Patto col diavolo

di Anshiko
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo capitolo ***
Capitolo 2: *** Secondo capitolo ***
Capitolo 3: *** Capitolo terzo ***
Capitolo 4: *** Quattro! ***
Capitolo 5: *** Cinque! ***
Capitolo 6: *** Capitolo sei ***
Capitolo 7: *** Capitolo sette ***
Capitolo 8: *** Capitolo otto ***
Capitolo 9: *** Capitolo nove ***
Capitolo 10: *** Capitolo dieci ***
Capitolo 11: *** Capitolo undici ***
Capitolo 12: *** Capitolo dodicesimo ***
Capitolo 13: *** Capitolo tredicesimo ***
Capitolo 14: *** Capitolo quattordicesimo ***
Capitolo 15: *** Capitolo quindicesimo ***



Capitolo 1
*** Primo capitolo ***


«E ora che faccio

 

«E ora che faccio?» Elie si sedette sulla panchina che si trovava all’ingresso del molo. Guardando il mare, pensò che sarebbe stato un posto perfetto per fumare, ma lei non aveva questo vizio.

«Peccato, dovrò iniziare a farlo. Cazzo, che freddo, guarda te se quello stronzo proprio stasera mi doveva fare incazzare…» Il pensiero di “quello stronzo”, che le diceva che era stufo di aspettare e che tutte le coppie per dimostrarsi il loro amore lo facevano anche dopo solo una settimana, le fece venire un impulso omicida che scaricò su una lattina abbandonata lì vicino. Si accomodò contro lo schienale duro della panchina e si disse di stare calma, tanto avrebbe dovuto aspettare le quattro e mezza prima che suo fratello passasse a prenderla.

«Mezzanotte e mezza. Uff, non ho voglia di rintanarmi in qualche bar per tre ore. Però se sto qui mi potrebbero scambiare per una prostituta. Lo sapevo, non dovevo mettere la gonna, non lo faccio mai!» Si alzò di scatto e prese a camminare lungo il mare. Sapeva che se avesse chiamato sua madre avrebbe dovuto raccontarle che in realtà non era andata ad una festa, ma era stata con un ragazzo e lei non l’avrebbe più fatta uscire per i prossimi dieci anni. Meglio evitare, ci aveva messo quattro giorni per farsi concedere il permesso di stare via fino alle quattro e mezza e ora non voleva fare la figura della scema. In fondo le piaceva camminare di sera da sola, perché la faceva sentire strana, quasi importante.

Elie era una ragazza abbastanza alta, di corporatura normale, anche se prosperosa e tipicamente mediterranea. I capelli erano scuri e ondulati, con una leggera frangetta e lunghi fin sotto le spalle, lasciati di solito sciolti. Gli occhi color ambra avevano l’iride contornata di nero. Nel complesso era carina, non si truccava pesantemente come tante ragazze della sua età e non usciva ogni sera, faceva una vita tranquilla, ma con tutti gli intoppi tipici dell’adolescenza. Aveva molti ragazzi che le ronzavano intorno ed era uscita anche con tanti di loro, ma ogni storia non era mai durata più di due settimane: non lasciava, ma si faceva lasciare in modo da non poter essere rimproverata da nessuno.

«Che bello, mi sembra di essere un boss che passeggia nel suo territorio, mi sento potente!» Con questa sensazione addosso affrettò il passo e assunse un’andatura imponente, sguardo alto e fiero, da vero capo.

«Mm? Non avevo mai notato quella strada. Deve essere proprietà privata, con tutta quell’edera che circonda l’entrata… Potrei dare un’occhiata, il tempo di certo non mi manca e poi voglio proprio vedere dove porta»

Percorso il sentiero buio si ritrovò in un bosco, si sentiva in lontananza il rumore del mare, quindi non doveva essere lontana dal molo, però quel bosco non l’aveva mai visto prima.

«Figo! Ma pensa te quante cose non si conoscono della propria città, fai cento metri in più e ti ritrovi in capo al mondo!» Presa dall’entusiasmo Elie iniziò a guardarsi intorno, in cerca di una casa o qualcosa del genere. I suoi passi erano illuminati solo dalla luce della luna, non erano presenti né lampioni né alcun tipo di luce artificiale. Camminò fino a quando intravide una figura muoversi ai piedi di un albero. D’istinto fece qualche passo indietro e scontrò contro la corteccia di un arbusto.

«Chi sei? Questa è casa tua? No, che dico, come può essere casa tua un bosco… Scusa se ti ho disturbato, ora vado…» Mentre pronunciava queste parole si spostò in avanti per vedere meglio chi avesse di fronte ed i raggi della luna rischiararono la figura dell’uomo. «No, non è un uomo» pensò, «sembra più un ragazzo, ma chissà perché  sta così curvo…»

Il ragazzo si spostò in avanti rivelandosi per intero: aveva i capelli mossi, castani e scompigliati, una maglietta nera attillata e dei pantaloni dello stesso colore, si appoggiava con la mano destra all’albero e con l’altra si teneva il fianco, il quale, dopo un’attenta occhiata, si rivelò sanguinante.

«Che hai fatto? Stai sanguinando!» Elie si avvicinò di qualche passo con la mano pronta a sorreggerlo, ma appena il ragazzo alzò lo sguardo da terra, mostrando i suoi occhi chiari, la ragazza si bloccò. Sentì una scossa elettrica invaderle il corpo, una fiamma gelida che partiva dalle gambe per arrivarle alla testa passando per il cuore. Rimase qualche secondo con lo sguardo perso nei suoi occhi, due perle grigie-azzurre come due tunnel verso l’anima, poi si riprese, ma le mancava il coraggio di avvicinarsi ancora al ragazzo.

«Aiutami…» le disse il ragazzo. La sua voce non era quella di un uomo, ma neanche quella di un ragazzino. «Che voce calda» pensò lei, ma neanche al suono della richiesta del ragazzo riuscì ad avvicinarsi.

«Che aspetti? Non mi dire che hai paura… Non ti mordo mica» Il tono strafottente del ragazzo scosse Elie che avanzò di qualche passo e distolse lo sguardo da quello di lui. Un leggero rossore le invase le guance quando gli fu abbastanza vicino da sentirne il profumo.

«Si può sapere come hai fatto a ridurti così? Hai fatto a botte con qualche ragazzo, che era palesemente più forte di te?» gli chiese senza un vero interesse. Ora, quello che le interessava di più era capire che cosa le succedeva. Era stata sempre una ragazza espansiva, che non si vergognava a parlare con i ragazzi che non conosceva ed in fondo si riteneva abbastanza superiore agli altri da farla comportare da spavalda.

«Non mi pare che t’interessi davvero saperlo» Le sue parole erano pungenti, senza alcun motivo iniziava ad essere in imbarazzo. Lo aiutò a sedersi per terra e vide la pozza di sangue che in pochi minuti s’era formata ai loro piedi.

«Devi andare all’ospedale» gli disse d’impulso. «Rischi di morire dissanguato!» ma subito dopo si pentì di aver pronunciato quelle parole. Lui la guardò con superiorità «Non mi serve l’ospedale. Mi serve il tuo aiuto» le rispose.

«Ma certo, dimmi che devo fare! Posso chiamare qualcuno più esperto di me in queste cose e-»

«No. Tu sei più che adatta» il ragazzo le prese il viso fra le mani lasciandole una striscia di sangue sulla guancia, le avvicinò il volto, ma Elie si rialzò e sbottò arrabbiata «Ma che fai?! Ora me ne vado!» Quindi si girò e prese a camminare verso il sentiero da cui era entrata.

«Guarda che non volevo mica baciarti. Stavo guardando i tuoi occhi»

«Ma a chi vuoi darla a bere?!» gli urlò contro. «Ti credi così importante? Solo perché stai morendo dissanguato non è detto che puoi fare quello che vuoi!» Lui si mise a ridere e lei capì che quello che aveva appena detto non aveva senso, lui stava davvero morendo, non poteva lasciarlo lì.

«Vedo che hai cambiato idea… Ormai sono allo stremo. Devi darmi un po' di te» Questa volta fu lei a ridere, ma appena vide che lui era rimasto serio, smise subito. Gli si avvicinò di nuovo e questa volta lo guardò senza indugio negli occhi esclamando «Ti sei fatto di coca?»

Il ragazzo scosse la testa «Se ti dicessi davvero chi sono non mi crederesti. Voi umani siete tutti così stupidi…»

«Noi umani? Se mi dai anche della stupida come pensi che io ti voglia dare una mano?» Allungò la mano per sfiorargli il fianco ferito, ma lui la bloccò e le disse «Sono stato ferito da un cacciatore di demoni. Naturalmente non in modo serio, ma è passato troppo tempo e non riesco più a resistere. Se mi darai una parte della tua energia vitale in cambio ti darò un po' del mio potere. Voglio fare un patto con te, saremo legati. La cosa non mi attira per niente, ma se stavolta non voglio lasciarci le penne devo farlo. Non sto scherzando»

«Ah ah ah! Credi che io ci caschi? Sei fuori di testa, probabilmente perché hai perso troppo sangue. Ora chiamo un’ambulanza» Estrasse il cellulare e compose il numero, ma prima che qualcuno dall’altra parte potesse rispondere il telefono si fuse diventando plastica sciolta, che le bruciò la mano. «Ma che cazzo?! Brucia, brucia!» Agitò la mano in aria per raffreddarla.

«Mi spiace per il telefono, ma se non mi vuoi aiutare è meglio che tu…» Il ragazzo si accasciò e iniziò a tremare.

«Hei aspetta… Non puoi mica morire! Poi mi sentirei in colpa e-» Le parole le morirono in bocca quando alzò il viso del ragazzo con la mano e vide un’espressione di dolore che non avrebbe mai immaginato. Gli occhi erano spenti e lui, prima così spavaldo e arrogante, ora sembrava una persona completamente diversa, come ad un bambino che ha perso la madre. «Vattene… Stanno venendo a prendermi… Forse è meglio così» Si alzò e scomparve fra gli alberi, barcollando e lasciando sulle foglie secche una scia di sangue rosso vivo.

 

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Capitolo 2
*** Secondo capitolo ***


Che ore erano

 

 

Che ore erano? L’una. Non capisco… Perché se n’era andata? Di certo non poteva seguirlo, poi le stava anche un po' antipatico, ma… Non sembrava cattivo, anzi aveva visto in lui qualcosa… Era anche carino! Che andava a pensare… Si sentiva una miserabile, che parlava da sola, camminando sul lungo mare senza una meta… “Ma sì, me ne tornerò sulla panchina e dimenticherò tutto. Che me frega a me! Quello era un matto, ferito da un cacciatore di demoni, sì, ma dove siamo, a Buffy?!”

Un leggero vento iniziò a soffiare. Elie si fermò a guardare le onde del mare appoggiata alla ringhiera. Sospirò e mille pensieri iniziarono a passarle per la testa.

«Hei ciao!» si girò e vide due uomini sulla trentina che si avvicinarono. «Ecco ci mancavano due che ci provano…» pensò.

«Come mai sei da sola? Una ragazza carina come te non dovrebbe girare di notte per il molo. Potresti incontrare brutte persone. Se vuoi ti facciamo compagnia noi!» il più alto si appoggiò alla ringhiera vicino a lei, mentre l’altro la guardava. «Non sono sola, sto andando dal mio ragazzo, mi aspetta più giù» disse “Già, potrei incontrare brutte persone proprio come voi…” pensò subito dopo.

«Il tuo ragazzo non è intelligente, se io stessi con te non ti lascerei mai…» replicò il più basso. «Il mio amico ha ragione. Secondo me poi a te non piace manco tanto quello, vero?» l’altro le si avvicinò ancora di più.

«E invece ti sbagli. Sono solo andata a salutare un’amica e ora torno da lui che ce n’andiamo a casa. Se volete scusarmi…» salutò i due e iniziò a camminare, sperando che non la seguissero. Mancavano ancora tre ore e mezza prima che suo fratello venisse a prenderla, se poi si contavano le ore di ritardo che lui puntualmente aveva… Purtroppo i due uomini la seguirono e la raggiunsero, mettendosi al suo fianco, uno da una parte e l’altro dall’altra. «Per ogni evenienza ti accompagniamo noi. “Cazzo…” si disse tra sé «Non mi sembra il caso, il mio ragazzo è molto geloso e non vorrei che fraintendesse, sapete lui è cintura marrone di karatè e fra pochi mesi sarà cintura nera!» purtroppo il risultato che ottenne non fu quello sperato, gli uomini si misero a ridere e continuarono a seguirla.

«Sentite, non voglio che mi seguite. Smettetela e andatevene» aveva trovato il coraggio ed era riuscita a dirgli ciò che voleva.

«E se non volessimo? Scommetto che non c’è nessun ragazzo… Dai dicci quanto vuoi, sei così carina!» pronunciando queste parole il ragazzo più alto le si mise davanti e l’afferrò per il braccio bloccandola.

«No, non voglio niente! Lasciatemi!» le parole le uscirono con un tono più spaventato di quel che avrebbe voluto. Si stava rendendo conto che non sarebbe riuscita a fare molto da sola. A quell’ora di notte non c’era neanche un’anima a cui chiedere aiuto.

«Non avere paura, non vogliamo farti del male! Basta che non urli e vedrai che andremmo d’accordo» l’uomo le mise il braccio dietro al collo e la spinse contro di se, ma lei riuscì a scansarsi e iniziò a camminare. Non correva, camminava, dapprima senza sapere che fare, ma poi si accorse di dove stava andando. “La panchina? E perché? Certo, prima volevo andarci, ma ora con quei due… Aiuto… Qualcuno mi AIUTI!!!” dentro di sé quelle parole urlarono con tutta la forza che aveva in corpo, ma dalla sua bocca non uscì nessun suono. Intanto i due si erano fermati e si dissero qualcosa. Non erano italiani, Elie pensò ad albanesi o qualcosa del genere, ma avrebbero potuto essere anche italiani, a lei non importava, né nei casi normali né soprattutto ora.

«Dai fermati! Guarda che hai capito male, non vogliamo farti del male» si erano di nuovo portati al suo fianco, la seguivano di nuovo.

«La panchina!» arrivata si sedette, forse sarebbe stato meglio non farlo, ma non riusciva più a capire che stava facendo. Si rese conto dopo che aveva sbagliato. Anche gi uomini si sedettero e il più alto, il più impavido, le mise una mano sul ginocchio «Vedo che hai capito, finalmente ti sei fermata»

«No, l’ho fatto perché questa è la mia panchina, ANDATEVENE!» sperò di essere stata convincente ma si accorse che l’uomo stava ancora parlando. Aveva solo pensato di dirlo, ma non l’aveva fatto.

«Quanti anni hai?» gli chiese quello che sembrava più tranquillo. «Sedici» rispose piano. «Che bell’età, io facevo il matto a sedici anni» mentre il basso parlava calmo, l’altro la guardava e pian piano la sua mano saliva attraverso le gambe serrate. “Sto qui basso è più simpatico dell’altro… La sua mano. Sale! Che cazzo faccio? Io sono forte, ho sempre odiato quelle che alla tv si lamentavano di essere state violentate, in fondo era solo sesso! Pensavo che magari sarebbe stata una bella cosa se lui fosse stato carino… E ora che cazzo faccio?! Sono scema? Riprenditi stupida!” la fiamma di vita che prima si era spenta, dopo aver lasciato quel ragazzo nel bosco, improvvisamente si riaccese, più forte di prima. Lo sguardo che prima era rimasto basso si alzò «Senti, ti ho già detto che ho il ragazzo. Tieni a posto le mani o ti castro!» Elie si alzò di scatto e gli sputò in faccia tutta il suo rancore con innata violenza e quello alto, che non aveva apprezzato, le diede uno schiaffo. «No, fermati» disse l’uomo più gentile, ma non fece in tempo a bloccarlo che l’altro l’aveva già colpita di nuovo, tenendola per il braccio in modo che non potesse schivarlo, cosa che probabilmente non avrebbe fatto comunque.

«Sapete, non dovreste farlo qui in mezzo al molo, potrebbe passare qualcuno e fermarvi» al suono di quella voce Elie si voltò indietro e vide il ragazzo del bosco appoggiato alla ringhiera davanti alla panchina con le mani in tasca e la sigaretta in bocca, il fumo che saliva leggero gli faceva socchiudere gli occhi come un gangster della tv.

«Che cosa vuoi tu? Vattene se non vuoi problemi!»

«Problemi? Potrei dirvi la stessa cosa. Qui quelli che vogliono problemi siete voi» aspirò lentamente e fece dei piccoli cerchi con il fumo, cosa che fece infuriare l’uomo alto che scaraventò la ragazza sulla panchina e si diresse verso di lui.

«Non fategli male…» disse loro piano, notando la pozza di sangue che si era di nuovo formata ai piedi del ragazzo come nel bosco. Non lo dava a vedere, ma stava soffrendo, stava morendo.

Prima che l’uomo gli fosse abbastanza vicino si bloccò di scattò, sentendo qualcosa di strano alle mani, ma appena le guardò non vide nulla. Qualcosa o qualcuno gliele aveva mozzate. Si mise ad urlare agitando in aria le braccia gettando il sangue dappertutto. In pochi secondi sia lui che il suo amico erano spariti dalla strada.

