Vita a due voci

di audreyny
(/viewuser.php?uid=60233)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitano delle guardie ***
Capitolo 2: *** La mia vita ti appartiene ***
Capitolo 3: *** La confusione del cuore ***
Capitolo 4: *** Salto nelle tenebre ***
Capitolo 5: *** L'amore sconosciuto ***
Capitolo 6: *** Soldato semplice ***
Capitolo 7: *** Qualcosa di importante da dire ***
Capitolo 8: *** A due voci ***



Capitolo 1
*** Capitano delle guardie ***


Questa storia deve la sua ispirazione a “L’età più dolce” di Lily1013: se non l’avete ancora letta, vi esorto a farlo quanto prima, perché è splendida

Questa storia deve la sua ispirazione a “L’età più dolce” di Lily1013: se non l’avete ancora letta, vi esorto a farlo quanto prima, perché è splendida. Ho chiesto all’autrice il permesso di svilupparla, perché ho sempre avuto l’impressione che fosse in un certo modo incompleta. Generosamente, ha acconsentito e per questo la ringrazio di cuore. Questo è il risultato di quella ispirazione, mi auguro di essere stata alla sua altezza e di non deludere voi lettrici. Come sempre aspetto con ansia i vostri commenti e ringrazio in anticipo chi vorrà passare di qua a leggere e troverà il tempo per recensire.

Un abbraccio a tutte

Audreyny

 

 

Ho quattordici anni e sono capitano della guardia reale.

 

Ho accettato quell’incarico per cui mio padre ha messo a repentaglio il suo buon nome, il suo onore e la sua carriera. Non l’ho fatto di certo per lui, che aveva minacciato di uccidermi con le sue mani, se non avessi obbedito all’ordine di Sua Maestà il Re, ed ho imparato fin da bambina a prendere molto sul serio a fedeltà della mia famiglia alla corona dei Capeto.

Non l’ho fatto nemmeno per il re, che per non so quale miracolo dopo l’affronto che gli ho fatto con il duello di Girodelle, ha risparmiato la mia vita; né tantomeno perché smani per mettermi al servizio di una donna, una principessa austriaca che mi dicono essere bella come un dipinto e che, sono certa, sarà capricciosa e volubile come una ragazzina irresponsabile.

Non l’ho fatto per nessuno, se non per me stessa. Questa è la mia vita, questa è la mia scelta. Sono una donna, è vero, ma questo è ciò che mi hanno insegnato a fare, fin da bambina; questo è quello che so fare. E sono brava, sono dannatamente brava. Credo che sia davvero uno scherzo crudele del destino beffardo che io non sia nata maschio.

Solo per me dunque. Ma forse, non solo.

Non dimenticherò mai gli sguardi attoniti che hanno accompagnato la mia discesa dalle scale quando per la prima volta ho indossato la bianca uniforme delle guardie reali. Mio padre era fuori di sé dalla gioia; credeva che non avrebbe vissuto abbastanza per vedere questo momento. Onore e gloria per il suo figlio maschio diletto, orgoglio e vanto dei Jarjayes!

Nanny era sull’orlo delle lacrime, poveretta. Credo che lei abbia sperato fino all’ultimo, in fondo al suo cuore. Non ha mai smesso di chiamarmi “Madamigella” contravvenendo agli espliciti ordini di mio padre, né di confezionarmi sontuosi abiti femminili, che giacciono affastellati in qualche angolo remoto del palazzo. Spero che trovino qualche anima più aggraziata di me per portarli, prima o poi, che li riscatti dal destino di polvere e di tarme cui per il momento sembrano avviati.

Ma non si può essere diversi da se stessi, nemmeno per amore di chi ci è più caro. Io non potrò mai indossare quelle gonne e quei merletti, truccarmi il viso per andare a corte e trascorrere le mie giornate in conversazioni leziose e nell’ozio più totale. Preferirei morire piuttosto.

Ed infine, lo sguardo di Andrè. Quello davvero non sono riuscita a decifrarlo; mi sembrava ferito oltre ogni possibile sopportazione, e dolorosamente stupefatto. Rassegnato e incredulo, ammirato e deluso. Quello sguardo mi ha perforato l’animo, si è scavato un posto nel mio cuore e si è piazzato lì. Brucia come la carne viva dopo una ferita.

Non più di qualche giorno fa ci siamo battuti come due ragazzini di strada lungo il fiume. Ce le siamo suonate proprio di santa ragione. È la prima volta che Andrè mi tiene testa coi pugni in modo così agguerrito e meno male che siamo crollati al suolo tutti e due perché non so se ce l’avrei fatta a resistere a lungo.

Dopo la lotta, ansanti, sporchi, laceri, esausti, sdraiati su quella riva fino a pochi attimi prima teatro del nostro scontro, Andrè mi ha preso la mano e me l’ha stretta. Che strana sensazione, la sua pelle a contatto con la mia. Mi sentivo bruciare. Me l’ha stretta forte, come se avesse paura che lasciandomi andare, tutta la nostra vita così come noi la conosciamo sarebbe potuta scomparire e non tornare mai più.

C’era tutto il mondo in quella stretta, il mio mondo, che è anche il suo.

È stata quella stretta che mi ha fatto capire che cosa avrei dovuto e voluto fare della mia vita.

Povero Andrè. Mio padre gli aveva ordinato di convincermi ad accettare la divisa, ma lui è troppo buono, troppo puro e troppo fedele per cercare di convincermi a fare qualcosa di alieno dalla mia volontà. Avrebbe affrontato le ire del Generale piuttosto che mettersi contro di me.

Lui non sa, non ha capito il perché della mia scelta. Sono dovuta correre via, sopraffatta dalle emozioni che la sua mano calda nella mia mi ha saputo regalare. E lui ha gridato il mio nome, da lontano, una eco persa nel vento. Ho sentito la sua determinazione in quel grido, ma anche la sua disperazione.

“Non è troppo tardi. Fermati e diventa una donna, Oscar!”

Oh, sì che è tardi, Andrè. Ormai è tardi perché io possa riportare indietro le lancette dell’orologio a quel momento scellerato in cui sono nata, sbagliata fin dall’inizio. Sbagliata per la mia stessa natura.

Non posso diventare ciò che non sono. Ma non capisci perché lo faccio, Andrè? Che cosa credi che succederebbe se io rifiutassi di vestire questa uniforme che mio padre mi ha cucito addosso il giorno stesso in cui sono venuta al mondo, in quella sciagurata notte di Natale di quattordici anni fa?

Se anche il fiero ed altero Generale de Jarjayes non mi uccidesse personalmente, cosa della quale francamente dubito, mi costringerebbe a entrare in convento, oppure, peggio ancora, a sposare qualche nobile debosciato della sua età, con il quale dovrei unirmi per generare un erede maschio forte e sano e perpetrare così la tradizione nobiliare del nostro regime feudale. Sono nauseata alla sola idea di dovermi piegare alla volontà di un uomo che avrebbe su di me potere di vita e di morte, che potrebbe controllare i miei gesti, i miei respiri, i miei passi.

Ma soprattutto sono paralizzata alla sola idea di perdere te, Andrè, l’unico, il solo amico che abbia mai avuto, la sola persona capace di guardarmi dentro e di leggere i segreti più nascosti.

Tu mi guardi nell’anima, amico mio, tu conosci il mio cuore. Perciò mi stupisce tanto che tu non abbia capito il perché della mia scelta.

Il tuo sguardo alla base di quella scala è stato una pugnalata per me.

Non capisci, è questo il solo modo per conservare la mia libertà.

È questo il solo modo che ho per conservarmi padrona della mia vita e fautrice del mio destino.

È il prezzo che una donna deve pagare per rimanere donna e non diventare oggetto nelle mani di suo marito.

È il prezzo che devo pagare per rimanere accanto a te, Andrè.

Perché solo se io divento un uomo, tu che uomo lo sei per nascita, potrai continuare a camminare al mio fianco.

Ed è solo questo che io desidero, più di qualsiasi altra cosa ed è questo che mi ha reso forte e determinata nella mia decisione. Solo questo.

Solo che tu possa continuare a camminare accanto a me, per sempre.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** La mia vita ti appartiene ***


Ho vent’anni e sono uno stupido

Ho vent’anni e sono uno stupido.

