Paure da Bambini

di Felis
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ciak #1: L'uomo Nero ***
Capitolo 2: *** Ciak #2: La Cantina ***
Capitolo 3: *** Ciak #3: Babbo Natale ***
Capitolo 4: *** Ciak #4: Il Lupo ***
Capitolo 5: *** Ciak #5: Ragni ***



Capitolo 1
*** Ciak #1: L'uomo Nero ***


Ieri sera mi sono ricordata che oggi sarebbe stato Venerdì 17. Non sarà come Venerdì 13, ma oh.

 

"Buona notte, tesoro." Immancabile, le aveva rimboccato le coperte anche quella sera.
"Mamma, non spegnere la luce, per favore" Disse, trascinando leggermente quell’ultima e, in quel tono un po’ di supplica che tanto piace ai bambini.
"Oh Tania, amore mio, non devi avere paura del buio.” Le sorrise, e in quell’espressione c’era tutto l’amore compassionevole di una madre. “Non c'è nessun mostro che possa sbucare fuori dal tuo armadio.”
In quell'istante ne fu quasi convinta anche lei.
"Adesso cerca di dormire."

Mentre varcava la soglia, la vide distintamente premere il dito indice su quel maledetto interruttore.
Poi la luce si spense, e seppe che fu uscita quando udì la porta chiudersi con un clack alle sue spalle.
Si rigirò un paio di volte nel letto, sistemandosi infine in posizione fetale, chiuse gli occhi, e si tirò il lenzuolo su fin sopra la testa, sperando di addormentarsi nel più breve tempo possibile.
Crick. Screeeak.
Lo scricchiolio delle assi sul pavimento.
Afferrò il cuscino, lo piegò in due, e infilò la testa nel mezzo, tenendolo ben stretto in prossimità delle orecchie.
Uno, due, tre, quattro, cinque. Contò.
Screeeeeeack.
Non funzionò. Lo sentiva ancora, anzi, lo sentiva meglio, più chiaro e più vicino di prima.
Allora tolse la testa dal rifugio del cuscino, sollevò il lenzuolo, si mise a sedere sul letto, le palpebre ben strette per la paura di quello che avrebbe potuto vedere se avesse aperto gli occhi.
"Non c'è niente." Tremava la sua voce. "Non c'è niente. Non ho paura." Ripeté per convincersi.
Scraaaaack.
Ma ancora, non funzionò.
Decise di sfidare la paura aprendo gli occhi.
Credette di vedere l'oscurità della sua camera muoversi, e convenire tutta insieme ai piedi del suo letto.

La tenebra si concretizzò in una figura quasi umana, che però umana non era; aveva braccia, gambe e una testa, ma non aveva un volto né lineamenti.
“Tu non esisti-“ Mormorò, ma questa volta non ebbe il tempo di convincersene, né di chiudere gli occhi e iniziare a contare.

L'uomo nero la inghiottì tutta intera.

 

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Capitolo 2
*** Ciak #2: La Cantina ***


Nuova pagina 1

“Nonna, la tua marmellata é la migliore del mondo!” Disse, con la bocca ancora piena di residui di biscotti abbondantemente arricchiti di quella squisita gelatina al sapore di albicocca.

“Sono felice che ti piaccia così tanto.” Rispose lei, sinceramente rallegrata da quel complimento.

“Oh, ma è finita…” C’era una punta di tristezza nella sua voce.

“Ne vuoi ancora, tesoro? Credo ce ne siano un paio di barattoli giù in cantina.”

“In cantina?” Le fece eco.

“Su, aiuta la tua povera nonna e vai a prenderla. E poi potrai rimpinzarti fino a scoppiare!”

Aveva sempre avuto paura della cantina.

Quel luogo umido, chiuso, infimo e buio gli incuteva un sincero e sinistro terrore.

“O-ok.” Deglutì.

“Oh Jacey, se vedi tuo nonno digli di portare dentro altra legna da ardere!” La sentì a malapena.

Non perché fosse troppo lontano, e in quella casa di campagna le pareti non erano certo delle più spesse, ma la sua mente era ben salda sul pensiero di ciò che lo aspettava.

Ok. Entri, scendi le scale, prendi la marmellata dal ripiano in fondo, risali le scale ed esci.

Nulla di più facile. Pensò, ma restò dell’idea che era più facile a dirsi che a farsi.

Stazionò per qualche istante dinanzi la porta di quercia della cantina, ed ebbe il tempo di notare che era piuttosto robusta.

Con la porta chiusa sarebbe stato ben più che improbabile, che qualcuno lo sentisse chiamare dal resto della casa.

Ci metterai meno di un minuto.

Si fece forza, e con la mano minuta spinse la maniglia verso il basso.

La porta della cantina si aprì cigolando; non ci diede troppo peso, in fondo era una vecchia porta, e la maggior parte delle porte di quella casa produceva un rumore simile.

La prima vera preoccupazione, la ebbe scendendo i gradini di legno.

Crick crick crick.

I gradini scricchiolavano al suo passaggio.

Si chiese perché suo nonno non si fosse ancora deciso a farne dei nuovi.

Screek.

Più in basso scendeva, più si faceva forte la sensazione che prima o poi il gradino successivo su cui avesse poggiato i piedi avrebbe ceduto, trascinandolo nel vuoto sotto di sé.

Gli ultimi cinque gradini li fece di corsa.

L’aria della cantina sapeva di stantio, e per quanto cercasse di respirarne il meno possibile essa si faceva strada a forza nelle sue narici, come a volergli ricordare quanto odiasse quel posto.

Da dove si trovava poteva vedere un paio di scaffali e vecchie tavole da lavoro, probabilmente di suo nonno, con ancora sopra alcuni attrezzi del mestiere ormai arrugginiti, svariate casse sparse per il pavimento terroso, ed una porta rudimentale con due assi sbarrate alla sua sinistra.

Il ripiano della marmellata era qualche metro di fronte a sé.