«E' sempre una goduria vedere come scappano impauriti e doloranti. Come va? Io… non tanto bene…» dette queste parole il ragazzo cadde in ginocchio allargando la macchia di sangue.

Elie, che era rimasta a bocca aperta davanti alla visione del mozzamento delle mani e al suono delle parole del ragazzo si riprese e piano gli si avvicinò. Anche se un po' le faceva paura per quello che aveva fatto all’uomo, non poteva lasciarlo lì di nuovo, non dopo che l’aveva aiutata.

«Che devo fare? Dimmelo, hai detto che devi avere una parte della mia vita, vuol dire che morirò prima del tempo o cosa?» «Non c’è tempo, ti ho sentita quando hai chiesto aiuto e sono venuto a salvarti, ma spiegarti in cosa consiste il patto sarebbe troppo lungo, non mi pari neanche troppo intelligente da capire tutto subito al volo. Ah ah ahCoff Coff! Vedi, è tardi…» vedendolo sputare sangue per terra lo sollevò leggermente, ma lui si scostò e si sedette per terra. «Dai, ti aiuto io, appoggiati a me»

«Certo che non avrei mai pensato che mi sarei ridotto così, proprio io… Non doveva succedere, non a me…» portandosi la mano alla fronte iniziò a ridere.

«Non m’interessa, facciamolo e basta. Prima guarisciti e poi mi spiegherai cosa abbiamo combinato! Fallo ora!!!»

«Ma poi non potrai tornare indietro…» ribatté lui

«E' uguale, semmai dopo avrò l’occasione di poterti uccidere con le mie mani!»

il ragazzo smise di sogghignare e alzò lo sguardo serio, guardandola negli occhi disse «No, non potrai farlo» lasciandola senza parole.

Prese la mano destra di Elie e fece comparire dal nulla un pugnale, con il quale le incise il polso facendogli scappare un urlo di dolore ed il sangue iniziò a scorrere lungo la mano, al che lui avvicinò la mano al suo fianco lasciando che il sangue si mescolasse, fuori e dentro la ferita.

Una luce fulgente e improvvisa si scatenò abbagliando Elie, che fu scaraventata contro la panchina da una forza invisibile, perdendo i sensi.

 

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Capitolo 3
*** Capitolo terzo ***


Quando si riprese Elie si ritrovò nella sua stanza

 

Quando si riprese Elie si ritrovò nella sua stanza. Con fatica riuscì ad aprire gli occhi, che sembravano chiusi con la colla, e, nel momento in cui provò a muoversi, una smorfia di dolore le si dipinse sul volto. Non riusciva bene ricordarsi quello che era successo la notte prima, ma tutto il corpo le doleva e con fatica riuscì a raggiungere il bagno. Nello specchio vide che aveva indosso il pigiama, ma non si era né struccata, né s’era legata i capelli come faceva sempre prima di dormire.

«Devo essermi ubriacata ieri… Mm… Ho fatto uno strano sogno stanotte. Bho» Aprì l’armadietto e prese l’elastico, si fece la sua abituale coda di cavallo casalinga alta e dopo essersi lavata scese in cucina per mangiare.

« chi c’è, “Miss Faccio tardi la notte”!» suo fratello non perdeva l’occasione per trattarla male, poiché, anche se aveva solo due anni più di lei, la considerava ancora una bambina.

«Non rompere Lucas, pensa agli affari tuoi» gli rispose con tono di sfida. Lei sapeva che la vita di suo fratello era molto incasinata. Da quando era diventato maggiorenne, solo due mesi prima, usciva ogni sera e non rientrava prima delle cinque, solo che, avendo dalla sua il fatto che lavorasse tutto il pomeriggio e parte della sera, i loro genitori non lo rimproveravano mai. «Perché non vai a lavorare anche la mattina? Scommetto che in qualche ristorante come lavapiatti ti prenderebbero subito» continuò lei, purtroppo sul suo attuale lavoro non poteva dire niente, faceva l’assistente di un noto architetto, e, come disegno tecnico, stile e idee nessuno era meglio di lui. Non aveva finito gli studi, ma un suo conoscente gli aveva trovato il lavoro presso uno studio facoltoso e visto che non era in regola prendeva una cospicua somma ogni mese, tanto da potersi permettere ogni cosa che volesse, che si trattasse dell’ultimo cd uscito del suo gruppo preferito o di un viaggio a Londra con la sua comitiva.

«Perché se lo facessi non ti vedrei mai e non avrei l’occasione per prenderti per il culo»

Lei non ribatté, tanto sapeva che non l’avrebbe ascoltata, dopo poco si stufava anche solo di parlare. Avanzò verso il frigorifero e una voce le ricordò che per fortuna non viveva da sola con lui.

«La colazione è sul tavolo. Io vado a lavorare, torno alle otto, fate i bravi» sua madre, Sumire, era una donna alta, magra, sulla quarantina e abbastanza giovanile. Si era separata da circa un anno e grazie al suo lavoro di avvocato non faceva mancare niente ai figli, e, se non fosse stato per la severità a volte eccessiva, non aveva niente di cui essere rimproverata.

«Sì , sempre che qualcuno oggi non muoia prima…» disse Lucas lanciando un’occhiataccia alla sorella che si stava adagiando faticosamente sulla sedia.

«Va bene, basta che si rimandi il funerale alla prossima settimana, forse questa devo andare a Milano per lavoro» rispose la madre distrattamente.

«Ma di nuovo?! Avevi detto che per un po' saresti stata con noi!» si lamentò Elie «Lo so, ma c’è stato un intoppo con una causa, ora vado»

«Ma…» non fece in tempo a finire di protestare che la porta si chiuse con un fragoroso rumore.

«Dobbiamo oliare quella porta» fu l’unico commento di Lucas.

«Questa è la cosa più intelligente che riesci a dire?»

«Cosa vuoi di più? Potrai uscire quanto vuoi, no? Di certo non sarò io ad impedirtelo» sapevano entrambi che il loro padre non si sarebbe di certo scomodato per fare loro da balia, in fondo, come diceva lui, erano grandi ormai. Ma a lei non piaceva questa cosa: forse suo fratello aveva ragione, ma avrebbe voluto avere ogni tanto sua madre a casa, comunque se avesse provato a dirlo lui le avrebbe risposto che ormai doveva fare la sua vita. Sua madre non l’avrebbe presa sul serio, lei credeva che tutto quello che le aveva tolto insieme a suo padre avrebbe potuto ridarglielo con i regali. Cosa, a volte, non vera.

«Cosa hai fatto ieri sera?» la domanda improvvisa del fratello fece sussultare Elie che non seppe rispondere in tempo utile per impedire che pensasse male.

«Ho giocato a strip poker, sniffato un po' di coca e rapinato una banca»

Lui la guardò seriamente, «E poi?»

«Eh, certe cose non si possono dire ad un fratello…» la battuta non ebbe il risultato sperato, infatti, Lucas si alzò e si diresse al piano superiore verso la sua camera. «Antipatico, tanto la tazza la devo levare io dal tavolo, vero?» disse a bassa voce mentre continuava a mangiare.

 

 

Il tempo trascorse e la domenica mattina passò tranquilla, ma con una strana sensazione nel cuore.

«Lucas mangi?!»

«Sì, ho iniziato a farlo da qualche tempo, mi pareva di avertelo detto…» il ragazzo scese le scale e si accomodò sul divano, aspettando il pranzo.

«Potresti anche aiutarmi, chi l’ha detto che debba farti da serva?» gli disse con tono ironico sua sorella impegnata a scaldare la minestra che aveva preparato la madre la sera prima.

«nessuno, ma se vuoi te lo dico ora io»

«Spiritoso! Lo sai che la mamma non vuole che mangi sul divano nuovo, se lo macchi poi la senti come urla» lo rimproverò

«Se lo macchio lo ricompro. Tanto anche tu lo fai» aveva ragione, ogni giorno di sedevano davanti alla tv a mangiare, tanto erano da soli e nessuno li poteva sgridare.

Mentre portava i piatti caldi sentì un dolore acuto provenire dal polso destro, facendo cadere le pietanze per terra e accasciandosi al suolo. Il fratello, vedendola, si scagliò giù dal divano e la raggiunse domandandogli che cosa l’era successo, ma lei non seppe rispondere. Si teneva solo il polso stretto con la mano e, quando lui se n’accorse, gli prese il braccio e, sollevando la manica del pigiama, vide un taglio profondo sopra le vene. «Che cazzo hai fatto?! Rispondi!»

«Io… niente, devo essermi graffiata con qualcosa…» la ferita riaperta riprese a sanguinare

«Graffiata? Ma questo è un taglio, ti sei tagliata le vene!!!» al suono di questa affermazione Elie lo guardò negli occhi, lei non avrebbe mai fatto una cosa del genere, non perché non l’avesse mai desiderato, ma perché le mancava proprio il coraggio per farlo, ed ora non riusciva a credere che suo fratello, che la conosceva da sempre, potesse pensare ad una cosa del genere

«NO, NON E' VERO!» si mise a piangere sommessamente e Lucas la prese in braccio portandola in bagno per disinfettarle la ferita e fasciarla. «E' la prima volta che lo fa, non mi aveva mai dimostrato in nessun’occasione il suo affetto, né un abbraccio né un sorriso gentile. Lucas non è il tipo che esterna i suoi sentimenti…» pensò.

Dopo essere stata fasciata suo fratello rimise a posto il cotone e senza guardarla le disse «So che non l’hai fatto. Non ne hai il coraggio» senza voltarsi uscì.

«Credo che questo sia il suo modo per preoccuparsi per me, forse in fondo mi vuole bene…» disse tra sé «Ora mi rifaccio la pasta, ma scordati che ne prepari anche per te, ti arrangi!» le gridò dalla cucina.

«Certo e grazie!» ma non ebbe nessuna risposta «Come parlare al muro… Se gli chiedessi se mi vuole bene mi metterebbe la testa nel cesso e tirerebbe l’acqua. Non è bravo in queste cose, dovrò dargli delle ripetizioni» mentre parlava da sola entrò nella sua camera e si sedette sul letto ancora sfatto. Guardando la ferita le tornò in mente il sogno che aveva fatto, dei due uomini, del mare e… del sangue, un flash di una pozza di sangue su delle foglie secche le si parò davanti agli occhi e poi subito dopo si ricordò del ragazzo ferito, del pugnale che le attraversava la pelle, incideva la carne e tranciava le vene, della luce e poi… Poi più nulla.

«Ciao, ho sentito che la ferita s’è riaperta e sono venuto a vedere come stavi» davanti alla finestra s’era materializzato il ragazzo del sogno. Aveva in mano il suo pupazzo preferito, che fino ad un attimo prima era stato sullo scaffale di fronte al letto, e ci stava giocherellando.

 

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Capitolo 4
*** Quattro! ***


«Cosa ci fai qui

 

«Cosa ci fai qui? Come hai fatto ad entrare?» gli rispose «Dalla porta. No, scherzo, dalla finestra. Ma neanche, non sono entrato da nessuna parte, sono solo… venuto qui. Non ti ricordi più chi sono?»

«Sto impazzendo…»

«Mocciosa con chi parli?» la voce di suo fratello la face trasalire, se l’avesse trovato in camera sua chissà cosa avrebbe pensato.

«Da sola e con la tv!»

«Lo fai spesso?» gli chiese il ragazzo vagamente divertito

«Senti, ora te ne devi andare, non ci capisco niente, ma so con certezza che tu non dovresti essere qui! E non ti sedere sul mio letto!!!»

«E' abbastanza comodo. Comunque sono qui perché ti devo riferire alcune cose, per contratto ti devo informare di quello che da oggi dovrai fare» appoggiò i gomiti sulle ginocchia e con le mani sotto al mento la guardò mentre stava controllando che suo fratello non venisse a curiosare nella stanza

«Uff, non voglio sapere niente ora! Ieri ti ho aiutato solo perché stavi morendo, ma non ti preoccupare, ora tu fai la tua vita e io la mia!»

«Stai un po' zitta. Te l’avevo detto che non saresti potuta tornare indietro, ma hai voluto fare il patto con me lo stesso, ora devi prenderti le tue responsabilità»

Lei si girò e sbottò «Ok ok, ma non qui, facciamo tra un’ora al parco che sta di fronte alla stazione. Ok?» non fece in tempo a finire la frase che lui era già scomparso, un attimo prima che Lucas spalancasse la porta per vedere che stava succedendo «Hai finito?! Non mangi?» chiese scrutando la camera

«No, mi ha chiamato una mia amica. Ora esco. Tornerò presto, o almeno credo…»

«Fa come ti pare. Comunque non ci credo, ma neanche me ne frega. Portati via la chiave, io vado a lavorare» si allontanò silenziosamente e uscì di casa.

Man a mano che si avvicinava al luogo dell’appuntamento, la ragazza riusciva a ricordare ogni particolare della serata e quando fu nel parco, si sedette sul muretto sotto l’ombra di una grande quercia. «Speriamo che non sia in ritardo, ho guardato giù dalla finestra, ma quello non c’era, mi dovrà spiegare come ha fatto ad andarsene». Sentì una presenza oscura avvicinarsi, si voltò e lo vide, con la sigaretta in bocca e le mani in tasca. «Fai paura» gli disse

«Grazie» rispose sedendosi. «Inizio» senza aspettare un accenno d’assenso continuò a parlare «allora io sono il diavolo» al che lei fece una smorfia di dissenso, ma non le fu data l’occasione per parlare perché il ragazzo le portò un dito sulla bocca in segno di tacere «se proprio vogliamo essere sinceri, io sono un diavolo. Discendo dal Male primordiale, hai presente quello d’Adamo ed Eva, quello delle tentazioni di Dio e cose del genere? Bene, lui è “Il Diavolo”, quello che esiste da prima di tutto, che c’è da sempre e sempre ci sarà, io invece sono un suo “figlio”, un essere che lui ha creato per mandare sulla Terra per fare quelle cose tipiche che farebbe lui se, diciamo, non fosse impegnato, tipo comprare l’anima di poveri disgraziati, far cadere in tentazione chi si crede potente e via dicendo. Mio “padre” non può occuparsi di tutto, è vero che è in ogni dove come Dio, ma… come la vostra divinità ha dei discepoli, lui ha noi. Oh, in poche parole facciamo il lavoro sporco. Portiamo il cibo, le anime a lui, facciamo dei lavoretti per lui, e viviamo con lui. Ci sei?» la faccia sconvolta di Elie che lo guardava attenta gli fece intuire che non aveva capito un cazzo. «Uff, è più difficile da spiegare che da fare! quello che t’interessa sapere è che io sono un diavolo. Almeno fino a qui hai capito, vero?»

«Mi sono fermata a quest’affermazione prima, dopo non ti ho seguito più… Come puoi sperare che io ti creda?» chiese sotto voce

«Vuoi che ti faccia un disegnino? Quando voi umani pensate al Diavolo, vi immaginate un essere senza forma, enorme e più che crudele, che combatte il bene, Dio, che vi immaginate come un uomo, con la barba, pronto a sacrificarsi per i suoi figli. Noi siamo dei diavoli minori, creati da questo essere gigantesco, a forma d’uomo per poterci confondere fra voi, capaci di cose orrende e abbastanza cattivi. Personalmente preferisco essere chiamato demone, per distinguermi dagli altri, ma il succo non cambia. Non chiedermi in quanti siamo perché non ho mai contato i miei “fratelli”, non ci tengo neanche a saperlo. Che me frega? Ognuno pensa a sé. Avrebbero dovuto anche venire a prendermi ieri sera, per darmi il colpo di grazia, ma grazie a te sono riuscito a rimettermi in forma. Ho ripreso completamente i miei poteri e nessuno ora può fermarmi.» guardando la ragazza, si accorse che stava guardando una formica che trascinava faticosamente una briciola di pane verso il formicaio.

«Tu sei come questa formica? Che vive per la regina che metterà al mondo altre formiche per portare avanti la specie? Sei solo un numero?» Queste parole gli fecero bollire il sangue, sapeva che era proprio così, ma odiava questa cosa, nessuno vuole vivere come un oggetto che ha per fine la felicità di qualcun altro e lui era proprio questo. Un niente.

«Anche se fosse? Io sono un demone! Posso uccidere quella donna che sta per attraversare la strada con il suo bambino di appena qualche mese senza provare niente, né pietà né rimorso!» gli disse con l’odio negli occhi

«Ma aspetta, perché dovresti farlo? Scusami se ti ho fatto arrabbiare, non volevo. Mi domandavo solo se fosse così!»

Lui si alzò in piedi e con la scarpa uccise la formica, continuando a premere il piede anche dopo averla uccisa. «Nessuno piangerà per lei. Hai visto cosa posso fare. Il cellulare che si è sciolto, le mani di quell’uomo che si sono mozzate. Non hai paura?»

