Aranyhíd di ranyare (/viewuser.php?uid=39783)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Hi Fun Kou Gai ***
Capitolo 2: *** Wa’ada ***
Capitolo 3: *** Itsuarpok ***
Capitolo 4: *** Geram ***
Capitolo 5: *** Aiiyoh ***
Capitolo 6: *** Hiraeth ***
Capitolo 7: *** Ttonkolenyo ***
Capitolo 8: *** Backpfeifengesicht ***
Capitolo 1 *** Hi Fun Kou Gai ***
Aranyhíd
Hi Fun Kou Gai
(Giapponese)
Una legittima, miserevole verità, una frustrazione e una disperazione
relative a una situazione terribile che non si può cambiare.
.
.
L’acqua
bruciava come fuoco sulla sua ferita.
Saizo
rimase immobile, lasciandosi galleggiare sul pelo dell’acqua del fiume
che attraversava la città di Cheve in cui si era lasciato cadere,
troppo esausto per lottare contro le correnti che lo stavano
trascinando lontano dalla battaglia che ancora si combatteva, lontano
dallo sguardo dei soldati di Nohr.
Bugiardi.
Il Re
d’Ossidiana aveva promesso di parlare di pace, e invece li aveva
accolti con punte di frecce e lame d’ascia. Aveva comunicato a Re
Sumeragi che avrebbe portato con sé il suo stesso figlio, il giovane
Principe Ereditario Xander, come prova delle proprie buone intenzioni,
ma non aveva detto che anche il ragazzino sarebbe stato armato fino ai
denti. Sumeragi non avrebbe mai portato i propri figli al seguito, se
avesse sospettato un tradimento di quel calibro.
Assassini.
Il Re di
Marmo era caduto. Hoshido aveva perso la propria stella guida. Una
donna, che ora sarebbe stata incoronata Regina Reggente, aveva perso un
marito. Quattro bambini avevano perso un padre. Lui aveva perso la sua
battaglia, e fallito il suo compito.
Ma c’era
ancora qualcosa che poteva fare. Aveva origliato il loro complotto
scivolare dalle labbra ghignanti di quel disgustoso, viscido mago:
volevano una bambina.
Mostri.
Non
l’avrebbe permesso. Avevano ucciso il suo Re, ma non avrebbero fatto
altro male alla famiglia reale. Era suo dovere proteggerli – anche se
non aveva ancora dieci anni, anche se era soltanto un bambino secondo
ogni legge o costume possibili… eppure era quello che si aspettava da
lui suo padre, il motivo per cui si stava addestrando con così tanto
impegno.
Alla prima ansa del fiume, Saizo si aggrappò ad una radice sporgente e
si trascinò fuori sulla riva. Il dolore gli trafisse violentemente il
braccio ferito, lo squarcio sulla sua pelle che bruciava mentre i
muscoli si tendevano, ma lui strinse i denti e lo ignorò.
Poteva
solo sperare che non fosse già troppo tardi.
Di angolo
in angolo, Saizo scivolò fra i muri delle case come un’ombra,
completamente invisibile se non per quelle minuscole gocce di sangue
che si perdevano nell’oscurità della notte: era giovane, sì, eppure era
già uno dei ninja più rispettati dei regni dell’est, l’orgoglio di
Igasato.
Era un
edificio in particolare, quello che stava cercando, uno che lui e il
suo fratello gemello avevano ispezionato con il padre appena arrivati a
Cheve, determinati ad organizzare rifugi e nascondigli nel caso le cose
non fossero andate per il verso giusto. Chiaramente, l’istinto del
padre non avevano sbagliato nemmeno questa volta. Saizo era certo che
avrebbe trovato Kaze, lì, assieme alle bambine.
Trovata la
finestra a livello della strada per la cantina della forgia, Saizo si
lasciò scivolare all’interno.
Fece a
malapena in tempo ad atterrare sulla nuda, fredda pietra prima che
qualcosa gli si avventasse contro, mandandolo dritto disteso al suolo.
Ne fu felice: significava che suo fratello era lì, di guardia e
attento, e che il posto era ancora sicuro. Tuttavia, non poté non
emettere un grugnito strozzato quando una lama d’acciaio gli accarezzò
il collo.
-Kaze, no!
Sono io!- ringhiò, e subito il peso che lo inchiodava a terra svanì
assieme al bacio del gelido metallo.
-S_Saizo?-
balbettò suo fratello, chiaramente sconvolto. Saizo sentì una stretta
al cuore: avevano la stessa età, erano gemelli, ma Saizo si era sempre
sentito in dovere di prendersi cura di lui. -Perdonami, fratello. Ho
esagerato. Ti credevo un nemico.-
Appoggiò
una mano sulla spalla di Kaze, sperando di calmarlo. -Hai fatto bene,
fratello. Sono fiero di averti trovato all’erta e pronto a difendere la
famiglia reale.-
Kaze parve
rilassarsi alle sue parole: era raro ricevere complimenti dal gemello,
era rassicurante, e in quel momento gli trasmise quell’effimera
contentezza di cui aveva bisogno per rimanere lucido, per riprendere
contatto con la realtà. -Ma certo. Nostro padre è già venuto a prendere
l’Alto Principe, lo sta portando al sicuro in questo momento. Mi ha
lasciato a proteggere le bambine fino al suo ritorno.-
Saizo si
lasciò andare ad un sospiro che aveva, inconsciamente, trattenuto.
Aveva fatto in tempo, dopotutto.
Le due
bambine in questione erano appallottolate in un angolino della stanza,
i capelli biondi di entrambe che si mescolavano tanto stretto era il
loro abbraccio. Avevano circa un anno di differenza – la più grande
aveva cinque anni, la più piccola quattro – ma, in quel momento,
parevano anche più giovani ed indifese.
Con la
forza del proprio senso del dovere che gli bruciava nel petto, Saizo si
avvicinò alle due ed estrasse con fermezza la più piccola dalle braccia
della più grande. Kaze fu immediatamente accanto a quest’ultima,
cercando di tranquillizzarla mentre lei cercava di afferrare il braccio
ferito del Ninja per fermarlo.
-No!-
protestò, e Saizo poté quasi sentire il suo piccolo cuoricino spezzarsi
nel vedersi strappare dalle braccia la propria sorellina. -Cosa fai?
Dove la porti?!-
Persino
Kaze lo guardò in modo strano, un sopracciglio inarcato per la
preoccupazione, mentre stringeva più forte la bambina recalcitrante.
-Fratello?-
-Abbiamo
dei doveri, Kaze.- fu la sua unica spiegazione, mentre tornava alla
finestra da cui era entrato tenendo fra le braccia l’altra bambina, che
si dimenava debolmente nel tentativo di tornare dalla sorella.
-Proteggere la famiglia reale. Quindi resta qui e proteggi la
principessa.-
Kaze
deglutì, chiaramente a disagio dinanzi alla scelta terribile che si
trovavano costretti a fare, ma alzò comunque una mano tremante per
premere un fazzoletto umido sulla bocca della bimba che teneva contro
il proprio petto. Quella crollò addormentata nel giro di pochi minuti,
il pianto messo a tacere dall’anestetico che imbeveva il tessuto.
-Se nostro
padre tornasse prima di me, prendete la principessa e digli che ci
ritroveremo in un posto sicuro.-
E poi
Saizo fu nuovamente sulle strade di Cheve, con la mano della bambina
stretta nella propria.
Non si era
ancora lamentata nemmeno una volta: le sue uniche proteste furono quei
deboli tentativi di allontanarsi da lui per tornare alla cantina, ogni
volta che Saizo si fermava per scrutare dietro un angolo, un bivio, per
evitare eventuali trappole. Era come se la piccola sapesse – come se
sapesse che il suo futuro sarebbe stato quella di diventare la guardia
personale di colei che la chiamava sorella ma che non lo era, e la vita
di una guardia reale non veniva mai prima di quella del proprio
protetto.
Saizo
rallentò quando si avvicinarono al cuore del conflitto, dove ancora si
combatteva: il suolo acciottolato era coperto di corpi e l’odore
marcescente di sangue, interiora e morte gli fece storcere il naso,
mentre la bambina alle sue spalle si copriva la bocca con una manina,
le lacrime che le pungevano gli occhi. Se la tirò più vicino e le
indicò qualcosa.
Il corpo
di Re Sumeragi giaceva in mezzo alla strada, troppe frecce incastonate
nel suo corpo per poter anche solo pensare di contarle. Accanto a lui,
il cadavere della sua guardia, il partner di suo padre, che si era
lanciato in mezzo alla pioggia di frecce al primo dardo che era
affondato nella spalla del Re.
C’erano
altri corpi attorno a loro, ma quella zona era resa momentaneamente
sicura dal muro umano creato dalla milizia di Hoshido, impegnata a
respingere i soldati di Nohr per poter almeno recuperare il cadavere
del Re e tributargli i giusti onori.
La bambina
riconobbe Sumeragi, ma Saizo le chiuse il grido in bocca prima che
potesse rovinare tutto.
Non
ora.
E poi
l’edificio dietro cui si era nascosto venne colpito quando un pegaso vi
venne scagliato contro, proprio come lui si aspettava che succedesse –
era un edificio alto e i Cavalieri Viverna nohriani erano temuti per la
loro capacità di menomare i nemici alati facendoli schiantare contro la
prima superficie disponibile.
Allora,
soltanto allora, lasciò andare la bambina: al nemico sarebbe sembrato
che fosse rimasta nascosta nell’edificio colpito e che lo schianto
l’avesse fatta uscire allo scoperto, i suoi protettori sepolti vivi dal
crollo del tetto.
-Papà!-
gridò, e Saizo la guardò correre, scivolando appena sul suolo sporco
quando si fermò accanto al cadavere del Re. -Papà, papà, svegliati,
dobbiamo andare via! Ho paura!-
La sua voce di bambina catalizzò l’attenzione di coloro che la stavano
cercando – ovviamente.
Saizo vide
lo stesso mago viscido che aveva scorto sul ponte, lo vide illuminarsi
di un ghigno disgustoso mentre uccideva un soldato con una scarica
elettrica per poi gridare, trionfante:
-Maestà!-
La
battaglia finì all’improvviso.
L’ascia
del Re d’Ossidiana aveva strappato la vita a tutti coloro che avevano
continuato ad opporglisi con un solo, brutale colpo.
Saizo si
rifugiò nelle ombre, invisibile, pronto per tornare da suo padre, da
suo fratello, dalla sua principessa. Ma era ancora abbastanza vicino da
sentire il pianto disperato della bambina e le parole terribili
dell’assassino.
-Oh,
povera piccola. Rimanere orfana così giovane…- una pausa, l’attesa
quasi insopportabile, una risatina da gelare il sangue nelle vene. -Tu
sei mia figlia, adesso.-
Il grido
della bambina lacerò la quiete di morte che aveva pervaso Cheve.
Il cuore
di Saizo si incrinò, ma lui non si fermò né si volse indietro: aveva
fatto solo il suo dovere.
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Salve a tutti! Siamo ranyare e DreamWanderer
e siamo liete di accogliervi in questo nuovo, delirante progetto!
Eccoci
approdate su un fandom che ci ha letteralmente divorate vive da quando
abbiamo avuto la (s)fortuna di mettere le mani su Fire Emblem Fates: ci
siamo dette "ehi, siamo talmente ossessionate da questo gioco che ormai
ce lo sogniamo di notte, forse è meglio cominciare a scrivere
qualcosa!"... ed eccoci qua, con la nostra più recente creaturina
fresca fresca di correzione!
Sono
necessarie diverse note di traduzione, perché entrambe giochiamo a
Fates in inglese e abbiamo apportato diverse scelte stilistiche per
adattare l'inglese a come abbiamo pensato potesse essere il più
scorrevole possibile nella nostra lingua madre. Ma non preoccupiamocene
ora! Reggiamoci forte, perché quella su cui siamo appena salite sarà
una giostra piuttosto turbolenta!
Un
appunto, però, va fatto: la storia verrà pubblicata contemporaneamente
anche sul sito ArchiveOfOurOwn, in inglese, con aggiornamenti mensili
da entrambe le parti. Trovate la versione in inglese QUI.
I
personaggi principali della storia (eccetto Female!Kamui e Nuovo
Personaggio), che non siamo riuscite ad inserire per mancanza di
approvazione degli stessi, sono i seguenti, anche se in realtà li
troveremo un po' tutti lungo il percorso: Azura, Ryoma, Takumi, Saizo,
Hinata, Kagero, Orochi, Kaze, Scarlet, Xander, Leo, Niles, Odin, Nyx,
Iago.
Il
percorso principale su cui si snoderà l'intera storia è Revelation
(Rivelazione), sebbene ci saranno diversi plot twist e parecchie
giravolte legate a Birthright (Retaggio) e a Conquest (Conquista) nel
frattempo!
Vi
auguriamo entrambe una buona lettura, un buon divertimento e un
sincerissimo "buona fortuna"!
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Capitolo 2 *** Wa’ada ***
Aranyhíd
Wa'ada
(Arabo classico)
Un verbo che significa "seppellire la propria figlia."
Leo era certo che
il tremore della carrozza fosse interamente colpa del
continuo dimenarsi di sua sorella Elise, e non della strada
acciottolata che
conduceva al cuore di Windmire.
-Elise.- ringhiò,
portandosi le mani alle tempie: si sentiva già esausto, e
non era nemmeno mezzogiorno. -Sarebbe così terribile per te provare a
stare
ferma per cinque minuti di fila?-
-Sì!- strillò lei,
chiaramente incapace di mettere un freno al proprio
entusiasmo. Leo strinse i denti, quando la sua voce alta ed acuta gli
perforò i
timpani: poteva già sentire la morsa dell’emicrania che gli sarebbe
esplosa in
testa nel giro di pochi secondi. -Come puoi essere così calmo,
fratello? Non
sei euforico? Ileana viene a casa con noi! Staremo finalmente tutti
insieme,
come una famiglia!-
Quanto, quanto
rimpiangeva di non aver deciso di scortare la carrozza a
cavallo, assieme a Xander.
-Daaaaaaaaaaaaaaaaai,
siamo arrivati? Non può andare più veloce, questo
trabiccolo?!-
-Credo che ci
siamo.-
La voce di Ileana
fu appena un sussurro, che appannò per un attimo il
finestrino della carrozza a cui era rimasta incollata fino a quel
momento.
Era rimasta lì,
immobile, da quando erano partiti dalla Torre Nord, molto
prima che la linea dorata dell’alba spuntasse all’orizzonte, e Leo non
poteva
davvero biasimarla: aveva passato dodici lunghi anni rinchiusa in
quella
fortezza.
Era stato felice di
vedere la meraviglia accendersi sul suo volto quando il
Sole era sorto all’orizzonte: erano stati abbastanza fortunati da
trovarsi su
un passo di montagna, in quel momento, e l’altitudine le aveva permesso
di
vedere quella sottile linea di luce tra la terra e la coltre di nubi di
cui era
perennemente ammantato il cielo di Nohr – una coltre che si dissipava
solo di
notte, più un giorno ogni luna e mezzo.
Ileana forse non
l’aveva nemmeno mai vista, un’alba: era un gufo, e le
piaceva passare le mattine a letto. Era un’abitudine che avrebbe dovuto
abbandonare in fretta, se il loro padre avesse deciso di permetterle di
entrare
nell’esercito di Nohr.
Leo si morse il
labbro, sovrappensiero, combattendo con quella strana
sensazione di timore e disagio che gli stringeva il petto. Re Garon era
stato
chiaro: a Ileana non sarebbe stato permesso di lasciare la Torre Nord a
meno
che non avesse provato le proprie abilità in combattimento, a meno che
non
avesse provato di essere forte quanto i suoi fratelli e sorelle. E,
benché
fosse una maga straordinaria – e come sarebbe potuto essere altrimenti,
visto
che l’aveva addestrata lui personalmente? – non era ancora riuscita ad
attivare
una vena drago.
Eppure, il re
l’aveva comunque richiamata a Krakenburg. Leo non sapeva bene
cosa pensare di quella novità, ma non poteva nascondere a se stesso di
essere
preoccupato e, sopra ogni cosa, temeva la reazione dell’aristocrazia:
la corte
di Nohr trasudava ambizione e crudeltà, e non c’era un singolo nobile
che non
fosse pronto a spargere sangue dinanzi alla più misera prospettiva di
ricevere
l’attenzione del re.
Una principessa
misteriosa, cresciuta lontana da Krakenburg e che non
poteva nemmeno provare il proprio retaggio scatenando il potere dei
draghi, non
sarebbe durata molto in quel genere di ambiente. Il solo pensiero di
quello che
Ileana avrebbe dovuto affrontare bastava a fargli venire la nausea.
Schiacciando le
dita fredde sulla propria fronte, Leo si costrinse a
mettere da parte il proprio pessimismo, lo sguardo che esitava sulla
figura
della sorella minore: di certo, almeno, aveva l’aspetto di una
discendente del
re, con quei capelli biondi e i lineamenti delicati che ricordavano
molto tanto
lui quanto Elise. Fisicamente parlando, i suoi occhi erano tutto ciò
che la
separava da loro – quegli occhi così verdi, così diversi dagli scuri
toni di
viola e bruno che gli altri avevano ereditato dal padre, che forse
aveva
ricevuto in dono dalla concubina che era probabilmente stata sua madre.
La somiglianza
fisica, tuttavia, l’avrebbe tenuta al sicuro forse un paio
di lune, a ben sperare.
Sospirò. Xander era
certo che il padre avesse un piano per destare la magia
dei draghi ancora silente nel sangue di Ileana, ma lui poteva soltanto
sperare
che avesse ragione… e che, qualsiasi fosse il piano, non comprendesse
niente di
pubblico.
-Leo, guarda! Siamo
a casa!-
La voce di Elise lo
strappò dai suoi pensieri, così lui si accostò alle
sorelle premute contro il finestrino – ed eccolo, il castello di
Krakenburg.
Torri nere si
arrampicavano verso l’alto, protese verso il cielo di nubi
oltre la gola in cui si trovava la residenza della famiglia reale come
i rami
della Desolazione si protendevano verso ogni scheggia di luce.
La carrozza si
fermò, e loro si trovarono di fronte alla torre d’accesso,
collegata al corpo centrale del palazzo tramite un ponte largo
abbastanza
perché tre persone potessero camminare fianco a fianco.
Certo, le difese di
Krakenburg erano impressionanti, ma l’apprensione che
si contorceva nello stomaco di Leo non mollò la presa – a lui il
castello era
sempre sembrato un mostro, in agguato negli abissi più oscuri e sempre
pronto a
colpire.
Di certo la nobiltà
di Nohr rispondeva perfettamente alla descrizione.
Leo rabbrividì al
pensiero della sorella risucchiata negli obblighi
sociali, pericolosamente ignara dell’ambiente letale in cui si sarebbe
trovata.
Una mano calda,
guantata d’acciaio, gli si posò su una spalla, spingendolo
a girarsi.
Xander era in piedi
accanto a lui e lo fissava con un’ombra di
preoccupazione negli occhi color mogano; erano occhi che si
ingentilivano,
perdendo la freddezza per cui erano rinomati, solo quando si posavano
su un
membro della sua amata famiglia. -Fratello? Stai bene?-
Leo si costrinse a
sorridere. -Non preoccuparti per me, Xander. Pensavo.-
-Come sempre,
allora.- lo canzonò bonariamente il Principe Ereditario, e il
sorriso sul volto del fratello minore si fece appena più sincero.
Non poté farne a
meno: le parole gli sfuggirono dalle labbra prima che lui
potesse fermarle, prima che lui potesse ricordarsi che suo fratello
aveva già
abbastanza a cui pensare senza che lui gli rovesciasse addosso il
proprio
pessimismo. -Xander, lei… non è pronta. È tutto troppo improvviso. Se
la
presentiamo adesso a corte, sarà come darla in pasto ai lupi.-
L’ombra tornò negli
occhi di Xander quasi all’istante, e il senso di colpa
andò ad aggiungersi al mostro che si contorceva nel petto di Leo.
-Capisco il tuo
timore, fratello.- gli disse, la stretta sulla sua spalla
che si rinforzava appena. -Sono preoccupato anche io. Ma nostro padre
mi ha
detto che non ha intenzione di introdurla a corte, per ora. Ha
organizzato
qualcos’altro, per lei.-
Il secondo principe
di Nohr annuì lentamente.
L’apprensione era
ancora lì, certo, ma se quello che aveva in mente suo
padre avesse davvero potuto dargli più tempo, allora si sarebbe
accontentato.
-Perdonami per averti disturbato.-
Xander lo guardò
con affetto, uno di quei rari sorrisi dipinto sulle
labbra. -Tu non disturbi mai.-
Leo fece per
rispondere, ma la risata assordante di Elise gli tolse le
parole di bocca. I due fratelli si volsero verso le loro sorelle, che
chiacchieravano entusiaste con una Camilla appena smontata dalla sua
viverna e
che, al momento, stava soffocando Ileana in uno dei suoi abbracci.
-Camilla! Non
respiro!- riuscì a gemere Ileana, sebbene non stesse facendo
alcun tentativo di liberarsi dalla stretta della sorella, anzi.
Elise saltellava
attorno a entrambe, troppo felice per stare ferma, prima
di buttarsi addosso a loro per unirsi alle manifestazioni di affetto.
Camilla
non barcollò nemmeno e si limitò a stringere a sé anche quella
sorellina così
entusiasta, passandole un braccio attorno alle spalle.
-Camilla.- Xander
sorrise mentre si avvicinava alle tre, e così fece Leo
appena dietro di lui. -Potresti non asfissiare Ileana per il momento?
Vorrei
farle fare un giro del castello, almeno.-
La risata di Ileana
si fece più forte quando Camilla allentò la presa.
-Tranquillo, fratello. Ci sono abituata.-
-Ottimo!- cinguettò
la principessa di Nohr, scoccando alla sorellina un
bacio tra i capelli. -Perché non smetterò di coccolarti solo perché
adesso
verrai a vivere a palazzo con noi!-
Elise stava
praticamente rimbalzando, quasi fosse una molla. -Nemmeno io!
Nemmeno io!- gioì mentre stringeva le braccia attorno alla vita della
sorella.
-Ti voglio tanto bene! Ti voglio tutto il bene del mondo!-
-Vi prego.- Leo le
rimproverò, serio solo per finta. -Potreste almeno
provare a darvi un contegno e a comportarvi con la regalità che ci si
aspetta
da voi?-
Elise gli fece la
linguaccia, ma Camilla gli sorrise, lasciando andare
Ileana solo per stringere le braccia attorno a lui. -Oh, Leo. Il mio
adorato geniale
fratellino. Come faremmo senza di te a tenerci tutti in riga?-
-Probabilmente
finireste a farvi rimproverare per comportamenti
inappropriati un giorno sì e l’altro pure.- ribatté, ma c’era l’ombra
di un
sorriso sul suo volto mentre Camilla gli lasciava un bacio sulla
guancia.
-Andiamo.- Xander
richiamò l’attenzione di tutti, precedendoli verso la
scalinata della torre d’accesso. -C’è il pranzo che ci aspetta, e i
nostri
sarti ti attendono per fornirti l’abbigliamento consono a un’udienza
con nostro
padre, Ileana.-
-Ma certo.- rispose
subito la diretta interessata, saltellando accanto al
maggiore dei suoi fratelli per stringersi al suo braccio. Le spalle di
Xander
si rilassarono appena a quella coccola, una delle mani ancora coperte
dall’armatura che si stringevano su quelle più piccole e indifese di
lei.
-Scusaci per il ritardo.-
-Fa lo stesso,
principessina.- la perdonò lui, accarezzandole appena i
capelli. -Ora, vieni con me. Abbiamo un po’ di tempo per farti vedere
casa
prima di dover tornare ai nostri impegni.-
Muovendosi
all’unisono, i cinque si incamminarono verso le scale della
torre e poi attraverso il ponte che conduceva al castello. Elise era in
testa
al gruppo, naturalmente, e con la sua allegria aprì la strada verso il
portone
di ingresso. Ileana rimase indietro in poco tempo, impegnata com’era a
guardarsi attorno; Leo se ne accorse e rallentò, attendendo
pazientemente che
lei lo raggiungesse.
-Tutto bene,
sorella?- le domandò una volta che lo ebbe affiancato. -Sei
stata così silenziosa per tutto il viaggio. Qualcosa ti preoccupa?-
I corti capelli
biondi di Ileana le solleticarono il mento quando scosse la
testa. -No, tutto bene. Credo di essere solo un po’… sai. È tutto così…-
Lo sguardo di lui
seguì gli occhi affascinati di Ileana verso le torri,
verso i balconi che circondavano il burrone in cui era incastonato il
castello. Ma certo, si disse,
rimproverandosi per la propria
cecità: Ileana era stata rinchiusa e isolata per così tanto tempo che,
forse,
tutti quei posti nuovi e quegli odori sconosciuti erano sufficienti per
sopraffarla. -Capisco.-
-Ti chiedo perdono
se mi sono rivelata una cattiva compagnia. Spero tu non
ti sia annoiato in carrozza?- gli domandò lei, gli occhi verdi che lo
guardavano trafitti da una scheggia di senso di colpa.
Leo le rispose con
un sorriso e le mise un braccio attorno alle spalle per
stringersela addosso, lasciandole un bacio sulla tempia e strappandole
una
risata. -Certo che no, sorella. Ho avuto tutto il tempo per studiare il
mio
libro, almeno finché Elise non si è svegliata. Anche se il suo russare
mi aveva
reso difficile concentrarmi.-
Disse la parte
finale ad alta voce di proposito, e la minore delle
principesse di Nohr si voltò in un batter d’occhio, arrossendo
furiosamente.
-Io NON russo!-
-Oh? E come lo sai?
Dormivi così profondamente che non credo ti avrebbe
svegliato nemmeno lo scoppio di una battaglia.- la prese in giro lui,
mentre
Ileana si mordeva un labbro cercando di non scoppiare a ridere.
-Leo! Sei cattivo!-
piagnucolò la piccola, un broncio adorabile sulle
guance tonde, le orecchie che avvampavano di un dolcissimo rosso. -Un
cattivo
con il mantello al contrario!-
Per contro, il
fratello impallidì con violenza. -COSA?! E non potevi
dirmelo prima di scendere dalla carrozza?!-
-Così impari a
essere cattivo!- replicò lei, piroettando su se stessa per
poi infilarsi fra gli enormi portoni socchiusi del castello,
perfettamente
soddisfatta della propria piccola vendetta.
Ileana quasi
soffocò per trattenere il riso e Leo, oltraggiato, si girò per
lanciarle un’occhiataccia. -E tu perché
non mi hai detto
niente, sorellina traditrice?-
Lei sorrise,
girandogli intorno per sganciare i fermagli del suo mantello.
-Ho dimenticato di menzionarlo?-
Lui brontolò
qualcosa di inintelleggibile mentre lei gli toglieva il
mantello per girarlo e poi drappeggiarglielo nuovamente sulle spalle.
-E io che
pensavo di potermi fidare almeno di te.-
L’unica risposta
che ottenne fu una risata, mentre il suo mantello – ora
indossato nel verso giusto – veniva di nuovo fissato alla sua armatura.
-Scusa,
Leo. Ma queste piccole cose ti rendono così adorabile.-
Leo alzò gli occhi
al cielo, ma non si scostò quando la sorella gli soffiò
un bacio su una guancia e si decise a entrare a sua volta, passando
attraverso
le porte che Xander aveva tenuto aperto per loro per tutto il tempo.
Dentro,
Camilla li attendeva con un sorriso, Elise al suo fianco impegnata a
spostare
il peso da un piede all’altro ogni due secondi.
C’era un calore
nuovo negli occhi di Xander mentre la guardava tendere le
mani a Ileana e trascinarla lungo il corridoio, raccontandole qualsiasi
cosa le
passasse per quella mente così vivace. Leo e Camilla le seguivano in
silenzio,
ridacchiando ogni tanto a per qualcosa che le scappava, il suono che si
univa
al divertimento di Ileana e alla risata assordante di Elise.
Una voce, da
qualche parte nella sua testa, gli fece notare che forse una
vita senza quella risata non sarebbe stata una vita degna di essere
vissuta.
Con un sospiro, il
Principe Ereditario chiuse le porte del castello alle
proprie spalle.
.
.
Ileana fece
un’altra giravolta allo specchio, le dita strette nella stoffa
del mantello per vedere come si muoveva assieme a lei. Sorrise,
soddisfatta
dell’effetto.
Gli abiti che
indossava erano una versione impreziosita della divisa dei
Maghi Oscuri – -Perché sarebbe degradante vedere una
principessa
vestita come un soldato qualunque!- aveva spiegato
Camilla mentre la
aiutava a provare l’armatura.
Ileana era contenta
che fosse tutto scuro, arricchito da profili dorati, il
blu di solito associato ai maghi completamente sostituito dal nero
indossato,
per tradizione, dagli esponenti della famiglia reale di Nohr. L’unico
tocco di
colore erano l’interno del mantello e alcune decorazioni su spalle e
fianchi,
che erano di un verde scuro ma vivido, lo smeraldo delle foreste.
Era sicura di dover
ringraziare Camilla, per quello. Sorrise al pensiero
della sorella maggiore e di quanto tormento avesse sicuramente dato a
quel
povero sarto per assicurarsi che ci fosse almeno qualcosa di personale
nella
sua nuova uniforme.
Si avvicinò allo
specchio e cominciò a controllare i fermagli del mantello,
a riallacciare i bottoni dei polsini, a stirare con le mani ogni piega
della
stoffa. Voleva essere perfetta.
Non vedeva suo
padre da dodici anni, e ne aveva avuti solo sei quando lui
aveva ordinato di farla trasferire alla Torre Nord perché si
addestrasse senza
le infinite distrazioni che una principessa avrebbe trovato a corte.
I suoi ricordi
erano pochi, mangiati dal tempo: non era nemmeno del tutto
sicura di ricordarsi esattamente che aspetto avesse, quell’uomo.
Portò una mano a
riavviarsi una ciocca di capelli dietro l’orecchio e sotto
il cerchietto.
Sarebbe stato
contento di lei? Sapeva che avrebbe preferito addestrarla
alla spada, perché l’avrebbe resa una figura molto più versatile in
termini di
formazione militare, ma era stato evidente fin da subito che la via dei
“bastoni di metallo appuntiti” – come Leo si divertiva a definire la
scherma –
era la via peggiore che avesse potuto intraprendere.
Era stata un’idea
di Camilla di farle studiare la magia, e solo i Draghi
sapevano quante notti aveva dovuto passare a litigare con Xander sulla
questione. Ma una volta che Leo stesso aveva cominciato ad addestrarla,
beh,
non c’erano più stati dubbi su quale fosse il suo talento.
Ileana pensava che
avrebbe comunque potuto rendersi utile all’esercito.
Aveva studiato le strategie che di solito i suoi fratelli adottavano in
battaglia: Xander era sempre in prima linea, a guidare i suoi cavalieri
nel
cuore dello scontro, mentre Leo, con Elise e i suoi maghi, costituivano
le
retrovie e l’ultima linea di difesa, pronti a entrare in azione nel
caso in cui
si dovesse suonare la ritirata; Camilla poteva giocare sia in attacco
che in
difesa, aiutando il maggiore nell’offensiva e coprendogli le spalle
dall’alto
durante la ritirata.
Se il re le avesse
permesso di addestrarsi come Incantatrice, avrebbe
potuto guidare una piccola squadra di assalto che potesse affiancare
Xander,
permettendogli di spezzare i ranghi nemici molto più agevolmente e
contando su
di lui per proteggersi da quegli assalti che una manciata di maghi non
avrebbe
mai potuto bloccare.
Ma era ancora tutto
molto incerto. C’era sempre quell’unico, enorme punto
di domanda: le sarebbe stato permesso anche solo di avvicinarsi
all’esercito,
incapace com’era di scatenare il potere delle vene drago?
Ileana sapeva che
quella capacità – o incapacità, nel suo caso – avrebbe
effettivamente deciso del suo futuro. Il re aveva bisogno che i suoi
figli
fossero dei generali, e catalizzare tutto quel potere poteva veramente
alterare
le sorti di uno scontro: era di fondamentale importanza che imparassero
ad
attivarle, e il prima possibile… eppure lei doveva ancora imparare
anche
soltanto a percepirle. Xander le aveva garantito che ne era in grado,
che ce
l’aveva nel sangue, ma lei non era mai riuscita a incanalare nemmeno
una goccia
di potere dai molti pozzi di energia draconica sparsi per tutta Euanthe
e per
tutta la Torre Nord.
Per molto tempo non
le era importato. Non era mai stata… adatta alla
guerra. Non le era mai pesato di non poter usare le vene drago, perché
significava non essere costretta a gettarsi subito nelle scaramucce con
il
regno di Hoshido o a partecipare alle contromisure adottate per sedare
le
ribellioni dei principati annessi in qualità di capo militare – un
ruolo per
cui lei sapeva di non essere assolutamente tagliata, ora come allora.
Tuttavia,
questa sua incapacità che lei aveva considerato un dono si era ben
presto
tramutato in una maledizione, non appena i suoi fratelli e sorelle
erano stati
chiamati a combattere negli scontri che stavano facendo Nohr a
brandelli…
mentre lei era stata condannata ad aspettare un segno di vita da parte
loro.
L’immobilità della torre le aveva dato sui nervi in fretta, rendendola
impaziente e nervosa, mentre la preoccupazione per i suoi fratelli la
divorava
viva.
Detestava tutt’ora
l’idea di combattere, ovviamente, ma l’avrebbe
sopportato con gioia pur di essere al loro fianco, a proteggere loro e
quella
casa che loro amavano tanto.
Eppure la sua
risolutezza non aveva destato alcun potere. Appena aveva
cominciato a temere che sarebbe stata condannata ad aspettare in
eterno, il re
aveva deciso di richiamarla a Krakenburg, convinto che ormai non ci
fosse più
nulla che potesse imparare rinchiusa nella sua torre d’avorio. Ileana
poteva
solo sperare che avesse un piano, qualcosa per svegliare il sangue di
drago
ancora silente in lei, che conoscesse qualcosa che lei e Xander
ignoravano o a
cui non avevano ancora pensato.
“Andrà
tutto bene.” si disse per rassicurarsi, riaggiustando il
mantello per l’ennesima volta. “Smettila di aspettarti in
peggio. Saprà cosa
fare. Andrà tutto benissimo.”
Un ultimo sguardo
allo specchio e, dopo un lungo respiro, Ileana girò su se
stessa, col mantello che le ondeggiava intorno in un modo che la fece
sorridere, e uscì dalla stanza.
Si era giusto
chiusa la porta alle spalle quando lo sentì, appena in tempo,
e si scansò a sinistra.
Thud.
Si voltò, per nulla
preoccupata, per guardare il pugnale affondato nel
legno proprio all’altezza delle sue orecchie. Alzò gli occhi al cielo.
-Mancata!- annunciò
alla stanza vuota e, proprio come aveva previsto, la
figura di un uomo emerse dalle ombre dietro a una delle lunghe, spesse
tende
purpuree che incorniciavano le finestre del salottino fuori dalle
stanze del
sarto.
-Non potete davvero
darne la colpa a me. Siete sempre stata molto brava ad
evitare qualunque lunga, rigida cosa diretta contro di voi.- la prese
in giro
mentre le si avvicinava, lasciando che le ombre si ritirassero dal suo
volto
per permetterle di vederlo: pelle olivastra, capelli candidi, benda
sull’occhio
e sorriso perfido, proprio come lei lo ricordava. -È un tale piacere
vedere che
non avete perso i vostri riflessi.-
-Volevi testare i
miei riflessi? Sarebbe questa la tua scusa?- replicò lei,
il sorrisetto che si faceva furbo. -Mio adorato Niles, se ci tenevi
così tanto
a trafiggermi con qualcosa dovevi solo chiedere.-
Una scintilla
baluginò nell’unico occhio blu elettrico di lui. -Occhio a
quella lingua, principessa. Potrei essere tentato di farne buon uso…-
-Un avvertimento
del genere, proprio da te?- lo prese in giro, ma c’era un
sorriso sincero nella sua voce. -Comunque so che avevi mirato alla
porta.-
-Ma certo. Come se
potessi mai osare farvi del male, mia signora.- Niles le
concesse con un inchino, la tensione che gli abbandonava le spalle, la
cattiveria la voce, la malizia il viso. -Quanto mi sono mancati i
nostri giochi
di parole.-
Ileana annuì. Per
un attimo sembrò quasi volerlo abbracciare ma poi, dopo
un attimo, parve ripensarci. -Già. Ne è passato di tempo dall’ultima
volta che
sei venuto alla Torre Nord. Mio fratello ti tiene impegnato, deduco?-
Un suo sospiro e un
sorrisetto furono l’unica risposta che le offrì.
Ileana alzò gli
occhi al cielo. -Mi racconterai mai delle storie, Niles?-
Lui fece un passo
verso di lei, il ghigno che si accentuava quando lei si
rifiutò di fare un passo indietro. -I vostri fratelli non vi hanno mai
detto
che la curiosità uccise il gatto, mia signora?- la sua mano si alzò e
si
strinse sull’elsa del pugnale, strappando la lama dal legno con un
unico
strattone.
Lei non si scompose
né disse nulla, nemmeno quando il filo del coltello le
passò accanto al viso mentre lui rinfoderava l’arma. Sospirò. -Dubito
che le
mie storie soddisferebbero la vostra sete d’avventura, mia signora. Se
sono
storie d’eroi che desiderate, conosco un certo stregone che sarebbe
felicissimo
di raccontarvi le imprese di_-
SLAM!
-IO SONO ODIN
DARK!- gridò lo stregone che Niles aveva appena chiamato in
causa, come se l’avesse sentito, la porta del salottino quasi
brutalmente
divelta dai cardini tanto fu il suo entusiasmo. -ECCO GIUNGERE L’EROE
PRESCELTO
DAL FATO!-
-Giuro che non è
stato pianificato.- le sussurrò Niles all’orecchio mentre
l’Incantatore si metteva in posa.
-DEMONIO!- urlò
quello, il mantello che ondeggiava alle sue spalle mentre
stendeva il braccio con uno svolazzo, puntando un dito accusatorio
verso il suo
compagno. -Parto delle ombre più vili, hai tramato per sfuggire al mio
vigile
sguardo per corrompere la sacralità del nostro compito, MA GIAMMAI!
Nell’oscurità ho percepito i tuoi intenti malvagi e sono giunto qui,
sulle ali
del mio immenso potere, per proteggere la dolce principessa dalle tue
grinfie
peccatrici!-
La risata della
“dolce principessa” in questione riecheggiò per il salotto
e il corridoio mentre lei si lanciò in braccio a lui. -Mio salvatore!-
sospirò
con finto sollievo mentre si abbandonava tra le sue braccia, il dorso
di una
mano contro la fronte.
-Mia signora!
Ritrovarvi sana e salva doma l’ardore dell’antico sangue che
divampa nelle mie vene!- dichiarò lui mentre la prendeva tra le braccia
per
alzarla dal suolo, preso dall’entusiasmo. -Spero che il mio compagno
non abbia…
ecco… esagerato?- aggiunse in un tono più serio, davvero preoccupato,
mentre la
depositava delicatamente al suolo.
-Non temete, mio
eroe.- rise Ileana, scoccando un bacio sulla sua guancia.
-Si è comportato da vero cavaliere.-
Qualsiasi commento
di Odin sulla dubbia concezione del “comportamento da
vero cavaliere” di Niles gli sfuggì di mente non appena vide il
mantello
svolazzante che incorniciava la figura della principessa.
-MIA SIGNORA! La
più splendente delle oscurità vi ha accolta nel suo gelido
abbraccio!- esclamò, crollando in ginocchio e prendendole una mano tra
le
proprie. -La vostra aura, posso avvertirla salmodiare il suo canto di
gioia, e
destata infine dal suo sonno ora riluce d’impazienza in questo vostro
fragile
involucro di carne! Le ombre decantano il vostro nome e si diramano in
voi,
colmando il vostro innocente cuore della loro arcana magia! Creatura
della
notte, voi siete l’emblema dell’occulto splendore di una campionessa
incoronata
dalla Magia Profonda stessa!- le lasciò un bacio lieve sul dorso della
mano.
-Oh, quali incanti tesseranno queste dita! I vostri nemici cadranno nel
terrore
dinanzi al vostro sconfinato potere, e ringrazieranno i loro dei che
sia la
vostra mano, incantevole portatrice di morte, ad aver donato loro la
pace
dell’ultimo respiro sulle ali nere di un cigno!-
Ileana sorrise
nonostante il rossore che le pervadeva il viso a quella
cascata di complimenti, per quanto improbabili, ma Niles sbuffò.
-Va bene, Odin,
abbiamo capito. Lei è deliziosa e tu sei a metà strada tra
chiederla in sposa e avere un orgasmo.- sogghignò, Niles, al suono
strozzato
con cui gli rispose il mago e al rossore più vivido che si estese al
collo
della principessa. -Ora, possiamo andare dal re oppure vuoi essere tu a
spiegare perché l’abbiamo accompagnata all’udienza in ritardo?-
Non servirono altre
parole perché Odin saltasse in piedi. -Siate pronta,
principessa, al destino che si snoda dinanzi a noi!- la prese
sottobraccio e
cominciò a guidarla in corridoio, fuori dal salotto. -Canterò la vostra
beltà
mentre ne percorreremo gli ardui sentieri, pronti a compiere ciò che è
stato
inciso fra i rovi che ci accompagnano nel nostro cammino! Che ogni
pietra di
questo castello si pieghi al vostro cospetto, e che ognuna rimembri il
vostro
passaggio e si inchini al vostro volere quando solcherete nuovamente
questi
luoghi!-
Il sorriso di
Ileana tremò. -Oh, Odin, non è davvero necessario…- provò a
dire, ma lui la ignorò del tutto.
-Principessa, è mio
dovere rendervi omaggio! Sarebbe un peccato mortale non
concedere ad ogni anima di questa terra dannata la consapevolezza della
meraviglia che muove or ora i suoi primi passi fra questi irti pericoli
e i più
seducenti degli intrighi!- trillò lui, imperterrito, il suo braccio ben
stretto
al proprio. -Ora, dove ero arrivato? Ah, sì! Sulle ali di un cigno che
ha
sottratto al corvo il suo piumaggio, voi condurrete_-
La voce di Odin
divenne un trascurabile rumore bianco nella mente di Niles:
dopo tanti anni passati a lavorare fianco a fianco, aveva imparato a
smettere
di ascoltare quando il suo compagno si perdeva in quei suoi discorsi di
eterna
gloria e profonda oscurità – una questione di sopravvivenza, a suo
modesto
parere, considerate tutte le ore che si ritrovava a passare in sua
compagnia.
Si incamminò dietro ai due, mantenendosi a qualche passo di distanza,
l’occhio
vigile che scrutava i muri per cogliere ed anticipare qualsiasi
eventuale
minaccia – certo, probabilmente non ce ne sarebbero state, ma non si
poteva mai
essere troppo cauti.
Passando da una
parete all’altra, il suo sguardo rimase impigliato per
qualche secondo sul rossore che ormai ricopriva viso, orecchie e
addirittura
spalle della principessa. Non poté trattenere un sogghigno a quella
vista: lei
aveva sempre tollerato e persino partecipato alle stranezze di Odin,
tanto
quanto alle battute sconce di Niles… ma era timida, quella ragazza, e
dolce, e
non era del tutto a proprio agio al centro dell’attenzione – specie
quando
quell’attenzione era rumorosa come poteva essere soltanto Odin.
Oh, sì, la
principessa era sempre stata dolce – anche se, dal suo punto di
vista, non era sempre stato così. Aveva impiegato anni per smettere di
odiarla,
per riuscire a vederla per ciò che era: un folletto di bambina, sempre
così
felice di passare da un abbraccio a un altro, sempre così affamata di
ogni
segno d’affetto mostratole dai suoi fratelli e sorelle, inseguita da
quel
profumo di biscotti allo zucchero che lei preparava e che non mancava
mai di
infilare nelle tasche di suo fratello e delle sue guardie. Si chiese
per un
istante se avesse ancora l’odore di biscotti impigliato addosso,
quell’aroma
fragrante di pasta frolla appena uscita dal forno sulla pelle…
Un lieve sogghigno
si disegnò sulle sue labbra profane: l’idea di
accostarsi a lei, alla ricerca di quel profumo zuccherino nascosto tra
i suoi
capelli, era una tale tentazione, e Niles si scoprì a leccarsi le
labbra. Ma
Odin avrebbe gridato all’eresia e forse l’avrebbe persino sfidato per
l’onore
della sua “signora”… ovviamente, sempre che quest'ultima non finisse
per dare
fuoco a tutto – se stessa compresa – per la sorpresa e l’imbarazzo.
Soffocando una
risata, le concesse un ultimo sguardo di apprezzamento – non
aveva esagerato quando, rispondendo ad Odin, l'aveva definita
deliziosa: era
diventata proprio una bella bambolina…
…un peccato che
sarebbe stata fatta in tanti pezzettini nel giro di pochi
giorni, non appena la corte nohriana avesse allungato le mani su di lei.
Sapeva che la
stavano aspettando, e da tempo. Poteva già quasi vederli,
protesi verso di lei con quei loro artigli e zanne snudate, affilate
apposta
per affondarle nella pelle più facilmente, celati dietro sorrisi di
benvenuto e
lingue d’argento che nascondevano lo scintillio delle lame dei pugnali.
Dovevano solo
aspettare un’occasione, che il re le voltasse le spalle… e lo
avrebbe fatto sicuramente se lei avesse fallito quella specie di test
che aveva
in serbo per lei. A re Garon non serviva a nulla qualcuno che non
sapesse
sfruttare il potere del sangue che le scorreva nelle vene, se non a
produrre
eredi in grado di farlo.
Lui lo sapeva, e
sapeva che lo sapevano anche loro: li aveva sentiti
complottare, aveva sentito i sussurri silenziosi che aleggiavano per i
corridoi, di cui lui si nutriva quotidianamente. Strisciavano, quelle
voci,
mormoravano, raccontavano di una principessa ingenua che non aveva
ancora
sbloccato il potere dei draghi, e pregavano che fallisse la prova del
re,
sapendo che i suoi fratelli non avrebbero potuto proteggerla. Sapeva
che
avevano già fatto dei piani, che c’erano già trappole pronte a scattare
negli
gli anfratti più bui del castello, che le loro mani fremevano per
toccare, prendere,
strappare, il sangue della principessa votato in sacrificio perché loro
potessero arrivare più vicini al Trono di Spine.
Questa era la corte
di Krakenburg… ma lei non lo sapeva.
Era cresciuta
rinchiusa in una torre, lontana dagli intrighi e dalla
politica, circondata dall’affetto incondizionato dei suoi parenti e dei
suoi
custodi, ma la realtà della capitale era molto, molto diversa dalla
vita che
aveva condotto fino a quel momento.
L’avrebbe travolta,
senza pietà, all’improvviso, fredda come il ghiaccio.
Non era sicuro che
sarebbe sopravvissuta, e sapeva di non essere l’unico ad
avere quel timore: il principe Leo non aveva condiviso con lui le sue
preoccupazioni, ma lui le aveva lette nell’irrequietezza dei suoi
occhi, nel
pallore delle mani che stringevano Brynhildr più convulsamente del
solito.
Sapeva cosa pensava ed era d’accordo: Ileana non era pronta.
Certo, era una dei
più abili e dotati maghi che avesse mai visto… seconda
solo a Leo, forse, e con tanto talento da potersi confrontare anche con
lui. Il
fratello l’aveva addestrata di persona, con uno zelo nato da un errore
commesso
così ingenuamente, ma che non si era mai perdonato.
Niles stesso era
stato suo insegnante, per un po’: dopo quel… piccolo
imprevisto con un incantesimo di fuoco commesso quando era giovane e
davvero
troppo entusiasta, il fratello l’aveva costretta ad imparare a mirare
con arco
e frecce, prima di permetterle di allungare le mani su un libro di
magia. Ma
Ileana era stata preparata alla battaglia, e non agli intrighi che
costituivano
le vere e proprie pareti del castello di Krakenburg.
I suoi fratelli
avrebbero cercato di proteggerla, ovviamente, di fare da
schermo tra lei e quei nobili sempre pronti, in agguato, alle spalle.
Loro
erano cresciuti a Windmire, erano abituati alle brutalità che i nobili
erano
disposti a compiere e che avevano reclamato le vite di tutti i loro
vari
fratellastri e sorellastre. Sapevano quando sorridere e quando
minacciare, come
evitare le trappole per rispondere colpo su colpo con la medesima
cattiveria,
sapevano tirare sempre il filo giusto per guardare interi complotti
disfarsi ai
loro piedi, e potevano crearne di altrettanto intricati per proteggere
se
stessi e i loro cari.
Ma non avrebbero
potuto proteggerla per sempre, non quando avevano i loro
doveri nei confronti del re da portare a termine.
Prima o poi, Ileana
sarebbe rimasta sola e, senza la protezione del padre,
sarebbe stata la sua fine.
Il suo occhio le
accarezzò di nuovo la pelle: già poteva distinguere i
lividi, i tagli, il sangue scorrere a saziare la sete del castello –
già poteva
vederla, sanguinante, spezzata, ferita, le guance rigate di lacrime
lucenti, il
suo bel visino distorto dal dolore e dalla paura.
Anni prima, quelle
immagini lo avrebbero fatto gemere di piacere, volere di
più, avrebbero portato le sue dita a stringersi sull’elsa di un
pugnale. Oh,
quanto, quanto l’aveva odiata – aveva odiato il suo disinteresse, la
sua
leggerezza, la sua innocenza… Ma col passare del tempo, mentre lei
cresceva –
il cuore più pesante, i pensieri più cupi, il futuro più incerto –
quell’odio
era diminuito fino a svanire.
Non meritava di
essere lasciata in balia della nobiltà. Certo, una buona
dose di realtà era quello che serviva a quella ragazza ingenua per
svegliarsi
dalla vita dorata che aveva condotto fino a quel giorno, ma quello era…
troppo.
Non era quello che le avrebbe certo augurato – dopotutto, il suo dolore
sarebbe
stato quello del principe Leo. Ed era un suo preciso dovere impedire
che
qualsiasi cosa facesse del male al principe.
Ileana doveva passare
la prova del re. Doveva, se voleva avere anche una
sola possibilità di sopravvivere.
Forse gli sproloqui
di Odin non erano poi così male, dopotutto: almeno la
principessa era troppo occupata a imbarazzarsi per preoccuparsi di
quello che
l’attendeva…
-Vi ho mandato a
recuperare mia sorella perché la aiutaste a trovare la
strada per la sala del trono, non perché gliela faceste perdere.-
La voce del
principe Leo aveva il potere di fermare sul nascere, senza
sforzo alcuno, anche le più rumorose, mirabolanti parole che la
fantasia di
Odin riusciva a mettere insieme. L’Incantatore sobbalzò, slegando
immediatamente il proprio braccio da quello della principessa per
inchinarsi al
suo principe balbettando scuse e spiegazioni. Anche Niles fece un
inchino, un
sorrisetto di scuse l’unica risposta allo sguardo accusatore di Leo.
Leo sospirò. -Da
qui ci penso io.- decise, interrompendo di nuovo gli
sproloqui di Odin. -Voi potete andare. Aspettatemi nel mio studio, vi
raggiungerò lì terminato l’incontro con mio padre.-
E poi girò sui
tacchi, senza nemmeno fermarsi a controllare che i suoi
ordini venissero eseguiti – sapeva che l’avrebbero fatto, come sempre,
anche se
solo dopo le loro solite stupidaggini: Odin si sarebbe inerpicato in
qualche
discorso dei suoi, Niles sarebbe stato Niles e l’avrebbe imbarazzato
così tanto
da farlo smettere per poi prenderlo in giro senza pietà mentre si
incamminavano. A Leo, di solito, piaceva restare a guardarli, perché
per quanto
potessero essere frustranti le stranezze delle sue guardie riuscivano
sempre a
farlo sorridere.
Tuttavia quel
giorno non era proprio dell’umore per sopportare delle
sciocchezze e, così, si girò, incamminandosi con passo svelto inseguito
dall’eco dei passi concitati di Ileana.
-Siamo in ritardo,
fratello?- gli chiese quando lo ebbe raggiunto,
preoccupata.
Leo si costrinse a
espirare quel sospiro che non poteva fare a meno di
trattenere, e a rallentare. Le offrì il braccio, che lei strinse con un
sorriso
e una domanda negli occhi. -No, siamo puntuali. Perdonami, sorella. Ho
delle
cose per la testa.- la mano guantata coprì quella di lei, attenta a non
impigliarsi nel pizzo che le velava le braccia.
Il sarto aveva
davvero fatto un ottimo lavoro con le sue vesti, doveva
ammetterlo. Ileana era incredibile, così avvolta da nero e oro e verde,
da
armatura e pizzi. Era semplicemente stupenda, e in battaglia sarebbe
stata
terribile, con i contrasti di luce e ombra che caratterizzavano la
magia
Profonda in cui lei era tanto brava – proprio come per Camilla, avrebbe
trasformato quella bellezza in un’arma, fatta per ispirare i suoi
alleati e
distrarre i suoi nemici.
O, almeno, lo
sarebbe stata, una volta che avesse provato la sua forza, il
potere del suo sangue. Fino ad allora, quella bellezza sarebbe stata
solo una
tentazione. Leo si ritrovò a ringraziare ogni stella del cielo di Nohr
per
essere riuscito a tenere la data del suo arrivo a Krakenburg lontana
dalle
orecchie della corte. L’ultima cosa di cui aveva bisogno quel giorno
era la
nobiltà che veniva a dare un’occhiata al loro potenziale giocattolino
nuovo.
Si fermò, così
all’improvviso che Ileana inciampò leggermente, ma lui se ne
accorse a malapena mentre la sua mente correva a mille miglia all’ora.
-Leo,
che_?-
-Quando entreremo
nella sala del trono…- cominciò, la bocca asciutta, i
nervi a fior di pelle. -…non saremo lì in qualità di figli. Saremo dei
soldati
di fronte al loro re. Capisci?-
Il suo silenzio, il
modo in cui la sua mano si strinse sul suo braccio gli
dicevano che no, non capiva cosa stesse succedendo, ma che qualche
parte di lei
comprendeva che non fosse niente di buono.
-Non rispondergli.-
continuò, voltandosi verso di lei e prendendole il viso
tra le mani, il peso dei suoi errori a gravargli sulle spalle. -Non
contestare.
Non importa cosa ti dirà, va bene? Solo accetta gli ordini, e se c’è
qualunque
problema lo risolveremo insieme, tra di noi, e faremo comunque sembrare
che tu
abbia fatto tutto quello che ti ha chiesto. Okay?-
-Leo…- le sue dita
si intrecciarono a quelle che le toccavano le guance
mentre lei gli permetteva il contatto, gli occhi verdi attenti che
reggevano il
suo sguardo bruno. -Cosa succede? Cosa non mi hai detto?-
Fu l’orgoglio a
gonfiarglisi in petto. Certo che aveva capito. Era
intelligente, checché ne dicesse lei o chiunque altro, e lui aveva
fatto in
modo di addestrare e affilare quell’intelligenza in ogni modo possibile.
Non dirle. Quello
era stato il loro errore – di Xander, di Camilla, suo.
Erano sempre stati così ansiosi di proteggerla, di farla felice, che
non si
erano mai preoccupati davvero del giorno in cui lei sarebbe dovuta
entrare nel
mondo di Krakenburg finché quel giorno non era stato troppo vicino
perché
potessero continuare a ignorarlo. Avevano trasformato lei e la Torre
Nord in un
rifugio in cui gli intrighi non esistevano, ma Leo ora non riusciva
quasi a
respirare al pensiero che, forse, avevano scavato la tomba della
sorella con le
loro stesse mani.
L’avevano protetta
troppo, tenuta all’oscuro troppo a lungo – proteggevano
Elise con la stessa determinazione, ma almeno Elise era lì al castello
e poteva
vedere con che ambiente avrebbe dovuto confrontarsi prima o poi, per
quanto
schermata e di poca importanza fosse adesso. Ma Ileana non aveva avuto
nemmeno
quella possibilità. E adesso doveva entrare, del tutto alla cieca,
senza
nemmeno sapere che tipo di re fosse il loro padre né come comportarsi
di fronte
a lui.
“Hedi, perdonaci.
Cos’abbiamo fatto?”
Ileana reclinò il
capo di lato mentre lui le passava il pollice sulla
guancia, sempre più perplessa e preoccupata. -Leo? Mi stai spaventando.-
Bene, avrebbe voluto
dirle. Aveva ottime ragioni per essere spaventata, e lui
avrebbe voluto spiegargliele tutte, una per una, avvertirla, fare
quello che
avrebbe dovuto fare già da tempo.
Ma non poteva. Non
ne aveva il tempo, né le parole.
Così forzò un
sorriso, ingoiò il groppo in gola, e disse solo: -Perdonami,
sorella. Non è nulla. Mi sono solo dimenticato di dirti quanto tu sia
bella.-
le soffiò un bacio sulla tempia, ignorando le sue domande e la
preoccupazione
nei suoi occhi. -Andiamo adesso, siamo attesi.-
Ringraziando il
Drago Nero, erano oramai solo a un paio di corridoi di
distanza dalla sala del trono, perché Leo non avrebbe potuto sopportare
il peso
di quegli occhi per un minuto di più.
-Sorella!- Elise
trillò quando li vide avvicinarsi, lanciandosi addosso ad
Ileana per stringerla in un abbraccio.
Anche Camilla si
avvicinò, ma decise di lasciare le sorelline alle loro
dimostrazioni d’affetto per un po’. Leo fu decisamente sorpreso di
sentire le
braccia della sorella maggiore che se lo stringevano addosso in un
abbraccio
tutto per lui.
-Mio dolce Leo, sei
pallido come un lenzuolo!- lo rimproverò, permettendogli
di respirare solo per prendergli il volto tra le mani ed esaminarlo da
vicino.
-Sei certo di stare bene?-
Lui arrossì, non
abituato a tutta quell’attenzione, ma qualcosa in lui era
ben contento che qualcuno notasse il suo stato e se ne preoccupasse.
-Sto bene,
Camilla!- soffiò, inevitabilmente.
-Ah, fratellino.
D’accordo, d’accordo, ti lascio stare. Spero di non averti
infastidito troppo.- ridacchiò lei in risposta, le dita a riordinare i
capelli
che gli aveva arruffato lei stessa. Leo si rifiutò di replicare,
sbuffando in
risposta, così la maggiore delle principesse di Nohr spostò la propria
attenzione sulle sorelle. -Ileana, mia cara. Sei splendida.-
Il suo commento
parve richiamare l’attenzione di Xander, che era rimasto
immerso nei suoi pensieri in silenzio vicino alla porta mentre le sue
sorelle
si salutavano. Si voltò giusto in tempo per vedere Camilla attirare
Ileana –
con Elise ancora appiccicata a un braccio – in uno dei suoi abbracci
mentre Leo
alzava gli occhi al cielo e brontolava qualcosa sul cercare di non
soffocarla.
Ma fu Xander a
soffocare per lei, quando i suoi occhi si posarono sulle
vesti che coprivano – o, per essere più precisi, scoprivano –
il corpo della sua sorellina.
Ileana era snella e
minuta, com’era sempre stata. Lui l’aveva sempre
saputo, ma era sempre stato così preoccupato di come il suo corpo si
muovesse
durante l’addestramento che non si era mai fermato a notare come fosse
si fosse
ammorbidito nel tempo. Le trasparenze degli abiti che indossava erano
aderenti
e mettevano in evidenza tutte le curve che il suo corpo aveva maturato,
ma
copriva abbastanza da lasciare qualcosa all’immaginazione e da spingere
un
osservatore a chiedersi quando morbida potesse essere la sua pelle
chiara sotto
tutti i veli neri che la coprivano.
L’incrocio di
nastri dorati incatenava gli occhi ai suoi fianchi,
guidandoli su per la vita snella e sfidandoli a proseguire oltre, ad
accarezzare quel lembo di pelle lasciato scoperto prima che altra
stoffa e
alamari scintillanti le nascondessero la gola. Il mantello le scendeva
dalle
spalle – probabilmente il suo pezzo preferito della divisa – come un
paio d’ali
nere, rivestito di un verde scuro e vibrante che ben si sposava coi
suoi occhi.
Se lo stava già stringendo addosso, di certo sentendosi esposta e
leggermente
infreddolita, coperta com’era da nient’altro che dai copribraccia di
pizzo che
partivano dal polso e si avvolgevano fin sotto le sue spalle.
Xander sentì
qualcosa ringhiargli nel petto alla vista di sua sorella, e
per un momento considerò seriamente l’idea di trascinarla di nuovo dal
sarto e
dargli una lavata di capo per aver confezionato alla sua principessina
qualcosa
di così succinto.
-Di chi è stata
l’idea di presentarla all’esercito come Maga?- sibilò
nell’orecchio di Leo mentre faceva un passo per avvicinarsi alle
sorelle.
-È l’unico rango
base del nostro esercito armato di libri di incantesimi.-
il fratello gli ringhiò indietro sotto voce, chiaramente infastidito.
-Sai che
non posso darle una promozione finché non risolviamo questa seccatura
delle
vene drago. Ho già in mente qualcosa, a riguardo. Ne parleremo appena
riuscirai
a trovare del tempo per me, fratello.-
Xander sapeva che
aveva ragione – Leo aveva sempre ragione – ma lui non
poteva fare a meno di irritarsi al pensiero di ogni uomo dell’esercito
che
avrebbe lasciato vagare gli occhi viscidi sulla sua principessina.
Il portone della
sala del trono si aprì con uno schianto, e sulla soglia
comparve un uomo dai capelli scuri. Xander camuffò la propria smorfia
con il
suo cipiglio da Principe Ereditario – “A proposito di viscido…”
ringhiò
tra sé e sé.
-Miei principi, mie
principesse.- li salutò tutti questo con un profondo
inchino, la maschera dorata che gli copriva mezza faccia a tenergli
indietro i
capelli lunghi. -Ah, lady Ileana. Permettetemi di presentarmi
formalmente,
questa volta: sono Iago, primo consigliere del re e stratega
dell’esercito
nohriano.-
Ileana sentì la
pelle accapponarsi in risposta al modo in cui la guardava,
ma ignorò il brivido che le corse lungo la schiena. Fece un cenno nella
sua
direzione, una semplice cortesia richiestale dall’etichetta di corte.
-È un
piacere, Iago. Ma non ricordo di avervi mai incontrato.-
Il sorriso
dell’Incantatore si trasformò in un ghigno che le gelò il sangue
nelle vene. -Venni una volta alla Torre Nord per avere notizie del
vostro
addestramento. Ovviamente, rimasi positivamente impressionato dalle
vostre
abilità magiche. Ma è stato anni fa. Siete cresciuta…-
Quell’ultima
aggiunta fece irrigidire Leo, e Xander fece un passo verso lo
stratega, effettivamente piazzandosi tra lui e la sorella. -C’è
qualcosa che
devi comunicarci, Iago?- gli chiese, bandendo i convenevoli.
-Il re è pronto a
ricevervi, milord.- Iago gli rispose subito, liberando
l’entrata alla sala del trono e facendogli segno d’accedere con uno
svolazzo
della mano.
Il Principe
Ereditario annuì, e fece segno alle sorelle di seguirlo con un
cenno. I principi e le principesse di Nohr entrarono nella sala del
trono, uno
alla volta, Xander per primo ed Elise per ultima. Ileana era in fila
dietro
Leo, il cuore che batteva forte nel petto e la bocca secca mentre
oltrepassava
quella soglia. Tutto il nervosismo che la compagnia dei suoi fratelli e
delle
loro guardie aveva tenuto a bada durante la sua prima mattinata a
Krakenburg
rialzò la testa, e lei strinse i pugni per farsi forza. Prese un
respiro
profondo mentre si metteva in riga, i fratelli e le sorelle accanto a
lei, e si
sforzò di trovare il coraggio di guardare in direzione di quel padre
che non
vedeva da dodici lunghi anni.
Re Garon sedeva sul
suo trono nero, un’ascia imponente dall’aspetto letale
appoggiata al muro alla sua destra, pronta all’uso. Si alzò in piedi
mentre i suoi
figli si inchinavano a lui, e Ileana si trovò a tremare notando quanto
semplicemente torreggiava persino su Xander. Era alto quanto il
maggiore dei
suoi figli, se non di più, ma aveva un fisico molto più robusto… e lì
finiva la
somiglianza tra padre e figlio. Ileana si era sempre immaginata il
padre come
una copia più adulta del fratello maggiore, ma in quel momento si
accorse di
aver commesso un errore: non c’era assolutamente nulla di Xander nel
re, se non
il cipiglio serio e la tonalità degli occhi.
Quell’uomo era
così… estraneo.
-Ileana.-
Sobbalzò quando lo
sentì pronunciare il suo nome, senza alcun preavviso.
Quasi scattò sull’attenti, le mani strette dietro di sé, la schiena ben
dritta.
-Sì, padre.-
-Benvenuta a
Krakenburg, figlia mia.- la accolse, la voce profonda che
ringhiava come un tuono e riecheggiava su per la volta della sala del
trono e
fin nelle sue ossa. -Spero che tu abbia avuto l’occasione di
riprenderti dal
tuo viaggio.
-Grazie, padre. E
sì, mi sono ripresa.- disse con un piccolo inchino, il
capo chino di fronte a lui. -Sono venuta a servirvi al meglio delle mie
capacità.-
Il re la soppesò
con lo sguardo, in silenzio, e lei osò sperare che fosse
contento di lei. -I tuoi fratelli mi hanno raccontato delle meraviglie
che sei
in grado di compiere con un libro di magia tra le mani.- Ileana
arrossì, e fece
del suo meglio per soffocare il sorrisino compiaciuto. -Tuttavia, mi
dicono
anche che non sei ancora in grado di svegliare il tuo sangue ed
attivare le
vene drago.-
Ileana sentì il
rossore farsi bruciante e tenne il capo chino, le unghie a
scavarle i palmi delle mani, una spiacevole stretta d’ansia a chiuderle
la
bocca dello stomaco. Lottò contro l’istinto di stringersi intimorita
nel
mantello. -S_sì, padre.-
Il Re d’Ossidiana
ridacchiò, un suono scuro che le punse la pelle. -Non c’è
bisogno di essere così tesa, figlia mia.- disse lentamente, e se
l’indulgenza
nella sua voce fece rilassare le spalle del Principe Ereditario drizzò
invece
le orecchie di Leo, lo sguardo che andava avanti e indietro tra padre e
sorella. -Ho discusso la tua situazione con Xander, e mi sembra che
tutto ciò
che ti serve per sbloccare il potere dormiente nel tuo sangue è… solo
un po’ di
pratica.-
Ileana scoccò uno
sguardo a Xander, che annuì incoraggiante, il cipiglio
sul viso che si distendeva appena. Loro padre aveva un piano per
aiutare Ileana
con il suo blocco, e non sembrava affatto preoccupato, e questo gli
bastava.
-C’è una fortezza
abbandonata al confine con Hoshido sull’Abisso Infinito.
Voglio sapere se l’edificio è ancora in buono stato, per farne un
avamposto per
le nostre armate. Non dovrebbe esserci bisogno di combattere, ma
potreste
incontrare degli hoshijin in ricognizione, quindi voglio che tu sia
pronta a
difenderti.- Ileana annuì, così il re continuò: -Nessuno dei tuoi
fratelli ti
accompagnerà, ma non per questo ti manderò da sola. Prenderai con te
una
guarnigione di soldati che obbedirà ai tuoi ordini. Sarai anche
accompagnata da
Gunter, da una delle tue guardie, e da un veterano della mia guardia
personale.
Inoltre, per essere certo che non ti accada nulla…-
Il Re d’Ossidiana
fece un cenno con una mano e Iago avanzò di un passo, una
spada e un fodero tra le mani. Li offrì allo sguardo attento di Ileana,
e
Xander colse un lampo di apprensione nei suoi occhi verdi.
Garon proseguì:
-Questa è Ganglari, forgiata con il potere di un altro
mondo. I tuoi fratelli mi dicono che preferisci la magia, ma sei anche
stata
addestrata alla spada. Voglio che tu porti questa lama con te, cosicché
se la
tua magia fallisse per qualsiasi motivo, avrai comunque modo di
proteggerti.-
fece una pausa, gli occhi scuri che soppesava l’esitazione nelle mani
della
figlia. -Prendila, bambina mia. Non partire lasciando tuo padre a
temere per
te.-
Ileana colse il
sorriso incoraggiante di Xander, e annuì al re, mite.
Mentre suo padre tornava a sedere sul Trono di Spine, Iago le si
avvicinò, la
spada tra le mani. -Permettetemi, milady…-
Leo si mise in
mezzo ancora prima che l’Incantatore finisse di parlare, le
mani esigenti tese di fronte a sé. Qualcosa di venefico passò sul volto
di
Iago, ma così rapidamente che Ileana si chiese se non se lo fosse solo
immaginato. Consegnò la spada al secondo principe di Nohr senza
un’altra
parole, e Leo la prese frettolosamente. Tornò in linea con i suoi
fratelli, e
Ileana sentì l’elsa della lama sfiorarle la mano. La magia che la
pervadeva la
fece rabbrividire quando le sue dita si strinsero sull’impugnatura.
-Ti ringrazio per
la tua generosità, padre.- disse inchinandosi, azzardando
un sorriso in direzione dell’uomo seduto sul suo trono oscuro.
-Partirai non
appena possibile. Tuo fratello Leo ti aiuterà con le
preparazioni e nel decidere la strada da percorrere.- Garon fece un
cenno con
la mano, e Leo strattonò discretamente il braccio di Ileana: erano
appena stati
congedati. -Xander. Voglio che tu cominci a preparare le nostre truppe.
Voglio
che un pezzo del nostro esercito vada ad occupare la fortezza non
appena Ileana
ne avrà preso possesso.-
-Sarà come volete,
padre.- disse solennemente il Principe Ereditario,
chinando il capo di fronte al suo re.
-Ileana.-
Ileana si bloccò
sulla soglia, la voce del padre improvvisa come un colpo
di frusta. Si volse verso di lui.
-Non deludermi.-
Deglutì, e si
inchinò di nuovo. -Non accadrà, padre.-
.
§
.
Un fulmine spaccò
in due il cielo sopra la sua testa, e Ileana sorrise.
Le tempeste la
affascinavano: adorava vedere il cielo incupirsi, sentire
l’elettricità farsi guizzante, ascoltare il tuono ruggire in
lontananza. La
faceva sentire viva.
Là, nella sua
torre, aveva spesso passato le notti tempestose in bianco,
appollaiata davanti alla finestra, occasionalmente schiudendo i vetri
per
lasciar entrare un refolo di vento, qualche goccia di pioggia e il
profumo che
portavano con loro. Le uniche eccezioni erano state le notti in cui i
suoi
fratelli e sorelle si fermavano a dormire, quando il tempo era davvero
troppo
brutto per poter viaggiare. Durante quelle notti, quando era piccola,
faceva
finta di aver paura delle tempeste perché Xander e Camilla la
lasciassero
dormire con loro, tutti nello stesso letto, e piagnucolava finché non
andavano
a convincere Leo ad unirsi a loro.
Da grande aveva
cominciato a lasciare in pace il fratello e la sorella
maggiori, ma era stata Elise a prendere l’abitudine di infilarsi nella
sua
stanza – e lei aveva davvero paura delle tempeste, da piccola –, di
solito
trascinandosi dietro Leo per punzecchiarlo finché non si decideva a
leggerle
una storia della buonanotte; una volta messa a letto Elise, Ileana e
Leo
avevano trascorso un numero indefinito di notti svegli fino all’alba,
chini sui
libri di incantesimi tanto da addormentarcisi sopra.
Le tempeste
sapevano di famiglia, e non esisteva niente che Ileana amasse
di più della sua famiglia.
-Come facciate a
mantenere quel sorriso in questo miserabile posto
dimenticato dai Draghi è per me un mistero, Lady Ileana.- borbottò
Jakob,
irritato, mentre le passava una tazza di porcellana piena di tè caldo.
-Ed è per me un
mistero come tu abbia pensato di portare un servizio da tè
durante una marcia militare, Jakob.- rispose lei, con un sorrisetto. Il
suo
fedele maggiordomo le sorrise, ma un’altra voce si intromise prima che
potesse
risponderle.
-Ha ragione,
ragazzo. Questo non è assolutamente il posto per le tue
fragili porcellane.- ringhiò un Gran Cavaliere avvicinandosi al trotto
a
cavallo di una giumenta nera, la fedele lancia ben stretta in mano.
-Non sei
più alla Torre. Devi adattarti, comportarti di conseguenza. Non puoi
continuare
a viziare la tua padrona in questo modo, sotto il naso dei soldati. E
voi non
dovreste permetterglielo, milady.-
Ileana si scrollò
il rimprovero di dosso con uno svolazzo della mano,
restituendo la tazza al maggiordomo. -Lascia stare Jakob, Gunter. Si
sta solo
prendendo cura di me, come gli hai insegnato tu.- la smorfia del
cavaliere si
ammorbidì quando lei si avvicinò per lasciarsi aiutare a montare in
sella. Lei
gli soffiò un bacio su una guancia e si accomodò all’amazzone. -Però ha
ragione
lui, Jakob.-
Gunter sorrise
mentre Jakob alzò gli occhi al cielo, ma nessuno dei due
spese un’altra parola sull’argomento. Ileana cominciò a studiare le
pieghe nel
viso del cavaliere: Gunter era sempre stato serio da che aveva memoria,
ma il
cipiglio corrucciato che gli aveva incupito il volto da quando avevano
lasciato
la Torre Nord era… preoccupante.
Sembrava portare lo
stesso peso del pallore delle nocche di Leo mentre le
stringeva la mano fuori dalla sala del Trono, delle borse di
apprensione sotto
gli occhi di Xander mentre le augurava buon viaggio, delle dita di
Camilla che
le attorcigliavano i capelli come se non volesse lasciarla andare.
Ileana sapeva che
erano in ansia per lei – perché altrimenti sarebbe stato
stressato anche Gunter? – eppure non riusciva a capire il motivo di
tanta
preoccupazione… ma voleva scoprirlo: ad ogni costo.
-Gunter, mi porti a
fare un giro?- gli domandò, richiamando subito
l’attenzione del Gran Cavaliere. -Vorrei vedere l’Abisso.-
L’uomo ridacchiò, e
lei poté sentire la sua risata vibrare sotto tutti gli
strati di armatura che indossava. -Solo tu potevi chiedermi di portarti
a
vedere un panorama così desolato.-
-Beh, è una
desolazione diversa da quella che si vedeva dalla mia finestra
alla Torre Nord.- ribatté lei, e lui scosse la testa, divertito. -Ti
spiacerebbe restare qui, Jakob? Preferirei avere qualcuno a tenere
d’occhio
l’accampamento mentre mi allontano. Non staremo via a lungo.-
Il maggiordomo
sembrò voler obiettare, pronto a chiederle di poterla
accompagnare al precipizio, ma la fredda occhiataccia della principessa
lo fece
desistere. Nonostante avesse probabilmente trovato strano quel gesto,
Gunter
non si espresse e scrollò le redini di Serilda, stringendo saldamente
una mano
attorno alla vita di Ileana per stabilizzarla mentre trottavano verso
il
canyon.
Ileana rimase in
silenzio per tutta la cavalcata. Erano arrivati all’Abisso
Infinito il giorno prima, e avevano deciso di accamparsi per la notte
prima di
proseguire. Quella mattina, alle prime luci dell’alba, aveva ordinato
ad Hans
di prendere un drappello e andare in ricognizione: la via per
attraversare
l’Abisso era fatta di ponti sospesi e pericolanti, perfetti per tendere
un’imboscata… e, di fare un salto nel vuoto a causa di un’imboscata che
avrebbe
potuto tranquillamente evitare, lei non aveva proprio voglia.
Curiosamente, Hans
era un’altra ragione di stress tra i suoi cari. Non
appena Xander aveva scoperto chi era il veterano menzionato dal padre
si era
incupito in un modo che Ileana non aveva mai avuto occasione di vedere,
e Leo
era impallidito ancor di più. Persino Gunter sembrava indispettito
dalla
scelta: non c’era stato momento, nelle due settimane di viaggio che
Ileana e la
sua unità avevano impiegato a raggiungere l’Abisso, in cui l’aveva
lasciata da
sola con il guerriero.
E, ovviamente,
nessuno si era preso il disturbo di spiegarle il perché.
La sua irritazione
dovette palesarsi in qualche modo mentre lei era persa
nei suoi pensieri, perché Gunter le accarezzò un braccio in segno di
conforto.
-A cosa pensi, bambina?-
Ileana sbuffò.
-Cos’è che nessuno mi vuole dire?-
Seppe di aver
colpito nel segno quando la carezza del cavaliere si arrestò
bruscamente nell’incavo del suo gomito. -Cosa vuoi dire?-
-Ah no, non ci
provare!- sbottò, divincolandosi dalla sua stretta
affettuosa. -Sai esattamente cosa voglio dire! I miei fratelli, mia
sorella, le
loro guardie, tu… siete tutti preoccupati,
preoccupati per me,
ma nessuno mi vuole dire come mai!-
-Scricciolino__-
Quel nomignolo era
sempre stato in grado di calmarla, ma in quel momento
non sembrava in grado di poter placare la sua irritazione.
-Scricciolino un
corno. Devo sapere, Gunter. Hobisogno di
sapere, e lo sai!-
Gunter tacque per
una manciata di respiri, durante la quale la Maga non
abbassò mai i propri occhi verdi. -È per questo che mi hai chiesto di
portarti
qui?-
Non ebbe risposta,
ma il guizzo negli occhi di lei fu più che sufficiente.
Scosse la testa.
E così toccava a
lui, infine, dirle tutto. Toccava a lui mandare in
frantumi la sua visione del suo mondo, della sua famiglia, dell’uomo
che
chiamava padre. Toccava a lui devastare colei che aveva giurato – al
re, al
divino Drago Nero, a se stesso –
di proteggere da ogni dolore.
Sembrava che Nohr
potesse ancora, dopotutto, strappargli via ogni cosa.
Ileana dovette
accorgersi di quanto Gunter fosse a disagio perché, invece
di insistere, si limitò a fissarlo. Lui distolse lo sguardo,
lasciandolo vagare
sul canyon che si estendeva di fronte e sotto di loro.
L’Abisso Infinito
pareva uno squarcio nella terra stessa, come se una parte
del mondo fosse stata strappata via e il precipizio fosse la cicatrice
lasciata
dalla frattura.
Si diceva che il
crepaccio fosse senza fondo, un salto nell’oscurità eterna
che terminava con una morte cieca e inevitabile. Le rocce che
delineavano la
voragine erano appuntite, taglienti, e si protendevano verso il cielo
scuro e
perennemente tempestoso come fauci che non attendevano altro che la
possibilità
di inghiottire i cuori tremanti di coloro che tentavano di attraversare
i ponti
sospesi.
-Detesto questo
luogo con tutto me stesso. C’è qualcosa di sbagliato, qui.
La terra, il cielo…- scosse la testa. -Non è un posto per noi mortali.-
-Gunter.- Ileana
ringhiò, la voce che prendeva quell’inflessione rigida che
lui aveva imparato a riconoscere nei reali che davano un ordine
aspettandosi
che venisse esaudito.
Sospirò. -Non
dovrei essere io a parlartene, scricciolino.-
-Ma sei l’unico che
può farlo.-
Non poteva
discutere con quell’affermazione, così scosse il capo con
rassegnazione. -Riguarda… riguarda la corte di Krakenburg. I vostri
fratelli e
sorelle sono… apprensivi su come potrebbero accogliervi.-
Ileana sbuffò. -Leo
era apprensivo quando non sono riuscita a evitare
completamente uno dei fendenti di Xander mentre ci addestravamo e mi
sono fatta
un graffio. Sembrava sul punto di vomitare
bile quando mi ha
salutata.- toccò a lei sospirare. Abbassò il capo e, quando guardò di
nuovo
Gunter, c’era dolore nei suoi occhi. -Quello che ho visto nei volti dei
miei
fratelli e di mia sorella, e quello che vedo nel tuo volto adesso, non
è
apprensione. È… agonia.-
Gunter fece
scorrere le dita, coperte dall’armatura, tra i suoi capelli,
riavviandole le ciocche dietro le orecchie. Sembrava così ansiosa, così
impaurita… stava portando lo stesso peso che gravava sulle sue spalle –
che
gravava sulle spalle di tutti quelli che le volevano bene – senza
saperlo.
Il suo tocco si
arrestò sullo zigomo sottile e la mano di lei, più piccola
e delicata, coprì la sua, prolungando la carezza. -Per favore, Gunter.
Aiutami
a capire. Perché si preoccupano della corte?-
Lo stava guardando
con quei suoi occhi, così grandi e dolci. Non era mai
riuscito a negare niente a quegli occhi. Non ci sarebbe riuscito mai.
-Perché
il Castello di Krakenburg è un posto molto più impietoso di quanto tu
possa
immaginare.-
-Non capisco. Sono
in pericolo? Sarò in pericolo?- la sua fronte era
corrugata mentre cercava di dare un senso alle sue parole – ma come
avrebbe potuto,
con così tanti buchi da riempire da sola senza nemmeno un indizio?
-Anche se
supero la prova di mio padre?-
-È una possibilità,
sì. La corte è… brutale. I nobili non conoscono la
pietà, né il rimorso. Non è un ambiente facile in cui sopravvivere,
nemmeno per
coloro di sangue reale.- faceva male dover dire quelle parole, faceva
male
quanto la spada che aveva cercato di strappargli un occhio, eppure si
trovava a
doverle pronunciare lo stesso. -E, se tu fallissi…-
Un fulmine squarciò
il cielo in quel momento, diramandosi tra le nubi
oscure e pesanti, serpeggiando fino a terra. Gunter quasi poteva
distinguere il
punto esatto in cui era caduto, ma non vide altro che nuda roccia
annerita.
Ileana sembrava un
po’ più pallida, ma c’era qualcosa di deciso nel modo in
cui annuì. -Va bene. Raccontami tutto.-
-Scricciolino__-
tentò lui, ma lei lo interruppe girandosi a fronteggiarlo,
gli occhi imploranti che crepitavano come fuoco.
-Gunter. Meno so e
più sono vulnerabile. Indipendentemente da come vada
questa prova.- prese un respiro profondo, le mani che stringevano il
mantello
mentre se lo tirava di più attorno alle spalle. Stava tremando, ma se
fosse per
il freddo o la paura, lui non avrebbe saputo dirlo. -La domanda è: mi
lascerai
tornare tra i corridoi della mia stessa casa sola e indifesa, o mi
aiuterai a
proteggermi?-
Come se esistessero
davvero più risposte a quell’incognita.
Ileana era
perfettamente conscia di quanto si trattasse di una domanda
retorica: Gunter l’aveva amata, protetta, cresciuta e coccolata
praticamente da
sempre, e aveva rivestito quel ruolo che Garon non si era mai dato pena
nemmeno
di degnare di un pensiero.
Quella giovane,
stupenda donna che ora teneva fra le braccia… sembrava
passato così poco tempo da quando le aveva raccontato l’ultima fiaba
della
buonanotte, le aveva rimboccato le coperte e sfilato l’ennesimo libro
dalle
dita stanche che non avevano saputo reggere l’inesorabilità del sonno…
eppure
Ileana non era più la sua bambina: Ileana aveva abbandonato il nido e
spiccato
un primo, incerto volo in un cielo che prometteva soltanto oscurità e
sofferenza, ed ora non stava facendo altro che implorarlo di insegnarle
ad
usare le sue ali.
Come poteva negarle
la conoscenza? Lui stesso le aveva insegnato che la
conoscenza era saggezza, eppure era rimasto vittima di
quell’incantesimo
che quei grandi occhi verdi erano stati in grado di lanciare su
chiunque avesse
avuto il privilegio di incrociarne l’attenzione: aveva sbagliato,
racchiudendola in un abbraccio troppo stretto e soffocante e
rifiutandosi di
prepararla per ciò che l’attendeva al di là delle mura sicure della
loro casa…
ma ora, sull’orlo di un precipizio senza fine, poteva rimediare.
Poteva dare alla
sua bambina la verità di cui aveva disperatamente bisogno,
le armi che le sarebbero servite per diventare più forte e per imparare
a
destreggiarsi fra i venti che avrebbero sicuramente tentato di
arrestare violentemente
il suo volo prim’ancora che iniziasse davvero.
-Va bene.- sospirò,
e le prese una mano tra le sue, facendole distendere le
dita fredde in modo da poterle chiudere tra le proprie. -Va bene. Ti
spiegherò.-
Oh, ma da dove
cominciare—?
-Vostra Altezza!-
Beh, a quanto pare
avrebbe avuto tutto il tempo di porsi il problema, a
giudicare dall’espressione sconvolta del soldato senza fiato che
correva a
rotta di collo verso di loro.
-Tieniti.- Gunter
la avvertì, prima di passarle un braccio intorno ai fianchi
e lanciare Serilda al galoppo, giù per la cresta rocciosa su cui si
erano
fermati per intercettare l’uomo a metà strada. -Riposo, soldato.
Respira, e
consegnaci il tuo messaggio.-
-G_Gunter, signore!
Principessa Ileana! Grazie al Drago Nero…- il Mercenario
singhiozzò, piegandosi su se stesso ma cercando di non ansimare mentre
parlava.
-Siamo… siamo stati attaccati! Hans era entrato nella fortezza con
alcuni di
noi mentre gli altri restavano di guardia, ma… ma è stato l’unico a
uscirne! E
c’erano Samurai e Ninja hoshijin dietro di lui! A-abbiamo cercato di
ritirarci
pacificamente, ma non… non ci hanno ascoltato, e… e…- prese un respiro
più
profondo, una mano al petto. -Sono stato mandato avanti ad avvertirvi.
I miei
compagni stanno combattendo sui ponti, cercando di trattenere gli
hoshijin, ma
stanno… stanno…-
-Grazie, soldato.-
lo interruppe Ileana, scendendo da cavallo e offrendo la
propria mano all’uomo per aiutarlo a tirarsi su. Lui la guardò,
confuso, e si
raddrizzò da solo.
Ileana abbassò la
mano, a disagio. -Porta il messaggio all’accampamento. Dì
a tutti di prepararsi e di unirsi a noi immediatamente. Io e Gunter
andremo ad
assistere Hans. Non possiamo perdere quei ponti.-
.
-Un grave errore!-
Gunter esclamò mentre calava violentemente il pomello
della sua lama nohriana sulla tempia di un Samurai che aveva tentato di
colpire
il suo cavallo.
L’uomo cadde a
terra con un gemito. Gunter rinfoderò la spada per
aggiustare la presa sulla lancia e ne guidò la lama attraverso la gola
dello
spadaccino, risparmiandogli una morte cadendo giù per l’Abisso, o
finendo
calpestato dai soldati e dai cavalli. Sentì una spiacevole stretta allo
stomaco, ma la ignorò. Uccidere non smetteva mai di disturbarlo,
nonostante
fosse un veterano: la desolazione che la guerra si lasciava dietro era
qualcosa
con cui ancora non riusciva a fare i conti. Euanthe aveva visto
abbastanza
sangue, e anche lui.
Ma non poteva
rischiare che un nemico si rialzasse per pugnalare Ileana
alle spalle solo perché lui aveva avuto pietà.
“Per l’appunto…”
grugnì, la mano che afferrava l’ascia assicurata alla
sella di Serilda. Il suo lancio colpì il bersaglio – la spalla di un
Ninja che
stava giusto per colpire il fianco scoperto della Principessa.
-Fai più
attenzione, ragazzina!- la rimproverò quando la vide girarsi,
allarmata dal grido strozzato dell’hoshijin. Lei annuì, pallida come un
fantasma, e Gunter vide chiaramente la smorfia sul suo viso mentre
mandava un
fulmine del suo Mjölnir a garantire una morte rapida ed indolore al
soldato
nemico.
La osservò ingoiare
la colpa e il disgusto, il volto una maschera
imbattibile, la mente ben concentrata sulla battaglia. Stava andando
bene, si
disse tra sé e sé. Il Principe Ereditario Xander sarebbe stato fiero di
lei, se
avesse potuto vedere la sua risolutezza, la sua mancanza di esitazione.
E il
Principe Leo l’avrebbe di certo lodata per la strategia che aveva messo
in
atto.
Ileana aveva
valutato la situazione rapidamente, e l’aveva dichiarata
pessima.
Quando lei e Gunter
erano arrivati ai ponti, Hans e quei pochi
sopravvissuti dei suoi uomini erano conciati malissimo – e molti di
loro erano
esausti e feriti, e gli hoshijin li stavano incalzando con un furia
tale che
bastavano i loro sguardi ad intimidire e disarmare gli avversari. Il
loro
arrivo aveva rassicurato le truppe nohriane, dandogli abbastanza tempo
a quelli
incapaci di combattere oltre di ritirarsi verso il campo, verso i
guaritori.
Gunter sapeva che anche solo quel piccolo rialzo nell’umore poteva
contare come
una piccola vittoria.
Grazia all’elemento
sorpresa e sfruttando il più possibile la mole di
Gunter in qualità di Gran Cavaliere a cavallo, erano riusciti a
limitare
l’avanzata degli hoshijin su una delle piattaforme rocciose che
popolavano il
crepaccio dell’Abisso Infinito, come isolette deserte galleggianti su
un mare
di infinita oscurità.
Ileana aveva subito
deciso di farne il campo di battaglia: era collegato al
confine nohriano da un ponte ampio e relativamente in buone condizioni,
che era
abbastanza solido e stabile da permettere la ritirata di eventuali
feriti
presso il campo, dove Jakob li attendeva pronto, *** alla mano – non
era stato
felice di sentirsi ordinare di rimanere indietro e lontano dalla
Principessa
per quella battaglia, ma la gravità della situazione gli aveva impedito
di
lamentarsi a oltranza.
Per contro, i ponti
che collegavano la piattaforma al confine hoshijin
erano consumati, pericolanti e molto più stretti. Di tutti, gli
hoshijin ne
stavano usando infatti uno solamente, che rendeva molto facile in
controbattere
alla loro offensiva e rispondere ai numeri con l’abilità delle milizie
nohriane. Gunter avrebbe voluto poter tagliare quel ponte e porre fine
a quella
battaglia insensata molto in fretta, ma la presenza dei soldati di
Hoshido gli
rendeva impossibile arrivare alle corde. Ma si sarebbe accontentato: i
loro
nemici stavano avendo difficoltà a gestire le loro truppe su quel
piccolo ponte
e non potevano nemmeno schierare gli arcieri – che erano una delle
maggiori preoccupazioni
di Gunter, ma che fortunatamente non riuscivano a trovare un buon punto
da cui
scagliare i loro dardi. C’era un Cecchino solitario che li fissava dal
confine
dall’altra parte del crepaccio, uno yumi luminescente tra le mani. Il
suo
sguardo era talmente ricco di rabbia omicida e frustrazione che Gunter
poteva
quasi sentirlo bruciare sulla pelle.