Raccolse tutto il suo coraggio, attraversò quell’antro maleodorante a passo svelto, e in un batter d’occhio si ritrovò con il barattolo di marmellata tra le mani.

Ce l’hai fatta. Si complimentò.

Girò sulle punte, fece per tornare in direzione delle scale e battersela alla velocità della luce, ma qualcosa lo trattene, angosciosamente ancora per un po’.

Jaceeeey~ Il suo nome riecheggiò tra quelle mura ricolme di spifferi con il tono di una cantilena.

“Nonno, sei tu?” Si voltò.

Non ricevette risposta.

“Nonno?” Chiamò ancora.

Jaaaceeyy~

Rabbrividì.

Per qualche affannoso secondo perse l’uso degli arti inferiori. Per qualche affannoso secondo ebbe l’impressione che avessero messo le radici nelle fondamenta di quella casa.

Quando lo riacquistò, lo mise in moto troppo in fretta, ed ottenne solo l’effetto di inciampare sulle assi spigolose del pavimento.

Il barattolo di marmellata rotolò poco di fronte a lui, fermandosi a contatto con il gradino più basso della scala.

Jace si sollevò a gattoni, per poi alzarsi in piedi, e in quella posizione intermedia ebbe la sensazione che qualche scheggia gli si fosse conficcata nel palmo della mano.

Si affrettò a raccogliere da terra il vaso, e quando mise il piede sul primo gradino, esso protestò con un crrick! più deciso del solito.

Salì altri quattro gradini; altri quattro dolorosi, lancinanti scricchiolii, che per poco non gli ricordarono il lamento di un animale ferito.

Solo una manciata lo separava dalla porta.

Con la mano destra rinsaldò la presa sul barattolo, e sentì chiaramente la scheggia affondargli nella carne.

La nonna me la toglierà, lei è brava, ci mette un secondo.

Aveva lasciato la porta socchiusa, ma per qualche ragione gli sembrò di averla lasciata più aperta.

Due gradini.

Il braccio libero già si protendeva verso la maniglia, vedeva il corridoio, vedeva la nonna; vedeva lui seduto sull’unica sedia con il doppio cuscino, rimpinzarsi di biscotti e marmellata in cucina.

Non riuscì a compiere quell’ultimo passo.

La porta si richiuse con un botto sordo di fronte ai suoi occhi sgomenti e increduli.

Qualcosa lo afferrò per le caviglie.

Jacey.

E lo trascinò giù, nel vuoto, giù, nella cantina.

Aveva cercato un appiglio nella porta, nella maniglia, ma di lui rimanevano ormai solo i solchi scavati dalle unghie nel legno, quando aveva tentato disperatamente, con tutte le sue forze di aggrapparsi a qualcosa.

Il fondo del barattolo di marmellata si ruppe con un tonfo non appena toccò terra.

 

 

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Capitolo 3
*** Ciak #3: Babbo Natale ***


Darren era un bravo bambino

Darren era un bravo bambino.

Lo dicevano i suoi genitori, lo diceva chi lo conosceva, lo dicevano a scuola.

La sua passione erano le scienze, e nonostante non avesse ancora raggiunta la soglia del primo decennio, aveva già ben chiaro cosa volesse fare nella sua vita.

Darren avrebbe fatto il medico.

Ma non un medico qualunque: il cardiochirurgo.

Molti avrebbero ricondotto il perché di questa sua decisione al fatto che suo padre soffrisse da diversi anni di problemi al cuore; ma a detta di Darren il motivo era un altro, il motivo era che il cuore è il muscolo più importante del corpo.

Come tutti i bravi bambini, con largo anticipo aveva redatto una lettera breve ma incisiva, indirizzata all’attenzione del Signor Babbo Natale, dove elencava cosa avrebbe gradito ricevere il giorno di Natale e perché.

Sì, avete capito bene, il perché.

Darren aveva chiesto l’edizione Deluxe di Costruisci il Corpo Umano; perché?

Perché voglio fare il dottore, aveva spiegato giustamente lui.

Oggi era la sera della Vigilia di Natale, e dopo aver cenato con genitori e parenti, dopo aver aspettato il dolce a forma di tronco che a lui piaceva tanto, ed aver visto il suo film di Natale preferito, Darren era andato subito a letto, come i bravi bambini, aspettando che arrivasse il gran giorno; la mattina di Natale, quando, finalmente, avrebbe potuto scartare i regali.

Anche se si sforzava di non darlo a vedere, Darren non stava più nella pelle.

Si era addormentato quasi subito, e contava di svegliarsi altrettanto presto; prima della mamma e del papà, così avrebbe potuto correre giù in salotto, sbirciare sotto l’albero, e annunciare con aria soddisfatta di chi ha appena fatto un’importante scoperta, che i regali erano arrivati.

Il suo piano però subì una piccola deviazione, quando fu svegliato nel cuore della notte, da un impellente bisogno fisiologico.

Darren si alzò dal letto, si infilò le ciabatte -quelle azzurre e pelose che d’inverno tenevano tanto caldo, quelle che gli aveva regalato la nonna il Natale scorso-, e si precipitò cercando di non far rumore al bagno in fondo al corridoio.

Fece in fretta, sperando che la mamma non se accorgesse, perché la porta del bagno era proprio affianco a quella della camera dei suoi genitori, e prima di uscire si lavò le mani.

Attraversò il corridoio a piccoli, leggeri passi.

Aveva lasciato la porta della sua camera socchiusa, con la luce d’emergenza accesa –si vergognava ad ammetterlo, ma aveva ancora paura del buio- cosicché quando fosse ritornato avrebbe trovato subito la via per il letto, senza inciampare in mobilia o ingombro alcuno.

Si ritrovò a metà strada, quando notò che nella sua camera c’era qualcosa di diverso.

Dapprima non se ne accorse, ma poi l’intruso gli saltò all’occhio.