Lei alzò lo sguardo dalla scarpa che continuava senza sosta a schiacciare l’animale, guardò verso la strada e vide che davvero una donna con un bambino piccolo stava attraversando la strada, lo guardò negli occhi e disse «Sì. Che cosa sono io ora per te

La domanda lo spiazzò un attimo, si sarebbe aspettato qualsiasi cosa, una crisi di pianto, una fuga verso casa con la speranza che fosse solo un sogno, ma non di certo quella domanda che faceva trasparire un senso di coscienza della cosa che a prima vista non avrebbe avuto senso «Fai parte di me. In tutti i sensi»

«E con ciò? Non capisco ancora»

Il ragazzo si risedette, accese un’altra sigaretta ed esclamò «Se vuoi proprio saperlo, non lo so neanche io. Prima d’ora non aveva mai fatto un patto del genere con nessuno. So solo che una parte della tua energia è servita a ristabilire la mia» aspirò lentamente «Il mio potere è servito ad equilibrare questa mancanza nel tuo corpo, che altrimenti si sarebbe indebolito fino alla morte. Credo che da ora in poi noi due saremmo una cosa sola»

«Mi sento male… Devo bere qualcosa… In fondo alla strada c’è un bar» i due s’incamminarono e dopo aver bevuto, al momento del conto, il barista li salutò senza chiedere i soldi. «Ma… Perché?» Si rivolse al ragazzo che facendo finta di nulla stava uscendo «Sei stato tu!»

«Eh? Chi io? Mi credi capace di fare una cosa del genere?» Sulla faccia di lei si dipinse un’espressione di accusa, come se stesse aspettando di sentire cosa le avrebbe inventato «Ok, gli sono solo entrato nella testa e ho cambiato i suoi ricordi, crede solo che abbiamo pagato. Che male c’è

«Guarda, non ti rispondo neanche. Non spreco fiato. Comunque non si fa»

Questa volta fu lui che la guardò in mal modo «Cosa ti vuoi aspettare dal diavolo?» In fondo aveva ragione. Che si voleva aspettare?

«Credo che da oggi inizieranno i guai…» pensò mentre lo seguiva lontano dal bar.

 

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Capitolo 5
*** Cinque! ***


La strada verso casa sembrava ancora più lunga dopo quella giornata, lui camminava silenzioso guardandosi intorno, mentre lei

La strada verso casa sembrava ancora più lunga dopo quella giornata, lui camminava silenzioso guardandosi intorno, mentre lei non riusciva a smettere di pensare a quello che le aveva detto al parco. «Senti un po', dopo tutto il monologo che hai fatto oggi, non mi hai ancora detto il tuo nome!» gli disse portandosi al suo fianco «Del resto neanche io ti ho detto il mio…»

«Non è che m’interessi molto, ma se lo vuoi sapere mi chiamo Axel» rispose accendendosi un’altra sigaretta.

«Che nome strano… mi piace, ti sta bene!»

«Su che base dici che mi sta bene?» Lei cii pensò un attimo

«Ti sta bene perché mi sembra un nome che possa rispecchiare bene la tua natura»

«La mia natura? AH AH AH! Se vuoi posso dirti come ho scelto il mio nome, poi vedremo se ti piacerà ancora…» Non capì il perché lo disse con tanta ironia, ma appena continuò sentì un vuoto pervaderle il corpo. «La prima persona che ho conosciuto sulla Terra, con cui ho avuto un rapporto più stretto, si chiamava Axel. Fu il primo che uccisi, senza paura o pentimento, ma solo con un senso di potere infinito, di voglia di farlo e rifarlo fino a quando non ne fossi soddisfatto… Ma fino ad oggi ti posso dire che non ho ancora colmato la mia sete di sangue» Se all’inizio del discorso le sembrava che avesse preso il nome del suo migliore amico, ora si rendeva conto che era cattivo, malvagio, pronto ad uccidere. Magari anche lei.

«Mi dispiace» disse con un filo di voce fermandosi. In un attimo recuperò la distanza che si era formata fra i due e l’afferrò per il braccio sinistro, facendogli girare di scatto la testa verso la mano che lo tratteneva all’altezza del gomito. «Mi dispiace, lui era il tuo amico e tu l’hai dovuto uccidere, non so come ti senti, ma mi fa piacere che hi voluto confidarti con me e-»

La interruppe con una fragorosa risata «AH AH AH! Non hai capito niente! AH AH AH! L’ho ucciso perché volevo farlo» esclamò portando la mano destra sul polso che lo stava bloccando «Ho goduto mentre lo facevo e lo farei altre mille volte!!!»

Lei ritirò la mano spaventata «Perché fai così? Sei così… cattivo!» riuscì a dire.

«Sono il diavolo!!! Te lo vuoi mettere in testa?!»

«Ok ok , hai ragione… Ma tu mi… ucciderai?» La domanda lo sorprese non poco. Era l’unica persona che lo faceva rimanere così, finora non aveva mai conosciuto individui capaci di spiazzarlo come faceva lei

«Hai paura, bene. Non lo farò, per ora»

«Credi che sapere che per ora non lo farai mi faccia sentire meglio? Che vuol dire per ora?»

Sbuffò e rispose «Vuol dire che per ora non lo farò. Niente di più»

Arrivarono davanti a casa e lui disse «Vado, ho di meglio da fare» prima che si fosse allontanato troppo gli urlò «Ma siamo amici?» Anche se avesse risposto affermativamente sapeva che non poteva sentirsi tranquilla, lui aveva ucciso il suo primo amico e lei di certo era ancora una sconosciuta. Si conoscevano da appena un giorno.

La domanda lo fece voltare e sorridendo disse «Come vuoi» e aggiunse sottovoce riprendendo a camminare «Per quanto sia conveniente essere mia amica…»

La sera trascorse tranquilla e dopo cena Elie andò in camera sua, mise su il nuovo cd di Eminem e si distese sul letto. «Axel… non mi sembra ancora vero. Non gli ho detto il mio nome! Che scema che sono!!! Chissà quando lo rivedrò, gli potevo chiedere almeno il numero di cellulare, in pratica ora siamo come legati e dovrei sapere dove si trova la mia metà. La mia metà… Ma mica siamo fidanzati!» Un leggero rossore le si dipinse sul volto, col cuscino premuto sulla faccia aspettò che svanisse. Quando iniziò la sua canzone preferita si alzò ed iniziò a spogliarsi, prima le scarpe, la camicetta bianca e fece in tempo a slacciarsi il reggiseno che una risata soffocata in malo modo arrivò dal suo letto. «AHAHAHAH!!!!!!» un urlo risuonò per tutto l’isolato. Mentre con un mano si teneva addosso il reggiseno slacciato, l’altra lanciava ogni cosa che aveva a disposizione contro l’ospite indesiderato.

«Ma che fai? Fermati, se mi becchi mi fai male!!! Non è colpa mia se non ti sei accorta prima di me!!!»

«Esci subito da qui Axel!» lui era seduto sul letto e parava i pupazzetti che gli erano lanciati contro, continuando a ridere.

«Se la smetti mi giro così puoi finire di spogliarti» disse con ironia fingendo di tapparsi gli occhi.

«Non se ne parla nemmeno, ora scompari come hai fatto oggi se no ti uccido!»

«Potrei farlo, ma visto che posso diventare invisibile ai tuoi occhi come puoi sapere se sono ancora qui a guardarti?» Si accorse che i pupazzi erano finiti e si calmò.

«Allora girati. Se ti vedo davanti a me posso sapere che non mi stai guardando» Lui si girò e in fretta lei si mise una maglietta bianca. «Allora, perché sei qui, di nuovo?»

«Perché mi piace stare seduto sul tuo letto» la faccia contrariata di lei gli fece smettere di tastare il materasso «Ok, volevo solo sapere una cosa…»

«Non potevi aspettare domani? O comunque un momento dove non fossi nuda?! L’hai fatto apposta, dì la verità!»

Si sedette sul letto accanto a lui «Sì. Ho aspettato tutta la sera che ti spogliassi. Sinceramente mi aspettavo qualcosa di più, ma in fin dei conti non sei tanto male…» Allungò la mano verso il seno di lei.

«Hei non ci provare!» disse spingendolo verso il bordo.

«Uffa, volevo solo tastare con mano!»

«Sei un maniaco…» l’apostrofò.

«Può darsi. Bè non perdiamo tempo, volevo… Ecco mi serve sapere il tuo nome. Non me l’hai detto scema!»

Lei lo guardò con un sorrisetto malizioso e si lanciò con le braccia al collo urlando «Come sei carinooo! Volevi sapere il mio nome! AHAHAHAH! Sei dolcissimo!!!» La reazione inaspettata di lei li fece cadere per terra e lo lasciò completamente senza parole. Di nuovo.

«Come è strana questa ragazza, nessuno ha mai osato fare così con me…» pensò. Elie lo stringeva forte e non smetteva di ridere, la cosa non gli dispiaceva, ma non lo sapeva bene nemmeno lui. «Cazzo, togliti da sopra di me!!! SONO IL DIAVOLO, IL DIAVOLOOO!» appena Axel sentì le guance infiammarsi si dileguò nel niente per poi riapparire sul davanzale della finestra, facendole sbattere la faccia per terra.

«Hei! Mi sono fatta male al nas- AH! Ma sei tutto rosso in faccia! Ti sei imbarazzato!!! AHAHAHAHAHA!ALTRO CHE DIAVOLO!» «Non mi fare incazzare e poi non sono rosso! Sono solo accaldato!» si passò la mano sul viso e il rossore sparì immediatamente. Aspettò pazientemente che lei smettesse di ridere sguagliatamente rotolando per terra.

Dopo poco si accorse che la stava fissando con occhi severi e si mise a sedere in silenzio, ricomponendosi «Scusa. È vero, tu devi mantenere la tua reputazione…» L’ironia con cui vennero pronunciate queste parole non gli fecero piacere, era vero, lui non era come gli altri, doveva incutere timore, non “carineria” come aveva detto lei.

«Se me lo vuoi dire bene, mi serve saperlo non per me stesso, ma perché devo saperlo, ti devo ricordare che abbiamo fatto un patto?» Al che il taglio sul polso di lei iniziò a bruciare.

«No, no, fermo! Mi fai male!» Si tolse la benda e il sangue iniziò di nuovo ad uscire «Perché l’hai fatto!» aggiunse correndo in bagno a sciacquarsi la mano «Così ti sei calmata» ribatté lui. «Stronzo… Comunque è Elie il mio nome!» gli urlò dal bagno e lui, senza essere visto, sorrise e scomparve.

 

6

 

 

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Capitolo 6
*** Capitolo sei ***


Passarono alcuni giorni di calma assoluta, in una settimana intera Axel non si era più fatto vedere e Sumire era partita per M

 

 

Passarono alcuni giorni di calma assoluta, in una settimana intera Axel non si era più fatto vedere e Sumire era partita per Milano come aveva anticipato ai figli.

In fondo, non era tanto diverso da quando c’era, visto che di solito la vedevano solo per poche ore al giorno per colpa del lavoro. La mattina aveva raccomandato ai figli di stare attenti, di chiudere il gas, serrare le finestre, non aprire agli sconosciuti e tutti gli avvertimenti del caso. Soprattutto, Lucas avrebbe dovuto rientrare presto, visto che Elie era a casa da sola, ma il ragazzo, sicuro di essere visto solo dalla sorella, aveva alzato il dito medio in segno di dissenso. Alle nove del mattino la donna era già in autostrada.

«Vai a scuola?» disse il ragazzo guardando i cartoni del mattino

«No. Non mi va»

 «Fa quel cazzo che vuoi, ma ti avviso che questa settimana starai da sola, vado con degli amici in montagna»

Lo guardò preoccupata «Eh? E io? Mi lasci da sola? E se muoio? Mi rapiscono o mi sento male?! La mamma ha detto-»

«In culo quello che ha detto. Non sono il tuo babysitter. Non ti dico di stare in casa, di andare a scuola o altro. Che vuoi di più?» Ogni volta le ripeteva la stessa cosa: per lui la libertà che le concedeva era la cosa più bella che poteva darle.

«Ok, e quando vai

Ci pensò un attimo e disse «Oggi, torno domenica, prima della mamma. Naturalmente sai che per lei io sono qui»

Non gli rispose, non avrebbe detto niente. Chi se ne fregava se stava da sola, i soldi li aveva e non aveva bisogno di suo fratello. Poi se lui si divertiva era meglio. Lucas si alzò, andò a preparare la valigia e dopo mangiato se ne andò. Ora era sola, per una settimana intera.

 

Lunedì pomeriggio, il tempo era sereno e alla tv non davano nulla d’interessante, era la giornata perfetta per andare a fare una passeggiata. Ma Elie non sapeva chi chiamare. La sua migliore amica, Akemi, aveva il ragazzo e da un po' di giorni non si vedevano neanche, perciò non era riuscita neppure a raccontarle di Axel. Il pensiero del ragazzo le fece venire in mente che era passata una settimana dal loro primo incontro. Lo sconforto che provò fu interrotto del suono del campanello.

«Chi è?» chiese guardando dallo spioncino, ma non riuscì a vedere chi era perché una rosa rossa tappava la visuale. Aprì e il ragazzo che le sorrise la fece infuriare. «Che cazzo vuoi? È da una settimana che non ti fai sentire e sinceramente speravo di non dover più vedere la tua brutta faccia…»

Prima che potesse richiudere la porta, il ragazzo era già entrato in casa e dirigendosi verso la cucina, prendendo un vaso per il fiore disse «Non fare così, ho capito di aver sbagliato e voglio rimediare» si girò verso di lei e sfoderò il suo sorriso migliore.

 «Il solito cazzone…» pensò «Io faccio quello che mi pare e piace! Senti Rei, è inutile che fai il finto tonto, te l’ho già detto chiaro e tondo due sabati fa» l’immagine del ragazzo che la spingeva sul letto e iniziava a spogliarla contro il suo consenso le fece venire un senso di disgusto che le impedì di continuare a guardarlo «a me non importa di quello che hai fatto con le altre ragazze, io scopo quando e con chi mi pare. Se non ti sta bene non me ne frega un cazzo. Tu hai cercato di fottermi e quando ti ho respinto mi hai dato della stronza

L’ultima parola era sta pronunciata con tutta la rabbia che aveva in corpo, tuttavia Rei non si scompose, anzi si avvicinò e fece per prenderle la mano, ma Elie si tirò indietro. «Capisco come ti senti, ma ho capito che ho sbagliato, avevo bevuto troppo quella sera, lo sai, non pensavo quello che dicevo… Certo, avevo voglia di farlo con te, ma non pensavo che te la saresti presa così tanto se avessi provato a…» L’indecisione del ragazzo le fece venire sempre più voglia di buttarlo, fuori di casa «…a convincerti»

Lei esplose «Convincermi?! Ma sei scemo? Tu mi volevi scopare e basta! E' inutile che cerchi delle scuse, non voglio più stare con te e non voglio più vederti! Cosa credi, che non sappia che in questa settimana ti sei visto con Sae? Cos’è, te l’ha data troppo presto e ora ti sei già stufato? Esci subito di qui!» Lo spinse verso la porta, ma contano che lui era un metro e ottantacinque per settanta chili di muscoli, non ebbe il risultato sperato. Non si era mosso di un millimetro.

«Sei così impulsiva… Con Sae era un gioco, invece tu sei diversa»

«Certo che sono diversa, io non la do al primo che viene!»

Il ragazzo sbuffò e si diresse verso la porta «Non sai quello che ti perdi…»

«E' proprio perché lo so che non voglio stare con te!» Sbatté la porta con tutta la forza che aveva e andò a sedersi sul divano con un senso di vuoto nel cuore. Era un bel ragazzo, palestrato e divertente, ma stronzo. Ecco la conclusione che tirò fuori.

 

«Che faccia… Sembri in procinto di piangere da un momento all’altro»

Quella voce poco familiare, ma profonda, che veniva dalle sue spalle, la vece girare di colpo e gli occhi le si riempirono di lacrime, quasi senza ragione. Lui era lì, appoggiato allo stipite della porta con le mani in tasca. Una maglia nera a collo alto faceva risaltare i pettorali e gli addominali, un paio di jeans grigi coprivano quasi completamente il collo dei stivali neri. I capelli mossi erano scompigliati come sempre e il sorriso appena accennato scomparve appena le vide le guance solcate dalle lacrime

«Hei! Che ho fatto? Perché ora piangi?!» fece un passo in avanti ed Elie si rimise a sedere normalmente, dandogli le spalle e mettendosi a piangere sommessamente con la mani davanti al viso. «Dai… So benissimo perché piangi, certo che quel Rei era proprio strano… Io non mi sarei mai arreso al suo posto!» i singhiozzi si fecero più intensi, al che Axel si avviò verso la cucina continuando a parlare «, sai che ti dico? Mi pare strano anche il fatto che io sono arrivato qui proprio in questo momento e tu non mi chiedi niente…» arrivato al tavolo estrasse la mano destra dalla tasca e sollevò dolcemente di qualche millimetro la rosa dentro al vaso, come si tiene un bicchiere per il vino, e, continuando a conversare, la guardò e la rosa appassì in un attimo, diventando da rossa a nera, per poi trasformarsi in cenere e cadere dalle dita del diavolo dentro al vaso e sul tavolo.

