Demonheart

di MystOfTheStars
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Intro ***
Capitolo 2: *** I. Dark Comet's Reign ***
Capitolo 3: *** II. Zaephyr's Skies ***
Capitolo 4: *** III. The Age Of Mystic Ice (I parte) ***
Capitolo 5: *** IV. The Age Of Mystic Ice (II parte) ***
Capitolo 6: *** V. Prince Of The Starlight ***
Capitolo 7: *** VI. Timeless Ocean ***
Capitolo 8: *** VII. Demonheart ***
Capitolo 9: *** VIII. Rondeau in c min ***
Capitolo 10: *** IX. Black Realms' Majesty ***
Capitolo 11: *** X. Prophet of the Last Eclipse ***
Capitolo 12: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Intro ***


Titolo: Demonheart - intro
Parte: 1/?
Fandom: Tsubasa reservoir Chronicle
Rating: Genere: drammatico, romantico, fantasy/fantascienza, angst, song-fic
Personaggi: Kurogane, Fay, Gantai (benda-man XD), Kuroparents.. eventuali aggiunte in itinere
Summary: in uno degli innumerevoli pianeti dell'universo, vive la gente del pacifico regno di Suwa, dove un'antica leggenda parla di una minaccia proveniente dalle stelle... nel frattempo, ancora lontana tra le stelle, vola la Cometa Nera..
Disclaimer: Tsubasa Reservoir Chronicle appartiene alle Clamp, Prophet of the Last Eclipse a Luca Turilli. Io cucio insieme i pezzi.
Note: amo alla follia il CD "Prophet of the Last Eclipse" di Luca Turilli* . Era il 4 giugno quando, ascoltando la canzone "Demonheart", mi sono detta che era Kurofay. Poi mi sono auto convinta che non avrei dovuto scrivere una fic a proposito. In seguito, Neera aka Reiko in EFP mi ha consigialto di andare a vedere "Outlander". Io sono andata a vederlo. E alla fine ho cominciato a scriverla.
*= Luca Turilli è il chitarrista dei Rhapsody of Fire. Fa anche altri CD con una band sua. "Prophet" è una sorta di saga fantascientifica, dove ogni canzone (come genere, siamo sull'epic metal) è un capitolo della storia. Ho cambiato alcune cose, pur attenendomi alla trama generale, ovviamente i nomi cambiano (Arkan diventa Kurogane e Sania è Fay, ecc). Ascoltate qualcosa di suo, se non lo conoscete..magari non questo, o vi spoilerate la storia.
Commenti: shonen-ai, AU, angst, sangue e morte e catastrofi (NB: questa storia NON parla di alieni che attaccano il nostro pianeta Terra ù_ù)




INTRO I.

WAR OF THE UNIVERSE


*ascoltatela qui*

There between two astral worldsm lie dark seeds of eternal war
far beyond the silent holw where meteors paint a crystal storm
Through the eons without space where swallowed is the concept: time
Systems burning and colliding form the chaos, dark and light
Black holes, comets, blazing thunders... Fragments of the divine born

Parallax of suns create geometry of moons unborn
Spread the knowledge of the creatures between curious there and not
Comets' riders, astral fighters, heroes of celestral shores

War of the universe, of cosmic energies
Of phantoms riding, the genesis of all
Sons of the universe, forever fighting,
Through every age, condemned to face this long holy war.



***

Provate ad alzare gli occhi al cielo durante la notte, quando gli ultimi raggi del vostro sole hanno svuotato l’atmosfera della loro luce e del loro prezioso calore, riparo confortevole dalle tenebre e dai freddi bagliori dell’universo.
Quello che vi appare, è un chiarore tenue – come un baluginio di diamanti – che proviene dalle più remote e disperse zone dell’immensa volta celeste.

Lo spazio è gelido e silenzioso, eppure zeppo di enormi masse di materia, la cui combustione sprigiona temperature ed energie difficilmente concepibili.
Intorno alle supernove ed alle loro fiamme che tutto inghiottono, ruotano lentamente pianeti deformi e sciami di asteroidi, mentre enormi proiettili di ghiaccio e pietra vagano senza sosta fra le stesse, fino ad incontrare un ostacolo abbastanza possente da fermare la loro corsa.

Non è un luogo ospitale, l’universo.
Eppure, anche nei più remoti spazi siderali, può accadere che una combinazione incredibilmente favorevole di caso e leggi fisiche faccia incontrare uno di quei pianeti freddi e bui con la luce di una stella, e che questo pianeta, da brullo e inanimato, germogli di vita, fecondato dai raggi del suo sole.
Tutto ciò può essere chiamato miracolo, caso, probabilità o destino.

***

Districandosi tra i detriti dello spazio, e intersecando la sua rotta alle orbite ellittiche di centinaia di mondi sterili ed inquieti che danzano attorno alle stelle, avanza una navicella di metallo scuro. Quello che ha dato inizio al viaggio della nave spaziale non è il caso, ma la volontà. La volontà di proseguire una guerra iniziata in tempi remoti, e non ancora terminata.

La sua meta è lontana, ed il suo equipaggio, composto da un solo membro, giace addormentato, pronto a risvegliarsi solo nel momento in cui la Cometa Nera non lo avrà portato a destinazione.






INTRO II.

RIDER OF THE ASTRAL FIRE



*ascoltatela qui*

There between the eight suns, right before the system Hazor
shines the silent planet, Alkor Zephyr is its name
Surface made of magma, of wide oceans and volcanos
middle dusty regions where no trace of life is found
From the space an ancient secret soon will mark this old world

In the southern region live the people of Iraklia
descendants of peaceful ancient dynasty of Lor
Between these a warrior destined to become the victim
Victim of a prophecy now lost between the stars
He will be the astral rider prophecy's new fighter

From the dust of a time now forgotten, will come the destroyer of worlds,
As the legend of the ancients Revealed with its words
It will come from the bloody dimension Where death is a present from God
He’ll face the sacrificed one, The rider who owns,
Who owns… the astral fire!


***

Ai bordi della galassia c’era un sistema di otto soli, legati e separati allo stesso tempo nel reticolo cangiante e geometrico costituito dai corpi celesti dell’universo.
Da qualche parte, intorno ad uno di essi, seguendo obbedientemente il tracciato dell’orbita impostagli dalle invisibili catene della forza di gravità, marciava un piccolo pianeta, Alkor Zephyr.
La superficie era avvolta da un’atmosfera turbinante di vapori e polveri immesse dalle eruzioni dei grandi vulcani, mentre al di sotto scintillavano vaste distese oceaniche, un contorno zaffiro per le ampie zone desertiche situate intorno all’equatore.
Ma nell’emisfero meridionale, al di sotto delle sterili ed inabitabili distese di sabbia, si allungava un continente bruno e verde, punteggiato di catene montuose innevate, la cui vista dallo spazio era spesso oscurata da gruppi di candide nubi.

***

Ai piedi di una di quelle catene montuose sorgeva il regno di Suwa. Era un regno abitato da una stirpe pacifica - l’esercito che possedeva, comandato dal sovrano, aveva come unico compito quello di respingere le incursioni dei nomadi che provenivano da oltre le montagne. Ma non era mai stato utilizzato per intraprendere alcuna azione offensiva nei confronti dei paesi vicini.
Le guerre che in passato avevano segnato quel mondo avevano fatto diminuire la popolazione in maniera consistente, ma se non altro avevano anche accresciuto accortezza e buon senso nei sopravvissuti.

C’era un’unica ombra ad oscurare i giorni di pace e relativo benessere del regno, ed era quella generata dalle parole di un’antica profezia.

“Dalla polvere di un tempo ormai dimenticato,
verrà il distruttore di mondi –
Verrà dalla dimensione del sangue
Dove la morte è un dono degli dei
Ed affronterà la vittima sacrificale –
Il cavaliere che domina il fuoco delle stelle” (*)


Una profezia il cui destinatario, tra gli abitanti del paese di Suwa, era già venuto al mondo.
Il cavaliere del fuoco astrale, destinato ad affrontare quell’incombente minaccia, era già nato. Aveva poco più di vent’anni, ed era figlio dei signori del regno. Il suo nome era Kurogane Suwa.


*next track: Dark Comet's Reign*




*= traduzione libera del ritornello della canzone

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Capitolo 2
*** I. Dark Comet's Reign ***


I.
DARK COMET’S REIGN





*ascoltatela qui*

And so unexpected came that sad mystic day
no words could have told what now was happening
It fell down quaking the Zephyr's surface
blinding the eyes of a thousand dying men
who were looking at it falling right over them
What seemed to be an astral fireball
was hurling metal, a dark and giant starship
colliding with Zephyr's volcanic grey rocks...
grey rocks!

SPACE AND TIME
BURN IN THE SKIES
DARK COMET'S RIDE
KEEP YOUR FAITH
THE DAY...IT CAME
DARK COMET'S REIGN
DARK COMET'S REIGN!


***

Come principe ereditario, Kurogane Suwa aveva una serie di compiti sia all’interno del palazzo reale che al di fuori, nelle vaste lande del suo regno.
Vista la sua indole scontrosa e selvatica, preferiva decisamente i secondi.

Quel giorno, fortunatamente, apparteneva ad uno di quelli in cui le ronde dei suoi cavalieri pattugliavano i confini del regno, e i suoi doveri lo avrebbero tenuto lontano dalla corte per diverso tempo ancora.
Giorni di cavalcate lungo i versanti boscosi dei monti, di cacce e appostamenti alla selvaggina, e di vento che sollevava il suo lungo mantello mentre lanciava al galoppo il suo destriero scuro.
Nonostante fosse un amante dei combattimenti, e non gli dispiacesse incontrare occasionalmente qualche nomade malintenzionato con cui menare le mani, tutto sembrava pacifico, in quel periodo, e Kurogane si godeva il senso di libertà che quel giro di perlustrazione gli stava regalando.

I suoi uomini, dietro di lui, scherzavano allegramente. Era quasi sera; la strada che percorrevano avrebbe dovuto presto attraversare un passo, per poi portarli in una piccola valle dove era situato un paesino, loro prossima tappa.
Avevano cercato di mantenere un’andatura sostenuta per riuscire a raggiungerlo prima dell’imbrunire, ma sembrava proprio che non ce l’avrebbero fatta.
“Niente da fare, per stanotte dovremo accamparci qui vicino.” Disse a Gantai (*), il suo tenente, con leggero disappunto.
“Oh, poco male, capitano.” rispose lui, ammiccandogli con l’unico occhio che gli rimaneva (la cicatrice sull’altro lato del viso era perennemente coperta da una benda nera)
“Qui sembra tutto tranquillo. Arriveremo domani mattina, freschi e riposati, e faremo una migliore impressione sulla gente del paese.”
Kurogane rispose con un grugnito, ma annuì. E poi, non potevano portare i cavalli di notte lungo quella strada di montagna, o avrebbero rischiato di azzopparli.

Si accamparono distribuendosi in fretta i turni di guardia. Erano una ventina di soldati, abituati a lavorare e viaggiare insieme, e tutto sommato, nonostante gli imprevisti, questi viaggi costituivano per loro una normale e quasi comoda routine.
Kurogane si accomodò nel suo giaciglio. La primavera era ormai avanzata, e nonostante l’aria ancora fredda delle notti di montagna, a lui non dispiaceva dormire all’addiaccio, tutt’altro.
Attorno, i suoi uomini facevano ancora un discreto rumore, sistemandosi per la notte.
Anche se ne apprezzava la compagnia – erano gente in gamba, guerrieri con cui aveva combattuto più di una battaglia e a cui avrebbe affidato la sua stessa vita – rimpiangeva i tempi in cui poteva scappare di nascosto dal castello per filarsela tra i boschi e rimanervi per giorni interi, finché una pattuglia di guardie non veniva a scovarlo, rovinando l’avventura.
I suoi genitori non si erano mai arrabbiati sul serio, ma con il tempo erano riusciti a fargli comprendere che cosa significasse il termine “responsabilità”. Una lunga serie di doveri da non disattendere… soprattutto finché c’erano loro a comandarglielo.
Trattenne un sospiro. Avrebbe soltanto voluto poter cavalcare libero, la sua spada al fianco, inseguendo le sue avventure. Suwa non aveva bisogno di lui…
Attese che tutto nel campo fosse silenzioso, se non per il respiro pesante degli uomini addormentati e per i piccoli movimenti dei soldati di guardia, e poi si addormentò a sua volta.

Quando una forte luce gli attraversò le palpebre, svegliandolo all’improvviso, il suo primo pensiero fu che doveva già essere giorno inoltrato, e che.. accidenti! Come diamine aveva fatto a dormire così a lungo?!
Poi sentì il grido di Gantai accanto a lui, e spalancò gli occhi.
Il cielo bruciava.
Non era un incendio, perché non sentiva caldo… anzi, l’aria era quella gelida ed umida dell’alba.
Ma i suoi occhi erano pieni delle fiamme che vedeva sopra di sé.
Era come se il sole si fosse staccato dalla volta celeste e stesse precipitando su di loro, inesorabile e… sempre più vicino.
Scattò in piedi, mettendo mano alla spada e sguainandola davanti a sé, per poi rendersi conto che era un gesto totalmente inutile.
La sfera di fuoco si ingrandì, e la luce era tale che dovettero tutti distogliere lo sguardo. Pochi istanti dopo, il boato. Un boato immenso, che durò a lungo, terribilmente a lungo.
La terra tremò, e il suono si ripercosse per le valli scuotendo le fondamenta dei monti attorno a loro. L’aria e i detriti gettarono a terra i soldati, storditi dall’esplosione, e dopo la luce accecante, tutto divenne improvvisamente scuro.

Occorse del tempo, prima che Kurogane riuscisse a mettersi in ginocchio. Era ancora troppo rintronato per alzarsi in piedi, e non riusciva ad aprire gli occhi, le palpebre cementate dalla polvere.
Le orecchie rombavano ancora per il boato, e quando tentò di tirarsi su crollò a terra senza nemmeno rendersene conto.
Tuttavia, non gli sembrava di essere ferito, anche se si sentiva troppo confuso per poterne essere sicuro. Cercò a tentoni la spada accanto a lui, senza successo. Imprecò.
Prese la stoffa di un lembo interno della camicia e si pulì gli occhi con rabbia. Faticò ad aprirli, ma dopo un po’ riuscì ad abituarli alla luce. Gli dolevano per via della polvere, e gli occorse del tempo per riuscire a mettere a fuoco quello che gli stava intorno. E quando finalmente poté vedere, non ne fu affatto contento.
I suoi uomini giacevano a terra attorno a lui, storditi ma apparentemente salvi. I cavalli, legati, nitrivano imbizzarriti poco distanti, ma sembravano incolumi anche loro. Fortunatamente, si erano accampati su un colle lì a fianco, e questo li aveva salvati: la strada che percorrevano era franata, i massi che ancora stavano rotolando per il pendio che conduceva al passo, in alto sopra di loro.
Al di là, si levavano nubi di polvere, gettando un cono d’ombra sul pendio dove si trovavano, mentre il sole si innalzava dietro le creste dei monti.
“Ehi, svegliati!” fece avvicinandosi a Gantai, che giaceva ancora semisvenuto a poca distanza da lui.
Questo si mise faticosamente a sedere, sbattendo le palpebre, sconvolto.
“…è…il sole…ha…”
“Tsk. Non era il sole. Quello è ancora lì.”
Gantai si prese la testa tra le mani. “…e che cosa diamine era, allora?”
Kurogane lo lasciò, tornando ad alzarsi in piedi, e posando lo sguardo sugli altri uomini che lo osservavano, neri di sporco e dubbiosi.
“Qualsiasi cosa fosse, è finita in quella valle. E non prevedo niente di buono per il villaggio che dovevamo visitare, maledizione!”
Kurogane strinse i pugni, guardandosi intorno con aria bieca, alla ricerca della sua spada. La trovò ai piedi della collinetta, semisepolta dalla ghiaia.
Imprecando, osservò la strada che avrebbero dovuto percorrere per arrivare al passo. Era improponibile portarci i cavalli. Inoltre, c’era il pericolo che muovendosi avrebbero potuto causare altre frane.
Cercò di ragionare lucidamente, ma la sua mente era ancora offuscata.
“Statemi a sentire – disse alla fine, brusco – i due di voi coi cavalli più veloci torneranno seduta stante a palazzo. Controllate che i cavalli stiano bene, e non perdete un solo attimo lungo la strada.”
Mentre i due in questione si affrettavano verso i loro destrieri, Kurogane soppesò i restanti uomini.
“Dieci di noi andranno lì sopra a vedere che diamine è successo. Gli altri staranno qui ad aspettare. Se per il tramonto non siamo tornati, fate in modo di avvertire la gente qui intorno, e i sovrani.”
Naturalmente, lui faceva parte del gruppo che sarebbe andato in avanscoperta. Nonostante il potenziale pericolo, e il fatto che lui fosse il principe, nessuno osò obiettare. Lo sguardo del loro capitano non ammetteva repliche ai suoi ordini… più che mai in quel momento.

In poco tempo, lui, Gantai e gli altri furono pronti, e cominciarono lentamente ad avventurarsi lungo l’impervia salita.
L’ascesa richiese molto più tempo del previsto, perché dovevano procedere cauti, tentando di attraversare solo zone in cui i massi sembravano abbastanza stabili, e più volte furono costretti a tornare indietro per cambiare percorso. Quando finalmente raggiunsero il passo, il sole era quasi allo zenit.
Lo spettacolo che si parò davanti ai loro occhi era peggiore di un incubo.
La nebbia di detriti si stava diradando, aiutata dal vento che aveva cominciato a soffiare, ma solo per mostrare che la valle stava andando a fuoco: in lontananza, si innalzavano pinnacoli di fumo nero, e le fiamme avvolgevano le campagne che ricoprivano il fondo della vallata.
Poi, a malapena visibile attraverso la cappa di fumo e polveri che stagnava sul fondovalle, c’era qualcosa. Un oggetto che sembrava un enorme masso emerso dal terreno. Nero come la notte, ingoiava i pochi raggi di sole che, penetrando la coltre di fumo e polveri, riuscivano a colpirlo.
“Cosa diavolo è… quello?” fece uno dei soldati.
Kurogane, in tutta risposta, cominciò a scendere, non dopo aver sfiorato significativamente l’elsa della sua arma.

Una volta arrivati a fondovalle, si divisero. Sarebbero andati in cerca dei sopravvissuti, e di qualsiasi indizio che potesse far capire loro che cosa era accaduto.

Il primo lo trovarono Kurogane e Gantai. Era più alto di loro, e nero come l’oggetto che ora avevano perso di vista, tra gli alberi e i saliscendi del fondovalle.
Un masso sottile ed appuntito, conficcato nel suolo come una gigantesca punta di freccia.
I due guerrieri lo osservarono diffidenti. Era perfettamente levigato, liscio in maniera innaturale. Kurogane lo sfiorò pensieroso, prima di lasciarselo alle spalle.
Incontrarono un piccolo fronte di incendio.
Poco oltre, c’erano le macerie di una fattoria. Il tetto, di cui ormai non rimanevano che poche assi consumate dal fuoco, e le mura principali erano sgretolati, mentre su un fianco i mattoni erano squarciati da un secondo pezzo di quello strano metallo, che era penetrato nell’abitazione distruggendola.
L’incendio che doveva essere divampato andava già spegnendosi. Kurogane si rese conto che erano rimasti privi di sensi molto più tempo di quanto lui non avesse calcolato.
Si affrettarono tra le macerie, ma solo per trovarvi alcuni cadaveri carbonizzati. Quando era successo il disastro, dovevano essere ancora addormentati, ed erano stati colti del tutto di sorpresa.
In quello che doveva essere stato un letto matrimoniale, si distinguevano le sagome scure di tre bambini. Kurogane li guardò, gli occhi scuri, pensando che forse, per fortuna, la morte li aveva colti nel sonno.
Avrebbero voluto fermarsi per sotterrare i corpi, ma non c’era tempo.

Proseguirono nella perlustrazione. Si imbatterono in altri detriti, e in altri cadaveri. Incontrarono anche un paio di famiglie di contadini che, miracolosamente scampati all’esplosione, cercavano di allontanarsi dai focolai di incendio ancora brucianti.
Erano terrorizzati, e da loro i due soldati non riuscirono ad ottenere resoconti coerenti di quanto era accaduto. Per tutti, una delle stelle del firmamento si era schiantata nella valle. Esattamente dove una volta sorgeva il villaggio.
Li incoraggiarono a proseguire verso il passo, e ripresero ad avvicinarsi all’oggetto. L’aria era intrisa del tanfo del fumo e della cenere.

Gantai risalì un colle, alla ricerca di un punto per vedere meglio i dintorni, e richiamò Kurogane con un fischio.
“Non ha senso, capitano. Tanto vale tornare indietro.” Gli disse, non appena l’altro l’ebbe raggiunto.
Kurogane strinse i pugni, ma non replicò. Poco avanti a dove si trovavano loro, il bosco che stavano attraversando cessava di colpo, e si apriva un cratere colmo di tronchi di legno carbonizzati, al centro del quale svettava il masso nero. L’immobilità era totale, interrotta qua è la solo dallo spezzarsi dei tronchi degli alberi distrutti dalle fiamme.
“Qualunque cosa ci fosse stata qui, non ce n’è più traccia.”
“…maledizione.” fu il solo commento del principe alle parole del tenente.

Scesero dalla collina in silenzio. Lo spettacolo del cratere, spaventoso e imponente allo stesso tempo, li aveva tenuti incollati sul posto a lungo. Ora, il sole cominciava già ad avviarsi dietro le cime dei monti circostanti.
“…dovremmo tornare indietro.” disse Gantai, semplicemente.
Kurogane annuì, brusco, lo sguardo sempre rivolto in direzione del cratere, anche se non riusciva più a vederlo, nascosto com’era tra gli alberi. Come se stesse dicendo a qualche nemico invisibile di uscire allo scoperto, perché era pronto ad affrontarlo.
Poi, i suoi occhi vennero attirati da qualcosa. Qualcosa di un bianco candido, seminascosto tra i tronchi e le foglie.
Socchiuse le palpebre, cercando di capire se si trattava di una pietra. Ma sembrava decisamente stoffa.
Si avviò con decisione da quella parte, facendosi strada con la lama tra i cespugli del sottobosco.
Si fermò soltanto quando, sparita alla sua vista a causa dei rami, la stoffa non ricomparve sotto i suoi piedi. Dal tessuto bianco e sporco di terriccio spuntava una mano dalle dita lunghe e candide. Kurogane si chinò a spostare alcune grosse felci, fino a scoprire il corpo di un giovane riverso a terra.
Lo voltò lentamente, rivelando un viso coperto di sporco, che a malapena celava il pallore cinereo della pelle.
Gli ripulì la faccia, scostando dalla fronte ciocche di capelli biondi impastati di sangue e polvere, e gli tastò il collo con le dita.
Poteva sentire il sangue pulsare flebilmente, sotto la pelle.
Lo sollevò nella maniera più delicata che la situazione e la sua indole gli consentivano, e tornò verso Gantai, che fece tanto d’occhi quando se lo vede venire incontro trasportando in spalla lo sconosciuto.
“E’ ancora…vivo?” chiese sbirciandone i lineamenti da oltre il fianco del guerriero.
“Sì. Muoviamoci, adesso.” rispose brusco, senza fermarsi.

Marciarono a passo sostenuto, allontanandosi il più velocemente possibile dal cratere.
Kurogane camminava senza mostrare di sentire il peso del corpo che portava, ma dopo un po’ si accorse che lo sconosciuto cominciava a dare segni di vita, dimenandosi leggermente sulla sua spalla.
Si fermarono e lo distesero a terra. Lo osservarono per bene: vestiva uno strano vestito bianco (beh, certamente era stato di un bianco immacolato, prima, ma ora era ricamato di bruciature, strappi e sporco) dagli orli in pelliccia, decorato da motivi azzurri. Una fattura piuttosto strana, per il luogo. Senza contare che i capelli biondi erano una caratteristica inusuale, per gli abitanti di Suwa.
Aveva qualche graffio qua e là, ma non sembrava ferito seriamente.
Gantai prese la sua borraccia d’acqua e ne inumidì un orlo del mantello, tamponandogli le tempie e la fronte. Dopo un po’, il giovane cominciò ad aprire lentamente gli occhi. Kurogane alzò una mano, a fargli un po’ d’ombra sul viso.
Mosse la testa di qua e di là, e finalmente le palpebre si alzarono, a rivelare due grandi iridi turchine.
“Ehi, come stai? Che ti è successo?” fece Gantai immediatamente.
Il ragazzo roteò gli occhi, guardandosi intorno, senza dar segno di aver sentito le sue parole.
Kurogane prese la borraccia del tenente, e la poggiò sulle labbra dell’altro, tenendogli sollevata la testa per farlo bere. Questo dischiuse le labbra, diffidente, ma poi bevve avidamente.
Il principe lo osservò senza dire una parola, e quando l’altro ebbe finito di bere, ripose nel suo zaino la borraccia di Gantai, ormai vuota, e al sottotenente diede la sua, quasi piena.
Mise a sedere il giovane, che era tornato a guardarsi intorno con aria stralunata, e gli tastò le gambe con gesti un po’ rudi. L’altro nemmeno si ritrasse, e non si lasciò sfuggire un singulto di dolore.
“Non hai niente di rotto, quindi puoi camminare.” decretò allora Kurogane, e senza tanti complimenti lo afferrò per le spalle e lo tirò in piedi.
Il biondino barcollò, appoggiandosi a lui per non perdere l’equilibrio. Il principe lo afferrò per un braccio e ripresero la marcia.
Il ragazzo incespicava spesso, quasi non ricordasse esattamente come si faceva a muovere le gambe per camminare, ma andava avanti senza emettere un suono di protesta. Continuava a guardarsi intorno come se tutto quello che stava vivendo fosse un sogno.
Quando finalmente arrivarono in cima al passo, il sole stava ormai tramontando. Sotto di loro, gli altri soldati si erano già raccolti, e all’accampamento si erano aggiunti molti dei contadini sopravvissuti alla catastrofe. Kurogane sospirò, preparandosi alla discesa. Fece per tirarsi appresso lo sconosciuto, ma quello rimase fermo impalato sul posto.
Il guerriero si voltò, innervosito, e vide che lo sguardo dell’altro era fisso sul masso nero, che baluginava in lontananza.
Alcune lacrime avevano cominciato a solcargli le guance, rigandole di sporco.
“La… Cometa Nera…” disse con voce flebile.
Kurogane si accigliò, fissando a sua volta l’oggetto.
Una stella cometa caduta sulla terra… una stella buia.
Dello stesso colore del lutto e della distruzione che aveva portato.
Kurogane lo strattonò di nuovo, con decisione, e questa volta il biondo, volto su di lui uno sguardo perso, cominciò a scendere dietro di lui.

Con l’avanzare del buio e i massi pericolanti, la discesa fu quasi più lenta della salita.
Gantai apriva la strada, davanti a loro, tentando di trovare quella meno insidiosa, ma lo sconosciuto inciampava spesso, aggrappandosi a Kurogane come se ne andasse della sua stessa vita (cosa che, in diversi punti del percorso, non era poi distante dalla realtà).
Quando infine raggiunsero l’accampamento, era notte.
Una notte serena, con le stelle che splendevano serafiche nel cielo limpido, mentre le persone, all’accampamento, lanciavano occhiate diffidenti e colme di terrore alla volta celeste.

Anche il biondo guardava per aria, il cielo stellato che si rifletteva nei suoi occhi chiari.
Gantai lo osservava perplesso, con in mano una scodella di cibo. L’altro non sembrava nemmeno aver udito la sua proposta di mangiare.
“Sembra aver subito un forte shock… non sa nemmeno dire il suo nome.” Commentò a mezza voce con Kurogane, quando quello si avvicinò.
Il guerriero squadrò il ragazzo, che se ne stava seduto a terra a gambe incrociate, il naso all’insù. Gli si piazzò di fronte a braccia conserte, fissandolo diritto negli occhi.
“Allora, come ti chiami?”
Il ragazzo lo degnò di uno sguardo appena, e tornò a guardare le stelle.
“Insomma, devi avercelo un nome!” cominciò a innervosirsi Kurogane. Quel giorno, la sua già scarsa dose di pazienza era stata abbondantemente superata.
“Ehm.. io, Gantai…” intervenne il tenente, battendosi il petto per far capire all’altro che si stava riferendo a se stesso.
“…e lui Kurogane.” proseguì dando un colpo timido sulla spalla del capitano, che gli rivolse un’occhiataccia. Gantai si ritrasse spaventato “Mi perdoni la confidenza!” si scusò mugolando.
La scenetta sembrò attirare l’attenzione del ragazzo, che fissò i suoi occhi sul principe.
“Kuro… Kuropon!” disse alla fine.
Questo gli piantò addosso degli occhi di fuoco. “KUROGANE!!!”
L’altro sembrò pensarci su, come a cercare di collegare il nome che aveva sentito e quello che avrebbe dovuto uscire dalle sue labbra.
“Kurochan!” si decise alla fine.
“KU-RO-GA-NEEEE!” ribadì l’altro in un ruggito, mentre alcuni soldati si voltavano a fissare incuriositi la situazione.
Gantai fece per zittirlo – il giovane sembrava già abbastanza traumatizzato di suo, non era il caso di acuire il problema – ma inaspettatamente al biondino sfuggì una risata.
“Ahahah… Kurotan!” fu la sola risposta in mezzo alle risatine.
Kurogane si allontanò da lui adirato, ma il giovane lo seguì con lo sguardo, un sorriso ancora stampato in volto. Anche una volta che l’ebbe perso di vista, i suoi occhi rimasero fissi sul punto dove era sparito, senza tornare a rivolgersi alle stelle.