Questo pomeriggio Oscar François de Jarjayes, capitano delle guardie reali, erede ed orgoglio di una delle più blasonate famiglie francesi, fedele alla monarchia da secoli, ha sguainato la sua spada nella sala del Gran Consiglio di Versailles, alla presenza di Sua Maestà il Re, delle guardie da lei stessa comandate e di tutti i più alti dignitari e funzionari di corte,l’ha depositata ai suoi piedi ed ha chiesto al sovrano che la sua vita venisse presa al posto della mia.

Io che con la mia pochezza, con la mia goffaggine e disattenzione ho messo a repentaglio la vita di Sua Altezza Reale, la principessa Maria Antonietta, rischiando di farla cadere da cavallo; io che non valgo niente e non sono niente.

Niente per il sovrano, che mi guardava con il più profondo disprezzo ed una severità quasi maligna negli occhi; niente per la società francese, in quanto esponente di quel Terzo Stato che nulla può e nulla pretende; niente per le dame ed i cavalieri di corte, che nemmeno mi vedono, che a malapena percepiscono la mia presenza e solo in quanto sempre accompagnata a quella, amata, ammirata e invidiata, di Madamigella Oscar. Niente.

E lei era pronta a morire per me. Il suo attendente. Il suo servo.

Io non merito la tua amicizia, Oscar. Non merito la tua considerazione.

Per tutto questo tempo ho creduto che tu mi avessi dimenticato, che avessi scordato i bambini e gi adolescenti che siamo stati, i nostri giochi, le nostre risate, le confidenze, il tempo condiviso. Ho pensato che mi avessi rimpiazzato con altri sogni, con altri ideali, con pensieri diversi che io, per nascita e per condizione, non sono ammesso a condividere.

Non osavo più sperare di occupare un posto nel tuo cuore, che ormai è stato rapito dalla principessa, che ti ha conquistato con la sua innocenza e con la sua freschezza. Ha bisogno di essere protetta e sostenuta, ha bisogno di anime valorose. Ha bisogno di te, Oscar, e tu ci sei, ti fai trovare, rispondi con la tua amicizia al suo bisogno disperato di affetto. E non perché questo è il tuo lavoro, il tuo dovere, al di là dei sentimenti e delle simpatie o antipatie personali, ma perché questa sei tu.

È il tuo carattere, la tua generosità d’animo, la tua nobiltà. Il tuo essere sempre dalla parte dei più deboli, sia che questi deboli siano straccioni del popolo, sia che siano membri della famiglia reale di sangue blu.

È per questo che ti ammiro tanto, Oscar.

È per questo che ti amo così tanto.

Credevo di averti perso per sempre. Ho cercato di farti capire, di trasmetterti con i pensieri e con le azioni ciò che a parole non ti posso dire. Quanto sei importante per me, quanto vorrei che ti risvegliassi da questa vita a cui tuo padre ti ha condannata e ti rendessi finalmente conto di che splendida donna sei diventata.

Ma tu cavalchi fiera ed altera, passi attraverso le miserie di questo mondo e niente sembra toccarti davvero.

A chi appartiene la tua anima, Oscar? Dove vagano i tuoi sogni? Sono ancora pensieri di donna, oppure hai abbandonato per sempre ogni debolezza tipicamente femminile?

Sei entrata nella Sala del Consiglio come una Erinni. Ho visto il fuoco nei tuoi occhi di cielo ed ho sentito l’acciaio nella tua voce decisa che chiedeva, no, sbaglio, che ordinava al re di giustiziare te al mio posto. Inginocchiata al cospetto del sovrano, al centro della sala, accanto a me, ancora una volta, eri tu la dea lì dentro. Tu, non Luigi XV, re per diritto divino.

Ed eravamo tu ed io insieme un’altra volta.

Oggi eri pronta a dare la tua vita per me, ed io sono morto in quella sala, Oscar. Morto per la vergogna di aver dubitato di te, per il sollievo quando l’intervento di Sua Altezza ci ha salvati entrambi, morto per l’angoscia quando ho visto il tuo viso farsi pallido come un lenzuolo ed il sangue scorrere a fiotti da quella ferita che per troppe emozioni non avevo notato. Oggi sono morto perché ho fallito, perché ti ho deluso, ed è questo il pensiero che mi fa impazzire di angoscia, il solo che non posso sopportare, Oscar, il fatto di averti deluso.

Più tardi, quando il dottore ti ha dichiarato fuori pericolo e quando mia nonna ha smesso di minacciare di uccidermi a colpi di mattarello, e di passare alle vie di fatto rincorrendomi per tutti gli anfratti del palazzo, sono venuto nella tua stanza per vederti dormire, per sentirti respirare e respirare con te.

Quanta grazia irradia dal tuo viso, Oscar, tu non lo sai, non te ne rendi conto.

Quanto sei donna in ogni fibra del tuo corpo!

Dormendo, i tratti del tuo volto si rilassano e perdi quella connotazione altera che da sveglia ti caratterizza, che tu credi si addica maggiormente ad un uomo, al capitano delle guardie reali.

“Diventa una donna”, ti ho urlato quel memorabile giorno, anni fa, quando per la prima volta hai indossato l’uniforme militare. Ma deliravo, Oscar mia, amica mia, mio amore.

Tu non hai bisogno di “diventare” una donna. Tu lo sei, una donna, una splendida donna, qualunque vestito tu decida di indossare.

Bellissima, orgogliosa, indomita, coraggiosa, pura, sincera, integra, selvaggia, inaccessibile per tutti. Per quasi tutti.

Non per me, che posso leggere dentro la tua anima e ogni volta quello che vedo mi avvince e mi ammalia e mi lega a te con una dedizione che va oltre l’amicizia, con una passione che va oltre l’amore.

Oggi eri pronta a dare la tua vita per salvare la mia Oscar, ma un giorno, credimi, sarò io a rendere la mia vita per te.

Perché la mia vita sei tu e solo con te ne potrò vivere appieno la completezza.

Svegliati Oscar, ti prego, svegliati e guardami di nuovo.

Ricordati di me, di noi, della nostra infanzia, dei nostri sogni, della nostra vita. Ricordati, Oscar…

Finalmente, nell’ombra crepuscolare della tua stanza, ti vedo muoverti, lentamente, quasi dolorosamente.

“Oscar!” I tuoi occhi si riaprono verso la luce e vagano per la stanza. Si posano su di me e mi sorridi appena. Con quel sorriso mi restituisci linfa vitale che riprende a scorrere nelle mie vene sotto forma di sangue.

“Andrè. Stavo sognando, Andrè. I luoghi della nostra infanzia, Arras…”

Il pianto mi si strozza in gola nel sentirti dire queste parole, nel sentirti dire a voce alta che i miei pensieri ed i tuoi sogni sono un tutt’uno, sono la stessa cosa.

Due voci, la stessa vita, la nostra vita.

Oggi la sto conservando grazie a te. Un giorno questa stessa vita che tu mi restituisci, la consegnerò nelle tue mani perché tu ne faccia  tutto quello che vuoi.

Perché lei è già tua, Oscar. La mia vita è tua, e io con essa.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** La confusione del cuore ***


Ho ventitre anni ed il cuore confuso

Ho ventitre anni ed il cuore confuso.

 

Il conte di Fersen è tornato in Francia da qualche settimana e a Versailles non si parla d’altro.

Lui trascorre la maggior parte del tempo con Sua Maestà la Regina, la quale a sua volta trascura i suoi doveri e tutti gli altri nobili francesi.

Si sta creando parecchie inimicizie a corte ed io temo per lei.

È bella la mia Regina, diventa ogni giorno più radiosa, specie ora, dopo la gravidanza, che le ha conferito una morbidezza ed una dolcezza che prima non aveva. Ha abbandonato per sempre la fanciullezza ed è diventata una donna che irradia grazia al suo passaggio. Le donne sono invidiose della sua avvenenza e gli uomini vorrebbero godere dei suoi favori, ma lei si libra ad un livello superiore rispetto alle meschinità ed agli intrighi di palazzo.