Tornò in soggiorno e si sedette vicino alla ragazza che aveva quasi smesso di piangere. «Perché… Non sei venuto prima?» gli chiese senza alzare lo sguardo da terra

«Perché avevo da fare e poi preferivo lasciarti da sola. Tanto non è successo niente in questa settimana»

Lei non rispose e per un po' rimasero in silenzio, seduti uno accanto all’altro.

«Posso… Posso sapere cosa hai fatto?» gli chiese.

«Mm… diciamo che ho avuto del lavoro da fare» rispose alzandosi e avvicinandosi alla finestra.

«Ah giusto, rubare, uccidere e poi cosa fai nel tempo libero?» disse ironicamente.

«Scopo»

La risposta così immediata e seria la lasciò atterrita

«Allora, che si fa?» il ragazzo interruppe il silenzio «Esci stasera?»

«No»

«Mm»

Altri minuti di silenzio passarono.

«E tu che fai stasera?» gli chiese con indecisione, per paura che le rispondesse che doveva uscire con qualche ragazza.

«Pensavo di uscire con te, ma se tu non vuoi, fa lo stesso» si alzò e si diresse verso la camera della ragazza «vorrà dire che troverò qualcosa di divertente da fare» continuò guardando con la coda dell’occhio se Elie lo seguisse, cosa che lei fece subito.

« se sei venuto apposta per uscire non posso rifiutarmi, chissà quanta strada hai fatto!» disse ironicamente «ma dove vai?»

«A vedere se nell’armadio hai qualcosa di decente da metterti»

«Eh? Ma sei fuori?! Guarda che nessuno mi batte in quanto a look! Dimmi dove andiamo e vedrai che mi vestirò come conviene» l’espressione orgogliosa di lei lo fece ridere.

«Il posto è un segreto. Torno verso le nove. Mi raccomando!» le strizzò l’occhio e sparì.

Il cuore di Elie prima vuoto, adesso era colmo di gioia. Le era bastato vederlo per pochi minuti per sentirsi meglio, si era anche già dimenticata di Rei. Adesso doveva pensare a cosa avrebbe fatto con Axel.

 

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Capitolo 7
*** Capitolo sette ***


Alle nove in punto il demone si presentò davanti alla porta d’ingresso della ragazza, ma la paura di trovarla mezza nuda gli f

Alle nove in punto il demone si presentò davanti alla porta d’ingresso della ragazza, ma la paura di trovarla mezza nuda gli fece decidere di suonare il campanello e non apparire in casa com’era solito fare.

«Axel? Ma che ci fai dalla porta?» quando Elie aprì e lo vide rimase così sorpresa che non le riuscì di dire altro.

«Mi fai entrare o no?» rispose scocciato lui.

Quando la oltrepassò, Elie si rese conto di com’era carino Axel. Si era messo una camicia nera di seta, un paio di pantaloni dello stesso colore eleganti e delle scarpe di pelle lucida in tinta. I capelli erano stati tirati all’indietro con il gel ad eccezione di un ciuffo ribelle che era rimasto alzato.

«Com’è elegante» pensò la ragazza chiudendo la porta.

«Allora, vediamo un po' come ti sei conciata» Axel le girò intorno come un avvoltoio che aspetta di poter azzannare la sua preda.

Elie indossava una maglietta bianca dalla generosa scollatura, dei pantaloni lunghi neri, delle scarpe col tacco alto.

«Guarda che io mi vesto sempre bene, per cui non troverai niente che non vada nel mio abbigliamento!» gli disse scacciandolo lontano «Semmai controlla i tuoi capelli!» aggiunse ridendo sotto i baffi.

Lui la guardò male e si diresse in bagno. Tirò una bestemmia e dopo pochi secondi uscì con il ciuffo domato. «Non dire niente!» la interruppe appena vide che stava per prenderlo per il culo.

«Ma… Uffa!» rise Elie al pensiero di come anche un demone potesse avere problemi di capelli.

Il ragazzo controllò l’orologio e disse «Abbiamo ancora un po' di tempo» le si avvicinò ed esclamò «non mi piace la tua collana»

Il pendente era fatto a cuore e racchiudeva un altro ciondolino con una pietra blu.

«Cos’ha che non va? È bellissimo!»

«Sarà…» Fece comparire sulla mano una scatolina blu e porgendogliela disse «… comunque preferisco questo»

Lei prese la scatola e l’aprì: all’interno si trovava una nastro nero e con un ciondolo a forma di cuore con due ali bianche, trafitto da un pugnale.

«Ma è per me?» gli chiese guardandolo negli occhi per la prima volta da quando era entrato.

«No, è per il gatto! Scema. Mettilo e andiamo» le rispose ironicamente avviandosi verso la porta.

«Spiritoso! Comunque sei tu che me lo devi mettere!»

Al suono di quelle parole lui si girò di scatto e con aria maliziosa esclamò «Mettertelo? Di già? È solo una settimana che ci conosciamo, ma se lo vuoi…» Le si avvicinò mettendole le mani sui fianchi e facendola avvampare.

«SEI UN MANIACO AXEL! NON INTENDEVO QUELLO BRUTTO STUPIDO!!!» sbraitò allontanandosi di scatto.

«Come sei permalosa. Dai vieni qua e facciamola finita!» serio l’afferrò con forza per il braccio e la tirò a sé. Prese la collana, le scostò i capelli e piano gliela mise.

Elie sentiva che le guance s’infiammavano, perchè lui era vicinissimo al suo viso, le guardava il collo per poterle allacciare il nastro e lei poteva fissarlo negli occhi senza che lui se n’accorgesse. Sentiva il suo respiro caldo contro la faccia e quasi percepiva il battito del suo cuore. Si accorse che il petto di lui premeva leggermente contro il suo seno e strani pensieri iniziarono a girarle per la testa.

Dopo qualche minuto finalmente il demone riuscì a chiuderle il nastro che rimaneva stretto intorno al collo. Si distaccò un poco per controllare che il ciondolo fosse messo bene e poi la guardò negli occhi, notando l’imbarazzo che s’impossessava del viso della ragazza.

«Che c’è?» le chiese senza far trasparire emozioni né dal viso né dalla voce.

Lei distolse lo sguardo e fuggendo da quello di lui si avviò in bagno urlandogli che non aveva niente e che sarebbe stata pronta fra pochi minuti.

Elie si bloccò davanti al lavandino e guardandosi nello specchio si chiese cosa le fosse successo, la sola vicinanza di quel ragazzo l’aveva lasciata stupefatta e l’aveva costretta a scappare per non cedere alla tentazione di baciarlo. Gli occhi le si riempirono di lacrime, costringendola a lottare per non farle scendere. Si stava forse innamorando? Certo, era carino e non sarebbe stata una brutta cosa, ma…

Axel si appoggiò al muro, si accese una sigaretta, mise le mani in tasca e accavallò le gambe. Guardò per terra e quando rialzò gli occhi per guardare verso il bagno un sorriso di compiacimento gli si dipinse sul viso.

Ci volle il tempo di una sigaretta prima che la ragazza uscisse dal bagno. Sfoderando il sorriso più smagliante che aveva, Elie prese la giacca e si avvicinò alla porta.

«Non credo che la giacca ti servirà, dove andiamo non fa freddo» disse Axel.

«Eh? Se ti decidessi a dirmi dove andiamo…»

«No. Fidati di me» e ironicamente, appoggiandole la mano sulla spalla aggiunse «per quanto ci si può fidare del diavolo…» Prima che la ragazza potesse rispondere a tono, i due sparirono dalla casa.

 

 

«PORCA EVA! Questa sì che è una villa!» esclamò Elie sbalordita davanti all’enorme cancello che lasciava intravedere in lontananza una casa a tre piani, con un giardino immenso e una piscina altrettanto grande.

Axel appoggiò la mano sull’inferriata che si aprì da sola cigolando. Fece cenno alla ragazza di entrare e insieme s’incamminarono verso la villa.Sentendo delle voci in lontananza, musica pop e schiamazzi vari, Elie rallentò il passo per cercare di vedere chi fossero le persone che popolavano il giardino.

«Voglio proprio vedere come sono i tuoi amici! Spero solo che non siamo degli imbucati. Certo che quel cancello sarebbe perfetto per un film di Dario Argento! Oh! Guarda laggiù, c’è un enorme-» Elie si bloccò di colpo. Quello che si stava avvicinando era un licantropo. Un essere mezzo lupo mezzo uomo «Axel… Ma dove siamo?» chiese impaurita vedendo che il demone avanzava senza paura sul vialetto lasciandola indietro.

«Siamo ad una festa di conoscenti!» le rispose voltandosi. «Non ti preoccupare, non ti faranno del male» E, riprendendo a camminare, aggiunse sottovoce «se starai vicino a me…»

«Certo, come potevo pensare che il diavolo avesse degli amici normali?» si chiese sarcasticamente la ragazza correndo al fianco del demone e aggrappandosi al suo braccio.

«Eh? Ma che fai? Mollami subito. Non avrai mica paura, vero?»

«Non ho paura? Ma scherzi, me la sto facendo addosso! Sembra di essere nel video Thriller di Michael Jackson

«Axel!» Una voce allegra richiamò l’attenzione dei due. Un ragazzo, sui venticinque anni, capelli biondi sparati col gel, occhi verdi, vestito di nero si avvicinò e abbracciò il giovane, che disgustato disse «Ma che fai, Andrew

«Da quant’è che non ci vediamo?! Meno male che sei venuto, c’è una vampira con due tette da sballo che ti devo far conoscere assolutamente!» Il ragazzo iniziò a trascinarlo verso la porta della casa, quando si accorse della presenza di Elie, che era rimasta stupefatta alla vista di un altro essere che a prima vista sembrava umano. Ed era anche molto carino, secondo lei.

«Hei! Aspetta, aspetta, chi è questa ragazza? Non dirmi che hai conosciuto una bellezza del genere e non volevi presentarmela!» Lo sguardo di Andrew si posò sulla collana della ragazza e, dopo essere rimasto sbalordito per un attimo, il viso riprese l’espressione allegra e spensierata che aveva avuto finora, «Ma tu sei per caso la nuova fidanzata di Axel?» le chiese abbracciandola come prima aveva fatto con l’amico.

«Ehm, a dire la verità…»

«Ma dimmi come ti chiami piuttosto! Io sono Andrew!» non le fece neanche finire la frase che mise il braccio sinistro sulle spalle di Elie, il braccio destro su quelle di Axel e li condusse a forza in casa, fra gli sguardi curiosi degli altri invitati.

«Elie, mi chiamo Elie!» dovette urlare la ragazza per sovrastare la musica alta e farsi sentire.

I tre si addentrarono nella villa, oltrepassando vampiri, elfi, scheletri e altri esseri bizzarri. Ben pochi aveva sembianze umane. Fra questi vi era un gruppo di giovani, dai quali si allontanò una ragazza, non appena vide Axel. Era alta, occhi neri, capelli rosso sangue lunghi fino al sedere; indossava un vestito grigio attillato che risaltava le forme. Sorridendo, con la mano che reggeva un bicchiere ripieno di una sostanza verde, si avvicinò al ragazzo, ma si bloccò vedendo Elie.

«Axel, alla fine sei venuto» iniziò a parlare guardandolo, poi spostò lo sguardo sulla ragazza, e aggiunse, squadrandola: «non pensavo però che portassi del cibo»

«Anthea! Non essere cortese con gli ospiti, lei è Elie ed è un’amica!» Andrew disse quest’ultima parola con particolare enfasi.

«Sono venuto a vedere un po' come andavano le cose, ma non so se ci fermiamo per molto» disse Axel mettendosi al fianco di Elie.

«Non mi presenti la tua amica?» gli chiese allora la ragazza avvicinandosi alla coppia.

«Come ha detto Andrew mi chiamo Elie. Piacere» Le porse la mano, ma Anthea le rise in faccia.

«Voi umani mi fate ridere! Perché sei umana, vero?»

«Perché ti facciamo ridere, scusa?» chiese offesa.

«Perché non capite quando dovete stare al vostro posto!» Il tono antipatico ma tranquillo della ragazza ora si era trasformato in acido e accusatorio.

«Basta così. Ora dobbiamo andare. Vieni Elie» Axel le prese la mano e si allontanò dagli altri, dirigendosi verso il rinfresco in giardino.

«Anthea, ma non hai visto il ciondolo?» le chiese Andrew guardando i due allontanarsi.

«Sì che l’ho visto, ma voglio proprio vedere per quanto riuscirà a tenerlo. Axel è mio, solo mio!» La ragazza frantumò il bicchiere di vetro far le mani, leccandosi poi il sangue che scorreva lungo il polso, oltrepassando lunghe cicatrici sopra le vene.

«Ma che voleva quella? Sembrava che ce l’aveva con me!» esclamò Elie cercando di fermare con la mano il demone, senza però riuscirci. Axel evitò accuratamente di guardarla.

«Stalle lontana, ha un carattere strano e a volte può risultare antipatica»

«Antipatica? Ma mi ha dato del cibo! Credeva che tu mi avessi portato qui per essere mangiata!» Per fermarlo gli si parò davanti e, costringendolo a guardarla negli occhi, gli chiese «c’è qualcosa che dovrei sapere Axel

Gli occhi decisi della ragazza lo lasciarono atterrito, ma il diavolo si riprese subito e socchiudendo gli occhi le rispose in tono secco e risoluto «No. Assolutamente niente» La sorpassò e si diresse verso il tavolo delle tartine posto in mezzo al giardino.

«Eh? Ma…» Elie non aveva parole, non riusciva a capire se poteva fidarsi o no. A volte le sembrava quasi normale, ma certe sue reazioni distaccate e risolute le facevano capire che in fondo lui non era umano e che magari non provava emozioni come lei. Avrebbe voluto tanto sapere cosa gli passava per la testa.

«Ciao carina, sei qui da sola?» Un uomo con due teste si era avvicinato alla ragazza appena era rimasta sola.

«AH! No non sono da sola!» rispose a fatica fissando le due teste.

«A no? Eppure a me sembra che con te non ci sia nessuno…» Una leggera bava iniziò a colare da una bocca dell’uomo.

«Ecco…» rispose esitando. «Il mio amico è andato un attimo… là, ma ora torna!» Indicò la direzione dove si trovava il demone, senza però vederlo a causa della poca luce.

L’uomo si avvicinò ancora di più alla ragazza, mettendole una mano sulla spalla.

Nel frattempo Axel si accorse dell’uomo che aveva avvicinato Elie, posò la tartina e sbuffando iniziò ad avvicinarsi ai due, ma fu fermato da quattro ragazzi.

«Axel vecchio mio, come va?» gli chiese uno trascinandolo dalla parte opposta a dove si trovava la ragazza.

«Bene, ma ora devo un attimo andare…»

«Non se ne parla neanche! Fra poco inizia la cerimonia e devi prepararti!» lo apostrofò un altro, chiudendo la visuale e impedendogli di vedere Elie.

«Vieni con noi Axel, presto! C’è una cosa che devi assolutamente vedere!»

«Ma…» Il demone non riuscì ad opporre resistenza e fu portato lontano dai quattro ragazzi, sotto gli occhi attenti di Anthea, che sorridendo disse «E bravi ragazzi, ora ci penso io all’umana»

L’uomo con due teste avvicinò il viso a quello di Elie, ma subito dopo si arrestò, le chiese scusa e scappò.

«Meno male che se n’è andato» pensò Elie tirando un sospiro di sollievo e riprendendosi a fatica dal brutto incontro. «Però strano, è come se si fosse spaventato… E' meglio se sto vicino ad Axel. Ma dov’è andato?! Era lì un attimo fa!» La ragazza corse al tavolo delle tartine, ma il demone non c’era più.

«Ciao, come mai sei sola?» La domanda fece girare di scatto la ragazza, che ebbe paura di trovarsi nuovamente di fronte un mostro, ma si sbagliava. Davanti a lei vide solo Anthea addentare una tartina e sorriderle.

 

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Capitolo 8
*** Capitolo otto ***


«Ah Anthea… Axel è andato un attimo via e lo stavo cercando» le rispose seria, cercando di non mostrare il timore che provava

«Ah AntheaAxel è andato un attimo via e lo stavo cercando» le rispose seria, cercando di non mostrare il timore che provava. Stare vicino a quella donna le dava fastidio, sentiva che era cattiva e viscida, ma voleva fare finta di niente e mostrarsi superiore.

«Andato via e dove? Mi sembra strano che abbia lasciato te qui da sola» si versò un bicchiere di una bibita rosa contenuta in una caraffa.

Elie poté notare che effettivamente Anthea era una bella ragazza, era perfetta in ogni punto, sedere e seno erano ben proporzionati e i capelli rossi erano lisci come seta. Se non avesse avuto gli occhi neri e poco appariscenti sarebbe stata una bellezza ineguagliabile. Provò una forte invidia.

«Ehm, ma lo conosci da tanto Axel?» le chiese osservando il suo modo di camminare sinuoso.

«Sì, diciamo che lo conosco fin troppo bene» si appoggiò al tavolo e inclinando la testa di lato proseguì «e per questo mi sono stupita che ti avesse portato qui. Di solito non si scopre così tanto»

«Che vuoi dire?»