*next track: The Age of Mystic Ice*



*= "gantai" vuol dire "benda" in giapponese - Neera (aka Reiko in EFP) docet XD

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Capitolo 3
*** II. Zaephyr's Skies ***


Ciao! Scusate per il ritardo nell'aggiornamento, ma ero al mare senza nemmeno un internet point decente XD

@ LawlietPhoenix: figurati. So che Luca Turilli non è particolarmente conosciuto, era il minimo! ^^
@ Tsukino: sì è questa! Beh il livello di sadismo delle Clamp raggiunge vette ineguagliabili, questo è certo. Però questa trama non è proprio rose e fiori.. ^^'''
@ Pentacosiomedimni: grazie :) sì, so che sono poco conosciuti.. però io personalmente adoro questo CD e anche gli altri che hanno fatto, come adoro quelli dei Rhapsody!





II.

ZAEPHYR'S SKIES




Strumentale.


(ascoltatela qui)



Venne l’alba, con il sole che sorgeva timidamente tra i monti in un cielo dove le stelle non facevano altro movimento che il loro abitudinario e lento errare nella volta celeste.
Era ormai giorno fatto quando il gruppo si mise in cammino verso la capitale.
Kurogane fu impegnato a coordinare la partenza: lui e metà dei suoi uomini avrebbero scortato i sopravvissuti alla capitale, mentre gli altri guerrieri sarebbero rimasti sul posto alla ricerca di eventuali altri superstiti.
Il principe avrebbe preferito tornare nella valle, a cercare di scoprire qualcosa di più su quanto era accaduto, ma era suo dovere fare rapporto di persona alle loro maestà.
Inoltre, aveva un altro piccolo mistero da risolvere, tornando a palazzo.

Mentre le prime persone iniziavano ad avviarsi lungo il sentiero, si voltò alla ricerca dello strano sconosciuto.
Dalla notte prima, non gli aveva più parlato, occupato com’era con l’organizzazione del campo, ma aveva continuato a lanciargli qualche occhiata, di tanto in tanto.
Non era difficile da notare, vestito di bianco, in mezzo ai soldati ed ai contadini che indossavano abiti scuri; in quel momento, era inginocchiato accanto ad un carretto di legno, attorniato da un piccolo gruppo di persone. Lì vicino, anche Gantai stava osservando in silenzio.
Come vide il generale avvicinarsi, il tenente gli si fece incontro salutando, e, a sentire la sua voce, si voltò anche il biondo. Si alzò e raggiunse i due soldati, congedandosi con un sorriso ed un cenno del capo dalle persone vicino a lui, che lo stavano ringraziando profusamente.
“Hyuuuu, Kuropon!” esclamò il giovane, agitando una mano nella direzione del principe.
“E questo cosa diamine significherebbe?!” commentò il guerriero, di cattivo umore.
“Credo che sia il suo modo di augurarvi il buongiorno…” tradusse Gantai, divertito.
“E’ tutto fuorché una buona giornata” rispose Kurogane, la fronte corrugata in un cipiglio tra il preoccupato e l’arrabbiato “Dobbiamo partire. Io cavalco in testa, tu invece rimani a chiudere la retroguardia.” disse, mentre Gantai andava a prendere i loro cavalli.
L’uomo annuì, porgendo al generale le briglie del suo destriero.
“…e lui?” fece, accennando al biondo che, a pochi passi da loro, stava fissando i cavalli con aria incuriosita.
“Che cosa vuol dire, ‘e lui’?” replicò secco Kurogane.
“Nessuno di questi contadini dice di averlo mai visto prima. Ho provato a parlargli di nuovo, ma credo sia ancora piuttosto confuso. Forse ha perso la memoria, o qualcosa del genere… ma sembra avervi preso in simpatia, principe.”
Kurogane sollevò un sopracciglio, mentre osservava lo straniero accarezzare il muso del suo cavallo.
“O forse è solo scemo.”
“Questo non direi. Li vedete quelli là?” fece Gantai, indicando con un cenno della testa le persone che fino ad un attimo prima avevano attorniato il biondo: un paio di uomini con le mogli ed i figli. Avevano questo piccolo carro di legno, trainato da un asino, e vi avevano caricato i pochi averi che avevano potuto portare via.
“In qualche modo, sono riusciti a far scendere quel carro giù dal passo, ma deve essersi rotto o danneggiato… fatto sta che stamattina stavano disperatamente cercando di ripararlo per farlo ripartire, senza riuscirci.
Ad un certo punto, è arrivato il biondino, ci ha dato un’occhiata, e in men che non si dica il carro camminava di nuovo.”
Kurogane tornò ad aggrottare le sopracciglia. Ora l’altro giovane lo fissava, sentendosi chiamato in causa. Forse non era uno stupido, ma ciò non toglieva che fosse piuttosto strano. Sospetto, anzi.
“Sali a cavallo.” gli ordinò il principe, indicando la sella del suo destriero. Nel caso si fosse verificato un episodio simile, preferiva tenerlo d’occhio.
L’altro si avvicinò al fianco dell’animale, ma dopo un attimo si voltò con aria interrogativa.
“Non sai cavalcare?” chiese Gantai un po’ stupito “E’ facile, fai così…” gli disse, salendo in groppa al suo cavallo lentamente, così da mostrare i vari movimenti che compiva.
Il biondo lo guardò e indugiò ancora qualche attimo.
Kurogane, spazientito, stava per prenderlo e sollevarlo di peso, ma il giovane lo precedette, arrampicandosi agilmente sulla sella.
Il principe sbuffò, ritirando le mani, in un attimo di fugace imbarazzo. Che diamine, perché mai gli era saltato in mente di aiutarlo? Se non sapeva cavalcare, sarebbe andato a piedi, senza che lui avesse dovuto preoccuparsene.
Accigliato, salì in sella davanti all’altro e spronò il cavallo verso la cima di quella carovana improvvisata.

Cavalcarono tutta la mattina, scendendo lungo i versanti della montagna, il sole che lentamente risaliva nel cielo sereno.
Il giovane biondo osservava ammirato quell’azzurro senza fine che si dispiegava sopra le loro teste, voltandosi a guardare l’orlo frastagliato delle montagne e lo smeraldo intenso del fogliame appena nato degli alberi.
Tutti i colori riverberavano di luce, splendenti, un caleidoscopio di innumerevoli gradazioni di verde, suscitando nel suo animo una strana commozione.
Osservò una piccola nuvola bianca, un minuscolo sbuffo di vapore che si dimenava lentamente in quel mare turchese.
“Il cielo… è azzurro. Così azzurro.” disse ad un certo punto, come trasognato.
Kurogane si voltò verso di lui, sorpreso dal suono della sua voce.
“Sai parlare, allora.” commentò.
L’altro gli sorrise, socchiudendo le palpebre a causa dell’intensità della luce.
“Non ricordavo che potesse essere così blu.” rispose semplicemente.
Kurogane indugiò un attimo di troppo, scrutando nelle sue iridi turchesi, prima di tornare a voltarsi e a prestare attenzione al sentiero davanti a loro.
Per un momento, lo aveva colpito il pensiero che anche lui si era dimenticato che potesse esistere un celeste così intenso.

Finalmente scesi a valle, raggiunsero le sponde del largo fiume che avrebbero costeggiato fino a raggiungere la capitale.
Si fermarono per far abbeverare i cavalli e riposarsi.
Irrequieto, Kurogane fece il giro del piccolo campo, e mandò uno dei suoi uomini in avanscoperta, affinché avvisasse del loro arrivo.
Quando tornò all’albero dove aveva lasciato il cavallo, non trovò più il biondo.
Lì vicino, Gantai stava accudendo il suo animale.
“Dov’è finito quello?”
“Quello? E’ sceso al fiume…”
Kurogane spinse lo sguardo sulle sponde, senza scorgere la chioma chiara dello sconosciuto in mezzo alle altre persone.
“… pensate che potrebbe essere un nomade?”
“Ne hai mai visto uno vestito così?”
Gantai ci pensò con aria assorta.
“Magari faceva parte di una spedizione proveniente da un qualche paese lontano, erano appena arrivati nella valle che è successa la catastrofe… o forse, è arrivato proprio cavalcando quella cometa!” scherzò.
Alla sua battuta, Kurogane gli lanciò un’occhiataccia di sbieco. Non replicò, ma si incamminò lungo il fiume, senza tuttavia scendere fino alla sponda. Ne percorse le rive con gli occhi, finché non furono deserte.
Poi, oltre un piccolo gruppo di massi bianchi, le iridi rosse del guerriero scorsero quello che stavano cercando.

Il ragazzo biondo era sceso al fiume imitando le altre persone, più per curiosità che non per reale bisogno. Aveva visto gli altri bere e lavarsi, ed improvvisamente si era reso conto di essere assetato e ancora coperto di terra.
Ma qualcosa, dentro di lui, gli aveva consigliato di allontanarsi dalle altre persone, e così lui aveva fatto, fermandosi poi solo al riparo di alcune rocce bianche che formavano una piccola laguna: qui, l’acqua veloce del fiume veniva catturata in mezzo ai sassi, che ne rallentavano la corsa.
Tra quelle onde, il ragazzo cercava di carpire il suo riflesso.
Si scostò le ciocche di capelli bagnati dalla faccia, gettando uno sguardo ai vestiti di cui si era spogliato lentamente, esaminandoli con attenzione mentre li toglieva. Li aveva guardati come se li vedesse per la prima volta.
Del resto, questo non era molto distante dalla realtà. Per quel che ne sapeva, poteva essere nato nell’esatto istante del suo risveglio il giorno prima, con quei vestiti indosso.
Tornò a sciacquarsi la faccia, tastando cautamente un taglio che aveva sulla fronte. Gli doleva un pochino, ma niente di grave.
Se la sua vita era iniziata il giorno prima in quella valle, non si poteva certo dire che fosse stato un grande inizio. Ammaccato e dolorante, con un guerriero di umore perennemente nero che lo osservava con occhi di fuoco.
Sentendo dei rumori alle sue spalle, si voltò, ritrovandosi a osservare il guerriero in questione che stava camminando verso di lui.
Gli rivolse un sorriso festoso. Era un sorriso in buona parte sincero: anche se non si poteva esattamente dire che l’uomo fosse stato gentile con lui, certamente l’aveva aiutato. La sua figura era stata il suo unico punto di riferimento fin da quando aveva aperto gli occhi, e, in fondo, il biondo trovava che la compagnia di quel guerriero dai capelli scuri fosse anche abbastanza piacevole.

Kurogane non rispose al saluto dell’altro, che ancora agitava le braccia nella sua direzione.
Aveva studiato la sua figura alta ed esile, avvicinandoglisi da lontano, mentre il biondo - a torace nudo, le gambe avvolte in pantaloni neri abbastanza stretti da sottolineare le sporgenze delle anche del bacino – si lavava nel fiume.
L’aveva osservato, ed aveva notato qualcosa.
“Che cos’è quel disegno che hai sulla schiena?” chiese il principe senza preamboli, non appena gli si fu avvicinato.
Il ragazzo lo guardò stupito “Cos’è…?”
Si guardò con aria preoccupata. Vide delle curve nere che si intrecciavano sulla pelle delle braccia, sotto le spalle.
Nonostante le avesse viste anche prima, parve notarle soltanto ora. Erano parte di lui, ma adesso che l’altro gliele aveva fatte notare, sembravano le spire di serpenti pronti a morderlo.
Tentò di osservarsi la schiena, senza successo; l’acqua gli restituiva solo un’immagine confusa del colore pallido della sua pelle, e di un’ombra nera che la oscurava.
Si guardò intorno: c’era una piccola lingua di sabbia, vicino a loro. Si chinò a raccogliere un rametto tra le piante della riva, e lo porse a Kurogane, indicandogli lo spiazzo sabbioso con un cenno del volto.
Il guerriero lo guardò per un istante con aria scettica, prima di capire cosa l’altro intendesse.
“Macché, non so certo disegnare, io.” rifiutò seccamente.
Il biondo, allora, si toccò la schiena con una mano, l’indice che alternativamente toccava la sua stessa pelle, in mezzo alle scapole, per passare poi a indicare Kurogane.
Il principe sbuffò. Questa volta, comprese subito cosa voleva dire l’altro. Gli si avvicinò ancora, e gli poggiò con malagrazia un dito sulla schiena, cominciando a percorrere le linee nere che si intersecavano su quella pelle diafana.

L’altro rimase immobile, gli occhi chiusi, mentre si concentrava sui percorsi che quel dito ruvido tracciava sul suo corpo: si avvolse intorno alle scapole, finendo poi in un solco tra le costole, attraversando più volte la spina dorsale, fino a poco sopra le natiche - zona in cui, gli parve di notare, il dito tracciò il suo disegno un po’ più in fretta.
Man mano che Kurogane eseguiva la sua opera di ricalco, le dita del giovane si stringevano sempre di più intorno al ramoscello che aveva raccolto.

Il principe non era nemmeno a metà del tatuaggio, quando il biondo si scostò improvvisamente e, chino a terra, iniziò a tracciare freneticamente dei segni sulla sabbia.
Kurogane sbirciò oltre la sua spalla, e vide che stava disegnando gli stessi tratti contorti che aveva tatuati sulla schiena.
Smise all’improvviso come aveva iniziato, e si alzò a contemplare il risultato. L’aveva riprodotto in maniera estremamente fedele.
“Allora, che cos’è?” ripeté Kurogane.
Il biondo si voltò verso di lui, un sorriso di scusa sul volto. “Non lo so.”
“L’hai appena disegnato senza nemmeno vederlo, non puoi non sapere che cosa sia.” insistette.
L’altro scrollò le spalle, sempre sorridendo.
“Non ricordo.”
Il principe aggrottò le sopracciglia, ma l’altro si scusò e, raccolti i suoi indumenti, si allontanò in fretta.

Mentre si rivestiva, sentiva gli occhi del guerriero fissi su di lui.
Dopotutto, sembrava esserci qualcosa, oltre al buio, prima del momento del suo risveglio sotto quelle iridi scarlatte.
Quando le dita del guerriero gli avevano sfiorato la schiena, il contatto non era stato spiacevole. La sua pelle era ruvida, il suo tocco un po’ ruvido, ma non certo violento.
Eppure, dopo qualche attimo, quel contatto vagamente impacciato e innocuo si era trasformato nel dolore lancinante di mille aghi che gli trafiggevano la carne, e nella sua mente si era stagliato chiaro e ben definito il disegno che le dita del guerriero stavano seguendo, come se lo avesse sotto gli occhi, come se anche lui lo avesse già tracciato innumerevoli volte.

Mentre si rivestiva il più velocemente possibile, sentiva ancora la pelle formicolargli al contatto del tessuto.
Deglutì a vuoto – aveva la gola secca – perché era consapevole del fatto che l’altro lo stava guardando.
Non sapeva perché, ma non gli piaceva l’idea che il guerriero osservasse quel disegno. Ma gli voltava la schiena comunque: anche se non ne capiva il motivo, pensava che sarebbe stato ancora peggio, se avesse mostrato l’espressione di dolore e paura che improvvisamente gli si era dipinta sul volto.


Quando furono di nuovo in viaggio, il biondo non smise un momento di osservare il cielo. Quell’azzurro lo riempiva di meraviglia e stupore, e tanto più lo guardava, tanto più non poteva fare a meno di pensare che avrebbe voluto averlo davanti agli occhi ancora e ancora. Lo beveva con lo sguardo, era assetato di quel celeste limpido e profondo; in qualche modo, era come se quella luminosità gli fosse mancata.
“Ma è sempre così blu?”
“Eh?”
“Il cielo.”
Kurogane sbuffò alla domanda.
“Quando piove, è grigio per le nuvole, e non è azzurro. Quando è notte, nemmeno, perché è nero. Ma quando durante il giorno fa bel tempo come oggi, è sempre azzurro… insomma, sì, è normale.”
Una risposta stupida per una domanda stupida.
Ma il biondo la valutò attentamente, rimuginandoci.
Se era normale, perché quell’azzurro lo stupiva così tanto?

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Capitolo 4
*** III. The Age Of Mystic Ice (I parte) ***


Rieccomi!
(data l'ora, non ha cose molto coerenti da dire... a parte un sincero "Grazie mille per i commenti!")

Nota: la lettura delle lyrics comporta potenziali spoiler sul contenuto del capitolo (ciò vale soprattutto per quelli dal VII in poi)
(a proposito, la storia dovrebbe avere circa nove capitoli ^^)




III.
THE AGE OF MYSTIC ICE






Ascoltatela qui!


She remembers only her wasted ship's name
the fallen giant Dark Comet S-10
nothing more can she recall than her mind's death
while the black spheres are now moving around

Sania will be her new name now adopted
word that means gift... golden gift of the gods
but her smile is lonely on this sad dark day
for even magic, the ice covers all

WHERE THE LEGEND HIDES THE TRUTH
AT THE CLASH OF SUN AND MOON
AND MOVED BY MAGNETIC FIELDS
COMES THE MYSTIC LAST ECLIPSE
IT WILL RIDE THE ZEPHYR PLAINS
IN THE EVIL COSMIC NAME
ALL THE NIGHTMARES WILL SOON RISE
IN THE AGE OF MYSTIC ICE...
MYSTIC ICE!






I tetti del palazzo reale di Suwa scintillavano, ancora lucidi di pioggia, mentre i nuvoloni neri che avevano portato l’acquazzone andavano svanendo all’orizzonte, scuri contro la luce del tramonto.

I passi del principe rimbombarono nel corridoio, mentre i suoi stivali lasciavano sul pavimento di pietra una serie di consunte orme di fango ed acqua. Quando varcò la soglia dell’arcata che conduceva al portico, due paia di occhi si fissarono su di lui, mentre i presenti lo accoglievano con un sorriso.
“Bentornato, figlio mio.” la madre di Kurogane aveva un volto pallido e grazioso, le labbra dipinte di un rosso tenue incurvate in un sorriso dolce.
“Hyuuuu, Kurochan!”
Kurogane aveva appena chinato la testa per rispondere al saluto della madre, che si voltò di scatto verso il biondo, irritato.
“E’ Kurogane, maledizione!” inveì contro di lui, avvicinandosi al tavolino basso dove i due erano seduti.
“Waah, ma lo sai che soffro di amnesia! Non dovresti prendertela così!”
Il principe gli lanciò un’occhiataccia “Sono tre settimane che sei qui, e non capisco perché la tua amnesia si manifesti solo quando si tratta del mio nome, visto che gli altri li ricordi alla perfezione!”
Tornò a voltarsi verso la madre, per salutarla, ma si accorse che stava ridendo esattamente come il biondo di fronte a lei.
Il principe inarcò un sopracciglio. Beh, che cos’era questa storia?
La donna sollevò su di lui i suoi grandi occhi scuri.
“E’ un sollievo vederti così allegro, figlio mio.” disse sorridendogli sinceramente.
“Allegro? E’ irritazione, madre, non allegria.” rispose lui. Il tono gli riuscì un po’ più seccato di quanto non avesse voluto, e si chinò a baciare la regina sulla guancia.
“Kuropin si contraddice… ti lamenti se storpio il tuo nome, ma nemmeno tu usi mai il mio.” Puntualizzò il biondo, divertito.
Kurogane sbuffò, senza replicare.


***


Da quando erano tornati alla capitale, il giovane sembrava essersi ripreso quasi completamente dallo shock subito nella valle, anche se non aveva recuperato la memoria.
Inoltre, dopo l’episodio del fiume, Kurogane si era ritrovato ad usare un maggiore tatto nei confronti dello straniero.
Si era accorto dell’espressione sconvolta e confusa sul viso dell’altro in quell’occasione, e, nonostante ciò gli avesse instillato maggiore curiosità e sospetto nei suoi confronti, si era anche ripromesso di essere più cauto nell’approcciarsi a lui, in futuro: a prenderlo di petto, non avrebbe ottenuto altro che farlo scappare.
Così, aveva aspettato il giorno seguente per tornare sull’argomento.

“Allora, ti è tornato in mente come ti chiami?” gli chiese il principe. Il suo sguardo sembrava pronto a perforare la pietra, come tutte le volte che parlava con lui.
Il biondo ebbe un attimo di esitazione, prima di rispondere.
Aveva dormito, quella notte, e nel buio del sonno aveva sentito delle voci. Non riusciva a ricordare che cosa dicessero, né sapeva a chi appartenessero. Non sarebbe nemmeno stato in grado di ricostruirne il tono, nella sua mente.
Ma aveva l’impressione che, ad un tratto, una voce imperiosa avesse chiamato il suo nome, e nel sogno aveva sentito l’esigenza impellente di rispondere, di raggiungere immediatamente chiunque lo stesse chiamando. Ma non era possibile, non aveva idea di dove fosse. Era solo, nel buio dei suoi sogni.
“No.” rispose alla fine.
Il guerriero lo osservò, tentando di decifrare l’espressione del suo volto. Quella che il giovane biondo lasciava trasparire, sotto il suo sorriso di scusa, era confusione.
In quel momento, Kurogane decise che l’altro gli stava nascondendo qualcosa. Non credeva stesse mentendo, non del tutto, o non consapevolmente. Ma quella non era la verità – non tutta, almeno.
Quest’improvvisa consapevolezza gli fece aggrottare le sopracciglia, e l’altro spalancò quei suoi occhi celesti, senza capire il perché di quell’espressione accigliata.
“E ti ricordi qualcosa di quello che è successo tre giorni fa nella valle?”
“La Cometa Nera è caduta.”
“Perché la chiami così?”
“Beh, perché è nera. E perché una cometa viaggia nel cielo, e a volte cade. Che sia caduta, l’ho capito per via del cratere.”
“Che sia caduta l’abbiamo capito tutti, vedendolo.” lo interruppe Kurogane.
“Già. Beh, se l’ho visto, allora non me lo ricordo.” commentò l’altro remissivo, dando segno di volere chiudere lì la conversazione.
Il principe non sembrava dello stesso avviso, ma un attimo prima che aprisse la bocca per parlare di nuovo, un soldato venne a chiamarlo.
Kurogane si allontanò, non prima di aver gettato un’occhiata al biondo ancora seduto sull’erba.
Questo era rimasto immobile, inspirando a fondo per calmarsi.
Perché la chiamava Cometa Nera?
Perché questo era il suo nome, ecco la risposta. Cometa Nera S-10, per la precisione.
Ma non sapeva che cosa significassero la lettere ed il numero dopo il nome, e nemmeno perché gli fossero venuti in mente proprio in quel momento, riemersi a galla da quel pozzo oscuro che era diventata la sua mente.

Sulla pianura che circondava la capitale, un gruppo di uomini a cavallo era venuto loro incontro con sollecitudine.
I soldati vestivano tutti una livrea di uno scarlatto molto scuro, con una luna ricamata all’altezza del cuore. A capitanarli c’era il sovrano di Suwa in persona, vestito della sua armatura scintillante.
Aveva fermato l’alto destriero scuro di fronte a quello del figlio, e i due erano scesi di sella all’unisono. Kurogane aveva accennato un breve inchino nei confronti del padre, ma subito dopo si erano scambiati un abbraccio.
Il biondo aveva osservato, incuriosito, quell’uomo che aveva gli stessi lineamenti di Kurogane, a parte i capelli leggermente striati di grigio. Solo, l’espressione era più distesa, gentile, e lo scarlatto degli occhi si era mitigato, nel tempo, in un intenso nocciola scuro.
Padre e figlio si erano rivolti qualche breve frase. Il re era già venuto a conoscenza di quanto accaduto attraverso i resoconti dei soldati mandati avanti dal principe, e il racconto di quest’ultimo avrebbe potuto aspettare finché non fossero arrivati a palazzo.
Dopodiché, il re aveva rivolto intorno lo sguardo, e l’aveva fissato sul giovane ancora in sella.
Chiedendosi se non avesse dovuto farlo già prima, questo aveva fatto per scendere da cavallo, ma l’uomo lo aveva bloccato con un gesto della mano.
“Ero curioso di vederlo.” aveva detto il signore di Suwa.
Kurogane gli aveva rivolto uno sguardo interrogativo.
“Lo straniero con i capelli dorati.” aveva spiegato il padre, sorridendogli. “Tua madre lo ha sognato tre notti fa” aveva aggiunto, abbassando improvvisamente la voce.
Kurogane aveva annuito, gettando al biondo l’ennesima occhiata in bilico tra diffidenza e curiosità.
“Ripartiamo immediatamente per la città!” aveva annunciato poi a voce alta, rimontando a cavallo.

Come aveva scoperto in seguito il giovane straniero, la madre di Kurogane aveva il potere di sognare le cose prima che accadessero, o prima che ne venisse a conoscenza.
Quando l’aveva incontrata, la mattina del giorno seguente – dopo aver passato la notte in una delle stanza del palazzo, messa a sua disposizione in quanto improvvisamente elevato al rango di ospite – la donna gli aveva rivolto un sorriso dolcissimo, mentre lo osservava con i suoi gentili occhi scuri.
“Nel mio sogno – gli aveva spiegato – eri vestito di bianco, avevi i capelli scintillanti come tanti fili d’oro, ed emergevi da una foresta buia. Kurogane ti allungava una mano, e tu la stringevi. Certo, non era che un sogno…” del resto, le sarebbe stato difficile immaginare il figlio allungare una mano in maniera gentile a qualcuno che non fosse lei stessa, nella realtà “…ma al mio risveglio, ero certa che tu saresti arrivato qui insieme a loro.” lo aveva guardato sorridente, constatando che era accaduto proprio quello che si aspettava.
“Inoltre, se non ho capito male, tu non ricordi nulla di ciò che ti è successo o che ti riguarda, nemmeno il tuo nome, dico bene?”
Il biondo aveva assentito con un cenno del capo, e la regina aveva sorriso.
“Quella notte, nel sogno, ho pensato che tu ci fossi stato mandato dagli dei del cielo. E forse non è un caso, che tu sia comparso proprio dopo che dal cielo è caduta quella cometa. Nella lingua dei nostri antenati c’è una parola, fay, che significa ‘dono delle divinità’, o, meglio ancora, ‘dono dorato delle divinità’, e in fondo l’aggettivo su di te calza bene.” Aveva detto, alludendo alla capigliatura bionda dell’altro.
“Se vuoi, puoi portare questo nome, finché non ti sarai ricordato di quello vero.”
“Suona bene, Fay.” aveva risposto il biondo con un sincero sorriso di gratitudine.


***


Da quel giorno, Fay era stato il suo nome.
Kurogane non lo usava mai, però. Non aveva senso, secondo lui, chiamare qualcuno con un nome che non fosse davvero il suo.
Così, all’appunto di Fay, quel pomeriggio dopo il temporale, il principe si limitò a scrollare le spalle.
“Ancora nessun segno dei tuoi uomini?” chiese la regina.
Il principe scosse la testa in segno di diniego, accigliato.
Aveva mandato Gantai ed alcuni soldati di nuovo nella valle ad accertarsi che la situazione fosse rimasta stabile, e sarebbero dovuti essere di ritorno già da un paio di giorni, ma, anche quel pomeriggio, Kurogane era uscito a cavallo, spingendosi fino ai piedi della montagna, senza riuscire a scorgerli.
Era preoccupato – qualsiasi cosa fosse accaduta nella valle quella notte, aveva il presentimento che i danni non si sarebbero limitati alla distruzione del villaggio e delle vite dei suoi abitanti.
La regina lo guardò impensierita.
“Vedrai che domani torneranno.” disse alla fine.
“Lo hai sognato?”
“No. Ma è un presentimento.” rispose lei abbassando gli occhi e concentrandosi a sorseggiare la sua tazza di tè.
In quel momento, nel portico comparve un’ancella che portava del tè anche per lui, e Kurogane non replicò. Ma sapeva bene che, quando la madre parlava di “presentimento”, questo era destinato ad avverarsi al pari dei suoi sogni premonitori. Ciò che lo impensieriva, tuttavia, era il tono con cui lei aveva pronunciato quelle parole: nonostante il loro significato fosse rassicurante, c’era stato qualcosa, nella sua voce, che non lasciava presagire nulla di buono.

Come aveva predetto la regina, il giorno dopo, verso mezzogiorno, le sentinelle avvistarono il gruppo di soldati. Il signore di Suwa ed il figlio si affrettarono ad andargli incontro, ritrovandosi davanti un Gantai dall’aria preoccupata ed alquanto perplessa.
“Ci sono stati problemi? - chiese Kurogane dopo che si furono scambiati il saluto di rito – Avete dovuto affrontare i nomadi?”
“No, nulla del genere, maestà… - Gantai sembrava in difficoltà, come se stesse ripassando in fretta, nella sua mente, le parole che aveva scelto per esprimersi – Siamo arrivati fin sotto al passo e ci siamo accampati. Poi, il giorno dopo, siamo scesi nella valle, e… - improvvisamente, le parole che aveva scelto non sembravano convincere più nemmeno lui - …e la valle è completamente  ghiacciata, maestà.”
Il re e suo figlio si guardarono, incerti.
“Ghiacciata… siamo in estate.” fu il commento laconico di Kurogane.
“Sì, beh, maestà… ci siamo stupiti anche noi. Insomma, è strano. E’ per questo, comunque, che ci abbiamo messo più del previsto. Era freddo, e muoversi su quel ghiaccio non è agevole, ecco.
Siamo arrivati alla cosa…alla cometa. Nella zona intorno, il ghiaccio sembrava più spesso, ed era… era scuro. Ma la cometa non ne era ricoperta, era sempre uguale a come l’abbiamo vista quel giorno, nera e lucida sotto i raggi del sole.”
Il signore di Suwa si incupì a quella descrizione. Aveva assicurato ai profughi che sarebbero potuti tornare alla loro campagna e a quello che rimaneva delle loro case, se non ci fossero state brutte sorprese. Invece, sembrava che ce ne fossero eccome.
“Quando poi siamo tornati indietro – stava continuando il tenente – abbiamo scoperto che il ghiaccio aveva raggiunto e superato il passo… eppure non avevamo trascorso nella valle che una giornata e mezzo!” concluse Gantai, chinando il capo come se la vicenda intera fosse colpa sua, o come se egli stesso stentasse a credere al suo racconto.
Di nuovo, padre e figlio si guardarono. Kurogane non dubitava delle parole del suo tenente, per quanto potessero suonare assurde.

