Calda luce e freddo inverno

di crazy lion
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I gatti e l'albero di Natale ***
Capitolo 2: *** Un gusto dolceamaro ***
Capitolo 3: *** Il bianco della fredda neve ***



Capitolo 1
*** I gatti e l'albero di Natale ***


CALDA LUCE E FREDDO INVERNO

 
 
DEDICA
 
Questa serie di storie è dedicata alla mia amica Emmastory, una persona speciale che sa ascoltarmi, capirmi, farmi ridere e starmi accanto nei momenti belli come in quelli difficili.
È stata lei a passarmi dei prompt che aveva trovato su Facebook. Io li ho letti, ne ho scelti alcuni, li ho un po’ modificati dato che si poteva e ho scritto. Forse, se non fosse stato per Emmastory questa raccolta non ci sarebbe.
Un grazie grandissimo anche per l’aiuto che mi dà nel tradurre in inglese le mie FanFiction.

 
 
NOTA INIZIALE:
questa e le altre due storie che compongono la seguente raccolta hanno come fili conduttori il fandom di Demi Lovato, con lei come protagonista, e il periodo di Natale. Le prime due sono l’una il seguito dell’altra, mentre la terza è ambientata molti anni prima.
Il titolo si riferisce al fatto che nel complesso le storie avranno sia momenti sereni e spensierati, a volte anche divertenti (calda luce), sia altri più difficili e drammatici (freddo inverno). Ho voluto affrontare cose che alcuni personaggi, Demi e sua madre, hanno vissuto veramente, tematiche delicate sulle quali mi sono documentata molto bene.

 
 
I GATTI E L'ALBERO DI NATALE
 
"Allora," chiese Andrew, "mi aiuti a fare l'albero?"
"Certo!" esclamò la ragazza, balzando in piedi gioiosa.
Erano seduti sul divano ed era la Vigilia. Erano Soli: i genitori del ragazzo erano usciti a prendere gli ultimi regali e la sorella Carlie era fuori con le amiche.
"Perfetto, vado a prendere l'occorrente."
Detto questo si diresse in cantina.
Demi sospirò. Lei ed Andrew erano amici da sempre e avere sei anni di differenza non era stato un problema, nemmeno quando erano piccoli. Adesso la ragazza aveva diciannove anni, era uscita dalla clinica poco meno di un anno prima e beh, le difficoltà non erano mancate. Da quando era fuori dalla Timberline Knolls Demi non nascondeva più i suoi problemi. Con il migliore amico non l'aveva mai fatto e anzi, era stato a lui che a dodici anni aveva detto, disperata, di essere autolesionista e l'aveva pregato di non raccontare nulla. Andrew l'aveva ascoltata, e non si sarebbe mai pentito abbastanza della sua scelta. Comunque, da tempo la famiglia di Demi sapeva che non stava bene, e Dianna spesso le aveva chiesto di mostrarle le braccia durante tutti quei mesi. Aveva quindi visto altre cicatrici, segno che l'aveva fatto ancora, e anche i suoi problemi con il cibo non erano finiti. L'anoressia e la bulimia la perseguitavano, anche se il suo rapporto con il cibo e il suo corpo migliorava di giorno in giorno. Ci voleva tempo, dicevano la psicologa, la psichiatra e il dietologo che la seguivano.
"Eccomi!"
Il ragazzo ritornò con uno scatolone che aprì e tirò fuori i vari pezzi dell'albero, poi andò a prenderne un secondo che conteneva le decorazioni. Non era sola in quella battaglia quotidiana, pensò Demi, la battaglia più difficile che avesse mai combattuto: quella contro la se stessa che vomitava dopo essersi abbuffata, o che non mangiava e prendeva dei lassativi, o che contava le calorie, seguiva diete assurde, si pesava Dio solo sapeva quante volte al giorno e faceva ore ed ore di attività fisica. Quella che si odiava, che odiava il suo corpo. Quella era la se stessa che non voleva più essere. C'era la sua famiglia con lei, e c'era Andrew. Seguendo i consigli del dietologo, della psichiatra e della psicologa, che la aiutavano quando aveva dei crolli, non voleva mangiare o si riempiva fino a scoppiare, si sentiva meglio. Aveva passato il Natale precedente in clinica, questo doveva essere diverso. Perciò lasciò da parte quei tristi pensieri e cercò di concentrarsi sul presente, sul qui ed ora, come stava imparando a fare.
“Ehi, Dem?”
La voce di Andrew la distrasse.
“Sì, ci sono. Scusa.”
“Lo so a cosa stai pensando” le disse l’amico prendendola per mano. “E so che spesso stai ancora male, anche se non posso immaginarlo non avendolo provato. Ma va già meglio, mi sembra.”
“Sì, è così” rispose la ragazza, con voce rotta.
“Ce la farai, okay? Con calma, giorno per giorno, un passo alla volta. Non sei sola.”
“Lo so.”
“Vieni qui.”
La strinse e lei ebbe un singulto, poi scoppiò a piangere. Aveva paura di avere una ricaduta, del futuro, di mille cose, e il dolore che provava era troppo forte per poter essere tenuto dentro. Non lo voleva più nascondere. Andrew le accarezzò la schiena facendo piccoli circoli con le dita, sperando di rilassarla. Funzionò, perché poco dopo la ragazza smise di piangere e si calmò, riprendendo a respirare normalmente. Gli sorrise appena.
“Grazie.”
“Non dirlo neanche, lo faccio con il cuore, lo sai. Te la senti? Se vuoi non…”
“No” lo interruppe. “Facciamolo. Passiamo un bel pomeriggio insieme.”
Aveva bisogno di non pensare a brutte cose, alla paura del futuro, di trascorrere un pomeriggio natalizio normale.
"Benissimo, allora iniziamo!"
Demi aiutò Andrew a montare l'albero e, quando fu pronto, i due cominciarono ad appendere le lucine.
"È grandissimo, sarà meraviglioso" disse il ragazzo. La guardò negli occhi e i loro sguardi si incontrarono, verde nel marrone. "Stai bene?"
"Sì" rispose Demi e gli sorrise.
Era sincera e lui lo capì.
"Sarà un Natale bellissimo, promesso" la rassicurò.
"Lo spero."
Gli occhi dell’amico erano bellissimi, si ritrovò a pensare Demi. Chissà perché ci rifletteva proprio ora. Forse, semplicemente, aveva bisogno di farlo su qualcosa che non riguardasse lei stessa. Andrew era oggettivamente un bel ragazzo. Alto e magro ma non troppo, si teneva sempre in ordine, si vestiva in modo semplice - in quel momento indossava una tuta da ginnastica blu -, e ciò li accomunava, perché anche Demi era così. Amava dare valore alle cose e non vantarsi della propria celebrità, perciò preferiva, tra le altre cose, non portare abiti firmati. Ma al di là di questo, quel che la colpiva dell’amico era il suo sorriso, sincero e dolcissimo, che ogni volta le scaldava il cuore.
Andrew sapeva quanto Demi si sentisse fragile e insicura e non poteva immaginare cosa stesse passando, ma aveva intenzione di aiutarla a distrarsi un po'. Ci sarebbe sempre stato per lei, nei momenti belli in cui fare qualcosa per stare meglio, come in quelli brutti nei quali piangere e sfogarsi. Se Demi non se la fosse sentita di addobbare l'albero con lui, l'avrebbe capito e avrebbe lasciato stare. Ma era d'accordo e ciò significava che voleva fare qualcos'altro per stare meglio. Era un altro, un ennesimo passo avanti. La ammirava per la sua forza. Aveva sofferto e spesso lo faceva ancora, ma non mollava, non si arrendeva mai. E poi era sempre stato così fra loro e avrebbe continuato ad esserlo per l'eternità, perché l'amicizia è questo: è rispetto, è comprensione, è affetto.
“Iniziamo?” le domandò.
“Sì, sono pronta!”
Dopo aver sistemato le luci cominciarono ad appendere i nastri argentati, e fu allora che arrivarono Jack e Chloe, i due bellissimi gatti di Andrew. Erano gemelli ed entrambi grigi. Avevano poco più di tre anni e fin da piccoli si aggiravano per la casa comportandosi come se ne fossero i padroni, come fa ogni gatto che si rispetti.
"Ciao, piccolini!" li salutò il ragazzo, avvicinandosi a loro e accarezzando il loro pelo morbido.
I mici miagolarono in risposta e Jack gli leccò la mano, mentre Chloe non riservò la stessa gentilezza a Demi e anzi, girò il musetto dall'altra parte quando lei le fece una carezza.
"Ma tu guarda, che antipatica! Allora non mi vuoi bene, eh? Eh?" le chiese,  scherzando e grattandole le orecchie.
Quella gattina era più indipendente e meno coccolona del fratello, ma sapeva comunque amare chi le dava affetto e attenzioni.
I gatti si avvicinarono allo scatolone con le decorazioni e ci guardarono dentro incuriositi.
"Preparati," disse Andrew a Demi sospirando e passandosi una mano tra i capelli castani, "adesso inizierà il casino."
Dopo poco non riuscì più a rimanere serio e rise sommessamente; Demi si unì a lui perché sapeva quel che sarebbe accaduto. Tutti e due però volevano godersi lo spettacolo, se così si poteva definire.
Jack mise una zampa dentro il contenitore muovendo le palline, mentre Chloe pareva più interessata agli ultimi nastri rimasti e a quelli già appesi all'albero. Anzi, soprattutto ai secondi, visto che cominciò a spostarli e nemmeno troppo delicatamente. Il rumore che producevano e la luce del sole che batteva loro contro la attiravano, tanto che non riusciva a smettere di guardarne i riflessi. Pareva incantata, in estasi, e Andrew e Demi sorrisero nell'osservarla. Tuttavia, quando diede una zampata più vigorosa ai nastri, il padrone la sgridò.
"No!" esclamò, perentorio. "Non si fa."
La gattina non poteva capire, ovviamente, ma in qualche modo bisognava insegnarle che certe cose si possono fare e altre no. Quando Chloe, non ascoltando, mosse ancora i nastri, Demi batté forte le mani per mandarla via, ma lei non aveva paura e rimase ferma dov'era. Nel momento in cui i due amici iniziarono ad appendere le palline successe il finimondo. I gatti le muovevano facendole dondolare pericolosamente e non si limitavano a farlo con quelle più grandi appese ai rami più bassi, ma anche con le medie e le piccole, quindi spiccavano dei grandi salti per raggiungerle.
"Non si può lavorare così!"
Demi era esasperata. Lavoravano molto più lentamente da quando i gatti erano entrati in salotto. Non solo facevano cadere le palline e muovevano i nastri, ma tiravano anche i fili delle lucette e poi toccavano con le zampe tutte le decorazioni ancora nella scatola ed entravano dentro di essa, chissà perché, poi. Era bello averli lì, Demi adorava i gatti in generale e quelli di Andrew in particolare e avrebbe tanto voluto averne uno, un giorno. Tuttavia con quei due un lavoro piuttosto semplice sembrava difficile e ci voleva molto più tempo per concluderlo.
Una volta terminato, l'albero era bellissimo proprio come aveva detto Andrew, che lasciò alla sua amica l'onore di mettere la punta a la stella. Demi salì su una sedia per riuscirci e alla fine i due batterono le mani, congratulandosi con loro stessi per il risultato ottenuto. I più felici però parevano Jack e Chloe che, mentre i due umani erano seduti sul divano a guardare la televisione, presero a rincorrersi e a farsi gli agguati, preferendo come nascondiglio l'albero. Cercarono di arrampicarvisi in mezzo, ma erano grandi e troppo pesanti quindi, quando si resero conto che i rami iniziavano a piegarsi troppo, lasciarono perdere. Allora ci andarono sotto e continuarono a mordersi e a graffiarsi per giocare e non con l’intento di farsi male.
"Sai," disse Demi ad Andrew, "mi ricordo che qualche anno fa ci andavano proprio dentro."
"È vero. Erano piccoli, avevano pochi mesi ed era il primo Natale che passavano con noi da quando li avevo trovati su quella strada. E una volta, mentre pranzavamo, io, Carlie e i miei genitori abbiamo sentito un rumore provenire dall'albero, I rami si muovevano."
Scoppiarono a ridere entrambi. Era bello ridere davvero, pensò Demi, senza fingere, senza sentire sempre un peso al cuore. Andrew era l'unico con il quale, anche negli anni più bui, aveva riso veramente. Ma adesso che stava meglio, si godeva quei momenti ancora di più.
"E…" disse fra le risate, "e poi che… che è successo? Ti prego, raccontamelo di nuovo!"
"Abbiamo guardato e ci siamo accorti che Jack e Chloe erano andati dentro l'albero ed erano lì, sdraiati tra i rami, come se quello fosse il posto più comodo del mondo. L'hanno fatto tantissime volte quell'anno e non sono serviti i nostri mille rimproveri."
Risero ancora di cuore, piegandosi in due e persero addirittura il fiato. Quando si ripresero, i due giovani si presero le mani e poco dopo un forte abbraccio li unì. Era una stretta piena di amore perché sì, l'amicizia è una forma di amore in un certo senso e loro ci credevano nel profondo. Quel momento dolce, però, fu interrotto dal cadere di altre tre palline, ma prima che Andrew potesse alzarsi e sgridare per bene i mici - anche se gli dispiaceva farlo -, si aggiunse un altro suono, più fragoroso e intenso. Uno dei due, non era chiaro chi, aveva fatto cadere l'albero. Le palline erano rimbalzate in ogni lato della stanza, alcuni nastri si erano staccati e anche delle luci. Andrew e Demi si chiesero con lo sguardo:
"Ed ora che facciamo?"
Avevano lavorato tanto e non era servito.
Il ragazzo avrebbe voluto urlare, ma non se la sentiva perché non voleva rattristare l'amica. Lei era sempre stata in disaccordo quando lui aveva sgridato i gatti. Tuttavia batté un piede a terra e i due, un po' per paura e un po' perché avevano capito di aver fatto qualcosa di sbagliato, pensarono bene di correre via.
"E adesso?" chiese Andrew.
"E adesso," gli rispose Demi, "anche se siamo stanchi rifacciamo tutto. D'altra parte, una cosa del genere può accadere quando si hanno gatti e si fa l'albero di Natale."
Per nulla scoraggiati, i due lavorarono gomito a gomito e dopo un po' tutto era di nuovo a posto. I gatti ritornarono, nel frattempo, ma dopo aver giocato un po' andarono sul divano, pensando che era più bello ricevere coccole che giocare. A quello avrebbero comunque rimediato più tardi, perché per i gatti le palline sono un'attrazione troppo forte.
Nonostante qualche piccolo inconveniente, Andrew e Demi avevano passato un bel pomeriggio, anche grazie alla presenza di Jack e Chloe che, seppur combina guai, avevano rallegrato loro la giornata.
 
 
 
NOTA:
come sa chi sta leggendo “Cuore di mamma”, Jack e Chloe sono di Andrew che però li ha trovaati alcuni anni dopo il periodo in cui questa storia si ambienta. Tuttavia, nel nuovo capitolo della long scriverò che Andrew aveva avuto loro in passato, e che dopo qualche anno non è stato più così per qualche motivo, non so ancora quale. Quando ha trovato i due piccolini ha capito che quello era una sorta di segno che gli era stato mandato affinché lui andasse avanti e si prendesse cura di qualcun altro che aveva bisogno. E la loro scomparsa è una cosa di cui non ha mai parlato perché nonostante i suoi nuovi amici pelosi pensarci gli faceva troppo male. Devo ancora decidere se scrivere che i mici sono scappati o se, insomma, non ci sono più, anche se questa sarebbe molto triste come scelta. Voi che proponete?
 
Jack e Chloe hanno lo stesso colore e il carattere identico ai miei, che infatti si comportano come loro quando in casa addobbiamo l’albero di Natale.
 
 
 
ANGOLO AUTRICE:
ed ecco la prima storia! Lo so che ho in corso una long, ma in questa settimana dopo il termine del corso di informatica mi sono completamente dedicata a questo progetto che avevo in mente, scrivendo molto più di quel che mi sarei aspettata, soprattutto nella terza one shot. In questa, la più leggera e divertente, abbiamo visto cosa succede quando si vuole fare l’albero di Natale e si ha un gatto in casa, anzi, in questo caso i mici erano due. Ma Demi ha anche i suoi problemi che la fanno stare male e anche se la one shot che avete appena letto non è un vero e proprio incubo come ho scritto nella trama, spero di aver fatto capire che il suo percorso per stare meglio è ancora lungo e difficile.
Mi auguro che il racconto vi sia piaciuto. La raccolta è già completa, ci vediamo quindi domani con la seconda fanfiction.
A presto!