Non ho mai conosciuto un’anima più pura. Ha bisogno come l’aria di circondarsi di gente che la ami e che la ammiri e questa necessità le fa commettere imprudenze e scelte sbagliate. Io ho giurato di proteggerla da ogni sorta di pericolo, anche da quelli che possono provenire dai suoi cosiddetti “amici” ma la verità è che la situazione generale sta sfuggendo al controllo della famiglia reale.

C’è  molto malcontento in Francia, per le strade, nelle locande, e tanta, troppa povertà. La Regina ha bisogno più che mai di conservarsi il favore ed il rispetto dei nobili, perché se le cose dovessero prendere una piega sfavorevole, solo con l’amicizia di chi rimane fedele alla corona le Loro Maestà potranno salvarsi dall’abisso che potrebbe travolgere la società che oggi conosciamo.

Speravo che i nuovi sovrani avrebbero fatto di più per il loro popolo, che il loro regno sarebbe stata l’inaugurazione di un nuovo tempo di pace e di prosperità, ma sbagliavo. Maria Antonietta è profondamente sola e infelice, prigioniera delle convenzioni di corte, soffocata da un matrimonio sbagliato ed insoddisfacente, e sfoga nelle frivolezze il suo dolore. Il re è un uomo mite e buono, ma di poco carattere e non riesce a tenere testa ad una consorte che ha l’argento addosso ed il fuoco che la brucia da dentro.

Io capisco quello che lei prova, ma non posso condividere il suo atteggiamento, anche se non è mio compito approvare o disapprovare, ma solo servire e proteggere. So bene che cosa vuol dire recitare una parte e portare una maschera, lo faccio da anni ormai, ma ci sono scelte che non si possono evitare e responsabilità cui non ci si può sottrarre.

Eppure, nonostante tutto, io amo questa creatura leggera, questa farfalla austriaca, la amo come una sorella, come l’amica che non ho mai avuto.

E non sono la sola.

Una nuova luce si è accesa negli occhi di Sua Maestà da quando il conte di Fersen ha ripreso a frequentare la reggia. I suoi movimenti sono ancora più armoniosi, il suo passo è quasi danzante.

È innamorata, e lui la ricambia.

La donna a cui ho giurato di dedicare la mia vita e l’uomo venuto dal nord bruciano entrambi di una passione incalcolabile ed impossibile, che li rende schiavi e che, questo è certo, li condannerà ad agonia sicura.

Le cortigiane dalle lingue biforcute non fanno altro che spettegolare, nascondendosi dietro i ventagli ed i paraventi, dei presunti incontri clandestini dei due amanti, aggiungendo ogni volta particolari più piccanti e scabrosi, ed io non so davvero più che cosa fare per fermare le voci che si rincorrono incontrollate per i corridoi di Versailles, come un alito mefitico venuto per gettare fango su una creatura così pura.

Fersen. La prima volta che vi ho visto vi ho liquidato come un giovane di bell’aspetto, arrogante e perdigiorno come i vostri simili. Poi mi avete stupito con la vostra nobiltà d’animo e con i vostri sentimenti incrollabili. Siete un uomo di buon cuore, conte, ma siete debole quasi quanto il re, soggiogato dalle vostre stesse passioni, e ho paura che questa vostra debolezza trascini verso il basso la mia regina, nella caduta che inevitabilmente ne seguirà.

Non siete il primo uomo con cui trascorro tanta parte del mio tempo, ma come siete diverso da colui che io conosco! Andrè…

Andrè è molto taciturno in questo periodo, preso da pensieri suoi, che per la prima volta io non riesco a decifrare. Anche lui osserva il nascere di questo amore regale e pertanto proibito, ma non osa commentare, perché il suo rango non glielo permette e perché teme che offendendo un nobile o la regina stessa possa offendere me. La forza di questo amore ci sta turbando entrambi.

Qualche giorno fa, dopo un allenamento con la spada, ha pronunciato una frase che mi ha lasciato con il cuore pieno di confusione e con la mente affollata di dubbi.

“Il conte di Fersen avrebbe dovuto soffocare i suoi sentimenti. C’è gente che ama una persona per tutta la vita, senza che questa se ne accorga”.

Le sue parole mi hanno pugnalato e la tristezza che ho letto nei suoi occhi hanno riempito i miei di un eguale scoramento. Sento che Andrè sta vagando in luoghi dove io non posso raggiungerlo. Provi anche tu sentimenti d’amore verso qualcuno? Chi è l’oggetto dei tuoi tormenti, dei tuoi desideri da sveglio, dei tuoi sogni da addormentato? Parlami, amico mio, parla con me…

Il mio cuore è occupato da sentimenti a cui non so dare un nome, né un’identità. Assistere all’amore di Fersen e della Regina mi ha fatto scoprire emozioni che credevo precluse al mio essere donna che veste abiti da uomo.

Il fatto che il conte non riesca a vedere in me una donna poi, ha caricato il mio animo di una collera muta, una rabbia a cui non so dare sfogo. Perché mi preme tanto che lui mi veda come una donna e non solo come un soldato? Che cosa mi sta dicendo il mio corpo?

Per Fersen sono un uomo e si confida con me come se fossi il suo più antico amico di osteria.

Andrè invece, che è davvero la persona che meglio sa scavare dentro di me, e che da anni non perde occasione di rimarcare la mia natura femminea, mi osserva muto e silenzioso, turbato da pensieri suoi che per la prima volta non so interpretare. E io mi dibatto, frustrata, tra queste sensazioni che agitano la mia mente e mi fanno fremere e urlare di impotenza.

Ieri notte pioveva in maniera apocalittica, come se tutto il mondo dovesse essere inondato e non riemergere mai più, schiacciato dai suoi stessi peccati e da un Dio che aveva deciso di punirlo.

Con le lacrime agli occhi, Maria Antonietta mi ha chiesto, nella più totale riservatezza, di portare un suo messaggio al conte; non si sarebbe presentata al loro appuntamento segreto, un impegno ufficiale con Sua Maestà il re richiedeva la presenza della regina di Francia. Ha confidato in me il suo più grande segreto e mi ha reso partecipe di questa corrispondenza di amanti. Non come regina, ma come una donna qualsiasi.

Come una donna e basta.

È solo così che io potrò vivere l’amore carnale, terza spettatrice, latrice di messaggi di passione, complice, amica, ma mai attrice principale, mai protagonista? Eppure sento qualcosa dentro di me che comincia a bruciare e non posso certo attribuirlo al clima in questa notte da lupi.

Ho fatto il mio dovere non solo di comandante delle guardie, ma soprattutto di confidente ed unico porto sicuro della mia regina. Fersen ha accolto il messaggio con un silenzio costernato e carico di mille significati che non ho saputo o non ho voluto interpretare. Ho svolto il mio compito con encomiabile freddezza e poi ho girato il mio cavallo e sono corsa via, incurante della voce del conte che mi chiamava, forse per offrirmi un rifugio da quel diluvio biblico. Ma io non ho voglia di restare, conte di Fersen. Basta confidenze. Basta amicizia spartita, chiacchiere condivise col vostro “amico”.

Questa sera è gelida e un po’ di calore lo vorrei per me, ma non oso sperare e non saprei dove cercarlo.

Mentre cavalco nella pioggia che si fa ancora più fitta, un’ombra viene verso di me. si fa sempre più nitida nei contorni, man mano che si avvicina. Un cavaliere alto e scuro viene verso di me agile e veloce. Tiene qualcosa di indistinguibile in mano.

È Andrè. Andrè che mi è venuto incontro, stringendo un mantello per ripararmi dall’acqua, che ormai mi ha infradiciato fin nelle ossa. Galoppa con sicurezza, fa voltare il suo cavallo baio quando con il muso raggiunge il mio e mi getta il mantello sulle spalle con gesto protettivo, per coprirmi, per scaldarmi.

Non dice nulla, solo sorride, i suoi occhi verdi brillano in questa notte così buia ed io improvvisamente non sento più né freddo, né solitudine, né inquietudine, né paura. Andrè mi sorride e torna a casa con me e insieme cavalchiamo nella pioggia che adesso non è più un diluvio, ma bagna il mio viso delicatamente, come un balsamo rigenerante che cura i miei bruciori ed allevia i miei dubbi.

Andrè è con me e solo questo conta.