Ne parlarono alla regina, non appena tornati a palazzo. Negli occhi della donna si dipinse immediatamente una grande tristezza.
“Avanzerà ancora – disse, non appena ebbe ascoltato la descrizione della valle ghiacciata – e ricoprirà anche questa pianura… lo sento.” aggiunse, rispondendo alla muta domanda negli occhi del marito e del figlio.
“E’ il caso di parlarne ai sacerdoti.” disse allora il re, e sua moglie annuì.
Il consiglio dei sacerdoti era formato da otto nobili anziani, esponenti di alcune delle famiglie più importanti ed altolocate del regno.
Il loro ruolo non era confinato alle questioni di culto – cerimonie del raccolto, occasioni ufficiali e quant’altro – ma si sostanziava anche nell’elargire consigli al sovrano a proposito delle materie più disparate, dalle questioni militari alle tasse.
In effetti, mentre i riti e le cerimonie erano appuntamenti fissi e di routine, le occasioni che i sacerdoti avevano di intromettersi nelle questioni di palazzo erano sempre molteplici e variegate. Questo aveva portato i regnanti di Suwa a sviluppare una certa diffidenza nei loro confronti, e a valutare attentamente quali e quante informazioni far arrivare alle orecchie degli anziani.
Tuttavia, un avvenimento simile non poteva non essere discusso anche davanti a loro.
“Dobbiamo riunire subito il consiglio. – disse la regina, le guance pallide leggermente arrossate dall’ansia – Ho fatto un sogno, stanotte. C’era il sole, e splendeva su una superficie chiara e scintillante… un lago, mi sono detta nel sogno.
Il cielo era limpido, senza una nuvola, c’era solo l’azzurro.
Poi, lentamente, davanti al sole è passata la cometa. Ho potuto vedere la sua sagoma nera stagliarsi netta contro la sua luce… e sulla sua scia, avanzava l’oscurità.
Man mano, il buio ha inghiottito il cielo, finché non è stato tutto privo di luce.
Era nero, tutto nero, il cielo, e il lago, al di sotto. Come se l’acqua avesse assorbito le tenebre di questa notte improvvisa… era un buio sbagliato, cattivo. E non sarebbe durato soltanto per una notte…” si fermò ad inumidirsi le labbra. Prima che uno degli uomini potesse commentare, tuttavia, proseguì.
“Credevo che fosse un lago, ma era immobile, privo di onde. Alla luce di quello che mi avete raccontato, avrebbe potuto trattarsi di una valle ricoperta di ghiaccio e neve… e se era ghiaccio, allora coprirà tutto. – terminò lentamente - Nel sogno, ho visto i tetti della nostra città sommersi sotto quella che credevo la superficie dell’acqua.”
I suoi occhi corsero subito alle vetrate della sala. Era pomeriggio, e il sole splendeva ancora alto sopra l’orizzonte, luminoso e forte nel cielo terso dell’estate.
Ma nello sguardo della regina c’era un grande struggimento, quasi lo stesse silenziosamente pregando di continuare a brillare come aveva sempre fatto, e di non lasciare che le tenebre cadessero sul loro regno e sui loro animi.

Fay uscì dal palazzo che stava calando il crepuscolo. La giornata era stata piuttosto calda, ma, con lo scendere della sera, dai monti aveva cominciato a soffiare sulla città un vento stranamente freddo.
Il giovane attraversò le strade, il mantello sulle spalle. Nonostante il repentino sbalzo di temperatura, quell’aria gelida non gli dava fastidio.
Si sentiva piuttosto allegro, in quel momento; stava pensando al suo nome. “Dono degli dei”… era bello che gli avessero permesso di portarlo.
Anche se Kurogane si ostinava a non chiamarlo in questo modo.
Chissà, forse pensava che un nome simile non gli si addicesse… o forse era solo troppo timido per pronunciarlo. Nonostante i suoi atteggiamenti burberi, Fay era giunto alla conclusione che Kurogane avesse dei lati teneri, sotto la dura scorza di guerriero.
Sorrise tra sé e sé, sbucando nella piazza principale della città.
Ma si rese conto improvvisamente di essere l’unico a sorridere.
Intorno a lui, capannelli di persone preoccupate parlavano concitatamente delle notizie portate dai soldati tornati dalla ricognizione nella valle - non erano certo novità che potessero lasciare indifferente la popolazione.
Fay riconobbe alcuni dei profughi che erano arrivati in città assieme a lui; vide gli uomini che, con sguardi grevi, parlavano a voce bassa, gli occhi rivolti ai monti da cui erano scappati.
Una donna li ascoltava, le mani che torturavano il tessuto del grembiule che indossava, il capo chino ed il volto arrossato: sembrava sul punto di piangere.
Fay abbassò gli occhi, e, improvvisamente, in quella piazza affollata dove nessuno gli aveva rivolto nemmeno uno sguardo, si sentì di troppo.
Non possedeva nulla, e si sentiva solo contento per l’idea che qualcuno gli avesse dato un nome. Ma quella sua piccola felicità gli sembrò tutto ad un tratto una grandissima colpa.
Che diritto aveva, lui, di chiamarsi “dono”, se la sua esistenza era iniziata lo stesso giorno in cui le vite delle persone in quella valle erano finite o cambiate per sempre?
Improvvisamente, si sentì responsabile di tutto quello che era accaduto, girò i tacchi e tornò in fretta verso il palazzo.



“L’eclissi era stata prevista da tempo, maestà.” Dichiarò uno dei sacerdoti con aria quasi indulgente, come se avesse di fronte una ragazzina capricciosa.
La regina lo scrutò con aria imperturbabile “Ho già assistito ad un’eclissi io stessa. Questa volta, sarà diverso. Non l’avrei sognato, altrimenti.”
L’anziano chinò il capo, in segno di deferenza.
“Qualsiasi ne sia la causa, quel ghiaccio non è naturale. Si sono ancora viste nevicate sulle cime più alte, anche all’inizio dell’estate, ma non è mai successo che il ghiaccio invada una valle, e che si espanda a una tale velocità.”
“Potrebbe essere la conseguenza naturale dello schianto di una cometa.” suggerì un sacerdote.
“Ammesso che sia naturale che una delle stelle si stacchi dal cielo e cada.” commentò un altro.
“Dopo lo schianto, quella valle era in fiamme, altro che ghiaccio. - puntualizzò Kurogane – Inoltre, la cometa non era ghiacciata, stando a quanto hanno riferito i miei uomini.”
Attorno al lungo tavolo di legno dove sedevano, per qualche interminabile istante, si fece un totale silenzio. Il signore di Suwa scrutava uno per uno i volti dei sacerdoti, le cui rughe non riuscivano a dissimulare le espressioni dubbiose. Accanto a lui, il principe incrociò le braccia, spazientito.
“Se quel ghiaccio avanza ancora, distruggerà i raccolti. Non è qualcosa che possiamo permetterci.” Affermò semplicemente il re dopo un po’.
“Non esiste modo di fermare l’avanzata di un ghiacciaio o di…qualsiasi cosa sia.” replicò uno degli anziani.
“Se la causa non è naturale, allora deve essere trovata e rimossa.” rispose con calma.
I sacerdoti si scrutarono in volto.
Alla fine, uno di loro – Tabkins, un uomo piccolo e molto anziano, i capelli candidi e sottili sciolti sulle spalle – fece per prendere la parola, ma l’uomo accanto a lui – Vaikaris, più robusto e meno anziano, una folta barba grigia che penzolava fino al piano del tavolo – si alzò in piedi e parlò al suo posto.
“Sire – esordì – come bene sapete, esiste una leggenda…” “Una profezia!” puntualizzò l’omino dietro di lui.
“…una leggenda che si tramanda qui a Suwa da generazioni.”
“Dalla polvere di un tempo ormai dimenticato,
verrà il distruttore di mondi –
Verrà dalla dimensione del sangue
Dove la morte è un dono degli dei
Ed affronterà la vittima sacrificale –
Il cavaliere che domina il fuoco delle stelle”
Recitò la regina a mezza voce. “Sono i versi scolpiti da secoli nella pietra del tempio” disse.
“Quando siamo venuti a conoscenza della caduta della cometa, alcuni di noi hanno suggerito che… ecco, che le due cose potrebbero essere collegate.”
Si fermò un momento per pensare a cos’altro dire, ed in quella Tabkins ne approfittò per saltare in piedi a sua volta.
“E’ un presagio di sventura, vostre maestà! – esclamò con voce raschiante – La distruzione della valle non è che l’inizio della distruzione di tutto il regno!”
Il suo collega gli rivolse uno sguardo di rimprovero, voltandosi poi verso i sovrani con aria di scusa, ma, prima che potesse parlare, il re lo bloccò con un cenno della mano.
“Quello che sta accadendo è già abbastanza stupefacente di suo. Non sarebbe incredibile, se l’unica spiegazione fosse riconducibile alle parole di quell’antica leggenda.”
A quelle parole, la regina chinò il capo. La voce del marito suonava decisa e forte, come sempre… ma lei sentiva che quello non era che l’inizio di un incubo.

Più tardi, abbandonata la sala del consiglio, i signori di Suwa si affacciarono dalla cima di una delle torri del palazzo, ad osservare silenziosi la città che si stendeva sotto di loro alla luce del crepuscolo, via via sempre più fioca.
A quell’altezza, il vento soffiava forte e gelido, e il re mise il suo mantello sulle spalle della moglie. Lei gli si appoggiò al petto, gli occhi che vagavano seri sui tetti delle case della loro gente.
“Più tardi riunirò i miei uomini. Dobbiamo andare a scoprire che cosa sta succedendo.”
Lei chinò la testa, cercando la sua mano e stringendogliela.
“Dormi con me, stanotte. – sussurrò – Ho paura dei sogni che potrei fare.”
Il re ricambiò la stretta.




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Capitolo 5
*** IV. The Age Of Mystic Ice (II parte) ***





@Adrienne: sì, il capitolo l'ho diviso a metà.. il fatto è che, volendomi attener ai titoli delle canzoni del CD, devo "farci stare" la storia, e ogni tanto straborda XD

@LawlietPhoenix: grazie, sono contenta che risultino IC, ogni tanto mi sa di andare fuori... beh, tenterò di fare del mio meglio ^^' Eh, l'angst ci sarà. Ma io non sono le Clamp ù_ù

@Pentacosiomedimni: grazie del bel commento <3
Mi piace la scelta di questa versione di Kurogane che sembra già provare quel senso di protezione, che nella versione originale lo spinge a rinunciare senza indugio ad un braccio pur di continuare ad avere vicino Fay -> in questa storia, Kurogane non ha perso i genitori, quindi ho pensato che, visto che ha potuto crescere con il loro affetto sempre presente, sarebbe potuta andare anche una versione più "protettiva", appunto! XD

Buona lettura! Alla prossima settimana per il nuovo capitolo!






IV.
THE AGE OF MYSTIC ICE (II PARTE)






Più in basso, Kurogane stava osservando quello stesso panorama attraverso le vetrate di un corridoio.
Vide Fay arrivare dalla città verso il portone del palazzo. Camminava a passo veloce, quasi fosse di fretta, ma non appena fu nel cortile davanti all’ingresso rallentò, alzando il viso.
Stava certamente guardando il cielo - pensò Kurogane - osservando come il rosso del tramonto trascolorava velocemente nel viola della sera.
Che cosa sarebbe successo, se il sogno di sua madre si fosse avverato? Se il ghiaccio avesse ricoperto tutto? E poi, era una questione di se, o piuttosto di quando? Dove sarebbe andata la loro gente, che cosa ne sarebbe stato dei contadini, dei pescatori, di Fay?
Lo guardò sparire oltre i pesanti battenti del portone dell’entrata, chiedendosi perché mai, in mezzo all’ansia che provava per la sorte incerta del suo popolo, avrebbe dovuto preoccuparsi anche del destino di quello straniero.

A distoglierlo dai suoi pensieri fu la voce di Gantai, che lo chiamava dal fondo del corridoio.
Il principe gli andò incontro.
“Maestà, c’è una cosa che dovete assolutamente vedere! – esordì il tenente – Io e gli altri abbiamo raccolto alcuni pezzi di quel metallo scuro che avevamo notato ancora la prima volta… e ne abbiamo trovato uno davvero particolare.” Spiegò, mentre faceva strada al principe verso l’armeria.
Attraversando il portone che dava sul cortile interno del palazzo, si imbatterono in Fay, che stava vagando lentamente, a passi leggeri, sull’acciottolato del cortile, con il naso all’insù.
“Buonasera!” lo salutò in fretta Gantai, superandolo.
“Gantai, Kuropon… buonasera a voi!” ricambiò il giovane, chinando leggermente il capo nel rispondere al saluto.
Kurogane ebbe la tentazione di fermarsi e rimproverarlo per la questione del nome, ma Gantai sembrava avere fretta. Inoltre, gli era sembrato di scorgere un velo di tristezza sul viso del biondo.
Questo, unito agli strani pensieri che lo avevano colto poco prima, lo indusse a rivolgere all’altro un brusco cenno d’invito con la mano.
“Seguici.”
Fay obbedì sorridendo, e i tre insieme entrarono nell’armeria.
A quell’ora della sera, la sala era vuota: i soldati erano tornati a casa, o si erano rifugiati nelle taverne, a raccontare di quello che avevano visto nella valle e a berci sopra una buona dose di vino o birra per dimenticarsene in fretta.
Gantai chiuse la porta alle loro spalle. L’armeria era praticamente buia, ed il tenente si affrettò ad accendere una lampada ad olio, facendo strada agli altri due verso uno degli angoli della sala, finché non raggiunsero un tavolo.
La superficie era coperta da un drappo di stoffa che si modellava pesantemente seguendo le sagome che nascondeva. Gantai la sollevò, rivelando al di sotto alcuni pezzi di metallo scuro di svariate grandezze.
Pezzi della cometa – pensò subito Fay – e infine, al centro, qualcosa di diverso.
“Questo è strano, vero?” commentò il soldato, prendendo cautamente in mano l’oggetto.
Il metallo di cui era fatto era chiaro, levigato, e non sembrava essere un frammento di qualcosa che era andato in frantumi, come invece gli altri pezzi. Questo era compiuto in se stesso, di una forma precisa anche se sconosciuta.
Era composto da quello che sembrava un grosso cilindro leggermente bombato, con una piccola apertura circolare ad una delle estremità, mentre dall’altra era agganciato – agganciato? Sembrava piuttosto un pezzo unico – un altro cilindro più corto e sottile, molto schiacciato, il cui metallo era ruvido, e attraversato, sui lati, da morbidi avvallamenti.
Kurogane lo prese in mano per osservarlo da vicino.
“Vedete? Ci sono tutti questi strani solchi e sporgenze… e questo sembra un simbolo, o una decorazione.”
Fay scrutò a sua volta l’oggetto: la superficie del cilindro più grosso era molto irregolare, rigata da strisce di colori diversi, e, a metà, vergata da un’incisione che il giovane, pur non capendone il significato, interpretò all’istante come una scritta.
“A che accidenti serve?” fece Kurogane rigirandosi in mano l’oggetto.
Impaziente, lo scosse e ci tamburellò con le dita. Poi, accorgendosi improvvisamente di qualcosa, lo guardò più da vicino.
“E questo? Prima non c’era.”
Fay e Gantai si avvicinarono. Toccando qua e là l’oggetto, Kurogane doveva aver aperto una sorta di piccolo vano sotto al punto di giunzione dei due cilindri. Il principe ci guardò dentro con curiosità.
“C’è qualcosa… una specie di leva…” e fece per metterci dentro un dito.
“No! Sta’ fermo!” saltò su Fay, strappandogli l’oggetto di mano all’improvviso.
“Ehi, che accidenti fai?!” esclamò il principe risentito.
“Potrebbe… potrebbe essere pericoloso.” si giustificò l’altro. Nemmeno lui era sicuro del perché avesse compiuto quel gesto, ma gli era sembrato di importanza vitale.
“Non sappiamo nemmeno che cosa sia.”
Anche lui se lo rigirò in mano cautamente. Ma, all’improvviso, le sue dita presero quasi a muoversi da sole.
Dall’altra parte della sala, appoggiati alla parete, stavano alcuni bersagli per il tiro con l’arco.
Muovendosi in maniera quasi inconscia, Fay puntò l’oggetto verso uno di quelli, e infilò abilmente l’indice nella piccola fessura sotto il cilindro.
Un momento dopo, la sala venne illuminata a giorno da un improvviso lampo di luce, e il bersaglio esplose, scagliando tutt’intorno una miriade di schegge.
Sentendo il rumore dello scoppio Fay si spaventò, tornando improvvisamente in sé, e facendo quasi cadere a terra l’arma.
“P-per il cielo!” esclamò Gantai, correndo a vedere che danni aveva provocato l’esplosione.
La parete dietro al bersaglio era annerita, intaccata e scheggiata dal colpo.
“Come accidenti hai fatto?” fece Kurogane con voce dura.
“Ah, è semplice… ho premuto il grilletto.” Anche nel buio che era improvvisamente caduto su di loro – visto che Gantai aveva portato con sé la lampada ad olio – Fay poteva intuire l’occhiata inquisitoria che gli stava lanciando l’altro.
“Voglio dire, la piccola leva che c’è qui dentro.. – si corresse – poi, è uscita la luce, dalla bocca, qui…” continuò indicando l’apertura all’estremità del cilindro.
“Questo l’ho visto anch’io.”
“Beh, sì, insomma… è un affare pericoloso.” tagliò corto Fay, riponendolo con cautela al suo posto sul tavolo.
“Puoi ben dirlo! – esclamò Gantai tornando vicino a loro e illuminando l’oggetto con la lampada – Come caspita hai fatto a farlo funzionare? Per fortuna che miravi ben lontano da noi…”
“Mmh.. beh, ho tirato a indovinare.” rispose Fay evasivamente, ma il soldato sembrava troppo preso dall’esame dell’arma per prestare attenzione alla sua risposta.
“E’ un’arma davvero portentosa, in ogni caso. – disse Gantai osservandola con ammirazione – Ha quasi bucato il muro della sala. E il raggio che ne è uscito… mi ha ricordato la notte in cui è caduta la cometa. Aveva dietro di sé una scia di luce abbagliante, come questa. Non è che da qui ne è uscita una in miniatura?!”
Kurogane rimase a fissare la “cosa” a braccia conserte, silenzioso e corrucciato.
“Mio padre ci vuole riuniti nella sala del consiglio subito dopo cena. – disse alla fine – E questa rimane con me.”
Prese l’arma e la avvolse nel drappo, avviandosi poi verso la porta, seguito dagli altri due.


Il giorno dopo, il signore di Suwa ed un gruppo scelto dei suoi soldati partirono alla volta della valle, con la semplice intenzione di vedere con i loro occhi il ghiaccio e controllarne l’avanzata.
Kurogane e sua madre rimasero ad osservare i cavalli allontanarsi, fino a che non furono spariti nel folto dei boschi che delimitavano la pianura. Quella mattina, nonostante il sole estivo già alto nel cielo, il vento gelido non aveva smesso di soffiare, impietoso, dalle montagne.
La regina era pallida in volto, a testimonianza di una notte praticamente insonne.
“Va tutto bene?” le chiese Kurogane, dandole il braccio, mentre i due rientravano all’interno del palazzo.
“Sì – rispose lei, con un sorriso mesto – ho solo un po’ di nostalgia.”
“Nostalgia di mio padre?”
“Nostalgia dei tempi tranquilli che ci stiamo lasciando alle spalle.” La sua voce suonava stanca, come se fosse invecchiata all’improvviso.
“Avete sognato altro?”
Lei scosse il capo “No. Ho dormito poco, e gli incubi che ho fatto erano maggiormente legati alle parole dei sacerdoti che non a qualche infausta premonizione.”
Scesero in silenzio le scale della torre, ma, ad un tratto, la regina si fermò per guardare il figlio diritto in volto.
“Io non lo so che cosa ci aspetta. – disse con un tono quasi di scusa – Non so quale sia il futuro che aspetta te… quando sei nato, speravo che potesse essere un futuro luminoso, di pace e prosperità. Ma tutto quel buio che ho visto nel sogno...”
Kurogane ricambiò il suo sguardo. La comprensione dei sogni della madre era al di là delle sue capacità, come lo era il poter immaginare quali sentimenti suscitassero in lei quelle visioni notturne. I suoi sogni premonitori si avveravano sempre, lo sapeva, ma il principe non era spaventato.
“Oh, lo so che tu non hai paura – proseguì la madre, un sorriso dolce che le sbocciava sul viso – Hai il coraggio e la generosità di tuo padre… non lasciarteli portare via, qualsiasi cosa accada.” Si raccomandò, nuovamente seria.
Non si dissero altro, e ripresero la discesa delle scale.

Pranzarono assieme a Fay in una piccola sala del palazzo; il giovane si presentò ringraziando per l’invito.
“Sei tu a farci piacere, Fay – gli rispose la regina – E’ rasserenante vedere il tuo sorriso.”
L’altro accennò un inchino col capo. “Ne sono felice… del resto, immagino che la sola compagnia di Kurotan possa risultare un po’ noiosa, ha sempre un tale broncio…” lo stuzzicò Fay.
“Sei tu che scherzi e ridi a sproposito.” replicò seccamente il principe.
Sul sorriso e nello sguardo di Fay calò un velo di tristezza “E’ vero, scusate. In un momento come questo, sorridere troppo è fuori luogo.”
La regina cercò gli occhi del ragazzo con i suoi. “Se smettiamo anche di sorridere, è come se l’oscurità ci avesse già inghiottiti. Inoltre, te l’ho già detto – aggiunse sporgendosi verso il biondo con fare cospiratore - è bello vedere mio figlio così vivace. Di solito non è un gran chiacchierone.”
“Beh, non è che si possa definirlo così nemmeno adesso… ma chissà come doveva essere prima, allora!” commentò Fay malizioso, sporgendosi a sua volta verso la regina.
Kurogane sollevò un sopracciglio, vagamente irritato per lo scambio di battute. Eppure, si scoprì a provare uno strano senso di serenità, a guardare sua madre e lo straniero che ridevano bonariamente di lui.
Durante il pranzo, non parlarono né dei sogni della regina, né della cometa, né del ghiaccio innaturale e dei potenziali pericoli che comportava. Non menzionarono nemmeno l’arma trovata nella valle ed i suoi poteri misteriosi.
La regina raccontò al loro ospite episodi della storia di Suwa e aneddoti della vita di corte, includendo volentieri qualche storiella riguardante l’infanzia di Kurogane.
In quei momenti, Fay ridacchiava, sinceramente divertito all’idea delle gesta del piccolo principe, e lo guardava sorridendo da oltre i calici colmi di vino, come se lo stesse immaginando bambino, appena di ritorno dalla sua prima cavalcata in compagnia del padre, trionfante e sporco di fango.
“Ma cosa andate a raccontargli, madre?!” sbottò ad un certo punto, quando la regina iniziò a narrare l’episodio della caduta del suo primo dentino da latte.
“Eri così fiero e spaventato, figlio mio – gli rispose lei, gli occhi persi nel ricordo – ti faceva male, ma insistevi che un guerriero che stava già imparando a maneggiare una spada non poteva assolutamente spaventarsi all’idea di farsi togliere un dente…però non ti decidevi mai, e rimanevi imbambolato a farlo dondolare con le dita, finché non ti è rimasto in mano.”
“Ahaha, che tenero, Kuropon! – esclamò deliziato Fay – Posso proprio immaginarti!”
Il principe scrutò entrambi con fare scontroso. La madre lo guardava con gli occhi pieni di tenerezza, e fu sorpreso di scorgere uno sguardo molto simile anche negli occhi celesti dello straniero.
Si voltò dall’altra parte, imbronciato, per dissimulare l’improvviso rossore che gli aveva imporporato leggermente le guance. Passò il resto del pranzo ad evitare di pensare all’episodio, per non arrossire di nuovo.

Dopo che si furono congedati dalla regina, si avviarono in silenzio lungo i corridoi, con Fay che sbirciava di sottecchi il guerriero accanto a lui. Era difficile immaginarselo preoccupato al pensiero di togliersi un dente, ma era anche, tutto sommato, confortante.
Si chiese se anche nel suo passato, che rimaneva un pozzo buio, ci fossero stati momenti simili. Gli sarebbe piaciuto ricordarli, e forse anche condividerli.
Ad un tratto, Kurogane si voltò verso di lui. Fay gli sorrise.
Il principe si innervosì: perché sorrideva? Non possedeva nulla, non sapeva nemmeno chi era… già, chi era? Chi era stato, prima di perdere la memoria? E perché mai avrebbe dovuto importargli, al di là del fatto che la sua comparsa sembrava collegata allo schianto della cometa?
“Seguimi.” disse soltanto.
L’altro lo seguì senza replicare, finché il principe non richiuse una pesante porta alle loro spalle.
“Queste sono le tue stanze, Kuropon… ehi, non mi avrai condotto lontano da occhi indiscreti per vendicarti del fatto che sono venuto a conoscenza dei tuoi segretucci?!” esclamò, fintamente spaventato.
“Tsk, fossi in te, non sarei io a parlare agli altri di segreti.”
Si trovavano in una sorta di piccola anticamera, e il principe si diresse immediatamente verso un tavolo in un angolo.
“Dimmi come hai fatto a far funzionare questo aggeggio, ieri.”
Sul tavolo era poggiato un involto di stoffa; Kurogane iniziò a svolgerla, ma Fay sapeva già che cosa conteneva.
“Te l’ho spiegato.” Gli rispose.
“No. Tu mi hai spiegato come lo hai fatto materialmente, ma non come facevi a sapere che funzionava così.”
Il biondo sorrise, sulla difensiva. Il tono del principe suonava accusatorio.
“Questo non lo so.”
“Però sapevi come far funzionare quell’arma, e che ne sarebbe uscita quella… quella luce. Infatti, l’hai puntata su quel bersaglio.”
“Beh, mi è venuto d’istinto – Kurogane gli scoccò un’occhiata scettica, e Fay si affrettò a correggersi – cioè, l’ho intuito. Insomma, assomiglia, vagamente, a quelle armi… le balestre. Ne avete l’armeria piena. Anche qui, c’è un’impugnatura, e poi da qua esce il proiettile.” Spiegò indicando le parti dell’oggetto.
“Sei l’unico a vedere una somiglianza tra una balestra e questa…”
“…pistola.” terminò Fay. Non sapeva nemmeno lui perché, ma quel nome gli era sfuggito di bocca come se fosse la cosa più naturale del mondo.
“Pistola?”
“Sì. Non suona bene, come nome?”
Fay gli sorrise, come se l’avesse inventato lì per lì, ma Kurogane fece un passo verso di lui, vagamente minaccioso.
“Tu l’avevi già vista, questa pistola.”
L’altro si umettò le labbra. “Non che io ricordi.”
“Non l’hai mai vista prima, però sai come funziona e anche qual è il suo nome.”
Kurogane prese in mano l’arma, puntandola verso Fay. Il tono della sua voce era grave, adesso, e quasi minaccioso.
“Sono il principe di questo paese. Ho imparato a usare le armi ancora prima di imparare a camminare. Ho combattuto vari nemici, e sono stato ospite alle corti di tanti paesi stranieri, ma non ho mai visto né tanto meno sentito parlare di un’arma del genere, che…”
“…che sprigiona una luce simile a quella delle stelle?” suggerì Fay, fissando preoccupato l’arma puntata contro di lui.
Improvvisamente, a Kurogane apparve fragile. Sotto i ciuffi ribelli dei capelli biondi, i suoi occhi sgranati scrutavano ora l’arma, ora il volto del principe, cercando di capire se avesse o meno intenzione di premere il grilletto.
Lo sapeva, che mentiva. O meglio, che non era in grado di dire la verità. E nonostante questo, non poteva vedere in lui un vero nemico, anzi.
Abbassò la pistola, tornando a rigirarsela tra le mani.
“E nonostante la mia esperienza, non credo che sarei stato in grado di comprendere il funzionamento di questo pezzo di metallo pochi istanti dopo averlo visto per la prima volta.” concluse. Ma era chiaro che si aspettava ancora che Fay gli rispondesse.
Il biondo incrociò le braccia; sembrava aver riguadagnato tutto il suo spirito. “Allora questo potrebbe voler dire soltanto che io sono più intelligente di te, Kuropon!”
Kurogane lo guardò male. “Ma davvero?! - rispose, piccato – Bene, allora vorrà dire che mi aiuterai a scoprire come funziona nel dettaglio.” decretò.



Cavalcarono fino ad un bosco non molto distante dalla città. Le raffiche di vento erano meno forti, nel folto degli alberi, e i due giovani si dedicarono a scoprire il funzionamento della pistola.
“Allora… il grilletto… la leva, intendo, può essere spostata, a seconda della pressione che usi, il colpo sarà più o meno potente.” Spiegò Fay, passandogli l’arma.
Si strinse nel mantello, mentre Kurogane usava un tronco secco come bersaglio su cui esercitarsi. Solo ora, Fay si rendeva conto che, il giorno prima, aveva usato inconsciamente il minimo di potenza possibile… o avrebbe distrutto la sala dell’armeria, altrimenti.
Chiuse gli occhi.

“Questi sono i nuovi modelli. Imparate a usarli in fretta. Sono la vostra arma più potente contro…”

L’esplosione del tronco lo richiamò bruscamente alla realtà.
“Tsk, volevo solo fargli un buco.”
“Aspetta, prova così.”
Fay sovrappose la sua mano a quella del principe, indicandogli il livello di pressione adeguato. Le sue dita si muovevano sul metallo dell’arma con una sicurezza che sconcertava perfino lui stesso. Come se avesse ripetuto quei gesti all’infinito, prima di quel pomeriggio.
Tornò ad avvolgersi nel mantello. Nella sua testa, la voce taceva, ma il gelo di quel tono aveva lasciato in lui una sensazione di paura strisciante.

Questa volta, Kurogane centrò il suo bersaglio, aprendo un varco netto a metà esatta del tronco.
“Beh, niente male!” commentò, sorridendo soddisfatto.
Fay lo applaudì “Bravo davvero, principe della luce delle stelle!”
Kurogane ricambiò l’epiteto con un’occhiataccia, ma l’altro continuò ad applaudire. Con il rumore e l’allegria, tentava di scacciare l’oscurità che gli si era addensata nella mente.