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Capitolo 2
*** Un gusto dolceamaro ***


                     UN GUSTO DOLCEAMARO
 
Demi ed Andrew avevano finito di fare - anzi, rifare - l'albero da un po'. Seduti sul divano, coccolavano ancora i gatti. Jack era sdraiato a pancia in su tra i due e si faceva grattare da Demi, mentre Chloe era acciambellata sulle gambe di Andrew che le faceva qualche carezza, ma perlopiù la lasciava riposare, visto che la micia teneva gli occhi quasi sempre chiusi. Del resto faceva freddo, il che era strano per la California dato che a Los Angeles l’invernoera sempre mite, e proprio a causa del clima i gatti preferivano stare in casa a dormire piuttosto che uscire. I due amici erano avvolti in una calda e soffice coperta che la mamma di Andrew aveva fatto con le sue stesse mani. Amava cucire, lo dimostrava la vecchia macchina da cucire che c'era lì in salotto e il fatto che sopra di essa ci fossero ago e filo pronti per essere usati. Su quel macchinario, appartenuto alla nonna del suo amico, Demi non aveva mai visto posarsi un granello di polvere.
"Si sta bene qui sotto" disse. "E poi si sente che tua madre fa le cose con amore."
Non era una frase fatta, anche se forse poteva sembrarlo. Demi era sincera.
"Già, hai ragione."
"Ma quando tornano i tuoi? Sono passate due ore da quando abbiamo cominciato a montare l'albero."
"Ah, non ne ho idea! Probabilmente avranno trovato i centri commerciali pieni dato che si sono presi all'ultimo minuto. Che poi, dico, i miei purtroppo non hanno fratelli, quindi io e Carlie sfortunatamente non abbiamo né zii né soprattutto cugini. I regali sono per dei nostri amici, compresi voi. Ma dovevano andarli a prendere proprio oggi? All'ultimo?"
"I giorni prima saranno stati presi da altre cose, in fondo anche loro cucinano per il pranzo che faremo domani."
"Sì, ma a parte cucinare un po' di roba e pulire casa, cosa di cui per essere precisi ci siamo occupati io e mia sorella, e lavorare, non è che abbiano fatto molto altro. Avevano comunque quasi tutto il pomeriggio libero."
"Dai, non lamentarti. Si saranno organizzati."
"Hai ragione, sembro uno stupido. Non è da me fare così."
Più che uno stupido sembrava un po' un bambino, pensò Demi con un sorriso. Amava i bambini e un giorno le sarebbe piaciuto averne di suoi. Non ora, però, sia perché era troppo giovane sia perché stava ancora guarendo, e finché non si fosse sentita stabile mentalmente e fisicamente non avrebbe potuto prendere decisioni di quel genere. Non sarebbe stato nemmeno giusto. Comunque, il fatto che pensasse al futuro e che ogni volta vedesse nella sua mente un bambino, era un ottimo segno. Significava che aveva una speranza, che riusciva a guardare avanti.
"A cosa pensi?" le domandò l'amico. "Sembri assorta."
"Lo sono" rispose e gli spiegò tutto.
"Sarai  una madre meravigliosa, Demi."
Lei si limitò a sorridere; e comunque, non credeva sarebbe stata tanto speciale. Sicuramente non tanto quanto lo era Dianna.
"Ti va se preparo una cioccolata calda?"
"Cosa?"
"Ti ho chiesto se…"
"No, Demi, ho capito. Sono solo felice per te."
Andrew la guardava come se avesse appena visto un extraterrestre o una creatura del genere, o forse era solo sorpreso.
"Perché? E perché mi guardi così?"
Gli lanciò un’occhiata interrogativa.
"Beh, è un ulteriore passo in avanti. Il fatto che tu non solo voglia bere la cioccolata ma desideri anche prepararla è un altro dei tuoi step verso la guarigion. Piccolissimo, okay, ma importante."
Andrew aveva anche paura, però. Paura che le cose potessero andare male, che Demi perdesse la serenità a causa di una malattia dalla quale non era ancora del tutto guarita. E non si trattava solo dell’anoressia. Bisognava tener conto anche della bulimia e dell’autolesionismo. Tuttavia non le parlò dei suoi timori. Non voleva toglierle quel bel sorriso che le vedeva dipinto in volto, un sorriso talmente splendente da illuminare il mondo.
"Hai ragione" fu d'accordo Demetria. "Non ci avevo pensato, ma è vero. Quando tornerò dalla psicologa, dopo l'Epifania, gliene parlerò."
Inoltre vedeva una psichiatra una volta al mese anche, ma non solo, a causa della sua ansia e avrebbe comunque dovuto continuare ad andare dalla psicologa e dalla nutrizionista ancora per diverso tempo, per anni, per avere un aiuto e un sostegno.
"Non ci vai per tutti questi giorni?"
"È in vacanza anche lei."
"Sì ma…"
E anche in quel caso il ragazzo non continuò e fece un gesto con la mano per dire che non era niente. E se nei giorni nei quali era scoperta Demi si fosse sentita peggio? Ad un occhio esterno le sue paure potrebbero risultare esagerate, ma la verità era che aveva visto soffrire Demi così tanto, e la vedeva stare talmente male ancora adesso a volte, che il timore che le potesse accadere qualcosa era troppo forte. E non sarebbe andato via per molto, molto tempo.
"Va bene, allora vado a cucinare!" trillò la ragazza correndo in cucina.
"Fai come fossi a casa tua, come sempre" le rispose l'amico.
Dopodiché si alzò, posò Chloe sulla coperta e raggiunse Demi.
Lei intanto aveva versato il contenuto del preparato in un pentolino  assieme al latte, stava mescolando e ogni tanto aggiungeva un altro po' di quella bevanda.
"Ti stai divertendo?"
"Insomma. Con la cioccolata calda bisogna fare così, continuare a mescolare, altrimenti ti frega. Una volta, quando eravamo piccole, Eddie ce l'ha fatta. Solo che mescolava ogni tanto, per il resto se ne stava davanti alla televisione a guardare la partita."
"Oddio, non immagino il risultato…"
"La cioccolata si è attaccata, ha fatto i grumi e quella che io e mia sorella siamo riuscite ad avere in tazza sapeva di fumo. Non l'ho neanche finita tutta. Ho sempre amato i dolci. Beh, quando ho cominciato ad ammalarmi li detestavo, e un anno fa ti avrei detto che mi facevano schifo, ma adesso hanno ricominciato a piacermi. Comunque, se non l'ho bevuta quella volta era proprio perché aveva un sapore orribile."
"Posso solo immaginare. Vi siete arrabbiate?"
"Abbastanza, ma mamma di più quando l'ha scoperto. Pensa che l'ha obbligato a rifarcela la mattina dopo per colazione."
"Conoscendo Dianna mi stupirei del contrario. E com'era?"
"Buonissima, ma sono sicura che la mamma l'ha aiutato."
Parlarono del più e del meno per un po', mentre un dolce e invitante profumo si spandeva per tutta la casa.
"Allora, sei felice di essere tornata a lavorare?"
"Abbastanza, anche se è difficile. Insomma, è stancante. Ho ricominciato poco dopo essere uscita dalla Timberline Knolls, forse troppo presto come mi avevate detto tutti. Ma questo mi ha anche aiutata. Stando a casa non facevo che pensare e le voci ritornavano."
Andrew sapeva di cosa parlava, quindi non le chiese niente.
Demi era tornata in studio di registrazione a marzo, prima di quanto tutti si sarebbero aspettati. I dottori avevano detto che la ragazza aveva bisogno di tranquillità e di tempo per riprendersi, ed era vero. Quando era rientrata a casa, dopo i tre mesi passati in clinica, si era sentita come una fragilissima piantina che avrebbe potuto spezzarsi da un momento all'altro. Oltre al calore e all'affetto della famiglia e di quella di Andrew, che per lei erano le cose più importanti, anche la musica l'aveva aiutata. Aveva ricominciato subito a comporre canzoni con la chitarra, a scrivere note sul pentagramma per non dimenticare nulla e poi parole su un altro foglio, cercando di rendere il testo in rima il più armonioso e perfetto possibile. Adorava fare tutto ciò perché la distraeva, la faceva sfogare, spesso la aiutava anche a non pensare. La musica e il canto erano le sue più grandi passioni, senza le quali non avrebbe potuto vivere o magari sì, ma la sua sarebbe stata una vita triste e senza speranze. Era per darsi una spinta in più, per andare avanti, che era tornata alla Hollywood Records quando si era sentita pronta. A luglio, pochi mesi dopo, era uscito il singolo "Skyscraper". A settembre, invece, era stato pubblicato il suo album. Aveva scritto e registrato alcune canzoni prima di entrare in clinica, quando ancora non sapeva l'avrebbe fatto. Da marzo a settembre aveva lavorato molto, troppo a sentire Dianna, che spesso le aveva detto di fermarsi un attimo e pensare anche a riposare, non solo a registrare e comporre. Alla fine, l'album aveva riscosso un grande successo e, anche se adesso la ragazza stava già pensando al successivo e a un documentario che aveva già iniziato a produrre con l'aiuto del suo team, era decisa ad andare più con calma. Mentre pensava a tutto ciò ne parlò con l'amico.
"Sono felice tu voglia fare le cose con tranquillità" le disse lui alla fine. "E sei molto coraggiosa a voler raccontare la tua storia in un documentario."
"Penso che se posso salvare anche solo una vita parlando della mia esperienza, allora la mia sofferenza e tutto il lavoro che sto facendo per guarire saranno valsi qualcosa."
"Hai detto una cosa molto bella." Andrew sentì un gruppo allo stomaco e alla gola. La voce gli era uscita strozzata. Demi era meravigliosa: sapeva sorprenderlo con parole talmente profonde da toccargli l'anima. “E comunque, quello che hai passato e che stai facendo vale già molto, perché stai provando a guarire per la tua famiglia, per me e la mia, ma soprattutto, e questa è la cosa più importante, per te stessa."
"Già." Demi mormorò così piano quella parola che Andrew fece fatica ad udirla. “Non ne sono tanto sicura.”
Ecco, aveva parlato troppo.
Stupida! Sei solo una stupida ragazza insicura!  pensò.
“No, niente.”
Restò vaga, ma Andrew non aveva intenzione di lasciar cadere l’argomento.
“Ti prego, Demi, sfogati! Di cosa?”
Le cinse le spalle in un gesto protettivo e anche per darle coraggio.
Lei lasciò andare un respiro tremolante e decise di dirgli qualcosa che non aveva mai detto a nessuno.
“Di star combattendo per me.”
Cinque parole che si teneva dentro da tanto, troppo tempo.
“Credo di aver capito cosa intendi, ma puoi spiegarmi meglio?”
Andrew era dolce, non voleva forzarla.
“Forse lo faccio ancora e solo per gli altri” cominciò, marcando quelle due parole, “per il loro benessere.” Era così difficile confessare tutto ciò, ma voleva continuare. “Penso che comportandomi così, voi stiate meglio.”
“E tu? Stai meglio?”
Una stilettata nel cuore avrebbe fatto meno male di quella domanda.
“No! No, sto peggio.” Una lacrima le rigò il viso ed Andrew fliela asciugò. “Eppure, ci sono giorni nei quali sono convinta che lo faccio anche per me.”
“Col tempo capirai che è davvero così.”
“Come… come lo sai?” sussurrò e fu scossa da un leggero tremore.
“Lo so perché io, la mia e la tua famiglia, Phil, il tuo team e i tuoi fan crediamo moltissimo in te. Devi solo darti il tempo di credere tu di più in te stessa. È difficile, lo so. Ma hai già fatto tanto, anche se magari non ti sembra.”
Demi rimase colpita da quelle parole.
“E quanto ci vorrà?”
“Non posso rispondere a questa domanda. È soggettivo, ma tu ce la farai.”
“Grazie.”
Gli sorrise, ma più debolmente di prima.
“Tu invece? Come vanno le cose allo studio legale?”
Dopo aver finito l’università in tre anni, Andrew era entrato in una scuola di legge e dopo altri tre, una volta terminata, era diventato avvocato. Voleva però specializzarsi in diritto di famiglia, quindi aveva cominciato a lavorare in uno studio legale in cui si occupava di quello e anche di altre questioni. Nel frattempo continuava a studiare diritto di famiglia e a fare corsi di formazione a riguardo. Avrebbe dovuto aspettare altri quattro anni, per legge, per sostenere un esame riguardante l’area in cui voleva specializzarsi per poi diventare effettivamente un avvocato in diritto familiare. Era brutto dover aspettare tanto tempo, ma vedeva gli altri quattro anni davanti a sé e quello che stava per terminare come un lungo periodo in cui fare esperienza, lavorare, fare corsi per poi dimostrare di essere preparato, bravo e pronto ad aiutare la gente. Era continto che molti intraprendessero quella carriera solo per i soldi, mentre lui l’aveva scelta per una motivazione più vera e profonda.
La cioccolata era pronta. Demi ci aveva aggiunto anche la fecola di patate, per addensarla e renderla ancora più buona. La versò in due tazze, poi le mise sul tavolo.
"Mmm, invitante!"
"Spero sia venuta bene" disse accomodandosi di fronte al ragazzo. "Ho già messo lo zucchero, ma se vuoi puoi aggiungerne ancora. Ah, aspetta." Si alzò, aprì il frigo e tirò fuori del latte. "Sarà meglio aggiungerne un pochino per raffreddarla, altrimenti la berremo domani."
Risero insieme e sentirono i muscoli rilassarsi. Il momento di commozione di poco prima, che li aveva leggermente bloccati, sembrava essere passato per lasciare spazio alla tranquillità.
Andrew si alzò e tirò fuori da una dispensa dei biscotti.
"Ecco, ora è tutto pronto. Vuoi la panna montata?"
Ma Demi non rispose. Guardava prima la cioccolata e poi il vuoto.
"Se mangi, il cibo ti finirà tutto nei fianchi, nelle gambe e in ogni parte del corpo, cicciona di merda" disse una voce nella sua testa.
Eccola. Era tornata a perseguitarla. Ana, l'aveva chiamata così, abbreviando la parola "anoressia". Erano state amiche per molto tempo, poi si era aggiunta anche Mia, la bulimia. Ma in clinica le avevano insegnato a non considerare il cibo un suo nemico, a pensare che era lei la nemica di se stessa. Parole, queste, che all'inizio non le avevano fatto né caldo né freddo, ma che a lungo andare, grazie alle sedute dalla psicologa, dalla nutrizionista, agli incontri di gruppo e alle varie attività svolte, avevano cominciato a cambiare anche se lentamente la visione che lei aveva del suo corpo, di se stessa, i sentimenti che provava verso di sé e il cibo. Doveva resistere.
"Non mangiare più niente" riprese la voce. "Ricominciamo da capo, con una dieta da cinquecento calorie, poi passiamo a duecento come facevi una volta. Ti ricordi? Sei riuscita a nasconderlo per tanto tempo e sono sicura che adesso diventerai ancora più brava."
"No, vattene! Non voglio!"
Demi urlò e per un momento non si rese nemmeno conto di farlo.
"Demetria, ehi." In un attimo Andrew le fu accanto. "È lei, vero? È Ana."
"S-sì" balbettò, mentre sentiva che la sua mente era connessa solo in minima parte al presente.
Il resto era in quella realtà fatta di pasti saltati o fatti solo a metà, di bugie, dita in gola per provocarsi il vomito, di lassativi e siti web che aveva visitato, i Pro Ana, come venivano chiamati, in cui tante ragazze come lei si sostenevano a vicenda lodando l’anoressia come fosse stata una dea.
"Sei brutta, grassa e orrenda" continuò la voce. "E lo diventerai ancora di più se continuerai a mangiare. Non ti odi? Non ti fai schifo visto tutto il cibo che ingurgiti e il grasso che hai in corpo? Sono sicura di sì."
"No" mormorò.
"Non è vero. Non ci credo e non lo fai nemmeno tu. Sono io la tua unica amica, Demi. Solo io posso capirti e aiutarti."
La ragazza ricordava ancora le regole di quel blog, dal quale si era cancellata da tempo e se da una parte le venivano i brividi al solo pensarci, dall'altra quella voce la tentava così tanto!
"Demi, guardami. Guardami!" La voce di Andrew era dolce, sembrava più comprensiva di quella di Ana, ma… "Ascolta, so che non dipende da te, dalla tua forza di volontà, che non basta per superare malattie del genere. Ma lei, Ana, è una malattia. Non è una tua amica, non ti farà stare meglio, lo sai."
"Io non… non lo so. Non…" provò a dire Demetria, confusa.
La testa le girava.
Intanto la voce continuava a ripeterle le stesse cose con il suo tono rassicurante. Demi si aggrappò al tavolo per non correre in bagno a vomitare. Era sicura che non avrebbe buttato fuori niente, dato che erano passate ore dal pranzo, ma una parte di lei voleva comunque provare, andare a pesarsi.
Andrew non sapeva cos'altro dire. Aveva parlato anche lui con i professionisti che la seguivano, gli avevano detto di aiutarla a capire che la malattia non era una compagna, un'amica, e lui ci aveva provato. Non l'aveva mai vista avere una ricaduta o meglio sì, ma non davanti a lui. Spesso era andato a casa sua quando lei stava già male.
"Demi, facciamo come hanno detto la psicologa e la nutrizionista all'inizio, okay? Solo un boccone. Piano."
Lei guardò schifata la cioccolata e i biscotti, poi ne prese uno, ne morse un minuscolo pezzetto e, dopo averlo messo in bocca, cominciò a muoverlo con la lingua di qua e di là. Era il tipico comportamento di chi soffre di questa malattia: tenere il cibo in bocca finché ne resta il meno possibile e poi correre subito in bagno per buttarlo fuori prima che sia troppo tardi.
“Adesso mandalo giù. Lentamente.”
Demi lo nascose sotto la lingua.
“Fammi vedere.”
Aprì la bocca e non sapeva se sperare che non si accorgesse che non l’aveva ingoiato o il contrario.
“Alza la lingua.”
Fece cenno di no.
“Demi, alzala.”
Non alzò il tono, non voleva spaventarla. Doveva essere molto paziente, anche questo gli avevano detto.
Lei lo ascoltò.
“Immaginavo ce l’avessi ancora.”
Per un istante, Demi provò sollievo nell’essere riuscita a non mentirgli.
Andrew era nel panico. La guardava allarmato e cominciava a respirare male, ma cercò di non darlo a vedere per non agitarla. La cosa migliore da fare era chiamare Dianna. Subito.
"Smettila, Ana!" urlò all'improvviso la ragazza, stringendo ancora di più il bordo del tavolo tanto che le nocche le diventarono bianche. "Mi fai sentire come se avessi qualcosa che non va nel cervello! Non ti voglio, vattene! Non potrai avermi, non di nuovo!"
Dopo aver gridato si alzò e corse via, chiudendosi in bagno.
 