Tutto sommato,
erano in una posizione abbastanza buona per opporsi
all’offensiva hoshijin e resistere finché non sarebbero stati troppo
stanchi
per inseguirli al di là del ponte non appena Ileana avesse ordinato la
ritirata. Avrebbero tagliato le corde non appena avrebbero avuto
abbastanza
spazio di manovra, senza dover temere un attacco dall’alto – non con i
fulmini
che minacciavano di abbattere chiunque tentasse di oltrepassare il
canyon in
volo.
Sì, Ileana si stava
comportando bene, soprattutto considerando che era la
prima volta che calcava un campo di battaglia. Era chiaramente a
disagio con il
suo ruolo di comandante, e infatti aveva preferito lasciare il compito
di dare
ordini a Gunter, ma era riuscita a ribaltare le sorti di quella che
aveva tutta
l’aria di una battaglia certa. Avevano buone probabilità di portare a
casa la
pelle.
O almeno, le
avevano avute finché la terra stessa non cominciò a tremare.
Per un momento,
tutto si fermò – persino le nubi oscure e ringhianti che si
rincorrevano sopra l’Abisso Infinito parvero arrestarsi. Il Cecchino
solitario
dall’altra parte della gola cominciò a risplendere di una luce
azzurrina, etera
– la stessa luce che proveniva dal suo yumi… una luce che non aveva
nulla di
magico, e tutto di divino.
Il Cecchino era un
principe di Hoshido, e stava accentrando il potere di
una Vena Drago.
Gunter fu il primo
a riprendere controllo di sé e si precipitò al fianco di
Ileana mentre il resto dei soldati – tanto nohriani quanto hoshijin –
non
poteva fare a meno di fissare il principe mentre il cielo e la terra
stessi
rispondevano alla chiamata del suo sangue.
Il suo movimento
sembrò riscuotere Ileana dal suo stato di trance, e quando
si girò a guardarlo, lui vide l’agonia nei suoi occhi.
-Gunter…- Ileana
iniziò, ma le parole sembrarono impigliarlesi in gola, e
non disse altro.
Il Gran Cavaliere
quasi bestemmiò, quando comprese: non aveva nemmeno
percepito la Vena Drago.
Aveva fallito la
prova del re.
Qualcosa di
orribile avviluppò il cuore di Gunter e strinse, ma lui fece
del suo meglio per impedire a quel tormento di manifestarsi sul suo
viso. -Rimani
concentrata.- le disse invece, cercando di mantenere la voce quanto più
risoluta possibile.
Dopo un’ultima
scossa, di fronte agli occhi terrorizzati dei nohriani, la
terra prese vita: la pietra sotto i piedi del principe tremò prima di
lanciarsi
in avanti, formando un ponte tra il confine e la piattaforma su cui si
stava
svolgendo la battaglia. Frecce azzurrine piovvero dal suo yumi divino,
non
mancando nemmeno un bersaglio e portando soltanto morte.
Gunter non perse un
secondo e cominciò ad abbaiare ordini, imponendo alle
truppe di serrare i ranghi e prepararsi alla ritirata. Si arrischiò a
guardare
indietro, verso la loro unica possibilità di scampo: il ponte reggeva,
piantonato da Hans dall’altra parte. Se fossero riusciti a ritirarsi
ordinatamente, avrebbero potuto bloccare gli hoshijin sul ponte e poi
tagliare
le corde. Aveva sperato di non dover arrivare a tanto – non gli piaceva
essere
costretto a uccidere così tante persone, e con un espediente talmente
da
codardi, ma era la loro unica possibilità…
Era talmente
concentrato a studiare la loro via di fuga che non vide la
testardaggine sul viso di Ileana, la sicurezza nei suoi occhi. La
intravide
sfogliare il suo Mjölnir, e lampi guizzarono da quelle pagine per
colpire e
costringere gli hoshijin ad arretrare, assicurando qualche attimo di
respiro ai
suoi soldati. Gunter aprì la bocca per farle i complimenti, ma le
parole gli
morirono in gola quando la vide avanzare sul percorso che si era aperta
con
l’incantesimo.
-Principessa!- la
chiamò, sperando che bastasse a fermarla.
Lei non si volse
nemmeno, così lui si ritrovò a seguirla, dolorosamente
consapevole degli occhi affilati del Cecchino, il suo sguardo e il suo
yumi
fissi su di loro – chiaramente, avevano attirato la sua attenzione.
-FERMI!- abbaiò
Ileana, la sua voce forte e chiara nell’aria tesa
dell’Abisso Infinito.
I nohriani la
ascoltarono, e i nemici esitarono alla vista dell’avanzata
della Maga. Il loro comandante avanzò in prima linea, di fronte alle
sue
truppe. Aveva il disgusto dipinto in volto, e una freccia ancora
incoccata
tenuta saldamente tra le dita.
-Principe di
Hoshido.- Ileana lo salutò rispettosamente, e lui inarcò un
sopracciglio, gli occhi come lame. -Vi prego, cessate l’offensiva…-
Gunter la
vide girarsi verso di lui, cercando il suo supporto, la sua
benedizione.
Comprese ciò che aveva intenzione di fare e le offrì un magro sorriso,
annuendo
gravemente. Ileana sembrava più leggera quando fronteggiò di nuovo i
loro
nemici per dichiarare: -Ci arrendiamo.-
Un mormorio
percorse le schiere di soldati attorno a loro. Il volto del
principe mostrò dapprima shock, poi rabbia, sdegno, odio. Infine, le
rivolse un
sorriso di scherno, una scintilla rossa negli occhi.
-A morte.-
Se Ileana fosse
stata un secondo più lenta, Gunter avrebbe dovuto riportare
il suo cadavere a Windmire.
Il principe
hoshijin imbracciò l’arco con un movimento fluido, rilasciando
una freccia divina crepitante di energia. Ileana levò le mani,
scintille di
magia tra le dita, e un muro di fulmini apparve dal nulla a deviare il
dardo
che puntava al suo cuore.
-RITIRATA!- ordinò
Gunter mentre gli hoshijin si preparavano a lanciare un
ultimo assalto. Il suo cavallo saltò in avanti, e la lancia del Gran
Cavaliere
arrivò appena in tempo a fermare la stoccata di una Maestra di Lancia
dai
capelli blu che era riuscita a infilarsi tra le maglie dell’incantesimo
prima
che la sua naginata potesse mordere il braccio di Ileana. -AL PONTE!-
Fece ruotare
Serilda, ignorando il ghigno crudele sulle labbra del
principe, voltando le spalle a quel baluginio rosso nei suoi occhi.
Tese una
mano a Ileana mentre indietreggiavano, intenzionato a farla salire in
sella
dietro di sé, ma mentre faceva per stringerle il braccio il terreno
tremò di
nuovo e lui poté solo guardare, impotente, mentre lei inciampava e
restava
indietro mentre il suo cavallo procedeva avanti, spinto dalla massa di
soldati
in fuga per avere salva la vita.
-Principessa!- la
chiamò.
Ma Ileana non lo
guardava più, avendo occhi solo per il secondo ponte di
pietra che si era schiantato contro la piattaforma da un’altra
angolazione,
proveniente da un altro punto del confine hoshijin. Tagliò la ritirata
di parte
delle loro truppe, frapponendo un manipolo di Arcieri e Samurai tra
loro e la
salvezza.
-Ileana! No!-
gridò, le formalità gettate al vento quando la vide
rivolgersi di nuovo verso la battaglia, le mani che mettevano via il
suo
Mjölnir per estrarre un altro tomo.
-VAI!- gli strillò
lei, i capelli che frustavano il vento quando lei si
girò per lanciargli un’occhiata. -Ti raggiungo, tu vai! Proteggi il
ponte dal
confine!-
Anche se
disobbedire a un reale di Nohr gli era già costato troppo una
volta in passato, Gunter fu tentato di correre di nuovo quel rischio.
Non
importava che Ileana non lo considerasse suo padre: lui la considerava
sua figlia
– quella figlia che aveva perso per mano del suo re, e che aveva
ritrovato
quando lui gli aveva dato una frusta.
Eppure non aveva la
possibilità di disobbedirle: per poterla raggiungere
ormai avrebbe dovuto sicuramente scavalcare molti dei suoi stessi
uomini,
probabilmente fare del male al suo cavallo, e possibilmente finire a
precipitare giù per l’Abisso in caso fosse successo.
No. La sua migliore
possibilità di salvare la sua principessa era obbedire
agli ordini, proteggere il varco, e prepararsi a tagliare le corde di
quel
maledetto ponte non appena lei l’avesse attraversato. Perciò permise a
Serilda
di attraversare, ma i suoi occhi rimasero su Ileana.
Era fiero di lei
per come stava proteggendo i suoi uomini. Era anche
furioso del fatto che lo stesse facendo, perché lei era la principessa
e
avrebbe dovuto mettere la sua vita prima di quella dei soldati… ma non
poteva
farne a meno: Ileana era cresciuta trattando i servitori come suoi
pari, come
parte della famiglia, e gli voleva bene. Non avrebbe abbandonato chi
combatteva
sotto il suo comando, indipendentemente da quello che rischiava. Era
furioso
per quello, per il pericolo in cui si stava mettendo. Ma era anche
assurdamente
fiero di lei.
La guardò evocare
sfere di lampi nelle mani, lanciandone una verso il
Cavaliere Kinshi che era comparso in cielo a proteggere gli hoshijin
con le sue
frecce, e una al Maestro d’Armi che le si era scagliato contro
selvaggiamente,
senza nemmeno aspettare che la roccia sotto i suoi piedi si
stabilizzasse del
tutto. La guardò schivare ognuno dei suoi colpi e rispondere a suon di
saette,
la magia che le si concentrava senza posa nei palmi come se fosse un
fiume in
piena. Uno dei suoi incantesimi colpì il bersaglio, mandando a terra il
Master
of Arms con la sola forza della sua magia; ne lanciò subito un altro
per
tramortire la Maestra di Lancia che incalzava un Guerriero.
Uno degli ultimi
dei loro che doveva ancora arrivare al ponte, notò Gunter.
Gli tremavano le mani, così le fermò stringendo più saldamente l’elsa
della sua
lama nohriana.
“Coraggio,
scricciolino, manca poco…”
—Snap!
.
Per un secondo,
Ileana si sentì galleggiare come se fosse senza peso, come
quando suo fratello Leo la sollevava per aria con la magia per
trascinarla alle
lezioni con Xander quando lei cercava di evitare l’addestramento
nascondendosi
sotto il tavolo.
Per un secondo,
Ileana credette di aver immaginato l’ascia scintillante,
l’arco di luce che aveva disegnato mentre calava, lo strappo che aveva
causato
mentre lacerava le corde consumate che sorreggevano il ponte.
Per un secondo,
Ileana si aspettò di essere sul punto di svegliarsi da un
incubo molto, molto vivido.
Quando la gravità
cominciò a trascinarla verso il basso, la sensazione di
cadere non la svegliò.
-ILEANA!-
-MILADY!-
Non la svegliò,
perché non era un incubo. Era reale. L’ascia incastonata
nel legno era reale, l’angoscia di Gunter e Jakob era reale, il vuoto
sotto di
sé era reale.
Anche l’improvviso,
inaspettato dolore che le attraversò braccio e spalle
quando una presa d’acciaio si chiuse sul suo polso, trattenendola dal
precipitare nel vuoto assieme ai suoi soldati e a quel che restava del
ponte,
era reale.
Singhiozzò per il
dolore e strinse i denti, il braccio torto in una maniera
assolutamente innaturale.
-Vi ho presa,
milady!- gridò una voce che non riconobbe, e guardò in alto:
attraverso il velo di lacrime che le annebbiava la vista, distinse
shuriken
scintillanti, una sciarpa viola, una chioma verde scuro. -Adesso vi
tiro su.
Aggrappatevi a me appena ne avete l’opportunità. Va bene?-
Ileana voleva
gridare che no, non andava bene niente, ma sembrava di aver
perso tanto la voce quanto il controllo del suo corpo. Fortunatamente,
il suo
corpo sembrò muoversi da solo quando il mondo attorno a lei s’inclinò e
le
spalle del Maestro Ninja furono improvvisamente a portata di mano. Il
braccio
le fece male quando si strinse a lui, ma non abbastanza da impedirle il
movimento. Sentì la stretta del braccio di lui attorno alla vita mentre
se la
stringeva addosso, il bacio pungente della roccia della gola contro la
pelle e
i vestiti strappati.
Lo guardò – il suo
nemico, il suo salvatore – e lo trovò a sorriderle con
cortesia, una dolcezza infinita nei suoi occhi viola. Il braccio che
non la
stava stringendo aveva la corda spezzata del ponte arrotolata attorno
al polso,
e lei poteva distinguere le tracce rosse e brucianti che quella aveva
aperto
nella sua pelle.
-Andrà tutto bene,
milady.- le disse, e lei si chiese come poteva risultare
così calmo anche sospeso su un abisso senza fondo. -Non vi lascerò
cadere.-
Lo stridio di un
uccello sconosciuto spezzò l’ululato dei venti che
sferzavano il canyon, sovrastando anche le voci preoccupate che si
agitavano
sopra la piattaforma. Un uccello gigantesco, dalle piume bianco-dorate,
si
abbassò al loro livello e rimase sospeso di fronte a loro, sfidando le
correnti
e il minaccioso cielo tempestoso.
-KAZE!- urlò la
donna a cavallo del pennuto. -Reggiti! Vi portiamo via da
qui!-
Il ninja che aveva
salvato la principessa sorrise. -Reina! Grazie al Drago
Bianco, non sono mai stato più felice di vederti!-
Ileana chiuse gli
occhi quando l’uccello allungò le zampe verso di lei, gli
artigli snudati che scintillavano sotto i fulmini che venavano le nubi.
Eppure
quegli artigli non la graffiarono nemmeno quando le circondarono la
vita mentre
il braccio dell’uomo scivolava via. Come se avessero una mente tutta
loro, le
sue mani si strinsero alle piume.
Il vento le fischiò
furioso nelle orecchie mentre l’uccello s’innalzava, le
ali che frustavano le correnti una, due, tre volte, e poi sentì di
nuovo roccia
nuda contro la sua pelle… ma sotto di lei, con la gravità stessa che ce
la
spingeva contro. Strisciò via dall’uccello, a malapena consapevole del
ninja –
Kaze – che faceva lo stesso mentre il cavaliere – Reina – scendeva
dalla
propria cavalcatura. Con la coda dell’occhio li vide entrambi
avvicinarsi
all’uccello per aiutarlo a ripiegare le ali prima che i venti ululanti
potessero spezzarle nella loro furia.
Il respiro
affannato, una mano che si stringeva tra la terra e le
pietruzze, Ileana premette l’altro palmo contro il suo petto,
apprezzando come
mai avrebbe creduto il battito forte che le pulsava sotto le dita.
Quello stesso
battito che per un secondo si fermò, senza alcun preavviso,
quando qualcosa di bruciante le sfiorò i sensi – non era proprio magia,
ma non
era nemmeno troppo diversa. Ne aveva sentito il pizzicore già prima, da
lontano, quando aveva affrontato il principe. Percepirla così vicina,
in quel
momento, fu quasi troppo.
Ileana aprì gli
occhi, e per qualche secondo, il bagliore azzurrino della
freccia divina le riempì la vista e la mente – il suo mondo si
contrasse,
iniziando e finendo con quel dardo luccicante pronto e impaziente di
affondarle
nel cuore.
-Il mio Maestro
Ninja si è bruciato una mano e il mio Cavaliere Kinshi ha
rischiato il suo partner… e per salvare una morta che cammina.- sputò
il
principe, stillando veleno con ogni parola, odio rosso che gli
incendiava gli
occhi. -Le tue ultime parole, feccia?-
Fu il suo disgusto
a scuoterla.
Come… come osava?
Lui li aveva attaccati, rifiutato la
loro resa, inseguiti quando
cercavano solo di ritirarsi, di
tornare a casa… e osava dare a lei della
feccia.
-Mi aspettavo più
onore da un principe di Hoshido.- ringhiò lei in qualche
modo, nonostante fosse ancora senza fiato.
Gli occhi del
Cecchino si strinsero e le sue dita tremarono, la freccia
lucente che tremolava, implorando di essere rilasciata, ma lui la
trattenne –
per qualche misteriosa ragione. -Come osi parlare di onore, tu che
servi il più
miserabile dei re?-
-Non sono io quella
che a infierito su un nemico che stava abbassando le
armi.- precisò lei, ignorando il dolore alla spalla mentre si
puntellava sulle
braccia per alzarsi a sedere.
-Hai del coraggio,
a chiedere clemenza quando sono stati i tuoi soldati ad
iniziare l’attacco.- la derise lui.
-I miei uomini
stavano solo facendo un sopralluogo. L’orgoglio di Hoshido è
così fragile da considerarlo un attacco?- gli sputò contro lei.
Il Cecchino rise,
un suono oscuro e senza gioia, e scosse la testa.
-Proprio come mi aspettavo da una maga di Nohr. La feccia come te non
può far
altro che mentire.- la guardò, rabbia e odio e disgusto che sanguinava
dai suoi
occhi rossastri. -Hai avvelenato queste terre con il tuo fiato anche
troppo a
lungo. È ora di morire.-
Tese più indietro
la corda immateriale del suo yumi, e la freccia brillò
più forte che mai, sibilando tra le raffiche di vento che sembrava
creare.
Crepitava, e l’energia che emanava scorreva violentemente sulla pelle
di Ileana
come una corrente, così potente da riempirle il corpo di tanti piccoli
taglietti. Lui fece un passo avanti, il dardo che quasi le sfiorava il
mento.
Ileana aveva
sperato che la facesse finita in fretta, con un solo colpo al
cuore, ma sembrava voler giocare con lei ancora un po’.
-Allora? Hai paura,
adesso?- sibilò con un ghigno.
Aveva paura. Per
Hedi, era spaventata. Era stanca, ferita, in trappola, e
tanto, tanto spaventata.
Ma sarebbe morta
prima di mostrarlo. Xander non l’avrebbe mostrato, se
fosse stato al posto suo. Aveva già deluso le sue truppe per averle
fatte
finire con le spalle al muro, aveva deluso suo padre per non aver
percepito
quella dannata Vena Drago. Non avrebbe deluso anche suo fratello
piangendo come
un gattino indifeso.
Rialzò la testa, al
di sopra della freccia tanto – troppo – vicino alla sua
pelle, stringendo i denti contro il dolore pungente dell’energia
affilata che
grondava dal suo yumi, e sibilò: -Non ho paura di uno come te.-
L’inaspettato
stridore di acciaio contro pietra e lo strillo oltraggiato
che lo seguì li distrasse dal loro piccolo scambio di insulti, gli
occhi di
entrambi che correvano al piccolo, luccicante pugnale che aveva appena
tintinnato contro la piattaforma.
-CHI OSA ATTACCARE
IL SECONDO PRINCIPE DI HOSHIDO!- ruggì la Maestra di
Lancia dai capelli blu – quella che era riuscita ad infiltrarsi tra le
maglie
del muro di saette di Ileana durante la battaglia.
-IO!-
Jakob.
Ileana voltò
immediatamente il viso, gli occhi che correvano all’altro lato
della gola. Ed era là, il suo caro, leale Maggiordomo, graziosamente
appollaiato su uno dei pali che avevano sorretto il ponte – doveva
esserci
salito per lanciare il suo coltello più lontano, sperando di attirare
l’attenzione e non di fare del male. Gunter era appena un passo dietro
di lui,
ancora a cavallo, e sembrava teso e pallido – di certo in ansia per
lei, e
probabilmente molto più che preoccupato che Jakob precipitasse
nell’Abisso,
instabile com’era.
La Maestra di
Lancia di certo non aveva apprezzato la sua interferenza,
perché continuò a strillare: -ASPETTA CHE TI METTA LE MANI ADDOSSO,
CANE! IO
TI__-
-Tu niente.-
sibilò Ileana, la sua voce sorprendentemente
forte, abbastanza da cogliere gli hoshijin alla sprovvista. Si alzò in
piedi
con movimenti lenti, ben conscia del dardo immateriali che non smise
mai di
seguire il suo bersaglio – il suo cuore. -Non lo minaccerai nemmeno,
infatti.-
La giovane donna la
guardava come se le fossero spuntate le squame
all’improvviso. -Come ti permetti di parlarmi così, schifosa piccola__-
Ileana alzò gli
occhi al cielo e decise di troncare sul nascere quella che
di certo sarebbe stata una sequela di insulti molto originale. -Sei la
guardia
reale del principe, non è vero? Quell’uomo è la mia. Sta solo cercando
di
proteggermi. Non faresti lo stesso, se fosse lui quello in procinto di
essere
ammazzato a sangue freddo?-
Le sue parole
ridussero la lanciera al silenzio, ma la sua stretta sulla
sua naginata si fece tanto stretta da farle sbiancare le mani.
-Buona, Oboro.- la
riprese bonariamente il principe. -Lascia che il cane
abbai.- lo schernì a voce alta, e gli hoshijin risero.
Ileana fece una
smorfia – cosa non avrebbe dato per folgorarlo! –, ma
un’occhiata d’avvertimento dal Maestro d’Armi che aveva affrontato
prima la
convinse a tenere a freno la lingua, almeno per il momento.
Era impossibile che
Jakob non avesse sentito le sue parole, ma si rifiutò
di reagire. -Vorrei ricordare a Sua Altezza che rifiutare una resa e
condannare
a morte una principessa rappresenta un atto di guerra. Il Trono di
Spine non
resterà impassibile davanti a un tale tradimento!-
-Tradimento…- gli
fece eco il principe sottovoce, e il suo mormorio si
perse nel ronzio furioso che si levò dagli hoshijin alle parole
Maggiordomo.
Più forte, dichiarò: -Anche se non chiederei altro che di spargere il
sangue
del mostro responsabile della violazione del nostro trattato di
confine,
Hoshido non si permetterà di privare della vita un membro della
famiglia reale
di Nohr in modo così arbitrario.-
E, finalmente, la
luce azzurrina si disperse, la corda evanescente e la
freccia crepitante che si dissolvevano nell’aria. Per Ileana si fece
improvvisamente più facile respirare senza quell’energia divina a
schiacciarle
l’anima, anche se poteva comunque sentire il potere dello yumi.
-E allora, per amor
dei Draghi, restituitecela!- insisté Jakob,
un’inflessione di disperazione nella voce.
-No.- negò il
principe, un sorriso evidente sulle labbra – si stava
divertendo, comprese Ileana con una morsa orribile allo stomaco. -Prima
di
tutto, perché il ponte è crollato e non rischierò la vita del mio
Cavaliere
Kinshi per liberare la vostra stupida principessa. E secondo, lasciarla
andare
senza prima strapparle ogni possibile informazione sarebbe un vero
spreco…-
Quando la guardò di
nuovo, il sangue si gelò nelle vene di Ileana. Lo
scintillio rosso era svanito, ma i suoi occhi bronzei erano diventati
crudeli,
affilati e calcolatori. Non l’avrebbe lasciata tornare a casa, comprese
subito.
Non da viva.
Si sottrasse al suo
sguardo per fissare i suoi tutori, così vicini eppure
così disperatamente lontani. Dovevano aver compreso le implicazioni del
principe, perché Gunter aveva trascinato Jakob giù dal palo e si erano
messi a
discutere di qualcosa.
Ileana poteva
immaginare cosa fosse quel qualcosa: Jakob voleva chiaramente
imbarcarsi in una qualche missione suicida per salvarla – solo il Drago
Nero
sapeva come avrebbe potuto farcela con quel baratro che si apriva tra
di loro –
e Gunter stava cercando di farlo ragionare, forse dicendogli che
sarebbero già
dovuti mettersi sulla strada per Krakenburg per riferire tutto a
Xander. La sua
voce era doveva stanca, perché avrebbe voluto che ci fosse un altro
modo,
qualsiasi altro modo, e stava sicuramente chiamando Jakob “ragazzo” per
distrarlo dal dolore che stava sicuramente facendo a pezzi entrambi al
pensiero
di lasciarla in mano ai nemici. Per i Draghi, poteva quasi sentire la
sua voce.
Probabilmente non
avrebbe mai più sentito la sua voce.
Il suo cuore si
incrinò al pensiero, e si frantumò in mille pezzi quando fu
seguito da altro.
Probabilmente non
avrebbe mai più visto la sua famiglia. Non si sarebbe mai
più allenata con Xander, non avrebbe mai più preso il te con Camilla o
studiato
con lei o suonato il violino con Elise. Non ci sarebbero state altre
battute,
risate, incantesimi, musica. Si erano promessi di andare a guardare le
stelle
non appena sarebbe tornata a casa, per festeggiare il suo primo
successo. Ma
lei non sarebbe tornata a casa. Sarebbero dovuti andare senza di lei.
Avrebbero
dovuto vivere senza di lei.
Dovette fare
appello ad ogni briciolo di forza rimastale per soffocare il
singhiozzo che le si gonfiò in gola – e dovette trovarne anche di più
per non
portarsi una mano alla bocca per trattenerlo. Ce la fece a malapena.
-Venite, milady.-
le sussurrò una voce all’orecchio, ed Ileana guardò sopra
la propria spalla per vedere il Maestro Ninja dai capelli verdi che le
aveva
salvato la vita.
Kaze.
-…perché?- gli
chiese, e lo odiò quando vide la comprensione nel suo
sguardo di scuse, e si odiò per il pallore del proprio viso, per il
velo di
lacrime nei propri occhi, per le increspature nella propria voce.
Kaze portò una mano
al viso di lei e le sistemò i capelli, riavviando
alcune ciocche sotto il cerchietto. -Andrà tutto bene.-
Come?, avrebbe voluto
chiedergli. Per come apparivano le cose in quel momento,
per lei sarebbe stato meglio morire nella caduta giù per l’Abisso. I
suoi occhi
virarono verso l’oscurità eterna sotto di sé mentre l’hoshijin la
spingeva
lentamente sul ponte di pietra che il principe aveva creato con la Vena
Drago.
La stretta sulle sue braccia e sui suoi fianchi non era soffocante, ma
era
solida – per essere certo che non facesse nulla di stupido, come se
avesse
letto i suoi pensieri.
Cercò di guardare
al di sopra della spalla di lui, per vedere un’ultima
volta le sue guardie, ma era già troppo lontana. Il cuore le sprofondò
nel
petto.
Gunter. Jakob.
Non era nemmeno
riuscita a dirgli quanto fosse grata di averli conosciuti,
quanto significassero per lei. Non aveva nemmeno avuto la possibilità
di
chiedergli di dire ai suoi fratelli e sorelle quanto gli volesse bene.
Xander. Camilla.
Leo. Elise.
Aveva fallito la
sua missione, deluso suo padre e i suoi soldati. E adesso
sarebbe diventata una fonte di informazioni da usare contro coloro a
lei più
cari. Aveva fallito su tutta la linea.
“Mi
dispiace…”
La voce del
principe la strappò ai suoi lugubri pensieri.
-Non mi importa se
è carina, Kaze. Legala.- ordinò mentre li sorpassava
quando ebbe attraversato la gola, diretto verso la testa della colonna
per
guidare i suoi soldati via dall’Abisso Infinito.
Ileana sentì il
sangue ribollire mentre la superava senza degnarla nemmeno
di uno sguardo, e sibilò: -Non ti darò niente.-
Lui si fermò a
quelle parole. C’era un sorrisino sulle sue labbra mentre le
si avvicinò, come la sua impudenza non facesse altro che divertirlo.
-Volontariamente, no di certo. Non ne dubito. Non importa, da te avrò
lo stesso
quello che voglio. Per esempio…-
Ileana si rifiutò
di rifuggire il tocco che le sfiorò i fianchi, diretto al
cinturone di pelle che portava in vita. Le sue dita sciolsero le fibbie
con
sorprendente rapidità, e lei sentì il peso di Ganglari allontanarsi
dalla sua
pelle. Aveva portato la spada al fianco da quando era partita, ed era
diventata
una sicurezza, nonostante avesse saputo dal primo momento che non
l’avrebbe mai
sguainata. Sentirsela portare via era destabilizzante.
-Cosa se ne faccia
una maga come te di una lama del genere, poi…-
Ileana esalò il
respiro che non si era accorta di trattenere. -Più o meno
la stessa cosa che se ne farebbe un Cecchino.-
Lui la ignorò del
tutto, concentrato com’era a sfilare il fodero di
Ganglari dal cinturone per legarla direttamente alla propria armatura,
le mani
che esaminavano l’elsa della spada con reverenza.
-Perdonatemi,
milady.- mormorò il Maestro Ninja mentre le prendeva i polsi
e cominciava ad avvolgerli con dei legacci sorprendentemente soffici.
-Permettetemi di fare le presentazioni da parte di tutti. Io sono Kaze.
Il
Maestro d’Armi con cui avete duellato si chiama Hinata, e la Maestra di
Lancia
con cui avete discusso si chiama Oboro. Sono le guardie reali del
secondo
Principe di Hoshido, Lord Takumi.- il nodo che strinse era stretto, ma
non
tanto da farle male. -Posso avere il vostro nome, milady?-
-Sono Ileana,
quarta principessa di Nohr e figlia del Re d’Ossidiana.-
Il mondo sembrò
cambiare colore non appena quelle parole le uscirono di
bocca. Mentre Kaze annuiva, nascondendo un sorriso tra i suoi capelli,
le due
guardie reali si volsero a guardarla con un’espressione che poté
definire solo
come incredulità. I loro occhi volarono al principe, che si era
bloccato, le
mani tremanti come raggelate sui legacci del fodero. Quando i suoi
occhi furono
su Ileana, lei vi lesse anche più rabbia di quanta non ce ne fosse
stata quando
sembrava impaziente di affondarle una freccia nel cuore.
-Non è possibile.-
sibilò tra i denti mentre le si avvicinava a grandi
passi – e questa volta, Ileana avrebbe indietreggiato, se non ci fosse
stato il
corpo di Kaze a impedirle la ritirata. La sua mano si chiuse sulla nuca
e la
strattonò verso di lui, affatto preoccupato dell’angolo doloroso in cui
le
piegò il collo quando la costrinse a guardarlo. -Stai mentendo.-
Ileana si ribellò,
cercando di liberarsi della sua stretta, ma le sfuggì un
gemito quando non ottenne altro che uno strattone. -Perché dovrei?-
ringhiò in
risposta.
La sua mano tremò
tra i suoi capelli, rifiutandosi di lasciarla andare
anche quando face un passo indietro – quando bastava per snudare
Ganglari e
premergliela contro la gola. Il contatto con il metallo freddo e
affilato mandò
una scarica di brividi giù per la schiena di lei.
-Non voglio
chiedertelo di nuovo, feccia. Il tuo nome. Subito.- pretese, e
la spada scintillò dello stesso rosso che gli era imperversato negli
occhi.
-Te l’ho detto!-
strillò lei, l’autocontrollo che scivolava via mentre la
spalla vibrava contro la sua pelle, la lama tagliente che le leccava la
gola
con ogni tremore della sua mano. -Puoi minacciarmi quanto vuoi, ti ho
detto la
verità!-
-Quelli come te non
dicono la verità così facilmente.- grugnì, la spada –
la sua spada, il dono di suo padre – che le premeva contro la gola
quanto
bastava da bagnarsi di sangue. -Ma ho intenzione di strappartela,
principessa,
a qualunque costo. Credimi, crollerai. In fretta.-
-Lord Takumi!-
Ileana sentì il
calore di una mano sfiorarle il mento mentre allontanava la
lama dalla sua gola. La nuca bruciò di dolore quando il pugno stretto
tra i
suoi capelli si rifiutò di allentare la presa, ma la fermezza dello
stesso
braccio che le aveva impedito di precipitare nell’Abisso Infinito la
trascinò
via con dolcezza, e quelle dita finalmente le permisero di scivolare
via.
-Lasciatela in
pace!- Kaze supplicò, l’altro braccio che si stringeva,
protettivo, attorno alle sue spalle. -Io… non credo che stia mentendo,
milord.-
Ileana poteva
sentire il respiro affannoso del principe, ma si rifiutò di
incrociare il suo sguardo assassino finché non fosse certa di poterlo
sopportare. Xander non avrebbe tremato di fronte a un nemico. Camilla
non
avrebbe mai permesso a nessuno di intimidirla tanto da renderla inerme.
Leo non
avrebbe mai implorato clemenza ai suoi aguzzini. Doveva essere forte
quanto
loro.
Per loro.
-Manderemo a
chiamare mia madre, allora.- decise il principe mentre Ileana
alzava finalmente lo sguardo e raddrizzava la schiena dopo aver fatto
un
respiro profondo. La prima cosa che vide fu la sua smorfia di fronte
alla sua
sfida. -Kaze, va’ a chiamare Reina. Voglio parlarle immediatamente. E
ti
proibisco di avvicinarti in ogni modo a questa cagna finché rispondi ai
miei
ordini.- fece un cenno alle sue guardie, per farli avvicinare. -Oboro,
alla
feccia ci pensi tu. Perquisiscila e legala – come si
deve – e
restituisci a Kaze la sua sciarpa.-
Ileana lo guardò
con aria di superiorità mentre il Cecchino le voltò le
spalle. La donna di nome Oboro le si avvicinò e lei scoprì di denti. Le
braccia
calde di Kaze si rifiutarono di lasciarla andare.
-Lord Takumi!-
implorò, un’inflessione strana nella voce che lei non fu in
grado di comprendere. -Mio principe, vi prego, permettetemi di__-
-Ti ho dato un
ordine, Kaze.- lo interruppe lui, rifiutandosi di ascoltare
il Maestro Ninja, senza nemmeno voltarsi a guardarlo. -Non sarai tu ad
occuparti della prigioniera. Perché lei è una
una prigioniera.
Fino a prova contraria, non è altro che un ostaggio e una fonte di
informazioni, e sarà trattata come tale. Chiaro?-
-Mio principe.- e
questa volta Ileana capì in cosa trasformasse le sue
parole quella strana inflessione: erano un avvertimento. -Se le
facciamo del
male prima di essere sicuri, Lady Mikoto__-
-È chiaro, Kaze?-
insisté il Cecchino, interrompendolo tanto con la voce
quanto con lo sguardo minaccioso che gli scoccò da sopra la spalla.
-Bada, non
ho intenzione di tollerare ulteriori interferenze da parte tue. Ci
siamo
capiti?-
Kaze sembrò dover
compiere un vero sforzo per tenere a freno la lingua, e
l’ossequioso ‘Sì, milord’ che sibilò non risposta di certo non era
quello che
avrebbe voluto dire. Ileana sentì l’ultima carezza che le lasciò sul
braccio
prima di lasciarla andare e sparire nella colonna di hoshijin.
Quelle sarebbero
state le uniche mani amichevoli che avrebbe trovato lì, si
rese conto mentre la stoffa soffice che Kaze aveva usato per legarle i
polsi
scivolava via per essere rimpiazzata da della corda dura, avvolta
strettamente
attorno alle mani. I legacci le morsero la pelle mentre si stringevano,
immobilizzandole le braccia in una posizione scomoda per la spalla, e
gemette
al dolore che s’irradiò giù per il braccio che già le faceva male.
-Questo è per
avermi paragonata a uno schifosissimo cane.- le ringhiò
contro la Maestra di Lancia mentre tirava ancora di più i legacci in un
nodo
stretto. -Ora, muoviti.-
Senza un lamento,
Ileana si lasciò spingere lungo il cammino, tenendo la
schiena dritta, la testa alta, il viso atteggiato in una smorfia di
sdegno e
superiorità. Non si sarebbe piegata solo perché la consideravano una
morta che
cammina, affatto – anzi: avrebbe fatto tutto il possibile per rendergli
impossibile strappargli anche una sola parola.
Non
aveva nulla da perdere.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
______________________________________________________________________________
Salve a tutti!
Come al solito, mea
culpa, sono in un ritardo pazzesco, avrei dovuto aggiornare
una settimana fa. Chiedo perdono!
Bando alle ciance,
ecco la prima delle nostre protagoniste, Ileana di Nohr:
Ileana è il nostro "Nuovo Personaggio", e già la trama comincia a
discostarsi da quella del gioco in sé - e le cose non faranno altro che
ingarbugliarsi, da questo momento in avanti!
Speriamo entrambe che
il capitolo vi sia piaciuto, e vi aspettiamo fra un
mesetto (circa) con il prossimo aggiornamento!
Ecco un piccolo
vademecum delle scelte stilistiche di traduzione che abbiamo
fatto in questo capitolo:
Bottomless Canyon:
Abisso Infinito
Dark Mage: Mago/a
Oscuro
Sorcerer/ress:
Incantatore/trice
Sniper: Cecchino
Master Ninja: Maestro
Ninja
Kinshi Knight:
Cavaliere Kinshi
Spear Master:
Maestro/a di Lancia
Master of Arms:
Maestro d'Armi
Hoshidan: Hoshijin
Nohrian: Nohriano
Obsidian King: Re
d'Ossidiana
Marble King: Re di
Marmo
La storia è pubblicata
contemporaneamente anche sul sito ArchiveOfOurOwn, in
inglese, con aggiornamenti mensili da entrambe le parti. Trovate la
versione in
inglese QUI.
Alla prossima!
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Capitolo 3 *** Itsuarpok ***
Aranyhíd
Iktsuarpok
(Inuit)
Un
senso di ansiosa anticipazione, che
spinge a continuare ad attendere alla finestra il ritorno di qualcuno.
Il
sole, luminoso e a tratti crudele, si rifletteva
sulle candide penne delle ali del suo pegaso, ma Hinoka aveva imparato
tanti
anni prima a non curarsene: aveva addestrato i suoi occhi a non
lasciarsi
accecare da quel riverbero durante la lotta. L’aria fredda della Luna
Cacciatrice le bruciava i polmoni che reclamavano riposo, ma Hinoka era
troppo
concentrata sulla sua avversaria per rendersene conto.
Prese
un respiro profondo, rinsaldò la stretta della
sua mano destra sulla fredda impugnatura di legno della sua nageyari e
poi tirò
indietro il braccio, calcolando con un solo sguardo l’arco che la
lancia avrebbe
dovuto compiere nel suo letale tragitto ma costringendosi ad attendere
che si
aprisse un varco nella solida difesa della sua nemica.
La
guerriera, appiedata, stava ansimando,
probabilmente esausta quanto lei: nessuna delle due era ancora riuscita
a prevalere
sull’altra, fino a quel momento, nonostante entrambe avessero
chiaramente dato
il massimo delle proprie capacità già dall’inizio del duello. La
samurai si
scostò i corti, arruffati capelli biondi dalla fronte madida di sudore,
abbassando lo sguardo soltanto per un brevissimo istante – la
chance
che Hinoka stava aspettando.
La
nageyari fendette l’aria con la brutalità di un
fulmine, sussurrando al vento il suo canto di morte. La samurai
piroettò su se
stessa, evitando la sottile lancia per un soffio – e poi, sorprendendo
la
cavallerizza, afferrò il dardo che quasi l’aveva trafitta e, sfruttando
la
velocità della sua mezza piroetta, la strappò dal terreno e la lanciò
contro
l’avversaria, mancando di pochi pollici l’ala destra del cavallo alato
prim’ancora che Hinoka potesse anche soltanto sfiorare la propria
naginata.
-HA!
Ce l’ho fatta!- esultò, saltellando sul posto, ed
Hinoka scorse un lampo di trionfo in quelle luminose iridi scarlatte
che, nel
Sole invernale, risplendevano come rubini.
Sorrise,
avvertendo l’orgoglio fiorirle nel petto nel
vedere la giovane samurai festeggiare il proprio risultato: avevano
cominciato
a lavorare su quella particolare tattica di contrattacco sin dall’alba
di quel
mattino, dimentiche del pranzo e degli obblighi di entrambe, troppo
concentrate
per rendersi conto del piccolo pubblico che si era radunato intorno al
campo di
addestramento della Capitale per osservarle.
-Credo
che per oggi sia abbastanza, Zoe.- annunciò,
dirigendo il suo fedele pegaso a terra e smontando di sella, sorridendo
in
risposta all’entusiasmo della sua giovane pupilla.
-Perché?-
replicò Zoe, divertita, allungando le mani
verso le punte dei piedi per stirare i muscoli della schiena. -Non sono
nemmeno
stanca! Potrei andare avanti per o__ouch.- gemette,
quando un
udibilissimo schiocco della sua spina dorsale sembrò caldamente
suggerirle che
non sarebbe proprio stato il caso di continuare quell’addestramento
estenuante.
-Come
volevasi dimostrare, basta così.- ridacchiò,
Hinoka, avvicinandosi per arruffarle la sua già abbastanza disordinata
zazzera
bionda. -Hai già fatto dei passi da gigante, non c’è bisogno di
esagerare.-
Zoe
sbuffò, scrollando la testa e abbassando le lunghe
orecchie a punta, mortificata.
-Esagerare?
Ti sei mai addestrata con Saizo? Quella
non è una parola che lui conosce, fidati.- borbottò, distogliendo lo
sguardo
dall’espressione divertita della rossa e trascinandosi stancamente
verso il più
vicino angolino all’ombra, lasciandosi poi cadere malamente sul folto
prato
verdeggiante che circondava il campo di allenamento.
Chiuse
gli occhi, ed Hinoka rimase a guardarla per
qualche istante, scorgendo i suoi arti rilassarsi uno dopo l’altro, uno
ad ogni
respiro: quel metodo di defaticamento veniva insegnato a tutte le
reclute
perché, con la pratica, permetteva di raggiungere un controllo quasi
completo
di ogni muscolo del proprio corpo.
Zoe
però era ancora ben lontana da quel traguardo,
osservò, cercando di sopprimere la risata che la testardaggine
dell’amica
riusciva sempre a suscitarle: era troppo giovane ed impaziente per
riuscire a
mantenere quel pacifico stato molto a lungo… a volte le ricordava
Ryoma,
rifletté, perché anche il suo perfetto fratello maggiore, in gioventù,
aveva
spesso peccato di esuberanza.
-Beh,
io non sono Saizo, e secondo me per oggi va bene
così.- sospirò, sapendo però di parlare con un muro decisamente sordo;
Zoe,
infatti, sbuffò di nuovo, chiaramente in disaccordo con l’opinione del
Falcone,
ma la sua protesta fu sedata sul nascere da un’improvvisa, mordace
affermazione.
-Lady
Hinoka ha ragione, Zoe. Dovresti
preoccuparti più del tuo pessimo carattere che della tua forma.-
Le
labbra di Zoe si piegarono all’istante in un
sogghigno tutto denti, quando il suo udito riconobbe la voce di Subaki,
guardia
reale della sorella più piccola di Hinoka, Sakura.
-Qualcuno
deve pur dare un po’ di allegria a questo
posto. Pensa se fossero tutti come te.- replicò, schiudendo un occhio
soltanto
per scoccare al Falcone un’occhiata di scherno che, tuttavia, non minò
affatto
l’espressione perennemente serena di Subaki.
-Di
sicuro saremmo tutti molto più disciplinati.-
ribatté, infatti, intrecciando le mani dietro la schiena dopo aver
rivolto un
rispettoso inchino in direzione della principessa; l’espressione
maliziosa di
Zoe, però, non fece che accentuarsi, ed Hinoka poté quasi immaginare in
anticipo la risposta tagliente che, prevedibile, fendette l’aria in
direzione
del ragazzo dai capelli rossi un istante più tardi.
-Ti
annoieresti, circondato da gente come te.-
commentò, aprendo anche l’altro occhio e rivolgendogli una smorfia che
grondava
sarcasmo. -Fidati, io mi annoio un sacco.- aggiunse, ma Subaki
assottigliò lo
sguardo e sorrise a sua volta, una punta di malizia nello sguardo.
Hinoka
non aveva mai capito perché quei
due passassero il tempo a bisticciare, ma non era certa
di volerlo sapere – non era certa che la risposta a quella domanda le
sarebbe
piaciuta.
-Permettimi
di dissentire.- commentò lui, strappando
un versaccio a Zoe che, da divertita, parve immediatamente tendersi
come la
corda di un arco.
-Dì
la verità, ci tieni a prenderle di nuovo.- sibilò,
ma Subaki le rivolse il più smagliante dei sorrisi, conscio di aver
segnato un
punto in quella partita a cui tutta la guarnigione di guardie reali e
soldati
assegnata a Shirasagi aveva, ormai, fatto l’abitudine.
-Sono
passati anni,
Zoe.- sospirò, alzando elegantemente gli occhi al cielo, inchinandosi
nuovamente ad Hinoka prima di superarla per avvicinarsi alla ragazza.
-Adesso
perderesti.- replicò,
fermandosi a poche iarde dall’altra guardia, scuotendo
elegantemente la testa per far sì che i suoi lunghi capelli rossi
risplendessero di mille riflessi scarlatti sotto i freddi raggi del
Sole.
Hinoka
sospirò, esasperata.
Ricordava
molto bene lo scontro a cui Zoe si era riferita:
era successo qualche anno prima, una sessione di addestramento delle
guardie
reali aveva visto il solitamente impeccabile Subaki, lo stesso Subaki
che non
era mai stato in grado di sopportare una sconfitta, travolto da una Zoe
che
sembrava aver deciso di dargli una lezione che l’intero castello aveva
fatto
fatica a dimenticare.
Hinoka
represse un sorriso, rammentando l’espressione
soddisfatta di Zoe e quella sconvolta di Subaki: sapeva quanto entrambi
potessero diventare competitivi e una parte di lei avrebbe davvero
voluto che
si calmassero, ma non aveva potuto fare a meno di provare un profondo
orgoglio
per l’abilità che Zoe aveva dimostrato – in quell’occasione come in
tutte le
altre, del resto: Zoe aveva sacrificato tutto per diventare una dei
guerrieri
migliori di Shirasagi, rendendo fieri di lei i suoi insegnanti, i suoi
tutori e
anche lei, che l’aveva sostenuta anche quando in diversi si erano
opposti alla
sua decisione di diventare un soldato.
D’altronde,
lei poteva capirla meglio di chiunque altro.
-Io
non ho fatto che migliorare, ultimamente. Sicuro
di volermi sfidare?- replicò Zoe, strappando Hinoka ai suoi pensieri,
balzando
in piedi e cominciando a raccogliere le diverse armi da allenamento con
cui si
erano addestrate.
-Zoe.-
la redarguì la principessa, cercando di
reprimere la risata che già le gorgogliava in gola: Zoe era sveglia ed
aveva
una lingua svelta e tagliente, sicuramente ereditata dalla sua madre
adottiva,
l’Onmyoji Orochi. Zoe si morse la lingua, sopprimendo a sua volta un
sorriso e
chinando la testa in segno di pentimento.
-Scusa,
Hinoka.- mormorò, in un convincente tono
contrito, ma Hinoka sapeva benissimo che non era minimamente
dispiaciuta:
quelle buffe orecchie a punta, che rendevano Zoe una bizzarra creatura
che da
piccola era spesso stata vittima di scherzi e prese in giro, erano un
ottimo
indicatore dell’umore della loro proprietaria e, in quel momento, erano
ben
dritte e attente – chiaro segno di quanto poco fosse rammaricata di
aver dato
una rispostaccia antipatica a Subaki.
Sì,
assomigliava ad Orochi ogni giorno di più.
-Per
te è lady Hinoka, Zoe.-
s’intromise, a quel punto, Subaki, scoccando alla ragazza uno sguardo
esasperato.
Hinoka scosse la testa, minimizzando il tutto con un gesto gentile
della mano
e, contemporaneamente, facendo segno a Zoe di non reagire alla
provocazione.
-No,
non ce n’è bisogno, davvero.- sorrise, Hinoka,
sperando che Subaki lasciasse cadere la questione mentre Zoe, con le
labbra
strette che trattenevano chissà quali imprecazioni, si allontanava per
riporre
le armi nella griglia a cui erano destinate.
Subaki,
tuttavia, non sembrava aver intenzione di
lasciar correre quello che, ai suoi occhi di giovane nobile di una
delle casate
più antiche e prestigiose dell’intera nazione di Hoshido, doveva
sicuramente
sembrare un affronto imperdonabile.
-Milady,
se posso permettermi di parlare liberamente…-
domandò, infatti, inchinandosi quando la principessa lo invitò a
proseguire. -Zoe
è un ottimo guerriero, ma non credo che abbia bisogno di altri
addestramenti.-
si spiegò, scoccando un’altra occhiata pensierosa in direzione della
Samurai.
-Quello di cui ha bisogno è un signore da servire, o la sua… esuberanza non farà che peggiorare. Non
è mai stata molto disciplinata.- continuò, ed Hinoka si morse la
lingua,
limitandosi ad annuire.
Non
aveva nemmeno tutti i torti,
fu
costretta ad ammettere con se stessa.
A
Zoe, che la regina di Hoshido aveva raccolto per
strada e portato con sé quando era giunta nel regno, tanti anni prima,
era
sempre stato permesso ciò che ad altre guardie reali sarebbe stato
impensabile
concedere.
Era
stata posta sotto la tutela delle guardie
personali della regina sin dalla più tenera età, ed era cresciuta
considerando
i reali stessi una sorta di famiglia – soprattutto i due fratelli
minori di
Hinoka, Takumi e Sakura, accanto a cui era stata sin da piccolissima.
Nessuno,
in realtà, aveva mai ritenuto quel
comportamento particolarmente problematico o irrispettoso… soprattutto
da
quando Zoe era stata testimone del brutale assassinio del re, tanti
anni prima,
e del rapimento della legittima figlia della regina Mikoto.
O,
almeno, questo era ciò di cui Zoe era convinta da
oramai quattordici anni.
Però
comprendeva le parole
di Subaki e, in parte, condivideva i suoi timori: Zoe era cresciuta
convinta di
essere un’orfana e, nel corso degli anni, aveva sviluppato
un’inquietudine che
il suo maestro, Saizo, faticava sempre di più a tenere a freno… ciò che
Subaki
non sapeva – che non poteva nemmeno lontanamente immaginare – era ciò
che il
futuro serbava per quella ragazza che aveva tanto lottato per
guadagnarsi un
posto che, a sua insaputa, le apparteneva già di diritto.
-Oh,
ma poi te le vai anche a cercare, stupido pavone…
aspetta che ti trovi da solo e tutte le botte che ti ho dato quella
volta ti
sembreranno carezze al confronto…- mugugnò la voce di Zoe alle spalle
di
Hinoka, sorprendendola: non l’aveva sentita riavvicinarsi, ma non era
una
novità – Zoe era stata cresciuta dai ninja, e nei suoi piedi era
intriso un
passo felpato che apparteneva soltanto a chi era abituato a muoversi
nelle
ombre.
-Zoe,
non borbottare, è maleducato.- la rimbeccò il
rosso, allungando rapidamente una mano per tirarle un orecchio e
ritirandola
prima che gli venisse probabilmente staccata a morsi.
Ormai
incapace di trattenere più a lungo le risate,
Hinoka prese un respiro profondo, rassettando la gonna della divisa da
Falcone che
indossava per costringersi a non guardare l’espressione profondamente
oltraggiata della Samurai.
-Credo
che vi lascerò discutere da soli, ora.-
annunciò, interrompendoli giusto per i pochi attimi che ad entrambi
servirono
per inchinarsi in un rispettoso gesto di saluto a cui lei rispose con
un
sorriso e un cenno della testa. -Subaki, Zoe.-
-Hinoka.-
la salutò Zoe, agitando allegramente una
mano fino a che non ritenne che Hinoka si fosse allontanata abbastanza;
poi,
repentinamente, si scagliò sull’altra guardia reale, tirandogli un
calcio che
Subaki schivò per un pelo. -Per gli dei, Subaki, giuro che un giorno di
questi
ti darò tanti di quei calci nel__-
-Linguaggio!-
rise lui, schivando un tentativo di
pugno e parandone un secondo, stringendo nel palmo della mano quella di
lei e strattonandola
appena per avvicinarla a sé, ridacchiando quando Zoe avvampò e si
divincolò per
balzare immediatamente indietro.
-A
me vieni
a dire di moderare il linguaggio!?- ringhiò, scoccandogli
un’occhiataccia e
raddrizzando le orecchie, rosse d’imbarazzo e di frustrazione. -Dei, io
non so
nemmeno perché ti sopporto!- sbottò, prima di dargli bruscamente le
spalle e
dirigersi a passo marziale verso i quartieri delle guardie di sesso
femminile,
dove quell’idiota non avrebbe potuto
continuare a darle fastidio.
.
Hinoka,
nascosta dietro una delle tante statue che
ornavano il percorso acciottolato che dal campo di addestramento
portava al
bellissimo giardino del castello di Shirasagi, si permise finalmente
quella
risata che aveva trattenuto fino a quel momento. Si appoggiò con la
schiena al
marmo freddo e candido da cui era emersa, decine d’anni prima, la
figura
possente di un ormai dimenticato guerriero armato di katana, cercando
di
soffocare il suono del suo riso premendosi entrambe le mani sulla bocca.
Zoe
era sempre stata una forza della natura.
Prese
fiato, sfregandosi gli occhi inumiditi
dall’ilarità, senza tuttavia riuscire a cancellare il sorriso che le
increspava
le labbra sottili.
Zoe
era giunta a Shirasagi molti anni prima, quando
Hinoka era ancora poco più di un’infante, assieme a quella che sarebbe
poi
diventata la seconda moglie del re di Marmo e la regina reggente di
Hoshido.
Sumeragi,
che Hinoka ricordava soltanto come un uomo
dalla risata ruggente e dai capelli che assomigliavano alla criniera di
un
leone, aveva accolto Mikoto e le due neonate che portava con sé,
offrendo
rifugio e conforto a quella donna che sembrava essere apparsa dal
nulla. Lady
Ikona, la madre naturale di Hinoka e dei suoi fratelli e, a quel tempo,
regina,
aveva offerto a Mikoto un lavoro come dama di compagnia, permettendole
così di
mantenere in modo onorevole le due infanti che aveva presentato come
sue
figlie.
La
regina e la nuova arrivata avevano stretto amicizia
in fretta, accomunate da una natura profondamente altruista e
affettuosa: a
quei tempi Ikona, di cui Hinoka purtroppo non serbava altro ricordo se
non
l’impronta di una dolce carezza fra gli scompigliati capelli rossi che
da lei
aveva ereditato, era in attesa del quarto figlio – quella che sarebbe
poi
diventata la piccola Sakura –, ma la sua salute cagionevole aveva
decretato una
condanna a morte da cui nessuno, a Shirasagi, si era ripreso facilmente.
Hinoka
non rammentava chiaramente il dolore e il senso
di vuoto che avevano accompagnato la morte di sua madre; tutto ciò che
sapeva
le era stato raccontato, ma poteva perfettamente immaginarsi, bambina,
davanti
ai fiori candidi cosparsi sul corpo senza vita di Ikona, con la mano
stretta in
quella del suo fratellino e una Mikoto in lacrime che teneva un braccio
attorno
alle spalle di Ryoma e l’altro attorno al corpicino esile di una Sakura
appena
nata.
Era
sicura di ricordare che anche il cielo, quel
giorno, aveva pianto la perdita del sorriso del re.
Mikoto,
che nel corso del tempo era diventata un’amica
fidata di Ikona e dei suoi figli, aveva trascorso i molti mesi del
lutto reale
con loro, gli orfani della regina: si era occupata delle necessità di
Sakura,
aveva spiegato a Takumi, con tutta la dolcezza di cui era capace, il
motivo per
cui la mamma se n’era andata, aveva accolto nel proprio letto una
Hinoka scossa
dagli incubi e aveva fatto sì che Ryoma non avesse il tempo di pensare
alla
perdita della madre, occupato dall’esuberanza di Zoe e di Ileana,
l’altra
bambina di Mikoto.
Il
re, grato a Mikoto per la gentilezza e l’affetto di
cui aveva riempito le vite dei suoi figli in un momento tanto
difficile, si era
lentamente avvicinato a quella donna gentile, trovando anch’egli
conforto nella
dolcezza che aveva già conquistato i suoi bambini: il lutto per la
perdita di
Ikona li aveva uniti e, alla fine, l’amicizia si era trasformata in
affetto e in
amore, incoronando Mikoto nuova regina di Hoshido.
In
molti avevano osteggiato quella donna di umili
origini che aveva, ai loro occhi, insidiato dapprima la regina e poi il
re, ma
presto si erano dovuti ricredere: lady Mikoto aveva conquistato il
cuore degli
hoshijin, restituito il sorriso a Sumeragi e dato una madre a quei
bambini che
amava come suoi e da cui era pienamente ricambiata.
Il
sole era tornato a splendere su Hoshido, grazie a
Mikoto, e le strade si erano presto nuovamente riempite di fiori,
musica e
risate.
Sumeragi
aveva accolto nella famiglia reale anche le
bambine di Mikoto, sebbene soltanto una fosse stata effettivamente
adottata dal
re, in quanto l’unica ad avere effettivi legami di sangue con la nuova
regina –
Mikoto aveva raccontato a lei e a Ryoma di aver avuto una figlia dal
suo primo
marito, anch’egli defunto, e di aver trovato l’altra neonata fra le
macerie di
un regno ormai perduto.
E
poi il re di Marmo era caduto, ed un eterno
crepuscolo era calato sul regno.
Ryoma
era stato riportato a palazzo da Saizo IV e dai
suoi figli, i gemelli Saizo V e Kaze; con lui, però, era tornata
soltanto una
delle bambine che Sumeragi aveva portato con sé a Cheve assieme al
primogenito:
Zoe.
L’espressione
vuota e scioccata di Zoe era ancora
chiaramente impressa nei ricordi di Hinoka.
Era
stata riportata a Shirasagi senza la sua
inseparabile sorellina, che le era stata sottratta dalle braccia e che,
presumibilmente, era stata rapita o uccisa dal re di Nohr, Garon… la
perdita di
Ileana, in quella buia notte di Cheve, aveva portato via anche
l’infanzia e
l’innocenza di quella bambina troppo piccola per ricordare la verità.
Era
stata quella perdita, quella colpa di cui Zoe si
era caricata nonostante nessuno avesse mai nemmeno pensato di accusarla
di
qualcosa di tanto orribile, a forgiare la donna forte e determinata che
aveva
preso in mano una spada di legno da bambina e aveva affermato di voler
diventare un guerriero per andare a riprendersi Ileana.
La
principessa perduta era stata per molto tempo
l’unico motivo a guidarla, l’ossessione che l’aveva spinta a sopportare
senza
fiatare gli addestramenti brutali di Saizo, la rabbia che aveva infuso
nelle
mani che si erano fatte sempre più callose e abituate alla forma delle
armi:
negli anni, però, quella furia malata si era acquietata, e di recente
Zoe aveva
cominciato ad esprimere il desiderio di scalare i ranghi dell’esercito
per
diventare daimyo, un generale.
Certo,
lei non poteva sapere quanto il suo futuro
fosse stato già scritto molti anni prima, ma Hinoka comprendeva il suo
bisogno
di un ruolo, di un destino, di una strada da percorrere – la capiva,
capiva
perché Zoe volesse combattere, ottenere un ruolo abbastanza importante
da darle
la possibilità di impedire che altre bambine venissero rapite e altri
padri
strappati alle loro famiglie.
Era
diventata un guerriero per gli stessi motivi, dopotutto.
-Hinoka,
mia cara.-
Una
voce tenue e delicata sottrasse improvvisamente
Hinoka dai pensieri che avevano adombrato il suo viso; la principessa
alzò lo
sguardo, tentando di reprimere la tristezza che le aveva colmato
l’animo,
sforzandosi di sorridere quando si ritrovò dinanzi il volto di sua
madre, la
regina Mikoto.
-Madre.-
la salutò, allungando le braccia per
accogliere fra le proprie le mani tese di Mikoto, stringendole con
tutta la
tenerezza di cui era capace e sentendo il peso che le gravava sul petto
alleviarsi in risposta alla vicinanza della madre – aveva sempre avuto
quella capacità,
quella donna che era fiera e felice di considerare la sua mamma, di
trasmetterle calma e serenità anche nei momenti più bui.
Il
frastuono proveniente dal campo di addestramento le
distrasse, e Mikoto si sporse in tempo per riuscire a vedere Zoe
dirigersi a
passo di marcia verso i bagni delle donne, chiaramente furibonda;
Hinoka
ridacchiò e la regina sorrise, divertita.
-Ah,
vedo che alcune cose non cambiano mai.- commentò,
notando probabilmente anche Subaki, di sicuro rimasto al campo per
allenarsi a
sua volta.
-Affatto.
Quei due proprio non si sopportano.- annuì
Hinoka, aspettando che Zoe sparisse dalla vista di entrambe per poi
prendere
sottobraccio la madre e lasciarsi condurre verso il castello.
-Non
sono due caratteri facili, questo è certo.-
concordò la regina, ben conscia della rivalità che divampava da anni
fra quei
due: sebbene si fosse distanziata progressivamente da Zoe, dopo la
morte di
Sumeragi, Mikoto non aveva mai smesso di interessarsi dei progressi e
della
vita della turbolenta samurai dalle orecchie a punta, e tanto Hinoka
quanto
Ryoma avevano sempre cercato di riempire la malinconia della madre con
i
racconti di tutto ciò che era capitato a loro, ai loro fratelli e a Zoe
durante
il giorno.
Prevedibilmente,
come succedeva sempre quando
l’argomento fra loro era Zoe, Hinoka vide il volto della regina
adombrarsi.
-È
diventata una splendida, giovane donna…- sussurrò,
lasciando che quella triste constatazione si perdesse fra i sospiri del
vento,
ed Hinoka avvertì le sue dita esili stringersi sul suo avambraccio.
Sì,
Zoe era cresciuta, maturando in una guerriera e in
una persona di cui qualunque genitore sarebbe potuto essere fiero: ma
non
Mikoto, non quella madre che aveva dovuto celare alla propria figlia la
sua
identità, il suo retaggio e la sua famiglia.
-Madre…-
La
voce della principessa si spezzò, mescolandosi al
lutto celato nel gemito silenzioso della regina di Hoshido, in quei
tristi
occhi bruni che scrutavano l’orizzonte come se quel Sole splendente
potesse
restituirle le figlie che aveva perduto in quella terribile notte di
Cheve.
-Le
dirai mai la verità?-
Mikoto
abbassò lo sguardo, e la maggiore delle sue
figlie poté scorgere la sofferenza ed il rimorso dipingersi sul suo
volto di porcellana.
La
verità.
La
verità poteva essere tanto meravigliosa quanto
terribile, tanto un fardello quanto una liberazione: Hinoka aveva
atteso per
anni, impaziente, che giungesse il momento di rivelare a Zoe ciò che
era stato
fatto per proteggerla… ma non era sua, quella decisione, e perciò si
era
costretta ad aspettare pazientemente che arrivasse il giorno in cui
Mikoto
avrebbe finalmente scelto di liberare coloro che sapevano dal silenzio
che li
aveva tormentati così a lungo.
-Sì.-
promise la regina al vento, affidando a quei
refoli gelidi la sua speranza, quella di Hinoka e quella di tutti
coloro che
erano impazienti di accogliere la legittima principessa nella famiglia
reale.
L’ombra
di un kinshi passò sopra di loro, riempiendo
il cielo per un istante: le due donne alzarono lo sguardo, distinguendo
un
familiare scorcio di lunghi capelli blu e le candide vesti del
Cavaliere Kinshi
incaricata ormai da anni della protezione della regina.
E
allora Mikoto sorrise, rasserenandosi
all’improvviso, seguendo l’aggraziata planata della fedele Reina con
una nuova
luce nello sguardo.
-Prima
di quanto io stessa pensassi.-
.
Zoe
drizzò le orecchie, illuminandosi in volto quando
un suono familiare la distrasse dal pensiero di quell’odioso di Subaki.
-Reina!-
esclamò, lanciando da parte i sandali che
avrebbe dovuto indossare e correndo fuori dai bagni appena in tempo per
scorgere la sagoma di un kinshi che lei ben conosceva stagliarsi sul
cielo
limpido a poco più di qualche manciata di piedi dal suolo.
Senza
darsi nemmeno il tempo di scorgerne il
cavaliere, sicura del proprio udito e del proprio intuito, diede le
spalle
all’enorme pennuto e scattò in direzione della statua più vicina,
aggrappandosi
al braccio di marmo per riuscire inerpicarsi lungo la struttura. Aveva
sempre
amato scalare, sin da bambina, e non c’era statua a Shirasagi che lei
non
avesse usato almeno una volta per guardare il mondo stendersi
all’infinito
davanti al suo sguardo.
Raggiunse
la testa, salendovi in piedi e rimanendo in
equilibrio senza troppi problemi, aggrappandosi alle scanalature dei
capelli
scolpiti con le dita dei piedi – Subaki sicuramente sarebbe inorridito,
nel
vederla così inselvatichita… quindi doveva
assolutamente fare in modo
che la vedesse, si annotò mentalmente, divertita,
accovacciandosi quando il
kinshi passò a poco più di una iarda dalla sua testa; e poi saltò,
mettendo
nelle gambe tutta la forza che aveva ed allungandosi per aggrapparsi
alle zampe
del volatile.
Il
kinshi, tutt’altro che allarmato, sollevò gli
artigli per avvicinarla al proprio corpo, permettendole così di
inerpicarsi
sotto una delle sue grandi ali candide per essere, poi, afferrata per
la
collottola da una forte, familiare mano di donna: rise, Zoe,
lasciandosi tirar
su senza protestare, aggrappandosi con gioia alle spalle del Cavaliere
quando
quella la tirò in grembo e la avvolse in un abbraccio così stretto da
mozzarle
il fiato.
-Sei
tornata!- cinguettò, felice, affondando il viso
nei capelli blu del Cavaliere che, assieme a Orochi e a Kagero, l’aveva
cresciuta.
Reina,
la più anziana delle guardie reali assegnate
alla regina Mikoto, le accarezzò i capelli, appoggiando la guancia alla
fronte
della ragazza.
-Mia
dolce, cara bambina, sono così felice di
vederti.- le mormorò affettuosamente all’orecchio, cullandola in
quell’abbraccio a cui Zoe, nonostante ormai fosse una donna fatta e
finita, non
riusciva a rinunciare: Reina e, in seguito, Orochi e Kagero, erano
state
nominate sue tutrici molti anni prima, appena dopo Cheve, e Zoe non
riusciva
nemmeno a ricordare come fosse stata la sua vita prima di loro… erano
la sua
famiglia, i suoi porti sicuri in quel mondo in cui non aveva ancora
trovato un
suo posto, e lei le amava con ogni fibra del suo essere.
-Ti
aspettavo fra giorni!- trillò, sollevando la testa
per ricambiare il sorriso della guerriera. Reina le accarezzò una
guancia e
Zoe, felice, piegò la testa per seguire il tocco calloso e ruvido dei
polpastrelli da arciere della donna, assetata del contatto fisico che,
nel regno
di Hoshido, era da sempre riservato soltanto all’intimità celata al di
là di
sottili pareti di carta di riso.
-Com’è
stata la tua giornata?- le domandò il
Cavaliere, aiutandola a voltarsi per sistemarsi in sella davanti a sé.
Zoe si
accomodò meglio, lanciando una gamba dall’altro lato del dorso del
pennuto e
afferrando le redini, stringendo le ginocchia per dirigere il kinshi
verso le
stalle; Katsu, che Zoe aveva raccolto da implume pulcino ferito e
cresciuto
fino a diventare la maestosa cavalcatura di Reina, obbedì docilmente
alla sua
guida esperta, planando con grazia verso il terreno.
-Hinoka
mi ha aiutata ad imparare un contrattacco con
la nageyari, non vedo l’ora di mostrartelo. Oh, e ho discusso con
Subaki, come
sempre.- raccontò, senza distrarsi, focalizzando la propria attenzione
sull’ambiente che le circondava e sulle manovre che doveva far compiere
al
kinshi.
La
stretta delle mani di Reina sulle sue spalle si
strinse e, nella sua voce, Zoe colse una traccia d’acciaio.
-Desideri
che me ne occupi io?-
.
-‘Eina!-
Reina
spalanca le braccia appena in tempo per
accogliere il corpicino paffuto e singhiozzante di una bambina dalle
lunghe
orecchie a punta, scoperte da due trecce arruffate in cui Orochi cerca,
giornalmente, di imbrigliare la sua indomabile chioma biondo cenere.
La
piccola si stringe forte a lei, soffocando il
pianto nella spalla della donna e serrando fra le morbide dita la
stoffa della
sua veste, nel tentativo coraggioso di celare il proprio pianto.
-Subaki
e Hinata mi tirano le orecchie.- mugugna, e
Reina, in effetti, scorge un rossore anomalo sulla pelle pallida che
emerge
dalla sua testolina.
-Oh,
piccolo tesoro, non piangere.- la culla,
prendendole il viso fra le mani e cancellando, coi pollici, quelle
lacrime
testarde che Zoe cerca sempre di nascondere. Nel suo kimono candido
sembra una
bambola più che un essere umano, ma Reina sa bene che, in quel giovane
spirito
libero, si cela un animo coraggioso. -Sai cosa facciamo, ora? Andiamo a
tirar
loro le orecchie a nostra volta, fino a che non gliele strapperemo
dalla testa.
Ti piace l’idea?- le propone e, quasi immediatamente, vede gli occhi
scarlatti
della piccola illuminarsi.
-Sì!-
..
Zoe
ridacchiò, udendo risuonare fra i ricordi le
strilla di dolore di quei due odiosi ragazzini che, tuttavia, le erano
più cari
di quanto dimostrasse – no, forse stava esagerando: Hinata
le
era molto caro, ma avrebbe felicemente fatto a meno dell’esistenza di
Subaki.
Stupido
pavone egocentrico e narcisista. Avrebbe dovuto dargli un’altra
lezione, presto
o tardi.
-Oh,
no, ormai so gestirlo senza problemi. È solo
fastidioso.- rassicurò la sua tutrice, facendo atterrare agilmente
Katsu e
balzando subito a terra, impaziente, tirandolo per convincerlo ad
entrare nel
suo box. -Il tuo viaggio com’è stato? Sarai stanca, vuoi che ti prepari
un
bagno caldo? Takumi e Kaze stanno bene?- le domandò, ricordando
improvvisamente
che Reina era stata assegnata alla protezione del giovane principe per
un
viaggio di ricognizione presso i confini del regno.
-Sei
sempre così entusiasta, piccola mia. La tua
voglia di vivere mi mantiene giovane.- sorrise, Reina, porgendo alla
ragazza le
sue armi d’ordinanza perché le riponesse. -Takumi e Kaze stanno bene, e
mi
farebbe molto piacere se tu preparassi un bagno caldo per me. Vai nelle
mie stanze,
ti raggiungerò là dopo aver conferito con lady Mikoto.- la istruì, e
Zoe annuì
immediatamente.
-Sissignora!-
Rise,
Reina, dandole un’ultima pacca affettuosa sulla
testa prima di voltarsi, pronta a dirigersi nelle stanze della regina.
-Brava
piccola.- la lodò ma, prima che potesse
lasciare Zoe ai suoi compiti, la graziosa figura della regina di
Hoshido si
stagliò sulla soglia delle stalle.
-Lady
Mikoto!- esclamò Zoe alle sue spalle, sorpresa,
drizzando immediatamente la schiena ed inchinandosi. -Buon pomeriggio,
milady.-
salutò, appiattendo le orecchie sulla testa in segno di rispetto.
Erano
passati così tanti anni da quando lei ed Ileana
erano state trattate allo stesso modo da lady Mikoto… forse, allora, a
Zoe era
stato permesso di comportarsi molto più liberamente con la regina, ma
quei
tempi erano così lontani da essere soltanto un’ombra nella sua memoria.
Ileana.
Aveva
sentito parlare così tanto della principessa
perduta, della figlia di lady Mikoto che re Garon aveva sottratto dalle
mani
ancora calde del caduto re Sumeragi… sebbene sapesse di aver trascorso
i primi
anni della propria vita sempre assieme alla principessa, Zoe non
riusciva a
ricordare altro che una bimba minuta con i capelli biondi come i suoi
che
adorava mangiare biscotti e giocare a nascondino con lei, Hinata e
Takumi.
Ma
era per lei che Zoe era diventata ciò che era: per
Ileana, per la tristezza negli occhi di lady Mikoto, per la ferita
inferta alla
nazione che amava e che considerava la sua casa.
Non
ricordava quasi niente della notte di Cheve, se
non la stretta delle braccia di Kaze e le lacrime che aveva versato:
quella che
fino ad allora aveva considerato la sua adorata sorellina le era stata
strappata via, il re era stato ucciso dal malvagio Garon e l’unica
madre che
aveva conosciuto fino a quel momento, lady Mikoto, l’aveva bruscamente
allontanata da sé.
Da
piccola, Zoe aveva spesso pensato che la regina si
fosse arrabbiata con lei per non aver preso il posto della figlia, per
non
avergliela riportata a casa: aveva sempre visto così tanta tristezza,
negli
occhi gentili di lady Mikoto, ogni volta che i loro sguardi si erano
incrociati… il senso di colpa l’aveva tormentata a lungo, strappandola
dal
sonno tanto spesso da costringere Orochi a darle delle pozioni per
dormire,
fino a che, a sei anni d’età e con una determinazione che anche un
guerriero
adulto avrebbe invidiato, aveva cominciato a tormentare Saizo, la
guardia
personale di Ryoma, fino a che lo scontroso Maestro Ninja non aveva
stancamente
accettato di addestrarla.
Saizo
era stato soltanto il primo degli insegnanti che
aveva costretto per esasperazione a seguirla: a lui erano seguite Reina
ed
Orochi, che l’avevano addestrata nell’arte della naginata, dello yumi e
della
magia – anche se Zoe, per natura troppo turbolenta, non aveva mai messo
insieme
nemmeno un incantesimo fatto e finito e aveva presto lasciato perdere
–, mentre
Saizo e Kagero si erano impegnati per renderla abile almeno quanto loro
nell’utilizzo di shuriken e katane.
Ryoma
ed Hinoka si erano spesso opposti a
quell’addestramento intensivo e troppo duro per una bambina,
affezionati
com’erano alla ragazzina che era cresciuta con i loro fratellini e che
tante
volte aveva coinvolto anche loro nelle marachelle sue e di Takumi, ma
Zoe era
andata avanti, ossessionata dal senso di colpa che tanto a lungo
l’aveva
tormentata.
Aveva
fatto così tanta fatica ad accettare che non
avrebbe potuto fare nulla, che a nemmeno cinque anni non sarebbe mai
stata
capace di far niente se non lasciarsi uccidere… certo, aveva pensato
molte
volte che tutto sarebbe andato bene se Garon avesse preso lei al posto
della
principessa – una parte di lei non
avrebbe mai smesso di pensarlo – ma aveva capito che
continuare a
struggersi, a punirsi e a tormentarsi per qualcosa che non poteva
cambiare non
le avrebbe portato niente di buono.
Eppure…
eppure ancora non riusciva a sostenere lo
sguardo della regina, perché la tristezza in quegli occhi era qualcosa
che non
avrebbe mai smesso di perseguitarla.
-Buon
pomeriggio anche a te, Zoe cara.- la salutò la
regina, gentilmente, dandole così il permesso di alzare lo sguardo:
lady Mikoto
era elegante e serena come sempre e, come sempre, nei suoi occhi
marroni Zoe
scorse l’onnipresente velo di rammarico che la perseguitava fin da
bambina.
Per
fortuna, la regina spostò quasi subito
l’attenzione sulla propria guardia.
-Reina,
sono lieta di ritrovarti in salute. Mio figlio
sta bene?- domandò, e Zoe poté distendere lievemente le spalle: non
riusciva
proprio ad evitare di sentirsi sotto pressione in presenza di lady
Mikoto,
sebbene la donna non avesse fatto altro che ricoprirla di dolcezza da
che aveva
memoria.
Reina
annuì.
-Sì,
milady, il principe Takumi era in splendida forma
quando ci siamo separati. Mi ha chiesto di recapitarvi un messaggio
urgente e
di natura privata.- riportò, voltandosi verso Zoe ed inclinando la
testa verso
le porte della stalla. La ragazza annuì, inchinandosi alla sua tutrice
e alla
regina prima di superarle entrambe.
-Vogliate
scusarmi, lady Mikoto.- salutò, prima di
sparire nel luminoso pomeriggio di Shirasagi; Reina sorrise, allungando
una
mano per accarezzare il lungo collo di Katsu.
-È
una brava ragazza.- mormorò, e la sua regina si
concesse un sospiro.
-Sì.
Tu, Orochi e Kagero avete fatto un lavoro
splendido, con lei.- rispose, piano, e Reina sapeva che ammettere
quella verità
costava alla sua amata regina più di quanto chiunque avrebbe mai potuto
comprendere.
Lady
Mikoto, però, si riscosse quasi subito. -Ma ora
dimmi, Reina, qual è il messaggio di Takumi?- domandò, e la sua guardia
reale
finse di non notare il tono sforzato e fragile della sua signora.
Sospirò,
il Cavaliere Kinshi, volgendosi per sostenere
l’espressione determinata di Mikoto.
-L’abbiamo
trovata, milady.- sussurrò, e persino il
suo kinshi sembrò irrigidirsi sotto le sue dita rovinate; la sovrana
invece
trattenne il respiro, impallidendo visibilmente dinanzi all’espressione
terribilmente
seria dell’altra.
-Abbiamo
trovato Ileana.-
.
.
.
Canticchiando
fra sé e sé, Zoe ripose i bagagli di
Reina, che aveva svuotato, al loro posto: era abituata ad occuparsi di
quel
tipo di compiti da sempre, perché facevano parte dell’insieme di
conoscenze ed
informazioni che una guardia reale doveva conoscere per essere
efficiente al
servizio di un reale.
Ora
avrebbe dovuto solamente preparare un bagno caldo
e aspettare che Reina rientrasse: allora, finalmente, avrebbe potuto
spietatamente tartassarla per farsi rivelare il contenuto della
misteriosa
comunicazione di Takumi.
Non
era preoccupata: Takumi era un guerriero
straordinariamente abile, letale con il suo fedele Fujin Yumi in mano e
terribile con una katana, ed era in compagnia delle sue guardie
personali e di
Kaze, uno dei ninja più abili e rinomati dell’intera Hoshido.
No,
lei voleva sapere come mai Reina era stata
rimandata indietro prima del resto delle truppe del principe, e il
motivo di
tutta quella segretezza: in un modo o nell’altro, decise fra sé,
avrebbe
scoperto che cosa stava sobbollendo in pentola.
Un
suono di passi, leggeri e familiari, la distrasse
dai suoi pensieri; si voltò, sorridendo, fiondandosi verso la porta
scorrevole
nel momento stesso in cui quella si aprì.
-Mamma!-
strillò, affondando il viso nel petto morbido
della donna che era appena apparsa sulla soglia.
-Oof!-
sbuffò quella, aggrappandosi a lei per
non perdere l’equilibrio. -Non sei più così piccola da poter fare
questi salti
sulle esili spalle della povera Orochi, micia!- squittì, ma rise quando
Zoe si
limitò a stringerla ancor più saldamente.
Orochi
aveva ragione: era diventata più alta di sua
madre già prima di compiere sedici anni e, al contrario dell’Onmyoji
dai
capelli indaco, il suo fisico era molto più massiccio, sebbene non
fosse mai
stata in grado di nascondere sotto i muscoli la forma fin troppo
rotonda dei
suoi fianchi e del seno.
-Perdonami.-
mugugnò, sollevando lo sguardo soltanto
quando decise di averla strapazzata a sufficienza: Orochi ammiccò,
scostando i
ciuffi ribelli dalla fronte della ragazza e raccogliendoglieli dietro
un
orecchio.
Zoe,
insospettita dall’insolito silenzio della madre,
aggrottò le sopracciglia. -Va tutto bene? Sembri tesa.- indagò,
inclinando la
testa e le orecchie di lato per scrutare quei familiari occhi violetti.
Orochi,
divertita dall’estrema espressività di quel paio di orecchie, allungò
una mano
per accarezzarle, sapendo quanto fossero sensibili e delicate.
-Mi
conosci bene.- la lodò, alzandosi in punta di
piedi per baciarla sulla guancia; la ragazza socchiuse le palpebre,
soddisfatta, e la maga ridacchiò pensando che non si sarebbe nemmeno
sorpresa
più di tanto se l’avesse sentita fare le fusa. Poi però sospirò,
posando le
mani sulle sue spalle.
-Lady
Mikoto ha convocato tutti i suoi figli e le
guardie reali… compresa tu.- le spiegò, e Zoe comprese chiaramente che,
fosse
stato per sua madre, lei sarebbe stata tenuta assolutamente alla larga
di
quello che si stava rivelando essere un vespaio più grosso di quanto
avesse
immaginato.
-Io?-
domandò, sorpresa: non era ancora stata
ufficialmente nominata una guardia reale – la cerimonia era stata
rimandata a
dopo il ritorno di Takumi, ma nessuno le aveva nemmeno detto a chi
sarebbe
stata assegnata o, persino, se le avrebbero permesso di affrontare le
prove
necessarie per cominciare a scalare i gradi dell’esercito… com’era
possibile
che la regina volesse proprio lei?
-Sì.
Ti spiegherà tutto la regina.- le rispose,
laconica come Zoe non l’aveva mai sentita, prendendola per mano e
tirandosela
dietro lungo i corridoi bagnati dal Sole pomeridiano.
-Non
puoi dirmi proprio niente niente? Nemmeno un
indizio piccino piccino?- tentò di irretirla, ma Orochi scosse la testa
e Zoe
sbuffò, indispettita. -Mamma, sei davvero antipatica, certe volte.-
mugugnò,
incrociando le braccia sul petto quando Orochi la lasciò andare.
-Su,
porta pazienza per qualche minuto.- fu il
rimprovero bonario della madre, che le pizzicò una guancia prima di
superarla
per infilarsi nella sala del trono. -Lady Mikoto, eccoci.- annunciò,
inchinandosi alla sovrana e ai principi che le erano assembrati attorno
prima
di spostarsi accanto a Kagero, diligentemente in piedi accanto al
collega Saizo
e a Reina, alle spalle di Ryoma.
Zoe
la seguì e, all’improvviso, tutti gli sguardi
furono su di lei.
Rabbrividì,
a disagio, chinando la testa in segno di
rispetto per qualche attimo prima di volgere un sorriso incerto in
direzione
delle principesse: Hinoka ricambiò il gesto mentre Sakura, seguita da
Subaki e
dalla fedele Hana, si avvicinò a lei per prenderla sottobraccio e
condurla al
cospetto di Mikoto e di Ryoma, che alzò una mano per rivolgerle un
rapido
saluto amichevole.
Quel
gesto, e la stretta familiare delle manine
soffici di Sakura sull’avambraccio, la rincuorarono: conosceva tutti i
presenti
da anni ma non era abituata ad essere guardata da così tante persone
contemporaneamente, e la cosa la metteva più a disagio di quanto
potesse
mostrare – aveva trascorso talmente tanto tempo fra le ombre,
ormai, che
ritrovarsi in mezzo a quella che ai suoi occhi schivi sembrava proprio
una
folla le dava quasi un senso di nausea.
Si
costrinse a non lasciar vagare lo sguardo,
nonostante provasse l’irresistibile desiderio di cercare sicurezza nei
volti
amici di Hana e di Hinoka, ma si aggrappò con più forza a Sakura: la
giovanissima principessa, nonostante la timidezza che in molti
scambiavano per
vigliaccheria, aveva una stretta forte e sicura, e Zoe si permise di
lasciare
che le sue piccole mani la rassicurassero.
Dopotutto,
quelle erano le stesse mani che l’avevano
rattoppata un numero indefinito di volte dopo gli allenamenti, e che
l’avevano
sempre consolata con una carezza ogni volta che un insulto
particolarmente
cattivo le era stato indirizzato.
Rabbrividì,
incrociando per un istante fugace lo
sguardo del suo maestro: se Saizo fosse venuto a conoscenza di tutto
ciò che
gli aveva nascosto, negli anni, l’avrebbe come minimo rimproverata per
un paio
d’anni consecutivi per aver mentito e punita in tutti i modi che
potevano
venirgli in mente… prima di andare a riscuotere, da coloro che
l’avevano
umiliata per tutta la vita, un prezzo davvero troppo alto per vendicare
una
nessuno.
Che
poi, cosa ci sarebbe stato da vendicare? Gli
insulti, i tormenti, la sensazione di essere feccia
contro
cui
Zoe ancora lottava quando gli sguardi pieni d’alterigia
dell’aristocrazia
hoshijin? A parte qualche episodio che non amava rammentare – uno dei
tanti
motivi per cui non sopportava Subaki, che sapeva fin troppo – ciò che
aveva
passato e di cui non aveva mai parlato con nessuno, tranne che con
Sakura, non
era stato nulla di particolarmente drammatico.
Bastò
un sospiro, tuttavia, e Lady Mikoto attirò
immediatamente tutta la sua attenzione: era bellissima e lontana come
sempre,
nel suo abito candido e dorato e con la corona stellata che contrastava
con i
suoi capelli neri, e Zoe dovette combattere con la propria insicurezza
per
sostenere il suo sguardo.
-Milady…?-
domandò, debolmente, confusa
dall’attenzione di cui era diventata oggetto e che non le
piaceva neanche
un po’.
La
sovrana, più tesa di quanto fosse stata soltanto
poco prima nelle stalle, la invitò con un ampio gesto del
braccio ad
avvicinarsi.
-Vieni,
Zoe.- la chiamò, e lei dovette a malincuore
abbandonare il fianco di Sakura per salire quei pochi gradini che la
separavano
da lady Mikoto e da Ryoma. Il Maestro di Spada e Alto Principe di
Hoshido si
spostò alle sue spalle, facendole spazio accanto alla regina:
mentalmente, Zoe
si ritrovò a ringraziarlo, perché la sua vicinanza aveva sempre avuto
un
meraviglioso effetto rassicurante – e Hotoke soltanto
sapeva quanto ne
avrebbe avuto bisogno di lì a poco.
Mikoto
scambiò con Ryoma un solo, fugace sguardo prima
di riportare la propria attenzione su Zoe. -Reina mi ha portato una
notizia che
riguarda anche te, cara.- le spiegò, incrociando le mani sul ventre.
-Durante
la ricognizione sul confine dell’Abisso Infinito, Takumi si è scontrato
con una
pattuglia nohriana.- continuò e Zoe, stavolta, non poté evitare di
impallidire,
lanciando un’occhiata terrorizzata a Ryoma mentre i suoi
pensieri si
arrestavano bruscamente all’idea che Takumi, il suo adorato Takumi che
la
faceva sempre arrabbiare, fosse rimasto in qualche modo ferito durante
quello
scontro.
-Non
preoccuparti, stanno tutti bene.- la rassicurò,
permettendole così di prendere fiato. Ryoma sapeva quanto Zoe fosse
legata
tanto a Takumi quanto a Kaze ed Hinata, il Maestro
d’Armi che serviva
Takumi assieme alla Maestra di LanciaOboro, e lei sillabò un
rapido “grazie”
prima di ritornare a prestare attenzione a lady Mikoto.
-Takumi
ha chiesto di incontrarci a Suzanoh al più
presto possibile, perché portano con loro un prigioniero. Sono riusciti
a
catturare un reale nohriano.-
A
quella notizia, questa volta, Zoe non riuscì proprio
a stare zitta.
-Cosa?
State scherzando!- esclamò, incapace di
trattenersi., strappando un sospiro esasperato ad Orochi.
-Deshi!-
sibilò Saizo, oltraggiato dalla mancanza di
rispetto della sua allieva.
Mikoto
agitò una mano in direzione della Onmyoji,
soprassedendo così alla mancanza di rispetto della sua protetta. -Non
preoccuparti, Saizo, è una reazione comprensibile. Questo la riguarda
in prima
persona.- affermò, prima di continuare. -Zoe, il reale che hanno
catturato non
sembra assomigliare a nessun altro che abbiamo mai affrontato prima.-
-Com’è
possibile?- domandò la ragazza, sempre più
perplessa, mentre quel desiderio impossibile che aveva sussurrato ogni
notte,
per anni, al cielo stellato parve infiammarle nuovamente il petto dopo
tanti
anni di quieta sopravvivenza.
Che
gli dei avessero ascoltato le sue preghiere?
Lady
Mikoto parve leggere, nel suo sguardo sconvolto,
la folle speranza che aveva guidato la giovane samurai per la maggior
parte
della sua vita; annuì, le labbra illividite dalla tensione, tentando
inutilmente di allontanare la sensazione che il destino fosse infine
giunto per
riscuotere il prezzo dell’affronto subito tanti anni prima. -Per questo
motivo
ho richiesto la tua presenza, e sarei felice se accompagnassi me e
Ryoma a
Suzanoh.- continuò, sforzandosi di mantenersi pacata e serena davanti
ai suoi
figli. -È opinione di Kaze che si tratti di Ileana.-
..
..
Doveva
calmarsi.
Zoe
chiuse gli occhi, resistendo alla tentazione di
infilarsi le mani nei capelli e strapparseli tutti in una volta.
Doveva
rimanere fredda e concentrata.
Strinse
i denti, sentendo i canini appuntiti pungerle
le labbra, cercando di escludere ogni suono dalla sua mente – invano:
anche il
cinguettio degli uccellini, lo stridio lontano di un kinshi, parevano
martellarle
le tempie e serrare quella morsa che l’aveva intrappolata nel momento
stesso in
cui lady Mikoto aveva pronunciato il nome della principessa perduta.
Gettò
la propria sacca da viaggio sul futon,
lasciandosi pesantemente cadere in ginocchio sul morbido materasso e
permettendo ad un solo, angosciato gemito di sfuggirle.
Doveva
ritrovare la propria calma, ed imbrigliare i
pensieri che le vorticavano furiosamente in testa: non poteva
distrarsi,
adesso, nonostante la tensione le avesse annodato lo stomaco ed
irrigidito ogni
singolo muscolo del corpo così tanto da farle male.
Ileana.
La
principessa perduta era stata uno dei motivi
principali per cui aveva votato la sua intera vita a diventare
una
guerriera talmente capace da potersi infilare a Nohr e scoprire che
fine avesse
fatto la figlia della regina: Ileana era diventata un
obiettivo, un
simbolo che rintuzzava la sua determinazione quando lei vacillava, una
speranza
in cui, tuttavia, si era ridotta a credere soltanto per abitudine.
Se
Ileana non fosse mai stata rapita, Zoe sarebbe
dovuta diventare la sua guardia personale: quello le era sempre stato
raccontato e quello, da bambina e da ragazzina, l’aveva sempre riempita
di
vergogna e di rimorso, perché non era stata in grado di prendersi cura
di lei
nel momento in cui Ileana avrebbe avuto bisogno del suo aiuto.
Saizo
aveva avuto serie difficoltà nel farle capire
quanto una bambina di cinque anni non avrebbe potuto fare nulla contro
il Re
d’Ossidiana, ma Zoe aveva cullato quel senso di colpa così a lungo,
dentro di
sé, che soltanto negli ultimi anni le parole incessanti del suo maestro
avevano
cominciato a far breccia in quella cappa di rimorso in cui si era
ostinatamente
avvolta per tanto tempo.
