Demonheart di MystOfTheStars (/viewuser.php?uid=42764)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Intro ***
Capitolo 2: *** I. Dark Comet's Reign ***
Capitolo 3: *** II. Zaephyr's Skies ***
Capitolo 4: *** III. The Age Of Mystic Ice (I parte) ***
Capitolo 5: *** IV. The Age Of Mystic Ice (II parte) ***
Capitolo 6: *** V. Prince Of The Starlight ***
Capitolo 7: *** VI. Timeless Ocean ***
Capitolo 8: *** VII. Demonheart ***
Capitolo 9: *** VIII. Rondeau in c min ***
Capitolo 10: *** IX. Black Realms' Majesty ***
Capitolo 11: *** X. Prophet of the Last Eclipse ***
Capitolo 12: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** Intro ***
Titolo: Demonheart - intro
Parte: 1/?
Fandom: Tsubasa reservoir Chronicle
Rating: Genere:
drammatico, romantico,
fantasy/fantascienza, angst, song-fic
Personaggi: Kurogane, Fay, Gantai
(benda-man XD), Kuroparents.. eventuali aggiunte in itinere
Summary:
in uno degli innumerevoli pianeti dell'universo, vive la gente del
pacifico regno di Suwa, dove un'antica leggenda parla di una minaccia
proveniente dalle stelle... nel frattempo, ancora lontana tra le
stelle, vola la Cometa Nera..
Disclaimer: Tsubasa Reservoir
Chronicle appartiene alle Clamp, Prophet of the
Last Eclipse a Luca Turilli. Io cucio insieme i pezzi.
Note:
amo alla follia il CD "Prophet of the Last Eclipse" di Luca Turilli* .
Era il 4 giugno quando, ascoltando la canzone "Demonheart", mi sono
detta che era Kurofay. Poi mi sono auto convinta che non avrei dovuto
scrivere una fic a proposito. In seguito, Neera aka Reiko in EFP mi ha consigialto di
andare a vedere "Outlander". Io sono andata a vederlo. E alla fine ho
cominciato a scriverla.
*= Luca
Turilli è il chitarrista dei Rhapsody of Fire. Fa anche
altri CD con
una band sua. "Prophet" è una sorta di saga
fantascientifica, dove ogni
canzone (come genere, siamo sull'epic metal) è un capitolo
della
storia. Ho cambiato alcune cose, pur attenendomi alla trama generale,
ovviamente i nomi cambiano (Arkan diventa
Kurogane e Sania è Fay, ecc). Ascoltate qualcosa di suo, se
non lo conoscete..magari non questo, o vi spoilerate la storia.
Commenti:
shonen-ai, AU, angst, sangue e morte e catastrofi (NB: questa storia
NON parla di alieni che attaccano il nostro pianeta Terra
ù_ù)
INTRO I.
WAR OF THE UNIVERSE
*ascoltatela qui*
There between two astral worldsm lie dark seeds of eternal war
far beyond the silent holw where meteors paint a crystal storm
Through the eons without space where swallowed is the concept: time
Systems burning and colliding form the chaos, dark and light
Black holes, comets, blazing thunders... Fragments of the divine born
Parallax of suns create geometry of moons unborn
Spread the knowledge of the creatures between curious there and not
Comets' riders, astral fighters, heroes of celestral shores
War of the universe, of cosmic energies
Of phantoms riding, the genesis of all
Sons of the universe, forever fighting,
Through every age, condemned to face this long holy war.
***
Provate
ad alzare gli occhi al cielo durante la notte, quando gli ultimi raggi
del vostro sole hanno svuotato l’atmosfera della loro luce e
del loro
prezioso calore, riparo confortevole dalle tenebre e dai freddi
bagliori dell’universo.
Quello che vi appare, è un chiarore tenue –
come un baluginio di diamanti – che proviene dalle
più remote e
disperse zone dell’immensa volta celeste.
Lo spazio è gelido e
silenzioso, eppure zeppo di enormi masse di materia, la cui combustione
sprigiona temperature ed energie difficilmente concepibili.
Intorno
alle supernove ed alle loro fiamme che tutto inghiottono, ruotano
lentamente pianeti deformi e sciami di asteroidi, mentre enormi
proiettili di ghiaccio e pietra vagano senza sosta fra le stesse, fino
ad incontrare un ostacolo abbastanza possente da fermare la loro corsa.
Non è un luogo ospitale, l’universo.
Eppure,
anche nei più remoti spazi siderali, può accadere
che una combinazione
incredibilmente favorevole di caso e leggi fisiche faccia incontrare
uno di quei pianeti freddi e bui con la luce di una stella, e che
questo pianeta, da brullo e inanimato, germogli di vita, fecondato dai
raggi del suo sole.
Tutto ciò può essere chiamato miracolo, caso,
probabilità o destino.
***
Districandosi
tra i detriti dello spazio, e intersecando la sua rotta alle orbite
ellittiche di centinaia di mondi sterili ed inquieti che danzano
attorno alle stelle, avanza una navicella di metallo scuro. Quello che
ha dato inizio al viaggio della nave spaziale non è il caso,
ma la
volontà. La volontà di proseguire una guerra
iniziata in tempi remoti,
e non ancora terminata.
La sua meta è lontana, ed il suo
equipaggio, composto da un solo membro, giace addormentato, pronto a
risvegliarsi solo nel momento in cui la Cometa Nera non lo
avrà portato
a destinazione.
INTRO II.
RIDER OF THE ASTRAL FIRE
*ascoltatela qui*
There between the eight suns, right before the system Hazor
shines the silent planet, Alkor Zephyr is its name
Surface made of magma, of wide oceans and volcanos
middle dusty regions where no trace of life is found
From the space an ancient secret soon will mark this old world
In the southern region live the people of Iraklia
descendants of peaceful ancient dynasty of Lor
Between these a warrior destined to become the victim
Victim of a prophecy now lost between the stars
He will be the astral rider prophecy's new fighter
From the dust of a time now forgotten, will come the destroyer of
worlds,
As the legend of the ancients Revealed with its words
It will come from the bloody dimension Where death is a present from God
He’ll face the sacrificed one, The rider who owns,
Who owns… the astral fire!
***
Ai
bordi della galassia c’era un sistema di otto soli, legati e
separati
allo stesso tempo nel reticolo cangiante e geometrico costituito dai
corpi celesti dell’universo.
Da qualche parte, intorno ad uno di
essi, seguendo obbedientemente il tracciato dell’orbita
impostagli
dalle invisibili catene della forza di gravità, marciava un
piccolo
pianeta, Alkor Zephyr.
La superficie era avvolta da un’atmosfera
turbinante di vapori e polveri immesse dalle eruzioni dei grandi
vulcani, mentre al di sotto scintillavano vaste distese oceaniche, un
contorno zaffiro per le ampie zone desertiche situate intorno
all’equatore.
Ma nell’emisfero meridionale, al di sotto delle
sterili ed inabitabili distese di sabbia, si allungava un continente
bruno e verde, punteggiato di catene montuose innevate, la cui vista
dallo spazio era spesso oscurata da gruppi di candide nubi.
***
Ai
piedi di una di quelle catene montuose sorgeva il regno di Suwa. Era un
regno abitato da una stirpe pacifica - l’esercito che
possedeva,
comandato dal sovrano, aveva come unico compito quello di respingere le
incursioni dei nomadi che provenivano da oltre le montagne. Ma non era
mai stato utilizzato per intraprendere alcuna azione offensiva nei
confronti dei paesi vicini.
Le guerre che in passato avevano segnato
quel mondo avevano fatto diminuire la popolazione in maniera
consistente, ma se non altro avevano anche accresciuto accortezza e
buon senso nei sopravvissuti.
C’era un’unica ombra ad oscurare i
giorni di pace e relativo benessere del regno, ed era quella generata
dalle parole di un’antica profezia.
“Dalla polvere di un tempo ormai dimenticato,
verrà il distruttore di mondi –
Verrà dalla dimensione del sangue
Dove la morte è un dono degli dei
Ed affronterà la vittima sacrificale –
Il cavaliere che domina il fuoco delle stelle” (*)
Una profezia il cui destinatario, tra gli abitanti del paese di Suwa,
era già venuto al mondo.
Il
cavaliere del fuoco astrale, destinato ad affrontare
quell’incombente
minaccia, era già nato. Aveva poco più di
vent’anni, ed era figlio dei
signori del regno. Il suo nome era Kurogane Suwa.
*next
track: Dark Comet's Reign*
*= traduzione libera del ritornello della canzone
|
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Capitolo 2 *** I. Dark Comet's Reign ***
I.
DARK COMET’S REIGN
*ascoltatela qui*
And so unexpected came that sad mystic day
no words could have told what now was happening
It fell down quaking the Zephyr's surface
blinding the eyes of a thousand dying men
who were looking at it falling right over them
What seemed to be an astral fireball
was hurling metal, a dark and giant starship
colliding with Zephyr's volcanic grey rocks...
grey rocks!
SPACE AND TIME
BURN IN THE SKIES
DARK COMET'S RIDE
KEEP YOUR FAITH
THE DAY...IT CAME
DARK COMET'S REIGN
DARK COMET'S REIGN!
***
Come
principe ereditario, Kurogane Suwa aveva una serie di compiti sia
all’interno del palazzo reale che al di fuori, nelle vaste
lande del
suo regno.
Vista la sua indole scontrosa e selvatica, preferiva decisamente i
secondi.
Quel
giorno, fortunatamente, apparteneva ad uno di quelli in cui le ronde
dei suoi cavalieri pattugliavano i confini del regno, e i suoi doveri
lo avrebbero tenuto lontano dalla corte per diverso tempo ancora.
Giorni
di cavalcate lungo i versanti boscosi dei monti, di cacce e
appostamenti alla selvaggina, e di vento che sollevava il suo lungo
mantello mentre lanciava al galoppo il suo destriero scuro.
Nonostante
fosse un amante dei combattimenti, e non gli dispiacesse incontrare
occasionalmente qualche nomade malintenzionato con cui menare le mani,
tutto sembrava pacifico, in quel periodo, e Kurogane si godeva il senso
di libertà che quel giro di perlustrazione gli stava
regalando.
I
suoi uomini, dietro di lui, scherzavano allegramente. Era quasi sera;
la strada che percorrevano avrebbe dovuto presto attraversare un passo,
per poi portarli in una piccola valle dove era situato un paesino, loro
prossima tappa.
Avevano cercato di mantenere un’andatura sostenuta
per riuscire a raggiungerlo prima dell’imbrunire, ma sembrava
proprio
che non ce l’avrebbero fatta.
“Niente da fare, per stanotte dovremo accamparci qui
vicino.” Disse a Gantai (*), il suo tenente, con leggero
disappunto.
“Oh,
poco male, capitano.” rispose lui, ammiccandogli con
l’unico occhio che
gli rimaneva (la cicatrice sull’altro lato del viso era
perennemente
coperta da una benda nera)
“Qui sembra tutto tranquillo.
Arriveremo domani mattina, freschi e riposati, e faremo una migliore
impressione sulla gente del paese.”
Kurogane rispose con un
grugnito, ma annuì. E poi, non potevano portare i cavalli di
notte
lungo quella strada di montagna, o avrebbero rischiato di azzopparli.
Si
accamparono distribuendosi in fretta i turni di guardia. Erano una
ventina di soldati, abituati a lavorare e viaggiare insieme, e tutto
sommato, nonostante gli imprevisti, questi viaggi costituivano per loro
una normale e quasi comoda routine.
Kurogane si accomodò nel suo
giaciglio. La primavera era ormai avanzata, e nonostante
l’aria ancora
fredda delle notti di montagna, a lui non dispiaceva dormire
all’addiaccio, tutt’altro.
Attorno, i suoi uomini facevano ancora un discreto rumore, sistemandosi
per la notte.
Anche
se ne apprezzava la compagnia – erano gente in gamba,
guerrieri con cui
aveva combattuto più di una battaglia e a cui avrebbe
affidato la sua
stessa vita – rimpiangeva i tempi in cui poteva scappare di
nascosto
dal castello per filarsela tra i boschi e rimanervi per giorni interi,
finché una pattuglia di guardie non veniva a scovarlo,
rovinando
l’avventura.
I suoi genitori non si erano mai arrabbiati sul serio,
ma con il tempo erano riusciti a fargli comprendere che cosa
significasse il termine
“responsabilità”. Una lunga serie di
doveri da
non disattendere… soprattutto finché
c’erano loro a comandarglielo.
Trattenne
un sospiro. Avrebbe soltanto voluto poter cavalcare libero, la sua
spada al fianco, inseguendo le sue avventure. Suwa non aveva bisogno di
lui…
Attese che tutto nel campo fosse silenzioso, se non per il
respiro pesante degli uomini addormentati e per i piccoli movimenti dei
soldati di guardia, e poi si addormentò a sua volta.
Quando una
forte luce gli attraversò le palpebre, svegliandolo
all’improvviso, il
suo primo pensiero fu che doveva già essere giorno
inoltrato, e che..
accidenti! Come diamine aveva fatto a dormire così a lungo?!
Poi sentì il grido di Gantai accanto a lui, e
spalancò gli occhi.
Il cielo bruciava.
Non era un incendio, perché non sentiva caldo…
anzi, l’aria era quella gelida ed umida dell’alba.
Ma i suoi occhi erano pieni delle fiamme che vedeva sopra di
sé.
Era come se il sole si fosse staccato dalla volta celeste e stesse
precipitando su di loro, inesorabile e… sempre
più vicino.
Scattò
in piedi, mettendo mano alla spada e sguainandola davanti a
sé, per poi
rendersi conto che era un gesto totalmente inutile.
La sfera di
fuoco si ingrandì, e la luce era tale che dovettero tutti
distogliere
lo sguardo. Pochi istanti dopo, il boato. Un boato immenso, che
durò a
lungo, terribilmente a lungo.
La terra tremò, e il suono si
ripercosse per le valli scuotendo le fondamenta dei monti attorno a
loro. L’aria e i detriti gettarono a terra i soldati,
storditi
dall’esplosione, e dopo la luce accecante, tutto divenne
improvvisamente scuro.
Occorse del tempo, prima che Kurogane
riuscisse a mettersi in ginocchio. Era ancora troppo rintronato per
alzarsi in piedi, e non riusciva ad aprire gli occhi, le palpebre
cementate dalla polvere.
Le orecchie rombavano ancora per il boato, e quando tentò di
tirarsi su crollò a terra senza nemmeno rendersene conto.
Tuttavia,
non gli sembrava di essere ferito, anche se si sentiva troppo confuso
per poterne essere sicuro. Cercò a tentoni la spada accanto
a lui,
senza successo. Imprecò.
Prese la stoffa di un lembo interno della
camicia e si pulì gli occhi con rabbia. Faticò ad
aprirli, ma dopo un
po’ riuscì ad abituarli alla luce. Gli dolevano
per via della polvere,
e gli occorse del tempo per riuscire a mettere a fuoco quello che gli
stava intorno. E quando finalmente poté vedere, non ne fu
affatto
contento.
I suoi uomini giacevano a terra attorno a lui, storditi ma
apparentemente salvi. I cavalli, legati, nitrivano imbizzarriti poco
distanti, ma sembravano incolumi anche loro. Fortunatamente, si erano
accampati su un colle lì a fianco, e questo li aveva
salvati: la strada
che percorrevano era franata, i massi che ancora stavano rotolando per
il pendio che conduceva al passo, in alto sopra di loro.
Al di là,
si levavano nubi di polvere, gettando un cono d’ombra sul
pendio dove
si trovavano, mentre il sole si innalzava dietro le creste dei monti.
“Ehi, svegliati!” fece avvicinandosi a Gantai, che
giaceva ancora semisvenuto a poca distanza da lui.
Questo si mise faticosamente a sedere, sbattendo le palpebre, sconvolto.
“…è…il
sole…ha…”
“Tsk. Non era il sole. Quello è ancora
lì.”
Gantai si prese la testa tra le mani. “…e che cosa
diamine era, allora?”
Kurogane
lo lasciò, tornando ad alzarsi in piedi, e posando lo
sguardo sugli
altri uomini che lo osservavano, neri di sporco e dubbiosi.
“Qualsiasi
cosa fosse, è finita in quella valle. E non prevedo niente
di buono per
il villaggio che dovevamo visitare, maledizione!”
Kurogane strinse i
pugni, guardandosi intorno con aria bieca, alla ricerca della sua
spada. La trovò ai piedi della collinetta, semisepolta dalla
ghiaia.
Imprecando,
osservò la strada che avrebbero dovuto percorrere per
arrivare al
passo. Era improponibile portarci i cavalli. Inoltre, c’era
il pericolo
che muovendosi avrebbero potuto causare altre frane.
Cercò di ragionare lucidamente, ma la sua mente era ancora
offuscata.
“Statemi
a sentire – disse alla fine, brusco – i due di voi
coi cavalli più
veloci torneranno seduta stante a palazzo. Controllate che i cavalli
stiano bene, e non perdete un solo attimo lungo la strada.”
Mentre i due in questione si affrettavano verso i loro destrieri,
Kurogane soppesò i restanti uomini.
“Dieci
di noi andranno lì sopra a vedere che diamine è
successo. Gli altri
staranno qui ad aspettare. Se per il tramonto non siamo tornati, fate
in modo di avvertire la gente qui intorno, e i sovrani.”
Naturalmente,
lui faceva parte del gruppo che sarebbe andato in avanscoperta.
Nonostante il potenziale pericolo, e il fatto che lui fosse il
principe, nessuno osò obiettare. Lo sguardo del loro
capitano non
ammetteva repliche ai suoi ordini… più che mai in
quel momento.
In poco tempo, lui, Gantai e gli altri furono pronti, e cominciarono
lentamente ad avventurarsi lungo l’impervia salita.
L’ascesa
richiese molto più tempo del previsto, perché
dovevano procedere cauti,
tentando di attraversare solo zone in cui i massi sembravano abbastanza
stabili, e più volte furono costretti a tornare indietro per
cambiare
percorso. Quando finalmente raggiunsero il passo, il sole era quasi
allo zenit.
Lo spettacolo che si parò davanti ai loro occhi era peggiore
di un incubo.
La
nebbia di detriti si stava diradando, aiutata dal vento che aveva
cominciato a soffiare, ma solo per mostrare che la valle stava andando
a fuoco: in lontananza, si innalzavano pinnacoli di fumo nero, e le
fiamme avvolgevano le campagne che ricoprivano il fondo della vallata.
Poi,
a malapena visibile attraverso la cappa di fumo e polveri che stagnava
sul fondovalle, c’era qualcosa. Un oggetto che sembrava un
enorme masso
emerso dal terreno. Nero come la notte, ingoiava i pochi raggi di sole
che, penetrando la coltre di fumo e polveri, riuscivano a colpirlo.
“Cosa diavolo è… quello?”
fece uno dei soldati.
Kurogane, in tutta risposta, cominciò a scendere, non dopo
aver sfiorato significativamente l’elsa della sua arma.
Una
volta arrivati a fondovalle, si divisero. Sarebbero andati in cerca dei
sopravvissuti, e di qualsiasi indizio che potesse far capire loro che
cosa era accaduto.
Il primo lo trovarono Kurogane e Gantai. Era
più alto di loro, e nero come l’oggetto che ora
avevano perso di vista,
tra gli alberi e i saliscendi del fondovalle.
Un masso sottile ed appuntito, conficcato nel suolo come una gigantesca
punta di freccia.
I
due guerrieri lo osservarono diffidenti. Era perfettamente levigato,
liscio in maniera innaturale. Kurogane lo sfiorò pensieroso,
prima di
lasciarselo alle spalle.
Incontrarono un piccolo fronte di incendio.
Poco
oltre, c’erano le macerie di una fattoria. Il tetto, di cui
ormai non
rimanevano che poche assi consumate dal fuoco, e le mura principali
erano sgretolati, mentre su un fianco i mattoni erano squarciati da un
secondo pezzo di quello strano metallo, che era penetrato
nell’abitazione distruggendola.
L’incendio che doveva essere
divampato andava già spegnendosi. Kurogane si rese conto che
erano
rimasti privi di sensi molto più tempo di quanto lui non
avesse
calcolato.
Si affrettarono tra le macerie, ma solo per trovarvi
alcuni cadaveri carbonizzati. Quando era successo il disastro, dovevano
essere ancora addormentati, ed erano stati colti del tutto di sorpresa.
In
quello che doveva essere stato un letto matrimoniale, si distinguevano
le sagome scure di tre bambini. Kurogane li guardò, gli
occhi scuri,
pensando che forse, per fortuna, la morte li aveva colti nel sonno.
Avrebbero voluto fermarsi per sotterrare i corpi, ma non
c’era tempo.
Proseguirono
nella perlustrazione. Si imbatterono in altri detriti, e in altri
cadaveri. Incontrarono anche un paio di famiglie di contadini che,
miracolosamente scampati all’esplosione, cercavano di
allontanarsi dai
focolai di incendio ancora brucianti.
Erano terrorizzati, e da
loro i due soldati non riuscirono ad ottenere resoconti coerenti di
quanto era accaduto. Per tutti, una delle stelle del firmamento si era
schiantata nella valle. Esattamente dove una volta sorgeva il villaggio.
Li
incoraggiarono a proseguire verso il passo, e ripresero ad avvicinarsi
all’oggetto. L’aria era intrisa del tanfo del fumo
e della cenere.
Gantai risalì un colle, alla ricerca di un punto per vedere
meglio i dintorni, e richiamò Kurogane con un fischio.
“Non ha senso, capitano. Tanto vale tornare
indietro.” Gli disse, non appena l’altro
l’ebbe raggiunto.
Kurogane
strinse i pugni, ma non replicò. Poco avanti a dove si
trovavano loro,
il bosco che stavano attraversando cessava di colpo, e si apriva un
cratere colmo di tronchi di legno carbonizzati, al centro del quale
svettava il masso nero. L’immobilità era totale,
interrotta qua è la
solo dallo spezzarsi dei tronchi degli alberi distrutti dalle fiamme.
“Qualunque cosa ci fosse stata qui, non ce
n’è più traccia.”
“…maledizione.” fu il solo commento del
principe alle parole del tenente.
Scesero
dalla collina in silenzio. Lo spettacolo del cratere, spaventoso e
imponente allo stesso tempo, li aveva tenuti incollati sul posto a
lungo. Ora, il sole cominciava già ad avviarsi dietro le
cime dei monti
circostanti.
“…dovremmo tornare indietro.” disse
Gantai, semplicemente.
Kurogane
annuì, brusco, lo sguardo sempre rivolto in direzione del
cratere,
anche se non riusciva più a vederlo, nascosto
com’era tra gli alberi.
Come se stesse dicendo a qualche nemico invisibile di uscire allo
scoperto, perché era pronto ad affrontarlo.
Poi, i suoi occhi vennero attirati da qualcosa. Qualcosa di un bianco
candido, seminascosto tra i tronchi e le foglie.
Socchiuse le palpebre, cercando di capire se si trattava di una pietra.
Ma sembrava decisamente stoffa.
Si avviò con decisione da quella parte, facendosi strada con
la lama tra i cespugli del sottobosco.
Si
fermò soltanto quando, sparita alla sua vista a causa dei
rami, la
stoffa non ricomparve sotto i suoi piedi. Dal tessuto bianco e sporco
di terriccio spuntava una mano dalle dita lunghe e candide. Kurogane si
chinò a spostare alcune grosse felci, fino a scoprire il
corpo di un
giovane riverso a terra.
Lo voltò lentamente, rivelando un viso coperto di sporco,
che a malapena celava il pallore cinereo della pelle.
Gli
ripulì la faccia, scostando dalla fronte ciocche di capelli
biondi
impastati di sangue e polvere, e gli tastò il collo con le
dita.
Poteva sentire il sangue pulsare flebilmente, sotto la pelle.
Lo
sollevò nella maniera più delicata che la
situazione e la sua indole
gli consentivano, e tornò verso Gantai, che fece tanto
d’occhi quando
se lo vede venire incontro trasportando in spalla lo sconosciuto.
“E’ ancora…vivo?” chiese
sbirciandone i lineamenti da oltre il fianco del guerriero.
“Sì. Muoviamoci, adesso.” rispose
brusco, senza fermarsi.
Marciarono a passo sostenuto, allontanandosi il più
velocemente possibile dal cratere.
Kurogane
camminava senza mostrare di sentire il peso del corpo che portava, ma
dopo un po’ si accorse che lo sconosciuto cominciava a dare
segni di
vita, dimenandosi leggermente sulla sua spalla.
Si fermarono e lo
distesero a terra. Lo osservarono per bene: vestiva uno strano vestito
bianco (beh, certamente era stato di un bianco immacolato, prima, ma
ora era ricamato di bruciature, strappi e sporco) dagli orli in
pelliccia, decorato da motivi azzurri. Una fattura piuttosto strana,
per il luogo. Senza contare che i capelli biondi erano una
caratteristica inusuale, per gli abitanti di Suwa.
Aveva qualche graffio qua e là, ma non sembrava ferito
seriamente.
Gantai
prese la sua borraccia d’acqua e ne inumidì un
orlo del mantello,
tamponandogli le tempie e la fronte. Dopo un po’, il giovane
cominciò
ad aprire lentamente gli occhi. Kurogane alzò una mano, a
fargli un po’
d’ombra sul viso.
Mosse la testa di qua e di là, e finalmente le palpebre si
alzarono, a rivelare due grandi iridi turchine.
“Ehi, come stai? Che ti è successo?”
fece Gantai immediatamente.
Il ragazzo roteò gli occhi, guardandosi intorno, senza dar
segno di aver sentito le sue parole.
Kurogane
prese la borraccia del tenente, e la poggiò sulle labbra
dell’altro,
tenendogli sollevata la testa per farlo bere. Questo dischiuse le
labbra, diffidente, ma poi bevve avidamente.
Il principe lo osservò
senza dire una parola, e quando l’altro ebbe finito di bere,
ripose nel
suo zaino la borraccia di Gantai, ormai vuota, e al sottotenente diede
la sua, quasi piena.
Mise a sedere il giovane, che era tornato a
guardarsi intorno con aria stralunata, e gli tastò le gambe
con gesti
un po’ rudi. L’altro nemmeno si ritrasse, e non si
lasciò sfuggire un
singulto di dolore.
“Non hai niente di rotto, quindi puoi
camminare.” decretò allora Kurogane, e senza tanti
complimenti lo
afferrò per le spalle e lo tirò in piedi.
Il biondino barcollò,
appoggiandosi a lui per non perdere l’equilibrio. Il principe
lo
afferrò per un braccio e ripresero la marcia.
Il ragazzo incespicava
spesso, quasi non ricordasse esattamente come si faceva a muovere le
gambe per camminare, ma andava avanti senza emettere un suono di
protesta. Continuava a guardarsi intorno come se tutto quello che stava
vivendo fosse un sogno.
Quando finalmente arrivarono in cima al
passo, il sole stava ormai tramontando. Sotto di loro, gli altri
soldati si erano già raccolti, e all’accampamento
si erano aggiunti
molti dei contadini sopravvissuti alla catastrofe. Kurogane
sospirò,
preparandosi alla discesa. Fece per tirarsi appresso lo sconosciuto, ma
quello rimase fermo impalato sul posto.
Il guerriero si voltò, innervosito, e vide che lo sguardo
dell’altro era fisso sul masso nero, che baluginava in
lontananza.
Alcune lacrime avevano cominciato a solcargli le guance, rigandole di
sporco.
“La… Cometa Nera…” disse con
voce flebile.
Kurogane si accigliò, fissando a sua volta
l’oggetto.
Una stella cometa caduta sulla terra… una stella buia.
Dello stesso colore del lutto e della distruzione che aveva portato.
Kurogane
lo strattonò di nuovo, con decisione, e questa volta il
biondo, volto
su di lui uno sguardo perso, cominciò a scendere dietro di
lui.
Con l’avanzare del buio e i massi pericolanti, la discesa fu
quasi più lenta della salita.
Gantai
apriva la strada, davanti a loro, tentando di trovare quella meno
insidiosa, ma lo sconosciuto inciampava spesso, aggrappandosi a
Kurogane come se ne andasse della sua stessa vita (cosa che, in diversi
punti del percorso, non era poi distante dalla realtà).
Quando infine raggiunsero l’accampamento, era notte.
Una
notte serena, con le stelle che splendevano serafiche nel cielo
limpido, mentre le persone, all’accampamento, lanciavano
occhiate
diffidenti e colme di terrore alla volta celeste.
Anche il biondo guardava per aria, il cielo stellato che si rifletteva
nei suoi occhi chiari.
Gantai
lo osservava perplesso, con in mano una scodella di cibo.
L’altro non
sembrava nemmeno aver udito la sua proposta di mangiare.
“Sembra
aver subito un forte shock… non sa nemmeno dire il suo
nome.” Commentò
a mezza voce con Kurogane, quando quello si avvicinò.
Il guerriero
squadrò il ragazzo, che se ne stava seduto a terra a gambe
incrociate,
il naso all’insù. Gli si piazzò di
fronte a braccia conserte,
fissandolo diritto negli occhi.
“Allora, come ti chiami?”
Il ragazzo lo degnò di uno sguardo appena, e
tornò a guardare le stelle.
“Insomma,
devi avercelo un nome!” cominciò a innervosirsi
Kurogane. Quel giorno,
la sua già scarsa dose di pazienza era stata abbondantemente
superata.
“Ehm.. io, Gantai…” intervenne il
tenente, battendosi il petto per far capire all’altro che si
stava riferendo a se stesso.
“…e
lui Kurogane.” proseguì dando un colpo timido
sulla spalla del
capitano, che gli rivolse un’occhiataccia. Gantai si ritrasse
spaventato “Mi perdoni la confidenza!” si
scusò mugolando.
La scenetta sembrò attirare l’attenzione del
ragazzo, che fissò i suoi occhi sul principe.
“Kuro… Kuropon!” disse alla fine.
Questo gli piantò addosso degli occhi di fuoco.
“KUROGANE!!!”
L’altro
sembrò pensarci su, come a cercare di collegare il nome che
aveva
sentito e quello che avrebbe dovuto uscire dalle sue labbra.
“Kurochan!” si decise alla fine.
“KU-RO-GA-NEEEE!” ribadì
l’altro in un ruggito, mentre alcuni soldati si voltavano a
fissare incuriositi la situazione.
Gantai
fece per zittirlo – il giovane sembrava già
abbastanza traumatizzato di
suo, non era il caso di acuire il problema – ma
inaspettatamente al
biondino sfuggì una risata.
“Ahahah… Kurotan!” fu la sola risposta
in mezzo alle risatine.
Kurogane
si allontanò da lui adirato, ma il giovane lo
seguì con lo sguardo, un
sorriso ancora stampato in volto. Anche una volta che l’ebbe
perso di
vista, i suoi occhi rimasero fissi sul punto dove era sparito, senza
tornare a rivolgersi alle stelle.
*next track: The Age of Mystic Ice*
*= "gantai" vuol dire "benda" in giapponese - Neera (aka Reiko in EFP)
docet XD
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Capitolo 3 *** II. Zaephyr's Skies ***
Ciao! Scusate per il ritardo nell'aggiornamento, ma ero al mare senza
nemmeno un internet point decente XD
@ LawlietPhoenix: figurati. So che Luca Turilli non è
particolarmente conosciuto, era il minimo! ^^
@ Tsukino: sì è questa! Beh il livello di sadismo
delle Clamp raggiunge vette ineguagliabili, questo è certo.
