccio che il ragazzo le porse dopo aver trattenuto a fatica un gemito di dolore: le gambe le tremavano leggermente per lo sforzo di tenerla in piedi e non era sicura che i muscoli avrebbero retto ancora per molto.

“Mai detto che tu lo sia, non ancora almeno… ma farti aiutare non potrà peggiorare la tua situazione, non credi?”


*


“Sparrow?”
“Ciao Max. Cosa posso fare per te?”

“Tua sorella mi ha chiesto di passare a salutarti per conto suo. Dov’è mio fratello, comunque? E non chiamarmi Max QUI, Raphael!”

Maxine, dopo aver raggiunto il ragazzo nel corridoio ed essersi fermata di fronte a lui con le mani sepolte nelle tasche della giacca, assottigliò leggermente lo sguardo e abbassò il tono di voce nel pronunciare le ultime parole, auardando il ragazzo limitarsi a continuare a sorriderle mentre si stringeva nelle spalle con noncuranza:

“Non saprei, ma immagino sia con Penelope.”
“L’hanno fatta uscire?”
“Credo di sì. Non trovi che sia sempre molto dolce con lei?”

“Sì, ma tu non dirglielo, tanto non lo ammetterebbe mai.”
“Che sa essere carino? Sì, dubito che lo farebbe. Anche tu sei carina a preoccuparti per lui, su questo siete molto simili.”
Raphael sorrise ma Max non lo imitò, limitandosi a stringersi nelle spalle con noncuranza prima di parlare con tono neutro:

“È mio fratello, è normale. Tua sorella si comporta allo stesso modo con te. Ci vediamo dopo.”


*


Quando vide Ludwig mettere piede in sala da pranzo Larisse gli fece cenno di avvicinarsi, parlando con tono preoccupato non appena il compagno fu abbastanza vicino per poterla sentire:
“Come sta Penny? L’hai vista?”

“Sì, Hunter l’ha accompagnata in Infermeria. Credo che Amycus voglia comunque che prenda parte alla lezione, di qualunque cosa dovesse trattarsi.”
La ragazza emise un debole sbuffò, abbassando lo sguardo e osservando quasi con disprezzo le sue uova, come se volesse fingere di avere davanti la faccia del Mangiamorte e affatturarle:

“Lo odio. Anzi, li odio. Vorrei che scomparissero per sempre.”
“Credo che sia un desiderio piuttosto comune da queste parti, in realtà.”

Ludwig annuì con aria cupa, stringendosi debolmente nelle spalle prima che la vigorosa pacca sulla schiena che gli assestò Raphael subito dopo, che si era avvicinato al tavolo occupato dai due, lo facesse sobbalzare:

“Che brutte facce avete… di che parlate?”
“Della nostra amica che probabilmente sarà a pezzi e dei due viscidi vermi che ci fanno da aguzzini da anni, Sparrow, ma forse questi pensieri di prima mattina sono troppo profondi per te.”

Larisse rivolse un’occhiata torva al ragazzo mentre Raphael prendeva posto accanto a Ludwig da una parte e Wyatt dall’altra, che gli rivolse un’occhiata eloquente quando l’amico sorrise appena e parlò di nuovo, osservando la rossa con gli occhi teatralmente spalancati:
“Tu invece a quest’ora sei ancora più acida, non pensavo potesse succedere davvero! Credevo fosse una leggenda metropolitana.”

“Raph…” 
Larisse sbuffò e si alzò di scatto, borbottando che ne aveva abbastanza prima di allontanarsi a grandi passi, lasciandosi alle spalle un Ludwig. Eh alzò gli occhi al cielo, un Wyatt che guardò l’amico con una nota di disapprovazione e lo stesso Raphael che invece si voltò, la fronte aggrottata mentre la seguiva con lo sguardo:

“Aspetta un attimo, oggi sei tra quelli che devono mettere a posto i tavoli e pulire i pavimenti!”
“Considerando che al posto del cervello ti hanno dato i muscoli usali, Sparrow. Ti dò la possibilità di renderti utile, sfruttala.”

Considerando che l’aveva già fatto il giorno prima Raphael non aveva poi molto voglia di fare il lavapiatti anche quella mattina, così aprì la bocca per replicare, ma Larisse e la sua chioma ramata si erano già allontanate, sparendo oltre la soglia della sala e lasciandolo così a bocca asciutta.

“Scusa, ma te la sei meritata.”
“Chiudi la bocca, Mowgli.”


*


Dopo essere uscita dalla Sala da pranzo con i nervi a fior di pelle Larisse aveva iniziato a camminare e si era ritrovata quasi senza volerlo a dirigersi verso l’Infermeria, al primo piano.
Aprì la porta e abbozzò un sorriso sollevato quando scorse l’amica, affrettandosi ad entrare nell’ampia stanza rettangolare per poi superare i letti – di cui un paio occupato da ragazzini del primo anno singhiozzanti a causa dei postumi della Maledizione Cruciatus – e avvicinarsi così a quello occupato da Penelope, che era in compagnia di Hunter. 
Di norma probabilmente non li avrebbe disturbati, ma voleva sapere come stesse la sua amica, seduta sul letto mentre parlava a bassa voce con il ragazzo, che le si era seduto di fronte sul materasso e la stava osservando con attenzione:

“Scusate se vi disturbo… volevo vedere come stavi.”
Larisse si fermo accanto all’amica e le rivolse un debole sorriso che venne ricambiato dalla bionda, che si strinse nelle spalle prima di parlare:

“Sono stata meglio, ma potrebbe andare peggio. I lividi se ne andranno, mi fanno solo male le costole e e gli arti.”
“Non dovresti venire a lezione, dovresti restare qui. Quello schifoso non ha la benché minima idea di che cosa sia l’empatia.”
“Lo sapevamo già, Hunter. Non preoccupatevi, non è certo la prima volta dopotutto.”

Penelope, appoggiata contro un paio di cuscini, si strinse nelle spalle mentre Hunter restava in silenzio, la mascella serrata mentre fissava un punto del lenzuolo e probabilmente pensava a quanto sarebbe stato piacevole usare quella stessa Maledizione proprio sul loro insegnante.
Larisse invece sfoggiò un debole sorriso dopo esserglisi rivolta, guardandolo con un sopracciglio inarcato:

“È strano vederti preoccupato per qualcuno, Blaine.”
“Potrei dire lo stesso di te.”

“Vi prego, non cominciate, è prima mattina! Hunter, vai a fare colazione.”
“Ma Penny…”

“Davvero, non serve che rimani, ci vediamo più tardi.”
Penelope sorrise, e di fronte a quella smorfia tanto dolce il ragazzo non poté fare a meno di vedere e annuire, anche se dopo un attimo di esitazione, per poi alzarsi mentre sbuffava debolmente:

“Va bene, lascio voi ragazze a fare comunella. Larisse, tienila d’occhio.”
“Non mi serve la baby-sitter!”

Penelope sbuffò ma nessuno sembrò far caso a lei e Larisse occupò il posto appena lasciato vuoto dal ragazzo mentre Hunter si allontanava dopo aver rivolto un’occhiata scettica nella sua direzione, guardando l’amica parlare con Larisse. 

Non aveva molta fame ed era tentato di tornare in camera sua prima della prima lezione della giornata, ma la comparsa della sorella maggiore nel corridoio lo convinse a cambiare piani, portandolo a sorriderle debolmente:

“Ciao Max. Fai lezione con noi oggi?”
“In realtà no, ma Alecto ha convocato me e Faye e ho pensato di salutarti… Infermeria? Sei passato a trovare la tua ragazza?” 
“Non è la mia ragazza, e lo sai benissimo.”

Hunter si fermò davanti alla ragazza, parecchio più bassa di lui, e incrocio le braccia al petto mentre Max sorrideva con aria divertita, guardandolo con l’aria di chi la sa lunga:

“Naturalmente, ti prendo in giro, ho bisogno di divertirmi prima di vedere la megera. Hai per caso combinato guai, moccioso?!”
“A dire il vero no, perché pensi sempre che abbia fatto qualcosa?”
“Beh, ti conosco. Come sta Penelope?”

“Avrebbe bisogno di riposarsi, e invece Amycus vuole che prenda comunque parte alla sua lezione, viscido bastardo.”
“Per favore, non discutere, non vorrei che ricevessi la sua stessa punizione.”

Max allungò una mano per sfiorarle il braccio del ragazzo, che si limitò ad annuire, scuro in volto, mentre teneva gli occhi fissi sul pavimento. 

“Sarà meglio andare, non le piace aspettare… ci vediamo.”
Max sorrise al fratellino prima di superarlo e allontanarsi, udendo solo distrattamente il suo debole saluto:
“Ciao.”

Sperava solo di non doverlo andare a tirare fuori dalla Torre entro la fine della giornata.


*


“Ma perché i lavori peggiori li danno sempre a noi?! Io con QUELLI non ci parlo.”
“Smettila di fare i capricci, la mia sorellina si lamenta meno di te… muoviti, non mi va di stare qui tutta la mattina.”

Quinn sbuffò ma seguì comunque Aeron, camminando sul marmo del pavimento e alzando distrattamente lo sguardo per lanciare un’occhiata al lampadario che dondolava sopra le loro teste nell’ampio ingresso della Gringott. Aveva un chiaro ricordo di quando la notizia che la banca era stata derubata era finita sulla bocca di tutti, anche se la Gazzetta del Profeta non me aveva fatto parola sicuramente per mano di Voldemort, che probabilmente aveva preferito non far sapere di essersi fatto sfuggire Harry Potter da sotto al naso per l’ennesima volta.

Certo, loro non stavano andando a derubare proprio nulla – almeno in teoria era così – ma si sentiva comunque come se stesse per svuotare una camera blindata clandestinamente. E non sapeva proprio dire se Aeron fosse più tranquillo di lui o avesse solo un’ottima faccia da Poker.

Percepiva gli sguardi attenti, penetranti e inquisitori dei folletti su di sè ma cercava di tenere il più possibile gli occhi chiari fissi davanti a sė – non gli erano mai piaciuti, la prima volta in cui aveva messo piede lì da ragazzino si era quasi nascosto dietro sua madre – per non incrociarli neanche di sfuggita, perfettamente consapevole di quello che pensavano di lui e dell’amico.
E da una parte non poteva nemmeno dar loro torto.

Quando arrivarono infondo alla schiera di scrivanie dove i folletti erano indaffarati a fare i loro conti Aeron si schiarì leggermente la voce e si rivolse al “direttore”, attirando la sua attenzione e un’occhiata piuttosto torva per entrambi:

“Desiderate?”
“Vorremmo accedere ad un paio di camere blindate e svuotarle.”

Il tono di Aeron fu piatto, neutro quanto l’espressione che aveva in volto, come se stesse chiedendo che tempo avrebbe fatto nel pomeriggio, e l’occhiata ancor più truce che Quinn ricevette contribuì solo a farlo sentire un ladro più di quanto già non fosse:

“Numeri?”
“315 e… 128. Ecco le chiavi.”

Aeron consegnò le due chiavi al folletto senza battere ciglio, lasciando che le esaminasse prima di parlare nuovamente con tono tagliente:

“Queste camere sono del Signor Ashworth e della Signorina Andrews.”
“Esattamente. Possiamo entrare?”

“Siamo sulla lista. Blake e Richards.”

Quinn parlò per la prima volta da quando si trovavano davanti al folletto, che lanciò una rapida occhiata alla lista di nomi che teneva sempre sottobanco mentre Aeron annuiva, parlando a sua volta:

“E se non fosse sufficiente, può parlare con il Signor Lestrange. Siamo qui per suo conto… Ovviamente non sono le nostre camere, ma sapete benissimo chi ci manda.”
“Bene, allora. Passate pure.”


“Odio come ci guardano. Come se fossimo felici di farlo, pensano che questi soldi li teniamo per NOI, per caso?” 
Quinn sbuffò mentre saliva sul carrello insieme ad Aeron, che sospirò mentre scuoteva debolmente il capo, parlando con tono leggermente cupo:

“Non so cosa pensano Quinn, ma di certo non sono mai felici di vederci. E hanno ragione, dopotutto.”
“Allora è un bene che non ci abbia chiesto come ci siamo procurati le chiavi, perché in caso ci avrebbe guardati anche peggio.”
“Come se non lo immaginassero.”


*


Nathan raggiunse Edric, fermo davanti ad una porta e appoggiato alla parerete come se lo stesse aspettando, e gli rivolse un lieve cenno, per nulla sorpreso di vedere lì il collega:

“Ciao. Ha chiesto di venire anche a te?”
“Nessuna sorpresa. Entriamo?”

Nathan annuì e al suo cenno il moro aprì la porta senza nemmeno bussare, facendo la sua comparsa sulla soglia della stanza che fungeva da aula. 



Oggi vi eserciterete con l’Occlumanzia

Al sentire quelle parole Penelope non era riuscita a trattenere un sospiro sollevato: sarebbe stato arduo reggere una sessione di esercitazione con la Maledizione Cruciatus, non dopo aver cercato in prima persona di liberare le loro “cavie” e averla subita a sua volta solo poche ore prima.
Hunter le aveva ripetuto quanto fosse stata sconsiderata e lei non era riuscita a dire nulla, sapendo che l’amico non si sbagliava ma allo stesso tempo memore di quanto era stata lei a subire quella sorte, anni prima. E a stare a guardare per l’ennesima volta no, non c’era proprio riuscita.


La porta si aprì e tutti, voltandosi, si ritrovarono davanti un paio di figure note, ad alcuni più di altri: Penelope, così come Larisse, Ludwig, Hunter e Raphael, non battè ciglio alla vista di Edric e di Nathan, che si limitarono a salutare freddamente Amycus prima di entrare nella stanza e chiudersi la porta alle spalle. 
Nessuno dei due sorrideva o smembrava felice di trovarsi lì, probabilmente non più degli studenti stessi.

“Ah, eccovi qui… Larsson e Marlowe vi faranno da “supporto”, proveranno a entrare nelle vostre menti. Vediamo chi riuscirà a tenerli fuori.”

Amycus sorrise e nessuno lo imitò, anzi, molti tra i ragazzi che aveva davanti abbassarono lo sguardo: del resto il messaggio era chiaro, ovvero chi non ci riuscirà ne patirà le conseguenze.


*


“Bene, dovremmo aver preso tutto. Dobbiamo trasferire il denaro nel conto di qualcuno?”
“No, Lestrange lo vuole direttamente a casa sua… andiamo.”

Aeron rivolse un cenno a Quinn, che caricò i sacchi pieni di falci, zellini e galeoni sul carrello prima di seguirlo sedendocisi sopra con uno sbuffo contrariato:

“Vorrei proprio sapere che se ne fanno del denaro dei Nati Babbani che ci fanno togliere di mezzo, sono tutti ricchi sfondati.”
“Suppongo che per i ricchi il denaro non sia mai a sufficienza… così come la sete di sangue per gli assassini.”

“Noi non smaniamo per uccidere le persone, Aeron, anche se di fatto potremmo essere considerati dei sicari.”
“A me piace pensare che non lo siamo, non per davvero… non lo facciamo per una retribuzione, ma perché è l’unico modo che abbiamo per sopravvivere.”


*


“Per tutti i tanga multicolore di Merlino, a volte fatico a decidere chi dei due sia più sgradevole, davvero!”
Quando la porta le si fu chiusa alle spalle Max piegò le labbra in una smorfia prima di incamminarsi nel corridoio accanto a Faye, che si limitò ad annuire con aria cupa:

“Suo fratello la batte a mani bassi, almeno secondo il mio parere… devono aver avuto dei genitori fantastici, i Carrow, per venire su in questo modo.”
“Rabbrividisco al solo immaginarli.”

Faye annuì e sorrise appena alle parole della collega, che sfoggiò una smorfia ancor più eloquente ma non diss nulla, ripensando a quello che avevano appena udito nel loro “colloquio” con Alecto: esattamente come entrambe avevano già previsto, la Mangiamorte le aveva informate della sua imminente partenza per un breve periodo, incurante del fatto che entrambe le Sentinelle ne fossero già a conoscenza, e aveva chiesto loro di monitorare la situazione al Covenant e di tenerla informata su qualsiasi variabile.
Cosa che ovviamente non tenevano affatto a fare, anzi, tutt’altro. 

“Tu cosa ne pensi?”
“A proposito di…?”
“Dei Carrow. Hai sentito gli altri, alcuni pensano che dovremmo approfittarne.”
“E hanno ragione. Bisogna solo stabilire in che modo approfittarne e in quale misura, direi. Alecto ci ha detto che lei e Amycus passeranno qualche giorno altrove, non ha specificato quanto ci metteranno e non ci ha detto dove, eppure noi sappiamo che andranno in Cornovaglia… Possiamo giocarcela a nostro vantaggio.”


*


Non aveva ricevuto alcun incarico quel giorno e non avendo alcuna voglia di passare la giornata chiuso in casa aveva deciso di fare una passeggiata per prendere una boccata d’aria e per riflettere un po’ nonostante il freddo che aveva iniziato ad attanagliare Londra da qualche giorno.

Quando aveva fatto per uscire il suo Demiguise, Storm, si era appostato davanti alla porta e lo aveva osservato con occhi imploranti, continuando a prendergli la mano ogni qualvolta in cui il padrone faceva per prendere la maniglia:

“Storm, non puoi venire con me, come spiegherei che ho una scimmia argentea sulla spalla?! Chiamerebbero la difesa animali o chissà che altro…”

Alla fine era riuscito a farlo stare buono, ma il Demiguise si era comunque offeso parecchio e nascosto dietro al divano e Haze era certo che sarebbe rimasto invisibile per il resto della giornata.

No, non era proprio il caso di girovagare per Londra con un Demiguise al seguito. 

Stava giusto pensando alla faccenda dei Carrow e a come l’avrebbero gestita quando si sentì chiamare e, voltandosi, si ritrovò un paio di familiari occhi castani puntati addosso:

“Mi sembrava fossi tu… ciao. Come mai da queste parti?”
“Facevo una passeggiata, come te vedo. Ciao Snow.”

Il grosso cane bianco abbaiò e gli corse incontro per fargli le feste scodinzolando e in cerca di coccole mentre la padrona, sbuffando debolmente, li raggiungeva e rivolgeva un’occhiata eloquente al Samoiedo:

“Fai attenzione, potresti investire qualcuno! Non ridere, Mallow, ieri ha tramortito una povera vecchietta con la sua euforia.”
Audrey gli rivolse un’occhiata eloquente e Haze sorrise appena mentre sfiorava con una mano il muso del cane, che un attimo dopo si girò e rivolse la sua attenzione alla padrona, girandole intorno:

“In pratica è lui che porta a spasso te.”
“In effetti è così. Anche tu non hai ricevuto convocazioni oggi?”
“No. Non so se esserne felice o meno, a volte mi annoio, credo.”

“Se vuoi ti regalo Snow, ti terrà occupato lui. Come sta Storm?”
“Bene.”
Haze si strinse debolmente nelle spalle e Audrey, dopo un attimo di esitazione passato ad osservarlo,abbozzò un sorriso:

“È stato bello vederti, ma devo andare… ci vediamo alla prossima riunione, o con i nostri datori di lavoro. È stato strano averlo visto, comunque.”

“Che cosa?”
“Un sorriso. Vieni Snow, lascialo stare!”

Audrey gli sorrise quasi con una punta di divertimento prima di superarlo e allontanarsi, il cane al seguito, e l’ex compagno di scuola rimase ad osservarli per qualche istante, la fronte aggrottata:

“Non è che non sorrida mai. Audrey! Mi hai sentito?!”


*


“Oh, eccovi qui. Com’è andata la lezione?”

Rain sorrise ad Edric e a Nathan quando intercettò i due nel corridoio, interrompendo la loro discussione su come fossero andati i ragazzi poco prima.
Entrambi si voltarono verso di lei ed Edric, dopo un attimo di esitazione passato a scrutarla con gli occhi chiari quasi gelidi, parlò con tono piatto:

“Se la sono cavata. Scusate, ho un paio di cose da discutere con Erik.”
“Ok…”

Rain, la fronte leggermnete aggrottata, lo guardò superarla e allontanarsi senza aggiungere altro prima di voltarsi verso Nathan, una smorfia ad incurvarle le labbra rosee:

“Ma perché fa così?! Sono CERTA che ce l’abbia con me, ma non capisco perché!”
“Non credo che c’è l’abbia con te Rain, ad Edric piace semplicemente stare sulle sue, non fartene un cruccio.”

“No, no, io sono SICURA che mi disprezzi, ma non me né capacito… insomma, ad Hogwarts non ci siamo mai parlati e in pratica nemmeno qui al Covenant, cos sporte avergli fatto? Aspetta, forse mi disprezza semplicemente per la mia parte banshee!”

Rain spalancò gli occhi ma Nathan alzò gli occhi al cielo, senza dare troppo peso alle sue parole mentre, e dopo averle messo una mano sulla spalla la costrinse a seguirlo nel corridoio:

“Non credo che le cose stiano così Rain, Edric non è il tipo.”
“Tu dici?”
“Sì. Quindi rilassati, qui nessuno ti detesta.”
“Forse dovrei chiederglielo apertamente, ma mi raggela ogni volta in cui mi guarda e non ne ho proprio il coraggio.”
“Rain, lui guarda così TUTTI, sono i suoi occhi!”


*


Hunter stava studiando e quasi non si accorse di essere stato avvicinato, ma Penelope decise di approfittarne e si chinò leggermente per mettersi alla stessa altezza del ragazzo prima di parlare, abbozzando un sorriso:

“Ti disturbo?”
“Penny! No… va tutto bene?”  Hunter si voltò di scatto e i suoi occhi saettarono immediatamente sul volto pallido della ragazza, quasi a voler controllare che stesse bene prima di guardarla sorrider debolmente e annuire:

“Sì, meglio, ti volevo solo ringraziare, Hunter, per esserti preoccupato per me. Mi ha fatto molto piacere averti vicino ieri, mi sei stato di grande aiuto.”
“Nessuno ti avrebbe lasciata da sola in quello stato e al buio. Ti hanno dato qualcosa per questi?”
Hunter allungò una mano per sfiorarle lo zigomo violaceo ma la ragazza scosse il capo, asserendo semplicemente he sarebbero passati.
“Scompariranno tra qualche tempo… e comunque, i Carrow sì.”
“I Carrow non sono umani. Nessuno di loro lo è. Siediti.” 

“Oh, no, ti cercavo solo per dirti questo… vado a dormire, sono stanca. Ci vediamo domani.”

Penny gli strinse leggermente una spalla prima di allontanarsi, seguita dallo sguardo del ragazzo, che annuì distrattamente:

“Ok… riposati.”
“Non c’è pericolo!”


*


“Che cosa ci fai ancora qui?”
Erik sgranò gli occhi quando, entrato nell’ampia cantina, trovò Audrey raggomitolata sul divano con Snow accanto, il muso candido appoggiatole sullo stomaco me tre la padrona osservava il soffitto e gli sfiorava distrattamente il pelo folto con le dita, soprappensiero.

“Pensavo. Tu invece?”
“Cercavo un po’ di tranquillità, come te credo. Anche quando non siamo di turno non riesco a rilassarmi davvero e a dormire bene… ma tu dovresti essere altrove adesso.”

L’ex Serpeverde sbuffò di fronte al tono quasi accusatorio dell’amico, roteando gli occhi mentre Erik, dopo esserlesi avvicinato, prendeva posto su una sedia e continuava a tenergli gli occhi azzurri fissi su si lei:

“Lo so benissimo. Avevo solo bisogno di stare un po’ da sola.”
“Lo so, ti conosco bene Audrey. Ma tu hai qualcuno che ti aspetta a casa a differenza mia, quindi dovresti essere lì e non qui.”

“Merlino, sembri proprio mia madre… stavo per andare, mammina.”
“Brava. Ci vediamo domani, buonanotte… salutami Henry.”

“Lo farò.” 

Audrey annuì e sospirò mentre si alzava, tirandosi lentamente a sedere sul divano dopo aver fatto scivolare le gambe giù dal materasso, appoggiando i piedi sul pavimento. Snow si spostò immediatamente e sollevò lo sguardo, osservando la padrona come se fosse in attesa di ordini, prima che Audrey gli rivolgesse un cenno, invitando il cane a seguirla verso la porta.

“Sogni d’oro Erik.”
“Come se fosse possibile. Ma grazie per il pensiero.”
“L’importante è provarci, non dimenticarlo.”


*


Si chiuse la porta alle spalle lentamente e non accese la luce, sospirando mentre si sfilava la giacca quasi con sollievo e Snow trotterellava verso il salotto per raggiungere la sua cuccia, probabilmente.

Audrey lasciò il soprabito nero su uno dei tre ganci bianchi appesi alla parete accanto alla porta blindata e, dopo aver borbottato a mezza voce i soliti incantesimi, si diresse con passo felpato lungo il corridoio, parlando a mezza voce e chiedendosi se fosse ancora sveglio: probabilmente no, considerando che non era andato ad accoglierla come suo solito.

“Henry?”
Non udendo alcuna risposta capì di non essersi sbagliata e un debole sorriso le increspò le labbra quando, fermatasi sulla soglia dell’arco che fungeva da ingresso del salotto, scorse Snow già rannicchiato nella sua cuccia mentre la televisione, ancora accesa, illuminava debolemente il salotto.
Si avvicinò con cautela al divano e si chinò leggermente per sfiorare i capelli scuri del bambino che ci sonnecchiava sopra, guardandolo con un sorriso aggrottare la fronte e mugugnare qualcosa di indefinito, forse percependo il suo tocco senza però svegliarsi e aprire gli occhi: 

“Ciao mi pequeño.”
Audrey sorrise e, dopo un attimo di esitazione, prese il telecomando e spense la televisione per poi prendere in braccio il bambino e dirigersi verso la sua camera, adagiandolo sul materasso per poi stendersi accanto a lui. Non si preoccupô di mettersi il pigiama o di spogliarsi, si limitò a sfilarsi le scarpe prima di sistemarsi sul letto con sollievo, lasciando un bacio tra i riccioli scuri di Henry prima di mettersi finalmente a dormire.

L’ennesima giornata era finita. Finalmente era arrivato il momento di chiudere gli occhi e dimenticarsi della sua vita per qualche ora.







…………………………………………………………………………..
Angolo Autrice:

Ebbene sì, sono felice di informarvi che non sono stata rapita dai Carrow et similia, mi dispiace moltissimo per questo ritardo vergognoso ma fino a metà del mese mi sono concentrata sull’altro storia per portarla a termine e da quel momento non ho scritto una singola riga prima di oggi per mancanza di tempo.
Prometto che il prossimo arriverà molto prima, sicuramente entro il 1 Maggio. 

E ora…  Anche questo era introduttivo, ma dal prossimo si inizia con i capitoli “personalizzati”, quindi dovete votare (VIA MP), a chi volete sia dedicato il prossimo tra questi?

-    Max 
-    Larisse
-    Quinn

Ovviamente poiché il capitolo sarà strettamente legato all’OC da voi designato PRIMA votate PRIMA potrò scrivere il capitolo, dipende da voi. 
A presto, spero, e buona serata, 
Signorina Granger 

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Capitolo 5
*** Maxine Keenan ***


Capitolo 3: Maxine Keenan

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“Cos’è quello?!”
“È l’ufficio del capo.”
“Oh! Possiamo andarci?!”
“No piccola, non senza essere stati convocati.”


Dorian Keenan abbozzò un sorriso mentre, attraversando il corridoio del Quartier Generale, teneva la figlia sulle spalle e cercava di dare risposta a tutte le domande di Maxine. 

“Ma io voglio vederlo!”
“Non si può fare sempre ciò che si vuole, Max.”
“Uffa!”

Dorian rise e, sollevate le braccia, afferrò la bambina per i fianchi e se la sfilò dalle spalle per rimetterla con i piedi per terra, ignorando le sue deboli proteste:

“Mi piace stare sulle spalle!”
“Come mai?”
“Io sono piccola, così vedo più cose!” 

Maxine sorrise mentre stringeva la mano del padre, che ricambiò prima che alcune voci giungessero alle loro orecchie:

“Max! Ciao!”
“Oh, guarda, ci sono i tuoi fan. Vai a salutare, su.”

Maxine sorrise e trotterellò verso i due colleghi del padre, salutandoli vivacemente e lasciandosi prendere in braccio con aria soddisfatta:

“La nostra mascotte è venuta a farci visita… Dorian, ce la lasci per il resto della giornata?”
“Volentieri, siete delle perfette baby-sister che non devo nemmeno pagare… Fai la brava!”

“Ciao!”  Max sorrise e agitò la mano per salutare il padre da sopra la spalla dello “Zio Dick”, guardandolo ricambiare con affetto. 

“Ciao piccola.”



*

“Tía, Tía! Svegliati!”
“Por favor, mi amor…”

Audrey sospirò e premette con veemenza il volto contro il cuscino, senza voltarsi vero il sorridente bambino che, a giudicare dal rumore e dal tremore del suo povero materasso, stava saltellando sul letto. 

“Tienes que jugar conmigo tía, lo hai promesso!”
“E lo farò, mijo, ma non ora.”
“Uffa!” 

La strega sentì un piccolo tonfo e intuì che il bambino si era messo a sedere sul letto, così si girò facendo leva sui gimnoti e si ritrovò a sorridere quando lo vide arruffato e con un piccolo broncio stampato sul volto:

“Mi amor, io sono vecchia, non ho tutte le energie che hai tu!” Audrey si mise lentamente a sedere e sorrise al bambino, allungando una mano per accarezzargli il viso:
“Non sei vecchia, sei solo grande. ¿Vamos a comer?”
“Sì, tra un momento. Vai a controllare se Snow è sveglio.”

Henry fece per obbedire e scivolare giù dal letto, ma sentendo la porta aprirsi si bloccò, voltandosi con stupore verso la zia:

“Chi è?! Abuela?”
“Non credo, non… Henry, vieni qui!”

Audrey si sporse per afferrare il bambino, che però era già corso verso la porta…che però si spalancò da sè due istanti dopo, a seguito di un’allegra voce familiare:

“CIAO! STO ENTRANDO, SPERO CHE TU NON SIA IN COMPAGNIA DI UN UOMO… Oh, eccovi qui! Ciao, ometto.”
“Come diavolo sei entrata?!”
“Tía Max!”

Henry sorrise e si avvicinò alla ragazza, che si chinò per dargli una carezza tra i capelli scuri prima di rivolgersi all’amica, che la osservava con un sopracciglio inarcato e con aria torva:

“La scorsa settimana mi hai dato le chiavi per controllare il piccolo, l’hai scordato?”
“E le hai da tutto questo tempo?!”

“Ops.”
“Tía, la Tía Odri non viene con te oggi, deve giocare con me!”
Henry mise le mani sulle gambe della ragazza e cercò di spingerla fuori dalla stanza, incurante del suo tono melodrammatico e della sua espressione affranta mentre non si spostava di un solo centimetro:
“E mi mandi via in questo malo modo?! Come potrò reggere questo affronto da parte del mio ometto preferito?! E pensare che ti ho anche portato qualcosa…”

“Che cosa?!”
Henry sgranò gli occhi e si sporse per incrociare lo sguardo di Maxine, che dopo aver sfoggiato un sorrisetto beffardo si inginocchiò e gli sussurrò qualcosa all’orecchio, il tutto sotto lo sguardo divertito della padrona di casa, che non si era minimamente mossa dal suo comodo giaciglio.
Qualunque cosa gli disse Henry sgranò gli occhi e, sorridendo, corse fuori dalla camera per sfrecciare chissà dove, mentre la strega ridacchiava e si rimetteva in piedi:

“Adoro i bambini, sono così facilmente malleabili…”
“Che cosa ci fai qui, Max?”
“Ti sei scordata che i Carrow sono partiti ieri sera? Dobbiamo organizzarci.”

“Va bene, porto Henry da mia madre, ma non ne sarà felice.”

Audrey annuì e, sospirando, fece scivolare le gambe dal letto per appoggiare in piedi sul parquet e e pantofole mentre Henry faceva ritorno nella stanza con un sorriso sulle labbra e una scatola di cartoncino verde chiaro tra le braccia:

“Ciambelle!”
“E a giudicare dallo zucchero che hai su tutto il faccino deduco che ne hai già spolverata una…”

Maxine sorrise al bambino con aria divertita, guardandolo sorridere allegramente con i capelli arruffati e il pigiamino blu addosso mentre Audrey, invece, sospirava mentre scostava le coperte per alzarsi dal letto:

“Henry… io e Max dobbiamo andare a fare una cosa molto importante, ti porto dalla nonna, ok?”
“Ma hai promesso!”
“Lo so piccolo, ma non sapevo di dover andare via… nel pomeriggio staremo insieme, ok?”

“Ti portiamo al ristorante con noi, ok? Dobbiamo parlare di delle… cose da grandi, ma poi la zia sarà tutta tua, promesso.”  Max si affrettò a sorridere al bambino, che esitò prima di annuire, parlando a mezza voce e con aria cupa:

“Ok… viene anche Sno!”
“No, Snow distruggerebbe il ristorante!”
“Allora Duchessa! Duchessa!”

Il bambino sfreccio fuori dalla stanza per cercare la gatta mentre Audrey, alzando gli occhi al cielo, si ravvivava i capelli castani con una mano:

“Va bene, il gatto può venire.”
“Bene, ora vai a farti una doccia lampo, muoviti.”
“L’ho fatta ieri sera, non mi stressare! Ecco, pronta.”  Audrey sbuffò e, dopo essersi magicamente cambiata con un tocco di bacchetta, prese il trench beige lasciato sulla sedia per infilarselo sotto gli occhi perplessi dell’amica, che indugiarono sui suoi tacchi:

“Ma come fai a mettere sempre quei mezzi di tortura?!”
“A me piacciono… e poi tu indossi la giacca di pelle anche a Ferragosto!”
“Non è la stessa cosa!”
“TÌE! Andiamo!”

“Cos’è, adesso prendiamo ordini dal marmocchio?!”
“Benvenuta nella mia vita. Henry, vai subito a lavarti i denti!”


*


“NON VOGLIO!”
“Come siete mes- Ehy!”

Dorian aprì la porta della camera della figlia è per poco non venne colpito dal vestitino che la bambina Sì stava rifiutando categoricamente di indossare e che aveva lanciato dritto verso la porta. 

“Ehm… sono capitato in un brutto momento?”
“Dorian, puoi dire anche tu a Max che non può venire al battesimo di suo cugino con la felpa e le scarpette da ginnastica?!”

La medimaga sospirò e si voltò verso il marito, rivolgendogli un’occhiata quasi esasperata mentre la bambina incrociava le braccia al petto con aria risoluta. 

“Piccola, la mamma ha ragione! Per una volta non è la fine del mondo… e poi sarai carinissima.”
“Ma io non voglio essere carina!”
“Nemmeno per il tuo papà?”

Dorian si inginocchiò e sfoggiò gli occhi dolci, guardando la figlia quasi con aria implorante tentennare prima di sbuffare, spostando il peso da un piede all’altro.

“Uhm…”
“Facciamo così. Metti il vestitino ma metti le scarpe che vuoi. Vero mamma?”

“D’accordo. Va bene Max?”
“Uhm… sì. Niente ballerine!”

Maxine sorrise allegramente e saltello verso il vestito rosa e bianco per riprenderlo e andare ad infilarselo sotto lo sguardo divertito del padre e leggermente esasperato della madre:

“È proprio un bel tipetto.”
“Decisamente.”



*


“Mowgli… che ore sono?”
“Non lo so, guarda tu.”

Raphael sbuffò e, passandosi una mano sul viso, si sforzò di ritrovare sul fianco per dare un’occhiata alla sveglia lasciata sul comodino dell’amico – la sua l’aveva sgraffignata sua sorella durante la sua ultima visita –, sepolto sotto il copriletto e con papabile scarsa voglia di iniziare la giornata.

Oh oh

“PORCO MERLINO SONO LE NOVE! Alzati Mowgli!”
“Ma è domenica, ho sonno…”
“Abbiamo la riunione, genio!”

Raphael balzò in piedi e, sbuffando, iniziò a frugare nel disordine caratteristico della loro stanza per cercare qualcosa da mettersi mentre Mowgli rotolava di controvoglia giù dal letto per imitarlo. 
Raphael era finalmente te riuscito a trovare dei pantaloni – come fossero finiti sulla scrivania, non era dato saperlo – e si stava prodigando per cercare una maglietta quando qualcuno bussò alla porta, parlando con leggera impazienza:

“Ragazzi, ci siete? Vi stiamo aspettando.”
“Un momento solo, entra pure. Eccola!” Raphael sorrise con aria vittoriosa e fece le rinfilarsi la maglietta bianca quando la porta si aprì, permettendo alla voce di Larisse di farsi più nitida alle loro orecchie e Wyatt tratteneva a fatica uno sbadiglio mentre chiudeva la cernerai della felpa blu notte. 

“Coraggio, non possiamo essere sempre in ritard- SPARROW VESTITI!”  Larisse sbuffò e girò sui tacchi con uno scatto fulmineo, sia per evitare di posare lo sguardo sul petto scoperto e cesellato del ragazzo, sia per nascondere il lieve rossore che le aveva imporporato il volto.
“Ma sono vestito!”
“A metà! Potevi dirmi di aspettare un momento!

“Scusa Larisse, non ci ho pensato… non sono pudico come te, evidentemente. Ecco, ora puoi voltarti.”  Raphael sorrise appena e, solevate le braccia come s voler sottolineare la sua innocenza, guardò la compagna girarsi e rivolgergli un’occhiata leggermente torva mentre le risate mal trattenute di Wyatt riempivano la stanza.

“Bene, allora andiamo. Wyatt, smettila di ridere, non c’è niente di divertente!”
“Questo lo dici TU!”  Wyatt si alzò dal letto per seguire la fossa fuori dalla stanza, certo che la sua espressione s metà tra l’imbarazzata e lo scandalizzata sarebbe rimasta impressa nella sua mente per molto tempo mentre Raphael, dopo aver raccolto rapidamente la sua giacca di pelle nera dalla sedia, lo seguiva per chiudersi la porta alle spalle:

“Lascia stare amico mio, la nostra Larisse non ha molto senso dell’umorismo… un vero peccato.”
“Raphael, guarda che ti sento benissimo!”
“Lo so.”


*

“Hai preso tutto?”
“Sì!”
“Spazzolino?”
“Ce l’ho.”
“Spuntini?”
“Presi. Ho un sacco di caramelle!”

Maxine sorrise e mostro alla madre la sua borsetta piena di dolcetti, facendo sorridere la donna con aria divertita:

“E dove le hai prese?! Lo sai che non ti fanno molto bene, vero?”
“Me le ha date papà. Tranquilla, non le mangerò tutte, solo in caso mi servissero energie.”

“Ok… fai la brava piccola. Mi mancherai moltissimo.”
La strega sospirò prima di abbracciare la figlia, che annuì e mormorò che anche lei le sarebbe mancata molto prima di udire la voce del padre, che le sfiorò una spalla con la mano:

“Tesoro, è ora di andare. Mamma orsa, il tuo cucciolo deve partire.”
“Non prendermi in giro, Dorian, ieri eri praticamente depresso per la sua partenza!”

“Beh, comunque… fai la brava e non metterti nei guai, sii educata con gli insegnanti. Specialmente con la McGranitt!”
“Ok! Ci vediamo a Natale, ciao!”

Max sorrise prima di salire sul treno, raggiungendo il baule che il padre l’aveva aiutata a sistemare su uno scompartimento. Si sporse da finestrino e sorrise ai genitori con fare allegro, salutandoli con una mano.

“Fate I bravi senza di me a tenervi d’occhio! Papà, lavora come si deve!”
“Ma sentì questa… la nostra mascotte mancherà a tutti il Dipartimento però, non posso negarlo.”
Dorian sorrise mentre, gli OCCHI fissi sulla figlia con affetto, sistemava un braccio sulle spalle della moglie, che si voltò verso di lui e sorrise di rimando mentre appoggiava la testa sulla sua palla:
“Mancherà anche a casa Dorian, lo sai tu e lo so io.”



*


Quando Hunter entrò nell’aula con due teglie avvolte nella carta stagnola tra le braccia Penelope, seduta su un banco, scoppiò a ridere, guardando l’amico con aria divertita e ignorando l’occhiata torva che lui le rivolse:

“Non voglio sentire commenti.”
“Scordatelo, li sentirai eccome… sei diventato l’addetto al catering, Hunter?”
“Ah ah.”
“No, dico sul serio, perché se così fosse potrei commissionarti qualcosa anche io. Mi prepareresti dei cannelloni?!”
“Sono le lasagne che avevo promesso di preparare… visto che i Carrow non ci sono, ne ho approfittato per sgattaiolare in cucina. Mia sorella mi avrebbe burattato fuori a calci se non mi fossi presentato con queste, già l’altra volta non mi sono presentato, dopotutto.”
Hunter lasciò le teglie sul banco accanto a quello occupato dall’amica prima di sorriderle, chiedendole come stesse:

“Molto meglio, grazie, anche se mi sarebbe piaciuto dormire un po’ di più, in tutta onestà.”
“E invece eccoci qui, a sgattaiolare via di soppiatto.”

“Beh, ho sempre il timore di svegliare accidentalmente Anna, se proprio vuoi saperlo… sarebbe molto più comodo essere in stanza con Larisse. Raphael e Wyatt sono fortunati.”
“Mowgli è il ragazzo più fortunato del mondo per avere la possibilità di condividere la stanza con me, che domande!”

Raphael, Larisse e Wyatt fecero il loro ingresso nell’aula e il primo sfoggiò un sorriso allegro mentre assestava una sonora pacca sulla spalla dell’amico, che roteò gli occhi ma annuì senza replicare.

“Wyatt, ricordami di farti avere dei fiori.”
“Guarda che sono un compagno di stanza modello Larisse!”
“Ma fammi il piacere, la vostra stanza sembra territorio di guerra!”

“Beh, forse è da un po’ che non puliamo, in effetti… cambiando argomento, che c’è lì?”
“Giù le mani Raph, sono le lasagne che devo portare alla riunione.”

“In effetti sto morendo di fame…”
“Lasagne a quest’ora?! Bleah!”
“Beh, non ho fatto colazione grazie alla leggiadra fanciulla dai capelli ramati che è venuta a svegliarci stamattina!”

Penelope alzò gli occhi al cielo e parlò prima di dare il tempo a Larisse di replicare, stabilendo che non avevano tempo da perdere in frivole discussioni:

“Bambini, fate i bravi, su. Piuttosto, qualcuno ha visto Lud?”

Wyatt sorrise, sollevato di non essere arrivato per ultimo, è un attimo dopo la porta si aprì di nuovo, permettendo a Ludwig di raggiungerli con un sorriso colpevole stampato sul volto:

“Scusate, non ho sentito la sveglia.”
“Non fa niente. Andiamo?”


*


Non le era stato permesso di assistere al processo in quanto minorenne, ma suo padre c’era stato. Maxine aveva passato la giornata chiusa in casa, seduta sul letto dei genitori, gli occhi fissi sulla finestra mentre si rigirava una collana di sua madre tra le dita, giusto per sentirla più vicina a sè. 

Silente era morto quasi tre mesi prima, ricordava chiaramente il giorno del funerale quasi fosse stato il giorno prima, e da allora una situazione già precaria aveva preso quella che sembrava essere una via di non ritorno. 
Maxine si morse il labbro, pensando a quando era arrivata, un paio di giorni prima, la lettera con la “convocazione” a sua madre per l’udienza. Ricordava le lacrime di Cecil, quella donna tanto forte che l’aveva cresciuta e che lei aveva sempre ammirato tanto, la donna che curava senza battere ciglio da vent’anni i disturbi e le ferite più disparate. Non l’aveva mai vista piangere prima d’ora, non in quel modo, e Maxine non era riuscita a dire o a fare niente in quel momento, limitandosi a guardare, come paralizzata, suo padre abbracciarla e accarezzarle i capelli, baciarla e assicurarle a bassa voce che sarebbe andato tutto bene.

Max non sapeva se Dorian ci credeva, ma lei no. E di certo nemmeno sua madre.
Non seppe di preciso quanto tempo trascorse lì, sul letto, ma quando sentì la porta d’ingresso aprirsi la ragazza scattò in piedi, i sensi improvvisamente in allerta:

“Piccola?”
Quando sentì la voce del padre si rilassò e si affrettò ad uscire dalla stanza, la collana abbandonata sul copriletto. Raggiunse il padre nell’ingresso e lo abbracciò, esitando prima di parlare con un filo di voce:

“Dov’è?”
“L’hanno trattenuta. L’hanno… condannata.”

“MA PER COSA?! È UNA STREGA, e lo sanno, un Babbano non potrebbe mai fare magie, anche se tenesse in mano la più potente bacchetta mai esistita. Su che basi portano avanti quelle stronzate?! Lei è andata ad Hogwarts, ci sono centinaia di prove sia scritte che di persone che l’hanno conosciuta lì, non ci sarebbe potuta andare se non fosse una strega!”
“Lo so Max. Lo so… e lo sanno anche loro, ma quella vecchia stronza sta condannando un Nato Babbano dietro l’altro.”

“Chi è?”
“Quella che Caramel mandò ad Hogwarts un paio di anni fa. Ce ne siamo liberati per un po’, ma poi si è ripresa, qualunque cosa le sia successa a scuola.”
“LA UMBRIDGE?! C’è lei a presiedere ai processi dei Nati Babbani?!”

Maxine sgranò gli occhi e si scostò di scatto dall’abbraccio del padre, guardandolo con un misto di incredulità e odio nello sguardo mentre Dorian, scuro in volto, annuiva:

“Sì. Mi dispiace piccola, ci ho provato ad aiutarla.”
“La manderanno ad Azkaban? Per quanto?!”
“No.” Dorian scosse il capo, parlando con un filo di voce e gli occhi lucidi mentre sollevava una mano per accarezzare i capelli scuri della figlia, che lo guardò con gli occhi sbarrati e la gola improvvisamente secca, stentando a credere alle sue orecchie:
“La uccideranno?! Non possono farlo!”
“Non la uccideranno.”
Dorian scosse il capo e Max lo guardò di rimando con sempre maggior confusione, senza capire.
“E allora…”

Poi suo padre la strinse nuovamente in un abbraccio, appoggiando il capo contro la sua testa mentre la stringeva con vigore, quasi temesse che potesse essergli strappata via. Maxine rimase immobile, in silenzio, la mente in tilt mentre ascoltava solo distrattamente suo padre piangere. 
E poi capì.



*


Quando mise piede nella cantina Hunter ricevette un caloroso benvenuto – anche se forse le attenzioni che ricevette erano, in realtà, destinate alle lasagne – e Maxine gli si avvicinò con un sorriso, prendendogli le teglie dalle braccia:

“Bravo il mio fratellino, ti sei reso utile!”
“Una è solo per te, mi assicuro che tu non muoia di fame in mia assenza visto che non sai cucinare…”

“Sciocchezze, sono sempre la benvenuta qui… vero Audrey?”
Max sfoggiò un sorrisetto mentre si voltava verso l’amica che, seduta tra Erik e Faye, si limitò ad alzare gli occhi al cielo:

“Ovviamente, Max è sempre ben felice di venire qui a scroccare, un po’ come l’individuo seduto alla mia sinistra…”
“Ti ricordo che è stata tua madre a dirmi “Erik, caro, vieni quando vuoi!”!”
“Già, sei il cocco di mia madre…”

“Penny! Come stai?”

Maxine lasciò nuovamente e senza tante cerimonie le teglie al fratello, che sbuffò e si allontanò borbottando che veniva trattato peggio di un elfo domestico mentre la sorella si rivolgeva alla bionda con un sorriso che venne ricambiato, insieme ad una scrollata di spalle:

“Meglio, grazie.”
“Vieni a sederti vicino a me, devi dirmi come si comporta il moccioso a scuola.”
“Cosa state confabulando voi due?!”

“Cose nostre, fatti gli affari tuoi come ti ho insegnato.”
“Semmai è il contrario…”   Hunter lancio un’occhiataccia alla sorella – in stile “non-raccontarle-cose-strane-sul-mio-conto” – prima di prendere posto accanto tra Wyatt e Raphael, che continuava a tamburellare le dita sul tavolo con impazienza, visibilmente rilassato e di buon umore.

“Ora che i ragazzi sono arrivati e le lasagne sono al sicuro… cominciamo?”  Aeron parlò a voce alta dopo essersi alzato in piedi – aveva imparato a sue spese che era l’unico modo per avere un po’ di attenzione in mezzo alla baraonda pre-riunione – ma Nathan, seduto accanto a lui a braccia conserte, inarcò un sopracciglio prima di guardarsi intorno con un sopracciglio inarcato, osservando le sedie vuote:
“Aspetta, mancano le gemelle! E anche Rain e Quinn.”

“Haze, sai che fine ha fatto tua cugina?”
“Non sono la sua baby-setter, starà arrivando.”
“E Quinn?!”
“Sarà fermo davanti ad uno stagno a sistemarsi i capelli.”

Erik ridacchiò e Audrey e Max lo imitarono brevemente, prima che l’occhiata torva che sia Aeron che Faye rivolgessero loro li costrinse a schiaffi la voce e a tornare brevemente seri.

“Siamo il gruppo di ribelli più atipico mai esistito.”
“Su questo non c’è dubbio Drake.”


*


“Ecco, siamo in ritardo! Ed è tutta colpa tua!”
“MIA?! Sei tu che hai perso due ore a fare colazione perché non trovavi le fette biscottate!”
“Erza, se tu non le avessi comprate ma avessi preso i biscotti questo non sarebbe successo, ma storpi sempre la mia lista della spesa ed ecco il risultato!”

“Sei tu che scrivi come una gallina!”

Le due sorelle varcarono la soglia del ristornate chiuso battibeccando, attirando così l’attenzione di una signora che stava sistemando i conti dietro alla cassa e che rivolse loro un sorriso divertito:

“Buongiorno ragazze.”

Le due smisero momentaneamente i parlottare tra loro per rivolgerlesi e salutarla parlando all’unisono prima di superare in fretta e furia la sala principale del ristorante per dirigersi alla parete che le avrebbe condotte alla cantina:

“Salve Signora Simmons!”


“Ok, parleremo delle fette biscottate più tardi Carma, adesso inventiamo una scusa più accettabile per il nostro ritardo.”
“Mi sembra giusto. Diremo che siamo venute a piedi e c’era molto traffico.”
“Può andare. Ok, andiam- e tu che cosa ci fai qui?”


*


“Mamma…”
Maxine avrebbe voluto raggiungerla, andare da lei, abbracciarla un’ultima volta. O urlare tutti gli insulti che conosceva alla donna che seguiva la scena senza la minima traccia di orrore sul volto. Max la guardò, un odio che traboccava dallo sguardo, e si chiede potesse essere umana. No, forse non lo era affatto. 

“Non voglio che lei guardi.”
Quasi non udì la voce del padre, che le mise una mano sulla spalla, ma un’altra le afferrò il mento proprio quando fece per per voltarsi, immobilizzandolo il volto:

“No, lei guarderà invece.”

Maxine non piangeva spesso, nemmeno da piccola. Eppure quel giorno, nell’aula dell’ormai ex Wizengamot, iniziò a versare lacrime quasi senza rendermene conto: le sue mani strinsero quella dell’uomo che aveva accanto, non conosceva il nome ma era certa di averlo visto sulle pagine della Gazzetta del Profeta in passato, cercando di allentarne la press, ma quelle rimasero ferme al loro posto, sigillando la morsa sulla sua mascella.

“Ti prego… non voglio.”
“Guarda.”

Maxine scosse il capo e le lacrime pagarono la mano del Mangiamorte che aveva accanto, ma lui non ci bado e accennò a sua madre quasi sorridendo. 
Così Maxine Keenan, quel giorno, si ritrovò inchiodata su una sedia esattamente come sua madre, costretta a guardarla mentre subiva il bacio del Dissennatore. 

Perché un destino così crudele, Maxine non lo comprese mai. Perché non l’avessero semplicemente uccisa, non lo capì. Non riuscì nemmeno a spiegarsi perché costringere una ragazzina di sedici anni ad assistere allo spettacolo più raccapricciante della sua vita, un episodio che mai avrebbe potuto dimenticare.
Suo padre, accanto a lei, chinò il capo, la testa tra le mani per cercare di non ascoltare le urla della moglie. 

E Maxine piangeva come non aveva mai fatto prima. Piangeva anche mentre i suoi occhi chiari si catalizzavano sul volto quasi orribilmente soddisfatto di Dolores Umbridge, quando il corpo di sua madre giaceva ormai inerme sulla sedia, praticamente privo di vita. Privo d’ anima.

La mano lasciò il suo volto, ma Maxine invece di distogliere lo sguardo lo tenne fisso davanti a sè. Guardò quella donna che già in passato aveva odiato e decise che, un giorno, il suo stesso viso sarebbe stata l’ultima cosa che avrebbe visto.



*


Quando, poco dopo, Carmilla entrò nella cantina attirò l’attenzione di tutti inpresenti su di sè, ma non prese subito posto al tavolo unendosi ai “colleghi”: rimase in piedi davanti alla porta aperta, un’espressione piuttosto seria stampata in volto quando parlò con tono fermo:

“Scusate il ritardo. Io ed Erza venendo qui abbiamo trovato un intruso.”

Queste parole bastarono per far raggelare tutti i presenti, che sgranarono gli occhi con orrore e fecero per chiederle come, quando, dove e di chi si trattasse quando anche Erzsébet spuntò sulla soglia, tenendo Henry caricato in spalla:

“Qualcuno conosce questo bambino?”
“Sono Henry!”

“Mai visto prima d’ora.”
Audrey si strinse nelle spalle, rivolgendogli una breve occhiata mentre teneva le mani intrecciate tra loro e appoggiate sul ripiano del tavolo mentre Erik, accanto a lei, la imitava.

“Ma Tìa! Tía Max, diglielo!”
“Come fa quel bambino che non ho mai visto prima a sapere il mio nome?!”  Maxine sgranò gli occhi, parlando con studiato stupore alle parole del bambino mentre Erzsébet, impassibile, annuiva e si rivolgeva alla sorella:

“Bene… Carma, mi ricordi che cosa facciamo qui agli intrusi?”
“Se non sbaglio quando siamo arrivate Julia ha detto di aver bisogno di legna per il caminetto…”

“Bene signorino, ora fili di sopra a fare da carburante allora!” 
Erzsébet annuì e, cercando di non ridere e di ignorare le proteste del bambino, fece per voltarsi e tornare di sopra quando quasi si scontrò con Rain, che sorrise dopo aver sceso le scale quasi di corsa:

“Oh, ciao Erzsébet… Piccolo Henry, cosa fai qui?”  La bionda sorrise dolcemente al bambino, che ricambiò allegramente e la guardò con affetto:
“Ciao Rain!”
“Abbiamo trovato questo intruso di sopra, probabilmente è una spia dei Carrow sotto le spoglie di adorabile bambino.”
“Non è vero, sono un bambino! Chi sono i Carro?”
“Brutte persone. Vieni piccolo, andiamo dalla nonna. Ragazzi, torno subito, riporto l’infante dove deve stare.”

Erzsébet sorrise appena prima di superare Rain ed Edric e tornare di sopra con Henry, che le strinse il collo con le braccia e le rivolse un’occhiata preoccupata:

“Erza?”
Di norma Erzsébet si faceva chiamare in quel modo solo dalla sorella, ma il suo nome era fin troppo complicato per un bambino di tre anni e gli permetteva di chiamarla con quel nomignolo. Aveva provato a resistere, ma poi si era sciolta come tutti gli altri di fronte al suo faccino.

“Sì?”
“Davvero mi metti nel forno?”
Il tono del bambino era così malinconico da farla sorridere, scuotendo il capo mentre gli accarezzava i capelli scuri con una mano:
“No piccolo, non oggi. Ora però tu torni a colorare, ok? Dobbiamo parlare di cose da grandi, poi la zia verrà da te.”
“Anche io sono grande!”
“Certo, sei già un ometto, ma questo loro non lo capiscono, lo sappiamo solo noi due.”


*



“Adesso che cosa succederà?”
“Beh, tu a Settembre andrai a scuola…”
“Non voglio andarci!”
“Certo che ci andrai, Max. Non puoi non andare a scuola d devi iniziare il sesto anno. Non mi piace mandarti nel covo dei Carrow e di Piton, ma non ci sono molte altre soluzioni.”

Max sbuffò, lasciandosi cadere su una sedia e incrociando le braccia al petto: non moriva dalla voglia di tornare a scuola, anche se i suoi amici le mandavano, ma non voleva nemmeno lasciare suo padre da solo. Non dopo la perdita della madre e tutto quello che stavano subendo gli Auror in quel periodo.

“Non voglio lasciarti solo, papà.”
“E non sarò solo. Hai presente Charlie Blaine?”
“Certo, era collega della mamma ed è vostro amico da parecchio… Perché?”

“Lui ha… ha perso sua moglie anche lui, come ben sai, Max. E ha un figlio che ha alcuni anni in meno di te, Hunter, pensavo di aiutarli e di farli venire a stare qui.”
“QUI?”
“Sì, qui.”



*


“Bene, ora direi che possiamo cominciare. I Carrow hanno levato le tende ieri sera, e come abbiamo già stabilito sarebbe oltremodo sciocco, da parte nostra, non approfittarne. Alecto qualche giorno fa ha convocato me e Max per informaci della sua partenza, ma non ci ha detto dove lei e Amycus sarebbero andati… ergo, loro non sanno che noi sappiamo. Possiamo usarlo a nostro vantaggio.”

“Per essere una Tassorosso sei piuttosto subdola, Faye.”
“Se vuoi sopravvivere da queste parti devi esserlo, Quinn. In ogni caso, Alecto ci ha espressamente chiesto di controllare i ragazzi del Covenant durante la sua assenza, ed è esattamente quello che faremo… a modo nostro, certo.” 

“Niente mummie per un po’, finalmente si ragiona.”
Raphael sorrise, improvvisamente piuttosto allegro di fronte alla prospettiva di non dover subire le angherie dei fratelli Carrow per qualche tempo, e Max per tutta risposta annuì, sfoggiando però un sorrisetto che attirò immediatamente l’attenzione di Hunter e gli fece presagire qualcosa di catastrofico:

“In effetti, Raphael, noi pensavamo a qualcosa di… permanente.”
“Permanete? Volete farli sparire? Davvero? Non sarà rischioso?”
“O adesso o mai più, se facciamo in modo che non tornino ma più a Londra adesso i sospetti su di noi saranno minimi, perché ripeto: loro non sanno che noi sappiamo, nessuna Sentinella dovrebbe essere a conoscenza di questo piccolo dettaglio.”

“Certo, ma ci somministreranno il Veritaserum nella migliore delle possibilità, e a quello come sfuggiremo?”
“Facile, noi non sapremo o non ricorderemo nulla… quando tutto sarà finito ci modificheremo la memoria a vicenda, nel caso più drastico. Nella migliore delle ipotesi… Edric ha proposto un’idea molto interessante ieri.”

Max rivolse all’ex Corvonero un cenno, invitandolo a parlare mentre i presenti si voltavano verso di lui, che come suo solito non aveva aperto bocca dall’inizio della riunione: Edric, abbandonato contro lo schienale della sedia e le braccia conserte, si mise a sedere più dritto prima di schiarirsi la voce e parlare con tono neutro, l’attenzione di tutti su di sè:

“Io e Nathan eravamo al Covenant il giorno in cui Maxine e Faye sono state convocate… le abbiamo incontrate, dopo, c’era anche Rain. Come loro già sanno, ho pensato che la sparizione improvvisa dei Carrow sarebbe un vero e proprio colpo, creerebbe uno scalpore che forse noi faremmo meglio ad evitare. Tuttavia, concordo sul fatto che dobbiamo approfittarne e togliendo di mezzo i Carrow potremmo assicurarci il controllo della scuola… stavo pensando, però, che forse sarebbe più conveniente che non sparissero. Non del tutto, almeno, non per il resto del mondo.”

“E allora cosa proponi, di ucciderli e gettare i corpi nelle segrete, conservarli con degli incantesimi e prendere le loro sembianze a turno?”

Erik inarcò un sopracciglio e si rivolse al collega con papabile tono scettico, ma quando Edric non rispose e si limitò ad incurvare le labbra in un lieve sorriso Carmilla, dopo qualche istante di assoluto silenzio, prese la parola sorridendo a sua volta:

“In realtà… credo che l’idea fosse questa, Erik.”


*


“QUANTE VOLTE TI HO DETTO DI NON ENTRARE IN CAMERA MIA!?”
“Sai che tragedia, non c’è niente di interessante dentro!”

“Questo lo dici tu, perché sei solo un bamboccio! Stai lontano dalle mie cose e fila in camera tua!”
“Io non sono un bamboccio!”

Maxine sbuffò e, dopo aver preso Hunter per un. Faccio, lo trascinò verso la sua camera con ancora l’accappatoio addosso dopo averlo trovato nella sua stanza una volta uscita dalla doccia.
“Vai in camera tua e restaci, Hunter.”
“Tu non sei la mia mamma, e nemmeno mia sorella!”
“E tu non sei mio fratello, ma a quanto pare devo badare a te, quindi fattene una ragione. Come se non avessi già abbastanza problemi, devo anche fare la baby-sister ad un ragazzino... tua madre doveva proprio essere una santa!”

Max, dopo averlo lasciato nella sua stanza, girò sui tacchi per riattraversare il corridoio e andare ad asciugarsi i capelli, ma Hunter la segui con lo sguardo e dopo un attimo di esitazione parlò a voce alta, gli occhi azzurri pieni di lacrime:

“Sei… sei una vecchia befana!”
“COSA HAI OSATO DIRMI!”

Max si voltò, ed era anche pronta ad impugnare la sua ciabatta come arma letale, ma si bloccò quando vide il suo nuovo “coinquilino” inginocchiato davanti al letto, il viso nascosto sulle braccia.

“… Hunter?”

Accidenti. Lei non era certo un’esperta di bambini dopotutto, non aveva avuto fratelli o sorelline. 

Non ricevendo risposta, ma solo un singhiozzo mesto, Maxine sospirò e si avvicinò di nuovo al bambino, raggiungendolo e inginocchiandosi accanto a lui per mettergli una mano tra i capelli biondi:

“Ehy, senti… scusa. Sei un bravo bambino, sono sicura che la tua mamma ti amava tantissimo. Anche a me manca la mia. Non… non sei un bamboccio.”
“E tu non sei una vecchia befana.” 
La voce di Hunter arrivò ovattata alle sue orecchie ma Max sorrise lo stesso, annuendo prima di parlare di nuovo a bassa voce:

“Facciamo pace? I nostri papà hanno già tanti problemi, senza che noi litighiamo sempre.”
“Ok.”

Hunter annuì e, dopo aver sollevato il capo, sfoggiò un sorriso birichino prima di alzarsi e sfrecciare via di nuovo, ridendo:

“FREGATA, ora leggerò il tuo diario!”
“Ma io non ho un diario, è da femminucce!”
“Allora ti ruberò i reggiseni!”
“MOCCIOSO, STAI LONTANO DELLA MIA BIANCHERIA! Merlino, quanta pazienza…”



*


“Certo, è rischioso, ma pensateci: i Mangiamorte ci danno ordini e basta, non ci hanno presenziare alle loro riunioni. Nelle vesti dei Carrow invece potremmo farlo, sapremmo TUTTI i loro dannati piani in tempo reale!”
“Non lo so Nathan, la Pozione Polisucco è rischiosa, non ha effetti molto duraturi…”
“Oh, al diavolo, siamo perfettamente in grado di prepararne a sufficienza e periodicamente. Sarà difficile, è vero, ma così potremmo muoverci molto più liberamente all’interno del Covenant e risparmieremmo angherie brutali ai ragazzi… guardate Penny!”

Nathan accennò alla bionda che abbassò lo sguardo, leggermente a disagio, prima che Aeron sospirasse passandosi nervosamente una mano tra i capelli:

“Ci dobbiamo riflettere, ma il tempo non è molto. Vista l’assenza dei Carrow potremmo discuterne direttamente al Covenant… diamoci un giorno di tempo, domani ne riparleremo tutti insieme.”
“Bene, io a questo punto vorrei solo mettere una cosa in chiaro, e secondo me rappresenta il problema più grande…”

Quinn si alzò mentre parlava e Audrey alzò gli occhi al cielo prima di rivolgersi a Faye, mormorando qualcosa a bassa voce:

“Posso solo immaginarlo…”

“IO non mi trasformo in Alecto!”  

Faye, così come Rain, Erik ed Aeron, soffocò una debole risata mentre Audrey roteava gli occhi ed Erzsébet invece annuiva, parlando con tono fermo:

“Richards ha ragione gente, io non prendo le sembianze della megera! Non sarò una divinità scesa in terra ma sto benissimo così, grazie tante.”
“Erza, non dire assurdità, in confronto a lei sei Miss Mondo.”
“Grazie Carma, anche se in realtà stai facendo un complimento a te stessa…”

“I turni per chi si trasformerà li stabiliremo più avanti, anche se sarebbe meglio mantenere i sessi corrispondenti, in effetti…”
“Dici così perché non vuoi trasformarti in Amycus, Max?”
“Se proprio ci tieni tu puoi trasformati in Alecto, fratellino.”

Maxine rivolse un’occhiata di sbieco ad Hunter, che rabbrividì alla sola idea mentre Penny invece annuiva, voltandosi verso di lui a sua volta e guardandolo con un lieve sorriso:

“Ho sempre pensato che il taglio di Alecto ti donerebbe moltissimo…” 
“Per favore, piuttosto mi trasformo in mia nonna.”
“Tua nonna è morta.”
“Appunto.”

Aeron, dopo aver rivolto una fugace occhiata all’orologio, si schiarì la voce e si alzò, facendo cenno ai colleghi di imitarlo:

“Direi che abbiamo sequestrato i ragazzi abbastanza per oggi… in fin dei conti è domenica. Ci vediamo domani ragazzi, e siate puntuali, ve ne prego.”
“Colpa delle fette biscottate…”
“Hai detto qualcosa Erzsébet?”
“Io? Nulla, nulla…”


*


“Non voglio che tu vada via.”
“Torno preso Hunter, starai benissimo anche senza di me.”

La stanza era al buio, anche se di tanto in tanto la luce naturale dei fulmini illuminava le pareti e il letto da una piazza e mezza dove Max, sorridendo, parlava a bassa voce con il ragazzino che si era intrufolato sotto le coperte poco prima e che ora l’abbracciava.

“Non è vero, senza di te mi annoierò. Non mi piace stare da solo.”
“Ti ci abituerai… e sono certa che i nostri papà cercheranno di fare turni meno lunghi sapendoti da solo. Nemmeno io vorrei tornare a scuola, ma devo.”
“Perché? Non ti piace?”
“Mi piaceva piccolo, ma temo che quest’anno sara tutto molto diverso. Mi mancherai, tu e i tuoi guai, moccioso.”

“Anche tu Max. È stato bello avere una sorella.”
“Ehy, guarda che non me ne vado per sempre! Qualcuno deve occuparsi di te e ormai ho deciso che lo farò.”

Hunter sorrise appena, quasi come se fosse felice di averglielo sentito dire mentre Max gli sistemava distrattamente una ciocca di capelli biondi:

“Davvero?”
“Davvero. Non so cosa succederà Hunter, forse le cose peggioreranno, ma io tornerò a casa, te lo prometto.”



*


“Grazie ancora per le lasagne, sei il mio salvatore! Vuoi fare qualcosa in particolare o torni subito a scuola?” 
Hunter stava uscendo dal ristorante quando si sentì. Prendere sottobraccio dalla sorella, che comparve accanto a lui con un sorriso allegro:
“Figurati, tu non devi nemmeno avvicinarti ai fornelli, lo sai. In realtà… pensavo di dormire a casa, stasera.”

“Davvero?” Max sorrise, quasi illuminandosi e appoggiando il capo sulla sua spalla quando lo vide annuire:
“Mi fa tanto piacere, a volte stare sempre da soli è un po’… pesante.”
“Lo so. Mi ricordo l’anno passato da solo, mentre tu eri ad Hogwarts… tremendo. Ma la mia impavida Grifondoro doveva tornare a studiare, dopotutto.”

“Già, e il mio odio per i Carrow è nato proprio lì. Non parliamone, quest’impavida Grifondoro non ha avuto nemmeno modo di combattere nella battaglia dove è morto Harry Potter.”
“Eri una ragazzina Max, ti è stato imposto di non restare, lo sai bene. Fosse stato per te saresti rimasta, ma forse sono felice che tu non l’abbia fatto, non so dove sarei senza di te.”

“È bello che tu lo ammetta. Vieni, andiamo a casa, ci mangiamo le lasagne.”


*


Da dopo la morte di Harry Potter, che aveva sancito la definitiva vittoria del Signore Oscuro, il Dipartimento degli Auror era stato smantellato e suo padre, così come quello di Hunter, avevano iniziato a lavorare insieme alla dogana magica, assicurandosi che nessuno battesse la ritirata senza autorizzazione per sfuggire al regime, specie Mezzosangue o Nati Babbani.

Maxine, che non aveva avuto modo di terminare gli studi ad Hogwarts a causa della guerra, infondo sapeva da tempo che c’era qualcosa sotto, qualcosa che suo padre non le diceva… eppure non aveva mai insistito, sapendo che Dorian voleva solo proteggerla. 
Fino a quando non era sopraggiunta, inaspettata ed inesorabile, la condanna. Qualcosa doveva essere andato storto, ma ai vertici Dorian e Charles erano stati scoperti, i loro tentativi di aiutare le persone a scappare erano stati resi noti. 

Da un giorno all’altro Max si ritrovò sull’orlo del precipizio, il denaro di suo padre era stato congelato immediatamente e per pensare ad Hunter si era vista costretta a fare qualcosa che anni prima avrebbe reputato impensabile: aveva rinnegato suo padre, la persona che forse amava di più al mondo, per evitarsi lo stesso destino. 
Perché qualcuno, dopotutto, doveva pensare a quel ragazzino che stava per perdere anche suo padre.  

Ora Maxine era seduta, gli occhi fissi su suo padre è quello che era diventato quasi uno zio. 
Esattamente come per sua madre, costretta ad assistere alla loro esecuzione. Guardò suo padre camminare accanto a Charles, strattonato da un Ghermidore a cui Maxine avrebbe volentieri cavato gli occhi, e pensò a quando le faceva vedere il Dipartimento tenendola sulle spalle. 
Sembrava un’altra vita, e forse in effetti lo era. 

Quel giorno Max non pianse, aveva versato tutte le sue lacrime per sua madre molto tempo prima. Guardò solo suo padre voltarsi, incrociare il suo sguardo e dirle silenziosamente quanto le volesse bene. 
Anche Charles la guardò, un attimo prima di andarsene. Le disse qualcosa muovendo le labbra e Maxine annuì impercettibilmente prima di abbassare lo sguardo, cogliendo comunque i lampi di luce verde.


Quel giorno, il suo ultimo giorno, Charles Blaine le disse “Proteggilo”, e Maxine non avrebbe mai smesso di onorare quella promessa.



*


“Mamà?”
Audrey entrò in cucina per salutare sua madre, ma invece della donna ad andarle incontro fu un sorridente bambino che le abbracciò le gambe con aria contenta:
“Tìa! Eccoti!”  

“Ciao piccolo. Tra poco andiamo, ok?”
“Sì! Al parco?”
“Va bene, torniamo a prendere Snow e poi andiamo lì. Prendi Duchessa.”

Henry annuì e poi trotterellò via per prendere la gabbietta della gatta, proprio mentre Audrey sorrideva debolmente alla madre, che le si avvicinò pulendosi le mani in uno strofinaccio:

“Ciao mija… com’è andata la riunione?”
“Bene. Mi dispiace per l’improvvisata, mi hanno colta di sorpresa.”
“Todo bien mi amor, Henry è sempre il benvenuto, così come tu e i ragazzi. Quanto al fatto che ti dimentichi le cose, avresti bisogno di un po’ di riposo.”

Julia rivolse un’occhiata critica alla figlia che però venne ricambiata solo con un sorriso mesto e una debole scrollata di spalle prima che la ragazza si porgesse verso di lei, dandole un bacio su una guancia:

“E chi non ne avrebbe? Ma guardaci mamà, non abbiamo tempo per fermarci. Hasta luego, gracias por el niño.”
“Escuchame mija, no puedes hacer todo en esto modo, sin hacer nada por tu vida! Ah, se mi ascoltassi almeno una volta… Hai mangiato qualcosa da quando sei sveglia?”

Audrey era già uscita dalla cucina per andarsene insieme ad Henry, ma la voce della madre arrivò comunque alle sue orecchie, facendole alzare gli occhi al cielo:

“Mamà, non sono io la bambina qui!”
“Yo no estaria asì segura…”



*


Dopo aver intercettato quello che aveva tutta l’aria di sembrare un contrabbandiere, Maxine si era premurata di perlustrare tutto il suo “carico”, e a colpirla maggiormente fu ciò che trovò in una gabbia coperta da uno straccio polveroso: la ragazza aggrottò la fronte mentre si avvicinava alla gabbia da cui provenivano lamenti indefiniti, esitando prima di sollevare il panno.
Poteva esserci di tutto dentro, dopotutto… ma lei era pur sempre un’impavida Grifondoro e non si sarebbe certo fatta spaventare da una bestiolina, così si decise e scostò il panno.

Per nulla preparata a quello che vide. 
Maxine sgranò gli occhi e quasi non si accorse di aver lasciato cadere il panno, troppo concentrata sugli enormi occhioni neri che la fissavano spaventati, mentre il piccolo Demiguise tremava impaurito in un angolo della gabbietta.

“Oh… ciao! Ciao piccolo… no, non diventare invisibile, non voglio farti del male. Vieni qui.”

Max allungò le mani per prenderlo delicatamente tra le braccia, accarezzandogli il pelo e guardando il cucciolo tremante con compassione:

“Quel brutto ceffo ti voleva rivendere per il tuo pelo, vero piccolo? Tranquillo, io non lo farei mai. Vieni a casa con me? Tanto ho già un altro scimmiotto a cui badare, uno in più, uno in meno, che differenza vuoi che faccia? Ma sì… per il nome… mah, per ora ti chiamo Silver, va bene?”    

Il Demiguise sembrò gradire perché si ancorò a lei circondandole il collo con le zampe anteriori argentee in una specie di abbraccio, che la fece sorridere mentre si rialzava:

“Ecco, allora è deciso, vieni con me. All’altro scimmiotto piacerai un sacco, vedrai.”



*


“Max. Che cosa ti sei messa addosso?”
“Ti piace?”

Hunter ormai era certo di aver fatto l’abitudine alle magliette oscene e prive di senso della sorella, ma lei continuava comunque a stupirlo: Max sorrise e, voltatasi con aria soddisfatta, afferrò il lembo della sua maglietta bianca e azzurra per mostrargliela al meglio mentre scaldava le lasagne per il pranzo sul fornello.

A caratteri cubitali celesti spiccava la scritta “HO LA TESTA SULL’ALTRA SPONDA.”

“Ma dove le trovi queste cose…”
“Ne vuoi una uguale? Così andiamo in giro coordinati…”
“Neanche morto!”

Hunter sfoggiò una smorfia disgustata e Max, ridendo, gli si avvicinò sul divano e, preso un cuscino, glielo premette sulla faccia dopo esserglisi sistemata a cavalcioni:

“Non insultare i miei vestiti, moccioso!”
“Considerando che ti ho portato il pranzo mi posso permettere di dire ciò che voglio! Levami questo cuscino dalla faccia.”

“Beh, considerando che IO ho fatto la sguattera dai Greengrass e ti ho pagato la retta al Covenant con lo stipendio una volta divenuta Sentinella, sei tu ad essere in debito.”
“Ho lavorato anche io, ti ricordo!”
“Lo so, eri il cuoco più invidiato dell’Inghilterra magica… e io ho la fortuna di averti come fratellino.”

“La sorellona più viziata del mondo. Senti, Scheggia… riguardo quello che hanno detto oggi, se deciderete davvero di farlo promettimi che starai attenta, ok?”
“Sei nella Causa anche tu Hunter, vale anche per te.”

Silver intanto, il Demiguise di Max, si era avvicinato furtivamente al fornello per sbirciare cosa emanasse quel buon profumino mentre i due fratelli stavano ancora parlando sul divano, del tutto incuranti:

“Sì, ma sei tu quella più esposta, io tengo il più possibile un profilo basso a scuola, cosa che tu non sei in grado di fare… stai attenta, ok?”
“Ma non dovrei essere io la mammina, qui?”

“In teoria sì, ma visto che sono io il più responsabile ho dovuto prendere le redini.”







………………………………………………………………………..
Angolo Autrice: 

Buonasera! 
Ed eccoci con Maxine alias Sorellona alias Scheggia, so che è molto lungo ma temo che saranno un po’ tutti così, in realtà avevo anche altre cosa da dire ma ho dovuto tagliare.
E ora, tre cose prima di chiudere:

Questa volta dovete votare tra:   
-    Edric 
-    Faye
-    Erzsébet 
E mi sono scordata di dirlo l’altra volta, scusate… ovviamente non potete votare per il vostro personaggio;

Ci tenevo, inoltre, a ringraziare Astal e FuriaBianca per avermi recentemente inserita tra gli autori preferiti;
Infine… questo è il piccolo Henry:
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E con questo vi saluto, a presto spero!
Signorina Granger



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Capitolo 6
*** Edric Marlowe ***


Capitolo 4: Edric Marlowe 

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Jack sta piangendo da ormai qualche minuto, forse vuole la mamma, ma lei sta parlando con la vicina appena fuori dalla porta di casa e Edric non sa che fare per calmare il fratellino. 

“Jack… Jack, guarda!”
Edric ha solo quattro anni, ma è un bambino sveglio e ormai ha imparato che alcune cose che riesce inspiegabilmente a fare – la sua mamma dice che è speciale – riescono a far ridere il fratellino quasi sempre: la finestra è aperta, è estate del resto, e una folata di vento porta nella camera delle foglie che fluttuano fino al lettino di Jack, vorticando sopra la testa del bimbo. 
Jack posa gli occhi azzurrissimi – che i fratelli condividono – sulle foglie e mentre le osserva meravigliato smette di piangere, allungando subito dopo le minuscole mani per cercare di afferrarle. Ma tra quelle dita non c’è altro che aria e il piccolo Jack, deluso, inizia ben presto a singhiozzare nuovamente con gran rammarico del fratello maggiore, che sgrana gli occhi e non sa sinceramente come fare per calmarlo.

“No Jack, non piangere… ecco, tieni la foglia!”
Edric vuole prendere una di quelle foglie per darla al fratellino, affinché smetta di piangere, così alza lo sguardo e ne osserva una di un bel verde acceso, liscia, e proprio quando pensa che gli piacerebbe prenderla si sente improvvisamente più leggero. 
Edric tende un braccio e un attimo dopo sorride, la fogli stretta tra le dita pallide: anche Jack sorride, ride mentre lo guarda e batte le mani:

“Ed!”
Edric abbassa lo sguardo e sorride al fratellino, senza fare troppo caso al fatto di trovarsi a due metri d’altezza, prima di abbassarsi e porgergli la foglia con un sorriso:

“Ecco… bella, vero?”
“Sì! Anche io voglio volare!”

Edric gli assicura che presto lo farà proprio quando nella cameretta entra la madre, che trovando il figlio a più di un metro d’altezza sbarra gli occhi e si affretta ad afferrarlo per la vita per rimetterlo con i piedi per terra, parlando a bassa voce:

“Bambini, cosa… EDRIC! Cosa fai?! Scendi subito, non devi farlo davanti alla finestra!”
“Scusa mamma… le persone non devono sapere che sono speciale?”

Edric la guarda, deluso, e Althea sorride dolcemente mentre prende in braccio Jack e poi accarezza il viso pallido del figlio maggiore con una mano, guardandolo con indescrivibile affetto:

“Tu sei molto speciale, Edric. Ma no, non è il caso che tutti lo sappiano… un giorno capirai perché.”


*


Volare
La sua capacità, straordinaria anche nel mondo dei maghi, aveva sempre destato grande meraviglia. I suoi stessi genitori avevano stentato a crederci, le prime volte in cui l’avevano visto librarsi a mezz’aria senza alcuna difficoltà.
Da piccolo non lo sfruttava quasi mai, e ad Hogwarts gli era stato proibito di farlo per evitare che si allontanasse troppo dal castello, ma una volta terminata la guerra Edric si era ritrovato a volare sempre più spesso: al Covenant erano rimasti affascinanti dalla sua peculiarità e non avevano mai esitato un solo istante per sfruttarla. 

Edric era seduto sul cornicione del palazzo, le gambe penzoloni nel vuoto e gli occhi chiari fissi sull’ingresso del palazzo di fronte, chiuso. Ma non per molto, lo sapeva. 
Era buio, sicuramente dal basso scorgere la sua figura sarebbe stato impossibile: era sempre stato molto bravo a muoversi senza far rumore, passare inosservato era la sua specialità. Era raro che fallisse o avesse particolari difficoltà in missioni di quel tipo.

Erano le dieci passate, presto l’avrebbe vista risalire il marciapiede per raggiungere il suo appartamento nel palazzo. Doveva solo aspettare un altro poco, poi sarebbe potuto tornare a casa.
Cominciava ad annoiarsi, in effetti.

Per lo meno, i suoi colleghi gli erano sembrati discretamente convinti della sua idea, quella mattina. Edric sperava davvero che acconsentissero: gli avrebbe dato non poca soddisfazione. 

L’ex Corvonero stava giusto immaginando quello scenario quando qualcosa attirò la sua attenzione, riportandolo improvvisamente sull’attenti, la schiena rigida e il collo teso: una donna stava camminando sul marciapiede, sola. 
Frugava nella borsa alla ricerca di delle chiavi che non le sarebbero mai più servite.

Edric estrasse la bacchetta dalla tasca interna del cappotto nero che indossava. Poi prese la mira con cura. Si trovava ad una distanza considerevole, ma ormai ci aveva fatto l’abitudine,,, agiva sempre così, da lontano. Preferiva evitare di doverli guardare negli occhi prima che la vita se ne andasse dalle loro iridi. 

Un Incantesimo non verbale lanciato nel buio, poi Edric ripose la bacchetta nella tasca e si smaterializzò subito dopo, prima di sentire le grida allarmate di qualche altro passante che scorse il corpo privo di vita sul marciapiede.
Anche per quella sera, il suo lavoro era finito.


*


“Marlowe, Edric.”

Edric, dopo essersi avvicinato quasi timidamente al Cappello Parlante con leggera titubanza, aspetta in religioso silenzio la sua sentenza.
Il Cappello borbotta qualcosa a proposito della sua intelligenza, lo definisce un “ ragazzino sveglio” ma Edric spera solo che faccia in fretta: il Cappello è grande e gli è calato sugli occhi, non gli piace non vedere cosa succede intorno a sè, specie in un posto nuovo.

Alla fine, quando il Cappello lo indirizza tra i Corvonero, il ragazzino sorride e si sfila il copricapo magico prima di consegnarlo alla Professoressa McGranitt. Poi si dirige verso la tavolata che sta applaudendo e prende posto di fronte ad un ragazzino dai capelli castani che lo guarda con curiosità: è stato appena Smistato, subito prima di lui, e Edric si sente rincuorato nel constatare che non è l’unico a sembrare spaesato. 

“Ciao.”
“Ciao.”

Edric ed Haze si guardano, si studiano quasi, poi il primo si ricorda che sua madre gli ha raccomandato di fare il signorino educato e tende la mano al nuovo compagno di scuola:

“Sono Edric.”
“Sì, lo so. Io sono Haze.”
“Lo so anche io!” 


Non parlano molto, Haze ed Edric… ma ad entrambi va bene così. 
Poi, durante la cena, corre voce che il famoso Harry Potter sia arrivato a scuola a bordo di un’auto volante, ma quando Haze, meravigliato, gli chiede che ne pensa Edric si limita a stringersi nelle spalle: non c’è proprio niente di straordinario nel volare, secondo il suo parere.


*


“Tu che cosa ne pensi?”
“Dell’idea di Edric? Drastica, ma forse ha ragione, bisogna fare sul serio se si vuole ottenere concretamente qualcosa.”

Penny annuì alle parole di Larisse, che era seduta di fronte a lei sul davanti alla finestra. La bionda teneva gli occhi fissi sul cielo ormai buio che sono montato tutta Londra mentre la compagna e amica, di fronte a lei, faceva lo stesso parlando a bassa voce per non farsi sentire.
Larisse aveva bussato poco prima alla sua porta per parlarne e Penny era sgattaiolata in corridoio per timore di svegliare Anna, la sua compagna di stanza. Hunter aveva deciso di passare la giornata con Max e Wyatt probabilmente era chiuso in camera sua. 
Quanto a Raphael, non lo vedeva dall’incontro… Lud, invece, probabilmente stava sbuffando come una ciminiera mentre puliva i pavimenti per il suo turno di pulizie.

“Di cosa parlate, fanciulle?”
“Oh, ciao… dove sei stato tutto il giorno?”

Penny, voltandosi verso Raphael, inarcò un sopracciglio e guardò il ragazzo con curiosità, ma ricevette solo una debole scrollata di spalle come risposta mentre il compagno si avvicinava alla finestra e si fermava di fronte te a loro, ancora vestito con le mani nelle tasche: 

“Ho seguito l’esempio di Hunter e ho passato un poi di tempo con mia sorella. Vi sono mancato?”
“Terribilmente.” Larisse roteò gli occhi mentre, abbracciandosi le gambe, tornava a guardare fuori dalla finestra. Raphael tuttavia decise di ignorare il suo sarcasmo e sorrise, annuendo di rimando prima di parlare!

“Lo immaginavo.”
“Come mai sei ancora in giro?”
“Stanotte non dormo in camera mia, la lascio a Wyatt. Ci vediamo domani ragazze, buonanotte.”

“Cerca di svegliarti in orario, questa volta!”
“Se non farlo vorrà dire avere te come sveglia personale non lo farò di certo!”

Larisse non raggiunse la trovo altro, limitandosi a sbuffare con leggera irritazione mentre continuava ad evitare di guardare il ragazzo allontanarsi numero corridoio, non potendo così notare il suo piccolo sorriso. Anche Penelope sorrise, rivolgendo all’amica un’occhiata divertita in netto contrasto con lo sguardo quasi cupo della rossa: “Suvvia… Non dirmi che in fondo non ti diverte questa specie di gioco tra di voi.“ 
“Non dire assurdità Penelope! Qui l’unica che si fa gli occhi dolci con qualcuno sei proprio tu.“ 
“Di che stai parlando?”
“Ti prego… Non offendere l’intelligenza di entrambe con questa domanda.”           


*


Edric, in piedi davanti alle porta aperte della Sala Grande, aspetta con un piccolo sorriso stampato sul volto di vedere suo fratello scendere la Scalinata Principale.
Quando scorge finalmente Jack gli rivo,He un cenno e il ragazzino, arrivato solo la sera prima ad Hogwarts, sorride prima di raggiungerlo con aria allegra:

“Ciao! Com’è andata la prima sera?”
“Bene, i miei compagni sembrano simpatici… non riesco a credere di essere davvero qui!”
“Sono felice anche io.”

Edric sorride e gli spettina affettuosamente i capelli scuri, perché anche se non lo ammetterebbe mai ad alta voce gli è mancato avere il suo fratellino intorno nei due anni precedenti.

“Mi spiace che tu non sia nella mia stessa Casa, in realtà. Dimmi, com’è la tua Sala comune? Mi sono sempre chiesto come siano le altre…”
“Scusa cervellone, è un segreto.”
“Sei tra i Grifondoro da un giorno e fai già lo sbruffone? Buono a sapersi!”

Jack ridacchia e lui lo imita mentre, dopo avergli messo un braccio sulle spalle, lo conduce all’interno della Sala Grande. 

“Seriamente, Edric… Quando imparerò a volare?!”
“Su una scopa a breve… quanto a quello che faccio io, temo che non sia propriamente una cosa che si impara, Jack.”

Edric abbassa lo sguardo sul fratellino e sfoggia un sorriso quasi di scuse mentre Jack sgrana gli occhi, apparentemente indignato:
“Quindi mi hai ingannato per tutto questo tempo?!”

“Mi hai scoperto, scusa.”


*


Aveva lasciato la finestra aperta la sera prima e a svegliarlo fu il gracchiare del sul corvo Kuroo, che quando apri gli occhi trovò appollaiato sulla finestra con ben due buste legate alla zampa.
Edric sbuffò debolmente, non trovando la forza di alzarsi e seppellendo invece il viso nel cuscino –  sua madre lo rimproverava fin da piccolo di essere troppo pigro, e forse aveva ragione – mentre la sua gatta Keira saltava sul letto per cercare coccole – e probabilmente la colazione – e degli stridii martellavano le orecchie del padrone:

“Soul, fa silenzio!”

La voce di Edric fece stranamente zittire il falchetto, che però gli rivolse un’occhiata torva mentre, sbuffando, dopo aver lasciato una carezza fugace sul morbido pelo di Keira si avvicinava alla finestra per recuperare le lettere che Kuroo gli aveva portato.

Una era un breve messaggio di Aeron e l’altra, invece, era di Yaxley, che Edric sollevò con una smorfia: doveva contenere il suo nuovo incarico, senza ombra di dubbio. Mai una volta che quel viscido uomo si degnasse di riferire i messaggi di persona. 

“C’è stato un cambiamento nell’assegnazione dei partner. Tu sei con Mallow. Ci vediamo stasera.”

La calligrafia di Aeron era inclinata verso destra e piuttosto disordinata, sicuramente aveva scritto molto in fretta perché aveva dovuto comunicare quel cambiamento a tutto il gruppo… Capitava periodicamente che qualcuno ai piani alti scombinasse i turni, forse per evitare che alcune Sentinelle legassero e si contagiassero con “strane idee”. 
Edric sorrise a quel pensiero, scuotendo debolmente il capo mentre apriva la lettera del Mangiamorte: poveri illusi… la maggior parte di loro si conosceva dai tempi di Hogwarts e avevano studiato insieme anche al Covenant, come potevano sperare che non comunicassero?

In fin dei conti però lavorare con Haze non era un problema, erano amici da anni… gli era andata bene, tutto sommato.

O almeno, così pensò per le due ore successive.


*


Edric esce dall’Infermeria praticamente barcollando, una smorfia sul volto mentre si sfiora lo zigomo violaceo e dolorante.
“Edric!”

Jack, gli occhi sgranati e spaventati, gli si avvicina praticamente di corsa, preoccupato, seguito a poca distanza anche da Haze:

“Ed, mi dispiace, non dovevi prenderti la colpa…”
“Che cosa ti ho detto, Jack?! Devi stare lontano dai guai, ho promesso alla mamma che avrei badato a te, ma se cominci a disobbedire apertamente ai Carrow mi risulterà molto difficile!”

“Scusa, volevo solo dare una mano…”
“Lascia che se ne occupi qualcun altro, devi stare lontano dai guai, mi hai capito?”

Jack annuisce, scuro in volto e mortificato, e Edric sospira mentre gli mette una mano sulla spalla prima di rivolgersi ad Haze, che lo osserva con occhio critico:

“Come stai?”
“Sono stato meglio. E sopratutto sono stanco di questa situazione vergognosa.. da stasera ci trasferiamo nella Stanza delle Necessità, chiederò a Luna di farci entrare. E tu vieni con noi, Jack.”


*


Haze, dopo aver dormito piuttosto male, si era svegliato di soprassalto a causa del forte bussare alla porta di casa. Confuso e assonnato, si era alzato con i capelli arruffati e si era solo premurato di prendere la bacchetta prima di andare ad aprire, mentre Storm si era appollaiato sul divano e ora osservava la soglia dell’appartamento con un misto di timore e curiosità:

“Arrivo, un momento!”

Sbuffando e imprecando a mezza voce contro il suo inaspettato e inatteso visitatore Haze raggiunse la porta a passo di marcia e camminando a piedi nudi sul pavimento, esitando prima di spalancare la porta. Era anche pronto a dover affrontare un Mangiamorte o un’altra Sentinella in vena di attaccar briga, ma quando si trovò davanti sua cugina si rilassò, alzando gli occhi al cielo e sospirando:

“Rain, che cosa ci fai qui?!”
“Hai letto il biglietto di Aeron?! Hanno cambiato i turni, oggi ho un incarico e non saremo insieme!”
“Beh, non è una tragedia, non è certo la prima volta che succede… sì, certo, accomodati pure.”

Rain lo superò senza tante cerimonie e si addentrò nel salotto senza smettere di parlare con fare concitato, gesticolando come se si trattasse di qualcosa della massima urgenza:

“Sono venuta a chiederti se possiamo fare a cambio!”
“Non so quanto sia permesso… e comunque non so ancora a chi sono stato assegnato.”

Haze appellò la lettera con un pigro colpo di bacchetta e l’aprì sotto gli occhi della cugina, che lo osservava con impazienza mentre sedeva sullo schienale del divano, accarezzando distrattamente il pelo argenteo di Storm con una man.

“… Audrey. Tu invece? Qual è il problema?”
“Edric! Insomma, siete amici, non sarebbe un problema per te, no?”
“Ovviamente no, ma non vedo perché debba esserlo per te.”
“Ma possibile che nessuno a parte me si è accorto che non mi sopporta?!”

“Non dire assurdità.”
“È la verità! Non mi rivolge mai la parola, non posso lavorare con lui, mi metterebbe molto a disagio… per favore, Haze.”

“Mi spiace, non voglio farci finire tutti nei guai. Sono sicuro che la tua è solo un’impressione, non vedo perché Edric dovrebbe avercela con te.”

Haze osservò la cugina con un sopracciglio inarcato, senza capire le sue preoccupazioni: Rain era pressoché inodiabile, nessuno lo sapeva meglio di lui. Tutti tendevano ad adorarla, e Edric non gli aveva mai fatto cenno di avere alcun tipo di problema con sua cugina.

“Non ne ho idea, ma ho sempre una strana sensazione.”
“Allora prendila come un’opportunità per chiarire e toglierti questi dubbi.”

Haze si avvicinò alla bionda per metterle una mano sulla spalla, guardandola sospirare e abbassare lo sguardo con aria cupa. Sorrise appena, parlando come a volerla rincuorare:

“Coraggio… non ti farai mica spaventare dal mio amico, vero?”
“Ho la sensazione che sarà un’operazione molto lunga.”

“Personalmente, mi farebbe piacere vedervi andare d’accordo… sii gentile.”
“Io sono SEMPRE gentile, Haze!”


*


Edric non è mai stato tipo da esternare quello che prova, sicuramente non in pubblico, non davanti a persone con cui non è in confidenza. 
Eppure quella sera, la sera del 2 Maggio 1998, non gli importa. 
È una data che, come tanti altri, non potrà mai dimenticare. Una notte che lo ha irrimediabilmente segnato e che ricorderà sempre con un groppo in gola.

Ad Edric non importa delle persone che lo circondano mentre, in lacrime, è inginocchiato sul freddo pavimento di pietra e tiene stretto a sè il corpo altrettanto freddo di suo fratello. 
Haze è in piedi accanto a lui, in silenzio, si limita a guardarlo senza sapere cosa fare o cosa dire, ma Edric quasi non se ne rende conto mentre rivolge al fratello minore frasi sconnesse che Jack non potrà mai ascoltare:

“Ti avevo detto… di stare lontano dai guai. Stupido. Perché non mi ascolti mai?!”
Jack ha solo quindici anni, avrebbe dovuto lasciare Hogwarts per la battaglia, ma non l’ha fatto. Suo fratello è testardo, Edric lo sa, ma si è sempre illuso di poterlo proteggere da chiunque, persino da se stesso. 

Edric non dimenticherà mai quella notte, così come non dimenticherà mai suo fratello, ucciso davanti ai suoi occhi. E non dimenticherà mai nemmeno il volto dell’uomo che lo ha ucciso, un volto che si ritroverà presto davanti giorno dopo giorno. 

“Edric…”
Haze lo chiama, Edric lo sente ma non ci fa caso. Non parla più, guarda solo il volto pallido di suo fratello, Jack, il ragazzino che mai potrà volare.
 E al suo posto vede quello di Amycus Carrow, l’ultima cosa che Jack ha visto prima di morire.   
Ed è in quel momento che Edric promette a se stesso che il suo volto sarà l’ultima cosa che quell’uomo vedrà, presto o tardi.


*




Yaxley aveva scritto di recarsi a Trafalgar Square e fu lì che Edric andò quella mattina, le mani in tasca e camminando con calma tra la discreta folla che animava, come sempre nel fine settimana, uno dei più celeberrimi punti di tutta Londra. 
Stava cercando Haze con lo sguardo, ma quando scorse una figura vagamente familiare seduta si piedi del monumento si fermò, la fronte aggrottata mentre scrutava il profilo di una ragazza bionda che si stringeva le gambe con le braccia e sedeva a capo chino, il mento appoggiato sulle ginocchia e gli occhi fissi sul cemento come se stesse riflettendo.

Quella che aveva davanti era Rain Mallow, non c’era il minimo dubbio su questo. 
Edric sentì una specie di peso sprofondargli tra le viscere e sospirò, maledicendo mentalmente Aeron per non aver specificato il nome del suo partner ma anche se stesso per aver subito pensato ad Haze senza nemmeno farsi venire il benché minimo dubbio.

Del resto però non poteva girare sui tacchi e andarsene, aveva un lavoro da portare a termine e non gli piaceva lasciare le cose s metà… senza contare che trattandosi di Yaxley non avrebbe comunque avuto molta scelta.
Così, dopo un altro attimo di esitazione, l’ex Corvonero si decise e si avvicinò alla ragazza, schiarendosi la voce prima di parlare a attirando così il suo sguardo su di sè:

“Ciao Rain.”
“Oh, ciao. Sembri sorpreso di vedermi.”
“Beh, pensavo… pensavo si trattasse di tuo cugino, Aeron non ha specificato.”

Edric si strinse nelle spalle mentre Rain si alzava, annuendo debolmente e stringendosi nelle spalle:

“Immagino che avresti preferito lavorare con lui, ma ormai è andata così. Entriamo nella Galleria per dare un’occhiata in giro?”
“È il caso, sì.”

Edric annuì e si diresse verso la mastodontica entrata della National Gallery, con Rain subito dietro. 
La bionda, dal canto suo, sbuffò debolmente mentre lo seguiva, leggermente a disagio: non aveva alcun tipo di rapporto con lui, non si parlavano molto spesso e la cosa la metteva a disagio… aveva la sensazione che lui non la sopportasse e nonostante suo cugino si ostinasse a negarlo Rain era certa che ci fosse qualcosa di strano. 
Più di quanto Edric Marlowe non lo fosse già di suo, certo.


*


La testa gli fa male, molto male. Anzi, si può dire che non ci sia una singola parte del suo corpo che in quel momento ti provochi lancinante dolore. E proprio per questo motivo non è la forza di muoversi, rimane steso supino sul freddo e umido pavimento con gli occhi vigili e aperti, quasi in attesa di qualcosa anche se nemmeno lui sa dire cosa. 
Quando sente dei passi avvicinarsi si irrigidisce istintivamente, una parte di sé sa che qui passi sono fin troppo leggeri per appartenere ad un uomo adulto e di conseguenza a chi lo ha torturato fino a poco prima, ma non può fare a meno che restare immobile in guardia. Se c’è una cosa che ho imparato dalla fine della guerra è proprio che non devi smettere mai di preoccuparsi

“Dovresti andare in Infermeria.”
La proprietaria della voce si inginocchia accanto a lui e gli mette una mano sulla spalla, facendolo trasalire senza volerlo. Edric spalanca gli occhi, deglutisce e per miracolo non geme di dolore, ma probabilmente Audrey intuisce comunque che il contatto non gli è gradito e allontana subito la mano quasi come se si fosse scottata. Ma rimane comunque accanto a lui, guardando il compagno di scuola con apprensione:

“Edric… ce la fai ad alzarti?”
“Non credo.”
“Posso… posso chiedere a qualcuno di darmi una mano per portarti in Infermeria. Temo che usando la magia potrei farti male… vado a cercare qualcuno.”

Edric non dice nulla, rimane in religioso silenzio e acconsente in questo modo, poi resta immobile, ancora in attesa. 
Edric odia il Covenant, o almeno le persone che stanno facendo di tutto per renderlo un mostro… il che riesce loro bene, visto che lo sono a tutti gli effetti.

Poco dopo dente di nuovo dei passi, in numero maggiore questa volta, e in un attimo Haze si inginocchia accanto a lui, guardandolo quasi con rassegnazione:

“Che cosa hai combinato?”
“Nulla. Sono solo fin troppo permalosi.”
“Edric…”
“Mi porti in Infermeria o mi lasci qui, Mallow?”

“Ok, ora ti tiriamo su… andiamo…”

Con non poco dolore Edric viene sollevato da Haze e da Quinn, che lo trascinano fino in Infermeria. All’improvviso ad Edric sembra di essere tornato a quell’ultimo anno passato a Hogwarts, solo che ormai non c’è più alcun fratello da proteggere. 



*


Rain camminava tenendo le braccia strette al petto, accanto ad Edric che procedeva con calma, disinvolto mentre teneva le mani nelle tasche del lungo cappotto scuro. Era abituata a fare conversazione durante le operazioni o durante le visite “preparatorie”, come quella che stavano facendo in quel momento alla National Gallery meno affollata del solito, ma che il collega non fosse un tipo particolarmente loquace lo sapeva, dopotutto. 
Era molto amico di suo cugino fin dall’inizio della scuola, lo sapeva, ma lei non lo conosceva altrettanto bene… la incuriosiva molto, certo, ma aveva rinunciato a cercare di conoscerlo meglio quando aveva incontrato quasi reticenza da parte sua, qualche anno prima.

“Edric?”
“Finora ho contato sei uscite di sicurezza, dovremmo cavarcela senza essere notati… ci sarà molta gente, fotografi e giornalisti, ma non è un’impresa impossibile.”
“Edric…”
“Insomma, è rischioso, ma stando attenti e muovendoci con cautela ce la caveremo sicuramente senza problemi, tutto dovrebbe filare liscio.”

“Edric.” Rain si fermò e lui fece altrettanto quando si sentì stregare il polso, bloccandosiistintivamente a abbassando lo sguardo sulla mano della ragazza prima di sollevarlo sul suo volto, incontrando per la prima volta nell’arco della giornata gli occhi della bionda:

“… sì?”
“C’è una cosa che vorrei chiederti.”
“Prego.”
“Io… Quando sono vicino a te sento una strana sensazione. So che non sei un tipo molto loquace, ma da diverso tempo ho l’impressione di non piacerti per niente. È così? Se dovessi averti offeso in qualche modo mi dispiace, non sarà sicuramente stata mia intenzione.”
“Rain, non… non ho niente contro di te. Davvero, te l’assicuro.”

Edric interruppe il flusso di parole quasi balbettate dalla bionda, osservandola con la fronte leggermente aggrottata e con perplessità:

“Oh. Beh, mi fa piacere saperlo… è solo che mi rivolgi a stento la parola e…”
“Non fartene un cruccio, tuo cugino ti avrà detto che sono un po’… particolare. Vogliamo continuare?”

“… Sì, certo.”

Rain annuì e fece scivolare la mano dal polso di Edric, affrettandosi a seguirlo senza aggiungere altro e senza nemmeno pensare all’incarico che li avrebbe coinvolti l’indomani sera, quando un Ministro avrebbe fatto visita al museo e loro avrebbero dovuto farlo sparire.
Lui poteva anche assicurarle di non avere alcun problema con lei, ma c’ era qualcosa di strano, ne era certa.

E Edric, da buon Legilimens, non poté trattenersi dal sentire i suoi pensieri, serrando la mascella con frustrazione ma senza aggiungere un’altra sola parola.


*


“Sei sicuro? Non si torna indietro.”
“Sicurissimo. Ne voglio far parte.”
“Bene, Edric… ora, prima del Voto Infrangibile… hai una richiesta particolare per il tuo nome in codice?”

Edric, seduto di fronte ad Erik Murrey, esitò, gli occhi chiari fissi in quelli dell’ex Serpeverde. Poi parlò di nuovo, con tono fermo e pacato:

“Jack.”

Jack. Jack per non dimenticarsi mai perché era seduto lì quella sera. Jack per non scordare che c’era un obbiettivo, un punto fisso che gli permetteva di andare avanti, di svegliarsi ogni mattina e di non impazzire. 


*


“… Ehy. Come ti senti?”

Quando Raphael entrò nella sua camera la trovò in disordine come sempre, con Wyatt abbandonato sul materasso. Si chiuse la porta alle spalle e si avvicinò all’amico, sedendo sul bordo del letto mentre gli poggiava una mano sulla spalla robusta è piena di cicatrici:

“Sono stato meglio.”
“Vuoi che ti porti qualcosa?”
“No, va bene così. Non fa niente. Dove hai passato la notte?”

“Beh, vista l’assenza dei Carrow sono andato in esplorazione per un po’… e poi sono andato da mia sorella. Ho incrociato Penny e Larisse ieri sera.”
“Ah sì? Avete conversato amabilmente?”

“Certo, sai che mi adorano!”
“Naturalmente. Pensi ancora che possa trattarsi di Larisse?”
“Forse. È difficile decifrarla, lo sai anche tu.”

Wyatt a quelle parole sbuffò debolmente e te, rigirandosi sul fianco con una smorfia di dolore, indolenzito com’era, per poter guardare l’amico in faccia:

“Beh, se è così dovremmo rendercene conto in fretta, Raph.”
“Lo so. Vedrai, ne scoprirò di più, occorre solo un po’ di tempo.”


*


“Sei proprio uno scimmiotto adorabile, non è vero?”
“Non è uno scimmiotto!”

Haze sbuffò debolmente, leggermente contrariato mentre, seduto al tavolo nella sua cucina, parlava rivolgendosi alla collega che era uscita dal suo campo visivo trovandosi in salotto.
L’ex Corvonero la sentì ridacchiare e un attimo dopo Audrey comparve sulla soglia della stanza, sorridente e tenendo Storm, il suo Demiguise, sulle spalle:

“Guarda, mi adora!”
“Siete una bellissima coppia, ma ti prego, abbiamo da fare… non abbiamo finito.”
“Mi spiace, ma devo lasciare te questo bellissimo scimmiotto adesso, il mio uomo aspetta che lo vada a prendere all’asilo. Ciao Storm, ci vediamo presto, promesso!”

Audrey lasciò una carezza sul pelo argenteo del Demiguise prima di sistemarlo sul pavimento, lasciando che trotterellasse verso il padrone per issarsi sulle sue spalle, visibilmente in cerca di attenzioni quel giorno.

“Ci vediamo domani per mettere a punto i dettagli?”  Audrey parlò a voce leggermente alta per sfarsi sentire dopo essere nuovamente sparita nella stanza accanto per prendere il soprabito, lasciando il padrone di casa solo ad alzare gli occhi al cielo:
“Se non hai altro da fare e mi vorrai onorare con la tua presenza…”
“Tranquillo Cappellaio, troverò del tempo per te, non temere. Abbiamo una bella gatta da pelare, dobbiamo fare in modo che fili tutto liscio, Haze.”
“Lo so. Ma per quanto rischioso, io approvo l’idea di Edric.”

“Anche io, lo sai bene. Bene, ora vado… buona giornata. Ciao Storm!”

Audrey rivolse un ultimo, caldo sorriso – come a lui non riservava mai – al Demiguise prima di sparire nell’ingresso e poco dopo Haze senti la porta aprirsi e poi richiudersi subito dopo con uno scatto. Il mago, dopo aver sospirato, si affrettò a ripetere i soliti Incantesimi di protezione per tenere lontano gli intrusi e si chiede al contempo come fosse andata a sua cugina e al suo migliore amico. 
Non potendo immaginare che uno dei due era proprio a pochi metri di distanza, in quel momento.


*


“Oh, to’ guarda chi si vede… ciao. Eri da Haze?”
“Sì… tu stai andando da lui?”
“Passo a salutarlo, sì.”

Edric annuì e Audrey, sfoggiando un lieve sorriso, si fermò davanti a lui prima di parlare, un sopracciglio inarcato:
“Com’è andata con Rain?”
“È andata. A presto Audrey, spero voterai di sì alla mia proposta stasera.”

Edric fece per superare l’ex compagna di scuola ma Audrey non si diede per vinta, voltandosi per seguirlo con lo sguardo e parlando nuovamente, osservandolo a metà tra il curioso e il divertito:

“Sai che lo farò. Mi chiedo solo… insomma, sono curiosa. Da quanto tempo?”
“Potrei farti benissimo la stessa domanda, ma non ho tempo. E nemmeno tu, Henry ti aspetta, no?”

Edric parlò senza scomporsi o voltarsi indietro, superando Audrey per entrare nel palazzo senza che l’ex Serpeverde pronunciasse una sola altra parola. 
Si limitò a seguirlo con lo sguardo, arricciando leggermente le labbra prima di parlare a mezza voce:

“Non è carino spiare i pensieri altrui, Marlowe.”


*


Edric era seduto sul letto, la gatta nera Keira sulle ginocchia mentre disegnava distrattamente sul suo quaderno che usava abitualmente come blocco da disegno.
Era sempre molto piacevole tornare a casa la sera e rilassarsi un po’, magari scrivendo, disegnando un po’ o addirittura suonando il violino, il, suo amato violino, ma era decisamente troppo tardi e non voleva ritrovarsi liste infinite di lamentele da parte dei vicini per il trambusto.

Fu quando sentì picchiettare sul vetro della finestra che si voltò, abbozzando un sorriso nel ritrovarsi davanti il familiare gufo di Aeron. Si affrettò a scendere dal letto per recuperare la lettera e, una volta aperta, un sorriso carico di soddisfazione gli increspò il volto pallido:

Ha maggioranza ha votato sì, congratulazioni. Sembra che alla fine avrai la tua rivincita 


Sì, finalmente l’avrebbe avuta. Aspettava quel momento da tempo, troppo tempo.
Edric sedette nuovamente sul letto e, dopo aver lasciato il biglietto sul comodino, si voltò per accarezzare distrattamente Keira e rivolgere un’occhiata la suo disegno quasi completo, sfiorando la carta con le dita. Aveva tracciato i primi tratti senza un’idea precisa in testa ed ecco che cosa ne era uscito, quasi senza che lo volesse. Sospirò, affrettandosi a chiudere il quaderno e dicendosi di non pensarci, non era il caso o il momento. 

No, aveva ben altro a cui pensare da lì in avanti. 