 
 
 
"Oh mio Dio!" esclamò Andrew, che per prima cosa prese in mano il telefono e chiamò la mamma della sua amica. Gli squilli che indicavano che la donna ancora non rispondeva furono per lui una tortura. "Ti prego, rispondi! Rispondi!" continuava a ripetere. "Rispondi dannazione!" urlò, in preda più alla frustrazione e al terrore che alla rabbia.
"Pronto?"
Fu una voce femminile e angelica quella che rispose. Era piccola.
"Maddie, tesoro" iniziò il ragazzo, raddolcendo il tono e sperando che la bambina non notasse la sua ansia. "Mi passeresti la mamma, per favore?"
"Va bene, Demi come sta?"
Come stava? Stava male, porca puttana, male! E lui non avrebbe mai voluto che le cose andassero così, che un pomeriggio che doveva essere bello si trasformasse in uno tanto orribile per lei.
"Bene piccola, tranquilla."
Maddie aveva quasi dieci anni, ne aveva viste troppe con i problemi della sorella ed era meglio non farla preoccupare ancora. Aveva già sofferto abbastanza.
"E quando torna?"
"Presto, promesso."
Andrew sentì la bambina che parlava con la mamma e poi la voce della donna all'altro capo. Le spiegò la situazione e Dianna disse che sarebbe arrivata subito.
"Demi, adesso entro!" esclamò il ragazzo, deciso.
Ma la porta era chiusa. Imprecò. Che stava facendo lì dentro? Non era difficile da immaginare, sperò solo che oltre a vomitare non si stesse anche tagliando. Doveva aprire quella porta, in un modo o nell'altro. La chiamò varie volte. Il suo continuo silenzio gli fece accapponare la pelle. Appunto, il silenzio. Non si sentiva alcun suono, allora forse non aveva… o magari sì, mentre lui era al telefono.
 
 
 
Dianna aveva lasciato Madison con Dallas. Aveva spiegato alla più grande la situazione e poi era corsa via, mandando un messaggio a Eddie che in quel momento era fuori. Andrew abitava vicino a loro e la macchina era in garage, così per far prima aveva deciso di andare a piedi. Correva, Dianna, correva a perdifiato. La sua bambina stava male e lei doveva aiutarla, fare l'impossibile perché superasse quella crisi. Ogni volta che aveva una ricaduta lei si diceva che no, non poteva soffrire di nuovo, non poteva ricominciare tutto un'altra volta. Ma la paura che accadesse, forse, non le sarebbe mai passata. Mentre continuava la sua corsa piangeva. Le lacrime si moltiplicavano secondo dopo secondo ed erano tante che quasi non vedeva dove stava andando. Non avrebbe voluto piangere, sapeva di dover essere forte. Ma era convinta che chi lo fa non sia affatto debole, e che quella fosse una grande verità. L'aveva detta a Demi la sua psicologa, qualche tempo prima e lei ne aveva parlato a casa. Tuttavia, più piangeva più Dianna si sentiva fisicamente stanca e questo non giovava a nessuno. Pregò Dio affinché la facesse arrivare il prima possibile.
 
 
 
Demi rimase per quelle che le parvero ore davanti al Water aperto. Sarebbe stato così semplice mettersi due dita in gola per provocarsi il vomito! In questo modo avrebbe provato la sensazione di liberarsi di quel cibo che la rendeva tanto grassa e brutta, che le faceva odiare il suo corpo, come diceva Ana. Ma non era riuscita a farlo. Non aveva mosso un muscolo. Era rimasta lì, inginocchiata, poi ad un certo punto si era alzata. Si era guardata intorno alla ricerca di una lametta, o di qualsiasi cosa potesse aiutarla a non sentire più quella voce maledetta. Perché sì, ormai stava cominciando a capire che la psicologa aveva ragione quando le diceva che era solo lei ad essere sua nemica. Era lei a fare del male a se stessa, non il cibo. Non doveva essere magra o non mangiare per essere bella, perché lei era bella. Anzi, era bellissima così com'era. Per un momento pensò che tagliarsi fosse la soluzione. Dopo, per un po’, si sarebbe sentita meglio, più leggera. Ma in uno sprazzo di lucidità capì di non volerlo fare davvero, almeno non allora e, sperò, non quel giorno. Se si fosse procurata anche un solo taglio l’avrebbe fatto in parte per stare meglio e in parte per punire il suo corpo pensando di meritarlo. Due motivazioni opposte, che però in lei coesistevano; perché ogni volta, fatti quei tagli, dopo il sollievo arrivava comunque l’odio per se stessa, il pensiero di aver fatto bene a infliggersi quella punizione. Ma quel giorno non voleva. Forse, si disse, non doveva odiarsi perché… beh, perché era bella e se i suoi fan credevano così tanto in lei, significava che qualcosa di buono doveva averlo fatto. Giusto? Non ne era così sicura. Quando era in clinica e Madison e i suoi erano venuti a trovarla a Natale, la sorellina le aveva portato un quaderno pieno di messaggi che i fan le avevano scritto sui social. Erano frasi di incoraggiamento, di speranza, come:
Crediamo in te!
Sii forte!
Noi ti vogliamo bene e ti sosterremo sempre.
Parole bellissime che l'avevano commossa ed emozionata oltre ogni dire. Sapeva di dover guarire anche per se stessa, ma quello era più difficile e non sapeva se era pronta a farlo.
"Posso farcela" mormorò.
Non era ancora così forte, non era guarita, non si sentiva del tutto sicura. Ma aveva un po' più di fiducia in se stessa e voleva lottare. Lei era più forte dell'anoressia, della bulimia e dell'autolesionismo. Non voleva darla vinta a quei bastardi. Si avviò verso la porta su gambe malferme e girò la chiave, poi trasse un profondo respiro e uscì.
Andrew, che aveva in mano un cacciavite, sicuramente per aprire quella dannata porta, le corse incontro, mise l'oggetto da parte e la guardò negli occhi.
"Demi! Oh mio Dio, come… cosa…"
"Non ho fatto niente" gli rispose. "Voglio lottare."
Ma combattere giorno per giorno contro malattie come quelle di cui soffriva non era una passeggiata, Demi l’aveva imparato anche troppo bene. Si gettò fra le braccia di Andrew e lui la strinse e la cullò dondolandosi a destra e a sinistra. La ragazza scoppiò a piangere e stavolta non si calmò subito, anzi, più passava il tempo più le sue lacrime e i suoi singhiozzi aumentavano. Erano strazianti e spezzavano il cuore dell’amico che cercava di tranquillizzarla come poteva.
“Ci sono qui io, shhh. Tranquilla” le diceva.
Ma purtroppo non ebbe successo. A un tratto suonò il campanello. Demi guardò Andrew confusa: chi poteva essere?
“Non sapevo che fare, ho chiamato tua madre” le spiegò, sperando che non si arrabbiasse.
“Hai fatto bene” gli rispose.
Capiva che doveva essersi trovato in difficoltà. Con gli occhi chiusi, Demetria si lasciò guidare e quando Andrew le disse di sedersi, lei si fidò e lo fece. Comprese allora di essere seduta sul divano. Il ragazzo aprì a Dianna che, quando vide Demi, andò subito ad abbracciarla.
“Bambina mia!” singhiozzò. “Amore della mamma! Come stai?”
“Mamma!” La figlia la strinse e singhiozzò. “Sto meglio, ho avuto una crisi ma è passata. Non è successo niente.”
“Giuramelo.”
La donna la guardava, seria e preoccupata.
“Te lo giuro, mamma.” Demi tirò su automaticamente le maniche perché immaginava che altrimenti la madre le avrebbe chiesto di farlo. C’erano delle cicatrici ma i segni erano bianchi, il che significava che le aveva fatte tempo prima, non quel pomeriggio. “Non ne ho da nessun’altra parte. E anche se stavo per vomitare, non l’ho fatto.”
La guardò così intensamente che la donna in quello sguardo lesse una profonda sincerità e le credette. La figlia non le avrebbe mentito su una cosa del genere, o almeno non più, da quando era tornata dalla clinica gliel’aveva promesso. La donna voleva fidarsi, davvero, con tutto il cuore, ma ammetteva a se stessa che a volte aveva dei dubbi sempre a causa di quel terrore che non la abbandonava mai.
La voce non c'era più, notò Demi in quel momento. Era sparita e lei era stata più forte, non si era lasciata tentare, aveva combattuto e aveva vinto. Ma quella era stata solo un'altra battaglia. La guerra, la sua guerra, era ancora in corso. Si ascigò le lacrime e si lasciò coccolare un po’ da Andrew e dalla mamma, rilassandosi nei loro abbracci pieni d’amore e godendosi quel calore che la faceva sentire sempre al sicuro.
"Voglio bere la cioccolata" disse dopo un po’, decisa.
Lo desiderava davvero. In parte per dimostrare a se stessa che poteva riuscirci, in parte perché adesso che si era calmata ne aveva voglia, come prima di stare male. Andrew e Dianna le sorrisero e la accompagnarono in cucina. Non le chiesero se fosse o meno sicura di volerlo, non era loro intenzione farle venire altri dubbi o rigettarla nel tunnel dal quale stava faticosamente risalendo. La ragazza si sedette al tavolo, Andrew versò della cioccolata anche per Dianna e tutti e tre la gustarono. Demi ci mise sopra anche della panna, non tanta ma abbastanza per sentirne il sapore. Da quando aveva ricominciato a mangiare e soprattutto a volersi curare e nutrire, si era resa conto che il cibo aveva un gusto che non ricordava da tempo. Era buono, la faceva stare meglio. Nei giorni in cui stava relativamente bene e la pensava così si sentiva più tranquilla, sapeva di stare ritrovando a fatica un equilibrio con se stessa che aveva perso molti anni prima. E nonostante la crisi appena avuta, ora mangiava i biscotti inzuppati nella cioccolata e si diceva che erano l'uno più buono dell'altro. La loro morbidezza data dal liquido scuro nel quale li aveva immersi e la bella sensazione che provava quando scendevano lungo la gola era qualcosa di incredibile, e lo era anche il calore della cioccolata mentre la beveva. Non pensava più a correre in bagno a vomitare e si godette a pieno il momento, non sapendo quanto sarebbe durato. La mamma e il suo amico cercarono di distrarla parlando d'altro.
"Allora," chiese la donna, "che programmi avete per queste vacanze? Siete amici, farete qualcosa insieme immagino."
"Non ci abbiamo ancora pensato" disse Demetria. "Non ne abbiamo parlato."
"Esatto. Faremo qualche passeggiata probabilmente. E poi tra un po' c'è la fiera del cioccolato!"
"Uuuuh, giusto! Sarebbe carino andarci."
Demi non credeva sarebbe andata da qualche parte quell'anno, non che nelle vacanze di Natale lo facesse, comunque. Soprattutto in quel momento aveva bisogno di stare a casa, della sua famiglia, di Andrew, dei suoi genitori e di Carlie con la quale, anche se non aveva un rapporto così stretto, andava molto d'accordo.
Prima di tornare a casa, Dianna ringraziò il ragazzo e lo abbracciò.
"Senza di te non so cosa…" mormorò, poi un nodo in gola le impedì di continuare.
"Non ho fatto niente, Demi è stata forte e ha superato tutto da sola."
"Sì, ma tu c'eri. Anche questo conta."
Demetria non aveva udito la conversazione perché mentre i due erano in salotto, lei si trovava in cucina. Aveva messo via i biscotti e la panna e stava lavando le tazze e i cucchiai. Le pareva il minimo, dato che Andrew l'aveva invitata a casa sua e le era stato accanto. Si sentiva meglio, ma la crisi di prima le aveva provocato una grande stanchezza. Andò in salotto e strinse forte l'amico. Non lo ringraziò perché sapeva che lui l'aveva aiutata col cuore, e poi tra loro a volte non c'era nemmeno bisogno di parole. I loro sguardi e soprattutto l'affetto dicevano tutto.
"Ci vediamo domani" le disse Andrew. "Spero di aver finito di studiare quel capitolo per l’ora di pranzo."
"Va bene, non vedo l'ora!"
Si vedevano spesso e quando si separavano sentivano tantissimo l'uno la mancanza dell'altra.
“Ti proibisco di studiare anche a Natale, Andrew!” esclamò Dianna. “Prenditi qualche giorno di vacanza. Non ti costa niente, e anzi ti farà solo bene.”
Il ragazzo ci pensò su. In effetti la donna, come del resto sua madre, avevano ragione: studiava troppo e si meritava un po’ di pausa.
“D’accordo.”
“Bravo!”
“Ti voglio bene” gli disse Demi stringendolo ancora.
“Anch’io. Amici per sempre?”
“Per sempre.”
Si lasciarono così, con un altro abbraccio e un bacio sulla guancia, sapendo che quello era stato un pomeriggio intenso, fatto di serenità ma anche di problemi, tra presente e un passato non ancora buttato alle spalle che ritornava. Tutto questo lasciò loro in bocca un gusto dolceamaro.
 
 
 
NOTE:
1. mi sono informata sul percorso da fare per diventare avvocato in California e poi su come specializzarsi. C’è scritto quello che ho riportato nella storia: almeno due anni di università (che io ho aumentato a tre perché mi sembravano pochi), tre o qualcuno in più in una Law School (scritto in maiuscolo, io l’ho tradotto con scuola di legge), poi se uno vuole specializzarsi in qualcosa (penso che tutti lo facciano, ma boh) deve lavorare per cinque anni e per il venticinque per cento occuparsi della sua area di specializzazione. In questo periodo deve studiare, fare formazione e ricevere pareri favorevoli sul suo operato da parte di avvocati che lavorano nell’area in cui vuole specializzarsi, dopo cinque anni sostenere un esame e se passa, allora è certificato. Era una cosa molto complicata in realtà, spero di aver capito bene tutto. La storia è ambientata alla fine del 2011, non so se allora il percorso fosse lo stesso ma credo di sì. Non ho trovato materiale di quell’anno, bensì più recente, del 2016.
2. Mi sono documentata molto su anoressia e bulimia, ho cercato informazioni sui comportamenti di chi ne soffre, i sintomi, le cause psicologiche che portano ad avere questi problemi, le cure, sono andata sul sito della Timberline Knolls dov’è spiegato il loro programma di cura. Ho anche ascoltato video e un film a riguardo e letto testimonianze per essere il più accurata possibile. Spero di esserci riuscita.
3. Nel libro di Dianna, “Falling With Wings: A Mother’s Story”, si legge che Demi andava su dei siti strani, riguardanti l’anoressia e la bulimia. Era stata Dallas a dirlo alla madre e lei, che ancora non si rendeva conto della situazione, non ci ha dato molto peso a quel tempo. Non è mia intenzione offenderla o dire che è stata una cattiva madre, anzi da quello che si vede da fuori sembra stupenda e molto dolce. Ha scritto che non ha visto i segni della malattia di Demi perché, essendo malata lei stessa (ha sofferto di anoressia, depressione post partum, depressione e dipendenza da Xanax, ma di questo parlerò approfonditamente nella terza storia). Negando a se stessa che il fatto di mangiare sempre meno fosse un problema, negando quindi la sua malattia, la donna non si è resa conto di quella della figlia. Riporto un passaggio del libro che lo spiega molto bene. Riferendosi a ciò che Dallas le ha appena detto su Demi, la madre scrive:
 
I              walked away,   completely         ignoring              her         concerns. It        wasn’t  the         righ thing to do,              and                I’m         horrified              when    I              look back            and        see         how       lightly I treated the         matter.                But         sometimes         we so    desperately        want     to           believe  the         best about         our         children                that       we ignore           the         obvious.              And,      I              was       still in    denial   about   my         own eating                issues.  In            my         mind,    I              believed               that Demi’s        weight  loss        was due              to           a                growth spurt—because               that’s    what     I wanted to believe.       I even    gloated                that       she         might get         more     jobs       because               she         was thinner. Not             once      did         I              draw     a             line                between              the         pounds                she had shed     and the                bullying               at           school.
 
Scrivo qui sotto la traduzione fatta da me:
 
Andai via, ignorando completamente le sue preoccupazioni. Non fu la cosa giusta da fare, e inorridisco quando guardo indietro e vedo quando ho preso alla leggera il problema. Ma a volte vogliamo credere così disperatamente che i nostri figli siano al meglio che ignoriamo l’ovvio. E negavo ancora i miei problemi con il cibo.  Nella mia mente, credevo che la perdita di peso di Demi fosse legata ad uno scatto di crescita - perché era questo che volevo credere. Gioivo anche del fatto che potesse avere più lavori perché era più magra. Nemmeno una volta tracciai un confine tra i chili che aveva perso e il bullismo a scuola.
 
Dice che pur sapendo che la figlia era bullizzata non ne parlava con gli insegnanti, finché pian piano la cosa è venuta fuori. E si capisce che si sente molto in colpa per tutto
questo.
4. Non so se allora, nei primi anni Duemila, esistessero già i blog Pro Ana e Pro Mia ma non credo. Ho voluto parlarne perché volevo inserire il fatto che lei andasse su internet, suppongo per leggere frasi che elogiassero l’anoressia.
 
 
 
Ora mi rivolgo a tutti coloro che soffrono di questa o di altre malattie, che sono autolesionisti o che stanno male per altri motivi. Vi prego, appena vi rendete conto che qualcosa non va, chiedete aiuto. Parlate. Lo so che è difficile, che spesso non ci si rende conto di stare male, è una cosa che ho provato io stessa perché soffro di depressione e di altri problemi. Ma per favore, se non state bene lasciatevi aiutare. Non c’è nulla di cui dovete vergognarvi. Non c’è niente di male nel soffrire e nel crollare. E vi auguro di cuore che qualsiasi brutta situazione stiate vivendo, la supererete e ce la farete.
Siate forti.
 
 
 
ANGOLO AUTRICE:
ed eccoci alla seconda storia! Come vedete ho approfondito di più alcune tematiche trattate nella prima, dando ancora rilevanza alla forte amicizia che lega i due ragazzi.
Spero che anche questa vi sia piaciuta. Ci vediamo quindi domani con l’ultimo racconto che sarà il più lungo e che, ricordo, è ambientato anni prima.