Però questa trama non è proprio rose e fiori..
^^'''
@ Pentacosiomedimni: grazie :) sì, so che sono poco
conosciuti.. però io personalmente adoro questo CD e anche
gli altri che hanno fatto, come adoro quelli dei Rhapsody!
II.
ZAEPHYR'S SKIES
Strumentale.
(ascoltatela
qui)
Venne l’alba, con il sole che sorgeva timidamente tra i monti
in un cielo dove le stelle non facevano altro movimento che il loro
abitudinario e lento errare nella volta celeste.
Era ormai giorno fatto quando il gruppo si mise in cammino verso la
capitale.
Kurogane fu impegnato a coordinare la partenza: lui e metà
dei suoi uomini avrebbero scortato i sopravvissuti alla capitale,
mentre gli altri guerrieri sarebbero rimasti sul posto alla ricerca di
eventuali altri superstiti.
Il principe avrebbe preferito tornare nella valle, a cercare di
scoprire qualcosa di più su quanto era accaduto, ma era suo
dovere fare rapporto di persona alle loro maestà.
Inoltre, aveva un altro piccolo mistero da risolvere, tornando a
palazzo.
Mentre le prime persone iniziavano ad avviarsi lungo il sentiero, si
voltò alla ricerca dello strano sconosciuto.
Dalla notte prima, non gli aveva più parlato, occupato
com’era con l’organizzazione del campo, ma aveva
continuato a lanciargli qualche occhiata, di tanto in tanto.
Non era difficile da notare, vestito di bianco, in mezzo ai soldati ed
ai contadini che indossavano abiti scuri; in quel momento, era
inginocchiato accanto ad un carretto di legno, attorniato da un piccolo
gruppo di persone. Lì vicino, anche Gantai stava osservando
in silenzio.
Come vide il generale avvicinarsi, il tenente gli si fece incontro
salutando, e, a sentire la sua voce, si voltò anche il
biondo. Si alzò e raggiunse i due soldati, congedandosi con
un sorriso ed un cenno del capo dalle persone vicino a lui, che lo
stavano ringraziando profusamente.
“Hyuuuu, Kuropon!” esclamò il giovane,
agitando una mano nella direzione del principe.
“E questo cosa diamine significherebbe?!”
commentò il guerriero, di cattivo umore.
“Credo che sia il suo modo di augurarvi il
buongiorno…” tradusse Gantai, divertito.
“E’ tutto fuorché una buona
giornata” rispose Kurogane, la fronte corrugata in un
cipiglio tra il preoccupato e l’arrabbiato
“Dobbiamo partire. Io cavalco in testa, tu invece rimani a
chiudere la retroguardia.” disse, mentre Gantai andava a
prendere i loro cavalli.
L’uomo annuì, porgendo al generale le briglie del
suo destriero.
“…e lui?” fece, accennando al biondo
che, a pochi passi da loro, stava fissando i cavalli con aria
incuriosita.
“Che cosa vuol dire, ‘e lui’?”
replicò secco Kurogane.
“Nessuno di questi contadini dice di averlo mai visto prima.
Ho provato a parlargli di nuovo, ma credo sia ancora piuttosto confuso.
Forse ha perso la memoria, o qualcosa del genere… ma sembra
avervi preso in simpatia, principe.”
Kurogane sollevò un sopracciglio, mentre osservava lo
straniero accarezzare il muso del suo cavallo.
“O forse è solo scemo.”
“Questo non direi. Li vedete quelli là?”
fece Gantai, indicando con un cenno della testa le persone che fino ad
un attimo prima avevano attorniato il biondo: un paio di uomini con le
mogli ed i figli. Avevano questo piccolo carro di legno, trainato da un
asino, e vi avevano caricato i pochi averi che avevano potuto portare
via.
“In qualche modo, sono riusciti a far scendere quel carro
giù dal passo, ma deve essersi rotto o
danneggiato… fatto sta che stamattina stavano disperatamente
cercando di ripararlo per farlo ripartire, senza riuscirci.
Ad un certo punto, è arrivato il biondino, ci ha dato
un’occhiata, e in men che non si dica il carro camminava di
nuovo.”
Kurogane tornò ad aggrottare le sopracciglia. Ora
l’altro giovane lo fissava, sentendosi chiamato in causa.
Forse non era uno stupido, ma ciò non toglieva che fosse
piuttosto strano. Sospetto, anzi.
“Sali a cavallo.” gli ordinò il
principe, indicando la sella del suo destriero. Nel caso si fosse
verificato un episodio simile, preferiva tenerlo
d’occhio.
L’altro si avvicinò al fianco
dell’animale, ma dopo un attimo si voltò con aria
interrogativa.
“Non sai cavalcare?” chiese Gantai un po’
stupito “E’ facile, fai
così…” gli disse, salendo in groppa al
suo cavallo lentamente, così da mostrare i vari movimenti
che compiva.
Il biondo lo guardò e indugiò ancora qualche
attimo.
Kurogane, spazientito, stava per prenderlo e sollevarlo di peso, ma il
giovane lo precedette, arrampicandosi agilmente sulla sella.
Il principe sbuffò, ritirando le mani, in un attimo di
fugace imbarazzo. Che diamine, perché mai gli era saltato in
mente di aiutarlo? Se non sapeva cavalcare, sarebbe andato a piedi,
senza che lui avesse dovuto preoccuparsene.
Accigliato, salì in sella davanti all’altro e
spronò il cavallo verso la cima di quella carovana
improvvisata.
Cavalcarono tutta la mattina, scendendo lungo i versanti della
montagna, il sole che lentamente risaliva nel cielo sereno.
Il giovane biondo osservava ammirato quell’azzurro senza fine
che si dispiegava sopra le loro teste, voltandosi a guardare
l’orlo frastagliato delle montagne e lo smeraldo intenso del
fogliame appena nato degli alberi.
Tutti i colori riverberavano di luce, splendenti, un caleidoscopio di
innumerevoli gradazioni di verde, suscitando nel suo animo una strana
commozione.
Osservò una piccola nuvola bianca, un minuscolo sbuffo di
vapore che si dimenava lentamente in quel mare turchese.
“Il cielo… è azzurro. Così
azzurro.” disse ad un certo punto, come trasognato.
Kurogane si voltò verso di lui, sorpreso dal suono della sua
voce.
“Sai parlare, allora.” commentò.
L’altro gli sorrise, socchiudendo le palpebre a causa
dell’intensità della luce.
“Non ricordavo che potesse essere così
blu.” rispose semplicemente.
Kurogane indugiò un attimo di troppo, scrutando nelle sue
iridi turchesi, prima di tornare a voltarsi e a prestare attenzione al
sentiero davanti a loro.
Per un momento, lo aveva colpito il pensiero che anche lui si era
dimenticato che potesse esistere un celeste così intenso.
Finalmente scesi a valle, raggiunsero le sponde del largo fiume che
avrebbero costeggiato fino a raggiungere la capitale.
Si fermarono per far abbeverare i cavalli e riposarsi.
Irrequieto, Kurogane fece il giro del piccolo campo, e mandò
uno dei suoi uomini in avanscoperta, affinché avvisasse del
loro arrivo.
Quando tornò all’albero dove aveva lasciato il
cavallo, non trovò più il biondo.
Lì vicino, Gantai stava accudendo il suo animale.
“Dov’è finito quello?”
“Quello? E’ sceso al fiume…”
Kurogane spinse lo sguardo sulle sponde, senza scorgere la chioma
chiara dello sconosciuto in mezzo alle altre persone.
“… pensate che potrebbe essere un
nomade?”
“Ne hai mai visto uno vestito così?”
Gantai ci pensò con aria assorta.
“Magari faceva parte di una spedizione proveniente da un
qualche paese lontano, erano appena arrivati nella valle che
è successa la catastrofe… o forse, è
arrivato proprio cavalcando quella cometa!”
scherzò.
Alla sua battuta, Kurogane gli lanciò
un’occhiataccia di sbieco. Non replicò, ma si
incamminò lungo il fiume, senza tuttavia scendere fino alla
sponda. Ne percorse le rive con gli occhi, finché non furono
deserte.
Poi, oltre un piccolo gruppo di massi bianchi, le iridi rosse del
guerriero scorsero quello che stavano cercando.
Il ragazzo biondo era sceso al fiume imitando le altre persone,
più per curiosità che non per reale bisogno.
Aveva visto gli altri bere e lavarsi, ed improvvisamente si era reso
conto di essere assetato e ancora coperto di terra.
Ma qualcosa, dentro di lui, gli aveva consigliato di allontanarsi dalle
altre persone, e così lui aveva fatto, fermandosi poi solo
al riparo di alcune rocce bianche che formavano una piccola laguna:
qui, l’acqua veloce del fiume veniva catturata in mezzo ai
sassi, che ne rallentavano la corsa.
Tra quelle onde, il ragazzo cercava di carpire il suo riflesso.
Si scostò le ciocche di capelli bagnati dalla faccia,
gettando uno sguardo ai vestiti di cui si era spogliato lentamente,
esaminandoli con attenzione mentre li toglieva. Li aveva guardati come
se li vedesse per la prima volta.
Del resto, questo non era molto distante dalla realtà. Per
quel che ne sapeva, poteva essere nato nell’esatto istante
del suo risveglio il giorno prima, con quei vestiti indosso.
Tornò a sciacquarsi la faccia, tastando cautamente un taglio
che aveva sulla fronte. Gli doleva un pochino, ma niente di grave.
Se la sua vita era iniziata il giorno prima in quella valle, non si
poteva certo dire che fosse stato un grande inizio. Ammaccato e
dolorante, con un guerriero di umore perennemente nero che lo osservava
con occhi di fuoco.
Sentendo dei rumori alle sue spalle, si voltò, ritrovandosi
a osservare il guerriero in questione che stava camminando verso di lui.
Gli rivolse un sorriso festoso. Era un sorriso in buona parte sincero:
anche se non si poteva esattamente dire che l’uomo fosse
stato gentile con lui, certamente l’aveva aiutato. La sua
figura era stata il suo unico punto di riferimento fin da quando aveva
aperto gli occhi, e, in fondo, il biondo trovava che la compagnia di
quel guerriero dai capelli scuri fosse anche abbastanza piacevole.
Kurogane non rispose al saluto dell’altro, che ancora agitava
le braccia nella sua direzione.
Aveva studiato la sua figura alta ed esile, avvicinandoglisi da
lontano, mentre il biondo - a torace nudo, le gambe avvolte in
pantaloni neri abbastanza stretti da sottolineare le sporgenze delle
anche del bacino – si lavava nel fiume.
L’aveva osservato, ed aveva notato qualcosa.
“Che cos’è quel disegno che hai sulla
schiena?” chiese il principe senza preamboli, non appena gli
si fu avvicinato.
Il ragazzo lo guardò stupito
“Cos’è…?”
Si guardò con aria preoccupata. Vide delle curve nere che si
intrecciavano sulla pelle delle braccia, sotto le spalle.
Nonostante le avesse viste anche prima, parve notarle soltanto ora.
Erano parte di lui, ma adesso che l’altro gliele aveva fatte
notare, sembravano le spire di serpenti pronti a morderlo.
Tentò di osservarsi la schiena, senza successo;
l’acqua gli restituiva solo un’immagine confusa del
colore pallido della sua pelle, e di un’ombra nera che la
oscurava.
Si guardò intorno: c’era una piccola lingua di
sabbia, vicino a loro. Si chinò a raccogliere un rametto tra
le piante della riva, e lo porse a Kurogane, indicandogli lo spiazzo
sabbioso con un cenno del volto.
Il guerriero lo guardò per un istante con aria scettica,
prima di capire cosa l’altro intendesse.
“Macché, non so certo disegnare, io.”
rifiutò seccamente.
Il biondo, allora, si toccò la schiena con una mano,
l’indice che alternativamente toccava la sua stessa pelle, in
mezzo alle scapole, per passare poi a indicare Kurogane.
Il principe sbuffò. Questa volta, comprese subito cosa
voleva dire l’altro. Gli si avvicinò ancora, e gli
poggiò con malagrazia un dito sulla schiena, cominciando a
percorrere le linee nere che si intersecavano su quella pelle diafana.
L’altro rimase immobile, gli occhi chiusi, mentre si
concentrava sui percorsi che quel dito ruvido tracciava sul suo corpo:
si avvolse intorno alle scapole, finendo poi in un solco tra le
costole, attraversando più volte la spina dorsale, fino a
poco sopra le natiche - zona in cui, gli parve di notare, il
dito tracciò il suo disegno un po’ più
in fretta.
Man mano che Kurogane eseguiva la sua opera di ricalco, le dita del
giovane si stringevano sempre di più intorno al ramoscello
che aveva raccolto.
Il principe non era nemmeno a metà del tatuaggio, quando il
biondo si scostò improvvisamente e, chino a terra,
iniziò a tracciare freneticamente dei segni sulla sabbia.
Kurogane sbirciò oltre la sua spalla, e vide che stava
disegnando gli stessi tratti contorti che aveva tatuati sulla schiena.
Smise all’improvviso come aveva iniziato, e si
alzò a contemplare il risultato. L’aveva
riprodotto in maniera estremamente fedele.
“Allora, che cos’è?”
ripeté Kurogane.
Il biondo si voltò verso di lui, un sorriso di scusa sul
volto. “Non lo so.”
“L’hai appena disegnato senza nemmeno vederlo, non
puoi non sapere che cosa sia.” insistette.
L’altro scrollò le spalle, sempre sorridendo.
“Non ricordo.”
Il principe aggrottò le sopracciglia, ma l’altro
si scusò e, raccolti i suoi indumenti, si
allontanò in fretta.
Mentre si rivestiva, sentiva gli occhi del guerriero fissi su di lui.
Dopotutto, sembrava esserci qualcosa, oltre al buio, prima del momento
del suo risveglio sotto quelle iridi scarlatte.
Quando le dita del guerriero gli avevano sfiorato la schiena, il
contatto non era stato spiacevole. La sua pelle era ruvida, il suo
tocco un po’ ruvido, ma non certo violento.
Eppure, dopo qualche attimo, quel contatto vagamente impacciato e
innocuo si era trasformato nel dolore lancinante di mille aghi che gli
trafiggevano la carne, e nella sua mente si era stagliato chiaro e ben
definito il disegno che le dita del guerriero stavano seguendo, come se
lo avesse sotto gli occhi, come se anche lui lo avesse già
tracciato innumerevoli volte.
Mentre si rivestiva il più velocemente possibile, sentiva
ancora la pelle formicolargli al contatto del tessuto.
Deglutì a vuoto – aveva la gola secca –
perché era consapevole del fatto che l’altro lo
stava guardando.
Non sapeva perché, ma non gli piaceva l’idea che
il guerriero osservasse quel disegno. Ma gli voltava la schiena
comunque: anche se non ne capiva il motivo, pensava che sarebbe stato
ancora peggio, se avesse mostrato l’espressione di dolore e
paura che improvvisamente gli si era dipinta sul volto.
Quando furono di nuovo in viaggio, il biondo non smise un momento di
osservare il cielo. Quell’azzurro lo riempiva di meraviglia e
stupore, e tanto più lo guardava, tanto più non
poteva fare a meno di pensare che avrebbe voluto averlo davanti agli
occhi ancora e ancora. Lo beveva con lo sguardo, era assetato di quel
celeste limpido e profondo; in qualche modo, era come se quella
luminosità gli fosse mancata.
“Ma è sempre così blu?”
“Eh?”
“Il cielo.”
Kurogane sbuffò alla domanda.
“Quando piove, è grigio per le nuvole, e non
è azzurro. Quando è notte, nemmeno,
perché è nero. Ma quando durante il giorno fa bel
tempo come oggi, è sempre azzurro… insomma,
sì, è normale.”
Una risposta stupida per una domanda stupida.
Ma il biondo la valutò attentamente, rimuginandoci.
Se era normale, perché quell’azzurro lo stupiva
così tanto?
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Capitolo 4 *** III. The Age Of Mystic Ice (I parte) ***
Rieccomi!
(data l'ora, non ha cose molto coerenti da dire... a parte un sincero
"Grazie mille per i commenti!")
Nota:
la lettura delle lyrics comporta potenziali spoiler
sul contenuto del capitolo (ciò vale soprattutto per quelli
dal VII in poi)
(a proposito, la storia dovrebbe avere circa nove capitoli ^^)
III.
THE AGE OF MYSTIC ICE
Ascoltatela
qui!
She remembers only her wasted ship's name
the fallen giant Dark Comet S-10
nothing more can she recall than her mind's death
while the black spheres are now moving around
Sania will be her new name now adopted
word that means gift... golden gift of the gods
but her smile is lonely on this sad dark day
for even magic, the ice covers all
WHERE THE LEGEND HIDES THE TRUTH
AT THE CLASH OF SUN AND MOON
AND MOVED BY MAGNETIC FIELDS
COMES THE MYSTIC LAST ECLIPSE
IT WILL RIDE THE ZEPHYR PLAINS
IN THE EVIL COSMIC NAME
ALL THE NIGHTMARES WILL SOON RISE
IN THE AGE OF MYSTIC ICE...
MYSTIC ICE!
I tetti del palazzo reale di Suwa scintillavano, ancora lucidi di
pioggia, mentre i nuvoloni neri che avevano portato
l’acquazzone andavano svanendo all’orizzonte, scuri
contro la luce del tramonto.
I passi del principe rimbombarono nel corridoio, mentre i suoi stivali
lasciavano sul pavimento di pietra una serie di consunte orme di fango
ed acqua. Quando varcò la soglia dell’arcata che
conduceva al portico, due paia di occhi si fissarono su di lui, mentre
i presenti lo accoglievano con un sorriso.
“Bentornato, figlio mio.” la madre di Kurogane
aveva un volto pallido e grazioso, le labbra dipinte di un rosso tenue
incurvate in un sorriso dolce.
“Hyuuuu, Kurochan!”
Kurogane aveva appena chinato la testa per rispondere al saluto della
madre, che si voltò di scatto verso il biondo, irritato.
“E’ Kurogane, maledizione!”
inveì contro di lui, avvicinandosi al tavolino basso dove i
due erano seduti.
“Waah, ma lo sai che soffro di amnesia! Non dovresti
prendertela così!”
Il principe gli lanciò un’occhiataccia
“Sono tre settimane che sei qui, e non capisco
perché la tua amnesia si manifesti solo quando si tratta del
mio nome, visto che gli altri li ricordi alla perfezione!”
Tornò a voltarsi verso la madre, per salutarla, ma si
accorse che stava ridendo esattamente come il biondo di fronte a lei.
Il principe inarcò un sopracciglio. Beh, che
cos’era questa storia?
La donna sollevò su di lui i suoi grandi occhi scuri.
“E’ un sollievo vederti così allegro,
figlio mio.” disse sorridendogli sinceramente.
“Allegro? E’ irritazione, madre, non
allegria.” rispose lui. Il tono gli riuscì un
po’ più seccato di quanto non avesse voluto, e si
chinò a baciare la regina sulla guancia.
“Kuropin si contraddice… ti lamenti se storpio il
tuo nome, ma nemmeno tu usi mai il mio.”
Puntualizzò il biondo, divertito.
Kurogane sbuffò, senza replicare.
***
Da quando erano tornati alla capitale, il giovane sembrava essersi
ripreso quasi completamente dallo shock subito nella valle, anche se
non aveva recuperato la memoria.
Inoltre, dopo l’episodio del fiume, Kurogane si era ritrovato
ad usare un maggiore tatto nei confronti dello straniero.
Si era accorto dell’espressione sconvolta e confusa sul viso
dell’altro in quell’occasione, e, nonostante
ciò gli avesse instillato maggiore curiosità e
sospetto nei suoi confronti, si era anche ripromesso di essere
più cauto nell’approcciarsi a lui, in futuro: a
prenderlo di petto, non avrebbe ottenuto altro che farlo scappare.
Così, aveva aspettato il giorno seguente per tornare
sull’argomento.
“Allora, ti è tornato in mente come ti
chiami?” gli chiese il principe. Il suo sguardo sembrava
pronto a perforare la pietra, come tutte le volte che parlava con lui.
Il biondo ebbe un attimo di esitazione, prima di rispondere.
Aveva dormito, quella notte, e nel buio del sonno aveva sentito delle
voci. Non riusciva a ricordare che cosa dicessero, né sapeva
a chi appartenessero. Non sarebbe nemmeno stato in grado di
ricostruirne il tono, nella sua mente.
Ma aveva l’impressione che, ad un tratto, una voce imperiosa
avesse chiamato il suo nome, e nel sogno aveva sentito
l’esigenza impellente di rispondere, di raggiungere
immediatamente chiunque lo stesse chiamando. Ma non era possibile, non
aveva idea di dove fosse. Era solo, nel buio dei suoi sogni.
“No.” rispose alla fine.
Il guerriero lo osservò, tentando di decifrare
l’espressione del suo volto. Quella che il giovane biondo
lasciava trasparire, sotto il suo sorriso di scusa, era confusione.
In quel momento, Kurogane decise che l’altro gli stava
nascondendo qualcosa. Non credeva stesse mentendo, non del tutto, o non
consapevolmente. Ma quella non era la verità – non
tutta, almeno.
Quest’improvvisa consapevolezza gli fece aggrottare le
sopracciglia, e l’altro spalancò quei suoi occhi
celesti, senza capire il perché di
quell’espressione accigliata.
“E ti ricordi qualcosa di quello che è successo
tre giorni fa nella valle?”
“La Cometa Nera è caduta.”
“Perché la chiami così?”
“Beh, perché è nera. E
perché una cometa viaggia nel cielo, e a volte cade. Che sia
caduta, l’ho capito per via del cratere.”
“Che sia caduta l’abbiamo capito tutti,
vedendolo.” lo interruppe Kurogane.
“Già. Beh, se l’ho visto, allora non me
lo ricordo.” commentò l’altro remissivo,
dando segno di volere chiudere lì la conversazione.
Il principe non sembrava dello stesso avviso, ma un attimo prima che
aprisse la bocca per parlare di nuovo, un soldato venne a chiamarlo.
Kurogane si allontanò, non prima di aver gettato
un’occhiata al biondo ancora seduto sull’erba.
Questo era rimasto immobile, inspirando a fondo per calmarsi.
Perché la chiamava Cometa Nera?
Perché questo era il suo nome, ecco la risposta. Cometa Nera
S-10, per la precisione.
Ma non sapeva che cosa significassero la lettere ed il numero dopo il
nome, e nemmeno perché gli fossero venuti in mente proprio
in quel momento, riemersi a galla da quel pozzo oscuro che era
diventata la sua mente.
Sulla pianura che circondava la capitale, un gruppo di uomini a cavallo
era venuto loro incontro con sollecitudine.
I soldati vestivano tutti una livrea di uno scarlatto molto scuro, con
una luna ricamata all’altezza del cuore. A capitanarli
c’era il sovrano di Suwa in persona, vestito della sua
armatura scintillante.
Aveva fermato l’alto destriero scuro di fronte a quello del
figlio, e i due erano scesi di sella all’unisono. Kurogane
aveva accennato un breve inchino nei confronti del padre, ma subito
dopo si erano scambiati un abbraccio.
Il biondo aveva osservato, incuriosito, quell’uomo che aveva
gli stessi lineamenti di Kurogane, a parte i capelli leggermente
striati di grigio. Solo, l’espressione era più
distesa, gentile, e lo scarlatto degli occhi si era mitigato, nel
tempo, in un intenso nocciola scuro.
Padre e figlio si erano rivolti qualche breve frase. Il re era
già venuto a conoscenza di quanto accaduto attraverso i
resoconti dei soldati mandati avanti dal principe, e il racconto di
quest’ultimo avrebbe potuto aspettare finché non
fossero arrivati a palazzo.
Dopodiché, il re aveva rivolto intorno lo sguardo, e
l’aveva fissato sul giovane ancora in sella.
Chiedendosi se non avesse dovuto farlo già prima, questo
aveva fatto per scendere da cavallo, ma l’uomo lo aveva
bloccato con un gesto della mano.
“Ero curioso di vederlo.” aveva detto il signore di
Suwa.
Kurogane gli aveva rivolto uno sguardo interrogativo.
“Lo straniero con i capelli dorati.” aveva spiegato
il padre, sorridendogli. “Tua madre lo ha sognato tre notti
fa” aveva aggiunto, abbassando improvvisamente la voce.
Kurogane aveva annuito, gettando al biondo l’ennesima
occhiata in bilico tra diffidenza e curiosità.
“Ripartiamo immediatamente per la
città!” aveva annunciato poi a voce alta,
rimontando a cavallo.
Come aveva scoperto in seguito il giovane straniero, la madre di
Kurogane aveva il potere di sognare le cose prima che accadessero, o
prima che ne venisse a conoscenza.
Quando l’aveva incontrata, la mattina del giorno seguente
– dopo aver passato la notte in una delle stanza del palazzo,
messa a sua disposizione in quanto improvvisamente elevato al rango di
ospite – la donna gli aveva rivolto un sorriso dolcissimo,
mentre lo osservava con i suoi gentili occhi scuri.
“Nel mio sogno – gli aveva spiegato – eri
vestito di bianco, avevi i capelli scintillanti come tanti fili
d’oro, ed emergevi da una foresta buia. Kurogane ti allungava
una mano, e tu la stringevi. Certo, non era che un
sogno…” del resto, le sarebbe stato difficile
immaginare il figlio allungare una mano in maniera gentile a qualcuno
che non fosse lei stessa, nella realtà
“…ma al mio risveglio, ero certa che tu saresti
arrivato qui insieme a loro.” lo aveva guardato sorridente,
constatando che era accaduto proprio quello che si aspettava.
“Inoltre, se non ho capito male, tu non ricordi nulla di
ciò che ti è successo o che ti riguarda, nemmeno
il tuo nome, dico bene?”
Il biondo aveva assentito con un cenno del capo, e la regina aveva
sorriso.
“Quella notte, nel sogno, ho pensato che tu ci fossi stato
mandato dagli dei del cielo. E forse non è un caso, che tu
sia comparso proprio dopo che dal cielo è caduta quella
cometa. Nella lingua dei nostri antenati c’è una
parola, fay, che significa ‘dono delle
divinità’, o, meglio ancora, ‘dono
dorato delle divinità’, e in fondo
l’aggettivo su di te calza bene.” Aveva detto,
alludendo alla capigliatura bionda dell’altro.
“Se vuoi, puoi portare questo nome, finché non ti
sarai ricordato di quello vero.”
“Suona bene, Fay.” aveva risposto il biondo con un
sincero sorriso di gratitudine.
***
Da quel giorno, Fay era stato il suo nome.
Kurogane non lo usava mai, però. Non aveva senso, secondo
lui, chiamare qualcuno con un nome che non fosse davvero il suo.
Così, all’appunto di Fay, quel pomeriggio dopo il
temporale, il principe si limitò a scrollare le spalle.
“Ancora nessun segno dei tuoi uomini?” chiese la
regina.
Il principe scosse la testa in segno di diniego, accigliato.
Aveva mandato Gantai ed alcuni soldati di nuovo nella valle ad
accertarsi che la situazione fosse rimasta stabile, e sarebbero dovuti
essere di ritorno già da un paio di giorni, ma, anche quel
pomeriggio, Kurogane era uscito a cavallo, spingendosi fino ai piedi
della montagna, senza riuscire a scorgerli.
Era preoccupato – qualsiasi cosa fosse accaduta nella valle
quella notte, aveva il presentimento che i danni non si sarebbero
limitati alla distruzione del villaggio e delle vite dei suoi abitanti.
La regina lo guardò impensierita.
“Vedrai che domani torneranno.” disse alla fine.
“Lo hai sognato?”
“No. Ma è un presentimento.” rispose lei
abbassando gli occhi e concentrandosi a sorseggiare la sua tazza di
tè.
In quel momento, nel portico comparve un’ancella che portava
del tè anche per lui, e Kurogane non replicò. Ma
sapeva bene che, quando la madre parlava di
“presentimento”, questo era destinato ad avverarsi
al pari dei suoi sogni premonitori. Ciò che lo impensieriva,
tuttavia, era il tono con cui lei aveva pronunciato quelle parole:
nonostante il loro significato fosse rassicurante, c’era
stato qualcosa, nella sua voce, che non lasciava presagire nulla di
buono.
Come aveva predetto la regina, il giorno dopo, verso mezzogiorno, le
sentinelle avvistarono il gruppo di soldati. Il signore di Suwa ed il
figlio si affrettarono ad andargli incontro, ritrovandosi davanti un
Gantai dall’aria preoccupata ed alquanto perplessa.
“Ci sono stati problemi? - chiese Kurogane dopo che si furono
scambiati il saluto di rito – Avete dovuto affrontare i
nomadi?”
“No, nulla del genere, maestà… - Gantai
sembrava in difficoltà, come se stesse ripassando in fretta,
nella sua mente, le parole che aveva scelto per esprimersi –
Siamo arrivati fin sotto al passo e ci siamo accampati. Poi, il giorno
dopo, siamo scesi nella valle, e… - improvvisamente, le
parole che aveva scelto non sembravano convincere più
nemmeno lui - …e la valle è
completamente ghiacciata, maestà.”
Il re e suo figlio si guardarono, incerti.
“Ghiacciata… siamo in estate.” fu il
commento laconico di Kurogane.
“Sì, beh, maestà… ci siamo
stupiti anche noi. Insomma, è strano. E’ per
questo, comunque, che ci abbiamo messo più del previsto. Era
freddo, e muoversi su quel ghiaccio non è agevole, ecco.
Siamo arrivati alla cosa…alla cometa. Nella zona intorno, il
ghiaccio sembrava più spesso, ed era… era scuro.
Ma la cometa non ne era ricoperta, era sempre uguale a come
l’abbiamo vista quel giorno, nera e lucida sotto i raggi del
sole.”
Il signore di Suwa si incupì a quella descrizione. Aveva
assicurato ai profughi che sarebbero potuti tornare alla loro campagna
e a quello che rimaneva delle loro case, se non ci fossero state brutte
sorprese. Invece, sembrava che ce ne fossero eccome.
“Quando poi siamo tornati indietro – stava
continuando il tenente – abbiamo scoperto che il ghiaccio
aveva raggiunto e superato il passo… eppure non avevamo
trascorso nella valle che una giornata e mezzo!” concluse
Gantai, chinando il capo come se la vicenda intera fosse colpa sua, o
come se egli stesso stentasse a credere al suo racconto.
Di nuovo, padre e figlio si guardarono. Kurogane non dubitava delle
parole del suo tenente, per quanto potessero suonare assurde.
Ne parlarono alla regina, non appena tornati a palazzo. Negli occhi
della donna si dipinse immediatamente una grande tristezza.
“Avanzerà ancora – disse, non appena
ebbe ascoltato la descrizione della valle ghiacciata – e
ricoprirà anche questa pianura… lo
sento.” aggiunse, rispondendo alla muta domanda negli occhi
del marito e del figlio.
“E’ il caso di parlarne ai sacerdoti.”
disse allora il re, e sua moglie annuì.
Il consiglio dei sacerdoti era formato da otto nobili anziani,
esponenti di alcune delle famiglie più importanti ed
altolocate del regno.