Era una scatola, spoglia di qualsiasi ornamento, sul tappeto a metà fra il suo letto e la scrivania.

Si chiese chi potesse averla lasciata, ed era piuttosto sicuro che all’ora di andare a dormire non ci fosse.

Per un attimo fu pervaso dall’eccitazione.

E se l’avesse lasciata Babbo Natale?

Ma così, senza carta da regalo, senza un biglietto?

Allora si avvicinò alla scatola, e si accorse che effettivamente un biglietto c’era.

Era un biglietto qualsiasi, uno di quei biglietti che, si ricordò, si attaccano ai pacchi o alle lettere da spedire.

C’era scritto: “Per Darren”.

Si inginocchiò sul tappeto, ispezionando la scatola.

Era il caso di aprirla? E se poi i suoi se ne fossero accorti?

Forse avrebbe dato solo una sbirciatina, e poi avrebbe rimesso tutto a posto.

Poggiò l’orecchio sulla superficie di cartone.

Gli parve di udire un suono familiare.

Tu-tum, tu-tum, tu-tum.

Come il battito di un cuore.

Ipotizzò che fosse il suo, a battere forte per l’emozione.

Guardò meglio la scatola, la guardò da tutti e quattro i lati, e notò che agli angoli inferiori era sporca.

Poggiò un dito sulla macchia. Non era solo sporca, era anche umida.

Il colore era scuro, sembrava nero.

Era buio, e pensò che si trattasse di inchiostro. O qualcosa del genere.

Corse con le dita fino alla parte alta della scatola, e notò un altro particolare che prima gli era sfuggito:  era aperta.

Non presentava alcun genere di nastro adesivo o altro sigillante, e non sembrava vi fossero nemmeno le tracce di un loro uso precedente.

Darren sollevò la parte sinistra.

Gli parve di scorgere qualcosa di rossastro all’interno della scatola, qualcosa di molle, qualcosa di cui non comprendeva bene la forma.

Sollevò la parte destra.

All’interno della scatola c’era un messaggio per lui, scritto su un anonimo foglio bianco di quaderno, con un inchiostro nero un po’ sbiadito:

Costruisci il tuo corpo umano, Darren.

Gli angoli del foglio erano ormai scoloriti del loro bianco originale verso il colore denso e scuro nel quale vedeva galleggiare quello che a lezione di scienze avrebbe senza dubbio definito un polmone. C’erano anche un paio di bulbi oculari, un cuore e un fegato.

E sicuramente anche dell’altro.

Un cuore.

Tu-tum, tu-tum, tu-tum.

Lo sentiva pulsare, lo sentiva battere, lo sentiva, in qualche modo, vivere.

Questa volta ebbe la certezza che non era il suo; perché il suo batteva a un ritmo molto più accelerato.

Non è possibile!

Fu tutto quello che la sua mente riuscì a formulare.

E mentre vedeva altri organi riemergere da quella pozzaglia color rosso scuro –ora lo distingueva perfettamente, il colore del sangue raffermo- la finestra della sua stanza si aprì stridente, e mentre sentiva il freddo e duro acciaio di un uncino entrargli nella schiena, strappargli via la carne, sentì una voce cavernosa chiedere:

Ti è piaciuto il regalo, Darren? Era quello che volevi.

Una giacca rossa bordata di bianco e un paio di stivali macchiati di sangue, fu tutto ciò che riuscì a vedere prima di cadere a terra privo di sensi.

L’uncino del piccolo e deforme ometto rosso lo trascinò con sé fuori dalla finestra, nel buio della notte.

 

 

 

 

Note dell'Autrice:

Ringrazio infinitamente tutte voi amabili personcine che avete speso qualche minuto del vostro tempo a leggere questi perversi frutti della mia mente. Che non sono ancora finiti, purtroppo per voi ♥.

@Lucia_Elric: sono davvero contenta che l'idea ti sia piaciuta, perché quando é venuta in mente a me temevo fosse banale, spero di essere riuscita a non renderla tale. Da me la notte si sentono rumori di ogni genere, ormai ho imparato a conviverci!xD

Ne approfitto per ringraziarti qui anche della recensione all'altra mia storia; e potrebbe essere!8D Un bacione anche a te C:

@sognatrice_94: Ti ringrazio moltissimo! Sebbene l'Horror sia il mio genere preferito -almeno per quanto riguarda la lettura- questa é la prima volta in cui mi ci cimento. Grazie anche per averla aggiunta alle seguite.

@Husky the dark angel: Wow, addirittura! Sono felice di essere riuscita nell'impresa allora!Dx Grazie!

 

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Capitolo 4
*** Ciak #4: Il Lupo ***


Nuova pagina 1

Ci tengo a precisare che il cambio di persona é voluto. 8D

 

Rebecca odiava i campi estivi.
Ma a detta dei suoi genitori, erano la cosa migliore del mondo.
"Ci siamo stati anche noi, tanti anni fa: Adesso ti sembrerà una cosa orrenda, ma vedrai che una volta lì non vorrai più tornare a casa".
Solo su una cosa avevano ragione, ma Rebecca l'avrebbe scoperto più tardi.
Pensava che passare gran parte dell'estate lontano da casa, in compagnia di degli emeriti estranei, magari cantando le canzoni degli indiani intorno a un falò, fosse una punizione molto più severa del dover andare a scuola.
E tutti sapevano come la pensava riguardo alla scuola.
Quando la Station wagon di suo padre si parcheggiò con la sua contraddistinta delicatezza –ogni volta che si fermavano il motore tossiva come se stesse esalando il suo ultimo respiro- sulla morbida ghiaia di Camp Bayleaf, sentì di odiare i suoi genitori. Loro e il loro discutibile rifiuto sul non voler mai ascoltare le sue opinioni, perché a dodici anni era ancora una bambina.
Un paio di ragazzi equipaggiati di cappellino arancione con stampato il logo di Camp Bayleaf -un pugno in un occhio, pensò Rebecca- la accolse con un sorriso a trentaquattro denti che avrebbe tanto voluto smontare a suon di randellate uno ad uno, e la condusse insieme a un gruppetto di ragazzini dall'aria spaesata in una catapecchia di legno a bordo del fiume, che avrebbe presto scoperto essere il proprio dormitorio.
Prima d'allora, Rebecca aveva visto un campo estivo solo in cartolina.
Non si stupì nel constatare che Camp Bayleaf fosse un luogo più fatiscente e detestabile di quanto immaginasse.