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Capitolo 3
*** Il bianco della fredda neve ***


Ed eccomi tornata!
Questa storia è una one shot molto lunga, ma considerando le tematiche trattate mi serviva spazio per parlarne bene e con tatto e sensibilità. Sono felice di aver concluso questa raccolta, è stato un progetto interessante.
Nelle note ho spiegato alcune cose che ho detto anche nel racconto, ma solo perché non me le sono inventate, le ho prese da varie fonti rielaborandole con parole mie, anche se in un paio di casi ci sono due citazioni. Insomma, mi pareva giusto dire cos’è farina del mio sacco e cosa no.
I ringraziamenti sono alla fine della storia.
Buona lettura!
 
 
 
 
 
 
                     IL BIANCO DELLA FREDDA NEVE
           
"Okay Demi, pausa di cinque minuti" annunciò il regista.
La bambina non poté far altro che tirare un sospiro di sollievo, sperando che nessuno l'avesse vista o sentita o che almeno, se così era stato, che quello non fosse sembrato uno sbuffo. Girare "Barney And Friends" era bellissimo. Adorava cantare, ballare e recitare e le piaceva da morire la voce dell’attore che faceva Barney, il dinosauro viola con il quale lei, che interpretava Angela e altri attori suoi amici, tra i quali Selena, imparavano nel corso delle varie puntate una cosa diversa, come per esempio che forma avevano un triangolo o un cerchio. Certo, molti come Demetria e Selena lo sapevano già, ma quello era uno show per bambini da uno a otto anni ed era ovvio che dovesse essere molto semplice e fatto apposta per loro. In quel momento la bimba era da sola, aveva dovuto imparare una canzone che proprio non le entrava in testa forse perché la sua amica non era con lei e avrebbero dovuto cantarla insieme. Ora, però, la sapeva molto meglio anche se il regista le disse di continuare a ripassarla a casa durante le vacanze e le diede il foglio con le parole. Lei lo ringraziò.
Per quanto recitare le piacesse un sacco, quel giorno non vedeva l'ora di tornare a casa. Le motivazioni erano molteplici. In primo luogo era stanca, dato che doveva alzarsi prima delle sei tutte le mattine. La mamma accompagnava Dallas a scuola alle sei perché doveva fare pratica visto che era una cheerleader, poi con lei e Madison andava allo studio dove veniva girato lo show e la lasciava lì, tornando a prenderla il pomeriggio. Una volta a casa la bimba doveva studiare con un tutor per qualche ora e la sera era stanchissima. Senza contare tutte le audizioni che faceva, il fatto che ogni tanto partecipava come ospite a qualche programma nel quale le veniva chiesto di cantare, visto che il suo talento iniziava a notarsi di più. Insomma, era difficile. Ed era dura anche dover apparire sempre sorridente, felice, perfetta. Voleva essere una star, ma ogni tanto invidiava le persone normali. Inoltre con la mamma non parlava mai di come stava, lei non glielo chiedeva, non facevano discorsi profondi. Avrebbero dovuto, ma Demetria non ce l'avrebbe mai fatta a dirglielo. Ad ogni modo quello che faceva le piaceva, ed era sicura che un giorno sarebbe diventata una celebrità. Era dura, ma le dava anche tanto. Sapeva di avere talento nel canto, nel suonare la chitarra, nel recitare. Era brava, e questo le alzava l'autostima. Tuttavia aveva sempre la sensazione di dover apparire ogni giorno al meglio, sempre perfetta e sorridente e tutto ciò era stancante. Ogni tanto sentiva il cuore batterle fortissimo e il respiro farsi irregolare mentre l’ansia saliva e saliva. Le dispiaceva anche non poter andare più alla scuola pubblica e dover studiare a casa. Non era facile e nemmeno tanto bello visto che spesso si sentiva sola. Ma al di là di questo, c'era un altro motivo per il quale avrebbe voluto correre a casa: Madison le mancava tantissimo. Non vedeva l'ora di andare ad abbracciarla.
Si diresse in bagno e si guardò allo specchio. Le gambe e la pancia le parevano troppo grosse e poi nonostante il trucco la sua stanchezza si notava tanto, troppo. Gli occhi marroni avevano perso vivacità, ma non era la prima volta che li vedeva così. Spesso era triste e non ne capiva bene la ragione. Si passò una mano tra i capelli castani per sciogliere alcuni nodi e sbuffò. Bevve qualche sorso d'acqua e poi prese dei soldi dalla sua borsetta. Andò alle macchinette e prese una merendina al cioccolato, poi un'altra e poi una terza e una quarta, infine corse in bagno e vi si chiuse dentro. Scartò la prima e iniziò a mangiarla. Se la godette per un po', lasciando che il sapore del cioccolato le riempisse la bocca, poi cominciò a mordere e a ingurgitare tutto velocemente, e dopo quella passò alle altre fino a sentirsi così piena da star male, ma non importava perché Dio, ne voleva ancora! Una volta finito si guardò allo specchio e si vide ancora più grassa. Mentre mangiava non si era resa conto di quanto cibo avesse ingerito, ora che si sentiva anche troppo sazia, però, provava un forte senso di colpa e si faceva schifo.
"Quel che ho appena mangiato mi farà ingrassare ancora di più e non sarò più perfetta, non mi vorranno più qui" si disse. “E quindi io inizierò ad odiarmi perché non sono perfetta, mi odieranno anche gli altri e resterò sola.”
Per avere successo doveva essere perfetta, ma non riusciva mai a raggiungere quell’obiettivo. E non l’avrebbe mai detto, ma soffriva molto perché i genitori riservavano tante attenzioni a Madison. Amavano lei e Dallas allo stesso modo, però a volte la bambina si sentiva meno coccolata e ciò le faceva provare un gran senso di solitudine. Ebbe la sensazione di avere una spina che la feriva nel profondo. Era il senso di colpa. Pensare cose del genere la addolorava, perché amava Maddie con tutto il cuore. Ancora non lo sapeva, l’avrebbe scoperto molti anni dopo, ma questo disturbo di cui soffriva si chiamava binge eating, un disturbo del comportamento alimentare in cui pensieri e comportamenti come i suoi sono conseguenze di un dolore profondo, dato da un vuoto affettivo o altri problemi familiari a seconda dei casi e dalla non accettazione di sé, del proprio corpo, delle proprie imperfezioni.
Tornò in studio, più energica e pronta a ricominciare a recitare.
 
 
 
Dianna era appena riuscita a sedersi sul divano. Dopo aver portato le bambine a scuola e allo studio si era occupata di Madison. Stava imparando a camminare anche se non era ancora capace di farlo da sola e sembrava instancabile, voleva sempre giocare e la teneva occupata. Beh, almeno questo la aiutava a non pensare. Dopo la sua nascita, la donna era caduta in depressione post partum com'era successo con Demi, solo che stavolta era più intensa. Non ne era ancora uscita. Non aveva detto niente a nessuno perché pensava che se avesse parlato, Eddie avrebbe pensato che lei era debole. Aveva chiesto un aiuto, però, nei primi mesi di vita di Maddie, che spesso l'aveva tenuta sveglia fino alle due di notte per le coliche. Precisa com'era, e volendo essere sempre perfetta, la donna si alzava alle quattro del mattino per farsi la doccia, sistemarsi i capelli e truccarsi. Eddie le aveva detto spesso che esagerava, di tornare a dormire, avevano anche litigato, finché una sera Dianna gli aveva confessato:
Non posso andare avanti così.
Eddie si era sentito sollevato per il fatto che la moglie se ne fosse finalmente resa conto. Non lo sapeva, ma quel giorno la donna era arrivata nei pressi di un semaforo vicino casa e mentre stava frenando, tutto si era fatto nero. Una volta svegliatasi, si era resa conto di star passando attraverso un incrocio e le erano venuti i brividi a pensare al fatto che Maddie avrebbe potuto farsi male e a cosa sarebbe potuto capitare se fosse stata ora di punta. Il marito aveva suggerito di pagare qualcuno che aiutasse la moglie visto che lui lavorava. Lisa, un’amica di Dianna, le aveva dato una gran mano venendo lì la sera e andando via la mattina successiva. Era stata lei dietro a Madison che piangeva, mentre la donna si concedeva un po' di riposo. La sua amica aveva poi trovato un lavoro, ma le dava ancora una mano quando poteva. Se non fosse stato così, Dianna era sicura che non sarebbe sopravvissuta a quel bruttissimo periodo. Ma nessuno si era mai accorto della sua depressione. Dianna riusciva a camuffarla bene, a riempirsi di cose da fare per non pensare. Non aveva nemmeno parlato con loro del fatto che un giorno era andata dal medico e che lui le aveva prescritto delle pillole e che dopo qualche mese aveva smesso di prenderle da sola perché tanto, pensava, si sentiva meglio, e comunque quelle pastiglie le stavano impedendo di perdere peso. Nulla di più sbagliato, visto che i farmaci non si devono mai sospendere senza che lo dica il medico e che si possono avere delle ricadute. Infatti Dianna non stava bene, ma riusciva a resistere mentre c’era qualcuno in casa, per scoppiare poi quando c'era soltanto Madison, troppo piccola per capire. Ma c’era qualcuno che, anche se non comprendeva perché si sentisse così, di sicuro sapeva quando stava male e stava proprio arrivando. Un cocker spaniel bianco le saltò in braccio leccandole la faccia e Dianna rise appena. Pesava circa dodici chili, un peso normale per un cane adulto della sua razza ed era bellissimo.
“Ciao, Buddy!” lo salutò. “Ben svegliato.”
La sua cuccia era accanto al divano, anche se ne aveva una in camera di Dallas e un’altra in quella di Demi e adesso aveva sceso le scale, quindi doveva essersi addormentato in una delle due stanze.
Lui abbaiò piano in risposta, come se sapesse che Maddie stava dormendo. Mosse la testa a destra e a sinistra muovendo le lunghe orecchie pelose. Aveva ormai cinque anni ed era stato un regalo di Natale per Demi.
La donna si alzò e andò in cucina, controllando che la ciotola delle crocchette fosse piena e l’acqua pulita, poi tornò in salotto mentre il cane cominciò a mangiare di gusto.
Non aveva voglia di fare niente, mise anche giù il libro che non le pareva più così interessante. Sospirò. Si sentiva stanca e avrebbe voluto soltanto infilarsi a letto e dormire tutto il giorno. In quel momento Madison si svegliò e si mise a piangere, ma la donna non si mosse. Rimase lì un po' a fissare il vuoto, non perché non sapeva cosa fare ma perché non voleva fare assolutamente niente, nemmeno prendersi cura di sua figlia. Non era la prima volta che capitava. Il pianto continuava, insistente ed era snervante.
Madison vedeva che era sola e avrebbe voluto la mamma lì accanto, o essere presa in braccio da qualcuno. E poi aveva fame. Perché non veniva nessuno?
Nel sentire la bambina piangere il cane alzò la testa e guardò verso le scale per un po’, poi riprese a giocare con una pallina. La rincorreva, ma ad un tratto la portò a Dianna perché gliela lanciasse.
“Non mi va, tesoro” disse la donna, così l’animaletto si ritirò, un po’ mogio, e ricominciò a giocare da solo.
"La pianti?" gridò Dianna a Madison, che voleva solo che smettesse.
Subito dopo sentì una forte fitta al petto. Eccolo, il tanto familiare senso di colpa. Lo provava ogni volta che si comportava in quel modo tanto schifoso e orribile. Per fortuna adesso non accadeva quasi più, ma nei primi mesi era successo abbastanza spesso e, le aveva detto il dottore, quello era uno dei sintomi della depressione post partum.
"No! Ma che cos'ho fatto? Che ho detto?" si chiese parlando ad alta voce. “Oh mio Dio!”
Era sembrata una madre snaturata e non voleva esserlo. Voleva essere, sempre a causa della sua mania di perfezione, la miglior madre che ogni figlio potesse desiderare. Corse in cucina a prepararle un biberon e mentre il latte si scaldava andò a prendere la bambina. Forse stando in braccio si sarebbe calmata, o almeno era quello che sperava. La trovò a pancia in giù - nel sonno doveva essersi girata - e con i piccoli pugnetti chiusi e gli occhietti pieni di lacrime.
È colpa mia pensò. Se fossi venuta subito non starebbe così, adesso.
Si chinò sul lettino e finalmente sorrise. Amava Madison, Demi e Dallas con tutto il cuore, nonostante la depressione a volte glielo facesse dimenticare.
"Ehi" mormorò. "Sono qui, tranquilla!"
Madison smise subito di piangere e guardò la mamma, poi sorrise a sua volta.
"Ciao, tesoro della mamma! Perdonami, perdonami, perdonami!” ripeteva riempiendola di baci. “Non lo farò più, te lo giuro."
La bambina aprì e chiuse una manina più volte, poi le accarezzò il viso. La stava perdonando, si disse la donna. Non aveva compreso quel che era successo, ma a modo suo le stava dicendo che era tutto a posto.
Dianna stava per piangere. Si sentiva troppo male, il senso di colpa aumentava secondo dopo secondo e una voce nella sua testa le continuava a ripetere:
"Sei una cattiva madre."
Ne era la prova anche il fatto che mesi prima si era addormentata con lei in auto. Com'era potuto succedere? E così in fretta, poi!
"Ma" disse Madison.
Avrebbe compiuto un anno cinque giorni dopo e non sapeva ancora dire "Mamma", ma era una bambina sveglia e di sicuro in pochi mesi avrebbe imparato quella e altre parole. Bisognava solo darle tempo.
Dopo aver udito quelle due sillabe Dianna scoppiò in un pianto disperato e pieno di dolore. Sua figlia era troppo piccola, non si rendeva conto di che fallimento fosse la sua mamma. Avrebbe dovuto fare di più, si disse la donna, essere migliore, più perfetta, più forte. La piccola la guardò perplessa. Aveva capito che qualcosa non andava anche se non sapeva cosa, e accarezzò la mano della mamma come per confortarla. Dianna allora si calmò un po', si asciugò gli occhi e cercò di sorridere come prima, con scarso successo. Avrebbe voluto parlare alla sua bambina, farla ridere, ma mentre la prendeva in braccio, la cambiava e poi le dava il latte non riuscì più a dire nulla. E stette ancora peggio.
 
 
 