Non
sapeva che cosa avrebbe dovuto fare, come si
sarebbe dovuta comportare con lei: e se essere stata cresciuta da re
Garon
l’avesse irrimediabilmente corrotta in una persona malvagia? Cosa
sarebbe
successo se Ileana – sempre che si trattasse di lei e non di
un’impostora – si
fosse rivelata un mostro proprio come il re d’Ossidiana?
Era
diventata una guerriera, una Samurai, perché
nient’altro avrebbe potuto darle una parvenza di obiettivo, a
Shirasagi. Aveva
preso in mano una spada a sei anni perché diventare più forte
era
stata l’unica via d’uscita da una situazione a cui la bambina timida e
fragile
che era stata non sarebbe stata capace di sopravvivere… ed invece la
sua testardaggine
l’aveva resa abile, capace di difendersi e di difendere il suo
prossimo, ed il
codice dei samurai era diventato lo scudo dietro cui proteggeva quella
sua
parte più fragile che non era mai stata in grado nemmeno di sopportare
uno
stupido insulto.
Il
pensiero di poter diventare, un giorno, una
guerriera in grado di affrontare l’esercito di Re Garon – un obiettivo
ambizioso e forse irrealizzabile, ne era perfettamente conscia –
l’aveva tenuta
in piedi, l’aveva spinta ad impegnarsi e a sopportare ognuna delle
terribili
sessioni di addestramento del suo maestro, a stringere i denti quando
aveva
cominciato a perdere il conto delle vesciche sulle mani e le ferite sul
suo
corpo.
Il
pensiero di Ileana era lentamente scivolato in
fondo alla sua mente, un’onnipresente, silenzioso memoriale di quanto
male
fosse stato in grado di fare il Re di Nohr alla famiglia reale che lei
era
onorata di servire, alla regina il cui sguardo tormentato la inseguiva
ogni
volta che i suoi occhi bruni la sfioravano, a lei – non avrebbe mai
dimenticato
le urla che aveva fatto, il dolore che aveva provato, quando Ileana le
era
stata strappata dalle braccia… ed era per lei, per la Regina, per tutte
le
famiglie che quella guerra inespressa aveva già rovinato, che Zoe aveva
continuato a perseguire il suo obiettivo, incurante dello scherno dei
nobili e
della frustrazione che provava quando pensava a quanto, a quasi
vent’anni,
ancora non le fosse stato permesso di avanzare su quella strada che
nessuno era
stato in grado di impedirle di scegliere.
Però…
non poteva impedirsi di provare quell’angoscia,
di sentire l’eccitazione e la paura scorrerle nelle vene: dopo tanti
anni, per
la prima volta, avevano qualcosa,
una
prova che Ileana fosse ancora viva, che potesse esistere una remota
possibilità
di riportarla a casa, e i pensieri e le emozioni a cui Zoe si era ormai
abituata erano riemersi tutti insieme, travolgendola.
Non
era mai stata brava a gestire le emozioni, ma
sapeva di doversi calmare – se non lo avesse fatto, lo sapeva, sarebbe
stato
qualcun altro a__
-Zoe.-
Sobbalzò,
Zoe, strappata violentemente al turbinio di
congetture e pensieri che minacciavano di sopraffarla: si era talmente
estraniata da non accorgersi che Saizo, con l’innaturale capacità
propria dei
ninja, era apparso proprio accanto a lei.
-Saizo!-
esalò, balzando in piedi per inchinarsi allo
spaventoso Maestro Ninja privo di un occhio.
-Dov’è
finito il rispetto per i tuoi superiori, deshi?-
grugnì lui, irritato, e Zoe chinò la testa: sapeva di aver mancato di
rispetto
tanto alla regina quanto alle sue tutrici, intervenendo come aveva
fatto, e
aveva immaginato che il suo insegnante più severo si sarebbe presentato
per
rimproverarla.
-Lo
so, mi dispiace. Avrei dovuto mantenere più
controllo.- mormorò, pentita, voltandosi per non dover sopportare il
peso di
quell’unico, terribile occhio. -Ti serve qualcosa? Sono un po’
impegnata, al
momento.- domandò, cercando di concentrarsi nuovamente sul bagaglio che
doveva
preparare: aveva indossato la sua tenuta da viaggio da Samurai, unahakama
argentata
e un kimono corto che le aveva
donato Orochi e che le lasciava
scoperto il ventre muscoloso; avrebbe portato con sé anche un haori,
decise, perché sapeva che Suzanoh si trovava in una zona molto più
fredda di
Shirasagi e lei odiava, odiava il
freddo.
-Lo
noto. E sono qui per questo.-
Sorpresa,
Zoe si voltò: non era da Saizo essere così
percettivo nei confronti delle emozioni altrui.
Il
ninja sospirò, passandosi una mano fra gli spinosi
capelli rossi.
-Vorrei
consigliarti di mantenere la calma.- continuò,
chiaramente a disagio – Zoe poté distinguere un rossore sospetto fare
capolino
da sotto la maschera che copriva almeno metà del volto del maestro, ma
si
trattenne dal sorriderne: Saizo era incapace di gestire le proprie
emozioni
ancor più di lei, ma lei aveva imparato da molto tempo a cogliere la
preoccupazione che il suo maestro provava anche dietro i suoi modi
bruschi.
-Mi
è un po’ difficile.- ammise, ripiegando l’haori e
riponendolo sul fondo della sacca.
-Non
è una motivazione valida.- replicò Saizo, aspro,
mentre lei impacchettava qualche razione di emergenza. -Non sappiamo se
la
ragazza sia davvero Ileana, né che cosa le sia stato insegnato in
questi anni.
Non possiamo fidarci di lei, nemmeno se si trattasse davvero di__-
-Lo
so!- sbottò, infine, la samurai, voltandosi per
fronteggiare quell’uomo che, nonostante il suo aspetto, non la
spaventava. -Non
sono una stupida, d’accordo?- ringhiò, serrando i pugni sulla stoffa
ampia
dell’hakama. -So come comportarmi, davvero. È solo
che…-
Solo
che… era così difficile rimanere concentrata.
Sospirò,
la rabbia che veniva meno: sapeva che Saizo
voleva soltanto il suo bene, e che non permettesse al senso di colpa di
tornare
ad oscurare il suo giudizio, l’equilibrio piuttosto fragile che era
riuscita a
trovare – Saizo si era sempre preoccupato per lei, a modo suo: Zoe
sapeva che
le voleva bene, che voleva soltanto il meglio per lei…
Era
quanto di più simile ad un padre che avesse mai
avuto.
-Insomma…
non è facile.- mormorò, chinandosi su un
cassetto già aperto e spalancando uno sportello nascosto sul fondo: là,
esposta
con un’accuratezza che nessuno avrebbe mai sospettato, in Zoe, vi era
una
katana dalla lama dentata, minacciosa, la cui tsuka
di
legno e metallo era avvolta da un intricato tsukaito di
seta scarlatta.
Saizo
sapeva che Zoe adorava quell’arma, un dono per
il suo diciottesimo compleanno ricevuto dalla regina
Mikoto in
persona, ed era anche perfettamente conscio di quanto potesse essere
letale fra
le sue mani: era stato Ryoma in persona ad addestrarla, quando le era
stato
assegnato il ruolo da Samurai, ed erano ben pochi quelli in grado di
rivaleggiare con lei, a Shirasagi.
-Lo
so.- annuì, approvando silenziosamente la sua
scelta: doveva essere pronta a tutto e quell’arma le trasmetteva
sicurezza…
quella sicurezza che sembrava mancarle in quel momento. -Ma dovrai
comunque
usare prudenza.- aggiunse ma, quando Zoe si voltò per ribattere, era
già
scomparso.
La
giovane sbuffò, scuotendo la testa e sfregandosi
stancamente gli occhi.
-Se
non ci fossi abituata lo troverei snervante.-
mugugnò, allacciandosi l’obi ai fianchi e
rinfoderandovi la katana
con un gesto rapido e sicuro – aveva impiegato così tanto tempo ad
imparare a
farlo senza ridurre a brandelli i propri abiti…
La
voce efficiente di Reina le giunse dall’altra
stanza, distraendola dalle sue elucubrazioni: -Sei pronta?-
-Sì.-
affermò, caricandosi in spalla la propria sacca
e passandosi le mani fra i capelli, tirandoli indietro. -Andiamo.-
.
§
.
Le
grandi mura di Suzanoh, costruite da un
lontanissimo avo della famiglia reale, erano una struttura che Zoe
aveva sempre
trovato opprimente. Certo, erano una delle migliori difese che
potessero
esistere e gli abitanti di Shirasagi vi avevano trovato protezione nei
tempi
più bui, ma non riusciva ad ignorare quanto quell’ombra minacciosa
pesasse su
di lei, adombrando i tratti spigolosi del suo volto e disegnando
pericoli
inesistenti dietro ogni foglia.
Serrò
la mano destra sull’elsa della katana, cercando
conforto nella stoffa ruvida che sfregava sui suoi palmi,
costringendosi a
recuperare la concentrazione e studiando con un rapido sguardo ciò che
la
circondava – non che ci fosse poi molto da analizzare, in effetti: si
trovava
più avanti, sul percorso, rispetto al piccolo drappello che
accompagnava la
regina, ed intorno a lei vedeva solamente gli stessi alberi che avevano
accompagnato quel paio di giorni che erano serviti per raggiungere
l’avamposto
indicato da Takumi.
-Deshi.-
Questa
volta, per fortuna, l’aspra voce di Saizo non
la colse di sorpresa. Lanciò un’occhiataccia al ninja, appollaiato come
un
lugubre uccellaccio del malaugurio su un ramo a poche iarde da quello
su cui si
era inerpicata lei.
-Sai,
io avrei anche un nome, così, giusto per
ricordartelo…- mugugnò, ma Saizo alzò una mano per interromperla.
-Silenzio.-
le intimò e Zoe, malgrado l’irritazione,
tacque. -Avverti qualcosa di strano?- le domandò, poi, una volta
ottenuta la
sua totale attenzione; lei scosse la testa, inarcando un sopracciglio
– ma
l’aveva presa per una recluta inesperta, forse?
-A
parte Kaze?- sbottò, indicando con un brusco cenno
della testa un punto apparentemente vuoto.
Puf.
Con
uno sbuffo che mosse appena le foglie intorno alla
sua figura snella un ninja apparve là dove, fino a poco prima, erano
state
visibili solamente le protuberanze di una corteccia; e, finalmente, Zoe
si
concesse il primo sorriso sincero da due giorni a questa parte.
-Fratello.
Zoe.-
Al
contrario di Saizo, che indossava il proprio
aspetto spaventoso ed inquietante con orgoglio, Kaze era sempre stato
il
ritratto della dolcezza: forse erano i capelli, di un bel verde
pallido, oppure
il sorriso tenue e un po’ triste con cui il ninja affrontava ogni
attimo della
sua vita, ma Zoe aveva sempre provato una profonda tenerezza e un
sincero
affetto per Kaze che, negli anni, le era sempre stato accanto e l’aveva
sostenuta anche quando lei stessa aveva pensato di non poter
sopravvivere
all’addestramento di Saizo.
-Bene, deshi.-
fu il rapido e quasi
impercettibile complimento che si perse nell’aria fredda di quella
foresta, ma
lei colse comunque la soddisfazione nella sua voce e si congratulò con
se
stessa: non era facile soddisfare i rigorosi canoni di Saizo, e lei
serbava
nell’animo l’orgoglio provato ad ognuna delle rare lodi ricevute da lui
nel
corso degli anni. -Da quanto tempo ti eri accorta di lui?- le domandò
mentre
Kaze, silenzioso come un’ombra, lo raggiungeva.
-Un
quarto d’ora, circa.- rispose tranquillamente, sapendo
bene di poter fare affidamento sui propri sensi e sul suo istinto:
sarebbe
stata davvero un’onta imperdonabile se non si fosse accorta della
presenza di
una persona che conosceva da tutta la vita. -Ci hai intercettati al
bivio e
seguiti per un po’, vero?- domandò, rivolgendosi a quello che,
comunque,
riteneva il suo preferito fra i due gemelli, e Kaze le sorrise.
-Brava.-
si congratulò, prima di indicarle il percorso
che aveva appena fatto con un rapido cenno della testa. -Ora torna
indietro e
dai il segnale a Kagero, la strada è sicura.- la istruì, con una
gentilezza
negli ordini che nulla aveva a che spartire con l’asprezza del
fratello, ma
richiamandola indietro appena prima che la samurai sparisse nel fitto
fogliame.
-E, Zoe?-
Zoe
esitò, cogliendo un lieve turbamento in quella
voce tanto familiare: Kaze non era un uomo che lasciava facilmente
trapelare le
proprie emozioni… anche lui era teso per tutta quella
situazione,
rifletté: come lei, anche il ninja dai capelli verdi aveva fatto
propria la colpa
del ratto di Ileana, e quel rimorso aveva modellato entrambi nelle
persone che
erano diventate.
-Sì?-
domandò, senza voltarsi.
-Fai
attenzione.-
Ridacchiò,
balzando dal proprio ramo ad un altro con
la scioltezza di un felino.
-Io
faccio sempre attenzione.-
sussurrò, consapevole che il suo commento un po’ arrogante sarebbe
stato udito
da entrambi i ninja e avrebbe strappato una smorfia a Saizo e un
sospiro
divertito a Kaze.
Bugiarda,
mormorò una vocina
nella sua testa, così simile a quella di Takumi da costringerla a
soffocare una
risata vera e propria: il suo fratellino antipatico le era mancato, in
quelle
settimane trascorse da quando era partito, e non aspettava altro che
poterlo
rivedere.
Takumi
aveva all’incirca la sua stessa età – e
quei pochi mesi che li distanziavano erano sempre stati motivi di
battibecco –
ed era cresciuto con lei: la piccola banda di scalmanati che avevano
riunito
attorno a loro era ancora un incubo ricorrente di Yukimura, ne era
certa.
Crescendo,
entrambi avevano intrapreso la strada del
guerriero assieme ai loro compagni di giochi che, dopo anni di
addestramento,
erano tutti diventati guardie reali: Subaki e Hana erano entrati al
servizio di
Sakura, Hinata a quello di Takumi stesso, mentre Zoe non era ancora
stata
assegnata a nessuno – aveva sperato, anni prima, di poter diventare
proprio la
sua, di guardia reale, assieme ad Hinata, ma Saizo gliel’aveva impedito
e
quello era uno smacco che ancora, a volte, faticava a digerire.
Erano
sempre stati molto uniti, lei e Takumi: erano
due muli testardi che non potevano fare a meno di scontrarsi, li
definiva
spesso Hinoka, ma non era mai successo che uno dei due non
spalleggiasse o
provasse a coprire l’altro dopo l’ennesima marachella.
Sì,
le era davvero mancato, ma poteva tenere a bada
l’impazienza ancora per un po’: dopotutto, se Kaze era nei paraggi
significava
che il loro viaggio, ormai, era giunto al termine.
Ripeté
a ritroso la strada percorsa assieme a Saizo,
fino a che i suoi occhi allenati non colsero lo sventolio di un lembo
di stoffa
al di là di un tronco particolarmente imponente.
-Ma?-
chiamò, portando prudentemente la mano destra
alla spada per estrarne giusto qualche pollice, pronta per essere
estratta
dalla mano opposta: era quasi certa di aver riconosciuto Kagero, in
quel
baluginio, ma essere guardinga e sempre pronta al peggio era stata la
prima
lezione che Saizo le aveva inculcato in testa.
Il
suo odore la raggiunse prim’ancora che Kagero si
palesasse, con il tipico sbuffo dei ninja, al suo fianco: la sua
seconda mamma
era sempre stata preceduta da quell’essenza lieve, flebile, che a Zoe
ricordava
la stoffa morbida delle sue copertine di bambina e tutte le volte che
Kagero le
aveva permesso di nascondersi fra i suoi lunghi capelli neri per farla
giocare
a nascondino con Orochi.
Sorrise,
socchiudendo gli occhi quando una carezza
lieve le scostò la frangia.
-La
strada è libera.- annunciò, voltandosi appena in
tempo per scorgere il fiocco bianco che raccoglieva i capelli di sua
madre
svanire nel fogliame.
Kagero
riapparve qualche albero più in là, splendida e
a suo agio come un predatore nel suo habitat naturale; Zoe aveva sempre
pensato
che, nonostante Saizo fosse considerato dai più il più abile dei
Maestri Ninja
al servizio della famiglia reale, Kagero fosse proprio nata per essere
un
ninja: era splendida, letale e celava in un corpo che molte donne
avrebbero
ucciso per avere una forza pari a quella di diversi uomini messi
insieme.
Le
sue mamme erano davvero una più bella dell’altra:
Zoe era fiera di loro, le adorava e ogni dettaglio che la accomunasse a
loro la
rendeva un po’ meno severa nel giudizio che aveva di se stessa…
dopotutto,
aveva imparato ad accettare il proprio corpo soltanto grazie al fatto
che tanto
Kagero quanto Orochi fossero fatte alla stessa maniera.
-Perfetto.-
Kagero annuì, e Zoe rinfoderò rapidamente
la spada – saltellare fra i rami con una spada mezza estratta era un
buon modo
per farsi del male, lo aveva imparato a proprie spese. -Reina ci segue
dall’alto, tu scendi a sud di cinquanta iarde e prosegui parallelamente
a me.
Incontrerai lord Ryoma sul tuo percorso.-
Ignorando
il lieve senso di contentezza che la pervase
al pensiero di raggiungere Ryoma, Zoe assentì.
-Signorsì.-
rispose, obbediente, lasciandosi Kagero
alle spalle e proseguendo nella direzione indicatale finché non
distinse un
familiare riverbero scarlatto: Ryoma indossava la sua solita,
spaventosa
armatura rossa – che comunque, come diceva sua madre, lo faceva
assomigliare
più ad un’aragosta che ad un temibile drago –, e procedeva nel
sottobosco con
molta meno eleganza rispetto ai tre ninja.
Attenta
a non farsi sentire, Zoe gli girò intorno fino
a che non si trovò alle sue spalle, scegliendo un ramo particolarmente
robusto
su cui fermarsi, agganciarvi le ginocchia e lasciarsi cadere per
dondolare a
testa in giù a poca distanza dall’impressionante criniera bruna che
erano i
capelli di Ryoma.
-Puf.-
esclamò, non riuscendo a trattenere una
risata quando lui sobbalzò e si voltò di scatto, la mano già stretta
sull’elsa
della divina Raijinto; come aveva previsto, però, la riconobbe
immediatamente,
e le sue spalle si rilassarono.
-Non
dovresti segnalare la tua posizione in questo
modo.- la rimbrottò, sospirando, ma Zoe scosse la testa e allungò una
mano per
aggrapparsi al ramo, sganciando le gambe e dondolandosi un paio di
volte prima
di balzare agilmente a terra.
Si
comportava sempre da idiota quando lui era nei
paraggi.
-Questa
zona è sicura.- replicò, sistemandosi l’hakama tutto
in disordine, ben attenta a non scambiare nemmeno per sbaglio uno
sguardo con
il principe. -Saizo è con Kaze, e Kagero mi ha mandata a coprire questa
zona.-
riferì, affiancandoglisi senza nemmeno preoccuparsi di rivolgergli un
inchino
di cortesia: Saizo l’avrebbe sicuramente rimproverata, per quella
mancanza, ma
Ryoma le aveva sempre chiesto di comportarsi con lui come si comportava
con i
suoi tre fratelli.
La
maggior parte delle persone considerava Ryoma un
uomo distante, controllato o persino spaventoso: era facile lasciarsi
intimorire dal suo aspetto imponente e dal suo sguardo severo… ma Zoe
lo
conosceva da tutta la vita, e sapeva quale persona altruista, buona e
affettuosa si celasse sotto la sua onnipresente espressione serafica.
Ne
era così conscia da essersi addirittura invaghita
di lui.
Scosse
la testa, tentando di scacciare quel pensiero
prima che prendesse piede e la distraesse.
“Idiota!
Sei accanto ad un principe, in questo momento, il tuo dovere è
proteggerlo
quindi piantala di comportarti da ragazzina svenevole!”
Prese
un lungo respiro, usando violenza sulla sua
mente per costringersi a rinchiudere voce, batticuori e stupidaggini
del genere
in un angolino impolverato in fondo al suo animo. Non aveva tempo
per
dar seguito ad una stupida cotta adolescenziale che ogni tanto le dava
ancora
qualche gomitata, né tantomeno il desiderio di torturare se stessa
ricominciando a rimuginare su qualcosa di così sciocco.
Si
incamminarono fianco a fianco, lasciando che un
quieto silenzio calasse su di loro. Non si trattava di un silenzio
pesante o
imbarazzante, ma di una pace serena e confortevole di due persone che
si
rispettavano e si fidavano completamente l’una dell’altra.
Ryoma
era l’unica persona con cui Zoe fosse mai
riuscita a trovarsi completamente a proprio agio, senza sentire il
bisogno di
riempire il vuoto di parole: la sua presenza, la sua stessa esistenza,
rappresentava un’ancora solida ed inamovibile che lei aveva sempre
trovato
rassicurante.
.
Non
ha
mai pensato a quanto possa essere appiccicoso il sangue.
Le
incolla le dita dei piedi nudi, rende l’elsa della katana scivolosa e
viscida,
la fa quasi scivolare quando tenta nuovamente un affondo e lo porta a
termine
con un arco disordinato che le strappa un ringhio frustrato.
Non
dovrebbe essere lì. Le sue mamme saranno sicuramente preoccupate, è già
il
tramonto e sarebbe dovuta essere a casa già da un’ora, ma a Zoe non
importa:
alza di nuovo la katana, ignorando le braccia che bruciano di dolore e
le mani
martoriate dal legaccio dell’elsa, e aggredisce con tutta la sua furia
il
manichino da addestramento.
“Dovresti
imparare a
ricamare, Zoe.”
Ruggisce,
quella tredicenne in fiore che odia con ogni battito del cuore un po’
di più il
suo corpo che cambia, assordata dalla voce cantilenante e odiosa di
Subaki che
continua a ripetersi incessantemente nella sua testa.
“Non
sarai mai un
guerriero con quel fisico. Faresti meglio a trovare un uomo che voglia
sposare
una stramba come te e metterti a fare figli.”
Mischiate
al sangue che gocciola dalle sue mani ci sono lunghi capelli che, una
volta,
erano stati di un biondo sporco, spento e detestabile: qualche filo
chiaro si è
impigliato nella lama smussata con cui li ha tagliati, ed il loro
baluginio non
fa che fomentare la sua rabbia.
Si
sforza di immaginare la faccia di Subaki su quella senza volto del
manichino e,
con un urlo disarticolato, gli si butta addosso, colpendolo
disordinatamente
con la katana da allenamento.
Per
fortuna Saizo non è lì: se la vedesse comportarsi in quel modo sarebbe
sicuramente disgustato… ma no, per fortuna è da sola, tutti sono già
tornati a
casa dopo una giornata intensa di esercizi e addestramento.
-Zoe.-
Oppure
no.
Si
morde le labbra, ignorando la voce che ha chiamato il suo nome: sa chi
è, sa a
chi appartiene, ma la sua attenzione è tutta sulla forza che le sue
braccia non
hanno e che cerca di costringere ad uscire fuori tramite tutto quel che
possiede: la testardaggine.
-Zoe,
posso sapere che cosa stai facendo?-
Nonostante
abbia le orecchie appiattite sulla testa sente comunque i passi che si
avvicinano, ma Ryoma è davvero l’ultima persona che abbia voglia di
incontrare.
Il
principe è a dir poco perfetto, più di quanto Subaki potrà mai sperare
di
diventare e, secondo Zoe, più di chiunque altro al mondo: è già uno
spadaccino
temibile, un guerriero abilissimo e una figura di riferimento per un
numero
sempre crescente di persone.
-Mi
alleno.- risponde, a denti stretti, senza nemmeno voltarsi a guardarlo.
Con la
coda dell’occhio, però, lo scorge sbuffare.
-A
me
sembra che tu stia soltanto cercando di farti del male.-
Forse.
Forse è quel che si merita. Forse è quello che avrebbe dovuto subire
tanto
tempo prima.
-Non
servirà a molto allenarsi se poi non sarai in grado di stare in piedi.-
Nella
sua mente offuscata dalla rabbia e dalla vergogna quelle parole fanno
breccia,
perché non c’è davvero altro che le importi se non essere un buon
guerriero –
ma non è abbastanza, Saizo le dice sempre che l’addestramento non è mai
abbastanza, e lei prova una fede cieca nelle parole del suo maestro.
-Ci
riuscirò comunque.-
Continuerà
ad allenarsi ignorando la stanchezza, le ginocchia che tremano, le mani
insanguinate.
-Così
vedranno.-
Costringerà
Subaki a rimangiarsi ogni parola, ogni insulto, ogni insinuazione.
-Così
vedranno tutti.-
Saizo
sarà fiero di lei e le permetterà finalmente di prendere il titolo di
Samurai,
un onore che le è ancora precluso perché non è abbastanza brava,
abbastanza agile,
abbastanza forte.
Si
permette di prendere fiato, di abbassare la spada per qualche attimo,
di
lanciare un occhiata al ragazzo – no, Ryoma ormai è un uomo, al
contrario di
lei che è soltanto una ragazzina inutile.
-Per
favore, vai via. Voglio rimanere sola.- gli chiede, odiando la supplica
che non
riesce proprio a trattenere. Distoglie lo sguardo, vergognandosi dello
stato in
cui deve essere, pregando fra sé che lui le dia retta e se ne vada.
-Preferirei
rimanere qui, se non è un problema.-
No,
non
sembra volersene andare.
Zoe
lo
maledice mentalmente e per un attimo odia anche lui, che è così bravo
in tutto
quello che fa, che ha una famiglia che lei non ha, che ha uno scopo
nella vita
e un futuro certo dinanzi a sé.
-Rimarrò
in silenzio, non ti infastidirò.-
Uno
sbuffo e una scrollata di spalle sono le uniche risposte che riceve.
Ryoma
annuisce e si allontana un poco per sedersi a terra, incrociando le
gambe e le
braccia e rimanendo perfettamente immobile mentre lei sfoga tutta la
sua
frustrazione sul povero manichino, ignorando la pozza disordinata che
si
allarga ai suoi piedi come l’oscurità che sta prendendo possesso del
cielo.
Ben
presto, Zoe perde la cognizione del tempo: ci sono soltanto le manovre
e le
posizioni che Saizo le ha insegnato, che ha provato mille volte assieme
ad Hana
e ad Hinata, e la furia che le annebbia lo sguardo ad ogni colpo un po’
di più.
Diventerà
brava.
Troverà
anche lei la sua strada, un motivo di orgoglio, qualcosa che
possa spegnere l’odio profondo che prova per se stessa… oppure no,
perché in
fondo lei non merita altro che questo.
È
detestabile.
È
un’orfana senza futuro che ha fallito nel solo compito che avrebbe
dovuto
adempiere.
Subaki
ha ragione, dovrebbe lasciar perdere, perché non sarà mai abbastanza…
non lo è
fin da quando la principessa Ileana è stata rapita e lei ha fallito nel
suo
compito. Non lo è mai stata da bambina, quando intorno a lei
si era chiuso
un cerchio di ragazzi più grandi che l’avevano spinta nel
fango, al suo
posto.
Dopotutto…
il fallimento è l’unica cosa in cui riesce.
Le
lacrime le offuscano la vista e la katana, all’improvviso, diventa
davvero
troppo pesante: le sfugge, cadendo a terra con un clangore assordante,
e anche
Zoe crolla con lei, schiacciata dalle colpe che sembrano toglierle
persino la
forza di respirare.
In
ginocchio, tremante, alza lo sguardo e quel dannato manichino sembra
farsi
beffe di lei, del sangue che le macchia i vestiti, dei suoi capelli
tagliati in
preda alla rabbia che si arricciano intorno alle sue orecchie.
Vorrebbe
urlare, vorrebbe gridare al vento tutta la sua frustrazione, ma la sua
voce è
bloccata in gola e tutto quello che le esce è un gemito di dolore.
Si
prende la testa fra le mani perché sente che sta per scoppiare, e cerca
rifugio
accartocciandosi su se stessa in mezzo al suo stesso sangue, la terra
sabbiosa
che le si infila nel naso quando cerca furiosamente di prendere fiato.
-È
colpa mia… è tutta colpa mia…-
Non
importa quello che farà in futuro, non importa quanto si addestrerà,
quanto
sangue verserà: lei rimarrà sempre quella che doveva essere presa al
posto
della principessa, una nessuno che meritava soltanto di essere trattata
come
una paria, e nessuno potrà mai cancellare quella terribile
verità.
Non
si
accorge della mano che le stringe una spalla fino a che non ode la voce
calma
di Ryoma ad un soffio dalle sue orecchie.
-Ehi.-
Si
stringe su se stessa, sentendosi sballottata da quelle sensazioni
velenose che
la stanno lentamente uccidendo, giorno dopo giorno, anno dopo anno.
-Dovevo
essere io… doveva prendere me…-
Se
solo
fosse morta, non avrebbe mai dovuto sopportare niente di tutto questo:
non
avrebbe mai dovuto affrontare gli insulti, le cattiverie, non
sarebbe mai
stata costretta a difendersi a spada tratta per rimanere sana di mente,
non
avrebbe mai dovuto sopportare la colpa che la dilania ogni volta che
uno di
quei signorotti da due soldi la chiama feccia.
Perché
lei lo è, feccia.
-Zoe__-
Alza
di
scatto la testa, odiando quel nome e la gentilezza con cui lui lo
pronuncia,
stringendo i denti così tanto da sentirli stridere.
Ryoma
non sa niente di tutto ciò che ha passato, nessuno sa cosa ha passato,
nemmeno
le sue madri o Saizo o Kaze: è stata brava, è riuscita a nascondere
persino ai
ninja quei pochi episodi che tuttavia l’hanno indelebilmente
marchiata, ha
sempre evitato di ripetere ognuna delle parole derisorie che le sono
state
rivolte – Subaki è il più innocuo di tutti loro, non è mai
stato davvero
cattivo con lei, ma quel giorno è stata la fantomatica ultima goccia
che ha
fatto traboccare il vaso.
-Perché
non ha preso me? Perché Garon non ha risparmiato il re e Ileana
prendendo me?
Qualcuno poteva fargli credere che fossi la principessa e se mi avesse
uccisa
sarebbe andato tutto bene, e__-
-Ora
basta.-
Le
sue
urla isteriche sono bruscamente interrotte da quelle parole forti,
dure, che
riescono a farsi largo nel panico che l’ha travolta e che minaccia di
inghiottirla viva.
Ryoma
la prende per le spalle, costringendola a sciogliersi da quella
posizione che
l’ha convulsamente chiusa in se stessa, forzandola a guardarlo in
faccia quando
torna a parlarle.
-Zoe,
promettimi che non penserai più niente del genere.-
-Ma__-
-No,
niente “ma”.-
Non
ha
mai notato prima che gli occhi verdi di Ryoma siano pieni di pagliuzze
argentate.
Quel
dettaglio insignificante sembra assumere un’importanza fondamentale,
adesso,
che la costringe a prestare attenzione alle sue parole, alla forza
nella sua
voce, al calore delle mani che le stringono le spalle.
-Tu
sei
parte della mia famiglia e non potrei mai pensare ad un mondo in cui tu
non ci
sei, e so che tutti quelli che ti vogliono bene pensano la stessa cosa.
Quindi
ti prego, non pensare mai più che qualcuno avrebbe preferito che tu
morissi. Ti
prego, fallo per me.-
Sono
quelle le parole che la spezzano.
Non
riesce a non credergli, non riesce a ignorarlo e continuare
testardamente a
macerarsi nell’autocommiserazione: in un lampo di terribile
consapevolezza
pensa a Sakura, ad Hinata, a Takumi e alle sue madri, a Reina
e ad Hinoka,
e sente che il suo cuore potrebbe davvero spaccarsi quando capisce
quanto
soffrirebbero nel vederla così.
Non
vuole che nessuno di loro soffra. Non vuole che Ryoma soffra.
Eppure,
allo stesso tempo, vorrebbe poter fare qualcosa, tornare indietro nel
tempo e
sistemare le cose, restituire il sorriso alla regina e una principessa,
una
sorella, a quei fratelli che lei non avrebbe mai avuto ma che avrebbe
disperatamente voluto chiamare famiglia.
Ma
non
lo sono. Lei li ama come se lo fossero e sa che anche loro le vogliono
bene, ma
quella non è la sua famiglia: lei è una figlia di nessuno e si sente un
mostro
nel desiderare qualcosa che avrebbe dovuto essere di un’altra, di una
bambina
innocente strappata ai suoi cari in tenera
età, che secondo la
maggior parte dei nobili sta tuttora tentando di irretire per
trarre da
quel favore che i reali le dimostrano un qualche assurdo profitto.
È
troppo. È davvero troppo per le sue spalle ancora così esili.
E
scoppia a piangere, finalmente, come la bambina che ancora è:
seppellisce il
viso fra le mani e trema, stravolta dai singhiozzi e da tormenti troppo
grandi
per i suoi anni, e vorrebbe davvero che Ryoma se ne andasse perché non
riesce a
sopportare l’idea che qualcuno la veda in quello stato così miserabile
– non
riesce a non credergli, ma allora significa che vederla così deve farlo
soffrire e per gli dei, è l’ultima cosa che vuole.
Ma
Ryoma non se ne va.
Le
passa un braccio intorno alle spalle e la avvicina a sé, stringendola
forte
quando Zoe gli si butta addosso e si aggrappa disperatamente al suo
yukata,
rifugiandosi nel suo abbraccio come se fosse l’unico posto sicuro al
mondo.
Le
accarezza i capelli, la tiene vicina a sé, e Zoe si sente un po’ meno
disgustosa se c’è lui: Ryoma è la persona più buona che lei conosca, e
se lui
riesce a volerle bene allora, forse, anche lei potrebbe provare a
odiarsi un
po’ meno…
Affoga
i singhiozzi sul suo petto, e una parte di lei registra il sangue – il
suo –
che ha macchiato la stoffa candida dello yukata di Ryoma ma che lui
pare
ignorare: la tiene stretta finché il pianto non cessa e una profonda
spossatezza prende il suo posto.
È
allora che la prende delicatamente in braccio, lasciando che lei si
stringa
forte al suo petto quando si alza e s’incammina verso gli alloggi di
Orochi,
mormorandole qualcosa di incomprensibile che, tuttavia, pian piano la
culla in
un dormiveglia beatamente vuoto.
-Oh,
per gli dei, Zoe!-
Nemmeno
la voce intrisa di terrore di sua madre riesce a scuoterla. Sta così
bene, lì,
ad ascoltare il suono profondo e regolare del cuore di Ryoma che batte,
a
riempirsi i polmoni del suo odore di pelle pulita e abbronzata…
-Sta
bene. Ha soltanto bisogno di riposo.-
Smette
di ascoltare sua madre: domani, probabilmente, Orochi la sgriderà per
essersi ridotta
in quello stato, ma per ora non vuole pensarci, vuole soltanto
addormentarsi
cullata dalla tenerezza rassicurante che prova fra le braccia di Ryoma.
Il
principe cammina ancora un po’ e poi Zoe riconosce l’odore della
propria
stanza, si sente depositare delicatamente sul suo futon, avverte le
coperte in
cui viene avvolta. Non reagisce né si muove fino a che non avverte lo
sgradevole vuoto che le fa capire che Ryoma se ne sta andando.
-Ryoma…-
lo chiama, assonnata, allungando debolmente un braccio per tentare di
trattenerlo lì.
Lui
si
avvicina di nuovo, inginocchiandosi accanto al suo letto, posando una
mano
sulla sua testa.
-Cerca
di riposare.- le consiglia, piano, con una voce così gentile che Zoe
non riesce
proprio a dirgli di no.
-Ci
proverò…- pigola, piano, sforzandosi di aprire gli occhi gonfi di
pianto.
E
Ryoma
sorride, Zoe lo sa, riesce a immaginarlo anche se non distingue bene il
suo
volto. Le lascia un’ultima carezza su quel disastro che ha per capelli,
rimboccandole le coperte prima di spegnere con un soffio la lanterna
che
illumina la stanza di lei.
-Grazie.-
.
Era
cominciata allora, probabilmente.
Da
quella notte lontana, che Zoe ricordava ancora con
un misto di vergogna e affetto, si era ritrovata sempre più spesso a
fantasticare sull’Alto Principe di Hoshido, ad arrossire quando i loro
sguardi
si incrociavano, a prestare attenzione a quel che Ryoma faceva o diceva
e a
tanti piccoli dettagli di lui che glielo avevano reso ancora più caro…
era
stato un commento di quel guastafeste di Subaki a farle capire che,
probabilmente, quell’ammirazione era in realtà il sintomo più evidente
di un
invaghimento.
Quella
volta, tuttavia, la sua invadenza era stata
d’aiuto: dopo averlo compreso, infatti, Zoe si era impegnata affinché
quella
cotta infantile facesse il suo corso, ed era abbastanza fiera del
risultato che
aveva ottenuto.
Eppure,
nonostante fossero passati tanti anni e i suoi
sentimenti acerbi si fossero raffreddati da tanto tempo, non era mai
riuscita a
trovare qualcuno che le desse tanta serenità come lui faceva
semplicemente
esistendo: Ryoma era una delle poche persone che le avevano dato un
motivo
valido per affrontare i suoi problemi, ed il suo affetto era stato uno
dei
motivi principali che l’avevano spinta a cercare di migliorarsi ogni
giorno di
più.
Camminarono
ancora per un po’, procedendo nella
direzione indicata da Kagero nell’ombra minacciosa delle mura di
Suzanoh sempre
più vicine. Zoe poteva quasi avvertire la confusione di Ryoma, che
aveva scorto
lanciarle diverse occhiate perplesse: non era proprio da lei rimanere
zitta
così a lungo.
-Il
tuo nervosismo è quasi palpabile, Zoe.-
Ed
eccole, infatti, quelle poche parole che bastarono
per riportarla coi piedi per terra e costringerla ad affrontare le
paure che
aveva cercato di soffocare pensando a tutt’altro sin da quando erano
partiti.
-Non
posso evitarlo.- sospirò, tormentando
nervosamente i lacci della katana.
Erano
mille i pensieri che si accavallavano nella sua
mente, rincorrendosi come cani che si mordevano incessantemente la coda
l’un
l’altro, ma li tenne per sé: esternare i propri dubbi e le proprie
paure non
era mai stato il suo forte, e quell’unica volta che l’aveva vista
aprirsi con
Ryoma la riempiva ancora di imbarazzo. -Avevo quasi perso le speranze.-
si
limitò quindi a mormorare, alzando lo sguardo per cercare un albero
adatto ad
una rapida scalata; ne scelse uno particolarmente nodoso e si avvicinò,
pronta
a saltare, ma una mano calda si posò sulla sua spalla e la fermò.
Si
volse, e ancora una volta riuscì a scorgere i
dettagli grigi negli occhi altrimenti verdi di lui. Gli invidiava un
sacco quel
colore: non le piacevano affatto le sue iridi rosse, le davano la
terribile
sensazione che un demone stesse aspettando soltanto un suo momento di
debolezza
per prendere possesso di lei.
-Ed
invece la tua perseveranza, alla fine, ti ha
premiata.- Ryoma accennò un sorriso e lei si sentì quasi in dovere di
ricambiare
– dopotutto, Ryoma era sempre così serio, ed un suo sorriso era più
raro della
poca, rada neve che cadeva ogni tanto su Shirasagi. -Andrà tutto bene,
vedrai.-
la rassicurò, lasciandola andare e passandosi le dita fra i folti,
lunghi
capelli castani.
Zoe
si strinse nelle spalle, tutt’altro che convinta,
prima di balzare verso l’alto e sparire nel fitto fogliame.
Ryoma,
guardandola sparire, sospirò, scuotendo la
testa.
Era
preoccupato per lei.
Sapeva
quanto Zoe non avesse mai davvero smesso di
sperare nel ritorno di Ileana e, soprattutto, quanto il suo rapimento
avesse
gravato sulla sua vita – forse lo sapeva anche più di Zoe stessa,
perché al
contrario di lei ricordava perfettamente l’incidente di Cheve e le
terribili
decisioni a cui, da ragazzino, non aveva potuto opporsi e che avevano
cambiato
per sempre la vita di Zoe.
Lui,
e con lui anche la regina sua madre, aveva
paventato quel momento per quattordici anni: spesso si era
chiesto se non
sarebbe stato più facile dire a Zoe tutta la verità già dall’inizio, ma
Mikoto
aveva sempre preferito aspettare, nella speranza che Ileana, un giorno,
potesse
tornare a casa. Dapprima Ryoma non aveva capito e, spesso, avevano
discusso,
perché Ryoma avrebbe disperatamente voluto tenersi il più vicino
possibile
quella bambina che gli era stata vicina sin da quella notte di Cheve, a
cui lui
si era affezionato più di quanto aveva potuto prevedere; eppure, alla
fine,
aveva compreso il dolore di Mikoto, il lutto che l’aveva distrutta
quando aveva
perso in una sola notte una delle sue figlie e il marito a cui era
profondamente devota.
Eppure,
lui era ancora convinto che sarebbe stato
molto più saggio rinunciare a tutte quelle bugie molti anni prima.
Zoe
gli assomigliava: era sempre stata testarda,
e aveva sfruttato quel suo difetto per impuntarsi a portare a termine
ogni
nobile causa che le capitasse in mente: aveva la tendenza a farsi
carico delle
colpe degli altri e a non darsi pace fino a che non fosse stata sicura
che
tutti i suoi cari stessero bene e fossero al sicuro, spesso e
volentieri a discapito
della propria salute.
Sì,
avevano sbagliato, avrebbero dovuto dirle la
verità sin dall’inizio, ma non sarebbe cambiato nulla: il bisogno di
prendersi
cura degli altri era qualcosa che faceva parte di lei, che la
caratterizzava e
che Zoe non sembrava proprio intenzionata a cambiare.
Non
sarebbe stato facile.
Mentre
avanzava, conscio della presenza vigile e
attenta della Samurai sopra di lui, si ritrovò costretto ad affrontare
quel
pensiero angoscioso: sua madre aveva atteso tanti anni il ritorno di
Ileana,
per rivelare alle due ragazze ciò che era accaduto in quella lontana,
terribile
notte di Cheve, ma Ryoma aveva la chiara sensazione che Zoe non avrebbe
reagito
affatto bene – anzi: probabilmente, una volta venuta a sapere la
verità, li
avrebbe odiati tutti… oppure non avrebbe detto niente, tacendo la sua
sofferenza perché le era stato insegnato che la sua gentilezza era da
considerare una debolezza, punendo coloro di cui si era fidata e che le
avevano
mentito con la peggiore delle torture: il silenzio.
Sì,
Zoe gli assomigliava: era guidata dallo stesso
turbamento, era incline agli scoppi di rabbia e, spesso, si lasciava
trascinare
dalle emozioni senza ragionare. Lui aveva imparato a gestire il proprio
brutto
carattere, soprattutto grazie agli insegnamenti di Kagero, ma quelle
stesse
lezioni non sembravano aver sortito lo stesso effetto sulla sua giovane
amica.
Sospirò
di nuovo, provando un immediato sollievo
quando, in due sbuffi identici, Saizo e Kaze comparvero sul sentiero
che
improvvisamente spaccava a metà la foresta davanti a lui.
Ci
siamo.
-Zoe.-
la chiamò, e lei apparve immediatamente al suo
fianco con quasi la stessa abilità dei due Maestri Ninja.
Nello
stesso momento, scorse tre persone che, dalla
soglia dell’avamposto che occhieggiava oltre le chiome lussureggianti,
cominciarono a muoversi verso di loro: impiegò pochi attimi a
riconoscere
Takumi nella figura centrale, accompagnato dalle guardie Hinata ed
Oboro e cupo
in volto come l’aveva scorto ben poche volte.
Si
rivolse a Zoe, che non si era mossa nemmeno per
rivolgere un cenno di saluto ai suoi amici: aveva i pugni stretti e la
mascella
contratta, le palpebre socchiuse sugli occhi rossi e le orecchie tanto
tese da
risultare quasi comiche.
-Te
la senti?- le domandò, piano.
Rigidamente,
con un nodo in gola tale da impedirle di
parlare, Zoe annuì.
Attesero
in un silenzio assoluto che Takumi li
raggiungesse; Kaze si era spostato al suo fianco, probabilmente per
confortarla
con la propria presenza, mentre Saizo aveva preso il suo consueto posto
alle
spalle di Ryoma.
Le
sembrò un’eternità, quell’attesa, ma probabilmente
durò soltanto un paio di minuti. Quando, finalmente, Takumi li
raggiunse, Ryoma
gli si avvicinò e si chinò per sussurrargli qualcosa all’orecchio,
strappando
un versaccio al fratello minore come risposta.
E
poi Takumi guardò lei, e nel suo volto arrabbiato
Zoe fu in grado di scorgere una punta d’apprensione.
-Vieni.-
la chiamò, con un tono inaspettatamente
gentile che stridette col brusco gesto della mano con cui la invitò a
raggiungerlo.
-Ti porto dalla feccia.-
.
________________________________________________________________________________
Buonasera a tutti!
Sono all'incirca in
orario con l'aggiornamento (all'incirca), e sono
molto felice di presentarvi la nostra Avatar, Zoe! E sì, a parte le
orecchie a punta, gli occhi rossi e qualche piccolo (piiiiccolo)
problemino con una chiara sindrome dell'eroe e un'enorme cotta per
Ryoma, direi che non abbia molto in comune con l'Avatar che tutti
conosciamo.
Speriamo entrambe che
il capitolo vi sia piaciuto e che vogliate
lasciarci un segno del vostro passaggio, siamo davvero entusiaste
all'idea di sapere che cosa ne pensate!
Il solito piccolo
prontuario delle traduzioni fai-da-te del capitolo:
Falcone = Falcon Knight
Cavaliere Kinshi =
Kinshi Knight
Maestro di Spada =
Swordmaster
Alto Principe = High
Prince
Tsuka = è
l'impugnatura di una katana, solitamente in legno o in metallo
Tsukaito = è
l'intreccio della stoffa che avvolge la tsuka
Tsukamaki = il modo in
cui lo tsukaito è avvolto intorno alla tsuka
Deshi = allievo (di un
maestro samurai o di un maestro ninja,
solitamente)
Un abbraccio,
Clarisse&B
PS del 09/09/2017:
abbiamo corretto e ripostato il capitolo!
|
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Capitolo 4 *** Geram ***
Aranyhíd
Geram
(Malese)
Un
bisogno che hai
difficoltà a sopprimere.
.
.
Persino l’avamposto di Suzanoh
rifletteva la stessa
imponenza della Grande Muraglia.
L’atrio della piccola fortezza era
stato costruito nella
stessa pietra gialla che componeva le mura, ma nemmeno gli arazzi che
erano
stati affissi nel tentativo di ingentilire l’ambiente riuscivano a
celare la
maestosità di quel luogo.
Si era sempre sentito piccolo, Takumi,
sin dalle
primissime volte in cui Ryoma od Hinoka lo avevano portato lì per
mostrargli i
confini del loro regno, ma aveva sempre pensato che si trattasse di una
reazione voluta dai costruttori: nessun nemico avrebbe mai potuto
sentirsi
spavaldo dinanzi a Suzanoh, e l’intera Hoshido poteva dormire sonni più
tranquilli sapendo che la Muraglia sarebbe sempre rimasta lì, pronta a
proteggerli.
Al suo fianco, minuscola in confronto
a quel posto che
trasudava possanza ed enormità, Zoe camminava in silenzio, mentre Ryoma
e Kaze,
a pochi passi dietro di loro, borbottavano qualcosa che lui non riuscì
a
comprendere; lanciò un’occhiata alle sue spalle, cercando invano di
carpire
qualcosa del loro discorso e sorprendendosi quando si accorse che
persino la
figura imponente di suo fratello pareva smorzata dall’altissimo
soffitto e
dalle pareti spesse un braccio.
“Cerca di non esagerare”.
Erano state quelle le parole che Ryoma
gli aveva
sussurrato all’orecchio, prima: parole che lo avevano schiacciato come
se
l’intera Muraglia gli fosse crollata addosso, e che echeggiavano fra i
suoi
pensieri sin da quando erano state pronunciate.
Takumi poteva sentirle pulsare nella
testa, martellargli
le tempie, e avrebbe tanto voluto
non darci così tanto
peso… ma no, non poteva ignorarle, perché
quelle parole non
facevano altro che tormentare il senso di colpa che aveva seppellito
nel petto.
Non poteva ignorarle, perché aveva già
deluso suo
fratello. Era troppo tardi: aveva già esagerato.
Aveva esagerato
quando lei aveva pronunciato
quel nome, quando tutto si era disfatto tra le sue dita nel momento in
cui lei,
già troppo lontana dal crepaccio dell’Abisso Infinito per gettarcela
semplicemente dentro, aveva dimostrato di possedere il potere di fare
il suo
mondo a pezzi con una sola parola.
.
-Sono Ileana, quarta principessa di
Nohr e figlia del Re d’Ossidiana.-
Ileana.
No, pensa Takumi, il corpo
pietrificato dallo shock mentre quel nome sembra esplodere nell’aria
dell’Abisso, rintoccare su ogni roccia tagliente del confine.
Non le crede. Ileana è morta, ne è
sicuro. Assassinata, poco dopo essere stata strappata al corpo ancora
caldo di
suo padre. Ecco perché non l’hanno mai trovata, indipendentemente da
quante
risorse abbiano investito nelle ricerche: è morta, sepolta diversi
piedi sotto
la polvere di Nohr, e l’unico motivo per cui non hanno restituito il
suo corpo
spezzato è per condannarli ad un’esistenza di incertezza per tutta la
vita.
Non le può credere, non può – non vuole
–,
è più forte di lui.
Non è possibile che quella… quella
cosa sia la sua sorellina perduta. È nohriana, dalla testa ai piedi –
è feccia.
È un mostro senz’anima e
senza cuore che ha ordinato di attaccare le sue truppe facendosi beffe
del loro
trattato di confine, che ha persino osato appellarsi all’onore e
implorare
pietà anziché pagare per i propri peccati quando si è trovata con le
spalle al
muro – i nohriani non hanno avuto nessuna pietà per suo padre: l’hanno
ucciso a
sangue freddo, davanti agli occhi di una bambina indifesa, quindi
perché
avrebbe dovuto averne lui per loro?
Avrebbe dovuto ucciderla. Avrebbe
dovuto ucciderla e basta, avrebbe dovuto dare retta a quella quieta,
piccola
vocina che gli aveva sussurrato di assecondare la rabbia del suo yumi e
permettere che la sua freccia le strappasse dal petto quello che era
rimasto
del suo cuore freddo e marcio.
Le sue mani tremano sui legacci della
spada che le ha portato via, le dita ancora ingarbugliate tra i nodi
che stava
finendo di stringere quando ha sentito quel nome. Impallidisce, e ne è
conscio,
e gli occhi gli bruciano mentre dolore e rabbia imperversano dentro di
lui,
dando vita a una sete di sangue che non ha mai sentito prima.
Dovrebbe ucciderla, adesso, in questo
istante. Ai corvi la politica e i trattati e la promessa di
informazioni.
Dovrebbe trascinarla di nuovo al di là del ponte e squarciarle la gola
di
fronte ai suoi cani da guardia, urlargli che è questo quel che succede
quando
Nohr cerca di insinuare un’impostora tra i loro ranghi con un trucco
così vile.
Perché è solo questo, non può essere
altro. Ileana è morta e questa Maga non è altro che un diversivo per
infiltrarsi tra le sue truppe, tra la sua famiglia, sfruttando il loro
dolore a
proprio vantaggio per piantargli un pugnale nella schiena alla prima
occasione.
Ma lui non lo permetterà.
-Non è possibile.- ringhia mentre le
si avvicina a grandi passi, la mano che scatta a stringersi tra i suoi
capelli
corti. Lei non può trattenere una smorfia quando se la strattona
addosso,
torcendole il collo in modo da scacciare quello sguardo tronfio dal
viso mentre
la costringe a guardarlo. -Stai mentendo.-
Stringe più forte quando quella feccia
si dimena – ribelle e impudente – e lui si trova ad apprezzare il
mugolio di
dolore che le sfugge quando riesce solo a farsi male da sola. -Perché
dovrei?-
Soffia, soffia come la serpe che è.
C’è veleno a impregnare le sue parole e lo sa – mai, mai fidarsi di uno
stregone nohriano: sa cosa possono fare alle menti delle loro vittime.
Non le
permetterà di incantarlo e convincerlo a lasciarla andare.
Snuda la spada che le ha strappato e
gliela preme contro la gola. -Non voglio chiedertelo di nuovo, feccia.
Il tuo
nome. Subito.-
Voleva solo spaventarla, ma poi il
metallo sembra venarsi di rosso, e qualcosa di cattivo e furibondo
ulula dentro
di lui. La Maga trema e impallidisce prima di immobilizzarsi tra la sua
mano e
la lama, e lui si trova a godere di quella vista, perché se lo merita.
Sputa veleno, la feccia, ma stavolta
c’è un’inflessione nella sua voce che suona tanto come paura. -Ve l’ho
detto!
Potete minacciarmi quanto volete, vi ho detto la verità!-
-Quelli come te non dicono la verità
così facilmente.- la schernisce, facendosi beffe della bugia colossale
che ha
appena tentato di rifilargli.
La tracotanza di lei vacilla quando il
filo della spada le accarezza la gola e cerca di liberarsi, ma non può
sfuggirgli. La vede serrare gli occhi per non mostrargli quelle lacrime
rivelatrici che le velano gli occhi.
Takumi si gode lo spettacolo delle
crepe che si diramano nella sua maschera: avrà le sue risposte, e anche
prima
di quanto pensasse. Dovrà solo stare attento, perché non sembra che
possa
durare molto sotto tortura.
Pazienza. Troverà lo stesso il modo di
farle pagare tutto – perché la feccia come lei non merita altro che
soffrire.
Le spinge la spada contro la gola, minaccioso. - Ma ho intenzione di
strappartela, ‘principessa’, a qualunque costo. Credimi, crollerai. In
fretta.-
E allora una goccia di sangue bagna il
filo della lama dove le ha penetrato la pelle – è tanto, tanto più
affilata di
quanto credesse – e la spada sembra gemere come se fosse viva e dotata
di
volontà propria. Ne vuole ancora, Takumi intuisce… e per un infinito,
folle
secondo, ne vuole anche lui.
Per un infinito, folle secondo, è
pronto a gettare al vento ogni strategia, ogni progetto: non vede altro
che
sangue, non vuole altro che sangue.
Il sangue di quella dannata cagna.
-Lord Takumi!-
.
Col senno di poi, Takumi aveva capito
che era stato un
bene che Kaze si fosse trovato lì, pronto a fermarlo prima che potesse
fare
qualcosa di cui si sarebbe sicuramente pentito – a spingere via la
spada prima
che lui potesse seppellirla nella gola di quella nohriana.
Stava ancora cercando di trovare il
coraggio per
affrontare il Maestro Ninja e scusarsi, sia per la sua sfuriata
all’Abisso
Infinito sia per come l’aveva trattato durante tutto il viaggio di
ritorno
verso Suzanoh… ma Kaze era stato così pronto a difendere e proteggere
quel
piccolo demone che lui, proprio, non aveva potuto farne a meno. Poteva
solo
sperare che non avrebbe detto a Ryoma di__
-Ehi…-
Il flebile sussurro di Zoe, così
diverso dalla voce
squillante che conosceva fin da bambino, lo sottrasse a quei pensieri
frustrati
e pieni di rabbia, costringendolo a voltarsi verso di lei e a
fronteggiare
l’insicurezza che sembrava essere stata scolpita in ogni singolo tratto
del suo
viso spigoloso.
Era difficile credere che quella
giovane donna fosse la
stessa ragazzina con cui era cresciuto.
Da quando Saizo le aveva permesso di
assumere la carica
di Samurai era diventato molto complicato, per Takumi, far collimare il
ricordo
di una bambinetta nervosa e lunga come un giunco con le forme che le
sue vesti,
per quanto molto meno rivelatrici di quelle di altre Samurai, proprio
non
riuscivano a nascondere… anche se non avrebbe mai capito come facesse a
non
sentire freddo con addosso soltanto un kimono che le copriva a malapena
il seno
– quella era sicuramente opera di Orochi, poco ma
sicuro.
Tuttavia, nonostante gli sforzi di sua
madre per
spingerla verso un abbigliamento più consono ad una giovane donna, Zoe
continuava testardamente a vestirsi più come Hinata, preferendo la
comodità
dell’hakama e dell’obi scarlatto
che le fasciava i
fianchi morbidi agli abitini striminziti che riempivano il suo armadio,
mai
toccati.
Takumi aveva sempre pensato che Zoe
assomigliasse, più
che alla provocante Orochi, a Kagero: aveva nei piedi lo stesso passo
felpato,
nelle movenze la medesima scioltezza e nelle ombre la sua casa.
-Ehi.- rispose, riscuotendosi dai suoi
pensieri e
sforzandosi di sorriderle, sebbene sapesse perfettamente quanto poco
sincero
sarebbe sembrato il suo maldestro tentativo di conforto: Zoe lo
conosceva forse
anche troppo bene, ed era certo che gli avrebbe letto in faccia quanto
poco
fosse contento di quella situazione.
No, non voleva proprio portarla
da lei, non
voleva che Zoe la incontrasse e le parlasse, non voleva che quella
schifosa
fattucchiera da due soldi provasse a irretire la sua amica prima di
portargliela via.
-Sei silenzioso.-
Il giovane principe sbuffò,
scoccandole un’occhiata
obliqua.
-Anche tu, e penso sia quasi un
miracolo.- replicò,
ottenendo una lieve gomitata e una pernacchia come risposta.
-Sei sempre un antipatico.- lo
rimbrottò lei, sbuffando,
ma Takumi non se la prese. Se quel rimprovero gli fosse stato mosso da
Ryoma, o
da Hinoka, il dolore che gli avrebbe causato sarebbe stato atroce, ma
Zoe… beh,
Zoe passava la maggior parte del suo tempo a fargli notare quanto
sapesse
essere insopportabile, ma nonostante il suo brutto carattere gli era
sempre
rimasta vicino.
Il sorriso che gli sfuggì, stavolta,
fu più sincero,
perché in quella vocina era riuscito a cogliere un’ombra della sagacia
che
tanto gli era cara: eccola lì, la sua amica Zoe, quella che non mancava
mai di
sottolineare quanto quei pochi mesi che li dividevano la rendessero più
grande
di lui e che lo conosceva probabilmente molto meglio di quanto potesse
dire di
Hinoka.
-Fa parte del mio fascino!- ribatté,
balzando indietro
per evitare il pugno che, prevedibile, tentò di atterrare sulla sua
spalla.
-Ma quale fascino.- mugugnò debolmente
la Samurai,
scuotendo la testa prima di piombare nuovamente in quell’odioso,
insopportabile
mutismo che Takumi proprio non riusciva a tollerare.
Le concesse soltanto una manciata
d’attimi di silenzio
prima di sbuffare, esasperato, fermandosi bruscamente dopo una curva
del
corridoio per afferrarla per un polso, costringendola a prestargli
attenzione –
con la coda dell’occhio scorse lo sguardo interrogativo di Ryoma,
chiaramente
sorpreso da quel gesto, ma decise di ignorarlo: suo fratello sembrava
ancora
preso dalla conversazione con Kaze, e lui poteva concedersi qualche
minuto per parlare
con la sua amica.
-Senti, non sei davvero obbligata a
vederla.- sbottò,
sentendosi profondamente a disagio in quella situazione: non era mai
stato
bravo nelle questioni emotive, ma sperava che Zoe, sapendolo, gli
perdonasse la
sua evidente goffaggine. -Non è una brava persona.-
Lei sospirò.
-Invece devo, e lo sai. Anche soltanto
per darmi pace una
volta per tutte.-
Takumi digrignò i denti, esasperato:
Zoe aveva serrato la
mano destra sulla tsuka della
katana e l’altra mano era
sparita fra le pieghe dell’hakama grigio, sicuramente stretta a pugno
tanto
saldamente da aver inciso i tratti delle sue unghie rovinate nel palmo;
il suo
sguardo scarlatto era assente, vuoto come Takumi non aveva mai avuto
idea che
potesse essere, le labbra illividite dalla tensione e le orecchie
appiattite
fra i capelli.
Non era abituato ad una Zoe
silenziosa, che teneva le
spalle dritte e l’espressione impassibile: Zoe era una brace ardente,
con una
rispostaccia sempre pronta sulla punta della lingua e uno scintillio
indomabile
nelle iridi fulve… la Samurai che aveva accanto, invece, era un’entità
sconosciuta, una pallida e tesa eco della ragazza a cui era affezionato.
Zoe non se lo meritava.
Zoe era una delle persone migliori che
avesse mai
conosciuto, era sua amica, era famiglia, e
lui non poteva tollerare
che quella dannata nohriana l’avesse trascinata di nuovo in quella
pozza di
dolore da cui le era stato così difficile tirarsi fuori senza nemmeno
averla
ancora incontrata – lei così come sua madre, quella donna meravigliosa
che,
dopo i tragici eventi di Cheve, aveva passato troppe notti a piangere
chiusa
nella cameretta che era appartenuta alle sue figlie.
Quella cagna non poteva essere la
bambina perduta di sua
madre, la sua sorellina, l’amica d’infanzia di Zoe. Nessuno avrebbe mai
potuto
convincerlo del contrario.
Tuttavia…
I suoi pensieri s’ingarbugliarono
un’altra volta,
soffocandolo ancora una volta nelle spire della vergogna e della
frustrazione –
come poteva mantenere la lucidità, il filo di un qualsiasi discorso,
quando ad
ogni respiro la faccia distorta della nohriana risaliva a galla nella
sua
mente?
Quanto riusciva a capire il bisogno di
Zoe di un po’ di
pace… anche lui avrebbe tanto voluto
trovarla, lasciarsi
sprofondare nella certezza di essersi comportato in modo onorevole,
corretto e
giusto, come Ryoma si sarebbe aspettato da lui.
Ma lo aveva deluso.
Aveva esagerato. Aveva esagerato
quando l’aveva
catturata, quando l’aveva assalita, quando aveva dato l’ordine di farle
fare la
fame e la sete.
Non avevano avuto dietro alcuna droga
per sopprimere le
sue facoltà magiche: i suoi ninja avevano portato solo veleni, e per
quanto gli
sarebbe piaciuto davvero tanto mettere fine a quella vita disgustosa,
non
poteva. Reina li aveva lasciati immediatamente per raggiungere sua
madre, e
Takumi si era dovuto sforzare di tenere a mente che non avrebbe potuto
uccidere
la nohriana né farle qualcosa che avrebbe lasciato segni visibili – non
finché
non fosse stata giudicata per l’impostora che era, e condannata come
tale.
Ma aveva potuto renderla il più debole
e impotente
possibile. E l’aveva fatto. E se n’era approfittato.
.
Il fuoco che hanno costruito nel mezzo
dell’accampamento brucia, luminoso, e scaccia il freddo portato dalla
Luna di
Ghiaccio. I suoi uomini formano un cerchio disordinato attorno a loro
e, mentre
mangiano, si riposano, tra le risa generali: hanno passato le montagne
e sono
tornati su suolo hoshijin. Sono al sicuro. Sono a casa.
Il cuore di Takumi è più leggero, il
sollievo è palpabile nell’aria che porta il profumo conosciuto della
sua terra.
Tuttavia, lui non può rilassarsi – non
ancora. Non finché quella feccia avrà fiato in gola.
Le lancia un’occhiata da sopra la
spalla, scocciato, ma scorge l’espressione accuratamente neutra di
Kaze, poco
lontano dalla prigioniera: gli obbedisce, evitando di avvicinarsi a
quella
bestia come lui gli ha ordinato e evitando di interferire con il suo
trattamento, ma non è mai lontano, e non la perde di vista, mai. Veglia
su di
lei, nella speranza che la sua sola presenza basti a proteggerla.
E in effetti, basta: i soldati la
lasciano in pace, e hanno persino smesso di deriderla – Oboro è l’unica
a fare
eccezione.
Quella cagna è seduta a terra, la
schiena appoggiata contro il palo a cui l’hanno legata, abbastanza
lontana dal
fuoco per non godere del suo calore ma non abbastanza da renderla poco
visibile. Ha sempre le mani legate dietro la schiena: non sono mai
state
sciolte da quel giorno sull’Abisso. Ha raccolto le gambe sotto di sé in
un
tentativo di arrotolarsi su se stessa per trattenere quel poco calore
che le è
rimasto in corpo, e non può essere semplice considerando lo stato dei
suoi
abiti: sono leggeri e strappati, tanto che quel che rimane del suo
mantello
basta giusto a coprirle le spalle.
È infreddolita, irrigidita, stanca. È
riuscita a malapena a mettersi in piedi quella mattina, come se la
scarsità
d’acqua e cibo stesse già mostrando i suoi effetti. Non è nemmeno
riuscita a
camminare, e Hinata ha finito per caricarsela in spalla – perché si sia
rifiutato di trascinarla e basta Takumi proprio non lo capisce, ma
Hinata è
sempre stato debole quando si parla di donne.
Sembra davvero, davvero debole e
indifesa, ma Takumi sa che è una finta per avere la loro pietà, per
fargli
abbassare la guardia. Non è possibile che sia già denutrita e
disidratata, non
è passato abbastanza tempo – qualunque soldato reggerebbe di più, anche
uno
sottile come lei… e il sussurro tra i suoi pensieri è una pressione
continua
contro le tempie, è come se qualcuno gli mormorasse parole senza fine
all’orecchio
senza permettergli di comprenderne il senso.
È certo che sia lei, che sia un
tentativo di incantarlo, di ingarbugliargli i pensieri. E, se riesce a
lanciare
un incantesimo del genere senza avere un tomo tra le mani, allora sta
molto
meglio di quanto sembri.
Le si avvicina, piano, con attenzione.
La feccia non sembra nemmeno accorgersene, ma Takumi prova a ragionare
e si
accorge che quel sussurrare nella sua testa è andato affievolendosi man
mano
che si allontanavano dal confine. Forse non è così in forma dopo tutto.
Ha un solo modo per scoprirlo.
C’è un ghigno sottile ad arricciargli
le labbra mentre torna a prendere un piatto che riempie con alcune
delle
polpette di pesce che hanno preparato per cena, prima di tornare da
lei. È così
vicino che può sentire il suo respiro, affannato e doloroso, così tanto
da
poter scorgere gli aloni violacei sotto i suoi occhi e il pallore del
suo viso.
Per un momento, ritrova la ragazzina
spaventata, fragile e indifesa che ha visto all’Abisso la prima volta
che le ha
puntato contro una delle sue frecce, e il suo odio vacilla. Poi il
piatto
tintinna contro il suolo mentre lo appoggia e lei apre gli occhi con un
brontolio, e all’improvviso non c’è più alcuna traccia di innocenza sul
suo
viso, distorto in qualcosa di detestabile, cattivo ed arrogante.
Per i Draghi, ci è quasi cascato. Come
ha potuto? Eppure lo sa, sa che non è altro che feccia, che una
creatura
immonda pronta a piegare le leggi della natura ai propri scopi malvagi
ed
egoisti, bramosa di vite innocenti, insaziabile di sangue. Non deve
dimenticarlo, mai.
Quindi la squadra dall’alto in basso,
sulle labbra tutta la crudeltà di cui è capace. -Non hai dormito
abbastanza in
braccio alla mia guardia?-
C’è un baluginio rabbioso nei suoi
occhi, ed è la sua unica risposta – che sia perché lei si rifiuta di
parlargli,
oppure perché ha la gola troppo secca per riuscirci. Ma ci sono delle
cose che
lui vuole sapere.
-Piantala di guardarmi in cagnesco. Ti
ho portato da mangiare.- le dice, fintamente conciliante, indicando il
piatto
appoggiato vicino a lei con un cenno del mento.
La Maga inarca un sopracciglio. -Avete
intenzione di slegarmi per lasciarmi mangiare?- gli chiede. Ha la voce
bassa e
rauca, ma riesce lo stesso a suonare sprezzante.
A lui si contrae un muscolo sulla
mascella.
-No.-
La smorfia di lei dice tutto.
-Tenetevi il cibo allora. Non riuscirete a farmi mangiare come un cane.-
Takumi deve fare uno sforzo per
trattenere una rispostaccia. Ad essere onesti, l’umiliazione del
costringerla a
mangiare direttamente da terra non è qualcosa a cui aveva pensato – né
uno
spettacolo di cui avrebbe goduto, al contrario di Oboro – e parte di
lui sa che
è davvero chiedere troppo.
Ma la nohriana dovrà essere morta e
sepolta prima che lui consideri anche solo l’idea di scioglierle le
braccia.
-È il tuo giorno fortunato, allora,
perché sono disposto a darti una mano.- le dice invece, anche se non
riesce ad
evitare di suonare condiscendente. Lei gli fa una smorfia sarcastica
mentre si
abbandona di nuovo contro il palo ma non ribatte, così lui prende una
polpetta
tra le dita e gliela porta alle labbra. -Sono disposto a imboccarti io
stesso,
ma te lo dovrai guadagnare. Un boccone per ogni domanda a cui
risponderai.
D’accordo?-
E chiede, chiede, chiede. Le chiede di
Nohr, dell’esercito, di re Garon. Lei non dice una parola, nonostante
lui veda
quanto le costi: quando si stufa di aspettare una risposta si mangia
lui la
polpetta, e può sentire i suoi occhi addosso, vedere il tormento della
fame.
Eppure non fa un fiato.
Quando lui ingoia l’ultimo boccone di
cibo, c’è un sorriso suicida sulle labbra di quel mostro. -Ve l’ho
detto. Non
vi darò nulla.-
Il mormorio si fa un grido
incomprensibile tra i suoi pensieri. La rabbia esplode, rossa come lo
scintillio nei suoi occhi. Fa per stringerle il mento tra le dita, ma
lei è più
veloce – non sa se perché se lo aspettava, o se perché davvero non sta
male
come cerca di far vedere.
Prima che possa anche solo sfiorarle
il viso, sente i denti affondargli nella mano. Lo morde, forte,
inaspettatamente forte, con rabbia e disperazione. Lui è troppo
scioccato per
reagire, almeno finché non sente quelle zanne andare più a fondo, il
sangue
scendergli lungo il palmo.
L’altro pugno si chiude tra i suoi
capelli per strattonarla via, e sente i canini graffiargli la pelle
mentre la
costringe a lasciarlo andare. Fa male.
-Questa me la paghi, serpe!- ringhia,
ma lei non fa altro che sputargli addosso il sangue che le è colato in
bocca.
Le dita che la tengono saldamente
contro il palo, la mano ferita scende, rispondendo alla chiamata che
sembra
provenire dal metallo scuro e pulsante che riluce da dentro il fodero
che porta
al fianco… ma una presa solida si chiude sul suo polso prima che possa
afferrare l’elsa della spada.
-Reina è stata chiara, milord: che non
le venga fatto del male.- Kaze gli ricorda, impassibile.
Takumi risponde con una smorfia mentre
cerca di strappare il polso alla presa del ninja – ma certo, non se ne
sarebbe
stato a guardare in disparte mentre lui sfigurava la sua protetta.
Si alza in piedi e lancia uno sguardo
disgustato alla feccia costretta in ginocchio ai suoi piedi, e sente il
bisogno
di aprire uno squarcio in quel bel faccino subdolo quando capisce che
non ha
chiuso gli occhi, nemmeno quando stava per estrarre la spada.
-Bene, allora.- sputa, mentre parte
del suo cervello si chiede se avrà bisogno di un sorso d’antidoto per
quel
morso. -Quella era la tua cena, sappilo. Ma non credere che ti
permetterò di
morire di fame, non ho finito con te.-
Ed è allora, a quelle ultime parole,
che vede di nuovo le crepe di debolezza sul suo viso, e capisce: non
sta solo
facendo la difficile, vuole lasciarsi morire prima che lui possa
interrogarla a
dovere.
E a Suzanoh mancano ancora tre giorni.
..
Era stato Hinata ad impedirgli di
esagerare quando aveva
cercato di farle ingoiare a forza cibo e acqua, non appena aveva capito
cosa
stesse cercando di fare quella feccia. Con l’aiuto del suo amico
d’infanzia era
riuscito a fare un passo indietro, anche se ancora gli teneva il
broncio per
aver insistito nel chiedere l’aiuto di Kaze per occuparsi del loro
ostaggio.
Alla fine, infatti, Takumi aveva
ceduto alle loro
richieste di mandarla avanti assieme al ninja e alle sue guardie mentre
lui
guidava i soldati attraverso la foresta. Kaze sembrava di essere
l’unico in
grado di convincerla a cooperare almeno un po’, e Hinata sembrava
essere sulla
buona strada per fare altrettanto – e quello era qualcosa che avrebbe
potuto
usare, appena ottenuto il permesso di interrogarla. Oboro era stata
praticamente costretta ad andare con loro, per essere certa che quei
due
teneroni non permettessero a quella feccia di mettersi troppo comoda.
Se solo non fosse mai esistita…
Nervosamente, Takumi sfiorò l’elsa
della spada che
portava al fianco, ed ancora una volta gli parve di avvertire un
fremito
impaziente ed oscuro vibrare sotto i suoi polpastrelli.
Avrebbe dovuto ammazzarla, non se lo
sarebbe mai ripetuto
abbastanza. Avrebbe potuto trovare un modo, e ai corvi gli
interrogatori:
proteggere sua madre e proteggere Zoe sarebbero dovute essere la sua
priorità.
Tagliarle la gola all’Abisso,
bruciarla assieme a quel
palo a cui l’aveva legata invece di tentare la via della gentilezza e
offrirsiaddirittura di
darle da mangiare di persona… si sarebbe dovuto impegnare di più,
essere più
fermo con Kaze e con Hinata, costringerla a vuotare il sacco per poi
mettersi
comodo a guardarla uccidersi da sola.
Certo, sua madre e Zoe sarebbero state
devastate dalla
notizia che la sconosciuta nohriana che affermava di essere Ileana non
aveva
resistito al viaggio, ma… sarebbe stato meglio, per loro. Avrebbero
avuto una
chiusura, avrebbero potuto accettare una volta per tutte che Ileana era
morta,
sarebbero potute andare avanti con le loro vite e Takumi non avrebbe
mai più
dovuto vedere sua madre stringere convulsamente al petto un cavallino
di pezza,
avrebbe potuto convincere Zoe a lasciar perdere il suo desiderio di
diventare daimyo – magari
avrebbe persino trovato il modo di convincerla a sposare il
ragazzo per cui aveva una cotta da una vita, magari
si sarebbe rassegnata, magari
sarebbe stata felice…
E invece no. Invece lui aveva fallito,
fallito su tutta
la linea, e adesso quella maledetta cagna aveva già cominciato ad
avvelenare il
suo mondo, la sua famiglia, i suoi amici, e non voleva nemmeno pensare
a cosa
sarebbe successo quando avrebbe incontrato sua madre.
Non aveva idea di come Mikoto avrebbe
potuto confermare o
meno l’identità della Maga nohriana, ma una parte di lui, una grossa
parte
di lui, sperava ardentemente che Kaze si fosse sbagliato, che in
qualche modo
la principessina viziata che avevano preso prigioniera si rivelasse
essere
un’impostora – e lui avrebbe potuto porre fine a quella penosa
pagliacciata una
volta per tutte, facendo pagare a quell’eretica ogni attimo d’angoscia
provata
da sua madre e da Zoe.
-Avresti dovuto darti pace una volta
per tutte molto
tempo fa, e lo sai.- brontolò, nervoso, sfregando nervosamente un piede
sul
pavimento liscio e pulito del corridoio, provando una punta
d’irritazione
quando il fango della foresta macchiò quel lindore. -Ma insomma, è
comprensibile.- aggiunse, però, scorgendo l’espressione di lei
incupirsi al suo
commento e maledicendosi, per un istante, quando si rese conto di aver
esagerato: Zoe aveva cercato davvero di superare tutto quello, di
andare
avanti, e lui ne era stato contento – anche se avrebbe preferito
vederla in un
ruolo più al sicuro di quello di un soldato. -Però non… non sono sicuro
che
dovresti sperarci così tanto.- ammise, cercando disperatamente un modo
di
esprimere i propri dubbi senza farle del male – sarebbe bastata una
parola
sbagliata perché Zoe si preoccupasse ancora di più, e non voleva
assolutamente
essere lui quello che avrebbe ridotto in briciole quelle speranze in
cui tanto
lei quanto sua madre non avevano mai smesso davvero di credere.
La Samurai abbassò lo sguardo,
mordendosi nervosamente le
labbra.
-Pensi che non sia lei?- gli domandò,
e Takumi avvertì
chiaramente quanto quella prospettiva l’avesse già sfiorata e la
tormentasse.
Quel mostro non l’aveva nemmeno ancora
incontrata e
già le stava facendo del male.
Digrignò i denti, cercando di
mantenere la calma: quello
non era proprio il momento di perdere le staffe.
-Non può essere
lei. Zoe, non può,
fidati di me. È…- esitò, annaspando alla ricerca di una definizione non
troppo
deplorevole per quella che, invece, meritava soltanto i peggiori
insulti. -…è
cattiva, è__-
..
-Allora? Vogliamo riprovarci?-
Queste sono le prime parole che le
dice non appena mette piede di fronte alla sua cella, nelle segrete
sotterranee
della Grande Muraglia.
Le prigioni sono scavate nella pietra
stessa che costituisce il fianco nord di quella che è l’ultima linea di
difesa
di Shirasagi. Sono una serie di anfratti con pareti rocciose
irregolari, senza
finestre, le cui entrate sono delimitate di sbarre d’acciaio
magicamente
rinforzate, e danno tutte sullo stesso lungo, sottile corridoio. È
buio, umido,
freddo e scomodo, qui sotto: le uniche luci sono quelle delle candele
alle
porte delle celle occupate e l’occasionale torcia tra le mani delle
guardie.
Oggi come fonte di illuminazione ci
sono solo la candela che sfrigola fuori dalla cella della Maga e la
torcia che
brucia nel pugno di Takumi.
Non sembra che la cosa la disturbi –
come ogni mostro che si rispetti, è a suo agio nell’oscurità, e questa
non è
che un’altra prova della sua depravata natura.
Lui riesce solo a pensare a sua madre
e a Zoe, che a breve arriveranno per parlarle, e gli si spezza il fiato
in
gola. Non le vuole vicino a questo mostro.
Ecco perché è qui, adesso. Questa è la
sua ultima possibilità di strapparle i suoi segreti, prima di essere
costretto
a fare un passo indietro, almeno finché la sua mascherata non sarà
riconosciuta
come la farsa che è, e lui potrà finalmente fare di lei quello che
vuole. Ma
fino ad allora…
La Maga si lascia abbracciare dalla
luce, e lui capisce subito che averla mandata in anticipo a Suzanoh è
stato un
errore. Non dover marciare le ha permesso di recuperare un po’ di forza
e, per
quanto si veda che è ancora debole, c’è un ghigno insolente sulle sue
labbra
che non promette davvero niente di buono.
Lo sta guardando come se lei non fosse
la preda, ma il predatore.
-Quindi il Principe di Hoshido, oltre
ad essere uno stupido prepotente senza onore, è anche sordo.-
esordisce, la
voce che sanguina alterigia e disprezzo.
La rabbia che non l’ha tormentato per
tutto il tempo in cui non ha dovuto tollerare la sua presenza torna
all’improvviso, ed è assoluta. Stringe la presa sull’elsa della spada
scura e
vorrebbe tanto che quelle sbarre non fossero lì, così potrebbe
finalmente
ucciderla – perché quello si fa con i mostri come lei: si fanno a
pezzi, prima
che possano distruggere ogni cosa bella e pura.
-È incredibile quanto marciume possa
esserci in una bestiolina così piccola.- risponde lui, le parole
avvelenate
tanto quanto quelle di lei.
-Non potete nemmeno immaginarlo. Non
vi piaceranno le parole che ho per voi oggi, ve lo garantisco.- le sue
zanne
scintillano alla luce della torcia. Lui coglie il riflesso delle
manette che le
legano i polsi sul davanti. È in piedi, appoggiata alla porta della
cella, le
dita pallide ed esili come zampe di ragno strette attorno alle sbarre.
-Ma prego,
venite a constatare di persona, Principino. Chiedete, se ne avete il
coraggio.-
Lui si abbandona a un sospiro
teatrale, come se rimpiangesse quello che sta per dire – e invece non
lo
rimpiange affatto. -Non capisco perché tu debba rendere tutto così
difficile.
Voglio solo poche risposte oneste. Non deve essere doloroso.-
-Ah no?- c’è sarcasmo nei suoi occhi
verdi – occhi che luccicano nel buio, come quelli di una bestia in
agguato,
assetata di sangue, pronta a colpire. -Non credo che vi dispiacerebbe
se lo
fosse. O volete farmi credere che non vi siete immaginato la scena,
Principino?-
C’è qualcosa di strano nelle sue
parole, si dice Takumi mentre rabbrividisce. È diverso il modo in cui
parla, in
cui articola ogni sillaba rendendola piena e bassa, perfette per
insinuarsi
nella sua mente.
Il mormorio che sente tra i suoi
pensieri non è mai cessato del tutto, nemmeno in sua assenza.
-Non mentitemi, Principino.- sussurra,
e lui è a tanto così dall’impazzire – perché è lui che dovrebbe
intimarle di
non mentire, e lei quella che dovrebbe sentirsi inerme e in trappola.
-So che
non chiedereste altro che vedermi in pezzi. So che non vedete l’ora di
fare del
vostro peggio. Ma so anche che, per ora, non potete farmi del male. Non
ne
state morendo?-
Certo che sa che non può farle del
male – non ancora. Deve averlo capito, o dagli ordini di Reina, o dalle
parole
di Kaze quando ha interferito quella notte all’accampamento, oppure
avrà
sentito Hinata e Oboro che ne parlavano. Di certo, sta fingendo ogni
momento di
debolezza.
Gli sembra che gli stia girando
intorno in cerchio, cercando di capire quando attaccare, dove colpire
in modo
da ucciderlo con un solo morso, come se avesse lei il controllo della
situazione, nonostante sia rinchiusa dietro sbarre d’acciaio. Trasuda
pericolo,
e lo rende nervoso. Si chiede se lei possa percepirlo, come farebbe
qualsiasi
animale.
Stupido, stupido lui che le ha
permesso di riprendersi mandandola avanti.
Raddrizza la schiena. -Posso fare
tutto quello che voglio, finché non lascio segni visibili. Non
guasterebbe
renderti un po’ più… docile, sai?- precisa, avvicinandosi alle sbarre
della
cella, dimostrando più sicurezza di quanta non ne senta. È abbastanza
vicino da
toccarla, e le croste sulla ferita alla mano che gli ha lasciato
prudono. -E ci
sono modi per ammansirti che non lasceranno tanti segni.-
Gli pare di vedere un’ombra nel suo
sguardo mentre lo studia attentamente, ma è svanita al seguente battito
di
ciglia. Non si allontana dalla porta della cella, nemmeno quando una
delle sue
mani si stringe sulle sbarre. Ghigna e basta. -State minacciando di
stuprarmi,
Principino?-
La sua voce è bassa, sarcastica. Lui
serra la mascella, cercando di non sembrare sorpreso dalla sua
sfrontatezza –
non è spaventata, nemmeno un po’.
-Non mi pare proprio il vostro stile.
Credo che abbiamo già appurato che non siete in grado di prendere senza
chiedere. Ma visto che non risponderò alle vostre domande, forse
potreste
decidere di punirmi inventandovi altre cose da fare con la mia bocca…-
Lui la guarda male: è chiaro che ha
capito che sta mentendo, perché non dovrebbe essere lei quella
sprezzante – no,
lei dovrebbe essere quella che indietreggia fino ad avere le spalle
contro la
parete più lontana dalla porta, tremante, implorandolo di non toccarla
mentre lui—
-La domanda è, sapete almeno come si
fa?- sibila, venefica, e lui sente il suo respiro sul collo. -Vi prego,
dimmi
che non dovrò leggervi le istruzioni mentre mi costringete in ginocchio
tra le
vostre gambe e la parete, mentre mi tirate i capelli per tenermi a
cuccia e
prendete fuori il vostro uccello e mentre mi guardate soffocare mentre
me lo
spingete in gola…-
Lui avvampa in un secondo, il rossore
che gli scende giù per il collo e gli sale fino alle orecchie. Non può
farne a
meno – le sue parole sono troppo oscene, troppo dirette perché una
qualsiasi
persona decente non si senta a disagio nel sentirsele sputare addosso.
Che razza di disgustosa, lurida—
-Anzi, prima di tutto vediamo se avete
almeno qualcosa su cui si può soffocare.-
Lui sobbalza quando sente le sue dita
sfiorargli una gamba dopo essere scivolate tra le sbarre, le catene
delle
manette che tintinnano contro l’acciaio incantato della grata, e a lui
quasi
cade di mano la torcia.
Le sue labbra si piegano in un
sorrisino disgustoso a quella reazione. E lui vede solo rosso.
Non c’è strategia, non c’è controllo
quando decide di combattere il fuoco col fuoco – non le permetterà di
umiliarlo
così. Esagera di certo quando le afferra il viso, le dita che le
affondano con
violenza nella mascella. Le sue mani, sempre incatenate, trasfigurate
in
artigli, se stringono ai suoi polsi – ed eccola, la sua vile natura che
fa
capolino sotto la pelle.
Mostro.
-Pagherai per questo. Per tutto.- le
sputa in faccia, le unghie corte che imprimono tanti marchi a mezza
luna nelle
sue guance. Lei cerca di sfuggirgli, ma lui sua stretta è salda – tanto
salda
che lui si chiede se non potrebbe strangolarla, se solo avesse mirato
alla
gola. -Credimi. Non sei altro che una cagna, non sei altro che feccia…
e lo
vedranno tutti. E quando sarò libero di fare di te quello che voglio,
sappi che
ti strapperò via ogni cosa, ogni segreto, a mio piacimento__-
__esattamente come quelli della sua
razza avevano strappato
ogni cosa al suo regno, alla sua gente, alla sua famiglia, a loro
piacimento,
-…e li userò per bruciare quella fossa
di serpi che osi chiamare casa__-
__e l’avrebbe costretta a guardare, a
provare tutto
il dolore che aveva provato lui quando suo padre e sua sorella gli
erano stati
portati via senza alcuna ragione tranne crudeltà gratuita,
-E solo quando le ceneri di ogni cosa
che amavi saranno fredde, solo allora ti permetterò di esalare il tuo
ultimo
respiro.-
__e solo allora, sarebbero stati pari.
Gliel’avrebbe fatta pagare, le avrebbe fatto pagare tutto, a nome di
tutta Nohr.
Sta tremando, adesso, come lui.
Il ringhio disperato che ha sulle
labbra è lo specchio di quello sul suo viso, che lui vede riflesso nel
velo di
lacrime furibonde nei suoi occhi – le stesse lacrime furibonde che gli
ottenebrano la vista, la mente, la capacità di giudizio.
-Non dimenticate di tenermi ferma la
mascella mentre mi infilate in gola il vostro uccello, Principino…-
sibila, e
lui quasi distingue il veleno stillarle dalle zanne. -Non chiedo altro
che
l’opportunità di strapparvelo a morsi.-
Le lascia un ultimo graffio, rosso –
rosso come il luccichio nei suoi stessi occhi –, sul mento quando
infine la
lascia andare. La risata che le mormora in gola mentre lei affonda
nelle
tenebre – via dalla luce – sembra inseguirlo mentre abbandona le
segrete,
riecheggiando nella sua mente come un incubo.
..
-Takumi.-
Ancora una volta, la voce ferma di Zoe
lo strappò dai
ricordi che lo stavano avvelenando, riportandolo alla realtà: guardò
quegli
occhi, Takumi, rossi come le braci di un falò, e vi trovò una
gentilezza tale
da essere quasi dolorosa – dei, quanto non meritava
la sua compassione,
la sua dolcezza, il suo affetto.
-Lo so che potrebbe essere una
trappola. Sono preparata,
lo siamo tutti.- lo rassicurò, ma la determinazione nelle sue parole
venne
tradita dall’angoscia che Takumi vide adombrarle lo sguardo.
“Preparata, ma certo” si disse, inarcando un sopracciglio
quando lei abbassò gli occhi per non permettergli di ribattere. Zoe non
era mai
stata meno sicura di sé di quanto fosse in quel momento, e tutti e due
sapevano
quanto la sua espressione serafica fosse solamente una maschera
finemente
cesellata.
La giovane, irrequieta Samurai
incrociò le braccia sul
petto, sfregando nervosamente le mani sulla stoffa perlacea del kimono.
-Riusciresti a perdonarmi se ti
dicessi che non posso
smettere di sperarci almeno un pochino?- pigolò, guardandolo dal basso
con
quell’espressione incerta e tormentata che Takumi aveva visto fin
troppe volte
nel corso della sua vita e che aveva ardentemente sperato di non vedere
mai più.
-Ma figurati!- sbottò, con più
veemenza di quella che
avrebbe desiderato usare, sforzandosi di non seguire il proprio istinto
che gli
suggeriva disperatamente di prenderla per le spalle e scuoterla fino a
farle
entrare in quella testaccia un po’ di buonsenso.
Perdonarla?
Non c’era niente di cui perdonarla,
maledizione!
Comprendeva il suo bisogno di
una chiusura, di una risposta definitiva, di una verità – comprendeva
il motivo
per cui non riusciva a rinunciare a quella piccola speranza, e odiava
il
pensiero di dover schiacciare le sue aspettative…
Ma quella cagna non poteva, non
poteva, essere la figlia di una persona meravigliosa come sua
madre. Non
era possibile, era assurdo, e avrebbe
disperatamente voluto che tanto
Zoe quanto Mikoto se ne rendessero conto prima di commettere qualche
errore
irreparabile.
-Vorrei solo che tu non ci
rimanessi troppo male, ecco.- sbuffò, ma Zoe si strinse nelle spalle e
Takumi
poté quasi sentire la risposta che avrebbe voluto dargli – “non
preoccuparti, io me la cavo sempre, andrà tutto bene”.
Certo che si sarebbe
preoccupato, maledizione. Sembrava l’unico, là dentro, a preoccuparsi
di quanto
la nohriana avrebbe potuto far del male alle persone che aveva più
care, alla
sua gente, a tutti quanti… perché era così evidente,
per tutti gli dei,
che quella – quella cosa fosse stata mandata
apposta per compiere
qualcosa di terribile!
-E se volesse uccidere mia madre?-
bofonchiò, piano,
dando finalmente voce a quel dubbio terribile che l’aveva tormentato
sin dal
momento in cui la nohriana aveva pronunciato quel nome, là, sulla
soglia
dell’Abisso.