«Che se ha deciso di mostrarti in giro c’è una ragione, molto probabilmente vuole far capire chi comanda a questa banda di stolti»

Elie non riusciva a capire cosa intendesse dire la ragazza, perciò le chiese spiegazioni.

«AHAHAH! Ma sei cieca? Basta che fai un giro per il giardino e vedrai come ti guarderanno! Provare per credere!» le rispose sfottendola. Poi si fece seria all’improvviso e prendendola per il braccio disse «Vieni con me, ti mostro la verità»

Le due ragazze iniziarono a camminare.

Anthea salutava con un sorriso mostri e gnomi, scheletri e vampiri, esseri quasi del tutto maschili, che sbavavano al suo passaggio.

Elie, invece, camminava a testa bassa, si sentiva tutti gli sguardi addosso, come se fosse lei quella strana, l’essere deforme.

Passarono accanto a creature che facevano sesso attaccate agli alberi come animali; ne videro altre che si nutrivano di carcasse, che a una occhiata più attenta si dimostrarono appartenenti ad umani; scorsero in lontananza un’orgia composta da esseri viventi misti, che andavano dai licantropi ai demoni di forma umana.

Un conato di vomito costrinse Elie a correre contro un albero, sotto gli occhi divertiti di Anthea.

«Stai male?» le chiese facendo la finta tonta «E pensa che non hai ancora visto niente!» si mise a ridere sguagliatamente, attirando l’attenzione degli ospiti della villa.

«Certo che sto male, cazzo! Forse per te è normale vedere certe cose, ma per me no!» asciugatasi la bocca si girò rabbiosa verso la ragazza, notando che tutti la guardavano divertiti «Se avessi saputo che ci sarebbero state certe cose non sarei mai venuta! E ora che Axel è sparito non so come andarmene!»

«Senti carina, pensi che essere la metà di un diavolo sia facile?! Cosa credi, che lui ti possa portare ad un ballo di principi e principesse? Questo è il suo mondo e se non riesci ad accettare ciò come pensi di poter accettare Axel?!»

L’ultima frase lasciò Elie di stucco. Non aveva mai pensato a questo e ora che Anthea glielo aveva fatto notare si rese conto che aveva ragione. Quando stava con Axel si sentiva bene, ma pensandoci bene avrebbe potuto trovare anche lui in mezzo a quell’orgia, oppure a dilaniare cadaveri umani. Le vennero le lacrime agli occhi.

«Dov’è Axel? Devo vederlo!» le chiese trattenendo le lacrime.

«Non so dove si possa trovare. Ma considerando che fra poco inizierà la cerimonia sarà a prepararsi. Certo che sei solo una piagnucolosa palla al piede…» le rispose umiliandola.

«Palla al piede? Ma che ne sai tu?» le urlò avvicinandosi «Ci conosciamo da pochissimo e ti permetti già di giudicarmi! Non ho chiesto io di venire in mezzo a voi maledetti mostri!» si rese conto troppo tardi di quello che aveva detto.

«Avete sentito gente, ci ha chiamato mostri!» disse ad alta voce Anthea rivolgendosi alla folla, che si avvicinò minacciosa alla ragazza «Pensi che il tuo Axel sia diverso da noi? Perché non rimani a vedere la cerimonia, così potrai capire quanto ti sbagli…» aggiunse tornando a parlare con Elie. «Come pensi che reagirà Axel quando saprà che ci hai dato dei mostri. Hai offeso la sua famiglia e anche lui»

«Io…» le parole le morivano in bocca, arretrò di qualche passo «non volevo offendervi…» le facce ostili di tutti le fecero capire che se non se ne fosse andata presto avrebbe passato dei guai.

«Perché non le facciamo capire qui chi comanda?» disse un vampiro mostrando i canini acuminati.

«Non si può, è proprietà privata!» rispose un gremlins da sotto un cespuglio.

«Proprietà privata?» ripeté Elie cercando con lo sguardo gli occhi di Anthea per chiederle spiegazioni.

«Già, non dirmi che non lo sai» le rispose la ragazza «non hai visto come tutti ti guardavano quando passavi? È perché Axel ti ha messo il suo marchio»

«Ma che stai dicendo? Axel non mi ha messo nessun marchio!»

«Che stupida che sei, non avrai creduto che quel ciondolo fosse un regalo…» la sbeffeggiò la ragazza portando le mani sui fianchi e mettendosi a ridere.

«Il “Cuore dell’angelo trafitto” è il segno di riconoscimento del diavolo… Di Axel!» urlò l’uomo con due teste che aveva cercato di attaccare bottone con Elie.

«No, non è vero…» disse a bassa voce Elie, ripensando all’uomo che era scappato spaventato per qualcosa e ora aveva capito che quel qualcosa era il ciondolo.

«Lui ti ha portato qui per far vedere a tutti cosa ha catturato. Tu ora sei la sua preda » Anthea prese per il braccio Elie e cercando di strapparle la collana le mostrò l’ustione che le aveva provocato sulla mano quel gesto «e giocherà con te come il gatto col topo!» aggiunse rabbiosa.

Sconvolta da quell’azione Elie cercò di liberarsi dalla presa con uno strattone, senza però riuscirci «No, non è vero! Mi state mentendo tutti, Axel non l’avrebbe mai fatto, io gli ho salvato la vita!!! Non è vero che sono la sua preda, noi siamo amici!» tutti i presenti risero al suono di quell’affermazione, facendole affondare le unghie nel pugno chiuso per la rabbia crescente.

«Povera umana, non sai che un giorno Axel ti ucciderà per essere di nuovo libero!» Anthea la scaraventò sull’erba umida e schernendola si allontanò.

«Sono stata una stupida…» pensò Elie «Axel, dove sei?! Devo trovarlo» a fatica si rialzò e si diresse verso la casa, oltrepassando le creature che la circondavano e cercando di ignorare gli insulti e le risa dei mostri. «Solo Axel mi può dire se ciò che mi hanno detto è vero!»

A stento riuscì a ricordarsi la strada che aveva fatto e una volta giunta al tavolo delle tartine si diresse sicura verso la casa. Vi entrò e cercando di non dare nell’occhio perlustrò tutte le stanze alla ricerca di Axel. Un teschio le mise la mani sui fianchi, facendola girare su se stessa e lei con una spinta riuscì ad allontanarlo e a seminarlo fra la folla che occupava la stanza e ballava. Un uomo metà pinguino le mise in mano un bicchiere contenente un liquido rosso dicendole «Sangue di adolescente, il migliore!» e si allontanò per offrirlo anche agli altri. Al primo tavolino libero Elie si liberò del bicchiere e vide in fondo alla stanza Anthea, che stava parlando con dei ragazzi. Uscì dalla stanza per non incontrarla e sentì due donne parlare di Axel.

«Hai visto, fra poco c’è la cerimonia! Spero di poter vedere Axel, dobbiamo stare attente ad Anthea, se ci becca ci uccide!» disse una.

«Già, quella crede d’essere la sua fidanzata. Che stronza!» le rispose l’altra.

«Ehm… Scusate» le interruppe Elie coprendosi il ciondolo con la mano, visto che aveva provato a toglierlo ma non c’era riuscita «Sapete mica dove posso trovare Axel

«Che cosa vuoi da lui? Non ha tempo da perdere con le mocciose!» le disse una.

«Ma io ho bisogno di parlare con lui…»

«Stai scherzando? Chi sei tu per poter parlare con lui?! Vattene!» rispose l’altra mostrando le unghie affilate.

Un braccio la prese per la vita e la trascinò via dalle due, che si stavano evidentemente innervosendo.

«Axel?!»

 

 

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Capitolo 9
*** Capitolo nove ***


«Temo di no» rispose, leggermente sorridente, Andrew

«Temo di no» rispose, leggermente sorridente, Andrew. «Vieni, sediamoci un attimo…»

Elie si sedette sulla panchina che le era stata indicata dal ragazzo.

«Ho saputo cosa ti è successo. Mi dispiace, ma Anthea…» iniziò lui.

Lei lo interruppe. «Scusa se ti ho scambiato per Axel, ma devo parlargli. Sai dov’è?»

«No, lo stavo cercando anche io» le rispose Andrew porgendole un bicchiere «Tranquilla. È acqua.»

«Grazie. Ma dimmi, quello che mi ha detto Anthea»

«Non pensarci ora. Sei scossa e ti capisco» il ragazzo glissò sull’argomento «se vuoi posso andare a cercare io Axel. Tu puoi aspettare qui»

«No. Voglio sapere. Tu cosa sei Andrew?» gli chiese facendo oscillare l’acqua nel bicchiere ed evitando di guardarlo.

«Sono come Axel: il diavolo. Solo che lui è più famoso di me. È come se ci fosse una scala gerarchica fra di noi» rispose sedendosi vicino a lei e iniziando a giocherellare col piede sull’erba.

«Spiegami. Preferisco saperlo da te che da qualcuno come Anthea» non alzò lo sguardo, ma senti che ora il demone la stava guardando. «Non so perché, ma di te mi fido»

Il ragazzo sorrise leggermente «Se vuoi farti rispettare nel nostro mondo devi dimostrare che sei forte. Axel è conosciuto come l’essere senza pietà. E' uno dei maggiori diavoli che esistono. Io sono troppo buono per essere qualcuno» disse ridendo amaramente, appoggiandosi allo schienale della panchina e guardando il cielo completamente nero.

«Siete l’uno l’opposto dell’altro, allora»

«Già. Forse sono nato male io. Oppure è Axel che per la sua voglia di emergere dalla massa è diventato quello che è. Però posso dirti che in fondo non è un ragazzo temibile per te. L’ho capito appena ho visto il ciondolo» Al suono di quella parola Elie alzò lo sguardo per sentire meglio quello che aveva da dirle «Quello che ti ha detto Anthea è vero in parte. Ma secondo me te l’ha messo per difenderti. Forse ha pensato che se vi foste divisi tu saresti stata in pericolo, però se avessi avuto quella collana nessuno avrebbe osato torcerti un capello. Anthea è gelosa di te, è per questo che ti ha detto quelle cose» Questa volta fu lui che evitò di guardarla.

«Axel è famoso ed acclamato perché uccide ed è potente?»

«Sì. Tutte le donne, di qualsiasi razza, vorrebbero stare con lui. Essere la sua metà»

«La sua metà…» ripeté piano Elie guardando la cicatrice che aveva sul polso «Cos’è Anthea? Un diavolo?»

«Eh? No, per il sangue di Satana, no! È un’anima errante. La sua è una brutta storia. Era una ragazza di quindici anni, brutta e bassa, che, dopo essersi ad un ragazzo più grande di lei ed essere rifiutata e umiliata, chiese con tutta l’anima di poter fare un patto col diavolo per essere una bella ragazza ed avere un fidanzato, ma non fu ascoltata. Allora decise di tagliarsi le vene per sacrificarsi al Diavolo. Arrivò all’inferno e lì fu accontentata. Diventò quel che è ora, ma non senza pagare un caro prezzo. Per vivere deve nutrirsi d’anime umane, d’uomini. Così non può avere un fidanzato, perché le basta un bacio per uccidere qualcuno»

«Perché le avete fatto questo?» gli chiese, pensando al fatto che anche se Anthea voleva Axel, non l’avrebbe mai potuto avere.

«Perché il Diavolo deve sempre essere la parte dominante nel patto. Se l’avessimo accontentata, lei sarebbe stata felice. Invece così lei si è sacrificata per qualcosa che comunque non può avere. È crudele, lo so, ma deve essere così» Guardandola, capì che lei stava iniziando a comprendere com’era il loro mondo.

«Allora se l’è presa con me perché non può avere Axel

«Già, ma soprattutto perché lui c’è andato a letto trattandola come una puttana» disse amaramente.

«Andrew, ma ti piace Anthea?» gli chiese mettendogli una mano sulla spalla.

«Eh? Ma no, che dici?!» sbalordito dalla domanda saltò in piedi e si mise a fare lo scemo, saltellando e agitando le mani.

«Mpf! Che stupido…»

«Hai sorriso! Ti ho visto!» i due ragazzi si mise a ridere.

«Sai, non sembri proprio un diavolo! Andrew, ti ringrazio, ma devo vedere Axel. Comunque non posso dimenticare quello che è accaduto prima» gli disse Elie ritornando seria.

«Ma fra poco c’è la cerimonia…» provò a dissuaderla, ma rinunciò appena vide gli occhi decisi della ragazza «Ok ok! Ma ti prego di stare calma, la cerimonia è…»

«Non mi interessa. Devo vedere Axel!» gli rispose risoluta.

Insieme si diressero al terzo piano della villa, dove una folla di persone bloccava la visuale.

«E' già iniziata la cerimonia, torniamo dopo, Elie» la supplicò prendendola per il gomito e cercando di portarla al piano inferiore.

«No, voglio vedere»

«No Elie, ferma!» Ma prima che potesse trattenerla, la ragazza s’intrufolò fra la gente, nel gran salone decorato con ceri rossi e teschi.

Sui muri c’erano strani disegni fatti col sangue sacrificale, mentre al centro della stanza si ergeva una gran fontana composta da tre bocche che sputavano sangue, facendolo ricadere in una grossa bacinella rotonda. Tutt’intorno mostri di ogni genere chiedevano sangue, sbavando e strisciando. Pochi eletti dalla forma umana stavano in cerchio davanti ad un altare di pietra che si ergeva di fronte alla fontana. I diavoli avevano posto sull’altare dei corpi umani spogliati e, a mani nude, ne strappavano le viscere e gli organi, spremendoli del loro sangue dentro la fontana. Poi ogni eletto distribuiva il nettare alle creature che lo richiedevano. Dal fondo della stanza un uomo incappucciato si avvicinò alla fontana e con un coltello, che sembrò familiare ad Elie, si lacerò la pelle in corrispondenza delle vene del polso e ne lasciò cadere sette gocce. Un boato d’acclamazione si alzò, spaventando la ragazza che vi si trovava nel mezzo, spinta e strattonata da coloro che volevano bere il sangue. Fra questi, in prima fila, vi era anche Anthea.

Andrew finalmente riuscì a scorgere la ragazza e la raggiunse afferrandola per il braccio.

«Andrei, cosa stanno facendo?» gli chiese inorridita «Sono esseri umani quelli sul tavolo…»

«Andiamo via! E’ per questo che non volevo portarti qui!» le gridò per sovrastare le urla disumane dei mostri e la trascinò verso la porta, ma la ragazza oppose resistenza.

«Siamo solo cibo per voi?! Anthea aveva ragione!» gli sbraitò contro con tutta la rabbia che aveva provando ad allontanarsi dal ragazzo che l’abbracciava stretta.

Un fragore ancora più rumoroso del primo si alzò, facendo voltare Elie, che appena vide il motivo di tanta euforia si sentì mancare, soltanto grazie alle forti braccia del demone riuscì a rimanere in piedi.

L’uomo incappucciato strappò il cuore di una delle vittime e lo divise in due col pugnale. Lo gettò dentro la fontana e si tolse il cappuccio, rivelando capelli mossi castani e occhi azzurri persi nel vuoto.

«Axel?! No…» la pupilla di Elie si assottigliò, come quella di un gatto colto nella notte da un faro di una macchina, lasciando il posto all’iride color ambra che subito si riempì di lacrime, annebbiando la vista della ragazza.

«No…» ripeté a bassa voce. Si liberò dalla presa del diavolo Andrew e scappò giù per le scale. Sbatté contro vari esseri e cadde più volte quando questi erano troppo grossi per essere spinti via. Riuscì ad uscire dalla villa e a perdifiato percorse il giardino fermandosi solo di frante all’enorme cancello. Cercò di aprirlo in tutti i modi, ma questo non si mosse di un millimetro.

«Fottuttissimo cancello di merda, apriti cazzo!» gli tirò diversi calci, che però non servirono a niente «CAZZO VOGLIO USCIRE!» urlò con tutta l’aria che aveva in corpo. Dopodiché si aggrappò alle sbarre e si lasciò scivolare per terra in ginocchio, senza lasciare la presa, come se avesse paura di non riuscire a rialzarsi se l’avesse fatto. Si mise a piangere con il viso chino all’altezza dei gomiti.

«ElieAndrew le apparse dietro «Mi dispiace… Ma non è come pensi, lui-»

«Non voglio sapere niente! Portami a casa» gli disse e poi alzò lo sguardo e aggiunse «ti prego…»

L’espressione dolce e rassegnata della ragazza lo lasciò stupito.

«Non vuoi parlare con Axel

«No. Non c’è niente che mi deve dire ora. Anthea aveva ragione!»

«No, non prenderla in questo modo, so cosa provi, ma non giudicare a priori. Axel ti avrebbe protetta se… Comunque tu sei importante per lui. Ricordatelo» le si avvicinò e si chinò per guardarla meglio negli occhi.

«Non sto giudicando a priori» bisbigliò «L’ho visto, cazzo!» si rimise a piangere piano «Non lo voglio più vedere!!! Non sono importante per nessuno io, men che meno per un essere del genere!» disse strappando la collana con tutta la rabbia che aveva dentro e alzandosi in piedi «Portami a casa Andrew

Il demone rimase spiazzato alla vista della collana che volava sull’erba. Era riuscita a toglierla grazie al rancore che provava.