“Allora Becky, hai tutto?” Le sorrideva suo padre al massimo dell'entusiasmo.

“No, papà, mi farebbe comodo un fucile.”

“Su, non essere così negativa! Sono sicuro che farai un sacco di nuove amicizie qui a Camp Bayleaf. Ti divertirai, vedrai!”

“Certo, papà. Mi divertirò come un maialino in un mattatoio.”

..in un mattatoio.

..in un mattatoio.

Ci rivediamo tra un paio di mesi.

Le parole dei miei genitori ora mi sembrano così confuse e lontane.

I loro abbracci. Le loro voci.

Se solo sapessero.

Mi chiamo Rebecca Hadley.

E voglio raccontarvi cosa mi é successo a Camp Bayleaf.

 

I due ragazzi più grandi –Samantha e Billy, avevano detto di chiamarsi- ci avevano accompagnati al dormitorio, dove trovammo i nostri bagagli già sistemati davanti ai letti a schiera che facevano tanto accademia militare.

C'erano sei letti per stanza.

Le mie nuove coinquiline si chiamavano Rose, Shannon, Angela, Stella e Melinda.

Rose era arrivata all'ultimo minuto, i suoi genitori avrebbero dovuto trasferirsi in Europa per lavoro, e non aveva altri parenti che potessero badare a lei.

Shannon era la più grande, la più tosta; questa era la sua terza estate a Camp Bayleaf. Le piaceva spaventare le nuove arrivate con storie dell'orrore sul Campus. Stella, che era la più piccola e la più suscettibile fra le cinque, temeva il mercoledì sera perché quello era il momento in cui si concretizzavano le sue paure.

Angela veniva da Boston; era sicura che prima della fine del ritiro i suoi sarebbero venuti a prenderla sulla loro mercedes, in barba agli altri provinciali, come a lei piaceva chiamarli.

Melinda, che fra tutte era quella a me più affine, non sopportava le giornate trascorse a piantare semi, fare canoa nel lago e guardare film adatti a bambini dell’asilo, non sopportava Camp Bayleaf e soprattutto non sopportava quei quattro adolescenti col moccio al naso che gestivano le loro attività quotidiane. Insieme ci divertivamo ad elaborare piani per sabotare le loro magnifiche trovate, e ad immaginare la bella sorpresa che gli avremmo lasciato prima di andarcene da quel campeggio infame.

Il mercoledì sera era la sera -come in qualsiasi altro campo estivo che si rispetti, d’altronde- dei racconti dell'orrore.

“Li avete sentiti i rumori giù al molo?”

Era il turno di Shannon.

“Ma quali ruomori, Shannon?” Ribatté Angela.

“Il rumore di unghie che grattano sul legno del capanno.”

“Te lo sei inventato.”

“Non me lo sono inventato! Una bambina é scomparsa qui a Camp Bayleaf, otto anni fa. Me lo hanno raccontato le altre ragazze, la prima volta che sono venuta.”

“E come mai noi non ne sappiamo niente?” Chiesi io.

“Non vogliono che si sappia in giro, perché non hanno mai trovato il corpo.”

“La cosa si fa interessante.” Interruppe Melinda.

“O almeno così dicono. Ma molti sostengono che sia annegata proprio al molo, e che il suo corpo sia in fondo al lago.”

“E come avrebbe fatto?”

“Per una sfida.” Precisò la più grande “Si chiamava Corinne. Le altre ragazze la prendevano in giro perché aveva paura dell’acqua. Le dicevano che non sarebbe mai stata capace di salire su una canoa di notte, e raggiungere l'altra sponda del fiume, ma lei voleva far vedere loro che si sbagliavano. Così, una notte, é uscita ed é andata al molo.” Le altre quattro seguivano in silenzio. "Le canoe la notte sono chiuse all'interno del capanno. “

“Mh-mh” Annuì Rose, più attenta forse alla sua torcia che al racconto. Mentre giocava ad accenderla e spegnerla per poco non mi accecò. Brontolai con un mugugno.

“Con la chiave che aveva rubato ad uno dei tutor, Corinne era riuscita a entrare. Le altre ragazze aspettavano di vederla uscire sulla banchina. Ma aspettarono invano, così pensarono che se la fosse fatta sotto e fosse scappata senza farsi vedere. In realtà, si pensò che le assi avessero ceduto, e che lei fosse rimasta incastrata sotto il capanno. Il giorno dopo trovarono solo il buco nel pavimento.”

“Poverina.” Fece Stella, immaginando la morte orribile della sconosciuta.

“Mph. Questa storia non sta in piedi.” Commentai.

“Allora perché non vai a vedere, tu che non hai paura di niente?”

AUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUH!

“Avete sentito?” Stella era scattata in piedi sul letto.

“Sono i lupi.” Cercai di tranquillizzarla.

“Sì.” Mi fece eco Melinda. “Ce ne sono, in questa zona, ma vivono nel fitto del bosco.”

“Sei sicura... Che non si avvicineranno al campeggio?”

“Sì. Non avrebbero interesse a spingersi fino alla riva del lago, hanno tutto ciò che gli serve nella foresta.”

“Ok...” Stella si rimise a sedere.

“Hm. E tu come fai ad esserne sicura?” Borbottò Shannon.

“L'ho letto sui miei libri di scuola.” Melinda leggeva molte cose, sui libri di scuola.