Il loro ruolo non era confinato alle questioni di culto –
cerimonie del raccolto, occasioni ufficiali e quant’altro
– ma si sostanziava anche nell’elargire consigli al
sovrano a proposito delle materie più disparate, dalle
questioni militari alle tasse.
In effetti, mentre i riti e le cerimonie erano appuntamenti fissi e di
routine, le occasioni che i sacerdoti avevano di intromettersi nelle
questioni di palazzo erano sempre molteplici e variegate. Questo aveva
portato i regnanti di Suwa a sviluppare una certa diffidenza nei loro
confronti, e a valutare attentamente quali e quante informazioni far
arrivare alle orecchie degli anziani.
Tuttavia, un avvenimento simile non poteva non essere discusso anche
davanti a loro.
“Dobbiamo riunire subito il consiglio. – disse la
regina, le guance pallide leggermente arrossate dall’ansia
– Ho fatto un sogno, stanotte. C’era il sole, e
splendeva su una superficie chiara e scintillante… un lago,
mi sono detta nel sogno.
Il cielo era limpido, senza una nuvola, c’era solo
l’azzurro.
Poi, lentamente, davanti al sole è passata la cometa. Ho
potuto vedere la sua sagoma nera stagliarsi netta contro la sua
luce… e sulla sua scia, avanzava
l’oscurità.
Man mano, il buio ha inghiottito il cielo, finché non
è stato tutto privo di luce.
Era nero, tutto nero, il cielo, e il lago, al di sotto. Come se
l’acqua avesse assorbito le tenebre di questa notte
improvvisa… era un buio sbagliato, cattivo. E non sarebbe
durato soltanto per una notte…” si
fermò ad inumidirsi le labbra. Prima che uno degli uomini
potesse commentare, tuttavia, proseguì.
“Credevo che fosse un lago, ma era immobile, privo di onde.
Alla luce di quello che mi avete raccontato, avrebbe potuto trattarsi
di una valle ricoperta di ghiaccio e neve… e se era
ghiaccio, allora coprirà tutto. –
terminò lentamente - Nel sogno, ho visto i tetti della
nostra città sommersi sotto quella che credevo la superficie
dell’acqua.”
I suoi occhi corsero subito alle vetrate della sala. Era pomeriggio, e
il sole splendeva ancora alto sopra l’orizzonte, luminoso e
forte nel cielo terso dell’estate.
Ma nello sguardo della regina c’era un grande struggimento,
quasi lo stesse silenziosamente pregando di continuare a brillare come
aveva sempre fatto, e di non lasciare che le tenebre cadessero sul loro
regno e sui loro animi.
Fay uscì dal palazzo che stava calando il crepuscolo. La
giornata era stata piuttosto calda, ma, con lo scendere della sera, dai
monti aveva cominciato a soffiare sulla città un vento
stranamente freddo.
Il giovane attraversò le strade, il mantello sulle spalle.
Nonostante il repentino sbalzo di temperatura, quell’aria
gelida non gli dava fastidio.
Si sentiva piuttosto allegro, in quel momento; stava pensando al suo
nome. “Dono degli dei”… era bello che
gli avessero permesso di portarlo.
Anche se Kurogane si ostinava a non chiamarlo in questo modo.
Chissà, forse pensava che un nome simile non gli si
addicesse… o forse era solo troppo timido per pronunciarlo.
Nonostante i suoi atteggiamenti burberi, Fay era giunto alla
conclusione che Kurogane avesse dei lati teneri, sotto la dura scorza
di guerriero.
Sorrise tra sé e sé, sbucando nella piazza
principale della città.
Ma si rese conto improvvisamente di essere l’unico a
sorridere.
Intorno a lui, capannelli di persone preoccupate parlavano
concitatamente delle notizie portate dai soldati tornati dalla
ricognizione nella valle - non erano certo novità che
potessero lasciare indifferente la popolazione.
Fay riconobbe alcuni dei profughi che erano arrivati in
città assieme a lui; vide gli uomini che, con sguardi grevi,
parlavano a voce bassa, gli occhi rivolti ai monti da cui erano
scappati.
Una donna li ascoltava, le mani che torturavano il tessuto del
grembiule che indossava, il capo chino ed il volto arrossato: sembrava
sul punto di piangere.
Fay abbassò gli occhi, e, improvvisamente, in quella piazza
affollata dove nessuno gli aveva rivolto nemmeno uno sguardo, si
sentì di troppo.
Non possedeva nulla, e si sentiva solo contento per l’idea
che qualcuno gli avesse dato un nome. Ma quella sua piccola
felicità gli sembrò tutto ad un tratto una
grandissima colpa.
Che diritto aveva, lui, di chiamarsi “dono”, se la
sua esistenza era iniziata lo stesso giorno in cui le vite delle
persone in quella valle erano finite o cambiate per sempre?
Improvvisamente, si sentì responsabile di tutto quello che
era accaduto, girò i tacchi e tornò in fretta
verso il palazzo.
“L’eclissi era stata prevista da tempo,
maestà.” Dichiarò uno dei sacerdoti con
aria quasi indulgente, come se avesse di fronte una ragazzina
capricciosa.
La regina lo scrutò con aria imperturbabile “Ho
già assistito ad un’eclissi io stessa. Questa
volta, sarà diverso. Non l’avrei sognato,
altrimenti.”
L’anziano chinò il capo, in segno di deferenza.
“Qualsiasi ne sia la causa, quel ghiaccio non è
naturale. Si sono ancora viste nevicate sulle cime più alte,
anche all’inizio dell’estate, ma non è
mai successo che il ghiaccio invada una valle, e che si espanda a una
tale velocità.”
“Potrebbe essere la conseguenza naturale dello schianto di
una cometa.” suggerì un sacerdote.
“Ammesso che sia naturale che una delle stelle si stacchi dal
cielo e cada.” commentò un altro.
“Dopo lo schianto, quella valle era in fiamme, altro che
ghiaccio. - puntualizzò Kurogane – Inoltre, la
cometa non era ghiacciata, stando a quanto hanno riferito i miei
uomini.”
Attorno al lungo tavolo di legno dove sedevano, per qualche
interminabile istante, si fece un totale silenzio. Il signore di Suwa
scrutava uno per uno i volti dei sacerdoti, le cui rughe non riuscivano
a dissimulare le espressioni dubbiose. Accanto a lui, il principe
incrociò le braccia, spazientito.
“Se quel ghiaccio avanza ancora, distruggerà i
raccolti. Non è qualcosa che possiamo
permetterci.” Affermò semplicemente il re dopo un
po’.
“Non esiste modo di fermare l’avanzata di un
ghiacciaio o di…qualsiasi cosa sia.”
replicò uno degli anziani.
“Se la causa non è naturale, allora deve essere
trovata e rimossa.” rispose con calma.
I sacerdoti si scrutarono in volto.
Alla fine, uno di loro – Tabkins, un uomo piccolo e molto
anziano, i capelli candidi e sottili sciolti sulle spalle –
fece per prendere la parola, ma l’uomo accanto a lui
– Vaikaris, più robusto e meno anziano, una folta
barba grigia che penzolava fino al piano del tavolo – si
alzò in piedi e parlò al suo posto.
“Sire – esordì – come bene
sapete, esiste una leggenda…” “Una
profezia!” puntualizzò l’omino dietro di
lui.
“…una leggenda che si tramanda qui a Suwa da
generazioni.”
“Dalla polvere di un tempo ormai dimenticato,
verrà il distruttore di mondi –
Verrà dalla dimensione del sangue
Dove la morte è un dono degli dei
Ed affronterà la vittima sacrificale –
Il cavaliere che domina il fuoco delle stelle”
Recitò la regina a mezza voce. “Sono i versi
scolpiti da secoli nella pietra del tempio” disse.
“Quando siamo venuti a conoscenza della caduta della cometa,
alcuni di noi hanno suggerito che… ecco, che le due cose
potrebbero essere collegate.”
Si fermò un momento per pensare a cos’altro dire,
ed in quella Tabkins ne approfittò per saltare in piedi a
sua volta.
“E’ un presagio di sventura, vostre
maestà! – esclamò con voce raschiante
– La distruzione della valle non è che
l’inizio della distruzione di tutto il regno!”
Il suo collega gli rivolse uno sguardo di rimprovero, voltandosi poi
verso i sovrani con aria di scusa, ma, prima che potesse parlare, il re
lo bloccò con un cenno della mano.
“Quello che sta accadendo è già
abbastanza stupefacente di suo. Non sarebbe incredibile, se
l’unica spiegazione fosse riconducibile alle parole di
quell’antica leggenda.”
A quelle parole, la regina chinò il capo. La voce del marito
suonava decisa e forte, come sempre… ma lei sentiva che
quello non era che l’inizio di un incubo.
Più tardi, abbandonata la sala del consiglio, i signori di
Suwa si affacciarono dalla cima di una delle torri del palazzo, ad
osservare silenziosi la città che si stendeva sotto di loro
alla luce del crepuscolo, via via sempre più fioca.
A quell’altezza, il vento soffiava forte e gelido, e il re
mise il suo mantello sulle spalle della moglie. Lei gli si
appoggiò al petto, gli occhi che vagavano seri sui tetti
delle case della loro gente.
“Più tardi riunirò i miei uomini.
Dobbiamo andare a scoprire che cosa sta succedendo.”
Lei chinò la testa, cercando la sua mano e stringendogliela.
“Dormi con me, stanotte. – sussurrò
– Ho paura dei sogni che potrei fare.”
Il re ricambiò la stretta.
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Capitolo 5 *** IV. The Age Of Mystic Ice (II parte) ***
@Adrienne:
sì, il capitolo l'ho diviso a metà.. il fatto
è che, volendomi attener ai titoli delle canzoni del CD,
devo "farci stare" la storia, e ogni tanto straborda XD
@LawlietPhoenix:
grazie, sono contenta che risultino IC, ogni tanto mi sa di andare
fuori... beh, tenterò di fare del mio meglio ^^' Eh, l'angst
ci sarà. Ma io non sono le Clamp ù_ù
@Pentacosiomedimni:
grazie del bel commento <3
Mi piace la scelta di
questa versione di Kurogane che sembra già
provare quel senso di protezione, che nella versione originale lo
spinge a rinunciare senza indugio ad un braccio pur di continuare ad
avere vicino Fay -> in questa storia, Kurogane non
ha perso i genitori, quindi ho pensato che, visto che ha potuto
crescere con il loro affetto sempre presente, sarebbe potuta andare
anche una versione più "protettiva", appunto! XD
Buona lettura! Alla prossima settimana per il nuovo capitolo!
IV.
THE AGE OF MYSTIC ICE (II PARTE)
Più in basso, Kurogane stava osservando quello stesso
panorama attraverso le vetrate di un corridoio.
Vide
Fay arrivare dalla città verso il portone del palazzo.
Camminava a
passo veloce, quasi fosse di fretta, ma non appena fu nel cortile
davanti all’ingresso rallentò, alzando il viso.
Stava certamente
guardando il cielo - pensò Kurogane - osservando come il
rosso del
tramonto trascolorava velocemente nel viola della sera.
Che cosa
sarebbe successo, se il sogno di sua madre si fosse avverato? Se il
ghiaccio avesse ricoperto tutto? E poi, era una questione di se,
o piuttosto di quando? Dove sarebbe andata la
loro gente, che cosa ne sarebbe stato dei contadini, dei pescatori, di
Fay?
Lo
guardò sparire oltre i pesanti battenti del portone
dell’entrata,
chiedendosi perché mai, in mezzo all’ansia che
provava per la sorte
incerta del suo popolo, avrebbe dovuto preoccuparsi anche del destino
di quello straniero.
A distoglierlo dai suoi pensieri fu la voce di Gantai, che lo chiamava
dal fondo del corridoio.
Il principe gli andò incontro.
“Maestà,
c’è una cosa che dovete assolutamente vedere!
– esordì il tenente – Io
e gli altri abbiamo raccolto alcuni pezzi di quel metallo scuro che
avevamo notato ancora la prima volta… e ne abbiamo trovato
uno davvero
particolare.” Spiegò, mentre faceva strada al
principe verso l’armeria.
Attraversando
il portone che dava sul cortile interno del palazzo, si imbatterono in
Fay, che stava vagando lentamente, a passi leggeri,
sull’acciottolato
del cortile, con il naso all’insù.
“Buonasera!” lo salutò in fretta Gantai,
superandolo.
“Gantai, Kuropon… buonasera a voi!”
ricambiò il giovane, chinando leggermente il capo nel
rispondere al saluto.
Kurogane
ebbe la tentazione di fermarsi e rimproverarlo per la questione del
nome, ma Gantai sembrava avere fretta. Inoltre, gli era sembrato di
scorgere un velo di tristezza sul viso del biondo.
Questo, unito
agli strani pensieri che lo avevano colto poco prima, lo indusse a
rivolgere all’altro un brusco cenno d’invito con la
mano.
“Seguici.”
Fay obbedì sorridendo, e i tre insieme entrarono
nell’armeria.
A
quell’ora della sera, la sala era vuota: i soldati erano
tornati a
casa, o si erano rifugiati nelle taverne, a raccontare di quello che
avevano visto nella valle e a berci sopra una buona dose di vino o
birra per dimenticarsene in fretta.
Gantai chiuse la porta alle loro
spalle. L’armeria era praticamente buia, ed il tenente si
affrettò ad
accendere una lampada ad olio, facendo strada agli altri due verso uno
degli angoli della sala, finché non raggiunsero un tavolo.
La
superficie era coperta da un drappo di stoffa che si modellava
pesantemente seguendo le sagome che nascondeva. Gantai la
sollevò,
rivelando al di sotto alcuni pezzi di metallo scuro di svariate
grandezze.
Pezzi della cometa – pensò subito Fay –
e infine, al centro, qualcosa di diverso.
“Questo è strano, vero?”
commentò il soldato, prendendo cautamente in mano
l’oggetto.
Il
metallo di cui era fatto era chiaro, levigato, e non sembrava essere un
frammento di qualcosa che era andato in frantumi, come invece gli altri
pezzi. Questo era compiuto in se stesso, di una forma precisa anche se
sconosciuta.
Era composto da quello che sembrava un grosso cilindro
leggermente bombato, con una piccola apertura circolare ad una delle
estremità, mentre dall’altra era agganciato
– agganciato? Sembrava
piuttosto un pezzo unico – un altro cilindro più
corto e sottile, molto
schiacciato, il cui metallo era ruvido, e attraversato, sui lati, da
morbidi avvallamenti.
Kurogane lo prese in mano per osservarlo da vicino.
“Vedete? Ci sono tutti questi strani solchi e
sporgenze… e questo sembra un simbolo, o una
decorazione.”
Fay
scrutò a sua volta l’oggetto: la superficie del
cilindro più grosso era
molto irregolare, rigata da strisce di colori diversi, e, a
metà,
vergata da un’incisione che il giovane, pur non capendone il
significato, interpretò all’istante come una
scritta.
“A che accidenti serve?” fece Kurogane rigirandosi
in mano l’oggetto.
Impaziente, lo scosse e ci tamburellò con le dita. Poi,
accorgendosi improvvisamente di qualcosa, lo guardò
più da vicino.
“E questo? Prima non c’era.”
Fay
e Gantai si avvicinarono. Toccando qua e là
l’oggetto, Kurogane doveva
aver aperto una sorta di piccolo vano sotto al punto di giunzione dei
due cilindri. Il principe ci guardò dentro con
curiosità.
“C’è qualcosa… una specie di
leva…” e fece per metterci dentro un dito.
“No! Sta’ fermo!” saltò su
Fay, strappandogli l’oggetto di mano all’improvviso.
“Ehi, che accidenti fai?!” esclamò il
principe risentito.
“Potrebbe…
potrebbe essere pericoloso.” si giustificò
l’altro. Nemmeno lui era
sicuro del perché avesse compiuto quel gesto, ma gli era
sembrato di
importanza vitale.
“Non sappiamo nemmeno che cosa sia.”
Anche lui se lo rigirò in mano cautamente. Ma,
all’improvviso, le sue dita presero quasi a muoversi da sole.
Dall’altra parte della sala, appoggiati alla parete, stavano
alcuni bersagli per il tiro con l’arco.
Muovendosi
in maniera quasi inconscia, Fay puntò l’oggetto
verso uno di quelli, e
infilò abilmente l’indice nella piccola fessura
sotto il cilindro.
Un
momento dopo, la sala venne illuminata a giorno da un improvviso lampo
di luce, e il bersaglio esplose, scagliando tutt’intorno una
miriade di
schegge.
Sentendo il rumore dello scoppio Fay si spaventò, tornando
improvvisamente in sé, e facendo quasi cadere a terra
l’arma.
“P-per il cielo!” esclamò Gantai,
correndo a vedere che danni aveva provocato l’esplosione.
La parete dietro al bersaglio era annerita, intaccata e scheggiata dal
colpo.
“Come accidenti hai fatto?” fece Kurogane con voce
dura.
“Ah,
è semplice… ho premuto il grilletto.”
Anche nel buio che era
improvvisamente caduto su di loro – visto che Gantai aveva
portato con
sé la lampada ad olio – Fay poteva intuire
l’occhiata inquisitoria che
gli stava lanciando l’altro.
“Voglio dire, la piccola leva che c’è
qui dentro.. – si corresse – poi, è
uscita la luce, dalla bocca, qui…”
continuò indicando l’apertura
all’estremità del cilindro.
“Questo l’ho visto anch’io.”
“Beh, sì, insomma… è un
affare pericoloso.” tagliò corto Fay, riponendolo
con cautela al suo posto sul tavolo.
“Puoi
ben dirlo! – esclamò Gantai tornando vicino a loro
e illuminando
l’oggetto con la lampada – Come caspita hai fatto a
farlo funzionare?
Per fortuna che miravi ben lontano da noi…”
“Mmh.. beh, ho tirato a
indovinare.” rispose Fay evasivamente, ma il soldato sembrava
troppo
preso dall’esame dell’arma per prestare attenzione
alla sua risposta.
“E’
un’arma davvero portentosa, in ogni caso. – disse
Gantai osservandola
con ammirazione – Ha quasi bucato il muro della sala. E il
raggio che
ne è uscito… mi ha ricordato la notte in cui
è caduta la cometa. Aveva
dietro di sé una scia di luce abbagliante, come questa. Non
è che da
qui ne è uscita una in miniatura?!”
Kurogane rimase a fissare la “cosa” a braccia
conserte, silenzioso e corrucciato.
“Mio padre ci vuole riuniti nella sala del consiglio subito
dopo cena. – disse alla fine – E questa rimane con
me.”
Prese l’arma e la avvolse nel drappo, avviandosi poi verso la
porta, seguito dagli altri due.
Il
giorno dopo, il signore di Suwa ed un gruppo scelto dei suoi soldati
partirono alla volta della valle, con la semplice intenzione di vedere
con i loro occhi il ghiaccio e controllarne l’avanzata.
Kurogane e
sua madre rimasero ad osservare i cavalli allontanarsi, fino a che non
furono spariti nel folto dei boschi che delimitavano la pianura. Quella
mattina, nonostante il sole estivo già alto nel cielo, il
vento gelido
non aveva smesso di soffiare, impietoso, dalle montagne.
La regina era pallida in volto, a testimonianza di una notte
praticamente insonne.
“Va tutto bene?” le chiese Kurogane, dandole il
braccio, mentre i due rientravano all’interno del palazzo.
“Sì – rispose lei, con un sorriso mesto
– ho solo un po’ di nostalgia.”
“Nostalgia di mio padre?”
“Nostalgia
dei tempi tranquilli che ci stiamo lasciando alle spalle.” La
sua voce
suonava stanca, come se fosse invecchiata all’improvviso.
“Avete sognato altro?”
Lei
scosse il capo “No. Ho dormito poco, e gli incubi che ho
fatto erano
maggiormente legati alle parole dei sacerdoti che non a qualche
infausta premonizione.”
Scesero in silenzio le scale della torre, ma, ad un tratto, la regina
si fermò per guardare il figlio diritto in volto.
“Io
non lo so che cosa ci aspetta. – disse con un tono quasi di
scusa – Non
so quale sia il futuro che aspetta te… quando sei nato,
speravo che
potesse essere un futuro luminoso, di pace e prosperità. Ma
tutto quel
buio che ho visto nel sogno...”
Kurogane ricambiò il suo sguardo. La
comprensione dei sogni della madre era al di là delle sue
capacità,
come lo era il poter immaginare quali sentimenti suscitassero in lei
quelle visioni notturne. I suoi sogni premonitori si avveravano sempre,
lo sapeva, ma il principe non era spaventato.
“Oh, lo so che tu non
hai paura – proseguì la madre, un sorriso dolce
che le sbocciava sul
viso – Hai il coraggio e la generosità di tuo
padre… non lasciarteli
portare via, qualsiasi cosa accada.” Si
raccomandò, nuovamente seria.
Non si dissero altro, e ripresero la discesa delle scale.
Pranzarono assieme a Fay in una piccola sala del palazzo; il giovane si
presentò ringraziando per l’invito.
“Sei tu a farci piacere, Fay – gli rispose la
regina – E’ rasserenante vedere il tuo
sorriso.”
L’altro
accennò un inchino col capo. “Ne sono
felice… del resto, immagino che
la sola compagnia di Kurotan possa risultare un po’ noiosa,
ha sempre
un tale broncio…” lo stuzzicò Fay.
“Sei tu che scherzi e ridi a sproposito.”
replicò seccamente il principe.
Sul
sorriso e nello sguardo di Fay calò un velo di tristezza
“E’ vero,
scusate. In un momento come questo, sorridere troppo è fuori
luogo.”
La
regina cercò gli occhi del ragazzo con i suoi. “Se
smettiamo anche di
sorridere, è come se l’oscurità ci
avesse già inghiottiti. Inoltre, te
l’ho già detto – aggiunse sporgendosi
verso il biondo con fare
cospiratore - è bello vedere mio figlio così
vivace. Di solito non è un
gran chiacchierone.”
“Beh, non è che si possa definirlo così
nemmeno
adesso… ma chissà come doveva essere prima,
allora!” commentò Fay
malizioso, sporgendosi a sua volta verso la regina.
Kurogane sollevò
un sopracciglio, vagamente irritato per lo scambio di battute. Eppure,
si scoprì a provare uno strano senso di serenità,
a guardare sua madre
e lo straniero che ridevano bonariamente di lui.
Durante il pranzo,
non parlarono né dei sogni della regina, né della
cometa, né del
ghiaccio innaturale e dei potenziali pericoli che comportava. Non
menzionarono nemmeno l’arma trovata nella valle ed i suoi
poteri
misteriosi.
La regina raccontò al loro ospite episodi della storia
di Suwa e aneddoti della vita di corte, includendo volentieri qualche
storiella riguardante l’infanzia di Kurogane.
In quei momenti, Fay
ridacchiava, sinceramente divertito all’idea delle gesta del
piccolo
principe, e lo guardava sorridendo da oltre i calici colmi di vino,
come se lo stesse immaginando bambino, appena di ritorno dalla sua
prima cavalcata in compagnia del padre, trionfante e sporco di fango.
“Ma
cosa andate a raccontargli, madre?!” sbottò ad un
certo punto, quando
la regina iniziò a narrare l’episodio della caduta
del suo primo
dentino da latte.
“Eri così fiero e spaventato, figlio mio
– gli
rispose lei, gli occhi persi nel ricordo – ti faceva male, ma
insistevi
che un guerriero che stava già imparando a maneggiare una
spada non
poteva assolutamente spaventarsi all’idea di farsi togliere
un
dente…però non ti decidevi mai, e rimanevi
imbambolato a farlo
dondolare con le dita, finché non ti è rimasto in
mano.”
“Ahaha, che tenero, Kuropon! – esclamò
deliziato Fay – Posso proprio immaginarti!”
Il
principe scrutò entrambi con fare scontroso. La madre lo
guardava con
gli occhi pieni di tenerezza, e fu sorpreso di scorgere uno sguardo
molto simile anche negli occhi celesti dello straniero.
Si voltò
dall’altra parte, imbronciato, per dissimulare
l’improvviso rossore che
gli aveva imporporato leggermente le guance. Passò il resto
del pranzo
ad evitare di pensare all’episodio, per non arrossire di
nuovo.
Dopo
che si furono congedati dalla regina, si avviarono in silenzio lungo i
corridoi, con Fay che sbirciava di sottecchi il guerriero accanto a
lui. Era difficile immaginarselo preoccupato al pensiero di togliersi
un dente, ma era anche, tutto sommato, confortante.
Si chiese se
anche nel suo passato, che rimaneva un pozzo buio, ci fossero stati
momenti simili. Gli sarebbe piaciuto ricordarli, e forse anche
condividerli.
Ad un tratto, Kurogane si voltò verso di lui. Fay gli
sorrise.
Il
principe si innervosì: perché sorrideva? Non
possedeva nulla, non
sapeva nemmeno chi era… già, chi era? Chi era
stato, prima di perdere
la memoria? E perché mai avrebbe dovuto importargli, al di
là del fatto
che la sua comparsa sembrava collegata allo schianto della cometa?
“Seguimi.” disse soltanto.
L’altro lo seguì senza replicare,
finché il principe non richiuse una pesante porta alle loro
spalle.
“Queste
sono le tue stanze, Kuropon… ehi, non mi avrai condotto
lontano da
occhi indiscreti per vendicarti del fatto che sono venuto a conoscenza
dei tuoi segretucci?!” esclamò, fintamente
spaventato.
“Tsk, fossi in te, non sarei io a parlare agli altri di
segreti.”
Si trovavano in una sorta di piccola anticamera, e il principe si
diresse immediatamente verso un tavolo in un angolo.
“Dimmi come hai fatto a far funzionare questo aggeggio,
ieri.”
Sul tavolo era poggiato un involto di stoffa; Kurogane
iniziò a svolgerla, ma Fay sapeva già che cosa
conteneva.
“Te l’ho spiegato.” Gli rispose.
“No. Tu mi hai spiegato come lo hai fatto materialmente, ma
non come facevi a sapere che funzionava così.”
Il biondo sorrise, sulla difensiva. Il tono del principe suonava
accusatorio.
“Questo non lo so.”
“Però
sapevi come far funzionare quell’arma, e che ne sarebbe
uscita quella…
quella luce. Infatti, l’hai puntata su quel
bersaglio.”
“Beh, mi è
venuto d’istinto – Kurogane gli scoccò
un’occhiata scettica, e Fay si
affrettò a correggersi – cioè,
l’ho intuito. Insomma, assomiglia, vagamente,
a quelle armi… le balestre. Ne avete l’armeria
piena. Anche qui, c’è
un’impugnatura, e poi da qua esce il proiettile.”
Spiegò indicando le
parti dell’oggetto.
“Sei l’unico a vedere una somiglianza tra una
balestra e questa…”
“…pistola.”
terminò Fay. Non sapeva nemmeno lui perché, ma
quel nome gli era
sfuggito di bocca come se fosse la cosa più naturale del
mondo.
“Pistola?”
“Sì. Non suona bene, come nome?”
Fay gli sorrise, come se l’avesse inventato lì per
lì, ma Kurogane fece un passo verso di lui, vagamente
minaccioso.
“Tu l’avevi già vista, questa pistola.”
L’altro si umettò le labbra. “Non che io
ricordi.”
“Non l’hai mai vista prima, però sai
come funziona e anche qual è il suo nome.”
Kurogane prese in mano l’arma, puntandola verso Fay. Il tono
della sua voce era grave, adesso, e quasi minaccioso.
“Sono
il principe di questo paese. Ho imparato a usare le armi ancora prima
di imparare a camminare. Ho combattuto vari nemici, e sono stato ospite
alle corti di tanti paesi stranieri, ma non ho mai visto né
tanto meno
sentito parlare di un’arma del genere,
che…”
“…che sprigiona una luce simile a quella delle
stelle?” suggerì Fay, fissando preoccupato
l’arma puntata contro di lui.
Improvvisamente,
a Kurogane apparve fragile. Sotto i ciuffi ribelli dei capelli biondi,
i suoi occhi sgranati scrutavano ora l’arma, ora il volto del
principe,
cercando di capire se avesse o meno intenzione di premere il grilletto.
Lo sapeva, che mentiva. O meglio, che non era in grado di dire la
verità. E nonostante questo, non poteva vedere in lui un
vero nemico,
anzi.
Abbassò la pistola, tornando a rigirarsela tra le mani.
“E
nonostante la mia esperienza, non credo che sarei stato in grado di
comprendere il funzionamento di questo pezzo di metallo pochi istanti
dopo averlo visto per la prima volta.” concluse. Ma era
chiaro che si
aspettava ancora che Fay gli rispondesse.
Il biondo incrociò le
braccia; sembrava aver riguadagnato tutto il suo spirito.
“Allora
questo potrebbe voler dire soltanto che io sono più
intelligente di te,
Kuropon!”
Kurogane lo guardò male. “Ma davvero?! - rispose,
piccato
– Bene, allora vorrà dire che mi aiuterai a
scoprire come funziona nel
dettaglio.” decretò.
Cavalcarono fino ad un bosco non
molto distante dalla città. Le raffiche di vento erano meno
forti, nel
folto degli alberi, e i due giovani si dedicarono a scoprire il
funzionamento della pistola.
“Allora… il grilletto… la leva,
intendo, può essere spostata, a seconda della pressione che
usi, il
colpo sarà più o meno potente.”
Spiegò Fay, passandogli l’arma.
Si
strinse nel mantello, mentre Kurogane usava un tronco secco come
bersaglio su cui esercitarsi. Solo ora, Fay si rendeva conto che, il
giorno prima, aveva usato inconsciamente il minimo di potenza
possibile… o avrebbe distrutto la sala
dell’armeria, altrimenti.
Chiuse gli occhi.
“Questi sono i nuovi modelli. Imparate a usarli in
fretta. Sono la vostra arma più potente
contro…”
L’esplosione del tronco lo richiamò bruscamente
alla realtà.
“Tsk, volevo solo fargli un buco.”
“Aspetta, prova così.”
Fay
sovrappose la sua mano a quella del principe, indicandogli il livello
di pressione adeguato. Le sue dita si muovevano sul metallo
dell’arma
con una sicurezza che sconcertava perfino lui stesso. Come se avesse
ripetuto quei gesti all’infinito, prima di quel pomeriggio.
Tornò ad
avvolgersi nel mantello. Nella sua testa, la voce taceva, ma il gelo di
quel tono aveva lasciato in lui una sensazione di paura strisciante.
Questa volta, Kurogane centrò il suo bersaglio, aprendo un
varco netto a metà esatta del tronco.
“Beh, niente male!” commentò, sorridendo
soddisfatto.
Fay lo applaudì “Bravo davvero, principe della
luce delle stelle!”
Kurogane
ricambiò l’epiteto con un’occhiataccia,
ma l’altro continuò ad
applaudire. Con il rumore e l’allegria, tentava di scacciare
l’oscurità
che gli si era addensata nella mente.
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Capitolo 6 *** V. Prince Of The Starlight ***
@ Adrienne: Fay nei panni della amata nuora
è una fantasia amorevole che contrasta
efficacemente alla fantasia di yuui trascinato in un sexy shop da
shaoron!!! --> ma questa non te l'ho mica causata
io, no?! XD Comunque sì, Fay nuora è... canon. E
la madre con lui si sarebbe divertita un sacco. Uhuh.