"Bene, per oggi basta così. Sei stata molto brava, Demi" si complimentò il regista.
Lei lo ringraziò e si avviò all’uscita. Prima, però, si fermò a salutare un altro uomo che lavorava lì. Non girava, né era un attore. Semplicemente faceva le pulizie, ma a lei non importava di cosa si occupasse. Era simpatico, parlavano spesso quando era libera e ciò le bastava.
“Ciao, Kurt!” lo salutò.
Era un uomo basso e grassottello, sulla cinquantina, con i capelli biondi e gli occhi azzurri. Demi adorava i suoi occhi.
“Ciao Demetria. Hai finito per oggi?”
“Sì grazie al cielo.”
"Sarai stanca, suppongo."
"Abbastanza. Poi oggi Selena non c'è perché è ammalata e mi sono annoiata."
"Posso immaginarlo. Comunque siete entrambe molto brave. Stare qui tutte queste ore a provare e riprovare, indossare vari vestiti e farsi truccare tante volte non è facile per delle bambine. Sono fiero di voi."
“Grazie.”
Demi guardò fuori dalla finestra e divenne triste.
"Che succede?" le domandò Kurt, avvicinandosi e mettendole una mano sulla spalla. "Stai poco bene?"
"No, è solo che… guarda! Siamo a Los Angeles, è dicembre e lo so che qui il clima è mite anche in inverno, ma vorrei la neve. Non l'ho quasi mai vista, a parte una volta in questi anni e non ne è nemmeno scesa tanta. Uffa!" si lamentò.
L'unico momento in cui era caduta era stato quando lei aveva cinque anni, la notte prima della Vigilia di Natale e poi, ora che ci pensava, l’aveva vista una seconda volta qualche giorno dopo, l’ultimo dell’anno. Perché non poteva tornare? Avrebbe tanto voluto ne scendesse di più così da poterci giocare con Dallas; e poi Maddie non l'aveva mai vista, era sicura che le sarebbe piaciuto guardare tutti quei fiocchi che venivano giù dal cielo.
"E quindi la vorresti?"
"Tantissimo!"
"Farete qualcosa per queste vacanze? Se andaste in montagna…"
"No, o almeno non che io sappia purtroppo."
"Hai provato a proporlo ai tuoi? Forse qualcosa riuscireste ad organizzare."
"No, non ci ho nemmeno pensato in realtà. Mamma è tutta presa da Madison e dalla mia carriera, Dallas ha la sua perché, anche se va a scuola, ogni tanto recita. E Eddie lavora tanto."
"Beh, non faresti nulla di male dicendo loro qual è il tuo desiderio, sai? Al massimo ti diranno di no."
"Quindi secondo te dovrei provare?"
"Certo!" esclamò e le arruffò i capelli.
Era il 23 dicembre, la registrazione di "Barney And Friends" si fermava quel giorno e sarebbe ricominciata il 7 gennaio.
Demi non era molto convinta ma, come diceva un proverbio, "Tentar non nuoce". Per questo decise che non sarebbe rimasta in silenzio.
"Va bene" disse, sicura. "Grazie, Kurt."
"Figurati, tesoro!"
La bambina andò a lavarsi la faccia per togliersi il trucco e si guardò per un attimo allo specchio. Era pallida, aveva due profonde occhiaie ed era decisamente troppo grassa.
"Che schifo!" esclamò rivolta al suo riflesso. "Sei orrenda."
Si sciolse i capelli e li lisciò, pettinandoli poi con un pettine che trovò sopra il lavandino. In seguito uscì di nuovo, prese la sua borsetta e andò all'entrata dello studio. Lì, ad aspettarla, c'era Eddie.
"Tu?" chiese, stupita. Si rese subito conto di aver usato un tono che poteva sembrare infastidito o arrabbiato, quindi si affrettò a spiegare: "Viene sempre la mamma, scusa."
Non voleva che l'uomo pensasse che non le faceva piacere vederlo, perché era tutto il contrario.
"Tranquilla piccola, avevo capito. Me lo dai un bacio?"
Lei gli sorrise e lo baciò su una guancia, lui ricambiò e la strinse.
"Ti voglio bene, Eddie!"
"Anche io, principessa! Per me tu sei mia figlia. Lo so che non lo sei biologicamente, ma io ti amo come tale e lo stesso vale per Dallas."
L'uomo sperò che quello non fosse un discorso troppo complicato per una bambina di soli dieci anni, ma Demi sembrò capire.
I loro occhi si incontrarono. Quelli del suo patrigno erano buoni, pensò la bambina, bellissimi, scuri e profondi. E poi, forse anche a causa del fatto che non era né grasso né magro e che sapeva dare i migliori abbracci del mondo - prima dei suoi venivano solo quelli della mamma e del suo migliore amico - si sentiva sempre protetta in sua presenza. Era bellissimo provare la sensazione di essere amata come una figlia e di stare al sicuro tra le braccia di quell’uomo forte.
“Che c’è?” le chiese. “Mi guardi come se fossi un angelo.”
“Pensavo solo che mi fai sentire tranquilla. E che la mamma ha ragione: sei il nostro cavaliere.”
Lui sorrise soltanto, non sapendo come rispondere. Era consapevole di aver fatto molto per loro ma gli era venuto spontaneo e non voleva di certo vantarsene.
"La mamma sta male? O Madison?"
Mentre camminavano verso l'auto e vi salivano la bambina provava un'ansia crescente, unita alla sgradevole sensazione che fosse accaduto qualcosa di brutto. Aveva la nausea e la testa le girava.
"Mi ha chiamato dicendo di sentirsi molto stanca e dalla voce sembrava proprio sfinita, così sono venuto io. Dallas era fuori con degli amici ma adesso dovrebbe tornare, ormai è sera."
"Devo studiare anche oggi?"
Non avrebbe voluto farlo per qualche giorno, in fondo era Natale, ma conoscendo la mamma lei l'avrebbe obbligata e avrebbe fatto così anche con Dallas.
"No. Io e Dianna abbiamo parlato, siete in completa vacanza fino al compleanno di Madison compreso."
"Davvero? Yuppi!" trillò la bambina.
Avrebbe voluto parlargli del suo desiderio, ma decise di aspettare la cena in modo che lo sapessero tutti.
Eddie sorrise: amava vederla felice.
Quando tornarono erano ormai le sei di sera e il lungo viaggio in macchina li aveva stancati molto. Tuttavia, nonostante la stanchezza, la prima cosa che Demi fece quando entrò in casa fu quella di correre a cercare Madison. Venne però investita da Buddy che le saltò addosso e poi fece lo stesso con Eddie.
“Ciao, piccolino!” esclamò la bambina, accarezzandolo e grattandogli la testa.
Demi però aveva voglia di abbracciare la sorellina, così iniziò a cercare. In salotto non c’era nessuno e nemmeno in cucina.
“Mamma?” chiamò.
“Dianna?” le fece eco Eddie, che cominciava a preoccuparsi.
“Siamo qui.”
La voce proveniva dal piano superiore. Le trovarono in camera, sdraiate sul letto che la donna condivideva con il marito.
“Che ci fate qui?” chiese quest’ultimo.
“Ero stanca, avevo bisogno di sdraiarmi e preferivo stare a letto.”
Era distesa sopra le coperte e Madison le era accanto. Dianna aveva messo dei cuscini dall’altra parte del materasso in modo che, se la bambina si fosse spinta più in là, non sarebbe caduta. La donna stava abbracciando la bimba e le faceva il solletico. La piccola rideva e così anche Dianna, che per fortuna aveva superato quel bruttissimo momento.
"Demi!"
La mamma si alzò in piedi tenendo comunque Maddie stretta a sé e diede un bacio alla figlia più grande.
"Ciao, mamma!"
"Com'è andata oggi?"
"Tutto bene, il regista ha detto che sono stata brava."
"Non avevo dubbi, ti impegni così tanto!"
"Ma non è detto che io sia sempre brava" ci tenne a puntualizzare Demi.
Come molte persone lei tendeva a sminuirsi, solo che lo faceva molto spesso. Pensava di non essere mai abbastanza.
Dianna non fece caso a quel commento.
"Dallas?" chiese Demetria.
In quel momento arrivò Buddy che saltò sul letto, cosa che i De La Garza gli lasciavano fare senza problemi. Era libero di dormire sui divani, sui letti, sulle sedie e nelle sue cucce. Si avvicinò a Madison e le leccò una mano. La bambina rise e lo accarezzò, poi gli tirò leggermente il pelo. I genitori facevano sempre attenzione perché temevano che potesse morderla. Qualche volta era successo e, anche se lui lo faceva per giocare, la piccola si era spaventata.
"Deve ancora tornare. E se non lo farà in tempi brevi, giuro che quando rientra mi incazzo!"
"Dianna, cara, non è così tardi. Potresti fare un'ecce…" cercò di farla ragionare il marito.
"No!" tuonò lei. "Le avevo detto di tornare alle cinque ed è passata un'ora. Si può sapere dove si è cacciata?"
"Che ti succede, oggi? Sei strana."
Eddie era dolce, aveva capito che sua moglie non stava molto bene e voleva comprendere cosa c'era che non andava.
"Sono solo molto stanca" disse sospirando. "Davvero, non c'è nulla che non vada. È che seguire tre figlie, tutte con bisogni diversi non è facile. Se non ci fossi tu non so come farei."
"Se volete, posso portare Madison in camera mia a giocare" propose Demi.
Era grandicella, sapeva occuparsi un po' della sorellina anche da sola e l'aveva fatta stare in stanza con lei varie volte, le aveva portato lì anche dei giocattoli. Dianna ed Eddie, quindi, non ebbero nulla in contrario.
"Ma lascia la porta aperta, spalancata" le raccomandarono.
"E attenta agli…"
"Sì mamma, lo so. Attenta agli spigoli e che non prenda botte in testa, me lo ricordo."
Sapeva anche che i due sarebbero venuti spesso a controllare la situazione, com'era giusto che fosse. Tuttavia voleva lasciarli un po' da soli in modo che la mamma si tranquillizzasse, non voleva che i due litigassero e che Madison dovesse assistere alle urla di Dianna che, quando si arrabbiava, diventava isterica. A volte le faceva paura, ma mai quanto il suo padre biologico, Patrick. Lui era completamente diverso, l'aveva terrorizzata. La mamma non gli somigliava per niente. Ma si sa, tutti i figli temono un po' le mamme quando gridano, soprattutto se li stanno sgridando.
"Vieni" disse la ragazzina a Madison, poi la prese in braccio anche perché, appena l'aveva vista, la piccina aveva iniziato a lanciare gridolini di gioia e ad allungare le manine verso di lei.
Una volta in camera si sedette su una sedia accanto alla scrivania con la bambina sulle ginocchia.
"Hai fatto la brava oggi? Mmm?"
Madison la guardò e poi esclamò:
"Tata!"
Era il nome con cui la chiamava o meglio, con cui chiamava molte cose, persone e oggetti, e che ogni volta aveva la capacità di sciogliere il cuore di Demi.
"Chi è tata?" le chiese, volendo capire a che cosa si riferiva. "O cos'è?"
Maddie, forse perché aveva capito la parola che lei stessa aveva appena detto, indicò Demi con un ditino.
"Ah, sono io."
Buddy arrivò scodinzolando. Da quando Madison era nata era sempre stato un po’ geloso di lei, dato che notava che anche se i suoi padroni si prendevano cura di lui, molte attenzioni erano riservate alla bambina. Demi allungò una mano e gli fece qualche carezza ma il cocker voleva di più.
“Non posso prenderti in braccio adesso” gli disse.
Allora lui le portò una pallina che lei fece rotolare per la stanza. Il cane si lanciò al suo inseguimento e gliela riportò, non volendo lasciarla. La ragazzina sapeva che doveva essere lui a farlo e non lei a tirare, altrimenti avrebbe rischiato di prendersi un morso. Buddy corse avanti e indietro, poi decise di ridargliela e il gioco andò avanti per un po’, mentre Madison li osservava e sorrideva.
"Eh! Eh!"
Mentre la bimba faceva esclamazioni del genere si spingeva in avanti, tanto che la sorella ebbe paura che le scivolasse e potesse cadere. Muoveva braccia e gambe ad un ritmo frenetico e guardava il pavimento, ma fu solo dopo un po' che Demi capì che voleva essere messa per terra. La mise giù sapendo che avrebbe dovuto guardare ogni suo singolo movimento. Felice, Madison alzò le piccole braccia in aria e cominciò a muoversi per la stanza in ginocchio, arrivò al cesto dei giochi e, stavolta gattonando, tornò dalla sorella con qualcosa in mano. Era un peluche, e più precisamente un coniglietto bianco. Lì Buddy non andava mai perché, con molta insistenza, i padroni gli avevano spiegato che non doveva farlo. Lui aveva i suoi giocattoli, Madison i propri. Non era stato semplice farglielo capire. Più di una volta le aveva strappato a morsi un peluche e Dianna aveva dovuto, come diceva, “portarlo in ospedale e curarlo”, ovvero chiudersi in camera o in cucina e ricucirlo.
"Come si chiama?" chiese Demi alla sorella.
L'aveva già visto, voleva solo capire se Maddie si ricordasse il suo nome. Probabilmente no. In fondo era piccola, non aveva ancora un anno esatto.
"B-B-B-Bunny."
Aveva balbettato, ma alla fine era riuscita a pronunciare quel nome, con lentezza e insicurezza ma ce l'aveva fatta.
"Brava!" la applaudì e Madison la imitò.
La bambina prese le mani di Demi e si tirò su. Sapeva stare in piedi solo se qualcuno la aiutava o se era nel box e si aggrappava al bordo, per il resto gattonava, a volte rotolava o si muoveva in ginocchio come poco prima.
In quel momento si sentì una porta aprirsi e chiudersi e la voce di Dallas, poi quella della mamma e di Eddie che erano scesi non appena l’avevano udita. Buddy si precipitò giù per le scale e salutò la ragazza con affetto. Intanto, lei e gli adulti parlavano del fatto che fosse arrivata in ritardo, che non avesse mandato un messaggio né chiamato e lei si scusava. Poco dopo le raggiunse.
"Ciao" le salutò, mesta, entrando in camera e buttandosi a peso morto sul letto di Demi.
"Ciao! Ehi, che c'è?"
"Ho fatto schifo oggi a scuola. Ho preso una cazzo di F in scienze."
Era davvero triste, notò Demi. Aveva anche gli occhi gonfi.
“Hai pianto?”
“Mamma mi ha un po’ sgridata, non ho potuto evitarlo.”
Le due sorelle si abbracciarono.
“Mmm” fece Madison avvicinandosi a loro.
Dallas scese e si sedette sul tappeto, Demi la seguì e Madison si mise in mezzo a loro. Misero le loro mani l’una sopra l’altra a formare una torre e rimasero così per qualche secondo, poi si unirono in un abbraccio di gruppo.
“A tavola!” sentirono dalla cucina.
La cena consisteva in un piatto di minestrone. Intanto, il cane corse alla sua ciotola. Per non farlo mangiare eccessivamente Dianna gli dava alcune crocchette la mattina, a pranzo e a cena, non gli dava nulla fuori pasto e solo raramente gli metteva pasta o carne che avanzavano.
"Almeno non mi renderà più grassa" si disse Demi guardando il piatto e cominciò a mangiare.
Lo fece volentieri, dato che quella pietanza le piaceva molto. Non era ancora arrivata al punto da guardare il cibo schifata, a non mangiare, a saltare i pasti o a mettere qualcosa nello stomaco e poi dire di sentirsi male. Pochi anni dopo, però, il vero inferno sarebbe iniziato.
Per fortuna anche Madison apprezzava. La pastina del minestrone era piccola, per cui riusciva a mangiarla senza problemi.
"Allora Dallas, com'è andata a scuola?" le domandò Eddie.
"Niente da raccontare" rispose e poi abbassò lo sguardo.
"Non sto parlando del brutto voto che hai preso. Può capitare, la prossima volta sarai più brava. Devi solo studiare di più."
"Togli il "solo"" disse Dianna, decisa.
"Nessuno di noi è sempre andato bene a scuola."
"Vero. Però la difendi sempre" ribatté, dura.
"No, penso solo che forse Dallas è stanca dopo questi mesi di scuola e magari ha avuto un momento di debolezza."
"Sì, hai ragione."
Dianna non era convinta, tuttavia Eddie non aveva tutti i torti. Lei esigeva il meglio dalle sue figlie, anche se non era una di quelle mamme che desidera che i propri figli prendano sempre il massimo dei voti, ma forse avrebbe dovuto essere un po’ più flessibile.
"Io stavo pensando ad una cosa" disse Demetria dopo un po'.
"Ovvero?" chiese Dianna.
"In questi ultimi anni non è nevicato ed è brutto per me sapere che non ci sarà neve nemmeno questo Natale. Mi piacerebbe andare in montagna e passare lì qualche giorno per poterla vedere e giocarci. Possiamo?"
"Pensavamo di dirvelo domani mattina, ma visto che hai tirato fuori l'argomento…" Lanciò uno sguardo al marito che annuì. "Quest'anno io e Eddie abbiamo pensato di festeggiare il Natale in modo un po' diverso. C'è un posto al lago Tahoe nel quale si possono affittare dei cottage per le vacanze. Il prezzo era buono quindi ne abbiamo preso uno con due camere fino al 27, per cui tu e Dallas dormirete insieme come da piccole. Spero non vi dispiaccia."
"No" dissero all'unisono.
Anzi, sarebbe stato bello rimanere insieme la notte come una volta.
"Quando partiamo? Quando partiamo? Quando partiamo?" chiedeva a ripetizione la piccola.
"Domani mattina presto, ci vogliono sette ore per arrivare e contando il traffico ancora di più, per cui è meglio mettersi in viaggio il prima possibile" disse Eddie.
"E ci sarà una sorpresa che renderà tutte molto felici, spero, ma soprattutto te Demi" continuò la donna.
"Davvero? Cosa?"
La bambina non stava più nella pelle. Cominciò a muovere le gambe sotto il tavolo e le mani le tremavano per l'eccitazione.
"Non posso dirtelo, altrimenti non è più una sorpresa."
"Oh, mamma! Un indizio?"
"No no, nessuno!"
Nemmeno Eddie le disse nulla, così Demetria si rassegnò ad aspettare. Immaginava fosse un regalo di Natale - quell'anno aveva chiesto un libro, forse gliene avrebbero regalati due -, un dono che l'avrebbe resa felice. O magari una chitarra nuova, anche se la sua non aveva nessun problema. Da un po' aveva cominciato a scrivere e comporre e Dianna ogni tanto faceva video di lei che cantava.
"E c'è tanta neve al lago?" domandò Dallas.
"Circa dodici centimetri, per il momento, ma visto il periodo potrebbe scenderne di più."
Dopo cena, Demi andò ad aiutare la mamma a cambiare Madison. Era una cosa che faceva spesso, non le dispiaceva. Anzi, era bello prendersi cura di Madison anche in quel modo. Buttò via il pannolino sporco e poi aiutò Dianna a pulirla e la donna gliene mise uno nuovo. Come tutti i bambini la piccola non rimase ferma, ma i genitori avevano appeso sopra il fasciatoio alcuni pupazzetti e la donna li aveva mossi per  distrarla. Funzionava sempre, perché Madison si perdeva a guardarli e stava tranquilla almeno per un po’. Una volta finito, Demetria e Dallas prepararono le loro valigie assieme ai genitori, che poi andarono a fare le loro, a prendere un po' di cibo da portare via e a mettere in dei piccoli frighetti portatili bevande come latte o qualche bibita. In più prepararono un borsone con i vestitini e i pannolini per Madison, alcuni giocattoli e molto altro. Buddy continuava a girare fra la stanza dei genitori e quella delle ragazze, saltando sul letto e poi sul pavimento, annusando le valigie e i vestiti e ogni tanto entrava negli armadi, un vizio che non erano ancora riusciti a togliergli. Per questo dovevano avere sempre mille occhi, non volevano infatti rischiare di chiuderlo da qualche parte. Purtroppo era capitato e, anche se l’avevano trovato abbastanza in fretta, ci erano rimasti malissimo. Fare le valigie era una delle cose che mandava Dianna in crisi ogni santa volta. Non sapeva mai cosa mettere, se stava prendendo troppa roba o troppo poca, e se non ci fosse stato il marito al suo fianco non sapeva che avrebbe fatto.
Andarono tutti a letto presto quella sera, consapevoli del fatto che il giorno dopo li aspettava un lungo viaggio.
Il mattino seguente partirono quando era ancora buio. Avevano mangiato qualcosa di leggero in modo da non stare male durante il tragitto.
"Abbiamo preso tutto?" chiese Dianna, come faceva ogni volta che dovevano andare da qualche parte.
"Sì" risposero i tre in coro.
"Ma proprio tutto tutto? Vestiti pesanti? Prodotti per il bagno? Oh Dio il phon, mi sono dimenticata il phon!"
Lo disse come se avesse lasciato a casa uno di loro e non un oggetto.
Buddy, che ra tra le braccia della donna, cominciò ad abbaiare e ad agitarsi sentendo che la sua padrona aveva qualcosa che non andava.
“Ti ci metti anche tu, ora? Zitto, per favore!” lo rimproverò.
Smise di abbaiare ma continuò ad ansimare e ad agitare freneticamente la coda.
"Dianna, ti prego stai calma. Nel sito c'è scritto…"
"No, devo andare a prenderlo!"
La donna sentì una forte fitta al centro del petto e cominciò a respirare male e troppo velocemente, pensando di aver scordato così tante cose ma non ricordando quali e questo la faceva impazzire. Eppure, le sembrava di aver messo in valigia il necessario. Ma se non fosse stato così?
A Demi e Dallas veniva un po' da ridere, ma vedendo che la mamma era seriamente in ansia si trattennero. Eddie le prese le mani nelle sue e gliele strinse con dolcezza, poi le chiese più volte di guardarla e di respirare piano. La donna ci riuscì con molta difficoltà.
"Ascoltami" iniziò l'uomo, paziente. "Nel sito in cui ho prenotato c'era scritto che là c'è già il phon."
"E se poi non funziona?"
"Emma mi ha assicurato che va."
Dianna lasciò andare l'aria e sembrò che avesse trattenuto il respiro per troppo tempo. Sentì i suoi muscoli rilassarsi e il respiro farsi più calmo, anche il dolore al petto stava scemando. Eddie le diede dell'acqua, poi le fece un massaggio alle spalle e, quando la donna disse di sentirsi bene, si misero in strada.
Demi, che si rilassava molto durante i viaggi in macchina, riprese sonno quasi subito. Dallas invece restò sveglia ma si distrasse ascoltando musica sul suo mp3. Guardava fuori dal finestrino ma non osservava mai veramente il paesaggio, troppo impegnata a seguire le parole e a canticchiare sottovoce. Madison dormì per parecchio tempo e una volta sveglia iniziò ad osservare le auto che sfrecciavano e a salutarle con la manina. Ogni tanto pianse, com’era normale, perché in fondo il viaggio era lungo e lei era solo una bambina. Eddie le cantò una canzoncina e Dianna la distrasse con qualche giocattolo. Buddy alternava momenti di sonno ad altri di veglia e anche lui guardava fuori. La famiglia si fermò un paio di volte per andare in bagno e qualche altra per mangiare e sgranchirsi le gambe e far fare i bisogni al cane, dargli l’acqua e il cibo, e marito e moglie si diedero i turni per guidare. Arrivati nei pressi del lago, sulla loro macchina iniziarono a vedersi i primi fiocchi di neve. Madison, che guardava per la prima volta quelle cose strane scendere dal cielo, cominciò a lanciare gridolini di gioia e ad alzare le manine in aria come per prenderle. Non ci riusciva e non vedeva l'ora di scendere dall'auto per provarci. Per terra c'erano già dieci centimetri di neve. Lo stesso valeva per il cagnolino che, curioso, cominciò ad annusare l’aria che entrava dal finestrino aperto e avrebbe voluto saltare per afferrare i fiocchi. Dianna però, che in quel momento non guidava, lo tenne fermo e cercò di tranquillizzarlo, dicendogli che nel giro di poco tempo sarebbero arrivati.
"Wow!" esclamò Demi. "Adoro la neve!”
“Anch’io” le disse la sorella.
I loro cuori battevano più forte e avrebbero voluto urlare. Una cosa semplice come quella le rendeva felici come non mai.
“Ti piace, mamma?"
"Sì Dem, abbastanza."
"E a te, Eddie?" domandò Dallas.
"Io penso più ai disagi che provoca" borbottò.
L'uomo, concentrato sulla guida resa difficile dalla neve, stava dicendo fra sé che andare a passo di lumaca lo innervosiva molto e che non capiva perché le sue figlie amassero quella roba bianca così tanto. Anche Dianna era dello stesso avviso, benché non l'avesse lasciato intendere. Ma Dallas l'aveva capito e anche Demi, anche se più piccola.
"Speravo sareste stati un po' più felici di vederla" disse abbassando lo sguardo.
Ci era rimasta male, così tanto che un'unica, singola lacrima le rigò una guancia. Si sentiva stupida a piangere per quella che gli adulti, e forse anche alcuni bambini della sua età, avrebbero considerato una sciocchezza, ma il fatto che i suoi non partecipassero della felicità che provava non la faceva sentire bene, e il fatto che l'avessero comunque portata lì non le bastava. Nessuno notò quel suo pianto silenzioso, nemmeno Dallas.
Una volta sceso dall'auto, Eddie andò dalla persona che gli aveva affittato il cottage a prendere le chiavi, poi tornò. I tre portarono dentro le valigie. A Demi toccò un borsone con le cose per Maddie, pesava ma una bambina della sua età poteva tenerlo in spalla senza problemi.
"Tutto a posto?" chiese Dianna al marito, che portava fiero le chiavi in mano come se quel cottage l'avesse appena comprato, teneva un borsone in spalla e il cane al guinzaglio.
"Sì, Emma ha detto che il riscaldamento è già acceso e funzionano acqua e corrente. Il frigo è attaccato e il gas è a posto."
"Perfetto."
La donna, però, restava immobile con Madison fra le braccia e una valigia lì vicino. Perché la signora che aveva messo in affitto i cottage che erano di sua proprietà non veniva a salutare gli affittuari? Le pareva una cosa molto strana, a lei sarebbe sembrato corretto accogliere chi arrivava. A dirla tutta, se questa Emma con cui aveva parlato al telefono giorni prima si comportava così era una gran maleducata. Eppure ad Eddie era parsa tanto gentile, e anche a lei quando si erano parlate al telefono.
"Buongiorno, signori De La Garza!" esclamò una donna arrivando alle loro spalle.
Tutti si girarono e la guardarono. Era una signora sui sessant'anni, con i capelli grigi e gli occhi di un azzurro un po' spento, che quando era stata più giovane dovevano essere stati meravigliosi. Era alta ma un po' grassa, però quella pancetta e la faccia simpatica, unita al sorriso dolcissimo che a Demi ricordava tanto quello di una nonna, la facevano apparire come una brava persona.
"Scusate se ci ho messo un po' a venire, ma sono arrivate altre persone  e dovevo dare anche a loro le chiavi e alcune indicazioni."
Nessuno riuscì a risponderle perché Buddy saltò addosso alla signora per farle le feste.
“Cosa ti abbiamo sempre detto?”
La voce alta di Eddie lo fece calmare subito. Ci sono persona alle quali non piace che un cane si comporti in questo modo o che ne hanno paura, per cui i padroni avevano cercato di far comprendere al loro piccolo amico a quattro zampe che poteva dimostrare la sua gioia con loro, ma non con altre persone. Ovvio era che non sempre si ricordasse quelle indicazioni.
“Lo perdoni” disse Dallas.
“Oh, non c’è nessun problema! Ho avuto molti cani nella mia vita.” Gli fece una carezza mentre lui le annusava le scarpe. “Sai che sei bellissimo? Eh?”
"Salve! Io sono Dianna e queste sono le mie figlie" disse la donna stringendole la mano.
"Ciao!" le salutò Emma, poi fu il turno delle due sorelle di stringere la mano a lei.
"Buongiorno" dissero in coro.
"Oh, figliole, potete darmi del tu. Non mi piace tutta questa formalità. Come vi chiamate?"
"Io sono Dallas."
"Io Demi, e lei è Madison."
"Avete tutte e tre dei nomi stupendi, sapete? Molto musicali."
Le ragazzine furono felici di quel complimento e arrossirono appena.
“Grazie” rispose Dallas per entrambe.
“Figuratevi.”
Detto questo, la donna chiese il permesso di poter fare una carezza alla bambina più piccola e quando Dianna le disse di sì, le arruffò i capelli in un gesto affettuoso. Maddie, che si era svegliata da un po' ma rimaneva tranquilla, allungò una mano e le strinse un dito.
"Mia figlia sta per avere un bambino, sarà il mio primo nipote" continuò Emma.
Sorrise.
Era davvero emozionata per la notizia, si vedeva  che sprizzava gioia da tutti i pori. L'aveva detto come se non vedesse l'ora di gridarlo al mondo.
"Congratulazioni!" esclamò Demi e anche gli altri le fecero gli auguri.
"Grazie. Spero che vi troverete bene qui. Resterete fino al 27, giusto?"
Demetria e la sorella più grande si guardarono stranite.
"Per così poco?" si chiedevano, ma non dissero niente.
Se i loro genitori avevano fatto questa scelta un motivo c'era di sicuro.
"Il 28 Madison compirà un anno e vorremmo festeggiarlo a casa" spiegò Eddie.
"Capisco."
"Quindi questi cottage sono tutti suoi?" domandò Dallas, allungando la mano verso le altre cinque o sei casette lì intorno.
"Tesoro, certe domande non…" stava dicendo Dianna, che non voleva che le sue figlie fossero invadenti, ma Emma la fermò.
"No no, rispondo volentieri. Sì, li ho comprati molti anni fa. Mi piaceva l'idea di darli poi in affitto a delle persone durante tutto l'anno, in modo che altri potessero apprezzare la bellezza di questo posto. E poi, a dire la verità, quando li ho presi non erano messi bene come adesso. Non avevo molti soldi, erano in uno stato che definire pessimo è dire poco, quindi il prezzo era davvero basso. Con il resto dei risparmi che avevo li ho ristrutturati, nel frattempo ho trovato un lavoro e poi ho iniziato a darli in affitto. Ma non voglio annoiarvi, andate dentro e riposatevi un po'. Ah, vi ho portato una cosa. Li do a tutti i bambini che vengono qui."
La donna, che fino a quel momento aveva tenuto una mano dietro la schiena, la portò davanti e mostrò un piccolo vassoio di biscotti.
"Li ha fatti lei?" chiese Dianna.
"Con le mie mani."
Eddie e la moglie ricordarono che nel sito in cui avevano trovato quel cottage, nella descrizione dei vari comfort c'era scritto che la proprietaria a volte dava dei dolci in regalo, quindi decisero di fidarsi.
"È… ehm, sei molto gentile, grazie" le rispose Demi prendendo il vassoio in mano.
"Venite da me, in quella casa" e la indicò, "e ve ne darò altri, se li vorrete."
La signora aveva un sorriso talmente sincero che si capiva che non regalava i dolci unicamente per farsi pubblicità, ma anche perché amava prepararli e soprattutto darli ai bambini.
"Grazie, ma non vorremmo approfittare" disse Dallas.
"Oh, lo faccio volentieri. E Dianna, Eddie" continuò guardandoli, "vi assicuro che se potessi avere altri figli, li vorrei come le vostre. Sono molto educate, sono positivamente impressionata."
I genitori furono colpiti da quelle parole, tanto che per qualche secondo restarono a bocca aperta senza sapere cosa dire, poi la ringraziarono di cuore. Detto questo la donna augurò ancora una volta loro buona permanenza, poi disse che per qualsiasi cosa lei restava a disposizione e si allontanò.
"Forte!" esclamò Demi.
"Sì, cazzo! Io voglio una nonna così! fu il commento di Dallas.
I loro nonni erano simpatici, ma li vedevano così poco, soprattutto quelli materni perché Dianna non aveva un ottimo rapporto con loro anche se le cose, da quando aveva lasciato Patrick, erano migliorate tra lei e i suoi, che Emma sembrava avere qualcosa in più rispetto a loro. Ma di sicuro anche loro erano dolci, si dissero le ragazzine. Speravano di scoprirlo, in futuro.
"Entriamo, allora!"  disse entusiasta Eddie, poi aprì.
La casa era piccola ma confortevole, su due piani, con una camera a quello inferiore ed una al superiore, un salotto, una piccola cucina separata da questo da una porta a vetri e un bagno. Dianna disse alle figlie di scegliersi pure la camera e le due corsero nella prima e poi nella seconda. Erano entrambe molto spoglie. A parte il letto, un comodino in legno e un armadio non c'era un granché, ma le pareti erano dipinte in una di rosa pastello e nell'altra di blu.
"Quale preferisci?" chiese la minore.
"La blu, tu?"
"Anch'io."
Risero all'idea di vedere la faccia di Eddie che si sarebbe trovato nella camera rosa al piano superiore, poi tornarono per comunicare la loro decisione.
"Va bene, ognuno adesso disfà le sue valigie. Dallas, aiuteresti tua sorella per favore?"
"Sì mamma. Ma con Madison come fate? Non ho visto un lettino su."
"Abbiamo smontato quello di casa nostra. Vado a prendere i pezzi in macchina" spiegò Eddie.
Anche in quel caso, e trovandosi in un posto che non conosceva, Buddy cominciò ad esplorare ogni angolo della casa, salì su divano, sedie e letti, annusò tutto quello che poté, e mentre i suoi padroni disfacevano le valigie entrò dentro di esse rallentando il lavoro.
“Grazie per l’aiuto, Buddy” dicevano tutti ridendo.
Lui abbaiava felice in risposta, scodinzolando e saltando.
L'armadio era abbastanza grande per due, quindi le ragazze riuscirono a mettere via tutto in breve tempo. Più difficile fu per Dianna e il marito, che dovevano trovare posto sia per loro che per i vestitini di Madison. Anche sistemare i prodotti di ognuno in un unico bagno fu complicato, ma dopo un po' di lavoro ci riuscirono tutti. Le due sorelle si domandarono come mai non avrebbero potuto tenere molti dei vestiti in valigia, se tanto stavano lì solo quattro giorni e pensarono che la mamma avesse messo, come sempre, troppe cose. Tuttavia, meticolosa com'era, Dianna forse non avrebbe permesso che non sistemassero gli abiti nell'armadio. A volte per le due era difficile convivere con questo comportamento perfezionista della mamma. Non ci avrebbero mai fatto l'abitudine.
Dopo che i grandi si furono fatti la doccia e che i genitori ebbero fatto un bagnetto a Madison, i cinque si ritrovarono seduti sul divano del salotto, stanchi ma contenti di essere lì. Poco dopo uscirono sulla neve, fecero quattro passi, ma le bambine erano così stanche che si tirarono con svogliatezza qualche palla di neve, senza entusiasmo. Era strano, soprattutto per Demi che non era ancora entrata nell'adolescenza, ma anche i bambini se troppo provati non hanno voglia di giocare. Ad ogni modo, la piccola continuava ad amare la neve con tutto il cuore.
"Domani giocherò tutto il giorno" si disse mentre rientravano.
Buddy camminò sulla coltre bianca un po’ incerto annusandola e leccandola varie volte. Non gli piaceva il fatto che fosse così fredda e non capiva cosa i padroni ci trovassero di divertente. Eddie gli fece fare una passeggiata fino al lago, a pochi minuti dal cottage, e alla fine il cane si convinse che essendoci  lì molti odori nuovi, tra cui quelli dei pini e della neve stessa, il posto non era male.
Tutti cenarono, poi andarono a letto e caddero in un sonno profondo. Ma appena prima di addormentarsi, Demetria chiese alla sorella:
"Dallas?"
"Mmm?" mugugnò l'altra, che aveva già gli occhi chiusi.
"La sorpresa che la mamma e Eddie ci hanno promesso erano i biscotti di Emma?"
In effetti era un gran bel regalo, tra l'altro li avevano assaggiati dopo cena ed erano favolosi, cotti al punto giusto e al cioccolato, cosa che li rendeva ancora più buoni.
"Non lo so, forse. Dai Demi, lasciami dormire. Parliamo domani, d'accordo?"
"Va bene."
Chissà, forse non era quello a cui avevano alluso. Tuttavia la bambina preferì non illudersi che ci fosse qualcos'altro e si addormentò sentendosi felice. Era al lago e c'era la neve, lì con lei c'era la sua famiglia. Non avrebbe potuto chiedere di meglio. E l’ultima cosa sulla quale rifletté, e che per un po’ forse tutti avevano scordato a causa della stanchezza, era che il giorno dopo sarebbe arrivato Natale. Ormai sapeva che erano i genitori a portare i doni e non il vecchio rubicondo, ma le piaceva ancora crederci. Per un attimo si domandò se li avrebbe trovati dato che non erano a casa loro e si rispose di sì, lui sapeva sempre dov’erano le persone buone.
 