“Questo parlare del bosco non fa altro che ricordarmi della caccia al tesoro di domani. Ma come possono quei provinciali pensare che troviamo divertente una cosa simile? E' così infantile.” Si lamentò Angela.

“Dai Angela, sarà divertente!” Fece Rose.

“Fare shopping é divertente, di certo non camminare nel fango in questi boschi.”

“Chissà quale sarà il grande tesoro.”

“Come minimo la videocassetta di Pocahontas 3.” Le altre ragazze rabbrividirono al pensiero.

“Chissà che faccia farebbero Sam e Billy se trovassero la scatola che hanno nascosto con tanta cura davanti alla loro stanza.” Ridacchiò Melinda.

“Stai pensando a quello che sto pensando io?”

Ci guardammo.

Io e Melinda pensavamo la stessa cosa.

 

E' così che ci siamo ritrovate, mi correggo, mi sono ritrovata in mezzo al bosco.

Le altre hanno fatto una piccola deviazione al molo, hanno detto che mi avrebbero raggiunta più tardi, ma io non credo che lo faranno.

Rose é venuta con me, ma l'ho persa di vista all'incirca dieci minuti fa, quando abbiamo sentito di nuovo quel rumore.

Quella presenza. Come degli occhi puntati contro.

Eravamo a neanche cinquanta metri dal cartello che divideva Camp Bayleaf dal resto della natura selvaggia che lo circondava.

Abbiamo sentito di nuovo i lupi. Rose si é spaventata, ha detto che voleva tornare indietro, poi il rumore di rami spezzati a pochi passi da noi.

“Cos'é stato?”

“Non lo so, probabilmente qualche animale.”

Crack-crack.

Ci girammo all'unisono.

“Io.. io torno indietro, Rebecca.”

“Ma siamo alla terza indicazione, dev'essere per forza da queste parti!”

“Non mi piace questa sensazione. Non mi piace per niente. Se tu vuoi continuare a cercare fa pure, io preferisco cercarlo alla luce del giorno.” Rose indietreggiò sui suoi passi.

Scraack.

“Ci vediamo al dormitorio, vedi di fare in fretta.” La vidi correre nella direzione da cui eravamo venute. La luce della sua torcia si riflesse convulsamente sugli alberi circostanti prima di venire inghiottita dalla foresta.

Ero rimasta sola. Ghignai.

“Mph. Ragazzine. Sarà sicuramente un tasso, o un cervo.”

Mi sbagliavo.

Proseguii nella direzione della freccia disegnata con dello spray rosso sull'albero che avevo incrociato poco prima.

Sentivo ancora addosso quella maledetta sensazione di essere osservata.

AUUUUUUUUUUH~

Potevo ancora sentire qualche rado ululato in lontananza.

Non ci feci caso.

“Vediamo di chiudere questa faccenda il più in fretta possibile. Yawn~” Sbadigliai. “Mi sta venendo sonno.”

Intravidi una cassa di medie dimensioni accostata ai piedi di un albero poco distante.

“Eccoti!” Mi feci luce con la torcia.

Clack.

Un sottile, leggero rumore di natura calpestata.

“Mi stai seguendo?” Puntai la torcia in direzione del rumore che avevo sentito. “Su, animaletto, fatti vedere!”

Mi pentii di aver pronunciato quelle parole.

“Non aver pau...”

Due occhi gialli grandi quanto un mio pugno fecero capolino dalle fronde.

“...ra.”

Ci fissammo per qualche interminabile istante.

Vi sembrerà strano, ma mi sembrò che stesse sorridendo, mi sembrò che sapesse che non ero una preda qualsiasi, che in qualche modo ne fosse contento -un pasto diverso dal solito cinghiale, ogni tanto!-.

Quanto bastava per farmi prendere coscienza del fatto che quello che mi trovavo davanti non fosse un cervo.

I cervi non hanno canini sporgenti e aguzzi come quelli che si vedono nelle collane di qualche cacciatore da film, i cervi non sono alti  e  grossi quanto una cisterna, e sono piuttosto sicura che non emanino quell'odore nauseabondo di brandelli di carne.

Anche le mie gambe parvero recepire il messaggio e cominciarono a correre nel fitto della foresta come non avevano mai fatto prima.

Non ricordo esattamente per quanto corsi, ma la milza mi lanciava delle fitte non da poco quando inciampai.

Si, inciampai.

Maledetta natu...

Rose.

Il braccialetto portafortuna di Rose. Il braccio di Rose.

Me l'ha regalato la mia migliore amica. Dicono che quando lo perdi o si spezza porti fortuna.

A Rose non ne aveva portata.

Rabbrividii.

Mi rialzai a fatica.

Quando ricominciai a correre, cambiai direzione.

Non volevo vedere che fine aveva fatto il resto del corpo di Rose.

Non volevo inciampare per sbaglio nella sua testa.

Non le sarebbe piaciuto.

Si sarebbe sicuramente lamentata di come le avevo rovinato i capelli.

Perdonami.

Una fitta lancinante.

Non ce la facevo più a correre.

Accidenti, non avrei dovuto fingere tutti quei mal di pancia e fare attività fisica con il gruppo più spesso.

Sicura speranzosa di aver seminato il mio cacciatore, mi accovacciai dietro un albero.

Risi. Involontariamente, risi.

 

Clack.

 

Nessuno mi aveva parlato dei lupi.

Quell'odore.

Fantasmi, tutor incompetenti, cibo da schifo, ma nessuno mi aveva detto dei lupi.

Non é giusto.

AARFH.

Quegli occhi.

Io non ci volevo neanche venire a-

 

 

 

Note coming soon.

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Capitolo 5
*** Ciak #5: Ragni ***


Nuova pagina 1

“Maestra, Mac mi ha spinto!” Mac era un bullo. Ma non per questo era cattivo, solo per il gusto di esserlo. Lo era solo con chi parlava alle sue spalle –il papà di Mac è un poco di buono!- , e con chi osava pronunciare il suo nome per intero.