……………………………………………………………………………
Angolo Autrice:

Buonasera!
Ebbene sì, non sono morta nemmeno questa volta, scusate di nuovo per il ritardo ma il periodo non è proprio dei migliori per scrivere. Spero vivamente di importare meno di due settimane per il prossimo… 
Ecco i nomi di questo capitolo, questa volta tre bei giovanotti perché è arrivato il momento di indagare anche se uno studentello, direi:

-    Ludwig
-    Wyatt 
-    Raphael 

Inoltre, questa volta ho anche una seconda domanda tutta per voi: ebbene sì, è arrivato il tanto agognato momento in cui, se volete, potete scrivermi e comunicarmi le vostre preferenze per un’eventuale relazione per il vostro OC… volendo potete tranquillamente farmi anche più di un nome, del resto siamo ancora all’inizio e non potete avere le idee poi così chiare. Premetto comunque che non è detto che vi accontenterò tutti, mi spiace ma non sarebbe proprio possibile, anche perché io qualche idea ovviamente già l’avrei.
Inoltre, a scanso di equivoci vi comunico che Carmilla NON è disponibile per relazioni con l’altro sesso… e la vedo difficile anche per Aeron, vedrete perché.

È tutto, quindi a presto!
Signorina Granger 

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Capitolo 7
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5



Quando si era svegliato aveva trovato ad accoglierlo una Londra grigia, dal cielo terso di nuvole che di sicuro non aveva contribuito a rendere migliore l’umore generale.
I suoi compagni, al Covenant, avevano accolto con gioia la notizia della partenza momentanea dei Carrow, e anche se lui in primis era ben felice di poter avere un po’ più di libertà spesa il loro controllo costante – e sperava vivamente di non doverli mai più rivedere – Hunter non poteva fare a meno di essere nervoso.

Aveva dormito male, rigirandosi e rigirandosi in quel letto non particolarmente comodo mentre pensava a quello che avrebbero presto fatto sua sorella e i suoi amici. Non era contrario al piano di Edric, ma c’erano diverse cose che avrebbero potuto non funzionare e il ragazzo pregava che andasse tutto bene. 
Non voleva perdere anche sua sorella.

Quando Max gli aveva detto che l’avrebbero fatto davvero aveva provato a convincerla a permettergli di partecipare ma lei era stata ferma e categorica nella sua risposta, un secco “no” che di era ben presto dimostrato irremovibile. 

Tu devi restare a scuola, così gli aveva detto, resta lì e fai finta di nulla. Assicurati che facciano così anche gli altri.

Era molto più facile a dirsi che a farsi e Hunter non aveva un’aria particolarmente allegra mentre si trascinava con passo pesante verso la biblioteca, ben lieto che quel giorno fosse sabato e che quindi non ci fosse alcuna lezione: era assolutamente dell’umore per stare seduto e ascoltare discorsi pieni di insulti verso i Babbani, verso la sua stessa natura di Mezzosangue e lodi verso il mostro che aveva reso la sua vita un inferno prima di quanto non riuscisse a ricordare. 
Non poteva ricordare niente di diverso, in effetti.

Raggiunse la Biblioteca massaggiandosi le tempie e programmando di passare la giornata rintanato in un angolo senza dare nell’occhio e senza dare troppa confidenza a nessuno, non era dell’umore per parlare e non voleva rischiare di far trapelare qualcosa di strano dai suoi atteggiamenti che celavano una buona dose di preoccupazione, ma quando aprì con un gesto secco la porta della sua metà – certo di trovarla deserta a quell’ora, di sabato, quando gran parte dei suoi compagni stava praticamente festeggiando per la momentanea assenza dei “fratelli infernali” – le sue certezze vacillarono: la sala non era vuota, il profilo di una ragazza che gli dava le spalle gli saltò immediatamente all’occhio, riconoscendola in un attimo.

Esitò, ma poi Hunter si chiuse lentamente la porta alle spalle per non disturbarla prima di avvicinarlesi, abbozzando un sorriso appena percettibile quando l’ebbe raggiunta:fermandosi accanto a lei prima di parlare:

“Posso sedermi?”
Penelope smise di scrivere e alzò lo sguardo, sorridendogli quando lo vide prima di annuire, guardandolo come se fosse felice di vederlo:

“Certo. Anche tu sei già in piedi?”
“Ho dormito male, continuavo a… pensare a tutte le cose che potrebbero andare storte. Tu invece sei mattiniera come sempre, vedo.”

“Già, io non… non amo dormire.” Penelope si strinse nelle spalle, inclinando le labbra in un debole sorriso mentre abbassava lo sguardo sul suo rotolo di pergamena. Hunter non disse nulla, limitandosi ad osservarla in volto prima di far scivolare lo sguardo sui capelli biondi che le ricadevano sulle spalle. 
Era raro vederla con i capelli sciolti, li portava quasi sempre legati, e Hunter pensò che aveva davvero dei bellissimi capelli, trattenendosi dall’allungare una mano e giocherellarci proprio quando Penelope parlò di nuovo, voltandosi di nuovo verso di lui:

“Max sa cavarsela, andrà tutto bene, vedrai. Non preoccuparti, ce la faranno, vedila solo come un altro incarico.”

Hunter annuì distrattamente, affrettandosi a distogliere lo sguardo mentre Penny inarcava un sopracciglio, rivolgendo all’amico un’occhiata incerta:

“Va tutto bene? C’è qualcosa che non va?”
“No, solo… I tuoi capelli…”
“Ho qualcosa nei capelli?!”  Penelope sgranò gli occhi e si portò entrambe le mani alla testa e Hunter, ricordando la boia della ragazza verso gli insetti e i ragni, abbozzò un sorriso prima di scuotere il capo, affrettandosi a tranquillizzarla:

“No, no, solo che è strano vederti con i capelli sciolti.”
“Oh, certo.”  Penelope annuì e, quasi come se fosse a disagio, sollevò le braccia per legarsi frettolosamente i capelli chiari ma Hunter glielo impedì, prendendole un polso:

“No, lascia. Stai… stai bene.”
“Grazie.” 

La ragazza, dopo un attimo di esitazione, accennò un sorriso di gratitudine, quasi imbarazzato, mentre gli occhi chiari di Hunter, abbassatisi sulla sua stessa mano, scivolavano sul braccio della ragazza lasciato scoperto dalla manica arrotolata della camicia bianca, studiando con occhio critico i lividi violacei che deturpavano la pelle pallida:

“Non ti fanno ancora male, vero?”
“I lividi? No, sto bene.”
“Con un po’ di fortuna non ricapiterà più, Penny. E la prossima volta lascia fare agli esperti.”

“Volevo solo dare una mano, simpaticone!”
“Beh, io però non sono mai stato beccato… va bene, va bene, ho capito, sto zitto.”

Hunter abbozzò un sorriso di fronte all’occhiata torva della ragazza, sollevando entrambe le mani in segno di resa mentre una vocina, nella sua testa, gli chiedeva da quando in qua si facesse zittire da qualcuno.
La mandò rapidamente al diavolo.


*


“Potremmo andare a controllare che sia andato tutto bene…”
“No.”
“A distanza!”
“No.”
“Da molto lontano, non ci vedrà nessuno, ci applicheremo un Incantesimo di Disillusione!”

“Quinn, no, anche io sono ansiosa e voglio sapere com’è andata, ma noi resteremo qui. Un gruppo intero di Sentinelle non può sparire in blocco all’improvviso, detteremo solo sospetti. Abbi pazienza.”
“Va bene… sei tu quella coscienziosa, qui.”

Quinn sbuffò debolmente ma annuì e Faye, per tutta risposta, abbozzò un sorriso, allungando una mano per toccargli una spalla:

“Capisco che tu sia preoccupato, lo sono anche io… sono nostri amici dopotutto. Ma andrà tutto bene, abbi fede.”
“Avere fede di questi tempi è difficile, non trovi?”

L’ex Grifondoro piegò le labbra in un sorriso amaro mentre accarezzava distrattamente il pelo del suo fidato Pastore Tedesco, Ares, che si portava appresso praticamente ovunque andasse. Faye esitò ma poi annuì, parlando con tono neutro:

“Sì, ma fino ad ora le nostre… operazioni sono andate praticamente sempre bene, no? E se c’è una persona di cui mi fido ciecamente è Aeron, sono sicura che come sempre farà in modo che vada tutto per il meglio, come da programma.”
Quinn annuì e pensò al suo amico, sperando che l’ex Tassorosso avesse ragione che andasse effettivamente tutto bene. I Carrow erano partiti la notte precedente e il piano era che alcuni di loro li seguissero senza farsi notare per poi fare in modo che non potessero mai più tornare a Londra. Ma Quinn non aveva un bel presentimento ed era preoccupato per i suoi amici. 

“Cercherò di non pensarci troppo, ma stasera mi metterò in contatto con Aeron. Ora, cosa abbiamo NOI in programma?”
“Yaxley ci aspetta.”
“Oh, grandioso, la giornata procede a meraviglia…”

Quinn alzò gli occhi al cielo mentre si alzava dal tavolo del bar dove avevano fatto colazione e Faye azzanno un sorriso prima di imitarlo e seguirlo sul marciapiede per trovare un angolo riparato e Smaterializzarsi dal Mangiamorte.

“Lo so. Ma sii educato… e usa tutto il tuo fascino per addolcirlo, mi raccomando.”
“Come prego?”
“Dicevo ad Ares. Non montarti la testa Richards.”


*


Prima d’allora era stato in Cornovaglia solo un paio di volte, da bambino. Ricordava i tuffi nell’Oceano insieme a Rain e i castelli di sabbia che avevano costruito… non aveva molti ricordi felici della sua infanzia, ma quelli lo erano. 
Mai avrebbe pensato che sarebbe tornato in simili circostanze.

Erano arrivati prima dell’alba e, dopo aver trovato la destinazione dei Carrow si erano spostati di qualche km, fermandosi per la notte o quel che ne rimenava.
Haze era in piedi nella terrazza della sua camera, appoggiato alla ringhiera mentre osservava l’acqua incredibilmente cristallina, su quella parte della costa, dell’Oceano.

C’era vento, ma il profumo di salsedine era gradevole e per una volta era piacevole sentire un po’ di sole sulla pelle… era quasi rilassante stare lì fuori, a guardare le coste di Newquay in mezzo a quel silenzio Pacifico.
Quasi, certo. 

Haze si voltò e lanciò una rapida occhiata ad Audrey, che giaceva profondamente addormentata sul letto intatto con tutti i vestiti addosso. Quando erano entrati in camera, dopo essersi premurati di presentarsi nella hall dell’albergo come una giovane e felice coppia in luna di miele, era molto tardi e dopo aver brevemente lasciato la stanza per assicurarsi che anche Rain ed Edric li avessero raggiunti l’aveva trovata esattamente in quella posizione. 
Le aveva tolto gli stivali e coperta con un pail trovato nell’armadio, poi si era stesa sul divano e aveva cercato di dormire senza grandi risultati.



Audrey si svegliò con un sospiro, respirando piacevolmente l’aria salmastra che tanto amava e contorcendosi leggermente mentre si stiracchiava. 
Aprì gli occhi solo qualche istante dopo e per qualche istante il piacevole torpore cedette il posto ad uno stato di leggero panico, chiedendosi dove fosse e sopratutto perché Henry non si era intrufolato nel letto come faceva spesso quando non andava all’asilo, nel weekend.

Ci mise un paio di istanti ma poi si rilassò, ricordando gli avvenimenti della notte precedente, dove si trovasse e sopratutto perché i con chi.
Le ante della porta-finestra erano spalancate e lo sguardo di Audrey indugiò sul riflesso di una delle due ante, il cui vetro rifletteva l’immagine di un profilo familiare appoggiato alla ringhiera delle terrazza che guardava il panorama.

La strega sospirò, coprendosi meglio con il pail che non ricordava di aver preso quasi a volersi nascondere sotto di esso, ricordando quando la notte precedente dopo aver seguito i Carrow per ore e aver capito dove si erano diretti si erano recati laggiù e Haze l’aveva presa per mano prima di entrare e far comparire dal nulla delle valige vuote, mormorando di reggergli il gioco quando la presento come sua moglie.

Poteva benissimo immaginare i sorrisetti che avrebbero sfoggiato Erik, ma sopratutto Edric, quando avrebbero saputo della “copertura” che avevano usato. 
Ricordava ancora distintamente le parole che l’ex Corvonero le aveva rivolto solo pochi giorni prima… Quel “Da quanto tempo?” Ancora le ronzava nella mente. 
E ancora non aveva risposto… non a voce alta, almeno.

Se non altro poteva prendersi una rivincita pensando al disagio che sicuramente stava provando l’amico nel dover condividere la stanza con Rain Mallow. 

Audrey si riscosse quando vide Edric girarsi e tornare nella stanza, socchiudendosi le ante alle spalle e indugiando con lo sguardo su di lei prima di parlare, sorpreso di vederla sveglia:

“Oh, ciao. Spero di non averti svegliata con la corrente, volevo prendere un po’ d’aria.”
“Figurati, adoro l’aria salmastra.”

Audrey si mise a sedere e abbozzò un sorriso, lasciandosi scivolare la coperta di dosso prima di alzarsi dal letto, perlustrando il tappeto per cercare i suoi stivali.

“Aeron e Max ci raggiungevano stamattina, andiamo di sotto a vedere se sono arrivati?”
“Tu va pure, io… ti raggiungo. Prima devo fare una cosa.”

Haze annuì e, senza fare domande, raggiunse la porta per uscire dalla stanza, lasciandola sola. Audrey sospirò mentre recuperava il suo telefono dalla borsa dove aveva ficcato destro alla rinfusa praticamente di tutto grazie alla magia, sfoggiando una lieve smorfia di fronte al gran numero di chiamate perse da parte di sua madre.

La chiamo, pregando che rispondesse, e quando sentì la sua voce sorrise, salutandola e assicurandole che stava benissimo prima di chiederle di passarle Henry.

“Tìa?!”
Sentendo la vocina del nipotino al telefono Audrey sorrise, tracciando quasi senza rendersene conto le linee del copriletto con un dito mentre parlava con un tono dolce che le si sentiva usare solo quando si trattava del bambino:

“Mi amor… ciao. Hai dormito?”
“Sì. Quanto torni?! Dove sei?”
“Sono… via per lavoro, mijo. Torno presto però, te lo prometto. Tu fai il bravo con abuela, entiendes?”
“Sì… Anche Sno è triste quando non ci sei.”
“Mi amor, sono via solo da ieri sera!”
“Siamo tristi comunque!”

“Mi mancate anche voi quando non ci sono, lo sai. Ora dai il telefono ad abuela, ci vediamo presto.”

Poco dopo Audrey mise fine alla chiamata e rimase ad osservare lo schermo luminoso del telefono per qualche istante prima di sospirare, alzarsi, lasciarlo nella borsa e uscire a sua volta dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle.


*


Haze stava attraversando il corridoio per raggiungere le scale quando le sentì. 
Le urla. 
E le riconobbe in un istante. 

Imprecando mentalmente e maledicendosi per non aver portato con se le carte, ormai riteneva che non usarle prima di una qualsiasi missione portasse sfortuna, scattò e si diresse di corsa verso la loro fonte, pregando di non ritrovarsi davanti ad uno spettacolo a cui aveva già assistito.


*


“Rain!”
Si era svegliato, imprecando a mezza voce contro il suo mal di schiena dovuto all’aver dormito sul pavimento, e aveva trovato Rain già sveglia, seduta sul letto con la schiena rigida, i capelli biondi sciolti sulle spalle e lo sguardo assente, vitreo, fisso davanti a sè.

Si era alzato e, titubante, l’aveva chiamata un paio di volte. Le aveva sfiorato il braccio ma niente, sembrava che lei non lo avesse nemmeno sentito, quasi si trovasse in uno stato di trance.
Edric aveva già assistito, una volta, in passato, ad una delle “visioni” della ragazza e stava per uscire dalla stanza per cercare Haze quando Rain era improvvisamente uscita da quello stato di trance ed era iniziata la parte peggiore delle sue visioni: le urla.

Edric si trovava quasi sulla porta quando aveva sentito Rain iniziare ad urlare e si era voltato di scatto verso di lei, l’aveva raggiunta con cui paio di lunghe falcate e si era seduto sul letto di fronte a lei, guardandola tremare e mettersi le mani sulle orecchie prima di appoggiare le sue, più pallide, su quelle della strega, socchiudendo gli occhi chiarissimi per il dolore e chiamandola.

Aveva visto una persona morire, una volta, a causa delle urla di Rain.
Non avrebbe mai dimenticato quella scena, ma non uscì dalla stanza di corsa e rimase lì, cercando di calmarla.
Non delle quanto durarono, ma Rain smise di urlare respirando affannosamente come se fosse uscita da uno stato di lunga apnea e, in lacrime, abbandonò la testa sulla sua spalla, udendolo sospirare mentre le accarezzava la nuca con una mano:

“Va tutto bene. Stai tranquilla.”
“Mi… mi dispiace tanto.”
“Non è colpa tua.”


Rain deglutì a fatica e si scostò leggermente per guardarlo, quasi assicurarsi che stesse bene – le sue urla avevano ucciso o fatto impazzire più di una persona, in passato – prima di prendergli la testa con mani tremanti, guardandolo con preoccupazione:

“Tu stai bene?”
“Sì, solo un po’ di mal di testa, forse. Hai visto la morte di qualcuno?”

Edric inarcò un sopracciglio – sperando si trattasse dei Carrow – prima di prendere una delle mani di Rain che ancora gli sfioravano il volto, guardandola annuire con gli occhi lucidi.
Stava per chiederle se sarebbe riuscita a decifrare i segnali che aveva visto durante la visione quando la porta della stanza si spalancò di colpo, facendo sobbalzare entrambi:

“Ray! State bene?!”

Haze si avvicinò al letto con passo di aria e guardò la cugina con preoccupazione, ma lei si limitò ad annuire e sorrise appena:

“Sì, non è… successo niente. Mi spiace se ti ho fatto preoccupare. Davvero, sto bene.”
“Bisognerà spiegarlo ai Babbani, dannazione... Beh, li avremmo obliviati comunque per precauzione, dopotutto. Tutto bene?”

Haze si rivolse all’amico, che si limitò ad annuire prima di alzarsi dopo aver rivolto un’occhiata leggermente apprensiva alla bionda, mormorando che sarebbe andato di sotto prima di allontanarsi.

Rain invece sbuffò appena mentre si asciugava le lacrime, alzandosi a sua volta dal letto e sentendo le ossa degli arti intorpidite come se avesse dormito per giorni interi.
Fantastico, non c’era che dire. Edric aveva assistito ad una sua visione una volta, ma erano passati alcuni anni… ora le sarebbe rimasto ancor più a distanza?
Non sapeva nemmeno, in cuor suo, perché se ne curasse tanto.


“Va tutto bene?”
“Sì Haze, non preoccuparti… ma prima che tu me lo chieda, non so che cosa ho visto.”


*


Wyatt era appena uscito dalla sua camera stiracchiandosi e si stava accingendo ad andare a fare colazione quando scorse una figura familiare dirigersi verso di lui camminando a passo svelto è sicuro.
Il ragazzo abbozzò un sorriso, sollevando una mano per salutare la ragazza dai capelli scuri e leggerete minuta:

“Ciao Del.”
“Ciao Wyatt… Raph?”
“Ancora in camera. Ma non è… una bella giornata.”

Wyatt accenno alla porta chiusa della sua stanza e dal modo in cui Del, sospirando, annuì, capì che la Sentinella aveva inteso perfettamente. 
“D’accordo… vado a vedere come sta.”

Del lo superò senza aggiungere altro fino ad entrare nella stanza dopo aver bussato leggermente e Wyatt, dopo averla seguita brevemente con lo sguardo, girò sui tacchi per lasciarli soli e allontanarsi.
Sorrise, però, quando sul suo cammino incrociò Ludwig, che si stava passando distrattamente una mano tra I capelli scurissimi con aria assonnata:

“Ciao Lud! Dormito male? Hai una faccia…”
“Mi sono svegliato decine di volte, quella dannata operazione… Quando pensi che ci daranno notizie?”
“Non ne ho idea, ma spero presto.”

Wyatt, parlando a bassa voce, scosse leggermente il capo quando una voce più allegra delle loro li raggiunse è un attimo dopo Lud si trovò stretto in un abbraccio da una familiare ragazza bionda:

“Ciao ragazzi! Paladino, hai una faccia, hai dormito male?”
“Non benissimo…” Ludwig sospirò e alzò gli occhi al cielo mentre Penelope, dopo aver esaminato con occhio critico il volto dell’amico, lo prendeva sottobraccio e asseriva che aveva assolutamente bisogno di fare una robusta colazione.
E Ludwig decise di lasciarla fare e di non chiederle, per l’ennesima volta, di non trattarlo come un fratellino da accudire, anche se lei lo vedeva in quella luce fin dal loro primo incontro, probabilmente.

“Anche io ho dormito male, ma a me non hai detto di fare colazione!”
“Zitto, Hunter.”

Penelope liquido l’amico con un gesto della mano che fece quasi ridere Wyatt. Quasi, perché lo sguardo truce che il biondo gli rivolse gli tolse immediatamente ogni traccia di sorriso dal volto. 
Infondo però le uniche che lo zittivano senza smettere repliche erano lei e Max, ed era sempre molto divertente quando ciò accadeva.

“Cosa vuoi? Ti preparo delle uova con il bacon, se vuoi.”
“Penny, non devi farlo tu…”
“Certo che devo, oggi è il mio turno, no? Voi andate a sedervi.”

Penelope lasciò i tre ragazzi con un sorriso e si diresse verso le cucine mentre Ludwig sospirava, scuotendo leggermente il capo:

“È sempre così carina.”
“Solo con te.”
Il brontolio sommesso del biondo, che guardò la ragazza allontanarsi con aria torva, fece sorridere Wyatt, che guardò il compagno con un sopracciglio inarcato:

“Che dici Hunter, lo è anche con te!”
“Ma se passa il tempo a sfottermi?!”

“Solo ogni tanto… è l’unica a cui è permesso farlo, quindi ne approfitta.”



Penelope entrò in cucina con un sorriso – non che fosse poi di buon umore, ma preferiva tirare su di morale il prossimo invece di struggersi nell’autocommiserazione –, augurando il buongiorno ai suoi compagni che, come lei, quel giorno avevano il turno di preparare la colazione.
Un buongiorno che non venne ricambiato affatto:

“Non è affatto un buongiorno, Penny! Queste cavolo di uova non si staccano, chi è l’idiota che ci ha fatto un Incantesimo?!”

Di fronte al tono contrariato di Larisse Penelope inarcò un sopracciglio e si avvicinò all’amica. Si astenne dal farle notare che forse sarebbe stato preferibile usare una paella antiaderente.

“Ehm, credo nessuno Larisse…”
“E allora perché non riesco a tirarle via dalla padella?! Ma dov’è Blaine quando serve…”


“Lascia, faccio io.”


*



“Raph?”
Del aprì la porta lentamente e lanciò un’occhiata al fratello minore che, anche se perfettamente sveglio, giaceva sul letto nel buio più totale della camera.

Non udendo alcuna risposta la Sentinella sospirò e andò verso la finestra per tirare le tende e aprila per far entrare un po’ d’aria e della luce nella stanza, ignorando le deboli proteste di Raphael mentre, dopo aver storto il naso di fronte al disordine, riordinava almeno un po’ con la magia.

“Ma come fate a vivere qui dentro… in due poi…”
“Se sei venuta in veste di donna delle pulizie puoi anche andartene, Del.”
Raphael sbuffò e girò sul fianco, voltandosi verso il muro mentre la sorella sedeva sul bordo del materasso e allungava una mano per sfiorargli il braccio abbronzato e nudo:

“Sono venuta a vedere come stai. È una… brutta giornata?”
“A quanto sembra. E non mi va di parlare con te, tanto non mi dirai niente di importante.”
“Raph, non sei un bambino. Sai che ci sono cose che non posso dirti…”

“CERTO che puoi! Potresti farlo, se lo volessi, la differenza è proprio questa. Potresti dirmi perché i Carrow se ne sono andati, tanto per fare un esempio.”

Il ragazzo sbuffò e si mosse di scatto, mettendosi a sedere sul letto e rivolgendo un’occhiataccia alla sorella maggiore, che scosse il capo con aria cupa:

“Non te ne posso parlare, Raph.”
“Certo, come sempre. Chi dovevano incontrare?!”

“Chiedilo ai tuoi amici, se proprio ci tieni a saperlo.”
“E tu che ne sai Del, dei miei amici?!”
“Non prendermi per stupida Raphael, credi che non sappia?! Devi fare attenzione, idiota, non potrò pararti il culo per sempre!”

“Nessuno te l’ha chiesto.” Del si alzò al sibilio del fratello, contorcendo la mascella mentre si dirigeva verso la porta della stanza. Fu allora che sentì la voce del ragazzo un’ultima volta:

“Almeno i miei amici non sono pazzi psicopatici favorevoli a tutto questo.”


Del, la mano sulla maniglia della porta, indugiò prima di aprirla e uscire dalla stanza, trattenendosi dal voltarsi e dire al fratello, finalmente, la verità. Ma non lo fece, uscì dalla camera senza aggiungere altro, sbattendosi la porta alle spalle e lasciando Raphael nuovamente solo. 


*


“Noi siamo arrivati dopo, ma pare che abbiano visto dove si sono fermati i Carrow.”
“Ovvero?”
“Un paio di km più a sud, in una vecchia villa… una di quelle che si usano in estate, sai.”
“Peccato che sia Autunno inoltrato.”
“Già. Dovevano incontrare chissà chi, ma non credo altri Mangiamorte, perché venire fin qui?”

Aeron scosse il capo, parlando con tono dubbioso  mentre Edric li raggiungeva, borbottando un saluto mentre prendeva posto accanto a Max:

“Oh, ciao chiacchierone! Come va?”
“Una meraviglia, Maxine. Una meraviglia. Avete sentito le urla?”
“Vagamente, Rain sta bene?”

Edric si limitò ad annuire alla domanda di Aeron, allungando una mano per prendere un pezzo di pane mentre il volto di Max si illuminava e un sorriso si faceva spazio sulle sue labbra quando vide anche Audrey raggiungerli, l’aria tesa e lo sguardo serio:

“Audrey! Ciao.”
“Ciao Max… Aeron. Siete appena arrivati?”
“Qui sì, ma prima siamo andati a fare un giro di ricognizione. I Carrow si sono barricati, ma per quando usciranno gli faremo una bella sorpresa. Non vedo l’ora di vedere le loro facce.”

“Dobbiamo solo assicurarci che siano soli. E capire, sopratutto, con chi si dovevano incontrare qui, lontano da occhi indiscreti.”
“O almeno così credevano, perché noi saremo indiscreti eccome!”

“Max, ti pare il momento?”
“Che c’è? Scusa Muso Lungo Marlowe, hai le tue cose per caso?”


*


“Audrey ti ha detto di preciso dove andavano?”
“No.”
“Non ci credo, Audrey ti dice sempre tutto!”

“Se non mi credi a prescindere perché me lo hai chiesto?!”  Erik alzò gli occhi al cielo ed Erzsébet si limitò a sbuffare, rivoglio al collega un’occhiata torva mentre davanti a loro, Nathan e Carmilla riempivano un sacco di pelle incantata di Galeoni e gioielli.

“Ma che se ne fanno di tutto questo oro, secondo te?”
“Non ne ho idea, ne hanno a sufficienza per campare cent’anni e continuano a intascarsi quello delle persone che ci fanno uccidere, vermi schifosi…”

Nathan piegò le labbra in una smorfia mentre infilava in malo modo un paio di collane d’oro bianco cn smeraldi e zaffiri nella sacca e Carmilla osservava in controluce quello che aveva tutta l’aria d’essere un diamante.

“Cosa pensate che ci faranno con il denaro che ci hanno chiesto di prelevare?”
“Non lo so, ma spero che la smettano perché non siamo dei servi, e nemmeno dei facchini, 
Porca Morgana!”


“… Andiamo Murrey, dimmelo!”
“Erzsébet, non attacca.”
“Sei noioso!”
“E tu insistente!”

“Bambini, smettetela di litigare, abbiamo del lavoro da fare. Erik, porta questa di sopra, io e Nathan dobbiamo passare anche dai Lestrange.”

Carmilla lanciò la sacca al collega, che annuì prima di voltarsi e uscire dalla camera blindata con Erzsébet al seguito per raggiungere il carrello dove un folletto li aspettava.
Folletto che rivolse ai due un’occhiata piuttosto torva – più del solito – e a cui Erik rispose con un’occhiata altrettanto scettica:

“Qualche problema?”
“No, nessuno.”
“Bene. Torniamo di sopra, allora. E prima che uno di voi lo chieda, non abbiamo rubato niente.”

Erzsébet, accanto a lui, sbuffò, mormorando che quelle parole non li avrebbero esentati dalla solita perquisizione mentre il carrello iniziava a muoversi, sfrecciando rapidamente tra le pareti scavate nel sottosuolo – si trovavano in uno dei punti più in profondità della banca – per tornare in superficie.

“Come se fossimo qui di nostra volontà…”
“Dillo ai simpaticoni alti mezzo metro…”
“Ti sentirà…”
“Pensi che mi importi, Murrey?!”


*


Rain era tornata brevemente in camera per prendere la sua bacchetta che aveva dimenticato e quando si avvicinò al comodino la sua attenzione venne catturata dal cuscino e dalla coperta che giacevano sul tappeto accanto al letto.
Sospirò e si chinò per raccoglierli e metterli sul materasso, ricordando quando Edric aveva insistito per dormire lì e lasciare il letto a lei, incurante delle sue proteste.
Rain aveva scoperto che entrambi erano molto testardi, ma lui l’aveva avuta vinta e aveva dormito lì, con scarsa gioia della sua schiena probabilmente.

La bionda Sì ripromise di lasciar Emil letto a lui se fossero rimasti un’altra notte, ma poi la sua attenzione venne catturata da un altro oggetto lasciato sul tappeto: un quaderno di pelle nero.
Rain si inginocchiò e lo raccolse lentamente, ricordando tutte le volte in cui aveva visto Edric in un angolo impegnato spesso a leggere ma a volte anche a scarabocchiare qualcosa proprio lì dentro.

Si morse il labbro ed indugiò, ma poi vinta dalla curiosità – nonostante sapesse che fosse sbagliato – lo aprì. Sfogliò le pagine con delicatezza e non si soffermò a leggere quello che Edric scriveva per rispetto, ma non poté non soffermarsi sui disegni.
La bionda inarcò un sopracciglio quando s’imbatté in un suo ritratto. Era davvero molto bello, l’aveva ritratta sorridente, gli occhi socchiusi, la bocca carnosa semiaperta e inclinata in una smorfia felice mentre i capelli chiari e sottili le si agitavano intorno quasi come mossi dal vento. Era come guardare una fotografia e Rain rimase come incantata per un attimo, poi volto la pagina e guardò l:ultimo disegno che Edric aveva fatto.

Era ancora lei. Ma qui non sorrideva… dormiva. E dall’angolazione Rain intuì che quel disegno fosse molto recente, fatto probabilmente la sera prima. Edric doveva essersi seduto sul tappeto mentre lei dormiva placidamente, del tutto incurante.

Rain teneva ancora in mano il quaderno quando, alle sue spalle, la porta di aprì e la voce pacata di Edric giunse alle sue orecchie:

“Rain, a breve andiamo a controllare la situazione… Cosa stai facendo?”

La bionda si senti raggelare e si voltò di scatto, chiudendo il quaderno e balbettando delle scuse:

“L’ho trovato sul pavimento, volevo metterlo a posto, mi dispiace…”

Edric le si avvicinò senza dire nulla e le prese il quaderno dalle mani, lasciandolo sul letto prima di farle cenno di seguirlo:

“Andiamo.”
“Edric, scusa, non volevo essere invadente, ero solo curiosa e ho visto i tuoi disegni…”
“Rain, non importa.”

Edric parlò senza voltarsi o smettere di camminare e la bionda sbuffò, allungando una mano per prenderlo per un braccio:

“Certo che importa. Mi dispiace. Non sono solita curiosare tra le cose altrui, solo tu sei molto… difficile da decifrare.”
“Difficile da decifrare?”
“Sì, specie nei miei confronti. Te l’ho già detto, mi… confondi. Il mio disegno era bellissimo, comunque, sei molto bravo.”

“Disegno solo quello che vedo.”  Edric si strinse nelle spalle con noncuranza e Rain abbozzò un lieve sorriso, chiedendosi se le avesse appena fatto indirettamente un complimento, e stava per parlare di nuovo quando lui la precedette:

“Se ti sembro scostante nei tuoi confronti, Rain, hai ragione. Ma non devi prenderla sul personale, faccio così un po’ con tutti… E non pensare che sia freddo con te perché mi disgusta la tua… natura. Non è così. Non sono nessuno per giudicare.”

Rain parve come sollevata dalle due parole ma poi si accigliò, certa di non aver mai espresso quel dubbio ad lata voce in sua presenza:

“Aspetta, come…”
Edric inclinò le labbra in un sorrisetto di scuse e la ragazza sgranò gli occhi, parlando con tono di rimprovero:

“Edric! Hai spiato i miei pensieri?!”
“Scusa, diciamo che ero… curioso anche io.” Di fronte alla carta della curiosità, che lei stessa aveva usato solo poco prima, la bionda non poté obbiettare e si limitò a sbuffare sommessamente, annuendo mentre Edric invece sorrideva appena. 

“E allora perché ti comporti così nei miei confronti? O almeno, fino alla settimana scorsa? Sembrava che non volessi avere a che fare con me.”
“Beh, in un certo senso era così. Ora credo che il tempo delle chiacchiere sia finito, abbiamo del lavoro da fare.”

La prese per un braccio e la trascinò con sè lungo il corridoio, ignorando le sue proteste e le sue domande. 
Edric però quasi non la sentì, nella sua testa vorticava solo una domanda che Audrey gli aveva fatto circa una settimana prima:

Da quanto tempo? 
Buffo. Lui glie l’aveva posta perché era un Legilimens, ma lei non lo era. Sapeva praticarla, ma non senza pronunciare la formula e puntare la bacchetta contro l’oggetto del suo interesse, a differenza sua che lo faceva ormai liberamente e senza sforzo.
No, sembrava che lei l’avesse capito da sè. 

Non le aveva risposto, però. Si era limitato a rigirarle quella domanda tanto scomoda, ma si era dato mentalmente una risposta la sera stessa, quando aveva fatto il disegno che Rain aveva visto.

Esattamente quattro anni e otto mesi.









……………………………………………………………………………..
Angolo Autrice:

Buongiorno! 
Allora, chiedo scusa per il ritardo ma come avete potuto appurare ho deciso solo qualche giorno fa di non dedicare questo capitolo ad un OC per dedicarmi alla trama, quindi ho dovuto modificare quello che avevo già scritto, togliere e aggiungere pezzi.
Ovviamente non vi chiedo di votare perché ho già i voti dell’altra volta, quindi buona domenica e ci sentiamo in settimana con il seguito. 
Signorina Granger 

Ps. per Vic: visto che qualche tempo fa mi hai detto che stavi controllando la mia pagina nel caso pubblicassi qualcosa di nuovo, ho effettivamente iniziato un’altra storia XD

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Capitolo 8
*** Raphael Salazar Sparrow ***


Capitolo 6: Raphael Salazar Sparrow

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Raphael, fin da molto piccolo, aveva sempre dimostrato una grande e spiccata attenzione verso i colori e le forme. Sua madre, ridendo, diceva che probabilmente era un piccolo artista. 

In quei giorni stavano ridipingendo il salotto e Cordelia entrò nella stanza per sbirciare a che punto fossero con i lavori – alla bambina non piaceva molto avere estranei che giravano per casa -, spalancando gli occhi scuri con orrore quando vide il fratellino di due anni seduto sul parquet proprio davanti alla parete appena imbiancata, le manine piene della vernice tortora che la madre aveva scelto per le pareti.

“Rafe! Cos’hai fatto?!”
“Gadda!”

Il bambino sfoggiò un sorriso allegro e indicò il suo capolavoro, lo stampo delle sue piccole mani sul muro bianco e fino ad allora immacolato, quasi con aria orgogliosa, i capelli neri spettinati e una luce birichina negli occhi scuri.

“Ma Rafe, non devi disegnarci sopra! Cosa dirà la mamma? Vieni, su.”
Cordelia lo raggiunse e lo prese per un polso per farlo alzare e allontanarlo dal muro per evitare che lo imbrattasse ulteriormente… e Raphael, a quel punto, fu bel felice di toccarle una gamba e riempirle i pantaloni di vernice prima di ridacchiare.

“Ehy! Sei proprio un monello, Rafe!”
“Scusa...”
“Non fare la finta faccina dispiaciuta. Io non sono la mamma nanetto, a me non mi freghi!”

Poi però il bambino le circondò le gambe con le braccia, mormorando che le voleva bene e Cordelia ebbe come la sensazione di sentire l’irritazione sciogliersi come neve al sole.

“Ruffiano…”


*


“Raphael è ancora tra noi o ha deciso di ritirarsi sul K2? Non si fa vedere in giro da un po’, è strano.”

Larisse si accigliò leggermente mentre giocherellava con il cibo che aveva nel piatto, trovando a dir poco strano che quella mattina il ragazzo non fosse comparso in cucina per prenderla in giro mentre litigava con le uova.

Wyatt, seduto di fronte a lei ad uno dei tavoli disseminati per la sala, esitò prima di rispondere mentre spazzolava la bistecca:

“È un po’ stanco, tutto qui.”
“Ha passato troppo tempo ad osservarsi allo specchio? Capisco, dev’essere sfiancante.”
“Dai Larisse, non è così vanesio infondo!”

“Lo so, lo prendo solo un po’ in giro, come fa lui per il mio caratterino. Ci sono le patate?!”
“No, solo cavolfiori…”

“Che orrore! Hunter, non c’è proprio nient’altro oltre a quella roba viola?”

“Non sono il responsabile della spesa, Larisse… qualcuno vuole un’altra bistecca?!”
Hunter comparve accanto a loro mentre si puliva le mani nel grembiule e la mano di Wyatt scatto in aria:

“Il carnivoro qui penso di sì.”
Penelope sorrise appena mentre accennava a Wyatt, seduto accanto a lei.

“D’accordo, te la porto… Ben cotta o al sangue?”
“Al sangue, grazie.”
“Ok… Penny, non hai mangiato niente, non ti piace?”

“È solo che non ho molta fame, scusami. Sto pensando… beh, lo sapete.”

Penelope accennò ad una smorfia con le labbra, parlando a mezza voce mentre Hunter li limitava ad annuire, incupendosi leggermente a sua volta mentre Larisse, invece, era impegnata ad osservare con aria sospettosa i cavolfiori insieme a Ludwig:

“A me non sembrano commestibili… hanno un colore strano… non mi fido del cibo viola!”
“Oh, certo, sono sicuro che i Carrow hanno avvelenato la verdura per ucciderci tutti!”

“Hunter, risparmia il sarcasmo, quella è una mia competenza.”


*



“Dove vai Del?!”
“A scuola.”
“E io non vengo?”
“No, sei troppo piccolo, hai solo cinque anni.”

“Io non sono piccolo, la mamma mi ha detto che sono un ometto!”

Raphael incrocio le braccia e sfoggiò il suo broncio più offeso mentre la sorella maggiore continuava a sistemare le cose nel baule e sorrideva appena, guardandolo con affetto:

“Certo, ma devi comunque aspettare. Tra qualche anno verrai con me anche tu… mi mancherai, Rafe. Cerca di non crescere troppo in mia assenza.”
La sorella lo abbracciò e il bambino ricambiò con contentezza, sempre ben felice di ricevere le sue attenzioni. 

La verità era che Raphael non avrebbe mai nemmeno visto Hogwarts..
 Ma nessuno dice due poteva saperlo, non ancora.


*


Audrey mosse un po’ di sabbia con il piede, le mani sprofondate nelle tasche mentre osservava l’Oceano con aria assorta. Il sole era ormai calato da più di un’ora e avevano pianificato, dopo aver passato la giornata ad osservarli a distanza, di agire proprio durante la notte. 

Quando sentì dei passi alle sue spalle la strega quasi trasalì e si voltò di scatto, rilassandosi e sospirando quando incrocio il familiare sorriso d Max:

“Oh, sei tu.”
“Aspettavi qualcun altro forse?”
“Sì.”
“Davvero?!”
“No.”

“Mh, nervosa, vero?”

L’amica le sorrise, la sua immancabile giacca di pelle rossastra addosso, prima di affiancarla in riva all’Oceano, osservando l’acqua limpida e calma a sua volta.

“Abbastanza… chi non lo sarebbe?”
“Beh, il clima è un vero mortorio. Rain se ne sta in un angolo pallida come se avesse appena visto un fantasma, Edric e Haze rimuginano sul destino dell’Universo e Aeron… beh, lui sembra calmo, in realtà.”
“È bravo a mantenere il sangue freddo, lo è sempre stato.”

Audrey parlò a bassa voce, ripensando all’ultimo anno di scuola ad Hogwarts e in particolare alla notte del 2 Maggio mentre Max si voltava verso di lei’ osservandola con leggera curiosità ma senza indagare.

“Beh… se tutto andrà bene, e sono sicura che sarà così, presto ci saranno due infidi Mangiamorte in meno. Non immagino la soddisfazione che ci darà. Li ho sempre odiati, fin da Hogwarts.”
“Come tutti noi.”

La mente di Audrey volò ad Edric, ricordando quando Amycus aveva ucciso suo fratello. Max non aveva preso parte alla Battaglia, così come Rain, ed era abbastanza sicura che Aeron non lo sapesse… ma lei l’aveva visto con i suoi occhi, così come Haze, dieci anni prima. Si chiese se fosse stato un bene che l’ex Corvonero fosse venuto in Cornovaglia, avevano tirato a sorte per decidere chi sarebbe andato ma l’idea era stata sua e nessuno si era opposto. Anche se lei avrebbe voluto.

“Beh, fa un po’ freddino, torniamo dentro?”
“Tu va pure, ti raggiungo.”

“Ok… non prenderti un malanno, però.”

Max diede una pacca sul braccio dell’amica prima di voltarsi e tornare indietro, voltandosi per lanciarle un’ultima occhiata e chiedersi a cosa stesse pensando, lì da sola sulla spiaggia. Ma dopo tutti quegli anni aveva imparato che non solo quando era nervosa Audrey preferiva stare sola, ma che era meglio non farsi gli affari suoi.


*



“Mamma? Perché i nonni non vengono mai a trovarci?”
Vanora era seduta sul divano e abbassò lo sguardo sul figlio, che invece stava giocando sul tappeto, impegnato a costruire una macchinetta giocattolo. Raphael aveva però interrotto la sua operazione e ora teneva gli occhi scuri fissi su di lei, guardandola in attesa e con curiosità.
La strega esitò, poi si schiarì la voce è accennò un sorriso con le labbra, chiedendosi sinceramente come spiegarlo al figlio: non poteva dire ad un bambino di sei anni che i suoi nonni, rigidi maghi Purosangue, non lo vedevano di buon occhio poiché lei aveva deciso di sposare un Babbano.

“Beh, tesoro… I nonni sono sempre molto impegnati, hanno tante cose da fare.”
Raphael non sembrò particolarmente convinto ma annuì alle parole della madre, mormorando un”ok” sommesso prima di riprendere a giocare.

“Ma li vedrai presto, te lo prometto. Magari li andremo a trovare noi, ok?”

La tua sorrise e si sporse per accarezzare la testa del bambino, che si voltò di nuovo verso di lei e annuì con un sorriso:

“Sì! Quando ci sarà anche Del.”
“Beh, Del torna tra un paio di settimane per Natale. Sei felice?”
“Sì, un po’ mi manca… dici che anche io le manco mamma?”
“Naturalmente, tua sorella ti adora, lo sai.”


*


Larisse stava tornando in camera sua per rilassarsi un po’ quando, passando davanti alla porta della camera di Raphael e Wyatt, si fermò quasi senza pensarci. 
Non lo vedeva dal giorno prima… che fosse il caso di controllare che stesse bene? 

Magari quel cretino aveva avuto qualche brillante idea e si era fatto male… 

La ragazza si avvicinò così alla porta e, dopo un attimo di esitazione in cui si chiese cosa accidenti stesse facendo e si disse che molto probabilmente i cavolfiori erano stati avvelenati per davvero, bussò. Senza ottenere risposta.

Che stesse dormendo?

“Ehm… Raphael? Ci stavamo domandando se fossi ancora tra noi visto che non ti sei fatto vedere per tutto il giorno.”
“… Sparrow?”

Larisse esitò, poi decise di aprire la porta. Al massimo l’avrebbe trovato addormentato… si bloccò all’ultimo all’idea di poterlo trovare insieme ad una ragazza, ma alla fine decise comunque di aprire la porta. 
La stanza era al buio, non c’era alcuna candela accesa, ma la leggera luce delle torce che filtrò dal corridoio permise alla ragazza di scorgere la figura di Raphael sul letto. Solo, grazie al cielo, sarebbe stato oltremodo imbarazzante il contrario.
Raphael non dormiva, anzi sbuffò debolmente si mise una mano sul viso per ripararsi dalla luce improvvisa che gli disturbò gli occhi prima di parlare a mezza voce, con un borbottio:

“Di norma se non si riceve il permesso per entrare non si entra…”
“Beh, scusa, ho bussato e ho pensato che magari non ci fossi, volevo controllare. Tutto bene?”

“Sì, benissimo.”

Il tono del ragazzo mancava di quella solita nota allegra o divertita, anzi, risultava quasi inespressivo e Larisse non poté fare a meno di chiedersi che cosa avesse. Le era già capitato, in passato, di vederlo così giù ed era sempre uno spettacolo alquanto inusuale, abituata al suo solito temperamento.

“Larisse, se non hai niente da dirmi potresti andare? Vorrei stare solo, se non ti dispiace.”
“Oh, certo… scusa. Ci vediamo domani.” 

Larisse aggrottò leggermente la fronte, confusa, e dopo avergli rivolto un’ultima occhiata uscì dalla stanza!chiudendosi la porta alle spalle e traslando quando si trovò Wyatt a braccia conserte davanti:

“Wyatt! Che ci fai fermo qui fuori?!”
“Beh, è la mia camera… come sta?”
“Non saprei, mi ha spedita fuori a calci, in pratica. Si può sapere che cosa gli prende?! Sembra che sia morto qualcuno! … sua sorella sta bene?”
“Sì, assolutamente, è stata qui stamattina. No, non credo sia successo niente in particolare. Rafe è un po’… lunatico, ecco. A volte attraversa dei periodi in cui è molto giù, quasi depresso direi, e preferisce stare solo. Ecco perché si fa chiamare… beh, lo sai.”

Larisse annuì, pensando al curioso nome in codice che il ragazzo si era scelto tempo prima. Era stata quasi tentata, a volte, di chiedergli se per caso non fosse davvero un Lupo Mannaro.

“Capisco. E quanto pensi che durerà?”
“Non ne ho idea, ma non gli succedeva da un po’, quindi forse per qualche giorno.. quando è così tende ad innervosirsi e a discutere parecchio, fidati, meglio lasciarlo in pace.”

Wyatt si strinse nelle spalle e saluto la ragazza con una pacca sul braccio prima di superarla, attraversando il corridoio con le mani in tasca. Larisse invece esitò davanti a quella porta, rivolgendole un’ultima occhiata incerta prima di imitarlo con leggera titubanza.


*


Raphael tirò su col naso mentre, seduto accanto alla sorella che gli teneva un braccio intorno alle spalle, guardava le bare dei genitori venire calate nelle fosse vicine. 
Non si era mai fatto un crucio di piangere in pubblico e quel giorno non faceva eccezione, non poche lacrime rigavano il volto del bambino di dieci anni.

“Andrà tutto bene, te lo prometto.”
“Non andrà tutto bene Del, noi siamo… siamo Mezzosangue!”

Raphael si asciugò le lacrime con una mano mente Del lo stringeva a sè, abbracciandolo e sospirando prima di parlare:

“Beh, io entrerò al Covenant, e tra qualche anno lo farai anche tu, ora sei troppo piccolo. Possiamo permettercelo, non ti farò finire a lavorare per quegli spocchiosi… Nel frattempo starai dai nonni.”
“Ma Del, loro…”

“Niente ma. Ora devi fare come ti dico, Rafe.”
Non aveva mai sentito sua sorella parlare con quel tono duro e il bambino non oso replicare, annuendo debolmente e deglutendo mentre lanciava un’occhiata in direzione dei nonni materni, che stavano parlottando tra loro. Quanto ai genitori di suo padre, non li aveva nemmeno visti quel giorno.


“… Del, dove sono i nonni?”
“Se intendi i genitori di papà… non li rivedremo più, Rafe.”
“Sono…?”

Raphael spalancò gli occhi scuri con orrore e la sua voce si inclinò, ma la sorella scosse il capo continuando a tenere gli occhi fissi sulle tombe e lo interruppe parlando con tono quasi apatico:
“No. Stanno bene, ma ho dovuto cancellare loro la memoria.


“Cosa?! Perché?!”
“Ho dovuto, Rafe. O volevi perdere anche loro? Un giorno capirai.”

Raphael serrò la mascella e un attimo dopo si fece scivolare dalla sedia, allontanandosi in fretta e furia e ignorando i richiami della sorella maggiore. Odiava quando lo trattava così, come un bambino da proteggere e non gli raccontava nulla… sei troppo piccolo, un giorno capirai, non posso spiegartelo. Era stanco di sentirsi ripetere quelle cose da lei. 

L’unica cosa che sapeva era che i suoi genitori erano morti, ma non aveva nemmeno capito il perché, c’era una specie di guerra in corso, ma nessuno voleva dirgli nulla. E Raphael odiava non capire.


*


Rain se ne stava seduta in un angolo, abbracciandosi le gambe mentre osservava il pavimento con aria pensierosa, riflettendo sia sulla sua strana visione sia su quello che le aveva detto – e sopratutto quello che non le aveva detto – Edric solo poche ore prima.
La bionda gli rivolse una timida occhiata, guardandolo parlare tranquillamente con Aeron mentre suo cugino, invece, sembrava completamente assorto nelle sue carte. Haze le portava sempre con sè e Rain abbozzò un sorriso, alzandosi prima di avvicinarglisi e cingergli le spalle con le braccia, appoggiando la testa accanto alla sua per sbirciare le carte:

“Cosa dicono? Qualcosa di buono spero.”
“In realtà non saprei.”   Haze aggrottò la fronte e Rain inarcò un sopracciglio, rivolgendogli un’occhiata incerta:

“La tua scaramanzia è impressionante, ma spesso quello che dicono si rivela vero… se non ci sono buoni presagi dovresti dirmelo.”
“Te lo direi, lo sai. E poi posso sbagliare, no?”

Haze si strinse nelle spalle ma Rain non sembro convinta, osservando i tarocchi con leggera apprensione e ripensando alla sua visione. 
Suo cugino aveva preso l’abitudine di usarle sempre prima di un’operazione, specie se importante...
 E come aveva detto lui stesso certo, poteva sbagliarsi, ma non era cosa che succedeva molto spesso.

Dannazione, odiava avere la pulce nell’orecchio… come se non fosse già stata abbastanza nervosa.

“Rain, non volevo agitarti, davvero. Rilassati.”
Haze le toccò un braccio con fare rassicurante e Rain si sforzò di annuire, non tropo convinta. Forse avrebbe detto qualcos’altro ma la porta si aprì e si interruppe bruscamente, alzando lo sguardo per posarlo su Audrey, che era appena comparsa sulla soglia, seria in volto.

“Credo che sia ora di andare.”


*


Raphael non avrebbe mai dimenticato il suo primo giorno al Covenant. Si ritrovò circondato da ragazzi che non conosceva e l’accoglienza fu tutto fuorché benevola. In pratica snocciolarono la divisione delle stanze in fretta e furia e, dopo aver comunicato l’orario d’inizio delle lezioni e averli letteralmente minacciati sulla puntualità, li avevano liquidati. 
Fu il giorno in cui conobbe il suo compagno di stanza, Wyatt Hill. Aveva delle strane cicatrici sul corpo su cui Raphael non fece domande per diverso tempo, ma gli rivolse un sorriso affabile e Raphael decise che si, molto probabilmente gli sarebbe piaciuto. 

Le lezioni iniziarono solo un paio d’ore dopo e Raphael fini col perdersi per cercare l’aula con sua scarsa sorpresa.. già immaginava Del alzare gli occhi al cielo, così decise che magari non glie l’avrebbe raccontato. Dopo aver chiesto indicazioni a delle studentesse più grandi stava raggiungendo la sua destinazione quando la sua attenzione venne catturata da una figura seduta sul pavimento, appoggiata alla parete mentre si abbracciava le gambe.

Raphael esitò e quasi senza pensarci si avvicinò alla ragazza, che doveva avere la sua età o forse un anno in meno, e si schiarì la voce prima di parlare:

“Ehm… sei del primo anno, vero?”
“Sì.”
“Ti sei persa? Sto andando in classe anche io.”
“No, non mi sono persa…”

La ragazza sospirò con aria cupa e Raphael la guardò con curiosità, esitando e fermandosi accanto a lei invece di proseguire:

“Sai, non credo che scherzassero sulla faccenda della puntualità e delle punizioni… e poi siamo solo al primo giorno, non è il caso di inimicarseli.”
“Non mi importa, non vorrei essere qui.”
“Come molti di noi… Ma dovrebbe. Davvero. Mia sorella ha studiato qui, mi ha raccontato… molte cose.”

Per i primi tempi Raphael aveva pensato che quelle storie terrificanti fossero un modo della sorella per tenerlo in riga una volta a scuola, ma poi aveva capito che non era così, che erano solo la verità. Non erano come le storielle che si raccontavano ai bambini per spaventarli e prevenire i loro comportamenti scorretti.

Raphael le tese la mano e dopo un attimo di distrazione la ragazza annuì, accettandola con un sospiro per alzarsi in piedi e Raphael le sorrise, affrettandosi mentre si incamminavano lungo il corridoio:

“Sono Raphael, comunque!”
“Larisse. Grazie… credo.”
“Di nulla, non si lascia una fanciulla in potenziale difficoltà.”

Raphael non avrebbe dimenticato facilmente il suo primo giorno al Covenant: fu anche il giorno in cui conobbe Larisse Millard.


*


“Secondo te che cos’ha Raphael? Era strano… molto diverso dal solito.”
“Chi lo sa, avrà qualche pensiero… ne abbiamo tutti, dopotutto.”

Penelope sorrise mentre riordinava la sua stanza e Larisse, seduta sul suo letto a braccia e gambe conserte, scosse il capo:

“Mh, non saprei. Forse dovremmo indagare?!”
“Dovremmo CHI? Non io! Non mi piace farmi gli affari altrui.”
“Non fare la finta rispettosa della privacy, se a comportarsi così fosse Hunter ne vorresti sapere sicuramente di più!”

“Non è assolutamente corretto!”
“Certo che lo è! Beh, in ogni caso bisogna capirne di più. Insomma, lo dico per il bene del gruppo!”

“Come no, e io sono la Fata Smemorina…”
“No, tu sei più Cenerentola, visto che non la smetti di spolverare… puliresti anche la mia stanza, magari?”

Larisse sorrise all’amica, che stava mettendo in ordine con cura il comodino e gli scaffali dopo aver persino pulito la finestra con uno spolverino in mano.

“No. Scusa, ma ho già avuto la mia buona dose da donna delle pulizie in passato.”
“Lavoravi per i Nott, vero?”

Penelope annuì, senza aggiungere altro mentre l’amica appoggiava il capo contro la parete, infilandosi distrattamente una mano in tasca per estrarre il suo Galeone magico e figurarselo tra le dita. 

“Com’era?”
“Beh, non troppo piacevole. Venire qui è stato un sollievo.”
“Un sollievo finire sotto le angherie dei Carrow?! Hai una strana concezione del termine “ sollievo”.”
“Questione di punti di vista.”  Larisse guardò l’amica prendere la foto incorniciata che teneva sul comodino e ne lucidava lentamente il vetro mentre parlava a bassa voce, il tono neutro e gli occhi chiari vacui mentre osservava l’immagine in movimento.

“Quanto sei rimasta lì?”
“Poco meno di tre anni.” 
“Eri sola o c’era qualche altro Mezzosangue?”

“Una donna lavorava in cucina, io per lo più mi occupavo delle pulizie. Una fortuna, direi, non sono brava ai fornelli.”
“Di certo non meno di me.”

Larisse abbozzò un sorriso mentre abbassava lo sguardo sulla sua moneta, quasi a voler controllare se qualcosa fosse cambiato. Moriva dalla voglia di sapere, di ricevere notizie, ma niente, silenzio assoluto da due giorni. 

“Puoi dormire qui se vuoi stanotte. Anna è tornata a casa per il fine settimana.”
“Dipende. Tu russi?”
“No.”
“Allora va bene.” 


*
    

A Raphael vivere con i nonni materni non piaceva affatto e fu ben felice, a 16 anni, di lasciare quella grande, silenziosa e austera casa. Per andare a scuola, finalmente. Sua sorella lavorava già come Sentinella e decise che quando non sarebbe stato a scuola avrebbero vissuto insieme altrove, lontano da quell’ultimo frammento di famiglia che era loro rimasto ma che non li aveva mai guardati con l’affetto che ci si aspettava da parte di dei nonni verso i nipoti. 

Per quanto spesso battibeccassero Del gli mancava ed era sempre felice di tornare a casa per stare con lei anche solo per un fine settimana.
Aveva mal sopportato per dei lunghi anni le rigide regole dei suoi nonni ed era felice di aver lasciato quella casa, anche se i pasti preparati gli mancavano… anche se spesso aveva provato molta pena per il povero ragazzo che era costretto a prepararli.

“Cosa si mangia?!”
“Pizza.”
“Oh, che strano…”
“Senti cocco, se ci tieni tanto iscriviti ad un corso, io non ho tempo per imparare a cucinare!”

Del sbuffò debolmente e sedette di fronte a lui con un sospiro stanco, passandosi una mano tra i capelli scuri mentre il fratello le sorrideva divertito:

“Non fa niente scherzavo, adoro la pizza! Oh no, per metà è con le cipolle, bleah!”
“Prendi la parte con le patatine fritte, ragazzino.”

“Lo sai…” iniziò il ragazzo tra un boccone e l’altro mentre sua sorella, invece, non toccava cibo. 

“Ho conosciuto un ragazzo a scuola, ha la mia età ed è al primo anno come me… beh, lui sa cucinare benissimo, quando è il tuo turno nelle cucine sono tutti felicissimi, dovrei chiedergli di venire qui ogni tanto! Si chiama Hunter.”

“Hunter? Dev’essere il fratello di Maxine.”
“Sì, sua sorella è una Sentinella, la conosci?”
“Sì. Abbiamo la stessa età, eravamo… a scuola insieme.”

La voce di Del si abbassò leggermente e Raphael alzò lo sguardo dal suo piatto per rivolgerle un’occhiata, capendo che stesse parlando di Hogwarts e non del Covenant.
Cordelia non parlava mai di Hogwarts ma a Raphael sarebbe piaciuto saperne di più, così fece per chiederle di parlarne ma la sorella di alzò, sospirando e mormorando che era stanca e di avere un forte bisogno di riposarsi.

“Ma… non mangi?”
“Non ho fame.”
“Ma volevo stare un po’ con te Del…”

“Scusa Rafe. È stata una giornata molto lunga.”

Cordelia non disse altro e si allontanò in silenzio, sparendo oltre la soglia della stanza. E Raphael non si mosse, guardando il punto dove la sorella era sparita e non osando chiedere quante persone avesse dovuto uccidere dall’ultima volta in cui si erano visti, due settimane prima. 


*


Doveva essere già notte fonda quando Raphael decise che era stanco di starsene a letto, chiuso lì dentro. 
Non aveva ricevuto molte visite, Wyatt ormai sapeva che era meglio lasciarlo stare in quelle situazioni… quanto a Larisse, aveva provveduto a liquidarla in fretta. Preferiva starsene da solo quando stava così, e non aveva nessuna intenzione di litigare con lei, affinché la situazione non potesse sfuggirgli di mano.

Non aveva voglia di fare nulla, nè di leggere, nè di disegnare – quando stava così non gli riusciva particolarmente bene – così una volta lasciata la sua stanza, con Wyatt che già dormiva della grossa, si limitò a dirigersi verso il fondo del corridoio del dormitorio, dove si ergeva una grande vetrata. 
A Londra, purtroppo, guardare le stelle era quasi impossibile e il cielo buio non ne sfoggiava quasi alcuna, ma Raphael si sistemò comunque davanti alla vetrata per studiare la città quasi buia. 
Era bella, Londra di notte. Specie se vista dall’alto.

Il ragazzo appoggiò la fronte contro il vetro freddo e sospirò, chiedendosi per quanto ancora sarebbe stato così. Non gli piaceva, affatto, aveva sempre paura di perdere il controllo e tendeva ad isolarsi il più possibile, ma allo stesso tempo aveva il timore che, in solitudine, fosse più incline a farsi del male da solo. 

Come uscire da quel ciclo, ancora non l’aveva capito. Sarebbe stato bello avere ancora i suoi genitori accanto, ma purtroppo se n’erano andati già da dieci anni, a volte faticava persino a ricordarli. Adorava sua sorella, certo, ma ogni volta in cui la guardava gli si formava un nodo in gola, non potendo fare a meno di pensare a come avessero intrapreso strade diverse. 

Come potesse appoggiare quello stile di vita, Raphael non li capiva. E pensare che aveva sempre creduto di conoscerla bene. 
In realtà aveva la sensazione che ci fosse qualcosa che gli nascondeva, ma Del era sempre molto schiva e brava a svicolare, non era facile affrontarla di petto perché trovava sempre un modo per sfuggirgli.

Chissà dove si trovava in quel momento. Con i Carrow, forse? 
Pregava di no, considerando che non pochi membri della Causa li avevano seguiti per ucciderli. E Raphael non avrebbe sopportato di perdere anche sua sorella. 

Era così immerso nei suoi pensieri che non sentì i passi alle sue spalle e trasalì quando sentì una voce chiamarlo:

“Ah, ecco, sei uscito dal letargo!”
“Porca… LARISSE, cosa ci fai qui?!”
“Ho dimenticato una cosa nella mia camera e ti ho visto. Avevi le tue cose prima?”

Larisse lo guardò con un sopracciglio inarcato, le mani sprofondate nelle tasche della vestaglia mentre il ragazzo si stringeva nelle spalle, tornando a guardare fuori dalla finestra. 


“Sto bene.”
“Mh, mi hai vista in vestaglia e non mi stai prendendo in giro, ne dubito. Sei preoccupato per tua sorella?”
“Larisse, da quando sei così curiosa e ti interessi tanto alla mia condizione?”

“… non è strettamente per TE, ma per… beh, se dovessi fare qualcosa di strano ci potremmo rimettere tutti, no?”

Larisse si strinse nelle spalle e il ragazzo annuì, voltandosi di nuovo verso la finestra prima di parlare con tono piatto:

“Rilassati, allora. Non farò niente che potrebbe mettere in pericolo La Causa.”


*


Raphael era sempre stato consapevole di essere un bel ragazzo, di avere un aspetto piuttosto piacente, ne andava fiero, certo, e amava curarlo… Anche se, a volte, forse gli sarebbe piaciuto essere guardato anche al di là di quello.

La prima relazione vera e propria che Raphael ebbe l’ebbe al suo primo anno di scuola, con una ragazza dell’ultimo anno che aveva due anni in più rispetto a lui.
Quando lo disse alla sorella lei storse il naso e non fece commenti, ma Raphael sapeva cosa pensava del… e lo pensò anche lui, non molto tempo dopo. 

Non ci mise molto per imparare che se molte ragazze lo guardavano, a scuola, era solo ed esclusivamente per il suo bell’aspetto.
Da una parte era piacevole, dall’altra forse poi non così tanto.

Gli era persino capitato, una volta, che una ragazza anche più grande di lui gli chiedesse di baciarla davanti a determinate persone per destare la loro invidia e gelosia.
Fino a che punto era disposta a scendere certa gente?

“Rafe, smettila di fare il musone. Vieni a studiare con noi?”
“Sì Wyatt, arrivo.”

Se non altro, dentro quelle mura era riuscito a fare amicizia... Forse qualche legame duraturo lo aveva comunque instaurato.


*


“Allora, so di averlo già detto… ma ricordatevi che ALMENO uno ci serve vivo, almeno per un po’, così da capire per bene perché erano venuti qui. Niente mosse avventate.”
“Rilassati Aeron, non siamo a scuola!”
“Meno male, tu durante una simulazione sei inciampata e ci hai fatti scoprire!”

“Sono quattro anni che lo ripeto: qualcuno mi ha fatto lo sgambetto!”
“Sì, dicono tutti così…”

Edric roteò gli occhi chiari e ignorò bellamente l’occhiataccia che Max gli rivolse mentre si portavano in prossimità della grande casa completamente al buio.
Audrey si avvicinò ad Aeron, in piedi dietro la collina, e gli rivolse un’occhiata in tralice:

“Pensi che siano qui?”
“Sì, ne sono certo.”
“Come fai ad esserne sicuro? È tutto buio, forse si sono spostati…”

“Se tutto va bene non sospettano niente e non ne avrebbero motivo. In ogni caso, se anche non ci fossero dovremmo comunque entrare e assicurarcene. Allora, siamo in sei, tre o quattro di noi entreranno e gli altri resteranno qui fuori. E ricordate: non devono toccarsi il Marchio. Per nessun motivo.”


“Naturalmente. Io vado dentro… Haze, vieni?”
“Se va Haze vado anche io.”  Haze rivolse un’occhiata torva alla cugina, ma Rain non battè ciglio e gli rivolse un’occhiata di sfida che fece sospirare e annuire sommessamente il cugino:

“D’accordo, vieni anche tu allora.”

Rain abbozzò un sorriso soddisfatto e Edric non sembro particolarmente contento ma non disse nulla, non osando obbiettare mentre Audrey annuiva, asserendo che sarebbe entrata a sua volta mentre Max sbuffava:

“Ehy, anche io voglio darle di santa ragione ai Carrow!”
“Scusa Max, ma l’idea è stata mia, quindi io non ho nessuna intenzione di aspettare fuori… e Haze mi serve.”

Edric rivolse un debole sorriso all’ex Grifondoro, che sbuffò e borbottò qualcosa di incomprensibile mentre Audrey dopo averle rivolto un sorriso consolatorio, le dava una pacca sulla spalla:

“Abbi pazienza, i prossimi Mangiamorte che massacreremo saranno tutti tuoi.”
“D’accordo, allora andate… e in caso di difficoltà sapete cosa fare.”


“Con un po’ di fortuna non ce ne sarà bisogno.”


*


I fratelli Sparrow si sentivano ripetere da tutta la vita quanto fossero diversi: lei pacata e tranquilla, lui irriverente ed esuberante. A lei piaceva passare inosservata, lui amava curare il suo aspetto e apparire. Raphael era sempre stato più portato verso le relazioni sociali, Del invece era sempre stata più “chiusa” del fratello minore. Raphael era un idealista e un sognatore incallito, Cordelia brutalmente realista. Forse perché non era cresciuta in una campana di vetro a differenza del fratello e aveva già visto quanti più orrori possibili in soli 23 anni di vita. 

Si volevano bene ma non era raro che discutessero e quel pomeriggio l’oggetto della lite era la loro gatta Lady, che il ragazzo voleva portare a scuola con sè a discapito delle proteste della ragazza, che insisteva di voler avere almeno la sua compagnia.

“Ma Del, a furia di stare con te sta sviluppando un caratteraccio!”
“Ehy, modera i termini con quella che si prende cura di te!”
“I soldi della retta sono la nostra eredità!”
“Sì, ma quelli per i tuoi vestiti e il cibo me li guadagno, testa di rapa!”  

“Antipatica!”
“Infantile!”

Forse Cordelia stava per intimargli di andare in camera sua e restarci per un bel po’ – come punizione stava già pianificando di fargli sparire tutti i gel per capelli – quando qualcuno bussò energicamente alla porta e una voce familiare giunse alle loro orecchie: 

“Ragazzi! Che cos’è tutto questo baccano?!”
“Oh no… È Mrs Doubtfire!”

“CHI?!”
“Ma come chi, la vicina, stupida!”
“E perché la chiami così?”
“Beh, non riesco a pronunciare il suo nome, così l’ho battezzata così… ma perché stiamo sussurrando?!”

“Non lo so, hai cominciato tu!”
“EMBHÈ?! Vi sento sussurrare!”

“Dannazione… Presto, metti in ordine!”

Cordelia sbuffò e sfodero la bacchetta per cercare di riordinare il macello in cui era ridotta la casa – se non avesse avuto tutta quella fretta avrebbe anche preso suo fratello per le orecchie per aver attaccato al muro un cartone della pizza e usato come bersaglio delle frecciate – mentre Raphael la imitava, affrettandosi a calciare un cumulo di vestiti sotto al divano prima di stamparsi un sorriso sul volto e aprire la porta: 

“Ehm… salve!”
“Ciao Raphael, come stai?! Vi ho portato da mangiare.”

Raphael accetto di buon grado la pila di teglie coperte con l’alluminio che la donna gli porgeva e si lasciò arruffare i capelli scuri con una mano. Essere stati “adottati” dalla donna aveva i suoi vantaggi, dopotutto.

“Ciao Del, sono venuta a vedere come state… che ci fa lì un cartone della pizza?!”
“Ehm… niente.”


*


Erik non riusciva a dormire quella sera. Steso sul letto, non faceva che guardare il suo Galeone, quasi sperando che diventasse caldo, che qualcosa cambiasse su quelle cifre e sulle lettere.
Sospirò e punto lo sguardo sul soffitto buio della stanza mentre ripensava a qualcosa che gli aveva detto Erzsébet solo quel pomeriggio: 

“Stai aspettando che lei ti chiami?”

Lui e Audrey ne avevano passate tante insieme e avevano lavorato fianco a fianco per quasi tutta la loro “carriera” di Sentinelle. Era strano non essere insieme a lei, quella sera.
Sperava solo che in sua assenza non si cacciasse nei guai… riponeva fiducia nel fatto che Aeron e Haze l’avrebbero tenuta d’occhio. 

Infondo sperava che non lo chiamassero ad intervenire. 
Avrebbe significato che la situazione era precipitata.


*


“Lui non lo dovrà mai sapere.”
Il sussurro di Cordelia attiro l’attenzione di Maxine che le rivolse un’occhiata incerta:

“Raphael?”
“Sì. Se lo conosco presto vorrà far parte di tutto questo, succederà, ne sono certa, ma lui non dovrà mai sapere che io ne faccio parte? Chiaro? Vi aiuterò, Max, ma dall’esterno.”
“Ma Del, non puoi fingere di non farne parte con lui!”

“Certo che posso. Max, agli occhi di molti, mio fratello incluso, io supporto il regime. E Rafe da una parte mi disprezza per questo, lo so bene, ma preferisco che resti all’oscuro. Già non mi fa piacere immaginarlo coinvolto, se dovesse sapere sicuramente le cose si farebbero più rischiose di quanto già non siano. Ho fatto davvero molta strada, Max, ormai sono quasi ai “piani alti”. Non posso davvero rischiare. So che puoi capirmi, hai un fratellino anche tu.”

“Certo che ti capisco, Del, nemmeno io ho più i miei genitori da molto tempo  e devo pensare ad Hunter… ma per quanto ci piacerebbe pensare il contrario, non possiamo proteggerli per sempre.”
“Questo lo so. Ma Raphael non dovrà sapere che Lionheart è sua sorella. Non per il momento, almeno.”



*


Quando sentì qualcuno Materializzarsi in camera sua Carmilla spalancò gli occhi scuri e urlò quasi senza volerlo, facendo sobbalzare la sua “visita”:

“No, no, sono io! Carmilla, sono io!”
“Che accidenti… DEL! Cosa ci fai qui, mi hai spaventata!”  Carmilla sbuffò e accese la sua bacchetta mentre di metteva a sedere sul letto, guardando Cordelia fare per spiegarsi:

“Scusa, ma sapevo che vi avrei trovate a cas-“
“CARMA COSA SUCCEDE?!” 
La porta si aprì e sulla soglia spuntò Erzsébet in pigiama con la bacchetta in mano, ma la strega trasalì quando si trovò davanti la figura ben nota di Cordelia, imprecando a mezza voce per lo spavento:

“Per l’amor del cielo, stavo per ucciderti!”
“Dovete starmi a sentire, sono appena uscita da una… riunione. Lo sanno.”
“Lo sanno…”

“LORO. Lo sanno! Non so come, non so perché, ma lo sanno! Dobbiamo avvisare gli altri!”

“E come, sappiamo a malapena dove siano… merda!”
Erzsébet sbuffò prima di girare sui tacchi e uscire dalla stanza mentre Carmilla, invece, esitò prima di parlare con il suo solito tono calmo:

“Suppongo di dovermi vestire, allora.”


*


“E quella qual è?”
“Scorpione, Del. Chi pensi di prendere in giro?”

Raphael, steso sul prato accanto alla sorella, sbuffò e le assesto una gomitata che la fece ridacchiare, guardandolo con affetto:

“Ma allora non sei una capra!”
“Mi piacciono le stelle… solo che a differenza tua preferisco guardarle così, ad occhio nudo.”

Raphael si strinse nelle spalle e per qualche istante tra i due caló il silenzio, o almeno finché lei non si voltò leggermente verso di lui e parlò a mezza voce:

“Rafe? Puoi farmi una promessa?”
“Di che tipo?”
“Promettimi che cercherai di stare attento.”

“… Perché me lo stai dicendo?”
“Promettimelo e basta. Non voglio perdere anche te.”


*


L’interno era buio, silenzioso e quasi lugubre. 
Nessuno dei quattro aveva osato accendere le bacchette e così procedevano al buio.

“Dovremmo dividerci?”
“Scordatelo Edric, è esattamente quello che succede prima di finire squartati.”
“Tu guardi troppa tv, Audrey…”

“Silenzio voi due. Va bene, tu e Rain andate al piano di sopra, io e Audrey restiamo qui.”

Audrey fece per ribattere che non era una buona idea ma l’occhiata di Haze la costrinse a tacere, così si limitò ad annuire e ad obbedire. 

Nessun’altra voce risuonò nell’ampio ma dismesso ingresso – la casa risultava quasi abbandonata, anche se in tempi abbastanza recenti – e Audrey si limitò a seguire Haze in un’altra tanta, un ampio salone che forse un tempo veniva adibito come sala da pranzo.

“Perché saranno venuti qui?”
“Non lo so, ma siamo qui per capirlo.”

Haze stava studiando quello che aveva tutta l’aria d’essere un vecchio ritratto di famiglia quando un suono lo fece sobbalzare, voltandosi di scatto. Era quasi pronto a lanciare un Incantesimo potenzialmente mortale, ma si accorse con sollievo che la causa del rumore era stretto nelle mani di Audrey, che osservava un piccolo Spioscopio roteare sopra la sua mano. Doveva averlo tenuto in tasca fino a quel momento.
Haze per un attimo non si mosse, poi Audrey sollevò di scatto lo sguardo su di lui, riducendo gli occhi a due fessure:

“C’è qualcosa che non va. E tu lo sapevi, vero? Ecco perché non volevi che lei venisse.”
“Non prevedo il futuro, Audrey, non ho idea di cosa…”

“Dobbiamo tornare dagli altri.”

Audrey girò sui tacchi e si allontanò quasi di corsa a Haze, sbuffando, non poté far altro che seguirla, allontanandosi bruscamente dalla mensola del camino spento e ormai disuso. Fece cadere qualcosa con quel movimento brusco, ma non se ne curò e non si voltò.

“Vixen, aspetta!”
Haze la raggiunse solo una volta al primo piano, e fece appena in tempo a sentire delle strani vibrazioni. 
Non seppe mai perché, forse fu solo l’istinto di sopravvivenza, ma ebbe la sensazione che qualcosa stesse per succedere. Afferrò la strega e la scaraventò sul pavimento di legno, ordinandole di stare giù prima di buttarsi a sua volta a terra. Poi l’esplosione fece saltare in aria una porta e parte di una parete.



Diversi metri più in là Max, seduta sulla sabbia, alzò di scatto lo sguardo sulla casa e la guardò con gli occhi sgranati, parlando con papabile preoccupazione:
 
“Cosa è stato?!”
“Sembrava… un’esplosione.”
“Dobbiamo andare a vedere!”
“No, aspetta. Solo un momento… potrebbe non essere come sembra.”

“Ma Aeron…”
“Per favore, Max. Fa come ti dico.”


*


Non aveva avuto una bella giornata e Del bussò alla sua porta delicatamente, chiamandolo con gentilezza e chiedendogli se potesse nettare. Non ricevendo alcuna risposta apri la porta e gli si avvicinò, sedendo sul letto dove il ragazzo era steso al buio.

Aveva sempre avuto un umore altalenante e per gioco, spesso, lei lo aveva da piccola chiamato “Lupo Mannaro”. Ma più cresceva, più suo fratello sembrava sofferire di quegli sbalzi d’amore che potevano avere anche lunga durata.

“Rafe… vuoi parlarne? Di come ti senti?”
“No.”

Quando stava così Raphael non apprezzava il contatto fisico, lo sapeva, ma la Sentinella allungò comunque una mano per sfiorargli la spalla, parlando a bassa voce:

“Va tutto bene.”
“Non va tutto bene, smettila di ripeterlo! Anche al funerale di mamma e papà, Del, no, non andava tutto bene e non va tutto bene nemmeno adesso!”

Raphael sbuffò, alzandosi di scatto a sedere e facendo ritratte istintivamente la sorella maggiore prima di sospirare stancamente, passandosi una mano sul volto teso:

“Odio stare così. Pensi che prima o poi potrei finire con fare del male a qualcuno?”
“Ma certo che no… non sei una persona violenta, affatto, anche se a volte quando stai così ti arrabbi molto facilmente… “

“Mi dispiace di aver rotto i piatti prima.”
“Non fa nulla. Sono piatti, si aggiustano!”

Cordelia sorrise e il ragazzo la guardò quasi con gratitudine prima di abbracciarla, quasi desiderando di tornare ad essere il bambino che correva a farsi coccolare dalla mamma dopo aver combinato un guaio. 
E in quel momento non gli importo delle discussioni che aveva spesso con sua sorella, del fatto che le avesse detto di odiarla solo poco prima per appoggiare il regime. 

“Scusa Del.”
“Non fa niente. Lo sai che ti perdono sempre tutto.”


*


L’aveva spinta di peso, gettandola a terra. Ora Rain era inginocchiata sul pavimento, un profondo graffio sulla guancia mentre teneva la testa di Edric tra le mani, guardandolo con gli occhi ludici. Le faceva male la testa e un orecchio le fischiava leggermente a causa del boato, ma non ci fece molto caso, concentrandosi solo sul volto pallido di Edric. 

“E-Edric…”

Dal canto suo, il mago avrebbe voluto parlare, ma dalla sua bocca non uscì nemmeno un suono. Sollevò una mano tremante e strinse il polso della strega, guardandola con gli occhi chiarissimi, cerulei, leggermente appannati. 
Accennò un sorriso, Edric. Quasi come a volerle dire che andava tutto bene.
Ma Rain sapeva che non era così, bastava guardare tutto il sangue che stava perdendo.

“Perché lo hai fatto?!”
Di nuovo, Edric non parlò, la guardò e basta. E questa volta, con lo sguardo sembrò dirle “lo sai perché”.
Sì, forse lo sapeva, infondo.

“Mi dispiace. Non ho mai capito niente, sono una stupida.” Rain parlò in un sussurro, morendosi il labbro inferiore per non piangere mentre sentiva, alle sue spalle, i movimenti di dei passi e, subito dopo, una voce familiare e che aveva imparato ad odiare profondamente. 

“Su questo non c’è dubbio, stupida ragazzina, forse avrei dovuto torturati di più quando avevi quattordici anni.”
Sentendo la voce di Amycus Carrow Rain s’irrigidì, serrando la mascella prima di parlare, incrociando un’ultima volta lo sguardo implorante di Edric e ricordando ciò che lui le aveva detto quello stesso pomeriggio:

“Sta’ zitto.”
“Come hai detto?!”
“Ho detto…” Rain si voltò, lentamente, e puntò gli occhi castani sul Mangiamorte mentre il suo corpo iniziava a tremare leggermente:

“STA’ ZITTO. Pietrificustotalus!” L’incantesimo della strega investì in pieno Alecto, che probabilmente in caso contrario si sarebbe toccata il Marchio Nero sul braccio, mentre a pochi metri di stanza, fuori dalla stanza, sul pianerottolo Haze si sollevava facendo leva sulle braccia con un’imprecazione, borbottando per il dolore mentre cercava Audrey con lo sguardo, parlando con voce roca mentre allungava una mano per sfiorarle una spalla:

“Stai bene?”
“Sì. Dobbiamo andare… dagli altri.”

Haze avrebbe voluto dirle di aspettare, ma un attimo dopo Audrey, in parte ricoperta di polvere a causa dell’esplosione di una parte della parete, si stava già tirando in piedi per raggiungere Rain. 

“Oh, certo, non siete soli. Davvero pensavate che non vi avremmo aspettati per darvi il benvenuto?”

Audrey avrebbe voluto chiedergli come accidenti avessero fatto a saperlo, ma i suoi occhi saettarono su Rain. Rain che era inginocchiata sul pavimento accanto ad un Edric ricoperto di sangue, gli occhi azzurrissimi vitrei e puntati sul soffitto. Guardandolo Audrey si bloccò per un istante, stentando a crederci perché no, Edric non poteva essere morto, e quasi non sentì Haze raggiungerla e fermarsi sulla soglia della stanza. Il tutto mentre Rain singhiozzava, tremava e si teneva la testa tra le mani.

“Brutto figlio di…” Audrey fece per tirare fuori la bacchetta, ma ancora una volta fu Haze a muoversi e a precederla. Si avventò sulla cugina e l’ultima cosa che Audrey sentì fu il suo ordine di tapparsi le orecchie. Poi arrivarono le urla.


*


“RAPHAEL, SE SENTO UN ALTRO CLICK GIURO CHE TI STACCO GLI OCCHI DSLLE ORBITE!”

Larisse fulmino il ragazzo con lo sguardo ma lui, invece di obbedire, ridacchiò e provvedete a farle un’altra foto con la macchina fotografica mentre erano in Biblioteca. Anche Larisse amava la fotografia, ma quel suono irritante la stava disturbando non poco… e sopratutto l’aria divertita del proprietario della macchina fotografica.

“Non hai nessuna oca che ti cade ai piedi da fotografare invece di me?!”
“Ah, di quel tipo ne ho tante, mi serve qualcosa di diverso… ecco, aspetta, ferma, non ti muovere, questa faccia arrabbiata è riuscitissima.”
“CERTO CHE È RIUSCITA SCEMO, È AUTENTICA, E STO PER DIMOSTRARTI QUANTO CON UNA LIBRATA DOVE NON BATTE IL SOLE!”

Hunter, seduto al loro stesso tavolo, seguiva la scena con aria annoiata e scarso interesse e parlò solo quando una Penny titubante e perplessa gli si avvicinò con dei libri tra le braccia, parlando con tono incerto:

“Stanno litigando o si stanno innamorando?”
“Non saprei Penny, forse entrambe le cose…”
“Hunter, non dire cretinate! Sparrow io ti avviso, basta con le foto o stanotte ti sveglierai nella Foresta Amazzonica!”

“Scusa, è troppo divertente, quando sarò giù di morale mi basterà guardare queste per ridermela.”
Raphael abbassò il marchingegno e ridacchio, divertito solo all’idea di quando avrebbe riguardato quelle foto più tardi mentre la ragazza lo scrutava con aria truce, intimandogli di eliminare quelle foto dalla faccia del pianeta.

“Raphael, giuro che se le metti in giro ti rinchiudo in uno sgabuzzino con Alecto Carrow!”
“Oh, ma dai Larisse, questo è un colpo bassissimo!”



*


“Li devo uccidere, Rain, specialmente Amycus.”
“Edric, capisco che li odi, davvero, ma…”

“No Rain, tu non capisci, ha ucciso il mio fratellino. Era poco più di un bambino.”

Edric s’incupì e Rain sgranò gli occhi, pentendosi di aver parlato e portandosi una mano alla bocca:

“Mi dispiace, non ne avevo idea…”
“Non dispiacerti, la colpa non è certo tua, ma solo di quel lurido verme schifoso. Lo devo fare, Rain, ecco perché ho insistito per questo piano, per esserci. E se per caso non dovessi farcela ti prego, fallo tu per me.”

“Io?!”
“Sì. Mi fido di te, Rain.”


Quando riprese pienamente conoscenza Rain piangeva ancora, inginocchiata sul pavimento umido accanto al corpo di Edric, che se n’era definitivamente andato poco prima tra le sue braccia.
Le braccia di Haze l’avvolgevano e la ragazza avrebbe voluto stringersi al cugino, ma Haze scattò in piedi e si avventò su Amycus. 

Poco gli importava se era già morto, caduto a peso morto sul pavimento poco prima con le orecchie sanguinanti e gli occhi spalancati, gli si mise comunque a cavalcioni per colpirlo ripetutamente, sul volto e sul petto.

“Haze… è morto, non…”
Sentì la voce di Audrey alle sue spalle e una mano sfiorargli il braccio, ma Haze si ritrasse di scatto e l’allontanò da sè con uno strattone, sibilando di non toccarlo senza nemmeno voltarsi.

Audrey vacillò, mordendosi il labbro, ma ritrasse la mano lentamente e poi i suoi occhi saettarono su Alecto. Sembrava illesa, grazie proprio all’incantesimo della stessa Rain scagliato poco prima.

Fu quando sentì le voci di Aeron e Max, che li stavano chiamando da qualche parte nella casa, che venne riportata alla realtà. E allora cominciò a pensare.

Edric era morto. Amycus era morto. I Carrow li avevano aspettati, sapevano del loro piano e quindi, con ogni probabilità, anche gli altri. 
Non andava affatto tutto bene.


*


Al suo ritorno aveva trovato la casa vuota e buia proprio come l’aveva lasciata… con qualche danno in più, certo, ma nulla che non fosse riparabile. 
Inoltre, nel salone qualcuno aveva fatto cadere una delle sue foto di famiglia preferite ed era finita sul pavimento, così si chinò per raccoglierla. Piegò le labbra in una smorfia contrariata quando appurò che il vetro si era infranto... ma pazienza, l’avrebbe potuto riparare in un attimo. La rimise esattamente al suo posto, sul camino, e poi sorrise appena, sfiorandola e guardandone i soggetti sorridenti prima di allontanarsi. 
Doveva essere stata una serata piuttosto fruttuosa, dopotutto. Cederla in prestito ai Carrow era servito, alla fine.








…………………………………………………………………………………….……………
Angolo Autrice:

Lo so, il capitolo è molto molto lungo, ma è piuttosto importante e avevo diverse cose da dire.
Per il prossimo, dovete votare tra i seguenti nomi:

-    Nathan
-    Quinn
-    Faye

E che dire, ovviamente mi dispiace molto per Edric, specie perché volevo metterlo con Rain, ma le regole sono regole… spero di rifarmi con altre coppie (AUTRICI NON SPARITE VI PREGO!).
Mi spiace inoltre averlo interrotto così bruscamente ma era già molto lungo così… il prossimo dovrebbe iniziare esattamente da questo punto.
Ci sentiamo la settimana prossima con il seguito!

Signorina Granger 

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Capitolo 9
*** Faye Jones ***


Capitolo 7: Faye Jones

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“Che cosa è successo?! Edric!”
Max si fermò sulla soglia della stanza e spalancò gli occhi chiari con orrore quando scorse Edric sul pavimento, con Rain ancora accanto a lui e visibilmente molto scossa.

Haze ora era seduto sul pavimento a sua volta, accanto al cadavere praticamente martoriato di Amycus, e osservava un punto del pavimento mentre teneva Le braccia appoggiate sulle ginocchia, i capelli spettinati e pieni di polvere.
“Audrey?”

Maxine chiamò l’amica, che era ancora in piedi al centro della stanza, e la strega si voltò verso di lei prima di parlare con un sibilo:

“Lo sapevano.”
“Come?!”
“Ho detto che lo sapevano. Qualcuno li ha avvisati. Pare che abbiamo un grosso problema all’interno della Causa, ma a questo penseremo dopo, ora ne abbiamo un altro da risolvere. Non pensarci neanche.”

Audrey era ancora voltata verso Maxine quando parlò, sollevando il braccio e scagliando, un istante dopo, l’incantesimo Incarceramus su Alecto, legandola con delle spesse corde.

“Tu non ti muovi finché non lo diremo noi, chiaro?”

La Sentinella rivolse un’occhiata truce alla Mangiamorte, che aveva fatto per alzarsi e recuperare la sua bacchetta, e applicando pigramente Silencio silenziosamente le impedì persino di parlare. Aveva bisogno di silenzio. Doveva pensare in fretta.

“Non abbiamo molto tempo, dobbiamo sbrigarci. Se lo sanno… con un po’ di fortuna non verranno qui fino a domattina, ma dobbiamo comunque levare le tende rapidamente.”
“Si sono toccati il Marchio?”
“No.”

Audrey scosse il capo alla domanda di Aeron mentre Maxine si avvicinava a Rain per aiutarla a rialzarsi, abbracciandola mentre Aeron annuiva cn fare sbrigativo.

“Allora forse non avremo altre visite.”
“Lo spero. Ora… dobbiamo decidere che fare. Con Alecto e con i corpi.”

“Portiamo Edric con noi, vero? Insomma, lo dobbiamo… seppellire.” Rain deglutì e rivolse un’occhiata quasi implorante ad Aeron e ad Audrey, ma la donna scosse il capo:

“No. Non possiamo… mi dispiace, ma è un grosso problema per noi, devono sapere che è morto stanotte.”
“Non lo lascerò qui, scordatelo!”
“Nemmeno io vorrei farlo, credimi, ma come nasconderemo e spiegheremo la scomparsa di Edric alle altre Sentinelle, ai Mangiamorte, se non in questo modo? No, devono sapere che l’hanno ucciso loro.”

“E i Carrow?”
“Alecto viene con noi. Quanto ad Amycus… lasciamo qui anche lui. Max? Puoi fare una cosa per me?”

“Certo…” Max annuì, guardando l’amica con aria stralunata mentre Audrey continuava a fissare un punto del muro con aria pensierosa mentre parlava con tono piatto e sbrigativo:

“Porta Rain a Londra. Poi tu ed Aeron radunate gli altri, anche i ragazzi… chiedi ad Erzsébet di preparare una pozione per la memoria a breve termine, poi tu ed Aeron dovrete cancellare la memoria a tutti. Nessuno dovrà ricordarsi di questa operazione, perché ci interrogheranno per assicurarsi che Edric non avesse dei complici. Ma prima, scrivi tutto. Tutto quello che è successo stanotte, il piano, tutto quanto. Scrivilo e manda il biglietto a casa mia. Poi tu ed Aeron aspettatemi lì, toglierò la memoria anche a voi e poi berrò la pozione di Erzsébet. Haze, tu devi andare con loro, ti prego.”

“E Alecto?”
“Ad Alecto penserò io, non preoccupatevi, andate, adesso.

Audrey si voltò, fissando la Mangiamorte mentre, alle sue spalle, sentiva Max, Rain ed Aeron Smaterializzarsi. Haze invece, dopo essersi alzato in piedi, le rivolse un’occhiata in tralice prima di parlare con tono piatto:

“Vedi di non fargliela passare liscia.”
“Non lo farò. Ci vediamo dopo, Haze… Andrà tutto bene.”

Non seppe mai se volesse convincere lui o se stessa, ma per fortuna Haze l’ascoltò, anche se sbuffando sommessamente con riluttanza, e dopo aver rivolto un’ultima occhiata ad Edric sparí a sua volta, lasciando la collega sola con due cadaveri e con Alecto.
La mano di Audrey, una volta sola, scivolò nella tasca, estrasse una moneta d’oro e poi iniziò a modificare i numeri in lettere.



Quando la moneta divenne calda, Erik sobbalzò. La prese per assicurarsi di non sbagliarsi e sorrise con sollievo quando lesse il messaggio comparso sulla grossa moneta d’oro.
Lui, Erzsébet, Carmilla, Nathan, Quinn, Faye e Cordelia si erano riuniti da poco quando la Sentinella si liquidò, affermando di dover andare senza dare spiegazioni prima di uscire rapidamente dalla istanza, ignorando i richiami dei compagni.

“Ecco, fantastico… ma dove accidenti sta andando adesso?!”
“Forse lo hanno contattato, non ne ho idea… a Murrey penseremo dopo, ora dobbiamo capire cosa fare!”

Erzsébet sbuffò, tamburellando nervosamente le dita sul tavolo, mentre Carmilla, accanto a lei, si rivolgeva a Cordelia:

“Cordelia, devi dirci esattamente che cosa hai sentito.”
“Ve l’ho già detto, c’è stata una riunione tra i Mangiamorte e hanno parlato dei Carrow. Sapevano che avrebbero ricevuto una visita, anche se ignorano l’esistenza della Causa vera e propria.”
“Grazie a Dio, ma resta il fatto che lo sapevano. Com’è possibile?”

“Mi sembra chiaro che ci sia una falla nel sistema.”
“Parli di una talpa, Nathan?”
“Ovviamente. Che altro può essere?”

“No, insomma… mi rifiuto di pensare che uno di no faccia il doppio gioco! Andiamo, non è possibile.”  Faye scosse il capo con decisione mentre Erzsébet sbuffava, borbottando sommessamente che una volta trovato avrebbe preso quel tizio a calci fino allo sfinimento.
Cordelia fece per aggiungere qualcosa ma s’interruppe quando qualcosa comparve nella stanza proprio in mezzo ai presenti, una specie di massa informe di luce che prese lentamente le sembianze di un animale.

“Che cosa…”
Faye aggrottò la fronte e fece per alzarsi, ma si bloccò al sentire la voce di Quinn, che pronunciò semplicemente una singola parola:

“Audrey.”


*


Era una calda mattina di Maggio quando la vita di Edward Jones, studente universitario al penultimo anno, cambiò per sempre.
Era seduto sul divano e guardava come ipnotizzato la bambina che teneva tra le braccia e che sonnecchiava con il ciuccio in bocca, apparentemente incurante di aver appena sconvolto la sua vita con la sua improvvisa e inaspettata comparsa.

Poco meno di un’ora prima due uomini aveva bussato alla sua porta annunciando che la bambina era sua figlia, presentandosi come i fratelli della ragazza che aveva frequentato l’estate precedente, una certa Morrigan che era sparita senza lasciare traccia alla fine della stagione dopo essersi conosciuti al mare.
Quella bambina, così come sua madre e la loro intera famiglia, era una strega, così gli avevano detto.
Edward avrebbe potuto ridere e non crederci, se non fosse stato per le espressioni tremendamente serie che i due sfoggiavano.

Per volere della ragazza avrebbero provveduto a mantenere quella bambina fino alla maggiore età, ma lui non avrebbe mai dovuto cercare la loro famiglia, la sorella o dire alla piccola chi fosse sua madre.

“Nella nostra famiglia le persone come te, prive di magia, non sono ben accette. Dovete starci lontani, o nostro padre probabilmente vi ucciderà entrambi. Nessuno sa o deve sapere che nostra sorella ha avuto una figlia, specie con un Babbano.


Poi se n’erano andati e ora Edward era lì, teneva in braccio la bambina che gli avevano scaricato come un pacco postale. Non sapeva nemmeno come chiamarla.

Un nome Edward, pensa ad un nome...
 
Più facile a dirsi che a farsi, di norma i genitori per decidere avevano tre mesi, lui aveva scoperto di essere padre un quarto d’ora prima…
“Faye? Faye Jones, non suona male, vero?”
 
Edward abbozzò un sorriso mentre solleticava leggermente la guancia della bambina, che si limitò a guardarlo con i grandi occhi scuri – i suoi, appurò con leggera soddisfazione – e a sollevare una manina per stringergli il dito.
Ad Edward si scaldò il cuore a quel gesto, e annuì con un sorriso:

“Ok. Faye allora.”


*


“Audrey?!”

Erik mise piede nel grande edificio guardandosi intorno con attenzione, la bacchetta già stretta in mano mentre procedeva sul parquet.
“Di sopra.”

Quando la raggiunse gli occhi chiari di Erik saettarono dall’apertura a dir poco vistosa nel muro al corpo di Edric, spalancando gli occhi con orrore prima di parlare:

“Edric!”
“Amycus. Credo che abbia salvato Rain e che sia rimasto investito dall’esplosione.”

Sentendo la voce dell’amica Erik alzò lo sguardo per individuarla, abbozzando un sorriso sollevato quando la vide appoggiata alla parete, le braccia strette al petto.

“Tu stai bene?”
“Sì. Grazie per essere venuto, ho… bisogno del tuo aiuto. Amycus è stato ucciso dalle urla di Rain, ora dobbiamo pensare a LEI.”

La donna si allontanò dal muro e i suoi passi echeggiarono nella stanza mentre si avvicinava ed accennava ad Alecto, che Erik notò solo in quel momento, seduta sul pavimento e legata, la sua bacchetta strette le mani della Sentinella.

“Cosa vuoi che faccia?”
“Beh, prima di ucciderla ci serve. Il corpo di Amycus lo lasceremo qui, non lo useremo per prendere le sue sembianze… basterà Alecto a questo scopo.”

“Ma Audrey, il piano…”
“Il piano è cambiato, Erik. Edric è morto, ti basta come motivo? Lasceremo che pensino che Amycus è stato ucciso da Edric, del resto lui aveva un vero movente per farlo. Dobbiamo lasciarlo qui per forza, altrimenti come spiegheremo che è scomparso nel nulla?”

“Bene. Allora con lei che cosa facciamo?”
“Alecto ci racconterà perché erano qui e come facevano a saperlo, non è vero?”

Audrey sorrise alla donna, che spalancò gli occhi con orrore, senza poter parlare. Erik invece annuì, restando impassibile mentre l’amica spezzava l’incantesimo e permetteva nuovamente alla Mangiamorte di parlare, che non esitò a strillare:

“Se pensate che la passerete liscia vi sbagliate di grosso.”
“Alecto, non ricordi che cosa dicevi sempre tu? Parli quando lo dico io. Erik? È tutta tua.”

Audrey rivolse un cenno al collega e fece un paio di passi indietro, allontanandosi dalla donna e lasciandola alle “cure” dell’amico, che si limitò a rivolgere uno sguardo truce alla donna prima di puntarle contro la bacchetta.
“Crucio.”


*


Faye, già a letto, in pigiama e sotto le coperte, aspettava con impazienza che il padre la raggiungesse:

“Papà! Il bacio della buonanotte!”

La bambina sorrise appena quando vide il padre entrare nella stanza, sorriderle di rimando e sedere sul letto per lasciarle un bacio sulla fronte e una carezza sul viso.

“Ecco fatto. Basta così?”
“No, un altro.”
Faye sorrise e scosse il capo, coprendosi con il lenzuolo fino al mento mentre Edward, sorridendo, le disseminava baci sul viso facendola ridacchiare.

“Ecco, direi che ora sei a posto. Buonanotte amore mio.”
“Buonanotte. Ti voglio bene.”
“Anche io Faye.”


*


Max, seduta sul tavolo, stava facendo esattamente come Audrey le aveva detto di fare: stava mettendo tutto per iscritto mentre Erzsébet preparava la pozione e Aeron era andato al Covenant per occuparsi dei ragazzi.

“Come sta Rain?”
“Haze l’ha portata casa, ha detto che sarebbe rimasto con lei. Sembrava molto turbata.”

Faye, seduta di fronte a lei, annuì con un sospiro, mordendosi leggermente il labbro inferiore mentre Quinn, alle sue spalle, obliviana Carmilla e Nathan.

“Non posso credere che Edric sia morto.”
“Nemmeno io.”
“Insomma… me lo ricordo fin da Hogwarts, a lezione… Non immagino come debba stare Haze. Audrey?”

“Non saprei, erano amici, di certo sarà molto scossa… ma credo che non voglia darlo a vedere e che voglia rimettere le cose a posto in modo che nessun altro ne subisca le conseguenze.”

Faye annuì e rivolse un’occhiata in tralice a Quinn prima di alzarsi, parlando con un sospiro:

“D’accordo Quinn, avanti, fallo. Poi Max penserà a te e ci manderà tutti a casa. Erzsébet, a che punto sei?”
“Quasi finito!”

“Bene. Allora forza, Quinn, e quando tornerà occupatevi anche di Aeron. L'ultima sarà Max.


*


Faye sedeva sul letto e braccia e gambe incrociate, un broncio sul volto mentre dava le spalle alla porta chiusa della stanza. Lei e suo padre avevano litigato poco prima e non aveva nessuna voglia di andare per prima a parlarci.
E forse Edward lo sapeva, visto che aprì la porta e rivolse un’occhiata titubante alla bambina:

“Faye? Possiamo parlare?”
“Se non vuoi rispondere alle mie domande no.”

“Tesoro, te l’ho già spiegato… non posso parlarti di tua madre. E poi è passato tanto tempo, e nemmeno io sapevo molte cose di lei…”
Edward sospirò e si avvicinò al letto della figlia per sedersi sulla sua sponda quando Faye, a quelle parole, si voltò di scatto per guardarlo con occhi imploranti:
“Voglio solo sapere come si chiama! E perché non mi ha voluta, ti prego!”

“Tesoro, non posso dirti il suo nome. E non è che non ti abbia voluta, è solo che… non poteva prendersi cura di te, così ti ha lasciata a me.”

“Non vuoi dirmi il suo nome perché hai paura che vada a cercarla e che magari voglia restare con lei invece che con te!”

Edward non rispose subito di fronte a quell’accusa, riflettendo sulle parole della figlia: in effetti aveva paura che potesse andare a cercarla… e doveva ammettere che la prospettiva di perdere Faye non lo allettava in ogni caso, anche se la famiglia di Morrigan l’avesse accolta, cosa che non sarebbe comunque successa in nessun caso.

“Tesoro, no, io voglio solo che tu sia felice.”
“Voglio sapere chi è la mia mamma! Lasciami stare, se non vuoi dirmi niente.”

“Ma Faye…”
“Lasciami stare!”

La bambina di nove anni afferrò un cuscino per poi abbracciarlo e premerlo contro il viso mentre Edward, sospirando, si alzava per uscire dalla stanza e lasciarla sola. Sarebbe arrivato il giorno in cui le avrebbe spiegato perché non poteva parlarle di sua madre, ma purtroppo era ancora molto lontano.


*


“Aspetta.”
Erik si fermò e guardò Audrey, che si avvicinò ad Alecto per prenderle il mento e costringerla a guardarla:

“Te lo chiederò di nuovo: come facevate a saperlo?!”
“Non ne ho idea, stupida ragazzina. Ci hanno passato delle informazioni, ma ne io ne mio fratello sappiamo chi sia stato!”

“Dio, se almeno foste utili in qualche maniera… invece siete solo due putridi psicopatici.”

Audrey piegò le labbra in una smorfia quasi disgustata mentre tirava fuori la bacchetta a sua volta, rivolgendo un cenno ad Erik:

“Non credo sappia molto per davvero. Era un trucco fin dall’inizio per capire se qualcuno tramava alle loro spalle, ci siamo fatti raggirare come degli stupidi!”
“Di lei che ne facciamo, allora? La uccido?”

Erik inarcò un sopracciglio ma Audrey scosse il capo, continuando ad osservare la donna con odio prima di sollevare la bacchetta e puntargliela contro:

“No. No, per ora no. Alecto deve fare un’ultima cosa per noi. Imperio.”


*


“Tassorosso!”

Faye era cresciuta come una Babbana e non sapeva praticamente niente di Hogwarts… ogni Casa le sarebbe andata bene. Era solo felice di potersi, magari, creare una nuova famiglia.
Si diresse verso il tavolo della Casa designata con un piccolo sorriso sul volto, già pensando a quando avrebbe scritto a suo padre per dirgli dove era stata Smistata. Quando avevano appreso i nomi delle quattro Case ne avevano riso insieme, trovandoli a dir poco buffi, e pensandoci Faye smise momentaneamente di sorridere.
Certo, avevano attraversato periodi in cui avevano discusso spesso, ma suo padre le sarebbe mancato moltissimo.


“Papà, stai piangendo?!”
“No, è l’allergia…”
“A cosa?!”
“Non lo so, al fumo del treno. Comportati bene, fai attenzione, testa sulle spalle e scrivimi due volte a settimana.”

Edward la strinse in un abbraccio e Faye annuì, mormorando un assenso mentre ricambiava la stretta. Spesso sentiva la mancanza di una madre, ma era consapevole di aver avuto un padre meraviglioso che aveva fatto il lavoro di due genitori.
Forse avrebbe dovuto ringraziarlo, ma orgogliosa com’era, Faye non lo fece.


*


Dopo aver obliviato anche Aeron ed Erzsébet Max, esattamente come le aveva detto di fare Audrey, portò a casa di quest’ultima il biglietto che lei stessa aveva scritto insieme al filtro preparato dalla collega.
Non aveva più visto i Mallow, ma immaginò che ci avrebbe pensato Audrey…. Così, una volta a casa sua, non le restò che aspettare, chiedendosi come se la stessero cavando, in quel momento, lei ed Erik.



“Raggiungerai gli altri Mangiamorte e dirai loro che tuo fratello è tragicamente morto, ucciso da Edric Marlowe. Amycus aveva ucciso suo fratello durante la Battaglia di Hogwarts e lui ha voluto vendicarsi, lo aveva meditato per anni, probabilmente. Ma Edric era solo, non c’era nessun altro con lui. Dirai che Edric ha ucciso Amycus e che allora tu lo hai colpito mortalmente. Una volta fatto questo verrai al Covenant, nei sotterranei, e aspetterai lì senza parlare con nessuno lungo la strada. Chiaro?”

Audrey guardò Alecto annuire debolmente e sospirò, mormorando che sperava vivamente che bastasse.

“Grazie a questo e togliendoci i ricordi di questa notte dovremmo essere coperti… ma dobbiamo capire come facevano a saperlo. Qualcuno deve aver parlato.”
“Sospetti di qualcuno?”
“Di tutti, eccetto che per i presenti, e con i “presenti” includo anche Edric, a questo punto. Vá, sbrigati.”

Audrey rivolse un cenno alla donna, sciogliendo le corde che la tenevano legata da quasi un’ora, e Alecto si Smaterializzò sotto i loro occhi, prima che Erik sospirasse debolmente:

“Torniamo a Londra?”
“Sì, dobbiamo assicurarci che tutto stia andando come previsto. A quest’ora la pozione dovrebbe essere pronta, la berremo per ultimi, prima ci assicureremo che tutti gli altri siano stati obliviati.”


*


Il 3 Maggio 1998 Faye Jones tornò a casa quasi in lacrime, gettandosi tra le braccia di suo padre non appena questi aprì la porta.

“Faye! Tesoro, stai bene? Che cosa è successo?!”
“È finita papà. Ha vinto lui.”

La ragazza venne scossa da un singhiozzo mentre suo padre, dopo aver sospirato, la conduceva in salotto per farla sedere sul divano.

“E sei riuscita a tornare a casa?”
“Ha fatto uccidere tutti gli studenti Nati Babbani, noi Mezzosangue siamo stati mandati a casa… ora cambieranno molte cose. Non tornerò più ad Hogwarts papà.”
“Ma ti manca ancora l’ultimo anno da frequentare!”

“Non posso. Sono una Mezzosangue con un genitore Babbano, non posso tornarci. Immagino che decideranno come comportarsi con noi, ma probabilmente finiremo a fare il lavoro degli Elfi Domestici per i Purosangue.”

La ragazza s’incupì e l’espressione di Edward s’indurì, immaginando cosa sarebbe successo se, disgraziatamente, la figlia fosse finita a lavorare per la famiglia di sua madre. No, non avrebbe permesso che ciò accadesse.

“Andrà tutto bene piccola. Vieni qui.”

Faye si lasciò abbracciare dal padre, accoccolandosi contro la sua spalla come quando era piccola e sperando silenziosamente che avesse ragione.
I suoi pensieri riguardavano anche lui, non solo lei: suo padre era un Babbano, dopotutto. E non voleva che gli succedesse nulla.


*


Quando aprì gli occhi Faye aggrottò la fronte, chiedendosi che cosa ci facesse a casa.
Si tirò lentamente a sedere sul letto e rivolse un’occhiata di sbieco alla finestra, capendo che fosse ormai mattina inoltrata a giudicare dalla luce.
Si passò lentamente una mano tra i capelli castani mentre cercava di ricordare cosa fosse successo la sera prima… ma nulla, vuoto totale.
La Sentinella sospirò stancamente, capendo di essere stata obliviata. Era successo solo una volta, prima d’allora… e Faye era certa che non fosse un buon segno: qualcosa doveva essere andato storto, se avevano preso una decisione così drastica.

La strega si alzò, accorgendosi di essere completamente vestita, fatta eccezione per le scarpe, e si infilò rapidamente gli stivali di cuoio, sfiorandosi distrattamente il tatuaggio a forma di Doxy che sfoggiava sulla caviglia – e da lì era nato il suo soprannome, visto che quando lo aveva visto di sfuggita Quinn, anni prima, aveva riso e decretato che l’avrebbero chiamata così – prima di prendere la bacchetta e dirigersi fuori di casa a passo di marcia: voleva assicurarsi che anche gli altri, come lei, non ricordassero niente.

Non dovette però fare molta strada visto che, messo piede fuori dalla porta, quasi andò a sbattere contro una figura ben nota, che le sorrise:

“Eccoti, stavo per entrare e assicurarmi che fossi viva! Da quando dormi così tanto?”
“Oh, ciao. In realtà non… mi sono svegliata vestita, credo sia successo qualcosa ieri sera, ma non ricordo niente. Vale anche per te?”
Quinn, appoggiato alla ringhiera delle scale, annuì mentre l’immancabile Ares faceva le feste a Faye, che gli grattò affettuosamente le orecchie e gli concesse uno dei suoi rari sorrisi.

“Sì, e credo per tutti. Abbiamo del lavoro da fare stamani, ma poi credo sarebbe il caso di incontrare gli altri. Perché a lui sorridi sempre e a me mai, comunque, quando ci conosciamo da più di quindici anni?!”
“Beh, lui se lo merita. Andiamo, Richards.”


E senza aggiungere altro Faye lo superò, iniziando a scendere le scale del condominio con il collega al seguito, che alzò gli occhi al cielo prima di seguirla e fare cenno al cane di fare altrettanto.