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Capitolo 6
*** V. Prince Of The Starlight ***


@ Adrienne: Fay nei panni della amata nuora è una fantasia amorevole che contrasta efficacemente alla fantasia di yuui trascinato in un sexy shop da shaoron!!! --> ma questa non te l'ho mica causata io, no?! XD Comunque sì, Fay nuora è... canon. E la madre con lui si sarebbe divertita un sacco. Uhuh. 

@ LawlietPhoenix:
ciao Aster XD bene, sono più che felice che la storia stimoli la vostra curiosità ù_ù

@ Pentacosiomedimni: *si fa piccola piccola per via delle minacce* uh.. di nuovo, sono felice di sapere che la faccenda dell'identità di Fay vi incuriosisca. Da parte mia sarei curiosa di sapere le vostre ipotesi al riguardo! ;D

@ Yuki Ishimori: sono felice che tu ti sia appassionata a Luca Turilli, è un musicista divino!

Resistete ancora questo capitolo che poi torna il Kurofay  ù_ù
Aggiornamento nel prossimo week end, bacini!






V.
PRINCE OF THE STARLIGHT




Ascoltatela qui!

Star... light... SHINE!

They are coming out from the ice, from the furthest deepest caves
Bringing real pain to all, leading black death to this world...
Creatures born from ancient fears, trapped until this new mystic eclipse...
This new eclipse!
Now they know the ancient legend was not ramblings of old fools
"...when the fireball will so fall, we'll see a black night without moon..."

In the tragic daily events, there's no place for their true love
Love born from seed unknown...Arkan's last pleasure and hope...
Cosmic journey of emotions, between hearts of distant space...
Of distant time...
But the dark fight has to be won if they want to live their lives
To defend their planet Zaephyr from the threat of deathly ice

FROM THIS GODFORSAKEN PLACE
WHERE THE ENEMY HAS NO FACE
I CALL THE MYSTIC STARLIGHT
TO ENLIGHT MY PLANET DAMNED
IN THIS REQUIEM FOR MY LAND
MY PRINCE OF THE STARLIGHT...
STARLGHT!





Kurogane passò diverse giornate nascosto tra i boschi a prendere confidenza con la nuova arma.
Era rimasto a palazzo senza seguire il padre per occuparsi delle questioni del regno e per rimanere vicino a sua madre, la quale, giorno dopo giorno, sembrava sempre più segnata dalla preoccupazione che scaturiva dai suoi sogni; tuttavia, non appena poteva, montava a cavallo e raggiungeva quel bosco in compagnia di Fay.
Quest’ultimo era ben felice di seguirlo: a palazzo non aveva nessuna occupazione particolare, mentre in compagnia di Kurogane, fuori in mezzo a quegli alberi, gli sembrava di avere un senso, anche se quel senso si fosse trovato nel solo starlo a guardare e nello sparare anche lui qualche colpo di tanto in tanto.

Uno di quei pomeriggi, Gantai li stava osservando allontanarsi al galoppo da una delle torri che delimitavano le mura della città.
“Buon pomeriggio, tenente.” fece una voce alle sue spalle.
“Sacerdote Vaikaris, sacerdote Tabkins.” Gantai chinò il capo salutando i due anziani, in segno di deferenza.
Vaikaris scrutò con aria intenta il panorama. “Sembra che sua maestà il principe si intrattenga volentieri con quel giovane straniero, non è così?”
“Sì, è un tipo in gamba.” disse semplicemente Gantai.
“In gamba, davvero? E come mai?”
Gantai fece per rispondere, ma ebbe un attimo di esitazione.
Al momento, la faccenda di quella strana arma era rimasta tra lui, Fay, il principe ed il sovrano. Inoltre, sapeva bene che Kurogane non amava eccessivamente il gruppo dei sacerdoti.
“Beh, si dice, no? E’ uno sveglio, insomma. Non è difficile gradirne la compagnia.”
“Questo è un bene. - sorrise l’anziano – Sai, viviamo in tempi difficili. E’ una fortuna che i nostri sovrani ritengano di potersi fidare di uno straniero, di cui non si conosce nemmeno l’identità… uno che compare nello stesso momento in cui un enorme e sconosciuto oggetto distrugge uno dei nostri villaggi… - il tono di Vaikaris era meditativo, ma a Gantai parve di cogliervi un sottile velo di ironia – Una cosa piuttosto rara, oserei dire. Ma il nostro principe ha sempre avuto una certa passione per il rischio e per i giochi pericolosi…”
“Non si gioca con le profezie!” sibilò a quel punto il vecchietto al suo fianco.
Gantai li osservò, incerto, senza sapere che cosa replicare. Ma Vaikaris continuò il suo monologo, gli occhi sempre persi all’orizzonte.
“E’ un’epoca inquieta, dove si farebbe meglio a tenersi ben stretti le nostre certezze, invece che buttarsi in nuove avventure.”
“Voi ritenete che Fay… che lo straniero sia pericoloso?”
Il sacerdote gli scoccò una lunga occhiata “Io so solo che stanno accadendo fenomeni inusuali, e che una causa, da qualche parte, deve esserci.”
A quel punto, i due sacerdoti proseguirono oltre, e a Gantai non rimase che salutarli con un deferente inchino del busto.


Il giorno dopo – prima di quanto non ci si aspettasse – le sentinelle della città avvistarono il vessillo del re e dei suoi cavalieri, di ritorno alla capitale.

Kurogane e Fay erano nel bosco, e osservavano compiaciuti il risultato dei loro esercizi quotidiani (che in effetti si traducevano in tronchi divelti e ampie zone di bosco distrutte). Erano avvolti in vestiti pesanti; in quegli ultimi giorni, la temperatura era scesa parecchio e il vento gelido non dava un attimo di tregua.
“Beh, caro principe della luce di stelle, si vede proprio che sei nato con le armi in mano.” commentò il biondo, applaudendolo.
“La stessa cosa può dirsi di te.” fu la risposta.
Nonostante le implicazioni di quell’affermazione dessero vita, nella mente di Fay, a pensieri poco piacevoli, la voce del principe non nascondeva un certo riconoscimento delle sue abilità, e il biondo sorrise, prendendolo quasi come un complimento.
Ma Kurogane non aveva certo intenzione di adularlo.
“Non credere che la risposta dell’altro giorno mi basti.” aggiunse, guardandolo diritto negli occhi.
Più che come una minaccia, suonava come una sfida, anche se non era chiaro se la stesse lanciando a Fay o a se stesso.
Un momento dopo udirono lo squillo delle trombe annunciare il rientro del re.
Kurogane fu subito a cavallo, pronto ad andare incontro al padre.
“Va’ pure, io ti seguo. – disse Fay, montando con calma sul suo animale – Non cavalco veloce come te, ti farei rallentare.”
Il principe gli rivolse un ultimo sguardo, prima di lanciare il cavallo al galoppo, e Fay lo seguì con gli occhi mentre spariva tra i tronchi. Lo aveva lasciato andare avanti apposta: quel discorso non sarebbe finito lì, ma per il momento il principe era stato costretto a lasciarlo in sospeso, e per lo straniero era meglio così.

La prima cosa che Kurogane notò, avvistando i cavalieri sulla pianura di fronte a lui, fu che il loro numero era diminuito. Inoltre, la postura di suo padre a cavallo non era eretta come al solito. Spronò il suo animale alla massima velocità, improvvisamente in ansia.
Non appena vide avvicinarsi il cavallo del figlio, il re fermò il suo e scese di sella per salutarlo, ma lo fece con evidente difficoltà.
“Padre!” esclamò Kurogane, scendendo a sua volta.
“C’è stato qualche imprevisto in più.” disse soltanto il re. Sotto l’armatura e la tunica si potevano notare le bende che gli cingevano il torace.
“Ne parleremo poi.” disse il principe aiutandolo a risalire a cavallo.
Il re assentì. “Avverti le guardie che si preparino ad accogliere dei nuovi profughi.” disse soltanto.
Prima di tornare a spronare il cavallo verso la città, Kurogane si girò indietro e vide che Fay li stava raggiungendo. Lo seguì con gli occhi finché non fu vicino, dopodiché voltò il cavallo e si diresse verso la città.
Lo straniero e le cose che voleva dirgli avrebbero dovuto aspettare, per quel giorno.


“Il ghiaccio è avanzato ancora, e molto.” esordì il re, non appena ebbe riunito davanti a sé i sacerdoti ed i capi dell’esercito. Non aveva accettato di farsi medicare, ed era andato diritto nella sala del consiglio. Appariva molto provato dal viaggio, ma nel suo sguardo era chiara la determinazione a non farsi sopraffare dalla stanchezza.
“E’ arrivato fino al fiume. Posso immaginare che, alla velocità con cui avanza, a quest’ora lo abbia già superato.”
“Siete stati attaccati dai nomadi?” chiese Vaikaris, lo sguardo cupo sotto le sopracciglia folte e spioventi.
“No. Appena abbiamo cominciato ad attraversare la zona ghiacciata, abbiamo per forza dovuto rallentare il passo. Ad un tratto, siamo stati investiti da una tempesta di neve, e nel bel mezzo della tormenta, siamo stati circondati da quelli. Erano…”
“Demoni.” suggerì l’anziano capitano accanto a lui.
Il re annuì lentamente “Demoni, immagino che si possa chiamarli così. Sono poco più alti di un essere umano, avvolti da una spessa corazza, con artigli affilati e lunghi più delle nostre spade. Si muovono su quattro zampe, per aver miglior presa sul terreno gelato, e sono dannatamente veloci.
Inutile dire che non avevo mai visto né sentito parlare di nulla del genere: avremmo voluto riuscire a sconfiggerne uno per poterlo esaminare, ma non ce l’abbiamo fatta. – ammise con voce pacata – Le nostre armi non sembravano scalfirli, ed erano abili a sfruttare la tormenta per nascondersi. Siamo stati costretti a battere in ritirata, prima di essere sopraffatti.” Il sovrano non nascose una certa dose di amarezza nella voce. Ammetteva una sconfitta, ma riconosceva anche che il nemico, questa volta, era stato al di là della loro portata.
Avevano mandato alcuni soldati – quelli usciti illesi dallo scontro – ad avvertire del pericolo imminente gli abitanti delle fattorie che sorgevano ai piedi delle montagne.
“Demoni abitanti dei ghiacci…” commentò Vaikaris, quasi incredulo.
“Seguiranno il gelo nella sua avanzata. Non so quanto si espanderà, ma se continuerà alla sua velocità attuale, presto anche la nostra città potrebbe non essere più un luogo sicuro dove rimanere.” disse lentamente il re, osservando gli astanti.
Sua moglie, all’altro capo del lungo tavolo, chinò la testa. Sapeva che sarebbe successo esattamente quello che il suo signore temeva – lo aveva sognato: il ghiaccio sarebbe arrivato alle mura della città, e l’avrebbe intrappolata.
A quel punto, anche tutti gli altri compresero. Suwa non era un grande regno, se non potevano rimanere nella capitale o nelle sue campagne, dove sarebbero andati? E se il ghiaccio non si fosse fermato, e li avesse inseguiti?
“E’ la profezia che si avvera. Il ghiaccio è stato portato dalla cometa, e i mostri sono comparsi insieme al ghiaccio. La cometa è arrivata per distruggere noi e il nostro mondo.” borbottò Tabkins a mezza voce, ma, nel silenzio generale, le sue parole risuonarono come pugnalate.

Era ormai notte quando Kurogane uscì dalle stanze del padre.
Fay emerse dalle ombre del palazzo, un’espressione preoccupata sul viso, e gli si fece incontro. Quando se lo vide davanti, il principe provò un misto di sentimenti diversi: c’era una vaga sensazione di disagio e preoccupazione, come se il ritrovarselo di fronte gli avesse ricordato improvvisamente che tutta quella situazione era misteriosa ed oscura esattamente come lui – anche se il mistero che lo circondava, per il principe, non era solo quello della sua identità.
Ma provò anche sollievo: non l’aveva più visto, da quando se l’era lasciato alle spalle sulla pianura, e ritrovarselo davanti gli fece piacere, in fondo. Del resto, la compagnia di Fay sembrava avere il potere di ricondurlo ai loro problemi e, insieme, di distrarlo da essi.
“Come sta?” chiese lo straniero, riferendosi al re.
“Sta riposando.”
La regina era rimasta accanto al suo letto, a vegliarne il sonno.
“Le ferite sono tanto profonde?”
“Guariranno. Deve riposare.”
Fay annuì. Il problema era: quanto a lungo quella città sarebbe rimasta un posto dove poter riposare al sicuro?
“Mi dispiace per quello che sta succedendo.” disse, lo sguardo fisso a terra.
Kurogane non rispose, continuando a camminare a passo deciso lungo i corridoi.
Fay non ebbe bisogno di guardarlo in volto, per capirne l’espressione: labbra serrate, fronte aggrottata e uno sguardo impavido negli occhi scarlatti.
“Vuoi andare là fuori, vero?”
Il biondo interpretò il silenzio dell’altro come un assenso.
“Là fuori, a vedere se questa può funzionare contro quei demoni.” continuò, tirando fuori la pistola con un sorriso da ‘ti conosco bene, caro Kuropon’.
Finalmente, Kurogane lo guardò.
“…e vengo anch’io.” terminò Fay, rimettendo l’arma nella cintura.
Non ricevette risposta nemmeno questa volta, ma l’espressione del principe divenne tutt’ad un tratto imperscrutabile.
Rimase a fissare lo straniero per un lungo attimo. C’erano un’infinità di domande che avrebbe voluto fargli, ma – realizzò – gli sarebbe stato bene anche rimanere in silenzio, lì, nei corridoi in penombra, a scrutare quegli occhi turchesi.
Sapeva bene di non avere tempo né per l’una, né per l’altra cosa.
“Vado a cercare Gantai. I miei uomini saranno pronti domani mattina presto.”
Fay annuì, e rimase ad ascoltare l’eco dei suoi passi spegnersi tra le pareti silenziose.

La mattina dopo, la signora di Suwa si svegliò prima dell’alba. Nell’oscurità che precede il sorgere del sole, le raffiche di vento gelido avevano dato un po’ di tregua alla città; fuori e dentro le mura del palazzo regnava un profondo silenzio.
Raggiunse il letto dove suo marito stava ancora riposando, e si chinò a svegliarlo, sfiorandogli la guancia con le dita.
“Mi dispiace di averti destato – gli sussurrò – ma credo tu voglia venire a salutare tuo figlio. Potrebbe passare molto, molto tempo, prima che lo rivediamo di nuovo.”
Lui annuì semplicemente, mettendosi lentamente a sedere.
Non disse nulla, ma ebbe l’impressione che quel ‘molto, molto tempo’ potesse significare ‘mai più’.

Bardato dei suoi pesanti abiti invernali, Kurogane scese nel cortile davanti all’armeria, dove i suoi soldati si stavano già riunendo; impegnati a preparare i loro cavalli, lo salutarono con brevi cenni del capo.
Leggermente in disparte, stava Fay, avvolto in un lungo mantello chiaro orlato di pelliccia, intento a scrutare i preparativi degli uomini.
Gantai raggiunse immediatamente il principe per porgergli le briglie della sua cavalcatura, già pronta.
“Maestà… ma lui viene con noi?” domandò titubante, indicando lo straniero che si guardava attorno sorridente per salutare gli altri.
“Sì.”
Gantai aprì la bocca per rispondere, ci ripensò, la richiuse.
La aprì di nuovo, dopo un momento.
“Credete che sia… saggio?”
Kurogane si voltò verso di lui con aria indagatrice. “Eh?”
“Voglio dire… è pericoloso… non sappiamo che cosa ci aspetta.”
“Viene con noi.” tagliò corto Kurogane, lasciando le briglie del suo cavallo nelle mani dell’altro.
Sulla soglia del cortile, aveva scorto le sagome dei suoi genitori.

“Padre, non dovreste…” esordì sollecito Kurogane, raggiungendoli quasi di corsa.
“Non dovrei rimanere qui a guardare mentre mio figlio parte per affrontare dei nemici sconosciuti e pericolosi. – replicò lui pacatamente – Ma ormai, sospetto che tu sia diventato un guerriero più forte di me.”
Nei suoi occhi bruni, era chiaro il desiderio di seguire quei guerrieri fuori dalle mura, verso i boschi irti di insidie.
Ma era anche evidente la consapevolezza di non essere all’altezza di tale compito.
“Tra quattro giorni sarà il tempo dell’eclisse – ricordò la regina al figlio – Fa’ molta attenzione.” Lo guardò come se volesse imprimersi nella mente ogni singolo particolare del suo aspetto.
Kurogane si chinò verso di lei, e la donna si sporse a baciarlo sulla fronte.
Fay si incamminò lentamente verso di loro, timoroso di interrompere il saluto, ma, come lo vide farsi avanti, la regina gli fece cenno di raggiungerli.
“Vi ringrazio dal più profondo del cuore per la vostra generosa ospitalità.” disse il giovane, inchinandosi. La regina gli sorrise teneramente, allungando una mano per accarezzargli una ciocca di capelli biondi.. “Avrai modo di goderne di nuovo, al tuo ritorno.”
Fay annuì, sorridendo con poca convinzione.
“Fate molta attenzione.” disse ancora. Poi, si rivolse a Kurogane. “Ci prenderemo cura di Suwa fino a che non tornerai per governarlo.” gli disse, chinando leggermente il capo in segno di congedo.
Kurogane rispose gravemente al suo saluto, un’improvvisa serietà nei suoi occhi scarlatti. Non sapeva perché, ma il tono della madre lasciava aperti dei sottointesi che tutto sembravano essere, fuorché di buon auspicio.
“Tornerò presto.” promise. Lei gli sorrise, ma non disse nulla.



Alla fine del primo giorno di cavalcata incrociarono il gruppo di soldati e contadini che fuggivano verso la capitale.
Ne approfittarono per farsi raccontare nuove versioni dello scontro con i demoni, e, quando ripartirono la mattina dopo, nella pianura sferzata dal vento, le espressioni dei soldati erano maschere gravi, i volti impegnati a non far trasparire la preoccupazione che li tormentava.
La sera del secondo giorno incontrarono il ghiaccio. Era avanzato anche più in fretta di quanto non avesse previsto il re.
Si accamparono nell’ultimo spiazzo di erba che furono in grado di trovare, e, durante la notte, iniziò a nevicare. La tormenta continuò fino al mattino dopo, ed i soldati ripresero il cammino che era ormai pomeriggio, avanzando lentamente nella neve caduta in abbondanza.

Fay iniziò a rimanere indietro.
Improvvisamente, gli doleva la schiena: la carne gli pizzicava, come se stesse venendo morsa dall’interno da tante piccole bocche invisibili.
Strinse le ginocchia attorno ai fianchi del cavallo, mentre il respiro affaticato gli usciva in piccole nuvole dalle labbra pallide.
Tutt’ad un tratto, avvertì una fitta improvvisa e istintivamente tirò le briglie del destriero per farlo arrestare. Ma quando aprì gli occhi, vide che anche i soldati attorno a lui erano fermi immobili, gli sguardi fissi sulla neve.

Quattro sagome si stagliavano di fronte a loro, ritte tra i tronchi degli alberi spogli. Solo le lunghe code acuminate si muovevano a scatti, impazienti e grigie come il cielo sopra di loro.
I demoni avevano zampe posteriori arcuate e potenti, mentre gli arti anteriori sembravano sottili lame puntate sulla neve. Da sotto la protuberanza ossea che proteggeva il cranio delle creature, baluginavano i riflessi freddi di occhi neri e spietati.
Nel momento in cui Kurogane sfoderò la spada per dare l’ordine di attaccare, i demoni si slanciarono su di loro, sibilando un grido di battaglia tra le zanne aguzze che riempivano le loro fauci.

Fay si piegò in due sulla sella, sopraffatto da una nuova, atroce fitta di dolore.
Sollevò a fatica gli occhi sugli altri, tentando di sfoderare a sua volta la spada che portava cinta in vita.

Le lame dei soldati cozzarono sordamente contro gli enormi artigli dei demoni.
Gantai combatteva in prima linea, a fianco del principe, tenendo un buon ritmo fino a che, complice la neve insidiosa sotto i suoi stivali, fu lì lì per perdere l’equilibrio. Riuscì a non cadere, ma perse la presa sull’arma, che finì lontano, irraggiungibile.
Con movimento repentino, il demone lo scagliò lontano nella neve, e subito gli si avventò addosso per finirlo.
Un attimo dopo, l’aria venne squarciata da un lampo di luce seguito da uno scoppio. Il mostro ora giaceva a terra, in mezzo ad una chiazza di neve sciolta, contorcendosi negli spasmi dell’agonia.
Kurogane voltò la pistola sul secondo demone, che lo fissava immobile, e premette il grilletto, imprimendogli tutta la pressione consentitagli.
Credette perfino di cogliere un guizzo di paura nei suoi occhi, prima che il colpo gli facesse esplodere la testa.

A quel punto, gli altri due demoni si diedero alla fuga, correndo agilmente in mezzo alla neve.
Kurogane fece per spronare il cavallo per inseguirli, ma ci ripensò; erano già svaniti.

Gantai si rialzò lentamente, guardando il suo principe con un misto di timore e gratitudine.
“Speriamo che questo li tenga lontani per un po’…” commentò.
Kurogane era sceso da cavallo.
Due dei soldati che avevano ingaggiato battaglia con i demoni erano feriti, e uno di loro perdeva sangue in abbondanza. Eppure, lo scontro non era durato che pochi attimi.
Coprì con la neve le tracce di sangue.
“Oppure potrebbero tornare con altri amici.” commentò semplicemente.
I soldati si guardarono l’un l’altro, per nulla rassicurati.
Gantai lanciò un’ultima occhiata alla strana arma che Kurogane stava ora riponendo nella cintura, e poi guardò Fay. Il biondo teneva gli occhi bassi, mentre rinfoderava la sua spada lentamente, quasi avesse paura di tagliarsi.


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Capitolo 7
*** VI. Timeless Ocean ***


Buongiorno!
Mi spiace per il leggero ritardo, avrei voluto pubblicare ieri ma non ce l'ho fatta... <<''
Cercherò di essere più puntuale! (buona fortuna, visto che il prossimo capitolo non è ancora finito...)

Ah, due cosine random:
1) ho fatto un paio di disegnini ispirati a Demonheart (cioè, in realtà il disegno è lo stesso reso in due modi diversi XD) : qui e qui sul mio account DeviantArt
2) è il mio turno (meglio tardi che mai) di fare un po' di sana pubblicità al forum Horitsuba Gakuen Italia - che sì, forse avete già sentito nominare ma repetita iuvant - dove c'è uno scleratissimo GdR ispirato al Clamp-verse (nello specifico, all'Horitsuba nonchè ad un'AU piratesca, dove Capitan Seishiro comanda la Perla Rosa che come albero maestro ha, ovviamente, un ciliegio) Veniteci, ci sono un sacco di cosucce molto spassose, e come sempre nuovi personaggi sono i benvenuti  ^^V


@ Francesca Akira: sì i due vecchi sono odiosi ò__ò
@ Adrienne: perchè Fay è un portasfayga, si sa
@ Tomoyo93: grazie mille! ^^ Eh.. non anticipo nulla sul finale. X3
@ Yuki Ishimori: grazie davvero del bel commento! Spero che in questo capitolo alcuni dei misteri incomincino a diradarsi (no, non è vero :P) in ogni caso, cercherò di fare del mio meglio per il finale XD
@ LawlietPhoenix:  eh in effetti sì... *angst per l'incombente finale di Tsubasa* vabbeh dai, io non sono le Clamp *ripetitiva pure io*





VI.



TIMELESS OCEAN






Ascoltatela qui!

Cold darkness reigns on all
it reigns in Arkan's soul
wounded love...destined soon to fall
She stays in front of him
caressed by howling wind
enemy... victim of the unknown

He needs no words at all
but she wants him to know
really what... her tortured mind still hides
The truth is even worse
a present with no hope,
soon to end... so hard to accept

BUT FROM HER EYES SO DARK AND SHY LOVE RIDES...
FLIES SO HIGH BEYOND THE STARS
NOT ASKING WHAT OR WHY
ALL HAPPENED FROM HER SAD COMING
IT JUST GOES ON FLYING HIGH
TO THE WAVES OF TIMELESS OCEANS






Non avevano fatto molta altra strada, quel giorno, e avevano finito con l’accamparsi poco dopo in uno spiazzo che avevano liberato alla bell’e meglio dalla neve.
I soldati erano cupi, silenziosi: quello che stavano vivendo era l’incubo più orribile che avessero mai fatto. Era chiaro a tutti che, se il ghiaccio fosse arrivato alla capitale, avrebbero dovuto andarsene da lì, e se e quei mostri avessero prosperato, non ci sarebbe stato scampo.
Avevano sentito i sacerdoti parlare della profezia, ed ognuno di loro sapeva a memoria quelle poche frasi.
Il distruttore di mondi… erano sempre sembrate parole vuote, ma, dopo la caduta della cometa e le sue drammatiche conseguenze, nulla sembrava più assurdo, o impossibile.
Piano piano, lo sconforto si stava impadronendo di loro: le spade che maneggiavano così bene nulla potevano contro il ghiaccio.
“Deve esserci qualcosa o qualcuno, dietro a tutto questo…” aveva detto Vaikaris, “…e va scoperto e distrutto.” aveva decretato il re. Ma per ora, il loro rimaneva un nemico senza nome.

La notte era gelida, ed un leggero nevischio aveva ripreso a cadere dal cielo coperto da una sottile coltre di nubi.
Il freddo e il buio erano penetrati anche nell’animo di Kurogane, che non smetteva di frugare le tenebre attorno al campo con i suoi occhi scarlatti.
Si sentiva improvvisamente stanco, ma non a causa dello sforzo fisico del viaggio e dello scontro. A pesargli era l’improvvisa responsabilità che sentiva gravare su di sé: Suwa aveva bisogno del suo principe, ma lui non era che un baluardo fragile contro una minaccia troppo grande e misteriosa. Si chiese che cosa sarebbe successo l’indomani – sempre che fossero riusciti a vedere l’alba, naturalmente.

Fay lo vide attraversare il campo, scuro in volto. Lo seguì con gli occhi per qualche istante, finché il principe non fu uscito dalla visuale consentitagli dall’apertura della tenda dove si trovava, e tornò ad occuparsi del soldato ferito che giaceva a terra.
A palazzo, lo straniero si era dimostrato abile nel preparare medicamenti e unguenti, e i soldati gli avevano lasciato il compito di prendersi cura del guerriero che aveva avuto la peggio nello scontro con uno di quei mostri. Per Fay era un sollievo: naturalmente, era felice di poter essere d’aiuto in qualche modo, visto che non era stato in grado di alzare un dito per contribuire alla battaglia, ma era anche una buona occasione per poter sfuggire allo sguardo indagatore di Kurogane.
Aveva la costante sensazione che quanto accaduto fosse colpa sua, e in questo modo poteva se non altro tentare di rimediare all’accaduto, dando una mano a quel povero soldato.
Il demone gli aveva squarciato una spalla: la ferita era stata ricucita alla meglio e fasciata, ma il dolore non gli dava tregua. Fay aveva allora preparato un decotto con alcune erbe essiccate che aveva portato con sé in viaggio, e ci aveva aggiunto qualche goccia di una pozione che aveva imparato a preparare a palazzo: era un buon analgesico e, nella dose giusta, anche un sonnifero piuttosto potente.
Lo fece bere al soldato, e rimase ad osservarlo mentre si addormentava, miracolosamente dimentico del dolore. Era stato fortunato a non perdere la vita, durante lo scontro.
Mentre il respiro del ferito si faceva progressivamente più calmo e regolare, i pensieri di Fay cominciarono ad agitarsi freneticamente. Qualche istante dopo, si alzò in piedi ed uscì.

Il principe era seduto sul suo giaciglio di fortuna, e osservava assorto le ombre che il fuoco del campo disegnava sulla parete della sua tenda. Dietro di lui, sentì qualcuno entrare, ma non si voltò a vedere chi era.
“Hyuuu, Kurosama.” sussurrò quietamente una voce soffice alle sue spalle. “Tieni.” Gli disse semplicemente Fay, porgendogli la tazza fumante che teneva in mano.
L’altro la prese senza dire nulla.
“Che c’è, hai ancora dubbi sul fatto che sia stata una buona idea accendere il fuoco?” chiese Fay, sedendoglisi accanto ed osservando anche lui i giochi di luce e tenebre sulla tenda.
Kurogane avrebbe evitato di fare quel falò, per non segnalare la loro posizione al nemico, ma Fay gli aveva fatto notare che quei demoni sarebbero riusciti a trovarli comunque, così come avevano trovato il re ed i suoi soldati nel bel mezzo della tormenta, mentre, nel buio totale, i guerrieri non avrebbero avuto nessuna possibilità di avvistare i nemici. Inoltre, il fuoco li avrebbe scaldati e incoraggiati.
“Credo che la luce li spaventi, sai? Le fiamme li terranno alla larga.”
“Come fai a dirlo?”
“Beh, si sono spaventati vedendo i raggi che uscivano dalla pistola… il fuoco potrebbe ricordarglieli.”
Il principe non disse nulla, ma era chiaro che, come al solito, quella risposta non lo soddisfaceva. Cominciò a sorseggiare lentamente il contenuto della tazza.
“Vedrai che per questa notte ci lasceranno in pace.” disse Fay con tranquilla sicurezza, alzandosi e sistemandosi sulle spalle il mantello, prima di uscire.
“Oh, mi raccomando, finiscila prima che si raffreddi!” aggiunse, guardando Kurogane tutto sorridente. I suoi occhi indugiarono sul principe ancora per qualche attimo, dopodiché scivolò velocemente all’esterno.
Kurogane tornò a sorseggiare l’infuso, gli occhi ancora fissi nel punto in cui l’aveva visto sparire.