Quella feccia disgustosa aveva
mormorato alla sua mente
chissà quale maleficio, lo aveva tormentato, torturato e quasi fatto
impazzire,
e tutto senza nemmeno tenere in mano uno dei suoi maledetti libri di
magia…
come poteva sapere che non avrebbe fatto lo stesso con Mikoto?
Takumi amava sua madre, certo, ma
temeva che potesse
peccare d’ingenuità, di speranza, di disperazione: Mikoto era una
persona
talmente buona che, di certo, sarebbe stata pronta ad accogliere la
feccia a
braccia aperte, ignara del pericolo che avrebbe corso stringendo a sé
quella
serpe.
-Se l’avessero mandata per questo?-
Poteva quasi vederlo, il re
d’Ossidiana, ad ordire con
quei suoi figli malvagi il piano che avrebbe loro permesso di
infiltrare
un’assassina nel regno che tanto odiavano…
Zoe scosse la testa, sfregandosi
stancamente il viso.
-Anche se fosse un’impostora, non c’è
nessun pericolo. Tu
e Ryoma sarete con lei, e comunque dubito che una Maga disarmata possa
fare
qualcosa alla regina.-
Non ne era così certo.
L’emicrania che l’aveva tormentato per
tutto il viaggio
di ritorno lo trafisse, costringendolo a massaggiarsi le tempie per
tentare di
alleviare la fitta fastidiosa che, per un secondo, gli aveva oscurato
la vista.
Voleva crederle, per Hotoke, voleva
così disperatamente
credere che niente avrebbe potuto mettere in pericolo sua madre… una
parte di
lui era certa che Zoe avesse ragione, riconosceva la logica nelle sue
parole,
ma quel barlume di razionalità era surclassato dal panico che fremeva
nel suo
sangue al pensiero di quel mostro nella stessa stanza di Mikoto.
Se solo…
Guardò Zoe, sorpreso dalla chiarezza
con cui riusciva a
distinguerla nonostante la vista annebbiata dal dolore che gli
martellava i pensieri:
guardò quella ragazza che aveva passato l’infanzia a sfuggire alle
angherie
degli aristocratici, guardò la ragazzina che tante volte gli aveva
pettinato i
capelli e con cui aveva imparato l’arte della spada, guardò la bambina
assieme
a cui si era addormentato tante volte in mezzo ai giocattoli, a notte
fonda,
tenendo in mezzo fra loro la figuretta piccina ed esile di Sakura
perché non
avesse freddo… e sospirò, Takumi, allungando una mano per sfiorarla,
per
intrecciare le dita alle sue alla disperata ricerca di un contatto in
grado di
scacciare l’angoscia che sentiva dibattersi in fondo allo stomaco e che
scorgeva, di riflesso, nel volto di Zoe.
-Sarebbe più facile se fossi tu.-
bisbigliò, avvertendo
le guance imporporarsi quando i suoi occhi carmini si allargarono per
la
sorpresa.
-Come?- farfugliò, sbalordita, e lui
si ritrovò a dover
guardare da un’altra parte, incapace di sostenere l’imbarazzo che
quell’affermazione sfuggitagli per sbaglio gli stava causando.
-B-Beh ma non cambierebbe nulla, in
fondo!- incespicò,
sperando ardentemente che Ryoma
non si avvicinasse proprio in
quel momento e odiandosi profondamente per la propria dannatissima
lingua
lunga. -Solo…-
La sua voce si spense, annichilita
dalla profonda
tristezza che vide incrinare quella maschera di compostezza. -Almeno
potrei
chiamarti sorella senza che
nessuno mi guardi storto o se la
prenda con te.- ammise, distogliendo lo sguardo da lei perché vederla
così
fragile era davvero troppo, faceva
davvero troppo male.
-Takumi…- lo chiamò, piano, la stretta
della sua mano che
si faceva più forte, e lui si costrinse ad alzare gli occhi, a
sopportare quel
lampo di sofferenza che Zoe non riuscì a nascondergli. -Sarebbe bello.-
Qualcosa di sgradevole gli strinse il
cuore nel petto,
quando la sua mente completò per lei quella frase che Zoe non era
riuscita a
completare: sarebbe bello, se fosse possibile.
-N-Non volevo farti intristire, io__-
Zoe gli sorrise, sfregandosi il viso
con la mano libera e
tirandosi indietro i capelli.
-Non mi sono intristita.- lo
rassicurò, prendendo un
lungo respiro prima di sciogliere la loro stretta, stirando le braccia
per
sgranchirsi. -Però devo farlo lo stesso. E se verrà fuori che è una
bugiarda
almeno avremo la verità.- decretò, allontanandosi di un passo – e
avrebbe tanto
voluto trattenerla, Takumi, tenerla al sicuro, lontana da quella
sofferenza
inevitabile.
-Non starai bene.- la avvertì, con una
punta di
disperazione, ma Zoe si strinse nelle spalle.
-Pazienza.- replicò, strappandogli un
versaccio quando,
con un mezzo sorriso, aggiunse: -Posso sopportarlo.-
No, non poteva.
-Tu chiedi troppo a te stessa.-
brontolò Takumi,
guadagnandosi un altro pugno che, tuttavia, stavolta non riuscì ad
evitare.
-Ahi.- protestò, lanciandole uno sguardo di fuoco e massaggiandosi il
braccio
offeso.
-Da quale pulpito viene la predica.-
soffiò lei in
risposta, indispettita, ricambiando la sua smorfia con la più severa
delle
espressioni.
Takumi scosse la testa, sorridendo
debolmente: Zoe gli
era troppo affezionata per riuscire a vedere che persona miserabile si
nascondesse dietro quello che, a volte, non era riuscita a trattenersi
dal
definire “il suo fratellino”…
-A volte dovrei esserlo di più.-
sussurrò, a bassa voce,
ignorando l’occhiataccia che lei gli scoccò e sospirando rumorosamente,
lasciando
dissipare quell’attimo di intimità venuto a crearsi fra loro. Incrociò
le
braccia, lanciando un’occhiata a Ryoma, chiaramente impaziente di
intervenire.
-E va bene… ma, tanto per la cronaca,
io non sono
tranquillo.- borbottò, sebbene una parte di lui ancora gridasse
che no,
maledizione, non gli andava bene per niente.
Sapeva che non poteva impedire
che qualcuno,
chiunque fosse, si avvicinasse alla nohriana, ma l’idea di permetterlo
proprio
a Zoe non era piacevole: non voleva che soffrisse, non voleva che
quella lurida
bocca sputasse veleno anche su di lei… eppure sapeva anche che la Maga
doveva
essere rimessa in sesto, ripulita e sistemata per l’imminente incontro
con la
regina – e, se davvero si trattava di Ileana, forse Zoe sarebbe stata
in grado
di risvegliare qualche ricordo, di farsi riconoscere.
Lo sapeva,
sì, ma non riusciva proprio ad
evitare di temere per lei.
Le labbra di Zoe si stiracchiarono in
un sorriso, debole
ma sincero. -Come sei carino quando ti preoccupi.- lo punzecchiò,
allungando
due dita per pizzicargli la guancia. Takumi arrossì ma non la scacciò,
limitandosi ad alzare gli occhi verso il soffitto, fingendosi
esasperato da
quel gesto affettuoso che, in realtà, gli era sempre stato molto caro.
-Mpf.- sbuffò, sperando ardentemente
che Ryoma, che si
stava avvicinando assieme a Kaze, non notasse il suo imbarazzo. Zoe
inclinò le
orecchie in direzione di suo fratello, drizzando le spalle in segno di
rispetto
e girando sui tacchi per accoglierli.
-Tutto bene?- le domandò Ryoma,
accigliato, spostando
ripetutamente l’attenzione da lei a Takumi.
-Certo.- gli assicurò, annuendo
brevemente,
costringendosi a nascondere la commozione che aveva provato dietro
un’espressione accuratamente neutra che, tuttavia, non sembrò
convincerlo del tutto:
li scrutò ancora per qualche attimo, sicuramente perplesso per via del
rossore
piuttosto evidente di Takumi, ma probabilmente decise di soprassedere,
almeno
per il momento.
-Ho parlato con Kaze e mi ha suggerito
che, forse,
sarebbe meglio che fossi tu a parlare con lei.- le comunicò, prima di
rivolgersi a Takumi. -Da quel che ho capito, non è molto bendisposta
nei tuoi
confronti.- aggiunse, e Zoe notò una punta di scetticismo colorare la
sua voce
solitamente calma e pacata.
Si voltò anche lei verso Takumi,
appena in tempo per
vederlo sbuffare.
-Beh, certo. L’ho catturata io, è
normale.- si difese, ma
lei lo conosceva troppo bene per farsi ingannare da quella scusa
maldestra.
-Tu stai nascondendo qualcosa.-
affermò, scoccando una
rapidissima occhiata a Kaze che, impercettibilmente, socchiuse le
palpebre in
segno di assenso.
Oh, fantastico. Che cosa aveva
combinato, adesso?
-I-Io?- il volto di Takumi, sotto gli
sguardi inquisitori
del fratello e di Zoe, si fece ancor più paonazzo. -Non sto nascondendo
proprio
niente! È lei che è una vera
strega!- si difese, ma Zoe fu
certa che, dietro quella voce molto più acuta del normale, Takumi
stesse
nascondendo qualcosa che gli avrebbe sicuramente fatto
passare
dei guai.
-E tu invece sei stato un esempio di
educazione e di
gentilezza, vero?- ribatté, inclinando la testa per dedicargli
un’occhiata
obliqua.
-Bah. È soltanto una cagna schifosa,
non__-
-Takumi.- lo interruppe Ryoma, duro,
forse accorgendosi
del repentino pallore e della mascella contratta di Zoe che,
effettivamente, si
era inconsciamente aggrappata all’elsa della sua katana, le dita
serrate sulla
stoffa pregiata che, dopo tanto utilizzo, si era irruvidita.
Takumi alzò le mani in segno di resa,
sbottando un: -Va
bene, va bene.- prima di superarli tutti e tre per precederli lungo gli
ultimi
due corridoi che li dividevano dalla porta dietro cui si trovava,
probabilmente, la principessa nohriana.
Zoe si morse l’interno della guancia,
scambiando uno
sguardo incerto con Ryoma prima di superarlo, profondamente grata della
presenza impalpabile di Kaze al suo fianco.
“Eccoci qui”, si disse, avvicinandosi a Takumi e
serrando le mani fra le pieghe dei pantaloni, ignorando il vago senso
di panico
che sembrava essersi annidato fra i suoi pensieri: eccola lì, a pochi
passi di
distanza da quella che non poteva impedirsi di sperare che fosse la
verità,
senza la più pallida idea di cosa avrebbe dovuto fare o di cosa la
stesse
aspettando al di là di quella soglia.
Guardò Takumi, aggrappandosi
disperatamente alle parole
che le aveva detto e covandole dentro di sé, permettendo all’affetto di
suo
fratello di sbocciarle nel petto e di riscaldarla là dove, in quel
momento, non
provava altro che confusione; lui masticò qualcosa di incomprensibile,
cupo in
volto, prima di sbuffare stancamente e spalancare con un gesto brusco
quella
maledetta porta.
La prima cosa che Zoe notò fu
l’assenza di qualsiasi tipo
di mobilio. Si era aspettata di trovare una stanza arredata in modo
parco e
sbrigativo o, almeno, una branda su cui permettere alla principessa
straniera
di dormire, ma… in quella stanzetta angusta non c’era proprio niente –
eccetto
la ragazza vestita di nero in piedi dinanzi alla finestra chiusa.
Oh, dei, com’era piccola.
La ragazza nohriana che affermava di
essere Ileana non le
arrivava nemmeno alla spalla e, probabilmente, pesava meno della metà
di lei:
era minuta e snella e, nonostante la lacera e sporca veste da Maga che
indossava, manteneva nella postura un certo tipo di eleganza che Zoe
aveva
imparato da molto tempo ad associare a qualcuno di nobili natali.
Se ne stava lì, a braccia conserte,
con i capelli biondi
tirati indietro da una fascia nera e due grandi occhi verdi, simili a
quelli di
un gatto, pieni di cattiveria – cattiveria?
-Principino. Ma che piacere.- sibilò,
alzando lo sguardo
per rivolgere la più sprezzante delle espressioni irridenti in
direzione di
Takumi.
Con la coda dell’occhio, Zoe lo vide
irrigidirsi, e anche
lei si ritrovò a provare l’impellente bisogno di sfregarsi le mani
sulla pelle
per scacciare i brividi che la voce della ragazza aveva scatenato.
-Mi avete fatta spostare per non dover
fare tutta quelle
scale?- la principessa continuò a parlare, imperterrita, inclinando
appena la
testa di lato e rivolgendo a Takumi un sorriso che trasudava disgusto.
…spostare?
-Di cosa sta parlando?- domandò,
voltandosi di scatto
verso Takumi e scorgendo nel frattempo Kaze che, silenzioso come
sempre,
richiudeva la porta alle proprie spalle e si ritirava in un angolo –
dei, non
aveva mai desiderato tanto poter fermare il tempo per parlargli, per
chiedergli
che cosa fosse successo fra Takumi e la principessa, perché
era chiaro che
ciò che Takumi non le aveva detto fosse molto più di quanto avesse
pensato.
Takumi allungò una mano e la strinse
sulla sua spalla,
forte, strattonandola debolmente come se volesse spingerla dietro di
sé,
allontanarla dalla nohriana. -Non ascoltarla, non sa dire altro che
menzogne. E
non avvicinarti. Non ho ancora trovato una museruola da metterle.- le
intimò,
senza spostare lo sguardo dalla ragazza, con le labbra tirate sui denti
ed il
volto deformato da quello che Zoe riconobbe come odio.
Storse il naso, divincolandosi dalla
sua stretta: Takumi
era troppo aggressivo, troppo arrabbiato, troppo… troppo tutto.
La risata sgradevole della principessa
– Ileana – sembrò
dare voce alla profonda confusione che provava.
-Direi che la mano fa ancora male.-
commentò, e Zoe
sobbalzò quando avvertì la sua voce più vicina di prima: si voltò,
trasalendo
quando vide che quelle iridi chiare si erano spostate su di lei,
sentendosi
profondamente a disagio quando l’altra inarcò un sopracciglio e piegò
le labbra
in un sorriso crudele.
Barcollava.
Il sangue nelle sue vene sembrò
tramutarsi in ghiaccio.
Adesso fu facile capire che non si era
appoggiata alla
parete soltanto per noia: Ileana faticava a stare in piedi, aveva le
labbra
secche, gli occhi iniettati di sangue – non aveva l’aspetto di una
persona che
stava bene, di qualcuno che aveva dovuto sopportare soltanto un breve
soggiorno
forzato come prigioniero politico.
No, quella era la faccia di una
persona che si era
ritrovata a temere per la propria vita, che era stata maltrattata, che
tuttora
aveva paura della persona che aveva davanti… e la persona che aveva
davanti
era Takumi.
-Allora, tu chi saresti? Una troietta
apprendista che
deve ancora imparare come si prende un uccello in gola? L’hai portata
per darle
una dimostrazione, Principino?-
Zoe strabuzzò gli occhi, sentendo le
orecchie andare a
fuoco – e quello cosa doveva
essere, esattamente!?
Ancora una volta, Takumi allungò un
braccio nel tentativo
di spingerla indietro, ma nemmeno si accorse di quando Zoe si spostò
per
impedirgli di toccarla.
-Lavati la bocca.- sibilò, inviperito,
ma Ileana gli
rispose con un versaccio che assomigliava molto al soffio di un gatto.
-E con quale acqua?-
In quel momento, nonostante Ileana le
si fosse avvicinata
abbastanza da permetterle di scorgere la disperazione che si agitava
dietro
quella maschera di sfacciataggine ed insolenza, Zoe sentì qualcosa
spezzarsi
dentro di sé mentre la verità che Takumi aveva tentato di nasconderle
diventava, improvvisamente, cristallina.
L’aveva torturata.
Se qualcuno l’avesse pugnalata alle
spalle, in quel
momento, avrebbe fatto meno male.
Guardò Ileana, guardò le profonde
occhiaie sotto i suoi
occhi, guardò la sua pelle screpolata e i segni che i denti avevano
lasciato
sulle labbra aride e spaccate; vide lo sporco sui suoi vestiti e
polvere grigia
fra i suoi capelli, le unghie spezzate e una crosta lunga e sottile sul
suo
collo, e provò l’orribile desiderio di prendere a schiaffi
quel bugiardo che
aveva avuto la faccia tosta di guardarla negli occhi e dirle che le
voleva bene
sapendo di essersi comportato come il peggiore dei mostri.
Come i mostri che riempivano i suoi
ricordi.
Ileana schioccò le labbra,
strappandola al ricordo delle
urla di una bambina rinchiusa in un sotterraneo buio, a quello di
creature
innocenti stipate in una cella, e trascinandola di nuovo in quella
stanza
vuota, accanto ad una persona che improvvisamente le sembrò estranea.
-Non è difficile.- mormorò la Maga,
con una voce suadente
e serpeggiante che, di sicuro, avrebbe potuto scatenare gli istinti più
primitivi della maggior parte degli uomini. -Apri bene la bocca e
respira dal
naso. E non preoccuparti, sarà veloce. Quelli come lui non durano mai a
lungo.-
Arrossì, Zoe, perché quelle parole
sfacciate e disgustose
erano davvero troppo per le sue orecchie, ma provò allo stesso tempo
una
profonda tristezza: a cosa l’aveva ridotta, Takumi, perché la
principessa si
fosse ritrovata a dover far ricorso a quelle armi per difendersi da lui?
Ma lei lo sapeva, in fondo.
Sapeva cosa significava dover
ricorrere ad ogni mezzo per
proteggersi, per sembrare più forte di quello che si era – anche se era
pericoloso, anche se si sarebbe potuto ritorcere contro di lei: aveva
trascorso
troppi anni a sfuggire alle crudeltà dei figli dell’aristocrazia
hoshijin, quei
maledetti nobili che avevano sempre guardato con odio la figlia di
nessuno
adorata dalla famiglia reale, per non averlo imparato.
Ma non avrebbe mai potuto pensare che,
un giorno,
avrebbe visto la loro stessa cattiveria nel viso di Takumi.
Non poteva quasi credere ai suoi
occhi, ma le prove erano
tutte lì, nella luce folle negli occhi della principessa, e gli dei
soltanto
sapevano quanto avrebbe voluto ignorarle, far finta che non
esistessero, che
non fosse vero – che Takumi non fosse… che non avesse…
Con la coda dell’occhio, vide
la sua
mano fremere, il suo pugno stringersi.
-Schifosa cagna che non sei altro,
questa__!-
-Takumi!- lo interruppe, balzando in
avanti per piantare
le mani sul suo petto, per farlo indietreggiare, dando le spalle alla
ragazza
per mettersi in mezzo tra di loro. -Ci penso io.- affermò, lanciandogli
un’occhiata d’avvertimento che sperava potesse bastare per convincerlo
ad andarsene.
“Ti prego, ti prego, ti prego, vai via…”.
Un versaccio incattivito, alle sue
spalle, la fece
rabbrividire.
-Notevole. Ti ho giudicata male,
allora. Sei tu
l’insegnante, qui.- sputò Ileana, ma Zoe si costrinse ad ignorarla –
aveva
decisamente altre cose a cui pensare, adesso. -E dimmi, devi solo
fargli vedere
come si tortura una donna o anche come si scopa?-
Aggrottò le sopracciglia, perplessa,
perdendo per un
secondo il senso della gravità di quella situazione – come
diamine
avrebbe potuto far vedere a un uomo come si faceva sesso!? Lei mica
aveva__ -È
a questo che serve la spada, ad affondarmela dentro fino all’elsa per
dargli
una dimostrazione di dove si metta il__-
-ADESSO BASTA!-
Takumi si lanciò in avanti, furibondo,
mettendo
rapidamente mano all’elsa di quella strana spada che portava al fianco
– e Zoe
scorse, nei suoi occhi color miele, un terribile luccichio scarlatto
che le
fece paura.
Non poteva essere Takumi. Non poteva
essere vero.
-NO!- abbaiò, infondendo tutta la sua
forza nella violenta
spinta con cui lo costrinse a fermarsi. -Basta! Esci, subito!- ordinò,
senza
nemmeno pensare che lei, in realtà, non aveva nessuna autorità per
ordinargli
alcunché.
Takumi, tuttavia, vacillò, forse preso
in contropiede
dalla sua repentina presa di posizione – ma certo, come avrebbe mai
potuto
immaginare che proprio lei lo
affrontasse in quel
modo? Lei, che lo aveva sempre spalleggiato, che era sempre
stata dalla
sua parte, che non gli aveva mai voltato le spalle?
“Perdonami. Ti scongiuro, perdonami.
Non posso lasciartelo fare.”
-Ma__!-
-Fuori!- ringhiò, sedando la sua
protesta sul nascere,
aggrappandosi nervosamente alla lama dentellata della katana, già
estratta di
qualche pollice – dove avesse trovato il coraggio di sguainare
un’arma
contro di lui, poi, contro il suo amico, contro il suo principe… e
forse Takumi
si accorse di quanto fosse un gesto estremo, forse comprese di aver
esagerato,
perché sgranò gli occhi e fece un passo indietro, senza perdere
d’occhio tanto
lei quanto la sua spada.
-Non__-
Non gli avrebbe permesso di infierire
su una ragazza
indifesa. Non gli avrebbe permesso di farle del male. Non lo avrebbe
permesso
a nessuno, perché nessuno
meritava
di subire
quello che Takumi aveva inflitto ad Ileana, quello che subivano tanti
innocenti
ogni giorno… anche se affrontarlo, fronteggiarlo, avrebbe
significato
infliggergli una ferita che, lo sapeva, forse non si sarebbe
rimarginata mai
più.
-Ho detto fuori!-
ruggì, raddrizzando le
spalle, odiandosi più di quanto avesse mai fatto prima di quel momento
quando
vide una repentina sofferenza brillare nei suoi occhi dorati; eppure…
eppure
non poteva lasciare che rimanesse lì, che continuasse ad agire come un
pazzo
crudele e rabbioso, perché quello non era lui e
lei doveva
impedirgli di fare qualcosa di cui il Takumi che conosceva si sarebbe
certamente pentito.
“Takumi… per favore…”
Rimase immobile, pronta a dare
battaglia, ma lui non si
mosse: si limitò a fissarla, confuso e disorientato come se lei lo
avesse
davvero colpito, fino a che non si costrinse a riscuotersi quel tanto
che gli
bastò per barcollare fuori dalla stanza.
Nel momento stesso in cui la porta si
richiuse alle sue
spalle, Zoe sospirò, usando violenza su se stessa per costringersi a
staccare
le dita dalla spada; rilassò la schiena, prese fiato e poi si voltò,
pronta ad
affrontare quella grande incognita sotto le spoglie di una principessa
terrorizzata e incattivita.
-Milady…- cominciò, detestando il tono
implorante che
venò inevitabilmente le sue parole: desiderava soltanto che lei le
permettesse
di spiegarle, ma Ileana sembrava ancor più tesa e feroce di quanto
fosse stata
qualche attimo prima – e come poteva biasimarla? Takumi aveva tentato
di
aggredirla, maledizione. Anche lei, al suo posto, si sarebbe comportata
in quel
modo…
-Milady, questo è tutto un malinteso,
non__-
Ileana, per tutta risposta, emise un
versaccio che a Zoe
ricordò davvero tanto il ringhio di un animale ferito.
-Il tuo malinteso puoi prenderlo e
ficcartelo su per
il__-
“Oh, adesso basta.”
-“Con quale acqua”.- sospirò,
interrompendola prima che
Ileana ricominciasse a ricoprirla di insulti – non che la toccassero, a
dire il
vero, ma doveva assolutamente convincere la recalcitrante principessa
ad
ascoltarla.
Probabilmente grazie ad un intervento
di chissà quale
degli Antichi Draghi, Ileana s’irrigidì, sgranando gli occhi dinanzi a
quell’affermazione.
-C_come prego?- domandò, sbigottita,
muovendo un incerto
passo indietro per allontanarsi da lei.
Zoe scrollò le spalle, sconsolata.
-Avete detto “con quale acqua” quando
lui vi ha detto…
beh, insomma, avete capito. Cosa volevate dire? Avete sete?- continuò,
cercando
di infondere alla propria voce tutta la gentilezza di cui era capace,
mentre il
suo cuore sembrava sul punto di sbriciolarsi davanti agli occhi pieni
di
confusione della principessa.
“Per Hotoke, Takumi, che cosa hai
fatto?”
-Milady, quand’è stata l’ultima volta
che avete bevuto?-
perseverò, decisa a non lasciarsi sfuggire quella minuscola occasione
che
poteva scorgere nelle crepe che attraversavano la maschera di
strafottenza che
Ileana aveva indossato fino a quel momento e che, sotto i suoi occhi,
sembrava
sul punto di spezzarsi a metà.
La principessa di Nohr arretrò ancora,
spaventata, fino a
che le sue mani tese all’indietro non trovarono la sicurezza della
parete più
lontana da Zoe. Sembrò aggrapparvisi, spaventata come se l’avessero
appena
schiaffeggiata, e lentamente si lasciò scivolare a terra,
raggomitolandosi su
se stessa come se volesse disperatamente provare a proteggersi, come se
si
aspettasse di essere presa a calci.
-Ma questo… io…- balbettò,
disorientata, ma fu la voce
calma di Kaze a rispondere per lei.
-Ieri sera.-
Zoe si voltò di scatto, sorpresa, e
così fece anche
Ileana: Kaze si era fatto avanti e si era affiancato a Zoe, le braccia
conserte
e un’espressione cupa e seria disegnata sul bel volto affilato.
-Kaze, non__!- squittì la principessa,
sconvolta, ma lui
scosse la testa, avvicinandosi ed inginocchiandosi davanti a lei.
-Va tutto bene. Zoe non vi
farà del male.- le
promise, con quella voce piena di sicurezza e di dolcezza che Zoe
conosceva
tanto bene… e che, forse, anche Ileana aveva imparato a conoscere e
apprezzare,
perché le parole del Maestro Ninja sortirono su di lei un effetto tanto
insperato quanto immediato: nei suoi occhi spalancati parve
riaccendersi una
scintilla di lucidità, e le sue mani smisero di artigliare nervosamente
la
stoffa strappata di ciò che rimaneva di un mantello ormai scomparso.
Fu quel gesto, il tremore delle sue
dita lunghe e
pallide, a dare a Zoe l’ennesimo, orribile segnale.
-Voi state congelando.- constatò,
sfilandosi
immediatamente di dosso la borsa da viaggio che nemmeno si era accorta
di aver
tenuto in spalla per tutto quel tempo, ringraziando la propria
previdenza
quando, scavando per qualche istante, estrasse l’haori
che
aveva
deciso di impacchettare.
Buttò di lato la sacca e si voltò di
nuovo verso Ileana,
avvicinandosi cautamente e piegandosi sulle ginocchia per portarsi al
suo
stesso livello. -Potreste non mordermi? Voglio soltanto slegarvi e
darvi
qualcosa da mettere addosso.- le domandò, accennando un mezzo sorriso
incerto
che strappò un debole sbuffo all’altra ragazza, per nulla rassicurata
dalla sua
gentilezza; però, per fortuna, quando Zoe si avvicinò per sciogliere le
corde
che le legavano i polsi non reagì con veemenza, e le permise persino di
drappeggiarle sulle spalle la sua giacca, arrotolandovisi
immediatamente dentro
come un gattino spaurito.
Era davvero minuscola in confronto a
Zoe, e addosso a lei
l’haori sembrava più una coperta che un
vestito, ma Zoe ne fu
contenta: vederla stringersi la stoffa pesante attorno al corpo e
rilasciare un
impercettibile sospiro sollevato fece sentire un po’ meglio anche lei.
Si voltò verso Kaze, ignorando il
senso di pace che
l’approvazione nei suoi occhi viola le trasmisero – non aveva bisogno
di
quello, adesso: le serviva la verità, voleva sapere che cosa era stato
fatto a
quella ragazza disarmata e innocua per capire che cosa fare per poterla
aiutare.
-Dove l’ha tenuta?- si sforzò di
chiedere, già
immaginando la risposta che le sarebbe stata data… ma, questa volta, fu
Ileana
a parlare.
-In una cella, credo nei sotterranei.-
Il ruggito dei suoi pensieri, per
qualche attimo, assordò
qualsiasi altro suono, echeggiandole furiosamente nelle orecchie.
Una cella. Una stanzetta buia e lurida
in cui
un’ora poteva diventare una settimana e una notte una vita intera. Una
cantina
umida e gelida da cui nessuno sarebbe giunto a sottrarla alle spire
dell’oscurità che sembrava avere gli stessi occhi degli incubi.
-Io lo ammazzo. Di traverso.-
Ileana alzò lo sguardo, stupita da
quella minaccia
alquanto singolare che dovette probabilmente trovare abbastanza
divertente da
strapparle un inconscio, fragile sorrisino che subito scomparve quando
si
accorse di ciò che aveva fatto – oh, beh, almeno qualcuno riusciva a
vedere il
lato comico della situazione…
-Zoe.- richiamò Kaze, paziente, ma la
Samurai alzò gli
occhi verso il soffitto, furibonda.
-“Zoe” niente! Ci sono più che
abbastanza eredi al trono,
possiamo fare a meno di un principe!- ringhiò, serrando i pugni per
impedirsi
di portare le mani alla katana, uscire da quella stanza e andare ad
impartire a
Takumi un paio di lezioni che non si sarebbe scordato per il resto
della sua
breve esistenza.
-Apprezzo il pensiero.-
Ileana si sollevò, sciogliendo la
stretta delle braccia
intorno alle proprie gambe e scrutando Zoe con più attenzione di quanta
ne
avesse dimostrata fino a quel momento. -Chi sei?- domandò, con quel
tono di
comando certamente non voluto che Zoe aveva sentito tante volte nelle
voci di
Ryoma, di Hinoka, di Takumi.
-Nessuno di importante, sono solo una
guardia reale. Beh,
una futura guardia reale.- rispose, ma la principessa sbuffò.
-Se sei qui solo per mentirmi in
faccia, puoi anche
andartene.- la accusò, con tanto sarcasmo da farla sobbalzare
– e
adesso cosa diamine aveva detto di sbagliato!?
-N-no, non sto mentendo, io__-
-Le guardie reali non
parlano… così dei
reali.- la interruppe, con tanto di sopracciglia aggrottate e sguardo
derisorio, cercando di spingere via la stoffa della giacca che Zoe le
aveva
avvolto addosso – “Oh, certo, che prova d’orgoglio,
principessa, mi sembra
proprio il caso!”
-Ah, per quello.- Zoe non riuscì ad
impedirsi un sorriso,
questa volta: in effetti, pensandoci, Ileana non aveva tutti i torti… a
nessun’altra
guardia reale, eccetto forse Hana, erano mai state permesse tante
libertà come
quelle che poteva prendersi lei. -Abbiamo trascorso l’infanzia insieme.
È più
come… come se fossimo una famiglia.-
Ileana la soppesò per lunghi, eterni
istanti, scettica… e
poi si lasciò pesantemente ricadere indietro contro la parete, e Zoe
tirò un
sospiro di sollievo quando vide che aveva smesso di tentare di
togliersi
l’haori.
-Condoglianze.- le disse, la voce
impregnata di disgusto,
ma ancora una volta Zoe non trovò in sé il desiderio di arrabbiarsi.
-Sì, posso capirvi… ma vi assicuro,
principessa, non è
mai stato una persona crudele. Non so davvero che cosa gli sia preso.-
mormorò,
mortificata, ma non poté proprio biasimare Ileana quando l’unica
reazione alla
sua frase fu un’occhiataccia di compatimento.
Sospirò, passandosi nervosamente le
dita fra i capelli.
-Ma dovremmo trovarvi qualcosa da
mangiare.- affermò,
cambiando discorso perché, davvero, parlare di Takumi in quel momento
non
sembrava proprio la migliore delle idee. -Magari in questo posto c’è
qualcosa
di commestibile? Kaze? Tu ne sai qualcosa?- domandò, voltandosi per
lanciare
uno sguardo speranzoso al ninja che, con un sorriso impercettibile ed
enigmatico sulle labbra sottili, annuì.
-Posso provare a informarmi.- annuì,
avvicinandosi
silenziosamente alla porta. Zoe, sollevata, gli sorrise.
-Sarebbe fantastico, grazie.- lo
ringraziò, osservandolo
con curiosità quando Kaze, invece di sparire fra le ombre come era
solito fare,
si prese tutto il tempo di aprire la porta, uscire e richiudersela alle
spalle. Bizzarro.
Si voltò nuovamente verso Ileana, che
aveva seguito il
breve scambio fra i due guerrieri con un’espressione talmente vuota ed
esausta
che le si strinse il cuore. -Kaze è un tesoro. Mi dispiace che non gli
sia
stato permesso di starvi accanto.- si scusò, sperando di non causare
altri
scoppi d’ira con quell’inevitabile allusione a Takumi; Ileana però si
limitò ad
annuire debolmente, stringendosi disperatamente la stoffa della giacca
di Zoe
sulle spalle.
-Sì, lui…- cominciò, ma le sue parole
si persero quando
una profonda tristezza parve tornare a galla, riempiendole lo sguardo
di
fantasmi. -Ha fatto del suo meglio, credo. Anche Hinata…-
Zoe annuì, rassicurata dal pensiero
che Maestro d’Armi
più imbranato dell’intera nazione di Hoshido fosse stato in grado di
farequalcosa.
-Non avevo dubbi. Hinata è sempre
stato un signore, non
torcerebbe mai un capello a una donna. Magari a volte non collega il
cervello
alla bocca, ma è tanto dolce.- spiegò, soffocando immediatamente il
bisogno di
vederlo, di parlargli, che soltanto pensare a Hinata aveva scatenato:
Hinata
era uno dei suoi più cari amici, e la sua sola presenza era in grado di
scacciare anche i più cupi dei pensieri…
“Dei, Takumi…”
Come avrebbe potuto guardarlo di nuovo
in faccia, dopo
aver visto di cosa era stato capace? Come avrebbe potuto convivere con
la
consapevolezza che una delle persone che le erano più care al mondo si
fosse
rivelato una tale bestia?
Si passò le dita fra i capelli,
angosciata, tentando di
scacciare quei pensieri prima che la distraessero – avrebbe avuto tutto
il
tempo di fare i conti con quella delusione, ma quello non era né il
momento né
il luogo adatto.
-Non è stato un viaggio facile, vero?-
mormorò, rivolta
al nulla, sorprendendosi però quando Ileana mosse la testa per
rivolgerle un
debole cenno di assenso.
Abbassò lo sguardo, Zoe, sentendo il
cuore schiacciato
dal peso delle colpe di Takumi che scorgeva incise indelebilmente negli
occhi
pieni di dolore e di paura della ragazza che le sedeva dinanzi.
-Sono mortificata. Nessuno meriterebbe
niente di quello
che avete passato.-
Nessuno.
Lo schiocco della porta che si apriva
e si richiudeva le
fece sobbalzare tutt’e due, strappando Zoe alle sue macabre
riflessioni: Kaze
era tornato, e portava con sé un vassoio pieno di quelli che, dal
profumo che
Zoe colse non appena si avvicinò, sembravano davvero onigiri.
-Ho trovato soltanto questo.- spiegò,
passandole con
cautela il vassoio – sì, erano proprio onigiri,
le polpette di riso
triangolari di cui lei andava matta – e chinandosi per appoggiare anche
una
brocca d’acqua accanto a loro. -Zoe, ce n’è abbastanza anche per te,
sarai
affamata dopo il viaggio.- la invitò, inarcando un sopracciglio quando
lei gli
rivolse un’occhiata confusa perché Kaze, di sicuro, sapeva che lei
aveva già
mangiato prima di arrivare – ah, ma certo:
Ileana di certo non
avrebbe mangiato nemmeno un boccone se non le avesse mostrato che non
aveva
bisogno di temere veleni o robaccia del genere.
-Certo. Facciamo a metà?- propose,
sforzandosi di
sorridere alla principessa terrorizzata mentre prendeva una pallina di
riso,
dividendola a metà e mandando giù la parte più piccola in un sol
boccone. -Sono
più buoni caldi, però.- ammise, offrendole il pezzo rimanente tentando,
nel frattempo,
di mantenere l’atmosfera il più informale e tranquilla possibile.
Ileana occhieggiò la polpetta,
dubbiosa, per una manciata
di secondi in cui Zoe non fu capace di non trattenere il respiro,
sentendosi
scrutata alla ricerca di un qualche segno di avvelenamento… ma poi la
principessa si mosse, accettando la sua offerta e portandosi
l’involtino alla
bocca, facendolo sparire in pochi, cauti morsi.
-Non sono male.- brontolò, e Zoe non
poté evitarsi un
sorriso molto più grande ed espansivo di quanto, forse, sarebbe stato
saggio
esprimere – eppure era così contenta di
aver trovato un modo
per farla mangiare, di essere riuscita a farla stare un po’ meglio…
In silenzio, divise con Ileana ognuno
degli onigiri,
stando attenta a darle sempre il pezzo più grande e senza mai fare
movimenti
bruschi; la convinse anche a bere, prendendo un sorso da ogni bicchiere
che le
versava, fino a che tanto il piatto quanto la caraffa non furono vuoti.
-Grazie.-
-Nah, non c’è di che.- sorrise,
spingendo da parte il
vassoio ed alzandosi in piedi, rassettandosi sbrigativamente i
pantaloni.
-Milady, vuole darsi una ripulita?- le offrì, quindi, sempre mantenendo
un tono
leggero e colloquiale, mentre nella sua mente già cercava di rammentare
dove si
trovavano i bagni della fortezza e come avrebbe potuto fare per
liberare la
strada affinché potesse accompagnarla senza incidenti.
Ileana annuì, forse rinfrancata dal
pasto oppure soltanto
allettata dall’idea di potersi lavar via di dosso il ricordo delle
celle di
Suzanoh.
-Sarebbe… sembra una buona idea.-
mormorò, sfregandosi le
mani sulle braccia – chissà quanto freddo doveva aver patito, là sotto…
-Ottimo!- trillò Zoe, scacciando
immediatamente il
pensiero prima che potesse rovinare tutto lo sforzo che aveva fatto per
mostrarsi innocua agli occhi della principessa. Si rivolse ancora una
volta a
Kaze, prendendosi l’appunto mentale di ricordarsi di ringraziarlo per
la
cortesia che stava dimostrando a lei e a Ileana. -Potresti cacciare via
chiunque sia qua attorno? Se andassi io potrei spargere sangue.-
domandò,
strappando un lievissimo sospiro al Maestro Ninja che, dopo aver
annuito, sparì
– ah, ecco, ora sì che lo riconosceva.
Rimase in ascolto, silenziosa, finché
il suo udito
allenato non colse un familiare, impercettibile fischio che riconobbe
all’istante come il segnale che i Maestri Ninja al servizio della
famiglia
reale usavano per comunicare fra di loro.
-Okay, ora possiamo andare!- annunciò,
alzandosi in piedi
ma trattenendosi dall’offrire una mano a Ileana: aveva la chiara
impressione
che non avrebbe accettato il suo aiuto. -Non è lontano.- le spiegò,
quindi,
aspettando pazientemente che Ileana si trascinasse in piedi da sola.
La principessa annuì, forse
rassicurata al pensiero di
non dover camminare a lungo, avvolgendosi più strettamente nella giacca
di Zoe
e seguendola quando la Samurai la precedette per dare un’occhiata nel
corridoio: Kaze non era in vista ma, per fortuna, sembrava essere
riuscito a
far sgombrare la zona, sebbene fu quasi certa di aver scorto lo
svolazzo di una
conosciuta sciarpa blu in un anfratto particolarmente buio in fondo al
percorso.
Sospirò, uscendo dalla stanza ed
invitando Ileana a
procedere dietro di lei, tendendo le orecchie per cogliere e
memorizzare il
suono dei passi irregolari e strascicati della principessa.
Per fortuna, i bagni dell’avamposto
non erano lontani:
impiegarono soltanto pochi minuti a raggiungere le belle stanze di
granito che
ospitavano le ampie vasche d’acqua corrente che un intricato sistema di
tubazioni portava fin lì dal fiume più vicino; qualcuno aveva già
acceso i
focolari, incastonati nella pietra, ed il calore umido e denso che le
accolse
le suggerì che l’acqua dovesse essere già calda.
-Okay, questi sono i bagni. L’acqua è
calda, questi sono
teli di cotone e lì ci sono un po’ di saponi e roba del genere. Io vado
a
cercarvi qualcosa da mettere di pulito, va bene? Torno presto, e Kaze è
sicuramente qui in giro da qualche parte, per qualunque cosa basta un
fischio.-
le spiegò, provando un improvviso senso d’angoscia al pensiero di
lasciarla da
sola – sapeva bene che le persone ferite e spaventate, come era stata
lei tante
volte da piccola, potevano farsi venire strane e brutte idee…
Ileana però si limitò ad annuire, con
gli occhi socchiusi
e l’espressione sofferente. -Ti ringrazio.- sussurrò, e Zoe non poté
fare altro
che indietreggiare e lasciarla lì, chiudendo lentamente la porta alle
proprie
spalle e pregando i Draghi di non doversene pentire.
.
§
..
-Bah.-
Hinata, irritato, si permise quel
versaccio strozzato non
appena uscito dalla stanza che aveva eletto come propria una volta
giunto a
Suzanoh, sbatacchiandosi la porta alle spalle giusto per sottolineare
quanto
poco fosse contento di tutta la situazione.
“Vai a controllare che quella stupida
di Zoe non si sia fatta maledire dalla cagna.”
Lord Takumi aveva fatto irruzione
nella sua camera pochi
minuti prima, furibondo e fuori controllo come Hinata lo aveva visto
soltanto
sul crepaccio dell’Abisso: aveva scaraventato la spada nohriana e
l’astuccio
del Fujin Yumi dall’altra parte della stanza, ignaro dello sguardo
attonito di
Hinata, ed aveva cominciato a biascicare parole orribili che, alle
orecchie del
Maestro d’Armi, avevano avuto lo stesso suono delle minacce crudeli che
erano
state inferte alla principessa Ileana… e questo, più di qualsiasi altra
cosa
avvenuta negli ultimi giorni, gli dava la chiara impressione che la
situazione
fosse ormai fuori controllo: Takumi, quello vero, non avrebbe
mai, mai definito
Zoe in nessuno dei modi che aveva abbaiato prima di dargli quel secco
ordine a
cui lui, dopo quella sfuriata, era stato ben contento di ubbidire –
aveva
dovuto mordersi la lingua, come si era visto costretto a fare più e più
volte
durante quel penoso viaggio di ritorno dall’Abisso Infinito, per
impedirsi di
dargli le rispostacce che meritava.
Che cosa stava succedendo?
Da quel che aveva capito dai
vaneggiamenti irosi di
Takumi, Zoe era stata incaricata di far cooperare la Maga per
prepararla
all’incontro con lady Mikoto: Takumi non era stato affatto contento, e
Hinata
si ritrovò a pensare quanto non avesse avuto poi tutti i torti nel
tentare di
essere presente per non lasciare Zoe da sola… nemmeno lui sarebbe stato
tranquillo nel pensarla alle prese con la principessa, con tutto quello
che Zoe
aveva passato in suo nome e senza nemmeno la certezza che si trattasse
davvero
della sua amica d’infanzia.
Eppure, nonostante tutto, Zoe se l’era
cavata – anzi,
aveva fatto quello che Hinata aveva desiderato ardentemente ben più di
una
volta nei giorni passati: aveva preso le difese della nohriana e aveva
cacciato
fuori il principe, mettendo finalmente un freno alla pazzia che
sembrava aver
violentemente preso possesso di lui.
Non osava nemmeno immaginare che cosa
potesse essere
successo in quella stanza per far arrabbiare così tanto il suo
protetto, in
effetti, ma non poteva nascondere a se stesso quanto fosse grato di non
aver
dovuto presenziare: se fosse stato presente, purtroppo, avrebbe dovuto
rispettare il proprio giuramento e si sarebbe dovuto frapporre fra
Takumi e
Zoe, ed era un’ipotesi talmente orribile che tutto, in lui, la
rifiutava.
…anche perché Zoe, probabilmente, gli
avrebbe fatto fare la fine di uno straccio per pavimenti.
Forse lei avrebbe saputo dargli
qualche risposta,
rifletté: forse era stata in grado di capire il perché
di
quel
cambiamento tanto repentino in una persona solitamente tranquilla ed
intelligente come Takumi.
Insomma, nessun hoshijin apprezzava
particolarmente Nohr
e i suoi abitanti, ma… beh, la principessa avrebbe meritato un
trattamento
decisamente diverso da quello che le era stato riservato, anche
soltanto in
nome del suo titolo nobiliare.
Lui e Kaze avevano tentato di lenire
un poco il tormento
che le era stato inflitto, ma era perfettamente conscio di quanto a
poco fosse
servito: lo aveva visto chiaramente nell’orrore che le aveva riempito
gli occhi
quando lui ed Oboro erano stati mandati a prelevarla dalle segrete, ne
aveva
percepito la profondità radicata dentro di lei quando si era
divincolata
disperatamente per sfuggire ai tentativi di Oboro di calmarla, e temeva
che
quel terrore animalesco sarebbe stato troppo grande, a quel punto, per
essere
controllato.
Chissà se Zoe era stata in grado di
farsi
ascoltare.
Sospirò, accelerando il passo quando,
giunto dinanzi alla
stanza in cui Ileana era stata rinchiusa quella mattina, la trovò
vuota.
Probabilmente Kaze e Zoe avevano scortato la principessa nei bagni, per
permetterle di darsi una ripulita e cambiarsi d’abito… ma, prima che
potesse
voltarsi per imboccare il corridoio, una voce alle sue spalle attirò la
sua
attenzione.
-Nata!-
C’era soltanto una persona in tutta
Euanthe che lo
chiamava così.
Si voltò, sorridendo, le braccia già
spalancate per
accogliere la giovane donna che, prevedibilmente, corse da lui – ed un
istante
più tardi avvertì le mani della sua amica stringersi forte ai suoi
vestiti, il
suo corpo tonico aggrapparsi al suo ed i suoi arruffati capelli biondi
oscurargli la vista.
Eccola lì, la sua Zoe, in tutto il suo
irruente
splendore.
Hinata ricambiò la stretta,
accarezzandole la nuca con
tenerezza ed abbassando la testa per appoggiare la fronte sulla sua
spalla,
sfiorando appena la sua gola bianca con la punta del naso: Zoe aveva
addosso
l’odore della foresta, della resina, ed era qualcosa di così familiare
e
conosciuto che Hinata si ritrovò a chiudere gli occhi, cullandosi in
quel
profumo che sapeva tanto di casa.
Zoe gli era mancata così tanto… era
talmente abituato ad
averla quasi sempre al proprio fianco, a Shirasagi, che passare tanti
giorni
senza di lei era stato terribilmente strano: quella ragazza energica e
complicata occupava un posto tutto particolare, dentro di lui – un
posto che le
apparteneva da anni, ormai, e che nessuno avrebbe mai potuto riempire
se non
lei.
Lei gli si raggomitolò addosso,
accoccolandosi nel suo
abbraccio come faceva spesso quando nessuno poteva vederli e, di
conseguenza,
rimproverarli: la società all’interno di Shirasagi, composta
soprattutto da
nobili, aristocratici e signorotti di tutti i tipi, avrebbe urlato allo
scandalo se il più giovane rampollo di un’antichissima famiglia di
onorati
samurai fosse stato visto in atteggiamenti equivoci assieme alla
nessuno che si
ostinava a “ronzare intorno alla famiglia reale”.
Che stupidaggine.
Non aveva mai tollerato quel sacco di
idiozie. Al
contrario di quello che chiaramente era stato inculcato nelle loro
teste vuote,
ad Hinata non era stato insegnato a valutare le persone in base al
rango
sociale, bensì all’onestà, alla bontà d’animo e al coraggio: doti che
Zoe
possedeva in gran quantità e che, a parer suo, la rendevano
infinitamente
migliore di tutti coloro che ancora le riservavano i più velenosi degli
sguardi
ogni volta che veniva vista accanto ad uno qualunque degli eredi al
trono.
Zoe tirò su col naso, sfregando la
fronte contro la sua
spalla come se volesse nascondersi lì, tenendosi talmente stretta a lui
da
fargli percepire le unghie piantate nella carne.
-Ehi…- la chiamò, sollevando la testa
e prendendole con
delicatezza il viso fra le mani, sorprendendosi nel trovare, nei suoi
profondi
occhi carmini, delle lacrime trattenute a stento. -Oh dei, Zoe non
piangere,
perché stai per metterti a piangere?- domandò, atterrito all’idea di
dover
affrontare quella grande incognita che una Zoe in lacrime avrebbe
rappresentato.
Lei non piangeva mai.
Nemmeno riflettendoci riusciva a
ricordare una sola
occasione in cui l’avesse vista in lacrime: era qualcosa che non
riusciva a
collegare a lei, che non faceva parte della persona che conosceva e che
Hinata
non avrebbe mai potuto immaginare di dover, un giorno, vedere.
Zoe serrò le palpebre, costringendosi
a respirare
attraverso i denti serrati e posando le mani sulle sue, intrecciando
timidamente la punta delle dita a quelle di Hinata.
-Dimmi che cosa ha fatto.- disse, con
una voce rotta che
non le apparteneva, che Hinata non conosceva e che non voleva sentire,
che
faceva stridere dolorosamente qualcosa dentro di lui perché Zoe non era
così,
lui non poteva vederla così, era tutto così sbagliato…
Zoe spalancò gli occhi, facendolo
sobbalzare con quel
gesto così repentino, abbassando le mani per costringerlo a lasciar
andare il
suo volto.
-Voglio sapere che cosa ha fatto.-
Hinata rimase impietrito, sconvolto
dall’espressione
feroce e disperata che deformava il viso altrimenti attraente della sua
amica:
non l’aveva mai vista in uno stato del genere, stravolta da qualcosa di
oscuro
e lontano che aveva scorto agitarsi, in passato, dietro il velo
scarlatto dei
suoi occhi, ma che ora sembrava aver distrutto ognuno degli argini che
Zoe
aveva strenuamente costruito per trattenere quelle violente, frustrate
emozioni.
-Ma…- biascicò, a disagio: non voleva
dirle proprio
niente di ciò che lord Takumi aveva fatto, perché metterla a parte
di tutta la
verità – le minacce, le violenze, il terrore che erano stati causati
alla
principessa Ileana – le avrebbe fatto davvero troppo male… avrebbe dato
qualunque cosa per lasciare che chiunque altro le spiegasse cos’era
successo,
perché non poteva sopportare nemmeno il pensiero di infliggerle tanto
dolore
sapendo quanto Zoe fosse sensibile.
-Non è una buona idea…- tentò
pateticamente di
dissuaderla, sentendosi però un idiota: non era mai riuscito a negarle
nulla,
come poteva anche soltanto pensare di essere in grado di non darle le
risposte
che cercava?
-Non importa.- Zoe scosse la testa,
abbassando lo sguardo
soltanto per qualche attimo prima di tornare a guardarlo. -Per quanto
tempo è
rimasta là sotto?- domandò, ma la secchezza della sua voce fu tradita
dal
fremito che sembrò venare le sue parole d’incertezza e di tormento.
-Io__-
Gli prese le mani, stringendosele al
petto e dei,
come poteva dire di no a quello sguardo spezzato?
-Nata, per quanto tempo è rimasta là
sotto?- ripeté la
domanda, Zoe, con quella voce traboccante di disperazione che gli
attorcigliò
lo stomaco e gli spezzò il cuore: non poteva vederla così, non era mai
stato
capace di sopportare la sua tristezza, faceva troppo male perché fosse
in grado
di tollerarlo.
-Tre giorni.- sbottò, distogliendo lo
sguardo
perché sapeva che avrebbe dovuto
fare qualcosa di più, che se
Ileana era stata ridotta in quello stato era stato anche a causa
dell’incapacità di opporsi a Takumi che lui ed Oboro avevano dimostrato.
Zoe spalancò gli occhi, allibita, ed
il poco colore
rimasto sulle sue guance svanì in un istante.
Sembrava così indifesa, in quel
momento… ma, d’altronde,
cosa poteva aspettarsi di diverso? Le aveva appena confermato che una
persona
che amava si era rivelata un mostro, e Zoe aveva sempre avuto paura dei
mostri.
Eppure, ancora una volta, lo sorprese:
mantenne il
contegno, strinse le dita fra le sue e prese un lungo respiro,
chiudendo gli
occhi per qualche attimo prima di riportare l’attenzione su di lui.
-Raccontami tutto il resto.-
.
Hinata corre, corre come se avesse i
demoni alle calcagna: ha appena sentito un soldato ridere delle urla
della
nohriana, alludendo a qualcosa di così osceno che Hinata non vuole
nemmeno
immaginare, e mentre attraversa a tutta velocità l’accampamento prega
che non
sia vero, che lord Takumi non abbia davvero perso la testa a tal punto.
Oboro lo vede passare, gli lancia
un’occhiata, ma lui la ignora: spera che non lo segua, perché non la
vorrebbe
intorno alla principessa né vorrebbe che vedesse che cosa lord Takumi
potrebbe
averle fatto.
L’angolo in cui tengono legata la
principessa è buio, ma non abbastanza perché qualcuno possa
nascondersi: e lord
Takumi è lì, con le mani serrate sulla faccia della ragazza di Nohr che
guaisce
e si divincola cercando di allontanarsi da lui.
-No!-
Hinata si lancia in avanti ed il suo
primo istinto è quello di strapparglielo di dosso: afferra Takumi per
il bavero
della giacca e lo tira indietro con tutta la forza che ha,
strattonandolo con
tanta irruenza da farlo quasi cadere.
Oboro appare subito accanto a Takumi –
ah, allora l’ha seguito – e lo sorregge, aggrappandosi al suo braccio
con una
strana espressione, in volto, che Hinata lì per lì non riesce a
riconoscere: i
suoi occhi vanno dalla nohriana a Takumi e passano anche su di lui, ed
Hinata è
sicuro di aver scorto un lampo di orrore, sul suo viso.
-Lord Takumi__!-
Lord Takumi gli si scaglia contro, ma
trattenerlo è facile – è più difficile impedirgli di urlare contro alla
ragazzina alle spalle di Hinata, mentre lui tenta di tenerlo fermo
senza fargli
male.
-Non ti permetterò di ammazzarti,
maledetta!- abbaia, e c’è così tanta cattiveria, nella sua voce, che
Hinata per
un istante pensa che non sembri nemmeno la sua. -Mi hai capito bene!?-
-Basta!-
Lo spinge indietro, bruscamente,
facendolo arretrare di diversi passi, e davvero non gli importa che
quell’uomo
sia colui a cui ha giurato obbedienza: non ce la fa a permettergli di
continuare così. Non è giusto.
-Cosa ti è preso!?- sbotta, Hinata,
dimenticando le formalità ed i titoli quando guarda in faccia il suo
amico
d’infanzia e non lo riconosce più.
-Non farti ingannare, sta solo
fingendo!-
Hinata si volta, lanciando un’occhiata
sconvolta alla principessa: è raggomitolata a terra, bagnata come un
pulcino, e
mugola qualcosa di indefinito… ma non gli sembra che lord Takumi abbia
tentato
di farle del male: la caraffa di terracotta ridotta in pezzi e l’acqua
che
infradicia la ragazza gli raccontano una storia diversa.
Deve aver provato a costringerla a
bere, comprende all’improvviso. Sì, la principessa ha rifiutato cibo e
acqua
ogni volta che qualcuno ha provato a farla mangiare, ma… era davvero
necessario
arrivare a questo punto?
-No che non sta fingendo.- mormora,
stravolto da quella giovane donna che pare ridotta in pezzi proprio
come il
bricco rotto i cui frammenti sono sparsi per terra, voltandosi poi
verso Oboro.
-Portalo via!- ordina, senza il coraggio di guardare in faccia il suo
lord, il
suo principe, perché non sa se sarebbe in grado di nascondere il
disgusto che,
in quel momento, prova per lui.
Oboro, per fortuna, ubbidisce, tirando
lord Takumi per il braccio finché lui non smette di opporre resistenza
e gli dà
finalmente le spalle, arrendendosi all’insistenza della sua guardia che
continua a chiedergli di lasciar perdere, di andare via.
Soltanto quando gli sembra che si sia
allontanato abbastanza, Hinata si volta, precipitandosi accanto alla
ragazza
che – ora può vederlo – è scossa dai singhiozzi.
-Principessa… oh, accidenti…-
Dove diamine era finito Kaze? Perché
non è intervenuto? Hinata si è allontanato soltanto per una manciata di
minuti…
La principessa trema e geme, e a lui
sembra davvero soltanto una ragazzina spaventata ed esausta: sta
piangendo, e
biascica fra le lacrime delle parole senza senso che lui riesce a
carpire
soltanto in parte.
-Era solo routine… era soltanto una
ricognizione…-
Forse sta parlando di quanto è
successo all’Abisso, ma ad Hinata ora non importa: lei è fuori di sé,
si vede,
e lui in questo momento vorrebbe soltanto che ci fosse qualcuno, lì con
loro,
in grado di mettere fine a questa follia – lord Ryoma, Zoe, lady
Mikoto,
chiunque…
Lady Ileana alza debolmente gli occhi,
cerchiati di nero dalla stanchezza e dal terrore, e lo guarda: c’è una
tale
disperazione, in quello sguardo, così profonda e densa e ineluttabile,
che per
un istante Hinata se ne sente assorbito.
-Non ho fatto niente di male…-
Le crede. Non gli importa che cosa ha
detto lord Takumi, Hinata non può non credere al pianto soffocato di
una
giovane donna che sta affrontando qualcosa a cui chiaramente non è mai
stata
preparata.
-Avete ragione.- ammette, sfilandosi
rapidamente la spessa e lunga sciarpa che usa indossare quando c’è
freddo.
-Tenete, o prenderete un raffreddore.- aggiunge, drappeggiando la
stoffa
pesante intorno alle spalle esili di lady Ileana, rabbrividendo quando
sfiora
la stoffa bagnata dei suoi vestiti: dev’essersi ribellata ai tentativi
di lord
Takumi e l’acqua che la infradicia ne è, probabilmente, il risultato.
La principessa chiude gli occhi, e due
grosse lacrime rotolano sulle sue guance pallide e smunte.
-Che sia…-
Hinata la ignora e continua ad
avvolgerla nello scialle, premurandosi di coprirla il più possibile:
non può e
non vuole permettere che si ammali, perché in quelle condizioni –
stanca,
debilitata, affamata – rischierebbe di non riuscire nemmeno ad arrivare
a
Suzanoh…
Ma forse è quello che vuole. Forse
preferisce morire piuttosto che rimanere un altro giorno alla mercé di
lord
Takumi.
Non può darle torto.
-Ma no, principessa, andrà tutto
bene.- cerca di consolarla, detestando con tutto il cuore gli ordini
che gli
impediscono di darle almeno una briciola di verità.
Altre lacrime, troppe, cominciano a
scorrere sul suo viso minuto.
-Voglio andare a casa mia… voglio solo
andare a casa mia…-
All’improvviso, la principessa
spalanca gli occhi:Hinata riesce quasi a riflettersi in quegli occhi
verdi
tanto grandi e lucidi, ma tutto ciò che vorrebbe adesso è allontanarsi,
fuggire
dall’animalesca, feroce paura che ha repentinamente animato quello
sguardo.
-Lasciami scappare. Lasciami andare
via. Io non farò del male a nessuno, voglio solo andarmene, prometto
che non
dirò niente di voi o di Hoshido e__-
-Vi riprenderebbe.-
La principessa sgrana gli occhi e
Hinata si odia, in quel momento: vorrebbe poterle dire qualcosa di
diverso,
vorrebbe che fosse possibile permetterle di tornare a casa e di
dimenticare
quell’incubo, ma sa benissimo che non è qualcosa che è in grado di fare.
-Mi dispiace, principessa, ma sarebbe
troppo pericoloso per voi.-
Lo vede, che le sue parole non l’hanno
aiutata, ma non può farci niente: sa benissimo che, se la lasciasse
andare – e
vorrebbe, vorrebbe davvero –, lord Takumi riuscirebbe a trovarla, e
niente e
nessuno potrebbe più impedirgli di farle tutto quello che vuole.
Rabbrividisce, spaventato all’idea di
quell’uomo in cui non vede più niente del principe che è così fiero di
servire
e di come potrebbe ridurre la ragazza di Nohr, in preda a quella cieca
ira che
sembra averlo posseduto – e lei trema a sua volta, gli occhi lucidi di
terrore,
ed Hinata decide in quel preciso momento che non può più lasciare che
vada
avanti così.
-Ma potrei fare qualcosa per
allontanarvi da lui.-
.
Davanti ai suoi occhi, Hinata guardò
Zoe accartocciarsi
su se stessa, schiacciata dall’orrore del suo racconto. Tentò di
sorreggerla,
ma dopo un istante preferì lasciarsi scivolare a terra insieme a lei,
stringendola forte quando Zoe si appallottolò contro il suo fianco e
appoggiò
la testa alla sua spalla.
-Non voglio crederci.- sussurrò, ed
Hinata chiuse gli
occhi, sentendosi sconfitto: nemmeno lui avrebbe mai voluto crederci,
nemmeno
lui avrebbe mai potuto pensare che lord Takumi
sarebbe arrivato a
tanto. -Takumi non è così…-
-Lo so.- ammise, accarezzandole la
schiena nel flebile
tentativo di rassicurarla.
No, infatti, Takumi non era mai stato
così.
Hinata aveva sempre, sempre
ammirato
lord Takumi: aveva sempre pensato che fosse un uomo coraggioso, che era
stato
in grado di trovare una propria strada che non potesse essere oscurata
dalla
luminosità accecante dei successi dei suoi fratelli maggiori che,
comunque,
secondo Hinata, non avevano mai avuto niente di particolare rispetto al
secondo
principe di Hoshido – anzi, tutt’altro: lord Ryoma e lady Hinoka non
avevano
mai dovuto combattere con le unghie e con i denti per ottenere dei
risultati,
non avevano mai passato giorni e giorni chini sui libri o con un arco
in mano
per diventare sempre migliori, per essere considerati almeno alla pari
dei
propri fratelli…
Takumi era una persona forte,
intelligente e corretta:
non aveva un carattere facile, quello non poteva negarlo, ma era sempre
stato
leale alle persone che gli erano care e giusto persino con i suoi
nemici.
Fino a che non avevano catturato lady
Ileana.
Forse era stata la rabbia a scatenare
tutto: dopotutto,
lord Takumi e la sua famiglia avevano perso così tanto a causa di Nohr
e dei
suoi regnanti… così come Oboro, che aveva perduto tutto a causa dei
briganti
nohriani che avevano trucidato la sua famiglia, e che non aveva perso
nemmeno
un’occasione per riservare il peggior trattamento possibile alla
principessa.
-Oboro non ha aiutato.- borbottò,
esprimendo i propri
pensieri ad alta voce senza accorgersene e sorprendendosi quando sentì
Zoe
irrigidirsi.
-Prevedibile.-
Hinata sospirò, voltandosi per celare
nei capelli di Zoe
una smorfia esasperata.
Zoe ed Oboro non erano mai andate
d’accordo: Oboro
l’aveva osteggiata sin da quando era stata nominata guardia reale di
Takumi,
non gradendo affatto quella Samurai che ronzava in continuazione
intorno al
suo amato principe… e anche Zoe
non aveva mai dimostrato una
particolare maturità nel confrontarsi con la Maestra di Lancia, a dire
il vero,
palesemente gelosa di tutte le occasioni che Oboro aveva per essere in
compagnia di Takumi che a lei, invece, erano negate.
-Dai, Oboro non è cattiva.- mugugnò,
sfiorando appena la
gola scoperta di Zoe con una carezza, sperando di riuscire a calmarla e
cercando nel buon odore dei suoi capelli qualcosa che riuscisse a
tranquillizzare anche lui. -Ha sbagliato, ma ha anche capito di aver
esagerato
quando ha visto com’era ridotta.- continuò, scuotendo la testa quando
il
ricordo cristallino degli occhi pieni di orrore di Oboro lampeggiò
nella sua
mente: quando, quella mattina, lord Takumi aveva ordinato loro di
spostare lady
Ileana dalle celle alla parca stanzetta dove Zoe l’aveva trovata, Oboro
era
stata finalmente costretta ad affrontare le urla disperate della
ragazza, la
disperazione con cui aveva lottato per sfuggirle e l’incubo in cui il
principe
che tanto idolatrava aveva gettato una giovane donna che non aveva
fatto nulla
di male se non esistere.
Hinata però non si sorprese quando,
con un versaccio, Zoe
si alzò in piedi, cupa in volto.
-Non mi interessa.- disse, tendendogli
una mano e
tirandolo su a sua volta quando lui la prese, trattenendo però le dita
callose
del Maestro d’Armi fra le proprie. -Non ci si comporta così. Con
nessuno.-
sibilò, ed Hinata dovette sforzarsi di non fare un passo indietro: in
quel
momento, con gli occhi pieni di dolore e la rabbia incisa sul volto,
Zoe
avrebbe intimorito persino il più temibile dei mostri di Nohr.
-Lo so, ma__- provò a rabbonirla, ma
lei lo fulminò con
uno sguardo tanto gelido da sedare sul nascere ogni suo tentativo di
replica.
-No.-
Ci fu un qualcosa di definitivo, in
quell’unica sillaba,
qualcosa che Hinata non seppe cogliere appieno ma che gli diede,
comunque, i
brividi: per un istante si ritrovò altrove, si ritrovò nuovamente
dinanzi al
vuoto senza fine dell’Abisso, riconoscendo la furia incontenibile della
tempesta nella voce e nello sguardo della sua amica.
La Samurai raddrizzò le spalle,
sollevò il mento e poi si
allontanò, lasciando un vuoto più freddo del normale dove, fino a pochi
istanti
prima, Hinata aveva potuto avvertire il calore del suo corpo,
l’impronta della
sua mano sul palmo.
-Parlerò con Takumi.- affermò, con una
voce ferma e
determinata che lo sorprese ancor più della gravità del suo sguardo:
quella
Zoe, quella giovane donna dal volto impassibile che mal nascondeva una
rabbia a
stento contenuta, era qualcuno che Hinata non aveva mai avuto occasione
di
conoscere, la guerriera implacabile e dalla volontà ferrea che Zoe
aveva
forgiato in anni ed anni di rinunce, addestramenti e sofferenze.
Guardandola, costringendosi a vedere
tutto questo al di
là del bel visetto e dei sorrisi che lei gli aveva sempre riservato,
Hinata
provò all’improvviso la cristallina certezza che, se non fosse riuscita
lei a
rimettere a posto il disastro che lord Takumi aveva fatto, nessun altro
ne
sarebbe stato capace.
-A me
darà retta, e se non lo farà gli ficcherò un po’ di
buonsenso nella testa a suon di schiaffi.-
.
.
.
.
__________________________________________________________________
Salve a tutti!
Eccoci qua con un nuovo
capitolo di Aranyhìd, che potrebbe portare il sottotitolo di "quando le
cose non vanno mai come dovrebbero andare. Anzi, vanno peggio".
Ileana e Zoe si sono
incontrate, finalmente, ma non è andata proprio benissimo per nessuna
delle due: per fortuna, e lo ripeterò fino allo sfinimento, c'è Hinata.
Hinata è patrimonio dell'umanità.
Speriamo che il capitolo vi
sia piaciuto, e nel prossimo: incontreremo Mikoto! Reggetevi forte,
perché ci sarà da ballare!
Clarisse&B
|
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Capitolo 5 *** Aiiyoh ***
Aranyhíd
Aiiyoh
(Tamil)
Descrive lo stato
confusionale di una persona che non riesce a capire cosa
sta succedendo.
.
Lo
spesso vapore che
invadeva i bagni le bruciò i polmoni quando Ileana riemerse in un
trionfo di
schizzi. Acqua calde le scivolò tra i capelli e sulla pelle, le lacrime
sul suo
viso mascherate tra le gocce.
Non
riusciva a credere
di avere ancora lacrime da versare.
Il
fiato corto, si
accomodò contro il bordo della piscina e raccolse le ginocchia al
petto,
appoggiandovi sopra la testa, l’acqua del bagno che le solleticava il
mento.
Non poté fare a meno di apprezzare quella carezza tiepida, trovandola
confortante nonostante tutto. Sospirò, resistendo la chiamata della
disperazione che le scorreva nelle vene e che le chiedeva solo di
lasciarsi
andare all’acqua.
Avrebbe
voluto
assecondare quella chiamata, ma sapeva che Kaze non gliel’avrebbe
permesso.
Era
certa che fosse nei
paraggi, perlomeno a tiro d’orecchio, pronto a interferire. Era sempre
stato
nei paraggi, durante tutta la sua prigionia, nascosto nell’ombra più
vicina,
sempre in silenzio e sempre in allerta, pronto a fermarla prima che
potesse
farsi del male – e l’aveva fermata, ancora, e ancora, e ancora.
Era
stato gentile con
lei.
Aveva
tenuto a distanza
le mani e le parole dei soldati con occhiatacce d’avvertimento, aveva
assaggiato gli avanzi che le portavano come cibo per assicurarle che
non fosse
avvelenato, le aveva fatto compagnia con il tintinnio delle monete che
lasciava
cadere sulla pietra delle segrete per farle sapere che non era sola – e
anche
se quel tintinnio era stato assordante alle sue orecchie e le aveva
martellato
la testa, ne aveva tratto conforto. Era stato gentile con lei.
Non
sapeva perché fosse
stato gentile con lei, perché avesse fatto tutto quello – perché
sembrasse
importargli di lei così tanto da mettere a rischio tutto per aiutarla.
Ma
sapeva che non voleva che la vedesse rannicchiata su se stessa, le sue
lacrime
mischiarsi con l’acqua. Per i Sette, quell’anima buona ne aveva viste
abbastanza, di lacrime.
Cos’avrebbe
detto Xander
se l’avesse vista così, in quello stato pietoso? Si sarebbe vergognato
di lei,
per essersi dimostrata tanto debole, per aver infangato la sua famiglia
con
quelle lacrime?
E
Leo, si sarebbe
vergognato di lei anche lui – oppure avrebbe capito, avrebbe capito la
paura e
la disperazione che avevano disintegrato qualsiasi parvenza di dignità
era
riuscita a salvare in quella sua gabbia fredda quando il Principe
aveva… quando
l’aveva minacciata di__
La
spaventava – no, la
terrorizzava. Il suo odio, il potere che sembrava riuscire a
risvegliare in
Ganglari – nella sua stessa spada, la spada che suo padre le aveva dato
per
proteggersi, la spada che le aveva lasciato quel lungo, bruciante
graffio sulla
gola – e il luccichio rosso nei suoi occhi… tutto, di lui, la
terrorizzava.
Si
era già giocata la
sua ultima carta quando aveva smascherato il suo bluff nell’oscurità
delle
segrete, e adesso era rimasta senza assi nella manica… e sapeva, sapeva
che
invece tutte le altre minacce che le aveva rivolto erano reali. Era
abbastanza
sicura che non l’avrebbe mai stuprata, che non sarebbe andato fino in
fondo, ma
c’erano uomini ai suoi ordini che non si sarebbe fatti scrupoli, che
avrebbero
voluto toccare e prendere e strappare, e non poteva essere certa che
lui
gliel’avrebbe impedito.
Rabbrividì,
percependo il
ricordo di tutti quegli occhi pungerle improvvisamente la pelle. Fece
scorrere
le mani sul corpo, sperando che l’acqua calda potesse lavare via quella
sensazione.
Un
singhiozzo che non
riuscì a soffocare le sfuggì dalle labbra, ed Ileana si odiò, odiò Kaze
per
averlo sentito, odiò il modo in cui aveva stretto la sciarpa del ninja
tra le
mani fino a non sentirle più, accasciata sul pavimento della sua cella
come una
bambola di stracci, il cuore sanguinante tra le mani e una supplica tra
labbra.
“Ti
prego, ti prego…
uccidimi, uccidimi prima che mi torturi. Prendimi, prenditi tutto, ma
non
lasciarlo__ non lasciare che faccia del male alla mia famiglia, ti
prego…”
La
sua famiglia… per i
Sette, la sua famiglia…
Non
poteva permettere
che accadesse. Non avrebbe permesso che accadesse, non avrebbe lasciato
che la
usassero come arma per distruggere i suoi fratelli, le sue sorelle, i
suoi
amici. Avrebbe preferito morire – sarebbe morta,
piuttosto che lasciarglielo fare.
Non
era una stupida.
Sapeva
che non aveva
nessuna possibilità di uscirne viva, nessuna possibilità di tornare a
casa. Non
avrebbe mai più rivisto la sua famiglia… e faceva male, faceva male
sapere di
averli delusi, che avrebbero sofferto perché lei aveva fallito quella
stupida,
stupida ricognizione.
Non
era una stupida.
Sapeva
che l’avrebbero –
che lui l’avrebbe uccisa,
lentamente,
il più dolorosamente possibile, e che si sarebbe preso tutto il tempo
di farla
a pezzi, così da strapparle parole tra le grida di dolore. Non ci
avrebbe
nemmeno messo tanto – non era abituata al dolore, non era stata
addestrata a
resistere a un interrogatorio – ma lei non voleva che… quelle promesse
di
dolore che gli aveva visto tra le labbra, tra le mani, la notte prima –
ma era stata la notte prima, o la settimana
prima, l’anno prima? – non voleva che lui…
Non
era una stupida.
Sapeva
che doveva
morire, ma avrebbe dovuto fare in modo che fosse alle sue condizioni,
se voleva
almeno provare a salvare qualcuno dalla distruzione che le sue stesse
parole
avrebbero causato. Ci aveva provato, per Hedi, ci aveva provato, non
appena
aveva capito che non avrebbe cominciato subito con le torture, per
chissà quale
ragione. Ma loro – lui stesso, e Kaze – non
gliel’avevano permesso.
Aggredì
l’acqua con
rabbia, facendola schizzare e strabordare oltre l’orlo della piscina.
Dannazione,
dannazione!
Perché,
perché non
gliel’aveva permesso?! Perché continuava a sussurrarle quella
splendida, atroce
speranza, dicendole che sarebbe stata bene, che sarebbe andato tutto
bene? Non
era già abbastanza dover vivere con la consapevolezza di essere una
morta
che cammina? Non era già abbastanza la fame—
…l’intontimento
che le aveva causato, il modo in cui le aveva succhiato via
le forze,
—la
sete—
…la
sabbia che le aveva messo in gola, il dolore costante sulla pelle,
—il
buio—
…i
mostri che le stringevano attorno gli artigli, gli incubi che snudavano
i denti,
—il
freddo—
…le
spire umide della roccia che si attorcigliavano ai capelli,
l’intorpidimento degli arti,
—già
abbastanza da
sopportare, senza che lui ci aggiungesse la sua maledetta gentilezza?
Represse
il suo gemito –
ringhio, grido – tra i denti e si
portò le mani piene d’acqua al viso, soffocando quei suoni patetici coi
palmi,
passandosi poi le dita tra i capelli, come per lavarli.
E
comunque, perché farle
passare tutto quello? Era così orrendamente ovvio che non avrebbe retto
più di
due ore sotto interrogatorio. Perché trascinare lì tutti, perché…
aspettare?
Forse
quello era il modo
di torturare i prigionieri, a Hoshido. Forse alle fruste e le lame e le
corde e
le risposte veloci preferivano la fame e la sete e il freddo e le
parole
estratte una alla volta.
O
forse era per
divertimento. Dato che avevano capito che avrebbero potuto farla
crollare
quando volevano, forse si stavano solo godendo lo spettacolo di lei che
andava
in pezzi, ora dopo ora, giorno dopo giorno. Forse erano solo crudeli e
perversi.
Oppure
era solo il
Principe a essere crudele e perverso. Forse era per quello che Kaze si
era
rifiutato di allontarnarsi quando lui si avvicinava, che la sua stessa
guardia
l’aveva allontanata da lui, che Zoe l’aveva cacciato fuori.
…oppure
no?
Un
colpo sommesso alla
porta la fece sobbalzare, strappandola da quei pensieri.
-Principessa?
Posso
entrare?-
Zoe.
Parli
del licantropo…
Ileana
abbandonò il capo
contro il bordo della piscina, giusto il tempo di recuperare il fiato
che lo
spavento le aveva strappato dal petto, l’energia che quello sfogo le
aveva
succhiato via dal corpo.
Fu
con un sospiro che si
issò fuori dalla piscina e afferrò uno degli asciugamani bianchi
impilati a
portata di mano. -Okay.-
La
porta si aprì e
richiuse velocemente. Zoe entrò nei bagni, con un fagotto di vestiti
tra le
braccia e la stessa espressione tranquilla di prima sul volto. -Ehi.
Meglio?-
Ileana
le rivolse un
piccolo cenno, rapido come un frullo d’ali. Zoe le sorrise in un modo
che le
ricordò tanto – troppo – Elise,
incrinandole il cuore.
Elise,
Xander, Camilla,
Leo…
La
Samurai le si
avvicinò a piccoli passi, pronta a fermarsi al minimo segno di fastidio
da
parte sua. Ileana scrollò le spalle, esausta, accettando l’asciugamano
che le porse
per frizionare via l’acqua dai capelli senza una parola.
Non
sapeva come
comportarsi con Zoe. Lei… emanava comprensione. Sicurezza. Calore.
Ileana non
sapeva se sentirsene rassicurata, o se averne paura.
-Vi
ho portato qualcosa
di pulito da mettere.- le spiegò Zoe mentre recuperava l’asciugamano
bagnato,
accennando ai vestiti che aveva appoggiato sulla panca. -Ho cercato
qualcosa in
cui poteste sentirvi a proprio agio, anche se non è stato facile
trovare
qualcosa di nero… non è un colore che mettiamo molto, a Hoshido.-
“Ma
certo che no, con
il sole caldo che splende tutto l’anno…” fu il pensiero
rabbioso di Ileana,
ma si morse la lingua per non farselo scappare: non erano parole
dirette a lei.
Le
rivolse uno sguardo,
rispondendo alla sua espressione impaziente mordendosi un labbro. -Non
è che
non apprezzi il pensiero, ma… che ne è stato dei miei vestiti?-
Ci
fu qualcosa di storto
nel sorriso esitante che Zoe le mostrò. -Al sicuro nel mio bagaglio. Li
laverò
alla prima occasione, ma… beh, non sono conciati molto bene, milady.-
-Oh.-
sospirò Ileana, le
dita che tormentavano il bordo dell’asciugamano ancora stretto attorno
al
corpo, un peso sul cuore. -Vorrà dire che li rammenderò, io__- sarebbe
stata
molto più a suo agio con le sue cose… ma perché Zoe le aveva messe nel
suo
bagaglio? -__io… ehm… ma dob__ devo andare da qualche parte?-
La
Samurai si morse un
labbro, come se stesse chiedendosi se avrebbe dovuto o meno fare
qualcosa.
Ileana reagì a quell’esitazione arrotolandosi su se stessa,
allontanandosi istintivamente:
cosa voleva dire quell’esitazione? Quegli occhi rossi la guardavano
come se la
loro proprietaria non volesse fare quello che stava per fare, ma
dovesse farlo
comunque…
Zoe
dovette vedere la
paura irretire il corpo di Ileana, perché tese le mani di fronte a sé,
offrendole i palmi.
-Milady…
per favore,
ascoltatemi, okay?- la supplicò, prima di prendere un bel respiro.
-Faccio
parte dell’entourage di Lady Mikoto, Regina di Hoshido. Reina, il
Cavaliere
Kinshi che avete conosciuto all’Abisso Infinito, ci ha raccontato di
voi, e Sua
Maestà vorrebbe parlarvi di persona.-
Il
battito del suo
stesso cuore divenne assordante nelle orecchie di Ileana mentre quelle
parole
venivano assorbite dalla sua mente.
La
regina di Hoshido voleva parlarle di persona.
Aveva
creduto di aver
sentito qualcosa su ordini che vietavano di torturarla, ma le era
sembrato così
impossibile che si era convinta di averli immaginati, o di aver sentito
male, o
di aver capito male.
Era
per questo che
avevano aspettato? Che arrivasse la regina?
-E
cos’è__- perché?,
si chiese. Perché la regina avrebbe voluto parlare con una prigioniera,
con un
ostaggio? Lei non aveva niente a che fare con loro, con Hoshido, con la
guerra –
e come avrebbe potuto? Aveva passato la vita rinchiusa in una torre…
-__che la
tua regina vuole da me?-
Zoe
rimase in silenzio,
mordendosi il labbro, l’interno di una guancia. Ileana non poté fermare
le
immagini accecanti che le riempirono la mente e rabbrividì, il sangue
farsi
ghiaccio nelle vene.
Allora
la regina era come suo figlio,
si disse mentre il respiro si faceva corto,
mentre qualcosa di pesante le premeva contro le tempie.
Forse
aveva ordinato di
non lasciarle segni di violenza sulla pelle perché voleva averla tutta
per sé,
fresca e fragile per marchiarla come voleva lei. Voleva essere lei a
strapparle
le parole dalle labbra – quelle parole che sarebbero state la fine di
ogni cosa
che amava…
Forse
l’avrebbero fatto assieme: madre e figlio.
Ileana
si sentì tremare
al solo pensiero, il mondo che si rimpiccioliva, si distorceva,
soffocandola.
No.
Le
mani si strinsero
sull’asciugamano stretto attorno al corpo talmente forte che, dopo
qualche
attimo, smise di sentirle.
No,
non avrebbe
permesso di torturarla – non avrebbe permesso di fare di lei un’arma
per
distruggere la sua famiglia.
-Torna
dalla tua regina.
E dille, da parte mia, che non sono un giocattolo con cui lei e il suo
adorato
bambino possono scacciare la noia.- sputò, la voce venata d’acciaio,
grondante
veleno.
Gli
occhi di Zoe si
spalancarono per la sorpresa e il disagio – bene,
pensò Ileana. La voleva fuori di lì. Doveva farla uscire, far sì che la
lasciasse sola. Poco importava sapere che sarebbe andata a chiamare le
guardie
per trascinarla dalla regina – non le sarebbe servito molto tempo. Solo
quanto
bastava per abbandonarsi all’acqua.
Ileana
strinse i denti,
vestendosi di una forza che non aveva, ma che sapeva di dover
assolutamente
trovare. -E dille che se ci tiene così tanto a passare del tempo con
suo
figlio, anziché torturare qualcuno insieme potrebbe benissimo mettersi
in
ginocchio e fargli un pom__-
-Non
è così facile
annegarsi da soli, sapete?-
La
frase di Zoe mise a
tacere Ileana in un secondo.
La
sua postura
arrogante, quel poco di coraggio che aveva racimolato, parve quasi
collassare e
lei fece un altro passo indietro, la condensa fredda sul muro che le
premeva
contro le spalle nude. -Che__? No, io non__-
-__non
avreste tentato
il suicidio appena avessi messo un piede fuori da qui? Sì, invece.- Zoe
la
interruppe, quel sorriso insopportabilmente triste che scacciava ogni
risposta
oscena dalla mente di Ileana. -So che siete spaventata, milady, ma vi
prego… vi
state dando pena per niente. Nessuno vi farà del male, ve lo prometto.-
Ileana
soffiò come un
gatto quando lei fece un passo verso di lei, selvatica e inviperita.
Dannazione
a tutto,
dannazione a lei.
Proprio
come Kaze, Zoe
aveva capito cosa le stesse passando per la testa.
Ileana
se lo sarebbe
dovuto aspettare, intuitiva come si era dimostrata di essere quando
l’aveva
privata della parola nell’altra stanza, dopo aver capito che le sue
insinuazioni erano solo un modo per tenere a distanza quel frigido di
un
principe – ovviamente quello stesso trucco non avrebbe funzionato con
lei.
Ed
ora eccola lì, ad
interferire quando Ileana voleva solo cancellare la propria esistenza,
per
proteggere le persone che amava… proprio
come Kaze.
Ileana
tremò, quella
pressione così aliena eppure familiare che le pulsava nella mente.
Per
i Sette, non poteva
nemmeno decidere quando togliersi la vita, dunque? Le avrebbero portato
via
anche quell’ultimo pezzo di dignità?
…ma
certo che
l’avrebbero fatto. Ma certo che lui l’avrebbe fatto.
Feccia.
Cagna.
Non
era altro per lui,
per loro. Solo qualcosa di cui fare tutto quello che volevano, qualcosa
da
legare, da incatenare, da prendere a calci, a cui mettere la
museruola.
Qualcosa con cui giocare finché non avessero cominciato ad annoiarsi.
Beh,
lei non sarebbe
stata al gioco. Non sarebbe morta ai suoi piedi, soffocata dalla frusta
che le
avrebbe stretto attorno al collo come un guinzaglio.
Quel
pulsare nella sua
testa parve gonfiarsi ed espandersi, scorrendole lungo il corpo in
tentacoli
che le facevano formicolare la pelle.
No.
-Milady,
per favore,
io__-
Lei
mise una mano sul
muro viscido per tenersi in piedi, il petto stretto in una morsa, la
nebbia ai
bordi del suo campo visito che le impediva di vedere i tremiti che
percorrevano
l’acqua delle piscine.
No.
Zoe
fece un passo verso
di lei, e una scintilla parve attraversarle il corpo.
NO!
-VATTENE,
ORA!- strillò,
le mani premute per soffocare il dolore che le esplose in testa e
accartocciandosi su se stessa, gli occhi chiusi. -Lasciami stare…
LASCIAMI
STARE! Dannazione, dannazione A TE! Voglio solo che finisca!-
-ILEANA,
SMETTILA!-
Il
suo nome.
Le
riecheggiò
chiaramente nelle orecchie, sovrastando quella tempesta di silenzio
bianco che
le imperversava nella mente e scacciandola in un secondo.
Il
suo nome.
Non
l’aveva sentito
pronunciare da… da… beh, da quando era stata catturata.
Ansimò,
il respiro
ancora affaticato ma che si faceva via via più regolare, scostandosi
dal muro
quando bastava per guardare la Samurai.
L’aveva
chiamata con il
suo nome. Non sapeva perché questa cosa la colpisse così tanto, ma…
Il
suo nome.
Zoe
stessa sembrava
alquanto colpita – a quanto pare strillare contro la nobiltà
funzionava, per
qualche motivo. Fece un respiro profondo, sollevata, scostandosi i
capelli
bagnati dalla fronte – perché aveva i capelli bagnati?,
si chiese
Ileana, confusa. -La regina vuole solo sapere cos’è successo all’Abisso
Infinito. Tutto qui.-
-E
io dovrei credere che
è venuta fin qui per farsi ripetere qualcosa che suo figlio le ha
certamente
già descritto nel dettaglio?- la principessa nohriana scosse il capo, i
rimasugli di un ringhio sulle labbra. -E poi, poi che ne sarà di me? Mi
lascerà
in mano a suo figlio perché possa… lo lascerà finire quello che ha
cominciato,
lo lascerà infierire finché… finché io non__?-
Le
si spezzò la voce, la
disperazione evidente, e Ileana stessa sussultò nel sentirla – ma non
c’era
modo che potesse nasconderla, non più. Era stanca, e spaventata, e
tanto tanto
sola. Voleva Leo, voleva suo fratello, i suoi fratelli, le sue sorelle.
Voleva
la sua famiglia, voleva casa.
-Assolutamente
no.-
La
sicurezza nella voce
ferma di Zoe fu tale da riuscire a calmare i singhiozzi che Ileana
sentiva
bruciarle in gola. -La regina Mikoto ha le migliori intenzioni. Sono
certa che
ascolterà i vostri desideri e farà del suo meglio per accontentarvi.-
Ileana
si morse un
labbro per non gemere a quel pensiero.
Per
i Sette, voleva
crederle. Voleva che le sue parole fossero vere, lo voleva così
tanto…
-Mi
lascerà andare a
casa?- pigolò, le parole che le sfuggirono prima che potesse
trattenerle,
trattenere quel pensiero, quella domanda che le avrebbero ritorto
contro per
farla a pezzi.
La
sua riposta arrivò
dopo alcuni secondi di silenzio, pesante e tormentata. -Se è ciò che
volete.
Sono certa che manderà un messaggio a Nohr per farvi venire a prendere,
e vi
assegnerà una scorta fino al confine. Ci scommetterei la mano della
spada.-
Ileana
scosse la testa,
cercando di scacciare la nebbia che la sua esplosione le aveva messo
tra i
pensieri, cercando di eludere la confusione ragionando in maniera
razionale.
Come
potevano quelle
parole essere vere, con tutto quello che le avevano fatto? Come poteva
essere
stato tutto un errore, un’incomprensione? Le persone non facevano fare
la fame
o minacciavano o rinchiudevano qualcuno per sbaglio… -No… no io non__
non posso
crederci, io__!-
-E
io non posso farvene
una colpa. Il modo in cui vi hanno trattata…- Zoe non riuscì a
continuare, e
abbassò gli occhi.
Sembrava…
mortificata –
era l’unica parola che a Ileana venisse in mente. Si rilassò un po’
quando la
Samurai la guardò di nuovo, lo sguardo pieno di dolore e compassione,
le mani
di nuovo tese verso di lei.
-Vi
scongiuro, milady,
credete a me: non avevamo idea di cosa stesse
succedendo. Se avessimo
sospettato una cosa del genere avremmo rimandato Reina indietro
all’istante. È
inaccettabile, e mi assicurerò personalmente che l’idiota reale non se
la cavi
con poco. Vi prometto che non verrà permesso a nessuno di farvi altro
male, ve
lo prometto.-
Ileana
sentì il respiro
spezzarsi in gola. Zoe suonava implorante, tormentata, sincera. Non
poteva
crederle, ma voleva – per Hedi, lo voleva… voleva
permettersi quel
barlume di luce, la speranza che avrebbe davvero rivisto la sua
famiglia, lo
voleva così tanto…
Era
difficile rimanere
diffidente, perché Zoe sembrava troppo onesta, e perché lei ne aveva
troppo
bisogno – aveva troppo bisogno di quel sorriso triste ma incrollabile,
di
quelle braccia amiche aperte per lei, della rassicurazione in quegli
occhi.
Aveva bisogno di quella gentilezza, di quel calore, della sicurezza che
promettevano.
Ne
aveva bisogno con la
stessa disperazione con cui aveva paura del morso della frusta che
avrebbe
condannato a morte la sua famiglia.
Leo,
Elise, Xander,
Camilla…
Non
disse niente, gli
occhi che la soppesavano, i denti che martoriavano il labbro inferiore.
Non
poteva, non poteva, non poteva crederle.
Gemette,
un suono
patetico che le sfuggì dalle labbra contro la sua volontà, e poté quasi
vedere
il cuore di Zoe spaccarsi di fronte a lei.