@ LawlietPhoenix: ciao Aster XD bene, sono
più che felice che la storia stimoli la vostra
curiosità ù_ù
@ Pentacosiomedimni:
*si fa piccola piccola per via delle minacce* uh.. di nuovo, sono
felice di sapere che la faccenda dell'identità di Fay vi
incuriosisca. Da parte mia sarei curiosa di sapere le vostre ipotesi al
riguardo! ;D
@ Yuki Ishimori: sono felice che
tu ti sia appassionata a Luca Turilli, è un musicista divino!
Resistete ancora questo capitolo che poi torna il Kurofay
ù_ù
Aggiornamento nel prossimo week end, bacini!
V.
PRINCE OF THE STARLIGHT
Ascoltatela qui!
Star... light... SHINE!
They are coming out from the ice, from the furthest deepest caves
Bringing real pain to all, leading black death to this world...
Creatures born from ancient fears, trapped until this new mystic
eclipse...
This new eclipse!
Now they know the ancient legend was not ramblings of old fools
"...when the fireball will so fall, we'll see a black night without
moon..."
In the tragic daily events, there's no place for their true love
Love born from seed unknown...Arkan's last pleasure and hope...
Cosmic journey of emotions, between hearts of distant space...
Of distant time...
But the dark fight has to be won if they want to live their lives
To defend their planet Zaephyr from the threat of deathly ice
FROM THIS GODFORSAKEN PLACE
WHERE THE ENEMY HAS NO FACE
I CALL THE MYSTIC STARLIGHT
TO ENLIGHT MY PLANET DAMNED
IN THIS REQUIEM FOR MY LAND
MY PRINCE OF THE STARLIGHT...
STARLGHT!
Kurogane passò diverse giornate nascosto tra i boschi a
prendere confidenza con la nuova arma.
Era
rimasto a palazzo senza seguire il padre per occuparsi delle questioni
del regno e per rimanere vicino a sua madre, la quale, giorno dopo
giorno, sembrava sempre più segnata dalla preoccupazione che
scaturiva
dai suoi sogni; tuttavia, non appena poteva, montava a cavallo e
raggiungeva quel bosco in compagnia di Fay.
Quest’ultimo era ben
felice di seguirlo: a palazzo non aveva nessuna occupazione
particolare, mentre in compagnia di Kurogane, fuori in mezzo a quegli
alberi, gli sembrava di avere un senso, anche se quel senso si fosse
trovato nel solo starlo a guardare e nello sparare anche lui qualche
colpo di tanto in tanto.
Uno di quei pomeriggi, Gantai li stava
osservando allontanarsi al galoppo da una delle torri che delimitavano
le mura della città.
“Buon pomeriggio, tenente.” fece una voce alle sue
spalle.
“Sacerdote Vaikaris, sacerdote Tabkins.” Gantai
chinò il capo salutando i due anziani, in segno di deferenza.
Vaikaris
scrutò con aria intenta il panorama. “Sembra che
sua maestà il principe
si intrattenga volentieri con quel giovane straniero, non è
così?”
“Sì, è un tipo in gamba.”
disse semplicemente Gantai.
“In gamba, davvero? E come mai?”
Gantai fece per rispondere, ma ebbe un attimo di esitazione.
Al
momento, la faccenda di quella strana arma era rimasta tra lui, Fay, il
principe ed il sovrano. Inoltre, sapeva bene che Kurogane non amava
eccessivamente il gruppo dei sacerdoti.
“Beh, si dice, no? E’ uno sveglio, insomma. Non
è difficile gradirne la compagnia.”
“Questo
è un bene. - sorrise l’anziano – Sai,
viviamo in tempi difficili. E’
una fortuna che i nostri sovrani ritengano di potersi fidare di uno
straniero, di cui non si conosce nemmeno
l’identità… uno che compare
nello stesso momento in cui un enorme e sconosciuto oggetto distrugge
uno dei nostri villaggi… - il tono di Vaikaris era
meditativo, ma a
Gantai parve di cogliervi un sottile velo di ironia – Una
cosa
piuttosto rara, oserei dire. Ma il nostro principe ha sempre avuto una
certa passione per il rischio e per i giochi
pericolosi…”
“Non si gioca con le profezie!” sibilò a
quel punto il vecchietto al suo fianco.
Gantai
li osservò, incerto, senza sapere che cosa replicare. Ma
Vaikaris
continuò il suo monologo, gli occhi sempre persi
all’orizzonte.
“E’ un’epoca inquieta, dove si farebbe
meglio a tenersi ben stretti le nostre certezze, invece che buttarsi in
nuove avventure.”
“Voi ritenete che Fay… che lo straniero sia
pericoloso?”
Il
sacerdote gli scoccò una lunga occhiata “Io so
solo che stanno
accadendo fenomeni inusuali, e che una causa, da qualche parte, deve
esserci.”
A quel punto, i due sacerdoti proseguirono oltre, e a Gantai non rimase
che salutarli con un deferente inchino del busto.
Il
giorno dopo – prima di quanto non ci si aspettasse
– le sentinelle
della città avvistarono il vessillo del re e dei suoi
cavalieri, di
ritorno alla capitale.
Kurogane e Fay erano nel bosco, e
osservavano compiaciuti il risultato dei loro esercizi quotidiani (che
in effetti si traducevano in tronchi divelti e ampie zone di bosco
distrutte). Erano avvolti in vestiti pesanti; in quegli ultimi giorni,
la temperatura era scesa parecchio e il vento gelido non dava un attimo
di tregua.
“Beh, caro principe della luce di stelle, si vede proprio che
sei nato con le armi in mano.” commentò il biondo,
applaudendolo.
“La stessa cosa può dirsi di te.” fu la
risposta.
Nonostante
le implicazioni di quell’affermazione dessero vita, nella
mente di Fay,
a pensieri poco piacevoli, la voce del principe non nascondeva un certo
riconoscimento delle sue abilità, e il biondo sorrise,
prendendolo
quasi come un complimento.
Ma Kurogane non aveva certo intenzione di adularlo.
“Non credere che la risposta dell’altro giorno mi
basti.” aggiunse, guardandolo diritto negli occhi.
Più che come una minaccia, suonava come una sfida, anche se
non era chiaro se la stesse lanciando a Fay o a se stesso.
Un momento dopo udirono lo squillo delle trombe annunciare il rientro
del re.
Kurogane fu subito a cavallo, pronto ad andare incontro al padre.
“Va’ pure, io ti seguo. – disse Fay,
montando con calma sul suo animale – Non cavalco veloce come
te, ti farei rallentare.”
Il
principe gli rivolse un ultimo sguardo, prima di lanciare il cavallo al
galoppo, e Fay lo seguì con gli occhi mentre spariva tra i
tronchi. Lo
aveva lasciato andare avanti apposta: quel discorso non sarebbe finito
lì, ma per il momento il principe era stato costretto a
lasciarlo in
sospeso, e per lo straniero era meglio così.
La prima cosa che
Kurogane notò, avvistando i cavalieri sulla pianura di
fronte a lui, fu
che il loro numero era diminuito. Inoltre, la postura di suo padre a
cavallo non era eretta come al solito. Spronò il suo animale
alla
massima velocità, improvvisamente in ansia.
Non appena vide
avvicinarsi il cavallo del figlio, il re fermò il suo e
scese di sella
per salutarlo, ma lo fece con evidente difficoltà.
“Padre!” esclamò Kurogane, scendendo a
sua volta.
“C’è
stato qualche imprevisto in più.” disse soltanto
il re. Sotto
l’armatura e la tunica si potevano notare le bende che gli
cingevano il
torace.
“Ne parleremo poi.” disse il principe aiutandolo a
risalire a cavallo.
Il re assentì. “Avverti le guardie che si
preparino ad accogliere dei nuovi profughi.” disse soltanto.
Prima
di tornare a spronare il cavallo verso la città, Kurogane si
girò
indietro e vide che Fay li stava raggiungendo. Lo seguì con
gli occhi
finché non fu vicino, dopodiché voltò
il cavallo e si diresse verso la
città.
Lo straniero e le cose che voleva dirgli avrebbero dovuto aspettare,
per quel giorno.
“Il
ghiaccio è avanzato ancora, e molto.”
esordì il re, non appena ebbe
riunito davanti a sé i sacerdoti ed i capi
dell’esercito. Non aveva
accettato di farsi medicare, ed era andato diritto nella sala del
consiglio. Appariva molto provato dal viaggio, ma nel suo sguardo era
chiara la determinazione a non farsi sopraffare dalla stanchezza.
“E’ arrivato fino al fiume. Posso immaginare che,
alla velocità con cui avanza, a quest’ora lo abbia
già superato.”
“Siete stati attaccati dai nomadi?” chiese
Vaikaris, lo sguardo cupo sotto le sopracciglia folte e spioventi.
“No.
Appena abbiamo cominciato ad attraversare la zona ghiacciata, abbiamo
per forza dovuto rallentare il passo. Ad un tratto, siamo stati
investiti da una tempesta di neve, e nel bel mezzo della tormenta,
siamo stati circondati da quelli. Erano…”
“Demoni.” suggerì l’anziano
capitano accanto a lui.
Il
re annuì lentamente “Demoni, immagino che si possa
chiamarli così. Sono
poco più alti di un essere umano, avvolti da una spessa
corazza, con
artigli affilati e lunghi più delle nostre spade. Si muovono
su quattro
zampe, per aver miglior presa sul terreno gelato, e sono dannatamente
veloci.
Inutile dire che non avevo mai visto né sentito parlare di
nulla del genere: avremmo voluto riuscire a sconfiggerne uno per
poterlo esaminare, ma non ce l’abbiamo fatta. –
ammise con voce pacata
– Le nostre armi non sembravano scalfirli, ed erano abili a
sfruttare
la tormenta per nascondersi. Siamo stati costretti a battere in
ritirata, prima di essere sopraffatti.” Il sovrano non
nascose una
certa dose di amarezza nella voce. Ammetteva una sconfitta, ma
riconosceva anche che il nemico, questa volta, era stato al di
là della
loro portata.
Avevano mandato alcuni soldati – quelli usciti illesi
dallo scontro – ad avvertire del pericolo imminente gli
abitanti delle
fattorie che sorgevano ai piedi delle montagne.
“Demoni abitanti dei ghiacci…”
commentò Vaikaris, quasi incredulo.
“Seguiranno
il gelo nella sua avanzata. Non so quanto si espanderà, ma
se
continuerà alla sua velocità attuale, presto
anche la nostra città
potrebbe non essere più un luogo sicuro dove
rimanere.” disse
lentamente il re, osservando gli astanti.
Sua moglie, all’altro capo
del lungo tavolo, chinò la testa. Sapeva che sarebbe
successo
esattamente quello che il suo signore temeva – lo aveva
sognato: il
ghiaccio sarebbe arrivato alle mura della città, e
l’avrebbe
intrappolata.
A quel punto, anche tutti gli altri compresero. Suwa
non era un grande regno, se non potevano rimanere nella capitale o
nelle sue campagne, dove sarebbero andati? E se il ghiaccio non si
fosse fermato, e li avesse inseguiti?
“E’ la profezia che si avvera.
Il ghiaccio è stato portato dalla cometa, e i mostri sono
comparsi
insieme al ghiaccio. La cometa è arrivata per distruggere
noi e il
nostro mondo.” borbottò Tabkins a mezza voce, ma,
nel silenzio
generale, le sue parole risuonarono come pugnalate.
Era ormai notte quando Kurogane uscì dalle stanze del padre.
Fay
emerse dalle ombre del palazzo, un’espressione preoccupata
sul viso, e
gli si fece incontro. Quando se lo vide davanti, il principe
provò un
misto di sentimenti diversi: c’era una vaga sensazione di
disagio e
preoccupazione, come se il ritrovarselo di fronte gli avesse ricordato
improvvisamente che tutta quella situazione era misteriosa ed oscura
esattamente come lui – anche se il mistero che lo circondava,
per il
principe, non era solo quello della sua identità.
Ma provò anche
sollievo: non l’aveva più visto, da quando se
l’era lasciato alle
spalle sulla pianura, e ritrovarselo davanti gli fece piacere, in
fondo. Del resto, la compagnia di Fay sembrava avere il potere di
ricondurlo ai loro problemi e, insieme, di distrarlo da essi.
“Come sta?” chiese lo straniero, riferendosi al re.
“Sta riposando.”
La regina era rimasta accanto al suo letto, a vegliarne il sonno.
“Le ferite sono tanto profonde?”
“Guariranno. Deve riposare.”
Fay annuì. Il problema era: quanto a lungo quella
città sarebbe rimasta un posto dove poter riposare al sicuro?
“Mi dispiace per quello che sta succedendo.” disse,
lo sguardo fisso a terra.
Kurogane non rispose, continuando a camminare a passo deciso lungo i
corridoi.
Fay
non ebbe bisogno di guardarlo in volto, per capirne
l’espressione:
labbra serrate, fronte aggrottata e uno sguardo impavido negli occhi
scarlatti.
“Vuoi andare là fuori, vero?”
Il biondo interpretò il silenzio dell’altro come
un assenso.
“Là fuori, a vedere se questa
può funzionare contro quei demoni.”
continuò, tirando fuori la pistola con un sorriso da
‘ti conosco bene, caro Kuropon’.
Finalmente, Kurogane lo guardò.
“…e vengo anch’io.”
terminò Fay, rimettendo l’arma nella cintura.
Non ricevette risposta nemmeno questa volta, ma l’espressione
del principe divenne tutt’ad un tratto imperscrutabile.
Rimase
a fissare lo straniero per un lungo attimo. C’erano
un’infinità di
domande che avrebbe voluto fargli, ma – realizzò
– gli sarebbe stato
bene anche rimanere in silenzio, lì, nei corridoi in
penombra, a
scrutare quegli occhi turchesi.
Sapeva bene di non avere tempo né per l’una,
né per l’altra cosa.
“Vado a cercare Gantai. I miei uomini saranno pronti domani
mattina presto.”
Fay annuì, e rimase ad ascoltare l’eco dei suoi
passi spegnersi tra le pareti silenziose.
La
mattina dopo, la signora di Suwa si svegliò prima
dell’alba.
Nell’oscurità che precede il sorgere del sole, le
raffiche di vento
gelido avevano dato un po’ di tregua alla città;
fuori e dentro le mura
del palazzo regnava un profondo silenzio.
Raggiunse il letto dove suo marito stava ancora riposando, e si
chinò a svegliarlo, sfiorandogli la guancia con le dita.
“Mi
dispiace di averti destato – gli sussurrò
– ma credo tu voglia venire a
salutare tuo figlio. Potrebbe passare molto, molto tempo, prima che lo
rivediamo di nuovo.”
Lui annuì semplicemente, mettendosi lentamente a sedere.
Non disse nulla, ma ebbe l’impressione che quel
‘molto, molto tempo’ potesse significare
‘mai più’.
Bardato
dei suoi pesanti abiti invernali, Kurogane scese nel cortile davanti
all’armeria, dove i suoi soldati si stavano già
riunendo; impegnati a
preparare i loro cavalli, lo salutarono con brevi cenni del capo.
Leggermente
in disparte, stava Fay, avvolto in un lungo mantello chiaro orlato di
pelliccia, intento a scrutare i preparativi degli uomini.
Gantai raggiunse immediatamente il principe per porgergli le briglie
della sua cavalcatura, già pronta.
“Maestà…
ma lui viene con noi?” domandò titubante,
indicando lo straniero che si
guardava attorno sorridente per salutare gli altri.
“Sì.”
Gantai aprì la bocca per rispondere, ci ripensò,
la richiuse.
La aprì di nuovo, dopo un momento.
“Credete che sia… saggio?”
Kurogane si voltò verso di lui con aria indagatrice.
“Eh?”
“Voglio dire… è pericoloso…
non sappiamo che cosa ci aspetta.”
“Viene con noi.” tagliò corto Kurogane,
lasciando le briglie del suo cavallo nelle mani dell’altro.
Sulla soglia del cortile, aveva scorto le sagome dei suoi genitori.
“Padre, non dovreste…” esordì
sollecito Kurogane, raggiungendoli quasi di corsa.
“Non
dovrei rimanere qui a guardare mentre mio figlio parte per affrontare
dei nemici sconosciuti e pericolosi. – replicò lui
pacatamente – Ma
ormai, sospetto che tu sia diventato un guerriero più forte
di me.”
Nei suoi occhi bruni, era chiaro il desiderio di seguire quei guerrieri
fuori dalle mura, verso i boschi irti di insidie.
Ma era anche evidente la consapevolezza di non essere
all’altezza di tale compito.
“Tra
quattro giorni sarà il tempo dell’eclisse
– ricordò la regina al figlio
– Fa’ molta attenzione.” Lo
guardò come se volesse imprimersi nella
mente ogni singolo particolare del suo aspetto.
Kurogane si chinò verso di lei, e la donna si sporse a
baciarlo sulla fronte.
Fay
si incamminò lentamente verso di loro, timoroso di
interrompere il
saluto, ma, come lo vide farsi avanti, la regina gli fece cenno di
raggiungerli.
“Vi ringrazio dal più profondo del cuore per la
vostra
generosa ospitalità.” disse il giovane,
inchinandosi. La regina gli
sorrise teneramente, allungando una mano per accarezzargli una ciocca
di capelli biondi.. “Avrai modo di goderne di nuovo, al tuo
ritorno.”
Fay annuì, sorridendo con poca convinzione.
“Fate
molta attenzione.” disse ancora. Poi, si rivolse a Kurogane.
“Ci
prenderemo cura di Suwa fino a che non tornerai per
governarlo.” gli
disse, chinando leggermente il capo in segno di congedo.
Kurogane
rispose gravemente al suo saluto, un’improvvisa
serietà nei suoi occhi
scarlatti. Non sapeva perché, ma il tono della madre
lasciava aperti
dei sottointesi che tutto sembravano essere, fuorché di buon
auspicio.
“Tornerò presto.” promise. Lei gli
sorrise, ma non disse nulla.
Alla fine del primo giorno di cavalcata incrociarono il gruppo di
soldati e contadini che fuggivano verso la capitale.
Ne
approfittarono per farsi raccontare nuove versioni dello scontro con i
demoni, e, quando ripartirono la mattina dopo, nella pianura sferzata
dal vento, le espressioni dei soldati erano maschere gravi, i volti
impegnati a non far trasparire la preoccupazione che li tormentava.
La sera del secondo giorno incontrarono il ghiaccio. Era avanzato anche
più in fretta di quanto non avesse previsto il re.
Si
accamparono nell’ultimo spiazzo di erba che furono in grado
di trovare,
e, durante la notte, iniziò a nevicare. La tormenta
continuò fino al
mattino dopo, ed i soldati ripresero il cammino che era ormai
pomeriggio, avanzando lentamente nella neve caduta in abbondanza.
Fay iniziò a rimanere indietro.
Improvvisamente,
gli doleva la schiena: la carne gli pizzicava, come se stesse venendo
morsa dall’interno da tante piccole bocche invisibili.
Strinse le
ginocchia attorno ai fianchi del cavallo, mentre il respiro affaticato
gli usciva in piccole nuvole dalle labbra pallide.
Tutt’ad un
tratto, avvertì una fitta improvvisa e istintivamente
tirò le briglie
del destriero per farlo arrestare. Ma quando aprì gli occhi,
vide che
anche i soldati attorno a lui erano fermi immobili, gli sguardi fissi
sulla neve.
Quattro sagome si stagliavano di fronte a loro,
ritte tra i tronchi degli alberi spogli. Solo le lunghe code acuminate
si muovevano a scatti, impazienti e grigie come il cielo sopra di loro.
I
demoni avevano zampe posteriori arcuate e potenti, mentre gli arti
anteriori sembravano sottili lame puntate sulla neve. Da sotto la
protuberanza ossea che proteggeva il cranio delle creature,
baluginavano i riflessi freddi di occhi neri e spietati.
Nel momento
in cui Kurogane sfoderò la spada per dare l’ordine
di attaccare, i
demoni si slanciarono su di loro, sibilando un grido di battaglia tra
le zanne aguzze che riempivano le loro fauci.
Fay si piegò in due sulla sella, sopraffatto da una nuova,
atroce fitta di dolore.
Sollevò a fatica gli occhi sugli altri, tentando di
sfoderare a sua volta la spada che portava cinta in vita.
Le lame dei soldati cozzarono sordamente contro gli enormi artigli dei
demoni.
Gantai
combatteva in prima linea, a fianco del principe, tenendo un buon ritmo
fino a che, complice la neve insidiosa sotto i suoi stivali, fu
lì lì
per perdere l’equilibrio. Riuscì a non cadere, ma
perse la presa
sull’arma, che finì lontano, irraggiungibile.
Con movimento repentino, il demone lo scagliò lontano nella
neve, e subito gli si avventò addosso per finirlo.
Un
attimo dopo, l’aria venne squarciata da un lampo di luce
seguito da uno
scoppio. Il mostro ora giaceva a terra, in mezzo ad una chiazza di neve
sciolta, contorcendosi negli spasmi dell’agonia.
Kurogane voltò la
pistola sul secondo demone, che lo fissava immobile, e premette il
grilletto, imprimendogli tutta la pressione consentitagli.
Credette perfino di cogliere un guizzo di paura nei suoi occhi, prima
che il colpo gli facesse esplodere la testa.
A quel punto, gli altri due demoni si diedero alla fuga, correndo
agilmente in mezzo alla neve.
Kurogane fece per spronare il cavallo per inseguirli, ma ci
ripensò; erano già svaniti.
Gantai si rialzò lentamente, guardando il suo principe con
un misto di timore e gratitudine.
“Speriamo che questo li tenga lontani per un
po’…” commentò.
Kurogane era sceso da cavallo.
Due
dei soldati che avevano ingaggiato battaglia con i demoni erano feriti,
e uno di loro perdeva sangue in abbondanza. Eppure, lo scontro non era
durato che pochi attimi.
Coprì con la neve le tracce di sangue.
“Oppure potrebbero tornare con altri amici.”
commentò semplicemente.
I soldati si guardarono l’un l’altro, per nulla
rassicurati.
Gantai
lanciò un’ultima occhiata alla strana arma che
Kurogane stava ora
riponendo nella cintura, e poi guardò Fay. Il biondo teneva
gli occhi
bassi, mentre rinfoderava la sua spada lentamente, quasi avesse paura
di tagliarsi.
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Capitolo 7 *** VI. Timeless Ocean ***
Buongiorno!
Mi spiace per il leggero ritardo, avrei voluto pubblicare ieri ma non
ce l'ho fatta... <<''
Cercherò di essere più puntuale! (buona fortuna,
visto che il prossimo capitolo non è ancora finito...)
Ah, due cosine random:
1) ho fatto un paio di disegnini ispirati a Demonheart
(cioè, in realtà il disegno è lo
stesso reso in due modi diversi XD) : qui
e qui
sul mio account DeviantArt
2) è il mio turno (meglio tardi che mai) di fare un po' di
sana pubblicità al forum
Horitsuba Gakuen Italia - che sì, forse avete
già sentito nominare ma repetita
iuvant - dove c'è uno scleratissimo GdR
ispirato al Clamp-verse (nello specifico, all'Horitsuba
nonchè ad un'AU piratesca, dove Capitan Seishiro comanda la
Perla Rosa che come albero maestro ha, ovviamente, un ciliegio)
Veniteci, ci sono un sacco di cosucce molto spassose, e come sempre
nuovi personaggi sono i benvenuti ^^V
@
Francesca Akira:
sì i due vecchi sono odiosi ò__ò
@ Adrienne:
perchè Fay è un portasfayga, si sa
@ Tomoyo93:
grazie mille! ^^ Eh.. non anticipo nulla sul finale. X3
@ Yuki Ishimori:
grazie davvero del bel commento! Spero che in questo capitolo alcuni
dei misteri incomincino a diradarsi (no, non è vero :P) in
ogni caso, cercherò di fare del mio meglio per il finale XD
@ LawlietPhoenix:
eh in effetti sì... *angst per l'incombente finale
di Tsubasa* vabbeh dai, io non sono le Clamp *ripetitiva pure io*
VI.
TIMELESS OCEAN
Ascoltatela qui!
Cold darkness reigns on all
it reigns in Arkan's soul
wounded love...destined soon to fall
She stays in front of him
caressed by howling wind
enemy... victim of the unknown
He needs no words at all
but she wants him to know
really what... her tortured mind still hides
The truth is even worse
a present with no hope,
soon to end... so hard to accept
BUT FROM HER EYES SO DARK AND SHY LOVE RIDES...
FLIES SO HIGH BEYOND THE STARS
NOT ASKING WHAT OR WHY
ALL HAPPENED FROM HER SAD COMING
IT JUST GOES ON FLYING HIGH
TO THE WAVES OF TIMELESS OCEANS
Non avevano fatto molta altra strada, quel giorno, e avevano finito con
l’accamparsi poco dopo in uno spiazzo che avevano liberato
alla bell’e meglio dalla neve.
I soldati erano cupi, silenziosi: quello che stavano vivendo era
l’incubo più orribile che avessero mai fatto. Era
chiaro a tutti che, se il ghiaccio fosse arrivato alla capitale,
avrebbero dovuto andarsene da lì, e se e quei mostri
avessero prosperato, non ci sarebbe stato scampo.
Avevano sentito i sacerdoti parlare della profezia, ed ognuno di loro
sapeva a memoria quelle poche frasi.
Il distruttore di mondi… erano sempre sembrate parole vuote,
ma, dopo la caduta della cometa e le sue drammatiche conseguenze, nulla
sembrava più assurdo, o impossibile.
Piano piano, lo sconforto si stava impadronendo di loro: le spade che
maneggiavano così bene nulla potevano contro il ghiaccio.
“Deve esserci qualcosa o qualcuno, dietro a tutto
questo…” aveva detto Vaikaris,
“…e va scoperto e distrutto.” aveva
decretato il re. Ma per ora, il loro rimaneva un nemico senza nome.
La notte era gelida, ed un leggero nevischio aveva ripreso a cadere dal
cielo coperto da una sottile coltre di nubi.
Il freddo e il buio erano penetrati anche nell’animo di
Kurogane, che non smetteva di frugare le tenebre attorno al campo con i
suoi occhi scarlatti.
Si sentiva improvvisamente stanco, ma non a causa dello sforzo fisico
del viaggio e dello scontro. A pesargli era l’improvvisa
responsabilità che sentiva gravare su di sé: Suwa
aveva bisogno del suo principe, ma lui non era che un baluardo fragile
contro una minaccia troppo grande e misteriosa. Si chiese che cosa
sarebbe successo l’indomani – sempre che fossero
riusciti a vedere l’alba, naturalmente.
Fay lo vide attraversare il campo, scuro in volto. Lo seguì
con gli occhi per qualche istante, finché il principe non fu
uscito dalla visuale consentitagli dall’apertura della tenda
dove si trovava, e tornò ad occuparsi del soldato ferito che
giaceva a terra.
A palazzo, lo straniero si era dimostrato abile nel preparare
medicamenti e unguenti, e i soldati gli avevano lasciato il compito di
prendersi cura del guerriero che aveva avuto la peggio nello scontro
con uno di quei mostri. Per Fay era un sollievo: naturalmente, era
felice di poter essere d’aiuto in qualche modo, visto che non
era stato in grado di alzare un dito per contribuire alla battaglia, ma
era anche una buona occasione per poter sfuggire allo sguardo
indagatore di Kurogane.
Aveva la costante sensazione che quanto accaduto fosse colpa sua, e in
questo modo poteva se non altro tentare di rimediare
all’accaduto, dando una mano a quel povero soldato.
Il demone gli aveva squarciato una spalla: la ferita era stata ricucita
alla meglio e fasciata, ma il dolore non gli dava tregua. Fay aveva
allora preparato un decotto con alcune erbe essiccate che aveva portato
con sé in viaggio, e ci aveva aggiunto qualche goccia di una
pozione che aveva imparato a preparare a palazzo: era un buon
analgesico e, nella dose giusta, anche un sonnifero piuttosto potente.
Lo fece bere al soldato, e rimase ad osservarlo mentre si addormentava,
miracolosamente dimentico del dolore. Era stato fortunato a non perdere
la vita, durante lo scontro.
Mentre il respiro del ferito si faceva progressivamente più
calmo e regolare, i pensieri di Fay cominciarono ad agitarsi
freneticamente. Qualche istante dopo, si alzò in piedi ed
uscì.
Il principe era seduto sul suo giaciglio di fortuna, e osservava
assorto le ombre che il fuoco del campo disegnava sulla parete della
sua tenda. Dietro di lui, sentì qualcuno entrare, ma non si
voltò a vedere chi era.
“Hyuuu, Kurosama.” sussurrò quietamente
una voce soffice alle sue spalle. “Tieni.” Gli
disse semplicemente Fay, porgendogli la tazza fumante che teneva in
mano.
L’altro la prese senza dire nulla.
“Che c’è, hai ancora dubbi sul fatto che
sia stata una buona idea accendere il fuoco?” chiese Fay,
sedendoglisi accanto ed osservando anche lui i giochi di luce e tenebre
sulla tenda.
Kurogane avrebbe evitato di fare quel falò, per non
segnalare la loro posizione al nemico, ma Fay gli aveva fatto notare
che quei demoni sarebbero riusciti a trovarli comunque, così
come avevano trovato il re ed i suoi soldati nel bel mezzo della
tormenta, mentre, nel buio totale, i guerrieri non avrebbero avuto
nessuna possibilità di avvistare i nemici. Inoltre, il fuoco
li avrebbe scaldati e incoraggiati.
“Credo che la luce li spaventi, sai? Le fiamme li terranno
alla larga.”
“Come fai a dirlo?”
“Beh, si sono spaventati vedendo i raggi che uscivano dalla
pistola… il fuoco potrebbe ricordarglieli.”
Il principe non disse nulla, ma era chiaro che, come al solito, quella
risposta non lo soddisfaceva. Cominciò a sorseggiare
lentamente il contenuto della tazza.
“Vedrai che per questa notte ci lasceranno in
pace.” disse Fay con tranquilla sicurezza, alzandosi e
sistemandosi sulle spalle il mantello, prima di uscire.
“Oh, mi raccomando, finiscila prima che si
raffreddi!” aggiunse, guardando Kurogane tutto sorridente. I
suoi occhi indugiarono sul principe ancora per qualche attimo,
dopodiché scivolò velocemente
all’esterno.
Kurogane tornò a sorseggiare l’infuso, gli occhi
ancora fissi nel punto in cui l’aveva visto sparire.
Poco più tardi, Fay strisciò lentamente fuori
dalla sua tenda. Nell’accampamento, tutto sembrava
tranquillo; non c’era movimento, se non quello delle
sentinelle che ogni tanto si sgranchivano gambe e braccia per non farle
congelare.
Si avvicinò fino alla tenda del principe, sollevandone un
lembo: all’interno era tutto buio, e poté solo
intuire la sagoma di Kurogane addormentato
nell’oscurità. Gli disse addio in silenzio, e si
avviò verso il bordo del campo.
Il soldato di guardia lo guardò interdetto –
perché mai voleva uscire dall’accampamento?