L’abbracciò stretta senza un apparente motivo «Va bene» Dopo le appoggiò le mani sulle spalle e la teletrasportò a casa.

«ElieAxel raggiunse di corsa l’amico che si trovava ancora davanti al cancello.

Si scambiarono un’occhiata, Andrew scosse la testa e, passando accanto all’amico, gli mise una mano sulla spalla. Il diavolo vide la collana per terra, vi si avvicinò e abbassandosi la raccolse. Notò che il laccio era spezzato in due.

«Elie…» disse guardando il ciondolo.

 

 

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Capitolo 10
*** Capitolo dieci ***


Elie si ritrovò nella sua camera

 

Elie si ritrovò nella sua camera. Tirò un calcio alla sedia che aveva di fronte e si buttò sul letto. Pianse per una decina di minuti, poi tirò su col naso e si calmò, ma solo per pochi minuti.

«Fanculo! Vaffanculo a tutti!» si sedette sul letto e si sfilò la maglietta, buttandola per terra «Non me ne frega un cazzo di tutti quegli esseri schifosi e assurdi. Anche Axel mi fa schifo! Proprio schifo!» si tolse le scarpe e andò verso la scrivania, prese l’elastico per legarsi i capelli e lo fece talmente con forza che si strappò anche delle ciocche. I suoi gesti erano nervosi e convulsi, tanto che fece cadere il barattolo contenente le penne e le matite, che si sparsero sul pavimento.

«Cazzo! Andate a ‘fanculo anche voi!» gli urlò. Si tolse il reggiseno e gli fece fare la stessa fine della maglia, ma non prima di aver litigato con i lacci che lo chiudevano. Si accorse che le tremavano spaventosamente le mani per il nervoso. Sbuffò e si diresse verso il bagno per sciacquarsi la faccia e struccarsi.

Si fermò un attimo davanti allo specchio per guardarsi. Aveva gli occhi gonfi e il mascara le era tutto colato. Le tornò in mente che poche ore prima era stata proprio in quel luogo a chiedersi cosa provava per Axel.

«Se quel pezzo di merda pensa che starò di nuovo ai suoi scherzi si sbaglia di grosso, patto o non patto io non voglio avere più niente a che fare con lui! Anthea ha detto che mi ucciderà? Bene, che si accomodi pure!»

Si passò velocemente il tonico sul viso e si diresse verso la cucina. Sbatté contro la porta con il mignolo del piede e bestemmiò. Saltellando arrivò al frigorifero, estrasse una bottiglia d’aranciata e ne bevve un bicchiere tutto d’un fiato.

«Cosa crede, che io ci tenga così tanto a vivere?! Povero illuso!» ritornò in camera e finì di spogliarsi, rimanendo in mutande.

Davanti al letto non seppe che fare «Meno male che non c’è Lucas, non riuscirei a sopportarlo… E poi sto così bene nuda!» Vi si sedette sopra e stette in silenzio a guardare il pavimento.

«Qui finisce sta storia. Da domani tornerò quella di sempre» tirò via il lenzuolo «Buonanotte e vaffanculo a tutti!» si sdraiò a pancia in giù e si addormentò quasi subito.

 

Un’ombra scura apparve sulla finestra lasciata aperta. Le palpebre prima chiuse si aprirono, rivelando due occhi chiari che risplenderono nell’oscurità. Il diavolo Axel scese dalla postazione e con la scarpa scostò leggermente il reggiseno e le scarpe.

Si avvicinò al letto. Allungò la mano per toccare la ragazza, ma si arrestò subito e la ritrasse. Stette qualche minuto a guardarla dormire.

Guardava il collo che portava ancora il segno della collana che si era strappata a forza.

Il braccio destro stringeva il cuscino, lasciando intravedere il seno nudo.

La schiena era liscia e bianca sotto la luce fioca della luna.

Il sedere era poco coperto dalle mutandine, unico indumento che indossava la ragazza.

La gamba destra era leggermente piegata verso l’esterno.

«La mia metà…» sussurrò il ragazzo.

Prese l’angolo del lenzuolo e coprì Elie, stando attento a non svegliarla.

Le sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e le sfiorò delicatamente la guancia ancora umida di lacrime. Si allontanò e arrivato vicino alla finestra estrasse piano dalla tasca la collana nera col ciondolo simbolo del diavolo.

Girò e rigirò il pendaglio fra le dita affusolate, lanciando riflessi di luna per la stanza, ogni volta che questi si rispecchiavano nel ciondolo. Esitò un attimo ancora e lo posò sul davanzale.

Si girò un’ultima volta verso la ragazza ed accennò un sorriso triste, quindi sparì.

 

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Capitolo 11
*** Capitolo undici ***


La luce del mattino entrava fioca dalla finestra

La luce del mattino entrava fioca dalla finestra.

«Mm che ore sono?» Elie alzò leggermente la testa per guardare la sveglia sulla scrivania «Dodici e quaranta…» richiuse gli occhi e dopo pochi secondi si alzò di scatto «L’una meno venti?! Porca puttana! Chissà quante volte avrà già chiamato la mamma!» Si buttò giù dal letto e di corsa raggiunse il soggiorno. Accese il cellulare e vide che la madre l’aveva già chiamata una decina di volte.

Il cellulare suonò.

«Pronto?»

«Elie?! È da mezzora che provo a chiamare, in casa non risponde nessuno, si può sapere che combinate tu e Lucas?» La voce all’altro capo del telefono era più preoccupata che arrabbiata.

«Scusa mamma, sono uscita in ritardo da scuola e… Si vede che Lucas è uscito un attimo» le rispose cercando di trovare una buona scusa per non tradirsi.

«Allora state bene?»

«Ma certo! Non ti preoccupare, dirò a Lucas che hai chiamato» Non vedeva l’ora di interrompere la comunicazione.

«Ok. Chiamo domani, mi raccomando, niente casini e dai retta a tuo fratello. Un bacio. Ciao ciao

«Sì certo… Ciao mamma» Di certo non poteva dirle che suo fratello era partito e l’aveva lasciata da sola, perciò evitò di farla preoccupare.

Appena chiuse la telefonata, il campanello della porta suonò.

La ragazza corse a guardare chi fosse e vide la sua migliore amica, Akemi.

«Akechan?! Aspetta un attimo che apro!» Si accorse in tempo che era nuda e mettendosi una maglia lunga aprì la porta.

«Brutta scema, quand’è che ti decidi a venire a scuola?» Le due ragazze si conoscevano dal tempo dell’asilo.

«Non stavo bene…» Salirono in camera e la ragazza notò i vestiti e le penne sparse per terra.

«Ma che è successo qui? Non mi dire che hai avuto un incontro focoso con qualcuno!» La guardò maliziosamente, soffermandosi davanti al reggiseno.

Il pensiero della sera prima affiorò nella mente della ragazza, che sviò il discorso.

«Ma niente, è che siccome non c’è mio fratello me la prendo con calma. Allora, c’è qualche novità? Come va con il bellimbusto?» le chiese raccogliendo la roba da terra e sistemandola come meglio poteva. Non aveva voglia di raccontarle di Axel, non ne voleva parlare, neanche con lei.

«Perché lo chiami così? Guarda che ha un nome!» le rispose Akemi offesa sedendosi sulla sedia che di solito ospitava i manga che la sera leggeva Elie «Comunque nel sacchetto ti ho portato i manga che sono usciti. Poi c’è un floppy con le recensioni della tua storia. A quanto pare la Banda del Territorio [Storia che esiste veramente ed è scritta da Anshiko stessa] fa furore perché sono dei maniaci deficienti» Elie, nel tempo libero, si dilettava a scrivere storie che poi venivano pubblicate su internet.

«Perché ha un nome che fa cagare!» ribatté facendo finta di scherzare, anche se in fondo pensava veramente che il suo nome fosse brutto «Come può uno chiamarsi Atemu, ognuno ha le sue sfighe! Poi guarda che i ragazzi della Banda non sono maniaci, sono solo adolescenti che si divertono…»

«Sì certo come no… E tanto per la cronaca, Atemu è un nome bellissimo. Lui ha origini egiziane e per questo si chiama così!» Le fece la linguaccia e si misero a ridere.

Parlarono del più e del meno, poi Akemi se n’andò.

«Domani vieni a scuola?» le chiese prima di scendere le scale del portone.

«Non lo so. Dipende se ne ho voglia o no. Oggi dove vai?»

«Vado a vedere Ate che gioca contro uno di terza. Puoi venire se vuoi» le disse Akemi sperando che accettasse.

«Venire a vedere quelli giocare a soldi? No grazie. Ci vediamo un’altra volta»

«Ma non giocano a soldi! Maledetta…» scherzò tirandole un pugno.

Si salutarono ed Elie andò a farsi una doccia.

Quando ebbe finito si fece un panino col salame e andò a guardare la tv. Non voleva pensare a niente e cosa meglio dei cartoni animati poteva aiutarla?

Stette tutto il pomeriggio in panciolle e verso le quattro si decise a fare qualcosa.

«Allora, vediamo un po'… Ah ecco! Devo sistemare un po' la camera, se no va a finire che entro domenica tutta la casa sarà un porcile!»

Mise i vestiti della sera prima da lavare e sistemò la scrivania. Rifece il letto e quando prese il cuscino per sistemarlo qualcosa attirò la sua attenzione e le fece venire un colpo lasciando che il cuscino cadesse a terra.

Il cuore le iniziò a battere all’impazzata, tanto che si portò una mano sul petto per paura che le uscisse dal torace. Facendo piccoli passi si avvicinò cauta alla finestra. Non poteva crederci, aveva visto bene e man mano che si avvicinava quello che poteva sembrarle da lontano la collana del diavolo, si rivelò tale.

La prese fra le mani. Una strana sensazione di smarrimento le invase il cuore, tutta la rabbia che aveva provato la notte prima era scomparsa. Non provava niente. Iniziò a pensare che la reazione che aveva avuto fosse stata troppo impulsiva, ma in fondo quello che aveva scoperto era stato troppo pesante per lei.

Adesso si pentì di quello che aveva detto e fatto.

«Sono una scema… Lui è venuto qua stanotte… L’ha fatto per me?» strinse forte il ciondolo.

«Posso parlarti?» una voce la fece trasalire.

«Axel? Ma dove sei?» Elie si girò intorno, ma non riuscì a vedere nessuno «Sei invisibile?» gli chiese costernata.

«Diciamo che è una misura preventiva, in caso tu fossi così incazzata da non farmi neanche parlare. Se non mi vedi non mi puoi fermare!»rise in modo sadico.

Parlargli dopo quello che era successo le sembrò strano, ma le piacque.

«Puoi materializzarti. Non ti ucciderò, tranquillo»

«Ma non sono un fantasma che mi materializzo… , ok» Il ragazzo comparve davanti alla finestra, nello stesso punto in cui era apparso la prima volta che era entrato nella sua stanza. Aveva le mani in tasca e la sigaretta in bocca. Portava una camicia bianca con i primi tre bottoni aperti e dei jeans strappati. Ai piedi portava delle comuni scarpe a tennis bianche con la marca e il tacco rosso.

Prima che riuscisse a pronunciare di nuovo parola un oggetto, non meglio identificato dal demone, si sfracellò contro la sua faccia. Un urlo risuonò per la stanza. Elie era riuscita ed afferrare il barattolo di latta delle penne e, lanciandolo con tutta la forza che aveva, degna dei migliori lanciatori americani di baseball, a centrarlo in pieno, facendogli cadere la sigaretta e costringendolo e piegarsi in due tenendosi il viso dolorante.

«Sei troppo prevedibile, caro il mio diavolo! Avrei scommesso che saresti apparso lì: è il tuo posto preferito!» gli disse mettendosi le mani sui fianchi e gonfiando il petto piena d’orgoglio.

«Ma sei fuori? Avevi promesso!» le sbraitò contro girando per la stanza dolorante.

«Avevo promesso che non ti avrei ucciso e ho rispettato la parola, ma non avevi parlato di non farti male. Ti ho fregato! E tu saresti il diavolo che deve imbrogliare la gente e rubargli l’anima? AHAHAH! Come sto bene ora!!! Ho fregato il diavolo! Ho fregato il diavolo!!» si mise a saltellare per la stanza dietro al ragazzo, facendogli il verso e tirandogli delle pacche amichevoli sulla schiena.

«Allora, non ti saresti mai aspettato che un’umana potesse ingannarti? AHAHAH! Ti ho fregato!» continuò a sfotterlo.

Il demone si fermò e si girò all’improvviso, afferrò i polsi della ragazza e stette una frazione di secondo a guardarla negli occhi. Elie si perse come la prima volta nei suoi occhi chiari e profondi e lui sembrò guardarle dentro attraverso l’iride color ambra. Poi la baciò.

Dapprima la ragazza rimase sconcertata, poi accortasi di quel che stava succedendo oppose resistenza e cercò di liberare le mani dalla presa del ragazzo, ma lui strinse con più forza le dita, facendole male.

Spingendola contro l’armadio il demone fece entrare la lingua a forza nella bocca della ragazza, cercando quella di lei.

Elie provò e chiudere la bocca per farlo uscire, ma la sua forza era insufficiente per respingerlo. Provò a girare la testa e a fuggire dalla sua morsa, ma fu tutto inutile. Vide che lui aveva gli occhi chiusi e s’irrigidì ancora di più. Poteva sentire il cuore del ragazzo battere calmo contro il suo seno.

Axel spinse la ragazza contro l’anta dell’armadio con tutto il corpo, mettendo una gamba fra quelle di lei per impedirle di scappare. Premette maggiormente contro il seno morbido.

Finalmente lei decise di cedere.

Mantenne sempre i muscoli delle braccia contratti per far in modo che lui non smettesse di stringerla, ma iniziò a giocare anche lei con la lingua. Chiuse gli occhi.

Il diavolo intensificò il gioco erotico della lingua, aprì gli occhi e senza smettere di baciarla la spinse sul letto mettendosi sopra di lei.

Passarono diversi minuti.

Axel strinse con maggiore forza i polsi di Elie, si staccò da lei e sollevò la testa. La guardò di nuovo negli occhi e sorridendo disse «Sì, sono il diavolo che imbroglia la gente per rubarle l’anima» stette in silenzio per alcuni istanti e serio, ma col sorriso sul volto aggiunse «Ti ho fregato»

Elie aprì la bocca per rispondergli, ma non le uscì nessun suono. Doveva essere arrabbiata con lui, ma sentiva che quel che le aveva detto non dava ad intendere che il bacio che si erano dati non era importante per lui. Sentiva che l’aveva detto solo per dimostrarle che era forte.

Lui le schioccò un bacio casto sulle labbra e sparì, lasciandola ancora una volta esterrefatta.

Si rese conto in quel momento che Axel le piaceva tanto. Era il ragazzo dei suoi sogni, sia come carattere che come aspetto fisico.

«Mi sono innamorata del diavolo…» bisbigliò ancora sdraiata nel letto guardando i segni violacei che aveva sui polsi.

 

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Capitolo 12
*** Capitolo dodicesimo ***


«Axel dove sei stato

«Axel dove sei stato?» Una voce autorevole fermò il ragazzo mentre stava passando per una caverna illuminata da decine di fiaccole appese alle pareti.

«Cazzo…» bisbigliò. «Oh Sven, non ti avevo visto. Sono stato a fare un giro» gli rispose il ragazzo senza voltarsi e facendo finta di niente, anche se in realtà aveva visto bene l’uomo e aveva sperato di passare inosservato.

L’uomo che aveva parlato dimostrava all’incirca una cinquantina d’anni, aveva il viso scavato e gli occhi sottili, era vestito completamente di nero. Era in piedi davanti a un bivio della caverna, accanto a un tavolo.

«Ti stavo cercando. Sbaglio o il tuo rendimento è calato negli ultimi tempi?» L’uomo fece apparire fra le mani un registro e lo consultò.

«Ho avuto delle cose da fare…» ribatté girandosi e accendendosi una sigaretta.

«Delle cose da fare? Non hai scusanti numero 11686!» gli urlò chiudendo il registro.

Il ragazzo sputò la sigaretta per terra e disse arrogantemente «Ho un nome io! E poi non conta la quantità, ma la qualità! Se vuoi posso andare e in mezz’ora portarti cinquanta anime!»

«Non parlarmi con quel tono, numero 11686. Sai benissimo qual è il compito tuo e degli altri» Sven calmò la voce facendola tornare ad un tono piatto.

«Axel! Chiamami Axel, cazzo! Non mi sembra che voi aveste mai avuto prima dei motivi per lamentarvi di me, se ora ce ne sono non cambia niente. Come si suol dire non casca il mondo se mi concentro su altre cose!» Il ragazzo avanzò di qualche passo schiacciando la sigaretta che nel frattempo aveva continuato ad ardere sul suolo.

«Che cosa? Come osi? Guarda che io-» l’uomo aveva ripreso l’espressione severa che aveva avuto prima e la calma che si era imposto era svanita.

«Lascialo stare» un’altra voce, questa volta più grave e afona della prima, s’intromise fra i due. Un uomo con i capelli bianchi e vestito anch’esso di nero apparve al fianco di Sven. Al contrario di quest’ultimo aveva il viso rotondo e gli occhi grossi, come quelli di una persona gentile.