“Smettila, Mackenroe.” Intervenne la maestra.

Odiava quel nome. Lo detestava. Non capiva come i suoi genitori avessero potuto dargli un nome tanto orribile, che dopotutto non era neanche un nome; era un cognome.

Il moccioso che aveva invocato aiuto si rialzò, sistemandosi i vestiti.

Guardate, Mac é stato sgridato di nuovo. Scommetto che si farà espellere un'altra volta.

Captò una manciata di maldicenze tra il mormorio della folla.

Erano tutti contro di lui.

Tornate tutti in classe, forza! L'intervallo é finito!” Esclamò la maestra, ed il coro di scolaretti si disperse, per poi raggiungere svogliatamente le proprie aule.

Anche il ragazzino che aveva gettato a terra si diresse verso la propria aula, che, sfortunatamente, era anche la sua.

Sei proprio come tuo padre-” sibilò alle sue spalle.

Cos'hai detto?!” Mac lo afferrò per il colletto di quella sua strafottente maglietta verde che riportava la scritta Best in Town. -Seh. Credici.- pensava, ogni qualvolta gli capitava di leggerla.

M-maestra!” Piagnucolò l'altro.

Ripetilo!” Mac avvicinò il pugno della mano destra alla faccia dello sfortunato.

La maestra, che si era trattenuta per controllare che tutti tornassero diligentemente in classe, lo afferrò per un braccio, facendogli mollare la presa.

Ora basta Mac, smettila! Fila in bagno e metti la testa sotto l'acqua fredda, e se questo non ti basta, ti spedirò direttamente nell'ufficio del preside!”

In realtà, avrebbe potuto spedirlo dal preside per molto meno.

La maestra non era mai troppo severa, con lui.

Lei sapeva.

L'aveva saputo da sua madre.

Lo stronzetto in maglietta verde sbuffò, probabilmente anche lui pensava che la maestra ci fosse andata troppo per la leggera. Mac decise però di accettare il suo consiglio, così si voltò, strinse i pugni, ed allungò il passo verso i bagni del secondo piano.

Non ebbe bisogno di dire nulla; quando si fu allontanato di qualche metro sentì la maestra -Dentro Chris, fila al tuo posto. E non voglio più sentirti aprir bocca, per oggi.- e l'alunno rientrare in classe, e la porta chiudersi con un colpo secco.

I bagni erano giusto in fondo al corridoio.

Passò attraverso una porta a doppia anta, che conduceva a sua volta ad altre due porte ai lati opposti della stanza, con il simbolo di un ometto stilizzato -a destra- e della sua controparte in gonnella -a sinistra.

Nel bagno dei maschi c'erano tre gabinetti, e due soli lavandini.

Mac si era sempre chiesto il perché.

Non sentiva urgentemente il richiamo della natura, quindi si diresse subito al primo lavandino.

C'era uno specchio poco sopra il lavabo.

Mac lo evitò abbassando la testa ed appoggiandosi alle staffe bianche. Non gli piaceva vedere la sua immagine riflessa.

Chiuse gli occhi, e si sciacquò il viso con l'acqua fredda.

Gli si catapultò in mente l'immagine di sua madre in lacrime, come all'ultimo colloquio cui era stata convocata. Non voleva che si ripetesse quello che era successo la volta scorsa.

Decise che d'ora in poi si sarebbe trattenuto, di quando in quando avesse avuto un attacco di rabbia.

Dannazione!” Senza accorgersene, si era girato verso i servizi.

Sferrò un pugno contro la porta, che si mosse in avanti sui cardini e tornò indietro cigolando leggermente. Quelle porte, che in passato probabilmente erano state candidamente bianche, ora erano vecchie, ingiallite e sporche.

Abbassando lo sguardo, Mac si accorse che dallo stipite partiva una grossa ragnatela, che si estendeva per buona parte della feritoia sotto la porta.

Si domandò se quella non fosse la casa di qualcuno.

Si abbassò un poco, per cercare di scorgere il suo abitante; ed ecco che lo vide, un ragnetto di color marrone scuro, dalle esigue dimensioni, beatamente appollaiato sul suo letto di tela, beffardo del fatto che un essere mille volte più grande di lui lo stesse osservando dall'alto con non delle migliori intenzioni.

“Buh.” Fece il ragazzo, a pochi centimentri dalla ragnatela.

Il ragno non si mosse.

“Non hai paura? Dovresti.”

Il ragno non si mosse.

Mac lo guardava, il ragno guardava lui.

Ma non aveva paura. Anzi, sembrava che ridesse di lui.

O perlomeno, questo era quello che gli suggeriva in quel momento la sua testa. E si rese conto che superava quel sottilissimo limite che era la sua pazienza.

“Muori, stupida bestia.”

Così sollevò il piede destro, e schiacciò l'insetto che aveva osato sfidarlo con la punta delle scarpe da ginnastica.

Rraaaaaah!

A Mac parve di aver udito un grido straziante di dolore, ma lungo la strada per tornare in classe si convinse che era stata solo la sua immaginazione.


 

Allora, chi vuole rispondere a questa domanda? Cosa realmente stava cercando Cristoforo Colombo quando scoprì le Americhe?”

Un paio di mani ondeggiavano a mezz'aria. Ondeggiavano?

Mac.”

Era tutto così... sfocato.

Mac!”

Mh, cosa? E che ne so, forse il bagno.”

Risate di sottofondo. Si stava solo addormentando.

Mac lanciò un'occhiata all'orologio che gli aveva regalato suo padre, prima di sparire dalla sua vita, e da quella di sua madre.

Le undici e mezza.

Mancavano ancora due ore alla campanella della libertà.

Continuando di questo passo, la maestra lo avrebbe di sicuro ripreso perché stava russando in classe.

Un altro difetto che aveva ereditato da suo padre.

Abbassò la testa fin sotto il banco, alla ricerca di qualcosa con cui passare il tempo.

A dir la verità, così aveva un ottima visuale del pavimento.