-Oh,
Ileana…- sospirò
quella, di nuovo dimentica di ogni formalità, con quell’accento così
diverso da
quello a cui era abituata – ma a Ileana non importava, non quando la
faceva
sentire così… così… al sicuro. -Non permetterò a
nessuno di farti del
male, in nessun modo, te lo prometto. Sarò lì tutto
il tempo, per
assicurarmene di persona. Così anche Kaze.-
Il
nome del Maestro
Ninja rintoccò nelle orecchie di Ileana. -Kaze?- ripeté, e si sarebbe
presa a
schiaffi da sola per il sollievo così evidente nella sua voce.
Kaze.
Kaze aveva
promesso. Kaze aveva promesso…
Zoe
annuì subito, quel
sorriso così triste farsi appena un po’ più speranzoso. -Sì. Credo che
voglia
esserci per poter mantenere la sua, di promessa. E io vi prometto di
aiutarlo a
mantenerla, se ce ne fosse bisogno.-
Ileana
non era più in
grado di pensare. Era come se gli ingranaggi nel suo cervello si
fossero
definitivamente inceppati, lasciandola ad annegare nella confusione.
-Non sai
nemmeno cosa mi abbia promesso.-
Il
sorriso di Zoe tornò
triste. -Da quello che ho potuto vedere, credo di essermene fatta
un’idea.-
Ileana
deglutì, ormai
completamente abbandonata contro il muro, a malapena in grado di stare
in
piedi. -E se ti ordineranno di farti da parte? Di non mantenere la
parola?-
-La
manterrò comunque.-
Zoe replicò, come se fosse scontato. Come se fosse scontato che, per
lei, per
mantenere quella minuscola – immensa – promessa, avrebbe disobbedito a
coloro a
cui aveva giurato di obbedire – per il
re, per il Drago e per la patria…
-Davvero?-
le domandò la
principessa, le spalle che tremavano, le parole che sanguinavano tanto
speranza
quando completo, paralizzante, cieco terrore.
-Davvero.-
Zoe annuì con
facilità, la voce salda e misurata.
Le
si avvicinò di un
passo, poi di un altro. Si fermò brevemente quando Ileana le mostrò i
denti in
avvertimento, ma non perse la calma e, alla fine, riuscì ad avvicinarsi
abbastanza da tendere un braccio per toccarla. Ileana chiuse subito gli
occhi,
come aspettandosi uno schiaffo, ma li aprì quando un asciugamano
soffice le
sfiorò il viso per cancellare tracce di lacrime che lei nemmeno si era
accorta
di aver pianto. Zoe sorrise allo sguardo stupefatto che le rivolse.
-Perché
non ci liberiamo
di questo asciugamano bagnato?- le propose, facendo un cenno verso la
panca su
cui la attendevano pazientemente gli abiti che le aveva trovato. -Sono
certa
che con dei vestiti puliti e i capelli asciutti starete molto meglio.-
Ileana
non credeva di
avere nemmeno la forza di rispondere, figurarsi di protestare. Lasciò
che la
Samurai si scostasse in modo che lei potesse barcollare fino alla panca
e
sedersi, e poi le permise di venirle vicino – troppo vicino, ma Zoe fu
bene
attenta a non toccarla mai pelle contro pelle, sapendo benissimo che
l’avrebbe
fatta scattare di nuovo.
Esaminò
i vestiti che la
Samurai l’aiutò ad infilare, uno alla volta. Il peso che le era gravato
sul
cuore da quando aveva capito che non avrebbe potuto avere le sue cose
si alleggerì
un poco quando notò che gli abiti che le aveva trovato erano decenti,
formali
e, soprattutto, che non sembravano troppo hoshijin: un top che le
lasciava
scoperto l’addome e parte delle spalle, ma che aveva lunghe maniche a
campana;
un paio di pantaloncini dal taglio obliquo, più lunghi sul lato esterno
–
arrivavano circa al ginocchio – e più corti sul lato interno; una
fascia nera
che Zoe le avvolse attorno ai fianchi, per coprire la pelle lasciata
esposta
dal top, con due nappe che arrivavano quasi a toccare terra. Un altro
po’ di
quel peso evaporò quando poté infilarsi i suoi stivali – Zoe era
riuscita a
farli diventare abbastanza presentabili da poter andare con gli altri
vestiti.
-Ci…
ci sarà anche lui?-
mormorò Ileana, appena udibile, mentre Zoe cominciava a spazzolarle i
capelli
per farli asciugare.
I
movimenti del pettine
rimasero costanti mentre pensava a cosa risponderle – non aveva bisogno
di
chiederle se stesse parlando del principe, o se si stesse riferendo
all’incontro con la regina. -È suo figlio. Nessuno ha il diritto di
lasciarlo
in disparte.-
Ileana
s’irrigidì,
incapace di sfuggire alla paura che le artigliò il cuore. Non voleva
vederlo.
Non voleva sentire i suoi occhi addosso, il suo odio strinarle la pelle
in
tutti quei punti su cui le sue mani avrebbero voluto lasciare la loro
impronta…
-Vi
prego, non abbiate
paura.- disse quella voce rassicurante, strappandola a quei pensieri –
ma non
apparteneva a Zoe.
Kaze.
Il
Maestro Ninja era
accoccolato sul pavimento di fronte a lei, abbastanza vicino perché
potesse
vedere la calma e la preoccupazione per lei in quei gentili occhi viola
– non
l’aveva sentito entrare. -Non vi farà del male. Nessuno vi farà del
male. Ve
l’abbiamo promesso, io come Zoe.-
Ah,
allora era rimasto
davvero a tenerla d’occhio. Ecco perché non l’aveva sentito: forse non
aveva
aperto nessuna porta, era solo scivolato fuori da un’ombra.
-L’avete
promesso.-
pigolò Ileana, abbassando gli occhi. -Lo farete davvero?-
-Davvero.-
Si
aggrappò a quella
risposta, perché ne aveva bisogno, aveva bisogno di credere che fosse
la verità
– aveva scommesso delle vite su quella promessa, non tanto la propria,
quanto
quelle della sua famiglia.
La
sua famiglia… per i
Sette, la sua famiglia…
-Dovremmo
andare.-
commentò Kaze mentre si rialzava in piedi.
Zoe
esitò, soppesando le
sue parole, scambiando con lui uno sguardo preoccupato che Ileana non
notò.
-Già. Immagino di sì.- concordò infine, ma le sue parole pesavano come
piombo.
Lasciarono
che Ileana si
mettesse in piedi da sola, rimanendo abbastanza vicini da poterla
aiutare, se
lei l’avesse chiesto, ma bene attenti a non toccarla. Lei non chiese
alcun
aiuto, quindi la guidarono fuori dai bagni e nel corridoio, Zoe ad
aprire la
fila e Kaze a chiuderla.
Ileana
li seguì mite,
incredibilmente silenziosa. Non riusciva a smettere di guardarsi
intorno,
intimorita dall’imponenza della Grande Muraglia, persino dall’interno:
i
corridoi che stavano imboccando erano tutti piuttosto stretti, ma le
pareti
s’inerpicavano tanto in alto da farle girare la testa quando cercò di
seguirle
fino al soffitto con lo sguardo.
Era
tutto così estraneo.
Certo, anche il Castello di Krakenburg le era sembrato imponente,
specie
l’esterno e la sala del Trono… ma all’interno era più contenuto, e
fatto di
pietra anziché di pannelli di legno laccato. L’aveva fatta sentire più
a casa,
forse perché era più simile alla sua Torre Nord. L’aveva fatta sentire
a casa.
Non
le piaceva il modo
in cui Suzanoh la faceva sentire – piccola, ed insignificante. Ne aveva
avuto
abbastanza di sentirsi insignificante.
Eppure
lo era,
insignificante, almeno per loro. Nulla più che uno strumento.
Ripensò
al principe, che
l’attendeva al fianco di sua madre, impaziente perché la regina si
decidesse a
permettergli di interrogarla – a permettergli di fare di lei qualunque
cosa
volesse.
Qualcosa
di freddo e
sgradevole le strisciò sulla pelle, lungo tutto il corpo. Lanciò uno
sguardo a
Zoe – di fronte a lei, tesa – e uno a Kaze – alle sue spalle,
silenzioso come
un’ombra, l’espressione del tutto neutra. Si erano adeguati al suo
passo e
camminavano lentamente, senza farle fretta, come se avessero tutto il
tempo del
mondo – non è che lei potesse scappare, comunque.
No,
non poteva scappare.
Non
avrebbe ottenuto
niente tentando la fuga – dopotutto, non sapeva nemmeno dove fosse, né
all’interno della fortezza né a Hoshido, in effetti, perché era
completamente
delirante quando l’avevano portata lì… non si ricordava nemmeno come ci
fosse arrivata.
Non aveva nessuna via d’uscita tranne la morte, ma anche per quello
avrebbe
dovuto contare su Zoe e Kaze perché lei, di modi per togliersi la vita
da sola,
non ne aveva più.
Gliel’avevano
promesso.
Le
avevano promesso che
avrebbero messo fino al suo dolore, se il principe avesse ottenuto il
permesso
di metterle addosso quelle sue mani impazienti. Aveva scommesso le vite
della
sua famiglia su quella promessa. Gliel’avevano promesso.
Di
certo non le
avrebbero fatto una promessa del genere cosicché lei s’incamminasse
buona e
zitta dritta alla sua stessa distruzione – non quando avrebbero
semplicemente
trascinarcela, no? Non avrebbero fatto una promessa del genere se non
avessero
voluto mantenerla…
…oppure…
Ileana
si fermò e si
appoggiò a un muro, fingendo di essersi fermata solo per riprendere
fiato –
Kaze e Zoe si fermarono con lei, senza mai rompere la formazione,
aspettandola
pazientemente. La mente di Ileana correva, come se gli ingranaggi
avessero
ripreso a lavorare all’improvviso e mille pensieri si stessero
accavallando,
inciampando l’uno sull’altro in un modo che le fece venire il mal di
testa.
Era
qualcosa che aveva
già considerato in passato, ovviamente – sepolta viva in quell’oscurità
sotterranea, aveva avuto tutto il tempo per pensare e ripensare ad ogni
possibilità, ad ogni spiegazione per quello che le stava succedendo.
Ovviamente
aveva già pensato che Kaze e Hinata fossero stati gentili solo per
convincerla
a fidarsi di loro e farle scappare tante piccole informazioni senza che
lei
nemmeno se ne accorgesse.
Aveva
scartato l’ipotesi
perché poi né Kaze né Hinata le avevano mai fatto alcuna domanda, che
allora le
era sembrato andare contro lo scopo stesso del trucco.
Ma
poi Zoe era entrata
in scena, con le stesse parole di rassicurazione sulla lingua, e con la
promessa della speranza lucente di tornare a casa e vedere di nuovo la
sua
famiglia.
Forse
non era mai stato
per avere informazioni, dopotutto. Forse era sempre stato solo per
convincerla
che sarebbe andato tutto bene, per convincerla a fidarsi di loro solo
per
guardarla andare in mille pezzi quando gliel’avrebbero strappata dal
petto,
quella speranza lucente.
Quello…
l’avrebbe
lasciata persino più indifesa, perché l’avrebbe spinta ad aggrapparsi
alla
vita, facendosi scivolare come acqua fra le dita ogni opportunità di
sottrarsi
a quel dolore e derubarli della loro preziosa fonte di informazioni.
…e
non era forse andata
così?
Si
premette due dita
fredde contro le tempie, e un fremito le percorse le mani. Per i Sette,
ci era
cascata. Si era tuffata di testa nella loro trappola. Aveva perso la
possibilità di morire alle proprie condizioni.
Ora
era tempo di morire alle loro.
-Non
vi sentite bene, milady?-
La
voce di Zoe le trapanò le orecchie, facendole fare un salto e
incespicare, e per poco non cadde. Rimase in piedi per un pelo, e
soffiò contro
le braccia pronte di Kaze a una spanna dal suo braccio. Il Maestro
Ninja sgranò
gli occhi di fronte a quel gesto ostile, e Ileana lo vide lanciare uno
sguardo
strano alla Samurai – un avvertimento.
-Non
preccupatevi, non manca molto. È… ci siamo quasi.- disse lei, cercando
di sorriderle, ma Ileana scoprì i denti in risposta.
È
quasi finita,
le era quasi sfuggito.
Invece
no. Non sarebbe stato così veloce. Sarebbe stato lungo e orribile e
doloroso.
A
meno che…
…a
meno che non avesse trovato il modo di far sì che la uccidessero prima
di cominciare, ovviamente.
Con
quel pensiero come unica sicurezza, Ileana si scostò dal muro ed annuì.
Le due guardie la guardarono, sorpresi, e si scambiarono un altro
sguardo.
Sembravano in ansia per qualcosa.
Quando
si voltarono e finalmente ripresero a camminare, Zoe le chiese:
-Ehm, avete detto che vorreste rammendare i vostri abiti? Quindi sapete
cucire?
Chi ve l’ha insegnato?-
Ileana
non sapeva se gliel’avesse chiesto per cercare di recuperare quella
connessione tra loro che doveva aver sentito di aver perso, o se era un
modo
per identificare altri possibili bersagli – persone da minacciare, a
cui dare
la caccia per torturarle e smembrarle di fronte ai suoi occhi, perché
quello
era ciò che il principe aveva promesso di fare…
Non
voleva rispondere. Non voleva dire a Zoe che sì, sapeva cucire, perché
Flora gliel’aveva insegnato – assieme a Camilla – dopo che Ileana
l’aveva
implorata, sentendosi tremendamente in colpa per costringerla
costantemente a
rammendare la sua tenuta da allenamento. Non voleva dire a Zoe di
quanto ci
fosse voluto alla Cameriera dai capelli azzurri per volerle bene – al
contrario
di Felicia, che era stata tutta sorrisi e dolcezza da che ne aveva
memoria. Non
voleva dire a Zoe che quel giorno aveva segnato la fine del loro
rapporto
servo-padrone per crescere in un tiepido cameratismo.
Perché
dirlo a Zoe avrebbe potuto mettere in pericolo Flora.
No,
no, no… non avrebbe condannato a morte un’altra persona. Già in troppi
erano in pericolo solo perché lei aveva ancora fiato in corpo.
Camilla,
Leo, Elise, Xander.
-So
cucire.- pronunciò, impassibile.
Qualcosa
nell’eco vuoto che era diventata la sua voce sembrò colpire Zoe,
perché si fermò e si volse, gli occhi pesanti che soppesavano,
scrutavano,
dubitavano. Si morse di nuovo l’interno di una guancia mentre rivolgeva
uno
sguardo preoccupato alla porta in fondo al corridoio, così vicina – ci
stava
ripensando? Stava provando pietà per lei? Avrebbe mantenuto la–?
No
– Ileana si rimproverò per il suo stesso pensiero, spegnendo con le
proprie mani quella piccola luce che aveva luccicato nella sua oscurità
–
niente più speranza. Non poteva permettersela, a dispetto di quanto
avrebbe
voluto riabbracciare la sua famiglia.
Non
li avrebbe rivisti. Mai più. Non poteva sperarci.
Poteva
solo sperare di morire, e sperare che accadesse prima che il
principe di Hoshido avesse avuto la possibilità di metterle addosso
quelle sue
mani impazienti – mani che volevano solo sentirla urlare e implorare e
tremare
nella sua stretta mentre le strappava parole direttamente dalla gola e
trasformandole in armi da usare contro coloro che lei più amava mentre
la
lasciava lì a sanguinare…
Guardò
anche lei la porta, temendo quello che l’aspettava oltre la soglia –
temendo il colpo di frusta che le avrebbe dato il benvenuto non appena
si fosse
aperta.
No,
no, non poteva permettere che accadesse. Non sarebbe morta alle sue
condizione, implorante ai suoi piedi. Sarebbe morta alle proprie
condizioni – comunque ai suoi piedi, ma per sua stessa decisione.
Doveva
costringerlo a ucciderla d’impulso. Doveva farlo scattare. A qualunque
costo.
-Zoe.-
sentì il richiamo di Kaze, e la porta si aprì.
Non
ci fu alcuna frusta a darle il benvenuto quando Ileana venne dolcemente
sospinta oltre la soglia, visto che le sue gambe non furono in grado di
fare
nemmeno quel piccolo passo.
La
luce che entrava dalla finestra la accecò per qualche istante,
facendole
stringere i denti – non era affatto abituata a tutta quella luce, e
dopo il
tempo passato nelle viscere della fortezza… beh, non si poteva certo
dire che i
suoi occhi la apprezzassero. Ricordava vagamente di aver gridato per il
dolore
quando Kaze e Hinata l’avevano portata fuori dalle segrete.
La
vista le tornò nel giro di poco, anche se poteva ancora vedere uno
strano alone sfocato ai margini del suo campo visivo, e tutta quella
luce
faceva pulsare più fastidiosamente la pressione nella sua testa.
La
stanza… la stanza non sembrava una camera di tortura. Sembrava un
qualunque salottino, piccolo ma elegante. Il mobilio non era niente di
troppo
ricercato, ma si vedeva comunque che si trovava nell’ala residenziale
della
fortezza: c’era un divanetto pieno di cuscini e delle poltroncine
dall’aspetto
semplice ma comodo. Un servizio da tè di porcellana era sistemato sul
tavolinetto di vetro al centro della stanza – quattro tazze. Lì dentro
c’erano
tre persone.
C’era
una donna seduta
sul divanetto: indossava un vestito bianco e blu bordato d’oro, e una
coroncina
a forma di sole che le scintillava tra i capelli neri. La regina
Mikoto. Quindi
Zoe aveva detto la verità – la regina era davvero venuta a parlarle.
…perché?
Seduto
accanto a lei
c’era un uomo alto e robusto, con una criniera di capelli scuri che gli
scendevano lungo tutta la schiena. Indossava un’armatura rossa sopra
degli
abiti bianchi, ed era circondato dalla stessa aura di calma sicurezza
che
avrebbe circondato un generale… tuttavia fu la pungente vibrazione di
energia
che percepiva provenire dalla spada al suo fianco che le fece capire
chi le
stava di fronte – era l’energia di un’arma sacra. Il suo rapitore era
il
secondo principe di Hoshido… quindi, chiaramente, di fronte a lei c’era
suo
fratello maggiore.
E
c’era anche lui,
ovviamente, proprio come Zoe aveva previsto. Appoggiato al muro proprio
dietro
quelli che erano i membri della sua famiglia, la guardava come un falco
avrebbe
guardato un uccellino dalle ali spezzate. Poteva sentire le sue minacce
bruciarle sulla pelle come l’odio bruciava rosso nei suoi occhi.
-Ileana.-
cominciò il
Maestro di Spada – aveva una voce profonda, e il sorriso sul suo volto
sembrava
gentile. -Benvenuta a Hoshido. Sono Ryoma, Alto Principe del regno. So
che hai
già conosciuto mio fratello Takumi. Ti presento mia madre, la regina
Mikoto.-
Ileana
lo fissò in
silenzio, non capendo esattamente che diamine stesse succedendo.
Si
era aspettata una
tortura. Si aspettava che lui sguainasse la spada e gliela spingesse
contro la
gola, si aspettava di sentire il potere che scorreva su quella lama
sprofondarle nella carne e farla a pezzi. Ma lui le stava parlando.
Sorridendo.
…perché?
Cercò
di aprire la bocca
per rispondere, ma non ne uscì alcun suono. Prima che potesse provare
di nuovo,
la regina si alzò, felice come se le fosse stato appena offerto un
regalo.
-Ileana.-
Non
c’era alcun titolo,
nessuna formalità nella voce della donna quando parve cantare il suo
nome –
c’era solo calore, un calore che lei non aveva mai sentito prima, il
tipo di
sollievo che si prova nel ritrovare qualcosa che si credeva perduto per
sempre.
Ileana
non poté
contenere il proprio stupore quando alzò lo sguardo e incontrò il
sorriso
estatico della regina mentre quella si alzava e faceva un piccolo,
esitante
passo verso di lei, le braccia aperte di fronte a sé come se volesse
abbracciarla.
Ileana
fece un passo
indietro, d’istinto, sentendo il respiro spezzarsi rumorosamente in
gola.
La
regina si fermò
subito ed abbassò le braccia, ma il sorriso non le abbandonò il volto.
-Oh,
perdona la mia impazienza, tesoro… non volevo spaventarti. Ma è passato
così
tanto tempo che non sono riuscita a trattenermi. Ti prego, avvicinati.
Siedi
accanto a me.-
Ileana
era troppo
scioccata per discutere, troppo scioccata per parlare. Si limitò a
seguire la
donna mentre tornava a sedere sul divanetto, a malapena conscia dei
propri
movimenti. Non aveva alcun controllo sul proprio corpo mentre i suoi
piedi le
facevano fare quei due passi per raggiungerla – e i cuscini le
sembrarono
spaventosamente alieni, dopo tutto quel tempo costretta a strisciare
sulla
roccia e nella polvere.
L’Alto
Principe le
rivolse un ampio sorriso mentre si accomodava su una delle poltroncine.
Lo
intravide invitare il fratello a fare lo stesso, ma il Cecchino scrollò
le
spalle, preferendo restare appoggiato al muro, gli occhi ben fissi
sulla sua
preda. Ileana sentì il cuore battere un po’ più in fretta sotto quello
sguardo
di brace e la pressione nella sua testa – la stessa che le aveva
schiacciato i
pensieri nei bagni – parve gonfiarsi – proprio come nei bagni.
Fu
la voce della regina
a costringerla a distogliere l’attenzione da lui. -Tesoro? C’è qualcosa
che non
va?- i suoi occhi scuri andarono da lei al figlio, e quando tornarono
da lei
erano accompagnati da un sorriso rassicurante. -So che tu e Takumi
siete
partiti col piede sbagliato, ma ti assicuro che non hai niente da
temere. È qui
per darti il bentornato a casa!-
Casa.
Nohr
era casa sua. Non
quel posto. Non con quelle persone.
Che
diamine stava
succedendo?!
-Io…-
un brivido le
corse lungo la schiena, rendendola ipersensibile a tutto. Le sembrava
di avere
la bocca asciutta, ma si sforzò di parlare nonostante le labbra
screpolate le
facessero male. -…io non so di cosa stiate parlando. Io non vi conosco.-
La
gioia sul volto della
donna appassì in un istante.
Anche
il volto dell’Alto
Principe si era fatto più grave, e lo notò quando le sue parole
attirarono la
sua attenzione. -Tu… non ti ricordi di lei? Per niente? O di me, o… di
questo
posto?-
Ileana
lo guardò come
avrebbe guardato un’aragosta parlante.
-Io…
no. Come…- aveva
passato quattordici anni della sua vita rinchiusa nella Torre Nord,
come
avrebbe potuto conoscere la regina di Hoshido? -…come potrei?-
Qualcosa
andò in pezzi
nell’espressione dell’Alto Principe a quelle parole. Sembrava che fosse
sul
punto di dirle qualcosa, ma niente di buono – aveva le spalle tese, la
mascella
serrata, le mani strette a pugno. Ileava vide un sorrisino sulle labbra
del
secondo principe quando si girò, chiedendosi come mai il suo sguardo
era
diventato talmente intenso da poterlo sentire pungerle la pelle.
La
regina alzò una mano,
disperdendo la tensione che era andata montando in quella stanzetta.
Sorrise
alla principessa, ma con amarezza. -Immagino… immagino che sia
comprensibile.
Era così piccola, dopotutto…- la sua mano si tese per accarezzare
quelle di
Ileana, maledettamente pallide contro gli abiti scuri che indossava, ma
lei le
nascose nelle pieghe delle maniche. -Ileana, io sono tua madre.-
Sua
madre.
Ma
certo che Ileana
aveva chiesto di sua madre, da piccola, dopo aver sentito per caso una
chiacchierata tra Flora, Felicia e Jakob che parlavano dei loro
genitori. Si
era precipitata da Xander alla prima occasione e gli aveva chiesto chi
fossero
i suoi genitori. Lui le aveva parlato di un uomo affettuoso ma severo
di nome
Garon. Lui le aveva parlato di una donna bellissima, dolcissima e
letale di
nome Katerina.
La
regina Katerina era
stata un Cavaliere Malig, e una della più amate regine nohriane di
sempre. Era
stata temibile con un tomo ed impietosa con un’ascia. Aveva lasciato
giocare
Leo con la magia per la prima volta, e Camilla la ammirava talmente
tanto da
averne fatto il suo modello di vita, a cui tutt’ora tentava di
somigliare.
Elise non si ricordava di lei, perché era stata troppo piccola quando
la regina
era stata portata via da una malattia che aveva messo in pericolo anche
Ileana –
e per quello l’avevano allontanata, perché potesse allenarsi in pace e
al
sicuro: nessuno voleva correre il rischio di vederla ammalarsi.
Xander
le aveva
raccontato tutto di Katerina. Le aveva raccontato che le aveva voluto
un bene
immenso, che aveva gli stessi capelli di Camilla e gli stessi occhi
verdi e
luminosi di Ileana. Le aveva raccontato che vegliava ancora su di lei,
e quando
Camilla lasciava Ileana a giocare con Marzia, che era stata la compagna
di
Katerina, lei non poteva che credergli.
La
donna che le sedeva
di fronte non era sua madre.
-Sono
figlia di re Garon
e della regina Katerina. Io sono nohriana.- disse, la voce
sorprendentemente
chiara per via di una rabbia distante e indefinita.
Poté
sentire il secondo
principe reagire al suo diniego, raddrizzandosi e allontanandosi dal
muro di
qualche passo, più vicino, gli occhi che mandavano lampi.
-Oh,
bambina mia…-
sospirò la regina, e Ileana comprese che avrebbe voluto prenderle il
viso dalle
mani – ma si trattenne, e grazie ad Hedi, perché lei proprio non sapeva
come
avrebbe potuto reagire al contatto. -Garon e Katerina non sono i tuoi
genitori.
Non biologicamente parlando, almeno.-
Ileana
la fissò in
silenzio, la pressione pulsante nella testa che si faceva più intensa,
scorrendole nel corpo, facendole indolenzire le mani e appannare gli
occhi.
Niente
aveva più senso.
Si era aspettata delle torture, o almeno delle domande sulla battaglia
all’Abisso, come Zoe le aveva anticipato. Ma no: la regina le stava
dicendo di
essere sua madre – le stava dicendo che l’Alto Principe e il giovane
che
l’aveva tormentata, minacciata e che voleva ucciderla erano i suoi
fratelli.
-Immagino
che questo
debba essere uno shock per te…- disse l’Alto Principe, intercettando lo
sguardo
stravolto che lei gli aveva dedicato. -…ma ti assicuro che dice il
vero. Sei
hoshijin. Sei stata portata via da noi quando eri piccola. Siamo noi la
tua
famiglia…-
No.
Lei
era nohriana. Xander
e Leo erano i suoi fratelli, Camilla ed Elise era le sue sorelle – loro
erano
la sua famiglia.
Quel
posto non era casa.
Quelle persone non erano casa. Perché insistevano a dirle il contrario?
Riusciva
a malapena a
respirare, ormai, il cuore che sembrava esserle impazzito nel petto, la
pressione trasformatasi in rovi che le affondavano nella testa. C’era
qualcosa
che non andava con i suoi occhi – la nebbia ai margini del suo campo
visivo
sembrava aver preso vita e scintillava.
Eppure
nessuno sembrava
notare quanto stesse male, perché l’Alto Principe e la regina
continuarono a
parlare – o era davvero brava a fingersi composta, oppure semplicemente
non gli
importava nulla di come stesse.
-Non
sapevamo cosa
pensare: ci aspettavamo che fossi stata presa in ostaggio, o come
prigioniera
politica, ma non abbiamo mai avuto tue notizie.-
-Siamo
stati tanto in
pena per te… ma ora sei tornata…-
Ostaggio.
Prigioniera politica.
Ma
erano loro che la
stavano tenendo in ostaggio. L’avevano trattata anche peggio di una
prigioniera
politica – di certo non come una bambina appena ritrovata dopo anni e
anni e
anni di agonia…
-No.-
Ileana soffiò, e
poi aggiunse, a voce più alta: -È tutto sbagliato. Un errore.-
Le
sue parole ridussero
tutti al silenzio. Poteva sentire i loro occhi addosso, le la
soppesavano, che
si interrogavano, che sussurravano – poteva sentire gli occhi del
secondo
principe addosso, impazienti, ostili, soddisfatti. Il suo sguardo era
una
presenza fisica, dolorosa. Lo odiava, odiava sentirlo addosso in quel
modo.
Ormai quel battito nella sua testa le era dilagato per tutto il corpo,
facendola tremare.
-Nessun
errore, Ileana.-
dichiarò l’Alto Principe.
Il
dolore nei suoi occhi
era lo stesso del sorriso che la regina le rivolse, mentre diceva: -Hai
un
segno all’interno del polso sinistro – una spruzzata di nei che
ricordano la
costellazione della Lira. Hai sempre detto che indicava il tuo destino
di musicista.-
Qualsiasi
colore rimasto
sul volto di Ileana scomparve a quelle parole.
-Come__-
lei aveva un
segno all’interno del polso sinistro, tale e quale a quello descritto:
un
insieme di nei messi quasi nello stesso modo delle stelle che formavano
la
Lira. Come poteva saperlo, la regina, sapere che lei credeva che la
destinasse
ad un futuro di musica? D’accordo, magari non era un sogno così
originale,
però… -N_non è possibile.-
-Ma
è la verità,
milady.-
Kaze.
Si
voltò verso il
Maestro Ninja, che aveva fatto un passo verso di lei, le mani tese di
fronte a
sé. Sembrava preoccupato, e Ileana immaginò che potesse vedere le mani
che le
tremavano, sentire il respiro irregolare. La sua voce era calma mentre
spiegava: -Siete stata rapita a Cheve, quattordici anni fa. Re Garon e
Re
Sumeragi avrebbero dovuto incontrarsi a Cheve per discutere un nuovo
trattato
di pace… ma appena entrati in città finimmo dritti in una trappola.
Uccisero il
nostro re, e rapirono voi.-
La
voce dell’Alto
Principe era tutto meno che calma quando aggiunse: -Io c’ero, Ileana.
Nostro
padre mi portò con lui perché re Garon aveva suggerito che anche i
principi
ereditari di entrambi i regni avrebbero dovuto partecipare, come prova
di buone
intenzioni. Ti abbiamo portata perché avevi appena compiuto quattro
anni.
Doveva essere un regalo di compleanno.-
I
principi ereditari.
L’Alto
Principe di
Hoshido.
Il
Principe Ereditario
di Nohr.
Xander.
-Bugiardo.-
Ileana gli
soffiò contro, incredula. Sentiva i tremiti scuoterle il corpo, la
pelle
bruciare, la testa spaccarsi – si sentiva come se una tempesta le
stesse
montando dentro, come tante si erano addensate fuori dalla sua
finestra, a
casa, a Nohr, alla Torre Nord. -Lui non c’era. Mio fratello, lui non…
mai…-
Bugiardo.
Ne era sicura.
Xander
non avrebbe…
potuto, mai…
L’Alto
Principe
ridacchiò, cattivo. -Parli del Principe Ereditario di Nohr? Credimi,
c’era
eccome. Armato fino ai denti, come tutti i suoi soldati. E non è tuo
fratello.-
All’improvviso,
chiarezza.
Stavano
cercando di metterla contro la sua famiglia.
Dopotutto,
perché
torturarla e ucciderla, rischiando di scatenare una guerra, quando
avrebbero
semplicemente potuto piegarle la mente con quelle orribili bugie per
farla
rivoltare contro i suoi cari? Avrebbero ottenuto tutte le informazioni
che
potessero desiderare, persino di più di quante ne avrebbero avute da un
interrogatorio, oltre ad un ottimo ascendente da usare contro il Trono
di
Spine, per colpire la sua famiglia al cuore, dove faceva più male.
Era
sempre stato quello,
il loro piano? Tormentarla con le cattiverie e farla impazzire con le
gentilezze, per farla correre tra le loro braccia al primo segno di
affetto,
dopo distrutta e terrorizzata al punto che non si sarebbe fatta domande?
Sentì
il sangue farsi
ghiaccio nelle vene.
Per
i Sette, ci era
quasi cascata, comprese con orrore, ripensando a quanto avesse voluto
l’abbraccio di Zoe, le carezze di Kaze – facevano parte anche loro del
piano?
Oh, ma certo che ne facevano parte.
Era
stata tutta una
bugia, una ragnatela di false promesse tesa a incatenarla, trappole di
affetto
per farla impazzire. Ma certo che non gli importava di lei. Si erano
occupati
delle ferite che le erano state inferte trascinandola nel fango perché
era il
loro lavoro, niente di più.
Ora
sarebbe stato il
loro lavoro tenerla ferma – perché ovviamente l’avrebbero condannata a
morte,
appena si fossero accorti che quell’orrendo giochetto non aveva
funzionato. Era
naturale che toccasse a loro legarla, imbavagliarla, gettarla a terra
così che
il loro principe potesse torreggiare su di lei.
L’energia
che le
scorreva in tutto il corpo sembrò esplodere quando la pressione nella
sua testa
aumentò ancora, tanto da farle stringere i denti, e sentì quello
sguardo
maledetto come una lama – e sentì il suo odio.
Quell’odio
era la sua
unica speranza, comprese. Era il momento, il momento di farlo scattare.
Il
momento di morire.
Probabilmente
avrebbe
cercato di prendere la spada di suo fratello, di strappargliela,
intenzionato
ad affondargliela nel petto, nel cuore, fino all’elsa. Avrebbe
bruciato,
comprese, avrebbe fatto male.
Ma
sarebbe stato veloce.
Era la sua unica possibilità.
La
sua unica possibilità
di tenere al sicuro la sua famiglia.
Xander.
Camilla. Leo.
Elise.
Qualcosa
di caldo le
scivolò lungo l’energia incontenibile che era diventata la sua pelle, e
si
sentì andare in pezzi.
Rise.
.
Rise,
e in
quell’orribile risata Zoe vide qualcosa che non avrebbe dovuto essere
lì:
rassegnazione.
Guardò
Kaze, allarmata
dall’espressione distorta che si stava lentamente disegnando sul volto
di
Ileana, e scorse una scintilla di panico anche nello sguardo dell’amico
– anche
Kaze aveva visto, anche Kaze percepiva i capelli
sulla nuca drizzarsi
mentre un’energia che entrambi avevano già avvertito nei bagni sembrava
contorcersi nell’aria intorno a loro.
Non
era strano che un
mago arrivasse a quel punto. Quando le emozioni prendevano il
sopravvento la
loro magia reagiva sovraccaricando l’energia presente nell’aria, nel
loro
corpo, riverberandosi in quello che li circondava: Ileana aveva dato
prova di
essere allo stremo della sua resistenza già prima, quando l’acqua delle
vasche
aveva reagito alla sua tensione e aveva inzaccherato tanto la Maga
quanto Zoe… ma
certo, rifletté la Samurai, riportando la propria attenzione
sulle mani
tremanti della principessa: Ileana non aveva potuto scaricare la
propria
tensione utilizzando la magia, nei giorni di prigionia, e di certo la
sua mente
aveva avuto tutto il tempo per partorire chissà quali incubi…
Forse
avrebbe dovuto
avvertire Ryoma, oppure la Regina: non sembravano consci di quanto
Ileana fosse
in procinto di esplodere, di quanto tutte le informazioni che le
avevano
rovesciato addosso la stessero mandando fuori di testa.
-Siete
solo dei
bugiardi.-
Zoe
sobbalzò, alzando
gli occhi appena in tempo per vedere la smorfia crudele della
principessa di
Nohr, per vederla scoprire i denti come già aveva tentato di fare con
lei, per
cogliere un riflesso di trionfo nel volto in penombra di Takumi.
-Pensavate
davvero che
ci sarei cascata?-
Crack.
Le
porcellane
ordinatamente esposte sul tavolino si incrinarono, e lady Mikoto
sobbalzò:
tentò di allungare una mano verso Ileana, ma la principessa si ritrasse
come se
avesse tentato di colpirla.
-Ileana,
non__- tentò di
richiamarla, ma tutto ciò che ottenne come risposta fu un ringhio
strozzato.
Zoe
portò istintivamente
la mano alla propria spada, costringendosi a distogliere lo sguardo per
assorbire tutta la situazione: Ryoma sembrava confuso, lady Mikoto era
chiaramente sconcertata, mentre Takumi… Takumi sorrideva.
Con
la coda dell’occhio
guardòKaze, la sua espressione accuratamente impassibile, i suoi
muscoli tesi –
era pronto ad intervenire, ma non sembrava essere in procinto di
estrarre
un’arma…
-Non
mi userete contro
la mia famiglia.- Ileana si alzò in piedi, traballante, ed in quel
momento fu
chiaro anche a Ryoma e alla Regina quanto fosse debilitata: tremava,
tremava così
violentemente che sembrava sul punto di crollare, una luce folle negli
occhi
verdi ed il terrore scritto in ogni angolo del suo volto.
-Mi
fate schifo, voi e i
vostri giochetti.-
Quando
Ileana si voltò,
girando attorno al tavolino e fermandosi accanto a Mikoto, direttamente
davanti
a Takumi, Zoe avrebbe voluto urlare.
Doveva
intervenire.
Takumi
non si sarebbe
fermato. Takumi stava sorridendo. Takumi avrebbe…
Ileana
lo guardò, e
nella sua voce Zoe sentì la disperazione mescolarsi al veleno.
-Contento,
adesso? Cosa
aspetti, principino? Non vuoi provare a stuprarmi davanti alla tua cara
mammina?- insinuò, allungando una mano verso la guancia della Regina
per
sfiorarla con una carezza orribile, malata, mentre l’orrore che aveva
appena
pronunciato sembrò riempire di crepe l’espressione contenuta della
donna.
…cosa
aveva fatto?
Zoe
guardò Kaze,
sconvolta – e, nello stesso momento, il tavolino di vetro andò in mille
pezzi.
-Maledetta
cagna
schifosa!- ruggì Takumi, furioso, e poi tutto successe troppo in fretta
per
riuscire a fermarlo.
-Takumi!-
Ryoma ruggì,
balzò in piedi… ma troppo, troppo tardi.
Lei
e Kaze si lanciarono
in avanti quando l’urlo animalesco di Ileana sovrastò persino il suono
del
cristallo in frantumi.
Takumi
si scagliò su
Ileana con un ringhio disarticolato che gorgogliava in gola e lei si
voltò,
incespicando per sfuggire alle mani che il principe aveva teso per
tentare di
afferrarla – se Takumi l’avesse presa… se le avesse messo le mani
addosso…
No.
Gliel’aveva
promesso.
Zoe
lasciò che la superasse
– Kaze era dietro di lei, si sarebbe occupato di Ileana, con lui
sarebbe stata
al sicuro – e si buttò contro Takumi: era più veloce di lui, più agile
di lui,
e non fu affatto difficile afferrargli il polso teso minacciosamente
verso
Ileana.
Lo
torse con violenza,
strappandogli un versaccio di dolore quando sfruttò la sua stessa
veemenza per
farlo girare su se stesso e bloccargli il braccio dietro la schiena,
spingendolo subito lontano da sé e da Ileana.
Serrò
rapidamente le
mani sulla katana e ne estrasse un palmo, bilanciandosi sulle gambe per
prepararsi a qualunque reazione, senza smuoversi nemmeno di un passo
dalla
propria posizione quando Takumi, furioso, recuperò l’equilibrio e si
volse – e
non c’era niente, del suo amato fratellino, in quella faccia stravolta
dall’ira… e allora non ci sarebbe stato nemmeno nulla di lei: tirò
indietro le
orecchie, serrò le labbra e assottigliò le palpebre, lasciando che
l’addestramento impresso nei suoi muscoli avesse la meglio, che
cancellasse
ogni traccia della confusione che provava.
-Levati
di mezzo!- la
aggredì il principe, avanzando e fermandosi soltanto quando si trovò ad
un
soffio dal viso di Zoe. Lei però rimase immobile, impassibile, la mente
fredda
e calma che calcolava rapidamente ogni alternativa.
-No.-
rispose,
sopportando l’ira ed il baluginio di follia che poteva scorgergli negli
occhi,
cogliendo il fremito nelle sue mani – come se volesse colpire anche
lei, come
se si stesse trattenendo per non farle fare la stessa fine della
principessa
che aveva deciso di proteggere.
-È
un maledetto ordine,
Zoe!-
Qualcosa
urlò, dentro di
lei, ma non aveva tempo di ascoltarlo: incassò le spalle, spostò la
mano
dominante più in alto sulla tsuka e si preparò
all’attacco che sembrava,
ormai, inevitabile – quando una mano guantata di rosso si chiuse sulla
spalla
di Takumi e lo tirò violentemente indietro.
-BASTA!-
Il
ruggito di Ryoma
sovrastò tutto il resto.
Inconsapevolmente,
Zoe
tirò fiato, travolta da un fiotto di sollievo nel guardare l’Alto
Principe
strattonare Takumi per allontanarlo da lei, spingendolo indietro e
frapponendosi a sua volta fra il fratello e Zoe così come lei aveva
fatto per
Ileana.
Si
arrischiò a lanciare
una rapidissima occhiata alle proprie spalle, approfittando della
protezione
offerta dalla figura possente di Ryoma, trovandosi davanti ad un’Ileana
in
lacrime, tremante e sconvolta, aggrappata disperatamente al petto di
Kaze.
-Avete
promesso… me
l’avete promesso…- singhiozzava, fra le braccia di Kaze, mentre le
lacrime le
scendevano copiose lungo le guance e le sue dita artigliavano gli abiti
del
Maestro Ninja che la cullava con gentilezza, che le mormorava qualcosa
all’orecchio con quel suo tono rassicurante – ma Zoe non riuscì a
cogliere le
sue parole, perché le urla di Ryoma e di Takumi sovrastavano tutto il
resto.
-Ragazzi!-
Il
silenzio calò
all’improvviso.
Lady
Mikoto si era
alzata in piedi e si era rivolta ai suoi figli, sedando le loro grida
semplicemente pronunciando i loro nomi con quella sua voce che, per la
prima
volta, Zoe aveva percepito venarsi d’acciaio: tutti e due la
guardarono,
confusi e apparentemente dimentichi di tutto il resto, la quiete
repentina
spezzata soltanto dai singhiozzi della principessa.
-Non
adesso.- continuò
la Regina, occhieggiando i due principi fino a che Ryoma, riscossosi
dalla
sorpresa, afferrò Takumi per la giacca e lo tirò verso l’angolo più
lontano,
ignorando i suoi deboli tentativi di divincolarsi. -Sono certa che
questo sia
soltanto un grande fraintendimento.-
No,
avrebbe
voluto dirle
Zoe, non c’era nessun fraintendimento.
Takumi
aveva torturato
Ileana, l’aveva costretta a marcire in una cella buia, l’aveva
insultata e
l’aveva minacciata di qualcosa di tanto orribile che Zoe nemmeno voleva
pensarci: niente di tutto ciò era fraintendibile, era tutto così
chiaro, così
lampante, e per un istante trovò profondamente irritante il tentativo
di
calmare gli animi della Regina.
Quella
era sua figlia,
dannazione…
avrebbe dovuto arrabbiarsi, urlare, fare qualcosa! Avrebbe dovuto
rimproverare Takumi, cacciarlo da quella stanza perché non si
avvicinasse
nemmeno lontanamente ad Ileana!
Zoe
digrignò i denti, ma
si sforzò di non far trasparire nulla quando lady Mikoto girò su se
stessa e si
avvicinò di un passo a loro, a Kaze, a Ileana.
-Ileana?-
chiamò,
dolcemente, ma Zoe sentì soltanto un pianto più intenso provenire dal
fagotto
di lacrime che Kaze stringeva al petto.
-Vi
prego… per favore,
voglio soltanto andare a casa mia…- ripeteva, una cantilena continua e
straziante che avrebbe ferito chiunque con un minimo di sensibilità
nell’animo,
di gentilezza.
-Madre,
per favore! Non
avvicinarti!-
Zoe
scoprì i denti,
trattenendosi dal ringhiare a sua volta, fulminando Takumi con lo
sguardo.
Come
osava? Come poteva?
Doveva soltanto vergognarsi di se stesso, doveva soltanto tacere e
sperare di
non trovarla mai più da sola perché dei, quanta
voglia aveva di fargli
provare almeno un minimo della sofferenza che aveva imposto a quella
ragazza
innocente – a sua sorella…
Lady
Mikoto però
sorrise: un sorriso pieno di dolore, un sorriso sofferto, un sorriso
che Zoe
scorse incrinarsi quando si voltò per un istante a guardare suo figlio.
-Mio
adorato Takumi, lei
non è pericolosa. È soltanto spaventata.- mormorò, prima di fare
qualche passo
per avvicinarsi alla principessa. -Tesoro?- chiamò di nuovo, ma Ileana
si
contorse fra le braccia di Kaze come se volesse sparire, come se quello
fosse
l’unico posto sicuro, per lei, in quell’incubo in cui era stata
scagliata.
-No!
Non vi avvicinate!
Non mi toccate!- strillò, e Zoe istintivamente si avvicinò a Kaze,
tentando di
rimanere il più possibile vicina ad Ileana senza che lei percepisse il
suo
gesto come un’aggressione.
Lady
Mikoto esitò,
alzando lo sguardo per scambiare una fugace occhiata con il Maestro
Ninja.
-Non
lo farò. Non
preoccuparti, va tutto bene.- continuò, e nella sua voce c’era qualcosa
di
rasserenante, di pacifico, come se nelle sue parole fosse nascosta una
ninnananna… -Per favore, Ileana, respira. Non hai nulla da temere, non
ti
succederà nulla. Sei sotto la mia protezione.-
Ileana
si arrischiò ad
alzare il viso per sbirciare la Regina, ma Zoe davvero non riuscì a
sopportare
quella vista: era stravolta, le sue guance erano rosse e rigate dalle
lacrime
che non sembrava in grado di fermare, i suoi occhi erano gonfi e le sue
labbra
tremavano violentemente.
-Vieni,
perché non ti
siedi su una delle sedie?-
-Lady
Mikoto.-
Zoe
sentì quelle parole,
sentì la fermezza in quella voce, ma per un istante credette che fosse
stato Kaze
a parlare: soltanto quando Mikoto la guardò, con la tristezza nello
sguardo e
un sorriso tirato che s’incrinava, comprese di essere stata lei
a
intromettersi, a fermare la Regina prima che potesse convincere Ileana
ad
avvicinarsi.
Mikoto
però non si incupì,
nonostante la sua intromissione potesse benissimo essere considerata un
oltraggio vero e proprio: posò una mano sulla spalla della Samurai e
strinse
appena, delicatamente, nonostante sotto il suo tocco Zoe si fosse
irrigidita
all’improvviso.
-Non
c’è nulla da
temere, Zoe. Non le farò del male.- la rassicurò, ma Zoe voltò la testa
per
lanciare un’occhiataccia ai due principi, a Takumi che la fissava,
furibondo,
nonostante Ryoma gli bloccasse quasi completamente la visuale.
-Ma
lui sì.- commentò,
sentendo quelle parole bruciare in gola come braci ardenti.
Senza
un’altra parola,
senza guardare la Regina, si scostò, avanzando con passo deciso per
andare a
piazzarsi fra Ryoma, Takumi e il mobilio in modo che, se quell’idiota
avesse
dato di matto un’altra volta, sarebbe potuta intervenire immediatamente.
Percepì
addosso il peso
dello sguardo di Mikoto, sentì il sospiro strozzato e sofferente che le
sfuggì,
ma non si voltò nemmeno quando Kaze accompagnò Ileana verso una delle
sedie
imbottite, sostenendola finché non vi si sedette – non aveva bisogno di
guardare per sapere che cosa stava succedendo; i suoi occhi dovevano
rimanere
lì dov’erano, a sopportare la furia in quelli di Takumi, a tenerlo
d’occhio per
impedirgli di fare qualsiasi cosa gli saltasse in mente.
-Ileana…
capisco che tu
sia scioccata. Tutto questo dev’essere davvero duro per te.-
Finalmente,
pensò Zoe. Finalmente
qualcuno aveva deciso di accorgersi di quanto Ileana avrebbe avuto
bisogno di
riposare, di rimettersi in sesto, prima di rovesciarle addosso tutto
quanto…
come potevano aver pensato che fosse una buona idea? Era cresciuta
lontano da
tutti loro, in un altro posto, con un’altra famiglia, possibile che
soltanto
lei – che aveva pregato per il suo ritorno per anni ed anni – se ne
rendesse conto?
-Per
favore, dimmi che
cosa posso fare per aiutarti.- continuò Mikoto, con il tono gentile e
pacato
che Zoe spesso usava per calmare i pegasi imbizzarriti.
-Voglio…
voglio mio
fratello.- la pregò Ileana, con una voce talmente debole ed esausta che
Zoe
quasi riuscì a cogliere l’espressione di Kaze incupirsi ancor di più.
-Voglio
parlare con Xander.-
Suo
fratello…
Zoe si morse le
guance, prendendo un profondo respiro per cercare di calmarsi.
Era
normale che volesse
suo fratello. Anche lei, al suo posto – se lo avesse avuto,
se fosse ancora
stato se stesso, se non fosse andato completamente fuori di testa
– avrebbe
voluto suo fratello, quello che per tutta la vita aveva chiamato
fratello…
-Ed
allora lo manderemo
a chiamare.-
Uno
sguardo diverso pesò
improvvisamente su di lei, mutando nella sua percezione di ciò che la
circondava; Zoe si voltò rapidamente, sorprendendosi di scorgere una
profonda
gratitudine in un paio d’occhi verdi che si erano posati su di lei alle
parole
di lady Mikoto – e le sorrise, le sorrise nonostante si sentisse morire
dentro,
perché Ileana non meritava altro che gentilezza dopo tutto quello che
era stata
costretta a subire.
-Orochi?-
con la coda
dell’occhio, Zoe scorse la porta aprirsi e la figura di sua madre
sgusciare
all’interno della stanza; alle sue spalle, abituata com’era a cercare
le tracce
dei ninja nelle ombre, poté quasi distinguere le espressioni allarmate
di Saizo
e di Kagero, che subito scomparvero dietro il pannello scorrevole.
-Mia
cara, hai uno dei
tuoi incantesimi con te? Vorrei mandare un messaggio a Re Garon
immediatamente.-
domandò la Regina, ed Orochi annuì, spalancando immediatamente la borsa
che
portava sempre con sé.
-Ma
certo.- affermò,
estraendo immediatamente un rotolo di pergamena che Zoe sapeva essere
imbevuto
di magia, una penna e un calamaio. Sua madre si avvicinò a lady Mikoto,
passandole accanto e sfiorandole appena il braccio con una carezza
accennata,
delicata come un alito di vento.
Dei,
quanto avrebbe
voluto un abbraccio della sua mamma.
Zoe
digrignò i denti,
scacciando quel pensiero e reprimendo le lacrime che le bruciarono
repentinamente negli occhi: non aveva tempo di concentrarsi su quelle
cose, in
quel momento. C’era qualcuno che aveva bisogno di lei, Ileana
aveva
bisogno di lei, e lei non avrebbe fallito.
Aveva
promesso.
-Ecco!-
-Meraviglioso.-
ringraziò Mikoto, ed Orochi si ritirò immediatamente, spostandosi
appena dietro
a Kaze. -Ileana, posso sedermi accanto a te? Vorrei che tu vedessi che
cosa sto
per scrivere.-
Zoe
s’irrigidì, ma si
morse la lingua quando Ileana rispose prima che lei potesse intervenire
di
nuovo.
-Io…
sì, può andare.-
-Ottimo.-
Per
qualche minuto, gli
unici suoni in quella stanza furono quello del pennino che grattava
sulla
pergamena e il respiro irregolare di Ileana; Zoe si concentrò su
quello, su
quegli ansiti affannati e sugli occasionali singhiozzi che sfuggivano
alla
principessa, perché se avesse pensato a qualsiasi altra cosa
sapeva che
non sarebbe stata in grado di rimanere impassibile.
Rimase
immobile,
aggrappata alla sua spada, l’unica ancora in quel mondo che
improvvisamente
aveva perso tutto ciò che lei aveva sempre considerato stabile e
inamovibile –
Takumi sembrava aver perso se stesso, la Regina non sapeva come
comportarsi,
Ryoma sembrava ancora più confuso di lei… e poi, dov’erano finite tutte
le sue
paure, quelle che l’avevano inseguita durante il viaggio per giungere a
Suzanoh?
Aggrottò
le
sopracciglia, perplessa.
Non
ci aveva pensato,
fino a quel momento, troppo impegnata a cercare di sistemare i danni
che Takumi
aveva fatto, ma… perché il pensiero di avere davanti la bambina di cui
aveva
così pochi ricordi, ma per cui aveva combattuto così tanto, non l’aveva
nemmeno
sfiorata?
Si
era aspettata che
tutte le sue antiche ossessioni – quelle che si erano celate nelle
parole dei
nobili, contro cui ogni giorno lei lottava per costringerle a tornare
al loro
posto, che aveva combattuto per forgiare nella determinazione di cui
andava
tanto fiera – sarebbero tornate a galla dinanzi ad Ileana, che avrebbe
dovuto
sopportare l’aggressione di quei pensieri velenosi ancora una volta, ma…
Il
sospiro soddisfatto
di lady Mikoto spezzò quella temporanea, fragile quiete, strappandola
ai suoi
pensieri.
-Vuoi
che aggiunga
qualcosa da parte tua? Cosicché sappiano che sei al sicuro?-
-Non…-
Ileana esitò, e
Zoe dovette lottare con se stessa per non lasciarsi sfuggire un
sorriso: era
quasi certa che, nella sua mente, Ileana stesse cercando qualcosa da
aggiungere
che non potesse compromettere nessuno dei suoi fratelli. -Solo…
potrebbe dirgli
che quando arriverà qui, andremo a guardare le stelle? Come ci eravamo
promessi?-
Fu
quello, più di qualunque
altra cosa successa fino a quel momento, a spezzare il cuore di Zoe.
Ileana
voleva soltanto
andare a casa. Non aveva voluto nulla di tutto quel disastro, non aveva
fatto
niente per causarlo, e voleva soltanto tornare dall’unica famiglia che
avesse
mai conosciuto…
Strinse
i denti,
ignorando il disgusto sul volto di Takumi e l’occhiata dispiaciuta che
Ryoma le
rivolse, mentre qualcosa di nuovo – un nuovo obiettivo, una nuova
speranza, una
nuova battaglia – si fece bruscamente largo fra i suoi pensieri,
spazzando via
tutto il resto: in qualunque modo, a qualunque costo, lei avrebbe fatto
in modo
Ileana potesse tornare a casa sana e salva.
Che
cosa importava, in
fondo, che fosse o meno una principessa di Hoshido? Lady Mikoto non
l’aveva
cresciuta, Ryoma e gli altri non erano i suoi fratelli, lei stessa era
una
perfetta sconosciuta per Ileana – e come poteva essere diverso, se
nessuno le
aveva mai raccontato dell’incidente di Cheve, se nessuno le aveva mai
parlato
di Re Sumeragi, della trappola che era stata tesa, delle urla della
bambina che
Zoe era stata quando gliel’avevano strappata dalle braccia?
…non
meritava di tornare
nel posto che chiaramente amava tanto, che considerava la sua casa, da
coloro
che erano la sua famiglia?
Magari,
se quel disastro
si fosse risolto, Ileana avrebbe potuto visitare Shirasagi, ogni tanto…
magari
Zoe non avrebbe dovuto dirle addio così presto. Magari sarebbe tornata,
magari
sarebbe riuscita a sistemare quell’orrendo disastro che Takumi aveva
fatto,
magari sarebbe andato tutto bene.
Ma
adesso non importava.
Adesso
l’unica cosa
importante era che Ileana si sentisse al sicuro, che il Principe Xander
arrivasse per cancellare il terrore e la tristezza che quei giorni
orribili
avevano inciso su di lei.
-Ma
certo.- sentì
annuire Mikoto, poi altre parole, altro inchiostro, una promessa.
-Ecco. Il Re
dovrebbe averlo già ricevuto. Hai avvertito l’incantesimo, vero?-
domandò, ma
l’unica risposta di Ileana fu un debole mugolio di assenso.
-Devi
essere davvero una
maga di eccezionale talento.- mormorò, con dolcezza, lady Mikoto, ma
ancora
nessuna risposta giunse da parte di Ileana – doveva essere
così stanca…
-Adesso, se per te va bene, vorrei tornare a Shirasagi mentre ci
organizzeremo
per incontrare il Principe Ereditario. Saremo tutti più a nostro agio,
là, e tu
potrai ricevere cure e riposare prima di ripartire.-
Finalmente,
Zoe si
voltò, cogliendo un tono definitivo nella voce della Regina: voleva
soltanto
uscire di lì, portare Ileana in un posto più tranquillo dove avrebbe
potuto
riposare – e, dall’espressione di Kaze, comprese che anche lui non ne
poteva
davvero più di tutto quel disastro.
-I-Io…
io non…-
Ileana
non voleva andare
a Shirasagi. Perché non potevano rimanere lì, aspettare il principe di
Nohr a
Suzanoh? Shirasagi non era il posto ideale per lei, non con tutto
quello che
avrebbe comportato il ritorno della principessa perduta…
-Milady.-Kaze,
che era
rimasto per tutto il tempo accanto alla sedia su cui si era
raggomitolata
Ileana, s’inginocchiò dinanzi a lei, trovando Hotoke soltanto sapeva
come la
forza di rivolgerle un sorrio rassicurante. -Avete davvero bisogno di
rimettervi in sesto.-
-Io…-
Ileana guardò Zoe,
confusa, ma anche lei sorrise, incoraggiante, sebbene detestasse
quell’idea
ancor più di quanto avesse odiato quella di costringere Ileana a
parlare
immediatamente con la Regina. -…va bene.-
-Perfetto.-
lady Mikoto
si alzò in piedi, lentamente, cercando di non fare movimenti bruschi
per non
spaventare Ileana. -Adesso credo che tu abbia davvero un gran bisogno
di
riposo. Kaze, Zoe?- chiamò, alzando lo sguardo stanco sui due
guerrieri. -Posso
chiedervi di portare Ileana in una delle stanze nell’ala residenziale?-
-Certo,
lady Mikoto.-
annuì lei, mentre Kaze si occupava di aiutare Ileana ad alzarsi,
lasciando che
gli si aggrappasse alla spalla perché ormai, ed era maledettamente
chiaro, non
aveva più nemmeno la forza di stare in piedi.
-Da
questa parte, lady
Ileana.-lo sentì mormorare mentre le passavano accanto, cogliendo il
gesto
protettivo con cui le accarezzava la schiena.
-Aspettate.-
Zoe
sobbalzò, colta di
sorpresa dalla voce profonda che li richiamò indietro: si voltò,
esasperata, e
vide che Ryoma si era avvicinato per fermarli, l’espressione
terribilmente
seria e tormentata. -Devo farti una domanda, Ileana.-
-Ryoma,
no.- si sentì
grugnire, sgranando gli occhi nel momento stesso in cui si rese conto
di cosa
aveva appena fatto – diamine, non riusciva davvero a tenere
la bocca chiusa
e a ricordare che non aveva alcun diritto di rivolgersi ai reali in
quel modo,
oggi. -Non mi sembra il caso.- aggiunse, però, cercando di
rivolgergli
un’occhiata di scuse ma rimanendo comunque al suo posto, a metà fra
Ryoma ed
Ileana.
-Mi
spiace, ma non posso
rimandare oltre.- replicò lui, pacato – evidentemente si
erano dimenticati
anche loro che lei non era proprio nessuno per parlargli così
–, girandole
intorno per avvicinarsi a Kaze. -Ileana.- chiamò, dolcemente,
aspettando fino a
che lei non si voltò per guardarlo. -Cos’è successo all’Abisso?-
Zoe
soffocò un
versaccio, perché forse sarebbe stato davvero tirare troppo la corda,
avvicinandosi di qualche passo per affiancarsi al principe – magari
vederla
avrebbe aiutato Ileana a non andare di nuovo nel panico, visto che
Ryoma non
aveva proprio l’aspetto più rassicurante del mondo agli occhi di chi
non lo
conosceva.
-Io…-
Ileana, esausta
com’era, chiuse gli occhi per qualche attimo, prima di stringersi alla
spalla
di Kaze per aiutarsi a rimanere in piedi. -Io non ho dato alcun ordine
di
attaccare. Ho soltanto mandato in avanscoperta una pattuglia, guidata
da un
ottimo guerriero… che è stato l’unico a tornare.-
-Quindi
nessun attacco
era stato preventivato?-Ryoma insistette e Zoe davvero avrebbe voluto
prenderlo
a gomitate, adesso, perché avrebbe potuto farle quelle domande in
qualsiasi
altro momento e non quando non era nemmeno in grado di reggersi in
piedi.
Oppure
no,
le suggerì uno strano
istinto nella sua mente.
Forse
Ryoma aveva deciso
di tirar fuori quel discorso proprio perché Ileana, in quello stato,
non
sarebbe mai stata in grado di mentire; forse anche lui era arrivato
alla
conclusione che quella ragazza non poteva ricordarsi di loro ed era
solamente
capitata nel posto sbagliato al momento sbagliato… e chissà cos’altro
stava
pensando, sotto quella massa di capelli. Di sicuro,
rifletté Zoe, aveva
i suoi buoni motivi, ma…
-No.-
Quella
risposta sembrò
essere tutto ciò che Ryoma stava aspettando. Sorrise, incoraggiante,
ringraziando Ileana con un gesto gentile della testa, prima di
raddrizzare la
schiena tanto in fretta da impedire a Zoe di accorgersi dell'ombra
scura sul
suo volto; si diresse alla porta, aprendola con tanta rapidità da far
sobbalzare Ileana e sorprendere persino lei.
-Saizo,
Kagero.- chiamò,
seccamente; i due ninja si materializzarono in un istante dinanzi al
loro
Principe, inchinandosi profondamente prima di rivolgergli la loro piena
attenzione – ma
certo, dovevano aver
sentito tutto, gemette Zoe fra sé, perché nemmeno le loro espressioni
accuratamente neutre potevano nascondere il dispiacere negli occhi di
Kagero e
la fredezza in quelli di Saizo.
Zoe
impallidì, evitando
accuratamente lo sguardo del suo maestro: al contrario della Regina e
di Ryoma,
Saizo sembrava spietatamente conscio di quanto fossero state eclatanti
le sue
ripetute mancanze di rispetto – oh, dei,
come minimo stavolta l'avrebbe ammazzata, se le avesse messo le mani
addosso.
-Portatemi
gli averi di
mio fratello.- ordinò Ryoma, con tanta freddezza da strappare Zoe ai
suoi tetri
presagi di morte e riportare la sua attenzione su di lui.
Alle
sue spalle, Takumi
gemette, ma lei si rifiutò di voltarsi o, addirittura, di chiedersi che
cosa
significasse quel suono: era palese, dalla voce tagliente di suo
fratello
maggiore, quanto lo aspettasse una lavata di capo con i controfiocchi,
ma lei
non trovò nemmeno una briciola di dispiacere al pensiero.
-Hinata,
Oboro.-
continuò, Ryoma, ignorando la reazione di suo fratello, quando Saizo e
Kagero
scomparvero fra le ombre. -Voi aspettate qui. Dovrò parlarvi, dopo.-
Zoe
udì a malapena i
flebili “sì, lord Ryoma” che i suoi amici mormorarono – ah, quindi
anche loro
avevano sentito tutto: la sua intromissione, l'isteria di Takumi, la
crisi di
nervi di Ileana...
Zoe
digrignò i denti,
appiattendo le orecchie contro il cranio. Quella povera ragazza doveva
essere
così stanca… oh, ma perché Ryoma non aveva potuto aspettare che loro se
ne
andassero per fare la sua tirata? Possibile che non vedesse quanto
quella
poveretta fosse esausta e avesse bisogno di andarsene da lì!?
-Zoe.-
finalmente,
finalmente si decise a rivolgersi a lei, proprio quando la sua pazienza
aveva
ormai raggiunto il limite.
-Oh,
bene, hai finito.-
borbottò, superandolo con un'occhiataccia ma ottenendo, in risposta,
soltanto
uno sbuffo e un amaro, mezzo sorriso a cui lei rispose alzando gli
occhi al
soffitto, esasperata.
Kaze
si fermò soltanto
per rivolgendogli un rispettoso cenno con la testa prima di avviarsi,
tenendo
Ileana sempre stretta al petto, e Zoe lo seguì, dando le spalle a tutti
i
presenti in quella stanza: tuttavia, prima di richiudersi la porta alle
spalle,
le sue orecchie attente colsero un mormorio soffocato che fece stridere
dolorosamente
qualcosa, dentro di lei… ma mai come in quel momento fu grata di avere
un udito
più fine del normale, perché davvero non avrebbe voluto che Ileana
sentisse la
voce dolce e triste di lady Mikoto sussurrarle quelle poche parole
tormentate.
-Dormi
bene, bambina
mia.-
.
§
.
Le
porte dell’avamposto
di Suzanoh non sembravano così resistenti come il resto della
struttura. Per un
istante, Zoe cullò l’idea di scardinarne almeno un paio – fragili e
sottili
com’erano, non sarebbe stato difficile –, ma non sarebbe stato così
soddisfacente, e gli dei soltanto sapevano quanto aveva bisogno di
sfogare la
rabbia che avvertiva premere agli angoli del suo campo visivo, che
rendeva
tutto più confuso e spennellava ciò che aveva intorno di nero e di
rosso.
Il
pavimento ticchettava
sotto i suoi passi pesanti, ma non aveva proprio nessuna voglia di
misurare
ogni movimento per non fare rumore: voleva fare rumore, voleva spaccare
qualcosa nella speranza che le sue mani smettessero di tremare, ma
sapeva che
urla e strepiti avrebbero soltanto disturbato Ileana, ora che
finalmente si era
addormentata.
Era
rimasta con lei fino
a pochi minuti prima. Lei e Kaze l’avevano accompagnata in una delle
stanze più
confortevoli dell’intera fortezza, avevano socchiuso le persiane per
impedire
alla luce del Sole di disturbarla ma lasciando che uno spiraglio di
luce
mantenesse visibile l’ambiente – era stata un’idea di Kaze, per
impedire che
l’oscurità completa ricordasse a Ileana le segrete – ed erano rimasti
al suo
fianco fino a che il suo pianto non si era estinto nel sonno che il
sonnifero
preparato dal Maestro Ninja aveva misericordiosamente fatto calare su
di lei.
Kaze
era davvero una benedizione giunta dagli dei.
Lei
aveva fatto fatica a
controllarsi, aveva reagito d’istinto, aveva probabilmente fatto dei
danni più
grossi di quanto le interessasse pensare, mentre Kaze era rimasto
lucido
dall’inizio alla fine – e non soltanto di quel giorno, ma dell’intero
disastro,
fin dall’Abisso: aveva ormai capito, Zoe, che Kaze non aveva perso la
calma
nemmeno una volta, durante quel viaggio… si era premurato di rimanere
nei
paraggi di Ileana, aveva probabilmente spinto Hinata ad intervenire
quando
Takumi aveva esagerato, si era rifugiato nell’impenetrabile oscurità
delle
segrete per farle compagnia e anche adesso, in quel momento, le era
accanto, a
vigilare sul suo sonno.
Era
una persona migliore
di lei, Kaze, ma Zoe non poteva che esserne felice: era con Ileana e
questo
significava che Ileana era al sicuro, che nessuno l’avrebbe più
disturbata o
spaventata… ed era l’unica sicurezza che, adesso, Zoe poteva sperare di
avere.
Lei,
in quel momento,
mentre tutto ciò che era successo durante quella lunga giornata
turbinava nella
sua mente, era perfettamente conscia di non essere abbastanza calma per
fare lo
stesso: Kaze stesso le aveva suggerito di uscire da quella stanza, le
aveva
assicurato che avrebbe vegliato sulla principessa e che si sarebbero
dati il
cambio al suo ritorno, le aveva assicurato che non si sarebbe
arrabbiato con
lei se si fosse assentata per un po’ – e lei aveva obbedito, grata,
perché nel
momento stesso in cui Ileana aveva chiuso gli occhi tutto ciò che era
successo
le si era rovesciato addosso, ghiacciandole le mani e confondendole i
pensieri.
Aveva
probabilmente
soltanto reagito male al calo della tensione, quando ogni motivo per
rimanere
tesa e all’erta si era estinto nel sospiro profondo che Ileana aveva
fatto nel
momento in cui era crollata, esausta, nel mare di cuscini che Zoe le
aveva
sistemato attorno. Avrebbe dovuto calmarsi, perché sì, era sempre stata
una
persona incline agli scoppi di collera, ma non aveva mai sperimentato
una furia
di tale entità – non aveva mai visto le proprie mani tremare in quel
modo, né
aveva mai sentito i pensieri vacillare mentre qualcosa di prepotente e
distruttivo sembrava agitarsi nella sua mente, assordandola col suo
incessante
ruggito.
Forse
avrebbe dovuto
cercare Saizo. I suoi aspri rimproveri, forse, sarebbero stati
sufficienti per
annegare quel mostro neonato nel senso di colpa e nella vergogna… o
forse
l’avrebbero soltanto fatta arrabbiare di più, perché non c’era nemmeno
una
briciola, in lei, che provasse rimorso per quello che aveva fatto.
Aveva
fatto la cosa giusta.
Aveva
protetto una
ragazza innocente, e questo era tutto ciò che le importava: si sarebbe
comportata nello stesso identico modo anche se al posto di Ileana si
fosse
trovato chiunque altro, perché niente, in lei, avrebbe potuto lasciare
che la
bestia che aveva preso il posto di Takumi continuasse a infierire su
qualcuno
di indifeso…
Takumi
non c’era più.
Era
l’unica spiegazione
che avesse senso, l’unica che potesse dare una parvenza di logicità ad
una
situazione che in realtà aveva perso ogni traccia di razionalità da
parecchio:
Takumi, il suo Takumi, era sparito,
e
un mostro crudele e pieno di una rabbia cieca aveva preso le sue
sembianze. Non
poteva essere altrimenti.
…dei,
sarebbe stato così
facile credere a quella bellissima bugia, perché la verità era molto
più dura
da affrontare e lei non era certa di essere in grado di sopportarla.
Aveva
cercato di uccidere la sua stessa sorella.
Di
più: lo aveva fatto
sotto lo sguardo sconvolto di sua madre, davanti al fratello che
idolatrava e
anche a lei, a cui aveva detto soltanto qualche ora prima che… che
avrebbe
voluto…
Zoe
scosse la testa,
continuando imperterrita a mordicchiarsi nervosamente l’interno della
guancia,
ignorando il sapore metallico del sangue sulla lingua quando si ferì
con i suoi
stessi denti; non doveva pensare alle parole che Takumi le aveva detto
prima di
portarla da Ileana, prima che tutto andasse allo sfacelo – era molto
più
semplice continuare a concentrarsi sulla delusione che provava nel
pensare a
ciò che aveva fatto ad Ileana, quella era una rabbia giusta, che aveva
tutti i
diritti di provare: se si fosse permessa di indugiare su altro, su
quanto
l’avesse spaventata il modo in cui Takumi aveva guardato lei,
sapeva che non sarebbe più stata in grado di ignorare quanto
male le avessero fatto le sue parole ed i suoi gesti.
E
poi non aveva proprio
tempo di mettersi a frignare, a dirla tutta. Non quando aveva qualcosa
di molto
più importante da fare.
Sospirò,
sfregandosi
stancamente il viso, costringendosi a guardarsi intorno per capire dove
i suoi
passi nervosi l’avessero portata: quel dannato posto era tutto uguale,
e non si
sarebbe nemmeno sorpresa di essere finita nelle vicinanze del salotto
dove si
era consumato quell’assurdo dramma familiare che sarebbe stato così
facile
evitare – e sì, in effetti quel corridoio le sembrava familiare, non
doveva
essere poi così lontana, ma prima che potesse decidere di avvicinarsi a
sufficienza per origliare i rimproveri di Ryoma un assordante suono di
passi
tutt’altro che felpati la distrasse, attirando la sua attenzione appena
in
tempo per permetterle di distinguere la figura di Takumi in fondo al
corridoio.
...avrebbe
davvero dovuto cercare Saizo.
Takumi
camminava con il
suo stesso passo rumoroso ed arrabbiato: non sembrava conscio della
presenza di
qualcun altro e borbottava fra sé e sé qualcosa di incomprensibile, lo
sguardo
rivolto verso il basso e i pugni stretti sulla stoffa della sua
mantella; se
fosse stata più intelligente, più furba, Zoe si sarebbe ritirata nelle
ombre,
lasciando che lui la superasse senza accorgersi di lei e rimandando
qualunque
discussione ad un altro momento, ma…
Ma,
impressi a fuoco nella sua mente, c’erano ancora gli occhi colmi di
paura di Ileana.
Uno
strano gorgoglio le
vibrò in gola, ma soltanto quando si accorse di aver scoperto i denti e
di aver
appiattito le orecchie fra i capelli comprese di essere sul punto di
mettersi a
ringhiare.
Che
cosa accidenti stava facendo!?
D’accordo,
era sempre
stata piuttosto selvatica, ma ringhiare non era una reazione un po’
eccessiva?
Deglutì,
tentando di
calmare quell’improvviso bisogno di esternare tutta la propria
frustrazione in
quel modo tanto animalesco: lei era una persona e come tale doveva e
voleva
comportarsi, maledizione, non era una bestia selvaggia!
-Zoe…?-
Quasi
poté udire il suono
della sua fragile pazienza che andava in mille pezzi.
-Tu.-
soffiò, e per un
istante quel ruggito fu quasi sul punto di prendere il sopravvento su
di lei,
offuscandole la vista per un lunghissimo attimo prima che riuscisse a
riscuotersi quel tanto che bastava per mettere a fuoco l’espressione
frustrata
di Takumi.
Takumi
sbuffò, ignaro
della battaglia che aveva imperversato dentro di lei nel tempo di un
respiro,
alzando gli occhi al cielo e fermandosi a pochi passi da lei.
-Senti,
non ho proprio
voglia di litigare anche con te, quindi__-
Zoe
digrignò i denti,
esasperata.
-Il
tuo “quindi” puoi
anche infilartelo su per il culo.- grugnì, infilandosi bruscamente le
mani
nelle tasche dei pantaloni per resistere alla tentazione di prenderlo a
pugni,
ignorando la smorfia oltraggiata che lampeggiò sul volto di lui in
risposta al
suo linguaggio piuttosto colorito. -Dimmi che sei impazzito. Dimmi che
hai
preso una botta in testa e ti sei dimenticato di essere una persona
decente.-
continuò, e parte di lei avrebbe disperatamente voluto sentire quelle
parole,
sentirsi dire che sì, aveva perso la testa, che era mortificato per
quello che
aveva fatto e che avrebbe passato la vita a cercare di farsi perdonare…
ma,
ovviamente, le sue ultime speranze si frantumarono quando, nel momento
in cui i
loro sguardi si incrociarono, nei suoi familiari occhi dorati Zoe non
scorse
nemmeno una briciola di pentimento.
-Ho
fatto quello che
dovevo fare.- affermò, seccato, scoccandole un’occhiata talmente piena
di
sdegno e di disgusto da farla quasi sentire sporca.
Un
versaccio molto
simile a quel ringhio che aveva trattenuto le risalì in gola, e prima
di
accorgersi di essersi mossa si ritrovò ad un soffio da quel viso che le
sembrava irriconoscibile, che non aveva niente di quello del ragazzo
che adorava,
a fissare quelle iridi colme di compatimento.
-Quello
che dovevi fare
era comportarti come un essere umano, e non come un mostro!-
Stava
strillando, stava
strillando come un’isterica e non poteva farci niente: voleva soltanto
che
Takumi tornasse in sé, che capisse che razza di orribile, orrenda
bestia era
stato con Ileana, che comprendesse l’orrore delle proprie azioni…
Dei,
faceva così male guardarlo e non riuscire a riconoscerlo.
Takumi
si strinse nelle
spalle, facendo un passo indietro e serrando le labbra, indispettito.
-Quella
cagna non si
meritava altro che__-
Oh,
quello era davvero troppo.
-BASTA!-
Con
uno scatto fulmineo,
più rapida di quanto avesse potuto pensare di essere, Zoe sentì il
proprio
braccio muoversi quasi di propria volontà: percepì i muscoli tendersi,
la
spalla piegarsi, le dita stringersi – e, un istante più tardi, vide il
proprio
pugno abbattersi con violenza sulla faccia di Takumi.
Crack!
-EHI!-
strillò lui,
sconvolto, quando Zoe balzò indietro per evitare gli schizzi di sangue
e per
recuperare l’equilibrio che quello slancio repentino le aveva quasi
fatto
perdere. -Mi hai dato un pugno!- esclamò, incredulo, ma lei si limitò a
sbuffare, furente.
-Ne
vuoi un altro? Sono
abbastanza nervosa da andare avanti tutto il giorno!- lo invitò,
massaggiandosi
il pugno e osservando con amara soddisfazione il sangue di Takumi che
le aveva
macchiato le nocche.
Gli
aveva dato un pugno.
Gli aveva davvero dato un pugno!
Prima
che lui potesse
rispondere – o che lei potesse fermarsi a pensare a quello che aveva
appena
fatto – gli si accostò di nuovo, raddrizzando le spalle per ergersi in
tutta la
sua altezza e fermandosi soltanto quando lo sguardo confuso e allarmato
di
Takumi fu tutto ciò che poté vedere.
-Si
meritava di essere
insultata, quindi?- ringhiò,
calcando
sulla stessa parola che lui aveva usato poco prima, udendo nelle
proprie parole
lo stesso veleno che aveva venato i disperati tentativi di Ileana di
proteggersi da lui.
-Di
essere minacciata?-
Ed
erano state minacce
imperdonabili, minacce che avrebbero lasciato il loro segno, che non
sarebbero
mai svanite del tutto.
-Di
essere ridotta in
quello stato?-
L’aveva
ridotta alla
fame, alla sete, a non saper più distinguere la realtà dalle
allucinazioni –
quale razza di persona poteva fare una cosa del genere ad un’innocente?
-Se
lo meritava
davvero?-
Nessuno,
nessuno se lo sarebbe meritato – a
parte
quei mostri di cui Saizo le aveva parlato e che le aveva mostrato anni
prima,
gli schiavisti, i pervertiti disgustosi che rapivano i bambini, ma…
quelle in
fondo non erano persone, no?
“Sei
troppo buona per questo mondo.”
Quelle
parole distanti,
che appartenevano ad un passato recente eppure ormai tanto lontano da
essere
inafferrabile, la fecero trasalire.
Era
stato Ryoma, mesi
addietro, ad affermare quella realtà in risposta ad un’obiezione che
Zoe aveva
fatto quando, ficcanasando come aveva fatto sin da bambina nel lavoro
dell’Alto
Principe, aveva chiesto spiegazioni su un trattato con il vicino
principato di
Mokushu che Ryoma le aveva permesso di leggere.
Lui
le aveva spiegato
pazientemente le motivazioni dietro alle richieste piuttosto rigorose
che Zoe
aveva scorto e, sebbene la logica di quelle scelte fosse chiara e lei
non
avesse avuto alcuna difficoltà a comprenderla, si era comunque sentita
a
disagio, i pensieri che correvano a quanto sarebbero costati quei
trattati alla
gente comune nonostante si fosse trattato di misure che avrebbero
assicurato
molta più stabilità ad entrambi i regni.
Sì,
lei era
probabilmente troppo buona, e non avrebbe mai imparato ad accettare i
costi che
derivavano dalla politica, dalla guerra, dai dissapori fra i regni, ma…
non era
così certa di voler cambiare.
Non
se significava diventare come Takumi.
Il
versaccio del
principe la riportò alla realtà, davanti a quel ragazzo che l’aveva
sempre
spinta a coltivare quel suo bisogno di vedere sempre il meglio delle
persone ma
che, adesso, aveva voltato le spalle a tutto ciò che di giusto e di
buono lei
aveva sempre scorto in lui.
Dei,
dov’era andato a finire il Takumi a cui lei voleva così tanto bene?
-È
incredibile. Hai già
voltato le spalle a chi ti ha sempre voluto bene, ora che c’è lei.-
Takumi
sputò quelle
parole con rabbia, con odio, allontanandosi da lei e distogliendo lo
sguardo
non appena ne fu in grado, sfregandosi la manica della divisa da
Cecchino sul
volto per cancellare le tracce di sangue dal naso rosso e gonfio. -Da
te mi
aspettavo di più.- mormorò, ma Zoe non si lasciò fermare da quel
subdolo
tentativo di ferirla: incrociò le braccia e alzò la testa, nonostante
affrontare proprio lui si stesse rivelando più doloroso di quanto
avesse potuto
immaginare.
-Potrei
dire lo stesso
di te.- ribatté, e gli dei soli sapevano quanto fosse vero, quando le
facesse
male vedere che razza di persona orribile si era nascosta per anni
dietro
Takumi, quanto fosse orribile rendersi conto di non aver saputo vedere
niente
di tutto quello fino a che non era stato troppo tardi.
Ryoma
aveva avuto
ragione, in fondo. Quel suo animo gentile, alla fine, l’aveva resa
cieca.
-Mi
fai schifo.-
mormorò, e furono le parole più sofferte che avesse mai detto in tutta
la sua
vita, in cui lei stessa percepì echeggiare il suono del suo cuore che
si
spezzava – ma non importava, poteva sopportarlo, avrebbe potuto
sopportare
qualunque cosa se affrontare quel rancore avesse significato farlo
ragionare e
riportarlo alla ragione…
Ma
Takumi sorrise.
Sorrise
con quel sorriso
cattivo e pieno di veleno che lei lo aveva visto rivolgere ad Ileana,
con gli
occhi colmi della stessa aggressività che aveva rivolto a Zoe quando lo
aveva
fermato, e Zoe avrebbe disperatamente voluto scappare via, lontano da
quella
persona che, soltanto guardandola in quel modo tanto orribile, la
pugnalava
dritto in mezzo al petto.
Eppure
non poteva. Non
poteva, non si sarebbe mossa, non si sarebbe arresa, non avrebbe
rinunciato a
lui.
-Sai
una cosa? Perché
ora che hai una protetta non cominci a comportarti come una serva e
taci,
finalmente?-
Però
scappare le avrebbe risparmiato almeno quello.
Forse
Takumi la vide
impallidire, forse vide qualcosa sbriciolarsi nei suoi occhi e la sua
espressione farsi di pietra. Fece immediatamente un passo indietro,
coprendosi
la bocca con una mano come se non credesse a ciò che aveva appena
detto, ma Zoe
non riuscì a scorgere il colore scivolare via dal suo volto, le sue
iridi
dorate allargarsi.
-Oh,
maledizione…-
mormorò, e se Zoe fosse stata in grado di sentirlo avrebbe udito la sua
voce,
la voce che lei conosceva, piena di rimorso e di dispiacere – se avesse
potuto
vederlo, oltre quella cappa buia e impenetrabile che era calata sui
suoi occhi
nel momento stesso in cui il principe aveva aperto bocca, avrebbe
scorto di
nuovo il suo sguardo gentile, quello che aveva cercato fino a quel
momento.
Ma
lei non era lì, adesso.
I
suoi pensieri erano
tornati indietro, da quei due bambini che tante volte si erano
addormentati
l’uno sulla spalla dell’altra. Si erano rifugiati nel ricordo di quei
ragazzini
turbolenti che si allenavano con le spade di legno, e si erano nascosti
nell’abbraccio di quei giovani che si erano confidati così spesso i
reciproci
timori nei confronti di futuro scabroso e pieno di incertezze.
Avrebbe
voluto dire a
quella ragazza, a quella bambina, di scappare. Avrebbe voluto prenderla
fra le
braccia e stringerla forte, proteggerla dal dolore che sarebbe infine
giunto a
colpirla per mano del ragazzino dai capelli d’argento che le aveva
promesso di
volerle bene per sempre.
Una
serva.
Quindi
era questo che
pensava davvero di lei.
Strinse
i denti con così
tanta forza da sentirli stridere, da provare un dolore pungente quando
si
accorse di essersi morsa l’interno della bocca fino a farlo sanguinare
un’altra
volta: il gusto del sangue le riempì la bocca e per un istante ci fu
soltanto
quello, nella sua testa, quel sapore metallico che la distrasse a
sufficienza
per permetterle di tornare in sé appena in tempo per ricacciare
indietro le
lacrime che avevano già cominciato a bruciarle gli occhi.
-Zoe,
io non…-
No.
Non
poteva pensarci
adesso. Non poteva crollare adesso. Non poteva lasciare che vedesse
quanto male
le aveva appena fatto… e quanto male aveva fatto alle due guardie reali
che
erano appena apparse in fondo allo stesso corridoio da cui era venuto
lui, con
il peggior tempismo che Zoe avrebbe mai potuto immaginare.
Hinata
aveva sgranato
gli occhi e spalancato la bocca, sconvolto, mentre Oboro, al suo
fianco, era
impallidita in un istante: l’insulto pesante e orrendo che Takumi aveva
appena
rivolto a Zoe non riguardava soltanto lei, ma comprendeva tutti coloro
che
avevano fatto del ruolo di guardia reale e del proprio signore gli
scopi della
propria esistenza.
Loro
non erano servi.
Essere
una guardia reale
non significava essere servi: era un onore, un titolo da portare con
orgoglio,
una missione – e, per gli dei, non gli avrebbe permesso di infangare
oltre quel
ruolo tanto onorato, né di offendere oltre le due persone che, per lui,
avrebbero dato la vita senza esitare.
-Complimenti.-
balbettò,
incespicando per un istante prima di aggrapparsi disperatamente allo
sguardo
ferito di Hinata, alla sua presenza, alla speranza di poter andare da
lui e
abbracciarlo e di poter lenire almeno un poco il dolore che Takumi gli
aveva
appena inferto. -Hai appena ferito le uniche persone al mondo che hanno
la
forza di sopportarti.- sottolineò, sforzandosi di infondere una
sicurezza che
non aveva nella propria voce, sforzandosi di spingere da parte tutto
ciò che
non fosse lo sguardo spezzato del suo amico.
Lei
avrebbe potuto
gestirlo, avrebbe potuto affrontarlo, ma né Hinata né Oboro meritavano
un’offesa del genere.
E
per loro – per Hinata – non
avrebbe pianto.
Rimase
sorpresa quando
un sorriso feroce si stirò sulle sue labbra: non pensava davvero di
essere in
grado di farlo, ma approfittò di quel momentaneo lampo di coraggio e si
avvicinò a Takumi, puntando un dito contro il suo petto con una
veemenza tale
da farlo sobbalzare.
-Sai,
hai ragione. Penso
che appena Ileana si sveglierà le chiederò di accettare il mio
giuramento, e
spero davvero che il suo primo ordine sia quello di prenderti a calci.-
gli
annunciò, a voce abbastanza alta perché Hinata e Oboro la sentissero, e
scattò
indietro nel momento stesso in cui Takumi provò ad allungare una mano
per
trattenerla.
-Zoe…-
cominciò, ma
quando Zoe percepì il tocco leggero delle sue dita sul dorso della mano
quel
ruggito animalesco tornò in suo soccorso, strepitando dentro di lei con
una
furia tale da renderle impossibile trattenersi.
-Non
toccarmi! Non osare toccarmi!-
abbaiò, stringendosi al
petto il braccio e rivolgendogli la più infuocata delle occhiatacce.
Lo
aggirò, trattenendosi
dallo spintonarlo perché il disgusto che provava all’idea di sfiorarlo
surclassava persino il desiderio di picchiarlo, e distolse lo sguardo,
rivolgendo la sua attenzione ad Hinata e ad Oboro.
Doveva
andarsene via, il più lontano possibile da lui.
-Voi
due!- scattò,
marciando verso di loro e afferrandoli entrambi per un braccio. -Visto
che ci
tiene tanto ad essere lasciato solo, lasciamolo solo!- sbottò,
spingendo invece
loro per costringerli a voltarsi e a precederla lungo il corridoio, in
direzione opposta rispetto a dove Takumi, silenzioso ed immobile, era
rimasto.
Hinata
ed Oboro non si
opposero, lasciando che lei li guidasse lontano da lì, lontano dal loro
principe, lontano da quelle parole che ancora appesantivano l’aria, che
rendevano così difficile respirare… e soltanto quando riuscì a trovare
una
maledetta finestra Zoe si fermò, superando i due amici per correre a
spalancarla, lasciando che i raggi freddi di quel Sole invernale
rischiarassero
il corridoio altrimenti buio e opprimente.
Soltanto
in quel
momento, finalmente, poté respirare, riempiendosi la testa dell’odore
familiare
di quell’aria gelida che sapeva di casa.
Casa…
Avrebbe
tanto voluto
essere a casa, in quel momento. Avrebbe tanto voluto sentire le braccia
di sua
madre stringerla forte e scacciare via l’orribile sensazione di
qualcosa che,
dentro di lei, andava in cenere…
Chiuse
gli occhi,
costringendosi ad ignorare quelle urla disperate che echeggiavano nel
suo
petto: non era il momento, adesso, di lasciare che imperversassero
liberamente
anche fuori dalla gabbia della sua mente – sapeva benissimo che avrebbe
rivissuto quei momenti fino allo sfinimento, nel buio fitto della
notte, prima
di addormentarsi, ma ora no, ora doveva fare quello che le riusciva
meglio… ora c’era qualcuno che aveva bisogno
di lei.
Fu
uno sforzo assurdo
riuscire a voltarsi, a ricomporre un’espressione composta sul suo
volto, a
sopportare lo sguardo sconsolato di Hinata senza andare in pezzi
un’altra
volta: non era abituata a vederlo in quello stato, ed era così
maledettamente
sbagliato che, in fondo allo stomaco, sentì l’ormai familiare groviglio
di
rabbia e frustrazione ringhiare sommessamente.
-Mi
dispiace che abbiate
sentito quel che ha detto.- si scusò, chinando la testa e abbassando le
orecchie, mortificata. -Non parlava di voi.-
No,
non si era riferito a loro.
Strinse
i denti,
costringendosi a respirare, a mantenere un’espressione quanto più
possibile
neutra; tuttavia, facendola sobbalzare, Oboro emise un versaccio,
alzando gli
occhi al cielo.
-Avrebbe
potuto
risparmiarselo comunque.- commentò, aspramente, la Maestra di Lancia,
rivolgendole una smorfia ironica quando Zoe sgranò gli occhi.
-Oboro!-
esclamò,
infatti, esterrefatta: conosceva Oboro ormai da diversi anni e mai, mai una volta l’aveva sentita dire anche
soltanto una parola di biasimo nei confronti di Takumi! -Hai detto
qualcosa di
vagamente negativo su di lui!-
Oboro
incrociò le
braccia, sbuffando e scoccandole un’occhiataccia. -Molto divertente.-
la
rimbeccò. -Non sono cieca, sai?-
Nonostante
non provasse
il minimo desiderio di sorridere, Zoe si sforzò comunque di stirare le
labbra,
di ricomporre il proprio viso in una smorfia che sperava potesse
passare per
ilare: le parole di Oboro, devota com’era a Takumi, valevano molto più
di
quanto tutt’e due avrebbero mai voluto comprendere… -Nutrivo qualche
dubbio,
perdona la mia malafede.- mormorò, una goccia d’ironia a colorarle la
voce,
prima di spostare la propria attenzione su Hinata. -Cosa voleva Ryoma
da
voi?-domandò, rammentando gli ordini di Ryoma di poco prima.