Ancor è con me e su questo non si può creare alcuna confusione. Finché lui sarà con me non potrà mai succedermi niente di male.

La pioggia non può più toccarmi.

E la vita non mi fa più paura.

 

 

 

NOTA: la scena dell’anime in cui Andrè copre le spalle di Oscar col mantello sotto la pioggia dopo che lei ha portato il messaggio della regina a Fersen mi è sempre sembrata di una struggente delicatezza…un gesto di amore puro, considerato che l’allocca era infatuata del pino svedese e lui, ahinoi, ben lo sapeva!

Naturalmente qui ne ho data una mia personale interpretazione, che vede una Oscar diversa dall’originale, e soprattutto stufa marcia di essere sempre considerata “la migliore amica” ma che finalmente inizia a capire che forse la vita può offrire anche altro e a reclamare qualcosa per sé. Spero che la cosa non vi dispiaccia.

Ciao a tutte care amiche!

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Salto nelle tenebre ***


Ho ventotto anni e nascondo un segreto nell’animo

Ho ventotto anni e nascondo un segreto nell’animo.

 

Il dottore dice che il mio occhio è compromesso per sempre. Dice che avrei dovuto dargli ascolto e non togliermi la benda per nessuna ragione al mondo e che pagherò molto cara la mia sventatezza. E che, tra l’altro, se non faccio molta attenzione, se non intraprendo uno stile di vita più tranquillo, più sano e più morigerato, anche l’altro occhio potrebbe essere seriamente a rischio.

Cieco, potrei diventare cieco.

Questo è quello che ha detto il dottor Lasonne e non ho motivo di non credergli, primo perché è un medico molto competente, secondo perché mi vuole bene come ad un figlio ed ho visto il dolore sul suo volto quando mi ha dato questa notizia ed ho sentito lo strazio nella sua voce e terzo perché non avrebbe alcuna ragione per emettere una diagnosi eccessivamente pessimistica.

Ma il dottore non sa, lui non può sapere che tutta la farmacopea del mondo, tutta la scienza e la medicina finora scoperte non potrebbero liberarmi, guarirmi da quello che è il mio vero tormento, il supplizio con cui convivo ormai da sempre, da quando ho memoria, da quando la mia mente ha appreso l’arte del pensiero razionale.

Porto un segreto nell’animo, che mi sta logorando e scavando dall’interno e per il quale non c’è più sollievo, non c’è più refrigerio, non c’è più riparo.

La mia Oscar era in pericolo ed io ho fatto l’unica cosa che potessi fare: sono andato a riprendermela e me la sono riportata a casa. Senza se e senza ma.

Non mi importa di avere gli occhi se non posso guardare il suo viso, né di avere le orecchie se non poso udire la sua voce; non mi curo di avere mani se non possono servirle, né gambe se non possono correre da lei; e il mio corpo, tutto intero, se non potesse viverle accanto ogni giorno ed andare dove lei va ed essere dove lei è, allora non sarebbe che un involucro vuoto e senza forma.

Per questo non potevo seguire le raccomandazioni del buon dottore. Per questo ho dovuto togliere la benda che proteggeva la mia vista, indossare ancora una volta quel ridicolo costume da ladro mascherato e correre a liberare la mia donna. Perché lei aveva bisogno di me.

Testona, Oscar, ti sei avventurata da sola nel palazzo reale, dove dimora il duca d’Orleans, e sono anni che discutiamo su quanto poco ci fidiamo di quel nobile, che con i suoi modi fintamente liberali sta raccogliendo accoliti con il dichiarato scopo di propugnare le idee illuministiche, ma con l’unico vero fine di prendere per sé il trono di Francia.

Coraggiosa la mia Oscar, come sempre il dovere innanzi tutto, mai la paura, mai un cedimento. Un soldato abnegato, obbediente, coerente fino all’ultimo.

Impulsiva, amica mia, non hai voluto aspettare qualche giorno che io potessi accompagnarti, ma hai voluto cercare da sola l’uomo che mi ha ferito.

Ti sei sentita in colpa, Oscar, amore mio, e non dovevi; non è colpa tua se quell’uomo in nero mi ha ferito durante la battaglia, ma mia, non sono stato abbastanza veloce, non sono stato abbastanza attento. Avresti dovuto inseguirlo e catturarlo allora, invece hai preferito lasciarlo scappare per rimanere vicino a me. Mi stringevi la mano e ti sentivo urlare “Andrè, Andrè, che cosa ti ha fatto?!” mentre il sangue irrorava il mio viso ed un dolore mai provato prima mi faceva bruciare, mi spaccava la testa in due. Mi stringevi la mano e mi parlavi con voce colma di strazio e di angoscia ed io, ferito, a terra, tra le tue dita, non potevo pensare ad altro che al calore del tuo corpo così vicino e quasi sono stato grato a quel ladro, che ancora non conoscevo, perché mi stava dando un’opportunità unica, la possibilità di sentirti così vicina, così preoccupata per me.

Mi vuoi bene, Oscar, mi vuoi bene anche tu, ti preoccupi per me. Questo pensiero mi ricolma di un orgoglio selvaggio.

Quasi me ne vergogno, dovrei essere io a prendermi cura di te e proteggerti, invece finisce sempre che sei tu che mi guardi le spalle. Ma la vergogna non basta a non farmi sentire dentro la gioia e l’orgoglio muto che monta nel mio cuore quando ti sento così vicina, quando sento il tuo cuore che batte all’unisono col mio.

E quindi, dopo averti inflitto questo dolore, non potevo certo fare come voleva il dottore, lasciare che qualcuno ti facesse del male, che ti tenessero prigioniera, che ti costringessero a fare qualcosa di alieno dalla tua volontà e dalla tua purezza d’animo.

Ti tenevano in quella segreta sotto la minaccia del ricatto. Ma nessuno può ricattare la mia Oscar, nessuno può piegare la sua volontà. Il suo cuore è integro ed il suo animo puro. Oscar è una creatura che non si piegherà mai ad un volere che sente sbagliato, anche solo chiederglielo costituisce una violenza su di lei ed io non potevo permetterlo, non potevo.

Mi sono portato via la mia Oscar perché la sua volontà incoercibile non la ponesse in una situazione rischiosa per la sua incolumità. Mi sono portato via il mio amore perché senza di lei la mia vita non è che una mera esistenza senza luce.

C’era anche lei quando il dottore ha emesso il suo terribile verdetto di condanna al buio per sempre; l’ho osservata impallidire, le tremavano le labbra; mi ha guardato con una ferocia che un osservatore meno attento avrebbe potuto scambiare per odio, ma non io, non io. Lo so a che cosa stai pensando, amore mio, che non sarei dovuto venire da te, ma sprechi il tuo tempo e lo sai bene.

Si è precipitata nella stanza dove l’uomo che è risultato chiamarsi Bernard Chatelet dormiva, ferito da una pallottola proveniente dalla sua pistola, urlando che avrebbe fatto a lui ciò che la sua lama aveva fatto a me.

L’ho seguita per impedirle un gesto folle e insensato, ma sapevo già che era una precauzione inutile.

La nobiltà di Oscar non le permetterebbe mai di colpire un uomo disarmato ed indifeso, inerme nel suo letto, nemmeno per vendicare me.

Ecco perché la amo di un amore così incommensurabile. Perché Oscar, al di là di ogni sua altra innegabile qualità, oltre tutta la sua indiscutibile bellezza, è una persona buona.

È buona ed io sono in pena per lei, perché questo mondo ingiusto in cui viviamo sembra fatto apposta per ferirla e per farla soffrire.

Non m’importa dell’occhio, davvero. Posso ancora vedere il sole e le altre stelle. Posso ancora vedere il tuo viso. E poi sono contento che sia successo a me e non a te. Il tuo viso è troppo bello, troppo perfetto per deturparlo con una cicatrice.

Hai detto che consegnerai Chatelet alle guardie della Regina che comandi, un messo è già stato mandato ad avvertire tuo padre del nuovo successo ottenuto da suo figlio in campo militare.

Ma io so che non lo farai Oscar. Tu non consegnerai Bernard, ma aspetterai che sia guarito e poi lo lascerai andare. E lo farai non perché in fondo al tuo cuore pensi che ciò che lui sta facendo per il popolo francese sia giusto e sacrosanto; e nemmeno perché ritieni che il Terzo Stato abbia bisogno di un suo paladino e lo abbia trovato in questo eroe che se ne va in giro mascherato, rubando ai ricchi per donare a chi ha meno.