Poco più tardi, Fay strisciò lentamente fuori dalla sua tenda. Nell’accampamento, tutto sembrava tranquillo; non c’era movimento, se non quello delle sentinelle che ogni tanto si sgranchivano gambe e braccia per non farle congelare.
Si avvicinò fino alla tenda del principe, sollevandone un lembo: all’interno era tutto buio, e poté solo intuire la sagoma di Kurogane addormentato nell’oscurità. Gli disse addio in silenzio, e si avviò verso il bordo del campo.
Il soldato di guardia lo guardò interdetto – perché mai voleva uscire dall’accampamento? – ma Fay gli rispose sorridendo ed indicando la tenda di Kurogane, come per dire che era d’accordo con il capitano e che era tutto a posto. Il soldato, un po’ riluttante, si spostò e lo fece passare, guardandolo dileguarsi nella notte.
Kurogane non gli avrebbe mai permesso di allontanarsi, naturalmente; se lo avesse scoperto, Fay era sicuro che avrebbe tentato in ogni modo di riportarlo indietro. Sperava che dormisse ancora a lungo: per l’alba, avrebbe dovuto essere il più lontano possibile.
Si addentrò nel folto degli alberi, confidando che la nevicata coprisse le sue impronte, ma dopo poco tempo smise di fioccare, e, anzi, il cielo sembrò schiarirsi, le nuvole portate via dal vento che stava ricominciando a soffiare impetuoso.
Si avviò verso una piccola altura, sperando di riuscire ad intravedere il profilo dei monti e capire che strada fare per arrivare al passo – ricordava il percorso seguito per arrivare alla capitale, ma riuscire a rifarlo con la neve non sarebbe stato facile. Tuttavia, voleva arrivare alla cometa e trovare delle risposte, prima che fosse troppo tardi.
Si strinse nel mantello e continuò a camminare.

Il respiro pesante, Kurogane si inerpicò a sua volta fino alla cima di quell’altura. Si guardò attorno con aria bellicosa, passandosi una mano sui capelli per liberarsi della neve che una folata di vento, scuotendo i rami di un albero, gli aveva fatto cadere in testa.
“Esci, maledizione! – gridò al vento – Vieni fuori immediatamente!”
Rimase ad aspettare, osservando le impronte che aveva seguito svanire ricoperte dalla neve smossa dal vento.
Qualche momento dopo, gli stivali di Fay ricomparvero a colmare quei piccoli avvallamenti.
La neve rifletteva la luce delle stelle, illuminando i loro volti di una tenue luminescenza azzurrina. Nell’ombra del cappuccio bordato di pelliccia, gli occhi turchesi dello straniero scrutavano il principe con aria scontrosa.
“Lasciami andare.” disse dopo qualche istante di silenzio teso.
“Non dire idiozie! – sbottò Kurogane, furibondo – E per tua informazione, il sonnifero che hai usato mi ha fatto venire mal di testa, quindi non sono dell’umore giusto per sopportare capricci o scenate, chiaro?!”
Fay abbassò lo sguardo con aria colpevole, anche se non dispiaciuta.
“Sono un principe ed un guerriero, mi hanno addestrato a riconoscere e a resistere ai veleni.” spiegò l’altro brusco.
“Non si riesce proprio a fregarti, Kurosama.” commentò piano lo straniero, lo sguardo fisso a terra.
“Torniamo indietro.”
“No. Te l’ho detto, lasciami andare.”
“Ti sei bevuto il cervello? Non puoi andartene in giro così… vuoi farti ammazzare?!”
Fay alzò nuovamente lo sguardo su di lui, le labbra serrate ed uno sguardo deciso negli occhi.
“Tu non hai idea di chi sia io veramente.” disse piano, e fece per voltarsi. Ma Kurogane lo afferrò saldamente per un braccio, impedendogli di allontanarsi. “Perché tu lo sai, invece?”
Fay lo guardò, duro “Eppure te ne sei accorto anche tu. Sono comparso lo stesso giorno della caduta della cometa. Sapevo il suo nome. Sapevo far funzionare quella pistola. E sento… ho sentito che si stavano avvicinando quei demoni, oggi.”
“Che cosa vuoi dire?”
Fay abbassò di nuovo lo sguardo, le ciocche umide di neve che scendevano a coprirgli il viso.
“E’ il tatuaggio. Prima che arrivassero, ha cominciato a bruciare, sempre di più, finché non sono comparsi.”
“Ti è tornata la memoria?”
Fay rimase immobile e silenzioso. No, non gli era tornata la memoria, non a livello razionale… ma c’erano i sogni. I movimenti inconsci del suo corpo di cui non sapeva dare spiegazione. La voce che ogni tanto gli parlava.

“Questi sono i nuovi modelli. Imparate a usarli in fretta. Sono la vostra arma più potente contro…

…contro quei demoni.”


“Quella pistola mi è stata data per combattere quei mostri. Ma il perché non lo ricordo.” rispose alla fine. Come spiegargli degli incubi, delle immagini che gli comparivano davanti durante il sonno, figure a cui lui non era in grado di collegare alcun nome? Gli aveva già detto anche troppo. Come avrebbe voluto che non si fosse svegliato, che non l’avesse seguito. Ora non aveva nemmeno il coraggio di alzare gli occhi per incontrare il suo sguardo.
“Non mi interessa.” Il vento ululava, e Fay non era sicuro di aver capito bene.
“…eh?”
“Sei sordo? Ho detto che non mi interessa.”
Lo sguardo scarlatto fiammeggiante di Kurogane e quello azzurro ghiaccio di Fay si scontrarono in una battaglia silenziosa.
“Non voglio portarvi ulteriori guai. Proseguirò da solo fino alla cometa.” affermò deciso il biondo, facendo un mezzo passo per allontanarsi dall’altro, con aria di sfida.
“Non arriverai mai alla cometa, da solo.” rispose questo, con tono altrettanto fermo, sporgendosi verso di lui.
Rimasero qualche istante a fissarsi in silenzio, il vento che gemeva tutt’intorno, strattonando i loro mantelli con violenza.
Improvvisamente, cambiò direzione, soffiando neve e aria gelida sul volto di Fay, che fu costretto a chiudere gli occhi per ripararsi. Non era propriamente una resa, ma Kurogane la prese come tale.
Fay alzò una mano per scostarsi i capelli dagli occhi, tuttavia Kurogane gli bloccò anche l’altro polso.
Fu lì lì per dirgli: “Torniamo al campo e niente storie”, ma rimase in silenzio a osservarlo.
Fay stava cercando di nascondere il viso nel cappuccio del mantello, per difendersi dal vento gelido, ed allora il principe lo trasse a sé per ripararlo. Sapeva che non c’era tempo per litigare o per cercare di convincerlo: avrebbe dovuto riportarlo indietro seduta stante. Ma… se non c’era mai stato tempo fino ad ora, ce ne sarebbe stato in futuro?
Kurogane, per un istante, ebbe la quasi certezza che no, non ce ne sarebbe stato.
Tenendogli entrambi i polsi con una mano, con l’altra gli prese il mento e, sollevatogli bruscamente il viso, lo baciò.
Le labbra del biondo erano fredde, e il principe le riscaldò lentamente con il tepore delle sue, fino a farle dischiudere lentamente. Per qualche attimo, rimasero ad assaggiarsi con cautela, circospetti ma anche avidi del reciproco calore. Dopo qualche istante, Fay si scostò, ma non cercò di andarsene.
“…vigliacco.” lo accusò piano, riaprendo le palpebre.
“Ingrato.” replicò Kurogane, tornando a chinarsi su di lui. Gli liberò le mani, avvolgendogli la vita in un abbraccio per tenerlo stretto a sé.
Fay si appoggiò al suo petto, mentre le loro bocche tornavano ad unirsi in un bacio al contempo agognato e liberatore. Le dita del principe risalirono dal mento di Fay alla sua guancia; ogni piccolo tratto di quella pelle gelata dal vento era una conquista.
Solo ora si rendeva conto di quanto aveva bramato di toccare di nuovo quell’incarnato candido.
L’altro chinò la testa, abbandonandone il peso su quella mano calda. Guardò in viso il principe e fece per dire qualcosa, ma lasciò perdere.
Kurogane appoggiò la fronte alla sua; non aveva bisogno di parole, gli bastava guardarlo negli occhi: occhi in cui si accavallavano incredulità, timore e speranza, piccole onde nel mare scosso dal vento.
Poi, fronte di Fay si spianò improvvisamente, mentre le dita del principe si insinuavano sotto il cappuccio per accarezzargli i capelli. Le sue iridi turchesi rispecchiavano come acqua cristallina quelle scarlatte di Kurogane, e il sentimento che le animava.
Fay non avrebbe saputo dire se lo avesse già provato o vissuto, ma, ad un tratto, quella sensazione di tranquillità ed affidamento che aveva provato fin dall’inizio – fin da quando gli era stato chiaro che, accanto a Kurogane, sarebbe stato al sicuro – e tutti i piccoli attimi di felicità che avevano rischiarato i suoi giorni, quando lui lo prendeva in giro e l’altro lo rimproverava, o quando sedevano fianco a fianco in silenzio… ad un tratto tutto questo aveva un nome.
Rivolse a Kurogane un sorriso che era un misto di tristezza e felicità. Era un sentimento che non si sentiva degno di provare, ma che comunque lo rendeva ingiustamente felice. Era amore.
Quando il principe lo vide nei suoi occhi, lo attirò di nuovo a sé per baciarlo.

Nessuno dei due poteva sapere che cosa avrebbe portato il sorgere del sole, ma non si aspettavano nulla di buono.
Abbracciati stretti per unire il loro calore contro il gelo delle raffiche di vento, ognuno bevve dalle labbra dell’altro come per trovare la forza necessaria ad alzare nuovamente il capo per affrontare ciò che li attendeva.


Erano distesi nella neve sopra uno dei loro mantelli, mentre l’altro li riparava, a mo’ di coperta.
I visi uno accanto all’altro, i loro capelli si confondevano e così le piccole nuvole bianche create dal loro respiro.
Le stelle sopra di loro erano fitte, strette l’una all’altra e quasi sovrapposte, come fiocchi di neve congelati nel cielo un momento prima di staccarsene per cadere a terra.
Fay le osservava ad occhi semichiusi, così che il loro baluginare, attraverso le ciglia, risultava soffuso e frammentato in piccoli cristalli di luce.
“I tuoi uomini credono che presto arriverà la fine del mondo. Tu che ne pensi?”
Tu che ne pensi.”
“Penso che avresti fatto meglio a lasciarmi andare.”
L’alba che stava per sorgere sarebbe stata l’ultima prima dell’eclissi… e forse l’ultima per tutti loro.
Volse gli occhi verso Kurogane – dalla sua posizione, poteva intuirne solo il contorno del volto, sotto la tenue luce delle stelle. Avrebbe voluto raccontargli tutto, se solo avesse potuto. Se solo avesse saputo esattamente cosa raccontare.
Il principe gli tappò la bocca – un gesto insieme rude e gentile – zittendolo. Fay sovrappose la propria mano alla sua.
Poteva fare così poco per lui, per l’uomo che lo aveva salvato, e per tutta la sua gente… aveva paura per loro: quello che temeva di più era che non sarebbe riuscito a capire in tempo ciò che succedeva, e che non sarebbe stato in grado di evitarlo.
Baciò lievemente il palmo della mano di Kurogane, ancora premuta sulle sue labbra.
“Ci vorrà ancora qualche giorno per arrivare alla valle e alla cometa. Il tuo compito sarà avvertirmi non appena sentirai che si stanno avvicinando. – gli disse il principe, nel tono del capitano che stava dando ordini ad un suo soldato – Quindi non azzardarti a fare altre idiozie.” lo intimidì, sollevano finalmente la mano. Fay sospirò, annuendo con un sorriso rassegnato.
Kurogane tornò a guardare le stelle sopra di loro. Li osservavano, inespressive, piccole punte d’onda nell’oceano senza tempo del cielo, ma il principe lanciò loro uno sguardo di sfida. Qualsiasi cosa celasse la cometa, qualunque pericolo si fosse portata dietro da oltre quelle tenebre, era ben determinato a combattere e vincere.
Sotto il mantello, strinse forte la mano di Fay.



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Capitolo 8
*** VII. Demonheart ***


Hyuuuu!

@ Yuki Ishimori: grazie di avermi perdonata ù_ù però in questo capitolo, finalmente, c'è una prima metà del flashback di Fay ^^  il finale è alle porte, sì, questo è il terzultimo capitolo... farò tutto il possibile! XD

@ Pentacosiomedimni: ...sicura che ragni radioattivi e kriptonite siano del tutto da escludersi...? XD  Lascia uscire il tuo spirito da fangirl, sìsìsì ù_ù  Grazie cme al solito del lungo commento *ama i lunghi commenti*




 Noticina: in questo capitolo, leggere prima il testo della canzone comporta spoiler sul resto della storia.







VII.



DEMONHEART




ascoltatela qui!


CONFUTATIS MALEDICTIS
CONFUTATIS MALEDICTIS

Tradegy storms him when demons spare her life,
and all discover she has a demonheart... Demonheart.

Feeling trapped in with the slimy creatures,
now close to being killed.
She soon revealed her forgotten,
sad past first to herself.
They smelled her flesh ready to be devoured,
but something happened.
They moved away seeming to be frightened,
sparing her life.
Shocked again she opened the gates of her tragic past,
and bloody images came back to her mind.
She remembered the old mission;
the dark comet's goal beyond the suns

The flight through... that black hole...

She lived again in some frames of sorrow.
That evil journey
planned by the Arias' exploring section to find new worlds.
But all that they found beyond their system
was the black portal.
Depths of oblivion came back to their world once opened it.
Arkan and the other warriors who observed the
scene could not feel the same way now about that girl.
He moved to her taking her hand
running fast away from his old friends .

All for her... he loved her...






La regina di Suwa osservò l’anziano Vaikaris con aria quasi divertita.
“Sembrate non avere fiducia nel vostro principe, sacerdote.”
L’uomo la guardò, torturandosi distrattamente un ciuffo di barba. Tutte le volte che parlava con la regina, gli sembrava di giocare ad una complessa partita a scacchi.
“Affatto, maestà. Io credo che il principe sia una persona estremamente affidabile e leale, qualcuno disposto a tutto pur di proteggere ciò che ha cuore. Trovo che il problema, semmai, possa essere la scelta di ciò che si vuole proteggere. – fece una pausa significativa, lasciandosi lentamente la barba – Gli dei sono imperscrutabili, mia signora. E i loro doni potrebbero anche risultarci tutt’altro che graditi, non credete?”
La regina sorrise. “Avete sempre detto di avere fiducia nei miei sogni, sacerdote. Non è il momento di iniziare a dubitare, questo.” Nonostante l’espressione conciliante, il messaggio era piuttosto duro.
Io non dubito, maestà. Ma io, al momento, sono ancora al sicuro tra le mura di questa città. Non so se le persone che stanno là fuori, a rischiare la vita, possano dirsi altrettanto fiduciose. Con il vostro permesso…” Vaikaris si congedò dai sovrani con un inchino deferente.
“Io so cos’ho sognato. – ribadì la regina, dopo che l’ebbe osservato sparire attraverso la porta della sala del trono – E so bene di non essere nessuno per pretendere di capire i messaggi inviatici dagli dei.”
Il marito, seduto accanto a lei, la incoraggiò ad andare avanti con un cenno del capo.
“Quando l’ho sognato, Fay era circondato dall’oscurità… so che la sua comparsa è collegata all’arrivo della cometa, e che quel buio altro non era che tutti i pericoli che si sarebbero presentati assieme a lui. Ma lui non era parte delle tenebre; sì, ne era circondato, ma non lo avevano sopraffatto. Anzi, il suo essere così chiaro… sembrava poterle illuminare. Per questo ho pensato che potesse essere un dono: qualcuno che gli dei ci avevano mandato insieme alle disgrazie, per riuscire ad opporci ad esse.”
Il re le accarezzò i capelli. “Tu hai fatto e detto quello che ritenevi giusto. Fino ad oggi, hai sempre interpretato correttamente i tuoi sogni… non sarà proprio questo, il tuo primo errore.”
Lei gli sorrise, grata, ma la preoccupazione tornò subito ad impossessarsi dei suoi occhi.
“Che cosa ne pensi, di quello che ha detto Vaikaris?”
A quella domanda, anche lo sguardo del re si incupì. Lei si riferiva, naturalmente, all’ultima frase pronunciata dal sacerdote prima di andarsene – una frase sibillina, buttata lì senza lasciar loro nemmeno il tempo di replicare.
“Nostro figlio si fida dei suoi uomini, e loro si fidano di lui. Il mio unico timore è che Vaikaris non abbia fatto o detto qualcosa per istillare lui stesso il dubbio… proprio come ha provato a fare con noi, adesso.”



Kurogane ed i suoi soldati procedevano lentamente nella neve.
Fay cavalcava alla sinistra del principe, i sensi all’erta concentrati, più che sul sibilo del vento, sulle sensazioni fisiche che provava. Focalizzava le sue percezioni sulla schiena, ma per ora ciò che lo permeava era il ricordo lasciato dal calore di Kurogane, quando aveva stretto i suoi fianchi in un abbraccio appassionato.
Gantai, che stava cavalcava all’altro lato del principe, ogni tanto guardava lo straniero. Quella mattina, più di una volta, aveva dato segno di voler parlare a Kurogane, ma sembrava che qualcosa lo trattenesse.
In ogni caso, l’attenzione e la preoccupazione degli uomini erano tutte rivolte - oltre che ai pericoli che sapevano celarsi in quella neve - al cielo, dove la luna calante si stava avvicinando inesorabilmente al sole, non ancora giunto allo zenit.
Quello era il giorno dell’eclissi – un’eclissi che, come aveva predetto la signora di Suwa nel sogno, avrebbe potuto durare per sempre.
Fay sorrise a Gantai, notando che lo stava spiando al di là della criniera del cavallo di Kurogane. Al momento, non c’era motivo per essere preoccupati: i demoni non sembravano nei paraggi.


La luna iniziò a mordere il sole, cominciando ad oscurarne il bordo.
Tra i soldati, qualcuno fece qualche commento poco incoraggiante.
Tutto all’improvviso, Fay sentì come una lama piantarglisi tra le costole: il respiro mozzo, si voltò verso Kurogane, ma vide che lui si era già accorto del suo cambiamento di espressione.
Andarono avanti.
Gantai sembrava decisamente in ansia, ora, e scrutava alternativamente il cielo e il volto scuro del suo capitano.
La luna inghiottì la prima metà del disco solare, mentre il vento ricominciava a soffiare impetuoso, sollevando la neve intorno ai viaggiatori.
La schiena in fiamme, Fay si teneva disperatamente aggrappato alle briglie del cavallo, stringendo le ginocchia sui suoi fianchi per mantenersi in equilibrio.
Attorno, si vedevano solo alberi ed arbusti.
Con solerzia, il disco scuro avanzava nascondendo il sole e creando in mezzo ai radi rami del bosco una grigia luce crepuscolare.
Tra i tronchi, nella penombra che andava man mano facendosi più fitta, i soldati cominciarono a scorgere delle sagome che no, non erano rocce o cespugli.
“Ci hanno circondati” sibilò Gantai, voltandosi intorno.
Kurogane annuì con un impercettibile cenno del capo, impugnando lentamente la pistola.
“Sono una ventina, capitano.” Aggiunse il tenente a voce bassa. Il suo tono non tradiva ansia o paura, ma qualcosa nel modo in cui aveva pronunciato quelle parole faceva intuire che non vedeva molte possibilità di vittoria.
Il principe scoccò un’occhiata a Fay, e questo strinse i denti per tenere a bada il dolore e trovare la forza di sorridergli.
Un istante dopo, la luna oscurò completamente il sole, e tutto venne inghiottito dalle tenebre. Il vento ululò impetuoso, sovrastato dal sibilo di battaglia dei demoni che si slanciarono su di loro.
Alcuni cavalli, spaventati, nitrirono imbizzarrendosi e tentando di scappare.
Nei pochi secondi che i suoi occhi scarlatti impiegarono per abituarsi all’oscurità improvvisa, Kurogane seppe che i mostri erano riusciti a rompere i loro ranghi.
Sparò quasi a casaccio davanti a lui, illuminando a giorno la neve e colpendo di striscio un demone che gli si stava avventando contro. Circondato dai nemici, lottò per salvarsi la vita: dovette abbattere due mostri prima di riuscire a trovare un attimo di respiro per sollevare gli occhi a cercare i compagni.
Dietro di lui, sentiva le lame delle spade cozzare contro le corazze dei demoni. Udì un urlo strozzato: uno dei suoi uomini era stato ferito.
Tentò di voltare il cavallo per tornare dai soldati, ma era circondato. E – si rese improvvisamente conto – Fay era sparito.
Un guizzo tra gli alberi attirò la sua attenzione: un demone aveva afferrato un cavallo – il cavallo di Fay! – e lo stava dilaniando coi suoi artigli.

Il biondo sbatté le palpebre. Attorno a lui, vedeva solo ombre che giravano vorticosamente. Il dolore gli ottundeva i sensi, bruciandogli il petto e rendendogli quasi impossibile respirare.
Era a malapena conscio di giacere riverso nella neve, dove era caduto dopo che, stordito dalla sofferenza, aveva perso il controllo del destriero imbizzarrito.
I lampi di luce dei colpi della pistola diedero un improvviso volto alle forme nere che incombevano sopra di lui: due demoni lo stavano scrutando, le narici frementi che assaporavano il suo odore.
Quando lo videro muoversi, spalancarono le fauci, e in quel momento, sopraffatto dal terrore, Fay fece per urlare.
Ma quello che gli uscì dalla bocca non era un grido.
Paralizzò gli astanti, demoni e soldati. Era un suono metallico, acuto fino al limite del campo uditivo, e terribilmente penetrante.
Durò per qualche secondo, e poi andò via via affievolendosi.
Fay era in ginocchio, la schiena contro il tronco di un albero, gli occhi sbarrati. I demoni, immobili, lo osservavano, l’attenzione rivolta completamente a lui.
Quando Kurogane riuscì nuovamente a formulare un pensiero coerente, le orecchie ancora assordate da quel terribile rumore, non poté fare a meno di avere la stessa impressione che si stava imprimendo a fuoco nella mente dei suoi uomini: i demoni sembravano intimoriti e, soprattutto, assomigliavano a tanti soldati in attesa di ordini dal loro comandante.


…ma Fay non vedeva tutto questo.


Davanti ai suoi occhi c’era il buio.
Tutt’intorno brillava una luce biancastra e artificiale, ma lui non riusciva a staccare lo sguardo dal nero di quello schermo, dove il segnale dell’astronave con cui si stavano tenendo in contatto era improvvisamente sparito.
“Niente da fare, sono completamente scomparsi.” disse un collega.
Lui si voltò a guardarlo, il viso corrucciato per la preoccupazione.
“Avevamo messo in conto la possibilità della perdita del contatto, una volta che avessero superato la zona di gravitazione del buco nero; c’è troppa interferenza per il segnale. Ma questo non vuol dire per forza che sia andato male qualcosa.”
Riportò lo sguardo sullo schermo. In ogni caso, in quel momento la nave era in balia di se stessa, senza che loro dal centro di comando potessero fare nulla per guidarla…

…la sala di controllo con i suoi monitor e il brusio delle persone tremolò per svanire dalla sua mente.
Attorno a lui rimase quella luminescenza lattiginosa, che piano piano andò a illuminare il lungo corridoio che conduceva all’hangar dell’astronave.
Lo stava attraversando il più in fretta possibile, allacciandosi il camice man mano che si avvicinava all’uscita.
Era mattino inoltrato, ma la chiamata che annunciava l’arrivo della nave lo aveva colto alla sprovvista, strappandolo al dormiveglia in cui era caduto all’alba, dopo una notte insonne.
Prima ancora che riuscisse a raggiungere la porta dell’hangar, tuttavia, questa si aprì, mentre un gruppo di persone faceva il suo ingresso nel corridoio.
Alcuni erano vestiti con lunghi camici come il suo, mentre un paio indossavano delle tute scure di materiale sintetico.
Il suo volto si illuminò, non appena lo vide apparire.
Non si poteva dire che fossero mesi che non si vedevano – il contatto video era stato ristabilito tempo prima – ma ritrovarselo davanti in persona dava un sollievo ben diverso.
Quel volto pallido, circondato da lisci capelli corvini, gli rivolse un sorriso gentile, non appena lo riconobbe.
Dopo uno scambio di saluti formali con il resto del gruppo, i due rimasero indietro, seguendo a rilento gli altri lungo il corridoio.
“Sono lieto di rivederla sano e salvo a Celes, Ashura.”
“Ne sono felice anch’io. L’universo ha le sue meraviglie, ma il nostro pianeta…beh, è casa. Forse per poco, ma è ancora casa nostra.” L’uomo parlò con una sorta di malinconia nella voce. Sembrava stanco, molto, molto stanco. Ma sembrava anche davvero contento di essere tornato.
“Ti sei fatto crescere i capelli, nel frattempo, Yuui.” gli disse, tornando a sorridere ed indicando il codino di capelli biondi che ricadeva sulla spalla destra del giovane.
“Oh. Già. Beh, sì. Tanto per cambiare.” fece Yuui, un po’ in imbarazzo.
Ashura, in tutta risposta, tornò a sorridergli.

Più oltre, sul corridoio si aprivano una serie di finestre dai vetri molto spessi. Mostravano un cielo di una luce livida, sereno eppure cupo, in cui il sole di Celes splendeva a fatica, gonfio di un fuoco scuro ed opaco: un astro morente, destinato a spegnersi molto presto e a lasciare il pianeta senza riparo contro il gelo dello spazio.


Yuui osservava preoccupato lo schermo dove Ashura stava riportando una serie di dati. Nonostante fossero passate una paio di settimane dal ritorno dell’astronave, il viso dell’uomo era sempre più pallido.
“Il comando si chiede quando saranno pronti questi dati.” disse quasi timidamente, dopo un po’ che se ne stava in piedi a contorcersi le mani nell’attesa, in quella stanza piena zeppa di macchine, calcolatori e fogli riempiti da formule e appunti. Quello era il disordine che Ashura vi aveva lasciato prima di partire, ma dal suo ritorno non aveva toccato più nulla, se non il computer con cui stava lavorando.
Sembrava che avesse tutti i dati impressi nella mente con la massima precisione.
Finalmente, Ashura si voltò verso di lui. I suoi occhi sembravano stanchi… no, Yuui non era più tanto certo che si trattasse di stanchezza.
Sembrava qualcosa di diverso.
“Parlerò con il comando domani. Ma non temere, Yuui, abbiamo trovato ciò che cercavamo. Ve l’ho detto: presto potremo andarcene e colonizzare un nuovo pianeta. Molto presto… Oh, Yuui. Io me li taglierei di nuovo, i capelli. Saranno più comodi per il viaggio.”

Stava affogando in un mare invisibile di preoccupazione e paura. Vedeva davanti a sé la schiena di Ashura, i suoi capelli corvini che si spandevano dalla nuca sulle spalle.
Lo guardava e, dentro di sé, il suo cuore piangeva.
…cosa mai era successo in quei lunghi mesi in cui il contatto tra la base e l’astronave si era interrotto?
Yuui fissava quella schiena, e non voleva che si voltasse. Sapeva bene che non ne avrebbe riconosciuto il volto, perché l’Ashura che lui aveva conosciuto era salito su quell’astronave, e non ne era più ridisceso.

“…ma si era sempre parlato di metodi pacifici!” esclamò, fermandosi di botto in mezzo al corridoio.
Ashura, che aveva continuato a camminare, si voltò per aspettare che lo raggiungesse.
Una corrente d’aria si insinuò tra i ciuffi di capelli sottili fin sulla pelle nuda del collo di Yuui. Li aveva tagliati, come gli era stato suggerito.
“Nessuno ha mai accennato a progetti di invasione armata!”
Il giovane non si era mosso, scrutava Ashura alla ricerca di spiegazioni.
“Non se ne era mai parlato con scienziati, programmatori e astronauti… - rispose quello con voce pacata – ma l’esercito ha sempre tenuto in considerazione quest’ipotesi. Dopo il mio viaggio, ho capito come metterla in pratica.”
Yuui lo guardò negli occhi. Era ancora il suo maestro? La persona che lo aveva praticamente adottato, permettendogli di frequentare l’accademia e di mettere a frutto le sua grande intelligenza e tutte le sue doti? Il suo tono era sicuro e tranquillo, come era sempre stato.
Ma se in passato Yuui aveva sempre dato ascolto alle sue parole con estrema fiducia, ora era costretto a rimettere tutto in discussione,

Il biancore del corridoio scomparve, inghiottito dal buio. Nell’oscurità, sentì distintamente la sensazione di una stoffa ruvida contro la pelle nuda del suo torace.
Aveva chiuso gli occhi quando aveva sentito il macchinario calare su di lui. Anche se era voltato a pancia in giù sul lettino, e non poteva vederlo, il solo pensiero di tutti quegli aghi gli faceva impressione.

La schiena aveva continuato a bruciargli per giorni, mentre, avvolto nel suo stretto camice – una tortura per la pelle ancora gonfia ed arrossata – dirigeva a sua volta i macchinari per marchiare a vita i suoi colleghi.
Ogni volta che premeva quei pulsanti, stringeva i denti e continuava a ripetersi che non aveva scelta. Che era necessario.

“In sostanza, è un reticolo di microchips – sentiva la voce di Ashura rimbombargli nella testa, con quel tono pacato di quando gli spiegava le cose come se stesse parlando ad un bambino; un bambino intelligente, ma pur sempre ignaro e bisognoso di essere guidato – Vi verranno iniettati sotto pelle sulla schiena… sono così sottili che non ci si accorge, al tatto, della loro presenza, ma formano una struttura resistente. Per funzionare, trarranno energia dall’organismo stesso… oh, guarda. – Ashura prese un foglio e lo distese davanti a lui – Non ci saranno cicatrici, quindi sulla pelle verrà tracciato questo tatuaggio per segnare la posizione dei microchips. Ho tentato di pensarlo un poco artistico, che ne dici?”
Yuui osservò attentamente il disegno ed il viso dell’uomo: sorrideva, sembrava quasi trovare la cosa divertente. Ma Yuui era terribilmente preoccupato.