Hinata
distolse lo
sguardo.
-Rimproverarci
per non
aver impedito a Takumi di fare quello che ha fatto.- rispose, in un
tono di
voce talmente piatto ed avvilito da farle sgranare gli occhi – cos’aveva fatto Ryoma!?
-Ma
non è colpa vostra
se è un cretino.- sbottò, sbuffando quando Oboro emise un tenue,
flebile verso
di disapprovazione. -Sì, Oboro, è un cretino!- ripeté, scoccando alla
Maestra
di Lancia un’occhiata più esasperata che arrabbiata – era ammirevole,
in fondo,
la sua lealtà nei confronti di Takumi…
Non
che lui se la meritasse.
Scosse
la testa,
scacciando quel pensiero e aprendo la bocca per rincarare la dose di
insulti;
tuttavia, con un gesto repentino ed insolitamente brusco, Hinata si
avvicinò e
la trasse a sé, zittendola, aggrappandosi a lei con forza quando Zoe
sospirò e
lo strinse fra le braccia, lasciando che lui si rifugiasse nell’incavo
della
sua spalla.
-Mi
dispiace.- le
sussurrò, ma Zoe scosse la testa, accarezzando gentilmente quei folti
capelli
bruni che non stavano mai al loro posto.
-Come
ho detto, non è
colpa vostra se è un cretino.- mugugnò, strappandogli qualcosa di molto
simile
ad una mezza risata mentre Oboro alzava gli occhi al cielo, esasperata.
-Invece
ha ragione il
tuo principe.- Hinata la strinse un po’ più forte, nascondendosi
nell’incavo
della sua gola pallida. -Dovevamo fermarlo – io
dovevo fermarlo.-
Zoe,
però, scosse la
testa, tirandogli gentilmente un orecchio per rimproverarlo. -Non te
l’avrebbe
permesso.- replicò, percependo il suo stomaco contrarsi in un modo
decisamente
sgradevole quando, nella sua mente, il pensiero di cosa sarebbe potuto
succedere ai suoi amici se si fossero intromessi fra Takumi e Ileana
lampeggiò
in uno sgradevole arcobaleno scarlatto.
-Avrebbe
reagito anche
peggio di…-
…di
come aveva reagito con lei.
L’aveva
insultata,
l’aveva costretta ad aggredirlo per ben due volte, l’aveva umiliata di
fronte
ai suoi amici e l’aveva spinta ad offendere con il proprio
comportamento i suoi
tutori, le sue madri, Ryoma e persino la regina – e le aveva spezzato
il cuore.
Dei, le davvero aveva spezzato il cuore.
Sbuffò,
chiudendo gli
occhi ed inspirando l’odore familiare e gradevole di cui i capelli di
Hinata
erano intrisi, cercandovi disperatamente quell’ancora di calma e di
serenità
che tante volte era riuscita a calmarlo.
-Insomma,
non sarebbe
stato bello.-
Tacquero
tutti e tre, ed
un silenzio carico di parole non dette sembrò calare, per qualche
istante, su
di loro; fu Oboro, dopo una manciata di minuti, a spezzarlo,
rivolgendosi di
nuovo a Zoe.
-Come
sta la
principessa?- domandò, scostandosi nervosamente la frangia blu scuro
quando
Zoe, a dir poco sorpresa dal suo interessamento, la guardò con aria
stupefatta.
-Senti, non guardarmi così, non sono un mostro! Avrei fatto qualcosa se
avessi
saputo di quelle minacce!-
Hinata,
nel buio del suo
collo, sbuffò, distraendo Zoe un attimo prima che le sfuggisse una
rispostaccia
astiosa.
Oboro
non stava
mentendo, questo Zoe lo sapeva molto bene – ma sapeva anche che la
sarta dai
capelli blu non era intervenuta in tutte le altre occasioni, che non
aveva
provato il minimo rimorso quando Takumi aveva cominciato a comportarsi
in quel
modo disgustoso con Ileana, che probabilmente lei stessa aveva
fomentato chissà
quali scherni e cattiverie nei confronti della principessa prigioniera…
…ma
non aveva la forza di litigare anche con Oboro, adesso.
-La
principessa dorme.-
sospirò, lasciando un’ultima carezza fra i capelli di Hinata prima di
premere
gentilmente una mano sulla sua spalla, invitandolo silenziosamente ad
alzare la
testa. -E io devo tornare da lei.- aggiunse, quando Hinata obbedì e
alzò quei
suoi begli occhi grigi per guardarla.
Annuì,
il Maestro
d’Armi, avvicinandosi ancora una volta per lasciarle un lieve,
accennato bacio
sullo zigomo, proprio sull’unica, vecchia cicatrice che si era
ostinatamente
rifiutata di sparire come tutte le altre.
-Passa
da me, più
tardi.- le sussurrò all’orecchio, arruffandole affettuosamente la
frangia, e
lei annuì: Hinata era uno dei suoi più cari amici e, probabilmente una
delle
persone che la conoscevano meglio in tutta Hoshido; a tutti e due
avrebbe fatto
bene trascorrere un po’ di tempo lontani da quel disastro che era
venuto a
crearsi fra principi, regine e principesse, e la prospettiva di
trascorrere un po’
di tempo assieme a lui bastò a trasmetterle quel calore che, al
momento, sapeva
di non possedere.
Oboro
emise un
versaccio, probabilmente al limite della sopportazione – e, ad essere
franchi,
aveva resistito anche più del solito.
-Oh,
per favore, baciatevi
e basta, siete ridicoli!- esclamò, irritata, scoccando ad entrambi
un’occhiataccia profondamente offesa.
-Oboro!-
sbottò lui,
arrossendo furiosamente e sciogliendosi dall’abbraccio di Zoe per
voltarsi
verso la Maestra di Lancia. -Ti ho già detto di piantarla con questa
storia!-
la rimproverò, chiaramente imbarazzato dalle insinuazioni della
collega, ma
Zoe, nonostante la stanchezza, si ritrovò a sorridere.
C’era
stato un tempo,
anni prima, in cui baciare Hinata era stato facile, in cui Oboro
avrebbe avuto
ragione nel punzecchiarli in quel modo… ma di quei baci che sapevano
d’estate
non esisteva altro che il ricordo, ormai, e del batticuore che li aveva
spinti
l’uno fra le braccia dell’altra non era rimasta altro che un’impronta
impalpabile sulla pelle, l’ombra di due ragazzi che avevano cercato
conforto in
un’amicizia che, per fortuna, era uscita da quella storia forse anche
più salda
di prima.
-La
pianterei se voi due
non foste così disgustosamente carini!- Oboro, imperterrita, continuò
ad infierire,
ma Zoe si disse che, tutto sommato, Hinata avrebbe potuto occuparsene
da solo –
come aveva fatto in tutte le altre occasioni in cui Oboro li aveva
presi in
giro per quella sorta di relazione ormai morta e sepolta, perché sapeva
che, se
avesse lasciato parlare Zoe, lei e Oboro si sarebbero probabilmente
prese a
pugni.
Si
ritirò fra le ombre
della fortezza, silenziosa come soltanto un ninja poteva essere,
celandosi alla
vista dei suoi amici e sforzandosi di non scoppiare a ridere nel
sentire Hinata
balbettare non meglio identificate giustificazioni in risposta alle
insinuazioni di Oboro.
Si
voltò, sparendo con
un guizzo nella soffocante penombra di quei corridoi asfittici,
lasciandosi
alle spalle ciò che era successo con Takumi perché, adesso, c’era
qualcosa di
ben più importante da fare.
C’era
qualcuno che aveva bisogno di lei.
.
.
.
.
.
.
Author's
Space:
con
un po' di (solito) ritardo eccomi ad aggiornare!
Le
cose si stanno complicando un po' per tutti, vero? Zoe e Takumi si sono
azzuffati, Ileana è sconvolta, la Regina ha il cuore a pezzi e le
scelte che sono state fatte con Ileana in questo momento di sicuro
avranno non poche ripercussioni su tutta la situazione, su di lei, su
Zoe e su tutti quanti. Le bugie hanno vita corta, insomma!
Speriamo
che il capitolo vi sia piaciuto :)
Un
abbraccio,
Clarisse&B
|
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Capitolo 6 *** Hiraeth ***
Aranyhíd
Hiraeth
(Welsh)
Un
sentimento di lontananza, di distanza, non necessariamente da casa. Un
forte
desiderio di trovarsi in un altro posto.
.
.
Era così facile ubbidire agli
ordini.
“Vai
a dare un’occhiata alla situazione.”
Un
ordine era chiaro, preciso, non poteva essere frainteso: non c’erano
margini
che avrebbero potuto essere valicati perché nelle parole stesse era
insito
tutto ciò che doveva fare, senza pensare, senza riflettere, senza
chiedersi se
ciò che stava facendo era giusto o sbagliato.
“Controlla
che non ci sia nessuno nelle vicinanze e riportami la posizione di
tutte le
guardie e dei principi.”
Kaze
era stato perentorio, chiaro, diretto: le aveva dato delle disposizioni
ben
precise e Zoe era stata più che felice di annuire docilmente,
riprendersi la
spada che aveva riposto al proprio fianco durante il suo turno di
guardia e
uscire dalla stanza in cui, immobile, aveva trascorso le ultime ore a
vegliare
il sonno agitato della principessa e quello leggero che Kaze si era
finalmente
permesso dopo giorni di vigilanza costante.
“E,
se dovessi incontrare il principe Takumi di nuovo, torna fra le ombre.”
Quella
era stata l’indicazione più importante di tutte: sapere che cosa
avrebbe dovuto
fare in quel caso, che cosa ci si sarebbe aspettato da lei in quella
situazione, era l’unico conforto che desiderava – l’unico che aveva
permesso a
se stessa di ricevere, nonostante lo sguardo intriso di preoccupazione
che Kaze
le aveva rivolto quando era tornata da lui e da Ileana.
Pensava
di essersi comportata bene, tutto sommato.
Non
aveva pianto, non aveva parlato, non aveva riferito nulla di ciò che
era
successo: si era semplicemente accomodata accanto all’amico, ignorando
le sue
domande silenziose mentre lei si preoccupava di cambiargli l’ormai
vecchio e liso
bendaggio che gli avvolgeva una mano ferita – le erano sembrate
bruciature da
sfregamento, quelle, ma non si era data la pena di chiedergli come se
le fosse
procurate.
Kaze
non aveva insistito più di tanto, per fortuna, e Zoe si era
approfittata della
sua evidente stanchezza per consigliargli di riposare mentre lei
avrebbe
montato la guardia; il Maestro Ninja non aveva
potuto far altro che sospirare, costretto ad
arrendersi davanti
all’espressione troppo assente, troppo vuota, della ragazza che
conosceva da
tutta una vita.
Le
aveva posto soltanto una domanda, prima di lanciare un’ultima occhiata
preoccupata alla figuretta esile della principessa addormentata nella
penombra
dorata che avvolgeva quella stanza, prima di concedersi un piccolo,
raro lusso
e accomodarsi su una confortevole poltroncina foderata posta
direttamente di
fronte al letto di Ileana.
“Hai
litigato con il principe Takumi, vero?”
Sì,
avrebbe tanto voluto sbottare Zoe in quel momento. Sì, aveva litigato
con il
principe Takumi e sì, il suo cuore era a pezzi a causa sua, a causa del
disprezzo che aveva scorto in quello sguardo familiare, a causa delle
parole
colme di cattiveria che le aveva sputato addosso.
Ma
non l’aveva fatto.
Aveva
soltanto annuito, rapidamente, distolto lo sguardo dall’amico per
gettare via
le bende sporche e macchiate di sangue e sguainato silenziosamente la
propria
spada, posandola con delicatezza al proprio fianco e accoccolandosi in
un
angolo della stanza da cui poteva tenere d’occhio tanto la finestra
quanto la
porta.
Soltanto
quando Kaze aveva chiuso gli occhi ed il suo respiro si era fatto più
lento e
regolare – tutti i ninja erano in grado di addormentarsi molto in
fretta, e lei
aveva sempre invidiato quell’abilità che non era mai riuscita a
padroneggiare –
e Ileana si era girata su un fianco, l’espressione finalmente
pacificata, Zoe
si era permessa di piangere.
Takumi.
Le
nocche di una mano strette fra i denti per soffocare ogni rumore, le
unghie
dell'altra piantate fra i capelli e le ginocchia strette al petto,
aveva
versato tutte le lacrime che non si era permessa dinanzi a Takumi:
aveva
lasciato che l’umiliazione ed il dolore prendessero il sopravvento su
di lei,
aveva concesso loro di spazzare via ogni briciola del suo cuore
dolente, si era
abbandonata alla furia con cui le sue emozioni avevano imperversato nel
suo
petto fino a che non era rimasto più niente se non quel vuoto ovattato
in cui,
misericordiosamente, non aveva sentito più nulla.
Forse
Kaze non aveva dormito affatto, rifletté: forse era rimasto lì, in
silenzio, ad
ascoltare il suo respiro affannoso e i suoi singhiozzi soffocati,
rispettando
il suo bisogno di solitudine perché sapeva bene che lei aveva sempre
fatto
così, che aveva sempre sfogato le proprie – tante,
troppe, immense
–
debolezze soltanto quando nessuno avrebbe potuto vederla.
Quando
si era svegliato, però, non le aveva detto nulla: le aveva fatto cenno
di
seguirlo nella stanzetta che fungeva da anticamera per la camera da
letto e le
aveva dato quelle poche, precise istruzioni che lei, senza una parola,
aveva
accettato con un cenno prima di dileguarsi nelle ombre sempre più
lunghe del
tardo pomeriggio – ed eccola lì, adesso, a camminare con un passo molto
meno
spedito e sicuro del solito, una mano appoggiata stancamente sull’elsa
della
spada e lo sguardo assente, la mente vuota, un dolore sordo nel petto.
Faceva
ancora così male.
Sospirò,
massaggiandosi stancamente le tempie.
Quella
stanchezza abissale che era rimasta dopo quelle lunghe ore non sembrava
essere
stata in grado di acquietare del tutto l’agonia che sentiva ancora
fremere in
fondo allo stomaco, che sembrava essersi annidata nei suoi muscoli,
inquieta
come una bestia su cui era calato un sonno leggero e tormentato: il
dolore era
ancora lì, lo sapeva, e l’avrebbe torturata per molti giorni – notti
– a
venire, ma, perlomeno, adesso si sentiva molto più padrona delle
proprie
emozioni e del proprio temperamento.
Non
avrebbe più pianto.
Odiava
piangere, odiava mostrarsi debole, odiava rendersi conto di quanto il
suo animo
troppo tenero fosse così semplice da ferire; quello sfogo che si era
concessa doveva
essere l’ultimo, non aveva proprio voglia di lagnarsi ancora, aveva
così tante
cose a cui pensare che sarebbe stata soltanto un’inutile e dannosa
perdita di
tempo…
Il
suono di una porta che scorreva la riscosse, facendole drizzare le
orecchie e
le spalle.
-Zoe?-
Ryoma.
Sbuffò,
Zoe, sfregandosi furiosamente il viso per cercare di ricomporre
quell’espressione seria e neutra dietro cui sperava di potersi
trincerare
davanti a lui; raddrizzò la schiena, prese un respiro profondo ed
infine si
voltò, pronta per affrontare quell’unica persona che sembrava essere
sempre in
grado di fare a pezzi ogni suo tentativo di nascondersi.
Eccolo
lì, l’Alto Principe, sulla soglia di una stanza che Zoe presunse essere
un
qualche tipo di ufficio: non indossava più l'armatura e, al suo fianco,
non era
più appesa Raijinto – era strano vederlo così, con le occhiaie profonde
sotto
gli occhi e l’espressione esausta, più vulnerabile di quanto lei non
avesse mai
avuto occasione di scorgerlo.
Non
doveva essere stata una giornata facile nemmeno per lui, si scoprì a
pensare,
sorprendendosi di non essere abbastanza provata da non accorgersi di
quanto
Ryoma sembrasse affaticato; non le piaceva affatto vederlo in quello
stato, non
le era mai piaciuto, ma una fitta di frustrazione parve pugnalarla
quando si
rese conto che non c’era proprio niente che avrebbe potuto fare per
lenire un
poco la cupezza incisa in quel volto che, negli anni, aveva visto
scurirsi ogni
giorno di più.
-Sì?-
rispose, detestando quella voce che le uscì così palesemente rauca che
chiunque
si sarebbe accorto che aveva pianto e per tutti gli dei, Ryoma era
l’ultima
persona al mondo che meritava di vederla in quello stato.
-Stavo
per venire a
cercarti.- la informò e, come la guardò, Zoe comprese immediatamente di
aver
fallito almeno quanto lui nel nascondere il proprio turbamento:
l’espressione
preoccupata di Ryoma era la stessa che lei lo aveva visto rivolgerle
tante
volte, nel corso degli anni, sin da quella ormai lontanissima serata di
tanti
anni prima… e dovette distogliere lo sguardo, incapace di sopportare
oltre la
gentilezza in quegli occhi così familiari, così cari.
Annuì,
rimanendo
immobile quando lui si chiuse alle spalle la porta e la raggiunse,
evitando di
proposito di alzare gli occhi – aveva proprio una sfortuna assurda,
oggi: prima
Takumi ed ora lui, accidenti, ma non potevano proprio lasciarla in
pace, quei
dannatissimi principi!?
-Vorrei
parlare con Ileana, se è sveglia. Mi accompagneresti?- le propose,
aggrottando
le sopracciglia quando lei, insolitamente quieta, si strinse nelle
spalle e gli
rivolse soltanto un breve cenno della testa, mentre sperava
ardentemente che
Ileana fosse ancora persa nel mondo dei sogni così come lei l’aveva
lasciata
un’ora prima.
-Sì,
certo.-
accettò, controvoglia, affiancandolo quando lui si avviò lungo il
corridoio
senza alcuna fretta apparente, riempiendo quello spazio così greve con
la sua
figura – diamine,
era davvero strano
vederlo senza quell’orribile elmo cornuto.
Alzò
gli occhi
verso il soffitto, percependo il peso delle domande che Ryoma le
avrebbe posto
di lì a pochi istanti se non si fosse sbrigata a trovare un argomento
con cui
distrarlo – poteva quasi già sentire quella sua voce profonda chiederle
che
cos’era successo per ridurla a quella silenziosa ombra di se stessa, ma
non
aveva proprio voglia di affrontare quell’argomento, con lui o con
chiunque
altro.
-Come…-
si schiarì
la voce, infastidita da quello spettro di debolezza che ancora vi
avvertiva.
-Come sta la regina?- domandò, rammentando l’espressione sconvolta e la
voce
intrisa di dolore di lady Mikoto.
Ryoma
s’incupì,
incrociando le braccia sul petto.
-È
ancora molto
scossa.-
Già,
scossa era un
eufemismo,
avrebbe voluto sbottare Zoe, ma si trattenne: una parte di lei avrebbe tanto
voluto sottolineare quanto l’esplosione di Ileana si sarebbe potuta
tranquillamente evitare con un poco di accortezza in più da parte della
famiglia reale, ma sentiva di aver già fatto abbastanza affidamento
sulla sua
buona stella, quel giorno, per aggiungere alla sua già lunga lista di
mancanze
di rispetto anche quella protesta.
-Non
è stata una
giornata facile per nessuno.- si limitò, quindi, a commentare, gli
occhi pieni
di terrore di Ileana ancora impressi a fuoco nella sua memoria assieme
all’espressione esausta e tormentata di Kaze, a quelle sconsolate dei
suoi
amici.
-Non
avresti dovuto
prendertela con Hinata e Oboro.-
…oh,
beh, la sua
buona stella avrebbe potuto fare ancora qualche piccolo sforzo,
dopotutto.
Si
passò le dita
fra i capelli, digrignando i denti quando i suoi polpastrelli
incontrarono la
resistenza di tanti, troppi nodi fra le ciocche bionde.
-Beh,
forse con
Oboro un po’ sì, ma insomma… non hanno fatto niente di male.- aggiunse,
rinunciando a quel patetico tentativo di sistemarsi i capelli quando
Ryoma le
rivolse un’occhiata penetrante che, ancora una volta, lei si rifiutò di
ricambiare.
-Sono
le sue guardie. Hanno il dovere di proteggerlo.- le spiegò, così come
tante
volte le aveva spiegato tutti quei perché di cui Zoe era sempre stata
avida fin
da bambina e che lui, paziente, non le aveva mai negato. -Anche da se
stesso,
se necessario.- aggiunse, cupo, ma l’unica risposta che ottenne da Zoe
fu
l’ennesimo sbuffo irritato.
-Ci
hanno provato.-
replicò, scoprendosi più caustica di quanto avrebbe voluto essere,
ripensando a
ciò che Hinata le aveva raccontato: lui aveva provato a fare del suo
meglio, ma
come avrebbe potuto trovare un modo per fermare Takumi? In che stato
sarebbe
stato ridotto il suo amico se si fosse opposto più strenuamente alla
follia del
principe?
Serrò
le dita sulla
sua spada, percependo quel suo mostro interiore stiracchiarsi.
Se
Ryoma aveva
urlato contro Hinata, contro Oboro, allora che cosa stava aspettando
per
prendersela anche con lei? Dopotutto, aveva fatto un macello molto più
eclatante dei suoi amici…
-Senti,
se devi
sgridare anche me fallo subito, okay?- sbottò, irritata, fermandosi
all’improvviso e costringendosi a guardarlo in faccia, a sostenere lo
sguardo
perplesso che le rivolse. -Lo so che ho fatto un disastro, ma non__-
-No.-
Ryoma alzò una mano, arrestando con quel gesto soltanto il fiume di
parole che
Zoe sentiva fremere sulla punta della lingua, e si avvicinò – e fu
difficile,
per Zoe, ricordare a se stessa che avrebbe davvero dovuto tacere,
che agire
in quel modo le aveva già causato abbastanza guai, che Ryoma era una
persona
paziente ma che persino la sua pazienza doveva pur avere dei limiti:
tutto ciò
che vedeva, davanti a sé, era l’uomo giusto e leale che lei aveva
sempre ammirato
e che non le aveva mai offerto altro che amicizia e rispetto, che
l’aveva
sempre trattata come una sua pari… e che non sembrava nemmeno
arrabbiato, si
costrinse ad ammettere con se stessa, scrutando con diffidenza quei
pacati
occhi verdi.
…perché
non era
arrabbiato?
Le
labbra di Ryoma
si piegarono impercettibilmente verso l’alto, forse in risposta
all’espressione
sospettosa della Samurai.
-Hai
fatto quello
che ritenevi giusto.- affermò, a voce bassa, e Zoe poté percepire la
sorpresa
allargarsi sul proprio viso quando si rese conto che la calma nella sua
voce
era la stessa che poteva scorgere nel suo sguardo, che Ryoma pensava
davvero
quello che stava dicendo – che era sincero. -E, a
dire il vero… sei
stata l’unica, oggi, che ha agito bene.-
Aveva
agito bene.
Non
si era nemmeno
resa conto di quanto avesse avuto bisogno di sentirsi dire quelle
parole.
-…ah.-
fu tutto ciò
che riuscì a mormorare, sconvolta da quell’affermazione che non si era
aspettata – che non aveva nemmeno osato sperare di sentire, né da lui
né da
nessun altro, perché tutto ciò che aveva ottenuto in cambio del suo
atteggiamento erano state pugnalate in pieno petto… e invece eccola lì,
la sua
certezza, il suo conforto, quella briciola di pace che non era riuscita
a
trovare nemmeno rifugiandosi nel pianto, in poche e semplici sillabe
che,
tuttavia, avevano un valore immenso.
Aveva
agito bene.
Nonostante
tutto,
nonostante le ferite che ancora suppuravano il veleno con cui erano
state
inferte… per qualche attimo, in quelle parole che valevano tutto, Zoe
credette
davvero, ed il ruggito furioso che soffiava dentro di lei parve
acquietarsi un
poco, domato dalla gentilezza di quella voce familiare.
Tuttavia,
imbarazzata, sbuffò, incrociando le braccia ed inarcando un
sopracciglio,
irritata dal calore sospetto che già sentiva bruciare intorno al
colletto del
kimono – ma perché Ryoma non poteva semplicemente
urlarle contro invece
di lodarla!? Era impazzito anche lui come tutti i suoi parenti, quel
giorno!?
-E
allora perché mi
guardi in quel modo?- brontolò, ignorando la fitta di dolore che la
trafisse
quando si accorse che quell’atteggiamento così schivo nei confronti di
un
elogio assomigliava terribilmente a quello di Takumi. Per fortuna Ryoma
la
distrasse, aggrottando le sopracciglia in un modo che Zoe conosceva
tanto bene
e che preannunciava, di solito, grossi guai.
-Sto
cercando di
capire come stai affrontando tutto questo.-
Ecco,
l’aveva
fregata.
-Ma
perché è sempre
così con te?- sbottò, incapace di trattenersi oltre e resistendo alla
tentazione di ficcarsi le nocche in bocca, soffocando con la sola forza
di
volontà l’imprecazione che le era salita in gola nel momento stesso in
cui si
era accorta di essersi lasciata prendere di sorpresa – per
l’ennesima volta.
-Come?-
Il
rossore che le
bruciava la gola parve allargarsi anche sulle sue guance ma Zoe decise
di
ignorarlo, troppo impegnata a chiedersi perché, per tutti gli dei,
Ryoma non le
aveva chiesto di Ileana; non sarebbe stato meglio, non sarebbe stato
più
normale – diamine, dopo tutto il caos che era venuto a crearsi, si era
aspettata un fiume di domande sullo stato di salute della principessa
ritrovata,
discorsi su discorsi su cosa sarebbe cambiato una volta riportata la
sua
sorella perduta a Shirasagi…
E
invece aveva
deciso di chiedere di lei.
-Non
dovresti
preoccuparti per me. Io non sono proprio niente di speciale.- brontolò,
abbassando la testa per tentare di trovare rifugio nelle ciocche più
lunghe
della sua frangia, imbarazzata e risentita allo stesso tempo.
-Mi
sembra di
averti già detto molte volte che non è vero.-
Come
non detto.
Si
morse la lingua,
sopprimendo il desiderio di mettersi ad urlare anche contro di lui, di
ricordargli che dannazione, Ileana era tornata, che
aveva bisogno di
conforto, che lui almeno avrebbe dovuto domandare come si sentisse – e
che
avrebbe davvero, davvero dovuto smetterla di fare così, di dimostrare
tanto
interesse per una semplice Samurai che forse non sarebbe mai nemmeno
diventata
guardia reale e cominciare a trattarla con la distanza che avrebbe
dovuto
tenere, con lei, fin da bambini.
-Lo
è e tu lo sai
bene quanto me e quanto tuo fratello.-
Oh,
sì. Takumi
aveva messo bene in chiaro quanto fosse conscio della differenza di
status fra
loro.
Ryoma
sospirò,
passandosi fiaccamente una mano sugli occhi affaticati.
-Ah,
ora capisco.
Cosa ha fatto?- le domandò, ottenendo però soltanto una scrollata di
spalle
come risposta.
-Niente.-
“Perché
non cominci a comportarti come una serva?”
Oh,
Zoe aveva sentito quelle parole così tante volte da perderne il conto.
I
sussurri degli aristocratici l’avevano seguita per tutta la vita,
chiedendosi
perché le fossero state concesse così tante libertà e insinuando che la
sua
unica utilità fosse soltanto quella di un giocattolo, una balia per la
piccola
Sakura e un piacevole sollazzo per i fratelli più grandi – quale altra
ragione
potevano avere, in fondo, per tenersi vicino quella bizzarra ragazzina
con le
orecchie a punta?
Zoe
aveva imparato a ignorarli, a non dar peso agli sguardi pieni di
cattiverie e a
quelle insinuazioni ributtanti: facevano male – avrebbero sempre fatto
male –
ma si trattava di un prezzo che aveva sempre pagato volentieri, in
silenzio,
pur di avere la possibilità di rimanere accanto a Ryoma, a Hinoka, a
Sakura… a
Takumi.
Sì,
quelle non erano state parole nuove, ma… non le aveva mai
sentite
pronunciare da qualcuno di cui le fosse davvero importato qualcosa –
mai da Takumi,
il
ragazzo a cui da ragazzina si addormentava in grembo leggendo assieme a
lui,
che le chiedeva di pettinargli i capelli dopo gli addestramenti e che
lei aveva
stupidamente pensato non avrebbe mai potuto… che non sarebbe mai stato
capace di…
Per
Hotoke, come poteva essere stata così stupida?
Come
poteva non aver visto il mostro che si annidava dietro il Takumi che
conosceva
da sempre, il mostro che aveva fatto promesse terribili a Ileana, che
aveva
ferito lei?
“Sarebbe
più facile se fossi tu.”
Quelle
parole che l’avevano resa tanto felice adesso si erano tramutate in
braci
incandescenti, che ardevano nella sua carne lasciando alle proprie
spalle
soltanto un vuoto sfrigolante e l’odore della pelle morta e bruciata.
Non
lo era. Non lo sarebbe mai stata.
Lei
non era parte di loro, della loro vita, ed era stata così
maledettamente ingenua
a
cullarsi in quella bugia dorata che era crollata su di lei nel momento
stesso
in cui aveva guardato negli occhi di Takumi e aveva visto soltanto
disprezzo.
Dei,
perché non le avevano impedito di avvicinarsi a loro? Perché non
l’avevano
tenuta a distanza, come sarebbe stato corretto fare, come avrebbero
dovuto
fare? Almeno, almeno
non avrebbe dovuto provare quel dolore atroce che sentiva
bruciarle nella carne quando ripensava al fratello che sentiva di aver
irrimediabilmente perduto quel giorno…
-Zoe.-
La
voce seria e
decisa di Ryoma la costrinse a tornare bruscamente al presente, a
strapparsi da
quei pensieri pieni di rabbia in cui si era ripromessa di non lasciarsi
più
affogare.
-Ha
solo
sottolineato l'ovvio.- mormorò, chiudendosi le spalle fra le dita
perché aveva
così tanto freddo,
lo sentiva affondare
le sue radici fino a stritolarle il petto e renderle impossibile
respirare.
Takumi
non
l’avrebbe mai perdonata, e lei non aveva alcuna intenzione di farsi
perdonare.
Si era spezzato qualcosa, quel giorno, e per un istante Zoe rabbrividì
al
pensiero di come sarebbe stata la vita a Shirasagi da quel momento in
avanti, a
come sarebbe inevitabilmente cambiato tutto – perché, Ileana o meno,
niente
sarebbe stato più come prima.
Ancora
una volta,
con una stanchezza tale insita in quel gesto da dare a Zoe la chiara
impressione che fosse ormai qualcosa che aveva ripetuto un’infinità di
volte,
quel giorno, Ryoma trasse un lungo respiro e le offrì il braccio,
invitandola
silenziosamente ad avviarsi nuovamente lungo quell’infinito dedalo di
curve,
svolte e angoli inaspettati.
Senza
un fiato, Zoe
allacciò cautamente la mano al suo avambraccio, scoprendosi
curiosamente
sorpresa dal candore quasi accecante dei suoi vestiti, così diverso dal
rosso
intenso dell'armatura che Ryoma indossava quasi sempre, lo stesso rosso
acceso
dello stemma di Hoshido… lo stesso rosso vibrante che aveva
scorto sul fondo
degli occhi bronzei di Takumi.
Si
morse un labbro,
scacciando quel ricordo tanto vivido quanto fugace, aggrappandosi
istintivamente al braccio di Ryoma e boccheggiando fra i denti per
costringersi
a riprendere aria, a non lasciarsi travolgere nuovamente da
quell’angoscia
profonda e terribile che, nonostante stesse lottando per non ammetterlo
nemmeno
con se stessa, l’aveva profondamente spaventata.
-Dovrò
parlargli di
nuovo.-
No.
Come
una stilettata
in piena schiena, un repentino senso di panico la trafisse nello stesso
attimo
in cui quella prospettiva – Ryoma alle prese con quel mostro,
con quella
furia pregna di cattiveria, con la vergogna di dover chiamare quella
bestia il
proprio fratello – si affacciò fra i suoi pensieri,
scatenando un brivido
ghiacciato che le risalì la schiena e le ricoprì la pelle scoperta del
ventre
di pelle d’oca.
-Lascia
perdere.-
sussurrò, intrecciando inconsciamente le dita a quelle guantate di
Ryoma quando
lui posò una mano sulla sua.
-No,
non lascerò
perdere.- replicò, a bassa voce, ma Zoe avrebbe disperatamente voluto
dirgli
che non era successo niente che richiedesse il suo intervento, che si
sarebbe
soltanto azzuffato con una persona che non aveva nulla del Takumi che
entrambi
chiamavano fratello – Ryoma proprio non meritava un altro scontro con
lui, non
con tutto quello che stava passando, non con tutto quello che già
pesava sulle
sue spalle… -È per questo che l'hai picchiato?-
Zoe
sussultò,
allibita.
Lo
sapeva?
…ma
cosa stava
succedendo in quella stupida famiglia reale?
D’accordo,
lei e
Takumi erano sempre stati turbolenti, ma al di fuori del campo di
allenamento
lei non aveva mai osato alzare anche solo un dito sul principe, al di
là di
qualche innocente pizzicotto scherzoso: le era sempre stato chiaro che
compiere
un’azione di quel tipo, un gesto come quello che aveva fatto soltanto
poche ore
prima, avrebbe significato un affronto tale da farle rischiare ben più
di
un’innocua lavata di capo, eppure…
-…no.-
Alzò
lo sguardo,
raddrizzando le spalle che non si era accorta di aver ingobbito,
voltandosi per
sostenere quell’espressione serafica con cui Ryoma la stava soppesando.
-L’ho
picchiato
perché ha dato della cagna ad Ileana un'altra volta e non ne potevo più
delle
sue stupidaggini.- affermò, certa che, dopo quell’affermazione, Ryoma
l’avrebbe
come minimo consegnata direttamente a Saizo perché si occupasse di
infliggerle
una delle sue memorabili, massacranti punizioni – eppure, con la stessa
sicurezza
che aveva provato quando Ileana aveva implorato di poter tornare a casa
sua e
lei aveva deciso di prendere a cuore il desiderio di quella ragazza
sperduta e
spaventata, una strana calma parve sorreggerla, aiutandola ad
affrontare il
pensiero di qualsiasi cosa la stesse aspettando al di là del lungo,
enigmatico
silenzio del suo principe.
Aveva
agito bene.
Non
aveva nemmeno
più bisogno di sentirselo ripetere, non per quel motivo, non per quella
reazione di cui non si sarebbe pentita nemmeno sotto tortura: perciò,
quando
Ryoma scosse piano la testa e serrò le labbra, lei rimase serena, anche
quando
quella mano racchiuse la sua in una stretta che la sorprese più di
qualunque
altra cosa – anche quando quegli occhi sempre distanti
parvero riempirsi di
qualcosa di molto simile all’orgoglio.
-Non
lascerai mai
impunito un torto, vero?-
Zoe
trasalì,
esterrefatta, serrando inconsciamente le dita sul cuoio degli spessi
guanti che
Ryoma indossava sempre, sotto cui poteva percepire la forma di una mano
in
grado di infliggere la più cruenta delle morti ma, allo stesso tempo,
capace di
trasmettere una gentilezza così profonda da essere quasi commovente –
perché,
al di là di tutto, al di là di quella sciocca sbandata che ogni tanto
ancora la
punzecchiava, Zoe lo ammirava persino più di quanto, da ragazzina,
avesse
idolatrato Saizo: Ryoma incarnava lo spirito stesso dei samurai, il
codice che
lei si sforzava di seguire ogni giorno, su cui aveva forgiato la
persona che
era e che, un giorno, sperava di diventare… e sentirlo porgerle quella
domanda
con tanta dolcezza, capire quanto Ryoma approvasse ciò che aveva fatto,
fu il
balsamo più dolce dopo tutto ciò che era successo.
-Sono
una Samurai.-
rispose, infatti, rammentando gli estenuanti pomeriggi di allenamento
che Ryoma
le aveva dedicato anni addietro e quelle parole che si erano impresse a
fuoco
nella sua mente e nella sua anima.
L’onore
del samurai
giaceva nel saper discernere il bene dal male…
e lei, quel giorno, aveva agito
bene.
-Hai
reso onore al
tuo titolo, oggi. E a me.-
Quelle
parole, la
stretta rassicurante della sua mano, la sua stessa presenza, furono
quasi in
grado di sopraffarla: non era brava ad affrontare tutte quelle
emozioni, non
era in grado di discernere la profonda commozione che provava dalle
ferite che
le erano state inferte, e per una manciata di secondi non seppe che
cosa dire,
travolta e schiacciata da quel misto di orgoglio e di sofferenza che le
offuscò
la vista e le chiuse la gola.
-Saizo
non sarà
d'accordo.- riuscì a mormorare, dopo qualche istante, trovando non
seppe come
la forza di fare quella debole battuta, di riprendersi, di mantenere la
calma
che ci si sarebbe aspettata da lei.
Le
labbra di Ryoma
si piegarono appena, rapidamente, in un attimo tanto fugace che
soltanto
l’occhio attento di chi lo conosceva bene sarebbe stato in grado di
catturare.
-Posso
parlargli
io, se vuoi.- la rassicurò, ma lei accennò un sorriso e lasciò che le
dita
scivolassero via dalle sue, allontanandosi da lui e voltandosi appena
in tempo
per scorgere i tratti sempre tanto tesi del suo volto sciogliersi
appena,
qualche ruga di preoccupazione distendersi un poco.
-Nah,
lascia
perdere. Sarà interessante vedere se riuscirò a sopravvivere.- replicò,
scovando in quei piccoli segni incoraggianti la forza di cui aveva
bisogno per
mantenere le proprie emozioni sotto controllo, per concentrarsi su di
lui, per
ignorare le domande che le martellavano incessantemente i pensieri.
Sarebbe
stata in
grado di farcela?
Ileana
a Shirasagi
sarebbe stata molto impegnativa, diffidente come si era dimostrata fino
a quel
momento con tutti loro… non rammentava nulla di Hoshido ed era molto
probabile
che nulla avrebbe potuto restituirle quei ricordi, ma come avrebbe
potuto
aiutarla a sentirsi a proprio agio quando il suo unico desiderio era
quello di
tornare sotto il cielo sempre nero di Nohr?
Sarebbe
stata
all’altezza delle aspettative di Ryoma?
Ryoma
si fidava di
lei, la stimava, le era affezionato: era sempre stata la sua pupilla,
se ne era
resa conto quando, anni addietro, dopo la sua investitura a Samurai si
era
preso l’onere di addestrarla in tutto ciò che Saizo non avrebbe potuto
insegnarle; soltanto il pensiero di sbagliare qualcosa, di fare qualche
altro
disastro che nessuno stavolta sarebbe riuscito a mascherare – di non
riuscire a
far sì che la sua sorellina desiderasse rimanere a Shirasagi – le
stringeva il
cuore, perché Ryoma non era affatto una persona che lei aveva alcun
desiderio
di deludere.
Ma,
soprattutto,
sarebbe stata capace di affrontare Takumi?
Sarebbe
stata in
grado di imparare a vivere senza di lui, di accettare i cambiamenti che
di lì a
poco avrebbero stravolto la sua vita e quella di tutte le persone
intorno a
lei, di aver già compiuto i primi passi su un percorso che le avrebbe
inevitabilmente strappato una delle persone più care che avesse?
Per
tutti gli dei,
che vita sarebbe stata?
-Zoe.-
Questa
volta non
sobbalzò quando Ryoma – con tenerezza, con una tenerezza che non usava
mai con
nessun altro – pronunciò il suo nome; alzò semplicemente gli occhi,
imprimendosi per bene quel volto nei pensieri, aggrappandosi a
quell’immagine
con tutta la forza che aveva perché sapeva bene che lei, forte, non lo
era mai
davvero stata… ma lui sì, e lui aveva fiducia in lei, e questo sarebbe
dovuto
bastare per impedirle di lasciarsi sprofondare di nuovo in quei
pensieri tanto
tossici.
Ciò
che non si
sarebbe aspettata, però, fu il gesto che Ryoma fece non appena ottenne
la sua
attenzione: le si avvicinò di nuovo, più di quanto il comune senso del
decoro
permetteva, ed alzò una mano per sfiorarle il volto, per racchiuderle
una
guancia nel suo palmo così grande in confronto al suo viso, scostando
con dolcezza
qualche fuggiasca ciocca di capelli per raccogliergliela gentilmente
dietro
l’orecchio.
“Oh,
per tutti gli
dei.”
Tutti
i suoi sforzi
di mantenere un’espressione compita parvero svanire, spazzati via dal
calore
che percepiva persino attraverso il guanto, da quegli occhi che la
guardavano
con un’intensità tale da ridurre tutto il suo mondo lì, nella tenerezza
di quel
gesto, negli angoli delle sue palpebre che si arricciarono, divertiti,
quando
Zoe si sentì quasi letteralmente andare a fuoco.
-Si
sistemerà
tutto.- le assicurò, rivolgendole uno di quei rari, accennati sorrisi
che si
permetteva così poco, che sembravano sempre un po’ fuori posto sul suo
volto,
che lo facevano sembrare tanto più giovane di quello che la sua
espressione
perennemente corrucciata lasciava intendere.
-Lo
spero.- rispose
lei, sospirando e socchiudendo gli occhi per godersi quel momento, la
bolla di
calore e di pace che era riuscita persino ad acquietare la ferocia con
cui la
sua mente si era rivoltata sino a quel momento – sino a che lui non era
comparso a rischiarare le tenebre che avevano minacciato di soffocarla.
Come
sempre.
Non
sarebbe mai
stata in grado di rinunciare anche a quello: se l’idea di perdere
Takumi le
serrava il cuore in una morsa che le mozzava il fiato, quella di
privarsi anche
di Ryoma era assolutamente inconcepibile, qualcosa che ogni fibra di
lei
rifiutava con la stessa brutalità con cui si era opposta alla crudeltà
di
Takumi…
E
perciò si sarebbe
rimessa in sesto, avrebbe alzato la testa e si sarebbe battuta fino
all’ultimo
per ciò in cui aveva deciso di credere e avrebbe pagato qualunque costo
la vita
le avrebbe imposto… perché lei si aveva fatto la cosa giusta. Perché
lei aveva
agito bene.
Sorrise,
piegando
un po’ la testa per godersi ancora per qualche istante quella coccola,
prima di
arricciare il naso e rivolgergli una smorfia divertita.
-E
questo è
decisamente inappropriato.- commentò, scimmiottando la voce profonda di
Ryoma e
aggrottando le sopracciglia in un’abbastanza convincente imitazione
dell’usuale
espressione solenne del principe – che, in risposta alla sua innocua
burla,
inarcò un sopracciglio, probabilmente indeciso fra il sentirsi offeso o
solamente divertito.
-Mi
stai prendendo in giro, vero?- le domandò, e Zoe rise, scivolando via
dal suo
tocco a malincuore ma concedendosi di fargli l’occhiolino prima di
precederlo
lungo il corridoio che portava alla stanza di Ileana.
.
.
.
Un
lieve fruscio fu
sufficiente per spingerlo ad aprire gli occhi.
Kaze,
sveglio ormai da
un bel pezzo, rivolse la sua attenzione al letto in cui Ileana
riposava,
scorgendola muoversi nel sonno.
Si
sarebbe svegliata a
breve, ne era certo: si era rigirata nel letto già alcune volte,
nell'ultima
mezz'ora, e le era sfuggito qualche mormorio incomprensibile, ma
l’effetto del
sonnifero che le aveva dato non si era ancora esaurito a sufficienza
per
permetterle di svegliarsi.
Il
ninja si alzò,
distendendo le braccia e piegando la schiena, i muscoli irrigiditi da
quel
breve lasso di tempo che si era concesso per recuperare un po' di
riposo; poi,
senza un suono, si accostò al giaciglio e alla ragazza che ospitava,
concedendosi di osservarla per qualche istante.
C'era
ancora una traccia
di paura, su quel viso non del tutto rasserenato dall'oblio; c'erano
ancora i
segni di giorni trascorsi nel buio in quelle guance più scavate di
quanto non
fossero state all'Abisso, e sotto le sue palpebre inquiete si agitavano
chissà
quali orribili pensieri, sogni, ricordi.
Fu
soltanto la voce che
lo aveva mantenuto sano di mente per così tanti anni ad impedirgli di
allungare
una mano per accarezzarle i capelli, per scostarle un boccolo dietro
l'orecchio, per concedersi di darle almeno quel piccolo gesto di
conforto che
le aveva dovuto negare durante quei terribili giorni di prigionia.
Chiuse
gli occhi,
costringendosi a distoglierli dal viso smagrito della giovane Maga,
costringendo la propria mente a non sovrapporre a quel volto di giovane
donna
quello delicato ed innocente della bambina che non aveva saputo
proteggere
tanti anni prima.
Non
poteva permettersi
altri errori.
Indipendentemente
da
quanto avrebbe voluto poterla confortare – indipendentemente da quanto
Ileana
ne avesse bisogno, da quanto lui
ne avesse bisogno, era
perfettamente conscio di quanto cedere alla propria debolezza avrebbe
soltanto
causato un danno ancor più grande alla ragazza.
Ileana
aveva affrontato
un orrore troppo grande e a cui, chiaramente, non era stata preparata
in alcun
modo: nessun soldato avrebbe mai potuto reagire in quel modo – la
preparazione
per affrontare la tortura e la prigionia, ne era certo, veniva
insegnata tanto
ai nohriani quanto agli hoshijin, ma il modo in cui Ileana aveva agito,
in cui
si era lasciata sopraffare dal terrore, gli aveva suggerito che nessuno
si
fosse mai dato la pena di istruirla su qualcosa di tanto vitale.
Respirò,
Kaze,
reprimendo per l'ennesima volta quella rabbia che aveva covato dentro
di lui
sin dal primo istante in cui aveva incrociato quegli occhi verdi che
non aveva
mai potuto dimenticare.
Se
solo qualcuno, chiunque
avesse pensato di
insegnarle a sopportare le ingiurie di un nemico, le offese, le
minacce, quelle
torture da cui lui non era riuscito a sottrarla… se solo quella
famiglia da cui
Ileana desiderava disperatamente tornare non l'avesse buttata senza
alcun
riguardo in qualcosa di molto più grande di lei…
Lui
non avrebbe dovuto
trattenersi. Avrebbe potuto confortarla senza temere di vederla
aggrapparsi a
lui, senza l'ossessivo, incessante timore di creare un legame malsano
con quella
ragazza che soffriva un'agonia che nessuno aveva fatto niente per
evitarle, che
come acido le aveva corroso la mente, la lucidità, persino il più
basilare
istinto di sopravvivenza.
No.
Ileana
meritava di
meglio da lui, e lui non si sarebbe mai più permesso di essere debole.
Non di
nuovo.
Si
costrinse a
respirare, a concentrarsi sulla sensazione dell'aria che gli riempiva
il petto,
sul sangue che gli scorreva nel corpo, sul suono regolare del suo cuore
che
batteva: perdere la calma era l'ultima cosa che poteva permettersi,
adesso…
così come non si era potuto permettere di fare ciò che avrebbe
disperatamente
voluto, nel momento stesso in cui Ileana gli si era aggrappata
attraverso le
sbarre annerite di quella maledetta cella buia, una paura folle incisa
negli
occhi.
Essere
costretto ad
affrontare quello sguardo implorante e terrorizzato gli aveva spezzato
il cuore
– quel cuore che già quattordici anni prima aveva, impotente, lasciato
che si
frantumasse guardando gli stessi occhi verdi sparire in quell'orribile
notte di
Cheve, senza poter fare altro che cullare una Zoe priva di sensi fra le
braccia
e nascondere fra i suoi capelli biondi l'atroce consapevolezza di aver
appena
condannato a chissà quale orrido destino una bambina innocente.
E
non poteva fare niente,
ora come allora.
Sentì
i muscoli della
mascella contrarsi, la fronte corrugarsi, i pugni stringersi: il suo
stesso
corpo pareva volersi ribellare al controllo che si era imposto –
urlava,
disperato, urlava il bisogno di avvicinarsi a quella ragazza e
stringerla a sé,
sussurrarle che sarebbe andato tutto bene, che non avrebbe più permesso
a
nessuno di farle del male.
Ma
non poteva.
Per
il bene di Ileana,
non poteva.
Se
lo avesse fatto, se
le avesse permesso di vederlo come l'unica fonte di speranza e di
sicurezza, le
avrebbe strappato anche quella flebile speranza di potersi riprendere
in modo
sano da ciò che aveva passato, che la sua mente impreparata ed
innocente aveva
affrontato nel peggior modo possibile.
Glielo
doveva. Le doveva
almeno quello, dopo tutti quegli anni, dopo…
Ulteriori
movimenti e un
mugugno indefinito lo strapparono al seminterrato di pietra scura e
pieno di
spade e lance usurate, riportandolo alla stanza di legno laccato
immersa nella
pigra luce dorata del tramonto e di una candela.
Si
allontanò dal letto,
assicurandosi che la principessa nohriana potesse vederlo facilmente
nel
momento in cui avrebbe aperto gli occhi, in modo da non sorprenderla: e
così
attese, osservandola sfregarsi il viso con il dorso della mano,
fermandosi per
massaggiarsi debolmente una tempia.
-Ahia…
la testa…-
brontolò mentre, faticosamente, si alzava a sedere, appoggiandosi sulla
mano e
sul gomito. -K_Kaze? Dove sono? Cos’è successo?-
-Piano,
milady. Ecco.-
il Maestro Ninja le si avvicinò lentamente, a passi pesanti, per
risistemarle i
cuscini in modo che potesse appoggiarci la schiena. Ileana rimase
immobile
finché non ebbe finito, rilassandosi soltanto quando lui si allontanò e
sprofondando
pesantemente in quella morbidezza. -Siamo ancora a Suzanoh. Avete
incontrato la
Regina di Hoshido poche ore fa.-
Ileana
lo fissò come se
gli fossero spuntati dei radicchi tra i capelli.
-La
Regina di__- esalò,
incredula, prima che i suoi occhi cominciassero a riempirsi di ricordi,
consapevolezza e orrore. -Oh. Giusto.-
Kaze
si voltò, dedicando
ostinatamente la propria attenzione ad una teiera, dandole le spalle in
modo
che potesse richiamare alla mente tutto ciò che era successo quel
giorno quanto
più privatamente possibile: forse quel sonno indotto dalle erbe
officinali era
stato una benedizione, forse le aveva permesso di dimenticare per
qualche ora
il tormento che aveva subito, le mani che l'avevano minacciata, gli
occhi che
l'avrebbero inseguita per chissà quanto tempo a venire…
Quando
tornò da lei, lo
fece con una tazza fumante tra le mani.
-Questo
dovrebbe aiutare
con il mal di testa.- le spiegò, porgendole il recipiente con cautela,
prestando attenzione quando lei vi chiuse dubbiosamente attorno le dita.
Ileana
soppesò la tazza
per qualche istante, annusandone il contenuto con un'espressione
diffidente –
ma Kaze non poté fare a meno di sentire il cuore alleggerirsi un poco
quando,
infine, prese un sorso, rassicurata da un suo lieve sorriso.
Quello
era un buon segno.
Rimasero
in silenzio a
lungo, mentre Ileana sorseggiava lentamente la tisana che le aveva
preparato e
si guardava attorno, chiaramente confusa da un ambiente che doveva
apparirle
tanto alieno quanto a lui, tanti anni prima, era sembrata Cheve, con
tutta
quella pietra, quelle piante che non conosceva, quella penombra
crepuscolare a
cui i suoi occhi avevano faticato ad abituarsi.
Distolse
lo sguardo, il
cuore che doleva nel rammentare la bambina esuberante che invece aveva
amato il
Sole, che aveva guardato giocare nei prati sconfinati di Shirasagi
assieme alle
principesse e al più giovane dei principi e imparare da sua madre ad
intrecciare i fiori in infinite catenelle variopinte.
Erano
passati tanti
anni, ma lui non avrebbe mai dimenticato – non avrebbe mai potuto,
adesso più
che mai; se Ileana si trovava in quella situazione, confusa e sconvolta
e
chiaramente a disagio in un mondo che non le apparteneva più da molto
tempo,
era soltanto perché lui non era stato abbastanza forte per opporsi alle
scelte
di suo fratello.
Il
fruscio delicato
della porta che scorreva lo distolse dal suo tormento, spingendolo ad
alzare
gli occhi per accogliere con uno sguardo assente l'arrivo di una Zoe
che, come
lui aveva fatto poco prima, si prese tutto il tempo per segnalare la
propria
presenza ad Ileana, entrando nella stanza con un passo pesante che non
le
apparteneva ma con un sorriso luminoso sulle guance arrossate che,
tuttavia, si
smorzò impercettibilmente quando Ileana alzò lo sguardo su di lei.
-Ah,
siete sveglia.-
mormorò, avvicinandosi cautamente al letto quando la principessa non
diede
alcun segno di fastidio nei confronti della sua presenza, limitandosi
ad
osservarla da dietro il bordo della tazza con la stessa espressione
perplessa
con cui aveva soppesato Kaze.
-Come
state,
principessa?- le domandò, piano, lisciando inconsciamente una piega
inesistente
fra le coperte in punta di dita.
-Zoe.-
sussurrò Ileana,
piano, e Kaze per un istante si domandò se anche Zoe provasse lo stesso
sconcerto che percepiva lui, se anche lei si fosse accorta di quanto
Ileana
pronunciasse il suo nome nello stesso modo in cui lo aveva articolato
da
bambina e provasse una fitta al cuore nel ricordarla. -Sono… sveglia.-
Zoe
le sorrise di nuovo,
incoraggiante e gentile come era stata sin dal primo momento, con lei,
e
persino Kaze percepì la morsa che gli toglieva il fiato da giorni
allentarsi un
poco: era così maledettamente grato che lei fosse lì, che la Regina
avesse
deciso di portarla con sé per incontrare Ileana… non osava nemmeno
immaginare
cosa sarebbe successo se Zoe non fosse stata presente, quel giorno:
l'influenza
che non sapeva di avere sull'intera famiglia reale aveva,
probabilmente,
scongiurato il peggio, ponendo un freno alla pazzia che sembrava aver
preso possesso
di una buona parte di loro.
-Zoe.-
la chiamò, piano,
e lei si voltò immediatamente, raddrizzando le spalle e le orecchie e
chinando
rapidamente la testa in segno di rispetto.
Era
troppo facile
dimenticare chi Zoe era davvero.
Era
così abituato a
vederla come una sua pari – un'amica,
una guerriera, una guardia reale
– che rammentare a se stesso quell'identità così gelosamente
protetta per tanto tempo era progressivamente diventato sempre più
arduo,
mentre gli anni passavano e la speranza di ritrovare Ileana si
assottigliava:
era così semplice guardarle entrambe e dimenticare quale, fra loro,
avrebbe
dovuto essere la sua priorità, la sua protetta, la sua principessa…
-Tutto
regolare, niente
da riferire.- riportò, probabilmente attenta a non dilungarsi in troppe
spiegazioni che avrebbero potuto allarmare Ileana, ma il suo sguardo
scarlatto
dardeggiò per un istante verso la porta. -Ma abbiamo un ospite che temo
proprio
non si possa ignorare.- aggiunse, piano, e qualcosa di familiare nella
sua voce
gli suggerì immediatamente l'identità di quel visitatore sgradito.
Kaze
s'incupì, ma la sua
frustrazione si mostrò soltanto nella stretta improvvisa in cui serrò i
pugni.
Che
cosa volevano,
adesso, da Ileana?
Non
avevano forse già
fatto abbastanza per quel giorno – rovesciando sulle spalle di una
povera
innocente quella mezza verità che si era dimostrata troppo grande per
lei, che
Ileana non era riuscita a sopportare, che aveva spezzato qualcosa sul
fondo dei
suoi occhi verdi?
Purtroppo,
però, non
ebbe il tempo di pensare ad un modo per impedire a lord Ryoma di
entrare: con
molta meno delicatezza di quella che aveva usato Zoe e senza nemmeno
attendere
di essere annunciato, l'Alto Principe di Hoshido aprì la porta,
apparendo sulla
soglia con quella sua figura imponente che, nonostante non indossasse
la sua
caratteristica armatura scarlatta, sembrò riempire l'intera stanza.
Al
di là della spalla di
Zoe, Kaze scorse il viso smunto di Ileana perdere quel poco di colore
che
sembrava aver riguadagnato dopo il meritato, seppur breve riposo.
-Se
non è di troppo
disturbo, ovviamente.-
Ryoma,
ignaro della
reazione che aveva causato, si aggiunse alle parole di Zoe, che rivolse
a Kaze
un'espressione contrita e dispiaciuta che, ai suoi occhi, sembrò
volergli
sussurrare "io
gli avevo detto di aspettare".
Per
un terribile istante
il Maestro Ninja si ritrovò sul punto di rispondere che sì,
era troppo, era
davvero troppo imporre nuovamente la propria presenza ad una ragazza
provata
quanto Ileana… ma chiuse gli occhi, lasciando che quella risposta
tagliente
sprofondasse dietro la sua espressione imperturbabile assieme a tutto
ciò che
aveva dovuto respingere nel corso di quegli ultimi, maledetti giorni.
-Non
ho alcuna
intenzione di infastidirti, Ileana.- si scusò, Ryoma, in un tono
sorprendentemente
gentile, ma Ileana sobbalzò come se avesse ricevuto un insulto e serrò
le dita
sulla tazza con tanta forza che Kaze scorse i suoi polpastrelli sottili
farsi
lividi.
-Principe
Ryoma.-
sussurrò, distogliendo lo sguardo, spostandolo rapidamente su Zoe e
tendendo le
mani verso di lei, consegnandole il recipiente per poi scostare con un
gesto
quasi frenetico le coperte sotto cui era rimasta arrotolata per tutto
il
pomeriggio. -Io__- cominciò, sforzandosi di alzarsi in piedi – troppo
velocemente, troppo impaziente di non mostrare a quello che sicuramente
vedeva
ancora come un nemico una qualsiasi debolezza; e Kaze vide le sue
ginocchia
cedere, i suoi occhi farsi vacui per un istante, la sua testardaggine
cedere
sotto il peso della fragilità che aveva preso possesso di lei.
Prima
di rendersene
conto, prim'ancora di accorgersene lui stesso, si ritrovò al suo fianco.
Si
trattenne
dall'allungare le braccia per sostenerla, per aiutarla, lasciando che
Ileana si
aggrappasse al letto e si rimettesse in piedi da sola, dando prova di
quella
tempra d’animo che Kaze aveva potuto scorgere durante quegli
interminabili
giorni di prigionia, che l’aveva mantenuta viva e che, nonostante
tutto,
l’aveva salvata.
-Avresti
dovuto
aspettare, sai?- sbottò invece Zoe, scoccando al principe
un'occhiataccia a cui
lui rispose scrollando semplicemente le spalle, distogliendo lo sguardo
dalla
Samurai per spostarlo nuovamente sulla Principessa di Nohr.
-Mi
dispiace. Non avevo
alcuna intenzione di spaventarti.- si scusò, chinando la testa ed
accennando un
sorriso conciliante, ma Kaze colse perfettamente il baluginio gelido in
quegli
occhi calcolatori.
Lord
Ryoma non era
soltanto un Principe né, tantomeno, soltanto un guerriero: era anche
uno dei
più abili politici che Kaze avesse mai avuto occasione di vedere
all'opera, ed
era chiaro quanto l'evidente debolezza della Principessa nohriana
avesse
destato la sua attenzione, andando certamente ad incastrarsi in una
delle tante
trame che poteva quasi scorgere intrecciarsi al di là della sua
espressione
controllata.
Lanciò
una rapida
occhiata a Zoe, sollevato dalla smorfia corrucciata che trovò sul suo
viso.
Nonostante la sua adorazione nei confronti del principe fosse in grado
di
accecarla, a volte, era stata comunque capace di notare quel freddo
lampo di
consapevolezza… ed era qualcosa che Kaze avrebbe potuto usare, in quel
momento,
perché Zoe era la migliore – l’unica
– possibilità che aveva
per proteggere Ileana.
Ileana
serrò i pugni,
chiudendo gli occhi per qualche attimo – per
recuperare il suo contegno? Per prepararsi a chissà quale
altro orrore in serbo per lei? –
prima di raddrizzare le spalle, intrecciare le mani dietro la
schiena e fronteggiare quell’uomo che doveva apparirle come una
terribile,
spaventosa incognita.
-Non
c'è alcun bisogno
di scuse, principe Ryoma.- riuscì ad affermare, in quel tono così
educato e
compito che poteva appartenere soltanto a qualcuno cresciuto dalla
nobiltà. -In
cosa posso aiutarla?- aggiunse, ed il ninja scorse la sorpresa minare
per un
istante la tranquillità apparente sul volto del principe in risposta a
quell'educata freddezza – e nascose un sorriso, con la scusa di
avvicinarsi a
Zoe per prenderle la tazza fra le mani e riporla.
-Volevo
soltanto
assicurarmi che tu stessi meglio, e informarti che abbiamo deciso di
partire
alla volta di Shirasagi domattina. È accettabile, per te?- domandò, e
Kaze
dovette impedirsi di alzare gli occhi verso il soffitto, perfettamente
conscio
di quanto quella domanda fosse soltanto un ipocrita tentativo di dare
ad Ileana
una parvenza di scelta.
Ileana
non aveva alcuna
scelta.
Il
ninja distolse
rapidamente lo sguardo, serrando le labbra per trattenere la risposta
mordace e
tagliente che non poteva assolutamente permettersi di dare al futuro Re
di
Hoshido.
Ileana
serrò le labbra,
concedendosi un istante di debolezza per abbassare lo sguardo e
prendere un
respiro tremolante, insicuro.
-D-Di
già?- mormorò,
sobbalzando impercettibilmente quando Ryoma annuì.
-Sì.
Suzanoh è un
avamposto militare e non è attrezzato per ospitare un gran numero di
persone,
nonostante le dimensioni.- le spiegò, incrociando le braccia e
distogliendo lo
sguardo dalla ragazza per qualche attimo. -E la Regina ha pensato che
sarebbe
stato meglio, per te, non rimanere in questo posto, dopo tutto ciò che
è
successo nei giorni scorsi.- aggiunse, ed il tono gentile della sua
voce
profonda, per un istante, parve davvero sincero.
-Oh.-
Ileana
si voltò,
scambiando un'occhiata confusa prima con Kaze e poi con Zoe, cercando
forse sui
loro volti una qualche conferma alle parole del Principe; Kaze non si
mosse,
non osando muovere un muscolo nel timore che i suoi pensieri potessero
trapelare dalla sua non così solida maschera, ma Zoe annuì: quelle
erano
effettivamente parole che la Regina poteva aver pronunciato, ed Ileana,
rassicurata dal suo sorriso incoraggiante, sospirò, crollando
nuovamente a
sedere sul letto.
-Certo.-
sussurrò,
passandosi le dita fra i capelli spettinati un paio di volte prima di
alzare
nuovamente lo sguardo su Ryoma. -È… gentile da parte sua.-
Fu
Kaze, stavolta, a
dover distogliere lo sguardo, incapace di sopportare oltre la
confusione e
l'incertezza che distorcevano quel volto altrimenti elegante.
Chissà
a cosa stava
pensando.
Chissà
come, nella sua
mente spossata, la rivelazione di lady Mikoto era andata ad
incastrarsi, se aveva
creduto alle parole della Regina, se aveva pensato anche per un solo
istante a
lei come madre…
-La
Regina vorrebbe
soltanto aiutarti a superare questa orribile esperienza.-
Suo
malgrado, Kaze si
ritrovò a credere a quelle parole, nonostante la smorfia scettica di
Ileana.
Aveva
servito lady
Mikoto per così tanti anni da aver imparato, ormai, a conoscerla:
sapeva bene
quanto tutte quelle bugie, quei segreti e quel dolore avessero piegato
l’animo
e tormentato ogni giorno della vita di quella che spesso aveva sentito
definire
la
Regina triste:
come poteva, in fondo, essere adirato nei suoi confronti?
Lady
Mikoto era stata
precipitosa, certo: non si era data il tempo di capire la situazione,
lasciando
che le emozioni prevalessero sul buonsenso che l'aveva resa una
regnante tanto
amata, ma aveva atteso così a lungo il ritorno di Ileana, aveva versato
così
tante lacrime… fra tutti, Kaze dovette ammettere con se stesso che lei
era
l'unica a non meritare nient'altro che la sua compassione.
-E
vorrei porgerti le
mie scuse a mia volta.-
Tanto
Ileana quanto Kaze
sgranarono gli occhi, meravigliati, ma il ninja colse con la coda
dell’occhio
il viso di Zoe incupirsi – e
quello non era affatto un buon segno
– alle parole inaspettate di lord Ryoma; Ileana aggrottò le
sopracciglia, senza comprendere, fissandolo con uno sguardo assente ed
alquanto
scombussolato.
-…scuse?-
Anche
Kaze si volse,
perplesso da quell’affermazione che non aveva previsto: il Principe di
Hoshido
aveva intrecciato le mani dietro la schiena e guardava oltre i vetri
chiusi
della finestra, al di là delle persiane lasciate a metà, concentrato su
chissà
quali pensieri, scuro ed imperscrutabile in volto come Kaze aveva visto
soltanto uomini molto più vecchi di lui.
-Mio
fratello ha
disonorato il suo nome, quello di mia madre e il mio con il suo
comportamento
inaccettabile.- commentò, con un tono di voce più aspro di quello che
Kaze era
abituato a sentire, ed immediatamente comprese il motivo del repentino
cambiamento d’espressione di Zoe.
Takumi
era l’ultimo
argomento che Ileana avrebbe dovuto sentire.
-Non
sarà dimenticato,
né facilmente perdonato.-
Il
Maestro Ninja
digrignò i denti, serrando le dita fra i cuscini che aveva finto di
sistemare
fino a quel momento, scorgendo il poco colore rimasto sul volto di
Ileana
svanire in un soffio.
Avrebbe
voluto
concedersi il lusso di considerare le parole di lord Ryoma, per quanto
inopportune, un gesto amichevole, un tentativo di apertura verso quella
povera
creatura spaventata di nome Ileana; avrebbe desiderato ardentemente
illudersi e
cullarsi in quella verità, Kaze, ma una parte di lui – quella stessa
parte
meschina, calcolatrice e disonorevole che apparteneva ai più oscuri
meandri
della sua mente, quella parte che aveva saputo comprendere le azioni di
suo
fratello tanti anni prima, che non aveva voluto fermarlo – sapeva
che quelle scuse,
seppur apparentemente sincere, erano soltanto un pietoso tentativo di
ripulirsi
la coscienza.
A
lui non era mai importato
di Ileana. A nessuno era mai importato di Ileana.
-Non…-
la voce della
Principessa incespicò, e sotto i propri occhi Kaze vide l’apparente
tranquillità con cui aveva affrontato fino a quel momento quella
conversazione
accartocciarsi, piegata da ricordi ancora troppo vividi e vicini perché
lei
potesse farvi fronte in quello stato – le minacce, il terrore, il
panico folle
che l’aveva animata soltanto poche ore prima…
Doveva
fare qualcosa.
Serrò
i pugni,
distogliendo a fatica l’attenzione da lei per voltarsi verso il
Principe,
cercando di controllare il furibondo ruggito indignato che avvertiva
echeggiargli nel petto.
-Lord
Ryoma, se posso
interrompere…- cominciò, scoprendo nella propria voce un fremito di
rabbia che
aveva sempre pensato di essere abile a celare, ignorando lo sguardo
sorpreso di
Zoe e quello colmo d’incertezza di Ileana.
Ryoma
alzò gli occhi su
di lui, affatto sorpreso dalla sua intromissione, serrando
impercettibilmente
le labbra quando colse l’espressione tutt’altro che pacata con cui il
Maestro
Ninja accolse i suoi freddi occhi verdi.
-Sì,
Kaze?- domandò, e
Kaze comprese perfettamente l’avvertimento nascosto in quella parvenza
di
educazione – ma non poteva più tacere, non poteva più permettere che ad
una
giovane donna che già aveva patito così tanto a causa loro venisse persino
riportato alla mente il
mostro che avrebbe sicuramente popolato i suoi incubi per molto tempo a
venire.
-È
proprio necessario?
Adesso?- sibilò, fallendo miseramente nel tentativo di essere il più
conciliante possibile, quasi percependo il furioso vento che dominava
l’Abisso
sulla pelle quando comprese di ritrovarsi sull’orlo di un baratro che
lui, al
contrario di Zoe, non poteva assolutamente valicare.
Il
Principe, però, parve
più sorpreso che offeso dalla sua intromissione: lanciò un’occhiata ad
Ileana,
chiaramente incapace di scorgere i segni di un imminente attacco di
panico sul
suo volto, prima di tornare a rivolgersi al ninja.
-No,
ma__-
-Ryoma.-
Tanto
il Maestro Ninja
quanto il Principe sussultarono quando, apparentemente dal nulla, Zoe
apparve
in mezzo a loro con le braccia incrociate sotto il seno, le labbra
strette e le
sopracciglia aggrottate, chiaramente spazientita da tutta quella
situazione.
Kaze,
sorpreso, le
lanciò uno sguardo confuso – si
era distratto così tanto da non accorgersi del suo movimento?
–, ma lei scosse la
testa e si voltò per fronteggiare Ryoma.
-Quello
che Kaze
vorrebbe dirti ma è troppo educato per farlo è che devi andartene,
perché non
stai facendo altro che agitare la principessa. Di nuovo.- sbottò,
rivolgendogli
un'occhiata talmente severa che, per un istante, Kaze poté intravvedere
nei
suoi tratti la stessa espressione seccata che Orochi dedicava a tutti
coloro
che avevano l’ardire di infastidirla.
Se
Saizo l'avesse
sentita, in quel momento, avrebbe probabilmente rischiato di morire
soffocato.
Lui,
però, nascose un
sorriso, mentre una repentina gratitudine gli riempiva il petto e
acquietava
momentaneamente il suo turbamento: Zoe era una benedizione e lui non
era mai
stato così fiero di lei, della sua irruenza e di quella bontà d'animo
che era
riuscita a conquistare persino il cuore di pietra del suo fratello
gemello.
Si
era sbagliato,
dovette rimproverarsi,
guardando quella giovane ragazza così inconsapevole e così coraggiosa
ergersi a
difesa della Principessa senza nemmeno un’ombra d’esitazione: lui non
era
l’unico a preoccuparsi per Ileana, in fondo…
Ryoma
sospirò, come
sempre troppo parziale nei confronti di Zoe per riuscire a
rimproverarla,
replicando alla sua affermazione irritata con una semplice scrollata di
spalle
che, tuttavia, Kaze accolse con un sollievo tale da zittire persino
quella
fitta di rimorso che provò quando si scoprì soddisfatto da
quell'ennesima
reazione impulsiva su cui, come su tutte le altre, aveva contato sin
dall'inizio di quella giornata.
…forse
non era così
diverso da suo fratello, dopotutto.
Si
voltò, scacciando
quel pensiero con una facilità che trasudava ormai abitudine,
riportando la
propria attenzione sulla figuretta di Ileana che, dall’angoscia che
poteva
scorgere contorcersi sul fondo dei suoi occhi chiari, sembrava preda di
un
profondo conflitto interiore.
-Aspetta,
io… dovrei…-
balbettò, serrando le coperte nei piccoli pugni pallidi e stringendo
forte le
palpebre prima di farsi forza – per
l’ennesima volta
– e
rivolgersi, nuovamente, al Principe.
-Principe
Ryoma. Anch'io
ho disonorato l'onore della mia famiglia con le mie azioni. Spero che
non
vogliate ritenerli responsabili per il mio comportamento sconsiderato…?-
Kaze
colse fin troppo
bene l’esitazione e l’angoscia che si celavano dietro l’accento pieno e
rigido
della parlata nohriana: c’era disperazione, nelle sue parole educate,
nel modo
in cui lasciò cadere nel vuoto quella domanda che troppo assomigliava
ad una
preghiera, e paura, ed una briciola di quel panico che Kaze, ormai,
conosceva
fin troppo bene.
Nonostante
si fosse
ripromesso di rimanere a debita distanza, di non imporre la sua
presenza come
baluardo di una sicurezza soltanto apparente, non riuscì proprio ad
impedirsi
di muovere qualche passo per accostarsi a lei, trattenendosi a stento
dal
toccarle una spalla, un braccio: Ileana aveva bisogno
di sostegno, di
gentilezza e di comprensione, e di certo non li avrebbe trovati nella
risposta
seccata e tagliente che poteva quasi già sentire nelle orecchie, che
Ryoma
sembrava pronto a sputare.
Ancora
una volta, però,
Kaze si ritrovò ad essere profondamente grato della presenza di Zoe:
con la
coda dell’occhio la scorse inclinare la testa e poté quasi immaginare
l’avvertimento sul suo viso, le sue orecchie appiattirsi ed il rosso
dei suoi
occhi farsi più cupo – e forse parve funzionare, a giudicare dal modo
in cui il
Principe attese qualche attimo prima di rispondere.
-Certo
che no. Non
preoccuparti di questo, Ileana.- affermò, infine, con una cautela che
non gli
si addiceva e che Kaze sapeva di dover attribuire soltanto
all’intromissione
silenziosa di Zoe – avrebbe
davvero dovuto farle i suoi complimenti, più tardi.
La
tensione che aveva
osservato con ansia montare sul volto di Ileana sembrò svanire nel
momento
stesso in cui la Principessa lasciò andare il fiato che non sapeva di
aver
trattenuto, sprofondando stancamente fra i cuscini del letto e
socchiudendo gli
occhi, esausta, permettendo senza nemmeno sussultare che Kaze le
rimboccasse le
coperte intorno alle spalle.
Era
così stanca, povera
piccola.
-Ora,
come questa
esuberante Samurai ha gentilmente suggerito, dovrei davvero andare.-
Il
sollievo che ruggì
nelle sue orecchie a quelle parole fu talmente violento da impedirgli
di udire
la rispostaccia della Samurai in questione: era
ora,
maledizione, era ora
che se ne andasse, che lasciasse a quella ragazza la tranquillità che
meritava
ma che lui ed il resto di quella famiglia sembravano così testardamente
intenzionati a strapparle… ma poi la porta si aprì di scatto, spingendo
tanto
Kaze quanto Zoe a portare una mano alle proprie armi mentre Ileana si
raggomitolava sotto le coperte, spaventata dal rumore improvviso.
-Kaze!-
Kaze
sospirò
pesantemente, esasperato, udendo nel proprio l'eco di un altrettanto
irritato
sbuffo da parte di Zoe, costringendosi ad alzare lo sguardo sulla donna
dai
capelli color indaco che aveva appena deciso di fare irruzione in
quella già
troppo affollata stanzetta.
Orochi
incrociò le
braccia, assottigliando le palpebre e rivolgendosi direttamente a lui,
senza
preoccuparsi minimamente di rivolgere un saluto al Principe o a
chiunque altro.
-Potresti
cortesemente
spiegarmi come mai tutte le erbe che avevo lasciato nelle cucine di
questo
posto sono sparite?- esordì, ignorando spudoratamente lo sguardo
tagliente che
il ninja le rivolse in risposta, la principessa raggomitolata nel letto
e
l’espressione esasperata che invece le scoccò sua figlia.
Ryoma,
invece, si
schiarì la voce, attirando così la sua attenzione e dando
inconsapevolmente a
Kaze il tempo per trovare una scusa da propinarle.
-Oh,
lord Ryoma, salve!
Non l'avevo notata.- squittì lei, piroettando su se stessa per voltarsi
verso
di lui, quel suo diabolico sorriso impresso sulle labbra dipinte.
-Strano,
considerato il fatto che siete grande e grosso anche senza
quell'armatura…-
aggiunse, picchiettandosi l’indice sul mento ed inarcando un
sopracciglio,
perplessa.
-Mamma.-
pigolò Zoe,
chiaramente mortificata dal suo comportamento, nascondendo il viso
dietro una
mano quando Orochi le fece l'occhiolino.
Kaze
sospirò.
-Non
so di cosa tu stia
parlando, Orochi.- affermò, sentendosi sollevato nell’udire nuovamente
la
propria voce calma e controllata. -Non mi sono nemmeno avvicinato alle
cucine.-
aggiunse, sostenendo l’occhiata indagatrice dell’erborista di corte con
uno
sprezzo del pericolo che persino Saizo avrebbe considerato notevole.
Non
era mai stata una
buona idea mentire ad Orochi.
-Oh,
davvero?- sussurrò
infatti lei, tutt’altro che convinta, soppesandolo con quel suo sguardo
pieno
d’incognite che era sempre stato in grado di ridurre a più miti
consigli persino
suo fratello; Kaze però tacque, mantenendosi impassibile, sperando che
Orochi
cogliesse da sola ciò che lui, in quel momento, non poteva
assolutamente
rivelarle.
Era
stato lui a
trafugare quelle erbe, e gli sembrò di poter leggere quella verità
nelle
intense iridi dell’Onmyoji: Orochisapeva,
sapeva perfettamente
che Kaze le stava mentendo, ma__
-Oh,
lord Ryoma, prima
di dimenticarmene. La Regina vi sta cercando.- trillò, voltandosi
nuovamente
verso il Principe con tanta rapidità da sorprendere tanto Kaze quanto
Zoe, che
gli rivolse un’occhiata confusa mentre, avvicinatasi al letto,
mormorava parole
di conforto ad Ileana, che stringeva convulsamente le coperte fra le
mani e
sembrava sull’orlo del pianto.
Lord
Ryoma, per fortuna,
sembrò comprendere la situazione – una
volta tanto,
avrebbe voluto sibilare Kaze –, ed annuì immediatamente.
-Davvero?
Devo proprio
lasciarvi, allora.- affermò, la voce ammorbidita da una flebile traccia
d’ilarità. -Ileana, Zoe, Kaze.- salutò, chinando la testa in segno di
rispetto
in direzione dei tre, ottenendo un breve inchino da parte del ninja e
uno
sbuffo spazientito da Zoe in risposta. -Orochi, cerca di non turbare
troppo la
nostra ospite.- si raccomandò, stringendo brevemente la spalla
dell’Onmyoji con
una mano quando le passò accanto.
-Da
che pulpito.-
mugugnò Zoe, sgranando gli occhi un istante più tardi quando si accorse
di aver
espresso quel pensiero ad alta voce. Orochi ridacchiò e Kaze si
costrinse a
guardare da un’altra parte, faticando più del solito per nascondere un
sorriso
divertito.
Ryoma,
invece, le scoccò
un'occhiata imperscrutabile, ma lei si limitò a stringersi nelle spalle
sotto
quello sguardo che avrebbe intimorito uomini e donne molto più
altolocati e
potenti di lei ma che, per qualche motivo, non era mai stato capace di
fermarla.
-Ehi,
non ho torto.- si
difese, sarcastica, e Ryoma non poté far altro che sbuffare, lasciando
che
quell'ennesima mancanza di rispetto cadesse nel vuoto.
-No,
suppongo di no.-
ammise, scuotendo appena la testa e mormorando un: -Buonanotte.- prima
di
sparire al di là della porta che Orochi aveva lasciato aperta.
-Oh,
finalmente.-
Il
teatrale sospiro di
Orochi sembrò dar voce ai pensieri di tutti i presenti, e Kaze,
inconsciamente,
si rilassò un poco – per appena un istante, tuttavia, perché
l’attenzione
alquanto prepotente dell’Onmyoji tornò immediatamente su di lui,
tutt’altro che
dimentica del motivo per cui era andata a cercarlo.
-Avanti,
parla.- lo
esortò, le parole affettate e pericolose come la lusinga di un
predatore.
-Orochi,
davvero, non so
di cosa tu stia parlando, e__-
-Strano.
La cuoca mi ha
raccontato che tutte le erbe erano al loro posto prima che Hinata
decidesse di
andare a chiedere il bis, dopo cena.- lo interruppe, inarcando un
sopracciglio
e scrutandolo con lo stesso cipiglio altezzoso che, poco prima, Kaze
aveva
scorto sul viso di Zoe. -Ora, devo andare a chiederlo a lui o
preferisci darmi
tu una spiegazione?-
Il
versaccio soffocato
di Zoe, al pensiero di Hinata alle prese con sua madre, sembrò dar voce
allo
sconforto che Kaze sentì piombargli nello stomaco. Non poteva
costringere quel
povero ragazzo a sopportare l’interrogatorio di Orochi… non sarebbe
sopravvissuto nemmeno un minuto.
-Ho
io le tue erbe.-
ammise, esasperato, passandosi stancamente le dita fra i capelli
sottili. -Sono
nella mia stanza.-
-E
le hai prese
perché…?- sbuffò lei, tutt’altro che soddisfatta da quella risposta
laconica,
ma lui scosse la testa.
-Ti
chiedo perdono, non
avevo alcuna intenzione di infastidirti.- si scusò, distogliendo lo
sguardo dagli
occhi indagatori di Orochi per rivolgere un sorriso rassicurante ad
Ileana,
pallida ed assente e palesemente, profondamente esausta, che sembrava
guardarlo
senza vederlo davvero: sembrava sul punto di crollare, stanca com’era…
e
sembrava essersene accorta anche Zoe che, mentre lui si era distratto
per
parlare con Orochi, aveva silenziosamente porto un’altra tisana alla
Principessa, spiegandole a mezza voce che l’avrebbe aiutata a riposare
e
sorridendole gentilmente quando lei aveva bevuto il blando sonnifero
senza
nemmeno una protesta.
Sì,
forse avrebbe potuto
allontanarsi per un po’.
-La
mia pazienza si sta
esaurendo, Kaze.- lo redarguì Orochi, battendo nervosamente il piede un
paio di
volte.
-Andiamo
a recuperare le
tue erbe.- le concesse, infine, alzando lo sguardo su di lei e
sorridendole
debolmente, tentando di sembrare conciliante. -Ti spiegherò tutto.- le
promise,
accennando ad Ileana con un impercettibile cenno della testa.
-Ah,
ma certo.-Orochi
schioccò le labbra, rivolgendo un raggiante sorriso ad Ileanaquando
comprese le
intenzioni del ninja. -Scusa per l'intrusione, principessa! Dormi
bene!- le
augurò, sventolando allegramente una mano in un entusiasta gesto di
saluto a
cui Ileana, confusa, rispose con un flebile “grazie” che Orochi,
avvicinatasi a
Zoe per schioccarle un bacio sulla guancia, probabilmente nemmeno
sentì.
-Buonanotte, micia!- trillò, guadagnandosi una prevedibile occhiataccia
da
parte della figlia.
-Mamma!-
Kaze
socchiuse gli
occhi, l’ombra di un sorriso sulle labbra sottili, rassicurato da
quella
parvenza di normalità che i bisticci di Orochi e Zoe rappresentavano.
Si
accostò al letto, affrontando finalmente quei grandi occhi verdi che
l’avevano
seguito fino a quel momento, cogliendo già un’ombra di
misericordiosasonnolenza
fra i tratti corrugati di quel viso minuto.
-Tornerò
presto,
milady.- le assicurò, a voce bassa, ed il debole cenno affermativo di
Ileana fu
l’ultima cosa che vide prima di voltarsi per seguire Orochi.
Soltanto
quando si
ritrovò nel corridoio semibuio, lontano da quella stanza che si era
fatta
soffocante, si permise di respirare.
Per
ora, per un po’, non
sarebbe più successo niente.
Orochi,
però, gli
concesse soltanto una manciata di secondi per recuperare la calma, per
rimettere ordine fra i propri pensieri e riempirsi il petto con un
profondo,
agognato sospiro: poi schioccò la lingua, impaziente, prendendolo
sottobraccio
e costringendolo a muoversi lungo il corridoio con una determinazione
che –
come sempre – sfociava quasi nella prepotenza.
-Adesso,
se il tuo
odioso fratello o la mia bellissima moglie non sono nei dintorni,
comincia a
spiegarmi cosa ti è venuto in mente.-
Finalmente,
dopo tutta
la tensione delle ore passate, Kaze si permise un sorriso. Fu un
sorriso
stanco, esausto addirittura, ma l’irruenza dell’amica accanto a cui era
cresciuto, che dietro quel pessimo carattere nascondeva un animo molto
più
gentile di quanto chiunque avrebbe potuto intuire, fu un altro
brandello di
familiarità in quella situazione che nulla aveva di conosciuto.
Ad
Orochi non avrebbe
dovuto nascondere nulla: lei era l’unica persona in tutta Hoshido con
cui aveva
sempre potuto essere sincero, a cui aveva potuto rivelare i propri
dubbi, le
proprie incertezze, i propri demoni; parlare con Saizo era sempre stato
fuori
discussione, e persino Kagero non sarebbe mai stata in grado di capirlo
così
come riusciva sempre a fare l’Onmyoji dai capelli color indaco.
Orochi
era l’unica, vera
amica che lui avesse mai avuto.
-Perché
avete dovuto nascondere le erbe?-lo
incalzò lei, ignara dei suoi pensieri, del profondo senso di affetto e
di
gratitudine che Kaze sentì riscaldare i suoi muscoli intirizziti dal
freddo e
la sua gola riarsa dai continui silenzi.
-Dopo
l'Abisso, la situazione fra lord Takumi e la Principessa ha reso
impossibile il
continuare la marcia assieme all'intero distaccamento.- mormorò, e
quelle
parole bruciarono sulle labbra come pece bollentetanto fu difficile
pronunciarle:una parte di lui avrebbe preferito tenere per sé
l'orribile
comportamento a cui aveva dovuto assistere, proteggendo così l'onore ed
il
decoro della famiglia reale, ma…
Era
così stanco di rimanere in silenzio.
-Hinata
lo ha convinto a mandarci avanti assieme a lei, per impedire che le
succedesse
qualcosa di irreparabile, assieme ad Oboro e ad una lettera per il
comandante
di questa guarnigione.-
Orochi
sventolò una mano, impaziente, invitandolo a proseguire.
-Il
principe ha dettato ordini molto precisi… e molto duri.-
Ordini
che avevano rischiato di peggiorare unasituazione già sull'orlo del
precipizio.
-Nessuno
di noi ha potuto opporsi ad ordini del genere. Reina avrebbe potuto,
forse,
ma…-
La
voce di Kaze si perse, rincorrendo i se e i ma che lo avevano
perseguitato
durante le interminabili notti trascorse nelle prigioni, a vegliare
sulla
Principessa.
Se
Reina fosse rimasta, se a Zoe fosse stato permesso di accompagnare
Takumi in
quella spedizione, se fosse stata lady Hinokaad assumersi la
responsabilità
della ricognizione sull'Abisso e non l'irrequieto, giovane principe
impaziente
di dimostrare il proprio valore – e quale valore, poi, aveva dimostrato…
-Quando
il comandante ha letto quella lettera, deve aver pensato a chissà quale
mostro
sotto le spoglie di una ragazzina.- sibilò, con più veemenza di quanta
avrebbe
desiderato lasciar trapelare.
-Posso
soltanto immaginare.- sospirò, Orochi, meditabonda, arrotolandosi
distrattamente una ciocca dei suoi lunghi capelli fra le dita
inanellate.
-Reina ha parlato con lui quando siamo arrivati, ma io non ero
presente. Che
cosa voleva fare? Voleva drogarla?-
Kaze
annuì.
-Sì.Voleva
tenere sotto controllo la temibile Maga nohriana che lord Takumi ha
sicuramente
descritto come la fonte di ogni male di Euanthe.-
Orochi
sbuffò, forse divertita dal sarcasmo chiaramente percepibile nelle
parole
dell'amico, ma lui scosse la testa: non avrebbe mai voluto esprimersi
in quel
modo, avrebbe disperatamente preferito riuscire a mantenersi neutrale,
a non
lasciare che l'ira che provava nei confronti di ciò che il principe
aveva fatto
soverchiasse il suo autocontrollo, ma…
-Quindi
è per questo che avete sostituito le mie preziose erbe con delle
spezie.-Orochigiocherellò con l'orlo della sua manica, picchiettando
distrattamente le dita sulle lame affilate che portava agli avambracci.
-Quella
povera ragazza non ne sarebbe uscita viva, l'erborista di questo posto
è tutto
fuorché competente e avrebbe sicuramente fatto dei danni.- rifletté, e
Kaze,
rincuorato dalla sua comprensione, le racchiuse lievemente una mano
nella
propria forse per cercare, in quel tocco leggero, un po' di conforto.
-Ho
avuto lo stesso timore.- confermò, la familiare stretta alla bocca
dello
stomaco che tornava a farsi viva. -Inoltre, lasciare una nohriana
drogata nella
cella di un posto pieno di soldati pieni di risentimento non sarebbe
stato
saggio.-
Lui
li aveva visti, quegli sguardi.
Aveva
visto il modo in cui i loro occhi avidi avevano divorato la figuretta
elegante
e troppo poco vestita della Principessa, aveva udito i loro orrendi,
disgustosi
commenti, le loro congetture, i loro piani ributtanti su come avrebbero
potuto
insegnare ad una reale a piegarsi a loro…
-Ho…
mi sono assicurato che sapessero che io ero lì.-
Nel
buio, nell'oscurità, Kaze aveva celato la propria presenza ma non il
suo
sguardo, il sibilo impercettibile dell'acciaio, la promessa
agghiacciante che
rappresentava per coloro che avevano tentato di concretizzare quelle
promesse a
spese di Ileana.
-Non
possono provarlo, non mi sono mai mostrato, ma sapevano.-
Kaze
abbassò lo sguardo, furioso con se stesso e con il mondo intero,
frustrato
dalle misure odiose che aveva dovuto prendere: era qualcosa di
inconcepibile,
per lui, cresciuto dal rigoretalvolta spietato ma sempre ligio ai
propri
principi di Igasato…e, sebbene conoscesse anche troppo bene le
nefandezze di
cui erano capaci gli esseri umani –aveva
visto troppo,
affrontato troppo, per non saperlo
– non sarebbe mai
riuscito ad accettare davvero che qualcosa del genere venisse
perpetrato.
Soprattutto
ai danni di un'innocente.
-Hinata
mi ha coperto, e persino Oboro, con mia sorpresa.- aggiunse,
rammentando gli
occhi cerchiati dalla stanchezza e dall'inquietudine di Oboro, la
temibile smorfia
incattivita che aveva rivolto ad alcuni soldati che avevano avuto la
pessima
idea di farsi sentire da lei.