– ma Fay gli rispose sorridendo ed indicando la tenda di
Kurogane, come per dire che era d’accordo con il capitano e
che era tutto a posto. Il soldato, un po’ riluttante, si
spostò e lo fece passare, guardandolo dileguarsi nella notte.
Kurogane non gli avrebbe mai permesso di allontanarsi, naturalmente; se
lo avesse scoperto, Fay era sicuro che avrebbe tentato in ogni modo di
riportarlo indietro. Sperava che dormisse ancora a lungo: per
l’alba, avrebbe dovuto essere il più lontano
possibile.
Si addentrò nel folto degli alberi, confidando che la
nevicata coprisse le sue impronte, ma dopo poco tempo smise di
fioccare, e, anzi, il cielo sembrò schiarirsi, le nuvole
portate via dal vento che stava ricominciando a soffiare impetuoso.
Si avviò verso una piccola altura, sperando di riuscire ad
intravedere il profilo dei monti e capire che strada fare per arrivare
al passo – ricordava il percorso seguito per arrivare alla
capitale, ma riuscire a rifarlo con la neve non sarebbe stato facile.
Tuttavia, voleva arrivare alla cometa e trovare delle risposte, prima
che fosse troppo tardi.
Si strinse nel mantello e continuò a camminare.
Il respiro pesante, Kurogane si inerpicò a sua volta fino
alla cima di quell’altura. Si guardò attorno con
aria bellicosa, passandosi una mano sui capelli per liberarsi della
neve che una folata di vento, scuotendo i rami di un albero, gli aveva
fatto cadere in testa.
“Esci, maledizione! – gridò al vento
– Vieni fuori immediatamente!”
Rimase ad aspettare, osservando le impronte che aveva seguito svanire
ricoperte dalla neve smossa dal vento.
Qualche momento dopo, gli stivali di Fay ricomparvero a colmare quei
piccoli avvallamenti.
La neve rifletteva la luce delle stelle, illuminando i loro volti di
una tenue luminescenza azzurrina. Nell’ombra del cappuccio
bordato di pelliccia, gli occhi turchesi dello straniero scrutavano il
principe con aria scontrosa.
“Lasciami andare.” disse dopo qualche istante di
silenzio teso.
“Non dire idiozie! – sbottò Kurogane,
furibondo – E per tua informazione, il sonnifero che hai
usato mi ha fatto venire mal di testa, quindi non sono
dell’umore giusto per sopportare capricci o scenate,
chiaro?!”
Fay abbassò lo sguardo con aria colpevole, anche se non
dispiaciuta.
“Sono un principe ed un guerriero, mi hanno addestrato a
riconoscere e a resistere ai veleni.” spiegò
l’altro brusco.
“Non si riesce proprio a fregarti, Kurosama.”
commentò piano lo straniero, lo sguardo fisso a terra.
“Torniamo indietro.”
“No. Te l’ho detto, lasciami andare.”
“Ti sei bevuto il cervello? Non puoi andartene in giro
così… vuoi farti ammazzare?!”
Fay alzò nuovamente lo sguardo su di lui, le labbra serrate
ed uno sguardo deciso negli occhi.
“Tu non hai idea di chi sia io veramente.” disse
piano, e fece per voltarsi. Ma Kurogane lo afferrò
saldamente per un braccio, impedendogli di allontanarsi.
“Perché tu lo sai, invece?”
Fay lo guardò, duro “Eppure te ne sei accorto
anche tu. Sono comparso lo stesso giorno della caduta della cometa.
Sapevo il suo nome. Sapevo far funzionare quella pistola. E
sento… ho sentito che si stavano avvicinando quei demoni,
oggi.”
“Che cosa vuoi dire?”
Fay abbassò di nuovo lo sguardo, le ciocche umide di neve
che scendevano a coprirgli il viso.
“E’ il tatuaggio. Prima che arrivassero, ha
cominciato a bruciare, sempre di più, finché non
sono comparsi.”
“Ti è tornata la memoria?”
Fay rimase immobile e silenzioso. No, non gli era tornata la memoria,
non a livello razionale… ma c’erano i sogni. I
movimenti inconsci del suo corpo di cui non sapeva dare spiegazione. La
voce che ogni tanto gli parlava.
“Questi sono i nuovi modelli. Imparate a usarli in
fretta. Sono la vostra arma più potente contro…
…contro quei demoni.”
“Quella pistola mi è stata data per combattere
quei mostri. Ma il perché non lo ricordo.” rispose
alla fine. Come spiegargli degli incubi, delle immagini che gli
comparivano davanti durante il sonno, figure a cui lui non era in grado
di collegare alcun nome? Gli aveva già detto anche troppo.
Come avrebbe voluto che non si fosse svegliato, che non
l’avesse seguito. Ora non aveva nemmeno il coraggio di alzare
gli occhi per incontrare il suo sguardo.
“Non mi interessa.” Il vento ululava, e Fay non era
sicuro di aver capito bene.
“…eh?”
“Sei sordo? Ho detto che non mi interessa.”
Lo sguardo scarlatto fiammeggiante di Kurogane e quello azzurro
ghiaccio di Fay si scontrarono in una battaglia silenziosa.
“Non voglio portarvi ulteriori guai. Proseguirò da
solo fino alla cometa.” affermò deciso il biondo,
facendo un mezzo passo per allontanarsi dall’altro, con aria
di sfida.
“Non arriverai mai alla cometa, da solo.” rispose
questo, con tono altrettanto fermo, sporgendosi verso di lui.
Rimasero qualche istante a fissarsi in silenzio, il vento che gemeva
tutt’intorno, strattonando i loro mantelli con violenza.
Improvvisamente, cambiò direzione, soffiando neve e aria
gelida sul volto di Fay, che fu costretto a chiudere gli occhi per
ripararsi. Non era propriamente una resa, ma Kurogane la prese come
tale.
Fay alzò una mano per scostarsi i capelli dagli occhi,
tuttavia Kurogane gli bloccò anche l’altro polso.
Fu lì lì per dirgli: “Torniamo al campo
e niente storie”, ma rimase in silenzio a osservarlo.
Fay stava cercando di nascondere il viso nel cappuccio del mantello,
per difendersi dal vento gelido, ed allora il principe lo trasse a
sé per ripararlo. Sapeva che non c’era tempo per
litigare o per cercare di convincerlo: avrebbe dovuto riportarlo
indietro seduta stante. Ma… se non c’era mai stato
tempo fino ad ora, ce ne sarebbe stato in futuro?
Kurogane, per un istante, ebbe la quasi certezza che no, non ce ne
sarebbe stato.
Tenendogli entrambi i polsi con una mano, con l’altra gli
prese il mento e, sollevatogli bruscamente il viso, lo baciò.
Le labbra del biondo erano fredde, e il principe le riscaldò
lentamente con il tepore delle sue, fino a farle dischiudere
lentamente. Per qualche attimo, rimasero ad assaggiarsi con cautela,
circospetti ma anche avidi del reciproco calore. Dopo qualche istante,
Fay si scostò, ma non cercò di andarsene.
“…vigliacco.” lo accusò
piano, riaprendo le palpebre.
“Ingrato.” replicò Kurogane, tornando a
chinarsi su di lui. Gli liberò le mani, avvolgendogli la
vita in un abbraccio per tenerlo stretto a sé.
Fay si appoggiò al suo petto, mentre le loro bocche
tornavano ad unirsi in un bacio al contempo agognato e liberatore. Le
dita del principe risalirono dal mento di Fay alla sua guancia; ogni
piccolo tratto di quella pelle gelata dal vento era una conquista.
Solo ora si rendeva conto di quanto aveva bramato di toccare di nuovo
quell’incarnato candido.
L’altro chinò la testa, abbandonandone il peso su
quella mano calda. Guardò in viso il principe e fece per
dire qualcosa, ma lasciò perdere.
Kurogane appoggiò la fronte alla sua; non aveva bisogno di
parole, gli bastava guardarlo negli occhi: occhi in cui si
accavallavano incredulità, timore e speranza, piccole onde
nel mare scosso dal vento.
Poi, fronte di Fay si spianò improvvisamente, mentre le dita
del principe si insinuavano sotto il cappuccio per accarezzargli i
capelli. Le sue iridi turchesi rispecchiavano come acqua cristallina
quelle scarlatte di Kurogane, e il sentimento che le animava.
Fay non avrebbe saputo dire se lo avesse già provato o
vissuto, ma, ad un tratto, quella sensazione di tranquillità
ed affidamento che aveva provato fin dall’inizio –
fin da quando gli era stato chiaro che, accanto a Kurogane, sarebbe
stato al sicuro – e tutti i piccoli attimi di
felicità che avevano rischiarato i suoi giorni, quando lui
lo prendeva in giro e l’altro lo rimproverava, o quando
sedevano fianco a fianco in silenzio… ad un tratto tutto
questo aveva un nome.
Rivolse a Kurogane un sorriso che era un misto di tristezza e
felicità. Era un sentimento che non si sentiva degno di
provare, ma che comunque lo rendeva ingiustamente felice. Era amore.
Quando il principe lo vide nei suoi occhi, lo attirò di
nuovo a sé per baciarlo.
Nessuno dei due poteva sapere che cosa avrebbe portato il sorgere del
sole, ma non si aspettavano nulla di buono.
Abbracciati stretti per unire il loro calore contro il gelo delle
raffiche di vento, ognuno bevve dalle labbra dell’altro come
per trovare la forza necessaria ad alzare nuovamente il capo per
affrontare ciò che li attendeva.
Erano distesi nella neve sopra uno dei loro mantelli, mentre
l’altro li riparava, a mo’ di coperta.
I visi uno accanto all’altro, i loro capelli si confondevano
e così le piccole nuvole bianche create dal loro respiro.
Le stelle sopra di loro erano fitte, strette l’una
all’altra e quasi sovrapposte, come fiocchi di neve congelati
nel cielo un momento prima di staccarsene per cadere a terra.
Fay le osservava ad occhi semichiusi, così che il loro
baluginare, attraverso le ciglia, risultava soffuso e frammentato in
piccoli cristalli di luce.
“I tuoi uomini credono che presto arriverà la fine
del mondo. Tu che ne pensi?”
“Tu che ne pensi.”
“Penso che avresti fatto meglio a lasciarmi andare.”
L’alba che stava per sorgere sarebbe stata l’ultima
prima dell’eclissi… e forse l’ultima per
tutti loro.
Volse gli occhi verso Kurogane – dalla sua posizione, poteva
intuirne solo il contorno del volto, sotto la tenue luce delle stelle.
Avrebbe voluto raccontargli tutto, se solo avesse potuto. Se solo
avesse saputo esattamente cosa raccontare.
Il principe gli tappò la bocca – un gesto insieme
rude e gentile – zittendolo. Fay sovrappose la propria mano
alla sua.
Poteva fare così poco per lui, per l’uomo che lo
aveva salvato, e per tutta la sua gente… aveva paura per
loro: quello che temeva di più era che non sarebbe riuscito
a capire in tempo ciò che succedeva, e che non sarebbe stato
in grado di evitarlo.
Baciò lievemente il palmo della mano di Kurogane, ancora
premuta sulle sue labbra.
“Ci vorrà ancora qualche giorno per arrivare alla
valle e alla cometa. Il tuo compito sarà avvertirmi non
appena sentirai che si stanno avvicinando. – gli disse il
principe, nel tono del capitano che stava dando ordini ad un suo
soldato – Quindi non azzardarti a fare altre
idiozie.” lo intimidì, sollevano finalmente la
mano. Fay sospirò, annuendo con un sorriso rassegnato.
Kurogane tornò a guardare le stelle sopra di loro. Li
osservavano, inespressive, piccole punte d’onda
nell’oceano senza tempo del cielo, ma il principe
lanciò loro uno sguardo di sfida. Qualsiasi cosa celasse la
cometa, qualunque pericolo si fosse portata dietro da oltre quelle
tenebre, era ben determinato a combattere e vincere.
Sotto il mantello, strinse forte la mano di Fay.
|
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Capitolo 8 *** VII. Demonheart ***
Hyuuuu!
@ Yuki Ishimori:
grazie di avermi perdonata ù_ù però in
questo capitolo, finalmente, c'è una prima metà
del flashback di Fay ^^ il finale è alle porte,
sì, questo è il terzultimo capitolo...
farò tutto il possibile! XD
@ Pentacosiomedimni:
...sicura che ragni radioattivi e kriptonite siano del tutto da
escludersi...? XD Lascia uscire il tuo spirito da fangirl,
sìsìsì ù_ù
Grazie cme al solito del lungo commento *ama i lunghi
commenti*
Noticina: in
questo
capitolo, leggere prima il testo della canzone comporta spoiler
sul resto della storia.
VII.
DEMONHEART
ascoltatela qui!
CONFUTATIS MALEDICTIS
CONFUTATIS MALEDICTIS
Tradegy storms him when demons spare her life,
and all discover she has a demonheart... Demonheart.
Feeling trapped in with the slimy creatures,
now close to being killed.
She soon revealed her forgotten,
sad past first to herself.
They smelled her flesh ready to be devoured,
but something happened.
They moved away seeming to be frightened,
sparing her life.
Shocked again she opened the gates of her tragic past,
and bloody images came back to her mind.
She remembered the old mission;
the dark comet's goal beyond the suns
The flight through... that black hole...
She lived again in some frames of sorrow.
That evil journey
planned by the Arias' exploring section to find new worlds.
But all that they found beyond their system
was the black portal.
Depths of oblivion came back to their world once opened it.
Arkan and the other warriors who observed the
scene could not feel the same way now about that girl.
He moved to her taking her hand
running fast away from his old friends .
All for her... he loved her...
La regina di Suwa osservò l’anziano Vaikaris con
aria quasi divertita.
“Sembrate non avere fiducia nel vostro principe,
sacerdote.”
L’uomo
la guardò, torturandosi distrattamente un ciuffo di barba.
Tutte le
volte che parlava con la regina, gli sembrava di giocare ad una
complessa partita a scacchi.
“Affatto, maestà. Io credo che il
principe sia una persona estremamente affidabile e leale, qualcuno
disposto a tutto pur di proteggere ciò che ha cuore. Trovo
che il
problema, semmai, possa essere la scelta di ciò che si vuole
proteggere. – fece una pausa significativa, lasciandosi
lentamente la
barba – Gli dei sono imperscrutabili, mia signora. E i loro
doni
potrebbero anche risultarci tutt’altro che graditi, non
credete?”
La
regina sorrise. “Avete sempre detto di avere fiducia nei miei
sogni,
sacerdote. Non è il momento di iniziare a dubitare,
questo.” Nonostante
l’espressione conciliante, il messaggio era piuttosto duro.
“Io non dubito, maestà. Ma io,
al momento, sono ancora al sicuro tra le mura di questa
città. Non so
se le persone che stanno là fuori, a rischiare la vita,
possano dirsi
altrettanto fiduciose. Con il vostro permesso…”
Vaikaris si congedò dai
sovrani con un inchino deferente.
“Io so cos’ho sognato. –
ribadì la
regina, dopo che l’ebbe osservato sparire attraverso la porta
della
sala del trono – E so bene di non essere nessuno per
pretendere di
capire i messaggi inviatici dagli dei.”
Il marito, seduto accanto a lei, la incoraggiò ad andare
avanti con un cenno del capo.
“Quando
l’ho sognato, Fay era circondato
dall’oscurità… so che la sua comparsa
è collegata all’arrivo della cometa, e che quel
buio altro non era che
tutti i pericoli che si sarebbero presentati assieme a lui. Ma lui non
era parte delle tenebre; sì, ne era circondato, ma non lo
avevano
sopraffatto. Anzi, il suo essere così chiaro…
sembrava poterle
illuminare. Per questo ho pensato che potesse essere un dono: qualcuno
che gli dei ci avevano mandato insieme alle disgrazie, per riuscire ad
opporci ad esse.”
Il re le accarezzò i capelli. “Tu hai fatto e
detto quello che ritenevi giusto. Fino ad oggi, hai sempre interpretato
correttamente i tuoi sogni… non sarà proprio
questo, il tuo primo
errore.”
Lei gli sorrise, grata, ma la preoccupazione tornò subito ad
impossessarsi dei suoi occhi.
“Che cosa ne pensi, di quello che ha detto
Vaikaris?”
A
quella domanda, anche lo sguardo del re si incupì. Lei si
riferiva,
naturalmente, all’ultima frase pronunciata dal sacerdote
prima di
andarsene – una frase sibillina, buttata lì senza
lasciar loro nemmeno
il tempo di replicare.
“Nostro figlio si fida dei suoi uomini, e
loro si fidano di lui. Il mio unico timore è che Vaikaris
non abbia
fatto o detto qualcosa per istillare lui stesso il dubbio…
proprio come
ha provato a fare con noi, adesso.”
Kurogane ed i suoi soldati procedevano lentamente nella neve.
Fay
cavalcava alla sinistra del principe, i sensi all’erta
concentrati, più
che sul sibilo del vento, sulle sensazioni fisiche che provava.
Focalizzava le sue percezioni sulla schiena, ma per ora ciò
che lo
permeava era il ricordo lasciato dal calore di Kurogane, quando aveva
stretto i suoi fianchi in un abbraccio appassionato.
Gantai, che
stava cavalcava all’altro lato del principe, ogni tanto
guardava lo
straniero. Quella mattina, più di una volta, aveva dato
segno di voler
parlare a Kurogane, ma sembrava che qualcosa lo trattenesse.
In ogni
caso, l’attenzione e la preoccupazione degli uomini erano
tutte rivolte
- oltre che ai pericoli che sapevano celarsi in quella neve - al cielo,
dove la luna calante si stava avvicinando inesorabilmente al sole, non
ancora giunto allo zenit.
Quello era il giorno dell’eclissi –
un’eclissi che, come aveva predetto la signora di Suwa nel
sogno,
avrebbe potuto durare per sempre.
Fay sorrise a Gantai, notando che
lo stava spiando al di là della criniera del cavallo di
Kurogane. Al
momento, non c’era motivo per essere preoccupati: i demoni
non
sembravano nei paraggi.
La luna iniziò a mordere il sole, cominciando ad oscurarne
il bordo.
Tra i soldati, qualcuno fece qualche commento poco incoraggiante.
Tutto
all’improvviso, Fay sentì come una lama
piantarglisi tra le costole: il
respiro mozzo, si voltò verso Kurogane, ma vide che lui si
era già
accorto del suo cambiamento di espressione.
Andarono avanti.
Gantai sembrava decisamente in ansia, ora, e scrutava alternativamente
il cielo e il volto scuro del suo capitano.
La
luna inghiottì la prima metà del disco solare,
mentre il vento
ricominciava a soffiare impetuoso, sollevando la neve intorno ai
viaggiatori.
La schiena in fiamme, Fay si teneva disperatamente
aggrappato alle briglie del cavallo, stringendo le ginocchia sui suoi
fianchi per mantenersi in equilibrio.
Attorno, si vedevano solo alberi ed arbusti.
Con
solerzia, il disco scuro avanzava nascondendo il sole e creando in
mezzo ai radi rami del bosco una grigia luce crepuscolare.
Tra i
tronchi, nella penombra che andava man mano facendosi più
fitta, i
soldati cominciarono a scorgere delle sagome che no, non erano rocce o
cespugli.
“Ci hanno circondati” sibilò Gantai,
voltandosi intorno.
Kurogane annuì con un impercettibile cenno del capo,
impugnando lentamente la pistola.
“Sono
una ventina, capitano.” Aggiunse il tenente a voce bassa. Il
suo tono
non tradiva ansia o paura, ma qualcosa nel modo in cui aveva
pronunciato quelle parole faceva intuire che non vedeva molte
possibilità di vittoria.
Il principe scoccò un’occhiata a Fay, e questo
strinse i denti per tenere a bada il dolore e trovare la forza di
sorridergli.
Un
istante dopo, la luna oscurò completamente il sole, e tutto
venne
inghiottito dalle tenebre. Il vento ululò impetuoso,
sovrastato dal
sibilo di battaglia dei demoni che si slanciarono su di loro.
Alcuni cavalli, spaventati, nitrirono imbizzarrendosi e tentando di
scappare.
Nei
pochi secondi che i suoi occhi scarlatti impiegarono per abituarsi
all’oscurità improvvisa, Kurogane seppe che i
mostri erano riusciti a
rompere i loro ranghi.
Sparò quasi a casaccio davanti a lui,
illuminando a giorno la neve e colpendo di striscio un demone che gli
si stava avventando contro. Circondato dai nemici, lottò per
salvarsi
la vita: dovette abbattere due mostri prima di riuscire a trovare un
attimo di respiro per sollevare gli occhi a cercare i compagni.
Dietro
di lui, sentiva le lame delle spade cozzare contro le corazze dei
demoni. Udì un urlo strozzato: uno dei suoi uomini era stato
ferito.
Tentò di voltare il cavallo per tornare dai soldati, ma era
circondato. E – si rese improvvisamente conto – Fay
era sparito.
Un
guizzo tra gli alberi attirò la sua attenzione: un demone
aveva
afferrato un cavallo – il cavallo di Fay! – e lo
stava dilaniando coi
suoi artigli.
Il biondo sbatté le palpebre. Attorno a lui,
vedeva solo ombre che giravano vorticosamente. Il dolore gli ottundeva
i sensi, bruciandogli il petto e rendendogli quasi impossibile
respirare.
Era a malapena conscio di giacere riverso nella neve,
dove era caduto dopo che, stordito dalla sofferenza, aveva perso il
controllo del destriero imbizzarrito.
I lampi di luce dei colpi
della pistola diedero un improvviso volto alle forme nere che
incombevano sopra di lui: due demoni lo stavano scrutando, le narici
frementi che assaporavano il suo odore.
Quando lo videro muoversi, spalancarono le fauci, e in quel momento,
sopraffatto dal terrore, Fay fece per urlare.
Ma quello che gli uscì dalla bocca non era un grido.
Paralizzò
gli astanti, demoni e soldati. Era un suono metallico, acuto fino al
limite del campo uditivo, e terribilmente penetrante.
Durò per qualche secondo, e poi andò via via
affievolendosi.
Fay
era in ginocchio, la schiena contro il tronco di un albero, gli occhi
sbarrati. I demoni, immobili, lo osservavano, l’attenzione
rivolta
completamente a lui.
Quando Kurogane riuscì nuovamente a formulare
un pensiero coerente, le orecchie ancora assordate da quel terribile
rumore, non poté fare a meno di avere la stessa impressione
che si
stava imprimendo a fuoco nella mente dei suoi uomini: i demoni
sembravano intimoriti e, soprattutto, assomigliavano a tanti soldati in
attesa di ordini dal loro comandante.
…ma Fay non vedeva tutto questo.
Davanti ai suoi occhi c’era il buio.
Tutt’intorno
brillava una luce biancastra e artificiale, ma lui non riusciva a
staccare lo sguardo dal nero di quello schermo, dove il segnale
dell’astronave con cui si stavano tenendo in contatto era
improvvisamente sparito.
“Niente da fare, sono completamente scomparsi.”
disse un collega.
Lui si voltò a guardarlo, il viso corrucciato per la
preoccupazione.
“Avevamo
messo in conto la possibilità della perdita del contatto,
una volta che
avessero superato la zona di gravitazione del buco nero;
c’è troppa
interferenza per il segnale. Ma questo non vuol dire per forza che sia
andato male qualcosa.”
Riportò lo sguardo sullo schermo. In ogni
caso, in quel momento la nave era in balia di se stessa, senza che loro
dal centro di comando potessero fare nulla per guidarla…
…la sala di controllo con i suoi monitor e il brusio delle
persone tremolò per svanire dalla sua mente.
Attorno
a lui rimase quella luminescenza lattiginosa, che piano piano
andò a
illuminare il lungo corridoio che conduceva all’hangar
dell’astronave.
Lo stava attraversando il più in fretta possibile,
allacciandosi il camice man mano che si avvicinava all’uscita.
Era
mattino inoltrato, ma la chiamata che annunciava l’arrivo
della nave lo
aveva colto alla sprovvista, strappandolo al dormiveglia in cui era
caduto all’alba, dopo una notte insonne.
Prima ancora che riuscisse
a raggiungere la porta dell’hangar, tuttavia, questa si
aprì, mentre un
gruppo di persone faceva il suo ingresso nel corridoio.
Alcuni erano vestiti con lunghi camici come il suo, mentre un paio
indossavano delle tute scure di materiale sintetico.
Il suo volto si illuminò, non appena lo vide apparire.
Non
si poteva dire che fossero mesi che non si vedevano – il
contatto video
era stato ristabilito tempo prima – ma ritrovarselo davanti
in persona
dava un sollievo ben diverso.
Quel volto pallido, circondato da lisci capelli corvini, gli rivolse un
sorriso gentile, non appena lo riconobbe.
Dopo
uno scambio di saluti formali con il resto del gruppo, i due rimasero
indietro, seguendo a rilento gli altri lungo il corridoio.
“Sono lieto di rivederla sano e salvo a Celes,
Ashura.”
“Ne
sono felice anch’io. L’universo ha le sue
meraviglie, ma il nostro
pianeta…beh, è casa. Forse per poco, ma
è ancora casa nostra.” L’uomo
parlò con una sorta di malinconia nella voce. Sembrava
stanco, molto,
molto stanco. Ma sembrava anche davvero contento di essere tornato.
“Ti sei fatto crescere i capelli, nel frattempo, Yuui.”
gli disse, tornando a sorridere ed indicando il codino di capelli
biondi che ricadeva sulla spalla destra del giovane.
“Oh. Già. Beh, sì. Tanto per
cambiare.” fece Yuui, un po’ in imbarazzo.
Ashura, in tutta risposta, tornò a sorridergli.
Più
oltre, sul corridoio si aprivano una serie di finestre dai vetri molto
spessi. Mostravano un cielo di una luce livida, sereno eppure cupo, in
cui il sole di Celes splendeva a fatica, gonfio di un fuoco scuro ed
opaco: un astro morente, destinato a spegnersi molto presto e a
lasciare il pianeta senza riparo contro il gelo dello spazio.
Yuui
osservava preoccupato lo schermo dove Ashura stava riportando una serie
di dati. Nonostante fossero passate una paio di settimane dal ritorno
dell’astronave, il viso dell’uomo era sempre
più pallido.
“Il
comando si chiede quando saranno pronti questi dati.” disse
quasi
timidamente, dopo un po’ che se ne stava in piedi a
contorcersi le mani
nell’attesa, in quella stanza piena zeppa di macchine,
calcolatori e
fogli riempiti da formule e appunti. Quello era il disordine che Ashura
vi aveva lasciato prima di partire, ma dal suo ritorno non aveva
toccato più nulla, se non il computer con cui stava
lavorando.
Sembrava che avesse tutti i dati impressi nella mente con la massima
precisione.
Finalmente,
Ashura si voltò verso di lui. I suoi occhi sembravano
stanchi… no, Yuui
non era più tanto certo che si trattasse di stanchezza.
Sembrava qualcosa di diverso.
“Parlerò
con il comando domani. Ma non temere, Yuui, abbiamo trovato
ciò che
cercavamo. Ve l’ho detto: presto potremo andarcene e
colonizzare un
nuovo pianeta. Molto presto… Oh, Yuui. Io me li taglierei di
nuovo, i
capelli. Saranno più comodi per il viaggio.”
Stava affogando in
un mare invisibile di preoccupazione e paura. Vedeva davanti a
sé la
schiena di Ashura, i suoi capelli corvini che si spandevano dalla nuca
sulle spalle.
Lo guardava e, dentro di sé, il suo cuore piangeva.
…cosa mai era successo in quei lunghi mesi in cui il
contatto tra la base e l’astronave si era interrotto?
Yuui
fissava quella schiena, e non voleva che si voltasse. Sapeva bene che
non ne avrebbe riconosciuto il volto, perché
l’Ashura che lui aveva
conosciuto era salito su quell’astronave, e non ne era
più ridisceso.
“…ma si era sempre parlato di metodi
pacifici!” esclamò, fermandosi di botto in mezzo
al corridoio.
Ashura, che aveva continuato a camminare, si voltò per
aspettare che lo raggiungesse.
Una
corrente d’aria si insinuò tra i ciuffi di capelli
sottili fin sulla
pelle nuda del collo di Yuui. Li aveva tagliati, come gli era stato
suggerito.
“Nessuno ha mai accennato a progetti di invasione
armata!”
Il giovane non si era mosso, scrutava Ashura alla ricerca di
spiegazioni.
“Non
se ne era mai parlato con scienziati, programmatori e
astronauti… -
rispose quello con voce pacata – ma l’esercito ha
sempre tenuto in
considerazione quest’ipotesi. Dopo il mio viaggio, ho capito
come
metterla in pratica.”
Yuui lo guardò negli occhi. Era ancora il suo
maestro? La persona che lo aveva praticamente adottato, permettendogli
di frequentare l’accademia e di mettere a frutto le sua
grande
intelligenza e tutte le sue doti? Il suo tono era sicuro e tranquillo,
come era sempre stato.
Ma se in passato Yuui aveva sempre dato
ascolto alle sue parole con estrema fiducia, ora era costretto a
rimettere tutto in discussione,
Il biancore del corridoio
scomparve, inghiottito dal buio. Nell’oscurità,
sentì distintamente la
sensazione di una stoffa ruvida contro la pelle nuda del suo torace.
Aveva
chiuso gli occhi quando aveva sentito il macchinario calare su di lui.
Anche se era voltato a pancia in giù sul lettino, e non
poteva vederlo,
il solo pensiero di tutti quegli aghi gli faceva impressione.
La
schiena aveva continuato a bruciargli per giorni, mentre, avvolto nel
suo stretto camice – una tortura per la pelle ancora gonfia
ed
arrossata – dirigeva a sua volta i macchinari per marchiare a
vita i
suoi colleghi.
Ogni volta che premeva quei pulsanti, stringeva i denti e continuava a
ripetersi che non aveva scelta. Che era necessario.
“In
sostanza, è un reticolo di microchips – sentiva la
voce di Ashura
rimbombargli nella testa, con quel tono pacato di quando gli spiegava
le cose come se stesse parlando ad un bambino; un bambino intelligente,
ma pur sempre ignaro e bisognoso di essere guidato – Vi
verranno
iniettati sotto pelle sulla schiena… sono così
sottili che non ci si
accorge, al tatto, della loro presenza, ma formano una struttura
resistente. Per funzionare, trarranno energia dall’organismo
stesso…
oh, guarda. – Ashura prese un foglio e lo distese davanti a
lui – Non
ci saranno cicatrici, quindi sulla pelle verrà tracciato
questo
tatuaggio per segnare la posizione dei microchips. Ho tentato di
pensarlo un poco artistico, che ne dici?”
Yuui osservò attentamente
il disegno ed il viso dell’uomo: sorrideva, sembrava quasi
trovare la
cosa divertente. Ma Yuui era terribilmente preoccupato.
La prima
volta che aveva visto la forma di quei demoni era stata nei progetti a
cui lui stesso aveva collaborato. Organismi creati e tenuti in vita
dalla tecnologia, macchine letali dalle corazze praticamente
indistruttibili. Avevano una volontà assassina, che si
sarebbe piegata
soltanto agli ordini provenienti dal loro comandante.