*


Faye non avrebbe mai dimenticato la prima volta in cui tentò il suicidio.
Aveva 22 anni, si era diplomata al Covenant da circa un anno e nell’arco di quel tempo quella specie di depressione che aveva sviluppato nella seconda scuola da lei frequentata si era acuita.
Fu prima della Causa, quando Faye Jones si svegliava ogni mattina pensando a tutte le persone a cui aveva tolto la vita, alle famiglie che aveva distrutto e a tutte quelle che avrebbe ucciso in futuro. Quando si sentiva solo una misera assassina, un burattino, e faticava a trovare un senso alla sua vita.

Faye era in bagno, in piedi davanti al lavandino.
Teneva in mano una lametta sporca di sangue, il suo sangue, dopo essersi incisa dei tagli sulle braccia.
E all’improvviso i suoi occhi caddero sul polso… quell’idea non era poi così surreale, in quel momento.

Ormai si auto-lesionava da tempo, le cicatrici che riportava su gambe e braccia ne erano la prova, ma quell’idea non l’aveva mai sfiorata, prima di quel giorno.
Faye sbattè le palpebre, gli occhi scuri fissi sulla pelle liscia e immacolata del polso, dove spiccavano un paio di vene.


No. No, che stava facendo? Non poteva andarsene così, da vigliacca, avrebbe distrutto suo padre. Forse continuare a vivere con il rimorso era una punizione ben peggiore della morte. Era così concentrata su quei pensieri che non sentì la porta di casa aprirsi, si rese conto dei passi che si avvicinavano troppo tardi, quando sentì la voce di suo padre:

“Tesoro, dove… Faye. Cosa stai facendo?!”

Faye, immobile davanti al lavandino, si voltò di scatto e guardò suo padre sulla soglia con orrore, guardandolo impallidire vistosamente e sgranare gli occhi castani quando scorse il sangue sulle sue braccia e la lametta vicina al polso teso.

“Papà, non…”
Ma Faye non finì di parlare, perché l’uomo le si avvicinò e le tolse la lametta di mano, sbattendola sul lavandino prima di prenderle il viso tra le mani, guardandola terrorizzato:

“Che cosa pensavi di fare, Faye?!”
“Non volevo… non volevo farlo davvero, papà, non avresti dovuto vederlo…”
“È una fortuna che io sia arrivato invece! Perché ti fai… queste cose?”

Edward abbassò lo sguardo sulle sua braccia, rendendosi conto di non avergliele viste nude per molto tempo, e Faye non rispose subito, abbassando lo sguardo prima di sussurrare qualcosa:

“Non lo so.”
“Oh tesoro… non farlo mai più.”

Edward l’abbracciò con un sospiro prima di portarla in salotto e ordinarle di sedersi affinché lui le sistemasse le ferite. Volle restare con lei per il resto della giornata e quando se ne fu andato, quella sera, Faye non trovò traccia di alcuna lametta.


*

Raphael si svegliò con il mal di testa e la spiacevole sensazione di non ricordare qualcosa di importante. Il ragazzo sospirò e sperò che la sorella stesse bene mentre si metteva a sedere sul letto, allungando quasi senza pensarci una mano verso il suo comodino, aprì il cassetto e iniziò a frugare in mezzo alla confusione mentre la porta si apriva e Mowgli compariva sulla soglia, sorridendogli:

“Oh, sei sveglio! I Carrow ancora non si vedono, per la gioia di tutti noi… come ti senti?”
“Bene. Credo che ci abbiano cancellato la memoria, ho una strana sensazione.”
“Sì, forse. Non ci resta che aspettare notizie…”

Wyatt annuì mestamente mentre Raphael tirava fuori qualcosa dal cassetto, osservando la foto che teneva in mano e ricordando una cosa che aveva detto alcuni mesi prima: “quando sarò giù di morale mi basterà guardare queste per ridermela”. Non sapeva se nel momento in cui aveva detto quelle parole aveva pensato ai suoi momenti di depressione, ma guardò l’immagine da lui stesso scattata di Larisse che lo guardava come a volerlo incenerire con lo sguardo.
E poi abbozzò un sorriso.


*


“Stavo pensando al nome da usare… qualche idea?”
“Non guardare me, con queste cose sono pessima!”

Max rise, annuendo e confermando le parole di Audrey – che le riservò un'occhiataccia – mentre Faye si mordicchiava il labbro inferiore, pensierosa.
Poi le vennero in mente le parole di Quinn e abbozzò un sorriso, vagando con la mente al tatuaggio che sfoggiava sulla caviglia:

“Doxy.”
“Doxy?! Non sopporto quegli esserini irritanti!”

“Beh… diciamo che mi si addice.”
“Ma Faye, tu non sei irritante!”

“Questione di punti di vista!”
“Nessuno ti ha interpellato, Richards.”


*


Questa volta l’ordine non fu di uccidere un Nato Babbano, bensì due Mezzosangue.
Due Sentinelle, a dirla tutta, esattamente come loro.
Si trattava, quindi, di persone che conosceva – seppur poco – e fu ancora più difficile del solito.

Cogliendo il suo turbamento Quinn si era offerto di farlo al suo posto e Faye, per una volta, non aveva trovato nulla da obbiettare. Si era limitata ad annuire mestamente, lasciando a lui il lavoro sporco.

“Che cosa pensi che avessero fatto?”
“Credo si fossero rifiutati di svolgere un incarico… Immagino che l’abbiamo fatto fare a noi affinché servisse da monito per tutti.” Quinn sospirò e rivolse un’ultima occhiata lugubre ai corpi di Margaret e Kevin prima di mettere una mano sulla spalla di Faye per spingerla ad allontanarsi, ma la donna non si mosse, continuando a tenere gli occhi scuri fissi su di loro.
Era certa che le loro preghiere di risparmiarli non se ne sarebbero andate tanto in fretta dalla sua testa.

Le braccia di Faye erano strette al petto e le sue dita, quasi senza volerlo, iniziarono a sfiorare le cicatrici che sapeva esserci sotto i vestiti.
Era esattamente per quel motivo, le continue uccisioni, che aveva attraversato in passato più con un momento di crisi. In un paio di occasioni aveva pensato di non reggere, aveva preso in considerazione l’idea di togliersi la vita, ma poi si era convinta che era più utile da viva che da morta. Grazie alla Causa aveva trovato, in fin dei conti, un motivo per andare avanti.

Ma era vero? Era così importante? Stavano davvero facendo qualcosa? A volte convincersene era difficile.  

“… Faye?”
Quinn esitò ma poi, accorgendosi che gli occhi scuri di Faye si erano fatti lucidi, gli venne spontaneo abbracciarla, massaggiandole la schiena e appoggiando il mento sulla sua testa.

“Va tutto bene Faye… non è colpa nostra, non possiamo farci niente purtroppo.”
“Lo so. Ma odio sentirmi così… impotente! Non ce la faccio più…”

Faye scosse il capo contro il suo petto e lo sentì sospirare prima di dire qualcosa a bassa voce:

“Lo so… non è per sempre, Faye. Presto finirà, vedrai.”


*


Nuotare le piaceva, le era sempre piaciuto. Era un modo per rilassarsi, per pensare.
Andava in piscina sempre, quando poteva, lì per lo meno non era una strega, una Mezzosangue o una Sentinella, era solo una normalissima ragazza.

Tra una bracciata e l’altra Faye pensò alla Causa, a come stesse meglio da quando ne faceva parte. Certo era rischioso, ma si sentiva indubbiamente meglio con se stessa…  si tagliava molto meno.

Sperava solo che riuscissero effettivamente a cambiare le cose, perché non aveva alcuna intenzione di trascorrere la sua vita in quel modo, con la sensazione di essere sbagliata, di fare solo cose sbagliate.


*


Quando erano tornati a Londra Audrey era andata immediatamente a casa, insieme ad Erik, e lì ci aveva trovato Max, che le aveva portato la pozione preparata da Erzsébet e il figlio dove aveva scritto tutto.
Dopo averla ringraziata e averle chiesto se si fossero occupati di tutti – e Max aveva risposto che mancavano solo Rain e Haze, che non aveva più visto una volta lasciata la villa – Audrey aveva cancellato la memoria anche a lei prima di mandarla a casa sua e suggerirle di dormire, assicurandole che le avrebbe spiegato tutto l’indomani.

Poi, Audrey si era rivolta ad Erik chiedendogli di andare al Covenant per aspettare che Alecto arrivasse.

A quel punto la strega avrebbe dovuto cancellarsi i ricordi con il filtro, ma rimaneva il problema di Haze e Rain, non poteva lasciarli con i ricordi intatti… specie considerando il turbamento di Rain e il fatto che semplicemente conosceva Haze. Non aveva nessuna intenzione di guardarlo finire nei guai per impulsività o collera in seguito ad aver perso il suo migliore amico.

Così, prima di bere la pozione per la memoria Audrey si era recata a casa dell’ex Corvonero, armandosi di pazienza e sperando che l’amico fosse disposto ad ascoltarla.
Era sicura che in quel momento non sarebbe stati facile trattare con lui, ma doveva provarci per il suo stesso bene.



Haze era seduto sul divano, i gomiti appoggiati sulle ginocchia mentre si premeva le dita sulle labbra, gli occhi fissi sul pavimento mentre rifletteva. E cercava in tutti i modi di non pensare ad Edric.
Quando sentì bussare alla porta quasi sobbalzò, rilassandosi leggermente quando sentì la familiare voce di Audrey:

“Haze?! Sono io… so che sei in casa.”
L’ex Corvonero esitò ma alla fine si alzò, aprendo la porta e trovandosi la collega davanti, che gli rivolse un’occhiata incerta prima di parlare:

“Rain?”
“Sta dormendo. Audrey, so cosa vuoi fare, ma non voglio che mi si cancelli la memoria. Voglio ricordare cosa gli è successo.”
“Anche io, Haze, e ti assicuro che farò in modo che recupereremo I nostri ricordi… ma è per il nostro bene. Lo sai anche tu.”

Audrey allungò una mano per appoggiarla sulla sua spalla e Haze esitò, sospirando prima di farle cenno di entrare in casa, spostandosi per farla passare.

“Max ha messo per iscritto tutto, anche di recuperare i ricordi quando la bufera sarà passata. Erik si sta occupando di Alecto, a quest’ora credo sia già morta… l’ho mandata da Yaxley a dire che Edric era solo, che voleva vendicare Jack, dovremmo cavarcela in questo modo.”
Haze annuì distrattamente, esitando prima di guardarla con la fronte aggrottata:

“Come fai?”
“A fare cosa?”
“A restare così lucida.”
“Nel panico non si risolve nulla… allora, mi permetterai di farlo? Perché non riuscirò a cancellarti la memoria, se non mi lascerai accedere alla tua mente, sei troppo bravo.”

Haze abbozzò un sorriso prima di annuire, mormorando di occuparsi prima di Rain prima di parlare di nuovo:

“Audrey? Avevi ragione, forse non avremmo dovuto dividerci. E sapevo che qualcosa sarebbe andato storto, forse se l’avessi detto…”
“Non credo sarebbe cambiato molto. Per lo meno Amycus ha avuto quello che si meritava, e abbiamo perso solo Edric. Mancherà anche a me, comunque.”

Audrey, dopo aver parlato con tono mesto, esitò, poi si diresse verso il corridoio per raggiungere Rain. Haze invece non si mosse, quasi rammaricato della morte di Amycus per mano di sua cugina.
Avrebbe preferito ucciderlo di persona, probabilmente.
Poi sedette nuovamente sul divano, aspettando che Audrey si occupasse di sua cugina.

*


Quel giorno la Causa aveva impedito l’omicidio di un gruppo di bambini in una scuola elementare Babbana.
Era in giorni come quello che Faye Jones, tornata a casa, si coricava sul letto e sorrideva, nel buio della stanza, prima di dormire.
Era in giorni come quello che sentiva tutta la sua collera, sia verso il mondo che contro se stessa, farsi lontana.  Era in giorni come quello che le sembrava di aver finalmente superato la sua depressione.

Per una volta, prima di addormentarsi Faye non si sentì un’assassina, e quella notte non sognò nessuna vittima indifesa morire per mano sua.



*


Terminata l’operazione Faye aveva detto di voler stare sola e non se l’era proprio sentita di contraddirla, così si era limitato a guardarla allontanarsi con leggera apprensione.
La conosceva da anni e non l’aveva mai vista reagire come poco prima, mai.

Aveva deciso di fare una passeggiata con Ares e persino il cane sembrava irrequieto, così come il padrone.
Alla fine, dopo circa mezz’ora, Quinn aveva deciso di mandare il tatto a quel paese ed era tornato a casa della collega, non ottenendo alcuna risposta quando ebbe suonato il campanello.
Faye gli aveva detto che sarebbe tornata a casa, ma forse aveva deciso di fare una passeggiata per calmarsi?

Quinn esitò sul pianerottolo mentre il pastore tedesco grattava sulla porta, quasi volesse entrare a sua volta… aveva la sensazione, non sapeva perché, che lei fosse in casa.

“Faye?!”
La chiamò a voce alta, e non ottenendo alcuna risposta, Quinn tirò fuori la bacchetta e aprì la porta con la magia, lasciando che Ares trotterellasse dentro casa e che lo precedesse nell’appartamento.

“Faye?”
Ares si era diretto verso una porta, chiusa, e ora stava grattando sul legno laccato di bianco guaendo leggermente, così Quinn si avvicinò al cane con la fronte aggrottata e la bacchetta ancora in mano, bussando prima di parlare:

“… Faye?”
“Quinn, per favore lasciami sola.”

L’ex Grifondoro fu tentato di ascoltarla e lasciarla in pace, ma invece a causa del suo tono grave esitò davanti alla porta, tentennando prima di far scattare la serratura con la magia quando sentì un lieve gemito di dolore dall’interno della stanza.

Quinn rimase immobile sulla soglia di fronte allo spettacolo che gli si parò davanti agli occhi: Faye era seduta sul bordo della vasca, gli occhi lucidi mentre con la bacchetta incideva un taglio sull’avambraccio.
Era da tanto che non lo faceva, ma quella non era affatto una bella giornata. Aveva la sensazione che fosse successo qualcosa di molto brutto e non poterlo ricordare la uccideva, senza contare che aveva dovuto guardare due suoi ex compagni di scuola perdere la vita.

“Faye! Ferma, cosa stai facendo?!”

Quinn le si avvicinò di corsa, inginocchiandolesi davanti e strappandole la bacchetta dalle mani prima di passare la sua sopra le ferite, rimarginandole mentre l’ex Tassorosso scuoteva il capo per poi chinarsi e appoggiarlo sulla sua spalla:

“Sono stanca, Quinn… sono davvero stanca.”

L’ex Grifondoro sospirò, massaggiandole le spalle mente Ares, guaendo, guardava padrone e Faye con aria grave.
Nessuno dei due parlò per qualche istante, finché la voce della ragazza giunse alle orecchie di Quinn in un sussurro implorante:
“Non dirlo a nessuno, ti prego.”
“Ma Faye…”
“Ti prego.”

Faye alzò lo sguardo per incrociare il suo, guardandolo con una nota implorante che lo fece annuire, sfiorandole il viso con una mano prima di parlare a bassa voce:

“Ok. Ma ne riparleremo, Faye... Adesso però vieni qui.”

Quinn l’abbracciò di nuovo e Faye lo circondò a sua volta con le braccia, appoggiando la guancia sulla sua spalla e sospirando con sollievo.

“Grazie.”


*


“L’hai uccisa?“ Domandò Audrey un sussurro quando sentì la porta di casa aprirsi e poi chiudersi. Erik, fermo sulla soglia dell'appartamento buio, esitò, poi si schiarì la voce e annui: “Sì. Ho applicato l’incantesimo di conservazione e l’ho lasciata nei Sotterranei, nessuno dovrebbe trovarla grazie all’Incantesimo di Disillusione.”

“Bene… io ho pensato a Rain e ad Haze. Quindi, direi che è arrivato anche per noi il momento di dimenticare.”

Con uno schiocco di dita due bicchieri planarono verso Audrey e verso Erik, che lo prese e si avvicinò all’amica, che si alzò per averlo di fronte a sè e guardarlo negli occhi.
Nessuno dei due disse nulla per qualche istante, poi le labbra di Audrey si inclinarono appena in un sorriso e la donna sollevò leggermente il bicchiere:

“Ad Edric.”
“Ad Edric.”




 

…………………………………………………………………..
Angolo Autrice:

Innanzitutto tanti, tantissimi auguri ad Em, a cui dedico il capitolo… Buon compleanno mia cara e sopratutto auguri per la Seconda Prova che devi affrontare oggi. <3

Per quanto riguarda i voti, questa volta i nomi sono:

-    Carmilla
-    Erik
-    Rain

A presto, spero, con il seguito!
Signorina Granger



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Capitolo 10
*** Erik Jonathan Murrey ***


Capitolo 8: Erik Jonathan Murrey

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Nascondino era, senza dubbio, il gioco preferito di Erik. Specialmente quando la sua avversaria era la sorellina Emily, che ad appena otto mesi lo considerava il suo compagno di giochi preferito e sembrava divertirsi moltissimo a gattonare per casa cercandolo ridacchiando.

Emily non lo trovava quasi mai, in effetti… forse era per questo che ad Erik piaceva tanto. Gli era sempre piaciuto molto vincere.

Quel pomeriggio il bambino di quattro anni si era infilato tra la porta aperta della sua camera e il muro, aspettando che la bambina entrasse nella stanza per trovare il fratello scomparso.
Quando la sentì gattonare fin dentro la camera Erik si sporse leggermente, sorridendo nel vedere la bambina con il body rosa addosso guardarsi intorno con i grandi occhi azzurri:

“BU!”

Emily si voltò di scatto verso di lui, gli occhi sgranati, e poi scoppiò a ridere, il suono soffocato dal ciuccio, mentre il fratello ridacchiava e la sollevava malamente dal pavimento:

“Ho vinto io di nuovo!”
“Non so quanta parità ci sia, in effetti… ma ora Emily deve dormire, vero tesoro?”

Il viso di Erik venne attraversato da un’ombra di delusione quando la madre gli sfilò la sorellina dalle braccia, guardandola con aria grave:

“Ma stavamo giocando!”
“Giocherete dopo, piccolo.”

“Ok… ciao Emily.”

Erik guardò la madre allontanarsi tenendo in braccio la bambina, salutandola con la mano mentre lei gli sorrideva allegramente da dietro il ciuccio.


*


Venne svegliato dall’insistente suono del campanello e, gemendo sommessamente, si passò una mano sul viso e si chiese perché avesse mal di schiena.
Ah, certo, aveva dormito sul divano. 

Ma perché, poi?
Erik, assonnato e confuso, si guardò intorno e sbuffò quando riconobbe il salotto della sua migliore amica e, una volta rotolato giù dal divano, si trascinò verso la porta chiamando la padrona di casa a voce alta.

“Arrivo…”

Aprì la porta con uno sbadiglio, cercando di ignorare il mal di testa, e la prima cosa che vide fu il sorriso affettuoso che la donna che gli stava davanti gli rivolse:

“Buenos dias guapo!”
“Buongiorno Maria…”
“Tiò! Ciao!”

Henry gli sorrise allegramente, abbracciandogli brevemente le gambe prima di correre dentro casa con Snow al seguito, chiamando la zia a gran voce:

“Tìa! Dove sei?!”

“Come stai caro?”
“Bene, credo.”
“È successo qualcosa?”

Maria entrò in casa e si chiuse la porta alle spalle senza smettere di guardarlo, mentre Erik scuoteva debolmente il capo, la fronte aggrottata:

“Non… non lo so.” 

Non fece però in tempo a dire altro perché, un attimo dopo, Audrey li raggiunse tenendo Henry in braccio mentre Snow le faceva le feste. 

“Ciao mamà… ahia!”
La donna sfoggiò una smorfia quando la madre, dopo averla raggiunta, le assestò uno scapellotto sul copino, facendo ridacchiare sia Erik, sia Henry.

“Estúpida! Te dije que llamarmas y en cambio nada, ¡nada! ¡Estaba preocupada por ti, niña!

“Lo siento mamá, pero no recuerdo…”
“Cierra la boca ahora! Erik, caro, state bene?”
“Sì, benissimo. Stia tranquilla.”

Dopo aver lasciato in cucina una teglia di biscotti appena sfornati la donna se ne andò ed Erik fu ben felice di lasciarsi cadere di nuovo sul divano mentre Audrey borbottava che non capiva perché sua madre passasse da lei sempre all’alba, praticamente.

“Henry, andiamo a dormire un altro po’.”
“Io non sono stanco Tìa, dobbiamo giocare!”
“Non si può giocare prima delle otto!”
“¿Porque?!”
“Porque es… ilegal.”

“DAVVEEEROOO?”
“Sì.”

Henry sgranò gli occhi, colpito, ma non seguì la zia, che tornò a riposarsi, prese invece il suo Sacro Gatto di Birmania, Duchessa, tra le braccia e sedette sul pavimento del salotto, davanti al divano, proprio accanto alla testa di Erik, osservandolo con curiosità per qualche istante prima di parlare a bassa voce:

“Tìo! ¿Que haces?”
“Sto cercando di dormire.”
“E perché?”
“Sono stanco.”
“Ooh… posso farlo anche io?”
“Se vuoi.”
“Ok.”

Erik aprì gli occhi e scorse il bambino raggomitolarsi sul pavimento e far finta di dormire prima di sorridere appena, allungando una mano per accarezzargli i riccioli scuri.
Forse sarebbe davvero riuscito a riposare un po’… aveva la sensazione che sarebbe stata una giornata molto lunga.

Quando però, poco dopo, sentì il campanello suonare di nuovo con insistenza, dovette trattenersi dall’imprecare a voce alta. Anzi, una parolaccia gli sfuggì comunque e Henry sollevò la testa di scatto, indicandolo e parlando con tono concitato:

“Non si dice!”
“Che ne sai tu?!”
“Lo ha detto Tìa Odri!”
 
Erik roteò gli occhi e, borbottando qualcosa sul fatto che riposarsi fosse diventato impossibile, andò ad aprire la porta di nuovo, questa volta con Henry al seguito.

“FAI CON COMODO AUDREY, TRANQUILLA, TANTO QUI C’È IL TUO USCERE PERSONALE… Che c’è?!”

Erik spalancò la porta con poca grazia, reso a dir poco nervoso dalle poche ore di sonno che aveva alle spalle, e rivolse un’occhiata torva ad un Haze che, invece, vedendolo sulla soglia con i capelli arruffati e la camicia nera abbottonata a metà aggrottò la fronte:

“Che ci fai qui?”
“Affari miei. Cosa vuoi a quest’ora?”
“Ciao Heiz!”
“Ciao Henry… dovrei parlare con Audrey. È in casa?”

“La señorita sta riposando le membra… ci penso io.”

Erik sbuffò prima di voltarsi e dirigersi a passo di marcia verso la camera dell’amica, spalancando la porta e intimandole di alzarsi:

“Ehy! Potevo anche essere nuda!”
“Me ne frego, c’è Mallow di la, scopri che vuole e fai la padrona di casa.”
“Non parlami con questo tono! E ora esci, mi vesto e arrivo.”  Audrey sospirò e fece per alzarsi, ma Erik la precedette e la sollevò di peso, decretando che non era il maggiordomo, prima di trascinarla a passo di marcia fuori dalla stanza, ignorando le sue sonore proteste.

Haze invece, dal canto suo, era entrato in casa chiudendosi la porta alle spalle e, gettando un’occhiata fugace al divano, fu piuttosto sollevato di trovarlo in disordine e con le scarpe e il cappotto di Erik vicino.

Poi la sua attenzione venne catturata da dei passi e dalla voce di Audrey, che stava maledicendo Erik mentre questi la teneva su una spalla. 
Anche se era a testa in giù Audrey scorse comunque Haze e l’occhiata a metà tra il perplesso e il divertito che le rivolse e, pregando di non arrossire come una dannata scolaretta, promise vendetta al suo migliore amico. Che vergogna, farsi vedere da lui in pigiama!

“Scusa Audrey, ti disturbo?”
“N-no. Erik invece dovrebbe proprio andare, vero?”
“Con piacere, qui stare tranquilli è impossibile!”
“Nessuno ti ha detto di passare la notte qui!”
“Magari lo hai fatto invece!”
“Ne parliamo dopo.”
“Bene.”
“Benissimo.”
“Vi lascio, buona giornata… ciao ometto.”


Quando, poco dopo, Erik si fu chiuso la porta alle spalle e iniziò  a scendere le scale infilandosi il cappotto nero, si ripromise di chiedere ad Audrey il motivo della visita di Haze. Visto l’orario insolito, doveva essere importante. 
E non poté fare a meno di sorridere ripensando all’occhiata quasi truce che gli aveva rivolto trovandolo sulla soglia.


*


Joanne stava lavando i piatti – non sapeva perché, ma farlo manualmente la rilassava e spesso faceva a meno della magia per quell’incombenza – quando sentì delle urla fin troppo familiari provenire dal salotto. La donna sospirò, alzando gli occhi al cielo con una buona dose di esasperazione prima di pulirsi le mani con uno strofinaccio e girare sui tacchi, dirigendosi a passo di marcia in salotto e piazzandosi sulla soglia con le mani sui fianchi:

“Cosa sta succedendo qui?!”

Al sentire la voce della madre i due bambini si voltarono verso di lei ed Erik, che teneva il telecomando in mano come se si trattasse di un prezioso tesoro, sbuffò prima che la sorella minore lo indicasse e parlasse a voce alta, rivolgendosi alla donna con tono lacrimoso:

“Mamma, Erik mi ha rubato il telecomando!”
“Non è vero, tocca a me adesso!”
“No, prima deve finire Georgie!”
“Hai guardato tu per un sacco di tempo, ora c’è Holly e Benji!”

“Ma c’è ancora Georgie! Dammelo!”

La bambina cercò di prendere il telecomando dalle mani del fratello, che però sfoggiò un sorriso soddisfatto e sollevò un braccio, guardando la bambina di quattro anni saltellare per cercare di rubarglielo dalle mani mentre la madre alzava gli occhi al cielo, rassegnata:

“Erik, lascia che Emily finisca la puntata, poi guarderai Holly e Benji.”
“Ma non è giusto!”
“Non mi interessa. Daglielo.”

Erik pari la bocca per obbiettare nuovamente ma si arrese di fronte allo sguardo perentorio della madre, sbuffando prima di dare in malo modo il telecomando alla sorella e andare a sedersi sul divano a braccia conserte, borbottando che odiava quella “stupida roba da femmine” mentre Emily, accanto a lui, tornava a seguire le vicissitudini di Georgie con un sorriso sul volto ed evidente soddisfazione.

A Joanne invece non restò che tornare a lavare i piatti, sperando affinché la pace durasse e che il suo intervento non venisse nuovamente richiesto.


*


Quando la porta si fu chiusa alle spalle di Erik Audrey si schiarì la voce, affrettandosi ad appellare la sua vestaglia prima di parlare:

“Allora… hai bisogno di qualcosa?”
“Volevo chiederti se anche tu non ricordi nulla di ieri… io mi sento come se mi mancasse un pezzo, diciamo.”
“Sì. Penso che abbiamo fatto qualcosa per la memoria…”

Audrey s’interruppe quando Haze accennò silenziosamente ad Henry, che era in piedi accanto a loro e li osservava con interesse, e la strega si affrettò a parlare con un tono che non ammetteva repliche, rivolgendosi al bambino:

“Henry, vai a giocare in camera tua.”
“Ma hai detto che…”
“Scherzavo. Io e Haze dobbiamo parlare di cose importanti, su, da bravo.”

“Ok…”

Il bambino rivolse un’occhiata incerta alla zia ma poi obbedì, allontanandosi mentre Audrey, sospirando e allacciandosi la vestaglia in vita, chiedeva all’ospite se voleva una tazza di caffè e lo invitava a seguirla in cucina per parlarne.


*


Erik fu felicissimo di ricevere la sua lettera per Hogwarts – e anche sua madre, che aveva sempre sperato che i figli fossero dei maghi come lei – e in un primo momento anche Emily si disse “felice di poter avere finalmente la casa tutta per sè”. Il giorno della partenza del ragazzino, però, la bambina non sembrava poi così felice e lo guardò sistemare il baule e la gabbia del suo gufo sul treno con l’aiuto del padre con una buona dose di tristezza negli occhi azzurri.

“Tutto bene tesoro?”
Joanne sorrise alla bambina, tenendola per mano, ed Emily annuì mestamente mentre guardava Erik raggiungerle per salutarle, sorridendo vivacemente:

“Sono pronto, ora posso andare!”
“Non senza un abbraccio, signorino. Come farò senza il mio ometto per mesi?!”

Erik alzò gli occhi al cielo quando la madre lo stritolò in un abbraccio, riempiendolo di raccomandazioni mentre il padre gli teneva una mano sulla spalla. Emily invece si guardò i piedi quando mormorò un saluto sommesso che fece sorridere debolmente il fratello maggiore, che l’abbracciò e le disse di fare la brava.

Emily, leggermente confusa da quell’inusuale gesto d’affetto, si limitò ad annuire e a mormorare un debole assenso prima che Erik sciogliesse l’abbraccio, annunciando che era ora di salire sul treno e salutando tutti un’ultima volta prima di grosse sui tacchi e salire sull’Espresso per Hogwarts attraverso lo sportello aperto.
Emily lo salutò con la mano quando lo guardò allontanarsi, chiedendosi con chi avrebbe litigato per i mesi seguenti. 
Sarebbe stato molto strano non averlo a casa per tutto quel tempo.


*


Come sempre Penelope si alzò presto e si mise alla ricerca di un’aula vuota e tranquilla per studiare in pace: farlo nella sua camera era impossibile, non riusciva a concentrarsi se in compagnia e con Larisse avrebbero di certo finito con il chiacchierare, più che studiare. E la Biblioteca era sempre abbastanza affollata, anche di domenica. 

In genere si rintanava nell’aula di Amycus, quella dov’è si celava l’Armadio Svanitore che Erik aveva tirato fuori dalla stanza delle Necessità, ad Hogwarts, anni prima, ma quella mattina quando aprì la porta si irrigidì: qualcuno aveva avuto la sua stessa idea, a quanto sembrava. 

Hunter le dava le spalle ma si voltò, guardandola con curiosità mentre la ragazza stringeva ancora la maniglia arrugginita della porta:

“Penny… ciao.”
“Ciao. Scusa, in genere qui non viene nessuno… mi dispiace, non volevo disturbarti, vado da un’altra parte.”

“Non serve, puoi restare qui, non mi da fastidio.”
“No, davvero, scusa, ti lascio solo.”

Penny fece per voltarsi e andarsene quando Hunter si alzò in piedi, guardandola con la fronte aggrottata:

“Smettila di scusarti, Penny! È come se… a volte sembra che tu voglia scusarti dello spazio che occupi dentro una stanza, falla finita.”

Hunter si pentì di aver parlato, specie con il tono tagliente che aveva usato, non appena vide la ragazza irrigidirsi sulla soglia della stanza, esitando prima di uscire.

“Penny… Penny, non volevo, scusami! Merda…”

Perché spesso e volentieri non rifletteva prima di aprire la bocca. La colpa era tutta di sua sorella, sì, doveva averlo rovinato con la sua parlantina… senza contare che quella stupida non si era ancora fatta vedere o sentire e il suo nervosismo era alle stelle. 
Sì, mentre seguiva Penny fuori dall’aula per scusarsi Hunter decise che la colpa era tutta di sua sorella. 

“Penny, aspetta… mi dispiace, non volevo dirti quelle cose. Sono solo un po’ nervoso.”

Quando la raggiunse nel corridoio Hunter la prese per un braccio, costringendola a voltarsi verso di lui e abbozzando un debole sorriso di scuse, chiedendole silenziosamente di perdonarlo. 
Penelope esitò ma poi annuì, mormorando che non importava e invitandolo a lasciar perdere mentre il ragazzo, dopo averle stretto le mani tra le sue, sorrideva con aria speranzosa e inclinava leggermente la testa:

“Allora, possiamo studiare nella stessa stanza o la mia presenza ti reca tanto disturbo da non poterlo fare?”
“No, va bene, ma prometti di lasciarmi concentrare!”

“Cosa potrei mai fare per impedirtelo, Penny?”  Hunter sorrise, rilassandosi leggermente mentre la conduceva di nuovo verso l’aula. Penny non rispose, ma roteò gli occhi e si astenne dal fargli sapere che il suo aspetto consisteva già, di per sé, in un attentato alla sua concentrazione. 


*


Erik Murrey non era, e non si reputava, un ragazzino codardo, sebbene fosse finito tra i Serpeverde. Lo aveva chiesto a sua madre quando era tornato a casa per la prima volta, a Natale circa un anno prima, ma lei aveva riso, spettinandogli affettuosamente i capelli e assicurandogli che anche se lei era una Grifondoro non si riteneva la persona più coraggiosa del mondo, non doveva essere un codardo per forza nonostante la sua Casa.
Eppure, da una cosa Erik era terrorizzato. Una cosa il cui nome era Professor Piton.
In realtà essendo uno studente della sua Casa e anche piuttosto capace nella sua materia l’insegnante non lo aveva preso in antipatia, per fortuna, ma quando quel giorno venne trascinato da Gazza nel suo ufficio per ricevere una strigliata sentiva già la pelle d’oca.

“Io non c’entro, ha iniziato lei!”
“Sei stato tu a rompere il libro, non io!”

Erik rivolse un’occhiataccia all’insolente ragazzina che l’uomo trascinava nei Sotterranei con la mano destra, tenendo lui per una spalla con la sinistra. 

“Serviva a me quel libro, l’avevo preso prima di te!”
“Complimenti somaro, ti serve un libro da primo anno?! Sei proprio una capra, allora!”
“Ehy, sono più grande di te, non puoi parlarmi così!”
“Alle capre parlo come mi pare, asino!”
“Non puoi darmi della capra e del somaro, deciditi, sono cose diverse!”

“Allora sei entrambe le cose!”
“Non si può!”
“E io dico di sì!”
“No!”
“Sì!”

I due ripresero a discutere e Gazza si chiese perché gli avevano vietato di appendere gli studenti per le caviglie, anni prima. 
Tra quei due che avevano disturbato la quiete pubblica in Biblioteca e gli infernali gemelli dai capelli rossi ne avrebbe avuto un gran bisogno.


In quel piovoso pomeriggio di Novembre Erik Murrey perse dei punti per la prima volta da quando era ad Hogwarts e come punizione dovette sistemare i libri della Biblioteca per una settimana insieme a quella sfacciata ragazzina del primo anno tutte le sere, dopo cena.
Passarono molto tempo a litigare ma in quei giorni lui e Audrey Simmons iniziarono a mettere le basi per quella che sarebbe diventata un’amicizia più che solida.

Certo, avrebbero comunque continuato a litigare spesso per i sedici anni successivi, e lei ogni qualvolta in cui aveva bisogno del suo stesso libro gli rispondeva, serafica, che se lo voleva avrebbe dovuto andarselo a stampare personalmente.


*


Faye era seduta sul divano, abbracciandosi le gambe mentre si mordicchiava nervosamente il labbro infierire.
I tagli che si era inflitta meno di un’ora prima non sanguinavano più e si erano rimarginati molto rapidamente grazie alla magia, ma Faye non poneva molta attenzione al dolore: a quello ormai aveva fatto l’abitudine. Però era nervosa, si sentiva piuttosto a disagio.
Fino a quel giorno solo suo padre l’aveva vista in quello stato e provava quasi vergogna per essersi mostrata così debole, così fragile, davanti ad un’altra persona. 

La donna sospirò, passandosi nervosamente una mano tra i capelli castani prima di parlare a voce alta, rivolgendosi a Quinn:

“Non è necessario che resti, vai a casa, se vuoi.”
“Non esiste che ti lasci sola, Faye, io e Ares ti faremo compagnia. Hai un uomo bellissimo che ti sta preparando il pranzo, cosa vuoi di più?”

“Mi farebbe molto piacere sopravvivere…” Faye abbozzò un sorriso e Quinn, sporgendosi nel salotto con il grembiule addosso, le rivolse un’occhiata di sbieco, come a volerla sfidare a prenderlo in giro sulle sue doti culinarie:

“A volte ho cucinato per mia sorella ed è viva e vegeta, come ben sai!”
“Questo è vero, ma un avvelenamento da cibo è pur sempre possibile…”

“Donna di poca fede. Ares, diglielo anche tu, che non è in pericolo di vita.”

Faye rise appena e si sporse per grattare le orecchie de cane, che si era accovacciato accanto al divano e teneva il muso appoggiato vicino ai suoi piedi.

“Di Ares mi fido.”
“Grazie tante. Di sicuro non è il mio campo, ma sono piuttosto sicuro che non ti servirà un antidoto per dell’innocua pasta.”

Quinn comparve di nuovo nel salotto e le si avvicinò, sedendo accanto a lei ed esitando prima di parlare con attenzione, come se stesse ponderando ogni singola parola:

“Allora… nel frattempo posso chiederti da quanto lo fai? Hai diverse cicatrici sulle braccia. Non era la prima volta, vero?”
“Qualche anno. Da quando… da quando sono diventata una Sentinella.”
“Ok. Ma non hai tagli recenti, o almeno così sembra, quindi era da un po’ che non ricapitava?”

“In effetti sì. È che oggi… non è una bella giornata.”
“Mi dispiace, forse avrei dovuto mandarti direttamente a casa invece di farlo semplicemente al posto tuo.”

Sembrava davvero rammaricato e Faye sorrise appena, scuotendo il capo e assicurandogli che era stato anche troppo gentile con lei.

“Faye, convivere con il nostro stile di vita, con quello che facciamo, non è facile. Alcuni ci riescono meglio di altri e forse tu non sei così forte, anche se vorresti esserlo. Ma non è una colpa.”

Quinn sorrise, affrettandosi a precisare quando vide Faye abbassare lo sguardo, a disagio, mettendole una mano sulla spalla:

“Sei solo… sensibile. Non è successo per tanto tempo ed è un bene, evidentemente stai meglio… fa’ in modo che continui così. E mi dispiace per non essermi mai accorto di niente.” 
“Da quando sono entrata nella Causa va meglio, credo. È solo che a volte.. hai mai la sensazionale che quello che facciamo non serva? Che sia tutto inutile, che non saremo mai in grado di migliorare le cose?”

Faye sospirò, scuotendo il capo mentre Quinn, invece, le sorrise come a volerla rassicurare:

“Lo pensiamo tutti, di tanto in tanto. Facciamo così, Faye… promettimi che la prossima volta in cui sentirai il desiderio di tagliarti mi chiamerai, ok?”
“Ok…”

Faye annuì, osservandolo con leggera confusione. Quinn invece sgranò gli occhi azzurrissimi un attimo dopo, ritraendo di scatto la mano dalla sua spalla e scattando in piedi:

“Porco Godric… la pasta!”

Faye lo guardò tornare in cucina e sorrise appena, non seppe se per gratitudine o se per mero divertimento.


*


  

Erik stava dando un’occhiata alla lista delle cose che doveva comprare per la scuola quando si accorse che c’era qualcosa di strano. Qualcosa di nuovo. Qualcosa di orribile.
Sgranò gli occhi, orripilanti, e poi balbettò per attirare l’attenzione della madre, che stava spadellando ai fornelli mentre Emily apparecchiava la tavola.

“M-mamma… perché devo comprare un abito da cerimonia?!”
“Non ne ho idea tesoro, ma se è nella lista lo prenderemo. Forse ci sarà una festa a fine anno…”

“Oh, che bello! Anche io ne prenderò uno?!”

Un largo sorriso comparve sul viso di Emily, che parve molto più entusiasta del fratello e delusa quando la madre scosse il capo, asserendo che nella sua lista non era segnato.

“Puoi avere il mio, se vuoi! Io non mi vesto elegante!”
“Se dovrai lo farai, signorino.”
“Ma io non ballo!”
“Non devi ballare per forza!”
“Che schifo, le feste!”

Erik rivolse un’occhiata torva alla sua lista e la lascio con sdegno sul tavolo mentre Emily, invece, saltellava deliziata per la cucina asserendo di non vedere l’ora di esplorare Hogwarts per la prima volta.


*


“Moccioso!”
Maxine corse incontro al fratello con un sorriso sulle labbra, raggiungendolo nella mensa molto affollata e incurante degli sguardi curiosi che aveva attirato su di se con il suo ingresso inaspettato:
“Alla buon’ora!” Ringhiò Hunter quando Max gli sedette accanto, abbracciandolo:

“Non ti fai sentire da due giorni, dov’eri?!”
“Ecco, in realtà non… non ricordo con precisione. Dev’essere successo qualcosa, ma per fortuna tu stai bene. Comunque, sono venuta anche perché… ci devono parlare, hanno chiesto a me e ad Aeron di venire, non so perché.”
“Si sa qualcosa dei Carrow?”

“No, nulla… forse però presto ne saprò di più, intanto tu comportati normalmente, ok?”

Hunter annuì, mormorando un assenso mentre, a qualche metro di distanza, Raphael faceva il suo ingresso nella sala e si avvicinava al tavolo dove sedevano Wyatt e Larisse.

“Ehy, uomo delle caverne, ce l’hai fatta ad uscire dall’oltretomba!”  Wyatt sorrise, ma cogliendo l’espressione seria dell’amico intuì che era meglio lasciar perdere, così tornò a concentrarsi sul suo piatto mentre Larisse guardava il ragazzo prendere posto di fronte a lei con un sopracciglio inarcato:

“Continui a sembrarmi… strano.”
“Un po’ come voi ragazze quando avete il ciclo.”
“SCUSAMI?! È la cosa più scontata, stereotipata e stupida che avresti potuto dire… ecco, ti ho perfettamente riassunto in tre bellissime S.”


*


Erik odiava i balli. Non era mai stato ad un ballo, in realtà, ma già sapeva che li odiava. Disgraziatamente però l’invito a prendervi parte era stato esteso a tutti gli studenti dal quarto anno in su e non poteva non andare… tutti i suoi amici ci andavano, cosa doveva fare?

Uno dei problemi più grossi, comunque, era che non sapeva con chi andarci. Magari avrebbe potuto fare a meno di ballare, ma doveva trovare assolutamente una ragazza.
E dopo mille riflessioni era giunto ad una conclusione: il male minore era andarci con una sua amica. E così aveva iniziato a perseguitare Audrey per convincerla ad andare con lui.

“Ti prego ti prego ti prego Audrey, fallo per me!”
“Erik, no, non dopo quello scherzo schifo che mi hai fatto la scorsa settimana!”
“Ma era solo uno scorpione finto nel tuo cuscino, scusa, mi dispiace, non lo farò più… ti accompagnerò alla prossima gita ad Hogsmeade e ti farò un regalo, lo giuro! E un bellissimo regalo anche per Natale!”

Erik, ormai in ginocchio davanti alla poltrona dove si era seduta la ragazzina che evitava volutamente di guardarlo e si limitava a leggere il suo libro, le rivolse il suo sguardo più supplichevole e implorante. E quando la vide ponderare cercò di non sorridere, esultando interiormente per la sua conquista:

“… Va bene, ma ad una condizione, non si balla.”
“Mi va benissimo! Grazie Audrey, sei la miglior rompiscatole che esista!”


*


Haze non tornò subito a casa dopo aver parlato con Audrey, ma fece un’ampia passeggiata per il centro di Londra.
Secondo Audrey si erano cancellati volutamente dei ricordi, quindi doveva essere successo qualcosa di importante… e il fatto che non riuscisse a rintracciare Edric lo rendeva nervoso. 

Quella mattina la strega aveva trovato un biglietto sul suo comodino, ma non l’aveva letto e quando glie l’aveva mostrato Haze aveva capito perché: quella era indubbiamente la calligrafia della stessa Audrey, che sopra ci aveva scritto “da leggere quando si saranno placate le acque”. 

Conoscendola, era probabile che avesse scritto per filo e per segno cos’era successo in modo da poterlo ricordare… ma Haze non riusciva a darsi pace, così come sua cugina che era a dir poco agitata da quando si era svegliata a casa sua, quella mattina, dolorante, vestita e con diversi lividi. 

Anche lui riportava un taglio sulla testa, ma non aveva idea di come se lo fosse procurato. 
Aveva tranquillizzato Rain, quella mattina, assicurandole che non ci era niente di cui preoccuparsi… ma non ne era tanto sicuro, in realtà. E nemmeno Audrey.

Si passò quasi senza volerlo una mano sulla testa, sfiorandosi il punto che gli dava fastidio e ripensando a quando al posto della sua mano c’erano state le dita di Audrey.


“Ti sei tagliato?”
“Credo di sì, stamattina avevo i capelli sporchi di sangue, ma non fa molto male.”

Haze si strinse nelle spalle con noncuranza ma Audrey non sembrò ascoltarlo perché si alzò, avvicinandoglisi per controllare. 
L’ex Corvonero si irrigidì d’istinto, restando immobile mentre Audrey, in piedi davanti a lui gli scostava delicatamente alcune ciocche di capelli castani per controllare che non si fosse tagliato.

“Sembra che tu abbia… polvere nei capelli. Chissà che accidenti è successo…”
“Vorrei saperlo anche io.”

“Ti sei tagliato, ma non sembra profondo per fortuna…”
Audrey allungò una mano per sfiorare il taglio e Haze trasalì leggermente, portandola a ritrarre la mano e ad abbassare lo sguardo per guardarlo in faccia: 

“Scusa… ti fa male?”
“No, no, non preoccuparti.”
Haze alzò lo sguardo per incrociare il suo e quando Audrey si trovò quegli occhi castano-verdi puntati addosso non si mosse per un istante, durante il quale nessuno dei due disse niente, ritraendo la mano di scatto e schiarendosi la voce quando si rese conto di star ormai accarezzando i suoi capelli invece di spostare semplicemente le ciocche.

“Beh, dovresti… farti vedere, non si scherza con la testa.”
“Cercherò di ricordarlo.”



Poi scosse il capo e riprese a camminare più rapidamente, deciso a tornare a casa in fretta per rassicurare Rain sul fatto che anche gli altri non ricordassero nulla del giorno precedente.


E che nemmeno Audrey aveva idea di dove potete essere Edric.
Ma questo forse avrebbe fatto a meno di farglielo sapere.


*


Erik aveva riflettuto molto su cosa fare una volta conseguito il Diploma ad Hogwarts, e mai avrebbe immaginato che non l’avrebbe mai avuto.
Il suo ultimo anno di scuola si trasformò in un vero e proprio inferno e in tutto quel caos la sua unica preoccupazione era uscirne illeso, così come i suoi cari, senza curarsi di cosa sarebbe venuto dopo dal momento che non era nemmeno certo che ci sarebbe stato, un dopo.

Quella sera vagava tra i sacchi a pelo e le brandine disseminate per la Stanza delle Necessità con una torcia in mano per raggiungere il suo giaciglio e quando trovò qualcuno raggomitolato nel suo sacco a pelo non si stupì affatto, appoggiando la lampada sul pavimento per prendere un cuscino e sistemarsi accanto ad Emily. 
 
La ragazzina aveva il viso nascosto sotto la coperta ma lo sollevò di scatto nell’udire i suoi movimenti, guardandolo con sollievo:

“Erik! Dov’eri, ero preoccupata per te!”
“Scusa, discutevo di una cosa con Paciock. Come sta il tuo gomito?”

Emily mormorò un debole “bene” e si lasciò abbracciare dal fratello, uno dei pochi Serpeverde – e l’unico dell’ultimo anno – ad essersi rifugiato lì dentro.

“Non era così che immaginavo la scuola, leggendo le tue lettere.”
“Nemmeno io la immaginavo così, stanne certa.”
“Dovremmo andarcene.”

Il mormorio della sorella, che osservava il soffitto buio della stanza con sguardo vago, attirò l’attenzione di Erik, che le rivolse un’occhiata scettica:

“Al momento lo trovo difficile.”
“No, davvero. Dovremmo farlo, Erik… io, te, mamma e papà. Papà è un Babbano, noi abbiamo un cognome Babbano! Pensi davvero che potremo mai stare bene come una volta? Con tutte le storie che circolano?”

“Conosco le storie che circolano, Emily, e so che sarà difficile, ma non possiamo scappare da Hogwarts e andarcene, è impossibile. E comunque non so se è quello che vorrei fare… non sarebbe giusto.”
“Giusto?! Non c’è niente di giusto in tutto questo, niente.”
“Lo so. Ma non voglio nemmeno scappare. In ogni caso...
 Non è un problema che deve interessarci adesso, non possiamo andarcene da qui e andare a casa, ci scoprirebbero e ci verrebbero a cercare, ci troverebbero in un attimo e sai cosa ne sarebbe dei nostri genitori?”

Emily non rispose e intuì, dal tono del fratello, che il discorso era chiuso. 
O almeno lo era per lui, tant’è che non ne parlarono più. Erik si ripeteva che ne avrebbero parlato insieme più avanti, verso la fine dell’anno, o se le cose in Inghilterra fossero cambiate in qualche modo. In meglio o in peggio. 


*


“Amycus è morto.”

Max sgranò gli occhi e Aeron, seduto accanto a lei di fronte a Yaxley, la imitò, stentando a crederci:

“Cosa?!”
“Lo abbiamo trovato in Cornovaglia all’alba… è stato ucciso da Edric Marlowe.”
“E Alecto?”
“È viva… e ha ucciso Marlowe. Pare che il suo fosse un piano per vendicarsi, Amycus aveva ucciso suo fratello ad Hogwarts nel ’98. Avevamo il sentore che qualcuno ci stesse danneggiando dall’interno e ora, finalmente, abbiamo capito di chi si trattava. Ditelo ai piccoli Mezzosangue, io ho altro a cui pensare.”

“Quindi ora chi si occuperà della scuola? Solo Alecto?”

Aeron sembrava ancora quasi sotto shock dopo aver appreso della morte di Edric e fu Maxine a parlare, restando impassibile sotto lo sguardo del Mangiamorte e quasi pregando che rispondesse affermativamente.
“Probabilmente, non possiamo sprecare un’altra persona per quei ragazzini, ma forse a voi sarà richiesto un contributo maggiore. E ora andate.”

I due non aggiunsero altro e si alzarono, ma Aeron non era ancora uscito dalla stanza quando si senti chiamare:

“Blake?”
“Sì?”
Aeron si fermò sulla soglia, quando Max era già uscita, e si voltò verso l’uomo senza battere ciglio, il cuore che gli martellava nel petto.
Riusciva solo a pensare al fatto che Edric era morto.

“Tu e Marlowe andavate a scuola insieme, no? Avevate la stessa età.”
“Sì signore, ma appartenevamo a Case diverse.”
“Sapevi che Amycus uccise il suo fratellino?”

“No signore. Sono morte molte persone quella notte.”

Yaxley esitò, poi gli fece cenno di andarsene e Aeron non se lo fece ripetere due volte, sospirando quando si fu chiuso la porta alle spalle per rivolgersi a Max con un sussurro concitato, iniziando a camminare a passo svelto fianco a fianco lungo il corridoio:

“Che cazzo è successo ieri?!”
“Non ne ho idea, ma niente di buono.”


*



Eppure, Emily lo fece. 
Se ne andò, semplicemente. La notte del 2 Maggio Erik rimase ad Hogwarts ma lei, non avendo ancora nemmeno 15 anni, venne mandata alla Testa di Porco attraverso il varco della Stanza delle Necessità.

Emily ci arrivò, ma sparì nel nulla… come, dal momento che non sapeva Smaterializzarsi, Erik non lo seppe mai. L’ipotesi più probabile era che avesse trovato qualcuno della sua stessa idea e avessero levato le tende insieme.
All’inizio Erik si disse che sarebbe tornata, che non avrebbe retto, ma da quella notte la situazione peggiorò e basta e capì che Emily al massimo sarebbe tornata solo dentro una bara.  

Lei non voleva quella vita, dopotutto. Nessuno la voleva, nemmeno lui, ma aveva cercato di opporsi fino alla fine.

Forse però era un bene, si disse mentre puliva il pavimento di un’aula del Covenant con la schiena  e le costole doloranti dopo le dimostrazioni delle maledizioni dei Carrow, che se ne fosse andata. Almeno non avrebbe patito quella vita. Forse non sapeva nemmeno che il padre era morto, almeno non ne avrebbe sofferto.

Erik serrò la mascella per lo sforzo mentre strofinava il pavimento, le gambe tramanti mentre la sua schiena implorava pietà mentre ripensava alla ragazzina che non vedeva da mesi, chiedendosi se l’avrebbe mai rivista.

A volte la rabbia prendeva il sopravvento e si diceva che era stata solo egoistico, da parte sua, lasciare a lui tutto il dolore. Infondo però lui era il fratello maggiore, a lui spettavano le responsabilità… ed era stato lui a rifiutare la sua proposta, ormai un anno prima.

Il ragazzo lasciò la spazzola sul pavimento e imprecò a mezza voce mentre si guardava le mani arrossate, piene di calli e con qualche taglio proprio quando la porta della stanza si aprì, permettendo a qualcuno di entrare e avvicinarglisi.

I passi erano troppo leggeri per appartenere si Carrow o in generale ad una persona adulta e non si stupì quando sentì una mano poggiarglisi sulla schiena con delicatezza:

“Posso darti il cambio, se vuoi. Finisco io, vai a riposarti.”
“No. Faccio io, non serve.”

“Non fare l’uomo di Neandertal faccio-io-il-lavoro-duro, ci penso io qui. Su, alzati, sei uno straccio. Mio Dio che brutta cera hai…”

“Grazie Audrey, sei sempre di grande conforto…”
“Scusa caro, ma non hai un bell’aspetto. Ecco.”

Audrey abbozzò un sorriso di scuse mentre lo aiutava ad alzarsi, tenendogli un braccio sulla schiena mentre lo scrutava in volto – pallido, teso e con le occhiaie – prima di parlare:

“Vuoi che ti accompagni in camera tua?”
“Ce la faccio da solo, grazie.”
“Devi smetterla di essere così orgoglioso, Erik! Tu aiuti sempre le persone in difficoltà e puoi ricevere una mano a tua volta, ogni tanto. Su, andiamo.”

Gli sembrava di parlare con sua madre, all’improvviso, e non riuscì ad obbiettare di fronte all’ostinazione dell’amica, limitandosi a sorridere appena e lasciandosi accompagnare fino in camera sua, crollando sul letto e facendosi rimboccare le coperte come un bambino. 

A Quinn invece, che ridacchiando chiese se potesse ricevere anche lui lo stesso trattamento, spettó solo un cuscino in faccia. 
Fu l’ultima cosa che sentì prima di crollare tra le braccia di Morfeo e, istintivamente, sorrise. Fu la prima volta dopo molto tempo in cui si addormentò con un sorriso sulle labbra.


*


“Oggi sembri distratta… stai bene?”
“Sì, sto solo pensando… ad una cosa, tutto qui.”

Penny abbozzò un sorriso ma Lud, seduto di fronte a lei, inarcò un sopracciglio e scosse il capo: 

“Sei troppo silenziosa… e non sei in mensa per il pranzo!”
“Beh, nemmeno tu!”
“Oggi cucina Scarlett, IO non mi fido!”

Penelope rise appena alle parole del ragazzo, annuendo mentre pensava alle doti culinarie della compagna di stanza di Larisse:

“Forse hai ragione… Scarlett non è Hunter.”
“Già. È a causa sua che sembri strana?”
“Io non sono strana! E comunque… no, stamattina mi ha solo detto delle cose. È stato strano, non parla mai così con me…”

“Oh certo, no, non con la sua dolce Penny… Ehy, era la mia piuma quella che mi hai lanciato contro!”
“Appunto, te l’ho restituita.”

Penelope abbozzò un sorriso e Lud fece per replicare, ma s’interruppe quando sentì dei passi affrettati e poi Larisse comparve dietro uno scaffale, con il fiatone:

“Eccovi finalmente., dovete venire di sotto, ci hanno… convocati!”
“Oh Merlino, non dirmi che Crudelia e Jafar sono tornati!”

“No, riguarda i Carrow, ma di loro nessuna traccia, ci sono solo Max e Aeron… corre voce che Amycus sia morto.”

Lud e Penelope si scambiarono un’occhiata, a metà tra l’allarmato e l’euforico, prima di alzarsi, abbandonando le loro cose sul tavolo e affrettandosi a seguire Larisse di sotto, nell’ingresso.


*


Erik andava a fare visita a sua madre ogni volta che poteva, per assicurarsi che stesse bene. Suo marito era morto poche settimane dopo l’instaurazione più drastica del regime di Voldemort e sua figlia era sparita quasi contemporaneamente senza dare traccia.
Per quel che ne sapevano, poteva essere morta anche lei.

Sua madre aveva potuto mantenere il suo lavoro al Ministero essendo figlia di un mago e di una strega e di questo Erik era grato: non tanto per la sua retta, ma perché così forse sua madre non avrebbe pensato a sua sorella per tutto il giorno.

Joanne soffriva, Erik lo sapeva, gli bastava guardarla lasciarsi sempre più andare settimana dopo settimana, con la fastidiosa sensazione di non poter fare niente per lei. Era in momento come quello che arrivava ad odiare sua sorella. Se era viva, avrebbe tanto voluto che vedesse cosa stava facendo alla madre.
Forse se avesse aspettato avrebbero potuto andarsene insieme, forse suo padre non sarebbe morto. Ma no, Emily non aveva voluto aspettare, non aveva pensato minimamente a loro e se n’ era andata. Certo, aveva solo quindici anni, di certo non aveva riflettuto poi molto prima di farlo, ma trovare qualcuno su cui addossare la colpa era sempre la strada più comoda in situazioni come quella.

E l’unica cosa che sentiva di poter fare era stare vicino a sua madre e non farsi accadere nulla… perché era sicuro che l’unica cosa che le impedisse di togliersi la vita era la sua vicinanza.



*


Edric morto. 
Edric era morto. 
Aeron e Max l’avevano appreso da Yaxley e, dopo averlo riferito in veste ufficiale ai ragazzi del Covenant, avevano mandato un Patronus a tutti per informarli.

Quando aveva visto il Fennec di Maxine aveva capito che non avrebbe portato buone notizie, ma non avrebbe immaginato di sentire la sua voce riferirgli qualcosa del genere. 
Rain aveva reagito restando immobile, gli occhi sgranati, e Haze era uscito di casa sbattendo la porta senza dire nulla, lottando contro il desiderio di buttarla giù a calci. 

Si era Materializzato sul pianerottolo di fronte alla porta di un appartamento che aveva lasciato solo poche ore prima e aveva iniziato a bussare molto poco discretamente, fregandosene di attirare l’attenzione dei vicini:

“Audrey! Audrey, apri questa porta!”
“Haze, cosa diavolo…” 

Quando la strega aprì la porta entrò dentro casa a passo di marcia, fermandosi nel mezzo dell’ingresso prima di voltarsi verso di lei, le braccia rigide abbandonate lungo i fianchi e le mani strette a pugno.

“Hai sentito di Ed?”
“… sì, certo. Mi dispiace tanto.”  Audrey si strinse le braccia al petto, a disagio, e abbassò lo sguardo sul pavimento. Aveva gli occhi arrossati, molto probabilmente aveva pianto, ma Haze in quel momento era troppo in collera per badarci. 

“Voglio leggere quel biglietto.”
“Cosa? Haze, no!”
“Voglio sapere cos’è successo, cosa GLI è successo! Non vuoi sapere come è morto?! Dicono che l’abbia ucciso Amycus ma Dio, spero che non sia così, perché quel putrido verme è morto e non posso ucciderlo una seconda volta!”

“Haze, abbassa la voce, Henry sta dormendo… non puoi leggerlo, forse ci interrogheranno per assicurarsi che non fossimo coinvolti, non puoi rischiare di dire la verità!”
“Non faccio mai entrare nessuno nella mia testa. Dov’è?”

Haze girò sui tacchi per andare in cucina, ricordava di aver visto Audrey lasciare il biglietto lì dopo averglielo mostrato, e la donna lo seguì sospirando, cercando di farlo ragionare:

“Non parlo solo della Legilimanzia, Haze, parlo della tortura! È un rischio enorme, so che sei arrabbiato e che sei impulsivo, ma ti prego, pensa!”

Quando sentì Audrey stringergli un braccio Haze si voltò, scrollandosi dalla sua presa e spingendola qualche metro più indietro, facendola indietreggiare fino alla parete:

“Audrey, dammelo.”
“No.”

Il sussurro di Audrey, che parlò con tono fermo senza distogliere lo sguardo dal suo, gli fece serrare la mascella prima di sospirare, sforzandosi di parlare con un tono calmo:

“Audrey, non ho molta pazienza, lo sai…”
“Bene. Nemmeno io.”


Fu quando Haze si mosse verso di lei che Audrey agì d’istinto, puntandogli la bacchetta contro. 
E quando lo scagliò dall’altra parte della stanza si portò le mani alla bocca:

“OH MADRE DE DIOS!”

Bene, brava Audrey, ottima mossa, Schiantarlo lo renderà di certo più calmo e riflessivo quando si sveglierà, e di certo lo farà innamorare perdutamente di te.

Audrey scosse il capo, mandando al diavolo l’ultima parte mentre un rumore di piccoli piedi che corrono giungeva alle sue orecchie… e un attimo dopo un Henry spaventato si fermò sulla soglia della stanza sgranando gli occhi e indicando Haze:

“Tìa, Heiz è morto!”
“No, no mijo… si è… sentito male, ora lo porto sul divano.”
“E poi gli dai la medicina?”
“Aspettiamo che si svegli prima, ok? Stai tranquillo.” Audrey sorrise dolcemente al bambino, accarezzandogli i capelli con fare rassicurante e gettando un’occhiata di sbieco ad Haze: l’avrebbe inseguita con una clava una volta svegliato, probabilmente.


*


Erik si lasciò scivolare sulla sedia e si passò una mano tra i capelli con un sospiro, non vedendo l’ora di buttarsi sul suo letto e dormire un po’. Ma prima voleva mettere qualcosa sotto i denti visto che stava morendo di fame.

Quando sentì dei passi alle sue spalle e poi una mano sfiorargli il capo sorrise, voltandosi e ritrovandosi un paio di familiari e caldi occhi scuri puntati su di sè:

“Buonasera cariño… ¿Que quieres que te traiga?” 
“Salve Signora Simmons… faccia lei, mi fido del suo giudizio.”

Erik sorride con affetto alla donna ma lei sbuffò, rivolgendogli un’occhiata torva prima di allontanarsi:

“Non chiamarmi Signora, Madre de Dios, non sono mica una… vieja decrepita!”

Intuendo il significato delle sue parole Erik trattenne a stento una risa prima di chiederle se quella sera gli avrebbe permesso almeno di pagarsi la cena… e la risposta, sempre la stessa, non tardò ad arrivare:

“Claro que no! I soldi che guadagni lavorando nel fine settimana servono per aiutare tua madre, non per pagare me!”

Forse Erik avrebbe voluto obbiettare e sottolineare che sarebbe stato ben felice di pagarsi la cena e che non era giusto continuare a lasciare che lei gli desse da mangiare gratis ogni domenica sera… ma poi si ricordo che quella donna aveva nelle vene lo stesso sangue di una sua conoscente. Meglio non contraddirla.


*


Quando ricevettero il messaggio Erzsébet e Carmilla erano sedute al tavolo della cucina, impegnate a sorseggiare due tazze di thè.
Per qualche istante nessuna delle due disse niente, poi la prima sospirò, passandosi una mano tra i capelli scuri:

“Edric morto… sapevo che qualcosa non andava!”
“Già… è un bell’inconveniente. Oltre al fatto che mi dispiace per lui, naturalmente. Povera Rain.”

“Che c’entra Rain scusa?”
“Merlino Erza, non sarai un genio nelle relazioni sentimentali ma penso avessi capito che Edric era innamorato di lei, no?”

“Davvero?! E da quando?”
“Cielo, povera me… da anni, e credo che lei lo stesse… iniziando a capire.”
“Beh, se ci ha messo così tanto nemmeno lei brilla per perspicacia.”

Carmilla, serafica, consigliò saggiamente alla sorella di pensare alla sua, di ottusità, prima di bere un altro sorso di thè.
Erza invece sbuffò, chiedendo dove fosse il latte:

“Finito.”
“Come finito? L’ho comprato ieri, ti sei fatta la doccia con quello per caso?!”
“Scusa sorellina, ma l’ho dato ai miei bimbi!”
“I tuoi bimbi sono tre dannate palle di pelo, non bambini veri! Maledetti gatti, e ora come faccio con il thè?!”

Erza stava declamando le sue sventure quando qualcuno comparve nella stanza, Materializzandosi proprio alle spalle di Carmilla, che a causa del rumore fece un salto sulla sedia e rischiò di rovesciare il thè sul tavolo:

“Porca Morgan- NATHAN! Non potevi bussare?! Questa cosa della Materializzazione mi farà prendere un infarto prima o poi…”
“Scusate, non potevo sapere che foste proprio qui! Avete sentito, comunque?”

Nathan sedette tra le due sorelle e fece per allungare una mano e prendere un biscotto, lanciando un’occhiata torva ad Erza quando lei gli assestò una sberla sulla mano, intimandogli di starne alla larga.

Carmilla invece annuì prima di parlare, mantenendo il suo solito tono calmo e fermo:

“Sì.”
“È proprio una gran bella merda.”
“Non l’avrei detta così, Erza, ma… si, in pratica sì.”


*


“Audrey… Audrey, inizia, sbrigati!”

Erik, seduto sul, divano del grande appartamento dell’amica con una ciotola di nachos sulle ginocchia, aggrottò la fronte con leggera perplessità e si voltò verso il corridoio su cui si affacciava il salotto mentre le familiari note di  I’ll Be There For You echeggiavano nella stanza. Note che risultarono ovattate a causa del trambusto che provenne da qualche parte della casa: una porta che si chiudeva di scatto, delle piccole ruote di plastica che scivolavano sul pavimento, imprecazioni in spagnolo, in inglese, passi affrettati, un tonfo, altre imprecazioni in spagnolo e poi, finalmente, Audrey comparve nel corridoio con una felpa nera larga e i pantaloni del pigiama addosso sotto lo sguardo interrogativo e sinceramente perplesso di Erik, che si chiese come fosse possibile che Henry non si fosse svegliato con quel casino.

“Eccomi! Ci sono, ci sono, ci sono! Hai preso la salsa piccante?!”

Audrey corse e quasi si tuffò sul divano, accanto a lui, mentre canticchiava la sigla e Erik, dopo aver risposto negativamente, si ritrovava sotto lo sguardo di fuoco della ragazza:

“NON HAI PRESO LA SALSA PICCANTE?! I nachos senza la salsa sono come un cheeseburger senza le patatine, una Sacher senza la panna, le lasagne senza il ragù!”
“Guarda che le lasagne si possono fare anche con altre cos-“
“Silenzio. Vai a prendere la salsa!”
“E menomale che sono l’ospite!” 
 “Vieni qui troppo spesso per considerarti un ospite! E sul cibo non si scherza.”


Il ragazzo sbuffò e si allontanò per prendere la salsa dal frigo, ma quando tornò non ebbe modo di sedersi di nuovo perché Audrey, dopo essersi alzata in piedi, gli prese entrambe le mani e ridendo lo costrinse a ballare con lei sulle note dell’ormai nota canzone.
Erik sbuffò e alzò gli occhi al cielo come se fosse contrariato ma alla fine sorrise, dovendo ammettere che non avrebbe rinunciato a quei momenti per nulla al mondo.


*


Quando Haze aprì gli occhi gemette per il mal di testa – sommato al mal di schiena e il dolore alle costole – e un attimo dopo si ritrovò un paio di curiosi e vivaci occhi castani puntati addosso:

“Tìa, Heiz è sveio! Ciao!”
“Ciao Henry…” 
“Ti sei fatto male?”

Sì, tua zia non è una che si fa prendere in contropiede
Avrebbe voluto rispondergli questo, ma si limitò ad annuire mentre cercava di sollevarsi leggermente, accorgendosi di avere un gatto bianco dal musetto nero acciambellato sullo stomaco:

“Lei è Duchessa! Le piaci.”
“Ah, bene… AUDREY! MI HAI… Mi hai schiantato! Sei diventata pazza?”

“Ehm, mi dispiace, non volevo, ho agito d’istinto, scusami… Henry, prendi Duchessa e portala di là. Come ti senti?”

Audrey abbozzò un sorriso di scuse mentre si avvicinava al ferito, che borbottò a mezza voce che era stato peggio mentre la ragazza sedeva sul pouf accanto al divano:

“Non te lo farò leggere, Haze… non ora, è per il tuo bene. Anche io voglio sapere cosa gli è successo, credimi, ma ti conosco e daresti di matto.”
“Come poco fa. Scusami. Il tuo divano è comodo… Erik lo usa spesso?”  

“A volte. Il mio divano è sempre a completa disposizione di voi testecalde.”  Audrey si strinse nelle spalle, ignorando il tono ironico usato da Haze, che sospirò sommessamente:
“Grazie… mi hai distrutto la schiena, Simmons.”

“Sappiamo entrambi che dove ti ho colpito di più è nell’orgoglio, Mallow. Cosa direbbero gli altri se sapessero che ti sei fatto battere da me?”

Audrey abbozzò un sorrisetto divertito mentre Haze, mettendosi lentamente a sedere sul divano, le rivolgeva un’occhiata torva:

“Mi hai solo preso in contropiede, non darti arie… e poi non ti punterei mai la bacchetta contro.”
“Mh, sarà.”
“Guarda che mi rimangio tutto e ti sfido a duello.”
“Quando vuoi, Cappellaio.”


*


“Stasera sei davvero irritabile.”
“Grazie.”
“Hai litigato con Hunter?”
“Sì.”
“Si vede.”
“Lo so. Hai altre osservazioni brillanti da fare?”

Maxine rivolse un’occhiata torva al collega, che invece si limitò a tenere gli occhi azzurri fissi sul fuoco che avevano acceso poco prima per avere un po’ di luce durante l’appostamento. Poi, dopo pochi ed interminabili istanti in cui gli unici rumori finirò il verso di un qualche rapace e lo scoppiettare delle fiamme, Erik parlò di nuovo, a voce bassa e con tono pacato, molto diverso da quelli ironici, sarcastici o divertiti che era solito usare.

“Anche io ho una sorella più piccola.”

“Davvero? Non lo sapevo… non studia al Covenant, vero?”
La Sentinella aggrottò la fronte, certa di non averlo mai visto andare a salutare qualcuno nella scuola come facevano lei e Quinn molto spesso. Erik infatti scosse il capo, schiarendosi la voce prima di parlare mentre abbassava lo sguardo su un cumulo di terriccio che spostò distrattamente con un piede:

“No, lei… è più grande. Ha 24 anni.”
“Ha un anno in meno rispetto a me allora… come si chiama?”
“Emily.”

Emily 
Era da tanto tempo che non pronunciava ad alta voce il suo nome, e deglutì mentre Max, accanto a lui, si mordicchiava il labbro inferiore con fare pensieroso mentre si abbracciava le ginocchia con le braccia, dondolandosi leggermente su se stessa:  

“Emily Murrey… non me la ricordo ad Hogwarts, in che Casa era?”
“Grifondoro.”
“Ma non è una Sentinella, vero? Insomma… credo che in caso l’avrei incontrata”

“No. No, lei… non vive qui. Se n’è andata nel ‘98.”

Erik continuò a tenere lo sguardo basso e Maxine capì che non era il caso di fare ulteriori domande, restando in religioso silenzio e lasciando il collega ai suoi pensieri. 
Lui e la sorella erano sempre stati profondamente diversi e le Case dove erano stati Smistati ne furono solo l’ennesima prova.
Ricordava come, molti anni prima, avesse avuto paura di non essere affatto coraggioso vista la Casa a cui era stato assegnato...  Quanto ad Emily, una Grifondoro, a volte si chiedeva se il suo andarsene fosse stato segno di coraggio e intraprendenza o se di vigliaccheria. 
Forse, in fin dei conti, aveva avuto più coraggio di sua sorella. 


*


Quando quella sera Audrey sentì di nuovo suonare il campanello sospirò, chiedendosi perché quel giorno non potesse trovare un minimo di pace. Aprì la porta e si ritrovò Erik davanti, che teneva dei sacchetti in mano.

“So che non ci siamo lasciati benissimo stamani, ma vengo in pace. E con la cena.”
“Quelli sono cheeseburger per caso?”
“Sì, con le patatine, molto formaggio aromatizzato alle erbe come piace a te, bacon e… salsa piccante per la pazza messicana che mette peperoncino ovunque. Salsa BBQ per me.”

“Allora sei ammesso. Henry, c’è la cena!”

Audrey si spostò per farlo passare e, una volta lasciati i sacchetti in cucina, lo spiazzò abbracciandolo. Erik non si mosse, sgranando gli occhi prima di parlare:

“Audrey, va tutto bene? Se è per Edric sono venuto apposta per vedere come stavi…”
“Promettimi che non ti farai mai ammazzare, somaro-capra.”
“Farò un tentativo solo per te.”

Erik sorrise e ricambiò la stretta proprio mentre Henry li raggiungeva con Snow al seguito, guardandoli con curiosità:

“Cosa si mangia?! … Perché vi abbracciate?”
“Zitto e vieni qui, mijo.”


*


Era piuttosto tardi quando Erik scese nei Sotterranei dell’edificio, attraversando i corridori umidi, deserti e piuttosto bui da solo. 
Quando aveva appreso della morte di Amycus e di Edric qualcosa nella sua memoria era scattato… non ne era sicuro, ma sentiva una strana sensazione, come se qualcosa lo spingesse ad andare laggiù. 

“Revelio.”

Ci impiego diversi minuti, ma poi la trovò. Alecto Carrow, morta. E dai segni che presentava era piuttosto sicuro di essere stato lui stesso ad ucciderla. 
Era stato torturato così tanto da quella donna, in passato… forse erano state la rabbia repressa e il desiderio di vendicarsi ad averlo spinto a specializzarsi proprio in quelle tecniche, anni prima. E a quanto sembrava le aveva appena ricambiato il favore.
Eppure Yaxley aveva parlato solo di Amycus. Dunque ritenevano che lei fosse viva? Ma perché?

Erik sospirò, passandosi nervosamente una mano tra i capelli chiari. Dovevano ricordare cos’era successo, e anche molto in fretta.








…………………………………………………….………………………….
Angolo Autrice:

Buonasera! 
Come sempre grazie per le recensioni, chiedo scusa per non aver risposto ma la scorsa è stata una settimana piuttosto impegnativa. 
Detto ciò, ecco i nomi per il prossimo capitolo… questa volta tre studenti:

-    Penelope
-    Hunter
-    Larisse 

Dovrei riuscire ad aggiornare nel finesettimana, quindi vi prego di mandarmi i nomi il più rapidamente possibile.
Buona serata, 
Signorina Granger 

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Capitolo 11
*** Penelope Gray ***


Buongiorno a tutti, un paio di note prima che leggiate: il capitolo è piuttosto lungo come i precedenti, ma ho dato molto spazio alla parte dei flashback, qui, più che alla “trama”. Questo perché la storia di Penny è complessa e delicata e ho voluto trattarla in modo adeguatamente approfondito. Inoltre, non ho sforato nel raiting ma ci sono passi che potrebbero considerarsi delicati… se non gradite, non leggete.
Detto ciò, vi auguro buona lettura.




Capitolo 9: Penelope Gray

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Rachel Gray aveva quattro anni quando chiese per la prima volta di poter avere una sorellina. Si annoiava, diceva, quando non era all’asilo, a casa da sola. 
Tuttavia ci vollero tre lunghi anni affinché il suo desiderio si avverasse, e Rachel avrebbe ricordato per sempre il giorno in cui nacque sua sorella come uno dei più belli della sua vita. 

La bambina di sette anni si avvicinò alla madre e le sorrise, alzandosi in punta di piedi per riuscire a scorgere la sua nuova sorellina, che la donna teneva tra le braccia.

“Sei contenta, tesoro?”
“Sì! Allora, come si chiama?!” Rachel sollevò la testa per guardare il padre, in piedi dietro di lei mentre le teneva le mani sulle spalle, e l’uomo rispose dopo aver rivolto un’occhiata alla moglie, come a volerle chiedere conferma:

“… Penny.”
“Penny?”
“Sì. Penelope, in realtà, ma noi la chiameremo Penny.”

“Oooh, come la bambina di Bianca e Bernie!”
“Ehm… sì, come Penny di Bianca e Bernie.”

Rachel annuì con fare soddisfatto e poi sorrise alla sorellina, allungando una mano per sfiorarle il capo coperto dalla cuffietta:

“Ciao Penny!”


*


Erano passati quattro giorni da quando avevano appreso della morte di Edric e da allora vivevano tutti in un nervosismo quasi perenne: le era già capitato un paio di volte di sognare che scoprissero il suo coinvolgimento e che le riservassero lo stesso trattamento.
Aveva dormito sonni agitati nelle notti precedenti e non si stupì quando si svegliò ben prima del suono della sveglia, restando immobile nel letto mentre qualcuno entrava nella stanza e, dopo essersi arrampicato sul letto, la raggiungeva carponi per poi infilarsi sotto il piumone accanto a lei. 

“Brutti sogni, mijo?”
Audrey strinse il nipotino tra le braccia, dandogli un bacio tra i capelli mentre il bambino annuiva, mormorando un debole “sì”. Sospirò e non gli disse che anche lei faceva solo brutti sogni di recente, ma solo di chiudere gli occhi e di continuare a dormire.
Doveva essere così bello pensare di poter sempre trovare una soluzione ai problemi e riparo tra le braccia di qualcuno… come suo nipote, talvolta avrebbe voluto nascondersi in un abbraccio e sentirsi ripetere che sarebbe andato tutto bene.


*


“Rach, mi leggi una storia?”
“Va bene… quale?”
“Cappuccetto Rosso.”

Rachel roteò gli occhi – ormai lei la conosceva a memoria, quella storia – ma non poté dire di no di fronte agli occhioni e allo sguardo implorante della sorellina di due anni e prese il libro che Penny le porgeva.

“Va bene… ma dopo scelgo io la storia!”
“Ok.”


Fu Rachel ad insegnare a Penelope ad andare in bicicletta, a giocare a palla, spesso rubava gli smalti della madre e dipingeva le sue unghie e quelle della sorellina. Nonostante avessero diversi anni di differenza facevano tutto insieme e quando Rachel ricevette la sua lettera per Hogwarts fu difficile per lei e i genitori spiegare alla piccola di casa di soli quattro anni che avrebbe dovuto passare molto tempo fuori casa, lontano da lei.

Il giorno della sua partenza Penny, alla stazione, versò molte lacrime e abbracciandola la pregò di non andare ad Hogwarts, ma Rachel le sorrise e le assicurò che le avrebbe mandato un mucchio di lettere durante la sua assenza.
Penny le aspettava con trepidazione e se le faceva leggere più volte dalla madre, ma nonostante quelle lunghe lettere Rachel le mancava comunque moltissimo. 

Senza di lei la sua casa, così come la sua vita, appariva fin troppo vuota e silenziosa.


*


Da bambina odiava i temporali, ne era terrorizzata e correva sempre a rifugiarsi nel letto dei genitori o di sua sorella. 
Anche se ormai l’aveva superata Penny continuava a trovarli davvero fastidiosi e quella notte continuava a rigirarsi nel letto, non riuscendo a dormire, sbuffando. 

La ragazza lanciò un’occhiata di sbieco ad Anna, la sua compagna di stanza, che invece dormiva della grossa, e provò un gran moto d’invidia nei suoi confronti: con quel rumore lei davvero non riusciva ad imitarla. 

La bionda sospirò, puntando lo sguardo sul soffitto e pensando a tutti i temporali che avevano disturbato il suo sonno da quando era bambina: da quando Voldemort era al potere quei fenomeni atmosferici erano inspiegabilmente aumentati, anche d’inverno. I Babbani all’inizio non se ne capacitavano ma ormai, dopo così tanto tempo, come i maghi si erano semplicemente rassegnati.

Penelope ripensò a tutte le volte in cui aveva svegliato sua sorella per chiederle timidamente di poter dormire con lei, e Rachel l’aveva sempre accolta. Sempre. 
A volte le mancava poterlo fare, sarebbe stato più semplice tornare ad essere quella bambina e andare a rifugiarsi dalla sua paziente sorella maggiore.


*


“Dovresti vedere la Sala Grande, Penny, dove mangiamo, è bellissima! Per non parlare della mia Sala Comune, è in cima ad una torre e ci si arriva attraverso un quadro che parla e…”

“Tesoro, non credo che dovresti dare troppi dettagli a tua sorella, forse lei non finirà nella tua Casa, quando verrà ad Hogwarts…”
“Ma mamma, io sono curiosa!”
“Scusa Penny, è il mio orgoglio da Grifondoro che parla. Su, a tavola!”

Le due sorelle furono ben felici di raggiungere la madre in cucina per il pranzo, ma entrambe mutarono completamente espressione quando posarono lo sguardo su qualcosa di orribilmente familiare e arancione:

“Carote!”
“Oddio, che schifo!”

“Finitela di fare le bambine, fanno bene!”
“Mamma io ho cinque anni, sono una bambina!”

“… hai ragione Penny. Rach, smettila di fare la bambina!”


*



“Come mai sei già in circolazione?”
“Stamattina io e gli altri ci dobbiamo vedere… e prima che tu me lo chieda no, voi resterete qui, ci stanno già tenendo abbastanza sotto controllo. Yaxley mi ha anche accennato che oggi potrebbe esserci una visita, qui a scuola.”

“Visita?” 

Hunter si voltò, distogliendo momentanee la sua attenzione dalla griglia dove stava preparando una dose molto consistente di bacon per rivolgersi alla sorella, che seduta su un forno stava sbocconcellando  un pancake:

“Mh, sì. C’è l’ho sciroppo, per caso?”
“Ecco… sei venuta così presto solo per salutarmi, vero, non certo per fare colazione a scrocco…”
“Mi conosci Moccioso, sono una donna elegante io, non potrei mai fare una cosa simile… Mh, che profumo di bacon… manchi molto a casa, specie la tua cucina!”

“Lo so, cerca di non far morire il povero Silver di fame!” Hunter roteò gli occhi azzurri e la sorella parve offesa dalle sue parole, guardandolo come se avesse detto un’assurdità bella e buona:
“Non lo farei mai, gli sono troppo affezionata!” 

“Sì, comunque… che tipo di visita?”
“Non lo so. Forse ora che Amycus ha tirato le cuoia vogliono rimpiazzarlo.”
“Spero tanto di no…”


“Già. Come sta Penelope?”
“Perché me lo chiedi?”
“Non posso voler sapere come sta?”
“Sta bene.”
“Bene.”
“Già, bene.”
“Mh, ti conosco, non sembri convinto. Cosa c’è fratellino, non dirmi che tu e la ragazza di burro avete litigato! Siete sempre stati pappa e ciccia.”
Max abbozzò un sorriso divertito e Hunter scosse il capo, girando il bacon con la fronte aggrottata, pensieroso:
“No, certo. Solo che a volte non la capisco, tutto qui.”
“Certo che non la capisci, gli uomini non capiscono mai le donne, specie le teste di rapa come te!”

“Guarda che la testa di rapa è stata cresciuta da te, in pratica!” 
Il ragazzo sbuffò e le rivolse un’occhiata torva che fece ridere la sorella, che scivolò giù dal forno per avvicinarglisi e sorridergli, incrociando le braccia al petto mentre si appoggiava allo sportello della cella frigorifera:

“Ok, non ti prenderò più in giro per i prossimi… dieci minuti, lo prometto. Avanti, dimmi.”
“Sei diventata un’analista?”
“No, ma Penny è una ragazza, magari ne capisco più di te!”

“Beh, lei è… non lo so, credo di avere questa sensazione quasi da sempre, ma all’inizio pensavo fosse spaventata, diciamo. Quando siamo arrivati qui era così timida, pensavo che fosse molto fragile, che non avesse un bel trascorso e che non fosse a suo agio, qui, visto cosa dovremo diventare. Ma lei è ancora spesso sulla difensiva, diciamo. Non è più quella ragazzina di 16 anni cosi fragile e timida, certo, ma conoscendola mi sono reso conto che fa davvero di tutto per passare inosservata.”

“Beh, non è così strano, Hunter, molte persone non amano.. apparire.”
“Ma con lei è diverso, tu non la vedi ogni giorno come me, Max. Quando è in gruppo parla solo se interpellata e poco, quasi come pensasse che la sua opinione non conti… studia quasi sempre da sola, e anche nel suo aspetto lei… fa di tutto per non apparire bella. Non credo di averla mai vista truccata, e ha sempre i capelli legati, sempre. Come se non volesse mostrare una parte di sè.”

Hunter scosse il capo, poco convinto, e la sorella abbozzò un sorriso senza smettere di guardarlo:

“Forse sei paranoico, mio caro.”
“Non lo so, forse. Ma mi dà l’impressione di aver come paura di mostrarsi al mondo.”
“Tu sai come ha vissuto tra la fine della guerra e il vostro arrivo qui?”

Max inarcò un sopracciglio e Hunter esitò prima di rivolgerlesi di nuovo, guardandola con curiosità:

“Ha lavorato per un paio d’anni dai Nott, non so molto altro, Penny è riservata e io non sono indiscreto. Perché?”
“Beh… spesso il problema sta alla radice. Come mai tutte queste riflessioni, comunque?”
“Mangia e non fare domande.”


*


Penny aveva 10 anni quando la sua vita, prima d’allora praticamente perfetta, cambiò drasticamente. 
Per mesi aveva visto sua madre vivere preda di una paura costante, lo vedeva quando suo padre tornava a casa, alla sera, e lei lo abbracciava come se fosse sollevata di vederlo. 

Sua sorella era a scuola per il suo ultimo anno, lei avrebbe dovuto iniziare il primo solo pochi mesi dopo… ma Penelope non avrebbe mai visto Hogwarts. 
Maggio era iniziato da poco quando sua madre, con quanta più calma possibile, le disse che da quel momento la loro vita sarebbe cambiata. E che Rachel non sarebbe più tornata a casa.

La sua adorata, dolce, coraggiosa sorella non sarebbe tornata a casa da lei quell’estate, non le avrebbe parlato di quanto magnifica fosse Hogwarts. C’era stata una specie di battaglia a scuola, così disse sua madre, e lei era morta. E ben presto Penny capì che a vincere non erano stati i buoni, vista la piega che prese la sua vita.

Non sarebbe andata ad Hogwarts, sua madre le spiegò che essendo una “Mezzosangue” non glie l’avrebbero permesso. Avrebbe potuto frequentare una scuola diversa, ma i suoi genitori sembravano restii a farla studiare. Penelope non capiva perché: cosa c’era di brutta ad andare a scuola? Sua sorella adorava la scuola, no?

Per quasi quattro anni rimase a casa, limitandosi ad aiutare sua madre… ma poi lei perse il lavoro al Ministero e Penny decise che il tempo di essere un peso era finito. Rachel aveva fatto la sua parte, era morta, lei non voleva più stare con le mani in mano.
I suoi genitori erano contrari, all’inizio, ma alla fine acconsentirono e Penelope, promettendo di mandare loro tutto il denaro che sarebbe riuscita a racimolare, trovò lavoro in una famiglia molto ricca e molto importante, i cosiddetti “Purosangue”.

Penelope era curiosa, ne sentiva parlare come se si trattasse di creature leggendarie ma non sembravano poi molto diversi dalla sua famiglia… a parte il denaro e la casa di mastodontiche dimensioni, certo.

In realtà quelle due famiglie erano molto diverse. Ma Penny ci mise qualche tempo per rendersene conto appieno.


*


Faye uscì – o per meglio dire si trascinò – fuori dalla sua camera per prepararsi la colazione sbadigliando, piuttosto stanca dopo aver faticato parecchio a chiudere occhio. 
Non aveva ancora però raggiunto la cucina quando sentì una “presenza” nella stanza e, voltandosi verso il salotto, sobbalzò e urlò per lo spavento nell’appurare di non essere sola in casa, facendo sobbalzare e urlare di riflesso anche Quinn, che dalla sua reazione temette quasi di avere un mostro a tre teste – o peggio Alecto in camicia da notte – alle spalle.

“PORCA DI QUELLA TOSCA, COSA CI FAI QUI QUINN?!”
“Scusa, volevo passare per andare dagli altri insieme, ma non venivi ad aprirmi e così sono entrato, sai, volevo essere sicuro… scusa.”

Quinn si mosse a disagio sulla soglia del salotto, lasciando volutamente la frase in sospeso mentre Faye sospirava, esitando prima di fargli cenno di seguirla in cucina: 

“È per questo che non l’ho mai detto a nessuno, sai? La gente ti tratta in modo diverso, come se scopre che sei orfano o cose simili… quando a scuola scoprivano che non ho conosciuto mia madre nessuno nominava più la propria, facendomi stare solo peggio. Sto bene Quinn, ho avuto solo una ricaduta, non devi pensare che sto cercando di togliermi la vita ogni volta in cui non ti apro la porta. Vuoi il caffè?”

Quinn annuì, sedendo al tavolo, e la guardò armeggiare con il caffè mentre tamburellava nervosamente le dita sul tavolo. Per qualche minuto non disse nulla, poi parlò a mezza voce:

“Non hai conosciuto tua madre?”
“No, mi ha lasciata a mio padre come un pacco postale quando avevo circa una settimana, so solo che è Purosangue.”
“Mi dispiace. Non me l’avevi mai detto.”

“Beh, non eravamo proprio amici ad Hogwarts, no?”
Quinn guardò la strega voltarsi verso di lui e rivolgergli un’occhiata di sbieco che lo fece sorridere appena, inarcando un sopracciglio:

“Che intendi dire?”
“Che tu eri troppo impegnato a fare il galletto per prestare attenzione ad una come me.”
“Esagerata…”
“Affatto!”

“Ok, forse hai vagamente ragione, forse. Anche se… ammetto di sentirmi quasi offeso.”
“Per cosa?” 

“Beh, le donne cercano sempre di farsi vedere al loro meglio da me… e tu te ne stai qui, tranquillamente in pigiama e struccata! Forse non ti piaccio, Faye?”

Quinn sbattè le palpebre e inclinò la testa, assumendo un’espressione quasi ferita che la fece sbuffare e arrossire lievemente, ma per fortuna ebbe l’accortezza di voltarsi verso la macchina del caffè. E altrettanto per fortuna lui non era un Legilimens.


*

Le era sempre piaciuto molto il suo nome, non aveva mai conosciuto nessun’altra Penelope e fin da bambina le piaceva avere un nome così particolare, quasi unico.
O almeno, le piacque finché non ne scoprì il significato. 

Suo padre le aveva detto che l’avevano chiamata così perché sua madre, quando era incinta, aveva sentito parlare di un’opera tanto famosa tra i Babbani, una certa Odissea. Spinta dalla curiosità Ginevra ne lesse delle parti e scoprì che la moglie del protagonista, emblema di lealtà e assoluta fedeltà, 
 si chiamava così: Penelope. 

Fu una specie di colpo di fulmine, sua madre s’innamorò di quel nome e convinto il marito la decisione venne presa, anche se fu molto sudata. 

Suo padre non le rivelò, però, il significato del nome “Penelope”. No, a farlo ci pensò quella che ben presto divenne una delle persone più odiate dalla giovane strega: il figlio minore della famiglia per cui lavorava aveva scoperto nel tormentarla e renderle la vita impossibile un vero e proprio divertimento e mentre i suoi genitori tendevano per lo più ad ignorarla quando non le davano qualche mansione, quell’irritante e borioso bambino di soli 10 anni la informò, ridendo, che il suo nome significava “anatra”. 
E da quel giorno fu così che la chiamò.

A Penny all’improvviso il suo nome non piacque poi molto, e per quanto fosse di natura mite e pacifica dovette più volte trattenere l’impulso di strangolare quel bambino. Disgraziatamente era troppo piccolo per la scuola – e Penny lo guardava con occhi pieni d’invidia, perché lei alla sua età aveva perso sua sorella, aveva appreso di non poter andare ad Hogwarts e la sua bella vita aveva iniziato a sgretolarsi – e per molti mesi lo dovette sopportare ogni giorno, in silenzio, non potendo nemmeno replicare. 
Dieci anni o meno, era pur sempre il suo “padroncino”, per quanto doverlo chiamare “signorino” la infastidisse. 



*


Erzsébet entrò in cucina passandosi una mano tra i corti capelli scuri spettinati dal sonno lanciando un’occhiata di traverso alla sorella, che stava bevendo una tazza di caffè, prima di prendere posto di fronte a lei:

“Chi era quello o quella che ho sentito uscire di casa mezz’ora fa?”
“Nessuno che debba interessarti, e nemmeno a me.”

Carmilla rispose con il suo solito tono pacato e la gemella si limitò ad alzare gli occhi al cielo – ormai abituata, anche se non impazziva per il suo stile di vita, ai partner occasionali della sorella – mentre un enorme cane le dava l’assalto di routine. 

“Ciao piccolo!”
Erzsébet sorrise dolcemente al Pastore del Caucaso e si affrettò a coccolarlo a dovere mentre Carmilla inarcava un sopracciglio con fare scettico da dietro la sua tazza: “piccolo” non era esattamente l’aggettivo che avrebbe usato per descrivere Atlas, che volendo avrebbe potuto inghiottire i suoi gatti solo aprendo le fauci. Forse era per questo che i tre non volevano mai giocare con lui, facendolo rabbuiare e piangere prima di andare a cercare puntualmente conforto nella padrona. 

“Sai che oggi sei più bello del solito? Sì?”
“Erza, è un cane, non un bambino!”
“Pensa a te e ai tuoi gatti cara! Non ascoltare zia Carma, sei il mio piccolo tesoro, vero? Ecco, tieni un biscotto, te lo meriti.”

“Ma se non fa niente tutto il giorno, almeno facesse la guardia, quello si metterebbe a giocare con i ladri!”
“Certo, perché Atlas è troppo buono per fare male ad una mosca… ma smettila di dire così, ferisci i suoi sentimenti! Ecco, visto, ha già cambiato espressione! Tieni un altro biscotto Atlas.”

Erzsébet diede un altro biscotto a forma di osso al cane e Carmilla sospirò, scuotendo il capo:

“Io ci rinuncio.”
“Brava. Tesoro, oggi vieni con noi, così giochi con Ares e Snow, ok? Si sente solo, quei tre snob non vogliono mai giocare con lui!”
“Perché pensano voglia mangiarseli…”
“Ma che dici, con questa faccia amorevole!”


*


Per molti mesi l’unica compagnia che Penny ebbe in quella grande e bellissima casa fu il piccolo Richard, che lei non vedeva l’ora di veder andare ad Hogwarts, molto lontano da lei, e Aghata, la cuoca. 
Se mal sopportava il secondogenito della famiglia per cui lavorava quest’ultima le piaceva, era sempre estremamente gentile con lei, più di chiunque altro in quella casa.

A volte Penelope guardava la padrona di casa, una donna che sembrava quasi perennemente annoiata, e si chiedeva se si rendesse conto di tutta la sua fortuna. Non sorrideva mai, quindi forse la risposta era no.
Nemmeno Richard sembrava rendermene conto appieno, sembrava non capire che Penelope aveva solo pochi anni in più rispetto a lui e che come lei moltissimi altri ragazzini erano costretti ad umiliarsi in quel modo, lavorando per i Puri, pur di non stare in strada non avendo una famiglia o, se l’avevano, per aiutarla come faceva lei.

Richard non la odiava, Penny era una di quelle persone piuttosto difficili da detestare a causa del suo carattere mite e gentile, persino con lui, ma aveva ben presto capito che farle scherzi poco piacevoli era un vero divertimento per la mente annoiata di un bambino che aveva già tutto.


“Richard! Richard ti prego, aprimi, devo servire il thè a tua madre e se non lo faccio… Richard! Ti sento ridere, smettila!”

Penelope sospirò, passandosi una mano tremante tra i capelli biondi mentre era in piedi davanti alla porta chiusa della cantina, dove era andata per prendere della farina per Aghata.
Era pomeriggio e non aveva portato con se nemmeno una candela… e non poteva aprire la porta dall’interno, era completamente al buio e priva di bacchetta: non ne aveva mai avuta una, sua madre le aveva spiegato anni prima che glie l’avrebbero data solo se avesse iniziato a studiare al Covenant. 

Appoggiò la testa contro la porta prima di colpirla di nuovo, pregando il bambino di aprirla e di farla uscire. 
Richard però rideva e Penelope capì che per lui era tutto solo un gioco, lei era diventata la sua distrazione preferita… ma per lei non era un gioco, quella era la sua vita, e sperava che quel ragazzino si stancasse presto di quel nuovo giocattolo, come accadeva sempre ai bambini viziati.


Richard se ne andò, lo sentì salire le scale ridacchiando, e ad aprire la porta fu con suo gran sollievo la cuoca dopo qualche minuto, scesa a controllare perché la ragazzina non fosse ancora tornata con la farina:

Quando la trovò seduta sul pavimento, rannicchiata contro il muro, la strega sgranò gli occhi:

“Penny, che ci fai qui dentro al buio?”
La donna l’aiutò ad alzarsi e Penny parlò con un filo di voce mentre si asciugava le lacrime – il buio non le era mai piaciuto –: 
“Richard…”

“Ah, quello stupido moccioso… se non mi avessero tolto la bacchetta sai quante gliene darei?! Presto, sali, la signora aspetta, alla farina penso io.”

Penelope le sorrise, piena di gratitudine, poi obbedì e tornò al piano di sopra, rivolgendo un’occhiata inceneritoria a Richard quando lo incrociò in corridoio e lui parve sinceramente sorpreso di vederla.
E ovviamente quando ricevette una sonora strigliata per il suo ritardo non potè rivelare alla padrona di casa che il suo adorato figlioletto si divertiva moltissimo a chiuderla in cantina quando si annoiava.


*


“Allora, se vi state chiedendo perché vi ho riuniti…”
“In effetti è così, avrei potuto dormire due ore in più stamani!”

Audrey, in piedi nel seminterrato affollato, rivolse un’occhiata torva all’amico prima di parlare con tono neutro, facendo ridacchiare Max che era seduta di fronte a lui:

“Grazie Erik, voleva essere una domanda retorica. Come stavo dicendo prima che il bambino lamentoso mi interrompesse, vi ho riuniti perché credo sia ora di fare una cosa. Siamo tutti d’accordo sul fatto che ci siamo volutamente tolti dei ricordi qualche giorno fa, quando Edric è morto, ma la faccenda sembrerebbe essersi sgonfiata e credo sia il caso di recuperare i nostri ricordi per capire come muoversi. Ho chiesto ad Erzsébet di facilitarci l’operazione con una pozione, ma intanto ho questo. Devo averlo fatto scrivere prima di perdere i ricordi… non l’ho ancora letto, lo faremo adesso insieme.”

Con queste parole Audrey estrasse qualcosa dalla tasca del soprabito, qualcosa che indusse Haze a mettersi dritto sulla sedia quasi senza volerlo, perfettamente memore di quanto fosse accaduto pochi giorni prima: si era persino fatto schiantare per leggere quel biglietto, ma Audrey non glie l’aveva permesso e non aveva voluto sentire ragioni, cacciandolo fuori di casa senza lasciargliela vinta. 
Haze Mallow non amava particolarmente sentirsi comandare a bacchetta e nemmeno non ottenere quello che voleva – e lei lo sapeva –, ma si era sforzato di non dare in escandescenza considerando che c’era un bambino piccolo nei paraggi, e aveva accettato di non leggere il biglietto.
Sicuramente avrebbe continuato ad accusare Audrey di avergli inclinato una costola per molto tempo, ma in quel momento smise di pensarci e si concentrò solo su quello che stava per sentire, deciso a non perdersi una sola parola.


*


Penny per molto tempo credette che la sua vita fosse cambiata il 2 Maggio 1998, ma qualche anno dopo capì che si sbagliava: la sua vita prese una svolta davvero diversa quando iniziò a lavorare per i Nott e, in particolare, in un tardo pomeriggio di fine Marzo del 2002.

Fu il giorno in cui conobbe Roman Nott, il primogenito dei suoi “datori di lavoro”, che frequentava l’ultimo anno ad Hogwarts ed era tornato a casa per le vacanze di Pasqua. 
Penny aveva iniziato a lavorare dai Nott ad Ottobre e lui non era tornato a casa per Natale, quindi non si erano mai incontrati prima d’allora… ne aveva tanto sentito parlare, però, sua madre lo adorava e lo aveva spesso immaginato come una versione più grande di Richard: viziato, prepotente e maleducato.

Quella sera sua madre la presentò brevemente e con tono freddo al ragazzo, che si limitò a rivolgerle una breve occhiata e a salutarla prima di decretare che dopo il lungo viaggio era stanco e che voleva riposarsi.
Roman si ritirò in camera sua e Penny fu ben felice di non dovergli rivolgere la parola per il resto della giornata, qualunque membro di quella famiglia la faceva sentire inadeguata e la metteva in soggezione. Roman partì poco meno di una settimana dopo e in quei pochi giorni i contatti tra loro furono brevi e sporadici, ma Penelope fu lieta di constatare che il ragazzo, a differenza del fratello minore, non sembrava interessato a darle il tormento. 

O almeno così credeva quando lo guardò tornare ad Hogwarts per concludere l’ultimo anno.


*


“Devo ammettere che mi eri mancato, mi annoiavo senza di te!”
“Oh, grazie, anche io ti voglio bene Mowgli!”

Raphael ridacchiò mentre arruffava i capelli scuri di Wyatt con una mano, che rise e protestò debolmente mentre Larisse li superava a passo svelto, parlando senza fermarsi e con tono neutro:

“Oh, vedo che siete tornati a dimostrare cerebralmente sette anni… come siete carini.”
“Siamo adorabili, una coppia stupenda, quasi quanto noi due. Perdonala amico, è gelosa.”

“Oh, sicuramente.”
Wyatt sorrise mentre Larisse alzava gli occhi al cielo, parlando con un’inclinazione leggermente acida nel tono di voce:

“Forse ti preferivo silenzioso, sai Sparrow?”
“Non dire assurdità rossa, sono sicuro di esserti mancato! Sei anche venuta a chiedermi come stessi… carino da parte tua, dico davvero.” 

Raphael sorrise alla ragazza, gli occhi scuri luccicanti mentre lei invece sbuffava, continuando ad evitare di guardarlo mentre armeggiava con un libro, sfogliandone le pagine senza nemmeno sapere cosa stesse cercando di preciso.

“Forse ero uscita di testa anche io, ma ora sono tornata in me.”
“Mh, lo vedo. Eri più gentile, forse dovrei tornare ad essere cupo e solitario, così avrei la tua attenzione.”

Raphael sorrise appena mentre la ragazza mormorava un “certo” sommesso, continuando a non prestare attenzione al libro finché il ragazzo non glielo prese dalle mani, capovolgendolo prima di restituirglielo con un sorriso pacato:

“Era al contrario, rossa.”
“… LO SO BENISSIMO, grazie. Ma perché sono ancora qui a parlare con te, Raphael?”

“Non saprei, forse perché infondo ho ragione?”

Raphael sorrise ma la ragazza non lo imitò, sbuffando prima di girare sui tacchi e allontanarsi, decretando che avrebbe cercato Penelope mentre Wyatt si rivolgeva all’amico – che la seguì con lo sguardo con le mani in tasca e sorridendo debolmente – con un sopracciglio inarcato:

“Ti diverte così tanto fare in modo che ti risponda bruscamente?”
“Un po’… chissà, magari è un meccanismo di difesa con cui cerca di contrastare il fatto che infondo le piaccio, in qualche modo.”

Raphael si strinse nelle spalle prima di voltarsi e mettere un braccio intorno alle spalle dell’amico, che sorrise e annuì dandogli una pacca sulla schiena:

“… Continua a sperare, Rafe.”


*


Roman tornò a casa a fine Giugno e in quei tre mesi la vita di Penny non era cambiata poi molto rispetto a quando era partito: si svegliava – la Signora Nott aveva insistito affinché dormisse lì per poter essere sempre “reperibile” –, serviva la colazione, rassettava, spolverava, lucidava, serviva il pranzo, si occupava delle più svariate mansioni in base alle necessità della signora, puliva ancora, cercava di tenersi alla larga da Richard e contava i giorni che mancavano alla sua partenza per Hogwarts, serviva la cena, aiutava a lavare i piatti e a sistemare la cucina e poi, quando tutti gli altri si erano già ritirati da un pezzo, poteva finalmente coricarsi.

Penelope iniziava a chiedersi se avrebbe vissuto così per sempre, se si sarebbe ritrovata come Aghata a dover lavorare per una ricca famiglia di Puri anche da adulta. Dopo mesi si era abituata a quella vita, ma agognava comunque a potersene andare.

Se quando lo aveva conosciuto Roman le era sembrato – con suo sollievo – piuttosto indifferente nei suoi confronti, le cose presero una piega leggermente diversa in estate: le si avvicinava per parlarle, la salutava, le sorrideva persino. 

E Penelope era di indole fin troppo gentile per essere scortese – senza contare che contrariare quelle persone non sarebbe stata un’idea brillante –, così anche se si tenne sempre a leggera distanza si permise di entrare in confidenza con lui più di quanto non avesse fatto con qualunque altro membro della famiglia. Per lo meno, era bello avere qualcuno che le rivolgeva la parola.

Dopo un paio di settimane però Roman lasciò nuovamente la casa di famiglia per passare un mese da qualche amico e la sera prima della sua partenza, impegnata a lucidare l’argenteria in cucina insieme ad Aghata, ascoltò con leggera perplessità le parole della cuoca:

“Credimi Penny, è un bene che cambi aria per un po’.”
“Perché dici così? Non è certo il peggiore tra loro.”
“È un ragazzo di 18 anni, Penny, che prenderà la strada di suo padre e che è stato cresciuto con idee non molto sane in testa. Quelli pensano di poterci trattare come gli pare, manco fossimo degli animali… Dammi retta tesoro, stagli alla larga.”

“Cosa intendi dire?!”
Penny rivolse un’occhiata confusa alla donna, che le rivolse un’occhiata eloquente:
“So quello che vedo, Penelope. Vedi, tu sei molto carina e le persone come LUI sono abituate ad avere quello che vogliono, sempre. Lo chiedono, ma se non lo ottengono se lo prendono senza tante cerimonie. Per la maggior parte del tempo da quando lavoro qui lui è stato a scuola e non lo conosco bene, certo, ma infondo sono tutti uguali.”

Penelope non disse altro, strofinando un coltello da burro con la fronte aggrottata mentre rifletteva sulle parole della cuoca, che sospirò e scosse il capo.


*


Penelope stava scrivendo una lettera a sua madre e Hunter, seduto accanto a lei, osservava distrattamente fuori da una finestra da qualche minuto quando parlò con tono vago:

“Max mi ha detto che oggi si sarebbero riuniti.”
“Davvero?”
“Davvero. Credo riguardi… beh, Amycus ed Edric, credi che siano davvero andate così, le cose?”

“Non lo so… mi dispiace molto, però. Per Edric intendo, è la prima volta che uno noi muore. Credi che lo rimpiazzeranno? Si sta molto meglio qui senza di lui, e Alecto non si fa vedere da diversi giorni, chissà cosa stanno architettando… Pensi che risalteranno a noi?”

La ragazza rivolse uno sguardo apprensivo all’amico, che però abbozzò un sorriso e scosse il capo prima di sporgersi e metterle una mano sul braccio con fare rassicurante:

“No, ne sono certo. Non preoccuparti, sanno quel che fanno. Mia sorella è una scapestrata, ma per fortuna lì non sono tutti così.”

Hunter parlò con un sorriso e Penny lo imitò, guardandolo quasi con una punta di malinconia negli occhi chiari:

“Non dire così, l’adori… le sorelle maggiori sono magnifiche. È come avere sempre qualcuno su cui poter contare.”
“È vero. Anche se nel nostro caso a volte il fratello maggiore sono io.”

Hunter sorrise, facendo scivolare la mano dal braccio di Penny, e guardandola sorridere appena e abbassare lo sguardo si ritrovò ancora una volta a lottare contro il desiderio di chiederle della sua vita prima del Covenant, prima del ’98, prima di tutto. La conosceva piuttosto bene e da ormai quattro anni, ma a volte guardandola aveva la sensazione di non sapere quasi niente…
 c’era un mondo intero, una vita precedente alla scuola dove si erano conosciuti di cui lui non sapeva nulla. 
L’unica cosa che aveva erano frasi ambigue, altre lasciate in sospeso, che gli permettevano solo di immaginare. Ad esempio, aveva la sensazione che Penny avesse, o avesse avuto, una sorella, da come l’aveva sentita parlare in più di un’occasione rivolgendosi a lui e a Max.
Ma non osava chiederle conferma, temendo di essere invadente o di metterla a disagio. 

Pur conoscendola da quattro anni spesso si comportava ancora con molta cautela nei suoi confronti, quasi fossero dei mezzi estranei. Non sapeva perché, di preciso, ma c’era qualcosa che lo spingeva ad essere gentile con quella ragazza come di rado gli era capitato in passato… fin dal loro primo scambio di battute.

“Sì, tu sei così…” Penelope sorrise, lasciando la frase in sospeso con tono divertito mentre Hunter si sporgeva leggermente verso di lei, gli occhi chiari carichi di curiosità mentre la guardava con impazienza:
“Così come?”

“Diciamo un po’ autoritario, ecco. Ti piace avere il controllo di una situazione… siete molto diversi, ma credimi, davvero divertenti insieme.”

Penelope gli rivolse quel sorriso che lo costringeva sempre a fare quello che voleva, di qualunque cosa si trattasse, e lui sbuffò, roteando gli occhi e incrociando le braccia al petto mentre si appoggiava nuovamente allo, schienale della sedia:

“Oh, bene, la prossima volta in cui la vedrò dirò a Max che dovremo fare i cabaretisti.”
“Io verrei a vedervi, però.”

“Scema.”


*


Penelope non aveva ancora 15 anni ma non era una stupida, era stata costretta a crescere molto in fretta e non era sua natura diffidare di un consiglio, se dato da una persona di cui si fidava.
Così diede retta ad Aghata e quando Roman tornò a casa in Agosto, sorridente, abbronzato e rilassato come solo un ragazzo che sapeva di avere tutto poteva apparire, fece di tutto per tenersi a debita distanza. Con la pacatezza e l’educazione che la contraddistinguevano, ma con tutta la fermezza che riuscì a trovare.