 
 
Il mattino dopo, Dianna si svegliò prestissimo come al solito. Erano le quattro e, anche se non doveva prepararsi e poi svegliare le figlie, la donna aveva impostato in se quell'orologio biologico. Non sarebbe riuscita a restare a letto un minuto di più. Scese in cucina e aprì il frigo dentro il quale aveva messo molte delle cose che aveva portato. Mangiò uno yogurt magro con un po' di cereali. Ebbe la fortissima tentazione di andare in bagno a vomitare, ma non lo fece. Per quei giorni in cui Eddie sarebbe stato presente non doveva farlo, non poteva entrare in quello stanzino, aprire l'acqua per non far sentire i conati e buttare fuori tutto, almeno non sempre. Doveva resistere, ma non sapeva se ci sarebbe riuscita. L'ultima cosa che voleva, comunque, era essere scoperta. Per fortuna però in quel periodo la situazione era migliorata. Il suo disturbo alimentare, l’anoressia, era sotto controllo; o almeno così credeva. E poi “disturbo”, che parola! Lei stava solo facendo cos’era più giusto, essere magra era un modo per essere perfetta. Il fatto di considerarsi la mamma migliore che si potesse desiderare, di avere due figlie che stavano realizzando il sogno di diventare famose e di avere una bella vita la faceva sentire gratificata. E per rendere ciò ancora più, appunto, perfetto, era necessario che lei fosse magra, sempre più magra ma non troppo, altrimenti sarebbe stata male e Eddie e la famiglia avrebbero scoperto tutto. Se il marito avesse notato qualcosa gliel'avrebbe detto, giusto? Ma non l'aveva fatto. E di sicuro nemmeno Dallas e Demi si erano rese conto di nulla. Dopo aver pulito meglio il piccolo salotto e la cucina, Dianna si distese sul divano ad aspettare che i familiari si alzassero, e strano ma vero si appisolò. Sognò in successione le nascite delle sue tre figlie, i momenti più belli della sua vita e quelli che le avevano dato più gioia e forza di andare avanti, sapendo che aveva qualcuno da amare e proteggere, qualcuno per cui lottare.
"Tesoro?"
Aprì gli occhi trovando Eddie accanto a sé, inginocchiato sul pavimento, che le sorrideva.
"Ciao" lo salutò, la voce ancora impastata dal sonno.
"Ciao. Non riesci proprio a restare a letto di più, eh?"
"Lo sai come sono fatta" sospirò. "E comunque ti prego, non voglio litigare."
"Non è mia intenzione farlo, anzi.”
“Buddy?”
“Eccolo!”
Quella palla di pelo saltò in braccio alla donna e cominciò a leccarla.
“Ciao!” esclamò. Era morbidissimo, l’avrebbe coccolato tutto il giorno. “L’hai portato fuori, Eddie?”
“Sì, poco fa. Appena mi sono alzato si è svegliato, stava dormendo sulla sedia della cucina. Sono le sette, tra un po' le bambine si sveglieranno." Dallas non lo era più, ormai, ma per un genitore i propri figli saranno sempre i suoi bambini, per cui dato che era molto giovane a lui e a Dianna veniva automatico chiamarla così. "Volevo chiederti se te la senti di fare quella cosa, visto che abbiamo portato tutto."
"Ma certo!" esclamò, mettendosi a sedere e poi alzandosi piano. "Le faremo felici.
 