La prima volta che aveva visto la forma di quei demoni era stata nei progetti a cui lui stesso aveva collaborato. Organismi creati e tenuti in vita dalla tecnologia, macchine letali dalle corazze praticamente indistruttibili. Avevano una volontà assassina, che si sarebbe piegata soltanto agli ordini provenienti dal loro comandante.
“Ognuno di voi – aveva spiegato Ashura agli astronauti – avrà il comando di una squadra di questi… beh, chiamiamoli soldati. Potrete controllarli grazie ad uno speciale collegamento tra il vostro sistema nervoso ed il loro, realizzato tramite quel piccolo macchinario che vi verrà istallato sotto pelle.”
Oltre il vetro, nel laboratorio adiacente, stavano alcuni di quei “soldati”, ancora inanimati. Le lame che costituivano i loro arti erano di una lunghezza spropositata, affilatissime.
Erano armi vere e proprie, e il loro aspetto incuteva timore anche a chi era destinato a farne uso.
“…e che succede se… se il collegamento fallisce?” chiese qualcuno.
Ashura lo guardò con aria comprensiva. “Vuoi sapere se potrebbero ribellarsi?”
L’astronauta annuì, senza dissimulare un certo disagio.
Ashura assentì, ma invece di rispondere prese una lunga cassa che fino a quel momento era rimasta inutilizzata sul bordo del tavolo; conteneva una decina di grosse pistole.
“La loro corazza è estremamente resistente, difficile da intaccare. Ma abbiamo pensato a delle pistole in grado di formare un raggio laser abbastanza potente da perforarle. Tenete, questi sono i nuovi modelli. Imparate a usarli in fretta. Sono la vostra arma più potente contro quei demoni. In ogni caso, le probabilità che un simile malfunzionamento si realizzi sono estremamente basse.”
Ashura osservò l’espressione preoccupata sui volti degli astanti. Presto, lo sapeva, sarebbe svanita.

Più tardi, aveva preso Yuui da parte.
“Sarai il primo a cui faremo l’operazione. Vedrai che andrà… tutto bene.”
Non aveva cambiato espressione, sembrava tranquillo come al solito. Pallido, come al solito. Ma per un breve momento, qualcosa nel suo sguardo era diventato instabile, come se stesse trattenendo a stento una smorfia di dolore.
Poi gli aveva sorriso, e se n’era andato.

Erano stati addestrati ad impartire ordini ai loro soldati. L’ordine era formulato a livello subconscio nella loro mente, e quei mostri lo percepivano e obbedivano. Era… semplice.
Yuui li aveva guardati con un misto di disgusto e ammirazione, come un giocattolo che non piace ma che, sotto sotto, attira e diverte.

…prese lentamente coscienza del vento freddo che lo schiaffeggiava in viso, congelandogli la pelle umida per la neve.
Li stava guardando anche in quel momento, ma ora provava paura, vergogna e disgusto.
Il dolore alla schiena era diventato una pulsazione sorda e martellante, tuttavia Yuui non se ne curava.
Alzò una mano, guardando una per una quelle creature mostruose che lo osservavano, pronte ad obbedire a qualsiasi suo ordine. Chiuse gli occhi, ne aveva abbastanza.
Andate via, pensò semplicemente, scacciandole con un secco gesto del braccia.
Le sentì allontanarsi di corsa sulla neve.
Con un sospiro, si abbandonò contro il tronco dell’albero, tentando di affogare nel buio le punte di scoglio dei ricordi che avevano cominciato a riaffiorare.

Kurogane aveva osservato tutto senza battere ciglio. Il suono metallico che andava spegnendosi, Fay che tremava, i mostri rimasti ad osservarlo immobili. Poi il giovane si era alzato lentamente, li aveva guardati e li aveva scacciati con un brusco gesto della mano.
Nel silenzio che seguì, il principe rimase ad ascoltare le raffiche di vento, prendendo man mano coscienza del significato di quanto era appena accaduto.

“…come hai fatto?”
Kurogane si volse verso Gantai, che teneva gli occhi fissi su Fay, come tutti, in quel momento.
Il biondo aprì gli occhi a fatica, e rivolse loro uno sguardo stanco.
Colpevole.
Gantai deglutì a vuoto. I pensieri che lo avevano tormentato negli ultimi giorni avevano preso improvvisamente una forma ben definita.
“…sei uno di loro.” disse piano.
Fay abbassò lo sguardo, chinando la testa.
I guerrieri esitavano, gli sguardi che si soffermavano ora su Gantai, ora sullo straniero, ora sul loro capitano.
“E’ un demone, maestà…!” il tenente guardava Kurogane con aria quasi implorante.
Il principe corrugò le sopracciglia. Sembrava… indeciso.
“E’ come loro… potrà anche non sembrarlo, ma ha il cuore di un demone!” Gantai aveva abbandonato il tono implorante; questa era un’affermazione.
Qualcuno dei soldati tornò a brandire la spada. Un momento dopo, tutti i suoi guerrieri impugnavano le armi, e le lame erano rivolte contro Fay.
Kurogane volse lo sguardo sullo straniero, accoccolato senza forze tra le radici dell’albero, sotto la cruda luce delle stelle; teneva la testa bassa, segno di una resa totale quanto penosa.
Le sue iridi rosse tornarono a posarsi sui suoi soldati, riconobbe la loro rabbia e la loro paura. La loro intenzione di attaccare.
Non importava quello che Fay era stato nelle settimane precedenti, non importava nemmeno che, grazie a lui, i demoni fossero spariti; nessuno di loro guardava più lo straniero con gli stessi occhi. Erano stanchi di quei pericoli inspiegabili, del freddo e del buio, e improvvisamente tutte le recenti disgrazie avevano trovato una spiegazione. O, più semplicemente, qualcuno su cui sfogare paura e rabbia.

…tutto quello che era successo fino a quel momento era nulla, rispetto alla tragedia che stava per compiersi adesso.
Non pensò, il caos degli avvenimenti non lasciava sufficiente spazio alla razionalità. Semplicemente, Kurogane strinse le redini del suo cavallo e lo spronò. Subito, fu sopra Fay; si sporse da cavallo, afferrandolo e tirandolo a sé con un unico, fluido movimento. Quando tornò ad alzare la testa, il destriero stava correndo via nella neve, e lui stava scappando dai soldati che lo avevano sempre seguito mettendo a repentaglio la propria vita. Intanto, tra le braccia stringeva l’unica cosa che in quel momento gli sembrava importante.




***




Note: il flashback di Fay/Yuui continuerà nel prossimo capitolo, e... tutta la parte tecnologico/scientifica è un'allegra invenzione di qualcuno che a proposito ne sa meno di zero. Abbiate pietà.

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Capitolo 9
*** VIII. Rondeau in c min ***


@ Gloglo_96:  spero che in questo capitolo dove continuano i flashback ti si chiariscano i punti oscuri del passato di Fay! Grazie comunque, perdonami per l'attesa!

@ Tomoyo93:  mi fa piacere vedere che è stato un colpo di scena! grazie mille. Beh del resto Fay e la sfayga vanno sempre insieme, non ci si può fare nulla... ù_ù

@ Roy4ever:  eheh, sono contenta che non te lo aspettassi XD comunque la storia avrà un capitolo in più.

@ LawlietPhoenix: sì, Kurorin è un eroe, non ce n'è! Così come Ashura è un po' un uccello del malaugurio.. povero, dove ce lui c'è sempre qualcosa che va storto, un po' come Fay... non a caso è il padre adottivo...

@ Pentacosiomedimni: mi dispiace per il commento andato perduto! ò_ò  e per la pasta!!! Comunque sì, le cose non possono andare bene a Fay, sarebbe un controsenso - perlomeno finchè non incontra Kuro... ^3^  


Ri-eccomi, scusate molto il ritardo, ma sono stata presa dalla creazione del cosplay per Lucca comics!
Inoltre, udite udite, la storia avrà un capitolo in più perchè ho visto che a mettere tutto insieme diventava troppo lungo e intricato. Quindi... siamo di nuovo al terzultimo capitolo!
(vabbe' che se continua così finirà che ne aggiungerò uno anche alla fine... non finirà maaai XDDD)
Oltretutto, nel precedente capitolo mi ero sbagliata a scrivere il numero... è questo l'ottavo, Demonheart era il settimo... -_-''' Comunque, ho cambiato.
Ok, scusate lo sclero.
Il prossimo capitolo dovrebbe arrivare entro tempi ragionevoli, se tarda è perchè ho problemi di cosplay.
Buona lettura~






VIII.



ROUNDEAU in C min




Ascoltatela qui!

(strumentale)





Kurogane e Fay avevano cavalcato per un tempo indefinibile.
La luna non si era più spostata da sopra il sole; quando furono costretti a fermarsi per far riposare il cavallo, sembrava quasi dovessero accamparsi per la notte, anche se sicuramente non era ancora il crepuscolo.
“Mangia.” disse ad un tratto il principe, avvicinandosi al biondo per spartire con lui le poche provviste che aveva nella sacca – la maggior parte erano caricate su due cavalli robusti, rimasti naturalmente insieme ai suoi soldati.
Ma il giovane scosse la testa, stringendosi nel mantello.
Kurogane lo osservò senza dire nulla, limitandosi a fare marcia indietro e a scrutare nervosamente le tenebre che li circondavano, mentre tra i due tornava a regnare un silenzio teso – durante la cavalcata, l’unico rumore era stato quello dei tonfi degli zoccoli del destriero in mezzo alla neve.
Fay stava seduto su una roccia, il volto quasi del tutto coperto dalla pelliccia che rivestiva il cappuccio.
Il principe rimase a contemplarlo, gli occhi scarlatti che non si staccavano dai contorni della sua forma, confusi nella semioscurità.
Rimasero immobili per un tempo indefinibile.
La realtà era che Kurogane stava realizzando appieno solo in quel momento quanto era accaduto; aveva abbandonato i suoi soldati – alcuni dei quali sapeva per certo essere rimasti feriti nello scontro con i demoni – per salvare… beh, per salvare chi?
E non era colpa sua, in fondo. Fay non aveva implorato il suo aiuto, era stato Kurogane a prenderlo in sella e a scappare.
Scappare… dai suoi stessi uomini, maledizione.
“Spero che tutto questo mutismo sia dovuto al fatto che stai pensando ad una spiegazione coerente da fornirmi in fretta.” sbottò all’improvviso, frustrato dai pensieri che formavano un circolo vizioso nella sua mente.
L’altro sollevò su di lui i suoi occhi celesti, smarriti. Fece per dire qualcosa, ma aprì e richiuse la bocca senza riuscire a dire nulla.
Il principe aggrottò le sopracciglia. Mannaggia a quegli occhi, pensò.
Nel frattempo, Fay sembrava aver riguadagnato l’uso della parola.
“A me… dispia-“
“Taci. – l’ordine era perentorio e brusco – Non voglio sentir uscire dalla tua bocca niente che non c’entri con un qualche tipo di spiegazione.”
Fay deglutì a vuoto, guardandolo avvicinarsi e incombere su di lui. Non riusciva a decifrarne l’espressione, era troppo buio per vederlo in viso, e per un istante, quando lo vide muoversi per chinarsi su di lui, ebbe quasi paura. Ma Kurogane si limitò a sollevarlo di peso, issandolo in sella al cavallo.
Senza una parola, salì in groppa dietro di lui e tornò a spronare l’animale.
Non aveva dubbi sul fatto che gli altri li avrebbero seguiti: se avevano guadagnato un vantaggio anche minimo con la loro fuga precipitosa, dovevano lottare per conservarlo.

Yuui chiuse gli occhi; il buio era uguale, attorno a loro e dentro la sua mente.
I sobbalzi del cavallo cominciavano a dargli un vago fastidio allo stomaco… forse avrebbe dovuto dar retta a Kurogane e mangiare, dopotutto.
O forse…



Quando lo Cometa Nera era partita, l’accelerazione gli aveva dato la nausea.
Era stato addestrato al volo spaziale, il suo fisico era abituato a quelle velocità, ma era lui, a non essere psicologicamente pronto per quel viaggio.
Anche quando la nave si fu stabilizzata sulla rotta, l’ambiente interno perfettamente equilibrato in termini di temperatura, aria respirabile e gravità, il nodo che gli serrava lo stomaco non accennò a diminuire.
“Signore, va tutto bene?” la voce alle sue spalle era gentile e musicale.
Yuui si voltò, ruotando leggermente la poltrona da cui aveva appena chiuso una breve comunicazione dal centro di controllo di Celes. Dietro di lui comparve la sagoma di una ragazza dai lunghissimi capelli biondo cenere, perfino più chiari di quelli di Yuui; le dita dei suoi piedi minuti e scalzi fluttuavano a qualche centimetro sopra il pavimento.
“Sì, grazie, Chii. E’ tutto a posto.”
Nonostante sapesse benissimo di stare parlando a quello che era soltanto un ologramma – una graziosa rappresentazione tridimensionale del computer di bordo – questo non frenava Yuui dal rivolgersi a lei in tono cortese.
Era solo in quella nave, e presto anche i contatti con il pianeta si sarebbero diradati fino a sparire, per via della distanza… anche se si trattava di un computer, quella di Chii era l’unica altra voce che avrebbe sentito risuonare tra le pareti di quell’astronave. Tanto valeva conversarci educatamente.
Scrutò fuori, dove non si vedevano altro che le stelle e il nero sconfinato dello spazio. Sul radar lampeggiavano le tracce delle altre astronavi partite insieme alla sua; sembravano uno sciame di asteroidi, meteoriti che avevano il compito di attraversare lo spazio alla ricerca di nuovi mondi.



Mentre Kurogane guidava le briglie del suo destriero attraverso la neve, Fay gli aveva appoggiato la testa sul petto, troppo esausto e confuso perfino per riuscire a rimanere dritto in sella.
I suoi pensieri erano un vortice di immagini e ricordi confusi, un turbinio di vento che trascinava con sé foglie marce e polvere, gettandoglieli negli occhi e accecandolo.



I mostri venivano lasciati vivere all’aperto.
Yuui sapeva che erano esseri creati appositamente per essere in grado di resistere alle basse temperature – avrebbero dovuto essere in grado di fronteggiare qualsiasi cosa, una volta su un pianeta alieno – ma…
“Siamo sicuri che riusciranno a sopravvivere… che funzioneranno, anche a temperature più elevate?” aveva chiesto.
Ashura lo aveva guardato con un sorriso di malcelata sufficienza (e Yuui non aveva creduto ai suoi occhi: una tale espressione, su quel volto, non l’aveva mai vista), come se la domanda fosse assurda, e la risposta troppo ovvia.
“Non ti si porrà il problema di scoprirlo, mio caro Yuui, non temere.”
E la conversazione era terminata lì.

I loro dialoghi, da quando Ashura era tornato, avevano preso la brutta abitudine di chiudersi bruscamente non appena Yuui formulava una domanda a cui l’altro non intendeva rispondere. Dove un tempo c’erano state chiacchierate e lunghe disquisizioni, ora c’erano interrogativi timorosi, e repliche evasive.


Stavano mangiando insieme, uno di quei pasti inconsistenti che venivano serviti alla mensa dei laboratori.
Non che altrove il cibo avesse sapore migliore, naturalmente; le piante crescevano nutrite da luce artificiale e fertilizzanti chimici, in serre sotterranee dove tutto, dall’umidità alla temperatura, era regolato e regolare fino a divenire insipido come le pietanze che ne venivano ricavate.
“Ho guardato i progetti delle Comete, signore…”
Ashura annuì. “Ho già letto i tuoi appunti.”
Yuui si schiarì la voce, incerto. “Beh, sì. Ho dato un’occhiata… anche alle parti che non mi erano state espressamente destinate.”
Non era come ammettere di aver messo il naso in affari che non lo riguardavano o in documenti che gli erano proibiti – dopotutto, collaborava anche lui alla costruzione di quelle astronavi, oltre ad essere destinato a pilotarle come astronauta, ma… quello che aveva scoperto gli aveva fatto capire che probabilmente aveva messo il naso dove non avrebbe dovuto.
“…sono incompleti.”
L’altro non lo guardò, continuando a mangiare impassibile.
Yuui ingoiò a fatica un altro boccone, sulle spine, ma non si diede per vinto.
“Manca una parte. Io pensavo che…”
“Un particolare che deve essere ancora precisato, forse.”
forse? Ashura era il supervisore della costruzione delle Comete… costruzione che era già iniziata, e ciò presupponeva che i progetti fossero completi.
Lui sapeva. Non c’erano forse.
Il pasto continuò in silenzio.
Un particolare mancante. Che con ogni probabilità, però, non mancava nei progetti fatti avere a qualcun altro. Qualcun altro che doveva sapere, mentre lui non ne aveva ancora il diritto.
Sulle Comete, sarebbe stato montato qualcosa che Ashura voleva tenere nascosto. E chissà per quale scopo.
Eppure, Ashura non aveva certo tentato di tenergli nascosti i progetti, pur sapendo che lui si sarebbe accorto delle lacune.


Yuui sentiva un familiare pizzicore al naso, osservando il sole spento di Celes tramontare tra le montagne di ghiaccio che ondulavano il panorama visibile dalla piccola finestra.
Si trovava in uno di quei rari momenti in cui, finito il lavoro che gli teneva la testa occupata e lo distraeva, si rendeva conto di vivere in una gabbia.
In tutte le strutture situate al di sopra del terreno, era estremamente raro trovare degli spiragli sul mondo esterno che interrompessero il colore biancastro ed asettico dei muri.
Questo perché le finestre causavano dispersione di calore, qualcosa che non ci si poteva certo permettere… e poi non era affatto rassicurante avere la possibilità di osservare l’esterno, con il suo desolato panorama gelido e scuro, morto.
Yuui amava leggere; non era mai stato un tipo particolarmente estroverso – né, in generale, le persone di quel luogo, viste le condizioni in cui si trovavano a vivere, erano propense a dare particolare spazio ai divertimenti ed agli intrattenimenti di società.
In effetti, Yuui stesso aveva passato la maggior parte dell’infanzia e la sua intera giovinezza dedicandosi allo studio ed all’addestramento al volo spaziale.
Era sempre stato un ragazzino sveglio e dotato, e la sua gente non poteva permettersi di sprecare un’intelligenza come la sua.
Comunque, per motivi di studio si era recato spesso nella grande biblioteca che conservava i libri, e qui non si trovavano soltanto testi scientifici. C’erano anche poesie, romanzi, raccolte di racconti; molti di essi risalivano ad un passato lontano, lontanissimo, e non parlavano di ghiacci e cieli plumbei, ma descrivevano spesso una natura accogliente, calda, variopinta.
Descrivevano un cielo azzurro.
Ogni tanto, quando capitava, Yuui guardava fuori da una delle piccole finestre ancora rimaste ed osservava quella distesa livida e marcia che si stendeva sopra Celes.
Sapeva che cos’era l’azzurro – era un colore come tanti, era usato nelle scritte, nei vestiti.
Una volta, aveva visto una pianta con un piccolo, tenero fiore dai petali azzurri.
I suoi occhi erano azzurri.
L’azzurro era concentrato nelle cose minuscole, non era fatto per le grandi distese.
Guardava il loro cielo violaceo, e faticava ad immaginarselo del colore dei suoi occhi.
E nonostante questo, nonostante non riuscisse ad immaginarsi un mondo diverso, soffriva e, inconsciamente, forse, ne desiderava uno.


“Che cosa ha trovato esattamente nel suo viaggio?”
Ashura lo aveva guardato per qualche lungo istante, e poi aveva fatto un passo incerto verso di lui.
Yuui aveva ricambiato lo sguardo, vagamente intimorito, ma non si era mosso quando l’altro gli aveva posato una mano sulla spalla.
Non riusciva a staccare lo sguardo dagli occhi di Ashura. Dietro quelle iridi scure si stava svolgendo una battaglia – una corrente tiepida che tentava di incrinare la superficie del ghiaccio.
Gli si avvicinò fin quasi ad abbracciarlo, i suoi capelli serici che gli solleticavano la guancia.
“Non chiedermelo, Yuui… non chiedertelo. – gli mormorò nell’orecchio – Riuscirò a non fartelo scoprire mai.”
Yuui aveva deglutito a vuoto, tentando a fatica di reprimere il violento brivido che improvvisamente gli attraversava la schiena.
Quando era tornato a guardare Ashura negli occhi, la superficie del ghiaccio era nuovamente ferma.
Ma la sua voce aveva tremato, prima, Yuui ne era certo.


Prima di abbandonare Celes, prima di salire sulla Cometa, prima di percorrere quel lungo corridoio che lo avrebbe portato all’interno dell’astronave, non si era voltato indietro.
Che cosa stava lasciando? Celes per lui non era che un insieme di corridoio fatti di luce artificiale, di dati geologici ed astronomici, di macchinari e schermi di computer che ronzavano sommessamente.
Celes erano gli scienziati in mezzo a cui era cresciuto; era Ashura, che non era più se stesso.
In un certo senso, aveva avvertito che il suo pianeta era già morto; nonostante stesse partendo per una spedizione teoricamente destinata alla ricerca di nuovi mondi per la sua gente, aveva la certezza che ci fosse qualcosa di sbagliato, e che poteva dire addio alla sua casa in quello stesso istante.
Aveva sentito un forte pizzicore al naso, e aveva chiuso gli occhi per scacciare l’improvviso momento di commozione. Era troppo tardi per piangere per Celes, e probabilmente era troppo tardi anche per piangere per se stesso.


Quando si era finalmente deciso a guardare cosa c’era all’interno della Cometa, quale “particolare” aveva colmato la lacuna nei progetti, vi aveva trovato qualcosa che non aveva mai visto prima.
Aveva tentato di esaminarla, ma era una tecnologia sconosciuta.
Era qualcosa che aveva inventato Ashura, così di punto in bianco? O qualcosa che si era portato appresso dal suo viaggio, come le idee per la creazione dei demoni?
In ogni caso, non prometteva nulla di buono. Aveva sempre più la sensazione di essere stato brutalmente usato, che nulla di quella missione sarebbe andato a favore di Celes e della sua gente, anzi.
Avrebbe voluto mettersi a piangere, cominciare ad urlare, dirottare la sua Cometa per farla collidere con qualche asteroide o farla schiantare su un pianeta… ma la sua traiettoria era stata già determinata, e non sarebbe riuscito a cambiarla manualmente.
“Va tutto bene, signore?”
Si morse il labbro, e sorrise a Chii. Anche se era priva di vita, la sua presenza scrutatrice gli imponeva di essere forte, in qualche modo. Come se avesse dovuto continuare a mostrarsi, davanti a lei, come si era dovuto mostrare davanti agli altri astronauti e scienziati e militari… una marionetta che eseguiva gli ordini, una maschera a cui si attaccava per non cadere nella più devastante disperazione.


Mi dispiace davvero, Kurorin.


Dormiva, uno di quei lunghi sonni che gli astronauti si concedevano per sopportare i tempi altrimenti insostenibili dei viaggi spaziali.
L’allarme del computer l’aveva fatto destare di soprassalto, ma era troppo tardi. Quel campo di asteroidi non era segnato su nessuna mappa, da dove spuntavano?! Forse erano stati generati da una collisione recente…
Yuui aveva combattuto per riguadagnare il controllo dell’astronave, ma l’impatto con diverse delle meteore sembrava aver danneggiato il sistema dei comandi.
La Cometa aveva continuato a volare, fuori controllo, attirata dalla potente forza di gravità di un pianeta vicino.
Yuui aveva sperato si trattasse di un mondo disabitato, di uno di quei pianeti gassosi dove la Cometa sarebbe potuta affondare senza nuocere a nessuno…
Man mano che si avvicinavano, tuttavia, aveva compreso che si trattava di un mondo vivo.
Aveva guardato inorridito la superficie del continente avvicinarglisi, mentre l’astronave, cadendo a precipizio su di esso, attraversava l’atmosfera.
Poco prima dell’impatto, lo spirito di sopravvivenza lo aveva spinto a infilarsi in una delle navette di salvataggio dell’astronave, ma la collisione con il suolo era stata comunque molto forte.
Ricordava solo il buio, un dolore ottundente che gli straziava i sensi in tutto il corpo… e poi gli odori, l’aria di quel paese sconosciuto, che gli aveva riempito le narici anche se offuscata dal tanfo di bruciato.
Prima di perdere i sensi, aveva pensato che, da ovunque provenissero quei profumi, erano la cosa più buona che avesse mai annusato.

Poi, al suo risveglio, tutto era cambiato: dal black-out completo della sua mente, si era ritrovato a fissare due penetranti occhi rossi. E tutto era come cominciato da zero.



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Capitolo 10
*** IX. Black Realms' Majesty ***


*emerge dai fazzoletti e dalle aspirine* (nonchè per quest'estate quando mi ha mandato tutto il testo della canzone via sms XDDD Adrienne/SMS=OTP)

@ Gloglo_96: cosa c'è esattamente nell'astronave non lo sa bene nemmeno Fay. Se Fay lo avesse saputo, avrebbe tentato in ogni modo di far schiantare la sua astronave da qualche parte...

@ Pentacosiomedimni: sì beh Ashura se non rovina la vita di qualcuno non è contento... ma del resto, se Ashura non rovinasse la vita di Fay, lui non incontrarebbe Kuropon, e noi questo non lo vogliamo! D:

@ LawlietPhoenix: ..eh! Anche per me ormai principe azzurro!Kuro è canon ormai! XD Brigitte Bardot però in questa storia non compare... magari in un extra XD

Eccomi qui!
Penultimo capitolo.
L'ultimo verrà pubblicato molto probabilmente dopo Lucca comics&games, così se qualcuno di voi mi incontra non mi pesta a sangue per quello che ci sto scrivendo XDDD ....
*è confusa per via del raffreddore*
Beh, buona lettura!





IX.

BLACK REALMS’ MAJESTY




Ascoltatela qui!


Arkan's friends were now convinced,
They knew the real truth,
Just her sacrifice would have been real hope for the Zaephyr's salvation
The old Vaikaris so spoke these were his own words from her sad arrival,
He was sure that she was hiding something
She is the portal of cosmic evil,
All demons live in her alien breath
She keeps the seed of the far oblivion and for all this she's condemned to death

BLACK REALMS' MAJESTY LIGHT MY SAD DESTINY,
MY DEATH MAY FREE HIS WORLD,
CHAOS WILL NOT USE ME ANYMORE

Arkan stopped her bitter words with a kiss,
So warm when she asked him to let her die there in the embrace of that frost
She could not accept the truth
She was the cause of all,
And knew evil now was using her as passage for its coming
The eclipse is the sun of its newborn kingdom,
The demons,
The soldiers of this dark war
It wants to conquer the holy planet,
It wants to rape the spirit of love


I will die in his name...
to close the portal, to free my pain.





I soldati di Kurogane erano rimasti ad osservare, basiti, il cavallo del principe che svaniva in mezzo al buio dell’eclissi.

Le folate di vento gelido tornarono a coprire di neve il silenzio che era improvvisamente calato su di loro.
Abbassarono le armi, mentre si guardavano l’uno con l’altro con aria smarrita. Qualcuno si ritrovò a chiedersi che cosa mai fosse successo realmente.
“Dovevamo aspettarcelo. I sacerdoti l’avevano detto.”
Il fatto che parte del volto di Gantai fosse coperto da una benda non serviva ad attenuarne l’espressione cupa e truce.
Maledizione, avrebbe dovuto dare ascolto prima alle parole di Vaikaris… ma si era fatto ingannare dall’apparenza dello straniero, da quell’aria sperduta, dai sorrisi che era sempre pronto ad offrire e dai suoi modi gentili. Inoltre, la regina stessa lo aveva accolto a palazzo, come ospite.
Ma soprattutto, si era fidato di Kurogane.
Il principe si era subito dimostrato interessato allo straniero, per la curiosità di scoprire chi fosse e da dove venisse; anche se – doveva ammetterlo – Gantai aveva già da qualche tempo il sentore che questa curiosità si fosse trasformata in qualcosa di diverso.
Si fidava del suo capitano, e se egli avesse dimostrato fiducia verso qualcuno (come Kurogane aveva fatto con lo sconosciuto, decidendo di portarlo con loro in quella missione) allora anche Gantai si sarebbe fidato.
Ma non senza limiti.
E vedere che Fay poteva comandare quei demoni con un solo gesto della mano, collegato a tutto quello che c’era stato prima – il suo ritrovamento accanto alla cometa, la strana arma che si era dimostrato in grado di usare… - beh, questo era decisamente un limite alla fiducia che loro, abitanti di un regno minacciato da pericoli incomprensibili e inaspettati, non potevano permettersi di ignorare.
Da qualche parte, in fondo, gli dispiaceva; Fay gli era sempre stato simpatico.
Lo aveva detto egli stesso: lo straniero era uno in gamba.
Ma il nemico era sempre il nemico, che la sua compagnia fosse piacevole o meno.
Non sapeva se l’intera storia della perdita di memoria fosse o meno la verità, non era importante: avevano trovato il punto focale della faccenda, un nemico che non fosse un branco di demoni uscito dagli incubi o un’enorme cometa schiantatasi tra le montagne. Un nemico in forma umana.
“Il principe lo ha… salvato.” disse uno dei soldati.
“Così come può comandare quei mostri, può ben essersi impossessato della mente del nostro capitano.” rispose il tenente.
Della mente e dei sentimenti di Kurogane, non poté fare a meno di aggiungere nella sua testa.

“Sembra che sua maestà il principe si intrattenga volentieri con quel giovane straniero, non è così?”
Quel giorno, non gli era sembrato di cogliere malizia nelle parole del sacerdote… ma adesso, ripensandoci, quella frase avrebbe potuto benissimo contenerne.

Quando Gantai aveva chiesto se Fay gli avrebbe seguiti nel loro viaggio verso il ghiaccio, la mattina della partenza… Kurogane lo aveva guardato in maniera strana, come se stesse dando tutto per scontato. Era certo di quello che faceva, quando tutt’intorno accadevano cose incredibili e pericolose.

“… il nostro principe ha sempre avuto una certa passione per il rischio e per i giochi pericolosi…
E’ un’epoca inquieta, dove si farebbe meglio a tenersi ben stretti le nostre certezze, invece che buttarsi in nuove avventure… Io so solo che stanno accadendo fenomeni inusuali, e che una causa, da qualche parte, deve esserci.”