La rialzò di un tantino.

No. Un momento.

C'era qualcosa che non era dello stesso colore del pavimento ai piedi del suo banco. Era quindi da escludere che si trattasse di pavimento.

Mac cercò di distinguere quella macchia scura, ma grazie al sonno, e all'ombra che in quel momento copriva proprio quell'angolo del banco, ci volle più tempo del previsto.

Era... Un ragno? Possibile?

Si stropicciò gli occhi. Quando li riaprì, il ragno mise in moto le sue otto esili zampette per cercare di scappare nella direzione opposta.

Questa volta lo fece senza pensare; lo intercettò schiacciandolo sotto le sue Nike di terza mano.

Rraaaaaaaaaah!

Quella scuola aveva davvero bisogno di una bella ripulita.

Quello che rimaneva del ragno aveva perso la sua forma originale, rimanendo sparso qua e là per il pavimento color crema andata a male.

Trascorse il resto della mattinata scarabocchiando sul banco.


 

 

Quella sera, si rese conto che sua madre era venuta a conoscenza delle sue scaramucce scolastiche, probabilmente a mezzo di qualche pettegolezzo.

Le mamme adorano spettegolare, e Mac lo aveva capito molto presto, facendone le spese sulla sua pelle.

“Mac... Perché continui a litigare con i tuoi compagni? Loro non hanno colpa, l'unica persona con cui dovresti prendertela é tuo padre.” Sospirò.

Il bicchiere pieno d'acqua che ancora teneva in mano sbatté violentemente sul tavolo, causando la fuoriuscita di parte del suo contenuto.

“Ma mamma! Tu non capisci, loro...!”

“NO!” Sua madre si era alzata in piedi sbattendo i pugni sul tavolo, facendo tremare le stoviglie che rimanevano a testimonianza della cena appena trascorsa. “Tu non capisci! Non posso permettermi di mandarti in un'altra scuola! Perciò vedi di comportarti come si deve, altrimenti...”

Raramente perdeva le staffe, ma quando lo faceva, sua madre faceva davvero paura.

“Altrimenti cosa? Mi sequestrerai i giocattoli che non ho perché non possiamo permetterceli? Mi manderai a raccogliere patate con nonna?”

Sua madre si morse il labbro inferiore, non sapendo cosa rispondere.

“Va al diavolo.” Disse Mac, mollando il bicchiere sul tavolo, che ballò un po' prima di assestarsi nella sua posizione originale.

“Mac!” Gridò sua madre, ma ormai era troppo lontano per ribattere.

Salì le scale traballanti di legno, marciò verso la sua camera facendo rimbombare il rumore dei suoi passi fino al piano di sotto, e sbatté la porta con tanta veemenza che quasi il cartello con il teschio che lui stesso aveva disegnato non volò a tre metri di distanza.


 

Più tardi si pentì di non aver bevuto quel bicchiere d'acqua.

La gola presto cominciò a bruciargli per la sete.

Ma sentiva alcune voci provenire dal piano di sotto, sicuramente dal televisore. Era abitudine di sua madre rimanere sveglia fino a tardi a guardare i programmi della sera. Spesso scendeva per prendere qualcosa dal frigo, e trovava sua madre addormentata sul divano in sala con il telecomando in mano.

Non aveva intenzione di rischiare di incappare in sua madre ancora sveglia, o magari di svegliarla facendo per errore più rumore del previsto, così decise che sarebbe andato a bere in bagno.

Le assi del pavimento erano vecchie e consunte, ed era praticamente impossibile attraversare il corridoio senza farsi sentire, in piena notte. Ma la televisione accesa, avrebbe di certo coperto il rumore.

La lampadina del bagno lampeggiò ad intermittenza un paio di volte, prima di accendersi del tutto.

Il rubinetto aveva poca pressione, e per riempire il bicchiere ci mise quella che a suo parere era un'infinità di tempo.

Per lo meno, l'acqua era fresca.

Era sul punto di tornarsene a letto, quando gli venne in mente di non essersi lavato i denti.

Non ne aveva per niente voglia, ma l'idea di andare di nuovo dal dentista e farsi togliere quattro o cinque carie lo allettava ancor meno.

Anche sopra il lavandino del bagno di casa sua c'era uno specchio.

Mac non poté fare a meno di guardarci attraverso, ma per fortuna tutto ciò che vide fu il muro rosa salmone alle sue spalle.

Non l'aveva notato prima, e nemmeno quando era entrato in bagno, ma c'era una grossa ragnatela sul termosifone, che si arrampicava fin dietro la tendina della vasca.

Si aspettava di vederci almeno un ragno appollaiato a guardarlo, ma non fu così.

Non vedeva riflesso nessun puntino scuro nello specchio, e ne fu sollevato.

A dire il vero, non era una novità trovarne in giro per casa, dopotutto le vecchie costruzioni avevano la fama di essere uno dei luoghi preferiti da insetti dalle otto zampe in su.

Si lavò in fretta i denti, dopodiché ripose spazzolino e bicchiere al loro posto.

Prima spegnere la luce, lanciò un'altra rapida occhiata alla ragnatela.

Adesso i ragni erano tre.

Ma prima non c'erano! Si disse.

Ma non ne era così sicuro. Probabilmente era solo stanco.

Maledetti ragni schifosi! Afferrò una delle sue pantofole, e la lanciò contro la ragnatela.

Uno dei ragni era stato colpito, ed era precipitato sul pavimento.

Mac si mise sulle ginocchia, e lo guardò contorcersi in fin di vita, supino su quel corpicino sferico, scuro e peloso.

Che schifo. Pensò, mentre gli dava il colpo di grazia.

Gyaaaaaaaaaaah!

Strabuzzò gli occhi.

Questa era la terza volta oggi, e pensandoci bene, nella sua vita intera, che sentiva un ragno gridare nella sua testa.

Ne rimanevano ancora altri due.