«Ma Pedos?! Io devo fare il mio lavoro e lui-» Sven si girò verso l’uomo, cercando di nascondere il timore che provava per esso.

«Lo so, lo so. Adesso vai Axel e impegnati. Se non vedrò miglioramenti ci penserò io a punirti a dovere»

Il ragazzo guardò Pedos e poi rivolgendosi a Sven disse «Va bene» poi con il dito medio alzato si allontanò percorrendo i corridoi della caverna, fino a scomparire dalla vista dei due.

«Ma perché mi hai umiliato davanti a lui?» chiese Sven «Dobbiamo mostrarci compatti e uniti!»

L’uomo anziché rispondere si sedette su una sedia che fece comparire dietro al tavolo e si accese la pipa che estrasse dalla tasca.

«Sei troppo indulgente con lui. Dopo quello che ha fatto con quell’umana. Si è insudiciato e tu lo difendi?!» continuò l’individuo.

«So benissimo del patto. Ma trattandolo come fai tu non lo cambierai di certo» inspirando profondamente Pedos si decise a rispondere.

«Hai visto che non ha rispetto per noi? Sembra che a lui sia dovuto tutto Pedos. Lo tratti differentemente anche tu. Vi dovete mettere in testa, tu e lui, che è uno come tanti. Fa parte della massa e con la massa morirà!» fece comparire una sedia anche lui e vi si accasciò sopra, perdendo quell’aspetto rigoroso che lo distingueva dall’amico.

«Non lo tratto diversamente. Mi limito ad osservarlo. Comunque devi ammettere che non è da tutti fare quel che ha fatto lui in così poco tempo»

«Lo ammetto, ma poi guarda dove l’ha portato quel suo desiderio d’essere qualcuno: ha rischiato di morire e si è dovuto unire ad un’umana. Ti rendi conto, ad un’umana!» gli rispose e scuotendo la testa aggiunse «E' come gli altri, se non peggio. Adesso la sua esistenza è legata a quella ragazza. Deve decidersi a rompere il patto. Sta diventando troppo pericoloso. Cosa potrebbe succedere se decidesse di seguire lei? Pedos, quello è troppo irrispettoso, sia di noi Superiori, che degli altri»

«Lo so. Ed è per questo che mi piace. Non credo che romperà così facilmente il patto. Gli piace, è una cosa nuova che lo incuriosisce e niente per ora gli farà cambiare idea» e a bassa voce aggiunse «Niente»

«La sua volontà è forte e potrebbe diventare un regnante, ma se continua così si trasformerà in un debole. Siamo diavoli. Sai anche tu cosa significa ciò» Sven si alzò e se n’andò.

«Andrew» chiamò ad alta voce Pedos appena l’uomo fu lontano.

Il ragazzo accorse alla chiamata del Superiore e appena lo vide si inginocchiò rispettoso.

«Signor Pedos, mi ha chiamato?»

«Alzati pure. Non c’è nessuno qui che ci vede» gli disse lanciando gli un po' di sabbia in testa col piede «Cosa ne pensi di quel che è successo alla festa?»

«Penso che… quella ragazza è carina, ma Axel ha avuto di meglio. Non può innamorarsene» gli rispose aggiustandosi i capelli biondi e sedendosi sulla sedia che aveva lasciato Sven. Puntò i gomiti sulle ginocchia e appoggiò il mento sulle mani.

«La bellezza è una cosa soggettiva Andrew. Magari per Axel quella ragazza vale più di quanto tu pensi»

«Eh? No, assolutamente no! Diciamo che lui si diverte. Poi se succederà qualcosa fra quei due allora…» il tono del ragazzo si fece cupo «forse, ne soffrirà un po', ma solo perché non ha mai provato una cosa del genere»

«Sei saggio, ma tu sai cosa comporterebbe una loro relazione» gli disse giocherellando con le dita sul tavolo «Anthea farà di tutto per fare del male a quella ragazza e allontanarla da lui, ma potrebbe ottenere l’effetto opposto. Controllala e fermala se necessario»

«Signore, perché non ne parla con Axel direttamente?» un ciuffo di capelli gli cadde sulla fronte, probabilmente a causa della sabbia e del poco gel.

«Non servirebbe. Axel sa tutto quello che c’è da sapere. E ciò mi basta»

«Ma… Lui è bravo, è forte e può aspirare ad essere ciò che io non posso neanche sognare di essere. È il mio migliore amico e io farei di tutto per lui. È sbagliato ciò, lo so, ma non posso farci niente» il ragazzo guardò per terra nascondendo gli occhi e il viso all’uomo.

«I diavoli non sono così Andrew, ma tu sei diverso. Sei il giullare di corte, questo tuo carattere allegro e solare capita una volta ogni mille anni nella nostra razza. Ma non te ne devi vergognare, ne devi essere orgoglioso» lo rassicurò.

«Magari la pensassero tutti come lei… Invece vengo anche preso per il culo!» sospirò alzando le mani in segno di rassegnazione e facendo la faccia buffa di chi si sottomette.

L’uomo rise «Grazie Andrew, ora puoi andare» e mentre il ragazzo si stava incamminando verso la stessa parte da cui era venuto Pedos gli chiese «Com’è questa ragazza?»

Il demone si fermò, abbassò lo sguardo e senza girarsi rispose «Non lo so. Strana direi, molto strana» riprese a camminare a quando alzò il viso un leggero rossore apparve sul suo volto.

Il vecchio si mise a ridere e sparì.

 

 

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Capitolo 13
*** Capitolo tredicesimo ***


Ancora grazie a tutti per le recensioni ^^ Mi fa piacere che i personaggi vi piacciano, e mi scuso per i capitoli troppo corti

Ancora grazie a tutti per le recensioni ^^ Mi fa piacere che i personaggi vi piacciano, e mi scuso per i capitoli troppo corti, ma il tempo e l’ispirazione sono quelle che sono. Perdonatemi ^^ Anshiko

 

Il telefono di casa continuava a suonare da un bel po'. Era mercoledì mattina ed Elie non era andata a scuola. Neanche quel giorno.

«Pronto» rispose assonnata.

«Sei Elie? La sorella di Lucas?» le chiese la voce all’altro capo del telefono. Una voce imbarazzata, forse un po' impaurita.

«Sì sono io… Chi è?» si mise a sedere sul letto.

«Sono Ryan, l’amico di tuo fratello, quello con cui è partito…»

Elie non sapeva minimamente con chi stesse parlando, perciò fece finta di niente e stette a sentire.

«Stanotte tuo fratello ha avuto una ricaduta…» la voce malferma cercò di far sembrare la cosa meno grave di quel che fosse «Ora siamo in ospedale, ma non ti preoccupare, gli hanno dato la solita cura e sta meglio»

«Cosa?!» si alzò di scatto e cercò i vestiti da mettersi «Era da tanto che stava bene, è impossibile!»

«Già, ma a quanto pare deve essere stato qualcosa che gli ha fatto allergia e ha spossato il suo corpo, così è stato male…»

Saltellando su un piede solo cercava di infilarsi i jeans che aveva preso dall’armadio «Dove siete ora? Devo venire da voi!»

La voce dall’altro capo del telefono stette in silenzio per un attimo a pensare «No, non serve anche perché tuo fratello non sa che ti ho chiamato e non voleva neanche che lo facessi…»

«Ma…» prima che riuscisse a ribattere il ragazzo dall’altra parte del telefono la salutò cortesemente e attaccò.

Passarono alcuni secondi prima che posasse il telefono sul letto, poi vi si sedette quasi sopra e si risdraiò, cercando di non pensare a niente.

«Axel…» sibilò «Axel dove sei?»

Sentì il rumore dalla pietra focaia dell’accendino che girando aveva provocato una scintilla e fatto accendere il fuoco, un odore acre di fumo le entrò nelle narici. Aprì gli occhi e decisa disse «Dobbiamo parlare»

Il ragazzo era in piedi nel mezzo della stanza, indossava una maglietta bianca e dei jeans chiari. I capelli erano spettinati come sempre e un ciuffo ribelle gli copriva leggermente il sopracciglio sinistro. Con la mano lo spostò piano.

Accennò un sorriso e socchiuse gli occhi in modo che il fumo della sigaretta, che saliva fino al soffitto, non glieli facesse lacrimare «Ok, se vuoi posso indossare una tonaca e fare la parte del prete confessore, ma non ti aspettare che prenda in mano un crocefisso…»

«Non fare il coglione! Sto parlando sul serio!» Elie si alzò in piedi per allacciarsi i jeans ancora calati all’altezza delle ginocchia «Abbandoniamo un attimo il discorso…» si fermò un attimo a pensare se quello della sera prima si potesse considerare un discorso «il fatto di ieri sera e della festa. Mio fratello…»

Axel si appoggiò al muro «Stop, fermati subito. So cosa mi vuoi chiedere e la risposta è no» il demone si sistemò la maglietta bianca a mezze maniche e facendo finta di niente continuò «Non posso e non voglio fare niente di quello che pensi tu»

La ragazza lo afferrò per il polso e con occhi severi aggiunse «Ma non sai neanche cosa ti stavo per dire, calmati e ascolta!»

«So cosa ha tuo fratello e non posso fare niente per lui. Neanche tu» la guardò in faccia e visibilmente scazzato da quel gesto si liberò con uno strattone dalla presa.

«Dì piuttosto che non vuoi aiutarmi, sei il diavolo e io non voglio che mio fratello muoia! Tu non sai come ci si sente a voler bene a qualcuno!» si maledì subito di aver pronunciato quelle parole non appena vide gli occhi del ragazzo infiammarsi «Scusa, io…»

«E allora cosa parli con me di queste cose se non posso capire?» le soffiò il fumo della sigaretta in faccia facendola spostare di lato e si sedette nel letto, con le gambe incrociate e il mento appoggiato sui dorsi delle mani.

Lei lo guardò e sospirò «Non volevo offenderti. Ci conosciamo così poco che non pensavo che una cosa del genere potesse ferirti, tu sei il diavolo…»

Axel spense la sigaretta con ira «Sì ho capito. Comunque dai, parla pure, tanto io non ho un cazzo da fare…» il tono poco amichevole del ragazzo le fece perdere la voglia di aprir bocca, ma non poteva perdere un’occasione del genere.

Passandogli il più lontano possibile si andò a sedere accanto al ragazzo, che faticò a non scoppiare a ridere per il suo atteggiamento pauroso.

Iniziò il racconto «Abbiamo scoperto la malattia di Lucas quando era in prima superiore e io in seconda media. Un giorno mentre giocava a calcio con i suoi amici, si sentì male e fu portato all’ospedale. Passò due giorni interi a letto con la flebo. Il medico disse che poteva sopravvivere grazie ai farmaci dai tre ai cinque anni, facendo una vita regolare e salutare. Naturalmente fu uno shock per tutti e mi ricordo come se fosse ieri il giorno in cui Lucas decise cosa fare della propria vita: “Lascio la scuola. Non voglio sprecare il poco tempo che ho a studiare. Voglio divertirmi come non ho mai fatto finora. Voglio cazzeggiare e fare tutto quello che mi pare quando mi pare. Non voglio passare questi anni come un normale ragazzo. Non m’interessa di uscire con cento dalle superiori per poi morire qualche mese dopo e farmi mettere quel fottuttissimo diploma sulla lapide come a dire che qui giace un bravo ragazzo. Il diploma serve per costruirsi un futuro, ma io non ho un futuro” io ascoltavo da dietro la porta della cucina, dove lui aveva convocato i nostri genitori e mi ricordo che per sdrammatizzare e non piangere pensai che quel discorso doveva averlo studiato tutta la notte per dirlo così bene…» Elie si fermò un attimo a riprendere fiato e Axel poté notare che si stava tormentando le dita. La guardò in volto e notò il leggero colore rossore che le aveva dipinto le guance. Si buttò all’indietro e si sdraiò con le mani dietro alla nuca, chiuse gli occhi aspettando che la ragazza continuasse a parlare.

Respirò profondamente «I miei non batterono ciglio, sentì che mia madre si era messa a piangere. Da quel giorno ho iniziato a vedere mio fratello come un eroe. Poteva ribellarsi al sistema, dire quello che voleva e poi nascondersi dietro al fatto che stava per morire, tanto mia madre e mio padre non l’avrebbero mai rimproverato, mai più… So che in realtà era solo un vigliacco che avendo paura di morire faceva il duro, ma io lo vedevo come il mio paladino personale, il mio batman, il mio superman imbattibile» per un secondo guardò il ragazzo e vide che l’unica cosa che si muoveva era l’addome, che si alzava e si abbassava a intervalli regolari. Uno strano senso di protezione e malinconia la pervase «Sai una cosa? Io lo ammiro ancora come allora. Lo vedo sempre come la libertà in persona, può uscire quando vuole e comprarsi quello che vuole. Sono una scema, lo so, ma forse sono ancora così immatura da pensare che nella vita conti solo questo. Credo che se mio fratello mi sentisse mi ucciderebbe, perché io posso vivere e lui no… Già, sono proprio ancora una bambina!» una risata amara le scaturì spontanea dalla bocca.

«Invidio anche te Axel. Tu sei chi vuoi essere» si girò piano a guardarlo, ma il diavolo non c’era più.

 

 

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Capitolo 14
*** Capitolo quattordicesimo ***


Nuova pagina 1

Note iniziali: Grazie a tutti per le recensioni ^^ Il vostro aiuto mi incoraggia sempre, anche se io sono una ritardataria cronica ù_ù Perdinatemi!

 

Passarono alcune ore ed Elie passeggiava nervosamente per la casa. Axel era sparito senza dirle niente e anche se lo chiamava non gli rispondeva. Ormai era mezzogiorno ed aveva provato a chiamare il cellulare di suo fratello un centinaio di volte, trovandolo sempre spento.

«Appena torni di spacco la faccia Axel! Così impari!!!» si era ritrovata a parlare da sola come spesso faceva per sopprimere il silenzio che odiava «Non so manco cosa mangiare e se continuo così la mamma mi ritroverà pelle e ossa. Ma mi sentirà anche Lucas appena torna. Come si può lasciare una sorella di sedici anni a casa da sola? Che sconsiderato…»

Per passare il tempo fece la lavatrice e sistemò la biancheria pulita. Pulì il bagno e cambiò le lenzuola del letto. Dopo aver riassettato la casa e costatato che in televisione davano sempre le solite repliche di Beautiful e Forum, si sdraiò sul pavimento davanti alla portafinestra spalancata che dava sulla città.

L’aria fresca e le note di un cd con le sue canzoni preferite si espansero per tutta la casa. La ragazza cantava e agitava le mani a ritmo della musica, improvvisando assoli di batteria e ritmi rap degni del migliore dj. Qualunque cosa le andava bene, basta che la aiutasse a non pensare a suo fratello e ad Axel.

Il demone verso le sette del pomeriggio si materializzò nella casa di Elie, trovandola sempre nella stessa posizione a canticchiare.

«Estendi la voce e sei pronta per Sanremo!» la sfottò portando le mani sui fianchi e inclinando la testa di lato.

Con uno scatto la ragazza si mise a sedere, rischiando di sbattere la testa nel tavolino per le riviste «Dove cazzo sei stato?!»

Ridendo il diavolo cambiò la canzone dell’hi-fi e si gettò sul divano con i piedi su un bracciolo e la testa sui cuscini. Estrasse dalle tasche un pacchetto di sigarette e prima che se ne potesse accendere una Elie gli si scaraventò contro strappandogliela dalle labbra.

«Mi prendi per il culo Axel? Sei sparito mentre ti stavo raccontando una cosa seria e ti ripresenti qui come se non fosse successo niente?» con un balzo gli si sedette a cavalcioni sullo stomaco, facendogli sputare fuori l’aria «Rispondi o ti picchio»

Axel la guardò stupefatto«Me ne sono andato perché mi stavi rompendo i coglioni con quella storia, ancora poco e mi sarei addormentato» vide l’ira nei suoi occhi e scoppiò a ridere «Se vuoi trombare me lo puoi dire chiaramente senza fare tutte queste scene!»

«Cosa?!»

Con un sorrisetto malizioso le mise le mani sui fianchi e continuò «Scommetto che non vedevi l’ora di stare sopra di me... Mi dispiace, ma io non sto mai sotto. Nessuna mi può comandare»

Elie non poteva credere alle sue orecchie «Ma sei scemo?» invece di scendere prese a tirargli dei pugni nel petto e alzandolo per il colletto della maglia all’altezza dei seni gli urlò «Sarai anche il diavolo, ma ti posso assicurare che adesso come adesso non mi fai di certo paura!»

Il ragazzo che era diventato serio all’improvviso, chiuse gli occhi e cercò di baciarla, ritrovandosi però con le cinque dita della ragazza stampate sulla guancia.

«Ti odio, lo sai?» gli sputò contro tutta la rabbia che provava «Sei solamente un maniaco pedofilo!» si tolse di scatto di dosso al ragazzo cercando di non urlare troppo per non spaventare i vicini «Ho fatto male a pensare che mi avresti aiutato, sai pensare solo a te stesso! Sei peggio di Rei, almeno lui me l’ha detto in faccia che voleva scopare con me! Torna da Anthea, sono sicura che lei ci starebbe volentieri di nuovo sotto di te!»