No, Oscar, non per questo.

Tu lo lascerai andare a continuare la sua opera a favore dei poveri e dei dimenticati del regno perché te l’ho chiesto io.

Lo farai per me.

È questo il nostro segreto. Questa è la complicità che noi condividiamo.

E questo segreto mi riempie l’animo di una gioia inconfessabile, che mi ripaga di ogni dolore, fintanto che starò al tuo fianco e tu sarai per me gli occhi che un giorno non avrò più.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** L'amore sconosciuto ***


AVVERTENZA: Questo capitolo riprende il famoso (o famigerato…) episodio della camicetta strappata, ma lo fa a mio personalissimo gusto

AVVERTENZA: Questo capitolo riprende il famoso (o famigerato…) episodio della camicetta strappata, ma lo fa a mio personalissimo gusto. In altre parole le cose qui vanno in maniera assai diversa da come le conosciamo noi, o meglio il risultato è lo stesso ma le motivazioni divergono completamente. Questa storia è una “what if…” pertanto sebbene gli episodi di partenza siano tutti tratti dall’anime, la loro descrizione è completamente differente, incentrata sul “minuetto d’amore” tra Oscar e Andrè, che li porterà fatalmente l’uno nelle braccia dell’altra e che non trova spazio per terzi intrusi, vedi tronco di pino svedese. Ecco perché ho scelto di non parlare affatto del ritorno di Fersen dall’America, perché non mi interessava e, nella mia storia, non interessava nemmeno ad Oscar (e quindi figuriamoci ad Andrè…).

Ho voluto fare questa precisazione perché forse nel riassunto della trama non sono stata molto precisa a riguardo e non vorrei che qualcuna leggendo rimanesse stupita o peggio ancora delusa! Tra l’altro a un certo punto in questo capitolo Oscar dice che si sente in colpa per aver in un certo senso “istigato” Andrè a quasi violentarla. Attenzione: si tratta di una istigazione meramente morale, frutto dei sensi di colpa e degli “inturcinamenti” psicologici di Oscar, sia chiaro che non volevo insinuare niente di brutto!

Buona lettura!

 

 

 

Ho ventisette anni e ancora non conosco l’amore.

 

Ieri il mio amico di una vita, il mio Andrè, mio fratello, il mio compagno di risate spartite e di giochi condivisi, di confidenze, di chiacchiere, di attimi rubati all’etichetta ed ai doveri di corte, di nascondigli, di momenti che solo io posso ricordare, si è rivelato ai miei occhi sotto una luce del tutto nuova, diversa.

Per la prima volta ho notato le differenze tra di noi, e non parlo di differenze di classe sociale o di rango, no, quelle non mi hanno mai nemmeno sfiorata o minimamente interessata, sto parlando di differenze sottili, più profonde, marcate, dannatamente incancellabili, così profondamente radicate da fare male più di uno schiaffo in pieno viso.

Lui è un uomo ed io una donna e la cosa non mi è mai sembrata tanto dolorosamente evidente quanto ieri sera.

Faccia a faccia, l’uno di fronte all’altra, mi sovrastava di tutta la testa, è più alto di me, Andrè, più forte, più robusto; mi viene il sospetto che in tutti i nostri duelli mi abbia sempre volontariamente lasciato vincere, perché ieri sera non ha avuto la minima difficoltà ad avere ragione di me in pochi secondi.

Mi ha stretto i polsi con le mani, mi faceva male, ed un lampo come di cattiveria è passato nei suoi occhi di solito così buoni, così tanto verdi da non sembrare quasi occhi di essere umano, se non fosse per la dolcezza infinita che si legge sempre nel suo sguardo.

Ma non c’era dolcezza, ieri sera, negli occhi di Andrè, solo ansia e desiderio, un desiderio felino di possedermi.

Mi voleva, voleva prendermi e lo ha fatto senza chiedere; per la prima volta non ha chiesto permesso, non ha chiesto scusa, non si è giustificato per il peccato originale, incancellabile ai suoi occhi, di essere l’uomo sbagliato al momento sbagliato.

“Così mi fai male, Andrè” ho mormorato mentre lui stringeva sempre più, immobilizzando le mie mani, facendomi sentire impotente, vulnerabile, non potevo reagire, non potevo difendermi.

Ma lui non ha allentato la presa, non ha detto una parola, si è limitato a guardarmi con quel suo sguardo tutto nuovo, ancora non sono abituata al ciuffo di capelli neri che gli copre metà volto e nasconde quell’infame cicatrice che per colpa mia si porterà dietro per tutta la vita.

Ha continuato a guardarmi e poi si è stretto a me e mi ha baciato.

Andrè mi ha baciato.

E non è stato un bacio goffo, timido, tremante, incerto, oh no! È stato un bacio prepotente, imperioso, che si accorda così malamente col carattere dolce dell’amico che conosco.

È stato un bacio che sapeva quello che voleva e come lo voleva e che ha deciso di prenderselo, in quel momento, senza curarsi di null’altro che del suo desiderio. Persino io che non conosco l’amore, che non so che cosa vuol dire abbandonarsi al caldo abbraccio di un uomo innamorato, persino io che sono così inesperta e poco incline ai gesti d’affetto, persino io sono stata capace di leggere il desiderio che straripava da quel bacio.

È stato soltanto un bacio.

Le sue labbra erano morbide esattamente come le avevo immaginate imparandone a memoria il contorno senza averle toccate mai e la sua lingua, mio Dio, la sua lingua era umida, forte, si è fatta strada nella mia bocca senza esitazioni, con una prepotenza che non sapevo potesse appartenere all’unico uomo che io abbia mai guardato.

La sua lingua ha preso a giocare con la mia e la cosa mi ha talmente stordita, stupita e così mortalmente imbarazzata che non ho avuto modo né tempo di rendermi conto di quello che stava succedendo.

Un colpo ancora, una spinta, non dolce, non delicata come solo Andrè sa essere, ma anch’essa arrogante,  prepotente ed ero sul letto.

Il suono sordo della stoffa che si lacera ed ero nuda di fronte a lui, che ansava vistosamente e non era certo per lo sforzo, esiguo, che aveva fatto per buttarmi sul mio giaciglio scomposto e levarmi di dosso quella camicia sottile, unica residua difesa tra il mio pudore e gli occhi di fuoco del mio amico.

Il suo ansito era di desiderio e non c’era modo di fraintenderlo.

Nuda davanti ad Andrè, il mio seno per la prima volta esposto ad uno sguardo che non era il mio, non so che cosa ho provato, sbigottimento, paura, vergogna, terrore. Non so nemmeno che cosa ha provato lui che mi guardava con ferocia e sembrava non più in grado di rientrare in sé.

Ho iniziato a piangere e sinceramente ancora adesso non so il perché.

Ho pianto per lui, perché mi ha rivelato questo amore cresciuto dentro di sé piano, germogliato in tutti questi anni in maniera tanto inconfessabile quanto inesorabile, per la disperazione nella sua voce, che non ha pensato nemmeno per un istante di provare a dare una possibilità a quell’amore; per il fatto di averlo indotto a pensare che quella dimostrazione di violenza fosse l’unico, il solo modo per rendersi mio pari e per farmi finalmente uscire dalla mia ottusità e capire quanto io sia importante per lui; ho pianto perché ho costretto una persona dolce e buona ad andare contro la propria natura e l’ho quasi moralmente istigato a compiere un gesto di cui si sarebbe inevitabilmente pentito; ed infine ho pianto per me, che non so che cosa voglia dire amare, ma soprattutto essere amata, che ho questi sentimenti chiusi a doppia mandata nel cuore, ma non ho la chiave per tirarli fuori. Ho pianto perché i duri anni di disciplina militare che mi hanno imposto di non rivelare mai le mie debolezze si sono sgretolati con la facilità di una gelata al sole; ho pianto per la confusione che porto dentro, per i miei sentimenti arroccati dentro di me intorno a montagne di perbenismo e di formalità, complicati da convenzioni sociali e doveri familiari e militari che mi impediscono di vivere in maniera spensierata un sentimento così stupefacente, eppure così semplice e così comune come l’amore fisico.