“Ognuno di voi
– aveva spiegato Ashura agli astronauti –
avrà il comando di una
squadra di questi… beh, chiamiamoli soldati. Potrete
controllarli
grazie ad uno speciale collegamento tra il vostro sistema nervoso ed il
loro, realizzato tramite quel piccolo macchinario che vi
verrà
istallato sotto pelle.”
Oltre il vetro, nel laboratorio adiacente,
stavano alcuni di quei “soldati”, ancora inanimati.
Le lame che
costituivano i loro arti erano di una lunghezza spropositata,
affilatissime.
Erano armi vere e proprie, e il loro aspetto incuteva timore anche a
chi era destinato a farne uso.
“…e che succede se… se il collegamento
fallisce?” chiese qualcuno.
Ashura lo guardò con aria comprensiva. “Vuoi
sapere se potrebbero ribellarsi?”
L’astronauta annuì, senza dissimulare un certo
disagio.
Ashura
assentì, ma invece di rispondere prese una lunga cassa che
fino a quel
momento era rimasta inutilizzata sul bordo del tavolo; conteneva una
decina di grosse pistole.
“La loro corazza è estremamente
resistente, difficile da intaccare. Ma abbiamo pensato a delle pistole
in grado di formare un raggio laser abbastanza potente da perforarle.
Tenete, questi sono i nuovi modelli. Imparate a usarli in fretta. Sono
la vostra arma più potente contro quei demoni. In ogni caso,
le
probabilità che un simile malfunzionamento si realizzi sono
estremamente basse.”
Ashura osservò l’espressione preoccupata sui volti
degli astanti. Presto, lo sapeva, sarebbe svanita.
Più tardi, aveva preso Yuui da parte.
“Sarai il primo a cui faremo l’operazione. Vedrai
che andrà… tutto bene.”
Non
aveva cambiato espressione, sembrava tranquillo come al solito.
Pallido, come al solito. Ma per un breve momento, qualcosa nel suo
sguardo era diventato instabile, come se stesse
trattenendo a stento una smorfia di dolore.
Poi gli aveva sorriso, e se n’era andato.
Erano
stati addestrati ad impartire ordini ai loro soldati.
L’ordine era
formulato a livello subconscio nella loro mente, e quei mostri lo
percepivano e obbedivano. Era… semplice.
Yuui li aveva guardati
con un misto di disgusto e ammirazione, come un giocattolo che non
piace ma che, sotto sotto, attira e diverte.
…prese lentamente coscienza del vento freddo che lo
schiaffeggiava in viso, congelandogli la pelle umida per la neve.
Li stava guardando anche in quel momento, ma ora provava paura,
vergogna e disgusto.
Il dolore alla schiena era diventato una pulsazione sorda e
martellante, tuttavia Yuui non se ne curava.
Alzò
una mano, guardando una per una quelle creature mostruose che lo
osservavano, pronte ad obbedire a qualsiasi suo ordine. Chiuse gli
occhi, ne aveva abbastanza.
Andate via, pensò semplicemente,
scacciandole con un secco gesto del braccia.
Le sentì allontanarsi di corsa sulla neve.
Con
un sospiro, si abbandonò contro il tronco
dell’albero, tentando di
affogare nel buio le punte di scoglio dei ricordi che avevano
cominciato a riaffiorare.
Kurogane aveva osservato tutto senza
battere ciglio. Il suono metallico che andava spegnendosi, Fay che
tremava, i mostri rimasti ad osservarlo immobili. Poi il giovane si era
alzato lentamente, li aveva guardati e li aveva scacciati con un brusco
gesto della mano.
Nel silenzio che seguì, il principe rimase ad
ascoltare le raffiche di vento, prendendo man mano coscienza del
significato di quanto era appena accaduto.
“…come hai fatto?”
Kurogane si volse verso Gantai, che teneva gli occhi fissi su Fay, come
tutti, in quel momento.
Il biondo aprì gli occhi a fatica, e rivolse loro uno
sguardo stanco.
Colpevole.
Gantai
deglutì a vuoto. I pensieri che lo avevano tormentato negli
ultimi
giorni avevano preso improvvisamente una forma ben definita.
“…sei uno di loro.” disse piano.
Fay abbassò lo sguardo, chinando la testa.
I guerrieri esitavano, gli sguardi che si soffermavano ora su Gantai,
ora sullo straniero, ora sul loro capitano.
“E’ un demone,
maestà…!” il tenente guardava Kurogane
con aria quasi implorante.
Il principe corrugò le sopracciglia. Sembrava…
indeciso.
“E’
come loro… potrà anche non sembrarlo, ma ha il
cuore di un demone!”
Gantai aveva abbandonato il tono implorante; questa era
un’affermazione.
Qualcuno
dei soldati tornò a brandire la spada. Un momento dopo,
tutti i suoi
guerrieri impugnavano le armi, e le lame erano rivolte contro Fay.
Kurogane
volse lo sguardo sullo straniero, accoccolato senza forze tra le radici
dell’albero, sotto la cruda luce delle stelle; teneva la
testa bassa,
segno di una resa totale quanto penosa.
Le sue iridi rosse
tornarono a posarsi sui suoi soldati, riconobbe la loro rabbia e la
loro paura. La loro intenzione di attaccare.
Non importava quello
che Fay era stato nelle settimane precedenti, non importava nemmeno
che, grazie a lui, i demoni fossero spariti; nessuno di loro guardava
più lo straniero con gli stessi occhi. Erano stanchi di quei
pericoli
inspiegabili, del freddo e del buio, e improvvisamente tutte le recenti
disgrazie avevano trovato una spiegazione. O, più
semplicemente,
qualcuno su cui sfogare paura e rabbia.
…tutto quello che era successo fino a quel momento era
nulla, rispetto alla tragedia che stava per compiersi adesso.
Non
pensò, il caos degli avvenimenti non lasciava sufficiente
spazio alla
razionalità. Semplicemente, Kurogane strinse le redini del
suo cavallo
e lo spronò. Subito, fu sopra Fay; si sporse da cavallo,
afferrandolo e
tirandolo a sé con un unico, fluido movimento. Quando
tornò ad alzare
la testa, il destriero stava correndo via nella neve, e lui stava
scappando dai soldati che lo avevano sempre seguito mettendo a
repentaglio la propria vita. Intanto, tra le braccia stringeva
l’unica
cosa che in quel momento gli sembrava importante.
***
Note:
il flashback di Fay/Yuui continuerà nel prossimo capitolo,
e... tutta
la parte tecnologico/scientifica è un'allegra invenzione di
qualcuno
che a proposito ne sa meno di zero. Abbiate pietà.
|
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Capitolo 9 *** VIII. Rondeau in c min ***
@ Gloglo_96: spero che in questo capitolo dove continuano i
flashback ti si chiariscano i punti oscuri del passato di Fay! Grazie comunque, perdonami per l'attesa!
@ Tomoyo93: mi fa piacere vedere che è stato un
colpo di scena! grazie mille. Beh del resto Fay e la sfayga vanno
sempre insieme, non ci si può fare nulla...
ù_ù
@ Roy4ever: eheh, sono contenta che non te lo aspettassi XD
comunque la storia avrà un capitolo in più.
@ LawlietPhoenix: sì, Kurorin è un eroe, non ce
n'è! Così come Ashura è un po' un
uccello del malaugurio.. povero, dove ce lui c'è sempre
qualcosa che va storto, un po' come Fay... non a caso è il
padre adottivo...
@ Pentacosiomedimni: mi dispiace per il commento andato perduto!
ò_ò e per la pasta!!! Comunque
sì, le cose non possono andare bene a Fay, sarebbe un
controsenso - perlomeno finchè non incontra Kuro... ^3^
Ri-eccomi, scusate molto il ritardo, ma sono stata presa dalla
creazione del cosplay per Lucca comics!
Inoltre, udite udite, la storia avrà un capitolo in
più perchè ho visto che a mettere tutto insieme
diventava troppo lungo e intricato. Quindi... siamo di nuovo al
terzultimo capitolo!
(vabbe' che se continua così finirà che ne
aggiungerò uno anche alla fine... non finirà
maaai XDDD)
Oltretutto, nel precedente capitolo mi ero sbagliata a scrivere il
numero... è questo l'ottavo, Demonheart era il
settimo... -_-''' Comunque, ho cambiato.
Ok, scusate lo sclero.
Il prossimo capitolo dovrebbe arrivare entro tempi ragionevoli, se
tarda è perchè ho problemi di cosplay.
Buona lettura~
VIII.
ROUNDEAU in C min
Ascoltatela qui!
(strumentale)
Kurogane e Fay avevano cavalcato per un tempo indefinibile.
La
luna non si era più spostata da sopra il sole; quando furono
costretti
a fermarsi per far riposare il cavallo, sembrava quasi dovessero
accamparsi per la notte, anche se sicuramente non era ancora il
crepuscolo.
“Mangia.” disse ad un tratto il principe,
avvicinandosi
al biondo per spartire con lui le poche provviste che aveva nella sacca
– la maggior parte erano caricate su due cavalli robusti,
rimasti
naturalmente insieme ai suoi soldati.
Ma il giovane scosse la testa, stringendosi nel mantello.
Kurogane
lo osservò senza dire nulla, limitandosi a fare marcia
indietro e a
scrutare nervosamente le tenebre che li circondavano, mentre tra i due
tornava a regnare un silenzio teso – durante la cavalcata,
l’unico
rumore era stato quello dei tonfi degli zoccoli del destriero in mezzo
alla neve.
Fay stava seduto su una roccia, il volto quasi del tutto coperto dalla
pelliccia che rivestiva il cappuccio.
Il
principe rimase a contemplarlo, gli occhi scarlatti che non si
staccavano dai contorni della sua forma, confusi nella
semioscurità.
Rimasero immobili per un tempo indefinibile.
La
realtà era che Kurogane stava realizzando appieno solo in
quel momento
quanto era accaduto; aveva abbandonato i suoi soldati –
alcuni dei
quali sapeva per certo essere rimasti feriti nello scontro con i demoni
– per salvare… beh, per salvare chi?
E non era colpa sua, in fondo. Fay non aveva implorato il suo aiuto,
era stato Kurogane a prenderlo in sella e a scappare.
Scappare… dai suoi stessi uomini, maledizione.
“Spero
che tutto questo mutismo sia dovuto al fatto che stai pensando ad una
spiegazione coerente da fornirmi in fretta.”
sbottò all’improvviso,
frustrato dai pensieri che formavano un circolo vizioso nella sua mente.
L’altro
sollevò su di lui i suoi occhi celesti, smarriti. Fece per
dire
qualcosa, ma aprì e richiuse la bocca senza riuscire a dire
nulla.
Il principe aggrottò le sopracciglia. Mannaggia a quegli
occhi, pensò.
Nel frattempo, Fay sembrava aver riguadagnato l’uso della
parola.
“A me… dispia-“
“Taci.
– l’ordine era perentorio e brusco – Non
voglio sentir uscire dalla tua
bocca niente che non c’entri con un qualche tipo di
spiegazione.”
Fay
deglutì a vuoto, guardandolo avvicinarsi e incombere su di
lui. Non
riusciva a decifrarne l’espressione, era troppo buio per
vederlo in
viso, e per un istante, quando lo vide muoversi per chinarsi su di lui,
ebbe quasi paura. Ma Kurogane si limitò a sollevarlo di
peso, issandolo
in sella al cavallo.
Senza una parola, salì in groppa dietro di lui e
tornò a spronare l’animale.
Non
aveva dubbi sul fatto che gli altri li avrebbero seguiti: se avevano
guadagnato un vantaggio anche minimo con la loro fuga precipitosa,
dovevano lottare per conservarlo.
Yuui chiuse gli occhi; il buio era uguale, attorno a loro e dentro la
sua mente.
I
sobbalzi del cavallo cominciavano a dargli un vago fastidio allo
stomaco… forse avrebbe dovuto dar retta a Kurogane e
mangiare,
dopotutto.
O forse…
Quando lo Cometa Nera era partita, l’accelerazione gli aveva
dato la nausea.
Era
stato addestrato al volo spaziale, il suo fisico era abituato a quelle
velocità, ma era lui, a non essere psicologicamente pronto
per quel
viaggio.
Anche quando la nave si fu stabilizzata sulla rotta,
l’ambiente interno perfettamente equilibrato in termini di
temperatura,
aria respirabile e gravità, il nodo che gli serrava lo
stomaco non
accennò a diminuire.
“Signore, va tutto bene?” la voce alle sue spalle
era gentile e musicale.
Yuui
si voltò, ruotando leggermente la poltrona da cui aveva
appena chiuso
una breve comunicazione dal centro di controllo di Celes. Dietro di lui
comparve la sagoma di una ragazza dai lunghissimi capelli biondo
cenere, perfino più chiari di quelli di Yuui; le dita dei
suoi piedi
minuti e scalzi fluttuavano a qualche centimetro sopra il pavimento.
“Sì, grazie, Chii. E’ tutto a
posto.”
Nonostante
sapesse benissimo di stare parlando a quello che era soltanto un
ologramma – una graziosa rappresentazione tridimensionale del
computer
di bordo – questo non frenava Yuui dal rivolgersi a lei in
tono cortese.
Era
solo in quella nave, e presto anche i contatti con il pianeta si
sarebbero diradati fino a sparire, per via della distanza…
anche se si
trattava di un computer, quella di Chii era l’unica altra
voce che
avrebbe sentito risuonare tra le pareti di quell’astronave.
Tanto
valeva conversarci educatamente.
Scrutò fuori, dove non si vedevano
altro che le stelle e il nero sconfinato dello spazio. Sul radar
lampeggiavano le tracce delle altre astronavi partite insieme alla sua;
sembravano uno sciame di asteroidi, meteoriti che avevano il compito di
attraversare lo spazio alla ricerca di nuovi mondi.
Mentre
Kurogane guidava le briglie del suo destriero attraverso la neve, Fay
gli aveva appoggiato la testa sul petto, troppo esausto e confuso
perfino per riuscire a rimanere dritto in sella.
I suoi pensieri
erano un vortice di immagini e ricordi confusi, un turbinio di vento
che trascinava con sé foglie marce e polvere, gettandoglieli
negli
occhi e accecandolo.
I mostri venivano lasciati vivere all’aperto.
Yuui
sapeva che erano esseri creati appositamente per essere in grado di
resistere alle basse temperature – avrebbero dovuto essere in
grado di
fronteggiare qualsiasi cosa, una volta su un pianeta alieno –
ma…
“Siamo sicuri che riusciranno a sopravvivere… che
funzioneranno, anche a temperature più elevate?”
aveva chiesto.
Ashura
lo aveva guardato con un sorriso di malcelata sufficienza (e Yuui non
aveva creduto ai suoi occhi: una tale espressione, su quel volto, non
l’aveva mai vista), come se la domanda fosse assurda, e la
risposta
troppo ovvia.
“Non ti si porrà il problema di scoprirlo, mio
caro Yuui, non temere.”
E la conversazione era terminata lì.
I
loro dialoghi, da quando Ashura era tornato, avevano preso la brutta
abitudine di chiudersi bruscamente non appena Yuui formulava una
domanda a cui l’altro non intendeva rispondere. Dove un tempo
c’erano
state chiacchierate e lunghe disquisizioni, ora c’erano
interrogativi
timorosi, e repliche evasive.
Stavano mangiando insieme, uno di quei pasti inconsistenti che venivano
serviti alla mensa dei laboratori.
Non
che altrove il cibo avesse sapore migliore, naturalmente; le piante
crescevano nutrite da luce artificiale e fertilizzanti chimici, in
serre sotterranee dove tutto, dall’umidità alla
temperatura, era
regolato e regolare fino a divenire insipido come le pietanze che ne
venivano ricavate.
“Ho guardato i progetti delle Comete,
signore…”
Ashura annuì. “Ho già letto i tuoi
appunti.”
Yuui
si schiarì la voce, incerto. “Beh, sì.
Ho dato un’occhiata… anche alle
parti che non mi erano state espressamente destinate.”
Non era come
ammettere di aver messo il naso in affari che non lo riguardavano o in
documenti che gli erano proibiti – dopotutto, collaborava
anche lui
alla costruzione di quelle astronavi, oltre ad essere destinato a
pilotarle come astronauta, ma… quello che aveva scoperto gli
aveva
fatto capire che probabilmente aveva messo il naso dove non avrebbe
dovuto.
“…sono incompleti.”
L’altro non lo guardò, continuando a mangiare
impassibile.
Yuui ingoiò a fatica un altro boccone, sulle spine, ma non
si diede per vinto.
“Manca una parte. Io pensavo che…”
“Un particolare che deve essere ancora precisato,
forse.”
…forse?
Ashura era il supervisore della costruzione delle Comete…
costruzione
che era già iniziata, e ciò presupponeva che i
progetti fossero completi.
Lui sapeva. Non c’erano forse.
Il pasto continuò in silenzio.
Un particolare mancante. Che con ogni probabilità,
però, non mancava nei progetti fatti avere a qualcun
altro. Qualcun altro che doveva sapere, mentre lui non ne
aveva ancora il diritto.
Sulle Comete, sarebbe stato montato qualcosa che Ashura voleva tenere
nascosto. E chissà per quale scopo.
Eppure, Ashura non aveva certo tentato di tenergli nascosti i progetti,
pur sapendo che lui si sarebbe accorto delle lacune.
Yuui
sentiva un familiare pizzicore al naso, osservando il sole spento di
Celes tramontare tra le montagne di ghiaccio che ondulavano il panorama
visibile dalla piccola finestra.
Si trovava in uno di quei rari
momenti in cui, finito il lavoro che gli teneva la testa occupata e lo
distraeva, si rendeva conto di vivere in una gabbia.
In tutte le
strutture situate al di sopra del terreno, era estremamente raro
trovare degli spiragli sul mondo esterno che interrompessero il colore
biancastro ed asettico dei muri.
Questo perché le finestre causavano
dispersione di calore, qualcosa che non ci si poteva certo
permettere…
e poi non era affatto rassicurante avere la possibilità di
osservare
l’esterno, con il suo desolato panorama gelido e scuro, morto.
Yuui
amava leggere; non era mai stato un tipo particolarmente estroverso
–
né, in generale, le persone di quel luogo, viste le
condizioni in cui
si trovavano a vivere, erano propense a dare particolare spazio ai
divertimenti ed agli intrattenimenti di società.
In effetti, Yuui
stesso aveva passato la maggior parte dell’infanzia e la sua
intera
giovinezza dedicandosi allo studio ed all’addestramento al
volo
spaziale.
Era sempre stato un ragazzino sveglio e dotato, e la sua gente non
poteva permettersi di sprecare un’intelligenza come la sua.
Comunque,
per motivi di studio si era recato spesso nella grande biblioteca che
conservava i libri, e qui non si trovavano soltanto testi scientifici.
C’erano anche poesie, romanzi, raccolte di racconti; molti di
essi
risalivano ad un passato lontano, lontanissimo, e non parlavano di
ghiacci e cieli plumbei, ma descrivevano spesso una natura accogliente,
calda, variopinta.
Descrivevano un cielo azzurro.
Ogni tanto,
quando capitava, Yuui guardava fuori da una delle piccole finestre
ancora rimaste ed osservava quella distesa livida e marcia che si
stendeva sopra Celes.
Sapeva che cos’era l’azzurro – era un
colore come tanti, era usato nelle scritte, nei vestiti.
Una volta, aveva visto una pianta con un piccolo, tenero fiore dai
petali azzurri.
I suoi occhi erano azzurri.
L’azzurro era concentrato nelle cose minuscole, non era fatto
per le grandi distese.
Guardava il loro cielo violaceo, e faticava ad immaginarselo del colore
dei suoi occhi.
E
nonostante questo, nonostante non riuscisse ad immaginarsi un mondo
diverso, soffriva e, inconsciamente, forse, ne desiderava uno.
“Che cosa ha trovato esattamente nel
suo viaggio?”
Ashura lo aveva guardato per qualche lungo istante, e poi aveva fatto
un passo incerto verso di lui.
Yuui
aveva ricambiato lo sguardo, vagamente intimorito, ma non si era mosso
quando l’altro gli aveva posato una mano sulla spalla.
Non riusciva
a staccare lo sguardo dagli occhi di Ashura. Dietro quelle iridi scure
si stava svolgendo una battaglia – una corrente tiepida che
tentava di
incrinare la superficie del ghiaccio.
Gli si avvicinò fin quasi ad abbracciarlo, i suoi capelli
serici che gli solleticavano la guancia.
“Non chiedermelo, Yuui… non chiedertelo.
– gli mormorò nell’orecchio –
Riuscirò a non fartelo scoprire mai.”
Yuui
aveva deglutito a vuoto, tentando a fatica di reprimere il violento
brivido che improvvisamente gli attraversava la schiena.
Quando era tornato a guardare Ashura negli occhi, la superficie del
ghiaccio era nuovamente ferma.
Ma la sua voce aveva tremato, prima, Yuui ne era certo.
Prima
di abbandonare Celes, prima di salire sulla Cometa, prima di percorrere
quel lungo corridoio che lo avrebbe portato all’interno
dell’astronave,
non si era voltato indietro.
Che cosa stava lasciando? Celes per lui
non era che un insieme di corridoio fatti di luce artificiale, di dati
geologici ed astronomici, di macchinari e schermi di computer che
ronzavano sommessamente.
Celes erano gli scienziati in mezzo a cui era cresciuto; era Ashura,
che non era più se stesso.
In
un certo senso, aveva avvertito che il suo pianeta era già
morto;
nonostante stesse partendo per una spedizione teoricamente destinata
alla ricerca di nuovi mondi per la sua gente, aveva la certezza che ci
fosse qualcosa di sbagliato, e che poteva dire addio alla sua casa in
quello stesso istante.
Aveva sentito un forte pizzicore al naso, e
aveva chiuso gli occhi per scacciare l’improvviso momento di
commozione. Era troppo tardi per piangere per Celes, e probabilmente
era troppo tardi anche per piangere per se stesso.
Quando si
era finalmente deciso a guardare cosa c’era
all’interno della Cometa,
quale “particolare” aveva colmato la lacuna nei
progetti, vi aveva
trovato qualcosa che non aveva mai visto prima.
Aveva tentato di esaminarla, ma era una tecnologia sconosciuta.
Era
qualcosa che aveva inventato Ashura, così di punto in
bianco? O
qualcosa che si era portato appresso dal suo viaggio, come le idee per
la creazione dei demoni?
In ogni caso, non prometteva nulla di
buono. Aveva sempre più la sensazione di essere stato
brutalmente
usato, che nulla di quella missione sarebbe andato a favore di Celes e
della sua gente, anzi.
Avrebbe voluto mettersi a piangere,
cominciare ad urlare, dirottare la sua Cometa per farla collidere con
qualche asteroide o farla schiantare su un pianeta… ma la
sua
traiettoria era stata già determinata, e non sarebbe
riuscito a
cambiarla manualmente.
“Va tutto bene, signore?”
Si morse il
labbro, e sorrise a Chii. Anche se era priva di vita, la sua presenza
scrutatrice gli imponeva di essere forte, in qualche modo. Come se
avesse dovuto continuare a mostrarsi, davanti a lei, come si era dovuto
mostrare davanti agli altri astronauti e scienziati e
militari… una
marionetta che eseguiva gli ordini, una maschera a cui si attaccava per
non cadere nella più devastante disperazione.
Mi dispiace davvero, Kurorin.
Dormiva,
uno di quei lunghi sonni che gli astronauti si concedevano per
sopportare i tempi altrimenti insostenibili dei viaggi spaziali.
L’allarme
del computer l’aveva fatto destare di soprassalto, ma era
troppo tardi.
Quel campo di asteroidi non era segnato su nessuna mappa, da dove
spuntavano?! Forse erano stati generati da una collisione
recente…
Yuui
aveva combattuto per riguadagnare il controllo
dell’astronave, ma
l’impatto con diverse delle meteore sembrava aver danneggiato
il
sistema dei comandi.
La Cometa aveva continuato a volare, fuori controllo, attirata dalla
potente forza di gravità di un pianeta vicino.
Yuui
aveva sperato si trattasse di un mondo disabitato, di uno di quei
pianeti gassosi dove la Cometa sarebbe potuta affondare senza nuocere a
nessuno…
Man mano che si avvicinavano, tuttavia, aveva compreso che si trattava
di un mondo vivo.
Aveva
guardato inorridito la superficie del continente avvicinarglisi, mentre
l’astronave, cadendo a precipizio su di esso, attraversava
l’atmosfera.
Poco
prima dell’impatto, lo spirito di sopravvivenza lo aveva
spinto a
infilarsi in una delle navette di salvataggio dell’astronave,
ma la
collisione con il suolo era stata comunque molto forte.
Ricordava
solo il buio, un dolore ottundente che gli straziava i sensi in tutto
il corpo… e poi gli odori, l’aria di quel paese
sconosciuto, che gli
aveva riempito le narici anche se offuscata dal tanfo di bruciato.
Prima
di perdere i sensi, aveva pensato che, da ovunque provenissero quei
profumi, erano la cosa più buona che avesse mai annusato.
Poi,
al suo risveglio, tutto era cambiato: dal black-out completo della sua
mente, si era ritrovato a fissare due penetranti occhi rossi. E tutto
era come cominciato da zero.
|
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Capitolo 10 *** IX. Black Realms' Majesty ***
*emerge dai fazzoletti e dalle aspirine*
(nonchè per quest'estate quando mi ha mandato tutto il testo
della canzone via sms XDDD Adrienne/SMS=OTP)
@ Gloglo_96: cosa c'è esattamente
nell'astronave non lo sa bene nemmeno Fay. Se Fay lo avesse saputo,
avrebbe tentato in ogni modo di far schiantare la sua astronave da
qualche parte...
@ Pentacosiomedimni: sì beh Ashura se non rovina la vita di
qualcuno non è contento... ma del resto, se Ashura non
rovinasse la vita di Fay, lui non incontrarebbe Kuropon, e noi questo
non lo vogliamo! D:
@ LawlietPhoenix: ..eh! Anche per me ormai principe azzurro!Kuro
è canon ormai! XD Brigitte Bardot però in questa
storia non compare... magari in un extra XD
Eccomi qui!
Penultimo capitolo.
L'ultimo verrà pubblicato molto probabilmente dopo Lucca
comics&games, così se qualcuno di voi mi incontra
non mi pesta a sangue per quello che ci sto scrivendo XDDD ....
*è confusa per via del raffreddore*
Beh, buona lettura!
IX.
BLACK REALMS’ MAJESTY
Ascoltatela
qui!
Arkan's friends were now
convinced,
They knew the real truth,
Just her sacrifice would have been real hope for the Zaephyr's salvation
The old Vaikaris so spoke these were his own words from her sad arrival,
He was sure that she was hiding something
She is the portal of cosmic evil,
All demons live in her alien breath
She keeps the seed of the far oblivion and for all this she's condemned
to death
BLACK REALMS' MAJESTY LIGHT MY SAD DESTINY,
MY DEATH MAY FREE HIS WORLD,
CHAOS WILL NOT USE ME ANYMORE
Arkan stopped her bitter words with a kiss,
So warm when she asked him to let her die there in the embrace of that
frost
She could not accept the truth
She was the cause of all,
And knew evil now was using her as passage for its coming
The eclipse is the sun of its newborn kingdom,
The demons,
The soldiers of this dark war
It wants to conquer the holy planet,
It wants to rape the spirit of love
I will die in his name...
to close the portal, to free my pain.
I soldati di Kurogane erano rimasti ad osservare, basiti, il cavallo
del principe che svaniva in mezzo al buio dell’eclissi.
Le folate di vento gelido tornarono a coprire di neve il silenzio che
era improvvisamente calato su di loro.
Abbassarono
le armi, mentre si guardavano l’uno con l’altro con
aria smarrita.
Qualcuno si ritrovò a chiedersi che cosa mai fosse successo realmente.
“Dovevamo aspettarcelo. I sacerdoti l’avevano
detto.”
Il fatto che parte del volto di Gantai fosse coperto da una benda non
serviva ad attenuarne l’espressione cupa e truce.
Maledizione,
avrebbe dovuto dare ascolto prima alle parole di Vaikaris…
ma si era
fatto ingannare dall’apparenza dello straniero, da
quell’aria sperduta,
dai sorrisi che era sempre pronto ad offrire e dai suoi modi gentili.
Inoltre, la regina stessa lo aveva accolto a palazzo, come ospite.
Ma soprattutto, si era fidato di Kurogane.
Il
principe si era subito dimostrato interessato allo straniero, per la
curiosità di scoprire chi fosse e da dove venisse; anche se
– doveva
ammetterlo – Gantai aveva già da qualche tempo il
sentore che questa
curiosità si fosse trasformata in qualcosa di diverso.
Si fidava
del suo capitano, e se egli avesse dimostrato fiducia verso qualcuno
(come Kurogane aveva fatto con lo sconosciuto, decidendo di portarlo
con loro in quella missione) allora anche Gantai si sarebbe fidato.
Ma non senza limiti.
E
vedere che Fay poteva comandare quei demoni con un solo gesto della
mano, collegato a tutto quello che c’era stato prima
– il suo
ritrovamento accanto alla cometa, la strana arma che si era dimostrato
in grado di usare… - beh, questo era decisamente un
limite
alla fiducia che loro, abitanti di un regno minacciato da pericoli
incomprensibili e inaspettati, non potevano permettersi di ignorare.
Da qualche parte, in fondo, gli dispiaceva; Fay gli era sempre stato
simpatico.
Lo aveva detto egli stesso: lo straniero era uno in gamba.
Ma il nemico era sempre il nemico, che la sua compagnia fosse piacevole
o meno.
Non
sapeva se l’intera storia della perdita di memoria fosse o
meno la
verità, non era importante: avevano trovato il punto focale
della
faccenda, un nemico che non fosse un branco di demoni uscito dagli
incubi o un’enorme cometa schiantatasi tra le montagne. Un
nemico in
forma umana.
“Il principe lo ha… salvato.” disse uno
dei soldati.
“Così come può comandare quei mostri,
può ben essersi impossessato della mente del nostro
capitano.” rispose il tenente.
Della mente e dei sentimenti di Kurogane, non poté fare a
meno di aggiungere nella sua testa.
“Sembra che sua maestà il principe si
intrattenga volentieri con quel giovane straniero, non è
così?”
Quel
giorno, non gli era sembrato di cogliere malizia nelle parole del
sacerdote… ma adesso, ripensandoci, quella frase avrebbe
potuto
benissimo contenerne.
Quando Gantai aveva chiesto se Fay gli
avrebbe seguiti nel loro viaggio verso il ghiaccio, la mattina della
partenza… Kurogane lo aveva guardato in maniera strana, come
se stesse
dando tutto per scontato. Era certo di quello che faceva, quando
tutt’intorno accadevano cose incredibili e pericolose.
“… il nostro principe ha sempre avuto
una certa passione per il rischio e per i giochi pericolosi…
E’
un’epoca inquieta, dove si farebbe meglio a tenersi ben
stretti le
nostre certezze, invece che buttarsi in nuove avventure… Io
so solo che
stanno accadendo fenomeni inusuali, e che una causa, da qualche parte,
deve esserci.”
Era come se Vaikaris avesse saputo tutto fin dal principio.
La profezia. Il distruttore di mondi. Il cavaliere che avrebbe dovuto
fronteggiarlo.
Il cavaliere che possedeva il fuoco delle stelle.