Non
aveva capito il perché di quell'improvvisa presa di posizione: Oboro
era stata
a dir poco sprezzante, nei confronti della Principessa, ma le minacce
sussurrate nei corridoi sempre bui di Suzanoh sembravano averla spinta
a
superare momentaneamente il suo astio nei confronti di tutto ciò che
riguardava
Nohr…
-Non
è qualcosa che una donna è capace di lasciar succedere, Kaze.- sembrò
rispondergli, Orochi, con un tono di voce che improvvisamente sembrava
aver
perso quel fondo di giocosità che la caratterizzava persino nei momenti
più
bui, ma Kaze non se ne sorprese: rammentava perfettamentegli assassini
che
avevano tentato di introdursi nel castello di Shirasagi anni prima e
che
Orochi, avendoli scorti nelle carte, aveva tentato di fermare da sola…
era
stata Zoe, attirata dal suono dello scontro e dalle urla di sua madre,
ad
intervenire prima che succedesse qualcosa di irreparabile, ma Kaze non
avrebbe
dimenticato facilmente i vestiti strappati di Orochi e l'orrore che
aveva
scorto nei suoi occhi quando era accorso sul posto.
Tacquero,
camminando in silenzio per una manciata di minuti in cui, Kaze ne era
certo, i
pensieri di Orochi erano tornati almeno quanto i suoi a quella notte di
tanti
anni prima, a quanto tempo aveva impiegato l'Onmyoji a riprendersi dopo
quella
brutta esperienza… come avrebbe potuto, Ileana, sopportare qualcosa la
cui sola
prospettiva aveva rischiato di spezzare una persona molto più adulta e
preparata di lei? Come avrebbe potuto, lui, permettere a quei vili,
spregevoli
esseri di abusare di qualcuno che aveva affrontato già troppo?
-Hai
fatto il possibile per quella ragazza, e anche l'impossibile.- esordì,
all’improvviso, Orochi, sorprendendolo abbastanza da spingerlo a
voltarsi per
lanciarle un’occhiata angosciata.
No
che non aveva fatto abbastanza.
Kaze
avvertì i denti stridere e quel dolore sordo sembrò echeggiare nella
sua mente,
nel suo petto, rimescolando tutte quelle parole che non aveva potuto
dire,
quella furia che aveva imbrigliato così strettamente e che adesso
sembrò
risvegliarsi tutto ad un tratto, pungolata dall’ormai onnipresente
frustrazione
che provava.
-Andare
contro quel piccolo principe è stato pericoloso.- aggiunse lei – e
quella fu la
proverbiale, fatale ultima goccia che distrusse tutto ciò con cui Kaze
aveva
tentato di acquietare la sua ira.
-Perché
quel principe non sa pensare ad altro che alla sua paura di
Nohr!-ringhiò,
serrando le dita fra quelle di Orochi.
Paura.
Era
tutto lì il problema.
La
paura di Takumi aveva preso il sopravvento sul suo buonsenso, sul suo
decoro,
sulla sua decenza, esattamente come la paura di Ileana aveva
soverchiato la sua
razionalità, trasformandola in una creaturina spaventata e feroce che
avrebbe
lottato con le unghie e con i denti contro ogni singolo sforzo che lui
avrebbe
potuto fare di lì in avanti.
Paura.
Anche
lui aveva avuto paura, tanti anni prima. Aveva avuto così tanta paura
che
ancora si svegliava, di notte, madido di sudore persino in pieno
inverno,
terrorizzato all’idea di che cosa era stato capace di fare, di
permettere, gli
occhi verdi di quella bambina innocente mandata a morire a causa della
sua
inerzia ancora così vividi nella memoria…
Si
passò la mano libera fra i capelli, lasciandosi sfuggire un breve
rantolo
angosciato, tormentato.
-Non…
non potevo, Orochi. Non potevo lasciare che le succedesse nient'altro.
Non
posso.-
No,
non poteva.
Non
avrebbe più nemmeno potuto guardarsi allo specchio se lo avesse fatto.
Non
avrebbe potuto vivere con se stesso, non più, se ad Ileana fosse
successo
qualcos’altro perché lui non era stato capace di fermare tutto.
Orochi,
tutt’altro che sorpresa da quell’esplosione che così poco si addiceva
al suo
carattere così tranquillo, scosse la testa.
-Non
l'hai fatto, e non lo farai.-mormorò, inclinando la testa per
dedicargli
un’occhiata affettuosa, gentile, comprensiva
–
quante volte aveva ascoltato quelle parole, quante volte aveva offerto
conforto
a quelle confessioni strozzate che Kaze non si era mai permesso con
nessun
altro… -Non hai fatto tu quella scelta, Kaze. Non puoi continuare a
torturarti
in questo modo.-
Kaze
chiuse gli occhi, spezzando bruscamente ogni contatto fisico con lei e
muovendo
un passo avanti per aprire la porta della propria stanza.
-Una
ragazza innocente sta pagando un prezzo che le è stato imposto a causa
mia.-
Orochi
sbuffò, spazientita.
-Adesso
stanno parlando la tua rabbia e il tuo senso di colpa. Non sei lucido.-
lo
rimbrottò, incrociando le braccia, ma Kaze le diede le spalle ed entrò
per
primo, dirigendosi verso il baule in cui aveva nascosto le piante
officinali
che aveva sottratto dalle cucine mentre Hinata distraeva la cuoca con
le sue
chiacchiere. -Come pensi di poterla aiutare in questo stato?-
Fingendo
di non averla sentita, Kaze agguantò la borsa di fialette e tornò
dall’amica,
evitando accuratamente di incrociare il suo sguardo.
-Ecco
le tue erbe.-
Un
improvviso dolore al viso lo riscosse, costringendolo a riportare
l’attenzione
sull’Onmyoji: Orochi gli aveva pizzicato la guancia con abbastanza
forza da,
probabilmente, lasciargli un segno, ed ora lo stava fissando con la
stessa
smorfia disgustata che, solitamente, dedicava a Saizo.
-Non
provarci nemmeno, mio adorabile Kaze.- lo avvertì, ma lui – ancora una
volta –
non diede peso alla sua velata minaccia.
-Non
posso scusarmi per averle prese, ma sono dispiaciuto per averti
irritata.-
continuò, scostandosi rapidamente per evitare un secondo pizzicotto.
-Sarà
molto più salutare per te se smetterai di comportarti in questo modo adesso,
o
mi costringerai a fare qualcosa di molto disdicevole a questa testa
così
carina.- soffiò lei, irritata, alzandosi sulle punte dei piedi per
picchiettare
un dito sulla sua fronte. -O preferisci continuare a comportarti come
tuo
fratello? Perché, sai, è proprio quello che stai facendo adesso.-
aggiunse,
strappandogli un mezzo sorriso intriso di tristezza.
-Ti
sorprende così tanto?-
Orochi
scosse la testa, piccata. -No, ma è davvero irritante.- replicò,
serrando le
mani sui fianchi e scrutandolo con quel cipiglio severo che Kaze le
aveva visto
usare con una Zoe adolescente e con un Saizo non così tanto adolescente
ben più
di una volta. -Allora, devo legarti per impedirti di sparire nel nulla
o mi
farai la cortesia di ascoltarmi?-
Kaze
aggrottò le sopracciglia, perplesso e, a dirla tutta, un po' intimidito
dalla
serietà nella voce dell'amica.
-…perché
ho l'impressione che tu lo abbia già fatto prima?- si arrischiò a
domandare, ma
Orochi ammiccò, divertita.
-Una
donna deve diventare creativa quando ha una ninja come moglie.-
Kaze
impiegò soltanto un secondo più del solito per comprendere
quell'allusione ma,
nel momento in cui la sua mente gli fornì un alquanto colorito esempio
di cosa
Orochi avesse voluto intendere, sentì un improvviso calore allargarsi
dal
colletto della tunica fino alle guance. -C-Certo.- balbettò, scuotendo
rapidamente la testa per cercare di scacciare quel pensiero prima che
il suo
imbarazzo diventasse ancor più evidente. -N-Non intendevo…-
Orochi
si lasciò sfuggire una risata piena, trillante, quel tipo di risata che
riusciva
sempre a rasserenare l'animo di chi le era accanto.
-Ecco
il Kaze che conosco, finalmente.- miagolò, soddisfatta, avvicinandosi
al ninja
per posare le mani sottili e curate sulle sue guance, costringendolo a
sostenere la fermezza nei suoi grandi occhi violetti. -Ascoltami bene.
Hai
passato gli ultimi quattordici anni flagellandoti per il destino di
quella
ragazza, ma non mi sembra proprio che abbia avuto una brutta vita. È
stata
cresciuta come una principessa, dopotutto, e mi sembra anche che si
siano presi
decisamente cura di lei.-
Kaze
sospirò, per l'ennesima volta, sentendo l'atroce bisogno
di
credere alle parole di Orochi cozzare contro la cocente verità a cui
era stato
costretto ad assistere.
-Come
puoi esserne tanto certa?- mormorò, rammentando l'assoluta mancanza di
preparazione di Ileana: come poteva, una famiglia – la
famiglia reale di Nohr, nientemeno
–, aver gettato una
figlia, una sorella, nelle mani di un nemico di cui non sapeva nulla e
senza
nemmeno avere la decenza di spiegarle che cosa sarebbe potuto
succedere, come
avrebbe dovuto comportarsi?
-Eri
lì quando ha parlato del principe di Nohr.- gli rammentò Orochi,
scostando con
affetto una ciocca dei suoi sottili capelli verdi e raccogliendogliela
dietro
l'orecchio, come faceva sempre per rassicurare anche sua figlia.
-Quella voce e
quegli occhi erano quelli di qualcuno che sa cosa significa essere
profondamente amato.-
Sì,
dovette ammettere Kaze. Sì, il modo in cui Ileana aveva accennato al
principe
Xander gli aveva stretto il cuore, tanto era l'affetto e la
disperazione che
aveva udito intrisi nelle sue parole gonfie di pianto.
-Chiamalo
istinto materno, se vuoi, ma sono certa che sia così.-
Oh,
avrebbe dato qualunque cosa per cullarsi nelle sue parole, per
illudersi che
quella fosse la realtà… ma non poteva, ed Orochi sospirò, forse
leggendo sul
suo volto contratto la sfiducia e la rassegnazione che Kaze sentiva
rimestare
nel petto, nello stomaco.
-O,
visto che non hai intenzione di credere alle parole della saggia
Orochi, pensa
ai suoi bei vestiti pregiati o al modo in cui si muove e in cui parla.-
esclamò, alzando lo sguardo verso il soffitto per un istante e
mormorando
qualche parola che ricordava molto un "Hotoke,
dammi la forza
di sopportare questi ninja"
prima di tornare a lui. -Quella
ragazza è una principessa in tutto fuorché nel sangue, Kaze.- affermò,
e sì, in
quello Kaze poteva credere, quella era una verità che poteva accettare,
con cui
avrebbe potuto lavorare per offrire ad Ileana tutto il sostegno di cui
era in
grado.
Piegò
le labbra in un sorriso lieve ma sincero, posando le mani su quelle
dell'amica
per scostarle dal proprio volto, ignorando la sgradevole sensazione di
vuoto
che provò nel separarsi da quel tocco pieno d'affetto.
-Grazie,
Orochi.- mormorò, allontanandosi di un passo, ma lei rise.
-Oh,
non ringraziarmi. Hai ancora un debito con me.- gli ricordò, sollevando
il
sacchetto pieno di erbe officinali ed inarcando un sopracciglio,
rammentandogli
quanto quel furto, sebbene commesso per nobili motivi, non sarebbe
stato
dimenticato.
Il
ninja, perfettamente conscio di quanto quel debito si sarebbe protratto
per
anni ed anni a venire, soffocò un gemito sconsolato.
-Come
dimenticarlo.-
.
§
.
Finalmente,
dopo tutto quel tempo trascorso nel verde intenso della foresta, quel
penoso
viaggio stava per avere fine.
Zoe
passò distrattamente le dita fra le folte, soffici penne del collo di
Katsu,
sentendo il sommesso gemito di approvazione del kinshi riverberare fra
le dita.
Sorrise appena, intenerita, stringendo le ginocchia e tirando
gentilmente le
redini verso un lato per farlo abbassare di quota.
Era
stata Reina a proporle di farsi un volo, forse notando la sua
espressione
insofferente od il silenzio pressante che sembrava essere calato su
tutto il
convoglio e che, a giudicare dalle espressioni contratte di tutti, notò
Zoe,
sembrava non essersi smorzato nemmeno in sua assenza.
Avevano
raggiunto l’inizio della strada che li avrebbe condotti nuovamente a
Shirasagi,
dove avevano lasciato la carrozza su cui viaggiava la Regina al loro
arrivo –
sarebbe stato impossibile attraversare la foresta con quella stupida
baracca
guidata dai Marionettisti, rifletté Zoe, lanciando un’occhiata
diffidente alla
portantina meccanica su cui Mikoto, apparentemente immersa in una
profonda
meditazione, sedeva fra decine di cuscini colorati.
Ryoma
camminava accanto alla vettura della Regina, impegnato a discutere di
chissà
cosa con Reina ed Orochi; Takumi, invece, procedeva dall’altro lato
rispetto al
fratello, silenzioso e cupo in volto come Zoe lo aveva visto ben poche
volte
nella sua vita, seguito a poca distanza da Oboro e da Hinata.
Saizo
e Kagero, invece, non erano in vista, ma Zoe non se ne sorprese: Kagero
era
sicuramente andata avanti per assicurarsi che il percorso fosse sicuro,
ora che
la foresta era ormai rimasta alle loro spalle, mentre Saizo era più
indietro,
celato allo sguardo dei più a poca distanza da dove Kaze camminava
accanto alla
Principessa di Nohr.
Zoe
spinse Katsu a scendere ancora, cogliendo l’espressione contratta di
Ileana
anche da lontano: la Principessa continuava a guardarsi intorno,
guardinga,
come se potesse percepire la presenza di qualcuno di invisibile che la
seguiva
– perché era effettivamente quello che Saizo stava facendo, chissà se
per
ordine di Ryoma o per sua personale iniziativa: sin da quando erano
partiti, il
giorno prima, Zoe lo aveva scorto sempre nei paraggi della ragazza
nohriana,
nascosto eppure incapace di sfuggire allo sguardo della sua deshi.
Forse
Ileana se n’era accorta o, comunque, capiva che qualcosa non andava:
sembrava
un gatto sul punto di scappare a nascondersi, tesa come appariva
persino da
lassù – e nessuno meglio di lei sapeva quanto snervante potesse essere
sentire
l’onnipresente sguardo di un ninja su di sé.
Certo,
lady Mikoto le aveva offerto di accomodarsi sulla portantina assieme a
lei, ma
Zoe non si era sorpresa nemmeno un po’ quando Ileana aveva rifiutato
con una
rapidità impressionante, lanciando un’occhiata atterrita in direzione
di
Takumi.
Sbuffò,
costringendosi ad inspirare profondamente l’aria fredda e tagliente che
sembrava determinata a mozzarle il fiato.
Quello
stupido non sembrava intenzionato a smetterla di comportarsi come un
idiota.
Già
da quando erano partiti, già dal primo istante in cui Ileana aveva
messo piede
fuori dalla fortezza, Takumi non aveva mai smesso di riservarle quegli
sguardi
pieni di livore e di rabbia che avevano innervosito tanto la
Principessa quanto
tutto il resto dell’entourage,
facendo calare quel silenzio pesante e
soffocante da cui Zoe era riuscita a sfuggire, per un po’,
nascondendosi nei
cieli.
Sospirò,
lo stomaco che si stringeva nel rendersi conto di quanto profonde
fossero le
occhiaie sotto gli occhi di Ileana e strette le sue labbra: essere
guardata a
vista da qualcuno di invisibile e, allo stesso tempo, sapere che la
persona che
l’aveva tormentata così a lungo si trovava a pochi passi di distanza da
lei la
stava logorando, era evidente… maavrebbe
logorato
chiunque, dopotutto.
Katsu
pigolò qualcosa, chiaramente contrariato, quando lei lo diresse verso
il basso,
spingendolo a planare lentamente invece di gettarsi in picchiata;
passarono
accanto alla portantina della Regina, che socchiuse gli occhi per
rivolgerle un
rapido sorriso a cui Zoe rispose con un cenno della testa, e a Takumi,
che alzò
di scatto la testa verso di lei quando l’ombra del kinshi gli passò
accanto.
Zoe
si sforzò di non guardarlo, di non cedere al terribile bisogno che
provava di
cercare nel suo viso qualcosa di familiare, un accenno di pentimento, qualcosa:
si
concentrò invece su Hinata, sulla risata divertita che gli sfuggì
quando l’ala
di Katsu gli arruffò i capelli e sul ricordo ancora così vivido della
prima
volta in cui Zoe lo aveva portato a volare.
Sorrise,
fra sé, ma forse il suo fu un sorriso più triste di quanto avesse
pensato
perché, quando guidò Katsu per atterrare accanto a Kaze e ad Ileana, il
Maestro
Ninja le rivolse un’occhiata perplessa che lei, tuttavia, ignorò.
-Va
tutto bene, milady?- domandò, rivolgendosi con tutta la gentilezza di
cui era
in grado a lady Ileana, che aveva alzato lo sguardo su di lei per
dedicarle
un’occhiata assente. -Sembrate un po' nervosa.-
Zoe
si morse la lingua, sforzandosi di non ridacchiare quando Ileana
raddrizzò
immediatamente le spalle, impettita.
-Sto
benissimo. Ti ringrazio per il tuo interessamento.- rispose, ossequiosa
esattamente com’era stata con Ryoma, ma la Samurai non si lasciò
intimidire:
quella ragazza era uno scricciolo, suvvia, come poteva pensare che
sarebbe
bastato un tono pomposo per farla desistere?
-Ah,
se lo dite voi.- mugugnò, scrollando le spalle e incrociando le
braccia,
scrutando l’altezzosa Principessa con un sopracciglio inarcato. -Avete
mai
volato?- le domandò, cambiando argomento, ma lei scosse rigidamente la
testa.
-Non
posso dire di averlo fatto.- perseverò, rigida, ma dal modo in cui
occhieggiò
Katsu e dal lampo di curiosità che Zoe scorse attraversarle il viso
poté
intuire quanto l’idea non le dispiacesse.
Batté
le mani, sforzandosi di sorridere con un entusiasmo e un’allegria che
non
aveva.
-Beh,
saltate su. Vi porterò a fare il vostro primo volo!- esclamò, dando una
pacca
invitante sulla sella di Katsu, alle sue spalle; Ileana, però,
s’incupì, e Zoe
avrebbe potuto giurare
di sapere che cosa le stesse ronzando nella
testa. -E no, non ho intenzione di buttarvi giù non appena arrivate
abbastanza
in alto.- aggiunse, ironica, accogliendo la prevedibile occhiataccia di
Kaze
con un mezzo sorriso – “Oh,
andiamo, era soltanto una battuta!”.
Ileana
però arrossì, chiaramente sorpresa dell’intuizione corretta di Zoe,
distogliendo lo sguardo da lei per rivolgerne uno pensoso e poco
convinto al
kinshi.
-Gli
animali si innervosiscono, quando mi avvicino. Il tuo pennuto non sarà
felice
di avermi come passeggera.- brontolò, diffidente, ma Zoe si limitò a
scuotere
la testa.
-Non
preoccupatevi, Katsu è perfettamente addestrato. Si comporterà bene
fino a che
terrò io le sue redini.- la rassicurò, rivolgendole il suo sorriso
migliore e
raddrizzando le spalle; Ileana, però, abbassò gli occhi, chiaramente
non
convinta dall’idea.
-Comunque
non credo che__-
Zoe
sbuffò, spazientita.
-Non
volete stare lontana da lui?- sbottò – tanto,
ormai, cosa
importava una rispostaccia in più o una in meno a quella masnada di
reali
impazziti?
–, scoccando un’occhiataccia in direzione di Takumi quando
Ileana, sorpresa dalla sua veemenza, tornò a guardarla. -Lassù, non
potrà
raggiungervi in alcun modo.- continuò, accennando al cielo e
rivolgendosi
nuovamente a lei, il sorriso svanito per lasciar spazio a
quell’espressione
vuota e pacata che detestava ma che immaginava sarebbe stata la sua
arma
migliore nei giorni a venire.
Ileana
tacque per un po’, spostando ripetutamente l’attenzione da lei a Katsu
e poi a
Takumi, mordicchiandosi un labbro e sfregandosi quelle minuscole mani
sulle
altrettanto esili braccia – chissà
se aveva freddo,
si
chiese Zoe: era stata nelle terre nohriane, anni prima, ed aveva potuto
constatare di persona quanto rigido potesse essere il loro inverno,
quindi
magari Ileana era abituata a temperature ben più crudeli di quello che
a
Hoshidoera considerato “freddo”…
-Bene.-
Zoe
trasalì, colta di sorpresa dalla risolutezza che avvertì
nell’esclamazione
asciutta di Ileana, ma tentò di non darlo a vedere; annuì, scostandosi
per
lasciarle spazio alle proprie spalle quando la Principessa si avvicinò
al
kinshi senza mai perderne d’occhio il becco affilato. -Posso salire da
sola.-
sibilò, e Zoe si costrinse a trattenere una risata: aveva un che di
tenero,
quella ragazzina che cercava in tutti i modi di gonfiare le piume per
sembrare
più grande e forte di quello che era…
-Non
l'avrei mai messo in dubbio.- commentò, ignorando il secondo sguardo di
avvertimento che, prevedibilmente, giunse da parte di Kaze, e quello
palesemente irritato che invece le arrivò da Saizo.
Quanto
erano nervosi, quel giorno, quei due.
Rimase
diligentemente immobile, sforzandosi di non offrirsi di aiutare la
Principessa
quando lei, non senza sforzi, si arrampicò un po’ goffamente sul dorso
di
Katsu; si limitò a continuare ad accarezzare il lungo collo sottile del
kinshi,
mormorandogli qualche parola affettuosa finché non avvertì Ileana
finire di sistemarsi
e aggrapparsi, con un’ostinazione davvero ammirabile, al bordo della
sella
invece che a lei.
Scosse
la testa, dicendosi che un altro commento ironico le avrebbe
probabilmente
causato dei guai, sistemandosi le briglie fra le dita.
-Avete
paura dell'altezza? Perché stiamo per andare davvero, davvero in
alto.-la
avvertì, saggiando sui polpastrelli il cuoio ruvido delle redini,
assaporando
la sensazione che le dava scorrendole sulle tante piccole callosità
delle mani;
era qualcosa di familiare, che la riportava ai primissimi voli con
Reina, alle
lacrime di gioia che aveva versato quando aveva visto per la prima
volta il
mondo dal cielo.
-Non
è un problema. Vivevo in una torre, dopotutto, ci sono abituata.-
mormorò
Ileana, meditabonda, quando Zoe diede un deciso colpo di talloni ed il
kinshi
balzò in avanti, spiegando le ali per sollevarsi da terra.
-Una
torre?- domandò, senza pensarci, incuriosita: aveva sentito parlare dei
pinnacoli di Krakenburg, il castello che dominava la capitale di Nohr,
Windmire, ma aveva sempre pensato che la grandiosità di quella reggia
si
sviluppasse verso le viscere della terra piuttosto che verso l’alto…
Ileana,
però, tacque, e lei seppe immediatamente di aver fatto un passo falso.
Che
stupida, accidenti,
si disse, mordendosi la lingua: Ileana si era chiaramente
lasciata sfuggire quel commento, ma Zoe già aveva compreso che
accennare in un
qualunque modo a casa sua o alla sua famiglia era il peggior modo
possibile per
tentare di guadagnarsi la sua fiducia.
-Non
avrei dovuto chiedere, mi dispiace. Non sono affari miei.- mormorò,
dopo una
manciata di minuti, voltandosi appena per lanciare un’occhiata ad
Ileana non
appena il volo di Katsu si fu fatto stabile: la Principessa sembrava
fortemente
intenzionata ad ignorarla, ma a Zoe bastò un’occhiata per scorgere una
scintilla di entusiasmo animare quegli occhi verdi che, fino a quel
momento,
aveva visto pieni soltanto di terrore e di confusione.
Soppresse
un sorriso, congratulandosi con se stessa per l’idea che aveva avuto di
portarla lassù: era palese che ad Ileana non dispiacesse affatto
trovarsi lì,
dispersa nella vastità immensa del cielo…
-Beh,
sembravate parecchio chiacchierona quando ci siamo incontrate, ma
presumo che
la prima impressione non sia sempre corretta.-mormorò, distrattamente,
mordicchiandosi le labbra per trattenersi dal ridacchiare quando la
sentì
muoversi, forse a disagio per quel commento ironico.
Con
un gesto fluido, quasi pigro, tirò le redini verso di sé e guidò Katsu
ancora
più su, lasciandosi sfuggire uno sbuffo divertito quando il kinshi si
tuffò in
una corrente ascensionale e lo sbalzo improvviso di altitudine le
trasmise una
sensazione di vuoto alla bocca dello stomaco – dei,
quanto amava volare.
Alzò
un braccio, indicando la lontana catena montuosa che, a nord, spezzava
il
gelido cielo terso di Hoshido con il suo candore.
-Vedete
quelle montagne? La Tribù del Fuoco vive sul picco più alto. Sono stata
là, da
piccola, e sempre là ho visto la neve per la prima volta.- spiegò,
sorridendo
quando rammentò la sensazione che aveva provato quando il primo fiocco
di neve
si era sciolto sulla sua mano, lo sterminato manto bianco che sembrava
perdersi
a vista d’occhio, l’aria fredda che le aveva dato l’impressione di
tagliarle a
metà il petto.
Ileana
si sporse un po’, incuriosita.
-Davvero?-
domandò, e Zoe annuì.
-Sì.
Non nevica mai, a Shirasagi.-rispose, e probabilmente anche Ileana si
accorse
del rammarico nella sua voce. -Era bella. Non ho avuto la possibilità
di
godermela, ma era davvero bellissima.- continuò, scuotendo la testa per
scacciare quei ricordi che sembravano così lontani da assomigliare più
ad un
sogno che a qualcosa che aveva vissuto davvero.
Con
un delicato colpo di talloni Katsu si volse verso ovest, verso la
grande
muraglia che svettava in mezzo alla foresta, dorata nella luce fredda
del sole
di mezzogiorno.
-Da
qui potete vedere Suzanoh.- continuò a spiegare, più per riempire quel
pesante
silenzio che per ottenere una qualche risposta dalla taciturna
Principessa.
-Quel muro ha protetto Hoshido da ogni tipo di attacco nei secoli
passati, ma…
non mi piace. Fa sentire le persone piccole, ed è odioso.-
Ileana,
alle sue spalle, sembrò agitarsi.
-Noi
eravamo là, vero?- le chiese e, ancora una volta, Zoe annuì.
-Sì.
È l'ultima linea di difesa della capitale.-
-Quindi…
è lontana da Nohr.-
Zoe
abbassò lo sguardo, sentendo qualcosa dolerle nel petto quando colse la
nota di
sofferenza nascosta nelle atone parole di Ileana.
-Sì.-
ammise, sapendo perfettamente che non esisteva un modo gentile per
dirle che si
trovava più lontano da casa di quanto non fosse mai stata. -Per
arrivare alle
terre nohriane, si dovrebbe tornare indietro da Suzanoh fino
all'Abisso. Credo
che ci vorrebbe circa una settimana, a piedi, da dove ci troviamo
adesso.-
-Capito.-
-Vedete
quelli?- sospirò, riprendendo la sua guida improvvisata perché il
silenzio era
davvero troppo opprimente, perché aveva bisogno
di
distrarsi per non lasciare che la sua mente provasse ad immaginarsi che
cosa
stesse passando quella povera ragazza spaurita. -Quelli sono i tetti
del
castello di Shirasagi. Quando avevo quindici anni, mi sono arrampicata
lassù
assieme ad Hinata. I nostri maestri ci hanno rimproverato per giorni,
dopo, ma
ne è valsa la pena.-
Oh,
sì, Saizo aveva fatto delle urla memorabili, quella volta: aveva preso
in
prestito un pegaso per salire fin lassù e andare a riprenderla, e lui odiava
volare – e per fortuna era arrivato soltanto dopo che lei e Hinata
avevano__
Scosse
la testa, scacciando un ben altro tipo di ricordi perché non
era proprio il caso
di arrossire come una stupida in quel momento.
-Se
il cielo è limpido, da lassù si possono vedere persino le tempeste
dell'Abisso.- continuò, sperando che quella distrazione momentanea
fosse
passata inosservata.
-È
davvero così alto?-
-Sì.
Non so come siano stati in grado di costruire qualcosa di così alto, o
così
grande, anche. Ancora non so quante stanze ci siano in quel palazzo, e
vivo lì
sin da quando ero poco più di un infante.- borbottò, ma Ileana si
limitò ad un
gesto secco della testa e poi tacque di nuovo, sprofondando per
l’ennesima
volta nel suo mutismo.
Zoe
sospirò, accomodandosi meglio sulla sella e rivolgendo la sua
attenzione al
vasto, infinito manto azzurro che si stendeva a perdita d’occhio
intorno a lei.
Non
sapeva cosa fare.
Capiva
il perché del mutismo di Ileana: al suo posto, probabilmente, pur di
proteggere
le persone che le erano care, lei si sarebbe comportata forse persino
peggio di
quanto l'apparentemente altezzosa e cupa Principessa stesse facendo… ma
cosa
poteva fare per aiutarla, per distrarla dai pensieri che sicuramente
continuavano a ronzarle in testa?
Maledizione,
lei era brava con gli animali, non con le persone!
Sbuffò,
piegando la testa di lato un paio di volte per far scroccare i
legamenti
intirizziti del collo.
Forse
stava prendendo quella situazione dal lato sbagliato: diventare matta
cercando
di capire che cosa avrebbe potuto aiutare la ragazza dallo sguardo
scuro che
portava in sella con sé non stava sortendo alcun effetto, quindi forse
avrebbe
dovuto guardare le cose da un altro punto di vista… che cosa faceva,
lei,
quando non riusciva a pensare? Quando sentiva i pensieri cozzare l'uno
contro
l'altro, quando non riusciva a scovare il bandolo di una matassa
intricata che
sembrava assordarla, accecarla, annullare tutto il resto?
Sfiorò
distrattamente le penne di Katsu, meditabonda, perdendosi per qualche
attimo
nei complicati disegni che creavano incastrandosi l'un con l'altra… e
poi
sorrise, dandosi rapidamente della stupida per non esserci arrivata
prima, raddrizzando
le spalle e lanciando un'occhiata speranzosa alla Principessa.
Che
cosa faceva, lei, quando il mondo diventava troppo stretto?
-Posso
dirvi una cosa?- domandò, ottenendo soltanto l’ennesimo silenzio in
risposta,
ma non se ne curò: afferrò più saldamente le redini e strinse le
ginocchia e
Katsu, consapevole di cosa quei gesti significavano, alzò la testa per
lanciare
uno stridio di gioia verso il cielo.
Volava.
-Tenetevi
forte.-
Ed
Ileana fece appena in tempo ad aggrapparsi alla sella del kinshi, prima
che
quello serrasse le ali contro i fianchi, abbassasse la testa e si
gettasse
verso il basso.
Lo
strillo sorpreso della Principessa si perse nel fischio del vento che,
per un
istante, azzerò qualunque altro rumore: tagliarono l’aria con la stessa
velocità
di una freccia e Zoe rise, esilarata dalla ventata di adrenalina che la
travolse guardando il suolo avvicinarsi ad una rapidità spaventosa,
quando il
gelo le riempì gli occhi di lacrime e lo stomaco le si ribaltò nella
pancia nel
momento in cui Katsu spalancò le ali ad un soffio dal terreno,
sfrecciando
rasoterra e poi puntando di nuovo verso l’alto, gettandosi in un’altra
corrente
calda che cavalcò per ritornare in quota.
Con
uno stupido, esilarato sorriso sulle labbra Zoe si voltò, non riuscendo
a trattenersi
più dal ridere quando scorse l’espressione stralunata e sconvolta della
Principessa.
-Ve
l'avevo detto di tenervi forte.- commentò, divertita, quando Ileana
alzò lo
sguardo per guardarla.
-Tu…
io…- balbettò, ad occhi sgranati, pallida come un cencio… e poi,
riempiendosi i
polmoni dell'aria tersa e fredda di quelle altitudini, scoppiò a
ridere,
lasciando andare il bordo della sella per stringersi le braccia sul
ventre, le
guance che si rigavano delle stesse lacrime che si erano disegnate su
quelle di
Zoe.
-Mi
stavo già aspettando un'altra sessione dei vostri fantasiosi insulti,
lo
ammetto.- ridacchiò la Samurai, sollevata da quella reazione in cui
aveva
sperato e inclinando la testa per ascoltare meglio quella risata, per
imprimersela nella memoria… e, per un breve istante, per lasciare che
quel
suono sincero e cristallino le desse sollievo, per lasciare che
allontanasse
tutti i ricordi e le congetture che l’avevano tormentata in quei giorni.
-È
STATO FANTASTICO!- strillò Ileana, ignara dei pensieri dell’altra,
arrossendo
però quando si accorse che Zoe la stava guardando. -Oh, ehm…
intendevo…-
mormorò, abbassando lo sguardo, ma la Samurai sogghignò.
-Di
nuovo?- propose e, dal modo in cui Ileana le lanciò un’occhiata
speranzosa, fu
chiaro ad entrambe quanto le sarebbe piaciuto.
-Non
dovresti stancare il tuo pennuto a causa mia.- commentò comunque, ma
Zoe rise e
si voltò, arrotolandosi le redini intorno ai polsi.
-Katsu
adora queste cose anche più di voi.- la rassicurò, guidando il kinshi
ancora
più in alto rispetto a prima, fino a che l’intero entourage
della Reginanon parve soltanto una striscia di formichine sulla strada
lastricata.
Guardò
verso l’alto, beandosi della carezza del Sole sulla pelle, socchiudendo
gli
occhi per lasciarsi avvolgere da quell’istante di perfetta immobilità,
dall’odore dell’aria gelida e limpida che le si insinuava sotto i
vestiti e dal
suono meraviglioso del vento che tanto le ricordava lo sciabordio del
mare.
Il
mondo poteva anche essere troppo piccolo, ma il cielo non avrebbe mai
avuto
fine.
-E
vale lo stesso per me.- aggiunse, e poi ci fu soltanto il fischio del
vento, le
grida di giubilo di Katsu e quelle esilarate della Principessa.
-WOAH!
Avverti, prima!- esclamò, sconvolta, non appena riuscì a riprendere
fiato,
passandosi una mano fra i capelli tutti arruffati e sfregandosi il
viso. Zoe
represse un sorriso, arrotolando le redini intorno al pomolo della
sella per
voltarsi verso di lei.
-Mi
dispiace.- si scusò, ma quando Ileana inarcò un sopracciglio, poco
convinta,
ridacchiò. -No, a dire il vero no, neanche un po'.- si corresse,
strappando uno
sbuffo divertito all'altra ragazza che, chiaramente esasperata, scosse
la
testa.
-Allora…
Katsu, giusto?- domandò, piegandosi di lato per lanciare un'occhiata
alla testa
del kinshi.
-Sì!
Questo piccolino è uno dei kinshi più veloci di tutta Hoshido. Mi sono
presa di
lui fin da quando non era altro che una gallina spennacchiata, ma
adesso è
diventato l'orgoglio dei nostri allevatori e la cavalcatura ufficiale
di
Reina.- le spiegò Zoe, dimenticandosi persino di acquietare il suo
entusiasmo
quando si ritrovò a parlare di Katsu, l'orgoglio palpabile nelle sue
parole.
Ileana, però, non ne parve disturbata, anzi: allungò una mano,
incuriosita, per
sfiorare cautamente il dorso del pennuto, lasciando scorrere la punta
delle
dita fra le piume candide.
-Quindi…
non proverà a buttarmi giù finché tu sei qui con me?- chiese, e Zoe,
ancora una
volta, annuì.
-Esatto.
Katsu si fida di me, come tutti i nostri kinshi. Ho passato un sacco di
tempo
nelle stalle, nel tempo, per via di tutte le punizioni…- si morse la
lingua,
ricordando anche troppo bene le lunghe, interminabili ore che aveva
passato a
ripulire le stalle, masticando questo o quell'insulto indirizzato a
Saizo con
la sola compagnia dei kinshi o dei pegasi. -Avete detto che non andate
d'accordo con gli animali, giusto? È perché siete una maga? Anche mia
madre ha
lo stesso problema.- domandò, poi, dicendosi che quella, in fondo, era
una
domanda innocua, che non avrebbe potuto rappresentare alcuna minaccia
agli
occhi della Principessa; ed infatti Ileana annuì, allontanando la mano
dalle
soffici piume di Katsu ed incrociando di nuovo le braccia sul ventre.
-Credo
di sì. Se gli animali non sono abituati alla magia, non si avvicinano
volentieri a me.- spiegò, laconica, e Zoe quasi riuscì a comprendere la
frustrazione che Ileana doveva provare per quel motivo – non poteva
davvero
immaginare una vita senza Katsu o Robusuta, il cagnolino trovatello che
aveva
regalato a Ryoma anni addietro, e tutti gli altri animali che aveva
portato a
casa nonostante la disperazione di Orochi…
-Katsu
è abituato ai maghi, come i nostri pegasi.- mormorò, un lieve sorriso
che si
disegnava sulle sue labbra rammentando l’espressione esasperata di sua
madre
all’ennesimo randagio che aveva portato a casa non più di qualche mese
prima.
-Ho sentito parlare di una razza molto rara che lascia addirittura che
i maghi
li cavalchino.- aggiunse, rivolta più a se stessa che ad Ileana.
-Sì,
li conosco.-
Zoe
sussultò, voltandosi per lanciare un’occhiata sorpresa alla Principessa.
-Davvero?
Oh, adesso sono invidiosa. Non ne ho mai visto uno.- esclamò, conscia
dell’espressione estatica che doveva essersi disegnata sul suo viso –
insomma,
quei pegasi erano quasi una leggenda!
Avrebbe dato qualunque
cosa per poterne avvicinare uno – oh, e le viverne, a Nohr cavalcavano draghi,
accidenti, e…
Sospirò,
mordendosi la lingua, quando comprese di aver detto la cosa sbagliata
per
l’ennesima volta: Ileana aveva serrato le labbra e distolto lo sguardo
da lei,
di nuovo scura e distante, inavvicinabile come una triste, bellissima
bambola
di porcellana al di là di una lontana vetrina di quei negozi che Zoe
aveva
tanto ammirato da bambina.
-Ed
eccoci di nuovo tornate al mutismo. Non che io possa biasimarvi,
dopotutto.-
mormorò, trattenendosi dallo sbuffare, digrignando i denti e riportando
la sua
attenzione sull’infinità che le circondava: c’era qualche nube, a est,
che
sembrava promettere pioggia, notò… ma poi scorse due puntolini più
chiari
stagliarsi in quel grigiore distante, ed i suoi occhi allenati colsero
il
bagliore della luce del Sole, alle loro spalle, riverberarsi su
familiari penne
candide.
-Ah,
parli del kitsune…- borbottò, arricciando le labbra quando distinse un
maestoso
pegaso spiegare le sue ali nel cielo terso e scorse una sciarpa
altrettanto
abbacinante sventolare nella corrente creata dal turbinio del volo.
Hinoka.
Ileana
si sporse oltre la sua spalla, incuriosita, rivolgendole uno sguardo
interrogativo quando parve non comprendere a cosa si stesse riferendo
la
Samurai.
Zoe
si mordicchiò un labbro, irritata.
-Quello
è un pegaso. Il pegaso della principessa Hinoka, per essere precisa…
dev'essersi stancata di aspettare il nostro ritorno, immagino.-
ipotizzò,
tutt’altro che contenta: poteva già immaginare l’irruenza di Hinoka, la
sua
felicità nel poter rivedere, finalmente, la sorellina per cui aveva
sacrificato
così tanto, ma non era affatto certa che sarebbe stato positivo per
Ileana…
La
Principessa aggrottò le sopracciglia, sempre più perplessa.
-Perché?-
chiese, e Zoe in quel momento desiderò ardentemente di trovarsi da
un’altra
parte, di potersi sottrarre a quella domanda a cui non voleva proprio
rispondere.
-Beh…
è la sorella minore di Ryoma, ma è più grande di me e di…- cominciò,
interrompendosi però quando il nome di Takumi si affacciò nella sua
mente e
qualcosa, nel suo petto, stridette.
Takumi
non aveva mai perdonato ad Hinoka di averlo dimenticato.
Hinoka
aveva scelto la strada del guerriero tanti anni prima, in nome di
quella
sorellina perduta per cui aveva sofferto così tanto: era diventata uno
dei
Falconi più temibili che Hoshido avesse mai conosciuto, era rispettata
dai suoi
alleati e temuta dai suoi nemici, ma… il prezzo che aveva pagato per
quella
dedizione, per quelle rinunce, era stato il fratellino che da un giorno
all’altro era stato messo da parte in favore di un ricordo.
Zoe
ricordava con fin troppa chiarezza quanto Takumi ne avesse sofferto.
Ricordava
perfettamente i singhiozzi soffocati di quel ragazzino che si era
sentito
abbandonato in nome di una sorella che faticava persino a ricordare, la
forza
rabbiosa con cui l’aveva stretta, le lacrime che le avevano bagnato il
collo
tutte le volte che lui aveva cercato di nascondere il suo dolore nel
buio della
notte e fra le sue braccia…
Strinse
i pugni, sforzandosi di convincersi che il bruciore che avvertiva agli
angoli
degli occhi fosse dovuto solamente all’altitudine.
“Dei,
per favore, restituitemi mio fratello”.
-Comunque,
si ricorda di voi, tutto qua. Dev'essere impaziente di rivedervi.-
mormorò,
forse con meno tatto di quanto sarebbe stato opportuno usare,
passandosi
nervosamente una mano fra i corti capelli della nuca quando Ileana
s’irrigidì.
-Io…
io non…- balbettò, e Zoe si costrinse a mandar giù tutto quanto, a
spingere in
un angolo quei ricordi tanto dolorosi e a nasconderli dietro la sua
espressione
serena, voltandosi per rivolgere un accenno di sorriso a quella ragazza
spaventata.
-Ehi,
non preoccupatevi. Se non volete parlarle, lo rispetterà. È una persona
piuttosto riservata anche lei.- provò a rassicurarla, sentendo il cuore
stringersi quando colse gli inequivocabili segni della paura nelle mani
convulsamente strette di Ileana, negli occhi che dardeggiavano in
direzione del
pegaso sempre più vicino di Hinoka, nel pallore della sua pelle.
-Posso… posso
dirglielo io, se volete. Siamo amiche, mi ascolterà.- tentò, ma Ileana
scosse
la testa.
-No.-
sbottò, ma Zoe non se la prese per il tono brusco e la smorfia
arrabbiata che
le rivolse – non aveva più voglia di arrabbiarsi per niente, a dire la
verità,
voleva soltanto tornare a casa e riabbracciare Sakura e Hana e invitare
Hinata
a cena con lei e sua madre…
-Come
volete, Principessa.- sospirò, scrollando le spalle prima di alzare un
braccio
ed agitarlo per salutare la Principessa hoshijin ormai vicinissima.
-Hinoka,
ehi!- chiamò, e distinse la rossa aprirsi in un sorriso luminoso e
sincero
quando la riconobbe.
-Ah,
eccoti! Hai rubato di nuovo Katsu?- la salutò, ridendo, non appena si
fu
avvicinata abbastanza perché Katsu ed il suo pegaso potessero
sfiorarsi,
guardandola con quell’affetto e quella gentilezza che Zoe aveva sempre
trovato
sorprendenti in una guerriera tanto micidiale.
-No!
Stavolta ho chiesto.- si sforzò di sorridere, perché Hinoka non aveva
fatto
nulla di male e non meritava di scorgere la sua tristezza – era sempre
stata
così affettuosa, con lei, le aveva insegnato a cavalcare i pegasi e a
prendersene cura, l’aveva coperta quando aveva saltato qualche
allenamento per
vedersi con Hinata… avrebbe tanto
voluto
evitare sia a lei
che ad Ileana quella situazione, quell’incontro che si sarebbe
sicuramente
rivelato spiacevole ed imbarazzante per entrambe – ma sgranò gli occhi,
allibita,
quando scorse Hinoka spostare l’attenzione da lei a Ileana ed il suo
sorriso
spegnersi con una rapidità sconvolgente.
“Ma
che…”
Ileana
prese un profondo respiro e Zoe, nonostante non la stesse guardando,
quasi poté
vederla raddrizzare le spalle e sistemarsi gli abiti: dopotutto, si
disse,
stava facendo esattamente quello che lei e Kaze avevano fatto fino a
quel
momento, nascondendosi dietro maschere e ruoli da giocare per
proteggersi e non
impazzire…
-Salve,
Principessa Hinoka. Sono__-
La
voce sostenuta e formale di Ileana, però, si perse nel vento, quando
Hinoka la
interruppe senza degnarla nemmeno di una seconda occhiata per
rivolgersi
nuovamente a Zoe.
-Takumi
e Ryoma? Sono con mia madre?- domandò, ignorando l’espressione
stupefatta di
Zoe e quella probabilmente altrettanto confusa di Ileana – che
cosa accidenti stava succedendo, ora!?
-Beh…
sì, sono con lei, ma…-
Zoe
la fissò, incredula: Hinoka aveva trascorso la
vita
ad
aspettare Ileana! Aveva sacrificato tutto per lei, si era indurita,
aveva
temprato se stessa per diventare sempre più forte e coraggiosa e
adesso nemmeno la guardava!?
Hinoka
annuì, apparentemente ignara dello sgomento della Samurai, lanciando
un’occhiata pensierosa verso il basso. -Bene. Vai avanti, Setsuna è
proprio
dietro di me. Ti scorterà al palazzo.- le ordinò, e Zoe dovette fare
appello ad
ogni oncia della sua testardaggine per frenare l’istinto che l’avrebbe
spinta
ad obbedire all’istante – qualcosa,
in fondo, Saizo doveva pur averlo
inculcato nella sua testaccia dura, no?
– per scuotere la
testa, confusa, e aprire la bocca per protestare.
-Aspetta,
ma non__- cominciò, ma Hinoka alzò una mano, zittendola con quel gesto
ma
rivolgendole poi un breve sorriso per rassicurarla.
-Ci
vediamo dopo, Zoe. Adesso vai, informerò io gli altri.- la frenò, e
prima che
Zoe potesse fare altro che fissarla, sconvolta, la rossa aveva già
tirato le
redini per spingere il suo pegaso in una picchiata ancor più
vertiginosa di
quelle di Katsu, i capelli rossi che splendevano nella luce del Sole
morente e
la sciarpa bianca che svolazzava nel vento.
Zoe
tacque, allibita, per quella che le parve un’eternità, incapace di
concepire
come fosse possibile quel disinteresse al limite della maleducazione da
parte
di Hinoka – Hinoka,
maledizione, che aveva sempre affermato di combattere per la
sua sorellina perduta, che aveva rinunciato alla vita da principessa
per
diventare abbastanza forte per riprendersi sua sorella e proteggerla
dal mondo,
con cui Zoe aveva condiviso anni di duro addestramento e che… lei…
-…i
reali stanno andando fuori di testa.- sbottò, irritata, stringendo i
denti
quando sentì uno sbuffo altrettanto scocciato provenire dalla ragazza
alle sue
spalle.
-Come
mai dici questo? A me sembra che tu avessi ragione.- fu il commento
laconico
che le rivolse.
-Sì,
ma…- cominciò, ma immediatamente si rese conto che spiegare ad Ileana
quanto
quel comportamento fosse assurdo sarebbe stato inutile e, a dirla
tutta,
decisamente controproducente; e perciò sospirò, arruffandosi i capelli
con un
gesto esausto, scrollando le spalle e lanciando un’ultima occhiata
sospettosa
alla Principessa dai capelli rossi che era appena atterrata accanto al
suo
fratello maggiore. -Credo soltanto che non sapesse cosa dire.- mormorò,
perché
nemmeno lei sapeva più che cosa dire, come spiegare l’improvvisa
idiozia che
aveva definitivamente preso possesso di tutti quanti.
L’ennesimo
silenzio, pesante e fastidioso, fu tutto ciò che Ileana le concesse
come
risposta.
Sbuffò,
esasperata più da tutta la situazione che dalla reazione della
nohriana, e
riprese in mano le redini di Katsu, assottigliando le palpebre per
distinguere
la figuretta esile di Setsuna e del suo kinshi in avvicinamento.
-Beh,
andiamo. Katsu si sta stancando.-
.
.
-Eccoci
qui, Ileana. Coraggio, entra.- la Regina
sorrise, invitandola con una mano.
Ileana
fece un paio di passi, guardandosi cautamente intorno. Rimase
vicina al muro mentre lasciò che lo sguardo corresse ad ogni angolo
della
stanza, cercando d’istinto tutte le nicchie dove potessero annidarsi
eventuali
trappole o dove si sarebbe potuto nascondere un aggressore.
Niente.
C’era
anche un buon odore – di pulito, per niente umido – e persino
un’imponente finestra.
Fece
un altro passo, in punta di piedi: la stanza era…
sorprendentemente piccola, tutto considerato, più piccola di quanto si
aspettasse – e anche più disordinata: c’erano disegni sparsi per tutto
il
pavimento, e oggetti che non potevano essere altro che giocattoli
abbarbicati
sulle mensole. Non sembrava una stanza appropriata per ospitare un
dignitario
straniero, per niente. Strinse le labbra.
La
regina dovette notare la sua confusione – la sua delusione per non
essere trattata come le si conveniva, di nuovo – e si affrettò ad
aggiungere:
-Questa era la tua camera, tesoro. Nulla è stato toccato da quando sei
stata
rapita.-
Quelle
parole fecero trasalire Ileana. Non poté fare a meno di fare un
passo indietro, finendo per sbattere contro Zoe, che stava entrando a
sua
volta. La Maga sobbalzò e si trovò a dover trattenere un soffio
spaventato, ma
la Samurai alzò le mani per rassicurarla – e c’era qualcosa di curioso,
preoccupato ed esasperato, tutto insieme, nei suoi occhi carmini.
Rifiutandosi
di staccarsi dal muro, Ileana si costrinse a fare dei
respiri profondi. La Regina la fissava con tanta preoccupazione – sembrava così dannatamente sincera –, da
costringerla ad abbassare lo sguardo per mentire.
-Il…
il viaggio mi ha stancata. La stanza va bene.-
La
donna sembrò sollevata nel sentirglielo dire, anche se Ileana poté
scorgere ancora un’ombra di tristezza nei suoi occhi.
Si
era davvero aspettata che lei avrebbe… riconosciuto qualcosa?
Che
follia.
Lei
non era mai stata in quella stanza. E anche se tutto quello che le
avevano detto alla Grande Muraglia fosse stato vero, perché la “sua
vecchia
stanza” non sembrava più… reale?
-Io…
perché ci sono due letti?-
La
domanda sembrò cogliere la Regina di sorpresa. -Oh, ho… ho chiesto
di aggiungere un secondo letto.- sembrava una bugia inventata sul
momento, ma
Ileana decise di non discutere. -Pensavo che magari ti avrebbe fatto
piacere la
compagnia di Zoe. Vi ho viste con Katsu oggi, mi è sembrato che vi
steste
divertendo.-
L’aveva
chiesto a Zoe?,
si domandò Ileana, provando un’immediata repulsione per quelle
parole affettate.
Se
le aveva mentito riguardo all’aggiunta del letto dopo averle viste
sul kinshi, allora forse a Zoe era stato ordinato di rimanerle
incollata fin
dall’inizio, ma… se Zoe non fosse stata d’accordo? Sarebbe importato a
qualcuno?
Contavano, forse, i sentimenti di chiunque – i
suoi, quelli di Zoe – o la Regina era pronta a calpestare
ogni
opposizione solo per mettere in piedi quella farsa della figlia perduta?
Ileana
scosse la testa.
Era
troppo.
Non
sapeva più a cosa credere, non riusciva più a distinguere la
verità dalle bugie, le buone intenzioni dalle cattive.
Nella
migliore delle ipotesi, la Regina diceva il vero e voleva solo
offrirle una compagnia che potesse esserle di conforto in un posto così
alieno,
e semplicemente non aveva pensato prima di chiederle se l’avrebbe
apprezzato.
Nel peggiore dei casi, questo era un altro dei loro giochetti mentali
per
spingerla a rivoltarsi contro casa sua – contro Nohr.
In
ogni caso, Ileana non gradiva essere guardata a vista tutto il
tempo. -Veramente preferirei dormire da sola, se possibile.-
Quel
poco di speranza rimasta negli occhi della Regina si spense.
-O_oh.
Ma certo. Se è quello che desideri.-
Alla
principessa nohriana si strinse il cuore, perché il dolore della
donna sembrava davvero reale – ma
non
poteva esserne certa, e non poteva mai dimenticare la possibilità che
si trattasse
di un enorme, intricato inganno. -Lo è. Vi ringrazio.- mormorò,
provando un
profondo desiderio nei confronti della solitudine che la aspettava di
lì a
poco, una volta liberatasi tanto della Regina quanto della Samurai.
-…di
nulla, bambina mia.-
A
quelle parole, un silenzio opprimente riempì la stanza.
Ileana
fissò il pavimento, a disagio, avvertendo il peso dello sguardo
della Regina, di quei suoi occhi così tristi, su di lei. La Maga poteva
sentirne il peso sulle spalle e percepire il proprio corpo talmente in
tensione
che quasi fece un salto quando Zoe, probabilmente esasperata, si
schiarì la
gola.
-Lady
Mikoto… forse dovremmo lasciar riposare Ileana, non credete?-
suggerì, ma c’era un’inflessione nella sua voce che lo fece
assomigliare più ad
un avvertimento che un suggerimento.
La
Regina sospirò. La sua voce stillava dolore quando, con un cenno
del capo, parve decidere di accettare il consiglio della Samurai.
-Certo.
Allora vi lascio. Ti spiacerebbe aiutare Ileana a sistemarsi?-
Zoe
scosse il capo, le spalle già meno tese al solo pensiero di
liberarsi della regina. Probabilmente non vedeva l’ora di essere
congedata: era
stata una giornata lunga anche per lei. -Ma certo che no, mia signora.
Sarà un
piacere.-
-Allora
credo di potervi lasciar sole. Buonanotte, cara Zoe.
Buonanotte, tesoro.-
Ileana
strinse i pugni, costringendosi a lasciare che la voce
implorante della regina le scivolasse addosso – era
davvero addolorata, era davvero così piena di sofferenza, o si
trattava della recita più abile che lei avesse mai visto?
-Buonanotte,
vostra maestà.-
-Buonanotte,
milady.- Zoe le fece eco, impostata e formale, allungando
una mano per spingere la porta perché si chiudesse il meno bruscamente
possibile quando la regina ne ebbe finalmente varcato la soglia. Il
suono della
serratura fece sospirare entrambe per il sollievo. -…grazie agli dei se
n’è
andata.-
-Puoi
andare anche tu, se vuoi. Sarai stanca, non voglio trattenerti
contro la tua volontà.- Ileana disse – non poteva certo biasimarla per
averne
abbastanza di principi, regine e principesse.
Ma
la Samurai sorrise, amichevole. -Non sono stanca, e non sono qui
contro la mia volontà.- affermò. L’occhiata sorpresa che Ileana non
poté fare a
meno di scoccarle dovette essere palese, perché Zoe scosse la testa e
aggiunse:
-La regina mi sa sentire… a disagio, ecco tutto.- si fermò, come se
stesse
cercando le parole giuste per darle una spiegazione che Ileana non
aveva
chiesto ma che si ritrovò ad aspettare – perché la sua mente si stava
già
immaginando chissà quali scenari che potessero giustificare come mai un
monarca
dovesse rendere così nervosi i propri sottoposti. -È che non mi piace
che qualcuno
provi pena per me. E lei lo fa, anche se sta solo cercando di essere
gentile. È
premurosa e attenta, ma io sono un soldato, non una bambolina.- fu il
turno di
Zoe di sgranare gli occhi. -…scusate, non volevo straparlare. Forse
sono un po’
stanca, in effetti, non riesco proprio a stare zitta. Cosa posso fare
per voi?-
Ileana
scosse la testa. Era cresciuta badando alle proprie cose da
sola, detestando l’idea di essere servita da coloro che considerava più
amici
che servitori. -Non mi serve molto. Se mi dici dove sono le cose, posso
fare da
sola. Ci sono abituata.-
Ci
volle davvero poco perché Zoe le mostrasse la stanza: era piuttosto
piccola, arredata giusto con un letto, un armadio, un paio di comodini,
una
scrivania, e completa di una porta che conduceva a un piccolo bagno
privato. Il
letto era uno di quelli tipicamente hoshijin, una sorta di materasso
posizionato a livello del pavimento, di cui Ileana aveva solo letto nei
libri
di Leo; l’armadio era pieno di vestiti per bambini di mille stoffe e
colori; i
comodini erano un disastro di boccette di inchiostri colorati e morbidi
pennelli e pergamene di carta di riso; la scrivania era in ordine, ma
solo
perché tutto quello che avrebbe dovuto essere sopra era sparso sul
pavimento.
Perlomeno, il bagno era perfettamente pulito.
Ileana
sospirò. Non le piaceva assolutamente nulla di quella stanza. I
giocattoli con le inquietanti maschere rosse erano la parte peggiore, e
lei non
vedeva l’ora di restare sola per poterle sbattere nell’armadio e non
doverle
mai più vedere.
-E
questo è tutto.- Zoe terminò con un sorriso. -Vi serve altro? Una
tazza di tè, forse?-
Qualcosa
di caldo suonava bene, ma un po’ di tempo da sola suonava
anche meglio. Ileana scosse la testa, sentendola girare per la
spossatezza.
-Non darti pensiero. Non mi serve altro, e tu sei stanca.-
La
Samurai pareva voler discutere, ma un’occhiataccia altezzosa della
principessa la fece desistere. -Allora d’accordo, vi lascio riposare.-
s’inchinò a fondo. -Buonanotte. Spero che dormirete bene, Lady Ileana.-
Quell’augurio
così sentito fece vacillare la maschera altezzosa della
principessa. -Oh, io… grazie. Spero che dormirai bene anche tu.-
Zoe
sorrise a quello sprazzo di umanità. -Grazie.- sussurrò, prima di
andarsene, sparendo al di là della porta silenziosa come un’ombra.
Nel
momento stesso in cui le sembrò che fosse sparita – non poteva
esserne certa, l’aveva vista muoversi con la stessa furtività dei ninja
e non
poteva escludere che fosse ancora nei paraggi – Ileana prese un respiro
profondo.
Sola.
Per
la prima volta dalla sua cattura, si trovava finalmente da sola.
Durante
il viaggio verso la Grande Muraglia c’era stata un’intera colonna di
soldati a
tenerla d’occhio; a Suzanoh le guardie appostate davanti alla sua cella
e Kaze nascosto
nelle ombre; dopo l’incontro con la Regina, Kaze, Zoe e quel ninja dai
capelli
rossi che sembrava sempre arrabbiato – come la salsa piccante preferita
di
Camilla – non l’avevano mai persa d’occhio nemmeno per sbaglio.
…probabilmente
non
sarebbe durata.
Era
probabilmente solo una tregua temporanea, e presto sarebbe stata
rimessa sotto sorveglianza, giorno e notte e notte e giorno. Non che
potesse
biasimarli: era instabile, ai loro occhi, qualcosa che poteva rivelarsi
tanto
una risorsa quanto una minaccia. Doveva cercare di mantenere le cose in
quello
stato il più a lungo possibile: finché l’avessero vista come una
risorsa
potenzialmente collaborativa, tutto quello di cui avrebbe dovuto
preoccuparsi
erano i loro giochetti mentali per tirarla dalla loro parte.
Decise
di approfittare della quiete finché poteva, e si diresse verso
il bagno. C’era una tinozza che era stata portata prima del suo arrivo,
ma non
vedeva alcuna fiammella guizzarvi sotto – e, come aveva immaginato,
l’acqua era
quasi fredda quando la sfiorò con le dita.
Oh,
pazienza, non aveva tutta quella voglia di fare un bagno: lavarsi
via i giorni di viaggio dalla pelle sarebbe bastato. Sospirò,
svestendosi e
afferrando una spugna, rivolgendo la sua attenzione ad allentare almeno
un poco
i nodi nella sua mente, quanto bastava per riuscire almeno a dormire.
Alla
fin fine si riduceva tutto a due possibilità: o gli hoshijin
stavano mentendo, oppure no. Se stavano mentendo, lei stessa e tutto
ciò che
amava erano in pericolo mortale. Se non stavano mentendo, probabilmente
era più
al sicuro di quanto non fosse mai stata, ma tutta la sua vita era stata
una
farsa. Non sapeva quale opzione preferisse.
Ma,
soprattutto, non aveva alcun modo di conoscere la verità: c’erano
troppe domande senza risposta. Tutto quello che poteva fare era
aspettare –
finché non avesse trovato un modo per avere altre informazioni, senza
fidarsi
di nessuno. Doveva mettere in dubbio qualunque cosa chiunque le avrebbe
detto
nei giorni successivi mentre cercava di venire a capo della situazione.
Non
poteva fidarsi di nessuno, non poteva abbassare la guardia.
Non
era una prospettiva incoraggiante, ma sapeva che la situazione non
sarebbe durata a lungo: Xander avrebbe scritto presto. Sì, Xander
sarebbe
arrivato presto e lei avrebbe avuto le sue risposte. Doveva solo
resistere
ancora un po’. Poteva farcela.
Ileana
lasciò cadere la spugna nella tinozza. Si sentiva meglio; e più
stanca. Aveva bisogno di dormire, e lo sapeva – non sarebbe stata in
grado di razionalizzare
un bel niente se non si fosse concessa una notte di sonno ristoratore,
finalmente comoda e al caldo.
Tornò
nella stanza, arrotolata in un asciugamano, e si diresse
all’armadio: per lo più era pieno di vestiti da bambina, ma c’era una
pila di
abiti ripiegati che sembravano essere della sua taglia. Ovviamente,
erano tutti
bianchi – quindi chi era stato incaricato di trovarle dei vestiti non
sembrava
avere lo stesso riguardo di Zoe, si disse con una smorfia. La camicia
da notte
color avorio pareva bruciarle la mano mentre la esaminava. Le sarebbe
piaciuto
tirarla nella tinozza, e invece se la lasciò scivolare addosso – non
sapeva
quando i ninja sarebbero tornati a strisciare tra le ombre, e di certo
non
aveva voglia di farsi trovare nuda solo per principio.
Era
una bellissima camicia da notte, non poteva certo negarlo. Tutta
di seta delicata, con ricami di fiori di ciliegio rosa antico. Sembrava
piuttosto leggera considerato che erano nella stagione delle nevi, ma
aveva già
notato che a Hoshido faceva molto meno freddo che a Nohr. Era per via
dell’Oceano Orientale, non così lontano da Shirasagi: mitigava anche il
freddo
più mordace, e Zoe in effetti aveva menzionato che la neve era rara ad
Hoshido.
Richiuse
l’armadio, ma non prima di averci infilato tutti quegli
inquietanti giocattoli con le maschere rosse; si sarebbe preoccupata di
ripulire il resto del disordine l’indomani.
Ileana
si passò una mano sul viso, poi fissò il letto con disappunto.
A livello del pavimento. Non sembrava comodo, niente affatto. Non le
importava
se fosse normale a Hoshido, ma dormire sul pavimento non le sembrava
per
niente… igienico. Fece un giro della stanza, fermandosi appena arrivò
accanto
alla finestra. Scostò le tende e guardò in alto.
Si
chiese come facessero gli hoshijin a vivere sotto un cielo così
triste: non si vedevano nemmeno la metà delle stelle che rischiaravano
la notte
di Nohr – certo, il loro giorno era vivido e lussureggiante, ma avrebbe
scelto
mille volte le nubi perenni di Nohr piuttosto che le loro notti vuote.
Perlomeno,
la luna brillava come non mai, ed era perfettamente visibile dalla sua
finestra. E il davanzale interno era abbastanza ampio da essere comodo.
Ci
mise solo un secondo a decidere, e solo qualche momento in più per
togliere tutte le lenzuola dal letto per avvolgersele intorno, dopo
averle
scosse dalla polvere. Prima di rendersene conto, era già arrotolata sul
davanzale, appoggiata al vetro della finestra; era freddo al tatto, ma
la
aiutava a respirare. Guardò di nuovo la luna, che si rifletteva vivida
nei suoi
occhi verdi.
Niles
avrebbe odiato le
notti hoshijin,
si ritrovò a pensare, e sentì qualcosa in lei
spaccarsi.
Niles. Odin, Laslow,
Selena. Jakob, Flora, Felicia. Gunter.
Tutti loro
avevano avuto un ruolo importante nella sua vita, come i suoi fratelli
e le sue
sorelle.
Niles
le aveva insegnato a tirare con l’arco e a muoversi
furtivamente. Era stata un’amicizia difficile, la loro, visto quanto si
erano
odiati per anni – da quando lei ne aveva undici finché non ne aveva
compiuti
sedici. Era certa che l’unica cosa ad averlo trattenuto dal romperle
delle ossa
per farla muovere con la flessibilità che pretendeva era stata la
presenza di
Leo. Ma avevano superato quella fase, alla fine, e lui le aveva
insegnato le
stelle.
Odin
era la sua tregua, il suo compagno di giochi. Avevano messo in
scena mille e mille storie, per ore, per giorni
addirittura quando i
suoi fratelli e sorelle passavano la notte alla Fortezza. Aveva avuto
una cotta
per lui, da ragazzina. Non riusciva a immaginare la vita senza di lui.
Laslow
le aveva dato lezioni di danza, per insegnarle tutte quelle
mosse che Xander proprio non riusciva a farle imparare durante il loro
addestramento. Ileana aveva sempre odiato la scherma perché faceva pena
con una
spada in mano, ma Laslow era riuscito a rendergliela sopportabile –
anche
perché poi prendeva sempre il tè con lei e Felicia. Quella grazia che
aveva la
doveva a lui.
Selena
l’aveva portata a caccia, due o tre volte: le aveva insegnato a
uccidere. Ileana l’aveva odiata, aveva strillato e annaspato e pianto;
Selena
aveva lasciato che si sfogasse, e l’aveva abbracciata una volta
calmatasi. Le
aveva detto che andava bene che lo trovasse disgustoso, che era giusto,
ma che
doveva imparare a digerirlo perché un giorno sarebbe entrata
nell’esercito, e
uccidere sarebbe stato all’ordine del giorno. Non poteva fare certe
scenate sul
campo di battaglia. Col tempo, Ileana aveva compreso quelle parole, le
aveva
fatte sue, e si era scusata. E aveva sempre fatto in modo che Selena
sapesse
quanto fosse apprezzata.
Jakob
era un nemico-amico. L’aveva viziata oltre ogni ragionevole
limite e si prendeva cura di lei con un’attenzione che batteva persino
Gunter,
e lei gli era grata. Ma aveva anche quell’orrenda abitudine di andare a
raccontare tutto a Xander – soprattutto quando pensava che la sua
protetta
stesse tramando qualcosa. Una volta, Ileana aveva cercato di scappare
dalla
Fortezza per partecipare alla Festa delle Maschere con le sorelle, e
lui aveva
fatto la spia al Principe Ereditario. Ileana era stata colta sul fatto
e
rispedita in camera sua senza nemmeno mettere piede fuori dalle mura
della
torre. Da allora, aveva smesso di considerare Jakob un complice, ma gli
voleva
comunque bene.
Flora
e Felicia erano state le sue complici, le sue compagne. Avevano
il loro piccolo club del libro, le avevano insegnato a cucinare e a
cucire e a
pulire – beh, Flora le aveva insegnato, perché Felicia faceva più danni
che
faccende. A volte avevano congelato il pavimento del salone della torre
per
pattinare sul ghiaccio. E se Ileana si ammalava, Felicia le stava
accanto per
tenere sotto controllo la febbre, non curandosi del rischio di
ammalarsi lei stessa.
Gunter
era stato il primo – prima di Xander e prima di Jakob, era
stato il primo a tenerla al sicuro e a giocare con lei. E avevano
giocato
tanto, soprattutto a nascondino. E a volte lei si nascondeva così bene,
che
l’unico modo di trovarla era proporle di giocare a palla.
Niles. Odin, Laslow,
Selena. Jakob, Flora, Felicia. Gunter.
Xander, Camilla,
Leo, Elise. Avevano… potevano averle mentito tutti, tutta la sua vita?
Avevano
finto ogni parola, ogni sorriso, ogni abbraccio? Se gli hoshijin non
mentivano…
Esalò
un singhiozzo, e il riflesso della luna s’increspò nei suoi
occhi quando si riempirono di lacrime.
No,
no.
Non
doveva pensarci.
Beneficio
del dubbio, per tutto e tutti. Doveva tenere la mente aperta
e le orecchie tese. Non doveva fidarsi di nessuno e non doveva
abbassare la
guardia. Doveva assorbire ogni briciola di informazione per capirci
qualcosa, e
doveva stare attenta a non farsi scappare niente – giusto per
sicurezza. Doveva
solo aspettare.
Sarebbe
stato difficile, e stressante, e sfibrante. Lo sapeva. Le
sembrava che le stessero strappando il cuore e che lo stessero
schiacciando al
tempo stesso… e allora, in quel momento, Ileana guardò la luna.
-Buonanotte.-
sussurrò.
Lo
faceva sempre, quando era ancora nella sua torre e i suoi fratelli
e sorelle erano lontani: affidava il suo augurio al vento e lasciava
che lo
portasse da loro. Stavolta non c’era vento che potesse portar loro il
suo
affetto, ma lei sperò che potessero sentirlo comunque.
.
.
.
.
.
__________________________________________________________________________________________________________
Writers'
Space:
Eccoci
qua!
No,
non siamo morte, giuro. Abbiamo avuto un po' tante cose da fare, la
vita ha rischiato di risucchiarci via e abbiamo fatto un po' fatica,
maaaaa... eccoci qui!
Siamo finalmente arrivate a
Shirasagi, con una tensione che si taglia con un grissino e Ileana tesa
come un gatto bagnato. Abbiamo avuto un excursus nel punto di vista di
quel santo di Kaze, che meriterebbe una statua, e abbiamo fatto un
voletto assieme alle nostre ragazze. Ci aspettano crisi isteriche a
manetta, ve lo possiamo assicurare!
Grazie infinite per essere
arrivati fin qui!
Un abbraccio,
Clarisse&B
|
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Capitolo 7 *** Ttonkolenyo ***
Aranyhíd
Ttonkolenyo
(Amarico)
Una persona che passa tutto il suo tempo pianificando e preparando piani deviati da cui potrebbe trarne vantaggio, di solito a danno di qualcun altro.
.
.
Da
uno dei tanti balconi che circondavano l’esterno della sala del
Trono, Iago guardava attentamente le frenetiche attività che
imperversavano giù, nel cortile che circondava il Castello di
Krakenburg.
Cavalli
da guerra di mille sfumature grigie e marroni stavano in formazioni,
con due cavalieri in sella ciascuno – Arcieri a Cavallo, Cavalieri
Oscuri, Gran Cavalieri o Strateghi sedevano di fronte a Eroi,
Berserker, Incantatori o Avventurieri. Lord Viverna e Cavalieri Malig
accompagnati da Cameriere e Maggiordomi e Generali occasionalmente si
levavano per volare attorno alle torri, perché le viverne si
innervosivano ad aspettare a terra, anche se i loro compagni umani si
stavano sforzando di non farle stancare troppo prima di dover partire
per la marcia.
Tutti
erano pronti a cavalcare, a volare – a combattere, spade e lance e
tomi e archi e asce e pugnali alla mano, assicurati alle selle delle
cavalcature o ai fianchi dei soldati. Iago poteva sentire la loro
impazienza, rintuzzata dalle parole arroganti che il Principe
Ereditario ruggiva a pieni polmoni mentre faceva trottare il cavallo
di fronte alle file della sua armata.
C’erano
tutti, in groppa allo stallone nero, alle giumente nere, alla viverna
nera. Persino dal balcone, Iago poteva vedere la preoccupazione
disegnata sulle fronti dei principi, lo strazio sulle labbra delle
principesse.
Era
uno spettacolo meraviglioso.
La
loro agonia era stata palpabile da quando il Maggiordomo leccapiedi
della piccola, dolce Ileana si era precipitato a cavallo nello studio
del Principe Ereditario, strillando bocconi di frasi senza senso
riguardo a un Cecchino di sangue reale, un ponte crollato e una
minaccia di morte.
Fortunatamente,
Hans si era presentato con lui per tradurre tutto: Ileana non era
riuscita ad attivare una Vena di Drago e si era lasciata cadere in
mano a una pattuglia hoshijin.
L’ordine
del re – di partire subito, con quel frammento di esercito che era
stato preparato per prendere possesso del forte, e di andare al
salvataggio della principessa rapita – non era riuscito a lenire il
dolore negli occhi dei suoi figli. E Iago era stato ben felice di
godersi ogni minuto, se non ogni secondo, di quel dolore.
La
splendida Elise non aveva perso il sorriso, ma la sua voce sembrava
più acuta, come se si trovasse spaccata tra il suo carattere gioioso
e vivace e quell’innaturale senso di fretta e angoscia che pareva
aver inghiottito tutta la sua famiglia. Era troppo innocente per
sapere esattamente cosa ci fosse in gioco, ma la preoccupazione
generale la stava sfinendo.
La
principessa Camilla aveva riversato tutta la sua attenzione
sull’alleggerire il peso portato dai suoi fratelli, resa persino
più appiccicosa a causa della preoccupazione… ma quando restava
sola, i suoi occhi emanavano una rabbia fredda, calcolata e tagliente
che lei non vedeva l’ora di scatenare su coloro che avevano torto
anche un solo capello della sua amata sorellina.
Il
principe Leo era diventato ancora più silenzioso, e c’erano ombre
scure sotto i suoi occhi – ma non il genere di ombre che si
ottengono da una notte passata a studiare. Pensieri e incubi
terribili su ciò che gli hoshijin stavano facendo alla sua adorata
piccola maghetta dovevano tenerlo sveglio, senza dubbio. Era fin
troppo consapevole che le loro possibilità di trovarla viva andavano
assottigliandosi di secondo in secondo.
Il
principe Xander aveva lavorato senza posa per preparare i soldati
alla marcia il prima possibile; ed eccoli lì, tutti in fila e pronti
al viaggio, appena due giorni dopo l’arrivo del maggiordomo. Di
tutti i suoi fratelli, il Principe Ereditario aveva la più
tormentata delle espressioni – perché solo lui sapeva che non era
solo per la vita di Ileana che doveva temere, ma anche per la sua
lealtà. Lui sapeva che non l’avrebbero solo assillata per avere
informazioni…
Sapeva
che le avrebbero detto di Cheve.
Sapeva
che le avrebbero detto che Nohr non era casa sua, che coloro che lei
aveva chiamato fratelli e sorelle per tutta la vita non erano la sua
famiglia. Quel pensiero lo stava mangiando vivo e, anche se lo
nascondeva bene, lo si poteva intravedere dal tremito delle mani
quando si separavano dalla sua spada sacra, e bastava saper dove
guardare per coglierlo.
Iago
sorrise.
Ovviamente,
avrebbe potuto dire al Principe Ereditario che le sue peggiori paure
erano infondate – che la sua principessina
era non solo viva e al sicuro, ma anche leale a coloro che ancora
considerava famiglia, e che lo stava aspettando. Avrebbe potuto
dirgli della pergamena che la Regina di Hoshido aveva mandato da
parte sua.
Ma,
se gliel’avesse detto, il Principe Ereditario non sarebbe partito
con un’armata, preferendo invece una delegazione diplomatica. E re
Garon non avrebbe avuto la guerra che voleva così tanto – la
guerra che lui, il suo fedele e capace Iago, aveva passato tutto quel
tempo a preparare. Quindi, ovviamente, non aveva detto nemmeno una
parola sulla pergamena, già sparita in uno sbuffo di fiamme
guizzanti.
Oh,
non vedeva l’ora di sapere come sarebbe andata la riunione di
famiglia.
Aveva
già affidato ad Hans uno dei suoi cristalli di proiezioni, così che
avrebbe potuto materializzare un’ombra di se stesso addirittura dal
castello per assistere a tutto di persona – ed era certo che il
Berserker l’avrebbe attivato senza indugio: quell’uomo era tanto
stupido quanto bravo ad eseguire gli ordini, dopotutto, purché gli
venisse concessa la possibilità di spargere sangue.
Iago
si ritirò dal balcone mentre le truppe ruggivano, zoccoli e ali che
facevano tremare il terreno ed i venti. Gli augurò buon viaggio:
anche lui era impaziente che la piccola dolce Ileana tornasse a casa,
al sicuro tra le mura di Krakenburg.
“…beh,
forse non poi così al sicuro.”
si disse, un sorriso predatore sulle labbra.
Povera,
povera principessina.
Aveva così tragicamente fallito la prova del re… e lui non vedeva
l’ora di dimostrarle, nel dettaglio, cosa questo comportasse.
.
.
.
.
.
__________________________________________________________________________________________________________
Writers'
Space:
Eccoci
di ritorno!
Avrei
dovuto aggiornare per il 1° Novembre, perché questa Simpatia Estrema di
Iago merita soltanto di essere aggiornata per Ognissanti, ma... va beh.
Un
capitolo breve, questa volta, che però non poteva essere altrimenti, in
cui torniamo per un istante sotto il cielo buio di Nohr per scoprire
come il messaggio della Regina di Hoshido sia stato recepito, cosa stia
succedendo ai reali di Nohr e che razza di personcina simpatica sia lo
stratega di Garon.
Insomma,
facciamo un bel respiro profondo perché le cose non faranno altro che
complicarsi, di qui in avanti!
Grazie mille a tutti coloro
che ci seguono!
Un abbraccio,
Clarisse&B
|
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Capitolo 8 *** Backpfeifengesicht ***
Aranyhíd
Una faccia che necessita terribilmente di un pugno.
(Tedesco)
Backpfeifengesicht
Takumi sbuffò, girando con un gesto più violento di quanto avrebbe desiderato la pagina del libro che, ormai da ore, stava cercando di leggere nella speranza vana di dimenticare per un po’ tutto ciò che lo angustiava.
Aveva sempre trovato sollievo nelle storie, nei racconti, nei romanzi: le vite di quei personaggi disegnati da altri, creati da altri, erano sempre state in grado di assorbirlo in emozioni e avventure che non gli appartenevano, in cui poteva perdersi ogni volta che qualcosa, nella sua vita, minacciava di sopraffarlo.
Quel giorno, tuttavia, i problemi da cui desiderava scappare così tanto avevano dimostrato una tenacia impressionante, rifiutandosi di essere smarriti per qualche ora fra i paragrafi di un libro.
Era passato ormai qualche giorno da quando avevano rimesso piede a Shirasagi, portando con sé la ragazza di Nohr che ancora faticava a chiamare per nome persino fra i suoi pensieri, ma la situazione, invece di migliorare, si era fatta se possibile ancora più tesa: appena tornato, aveva dovuto affrontare un’altra spiacevolissima conversazione con suo fratello, e non era nemmeno riuscito a trovare il coraggio di cercare sua madre per tentare di spiegarle il perché del suo comportamento – il ricordo dei suoi occhi gentili pieni di orrore, ancora troppo limpido nella sua mente, lo inseguiva sin da quel fatidico pomeriggio a Suzanoh, e sapeva bene quanto ancora a lungo lo avrebbe tormentato.
Digrignò i denti, tentando inutilmente di scacciare quei pensieri velenosi dalla mente, ma era conscio di quanto si trattasse di un’impresa impossibile: come una valanga, come una slavina, i ricordi di quegli ultimi, penosi giorni trascorsi in viaggio e al castello gli si rovesciarono addosso, distruggendo ogni suo patetico tentativo di alienarsi da quella vita che non riusciva più a riconoscere.
Hinata e Oboro non gli rivolgevano la parola da giorni.
Le sue guardie – i suoi amici – si rifiutavano di rivolgersi a lui sin da quando avevano avuto la sfortuna di incappare in quella discussione maledetta fra lui e Zoe: poteva capire il rancore di Hinata – era innamorato di Zoe da sempre, dopotutto, sarebbe stato strano non vederlo prendere le sue difese, ma Oboro… da Oboro si era aspettato comprensione, solidarietà, l’affetto che la lanciera gli aveva sempre dimostrato, e invece…
Invece persino lei gli aveva voltato le spalle, ferita dalle sue affermazioni, sputate in un momento di rabbia, esattamente come Zoe.
Già, Zoe.
Il ritorno di Ileana aveva provocato esattamente ciò che lui aveva paventato per quattordici lunghi anni: prima sua madre, e poteva persino comprendere perché il suo comportamento l’avesse tanto scossa, poi Ryoma, e infine l’unica persona che gli era sempre rimasta accanto e da cui non si sarebbe mai aspettato di essere abbandonato.
Zoe non lo aveva guardato in faccia nemmeno per sbaglio, dopo Suzanoh: durante il viaggio di ritorno era rimasta sempre nei paraggi della nohriana e, quando erano tornati a Shirasagi, aveva fatto di tutto per evitare di incrociarlo – e gli Dei soli sapevano quanto lui avesse tentato di incontrarla, di scusarsi, di tentare di ricucire quello strappo che le sue parole pregne di rabbia avevano causato fra loro.
Ma no, Zoe si era rifiutata di parlargli, e lui si era ritrovato a non riconoscere più nemmeno la sua casa, senza lei ed Hinata ed Oboro al suo fianco: Shirasagi assomigliava ad un tempio sconosciuto, silenzioso ed opprimente, senza i suoni familiari – la risata di Hinata, i rimproveri di Oboro, le canzoncine di Zoe – che da sempre riempivano le sue giornate, la sua mente ed il suo cuore.
Voleva indietro i suoi amici.
Dannazione, voleva indietro la sua vita: nel momento stesso in cui quella ragazzetta aveva fatto la sua comparsa tutto si era sgretolato, sbriciolato, e le colonne portanti della sua esistenza gli erano state violentemente strappate dalle mani… e sapeva esattamente quale era la persona responsabile di tutto quel disastro.
Resistette alla tentazione di scagliare il libro che teneva fra le mani contro la parete dinanzi a lui, frustrato.
Ileana.
Era tutta colpa sua: se lei non fosse riapparsa, niente di tutto quello sfacelo sarebbe mai successo – se non fosse tornata, in trepidante attesa di insinuarsi fra lui ed i suoi cari come la serpe che era, lui non si sarebbe trovato a guardare le spalle di tutte le persone che amava e che non volevano avere più nulla a che fare con lui.
Non avrebbe mai portato a termine le sue minacce, andiamo.
Lo aveva detto a Ryoma, glielo aveva ripetuto a Suzanoh e poi quando erano arrivati a Shirasagi, più e più volte: sì, aveva fatto delle affermazioni davvero orribili, ne era conscio, ma… chi non lo avrebbe fatto, al suo posto?
Chi, davanti alla prospettiva di portare davanti alla propria famiglia una persona che quasi sicuramente si sarebbe rivelata una pericolosa bugiarda, non avrebbe almeno provato a scoprire la verità – persino facendo promesse che, comunque, non avrebbe mai mantenuto?
Nohr era il loro nemico, per tutti gli dei, come potevano averlo dimenticato?
Come potevano aver dimenticato che quei maledetti avevano ucciso suo padre e decine di altre persone innocenti, che erano i responsabili della maggior parte dei brigantaggi lungo il confine, che avevano rapito una bambina per trasformarla in un’incredibilmente abile mentitrice da cui sembravano tutti essersi lasciati abbindolare?
Perché quello avevano fatto, crescendo Ileana in quel ventre oscuro e orrendo che era Nohr, ed era assurdo che nessuno se ne fosse ancora reso conto – andiamo, lui non aveva fatto assolutamente nulla per giustificare la reazione assurda che la nohriana aveva avuto davanti sua madre!
Non l’aveva torturata, non l’aveva picchiata, era stata tenuta al sicuro tanto da Kaze quanto da Hinata da possibili ritorsioni dei soldati: sì, l’aveva minacciata, l’aveva tenuta a digiuno, forse era stato un po’ troppo duro, ma quella… quella cosa aveva attaccato i suoi soldati, maledizione!
Aveva varcato il confine, ucciso dei guerrieri coraggiosi, infranto il fragile patto che proteggeva Hoshido dall’invasione di Nohr e chissà quali altri nefandezze – seriamente, aveva sempre pensato che suo fratello, almeno, sapesse discernere la verità dalle bugie, e invece?
Ed invece le sue azioni gli si erano ritorte contro, e lui si era ritrovato solo.
Il suono di uno sgabello che grattava sul pavimento di legno lucido lo distrasse, sottraendolo ai suoi pensieri tormentati.
Alzò lo sguardo, pentendosi immediatamente di essersi distratto tanto da non accorgersi del manipolo di ragazzi, più o meno suoi coetanei, che si era radunato fra gli scaffali della biblioteca soltanto un paio di file più in là rispetto a lui. Erano giovani aristocratici che conosceva di vista e con cui, durante gli eventi pubblici da cui non era riuscito a sottrarsi, aveva intrattenuto qualche conversazione più per dovere che per piacere personale; riconobbe, fra tutte, la voce di Itou Sosuke, il primogenito del generale Itou, un ragazzotto dinoccolato e dall’aspetto viscido che più di una volta aveva sentito rivolgersi a Zoe con parole che soltanto le preghiere sommesse di lei – “Takumi, ti prego, lascia perdere, non ne vale la pena” – lo avevano convinto a lasciare impunite.
-Abbiamo davvero una nohriana nel castello?-
Abituato com’era a discernere i suoni delle foreste, durante le battute di caccia, non gli fu difficile cogliere quel borbottio pregno di disgusto. Si trattenne dal sospirare, limitandosi a rovesciare gli occhi verso il soffitto quando comprese che quell’ufficioso consiglio di guerra non sarebbe finito tanto presto.
-E sembra che sia una nobile, nientemeno.- rispose un altro, uno di quei ragazzi scialbi e di poco conto che Takumi aveva sempre mal sopportato.
-La Regina ha detto al Consiglio che si tratta di un’ambasciatrice.-
Takumi arricciò il naso, disgustato: un’ambasciatrice? Quella lì? Ah! Hinata avrebbe saputo fare un lavoro migliore, come ambasciatore!
-Da Nohr?-
Persino Sosuke parve trovare quell’ipotesi estremamente improbabile, a giudicare dal sarcasmo che venò le sue parole.
-Più facile che sia una spia.-
Takumi rovesciò gli occhi verso il soffitto.
Chi aveva avuto la splendida idea di annunciare al Consiglio che un’ambasciatrice nohriana si trovava nel castello? Nessuno aveva pensato alla resistenza che avrebbe opposto l’intera aristocrazia? Hinoka non lo aveva immaginato, Ryoma non l’aveva calcolato, sua madre non l’aveva previsto? Non avevano pensato che, forse, un emissario di Nohr sarebbe diventato un bersaglio per i nobili in poco più di un istante?
Eppure, come tutti loro, lui aveva presenziato ad ogni seduta del Consiglio di Shirasagi – l’antica forma di governo formata dagli esponenti delle famiglie più antiche e potenti di Hoshido, che consigliava il Re di Hoshido e lo supportava nel governo della nazione: lui, come tutti loro, aveva visto quanto il Consiglio si opponesse alla politica pacifista della Regina, aveva ascoltato i loro timori causati dalle continue razzie nohriane lungo il confine.
Il Consiglio voleva la guerra, non la pace.
Sventolare davanti al naso dei daimyo la possibilità di un dialogo con Nohr, di un compromesso, di un ennesimo patto fragile ed effimero… beh, significava soltanto rischiare la vita del diplomatico di turno.
-Assurdo. La barriera della Regina regge ancora.-
La barriera della Regina, già. Un altro dei tanti motivi per cui il Consiglio era sempre più irrequieto.
Alla morte di Sumeragi, Mikoto aveva eretto una barriera magica che sottraeva a chiunque la varcasse l’intenzione di fare del male o di recare danno al regno di Hoshido: la barriera aveva protetto gli hoshijin per anni, tenendo lontani eserciti e malfattori, ma…
Takumi sapeva perfettamente quanto la barriera si stesse indebolendo.
Si era accorto, così come i suoi fratelli, di quanto fosse pesante per sua madre mantenere la barriera: era conscio di quanto si trattasse di una misura temporanea, che era stata presa per proteggere un regno ferito e senza guida ma che poi era stata dimenticata, preferendo ignorare ciò che succedeva al di là di Suzanoh e dell’Abisso e continuando a pretendere che nulla e nessuno li avrebbe più minacciati.
La barriera poteva fallire – aveva fallito, Takumi ne aveva avuto la riprova: la Maga di Nohr, infatti, non era minimamente migliorata una volta attraversato quel velo magico, il suo comportamento era rimasto assolutamente intoccato…
-La barriera dovrebbe reggere.- Takumi serrò le labbra alle parole di Sosuke, constatando quanto lui non fosse l’unico ad avere quei dubbi. -La Regina è davvero ingenua se pensa che Nohr__-
Oh, quello era davvero troppo.
Takumi si schiarì la voce, sopprimendo la tentazione di sogghignare quando quel rumore improvviso fece sobbalzare quel branco di stupidi ficcanaso – quegli idioti senza cervello potevano parlare quanto volevano della nohriana, ma non gli avrebbe permesso di ingiuriare sua madre.
-Io non finirei quella frase, se fossi in te.- avvertì, incrociando le braccia e scoccando loro un’occhiata tagliente in cui sperò di essere riuscito ad infondere tutto il fastidio che provava nei loro confronti.
-Principe Takumi!- Sosuke si raddrizzò, profondendosi immediatamente in un inchino nella sua direzione. -Mi scuso per la mia impudenza, non era mia intenzione offendere la Regina Mikoto.- aggiunse, lezioso ed irritante come Takumi aveva già avuto modo di notare in passato, gli occhi scuri e sottili pieni di qualcosa che, nella sua mente, ricollegò immediatamente allo sguardo di un serpente in procinto di assalire un inerme topolino.
Itou Sosuke non era uno stupido: Takumi sapeva che, in sede di Consiglio, la sua voce aveva cominciato ad assumere il peso che quella di suo padre, uno dei generali più decorati e ammirati dell’intera Hoshido, aveva iniziato a perdere a causa dell’età. Ryoma gli aveva parlato diverse volte di quel giovane vanaglorioso che tentava ormai da anni di mettere in cattiva luce la famiglia reale, convinto che la politica pacifista della Regina avrebbe portato Hoshido sull’orlo del disastro – un’idea che, talvolta, Takumi aveva condiviso, consumato dall’odio che provava nei confronti del regno di Nohr.
Tuttavia, quell’odio non lo avrebbe mai portato a sostenere la scalata al potere di un ambizioso politicante come quello – anche e soprattutto per via dell’opinione che Sosuke aveva di sua madre.
-Che non ti senta mai più riferirti a mia madre in quei termini.- lo avvertì, freddamente, inclinando la testa per osservare con malcelata curiosità i pensieri che si avvicendavano appena dietro il velo di cortesia ed ossequiosità che Sosuke indossava come una maschera modellata per combaciare alla perfezione sul suo volto.