Axel si massaggiò il viso e senza guardarla disse «Già può darsi, ma non è detto che io sia disposto a stare sopra di lei» alzò lo sguardo, facendo perdere nei suoi occhi azzurri la ragazza, che aprì la bocca per ribattere però senza riuscirci.

«Sono andato a controllare una cosa. Tuo fratello morirà, come tutti i mortali del resto, e sono sicuro che non avrà rimpianti nel farlo»

In quell’istante capì che Axel era andato da suo fratello per controllare la sua salute «Come… Come sta ora?»

«Bene. Io non posso impedire che la signora con la falce lo porti via quando è la sua ora, sarebbe ingiusto»

«E da quando ti preoccupi di cosa è giusto e cosa no?»

Lui esitò un attimo a rispondere, d'altronde l’osservazione di Elie era più che legittima.

«Da quando cambiare il corso delle cose vorrebbe dire cambiare la vita di troppe persone. La tua per esempio» appoggiò le braccia sulla spalliera del divano e voltò il viso dalla parte opposta a dove si trovava la ragazza.

«Non mi dire che si è imbarazzato a dire una cosa del genere… Forse allora tutto quello che ha fatto prima è servito a farmi sfogare…» disse piano stando attenta a non farsi sentire, poi rivolta a lui con calma disse «Fra quanto morirà?»

«Non mi è consentito dirtelo. Sarebbe peggio se lo sapessi e non insistere perché di certo non sono un tipo che cede facilmente» si girò verso di lei non appena sentì dei singhiozzi mal soffocati «Ma… Che fai?» vederla lì, in piedi e tremante gli fece sgranare gli occhi, gli sembrava così indifesa e fragile, come una bambina.

Si alzò in piedi e si avvicinò, lei teneva le mani strette al petto, come se vi tenesse nascosto dentro un qualche segreto e i capelli già bagni di lacrime le coprivano il viso rivolto verso terra.

Sollevò la mano destra all’altezza della testa di Elie e si accorse per la prima volta quanto lei fosse più bassa e minuta di lui. Esitò a toccarla e il pensiero di accarezzarla sulla testa gli fece venire in mente che sarebbe stato un po' come accarezzare un cane. Evitò di farlo e ritrasse la mano, facendo mezzo passo indietro e guardando altrove. Per la prima volta non sapeva bene cosa fare. Poi la guardò di nuovo e l’abbracciò. Una stretta calda e protettiva, che fece irrigidire la ragazza per la sorpresa, per poi farla lasciare completamente andare.

Anche lei lo abbracciò stretto, affondando il viso nel suo petto e piangendo.

«Dormi ora…» disse piano lui e la ragazza cadde fra le sue braccia addormentata.

La prese in braccio e si diresse verso la sua camera «Non ti preoccupare più per oggi. A tuo fratello ci ho pensato io, per ora starà bene»

La mise delicatamente nel letto e la coprì. Spense le luci e lo stereo, che nel frattempo aveva continuato a diffondere la musica del cd che Elie aveva cambiato per l’ennesima volta poco tempo prima, poi sparì lasciando la casa nel silenzio più totale e posando la mano nel punto in cui la maglietta era bagnata.

Nella penombra della cameretta apparve un’ombra che, avvicinandosi al letto, si rivelò essere il Superiore Pedos «Brava piccola Elie, brava…» bisbigliò l’uomo con le braccia congiunte al petto e guardandola tristemente.

In un altro posto, in una sala buia e spoglia un piccolo pipistrello si appoggiò delicatamente al suolo, trasformandosi in un giovane ragazzo sui quindici anni, dal viso infantile.

«Mia signora, oltre a questo non ho scoperto altro…» disse rispettoso il ragazzo senza alzare mai lo sguardo.

Lunghe gambe affusolate si mossero in fondo alla stanza ed esili mani pallide fecero dondolare un calice contenente una bevanda rossa «E' gia abbastanza così mio fedele Fabio. Pedos conosce quell’umana a quanto pare… E Axel si sta indebolendo! La sua forza cala e la mia ira cresce. Presto sarà mio!» la figura si alzò in piedi e lasciò cadere il bicchiere che si frantumò in mille pezzi luccicanti. Guardandoli ne raccolse uno e lo frantumò fra le dita «Stanotte agiremo Fabio e avremmo bisogno anche dell’aiuto di Andrew»

Il giovane annuì e sparì.

 

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Capitolo 15
*** Capitolo quindicesimo ***


Andrew stava appoggiato al muro della caverna dei diavoli pensieroso

Andrew stava appoggiato al muro della caverna dei diavoli pensieroso, giocherellava con la manica della maglietta nera facendo finta che fosse un becco di un’anatra. Quando sentì dei passi avvicinarsi si mise in allerta, solo i demoni e i diavoli come lui passeggiavano tranquilli nella caverna che portava all’Inferno e quelli non gli facevano presagire niente di buono, come se gli ricordassero qualcuno che ora non riusciva a focalizzare bene. Si girò verso destra aggrottando le sopracciglia e socchiudendo gli occhi verde mare, sentì un brivido percorrergli la schiena, sapeva che chiunque stesse arrivando avrebbe portato dei guai.

«Salve Andrew, come stai?» esattamente dalla parte opposta a dove il ragazzo si sarebbe aspettato che comparisse l’intruso, una figura umana, alta e snella, dai lunghi capelli bianchi e dalla pelle pallida lo guardò sorridendo.

«Dhea?!» il ragazzo spalancò gli occhi e saltò all’indietro per la sorpresa «Cosa vuoi da me?»

«Non ti hanno insegnato l’educazione? Dovresti portare più rispetto per i tuoi superiori…» lo rimproverò portando le mani sui fianchi e inclinando la testa di lato.

«Non sei una mia superiore!»

La donna sbuffò socchiudendo i sottili occhi color ghiaccio e muovendo piano le labbra viola rispose «Burocrazia… Si tratta solo di burocrazia. Ti va di andare a bere qualcosa con me?»

«No!» si affrettò a rispondere il ragazzo visibilmente in ansia «Non voglio avere niente a che fare con te!»

«Neanche se si tratta di Axel?»

«NO!» fece per andarsene quando il ragazzino pipistrello gli comparve davanti bloccandogli la strada.

Dhea si avvicinò al ragazzo «Facciamo così, io ti prometto di non farti niente e tu ascolti ciò che ho da dirti. Non credo che in questo momento tu abbia altra possibilità…» fece cenno con la testa indicando il ragazzino e gli porse la fredda mano aspettando una sua reazione.

Andrew la guardò stizzito e le strinse la mano «Come vuoi, ma non aspettarti troppo da me»

Con una sonora risata i tre scomparvero giusto un attimo prima che Pedos comparisse in fondo al corridoio «Andrew? Andrew?! Gli avevo detto di aspettarmi qui…»

«Non ho molto tempo a disposizione…» iniziò a parlare il ragazzo guardando il bicchiere che il cameriere di un lussuoso ristorante gli aveva portato «Se vuoi qualcosa in particolare, chiedimelo subito così posso dire di no e andare»

Dhea si guardò in giro, notando come quasi tutti i presenti di sesso maschile fossero intenti a guardare quella strana creatura femminile dalla bellezza inquietante «Mio caro, dovresti fare di più il galante con me, non si sa mai che ti prenda in antipatia…»

«Non scherzare!» Andrew alzò la voce più di quel che avesse voluto, portando su di se gli occhi indagatori dei presenti «Mi hai portato in questo ristorante da ricchi solo per fare battute?»

«Ok, ok ma calmati! Caro Andrew, tu sei un bravo ragazzo, quasi troppo per essere un diavolo» sospirò prendendo in mano il coltello accanto al piatto e specchiandosi nella lama d’argento continuò «so che per il tuo caro amichetto Axel faresti di tutto e che saresti disposto a… Come dire, sacrificarti? Sì, sacrificarti anche per la bella Anthea…»

Al suono di quel nome il giovane si rabbui e in tono fermo e amaro la interruppe di scatto «Anthea? Cosa centra ora? Non mi dire che tutto d’un tratto ti preoccupi per lei?!»

«Perché, non dovrei?»

«No! Cazzo sei stata tu a farla diventare quel che è ora! Ti sei divertita quanto hai voluto e l’hai torturata per anni, le hai inflitto una punizione crudele e infine l’hai buttata via come un sacco di merda!»

La donna che era rimasta a sentirlo imperturbabile, alzò gli angoli della bocca in un sorriso ed esclamò «Grazie caro, ma non serve che mi elenchi tutte le mie prodezze…»

«Vaffanculo Dhea!» il ragazzo si alzò e sbatté la mano sul tavolo facendo cadere i bicchieri col vino «Non avrei mai dovuto seguirti, sei una stronza e non m’importa niente di quale sia il tuo rango, sei stata allontanata da tutti e nonostante questo continui a darci noia, ma con me non attacca!» si girò per andarsene, ma la donna fu più svelta di lui e gli piantò il coltello nel dorso della mano conficcandolo nel tavolo.

Andrew voltò il viso sconcertato verso Dhea, che lo guardava seria senza però rinunciare al suo sorriso amaro, poi sui suoi occhi color smeraldo passò l’immagine della chiazza rosso vivo che si espandeva nella tovaglia bianca sotto la sua mano e si mescolava al rosso spento del vino. Senza batter ciglio si assicurò che nessuno dei presenti si fosse accorto di qualcosa, ma naturalmente Dhea aveva già manipolato i loro pensieri facendo passare inosservato quello che stava succedendo.

«Ah caro ragazzo, forse dovresti portare più rispetto per gli anziani…» e gli fece cenno con la mano di sedersi sulla sedia.

Il ragazzo ubbidì e si mosse lentamente, facendo attenzione a muovere il meno possibile l’arto bloccato.

«Ok, ti ascolterò se è questo che vuoi» sibilò cercando di non fare trasparire nessun’emozione.

Dhea si appoggiò con i gomiti al tavolo e posò la mano sul manico del coltello, muovendolo leggermente e facendo comparire una smorfia di dolore sul viso di Andrew «Così mi piaci. Ma veniamo al dunque, sai non ho tempo da perdere io. So che Pedos conosce quell’umana che ha fatto il patto con Axel e so che tu puoi aiutarmi nel mio piano. Voglio rompere il loro patto»

«Tu non puoi rompere il patto, solo Axel lo può fare» Andrew iniziava a capire dove la donna volesse arrivare.

«Su questo hai ragione, ma non fare il finto tonto con me, tu sai molte più cose di quel che vuoi far vedere. Parla o ti farò parlare io» e con questo fece oscillare il coltello che aprì ancora di più la ferita facendo uscire il sangue che già iniziava a gocciolare giù dal tavolo.

Il viso del ragazzo si contrasse e le labbra si serrarono «Cosa vuoi sapere di preciso?»

«Tutto» rispose Dhea accomodandosi sulla sedia «E non dilagare, potrebbe essere Anthea a pagare per il tuo silenzio»

«Sven in questi giorni ha fatto pressione sugli altri Superiori per imporre ad Axel di sciogliere il patto e Pedos si è sempre schierato dalla parte di quest’ultimo, affermando che sarebbe inutile perché una decisione così drastica lo porterebbe solo a disobbedire e magari a scappare»

«Il Consiglio dei Superiori senza di me fa proprio schifo… Non sanno neanche tenere il polso fermo con un semplice diavolo…»

«Axel non è un semplice diavolo! Lo sai bene che lui è candidato a diventare un regnante e-»

«E a qualcuno questo non va giù, vero?» Dhea sembrava divertita dalla situazione.

Il ragazzo abbassò gli occhi, cercando di evitare lo sguardo della donna «Già…»

«Tanto che qualcuno ha assunto un cacciatore di demoni per ucciderlo… Un cacciatore maldestro, visto che è riuscito solo a ferirlo superficialmente e a non ucciderlo…» aggiunse dando un pizzicotto al manico del coltello.

«Vedo che sei informata. Naturalmente stanno cercando ancora il colpevole» le rispose fermando il coltello che ondeggiava.

Dhea diventò seria e sottovoce disse «Guarda che loro sanno già chi è stato ad assumere il cacciatore e a dargli il sangue di un diavolo più forte, che è l’unico mezzo per uccidere un diavolo minore… Anche tu ora lo sai, ce l’hai davanti!» una sonora risata esplose fragorosa dalle labbra spalancate.

«Ma che… Come hai potuto, Dhea?!»

«Non rompere Andrew, io lo voglio morto Axel. Ho offerto il mio sangue al migliore cacciatore in circolazione e questo si è fatto uccidere da Axel dopo averlo solo ferito leggermente… Uffa, poi la mia squadra di servi non è riuscita a finire il lavoro visto che l’umana si è intromessa… Ma vai avanti, non voglio interromperti. E non fare quella faccia, guarda che Pedos sa che sono stata io, ma non può fare niente…»

Andrew non riusciva a credere alle proprie orecchie, sapeva che Dhea era un diavolo molto potente, che aveva cercato di uccidere il regnante che in questo momento deteneva il potere più alto subito dopo il Male Primordiale e per questo era stata esiliata dall’Inferno, ma non riusciva a mettere a fuoco bene il perché volesse Axel morto. Anche se lui non fosse passato a regnante lei non avrebbe mai potuto aspirare a salire sul trono dopo essere stata esiliata. Dopo un sospiro continuò a parlare «Axel è tenuto molto in considerazione da tutti perché è forte, potente. Ora che il suo sangue si è mischiato a quello di un’umana il suo potere è cambiato. È sempre un diavolo, ma a quanto pare più passa il tempo più il suo spirito viene corrotto dai sentimenti umani. I diavoli sono destinati a restare soli, di certo non si possono creare una famiglia, sono creature malvagie e la loro convivenza con gli umani è impossibile. Il male non può… Amare» disse quest’ultima parola con un tono malinconico «Se dovesse innamorarsi di quella ragazza e decidere di seguirla, cioè di abbandonare la sua natura, allora saremmo costretti a ucciderli. Sarebbe un tradimento forse più grave del tuo, anche perché tu hai seguito la tua natura malvagia per fare una cosa malvagia, invece lui seguirebbe una natura… Umana. Io so che Elie può essere pericolosa per Axel, lo può cambiare, ma so anche che Axel è talmente forte da essersi spinto a volerti uccidere, è per questo che hai assunto il cacciatore di demoni, vero?»

Dhea si limitò ad annuire al ragazzo, senza proferire parola.

«Axel si prende sempre ciò che vuole. Lui è il mio migliore amico e so per certo che potrei io stesso separarlo da Elie se questo volesse dire salvarlo. Il loro patto… Bè, lui non sa neanche che per rompere il patto dovrà ucciderla e riprendersi il suo sangue. Credo che neanche se lo immagini…»

«Senti, ma non ti sei mai chiesto in che modo Pedos è legato a quest’umana? Cosa centra con lui?» la donna sembrava veramente presa dalla discussione e appoggiò il mento sulle manie esili.

Il ragazzo la guardò per un istante, come se quella domanda gli avesse risvegliato un qualcosa dentro «Non lo so. Lui mi ha chiesto cosa ne pensassi di Elie, ma credevo fosse solo curioso. Più che altro mi ha detto di stare attento ad Anthea… Lei è gelosa di loro»

«E tu sei geloso di lei, vero? Ti piace Anthea…» disse maliziosamente.

Lui distolse lo sguardo sperando di nascondere il rossore sulle guance «Questo non centra. Volevi sapere tutto ciò che so su Axel, no? Adesso posso andare?»

«Con calma! Io voglio sapere perché Pedos tiene tanto alla ragazza, è andato addirittura da lei!»

«Non posso aiutarti, questo non lo so!» disse esasperato il ragazzo che ormai non sentiva più il braccio.

Dhea si alzò in piedi ed appoggiò la mano sul coltello «Va bene, non mi resta altro che chiederlo direttamente a Pedos. Tu naturalmente non dovrai fare parola con nessuno del nostro amichevole colloquio. Sai che io ho ancora un certo ascendente su Anthea… Caro Andrew, hai fatto bene i compiti oggi, per cui ti lascio andare a giocare» sorridendo portò tutto il peso sulla mano facendo piegare il coltello verso il basso e tagliando di netto la mano del diavolo dal dorso alle dita.

Il demone si morse il labbro per non urlare e chiuse gli occhi.

Quando li riaprì le pupille si assottigliarono, come quelle di un gatto esposto alla luce dei fari della notte, per la visione che gli si presentò davanti: tutti i presenti al ristorante giacevano sulle loro sedie scomposti, alcuni con il collo rotto, taluni con la gola squarciata e altri ancora con il petto lacerato.

Andrew si alzò in piedi ed estrasse a forza il coltello che si era conficcato del tutto nel tavolo, trapassando la carne. Sollevò la mano e la fasciò con un tovagliolo. Si appoggiò al tavolo e passò la mano sana tra i capelli biondi, scosse leggermente la testa e stette qualche minuto a guardare il paesaggio di distruzione che aveva davanti.

Poi sparì prima che una donna che passava davanti alla vetrina notasse i corpi. Un urlo si estese per tutte le vie circostanti.

 

 

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