Gantai
aggrottò le sopracciglia. Non ci aveva creduto fino in
fondo, non
finché non aveva visto quello che era successo con i suoi
stessi occhi.
Si
voltò verso i suoi compagni: c’erano dei feriti, e
un paio di cavalli
erano scappati. Occorreva del tempo, prima che fossero pronti a
ripartire.
I soldati lo stavano guardando. Adesso che Kurogane se n’era
andato… adesso che era fuggito
da loro, era lui il comandante. Non era mai stato bravo nei discorsi,
ma in quel momento non c’era bisogno di convincere nessuno a
proposito
del da farsi. Parlò soltanto per esplicitare quelli che
sapeva essere i
sentimenti ed i pensieri di tutti.
“Dobbiamo fare in fretta e
riuscire a prenderli prima che raggiungano la Cometa… o
prima che al
principe accada qualcosa di male. Lo straniero è il capo di
quei
demoni, la sua venuta è la causa di tutto…e se
vogliamo che le cose
tornino come prima, la causa va eliminata. Lo straniero deve
morire.”
decretò con voce piatta, tornando a scrutare
nell’oscurità.
Era
difficile rendersi conto dello scorrere del tempo, in mezzo a quei
boschi spogliati dalla neve, dove i tronchi e le rocce sembravano uno
scenario sempre uguale che continuava a ripetersi
all’infinito; solo le
stelle, nel cielo, cambiavano lentamente posizione, mentre la notte
avanzava.
Si fermarono in una radura che era uguale a mille altre già
incrociate nel tragitto, e scesero finalmente di sella.
Fay osservò Kurogane rimestare nella sua sacca, di nuovo
alla ricerca di qualcosa da mangiare.
“…accendi il fuoco, Kurorin…?”
“No.” replicò secco il principe.
“I… demoni non ci daranno
più fastidio.” rispose Fay in un sussurro.
Kurogane gli scoccò un’occhiataccia
“Visto che i mostri non ti fanno paura, preferisci essere
ammazzato dai miei uomini?”
Fay tacque, mentre il principe tirava fuori del cibo. Questa volta il
biondo non lo rifiutò, e mangiarono in silenzio.
Il
vento continuava a soffiare impetuoso, e ben presto i due si
ritrovarono a rabbrividire. Da sotto il cappuccio, Fay
lanciò
un’occhiata alla volta del principe, e non fu sorpreso di
vedere che
anche lui lo stava osservando di sottecchi. Tornò a
sprofondare nel
mantello, colto da una sorta di imbarazzo.
Non sapeva se Kurogane
fosse arrabbiato con lui, se lo odiasse – avrebbe avuto tutte
le
ragioni di farlo – o se invece… se invece non
avrebbero potuto
stringersi un po’, come la notte prima. Faceva
così freddo, lì.
C’erano
mille buoni motivi per cui avrebbe dovuto mantenere un minimo di
distanza da lui – per lo più, avevano a che fare
con vergogna, senso di
colpa e rimorso… col fatto che, cielo, lui era un mostro
alla pari di
quei demoni e non aveva certo il diritto di stare lì con lui
e pensare
di poter ricevere un po’ di calore da Kurogane – ma
al momento, con i
piedi che ghiacciavano nonostante gli spessi stivali, e
l’aria gelida
che sembrava congelargli anche l’interno del petto, non
sembravano poi
ragioni così convincenti.
“…ti sei fatto male, prima, durante la
battaglia…?” chiese, le parole che si condensavano
in dense nuvolette di vapore.
Kurogane
lo guardò, distolse lo sguardo, lo guardò di
nuovo. Probabilmente,
pensò il biondo, si stava chiedendo se quella battaglia non
avrebbe
potuto essere evitata, ora che conosceva l’inaspettato potere
che lo
aveva visto mettere in atto sui mostri.
“No.” disse alla fine.
Fay accennò un mezzo sorriso. “Beh,
meglio.”
Prima delle parole, dalla bocca di Kurogane uscirono diverse nuvolette
di vapore.
“…e tu?”
Il biondo lo guardò, umettandosi le labbra prima di
rispondere.
“No, niente…”
Kurogane tornò a guardare da un’altra parte.
Fay sospirò, tossicchiando nervosamente.
“Eh… hai freddo, Kurosama?”
Il
principe gli lanciò una mezza occhiataccia
“No.” - ma, sotto il
mantello, teneva le braccia incrociate e ben strette sui fianchi.
Fay
annuì di nuovo, senza riuscire a dissimulare un brivido. Lui
sì che ne
aveva, di freddo. Tossì di nuovo, questa volta senza farlo
apposta, e
mosse le braccia per tentare di riscaldarsi.
Prima che potesse trovare il coraggio di dire “beato te,
Kurorin”, il principe si alzò in piedi e
andò a sederglisi vicino.
Aveva lo sguardo duro di chi non era del tutto convinto della cosa che
stava facendo, ma, non di meno, era determinato a farla.
Senza dire nulla, passò un braccio attorno alla schiena di
Fay, attirandolo verso di sé e ricoprendolo con il suo
mantello.
…in ogni caso, l’aveva salvato e portato fin
lì. Non avrebbe avuto senso lasciarlo morire di
freddo…
(l’altro gli si appoggiò contro, usando il suo
mantello per ricoprirgli le ginocchia.)
…senza
contare che, improvvisamente, anche lui sentiva una vaga sensazione di
tepore irradiarsi dai punti in cui i loro corpi entravano in contatto.
Forse
si era addormentato, o forse si era solo perso nei suoi
pensieri… alzò
gli occhi al cielo, a controllare la posizione delle stelle. Non era
passato che poco tempo, da quando si erano avvolti nei mantelli per
riposare.
Fu sorpreso nel realizzare che il suo corpo era avvolto in
un tepore quasi languido; la spalla di Kurogane, su cui aveva
appoggiato il capo, era dura, ma confortevole.
Aguzzò l’udito: era
una sua impressione, o il respiro dell’altro aveva una
cadenza lenta e
regolare, come se si fosse addormentato? Si sollevò
leggermente, per
guardarlo. Il principe aveva gli occhi chiusi, e
un’espressione quasi
distesa sul viso. Per un attimo, Fay lasciò che un sorriso
gli
attraversasse il volto: sembrava… tenero.
Ma il fischio di
un’improvvisa raffica di vento lo riportò
bruscamente alla realtà. Una
realtà che era cupa come i sogni che avevano tormentato il
suo
dormiveglia.
Lentamente, si alzò, slacciandosi il mantello e
posandolo dolcemente sopra Kurogane. Nel farlo, sfilò la
pistola dalla
sua cintura, dopodiché si allontanò in mezzo agli
alberi.
L’aria gelida gli si insinuò oltre il collo della
tunica che indossava, facendolo rabbrividire.
Poggiò la fronte contro il tronco di un albero, mentre le
sue dita giocherellavano con la pistola.
Era tutto così sbagliato.
Perché era tornato indietro, a sentire le grida di Kurogane,
la notte prima? Perché non era andato avanti?
L’ultima cosa che voleva era vedere Kurogane contro i suoi
stessi soldati.
Alzò gli occhi verso il cielo. Anche il cielo di Celes era
nero e punteggiato di stelle, durante la notte.
Durante
la notte, tutte le creature erano esposte alla luce gelida delle
stelle. Crudi ed affilati, i loro raggi riverberavano sulla neve
tutt’intorno.
Strofinò la fronte contro l’albero, mentre i
ricordi
tornavano ad accavallarsi nella sua mente, immagini e dati e nozioni. E
il mistero del viaggio di Ashura. Un mistero che non avrebbe ormai
risolto, ormai. Una delle tante cose che non avrebbe più
potuto fare.
Qualsiasi
cosa ci fosse lassù… qualsiasi cosa stesse dietro
a quei freddi
diamanti splendenti, che illuminasse lui e il suo triste destino.
Perché devo essere io, la causa di tutto? E
l’unico modo di liberare il suo mondo dalla tua minaccia
è…
“Ehi, che stai facendo?”
Fay sobbalzò, le tenebre che avevano avvolto la sua mente
scacciate via dalla voce imperiosa del principe.
Kurogane teneva in mano il suo mantello, e si avvicinò per
metterglielo sulle spalle.
“No,
lascia, non ho freddo, adesso.” scosse il capo in un gentile
segno di
diniego, il suo mezzo sorriso celato dai capelli che gli ricoprirono il
viso, quando lo chinò per fissare un punto imprecisato in
mezzo alla
neve. Ne smosse un mucchietto con la punta dello stivale.
“Il mio pianeta era diventato più freddo di
così. Oh, guarda.”
Schiacciò
qualcosa sulla superficie della pistola, e per qualche istante una
delle sue misteriose fenditure si illuminò di una luce molto
tenue.
“Sta finendo l’energia… non potrai
più giocarci, Kuropin.”
Kurogane
inarcò le sopracciglia, aspettando che l’altro
continuasse, ma il
biondo sembrava improvvisamente interessato alla consistenza della neve
sotto ai suoi piedi.
“Che cosa sei venuto a fare, qui?”
Fay sospirò. Era arrivato il momento di raccontare.
“Il
mio pianeta non era più un posto dove la gente potesse
vivere. Il
nostro sole si stava spegnendo, e noi sopravvivevamo solo
all’interno
di… beh, grandi strutture… grandi
città, ecco, grandi città autonome in
cui avevamo tutto il necessario per sopravvivere. –
immaginava che a
Kurogane non fosse familiare il concetto di energia atomica,
e men che meno tutto il resto – Ma non sarebbe potuto durare
a lungo.
Così, abbiamo lanciato diverse astronavi alla ricerca di
mondi da
colonizzare. La mia Cometa era una di queste.”
Kurogane incrociò le braccia, scettico.
“Se
io volessi colonizzare un territorio nemico, eviterei di far
sì che
tutto venga ricoperto dal ghiaccio e che orribili mostri spuntino in
mezzo ad esso, visto che in questo modo non lo renderei certo un posto
accogliente.”
Fay tornò a guardare per terra.
“All’inizio, non erano
questi i piani. All’inizio, dovevamo cercare pianeti
vivibili, ma non
era nei nostri programmi stabilirci su di essi con la forza. Almeno,
per quel che ne sapevo io… ma evidentemente, non ne sapevo
nulla.
Avevamo
inviato una spedizione di ricognizione in una regione ancora
sconosciuta della nostra galassia. Quando sono tornati, non erano
più
gli stessi. C’era qualcosa di diverso, dentro di loro. E i
piani sono
improvvisamente cambiati.”
Qualsiasi essere – qualsiasi cosa Ashura
avesse incontrato nel suo viaggio, era riuscito ad impossessarsi della
sua volontà e li aveva ciecamente usati, perché
sapeva che sarebbero
andati alla ricerca di nuovi pianeti… come una sorta di
orrendo
parassita.
Non avrebbe cercato di giustificarsi, perché non aveva
scusanti. Non aveva voluto vedere che cosa stava succedendo, non aveva
cercato di opporvisi. Si era limitato ad inumidirsi gli occhi e a
lasciare che i silenzi di Ashura distruggessero tutto.
“Perché hai scelto Suwa?”
“Non
l’ho scelto io, questo pianeta. Ero diretto in una galassia
vicina alla
vostra... ma durante il volo qualcosa si è guastato
nell’astronave, ed
è precipitata qui.
In ogni caso, è stata la Cometa a generare il
ghiaccio, l’habitat preferito dei demoni, e poi ha modificato
l’orbita
della vostra luna, facendone corrispondere il moto nel cielo a quello
del vostro sole, causando un’eclissi perpetua. Non chiedermi
come
questo sia possibile… - Kurogane fece segno di scacciare
quei pensieri
con la mano. La Cometa aveva portato il ghiaccio, e i mostri. Aveva
portato Fay, con tutto quello che ne era conseguito. Che riuscisse
perfino a far cambiare il cammino della luna non sembrava qualcosa di
particolarmente notevole, a questo punto. – Se il sole rimane
coperto,
il ghiaccio continuerà ad espandersi… fino a
ricoprire l’intero
pianeta, per renderlo sterile e senza vita… inutile anche
per il mio
popolo che lo voleva colonizzare.”
Kurogane sbuffò, per poi rimanere
in silenzio per qualche tempo, scrutando attentamente
l’altro, come
sperando di riuscire ad aprirgli in due il cranio per guardare
direttamente al suo interno.
“E non potevano venirti in mente prima, queste
cose?” chiese alla fine.
“Devo
aver perso la memoria a causa dei colpi subiti durante
l’impatto. Sulla
schiena… sotto il tatuaggio, ho una specie
di…macchina. Serve a tenermi
in contatto con i demoni, anche loro sono… delle macchine,
ecco. Questa
mia apparecchiatura deve essersi rotta, o guastata, durante la caduta.
E’ collegata al mio sistema nervoso, e probabilmente
è stato questo a
farmi perdere la memoria e la consapevolezza del collegamento con i
demoni. Per questo, mi faceva male quando si avvicinavano. Se tutto
avesse funzionato correttamente, sarei dovuto essere stato in grado di
mantenere un contatto con i demoni, anche a distanza, impartire loro
degli ordini… ma dopo che si sono risvegliati, si sono
ritrovati senza
controllo.”
Il principe aggrottò ulteriormente le sopracciglia, gli
occhi ridotti a due fessure.
Le parole di Fay erano solo un’ulteriore conferma di quanto
già sospettava.
Tuttavia,
la situazione non cambiava: Kurogane aveva preso una decisione, diverso
tempo prima, accettando il rischio. E non era tipo da cambiare idea
tanto facilmente.
L’altro alzò gli occhi dalla neve, cercando
sul volto del principe un qualche segno di odio o rabbia, qualcosa che
gli facesse capire che, finalmente, Kurogane aveva deciso di
sbarazzarsi di lui.
Ma non ne trovò traccia.
Maledizione, non una volta che le cose andassero come si augurava.
Fece un respiro profondo. L’ultima cosa che voleva era vedere
Kurogane contro i suoi uomini… a causa sua.
“Lasciami qui.”
Lo
sguardo che l’altro gli indirizzò fu difficile da
sopportare – era
carico di rabbia, ma, al di sotto, c’era una punta di dolore.
Kurogane
non poteva credere che lui gli stesse chiedendo di abbandonarlo, e non
l’avrebbe fatto in nessun caso.
Ma Fay, per una volta, voleva
tentare di cambiare il corso degli eventi, di creare un argine dove il
flusso di tutta quella sua vita spinta avanti da forze esterne potesse
finalmente fermarsi ed evitare di trascinare con sé
ulteriori detriti.
“Non
arriveremo mai in tempo alla Cometa, lo sai. –
replicò, calmo – Il
tatuaggio, o meglio, la macchina al di sotto trae energia da me, dalla
mia vitalità, dal mio sangue, dal mio calore. Se io muoio,
si spegnerà.
Se si spegne, anche i demoni moriranno… sono stati creati
per cessare
di funzionare, qualora il loro capo venisse meno. La stessa Cometa, se
non è stata troppo danneggiata dall’impatto,
lascerà questo pianeta. La
mia gente è sempre stata protettiva, nei confronti delle sue
scoperte
scientifiche.”
Voleva rimanere lì, spegnersi lentamente in quelle tenebre
gelide che aveva portato con sé attraverso le galassie.
“La morte per assideramento non è poi
così dolorosa, Kuropin.”
Avrebbe
avuto freddo, ecco. Ma non ne avrebbe avuto di più di quanto
ne aveva
provato a Celes, per tutta la sua vita prima di quel viaggio, questo
era sicuro.
Sapeva che prima del sopravvento della morte, sarebbero
arrivate le allucinazioni… avrebbe potuto rivivere qualche
momento
della sua infanzia, forse. Avrebbe certamente rivissuto gli attimi
passati assieme a Kurogane.
Se la sua morte poteva salvare Suwa, era pronto ad abbracciarla. Non
sarebbe più stato uno strumento nelle mani del caos.
“Lasciami qui, e va’ dai tuoi. Tutto
tornerà come prima. Non farà
male…”
Non
aveva abbassato gli occhi, ma lo sguardo adirato e addolorato del
principe, che non lo aveva abbandonato nemmeno per un istante, non era
facile da sopportare.
“Basta.” disse improvvisamente Kurogane, il
volto accigliato e la voce cupa. Gli circondò le spalle con
un braccio,
attirandolo a sé.
“Non farà male a te, forse…”
mormorò, qualcosa a metà tra un ringhio ed un
sussurro, e lo baciò.
Mannaggia a quei suoi baci, pensò Fay.
Sentendo
sulla sua lingua e sulle sue labbra il calore di quella bocca, si rese
improvvisamente conto di quanto freddo aveva; suo malgrado, si
ritrovò
a tremare, e fu grato a Kurogane quando questo gli rimise sulle spalle
il mantello.
Le sue mani indugiarono sul petto del principe,
seguendo il profilo del suo braccio destro, risalendo l’orlo
bordato di
pelliccia del guanto, sfiorandogli il polso e la mano. Sentì
i muscoli
di Kurogane irrigidirsi impercettibilmente – tra le dita
stringeva
ancora la pistola.
Gliela alzò lentamente – non aveva intenzione di
strappargliela di mano – e puntò l’arma
contro il suo stesso cuore,
avvicinandosi a Kurogane, mentre la bocca della pistola affondava nella
sua tunica.
“C’è energia per un colpo soltanto. Non
puoi andare
avanti a combattere i demoni con questa. Ma puoi usarla su di me, e
porre fine a tutto questo una volta per tutte. Puoi salvare Suwa.
–
disse con voce stanca, scrutandolo negli occhi –
Ascoltami.”
Era quasi una supplica.
Kurogane fece un brusco passo indietro, incrociando le braccia sul
petto.
“Non capisco se ti comporti da idiota perché sei
ancora confuso o perché lo sei veramente.”
decretò alla fine.
Per il principe, la battaglia non era finita.
Certo,
i suoi nemici erano ancora il ghiaccio ed i demoni. Ma non era soltanto
il suo regno che andava salvato da quella minaccia… lo
straniero –
anche se sembrava essere lui la causa di tutto – era
innanzitutto parte
di ciò che Kurogane aveva deciso di proteggere - senza che
se ne
rendesse conto, lo era diventato dal primo momento in cui lo aveva
incontrato, svenuto in mezzo agli alberi, ai bordi del cratere.
E uccidere qualcuno per proteggerlo non era ancora una cosa che il
principe acconsentisse a fare.
Sarebbero
arrivati alla Cometa e avrebbero trovato un modo per risolvere la
situazione. Se Fay poteva comandare i demoni, poteva farli tornare da
dove erano venuti. Poteva dire alla Cometa di ritirare il ghiaccio, di
liberare la luna.
Diamine, doveva esserci un modo e loro lo avrebbero scoperto.
“Adesso muoviti, dobbiamo andare.”
Il suo tono era perentorio.
Fay si morse un labbro. Era tutto inutile. Inutili i suoi sforzi di
convincerlo, inutile la loro fuga verso la Cometa.
Chinò
la testa e obbedì; se non l’avesse seguito
spontaneamente, Kurogane
l’avrebbe caricato sul cavallo con la forza. E non voleva
addossargli
quest’ulteriore incombenza.
|
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Capitolo 11 *** X. Prophet of the Last Eclipse ***
@ Gloglo_96
: sì, il grosso problema di Fay è che non ha
autodeterminazione. Cioè, lui prova ad autodeterminarsi, ma
Kurogane lo stronca. Ma va bene così... visto che poi Fay ci
guadagna soltanto - ciò detto, il metodo di Kuropin
è discutibilissimo ù_ù, ma d'altronde
lui è così.
@ Mistral: figurati! :) La canzone "Black Realms Majesty"
è di Fay, semplicemente. Del resto, Fay non è un
depresso con tendenze suicide, ha sempre le sue ragioni per voler
morire e sono sempre peggiori di quello che Kurogane si aspetta. Io sono dell'idea che nella storia originale, se Kurogane
avesse saputo cosa Fay nascondeva, forse ci avrebbe pensato due volte,
prima di salvarlo. Ma poi l'avrebbe salvato lo stesso, cocciuto
com'è. XD
@ Pentacosiomedimni: "Eheh, ragazzi... Tra Achille e Patroclo... c'era
più di un'amicizia" (cit. dalla mia prof. del ginnasio)...
ehm. Sì comunque quoto, ci sono tanteeee cose che anch'io
avrei voluto vedere accadere nel manga e invece tu guarda devo spendere
le notti a scrivere e leggere fan fiction per vederle succedere XD
vabbeh vabbeh!
Eccoci all'ultimo capitolo, scritto in parte mentre mi rotolavo,
tentando - senza successo - di prendere sonno sul materasso di mattoni
del B&B di Lucca...
In realtà, anche se questo è l'ultimo capitolo,
siccome questa storia è come i rotoloni
regina, non finisce mai e avrà anche un epilogo.
Suddetto epilogo sarà
pubblicato a
breve - davvero XD - con alcune note finali sulle canzoni etc. Quindi
attendete con fiducia (?).
N.B.: leggere
le lyrics della canzone di
questo capitolo comporta SPOILERS sul suo contenuto.
Beware. ù_ù
X.
PROPHET OF THE LAST ECPLISE
Ascoltatela
qui!
Requiem aeternam dona
eis Domine:
et lux perpetua luceat eis
Silent see of dark and terror
spare the planet from this terror
white cold moon and Zaephyr's surface
Salva me, Salva me, Salva me...
I will swear I will call my hate
and eternal rage
She's ready to turn off her life's flame
to free all his people from hell
but no... he doesn't want to accept thos solution
prefering to think of how he can escape
Hundreds of them are now coming
"friend" is now an ancient word
there's no place left to hide in this white icy dungeon
no way to survive of the close shadows' fall
shadows' fall...
And so she made her choice
seeing Arkan fooling himself with lost hopes
She left her lover's arms
and crying she started to run away...
to them!
She looked at him praying... "forgive me!"
but he could nost answer at all
she was going to be killed by the mass of those riled
now screaming and trying to stop all their pain
'cause she would have been surely tortured by all of those religion's
fools
he was then obliged to shoot at his princess
to avoid the brutality of his now... dead old friends
She was now lying there,dying in a lake of ice and blood
While he, embracing her, was killing them with his red eyes
WHEN HER BLOOD RAN THROUGH THE DARK ICE
THE SURFACE BEGAN TO TREMBLE
QUAKES AND THUNDERS CLASHING EVERYWHERE
THIS IS ZAEPHYR'S TRAGIC DOOMSDAY
WHAT WAS UNREVEALED SO EVEN
TO THE PROPHET OF THE LAST ECLIPSE...
LAST ECLIPSE
No trace of life around
What happened to his ancient town?
He hopes it's not a dream
But it's the sun now lighting him..?
Era difficile distinguere il succedersi dei giorni, a palazzo.
Nei corridoi illuminati dalle fiaccole, si poteva indovinare il passare
del tempo dal loro consumarsi.
La
regina di Suwa, nel buio che la circondava strisciando fuori dalle
ombre negli angoli delle sue stanze fino ad insinuarsi nella sua mente,
poteva con difficoltà distinguere la realtà dai
sogni.
“La luce
tornerà.” disse ad un tratto, le palpebre
socchiuse a permettere che i
suoi occhi osservassero ciò che solo a lei era consentito di
vedere.
Il re la guardò, senza sapere se essere contento o
spaventato per quelle sue parole.
“Se
ne vuole andare… e finirà per col farlo.
– tornò ad aprire gli occhi,
sollevandoli sul marito – Te lo avevo detto, che sarebbe
passato molto
tempo prima del momento in cui avremmo potuto rivedere nostro
figlio.”
Un dito sottile, gentilmente posato sulle labbra del re,
bloccò sul nascere qualsiasi replica.
“Ma tornerà indietro. La luce
tornerà.”
Il re di Suwa chinò il capo, prendendo la mano della regina
tra le sue e posandovi un bacio.
Il
cielo oltre il passo era nero, ma anche
nell’oscurità di quella notte
innaturale si potevano scorgere gli sbuffi di neve che, come vapore, si
sollevavano dalle cime dei monti per via del forte vento che soffiava.
Dietro
di loro, sempre più chiari e distinti, giungevano i rumori
dell’inseguimento: i soldati di Kurogane li avevano quasi
raggiunti.
Il
principe, tuttavia, non si guardava alle spalle; davanti a loro si
ergeva il passo, e oltre il passo si trovava la Cometa. Era
lì che
dovevano arrivare, prima di poter tornare a voltarsi.
Spronò il cavallo finché il percorso non si fece
chiaramente troppo impervio per l’animale.
Sotto
gli strati di ghiaccio e neve, c’era la frana provocata
dall’impatto
della Cometa nella valle. Fay ricordava quando l’aveva
percorsa in
discesa, stringendosi a Kurogane per non perdere
l’equilibrio, incerto
sulla gambe. Nonostante ora la sua mente fosse satura di ricordi ed
immagini del suo passato, e quella frana fosse sepolta sotto tanto
gelo, tutto era perfettamente fulgido nella sua mente come se fosse
appena accaduto.
Non aveva un pianeta dove tornare: se anche
avessero raggiunto la Cometa, dove sarebbe potuto andare? Celes con
ogni probabilità era ormai morto, congelato in quello spazio
buio e
silenzioso.
Avrebbe fatto meglio ad inciampare, quel giorno di tante settimane
prima, e non arrivare mai al palazzo di Suwa.
“Tieni.”
fece Kurogane, mettendogli in mano le briglie del destriero ed
allontanandosi in fretta dal cavallo alla ricerca di un punto in cui
neve e ghiaccio non rendessero impossibile la salita.
Fay voltò gli occhi stanchi sulla valle dietro di lui.
Poteva vedere i soldati; erano davvero vicini, ormai.
Guardò
Kurogane, nervosamente impegnato in quella ricerca senza speranza: non
c’era un posto dove nascondersi, nessuna via di fuga in quel
labirinto
scuro e ghiacciato.
Così, Fay scelse.
A fatica – era esausto,
provato dal freddo e dalle emozioni – risalì sul
cavallo e lo spronò,
lanciandolo al galoppo nella direzione dei soldati.
Non appena sentì il trambusto, Kurogane si voltò,
e i loro sguardi si incontrarono.
Mi dispiace davvero, Kurorin…
mormorò Fay a fior di labbra.
Kurogane
gridò, facendo due passi verso il cavallo e quasi
incespicando nella
neve, prima di rendersi conto che non sarebbe mai e poi mai riuscito a
fermare Fay.
Con orrore crescente, guardò Fay cavalcare verso i suoi
uomini.
Quelli,
a vederselo venire incontro, avevano lanciato un grido di battaglia ed
estratto le spade. Si sarebbero avventati su di lui senza
pietà alcuna,
impazziti per la paura e il buio e il freddo e la stanchezza.
Poteva
già vedere le lame di Suwa calare inesorabilmente sullo
straniero per
massacrarlo – non avrebbero avuto la pietà di
concedergli una morte
rapida, lo sapeva per certo.
E Fay, solo, stava cavalcando incontro alla sua morte.
Si ritrovò a stringere in mano la pistola.
C’è energia per un colpo soltanto. Non
puoi combattere i demoni con questa.
Non
poteva nemmeno combattere i suoi uomini. Maledizione, a che punto erano
arrivati, che immaginava di sparare ad uno dei suoi soldati? Ma anche
così, non avrebbero desistito… erano troppi
perché potesse opporsi, in
quel frangente.
…ma puoi usarla su di me, e porre fine a tutto
questo una volta per tutte.
Morto io, tutto tornerà come prima.
Avrebbe voluto avere il tempo di imprecare, di urlare a quel cielo nero
tutta la sua disperazione.
Ma Fay era sempre più lontano da lui, e sempre
più vicino ai soldati.
Sollevò
l’arma quasi senza pensarci. Prese la mira automaticamente,
come se
fosse di nuovo nel bosco vicino alla sua città, ad
esercitarsi sui
tronchi d’albero.
Premere il grilletto venne di conseguenza, e
vedere Fay piegarsi in due sulla sella non fu che l’esito
naturale
delle sue azioni. Bersaglio centrato.
Quando si permise di comprendere appieno quello che aveva fatto, stava
già correndo verso il punto in cui Fay era caduto.
Gantai e gli altri soldati fermarono i cavalli a qualche metro di
distanza.
Kurogane era inginocchiato nella neve, e stringeva Fay fra le braccia.
Fino
a qualche istante prima, lo aveva sentito muoversi. Gli aveva preso una
mano, e le sue dita sottili, per un attimo, avevano ricambiato la
stretta.
Ora era immobile, la testa riversa all’indietro.
Sulla
neve sotto di loro andava spandendosi una macchia scura, e Kurogane lo
sosteneva come ad evitare che affogasse in quel lago di ghiaccio e
sangue.
Sangue caldo, che aveva intriso gli abiti di Kurogane; ma,
pian piano, il vento gelido si era portato via quel tepore, lasciando
il principe a rabbrividire per il freddo.
Gantai e i soldati
smontarono lentamente da cavallo, senza però rinfoderare le
lame, quasi
aspettandosi che lo straniero si risvegliasse, e che richiamasse a
sé i
mostri.
O forse, si chiedevano se il principe stesso non fosse diventato un
demone a sua volta.
Kurogane
alzò gli occhi, e le sue pupille scarlatte dardeggiarono su
di loro,
ferine; emanavano un bagliore sinistro alla luce delle stelle.
“Ce n’è per chiunque osi avvicinarsi
più di così.” ringhiò
minaccioso, sollevando la pistola che aveva in mano.
Non era vero, ma i suoi soldati non potevano saperlo. Rimasero
immobili; alcuni fecero qualche passo indietro, spaventati.
Gli occhi del principe erano asciutti, incandescenti di rabbia.
Il sangue smise di allagare la neve, mentre il cuore di Fay cessava
lentamente di battere.
Mentre
smetteva di respirare, i tratti delicati del suo viso si rilassarono,
levigandogli la fronte e facendo sparire l’espressione di
dolore
causatagli dall’agonia.
Kurogane pensò che l’aveva stretto tra
le braccia in questo modo anche la prima volta che lo aveva incontrato;
la vita di Fay era sempre dipesa da lui, fin dal primo giorno. Era
stato lo straniero a metterla fra le sue mani, e lui ne aveva accettato
la responsabilità.
Forse, a Fay non sarebbe nemmeno dispiaciuto morire a questo modo.
…maledizione!
Un brivido lo scosse, ma non era il freddo.
Non era nemmeno dolore.
Era
rabbia, potente rabbia per tutte le cose che erano successe e che lui
non aveva potuto impedire. Era una rabbia irrazionale ed istintiva.
Fay
era morto, e lui – che più di chiunque altro,
perfino più di Fay
stesso, avrebbe voluto vederlo vivere – era il suo uccisore.
Alzò
gli occhi sui soldati silenziosi, fermi di fronte a lui, fece per
alzarsi e per… oh, non sapeva nemmeno lui che cosa aveva
intenzione di
fare.
Né lo seppe mai.
Improvvisamente, le montagne attorno a
loro tremarono, un tremito simile a quello della notte in cui si era
schiantata la Cometa, leggermente più lieve, ma continuo.
Mentre
sollevavano gli occhi verso il passo, sentirono il boato; migliaia di
tuoni scoppiati all’unisono, il cui rombo aumentava
inesorabile, mentre
la valanga si staccava dalla cima. Sembrava che la montagna stessa
crollasse, rovinando verso di loro.