Un pomeriggio stava lavando i vetri delle finestre della sala da pranzo, in piedi su una scala, quando sentì qualcuno entrare nella stanza e un attimo dopo Roman comparve accanto a lei, appoggiato alla finestra, accanto alla scala, e le braccia conserte mentre la guardava lucidare.

“Ciao Penny. Ti disturbo?”
“No, certo. Ha bisogno di qualcosa?”

Parlò senza abbassare lo sguardo e serrando la mascella: odiava che la chiamasse Penny… suonava quasi derisorio se detto da loro.

“In effetti volevo chiederti… puoi scendere, per favore?”

Di malavoglia, obbedì, piazzandosi davanti al ragazzo, che la superava in altezza di diverse spanne e che continuava a sorriderle.

“Ecco, volevo chiederti perché sei così poco carina con me, da quando sono tornato. Non eravamo amici, noi due?”
“Non credo che persone come noi possano ritenersi amiche.”

Roman sorrise, sollevò una mano e le sfiorò una ciocca di capelli biondi uscita dalla treccia, poi le strinse il mento con due dita con poca grazia, sollevandole la testa per poterla guardare meglio. 
Penelope rimase immobile, rigida, pregandolo mentalmente di lasciarla. Lo guardò sorriderle, dirle che era davvero graziosa, con un bel visino, e provò l’impulso di scappare il più lontano possibile da lui. Era un bel ragazzo, ma guardandolo le sembrò di provare solo disgusto.

“No Penny, io credo che diventeremo grandi amici. Ma ora torna pure al lavoro, non vorrei distrarti troppo e che mia madre ti cacciasse.”
La lasciò e la superò, allontanandosi con le mani in tasca, e Penny respirò profondamente, sentendosi come se fosse riemersa da una lunga apnea.

Poi, senza osare voltarsi o dire niente, tornò in cima alla scala per finire di lucidare i vetri, anche se le risultò difficile considerando che le tremavano le mani.


*


Il pensiero di ciò che gli aveva detto Max, in proposito a quella “visita”, restò nella mente di Hunter per tutto il giorno, tanto che prestò ben poco attenzione alle lezioni e rischiò di bruciare l’arrosto. 
Era ormai tardo pomeriggio quando la “svolta” avvenne: stava gironzolando quando capitò nell’atrio e si fermò appena in tempo, nell’ombra del corridoio, quando sentì delle voci maschili.

Nessuna di loro apparteneva a qualcuno che era solito frequentare la scuola, ma ne riconobbe ugualmente una: Yaxley era lì, ad una quindicina di metri da lui, in compagnia di altre due persone che Hunter non aveva mai visto prima.

Il Mangiamorte, con cui lui non aveva mai avuto contatti diretti ma che conosceva bene sia di fama, sia grazie ai racconti di sua sorella, stava parlando con un uomo che doveva avere circa la sua età e che doveva per forza essere un Purosangue dall’aria distinta, molto probabilmente un Mangiamorte a sua volta. Ormai non avevano nemmeno più bisogno di indossare abiti riconoscibili, chiunque li avrebbe saputi indicare in ogni caso, ma anche se non portavano più le maschere o i cappucci le loro vesti rimanevano “particolari”, o almeno così diceva Max: lui non li aveva mai visti direttamente all’opera. 

La terza persona non sembrava particolarmente interessata alla conversazione e si guardava invece intorno con aria di sufficienza, e ad Hunter parve quasi che si trovasse lì per un motivo ben preciso che non aveva molto a che fare con la scuola in sè. Era probabile che Yaxley stesse parlando di Amycus e di tutte le complicazioni che la sua morte portava, ma quel ragazzo era molto probabilmente più giovane di sua sorella, se non avesse avuto una faccia da arrogante e viziato Purosangue avrebbe potuto scambiarlo per una Sentinella. 

Hunter era immerso nelle sue stesse riflessioni e non si accorse di essere stato avvicinato da qualcuno finché non sentì una voce alle sue spalle, voce che lo fece quasi trasalire prima di voltarsi di scatto verso la sua fonte: 

“Hunter, cosa stai…”

Penelope non finì la frase perché i suoi occhi saettarono sulle figure alle spalle di Hunter, che il ragazzo stava osservando senza farsi notare prima del suo arrivo.
Fu abbastanza certa che l’amico le disse qualcosa ma lei non lo sentì nemmeno, riusciva solo a sentire il suo battito cardiaco molto accelerato rispetto alla norma e parole che lei stessa, anni prima, aveva pronunciato: “non venirmi mai a cercare”.

E lui non l’aveva fatto. Per molto tempo. Aveva iniziato a convincersi che non l’avrebbe mai più rivisto, eppure ora era lì, a pochi metri da lei. 

Penelope, gli occhi sgranati e improvvisamente pallida, indietreggiò sotto lo sguardo accigliato di Hunter, quasi incespicando mentre balbettava parole sconnesse.
No, non era possibile. Non poteva davvero essere lì.

Credeva di averlo superato, ma trovandoselo davanti, sotto il suo stesso tetto, tutta la paura che non provava da quattro anni tornò a farsi viva più forte di quanto non ricordasse. Era sicura di essere sull’orlo di un attacco di panico quando Roman Nott, non seppe come o perché, posò gli occhi proprio su di lei, quasi sentisse la sua presenza nonostante quello che riconobbe come suo padre non diede nemmeno segno di aver fatto caso a lei e ad Hunter.

E quando Roman sorrise, sorrise proprio a lei come nei suoi incubi e nei ricordi peggiori che possedeva, Penny smise di vedere Hunter o qualunque altra cosa: c’era solo Roman, Roman e il suo sorriso. 
Un sorriso che sembrava dirle “sì, sono qui, non è un sogno, sono davvero io”.


“Penny! Mio Dio Penny, che cos’hai?”
Hunter, che iniziava quasi a spaventarsi di fronte alla reazione improvvisa della ragazza, la guardò con gli occhi fuori dalle orbite e le mise le mani sulle spalle in un gesto istintivo, ma lei si scostò come se le due mani l’avessero ustionata, tremando come una foglia mentre non faceva altro che scuotere il capo e guardarlo come se nemmeno lo vedesse:

“Devo… devo andare.”
“Penny…”

La ragazza si voltò e quasi corse via, lasciandolo più confuso che mai.
Non l’aveva mai vista così, nemmeno dopo essere stata torturata.

Si voltò verso l’atrio, ma i tre “gentiluomini” stavano già salendo le scale. Hunter li seguì con lo sguardo, scrutando il ragazzo con attenzione: dopo aver visto Penny gli risultava in qualche modo familiare. Eppure era certo di non averlo mai incontrato prima d’ora, tantomeno lì a scuola.
Dove lo aveva già visto?

*


Erano molti i giorni che non avrebbe mai potuto dimenticare: quando suo padre portò lei e Rachel al mare e insegnò loro a nuotare, quando sua madre le disse di essere speciale, quando salutò sua sorella per l’ultima volta, quando seppe che era morta e pianse per ore stretta al padre, il suo primo giorno a casa Nott… e sopratutto, avrebbe ricordato per sempre il giorno peggiore della sua vita, persino più rispetto a quello in cui seppe della morte di Rachel.

Era Settembre, Richard era partito per la Scozia circa una settimana prima e tutto era troppo tranquillo per essere reale… buffo, aveva aspettato e bramato quel momento così a lungo… mai avrebbe pensato di rivolere quel ragazzino indietro, forse sarebbe stato meglio rispedire ad Hogwarts Roman al suo posto.


Penelope stava lucidando il prezioso tavolo di mogano dove i Nott avevano pranzato circa un’ora prima quando ebbe la sensazione di non essere più sola, anzi, di essere osservata. Si voltò e sobbalzò, stringendo convulsamente lo straccio tra le mani pallide quando si trovò Roman davanti, a meno di due metri da lei. Sorrise e le si avvicinò di un passo, quasi divertito mentre la guardava ritrarsi contro il tavolo:

“Che c’è Penny, non dirmi che ti ho spaventato… non sono mia madre, puoi anche fare una pausa, ogni tanto.”
“Meglio di no.”

La ragazzina fece per spostarsi e allontanarsi da lui, ma Roman le prese lo straccio dalle mani e, sbuffando debolmente, lo lanciò lontano, sul tappeto, prima di metterle una mano sul viso:

“E io dico che puoi smettere. Mi vuoi forse contraddire, piccola Mezzosangue?”
Roman abbozzò un sorriso, un sorriso che le fece venire la pelle d’oca, prima di avventarsi sulle sue labbra e baciarla senza la minima traccia di dolcezza.
Penelope non aveva mai baciato nessuno in vita sua e pensò che fosse assolutamente orribile mentre premeva le mani sul petto del ragazzo, cercando invano di spingerlo via da sè.
Quando ritrasse il capo deglutì, guardandolo con gli occhi azzurri quasi lucidi:

“Roman, ti prego, lasciami stare…”
“Lasciami stare? Piccola Mezzosangue, non serve a niente farmi gli occhi dolci per settimane e poi fare la preziosa.”

“Io non… Roman, lasciami!”
Deglutì a fatica quando il ragazzo la spinse con poca grazia sul tavolo e quando iniziò a sbottonarle la camicia mentre le baciava il collo gli urlò di non toccarla, ma Roman roteò gli occhi prima di sollevare la testa, guardandola mentre le abbassava malamente i pantaloni:

“Fammi il favore, non urlare, Mezzosangue… non c’è nessuno, siamo soli. Aghata è al mercato e i miei genitori da qualche loro amico. Non sei felice?”

Sorrise, gli occhi chiari luccicanti, e allungò una mano per sfiorarle il viso con le dita. Dita che Penelope morse, strappandogli un’imprecazione mentre ritirava la mano di scatto, guardandola con gli occhi sgranati prima di tornare a concentrarsi su di lei, contraendo la mascella – e  Penny capì che forse non avrebbe dovuto farlo – prima di stringerle il collo con la mano, sbattendole la testa sul tavolo.         
Penelope gemette con voce strozzata per il dolore e sollevò le mani per cercare di allentarne la presa, ma s’irrigidì e sgranò gli occhi quando percepì un dolore diverso e molto più acuto.
Tra le lacrime e le urla lo pregò di smetterla più volte mentre l’orribile sensazione di averlo dentro di sè le impediva di muoversi, quasi non fosse più padrona del suo stesso corpo.


Poi, a Penelope parve di risvegliarsi da una passeggiata all’inferno con gli occhi vitrei e pieni di lacrime fissi sul soffitto della stanza, incapace di muoversi e alzarsi per quelle che le sembrarono ore. 
Roman se ne andò senza dire niente, lei restò lì, i capelli sparsi sul tavolo, tremando per un po’ prima di avere il coraggio di muoversi e rivestirsi, correre in camera sua e chiudersi dentro per piangere a dirotto.

O forse il suo viaggio all’inferno era appena cominciato?


*


“Cosa ci fai qui?”
Larisse aggrottò la fronte e rivolse un’occhiata perplessa ad Hunter quando incrociò il ragazzo, trovandolo seduto sul pavimento in un corridoio, appoggiato alla parete. Il biondo alzò lo sguardo su di lei, ignorando la sua domanda è ponendogliene una a sua volta:

“Hai visto Penny?”
“Credo che sia in camera sua, ma non aveva una bella faccia… ho pensato che volesse stare sola. Ho sentito che ci sono i Nott in giro, tu li hai visti?”

Hunter, che era tornato ad osservare il muro che aveva di fronte con aria assorta, impiegò qualche istante prima di rispondere, parlando lentamente e a voce bassa mentre sollevava di nuovo la testa per guardare la compagna sempre più confusa dal suo comportamento:

“Che cosa hai detto?”
“Che ci sono i Nott con Yaxley…”
“Quelli sono i Nott?! Ne sei sicura?”   Larisse annuì mentre il ragazzo si alzava, mettendole le mani sulle spalle come aveva cercato di fare poco prima con un’altra ragazza:

“Larisse, chi te lo ha detto?”
“Non lo so, ne parla mezza scuola! Hunter, che cos’hai?!”

“Merda…”

Hunter sbuffò, facendo un passo indietro e passandosi le mani tra i capelli biondi mentre smetteva di prestare attenzione alla rossa, riflettendo: quelli erano i Nott, dunque. Sapeva per certo che Penny aveva lavorato per quella famiglia prima di arrivare al Covenant. Il suo comportamento strano poteva quindi aver a che fare con la loro presenza.

“Hunter, si può sapere cosa ti succede, non eri così esagitato a lezione!”
Larisse guardò il ragazzo con gli occhi sgranati, sempre più confusa. E il suo smarrimento poté solo aumentare quando il biondo la guardò di nuovo come se avesse detto qualcosa di importante, gli occhi azzurri fuori dalle orbite mentre una vena gli pulsava sulla tempia:

“Lezione… Grazie Larisse.”
E con queste parole la superò, correndo verso le scale.
Si era appena ricordato dove aveva già visto quel ragazzo.

Larisse invece lo seguì con lo sguardo con la bocca semiaperta, spaesata, prima di sbuffare e parlare ad alta voce con tono esasperato:
“EH?! Ma cosa… ma perché siete tutti strani di recente, non ci capisco più niente!”


*


Iniziò a dormire sempre meno, mentre Aghata la rimproverava vedendola sempre più magra: quando si coricava fissava il soffitto per minuti, ore, chiedendosi se quella sera l’avrebbe lasciata in pace o se sarebbe venuto. 
Non osava chiudere la porta a chiave, una delle prime volte l’aveva fatto e lui, dopo averla aperta con la magia, non era stato molto contento.

Poi, quando Roman se ne andava, restava immobile senza riuscire a chiudere occhio per ore, sentendosi come in uno stato di trance senza riuscire a realizzare appieno cosa le stesse succedendo... forse era un incubo e si sarebbe svegliata presto. Forse avrebbe potuto correre a rifugiarsi nel letto di Rachel.


Quella sera aspettava raggomitolata su un fianco, gli occhi spalancati puntati contro il muro, e quando sentì la porta aprirsi cigolando non mosse un singolo muscolo. Non parlò nemmeno, in una rassegnata arrendevolezza che la induceva a sperare solo che passasse in fretta e che non le facesse troppo male, quella sera 


Sentì la porta chiudersi, poi la fredda e perentoria voce di Roman:

“Sciogliti i capelli.”
Come in trance Penelope si sollevò, mettendosi a sedere sul materasso logoro per sciogliersi i lunghi capelli biondi. Lui le sedette di fronte e nel buio quasi totale sorrise, allungando una mano per ravvivarli prima di sporgersi e baciarla rudemente.

Venne attraversata da un profondo senso di disgusto, ma non osò muoversi finché lui non si staccò e le rivolse un cenno. A quel punto tornò a sdraiarsi, fissando lo sguardo sul soffitto. Quella fu solo l’ennesima di una lunga seria, ma fu la prima in cui non pianse.


*


Penelope, seduta sul suo letto, continuava a ripetersi di respirare mentre uno spiacevole susseguirsi di immagini e ricordi le attraversava la mente. Stava quasi iperventilando ma si ripeteva mentalmente che ora era tutto diverso, non era sola, non era a casa sua, lì era pieno di persone che conosceva.
Avrebbe voluto alzarsi e uscire da quella stanza, Anna non c’era e non voleva stare sola in quel momento, aveva solo voluto allontanarsi da Hunter: non voleva che la vedesse in quello stato, si sarebbe preoccupato, l’avrebbe riempita di domande e Penny non voleva che nessuno lo sapesse, tantomeno lui. 

La testa però le girava leggermente quando provava ad alzarsi e così restava lì seduta, tremando e pregando che non avesse nessuna intenzione di avvicinarsi a lei. Erano passati anni, magari era cambiato, magari non l’aveva davvero vista, se l’era immaginato.

Stupida
Penelope si prese la testa tra le mani, scuotendo il capo e dandosi mentalmente della stupida: aveva immaginato più di una volta un loro possibile incontro, e mai così. Non avrebbe mai immaginato che anche dopo quattro anni le avrebbe fatto quell’effetto, era certa di averlo superato da molto tempo… e invece eccola, lì a tremare. 
Stupida 

Quando sentì la porta aprirsi cigolando alzò lo sguardo, certa che fosse Anna, e ammutolì quando vide Roman sulla soglia, che con un debole sorriso si chiuse la porta alle spalle:

“Ciao Penny.”
“Roman, non avvicinarti a me. Come hai trovato la mia stanza?”

Penelope si alzò in piedi, provando un gran moto di disgusto nel sentirsi chiamare con il suo soprannome da lui. Era incredibile come la stessa parola suonasse diversa di bocca in bocca: quando Roman la chiamava così suonava cantilenante, quasi derisorio, e le trasmetteva una sorta di inquietudine, non aveva niente a che vedere con la lieve dolcezza e il senso di familiarità che le dava Hunter quando la chiamava allo stesso modo.

“Non sembri felice di vedermi… non ti sono mancato?”
“Come ad un sopravvissuto può mancare il cancro. Non toccarmi.”

Con una sicurezza che non aveva mai ostentato nei suoi confronti Penelope lo spinse via da sè, sforzandosi di guardarlo negli occhi mentre lui, dopo un attimo di confusione, inclinava le labbra sottili in un sorriso:

“Sei davvero cresciuta, Penny… non sei più la stessa ragazzina tremante. Forse.”

Penelope non lo ascoltò, troppo impegnata a chiedersi dove fosse la sua bacchetta. Perché non l’aveva in mano?

Avrebbe voluto dirgli che non aveva più paura di lui, sputargli in faccia, ma non ci riusciva. Non ci riusciva perché non era la verità e forse non era poi così diversa rispetto a quattro anni prima.

“Non… Roman, lasciami, non osare toccarmi!”
La sua voce si alzò di alcune ottave quando il ragazzo, sbuffando persino come se lei lo stesse infastidendo con la sua resistenza, la spinse sul letto immobilizzandola con il peso del suo corpo, sorridendole mentre le sfiorava uno zigomo con un dito.

“Sei bellissima, lo sai?”
Per tutta risposta Penny, non riuscendo a spostarsi di un centimetro, lo schiaffeggiò in pieno volto e Roman, serrando la mascella, le ricambiò il favore con veemenza prima di prenderle i polsi con una mano e immobilizzarle le braccia sopra la sua testa, ignorando il suo lieve gemito di dolore mentre le baciava il collo e con la mano libera toglieva i bottoni della sua camicia dalle asole.
“Dai Penny, lo sai che non mi piace quando fai la sostenuta…” 

All’improvviso le sembrò davvero di rivivere la prima volta in cui lui, su quel dannato tavolo che da quel giorno aveva faticato sinceramente a pulire, arrivando persino a vomitarci sopra e a desiderare di ridurlo in polvere, l’aveva violentata. Avrebbe voluto assestargli una ginocchiata sul cavallo dei pantaloni ma le sue gambe erano schiacciate sotto le sue e non riusciva a muoverle.

Deglutì, rifiutandosi di credere che sarebbe accaduto un’altra volta, e la vista le si annebbiò. 
Stupida, stupida Penny. 

Non era poi così forte, infondo. Era ancora quella quindicenne tremante e impaurita e si odiava per questo.

*


Passò poco più di un anno, mancavano un paio di settimane a Natale quando finalmente giunse il giorno tanto agognato:

“Io me ne vado.”
“Come?”
“Hai sentito. Me ne vado.”

Penelope parlò senza battere ciglio, seduta su una sedia e guardandolo senza nessuna emozione particolare negli occhi azzurri. Roman invece esitò, strabuzzò gli occhi e poi contorse la mascella, serrando i pugni:

“Te l’ho già detto. Se te ne vai metterò in giro tante voci su di te che nessuno vorrà mai assumerti.”
“Non è un problema, dal momento che non intendo più lucidare argenterie… posso finalmente studiare al Covenant, Roman.”

“Non puoi…”
“Certo che posso. Non sono un elfo domestico. Non dovete “liberarmi”. Addio, Roman. Non venirmi mai a cercare.”

Penelope si alzò e uscì in fretta e furia dalla stanza, pregando che non la seguisse, si appoggiò alla parete e sospirò, ripetendosi che era finita, davvero finita, l’indomani sarebbe tornata a casa, anche se non aveva mai avuto il coraggio di dire nulla ai suoi genitori, né a nessun altro. Con un po’ di fortuna non avrebbe più rivisto Roman Nott… e in ogni caso, per allora avrebbe avuto una bacchetta e sarebbe stata in grado di difendersi.

 
*


Hunter stava correndo di filata verso il dormitorio femminile senza prestare attenzione a nessuno, ignorando gli sguardi curiosi o i richiami dei compagni.

Non sapeva come si chiamasse quel ragazzo, ma l’aveva già visto qualche anno prima, durante una lezione in cui avevano utilizzato i Mollicci. Quello di Penelope aveva assunto la forma di un ragazzo e l’aveva vista impallidire e boccheggiare senza osare chiederle spiegazioni, esattamente come meno di un’ora prima.

E ora che sapeva che quel ragazzo era un Nott non era difficile immaginare che le avesse fatto qualcosa quando aveva lavorato per la sua famiglia, non poteva essere una coincidenza.

“Hunter, dove stai andando?!”
Quando s’imbatté in Anna, la compagna di stanza di Penelope, in corridoio non si fermò nemmeno e sotto il suo sguardo perplesso ringhiò letteralmente di levarsi dai piedi prima di superarla, raggiungendo la porta giusta per poi aprirla senza nemmeno bussare, pregando che fosse lì.

Il ragazzo si immobilizzò sulla soglia, stringendo ancora la maniglia.
Era corso a cercarla per chiederle spiegazioni e verificare se i suoi dubbi erano fondati… Ed era sicuro che se avesse incrociato quel ragazzo sulla sua strada lo avrebbe inchiodato al muro, minacciato di staccargli un braccio e ordinato di dirgli cos’aveva fatto alla sua Penny.

Entrando nella stanza e trovando quello stesso ragazzo sopra la sua Penny, che invano cercava di dimenarsi ma non poteva urlare avendo la bocca tappata da una delle sue mani, Hunter si sentì invadere da una specie di odio viscerale unito a desiderio di uccidere, mutilare e fare a pezzi. 
Iniziò a non vedere altro che quel ragazzo quando si chiuse la porta alle spalle sbattendola con veemenza prima di raggiungere il letto e, senza nemmeno pensarci, afferrarlo per le spalle.

Non seppe come, di preciso, ma si ritrovò seduto a cavalcioni su di lui sul pavimento, una mano stretta intorno al suo collo mentre l’altra lo colpiva in pieno viso senza nemmeno sentire la voce di Penelope.


*


“Ammetto di essere curioso.”
Penny sobbalzò, sollevando di scatto lo sguardo dal suo libro per guardare il ragazzo che aveva davanti, in piedi di fronte a lei, oltre il tavolo a cui era seduta mentre studiava da sola, come sempre.

Sì, parlava proprio con lei, quello che conosceva solo di vista come Hunter Blaine teneva gli occhi azzurri fissi su di lei, la fronte aggrottata mentre la studiava a braccia conserte:

“C-come?”
“Sono curioso. Non mangi mai niente, non ti piace quello che cucino? La reputo quasi un’offesa, non è mai capitato.”
“No! No, insomma, sei molto bravo, è che io non mangio molto, tutto qui.”

Penelope si affrettò a scuotere il capo, sorridendo leggermente e abbassando lo sguardo – si dava mentalmente della stupida ogni giorno per questo, ma faceva molta fatica ad avvicinarsi, a parlare o anche solo a guardare in faccia qualunque ragazzo –.

Hunter esitò ma sembrò convincersi e annuì, esitando prima di parlare:

“Sono Hunter, comunque.”
“Penelope.”
“Bel nome.”
“… grazie.”


*


Quando, all’improvviso, Penelope non sentì più il peso del corpo di Roman sopra il suo le parve di tornare finalmente a respirare.
Venne riportata alla realtà quando sentì un susseguirsi di tonfi, gemiti e versi strozzati che con sua sorpresa scoprì appartenere proprio a Roman. 

Confusa, la ragazza si mise immediatamente a sedere sul letto e quando vide Hunter impegnato a pestare furiosamente il Purosangue venne attraversata da un’ondata di sollievo. Seguita da sincero orrore che la spinse ad alzarsi di scatto e raggiungere il biondo, cercando di fermarlo:

“Hunter, smettila! Non… non picchiarlo!”
Gli mise le mani sulle spalle per cercare di allontanarlo da Roman ma Hunter sembrò non sentirla nemmeno, assestando un pugno sulla mascella del ragazzo mentre parlava con voce quasi rotta dalla rabbia:

“Non avvicinarti mai più a lei, capito?! Ti uccido se la tocchi un’altra volta!”
“Oh, scusa… quindi adesso sei tu che te la fai?”

Roman abbozzò un sorriso, sostituto da un urlo di dolore quando con ogni probabilità Hunter gli ruppe il setto nasale con un ringhio rabbioso.

“Hunter! Ti prego, smettila, è un Purosangue, non puoi picchiarlo!”
“Oh, hai ragione, posso sempre ucciderlo e gettarlo in una palude, è quello il posto per lui.”

“Ti prego… ti faresti uccidere, smettila. Guardami, Hunter.”

Penelope si inginocchiò accanto a lui e gli prese il viso tra le mani, costringendolo a guardarla. Hunter mollò la presa sul collo di Roman, che doveva aver perso i sensi, quando incontrò gli occhi imploranti di Penelope, esitando prima di parlare:

“Lui ti voleva… come fai a non volere che lo pesti?”
“Io vorrei che morisse, Hunter! Credimi, non c’è niente che vorrei di più, ma sai cosa succede se uno di noi uccide o ferisce uno di loro? Ti prego, non voglio che tu ti metta nei guai a causa mia.”


Gli sfiorò il viso con una mano e a quel tocco Hunter parve riacquistare un po’ di lucidità, lanciando un’ultima occhiata rabbiosa al Nott prima di ringhiare che lo faceva solo perché glielo chiedeva lei e alzarsi in piedi insieme a lei, affrettandosi ad abbassare lo sguardo quando si accorse che la camicia di Penny era aperta.

“Ehm… tu… copriti.”
Penelope ammutolì alle sue parole, diventando dello stesso colore dei capelli di Larisse prima di affrettarsi ad abbottonarsi la camicia con dita tremanti mentre Hunter si schiariva la voce, accennando a Roman:

“E ora con lui che facciamo?”
“Gli toglieremo la memoria, non deve ricordarsi di te e nemmeno di essere stato qui… lo porterai in Infermeria e dirai di averlo trovato vicino alle scale privo di sensi, ok?”

“Se ne sei sicura… Penny, non sono arrivato troppo tardi, vero?”
Penelope scosse il capo, mordendosi il labbro per non piangere sotto lo sguardo di Hunter, che sospirò:

“Tremi da capo a piedi… vieni qui.”
Penelope non amava essere toccata ma fu ben felice di potersi rifugiare in quell’abbraccio, sentendo le braccia di Hunter cingerle la schiena mentre lei appoggiava il capo sul suo petto, sospirando di sollievo.

“Grazie.”
“Sei sicura che non vuoi che lo uccida?”
“No, ma è giusto così.”


*


“O mio Dio… mi dispiace! Mi dispiace tantissimo, scusami, non volevo, non so perché…”

Hunter non disse nulla, limitandosi a sfiorarsi la guancia dove lei l’aveva appena colpito prima di spostare lo sguardo dalla sua mano alla ragazza, guardandola con la fronte aggrottata e gli occhi chiari pieni di confusione:

“Volevo solo metterti una mano sulla spalla, non sono un maniaco…”
“Mi dispiace. Non mi mette a mio agio essere toccata. Scusami tanto, non è per te.”
Penny sospirò e tornò a sedersi dopo essersi alzata di scatto quasi senza riflettere, scuotendo il capo mortificata mentre, mordendosi nervosamente il labbro inferiore, fissava il tavolo della Biblioteca. Hunter invece la osservò per qualche istante prima di abbozzare un sorriso, liquidando il discorso con un gesto della mano:

“… ok, non fa niente, me lo ricorderò. Per essere così silenziosa e mite hai la mano facile, però…”
“Mi…”
“Non fa niente, non scusarti più. Ok?”
Hunter, contrariamente ad ogni sua aspettative, si sporse verso di lei e sorrise, mettendole una mano sulla sua. Penelope, spiazzata da quella reazione – l’ultima volta in cui aveva schiaffeggiato un ragazzo lui aveva risposto rincarando la dose –, non poté far altro che annuire mentre lo guardava con sguardo vacuo, quasi confusa.

“… Ok.”


*


“Per quanto tempo?”
“Poco più di un anno.”

Hunter, seduto sul letto di Penny, sospirò e si passò le mani tra i capelli mentre la ragazza, seduta accanto a lui, fissava il pavimento.

“E non lo hai mai detto a nessuno?”
“Sei il primo a saperlo. E anche l’unico, Hunter.”

“… Ok. Ma avresti dovuto denunciarlo molto tempo fa!”
“Denunciarlo?!”  Penny abbozzò una fredda risata priva di gioia, scuotendo il capo:

“E cosa sarebbe potuto succedere? Io sono una Mezzosangue, lui è un Nott. Anzi, se avessi messo in giro quella voce l’avrebbero sicuramente rivoltata, dicendo che IO ero la troietta arrivista che aveva messo in giro la voce che mi violentava quando non era così. Lascia perdere Hunter, è passato tanto tempo.”

“Sì, ma lui oggi era QUI, e se non fossi arrivato io… non farmici pensare o vado ad ucciderlo con una siringa vuota in Infermeria.”

Hunter sbuffò e Penelope abbozzò un sorriso, mettendogli una mano sulla spalla:
“Hunter… grazie. Non avrei sopportato che accadesse di nuovo e io sono ancora troppo stupida per affrontarlo, evidentemente.”

“Non dire così, non è colpa tua. Eri solo una ragazzina…”
“Sì, ma adesso ho 20 anni! Credevo di averlo superato, e invece quando l’ho visto ero a tanto così dall’attacco di panico.” Penelope scosse il capo mentre Hunter, dopo averle messo un braccio sulle spalle, le si avvicinava leggermente, guardandola dire qualcosa a bassa voce:

“Mi sono sempre chiesta se io non l’abbia… incoraggiato in qualche modo.”
“Sono sicuro che non l’hai mai fatto. Non è colpa tua, ok?”

La costrinse a guardarlo mettendole delicatamente una mano sul viso e le sorrise con tutta la dolcezza che riuscì a trovare, facendola annuire. Per qualche interminabile istante nessuno dei due si mosse, i volti a pochi centimetri l’uno dall’altra, poi Penny si schiarì la voce e si alzò, parlando con tono neutro:

“Vado a farmi una doccia, sento… sento le sue mani ovunque.”
Hunter si limitò ad annuire e, una volta solo nella stanza della ragazza, si trattenne dal prendersi a sberle da solo: gli aveva appena raccontato di essere stata vittima di violenze sessuali per più di un anno e lui era stato a tanto così dal ficcarle la lingua in gola.

Gli sembrò di sentire la voce di Max: ma cos’hai in testa imbecille, fuliggine?!


*


“Hai passato molto tempo fuori di recente… dove sei stato?”
“Perché ti interessa?”
“Perché non sono stupida, Hunter… e non sei l’unico, vale lo stesso anche per Larisse e per Raphael.”
“Casualità.”
“Io non credo. No, penso che tu o abbia una specie di relazione segreta o stai combinando qualcosa di cui non mi hai parlato.”
“Sei gelosa, Penny?”
Hunter abbozzò un sorriso ma Penny non lo imitò, seria come di rado gli era capitato di vederla:
“No, perché so che è la seconda. Tua sorella è una Sentinella, quella di Raphael anche, non può essere un caso. Qualunque cosa sia… voglio farne parte.”

Hunter esitò, sinceramente tentato di chiederle se nel caso si fosse verificata la prima opzione sarebbe stata gelosa, ma di fronte al suo sguardo serio e determinato lasciò perdere e si limitò ad annuire:

“Ok.”

Perché non riusciva mai a dire la parola “no” a quella ragazza?


*


Penny era stesa sul suo letto, al buio, gli occhi fissi sul soffitto della stanza. Era certa che non avrebbe dormito molto quella notte, persino meno del solito.
Dopo essersi rigirata sul materasso per l’ennesima volta si sollevò leggermente, facendo leva sul gomito per gettare un’occhiata alla porzione di pavimento accanto al suo letto e parlare a bassa voce:

“Guarda che non devi dormire qui per forza!”
“Ormai sono qui e non mi muovo. Dormi adesso.”
“Ma non puoi dormire sul pavimento!”
“Ho la brandina, buonanotte.”
“Ma Hunter, non serve che stai qui a fare la guardia, davvero!”

“Il verme schifoso è ancora in Infermeria e potrebbe farsi vivo, io di qui non mi muovo. Buonanotte.”
“Sei proprio testardo come un mulo!”
“Congratulazioni, l’hai capito dopo quattro anni.”

“AVETE FINITO DI FLIRTARE VOI DUE?! FATE SILENZIO!”


*


Penelope era seduta contro il muro duro e freddo, gli occhi persi a fissare il nulla nel buio.
Hunter se n’era andato poco prima, lasciandola sola solo perché lei per prima aveva insistito: non voleva che si cacciasse nei guai a sua volta, per quanto non amasse stare chiusa lì dentro, al buio, da sola. 
Si sentiva parecchio dolorante e indolenzita, era sicura che avrebbe faticato molto per mettersi in piedi, ma non ci faceva caso più di tanto: da anni, ogni volta in cui soffriva ripensava a quando Roman Nott l’aveva presa contro la sua volontà e si ripeteva che qualunque cosa accadesse niente sarebbe stato peggiore di quello.
Roman le aveva tolto una parte di sè non tanto quella prima volta quanto nell’anno a venire in cui non aveva mai smesso di abusare di lei, ma almeno le aveva dato una forza del tutto nuova.

Lì sola, al buio, Penny ripensò a quando Richard la chiudeva in cantina. Sorrise, nel ricordare le sue preghiere, preghiere così diverse e così simili a quelle che aveva più volte rivolto a Roman, senza che nessuno dei due l’ascoltasse. 
Ma Penny non aveva più alcuna paura del buio ormai: sua madre le aveva più volte ripetuto che temendo il buio non si temeva altro che l’ignoto, ma aveva capito tempo addietro che l’unica cosa di cui avesse mai avuto realmente paura era tutt’altro che ignota, anzi, l’aveva guardata in faccia più di una volta.
 







……………………………………………………………………….
Angolo Autrice:

Ed eccomi di nuovo… sì, il capitolo è dedicato quasi solo ed esclusivamente a Penny e ad Hunter, nel prossimo compariranno di più anche gli altri e sarà ambientato circa in parallelo a questo.
E per i voti… questa volta ho deciso di riutilizzare i nomi dei personaggi che sono stati quasi scelti le altre volte, ossia:

-    Rain
-    Quinn 
-    Erzsébet 

A presto! 
Signorina Granger 

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Capitolo 12
*** Rain Mirabelle Mallow ***


Capitolo 10: Rain Mirabelle Mallow 

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Rain Mallow aveva quattro anni quando decise che odiava i maschi. 
Suo cugino Haze le aveva rubato la sua bambola preferita e nascosta da qualche parte nell’enorme villa dove vivevano insieme alle rispettive famiglie e i nonni paterni. 

La bambina si aggirava per un corridoio, in lacrime, quando s’imbattè in suo nonno, che le sorrise teneramente mentre le si avvicinava: 

“Principessa, che cosa c’è?”
Rain allungò le braccia verso di lui in una tacita richiesta di essere presa in braccio e l’uomo l’accontentò, sorridendole mentre le accarezzava i capelli biondi: 

“Allora?”
“Haze ha rubato Claire!”
“La tua bambola?”
“Sì! E non vuole dirmi dove l’ha messa!”

“Mh, forse posso aiutarti… guarda.”
Frost sorrise e, tirato fuori quel curioso bastoncino che i nipoti osservavano sempre con perplessità, lo agitò leggermente. Per qualche istante non accadde niente, poi Rain emise un urletto felice nel vedere la sua bambola sfrecciare nel corridoio, proprio verso di loro.

“Grazie! Come hai fatto nonno?”
Rain abbracciò la bambola e rivolse un’occhiata ammirata al nonno, che le diede un bacio sulla testa prima di rimetterla con i piedi per terra:

“Beh, lo sai che la tua famiglia è speciale, no?”
“Anche io sono speciale?”
“Certo. Più speciale di me, papà, Haze o lo zio Ice.”

Frost sorrise alla nipotina – che anche se non l’avrebbe mai ammesso era quasi la sua preferita, del resto dopo aver avuto due figli maschi e un primo nipote maschio lui e la moglie avevano quasi fatto i salti di gioia sapendo dell’arrivo di una bambina in famiglia – e Rain ricambiò, guardandolo con un che di adorante nello sguardo prima di prenderlo per mano:

“Grazie! Vuoi prendere il thè con me e Claire?”
“Va bene tesoro… invitiamo anche Haze?”
“No, lui è un maschio, da oggi i maschi non mi piacciono!”
“Ma anche io sono un maschio!”
“Ma tu sei Nonno Frost!”

La bambina aggrottò la fronte e lo guardò come se avesse detto un’ovvietà, facendolo sorridere appena mentre la guardava con affetto:

“Beh, in tal caso grazie per l’onore.”

Frost Mallow, mago appartenete ad una ricchissima, stimata ed importante famiglia Purosangue, aveva rinunciato a molte cose – tra cui il suo buon nome e l’alta reputazione – per la sua famiglia, molti anni prima, per sposare la donna che amava, una Banshee… ma a conti fatti ne era valsa la pena.


*


Quando Audrey finì di leggere un silenzio di tomba calò nell’ampia cantina, dove erano tutti seduti intorno al tavolo rettangolare come sempre. 
Rain teneva il capo chino, gli occhi fissi sulle sue stesse mani mentre Haze, accanto a lei, teneva la mascella serrata e gli occhi carichi di rabbia fissi sul tavolo. 

Audrey esitò, ripiegando il biglietto prima di schiarirsi la voce e parlare di nuovo, con il tono più calmo e pacato che le riuscì:

“Bene, ora che sapete che cosa è successo…”
“E Alecto? Che fine ha fatto Alecto?”

Haze la interruppe, alzando lo sguardo sulla collega che però non rispose, rivolgendo un’occhiata indecifrabile ad Erik, che parlò al suo posto:

“E morta anche lei, l’ho uccisa io. Al momento si trova nei Sotterranei a scuola, esattamente come… come Edric aveva detto di fare.”
“Come fai a ricordarlo? Non ci siamo tolti tutti la memoria?!”

“Sì, ma io ed Erik abbiamo bevuto un filtro che avevo fatto chiedere ad Erzsébet di pregare. I suoi effetti sono diversi da un Oblivion, possono esserci degli… sprazzi di ricordi. Erik ha trovato Alecto nei Sotterranei qualche giorno fa e si è ricordato di averla uccisa. Ora, Edric aveva proposto di ucciderli entrambi e di prendere le loro sembianze, ma ora potremo servirci solo di Alecto, Amycus è totalmente fuori dai giochi. Ci state ancora?”

Audrey fece correre lo sguardo su tutti i presenti ed Erzsébet, dopo essersi scambiata un’occhiata con la sorella, fu la prima a parlare, annuendo con un sospiro: 

“Direi di sì, Edric non può essere morto per niente.”
“Sì, sono stranamente d’accordo con Miss Simpatia.”

“Senti un po’, il mio soprannome, se proprio ci tieni, è Holmes, Reaper!”
“Scusa, Miss Simpatia ti si addice di più.”

Erzsébet fece per replicare di fronte al sorrise di Quinn, ma Carmilla le diede una leggera gomitata, suggerendole di lasciar perdere, e Aeron fece altrettanto con l’amico con un’occhiata piuttosto eloquente.
Quinn sbuffò leggermente, borbottando che voleva solo stendere la tensione mentre Aeron prendeva la parola, rivolgendosi ad Audrey:

“Credo che siamo tutti d’accordo, del resto avevamo già deciso.”
“Bene, perché la cara vecchia Alecto è già fuori dalla circolazione da alcuni giorni, di questo passo si chiederanno che fine abbia fatto, dobbiamo riprendere in mano la situazione al più presto. Allora, ehm… c’è qualche primo volontario?”

Audrey abbozzò un sorriso tirato e osservò i colleghi ad uno ad uno, mentre Erzsébet fissava con interesse il soffitto, Nathan era sparito sotto al tavolo per prendere qualcosa che gli era caduto, Max sembrava particolarmente presa dalla contemplazione di una manica della sua giacca di pelle e Quinn, sollevando le mani, decretava di avere un chiaro ricordo di aver detto che lui non si sarebbe mai trasformato in Alecto. 

“Ok. Va bene, lo farò io, non è il caso di perdere tempo a discutere per questo.”

Quando Faye, seduta di fronte a lui, parlò, l’ex Grifondoro si voltò di scatto verso la Tassorosso, rivolgendole un’occhiata piuttosto incerta:

“Faye, sei sicura?”
“Sì. Non è la fine del mondo… per giustificare la sparizione dirò che stavo… indagando sul passato di Edric per scoprire se poteva avere dei complici. O magari dire che sono tornata in Cornovaglia in cerca di tracce.”

La ragazza si strinse nelle spalle con apparente noncuranza e Quinn, anche se non sembrava molto convinto, capì che non era il caso di sollevare polemiche sulla questione e tacque, limitandosi a guardarla con leggera apprensione.

“Bene, se Faye si offre… non lo dovrai fare sempre, comunque, ci daremo il cambio. Erzsébet, hai della Polisucco di riserva?”
Erzsébet annuì, incrociando le braccia e rivolgendosi ad Audrey:
“Naturale, ne farò avere a Faye… Immagino di dovermi anche mettere all’opera per prepararne dell’altra, richiede tempi molto lunghi.”

“Sì, ma al Covenant ce n’è di certo nella dispensa dell’aula di Pozioni, chiederemo ad uno dei ragazzi di prenderne per noi. Max, ci pensi tu?”
“Riferirò al Moccioso.”

Maxine annuì con un sorriso prima che Faye parlasse, non potendo nascondere del tutto la leggera nota di nervosismo che trasudò dalla sua voce:

“Quando entro in scena? Oggi stesso?”
“Voi che dite?”
“Direi che domani è meglio… domani mattina, magari, potresti fare la tua entrata a scuola. E cerca di essere il più sgradevole possibile.”

“Come se qualcuno potesse essere sgradevole come quella donna!”
“Grazie Max, lo sappiamo, ma la nostra Faye ci dovrà almeno provare…  Domani dovrai andare da Yaxley, immagino, così da scoprire anche che razza di visita c’è stata oggi al Covenant e perché. Ragazze, una di voi può accompagnarla per monitorare la situazione per noi?”

Quando Audrey si rivolse alle gemelle Erzsébet e Carmilla si scambiarono un’occhiata, poi la seconda parlò, un sopracciglio inarcato:

“Una volpe darebbe piuttosto nell’occhio direi… ci pensi tu Erza?”
“Preferisco trasformarsi di notte, ma va bene. Stasera mi metterò all’opera per preparare altra Polisucco e domattina presto verrò da te, allora.”

Faye annuì senza dire nulla e Erzsébet abbozzò un sorriso, quasi lieta di avere qualcosa di importante da fare che non dipendesse dagli ordini dei Mangiamorte, che lei odiava prendere.


“Perfetto. Un’ultima cosa… oggi tornerò in Cornovaglia, nei pressi del Land’s End.”
Esattamente come nelle sue aspettative le sue parole sembrarono colpire non poco i compagni, che la guardarono con tanto d’occhi, chi più, chi meno colpito, e Haze in particolare la guardò come se avesse detto di voler sposare Lord Voldemort in persona:

“Cosa?! Sei impazzita per caso?”
“Beh, siamo stati lì, qualcuno ci ha visti! Io, Max, Rain, Aeron e tu, Haze, eravamo lì con Ed. Abbiamo alloggiato in un posto per una notte, Max ha scritto il nome, devo tornare lì ed Obliviare i Babbani che ci hanno visti.”

“Non avrete usato i vostri veri nomi, spero.”
“No Nathan, spero di non essere stata così stupida, ma ci hanno comunque visti in faccia, è un rischio. E poi molte delle nostre cose sono ancora lì, le devo recuperare.”

Audrey abbassò lo sguardo e nessuno disse nulla mentre tutti pensavano alle parole che la strega non aveva detto ma che aleggiarono comunque nella stanza: specialmente le cose di Edric.

“Bene, vengo con te allora.”
A rompere il silenzio fu Erik, che parlò con il tono fermo di chi ha già preso una decisione mentre Haze, invece, gli rivolse un’occhiata torva, indicandosi e parlando prima di dare il tempo ad Audrey di farlo:

“Ti ricordo che abbiamo cambiato la disposizione, ora lavoro io con lei.”
“Sì, ma questo non è lavoro, questo è “pararsi il culo dai Mangiamorte”.”

Audrey alzò gli occhi al cielo e fece per replicare che non aveva bisogno di essere accompagnata, ma Max si mise dritta sulla sedia e prese la parola con lo stesso tono perentorio usato da Erik poco prima:
“Ehy, fermi, io ero lì e sono la sua migliore amica, ci vado io.”

“Sono io il suo migliore amico!”
“Povera Audrey allora!”

“Finitela, ci vado da sola, sono Babbani, non servono quattro mani.”
“Ma…”
“Niente ma Murrey, potrebbero sempre contattarci per qualche incarico e dobbiamo essere il più possibile reperibili… e poi non mi ci vorrà molto, probabilmente. Ho solo una… cosa da chiedere. Qualcuno può tenermi il bambino?”


*


Rain aveva sette anni quando diede segno per la prima volta di avere ereditato i poteri di sua nonna. Quando nessuno dei loro figli ne aveva dato segno, e nemmeno Haze, Frost e Wisteria avevano pensato che forse il gene non si era tramandato, ma quest’ultima capì che si era trasmesso solo alla loro unica discendente femmina.

La bambina stava singhiozzando ormai da qualche ora, abbracciata alla madre, che da Babbana faticava a comprendere appieno la situazione, mentre suo padre era al lavoro, sua nonna cercava di confortarla assicurandole che sarebbe andato tutto bene mentre Haze cercava, invano, di capire cosa stesse succedendo a sua cugina.

“Tesoro mio, non stai per morire, te l’assicuro!”
“Ma ho visto… un sacco di cose brutte!”

Rain si strofinò gli occhi pieni di lacrime mentre la nonna, sorridendole, le accarezzava i capelli:

“Lo so, non è facile. Ma succede anche a me, sai? Eppure sto bene, vedi?”
“Sì, ma…”
“Non ti succederà niente tesoro, proprio niente.”

Wisteria sorrise e, intanto, si chiese dove si fosse cacciato suo marito in tutto quel trambusto: Frost era sparito un paio d’ore prima e ancora non si era fatto vivo.


Haze, intanto, cercava di origliare attraverso la porta chiusa e sobbalzò quando sentì dei passi, seguiti dalla voce profonda di suo nonno:

“Signorino, cos’abbiamo detto sull’origliare?”
“Ma Nonno, Ray piange e nessuno mi dice perché! Sta male?! È successo qualcosa allo zio?”

“No, lo zio sta bene… Te lo spiego domani, ok? È tardi adesso.”
“Cos’hai lì?”

Il ragazzino cercò di sbirciare dentro a quella che sembrava essere una gabbia coperta da un telo, dal cui interno provenivano deboli pigolii, ma il nonno sorrise e scosse il capo, assicurandogli che l’avrebbe visto presto ma che prima doveva mostrarlo a sua cugina. 

Così bussò alla porta e, una volta aperta, sorrise alle due donne e alla bambina, cogliendo l’occhiata inquisitoria che la moglie gli rivolse:

“Dove ti eri cacciato?”
“Ho preso una cosa per Rain. Vuoi vederla, tesoro? Vieni con me.”

La bambina annuì ma non disse nulla, scivolando giù dal letto per raggiungere il nonno e prenderlo per mano, seguendolo nel corridoio sotto lo sguardo curioso di Haze:

“Zia, cos’ha Ray?”
“Ancora in piedi?! Dovresti dormire da un pezzo, fila a letto!”
“Ma nonna…”
“A letto, subito.”



Rain guardò il nonno paterno appoggiare la gabbia sul suo comodino e, quando ebbe sfilato il telo, guardò con un sorriso ammirato l’uccellino dallo splendido piumaggio che conteneva.


“Oh… che bello! Cos’è, nonno?”
“È un animale molto, molto speciale. Vedi, è una Fenice. E oltre ad essere davvero bellissima, ha la particolarità di vivere molto a lungo. Vedi quella cenere? Ci è nata dopo essere bruciata.”
“E come?”

La bambina guardò il nonno con gli occhi carichi di stupore e lui le sorrise, sedendo sul letto e sistemandola sulle sue ginocchia prima di proseguire:
“Le Fenici fanno così, tesoro. Quando il loro ciclo di vita si conclude muoiono… ma rinascono subito dopo dalle loro stesse ceneri. È un regalo per te.”

“Per me, perché?”
“Perché so che la morte fa paura, principessa. Ma come lei, dobbiamo tutti imparare ad affrontarla e a rinascere più forti di prima.”


Poco dopo Frost si chiuse la porta della camera alle spalle, lasciando Rain a dormire nel suo letto con la piccola Fenice, che aveva deciso di chiamare Sun, sul comodino. 
Nel corridoio trovò ad aspettarlo la moglie, che lo guardò con un sopracciglio inarcato:

“Dove diamine hai trovato una Fenice, Frost?”
“Cara, dimentichi che parli con Sir Frost Mallow? Sono ancora pieno di contatti sia nel Governo magico che Babbano, la Signora T* e io siamo intimi amici.”

“… Intendi quella cotonata rompiscatole? Non mi è mai piaciuta…”


*


Faye era seduta sul letto, la vecchia felpa dell’Università di suo padre addosso mentre fuori pioveva a dirotto e le gocce di abbattevano violentemente sui vetri delle finestre. 
Di norma stare a casa con il brutto tempo e il freddo non le dispiaceva, si raggomitolava sul letto o sul divano e la sensazione di stare al caldo era gradevole. 

Ma non quel pomeriggio. 
La sua Kneazle assai poco socievole, Nova, doveva aver percepito il suo umore cupo perché si era persino concessa una delle sue rare dimostrazioni d’affetto, acciambellandosi accanto a lei per farsi coccolare. 
Amos invece, il suo amato allocco, strideva nella sua gabbia forse per il frastuono, ma Faye non ci faceva caso, troppo impegnata a riflettere su quanto successo quella mattina. 

Forse offrirsi di essere la prima a prendere le sembianze di Alecto non era stata una buona idea, teneva che qualcosa potesse andare storto… se l’avessero scoperta l’avrebbero certamente uccisa, e forse avrebbe fatto scoprire anche tutti gli altri. 
Era un bel peso da portare e l’ex Tassorosso sospirò, passandosi una mano tra i capelli e maledicendo se stessa e il suo desiderio ormai così radicato di dimostrare a chi la circondava di essere abbastanza forte. 

Eppure lo doveva fare, non si sarebbe tirata indietro per niente al mondo.

Faye si voltò a guardare la bacchetta che aveva appoggiato sul comodino e, per un attimo, provò l’impulso di prenderla. Ma sapeva che cosa avrebbe fatto una volta tenuta tra le mani e si disse di non muoversi. 
Aveva passato tutto il pomeriggio chiusa in casa a rimuginare, e aveva promesso a suo padre che avrebbe smesso di farsi del male. Faye voleva davvero tenere fede a quella promessa, ma a volte le risultava davvero difficile farlo… amava molto suo padre, ma non capiva. Non avrebbe mai potuto capire.


All’improvviso Faye ripensò a qualcosa che Quinn le aveva detto qualche giorno prima.
Fece per muoversi e da appoggiata ai cuscini sistemati a ridosso della testiera si sollevò leggermente prima di bloccarsi, scuotere il capo, darsi mentalmente della stupita e tornare nella medesima posizione di prima, con Nova acciambellata accanto a lei.

Per qualche altro minuto la strega non si mosse, mordendosi nervosamente il labbro inferiore mentre quell’idea non voleva andarsene dalla sua testa, convivendo con quella che sembrava volerla spingere a prendere la sua bacchetta. 
Alla fine Faye si alzò dal letto e fece per prenderla per Smaterializzarsi, ma si bloccò, esitando. Forse prenderla non era una buona idea… 

Quando era arrivata, esattamente, al punto di non fidarsi nemmeno più di se stessa?

La Tassorosso mandò al diavolo la sua bacchetta e, forse per la prima volta da quando l’aveva comprata da Ollivander 16 anni prima, si precipitò fuori di casa senza, incurante del maltempo. 


*


Rain aveva, fin da quando aveva memoria, sempre avuto un’inspiegabile paura del buio. Non entrava mai in una stanza buia da sola, talvolta costringeva persino suo cugino Haze ad entrare prima di lei per accendere una luce.
Ora però suo cugino era ad Hogwarts, molto lontano da lei, e nonostante gli avesse promesso che avrebbe cercato di superare quella paura insensata non era tanto sicura di riuscirci.

La sua camera era illuminata come sempre dall’abat jour e la ragazzina, già sotto le coperte, teneva gli occhi fissi sul soffitto, ponderando se spegnerla o meno: poteva sempre provarci, dopotutto.

Quando spense la luce Rain quasi si nascose sotto le coperte, chiudendo gli occhi con decisione e cercando di non pensare al fatto che ora la stanza fosse totalmente immersa nell’oscurità. 

Dopo qualche minuto, tuttavia, si sollevò leggermente e l’accese con un sospiro, cogliendo l’occhiata quasi di rimprovero che Sun le riservò – forse lei, al contrario, avrebbe preferito fare a meno della luce – prima di parlare con un filo di voce:

“Non è colpa mia, Sun! Tu non vedi le cose che vedo io!”


*


“Non guardarmi così! Non avrai il mio panino.”

Quinn rivolse un’occhiata torva ad Ares che, seduto di fronte a lui con le orecchie ritte, osservava con estrema attenzione il prosciutto che il padrone stava maneggiando per farsi uno spuntino. 
Quando sentì suonare il campanello con insistenza l’ex Grifondoro quasi sobbalzò, lasciando la sua cena sul tavolo per raggiungere la porta con curiosità: non aspettava nessuno, chi avrebbe messo il naso fuori di casa con quel tempo?

Si aspettava un qualche vicino e spalancò gli occhi con sincera sorpresa quando, invece, sulla soglia trovò una Faye zuppa e con il cappuccio di una felpa blu scolorita e piuttosto grande per lei sollevato.

“C-ciao. Posso entrare?”
“Faye?! Certo, ma… che ci fai qui? E sei venuta a piedi?!”

Quinn, guardandola con gli occhi azzurri fuori dalle orbite, si spostò per farla passare e la ragazza annuì distrattamente mentre calava il cappuccio della felpa, entrando in casa e annuendo nervosamente:

“Sì, beh, non volevo prendere la bacchetta.”
“Sei impazzita, sta diluviando!”

Quinn la guardò con aria sconcertata e la strega si strinse nelle spalle, incrociando le braccia mentre tremava leggermente per il freddo e parlando con il tono più noncurante e distaccato che le riuscì:
“Abitiamo nello stesso quartiere, non è una tragedia.”
“Ok, aspetta qui, ti asciugo con la magia… siediti.”

Quinn tornò in cucina per prendere la sua bacchetta mentre Faye sedeva sul divano, passandosi nervosamente una mano tra i capelli e chiedendosi cosa ci facesse lì. Forse era stata una pessima idea… e lei non era mai impulsiva, mai.
Il mago tornò poco dopo con il Pastore Tedesco – che si era premurato di far sparire il suo panino – al seguito, e Ares sembrò felice di vederla perché le andò incontro scodinzolando, facendosi accarezzare il lungo pelo con gioia.

“Ciao bellissimo.”  Faye sorrise debolmente al cane e Quinn la imitò, guardandola con una punta di divertimento mentre sedeva accanto a lei:

“Oh, finalmente l’hai ammesso!”
“Non parlavo con te!”
“Sì, lo so, mi spezzi il cuore ogni volta… ok, sta’ ferma adesso. E non che non mi faccia piacere vederti, ma cosa ci fai qui?”

L’ex Grifondoro aggrottò la fronte mentre faceva uscire del vapore dalla sua bacchetta per asciugare la strega, che sospirò di sollievo mentre Ares le appoggiava il muso sulle ginocchia. 

“Beh, tu mi hai detto… di chiamarti se avessi avuto voglia di tagliarmi. E così eccomi qui… Scusa per l’intrusione.”

Faye abbassò lo sguardo mentre parlava, evitando di guardarlo quasi fosse a disagio mentre Quinn invece abbozzava un sorriso, scuotendo debolmente il capo:

“Non importa, te l’ho detto. Ma è buio e abbastanza tardi ormai, non dovresti andare in giro per Londra da sola e senza bacchetta.”
“Quinn, sono una specie di sicario addestrato, credo di sapermi difendere abbastanza bene.”
“Anche senza bacchetta? Ma se non l’hai presa per paura di non riuscire a non usarla per tagliarti hai fatto bene, solo avresti potuto contattarmi attraverso il camino.”

Quinn accennò al camino acceso e Faye, sapendo che aveva ragione, annuì debolmente, mordicchiandosi il labbro prima di parlare mentre lui le teneva una mano sulla schiena:

“Lo so, ma non ci ho quasi pensato… avevo voglia di vederti.”

Faye, che fino a quel momento aveva continuato ininterrottamente a torturarsi le mani e a non guardarlo, si sentì arrossire leggermente a quella confessione fatta senza pensare e si chiese che cosa avesse che non andava quella sera: il suo cervello sembrava completamente scollegato.

Non vide Quinn sollevare gli angoli delle labbra in un sorriso spontaneo alle sue parole e la sua mano scivolò dalla schiena della ragazza alla sua spalla per poi finire sul suo viso, esercitando su di esso una lieve pressione affinché lo guardasse. 
“Davvero?”

Faye deglutì, non potendo far altro che annuire senza riuscire a dire niente di fronte allo sguardo magnetico e penetrante di Quinn. Stava pensando che occhi del genere non avrebbero dovuto essere legali quando il loro proprietario li chiuse e annullò la breve distanza che li separava appoggiando le labbra sulle sue.


Nonostante una voce nella sua testa le disse di staccarsi Faye non le diede retta, chiudendo a sua volta gli occhi e appoggiandogli timidamente le mani sul viso mentre quella di di Quinn finiva tra i suoi capelli castani, premendole leggermente la nuca verso di sè.
Quando però Quinn approfondì il bacio la ragazza venne bruscamente riportata alla realtà e si staccò, mettendogli le mani sul petto per spingerlo leggermente via da sè con gli occhi scuri spalancati, il fiato corto e la bocca dischiusa:

“Io… scusami, non sarei dovuta venire.”
Si alzò di scatto quasi senza rendersene conto con, in testa, il solo pensiero di allontanarsi rapidamente da Quinn, che invece le rivolse uno sguardo quasi implorante:

“Faye…”

Quinn fece per alzarsi a sua volta, ma l’ex Tassorosso si limitò a scuotere il capo mentre evitava di guardalo in faccia, allontanandosi frettolosamente per raggiungere la porta e uscire di casa dopo aver mormorato delle scuse sommesse.
Forse avrebbe voluto seguirla ma qualcosa gli disse di non farlo, così il Grifondoro rimase fermo, in piedi, confuso mentre pensava a quanto appena successo. 

Aveva davvero baciato Faye Jones?


*


Quando venne Smistata a Grifondoro Rain non poté fare a meno di esserne orgogliosa, anche se una parte di lei si stupì della decisione del Cappello: talvolta non si sentiva poi così coraggiosa, specie quando non riusciva a superare la sua paura del buio. 
Haze la abbracciò quella sera, decretando che quella Casa era fortunata ad averla e che era felice di poter vivere di nuovo sotto lo stesso tetto come fino a quattro anni prima. 

Le presentò anche il suo migliore amico, un suo compagno di Casa, un certo Edric. Quel ragazzo aveva i capelli scuri e gli occhi più azzurri che avesse mai visto, tanto che il suo sguardo carico di curiosità la mise quasi in soggezione, e non le rivolse che un paio di parole. 
Anche suo cugino era un tipo abbastanza schivo e non si stupì che si somigliassero, ma Edric Marlowe le suscitò sempre una grande curiosità, anche quando lo rivide al Covenant… e a volte anche leggera soggezione, aveva un modo di guardarla che la faceva sentire costantemente inadeguata.  


*


Max stava litigando con il fornello, che non ne voleva sapere di accendersi, quando dal salotto sentì il camino accendersi e si dimenticò della cioccolata calda che voleva prepararsi sentendo una voce familiare:

“Max?!”
“Sono qui! Faye, che cosa c’è?”

Maxine rivolse un’occhiata perplessa all’amica, che entrò in cucina con un’espressione piuttosto tesa dipinta sul volto e i capelli castani leggermente in disordine:

“Ho fatto una cosa tremenda.”
La strega scosse gravemente il capo e si lasciò scivolare su una sedia mentre Silver,, il Demiguise di Max, le raggiungeva e si aggrappava alle spalle della padrona.

“Silver, non fare il timido, è Faye… Che cosa hai fatto?!”

Maxine sgranò gli occhi e rivolse un’occhiata sinceramente preoccupata all’amica, chiedendosi cosa potesse essere successo di tanto grave: uccidere era ormai per loro all’ordine del giorno, cosa poteva aver fatto di peggio?

Faye sospirò, passandosi una mano tra i capelli castani – e solo allora Max fece caso alla felpa grande e ai jeans che indossava, come se fosse venuta direttamente da casa – prima di parlare a mezza voce, fissando il tavolo

“Io ho… hobaciatoQuinnRichards.”
“EH?!”
“Ho baciato Quinn!”

“QUINN QUINN?!”
“Quanti altri Quinn conosci, esattamente?!”

“Per tutti i tanga multicolore di Merlino… Wow, questo è… inaspettato. Ma aspetta, perché non mi hai mai detto che ti piace Quinn?! E perché è così grave?”

“Beh, io non… non lo sapevo, credo. Vedi, ultimamente mi è stato molto vicino per delle cose che sono successe e io… oh, non lo so Max. Ma è grave perché non posso preoccuparmi di sentimenti di questo tipo al momento, penso che tu capisca.”

L’espressione di Maxine si addolcì a quelle parole, sedendo di fronte all’amica mentre Silver, dopo essere diventato invisibile, sgraffignava una banana dal cestino della frutta.

“Certo che capisco Faye, ma è l’occasione per essere felici, almeno in parte. Insomma, vuoi davvero passare la tua vita così? Non sappiamo per quanto ancora questa situazione durerà, Faye, noi facciamo il possibile ma non è semplice. Uccidere Tu Sai Chi non sarà una passeggiata, anche se fattibile.”

“Lo so. Ma non voglio soffrire ancora, Max, e tenere ad una persona porta sofferenze, spesso.”
“Temo sia un rischio che bisogna correre per un po’ di felicità. Io ho perso i miei genitori per questa stupida guerra e le discriminazioni, Faye, ma la paura di perdere le altre persone che amo, come Hunter, non mi impedisce di affezionarmi.” 

Max allungò una mano per sfiorare quella dell’amica, che annuì e abbozzò un sorriso carico di gratitudine: 

“Forse hai ragione tu, ma per me è difficile aprirmi, lo sai.”
“Io ho ragione molto spesso, mi stupisco che la gente lo sottolinei come se fosse qualcosa di sporadico!”

Maxine storse il naso con aria stizzita e la Tassorosso rise appena prima di inarcare un sopracciglio, guardando distrattamente la banana che si stava sbucciando da sola a mezz’aria:

“Notizie di Audrey?”
“No, Audrey-vado-da-sola non è ancora tornata, credo. Spero che almeno questa volta non ci siano intoppi. Ma non cercare di svicolare, devi parlare con Quinn.”
“Sì, lo farò.”
“Domani.”
“Ok…”

“Stavo cercando di preparare la cioccolata, ne vuoi una tazza?”
“Sì, grazie, mi ci vuole. … Sai prepararla?”
“Non parlarmi come se fossi menomata come fa Hunter, certo che so farla… beh, ho letto le istruzioni, dovrei cavarmela.”

Perché Faye aveva l’impressione di correre il secondo rischio di avvelenamento da cibo nella stessa settimana?


*


Gli anni che trascorse ad Hogwarts furono, per Rain, molto felici: con il suo carattere solare e dolce non le fu difficile farsi degli amici e la magia l’aveva sempre affascinata molto, le piaceva la sensazione di imparare cose nuove ogni giorno che passava.
Tutto però cambiò durante il suo terzo anno, quando Piton divenne Preside, e mai tanto quanto allora fu grata della presenza di suo cugino al suo fianco:vcerto a volte si sentiva quasi lei la maggiore nel suo tenerlo a bada, ma allo stesso tempo la presenza di Haze la faceva sentire a casa, al sicuro.

Una sera la Grifondoro era rannicchiata nella Stanza delle Necessità mentre aspettava che suo cugino si facesse vivo – Haze l’aveva spinta a seguirlo laggiù a causa dei costanti maltrattamenti che la cugina subiva ad opera dei Carrow, che la guardavano con disprezzo per il suo essere in parte una Banshee e, sopratutto, in quanto portatrice di un cognome un tempo molto stimato seppur fosse una Mezzosangue.

“Va tutto bene?”
Rain alzò lo sguardo di scatto e annuì debolmente quando si trovò Edric davanti, che dopo un attimo di esitazione sedette accanto a lei.

“Sai dov’è mio cugino?”
“È andato a prendere da mangiare da Arbeforth, tornerà presto. Come… come stai?”
“Potrebbe andare meglio. Si divertono a maltrattarci… e vedono me come la prova della rovina di una famiglia importante solo perché mio padre ha sposato una Babbana.”

Edric abbozzò un sorriso tetro come se capisse e per qualche istante non disse nulla, poi si schiarì la voce:

“Beh, sei una studentessa brillante, tengono almeno un minimo di riguardo per le tue capacità , anche se, personalmente, sono stanco di usare quelli del primo anno come cavie.”
“Non me ne parlare…”

La bionda sospirò, poi appoggiò la testa sulle ginocchia e non parlò più, pensando alla sua famiglia, a sua madre che era a rischio in quanto Babbana e incapace di difendersi e a suo padre, che rischiava la vita ogni giorno in quanto Auror. 
Avrebbe tanto voluto averli accanto… e ricevere uno degli abbracci di Nonno Frost. Quelli sì, erano davvero magici.


*


Larisse sedette in Biblioteca sbuffando come una ciminiera, morendo dalla voglia che la settimana finisse per poter tornare a casa per un paio di giorni: prima Raphael passava giorni interi senza parlare con nessuno, scontroso come non mai, poi Penny spariva e Hunter diventava strano ed enigmatico. 

Senza contare che aveva sentito che il figlio di Nott era finito in Infermeria, lo avevano trovato vicino alle scale privo di sensi e ridotto piuttosto male… Larisse non aveva fatto commenti, ma non poteva pensare che la conversazione avuta con Hunter poco prima fosse stata una coincidenza. Senza contare che, per quel che ne sapeva lei, quelli potevano benissimo essere proprio i Nott per cui Penny aveva lavorato.

La ragazza scosse il capo, dicendosi di non pensarci – forse infondo era meglio non sapere – mentre cercava, invano, di concentrarsi. Non ricevevano notizie dalla Causa da giorni e ciò la rendeva nervosa, senza contare che nessuno di loro ricordava cosa fosse successo durante il weekend precedente… c’era un pezzo che mancava, ne era certa. Ma nessuno si degnava di dare loro spiegazioni.

Senza contare, poi, che Amycus era morto, Alecto sembrava sparita nel nulla e per quanto la cosa potesse farle piacere aveva una strana sensazione: Yaxley aveva portato Nott a scuola, era forse per parlare della situazione apparentemente instabile in cui si trovava il Covenant in quel momento?

Larisse sperava solo che non piombassero altri Mangiamorte a scuola, i Carrow erano stati più che sufficienti da sopportare.


“Non è un po’ tardi per studiare?”
Larisse non si voltò – non ne aveva bisogno per sapere chi aveva appena parlato – mentre Raphael prendeva posto accanto a lei, guardandola con curiosità:

“Non mi va di dormire… non lo so, è una giornata strana.”
“Parli di Nott? Già, chissà chi lo ha ridotto così.”

Larisse si morse il labbro, trattenendosi dal dire che lei un’idea ce l’aveva mentre Raphael, pensieroso, le rivolgeva un’occhiata curiosa:

“Tu sai qualcosa?”
“No.”
“Sicura? Non è da te non fare commenti… Ci hai avuto a che fare per caso?!”

Il ragazzo parlò spalancando leggermente gli occhi scuri e la sua voce si fece più affettata mentre guardava la rossa affrettarsi a scuotere il capo ma continuando ad evitare di guardarlo:

“No, certo che no, non so nemmeno come si chiami.”
“Sicura?”
“Sì, sono sicura, perché dovrei mentirti?!”   Larisse sollevò finalmente lo sguardo sul ragazzo, che esitò prima di stringersi nelle spalle e parlare con tono neutro. 

“Beh, non sei una dà molta… confidenza, Larisse. Anche quando ci conosciamo da anni, ormai.”
“Mi spiace, sono fatta così, se non va bene me ne farò una ragione.”

Questa volta fu della ragazza il turno di stringersi nelle spalle e Larisse tornò a guardare i suoi appunti proprio mentre Raphael sorrideva quasi con leggero divertimento, annuendo prima di parlare:

“No, in realtà va benissimo. Buonanotte Larisse, sogni d’oro.”

Prima di darle il tempo di replicare in qualche modo o chiedergli cosa volesse dire Raphael le si avvicinò leggermente per darle un bacio su una guancia, dopodiché si alzò e si allontanò senza aggiungere altro, gli occhi di Larisse – che sfoggiava una leggera nota di rossore sul volto – puntati addosso.


*


“Mallow, non farmi perdere la pazienza. Usa la Maledizione!”
“No.”

Rain scosse il capo, serrando i pugni con rabbia mentre teneva gli occhi sull’uomo che aveva davanti. Aveva già torturato abbastanza ragazzini da quando era al Covenant, ne aveva abbastanza.

Certo, era infinitamente grata a suo padre per tutto quello che aveva fatto per lei ed Haze, quando suo zio Ice era morto durante la guerra aveva preso il nipote sotto la sua ala e pur di garantire L’incolumità a loro e alla moglie Viola aveva patteggiato, rinunciando alla sua carica di Auror, e poi aveva ceduto gran parte delle ricchezze di famiglia per mandare figlia e nipote al Covenant.
Aveva fatto tanto per lei, anche troppo, e anche se sapeva che non avrebbe sopportato di servire i Purosangue Rain odiava quel posto. 

Odiava dover prendere ordini da persone orribili che non si facevano il minimo scrupolo a maltrattarli.

“Mallow…”
“Ho detto no, Signore.”

La voce della ragazza vibrò di rabbia, ma quando vide l’insegnante di Arti Oscure puntarle la bacchetta contro con uno sbuffò spazientito sentì qualcosa, quella sensazione orribile con cui ormai aveva imparato a convivere e che sua nonna le stava insegnando a gestire. 
Il sentore di una morte imminente. 

Rain, pensando che si trattasse della SUA morte, spalancò gli occhi scuri, boccheggiando prima di iniziare ad urlare, tremando da capo a piedi.
Non seppe esattamente quanto durò, ma quando si riprese si ritrovò inginocchiata sul pavimento, le mani sulla testa e Haze accanto, che l’abbracciava. 

“Rain, calmati, va tutto bene…”

Ma non andava affatto tutto bene, Rain lo capì quando sentì altre urla, molto diverse dalle proprie: tutti i suoi compagni erano in piedi e fissavano, terrorizzati, il corpo privo di vita del suo insegnate che giaceva sul pavimento.

Rain deglutì a fatica, abbassando lo sguardo per paura di cogliere possibili sguardi disgustati o terrorizzati da parte dei suoi compagni mentre si alzava in piedi. 
Haze la strinse di nuovo e la ragazza appoggiò il capo sul petto del cugino tremando leggermente, ancora una volta grata della sua vicinanza. 

Quella fu l’ultima volta in cui, a scuola, qualcuno cercò di costringerla a fare qualcosa contro la sua volontà.


*



“Quanto torna Tía Odri?”
“Presto, doveva fare una cosa per lavoro ma poi verrà a prenderti, ok?”

Rain sorrise dolcemente ad Henry, che annuì debolmente mentre era seduto sul suo divano, meno allegro del solito. La bionda sedette accanto a lui – era stata ben felice di caricarsi dell’onere di badare a lui, dopotutto non solo lo trovava dolcissimo ma era un modo per distrarsi e smettere di pensare ad Edric – e gli sfiorò i capelli scuri con la mano:

“Starà via di notte?”
“No, tornerà prima, vedrai…”

“Sno e Duchessa non possono dormire da soli, hanno paura.”
“Ma tu no, vero piccolo Henry?” Rain accennò un sorriso divertito con le labbra carnose quando il bambino scosse vigorosamente il capo, promettendogli che la zia sarebbe tornata per dormire con lui, a casa loro, prima di proporre al bambino di seguirla:

“Vieni, ti faccio vedere una cosa.”

Lo portò fino in camera sua e vide gli occhi scuri di Henry spalancarsi dalla meraviglia quando scorse, sul trespolo, Sun, la sua Fenice.

“Ohh… che bello!”
“Si chiama Sun, è un uccello molto speciale. Vieni.” 

Rain prese il bambino in braccio e lo avvicinò a Sun, facendole cenno di stare ferma mentre il bambino sfiorava affascinato le sue piume lucenti e dalle calde sfumature dell’oro e del rosso.
Spesso suo nonno aveva riso, decretando di aver azzeccato con quel regalo visto che Sun aveva gli stessi colori della sua Casa.

“A Tía gli uccelli non piacciono.”
“Beh, avete un cane e un gatto, no?”
“Sì! Abuela dice che abbiamo uno… uno…”

Henry arricciò il naso, aggrottando al fronte mentre si sforzava di cercare la parola giusta mentre Rain, sorridendo, gli andava incontro:

“Zoo?”
“Sì! Tu ci sei andata allo zo?”
“Una volta, e tu?”
“No… Ma Tía ha promesso che ci andiamo.” 

Il bambino sfoggiò un vivace sorriso allegro e Rain ricambiò, restando ad ammirare Sun ancora un altro po’ mentre pensava a tutte le volte in cui, probabilmente, Audrey doveva uscire di sana pianta per un avviso dell’ultimo minuto e lasciare quel bambino che tanto visibilmente l’adorava a qualcun altro. Rain amava i bambini, ma non era sicura che le sarebbe piaciuto averne in un clima del genere.


*


“Haze, se sei invischiato in qualcosa di pericoloso devi dirmelo!”
“Rain, non sei la mia balia.”
“Certo che lo sono! E ti conosco, sarai anche un ottimo Occlumante ma non ho bisogno della Legilimanzia per capirti, c’è qualcosa che non mi stai dicendo.”

Rain di mise le mani sui fianchi in posizione parla-è-un-ordine e Haze sbuffò, le braccia conserte mentre evitava accuratamente di guardarla in faccia.

“Hai mai sentito parlare della Causa?”
“Ha l’aria di una cosa losca e segreta, direi di no.”
“È una specie di… organizzzione. Che vuole smantellare tutto questo schifo.”

“E tu ne fai parte? Perché non me hai parlato prima, voglio entrarci anche io!”
“Rain…”

Haze sospirò, parlando con il tono che usava fin da quando erano piccoli quando voleva spiegarle qualcosa che riteneva ovvio, ma la cugina scosse il capo e lo interruppe con decisione:

“No Haze, niente “Rain”. Sono seria. Non ne posso più di uccidere e torturare persone, ok?! Tutte le espressioni imploranti di quei bambini innocenti che si trovano un sicario davanti chiedendosi cos’hanno fatto di male per meritarlo finiranno con l’uccidere anche ME.”

La bionda si lasciò sfuggire un sospiro grave prima di tornare ad osservare il cugino, che non aveva detto una parola mentre, serio in volto, osservava il pavimento. 

“… Tu perché ne fai parte, Haze? Vuoi trovarla, non è vero?”
“No, non voglio trovarla, Rain, voglio ucciderla.”

Era un piano folle, quello del cugino, una vendetta che cercava da anni ormai. Ma per quanto potesse non approvare lui le era sempre stato vicino, e non poteva lasciarlo solo proprio in quel momento.



*


Trovare il posto giusto ed Obliviare i proprietari della locanda non era stato difficile e ora Audrey era in piedi sulla soglia della camera che Edric e Rain avevano occupato.
Avrebbe preferito continuare a tenere tutti all’oscuro delle dinamiche di quella notte ancora per un po’, ma quando Erik le aveva detto di aver trovato Alecto morta non aveva potuto far finta di nulla, dovevano sbrigarsi a mettere in scena lo spettacolo, più tempo passava e più gli altri Mangiamorte si sarebbero insospettiti. 

Era una serata davvero magnifica, non c’era una sola nuvola a coprire il cielo ormai buio – clima molto diverso da quello londinese che si era lasciata alle spalle tornando laggiù –. Entrando in quella stanza le parve di ricordare qualcosa, forse lei aveva condiviso la stanza con Haze? 

La strega si avvicinò lentamente al letto e notò appena prima di pestarlo un oggetto molto familiare lasciato sul pavimento, che si affrettò a raccogliere. Ebbe un tuffo al cuore nel riconoscere il quaderno dove Edric era solito disegnare e scrivere e ne sfiorò la copertina con malinconia, desiderosa di ricordare ogni singolo dettaglio di quella notte.

Lo aprì e quando vide i disegni che ritraevano Rain sospirò, appuntandosi mentalmente di darlo a lei – forse infondo era giusto così – prima di farlo scivolare nella tasca interna del soprabito scuro.


Si voltò verso la finestra e si disse che si, era davvero una serata magnifica. Sarebbe stato bello fuggire da tutto e da tutti, rintanarsi in un posto come quello per il resto della sua vita, lasciando che fosse qualcun altro a combattere quella guerra.
Ci aveva pensato spesso, ma no, non poteva farlo. Non avrebbe mai lasciato i suoi amici e voleva che Henry avesse un mondo migliore in cui crescere, che potesse avere un’infanzia serena come la sua. I bambini non avrebbero mai dovuto scontrarsi con la dura e crudele realtà, ma per quanto lo stesse tenendo il più lontano possibile dal suo mondo prima o poi ne sarebbe stato toccato.
Non poteva tenerlo per sempre sotto una campana di vetro, dopotutto.


Audrey raccolse rapidamente le poche cose che i compagni avevano lasciato, poi si Smaterializzò per tornare a Londra. Ripensò, per un attimo, alla grande casa che aveva intravisto arrivando a destinazione… aveva avuto una strana sensazione nel vederla, ma non era riuscita a spiegarsene il motivo.


*



“Che nome vuoi usare?”
“Alice.”
Rain sorrise di fronte allo sguardo leggermente perplesso di Aeron Blake, stringendosi nelle spalle mentre Haze alzava gli occhi al cielo:

“Alice?”
“Sì, Alice. Lui è il Cappellaio…” Aggiunse dando una pacca sulla spalla del cugino, “… e io sono Alice.”

“Carino.”
“Per niente.”
“Sta’ zitto Haze, mi faccio chiamare come mi pare!”

Haze sospirò, certo che i loro nomi cmbinati gli sarebbero valse non poche prese in giro, ma d’altro canto capiva le motivazioni della cugina: più di qualcuno, in passato, le aveva detto che ricordava Alice del romanzo di Carroll, vuoi per i capelli biondi o per l’atteggiamento trasognato e sorridente.

E forse, infondo, doveva ammettere che avevano ragione. Anche se non l’avrebbe mai detto a voce alta, certo. 



*


“Grazie per aver badato a lui per un po’.”
“Figurati, è un amore.” 

Rain sorrise alla collega, che annuì e, dopo aver guardato Henry sonnecchiare beatamente sul divano con occhi pieni d’affetto, le si rivolse direttamente schiarendosi la voce e tirando fuori qualcosa dalla giacca:

“Io volevo… darti questo. Credo che avrebbe voluto lo avessi tu… o se non vuoi tenerlo dallo ad Haze, gli farebbe piacere.”

Rain riconobbe immediatamente il quadernetto di pelle nera di Edric e lo prese con gli occhi sgranati, mordendosi leggermente il labbro inferiore mentre lo apriva, sfogliandolo. Si sentì quasi in colpa per quel gesto, come se stesse invadendo la sua privacy, ma voleva vederne il contenuto, doveva farlo. 

Quando arrivò ai disegni che la ritraevano la strega deglutì, sfiorando i tratti del carboncino con le dita.

“Sono bellissimi.”
“Era molto bravo.”

Audrey annuì, sorridendo leggermente prima di chinarsi e sollevare Henry con la massima delicatezza possibile, sperando di non svegliarlo, ma il nipotino aprì comunque debolmente gli occhi, mormorando qualcosa:

“Tía…”
“Andiamo a letto adesso tesoro, ok?”
“Non sono tanco Tía…”

Audrey inarcò un sopracciglio alle parole del bambino, che parlò sbadigliando e strofinandosi gli occhi con le piccole mani, certa che sarebbe crollato di nuovo prima che mettesse piede fuori di casa.

“Beh… ti lascio, grazie ancora, buonanotte.”

Sentendo la voce di Audrey Rain parve riscuotersi, affrettandosi a proporle di usare il suo camino per tornare a casa e guardando la ragazza scuotere debolmente il capo con un piccolo sorriso sul volto:

“No, grazie, quando sono con lui evito la Metropolvere o la Materializzazione… andrò a piedi.”
“Ma è lontano…”

“Fa niente, mi piace camminare, e ora non piove più.”

Rain avrebbe voluto insistere, ed era certa che Haze l’avrebbe uccisa se avesse saputo di averla lasciata andare a piedi, da sola, a quell’ora, ma la verità era che voleva solo continuare a guardare quei disegni.
Così poco dopo, una volta sola, si lasciò scivolare sul divano e riaprì il quaderno per osservarli, circondata da un silenzio quasi surreale che venne rotto solo dal singhiozzo che la scosse poco dopo.

      
*


“Ti dico che mi detesta!”
“Non dire assurdità, non è affatto così!”

“Io lo penso, invece, in effetti non capisco perché, ad Higwarts era più gentile, distaccato, sì, ma gentile… ora invece a stento mi guarda in faccia!”


Rain scosse il capo, ripetendosi di smetterla di pensare ad Edric e alle sue paranoie sul suo conto mentre depositava con cura un bracciale di metallo in una scatolina con un sorriso sulle labbra: non vedeva l’ora di darlo ad Haze.

Aveva scoperto, anni addietro, di avere una specie di predisposizione naturale per l’Alchimia e aveva sempre fatto moltissimi esperimenti, anche a casa, arrivando a mescolare lo zolfo con il mercurio dando vita ad un metallo che, se combinato con altre specifiche sostanze, sembrava avere proprietà straordinarie. 

Quello che aveva preparato per suo cugino aveva, o almeno così sperava, il potere di rimarginare rapidamente le ferite. Certo, suo cugino era un combattente eccezionale, ma anche una testa calda, nessuno lo sapeva meglio di lei. 
Ne aveva preparato altri, alcuni difendevano la mente dalla Legilimanzia, altri alimentavamo il vigore durante uno scontro… suo cugino non aveva bisogno di quegli “aiuti”, così aveva preferito preservare il più possibile la sua sicurezza. 


*


Quando si svegliò, la prima cosa che Hunter pensò fu che non era in camera sua.
Poi si rese conto di essere su una brandina, e si chiese sinceramente perché non fosse nel suo letto finché non si mise a sedere e, voltandosi, vide Penny dormire accanto a lui. 

Gli tornarono così in mente tutti i ricordi del giorno prima e, quasi senza pensarci, allungò una mano per sfiorare la spalla della ragazza. Aveva i capelli sciolti. Penny non poteva mai i capelli così e pensò che fosse bellissima quando lei, forse percependo il suo tocco, spalancò gli occhi e si irrigidì di colpo, rilassandosi solo quando mise a fuoco il suo viso. 

“Ciao.”
“Ciao. Come hai dormito?”

“Bene.” Penelope abbozzò un timido sorriso, pensando a come avesse effettivamente dormito meglio di quanto avesse immaginato. Una vocina le suggerì che era dovuto alla sua presenza accanto a lei, ma si affrettò a scacciarla mentre Hunter si alzava in piedi, proponendo di andare a preparare la colazione:

“Ma oggi non è il tuo turno!”
“Lo so, infatti la preparo solo per noi… Trattamento VIP.”
“Sono onorata. E davvero, non dovevi…”
“Certo che sì. Anche se Anna era sul punto di buttarmi fuori a calci, credo. A proposito, dov’è?!”

“Sarà scesa in anticipo per non sorbirsi le nostre… chiacchiere.”

Stava per dire “effusioni”, visto che effettivamente la ragazza le chiamava così, ma si corresse appena in tempo e si limitò a ricambiare il sorriso che Hunter le rivolse prima di guardarlo uscire dalla stanza, asserendo che l’avrebbe aspettata fuori mentre si cambiava.
Per qualche istante Penny esitò, chiedendosi se Roman fosse ancora a scuola. Si ripromessi di stare alla larga dall’Infermeria, non sapeva cosa sarebbe potuto succedere se lui l’avesse incrociata di nuovo e non voleva nemmeno che Hunter lo rivedesse per evitare dei rischi. 

Nonostante non avesse mai detto niente a nessuno Penny sapeva che quello che aveva subito era profondamente sbagliato. E Roman Nott prima o poi avrebbe pagato il peso delle sue azioni, non era mai stata tanto determinata su qualcosa in vita sua.


*


Edric era appena uscito dalla stanza quando Rain prese il suo quaderno fatto a mo’ di diario, sfiorando la serratura con le dita. 
Buffo, pensò la ragazza sorridendo appena, Edric annotava disegni e chissà che altro in un oggetto simile, per certi versi… se non fosse stato che il suo era magico, certo. 

La strega sospirò prima di ferirsi appena il pollice con la bacchetta, facendo cadere un paio di gocce di sangue sulla serratura prima di rimarginare il piccolo taglio.
Dopodiché aprì il quaderno e, sfogliando le pagine, diede una rapida occhiata a tutte le visioni che nel corso degli ultimi anni ci aveva annotato dentro. 
Era diventata una vera e propria abitudine ormai è quella sera non avrebbe fatto eccezioni. 

Lì, seduta su quel letto, non sapeva chi sarebbe morto quella notte, ma la sua visione era stata piuttosto chiara, sarebbe accaduto… anche Haze non sembrava aver avuto buone notizie dalle carte, che il cugino continuava ad usare nonostante la Divinazione e tutte le pratiche ad essa collegate fossero state bandite anni prima. 

Per un attimo Rain ripensò alla visione che aveva avuto la notte prima della Battaglia di Hogwarts, quando aveva avuto la morte di gran parte delle vittime. Terrorizzata, non aveva detto niente a nessuno, e anche dieci anni dopo continuava a convivere con quel rimorso: forse se l’avesse fatto le cose sarebbero andate diversamente e non sarebbero morte tutte quelle persone. 
Rain Mallow, così come molti altri, aveva innumerevoli vite sulle coscienza. 


*


Mentre aspettava l’arrivo di Erzsébet, quella mattina, Faye pensò che la notte precedente fosse stata di sicuro una delle peggiori nottate dell’ultimo anno. 
Aveva dormito poco e male, non solo per l’ansia dovuta alla sua “missione sotto copertura” ma anche per il pensierino di quello che era successo tra lei e Quinn, era già stato un vero sollievo svegliarsi e non trovarselo davanti, quella mattina, non era sicura di riuscire a reggere un confronto con lui quella mattina. 

Mentre sedeva sul divano, in attesa, Faye ripensò al modo in cui Quinn l’aveva chiamata quando si era allontanata, quasi pregandola di restare.
Quel “Faye” aveva assunto un suono quasi diverso e continuava a ripensarci mentre, allo stesso tempo, rifletteva sull’inverosimiltà della situazione: lei piaceva a Quinn Richards?
No, impossibile. 

E allora perché l’aveva baciata la sera prima? 
Solo pensarci era assurdo, ricordava quando lo guardava di sfuggita a scuola, ad Hogwarts,  e pensava che non sarebbe mai stata alla portata di uno come Quinn Richards.


Fu quasi felice di sentire suonare il campanello e avere così una scusa per alzarsi e smettere di pensarci, provando discreto sollievo quando si trovò davanti Erzsébet e non Quinn. 
All’improvviso la prospettiva di dover affrontare una missione era diventata meno spaventosa di dover affrontare lui e i suoi stessi sentimenti, forse Faye avrebbe persino sorriso della sua stupidità se non avesse colto l’espressione terribilmente seria dell’ex Serpeverde che si trovò davanti.

“Ciao Faye. Sei pronta?”
“Ne dubito, ma è qualcosa che va fatto. Prego, entra.”






*Margaret Thatcher 


…………………………………………………………………………………..
Angolo Autrice:


Buonasera! 
Ed ecco anche il capitolo su una dei nostri due Mallow… ovviamente alcune cose le spiegherò meglio nel capitolo dedicato ad Haze. 
Per il prossimo capitolo le opzioni sono gli unici tre nomi che ancora non vi ho mai proposto:

-    Aeron 
-    Haze 
-    Audrey 

A presto, spero, e buon weekend! 
Signorina Granger 

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Capitolo 13
*** Aeron Blake ***


Questa volta mi avete davvero messa in crisi, perché ho ricevuto tre voti per ogni OC… Così, alla fine ho scelto io :P 
Buona lettura!



Capitolo 11:  Aeron Blake 
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Aeron sedeva su una panchina nel parco con un libro in mano, ma ogni tanto distoglieva lo sguardo dalla sua lettura per gettare un’occhiata ai bambini che correvano e giocavano davanti a lui. Si morse il labbro, facendo dondolare le gambe dalla panchina, dicendosi che forse avrebbe dovuto dare retta a sua madre e avvicinarsi per giocare a sua volta e fare amicizia… ma era sempre stato fin troppo timido, faticava molto ad approcciarsi con persone che non conosceva.

Fece quasi per chiudere il libro – suo padre aveva detto che forse era troppo piccolo per leggere Arthur Conan Doyle, ma a lui non importava minimamente – ma quando fu sul punto di alzarsi e scivolare giù dalla panchina si bloccò, scosse il capo e tornò a leggere.
Sarebbe stato per un’altra volta.  


“Tesoro! Non vuoi andare a giocare con gli altri bambini?”
Sua madre sedette accanto a lui con il bicchiere di carta del caffè in mano e gli sorrise, accarezzandogli i capelli scuri quando Aeron scosse il capo, mormorando un debole “no” senza sollevare lo sguardo dal suo libro.

“Come vuoi amore… mi fai vedere cosa stai leggendo?”
Aeron annuì e si affrettò a mostrarle il libro, snocciolando tutto quello che aveva letto fino a quel momento mentre sua madre lo ascoltava in silenzio, sorridendogli dolcemente.


*


Faye ingerì la Polisucco appena dopo l’arrivo di Erzsébet, e si rifiutò categoricamente di guardarsi allo specchio quando la trasformazione fu completa. Era stato fastidioso, molto fastidioso, specie a causa della consapevolezza di quale aspetto avesse appena assunto.
Quando raggiunse nuovamente l’ex Serpeverde nel soggiorno Erzsébet le rivolse un’occhiata incerta, come se vedere di nuovo Alecto le facesse uno strano effetto, prima di parlare con un tono neutro e affrettato:

“Bene, l’effetto dura un’ora, come ben sai, quindi dobbiamo muoverci… Materializzati a scuola come se nulla fosse, i ragazzi staranno facendo colazione al massimo, e poi va’ da Yaxley. Io seguirò tutti i tuoi spostamenti, e se dovesse volerci molto… tieni questa.”

La Pozionista consegnò alla collega una fiala di piccole dimensioni e Faye l’accettò di buon grado, sempre più nervosa mentre annuiva con un debole sospiro:

“Bene, andiamo allora… abbiamo i tempi contati.”


*


“Ciao! Posso sedermi qui?”

Aeron stava guardando fuori dal finestrino quando si sentì chiamare, e voltandosi vide un sorridente ragazzino dai capelli scuri fermo davanti alla porta di vetro dello scompartimento.
Aeron esitò ma poi annuì, guardandolo entrare e sedersi di fronte a lui. 

Aveva promesso ai suoi genitori, specialmente a sua madre, che si sarebbe sforzato di essere più “aperto” dopotutto.

“Grazie. Io sono Quinn!”
“Aeron. Sei del primo anno anche tu?”
“Sì, non vedo l’ora di arrivare… chissà in che Casa finiremo.”

Quinn sorrise, gli occhi chiarissimi luccicanti e Aeron ricambiò debolmente, annuendo: anche lui era molto curioso, in effetti… e anche i suoi genitori, che avevano persino fatto una scommessa: sua madre sosteneva che sarebbe stato un Grifondoro, suo padre un Corvonero.


*


“Mijo, no seas caprichoso, ¡sabes que no puedo soportarlo! ¡Vien aquì inmediatamente!”
“¡No, no quiero ir a la escuela!”

Audrey sospirò, passandosi stancamente una mano tra i capelli mentre Snow seguiva la scena dal suo angolo del divano, le orecchie ritte e la testa sollevata mentre Duchessa se ne stava nella sua cuccetta.
L’unico a mancare all’appello era Henry, che si era nascosto da qualche parte decretando di non voler andare all’asilo quel giorno e che lei non passava mai del tempo con lui.

“Henry, no puedo quedarme en casa contigo, tengo muchas cosas que hacer ... por favor, ¿dónde estás?”
Non aveva proprio la forza di sopportare qualche capriccio quella mattina, era già abbastanza tesa pensando a Faye. La strega uscì dal salotto per dirigersi sbuffando in corridoio, udendo la vocina del nipotino leggermente ammortizzata da qualcosa. Si era forse chiuso dentro un armadio?

“¡Nunca estàs conmigo Tìa, quiero estar aquì contigo!”

Audrey alzò gli occhi al cielo mentre entrava nella camera del bambino, cercando di capire da dove provenisse la sua voce.
Gli occhi verdi della strega vagarono dal letto, all’armadio fino al baule dove Henry era solito tenere gran parte dei suoi giocattoli. Era il suo vecchio baule di Hogwarts, in effetti, che aveva dipinto di blu per lui insieme ad Erik due anni prima, in una giornata molto calda dove avevano finito col sporcarsi di vernice di proposito a vicenda.

“No es verdad mi amor, tengo… tengo que trabajar.”
“¡Ya no me amas!”

Audrey s’irrigidì, ferita nel profondo da quelle parole più di quanto il bambino potesse immaginare, raggiunse il baule a passo di marcia e sollevò il coperchio con un gesto secco, ritrovandosi davanti l’espressione triste e gli occhi scuri del bambino. 
Lo prese in braccio e lo tirò fuori dal baule, puntandogli un dito contro:

“Nunca vuelvas a decir algo así, Yo te amo mucho, querido. ¿Entiedes?!”
Henry annuì, tirò su col naso e poi l’abbracciò, parlando con un filo di voce:

“¿No me llevarás a abuela entonces?”
Audrey scosse il capo, sedendo sul letto con il bambino ancora in braccio mentre gli accarezzava i riccioli scuri con le dita:
“No. Siempre estarás conmigo, mi amor… Vale, hoy no hay escuela.”

Henry sfoggiò un sorriso felice e la ringraziò, dandole un bacio su una guancia con gli occhi scuri luccicanti. Audrey sospirò, ordinandosi di non farsi mai più soggiogare dal bambino mentre osservava i suoi occhi scuri luccicanti. Quando l’aveva preso in braccio la prima volta non aveva potuto far a meno di notare che no, non aveva i suoi occhi… quelle iridi scure erano perfettamente estranee, per lei. Ma aveva imparato ad amarle ugualmente.


*


Una volta arrivato ad Hogwarts aveva praticamente i nervi a fior di pelle – sua madre non gli aveva detto che lo Smistamento sarebbe avvenuto di fronte a TUTTA la scuola – e fu, con suo sommo dispiacere, il primo ad essere chiamato dall’insegnante dall’aria severa che teneva un curioso capello in mano.

“Blake, Aeron.”

Il ragazzino respirò profondamente prima di raggiungere lo sgabello, sedersi e lasciare che la donna gli calasse il capello sulla testa. Trasalì quando lo sentì parlare – era arrivato da cinque minuti e quel posto gli sembrava già strano – e sperò ardentemente che scegliesse in fretta finchè, poco dopo, non lo sentì pronunciare il tanto agognato nome di una Casa a gran voce:

“Grifondoro!”

Aeron abbozzò un sorriso, si sfilò il cappello e, dopo averlo restituito alla McGranitt, si affrettò a raggiungere il tavolo da cui scrosciavano applausi sentendosi piuttosto sollevato.

Poco dopo venne raggiunto anche da Quinn, che sedette di fronte a lui con un sorriso allegro sul volto:

“Fantastico, siamo nella stessa Casa! Mia madre non faceva che dire che stai stato un Grifondoro…”
Aeron sorrise al nuovo compagno di Casa, annuendo e pensando a sua madre e con quanta soddisfazione avrebbe sottratto dieci sterline a suo padre. 


*


“Quinn?”
“… Quinn?”
“… Ehy! Mi stai ascoltando?!”

Aeron aggrottò la fronte e lanciò il suo tovagliolo contro l’amico, che parve riscuotersi e si agitò sulla sedia dov’era seduto, sbattendo le palpebre prima di rivolgergli un’occhiata confusa:

“Eh? Scusa Aeron, sto pensando ad altro.”
“Questo lo vedo. Stai pensando a Faye?”

Quinn rischiò di farsi andare di traverso il caffè che aveva fatto per bere – pessima idea – alla domanda piuttosto innocente dell’amico, che lo guardò con confusione crescente tossicchiare mentre, a pochi metri da loro, Ares ed Ink, il Labrador di Aeron, si azzuffavano giocosamente sul tappeto.

“C-come? Perché pensi che dovrei pensare a lei?!”
“Beh, perché al momento avrà già preso le sembianze di Alecto, è un momento molto delicato per tutti noi. Si può sapere che cos’hai?”

L’ex Grifondoro inarcò un sopracciglio e scrutò l’amico con attenzione, guardandolo sbuffare debolmente e allontanare il piatto di pancake che l’amico gli aveva preparato come se non avesse appetito.

“Niente. Sono solo un po’ teso, come hai detto tu è una questione delicata.”
“A chi credi di aria a bere, si può sapere? Da quanto tempo ci conosciamo, io e te? Tanto Quinn, troppo… Avanti, dimmi tutto.”

Aeron accavallò le gambe e si mise comodo sulla sedia, appoggiandosi allo schienale e guardando l’amico sospirare quasi con cipiglio divertito.

“Beh, in effetti… riguarda Faye.”
“Ah sì? … Ne hai combinata una delle tue?!”  Aeron inarcò un sopracciglio e l’amico sbuffò, rivolgendogli un’occhiata torva mentre incrociava le braccia al petto:
“Cosa sono, un criminale?! No, ma credo che ora non vorrà più… lavorare con me, sai.”

“Quinn. Cosa le hai fatto?!” 

Il tono inquisitorio di Aeron, così come il suo sguardo, lo fecero sbuffare di nuovo, mormorando sommessamente qualcosa che l’amico faticò a comprendere. Anzi, all’inizio si convinse di aver frainteso.

“Quinn, se parli così piano non capisco. Cos’è che hai fatto?!”
“Io... potrei averla baciata ieri sera.”

Quinn distolse lo sguardo, osservando il pavimento con decisione mentre Aeron spalancava gli occhi prima di parlare, non sapendo come riordinare i pensieri:

“Tu… tu cosa?! E da quando ti piace Faye?! Anzi, ti prego, ti prego, dimmi che almeno ti piace.”
“Certo che mi piace.”

Quelle parole uscirono dalle sue labbra in una specie di ringhio prima di rendersene conto, ritrovandosi ad abbassare di nuovo lo sguardo, leggermente in imbarazzo, quando Aeron parlò di nuovo, questa volta con più calma:

“E perché pensi che lei non vorrà più lavorare con te? Come l’ha presa?”
“Non bene, se n’è andata di corsa. Forse sono stato avventato, immagino fosse sotto pressione per oggi e io…”
“Già, potevi almeno aspettare un giorno.”

“Mi dispiace, pensi forse che l’avessi programmato? No, non dovevo nemmeno vederla, in realtà, ma lei è piombata qui all’improvviso, tremante e agitata e non ho… non ho resistito.”

Quinn sospirò, passandosi una mano tra i capelli scuri mentre Aeron, ponderando la situazione, dondolava ritmicamente una gamba parlando con tono pensieroso:

“Beh, parlale, dille quello che provi. Mal che vada ti rifilerà un due di picche.”
“Oh, tante grazie. No, sono sicuro che infondo mi ricambia, c’era qualcosa tra di noi ieri… spero solo che non voglia nascondersi e non affrontarlo.”  Quinn non scese nei particolari, non voleva certo parlare all’amico del problema della ragazza, e si mordicchiò nervosamente il labbro inferiore mentre Aeron si limitava ad osservarlo, serio in volto:

“Beh, non stare comunque con le mani in mano, Quinn. Se hai la possibilità di essere felice devi provare a prenderla, sempre, o potrebbe sfuggirti di mano quando meno te l’aspetti.”

Quinn esitò ma poi, incontrando lo sguardo dell’amico e leggendoci l’ombra di una sofferenza ancora non dimenticata, annuì, parlando a mezza voce:

“Lo farò, te l’assicuro.”



*


Quando tornò a casa per le vacanze di Pasqua Aeron venne accolto dalla madre con un sorriso e un abbraccio che il ragazzino ricambiò prima di guardarsi intorno con impazienza:

“Allora?! Dove sono?”

Sua madre rise e gli fece cenno di seguirla fino alla sua camera da letto, dove in una doppia culla sonnecchiavano due minuscole bambine.

“Lei è Chloe… e lei è Sonya.”
La donna sorrise teneramente alle gemelline mentre Aeron le osservava con tanto d’occhi:

“Come sono piccole…”
“Beh, sono nate da sole tre settimane. Ma per quando tornerai per l’estate saranno già cresciute molto, vedrai.”

Aeron alzò lo sguardo e sorrise alla madre, guardandola con affetto:

“Sono felice di essere a casa per qualche giorno.”
“Anche noi lo siamo tesoro, ci sei mancato molto. Allora, raccontami tutto. Come sta Quinn? Quest’estate lo devi invitare qui, vogliamo conoscere il tuo migliore amico.”

“Va bene mamma, ma non raccontare aneddoti imbarazzanti o Quinn li userà contro di me per l’eternità…”


*


Faye aveva pensato a lungo a cosa fare una volta assunte là sembianze di Alecto, la notte precedente. In fin dei conti il suo compito era, essenzialmente, semplice: doveva semplicemente parlare della notte della morte di Edric, confermare la versione che la vera Mangiamorte aveva precedentemente dato sotto l’effetto di Imperio e dare una spiegazione coerente e logica alla sua temporanea assenza nei giorni precedenti.
Essenzialmente semplice, ma in pratica piuttosto complicato, visto che avrebbe dovuto fingersi un’altra persona – da lei profondamente disprezzata, per di più – davanti a qualcuno che conosceva la vera Alecto Carrow da anni.

Faye sentì un brivido attraversarle la schiena mentre camminava attraverso il corridoio e il suo sguardo indugiò sul suo braccio, dove spesa esserci celato il Marchio Nero. Era una sensazione orrenda, quella di avercelo addosso, ed era certa che ci si sarebbe mai potuta abituare.

Al Covenant aveva incrociato solo un paio di studenti in corridoio – che l’avevano osservata con evidente perplessità – è giusto per calarsi nella parte aveva pensato bene di sbraitare loro di andare a prepararsi per le lezioni invece di bighellonare. Lì non era stato difficile, certo, ma con Yaxley di sicuro non avrebbe potuto dire lo stesso.

Dio, fa che non sospetti nulla

Faye si morse leggermente il labbro mentre seguiva una ragazza di circa quindici anni guidarla verso lo studio dell’uomo, rivolgendole un quasi impercettibile cenno quando si fermò davanti ad una parte, indicandole di essere giunta a destinazione. Poi bussò con delicatezza, aprendo timidamente la porta prima di parlare:

“Mi scusi Signore, ha una visita. C’è Alecto Carrow per lei.”

Faye non sentì la voce del Mangiamorte, ma dovette rivolgere un cenno alla giovane Mezzosangue perché la ragazza aprì la porta e si spostò per farla passare, a capo chino.
Prima di posare lo sguardo su di lui, Faye pensò a sua madre, che di certo viveva da qualche parte in una casa come quella, di certo servita e riverita da una ragazzina come quella che aveva davanti. Pensò a suo padre, alla sua promessa di non farlo soffrire, pensò ai suoi amici che contavano su di lei e pensò ad Edric Marlowe, che era morto per la Causa.

La verità era che Edric era stato incauto. Lei non avrebbe commesso lo stesso errore.


*


“Ve lo ripeto, è la cosa migliore. Non dovete preoccuparvi per me, starò benissimo.”

Mancavano solo un paio di giorni al suo rientro a scuola per il sesto anno ad Hogwarts e Aeron stava salutando genitori e sorelle all’aeroporto, consapevole delle espressioni tristi delle bambine e preoccupate dei genitori. 
Ne avevano parlato a lungo dalla fine dell’anno scolastico precedente, quando Silente era morto, e alla fine Aeron era riuscito a convincere i suoi genitori a lasciare l’Inghilterra per andare negli Stati Uniti, dove sarebbero stati al sicuro.

“Aeron, sei sicuro?”
“Ne abbiamo già parlato, ho la scuola… non voglio abbandonare i miei amici.”

Aeron sospirò prima che la madre, trattenendo le lacrime, lo abbracciasse, pregandolo di fare attenzione a bassa voce prima che il ragazzo, dopo averlo sorrise con fare rassicurante, si inginocchiava per rivolgersi alle gemelline, che lo guardavano con espressioni cupe mentre Sonya stringeva il suo coniglietto di peluche e Chloe la sua bambola preferita:

“Perché non vieni con noi Aeron?”
“Non vuoi più vivere con noi?”

“Certo che no principesse, è solo che devo andare a scuola… ma mi mancherete tantissimo. Fate le brave mentre non ci sono.”

Il ragazzo allargò le braccia per stringere le due sorelline e quando Chloe gli chiese quando li avrebbe raggiunti Aeron sorrise, aggiustandole i capelli castani:

“Presto tesoro, molto presto.”


Le bambine parvero soddisfatte, ma dal modo in cui sua madre strinse le labbra e suo padre abbassò lo sguardo Aeron intuì che loro, a differenza delle gemelle, non erano affatto convinti.   


*


“Cominciavo a chiedermi se non fossi morta anche tu… dove ti eri cacciata?”
“Ho passato la vita di Marlowe al setaccio, e volevo essere sicura che non avesse complici… sono tornata in Cornovaglia per verificare che nessuno l’avesse visto in compagnia.”
“E?”
“Non è così, pare fosse davvero solo.”

Yaxley si abbandonò allo schienale della poltrona ed emise una sorta di risata sprezzante, scuotendo debolmente il capo mentre tamburellava le dita sulla scrivania:

“Che razza di folle… Pianificare una vendetta del genere da soli, affrontare due Mangiamorte da solo? Quale sano di mente lo farebbe mai?”
“L’odio può rendere ciechi.”

Quelle parole le sfuggirono di bocca quasi senza riflettere e, di fornite all’occhiata di sbieco che il Mangiamorte le rivolse, si affrettò a proseguire senza battere ciglio:

“Beh, l’importante è che non costituisca più un problema.”
“Sì, hai fatto bene a toglierlo di mezzo… quindi quella specie di soffiata era vera, alla fine. Ammetto che ero scettico, ma devo riconoscere che è stata una fortuna. Ora, visto che sei riapparsa dovrai tornare ad occuparti delle piccole nullità… Mentre non c’eri avevo chiesto a Nott di supervisionarle, ma a questo punto puoi pensarci da sola.”
Faye accennò ad una smorfia con le labbra, simulando il tono acido che tanto spesso aveva sentito usare da Alecto in passato:
“Se proprio devo…”
“Lo so, è snervante e sono detestabili, ma qualcuno lo deve fare. Non vi eravate accorti di nulla, tu e tuo fratello, a proposito di Marlowe? Nessun segnale?”

Yaxley inarcò un sopracciglio e Faye strinse le labbra in un’espressione disgustata, stringendosi debolmente nelle spalle:

“No, era uno studente molto dotato. Forse ha iniziato a covare vendetta più tardi.”
“Forse, non sapremo mai cosa passasse per la sua testa… infondo è così, chi può pretendere di capire come ragiona quella feccia ingrata?”

“Sono solo ragazzini. Ma starò più attenta, te l’assicuro.”
“Direi che è il caso, non possiamo farci mettere in ginocchio da un branco di Mezzosangue.”

“Sempre che non ci arrivi qualche altra… soffiata.”
“Oh, è quello che spero. Hai capito a chi corrisponde la fonte, per caso? Hai detto di aver trovato un biglietto sotto la tua porta, due settimane fa.”

“No, ma farò il possibile, dovessi metterli in ginocchio ad uno ad uno.”

Faye strinse le labbra, questa volta in un’espressione rabbiosa che non dovette affatto sforzarsi di palesare mentre, oltre il vetro della finestra, un pipistrello li osservava e seguiva lo scambio di battute tra i due con scrupolosa attenzione.

Poco dopo Faye si congedò decretando di voler tornare a scuola e con sua somma gioia Yaxley non la trattenne. Fu fuori da quella porta che Faye strinse le mani a pugno, conficcandosi le unghie nella pelle dei palmi: in parte era stata sincera, avrebbe trovato quella fonte e poi l’avrebbe fatta a pezzi personalmente. Ma almeno sapeva che la sua identità era conosciuta ai Mangiamorte, era una fortuna. Solo, non capiva perché, perché fare il doppio gioco e nascondersi?


*


Quell’ultimo anno ad Hogwarts fu molto difficile, i Carrow trattavano i Nati Babbani e i Mezzosangue come feccia e lui e i suoi amici non facevano eccezioni. Per altro, essendo studenti del sesto e penultimo anno spesso li costringevano a fare pratica con le maledizioni sugli studenti più piccoli, creando un grande malessere in tutti loro. 
Ed era in quel momenti che Aeron era felice di sapere i suoi genitori e le sue sorelle molto lontani da quella realtà. 