Uno lo vedeva, era nell'angolo di muro di fianco al calorifero; l'altro era scomparso dalla sua visuale, doveva essersi nascosto.

Riacchiappò la ciabatta, intento a completare la sua opera.

Fu piuttosto difficile centrare il secondo in quel piccolo antro, ma Mac era uno che non mollava finché non otteneva ciò che voleva.

Avrebbe portato a termine la missione, se non fosse per qualcosa che gli mise i bastoni fra le ruote.

“Mac, che stai facendo ancora in piedi? Fila subito a letto!”

Sua madre non solo era sveglia, ma gli aveva aperto la porta del bagno in faccia strillando come una gallina.

Mac si rinfilò la ciabatta, borbottando qualcosa di incomprensibile che sicuramente non era nulla di buono, e trascinando i piedi tornò nella sua camera con l'entusiasmo di uno zombie.

Dannato tutto.


 


 

Sentiva prudere la punta del naso.

Non aveva idea di che ora fosse, ma era sicuro di aver dormito almeno un paio d'ore.

Era buio, ed il maledetto albero che cresceva davanti la finestra della sua camera impediva anche ai pochi raggi di luna di filtrare per portare una parvenza di luce nella stessa.

Si alzò a sedere. Aveva una di quelle lampadine notturne che si accendono schiaffandoci sopra il palmo della mano, sul comodino di fianco al letto.

Gli prudeva anche il braccio destro.

Si grattò con la mano sinistra, e sentì qualcosa scivolargli giù dal braccio.

Pensò si trattasse di qualche briciola di merendina che era rimasta nel letto, che con il sudore gli si era appiccicata. Non ricordava quante volte sua madre gli avesse detto di non mangiare a letto, ma era una di quelle cose che gli entravano da un orecchio e gli uscivano dall'altro.

Schiacciò un pugno sulla lampada, che si accese illuminando le lenzuola di una luce bluastra.

Ricordava di avere delle lenzuola bianche.

Dunque quel telo nero che gli arrivava alle ginocchia, era...

Si sentì prudere di nuovo il braccio, poi la spalla, poi il collo.

Erano ragni.

Voleva aprire la bocca per urlare, ma si rese conto che non sarebbe stata una buona idea.

Si dimenò, e qualche ragno cadde, ma quelli che risalivano la sua pelle facendogli il solletico erano molti di più.

Pestò i piedi, mollò qualche pugno al copriletto.

Qualcuno doveva averne ucciso.

Centinaia e centinaia di zampe si muovevano all'unisono intorno a lui, rendendogli difficili i movimenti.

I ragni gli entravano nel naso, nelle orecchie, nella bocca, in ogni orifizio del suo corpo.

L'ultima cosa che vide fu un ragno sulla punta del suo naso, e benché non potesse esserne sicuro, era certo che fosse il ragno che aveva schiacciato nel bagno della scuola.

Questa volta, nessun grido.

 

 

 

 

 

Note!

Ma non sembra anche a voi che ogni capitolo sia più lungo del precedente? E' una maledizione!

Eh sì, sono ancora viva! Perdonate il ritardo nell'aggiornamento, ma il lavoro ultimamente mi sta uccidendo. Le mie colleghe se ne vanno in ferie, e a me tocca coprire i loro turni... Voglio una vacanza ;_; Ma mi sa che mi toccherà aspettare Capodanno... Vabeh, bando alle ciance!

Rispondo alle recensioni degli ultimi due capitoli, visto che nel precedente mi sono dimenticata di aggiornare. *tossisce*

@Domino: Aw, grazie pupa! Sono felice che sia una lettura di tuo gradimento! Anche se scrivo horror, mi sa che la mia vena del comico insaidz si fa sempre sentire. Eh sì, concordo, la natura stessa cela più pericoli di quanti ne possiamo immaginare. Aspetto aggiornamenti anche da parte tua, eh ♥.

@ShalalaMJ: Grazie! Sicuramente continuerò a scriverne, e sarei davvero onorata se continuassi a seguirmi!

@Husky: I personaggi tenerelli zuccherosi e ciccicucù sono quelli che nascondono più magagne di tutti. Argh, non credo di essere così brava da poter pubblicare un libro, ma ti ringrazio!;A; Per quanto riguarda il capitolo quattro, il cambio di stile era voluto, così come il cambio del punto di vista dal quale veniva raccontata la vicenda. Il fatto che Rebecca dicesse "ora vi racconto cosa mi é successo blablabla" già di per sè avrebbe potuto giustificarlo, ma sempre meglio chiarire, non si sa mai. Le tue recensioni sono una manna per la mia autostima di lumaca ♥.

@sognatrice94: Grazie di cuore, sono contenta che ti siano piaciuti! Forse non sarà il prossimo, ma di sicuro ci sarà un capitolo sulle bambole, l'avevo già messo in conto!

@Lucia: Beh, magari invece la paura ti avrebbe fatto tirar fuori le unghie, provare per credere. Beh, forse meglio di no. Accipicchia, davvero sono riuscita a farti immedesimare nella protagonista? Che fissa!:D *alla Fry* Ti ringrazio, sempre gentilissima nelle recensioni ♥.

@lagadema: Ti ringrazio! E' dispiaciuto anche a me, la protagonista di quel capitolo rimane tuttora la mia preferita ;_;.

@Sotorei: OMG, Antonio!XDD Ma sai che non mi ricordavo avesse anche lui l'uncino? In realtà l'ispirazione (per l'intera raccolta, a dir la verità) mi é venuta da un test su facebook il cui risultato diceva che la storiella per bambini che aveva turbato di più la mia infanzia era Babbo Natale. Ah, come ti capisco... I miei poring sono addirittura quadrati.

Un grazie speciale a BloodyRose00, FrozenOceanSoul, lagadema, Tredici, e nuovamente a Lucia_Elric e nikoletta89 che hanno aggiunto questa storia tra i preferiti ♥ ♥ ♥.

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