 
 
Intanto, un'altra famiglia di quattro persone stava viaggiando per arrivare al lago. L'uomo aveva voluto partire a notte fonda, così da essere là ad un orario decente.
"Saranno contente di vederci?" chiese il ragazzo accanto a lui che, come il padre, aveva capelli castani ed occhi verdi.
Aveva anche lo stesso dolcissimo sorriso di Frank, rifletté Joyce, una cadenza praticamente identica e modi di fare simili. Insomma, erano proprio padre e figlio.
"Perché non dovrebbero esserlo?" domandò il più vecchio. "In fondo siamo loro amici da una vita."
Eppure lui non era convinto. E se la loro presenza non fosse stata gradita? Si vedevano così spesso che era ovvio che a volte avessero bisogno di stare tutti un po' per conto proprio. Era una paura stupida, ma più si avvicinavano alla destinazione più cresceva, il cuore gli batteva all'impazzata e aveva un forte senso di nausea, tanto che dovette chiedere ai genitori di fermarsi per permettergli di prendere aria. Una volta fuori dall'auto il ragazzo respirò a pieni polmoni - si capiva subito che lì l'aria era più pulita - e la frescura lo fece sentire meglio già dopo poche boccate.
"Andiamo?"
Sua sorella, rimasta in auto, era impaziente e continuava ad agitare le gambe come per far capire che dovevano muoversi.
"Tesoro, se tuo fratello non sta bene è giusto dargli un po' di tempo, non ti pare?" la rimproverò la mamma, ma senza sgridarla.
L'altra non disse niente e aspettò.
Poco dopo gli altri salirono in macchina e poterono ripartire. Ci volle meno di un'ora ed ecco, erano arrivati.
Joyce e Frank andarono a prendere le chiavi del cottage, mentre Andrew restò con sua sorella Carlie.
"Scusami per prima" gli disse la bimba, che aveva l'età di Demi, abbassando lo sguardo.
"Non preoccuparti.” Le scompigliò i capelli, simili ai suoi ma un po’ più chiari e i due si sorrisero. “Sai che sembri una principessa quando lo fai?”
La bambina, che anche se si considerava troppo grande per le favole credeva che quelle sulle principesse fossero le più belle, arrossì leggermente. Per la sua età era già piuttosto alta e in questo era simile al papà e al fratello, ma a differenza loro aveva due occhi azzurri che aveva preso da Joyce ed Andrew, ogni volta che guardava la sorellina, pensava che avesse gli occhi più belli del mondo. Erano limpidi e profondi come due pozze d’acqua. Una volta le aveva regalato una collanina d’argento per Natale e le aveva detto:
“Ti starà benissimo; e quando sorriderai e i tuoi occhi brilleranno, questa luccicherà di più.”
Ogni tanto se ne usciva con queste frasi molto poetiche che Carlie apprezzava, sapendo che dimostravano tutto l’affetto che lui provava nei suoi confronti.
“Allora perché sembri strano?” gli chiese la piccola riportandolo al presente.
“Anch'io avevo voglia di venire qui, è solo che…"
Non sapeva come dirlo. Come si spiega ad una bambina di dieci anni che si ha paura di vedere qualcuno a cui si vuole bene perché si teme una sua reazione negativa alla sorpresa?
“Cosa?”
"Niente, niente. Va tutto bene."
Carlie guardò negli occhi il fratello e si disse che le pareva il contrario, ma non fiatò.
Dopo essersi sistemati nel loro cottage e aver  dormito un po', i quattro si diressero all'abitazione di Eddie e Dianna. Avevano detto ad Emma di essere loro amici, come infatti era, e lei era stata felice di ciò e di dire loro in quale alloggiassero. Andrew bussò e fu Demi ad aprire. Si era appena svegliata, lo si vedeva dai capelli ancora scompigliati e dagli occhi assonnati, tuttavia così era ancora più carina. Nel vedere il suo migliore amico, che conosceva da sempre, e tutta la famiglia si mise una mano sulla bocca e restò a guardarli per qualche secondo senza dire niente, tanto che Andrew non capì se fosse felice o triste ed ebbe ancora più paura.  Avrebbe voluto disperatamente dire qualcosa, ma non sapeva cosa, non sapeva se salutarla o chiederle se con il suo arrivo l'aveva disturbata o ancora peggio ferita, ma in quel momento accadde qualcosa.
 
 
 
Demi non poteva crederci: Andrew era arrivato, avrebbe passato quei pochi giorni di vacanza con lei. Non avrebbe potuto pensare a qualcosa di più meraviglioso, ora c'erano davvero tutti. Gli si gettò fra le braccia ridendo e lui la strinse forte ricambiando il suo gesto di affetto. Dopo un bacio sulla guancia si sciolsero con dolcezza e si guardarono emozionati.
"Sei qui!" sussurrò Demi.
"Sì, sono qui e non me ne vado."
Intanto erano arrivati Dallas, Dianna e Eddie. Tutti si salutarono e abbracciarono a vicenda con calore. Buddy salutò i nuovi arrivati con entusiasmo, dato che li conosceva bene e i quattro furono felicissimi di vederlo, soprattutto Carlie. Chiedeva da tempo ai suoi un cane, ma le rispondevano sempre che lavorando molte ore al giorno il cucciolo sarebbe rimasto spesso solo e sarebbe stato brutto per lui. Per questo, ormai considerava quel cocker un po’ suo e gli voleva tanto bene. Intanto, i due uomini iniziarono a parlare fra loro.
"Non ho portato gli scacchi, purtroppo, ma troveremo comunque qualcosa da fare" disse Eddie.
"Nemmeno io, ma possiamo chiacchierare. Non ci vediamo da un po', io e te."
"Tipo una settimana?"
Risero.
“Mamma, era questa la sorpresa? Erano loro?” chiese Demi, che poi spiegò ai quattro ciò che i genitori le avevano detto.
“Sì tesoro” le rispose la donna e Demi non avrebbe potuto essere più contenta.
Quella sorpresa valeva più di qualsiasi regalo materiale.
Dianna invitò tutti ad entrare, poi disse alle figlie di guardarsi bene intorno. Quando notarono che in un angolo del piccolo salotto c'era un albero di Natale, molto piccolo ma decorato con nastri argentati e dorati, luci e palline di colori diversi e qualche altro addobbo cominciarono a saltare e a muovere qualche passo di danza improvvisato. A dire il vero erano piuttosto brave, visto che avevano già fatto alcune audizioni nelle quali era richiesto e che Demi ballava spesso in "Barney And Friends".
"Che bello! Che bello! Che bello, un albero di Natale!" esclamava Demi.
“Buddy vi ha aiutati a farlo, immagino” ridacchiò Dallas.
Gli anni precedenti non aveva fatto altro che curiosare negli scatoloni delle decorazioni.
“In realtà, stavolta l’ha ignorato e ha continuato a dormire” disse Eddie e le sorelle se ne stupirono.
Mentre Joyce si offriva di aiutare Dianna a preparare il pranzo e di darle una mano con Madison che in quel momento però stava facendo un pisolino sul divano, Demi e Dallas corsero a vestirsi e, assieme ad Andrew e Carlie, andarono fuori a giocare. In fondo la neve piaceva molto anche ai più grandi.
"State attenti" si raccomandarono i genitori, che comunque li avrebbero osservati dall'interno. "Soprattutto voi due, che siete i maggiori."
Ridendo e lanciando grida di gioia, Demi e Carlie cominciarono a correre sulla neve come se niente fosse. Buddy seguì la padroncina, scodinzolando e abbaiando. Tutto andò bene fino a quando Carlie finì con un piede in una buca.
"Ti avevo detto di fare attenzione" le fece notare Andrew, poi la aiutò ad uscire.
"Hai ragione, scusa."
"Tranquilla. Ehi, chi vuole giocare a palle di neve?"
"Ioooooo!" gridarono all'unisono le più piccole.
C'erano altri bambini lì intorno, divisi in vari gruppi come il loro. Alcuni stavano costruendo un pupazzo mettendoci molto impegno ed erano aiutati dai grandi, altri invece erano più in là, un po' lontani dai cottage, in un'area libera nella quale facevano gare di bob o di slittino.
"Okay" disse Dallas, "mettiamoci tutti l'uno vicino all'altro e prendiamoci la mano." Una volta fatto, continuò: "Dobbiamo stabilire delle regole per evitare di farci male, giusto Andrew?"
"Direi di sì."
"Allora, ci possiamo tirare quante palle vogliamo ma, e sottolineo ma, nessuno deve lanciarle in faccia ad un'altra persona, o in testa, tutto chiaro?"
"Va bene" si trovarono d'accordo le più piccole.
"E se uno lo fa per sbaglio?" chiese Demi.
"Viene eliminato e torna dentro" le rispose l'amico.
“Ah, okay.”
Le pareva una punizione un po’ esagerata, ma non disse nulla. In fondo era un gioco, anche se conoscendosi sapeva che ci sarebbe rimasta malissimo se fosse stata eliminata. Doveva essere molto accorta.
E fu così che iniziò una vera e propria battaglia. All’inizio volle partecipare anche Buddy, ma quando un po’ di neve gli finì addosso pensò che quella cosa era troppo fredda per lui e che fosse più bello saltarci in mezzo piuttosto che giocarci. Inoltre spesso sprofondava e si era bagnato tutto. Preferì dunque rientrare in casa dove venne riscaldato, coccolato e asciugato. Andrew lanciò una palla di neve a Demi e la colpì su una gamba, lei allora reagì e lo prese su un braccio. Intanto Carlie e Dallas avevano iniziato una guerra tutta al femminile colpendosi su braccia, gambe, schiena, piedi, dove capitava, e con palle sempre più grosse e grandi. Tutti cercavano comunque di non compattare troppo la neve per non far male alla persona che provavano a colpire. Era difficile prendere qualcuno, in ogni caso. Andrew e Dallas erano velocissimi a spostarsi, oppure rimanevano fermi fino all'ultimo secondo e poi con un balzo di lato o all'indietro riuscivano a schivarne parecchie. Demi e Carlie invece erano più lente e per non essere prese preferivano buttarsi direttamente nella neve. Era più divertente.
A un tratto, Andrew fu colpito alla schiena da quella che più che una palla sembrava una bomba di neve e girandosi vide che era stata Demetria a lanciargliela.
"Ehi, non vale!" esclamò. "Non ti sei fatta sentire."
"Non hai detto che non dovevamo fare rumore" gli rispose lei ridendo, poi si buttò in quel candido tappeto per schivare un colpo che lui aveva già preso in mano.
Rotolando con lei, il ragazzo cercò di colpirla ma Demi fu più svelta, corse un po’ più in là e si nascose dietro un alto mucchio di neve che qualcuno aveva ammassato, accucciandosi per non essere vista.
"D'accordo, hai vinto" si arrese lui dopo averla cercata per un po'.
La piccola balzò fuori dal suo nascondiglio ridendo felice e battendosi le mani guantate sul giubbotto pesante per ripulirsi.
Dopo un paio d'ore passate tra giochi e risate, i quattro tornarono in casa quando Eddie venne a dire loro che era quasi pronto.
Una volta entrati, un mix di profumi diversi riempì loro le narici tanto che cominciarono ad avere fame, cosa della quale non si erano accorti fino a poco prima e non vedevano l'ora di assaggiare i piatti che le mamme avevano preparato. I ragazzi più grandi aiutarono Dianna e Joyce a preparare la tavola, che allungarono in modo da poterci stare tutti. Sarebbero stati stretti perché la cucina non era molto grande, ma non importava. Ciò che contava era essere lì insieme.
Madison si era svegliata e giocava tranquilla sul tappeto, anche se in quel momento si stava mettendo di nuovo in ginocchio. In quella posizione arrivò fino all’albero e, se il padre non l’avesse presa in braccio, avrebbe toccato e fatto cadere qualcosa.
“Non si fa, non è un gioco” le disse, “anche se immagino che a te lo sembri.”
La bambina non capì, ovviamente, e rimettendola sul tappeto, Eddie rimase lì vicino per poterla controllare meglio.
Buddy fu coccolato da tutti, passando da persona a persona in cerca di attenzioni.
“Sei proprio un ruffiano” gli disse Dianna ridendo.
"Maddie!" esclamò Carlie correndo da lei.
La piccina allungò le manine verso l'altra bimba e la toccò, o per meglio dire le diede un piccolo schiaffo, non riuscendo ancora a controllare bene i propri movimenti.
"Piano, amore" mormorò Dianna, scusandosi poi con Carlie e dicendole che Madison era ancora piccola e che non aveva voluto farle male.
"Non preoccuparti, lo so.”
“Ma quanto sei bella? Quanto?” chiese Joyce a Madison, prendendola in braccio per coccolarla.
I bambini le piacevano moltissimo, se non fosse stato così non avrebbe avuto due figli, e voleva un bene dell’anima sia a quello scricciolo sia alle sue sorelle.
“Sei cresciuta, diventerai una bella bimba grande” aggiunse Frank, premendole per gioco le dita sulle guance. “E sei così dolce che potrei mangiarti.”
Ognuno dei ragazzi andò nelle proprie camere a cambiarsi per non restare bagnato e non prendere un raffreddore e poco dopo i quattro si ritrovarono di nuovo davanti a Madison che non si era mossa. Sorrideva loro e li guardava con attenzione, rideva quando le sorelle facevano qualche faccia buffa per divertirla e osservava Carlie e soprattutto Andrew con curiosità. Li aveva sempre visti ed era ovvio che li conoscesse bene, però ogni volta c'era sempre qualcosa di loro che attirava la sua attenzione, che fosse un sorriso che le rivolgevano o il colore di un loro vestito, soprattutto se molto acceso.
Anche Carlie volle prenderla in braccio e, come sempre, le piacque moltissimo.
“Hai un amico qui, vedo. È molto bello” le disse, accarezzando Bunny che la bimba stringeva fra le mani. “Come mi sorride!” esclamò poi, felice.
“Hai visto? Vuol dire che le sei simpatica e che si fida di te” fu la risposta del fratello.
"È pronto!" esclamò Dianna, che assieme a Joyce cominciava a versare il cibo nei piatti.
"Vieni con me, eh? Vieni?" chiese Andrew a Madison, che si lasciò prendere in braccio e gli sorrise.
Mentre la portava a tavola gli accarezzava i capelli con una manina e questo gli fece spuntare un sorriso. Era ancora molto giovane e non ci pensava spesso, ma un giorno avrebbe tanto voluto essere padre e chissà, forse tenendo fra le braccia il suo bambino o la sua bambina avrebbe sorriso come stava facendo ora. Quando Dianna sistemò Maddie nel seggiolone e ognuno fu seduto, tutti iniziarono a mangiare. La più piccola aveva già consumato il suo pasto poco prima di addormentarsi. Il pranzo di Natale quell'anno era piuttosto semplice: polpettone  patate  arrosto che Dianna aveva portato. Aveva anche preparato alcune verdure crude e altre bollite e lei mangiò solo quelle e un pezzo non molto grande di carne.
"Mi sembra troppo poco, tesoro" le disse il marito.
"Tranquillo, ho mangiato molto a colazione stamattina."
Come sai mentire bene pensò. Dovresti farti paura da sola. Ma è giusto che tu dica bugie, lo fai per nascondere tutto.
"Davvero? In un attimo avevi già finito."
Eddie la guardava intensamente come a cercare qualcosa nei suoi occhi, un indizio che gli facesse capire che qualcosa non andava. Eppure la donna era serena. Dianna, dal canto suo, si sforzò di trovare in fretta una risposta.
"Sei stato fuori diversi minuti mentre mangiavo, ci metto poco a far colazione, lo sai."
“Mi giuri che hai mangiato a sufficienza?”
“Ce n’è proprio bisogno? Non ti fidi di me?”
Cercava di non dare risposte affrettate, di sembrare naturale e convincente. La richiesta di Eddie le aveva fatto male, ma pensò che in fondo si meritava di soffrire visto che mentiva. Deglutendo e ricacciando indietro le lacrime che le stavano riempiendo gli occhi, Dianna sorrise.
il marito, dopo qualche momento di indecisione, le credette.
“Mi fido, tesoro, non sto dicendo il contrario.”
“Te lo giuro, se ti fa stare più tranquillo. Mano sul cuore” continuò la donna, appoggiandosi la sinistra sul petto.
Aveva fatto due colazioni, in realtà, quella quando si era alzata e un'altra per mettere qualcosa nello stomaco con Eddie presente, in modo da non farlo insospettire. Lui però era uscito un momento, e così si era presa solo un paio di biscotti, tra l'altro integrali, e poco tè. Si sentiva stanca e aveva freddo, ma cercava di mangiare sempre qualcosa e di non farsi scoprire. Ricordava che una volta, quando abitava ancora con i suoi genitori, non aveva toccato cibo per tre giorni per vedere se ci sarebbe riuscita. E dopo la nascita di Madison, l'aveva allattata per un po' di tempo fino a quando si era detta che era troppo grassa a causa dell’ultima gravidanza e aveva ricominciato a mangiare pochissimo quando il marito era assente, così che dare il seno alla bambina era diventato praticamente impossibile. Per fortuna, quando era passata al biberon, la piccola non aveva fatto storie.
Comunque mangiò qualcos'altro, anche il pudding di Joyce per non destare sospetti. Fu estremamente difficile, ad ogni boccone che mandava giù pensava che sarebbe stata meno perfetta, ma non poteva fare altrimenti.
Buddy aveva divorato la sua pappa e qualche pezzettino di polpettone che Andrew, Dallas, Demi e Carlie gli avevano allungato sotto il tavolo di nascosto dai genitori. Quando l’avevano visto avvicinarsi e chiedere cibo con piccoli guaiti non erano riusciti a
resistere.
"Eddie fa già moltissimo, non posso chiedergli di più" disse la donna a joyce quando furono sole in cucina.
Gli uomini erano fuori a fare una passeggiata con il cane e i ragazzi e Madison in salotto a giocare.
"Ma tu sei sempre così stanca! Sicura che vada tutto bene, che sia solo questo?"
Oh no, aveva dei dubbi anche lei. La sua amica aveva dei cazzo di dubbi.
Sa qualcosa? pensò, mentre la sua mente lavorava freneticamente per trovare una risposta convincente. Non può, ho sempre nascosto tutto, la mia depressione, l'anoressia, tutto.
"Beh Joyce, Madison è molto piccola, Demi e Dallas non sono delle semplici bambine ma stanno diventando famose, non è facile gestirle tutte e tre. In più ci sono i lavori di casa da fare, e per fortuna non ho altro perché in caso contrario impazzirei. Insomma, non è facile gestire tre figlie con bisogni ed età differenti, è sempre un corri di qua e di là, capisci? Non c'è altro, davvero. Se ci fosse ti giuro che te lo direi."
Che schifo, hai appena detto una bugia anche ad una tua amica. Ma quante ne hai dette in tutti questi anni, a chiunque? Tantissime.
Avrebbe dovuto esserci abituata, ma non era così. Faceva sempre male. Eppure, si ripeté per l'ennesima volta, lo faceva perché era giusto.
"Scusa se insisto, Dianna, è che sembri depressa. E questo problema con il cibo ce l'hai spesso?"
Eddie quel giorno le aveva creduto, ma ogni tanto quando dubitava le poneva le stesse identiche domande. Era un buon marito, si preoccupava tantissimo per lei.
Dianna guardò la sua amica e pensò che le veniva spontaneo confrontarsi con lei. Joyce era una donna molto bella, magra e slanciata, sempre vestita al meglio, truccata, e qualsiasi cosa indossasse le stava da favola. Dianna, invece, si considerava scialba. Di sicuro aveva due occhiaie che le arrivavano fino ai piedi e anche se cercava di vestirsi sempre al meglio e si truccava ogni mattina, non si sentiva mai abbastanza, mai perfetta. Lei non era come Joyce, faceva schifo. Non era nemmeno magra quanto l’altra donna, il che era peggio.
"Non sono depressa, come ti viene in mente? Sono solo stanca, davvero! E con il cibo non ho nessun problema! Oggi non avevo molta fame ma ho mangiato, hai visto no? Sono magra, ma non esageratamente e il fatto che io lo sia non significa niente."
"Perché non hai preso le patate, allora?"
Joyce si grattò la testa bionda e si sciolse i capelli, fino ad allora legati in una traccia. I suoi occhi sembravano tristi e in effetti lo erano, visto che soffriva nel vedere l’amica così e nel non sapere se crederle o meno.
"Perché voglio mangiare sano e avevano troppo olio per i miei gusti. È un crimine, forse?"
"No."
"Allora, per favore, non parliamone più. Io sto bene, se qualcosa non andasse tu lo sapresti, ripeto, perché te lo direi e prima di tutto lo direi a mio marito."
Joyce pensò per un solo istante che a volte le persone credono di non avere nulla quando invece stanno molto male. Ma Dianna era una persona sincera, sembrava stare bene sul serio e non faceva commenti sul suo corpo o sul fatto di voler essere più magra o cose del genere. Voleva nutrirsi in modo sano e questo era positivo, e forse aveva mangiato poco perché si era sentita di fare così. Del resto, tutti ogni tanto abbiamo questi momenti.
"Va bene, ti credo" le disse infine. "Ma per favore, se starai male dimmelo. Io sarò al tuo fianco."
"Grazie, ti voglio bene" le rispose l'altra, commossa.
"Anch'io."
 