A rendere tutto molto più semplice, comunque, fu la presenza di Eleanor, che da sua grande amica finì col diventare molto di più per lui durante quell’anno. 


“Il timido Aeron innamorato e ha la ragazza, che carino…”
“Falla finita Quinn, forse dici così perché TU non riesci a tenertele strette, le ragazze.”

Rivolse un’occhiata piuttosto torva all’amico mentre studiavano in Biblioteca e Quinn si limitò a stringersi nelle spalle mentre Aeron rifletteva sulle sue parole: non poteva che dargli ragione, dopotutto, sul fatto di essere cambiato molto negli ultimi anni, non era più quel bambino tanto timido, e forse un po’ di merito era da attribuire proprio a lui e alla sua esuberanza. 


*


Erik appariva nervoso mentre tamburellava di continuo sul tavolo, chiedendosi come se la stesse cavando Faye ma, sopratutto, dove si fossero cacciati tutti quanti: Erzsébet era con la Tassorosso, certo, ma Aeron non si era sfatto vedere, Quinn nemmeno… E neanche Audrey, in effetti.

“Sembri strano, non dici niente…”
“Sto pensando.”
“Davvero? Interessante… a cosa? Dimmi, sono colpita.”  Max sgranò gli occhi con voluto stupore e si sporse leggermente sul tavolo per rincarare la dose, ma Erik si limitò a rivolgerle un’occhiata torva prima di allungare la sua forchetta e cercare di rubarle un pezzo di polpettone dal piatto. 
O almeno ci provò, visto che la ragazza gli afferrò il polso e gli immobilizzò la mano sulla tovaglia, guardandolo con gli occhi chiari ridotti a due fessure:

“Tu. Cosa. Pensi. Di. Fare?”
“Volevo testare il polpettone.”
“Il cibo non si tocca. Ciò che è nel MIO piatto è MIO, chiaro?! Tieni le tue manacce lontane dal mio cibo, avvoltoio!”

“Ma sentila, tu hai finito tutti i grissini!”
“Avevo fame, quando sono nervosa ho fame e oggi sono nervosa per ovvi motivi, quindi ho fame e quindi mangio grissini. Comprendi?”

“Sì, cristallino. Simpaticona.”
“Stavo per dire lo stesso di te!”
“Ma perché stiamo pranzando insieme?!”

“Non ne ho idea! Sarà perché metà del gruppo è scomparso nel nulla, dov’è Audrey?”
“È quello che stavo pensando poco fa, e non ne ho idea, comunque.”

“Tu formuli pensieri complessi. La faccenda si fa sempre più interessante.”
“La vuoi finire?!”
“La smetterò quando smetterà di divertirmi, e questo avverrà tra molto, molto, molto tempo.”

Maxine piegò le labbra in un sorrisino divertito, sostenendo l’occhiata truce che Erik le rivolse:

“Come fa Audrey a sopportarti?”
“Stavo pensando lo stesso, pensa te… e lo fa da anni, complimenti.”

“Tanto perché tu lo sappia, Audrey dice che sono il fratello che non ha mai avuto.”
“Cos’è, una sfida?”
“Ci puoi giurare, affamatrice.”


*


“Cosa ti piacerebbe diventare finita la scuola?”
“Finita la scuola? Non so nemmeno dove sarò alla fine di quest’anno, Lean…”

Aeron abbozzò un sorriso ma la ragazza sbuffò, assestandogli un leggero colpetto sul braccio:

“Dico sul serio! Non lo so, immagina…. Che tutto questo finisca. Chi vorresti essere?”
“Un Auror, credo. Mi piacerebbe aiutare le persone, risolvere i problemi.”

Aeron sorrise mentre, seduto sul prato, accarezzava i capelli della ragazza, che aveva appoggiato il capo sulle sue gambe. Anche Eleanor sorrise, annuendo:

“Ti ci vedrei. Sei un ragazzo molto coraggioso, e hai un cuore d’oro.”
“Se lo dici tu…”
“Sì, lo dico io, insieme a tutti i tuoi compagni di Casa, che ti adorano.”

Eleanor sorrise e si sollevò leggermente per mettergli una mano sul retro del collo e attirarlo a sè per baciarlo. Ed Aeron, lì seduto, sul prato, si permise di dimenticare di trovarsi nel pieno di una guerra e in un luogo che aveva amato per cinque anni ma che ormai stava diventando smuore più simile ad un incubo. Se non fosse stato per Eleanor, non era sicuro che non si sarebbe pentito di non aver seguito i suoi genitori in America mesi prima.


*


Erano d’accordo di incontrarsi a casa sua e quando Faye aprì la porta dopo essersi Materializzata sul pianerottolo sospirò con sollievo, passandosi una mano tra i capelli – che erano tornati ad essere quelli di sempre, castani, leggermente mossi e non troppo lunghi –. Era indubbiamente felice che quel primo, difficile passo fosse stato fatto e di aver ripreso le proprie sembianze appena in tempo, dopo essersi congedata il più rapidamente quanto discretamente possibile, sostenendo che serbe tornata a scuola per “riprendere in mano la situazione”.

Erzsébet la raggiunse poco dopo, chiudendosi la porta alle spalle dopo essere tornata alla sua forma umana e sfoggiando un’espressione carica di curiosità:

“Allora?”
“Non credo sospetti nulla. Per lo più abbiamo parlato di Edric.”
“Ti ha detto come facevano a saperlo?”

Faye esitò ma poi scosse il capo, negando. E in effetti era vero, Yaxley aveva sostenuto di non conoscere l’identità della loro “fonte”… forse gli unici ad averlo saputo erano stati i Carrow, ma ormai loro non rappresentavano più un problema.

Si chiese, in effetti, se avesse fatto bene a non dire nulla ad Erzsébet, che la guardò con un sopracciglio inarcato ma non proferì parola, limitandosi ad annuire. 
Infondo però, anche se le dispiaceva ammetterlo, la verità era che non sapeva di chi potersi fidare. Poteva essere stato ognuno di loro, dopotutto… Alecto, a quanto sembrava, aveva ricevuto un messaggio proprio a scuola, ma non era detto che i ragazzi fossero più sospettabili delle Sentinelle: tutti loro passavano diverso tempo lì, chi più e chi meno.

Una volta sola, poco dopo, Faye si lasciò scivolare sul divano e pensò a quel peso che doveva portare, chiedendosi quanto avrebbe retto senza parlarne con nessuno.


*


Nell’ampia sala affollata di quell’edificio che non conosceva regnava il caos, sembrava che tutti fossero alla ricerca di qualcuno, forse un amico che avevano perso di vista.

Anche Aeron si guardava intorno, spaesato e confuso, mentre cercava disperatamente tracce di Eleanor o di Quinn. Intravide vecchi compagni di scuola, tra cui Haze Mallow e Edric Marlowe, Faye Jones e Audrey Simmons, ma era troppo impegnato a cercare i due ex compagni di Casa per fermarsi a parlare con qualcuno. 

Quando finalmente s’imbatté in Quinn dopo aver sgomitato parecchio sorrise con sollievo, abbracciando l’amico di getto:

“Quinn, stai bene? Non ci vediamo da….”
Aeron deglutì a fatica, cercando ancora una volta di scacciare gli orrori di quella notte, quando per poco lui e l’amico non ci avevano rimesso la vita per mano di Doholov, salvati da un Auror, me tre teneva le mani sulle spalle dell’amico, che lo guardò come se fosse felice a sua volta di vederlo:

“Sì, beh, ci hanno praticamente trascinati qui di peso dopo aver controllato e verificato il nostro stato di sangue. Ma credo che abbiano portato qui solo quelli come noi, che hanno un genitore mago e l’altro Babbano.”

“Cosa? Quindi… gli altri? Dove sono gli altri?”
Aeron sgranò gli occhi con orrore, iniziando a sudar freddo me tre Quinn, davanti a lui, scuoteva il capo, non sapendo sinceramente cosa dire.

Avevano visto un mucchio di loro compagni Nati Babbani morire per mano dei Mangiamorte e dei Ghermidori ad Hogwarts… ma Eleanor non era una Nata Babbana, ma nemmeno Purosangue, aveva entrambi i genitori maghi, a differenza sua, ma sua nonna paterna era Babbana. 

Ben presto Aeron scoprì che avevano deciso di permettere di frequentare Hogwarts – anche se le Case, oltre a Serpeverde, vennero smantellate – ai ragazzi Mezzosangue che avevano entrambi i genitori maghi e, da una parte, si sentì meglio, sapendo cosa sarebbe accaduto alla fidanzata. Anche se, e forse il suo era un desiderio egoistico, avrebbe preferito averla vicina. 

Lui, Quinn e tanti altri erano invece stati portati lì e messi davanti ad una scelta: potevano restare – sborsando una somma non indifferente – e diventare dopo quattro anni di addestramento i tirapiedi dei Mangiamorte oppure guadagnarsi da vivere facendo il lavoro di Elfi Domestici. 

Inutile dire che cosa scelse la maggior parte di loro, in quella caotica notte di inizio Maggio.


*


“C’è una cosa che vorrei mostrarti.”

Rain porse a Haze il quaderno nero di Edric e il cugino, riconoscendolo all’ostante, esitò prima di prenderlo, sfiorandone la copertina di pelle con le dita prima di parlare:

“Come l’hai avuto?”
“Me lo ha dato Audrey.”
“Audrey? Quando?”
“Ieri sera, ha lasciato un po’ di cose che avevamo lasciato in Cornovaglia e mi ha dato questo. Ha detto che fosse giusto che l’avessimo noi.”

Rain si strinse debolmente nelle spalle e Haze, seduto sul divano di fronte a lei, che aveva occupato il poggiapiedi, annuì impercettibilmente mentre osservava il quaderno. Provava molta curiosità, il desiderio di aprirlo era forte… ma allo stesso tempo aveva quasi paura di farlo.

“Non ho mai letto quello che scriveva, sai? Era molto riservato. Lo vedevi sempre in un angolo con qualche libro tra le mani o impegnato a scarabocchiare, ma tendeva a tenersi tutto per sè.”
“Lo leggerai quando sarai pronto, Haze.” Rain gli sorrise, sfiorandogli la spalla in un gesto gentile e affettuoso e il cugino si limitò ad annuire senza sposate lo sguardo dal quaderno, sollevando semplicemente una mano per stringere quella della ragazza.

Poi Haze si schiarì la voce, lasciando il quaderno di Edric accanto a sè, sul divano, prima di alzarsi sotto lo sguardo leggermente preoccupato della cugina:
“Dobbiamo andare dagli altri per decidere come agire adesso.”
“Solo se te la senti…”

“Certo che me la sento. Andiamo.”  Haze fece cenno a Rain di seguirlo e, senza aggiungere altro, recuperò la giacca dal divano allontanandosi a passo di marcia, infilandosela in fretta e furia mentre raggiungeva la porta con la cugina al seguito, che non obbietto ma gli rivolse comunque un’occhiata in tralice: non era affatto una novità che suo cugino si tenesse tutto dentro, facesse l’orgoglioso e non affrontasse i suoi sentimenti, ma era sicura che in quella specifica situazione non gli avrebbe fatto affatto bene.


*


Passarono mesi prima che potesse rivedere Eleanor, quando lei tornò in Inghilterra per le vacanze di Natale. 
Aeron l’aspettava alla stazione, seduto su una panchina, e quando vide finalmente L’Espresso per Hogwarts – che gli provocò un gran moto di malinconia – scattò in piedi, aspettando con impazienza di vederla scendere dal treno. 
Fu lei a scorgerlo per prima e gli sorrise, felice e sollevata di vederlo, prima di corrergli incontro e abbracciarlo:

“Sei venuto!”
“Metti in dubbio la mia cavalleria? Sono un Grifondoro, ti ricordo. Come… come stai?”

Il ragazzo si sforzò di sorriderle mentre le accarezzava i capelli, guardando il suo sorriso smorzarsi notevolmente a quella domanda:

“È difficile vivere lì senza gran parte dei miei vecchi compagni… specialmente senza di te. Avrei quasi voluto non tornare affatto, ma non ci hanno lasciato molta scelta. Per lo meno ci siamo liberati dei Carrow.”

“Sì, beh, sappi che non sono cambiati affatto, e nemmeno i loro metodi poco ortodossi. Tu stai bene?”

Eleanor annuì prima di abbracciarlo di nuovo, appoggiando il capo sulla sua spalla e sospirando:

“Sì. Anche se ora i Purosangue si sentono più che mai in diritto di trattarci come pezzenti… e ovviamente nessuno fa nulla. Hanno abolito il Quidditch e solo loro possono diventare Prefetti o Caposcuola adesso… anche se più che far rispettare le regole sono delle sottospecie di castigatori che ci devono controllare mentre loro fanno quello che gli pare. Perché diamine ci hanno lasciato tornare se ci trattano così?!”

“Suppongo che se avessero permesso di frequentare Hogwarts solo ai Purosangue sarebbero rimasti in una quarantina di studenti al massimo, hanno dovuto accettare un compromesso. Solo altri pochi mesi, Lean… Resisti, ok?”

La ragazza annuì prima di mormorare che sarebbe andata a prendere il suo baule e Aeron la guardò allontanarsi, ripensando a tutte le lettere che si erano scambiati da Settembre, dove lei aveva parlato del più e del nulla e gli era sembrata quasi distante: era piuttosto sicuro che controllassero le lettere che entravano e uscivano dal castello e lui, capendo l’antifona, aveva seguito il suo esempio, evitando di farle domande troppo precise. 
Ora però lei era tornata per una settimana, e aveva tutta l’intenzione di farsi raccontare per filo e per segno che cosa succedeva ad Hogwarts.


*


Quinn bussò ripetutamente e con impazienza, in piedi nel pianerottolo, mordicchiandosi leggermente il labbro inferiore mentre spostava il peso da un piede all’altro, incapace di stare fermo o tranquillo.
Quando la porta venne sorta provò un moto di sollievo, che però svanì non appena i suoi occhi chiarissimi incrociarono quelli di Faye, che parve sorpresa di vederlo e fece un passo indietro:

“Oh, ciao.”
“Ciao… Come stai? È andato tutto bene?”

“Non hai ricevuto il messaggio di Erzsébet, ha detto che avrebbe detto a tutti che…”
“Sì, il suo Patronus mi ha fatto visita, ma volevo… vederti di persona. Ti devo parlare, posso?”

Faye fu solo capace di annuire e si spostò leggermente per farlo passare, permettendogli di entrare in casa, fare qualche passo nella stanza per poi fermarsi e voltarsi verso di lei, leggermente a disagio mentre Faye chiudeva la porta.

“Ecco, riguardo a ieri sera, immagino di doverti delle scuse, forse non era un buon momento per te e se vuoi fare finta che non sia mai successo posso capirlo, Faye. Vorrei solo…”

Faye però non ascolto tutto il discorso che il Grifondoro si era tanto scrupolosamente preparato. No, si limitò a guardarlo con la fronte leggermente aggrottata, riflettendo su quanto sentito e sui suoi sentimenti: voleva davvero fingere che non fosse mai successo?
No, non era questo che voleva. 

“Quinn, io…”
“No, per favore, fammi finire.”
“Quinn…”

Lui però non sembrò ascoltarla e fu allora che Faye alzò gli occhi al cielo, scuotendo il capo prima di avvicinarglisi con un paio di falcate e mettergli le mani sulle braccia:

“Quinn Richards, chiudi la bocca e ascoltami, ok? Mi dispiace di essere corsa via in quel modo, è A ME che dispiace, capito? Non hai fatto niente di male, mi ha solo sorpresa e avevo… bisogno di riflettere per un momento.”
“Ora hai riflettuto?”
“Sì.”
“E?”

Quinn inarcò un sopracciglio, guardandola in attesa, e Faye accennò un sorriso con le labbra prima di parlare a bassa voce, guardandolo dritto negli occhi chiarissimi:

“Credo di avere voglia di un po’ di felicità. Mi manca da molto tempo.”

Dopodiché si alzò in punta di piedi e, prendendogli il viso tra le mani, lo baciò. 
Lo baciò e mentre Quinn le passava un braccio intorno alla vita per stringerla a sè e le metteva una mano tra i capelli si disse di non pensare al fatto che quel ragazzo andasse molto spesso al Covenant per fare visita a sua sorella Scarlett. 
No, non aveva voglia di pensare a quell’eventualità. Se si fosse rivelato la talpa lo avrebbe ucciso, sì, ma non le andava di pensarci in quel momento. 

Quando si staccò da lui, tenendolo comunque a breve distanza, Quinn gemette sommessamente di scontentezza e Faye cercò di non sorridere nel vederlo guardarla con gli occhi cerulei resi liquidi dal languore e le labbra arrossate e dischiuse mentre le cingeva i fianchi. 

“A volte sono proprio stupida, perdonami.”
“Scuse accettate, ora però vieni qui Jones.”

Le sfuggì una breve risata prima che le sue labbra venissero di nuovo catturate da quelle del Grifondoro, in un bacio molto meno casto rispetto alla sera precedente. Faye si aggrappò alle sue spalle e sorrise sulle sue labbra sentendosi, una volta tanto, improvvisamente più leggera.

Chissà che Max non avesse ragione, dopotutto.


*


“Aeron!”

Aeron si chiuse la porta alle spalle e sorrise mentre Sonya e Chloe gli correvano incontro con due enormi sorrisi sui volti identici, dandogli appena il tempo di appoggiare sul pavimento il borsone  e  di inginocchiarsi prima di abbracciarlo:

“Ciao ragazze… come state? Mi siete mancate moltissimo. Temevo vi sareste dimenticate di me.”

“Ci riconosci ancora?!”
Sonya sorrise con aria divertita e Aeron si sforzò di assumere un’espressione pensierosa mentre metteva una mano sulla spalla di entrambe, osservandole con attenzione prima di parlare con tono vago:

“Allora… tu sei Chloe.”
“Non è vero, hai sbagliato!”

“Non prendermi in giro piccoletta, so benissimo chi è una e chi è l’altra! Tu sei Chloe e tu sei Sonya. Ora… dove sono mamma e papà?”
“Papà al lavoro, la mamma di là. Vieni.”

Sonya lo prese per mano, imitata dalla gemella, e ben presto Aeron si ritrovò a farsi trascinare dalle sorelle in quella casa che non conosceva affatto.
Era strano pensare che ora fosse quella la vita dei suoi genitori, molto lontani da lui, in America… Aeron si chiese quando avrebbero potuto vivere di nuovo vicini, ma aveva la sensazione che sarebbe dovuto passare molto tempo. 

Sorrise alle gemelle e rispose il più possibile alle loro domande, felice di ricevere un’accoglienza così affettuosa da parte loro. Ma non poté fare a meno di chiedersi quanto avrebbe potuto vederle crescere negli anni successivi.


*


Carmilla non battè ciglio quando un pipistrello planò dentro il salotto attraverso la finestra aperta, restando comodamente stesa sul divano mentre la sorella riprendeva le sue sembianze, rivolgendole un’occhiata di sbieco:

“Sei stata qui tutta la mattina?!”
“Forse, sì. Com’è andata?”
“Bene, credo, anche se Faye non si è dilungata in molte spiegazioni.”

Forse Erzsébet avrebbe speso qualche parola per rimproverare la gemella della sua pigrizia, ma venne distratta da un familiare latrato e dall’arrivo di Atlas, che parve felice di vederla quando le trotterellò incontro reclamando la sua attenzione.

“Ciao Atlas! Hai fatto il bravo mentre non c’ero?”
“Ha cercato di divorare una mia pantofola…”

“Ha fatto bene, sono orrende.”
“Le tue sono orrende!”

Carmilla rivolse un’occhiata leggermente torva alla gemella mentre accarezzava il pelo nero di uno dei suoi tre gatti e Erzsébet, dopo aver alzato gli occhi al cielo, annunciava che avrebbe monopolizzato la vasca per farsi un lungo e rilassante bagno caldo.

“E poi sono io, quella pigra…”
“Non provarci Carma, è l’unico sfizio che mi concedo e lo sai bene. E poi è una giornata fredda, ci vuole proprio.”

“Sì, certo…” Carmilla si alzò, alzando leggermente gli occhi al cielo per superare la sorella e raggiungere la cucina per farsi una cioccolata calda con il fedele gatto al seguito, forse morendo dalla voglia di allontanarsi dal grosso cane.


*


Era un tardo pomeriggio autunnale del 2005 quando Aeron, passeggiando tranquillamente per Diagon Alley, sperimentò per la prima volta cosa volesse dire perdere qualcuno di molto importante. 

Era diventato una Sentinella tre anni prima, ormai aveva imparato ad affrontare la morte, ma era molto diverso togliere la vita a degli sconosciuti e vedere qualcuno che massa perdere la vita tra le sue braccia. 
La via principale, da tranquilla e silenziosa, si animò nell’arco di pochi istanti: degli incantesimi iniziarono a volare, mettendo in fuga gran parte delle poche persone presenti, e fu proprio uno di quegli incantesimi vaganti, diretto ad una donna che, in seguito, Aeron scoprì essere una Nata Babbana che aveva cercato di difendersi, a colpire accidentalmente Eleanor. 

Aeron non riuscì mai ad accertarsi di chi avesse scagliato l’Incantesimo. Erano sicuramente un paio di Mangiamorte a giudicare dai vestiti, ma mentre lui si inginocchiava accanto alla fidanzata, sul marciapiede, loro si allontanarono di corsa senza nemmeno fermarsi per valutare gli effetti delle loro azioni, curandosi solo di portare a termine ciò che avevano iniziato.

“Lean…”
Aeron deglutì a fatica e la prese per le spalle, scuotendola debolmente mentre la consapevolezza di ciò che era appena successo lo travolgeva. Chiamò la fidanzata un paio di volte prima che gli occhi gli si inumidissero, mentre alle sue spalle alcune persone gli si erano avvicinate senza dire una parola, forse provando compassione per quel ragazzo che non aveva potuto fare niente, data la rapidità con cui era successo, per salvare la sua fidanzata.



Mezz’ora prima lei lo pregava di accompagnarla per prendere un paio di libri che le servivano, tenendolo sottobraccio. Ora Eleanor giaceva immobile, gli occhi aperti ma vitrei, su un umido marciapiede solo per un caso sfortunato della sorte.


*


“Vi dico che l’ho vista, era lei! Alecto!”
“Non ti sarai confuso? Io non l’ho vista.”

Wyatt, seduto di fronte a Ludwig al tavolo più inosservato e discreto della Biblioteca, inarcò un sopracciglio mentre teneva le braccia conserte, rivolgendo un’occhiata titubante al compagno che però scosse il capo con decisione prima di parlare a bassa voce, facendo attenzione a non farsi sentire dagli altri compagni:

“Confondere quella donna con qualcun altro è impossibile.”
“Sono d’accordo con lui, non riesco ad immaginare di poter solo immaginare di vederla… e poi ho sentito qualche voce a riguardo oggi.”
Larisse, seduta tra Penelope e Wyatt, si strinse debolmente nelle spalle mentre parlava con tono neutro – ignorando l’occhiata sinceramente sorpresa che Lud le rivolse, quasi meravigliato che gli desse ragione e non avesse alcun appunto da fare –. Penelope invece si morse il labbro, esitando prima di parlare mentre spostava nervosamente lo sguardo da un compagno all’altro, tutti seduti intorno allo stesso tavolo:

“Quindi, se lei è tornata… Dite che Nott se ne andrà?”
“Chi può dirlo, del resto Amycus è comunque fuori dai giochi. Speravo fosse morta anche la megera, in realtà.”

Raphael piegò le labbra in una smorfia mentre Hunter appoggiava delicatamente una mano sul braccio della bionda, sorridendole gentilmente:

“Non è improbabile, non credo che vogliano sprecare troppe persone ad occuparsi di noi, non siamo abbastanza “importanti”. E ho la sensazione che gli altri non ci stiano dicendo alcune cose, di recente.”
“In effetti non li vediamo da parecchio.”  Wyatt aggrottò la fronte con aria pensierosa e Hunter annuì, pensando con leggera stizza alla sorella e al suo comportamento evasivo degli ultimi giorni:

“E mia sorella è persino più strana del solito… di certo loro ne sanno qualcosa.”

Sprecarono qualche altro minuto a discutere a proposito della questione quando, all’improvviso, Larisse si irrigidì e tirò fuori in fretta e furia qualcosa dalla tasca dei pantaloni, osservando il suo Galeone magico con gli occhi sgranati:

“Ragazzi… ragazzi! Credo che ci abbiano appena convocati.”


*


“Non avresti potuto fare niente Aeron, non è colpa tua, come potevi prevederlo? Avrebbe potuto benissimo colpire te, è stata solo sfortuna.”

Aeron guardava la lapide con gli occhi arrossati, la mascella serrata e con il pallore di chi non dorme o mangia da alcuni giorni. Continuava a pensare a ciò che Quinn gli ripeteva da tre giorni, lo stesso Quinn che ora era in piedi accanto a lui e gli teneva una mano sulla spalla.

Gran parte delle persone che avevano partecipato al funerale se n’erano già andate, ma lui era ancora lì, in piedi sul prato, a pensare al modo in cui aveva perso l’amore della sua vita.

“Andrà tutto bene”, ripeteva sempre Eleanor nei suoi momenti di sconforto, quando tornava a casa e si lasciava cadere sul divano, giù di tono e stanco di quella vita. “Affronteremo tutto insieme, come abbiamo fatto fino ad ora. È questo l’importante.”

Aeron prendeva la mano con cui lei gli sfiorava i capelli e la baciava, sorridendole con gratitudine prima di stringerla in un abbraccio. 

“L’importante è stare insieme”, diceva, e lui le credeva ogni volta.
Come avrebbe fatto quindi ad andare avanti senza di lei, proprio non riusciva a capacitarsene. 


*


Era stata indubbiamente una giornata molto lunga, come sempre.
Aeron sedette lentamente su una delle sedie sistemate attorno al tavolo della cucina, un piccolo oggetto di fronte a lui mentre la stanza era avvolta nell’oscurità.

L’ex Grifondoro accese la punta della sua bacchetta, illuminando la candela che aveva di fronte. Esitò, poi l’accese con la magia, osservando quella piccola fiamma danzare debolmente sotto i suoi occhi.

Allungò un dito per sfiorarla e quella tremò di conseguenza mentre pensava ad un nebuloso pomeriggio autunnale di tre anni prima, un’anonima giornata che aveva cambiato irrimediabilmente la sua vita.
Tre anni, tre anni esatti da quando Eleanor non c’era più… e gli mancava, Dio se gli mancava.

Ripensò a quando le aveva detto di voler diventare un Auror e un sorriso senza gioia gli increspò le labbra. Sorrise pensando a cos’era diventato in realtà, una sorta di nemesi di un Auror che invece di dare la caccia ai criminali se ne andava in giro uccidendo persone innocenti.
Certo, lei era viva quando aveva iniziato, ma spesso si chiedeva cosa avrebbe pensato di lui dopo altri tre anni di quella vita… Se ne sarebbe andata disgustata o avrebbe continuato ad appoggiarlo, accogliendolo con un sorriso ogni sera e abbracciandolo per confortarlo? 
Aeron non conosceva la risposta, non l’avrebbe mai conosciuta, ma a volte gli piaceva pensare che non fosse così, che lei gli sarebbe sempre rimasta accanto, avendone la possibilità.


Tu non sei così, Aeron
Gli aveva detto una volta prendendogli il viso tra le mani e costringendolo a guardarla. Non avrebbe mai scordato quella determinazione nei suoi occhi, quasi a volerlo costringere a crederle.
E Aeron ci aveva creduto, ci credeva, e non le sarebbe mai stato grato abbastanza per quelle parole.


“Vorrei che fossi qui, Lean.”
Sorrise, e gli occhi gli pizzicarono leggermente. Non se ne curò, continuando a sfiorare la piccola fiamma che non costituiva che una debolissima illuminazione nella stanza, lasciandola avvolta nella penombra.
Infondo però era lì che ad Aeron piaceva stare da quel giorno: nell’ombra.









…………………………………………………………………………..
Angolo Autrice:
Buonasera!
Mi scuso per il ritardo con cui aggiorno, avrei voluto farlo una settimana fa, in realtà, ma ho avuto lavori in casa e sono stata diversi giorni senza Internet, quindi il capitolo è rimasto a fare la muffa nel mio iPad per un po’. Grazie per le recensioni lasciate allo scorso capitolo, anche se in ritardo.

Ad ogni modo, questa volta per i voti torniamo sui ragazzi più giovani, ossia:

-    Hunter 
-    Wyatt 
-    Ludwig 
A presto, spero, con il seguito!
Signorina Granger 







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Capitolo 14
*** Wyatt Leon Hill ***


Capitolo 12: Wyatt Leon Hill  

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Wyatt era in piedi davanti alla sorellina Linda, che stava singhiozzando da ormai qualche minuto. Sua madre era sotto la doccia e il bambino osservava la bambina sistemata nell’ovetto con la fronte aggrottata, come se stesse riflettendo su come farla smettere di piangere.
Aveva provato a farla ridere con i metodi che funzionavano di solito, ma niente sembrava volerla calmare… alla fine, Wyatt si avvicinò alla bambina e senza dire nulla prese il suo ciuccio, attaccato alla catenella affinché non lo perdesse, e lo mise in bocca alla bambina, che smise di piangere un attimo dopo e si limitò a ricambiare il suo sguardo con i grandi occhi scuri.

A quel punto Wyatt sorrise con aria soddisfatta, allungando una piccola mano per lasciare una carezza sulla nuca della sorellina.

“Wyatt? Linda piangeva?”
Sua madre fece capolino sulla soglia del bagno in accappatoio ma il bambino scosse il capo, parlando con un sorriso:

“Adesso no mamma.”
Mary sorrise, si avvicinò ai figli e dopo aver rivolto una breve occhiata alla piccolina si inginocchiò di fronte al primogenito, gli occhi carichi di affetto mentre lo guardava, stringendogli leggermente le spalle con le mani:

“Ma che bravo fratello… il mio bimbo bello.”

La donna abbracciò il figlio e Wyatt sorrise, godendosi più che volentieri la sua razione di coccole mentre Linda, con il ciuccio ancora in bocca, sorrideva appena.


*


Due settimane dopo 


Era sabato mattina e le strade di Londra erano abbastanza trafficate, sembrava che molti avessero pensato, come lui, di approfittare del tempo gradevole per mettere il naso fuori di casa.
Haze camminava sul marciapiede come le mani sprofondate nelle tasche dei jeans neri – quando gironzolava per Londra di giorni preferiva indossare abiti Babbani per non attirare l’attenzione – osservando distrattamente davanti a sè le persone che camminavano come lui, che cercavano di fermare un taxi o i turisti che consultavano le cartine della metropolitana per cercare la fermata più vicina.

C’erano mamme che spingevano passeggini, coppiette a braccetto, ragazze che probabilmente andavano a fare colazione insieme e persino qualche vecchietto… ad Haze piaceva Covent Garden, specie in quel periodo dell’anno, quando i turisti scarseggiavano e c’era molta più tranquillità. 
In effetti, preferiva Londra a quelle prime ore del mattino: c’era molta più pace, si riusciva a pensare.

Un sorriso amaro gli inclinò le labbra quando si rese conto che, quasi senza volerlo, si era portato in prossimità del ristorante, dove non metteva piede da un paio di giorni prima, dalla riunione precedente.
Si chiese quando si sarebbero ritrovati e una parte di lui sperò che avvenisse in fretta, per quanto non gli dispiacesse passare del tempo da solo erano una piacevole distrazione, un modo per parlare con persone che in qualche modo potevano capirlo.

Haze svoltò l’angolo, infilandosi in una via piena di negozi, con le loro vetrine scintillanti e persone impegnate ad ammirarle che affollavano i marciapiedi. Non gli piaceva particolarmente stare in mezzo alla confusione e si affrettò a superare il gruppo di turiste che gli bloccavano il passaggio, continuando a camminare con calma sul marciapiede con le mani infilate nelle tasche.

Fu allora che la sua attenzione venne, finalmente, catturata realmente da qualcosa: dall’altra parte della strada c’era una pasticceria, davanti alla quale doveva essere passato moltissime volte senza però mai fermarcisi. 
Molte persone avevano occupato i tavoli sistemati sulla “veranda” apposita, sotto le eleganti tende color avorio, e i suoi occhi si catalizzarono su una figura familiare, quella di una donna che, seduta su una sedia con i capelli sciolti e gli occhiali da sole addosso, sedeva di fronte ad un bambino.

Haze ci mise qualche istante a rendersi conto di essersi fermato, stava in piedi con gli occhi fissi su Audrey senza muovere un muscolo, spostando lo sguardo da lei al suo nipotino che, seduto di fronte a lei, sorrideva vivacemente mentre le diceva qualcosa, i riccioli scuri protetti da un berretto di lana con tanto di pompon blu. 

Guardò Audrey sorridere al bambino e mentre la cameriera portava ai due la colazione, e Henry esultava per la sua ciambella ripiena, Haze si ritrovò a muovere le gambe quasi senza volerlo, attraversando la strada per raggiungerli. 

In un batter d’ occhio era lì, a pochi metri, e vide quasi al rallentatore Audrey voltarsi ed esitare prima di sorridere, rivolgendogli un lieve cenno:

“Ciao! Come mai da queste parti?”
“Passeggiavo. Come stai? Non ci vediamo da qualche giorno… non abbiamo avuto molto lavoro in comune di recente.”
“Bene, stiamo bene… Ti unisci a noi?”

“… D’accordo. Un espresso, per favore.”

Haze rivolse un lieve cenno alla cameriera prima di accettare l’invito della collega e occupare la terza sedia bianca mentre Henry, dopo aver trangugiato un lungo sorso del suo latte con cioccolato, lo guardava con curiosità.

“Ciao! Tu non mangi niente?”
“No, non ho molta fame.”
“Henry, sii educato. E vieni qui, sei tutto sporco.”

Audrey roteò gli occhi e si sporse per pulire il baffo di latte sopra il labbro del bambino, che sfoggiò un piccolo sorriso colpevole prima di prendere in mano la sua ciambella e addentarla con aria felice, facendo dondolare le gambe dalla sedia.

“Vieni spesso da queste parti? Noi tutti i sabati mattina.”
“Vai a salutare tua madre?”
“Il venerdì dorme da lei, io passo a prendere l’ometto di sabato mattina e poi veniamo qui.”

Audrey si strinse debolmente nelle spalle prima di bere un sorso del suo cappuccino e poi lanciare un’occhiata soddisfatta alla sua brioche alle mandorle. Il tutto mentre Henry, dopo aver addentato un punto pieno di crema della ciambella quasi più grande di lui, sussultava nel ritrovarsi una valanga di Nutella sulle dita, sul nasino e sul punto di colare dal dolce.

“Tía!”
“Henry! Ma possibile che ti sporchi sempre?! Sei propio un maschio!”
“Cosa stai insinuando, Audrey?”
“Che siete tutti uguali, ecco cosa.”




“Zia, andiamo al parco con Sno?”
“Va bene… Saluta Haze.”
“Posso accompagnarvi. Se non… se non vi dispiace.”

Audrey, che si stava alzando per pagare il conto, si bloccò alle parole del collega e si voltò verso di lui quasi con leggera perplessità, esitando prima di annuire e sfoggiare un debole sorriso che mise Haze quasi a disagio, per un momento. Non sapeva nemmeno perché l’aveva detto.

“Certo che no. Aspettatemi qui, torno subito.”
“Oh, non è necessario…” Haze afferrò i braccioli della poltroncina e fece per alzarsi, ma Audrey scosse il capo gentilmente e continuo a sorridergli prima di rivolgersi al nipotino, inarcando un sopracciglio di fronte al suo sorriso angelico:
“No, insisto. Henry? Non distruggere il locale mentre non ci sono.”


Pochi minuti dopo l’improbabile terzetto, con Snow tenuto saldamente al guinzaglio dalla padrona, si stava incamminando verso il parco per cani più vicino e Henry teneva saldamente la mano della zia, raccontandole tutto quello che aveva fatto all’asilo il giorno prima. Le stava giusto dicendo del lavoretto con il polistirolo – da lui denominato “pofistiloro” – che aveva fatto quando l’attenzione di Audrey venne catturata dallo squillare del suo telefono, che tirò fuori dalla tasca del trench beige con un sospiro:

“Scusate… devo rispondere. Pronto?!”

La ragazza sbuffò leggermente e affrettò il passo, superando di qualche metro nipote e collega mentre Haze la seguiva con lo sguardo, la fronte leggermente aggrottata. Trasalì, infatti, con non poca sorpresa quando sentì una piccola mano prendergli la sua e, abbassando lo sguardo, incontrò i vivaci occhi scuri di Henry, che gli sorrise prima di parlare:

“Perché mi hai preso per mano?”
“La mia abuela dice che devo sempre tenere qualcuno per mano quando cammino per strada. Sei amico anche di Rain?”

“In realtà è mia cugina.”
“Oh!” Henry spalancò gli occhi, sorpreso, ed esitò per un attimo, la fronte leggermente aggrottata come se stesse riflettendo attentamente, prima di parlare con lo stesso tono curioso di poco prima, rivolgendogli un’occhiata incerta:

“… sei mio zio anche tu?”
“Ehm… no Henry.”
“Uhm, ho capito. Da quanto conosci Tìa?”

“Da molto tempo, avevamo solo undici anni.”
“Io ne ho tre e mezzo! Tu quanti anni hai?!”
“27, come la zia.”
“Ooh! Ma se siete amici da così tanto perché non vi abbracciate? Abuela dice che le persone quando si vogliono bene da tanto tempo si abbracciano.”

“Ecco… non sempre. Non quando si è grandi.”
“Ma anche io sono grande! Vado a scuola!”

“…. Da settembre?”
Henry annuì, serio in volto, e Haze dovette sforzarsi di non ridere. Infondo era simpatico, però… rivolse un’occhiata ad Audrey, che stava ancora discutendo in spagnolo al telefono, prima di parlare al bambino a bassa voce:

“Cosa sta dicendo la zia al telefono?”
Henry gli fece cenno di avvicinarsi e il ragazzo si chinò leggermente mentre il bambino, dopo essersi messo una mano davanti alla bocca con fare cospiratorio, parlava a bassa voce:

“Non posso dire quelle cose, mi mette in castigo!”
“E con chi sta parlando?”
“Non lo so, forse con un altro suo amico… Però Tìo Erik non parla spagnolo! Sarà Abuela.”
“… Vedete spesso lo zio Erik?”

“Sì, ma puoi venire anche tu se vuoi, alla zia piaci!”

“… ah sì?”
“Sì!”


*


“Ecco, vedi Linda? Questo sono io, questa sei tu e questi sono mamma e papà. Ti piace?”

Wyatt sorrise e mostrò il disegno alla sorellina, che sorrise:

“Tata!”
“Mh?”

La bambina indicò di nuovo il disegno, ripetè la parola e Wyatt ebbe appena il tempo di capire che la sorella voleva partecipare al disegno quando Linda fu ben felice di mettere una manina nella tempera rossa per poi premerla sul disegno. 

“Ma Linda!” Wyatt sospirò ma la bambina rise con aria contenta, battendo le manine – e sporcandosi così anche la sinistra di rosso – prima che il fratello la imitasse, riempiendosi la mano di tempera blu per lasciare la sua impronta vicino a quella della sorella, piuttosto piccola in confronto a quella del bambino di cinque anni.

“Ecco, adesso sei contenta?”
Linda sorrise e il bambino lo prese come un sì. Ad essere meno felice fu la madre, quando tornò dalla cucina per controllarli e vide il divano pieno di impronte rosse e blu.


*


Larisse aveva appena varcato la soglia di casa quando qualcosa di pesante e di urlante le planò letteralmente addosso, stringendola in una morsa che la fece sobbalzare.

“Finalmente sei tornata! Non vieni da una vita!”
“Ciao Bianca… anche io sono felice di vederti, sì.”  La rossa sorrise alla sorella minore, che ricambiò prima di sciogliere l’abbraccio e guardarla con gli occhi luccicanti.

“Allora, dimmi… Come va a scuola? Hai imparato cose nuove? E la Carrow è tornata? Cosa è successo? Come sta Penny, me la devi salutare… e si è messa insieme a quel ragazzo che le piace?”

“Come sempre, no, sì, niente che ti debba interessare e… no.”
“Ma come no!”
“Mi spiace, ma te lo farò sapere quando accadrà.”

Larisse si strinse nelle spalle e superò la sorellina, che però sbuffò e la seguì sottolineando che a suo parere avrebbe dovuto intervenire.

“Bianca, lascia stare, preferisco che se la vedano loro…”
“Mh, ok… e il tuo di spasimante invece come sta?”

“Il mio… Bianca, da quando sei così pettegola?!”
“Sono curiosa, non pettegola! Raphael, no? È un bel ragazzo sorellona!”

“Ma tu che ne sai!”
“Lo vedo quando vengo a trovarti!”

Larisse roteò gli occhi e fece per replicare, ma il suono di una voce maschile, profonda e familiare la fece desistere:

“Tesoro?”
La rossa si voltò verso le scale e sorrise quando scorse la figura del padre, che teneva una mano ancora sul corrimano e la stava guardando con leggera perplessità, come se non si fosse aspettato di vederla lì.
Larisse gli si avvicinò, lasciando cadere la borsa sul pavimento, e mandando al diavolo i suoi 19 anni lo strinse in un abbraccio, appoggiando il viso sul suo petto e rilassandosi quando sentì le sue braccia avvolgerla. Una stretta calda, familiare e avvolgente… come una coperta.
Sì, aveva proprio bisogno di uno degli abbracci di papà.

“Ciao papà. Stai bene? Mi sembri stanco…”

Larisse sollevò lo sguardo e al contempo gli sfiorò il viso e la barba sfatta di un paio di giorni con un’espressione attenta e quasi apprensiva sul volto, mentre alle loro spalle Bianca si limitava a seguire la scena, ben felice di avere la sorella a casa. 
“Smettila di preoccuparti per me tesoro, sto benissimo. Tu, piuttosto…” 

Le sorrise dolcemente, anche se quel sorriso non si estese completamente agli occhi, che continuarono a tradire una nota di stanchezza mentre le prendeva la mano per baciarne il dorso e poi stringerla.

“Oh, bene. Nessun problema.”
“Bianca mi ha detto che Amycus Carrow è morto. Si vive meglio adesso?”

Larisse si sforzò di annuire, trattenendosi dal rivelargli che anche la sorella era morta e che sì, la situazione era nettamente migliorata, specie per lei e per i compagni che facevano parte della Causa.
Invece sorrise, guardando l’uomo con affetto prima di prenderlo sottobraccio:

“Decisamente. Andiamo a fare un thè, così mi raccontate un po’ di cose.”
Suo padre parve rincuorato di saperlo e Larisse seppe che stava pensando all’anno dopo, quando anche Bianca sarebbe andata al Covenant come la sorella maggiore.

Anche lei ci pensava spesso, e mai troppo volentieri.


*


Wyatt amava l’estate, gli piaceva sentire il sole sulla pelle e sopratutto andare nella casa dei nonni al mare. 
Passava le giornate in spiaggia, facendo castelli con la sabbia, giocando a palla, raccogliendo conchiglie, creando piste per le biglie insieme a suo padre e, sopratutto, stando in acqua.

Aveva imparato a nuotare l’estate prima es era ben felice di stare in acqua senza braccioli, anche se la madre non faceva che ripetergli di stare attento in continuazione. 

Anche Linda sembrava divertirsi in acqua e lo seguiva ovunque con la sua ciambella, facendosi spingere dal fratello maggiore. 

“Guarda Linda… ti piace?”
Wyatt, i capelli scuri e la pelle abbronzata luccicanti sotto il sole, mostrò alla sorellina una conchiglia bianchissima e Linda la prese con un sorriso. 

“Facciamo un gioco? Tu la lanci e io la vado a prendere.”
“Ok!”

“WYATT FAI ATTENZIONE! Non andare nell’acqua alta!”
“Sì mamma…”

“Mary, lasciali giocare…”
“Lasciali giocare? Anche se si crede un ometto non ha ancora sette anni, vuoi che si uccida Rob?”   

Il mago sorrise allo sbuffo irritato della moglie, che osservava i figli da dietro gli occhiali da sole, e ripiegò il giornale prima di sporgersi e darle un bacio su una guancia:

“D’accordo mamma orsa, ora vado a tenerli d’occhio.”


*


Raphael venne accolto da Cordelia con un sorriso e un abbraccio che il ragazzo ricambiò stringendo la sorella, ritrovandosi ancora una volta a sorridere per la differenza tra le loro stazze che gli consentiva di farla praticamente sparire quando l’abbracciava.

“Tu come stai, Del?”
“Bene. Vieni, faccio il thè.”


Poco dopo Raphael sedeva al tavolo della cucina, raccontando alla sorella del più e del meno mentre seguiva i movimenti di Cordelia. Sembrava quasi distratta, di tanto in tanto smetteva di fare quello che stava facendo e sbatteva le palpebre, osservando ciò che aveva davanti o che teneva in mano con attenzione, come se stesse cercando qualcosa o se avesse tra le mani un oggetto mai visto prima d’ora.

“Del, vuoi che ti dia una mano?”
“No Rafe, faccio da me.”

Raphael aggrottò la fronte, non stupendosi affatto del rifiuto ma continuando a studiare la sorella con scarsa convinzione. 
E quando, poco dopo, Cordelia imprecò a mezza voce tagliandosi con la lattiera leggermente sbeccata per poi farla cadere sul pavimento Raphael si alzò, avvicinandosi alla sorella a grandi passi per prenderle le mani tra le sue, impedendole di chinarsi per recuperare la lattiera in frantumi:

“Del, va tutto bene? Lascia stare quella, la ripariamo in un attimo. Perché non ti siedi? Ci penso io.”

Cordelia fece per ribattere, ma non era desiderosa di creare altri danni e annuì, superando il fratello per lasciarsi scivolare su una sedia e sospirare, passandosi una mano tra i capelli castani. Evitò di guardarlo, ma sentiva il suo sguardo inquisitorio su di sè, in cerca di spiegazioni che la strega non aveva alcuna voglia di dargli.


*


Wyatt aveva nove anni quando la sua vita cambiò irrimediabilmente: lui e Linda erano a casa degli zii babbani con i loro cuginetti quando un paio di uomini andarono a prenderli per portarli via. Wyatt non avrebbe mai dimenticato la paura che lesse sul volto della sorellina, che aveva solo cinque anni, che lui prese saldamente per mano per tranquillizzarla.

Entrambi provarono sollievo quando vennero portati dal padre, che però non sembrava stare molto bene, steso su un letto, e li informò che la madre era morta. 

Pochi giorni dopo, quando si fu ripreso, Robert spiegò al figlio maggiore che lui e la madre erano stati attaccati da dei Lupi Mannari e che Mary, avendo meno energia vitale di lui in quando Babbana, era morta. 
Wyatt gli chiese come stesse e Robert sorrise, assicurandogli che stava bene. 

Ci mise qualche tempo per rendersi conto che neanche suo padre era uscito completamente indenne dall’attacco: era stato contagiato, ma all’inizio non glielo disse apertamente.
La prima volta in cui suo padre si trasformò fu terrificante, un ricordo che non avrebbe mai lasciato la mente di Wyatt. Era chiuso in camera, seduto sul letto mentre teneva la sorella tra le braccia che piangeva. Suo padre gli aveva detto che non avrebbero dovuto uscire dalla stanza e che l’aveva sigillata con la magia, ma sentire fu spaventoso quanto vedere. 

Quella notte il bambino si chiese come avrebbero vissuto di lì in avanti, cosa sarebbe successo alla sua famiglia. E stava per scoprirlo.


*
 

Maxine camminava sul marciapiede sgranocchiando patatine e lamentandosi di quanto quella giornata fosse noiosa e della pessima compagnia mentre Erik, che camminava accanto a lei con le mani nelle tasche del cappotto – in netta contrapposizione con la semplice giacca di pelle rossa che la ragazza indossava –, le rivolgeva un’occhiata torva prima di prenderle il sacchetto dalle mani e affrettare il passo per superarla:

“Ehy! Dove vai con il mio spuntino?!”
“Visto che la compagnia è sgradita mi allontano!”
“Ma non con le mie patatine… Aspettami, io ho le gambe più corte!”

Max sbuffò mentre affrettava il passo per raggiungerlo, riuscendoci quando, dopo pochi metri, Erik si fermò all’improvviso e rischiò di farla scontrare con la propria schiena. 

“Ahia! Murrey, non ci si ferma all’improvviso, specie se hai una persona più bassa alle spalle! Murrey?”

Max, trovando a dir poco strano che lui non rispondesse, inarcò un sopracciglio e alzò lo sguardo per guardarlo in faccia, trovandolo impegnato ad osservare attentamente qualcosa – o qualcuno – al di là della strada. 
Seguendo il suo sguardo Maxine individuò una donna che camminava sul marciapiede parallelo e aggrottò la fronte, rendendoci conto che aveva un’aria vagamente familiare.
Poi però venne distratta dalla voce di Erik, che le si rivolse in tono brusco e le lasciò la “refurtiva” in mano:

“Tieni. Io devo andare.”
“Andare? Dove?! Erik, dovremmo essere in giro a controllare che tutto sia in ordine, non possiamo…”
“Maxine, vai a scuola, io devo fare una cosa… ci vediamo lì.”

E con queste parole Erik si allontanò, attraversando rapidamente la strada per raggiungere la sua meta, ovvero la donna dai capelli ondulati e abbastanza corti che Max aveva individuato.

Per qualche istante la strega non si mosse, curiosa e confusa, ma dopo aver rivolto una breve occhiata ai due – Erik l’aveva raggiunta e presa per un braccio per attirare la sua attenzione – si allontanò, cercando un punto isolato per Smaterializzarsi.


*


La notte in cui Mary morì segnò drasticamente Robert, e non solo per il contagio. Wyatt non ci mise molto tempo per rendersi conto che suo padre era cambiato anche in altri sensi. 
Ricordava, sapeva quanto avesse amato sua madre e non capiva se fosse una risposta al dolore o meno… Ma non riusciva a capacitarsi di come suo padre si fosse unito all’uomo che gli dava i brividi ogni volta in cui lo vedeva – che scoprì chiamarsi Greyback – e che riservava attenzioni a lui e alla sorella che lo infastidivano e intimorivano non poco.

Passava fuori molto tempo e ben presto Wyatt capì che si era unito a quelle persone per sopravvivere, ma il modo in cui Robert cambiò lo indusse a pensare che suo padre non si pentiva affatto di quella decisione.
A volte sembrava davvero felice, come se gli piacesse quello che faceva. Non sembrava affatto una costrizione, per lui, uccidere e mutilare. 

Man mano che il tempo passava, però, si chiedeva che cosa ne avrebbero fatto di lui e Linda e del perché non li avessero uccisi come la madre. Forse perché loro non erano Babbani?
Lo chiese a suo padre, una volta.
Lui gli rispose semplicemente che ogni cosa aveva un prezzo.



*


“Ok, che mi dici di questa espressione accigliata?”
“Mh, quasi, ma devi abbassare di più le sopracciglia, ecco… sì, così è abbastanza somigliante.”

Nathan, seduto di fronte a Rain in quello che una volta era l’ufficio dei Carrow, accennò un sorriso con le labbra sottili che fece innervosire ulteriormente Rain, che sospirò e scosse il capo, abbandonandosi contro lo schienale della sedia:

“È così difficile, non ne hai idea! Io non sono come Alecto, io sono gentile e carina, a me piacciono i cuccioli, i bambini… e i bambini che abbracciano cuccioli! Cose carine, non amo torturare la gente per divertirmi!”

“Lo so. Anzi, è passata quasi un’ora, dovresti berne un’altro po’.”
“Dove l’hai presa?”
“Me l’ha portata Erzsébet stamani e io sono andato di sotto a prendere un paio di capelli della nostra amata ex aguzzina. Non ti invidio per niente.”

Nathan porse alla collega una fiala e la strega piegò le labbra in una smorfia schifata prima di berne un paio di sorrisi, cercando di ignorare i forti conati di vomito mentre Nathan, invece, aveva quasi l’aria di divertirsi e sorrideva.

“Che schifo… che ci trovi di divertente si può sapere? Guarda che ti trasformo in una mosca!”
Rain sbuffò e lanciò un pezzo di pergamena appallottolato contro l’ex Grifondoro, che per tutta risposta sorrise e scosse il capo, agitando leggermente la mano destra con cui teneva una sigaretta accesa tra due dita:

“Così sei molto somigliante, Rain. No, scusa, è che è divertente VEDERE Alecto ma sentir parlare TE.”
“Da lunedì prendi tu le sue sembianze per qualche giorno, l’idea ti attira?”
“Quanto quella di andare a cena con un Ungaro Spinato.”

“In quel caso saresti TU la sua cena. E puoi spegnere quello schifo, per favore?”

Rain guardò la sigaretta con disgusto ma Nathan non ci badò, sbuffando e borbottando che si annoiava. Stava per proporle di giocare a scacchi per ammazzare il tempo quando qualcuno bussò con decisione alla porta, facendoli zittire entrambi. 

“Alecto? Le dovrei parlare, è importante.”
I due ex Grifondoro si guardarono e, non riconoscendo la voce, Rain si schiarì la voce e borbottò un “avanti” mentre Nathan si affrettava a far sparire la sigaretta.
Sulla soglia della stanza comparve una donna che Rain non conosceva, ma si sforzò di non apparire sorpresa e le rivolse un cenno prima di parlare:

“Buongiorno. Larsson, come vedi ho da fare, levati dalla mia vista.”

Nathan inarcò un sopracciglio, quasi a volerle chiedere quando fosse diventata così brava, ma non diss nulla e si alzò, rivolgendole un lieve cenno prima di uscire dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle. La donna prese posto sulla sedia lasciata vuota dalla Sentinella e Rain intreccio le dita delle mani sulla scrivania, guardandola in attesa. Avrebbe preferito non restare sola, in realtà, ma Alecto li cacciava sempre quando aveva visite importanti. E quella donna aveva tutta l’aria di essere importante, probabilmente la moglie di qualcuno.

“Di cosa vuole parlarmi?”
“Si tratta di mio figlio. È stato aggredito mentre si trovava qui, pretendo che si capisca cosa è accaduto, lui non ricorda niente.”

Suo figlio. Suo figlio aggredito. Rain registro rapidamente quelle informazioni e si rilassò leggermente quando capi di chi si trattasse, ovvero della Signora Nott, senza alcun dubbio.

“Signora Nott, io non ero presente quando è successo, dovrebbe parlare con Yaxley. O con suo marito, non ne so più di lei.”
“Ma lei gestisce questo posto e senza dubbio è stata opera di uno di quegli sporchi Mezzosangue che vivono qui, chi altrimenti?”

Rain si trattenne dal sospirare – aveva la spiacevole sensazione che fosse stata opera di uno dei “suoi” ragazzi – e non battè ciglio:

“Senza dubbio, sono fuori controllo. Pensa che uno di loro potesse avercela con suo figlio?”
“Dubito che abbia mai parlato con uno di loro, mio figlio non si mescola con… loro.”

Quel “loro” trasudava tanto disprezzo da far quasi innervosire la strega, che però si sforzò di non soffermarsi con lo sguardo sulla smorfia schifata della dona prima di annuire:

“L’unica che conosceva è la ragazza che lavorava per noi. Penelope qualcosa… ma dubito che potrebbe ridurre in quello stato qualcuno.”
“Penelope Grey? Se è coinvolta la farò parlare.”

“Bene.”  La donna annuì, non troppo convinta e Rain fu ben felice di vederla alzarsi, salutarla con un cenno e poi congedarsi uscendo dalla stanza, lasciandola di nuovo sola. A quel punto la Grifondoro sospirò, appoggiandosi allo schienale della sedia rigida: sì, avrebbe parlato con Penelope, su questo non c’erano dubbi.


*


Ci volle del tempo, ma alla fine Wyatt comprese quale fosse il prezzo che suo padre aveva pagato per mantenerli in vita. O meglio, forse sarebbe stato più corretto dire che sarebbero stati lui e Linda a pagarlo: Robert aveva promesso a Greyback i suoi figli, pattuendo che sarebbero stati morsi una volta compiuti 15 anni e poi mandati ad addestrarsi al Covenant per unirsi al “branco” e risultare, se possibile, ancora più letali.

Wyatt ne fu scioccato e devastato quando lo apprese, sapeva che prima o poi lo avrebbero morso ma non immaginava che suo padre li avesse praticamente venduti.
Non ebbe modo di opporsi, comunque, e non ebbe mai la forza di tentare di scappare perché sua sorella era troppo piccola per poterlo seguire. E non voleva abbandonare Linda, per nessun motivo.

Fu il dolore peggiore che avesse mai provato, e da quel momento la sua vita cambiò in modo ancora più drastico. L’unica cosa di cui fu sollevato fu apprendere che avrebbe passato quattro anni lontano da suo padre, che ormai non riusciva più a guardare in faccia. Gli dispiaceva lasciare Linda sola, ma almeno aveva la certezza che non le avrebbero fatto nulla. Non per i successivi quattro anni, almeno. 


*


Hunter era steso sul letto, un libro in mano, quando la porta della camera si spalancò, inducendolo a voltarsi di scatto. Si rilassò nel vedere Penny, ma la ragazza sembrava parecchio agitata e iniziò a parlare non appena lo vide, gli occhi chiari sgranati mentre si chiudeva rapidamente la porta alle spalle:

“Lei è qui! Porca Morgana, l’ho appena vista!”
“Penny, di chi stai…”
“La madre di… di…”

Hunter simile a sedere sul letto mentre Penny deglutiva, accorgendosi di non riuscire a dire quel none ad alta voce.

“La… la Signora Nott! Vorrà sapere che cosa è successo al figlio, o forse lui ha ricordato qualcosa, finiremo nei guai, anzi, finirai nei guai e non è giusto perché riguardava me e tu mi hai solo aiutato, quindi potremmo dire che sono stata io e basta…”

“Penny…”
Hunter si alzò, lasciò il libro sul letto e le si avvicinò, mettendole le mani sulle braccia e abbozzando un sorriso prima di parlare, gli occhi azzurri fossi in quelli della ragazza:

“Perché non ti calmi e cerchi di non iperventilare? Andrà tutto bene, non ricorderà niente. E ora Alecto è morta, non è davvero lei, faranno in modo di insabbiare tutto quando gli racconteremo che cosa è successo, te lo prometto.”
“Ma sono i Nott!”

“A Tu-Sai-Chi non importa del figlio coglione di uno dei suoi tanti leccapiedi, Penny. E non hanno nessuna prova… Lui non può trovare un “movente” per te senza rivelare che cosa ha fatto, e anche se non lo punirebbero come meriterebbe sarebbe uno smacco per la famiglia, queste notizie si diffondono a macchia d’olio in un lampo e loro non lo vogliono, i suoi genitori lo sanno?”

Penny deglutì ma scosse il capo, abbassano lo sguardo:

“No, non credo.”
“Ok. Possiamo raccontare tutto agli altri, ci aiuteranno, se non te la senti lo farò io, va bene?”

Hunter accennò un sorriso con le labbra e con una mano le sfiorò il viso pallido, guardandola ricambiare di nuovo il suo sguardo prima di parlare:

“Non devi fare tutto questo.”
“Certo che devo… Sei importante per me e hai subito cose che non meritavi affatto. Nessuno le merita, ma tu sei così… dolce. Non riesco a capacitarmi di come qualcuno possa avere il coraggio di farti del male, Penny.”

Penny non disse nulla, limitandosi a ricambiare il suo sguardo mentre Hunter, continuando a tenere una mano sul suo viso, per una volta smetteva di pensare. Era sempre stato poco istintivo, molto più coscienzioso e razionale rispetto alla sorella, la sua controparte impulsiva, e tendeva ad analizzare un’azione importante anche più volte prima di metterla effettivamente in atto.

In quel momento invece, nella sua camera e con Penny davanti – spesso pensava di meno quando c’era lei nei paraggi, in effetti – smise di pensare e semplicemente si chinò, chiudendo gli occhi mentre appoggiava le labbra su quelle della ragazza, baciandola adagio.

Penny s’irrigidì, il battito cardiaco accelerato. Aveva baciato solo Roman in tutta la sua vita, e sempre contro la sua volontà, tanto che quel gesto nella sua testa aveva assunto una sfumatura piuttosto spiacevole.
Di certo però Roman non l’aveva mai stretta delicatamente o baciata con quella dolcezza e Penny, mentre chiudeva gli occhi e appoggiava timidamente le mani sulle spalle del ragazzo, si convinse che se a baciarla fosse stato chiunque altro sarebbe scappata via urlando. Ma non con Hunter. 
Da dopo il primo stupro, nessuno l’aveva mai fatta sentire a suo agio come quel ragazzo, anche solo poco tempo dopo essersi conosciuti.


Dal canto suo, Hunter fu ben felice di non aver ricevuto uno schiaffo in pieno viso ma si staccò comunque poco dopo, osservandola per cercare tracce di disaccordo che però non trovò, sorridendo debolmente prima di prenderle il viso tra le mani e baciarla nuovamente.



O almeno finché la porta della stanza non si spalancò e una voce terribilmente familiare non giunse alle loro orecchie facendo gelare il sangue nelle vene del ragazzo:

“Ehy, Moccioso! … Oook, torno più tardi!”

La porta si richiuse rapidamente come era stata aperta ma ciò non impedì ad Hunter di sospirare rumorosamente, alzando gli occhi al cielo con esasperazione mentre Penny, invece, scoppiava a ridere e appoggiava la testa contro il suo petto:

“MAX! Impara a bussare una buona volta!”

Con suo gran sollievo però Penny si limitò a ridere e non sembrò essersela presa, facendolo sorridere a sua volta mentre, abbassando lo sguardo su di lei, le portava una mano all’elastico della coda di cavallo alta per scioglierle i capelli:

“Hunter…” La bionda spalancò gli occhi azzurri, a disagio, e fece per portarsi una mano ai capelli quando lui scosse il capo, sorridendole gentilmente mentre glieli sistemava sulle spalle:
“Lasciali, sei più bella così. Smettila di nasconderti, Penny.”


*


Wyatt non tornava mai a casa nel fine settimana, se non quando Linda gli scriveva per tempo informandolo che il padre sarebbe stato fuori per andare “a caccia”.
Quella domenica, invece, Wyatt si era recato in cimitero, da sua madre.

Ora, fermo davanti alla lapide, teneva le braccia conserte e si mordicchiava il labbro inferiore, lasciando che i ricordi gli mostrassero il suo viso sorridente o la sua gentilezza.  

“Sai, sono felice che tu sia morta. Vederlo così ti avrebbe fatta soffrire indescrivibilmente, ne sono sicuro.”

Il ragazzo indugiò, deglutendo per ricacciare le lacrime indietro.
“Non so come sia potuto succedere… o forse se ci fossi stata tu non sarebbe diventato così, non lo so, non lo saprò mai. In ogni caso, sono felice che tu non possa vederlo, o vedere ME.”

Wyatt fece un passo avanti per avvicinarsi alla lapide, sfiorandola con le dita prima di lanciare un’ultima occhiata alla foto di Mary. Poi si allontanò, camminando a passo svelto sulla ghiaia senza voltarsi indietro.


*


L’aveva raggiunta sul marciapiede, assolutamente certo che fosse proprio lei, l’aveva trattenuta per un braccio e quando lei si era voltata, confusa, aveva parlato guardandola dritta negli occhi e senza tante cerimonie, con tono freddo e duro:

“Che cosa ci fai qui?”
Lei aveva esitato ma poi aveva accennato un sorriso, gli occhi verdi che lo osservavano con attenzione:

“Erik… quanto tempo. Quasi non ti ho riconosciuto.”
“Beh, io sì. Te lo chiedo di nuovo, che cosa ci fai a Londra?”
“Non sono stata esiliata, Erik.”

“Non puoi neanche piombare qui come se niente fosse! Qualcuno lo sa?”

Lei aveva scosso il capo e a quel punto l’ex Serpeverde si era rilassato leggermente, ma l’aveva comunque costretta a seguirlo per parlare. E sapere perché fosse tornata.


Ora erano seduti uno di fronte all’altra e mentre lei sorseggiava con calma estenuante una tazza di caffè Erik si limitava ad osservarla, scuro in volto. Cercando di capire perché fosse a Londra.

“Allora? Che cosa pensi di fare?”
“Cielo Erik, non trattarmi come se fossi una criminale! Sono solo tornata per una breve visita.”
“Beh, ho idea che non saranno felici di vederti. Cosa ti aspetti, di essere accolta a braccia aperte dopo quello che hai fatto?”

“Non ho fatto del male a nessuno, Erik, vedi di ricordarlo.”
“In un certo senso l’hai fatto, e non ti sei mai presa le tue responsabilità… farlo con anni di ritardo non è corretto. Sempre che sia per questo che sei qui.”

Lei non rispose, non subito almeno, e Erik seppe di avere ragione. Non sarebbe mai cambiata.


*


I primi tempi, al Covenant, non furono affatto semplici per Wyatt. Inizialmente era felice di potersi allontanare da suo padre e dai Lupi Mannari… ma una volta giunto lì, si rese conto che tutti erano a conoscenza della sua situazione – e questo, se possibile, autorizzò gli insegnanti a trattarlo peggio – e sopratutto del fatto che suo padre fosse ormai un accanito sostenitore di Voldemort.
Ciò non aiutò il ragazzo a farsi degli amici, considerando che molti ritenevano che fosse delle stesse idee del padre, ma Wyatt fece del suo meglio per smentirle e dimostrare che non solo era molto diverso dal padre, ma che lo odiava e che non era affatto felice di essere una specie di mostro.  

Il suo compagno di stanza gli piaceva, però, era vitale e simpatico, quello che gli ci voleva. Certo, forse un po’ lunatico… ma infondo era lui quello che si trasformava in un lupo gigantesco una volta al mese, quindi non poteva fargliene una colpa.


*



“Non dovevi andare?”
“Sì, lo so, io e Aeron dobbiamo parlare con King di questa storia della talpa…”

“Io penso che andrò a scuola a vedere come se la passa Rain.”   Faye abbozzò un sorriso, ferma di fronte a Quinn con le mani in tasca, e lui la imitò prima di chinarsi e darle un fugace bacio a stampo:

“Ok… ciao Doxy.”   
Dopodiché Quinn aprì la porta e uscì sul pianerottolo, ma Faye ebbe appena il tempo di voltarsi per tornare in salotto e prendere la giacca che la porta si aprì di nuovo e, un attimo dopo, Quinn la fece voltare per prenderla per la vita, sollevarla issandosela in vita e baciarla.

“Facciamo che vado tra altri cinque minuti…” Mormorò quando si fu allontanato brevemente dal suo viso, strappandole una risata prima di zittirla nuovamente con le proprie labbra.


*


Non fu affatto semplice, per lui, raccontare la sua storia, ma si sentì in dovere di farlo almeno con il ragazzo con cui condivideva la stanza.
Così, una sera lui e Raphael si sedettero e Wyatt parlò, parlò per diversi minuti, raccontando per filo e per segno cosa gli fosse successo nei suoi quindici anni di vita.

Raphael gli piaceva, dopotutto, riteneva fosse il caso di spiegargli.
Certo, tutti sapevano della sua maledizione, ma voleva assicurarsi che almeno qualcuno sapesse che non era una condizione che aveva scelto, che odiava suo padre e che non condivideva affatto le sue idee e le sue sue scelte, che a volte avrebbe preferito essere stato ucciso come sua madre.

Ogni mese, alla luna piena, Raphael gli lasciava la camera quando doveva trasformarsi, reso inoffensivo dalla Pozione Antilupo che i Carrow facevano preparare regolarmente dai loro burattini, le Sentinelle. Svilupparono anche un nuovo filtro che la rendeva meno dolorosa, e Wyatt ne fu ben felice.

Fu proprio l’amico, alla fine, a scegliere il suo nome in codice. 
Mowgli. 
Wyatt non poté fare a meno di sorridere, quel giorno, forse anche con un po’ di amarezza.

Cresciuto tra i lupi, letteralmente.


*


“Raphael e Larisse sono andati a casa, che razza di egoisti, ci hanno privato del passatempo di vederli discutere come una vecchia coppia sposata!”

Wyatt sbuffò mente si sorreggeva la testa con una mano, esitando prima di far scivolare lo sguardo su Lud e parlare di nuovo, sorridendo:

“Ehy, Lud, perché non ci alleniamo?”
“No grazie, odio duellare.”
“Ma io mi DEVO allenare, è la mia specialità!”

“Ma non la mia. Scusa Wyatt, ma sai che non mi piace… non sopporto che le persone si feriscano e combattano.”

Ludwig scosse il capo, un po’ abbattuto mentre teneva tra le mani un pensate tomo di Alchimia pieno di simboli strani che avrebbero fatto venire il mal di testa a Wyatt solo guardandoli e cercando di capirli.

“Uff, mi annoio… ti chiederei cosa leggi, ma non è proprio il mio forte.”
Wyatt accennò al libro e Lud si strinse nelle spalle, abbozzando un sorriso:

“Ognuno ha le sue peculiarità… tu sei davvero molto forte. Sarai una Sentinella imbattibile, per questo ti hanno sempre fatto allenare moltissimo.”

“Già.”  Wyatt annuì ma s’incupì leggermente, pensando alla sua condizione che non si era affatto scelto. I Carrow lo avevano sempre spronato – e spesso costretto – ad allenarsi duramente per migliorare i suoi riflessi e la sua velocità già di per sè acuiti, ma ne avrebbe volentieri fatto a meno pur di essere semplicemente un ragazzo normale.


*


Wyatt appallottolò la lettera di sua sorella e la lanciò con forza, facendole disegnare un discreto arco nella stanza per poi atterrare sul letto di Raphael, come sempre in disordine.
Sapeva che sarebbe successo, dopotutto, ma era comunque difficile da credere e da realizzare. Si prese la testa tra le mani, tremando di rabbia, e seppe che avrebbe potuto benissimo uccidere suo padre se solo l’avesse avuto davanti in quel momento.

Come pattuito, sua sorella era stata morsa il giorno del suo quindicesimo compleanno. Ta
anti auguri, Linda. Poteva solo immaginare quanti fosse spaventata in quel momento e avrebbe voluto essere lì per abbracciarla e assicurarle che sarebbe andato tutto bene. Presto l’avrebbero mandata al Covenant, proprio come avevano fatto con lui, affinché potesse sviluppare e gestire al meglio le sue nuove capacità.

Presto lui invece se ne sarebbe andato da lì, aveva iniziato l’ultimo anno di preparazione… poi non sapeva che cosa ne sarebbe stato della sua vita, l’idea di vivere come suo padre lo disgustava. 
La verità era che forse sarebbe già scappato da tempo, se non fosse stato per sua sorella. No, doveva restare e proteggerla, assicurarsi che stesse bene, lo doveva a sua madre.


*


Audrey guardava fuori dal finestrino – nonostante l’unico spettacolo offerto fossero gallerie buie – mentre la metropolitana sfrecciava sotto Londra e Henry si era addormentato tra le sue braccia, la testa appoggiata sulla sua spalla.
Non aveva quasi più preso la metropolitana una volta cresciuta, Smaterializzarsi era molto più veloce e comodo, ma da quando c’era Henry aveva ripreso ad usarla, sia perché non voleva rischiare che il bambino si spaccasse, sia perché meno sapeva della magia e meglio era, a sua detta.
Snow si era seduto accanto a lei, nel “corridoio” e Haze – che aveva insistito per accompagnarli a casa – occupava il sedile accanto al suo e sembrava immerso nei suoi pensieri. 

O almeno finché non parlò, voltandosi verso di lei:

“Ti ammiro molto per questo, sai? Per Henry, intendo… non è tuo figlio, eppure lo stai crescendo, e praticamente da sola per giunta. Non è da tutti.”
Audrey si strinse nelle spalle, parlando a bassa voce per non svegliare il bambino mentre gli sfiorava i capelli castani con le dita:

“Non lo avrei mai portato in un orfanotrofio… ci ho pensato, in un primo momento, ma poi l’ho preso in braccio e ho smesso di valutare l’opzione. E credo che se anche l’avessi fatto poi sarei corsa a riprenderlo.”

“Beh, ripeto che non è da tutti. Ci sono persino delle madri che non si prendono cura dei loro figli, prendersene la briga senza essere il genitore… è molto bello da parte tua. Ti sei… mai pentita?”

“All’inizio pensavo che non ce l’avrei mai fatta, non è stato facile… ma ho avuto chi mi ha aiutato, per fortuna, e non tornerei mai indietro, fa parte di me ormai.”

Audrey sorrise appena al bambino e Haze la imitò, annuendo senza dire altro.

Quando, qualche anno prima, aveva saputo che cosa aveva deciso di fare la collega non aveva potuto fare a meno di pensare a sua madre.
No, non era cosa da tutti, nessuno lo sapeva meglio di lui e non poteva fare a meno di provare una profonda stima per Audrey per quello che aveva fatto e stava continuando a fare.







………………………………………………………………………….
Angolo Autrice:

Buon pomeriggio!
Eccoci anche con l’adorabile Wyatt e, oltretutto, ora c’è anche un’altra coppa canon. Questa volta non vi sto facendo pensare troppo, direi che non potete lamentarvi, ricordo a chi c’era che per i Judelle e i Malek ci ho messo 31 capitoli.
Ecco i voti per il prossimo, questa volta abbiamo tre fanciulle:

-    Erzsébet 
-    Audrey 
-    Carmilla 

Inoltre, visto che siamo ormai a metà storia… sarei curiosa di sapere se avete qualche idea sulla talpa. Via MP, ovviamente.
E infine… vi metto il PV di Cordelia:
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A presto! (E ricordate, prima votate, prima io comincio a scrivere)
Signorina Granger 



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Capitolo 15
*** Audrey Celia Simmons ***


Vorrei dedicare questo capitolo a Sesilia. Te l’ho già detto, ma ancora una volta, grazie.



Capitolo 13: Audrey Celia Simmons

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Il sole stava calando e l’acqua ormai era troppo fredda per fare il bagno, così aveva detto suo padre, così Audrey stava in piedi sulla riva, limitandosi a bagnarsi i piedi abbronzati.
Il vestitino che la madre le aveva fatto mettere svolazzava a causa della brezza, così come i suoi capelli castani chiaro, ma alla bambina non dispiaceva affatto quella sensazione.

Si voltò verso la spiaggia deserta e rivolse un sorriso al padre, che ricambiò mentre le si avvicinava, inginocchiandosi accanto alla bambina:

“Non hai freddo querida?”
Audrey scosse il capo e, voltandosi di nuovo verso l’Oceano, indicò la gigantesca distesa d’acqua:

“No. Papito, cosa c’è dopo l’acqua?”
“Beh… l’America. Ma si parla di molta, molta acqua… più precisamente, c’è anche il posto dove è nata la mamma.”
“Il México?”
“Sì piccola. Un giorno vi ci porteremo.”

Henry sorrise e accarezzò la nuca della figlia prima che la bambina lo abbracciasse, mormorandogli qualcosa all’orecchio:

“Te quiero mucho, papito.”
“Yo tambièn.”


*


La porta cigolò leggermente quando si aprì, spezzando il silenzio surreale in cui era avvolto l’appartamento. 
Audrey si lasciò sfuggire un sospiro mentre s chiudeva lentamente la porta alle spalle, senza accendere alcuna luce. Si trattenne dall’impulso di lasciarsi scivolare contro la porta e rannicchiarsi lì, in un angolo, sul pavimento mentre lasciava malamente le chiavi sulla cassettiera.

Snow dormiva nella sua cuccia in salotto e la strega si tolse solo le scarpe e il cappotto lasciandolo malamente sul divano prima di trascinarsi verso la sua camera da letto, trovando la porta socchiusa come l’aveva lasciata. L’aprí quasi trattenendo il fiato – cercando di non far rumore e chiedendosi se l’avrebbe trovato ancora lì – e un debole sorriso le increspò le labbra carnose quando appurò che il suo letto era occupato scorgendo una figura maschile su di esso, stesa sopra le coperte. Rimase immobile sulla soglia per qualche istante, chiedendosi se non fosse il caso di coprirlo, e con un pigro colpo di bacchetta gli fece planare una coperta sul corpo prima di socchiudere nuovamente la porta, senza far rumore. 
Voleva solo che quell’orrenda giornata finisse – anzi, vista l’ora era già finita da un pezzo – e quasi si trascinò verso la cameretta di Henry, appoggiando una mano sullo stipite e guardandolo dormire, rannicchiato sotto il piumone blu con gli aeroplanini e stringendo il suo peluche a forma di Ippogrifo. Era stanca, preoccupata e spaventata allo stesso tempo, ma come sempre scorgendo il bambino non poté fare a meno di rasserenarsi almeno un po’. Era sempre inspiegabilmente bello vederlo così innocente e sereno, incurante di ciò che accadeva intorno a lui.
Senza pensarci troppo Audrey raggiunse silenziosamente il letto, sollevando il piumone per infilarsi nel letto accanto al nipotino, accarezzandogli la testa e lasciandogli un bacio sulla nuca prima di abbracciarlo. 

Solo a quel punto sentì gli occhi inumidirsi di nuovo, ma visto che Henry dormiva non si curò di ricacciare le lacrime indietro, permettendosi di piangere. 
Era stata una giornata molto lunga e per fortuna era finita, ma Audrey aveva la sensazione che nemmeno quella successiva sarebbe stata facile da affrontare.


*


“Allora Audrey… scrivici domani, vogliamo sapere in che Casa finirai. Fai la brava, cerca di non combinare guai e dai retta a tua sorella.”

Audrey sbuffò debolmente, incrociando le braccia al petto e mormorando che la sorella maggiore non era il suo capo mentre Grace, invece, abbozzava un sorrisetto divertito:

“Tranquilli, ci penserò io! Ciao mamà.”

La maggiore abbracciò la madre mentre Audrey, invece, si rivolse al padre, che sorrise prima di abbracciarla e mormorarle qualcosa all’orecchio:

“Ti piacerà tantissimo, vedrai.”
“Ma mi mancherete…”
“Anche tu tesoro, tantissimo. Ma ti divertirai molto, ne sono certo.”

L’Auror diede un bacio sulla guancia della figlia, che gli sorrise con affetto prima di seguire Grace sul treno a vapore, salutando i genitori dal finestrino finché non sparirono dalla sua vista.


*



Faye quella mattina andò al Covenant perché avrebbe dovuto far allenare i ragazzi con la Legilimanzia e l’Occlumanzia insieme a Nathan, che trovò ad aspettarla seduto sui gradini di fronte alla facciata dell’edificio mentre fumava una sigaretta.

“Ciao Faye.”
Faye ricambiò il saluto e, una volta raggiunto il collega, si chinò per strappargli la sigaretta dalle dita e farla Evanascere senza battere ciglio, facendolo sospirare con aria grave mentre si alzava in piedi, seguendo la ragazza dentro il vecchio edificio invisibile ai Babbani.

“Faye, apprezzo che tu ti preoccupi per la mia salute, ma non devi farlo ogni volta!”
“La smetterò quando tu smetterai di attentare alla tua vita. Davvero Nat, oltre che insalubre è disgustoso, lascia addosso una puzza…”

“Ti ringrazio…”
“Sempre a disposizione. A chi toccava oggi?”

“Carmilla.”  Faye annuì e mentre i due attraversavano l’ingresso deserto la ragazza si sentì chiamare da una voce allegra, che alzando lo sguardo sulle scale scoprì appartenere ad un sorridente Quinn.

“Ciao… cosa ci fai qui?”
“Sono venuto a trovare Scarlett.”

Quinn sorrise e, una volta raggiunta Faye, le prese il viso tra le mani per poi chinarsi leggermente e baciarla, incurante della presenza di Nathan che seguì la scena con gli occhi fuori dalle orbite, improvvisamente grato alla Tassorosso per avergli sottratto la sigaretta visto che, con ogni probabilità, in caso contrario si sarebbe fatto andare il fumo di traverso. 

Faye invece arrossì e si allontanò leggermente dal ragazzo, forse avrebbe anche detto qualcosa se un urletto non fosse giunto alle loro orecchie, prima che qualcuno sfrecciasse verso di loro per abbracciarla:

“PER TUTTI I TANGA MULTICOLORE DI MERLINO! Che bello, perché non ne sapevo niente, sono felice! Ecco Quinn, ora abbraccio anche te… Siete così carini, che bellezza, sono proprio contenta. Prima il mio fratellino, ora voi due, l’autunno è la nuova stagione dell’amore… Nathan vieni, fatti abbracciare anche tu!”
“Ehm, d’accordo…”

Quinn avrebbe voluto ricordare alla ragazza che ormai erano piuttosto prossimi all’inverno essendo quasi a Dicembre, ma Max sembrava troppo contenta per dare retta a chiunque. 
Probabilmente stava per farle una ramanzina per non averle detto nulla, così l’ex Tassorosso fu ben felice di dileguarsi lasciando soli i tre Grifondoro, asserendo che sarebbe passata da Carmilla prima di andare dai ragazzi. A quel punto Quinn fece per lasciare l’edificio, ma Max lo afferrò prontamente sottobraccio, rivolgendogli un’occhiata eloquente:

“Quinn, ti devo parlare.”

Per tutta risposta lui spalancò gli occhi, allarmato, e rivolse un’occhiata quasi implorante a Nathan, che però si limitò a fargli gli auguri in labiale senza muovere un muscolo: non aveva nessuna voglia di ostacolare Maxine Keenan. Così, si limitò a guardarla trascinarsi appresso il moro con chissà quali intenzioni. 



Max aveva aperto una porta e l’aveva spinto dentro una stanza, lasciandolo nel buio più totale. Quinn sbattè le palpebre cercando di mettere a fuoco qualcosa, ma si sentì semplicemente spingere e, un attimo dopo, si trovò seduto su una sedia. 
Poi, con un piccolo “click”, una lampada si accese e il Grifondoro si ritrovò seduto di fronte a Maxine, che intrecciò le dita appoggiando i gomiti sul tavolo e guardandolo attentamente:

“Allora, Quinn…”
“Maxine, tu guardi troppi film.”
“Lo so, è colpa di Audrey… ad ogni modo, non interrompermi, faccio io le domande.”
“La mia infatti era un’affermazione.”
“… Beh, non parlare proprio allora. Vedi Quinn… Faye è una mia amica, e infondo è abbastanza fragile, le voglio molto bene e non voglio che soffra. E TU, negli ultimi dieci anni, da quando ti conosco, non hai avuto una sola relazione che sia durata più di qualche mese, poi ti “stufavi” e scaricavi la tizia di turno. Il tuo record cos’è, di quattro mesi?”

“Sei, a dire il vero, se non sbaglio…”
“Quel che è. Il punto è, Quinn Richards…”

Max si sporse leggermente in avanti con il busto, avvicinandosi al viso di Quinn che, però, rimase impassibile mentre ricambiava il suo sguardo:

“Che se osi scaricare Faye perché ti annoi facendola soffrire, ti uccido. Capito? Spero davvero che lei ti piaccia sinceramente, Quinn, perché TU a lei piaci molto.”

“Te lo ha detto lei?”
“Nah, l’ho capito da sola. Non per vantarmi, ma sono molto perspicace.”

Quinn inarcò un sopracciglio, a dir poco scettico, ma non osò ribattere mentre il volto di Maxine s’illuminava in un sorriso:

“Ad ogni modo, sono molto felice per voi! Sarà divertente vederti accanto ad una persona diversa da una cretina senza cervello… dovreste dirlo anche agli altri, Audrey ne sarà felice! Aeron lo sa?”

“Sì Max, e in effetti ora mi sta aspettando, quindi, se hai finito l’interrogatorio…”
“Va bene, puoi andare.”
“Grazie. Ad ogni modo, grazie per la tua benedizione, ma perché non ti preoccupi dei TUOI affari di cuore?”

“Io non ho affari di cuore!”
“Appunto!”
“Mi stai dando della zitella? Guarda che ti rovino quel bel faccino!”


*


Sua madre diceva che lei non leggeva libri. No, li divorava. 
Se ne faceva mandare molti anche da casa, e non era affatto insolito trovarla con il naso incollato alle pagine di un libro, vecchio o nuovo che fosse, Babbano o di autori maghi.

“Audrey, smettila di fare il topo di biblioteca, mi annoio! Andiamo a fare qualcosa.”
Erik, steso sul divano della Sala Comune, sbuffò mentre l’amica, rannicchiata su una poltrona, era immersa nella lettura.
Non diede segno di averlo sentito e per questo il ragazzo sospirò, sollevandosi leggermente per poterla guardare meglio prima di chiamarla con tono irritato:

“Audrey!”
“Shh! Sto leggendo.”

“Ma tu stai sempre leggendo! Ah, basta, vado a farmi un giro.”
“Era ora.”
“Se proprio ci tieni non ti disturberò più.”
“Fantastico.”

Erik annuì e lasciò la Sala Comune a passo di marcia, ripromettendosi di non rivolgere più attenzioni alla ragazza. Anche se, quella stessa sera, erano di nuovo seduti uno accanto all’altra in Sala Grande a sghignazzare di qualche povera vittima designata.


*


Faye stava andando all’ufficio di Alecto quando s’imbatté in una donna che lasciò la stanza proprio in quel momento, dirigendosi a passo di marcia verso le scale.
Lo sguardo della ragazza indugiò inevitabilmente su di lei, studiandone il volto e salutandola quando le passò accanto, senza ricevere risposta. 
Del resto però ci era abituata, quando aveva a che fare con i Purosangue. 

Si voltò e la guardò allontanarsi prima di bussare brevemente ed entrare nella stanza con una strana sensazione di fastidio all’altezza dello stomaco, ma si disse di ignorarla quando entrò nella stanza e posò lo sguardo su Carmilla, che stava trangugiando un po’ di Pozione Polisucco da una fiala.

“Ciao. Sono venuta per i ragazzi, ma ho pensato di passare… Come va?”
“Ho avuto incarichi migliori. Insomma, guardami, mi sento un mostro! E questa roba ha un sapore pessimo, essenza di Carrow, che orrore.”

Carmilla accennò una smorfia e Faye sorrise appena mentre prendeva posto di fronte a lei, esitando prima di parlare:

“Allora… chi era quella donna?”
“La moglie di Cassius Nott, nonché la madre del genio che è stato malmenato da Hunter circa un mese fa. Come se non l’avesse meritato…”
“Le hai detto che nessuno sa niente?”
“Naturalmente, non vogliamo mettere Penny e Hunter nei guai dopotutto. E lei è stata abbastanza lucida da impedire ad Hound di imboccare una strada di non ritorno. Infondo non è successo niente di che, le acque si calmeranno presto. Ma sai come sono quelle persone, sarà un viziato cocco di mamma.”

Carmilla parlò con una palpabile nota di disprezzo nella voce mentre Faye, dopo aver esitato, le poneva un ultima domanda:

“Come si chiama? Lei, come si chiama?”
“Non so quale sia il cognome da nubile, di certo qualcuno delle Sacre 28… Ma il nome è Morrigan.”

Non erano molte, le cose che sapeva di sua madre. Sapeva che era circa coetanea di suo padre, che era Purosangue e anche se Edward non le aveva mai rivelato il nome o il cognome, una volta gli era sfuggito che l’iniziale era M.

Faye pensò alla donna che aveva visto poco prima: l’età poteva coincidere, dopotutto. 
Poteva davvero essere…

“Faye! Va tutto bene?”

La Tassorosso si riscosse leggermente sentendosi chiamare da Carmilla, che la guardava con leggera confusione nello sguardo. Faye però si affrettò ad annuire per poi alzarsi, decretando che era ora di raggiungere Nathan al piano di sotto.
La salutò brevemente e poi uscì dalla stanza quasi di corsa, come se non volesse parlare. 


*


“Oh, Dio, guardala… mi da’ i nervi.”

Audrey piegò le labbra in una smorfia mentre lanciava occhiate di sbieco a sua sorella maggiore, che pareva divertirsi parecchio mentre chiacchierava con qualche studente di Durmstrang e di Beauxbatons. A Grace piaceva stare sotto i riflettori, dopotutto. 

Eri,  seduto accanto a lei, adocchiò a sua volta la Corvonero, più grande di lui di un anno, e si strinse nelle spalle prima di parlare con tono neutro, quasi indifferente:

“Ignorala.”
“Non capisco perché tutti ne siano così… ammaliati. Grace Simmons, la figlia perfetta, la studentessa perfetta, a me sembra solo un’oca, da qualche tempo a questa parte. Tutti preferiscono lei a me, a parte mio padre.”

La Serpeverde sbuffò con amarezza, distogliendo lo sguardo dalla sorella con espressione cupa, e Erik le sorrise, stringendole leggermente il braccio coperto dal vestito rosso che Audrey indossava:  

“Se ti può consolare, io preferisco te. Sei più simpatica, anche se hai un terribile carattere.”
“Beh, grazie. Anche tu sei terribile.”

“Certo, è per questo che ci piacciamo. Andiamo a saccheggiare il carrello dei dolci?”
“Ottima idea Murrey!”


*


Quinn scese le scale traballanti della facciata dell’edificio sospirando, sistemandosi il bavero del cappotto per proteggersi il viso dal freddo: 

“Tu pensi che abbia qualche idea?”

Aeron si strinse nelle spalle, infilandosi le mani nelle tasche prima di parlare:

“Non saprei, dice di no… e di solito Royal dice la verità.”
“Non posso credere che ci sia una talpa! Insomma, noi siamo i buoni, perché sabotarci?”
“Le persone agiscono per i motivi più disparati, Quinn, ed è difficile poter dire di conoscere veramente qualcuno, anche dopo anni. Abbi fede, lo troveremo.”

“Abbi fede un cavolo, la nostra copertura rischia di saltare da un momento all’altro e allora ci ritroveremo tutti in fila davanti a Tu-Sai-Chi per essere uccisi ad uno ad uno!”
“Abbiamo sempre saputo che una conclusione potrebbe essere questa, Quinn.”

Aeron si strinse nelle spalle, serafico, e Quinn scosse il capo, non riuscendo proprio a pensarla come l’amico in un momento simile. Era teso, molto teso. 

“Pensi mai che qualcuno, un giorno, potrà ucciderlo?”
“Tu-Sai-Chi? Beh, non è impossibile. Forse poco probabile, ma non impossibile, sono cose diverse. Tutti gli Horcrux sono stati distrutti durante la guerra, Neville Paciock ci ha fatto un favore immenso uccidendo quel serpente infernale… E poi sono passati dieci anni, Quinn, è vecchio. Nessuno resta invincibile in eterno.”
“Silente ha vissuto quasi per 120 anni, se aspettiamo che muoia da solo potremmo arrivare NOI alla vecchiaia!”

“Vero, molti maghi vivono molto a lungo, ben più dei Babbani… ma Tu-Sai-Chi ha già giocato troppe volte con la vita, la morte e l’anima in passato, pensi davvero che non ci sia un prezzo? Dubito che vivrebbe in ogni caso quanto Silente o Grindelwald.”

Quinn non disse nulla per qualche istante, limitandosi a scuotere debolmente il capo prima di sospirare:

“Io so solo che sono stanco, Aeron. E infondo è un uomo anche lui, basterebbe un veleno, un Avada Kedavra… non è così impossibile. E se c’è qualcuno che può porre fine a tutto questo definitivamente, è lì dentro.”

Quinn accennò all’edificio che avevano appena lasciato e Aeron non rispose, limitandosi a continuare a camminare anche se, infondo, era d’accordo con lui.


*


Audrey piangeva, rannicchiata in un angolo del bagno delle ragazze tenendo una lettera tra le mani.
Non piangeva spesso, fin da bambina, ma tutta la tensione accumulata nei mesi precedenti la portò ad esplodere quella sera, quando lesse la lettera di sua madre.
Lettera attraverso cui Maria le comunicava che suo padre era stato ucciso durante una missione.

La ragazza venne scossa da un singhiozzo e si portò una mano tremante al viso per asciugarsi le lacrime. In quel momento avrebbe voluto solo essere a casa, con sua madre, non in quel castello che ormai era quasi arrivata ad odiare.

Sentì la porta aprirsi con un cigolio e la Serpeverde imprecò mentalmente – non sopportava che la si vedesse piangere – mentre un ragazzo a lei piuttosto familiare metteva piede nel bagno, guardandosi intorno con la fronte aggrottata prima che i suoi occhi si posassero su di lei. 

“Audrey?”
Haze sembrò sorpreso di vederla e dopo un attimo di esitazione le si avvicinò, fermandosi davanti alla ragazza:

“Va… Va tutto bene? Mi è sembrato di sentire qualcuno e sono entrato. Vuoi che chiami Murrey?”
“Sto bene. E no, non farlo.”

Audrey scosse debolmente il capo, evitando di guardarlo mentre il Corvonero si inginocchiava lentamente per sedersi accanto a lei, un po’ a disagio: non se la cavava poi così bene in situazioni di quel tipo. 

“Ti dispiace se resto qui per un po’?”
“No.”

Haze abbozzò un sorriso e annuì, senza aggiungere altro. Appoggiò il capo contro la parete e tacque, preferendo non chiederle nulla: seppe che suo padre era morto solo qualche giorno dopo, fu Erik a dirglielo, ma quella sera Haze preferì non indagare oltre.
E anche se non glielo disse, Audrey gliene fu infinitamente grata.


*


“Maxine, ti ho detto che ho una questione personale da risolvere!”
“E io ti ripeto che non ti libererai facilmente di me, specie se non mi dai spiegazioni soddisfacenti. Ha a che fare con la donna che ho già visto l’altro giorno?”

Erik smise improvvisamente di camminare, fermandosi di scatto sul marciapiede e voltandosi verso di lei con gli occhi azzurri ridotti a due fessure:

“Tu che ne sai?”
“Niente, ma non sono cieca. Ho la sensazione che tu stia nascondendo qualcosa. Aveva un’aria familiare, chi era?”

“Non sono affari tuoi, Maxine, ma lusingato che tu sia gelosa. Ora, se vuoi scusarmi…”
Erik si voltò e si diresse a passo di marcia verso l’ingresso di un bar mentre, alle sue spalle, Max borbottava che non era affatto gelosia, solo curiosità mista ad un brutto presentimento, prima di affettarsi a seguirlo. Erik però non aveva ancora raggiunto la porta quando Maxine scorse esattamente la donna che aveva visto un paio di giorni prima. 
Ebbe, tuttavia, modo di osservarla meglio mentre si fermava di fronte all’ex Serpeverde, inclinando le labbra carnose in un sorrisetto:

“Ciao guapo. Hai portato compagnia?”
“Diciamo piuttosto che mi ha seguito… Keenan, so di chiederti molto, ma cerca di tenere a freno la lingua, ok?”

Max aprì la bocca, indignata e pronta a replicare, ma non ne ebbe il modo visto che la donna sorrise e le tese la mano:

“Come se sopportarti fosse semplice, papi. Io sono Grace, comunque.”

Erik sibilò di non chiamarlo in quel modo ma Max non ci fece caso, troppo impegnata a spalancare gli occhi chiari mentre un’improvvisa consapevolezza si faceva largo nella sua testa: ecco perché le era familiare, sia perché l’aveva vista diverse volte sia in foto sia in passato, sia per la discreta somiglianza tra lei e la sua amica. Avevano gli stessi occhi verdi, la pelle olivastra e i capelli castano chiaro.

“Grace? Tu sei… Sei la sorella di Audrey! Lei lo sa? ERIK!”
“Cosa ti ho detto sul tenere la bocca chiusa?!”

“No, Audrey non sa che sono a Londra, credo che il nostro amico volesse parlarmi proprio di questo.”
“Sì, ma ora entriamo, mi sento stupido qui sulla soglia.”

Erik sbuffò e si affrettò ad entrare, seguito da Grace che abbozzò un sorriso, guardandolo con aria divertita mentre teneva le mani nelle tasche del cappotto nero:

“Non sei cambiato molto. Anche se ti ricordavo più alto…”
“Ecco perché indosso un cappotto lungo e vado in giro con una tipa bassa…” (Se riconoscete la citazione vi dico l’identità della talpa Nda)

“Sarei io la tipa bassa?!”




“Erik, so che vuoi molto bene ad Audrey e che non vuoi che soffra, ma perché non le hai detto che sua sorella è qui? Deve saperlo!”
“Vederla la farà soffrire molto, Maxine, fidati. E non perché le sia mancata negli ultimi quattro anni, non si parlavano praticamente più comunque, ma per Henry. Grace decide che non vuole avere figli, sparisce in cerca di una vita migliore e lascia suo figlio a sua sorella e a sua madre come un pacco postale. Audrey se ne è presa la responsabilità, lo ha cresciuto e lo adora, ora salta fuori Grace che vuole, forse, riprenderselo? Immagina come reagirebbe se le togliessero Henry, Max. Volevo convincere Grace ad andarsene di nuovo, ma lei insiste per vedere Audrey, e quelle due sono testarde allo stesso modo…”

Erik sbuffò mentre camminava sul marciapiede con le mani nelle tasche, lo sguardo basso e pensieroso e Maxine accanto, che invece accennò un sorriso con le labbra e lo guardò quasi con divertimento:

“Sai, è bello vederti fuori dallo schema Uomo Ghiaccio ogni tanto, si vede che le sei molto affezionato.”
Per una volta Erik non replicò, limitandosi ad inarcare un sopracciglio e a guardarla come se avesse detto un’ovvietà:
“Certo. La mia sorellina se n’è andata, di chi altro dovrei prendermi cura?”



*


Audrey voleva bene a sua madre, ma non aveva mai avuto con Maria lo stesso rapporto che aveva avuto con Henry, suo padre. Erano molto simili, lei era la sua principessina e sembrava l’unico a preferire lei alla figlia maggiore, o a capire quanto fosse in realtà sensibile sotto il sarcasmo e il cinismo.

La sua perdita fu devastante per tutta la famiglia ma forse per Audrey in misura maggiore, e se Henry era sempre stato il collante che le aveva unite, la sua morte finì con l’allontanare ulteriormente lei e Grace.
Alla fine del suo sesto anno Harry Potter morì, solo pochi mesi dopo la morte di suo padre, e mentre lei venne mandata al Covenant quasi subito dopo insieme a molti dei suoi ex compagni di scuola Grace non ebbe la stessa sorte, limitandosi ad aiutare la madre al ristorante.

A differenza della sorella, che aveva a mala pena concluso il sesto anno, Grace aveva fatto in tempo a Diplomarsi e la madre non faceva che ripetere quanto la sua istruzione fosse andata sprecata. Audrey preferì non far mai notare a voce alta quanto avrebbe preferito fare a cambio, lasciare che la sorella maggiore diventasse una specie di sicario al suo posto.

O almeno finché, di punto in bianco, Grace non sparì per circa quattro mesi, nel 2005.
Maria si disperò, ma Audrey sapeva, in cuor suo, che stava bene e che sarebbe tornata, presto o tardi. La rividero una mattina di Marzo, quando si presentò alla porta senza preavviso e lasciando madre e sorella di stucco: non era sola, aveva un bambino molto piccolo stretto tra le braccia.

Disse che era nato nato cinque giorni prima, il 3 Marzo, disse che non poteva rendersene cura e che le dispiaceva, ma doveva andarsene.
Audrey non avrebbe mai dimenticato il momento in cui la sorella mise il figlio tra le braccia di sua madre – a dir poco spiazzata – per poi andarsene senza aggiungere altro o dar loro il tempo di realizzare appieno cosa stesse succedendo. 

Fu quando il bambino iniziò a piangere che Audrey si risvegliò da quello stato di trance, capendo perché la sorella era sparita. Si voltò e guardò sua madre, accennando al bambino prima di parlare freddamente:

“Ecco il ringraziamento della tua figlia perfetta per tutto ciò che hai fatto per lei.”


*


Haze non vedeva o sentiva Rain da quasi due giorni, e malgrado inizialmente non l’avesse cercata a causa del suo forte orgoglio, stava iniziando a preoccuparsi.
Avevano discusso, se n’era andata sbattendo la porta e da allora non l’aveva più vista, da quando aveva insistito per parlargli di una cosa “cosa importante”.

La Grifondoro gli aveva raccontato di aver visto Yaxley e che il Mangiamorte, pressoché in brodo di giuggiole, l’aveva informata di aver ricevuto un biglietto, anonimo, che diceva che c’era la possibilità che qualcuno avrebbe cercato di sabotare la dogana, forse per permettere a delle persone di lasciare il Paese senza i dovuti permessi, che venivano concessi molto di rado.

Rain non ci aveva pensato due volte prima di mandare una lettera ad Aeron e dirgli di sospendere l’intera operazione, ma non poteva fare a meno di pensare a quanto fossero andati vicini a farsi scoprire.

“Rain, sappiamo che c’è qualcuno che passa informazioni, no? Non mi stupisce questo biglietto… e se ora queste soffiate verranno mandate solo a Yaxley e non ad “Alecto”, significa che questa persona sa che non è davvero lei. Ergo, con ogni probabilità è uno di noi.”
“E perché non ti scomponi? Come fai a reagire così, Haze?!”

Avevano discusso, e la cugina aveva detto delle cose che indussero Haze a chiederle se per caso non pensasse che si trattasse proprio di lui. Rain non aveva riposto, era rimasta in silenzio, e allora il Corvonero aveva iniziato a perdere le staffe. Suo padre glielo aveva ripetuto per anni, di essere troppo irascibile.

“Mi stai forse accusando di qualcosa, cugina?!”
Haze si era alzato in piedi, piazzandosi di fronte a lei e osservandola con gli occhi castano-verdi carichi di una luce pericolosa. Malgrado fosse stata ritenuta spesso una ragazza mite e a volte persino sciocca, Rain non mancava mai di fronteggiare suo cugino quando discutevano, fin da piccoli. Era una delle rare occasioni in cui non si presentava con un sorriso gentile sul volto.

“Io spero solo, Haze, che questo forte e malsano desiderio di vendetta che provi da anni non ti abbia spinto – e non ti stia spingendo – a fare cose di cui potresti pentirti.”
“Allora ti consiglio caldamente di andartene, Rain, altrimenti potrei dire cose di cui potrei pentirmi.”

Rain l’aveva ascoltato, se n’era andata sbattendo la porta da allora non l’aveva più vista, ma sperava che potessero fare pace in fretta, come sempre, e di convincerla che non c’entrava nulla con quelle soffiate ai Mangiamorte.


Haze sospirò e, dopo essersi infilato la giacca, decise che sarebbe andato a cercare sua cugina per parlarle. Non era raro che discutessero, ma facevano sempre pace, dopotutto.


*


Audrey, seduta su una sedia, teneva gli occhi fissi sul bambino – aveva deciso di chiamarlo Henry, come suo padre – mentre gli dava il biberon e Erik, davanti a lei, misurava la stanza a grandi passi.

“Non posso credere che l’abbia fatto!”
“Io sì, è mia sorella. Egoista è il suo secondo nome… e Dio solo sa chi è suo padre. Henry non ha gli occhi di famiglia, devono essere i suoi... Secondo te è un Babbana ?”

“Tua sorella sè n’è andata di corsa, non è improbabile che sia un Mago. Un Purosangue, forse, le unioni tra Mezzosangue e purosangue sono proibite, del resto. Merlino, un bambino… ma perché non ve lo ha detto?!”

“Nascondersi è più facile. Abbassa la voce, lo agiti.”

Audrey parlò in un sussurro, sfiorando la nuca del bambino mentre Erik si fermava, sbuffava e si lasciava svicolare su una sedia con un sospiro:

“Che cosa farai?”
“È mio nipote, non lo posso abbandonare. Anche se… non credo di poterlo fare, Erik. Insomma, sono stata praticamente addestrata per uccidere, non credo di avere le “credenziali” giuste per crescere un bambino!”

“Noi uccidiamo perché costretti, Audrey, non lo fai per piacere o desiderio personale. Se vuoi tenerlo con te lo devi fare.”
“Non posso, non… non posso farlo da sola, è già tutto abbastanza difficile senza un bambino a cui pensare!”

“Non sei sola. Ci sono io, ok? Ci sarò sempre, per te… sarò lo zio Erik.” Erik le sorrise e Audrey, nonostante tutto, non poté fare a meno di imitarlo, annuendo e parlando con un tono che trasudava gratitudine, affetto e forse un po’ di commozione:

“Zio Erik e zia Audrey, se questo bambino crescerà sano di mente sarà un miracolo.” 

Rise, Erik, ma Audrey non lo imitò, facendogli semplicemente cenno di avvicinarsi per abbracciarlo con Henry ancora tra le braccia.

“Sei il fratello che non ho avuto, lo sai? Emily era fortunata.”
Erik piegò le labbra in un sorriso carico d’amarezza e non rispose, chiedendosi se la sorella l’avesse pensata allo stesso modo, nei suoi confronti.


*


Max era piombata in casa annunciando che avrebbe sequestrato Henry per il pomeriggio e Audrey, ormai abituata alle stranezze dell’amica, non si era scomposta particolarmente quando l’amica aveva cercato di convincere Henry ad andare con lei e ad abbandonare i suoi trenini. 
Il bambino aveva sfoggiato gli occhioni da cucciolo e si era voltato verso Audrey, indicandola e parlando con tono speranzoso:

“Può venire anche Tía Odri?”
“No, devi venire solo tu.”
“Ma…”

Max, che non aveva nessuna intenzione di perdere tempo – aveva garantito di portare via Henry in modo che Audrey fosse sola in casa – si chinò leggermente verso il bambino e, guardandolo dritto negli occhi, sfoderò il pezzo da novanta:

“Cucciolo, se vieni con la zia Max… ti farò vedere una scimmia dal pelo color argento che diventa invisibile.”

Henry spalancò gli occhi, meravigliato, dischiuse la bocca in una piccola O e si lasciò prendere in braccio dalla Grifondoro, che parve piuttosto soddisfatta:

“Benissimo. Audrey, te lo riporto più tardi.”
“D’accordo, nessun problema… aspetta, prenderà freddo! Ma perché hai così fretta?”

Audrey rivolse un’occhiata dubbiosa all’amica, che si strinse nelle spalle, serafica, mentre Audrey prendeva il berretto, i guantini e minuscolo piumino del bambino, aiutando Max a infilarglieli prima di salutare il nipotino, che le sorrise allegro e la salutò con la manina guantata:

“Ciao Tía, vado a vedere la scimmia invisibile!”
“Ciao amore… Max, non dargli niente da mangiare che non sia già pronto!”
“Tranquilla, non lo avvelenerò! Ciao!”

“Ciao…”
Audrey guardò l’amica uscire di casa in fretta e furia con un sopracciglio inarcato, piuttosto confusa dalla sua fretta: in genere si spaparanzava sul divano e la rimproverava per la sua inospitalità finché non le preparava il the con tanto di dolcetti. Che avesse forse architettato qualcosa? Trattandosi di Maxine, non c’era mai da stare tranquilli, non del tutto.


E Audrey capì di non essersi sbagliata quando, pochi minuti dopo, sentì dei passi sulle scale prima di udire la porta aprirsi, lentamente.

“Possibile che lasci sempre la porta aperta? Hai scordato qualcosa?”
Audrey si alzò dal divano con uno sbuffò, lasciò il giornale e si diresse verso la porta a passo di marcia. 

Tuttavia si fermò, come pietrificata, a pochi passi da essa quando non si trovò davanti la sua amica, bensì una donna che non vedeva da quasi quattro anni. 
Una donna che le sorrise appena, gli occhi verdi – molto simili ai suoi – fissi su di lei mentre stringeva un paio di guanti di pelle tra le mani.

“Hola Audrey.”


*


Audrey gli stava dando da mangiare quando Henry parlò per la prima volta. All’improvviso le sorrise e pronunciò allegramente un paio di sillabe che la fecero impallidire e bloccare la mano che reggeva il cucchiaino di plastica a mezz’aria:

“Mam-ma!”
Audrey per qualche istante non si mosse, limitandosi a tenere gli occhi verdi fissi sul nipotino, che allungò le braccine verso di lei come per attirare la sua intenzione, forse pensando che non l’avesse sentita. Così, parlò di nuovo, questa volta con una voce ancora più squillante:

“Mam-ma!”
Audrey sospirò, appoggiando lentamente il cucchiaio sul piattino prima di scuotere il capo, senza prenderlo in braccio e limitandosi a guardarlo con sguardo vacuo:

“Non… non sono la tua mamma, tesoro.”
“Mamà!” 

Henry aggrottò la fronte, quasi offeso di non ricevere considerazione prima di iniziare a scalciare sul seggiolino, muovendosi come se volesse sgusciarne fuori e prendendo a lamentarsi sommessamente.
Audrey si morse il labbro, scuotendo di nuovo la testa prima di parlare in un sussurro mentre lo sollevava, sistemandoselo in grembo:

“No mijo, no soy mamà. Soy Tía Audrey.”
Henry, non potendo comprendere le sue parole, le sorrise vivacemente, gli occhi scuri luccicanti mentre le metteva entrambe le manine sul viso, anche se per una volta la zia non ricambiò il sorriso e rimase terribilmente seria, guardandolo quasi con un po’ di malinconia. 

Sapeva che quel giorno sarebbe arrivato dopotutto… ma no, lei non era sua madre, e non si sarebbe mai potuta far chiamare così dal bambino, per quanto lo adorasse. Non era corretto, e temeva di continuo che sua sorella potesse ricomparire dal nulla e portarglielo via. 


*


Sedevano una di fronte all’altra, al tavolo della cucina. Audrey non aveva ancora detto una parola, si limitava a studiare il volto della sorella maggiore, che non appariva nemmeno particolarmente a disagio. Nemmeno Audrey era a disagio. Era arrabbiata, più che altro.

“Entonces. ¿Qué estás haciendo aquí, Grace, que quieres? ¿Has terminado el dinero, donde sea que hayas escapada?”

“No es por el dinero. Ahora vivo en Espana, Audrey… Y creo que podría llevar a mi hijo conmigo.”

Grace non battè ciglio mentre, invece, Audrey abbozzò un sorriso tetro. Aveva sempre immaginato quel momento, dopotutto. I suoi occhi saettarono sulla mano sinistra della sorella, e allora rise appena, una risata priva di gioia:

“Estas casada. ¿De recente entendiste que querías una familia, Grace? E forse mi dirai chi è suo padre, finalmente.”
“Non credo che ti riguardi, Audrey.”
“Oh, mi riguarda eccome, visto che l’ho tirato su IO! Fare il genitore non è un cavolo di lavoro part time, sorella, è un fottutissimo lavoro a tempo pieno che tu hai deciso di non aver voglia di fare quando è nato. Così hai pensato bene di lasciarcelo come un pacco postale e poi sei sparita di nuovo, senza nemmeno dirci come chiamarlo o chi fosse il padre. La povera Grace voleva una vita migliore, e scappare in Spagna sarebbe stato più difficile con un bambino piccolo a carico, vero? Sei sempre stata schifosamente egoista, ma quel giorno hai superato un limite.”