Ho pianto per tutto questo e non per quello che stava accadendo in quella stanza tra lui e me, ma le mie lacrime devono averlo risvegliato da un sonno profondo, dal trance in cui era caduto dal momento in cui mi ha toccato, perché immediatamente si è riscosso, mi ha coperto col lenzuolo leggero del letto ed ha pronunciato parole contrite e confuse richieste di perdono.

Era sconvolto e disgustato da se stesso, incapace di credere di avermi potuto fare una cosa simile e non ho trovato una parola, nemmeno una, tra i milioni che mi sono stati insegnati a scuola da quando ero bambina, per fermarlo, per spiegargli il vero motivo delle mie lacrime, per non farlo andare via con un senso di colpa sbagliato, così come sono sbagliata io, tutta quanta, dalla mia nascita fino ad oggi.

Se n’è andato e mi ha lasciata lì, indifesa e nuda, sola e angosciata, a domandarmi che cosa era successo e che cosa stava per succedere, a disperarmi della mia stessa disperazione. Mi ha lasciata piena di domande frustrate e di desideri inconfessabili ed inespressi e di dubbi atavici, tutti attorniati e circondati da una sola, incrollabile certezza.

Sì, perché in quel momento tutto avrei voluto, fuorché il mio Andrè mi lasciasse sola.

L’odore del suo corpo così vicino al mio ed i suoi contorni mai sentiti prima così nitidi e precisi mi hanno fatto sciogliere un calore liquido tra le gambe che mi ha riempito il corpo di spasmi di desiderio e la testa di pensieri che non oserei esprimere a voce alta nemmeno se da questo dipendesse la mia vita.

Che Dio mi perdoni, ma ieri sul quel letto avrei voluto che il mio Andrè andasse fino in fondo, che finalmente mi prendesse e facesse di me la sua donna da sempre e per sempre…

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Soldato semplice ***


Care amiche, scusate il ritardo con cui aggiorno, ma ho avuto un periodaccio

Care amiche, scusate il ritardo con cui aggiorno, ma ho avuto un periodaccio. La mia storia è quasi terminata e mi auguro di cuore che continui a piacervi. È un racconto piuttosto sofferto, specie in alcuni passaggi, e ci tengo molto. In questo capitolo parla Andrè ed è un Andrè un po’ diverso da come lo conosciamo. Diciamo che è più consapevole, più sicuro di sé…Oscar non è la donna di ghiaccio che siamo abituati a vedere nell’anime e lui se ne sta accorgendo e si rende conto che manca poco, davvero pochissimo, per toccare il cuore della sua amata.

Fatemi sapere i vostri pareri, ci tengo in modo particolare.

Un bacione a tutte

Audreyny

 

 

 

Ho trentacinque anni e sono un soldato della Guardia metropolitana di Parigi.

 

Mi sono arruolato grazie ai buoni uffici di un uomo che risponde al nome di Alain de Soisson e che ho conosciuto in una sordida taverna di terz’ordine in città.

Ho l’impressione che questa persona diventerà un mio buon amico. È onesto e leale e aperto. Si vede che è un disincantato dalla vita, non nutre illusioni sulla gente, su come gira il mondo, sulle possibilità di ognuno di cambiare, eppure accetta la situazione per quella che è, così come accetta ciò che il destino gli sciorina davanti, affrontandolo con coraggio e senza fare e farsi troppe domande. Mi sembra un’anima generosa ed è proprio ciò di cui io ho bisogno in questo momento: un’anima generosa che non sappia nulla di me e del mio passato, a cui poter raccontare i miei tormenti.

Mi sono arruolato in gran segreto, senza mettere nessuno a parte di questa decisione, nemmeno mia nonna, che quando lo ha inevitabilmente scoperto mi ha guardato senza dire una parola, ma con un tale dolore negli occhi che mi sono sentito totalmente preso in fallo, come mi accadeva da bambino quando mi sorprendeva a fare qualche marachella insieme a Oscar e mi rimproverava urlando, con quei suoi occhietti nascosti dietro gli occhialini rotondi e l’immancabile cuffietta di traverso. Povera, cara nonna! È stata mio padre e mia madre, tutta la famiglia che mi è rimasta e ha fatto tutto quello che credeva essere buono e giusto per me.

Io ho sempre pensato che lei non capisse, che non immaginasse nemmeno i sentimenti che agitano il mio cuore, troppo lontani dal suo piccolo mondo fatto su misura, dove ognuno deve stare al proprio posto e dove c’è un posto specifico per ognuno; ma lei è più vecchia, più saggia e vede più cose di me.

Quando le ho annunciato che la mia decisione di diventare un soldato semplice nel reggimento più infimo dell’esercito francese era ormai cosa fatta, oltre al dolore ho letto anche la consapevolezza nel suo sguardo. Lei sa. Lei ha capito quello che brucia dentro di me e, tacitamente, lo ha accettato. Quel dolore non era una condanna per la mia scelta, ma una muta consapevolezza di avermi perso per sempre, insieme con la sua benedizione. “Vai e vivi, figliolo” sembrava mi dicesse. “Vai e vivi e che il Signore ti possa dare ciò che stai inseguendo da tutta la vita”.

Del resto come potrebbe non sapere, conoscendomi come mi conosce.

Mi sembra di essere fatto di cristallo grezzo, invece che di carne e di sangue, e che tutti mi possano leggere dentro; mi stupisce che ancora non se ne sia accorta l’intera corte di Versailles, che ultimamente, per fortuna, non frequentiamo più, il Generale Jarjayes, che mi ucciderebbe per aver anche solo pensato di poter essere degno di amare sua figlia, sua moglie, tutta la famiglia e i servitori.

Ma soprattutto mi pare incredibile che non se ne sia accorta lei, che più di ogni altro mi conosce e legge dentro di me come in un libro aperto, così come io faccio con lei.

Mi sono arruolato per seguire lei, il mio comandante, che ha rinunciato ai facili allori ed alle glorie attribuite per rango e non conquistate sul campo della Guardia Reale per chiedere un trasferimento operativo in un altro reparto; ed è finita qui, a comandare questo branco di soldati selvaggi, brutali, che non conoscono rispetto, che non hanno dignità, che non sanno il significato della parola onore. La regina era addolorata di non poterle offrire di meglio, ma lei, il mio Comandante, non ha battuto ciglio, ha accettato il nuovo incarico con apparente distacco, ringraziando sua Maestà, un tempo sua amica, ma oggi sempre meno in sintonia con lei, e si è gettata a capofitto in questa nuova avventura che per il momento le sta procurando soltanto dispiaceri e sconfitte.

Mi sono arruolato per proteggerla, come ho fatto per tutta la mia e la sua vita, e per starle accanto, perché lei più che mai ha bisogno di me in questi tempi bui e di cambiamento, in cui la Francia, gigante ferito ed agonizzante, sta progettando il suo riscatto, e temo tanto che lo stia progettando a discapito di quella classe nobiliare a cui lei appartiene, non per scelta, ma per nascita.

Ma soprattutto, mi sono arruolato perché la amo ed è mille volte preferibile dormire in una branda piena di pulci in compagnia di una ciurma di bucanieri che conoscono poco l’uso dell’acqua e del sapone ed invece parecchio quello del vino scadente, consumare un pasto rancido in una mensa fatiscente, marciare, pattugliare la città con orari al di là dell’umana possibile sopportazione, piuttosto che stare un solo momento lontano da lei.

Il giorno in cui ha passato in rassegna i suoi nuovi soldati era luminoso, un mattino di primavera lucido e senza apparenti pensieri. Fuori da queste mura si agitano venti che porteranno una rivolta, o forse qualcosa di peggio, ma all’interno della caserma tutto prosegue con ritmi militari che hanno un che di rassicurante.

Lei era meravigliosa nella sua nuova uniforme blu, con gli stivali bianchi ed i capelli che le ondeggiavano sulle spalle. Guardava i suoi uomini con l’espressione altera ed indecifrabile che le ho visto assumere mille volte nei momenti di maggiore difficoltà, cercando di memorizzare nomi e facce, mentre il plotone la osservava ostile, vite diverse, ognuno con la propria storia, con il proprio fardello di difficoltà e di sogni infranti alle spalle, ma in quel momento con un unico pensiero nella testa: non obbediremo mai e poi mai ad un Comandante donna.