-Mi scuso ancora, milord, ma…- iniziò, esibendosi in un secondo inchino ed esitando – una pausa ad effetto davvero teatrale, si disse Takumi, tutt’altro che impressionato – prima di continuare. -…capirete certamente anche voi quanto questa ospite possa destare preoccupazione. La barriera è sempre più fragile, e non possiamo evitare di chiederci…-
…di chiedersi quando Nohr avrebbe invaso il loro regno.
L’avrebbero uccisa, realizzò.
Il Consiglio, gli aristocratici, avrebbero ucciso la Maga e rispedito il suo corpo a Krakenburg in una bara, con i saluti del Consiglio e di una Hoshido che non avrebbe mai dimenticato, che non avrebbe mai perdonato.
Per un istante, Takumi si permise di immaginare cosa sarebbe successo se li avesse semplicemente lasciati fare: si sarebbe liberato del problema alla radice, non avrebbe dovuto più preoccuparsi della salute di sua madre, dei tormenti di Zoe, della sicurezza del suo regno.
Ma non poteva.
Per quanto desiderasse ardentemente che la nohriana sparisse dalle loro vite, lasciare che venisse uccisa da un branco di esagitati guerrafondai non era la giustizia che lui desiderava ardentemente: un conto sarebbe stato giudicarla per i suoi misfatti, smascherarla per tutte le sue bugie, ma permettere al Consiglio di usare il suo cadavere come vessillo di guerra avrebbe soltanto indebolito la posizione di sua madre e dato a Nohr un’eccellente scusa per muovere il primo passo verso l’ormai inevitabile conflitto.
Dannazione.
Per quanto la volesse fuori dalla sua vita, non poteva permettere che le facessero del male – e, per sistemare quel disastro che Ryoma non aveva anticipato, doveva essere certo che quegli imbecilli sapessero che attaccare la Maga sarebbe stato considerato un affronto all’intera famiglia reale.
-I vostri timori non saranno ignorati.- sbottò, distogliendo lo sguardo mentre i suoi pensieri si rincorrevano l’un l’altro, alla disperata ricerca di qualcosa che avrebbe potuto spostare l’attenzione di Sosuke e dei suoi galoppini dall’idea pericolosa di farle fare una brutta fine. -Ma sono infondati. L’ambasciatrice di cui parlate non è affatto nohriana, ma una questione personale della Regina e della famiglia reale.- aggiunse, appuntandosi mentalmente di dare dell’idiota a suo fratello non appena ne avesse avuto l’occasione.
Sosuke sgranò gli occhi; si avvicinò di un passo, le labbra piegate in un lievissimo sorriso irritante che la mente di Takumi riconobbe istantaneamente come un campanello di allarme.
-Milord, non direte sul serio__-
Takumi lo zittì con un cenno, maledicendo la nohriana, maledicendo la stupidità di Ryoma, maledicendo tutta l’intricata sequela di eventi che lo aveva portato a quella conversazione con quella massa di cretini.
-Sì. Quella ragazza è la Principessa Ileana.- sbottò, pronunciando quelle parole con tutta la rabbia che aveva represso sin da quando aveva incontrato la nohriana per la prima volta – con tutta la collera che era cresciuta dentro di lui negli ultimi giorni, alimentata dal vuoto in cui era abituato a trovare le voci dei suoi amici, dallo sguardo colmo di dolore di sua madre, da quello pieno di vergogna di Ryoma.
Sosuke impallidì, sconvolto, mentre sui volti dei suoi amici si disegnò la stessa espressione sorpresa ed un po’ stolida – era persino inquietante come si somigliassero tutti.
-La Principessa Ileana?- sillabò, come se stesse parlando ad un bambino lento di comprendonio, e Takumi dovette trattenersi dal tirargli un pugno sul naso; annuì, invece, serrando le labbra e distogliendo lo sguardo quando quell’imbecille si voltò per ascoltare i mormorii confusi dei suoi compari.
Era una così bella giornata, notò, scorgendo al di là delle finestre il cielo azzurro e il Sole che splendeva. Magari avrebbe potuto uscire dal castello per un po’, andare in città, distrarsi per un po’ e__
-E sta facendo da ambasciatrice per i suoi rapitori? Milord… ne siete sicuro?-
Dei, ne aveva abbastanza.
Si rivolse nuovamente a Sosuke, la pazienza ormai agli sgoccioli, e fu con una punta di soddisfazione che colse la confusione e lo sconcerto dipingersi in quella faccia odiosa.
-Mia madre lo è, e tanto deve bastarvi.- scattò, lanciando un’occhiata rammaricata al suo libro, ripromettendosi di tornare più tardi per provare a riprendere la lettura. -Lasciatela perdere e comportatevi di conseguenza. Ogni affronto alla Principessa sarà considerato come un affronto alla Regina.- aggiunse, scoccando loro un’occhiata d’avvertimento a cui Sosuke rispose con l’ennesimo inchino.
-Ma certo. Mi scuso ancora per__-
-Sì, sì, va bene. Scuse accettate.- Takumi scosse la testa, superando lui, i suoi amici senza nerbo e tutta quella penosa conversazione, per dirigersi verso le porte della biblioteca, perfettamente conscio di quanto la sua pazienza non avrebbe retto ancora a lungo alle prese con loro.
Dei, quanto era difficile tollerare quella gente… almeno quanto, mugugnò fra sé e sé quando sentì una voce familiare e decisamente troppo entusiasta risuonare al di là delle porte scorrevoli, era difficile spiegare a Hinata che non poteva alzare sempre la voce in quel modo.
Sbuffò, scuotendo la testa e chiedendosi per l’ennesima volta che cosa aveva fatto di male nella vita per avere sempre alle calcagna un tale imbranato, spalancando la porta e aprendo la bocca per rivolgergli un rimprovero.
-Hinata, quante volte devo dirti che non puoi urlare__-
Il rimbrotto si spense fra le sue labbra nel momento stesso in cui la sua attenzione venne immediatamente attirata dalla figura familiare che, con le braccia conserte e l’espressione contratta in una smorfia tormentata, affiancava Hinata – Zoe.
-Zoe.- mormorò Takumi, sorpreso, sentendo qualcosa incrinarsi dentro, nel profondo, quando lei voltò la testa nel momento stesso in cui lui la guardò.
Era la prima volta da giorni in cui le si trovava così vicino e, per qualche attimo, volle cullarsi nell’illusione che gli ultimi giorni non fossero mai accaduti – che Zoe lo avrebbe guardato e gli avrebbe sorriso, affettuosa come sempre, gentile come sempre, che gli avrebbe dato un pizzicotto sulla guancia perché aveva rimproverato Hinata per poi lanciarsi in un animato racconto delle ultime figuracce del loro amico…
Ma Zoe non lo avrebbe fatto.
Zoe non lo avrebbe nemmeno guardato in faccia, lo avrebbe ignorato, come aveva fatto più e più volte negli ultimi giorni; ed il motivo di quella distanza era proprio lì, appena un passo dietro la sua amica, vestita di nero, che lo fissava con quei freddi occhi verdi e le labbra serrate.
Ileana.
Takumi digrignò i denti, ricambiando lo sguardo ostile della nohriana con tutta l’irritazione che era cresciuta, dentro di lui, nell’ultima mezz’ora.
Poteva andare peggio, quella giornata? Prima Sosuke e i suoi cagnolini, ora lei…
-E… tu.- sibilò, trattenendosi dall’alzare gli occhi verso il soffitto quando lei parve rabbrividire in risposta al suo tono di voce, quando serrò con più forza le braccia già conserte e assottigliò le palpebre, senza distogliere quegli occhi maligni da lui.
Si concesse di osservarla meglio, accorgendosi di quanto sembrasse fuori posto con i suoi capelli chiari e la carnagione lattea e sorprendendosi quando si accorse di quanto sembrasse innocua in quel momento: dov’era finito quel mostro osceno che tanto lo aveva inquietato nelle segrete di Suzanoh?
La ragazza che aveva davanti non era tanto più alta di Sakura, e aveva il suo stesso tipo di fisico, asciutto e sorprendentemente minuto… non sembrava affatto la strega maligna che aveva tormentato i suoi incubi sin da quel giorno all’Abisso.
Ma aveva davvero avuto tanto timore di quella piccoletta, lì?
-Lord Takumi, stavamo soltanto__- cominciò Hinata, arruffandosi i capelli già disordinati con una mano e facendo un passo avanti per avvicinarsi a lui, ma Takumi si rivolse direttamente alla nohriana, ignorando l’intromissione della sua guardia.
-Che cosa fai qui?- domandò, ignorando lo sbuffo di Zoe e l’espressione allarmata di Hinata; possibile che quella giornata non facesse altro che peggiorare? Prima Sosuke e i suoi compari, adesso quell’odiosa__
-Non vedo perché quello che faccio dovrebbe essere affar tuo.- replicò lei, tutt’altro che intimorita dal suo atteggiamento chiaramente ostile – ah, eccola lì quella lingua tagliente, allora non se l’era immaginata –, spostando il peso da un piede all’altro ma rifiutandosi di indietreggiare davanti a lui.
Takumi scoccò un’occhiataccia a Hinata, immaginando perfettamente che cosa fosse successo: Zoe e la nohriana dovevano averlo incrociato per nessun motivo particolare, ma lui di certo non si era trattenuto dall’iniziare una conversazione nonostante avesse avuto il chiaro ordine di non fare rumore… avrebbe dovuto spiegargli per l’ennesima volta che non poteva distrarsi dai suoi compiti per parlare con qualche ragazza, più tardi.
-Perché stai disturbando la mia guardia. Di nuovo.- replicò, stizzito dal tentativo del Maestro d’Armi di frapporsi fra i due reali – per proteggere lui da lei o lei da lui?, si domandò una parte della sua mente.
Ileana – niente, persino chiamarla per nome fra i suoi pensieri lo disgustava, tutto in lui rifiutava quel nome e ciò che significava – raddrizzò le spalle, facendo un passo avanti e avvicinandosi, così, alle due guardie reali insolitamente silenziose.
-Non sto costringendo nessuno ad avere una conversazione con me. Anzi, non desidero altro che terminare questa.- decretò, sollevando il mento con una supponenza tale che, non fosse stato per tutta quella situazione disastrosa, lo avrebbe persino fatto ridere per quanto sembrasse ridicola – andiamo, ma chi credeva di poter intimorire?
Il grugnito di Zoe, chiaramente già esasperata da quell’incontro sfortunato, lo fermò prima che potesse aprire la bocca per rispondere a tono a quella sfacciataggine; con un gesto fluido s’intromise fra i due, guardandolo per la prima volta da giorni dritto negli occhi.
Dei, quella non era la sua amica.
Era abituato a trovare calore in quegli occhi allungati, e affetto, e un sorriso sempre pronto a rincuorarlo; era abituato ad una Zoe allegra, sorridente, che ignorava ogni regola per dimostrargli quanto tenesse a lui; era abituato a scorgere tenerezza, su quel viso, e sicurezza, e un luccichio malizioso che lo faceva sempre impazzire ma di cui non avrebbe mai voluto privarsi nemmeno in cambio di tutti i tesori del mondo…
E invece, quella cagna gliel’aveva portata via.
Zoe assottigliò le palpebre, le iridi scarlatte oscurate da quello che Takumi poté definire soltanto come fastidio: era vicina, più vicina di quanto fosse stata negli ultimi giorni, ma… non gli era mai sembrata più distante.
-…non possiamo farla facile? Tu ti sposti, noi andiamo in biblioteca e non dovrai più vederci per il resto della giornata.- continuò, imperterrita, ignorando il suo sguardo confuso e il mugugno incomprensibile di Hinata; Takumi, però, impallidì, afferrando il significato di ciò che Zoe aveva appena detto con qualche attimo di ritardo.
-La…-
La biblioteca?
Zoe voleva portare una maga di Nohr nella loro biblioteca? Dove erano conservati decine e decine di tomi e pergamene sulla magia e sugli spiriti, dove era raccolta tutta la letteratura di Hoshido, dove una spia nemica avrebbe fatto carte false pur di entrare?
Oh, ma certo, ora quadrava tutto: era stata sicuramente lei a fare quella richiesta, adducendo chissà quale scusa ridicola a cui Zoe aveva creduto, lasciandosi ingannare – oh, andiamo, Saizo doveva averle insegnato a non farsi abbindolare in quel modo!
-Assolutamente no.- sbottò, con un tale livore da far trasalire tanto Zoe quanto quella maledetta, vigliaccamente nascosta dietro le spalle della Samurai. Lui però si costrinse ad ignorarle, voltandosi seccamente verso la sua guardia. -Hinata. Scorta questa__lei nella stanza che le è stata assegnata.- ordinò, agitando una mano in direzione di quella… quella cosa.
-Lord Takumi__- cominciò lui, chiaramente a disagio – ma, prima che potesse dire qualunque cosa, l’irritante nohriana fece un passo avanti, raddrizzando le spalle e dimostrando ancora una volta la sua insolenza fissandolo dritto negli occhi.
-Io non sono una tua prigioniera.- decretò, con quella voce acuta ed irritante che aveva odiato così ardentemente durante i giorni di marcia, la furia che si raggrumava sul fondo del suo stomaco e serrava con violenza quella morsa che lo tormentava, labile ma sempre presente, rendendogli difficile il respiro.
E lui aveva persino fatto lo sforzo di proteggerla.
Serrò le labbra, facendo un passo avanti e piegando la bocca in un sorriso incattivito quando la vide impallidire, se possibile, ancor di più – bene, si disse: non era poi così coraggiosa, quella maledetta, nonostante si stesse chiaramente rifiutando di arretrare…
-Ma i cani non sono ammessi in biblioteca.- sibilò, godendo della crepa che scorse spezzare la determinazione in quello sguardo verde, lasciando trasparire qualcosa che lo soddisfò più di tutto il resto: paura.
-Hinata, toccala e mi costringerai a strapparti il braccio.-
Takumi non fece in tempo ad alzare lo sguardo, allarmato dalla vena metallica nella voce di Zoe, prima che la Samurai apparisse come dal nulla – di nuovo – fra lui e la cagna.
-Sei davvero convinto che la regina o tuo fratello ti permetteranno di continuare a comportarti come l’idiota che chiaramente sei?- sibilò, con una voce bassa e tagliente che Takumi le aveva sentito usare ben poche volte, che ricordava inquietantemente il tono secco e aspro che Saizo rivolgeva alla maggior parte dei suoi sottoposti.
Quella era l’ultima situazione che avrebbe voluto affrontare.
Zoe sapeva essere profondamente testarda, quando voleva, e non aveva mai avuto paura di alzare la testa per difendere ciò che le sembrava giusto difendere: Takumi aveva sempre ammirato quel suo coraggio, sì, ma in quel momento si ritrovò a desiderare ardentemente che lei fosse diversa, che non avesse deciso – ancora una volta – di mettersi in mezzo fra lui e la stupida nohriana.
-Zoe, no…- provò ad intervenire Hinata, ma lei alzò bruscamente una mano per zittirlo, ostinandosi a sostenere lo sguardo esasperato di quello che, fino a qualche giorno prima, aveva chiamato fratello.
-Lei non si avvicinerà a libri, pergamene o incantesimi, Zoe. Portala via da qui.-
-Nessuno mi ha dato l’ordine di tenerla lontana dalla biblioteca.- replicò, furibonda; ma Takumi scorse il fremito nel suo sguardo, si accorse della voce che tremava sotto le sue parole, e qualcosa, in lui, parve rivoltarsi come un serpente pronto ad attaccare.
Aveva fatto un passo falso, e sapeva benissimo che lui non se lo sarebbe lasciato sfuggire.
-Ma a meno che tu non abbia un ordine da qualcuno più in alto di me, farai quello che ti ho detto.- sibilò, non riuscendo a credere al sorriso che percepì stirare le sue stesse labbra, al pugnale che non sapeva di aver stretto fra le dita ma che aveva affondato con rabbia dentro di lei, fino all’elsa.
E infatti, come aveva visto i suoi occhi riempirsi di lacrime giorni prima, quando gli era sfuggita quella frase infelice che avrebbe voluto rimangiarsi immediatamente, scorse il suo sguardo adombrarsi, le sue labbra stringersi per incassare quell’ennesimo colpo che Takumi non osava pensare di averle inferto: sapeva quanto male le stava facendo, ma…
Ma Zoe aveva scelto lei.
Zoe aveva scelto Ileana, non lui: aveva deciso di mettersi dalla parte di quella bugiarda, cascando nella sua rete di menzogne come la più ingenua degli stupidi, e gli aveva voltato le spalle – proprio lei, fra tutti, lei che gli aveva promesso mille volte che sarebbe sempre rimasta al suo fianco… e che, invece, lo aveva abbandonato: proprio come tutti gli altri.
Quell’attimo di debolezza, però, durò soltanto l’attimo di un sospiro: la Samurai serrò i pugni e raddrizzò le orecchie, ignorando l’ennesimo, debole tentativo di Hinata di fermarla.
-Nei tuoi sogni.- ringhiò, avvicinandosi coraggiosamente di un passo a Takumi, dimentica della distanza che avrebbe dovuto mantenere per decoro, per decenza, che lui non aveva mai nemmeno pensato di dover far valere nei suoi confronti: eppure, in quell’istante, ad un soffio da quegli occhi ardenti di rabbia, provò il desiderio di allontanarsi, di fare un passo indietro, di distanziarsi da quel qualcosa di così orribilmente sbagliato che vedeva dinanzi a sé.
Voleva scappare via, come il più vile dei codardi, per non guardare quel mostro strappargli ancora una volta un pezzo del suo mondo.
-Perché devi rendere tutto così difficile?- sospirò, scuotendo la testa, ma la risposta che ottenne fu un versaccio strozzato, un’occhiataccia, una smorfia disgustata.
-Io? Sono io a rendere tutto difficile!?- sbottò, infatti, con una voce più acuta del normale; ma poi prese fiato, socchiudendo le palpebre per qualche istante, forse alla ricerca di una calma che nemmeno lei sentiva di possedere in quel momento – forse anche lei non voleva perderlo, forse anche lei si sentiva dilaniare ad ogni sillaba che si scambiavano, forse sarebbe bastato così poco per sistemare le cose…
Ma poi quegli occhi scarlatti tornarono nei suoi, e Takumi vi scorse una determinazione ferrea che poteva significare solamente guai.
-…levati di mezzo.- sibilò, gelida, pronta a mettersi di nuovo contro di lui per fare ciò che considerava più giusto… una decisione ammirevole che però, e Takumi si odiò per ciò che sapeva di dover fare, avrebbe causato un disastro più grande di quello che lui aveva previsto.
Quella voragine, fra di loro, si sarebbe allargata ancora di più: sapeva che quello che stava per fare l’avrebbe ferita immensamente, che Takumi avrebbe voluto disperatamente evitare, ma non poteva fare nulla per evitarlo.
Un ringhio sommesso si mescolò al respiro di Zoe, anche se lei parve non accorgersene: era un avvertimento, il segnale che avrebbe potuto fermarsi in quel momento ed evitare quella catastrofe annunciata, che forse avrebe potuto ancora fare qualcosa per calmarla prima di rovinare ancora di più il loro rapporto, ma…
Quei freddi occhi da serpe, al di là della spalla di Zoe, parvero ridere di lui, consci del dolore che ruggiva nel suo petto.
…ma non poteva lasciare che quel mostro scoprisse i loro segreti.
…e Zoe aveva scelto lei.
Si voltò verso Hinata, provando una fitta di dispiacere quando scorse l’espressione tormentata del suo amico nel momento in cui indicò Zoe con un brusco cenno della testa.
-Trattienila.-
Saizo, celato allo sguardo di chiunque fuorché di suo fratello, sentì il sangue ghiacciarsi nelle vene quando il suo udito fine colse l’ordine del Principe.
Lui e Kaze si trovavano alle spalle di Zoe, ma poté immaginare perfettamente l’espressione oltraggiata che doveva essersi disegnata sul viso della sua deshi: la osservò irrigidirsi, poté quasi vederla aprire la bocca per ribattere – ma poi il suo amico, Hinata, la strattonò indietro, allontanandola dal Principe, e il suo urlo esasperato risuonò in tutto il corridoio.
Maledizione.
-Lasciami!-
Il ragazzo le mormorò qualcosa nel tentativo di calmarla – idiota, in quel modo non sarebbe mai stato in grado di fermarla –, ma le sue parole furono coperte dallo strillo della ragazza di Nohr.
Saizo digrignò i denti e Kaze, al suo fianco, fremette, ma entrambi rimasero immobili quando il Principe Takumi si avvicinò ad Ileana, tendendo una mano per afferrarle un braccio ed imprecando quando lei si divincolò, terrorizzata, balzando indietro e tentando di sfuggire alla sua presa.
-Non puoi lasciarglielo fare!-
L’attenzione del Maestro Ninja fu attirata di nuovo da Zoe: stava cercando di liberarsi dalla presa del suo amico tentando di non fargli del male, cercando disperatamente di costringerlo a lasciarla andare, ma Hinata le teneva le braccia strette contro ai fianchi e lei non riusciva a fare altro che scalciare.
-Lo sai che non ho scelta.- sembrò volersi scusare, quel ragazzo, e in un altro momento Saizo avrebbe persino apprezzato la lealtà che dimostrava nei confronti del suo signore; ma, in quell’istante, colse il silenzio di Zoe farsi tagliente in un battito di ciglia, e comprese immediatamente l’errore madornale dell’ingenuo Maestro d’Armi.
Saizo aveva addestrato Zoe per tutta la vita: conosceva la sua deshi meglio di chiunque altro, probabilmente, ed era perfettamente conscio di quello che sarebbe successo di lì a poco.
Zoe non si sarebbe lasciata fermare.
-Nemmeno io.-
A quelle parole – attese, fatidiche, inevitabili – Saizo alzò una mano, e poi tutto accadde troppo velocemente per essere visto.
Kaze si lanciò in avanti nel momento stesso in cui Zoe si liberò violentemente dalla stretta di Hinata e balzò indietro, frapponendosi fra i due appena prima che uno dei due potesse aggredire l’altro; Saizo, invece, li superò, materializzandosi davanti al Principe Takumi così bruscamente che lui sussultò e lasciò andare la nohriana che, con uno squittio, si raggomitolò contro la parete.
-Basta.-
Fu sufficiente quella parola, tagliente quanto i suoi shuriken, a ridurre tutti al silenzio.
Il Principe assottigliò lo sguardo, chiaramente irritato dall’intromissione dei ninja, incrociando le braccia e scoccando una rapida occhiata in direzione di Zoe ed Hinata – che, fortunatamente, non parevano avere intenzione di continuare ad azzuffarsi – prima di riportare la sua attenzione su Saizo.
-Cosa stai facendo?- abbaiò, piccato.
Saizo aveva scorto ben più di una volta sul suo volto quell’espressione irritata e orgogliosa: Takumi aveva spesso peccato di arroganza e, anche in quel momento, la sua indole stava chiaramente prendendo il sopravvento sul suo buonsenso… anche se, stavolta, sembrava aver pagato un pegno di sangue per la sua reazione eccessiva: due lunghi, profondi graffi rigavano la sua guancia, inequivocabile traccia di come Ileana avesse tentato di liberarsi di lui.
Saizo digrignò i denti, irritato: non era la prima ferita che quella ragazza aveva inferto al Principe e, di nuovo, né lui né suo fratello erano stati in grado di evitarlo.
-Ponendo fine a tutto questo.- rispose, seccamente, avvertendo anche senza vederlo lo sguardo confuso e implorante di Zoe affondargli fra le scapole – stupida ragazzina, adesso cercava il suo aiuto per risolvere il disastro che aveva causato?
-Me ne stavo già occupando io.- Takumi scosse la testa, facendo un passo avanti per tentare di superarlo e avvicinarsi nuovamente alla nohriana; la ragazza, però, gemette, e Saizo poté quasi immaginarla ritrarsi ancor di più.
L’espressione allarmata di Kaze si aggiunse a quella disperata di Zoe, e lui dovette resistere alla tentazione di alzare gli occhi verso gli alti soffitti in legno del corridoio: perché, perché finiva sempre in quel modo?
Se soltanto gli avessero dato retta prima…
Con uno sbuffo, celato dalla sua onnipresente maschera, Saizo allungò un braccio per trattenere il ragazzo.
-Me ne occuperò io da qui in avanti, principe Takumi.- affermò, quando lui si voltò per fronteggiare quella che poteva perfettamente essere ritenuta una grave mancanza di rispetto. -Potete andare, adesso.- aggiunse, cercando di parlare con una pazienza che non aveva mai posseduto, inclinando la testa verso il corridoio vuoto e sperando che Takumi comprendesse il suo gesto.
La diffidenza del Principe non era così sbagliata, checché ne pensassero Zoe e Kaze: non sarebbe stato saggio permettere alla ragazzina nohriana, anche se apparentemente innocua e ancora chiaramente instabile nonostante Suzanoh fosse ormai un lontano ricordo, di prendersi quelle libertà che quei due sembravano così ansiosi di concederle.
Nessuno che provenisse da Nohr poteva meritarsi la fiducia della famiglia reale così facilmente e, questo, a Saizo era stato chiaro fin da quando Reina era atterrata a Shirasagi, giorni prima: aveva immaginato che si sarebbero presentati quei problemi, ma… nessuno, nemmeno lord Ryoma, era stato in grado di prevedere l’aggressività di suo fratello – l’odio che aveva oscurato il suo giudizio, che lo aveva spinto sull’orlo di un eccesso che avrebbe presto portato più problemi che soluzioni.
Takumi lanciò uno sguardo nauseato oltre il braccio ancora teso del ninja.
-Non le è permesso entrare in biblioteca. Non lo permetterò.- ringhiò, e Saizo, ansioso di chiudere quella questione una volta per tutte, annuì.
-D’accordo. Adesso__-
-Non puoi farlo!-
Esasperato, spostò l’attenzione del suo unico occhio sano su Zoe: la sua turbolenta, irrispettosa e testarda deshi si era avvicinata a loro, i pugni stretti e lo sguardo pieno di rabbia, tentando inutilmente di scrollarsi dalla spalla la stretta con cui Kaze stava cercando di impedirle di mettersi in guai ancora più grossi di quelli in cui fosse già finita.
-Zoe.- sibilò, e lei – una volta tanto – si ritrasse, intimorita, accorgendosi finalmente di quanto il suo maestro fosse arrabbiato e abbassando le orecchie come per proteggerle dal tono tagliente della sua voce.
-Ti è proibito portare la Principessa nohriana in biblioteca o ai campi di addestramento, o di darle qualunque tipo di tomo o arma.- decretò, ignorando l’espressione sconvolta che si disegnò sul suo viso e quella irritata che, invece, adombrò i lineamenti di Kaze. -Questo è un ordine, dato con l’autorità dell’Alto Principe.- aggiunse, sperando che l’ascendente che lord Ryoma aveva su Zoe potesse essere sufficiente per domarla.
Speranza vana.
-Saizo, non__- cominciò, una nota di disperazione nella voce e gli occhi che correvano, pieni d’angoscia, alla nohriana; ma il Maestro Ninja non si lasciò intenerire, rivolgendo un cenno a Kaze perché la allontanasse da lui e da Takumi.
-Deshi.- la avvertì, perentorio; e lei, finalmente, chinò la testa, le spalle che crollavano sotto il peso dell’autorità del suo maestro, strattonando stancamente il braccio per liberarsi da Kaze e scambiando un’occhiata dispiaciuta con Hinata.
Senza muoversi, sapendo bene quanto lasciare che il Principe si avvicinasse nuovamente ad Ileana fosse una pessima idea, Saizo si rivolse proprio al Maestro d’Armi che, in risposta al suo sguardo severo, s’irrigidì all’istante.
-Hinata, accompagna il tuo signore nello studio di Lord Ryoma. Vorrà di certo sapere che cosa è successo.- ordinò, e il ragazzo, annuendo frettolosamente, si avvicinò subito al suo Principe.
-Andiamo, lord Takumi.- mormorò, e Saizo finse di non cogliere la mano della guardia reale che si strinse sul gomito del Principe, preferendo soprassedere a quel gesto irrispettoso purché quei due si allontanassero in fretta.
-Non__- provò a ribattere Takumi, furioso, ma Hinata scosse la testa.
-Lord Takumi.- ripeté, gli occhi che dardeggiavano in direzione di Zoe e poi nuovamente sul Principe, una nota esasperata nella voce; e Takumi, forse cogliendo il significato celato dietro quegli sguardi che Saizo non aveva né il tempo né il desiderio di decifrare, sospirò, scuotendo la testa e arrendendosi alla spinta della sua guardia.
-…e va bene. Andiamo.- mugugnò, lasciando che Hinata lo conducesse con fin troppo zelo lungo il corridoio – e Saizo non mancò di cogliere l’occhiata piena di risentimento che il principe lanciò a Zoe, né il fremito che scosse lei in risposta sebbene si stesse ostinatamente rifiutando di rivolgergli la sua attenzione.
Soltanto quando i due ragazzi, infine, furono inghiottiti dal dedalo di corridoi, Saizo si rivolse verso di lei, un aspro rimprovero già sulle labbra – ma di Zoe, più svelta di quanto si fosse aspettato, vide soltanto uno scorcio dell’arruffata zazzera bionda: la Samurai, ignorando tanto lui quanto Kaze, lo aveva già superato, per avvicinarsi cautamente alla nohriana.
-…milady?- chiamò, gentilmente, inginocchiandosi a poca distanza dalla maga, le braccia aperte e i palmi rivolti verso l’alto; quella, però, rabbrividì, gli occhi atterriti che facevano capolino da sotto gli spettinati capelli biondi e che balzarono ansiosamente da Zoe a Saizo a Kaze e poi di nuovo su Zoe, allargandosi all’improvviso quando si accorse di quanto fosse vicina.
-STAI LONTANO DA ME!- strillò, ritraendosi di scatto, strisciando lungo la parete per allontanarsi da Zoe che, nonostante quella reazione violenta, rimase dov’era, appiattendo nuovamente le orecchie contro il cranio per proteggerle da quel suono acuto.
-Okay. Come volete. Nessuno vi toccherà.- mormorò, dolcemente, ma Saizo sbuffò.
-Non funzionerà, deshi.- sbottò, incrociando le braccia quando Zoe non diede nemmeno segno di averlo sentito – impudente, arrogante e maleducata, dove diamine aveva sbagliato con lei!? -Falla addormentare. Kaze la riporterà nella sua stanza e tu verrai con me.- ordinò, aspramente, ma lei rimase ostinatamente rivolta verso Ileana e scosse la testa.
-Non lo farò.-
Saizo represse un grugnito, scoccando un’occhiataccia a Kaze quando colse l’accenno di un sorriso illuminargli gli occhi.
-Non lo farei mai, okay? Possiamo stare qui quanto volete.-
Zoe era abituata ad ammansire le creature spaventate, rifletté, riportando la sua attenzione sulle due ragazze e notando, suo malgrado, che la gentilezza della sua allieva pareva aver sortito una sorta di effetto calmante sulla nohriana sconvolta: Ileana aveva smesso di tremare, e la stretta spasmodica con cui aveva serrato le mani sulle ginocchia si era appena allentata.
-Non vi farò del male.- continuò, Zoe, la voce una cantilena serena e tranquillizzante, muovendosi piano per sedersi a gambe incrociate dinanzi a lei.
Nonostante l’addestramento rigoroso a cui era stato sottoposto sin da bambino, Saizo si scoprì impaziente ed irritato da quell’attesa futile e snervante: se solo Zoe gli avesse dato ascolto, invece di intestardirsi a voler calmare quella ragazza – che poi, che motivo aveva per essere tanto agitata? Non erano forse temprati dalla crudeltà della loro terra e dei loro compatrioti, i nohriani?
-Deshi.- sibilò, ottenendo però soltanto il raddrizzarsi delle sue orecchie come risposta e l’ennesimo brivido da parte di Ileana.
-Del male? No… per favore…- la sentì mugolare, e Zoe si girò di scatto per rivolgergli una smorfia.
-Puoi stare zitto per un minuto? Per favore?- frecciò, roteando gli occhi quando Saizo sbuffò e tornando a rivolgersi alla maga. -Ileana? Puoi guardarmi? Solo per un attimo?- domandò, piano, inclinando la testa di lato quando, dopo un istante, gli occhi vacui e pieni di terrore di Ileana fecero capolino.
-Eccoti qui.- mormorò Zoe, e Saizo poté quasi scorgere il sorriso gentile e sollevato che riscaldò la sua voce. -Non vi farò del male. Ve l’ho già detto, non vi farei mai del male.- ripeté, con quella delicatezza che Saizo non le aveva mai insegnato ma che lei possedeva d’istinto, che era sempre stata allo stesso tempo la sua debolezza e la sua più grande forza.
-Voglio solo portarvi in un posto sicuro dove nessuno potrà farvi del male. Kaze potrebbe rimanere con noi, se volete. Saremo solo noi tre, lo prometto.-
-Non… non mi farai del male?-
-No. Non lo farò.-
No, Zoe non le avrebbe fatto del male, la sua deshi era troppo buona per fare del male a quella che sicuramente vedeva come una ragazzina spaurita, sola e fragile: aveva sempre avuto un debole per le persone bisognose di aiuto, dopotutto…
-Lo prometti?-
Saizo assottigliò la palpebra dell’unico occhio rimastogli, irritato: la ragazza di Nohr non aveva alcun diritto di chiedere qualcosa del genere – di chiedere protezione a quella sciocca Samurai che, infatti, annuì, le orecchie appuntite ben dritte fra i capelli biondi.
Quell’altruismo appassionato, ben presto, li avrebbe maledetti tutti.
Zoe rimase in silenzio ed immobile, aspettando pazientemente che Ileana sciogliesse la stretta in cui si era raggomitolata: soltanto quando la nohriana alzò lo sguardo, passandosi le dita fra i capelli e guardandosi intorno con un’espressione ancora un po’ confusa, parlò di nuovo, attirando nuovamente la sua attenzione.
-Ce la fate ad alzarvi? O volete aspettare un altro po’?- chiese, ma l’altra scosse la testa.
-Voglio andarmene da qui.-
Quelle erano le parole più sensate che Saizo avesse sentito da quando era iniziata quella giornata.
-Comprensibile, direi.- mormorò Kaze, accanto a lui – e Saizo lo avrebbe tanto preso volentieri a pugni, adesso, perché davvero quello non era il momento adatto per un commento del genere… ma no, Kaze doveva assolutamente sottolineare quanto contrario fosse alle decisioni di suo fratello, ovviamente!
Il sarcasmo del suo gemello parve riflettersi sul viso contratto di Zoe quando lei si volse, scoccandogli un’occhiataccia.
-Credi che i giardini vadano bene? Mi è permesso portarla lì?- domandò, e tutto il veleno che Saizo l’aveva sentita usare con Takumi tornò prepotentemente a venare la sua voce, la gentilezza che aveva riservato per Ileana già scomparsa.
Oh, le avrebbe impartito una punizione così massacrante, questa volta, che non sarebbe riuscita a sollevare nemmeno le bacchette per almeno una settimana.
Il Maestro Ninja annuì, distogliendo lo sguardo e concedendosi la debolezza di immaginare un mondo in cui la sua apprendista non avrebbe mai osato rivolgergli quel tono supponente e il suo unico parente in vita avesse deciso ogni tanto di sostenerlo.
-Ti apriremo la strada.- si limitò ad informarla e, con un brusco cenno della testa, ignorando lo sguardo un po’ gongolante che sapeva di poter trovare negli occhi di suo fratello, gli ordinò di precederlo – non aveva la minima intenzione di sopportare i suoi “te l’avevo detto”, in quel momento…
Per fortuna, una volta tanto, Kaze parve capire la sua irritazione e in un battito di ciglia scomparve fra le ombre, invisibile per tutti tranne che per Saizo e per Zoe, che lo seguirono con lo sguardo fino a che non sparì al di là delle stesse porte che avevano varcato Takumi e Hinata.
Saizo lo imitò un istante più tardi, celandosi nell’invisibilità tipica degli shinobi e permettendosi un breve sospiro di sollievo non appena lo sguardo confuso di Ileana e quello tagliente di Zoe lo abbandonarono: ne aveva avuto abbastanza, per quel giorno, e nell’essere celato ai più, distante da quel mondo caotico che non gli era mai appartenuto, trovò finalmente un attimo di sollievo.
Si allontanò dalle due ragazze, scivolando negli angoli più celati del castello di Shirasagi per assicurarsi che nessuno, sul percorso che portava ai giardini, avrebbe intralciato la strada di Zoe ed Ileana; per fortuna, a parte un paio di cameriere che imboccarono un corridoio laterale, quella parte del castello si rivelò sicura, e lui fu ben contento di tornare sui propri passi e lasciare a Kaze il compito di assicurarsi che anche i giardini fossero sicuri.
Non gli piaceva l’idea di lasciare la nohriana con Zoe: per quanto si fosse dimostrata pressoché innocua, fino a quel momento, sarebbe stato fin troppo facile prendersi gioco del buon cuore e dell’ingenuità della sua deshi, e niente e nessuno gli assicurava che la fragilità che Ileana ostentava non fosse soltanto una parte meravigliosamente recitata.
Ben presto Zoe avrebbe avuto altro a cui pensare che il destino della ragazza cresciuta dai nohriani, e lasciare che si avvicinassero troppo sarebbe stato un azzardo che Saizo non era affatto certo di voler tentare: far accettare agli hoshijin e agli aristocratici la vera identità della principessa sarebbe stato già abbastanza arduo senza una Maga di Nohr accanto a rendere ancora più dubbia la sua figura… e, di certo, prima di permettere a Ileana anche soltanto di avvicinare Zoe, sarebbe stato necessario educarla ai costumi di Hoshido e ai doveri della guardia reale che era destinata a diventare.
No, si ripeté, doveva darci un taglio appena possibile: ogni giorno che avrebbero passato l’una accanto all’altra non avrebbe fatto che peggiorare la situazione.
Eccole, all’imbocco dell’ennesimo corridoio vuoto: si erano finalmente alzate in piedi, e Ileana si stava ripulendo i vestiti da una polvere inesistente, lo sguardo basso e l’espressione sempre assente, lontana. Zoe, invece, mosse appena le orecchie ed emise un sospiro quasi impercettibile, scuotendo appena la testa per segnalare al suo maestro di essersi accorta del suo ritorno.
-Possiamo andare, adesso, se volete. La strada è libera.- annunciò, infatti, all’altra, spostandosi di lato per invitare Ileana a precederla. Lei, mantenendosi a poca distanza dalla parete e tenendo d’occhio la Samurai – come se non si arrischiasse a fidarsi abbastanza da darle le spalle – si avviò, camminando a piccoli passi e lanciando continue occhiate intorno a sé, guardinga.
-È lontano?- mormorò, mentre Zoe si affiancava a lei e Saizo, invisibile, le seguiva.
-No.- Zoe distolse lo sguardo, e il ninja scorse una strana espressione – angosciata, forse? – oscurare il suo viso. -Mi nascondevo lì da ragazzina quando volevo scappare dai miei insegnanti.- spiegò e, per qualche motivo a lui incomprensibile, si sfregò gli occhi, nascondendo quel lampo di tristezza ad Ileana dietro un profondo respiro e una maschera di indifferenza. -Nessuno ci disturberà.-
L’altra si limitò ad annuire, stringendosi le braccia intorno alle spalle e senza dire più nulla; tacquero entrambe, ognuna chiaramente immersa nei propri pensieri, accompagnate dall’ombra invisibile del Maestro Ninja attraverso i corridoi di Shirasagi immersi nell’opalescente candore di quel Sole freddo.
Kaze, accanto alle porte d’ingresso del vasto parco del castello, le stava aspettando.
Saizo gli rivolse un breve cenno a cui il fratello rispose annuendo impercettibilmente, senza nemmeno guardarlo; con un passo in avanti e un sorriso lieve sulle labbra prese il suo posto nel sorvegliarle, permettendo a Saizo di precederli tutti e tre mentre lui avrebbe accompagnato le due ragazze in piena vista, contro ogni riguardo per la segretezza dei ninja – e tutto per mettere a proprio agio quella ragazzina nervosa.
Zoe, però, aveva avuto una buona idea: nessuno, in quella stagione, passava il tempo in giardino, ed il nascondiglio a cui si era riferita – Saizo aveva sempre saputo dove si trovava, ma le aveva permesso di credere di averlo ingannato – era effettivamente un angolo nascosto, celato agli sguardi da una vegetazione folta in qualunque periodo dell’anno.
Sì, lì Ileana non avrebbe potuto causare altri guai, e lui avrebbe potuto sottrarre alla sua pericolosa presenza la sua fin troppo influenzabile deshi.
Resistette all’impulso di sfilarsi la maschera e passarsi una mano sul volto, provato da quella mattinata come raramente era successo in precedenza: fare da balia alla falsa principessa si stava rivelando più arduo e spossante di quanto avesse preventivato…
-Eccoci qua.-
Il fruscio dei passi di Kaze, Zoe ed Ileana attirò la sua attenzione, ma Saizo non si mosse, preferendo rimanere celato ai loro occhi: attese, indistinguibile dalle piante fra cui si era mimetizzato, fino a che non si furono sistemati, Ileana accoccolata fra due grossi arbusti di camelie rosate e i suoi guardiani a poca distanza da lei.
Silenzio.
Dopo le urla di Takumi e di Zoe, dopo gli strilli di Ileana, finalmente su tutti loro calò un silenzio misericordioso, spezzato soltanto dal debole fruscio del venticello freddo che spirava fra i fiori dorati dei calicanti e portava con sé il profumo dei nespoli.
Saizo osservò Zoe rilassarsi, scambiare qualche parola con Kaze, la tensione delle spalle che si scioglieva un poco: aveva ancora le orecchie rosse e seminascoste fra i capelli e la mascella contratta, ma non sembrava più sul punto di mettersi ad urlare.
Ileana, invece, sembrava aver perso l’uso della parola: continuava a guardarsi intorno, meravigliata, gli occhi cisposi e stanchi che saltavano da un fiore ad un altro, le labbra schiuse in una “o” quasi perfetta e le guance pallide che sembravano aver ripreso un po’ di colore.
Se fosse stata una qualunque altra persona – se non fosse stata di Nohr, Saizo avrebbe persino potuto pensare che, in effetti, forse la sua apprendista e suo fratello non avevano proprio tutti i torti a considerarla innocua: non sembrava niente di più che una ragazzina spaesata, confusa e con gli occhi cerchiati da profonde occhiaie violacee.
-Non pensavo…- mormorò, allungando timidamente una mano per sfiorare le camelie e portandosi poi le dita al viso, inspirando l’odore che doveva esserle rimasto sulla pelle ad occhi socchiusi. -Quindi questo è un giardino…- sussurrò, e Saizo poté persino comprendere quanto il rigoglioso parco di Shirasagi, con le sue piante in fiore tutto l’anno, potesse sembrare incredibile agli occhi di una persona cresciuta in quel regno freddo e scuro che era Nohr.
Era chiaro, ormai, quanto Ileana non ricordasse nulla della bambina che era stata sotto il Sole di Hoshido.
-Così tanti fiori…-
Saizo aggrottò le sopracciglia, irritato, quando Zoe si avvicinò ad Ileana, sfilandosi l’haori e drappeggiandolo con gentilezza intorno alle sue spalle senza che lei, distratta dalla vegetazione e da una sonnolenza improvvisa che le aveva fatto ciondolare la testa sulla spalla e abbassare le palpebre, protestasse; un lieve sorriso si disegnò sulle labbra della Samurai, ed il suo maestro notò la sua mano alzarsi e poi riabbassarsi di scatto, una carezza gentile trattenuta a stento fra le dita.
-Deshi.- chiamò, uscendo dal suo nascondiglio non appena Ileana si fu addormentata completamente, e Zoe scattò in piedi. -Andiamo.-
-D’accordo.- mugugnò lei, controvoglia, scambiando un’occhiata tormentata con Kaze; lui annuì, stringendole brevemente una spalla quando gli passò accanto in un rapido gesto di conforto, ottenendo in risposta un breve sorriso che svanì nel momento stesso in cui Saizo la condusse lontano da quell’alcova lussureggiante in direzione dei campi di addestramento.
Gli immensi spazi dedicati ai soldati di stanza al castello erano deserti: quasi nessuno, a quell’ora tarda del mattino e in quella stagione, si allenava, preferendo le ore meno gelide del primo pomeriggio o le vaste sale interne dei dojo della capitale, ma lui aveva sempre preferito addestrare Zoe lì, ignorando pioggia, freddo e grandine pur di trasmetterle quello spirito di abnegazione che lei aveva forse preso anche troppo seriamente.
Tuttavia, era un posto familiare ad entrambi, ed il Maestro Ninja scorse i pugni stretti della Samurai allentarsi impercettibilmente: le aveva insegnato a trovare pace nel combattimento, a ricercare nello sforzo fisico e nella lotta quella valvola di sfogo per il suo carattere irrequieto – e soltanto la sua lunga esperienza gli permise di evitare per un soffio la lama appuntita che sfiorò la sua maschera.
Balzò indietro e sguainò i suoi shuriken, ma Zoe lo aggredì di nuovo e lui non poté far altro che parare, l’acciaio affilato che strideva lungo gli tsuba dei sai che parevano essersi materializzati dal nulla fra le mani della Samurai.
Un ringhio soffocato ruppe il silenzio che era calato su entrambi: Zoe si rigirò i lunghi pugnali fra le dita e poi sparì in uno sbuffo di sabbia, ma Saizo si volse appena in tempo per evitare un affondo dal nulla e afferrarle l’avambraccio, torcendolo e costringendola a girare su se stessa per impedire che glielo spezzasse.
Quel vantaggio, però, durò soltanto un istante: Zoe gli tirò una gomitata dritta fra le costole e gli strappò un grugnito, approfittando della sua irritazione per rivoltarsi e scivolare via dalla sua presa, roteando i pugnali e tentando un affondo che Saizo fermò all’ultimo, le lame incrociate ad un soffio dai volti di entrambi.
C’era rabbia, nello sguardo della sua deshi, una rabbia che pareva ribollire come un vulcano pronto ad eruttare – una rabbia che probabilmente covava da giorni, sin da Suzanoh, che Zoe aveva lottato per trattenere fino all’ultimo.
L’ennesimo scontro con Takumi aveva di certo messo a nudo la furia silenziosa che Saizo aveva già notato, che l’aveva spinta a rinchiudersi in un silenzio pacato che così poco si addiceva al suo carattere solare…
Balzarono entrambi indietro, ma quella pausa durò soltanto il tempo di battere le ciglia: con un ruggito esasperato Zoe lo incalzò di nuovo, e Saizo si ritrovò in difficoltà dinanzi a quell’aggressione piena d’ira, evitando i vibranti tsuba d’acciaio ancora una volta.
Quella situazione sarebbe ben presto diventata insostenibile.
L’aggressività del Principe Takumi avrebbe presto causato dei problemi troppo scomodi perché i ninja potessero contenerli. Saizo poteva capirlo, condivideva la sua diffidenza nei confronti di Ileana, ma un altro scontro fra lui e Zoe – e sarebbe stato inevitabile, considerata la reazione della sua deshi – avrebbe portato a conseguenze tali da frantumare del tutto la fragile rete di segreti che l’arrivo di Ileana aveva irrimediabilmente compromesso.
Se soltanto la nohriana si fosse comportata bene e avesse smesso di reagire in quel modo assurdo – se soltanto Zoe non si fosse ersa a sua difesa come la testarda sciocca che era…
Lo sbuffo della sua deshi, il gesto con cui si scostò la lunga frangia dagli occhi, furono l’apertura che Saizo stava aspettando: svanì in un istante e la aggredì alle spalle prima che Zoe potesse individuarlo di nuovo, afferrandole il braccio destro e torcendole il polso, il sai che le cadeva dalle dita – ma comprese troppo tardi di essere caduto nella sua trappola.
Zoe roteò su se stessa e lui riuscì appena in tempo a puntarle le lame della sua armatura alla gola, costringendola ad immobilizzarsi un attimo prima che potesse fare qualunque altra cosa che puntargli il sai rimasto ad un soffio di distanza dalle vulnerabili arterie della coscia.
Impasse.
Rimasero immobili, e Saizo si sorprese di sentire l’aria bruciargli i polmoni ad ogni respiro.
Odiava ammetterlo, ma Zoe era diventata più veloce di lui già da molto tempo, e lottare con lei si era rivelato sempre più arduo ad ogni scontro – persino quando non impugnava la sua arma prediletta.
Ufficialmente, infatti, a Zoe era proibito portare armi all’interno del castello, a meno che non stesse sostituendo Saizo e Kagero nei loro compiti di guardie reali, ma il saperla disarmata aveva sempre destato una certa preoccupazione nel suo maestro: le aveva insegnato a difendersi anche a mani nude, sì, ma la sicurezza non era mai troppa – soprattutto per una principessa, anche se ignara di esserlo.
Per quel motivo, da anni, Zoe celava quei lunghi sai affilati nelle pieghe dei vestiti: Zoe era veloce, era forte, e saperla in possesso di quelle armi aveva permesso a Saizo di dormire sonni un po’ più tranquilli… anche se mai avrebbe potuto immaginare di ritrovarne una così vicina ai suoi organi vitali.
Un calore sospetto parve irradiarsi da qualche parte nel suo petto, quando colse il baluginio soddisfatto nelle pupille verticali della sua apprendista nel riflesso della lama dello shuriken che impugnava.
Era riuscita a coglierlo di sorpresa.
-Meglio?- grugnì.
Aveva previsto il bisogno della ragazza di sfogarsi, di liberare almeno un poco di quella frustrazione che aveva accumulato attraverso uno scontro: non era stata di certo la prima occasione in cui le aveva permesso di battersi con lui per ritrovare un po’ di pace, e lui ne aveva sempre approfittato per studiare i progressi del suo addestramento.
Zoe annuì, accennando una smorfia che forse voleva essere l’inizio di un sorriso; allora, soltanto allora, si mosse, allontanandosi con un gesto elegante dal suo maestro e rinfoderando con l’abilità di un maestro.
Saizo la imitò, gli shuriken che sparivano dalle sue mani come se non fossero mai esistiti, lanciando intanto un’occhiata intorno a sé per assicurarsi di essere ancora solo con lei; una volta accertatosene, si sfilò finalmente la maschera, sfregandosi le guance ispide di barba rossiccia.
-Sto considerando l’ipotesi di impedirti di avvicinarti a quella ragazza, deshi.- sbuffò, strappandole un grugnito di disapprovazione. -Non puoi affrontare un Principe in quel modo e aspettarti dei complimenti.- aggiunse, ma Zoe serrò le labbra sbuffò a sua volta, una bruma d’irritazione raggrumata sul fondo del suo sguardo carmino. -Ileana non è una tua responsabilità. Non le devi niente.-
-Mi sono messa in mezzo fra lei e Takumi perché quello che Sua Maestà stava per fare era sbagliato!- strillò, sussultando quando si accorse del tono isterico che la sua voce aveva assunto; prese fiato, dondolandosi sui piedi e sostenendo il suo sguardo con quella granitica testardaggine in cui Saizo, purtroppo, scorse il vivido riflesso di se stesso.
-Non è questione di responsabilità, è questione di fare la cosa giusta.-
Fare la cosa giusta, diceva.
Saizo aveva fatto la cosa giusta, tanti anni prima, proteggendo la sua principessa dalle mire crudeli di un assassino.
Per lui, fare la cosa giusta significava porre il bene superiore al di sopra di qualunque sacrificio comportasse: era il suo dovere, come guardia reale del futuro Re e come protettore del regno di Hoshido.
-Avresti dovuto evitare comunque lo scontro.- la rimbeccò. -Avresti dovuto obbedirgli senza discutere.-
Zoe però si permise un versaccio denso di sarcasmo, il mento alto e le spalle ben dritte. -Ryoma non avrebbe voluto.- ribatté, fiera e stupida come sempre.
Per Zoe, fare la cosa giusta significava sacrificare se stessa per la felicità e la sicurezza del suo prossimo. Era una Samurai, in tutto e per tutto, e viveva ogni respiro secondo le regole del Bushido sin da quando Lord Ryoma aveva cominciato ad istruirla – sin da quel disastro di tanti anni prima, quando Saizo aveva deciso di portarla con sé durante una missione a Nohr.
La sua attenzione, inevitabilmente, venne attirata dalla vecchia cicatrice che Zoe portava con fierezza, proprio sotto l’occhio sinistro – la prova indelebile del loro fallimento, del suo fallimento.
Ancora lo perseguitava, quel ricordo: il viso della bambina che era stata ricoperto di sangue, il pugnale di un assassino che le tagliava la carne, le sue urla strozzate ed i singhiozzi che l’avevano scossa…
L’unico risultato positivo era stato vedere Zoe rinunciare a seguire le orme del suo maestro, e lui non ne sarebbe mai stato abbastanza grato: eppure, quella scelta aveva decretato un cambiamento, in lei, e l’unico luogo in cui quella bambinetta remissiva e nervosa che mai avrebe osato mancare di rispetto al suo maestro esisteva ancora era la sua memoria.
Zoe era cresciuta, ormai, stava ancora crescendo: quelle reazioni non erano soltanto che il segnale di quanto, ormai, l’essere un’apprendista non fosse più abbastanza per lei.
Era fiero di lei. In ogni modo possibile, era fiero di lei… ma lui doveva fare la cosa giusta, e Zoe era un ostacolo sulla sua strada.
-Non puoi contare troppo sulla protezione di lord Ryoma. O sulla mia.- la avvertì, indossando nuovamente la maschera, provando un immediato sollievo nel sentirne la forma familiare aderire alla pelle. -Andiamo, adesso.-
Doveva fare ciò che era necessario fare, anche se fosse stato necessario usarla per i suoi scopi: lo avrebbe di certo odiato, se se ne fosse resa conto – ma, se anche fosse stato, Saizo lo avrebbe accettato, perché proteggere il suo regno, il suo principe e lei – quella stupida, stupida deshi che non lo ascoltava mai – era più importante dei suoi sentimenti feriti.
-Sì, maestro.- ribatté, velenosa, ma lui ignorò quell’ennesimo affronto e Zoe, esasperata, si rassegnò a seguirlo, sfregandosi le braccia coperte soltanto dalla casacca quando una corrente d’aria fredda la sfiorò – giusta punizione per essersi privata del proprio haori per darlo ad Ileana.
Saizo, sbuffando, si sfilò la sciarpa, tendendogliela con un gesto brusco che, tuttavia, le illuminò il volto come se le avesse appena donato il Sole stesso.
-Cerca di far collaborare la ragazza.- sibilò, aspro, mentre lei si drappeggiava la sciarpa del suo maestro intorno alle spalle, le orecchie che fremevano di contentezza. -Scenate come quella di questa mattina non devono più ripetersi.-
Zoe, soltanto gli occhi visibili da dietro lo strato di stoffa, inarcò un sopracciglio.
-Oh, sarà facile, con due tizi inquietanti ad infestare ogni angolo buio.-
§
Ryoma si riempì il petto in un respiro profondo, un lieve sorriso che premeva all’angolo delle sue labbra.
Anche se non avesse conosciuto ogni angolo del castello di Shirasagi come il palmo della sua mano, sarebbe stato in grado di trovare la strada che portava ai suoi appartamenti soltanto inseguendo il profumo dei suoi incensi, che accompagnava l’Onmyoji ovunque andasse e che sembrava voler condurre ogni passante a quella porta sempre aperta.
Era un profumo familiare e che riuscì, malgrado tutti i pensieri che gravavano sulle sue spalle, a trasmettergli quel vago senso di pace che aveva sempre associato alla compagnia di Zoe.
Dalla soglia spalancata del salotto provenivano diverse voci e, sopra le altre, Ryoma distinse immediatamente la risata squillante dell’incantatrice: si permise un breve sorriso, rinfrancato da quel trillo contagioso, coprendo gli ultimi metri che lo separavano dalla soglia illuminata in pochi passi.
-Disturbo?- domandò, affacciandosi cautamente nel cono di luce dorata che illuminava l’altrimenti buio corridoio: Orochi, accoccolata nell’alcova che aveva tanto insistito per far costruire dinanzi alle grandi vetrate che occupavano l’intera parete di fondo del salotto, alzò immediatamente lo sguardo verso di lui dalle erbe che stava lavorando in un mortaio di legno, il suo caratteristico sorriso malizioso che si accentuava sulle labbra colorate.
-Oh, micia, stasera ne arriva uno dopo l’altro.- commentò, divertita, rivolta verso il tavolino da tè a cui erano seduti Zoe e la guardia reale di Takumi, Hinata: il ragazzo balzò in piedi, passandosi rapidamente una mano fra i capelli sciolti, fissandolo con gli occhi sgranati e un’espressione allarmata che il Principe non riuscì a comprendere.
-L-Lord Ryoma!- balbettò, inchinandosi rapidamente, strappando uno sbuffo divertito tanto a Zoe, che nascose la sua ilarità dietro le dita di una mano premuta sulla bocca, quanto a Orochi, che non si diede nemmeno la pena di provare a celare il suo divertimento.
-Buonasera, Hinata.- Ryoma, incuriosito, osservò il ragazzo lanciare un’occhiata imbarazzata alla Samurai che, per qualche motivo, scosse lievemente la testa e si alzò a sua volta, rassettandosi gli abiti e spostando la sua attenzione sul Principe.
Ryoma adorava quegli occhi. Erano sempre stati così espressivi, un libro aperto in cui lui era sempre stato in grado di scorgere tutto ciò che Zoe sapeva di non poter dire, e non avrebbe mai smesso di meravigliarsi di quanto quelle iridi rosse fossero in grado di trasmettere così tanto.
Inclinò appena la testa, scorgendo un’ombra insolitamente greve in quello sguardo stanco.
-Speravo di poter parlare con te. In privato?- le domandò; ma, prima che Zoe potesse rispondere, Hinata li interruppe.
-M-Me ne vado immediatamente!- esclamò, e tanto lui quanto Zoe si voltarono appena in tempo per vederlo legarsi frettolosamente i capelli – era così abituato a passare il tempo libero con Zoe da sentirsi abbastanza a suo agio in casa sua da sciogliersi i capelli? – e raccogliere il suo haori e la sua spada.
-Grazie, Nata.- sussurrò lei, completamente ignara dello sguardo attento di Ryoma, allungando una mano per sfiorare il braccio dell’amico quando lui esitò prima di superarla.
-Ci… ci vediamo domani?- le domandò, guardandola con l’incertezza scritta su ogni tratto del volto; tuttavia lei sorrise, stringendo brevemente le dita sul suo polso prima di lasciarlo andare con una carezza accennata.
-Certo.- annuì, con una dolcezza tale nella voce che il Maestro d’Armi parve illuminarsi a sua volta.
-Grande!- esclamò, tentando un passo verso di lei e poi fermandosi all’improvviso, scoccando un’occhiata imbarazzata prima a Ryoma e poi ad Orochi. -Adesso devo proprio andare! Orochi, lord Ryoma!- salutò, rivolgendo loro un rispettoso cenno della testa prima di sparire al di là del cono di luce gettato dalla porta spalancata.
Il silenzio che seguì la sua fuga un po’ maldestra, però, fu di breve durata.
-Non ho mai visto nessuno così spaventato.- commentò, inarcando un sopracciglio, e Ryoma chinò la testa senza ribattere – nemmeno Saizo aveva l’ardire di contraddire Orochi, e lui aveva sempre confidato nella saggezza della sua guardia reale.
…ma lui non era davvero così terrificante, vero?
Chiaramente insoddisfatta dalla mancanza di una risposta, l’Onmyoji sventolò una mano e gettò indietro ai capelli, un luccichio preoccupante che lampeggiava al di là del velo ironico delle sue iridi violette.
-Allora? Non avete nulla da dire su quel povero ragazzo terrorizzato?-
-Mamma, per favore.- gemette Zoe, scuotendo la testa e rivolgendo un’occhiata di scuse a Ryoma; lui, però, sorrise, posando una mano sulla sua spalla e stringendola appena, ottenendo in risposta un fremito delle sue orecchie.
Orochi si avvicinò alla figlia, inclinando la testa per guardarli entrambi dal basso verso l’alto, assottigliando le palpebre in un’espressione che non prometteva nulla di buono.
-Oh, ma certo, sei sempre così protettiva con il nostro Principe, ma sono sicura che una battuta innocente non lo ucciderà.-
Zoe nascose il viso fra le mani, ma Ryoma non mancò di cogliere il repentino rossore che colorò le sue orecchie appuntite; era così facile farla arrossire, e lui stesso non poteva ammettere in tutta onestà di non averla punzecchiata a sua volta, ogni tanto, pur di scorgere i suoi occhi farsi lucidi e le sue guance imporporarsi.
-Mamma.- mugolò, voltandosi verso di lui e rivolgendogli un muto sguardo di scuse da sopra le dita intrecciate.
Orochi ridacchiò, allungando una mano per arruffarle la frangia e dandole un buffetto sul dorso della mano quando Zoe la scacciò e gonfiò le guance in una smorfia offesa.
Era così buffa, si ritrovò a pensare, soffermandosi per qualche istante più del necessario ad osservarla.
Il calore emanato da quel piccolo, forse insignificante quadretto familiare parve sollevare un poco il peso terribile che sentiva gravargli sul petto: trascorrere del tempo assieme a Zoe era un peccato a cui lui si era sempre arreso anche troppo volentieri – come sottrarre l’ultimo mitarashi dango a Sakura pur di averlo tutto per sé, pur di sentire quella delicatezza sciogliersi sulla lingua.
Zoe era sempre stata quel rifugio rassicurante che tante volte lo aveva accompagnato, luminoso quanto la fiammella di una candela, attraverso una notte di lavoro, quella boccata d’aria fresca in una vita che raramente permetteva di respirare del tutto.
Passare qualche ora assieme a lei, senza titoli o nomi o responsabilità pronte a schiacciarlo, era il dono che Zoe riservava per lui, che sapeva dell’incenso di Orochi e della dolcezza insita in quei battibecchi giocosi, nell’illusione che la vita potesse essere davvero così, spensierata e piena d’amore e risate.
Orochi si schiarì la voce, distraendolo appena in tempo per impedire a Zoe di notare il suo sguardo indugiare su di lei.
-Suppongo di dover prendere commiato dal mio stesso salotto, lord Ryoma?- domandò, nella voce una nota d’avvertimento che lui si ostinò ad ignorare.
-Sarebbe molto gentile da parte tua, mia cara.- annuì, ed Orochi schioccò la lingua, pizzicando la guancia della figlia adottiva.
-Oh, ma sarà un piacere!- trillò, allontanando le dita dal viso della ragazza prima che Zoe potesse morderla. -Ma mi raccomando, non stancatela troppo. Zoe deve alzarsi presto, domattina.- lo avvisò, sgusciando verso la porta della sua stanza e chiudendosela alle spalle appena in tempo per evitare il cuscino che suddetta figlia le aveva tirato addosso.
Zoe sbuffò, sfregandosi gli occhi e gonfiando le guance, scoccandogli un’occhiataccia.
-Oh, andiamo, lo so che vuoi ridere di me.- lo apostrofò, arricciando le labbra, e Ryoma dovette fare appello a tutto il suo autocontrollo per non lasciarsi sfuggire nemmeno quel sorriso che premeva agli angoli delle sue labbra.
-Non lo farei mai.- negò, ma lei fece una smorfia.
-Bugiardo.- ribatté, attraversando l’intero salotto per raggiungere la seconda porta che si affacciava in quell’anticamera e che Ryoma sapeva essere l’entrata della sua camera privata. -Vieni, tanto sarà sicuramente dietro la porta ad origliare.- lo invitò con un cenno, e Ryoma non poté far altro che precederla prima che lei lo seguisse e si richiudesse la shoji di legno e carta di riso alle spalle.
L’ultima volta in cui era entrato in quella stanza era stato un paio d’anni prima, quando aveva voluto sincerarsi della sua salute dopo una brutta malattia che l’aveva costretta a letto per quasi mezza Luna: ricordava di essersi sorpreso, allora, di quanto fossero vivaci i colori con cui aveva dipinto le pareti e laccato i mobili, fino a che Kagero non gli aveva spiegato che Zoe faticava a distinguere le tinte troppo tenui e preferiva le note più cariche e luminose del rosso, del verde e del celeste; anche adesso, persino nella penombra di un’unica candela, notò quanto quella predilezione non fosse venuta a mancare, notando quanto sembrasse un altro mondo rispetto ai pastelli leggeri prediletti da Orochi.
Si sentì quasi un intruso, guardandosi attorno, suo malgrado curioso di cogliere qualcosa in più della vita di Zoe di cui lui non faceva parte: ogni superficie libera era ricoperta di libri e rotoli, ninnoli e scatolette di legno stracolme di conchiglie, pietre più o meno luccicanti, fermagli per capelli; Zoe amava tutto ciò che brillava, e rammentava chiaramente l’occasione in cui, da piccolina, si era appropriata del suo elmetto appena lucidato e non aveva voluto restituirlo per una settimana.
Sul futon, smontata, era posata la katana che Mikoto le aveva donato per il suo diciottesimo compleanno: chiaramente, prima di essere interrotta dall’arrivo del suo amico, Zoe si stava occupando di ripulirla e affilarla, a giudicare dalla mola e dall’olio appoggiati lì accanto; invece, sul tavolino stracolmo di appunti scarabocchiati e disegni mai finiti, erano abbandonati i sai che ufficialmente lei non avrebbe dovuto possedere, ma che Ryoma sapeva non abbandonare mai le pieghe del suo hakama.
Zoe sospirò, lasciandosi stancamente cadere sui cuscini dinanzi alla grande finestra e spostando lo sguardo su di lui, le orecchie basse e una strana pesantezza negli occhi.
-Allora? Quanto sono nei guai?- domandò, stancamente, e Ryoma avrebbe davvero voluto dirle, ancora una volta, che non ci sarebbero state ripercussioni per il suo comportamento: invece, con la stessa spossatezza che aveva scorto in lei, si sedette al suo fianco, chiudendo gli occhi per un istante e appoggiando la testa al vetro freddo.
-Soltanto un po’.- ammise, rammentando anche troppo bene le parole aspre e piene di rabbia con cui Takumi aveva apostrofato tanto lei quanto Ileana. -Takumi era molto… alterato, stamani.- aggiunse, cupo.
“Fai in modo che Zoe stia al suo posto o dovrò farlo io una volta per tutte!”
Fortunatamente, Zoe non si accorse della sua mascella serrata, né dei pensieri che lo tormentavano al di là della sua allenata espressione imperturbabile.
La voce di suo fratello, aspra e crudele, echeggiava ancora fra i suoi pensieri, agghiacciante e terribile proprio perché era conscio di quanto lui e Zoe fossero sempre stati legati – di quanto Takumi non avrebbe mai nemmeno osato pensare di trattarla in quel modo se fosse stato in sé.
Ma Takumi non era più in sé.
-Quindi?-
Ryoma sospirò, affatto sorpreso dal tono brusco e difensivo nella sua voce, notando ancora una volta quanto le sue espressioni corrucciate rammentassero le smorfie di Takumi – che cosa, per i Sette, aveva spezzato quel legame tanto stretto?
-Vuoi darmi la tua versione?- domandò, ma Zoe si strinse nelle spalle e scosse la testa, irritata.
-Non vedo perché. Saizo ti avrà già detto tutto.- mugugnò, distogliendo lo sguardo da lui per seguire il volo di un rapace notturno al di là delle vetrate.
Oh, sì, Saizo aveva speso più parole di quante Ryoma gliene avesse sentite pronunciare ultimamente: il Maestro Ninja, protettivo come sempre nei confronti della sua unica apprendista, aveva espresso il suo concerno nei confronti dell’atteggiamento del Secondo Principe, dell’attaccamento pericoloso che Zoe stava sviluppando per Ileana e di quanto sarebbe stato più saggio impedire qualunque contatto fra tutti e tre nel prossimo futuro.
-Mi ha detto che Takumi se l’è cercata.- si limitò a commentare, strappandole uno sbuffo sarcastico e uno sguardo incredulo. -Sto parafrasando.- aggiunse.
Zoe sbuffò, affondando drammaticamente il viso fra le mani.
-La tua guardia è davvero una chioccia.-
A quelle parole Ryoma non riuscì più a trattenersi: scoppiò a ridere, scuotendo la testa, non riuscendo proprio ad impedirsi di immaginare la reazione oltraggiata che avrebbe avuto Saizo nell’udire quelle parole.
Zoe lo osservò, in silenzio, le orecchie che fremevano al suono della sua risata e gli angoli degli occhi che si arricciavano in un sorriso impercettibile.
-Oh, beh, questo migliora la mia giornata.- commentò, sciogliendo le braccia che aveva incrociato sul petto e passandosi le dita fra i capelli, i tratti del viso che si distendevano un poco.
Ryoma sorrise a sua volta, allungando una mano per sfiorare la sua.
-Riesci sempre a trovare un modo per farmi dimenticare i miei pensieri.- mormorò, ed un calore familiare parve sbocciare nel suo petto quando lei allacciò le dita alle sue, sfiorando col pollice le sottili cicatrici che Raijinto aveva inciso sulla sua pelle tanti anni prima e accoccolandosi accanto a lui, contro la sua spalla, rabbrividendo quando si appoggiò al vetro freddo.
-È un dono.- commentò, divertita; Ryoma socchiuse gli occhi, ascoltando in silenzio il mormorio soddisfatto che gli canticchiava nel petto, assaporando il calore del suo corpo riscaldare anche lui.
Zoe non rispettava ma le regole, la decenza, il buoncostume – e lui, per quello, la adorava; eppure, a volte, invidiava chi poteva godersi la sua espansività liberamente, senza doversi preoccupare delle apparenze, delle voci, della reputazione.
-Il tuo amico era qui per via di quel che è successo?- domandò, racchiudendo la sua mano fra le proprie quando si accorse di quanto fossero fredde, e Zoe annuì contro la sua spalla.
-Sì, è venuto per scusarsi. Tuo fratello invece non si è visto.- mugugnò, sussultando quando si accorse del commento velenoso che si era appena lasciata scappare.
Ryoma sospirò, senza ribattere.
Zoe non aveva torto.
Takumi aveva sempre avuto un carattere volubile e tempestoso come i venti che sembravano spirare ogni volta che il Fujin Yumi scoccava una delle sue frecce incantate: era sempre stato incline agli scoppi d’ira, a prendere di petto più situazioni di quelle che meritavano la sua attenzione e a non voler ascoltare chi tentava soltanto di aiutarlo, ma nessuno si sarebbe mai aspettato quell’odio che aveva annientato il suo giudizio e la sua mente acuta, quell’astio crudele che lo aveva spinto a rivoltarsi persino contro chi gli era caro – contro di lui, contro la loro madre, contro i suoi amici…
E per cosa?
-Ryoma?-
La voce di Zoe nascondeva una preghiera, un gemito di dolore, una sofferenza che lui aveva già intravisto a Suzanoh, quando l’aveva incontrata in quel corridoio opprimente e aveva scorto i suoi occhi bui e colmi di lacrime; abbassò lo sguardo verso di lei, scoprendosi estremamente vulnerabile dinanzi a quello sguardo gentile e tormentato.
-Perché non è più lui?- sussurrò, e Ryoma avrebbe tanto voluto avere una risposta da darle, un qualcosa da combattere per riprendersi il suo fratellino, per restituirle l’amico a cui era sempre stata così legata, ma…
-…non lo so.-
Ammetterlo, ammettere quanto fosse impotente davanti a quella situazione sempre più drammatica, sapeva terribilmente di sconfitta.
Dovette costringersi a non passarle un braccio intorno alla vita, a non stringerla di più a sé.
-È sempre stato intimorito dall’ombra di Ileana, ma… non è mai stato crudele, finora.-
Ricordava bene lo sguardo pieno di risentimento che un Takumi bambino aveva riservato ad Hinoka quando lei aveva annunciato di voler diventare un guerriero “in nome della sua sorellina perduta”, i mille dubbi che gli avevano reso così difficile impugnare il Fujin Yumi, la sua smania continua di dimostrarsi sempre migliore di tutti gli altri.
Non per la prima volta, Ryoma si ritrovò a chiedersi come avrebbe reagito suo fratello una volta scoperta la verità.
Aveva sempre pensato che, vista la loro amicizia, sarebbe stato felice di scoprire che Zoe era, se non per il suo sangue almeno agli occhi del loro regno, sua sorella: ne era sempre stato sicuro, ed era uno dei motivi per cui non si era mai preoccupato eccessivamente di spingere Zoe a mantenere le distanze dalla famiglia reale, ma adesso…
Adesso, però, non ne era più così certo: se incontrare Ileana aveva causato un tale cambiamento nel suo carattere, una tale cattiveria, come poteva pensare che Zoe non avrebbe incontrato lo stesso muro di diffidenza e di crudeltà, che quella furia non si sarebbe rivoltata contro Mikoto, contro Hinoka, contro tutti coloro che avevano mantenuto quel segreto per tutti quegli anni?
-Già. Non avrei mai pensato che si sarebbe comportato così.- concordò, sfilando con gentilezza la mano dalla sua stretta. -Suppongo di non conoscerlo bene quanto credessi.- aggiunse, voltandosi verso le mille luci colorate che rendevano impossibile alla notte di Hoshido di inghiottire tutto nell’oscurità. -Quello non è il mio amico. Il Takumi che conosco io non avrebbe mai impedito ad una ragazza di leggere un libro.-
Ryoma si passò una mano sugli occhi, ricordando improvvisamente l’ordine che Saizo aveva impartito con la sua autorità e che lui sapeva di non poter revocare, visto che sembrava essere stata l’unica cosa in grado di acquietare un poco l’ira di Takumi.
-Per quello che vale, preferirei che quegli ordini non fossero necessari.- mormorò, ed il disagio che provava parve smorzarsi un poco quando Zoe annuì.
-Lo so.- mormorò, piano, scostandosi da lui per voltarsi con uno scatto verso la finestra, distratta dal baluginio di una luce lontana; e Ryoma sorrise, il ricordo di una bambina paffuta che inseguiva le lucciole che si sovrapponeva ai lineamenti affilati della donna che aveva dinanzi.
Per fortuna, però, lei era sempre la stessa, rifletté, osservandola seguire la lanterna di carta che l’aveva distratta con uno sguardo assorto, il fiato che si condensava sul vetro e le labbra dischiuse in un sorriso inconscio: nonostante tutto quello che era successo negli ultimi giorni, Zoe era rimasta la ragazza impertinente che faceva impazzire Saizo, la donna gentile che tentava sempre di prendersi cura di tutti.
-Lui…- mormorò, improvvisamente, abbassando il viso quando la lanterna venne inghiottita dal cielo, ammantato delle stesse nubi che sembrarono riflettersi nella smorfia tormentata che spezzò l’effimero entusiasmo che aveva colorato le sue guance di rosso.
-Credo che lei lo spaventi.-
Ryoma trasalì, sorpreso.
Zoe era sempre stata protettiva nei confronti di Takumi, ed il tormento che percepiva nella sua voce sussurrata doveva essere soltanto una briciola del senso di colpa che provava all’idea di rivelare i suoi segreti.
-Takumi non si è mai sentito abbastanza per nessuno.- continuò, gli occhi che seguivano distrattamente le sue dita nervose, che stringevano e tormentavano l’orlo del kimono in un gesto meccanico, ripetitivo, inconscio. -Ha vissuto nell’ombra di Ileana per tutta la vita, e adesso che è tornata…- esitò, passandosi una mano fra i capelli e mordendosi le labbra. -…beh, credo che sia convinto che lei, e lei è di Nohr, e lui odia Nohr, gli porterà via tutto quello che ama.-
Ryoma aggrottò le sopracciglia, confuso, ma non ebbe il tempo di chiedersi come fosse possibile che suo fratello fosse così insicuro dell’affetto della sua famiglia e dei suoi amici; Zoe sbuffò, e non gli sfuggì il brontolio irritato che mugugnò a mezza voce – “Anche se sta facendo già un ottimo lavoro da solo” – prima di sospirare, sconfitta.
-Dei, mi ucciderebbe se sapesse che te l’ho detto.- mugolò, sfregandosi gli occhi.
-Rimarrà fra noi due.- le assicurò, ma i suoi pensieri erano già lontani da quella stanza in penombra: ripensava allo sguardo furente di suo fratello, Ryoma, al disgusto che aveva scorto nei suoi gesti a Suzanoh, alla rabbia trattenuta a stento che aveva visto quella mattina.
Era quello, quindi? Era quello il motivo per cui Takumi era tanto ostile nei confronti di Ileana?
Poteva capire il suo odio per Nohr, nessuno poteva capirlo meglio di lui – non dopo Cheve, non dopo suo padre, ma… sapeva di aver fatto degli errori, con lui, ma com’era possibile che Takumi fosse arrivato ad un livello di insicurezza, ira e paura tale da annientare tutto ciò che lo rendeva la persona orgogliosa, altruista e intelligente di cui lui era sempre stato fiero?
-Continua a farle del male, Ryoma, ma quella ragazza si è solo trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato.-
Ah, eccola lì, la Zoe che conosceva.
Ad essere onesti, quella protesta non lo sorprese affatto: si era aspettato che Zoe prendesse le difese di Ileana – sarebbe stato strano il contrario – ed era persino rimasto sorpreso quando lei non aveva affrontato l’argomento già nel momento in cui Orochi era sparita nella propria stanza…
-E tu lo sai.-
C’era accusa, nella sua voce, ed una punta di dolore che lui non mancò di cogliere.
Avrebbe dovuto riprenderla per quel commento spazientito, per quella che avrebbe considerato una mancanza di rispetto da chiunque altro, ma si limitò ad alzare una mano per interromperla quando Zoe aprì la bocca per ricominciare a protestare.
Testardamente, tuttavia, Zoe non ricambiò lo sguardo penetrante che le rivolse; al contrario, si ostinò a mantenere la propria attenzione su un quadro che, a giudicare dalle pennellate cupe e tempestose, Kagero doveva aver dipinto per lei.
Aveva sempre apprezzato le rimostranze di Zoe, le discussioni che, a volte, li avevano impegnati per ore, il suo punto di vista tanto acuto quanto, troppo spesso, ingenuo: confrontarsi con lei era stimolante e, sinceramente, le occhiatacce che lei gli riservava erano davvero troppo carine per riuscire a rinunciarvi.
Sì, sapeva benissimo che Ileana era soltanto stata sfortunata, vittima del caso e del destino scelto per lei da qualcun altro: era palese quanto fosse ignara di tutto ciò che la riguardava, dei piani che sicuramente la famiglia reale di Nohr aveva ordito con lei come vittima sacrificale per scatenare la guerra che tanto volevano, ed una parte di lui comprendeva il desiderio di Zoe di proteggerla.
Ileana era innocente, ed era stata mandata a morire per la sete di conquista di un regno crudele: chiunque si sarebbe sentito mosso a compassione dalla sua situazione, ma…
…ma Zoe non sapeva, non poteva sapere che cosa attendeva tanto lei quanto la sua amica di infanzia.
Abbassò la mano, posandola sulla spalla di lei che, però, continuò ad ignorarlo.
-Dovresti ascoltare Saizo, ogni tanto. Vuole soltanto proteggerti.- mormorò, ma Zoe sbuffò e serrò le labbra.
-So proteggermi da sola. Non lascerò sola Ileana e non starò a guardare Takumi consumato da… da questa pazzia.- brontolò, scacciando la sua mano con un brontolio che lo sorprese e sfregandosi le mani sulle braccia forse per scacciare il freddo – d’altronde, Shirasagi svettava verso il cielo sino a sfiorare le nubi, in un vano tentativo di raggiungere le stelle… ma, dopo un istante, Ryoma colse l’ombra di Suzanoh nei suoi occhi esausti.
Si raggomitolò su se stessa, e Ryoma lottò ancora una volta contro se stesso per impedirsi di prenderla fra le braccia, di abbattere quel muro che aveva eretto intorno a sé, di implorarla di dirgli che cosa era successo fra lei e Takumi.
Ma sarebbe stato inutile, si disse, allungando cautamente una mano per scostare con gentilezza i ciuffi di quella frangia arruffata, indugiando per qualche attimo di troppo quando le sfiorò la pelle chiara della tempia.
Così testarda, tale e quale a suo fratello.
-Odio vederti così, Zoe.- mormorò, lasciandosi scivolare fra le dita quei capelli sempre disordinati, guadagnandosi l’ennesima occhiata indispettita da quel paio d’occhi tanto familiari che fecero capolino dal nido sicuro in cui si erano rifugiati.
-Non compatirmi.- mugugnò, ma mosse comunque la testa per seguire la sua carezza, socchiudendo le palpebre come un gattino.
-Sei l’ultima persona al mondo che compatirei.- le assicurò, piano, sfiorandole le orecchie appuntite che fremettero al contatto, sensibili come sempre. -Sono soltanto preoccupato per te.-
-Posso cavarmela.-
Oh, aveva sentito quella risposta tante di quelle volte, ormai, da essere arrivato ad odiarla.
Quelle erano le parole che Zoe usava per tenere tutti a distanza, per rinchiudersi dietro la convinzione di essere in grado di far fronte a qualsiasi cosa e di non aver bisogno di aiuto e conforto e affetto – di non aver bisogno lui.
-Chi è il bugiardo, adesso?- le domandò, spazientito, ma lei non esitò nemmeno un istante per rispondergli a tono.
-Quello fra i due che riesce ad ammettere di non sapere cosa fare soltanto quando nessuno può sentirlo.- lo rimbeccò, tagliente come sempre, e lui non seppe davvero che cosa ribattere quando il peso delle sue parole lo colpì più di quanto, forse, lei avesse desiderato.
Aveva ragione, certo, ma… non poteva capire.
Lui aveva dei doveri da assolvere, un ruolo da interpretare: incertezze, paure ed errori non erano ammessi nel suo mondo – non quando sentiva ad ogni incontro il fiato caldo del Consiglio sulla gola, non quando le bugie e i segreti della sua famiglia sembravano farsi ancor più gravosi sulle sue spalle e gli toglievano il respiro, non quando suo fratello sembrava aver perso il senno e rischiava di rivoltarsi contro tutti loro ad ogni discussione.
Lui non poteva mostrare debolezze.
Lui era l’Alto Principe di Shirasagi, il futuro Re di Hoshido, il daimyo dell’esercito di una nazione intera; da lui ci si aspettavano certezze e sicurezza e, fin da bambino – fin da Cheve –, lui aveva cercato di rendere onore a tutto ciò che comportava il suo ruolo, il suo titolo e il suo futuro, sperando di riuscire a diventare almeno la metà del Re che suo padre era stato.
Lui non poteva avere debolezze.
Nessuno poteva capiva la confusione sul suo volto, né vedere le occhiaie profonde sotto i suoi occhi, né sentirlo ammettere di aver sbagliato.
Eppure Zoe capiva, vedeva e sentiva, e lui non riusciva a costringersi ad impedirglielo.
Si fidava di lei.
Si fidava di lei e, quando le sue dita fredde gli sfiorarono il palmo aperto della mano, Ryoma si aggrappò a quel gesto gentile, al sollievo che lo invase quando, ancora una volta, la vicinanza di quella ragazza fu sufficiente per acquietare il tumulto di pensieri ed emozioni che rimestavano dentro di lui.
La guardò, e trovò i suoi occhi colmi di affetto e di preoccupazione.
Le sue mani erano fredde, ma la sua stretta era salda e sicura… proprio come era stata quella della sua mano di bambina, tanti anni prima, quando lo aveva preso per mano ed era rimasta con lui fino a che non aveva accettato di lasciare il corpo di suo padre nel santuario, dopo il funerale, dopo che i suoi fratelli si erano addormentati tutti e tre nel letto di Mikoto.
Ryoma si era sempre considerato un uomo forte. Aveva temprato se stesso nel codice dei Samurai e dalla corona che presto avrebbe indossato tanto sul campo di battaglia che sul trono che lo attendeva, ma forse… forse la forza che gli mancava, e di cui invece Zoe abbondava, era un’altra – era quella forza che l’aveva spinta a prendersi cura di Takumi e di Sakura, e che le permetteva di riuscire dove lui continuava a fallire.
Alzò una mano per sfiorarle una guancia, incapace di resistere al bisogno di sentirla, di toccarla.
-Che cosa farei senza di te?-
I suoi occhi si allargarono, a quelle parole, ma la sua sorpresa durò soltanto pochi istanti: Ryoma colse solamente un lampo di determinazione attraversarle il volto e poi si ritrovò spaesato, colto di sorpresa dal gesto rapido con cui si era insinuata fra le sue braccia, aggrappandosi a lui e infilando la testa nell’incavo della sua spalla.
Ryoma trattenne il respiro, ma Zoe sedò la sua protesta sul nascere:
-Non ci provare. Avevi bisogno di un abbraccio.-
-Io non posso “aver bisogno di un abbraccio”.- protestò, debolmente, ma si arrese comunque fra quelle braccia, chinando la testa in una resa che aveva il profumo dei capelli che gli solleticarono gli occhi.
Era così morbida. Così calda. Così dolce.
Sarebbe stato in grado di rifiutare un abbraccio da chiunque, persino da sua madre, ma non da lei – no, da lei mai, sentì ribellarsi i suoi pensieri, e quell’idea lo spinse a stringerla a sé ancor di più.
Gli Dei lo avrebbero maledetto, per quella debolezza che lei era per lui, ma Ryoma sapeva che avrebbe potuto accettarlo; ma vivere senza di lei, senza i suoi abbracci, senza i suoi sorrisi… no, nessuna maledizione divina avrebbe potuto ferirlo tanto.
Si scoprì a tremare, fra le sue braccia, quando quella paura sempre più schiacciante si affacciò di nuovo nella sua mente.
Attenta come sempre, Zoe si accorse del suo fremito, del respiro che gli si era spezzato in gola: si allontanò appena, quel tanto che le bastò per prendergli il viso fra le mani, per rivolgergli il più preoccupato dei suoi sguardi. -Ehi? Va tutto bene?-
No, nulla andava bene, e lui voleva dirle tutto.
Una parte di lui sperava disperatamente che, se fosse riuscito a spiegarle come erano andate le cose, Zoe non si sarebbe arrabbiata, non lo avrebbe odiato, non gli sarebbe scivolata via come acqua fra le dita: non voleva, non voleva che segreti che non erano nemmeno suoi, che lui aveva mantenuto per anni nonostante li avesse sempre odiati, gliela portassero via.
Non era giusto.
Era tutta colpa di Nohr. Aveva portato via suo padre, la sua infanzia, la sua innocenza, e ora minacciava di portargli via anche lei e lui non riusciva a immaginare un mondo in cui non era al suo fianco – un mondo freddo, cupo e buio, che tutto in lui sembrava rifiutare con una violenza inaspettata.
Non era giusto, e nulla andava bene.
La rabbia di Takumi, il dolore di sua madre, e l’ombra di quella maledetta guerra che oscurava tutti loro…
Scosse la testa fra le sue mani, percependo le sue dita scivolargli fra i capelli con una gentilezza quasi commovente: una parte di lui avrebbe voluto chiudere gli occhi e rimanere lì per tutta la notte, permettendole di prendersi cura di lui, di stargli accanto, concedendosi la sua vicinanza come un peccato a cui non sapeva se sarebbe, in seguito, riuscito a rinunciare.
Ma si costrinse a sorridere, spingendo indietro quel desiderio irrealizzabile. -Sono soltanto stanco. Non preoccuparti.- sospirò, e dovette usare violenza su se stesso per costringersi a sciogliere quell’abbraccio, a separarsi da lei.
Non era abituato a quel tipo di contatto fisico ma non poteva negare a se stesso quanto fosse piacevole, quanto l’impronta del corpo caldo di Zoe sembrasse bruciare contro il suo petto, sulle sue mani, e quanto una parte di lui ringhiasse a gran voce il suo desiderio di tornare fra quelle braccia; eppure resistette, resistette e si costringe ad alzarsi in piedi, offrendole una mano per aiutarla ad alzarsi a sua volta.
-Io mi preoccupo sempre.- ribatté, guidandolo senza un suono verso il mondo al di fuori di quella stanzetta buia, di quella nicchia calda e confortante, nelle luci quasi fastidiose del salottino di Orochi.
Sbuffò, scostandosi i capelli dalla fronte, sfiorando inconsapevolmente la cicatrice sullo zigomo – e Ryoma sentì, ancora una volta, una fitta di preoccupazione attraversargli il petto.
-Dovresti davvero ascoltare Saizo.- mormorò, misurando accuratamente le parole perché non aveva affatto dimenticato l’Onmyoji in agguato. Zoe gli rivolse un’espressione confusa, e lui sospirò. -Nessuno ti ha ordinato di prenderti cura di Ileana. Non sei costretta a fare tutto questo.-
Il suo sguardo si assottigliò ancora una volta, scintillando con la stessa pericolosità di una lama ben affilata.
-Ileana merita soltanto gentilezza, dopo quello che ha passato – dopo quello che noi le abbiamo fatto passare. Non smetterò di provare a offrirgliela soltanto perché sarebbe più facile per me.-
La sua affermazione assomigliava molto ad un’accusa, e Ryoma sapeva che sarebbe stato inutile continuare a discutere: Zoe era troppo protettiva, troppo gentile…
-Potrei ordinarti di stare lontano da lei.- borbottò, ma era una minaccia vuota e lo sapevano entrambi: Zoe avrebbe semplicemente trovato un modo di fare di testa propria alle sue spalle, e quello avrebbe causato ancor più problemi del suo attaccamento a Ileana.
Eppure, invece di arrabbiarsi, lei piegò appena la testa, allacciando le mani dietro la schiena e guardandolo da sotto in su con uno sguardo da cucciolo maltrattato davvero sleale.
-Questo mi ferirebbe. Tantissimo. Vuoi davvero farmi stare tanto male?- miagolò, con una vocina tenera e innocente che lo colpì con la prepotenza di un pugno nello stomaco.
Ryoma grugnì, esasperato, coprendosi gli occhi con una mano e provando un improvviso moto di comprensione verso Saizo.
No, non avrebbe mai potuto farle del male… così come non avrebbe mai potuto negarle nulla.
Zoe si accorse della sua disfatta e sorrise, illuminandosi. -Se davvero vuoi aiutarmi, cerca di tenere Takumi lontano da Ileana. Non è così male quando non si sente minacciata.-
Ryoma annuì, dandole le spalle, cercando di mantenere almeno una briciola di dignità davanti alla donna che, lo sapeva, sarebbe stata la sua disfatta. -Vedrò cosa posso fare.- borbottò. -Ora, però, cerca di riposare.-
-Grazie.-
Sentì un movimento nell’aria, Ryoma, e il suo braccio spostato da un tocco affettuoso; e, quando si voltò, colto di sorpresa, la trovò lì, con quel sorriso di cui non era mai sazio sul viso, alzatasi in punta di piedi per lasciargli un bacio sulla guancia.
-Buonanotte, Ryoma.-
Lui si schiarì la voce, accarezzandole un’ultima volta i capelli.
-Buonanotte, Zoe.- borbottò, allontanandosi da lei e sparendo oltre la porta prima che lei potesse notare il rossore che si era fatto largo sulle sue guance.
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