“Audrey…”

“CALLATE TU BOCA. Sei sparita per mesi, ricompari con un bambino e scappi di nuovo, non mi hai mai dato modo di dirti quello che penso, quindi ORA ho tutta l’intenzione di farlo.”

La minore, senza staccare gli occhi dal volto della sorella, appoggiò entrambe le mani sul tavolo con un gesto secco, esitando prima di continuare.  Ad entrambe le sorelle era sempre piaciuto avere l’ultima parola, specie quando discutevano tra loro, e Audrey quasi si stupì nel non sentire la sorella replicare. Grace si limitò a guardarla, in silenzio, e per un attimo la minore si chiese se non si sentisse in colpa per le sue azioni, che avevano avuto ripercussioni non indifferenti su di lei, ma anche sulla madre. 

“Non so che cosa ti sia successo negli ultimi anni, non lo so e non voglio saperlo, la tua vita non mi interessa. Ma di tuo figlio sì, mi importa tremendamente, e spero che tu non sia così irragionevole e stupida da pensare di poter ricomparire dopo quasi quattro anni e dirgli che ha improvvisamente una madre.”
“Che cosa gli hai detto dei suoi genitori?”
“Niente. È ancora piccolo, non fa molte domande. E ti assicuro che con me non sta benissimo. Cristo, Grace, non avevi nemmeno pensato ad un nome, hai mai anche solo pensato di tenerlo?! E non hai pensato a quanto sarebbe stato difficile crescere non un bambino qualunque, ma TUO figlio?”

“Audrey, era una situazione difficile e non ero sicuramente pronta per fare la madre…”
“Oh, perché, io sì, secondo te?! Avevo 23 anni, pensi che lo fossi?! No, affatto, ma è così che funziona, ti ritrovi un esserino tra le braccia e te ne occupi, è una TUA responsabilità. E mai, mai una lettera, in tutti questi anni. Ti sei mai chiesta come stesse, almeno?!”

“Molte volte. E mi dispiace di essere sparita del tutto, ma non volevi che mi rintracciassi, mi avresti costretta a tornare e non ero pronta a farlo.”

“Beh, come ho detto non lo ero nemmeno io, ma ho fatto quello che dovevo, e ormai se mi occupo di Henry è solo per lui, non certo per te.”   Le sue parole trasudarono un disprezzo che covava da anni e Grace, sollevando lo sguardo, si ritrovò i gelidi occhi verdi della sorella puntati addosso. Sapeva che avrebbe reagito così, dopotutto, e il timore di affrontare lei e sua madre era uno dei motivi che l’aveva trattenuta per tanto tempo.

“Lo hai chiamato Henry?”
“Certo.”

Grace annuì prima di sospirare, passandosi una mano tra i capelli per poi parlare:

“Capisco che tu sia arrabbiata, hai ragione. Ma se sono qui non è per chiederti qualcosa, so che hai già fatto moltissimo… e te ne sono grata, davvero. E vorrei solo vederlo e portarlo con me.”
“No.”
“Come?”
“No. Henry non viene da nessuna parte, non con te. Vuoi fare la madre? Vai a farti ingravidare, sei brava in questo dopotutto… e sei brava anche a non prenderti le tue responsabilità, lo hai fatto finora, continua pure. Torna in Spagna, Grace, non mi importa.”
Il tono gelido di Audrey non vacillò, e continuò a guardare la sorella quasi con sfida mentre Grace, muovendosi sulla sedia per sporgersi leggermente verso di lei, serrava la mascella aggrottando leggermente la fronte:
“Audrey, non hai il diritto di…”

“Tu hai perso ogni diritto su quel bambino quando hai preferito rifarti una vita altrove per sfuggire alla fatica e alla sofferenza a tuo figlio. Non l’ho partorito, ma per il resto sono sua madre più di quanto non lo sia tu. E sono sicura che se lo chiedessi a lui non ci penserebbe due volte prima di dirti che vuole stare qui con me.”

“Non sa cosa è meglio per lui, Audrey. Vuoi davvero che cresca QUI, così?”
“Non girare la frittata, Grace, tu ti senti solo in colpa, probabilmente, non ti importava cosa sarebbe stato meglio per lui quando è nato, ma solo cosa sarebbe stato meglio per te! Non funziona così, tesoro, non mi molli tuo figlio per poi rifarti viva dopo più di tre anni, lasciare che io mi ci affezioni e poi pretenderlo indietro, non è un gatto, Henry resterà con me.”
“Sono sua madre, non ti devo chiedere il permesso.”

Audrey si sporse leggermente per avvicinare il volto a quello della sorella, parlando senza staccare gli occhi dai suoi e dal volto di Grace, che non si mosse:

“Provaci. Provaci Grace, portami via il bambino, vedrai di cosa sono capace. Tu non mi conosci affatto, ormai. Non ne hai idea. È forse una delle poche cose che mi spinge ad andare avanti, non ti permetterò di portarmela via.”


*


“Avanti, vieni qui… Ma come sei bravo! Su, vieni da Tía.”

Audrey inginocchiata sul pavimento del corridoio, sorrise e si diede qualche colpetto sulle gambe per invitare il nipotino a raggiungerla, che stava barcollando verso di lei dopo aver mosso i suoi primi passi.
Henry, che aveva il ciuccio in bocca e aveva la fronte corrugata come se fosse concentrato, improvvisamente s’illuminò e sorrise, allungando le braccine verso verso di lei prima di avvicinarlesi più rapidamente.

“Attento a non inciampare… Ecco, bravo mi amor! Adesso cammini, sei un ometto ormai!”
Audrey rise mentre guardava il bambino incespicare mentre la raggiungeva, crollando definitivamente tra le sue braccia poco dopo, prima che Audrey si alzasse prendendolo in braccio:

“Già, sei un ometto… ah, sono proprio una donna fortunata ad averti. Su, andiamo a fare merenda, te la sei meritata.”


*


Sua sorella se n’era andata da poco – o meglio, lei l’aveva sbattuta fuori – quando sentì bussare insistentemente alla porta. Pensò che fosse tornata, o che magari fosse Erik che voleva parlarle – sì, aveva tutta l’intenzione di fare un bel discorsetto al suo migliore amico sul non averla avvertita di aver visto Grace a Londra –, per questo raggiunse la porta quasi a passo di marcia e l’aprí senza indugi. 
Si ritrovò, invece, a strabuzzare gli occhi con sincero stupore quando si trovò davanti Haze, visibilmente scosso, per giunta.

“Haze! Che cosa ci fai qui?”
“Rain.”

L’ex Corvonero deglutì a fatica e Audrey, aggrottando la fronte con preoccupazione crescente, si spostò per farlo passare, permettendogli di entrare prima di chiudergli la porta alle spalle.
Lui entrò ma rimase in piedi nell’ingresso, tremando leggermente e con gli occhi castano-verdi arrossati mentre parlava di nuovo, boccheggiando e con voce più bassa del solito:

“Io… Rain è…”
“Haze, respira e dimmi cosa succede. Vuoi sederti? Forse è meglio, vieni.”

Audrey lo spinse in salotto e lo fece sedere sul divano, dimenticandosi momentaneamente di sua sorella e di suo nipote. La strega, sempre più nervosa nel vederlo in quello stato per la prima volta da quando lo conosceva, sedette accanto a lui e gli mise una mano sulla spalla, parlando con il tono più gentile che le riuscì:

“Haze?”
Tuttavia Haze non parlò, limitandosi ad emettere un verso strozzato prima di chinarsi in avanti, prendendosi la testa tra le mani. Tremava e sembrava sull’orlo di un attacco di panico in piena regola, visto che sembrava faticare a respirare normalmente, e Audrey sospirò prima di circondargli le spalle con un braccio e spingerlo leggermente verso di sè fino a fargli appoggiare la testa sulla sua spalla, sfiorandogli i capelli con le dita per rassicurarlo.

Audrey non disse nulla, aspettò semplicemente che si calmasse mentre il perennemente controllato Haze Mallow quasi piangeva tra le due braccia. Poi, dopo quelli che le parvero interminabili minuti, un flebile mormorio lasciò le labbra del ragazzo:

“Ray… credo che Ray sia stata uccisa, Audrey.”


*


“Tìa?”
“Sì?”
“Perché non puoi essere la mia mamma?”

Audrey era seduta sul divano, in pigiama con un plaid sulle ginocchia, Duchessa acciambellata accanto a lei e Henry accanto, in pigiama a sua volta mentre l’abbracciava, godendosi le coccole. 
La strega abbassò lo sguardo sul bambino, continuando a sfiorargli i capelli castani con le dita mentre Henry la osservava con i grandi occhi scuri. 
Esitò, pensando a cosa rispondergli, ma poi sorrise dolcemente:

“Tesoro, non sono la tua mamma e basta. Sono Tía Audrey.”
“Ma io ti voglio come mamma.”
“Beh, viviamo insieme, è un po’ la stessa cosa… solo che non mi chiami mamma come faccio io con Abuela.”

Henry per tutta risposta nascose il viso contro il suo stomaco, chiedendole con voce ovattata se sarebbero rimasti sempre insieme lo stesso. Audrey a quelle parole sorrise, sollevandolo per abbracciarlo meglio prima di dire qualcosa a bassa voce, le labbra premute contro i suoi capelli:

“Claro mi amor. Siempre.”


*


“Faye?! Va tutto bene?”
Quinn uscì rapidamente dal camino, spolverandosi la cenere dalle spalle mentre si guardava intorno, cercando la ragazza con lo sguardo. Quando la vide raggomitolata sul divano e senza tracce di sangue su gambe o braccia si rilassò, avvicinandolesi per sedersi accanto a lei e sorriderle gentilmente:

“Ehy… che cosa c’è? Mi hai chiesto di venire subito perché era importante, mi sono preoccupato.”
L’ex Grifondoro allungò una mano per accarezzarle uno zigomo e Faye chiuse gli occhi a quel tocco, inclinando leggermente la testa per permettergli di accarezzarle il viso. 

Quando, poco dopo, Faye li riaprì si ritrovò gli occhi azzurrissimi di Quinn ancora puntati addosso, guardandola in attesa di una risposta che arrivò un attimo dopo, quando Faye parlò con un filo di voce:

“Ecco, io… potrei aver trovato mia madre. Credo che sia Morrigan Nott.”


*


“Non hai un nome spagnolo.”
“Come?”

Audrey distolse lo sguardo da Henry – impegnato ad inseguire un’oca nel parco – per rivolgersi a Haze che, seduto accanto a lei sulla panchina, la stava osservando con leggera curiosità negli occhi castano-verdi:

“Non hai un nome spagnolo… eppure tua madre è…”
“Messicana.”
“Tuo padre era inglese?”
“Sì. Si sono conosciuti qui, mia madre è venuta a vivere qui a vent’anni… e per imparare l’inglese guardava un mucchio di film in lingua originale. I suoi preferiti sono quelli di Audrey Hepburn e Grace Kelly, così ha chiamato le sue figlie così, diceva che nomi spagnoli avrebbero stonato con il cognome.” 

Audrey si strinse nelle spalle mentre si voltava di muoversi verso Henry – intimandogli di lasciar perdere l’oca – e Haze annuì, sorridendo appena:

“Sono bei nomi. Il tuo è poco comune.”
“Sì, ma mia sorella era ben felice di chiamarsi “Grace”, le piaceva l’idea di avere il nome di una Principessa… anche se, in effetti, mia madre per me era indecisa tra Audrey e Diana.”
“In quel caso sareste state due vere e proprie piccole principesse.”

Haze sorrise e Audrey si strinse nelle spalle, mormorando qualcosa a bassa voce mentre chinava il capo, osservandosi i piedi:

“Oh, lei lo era agli occhi di tutti.” 
“Lui sa niente di sua madre?”
“No, è ancora piccolo. E per quanto mi riguarda, ne saprà il meno possibile.”

Audrey accennò una smorfia con le labbra, e Haze riconobbe lo stesso tono freddo che lui usava quando parlava di sua madre. La sorella di Audrey aveva un paio d’anni in più rispetto a loro e la ricordava solo vagamente dai tempi di Hogwarts, non l’aveva mai conosciuta davvero, ma se lei ne parlava in quel modo era certo che aveva tutte le sue buone ragioni per disprezzarla. Proprio come lui.


*


Si lasciò sfuggire un singhiozzo senza volerlo e Henry si svegliò, rotolando su se stesso per guardarla in faccia con leggera confusione dipinta sul visino:

“Perché piangi Tía?”
“È stato una brutta giornata amore.” Audrey abbozzò un sorriso forzato, sfiorandogli il viso con le dita mentre il bambino spalancava leggermente gli occhi:
“È perché sono andato da Tía Max invece di stare con te?” 

“No mijo, non è colpa tua. Puoi andare da Max quando vuoi, tanto resterai comunque con me.”

Con quelle parole Audrey lo abbracciò, attirandolo a sè e appoggiando il mento sul suo capo, lasciandosi solleticare dai suoi capelli. Si morse il labbro, cercando di non piangere davanti a lui malgrado avesse tremendamente voglia di sfogarsi.
Non le importava se era sua madre, non avrebbe mai permesso a sua sorella di portarlo con sè, lontano da lei.






………………………………………………………………………….
Angolo Autrice: 

Buonasera! 
Perdonate il ritardo, ma sono tornata a casa solo stanotte e questa giornata è alquanto frenetica, quindi mi ritrovo a pubblicare il capitolo solo ora. Spero che vi sia piaciuto, i nomi per il prossimo sono i seguenti:

-    Quinn
-    Nathan 
-    Haze 

E questa, infine, è Grace:
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A presto con il seguito! 
Signorina Granger 

Ps per chi partecipa a Magisterium: il capitolo arriverà tra domani e sabato. 

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Capitolo 16
*** Haze Rashid Mallow ***


Capitolo 14: Haze Rashid Mallow

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Quando, tornato a casa, Ice Mallow seppe da un Elfo Domestico che sua moglie, Azura, se n’era andata corse nella loro camera da letto, al piano di sopra. 
La stanza appariva più spoglia del solito e il mago non ci mise molto a comprenderne il motivo: tutte le cose della moglie erano sparite, i cassetti aperti, le ante dell’armadio vuoto spalancate.

Lentamente, Ice si avvicinò alla culla sistemata accanto al letto e le labbra gli si inclinarono in un sorriso carico di sollievo quando vi trovò dentro il piccolo Haze, che sonnecchiava placidamente.
Il mago allungò una mano per sfiorare il viso del foglio prima di lasciarsi scivolare sul letto e sospirare, gli occhi fissi sul vetro della grande finestra sul cui vetro s’abbattevano grosse gocce di pioggia. 

Azura se n’era andata davvero. 
Ma la colpa, in parte, era solo sua.


*


Faceva freddo e pioveva, ma ad Haze sembrava non importare. 
Stava in piedi, sull’erba fradicia, lasciando che le gocce di pioggia gli bagnassero i vestiti e i capelli, scivolando dalla fronte fino al mento come delle lacrime.
 
Haze non si muoveva, e non prestava nemmeno particolare attenzione alle persone che lo circondavano: teneva gli occhi fissi sulla lapide che aveva davanti. 
Anche suo zio Ace teneva gli occhi sulla lapide della tomba della figlia mentre teneva un ombrello aperto in mano e il braccio stretto intorno alla moglie Violet, che singhiozzava sulla sua spalla, ma Haze non aveva il coraggio di guardarlo in faccia: da quando suo padre era morto, dieci anni prima, suo zio si era preso cura di lui, lo aveva trattato come un figlio, gli aveva pagato la retta al Covenant. E lui lo aveva ripagato permettendo che uccidessero sua figlia. La sua unica, amatissima figlia.

Amatissima. Ecco cosa avrebbero dovuto scrivere sulla lapide, sotto il suo nome. Rain Mirabelle Mallow era sempre stata circondata da persone che l’amavano. Come si poteva non amarla, dopotutto? Era sempre forse l’unica in grado di sciogliere persino il suo cuore freddo.


Suo padre era morto, il suo migliore amico era morto, sua cugina era morta. 
Mai come in quei giorni Haze aveva odiato quella stupida guerra per avergli portato via praticamente tutte le persone che amava.




“Non posso credere che sia morta… è orribile. Povero Haze…”
Faye sospirò, gli occhi fissi su Haze – in piedi qualche metro davanti a lei – mentre teneva sottobraccio Quinn, che annuì senza staccare gli occhi chiarissimi dall’ex Corvonero:

“Lo so. Ma conoscendolo, credo che sia meglio… lasciarlo in pace.”
“Come è potuto succedere?!”

“L’ultima volta in cui l’abbiamo vista era sotto le sembianze di Alecto, Faye. Forse aveva scoperto qualcosa che non avrebbe dovuto sapere.”

Faye non disse nulla, ma sollevò lo sguardo per puntarlo sul ragazzo, un sopracciglio inarcato:

“Tipo cosa?”
“Non ne ho idea… forse qualcosa sulla nostra fantomatica talpa.”
Quinn sospirò, serafico, e Faye tornò a guardare Haze mordendosi il labbro inferiore. Ripensò a tutto ciò che si era detta dopo il suo colloquio con Yaxley, a come avrebbe dovuto diffidare di chiunque… Rain aveva davvero visto o scoperto qualcosa?
Disgraziatamente, non avrebbe mai potuto chiederglielo.


*


Haze teneva gli occhi fissi sullo spartito, leggendo le note con aria concentrata mentre le sue mani si muovevano rapidamente sui tasti lucidi. 
Il ragazzino aggrottò leggermente la fronte dalla concentrazione mentre qualcuno entrava nella stanza, ma il giovane pianista era troppo preso dalle note del Rondò Alla Turca di Mozart per udire i passi sul pavimento di marmo.

Si accorse di non essere più solo solo quando sua cugina sedette accanto a lui sullo sgabello, sorridendogli e canticchiando a voce bassa.

“Sei davvero bravo! Mi piace questa canzone.”
“È una sinfonia, Ray, non una canzone. Grazie, comunque.”

Haze si strinse nelle spalle, continuando ad osservare i tasti senza guardare la cugina, che continuò a sorridere vivacemente:

“A me non piace molto suonare, preferisco cantare… ma quando sarai ad Hogwarts mi mancherà sentirti.”
“A me mancherà suonare, molto. E mi mancherai anche tu.”

La bambina di otto anni sorrise, felice di quella rara dimostrazione d’affetto da parte del cugino mentre il ragazzino continuava a sfiorare i tasti con aria assorta.

“Anche tu mi mancherai. Mi scriverai ogni tanto?”
“Certo.”
“Bene! E mentre sarai via io farò la guardia al tuo piano, te lo prometto.”

Haze alzò lo sguardo sulla cugina e le sorrise appena, annuendo e mormorando un “grazie” prima che Rain lo abbracciasse.

Suo padre e suo zio avevano insistito affinché i figli studiassero musica, e Haze era grato al padre di quella decisione: aveva scoperto di amare tremendamente la musica nel momento in cui aveva sentito per la prima volta una melodia al piano, e fosse stato per lui non avrebbe mai smesso di ascoltarne altre.


*


“Haze?”

Quando si sentì sfiorare il braccio Haze parve riscuotersi, sbattendo le palpebre un paio di volte come se fosse appena tornato alla realtà. Tuttavia non si mosse, anzi, se possibile quel tocco – per quanto delicato – lo fece irrigidire ulteriormente prima di udire la voce di Audrey accanto a lui:

“Di questo passo ti prenderai una polmonite.”


Per la prima volta dopo quelle che gli erano sembrate ore Haze si voltò, distogliendo lo sguardo dalla lapide della cugina per posarlo sulla ragazza che ora era accanto a lui e puntava la bacchetta verso l’alto, creando una specie di ombrello invisibile che stava riparando entrambi dalla pioggia.
Audrey abbozzò un sorriso – e solo allora Haze si rese conto che gran parte delle persone che avevano preso parte al funerale se n’erano andate, segno che aveva effettivamente passato diverso tempo lì fermo sotto la pioggia –.

Haze non aprì bocca, i suoi occhi castano-verdi vagarono semplicemente sul volto familiare della collega, che parlò aumentando leggermente la pressione esercitata sul suo braccio coperto dalla manica fradicia del cappotto nero.

“Tuo zio sta andando via… vuoi andare con loro?”
“No.”
La risposta del ragazzo fu così brusca da far aggrottare leggermente la fronte di Audrey, che lo guardò con una nota di confusione negli occhi verdi:
“Dovresti stare con la tua famiglia, Haze…”

“No. Non posso.”
“… Ok. Vuoi restare qui, allora?”

“Tu va’, Audrey… si gela e devi tornare a casa da Henry…”
“Henry è da mia madre.”  Audrey si costrinse a sorridere – voleva aiutarlo, con tutta se stessa –, cercando di non pensare alla SUA famiglia e al nipotino che temeva di perdere. Haze se la stava passando molto peggio, dopotutto, per un giorno non avrebbe pensato a sua sorella… non l’aveva fatto per anni, non sarebbe stato difficile continuare.

“Se vuoi restare solo lo capisco, ma vuoi posso farti compagnia, mi puoi parlare per bene di cosa è successo l’ultima volta in cui vi siete parlati. A meno che tu non voglia aspettare, sarebbe perfettamente comprensibile.”
“No, non voglio aspettare. Non voglio perdere tempo, voglio sapere, capire cosa è successo.”

“Ok, allora… andiamo?”
“Andiamo.”

Haze annuì e si lasciò prendere sottobraccio dalla strega, seguendola quasi senza pensarci verso l’uscita del cimitero. Avrebbe voluto – e forse avrebbe dovuto – ringraziarla, ma non lo fece, limitandosi a lasciarsi guidare in silenzio.


*


Haze sapeva di essere nato in una famiglia importante e sapeva anche che sua nonna aveva “poteri” particolari, ma non aveva idea che quel matrimonio fosse costato il buon nome a suo nonno finché non giunse ad Hogwarts, dove in un paio di occasioni si sentì apostrofare come “traditore del suo sangue”.
Per quanto il giovane Corvonero fosse sveglio non capì, così durante le vacanze di Natale chiese spiegazioni a suo padre e a suo nonno, che con calma gli spiegarono che molte famiglie non avevano approvato, anni prima, la scelta di Frost di sposare una Banshee.

“Ma la nonna non è cattiva!”
“No, certo che no, ma questo molti non lo sanno. Spesso il non sapere spaventa molto, sai?”



Se c’era però qualcuno a cui non sembrava importare della condizione della sua famiglia era il suo amico Edric, che in un’occasione sentenziò con una scrollata di spalle che “non era nessuno per giudicare lui e la sua famiglia”.

Non era tipo da fare molte domande, Edric, e per questo ad Haze quel ragazzino piaceva, solo una volta, durante una lezione di Erbologia, il compagno si azzardò a chiedergli qualcosa di personale:


“Ho sentito degli idioti Serpeverde parlare di tua madre.”
“Che ne sanno loro di mia madre?!”
“Non ne ho idea… Lei dov’è? Non parli mai di lei.”

“Non lo so, non l’ho mai conosciuta, se n’è andata quando sono nato, non mi voleva. So solo che la sua è una famiglia importante, è una Shafiq.”
Haze parlò con tono aspro e sbrigativo – come se volesse chiudere in fretta l’argomento – mentre riempiva un vaso di terracotta di terriccio, schiacciandola e guardandola come se fosse colpa sua se sua madre l’aveva abbandonato.

Edric non disse nulla, si limitò ad annuire ed esitò prima di parlare, stringendosi nelle spalle:

“Beh, lascia perdere, tutti sembrano sempre alla ricerca di un pretesto per tormentare gli altri… dicono che io sia un po’ strano, per non parlare poi di Luna… ignorali, Haze.”


Edric liquidò il discorso con un rapido gesto della mano e Haze, anche se non disse nulla, provò ancora una volta un moto di gratitudine nei confronti dell’amico. Non era mai stato bravo a fare amicizia, ma infondo loro due si somigliavano molto.


*


Haze era piombato a casa sua stravolto, nel panico e farneticando di aver trovato Rain morta a casa sua, e una volta calmato Audrey lo aveva convinto ad aspettarla a casa sua, assicurandogli che sarebbe andata a vedere di persona cos’era successo.

In quelle condizioni Haze Mallow era pericoloso per se stesso quanto per il mondo intero e Audrey era stata piuttosto sollevata quando lo aveva visto annuire alle sue parole quasi distrattamente, come fosse stato in trance, abbandonato sul suo divano.


Aveva chiamato rapidamente Erik e si era persino trattenuta dall’ucciderlo per non averle parlato del ritorno di Grace, decidendo che Rain aveva la priorità sui suoi problemi familiari. Si erano recati insieme a casa della ragazza e lì l’avevano trovata, come aveva detto Haze. Morta, uccisa chiaramente da un Incantesimo. 

“Porca puttana…”
Il sussurro di Erik ruppe il silenzio che si era andato a creare da quando avevano messe piede dentro casa – trovando la porta socchiusa – mentre entrambi, fermi sulla soglia del corridoio, guardavano il corpo senza vita di Rain accasciato sul parquet, la bacchetta abbandonata accanto a lei, come se l’avesse tenuta in mano quando era stata uccisa.

“Erik, chiama Aeron, parla con gli altri, la faccenda ci sta decisamente sfuggendo di mano…”
“Non ti lascio da sola dopo quello che è successo a Rain!”

“Devo tornare a casa mia, c’è Haze! Lo sai com’è fatto, al momento è sotto shock ma quando si riprenderà darà di matto… per allora non voglio che sia solo.”


Audrey gli aveva impedito di uscire e scatenare il putiferio e alla fine, quando molto più tardi – dopo lunghe discussioni con i colleghi – era riuscita a tornare finalmente a casa lo aveva trovato dove lo aveva lasciato quando era tornata brevemente casa per lasciarci Henry insieme a Max: sfinito e addormentato sul suo letto.


Ora, Haze era di nuovo seduto sul suo divano, davanti al camino, mentre il calore asciugava i suoi vestiti fradici. Audrey stava facendo il thè e lui teneva gli occhi fissi sulla fotografia incorniciata che la ragazza teneva sopra al camino, che la ritraeva insieme ad Erik.

“Tu e Murrey avete una relazione?”

Parlò per la prima volta da quando avevano lasciato il cimitero e la sua voce risuonò roca nel salotto, forse perché negli ultimi due giorni aveva parlato ben poco, mentre Audrey lo raggiungeva tenendo una tazza in mano. La strega aggrottò la fronte sinceramente sorpresa da quella domanda, prima di scuotere il capo mentre gli porgeva la tazza:

“No. Lui è il mio… migliore amico. È come un fratello. Perché me lo chiedi?”
“Passate molto tempo insieme.”
“Beh, come ho detto, è come un fratello. Tieni.”

Haze distolse lo sguardo dalla foto per posarlo sulla tazza e infine su di lei, inarcando un sopracciglio:

“Non hai qualcosa di più forte?”

La strega sbuffò debolmente ma trasformo il thè in scotch con un colpo di bacchetta prima di sedersi accanto a lui con un sospiro:

“Ok… Quando sei venuto qui eri sconvolto, ora te la senti di raccontarmi? Rain ti aveva… detto qualcosa, ti era sembrata diversa, strana?”

Haze trangugiò il contenuto del bicchiere prima di rispondere, stringendolo tra le mani con una presa fin troppo salda e tenendo gli occhi fissi sul parquet:

“L’ultima volta in cui l’ho vista abbiamo discusso, poi ho deciso di andare a… chiarire. L’ho trovata così.”
“Avevate discusso?”
“Sì, beh, io ho un pessimo carattere, come ben sai. Avevamo discusso a riguardo della talpa, mi sembrava che stesse facendo delle… Allusioni su di me.”

Haze deglutì, cercando di non pensare al fatto che l’ultima conversazione avuta con sua cugina fosse stata una discussione, non se lo sarebbe mai perdonato, probabilmente.

“Sono sicura che non pensava che tu fossi la talpa, Haze. Rain ti adorava.”
Audrey sorrise, parlando con il tono più dolce che Haze le avesse mai sentito usare prima di voltarsi verso di lei, incontrando il suo sguardo:
“TU che ne pensi?”
“Nemmeno io lo penso. E se anche lo fossi, non le avresti mai fatto del male, lo so.”

“Non sono io. Non sono un santo, ma non farei mai una cosa del genere.”
“Lo so Haze. Lo so.”
Di nuovo, Audrey gli strinse il braccio e Haze abbassò lo sguardo sulla sua mano, chiedendosi se lo strano calore che sembrava irradiarsi proprio da essa fosse frutto della sua immaginazione o meno.

“Sei… sei sempre molto gentile con me. E fiduciosa.”
“Ti conosco da molto tempo.”  Audrey si strinse nelle spalle, continuando a guardarlo quasi con una luce divertita negli occhi verdi – come se le sue parole la intenerissero – mentre Haze, al contrario, quasi non capiva.
“Io non sono altrettanto fiducioso verso me stesso.”

“Non sei una persona cattiva. Come hai detto tu, hai un pessimo carattere, ma c’è una bella differenza.”

Haze sbuffò alle sue parole, distogliendo nuovamente lo sguardo e scuotendo leggermente il capo mene riempiva magicamente il bicchiere:
“Ho fatto centinaia di cose che le persone perbene non fanno.”
“Le abbiamo fatte tutti, Haze. Se la metti così, io sono colpevole tanto quanto te. Ma di tua spontanea volontà certe cose non le faresti mai, lo so. E lo sapeva anche Rain, ne sono certa.”


Audrey gli mise una mano sul viso per costringerlo a guardarla e Haze, semplicemente, lo fece. La guardò, i suoi occhi vagarono sui suoi lineamenti dolci, la pelle olivastra, i capelli che le incorniciavano il volto, gli occhi chiari e le labbra carnose leggermente dischiuse.

I suoi occhi indugiarono su di esse e quasi senza rendersene conto, lentamente, avvicinò il viso al suo per sfiorarle brevemente con le proprie, allontanandosi di nuovo per guardarla – mentre Audrey quasi tratteneva il fiato, non osando muoversi o dire nulla – prima di baciarla di nuovo. Il bicchiere gli scivolò dalle mani e cadde sul pavimento quando le prese il viso tra le mani, ma nessuno dei due ci fece caso.


Aveva immaginato quel momento così tante volte che mai si sarebbe sognata di farlo, ma fu Audrey ad interrompere quel bacio, mettendo le mani sul suo petto per allontanarlo leggermente da sè. 
La strega deglutì, certa che si sarebbe data dell’idiota per giorni per quel gesto, mentre Haze mugugnava qualcosa e si sporgeva leggermente cercando di nuovo le sue labbra, ma Audrey scosse il capo, scostandosi appena:

“No, Haze… Haze, credo che tu al momento non sia particolarmente lucido, hai appena perso Rain, sei a pezzi e io non voglio… non voglio che tu faccia qualcosa di cui magari domani, o più tardi, ti pentirai. Non lo sopporterei, quindi se vuoi fare finta che non sia mai successo va bene, ma dillo ora, ti prego.”

Haze la guardò, confuso dalle sue parole, e ci volle qualche istante affinché una strana consapevolezza lo colpisse: Audrey lo guardava quasi una nota speranzosa e malinconica allo stesso tempo negli occhi. 
Audrey Simmons era forse innamorata di lui da tempo?

Haze non rispose, limitandosi a baciarla brevemente di nuovo prima di dire qualcosa a bassa voce, sfiorandole i capelli castani con le dita e la fronte appoggiata contro la sua:

“Vorrei fingere che un mucchio di cose non siano mai successe, Audrey… ma non questo. Questo no.”


*


Haze aveva capito molto in fretta di amare la Stanza delle Necessità e si rammaricava di non averla scoperta prima, in tanti anni passati ad Hogwarts. In particolare, aveva gioito quando ci aveva trovato un pianoforte a coda un po’ impolverato davanti al quale ora era seduto: gli era sempre mancato molto suonare quando era a scuola.

Come sempre era così rapito dalle note che stava suonando che non si accorse dei passi in avvicinamento, percepì la presenza di Audrey accanto a sè solo quando udì la sua voce:

“Non sapevo che suonassi. Sei molto bravo.”
Il ragazzo smise bruscamente di suonare e sollevò lo sguardo, stringendosi nelle spalle prima di tornare a guardare i tasti:

“Mio padre ci ha fatto prendere lezioni, a me e a Rain.”

Mio padre

Haze si morse il labbro e fece per scusarsi – il padre di Audrey era morto solo un paio di settimane prima – ma la ragazza non sembrò averci fatto caso – o forse non lo diede a vedere – e sedette accanto a lui, abbozzando un sorriso:

“Mi sarebbe piaciuto imparare a suonare… mi fai sentire qualcosa?”

Haze si limitò ad annuire, indugiando con lo sguardo sul suo viso prima di riprendere a suonare.

Ripensò con un sorriso al suo “primo incontro” con la Serpeverde, quando al primo anno, in Biblioteca, lei aveva suggerito a voce alta a dei suoi compagni di andare a recitare le loro scemenze sul suo conto altrove visto che lì non interessavano a nessuno ma che, forse, la piovra gigante sarebbe stata felice di ascoltare.

Quel giorno aveva rivalutato quella Casa, in effetti.


*


Penny era seduta vicino alla finestra, osservando distrattamente la pioggia mentre stringeva le braccia al petto.
Sobbalzò e si voltò di scatto quando sentì una mano sfiorarle la spalla, ma si rilassò e abbozzò un sorriso quando i suoi occhi incontrarono quelli azzurri di Hunter, che ricambiò prima di sedersi accanto a lei:

“Ciao… come stai?”
“Sto pensando a Rain. È… incredibile che sia morta. Terribile.”

La bionda sospirò, pensando a quella Sentinella perennemente sorridente e, soprattutto, gentile che aveva avuto modo di conoscere negli ultimi due anni. 

“Già… e il peggio è che non sappiamo di preciso come, per lo meno con Edric si sapeva.”
“La situazione sta davvero sfuggendo di mano… mi chiedo chi sarà il prossimo.”
 
Penny sospirò con aria cupa e Hunter, per tutta risposta, le strinse un braccio intorno alle spalle, attirandola a sè per darle un bacio sulla tempia:

“Andrà tutto bene, non ti succederà niente. Te lo prometto.”

Penny si voltò di nuovo verso di lui e accennò un sorriso, quasi a volerlo ringraziare per le sue parole, ma non ebbe il tempo di dire nulla perché un suono di passi giunse alle loro orecchie e, un attimo dopo, Larisse fece la sua comparsa schiarendosi la voce. E non era sola.

“Scusate… Penny, Faye ti vuole parlare.”
“Oh, certo, ciao Faye.”

Faye ricambiò il saluto con un debole sorriso e Penny si alzò, scivolando dalla stretta di Hunter che osservò prima Larisse e poi Faye con sguardo indagatore.

“Hunter, ti dispiace? È importante.”
“… Ok.” Hunter non parve molto felice di farlo ma si alzò con un debole sbuffo, seguendo Larisse fuori dalla stanza con le mani in tasca e dopo essersi voltato per lanciare un’ultima occhiata alle due, mentre la Sentinella sedeva su una sedia. 


Una volta sole anche Penny sedette di nuovo e guardò la Sentinella con curiosità, le mani giunte e appoggiate sulle proprie gambe:


“Di cosa vuoi parlarmi?”
“Della famiglia per cui hai lavorato. I Nott.”

Non appena pronunciò quel nome Faye vide chiaramente Penny irrigidirsi e spalancare gli occhi, guardandola con improvvisa preoccupazione dipinta sul volto:

“È per Roman?”
“… No. Non ci sono problemi, vi abbiamo coperti, vorrei solo… che tu mi parlassi di loro. Immagino che sia difficile per te, non devi parlarmi di Roman, se non vuoi.”

“Ok.” Penny esitò ma poi annuì, schiarendosi la voce prima di parlare nuovamente:

“Vuoi sapere qualcosa in particolare?”
“… Sua madre. Vorrei saperne di più su sua madre.”

Penelope parve sorpresa da quella richiesta ma non disse nulla, limitandosi ad annuire:

“Va bene.”


*


La prima volta in cui vide sua madre, Haze non avrebbe mai potuto dimenticarla. Anche perché fu anche l’ultima in cui vide suo padre.
Ice stava duellando contro un Mangiamorte quando venne colpito – anche se non mortalmente – alle spalle, e Haze sarebbe corso ad aiutarlo se non avesse posato gli occhi sull’uomo che lo aveva colpito e la donna che gli stava accanto senza muovere un muscolo o aprire bocca, ma tenendo gli occhi fissi su Ice.
Non aveva mai visto sua madre, se non in una vecchia foto, eppure non nutri nemmeno il minimo dubbio sul fatto che quella potesse o non potesse essere lei. Quella era Azura Shafiq, non era mai stato così sicuro di niente in vita sua. 
Forse furono i suoi occhi: Haze somigliava molto a suo padre, aveva molti tratti tipici dei Mallow, come la pelle olivastra, il colore dei capelli o l’altezza… ma aveva gli occhi di sua madre, se l’era sentito ripetere spesso.

La cosa non gli piaceva affatto, ogni volta in cui si guardava allo specchio e indugiava su quelle iridi castano-verdi veniva preso dall’impulso di romperlo. 

E in quel momento non immaginava che quel desiderio si sarebbe rafforzato dopo quella notte.
Vide quell’uomo guardare suo padre con odio e accusarlo di aver rovinato il buon nome di sua sorella – e da quelle parole Haze lo riconobbe come suo zio Wazir – prima di colpirlo mortalmente, senza che la sorella facesse nulla – anzi, assistette alla scena quasi con soddisfazione – e senza dare alla sua vittima modo di difendersi, sia verbalmente che fisicamente.

Quando vide il lampo di luce verde Haze s’immobilizzò e boccheggiò, ma lo shock durò solo per un paio di secondi: aveva già agguantato la bacchetta per avventarsi su quella che, almeno in teoria, avrebbe dovuto essere la sua famiglia quando si sentì afferrare bruscamente per le spalle e trascinare via:

“Che cavolo pensi di fare?! Vieni via!”
“Edric, lasciami subito o metto al tappeto anche te!”

“Scordatelo, Haze, non ti guarderò mentre ti fai ammazzare.  Andiamo.”

Haze si voltò per cercare sua madre e suo “zio” con lo sguardo mentre Edric lo allontanava quasi di peso dalla scena, ma erano già spariti. Forse per dedicarsi alla loro prossima vittima.


*


Quinn sbuffava come una ciminiera mentre misurava il salotto di Faye a grandi passi, chiedendosi cosa accidenti stesse combinando. Tra la scoperta – presunta – dell’identità di sua madre e la morte improvvisa di Rain sapeva che era sconvolta e non voleva lasciarla sola, ma una volta lasciato il cimitero gli aveva detto di dover andare al Covenant per una “questione urgente”. Un modo come un altro per dirgli che doveva andarci da sola.

Quando sentì il campanello suonare Quinn si fermò, esitò – difficilmente Faye l’avrebbe utilizzato – prima di raggiungere la porta a grandi passi e spalancarla, aggrottando la fronte quando si trovò davanti un uomo.

Anche lo sconosciuto parve sorpreso di vederlo perché aggrottò la fronte, scrutandolo con gli occhi scuri prima di parlare:
“Salve. Sto cercando Faye.”
“Al momento non c’è. Chi la cerca?”

“Non sono affari suoi.”
“Dal momento che le ho aperto io alla porta di casa SUA credo che lo siano.”
“Può dirmi dov’è, allora?”
L’uomo sospirò ma la Sentinella non si scompose, parlando senza battere ciglio:

“Certo, quando mi dirà chi la sta cercando.”  Quinn non si mosse dalla soglia e continuò a tenere gli occhi fissi sullo sconosciuto. Era alto, aveva gli occhi scuri e i capelli appena brizzolati, doveva essere circa di una quindicina d’anni più vecchio di loro, ad occhio e croce.

“Si dia il caso che io sia suo padre. Lei, piuttosto, chi accidenti è?”
Edward inarcò un sopracciglio, guardandolo con evidente scetticismo mentre all’ex Grifondoro per poco non si snodava la mascella:
Suo padre?
Oh cazzo.

Quinn strabuzzò gli occhi, evitando di chiedere a voce alta quanti accidenti di anni avesse prima di affrettarsi a spostarsi per lasciarlo entrare, stampandosi un sorriso sul volto:

“Oh, quindi lei è… Signor Jones, mi scusi, doveva dirlo subito… prego.”
“Grazie. Lei è?”
“Quinn. Quinn Richards, sono un… collega di Faye.”

Quinn si stampo un sorriso sul volto e gli tese la mano, ignorando la vocina nella sua testa che gli ricordò che non era propriamente solo un “collega” di Faye… ma ovviamente non era il caso di dirglielo cinque minuti dopo averlo conosciuto e senza Faye, soprattutto.

“Edward Jones. Ora che sa che non sono uno sconosciuto, può dirmi dov’è mia figlia?”
“Al Covenant. Dovrebbe tornare presto, credo.”
“Bene, allora potremmo fare due chiacchiere, mia figlia non parla molto con me, è convinta di dovermi proteggere dal suo mondo… voglio solo sapere come sta.”

“Beh, sta bene, molto meglio. Venga, si sieda.”

Quinn gli fece cenno di seguirlo in cucina, evitando di chiedersi quando era stata l’ultima volta in cui aveva conosciuto i genitori di una delle sue ragazze. Di certo però quello era l’incontro più bizzarro, poco ma sicuro.


*


“Dio, Haze, quanto sei stupido!”
“Non sono stupido.. Ahia, fai piano, fa male!”

Haze piegò le labbra in una smorfia e fulminò sua cugina con lo sguardo, ma Rain come sempre non si fece intimidire e ricambiò l’occhiataccia, puntandogli contro il cotone:

“Sì che lo sei, mi giro e tu ti metti nei guai, com’è possibile!”
“Senti, se mi provocano io reagisco, lo sai!”
“Cosa sei, l’uomo di Neandertal che non riesce ad usare il cervello? Ok reagire, ma non serve finire a pestarsi tutte le volte!”

“Non farmi la paternale, Ray.”
“Te la faccio eccome, a volte mi sento io la maggiore tra noi! E i Carrow non sono affatto contenti.”

“Per quel che mi importa di quei due vecchi bastardi…”

Rain sbuffò e scosse il capo, continuando a sfiorargli il naso sanguinante con il cotone mentre parlava a mezza voce:

“So che non ti importa, del resto hanno già una cattiva idea di tutti noi… e infondo a loro non importa, potremmo anche ucciderci a vicenda per quanto li riguarda, ma non apprezzano che le regole non vengano rispettate, lo sai bene. Perciò, puoi tenerti lontano da risse e quant’altro, per favore?”

Haze esitò ma poi, complice lo sguardo speranzoso della cugina, sospirò e annuì, sollevando le mani in segno di resa:

“Ok, farò il possibile.”


*


“Rain muore misteriosamente. Anzi, viene uccisa, il che è peggio. Ora Faye viene qui e vuole parlare misteriosamente con Penny, cosa accidenti sta succedendo?!”

Larisse sbuffò sonoramente mentre camminava avanti e indietro per la stanza davanti a Ludwig, Wyatt e Hunter, che invece erano seduti e il terzo, in particolare, sembrava immerso nei suoi pensieri.

“Forse Sparrow sa qualcosa per via di sua sorella, ma ovviamente proprio quando potrebbe rendersi utile non c’è!”
“Un modo come un altro per dire che le manca.” Wyatt si rivolse a Ludwig, parlando con tono vago come se gli stesse spiegando un concetto elementare mentre l’amico abbozzava un sorriso. Sorriso che svanì non appena il suo sguardo incontrò quello furente della rossa, che fulmino il lupo mannaro con lo sguardo:

“Wyatt, chiudi la bocca.”
“Ops, ho detto forse qualcosa di vero e quindi scomodo?”

Wyatt si limitò a sorridere mentre accavallava le gambe con nonchalance, osservando la ragazza con occhi divertiti mentre Larisse, invece, alzava gli occhi al cielo e si voltava, riprendendo a misurare la stanza a grandi passi:

“Lasciamo perdere. Vorrei solo capire cosa sta succedendo! Insomma, è morto Edric, ora muore Rain… non mi piace, non mi piace per niente!”
“Dicono che nessuno l’ha più vista da quando ha preso le sembianze di Alecto per un paio di giorni, a parte Haze. Dite che sia successo qualcosa quando era qui, a scuola?”

Alle parole di Ludwig Larisse s’irrigidì, bloccandosi prima di voltarsi verso i tre e parlare con gli occhi sgranati:

“Non penserete… Non pensano che ci sia uno di noi dietro, vero?”
“E perché no, avrebbe senso. I Carrow hanno ricevuto una soffiata tempo fa, prima della Cornovaglia… Per noi che viviamo qui sarebbe stato piuttosto semplice far avere loro delle informazioni. È piuttosto logico.”

Hunter parlò senza scomporsi e con un’alzata di spalle che fece sbuffare Larisse, che scosse vigorosamente il capo:

“No, mi rifiuto di pensare che credano che ci sia uno di noi dietro tutto questo.”
“Beh, ti do una notizia, Larisse.” Hunter si alzò, avvicinandosi alla ragazza prima di continuare, gli occhi azzurri fissi in quelli scuri di lei:
“Qualcuno dietro tutto questo c’è, non viviamo in un mondo di fatine e persone buone e misericordiose… Magari non è bello da credere, ma qualcuno che ci sta fottendo alla grande c’è eccome. E chissà, magari è in questa stanza.”
Larisse non si mosse, non indietreggiò e non battè ciglio, limitandosi a ricambiare il suo sguardo con fermezza:
“È una confessione?”
“Una constatazione. Non so te Larisse, ma io ho smesso da molto tempo di credere al buonismo della gente.”

Larisse non rispose e Hunter la superò, allontanandosi a grandi passi sotto gli occhi di Wyatt e Ludwig.


*


Era stata una giornata massacrante, o almeno per lui: li avevano fatti allenare duramente e per ore con l’Occlumanzia e la Legilimanzia, e per quanto fosse affascinato da quelle intriganti pratiche non amava che qualcuno entrasse nella sua testa e sbriciasse i suoi ricordi. Specie quelli più dolorosi.
Ora Haze sedeva sul davanzale interno di una finestra a bovindo in un corridoio deserto e ormai buio, osservando distrattamente le luci di Londra.

Questa volta sentì qualcuno avvicinarsi ma decise di non voltarsi, aspettando che l’altra persona sedette dall’altra parte del davanzale per osservare a sua volta il panorama.

Nessuno dei due aprì bocca per qualche istante, finché Audrey non ruppe il silenzio:

“Ti manca?”
“Di chi parli?”
“Lo sai di chi parlo.”

Haze non rispose – non aveva mota voglia di affrontare l’argomento, non dopo una giornata come quella – e fu Audrey a proseguire, stringendosi nelle spalle e parlando con tono neutro, come se stesse parlando del tempo:

“A me manca. Molto, a volte. E odio piangermi addosso, specie considerando che molti di noi hanno perso qualcuno che amavano, ma è così. Ed è normale.”
“Io non avevo lo stesso rapporto che avevi tu con tuo padre, Audrey.”

“Haze, non tirare fuori la storia del “mio padre non mi amava”, perché non ti crederò.”
“Non dico questo. Mio padre mi voleva bene, lo so benissimo, me lo ha dimostrato per tutta la vita… sono IO ad aver sempre fatto fatica a dimostrarglielo. Sono fatto così, con lui in particolare.”


“E perché, secondo te?”
“Credo che mio padre si sentisse in colpa, forse pensava di aver spinto mia madre ad andarsene… non si è mai perdonato di avermi fatto crescere senza una figura materna. Non ha mai capito che dei due quella che odiavo – e odio – è lei, non lui. Certo, lui ha fatto in modo che gli Shafiq costringessero mia madre a sposarlo per via del difficile momento economico che stavano attraversando… lui si era innamorato di lei anni prima, così dice mio zio, e ha fatto loro una proposta che non potevano rifiutare, la mia famiglia era ancora molto ricca allora. Forse mio padre ha sbagliato, ma non ha mai maltrattato quella donna e non meritava tutto quell’odio da parte sua!”

Il tono del ragazzo s’indurì e Audrey per tutta risposta sospirò, voltandosi verso di lui: 

“Haze…”
“No, Audrey, niente “Haze”. Mia madre se n’è andata, mi ha abbandonato e non si è mai curata di venirmi a cercare! È una dannata pazza che si è unita aTu-Sai-Chi, chissà di quante cose orribili e responsabile e, sopra ogni cosa, è rimasta a guardare mentre suo fratello uccideva mio padre. Avrebbero ucciso anche me senza battere ciglio, probabilmente.”


Haze si alzò, parlando con tono rabbioso e le mani strette a pugno mentre Audrey continuava a tacere, limitandosi a guardarlo con leggera preoccupazione. 
Stava per andarsene, tornare in camera sua e porre finalmente fine a quella giornata, ma all’ultimo il ragazzo si fermò, e sempre dandole le spalle borbottò qualcosa, una semplice sillaba che echeggiò nel corridoio deserto:

“Sì.”
Mi manca.


*


“Pensi che si siano sposati di loro spontanea volontà o…”
“Non saprei. Ma non credo, insomma, tra quelle famiglie è raro, no?”

Faye annuì mentre Penny, seduta di fronte a lei, continuava a torturarsi le mani e a tenere gli occhi fissi su di esse, evitando di guardarla in faccia.

“Credo di sì. E, Penny, scusa se te lo chiedo ma… loro lo sapevano?”

Faye deglutì e Penny esitò prima di scuotere il capo, parlando con tono incerto:

“Non ne sono sicura, non hanno mai fatto commenti in mia presenza. Ma credo che lei lo sapesse.”
“E non ha detto niente?!”
“Non è una persona cattiva, ama moltissimo i suoi figli. Immagino volesse proteggerlo, ma con me non era cattiva, mi trattava con sufficienza, questo sì, ma non con crudeltà. No, mi hanno dato molti più problemi i suoi figli, direi.”

Faye annuì, sforzandosi di non lasciarsi sfuggire una risata sprezzante alle parole della bionda: “ama moltissimo i suoi figli”. Certo, i figli legittimi e Purosangue.

“D’accordo, grazie Penny. E scusa se ti ho chiesto di parlare di quella parte della tua vita, immagino che sia dura.”
“Abbiamo tutti qualche scheletro nell’armadio di cui non ci piace parlare. Ma fa bene, di tanto in tanto, tirarli fuori e affrontarli.”

Penelope si strinse nelle spalle e abbozzò un sorriso mentre Faye, facendo altrettanto, si alzava in piedi, annuendo: nessuno era esperto in scheletri nell’armadio quanto lei, dopotutto.


“Immagino di sì. Ora devo andare… fate attenzione.”
Con queste parole la Sentinella si congedò, allontanandosi e uscendo dalla stanza mentre pensava a tutto ciò che la ragazza le aveva detto: una parte di sè sperava davvero che quella che molto probabilmente era sua madre non sapesse di ciò che aveva fatto suo figlio per più di un anno ad una ragazzina innocente. 


Faye se n’era appena d’andata quando Hunter raggiunse di nuovo Penny, sorridendole gentilmente:

“Di cosa voleva parlarti, se posso chiederlo?”
“Dei Nott.”
“… Se hanno trovato il bastardo dentro una fossa giuro che non sono stato io.”

Penny sorrise e scosse il capo mentre si alzava, allacciando le braccia intorno al collo del ragazzo:

“No, è vivo e vegeto.”
“Tanto meglio, non voglio che altri si prendano il merito di aver alzato il valore medio dell’umanità. Stai bene?”
“… Sì. Devi smetterla di essere così gentile e di preoccuparti tanto.”
Penny sorrise ma Hunter non la imitò, scuotendo debolmente il capo mentre le sfiorava i capelli biondi con le dita:

“Tu e Max. Non mi importa realmente di nessun altro, voglio solo che voi stiate bene.”


*


Haze aiutò Quinn ad alzarsi con un debole sorriso di scuse stampato sul volto, guardando il compagno sbuffare e massaggiarsi la nuca mentre accettava la sua mano:

“Scusa. Ci sono andato troppo pesante?”
“Forse un po’ Haze… Merlino, che batosta…”
“Tranquillo, non mirerei mai alla testa, rischierei di rovinare la tua faccia e le tue ammiratrici mi metterebbero alla gogna…”

Haze abbozzò un sorriso divertito mentre Quinn gli rivolgeva un’occhiata torva, borbottando sommessamente qualcosa:

“Sai, ne avresti molte di più anche tu, se solo non avessi un carattere così difficile…”
“Sono felice di lasciarle a te. Quante, quest’anno? Cinque?”

“Stai zitto Mallow, ne hai avute un paio anche tu, mi pare… e come me, ci hai messo una pietra sopra.”
“Ah, no, tu lo fai perché ti annoi, io l’ho fatto perché ho capito che non ero pronto, o che non erano le persone giuste per me.”

Haze si strinse nelle spalle mentre si dirigeva verso l’uscio dell’aula insieme al compagno, che lo imitò senza smettere di sfiorarsi la nuca dolorante:

“Sarà… ora accompagnami in Infermeria a prendere del ghiaccio, ho un bernoccolo grande come l’Everest a causa tua!”


*


“Rafe, dovresti tornare…”
“No. Del, non tornerò a scuola finché non mi dirai che cosa ti sta succedendo, esigo di saperlo.”

Raphael, in piedi davanti al divano dov’era seduta la sorella, incrociò le braccia al petto e la guardò sospirare e scuotere il capo, continuando ad evitare di guardarlo:

“Non mi succede niente, Rafe.”
“Non prenderti gioco di me Cordelia, ti conosco, sei mia sorella! So che c’è qualcosa che non va e devi dirmelo, pretendo che tu lo faccia… tu hai me e io ho te, è questa la nostra famiglia, ma come posso pensare di poterti proteggere se non fai altro che mentirmi e nascondermi le cose?!”

“Non mi devi proteggere Rafe, sono io che devo…”
“Non sono più un bambino, Cordelia, devi smetterla di tenermi all’oscuro di tutto per proteggermi. Parla con me, per una volta. Rain Mallow è appena morta, anche io mi preoccupo per te!”

Raphael scosse il capo mentre sedeva accanto alla sorella maggiore, prendendole le mani per stringerle tra le sue mentre Cordelia deglutiva a fatica, parlando con un sussurro:

“Lo sai che non è facile per me…”
“Lo so. Ma non pensi che sfogarti con qualcuno potrebbe farti bene?”   

La Sentinella riuscì solo ad annuire alle parole del fratello e per qualche istante non disse nulla, mormorando qualcosa solo qualche secondo più tardi, gli occhi scuri fissi sul tappeto ai piedi del divano:

“Pare che io abbia un… problema.”
“Che tipo di problema? Intendi a livello fisico?”

La voce di Raphael s’incrinò leggermente per la preoccupazione e quando Cordelia annuì il ragazzo sentì un peso sprofondargli nelle viscere.

“Sono i miei occhi. Stanno lentamente smettendo di funzionare, alla fine perderò la vista, molto probabilmente. E se non posso vedere sarò inutile, Raphael, completamente inutile!”

L’ex Serpeverde si morse il labbro, sbattendo con irritazione il piede sul pavimento mentre il fratello la guardava con tanto d’occhi, cercando di metabolizzare il più rapidamente possibile quanto appena sentito.

“Ne sei sicura?”
“Piuttosto sicura, sì. Non volevo dirtelo, non ancora.”

“Ah no? E quando volevi dirmelo, scusa, quando ti avrei trovata al San Mungo perché tagliata accidentalmente con qualcosa, o scivolata sulle scale? Merlino Del, sei impossibile… Vieni qui.”

Con un movimento brusco Raphael afferrò le gambe della sorella, appoggiandole di traverso sulle sue ginocchia per poi abbracciarla, lasciando che appoggiasse il capo sulla sua spalla. Le lasciò un bacio sui capelli e poi appoggiò il mento sulla sua testa, sospirando:

“Mi dispiace Del, mi dispiace tantissimo. Andremo a farti visitare, voglio saperne di più… e in ogni caso io ti starò vicino, sempre. Ok?”
Cordelia annuì, mormorando un ringraziamento e, per una volta, non trovando nulla da obbiettare o puntualizzare.



*


Haze si avvicinò lentamente al corpo della donna che aveva ucciso pochi minuti prima, osservandone il volto e i capelli biondi sparpagliati a ventaglio intorno alla sua testa, sul marciapiede. 

“O mio Dio, è…” 
La ragazza che aveva appena Obliviato che aveva assistito alla scena boccheggiò, gli occhi sgranati e le mani sulla bocca mentre si avvicinava a sua volta al cadavere, guardandolo con un orrore che Haze non condivise, forse per l’abitudine.

“Farebbe meglio a chiamare un’ambulanza.”
Furono queste le sole parole che pronunciò prima di allontanarsi in un fruscio di mantello, Smaterializzandosi dietro il primo angolo buio.

Si era sentito ripetere per tutta la vita di essere una persona piuttosto fredda, e neanche nel suo “lavoro” si era mai smentito. 
Freddo, quasi apatico, anche mentre uccideva degli estranei.


*


“Quinn, sono… Papà! Cosa ci fai qui?”

Faye strabuzzò gli occhi quando, entrata attraverso il camino in casa, scorse suo padre in cucina. Suo padre, insieme a Quinn. Quella sì che era una vera sorpresa. La ragazza si avvicinò ai due, seduti uno di fronte all’altro, e guardò Edward voltarsi verso di lei e sorriderle mentre si chinava per dargli un bacio su una guancia:

“Sono venuto a salutare la mia ragazza, visto che ultimamente non ti fai mai viva.”
“Lo so, mi dispiace… Hai… conosciuto Quinn.”

“Sì, anche se è stato un po’ restio a farmi entrare.”
“Non sapevo fosse tuo padre!”  Quinn sollevò le mani -  come a voler dichiarare la propria innocenza – alle parole di Edward, che sorrise mentre Faye rivolgeva un’occhiata perplessa al ragazzo:

“Beh, se può consolarti, nessuno lo crede mai. Come stai, tesoro? Quinn dice che va tutto bene… tu non mi parli mai del tuo lavoro.”
“Perché non voglio farti preoccupare, cosa che comunque ti riesce benissimo. Sto bene papà, davvero.”

Faye sorrise al padre prima che i suoi occhi scuri indugiassero su Quinn, la mano ancora stretta sulla spalla di Edward, che seguì lo sguardo della figlia e, vedendo che il mago le stava sorridendo, sorrise a sua volta:

“Ne sono sicuro.”
“Beh, papà, visto che sei qui… vorrei parlarti di una cosa. Si tratta… di mia madre.”

Nella stanza piombò il silenzio più assoluto per qualche istante mentre Edward spalancava gli occhi e Quinn faceva per alzarsi, schiarendosi la voce:

“Beh, credo che dovrei lasciarvi soli, a questo punto…”
“No, Quinn, resta, va bene.”

Faye gli rivolse un cenno e lo invitò a sedersi di nuovo, cosa che Quinn fece senza protestare mentre la ragazza tornava a rivolgersi al padre, che sospirò prima di parlare passandosi una mano tra i capelli:

“Faye, ti ho pregato per anni di non cercarla…”
“Non l’ho fatto, papà. Te l’assicuro, non l’ho mai fatto, credo di averla trovata per caso. So che non sai molto di lei, che non conosci il nome della sua famiglia… ma conosci il suo, di nome. Hai detto che inizia per M, una volta, tanti anni fa, non l’ho mai dimenticato. È Morrigan? Ti prego, papà, devi dirmelo.”
“Faye, non voglio che ti succeda niente, i suoi fratelli dissero che se l’avessi cercata ti avrebbero uccisa.”

“Beh, non sono più una bambina in fasce, papà, ti assicuro che so difendermi perfettamente… anche se potrebbero fare del male a te, ovviamente, e per questo non andrò a sbandierare la mia identità ai quattro venti. Ma devo saperlo, ti prego. È importante. È questo il suo nome?”

Faye sedette accanto al padre e parlò senza staccare gli occhi dal suo viso o allontanare le mani dalle sue, pregandolo sia verbalmente che in silenzio. Alla fine vide l’uomo annuire con un sospiro, pronunciando un nome che non ripeteva a voce alta da quasi 28 anni.

“Sì. Si chiama Morrigan.”
“… Grazie. Grazie papà.”

Faye si sporse verso di lui per stringerlo in un abbraccio, sospirando quasi con sollievo. 

“Non sarò avventata, te lo prometto. Non so nemmeno se le dirò chi sono, volevo solo… esserne sicura.”
“Da che cosa l’hai capito? Non vi somigliate molto, fisicamente.”
“No, ma l’ho vista per caso e… non lo so, ho sentito qualcosa, una strana sensazione che non avevo mai provato. Grazie, papà, ti prometto che farò attenzione.”

Edward non sembrò convinto al 100% delle parole della figlia quando lasciò il suo appartamento e Faye si lasciò scivolare con un sospiro sul divano accanto a Quinn quando l’anno porta si fu chiusa alle sue spalle:

“Non posso crederci… quella donna è davvero mia madre. Questo significa che il mio fratellastro è un essere immondo, Merlino… come farò a guardare Penny in faccia?!” L’ex Tassorosso gemette e scosse il capo mentre si prendeva la testa tra le mani e Quinn per tutta risposta sbuffò, parlando con tono di rimprovero mentre le metteva un braccio intorno alle spalle, attirandola a sè:

“Non dire assurdità, non è certo colpa tua! Avete in comune solo la madre, Faye, e siete stati cresciuti da persone e in modi molto diversi, lui non ha niente a che fare con te. Cosa… cosa pensi di fare?”

“Non lo so, davvero. Ma non voglio mettere in pericolo mio padre, e forse non voglio nemmeno conoscerla. Insomma, credo davvero che sapesse cosa faceva suo figlio, e non ha fatto niente, non sembra una gran bella persona, vero?”
Faye sospirò, mordicchiandosi il labbro mentre Quinn, invece, le sorrideva, accarezzandole il volto con le dita e guardandola teneramente:

“Beh, tu lo sei, quindi non può essere così male, no? È pur sempre tua madre… Ma qualunque cosa deciderai ti appoggerò, devi decidere liberamente.”
“Grazie.”
“Sono qui per questo. Ora, scusa se te lo chiedo, ma quanti accidenti di anni ha tuo padre?!”

“50 appena compiuti, perché?”
“50?! Ne dimostra almeno cinque in meno, mi è ceduta la mascella quando si è presentato come tuo padre!”

Faye ridacchiò, immaginandosi la scena mentre Quinn accennava una smorfia con le labbra, parlando con tono speranzoso subito dopo:

“Credi che io gli piaccia? E che abbia capito?”
“Oh, poco ma sicuro, mio padre non è un idiota… e sì, credo che tu a primo impatto non gli abbia fatto una cattiva impressione, altrimenti ti avrebbe riservato un lungo interrogatorio… mio padre è abbastanza protettivo nei miei confronti.”

Faye sorrise appena e Quinn annuì, stendendo le gambe sull’ottomana mentre, appoggiandosi allo schienale del divano, continuava a stringerla tra le braccia. 

“L’ho notato.”
“Credo fosse venuto per assicurarsi che io non mi stessi… beh, hai capito. E devo ringraziarti, senza di te, anche a causa della morte di Rain, molto probabilmente ci sarei ricaduta per l’ennesima volta.”

Faye sorrise e sollevò una mano per accarezzare i capelli neri di Quinn, che ricambiò mentre le sfiorava la schiena con le dita:

“Sei stata male per molto tempo, Faye, e ti chiedo ancora scusa per non essermene mai accorto. Adesso, però, voglio fare in modo che ciò non si verifichi più.”


*


“Cappellaio Matto?!”
“Sì, Cappellaio.”
“Mi stai dando dello psicopatico?”

“No, dico solo che hai un umore molto… altalenante. E non lo penso solo io, caro, lo pensano tutti. Insomma, di norma sei calmo, pacato, serafico… poi hai i tuoi scatti in cui perdi le staffe e faresti a pezzi qualunque cosa ti capiti sotto tiro.”

Edric sorrise con aria divertita e Audrey, seduta accanto a lui sul divano, ridacchio e annuì:

“A me piace come nome!”
“Visto? Ad Audrey piace.”

Edric sorrise con aria beffarda e Haze si voltò, sbuffando, per nascondere l’imbarazzo e il lieve rossore che gli aveva imporporato il volto.

In quella cantina faceva troppo caldo per essere una cantina… forse avrebbero dovuto spegnere il camino.


*


“Roba da non credere, stamattina abbiamo seppellito una di noi e tutto ciò che Yaxley ha da dire è “la cosa non mi riguarda, ora levatevi dalla mia vista e andate a fare il vostro dovere liberando l’Inghilterra da un po’ di feccia”! Merlino, quanto lo odio!”

Erzsébet digrignò i denti mentre camminava a passo spedito sul marciapiede, i suoi immancabili stivali che profondavano nelle numerose pozzanghere mentre, alle sue spalle, Nathan cercava di stare al passo stringendo una sigaretta tra le labbra:

“Sì, non piace neanche a me, ma potresti rallentare, per favore?!”
“Oh, scusa, corro troppo per te? Ti sei rammollito.”

Nathan rivolse un’occhiata torva alla ragazza di fronte al suo sorriso divertito, borbottando che non aveva molto fiato mentre Erzsébet alzava gli occhi al cielo:

“Certo che non hai fiato, e la colpa è solo tua e di quella schifezza che ti butti in corpo, idiota!”
Erzsébet condì la predica con uno scapellotto sul braccio e Nathan sbuffò, prendendo la sigaretta per farla Evanascere, vinto:
“Ahia! Ragazzina, falla finita con la paternale. Ecco, niente sigaretta, contenta?” 
L’ex Grifondoro sollevò le braccia e la Serpeverde si limitò ad annuire prima di voltarsi e riprendere a camminare:
“Sì, odio quella puzza. E ragazzina dillo a qualcun’altra, ho quattro anni in meno di te, non quindici!”


“Questo attaccamento alla mia salute mi commuove, ma dovete smetterla, tutti quanti. So perfettamente che fa male, ma la nostra vita è uno schifo per la maggior parte del tempo, ognuno ha una valvola di sfogo.”
Erzsébet non rispose ma quelle parole la portarono a pensare a sua sorella, ad una parte del suo stile di vita che lei non condivideva affatto e a tutte le mattine in cui sua sorella tornava a casa dopo aver trascorso la notte fuori o a quando lei stessa sentiva qualcuno uscire di casa. 
Erzsébet preferiva non scendere nei particolari della sua vita privata, tanto che il massimo delle domande che rivolgeva a Carmilla era “uomo o donna stavolta?”
Forse Nathan aveva ragione, dopotutto.


*


Haze non piangeva spesso, o forse sarebbe stato meglio dire mai.
Non pianse nemmeno per la morte del suo migliore amico, ancora una volta trasformò il dolore in rabbia invece che in mera sofferenza.

“Rain? Rain, ci sei, dobbiamo parlare…”
Haze sospirò mentre lasciava che la porta si chiudesse alle sue spalle, addentrandosi in casa per cercare tracce della cugina. Non udì la sua voce rispondergli, ma sentiva che era lì, che era in casa, così invece di fermarsi fece per raggiungere il corridoio per salire al piano di sopra.

E fu proprio lì che la trovò, priva di vita.

Da lì in poi accadde tutto molto rapidamente, tanto che il giorno seguente avrebbe fatto fatica a ricostruire per filo e per segno tutto ciò che era successo… un attimo prima era inginocchiato, tremando, accanto a sua cugina e la scuoteva chiamandola con voce rotta, un attimo dopo vagava per Londra come in trance e, quasi senza rendersene conto, si trovava davanti a casa si Audrey.

Mentre camminava sul marciapiede urtò una donna che andava di fretta e che gli disse qualcosa in spagnolo con visibile irritazione, ma Haze non ci fece affatto caso, quasi non la sentì nemmeno.

Poi si ritrovò seduto accanto ad Audrey quasi delirando e, non seppe bene come, il mattino dopo si svegliò in una casa che non era la sua, in un letto che non era il suo. 


“Oh, ciao, ben svegliato. Pancake?”
Quando entrò in cucina s’imbatté nel sorriso di Audrey, che accennò alla padella sfrigolante mentre lui si limitava ad annuire, schiarendosi la voce:

“Ecco, non ti voglio disturbare…”
“Figurati, ne devo fare parecchi lo stesso perché il mio uomo mangia come un lupo… Oh, buenos dias mi amor.”

Il volto di Audrey assunse l’espressione più dolce che le avesse mai visto sfoggiare quando Henry entrò nella stanza sbadigliando e con il pigiamino blu addosso, strofinandosi gli occhi mentre si arrampicava su una sedia.


“Hola Tìa… Heiz, hola! Fai colazione con noi anche oggi?”
“Ehm, sì, la zia mi ha… invitato anche oggi.”

Haze annuì mentre sedeva accanto al bambino, che sorrise mentre Audrey gli porgeva una tazza di latte.

“Ecco, bevilo tutto, furbetto, non darlo a Duchessa!”
“Ok… e il cioccolato?”

Henry rivolse un’occhiata implorante alla zia quando gli mise i pancake davanti, ma la ragazza scosse il capo con fare deciso:

“Niente cioccolato oggi, ne mangi troppo!”
“E perché tu ce l’hai?!”
“Perché io sono grande. E anche Haze è grande, quindi lo diamo anche a lui.”

Audrey parlò con nonchalance mentre porgeva all’ospite lo sciroppo al cioccolato, scatenando un debole sorriso da parte di Haze mentre assisteva alla scena e Henry, invece, sfoggiava il suo broncio più adorabile:

“Abuela me lo dà sempre!”
“Abuela ti vizia troppo. E niente occhi dolci, ometto, con me non attacca.”


*


“Quindi tua sorella era appena stata qui? Credo di essermi imbattuto in lei, ripensandoci… mi dispiace di esserti capitato tra i piedi, non era un bel momento.”

“Tu stavi molto peggio di me, non dire assurdità. Io penserò a mia sorella, e nel frattempo scopriremo chi ha ucciso Rain, te lo prometto… questa storia finirà, in qualche modo.”

Haze annuì e alzò lo sguardo sul volto di Audrey, ringraziandola silenziosamente mentre continuava a giocherellare con le sue mani, seduto accanto a lei sul divano.

“Mi chiedo se lei l’avesse previsto, magari in una visione… forse se io avessi usato le carte l’avrei visto.”
“Haze, dovresti usarle con cautela, ora la pratica è proibita…”
“Facciamo parte della Causa, Audrey, penso che se mi arrestassero non sarebbe per le mie carte.”

L’ex Corvonero abbozzò un sorriso e Audrey per tutta risposta alzò gli occhi al cielo, decidendo di lasciar perdere mentre Haze, all’improvviso, ripensava a ciò che aveva appena detto: Rain poteva forse aver visto la sua morte in una visione?

Se la risposta era sì, ed era altamente probabile che lo fosse, voleva dire che…

“Devo andare.”
Haze si alzò di scatto, facendo quasi sobbalzare Audrey che si alzò a sua volta, guardandolo con evidente confusione:

“Andare, dove?”
“A casa. Devo controllare una cosa.”

Il mago si diresse a grandi passi verso la porta e Audrey lo seguì, chiedendogli se poteva accompagnarlo mentre lui apriva la porta e, sulla soglia, si voltava verso di lei sorridendo appena:

“No, è meglio che vada da solo.”
“Ok, ma ti prego, non essere avventato.”

La strega gli rivolse un’occhiata a metà tra lo scettico e il preoccupato mentre lui, annuendo, le si avvicinava per prenderle la testa tra le mani e baciarla brevemente prima di sorriderle:

“Non preoccuparti, non mi farò uccidere proprio ora.”
“Ti conviene.”


Audrey restò a guardarlo scendere di corsa le scale prima di chiudere la porta e sospirare, appoggiandocisi contro con la schiena mentre Snow trotterellava verso di lei leccandole una mano, forse reclamando attenzioni visto che la padrona negli ultimi giorni aveva avuto ben altro per la testa che coccolarlo.

Audrey gli accarezzò istintivamente il muso mentre pensava a cosa dovesse fare Haze di tanto urgente e a cosa era successo tra di loro. Si portò una mano alle labbra per sfiorarle e poi si permise di sorridere, gli occhi verdi luccicanti nella penombra.



Quando Haze entrò in casa si diresse di corsa in camera della cugina, gettando all’aria il suo comodino e rovistando tra le sue cose per cercarlo freneticamente. 
Sapeva che lo teneva lì, e quando non lo trovò sospirò, lasciandosi scivolare contro la parete e passandosi una mano tra i capelli prima di colpire il pavimento con l’altra con ferocia, il volto contratto in una smorfia.

“PORCA TROIA!”

Chiunque l’avesse uccisa, aveva preso anche il suo diario. Quello in cui annotava tutte le sue visoni… Chissà, forse Rain aveva anche visto chi l’avrebbe uccisa e quel “chi” aveva pensato bene di far sparire tutte le potenziali prove.







………………………………………………………………
Angolo Autrice:

Premetto che questo capitolo non mi soddisfa per niente – e mi dispiace pubblicarlo, per di più, con qualche giorno di ritardo – ma spero che voi lo abbiate gradito almeno un po’. 
Quanto a Rain, mi dispiace ma ho dovuto far fuori anche lei, a questo punto è un bene aver eliminato Edric subito o li avrei fatti finire insieme per poi dover eliminare lei… 

Detto ciò, ecco i nomi per il prossimo:

-    Ludwig 
-    Larisse
-    Hunter 

E complimenti a Phebe e ad Amilcara per aver individuato la fonte della citazione, ovvero la serie Sherlock… se non l’avete mai vista correte a rimediare ad un errore gravissimo, è una delle migliori serie del suo genere e della BBC in assoluto, nonché la migliore trasposizione sullo schermo dei romanzi del secondo millennio.
Ora chiudo l’angolo della pubblicità della mia servie tv preferita e vi saluto… 
A presto! 
Signorina Granger 




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Capitolo 17
*** Larisse Anna Millard ***


Capitolo 15: Larisse Anna Millard

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“D’accordo signorina, adesso basta fare i capricci, devi mangiare… LARA?”

John Millard si fermò sulla soglia della cucina, gli occhi fuori dalle orbite mentre guardava il seggiolino dove, meno di due minuti prima, aveva lasciato la figlia.
Seggiolino che ora, invece, era vuoto.

“Larisse?!”

Il mago sentì una risatina allegra e sbuffò, lasciando il biberon sul tavolo prima di fare il giro e raggiungere il seggiolino, chiedendosi come avesse fatto una bambina così piccola a slegarsi e a scendere da esso.

“Cara, tua figlia è una specie di escapologa… Larisse, dove… Larisse! Cosa fai lì sotto?”

John si chinò per controllare sotto al tavolo, sbuffando e rivolgendo un’occhiata di rimprovero alla figlia quando trovò la bambina seduta sul pavimento con un sorriso allegro stampato sul volto. 
Larisse rise alle parole del padre quasi a volerlo deridere mentre John l’afferrava prontamente, sollevandola per rimetterla sul seggiolino mentre la piccola rossa gli sorrideva, mettendogli le manine sul volto e cantilenando una sequenza di “dada” con la sua vocina.

“Ecco, adesso vedi di non scappare più. Ma come hai fatto…”
John guardò la bambina con un sopracciglio inarcato, riflettendo sulle sue stesse parole: forse non si era sbagliato e la bambina era davvero uno strega, anche se non poteva esserne ancora sicuro visto che sua moglie era Babbana. 

Larisse, comunque, non sembrò molto contenta e allungò le braccine verso di lui, protestando e scalpitando per essere presa nuovamente in braccio.
John le accarezzò la testa e sorrise, guardandola con affetto: in quello, se non altro, era una bambina normale al 100%.


*


“Dai Audrey, non è così grave, io volevo aiutarti!”
“¿AYUDARME? Dejandome con mi hermana, ayudarme, madre de Dios, dame la fuerza para soportar este idiota, y mi hermana, si quiere llevárme el niño tendrá que pasar por mi cuerpo, ¡la patearé por su culo seco!”

“Audrey, non capisco una parola se mi parli in spagnolo…”
“Callate! Se mi innervosisco parlo spagnolo, lo sai! Dio, la prenderò a calci, questa è volta buona… le dirò di tornare da quel suo cavolo di marito e di non farsi mai più vedere! Devo ringraziare Max, però, è stata gentile a voler aiutare portando via Henry…”

“Tanto perché tu lo sappia, è stata una mia idea! Max si prende i ringraziamenti e io gli insulti, grazie tante!”
Erik sbuffò e Audrey abbozzò un sorriso, prendendolo sottobraccio mente camminavano sul marciapiede dopo aver portato Henry all’asilo.

“No, grazie anche a te. Sarei persa senza il mio Erik.”
“Lo so, lo so. Comunque non preoccuparti, Maxine sta organizzando la petizione “teniamo Henry a Londra”.”

Audrey rise appena, definendo la sua amica “adorabile” mentre Erik, invece, si limitava ad alzare gli occhi al cielo.

“Andiamo, ammetti che è simpatica. Come si può non volerle bene?”
“Sopportabile, direi, e solo quando non c’è cibo nei dintorni, diventa un bulldozer…”

Audrey rise mentre Erik, invece, aggrottò la fronte mentre ripensava alle frequenti minacce della ragazza se qualcuno solo osava toccare il suo cibo.

“È fatta così. Comunque, Erik… ho novità.”
“Ah sì? Riguardo a cosa?”

“Riguardo ad… Haze.”

Erik sfoggiò un sorrisetto mentre abbassava lo sguardo sull’amica, guardandola osservare con aria risoluta il marciapiede mentre ridacchiava:

“Oh, beh, ne sono felice… forse ora smetterà di guardarmi con aria truce quando parliamo, quando entriamo insieme in una stanza o quando andiamo via insieme… o forse lo farà ancora di più adesso? Questo significa che dovremo dire addio ai nostri pomeriggi passati s guardare Friends e a mangiare schifezze?”
Audrey a quel punto si fermò, guardandolo con la massima serietà prima di parlare, puntandogli un dito contro:

“Ascoltami bene, Erik Murrey. Pr me poche cose sono sacre; Henry, i miei animali, tu, Friends e le schifezze siete tra queste.”
“Oh, mi hai messo prima delle schifezze, come sei dolce…”


*


Larisse entrò nella stanza tenendo la sorellina Petra – di due anni e mezzo – per mano, conducendo la bambina verso la culla dove sonnecchiava la nuova arrivata in famiglia.

Suo padre ci aveva sistemato uno sgabellino accanto apposta e Larisse ci fece salire sopra la sorella prima di sorridere e indicare la piccola Bianca:

“Guarda Petra, lei è Bianca!”
“È piccola!”
“Anche tu sei piccola.”

Larisse aggrottò la fronte – visto che lei, a cinque anni compiuti, si sentiva già una signorina fatta e finita – e la sorellina, in risposta, arricciò il nasino e scosse il capo, parlando con aria offesa: 

“No, io sono grande.” 
“Ma usi ancora il ciuccio!”
“No!”
“Sì invece!”

Petra le fece la linguaccia prima di voltarsi nuovamente verso la sorella minore, stringendo il bordo della culla con le piccole mani:

“Possiamo giocare con lei?”
“La mamma ha detto di no, è troppo piccola.”

Larisse scosse il capo, parlando con l’aria di chi la sa lunga mentre Petra si voltava verso di lei:

“Tu giochi con me?”
“Mh, ok. Andiamo.”

Larisse prese di nuovo per mano la sorellina e l’aiutò a scendere dallo sgabello, conducendola verso la porta mentre Bianca, alle loro spalle, continuava a sonnecchiare indisturbata.


*


“Ma possibile che appena me ne vado la casa diventi un disastro? Cos’è tutta questa sporcizia?!”

Larisse sbuffò mentre passava al setaccio la casa tenendo un cesto per il bucato sottobraccio, raccogliendo vestiti disseminati in giro e uno spolverino incantato rassettava da sè. 

“Bianca, non sei più una bambina, devi tenere in ordine le tue cose! Ma cos’è questa roba…”

Larisse aggrottò la fronte mentre Bianca alzava gli occhi al cielo prima di rivolgersi al padre, seduto accanto a lei sul divano:

“Ecco, ora si è messa in modalità Mary Poppins…”
“Con la differenza che io non pulirò le tue cose con la Magia cantando canzoncine, olio di gomito, cara, ci vuole! Io ora devo tornare a scuola, fate il bucato.”

La Rosa sospirò mentre lasciava il cesto vicino al divano, facendo cenno alla sorellina di alzarsi subito dopo per abbracciarla prima di tornare a scuola:

“D’accordo piccola, fai la brava, lavati i denti, non far dannare papà, si deve riposare, mangia la verdura e non troppi biscotti, tieni in ordine almeno la tua camera.”
“Sì mamma…”

Bianca alzò gli occhi al cielo ma la maggiore non ci badò, sorridendo invece l padre. Lo abbracciò e fece per dire qualcosa, ma la voce divertita della minore la fece raggelare:

“E tu vedi di aprire gli occhi con Raphael.”
“Chi è Raphael?!”
“Nessuno, nessuno! Ti uccido!”


*


Larisse se ne stava quatta quatta vicino alla porta cercando di sentire cosa si stessero dicendo i genitori: suo padre era di pessimo umore da un paio di giorni, la bambina se n’era accorta e voleva capire cosa stesse succedendo. 
I suoi piani tuttavia andarono in fumo quando una delle sorelle minori, Bianca, raggiunse il pianerottolo e, vedendo la sorella prediletta, parve come illuminarsi prima di raggiungerla e cingerle le vita con le braccia:

“Lara, Lara! Andiamo a giocare in giardino? Petra non mi lascia giocare con le bambole insieme a lei e Daria dorme sempre…”
“Dopo Bianca, non adesso. E fai piano!”

La bambina di nove anni fece cenno di stare zitta alla sorellina, che però spalancò i vivaci occhi castani e continuò a parlare:

“Cosa succede?”
“Non so, mamma e papà stanno parlando! Forse andiamo via di nuovo.”

Larisse sbuffò leggermente, ricordando quando, circa tre anni prima, lei, le sorelline e i genitori si erano trasferiti da Londra fino in Svizzera, la patria natia di sua madre, e lì erano nati i suoi fratellini, Daria e Carl, che aveva appena un paio di settimane.

“E dove?”
“Non lo so, shh!”


Larisse fece per spingere la sorellina ad andarsene – origliare con una bambina di quattro anni appresso non era un’impresa facile – ma Bianca protestò e un attimo dopo la porta del salotto si aprì. Le due, immobilizzandosi, si voltarono verso la soglia e si trovarono la madre davanti, che sospirò prima di parlare, gli occhi velati di quella che alla figlia maggiore parve quasi tristezza.

“Bambine, cosa state facendo?”
“Niente, stavamo…”

“Larisse, vieni dentro. Bianca, vai a giocare con Petra.”
“Ma…”
“Niente ma. Vai ora.”

Era raro che la madre parlasse con quel tono – cupo e pere torio – e Bianca non se la sentì di controbattere, annuendo mestamente prima di tornare verso le scale per raggiungere la camera della sorella maggiore.

Larisse invece seguì la madre in salotto e individuò il padre, che le fece cenno di sedersi accanto a lui, sul divano, serio come la madre. La bambina non fiatò e obbedì, spostando lo sguardo da un genitore all’altro con preoccupazione crescente:

“Cosa c’è mamma?”
“Tesoro, ti ricordi quando tu, io, la mamma, Petra e Bianca siamo venuti qui dall’Inghilterra perché sarebbe stato meglio per la nostra famiglia?”

Larisse si voltò verso il padre e annuì, guardandolo con gli occhi castani carichi di curiosità mentre John, sorridendole dolcemente, le sfiorava i capelli color rame con le dita:

“Ecco, presto torneremo lì di nuovo.”
“Oh, come mai? È perché io andrò ad Hogwarts?”

“No Principessa, temo che… sono successe delle cose, non ci andrai, per il momento. Mi dispiace.”

Larisse aggrottò la fronte e, non capendo, sposto lo sguardo dal padre alla madre. Amelie però non la guardava, tenendo i gomiti appoggiati sulle ginocchia, il busto piegato in avanti e le mani strette sulle labbra gli occhi fissi sul pavimento.

“E non… non ci andremo tutti. Solo tu e io.”
“Cosa?! Perché? La mamma non viene?”

“La mamma sarà più al sicuro qui con i tuoi fratelli, Principessa, è per questo che siamo venuti… ma ora noi dobbiamo tornare, non dipende da noi. Stanno..
 Richiamando tutti i maghi inglesi che hanno lasciato il Paese negli ultimi anni, quindi io devo tornare a casa, e visto che tu sei nata lì e sei già grande devi venire con me.”

“E Petra e Bianca? Anche loro sono nate…”
“Loro sono più piccole, tesoro, nessuno ci farà caso se non torneranno ed è meglio così. Vorrei lasciare qui anche te.”

John strinse le labbra mentre abbracciava la primogenita, che aveva gli occhi spalancati e sbatteva le palpebre senza comprendere del tutto cosa stesse succedendo vide sua madre alzarsi e sedersi accanto a lei, in lacrime, e poi si unì all’abbraccio senza dire nulla.
Quello fu l’ultima volta in cui restarono soli nella stessa stanza. 



*


Quando Wyatt intercettò Penny le sorrise, ben lieto di vederla si era appena defilato dalla sua camera in fretta e furia capendo che Raphael non era del migliore degli umori.

“Ciao! Sto andando a cercare Lud per chiedergli di andare a fare un giro in città, vuoi venire?”
“Volentieri, ma lascia stare Rafe, è meglio oggi. Non so che cos’ha, non è come le altre volte. Hunter?”
“Con Max.” 

Penny si strinse nelle spalle, pensando con un sorriso a quando Max le aveva assicurato che se voleva poteva andare insieme ad Hunter a casa sua visto che l’aveva adottata come “cognata”, ma lei aveva gentilmente declinato l’offerta preferendo lasciarli passare una giornata da soli.

Trovarono Lud nel primo posto in cui cercarono, ossia in Biblioteca, e nessuno dei due si stupì nel vederlo chino su dei libri Penny penso che stesse studiando, ma quando il ragazzo sobbalzo trovandoseli davanti e si affrettò a chiudere la sua lettura, sfoggiando un sorriso tirato, la bionda aggrottò la fronte con leggera confusione:

“Ciao Lud… ti disturbiamo?”
“Oh, no, stavo solo… io… leggevo. Cosa c’è ragazzi?”

“Vieni in città con noi? Abbiamo il pomeriggio libero, i primini fanno esercitazioni tutto il giorno. Larisse non è ancora tornata, Rafe è nervoso perché non c’è Larisse e Hunter e con sua sorella, quindi siamo solo noi tre.”

Wyatt si strinse nelle spalle, apparentemente senza far caso all’atteggiamento dell’amico, che annuì e sorrise appena mentre si alzava, facendo scivolare i libri nel suo zaino:

“Volentieri, porto solo questi in camera mia, ci metto un attimo.”

“Ok, ti aspettiamo all’ingresso allora.”

Wyatt annuì con naturalezza e lui e Penny guardarono l’amico allontanarsi senza dire una parola, ma la ragazza si voltò verso di lui con un sopracciglio inarcato quando Ludwig sparì dalla loro visuale:

“Non ti è sembrato… strano?”
“Non direi, perché?”

Wyatt la guardò con curiosità e la bionda scosse il capo, voltandosi verso il punto in cui era sparito l’amico e osservandolo con leggera confusione:

“Non lo so, ho avuto questa… sensazione.”


*


Il momento di separarsi era arrivato anche troppo in fretta e ben presto Larisse si ritrovò a vivere di nuovo in Inghilterra, a Liverpool, nella città natale di suo padre. 

Larisse aveva compreso la sofferenza che avevano accompagnato suo padre nella decisione di partire lasciando moglie e figli, così aveva reagito nel modo più stoico possibile e lo aveva seguito senza fare troppe storie. Lo stesso non si era potuto dire di Bianca, che aveva pianto, urlato e sbattuto i piedi per giorni ripetendo di voler andare con loro, di voler restare con la sorella maggiore. Così, alla fine, John l’aveva presa con sè, portandola in Inghilterra.

Larisse non sarebbe andata ad Hogwarts, questo la bambina lo aveva compreso. Non capiva pienamente cosa stesse succedendo, questo no, sapeva che qualche anno prima se n’erano andati perché stavano succedendo cose brutte, e qualche tempo prima delle persone avevano costretto suo padre e tutti coloro che avevano lasciato il Paese a rimpatriare.
Larisse gli aveva chiesto perché sua madre era potuta restare in Svizzera, ma John le aveva spiegato che Amelie si sarebbe presto spostata da una zia in Austria con i figli per essere ancora più al sicuro. E che nessuno l’avrebbe costretta a seguirli perché per quelle persone loro non erano più sposati.

Per quanto sveglia la giovane strega non cali nemmeno questo: sapeva che le persone smettevano di essere sposate quando non si volevano più bene, ma i suoi genitori si lavano molto, suo padre era perennemente giù di tono da quando si erano separati e sua madre, salutandolo, aveva pianto ininterrottamente.


*


“Rain è morta, dobbiamo fare qualcosa.”
“E cosa, chiediamo ad Erik di torturarci tutti ad uno ad uno?! Ottima idea, fantastica davvero.”

“Non dico questo Erza… beh, tu potresti preparare il Veritaserum, no? Oppure usare la Legilimanzia…”
“Molti di noi sono ottimi Occlumanti, Carma, non ne caveremmo un ragno dal buco! Anche chi non è specializzato in quello se la cava, dopotutto, non è una via infallibile.”

“Allora non lo so, restiamo seduti ad aspettare che ci uccidano tutti!”

Carmilla sbuffò e sollevò le mani in segno do resa, appoggiandosi allo schienale della sedia mentre di fronte a lei, Nathan sospirava passandosi una mano tra i capelli biondo cenere e Aeron borbottava qualcosa a proposito di Royal.

“Ecco, lui che cosa ne pensa?!”
“Che ovviamente va fatto qualcosa! E se questa persona di punto in bianco decidesse di fare i nostri nomi? Non sarebbe una bella fine per noi, affatto.”

“E allora che cosa facciamo?”
“Non lo so, questa persona non è stupida, bisogna farsi furbi. Haze dice che il “diario” di Rain è sparito… ergo, forse aveva visto chi l’avrebbe uccisa, o comunque la nostra talpa nel dubbio lo ha preso, sapendo che Haze avrebbe potuto leggerlo in ogni momento.”

“Quindi, se troviamo il diario…”
“Troviamo la talpa.”


*


Suo padre lavorava moltissimo e ininterrottamente, tanto che spesso Larisse e Bianca non lo vedevano nemmeno rientrare a casa, di sera.
Dal canto suo, la piccola Millard aveva preso il suo ruolo di sorella maggiore e di “donna di casa” molto seriamente, tanto da impegnarsi con gran dedizione nel tenere in ordine la casa e occupandosi della sorellina.

Larisse aveva sentito che molti Mezzosangue anche molto giovani lavoravano e aveva chiesto al padre di potergli dare una mano, ma John si era rifiutato categoricamente, sibilando che piuttosto di venderla ad un Purosangue si sarebbe ammazzato di lavoro.  

Il mago, che essendosene andato era stato costretto a ricominciare praticamente da capo, ritrovandosi a svolgere i lavori più umili pur di mantenere le figlie, faceva però in modo di essere quasi sempre a casa al mattino quando loro si svegliavano, così da poter almeno fare colazione tutti insieme.

Quella mattina Larisse venne svegliata da una carezza che il padre le lasciò su una guancia, e aprendo pigramente gli occhi si ritrovò il suo sorriso davanti, rendendosi inoltre conto di non essere affatto sola: Bianca si era di nuovo intrufolata nel suo letto e ora le stava addosso come una piccola piovra.

“Buongiorno tesoro.”
“Ciao papà… a che ora sei tornato?”
“Un po’ tardi. La colazione è pronta, venite.”

“Scenderemo tra dieci anni, quando questo ghiro si sveglierà… Bianca, spostati, mi stai schiacciando!”
Larisse sbuffò e cerco di allontanare la sorella, che però mugugnò qualcosa senza aprire gli occhi o muoversi di mezzo centimetro, aumentando l’irritazione della maggiore, che dopo vari tentativi riuscì a scollarsela di dosso spingendola giù dal letto e strappandole così un urletto sorpreso: 

“Ahia! Lara, che fai?!”
“Ops... scusa, ma mi stavi addosso come un koala!”

Larisse si strinse nelle spalle, sfoggiando un sorriso colpevole mentre si alzava dal letto, aiutando la sorellina a fare altrettanto mentre la voce del padre giungeva alle loro orecchie dal piano di sotto, leggermente preoccupata:   

“Ragazze, va tutto bene?”
“Sì papà, Bianca è solo caduta dal letto…”


*


“Mh, grazie, mi mancavano le tue lasagne!”

Hunter sorrise, pulendosi le mani in uno strofinaccio mentre guardava la sorella spolverare le sue lasagne, il piatto preferito di Max.

“Non c’è di che. Allora, Max, con tutto quello che è successo era da un po’ che non stavamo insieme… come stai?”

Hunter sedette di fronte a lei, mettendosi in modalità “fratello maggiore” mentre la ragazza si stringeva nelle spalle, ripulendo il piatto:

“Bene, credo, solite cose… sono impegnata a pensare ad aiutare Audrey, sai, quella strega di sua sorella vuole portare via Henry, non è giusto!”
“Mh, ho sentito, sì… E su questioni più… personali, non hai niente da raccontarmi?”

Hunter parlò con un tono che la ragazza conosceva bene, tanto da bloccarsi e guardarlo con aria sospettosa:

“Hunter, sembri una madre che indaga sulle questioni di cuore di sua figlia, cosa vuoi sapere?”
“Bah, non saprei…”

“PER TUTTI I TANGA DI MERLINO, Hunter, mi stai chiedendo se mi piace qualcuno?!”
“Era tanto per chiacchierare!”

“Ma dovrei fartele io queste domande!”
“Maxine, tu sai benissimo che mi piace molto qualcuno, e anche chi, e nel nostro rapporto tutto è sempre stato molto “al contrario”, non se se mi spiego.”


*


“È pronta la cena!”

A quel richiamo Bianca entrò in cucina con aria allegra, sedendo a tavola con un largo sorriso ad illuminarle il volto mentre guardava la sorella con impazienza:

“Cosa si mangia?”
“Verdura.”

Larisse piazzo un piatto pieno di cavolfiori davanti alla sorella minore, che strabuzzò gli occhi con orrore e indico la verdura con aria schifata e allarmata allo stesso tempo:

“Ma Lara, quella roba… quella roba è viola!”
“Sono cavolfiori, genia, è normale.”

“Beh, io non li mangerò.”  Bianca incrociò le braccia al petto, stizzita, e a quelle parole Larisse mise le mani sul tavolo, sporgendosi pericolosamente verso di lei:

“Oh, certo che li mangerai, Bianca. Devi mandare cose sane!”
“No!”
“Hai dieci anni, non sei più una bambina, non puoi fare i capricci per il cibo! E non azzardarti a nasconderli sotto qualcosa, quel trucco l’ho inventato io e non attacca con me.”


Bianca sbuffò e borbottò qualcosa – che la sorella maggiore comprese a fatica – riguardo la sua permanenza al Covenant che sarebbe iniziata a breve e che sarebbe stato piacevole non averla intorno a bacchettarla tutto il giorno. 

Ovviamente mentiva, e lo sapevano entrambe, quindi la maggiore decise di lasciar perdere e non fare commenti, lasciandosi scivolare addosso ogni parola. 


*


Solo una volta tornata a scuola Larisse aveva appreso che Penny, Wyatt e Lud erano usciti senza di lei, pentendosi di non essere rientrata prima. Anche se, in realtà, forse stare un po’ in tranquillità non le sarebbe dispiaciuto.

Ora la ragazza sedeva sul davanzale interno di una delle grandi finestre a bovindo del corridoio del secondo piano, quello dei dormitori, impegnata a scattare qualche fotografia di Londra. Sua madre le aveva chiesto di vedere dove vivesse, dopotutto, e visti che sotto il regime difficilmente qualcuno entrava o usciva dal Paese la ragazza era certa che ci avrebbe messo del tempo, sua madre, a rivedere Londra con i suoi occhi, per non parlare di Daria e Carl, che erano nati in Svizzera e lì non ci avevano mai messo piede.

Quando sentì una porta sbattere si voltò e indugiò con lo sguardo su Raphael, che era appena uscito dalla sua camera e che ricambiò il suo sguardo restando fermo nel corridoio per qualche istante, prima di infilarsi le mani in tasca e sbuffare debolmente, iniziando a camminare nella sua direzione per raggiungere le scale.

“Oh, ciao… sei riemerso dal tuo antro? Pensavo fossi andato con gli altri.”
“No, non mi andava di uscire.”
“Oh, capisco, periodo no?”

Larisse si voltò di nuovo verso la finestra e sistemò la telecamera mentre, alle sue spalle, Raphael le si avvicinava aggrottando la fronte, osservandola dargli le spalle, seduta sul davanzale:

“Non è una cosa su cui scherzare.”
“Non sto scherzando infatti, ero seria, non ti stavo prendendo in giro.”

“Ho solo qualche pensiero, comunque. Non che la cosa ti interessi, certo.”

Raphael sbuffò leggermente, un’espressione piuttosto torva sul volto mentre si fermava davanti alla finestra, appoggiando una mano sul vetro. Larisse sollevò lo sguardo e si voltò verso di lui, la fronte aggrottata, chiedendosi che cosa gli prendesse:

“Che cos’hai, Raphael?”
“Niente.”
“Sembri la mia sorellina quando mi tiene il muso, ti prego…”

La rossa si lasciò sfuggire una piccola risata, scuotendo il capo mentre Raphael invece sembrava incupirsi di più ad ogni parola: il ragazzo si allontanò dal vetro, serrando i pugni e osservandola quasi con irritazione:

“Falla finita, Larisse. Non hai idea di che cosa io abbia per la testa, quindi non fare la sputasentenze! Ti lascio sempre fare quanto mi prendi in giro, ma non oggi, non su questo, ok?” 

“Raphael, non ti sto prendendo in giro, davvero! Non ho idea di che cosa tu abbia per la testa, questo è certo, dico solo che non serve farne un dramma!”
“Oh, davvero?”

“Sì, davvero. Davvero, perché nel caso non te ne fossi accorto, Raphael, qui tutti abbiamo dei problemi, tutti abbiamo sofferto e soffriamo! Non sei l’unico, mai lo sarai.”

Larisse si alzò in piedi, lasciando la fotocamera sul davanzale e incrociando le braccia al petto, guardando il ragazzo sospirare e passarsi una mano tra i capelli neri:

“Lo so, lo so questo. Non voglio fare la vittima, Larisse, ma non hai… non hai idea di che cosa provi.”

“No? Non ne ho idea?”
“No! Mia sorella sta male, ok? Sta male, e io ho solo lei, prima o poi non potrà più fare questo “lavoro” e se ciò accadesse troppo in fretta potrebbero liberarsi di lei perché non gli sarà più utile, chi può dirlo?! Perciò scusami, Larisse, se non sono di ottimo umore oggi.”

Il tono di Raphael aumentò di un paio di ottave e Larisse lo imitò, annuendo e sollevando le mani:

“Mi dispiace per tua sorella, davvero, ma credi che io non capisca? Non serve a niente tenere il muso e stare in un angolo, Raphael, o stai a testa alta oppure lo affronti parlandone.”
“Oh, come fai tu, quella che da confidenza al mondo intero? Pensa a toglierti quella maschera di ghiaccio dalla faccia e a mostrare qualche emozione, invece di farmi la paternale su come devo comportarmi con i miei sentimenti.”

Raphael fece un passo avanti senza staccare gli occhi dai suoi, guardandola spalancare i suoi prima di balbettare qualcosa, indignata:

“Io non… le mie emozioni o i miei sentimenti non sono affari tuoi!”
“Ah no?!”
Raphael inarcò un sopracciglio guardandola scuotere il capo come se fosse pazza.
“No!”
“Merlino Larisse Millard, a volte non ti sopporto proprio, sei così stupida!”

Il ragazzo scosse il capo, passandosi le mani sul viso come se fosse esasperato mentre Larisse, invece, lo guardava assottigliando pericolosamente gli occhi:

“Io non sono una stupida. TU sei un dannato rompiscatole, infantile…”
“INFANTILE? Tu sei una noiosa perfettina!”
“Almeno io non scodinzolo dietro le minigonne di quelle del secondo anno!”
“Cosa sono, un cane? E non mi frega un cazzo di quelle del secondo anno, stupida!”
“Era per dire, e poi sono io la perfettina?”

Raphael non sembrò sentirla, limitandosi a scuotere il capo senza mettere di guardarla, prendendola per il braccio e strattonandola affinché lo guardasse negli occhi a sua volta:

“Non mi importa delle altre in generale, razza di piccola rompiscatole.”
“HAI FINITO DI INSULTARMI?!”

“Sì.” 

Larisse quasi non udì il ringhio del ragazzo, o forse non ci fece caso visto che un attimo prima lo aveva semplicemente davanti – anche se ad una distanza un po’ troppo ravvicinata – e un attimo dopo era premuta contro il suo petto, così come le sue labbra erano premute contro le proprie.
Un attimo dopo ancora lei gli aveva messo le mani tra i capelli neri, stringendoli e spettinandogli mentre lui la faceva indietreggiare fino al muro, schiacciandolo tra esso e il proprio corpo, molto più massiccio del suo.

Larisse riprese a pensare solo quando Raphael si staccò da lei con il fiato corto, restando con il volto a pochi centimetri dal suo e continuando a guardarla negli occhi – avrebbe voluto dirle che con il volto e le labbra arrossate e gli occhi lucidi era bellissima, ma non lo fece – prima di parlare:

“Bacio anche molto meglio di te.”
“Eh?! Come scusa? Non dire cazzate Sparrow, ti ho letteralmente distrutto.”

 Raphael sbuffò alle parole della ragazza, mormorando qualcosa come “verifichiamo subito” prima di chinarsi e baciarla rudemente, le mani sui suoi fianchi mentre lei gli cingeva il collo con le braccia.


*


Larisse piegò la lettera di Bianca prima di riporla nella scatola dove le custodiva tutte, comprese quelle che sua madre le mandava dall’Austria, allegando anche delle fotografie, di tanto in tanto.

Gli occhi scuri della ragazza indugiarono quasi senza volerlo sull’ultima che le aveva fatto avere, che ritraeva Petra insieme a Daria e al piccolo Carl, che sorrideva e agitava una mano verso l’obbiettivo.
Larisse sfiorò con le dita il volto di Petra, che dopo quasi sette anni di lontananza riconosceva a stento, per poi indugiare sui visi dei due fratellini più piccoli, due bambini di quasi nove e sette anni.

Guardò il sorriso vivace di Carl, che sembrava davvero felice in quella foto e salutava una sorella che non aveva mai conosciuto. Guardò Daria, che aveva praticamente la sua età quando se n’era andata con suo padre e Bianca, quella fragile bambina nata fin troppo prematura che a causa di uno scoppio di magia involontaria aveva rischiato di perdere la vita da piccola, o di diventare un Obscurus, e che da allora era sempre stata tanto cagionevole di salute.

Larisse era sempre stata brava a celare i suoi sentimenti, a non far trapelare le emozioni, aveva imparato a farlo da piccola, quando non voleva aprire triste per non far soffrire ulteriormente suo padre. Con il tempo quell’impassibilità, quella freddezza, erano diventate parte di lei, arrivando a smuovere leggermente quella maschera stoica solo quando era a casa, con suo padre e sua sorella. Sua sorella Bianca, che non ricordava neppure sua madre, praticamente. 

Non le capitava spesso, per non dire mai, ma in quel momento era sola, nella sua stanza e quasi non le importò quando venne scossa da un singhiozzo, portandosi una mano alla bocca mentre chiudeva gli occhi, lasciando che un paio di lacrime le bagnassero le guance.
Larisse non piangeva mai, odiava piangere fin da bambina, ma non riuscì s trattenersi mentre pensava a sua madre e ai suoi fratelli, che non vedeva da anni e che forse non avrebbe rivisto per molto altro tempo, e a suo padre, che soffriva cento volte più di lei e sua sorella messe insieme.


“Larisse, ti ho riportato… oh. Scusami.”

Penny si bloccò sulla soglia della camera, rimpiangendo di non aver bussato mentre Larisse scuoteva il capo, asciugandosi le lacrime prima di parlare:

“Non importa Penny, vieni pure.”
“Va tutto…”
“Sì, va tutto bene. Benissimo, stavo solo… guardando qualche vecchia foto.”

La rossa Sì schiarì la gola, a disagio, mentre la bionda annuiva, chiudendosi la porta alle spalle prima di lasciare il libro sulla scrivania e avvicinarsi all’amica, sorridendo appena alla vista della foto:

“I tuoi fratellini?”
“Sì. Petra, Daria e Carl.”
“Carl sembra adorabile.”

“Sì, lo sembra.” 

Larisse annuì, parlando con un tono duro che non sfuggì alle orecchie di Penny, che intuì e sorrise appena prima di parlare con il suo tono più gentile:

“Ti mancano?”
“Sì, molto.”

“Anche a me manca mia sorella, sai? È normale Larisse, non devi… reprimerlo.”
“Io non reprimo un accidente!” 

Larisse tirò su col naso, parlando con tono stizzito che fece sorridere la bionda che annuì e le mise un braccio intorno alle spalle:

“Certo, certo… dico solo che parlarne fa bene, ogni tanto.”
“Tu parli mai di tua sorella?”
“No, per questo lo dico.”

Larisse emise un debole sbuffo e Penny sorrise, guardandola rimettere la foto nella scatola mentre parlava a mezza voce, il tono piatto:

“Non è solo che mi manchino… io quasi non li conosco. Ho lasciato Petra che aveva sette anni, e ora Carl ha la sua età! Il piccolo Carl, io non… io non lo potrei riconoscere se lo vedessi per strada, se non fosse per le foto che mia madre ci manda. E lo stesso vale per Daria, lei che è così fragile, un giorno potrebbe avere un incidente di qualche tipo e io non sarei lì con loro, capisci? E anche se un giorno dovessimo riunirci non sarebbe nemmeno la stessa cosa, non potrei mai avere con loro il rapporto che ho con Bianca.”

Larisse scosse il capo e Penny annuì, appoggiando la testa contro la sua:

“Lo capisco, davvero. Immagino che sia difficile, ma non devi caricarti di mille responsabilità, ok? Tu non sei tua madre, non ti devi prendere cura di tuo padre e di sua sorella in tutto e per tutto…”

“Certo che devo, sono la mia famiglia, e mio padre si è fatto in quattro per anni per noi. Adesso ha un lavoro dignitoso alla Gringott, ma quando siamo tornati… io gli devo molto, e non mi perdonerei mai se gli accadesse qualcosa. So che non è felice, una volta l’ho sorpreso a guardare una foto di mia madre quasi in lacrime, il minimo che possa fare è assicurarmi che stia bene almeno fisicamente e prendermi cura di mia sorella.”

“Come sei dolce…”
“Non dirlo neanche per scherzo. Mai più.”


*


Non poteva aprire quel diario, o forse non aveva ancora trovato un modo alternativo corretto per farlo, ma pazienza, non ne aveva bisogno: era sufficiente sapere che loro non avrebbero potuto farlo. 
Era stata proprio una fortuna averla vista scriverci dentro, e solo pochi giorni, per di più… aveva capito come si apriva e anche di doverlo far sparire, se voleva farla franca: lui avrebbe potuto usare il suo, di sangue, per aprire quel dannato diario.

Se lo rigirò tra le mani, poi sbuffò e lo lasciò dentro un cassetto, chiudendolo a chiave con la magia subito dopo. Si lasciò infine cadere sul letto, posando lo sguardo sul diffido buio, le mani sulla nuca, prima di sorridere.

Poveri, poveri stupidi.


*


“Papà è preoccupato per te, dice che ultimamente fai la “misteriosa”.”
“Misteriosa? Papà si preoccupa troppo.”

“Certo, per la sua Principessa… quando sa che verrai a trovarci è sempre felicissimo, adora averti qui. E anche io.”

Larisse sorrise a quell’ammissione, guardando la sorellina con affetto prima di versarle un altro po’ di cioccolata calda: se l’era meritata, dopotutto.

“Grazie piccoletta, anche voi mi mancate quando non ci sono. E rilassati, non sto combinando niente di strano, dillo anche a papà.”
“Uhm, sarà… io intanto prendo qualche biscotto!”

Bianca si alzò per raggiungere la dispensa e Larisse la segui con lo sguardo, certa di averla convinta. Adorava sua sorella, ma Bianca riponeva una fiducia cieca nei suoi confronti, tanto da credere a qualunque cosa le dicesse, fin da piccole.

Lo stesso non si poteva dire di suo padre, ma confidava nel fatto che nessuno dei due scoprisse quello che stava facendo insieme ad alcuni suoi compagni. 
Dopotutto, se aveva deciso di entrare nella Causa era solo per loro, per la sua famiglia, del regime le importava fin lì, voleva solo vedere suo padre sorridere di nuovo e la sua famiglia di nuovo riunita.
Nient’altro.







…………………………………………………………………………………………………
Angolo Autrice: 

Buongiorno. 
Allora, anche questo capitolo non lo ritengo un granché, spero che vi sia piaciuto (anche perché sarebbe un peccato sprecare il capitolo di Larisse), in caso contrario spero mi perdonerete sapendo che l’ho concluso alle tre del mattino e litigando, nel mezzo, con una creatura di Satana conosciuta anche come “zanzara”. 
Chiusa la parentesi, questa volta ho deciso che vi metterò in crisi, pertanto i nomi per il prossimo capitolo sono:

-    Erzsébet 
-    Carmilla

Inoltre, ecco a voi la piccola Bianca:
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E ultima cosa… se vi va di dare un’occhiata, ho iniziato una nuova Interattiva :)

Buona giornata per voi, buonanotte per me!
Signorina Granger 

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Capitolo 18
*** Capitolo 16 ***


Capitolo 16

 
Un mese dopo 


La volpe camminava silenziosa sul limitare del marciapiede, procedendo accanto alle pareti degli edifici della strada silenziosa e illuminata solo dai lampioni o dalle insegne dei negozi. 
Per quanto Londra di rado dormisse, quella notte la zona Sud sembrava profondamente assopita, forse complice il freddo o il fatto che fosse solo un martedì. In ogni caso, l’animale procedeva indisturbato e senza farsi notare, girando l’angolo in una strada stretta e piuttosto buia. 