Tutti tranne uno.

Quando l’elenco dei nomi è arrivato al mio, Oscar ha avuto una esitazione minima, impercettibile. “Grandier, Andrè” ha scandito. “Presente!” ho risposto, mantenendo la voce ferma e lo sguardo fisso dinnanzi a me.

Ed a quel punto Oscar, la mia Oscar, ha alzato il suo sguardo dalla lista che aveva tra le mani ed ha cercato il mio viso tra la moltitudine di quei volti ignoti ed ostili. Mi ha cercato e quando finalmente mi ha trovato, i suoi occhi che quel giorno avevano lo stesso colore del cielo, lo stesso colore della sua uniforme, si sono posati su di me per un tempo indefinitamente lungo. Le sue labbra si sono increspate appena in quello che solo io potevo riconoscere come un sorriso celato a tutti gli altri ed il suo capo si è mosso impercettibilmente in segno di assenso.

È bastato quel gesto minimo, incomprensibile, invisibile per tutti gli altri, per fare esplodere una gioia selvaggia dentro il mio cuore gonfio d’amore per lei.

Oscar ha accettato la mia presenza tra i suoi soldati. Di più, Oscar è stata felice di vedermi. Sollevata.

Ho percepito il suo sollievo attraversare il cortile, correre tra di noi, soltanto noi, escludendo tutti gli altri. Solo noi due, solo noi due contro tutto il mondo. Come sempre, come quando eravamo fanciulli.

Il suo sguardo, muto, mi diceva “Sono felice che tua sia qui con me” ed il mio le rispondeva “Lo sai che non ti lascerò mai sola”.

È stato un attimo, ma nel mio ricordo durerà per sempre. Ed anche nel suo, lo so.

Agli altri soldati pare non piacere questa mia apparente intimità con il nuovo comandante. Le voci più fantasiose si rincorrono per la camerata, mi hanno già attribuito gli epiteti più svariati, da “spia”, a “cane dei nobili”, ad “amante di quella donna che ci comanda”. Non sanno quanto sono lontani dalla verità, purtroppo, quanto vorrei che fosse vero ciò che loro dicono, ma non lo è e non lo sarà mai, perché io non sarò mai l’amante di Oscar; non potrei accettare di farne una donna disonorevole, al contrario desidero che lei possa camminare a testa alta tra la gente, che sia mia moglie, davanti a Dio ed agli uomini.

Una volta pensavo che questo fosse un desiderio irrealizzabile, ma ora mi sento così vicino al tuo cuore, Oscar, se solo lo potessi toccare, finalmente forse troveresti la pace che vai cercando disperatamente da anni e sempre nei posti sbagliati.

Ma forse non è ancora venuto il momento, ed io sono un uomo paziente.

Saprò aspettare. Saprò aspettarti fino all’eternità ed anche oltre, se necessario.

Saprò aspettarti fino a che tu non sarai mia, Oscar, perché così è scritto e così deve essere.

Guiderò i tuoi passi finché anche tu te ne renderai conto e solo da quel momento l’amore condiviso ci porterà la felicità completa.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Qualcosa di importante da dire ***


Ho trentaquattro anni e finalmente sono in pace

Ho trentaquattro anni e finalmente sono in pace.

 

Dopo tanto cercare, dopo tante inquietudini, ho trovato il luogo a cui appartengo, ed in cui posso infine riposare, e mi sono resa conto di averlo sempre saputo, e che lui è sempre stato lì.

Bastava solo che allungassi una mano, che facessi un gesto, per poterlo raggiungere. Ma io non allungavo mai quella mano e non facevo mai quel gesto, prigioniera com’ero dei miei doveri verso mio padre, verso la famiglia Jarjayes, verso la mia Regina, cieca, intrappolata in centinaia di anni di convenzioni sociali, di ruoli precostituiti, di ipocrisie e di bugie.

Ma da stasera tutto cambierà.

Da stasera sono una donna in grado di scegliere per se stessa e sono una donna che sceglierà l’uomo che ama, che ha sempre amato, da quando riesce a ricordare, pur senza rendersene del tutto conto.

Intuendolo, forse sì, annusandolo, percependolo a livello inconscio e nascosto nel doppio fondo del cuore, ma senza mai avere il coraggio di gridarlo a voce alta, non tanto al mondo intero, che ne resterebbe inevitabilmente sconvolto e scandalizzato, senza capirlo mai, quanto a me stessa.

Io amo Andrè Grandier.

La semplice verità di queste quattro parole mi fa quasi paura, ma mi rende folle di felicità, inebriata come se fossi ubriaca, scevra da ogni inibizione che finora ha controllato i miei gesti, misurato le mie parole, frenato i mie sentimenti.

Da tanto, troppo tempo conservo dentro di me la potenza di questo sentimento che non è nuovo, non nasce questa sera, ma mi è cresciuto dentro piano, poco alla volta, da sempre, da quando avevo cinque anni e quel moccioso dagli occhi verdi mi è stato messo accanto da mio padre per diventare amico di suo figlio, unico gesto azzeccato che il generale Jarjayes abbia mai fatto nei miei confronti. Certo, lui non avrebbe mai immaginato, allora, ma nemmeno adesso, che quel gesto gli si sarebbe rivoltato contro in maniera tanto abnorme, tanto lontana da quelle che sono le sue idee e le sue profonde e radicate convinzioni.

Ma non mi importa, ormai non più. Non c’è niente che mi importi davvero come il rendere partecipe il mio Andrè di quello che sono finalmente stata capace di trovare dentro di me. Quello che era sempre stato lì senza che io avessi la capacità di vederlo.

Pochi giorni fa, durante l’attentato al principe di Spagna, quando i rivoltosi hanno fatto quasi saltare in aria un intero paese e molti dei suoi abitanti, talmente accecati dalla loro follia da non curarsi di uccidere anime innocenti pur di realizzarla, Alain, Andrè ed io siamo quasi morti anche noi nel tentativo di porre un freno a quel massacro.

Mi sono risvegliata accanto ad un fiume, minuti od ore dopo, non saprei dirlo, ed il mio Andrè era lì, accanto a me, ancora svenuto, che mi teneva la mano con pervicacia, per proteggermi, per salvarmi la vita, per non allontanarsi da me. E mi sono ricordata di un altro fiume, di un’altra volta in cui, esausti entrambi dopo una scazzottata da cui sarebbe dipeso l’intero corso della nostra vita, lui mi ha preso la mano stringendomela come a non volermi mai più lasciare andare via.

Lo stesso calore. La stessa sensazione di disarmante felicità, di assoluta sicurezza, certezza che solo rimanendo accanto a lui non mi sarebbe mai potuto accadere nulla di male. La stessa, unica impressione di “casa” che solo lui sa darmi, che solo accanto a lui ho provato.

Ora come allora.

Ed infine stasera. Questa serata assurda e irreale, in cui mio padre ha levato la sua spada contro di me, pronto a spargere il suo stesso sangue per lavare quella che lui riteneva un’onta da non potersi cancellare in altro modo, perché io ho difeso i miei soldati, ho spalleggiato i miei uomini contro un preciso ordine del re e queste sono offese che si pagano con la vita.

Povero padre, non avete mai capito, non avete mai accettato il fatto che il mondo possa cambiare, non avete mai nemmeno pensato di cambiare con esso. Ma adesso sta succedendo sotto il vostro naso, la ruota è già in moto e voi non potete fare nulla per fermarla, nemmeno uccidere me servirà a qualcosa.

Ma questa non è solo la vostra serata di follia, padre, no, questa è la sera in cui il mio Andrè, il mio amore, il servo, l’attendente, il soldato, l’uomo che silenziosamente ha seguito i miei passi per tutta una vita si è fatto avanti per difendermi o per morire con me. Per morire prima di me, perché, come ha detto lui stesso, non avrebbe potuto sopportare di vedere uccisa davanti ai suoi occhi la donna che ama.

Lui mi ama ancora.