Era come se Vaikaris avesse saputo tutto fin dal principio.
La profezia. Il distruttore di mondi. Il cavaliere che avrebbe dovuto fronteggiarlo.
Il cavaliere che possedeva il fuoco delle stelle.
Gantai aggrottò le sopracciglia. Non ci aveva creduto fino in fondo, non finché non aveva visto quello che era successo con i suoi stessi occhi.
Si voltò verso i suoi compagni: c’erano dei feriti, e un paio di cavalli erano scappati. Occorreva del tempo, prima che fossero pronti a ripartire.
I soldati lo stavano guardando. Adesso che Kurogane se n’era andato… adesso che era fuggito da loro, era lui il comandante. Non era mai stato bravo nei discorsi, ma in quel momento non c’era bisogno di convincere nessuno a proposito del da farsi. Parlò soltanto per esplicitare quelli che sapeva essere i sentimenti ed i pensieri di tutti.
“Dobbiamo fare in fretta e riuscire a prenderli prima che raggiungano la Cometa… o prima che al principe accada qualcosa di male. Lo straniero è il capo di quei demoni, la sua venuta è la causa di tutto…e se vogliamo che le cose tornino come prima, la causa va eliminata. Lo straniero deve morire.” decretò con voce piatta, tornando a scrutare nell’oscurità.





Era difficile rendersi conto dello scorrere del tempo, in mezzo a quei boschi spogliati dalla neve, dove i tronchi e le rocce sembravano uno scenario sempre uguale che continuava a ripetersi all’infinito; solo le stelle, nel cielo, cambiavano lentamente posizione, mentre la notte avanzava.
Si fermarono in una radura che era uguale a mille altre già incrociate nel tragitto, e scesero finalmente di sella.
Fay osservò Kurogane rimestare nella sua sacca, di nuovo alla ricerca di qualcosa da mangiare.
“…accendi il fuoco, Kurorin…?”
“No.” replicò secco il principe.
“I… demoni non ci daranno più fastidio.” rispose Fay in un sussurro.
Kurogane gli scoccò un’occhiataccia “Visto che i mostri non ti fanno paura, preferisci essere ammazzato dai miei uomini?”
Fay tacque, mentre il principe tirava fuori del cibo. Questa volta il biondo non lo rifiutò, e mangiarono in silenzio.
Il vento continuava a soffiare impetuoso, e ben presto i due si ritrovarono a rabbrividire. Da sotto il cappuccio, Fay lanciò un’occhiata alla volta del principe, e non fu sorpreso di vedere che anche lui lo stava osservando di sottecchi. Tornò a sprofondare nel mantello, colto da una sorta di imbarazzo.
Non sapeva se Kurogane fosse arrabbiato con lui, se lo odiasse – avrebbe avuto tutte le ragioni di farlo – o se invece… se invece non avrebbero potuto stringersi un po’, come la notte prima. Faceva così freddo, lì.
C’erano mille buoni motivi per cui avrebbe dovuto mantenere un minimo di distanza da lui – per lo più, avevano a che fare con vergogna, senso di colpa e rimorso… col fatto che, cielo, lui era un mostro alla pari di quei demoni e non aveva certo il diritto di stare lì con lui e pensare di poter ricevere un po’ di calore da Kurogane – ma al momento, con i piedi che ghiacciavano nonostante gli spessi stivali, e l’aria gelida che sembrava congelargli anche l’interno del petto, non sembravano poi ragioni così convincenti.
“…ti sei fatto male, prima, durante la battaglia…?” chiese, le parole che si condensavano in dense nuvolette di vapore.
Kurogane lo guardò, distolse lo sguardo, lo guardò di nuovo. Probabilmente, pensò il biondo, si stava chiedendo se quella battaglia non avrebbe potuto essere evitata, ora che conosceva l’inaspettato potere che lo aveva visto mettere in atto sui mostri.
“No.” disse alla fine.
Fay accennò un mezzo sorriso. “Beh, meglio.”
Prima delle parole, dalla bocca di Kurogane uscirono diverse nuvolette di vapore.
“…e tu?”
Il biondo lo guardò, umettandosi le labbra prima di rispondere.
“No, niente…”
Kurogane tornò a guardare da un’altra parte.
Fay sospirò, tossicchiando nervosamente.
“Eh… hai freddo, Kurosama?”
Il principe gli lanciò una mezza occhiataccia “No.” - ma, sotto il mantello, teneva le braccia incrociate e ben strette sui fianchi.
Fay annuì di nuovo, senza riuscire a dissimulare un brivido. Lui sì che ne aveva, di freddo. Tossì di nuovo, questa volta senza farlo apposta, e mosse le braccia per tentare di riscaldarsi.
Prima che potesse trovare il coraggio di dire “beato te, Kurorin”, il principe si alzò in piedi e andò a sederglisi vicino.
Aveva lo sguardo duro di chi non era del tutto convinto della cosa che stava facendo, ma, non di meno, era determinato a farla.
Senza dire nulla, passò un braccio attorno alla schiena di Fay, attirandolo verso di sé e ricoprendolo con il suo mantello.
…in ogni caso, l’aveva salvato e portato fin lì. Non avrebbe avuto senso lasciarlo morire di freddo…
(l’altro gli si appoggiò contro, usando il suo mantello per ricoprirgli le ginocchia.)
…senza contare che, improvvisamente, anche lui sentiva una vaga sensazione di tepore irradiarsi dai punti in cui i loro corpi entravano in contatto.

Forse si era addormentato, o forse si era solo perso nei suoi pensieri… alzò gli occhi al cielo, a controllare la posizione delle stelle. Non era passato che poco tempo, da quando si erano avvolti nei mantelli per riposare.
Fu sorpreso nel realizzare che il suo corpo era avvolto in un tepore quasi languido; la spalla di Kurogane, su cui aveva appoggiato il capo, era dura, ma confortevole.
Aguzzò l’udito: era una sua impressione, o il respiro dell’altro aveva una cadenza lenta e regolare, come se si fosse addormentato? Si sollevò leggermente, per guardarlo. Il principe aveva gli occhi chiusi, e un’espressione quasi distesa sul viso. Per un attimo, Fay lasciò che un sorriso gli attraversasse il volto: sembrava… tenero.
Ma il fischio di un’improvvisa raffica di vento lo riportò bruscamente alla realtà. Una realtà che era cupa come i sogni che avevano tormentato il suo dormiveglia.
Lentamente, si alzò, slacciandosi il mantello e posandolo dolcemente sopra Kurogane. Nel farlo, sfilò la pistola dalla sua cintura, dopodiché si allontanò in mezzo agli alberi.

L’aria gelida gli si insinuò oltre il collo della tunica che indossava, facendolo rabbrividire.
Poggiò la fronte contro il tronco di un albero, mentre le sue dita giocherellavano con la pistola.
Era tutto così sbagliato.
Perché era tornato indietro, a sentire le grida di Kurogane, la notte prima? Perché non era andato avanti?
L’ultima cosa che voleva era vedere Kurogane contro i suoi stessi soldati.

Alzò gli occhi verso il cielo. Anche il cielo di Celes era nero e punteggiato di stelle, durante la notte.
Durante la notte, tutte le creature erano esposte alla luce gelida delle stelle. Crudi ed affilati, i loro raggi riverberavano sulla neve tutt’intorno.
Strofinò la fronte contro l’albero, mentre i ricordi tornavano ad accavallarsi nella sua mente, immagini e dati e nozioni. E il mistero del viaggio di Ashura. Un mistero che non avrebbe ormai risolto, ormai. Una delle tante cose che non avrebbe più potuto fare.

Qualsiasi cosa ci fosse lassù… qualsiasi cosa stesse dietro a quei freddi diamanti splendenti, che illuminasse lui e il suo triste destino.

Perché devo essere io, la causa di tutto? E l’unico modo di liberare il suo mondo dalla tua minaccia è…


“Ehi, che stai facendo?”
Fay sobbalzò, le tenebre che avevano avvolto la sua mente scacciate via dalla voce imperiosa del principe.
Kurogane teneva in mano il suo mantello, e si avvicinò per metterglielo sulle spalle.
“No, lascia, non ho freddo, adesso.” scosse il capo in un gentile segno di diniego, il suo mezzo sorriso celato dai capelli che gli ricoprirono il viso, quando lo chinò per fissare un punto imprecisato in mezzo alla neve. Ne smosse un mucchietto con la punta dello stivale.
“Il mio pianeta era diventato più freddo di così. Oh, guarda.”
Schiacciò qualcosa sulla superficie della pistola, e per qualche istante una delle sue misteriose fenditure si illuminò di una luce molto tenue.
“Sta finendo l’energia… non potrai più giocarci, Kuropin.”
Kurogane inarcò le sopracciglia, aspettando che l’altro continuasse, ma il biondo sembrava improvvisamente interessato alla consistenza della neve sotto ai suoi piedi.
“Che cosa sei venuto a fare, qui?”
Fay sospirò. Era arrivato il momento di raccontare.
“Il mio pianeta non era più un posto dove la gente potesse vivere. Il nostro sole si stava spegnendo, e noi sopravvivevamo solo all’interno di… beh, grandi strutture… grandi città, ecco, grandi città autonome in cui avevamo tutto il necessario per sopravvivere. – immaginava che a Kurogane non fosse familiare il concetto di energia atomica, e men che meno tutto il resto – Ma non sarebbe potuto durare a lungo. Così, abbiamo lanciato diverse astronavi alla ricerca di mondi da colonizzare. La mia Cometa era una di queste.”
Kurogane incrociò le braccia, scettico.
“Se io volessi colonizzare un territorio nemico, eviterei di far sì che tutto venga ricoperto dal ghiaccio e che orribili mostri spuntino in mezzo ad esso, visto che in questo modo non lo renderei certo un posto accogliente.”
Fay tornò a guardare per terra. “All’inizio, non erano questi i piani. All’inizio, dovevamo cercare pianeti vivibili, ma non era nei nostri programmi stabilirci su di essi con la forza. Almeno, per quel che ne sapevo io… ma evidentemente, non ne sapevo nulla.
Avevamo inviato una spedizione di ricognizione in una regione ancora sconosciuta della nostra galassia. Quando sono tornati, non erano più gli stessi. C’era qualcosa di diverso, dentro di loro. E i piani sono improvvisamente cambiati.”
Qualsiasi essere – qualsiasi cosa Ashura avesse incontrato nel suo viaggio, era riuscito ad impossessarsi della sua volontà e li aveva ciecamente usati, perché sapeva che sarebbero andati alla ricerca di nuovi pianeti… come una sorta di orrendo parassita.
Non avrebbe cercato di giustificarsi, perché non aveva scusanti. Non aveva voluto vedere che cosa stava succedendo, non aveva cercato di opporvisi. Si era limitato ad inumidirsi gli occhi e a lasciare che i silenzi di Ashura distruggessero tutto.
“Perché hai scelto Suwa?”
“Non l’ho scelto io, questo pianeta. Ero diretto in una galassia vicina alla vostra... ma durante il volo qualcosa si è guastato nell’astronave, ed è precipitata qui.
In ogni caso, è stata la Cometa a generare il ghiaccio, l’habitat preferito dei demoni, e poi ha modificato l’orbita della vostra luna, facendone corrispondere il moto nel cielo a quello del vostro sole, causando un’eclissi perpetua. Non chiedermi come questo sia possibile… - Kurogane fece segno di scacciare quei pensieri con la mano. La Cometa aveva portato il ghiaccio, e i mostri. Aveva portato Fay, con tutto quello che ne era conseguito. Che riuscisse perfino a far cambiare il cammino della luna non sembrava qualcosa di particolarmente notevole, a questo punto. – Se il sole rimane coperto, il ghiaccio continuerà ad espandersi… fino a ricoprire l’intero pianeta, per renderlo sterile e senza vita… inutile anche per il mio popolo che lo voleva colonizzare.”
Kurogane sbuffò, per poi rimanere in silenzio per qualche tempo, scrutando attentamente l’altro, come sperando di riuscire ad aprirgli in due il cranio per guardare direttamente al suo interno.
“E non potevano venirti in mente prima, queste cose?” chiese alla fine.
“Devo aver perso la memoria a causa dei colpi subiti durante l’impatto. Sulla schiena… sotto il tatuaggio, ho una specie di…macchina. Serve a tenermi in contatto con i demoni, anche loro sono… delle macchine, ecco. Questa mia apparecchiatura deve essersi rotta, o guastata, durante la caduta. E’ collegata al mio sistema nervoso, e probabilmente è stato questo a farmi perdere la memoria e la consapevolezza del collegamento con i demoni. Per questo, mi faceva male quando si avvicinavano. Se tutto avesse funzionato correttamente, sarei dovuto essere stato in grado di mantenere un contatto con i demoni, anche a distanza, impartire loro degli ordini… ma dopo che si sono risvegliati, si sono ritrovati senza controllo.”
Il principe aggrottò ulteriormente le sopracciglia, gli occhi ridotti a due fessure.
Le parole di Fay erano solo un’ulteriore conferma di quanto già sospettava.
Tuttavia, la situazione non cambiava: Kurogane aveva preso una decisione, diverso tempo prima, accettando il rischio. E non era tipo da cambiare idea tanto facilmente.

L’altro alzò gli occhi dalla neve, cercando sul volto del principe un qualche segno di odio o rabbia, qualcosa che gli facesse capire che, finalmente, Kurogane aveva deciso di sbarazzarsi di lui.
Ma non ne trovò traccia.
Maledizione, non una volta che le cose andassero come si augurava.
Fece un respiro profondo. L’ultima cosa che voleva era vedere Kurogane contro i suoi uomini… a causa sua.
“Lasciami qui.”
Lo sguardo che l’altro gli indirizzò fu difficile da sopportare – era carico di rabbia, ma, al di sotto, c’era una punta di dolore. Kurogane non poteva credere che lui gli stesse chiedendo di abbandonarlo, e non l’avrebbe fatto in nessun caso.
Ma Fay, per una volta, voleva tentare di cambiare il corso degli eventi, di creare un argine dove il flusso di tutta quella sua vita spinta avanti da forze esterne potesse finalmente fermarsi ed evitare di trascinare con sé ulteriori detriti.
“Non arriveremo mai in tempo alla Cometa, lo sai. – replicò, calmo – Il tatuaggio, o meglio, la macchina al di sotto trae energia da me, dalla mia vitalità, dal mio sangue, dal mio calore. Se io muoio, si spegnerà. Se si spegne, anche i demoni moriranno… sono stati creati per cessare di funzionare, qualora il loro capo venisse meno. La stessa Cometa, se non è stata troppo danneggiata dall’impatto, lascerà questo pianeta. La mia gente è sempre stata protettiva, nei confronti delle sue scoperte scientifiche.”
Voleva rimanere lì, spegnersi lentamente in quelle tenebre gelide che aveva portato con sé attraverso le galassie.
“La morte per assideramento non è poi così dolorosa, Kuropin.”
Avrebbe avuto freddo, ecco. Ma non ne avrebbe avuto di più di quanto ne aveva provato a Celes, per tutta la sua vita prima di quel viaggio, questo era sicuro.
Sapeva che prima del sopravvento della morte, sarebbero arrivate le allucinazioni… avrebbe potuto rivivere qualche momento della sua infanzia, forse. Avrebbe certamente rivissuto gli attimi passati assieme a Kurogane.
Se la sua morte poteva salvare Suwa, era pronto ad abbracciarla. Non sarebbe più stato uno strumento nelle mani del caos.
“Lasciami qui, e va’ dai tuoi. Tutto tornerà come prima. Non farà male…”
Non aveva abbassato gli occhi, ma lo sguardo adirato e addolorato del principe, che non lo aveva abbandonato nemmeno per un istante, non era facile da sopportare.
“Basta.” disse improvvisamente Kurogane, il volto accigliato e la voce cupa. Gli circondò le spalle con un braccio, attirandolo a sé.
“Non farà male a te, forse…” mormorò, qualcosa a metà tra un ringhio ed un sussurro, e lo baciò.
Mannaggia a quei suoi baci, pensò Fay.
Sentendo sulla sua lingua e sulle sue labbra il calore di quella bocca, si rese improvvisamente conto di quanto freddo aveva; suo malgrado, si ritrovò a tremare, e fu grato a Kurogane quando questo gli rimise sulle spalle il mantello.
Le sue mani indugiarono sul petto del principe, seguendo il profilo del suo braccio destro, risalendo l’orlo bordato di pelliccia del guanto, sfiorandogli il polso e la mano. Sentì i muscoli di Kurogane irrigidirsi impercettibilmente – tra le dita stringeva ancora la pistola.
Gliela alzò lentamente – non aveva intenzione di strappargliela di mano – e puntò l’arma contro il suo stesso cuore, avvicinandosi a Kurogane, mentre la bocca della pistola affondava nella sua tunica.
“C’è energia per un colpo soltanto. Non puoi andare avanti a combattere i demoni con questa. Ma puoi usarla su di me, e porre fine a tutto questo una volta per tutte. Puoi salvare Suwa. – disse con voce stanca, scrutandolo negli occhi – Ascoltami.”
Era quasi una supplica.

Kurogane fece un brusco passo indietro, incrociando le braccia sul petto.
“Non capisco se ti comporti da idiota perché sei ancora confuso o perché lo sei veramente.” decretò alla fine.
Per il principe, la battaglia non era finita.
Certo, i suoi nemici erano ancora il ghiaccio ed i demoni. Ma non era soltanto il suo regno che andava salvato da quella minaccia… lo straniero – anche se sembrava essere lui la causa di tutto – era innanzitutto parte di ciò che Kurogane aveva deciso di proteggere - senza che se ne rendesse conto, lo era diventato dal primo momento in cui lo aveva incontrato, svenuto in mezzo agli alberi, ai bordi del cratere.
E uccidere qualcuno per proteggerlo non era ancora una cosa che il principe acconsentisse a fare.
Sarebbero arrivati alla Cometa e avrebbero trovato un modo per risolvere la situazione. Se Fay poteva comandare i demoni, poteva farli tornare da dove erano venuti. Poteva dire alla Cometa di ritirare il ghiaccio, di liberare la luna.
Diamine, doveva esserci un modo e loro lo avrebbero scoperto.
“Adesso muoviti, dobbiamo andare.”
Il suo tono era perentorio.
Fay si morse un labbro. Era tutto inutile. Inutili i suoi sforzi di convincerlo, inutile la loro fuga verso la Cometa.
Chinò la testa e obbedì; se non l’avesse seguito spontaneamente, Kurogane l’avrebbe caricato sul cavallo con la forza. E non voleva addossargli quest’ulteriore incombenza.

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Capitolo 11
*** X. Prophet of the Last Eclipse ***



@ Gloglo_96 : sì, il grosso problema di Fay è che non ha autodeterminazione. Cioè, lui prova ad autodeterminarsi, ma Kurogane lo stronca. Ma va bene così... visto che poi Fay ci guadagna soltanto - ciò detto, il metodo di Kuropin è discutibilissimo ù_ù, ma d'altronde lui è così.

@ Mistral: figurati! :)  La canzone "Black Realms Majesty" è di Fay, semplicemente. Del resto, Fay non è un depresso con tendenze suicide, ha sempre le sue ragioni per voler morire e sono sempre peggiori di quello che Kurogane si aspetta. Io sono dell'idea che nella storia originale, se Kurogane avesse saputo cosa Fay nascondeva, forse ci avrebbe pensato due volte, prima di salvarlo. Ma poi l'avrebbe salvato lo stesso, cocciuto com'è. XD

@ Pentacosiomedimni: "Eheh, ragazzi... Tra Achille e Patroclo... c'era più di un'amicizia" (cit. dalla mia prof. del ginnasio)... ehm. Sì comunque quoto, ci sono tanteeee cose che anch'io avrei voluto vedere accadere nel manga e invece tu guarda devo spendere le notti a scrivere e leggere fan fiction per vederle succedere XD vabbeh vabbeh!



Eccoci all'ultimo capitolo, scritto in parte mentre mi rotolavo, tentando - senza successo - di prendere sonno sul materasso di mattoni del B&B di Lucca...
In realtà, anche se questo è l'ultimo capitolo, siccome questa storia è come i rotoloni regina,  non finisce mai e avrà anche un epilogo.
Suddetto epilogo sarà pubblicato a breve - davvero XD - con alcune note finali sulle canzoni etc. Quindi attendete con fiducia (?).



N.B.: leggere le lyrics della canzone di questo capitolo comporta SPOILERS sul suo contenuto. Beware. ù_ù




X.


PROPHET OF THE LAST ECPLISE



Ascoltatela qui!


Requiem aeternam dona eis Domine:
et lux perpetua luceat eis

Silent see of dark and terror
spare the planet from this terror
white cold moon and Zaephyr's surface
Salva me, Salva me, Salva me...
I will swear I will call my hate
and eternal rage

She's ready to turn off her life's flame
to free all his people from hell
but no... he doesn't want to accept thos solution
prefering to think of how he can escape
Hundreds of them are now coming
"friend" is now an ancient word
there's no place left to hide in this white icy dungeon
no way to survive of the close shadows' fall
shadows' fall...

And so she made her choice
seeing Arkan fooling himself with lost hopes
She left her lover's arms
and crying she started to run away...
to them!

She looked at him praying... "forgive me!"
but he could nost answer at all
she was going to be killed by the mass of those riled
now screaming and trying to stop all their pain
'cause she would have been surely tortured by all of those religion's fools
he was then obliged to shoot at his princess
to avoid the brutality of his now... dead old friends

She was now lying there,dying in a lake of ice and blood
While he, embracing her, was killing them with his red eyes

WHEN HER BLOOD RAN THROUGH THE DARK ICE
THE SURFACE BEGAN TO TREMBLE
QUAKES AND THUNDERS CLASHING EVERYWHERE
THIS IS ZAEPHYR'S TRAGIC DOOMSDAY
WHAT WAS UNREVEALED SO EVEN
TO THE PROPHET OF THE LAST ECLIPSE...
LAST ECLIPSE

No trace of life around
What happened to his ancient town?
He hopes it's not a dream
But it's the sun now lighting him..?





Era difficile distinguere il succedersi dei giorni, a palazzo.
Nei corridoi illuminati dalle fiaccole, si poteva indovinare il passare del tempo dal loro consumarsi.
La regina di Suwa, nel buio che la circondava strisciando fuori dalle ombre negli angoli delle sue stanze fino ad insinuarsi nella sua mente, poteva con difficoltà distinguere la realtà dai sogni.
“La luce tornerà.” disse ad un tratto, le palpebre socchiuse a permettere che i suoi occhi osservassero ciò che solo a lei era consentito di vedere.
Il re la guardò, senza sapere se essere contento o spaventato per quelle sue parole.
“Se ne vuole andare… e finirà per col farlo. – tornò ad aprire gli occhi, sollevandoli sul marito – Te lo avevo detto, che sarebbe passato molto tempo prima del momento in cui avremmo potuto rivedere nostro figlio.”
Un dito sottile, gentilmente posato sulle labbra del re, bloccò sul nascere qualsiasi replica.
“Ma tornerà indietro. La luce tornerà.”
Il re di Suwa chinò il capo, prendendo la mano della regina tra le sue e posandovi un bacio.



Il cielo oltre il passo era nero, ma anche nell’oscurità di quella notte innaturale si potevano scorgere gli sbuffi di neve che, come vapore, si sollevavano dalle cime dei monti per via del forte vento che soffiava.
Dietro di loro, sempre più chiari e distinti, giungevano i rumori dell’inseguimento: i soldati di Kurogane li avevano quasi raggiunti.
Il principe, tuttavia, non si guardava alle spalle; davanti a loro si ergeva il passo, e oltre il passo si trovava la Cometa. Era lì che dovevano arrivare, prima di poter tornare a voltarsi.
Spronò il cavallo finché il percorso non si fece chiaramente troppo impervio per l’animale.
Sotto gli strati di ghiaccio e neve, c’era la frana provocata dall’impatto della Cometa nella valle. Fay ricordava quando l’aveva percorsa in discesa, stringendosi a Kurogane per non perdere l’equilibrio, incerto sulla gambe. Nonostante ora la sua mente fosse satura di ricordi ed immagini del suo passato, e quella frana fosse sepolta sotto tanto gelo, tutto era perfettamente fulgido nella sua mente come se fosse appena accaduto.
Non aveva un pianeta dove tornare: se anche avessero raggiunto la Cometa, dove sarebbe potuto andare? Celes con ogni probabilità era ormai morto, congelato in quello spazio buio e silenzioso.
Avrebbe fatto meglio ad inciampare, quel giorno di tante settimane prima, e non arrivare mai al palazzo di Suwa.
“Tieni.” fece Kurogane, mettendogli in mano le briglie del destriero ed allontanandosi in fretta dal cavallo alla ricerca di un punto in cui neve e ghiaccio non rendessero impossibile la salita.
Fay voltò gli occhi stanchi sulla valle dietro di lui. Poteva vedere i soldati; erano davvero vicini, ormai.
Guardò Kurogane, nervosamente impegnato in quella ricerca senza speranza: non c’era un posto dove nascondersi, nessuna via di fuga in quel labirinto scuro e ghiacciato.
Così, Fay scelse.
A fatica – era esausto, provato dal freddo e dalle emozioni – risalì sul cavallo e lo spronò, lanciandolo al galoppo nella direzione dei soldati.
Non appena sentì il trambusto, Kurogane si voltò, e i loro sguardi si incontrarono.

Mi dispiace davvero, Kurorin… mormorò Fay a fior di labbra.

Kurogane gridò, facendo due passi verso il cavallo e quasi incespicando nella neve, prima di rendersi conto che non sarebbe mai e poi mai riuscito a fermare Fay.
Con orrore crescente, guardò Fay cavalcare verso i suoi uomini.
Quelli, a vederselo venire incontro, avevano lanciato un grido di battaglia ed estratto le spade. Si sarebbero avventati su di lui senza pietà alcuna, impazziti per la paura e il buio e il freddo e la stanchezza.
Poteva già vedere le lame di Suwa calare inesorabilmente sullo straniero per massacrarlo – non avrebbero avuto la pietà di concedergli una morte rapida, lo sapeva per certo.
E Fay, solo, stava cavalcando incontro alla sua morte.
Si ritrovò a stringere in mano la pistola.

C’è energia per un colpo soltanto. Non puoi combattere i demoni con questa.

Non poteva nemmeno combattere i suoi uomini. Maledizione, a che punto erano arrivati, che immaginava di sparare ad uno dei suoi soldati? Ma anche così, non avrebbero desistito… erano troppi perché potesse opporsi, in quel frangente.

…ma puoi usarla su di me, e porre fine a tutto questo una volta per tutte.

Morto io, tutto tornerà come prima.

Avrebbe voluto avere il tempo di imprecare, di urlare a quel cielo nero tutta la sua disperazione.
Ma Fay era sempre più lontano da lui, e sempre più vicino ai soldati.
Sollevò l’arma quasi senza pensarci. Prese la mira automaticamente, come se fosse di nuovo nel bosco vicino alla sua città, ad esercitarsi sui tronchi d’albero.
Premere il grilletto venne di conseguenza, e vedere Fay piegarsi in due sulla sella non fu che l’esito naturale delle sue azioni. Bersaglio centrato.
Quando si permise di comprendere appieno quello che aveva fatto, stava già correndo verso il punto in cui Fay era caduto.

Gantai e gli altri soldati fermarono i cavalli a qualche metro di distanza.
Kurogane era inginocchiato nella neve, e stringeva Fay fra le braccia.
Fino a qualche istante prima, lo aveva sentito muoversi. Gli aveva preso una mano, e le sue dita sottili, per un attimo, avevano ricambiato la stretta.
Ora era immobile, la testa riversa all’indietro.
Sulla neve sotto di loro andava spandendosi una macchia scura, e Kurogane lo sosteneva come ad evitare che affogasse in quel lago di ghiaccio e sangue.
Sangue caldo, che aveva intriso gli abiti di Kurogane; ma, pian piano, il vento gelido si era portato via quel tepore, lasciando il principe a rabbrividire per il freddo.
Gantai e i soldati smontarono lentamente da cavallo, senza però rinfoderare le lame, quasi aspettandosi che lo straniero si risvegliasse, e che richiamasse a sé i mostri.
O forse, si chiedevano se il principe stesso non fosse diventato un demone a sua volta.
Kurogane alzò gli occhi, e le sue pupille scarlatte dardeggiarono su di loro, ferine; emanavano un bagliore sinistro alla luce delle stelle.
“Ce n’è per chiunque osi avvicinarsi più di così.” ringhiò minaccioso, sollevando la pistola che aveva in mano.
Non era vero, ma i suoi soldati non potevano saperlo. Rimasero immobili; alcuni fecero qualche passo indietro, spaventati.
Gli occhi del principe erano asciutti, incandescenti di rabbia.
Il sangue smise di allagare la neve, mentre il cuore di Fay cessava lentamente di battere.
Mentre smetteva di respirare, i tratti delicati del suo viso si rilassarono, levigandogli la fronte e facendo sparire l’espressione di dolore causatagli dall’agonia.

Kurogane pensò che l’aveva stretto tra le braccia in questo modo anche la prima volta che lo aveva incontrato; la vita di Fay era sempre dipesa da lui, fin dal primo giorno. Era stato lo straniero a metterla fra le sue mani, e lui ne aveva accettato la responsabilità.
Forse, a Fay non sarebbe nemmeno dispiaciuto morire a questo modo.
…maledizione!