“Principe!”
Gantai aveva afferrato un braccio di Kurogane, tentando di smuoverlo.
“Dobbiamo andarcene!” fece per toccare Fay, ma
Kurogane si liberò bruscamente dalla sua presa.
“Maestà, salite!” implorò
Gantai, porgendogli le briglie del suo cavallo.
I
loro sguardi si incrociarono per un breve istante. In quel momento,
nonostante ciò che era successo, gli anni di addestramento e
missioni
compiute insieme, l’affiatamento che li aveva uniti in tutto
quel tempo
tornarono a prevalere.
L’attimo dopo, Kurogane era in sella, il corpo di Fay stretto
al petto, e aiutava il suo tenente a salire dietro di lui.
Spronarono
il cavallo verso la collina dove si erano accampati la notte
dell’impatto della Cometa: li aveva salvati dalla frana,
avrebbe potuto
essere un rifugio anche dalla valanga.
Ma la massa di neve si
avvicinava a velocità spaventosa, fischiando e tuonando come
un’enorme
drago bianco. Erano quasi riusciti ad arrivare alla collina, quando la
valanga li raggiunse.
Li prese di striscio – ai lati, al sua potenza
era meno dirompente – e mentre la neve lo circondava
soffocandolo e
trascinandolo con sé nella sua corsa, Kurogane
tentò con tutte le sue
forze di liberarsi da quella massa gelida.
Tutto divenne prima bianco e poi buio.
C’erano
due cose di cui era consapevole: il corpo di Fay, che si stringeva
ancora al petto, e la via di fuga che tentava di aprirsi nella neve.
Alla
fine, emerse nell’aria gelida, respirandola a pieni polmoni;
tentò di
aprire gli occhi ma dovette richiuderli subito, improvvisamente
accecati dalla luce che illuminava il paesaggio immoto e privo di vita
attorno a lui.
Dove’era? Dov’erano i suoi uomini?
Dov’era Gantai?
Non capiva se fosse o meno un sogno… ma era il sole che lo
stava illuminando?
Alzò
gli occhi, doloranti per il gelo e la luce improvvisa, e la prima cosa
che pensò fu che le stelle del cielo si fossero avvicinate
per
osservare quella strana tragedia più da vicino.
Qualcosa di enorme e
luminoso incombeva sopra di lui, i contorni lucidi che rilucevano degli
stessi bagliori che emanava, la superficie ricoperta e quasi ornata di
punti luminosi freddi e scrutatori.
Tutt’ad un tratto, dal buio di quella massa misteriosa, si
accese una luce più forte.
Kurogane sentì un rumore metallico e, istintivamente,
strinse più forte ancora il corpo di Fay, gelido e ricoperto
di neve.
Un’improvvisa
esplosione di luce lo accecò, e non ebbe più
coscienza di tutto quello
che lo circondava; il terreno sotto di lui perse consistenza,
l’aria da
gelida divenne incandescente, il vento ululò più
forte che mai.
Quando
i suoi occhi tornarono a vedere, non era più immerso nella
neve. Le sue
ginocchia poggiavano su qualcosa di liscio e duro.
Sbatté le palpebre, guardandosi attorno, mentre le sue mani
scorrevano sul corpo di Fay per accertarsi che fosse ancora
lì.
L’ambiente
era illuminato da una luce soffusa e tenue; da quel che poteva capire,
si trovava in una sorta di corridoio biancastro – Kurogane
era certo di
non aver mai visto un simile materiale prima d’ora.
Dal nulla,
qualcosa si materializzò di fronte a lui e
d’istinto il principe mise
mano alla spada che portava ancora al fianco (aveva perso la pistola
nella neve). Ma la sua mano si fermò sull’elsa.
Davanti a lui fluttuava una fanciulla, le forme aggraziate e minute
avvolte in un abito candido.
Kurogane
la osservò a lungo, prima di parlare. I piedi della ragazza
non
toccavano il pavimento, né il suo corpo proiettava alcuna
ombra.
“Sei uno spirito?”
La
fanciulla non gli rispose, ma si limitò a scrutarlo con
espressione
vuota. Dopo qualche istante, si fece da parte e iniziò a
fluttuare
lungo il corridoio, continuando a guardarlo.
Kurogane si alzò, e
mosse due passi nella sua direzione, interpretando il gesto
dell’altra
come un invito a seguirlo. La ragazza si mosse più
velocemente, e il
principe le andò dietro.
Fay era ormai un pesante fardello immobile tra le sue braccia.
Man
mano che camminava, Kurogane lasciava impronte di neve umida dietro di
sé. I suoi vestiti zuppi ne erano pieni, così
come quelli di Fay, ma al
biondo la neve ed il freddo non avrebbero più dato fastidio.
Dopo
il corridoio, attraversarono altri ambienti cui Kurogane non
tentò
nemmeno di dare un nome o di qualificare in qualche modo.
Alla fine,
giunsero a quella che sembrava una grande sala dalle pareti ricoperte
di pannelli metallici su cui brillavano piccole luci intermittenti.
La ragazza si fermò nel centro, la sua figura immobile e
silenziosa.
Ad
un tratto, uno dei pannelli si aprì e ne uscì
quella che a Kurogane
sembrò una spessa cassa di metallo. Senza che nessuno
toccasse nulla,
il suo coperchio si sollevò.
Si aprì silenziosamente, rivelando un interno color crema,
una sorta di giaciglio.
Il principe lo guardò con un interesse distante, assente.
Si chiese se forse non fosse finito all’interno della Cometa.
Se io muoio… la stessa Cometa…
lascerà questo pianeta.
Chissà, forse la Cometa si era fermata a raccogliere Fay per
portarlo con sé nel suo viaggio tra le altre stelle.
Guardando
quella strana cassa in metallo, Kurogane si chiese se non fosse una
bara; lunga e stretta, sembrava fatta apposta per adagiarvi un cadavere.
Chinatosi
a terra, aprì la fibbia del mantello di Fay, fradicio di
neve. Le sue
mani indugiarono mentre gli slacciavano la tunica, muovendosi sopra
l’enorme macchia rosso scuro che gli tingeva il petto. Sotto,
portava
una camicia di lana; il foro del colpo era ben visibile, sotto al
cuore, il tessuto bruciato e i lembi modellati dal sangue raggrumato.
Le sue dita corsero alla ferita, carezzando per un istante quel torace
gelido ed immobile.
Finito
di spogliarlo, lo adagiò nella bara. Gli scostò
le ciocche di capelli
bagnati dal viso, come se li sistemava sempre Fay, pettinandogli con
cura un ciuffo dietro l’orecchio.
Mentre le sue dita indugiavano
ancora su quella fronte terrea, sentì uno strano rumore, e
il coperchio
si mosse improvvisamente per chiudersi.
Kurogane ritirò le mani, allarmato e rassegnato allo stesso
tempo.
Era il suo addio, allora?
Qualcosa
si illuminò, sulle pareti della stanza. Vide linee di luce
di svariati
colori, sentì strani rumori metallici. E la
“bara”, improvvisamente,
prese a vibrare; non tremava visibilmente, ma poteva sentirla fremere.
Vi posò una mano: era calda.
Lo
spirito della fanciulla era sempre immobile al centro della stanza, lo
sguardo vacuo posato sul principe, che tuttavia sembrava essersi
dimenticato di lei.
Dopo qualche istante, Kurogane fece un passo
indietro e crollò a terra, la testa fra le mani. Non capiva
cosa
significavano quei rumori, non sapeva dov’era, non aveva la
minima idea
di quello che gli sarebbe accaduto. Ma soprattutto, niente di tutto
ciò
gli importava davvero, in quel momento.
Nella sua mente, si accavallavano le immagini di quelle ultime
settimane; dei giorni trascorsi da quando aveva incontrato Fay.
La
sua diffidenza, mai vinta fino in fondo ma certo sconfitta
temporaneamente da quegli occhi e da quel suo corpo sottile tra le
braccia.
Il sospetto di Gantai, i suoi dubbi inespressi. La rabbia
dei suoi uomini. La sua, verso di loro, verso il cielo, verso Fay.
Verso se stesso, che non era riuscito a proteggerlo se non avverando
quel suo patetico desiderio.
Hai vinto tu. Adesso vieni a dirmi se ho fatto bene.
Una strana luce gli raggiunse le palpebre attraverso le dita che gli
coprivano il viso.
Alzò gli occhi: la “bara” ronzava
quietamente, ora.
Lento, il coperchio tornò a sollevarsi.
Kurogane si alzò, sporgendosi al di là del bordo,
colto da un’improvvisa agitazione.
Il
viso di Fay era cinereo ed imperlato di sudore. Sotto al cuore, la
ferita era scomparsa, rimpiazzata da una cicatrice di pelle rosea, che
si tendeva leggermente al regolare alzarsi ed abbassarsi del petto.
Prima di rendersi conto di cosa stava facendo, Kurogane si
chinò su di lui, afferrandolo per scuoterlo violentemente.
“Svegliati, maledizione!” ruggì.
Non
gli passò per la testa che poteva fargli male, o forse non
gli
importava. Voleva solo che quella speranza convulsa e appena nata non
venisse delusa.
Dopo un attimo, Fay aprì gli occhi, mettendo lentamente a
fuoco il viso disperato ed adirato a pochi centimetri dal suo.
Un
pallido sorriso gli si dipinse sulle labbra, mentre l’altro
gli urlava
in faccia: “Un’altra alzata di testa
così, e ti ammazzo
definitivamente!”
Esausto, il biondo reclinò la testa all’indietro,
richiudendo gli occhi. La sua mano andò a sfiorare il dorso
di quella
di Kurogane che gli stringeva la spalla, in una piccola carezza
rassicurante.
Il principe, tremante, lo osservò riaddormentarsi,
mentre le sue guance riprendevano un leggero colore rosato.
Guardò le
sue labbra socchiudersi leggermente nel respiro del sonno, e non vide
più altro, perché le lacrime improvvisamente gli
offuscarono la vista.
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Capitolo 12 *** Epilogo ***
@ Tomoyo93: Grazie mille! Ad "almeno tu nell'universo" non ci
avevo pensato, quando ho letto il tuo commento mi è venuto
da ridere XD
@ Mistral: grazie carissima. In realtà il finale drammatico
era voluto dalla trama, ma del resto ho scelto questa trama proprio per
il finale drammatico! Comunque l'happy ending - o qualcosa di simile -
alla fine ci voleva, se non altro perchè ho già
sofferto abbastanza angst made in Clamp e alla fine non riesco a far
soffrire troppo i personaggi che hanno già avuto le loro
batoste...
Bene, ecco a voi l'epilogo! ^^ In fondo troverete alcune note sulle
canzoni e sulla storia, nonchè alcuni miei commenti
personali.
Buona lettura!
Ultima cosa: le canzoni sono finte, ma io vi potrei consigliare un
adeguato sottofondo comunque.. Dvorak, la
Sinfonia dal nuovo mondo, largo dal secondo
movimento.
EPILOGO
Il principe se ne stava in piedi, a braccia conserte, osservando il
panorama.
Non
era certo la prima volta che si ritrovava a guardare il cielo stellato
– anzi, era capitato fin troppo spesso, in quegli ultimi
giorni.
Lo
guardava rilucere sopra di lui come quando dormiva
all’aperto, durante
una spedizione lungo i confini o una battuta di caccia, mentre sotto la
schiena sentiva le asperità e le durezze del terreno. Ma non
gli era
mai capitato di guardarlo attraverso una finestra, senza che ci fosse
una panorama di montagne o pianura, di terra, a
fargli da contrappeso.
Il cielo, adesso, si estendeva ovunque, sopra, sotto, attorno a lui,
infinito.
Alle
sue spalle, sentì un leggero scalpiccio di piedi nudi. Fay
gli si
avvicinò lentamente, avvolto in una lunga veste bianca, che
teneva
chiusa con le dita all’altezza del petto.
“Dovresti toglierti questi
vestiti, Kuropon. Avrai freddo.” disse piano - Kurogane si
era tolto il
mantello, ma anche il resto dei suoi abiti era umido.
Il principe gli rivolse una breve occhiata, ignorando la sua
affermazione.
“Dove siamo?”
Fay gli si affiancò per guardare il nero punteggiato di
corpi celesti che li aveva inghiottiti.
“La Cometa era programmata per fare ritorno al mio pianeta,
qualora mi fosse successo qualcosa.”
“Che ne è stato dei demoni?”
Fay
si allentò la veste, facendola scivolare lentamente dalle
spalle,
rivelando la sua schiena e il tatuaggio che vi era inciso. Ora una
piccola cicatrice interrompeva il disegno sotto la scapola sinistra.
“Sono morti quando mi hai colpito. Il raggio ha trapassato il
macchinario nella mia schiena, distruggendolo.”
“E adesso? Stiamo andando verso il tuo mondo?”
Fay scosse la testa “Ho bloccato la Cometa. Ti riporto
indietro, prima.”
“Prima di cosa?”
Gli
occhi celesti dell’altro sfiorarono appena quelli scarlatti
del
principe, per poi vagare attorno, come alla ricerca di un appiglio.
Kurogane sbuffò.
“Ascoltami
bene. – aggrottò le sopracciglia, concentrandosi
su quello che doveva
dire. Sembrava stanco, stanco di ripetersi, stanco di combattere
– Ti
ho già dato corda una volta, giusto?”
Fay lo guardò di sottecchi.
Era vero, era stato lui a chiedergli di sparare, e Kurogane, alla fine,
era stato costretto a farlo. Aveva visto il suo volto distrutto, quando
si era svegliato, e i suoi occhi arrossati dal pianto. Non pensava che
il principe potesse piangere… non per lui, almeno.
“Pensi forse che lo farò di nuovo?”
rincarò.
Il biondo tornò a fissare il pavimento. Nonostante la
stanchezza, il tono del principe era deciso, duro.
“No.” gli rispose alla fine, con un mezzo sorriso.
Kurogane lo trapassò con lo sguardo, come ad accertarsi che
avesse capito bene.
“Allora non blaterare di andartene chissà
dove.”
Fay
sospirò. Il mezzo sorriso sulle labbra divenne un sorriso
intero,
mentre scuoteva lentamente la testa. Kurorin era un tipo…
possessivo.
“La fai sempre troppo semplice, Kurosama.”
L’altro
sbuffò di nuovo. Era vero, forse; tutto quello che voleva
era tornare a
casa sua e portare con sé Fay. Era anche vero che di tutte
le
spiegazioni complesse che il biondo gli aveva fornito, il principe non
era affatto certo di averne compresa che una piccola parte.
“La Cometa non può tornare a Suwa così.
Nemmeno io posso.”
Era
una semplice constatazione; con che coraggio avrebbe osato guardare in
faccia la gente di Kurogane, i suoi genitori, Gantai e gli altri
soldati, dopo quanto accaduto?
Il principe tornò a fissare il
buio al di fuori dell’astronave. Non sapeva che fine avessero
fatto
Gantai e gli altri uomini, e si era costretto ad accantonare quel
pensiero solo perché sapeva di non poter fare nulla per loro.
In
effetti, l’essere sospeso in quel vuoto stellato
all’interno di quella
bizzarra Cometa gli dava una sensazione di impotenza…
nessuno dei
problemi che riguardavano Suwa poteva essere risolto, finché
non ci
tornavano.
I suoi occhi tornarono a fissarsi su Fay, che alzò le mani
come in segno di resa.
“Se la Cometa torna a Suwa e ci resta, potrebbe succedere
tutto di nuovo… il ghiaccio e l’eclissi.”
Si
risistemò la veste attorno alle spalle, e fece cenno a
Kurogane di
seguirlo attraverso gli strani ambienti della Cometa. Dopo una ripida
scaletta in metallo e un corridoio stretto e basso, si ritrovarono
davanti ad una grossa porta.
Dopo aver inspirato a fondo, Fay
premette qualcosa sullo stipite, e la porta si aprì con uno
sbuffo, il
metallo di quello che sembrava essere il battente che scompariva
risucchiato nella parete.
“Tutto questo… io non l’ho visto che
dopo
la partenza.” disse superando la soglia e facendosi di lato
per far
passare anche Kurogane.
Il principe entrò e i suoi occhi si
assottigliarono, mentre tentava di decifrare quello che stava vedendo.
La stanza era sorprendentemente grande, poco oltre la soglia il
pavimento si abbassava repentinamente, e strane strutture metalliche si
ergevano al suo interno. Avrebbero potuto sembrare colonne, forse.
Lampi di luce multicolore dardeggiavano tra di esse, piccoli serpenti
che stiracchiavano a pigri guizzi le proprie spire, come preparandosi
per spiccare balzi più potenti.
Fay incrociò le braccia, stringendosi la veste al petto.
Qualsiasi
cosa Ashura fosse riuscito a costruire, era troppo pericolosa e
potente. Fin dal primo momento in cui aveva aperto la porta di quella
sala, aveva provato uno strano brivido a vedere quel marchingegno, ed
ora che era stato testimone di quello che poteva fare, quello
spettacolo gli dava la nausea.
Ancora non si capacitava di come
Ashura fosse riuscito a progettarla a parte e ad aggiungerla alla
Cometa senza che tutto il resto della struttura
dell’astronave ne fosse
compromesso…
Come gli venne quel pensiero, si lasciò quasi sfuggire
un’esclamazione di sorpresa.
Kurogane si voltò verso di lui con aria indagatrice, ma Fay
non gli badò.
Qualsiasi cosa fosse, era stata aggiunta, e
poteva di conseguenza essere tolta.
Improvvisamente, si trovò a chiedersi se per caso Ashura non
l’avesse fatto apposta.
“Sarai il primo a cui faremo
l’operazione. Vedrai che andrà… tutto
bene.”
Non
aveva cambiato espressione, sembrava tranquillo come al solito.
Pallido, come al solito. Ma per un breve momento, qualcosa nel suo
sguardo era diventato instabile, come se stesse trattenendo a stento
una smorfia di dolore.
“Che cosa avete trovato esattamente nel vostro
viaggio?”
“Non chiedermelo, Yuui… non chiedertelo.
– gli mormorò nell’orecchio –
Riuscirò a non fartelo scoprire mai.”
Il
campo di asteroidi in mezzo a cui era finita la Cometa non previsto
sulla sua rotta… era di formazione recente, o forse era
stata
l’astronave ad uscire dal cammino prestabilito?
Che Ashura avesse tentato di… fermarlo, in qualche modo? Di
impedirgli di portare a termine quella missione di distruzione?
Un’ombra
di tristezza passò nei suoi occhi. Ashura era tornato che
non era più
lo stesso, ma qualcosa di lui, sotto quella strana patina di aliena
estraneità che lo aveva ricoperto, era sopravvissuto.
Ma ormai era
troppo tardi per Ashura e per Celes. Il suo pianeta era ormai
probabilmente ricoperto dal ghiaccio. E in ogni caso, la Cometa era
troppo danneggiata per riportarlo lì, al suo mondo senza
futuro…
“Che c’è?”
Sentì il respiro di Kurogane sul volto e, riscuotendosi dai
suoi pensieri tutto di colpo, si voltò a guardarlo.
Non aveva mai pensato di avere un futuro, a Celes. Non aveva mai
pensato di avere un futuro da nessuna parte.
Ma osservando quegli occhi scarlatti, per la prima volta, gli venne in
mente che, se non c’era, poteva tentare di costruirselo.
“Forse, me ne posso liberare.”
Il principe inarcò un sopracciglio, dando segno di non aver
capito.
Fay
non gli rispose, ma lo afferrò per un polso e se lo
tirò dietro,
lasciandosi alle spalle la sala e la sua porta, che si richiuse con uno
sbuffo.
Tornarono in una delle sale piene di pannelli metallici e lucine
lampeggianti.
“Chii
– chiamò Fay, e immediatamente la ragazza si
materializzò come
d’incanto al suo fianco – mostrami i progetti della
Cometa, nel
dettaglio.”
La figura femminile svanì, lasciando al suo posto una
struttura di linee luminose che formavano dei complicatissimi disegni
geometrici.
Kurogane si avvicinò incuriosito, per osservarli da vicino,
anche se ciò non gli permise di comprenderli meglio.
“…come
vedi, qui, è possibile sganciare questa parte…
questo corridoio è un
compartimento stagno, quindi non ci saranno
problemi…” stava spiegando
il biondo, gesticolando su e giù in mezzo a quegli strani
segni
luminosi.
“Che diamine significa?” grugnì
l’altro, vagamente di malumore per il fatto che non capiva.
Fay si fermò a guardarlo.
“Significa
che posso togliere quel marchingegno diabolico dalla Cometa. Se anche
tornerà a Suwa, non ci saranno pericoli.” rispose,
tentando di ignorare
le implicazioni di quell’ultima frase.
L’altro lo osservò per qualche tempo senza dire
nulla.
“Allora fallo.” disse alla fine.
Fay gli sorrise, accondiscendente. “Beh, non posso mica farlo
qui, in mezzo alla galassia… occorre trovare un posto
adatto…”
Kurogane sbuffò.
“Chii, mostrami la mappa di questo settore di
galassia.”
I disegni si trasformarono, divenendo tanti punti luminosi affiancati
da piccoli ghirigori che potevano essere scritte.
Fay
ci si perse dentro, osservandoli, facendogli cambiare forma e
dimensioni con semplici gesti della mano. Kurogane rimase ad osservarlo
tra lo scontroso e l’incuriosito, conscio di non capire ma
anche
piuttosto ammirato per quella specie di magia che gli vedeva compiere.
Alla
fine, Fay sembrò soddisfatto
“C’è un posto dove credo proprio di
poter
abbandonare quell’aggeggio senza rischiare di fare troppi
danni.”
annunciò.
“Dopodiché, torneremo a Suwa.”
puntualizzò Kurogane.
Fay abbassò il capo. Non c’era modo di sfuggirgli.
Non si sentiva pronto né tantomeno meritevole di tornarci,
ma questo era un problema che, tutto sommato, poteva affrontare dopo.
“Sai,
ci vorrà del tempo, Kurorin… Questo satellite
è distante, e parte del
sistema di navigazione della Cometa s’è guastato
nell’incidente… per
cui il viaggio sarà un po’ lento.”
disse, scuotendo la testa mestamente.
Kurogane aggrottò le sopracciglia.
“Questo significa…”
“…che
per un bel po’ dovrai sopportare unicamente la mia compagnia,
Kurosama!
– esclamò Fay, voltandosi verso di lui con un
sorriso che gli andava da
un orecchio all’altro - Scommettiamo che alla fine mi
implorerai perché
me ne vada?!”
Kurogane spalancò gli occhi, preso in contropiede, ma subito
il suo stupore si trasformò in un ghigno divertito.
“Tsk. Voglio proprio vedere chi di noi due sarà il
primo ad implorare…”
E
subito dopo era su di lui, a cingergli la vita con le braccia, le sue
labbra che si impossessavano di quelle di Fay, mozzandogli il respiro
per la sorpresa, lasciandogli solo il tempo per arrendersi alla sua
stretta.
Cosa che il biondo fece ben volentieri.
Gli
occhi chiusi, Fay percorreva col viso la schiena di Kurogane, gli
avvallamenti tra le sue scapole e la spina dorsale, le narici inebriate
dal suo odore caldo e rassicurante.
Pensò alla danza dei pianeti e delle stelle, ai loro
delicati equilibri dettati dalla forza di gravità.
Nel
buio, poteva sentire quella stessa forza avvicinarlo lentamente al
principe, una caduta inesorabile, come quella della cometa sul mondo di
Kurogane.
Percepiva il suo corpo attrarlo a sé, il suo calore
irradiarsi sulla sua pelle anche se non lo stava toccando, come
un’aura
avvincente e morbida, impossibile da ignorare.
Avevano ruotato l’uno attorno all’altro come un
satellite ed un pianeta, fino al momento dell’impatto.
Fay
ripensava al buio e al freddo di Celes, alle albe livide e scure della
sua atmosfera rarefatta; l’alba di Suwa era una lenta ondata
di colori
che si rivelavano man mano che quel sole generoso li svelava,
scoprendoli dalle ombre grigio azzurre della notte.
“Sai, nello spazio non vedi mai un’aurora,
perché il sole non sorge, e non c’è
un’atmosfera a rifrangerne la luce.”
Era
stato solo, nello spazio, circondato da quelle stelle distanti e
gelide. Ma non ci aveva fatto troppo caso, prima… mentre
adesso, adesso
sì che capiva quanto era stato solo.
“Invece, quando hai un pianeta sai sempre dove guardare per
vedere l’alba.”
Kurogane si voltò lentamente verso di lui, incontrando i
suoi occhi.
“E tu lo hai trovato, un pianeta.”
In tutta risposta, Fay gli sorrise e affondò il viso nel suo
collo.
…anche
nei più remoti spazi siderali, può accadere che
una combinazione
incredibilmente favorevole di caso e leggi fisiche faccia incontrare
uno di quei pianeti freddi e bui con la luce di una stella, e che
questo pianeta, da brullo e inanimato, germogli di vita, fecondato dai
raggi del suo sole.
Tutto ciò può essere chiamato miracolo,
casualità, probabilità o destino.
La
Cometa aveva attraversato intere galassie per arrivare fin
lì. Uscita
dalla sua rotta, le probabilità che impattasse su un pianeta
vivo erano
quasi inesistenti.
Con tutti i mondi che esistevano nell’immensità
dell’universo, che Fay incontrasse Kurogane era praticamente
impossibile.
Eppure, era successo.
E
questo era abbastanza per far sì che Fay finalmente
accantonasse tutti
i pensieri, per lasciare che accadesse ancora, e ancora, e ancora.
*the end*
NOTE FINALI
• Sulle canzoni
Le canzoni provengono dai CD “Prophet of the Last
Eclipse” e “Demonheart”
di Luca Turilli, entrambi del 2002.
Spero
le abbiate ascoltate tutte perché, anche se sono anni e anni
che
continuo ad ascoltarlo, questo lavoro di Turilli non smette mai di
sorprendermi e piacermi da impazzire. Nonostante ami tutti i suoi
lavori e quelli dei Rhapsody, a parer mio questo è quello
riuscitogli
meglio.
Le canzoni “War of the universe”, “Rider
of the astral
fire”, “Zaephyr’s skies theme”,
“The age of mystic ice”, “Prince of the
starlight”, “Timless oceans”,
“Demonheart”, “Prophet of the last
eclipse” provengono da Prophet of the last eclipse
(di cui ho
tralasciato solo “Aenigma” e “Nex
Century’s Tarantella” – per quanto in
proposito mi fosse partito un allegro trip mentale di loro che
incontravano una popolazione di altrettanto allegri Mokona…
la canzone
è questa,
datevi una letta al testo per capire cosa intendo); “Dark
Comet’s
reign”, “Rondeau in c min” e
“Black realms majesty” vengono invece da Demonheart.
In alcuni casi non ho riportato integralmente il testo della canzone.
Ad
esempio, in “Dark Comet’s Reign”
c’è la descrizione di come Sania venga
ritrovata all’interno della Cometa, unica superstite in mezzo
ai
cadaveri del resto dell’equipaggio. Siccome ho cambiato
questa parte,
ho anche tralasciato di riportare la strofa corrispondente.
• Sulla storia, sui personaggi e sulla scelta del
finale
La
storia è quella raccontata nel cd, con i cambiamenti del
caso.
Ovviamente, i personaggi sono tutti cambiati – eccezion fatta
per
Vaikaris, che è una sorta di sacerdote e viene nominato in
“Black
Realms Majesty”.
Arkan sembra più un eroe classico che non un
Kurogane, e in effetti Kurogane in questa storia ha perso un buona
parte della sua Kuroganosità… Ciò
detto, l’ho anche fatto
consapevolmente perché in questa storia Kurogane non ha
perso i
genitori, quindi non ha ricevuto quel trauma che nel manga originale
segna poi la sua crescita e il suo carattaere in una maniera ben
determinata.
Ma parliamo di Gantai… allora, l’idea del pg mi
viene naturalmente dal tipo bendato che sta sempre appiccicato al
Kurobabbo in Tsubasa, non per nulla l’ho chiamato Gantai che,
Neera-san
docet, vuol dire benda in giapponese. Detto questo, probabilmente
è
andato OoC. Ma è anche difficile dirlo visto che si vede per
tipo due
capitoli XD
Mi sarebbe piaciuto sviluppare di più la parte di
Suwa, ma il cd non me ne dava il tempo. Volevo mantenere una certa
corrispondenza tra tracce e capitoli, e per come l’ho
strutturata è
finita così.
Il finale… è una cosa interessante.
Innanzitutto,
devo dire che uno dei motivi per cui ho scelto di scrivere una fan
fiction su questo CD è perché alla fine Arkan
(aka Kurogane) è
costretto ad uccidere Sania (aka Fay).
Il fatto di Kurogane
costretto a uccidere Fay era una delle cose che mi aspettavo di veder
succedere nel manga di Tsubasa (dopo il famoso “Se ci tieni
così tanto
morire, allora sarò io ad ammazzarti”, ero quasi
certa che si sarebbe
arrivati a un punto del genere… ma non è
successo). Allora mi sono
tolta lo sfizio :P
Detto questo, non poteva finire semplicemente
così. Sono stata indecisa per un bel po’ se
lasciare Fay morto o
trovare un modo per farlo sopravvivere. Alla fine, la mia parte buona
ha prevalso. ù_ù
In quanto al deus ex machina della Cometa che
arriva a ripescarli alla fine, è una mia invenzione, non
c’è nel CD,
anche se lo spunto mi viene dal fatto che nel libretto si menziona che
Arkan, dopo il terremoto, viene illuminato da una misteriosa
luce… che
alla fine ho fatto diventare un’astronave.
Ah, random, la scena
dell’ultimo capitolo dove Kurogane mette Fay nella
“bara” è una
citazione da Stargate, e anche un po’ da Il quinto elemento.
Quanto
alla distruzione e al male che la Cometa porta con sé, il CD
parla di
“Cosmic Evil” – Sania fa parte di una
spedizione per l’esplorazione del
cosmo, e lei ed il suo equipaggio finiscono in una sorta di mondo del
chaos primordiale, dove gli altri vengono sterminati: here
Sania was raped and seducted by evil to become a messenger of evil
herself and to spread oblivion to all the other systems.
(cit. dal libretto di Prophet)
Questa
parte l’ho cambiata. Avrei potuto lasciare così,
ma volevo metterci
anche Ashura e quindi alla fine ho preferito che fosse lui a venire
violentato dal male cosmico… cosa che alla fine gli succede
sempre
comunque.
Mi sono divertita tanto a scrivere questa
storia. Mi ha tenuto compagnia in vacanza sotto l’ombrellone
e in
innumerevoli notti in cui non riuscivo a dormire. Non sono del tutto
soddisfatta dal punto di vista della qualità, onestamente,
ma mi sono
divertita davvero tanto, a scriverla, inoltre sono anche contenta di
essere riuscita a finirla in tempi decenti – cosa che per me
costituisce davvero motivo di fierezza, visti i miei soliti ritmi.
Quindi,
grazie davvero a tutte le persone che l’hanno letta e
commentata, su
EFP e sul LiveJournal, e un grazie speciale ad A., che non la
leggerà
mai, ma che tanti anni fa mi ha fatto scoprire Turilli e per questo ha
sicuramente un grande merito!
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