Andrè mi ama ancora nonostante tutto, nonostante il tempo che è passato ed ha giocato il tutto per tutto per dividerci, nonostante i miei stupidi dubbi, le mie ingiustificate paure, nonostante il mio comportamento che è stato tutto meno che incoraggiante in questi anni, perché di coraggio avrei avuto bisogno io prima di tutto, eppure, nonostante tutto questo, lui mi ama ancora.

Il mio cuore di donna non ha mai saputo che cosa volesse dire essere completamente appagato, fino ad ora. Ed ora che lo è, anche il mio corpo sente la medesima urgenza, bisogno impellente di sentire le sue mani, desideri inconfessabili che fino a ieri mi avrebbero fatto arrossire e vergognare, ma invece ora no, mi sembrano così naturali, così ovvi e normali.

Io lo amo e quindi lo voglio, voglio che sia mio, sentire le sue mani, le sue labbra, la sua lingua e scoprire finalmente, per la prima volta, da donna adulta, che cosa significhi annegare totalmente in un’altra persona.

Il messaggero della Regina è arrivato sotto la pioggia scrosciante, appena in tempo per impedire che si compisse l’irreparabile, a porre fine a quella situazione parossistica creatasi per la cecità di un uomo, che di certo non era quello con la vista compromessa in quella stanza, per il troppo amore di un altro e per la mia pochezza e lentezza nel riconoscere le cose.

Non ho mai creduto che si potesse morire per troppa felicità ed avrei trovato assai disdicevole farlo succedere proprio adesso, ora che ho finalmente qualcosa di importante da dire al mio Andrè.

Ora che finalmente mi sono liberata da secoli di zavorra e posso vivere con lui, che, inspiegabilmente, sorprendentemente mi vuole ancora.

Vivere, questo è adesso l’imperativo categorico.

Vivere non mi fa più paura, ed è questo il motivo per cui per la prima volta nella mia vita temo la morte.

Vivere per amarlo. Vivere per renderlo felice. Vivere per dargli tutto ciò che lui ha dato a me.

Vivere con lui, di lui, per lui.

Vivere.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** A due voci ***


Care amiche,

Care amiche,

questa storia è giunta al termine e sono lieta che vi sia piaciuta, io ci ho messo davvero l’anima.

Come sempre ringrazio col cuore tutte coloro che mi hanno solo letto, letto e recensito, seguito e inserito tra i preferiti. Sono davvero commossa e grata!

Auguro a tutte voi un’ottima estate, occasione per divertirvi e riposarvi, per affrontare l’autunno con rinnovata grinta!

 

Questa storia è dedicata a tutte voi, amiche lettrici, fan sfegatate della nostra meravigliosa coppia di eroi di cartone, che come me continuate a sognare l’amore da romanzo di Oscar e Andrè.

 

Un abbraccio

Audreyny

 

 

 

A DUE VOCI

 

Questa è la nostra notte.

È la prima, perché mai nel passato abbiamo trovato una comunione così perfetta di corpo ed anime, tanto vicine tra loro da potersi toccare, da potersi parlare.

È l’ultima, perché in futuro, in tutte le unioni che ancora avremo, in tutti i momenti che condivideremo da qui all’eternità, non riusciremo più a ripetere questo miracolo che stanotte si sta verificando con tale accecante intensità.

È la sola notte, è la nostra notte.

Ogni passo fatto, ogni parola detta, ogni gesto compiuto, ogni pensiero, ogni sogno, ogni istante, ogni giorno sono stati movimenti di un ballo danzato insieme, il nostro minuetto d’amore.

Quante volte ci siamo sfiorati, annusati, studiati a vicenda, appena accarezzati, avvicinati e poi subito ritratti, inseguiti e fuggiti. Ma il nostro sentimento è rimasto lì, quieto, ad attenderci, nuovo perché lo abbiamo scoperto stasera, eppure antico perché sappiamo che è sempre stato lì.

Aspettava.

Che io prendessi coraggio. E che io guardassi a fondo dentro di me.

Che io mi decidessi a rivelarti la verità. E che io fossi pronta ad accettarla e ad accoglierla.

Il nostro amore è stato paziente. Noi soffrivamo e lui sanguinava con noi, gioivamo e lui esultava per noi. Con noi è cresciuto, ci ha accuditi e preservati, fino ad arrivare a questa notte in cui siamo pronti per donarcelo totalmente.

Quanti anni abbiamo stasera? Quanta vita abbiamo avuto, quanta ancora la sorte vorrà donarci?

Eppure insieme siamo sempre stati ed insieme saremo per sempre.

Siamo due vite separate narrate all’unisono, o una sola vita con due voci per raccontarla?

Sono il bambino che giocava con te, o il ragazzo che ti implorava di diventare una donna?

Sono il capitano delle guardie reali, o la donna che cavalcava nella pioggia, aspettando che tu venissi a coprirmi con un mantello caldo?

Sono l’adolescente a cui tu hai salvato la vita o l’uomo che ti ha seguito in capo al mondo per proteggere la tua?

Sono la ragazza con il cuore confuso o l’adulta consapevole dinnanzi alla tua spada sguainata per difendermi?

Siamo tutte queste cose insieme, e tutte le altre che diventeremo a partire da questa notte.

 

Ah, Oscar, la seta dei tuoi capelli, la perfezione delle tue orecchie alle quali posso infine sussurrare pensieri d’amore, il candore della tua pelle color latte che brilla traslucida al chiaro di questa luna pallida e vergognosa, che si è nascosta tra le nuvole, perché teme il confronto con la tua bellezza e sa che non potrebbe che perdere; l’innocenza delle tue mani, che stanno liquefacendo il mio corpo con carezze audaci, proibite, senza pudore, senza inibizioni.

 

Andrè mio, cuore, anima, corpo, passione, luce ed ombra, cioccolato e cannella. Sento il tuo corpo caldo che mi avvolge e mi protegge e realizzo in un ultimo attimo di lucidità, immediatamente prima di perdere completamente il senno, che questa realtà è infinitamente più vera e più appagante di ogni mio sogno, ogni mia ardita fantasia. Lascio che le tue mani scorrano il mio corpo, riconoscendolo per averlo anelato per anni, e finalmente ne prendano interamente possesso.

 

Gli occhi verdi e gli occhi blu si guardano ancora una volta, l’ennesima in questa notte senza fine, che è l’inizio di tutto.

Poi si chiudono entrambi, abbandonandosi, finché il piacere si impossessa del tutto di loro.

* * *

I due amanti si muovevano lentamente, l’uno dentro l’altro, nella luce virginale della luna e delle lucciole, uscite a dar loro il benvenuto nel proprio territorio privato, sui bordi del fiume, che scorreva placido ed indifferente. Sembrava che questa intrusione dei due estranei non desse loro il minimo fastidio, proseguivano la loro danza festosa, accompagnando i movimenti dei due.

L’uomo e la donna erano nudi e la loro bellezza riempiva tutto lo spazio circostante, sublimata dal buio, dal silenzio, rotto soltanto dai loro gemiti e sospiri, e dall’amore che si scambiavano.

Erano Adamo ed Eva nel giardino proibito, erano Tristano e Isotta, Paolo e Francesca, erano tutte le coppie di sposi e di amanti del passato e tutte quelle che sarebbero venute in futuro.

Erano loro l’amore stesso.

Erano Andrè Grandier ed Oscar François de Jarjayes e da quella notte memorabile erano divenuti eterni sposi.

Lui si muoveva sopra di lei fissandola rapito e lei assecondava i suoi movimenti con eguale enfasi.

Erano il tormento e l’estasi, erano l’appagamento dei sensi, il nutrimento dell’anima, erano la felicità completa.

Le lucciole intorno non sapevano, non potevano sapere che quello era l’amore che avevano conservato per tutta la vita al sicuro ed al riparo nel loro cuore e che da quel momento avrebbe riempito le loro vite, e le nostre, per infiniti anni a venire.

 

Oscar e Andrè, la cui vita a due voci ho cercato di narrare in queste povere pagine.

Oscar e Andrè, che sicuramente meriterebbero di meglio.

Oscar e Andrè, che sopravvissero quella notte e quelle successive e che ogni notte, da allora, si amano sul bordo di quel fiume e nei nostri sogni di lettrici innamorate.

 

 

 

FINE

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=369460