Un brivido lo scosse, ma non era il freddo.
Non era nemmeno dolore.
Era rabbia, potente rabbia per tutte le cose che erano successe e che lui non aveva potuto impedire. Era una rabbia irrazionale ed istintiva.
Fay era morto, e lui – che più di chiunque altro, perfino più di Fay stesso, avrebbe voluto vederlo vivere – era il suo uccisore.
Alzò gli occhi sui soldati silenziosi, fermi di fronte a lui, fece per alzarsi e per… oh, non sapeva nemmeno lui che cosa aveva intenzione di fare.
Né lo seppe mai.
Improvvisamente, le montagne attorno a loro tremarono, un tremito simile a quello della notte in cui si era schiantata la Cometa, leggermente più lieve, ma continuo.
Mentre sollevavano gli occhi verso il passo, sentirono il boato; migliaia di tuoni scoppiati all’unisono, il cui rombo aumentava inesorabile, mentre la valanga si staccava dalla cima. Sembrava che la montagna stessa crollasse, rovinando verso di loro.
“Principe!”
Gantai aveva afferrato un braccio di Kurogane, tentando di smuoverlo.
“Dobbiamo andarcene!” fece per toccare Fay, ma Kurogane si liberò bruscamente dalla sua presa.
“Maestà, salite!” implorò Gantai, porgendogli le briglie del suo cavallo.
I loro sguardi si incrociarono per un breve istante. In quel momento, nonostante ciò che era successo, gli anni di addestramento e missioni compiute insieme, l’affiatamento che li aveva uniti in tutto quel tempo tornarono a prevalere.
L’attimo dopo, Kurogane era in sella, il corpo di Fay stretto al petto, e aiutava il suo tenente a salire dietro di lui.
Spronarono il cavallo verso la collina dove si erano accampati la notte dell’impatto della Cometa: li aveva salvati dalla frana, avrebbe potuto essere un rifugio anche dalla valanga.
Ma la massa di neve si avvicinava a velocità spaventosa, fischiando e tuonando come un’enorme drago bianco. Erano quasi riusciti ad arrivare alla collina, quando la valanga li raggiunse.
Li prese di striscio – ai lati, al sua potenza era meno dirompente – e mentre la neve lo circondava soffocandolo e trascinandolo con sé nella sua corsa, Kurogane tentò con tutte le sue forze di liberarsi da quella massa gelida.
Tutto divenne prima bianco e poi buio.
C’erano due cose di cui era consapevole: il corpo di Fay, che si stringeva ancora al petto, e la via di fuga che tentava di aprirsi nella neve.
Alla fine, emerse nell’aria gelida, respirandola a pieni polmoni; tentò di aprire gli occhi ma dovette richiuderli subito, improvvisamente accecati dalla luce che illuminava il paesaggio immoto e privo di vita attorno a lui.
Dove’era? Dov’erano i suoi uomini? Dov’era Gantai?
Non capiva se fosse o meno un sogno… ma era il sole che lo stava illuminando?
Alzò gli occhi, doloranti per il gelo e la luce improvvisa, e la prima cosa che pensò fu che le stelle del cielo si fossero avvicinate per osservare quella strana tragedia più da vicino.
Qualcosa di enorme e luminoso incombeva sopra di lui, i contorni lucidi che rilucevano degli stessi bagliori che emanava, la superficie ricoperta e quasi ornata di punti luminosi freddi e scrutatori.
Tutt’ad un tratto, dal buio di quella massa misteriosa, si accese una luce più forte.
Kurogane sentì un rumore metallico e, istintivamente, strinse più forte ancora il corpo di Fay, gelido e ricoperto di neve.
Un’improvvisa esplosione di luce lo accecò, e non ebbe più coscienza di tutto quello che lo circondava; il terreno sotto di lui perse consistenza, l’aria da gelida divenne incandescente, il vento ululò più forte che mai.

Quando i suoi occhi tornarono a vedere, non era più immerso nella neve. Le sue ginocchia poggiavano su qualcosa di liscio e duro.
Sbatté le palpebre, guardandosi attorno, mentre le sue mani scorrevano sul corpo di Fay per accertarsi che fosse ancora lì.
L’ambiente era illuminato da una luce soffusa e tenue; da quel che poteva capire, si trovava in una sorta di corridoio biancastro – Kurogane era certo di non aver mai visto un simile materiale prima d’ora.
Dal nulla, qualcosa si materializzò di fronte a lui e d’istinto il principe mise mano alla spada che portava ancora al fianco (aveva perso la pistola nella neve). Ma la sua mano si fermò sull’elsa.
Davanti a lui fluttuava una fanciulla, le forme aggraziate e minute avvolte in un abito candido.
Kurogane la osservò a lungo, prima di parlare. I piedi della ragazza non toccavano il pavimento, né il suo corpo proiettava alcuna ombra.
“Sei uno spirito?”
La fanciulla non gli rispose, ma si limitò a scrutarlo con espressione vuota. Dopo qualche istante, si fece da parte e iniziò a fluttuare lungo il corridoio, continuando a guardarlo.
Kurogane si alzò, e mosse due passi nella sua direzione, interpretando il gesto dell’altra come un invito a seguirlo. La ragazza si mosse più velocemente, e il principe le andò dietro.

Fay era ormai un pesante fardello immobile tra le sue braccia.
Man mano che camminava, Kurogane lasciava impronte di neve umida dietro di sé. I suoi vestiti zuppi ne erano pieni, così come quelli di Fay, ma al biondo la neve ed il freddo non avrebbero più dato fastidio.

Dopo il corridoio, attraversarono altri ambienti cui Kurogane non tentò nemmeno di dare un nome o di qualificare in qualche modo.
Alla fine, giunsero a quella che sembrava una grande sala dalle pareti ricoperte di pannelli metallici su cui brillavano piccole luci intermittenti.
La ragazza si fermò nel centro, la sua figura immobile e silenziosa.
Ad un tratto, uno dei pannelli si aprì e ne uscì quella che a Kurogane sembrò una spessa cassa di metallo. Senza che nessuno toccasse nulla, il suo coperchio si sollevò.
Si aprì silenziosamente, rivelando un interno color crema, una sorta di giaciglio.
Il principe lo guardò con un interesse distante, assente.
Si chiese se forse non fosse finito all’interno della Cometa.

Se io muoio… la stessa Cometa… lascerà questo pianeta.

Chissà, forse la Cometa si era fermata a raccogliere Fay per portarlo con sé nel suo viaggio tra le altre stelle.
Guardando quella strana cassa in metallo, Kurogane si chiese se non fosse una bara; lunga e stretta, sembrava fatta apposta per adagiarvi un cadavere.
Chinatosi a terra, aprì la fibbia del mantello di Fay, fradicio di neve. Le sue mani indugiarono mentre gli slacciavano la tunica, muovendosi sopra l’enorme macchia rosso scuro che gli tingeva il petto. Sotto, portava una camicia di lana; il foro del colpo era ben visibile, sotto al cuore, il tessuto bruciato e i lembi modellati dal sangue raggrumato.
Le sue dita corsero alla ferita, carezzando per un istante quel torace gelido ed immobile.
Finito di spogliarlo, lo adagiò nella bara. Gli scostò le ciocche di capelli bagnati dal viso, come se li sistemava sempre Fay, pettinandogli con cura un ciuffo dietro l’orecchio.
Mentre le sue dita indugiavano ancora su quella fronte terrea, sentì uno strano rumore, e il coperchio si mosse improvvisamente per chiudersi.
Kurogane ritirò le mani, allarmato e rassegnato allo stesso tempo.
Era il suo addio, allora?
Qualcosa si illuminò, sulle pareti della stanza. Vide linee di luce di svariati colori, sentì strani rumori metallici. E la “bara”, improvvisamente, prese a vibrare; non tremava visibilmente, ma poteva sentirla fremere.
Vi posò una mano: era calda.
Lo spirito della fanciulla era sempre immobile al centro della stanza, lo sguardo vacuo posato sul principe, che tuttavia sembrava essersi dimenticato di lei.
Dopo qualche istante, Kurogane fece un passo indietro e crollò a terra, la testa fra le mani. Non capiva cosa significavano quei rumori, non sapeva dov’era, non aveva la minima idea di quello che gli sarebbe accaduto. Ma soprattutto, niente di tutto ciò gli importava davvero, in quel momento.
Nella sua mente, si accavallavano le immagini di quelle ultime settimane; dei giorni trascorsi da quando aveva incontrato Fay.
La sua diffidenza, mai vinta fino in fondo ma certo sconfitta temporaneamente da quegli occhi e da quel suo corpo sottile tra le braccia.
Il sospetto di Gantai, i suoi dubbi inespressi. La rabbia dei suoi uomini. La sua, verso di loro, verso il cielo, verso Fay. Verso se stesso, che non era riuscito a proteggerlo se non avverando quel suo patetico desiderio.

Hai vinto tu. Adesso vieni a dirmi se ho fatto bene.

Una strana luce gli raggiunse le palpebre attraverso le dita che gli coprivano il viso.
Alzò gli occhi: la “bara” ronzava quietamente, ora.
Lento, il coperchio tornò a sollevarsi.
Kurogane si alzò, sporgendosi al di là del bordo, colto da un’improvvisa agitazione.
Il viso di Fay era cinereo ed imperlato di sudore. Sotto al cuore, la ferita era scomparsa, rimpiazzata da una cicatrice di pelle rosea, che si tendeva leggermente al regolare alzarsi ed abbassarsi del petto.
Prima di rendersi conto di cosa stava facendo, Kurogane si chinò su di lui, afferrandolo per scuoterlo violentemente.
“Svegliati, maledizione!” ruggì.
Non gli passò per la testa che poteva fargli male, o forse non gli importava. Voleva solo che quella speranza convulsa e appena nata non venisse delusa.
Dopo un attimo, Fay aprì gli occhi, mettendo lentamente a fuoco il viso disperato ed adirato a pochi centimetri dal suo.
Un pallido sorriso gli si dipinse sulle labbra, mentre l’altro gli urlava in faccia: “Un’altra alzata di testa così, e ti ammazzo definitivamente!”
Esausto, il biondo reclinò la testa all’indietro, richiudendo gli occhi. La sua mano andò a sfiorare il dorso di quella di Kurogane che gli stringeva la spalla, in una piccola carezza rassicurante.
Il principe, tremante, lo osservò riaddormentarsi, mentre le sue guance riprendevano un leggero colore rosato. Guardò le sue labbra socchiudersi leggermente nel respiro del sonno, e non vide più altro, perché le lacrime improvvisamente gli offuscarono la vista.


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Capitolo 12
*** Epilogo ***


@ Tomoyo93:  Grazie mille! Ad "almeno tu nell'universo" non ci avevo pensato, quando ho letto il tuo commento mi è venuto da ridere XD

@ Mistral: grazie carissima. In realtà il finale drammatico era voluto dalla trama, ma del resto ho scelto questa trama proprio per il finale drammatico! Comunque l'happy ending - o qualcosa di simile - alla fine ci voleva, se non altro perchè ho già sofferto abbastanza angst made in Clamp e alla fine non riesco a far soffrire troppo i personaggi che hanno già avuto le loro batoste...


Bene, ecco a voi l'epilogo! ^^ In fondo troverete alcune note sulle canzoni e sulla storia, nonchè alcuni miei commenti personali.
Buona lettura!


Ultima cosa: le canzoni sono finte, ma io vi potrei consigliare un adeguato sottofondo comunque.. Dvorak, la Sinfonia dal nuovo mondo, largo dal secondo movimento.





EPILOGO





Il principe se ne stava in piedi, a braccia conserte, osservando il panorama.
Non era certo la prima volta che si ritrovava a guardare il cielo stellato – anzi, era capitato fin troppo spesso, in quegli ultimi giorni.
Lo guardava rilucere sopra di lui come quando dormiva all’aperto, durante una spedizione lungo i confini o una battuta di caccia, mentre sotto la schiena sentiva le asperità e le durezze del terreno. Ma non gli era mai capitato di guardarlo attraverso una finestra, senza che ci fosse una panorama di montagne o pianura, di terra, a fargli da contrappeso.
Il cielo, adesso, si estendeva ovunque, sopra, sotto, attorno a lui, infinito.
Alle sue spalle, sentì un leggero scalpiccio di piedi nudi. Fay gli si avvicinò lentamente, avvolto in una lunga veste bianca, che teneva chiusa con le dita all’altezza del petto.
“Dovresti toglierti questi vestiti, Kuropon. Avrai freddo.” disse piano - Kurogane si era tolto il mantello, ma anche il resto dei suoi abiti era umido.
Il principe gli rivolse una breve occhiata, ignorando la sua affermazione.
“Dove siamo?”
Fay gli si affiancò per guardare il nero punteggiato di corpi celesti che li aveva inghiottiti.
“La Cometa era programmata per fare ritorno al mio pianeta, qualora mi fosse successo qualcosa.”
“Che ne è stato dei demoni?”
Fay si allentò la veste, facendola scivolare lentamente dalle spalle, rivelando la sua schiena e il tatuaggio che vi era inciso. Ora una piccola cicatrice interrompeva il disegno sotto la scapola sinistra.
“Sono morti quando mi hai colpito. Il raggio ha trapassato il macchinario nella mia schiena, distruggendolo.”
“E adesso? Stiamo andando verso il tuo mondo?”
Fay scosse la testa “Ho bloccato la Cometa. Ti riporto indietro, prima.”
“Prima di cosa?”
Gli occhi celesti dell’altro sfiorarono appena quelli scarlatti del principe, per poi vagare attorno, come alla ricerca di un appiglio.
Kurogane sbuffò.
“Ascoltami bene. – aggrottò le sopracciglia, concentrandosi su quello che doveva dire. Sembrava stanco, stanco di ripetersi, stanco di combattere – Ti ho già dato corda una volta, giusto?”
Fay lo guardò di sottecchi. Era vero, era stato lui a chiedergli di sparare, e Kurogane, alla fine, era stato costretto a farlo. Aveva visto il suo volto distrutto, quando si era svegliato, e i suoi occhi arrossati dal pianto. Non pensava che il principe potesse piangere… non per lui, almeno.
“Pensi forse che lo farò di nuovo?” rincarò.
Il biondo tornò a fissare il pavimento. Nonostante la stanchezza, il tono del principe era deciso, duro.
“No.” gli rispose alla fine, con un mezzo sorriso.
Kurogane lo trapassò con lo sguardo, come ad accertarsi che avesse capito bene.
“Allora non blaterare di andartene chissà dove.”
Fay sospirò. Il mezzo sorriso sulle labbra divenne un sorriso intero, mentre scuoteva lentamente la testa. Kurorin era un tipo… possessivo.
“La fai sempre troppo semplice, Kurosama.”
L’altro sbuffò di nuovo. Era vero, forse; tutto quello che voleva era tornare a casa sua e portare con sé Fay. Era anche vero che di tutte le spiegazioni complesse che il biondo gli aveva fornito, il principe non era affatto certo di averne compresa che una piccola parte.
“La Cometa non può tornare a Suwa così. Nemmeno io posso.”
Era una semplice constatazione; con che coraggio avrebbe osato guardare in faccia la gente di Kurogane, i suoi genitori, Gantai e gli altri soldati, dopo quanto accaduto?

Il principe tornò a fissare il buio al di fuori dell’astronave. Non sapeva che fine avessero fatto Gantai e gli altri uomini, e si era costretto ad accantonare quel pensiero solo perché sapeva di non poter fare nulla per loro.
In effetti, l’essere sospeso in quel vuoto stellato all’interno di quella bizzarra Cometa gli dava una sensazione di impotenza… nessuno dei problemi che riguardavano Suwa poteva essere risolto, finché non ci tornavano.
I suoi occhi tornarono a fissarsi su Fay, che alzò le mani come in segno di resa.
“Se la Cometa torna a Suwa e ci resta, potrebbe succedere tutto di nuovo… il ghiaccio e l’eclissi.”
Si risistemò la veste attorno alle spalle, e fece cenno a Kurogane di seguirlo attraverso gli strani ambienti della Cometa. Dopo una ripida scaletta in metallo e un corridoio stretto e basso, si ritrovarono davanti ad una grossa porta.
Dopo aver inspirato a fondo, Fay premette qualcosa sullo stipite, e la porta si aprì con uno sbuffo, il metallo di quello che sembrava essere il battente che scompariva risucchiato nella parete.
“Tutto questo… io non l’ho visto che dopo la partenza.” disse superando la soglia e facendosi di lato per far passare anche Kurogane.
Il principe entrò e i suoi occhi si assottigliarono, mentre tentava di decifrare quello che stava vedendo. La stanza era sorprendentemente grande, poco oltre la soglia il pavimento si abbassava repentinamente, e strane strutture metalliche si ergevano al suo interno. Avrebbero potuto sembrare colonne, forse. Lampi di luce multicolore dardeggiavano tra di esse, piccoli serpenti che stiracchiavano a pigri guizzi le proprie spire, come preparandosi per spiccare balzi più potenti.
Fay incrociò le braccia, stringendosi la veste al petto.
Qualsiasi cosa Ashura fosse riuscito a costruire, era troppo pericolosa e potente. Fin dal primo momento in cui aveva aperto la porta di quella sala, aveva provato uno strano brivido a vedere quel marchingegno, ed ora che era stato testimone di quello che poteva fare, quello spettacolo gli dava la nausea.
Ancora non si capacitava di come Ashura fosse riuscito a progettarla a parte e ad aggiungerla alla Cometa senza che tutto il resto della struttura dell’astronave ne fosse compromesso…
Come gli venne quel pensiero, si lasciò quasi sfuggire un’esclamazione di sorpresa.
Kurogane si voltò verso di lui con aria indagatrice, ma Fay non gli badò.
Qualsiasi cosa fosse, era stata aggiunta, e poteva di conseguenza essere tolta.
Improvvisamente, si trovò a chiedersi se per caso Ashura non l’avesse fatto apposta.

“Sarai il primo a cui faremo l’operazione. Vedrai che andrà… tutto bene.”
Non aveva cambiato espressione, sembrava tranquillo come al solito. Pallido, come al solito. Ma per un breve momento, qualcosa nel suo sguardo era diventato instabile, come se stesse trattenendo a stento una smorfia di dolore.

“Che cosa avete trovato esattamente nel vostro viaggio?”
“Non chiedermelo, Yuui… non chiedertelo. – gli mormorò nell’orecchio – Riuscirò a non fartelo scoprire mai.”


Il campo di asteroidi in mezzo a cui era finita la Cometa non previsto sulla sua rotta… era di formazione recente, o forse era stata l’astronave ad uscire dal cammino prestabilito?
Che Ashura avesse tentato di… fermarlo, in qualche modo? Di impedirgli di portare a termine quella missione di distruzione?
Un’ombra di tristezza passò nei suoi occhi. Ashura era tornato che non era più lo stesso, ma qualcosa di lui, sotto quella strana patina di aliena estraneità che lo aveva ricoperto, era sopravvissuto.
Ma ormai era troppo tardi per Ashura e per Celes. Il suo pianeta era ormai probabilmente ricoperto dal ghiaccio. E in ogni caso, la Cometa era troppo danneggiata per riportarlo lì, al suo mondo senza futuro…

“Che c’è?”
Sentì il respiro di Kurogane sul volto e, riscuotendosi dai suoi pensieri tutto di colpo, si voltò a guardarlo.
Non aveva mai pensato di avere un futuro, a Celes. Non aveva mai pensato di avere un futuro da nessuna parte.
Ma osservando quegli occhi scarlatti, per la prima volta, gli venne in mente che, se non c’era, poteva tentare di costruirselo.
“Forse, me ne posso liberare.”
Il principe inarcò un sopracciglio, dando segno di non aver capito.
Fay non gli rispose, ma lo afferrò per un polso e se lo tirò dietro, lasciandosi alle spalle la sala e la sua porta, che si richiuse con uno sbuffo.

Tornarono in una delle sale piene di pannelli metallici e lucine lampeggianti.
“Chii – chiamò Fay, e immediatamente la ragazza si materializzò come d’incanto al suo fianco – mostrami i progetti della Cometa, nel dettaglio.”
La figura femminile svanì, lasciando al suo posto una struttura di linee luminose che formavano dei complicatissimi disegni geometrici.
Kurogane si avvicinò incuriosito, per osservarli da vicino, anche se ciò non gli permise di comprenderli meglio.
“…come vedi, qui, è possibile sganciare questa parte… questo corridoio è un compartimento stagno, quindi non ci saranno problemi…” stava spiegando il biondo, gesticolando su e giù in mezzo a quegli strani segni luminosi.
“Che diamine significa?” grugnì l’altro, vagamente di malumore per il fatto che non capiva.
Fay si fermò a guardarlo.
“Significa che posso togliere quel marchingegno diabolico dalla Cometa. Se anche tornerà a Suwa, non ci saranno pericoli.” rispose, tentando di ignorare le implicazioni di quell’ultima frase.
L’altro lo osservò per qualche tempo senza dire nulla.
“Allora fallo.” disse alla fine.
Fay gli sorrise, accondiscendente. “Beh, non posso mica farlo qui, in mezzo alla galassia… occorre trovare un posto adatto…”
Kurogane sbuffò.
“Chii, mostrami la mappa di questo settore di galassia.”
I disegni si trasformarono, divenendo tanti punti luminosi affiancati da piccoli ghirigori che potevano essere scritte.
Fay ci si perse dentro, osservandoli, facendogli cambiare forma e dimensioni con semplici gesti della mano. Kurogane rimase ad osservarlo tra lo scontroso e l’incuriosito, conscio di non capire ma anche piuttosto ammirato per quella specie di magia che gli vedeva compiere.
Alla fine, Fay sembrò soddisfatto “C’è un posto dove credo proprio di poter abbandonare quell’aggeggio senza rischiare di fare troppi danni.” annunciò.
“Dopodiché, torneremo a Suwa.” puntualizzò Kurogane.
Fay abbassò il capo. Non c’era modo di sfuggirgli.
Non si sentiva pronto né tantomeno meritevole di tornarci, ma questo era un problema che, tutto sommato, poteva affrontare dopo.
“Sai, ci vorrà del tempo, Kurorin… Questo satellite è distante, e parte del sistema di navigazione della Cometa s’è guastato nell’incidente… per cui il viaggio sarà un po’ lento.” disse, scuotendo la testa mestamente.
Kurogane aggrottò le sopracciglia.
“Questo significa…”
“…che per un bel po’ dovrai sopportare unicamente la mia compagnia, Kurosama! – esclamò Fay, voltandosi verso di lui con un sorriso che gli andava da un orecchio all’altro - Scommettiamo che alla fine mi implorerai perché me ne vada?!”
Kurogane spalancò gli occhi, preso in contropiede, ma subito il suo stupore si trasformò in un ghigno divertito.
“Tsk. Voglio proprio vedere chi di noi due sarà il primo ad implorare…”
E subito dopo era su di lui, a cingergli la vita con le braccia, le sue labbra che si impossessavano di quelle di Fay, mozzandogli il respiro per la sorpresa, lasciandogli solo il tempo per arrendersi alla sua stretta.
Cosa che il biondo fece ben volentieri.


Gli occhi chiusi, Fay percorreva col viso la schiena di Kurogane, gli avvallamenti tra le sue scapole e la spina dorsale, le narici inebriate dal suo odore caldo e rassicurante.
Pensò alla danza dei pianeti e delle stelle, ai loro delicati equilibri dettati dalla forza di gravità.
Nel buio, poteva sentire quella stessa forza avvicinarlo lentamente al principe, una caduta inesorabile, come quella della cometa sul mondo di Kurogane.
Percepiva il suo corpo attrarlo a sé, il suo calore irradiarsi sulla sua pelle anche se non lo stava toccando, come un’aura avvincente e morbida, impossibile da ignorare.
Avevano ruotato l’uno attorno all’altro come un satellite ed un pianeta, fino al momento dell’impatto.

Fay ripensava al buio e al freddo di Celes, alle albe livide e scure della sua atmosfera rarefatta; l’alba di Suwa era una lenta ondata di colori che si rivelavano man mano che quel sole generoso li svelava, scoprendoli dalle ombre grigio azzurre della notte.
“Sai, nello spazio non vedi mai un’aurora, perché il sole non sorge, e non c’è un’atmosfera a rifrangerne la luce.”
Era stato solo, nello spazio, circondato da quelle stelle distanti e gelide. Ma non ci aveva fatto troppo caso, prima… mentre adesso, adesso sì che capiva quanto era stato solo.
“Invece, quando hai un pianeta sai sempre dove guardare per vedere l’alba.”
Kurogane si voltò lentamente verso di lui, incontrando i suoi occhi.
“E tu lo hai trovato, un pianeta.”
In tutta risposta, Fay gli sorrise e affondò il viso nel suo collo.


…anche nei più remoti spazi siderali, può accadere che una combinazione incredibilmente favorevole di caso e leggi fisiche faccia incontrare uno di quei pianeti freddi e bui con la luce di una stella, e che questo pianeta, da brullo e inanimato, germogli di vita, fecondato dai raggi del suo sole.
Tutto ciò può essere chiamato miracolo, casualità, probabilità o destino.


La Cometa aveva attraversato intere galassie per arrivare fin lì. Uscita dalla sua rotta, le probabilità che impattasse su un pianeta vivo erano quasi inesistenti.
Con tutti i mondi che esistevano nell’immensità dell’universo, che Fay incontrasse Kurogane era praticamente impossibile.
Eppure, era successo.
E questo era abbastanza per far sì che Fay finalmente accantonasse tutti i pensieri, per lasciare che accadesse ancora, e ancora, e ancora.










*the end*












NOTE FINALI


Sulle canzoni

Le canzoni provengono dai CD “Prophet of the Last Eclipse” e “Demonheart” di Luca Turilli, entrambi del 2002.

Spero le abbiate ascoltate tutte perché, anche se sono anni e anni che continuo ad ascoltarlo, questo lavoro di Turilli non smette mai di sorprendermi e piacermi da impazzire. Nonostante ami tutti i suoi lavori e quelli dei Rhapsody, a parer mio questo è quello riuscitogli meglio.

Le canzoni “War of the universe”, “Rider of the astral fire”, “Zaephyr’s skies theme”, “The age of mystic ice”, “Prince of the starlight”, “Timless oceans”, “Demonheart”, “Prophet of the last eclipse” provengono da Prophet of the last eclipse (di cui ho tralasciato solo “Aenigma” e “Nex Century’s Tarantella” – per quanto in proposito mi fosse partito un allegro trip mentale di loro che incontravano una popolazione di altrettanto allegri Mokona… la canzone è questa, datevi una letta al testo per capire cosa intendo); “Dark Comet’s reign”, “Rondeau in c min” e “Black realms majesty” vengono invece da Demonheart.

In alcuni casi non ho riportato integralmente il testo della canzone.
Ad esempio, in “Dark Comet’s Reign” c’è la descrizione di come Sania venga ritrovata all’interno della Cometa, unica superstite in mezzo ai cadaveri del resto dell’equipaggio. Siccome ho cambiato questa parte, ho anche tralasciato di riportare la strofa corrispondente.


Sulla storia, sui personaggi e sulla scelta del finale

La storia è quella raccontata nel cd, con i cambiamenti del caso. Ovviamente, i personaggi sono tutti cambiati – eccezion fatta per Vaikaris, che è una sorta di sacerdote e viene nominato in “Black Realms Majesty”.

Arkan sembra più un eroe classico che non un Kurogane, e in effetti Kurogane in questa storia ha perso un buona parte della sua Kuroganosità… Ciò detto, l’ho anche fatto consapevolmente perché in questa storia Kurogane non ha perso i genitori, quindi non ha ricevuto quel trauma che nel manga originale segna poi la sua crescita e il suo carattaere in una maniera ben determinata.

Ma parliamo di Gantai… allora, l’idea del pg mi viene naturalmente dal tipo bendato che sta sempre appiccicato al Kurobabbo in Tsubasa, non per nulla l’ho chiamato Gantai che, Neera-san docet, vuol dire benda in giapponese. Detto questo, probabilmente è andato OoC. Ma è anche difficile dirlo visto che si vede per tipo due capitoli XD

Mi sarebbe piaciuto sviluppare di più la parte di Suwa, ma il cd non me ne dava il tempo. Volevo mantenere una certa corrispondenza tra tracce e capitoli, e per come l’ho strutturata è finita così.

Il finale… è una cosa interessante.
Innanzitutto, devo dire che uno dei motivi per cui ho scelto di scrivere una fan fiction su questo CD è perché alla fine Arkan (aka Kurogane) è costretto ad uccidere Sania (aka Fay).
Il fatto di Kurogane costretto a uccidere Fay era una delle cose che mi aspettavo di veder succedere nel manga di Tsubasa (dopo il famoso “Se ci tieni così tanto morire, allora sarò io ad ammazzarti”, ero quasi certa che si sarebbe arrivati a un punto del genere… ma non è successo). Allora mi sono tolta lo sfizio :P
Detto questo, non poteva finire semplicemente così. Sono stata indecisa per un bel po’ se lasciare Fay morto o trovare un modo per farlo sopravvivere. Alla fine, la mia parte buona ha prevalso. ù_ù
In quanto al deus ex machina della Cometa che arriva a ripescarli alla fine, è una mia invenzione, non c’è nel CD, anche se lo spunto mi viene dal fatto che nel libretto si menziona che Arkan, dopo il terremoto, viene illuminato da una misteriosa luce… che alla fine ho fatto diventare un’astronave.

Ah, random, la scena dell’ultimo capitolo dove Kurogane mette Fay nella “bara” è una citazione da Stargate, e anche un po’ da Il quinto elemento.

Quanto alla distruzione e al male che la Cometa porta con sé, il CD parla di “Cosmic Evil” – Sania fa parte di una spedizione per l’esplorazione del cosmo, e lei ed il suo equipaggio finiscono in una sorta di mondo del chaos primordiale, dove gli altri vengono sterminati: here Sania was raped and seducted by evil to become a messenger of evil herself and to spread oblivion to all the other systems. (cit. dal libretto di Prophet)
Questa parte l’ho cambiata. Avrei potuto lasciare così, ma volevo metterci anche Ashura e quindi alla fine ho preferito che fosse lui a venire violentato dal male cosmico… cosa che alla fine gli succede sempre comunque.



Mi sono divertita tanto a scrivere questa storia. Mi ha tenuto compagnia in vacanza sotto l’ombrellone e in innumerevoli notti in cui non riuscivo a dormire. Non sono del tutto soddisfatta dal punto di vista della qualità, onestamente, ma mi sono divertita davvero tanto, a scriverla, inoltre sono anche contenta di essere riuscita a finirla in tempi decenti – cosa che per me costituisce davvero motivo di fierezza, visti i miei soliti ritmi.
Quindi, grazie davvero a tutte le persone che l’hanno letta e commentata, su EFP e sul LiveJournal, e un grazie speciale ad A., che non la leggerà mai, ma che tanti anni fa mi ha fatto scoprire Turilli e per questo ha sicuramente un grande merito!

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