Solo pochi metri dopo una giovane donna dai capelli scuri aveva preso il posto dell’animale, sistemandosi distrattamente il bavero del cappotto leggermente sollevato mentre si guardava intorno con attenzione prima di infilarsi le mani nelle tasche. 
Per qualche metro l’unico rumore nel vicolo furono i suoi passi, o almeno finché una seconda andatura, più rapida, non si unì a lei: un attimo dopo Carmilla sentì qualcuno affiancarla, ma non si curo nemmeno di voltarsi per accertarsi della sua identità.

“Non mi stancherò mai di ripetertelo, Carma, quella volta la tua scelta è stata penosa.”
“E perché mai? Mi piacciono le volpi. Sono belle, molto intelligenti, silenziose e discrete quando vogliono. Trovo invece che la tua, Erza, sia stata una scelta di pessimo gusto.”

Il tono calmo e rilassato della strega non si scompose mente rispondeva alla gemella, che invece sbuffò debolmente prima di borbottare qualcosa a mezza voce:

“Se non altro i pipistrelli non danno nell’occhio. Quando mai si è vista una volpe gironzolare per Londra?!”

Carmilla non sembrò badare alle parole della sorella, liquidando il discorso con un gesto della mano prima di prenderla sottobraccio:

“Sono stanca Erza… andiamo a casa. Per oggi il nostro lavoro è finito.”


*


Haze aprì pigramente gli occhi quando si svegliò, ritrovandosi a guardare una delle due finestre presenti nella camera da letto, attraverso cui entrava abbastanza luce da fargli capire che era mattina inoltrata. 
Si girò su un fianco, verso l’altro lato del letto, ma un moto di delusione prese il posto della sua espressione rilassata quando lo trovò vuoto.

Fece per sollevarsi e chiamare Audrey a voce alta, sperando che non se ne fosse andata, ma la stessa voce della strega lo precedette:

“Incidente “inspiegabile” in Metropolitana, decine di Babbani morti sul colpo e dozzine di feriti. Perché ho la sensazione che ci sia la magia sotto?”

Haze abbozzò un sorriso quasi senza volerlo mentre si sollevava leggermente, sorreggendosi con un braccio mentre posava lo sguardo su Audrey, che era in piedi con una tazza in una mano e il Daily Mail nell’altra, appoggiata allo stipite della porta con quello che aveva tutta l’aria di essere il suo maglione grigio addosso. 

“Hai preso il giornale?”
“Te l’ha portato un gufo, mi ha svegliata il suo dannato picchiettio… tu invece dormivi come un sasso. Nessuna buona notizia comunque, come sempre. Ma come mai un gufo ti porta un giornale Babbano? Conosci qualcuno in redazione?”

La strega sospirò debolmente mentre si avvicinava al padrone di casa, lasciando il giornale sul letto prima di sedersi di fronte ad Haze, che annuì e sollevò una mano per sfiorarle i capelli castani ed esitò prima di parlare:

“Mi sono svegliato e sei qui. La giornata è comunque iniziata bene.”
“Pensavi me la fossi filata?” 
“Non si può mai sapere… Questo non è il mio maglione?”

Haze inarcò un sopracciglio mentre sfilava la tazza dalle mani di Audrey per bere un sorso di caffè, mentre lei si limitò a stringersi nelle spalle:

“Lo era. E quello era il mio caffè.”
“Casa mia, tazza mia, caffè mio, maglione mio.”
“Oh, scusa, pensavo di parlare con un adulto, non con mio nipote di quattro anni.”

Haze abbozzò un sorriso e, dopo aver lasciato la tazza sul comodino, circondò la vita di Audrey con entrambe le braccia, guardandola con aria speranzosa e parlando a mezza voce:

“Resti per pranzo?”
“Devo andare a prendere l’uomo della mia vita, lo sai.” Audrey scosse il capo mentre gli circondava il collo con le braccia, guardandolo sbuffare debolmente e rivolgerle un’occhiata torva:
“Potrei iniziare ad essere geloso.”
“Ma se nell’ultimo mese praticamente ho vissuto qui!”

Haze non rispose, appoggiando la fronte contro la sua e chiudendo gli occhi, astenendosi dal dirle quanto gli piacesse averla lì, a casa sua. 

“Vorrei… restare qui. Ignorare tutto, lasciarci alle spalle tutto, stare qui con te e basta.”
Teneva gli occhi chiusi ma la sentì comunque sorridere, sfiorargli i capelli castani con le dita prima di parlare:

“Le bolle di felicità non esistono, Haze, prima o poi si esce ad affrontare la realtà.”
“Non sono stato felice molto spesso, negli ultimi dieci anni. Ma quando siamo soli riesco quasi a dimenticare tutta la merda in cui viviamo.”

L’ex Corvonero aprì gli occhi prima di baciarla dolcemente, sfiorandole di nuovo le onde di capelli castani prima di parlare, accarezzandole il volto con una mano:

“Ne parlerai con Henry?”
“Non lo so. Insomma, è piccolo e non mi sono mai ritrovata in una situazione del genere da quando è nato.”
“Negli ultimi anni non sei uscita con nessuno?”

“Forse un giorno avrai modo di scoprire che un bambino tiene impegnati, Haze. Specie se sei sola e hai un… lavoro come il nostro. E comunque no, nulla di serio, anche da prima che nascesse.”
Audrey si strinse nelle spalle, continuando ad accarezzargli i capelli con aria assorta mentre Haze, invece, sfoggiava un sorrisetto:
“Quindi la nostra è una relazione seria?”

“Mh, forse.”
“Forse?! Non accetto un forse come risposta!”

Audrey ridacchiò ma Haze non la imitò, corrugando la fronte. Stava per ribattere ma lei lo precedette, dandogli un rapido bacio a stampo prima di alzarsi e decretare che doveva proprio andare. 
Haze sbuffò mentre la guardava rivestirsi in fretta, e la strega gli scoccò un bacio aereo prima di salutarlo e uscire di casa, fermandosi però a salutare il suo “scimmiotto”.

Haze si era lasciato cadere sul letto sfatto con un sospiro quando sentì qualcuno salire sul materasso, sorridendo appena quando si sentì scuotere la spalla da due zampe pelose invisibili.

“Sì Storm, lo so, la colazione, arrivo subito… aspetta un attimo… IL MIO MAGLIONE!”


*


“Sei contento di passare la giornata con gli zii, frugoletto?”

Max sorrise dolcemente a Henry, che le sorrise e annuì mentre se ne stava seduto sulle spalle di Erik mangiando un waffle che il mago aveva definito “più grande di lui”.

“Non sarà tropp grande, quel Waffle? Henry, non devi mangiarlo tutto, se non c’è la fai più.”
“Nah, va benissimo.” Max si strinse nelle spalle – mentre sbocconcellava un Waffle a sua volta – ma Erik non parve convinto e rivolse un’occhiata apprensiva al bambino sollevando lo sguardo. Il piccolo, tuttavia, scosse vigorosamente il capo prima di addentare il dolce:
“No Tìo, lo mangerò todo!”

“Fantastico, stasera starà male e sua zia non se la prenderà con il suo piccolo principe o con la sua migliore amica, no, ma con il povero Erik, quello sacrificabile…”

L’ex Serpeverde sbuffò e roteò gli occhi azzurri mentre Nax, accanto a lui, ridacchiava e conveniva sul fatto che fosse lui quello sacrificabile, tra loro.

“Perché invece di ridere non mi offri un po’ di dolce, Keenan?”  Erik inarcò un sopracciglio e allungò una mano verso il Waffle, ma la strega provvide subito a schiaffeggiargliela e a fulminarlo con lo sguardo:
“Sai, penso che invece di Knife dovremmo chiamarti Avvoltoio, Murray!”

“Io sono molto più carino di un avvoltoio. Comunque, perché pensi che Maria ci – anzi, mi, tu ti sei autoinvitata – abbia chiesto di tenere il bambino, oggi? Non credo che Audrey lo sappia, che stia architettando qualcosa?”
“Forse riguarda Grace, chissà. E comunque non avrei potuto lasciare il piccolo zuccherino con te, rischia di diventare… beh, come te se passate troppo tempo insieme!”

“Cosa stai insinuando, scusa?!”

I due continuarono a battibeccare su chi fosse lo zio migliore anche quando Henry li pregò di entrare in un negozio di giocattoli infondo alla via, dove il bambino parve sprizzare felicità mentre vagava tra gli scaffali pieni di scatole colorate.

E fu con un gran sorriso soddisfatto che il bambino, dopo attente riflessioni, posò alzandosi in punta di piedi la scatola di un treno componibile sul bancone della cassa:

“Gracias!” Esclamò Henry voltandosi verso Erik e Maxine, che gli rivolse un sorriso adorante mentre Erik pagava e la donna alla cassa sorrideva prima di informarli di quanto fossero una splendida famiglia. 
A quel punto Erik sembrò sul punto di svenire, e Max avvampò mentre Henry seguiva la scena sorridendo allegro. 

“Cosa? No. Noi non… lui non è mio, nostro… È il figlio di una nostra amica!” Conclusero in coro i due quando Erik sembrò essersi ripreso, ma la Babbana non sembrò voler demordere perché sfoggiò un secondo sorriso gentile e angelico mentre dava il resto:

“Oh, scusate, davate l’impressione… beh, magari lo sarete un giorno allora.”

“MA NOI NON SIAMO SPOSATI! Signora?! Perché ride? Erik, perché ride?”
“E io che ne so, le donne sono alieni per me… Vieni campione, e ricorda, trovati una ragazza il più tardi possibile.”


*


(Questo dialogo sarà interamente in spagnolo, penso che il senso si capisca comunque ma se volete che d’ora in avanti metta la traduzione ditemi pure)


“Hola mamá, ¿dónde está Henry?” 
Audrey si sporse per dare un bacio sulla guancia della madre quando la donna le aprì la porta, entrando in casa sotto lo sguardo della donna, che sembrava quasi nervosa:

“Es con Erik y Max.”
A quelle parole la figlia minore aggrottò la fronte, rivolgendo un’occhiata a dir poco confusa alla madre mentre si sfilava il cappotto color cammello:
“¿Qué? ¿Por qué? Entonces, ¿por qué me preguntaste de venir... qué està haciendo ella aquí!?”

Audrey si sentì raggelare e si bloccò come fosse stata pietrificata quando scorse sua sorella sulla soglia del corridoio, gli occhi castano-verdi che condividevano fissi su di lei.

“Audrey, tu hermana vino aquí hace unos días, me explicó la situación y ahora te pido que la escuches. Por favor, hazlo por mí, tu y Grace sois toda mi familia.”
Audrey si voltò verso la madre sfoggiando una smorfia quasi disgustata sul volto, scuotendo il capo e facendo un passo indietro mentre la guardava come se fosse totalmente impazzita, non capendo come potesse la donna guardarla con quell’espressione implorante.

"Familia”? Aquí la única familia somos yo, tú y Henry, mamá. ¡Familia significa enfrentar dificultades juntas, no huir y descargarlas de los demás! Ella nunca ha estado aquì para nosotros en los últimos años.”

“Audrey, te dije que lo siento, ahora solo quiero arreglar las cosas…”
Grace sospirò e fece per prendere la parola, ma Audrey scosse il capo e sollevò lo sguardo di scatto su di lei, zittendola con un cenno:

"Cállate, perra, no puedes pensar que puedes venir después de años y pretender que no pasó nada, y no recuperarás mi niño.”
"Audrey, por favor, siéntate al menos ..." Maria le sfiorò il braccio avvicinandosi alla figlia minore di un passo e Audrey, dopo un attimo di esitazione, annuì, continuando però ad evitare di guardare la sorella:

"Está bien. Pero solo por cinco minutos".




"¿Cómo puedes estar de su lado, después de todo lo que hizo? Abre los ojos, mamà, siempre ha sido buena obteniendo lo que quiere pero ha abandonado a su hijo, se lo ha descargado sin siquiera decirnos quién es su padre. Ella no tiene derechos, ¡incluso legales!”

Maria scosse il capo alle parole della figlia minore, parlando con un sospiro mentre Grace si limitava a seguire il loro scambio di battute, in silenzio, seduta di fronte a madre e sorella.

"Sé que estaba equivocado, Audrey, pero ¿no crees que sería mejor para Henry tener una familia real, lejos de este mundo cruel?"
Alla domanda della madre Audrey sorrise, facendosi sfuggire una debole e sprezzante risata prima di replicare prontamente e con tono duro:

"Yo soy su familia, Y ella única cruel aquí es el que lo abandonó por una vida mejor . No me importa lo que pienses, mamá, siempre has perdonado todo y es por eso que, dado que no me rendí, Grace te puso en el medio, pero soy el tutor legal de Henry, y el quedará conmigo".

“Audrey, razones. Sé que amas a Henry, sería por su bien ...” 
All’ennesima preghiera della madre Aury sospirò, alzando gli occhi al cielo prima di sbottare, parlando con un paio di ottave in più rispetto alla norma:

“Él no la conoce! Él no sabe quién es, ¿cómo crees que sería para él dejar a todos los que conoce seguir a una mujer con la que comparte solo una parte de su ADN? Soy perfectamente capaz de cuidar de él, y él está feliz.”

Perché Henry era felice, lo era davvero, lo sapeva, così come sapeva che lui le voleva molto bene.
Grace strinse le labbra a quelle parole, riservando alla sorella un’occhiata truce prima di sibilare qualcosa a denti stretti:
"Ni siquiera puedes cuidarte.” (Non sai nemmeno prenderti cura di te stessa)

“Callate la boca.”
“Gringa chiquitica.”
“Boca muy gorda!”
“Semplona!”

Marìa, ormai abituata a quegli scambi di battute piuttosto coloriti, alzò gli occhi al cielo prima di alzarsi in piedi, zittendo le figlie con un cenno:

“Vale, eso es suficiente, ahora callad la boca! Madre de Dios ... ahora sois adultes, debeis encontrar un punto de encuentro.”

“No hay punto de encuentro para encontrar. Mi hermana murió por mí hace casi cuatro años, no tengo nada que decirle excepto que puede regresar de donde vino y no mostrarse más. Estamos bien sin ti. Hasta luego, mamà.”

E con un’ultima occhiata velenosa alla sorella Audrey si alzò, allontanandosi a passo di marcia fino ad uscire dalla porta di casa, sbattendosela alle spalle.
Per quanto la riguardava, il discorso era chiuso.


*


“Ormai è da un mese che non succede nulla di strano… dite che la pace durerà?”
Nathan, che stava salendo le scale della Metropolitana insieme ad Aeron e a Quinn, si rivolse ai due ex compagni di Casa con tono dubbioso, ricevendo una scrollata di spalle da parte di Aeron come risposta:

“Ne dubito, una talpa non smette di fare la talpa così, da un giorno all’altro, senza motivo.”

“Senza contare che stanotte abbiamo causato non so quante morti. Un’altra tacca che si aggiunge ai motivi che non mi fanno dormire la notte.”

Quinn sfoggiò una smorfia con le labbra mentre calciava un po’ di neve con l’immancabile anfibio nero, borbottando che forse prendere le sembianze di Alecto non era poi così male, in confronto a causare incidenti ferroviari solo allo scopo di disseminare terrore.

“Vai a dirlo alla tua fidanzatina che lo sta facendo in questo momento, forse sarà felice di vederti il posto.”
“Sai che ti dico Shadow? Ci vado davvero, da Faye, lascio che a fare rapporto a Royal ci andiate voi. Ci vediamo.”

Quinn assestò una pacca sulla spalla dell’amico prima di fare inversione girando sui tacchi e allontanarsi a passo svelto, stringendosi nel capotto mentre Aeron e Nathan lo seguivano con lo sguardo:

“Lo hai mai visto così?”
“Così come?”
“Così preso. Sono passati più di due mesi, di solito a quest’ora dava già segno di essersi stancato della sua conquista.”

Aeron parlò aggrottando leggermente la fronte e con tono vacuo, mentre Nathan sorrise appena prima di stringersi nelle spalle ed estrarre una sigaretta dal pacchetto:

“Penso che tu abbia ragione, ma credo che Max lo abbia minacciato di morte, quindi non avrebbe comunque molta scelta. Pensi davvero che a breve darà qualche altro segno di vita?”

“Ne sono piuttosto certo. Bisogna vedere se saremo in grado di uscirne illesi, questa volta, o magari di usarla a nostro vantaggio.”


*


Penny stava studiando quando si sentì abbracciare da dietro, e la ragazza sobbalzò mentre si voltava di scatto, rilassandosi quando incontrò gli occhi azzurri e il sorriso con cui Hunter la salutò:

“Ah, sei tu.”
“Perché, c’è qualche altro ragazzo che ti abbraccia così? Se sì, gradirei saperlo.” Hunter le diede un rapido bacio a stampo prima di occupare la sedia accanto a quella della bionda, facendole cenno di sedersi sulle sue ginocchia.
Cosa che la ragazza fece con un debole sorriso, scuotendo il capo mentre gli circondava il collo con le braccia, accarezzandogli i capelli biondi:

“No, ovviamente no. L’unico a cui permetto di avvicinarsi tanto sei tu.”
“Allora sono speciale?”
“Ma certo che lo sei.” 

Penny gli sorrise dolcemente e si chinò appena per baciarlo, mentre Wyatt, di fronte a loro, si schiariva rumorosamente la voce prima di borbottare che in quell’edificio ormai fioccavano coppiette come funghi e che non potevi svoltare l’angolo senza imbatterti in una di loro.

“Beh, loro sono carini però.” Lud sorrise all’amico, che si strinse nelle spalle prima di sfoggiare un’espressione pensierosa:

“Mh, sì, la dolcezza di Penny mitiga l’essenza da orso di Hunter…”
“Come scusa?”

“Dobbiamo trovargli un nome Lud. Cosa proponi?”
“Che ne dici di… Hunny?”
“No, fa rima con funny.”
“Allora… Penter?”

“Penter è approvato. Ragazzi, da oggi sarete i Penter, ok?”


Wyatt sorrise a Penelope e ad Hunter, che per tutta risposta guardarono il ragazzo con due espressioni confuse pressoché identiche. Il Lupo Mannaro però ridacchiò prima di tornare a fare i compiti, decidendo che quel nomignolo era ormai indelebile.


*


Larisse e Raphael si stavano baciando, seduti sul letto del ragazzo nella sua camera, e la rossa trasalì quando sentì le mani di Raphael insinuarsi sotto il suo maglione e sfilarle la camicia dalla gonna, tastandole le schiena.


“Rafe… Rafe, aspetta.”

Larisse lo allontanò gentilmente da sè appoggiandogli le mani sul petto, guardandolo mettersi seduto più comodamente sul letto e ricambiare il suo sguardo con curiosità. 

“Che cosa c’è? Ho fatto qualcosa di sbagliato?” Il ragazzo spalancò leggermente gli occhi scuri, facendo risalire una mano fino alla spalla della ragazza che scosse il capo alla sua domanda, chinano il capo con un velo di imbarazzo:
“No. No è solo che… io non… io non l’ho mai fatto, ecco.”

“Oh, d’accordo… Beh, non è un problema. Va bene, posso aspettare un po’, se non te la senti subito.”

Raphael le sorrise, intrecciando una mano con quella della rossa, che alzò lo sguardo per ricambiare il suo e sorridergli leggermente, quasi con gratitudine:

“Ok. Grazie. Non è che io non voglia farlo con te, solo che…”
“Lo so. Lo so, non è un problema, ok? Ci tengo a te, Larisse.” Raphael le sorrise, mettendole una mano sul viso prima di baciarla dolcemente. Larisse, invece, lo guardò un un sopracciglio inarcato quando si staccarono, gli occhi scuri improvvisamente divertiti:

“Sai, forse non sei davvero l’idiota che credevo. Potrei anche ricredermi, anche se è raro che io lo faccia.”
“E vorrei ben vedere! Ho subito mesi di maltrattamenti, per non dire anni, solo perché mi piacevi!”


*


Era stato al Covenant per cercarla, ma lì aveva incontrato sua sorella Scarlett, che gli aveva detto che Alecto se n’era andata poco prima. 
A quel punto Quinn era ovviamente andato a casa sua, e non trovandoci traccia di Faye gli era preso leggermente il panico, chiedendosi dove potesse essere. 
Per questo motivo tirò un sospiro di sollievo quando aprì la porta della cantina del ristorante e trovò la Tassorosso rannicchiata su un divano.

“Faye! Che ci fai qui, ho girato tutti i posti che mi sono venuti in mente, stavo per cercare un modo per chiamare tuo padre e chiedergli se fossi con lui.”
“Volevo stare un po’ da sola, ma questo posto mi mette molta calma, non saprei. Anche se mi fa pensare a Rain e al fatto che uno di noi non è chi crediamo che sia.”

La ragazza si strinse nelle spalle con un sospiro mentre Quinn le si avvicinava, sedendo accanto a lei e annuendo con aria cupa mentre le sistemava un braccio intorno alle spalle:

“Lo so, non è piacevole pensarci. Ma l’importante…”

Faye abbassò lo sguardo quando sentì la mano di Quinn sfiorarle la sua, guardando le loro dita intrecciarsi mentre il ragazzo finiva di parlare:

“… è che noi restiamo uniti, giusto?”
“… Giusto.”  

La Tassorosso annuì dopo un attimo di esitazione e Quinn le sorrise dolcemente, sporgendosi per baciarla mentre Faye sperava ardentemente che avesse ragione.
Non avrebbe sopportato di perderlo, lui e tutta la sicurezza, il benessere che le trasmetteva.


*


“Tu e Penny fate sesso?”

Raphael era steso su un divanetto e parlò con il tono chi chi chiedeva del tempo, ma Hunter non reagì con la stessa nonchalance e si fece quasi andare la saliva di traverso, arrossendo leggermente prima di scuotere il capo e borbottare un secco “no”.

“Oh. Lei è vergine?”
Il moro rivolse un’occhiata curiosa al biondo, che strinse i denti e la presa sulla sua penna prima di sibilare qualcosa a denti stretti:
“Sarebbe molto meglio se lo fosse.” 

“Che intendi?”
“Niente. Solo che le darò tutto il tempo che vorrà e di cui avrà bisogno, non ho intenzione di farle pressioni sulla questione.”

“Beh, è giusto così, ho detto lo stesso a Larisse. Siamo due veri gentiluomini, eh Blaine?” 
Raphael si portò le mani dietro la nuca e sorrise al compagno, che annuì con un sospiro:

“Se le nostre sorelle fossero qui direbbero “sì, tutto per merito nostro”.”


*


“Ma come si monta questo coso… ci vuole una laurea in Ingegneria!”

Max sbuffò mentre, seduta a gambe incrociate sul pavimento, cercava di montare il trenino di Henry insieme al bambino e ad Erik, che la guardò con un sopracciglio inarcato prima di accennare a tutti i pezzi che lui aveva già montato:

“O forse solo un p’ di manualità…”
“Nessuno ha chiesto il tuo parere! Frugoletto, cosa stai disegnando?”

“È per te Tía Max, voglio farti un… un…” Henry si bloccò, spalancando gli occhi scuri prima di voltarsi verso la ragazza con aria preoccupata, parlando con tono allarmato:

“Tìa, non so più come si dice... cuore in inglese!”
“Ma tesoro, l’hai appena detto!”

“Oh. Mi sono confuso…” Henry annuì e chinò il capo mentre impugnava la matita rossa tra le piccole mani, mentre Max gli sorrise e gli arruffò i capelli con una mano prima di lasciarci un bacio sopra:
“Non importa, sei bravissimo, sai, parli due lingue! Io non ne parlo due, sei molto più bravo di me.”

A quelle parole ad Erik scappò una risatina e Max fece per replicare, ma sentendo la porta di casa aprirsi si zittì, prima di udire la voce di Audrey dall’ingresso:

“Siete a casa?!”
“Sì!”
“Tìa!”

Henry sorrise prima di alzarsi e raggiungere la zia di corsa insieme a Snow, che fece le feste alla padrona. Audrey sorrise al nipotino, prendendolo in braccio e stampandogli un bacio su una guancia mentre raggiungeva il salotto:

“Hola mi amor, ¿como estas?”
“Bien Tìa, estamos jugando!”

Henry indicò con un largo sorriso gli “zii” e il suo nuovo giocattolo mentre Audrey, catalogando mentalmente quella scatola sconosciuta come “treno nuovo”, fulminava i due colpevoli con lo sguardo, parlando con tono eloquente:

“Un altro regalo, eh? Ancora?”
“È stata colpa di Murray!”
Maxine indicò il Serpeverde, che per tutta risposta scoccò un’occhiata torva alla Grifondoro:
“Ma se tu volevi comprargli anche il sommergibile?!”

“Oh Audrey scusa, ma non riesco a dire di no a quel faccino… guarda, ha le fossette!”

“Le ho anche io, ma mi maltratti dalla mattina alla sera!”
“Ma tu non conti Murray, non sei un adorabile bambino bilingue che mi chiama Tìa!”

Audrey alzò gli occhi al cielo mentre rimetteva Henry per terra per andare a dar da mangiare a Snow e a Duchessa, chiedendosi perché avesse dovuto trovarsi una famiglia tanto assurda.


*


“C’è qualcuno qui?! … Oh, scusate, interrompiamo qualcosa per caso?”

Erzsébet si fermò sulla soglia e sfoggiò un sorrisetto in direzione di Quinn e Faye, trovandoli seduti vicini sul divano con le mani intrecciate e la testa di lei poggiata sulla spalla di lui.

“A dire la verità sì, Miss Simpatia, non è che puoi passare più tardi, vero?”
“Uhm, fammici pensare… no. Ed è stato il tuo migliore amico a chiederci di venire, Reaper, quindi immagino che presto arriveranno anche gli altri.”

Erza entrò nella stanza stringendosi nelle spalle – con al seguito l’immancabile Atlas, che seguì la padrona e le appoggiò la testa sulle ginocchia quando la ragazza ebbe preso posto – e Carmilla la seguì un attimo dopo, salutando i due con un sorriso cordiale.

“Ciao Faye… com’è andata la tua giornata da Alecto? Domani tocca a me, e devo anche andare ad una riunione con i Mangiamorte…”
“Chiederti di piazzare una bomba e ucciderli tutti è troppo, vero sorellina?”  Erzsébet rivolse un’occhiata in tralice alla gemella, che prese posto accanto a lei stringendosi nelle spalle mentre Quinn e Faye le imitavano:

“Non so quanto gli altri sarebbero d’accordo, ma sarebbe una soluzione senza dubbio molto efficace. Ah, eccovi, come mai ci avete riuniti con urgenza?”

Carmilla si rivolse ad Aeron e a Nathan con un’occhiata carica di curiosità quando vide i due entrare nella stanza, mentre accanto a lei la sorella annuiva con enfasi, visibilmente amareggiata:
“Già, io stavo per farmi un bagno caldo!”

“Mi dispiace aver rovinato i tuoi piani Erzsébet, ma abbiamo parlato con Royal.”

Sentenziò Nathan mentre prendeva posto accanto ad Aeron, alla sinistra del posto a capotavola che il secondo era solito occupare durante le loro “riunioni”. Aeron che annuì mentre lo imitava, parlando con un tono piuttosto serio:

“Precisamente. Vi spiegheremo tutto quando saremo tutti, ma lui è del parere che sia il caso di intervenire… e io, francamente, mi trovo d’accordo.”








…………………………………………………………………………………..
Angolo Autrice:

*Signorina cerca di nascondersi per la vergogna che la ricopre*
Emh… salve! Buonasera, o quel che si dice alle due del mattino, non si capisce perché io debba sempre pubblicare a questi orari assurdi.
Allora, innanzitutto tanti auguri in ritardo a Tinkerbell, che ieri ha compiuto gli anni, in effetti avrei voluto pubblicare il capitolo per tempo ma mi sono ritrovata ad annaspare tra le troppe cose da fare.
In secondo luogo chiedo ovviamente scusa per il ritardo con cui ho aggiornato, ma dopo aver scritto il capitolo di Larisse l’ispirazione per questa storia si è volatilizzata per un paio di settimane, ogni volta in cui mi mettevo davanti alla tastiera mi veniva solo voglia di scrivere l’altra storia che ho in corso al momento.

Infine, come avrete notato il capitolo non è dedicato a nessun OC (Caspita Irene, come sei illuminante), questo perché ho ricevuto pari voti per le gemelle, cosa che mi ha messo in crisi a lungo perché non sapevo decidere… e visto che le gemelle hanno praticamente la stessa storia essendo sorelle e anche il loro percorso è stato simile, sono finite anche nella stessa Casa ad Hogwarts, ho deciso che unirò i loro capitoli nel prossimo.
Perché non l’hai fatto qui, dite? Beh, perché l’idea mi è venuta solo venerdì e ci avrei messo molto a scrivere un capitolo simile, e non volendo farvi aspettare ancora ho deciso di finire semplicemente i paragrafi sul “presente” che avevo preparato.

Ecco, ora se volete linciarmi avete la mia autorizzazione, ma intanto mi dileguo.
A presto!
Signorina Granger 

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Capitolo 19
*** Erzsébet e Carmilla Bathkein-Horváth ***


Capitolo 17: Erzsébet e Carmilla Bathkein-Horváth

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Erano passate da poco le 18 del 30 Ottobre 1983, giorno che Réka Horváth avrebbe sempre ricordato come il più intenso, nonché importante, della sua vita. 
La strega era seduta sul letto e sorrideva alla bambina che teneva tra le braccia, sfiorendole il viso con le dita mentre la gemella stava nella sua culla, accanto a loro.

Carmilla, la prima delle gemelle ad essere venuta al mondo, riposava tranquilla tra le braccia della madre ma lo stesso non si poteva dire della sorella, che aveva iniziato ad agitarsi. 

Fu quindi con un debole sorriso che Réka si sporse per sollevare anche la seconda figlia, dandole un bacio sulla fronte prima di guardarla con aria fiera:

“Sai piccola, tu sei quella con il nome migliore… l’ho scelto io, dopotutto. Senza offesa, eh.”
La strega rivolse uno sguardo affettuoso a Carmilla, il cui nome era stato scelto da suo marito, mentre Erzsébet si quietava tra le braccia della madre e la porta della stanza si apriva leggermente, mostrando Viktor sulla soglia.

“Posso entrare? Come state?”
“Non devi chiedere il permesso per entrare… vieni.”

L’ungherese rivolse un cenno al marito, che sorrise e le si avvicinò, sedendo sul letto e scoccando uno sguardo carico d’affetto alle bambine:

“Ti volevo lasciare riposare. Sei riuscita s far dormire Erzsébet alla fine?”
“Oh, vedi che hai imparato a pronunciarlo come si deve, i miei complimenti Dottor Bathkein.”

Réka rivolse un sorrisetto al Babbano, che per tutta risposta le rivolse un’occhiata torva, mettendosi sulla difensiva:

“La tua è una lingua strana, Réka, e Erzsébet non è un nome molto comune da queste parti.”
“Voi inglesi dite così, vi ritenete i padroni del mondo solo perché la vostra è una delle lingue più parlate! Ad ogni modo era l’accordo, un nome a testa. E doppio cognome.”

“Lo so, siamo d’accordo. Penso che ti lasceranno tornare a casa dopodomani, comunque.”
“Mi fa piacere, voglio portarle a casa… e poi non amo gli ospedali.”

La strega si strinse nelle spalle con noncuranza e a quelle parole il neurochirurgo inarcò un sopracciglio, guardandola con la fronte aggrottata e un velo di scetticismo negli occhi castano-verdi:

“Ti ricordo che noi ci siamo conosciuti al St. Bartholomew’s Hospital, dove tu ti eri imbucata per curiosare in una sala operatoria…”
“Beh non ero mai stata in un ospedale Babbano, da quando mi sono spostata in Inghilterra ho cercato di integrarmi il più possibile con voi Babbani. Ma è un bene che la mia folle curiosità mi abbia spinta fin li, no? Non saremmo qui, adesso… tutti e quattro.”

Réka allungò una mano per stringere quella del marito, sorridendogli apertamente. Sapeva benissimo che i suoi genitori non approvavano, che per quanto volessero bene alla loro unica figlia la consideravano una ragazzina viziata e capricciosa, che aveva deciso di allontanarsi da casa per vedere il mondo e aveva finito col stufarsi della comunità magica di spocchiosi Purosangue e con l’avvicinarsi molto ai Babbani, tanto da sposarne uno senza nemmeno avvisarli. 

Sua madre ripeteva sempre che da bambina ci metteva sempre molto poco a stufarsi di un giocattolo nuovo… probabilmente pensavano che Viktor avrebbe avuto lo stesso destino, ma si sbagliavano. Specie ora che erano diventati una famiglia a tutti gli effetti.


*


Carmilla sedeva sulle ginocchia della madre, il capo appoggiato sulla sua spalle mentre la donna che accarezzava distrattamente e lentamente i capelli scuri. Réka sedeva su una sedia nella corsia del San Mungo, in un’aggressione sempre più opprimente e angosciante. E il fatto di non vedere Viktor da diversi minuti non contribuiva a renderla più tranquilla.

“Mamy?”

La bambina di quattro anni parlò con un filo di voce e la madre abbassò lo sguardo su di lei, invitandola a continuare:

“Quando tornano papà ed Erza?”
“Papà arriva subito tesoro.”
“E Erza? Sta male?”
“Non benissimo tesoro, ma starà bene molto presto, vedrai.”

Réka si sforzò di sorridere alla bambina, cercando di ignorare quell’opprimente sensazione che provava. Fu con sollievo, però, che guardò la figlia annuire prima di tornare ad abbracciarla, e la strega stava pensando di riportarla a casa quando finalmente nel corridoio scorse il marito, evitando di alzarsi di scatto e raggiungerlo di corsa solo perché teneva la bambina in braccio.

“Allora?! Che cosa hanno detto, come sta?”

Réka deglutì a fatica e guardò Viktor fermarsi davanti a lei e poi sedersi con un sospiro, allungando le braccia per prendere Carmilla quando la bambina le tese verso di lui. 

“Pare che sia fuori pericolo, mi hanno permesso di darci un’occhiata e direi che l’occhio è salvo, non lo perderà.”
“E hanno bloccato quella… cosa?”
“Hanno congelato le cellule tumorali, bloccandole, in modo che non potessero né proliferare né dare metastasi, bloccando in questo modo la malattia… Potrà evitare la chemioterapia o la radioterapia. Grazie al cielo, fare la chemio ad una bambina di quattro anni…”

“Quindi ci vedrà?”
“Probabilmente non molto bene dall’occhio sinistro, ma sì, ci vedrà. Stai tranquilla Réka.”

Viktor si sporse per lasciare un bacio sulla guancia della moglie, che sospirò di sollievo e appoggiò la testa sulla sua spalla, stringendogli il braccio.

“Come sta?”
“Dorme. E tra poco anche quest’altra signorina dovrà farlo, non è vero?”
“Io non sono stanca, voglio vedere Erza!”

Carmilla cercò invano di trattenere uno sbadiglio e Viktor le sorrise con affetto, accarezzandole i capelli mentre Réka parlava a bassa voce:

“Averti è una fortuna, sai? Se non ti fossi accorto dei sintomi chissà cosa sarebbe successo…”
“Mi ero già imbattuto in un Retinoblastoma prima d’ora, anche se mai in una bambina così piccola. Comunque, l’importante è che starà bene, nient’altro.”

“Io voglio vedere Erza!”
“No Carmilla, adesso ti portiamo a casa. Prima ha cercato di imbucarsi in sala operatoria…”

“Oh, beh, buon sangue non mente dopotutto.”


*


“Bathkein-Horváth, Carmilla.”

Carmilla, dopo un attimo di esitazione, lasciò la mano della sorella praticamente per la prima volta da quando erano scese da
L’Espresso per Hogwarts avvicinandosi con leggera titubanza allo sgabello dove il Cappello Parlante l’aspettava: nessuno dei suoi genitori aveva frequentato Hogwarts, e non sapeva proprio cosa aspettarsi.


Con gran sollievo della ragazzina, comunque, quel buffo Cappello magico non impiegò molto tempo a scegliere, e dopo circa un minuto decise di mandarla tra le file dei Serpeverde. 
Erzsébet, dal canto suo, mentre guardava la sorella dirigersi verso il tavolo giusto pensò che non aveva idea di come fossero quelle persone, ma che non le importava: se c’era sua sorella, voleva farne parte anche lei. 

“Bathkein-Horváth, Erzsébet.”

Quando la McGranitt la chiamò la ragazzina si fece avanti senza esitazioni, imitando la sorella sedendosi e lasciandosi appoggiare il Cappello sul capo. E fu con un sorriso carico di soddisfazione che raggiunse, poco dopo, Carmilla al tavolo dei Serpeverde.


*


“Erza, la McGranitt ha mandato una lettera a mamma e papà, non saranno affatto contenti…”
“Non mi importa, quello lì se l’è cercata! Ci chiama sempre Mezzosangue, dice stupidaggini sui nostri genitori senza sapere niente di loro e ora ha anche iniziato ad apostrofarci come “cloni”! Mi dà ai nervi.”

Erza sbuffò e incrociò le braccia a petto, seduta a gambe incrociate sul suo letto nel Dormitorio, e la gemella sospirò prima di annuire, sedendo di fronte a lei:

“Lo so, ma non serve a niente mettersi nei guai.”
“Se mi da la soddisfazione in averlo picchiato si, Carma. Ho deciso che odio quei… Purosangue.”
“Ma la mamma è una di loro!”

Carmilla parlò spalancando leggermente gli occhi scuri, ma la gemella si strinse nelle spalle, parlando senza scomporsi troppo:
 
“La mamma è diversa, e poi è ungherese, magari i Purosangue ungheresi sono migliori. E poi quel cretino dice che dovrei mettermi gli occhiali perché non ci vedo. Lui non sa proprio un bel niente!”

“Lascia perdere Erza, fidati di me: a rendere pian per focaccia alle persone così, in modo plateale, non si ottiene nulla, si passa dalla parte del torto. Meglio farsi più furbe…”

Carmilla sfoggiò un debole sorrisetto e la sorella la imitò, sfoggiando una smorfia perfettamente identica: ora la conversazione aveva preso una piega piuttosto interessante.


*


“Ragazze! State bene, vero?”

Le gemelle vennero accolte dalla madre con un caloroso abbraccio quando misero piede dentro casa, uscendo dal camino. 

Le due annuirono e Carmilla mormorò che stavano bene ma che era stato terribile mentre la madre sospirava, pentendosi di non essere riuscita a convincere Viktor a trasferirsi altrove prima che la situazione degenerasse: essendo un Babbano, faticava a comprendere la gravità della situazione della comunità magica inglese dell’ultimo anno.

La donna sorrise, tuttavia, con sollievo e guardò le figlie con affetto prima di parlare, asserendo che il padre era stato chiamato in Pronto Soccorso.

“Beh, l’importante è che ora siate qui a casa, con me e papà. Andrà tutto bene, ok?”
“Davvero?”

Erzsébet parve dubbiosa ma Réka annuì con decisione, sforzandosi di non tradirsi:

“Assolutamente. E ora venite qui, vi voglio bene… mi siete mancate ed ero in pensiero per voi, in balia di quei viscidi.”

Réka coinvolse le gemelle in un doppio abbraccio come da routine e Carmilla annuì, appoggiando la testa sulla sua spalla e parlando con aria grave:

“Viscidi sul serio, mamma, non ne hai idea.”


*


Erzsébet era girata su un fianco nel letto, gli occhi aperti e vigili fissi su un punto indefinito davanti a sè e le braccia strette al petto sotto le coperte.
La ragazzina rimasto immobile nel letto, avvolta dal buio della camera, finché non sentì uno scricchiolio, dei passi leggeri e poi qualcuno che si fermava accanto al suo letto. Poi, senza dire nulla, Carmilla sollevò il copriletto e raggiunse la gemella, stendendosi accanto a lei.

“Mi manca.” Mormorò solo Carmilla qualche istante dopo, la voce insolitamente rotta. Erzsébet annuì, ripensando a tutte le storie che la madre aveva letto per loro proprio lì, seduta di quel letto, o alle canzoni che aveva cantato per farle addormentare da piccole.

“Anche a me.”

Poi Erzsébet si voltò, rotolando su se stessa per porgersi rivolgere direttamente alla gemella: cercò la sua mano e la strinse, parlando a bassa voce. 

“Non può essere morta per niente, Carma. È stata una morte stupida e ha avuto sfortuna, ma prima o poi quelle persone la pagheranno.”
“Non possiamo sapere chi ha causato l’esplosione in metropolitana, Erza, sono morte tantissime persone…”

“Non importa chi sia stato di preciso, Carma. Sono tutti responsabili.”


*


Carmilla ed Erzsébet avevano quindici anni quando iniziarono a studiare al Covenant per diventare Sentinelle. Il periodo immediatamente successivo alla morte di Réka fu molto duro per tutta la famiglia, specie per Viktor, che si ritrovò a dover badare alle figlie senza l’aiuto dell’amatissima moglie e senza comprendere appieno il mondo di cui loro, ormai, facevano parte. 

Le gemelle gli spiegarono che non sarebbero tornate ad Hogwarts e il neurochirurgo non esitò a decidere di farle studiare ancora: sua moglie non gli aveva mai parlato particolarmente bene di quelle famiglie Purosangue, e non avrebbe permesso alle figlie di iniziare a lavorare per quelle persone. Senza contare che neanche le gemelle avrebbero voluto farlo, ritenendo quelle persone in buona parte responsabili della morte della madre.

Fortunatamente non avevano mai avuto problemi economici grazie al suo lavoro, nonostante i facoltosi genitori di Réka avessero smesso di finanziare la figlia quando si erano sposati, e le gemelle non dovettero mai mettere piede nella casa di un 
Purosangue. 


E per quanto ad entrambe potesse mancare Hogwarts, nessuna delle due prese troppo male il cambiamento: Erzsébet aveva sempre avuto una particolare passione e predisposizione per Pozioni, e lì aveva la possibilità di approfondire le sue conoscenze anche sui veleni. 
Inoltre, entrambe avevano sempre nutrito un discreto interesse verso le Arti Oscure, e dentro quelle mura le potevano apprendere. 

L’unica cosa che non andava giù alle gemelle, e ad Erzsébet in particolar modo, erano i Carrow e la consapevolezza che una volta terminati gli studi avrebbero dovuto sottostare costantemente agli ordini dei Mangiamorte.

Non solo li disprezzavano e non accettavano di buon rado quella prospettiva, ma guardandoli vedevano sempre e solo i responsabili della morte della madre.

Dopo pochi mesi, tuttavia, Erzsébet s’imbatté in una lettura che la prese completamente, e che per molto tempo sarebbe stata il suo chiodo fisso: una sera, la giovane ex Serpeverde sedeva sul letto della gemelle nella stanza che condividevano e parlava con tono concitato di quelle persone che potevano assumere la forma di un animale, gli Animagus.

“Come la Professoressa McGranitt Carma, ti ricordi? L’ho sempre trovato molto affascinante.”
“Trasformarsi in un animale? A me non interessa, Erza.”

Erza sbuffò e le assestò un leggero colpetto sul braccio, ammonendola di essere troppo pigra e sopratutto troppo vanesia.

“Pensa quello che vuoi Erza, ma dev’essere molto difficile… la McGranitt sapeva il fatto suo, deve aver studiato parecchio per riuscirci.”
“Non lo metto in dubbio, ma non è impossibile. E sarebbe bello riuscirci.”

Carmilla, stravaccata sul letto, sbuffò debolmente e liquidò il discorso con un pigro gesto della mano, certa che l’interesse della sorella sarebbe naufragato in fretta. 

“Sì, e sarebbe bello anche volare, Erza, ma certe cose sono destinate a restare un semplice sogno. Ora lasciami dormire, sono stanca e domani abbiamo una esercitazione.”

Erza sbuffò mentre si alzava dal letto, raggiungendo il proprio senza aggiungere altro. Tuttavia, una volta sotto le coperte, la ragazzina si ripromessi di andare a fondo a quella storia. Con o senza sua sorella.


*


“Erza, non ti stai applicando! Riesco perfettamente a leggerti nella mente, non dovrei riuscirci tanto facilmente!”

Carmilla abbassò la bacchetta e sbuffò, rivolgendo un’occhiata di rimprovero alla gemella seduta su una sedia di fronte a lei. Per tutta risposta Erzsébet si passò una mano tra i capelli scuri che aveva tagliato molto corti da poco – stanca di sentire la gente asserire che fossero “uguali” quando, in realtà, erano profondamente diverse –, borbottando che era stanca e che non era affatto semplice.

“Lo so Erza, ma tu vuoi essere un’ottima Occlumante e io una Legilimens, tanto vale allenarsi insieme per migliorare. Avanti, riprovavamo… E non pensare alla mamma, mi mette tristezza. A proposito, nel prossimo weekend dovremmo andare a trovare papà, non lo facciamo da tre settimane.”

A quelle parole la gemella sbuffò e incrociò le braccia al petto, ignorando l’occhiata leggermente di rimprovero che l’altra le rivolse:

“Se proprio è necessario… non fare quella faccia, 
Carma, sai che gli voglio bene, ma è difficile, lui non ci capisce. Non potrà mai farlo, non come faceva lei.”
“Lo so. Ma lui ha soltanto noi, ok? E credo che soffra del fatto che non ci vede mai da quando siamo qui. E so che stai pensando di darti malata per non venire, concentrati!”

“Ehy, così non vale, non ero pronta!”


*


Ci vollero tre anni, ma dopo svariati tentativi, ricerche, ore passate sui libri e un gran numero di attacchi isterici di Carmilla dovuti all’insistenza della sorella – tanto che, alla fine, Erzsébet riuscì a convincere Carmilla a seguirla nella sua impresa – le due ci riuscirono. 

Era il loro penultimo anno al Covenant, e le gemelle stavano in piedi una di fronte all’altra nella loro camera. 

“Ok… una alla volta?”
Carmilla inarcò un sopracciglio ma la gemella scosse il capo, parlando con tono risoluto:

“No, insieme.”
“D’accordo. Uno…”

Carmilla allungò una mano e prese quella della gemella, che respirò profondamente mentre Carma continuava a contare. 

“Due… Tre.”

Entrambe chiusero gli occhi, ed Erzsébet percepì a malapena la mano della sorella che lasciava la sua tanto si concentrò. 

Pochi istanti dopo, tuttavia, quando entrambe riaprirono gli occhi Carmilla si ritrovò sul pavimento, gli occhi fissi su un piccolo mammifero alato. 

La volpe si voltò per guardarsi la coda rossa e bianca muoversi sinuosa come se dotata di vita propria prima di voltarsi di nuovo verso la sorella e avvicinarsi al pipistrello per annusarlo brevemente, prima che Erzsébet cercasse di alzarsi in volo, senza grandi risultati. 

Poco dopo entrambe tornarono alla forma umana, ritrovandosi sedute sul pavimento una di fronte all’altra. Erzsébet sbuffò, asserendo con un borbottio di dover assolutamente imparare a volare in fretta, ma Carmilla sorrise, divertita:

“Immagina la faccia di papà quando lo vedrà.”
“Gli prenderà un colpo! È così… pragmatico, la mamma diceva che quando gli disse di essere una strega un mese prima di sposarsi credette che lo stesse prendendo in giro per un paio di giorni interi.”

Entrambe scoppiarono a ridere e poi Erzsébet sorrise, annuendo lentamente mentre fissava il pavimento, parlando a bassa voce:

“Sarebbe stata molto fiera di noi. L’avrebbe adorato.”
“Sono sicura che lo era.”


*


“Sei sicura di volerlo fare?”
“Sì. Rain non è mai stata particolarmente brava a mantenere i segreti, e da qualche tempo la vedevo trana… sapevo che c’era qualcosa sotto. E io voglio farne parte.”

Erzsébet annuì con aria decisa mentre misurava la stanza dell’appartamento dove convivevano da quando avevano lasciato la scuola a grandi passi, mentre Carmilla sedeva sul divano con uno dei suoi gatti sulle ginocchia, l’altro che le si strusciava contro la gamba e il terzo contro il suo braccio, cercando attenzioni.

“Non pensavo che il bene comune ti interessasse tanto.”

Carmilla inarcò un sopracciglio con scetticismo e la gemella sbuffò debolmente, sorridendo senza alcuna gioia mentre si formava, appoggiando le mani sul davanzale della finestra aperta e osservando distrattamente le luci di Londra. 

“Mi conosci meglio di chiunque altro Carma, e sai che non mi interessa. È solo che non voglio passare il resto della mia vita a prendere ordini, specie se da certe persone. I Purosangue ci guardano dall’alto in basso da sempre, ci siamo abituate, ma doverli servire e riverire è tutta un’altra questione.” 

“È pericoloso.”
“Perché, la nostra vita attuale non lo è?”


*


“Trovo curiosa la tua scelta del nome, sai? Non ti ho mai sentita fare apprezzamenti su quei libri.”
“Perché tutti pensano che abbia scelto quel nome per via di Sherlock Holmes?!”

“Beh, forse perché è l’Holmes più famoso? Io non ne conosco altri, ma illuminami pure, sorellina.”

Carmilla sorrise alla sorella mentre la prendeva sottobraccio, guardandola sbuffare con aria divertita mentre passeggiavano insieme ad Atlas.

“Sai che trovo interessanti i serial killer, no?”
“Lo so bene, dal momento che occupi un mucchio di spazio con quei libri! E non capisco cosa ci trovi di interessante…”

“Tu hai la tua musica e i tuoi dischi, io i miei libri... e trovo che abbiano delle menti affascinanti, per quanto perverse. E comunque, tanto perché tu lo sappia, un certo Henry Howard Holmes è stato un noto serial killer americano della seconda metà del XIX secolo.” 

“Capisco. Quindi ti sei scelta il cognome di un serial killer come nome in codice e il tuo nome di battesimo è, in effetti, quello di una altrettanto nota serial killer.”
“Sì, quando ho sentito parlare di Erzsébet Báthory per la prima volta mi sono voluta documentare, e da lì e cominciato tutto. Mi chiedo se mamma lo sapesse.”

Erzsébet si strinse nelle spalle e Carmilla, accanto a lei, accennò una smorfia con le labbra prima di parlare:

“Non ne ho idea, ma non dirlo a papà.” 
“Sappi che nemmeno io impazzisco per il tuo nome, Sappho.”

“Ehy, il mio viene da una famosissima poetessa, che tanto perché tu lo sappia non se ne andava in giro ad uccidere la gente, ma a comporre opere d’arte!”
“Bah. Del resto, da una gattara che si veste come ti vesti tu non potevo aspettarmi nulla di diverso…”

“Almeno io non mi vesto da uomo…”
“Io non mi vesto da uomo, mi piace essere comoda e pratica! Con un lavoro come il nostro cosa dovrei fare, andarmene in giro con i tacchi? E anche Maxine ha sempre stivali e giacca di pelle.”

“Audrey lo fa.” 
Carmilla si strinse nelle spalle con noncuranza e la sorella sbuffò, liquidando il discorso con un gesto della mano come se la sua argomentazione non fosse valida:

“Audrey ha dei piedi resistenti al dolore, allora. E poi a noi non servono i tacchi, siamo già alte! Atlas, hai sentito cosa ha detto zia Carma alla mamma? Attacca!”

“Ti prego, quel cane si metterebbe a giocare anche con Tu-Sai-Chi…”


*


Erzsébet e Carmilla, dopo aver attraversato il vialetto che conduceva dal cancello all’ingresso della grande casa, ebbero appena il tempo di raggiungere il portico che la porta si aprì, rivelando Viktor sulla soglia.

“Ciao papà.”
Carmilla sorrise gentilmente al padre, fermandosi per abbracciarlo e scoccargli un bacio su una guancia mentre Erzsébet scrutava l’uomo con aria critica, riservandogli un’occhiataccia quando il medico si rivolse direttamente a lei.

“Ciao tesoro.”
Viktor sorrise ma lei non lo imitò, inarcando un sopracciglio quasi con aria di sfida:

“Perché al telefono dici di stare bene quando non è così?”
“A dire il vero io sto benissimo, Erzsébet.”

Erzsébet scrutò l’uomo da capo a piedi, e persino con la sua vista leggermente sfuocata dall’occhio sinistro non potè fare a meno di chiedersi come potesse avere un’aria tanto trasandata nonostante i capelli in ordine, la barba fatta e l’abbigliamento curato.

“Sembri sempre troppo stanco, lavori troppo. Dovresti fare meno turni, non ti serve denaro extra.”
“Se lavoro è solo per tenermi impegnato e avere qualcosa che mi prenda e che mi faccia andare avanti. Coraggio, entrate.”

Viktor rivolse un cenno sbrigativo alle figlie prima di rientrare in casa, e le due lo seguirono scambiandosi un’occhiata cupa, sentendosi leggermente in colpa: erano perfettamente consapevoli di essere praticamente sparite, specie da quando avevano iniziato a lavorare, ma crescendo e con la morte della madre avevano sentito di avere sempre meno cose in comune con l’uomo che le aveva cresciute, per quanto gli fossero grate per tutto quello che aveva fatto per loro.


“Papà?”
“Sì?” Viktor si voltò verso le gemelle e Erzsébet, dopo un attimo di esitazione, si schiarì la voce prima di borbottare qualcosa:

“Ti dispiace se… se restiamo anche per cena?”

Il neurochirurgo esitò, guardando la figlia come se pensasse di non aver sentito bene. Si conviene del contrario quando vide le gemelle limitarsi a guardarlo in attesa di una risposta, e all’ora l’uomo annuì, sorridendo:

“Tutt’altro, mi farebbe tanto piacere, ragazze.”


Sia Erzsébet che Carmilla si sforzarono di sorridere di rimando, un po’ a disagio, ed entrambe si chiesero quando fosse stata l’ultima volta in cui lo avevano visto sorridere in quel modo, con sincera felicità.
Probabilmente, molto tempo prima.






………………………………………………………………..
Angolo Autrice: 

Buon pomeriggio! 
Ebbene sì, per una volta dopo non so quanto tempo aggiorno finalmente ad un orario normale. Ancora una volta chiedo scusa per il leggero ritardo, avrei voluto pubblicare il capitolo venerdì, ma ci sono richiami che non si possono ignorare e il sequel di Mamma Mia dopo 10 anni di attesa è uno di quelli, mi spiace.
Ad ogni modo, ecco anche il capitolo dedicato alle gemelle, dove al contrario dell’altro compaiono solo i paragrafi sul passato… diciamo che questo e il precedente si completano a vicenda, ecco.
Grazie per le recensioni, e dopo un bel po’ di tempo rieccovi i nomi tra cui scegliere:

-    Quinn 
-    Nathan 


Prima di chiudere, piccola nota di servizio: incluso l’Epilogo e salvo imprevisti o cambi di programma, mancano 6 capitoli alla fine della storia.

Ci sentiamo in settimana con il seguito, prima votate e prima sarà. 
Signorina Granger 

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Capitolo 20
*** Quinn Richards ***


 Capitolo 18: Quinn Richards 

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Faye si era svegliata parecchio prima di Quinn, tenendo gli occhi scuri fissi sul soffitto della stanza senza osare muoversi per paura di svegliarlo. O forse, come le suggerì una voce nella sua testa, la verità era che restare stretta tra le sue braccia non le dispiaceva affatto. 

Quinn si era mosso nel sonno finendo con lo stendersi girato su un fianco, abbracciandola stando leggermente piegato per poter compensare la loro differenza d’altezza di circa venti centimetri e appoggiare la testa sulla sua spalla, solleticandole così la pelle con i suoi capelli neri.
Faye spostò lo sguardo dal soffitto al volto del mago, muovendosi leggermente sul materasso per facilitare l’operazione e scrutarlo con occhi vaghi, quasi tristi. 

Sollevò una mano per sfiorargli i capelli scuri leggermente spettinati e poi il viso, e Faye guardandolo di chiese con la fronte aggrottata come potesse apparire tanto perfetto.
Quinn mugugnò nel sonno e Faye sospirò, pensando a ciò che aveva detto Aeron solo un paio di giorni prima: era felice che stessero prendendo posizione sulla questione, ma da una parte aveva quasi paura di scoprire l’identità della talpa. 

Se si fosse rivelato Quinn non sapeva proprio come l’avrebbe presa. Lo avrebbe picchiato, ucciso? O si sarebbe chiusa ancora di più in se stessa e nell’autodistruzione?

Non c’era niente che le suggerisse che si trattasse di lui, in realtà, nulla di concreto. E Faye si odiava per non fidarsi dell’ex Grifondoro al 100%, ma era più forte di lei, anche considerando quanto le era stato vicino negli ultimi mesi, specie quando aveva scoperto l’identità di sua madre.

Dopo lunghe riflessioni Faye aveva deciso di non fare niente – almeno per il momento – e aspettare, perché sapeva che quella donna non l’avrebbe accolta nella sua vita proprio come non aveva fatto 27 anni prima. E l’idea di avere come fratellastro uno stupratore non la rallegrava affatto, specie perché sentiva che la donna l’aveva sempre saputo.

Non aveva mai avuto una madre o dei fratelli, ma ora che li aveva sentiva che non era certa di volerci avere a che fare. 


Il suo flusso di pensieri venne interrotto da Quinn, che si svegliò aprendo pigramente gli occhi per poi lasciarle un bacio sul collo e attirarla ancora di più a sè, mormorando un debole “buongiorno” che la ragazza ricambiò con un piccolo sorriso, felice di potersi smettere di tormentare con quei pensieri almeno per un po’.

“Quinn, non dovremmo alzarci?”
Quinn sbuffò sommessamente e per tutta risposta nascose il viso contro l’incavo del suo collo, mormorando che per altri cinque minuti non sarebbe certo cascato il mondo mentre Faye, sorridendo con un accenno di divertimento, gli accarezzava i capelli con una mano e la schiena nuda con l’altra.

“Ma sentilo… parli come un bambino. Avanti, lasciami, abbiamo da fare.”

Faye provò a spostarsi, ma la stretta di Quinn non accennò ad allentarsi minimamente mentre il Grifondoro scivolava sopra di lei e si chinava per baciarla, mormorando che potevano fare un sacco di cose anche restando a letto.
Al che Faye rise e gli mise una mano sulla bocca, sgusciando fuori dal letto per poi prendere la camicia del fidanzato e infilarsela:

“Non penso proprio. Muoviti Quinn, altrimenti poi chi li sente i nostri… datori di lavoro? Vado a fare il caffè.”
Faye uscì dalla camera camminando a piedi nudi sul pavimento mentre Ares trotterellava nella stanza, avvicinandosi al padrone per reclamare la sua colazione mentre Quinn gemeva sommessamente e si abbandonava sul materasso a peso morto, le braccia spalancate.



Faye stava versando il caffè in due tazze quando si sentì stringere da due braccia forti, e Quinn biascicò di “volere le coccole” facendole alzare gli occhi al cielo. 

“Quinn, bevi il tuo caffè e vestiti.”
“Va bene, va bene, ma resta il fatto che mi sento trascurato, era da due giorni che non ci vedevamo. Mi stai evitando per caso?”

Quinn incrociò le braccia al petto e si spostò, appoggiandosi ai fornelli e riservandole un’occhiata indagatrice prima che Faye, dopo avergli porto la sua tazza, gli si avvicinasse per alzarsi in punta di piedi e dargli un bacio, mormorando che aveva solo avuto tante cose a cui pensare prima di girare sui tacchi per andare a vestirsi con il suo caffè. 

Il mago questa volta non la seguì, limitandosi ad osservarla e a chiedersi a cosa si stesse riferendo mentre Ares gli dava qualche colpetto sulla gamba con la zampa, cercando di attirare la sua attenzione e riuscendo finalmente ad ottenerla quando il padrone abbassò lo sguardo, sollevando al contempo le braccia in segno di resa:

“Va bene, ora ti do da mangiare Ares, non fare il morto di fame!”


*


Quando i suoi genitori l’avevano informato della gravidanza della madre Quinn aveva gioito, felice di poter avere finalmente qualcuno con cui giocare. Non era stato altrettanto contento, tuttavia, quando sua madre gli aveva detto di aspettare una femmina, tanto che il bambino le aveva chiesto se non potessero cambiarla con un maschio.

La donna aveva riso, asserendo che era impossibile, e qualche mese dopo una minuscola bambina di nome Scarlett era arrivata nella sua vita.

Inizialmente a Quinn non piacque la sua nuova sorellina: non solo non poteva giocare con lei, ma piangeva di continuo tenendolo sveglio la notte e in più tutti non avevano che occhi che per lei.

Un giorno, mentre la piccola finalmente dormiva, chiese a sua madre se non potessero mandarla indietro e magari scambiarla con un cucciolo, ma lei gli sorrise e scosse il capo, accarezzandogli i capelli prima di dargli un bacio e assicurandogli che, in ogni caso, lui sarebbe sempre rimasto il suo piccolo perfetto principe. 

All’ora il bambino di otto anni sorrise, leggermente rincuorato, diventando un po’ più benevolo nei confronti della sorellina.  


*


“Non occorreva che mi accompagnassi a fare la visita, avresti dovuto restare qui o a scuola a riposarti.”
“Certo che dovevo, e l’ho fatto volentieri. Ciao Lady, ti sono mancato?”

Raphael sorrise con affetto alla gatta sua e della sorella quando la micia andò loro incontro sulla soglia di casa, strusciandosi sulle sue gambe facendo le fusa prima di lasciarsi prendere in braccio dal padrone mentre Cordelia, dal canto suo, alzava gli occhi al cielo prima di parlare:

“D’accordo, lasciamo perdere, ma non dovrai venire con me ogni volta, sono perfettamente in grado di farlo da sola.”
“Lo so Del, voglio solo starti vicino.”

Raphael abbozzò un sorriso in direzione della sorella, allungando una mano per sfiorarle affettuosamente una spalla e il gesto, con sua sorpresa, destò un sorriso anche in Cordelia, che annuì prima di sospirare e parlare con tono quasi amareggiato:

“Bene, io adesso devo andare, e potrebbe volerci buona parte della giornata.”
“Dove devi andare?”
“Lavoro, e preferisco non parlartene, lo sai. Meno ne sai è meglio è, ci vediamo stasera, credo.”

Raphael sbuffò ma non obbiettò, limitandosi a pensare a quanto in realtà ne sapesse – anche se Cordelia lo ignorava – mentre Cordelia, dopo avergli intimato di non combinare disastri in sua assenza, usciva di casa.
Si era appena chiusa la porta alle spalle quando anche la strega sospirò, chiedendosi se avrebbe mai trovato il modo o il momento di dire al fratello la verità.


*


“Pecchè devi andae via?!”

Scarlett, che aveva da poco compiuto tre anni, rivolse un’occhiata lacrimosa al fratello maggiore mentre lo abbracciava, guardandolo sorriderle con aria allegra:

“Perché devo andare a scuola, Scarlett.”
“Acche io ci vado!”
“Ma tu vai all’asilo, io devo andare in una scuola per bambini grandi.”

La bambina si imbronciò, i capelli ramati legati in due piccole codine, e asserì di voler cambiare scuola prima che il padre la prendesse in braccio, sistemandosela sulle spalle decretando che poteva benissimo scordarselo. 

“Papà ha ragione Scarlett, sei troppo piccola. Mi mancherai, mandami dei disegni, ok? Ci vediamo a Natale.”

Quinn sorrise ai genitori e li abbraccio un’ultima volta prima di salire sul treno, salutandoli dal finestrino – mentre Scarlett singhiozzava e scalpitava per raggiungerlo e anche sua madre non sembrava molto lontana dal commuoversi – finché L’Espresso non partì, facendogli sparire la sua famiglia dalla visuale.

A quel punto Quinn, pieno di voglia di iniziare quell’avventura, prese le sue cose e andò alla ricerca di un posto dove sedersi, senza immaginare che di lì a poco avrebbe incontrato il suo futuro migliore amico e che una volta arrivato ad Hogwarts sarebbe stato Smistato a Grifondoro, proprio come sua madre aveva predetto.


*


Erik stava suonando il campanello senza ottenere alcuna risposta già da diversi minuti, tanto da iniziare a pensare che Maxine non fosse in casa. 
Il che era abbastanza strano, considerando che non erano ancora le nove. 

Il mago fece per girare sui tacchi e tornare indietro, dicendosi che sarebbe andato al Covenant per chiedere sue notizie ad Hunter, quando dei rumori attirano la sua attenzione: Erik si fermò, cercando di concentrarsi sui suoni metallici per capire da dove provenissero prima di voltarsi verso quello che aveva tutta l’aria di essere un garage dal portellone semi aperto.

Qualcuno era nel suo garage, non c’erano dubbi, quindi o Maxine si dava a chissà quali attività da meccanico o c’era una specie di intruso. 
In ogni caso, sarebbe andato a controllare. 

E quando si fermò sulla soglia aprendo leggermente il portellone, Erik Murray spalancò gli occhi chiari trovandosi davanti ad uno spettacolo a dir poco inusuale e inaspettato: nel garage c’era una grossa Harley, una di quelle moto che aveva visto centinaia di volte sulle riviste da bambino. 
Max era parzialmente nascosta, ma poteva sentirla borbottare mentre trafficava stando distesa su una specie di tavola munita di ruote per controllare qualcosa sotto alla moto, il tutto mentre il suo Demiguise, Silver, se ne stava appollaiato accanto a lei con la casetta degli attrezzi.

“Mmh… Cacciavite a stella.” Una mano guantata di gomma della strega comparve nella visuale del mago, e Silver le passo l’attrezzo prima di accorgersi della sua presenza, trasalire e diventare invisibile prima di andare a nascondersi, spaventato, dietro la motocicletta. 


“Silver, che cosa c’è?!”

Maxine si allontanò così dalla moto, sollevandosi leggermente per poter puntare lo sguardo sul suo ospite inatteso prima di abbozzare un sorriso e ritornare alla posizione di prima:

“Ah, sei tu. Silver, non aver paura, è innocuo. Ciao Murray, qual buon vento ti porta qui?”

“Fammi capire una cosa.” Esordì Erik con tono pacato ma leggermente confuso, parlando sollevando una mano per indicare la moto e aggrottando la fronte:

“Tu stai aggiustando questa… e non sei in grado di montare dei treni per bambini?!”
“Beh, i giocattoli non fanno testo, possono essere molto complicati, sai? E non hai risposto alla mia domanda.”

Erik si avvicinò alla moto e alla ragazza con un debole sospiro, parlando con il tono pacato di chi non ha voglia di sollevare discussioni:

“Forse l’hai scordato, ma dobbiamo andare.”
“Non farmi pressioni Murray, è sabato e io ieri ho dovuto fingere di essere una donna orrenda e dal pessimo carattere per tutto il giorno! E non fare quel sorrisetto sarcastico, ti vedo!”
“Non puoi farlo, in realtà…”

“Oh, no, posso. Posso eccome.”


*


“Cioè tu vai al Ballo del Ceppo? Ma ci si può andare da quarto anno in su, e noi siamo al terzo!”
“Mi ha invitato una ragazza Corvonero più grande, infatti. Sarà a causa del mio irresistibile fascino.”

Quinn sfoggiò un sorrisetto mentre camminava accanto ad Aeron lungo il corridoio per raggiungere l’aula di Trasfigurazione, stringendosi nelle spalle mentre l’amico, invece, alzava gli occhi al cielo.

“Certo, vai a prendere lezioni di ballo con la McGranitt, allora.”
“Vorrai scherzare spero!”  

Quinn parlò spalancando gli occhi azzurrissimi con orrore e fu all’ora che urtò inavvertitamente una ragazzina che camminava nella direzione opposta e a cui scivolò il libro che teneva in mano.

“Ops… scusami.”

Quinn parlò con tono distratto e voltandosi appena, mentre la Tassorosso si inginocchiava per riprendere il libro sbuffando sommessamente.

“Certo… se non vivessi a due metri dal pavimento o fossi più carina ti saresti accorto di me.”

Con sua somma sorpresa il borbottio giunse alle orecchie del Grifondoro, che si voltò con un sopracciglio inarcato, confuso:

“Come?”
“Mh? Niente, continua pure a parlare di te con il tuo amico.”

Faye si strinse nelle spalle e poi si allontanò senza indugiare oltre, rifiutandosi categoricamente di arrivare in ritardo alla lezione di Piton solo per colpa di un galletto come Quinn Richards. Cosa ci vedessero tutte le sue coetanee o le studentesse più giovani in lui, proprio non lo capiva.


*

“Penny? Il tuo innamorato è qui fuori.”
Penelope alzò lo sguardo dal suo libro quando Anna entrò nella stanza, sorridendo prima di chiuderlo e alzarsi, ringraziare la compagna di stanza – che si stese sul suo letto con apparente sollievo, forse felice di non doversi sorbire le loro smancerie – e infine uscire dalla camera per raggiungere Hunter in corridoio e abbracciarlo.

“Ciao… Cosa stavi facendo?”
Hunter sorrise alla ragazza, sistemandole una ciocca di capelli biondi dietro l’orecchio mentre Penny si stringeva nelle spalle, parlando senza allontanare le mani dal retro del suo collo:

“Niente di che, leggevo. Come mai qui, ti mancavo?”
“Ovviamente. E in effetti volevo chiederti se ti va di andare a fare un giro in città oggi, non abbiamo lezioni e io non lo faccio da un po’.”
“Nemmeno io, se lascio la scuola in genere vado a casa e basta, Londra un po’ mi manca… D’accordo, dove vuoi andare?” 

“Dove vuoi tu. Ci vediamo nell’ingresso tra dieci minuti.”

Hunter le diede un rapido bacio a stampo e poi girò sui tacchi per allontanarsi, lasciandola un po’ più di buon umore rispetto a poco prima: a volte vivere confinata lì dentro la faceva sentire quasi in prigione, e lei e Hunter non erano usciti da lì insieme molto spesso, da quando stavano insieme.
Dopo quelle ultime giornate cupe e grigie, sarebbe stato un ottimo modo per distrarsi un po’.


*


Quinn arrancò fino al suo letto per poi lasciarcisi cadere sopra con un sospiro di sollievo, sentendo i muscoli di spalle, gambe e braccia implorare pietà.
Nemmeno Erik, suo compagno di stanza, sembrava passarsela molto bene visto che se ne stava sul suo letto immobile e in silenzio, forse sfinito a sua volta, ma Quinn apprezzo quel silenzio: per una volta, era felice di non dover parlare.

Avevano avuto un’esercitazione e si erano allenati duramente per tutto il giorno, oltre al fatto che l’insegnante di Arti Oscure non aveva creduto al fatto che il ragazzo fosse un Rettilofono e, per convincersi, aveva persino fatto comparire una vipera che aveva terrorizzato metà della classe e con cui lui si era ritrovato a dover interagire. 
Dopo l’indimenticabile l’episodio di Harry Potter al Club dei Duellanti Quinn aveva iniziato a trattare il suo inconsueto dono con i guanti, tanto da arrivare a rivelarlo solo ad Aeron: nessuno aveva reagito bene, e si trattava del grande e famoso Harry Potter, dopotutto. 

Assistendo alle reazioni inorridite dei compagni di scuola Quinn si era chiesto se ci fosse qualcosa che non andasse in lui, si era persino chiesto se non avesse qualcosa a che fare con Salazar Serpeverde. Quel primo anno di scuola non fu affatto semplice, considerando le voci che sentiva in continuazione nei muri, e quando a fine anno si scoprì che il Basilisco era stato ucciso Quinn aveva tirato un sospiro di sollievo.   

Non andava particolarmente fiero del suo dono, ma i Carrow l’avevano trovato interessante e così anche il suo insegnante, anche se lui non era particolarmente d’accordo. Non gli era sfuggito, infatti, come diversi tra i suoi compagni di classe l’avessero guardato con qualche riserva dopo il suo “dialogo” con il serpente.


“Erik?”
“Mh?”
“Tu pensi che qualcosa non vada in me? Sai, per il… Serpentese.”

“Oh, ma ti prego. Qui è pieno di gente che ha qualcosa che non va, o che l’avrà in futuro visto che andremo in giro ad uccidere la gente. A quel punto dubito che il tuo essere un Rettilofono avrà molta importanza, Quinn.”

“Beh… grazie. Credo.”
“Non c’è di che.”


*


“Sicuro che funzionerà?”

Audrey, in piedi e appoggiata alla parete vicino alla finestra con le braccia conserte, rivolse un’occhiata incerta all’uomo che aveva davanti, che per tutta risposta non batté ciglio e parlò con il suo consueto tono pacato, rassicurante:

“Sappiamo che c’è una falla nel sistema, e urge eliminarla, se non vogliamo essere eliminati per primi… Non sappiamo tuttavia di chi si tratti, ma dobbiamo scoprirlo il più rapidamente possibile, e per farlo dobbiamo escludere delle persone. Forse oggi potremo escludere o meno i tuoi colleghi, se andrà bene.”
“Tu-Sai-Chi ha pianificato insieme ai suoi fottuti leccapiedi una sorta di… attacchi ad effetto domino, pensi che mandare alcuni di noi in ognuno di quei luoghi ci aiuterà a capire se la talpa è in mezzo a noi?”

“Questa è un’informazione molto confidenziale, Vixen, che Yaxley ti ha svelato due giorni fa, quando eri sotto le sembianze di Alecto. Lui stesso ha sostenuto che pochissimi ne sono a conoscenza, solo la sua cerchia originale e più ristretta, che ormai non conta poi così tante persone. Tu l’hai detto soltanto a me, e io ho provveduto a dare notizie diverse agli altri: nessuno, a parte noi, sa della rete di attacchi, ma solo di quello di cui sono stati informati.”
“Ho detto ad ognuno di loro di cercare di mandare all’aria l’operazione, come mi hai detto tu. Perciò, se uno di loro dovesse essere la talpa…”

“Molto probabilmente informerebbe i nostri amici con il Marchio Nero o chi per loro che la Causa oggi si potrebbe manifestare. Quindi, i Mangiamorte agirebbero diversamente rispetto a quanto Yaxley ti ha detto per salvare la loro operazione.”
“Perciò se uno degli attacchi da bloccare dovesse verificarsi comunque e in modo inaspettato sapremo con certezza che i ragazzi non c’entrano e che la nostra talpa è effettivamente uno di noi Sentinelle. Forse, più precisamente, colui che avevi assegnato proprio a quell’attacco. Mi sta bene, ma non capisco perché tu abbia dovuto coinvolgere anche Erik e Haze, loro non c’entrano con questa storia.”

Audrey sbuffò debolmente e lancio un’occhiata alla finestra che aveva accanto, scrutando il traffico di Londra con aria torva mentre Kingsley le rivolgeva un sorriso appena accennato:

“Vixen, so che tieni molto ad entrambi, ma non farti offuscare la vista dai sentimenti, c’è chi ha perso la vita per colpa loro. Forse entro domani potremo escluderli al 100% dai nostri sospettati… nel frattempo, voglio che tu tenga gli occhi aperti mentre i tuoi compagni saranno sparpagliati per il Paese. Inoltre, Cappellaio sostiene che il diario di sua cugina sia sparito, e che l’abbia preso la persona che l’ha uccisa, ossia la talpa... Non possiamo escludere che questa persona ce l’abbia ancora, quindi voglio che passi al setaccio le abitazioni di ognuno di loro.”

“Che cosa?! Ma Royal, non posso farlo, molti di loro sono miei amici!”
“Lo era anche Edric, sbaglio? Vuoi che qualcun altro di loro muoia? Pensa ad Haze, che ha perso sua cugina e il suo migliore amico… Devi farlo, Vixen, temo che sia necessario, troviamo quel diario, e molto probabilmente troveremo anche la talpa.”

L’ex Auror non batté ciglio e la donna sbuffò, esitando prima di annuire con un cenno del capo, scura in volto: disgraziatamente, quell’uomo era sempre stato fin troppo bravo con le parole.


*


Quando apprese l’esistenza della Causa tramite Aeron, Quinn non ci mise molto per decidere di entrare a farne parte: non solo voleva stare vicino al suo amico e assicurarsi che non passasse dei guai, ma non sopportava il ruolo che aveva nella società in cui, suo malgrado, viveva. 

I suoi genitori avevano cresciuto lui e sua sorella in un certo modo, e Quinn stava iniziando a faticare a guardarsi allo specchio da quando era diventato una Sentinella. Senza contare che Scarlett stava per iniziare a frequentare il Covenant al a sua volta, aveva appena compiuto quindici anni, e non voleva che lei avesse il suo stesso destino.


“Che nome vuoi usare?”
“Nome? Serve un nome? Cosa siamo, un club?”
“No, non abbiamo la tessera associati, simpaticone… sono serio.”
“D’accordo allora… Reaper.”

“Reaper?”
“Sì. Che hai da ridere, il tuo non è migliore!”
“Shadow è decisamente migliore, ma forse non dovrei dirtelo e turbare il tuo ego…”

“Oh, fa’ pure Aeron, ne ha un discreto bisogno…”
“Maxine, ti faccio notare che nessuno ti ha interpellata!”


*
 

Audrey stava versando la salsa guacamole che aveva preparato poco prima nella ciotola quando si sentì stringere all’altezza della vita, e un attimo dopo Haze appoggiò la testa sulla sua spalla:

“Cosa stai preparando? Muoio di fame.”
“Enchiladas e burrito con guacamole, i nostri piatti preferiti. Per te ne ho fatti di non piccanti se non sei abituato. Una volta ho quasi ucciso Erik e Max…”
“Non ne dubito, metti una quantità allarmante di peperoncino, e anche tua madre in effetti. Grazie per la cena, comunque.”

Haze abbozzò un sorriso e le scostò i capelli con una mano per lasciarle un bacio sul collo, ignorandola quando Audrey gli ricordò con un sibilo stizzito la presenza di Henry nella stanza accanto.
“Sta guardando i cartoni!”
“Beh, adesso basta tv, è ora di cena. ¡Vien aquì mi amor, vamos a comer!” 

“Cosa significa “mi amor”?”
Haze inarcò un sopracciglio mentre faceva scivolare le braccia dalla vita di Audrey, che si voltò verso di lui mentre Henry asseriva di stare per arrivare. 

“Amore mio.”  Audrey si strinse nelle spalle mentre si puliva le mani con uno strofinaccio, e Haze aggrottò la fronte prima di parlare con tono serio:

“Ma allora sei seria quando dici che è l’amore della tua vita…”
“Serissima.”

Haze fece per dire qualcosa ma si interruppe quando Henry entrò nella stanza, un gran sorriso sul volto:

“Estoy aquì, y tengo mucha hambre!”  (Ho molta fame)
“No intentes chico, ve a lavarte las manos.” 

Audrey rivolse un inequivocabile cenno al bambino, che sbuffò ma obbedì, raggiungendo il lavabo e salendo sul suo sgabello per lavarsi le mani per poi raggiungere di corsa il suo posto e mettersi il tovagliolo a mo’ di bavaglino.

“Adesso possiamo mangiare! Heiz, vieni qui?”

Henry tamburellò con la manina sul posto vicino a lui e il mago annuì, abbozzando un sorriso mentre lo raggiungeva.

“D’accordo Henry.”
“Henry, sei contento di avere Haze a cena con noi stasera? Ma visto che c’è lui parliamo in inglese come quando c’è lo zio Erik, ok?”
“Sì Tìa. Io voglio due Enchiladas!”

Henry sollevò il piatto e lo porse alla zia con l’aiuto di Haze, ma Audrey si limitò ad inarcare un sopracciglio mentre teneva la teglia delle Enchiladas in mano:

“Sai cosa pensa zia del “io voglio”? 
“… Vorrei…”

“Molto meglio.”


*


“Ciao, fratellone! Come mai qui?”

Scarlett sorrise calorosamente al fratello maggiore mentre gli si avvicinava, scendendo rapidamente le scale dell’ingresso per abbracciarlo.
Quinn ricambiò sia il sorriso che la stretta, ma quando parlò lo fece con un accenno di imbarazzo che di rado gli si sentiva nel tono di voce:

“A dire la verità non sono qui per te, anche se mi fa sempre piacere vederti, piccola.”
“Ah sì? Beh, ora esigo di sapere per quale altra donna sei venuto, fuori il nome, su.”

Scarlett si fece seria in volto e incrociò le braccia al petto, scrutando il fratello con attenzione mentre l’ex Grifondoro, dal canto suo, la guardava con tanto d’occhi:

“Come fai a sapere che…”
“Oh, ti prego, per chi sei venuto, per Aeron forse? E poi mi sembravi innamorato da un po’, eri più scemo del solito.”

“Grazie tante…”
“Anche se ti prego, ti prego, dimmi che è una tua collega!”

“Ma certo, ti pare che inizio ad uscire con una diciannovenne o giù di lì?!”
“Meno male, sarebbe stato troppo strano… allora, se è una Sentinella ed è qui la conosco, chi è?”

Scarlett sfoggiò un sorrisetto divertito e il ragazzo si strinse nelle spalle, asserendo che non era certo di voler condividere quell’informazione con lei mentre la rossa roteava gli occhi prima di minacciarlo di usare la sua “arma segreta”.


“Ah no, non provarci! Scarlett, ti ho detto… non puoi farmi gli occhioni imploranti e abbracciarmi come quando eri piccola quando vuoi qualcosa, Scarlett! 
… Oh, a diavolo. Faye, è Faye, contenta?”

“Terribilmente! E Faye non è un’altra delle tue oche, sono molto fiera di te fratellone, stai crescendo!”

Scarlett sorrise allegra, assestandogli anche una pacca sul braccio mentre Quinn, invece, aggrottava la fronte:
“Ho ventisette anni e tu diciannove, non dovrei essere io a dirtelo?”

“In teoria sì, ma sappiamo entrambi come stanno realmente le cose nell’ambito sentimentale. Allora, dimmi…”

Scarlett non si scompose, prendendo il fratello sottobraccio per scoprire il più possibile mentre Quinn quasi si pentiva di aver parlato: ora non si sarebbe più tolto la sorella di torno, ne era certo.


*


Quando Quinn aprì la porta di casa con uno sbuffo, esausto, si fermò sulla soglia a causa dell’abbraccio inaspettato con cui Faye gli diede il benvenuto.

“Ehy… Cosa ci fai qui?”
“Io sono tornata due ore fa, ero preoccupata per te! A te e ad Aeron com’è andata?”

“Bene, la Torre di Londra è salva, ma ci è mancato poco.”  Quinn si allontanò leggermente dalla ragazza per poterla guardare in faccia, sorridendole prima di sollevare una mano e accarezzarle delicatamente il viso:

“Sono felice di vederti. A te è andato tutto bene? Eri sola? 
“No, con Nathan, pare che avessero pianificato un attacco al Parlamento. Non che Tu-Sai-Chi si curi della politica Babbana, ma così facendo li avrebbe indeboliti ulteriormente e ne avrebbe uccisi molti altri. In ogni caso è andata bene, ed è questo l’importante. E scusa se mi sono imbucata qui, ma…”

“Non fa niente, sono felice di vederti, puoi venire quando vuoi. Anche se ammetto di essere molto stanco, credo che me andrò subito a letto… vuoi restare qui?”
Faye esitò ma poi annuì senza lasciare la mano del ragazzo, felice ma allo stesso tempo quasi imbarazzata che lui glie l’avesse chiesto. 

Anche Quinn sorrise, e le diede un bacio sulla fronte prima di parlare con tono quasi trionfante nonostante la stanchezza:

“Bene, ma sappi che sarai obbligata a farmi le coccole finché non mi addormenterò.”
“Come desidera il povero bambino trascurato.”

Faye sorrise di rimando, alzandosi in punta di piedi subito dopo per prendergli il viso tra le mani e baciarlo dolcemente. Era stata una giornata lunga, ma almeno era finita. E anche per il meglio, per quanto li riguardava.


*


Se gli avessero chiesto quali fossero le sue cose preferite, probabilmente Quinn Richards avrebbe riposto: le Mustang, i giubbotti di pelle e i suoi amatissimi anfibi, che indossava quasi perennemente e che manteneva in perfetto stato con la magia, anche se nessuno lo sapeva.

Tuttavia nemmeno disegnare gli era mai dispiaciuto, specie nei momenti di assoluto relax, quando poteva svuotare la mente.
Momenti come quello, mentre se ne stava comodamente steso sul letto con una matita e un blocco da disegno recuperati dal comodino in mano. 

Gli piaceva usare i pennelli, in realtà, ma prima voleva finire “il calco”con la matita per poi passarci i colori.

Quinn era steso stando girato su un fianco, dando le spalle alla finestra e rivolto invece verso la figura sottile, minuta e addormentata di Faye. Sembrava così tranquilla, serena mentre dormiva che non aveva mai la forza di svegliarla… e per una volta voleva immortalarla proprio in quel momento.


La strega, tuttavia, si svegliò poco dopo a causa della luce e stiracchiandosi leggermente, facendo per avvicinarsi pigramente a lui ma finendo con l’irrigidirsi quando si accorse di quello che il ragazzo stava facendo:

“Cosa stai facendo?”
“Ti stavo ritraendo, sei adorabile mentre dormi, quando non mi guardi con aria truce… ecco, proprio come ora.”

Quinn sorride ma Faye non lo imitò, passandosi nervosamente le mani sulle braccia lasciate scoperte dalla maglietta a maniche corte che aveva usato come pigiama e cosparse di cicatrici, più o meno grandi o evidenti.  

“Quinn, sai che io non…”

Era stato già abbastanza difficile fargliele vedere la prima volta in cui avevano passato la notte insieme e l’idea che lui potesse ritrarla mettendole in evidenza non la metteva affatto a suo agio. 
Quinn, tuttavia, sembrò capire perché sorrise e lasciò matita e fogli sul comodino prima di avvicinarlesi e sfiorarle il viso con le dita prima di chinarsi e lasciare un bacio su una delle sue cicatrici:

“Te l’ho già detto Faye, non ti devi vergognare, e sei bellissima. Sono io, non devi avere pensieri con me, ok? Queste fanno parte di te, e io voglio il pacchetto completo, debolezze più profonde incluse.”

“Per te è facile… Dimmi, perché sei così perfetto?”
“Non so risponderti purtroppo, ma non è la prima volta in cui me lo chiedono… Ahia, sto scherzando, piccoletta malefica!”

Quinn abbozzò una risata e Faye lo imitò dopo avergli dato un forte pizzicotto sul braccio, lasciandosi abbracciare e appoggiando la testa sul suo petto prima di chiudere nuovamente gli occhi. 
Era raro che si sentisse totalmente bene e “al sicuro”, ma lì, con lui, era esattamente ciò che provava. 

Quanto a lui, Quinn sorrise: felice.
   


*


“Devo fare un’ultima cosa… puoi restare qui con Henry per una mezz’ora?”

Haze non si era rifiutato, ma le era parso non poco perplesso di fronte a quella richiesta fatta dopo cena, quando la strega aveva già fatto lavare i denti al nipotino e mettere il pigiama.
Audrey, tuttavia, non si era dilungata in spiegazioni e gli aveva dato un rapido bacio su una guancia prima di uscire di casa, dando giusto il tempo ad Henry di raggiungere Haze con aria preoccupata:

“Dov’è andata Tìa Odri?!”
“Doveva fare una cosa Henry, ma torna subito.”
“Ma abuela dice che non si deve andare fuori da soli se è buio!”

“Beh, ma zia Audrey è grande, e sa cavarsela benissimo da sola… Ma penso che vorrà trovarti a letto per quando tornerà.”

Henry, sapendo che il ragazzo aveva ragione, sobbalzò e corse in camera da letto – anche se approfittò del fatto che la zia non ci fosse per andare in camera sua e arrampicarsi sul letto matrimoniale insieme a Duchessa, che lo seguiva ovunque come un’ombra -. 
Haze si stava chiedendo se non avrebbe dovuto mandare il bambino nel suo letto, ma poi la voce di Henry spazzò via i suoi dubbi:

“Heiz? Mi leggi una storia?”
“D’accordo Henry.”

Al diavolo, lui voleva piacere a quel bambino e basta.





“Allora?”
“Niente.”
“Niente?”
“Niente, da nessuna parte, non ne ho trovato traccia. E le operazioni sono andate a buon fine.”

“Allora forse possiamo iniziare ad escludere i tuoi amici, Vixen. Concentriamoci sui ragazzi, per un po’. Forse hanno qualche sorpresa in serbo per noi.”







……………………………………………………………………..
Angolo Autrice:

Buonasera! 
Avrei voluto aggiornare ieri, ma arrivata a metà capitolo ho avuto un colpo di sonno pauroso e oggi sono tornata a casa solo verso le sette, quindi ho fatto quello che potevo.
Piccola nota di servizio: tecnicamente il sondaggio sarebbe stato vinto da Nathan per un punto, ma il personaggio non farà più parte della storia, quindi ho scritto il capitolo di Quinn… inoltre, a meno che io non decida di scrivere un capitolo come quello antecedente alle gemelle, la quota scende ad altri quattro capitoli prima della fine, Epilogo incluso. 

Come prevedibile, i nomi per il prossimo sono gli ultimi rimasti, ossia due giovanotti:

-    Hunter 
-    Lud


Dovrei aggiornare tra lunedì e martedì, quindi a presto! (E buon weekend)
Signorina Granger  

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Capitolo 21
*** Ludwig Siyah Maverick ***


Capitolo 19: Ludwig Siyah Maverick

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Quando non era a scuola o a farsi trascinare in giro per il paese dal fratello maggiore, giocando e combinando guai per poi tornare a casa di corsa con le scarpe sporche, le ginocchia spesso sbucciate, i capelli arruffati e il volto arrossato e trovando la madre ad aspettarli sulla soglia con le mani sui fianchi, pronta a sgridarli, a Ludwig piaceva stare con i suoi genitori e guardarli lavorare, aiutarli in qualche modo.

Il bambino di cinque anni teneva un piccolo annaffiatoio in mano e seguiva la madre sulla veranda per dare da bere alle piante, facendosi spiegare dalla donna come fare per non farle annegare e ascoltando i loro nomi.
Al bambino le piante e i fiori piacevano, gli piaceva stare in mezzo alla natura e in un paio di occasioni aveva fatto spaventare a morte sua madre addentrandosi da solo nel bosco.

“Ecco, tesoro… queste sono orchidee. Belle, vero?”
Samira sorrise dolcemente al bambino dopo averlo sollevato e messo su uno sgabello per permettergli di dare da bere alla piantina, guardandolo annuire con i grandi occhi scuri carichi di curiosità e d’interesse.

“Sì. Va bene così, mamma?”
“Certo. Sei proprio bravo, sai piccolo mio?”

La strega sorrise e si chinò leggermente, mettendogli le mani sul viso per dargli un bacio su una guancia, guardandolo sorridere felice ma allo stesso tempo arrossire per quel complimento.

“Grazie. Dopo posso andare ad aiutare papà?”
“Sì, ma stai attento a fare come ti dice e a non farti male, ok?”

Ludwig annuì, obbediente, e Samira guardò il secondogenito con occhi carichi d’affetto.
Suo marito Adrian aveva la passione di costruire e aggiustare le cose, tanto da aver costruito da solo sia la loro casa sia il suo laboratorio. In effetti si erano conosciuti proprio all’Università Babbana dove Samira si era iscritta qualche tempo dopo essere arrivata in Inghilterra con la sua famiglia dalla Turchia per approfondire la sua passione per le lingue, dove Adrian invece che essere uno studente come lei era una specie di giovane tutto fare. 

Quel ragazzo sorridente, sveglio e con sempre tanta voglia di fare di cui aveva finito con l’innamorarsi e che, con suo sollievo, non aveva dato di matto scoprendo che la sua fidanzata era una strega. Samira aveva rinunciato alla magia, comunque, aveva riposto la sua bacchetta nella sua scatola, in un cassetto in camera da letto, e non la toccava da prima del matrimonio. 
Aveva imparato a vivere come una perfetta Babbana, e avendo una bellissima famiglia che amava non se n’era mai pentita.


“Lud! Vieni a giocare?!”
Ethan, il figlio più grande, comparve in giardino tenendo una palla da rugby in mano, ma Ludwig scosse timidamente il capo, parlando come se gli dispiacesse deludere il fratello:

“Volevo andare da papà…”
“Ma uffa!”
“Ethan, tuo fratello può fare quello che vuole. Vai pure tesoro, qui ci penso io adesso.”

La strega sorrise al figlio e gli prese delicatamente l’annaffiatoio dalle piccole mani, guardandolo annuire prima di saltare giù dallo sgabello e correre verso il laboratorio del padre, mentre Ethan sbuffava e decretava che avrebbe giocato con i figli dei vicini.

Come avesse potuto partorire due bambini così diversi, Samira non riusciva proprio a comprenderlo.


*


“Faye, va tutto bene? Perché mi guardi in quel modo?!”

Quinn aggrottò la fronte e rivolse un’occhiata incerta alla fidanzata, che per tutta risposta sorrise e si alzò in punta di piedi per circondargli il collo con le braccia:

“Non posso essere felice e basta?”
“Io sono più che felice se tu lo sei, solo mi sembri un po’… strana, quasi sollevata. Ha a che fare con ciò che ha detto Royal?”
“Ossia che la talpa sia uno dei ragazzi, molto probabilmente? Sì. Insomma, odio pensare che sia uno di loro, sono solo dei ragazzi, ma sono felice che non sia nessuno dei miei amici.”

Faye annuì debolmente, sfiorando distrattamente il viso di Quinn con un dito mentre il Grifondoro annuiva, mormorando che era un sollievo anche per lui prima di baciarla, mormorando che avrebbero trovato il responsabile molto presto e che poi, forse, quella parte di incubo sarebbe finita.

“Rimane ancora il problema più grande da risolvere…”
“Lo so, ma nemmeno lui può vivere in tenero, gli Horcrux sono andati tutti distrutti e ormai è vecchio. Non è impossibile da uccidere, Faye, se hanno ucciso Silente può morire anche lui. Mom voglio passare il resto della mia vita così.”
“Neanche io. Ma se ci sei tu è già molto più sopportabile.”


Faye annuì, parlando a bassa voce e con tono vago, come se non stesse prestando particolare attenzione a ciò che diceva, persa nei suoi pensieri. Lo stesso però non si poté dire di Quinn, che sorrise e mormorò un paio di parole senza riflettere, continuando a tenerla stretta a sè per la vita:

“Ti amo, Faye.”
A quelle parole Faye sembrò riprendersi ed entrambi si immobilizzarono di colpo, mentre Quinn ammutoliva e sgranava gli occhi chiari, quasi desiderando di rimangiarsi tutto: non l’aveva mai detto a nessuna prima d’ora, e avrebbe preferito svelarle i suoi sentimenti in una situazione ben diversa.
La guardò, forse in parte temendo di averla “spaventata”, ma Faye sorrise. Sorrise e, fattasi coraggio, mormorò che lo amava anche lei prima di baciarlo, il cuore che le martellava nel petto.

Finalmente poteva non avere alcun dubbio su di lui, poteva lasciarsi andare e amarlo e basta, o almeno provarci visto che era tutto abbastanza “nuovo” per lei. Però era felice come non lo era stata per molto tempo, e le cicatrici sulla sua pelle non erano che un lontano ricordo.


*


Ludwig era sempre stato così docile, obbediente e gentile con tutti che di rado aveva dovuto essere rimproverato dai genitori. 
Adrian lo riprendeva bonariamente quando il ragazzino borbottava che si fossero impegnati molto per fare il primo figlio, suo fratello, e con lui per nulla visto che Ethan, a sua detta, era infinitamente più bello, intelligente, forte e simpatico di lui, ma nulla di più.

O almeno finché dalle scuole medie che il ragazzino frequentava, ai suoi tredici anni, non giunse la notizia che Ludwig aveva colpito un suo compagno.
Samira e Adrian, sbalorditi, non vollero crederci, mentre Ethan andò in giro per il paese sventolando la notizia ai quattro venti, orgoglioso del suo fratellino. 
L’unico a non fare commenti fu proprio il diretto interessato, o almeno non subito: alla fine, un pomeriggio, si avvicinò alla madre a capo chino e le rivelò che era vero, ma che non aveva idea di come fosse accaduto. 

Raccontò alla madre di aver difeso una sua compagna di scuola, infastidita da un gruppetto di piccoli e insolenti teppistelli in erba. Uno di loro gli aveva riposto di farsi gli affari propri e l’aveva spinto contro una libreria della Biblioteca, facendo cadere sul pavimento una sfilza di libri.
Ludwig non si era particolarmente curato di essere stato urtato e si era alzato come se nulla fosse, limitandosi a suggerire al compagno di non rovinare i libri. Non poteva farci niente, li aveva sempre amati ed era stato più forte di lui pronunciare quelle parole. 
Parole di fronte a cui il ragazzino aveva preso in mano un libro già malridotto e lo aveva letteralmente strappato a metà davanti ai suoi occhi prima di scoppiare sgradevolmente a ridere, imitato dai suoi compagni come se fossero un gregge di pecore. 

E quando, poco dopo, quello stesso ragazzo aveva fatto per colpirlo in piena faccia, una specie di barriera d’orata si era creata davanti a lui, proteggendolo dal colpo e facendo letteralmente rimbalzare la mano del ragazzino, che era stato scaraventato dall’altra parte della stanza a causa dell’attrito.

Ludwig era rimasto perfettamente immobile, mentre gli altri uscirono di corsa decretando che quel ragazzino mite e minuto aveva colpito il loro amico così forte da fargli persino perdere i sensi.

“Non me lo sto inventando mamma, lo giuro. Non so come sia successo, ma l’ho visto davvero.”
Ludwig, seduto di fronte alla madre, chinò il capo tormentandosi le mani, a disagio. Lui non aveva mai fatto del male a nessuno in vita sua, non aveva mai sopportato di litigare nemmeno con suo fratello… E non si era neanche mai difeso fisicamente, era sempre stato Ethan, fin da piccoli, a difenderlo ogni qualvolta si era rivelato necessario.
E questo sua madre lo sapeva. Così come seppe, da quel momento, che il secondogenito aveva ereditato la magia che scorreva nelle sue vene. Samira annuì, sospirando e poggiando una mano sulla spalla del figlio prima di parlare con tono quasi cupo:

“… Lo so tesoro. Ci sono… delle cose che dovrei dirti. E mostrarti.” 


Quel giorno, a tredici anni, Ludwig seppe di essere un mago e scoprì cosa fosse la magia, guardando sua madre agitare un sottile bastoncino e fare, con esso, cose meravigliose e impensabili.
Quel giorno, la sua vita cambiò radicalmente.


*


Royal aveva chiesto ad alcune Sentinelle di indagare sui ragazzi e di setacciare le loro stanze al Covenant in cerca di qualcosa, magari del diario, ma Max non l’aveva presa bene e quando Audrey glie l’aveva comunicato – seppur nel modo più pacato possibile – l’ pamica se n’era andata sbattendosi la porta alle spalle e sibilando imprecazioni.


“Max, aspetta!”
Maxine sentì la voce chiamarla ma non se ne curò, continuando a camminare a passo spedito mentre qualcuno, alle sue spalle, iniziava a correre per raggiungerla. 
La ragazza si fermò di controvoglia solo quando sentì una mano afferrarle il braccio, e un attimo dopo la strega rivolse un’occhiata molto torva al volto di Erik Murray, che invece si aprì in un piccolo sorriso ironico:

“Certo che per avere le gambe corte cammini rapidamente.”
“Che cosa c’è, Erik?! Devo andare a casa a dare da magiare a Silver, deve fare merenda!”

“Non ti rubo molto tempo, solo… non prendertela con Audrey, non è stato facile neanche per lei. Capisco che tu non voglia neanche prendere in considerazione il fatto che si sospetti di tuo fratello, ma lai ha dovuto sospettare e indagare su di me, su di te… su Haze. E se può farti stare meglio io non penso affatto che si tratti di Hunter, e nemmeno Audrey.”

“Lo so, non ce l’ho con lei. È solo che… è il mio fratellino. Non lo farebbe mai, non è meschino. Scusa, devo andare.”  Max superò il ragazzo con un piccolo sbuffo, trascinando i piedi sul marciapiede con aria cupa, e Erik la seguì con lo sguardo infilandosi le mani guantate nelle tasche, sorridendo:

“La scimmia ti aspetta?”
“Non è una scimmia!”

“Lo so, scherzavo… Ah, Max?”
A quel richiamo la Grifondoro si fermò, voltandosi verso il Serpeverde. Serpeverde che sorrise, sollevando entrambe le sopracciglia prima di farle una richiesta:

“Mi ci farai fare un giro, sulla Harley?”
“… No. Ti saluto, Knife.”

Dopodiché Maxine si voltò senza battere ciglio, allontanandosi e lasciandosi alle spalle le lamentele del collega. Anche se, nonostante tutto, le sue labbra si inclinarono comunque in un debole sorriso appena accennato.


*


Adattarsi al mondo magico non fu, per Lud, affatto semplice: era cresciuto come un vero e proprio Babbano, ignorando persino che sua madre fosse una strega, e non sapeva assolutamente niente di magia. 
Il periodo non era neanche dei migliori, e bene presto Samira scoprì che il figlio, essendo Mezzosangue, aveva solo due scelte: studiare, seppur discutibilmente, o lavorare a vita per i Purosangue e i Mangiamorte.

In breve tempo Samira riprese ad usare la magia, iniziò a lavorare il doppio di prima e insegnò al secondogenito il più possibile per prepararlo ad inserirsi in quella società così simile ma lo stesso tempo così radicalmente diversa da quella in cui era cresciuto.
Non venne iscritto alle superiori, studiò a casa per circa un anno e poi, a 14, giunse a Londra, la grande, caotica e sconosciuta Londra, per iniziare la sua nuova scuola.

Ethan non prese granché bene quella notizia, per la prima volta fu lui ad essere invidioso del fratellino e non gli rivolse quasi la parola per settimane, facendo soffrire non poco Ludwig, che si era ritrovato catapultato in un altro mondo da un giorno all’altro e senza averlo chiesto. A lui la sua vita andava benissimo, tutto sommato, ma il destino sembrava avere altri piani per lui.

Gli ci volle molto tempo per abituarsi alla magia, ancor di più a sopportare l’idea del destino che lo attendeva. Anzi, Lud cercava semplicemente di non pensarci affatto. Il primo periodo al Covenant fu difficile, con il suo carattere mite e un po’ insicuro divenne uno dei bersagli preferiti dei Carrow, e il suo rifiutarsi di fare del male al prossimo o anche di duellare gli procurarono non pochi guai.


Era in Infermeria con il braccio rotto, frattura procuratosi da uno strano anatema lanciato da Amycus, quando rivolse per la prima volta la parola ad una sua compagna di classe dai capelli biondi che, fino a quel momento, conosceva solo di vista.

“Ciao. Io sono Penny.”

Penny aveva occupato il letto accanto al suo e si trovava in Infermeria per il suo stesso motivo, ossia si era rifiutata di eseguire l’incarico dei Carrow. 
“Ludwig.”

La ragazza, che doveva avere un paio d’anni in più di lui, gli sorrise gentilmente e Ludwig la osservò, ripensando a tutte le volte in cui l’aveva vista stare in disparte, in un angolo, magari da sola. Forse neanche lei amava stare sotto le luci della ribalta. 

“Braccio rotto?”
“Già. Tu invece?”
“Un paio di costole, ma dovrebbero aggiustarsi in fretta… poteva andare peggio.”

Penelope si strinse nelle spalle, calma e serafica, e Lud quasi l’ammirò per il suo prenderla così bene. Parlarono a lungo e lei fu molto carina con lui, anche se ci era abituato: non era raro che le ragazze lo trovassero “adorabile” e lo trattassero come un cucciolo da coccolare, con suo sommo dispiacere visto che in quel modo di sentiva profondamente svilito, anche se sapeva che non lo facevano con cattiveria, anzi, tutt’altro. 
Così come tutte le volte in cui i ragazzi che sembravano averlo preso a cuore lo incoraggiavano per ogni cosa, quasi non potesse farcela da solo. 

Insomma, si sentiva già abbastanza impotente di suo, senza che gli venisse ricordato in continuazione.
Penny però era diversa: certo, da quel momento lo prese un po’ sotto “la sua ala” e si comportò con lui quasi come una sorella maggiore, ma non lo trattava come se fosse un bambino a cui insegnare a camminare, almeno.

Ben presto Ludwig si rese conto che affezionarsi a quella ragazza era molto semplice, e in breve tempo si ritrovò a volerle un gran bene. La sua unica speranza, a quel punto, era di non farla soffrire o di non deluderla.


*


“Cosa state guardando?”

Anna uscì dalla sua camera e si diresse con un sopracciglio inarcato verso Larisse e Scarlett, entrambe in piedi di fronte alla loro porta con gli occhi fissi su un punto infondo al corridoio e sogghignati. 

“I piccioncini.” Scarlett sorrise con l’aria di chi la sa lunga e accennò al davanzale interno di una finestra poco distante, dov’erano seduti Hunter e Penny. 

“Ah, sì, ho idea di saperne qualcosa. Sembrano due eterni sposini in luna di miele…”
Anna alzò gli occhi al cielo, esasperata, e Larisse rise appena, asserendo che forse non aveva tutti i torti. 

“Beh, io ho già sufficientemente assistito alle loro effusioni, vado di sotto.”

Anna rivolse un cenno alle sue compagne e poi s’incamminò lungo il corridoio, rivolgendo un saluto con tanto di sorrisetto ai due biondi quando passò loro accanto, guadagnandosi un’occhiata torva da parte di Hunter:

“Siamo così interessanti? Di colpo siamo una grande attrazione, per caso? Voi due, lì infondo, andate a spettegolare altrove!”
Hunter sbuffò e fulminô Larisse e Scarlett con lo sguardo mentre Penny sorrideva, guardandolo con aria divertita mentre gli aggiustava il colletto della camicia e le due si allontanavano ridacchiando.

“Hunter, sono le mie amiche!”
“E allora, i miei amici non spettegolano su di noi!”

“Ma se Raphael è una pettegola incallita!”
Penny rise e Hunter non disse nulla, dicendosi che forse la ragazza non aveva tutti i torti prima di scuotere il capo e sospirare, allungando una mano per sfiorarle i capelli biondi con le dita:

“Mia sorella dice venire a trovarmi ma non si è fatta viva, dovrei preoccuparmi secondo te? Qualche giorno fa ha avuto un incarico importante e improvviso, pare… Non so, forse sta succedendo qualcosa, non abbiamo particolari notizie da qualche tempo.”
“Non preoccuparti per Max, sa cavarsela, forse se ne è solo scordata.”

“No, lei… non si dimentica mai di queste cose. Non lo so Penny… non ci hanno più detto nulla sulla talpa, non pensi che posano credere che…”

“Vuoi dire che pensano che sia uno di noi?! Perché dovrebbero?!”  Penny spalancò gli occhi chiari, irrigidendosi mentre Hunter si stringeva nelle spalle, continuando a giocherellare con i suoi capelli e a parlare con tono vago, quasi distratto:
“Non ne ho idea, ma Max mi evita e non è molto brava a nascondermi le cose, quindi…”

“Forse stai giungendo a conclusioni affrettate, Hunter. Insomma, non possono pensare che sia uno di noi, no?!”
“Tu lo pensi? Di chi sospetteresti? … Di me?” Hunter inarcò un sopracciglio, studiando il volto della ragazza con attenzione e guardandola trasalire e scuotere il capo con veemenza, rispondendo in fretta e furia e con tono concitato:

“No! Certo che no, ho più fiducia in te che di chiunque altro, Hunter.”

Hunter esitò, poi abbozzò un sorriso e annuì, come a voler dire che le credeva. Anche Penny si rilassò leggermente, ma solo in parte e per qualche misero istante, poi sentì dei passi e una voce incerta quanto familiare alle sue spalle:

“Mi dispiace interrompervi, ragazzi…”
Hunter alzò lo sguardo e Penny si voltò, trovandosi così davanti un Ludwig visibilmente inquieto.

“Lud! Cosa c’è?”
“Ecco, c’è Erik di sotto, dice che dobbiamo raggiungerlo nei Sotterranei, ci deve parlare.”


*


Al Covenant Ludwig si sentiva a suo agio in pochi posti, ma l’aula di Pozioni era tra queste: non era affatto un ragazzo forte o atletico, i duelli non facevano per lui e nemmeno gli scontri diretti, ma scoprì di avere una buona vena creativa in quel settore e ben presto l’insegnante iniziò a tessere le sue lodi, invitandolo ad interessarsi anche all’alchimia.

Incuriosito, il ragazzo non se lo fece ripetere e iniziò a leggere molti libri sull’argomento, finendo con l’appassionarsi non poco e a fare ricerche anche in ambito medico: non sarebbe mai stato uno di quegli uomini che salvavano persone dagli incendi, i suddetti “eroi”, ma voleva comunque trovare un modo per aiutare il prossimo, anche se con il suo futuro lavoro sarebbe stato non poco difficile.

Con il tempo, tuttavia, Ludwig trovò un’altra branca a cui interessarsi: non ne parlò con nessuno, forse vergognandosene, ma iniziò a leggere e a studiare testi sulla necromanzia recuperati nei settori meno frequentati della Biblioteca. 
Non sapeva di preciso perché lo affascinasse, ma gli ci volle del tempo per rendersi conto che il suo era un interesse pericoloso: se fossero venuti a saperlo, forse i Mangiamorte avrebbero cercato di sfruttare la cosa a proprio vantaggio, obbligandolo a fare cose e a far tornare in vita persone che stavano bene dove stavano, nella tomba.

Fu anche per questo che Ludwig non ne parlò con nessuno, neanche con Penny: aveva paura di tante cose, e deludere i suoi cari era tra queste.


*


“Chi ha mandato?”
“Erik deve distrarre i ragazzi, e nel frattempo Erzsébet, Carmilla ed Aeron controlleranno le loro camere. Se non dovessero trovare nulla passeremo alle loro abitazioni e famiglie… qualcosa ci dev’essere, da qualche parte.”

Audrey sbuffò debolmente, seduta a braccia conserte sul divano nella cantina del ristornate della madre, con cui in realtà non parlava da giorni. E di Grace, non aveva notizie.
Haze sedette accanto a lei e annuì, sistemandole un braccio intorno alle spalle:

“Certo che c’è, e noi lo troveremo. Non so come spiegarlo, ma sento che il quaderno di mia cugina non è stato distrutto, e non può essere morta per niente.”
“Certo che no… lo troveremo, ok? Anche se non posso prometterti che potrai vendicare Rain e Edric come so che desideri…”

“Oh, beh, ci sono anche mia madre e mio zio in lista, e quando saprò chi ha ucciso il mio migliore amico e mia cugina giustizia verrà fatta, stanne certa. E no, non mi farai desistere con i tuoi occhioni.”

“Di quali occhioni parli?” Audrey sollevò leggermente le sopracciglia, fingendosi sorpresa ma non riuscendo a trattenere un sorriso di fronte all’occhiata torva che Haze le rivolse, incrociando le braccia al petto mentre lei gli sfiorava il viso dalla pelle olivastra con le dita.

“Sai benissimo di quali occhioni parlo, sei la zia di Henry dopotutto, glielo avrai insegnato tu ad impietosire il prossimo facendo gli occhi dolci.”
“Sì, forse… ma ti assicuro che non ucciderai nessuno, Haze. So che sei arrabbiato, ma non è la scelta giusta… e poi conosci quei ragazzi, davvero potresti uccidere uno di loro? Scusa, ma non credo di potertelo permettere. E comunque, anche i tuoi occhi sono molto belli, sai?”

Audrey sorrise ma lui non la imitò, abbassando lo sguardo e serrando la mascella prima di borbottare qualcosa a mezza voce:

“Ti prego, non dirlo. Li ho ereditati da mia madre, li ho sempre odiati, ogni volta in cui mi guardo allo specchio penso a lei.”
“Beh, a me piacciono.” Audrey non smise di sorridere ed esercitò una lieve pressione sulla sua guancia per costringerlo a guardarla e permettergli di appurare così che non stava mentendo.
Haze parve rincuorarsi, almeno in parte, e abbozzò un sorriso prima di appoggiare la fronte contro la sua e dire qualcosa a bassa voce:

“Grazie. Ma niente e nessuno mi impedirà di vendicarmi, Audrey.”
“Neanche io?”
“Neanche tu.”
“Bene, vorrà dire che sarò costretta a metterti al tappeto una seconda volta.”
“È sleale, io non posso picchiarti!”
“Ma io sì, se è per il tuo bene.”


*


Da quando era approdato nel mondo magico e aveva appreso cos’era successo e cosa stava succedendo, della guerra e delle persecuzioni, Ludwig aveva iniziato a vivere praticamente nel terrore, rimpiangendo profondamente i giorni in cui aveva ignorato l’esistenza della magia. 
Ethan lo invidiava, ma lui non si sentiva molto fortunato. 

Aveva paura di perdere le persone che amava, specie la sua famiglia, di causare dolore, che qualcuno soffrisse per mano sua. Aveva paura di diventare una Sentinella e di dover fare cose orribili, di non poter non rispettare un ordine; aveva paura che qualcuno morisse a causa di una sua debolezza, magari per aiutarlo, e di morire lui stesso prima che i maghi potessero tornare a vivere in pace e di scoprire, forse, la bellezza di quel mondo di cui sua madre parlava come se si trattasse di una vita passata. 

Erano tanti i pensieri che lo tormentavano ogni giorno, ma di tanto in tanto c’era qualche momento di svago, di serenità. 
Una delle più grandi passioni di Ludwig era, oltre ai libri, all’alchimia e aggiustare le cose, il cinema.

Gli era sempre piaciuto guardare i film, fin da piccolo, e negli ultimi anni le pellicole gli fornivano spesso un paio d’ore di svago, di sogni, un posto dove rifugiarsi e vivere vite diverse dalla propria.

Quella sera camminava sul marciapiede, felice di essere uscito dal Covenant e di poter vedere delle persone persone normali che conducevano vite più o meno normali, come la sua famiglia, di respirare.
Penny procedeva accanto a lui tenendolo a braccetto e sembrava di buon umore, sostenendo di non vedere l’ora di guardare il film.
A Lud piaceva vederla così, a volte sembrava triste, magari mentre se ne stava in un angolo a guardare fuori dalla finestra, persa nei suoi pensieri e pensando che nessuno facesse caso a lei. Non le aveva mai chiesto spiegazioni, però. Certo erano buoni amici, ma infondo non erano affari propri, non era la sua storia. E il bello di Penny era che nemmeno lei faceva mai molte domande. 


*


“Carma?”
“Mh? Trovato nulla?”

Carmilla, ferma sulla soglia, si voltò leggermente verso la sorella, che invece era china all’interno della stanza, davanti ad un comodino.
Erzsébet esitò ma poi annuì, voltandosi lentamente verso la gemella prima di sollevare leggermente l’oggetto che teneva in mano: uno strano quaderno che non aveva mai visto, ma che corrispondeva ad una certa descrizione fornitale da Haze.

“… Direi di sì. Forse ho appena trovato la nostra talpa, Carma.”


*


Entrò nella Causa perché ci credeva, spinto dal forte desiderio di fare qualcosa, di aiutare il prossimo, di non restare fermo in disparte a guardare, senza far nulla. 
Ludwig ci credeva, ci credeva davvero, nutriva una forte speranza e una forte lealtà nei confronti del suo obbiettivo, forse più di molti altri. 
Il ragazzo non si scelse, tuttavia, il suo nome: fu Wyatt ad attribuirglielo, chiamandolo bonariamente “Paladino” e accompagnando il nomignolo con una pacca affettuosa sulla spalla. 
Lo avevano definito spesso “il paladino delle cause perse”, ma Lud sperava che quella non lo fosse: la sua fiducia nel cambiamento era sincera, e ci avrebbe creduto fino alla fine, non avrebbe mai smesso di cercare di cambiare le cose.
Infondo, se lo si voleva e si agiva nel modo giusto o più conveniente, si poteva ottenere qualunque cosa.









………………………………………………………………………
Angolo Autrice: 

Buonasera! 
Ed eccoci anche al capitolo del nostro Lud, il più giovane del gruppo… 
Anche se non mi sembra vero il prossimo sarà l’ultimo capitolo dedicato ad un personaggio nello specifico, quindi non vi chiedo ovviamente di votare. 
Il capitolo di Hunter dovrebbe arrivare domenica, salvo imprevisti, farò del mio meglio per non farvi aspettare troppo.
E chiedo scusa se questo capitolo è corto e abbastanza pessimo, ma negli ultimi giorni non ho mai un minuto libero ed è stato già un miracolo buttare giù questo stasera.
A presto e buonanotte, ma anche buon weekend in anticipo!
Signorina Granger 

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Capitolo 22
*** Hunter Blaine ***


 Capitolo 20: Hunter Blaine

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“E adesso che cosa facciamo?”
Nathalie sorrise al figlio, che era in piedi sulla sedia davanti al bancone della cucina, vicino a lei. 

“Etto qui.” Hunter indicò con la manina il panetto di burro e poi la ciotola, e la madre sorrise prima di prendere il lipido e versarlo nella ciotola tagliandolo a cubetti.

“Ecco fatto capo… Adesso?”
“Si mevcoa.”

Il bambino prese il mestolo di legno con aria risoluta e tenendolo goffamente per l’estremità del manico lo mise nella ciotola, iniziando a “mescolare” con una piccola ruga in mezzo alla fronte, come se si stesse sinceramente concentrando.

Nathalie a quella vista sorrise e si chinò leggermente, stringendo il bimbo tra le braccia e struccandolo prima di dargli un bacio su una guancia e mormorare che era il suo tesoro dolcissimo.

Hunter per tutta risposta sorrise, mollando il mestolo per allungare le braccine verso di lei e darle un bacio sulla guancia a sua volta.

Quando sentirono la porta aprirsi per poi richiudersi i due si voltarono verso la soglia della cucina, sorridendo simultaneamente quando videro Charles sulla soglia è impegnato a sfilarsi il cappotto.

“Oh, ciao. Che cosa fate?”
“I bicotti!”
Hunter sorrise allegro e Charles ricambiò mentre si avvicinava a moglie e figlio, circondando le spalle di Nathalie con un braccio per darle un bacio prima di stringere entrambi in un abbraccio, mormorando che moriva dalla voglia di assaggiarli. 

Charles, quando aveva sposato Nathalie, era andato oltre ogni convenzione sociale e aveva preso il cognome della moglie, desideroso di lasciarsi alle spalle la sua famiglia, i Rowle, e il suo passato. Sperava che i suoi genitori avrebbero preso meglio il suo matrimonio con una Babbana quando era nato Hunter, ma la sua famiglia non sembrava minimamente interessata ad un nipotino Mezzosangue.

Peggio per loro, comunque. Loro erano comunque felicissimi così.


*


“Sì può sapere, di grazia, che cosa sta succedendo?! Gradiremmo sapere che cosa ci facciamo qui.”

Larisse incrociò le braccia al petto, visibilmente irritata mentre teneva gli occhi fissi su Erik. Raphael, accanto a lei, le sorrise e le suggerì di rilassarsi mentre le sistemava un braccio sulle spalle, ma l’occhiata omicida che lei gli rivolse lo convinse a lasciar perdere.

Erik non battè ciglio, limitandosi ad assicurare ai ragazzi che presto li avrebbe lasciati tornare di sopra e che stavano semplicemente aspettando Carmilla, Erzsébet o Aeron.

“Aspettare per cosa, esattamente?” Hunter inarcò un sopracciglio, stando rigido e con le braccia conserte e parlando un con tono scettico che fece stringere la Sentinella nelle spalle, asserendo che avrebbero saputo tutto a tempo debito.

“Non potrei andare di sopra per un momento…” 
“No, nessuno se ne va da qui finché non arrivano gli altri.”  Erik scosse il capo alle parole di Penny, che annuì mestamente mentre Ludwig, seduto sul pavimento accanto a lei, la guardava con curiosità:

“Che cosa devi fare?”
“Niente. È solo che non ho una bella sensazione, Lud.”
“Non dire così, andrà tutto benissimo.” Ludwig sorrise gentilmente all’amica, che si limitò ad annuire mentre Hunter rivolgeva un’occhiata assorta alla fidanzata, sperando che li lasciassero tornare di sopra in fretta: Erik li aveva fatti scendere nei Sotterranei ed erano molto vicini al cadavere di Alecto, molto probabilmente. Non esattamente il luogo ideale e più rassicurante dell’edificio.


Dei passi affrettati giunsero alle loro orecchie pochi minuti dopo, echeggiando tra le vecchie pareti di pietra. Anche Erik si voltò e rivolse un’occhiata interrogativa alle gemelle quando scorse le due avvicinarsi quasi di corsa. 

“Era ora…” Wyatt sbuffò debolmente, cercando di capire cosa stesse succedendo ma senza risultati: Erzsébet si avvicinò ad Erik e i due parlottarono a bassa voce per qualche istante. La strega sembrava quasi preoccupata e mostrò qualcosa al mago che i ragazzi non riuscirono a vedere, ma di qualunque cosa si trattasse fece impallidire leggermente Erik, che sgranò gli occhi prima di ricomporsi e voltarsi lentamente verso di loro, schiarendosi la voce:

“Bene, pare che l’attesa sia finita, seguite di sopra Sappho e Holmes, ci sarà anche Shadow. Fate quello che vi diranno. … Non tu, Penny. Resta qui, per favore.”

Hunter, che stava aiutando la ragazza ad alzarsi, si voltò verso l’ex Serpeverde e aggrottò la fronte, asserendo che se restava Penny sarebbe rimasto anche lui. Erik però scosse il capo, chiedendogli di seguire gli altri di sopra e di lasciarli soli.

Hunter, per nulla convinto, fece per replicare ma esitò quando sentì la mano di Penny sfiorargli gentilmente il braccio. Si voltò verso la ragazza e la vide sorridergli appena, assicurandogli di non preoccuparsi e di fare come Erik diceva. Nemmeno lei sembrava del tutto convinta e il ragazzo esitò, ma poi annuì e si allontanò seguendo Raphael e Wyatt nel lungo corridoio buio.

Rimasti soli, Penny alzò lo sguardo per incontrare quello di Erik, che inarcò un sopracciglio prima di far comparire una sedia dal nulla:

“Siediti, Penny. Dobbiamo fare due chiacchiere.”


*


Hunter aveva poco meno di due anni e mezzo quando Nathalie morì in un incidente stradale, impedendogli di preservare qualche ricordi chiaro della madre per il futuro.

Un pomeriggio il bambino stava dormendo al piano di sopra e Charles se ne stava seduto sul divano, gli occhi lucidi e arrossati, le occhiaie, pallido e con un bicchiere vuoto e una bottiglia di bourbon davanti.

Non era passata nemmeno una settimana, e anche se faceva di tutto per non farsi vedere in quello stato davanti al figlio, quando finalmente riusciva a farlo dormire  - nonostante le sue lacrime e il suo volere la mamma a tutti i costi – era liberatorio potersi sfogare un po’.

L’uomo sospirò, passandosi stancamente le mani tremanti sul viso quando sentì un suono familiare: voltandosi ebbe la conferma che qualcuno stava per arrivare attraverso il camino, e Charles si alzò appena in tempo per scorgere sua madre e suo fratello comparire nel salotto.

Per un attimo il mago non disse niente, a dir poco sorpreso di vederli dopo circa tre anni di completo silenzio.
Non di erano fatti vivi al funerale e nemmeno gli avevano scritto per fargli le condoglianze, ma infondo non si era aspettato niente di diverso dalla sua famiglia… per questo quella visita era del tutto inaspettata. 

“Che cosa ci fate qui?”
“Ciao Charles.” Esordì sua madre con tono piatto, scrutandolo con attenzione mentre si spolverava distrattamente un po’ di cenere dalla spalla:

“Abbiamo saputo di tua moglie. Vogliamo parlare con te.”
Charles esitò, poi annuì prima di tornare a sedersi senza dire una parola, versandosi del bourbon: ora era certo che avrebbe avuto bisogno di bere.


*


Una volta di sopra Hunter, Larisse, Wyatt, Raphael e Ludwig avevano trovato Aeron ad aspettarli, a cui le gemelle avevano detto qualcosa prima che la Sentinella annuisse e chiedesse ad Hunter di seguirlo, mentre Lud e Wyatt seguirono Carmilla e Larisse e Raphael Erzsébet. 


Pochi minuti dopo Hunter era seduto di fronte ad Aeron come ad un interrogatorio vero e proprio – ma non prima che la Sentinella avesse mandato un messaggio tramite il suo Patronus a forma di Nero delle Ebridi ai colleghi e a Royal – e chiedeva spiegazioni:

“Perché Penny è rimasta di sotto con Erik?! E perché tutto questo? So che sospettate che sia uno di noi, ma…”
“Credo sia più corretto dire che lo sospettavamo, Hound. Ora sappiamo di chi si tratta.”

Quelle parole fecero irrigidire Hunter, che rimase come pietrificato prima di balbettare qualcosa a mezza voce:

“Non vorrai dire che…”
“Mi dispiace.”
“No. Non è Penny. Non è possibile, c’è un errore, devo andare da lei…” Hunter fece per alzarsi, ma Aeron scosse il capo e lo blocco con un gesto della mano:

“Devo chiederti di sederti, Hunter. Dobbiamo capire se voi ne sapete qualcosa.”
“Io non ne so nulla, e nemmeno Penny! Non è lei! Voglio parlare con lei, o con Max. Voglio vedere mia sorella, chiamala.”

“Ho contattato tutti, forse verrà da sola. Ma ora, Hunter, dobbiamo parlare. Tu e Penny state insieme, se è stata davvero lei viene naturale sospettare anche di te, non credi? Ti consiglio di restare calmo e di fare quello che ti dico, se non hai niente da nascondermi lo saprò molto presto.”


Hunter esitò ma alla fine annuì, chinando il capo e tenendo le mani strette convulsamente sui braccioli della sedia. Non riusciva a concentrarsi, riusciva solo a pensare a Penny.
C’era un errore, doveva esserci. 
Per forza.


*


Sua madre e suo fratello gli avevano offerto di tornare ad essere un Rowle a tutti gli effetti, sperando che innamorarsi di quella Babbana qualunque fosse stata solo una piccola fase della sua vita e che ora volesse ricominciare da capo.
Naturalmente questo significava rinunciare ad Hunter e lasciare il bambino in un orfanotrofio, e a quelle parole – più aver definito Nathalie una “Babbana qualunque” – spinsero Charles e cacciare letteralmente madre e fratello di casa, urlando loro di non farsi mai più vedere e tirando persino fuori la bacchetta. 

Non appena se ne furono andati la bottiglia s’infranse contro il caminetto, e poco dopo la figura del figlio spuntò nella stanza, in pigiama e spaventato mentre chiedeva al padre cosa fosse successo.

Charles sospirò, fece sparire la bacchetta e si avvicinò al figlio per prenderlo in braccio e riportarlo a letto, questa volta nel loro – suo e di Nathalie – per potersi stendere accanto a lui.


Charles aveva fatto di tutto per riprendersi e andare avanti al meglio per il figlio, ma pochi anni dopo, quando Hunter ne aveva appena nove, l’equilibrio che avevano lentamente costruito si ruppe di nuovo: Silente morì, Voldemort prese il controllo del Ministero e iniziarono i processi e le persecuzioni  a carico dei Babbani ma sopratutto dei Nati Babbani. Tra le molte persone ad essere rinchiuse ad Azkaban o a perdere la vita ci fu una collega, nonché amica, di Charles, che venne accusata di aver rubato la bacchetta ad una strega e fu costretta a subire il Bacio del Dissennatore.

Charles conosceva molto bene anche il marito della donna, un Auror di nome Dorian Keenan, che rimase praticamente vedovo come lui e con una figlia di circa 16 anni, Maxine.

Quando Harry Potter venne sconfitto Maxine tornò a casa indenne dalla Battaglia di Hogwarts, ma Dorian perse il suo lavoro in quanto gli Auror vennero sciolti e Charles si accordò con l’amico – che iniziò a lavorare per la Dogana magica – per aiutarsi a vicenda e vivere insieme, formando così un’improbabile, ma funzionale, famiglia.

La convivenza all’inizio non fu delle più semplici, Maxine e Hunter dovettero abituarsi a dover condividere le cose, cosa che essendo entrambi figli unici non avevano mai fatto in vita loro, e in particolare per la ragazzina non fu immediato abituarsi a vedere i suoi spazi venire invasi da un bambino.

Lei ed Hunter ebbero non pochi scontri nel primo periodo, ma alla fine Maxine iniziò a vederlo davvero come il suo fratellino, prendendolo sotto la sua ala protettiva e cercando di occuparsi di lui al meglio quando erano soli in casa, ossia molto spesso.

Quanto ad Hunter, sebbene Max aveva solo sei anni in più rispetto a lui per il bambino erano moltissimi e la vedeva già come un’adulta, tanto che si affezionò molto a lei non solo reputandola la sua sorellona, ma più la strega si occupava di lui più il bambino la vedeva quasi come la mamma che aveva perso e che a stento ricordava: nessuno, da quando Nathalie non c’era più, gli aveva trasmesso quel senso di amore e protezione.

Per questo motivo il bambino si arrabbiò molto con lei quando seppe che sarebbe andata via da casa per andare a vivere da una famiglia di Purosangue, i Greengrass. A lui quelle persone non piacevano, la famiglia di suo padre era così e non erano stati gentili con lui o con sua madre, da quanto sapeva. 

Si chiuse in camera sua e non le rivolse la parola per due giorni, sentendosi profondamente tradito e non capendo perché Maxine non dovesse stare con lui – infondo era la sua sorellona, perché non potevano stare insieme? – finché alla vigilia del suo trasferimento – di cui nemmeno Dorian era felice, ma Max aveva insistito perché stanca di sentirsi un peso senza fare nulla per aiutare la famiglia – Max non bussò alla sua porta:

“Moccioso? Posso entrare?”
“No! E non sono un moccioso!”
“Se fai i capricci lo sei eccome… Non mi vuoi salutare?”
“No! Vai via.”

Hunter, che era seduto sul pavimento, la schiena appoggiata al letto, strinse le proprie ginocchia e nascose la testa contro di esse quando sentì la porta aprirsi lentamente. Poco dopo la ragazza gli si avvicinò e sedette accanto a lui, guardandolo con una punta di malinconia:

“Hunter, perché sei arrabbiato con me?”
“Perché vuoi andare via e mi lascerai da solo!”

Hunter sollevò la testa, guardandola male mentre la ragazza scuoteva il capo, sospirando:

“Non me ne vado perché non voglio stare con te, Hunter. Lo sai che ti voglio bene.”
“E allora resta qui!”
“Non posso, forse quando sarai più grande capirai che è giusto così. E non me ne vado per sempre come la tua mamma, verrò a trovarvi molto spesso, ok?”

Max sorrise dolcemente e si avvicinò al fratellino per stringerlo tra le braccia, chiedendogli in un sussurro se volesse che dormisse in camera sua quella notte.
Hunter non disse nulla ma annuì, ricambiando l’abbraccio e appoggiando la testa sulla sua spalla.


*


Penny non riuscì a trattenere un singhiozzo mentre scuoteva il capo, agitandosi sul pavimento e parlando con voce rotta, bassa e implorante:

“Non sono stata io, lo giuro.”
“Penny, abbiamo trovato questo in camera tua, era di Rain.”

Erik le mostro di nuovo quello strano quaderno ma la ragazza scosse il capo, appoggiandosi alla parete con la schiena e guardandolo con gli occhi lucidi:

“Non l’ho mai visto in vita mia!”  

A quelle parole Erik sospirò, chiedendosi perché il lavoro peggiore toccasse sempre a lui. Come se torturare una ragazzina che conosceva da tempo e che gli era sempre sembrata la più innocente di tutti fosse semplice. Ma a volte l’apparenza ingannava, dopotutto.

“Penelope, credimi, non voglio farti del male. Ma tu devi parlare.”
“Non ne so niente, te l’ho già detto! Chiunque può averlo messo nella mia camera!”

Erik sospirò e, sollevato lentamente il braccio, le lanciò di nuovo l’incantesimo contro. 
Penny urlò di nuovo e questa volta Erik chiuse gli occhi, evitando di guardare, forse così sarebbe stato più semplice convincersi che fosse solo una delle sue tante vittime.


*


Per quattro anni la vita di Hunter fu relativamente serena, nonostante la situazione non fosse delle migliori aveva pur sempre una famiglia a cui voleva bene su cui contare.
O almeno finché non ebbe 14 anni e suo padre e Dorian vennero arrestati. 

Portarono brevemente ad Azkaban anche lui, in realtà, ma Maxine insistette affinché lo interrogassero per avere la prova della sua innocenza, ed esattamente come per lei il Veritaserum provò che non sapeva nulla delle azioni di padre e “zio”.

Hunter tornò così a casa con la sorella, che gli spiego brevemente cos’avevano fatto i loro padri e in un primo momento sembrò curiosa nei loro confronti per non averle detto nulla ed essersi messi tanto a rischio, anche se l’avevano fatto solo per aiutare dei Nati Babbani a lasciare il Paese superando la dogana.
Hunter, che non era più un bambino, pretese di sapere come li avessero scoperti, ma Max si limitò a dirgli che qualcuno che era stato a conoscenza del piano e che forse li aveva persino aiutati aveva spifferato tutto alle Sentinelle.

Nemmeno Dorian e Charles avevano idea di chi potesse trattarsi, e né Hunter né Maxine ebbero la possibilità di incontrarli dopo il processo. A lui non fu nemmeno concesso di assistere all’esecuzione, a differenza di Max, ma il ragazzino, rimasto a casa da solo e rannicchiato sul suo letto, riuscì quasi a percepire quando i loro cuori smisero di battere.

Max e suo padre glielo dicevano da anni, dopotutto, di essere speciale: se sua sorella sembrava avere una particolare affinità mentale con gli oggetti, lui riusciva quasi a vedere le scie di energia vitale delle persone o delle cose che cercava, riuscendo sempre a sapere dove si trovassero le persone che amava o, se si concentrava qualcosa che cercava disperatamente.

Maxine, che frequentava ancora il Covenant, divenne così la sua tutrice a tutti gli effetti e per aiutarla economica ste Hunter decise di rimboccarci le maniche e fare esattamente quello che aveva fatto lei qualche anno prima: iniziò a lavorare per una famiglia Purosangue. 

Maxine non si era sbagliata, dopotutto: un giorno avrebbe capito.


*


Quando aveva ricevuto il messaggio di Aeron Haze si era precipitato al Covenant e lì si era imbattuto in Erik, che stava uscendo dai Sotterranei. Gli aveva chiesto di chi si trattasse ma l’ex Serpeverde aveva scosso il capo, vietandogli di scendere e di superarlo.

“Non puoi vietarmi di fare un bel niente, Murray!”
“Se so che comprometterai tutta l’operazione posso eccome! Questo è il quaderno di Rain, me lo confermi?”

Erik gli mostrò il quaderno e Haze annuì, gli occhi castano-verdi sgranati, e glielo prese dalle mani prima di chiedergli dove l’avessero trovato.

“Era nella camera di Diamond, ma tu non devi andare da lei, capito! Non sei lucido. Dov’è Audrey?”
“A casa con Henry, credo. Erik, fammi passare!”
“Non ci penso nemmeno, ora tu vieni con me e aspettiamo Max, lei ci aiuterà a capirci di più grazie al suo potere… intanto andiamo da Hunter.”

Haze fece per obbiettare ma Erik lo trascinò con sè, portandolo da Hunter. 
Lo trovarono in compagnia di Aeron, e il ragazzo chiese immediatamente di vedere Penny.
Erik gli assicurò che avrebbe potuto vederla, ma che prima doveva aiutarli ad avere una conferma: gli porse il diario, inarcando un sopracciglio e suggerendo che poteva usare il suo “dono speciale”.

“Potrei trovare il proprietario dell’oggetto, ma Rain non c’è più, non vedrei nulla.”
“Sì, ma avresti potuto trovarlo prima, no? Non hai davvero mai visto o percepito nessuna traccia? Lo trovo difficile, Hunter, hai conosciuto la sua proprietaria dopotutto… questo quaderno è vincolato al sangue dei Mallow, e qui accanto a me ce n’è uno. Non hai mai sentito niente?”

“Forse, ma non avrei potuto essere certo che fosse la scia proprio di quest’oggetto.”
“Beh, ora è qui, toccalo, osservalo per bene, poi mi darai una risposta.” Erik lasciò il diario davanti al ragazzo, sul tavolo, e Hunter esitò prima di prenderlo lentamente tra le mani. 

Aveva già sentito e visto qualcosa del genere, in effetti, ma solo ora che lo aveva davanti poteva esserne sicuro. Il ragazzo deglutì, cercando di concentrarsi e di ricordare, per nulla semplice in quel momento.

Chiuse gli occhi, avvolto da un silenzio che Erik, Aeron e Haze non osarono rompere. 


Quando li riaprì, poco dopo, lo fece con la certezza di aver già sentito quella scia energetica. 
Anzi, spesso ci era anche stato vicino. 

Disgustato, lo allontanò di scatto, evitando di guardarlo e distogliendo lo sguardo. 
Mentre un’orrenda consapevolezza gli attanagliava le viscere sentì la voce di Haze chiedere se l’avesse già percepito nella camera di Penelope, e il ragazzo annuì dopo un momento di esitazione.

“Sì. Ma prima che uno di voi faccia qualcosa, voglio vederla. Per favore.”


Aeron ed Erik si scambiarono un’occhiata incerta, ma alla fine il primo annuì, sospirando:

“E sia.” 




“Non posso credere che sia Penny. È orribile.”  Larisse parlò in un sussurro mentre lasciava la stanza insieme a Raphael, che annuì con un sospiro:
“Lo so. Mi dispiace. Ne vuoi parlare?”

“No. No, voglio… solo stare sola.”  La rossa scosse il capo e lasciò scivolare la mano da quella del ragazzo, superandolo per dirigersi verso le scale. Raphael la seguì con lo sguardo ma non osò farlo anche fisicamente, voltandosi verso Wyatt quando venne avvicinato dall’amico:

“Come l’ha presa?”
“Direi non benissimo.”
“Beh, come tutti noi. Riesci a crederci.”

“… No, non proprio.”




Era infinitamente piacevole potersi aggirare per i corridoi deserti e silenziosi, completamente alla sua mercé. 
Aprì lentamente la porta dei quelli che in passato era stato lo studio di Alecto e si avvicinò alla scrivania, aprendo l’ultimo cassetto: esattamente come aveva immaginato, c’erano diverse provette piene di Pozione Polisucco, tenute lì affinché potessero mantenere l’aspetto della donna fin quanto necessario.
Si chinò e ne prese un paio prima di chiudere il cassetto e lasciare la stanza con un piccolo sorriso soddisfatto sulle labbra, rapidamente e senza farsi notare.

Considerando che tutto stava andando per il verso giusto, non poteva far altro che gioie.


*


Hunter lavorò per i Bulstrode per due anni, prima di decidere di iniziare a studiare per diventare una Sentinella.
Maxine, che faceva quel lavoro da circa un anno, lo pregò di non seguire le sue orme perché non voleva saperlo un assassino come lei, ma il ragazzo non volle sentir ragioni, sfoderando tutta la sua testardaggine. Le discussioni non mancarono, così come oggetti volanti in casa – procurando molti spaventi al povero Silver – ma alla fine Hunter convinse sua sorella, che arresa si limitò a pregarlo di fare attenzione e gli fece un piccolo regalo: Hunter diceva sempre di voler vedere il mondo un giorno, di andare per mare su una barca, e Max gli regalo un bracciale di cuoio con un’ancora appesa come ciondolo, da cui il ragazzo non si sarebbe mai separato per molti anni.

Il suo soggiorno dai Bulstrode, comunque, non fu così terribile: al suo arrivo il ragazzo asserì di saper cucinare e la Signora decise di metterlo alla prova. Inutile dire che tutti si innamorarono della sua famiglia e il mago, a soli quattordici anni, divenne il loro cuoco ufficiale.

Le feste della famiglia iniziarono ad essere apprezzate, conosciute ed invidiate in tutta la comunità magica e la Signora, ridendo, asserì più volte che erano in molti a chiederle di potergli “prestare” il suo eccellente chef. 
Hunter si domandò, un paio di volte, se non gli fosse capitato di dover cucinare per la famiglia di suo padre a sua insaputa… una volta i Bulstrode ospitarono dei Rowle, ma Hunter non li aveva mai visti e non poteva essere sicuro che fossero loro. 
Eppure, si chiese se ovunque fossero, fossero a conoscenza del destino di suo padre. 
E anche del suo.


*


“Dove devi andare, Tía?”
“Devo vedere delle persone per lavoro, mijo… ma non starai da solo, ho chiesto a Max di venire, ok?”

Audrey sorrise dolcemente ste al bambino mentre s’infilava il cappotto, chinandosi per dargli un bacio su una guancia. Henry annuì, non troppo convinto, e Audrey sospirò di sollievo quando sentì bussare alla porta: prima di andare al Covenant, doveva assolutamente andare da Royal e chiedergli che cosa fare.

La strega aprì la porta e sorrise quando si trovò Max davanti, che si precipitò invasa parlando a macchinetta:

“Hai sentito?! Che cosa pendi fare adesso? Secondo te di chi si tratta?!”
“Non ne ho idea, Aeron non l’ha detto… ma sono certa che Hunter non c’entra, non preoccuparti.”

Maxine annuì, distogliendo brevemente lo sguardo senza dire nulla prima che l’amica parlasse di nuovo, gettando una rapida occhiata ad Henry:

“Grazie per essere passata, so che vuoi venire a monitorare la situazione, ma io devo correre da Royal… Puoi portarlo da mia madre, ok?”
“Nessun problema, ciao Henry!”

La strega sorrise allegramente bambino, che ricambiò con altrettanta vitalità:

“Ciao Tìa Max!” 
“Fai il bravo mijo!” Audrey lanciò un bacio aereo al bambino prima di superare Max e uscire di casa, lasciando l’amica con il bambino. 

Strano, pensò la strega mentre di Smaterializzava. Di solito Maxine in situazioni critiche piombava in casa usando il camino o aprendosi la porta da sola, senza perdere tempo a bussare.


Henry era seduto sul divano accanto al grosso cane dal pelo bianco, e si prese qualche istante per osservarlo prima di sorridere e avvicinarglisi:

“Ehy, piccolo… Adesso vieni con me, ok?”
Si chinò per prenderlo in braccio e il bambino annuì, guardandola con curiosità:
“Andiamo da abuela?”

“Sì Henry, ma prima dobbiamo andare in un posto.”

Sorrise al bambino, sfiorandogli i capelli con le dita mentre Snow, scrutando la strega, ringhiava poco amichevolmente. Henry abbassò lo sguardo sul cane, guardandolo sorpreso:

“Sno, cosa fai, è Tìa Max!”
“Ma che vuole questo stupido cane?! Vieni, andiamo.”

La strega sbuffò e si allontanò, guadagnandosi un’occhiata offesa dal bambino:

“Non è uno stupido cane! A te piacciono i cani!”
“No, non credo proprio.”


*


La Signora Bulstrode non ne fu felice, affatto, ma dovette lasciar andare il suo giovane cuoco e lo fece con, tutto sommato, una certa gentilezza, ringraziandolo per i servizi resi ma accusandolo di averli messi all’ingrasso negli ultimi due anni.


Per Hunter lasciare quella casa fu un sollievo sotto un certo punto di vista, ma nemmeno il Covenant si rivelò tutto rose e fiori e ben presto il ragazzo così il perché della reticenza di Maxine: conosceva i fratelli Carrow solo di fama e per via dei racconti di sua sorella, ma appurò ben presto che Max non aveva mai esagerato sul loro conto solo per farlo desistere dal frequentare la scuola. 

Hunter non era mai andato in una scuola, a parte le elementari, e fu quasi strano trovarsi catapultato in un ambiente pieno di ragazzi della sua età, all’inizio. Dopo tutto quello che gli era successo aveva sviluppato una certa diffidenza nei confronti del prossimo, ma riuscì a fare comunque amicizia ed ebbe anche un paio di ragazze nei primi due anni di addestramento, anche se il suo vero pallino fu sempre una sola ragazza che aveva la sua stessa età, dai capelli biondi e dolce come il miele.

La sua seconda ragazza, in effetti, non sembrò affatto contenta quando pronunciò il nome sbagliato quando la passione si fece al culmine, e quella sera Hunter si beccò un sonoro ceffone. April non gli rivolse più la parola, ma Hunter scoprì che infondo non gli importava particolarmente. 

Da quel momento il ragazzo non intrecciò più alcuna relazione, aveva occhi solo per quella ragazza così gentile quanto sfuggente. Nonostante questo, riuscì ad avvicinarsi a lei e a diventare suo amico, scoprendo che come lui anche Penelope aveva lavorato per una famiglia di Puri prima di arrivare al Covenant. 

Più volte Hunter si diede persino dell’idiota per essersi scoperto geloso di un ragazzino di soli 16 anni che però sembrava molto legato a Penny, la sua Penny.
Spesso si chiese se la ragazza non fosse interessata a Ludwig, e rivolgeva occhiatacce ai due ogni volta in cui vedeva l’amica abbracciarlo: in un paio d’anni di convivenza aveva notato che permetteva di rado alle persone di toccarla, tanto che una volta gli aveva persino assetato uno schiaffo. Perché a lui invece sì?

Una sera stava sbattendo della carne – con molta veemenza – mentre si arrovellava sull’argomento, chiedendosi cosa Ludwig avesse che lui non aveva. 
Doveva essere il suo modo di fare gentile, dolce e quasi timido, tutte le ragazze lo adoravano dopotutto…

Hunter sbuffò con rabbia e mandò in frantumi la bistecca, beccandosi una ramanzina da parte di Max che aveva aspettato di mangiarla per tutto il giorno.
La stessa Maxine che sembrò intuire cosa disturbasse il fratellino e lo invitò a parlargliene, ridacchiando di fronte ai suoi dubbi e quando il ragazzo le chiese se Penny preferisse Ludwig s lui per colpa del suo brutto carattere:

“Tesoro, anche io ho un pessimo carattere che nessuno potrebbe mai sopportare, è una cosa di famiglia! E comunque non fasciarti la testa prima di averla rotta, forse Penny vede quel ragazzo solo come un amico… l’amicizia uomo/donna esiste eccome, la mia amica Audrey è molto legata ad un nostro collega dai tempi di Hogwarts, ma solo come amici.”

“Max, vorrei crederti, ma sulle questioni di cuore tu sei pessima…”
“Grazie tante!”


*


Penny si strinse le ginocchia tra le braccia, singhiozzando e nascondendo il viso contro le proprie gambe.
Non c’era una sola parte del corpo che non le facesse male, ma continuava a ripetersi – così come mentre Erik la torturava – che non potesse essere peggio di venire violentata. 
E dire che aveva la sensazione che Erik ci fosse anche andato leggero, con lei…

Nonostante il dolore, Penny non faceva comunque che pensare ad Hunter. A quanto probabilmente in quel momento si sentisse ferito, preso in giro, deluso, furioso. 
Voleva vederlo e implorarlo di crederle, ma allo stesso tempo aveva quasi timore di incontrare il suo sguardo per paura di non leggerci gli stessi sentimenti di sempre.


Quando sentì dei passi la ragazza si voltò di scatto, sobbalzando nel timore che Erik fosse tornato per andare avanti con l’operato. Si rilassò nel constatare che non era la Sentinella, abbozzando un sorriso tirato:

“Oh, ciao. Ti hanno chiesto di venire a controllarmi?”
Penny non ottenne alcuna risposta verbale, ma vide invece una bacchetta venirle puntata contro.
La bionda spalancò gli occhi chiari con un misto di sorpresa e di terrore, ritraendosi istintivamente all’interno della specie di cella dove Erik l’aveva chiusa:

“Che cosa fai?! No, aspetta, ti prego, qualunque sia il motivo non farlo!”

Le preghiere della ragazza furono, tuttavia, completamente inutili: un incantesimo non verbale la colpì un istante dopo, senza che potesse difendersi essendo stata privata della sua bacchetta. 


*


Penny e Anna dormivano, a giudicare dalla regolarità dei loro respiri. Hunter invece era sveglio, e si sollevò leggermente sulla brandina per poter sbirciare Penny. 
La ragazza dormiva e sembrava rilassata, ma Hunter si chiese con un nodo allo stomaco come si fosse sentita quel giorno, quando aveva rivisto quel maiale che le aveva rimesso le mani addosso.
Sfoggiò una smorfia con le labbra e si chiese perché si fosse lasciato convincere a non farlo a pezzi, ma la verità era che bastava un cenno di quella ragazza per fargli cambiare idea su qualunque cosa.

La guardò e pensò a quanto dovesse aver sofferto, e nella lista mentale delle sue priorità aggiunse “uccidere Roman Nott”, sotto al trovare e fare lo stesso con la persona che aveva causato la morte di suo padre, certo.  

Non aveva mai conosciuto una persona dolce, buona e pura come Penelope Gray, e si chiese per quale motivo dovesse essere capitato proprio a lei, che meritava di soffrire meno di chiunque altro. Non sopportava l’idea che qualcuno le avesse fatto del male per così tanto tempo – senza contare che lui non se n’era reso conto per quasi quattro anni – e ripensò a quando, poche ore prima, lei gli aveva raccontato tutto e lui era stato a tanto così dal baciarla. 
Si era trattenuto perché consapevole che non fosse il momento più adatto per dichiararsi, ma buona parte della colpa era di Penny e delle sue labbra invitanti.    

Il ragazzo sbuffò e si rimise disteso sulla brandina, nascondendo il viso contro il cuscino e facendo una lista mentale di tutti i modi più dolorosi per togliere la vita a qualcuno. 
Anche se, ora che ci pensava, prima di farlo fuori avrebbe certamente provveduto a privarlo di una certa parte del corpo.



*


“Se mio fratello dice che non è stata Penny allora non è stata Penny! Erik non è riuscito a farla parlare, dico bene?! Forse ci stiamo sbagliando, avete provato con il Veritaserum?”

“Erzsébet non ne aveva, per prepararlo ci vuole tempo ma ci sta lavorando. Ma tu puoi comunque esserci utile, no? Puoi dirci un’occhiata, per favore?”

Aeron porse il diario di Rain a Max, che lo prese in mano sbuffando debolmente mentre Hunter se ne stava seduto in un angolo, a capo chino e con le braccia conserte.

“Va bene, vediamo cosa posso fare…”

Maxine stava per concentrarsi sull’oggetto per scoprire i dettagli della sua storia – riuscendo così a confermare o meno se fosse passato effettivamente per le mani di Penelope –, ma si distrò quando la porta della stanza si aprì, rivelando Audrey sulla soglia e con l’aria affannata di chi ha corso:

“E-eccomi, scusate ma sono andata da Royal. Non vuole che togliamo la vita a nessuno, quindi, Haze, non pensarci neanche! … Max, che ci fai già qui?!”
“Che intendi?!”
“Hai portato Henry da mia madre?”  Audrey sembrò sorpresa di vederla e Maxine per tutta risposta aggrottò la fronte, guardandola con altrettanta confusione:

“Henry? Di che cosa stai parlando, ero appena arrivata a casa quando ho ricevuto il messaggio di Aeron. Sono venuta a casa tua ma non c’era nessuno e mi sono precipitata qui, ho pensato avessi portato tu il piccolo da tua madre.”

Maxine, Erik, Aeron e Haze videro Audrey impallidire con la mano ancora stretta sulla maniglia della porta, deglutendo a fatica prima di parlare in un sussurro appena udibile:

“… Come… tu non…”

“Audrey? Perché pensavi che Max fosse con Henry?”  Erik, vedendo che l’amica era in difficoltà e sempre più sconvolta, le andò in aiuto e le si avvicinò mettendole le mani sulle spalle, guardandola negli occhi. 

“Perché io l’ho vista! Era a casa mia e l’ho lasciata con lui! Oh mio Dio, non posso crederci…”
“Ma io non ho mai visto te e Henry a casa tua! Non capisco…” Maxine sgranò gli occhi, spostando lo sguardo da Aeron ad Haze scuotendo il capo mentre Audrey si portava le mani ai capelli mormorando qualcosa in spagnolo e Erik si voltava verso la Grifondoro con aria cupa:

“Ti crediamo, ma se non eri tu allora era qualcuno che ha preso le tue sembianze. E penso che Audrey abbia un’idea di chi possa essere.”

“IO LA UCCIDO, QUELLA LOCA, MALA, PERRA DE MIERDA!”

Erik aveva a malapena finito di parlare che Audrey girò sui tacchi e si precipitò fuori dalla stanza ringhiando, seguita dall’amico. Anche Haze fece per seguirla, ma Erik gli suggerì di restare lì a controllare la situazione: non serviva un’altra Sentinella in meno al Covenant.


“Chi può aver preso il bambino?”
Aeron, confuso, spostò lo sguardo da Maxine ad Haze, che sospirò e si passò una mano tra i capelli mentre Max si portò le mani alla bocca, capendo improvvisamente:

“Oh mio Dio… sua sorella! Ma come… come poteva avere qualcosa di mio da mettere in una Pozione Polisucco? È inquietantissimo, ci mancava solo questa stasera!”
“Beh hai detto che l’hai incontrata, no? Forse ti ha preso un capello… ma a voi pare davvero un caso che sia successo proprio stasera? È una curiosa coincidenza, non trovate?”

Haze inarcò un sopracciglio, spostando lo sguardo da Aeron a Max, che si scambiarono un’occhiata allarmata mentre nella stanza piombavano anche le gemelle, che informarono con tono concitato i colleghi che Penny era sparita.  

“COME SAREBBE A DIRE SPARITA?!” Hunter scattò in piedi quasi come una molla, parlando per la prima volta dopo diversi minuti e superando di corsa le due streghe quando non ottenne alcuna risposta. Corse al piano di sotto per assicurarsi con i suoi occhi che ciò che avevano detto Erzsébet e Carmilla fosse vero e quando si fermò davanti ad una cella vuota dalla porta aperta deglutì, restando immobile davanti ad essa con le braccia abbandonate lungo i fianchi.

“Come accidenti ha fatto senza bacchetta?! Non avrebbe potuto nemmeno Smaterializzarsi!”

Aeron lo raggiunse poco dopo e si fermò accanto a lui insieme ad Haze, che abbassò lo sguardo per rivolgersi ad Hunter: 

“Beh, lui può trovarla, no? Lo puoi fare, Hound?”
“Immagino di sì…”

Hunter annuì, parlando con tono vago come se non stesse realmente ascoltando, gli occhi fissi sulla cella vuota e, in particolare, sulle gocce di sangue sul pavimento. 
In fin dei conti, così come poteva rintracciare Max a distanza senza problemi, era piuttosto sicuro di riuscire a farlo anche con Penny, visti che aveva un forte legame anche con lei.

“Bene. Allora portaci da lei.”


*



Quando era venuta a galla la storia della talpa si era interrogato a lungo su chi potesse essere, escludendo a priori non solo Max, ma anche Penny.

Era seduto in Biblioteca di fronte a lei e la osservava, rifiutandosi di prenderla in considerazione come sospettata. No, la sua dolce Penny non sarebbe mai stata capace di tanto.
La ragazza dovette sentirsi osservata perché sollevò la testa e ricambio il suo sguardo, inarcando un sopracciglio prima di chiedergli se ci fosse qualcosa che non andava.

“No, assolutamente. Non posso guardarti e basta visto quanto sei bella?” 

Hunter sorrise e allungò al contempo una mano per sfiorare quella della ragazza, che sorrise e arrossì leggermente.

No, Penny non avrebbe mai potuto arrivare a tanto e ferirlo in quel modo. 


*


Erik si addentrò lentamente in casa, trovando la porta spalancata. 
Attraverso l’ingresso e si fermò sulla soglia del salotto, trovando Audrey rannicchiata  sul pavimento a capo chino, con Snow davanti che le leccava le mani come a volerla consolare. 

Il mago esitò ma poi le si avvicinò, sedendo lentamente accanto a lei e mettendole una mano sulla spalla:

“Ehy? Lo troveremo, Audrey. Te lo prometto… e poi manderemo Grace in Spagna prendendola a calci.”
“Lei non tornerà in Spagna, Erik. Io la seppellirò viva.”


*


“Max, stasera Penny viene a cena qui, per favore sii normale!”
“In che senso scusa?”
“Lo sai benissimo! E non fare domande strane, non nominare i Nott per nessun motivo e sopratutto… non raccontare aneddoti imbarazzanti su di me!”

Erano questi i veti che aveva posto alla sorella quella domenica pomeriggio, prima di iniziare a cucinare tutti i piatti preferiti della fidanzata.
Si era rintanato in cucina con della musica jazz in sottofondo, uno dei suoi generi preferiti, e la sorella aveva cercato di intrufolarsi per scroccare assaggi un paio di volte, finendo col venire cacciata e chiusa fuori visto che, a detta del ragazzo “ogni volta in cui metteva piede lì dentro la cucina entrava in alto rischio” e anche normalmente aveva il permesso solo di versarsi da bere senza toccare forno, fornelli, microonde o utensili da cucina in generale.


Alla fine Hunter era molto soddisfatto del risultato – e per fare contenta Max aveva persino preparato le lasagne, il suo piatto preferito –, ma quella sera il forte impulso di strangolare la sorella lo assalì: Max tirò fuori con suo grande orrore un album di vecchie foto che lui nemmeno ricordava di avere, mostrando ad una Penny molto divertita un mucchio di immagini di lui da piccolo.

“Ma lì non vivevamo ancora insieme, dove le hai prese?!”
“Me le ha lasciate tuo padre. Ecco, qui c’è un piccolo Hunter cuoco in erba.”
“Che dolce! Hunter, eri proprio un amore!”

Penelope sorrise alla foto e poi al ragazzo, che arrossì e abbassò lo sguardo, borbottando che non era vero prima di rintanarsi in cucina, seguito da Silver.

“Ah, eccoti qui. Dimmi, ma mia sorella come fa a non farti morire di fame? Ecco, tieni.” Hunter porse al Demiguise una mela, che Silver prese contento mentre Jazz, l’Augurey del ragazzo, gli planava tra le braccia:

“Ciao Jazz, dove ti eri nascosto? Eri offeso con Max perché si è scordata di dirti da mangiare, vero? Cielo quella ragazza è un disastro…”

“Guarda che ti sento, Moccioso, e ho un bell’arsenale di aneddoti che attendono di essere ascoltati da Penny, qui!”
A quelle parole Hunter impallidì e si precipitò sulla soglia della stanza, indicando la sorella con aria minacciosa mentre Penny invece rideva e Jazz si appollaiava sulla sua spalla:

“Non ti azzardare!”
“Altrimenti che fai, mi tieni il muso come quando eri piccolo?”

“No. Brucerò le tue magliette orrende!”
“Non oseresti!”
“Vogliamo scommettere?!”



*



Quando Penny aprì gli occhi si lasciò sfuggire un lieve gemito, e avrebbe sollevato una mano per sfiorarsi  la testa dolorante se non avesse avuto le braccia bloccate sulla schiena da uno spesso laccio. 
La bionda strizzò leggermente gli occhi per abituarsi alla luce artificiale che illuminava la stanza, cercando di capire dove si trovasse ma senza riconoscere la stanza: di certo non era più al Covenant, su questo non aveva alcun dubbio.

“Ma cosa…” Stordita e senza ricordare chiaramente cosa fosse successo prima di perdere conoscenza, la ragazza si guardò intorno cercando una figura umana, sobbalzando quando sentì una voce femminile e familiare provenire da un punto indefinito della stanza.

“Era ora, non pensavo che avresti dormito tanto, onestamente.”
Penelope si sentì raggelare e guardò una ragazza familiare e dai lunghi capelli ramati avanzare prima di sedersi sulla sedia che aveva di fronte, osservandola senza nessuna espressione particolare sul volto. 

All’improvviso Penelope ricordò tutto, compreso di essere stata aggredita. Deglutì e, senza staccare gli occhi da quel volto, parlò con un filo di voce:

“… Anna?”








……………………………………………………………….
Angolo Autrice:

Buonasera! 
Ed eccoci arrivati all’ultimo capitolo dedicato ad un personaggio, il prossimo dovrebbe essere l’ultimo capitolo vero e proprio prima dell’Epilogo e lo pubblicherò mercoledì o giovedì al massimo. 
A presto! 
Signorina Granger 

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Capitolo 23
*** Capitolo 21 ***


Capitolo 21 



“I-io… io non capisco. Tu non sei… come…”
“Non sono nella Causa? No, certo che no, ed è proprio per questo che sarebbe filato tutto liscio: quando avreste capito vi sareste messi a puntarvi stupidamente il dito contro a vicenda, senza prendere neanche lontanamente in considerazione un esterno. Cosa che, infatti, nessuno di voi ha fatto.”

“Ma tu come facevi a sapere tutto?! E perché lo stai facendo, Anna?”
“Se ti riferisci a te, Penny, ammetto che mi dispiace… niente di personale, ovviamente, non credo che tu abbia mai fatto volontariamente del male a qualcuno in vita tua. Quanto a come conoscessi tutti i dettagli dei vostri piani, me li hai gentilmente forniti tu fin dall’inizio. Sei stata molto preziosa Penny, grazie.”

Anna sorrise mentre si rigirava la bacchetta tra le dita, dondolandosi distrattamente sulla sedia senza staccare gli occhi dalla compagna, che a quelle parole s’irrigidì, stentando a credere alle sue orecchie:

“Cosa?” Il sussurro tremolante della bionda echeggiò nella stanza buia e vuota e Anna annuì, stringendosi nelle spalle:

“Non volontariamente, certo, ti obbligavo a parlare con Imperio e poi ti cancellavo la memoria. Non avercela con te stessa Penny, hai solo avuto la sfortuna di essere la mia compagna di stanza e quindi il bersaglio più semplice da sfruttare, quando ho capito che facevi parte della Causa tutto è diventano estremamente favorevole.” 

Penelope non emise un fiato, abbassano lo sguardo e stentando a credere alle sue parole mentre un forte senso di colpa s’impossessava di lei: come aveva potuto non accorgersi di niente per chissà quanto tempo?

“Perciò mi usavi e hai pensato di incastrarmi. Ma perché mi hai portata qui? Vuoi uccidere anche me?”

“Merlino, no, perché dovrei ucciderti? No, no, lascerò che credano che tu sia scappata per conto tuo, sarà una specie di conferma dei loro dubbi nei tuoi confronti… quando ti troveranno qui, perché grazie al tuo fidanzatino lo faranno, io sarò lontana e tu fornirai loro la miglior confessione di sempre dopo essere stata adeguatamente confusa. Ti piace l’idea?”

Anna sorrise beffarda, senza smettere di dondolarsi sulla sedia mentre Penny studiava la compagna con gli occhi azzurri spalancati, continuando a non capire:

“Perché? Perché portarmi qui, e perché tutto questo?! Vuoi davvero continuare a vivere così? Sei una Mezzosangue anche tu!”

A quelle parole Anna si fece improvvisamente seria, stringendo le labbra prima di parlare con tono fermo e basso, scadendo lentamente le parole. 
 
“Queste sono questioni personali che non ti riguardano, Penny.”

La bionda fece per dire qualcos altro, ma s’interruppe sul nascere quando udì dei rumori provenire dall’esterno della stanza. Entrambe le ragazze si voltarono, e Penny pregò che fossero i suoi amici mentre Anna, dopo un attimo di esitazione, si alzava in piedi:

“Credo che tu debba dormire un altro po’.” 
“No Aspetta… Anna, ti prego!” La ragazza si avvicinò alla bionda puntandole contro la bacchetta, ignorando, per la seconda volta nell’arco della giornata, le sue preghiere:


Il lampo luminoso dell’incantesimo proruppe nella stanza appena prima che la porta si aprisse, permettendo ad una terza persona di entrare. 

“Ah, eccoti… è filato tutto liscio?”
“Direi di sì, ho appena rimesso a nanna la principessa. Tu hai ritirato il tuo pacco, vedo.”

Anna gettò un’occhiata quasi divertita a Henry, che si stava dimenando come un matto mentre Grace lo trascinava sbuffando verso il centro della stanza. 

“Sì, ma non ne vuole sapere di calmarsi. CALLATE LA BOCA, non ti faremo del male!”
“Voglio andare a casa, voglio Tìa Odri! E tu non sei Tia Max!”

Henry rivolse un’occhiataccia a quella che non sapeva essere sua madre, che si inginocchiò davanti al bambino, seria in volto, prima di mettergli le mani sulle spalle per costringerlo e guardarla:

“Io conosco molto bene zia Audrey, sai? E mi ha chiesto lei di portarti qui, perché non ti vuole più.”
Il bambino, per tutta risposta, sgranò gli occhi scuri e scosse il capo mentre gli si inumidivano gli occhi, balbettando che non era vero e che voleva tornare a casa. 

“Sì, Henry, es verdad. Ella no es tu mamà, e ora non vuole più occuparsi di te.”
“Non è vero! Tìa dice che non devo andare con le persone che non conosco, e io non vi ho mai viste!”

“Forse ora non ci crederai, piccolo Henry, ma siamo la tua famiglia anche noi. Adesso, vieni con me.”

Grace sollevò il bambino, che riprese a piangere, strillando che non voleva, e a dimenarsi mentre Anna incantava il corpo inerte di Penny affinché seguisse Grace fuori dalla stanza. 
 
“Ora resterai qui, quando smetterai di piangere potrai uscire.”
Grace lasciò il bambino in una stanza molto più piccola, e Anna fece levitare il corpo di Penny al suo interno prima di lasciarla sul pavimento e, infine, permettere a Grace di uscire e chiudersi la porta alle spalle.

“È un bambino che fa i capricci, gli passerà presto. Quanto pensi che ci vorrà perché arrivino?”

La strega raggiunse la ragazza parlando con tono neutro, liquidando il discorso con un gesto della mano, e Anna si strinse nelle spalle mentre riponeva la bacchetta e incrociava le braccia al petto:

“Sono certa che Hunter non ci metterà poi molto a trovare Penny, l’ho visto in azione molto volte, anche se adesso la sua concentrazione non è delle migliori. Quanto a tua sorella… penso che ce ne vorrà ancor meno perché arrivi come una furia. E non vedo l’ora.”


*


Penny si svegliò con un gemito per la seconda volta nell’arco di un’ora, chiedendosi perché capitassero tutte a lei mentre si metteva a sedere sul pavimento tenendosi la testa tra le mani.  

Anna doveva averla portata dentro una stanza, piccola e spoglia, e la ragazza si stava chiedendo chi fosse arrivato prima che la giovane strega la tramortisse quando sentì dei singhiozzi e, voltandosi, si accorse della presenza di Henry.

“Henry! Oh mio Dio, cosa ci fai qui? Stai bene?”
“Voglio andare da Tìa Odri.”

“La vedrai molto presto, ok? Sono sicura che sta venendo a prenderti.” Penny sorrise dolcemente al bambino, parlando con il tono più rassicurante che le riuscì e allungando una mano per asciugargli le lacrime. Henry però scosse il capo alle sue parole, asserendo che Audrey si era stancata di lui.

“Cosa?! Questo è impossibile, Henry, chi te l’ha detto? E come sei arrivato qui?”
“È venuta a prendermi Tìa Max, ma… ma non era Tìa Max. E quella signora mi ha portato qui. Ha detto che glielo ha detto Tìa Odri!”

“Beh, tu non crederle, ok? Ma perché ti avranno portato qui, cosa vogliono…” Penny sospirò, passandosi una mano tra i capelli biondi mentre cercava di capire: non aveva idea di chi potesse aver rapito il bambino, ma evidentemente Anna non agiva da sola.

“Henry, mi descrivi questa signora? Ha detto come si chiama? È molto importante.”

Henry tirò su col naso e si strofinò gli occhi prima di parlare con un filo di voce:
“Non lo so… ma parla spagnolo. E somiglia a Tìa Odri, ha detto che la conosce. Tu perché sei qui, Penny?”

“Ecco… hanno portato qui anche me, ma andrà tutto bene, te lo prometto. E la zia verrà a prenderti molto presto.” Penelope sorrise al bambino, pensando a quel poco che sapeva di lui, ovvero che fosse il figlio della sorella di Audrey. 
E se la donna che lo aveva portato laggiù parlava spagnolo e le somigliava non era difficile immaginare di chi si trattasse.


*


“Riesci a farti un’idea?”
“Un momento, non è così semplice! La scia è debole, credo che sia abbastanza lontana.”

Hunter parlò mentre stringeva tra le mani una sciarpa di Penny, gli occhi fissi su un punto indefinito della parete mentre cercava di concentrarsi sull’energia vitale della ragazza. Haze ed Aeron si limitavano ad osservarlo mentre Max, invece, stava studiando il diario di Rain:

“È strano… Haze, puoi aprirlo?”
Haze si voltò verso la ragazza, annuendo senza dire niente mentre estraeva bacchetta, incidendosi un piccolo taglio sulla mano e facendo cadere qualche goccia di sangue sulla serratura del diario.

Max – dopo aver borbottato qualcosa su quanto quel sistema di sicurezza fosse “estremo” – lo aprì e lo sfoglio brevemente, decisa ad arrivare all’ultima pagina. Haze diceva che Rain ci annotava tutte le sue visioni più terribili… forse aveva visto anche la sua morte, o era riuscita a capire chi fosse la talpa e aveva annotato lì dentro il suo nome.

A Maxine, tuttavia, non servì leggere le ultime parole che Rain aveva scritto: tutto le fu estremamente chiaro ben prima, mentre ne girava distrattamente le pagine. All’improvviso la strega si bloccò, irrigidendosi con gli occhi chiari sgranati e il quaderno stretto tra le mani.

“Per tutti i tanga multicolore di Merlino…”
“Cosa c’è? Max, hai visto qualcosa?”


Haze parlò con tono concitato, avvicinandosi alla strega di un passo, e Serin si voltò a sua volta mentre Maxine annuiva, arrivando frettolosamente all’ultima pagina del diario:

“Non lo ha preso Penny… Penny non lo ha mai visto! Rain sapeva che sarebbe morta, ma non era una veggente, non sapeva COME o CHI l’avrebbe fatto. Vedi, qui c’è scritto… che aveva percepito un animo corrotto da un irrefrenabile desiderio di vendetta.”
“Prima di morire mi parlò di questo. Non avrà pensato che l’avrei uccisa io, vero?!”

“Non credo, voleva solo assicurarsi che tu non fossi la talpa… Rain non ha scritto nessun nome, ma questo la nostra talpa non lo poteva sapere, e non potendolo leggere lo ha preso e basta. Aveva visto Rain scriverci dentro una volta, qui a scuola, e quando lei ha cominciato a fare troppe “domande” sulla talpa... Ha cercato di distruggerlo, ma la magia che lo protegge l’ha impedito, così invece di liberarsene ha deciso si sfruttarlo, finendo con l’incatsrare Penny... Oddio, povera Penny…”

“Che cosa?! Penny non c’entra?!”  Hunter sembrò quasi riprendersi da uno stato di trance alle parole della sorella, sobbalzando e voltandosi di scatti verso di lei. Maxine annuì, mortificata, e abbassò lo sguardo sul diario prima di parlare a bassa voce:

“No. Posso vedere tutta la storia di qualsiasi oggetto, e questo diario Penny non lo ha mai nemmeno visto. Rain ci stava scrivendo su quando venne vista da qualcuno… ed ecco chi l’ha preso e messo nel comodino di Penny: la sua compagna di stanza.”

“ANNA?! Anna è la talpa?! Ma non è… come è possibile che lei sappia?!”  Hunter scattò in piedi, guardando la sorella stringersi nelle spalle con gli occhi fuori dalle orbite, improvvisamente su di giri: era immensamente sollevato di avere la certezza dell’innocenza di Penny, ma restava il fatto che la ragazza fosse sparita.

“Non ne ho idea, Hunter, so soltanto questo. E se Penny è sparita non è improbabile che sia opera sua.”
“A meno che non sia scappata per paura che le facessimo del male.”
“No, Penny non è il tipo. Ok, dobbiamo trovarla, immediatamente, se quella pazza alza un dito su di lei la riduco in cenere.”

“Mettiti in fila…” Replicò Haze con un sibilo mentre Max gli restituita il diario di Rain – riservandogli anche un’occhiataccia – e Hunter sospirava, passandosi una mano tra i capelli:

“Vedo qualcosa, ma è lontano… è a Sud. Verso Sud.”
“Sud di Londra?”
“No. Ben oltre Londra Max, Sud dell’Inghilterra.”


*



Audrey non aveva trovato tracce di Henry una volta a casa, ma al suo posto le avevano lasciato un biglietto che la strega aveva stracciato in mille pezzi con mani tremanti dalla rabbia.
Erik le aveva chiesto cosa ci fosse scritto, dal momento che non aveva avuto modo di leggerlo, e l’amica aveva iniziato a percorrere il salotto con grandi passi, avanti e indietro, mentre rimuginava.

“Che devo andare dove tutto ha avuto inizio. È assurdo, perché mia sorella dovrebbe prendere Henry e poi dirmi dove si trovano? Che cos’è, una fottuta caccia al tesoro dove il mio bambino è il premio?! Pensavo che lei volesse tenerselo e basta, ma forse c’è qualcosa che ci sfugge.”
“O forse non è stata Grace.”
“Ti prego… quella stronza c’entra qualcosa, me lo sento. Ma penserò a come sotterrarla più tardi, ora devo capire cosa significava quel messaggio. Dove tutto è cominciato, ma tutto COSA? La casa dove siamo cresciute con i nostri genitori? Casa di mia madre, dove lei si presentò con Henry e ce lo lascio come un pacco postale? Non ne ho idea, Erik.”

Audrey si lasciò cadere sul divano con un sospiro tetro, prendendo il viso tra le mani mentre l’amico, accanto a lei, rimuginava a sua volta sul messaggio:

“Forse non si riferisce ad Henry, ma a tutto questo. La Causa, la talpa, i sotterfugi… quando abbiamo capito cosa stava succedendo.”
“E dove avrebbe avuto inizio tutto questo? La cantina del ristorante forse? O magari… quand’è che abbiamo capito che c’era qualcosa che non andava?”

Audrey si rivolse all’amico, voltandosi verso di lui e parlando con impazienza, come se lo stesse interrogando:

“Quando Edric è morto.”
“Dove?”
“In Cornovaglia. Vuoi dire che…”
“Forse. Molto forse…”. Audrey parlò a bassa voce, mordendosi leggermente il labbro mentre si alzava, spostandosi verso il centro della stanza con aria pensierosa mentre Erik seguiva i suoi movimenti con lo sguardo.

“Vuoi andare laggiù?”
“Se non si riferisce ad Henry potrebbe essere. Solo non capisco. Cosa c’entra mia sorella con tutto questo?”
“Beh, tu dai per scontato che si tratti di Grace, ma non è detto.”

“Oh, ti prego. Riconosco le tracce lasciate da una vacca quando le vedo. Andiamo.”
“Sei sicura di sapere dove andare? Ci siamo cancellati la memoria, non ricordi?”

“Sì, ma io tornai laggiù per riprendere le nostre cose, e vidi una grande casa a qualche chilometro dalla spiaggia… ricordo che pensai che mi sembrasse familiare, in un certo senso, ma sul momento non mi ci concentrai particolarmente. Forse è stato un grosso errore.”

“Ok, ma aspetta, non dovremmo chiamare almeno alcuni degli altri?”
“Non voglio perdere tempo, Erik, si parla di Henry… Tu basti e avanzi.”

Audrey porse il braccio all’amico, che lo strinse dopo un attimo di esitazione, dal canto suo, Erik pregò che andasse tutto bene mente si Smaterializzavano, spostandosi parecchi chilometri più a sud.


*


“Sono sicura di essere già stata qui.”
Il sussurro di Audrey giunse alle orecchie di Erik mentre si addentravano nella grande dimora, facendo cigolare leggermente la grande porta d’ingresso. 

Erik non proferì parola, guardandosi nervosamente intorno mentre le loro bacchette illuminavano debolmente l’atrio. Quella situazione non gli piaceva, neanche un po’, avrebbe di gran lunga preferito se fossero stati presenti anche i loro amici. 

“Vado di sopra.”
Audrey fece per avanzare ma l’amico la bloccò prendendola per un polso, scuotendo il capo e parlando a bassa voce mentre le rivolgeva un’occhiata torva:
“Audrey, no! Quando ci si divide in queste situazioni si finisce sempre mutilati o scuoiati vivi, non ti hanno insegnato niente tutti i film che abbiamo visto?!”

“Beh, non siamo in un film, se non te ne fossi accorto. Io vado, tu controlla qui nei paraggi.”

Audrey sbuffò e si divincolò dalla sua presa prima di girare sui tacchi e avanzare, incurante delle preghiere dell’amico di ascoltarlo. Erik alzò gli occhi al cielo, chiedendosi con esasperazione perché fosse sempre così terribilmente testarda mentre si spostava nella stanza adiacente, senza che quella fastidiosa sensazione lo lasciasse.
Non voleva fare il Serpeverde codardo della situazione, ma quella situazione non gli piaceva affatto.


Giunse in quella che aveva tutta l’aria d’essere una sala da pranzo, senza poter sapere che, diverse settimane prima, Audrey ed Haze si fossero addentrati proprio lì. 
“Erik!”

Sentendosi chiamare il ragazzo si fermò di colpo, voltandosi e perdendo un battito nell’udire la voce implorante e spaventata di Audrey.
Senza esitare neanche per un istante Erik si diresse quasi di corsa verso il lato opposto della stanza, dove grazie alla luce della sua bacchetta riuscì a scorgere una porta. 

Fermo davanti ad essa esitò per un istante, ma poi si decise e l’aprì – si parlava di Audrey, dopotutto, e se lei chiamava lui c’era, sempre –. Non fece in tempo, tuttavia, a chiamare l’amica o a muovere un passo, perché delle grosse funi evocate da un incantesimo che conosceva fin troppo bene lo legarono, stringendo tanto da fargli quasi male e costringendolo a barcollare leggermente e a scivolare sul pavimento con un gemito.

La sua bacchetta gli sfuggì dalle mani, cadde a terra e il sottile rumore echeggiò nel silenzio. O almeno finché dei passi non portarono qualcuno accanto a lui, lo stesso qualcuno che si inginocchiò per prendere la bacchetta e poi avvicinarla al viso del mago, illuminando sia il viso di Erik sia il proprio.

Grace sorrise al ragazzo, allungando una mano per sfiorargli il viso con una carezza prima di parlare dolcemente:

“Ciao papi. Com’è che ogni volta in cui ci vediamo mi sembri più carino? Un vero peccato che tu sia tanto amico di mia sorella, che spreco.”
“Sai, Audrey ha ragione: sei proprio una grandissima vacca. Dov’è il bambino?!”

Il ringhio rabbioso di Erik non sembrò scalfire la strega, che allungò una mano per accarezzargli distrattamente i corti capelli biondi:

“Di sopra. Rilassati, non gli farei mai del male. Abbiamo solo pensato che fosse il modo migliore per portare mia sorella qui, dopodiché Henry inizierà una nuova vita lontano da qui. E da Audrey.”
“Quel bambino è la sua vita, Grace, non puoi toglierglielo come se fosse uno dei giocattoli che vi contendevate da bambine!”

Erik si dimenò tra una parola e l’altra, cercando di divincolarsi invano dalla stretta dolorosa delle funi mentre Grace, per tutta risposta, sbuffava e liquidava il discorso con un gesto della mano:

“Quante storie, che faccia un figlio suo e che se lo tenga!”
“Sei un’idiota. Una stupida idiota che si illude e basta, se pensa che Audrey lo lascerà andare facilmente. E ora liberami, dannazione, altrimenti ti ridurrò così male che nemmeno tua madre ti riconoscerà, quando avrò finito!”

Grace non sembrò preoccuparsi della minaccia rabbiosa del mago, continuando invece a guardandolo con leggerezza:

“Scusa, non posso proprio farlo… Sai, ero certa che saresti venuto, mia sorella è uno dei più grandi punti deboli. Il dolce Erik dietro la corazza, che tenero…”
Fece per sfiorargli uno zigomo con un dito ma il ragazzo si scostò, scoccandole un’occhiata inceneritoria mentre Grace ritraeva la mano con uno sbuffo:

“Cielo, come sei noioso stasera… starei a guardarti volentieri tutta la sera, ma ho da fare. Ciao, guapo.”

“No, Grace! Grace, non puoi lasciarmi qui, non osare andartene con la mia bacchetta! GRACE!”

Questa volta Erik urlò sul serio, ma Grace non se ne curò e si chiuse la porta alle spalle con un tonfo, chiedendosi a che punto fosse, al piano di sopra, Anna con sua sorella.


*


“Io non ne posso più di stare qui, voglio sapere che cosa sta succedendo! Dov’è Penny, e gli altri?! Lei non è la talpa, non può essere, voglio sapere che cosa ha detto Maxine!”

“Hunter starà cercando di trovarla, forse a quest’ora ci è riuscito, ma voi dovete restare qui, è già tutto abbastanza incasinato in ogni caso, senza che altri di noi vaghino per il Paese!”

Erzsébet, in piedi davanti alla porta e con le braccia conserte, parlo con tono fermo che fece sbuffare ulteriormente Larisse, che sembrava determinata a tutto fuorché rilassarsi e starsene buona buona ad aspettare. 
“Non capisco perché se Hunter è andato con Haze, Aeron e Max non abbiamo potuto farlo anche noi… Non le farete del male, vero?”

“Siamo addestrati per questo, Larisse, ma non ci piace andare in giro a ferire o uccidere la gente… spero che Penny ne esca indenne, ma dipende anche da lei.”

 Le parole della strega non quietarono affatto l’animo della ragazza, che si mosse s disagio sulla sedia mentre Raphael si sforzava di sorriderle per rincuorarla:

“Ehy, rilassati, Hunter si taglierebbe una mano piuttosto di permettere che le venga fatto del male. E nemmeno lui crede che sia lei la responsabile.”

“Nessuno di noi lo crede, se è per questo.” Il sibilo abbattuto di Ludwig, che si stava crogiolando nella preoccupazione per la sua amica – rifiutandosi di vedere la dolce Penny che conosceva da quattro anni come la talpa – anticipò di poco l’ingresso di Quinn e Faye nella stanza, entrambi trafelati come se avessero corso:

“Abbiamo ricevuto il messaggio, che cazzo sta succedendo?!”
“Oh, eccoti Reaper, stavi facendo il sonnellino di bellezza per caso?” 

Erzsébet si rivolse a Quinn con un sopracciglio inarcato guardandolo rivolgerle un’occhiata truce prima di parlare con tono seccato:

“No Miss Simpatia, non trovavo Faye e mi sono preoccupato, così ho cercato lei prima di venire qui. Allora, dove sono gli altri?”
“A cercare Penny con Hunter… il diario di Rain era nella sua camera. Inoltre, pare che Henry sia stato prelevato da qualcuno che si è spacciato per Max.”

“Il piccolo Henry?! Perché mai dovrebbero fargli del male, è solo un bambino!”  Faye sgranò gli occhi scuri, parlando con orrore mentre i suoi pensieri andavano immediatamente all’amica, pensando a quanto Audrey dovesse essere preoccupata al momento.
“Non credo che vogliano fargli del male, solo usarlo come monito… e attirare l’attenzione.”


*


“Grace? Non ha senso giocare a nascondino adesso, se sei qui batti un colpo.. anche perché vincevo sempre io, a quel gioco, lo sai.” 

Audrey parlò mentre saliva lentamente le scale, guardandosi intorno con scrupolosa attenzione. Scorse una parete praticamente distrutta, così come parte dell’interno della stanza corrispondente e di quella accanto, e quella vista le procurò una strana sensazione all’altezza dello stomaco, come se dovesse portare a galla ricordi spiacevoli. Ricordi che lei non era consapevole di possedere.

Quella sensazione aumento la sua convinzione di essere già stata lì – e di trovarsi nel posto giusto – mentre entrava nell’ultima stanza dell’ala sinistra del piano, una grande sala silenziosa e poco illuminata – l’unica fonte di luce erano una lampada ad olio e il camino accesso –, ma non vuota.
Audrey esitò, bloccandosi sulla soglia e sollevando istintivamente la bacchetta, puntandola contro la ragazza che aveva davanti.

Una ragazza che era certa di aver già visto, probabilmente al Covenant, ma di cui non ricordava il nome. E che di certo non era sua sorella.
Una ragazza che le rivolse un cenno del capo, osservandola con aria annoiata ma dura:

“Ciao Audrey. Non sono tua sorella, mi spiace, ma intanto puoi parlare con me… è da un bel po’ di tempo che aspetto. Vieni, siediti.”
“Dov’è Henry?!”
“Al sicuro, non preoccuparti, a parte disperarsi per la decorazione dalla sua amata zia sta benone… ma non temere, presto le sue sofferenze finiranno, non si ricorderà di te ancora per molto.”
 
Anna accennò alla sedia dove, non molto tempo prima, aveva fatto sedere anche Penny, e Audrey la raggiunse con titubanza, chiedendosi cosa stesse succedendo: si sarebbe aspettata di vedere Penny, al massimo, non certo una terza persona. E cos’era quello strano odore?

“Tu hai a che fare con Penny?”
“Oh, Penny al momento si trova con Henry, potrebbe stare meglio ma si riprenderà.”

“Quindi sei tu. Tu hai messo il diario di Rain nel suo comodino, tu l’hai uccisa, tu hai portato Penny qui… e hai a che fare con mio nipote. A questo punto mi perdonerai se mi sorge spontaneo chiederti chi accidenti tu sia e il motivo delle tue azioni.”

Anna esitò, limitandosi a scrutarla attentamente prima di parlare a bassa voce, gli occhi scuri ridotti a due fessure mentre sibilava qualcosa con tono quasi rabbioso:

“Tu non ti ricordi di me. Come è possibile che io mi ricordo e tu invece no? Dovresti rivedere le tue capacità mnemoniche e magiche, sai?”
“Di che diavolo stai parlando? So perfettamente di avete già vista!”

“No, tu non lo sai. Tu non ne hai idea, non ricordi o forse non mi riconosci… buffo, io non dovrei affatto ricordarmi di te, e invece eccoci qui. Mi piacerebbe stare a guardare mete ti crogioli, cercando di capire, ma non ne abbiamo il tempo, quindi ti verrò incontro: hai ucciso una bambina, cinque anni fa. Una sera, a Covent Garden, hai tolto la vita a quella che credevi essere una Nata Babbana che era insieme alla sua famiglia. Ricordi, Audrey?”

Anna si sporse leggermente verso di lei, osservando la strega con attenzione. 
Audrey, dal canto suo, non fiatò: inizialmente pensò che quella ragazza si stesse prendendo gioco di lei, ma poi dei vaghi ricordi e un’orrenda consapevolezza si impossessarono della sua mente, portandola a sgranare gli occhi verdi e a parlare in un sussurro qualche istante più tardi.

Ed ecco che, all’improvviso, una delle due più grandi paure da quando era diventata una Sentinella diventava realtà.

“Tu eri… Tu eri quella ragazzina?”
“Già. Io ero la sorella maggiore, e tu hai ucciso la sorella sbagliata, quella sera. Mia sorella era una normalissima bambina senza poteri, la strega ero io.”
“Ma non è… questo non è possibile…”

“Un errore, uno stupido errore che mi ha costato non solo mia sorella, ma anche la mia famiglia. Avevate rilevato un’entità magica, ma avete pensato che si trattasse della mia dolce sorellina. Aveva solo sei anni.”
“Ma tu sei… Tu studi al Covenant, com’è possibile?! Se sei Nata Babbana…”

Audrey deglutì, continuando a non capire. E Anna rise amaramente di rimando, scuotendo il capo mentre un sorriso privo di gioia si faceva largo sul suo volto: 

“Io non sono una Nata Babbana, Audrey. Non vi informate particolarmente prima di togliere la vita alla gente, vero? Mio padre è un mago, mia madre era una Babbana… lui è Purosangue, non potevano stare insieme e lei si risposò con il mio patrigno, da cui ebbe Gilly. Essendo una famiglia composta da genitori Babbani avete dato per scontato che la magia fosse generata da un Nato Babbano, ma non è così, io sono Mezzosangue proprio come te.”


“Dimmi, Audrey, ti sei mai chiesta perché la talpa non rivelasse ai Mangiamorte i vostri nomi? No? Non mi importa realmente della Causa, della lotta, e non appoggio l’operato di quei fanatici, a me interessavi solo tu, non che l’intera organizzazione affondasse. Nemmeno LORO hanno mai avuto idea di chi fossi, riferivo tutto ciò che poteva essermi utile per crearvi problemi e mettervi uno contro l’altro in forma anonima. E prima che tu possa chiedermelo, Penny mi forniva gentilmente tutte le informazioni che mi servivano sotto l’effetto di Imperio, non è stato difficile e nessuno di voi ha mai sospettato di qualcuno al di fuori del gruppo.”

“Ma io ti ho obliviato, quella sera. Tu e i tuoi genitori. Come puoi ricordarti di me dopo tutti questi anni?!”
“All’inizio non ricordavo nulla, infatti. Ma poi sono arrivata al Covenant e ti ho incontrata… qualcosa dev’essersi attivato nella mia memoria, non saprei. Le menti dei Babbani sono più semplici delle nostre e di conseguenza anche togliere loro la memoria è meno complicato, pensando che io fossi una Babbana non devi averlo fatto completamente. E parlando dei miei genitori, mia madre non sopportò la perdita e si tolse la vita un anno dopo, mio padre non poteva crescere di persona una figlia Mezzosangue illegittima e si limitò a mantenermi, cosa che fa tutt’ora… quella sera hai ucciso non solo mia sorella, ma tutta la mia famiglia. E stasera, proprio qui, dove vivevamo, volevo farti capire cosa si prova anche solo temendo di perdere la persona che si ama di più. Ma non temere.” – Aggiunse la ragazza di fronte all’espressione quasi terrorizzata che la donna sfoggiò – “Ad Henry non succederà niente. Volevo solo sfruttarlo per attirarti qui, ma presto tuo nipote inizierà una nuova vita con la sua famiglia. Con sua madre, con suo padre… e con me.”


“… Con te?”
“Oh, sì… Grace non ti ha mai rivelato chi sia il padre di Henry, vero?”

Anna sorrise e Audrey si sentì mancare, intuendo – nonostante iniziasse a sentirsi fastidiosamente stordita a causa di quell’odore strano che aleggiava nella stanza – cosa stesse per rivelarle la ragazza.
In effetti forse l’aveva sempre saputo, dentro di sè, che il padre di Henry fosse stato un Purosangue. Ma mai avrebbe potuto immaginare un simile scenario.

“Già, pare che tuo nipote sia il mio fratellino. Buffo, in un certo senso siamo quasi imparentate… ma spero che non te la prenderai se non mi va di includerti nel mio progetto di famiglia felice. Grace avrà il suo bambino… e io la mia vendetta e una famiglia in un colpo solo, tutti penseranno che sia stata tutta opera di Penny e tu verrai vista come la povera martire che ha tentato di fermarla e di salvare suo nipote, fallendo miseramente su entrambi i fronti visti che dopo questa notte anche Henry, come me e Grace, sparirà. Certo, lei non sa che voglio ucciderti, non ti odia poi così tanto, ma se ne farà una ragione… del resto è rimasta nell’ombra senza avere a che fare con te per anni, non farà molta differenza.”


Anna si strinse nelle spalle, parlando con noncuranza mentre Audrey si passava una mano tra i capelli castani, sentendosi quasi barcollare a causa delle vertigini anche se era seduta.

“Che cosa c’è nell’aria…”
La strega deglutì, parlando con un filo di voce mentre sbatteva le palpebre, cercando di restare lucida mentre la sua mano vagava alla ricerca della sua bacchetta.
“Oh, beh, sai che mi sto specializzando in Pozioni e Alchimia, vero? Voi Sentinelle mi siete state molto utili, ho imparato un mucchio di cose interessanti da voi… molti si stupirebbero apprendendo quanti effetti possano causare i vapori, ancor più di un molto più sospetto filtro.”

Anna si alzò in piedi e la raggiunse, sfilandole senza difficoltà la bacchetta dalla tasca prima di sorridere, senza smettere di guardarla in faccia:

“Ammetto che pensavo che sarebbe stato più difficile. Sono quasi delusa, sai? Quanto al tuo amico, dal momento che non si è visto suppongo che ci abbia pensato tua sorella… il tuo amico che era con te quella notte. Non preoccuparti, Audrey, lo rivedrai molto presto.”


*


Quando Hunter aprì gli occhi, spaesato, si ritrovò in una specie di distesa desertica nei pressi di una spiaggia, guardandosi freneticamente intorno alla ricerca di qualcosa mentre Maxine, Haze e Aeron facevano altrettanto.

“Hunter, dove siamo?!”
“Non ne ho… non ne ho idea, mi sono solo lasciato… guidare. Ma so che è qui nei paraggi, la sento.”

Hunter si mosse con impazienza, pregando di individuare una scia chiara mentre Max, accanto a lui, indicava qualcosa in lontananza:

“C’è un edificio laggiù, e non ne vedo altri qui nei dintorni… Hunter, potrebbero essere lì?! Erik e Audrey non si trovano, mi chiedo se non ci abbiano preceduti…”
“Quel posto ha un’aria familiare.”  Aeron parlò aggrottando la fronte, e accanto a lui Haze annuì prima che Hunter, studiando la casa, annuisse debolmente:

“… Sì. Penso che sia laggiù.”


*


Una volta entrati Hunter corse quasi come una furia verso le scale insieme ad Haze, certo che Penny si trovasse al piano di sopra.

Max invece esitò, ma quando sentì una voce ovattata chiedere aiuto sobbalzò e si voltò verso la porta socchiusa alla sinistra dell’atrio: aveva la sensazione di essersi già trovata in una situazione simile in quel posto, ma se Edric era morto forse non aveva fatto il suo dovere.

La ragazza si precipitò quindi verso la porta, spalancandola e trovandosi in un’ampia stanza vuota.

“Oh, to guarda, ecco la ragazza che mi ha gentilmente prestato la sua identità per un p-“

Grace, tuttavia, non riuscì a finire di parlare: Maxine si voltò con uno scatto dalla rapidità sorprendete e le saltò quasi letteralmente addosso, sfoderando qualcosa di affilato e metallico che, dopo averla atterrata standole a cavalcioni, le puntò particolarmente vicino alla gola. 
La strega non si stupì particolarmente nel trovarsi davanti la sorella di Audrey, che parve invece sorpresa per un istante, prima che Max parlasse con un basso sibilo minaccioso:

“Ascoltami bene, stronzetta, avrei un sacco di belle cose da dirti, ma non ho tempo da perdere con te, ci sono troppe vite a cui tengo in ballo. Dove sono Penny, Audrey, Erik e Henry?!”
“Penny e Henry sono al sicuro, quanto a mia sorella, se ne sta occupando qualcun altro… e Erik… beh… non so se sei arrivata in tempo, a dire il vero.”  

Grace inclinò le labbra carnose in un sorrisetto quasi divertito – che si allargò di fronte all’espressione quasi terrorizzata di Max –, ma gemette di dolore subito dopo, quando la Sentinella la colpì in piena faccia:

“Per dirla nella tua lingua: perra! Non so cosa voglia dire, ma una volta Audrey ti ha additata così, quindi non sarà certo un complimento! Incarceramus.”

Maxine si alzò con un balzo e, dopo aver puntato la bacchetta contro l’ispanica, non aspettò nemmeno che le funi magiche la legassero prima di correre verso la porta dall’altro lato della stanza, da cui provenivano dei lamenti sommessi.

“Murray?!” Max spalancò la porta, e un debole fascio di luce illuminò il corpo di Erik legato sul pavimento, compresa la sua espressione sollevata quando la vide.

“Halleluja Keenan, ce ne hai messo di tempo! Mi liberi, per favore?”
“Stai bene?!”

Maxine fece sparire le corde con un colpo di bacchetta, facendo vagare brevemente lo sguardo preoccupato sul corpo del ragazzo mentre gli si avvicinava. 

“Credo che sarei morto per stritolamento e non mi sento più le ossa, ma potrebbe andare peg-“

Erik venne interrotto bruscamente da Maxine mentre parlava, cercando al contempo di alzarsi: entrambe le operazioni gli risultarono molto difficili quando Maxine gli afferrò il bavero del cappotto nero, attirandolo a sè per baciarlo dopo esserglisi salita praticamente a cavalcioni.

Erik sgranò gli occhi, colto alla sprovvista, ma non si lamentò e la baciò a sua volta, portando le mani formicolanti sulla schiena e sui capelli.

Dopo quella che gli parve un’eternità Max pose fine al bacio, ma continuò a tenerlo per il bavero e a poca distanza dal suo viso prima di parlare a bassa voce e con il fiato corto:

“Dovremmo andare a dare una mano…”
“Sì… tra due minuti.”   Erik annuì debolmente, inumidendosi le labbra prima di baciarla di nuovo, se possibile con ancor più foga di prima. E forse per la prima volta Maxine non obbiettò, anzi probabilmente si trovò d’accordo con lui a giudicare dall’entusiasmo con cui ricambiò.


“Ok… dobbiamo andare sul serio. Dannazione a te, ti sembra il momento?!”
Erik lasciò le labbra di Max con un gemito di frustrazione e la strega aggrottò la fronte, riservandogli un’occhiata torva prima di parlare con tono quasi seccato:

“Scusami tanto, almeno IO ho fatto qualcosa, a differenza TUA, ma se ti disturba tanti vorrà dire che non bacerò più.”
“Bene.”
“Bene.”
“Bene! Vorrà dire che ti bacerò sempre io, ok?”
“Ok, ma ora alza il fondoschiena, dobbiamo andare da Audrey!”  Max si alzò con uno scatto e aiutò il compagno a fare altrettanto prima di appellare la sua bacchetta, restituirgliela e infine correre letteralmente verso la porta, lasciando che Erik rivolgesse un’occhiata truce a Grace mentre la seguiva, puntandole contro la bacchetta e lanciandole un “Silencio” non verbale. 

“Ride bene chi ride ultimo, eh Grace?”


*


Haze non ricordava niente della notte in cui Edric era morto, ma entrando in quella casa fu certo di una cosa: era successo lì dentro. E quando salì le scale a rotta di collo insieme ad Hunter, giungendo al primo piano e imbattendosi in delle pareti che avevano tutta l’aria di essere state fatte saltare in aria da un’esplosione, sentì che aveva ragione.

Tuttavia non indugiò particolarmente su quei pensieri, seguendo Hunter lungo il corridoio con il cuore che gli batteva all’impazzata nel letto a causa dell’adrenalina: aveva perso suo padre, aveva perso Edric, aveva perso Rain. 
Non avrebbe perso anche Audrey, sarebbe stata l’ultima goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso della sua sopportazione. Non voleva neanche immaginare come avrebbe reagito in quell’evenienza.

“AUDREY?! AUDREY!”
“Stupeficium!”

Hunter fu persino più rapido di lui e, sfoderata la bacchetta, lanciò lo Schiantesimo contro Anna, che venne colta alla provvista mentre era in piedi davanti ad Audrey, che invece tremava e boccheggiava sul pavimento.  

“Audrey…” Haze non si avventò su Anna come aveva immaginato in già almeno dieci scenari differenti nell’ultima mezz’ora, quasi si dimenticò della sua esistenza mentre si avvicinava ad Audrey, inginocchiandosi accanto a lei e sollevandola leggermente, poggiandole la testa sulle sue ginocchia. 

Audrey parlò a fatica, chiamandolo tra un respiro affannoso e l’altro mentre Hunter si precipitava verso la porta più vicina, verso cui lo condusse la “scia” vitale di Penny. 
Scia vitale che era, con suo sommo sollievo, molto vivida, segno che la ragazza stava bene.

“Penny!”
“Hunter, grazie al cielo! Non sono io, te lo giuro, è stata Anna, cioè, è stata anche colpa mia ma non volevo, lo giuro…”

Il fiume di parole imploranti della bionda svenne interrotto dal ragazzo, che si inginocchiò per abbracciarla e baciarla, sussurrando tra un bacio e l’altro che non aveva creduto alla sua colpevolezza nemmeno per un istante mentre Henry – che era rimasto accoccolato tra le braccia di Penny per tutto il tempo – lasciva la stanza guardandosi freneticamente intorno e soffermandosi con lo sguardo su Haze e su sua zia. 

“Tìa Odri!”  Henry sorrise e raggiunse la zia, sfoggiando un’espressione confusa quando non la vide salutarlo e abbracciarlo. 

“Tìa, che cos’hai?! Stai male? Tìa!” Henry iniziò a scuotere debolmente la zia, parlando con una nota di panico crescente nella voce mentre Haze si limitava a stringerla e a sfiorarle il viso senza lasciare i suoi occhi, implorandola a bassa voce di non lasciarlo.

“Heiz, che cos’ha Tìa?!” Henry, che sembrava sul punto di piangere di nuovo, si rivolse al mago proprio mentre Erik, Aeron e Max facevano il loro ingresso nella stanza e Aeron, tossendo leggermente, si portava il bavero della giacca davanti alla bocca:

“Che cos’è quest’odore… uscite tutti in fretta, penso che ci sianuna sorta di veleno nell’aria! Max, prendi Henry, Hunter e Penny fuori, forza! Io prendo la ragazza.”

“Frugoletto, vieni con me, coraggio. Haze, che cosa le succede?””

Max si avvicinò al trio per prendere Henry in braccio, che l’accusò scalciando di averlo portato via da Audrey mentre Hunter lasciava la stanza tenendo Penny in braccio, che ancora faticava a camminare da dopo le torture inflittatele poco prima. 

Aeron fece lo stesso con Anna mentre Erik raggiunse Max, Haze e Audrey, rivolgendo un’occhiata preoccupata all’amica mentre Haze mormorava che non lo sapeva. 

“Max, porta via Henry… Haze, dobbiamo portare fuori Audrey, così potrà respirare, ok? Coraggio.”

Erik rivolse un cenno a Maxine, che annuì poco convinta e obbedì dopo aver rivolto un’occhiata preoccupata all’amica, affrettandosi ad uscire insieme ad Henry e ad assicurare al bambino che non era stata lei a portarlo via dall’amata zia. 

Erik riuscì a convincere Haze – che sembrava come in trance – ad alzarsi, e l’ex Corvonero sollevò la fidanzata prima di portarla fuori dalla stanza prima e all’esterno dell’edificio poi, permettendole di respirare aria pulita mentre la ragazza si agitava quasi come preda di convulsioni.

“Ho chiamati Erzsébet, dovrebbe essere qui s momenti. Io intanto porto lei e i ragazzi al Covenant. Andiamo.”
Aeron rivolse un cenno ad Hunter e a Penny, che annuirono continuando a tenersi per mano. La Sentinella si Smaterializzò e Erik fece per cercare di scusarsi con Penny, ma non ne ebbe il tempo.

“Henry, adesso ti porto a casa, ok?”
“No, voglio Tìa Odri!”

Henry scosse il capo con veemenza e Erik, sospirando, si chinò accanto al bambino:
“Ehy, ometto. La zia non sta molto bene, ma che cos’è che dice sempre? Che devi fare il bravo bambino anche quando lei non c’è, e anche ora. Quindi vai con zia Max, e quando starà meglio potrai vedere anche zia Audrey, ok?”

 Il bambino annuì mesto e prese Max per mano, lasciando che la ragazza lo riportasse a Londra dopo aver rivolto un’occhiata colma di gratitudine ad Erik.

Haze invece era ancora inginocchiato accanto ad Audrey, guardandola boccheggiare mentre gli stringeva convulsamente una mano e cercava di parlare. 

“Non… non parlare, non sforzarti. Andrà tutto bene, ok? Tutto bene.”

Haze si sforzò di sorriderle, accarezzandole il viso per rassicurarla. Ma la verità era che non sapeva se crederci nemmeno lui.










……………………………………………………………………………………….
Angolo Autrice: 


Buonasera! 
Non mi dilungo perché è piuttosto tardi, mi limito a promettere che l’Epilogo arriverà nel weekend e che “concluderà” molti aspetti sotto diversi punti di vista. 
Buonanotte! 
Signorina Granger 




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Capitolo 24
*** Epilogo ***


Half-Blood 


Epilogo 


“Mi dispiace così tanto… non ho idea di come sia potuto succedere, davvero…”
Penny trattenne a fatica un singhiozzo mentre, seduta sul suo letto, era circondata da Hunter e da Larisse, che le accarezzò la schiena prima di parlare:

“Non è colpa tua, non ne avevi idea…”
“Ma non mi sono resa conto di niente, sono una stupida incapace.”

“Non dire così, non sei affatto una stupida. Nessuno di noi avrebbe fatto diversamente, ok? Adesso si sistemerà tutto, non ci dovrai più pensare.”

Hunter le sfiorò il viso con una mano e Penny annuì mesta mentre Erik, che era entrato nella camera della ragazza, si schiariva la voce, a disagio:

“Ecco, Penny… io volevo scusarmi con te per quello che è successo stasera.”
“Non importa Erik, sto bene.”  Penny si asciugò una lacrima mentre Hunter, invece, spostava lo sguardo da lei ad Erik con gli occhi ridotti a due fessure:

“Perché? Che cosa le hai fatto?”
“Non importa Hunter, davvero, pensava che fossi io la responsabile di tutto. Non posso credere che fosse Anna, pensavo di conoscerla.” 
“Lo so, è schioccante, ma non addossarti la colpa, ok? Qui nessuno ti ritiene responsabile.”

“Sì, Penny, non sta a te preoccupartene adesso. E ci dispiace, a tutti.” 
“Che cosa le succederà?”

“L’abbiamo portata da Royal e abbiamo deciso di toglierle la memoria, questa volta non ricorderà nulla… nella sua mente la sua sorellina è morta a causa di un incidente stradale. Quanto a Grace, la sbatteremo ad Azkaban: lasciare il Paese senza i dovuti moduli è vietato, ma lei l’ha fatto dopo la nascita di Henry grazie ad un aiuto dall’alto, quindi abbiamo la perfetta scusa per liberarci di lei.”

Erik aveva una nota quasi soddisfatta nella voce, sorridendo appena mentre pensava alla sorella della sua migliore amica: finalmente non avrebbero più dovuto preoccuparsi di lei.

“Quindi la sorella di Audrey e Anna erano d’accordo?! Ma com’è possibile?”

Larisse aggrottò la fronte, confusa ma Erik non fece in tempo a risponderle perché la porta della stanza si aprì e un Lud trafelato entrò, cercando Penny con lo sguardo:

“Ho sentito che siete tornati… Penny, come stai?!” 

Il ragazzo si avvicinò all’amica, sollevato di vederla, e la bionda abbozzò un sorriso mentre lo abbracciava:
 
“Bene, non preoccuparti.”
“Bene un cavolo, sei sconvolta… vuoi che rimanga qui stanotte?”  Larisse sorrise all’amica, che annuì mentre Hunter, offeso, si rivolgeva alla rossa: 

“Stavo per chiederglielo io!”
“Beh, allora faremo un pigiama party tutti insieme e appassionatamente, io da qui non mi muovo. Lud, sei invitato anche tu.”

“Ma allora Anna? Tornerà qui?”
“Beh, suo padre è un uomo importante, non possiamo farla sparire dalla circolazione… quindi sì, tra qualche giorno. Ma faremo una visitina anche a Mr Travers, giusto perché non si ricordi di Grace e non ci crei problemi.”

“Grace? Che c’entra Grace?!”
“Oh, giusto, voi non sapete… beh, ora vi spiego.”


*


“Come sta?! Posso vederla?!” 

Haze si catapultò da Erzsébet non appena la ragazza uscì dalla stanza di Audrey, guardandola con impazienza e tirando un sospiro di sollievo quando la ragazza annuì:
 
“Sì, è sveglia, anche se non è molto lucida. Credo che domani mattina gli effetti saranno svaniti, ma ci vorrà qualche ora.”
Haze annuì e superò la pozionista per entrare nella stanza, avvicinandosi al letto per sedere sul materasso.

Erzsébet, intanto, fece per raggiungere Aeron, Carma, Faye e Quinn da Royal, ma si bloccò quando si trovò Henry davanti – con tanto di faccino implorante –:

“Erza, posso vedere Tìa Odri adesso? Le hai dato la medicina?”

L’unica persona ad averla mai chiamata Erza era sua sorella – e sua madre, certo –, non aveva mai permesso a nessuno di apostrofarla in quel modo. Per Henry però il suo nome era molto difficile, così aveva accettato di farsi chiamare in quel modo da lui. Certo, i suoi occhioni lo avevano aiutato a guadagnarsi un trattamento di favore da parte della strega.

“Emh… Sì Henry, adesso la zia sta abbastanza bene.”
“Posso andare da lei? Per favore!”
“Ecco… sì, vai pure piccolo.”
 
La strega annuì con un sospiro e il bambino la superò con un sorriso, portandola a chiedersi mentalmente – e con una voce molto simile a quella della gemella, stranamente – se per caso non si stesse rammollendo.

 


“Ehy… come stai?”
“Mi sento un po’ stanca, ma sono stata peggio.”

Audrey gli sorrise debolmente, ancora piuttosto pallida, e Haze allungò una mano per sfiorarle il viso con delicatezza, guardandola con occhi carichi di preoccupazione: Erzsébet li aveva raggiunti e, dopo aver dato una breve occhiata alla ragazza, le aveva rifiliamo un antidoto e gli aveva suggerito di riportarla a casa visto che stanchezza, spossatezza e vertigini sarebbero stati parte degli effetti collaterali.

“Henry come sta?”
“Sta bene, sta solo implorando per vederti.”
“Posso vederlo? Lo devo abbracciare, ne ho bisogno.”

“Ok.” Haze annuì e, dopo essersi chinato per darle un bacio sulla fronte, fece per alzarsi per chiamare il bambino, che Max aveva portato a casa poco prima, ma venne preceduto dallo stesso Henry, che aprì timidamente la porta: 

“Tìa?”
“Ciao mi amor… vienes aquì.”
Audrey gli sorrise, gli fece cenno di avvicinarsi e il bambino non se lo fece ripetere due volte, arrampicandosi sul letto per raggiungerla carponi e stendersi vicino a lei, lasciandosi abbracciare. 

“Davvero non mi vuoi più?”  
“Che cosa? No, certo che no mijo, perché lo pensi? Io ti vorrò sempre con me.”

Audrey lo strinse più forte, parlando a bassa voce mentre Henry annuiva, rincuorato.
Haze sfiorò i riccioli del bimbo con la mano prima di parlare, gettando una rapida occhiata all’orologio:

“Henry, è tardi… perché non lasci riposare la zia e vai a dormire anche tu?”
“Posso dormire con te?”
“Ok.”

Audrey annuì e il bambino s’infilò subito sotto le coperte accanto a lei, con Duchessa acciambellata ai piedi del letto come al solito. Haze esitò e Audrey abbozzò un sorriso, parlando sfiorandogli la mano:

“Puoi restare anche tu, se vuoi.”

Haze esitò ma poi annuì, togliendosi le scarpe prima di sistemarsi con cautela vicino ad Henry, le dita ancora intrecciate in quelle di Audrey.

*


Quattro mesi dopo 


Faye, essendo nata proprio quell’anno, non aveva ricordi di quando un Harry Potter in fasce aveva sconfitto – o almeno, così si era detto – il Signore Oscuro, ma una volta ad Hogwarts, frequentandola negli stessi anni del Prescelto, aveva sentito molte storie a riguardo: decine di suoi compagni di scuola avevano menzionato le parole dei loro genitori, parlando di festeggiamenti durati una settimana, di gente che prorompeva nelle strade urlando e abbracciandosi sotto gli sguardi attoniti dei Babbani ma senza, per una volta, curarsi minimamente di loro. 

Faye quella sera era in piedi vicino alla finestra, e osservando le strade di Londra pensò che questa volta avrebbe avuto qualcosa da raccontare anche lei, un giorno.
Abbozzò un sorriso di fronte ai fuochi d’artificio che illuminarono il cielo buio di tanti colori diversi, pensando allo stato confusionale in cui dovevano trovarsi i Babbani in quel momento.

Il Signore Oscuro era morto, questa volta per davvero, solo il giorno prima. E il cuore della società magica inglese non avrebbe certo risparmiato i festeggiamenti, pur cercando comunque di contenersi almeno un po’.

Lei stessa aveva provveduto a sbattere quello che sapeva essere il marito di sua madre dentro una cella ad Azkaban, mentre le gemelle – che l’avevano quasi pregata di lasciarlo a loro – avevano pensato a Yaxley, decretando di aver aspettato quel momento per almeno tre anni.
I membri della cerchia più stretta che erano sopravvissuti al 1998 erano stati portati ad Azkaban ad uno ad uno da un gran numero di Sentinelle, molte delle quali si erano dimostrare ben felici di dare una mano per liberarsi di loro.

Kingsley aveva potuto tornare allo scoperto – destando una gran quantità di gioiosi consensi da parte dei maghi, che parvero sollevati di saperlo vivo e vegeto – ed stato nominato Stregone Capo del Wizengamot e nuovo Ministro ad honorem, il giorno seguente avrebbero avuto inizio i processi. Lei avrebbe testimoniato come tanti altri, ma nessuno nutriva dubbi sui verdetti che il Wizengamot avrebbe emesso dopo essere stato costretto a stare in silenzio per quasi un decennio intero. 

Il Signore Oscuro morto. Finalmente avrebbero potuto riprendere a pronunciare il suo nome ad alta voce, e anche se con tutto il lavoro che avevano – ossia trovare tutti i suoi seguaci – non sarebbe stato facile e rapido, Faye si sentiva comunque leggera come non si sentiva da almeno dodici anni.

Quando sentì le braccia di Quinn stringerla dolcemente la strega si mosse appena, facendo risalire una mano sull’avambraccio del ragazzo per accarezzarglielo mentre Quinn appoggiava il capo sulla sua spalla, dandole un bacio su una guancia prima di parlare a bassa voce: 

“Vuoi scendere e unirti ai festeggiamenti?”
“Non è necessario. Sto benissimo qui dove sono.”  Faye si voltò per incontrare lo sguardo del fidanzato, perdendosi in quelle splendide iridi cerulee. Quinn le sorrise prima di baciarla, annuendo e mormorando che valeva anche per lui.

“Faye?”
“Mh?”
“Adesso che è tutto finito e possiamo pensare un po’ a noi stessi… Ti andrebbe di trasferirti definitivamente qui?”

“Passo già qui circa tre giorni alla settimana.”
“Allora non sarà difficile passare da tre a sette, no?”

Quinn la guardò con aria speranzosa e la strega annuì, sorridendo mentre gli accarezzava il viso prima di alzarsi in punta di piedi e baciarlo di nuovo. 
Non proferì parola, ma il mago lo prese come un segno d’assenso.

*


Sei mesi dopo 



Penny e Hunter entrarono in chiesa tenendosi per mano, lei avvolta in un vestito color giallo pastello e lui con un completo elegante addosso.  
“Adoro i matrimoni, sono così emozionata!”

Penny sorrise, gli occhi azzurri luccicanti, mentre Hunter invece sbuffò debolmente, borbottando che sarebbero piaciuti anche a lui se solo non fosse stato obbligatorio vestirsi in quel modo mentre si tormentava il nodo della cravatta. 

“Non dire così, stai benissimo!” Penny gli allontanò la mano dal collo e il fidanzato alzò gli occhi al cielo, asserendo che quella a stare benissimo fosse lei mentre lui, invece, sembrava un pinguino.

“Non essere ridicolo, sei stupendo.” Penny sorrise e gli diede un bacio sulla guancia prima di prenderlo sottobraccio, facendolo sorridere debolmente:

“Grazie. Vedi Larisse e Rafe?”
“Sono laggiù, andiamo a sederci?”

“Va bene, anche se confesso che non mi dispiacerebbe vedere come se la cava mia sorella al momento…”


*


La macchina inchiodò sulla ghiaia davanti alla chiesa e Erik la raggiunse sbuffando, aprendo la portiera per permettere ad una sorridente Max di uscire:

“Ciao tesoro! Come siamo belli…”  La ragazza sorrise allegra al ragazzo, prendendogli il viso tra le mani per dargli un rapido bacio mentre anche Faye scendeva dall’auto insieme ad Henry.

“Grazie, anche tu stai benissimo, ma SIETE IN RITARDO!” 
“Non è stata colpa mia, truccare queste due è stata un’impresa! Dammi una mano, avanti!”

Audrey uscì a fatica dall’auto a causa dell’ampia gonna di tulle del vestito, mentre Faye si aggiustava la gonna rossa del vestito sentendosi a dir poco a disagio: non era abituata a vestirsi in modo così elegante, così come Maxine che stava già maledicendo mentalmente i tacchi che Audrey le aveva fatto indossare.

“Beh, l’importante è che ora siate qui, mancate solo voi. Coraggio, andiamo… Campione, tu devi portare queste, sei pronto?”

Erik si inginocchiò davanti al bambino, porgendogli le fedi che Henry prese annuendo con aria solenne:

“Sì Tìo.”
“Bene, allora andiamo signore… Quinn, che ci fai qui adesso?!”

Erik sgranò gli occhi chiari quasi con orrore – ormai era certo che Haze si sentisse abbandonato all’altare – quando vide Quinn avvicinarsi, gli occhi azzurri puntati su Faye:

“Vengo a salutare la mia bella… Ciao tesoro, sei favolosa.”  Quinn sorrise mentre si avvicinava al gruppetto, rivolgendosi a Faye prima di abbracciarla e darle un bacio. 

“Che carini!” Max sorrise allegra mentre Erik, invece, alzò gli occhi al cielo prima di annuire con fare sbrigativo:

“Sì, siete meravigliosi, ma potrete scambiarvi effusioni dopo la cerimonia, qui qualcuno deve sposarsi!”
“Erik ha ragione. TUTTI DENTRO, PRESTO!”

 


Quando vide Quinn tornare a sedersi in seconda fila – sorridendogli e strizzandogli l’occhio – Haze pregò che fossero finalmente arrivate. Le sue speranze parvero esaudirsi quando poco dopo un Henry sorridente e con un piccolo completo addosso sfilò lungo la navata tenendo le fedi e guadagnandosi sorrisi e sguardi inteneriti da tutti gli invitati. 
Il bambino le consegnò e poi, soddisfatto, raggiunse la nonna seduta in prima fila per prendere posto accanto a lei mentre anche Faye e Maxine attraversavano la navata.

Max aveva appena raggiunto l’altare quando Haze sentì finalmente intonare la marcia nuziale, e tutti i presenti si alzarono mentre Faye e Maxine si scambiavano un sorriso.



“Sei pronta?”
“Sì. Grazie per aver accettato.”
Audrey abbozzò un sorriso in direzione di Erik e lui, per tutta risposta ricambiò e le porse il braccio:
“È un piacere per me.”  

Audrey lo strinse, e dopo essersi data un’ultima aggiustata al velo e alla gonna sospirò, annuendo:

“Ok, andiamo.”



“Che bel vestito!”
“Scomodo.”
“I tuoi gusti sono pessimi Erza, come possiamo essere sorelle?!”
“Non so, ma se non fossimo gemelle omozigote direi che una delle due è stata adottata…”
 
Erzsébet venne interrotta da una signora seduta di fronte a loro, che si voltò e le zittì, destando espressioni indignate nelle due è una risatina da parte di Aeron, che cercò invano di soffocarla mentre la sposa attraversava la navata.

“SH LO VADA A FARE A SUA SORELLA, SIGNORA!”



Haze sorrise quando la vide, sentendosi improvvisamente molto più tranquillo e rilassato, quasi leggero.
Mancavano molte persone quel giorno, suo padre, sua cugina e il suo migliore amico prima di tutte, ma l’importante era che ci fosse lei: avendola accanto non poteva che andare tutto per il meglio.

Anche Audrey intercettò il suo sguardo prima di raggiungerlo, lo guardò mentre camminava stretta ad Erik e forse pensò a suo padre a sua volta, o a come immaginava dovesse sentirsi lui quel giorno.
Ma dovette trarre le sue stesse conclusioni, perché sorrise.

Sorrise e basta.






………………………………………………………………………….
Angolo Autrice: 

Buonasera!
Ed eccomi finalmente con l’Epilogo di questa storia.
Ora, so che ci sono delle cose lasciate in sospeso, come le vendette dei personaggi, ma le vedrete in separata sede con le OS: ho infatti deciso di scrivere una piccola Raccolta per le coppie, che verrà pubblicata piuttosto a breve. 
Alle autrici dei personaggi che non fanno parte di una coppia consiglio, se vogliono, di mandarmi qualcosa sul futuro dei loro OC visto che sicuramente prima o poi pubblicherò qualcosa per alcuni di loro su Slice of Life.

In secondo luogo, vorrei ringraziarvi tutte per aver preso parte alla storia e per avermi accompagnata in questo lungo percorso durato sette mesi, Half-Blood è la storia che fino ad ora mi ha preso più tempo e prima di cominciarla l’ho avuta in testa per due mesi buoni, quindi per me finirla è una bella soddisfazione e spero davvero che l’abbiate gradita. 

A prestissimo con le OS, grazie ancora!
Signorina Granger 

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