 
 
"Come va?" chiese Frank a Eddie.
Lo vedeva stanco e questo lo preoccupava. Stavano camminando nella neve. Il cielo era grigio e spirava un forte e freddo vento proveniente da nord che, credevano, avrebbe portato altre nuvole e forse altra neve. Quelle che c'erano non avevano il tipico aspetto di nuvole cariche di pioggia.
"Vorrei esserci di più per mia moglie e le mie figlie, ma lavorando alla Ford la mattina e a volte anche il pomeriggio non è facile. Insomma, torno sempre a casa però mi piacerebbe passare più tempo con loro. Buddy, non tirare così tanto!" esclamò.
Il cane non faceva altro che strattonare il guinzaglio per voler andare più veloce. I due lo seguivano, ma a differenza sua non volevano correre perché desideravano godersi la neve.
"Lo posso immaginare, per me vale lo stesso. Ma l'importante è non trascurare nessuno e passare con la propria famiglia più momenti felici possibili."
"Tu ci riesci?"
"Abbastanza." Frank era insegnante di matematica in un liceo, mentre sua moglie una commessa part-time in un supermercato. "Il sabato e la domenica facciamo sempre qualcosa: usciamo per una passeggiata, andiamo a mangiare un gelato o a bere una cioccolata, facciamo qualche gioco da tavolo o semplicemente ci rilassiamo tutti insieme davanti alla televisione. Ovvio che Carlie preferisca giocare, quindi quando lo chiede ci divertiamo volentieri con lei."
Com'era bello lo scricchiolio della neve sotto i piedi, si fermarono a pensare i due. Era una cosa a cui non avevano mai fatto molto caso ma lì, nel silenzio, senza voci di bambini o schiamazzi intorno, si stavano godendo quel momento. La strada era deserta e non si udivano macchine in lontananza, quindi camminarono anche al centro di essa.
"E a te cosa fa fare?"
"Di solito il malato per giocare al dottore, nonostante sia un po' grandicella per questo" disse ridendo, "o a volte mi chiede di leggerle un libro o, quando ne ha voglia, di divertirmi assieme a lei con i suoi pupazzi."
Sia Demi che Carlie avevano smesso di giocare con le bambole da un po', ma l'amore per i loro peluche non sarebbe mai svanito.
"Anche Demi mi fa fare le stesse cose. Immagino che con Madison sarà uguale."
"E con Dianna come va? Ti ho visto preoccupato, prima."
Eddie sospirò.
"Non credo che mi menta, mi fido ciecamente di lei. Ce lo siamo sempre detti: se c'è un problema ne parliamo. Ma è così presa dalle bambine, dalle audizioni e da tutto il resto che si trascura un po' anche nel mangiare."
"E tu gliene hai parlato?"
"Sì, diverse volte. Ho avuto anche dei dubbi, ho pensato che avesse un disturbo alimentare o qualche problema del genere., ma poi sono svaniti. Lei continua a ripetere che sta bene, io cerco sempre di guardarla, di stare attento a come mangia, a quello che mette in bocca, a come si comporta prima e dopo mangiato. Non l’ho mai sentita vomitare, né fare commenti negativi ul suo aspetto o sul suo corpo. Abbiamo la bilancia in salotto e ogni tanto si pesa, ma non in maniera ossessiva.”
I due uomini pensarono la stessa cosa su cui aveva riflettuto Joyce, ovvero che a volte chi sta male nasconde i propri problemi dietro un’apparente serenità, ma Eddie conosceva la moglie ed era sicuro che non fosse quel tipo di persona.
“Spero solo che quando non ci sono mangi in modo sano" concluse.
Buddy, sentendo un altro cane abbaiare da lontano, gli rispose e non sembrò un abbaio molto amichevole. "Buono, su” cercò di calmarlo il padrone.
 
Questi si fermò per fare i suoi bisogni e poi, quando i tre si furono allontanati un po’, si abbassò per annusare il terreno come faceva spesso. Essendo immersi nella natura di sicuro lì passavano molti animali, dovevano esserci mille odori diversi nel terreno. Ogni tanto si vedeva anche qualche impronta.
“Questa è di una marmotta” disse Frank distrattamente indicando un punto alla sua sinistra.
“Io non l’avrei riconosciuta.”
“Hai provato a chiedere a Dallas?"
Un altro, lungo, profondo sospiro.
"Ho paura che non mi direbbe la verità, non so perché. È molto legata alla madre e se pensando di proteggerla mi nascondesse qualcosa? E poi non voglio dubitare di lei così tanto. Il fatto che sia magra non significa che abbia un problema. O pensi che dovrei indagare?"
Quella domanda rimase sospesa nell'aria mentre i due si avvicinavano al lago. Non era ghiacciato, faceva freddo ma non abbastanza perché si ghiacciasse. Le sue acque erano calme, increspate solo da qualche piccola onda. Una foglia di una ninfea galleggiava a poca distanza da loro. Alcune persone passeggiavano lungo quello specchio d’acqua, comestavano facendo i due amici.
"In parte l’hai già fatto osservandola. Comunque no, non credo" fu la risposta di Frank.
Non voleva insinuare cose che poi si sarebbero rivelate sbagliate o far preoccupare ancora di più l'amico. Non gli pareva che Dianna fosse eccessivamente magra, che avesse rifiutato il cibo con disgusto o che i suoi sorrisi fossero falsi o fatti solo per rendere felici gli altri. E poi conosceva più lui che lei, non si sarebbe mai permesso di dire qualcosa se non ne fosse stato assolutamente sicuro.
Il vento cominciava ad essere troppo forte, così i due decisero di tornare in casa a riscaldarsi. Sulla via del ritorno non dissero nulla, intenti a contemplare il bianco attorno a loro che, come una soffice ma fredda coperta aveva ricoperto ogni cosa.
 
 
 
Demi e Carlie volevano uscire a fare un pupazzo di neve, ma i genitori dissero loro che c'era troppo vento e che ci sarebbero andati tutti insieme il mattino seguente.
"Avete dimenticato qualcosa, mi sembra" disse Eddie.
"Cosa? Cosa?" chiesero le bimbe, eccitate.
"Oggi è Natale, quindi…"
"Regaliiiiii!" gridarono.
Il pensiero della neve gliel'aveva fatto scordare.
E fu così che cominciò lo scambio dei doni. Dallas aprì i suoi, principalmente vestiti e un paio di scarpe, e poi aiutò la sorella a fare lo stesso. Demi ricevette "Il giro del mondo in ottanta giorni" di Jules Verne e ne fu molto contenta, dato che amava leggere e che aveva sentito parlare molto bene di quel romanzo. Non le piacevano particolarmente i libri di avventura, ma incuriosita, non vedeva comunque l'ora di iniziarlo.
"Grazie!" esclamò, rivolgendosi ad Andrew e alla sua famiglia.
I genitori invece le regalarono un puzzle. Sulla scatola erano raffigurati un lago e il cielo che sembravano fondersi insieme e alcuni animali acquatici, tra i quali anatre, rane, un insetto che la bambina non riconobbe e un bellissimo cigno bianco che attirò la sua attenzione.
"Ti piace?" le chiese Andrew indicando l'animale.
"È semplicemente… stupendo" rispose quasi senza fiato, sperando che nel puzzle sarebbe risultato meraviglioso quanto lo era in figura.
Era la prima volta che andava al lago e non aveva mai visto un cigno in vita sua, ma sperava di poterlo fare, anche se non sapeva se in inverno quegli animali tanto speciali rimanessero lì oppure migrassero.
Ad ogni pacchetto che veniva scartato, Buddy si dirigeva verso chi l’aveva aperto e prendeva in bocca un pezzo di carta o un nastro per poi prenderlo tra le zampe e giocarci.
Madison ricevette giocattoli, quello che la attirò di più fu un cestino con tante cose colorate dentro che non riuscì a riconoscere.
"Frutta e verdura, vedi?" le disse la mamma tirandone fuori una. "Questa è una mela rossa. E questa un'arancia…"
"Fammi indovinare, arancione" si intromise Dallas.
Dianna la guardò male. Nessuno rise.
"Se volevi scherzare non ci sei riuscita."
"Uffa, non si può nemmeno fare una battuta? E che cazzo!"
Amava Madison e capiva che per lei fosse importante imparare, pian piano, i nomi delle cose - anche se adesso era ancora molto piccola per farlo -, ma non aveva voluto dire niente di male.
"Il linguaggio, signorina" la rimbrottò stavolta Eddie, alzando la voce.
"Calma, calma." Joyce sentì di dover fare qualcosa. Non voleva che la festa si rovinasse per una stupidaggine simile. "Dallas, non hai detto nulla di brutto ma avresti potuto risparmiarti quella parolaccia."
La ragazzina, volendo molto bene alla sua interlocutrice, abbassò lo sguardo. Non le avrebbe mai risposto in malo modo e sapeva di non doverlo fare nemmeno con i genitori e con Frank.
"Scusate, è stata una battuta del ca… ehm, brutta" si corresse. "Posso dire io a Madison i nomi delle verdure e della frutta, lo faccio volentieri."
Sorrise.
Era vero, le piaceva occuparsi di lei. Dianna la sciò fare e prima di allontanarsi un po' le diede un bacio.
"Ti voglio bene, Dallas" le sussurrò, "anche se a volte mi fai arrabbiare."
"Anch'io, mami."
Si abbracciarono e presto furono raggiunte da Demi e Madison, che tra le braccia della sorella allungava le manine verso la mamma e la più grande. Eddie si unì a quel piccolo gruppo e a un suo cenno anche gli altri si avvicinarono. Si strinsero tutti e otto in un forte abbraccio. Per Frank e la sua famiglia fu un po' strano, pareva loro di essersi intromessi in un momento privato, ma come dissero più tardi Demi e i suoi, si conoscevano da una vita ed erano tutti una grande famiglia.
"Ma perché gli adulti non si sono fatti un regalo, quest'anno?" chiese Andrew a Demi.
Lui aveva ricevuto un libro fantasy dai suoi e uno di avventure dai genitori dell'amica.
"Non lo so, forse quando si diventa grandi i regali sono un po' meno importanti e basta stare insieme."
"Chissà."
"Questa è una zucchina" stava intanto dicendo Dallas a Madison, che però guardava da un'altra parte. "Va bene, ho capito." La prese in braccio e si avvicinò alla sorella e all'amico. "Credo sia stanca, è da un po' che le mostro cose e le dico nomi."
"Sei stata molto brava" le disse il ragazzo.
"Chi vuole giocare a scacchi?" chiese Frank.
"Io!"
Dallas, dopo aver  messo Madison tra le braccia di Demi, si precipitò al tavolo della cucina, ora sparecchiato e libero, dove Frank aveva già messo la scacchiera. Con lui c'era anche Eddie, che disse che avrebbe aspettato di fare un'altra partita per lasciare il posto alla figlia e raggiunse Joyce e la moglie in salotto.
"Vuoi che la tenga io?" chiese Dianna a Demetria.
Le faceva piacere vederle insieme, ma non avrebbe voluto che Demi si stancasse.
"No, va bene. È tranquilla" le rispose la ragazzina.
Seduti gli uni su un divano e gli altri su alcune sedie, i cinque chiacchierarono un po' del tempo e di quello che avrebbero fatto il giorno dopo, poi le conversazioni si divisero. Intanto Buddy, sveglio ma tranquillo, era andato a sdraiarsi vicino ad un termosifone per stare più caldo.
"Andrew?"
"Sì?"
"Secondo te sarò una mamma, un giorno?"
La domanda le era venuta così, spontanea. Non ci pensava quasi mai, ma da quando era nata Maddie ogni tanto se lo chiedeva. Il ragazzo restò sorpreso, non si aspettava un quesito del genere da una bambina di dieci anni, ma rispose:
"Forse sì."
"E credi che sarò brava?"
In quel momento la bambina la guardò.
"Lalalalalalala" disse, poi le accarezzò il viso con una manina.
"Credo abbia detto di sì, ed è quello che penso anch'io" rispose l'altro.
Demi sorrise.
"Domani ti porto in un posto" mormorò il ragazzo. "Solo io e te."
"Dove?"
"Non te lo dico, ma sono sicuro che ti piacerà. Faremo una cosa insieme, anzi due. Avrei voluto andarci oggi, ma c'è troppo vento fuori ed è tardi."
"È lontano?"
Era sicura che la mamma non l'avrebbe fatta allontanare troppo, nemmeno con lui.
"Non molto, tranquilla. Ci stai?"
"Ci sto."
Demi divenne improvvisamente triste ma durò solo un attimo. Andrew provò a chiederle cosa fosse successo ma lei non glielo volle dire. Non doveva pensarci, non adesso. Lui ora era diverso, non avrebbe rovinato il loro Natale o le loro vacanze, giusto? Tanti dubbi continuavano ad insinuarsi nei suoi pensieri.
Dopo aver bevuto una cioccolata calda, le due famiglie si separarono con la promessa di rivedersi il giorno successivo.
 
 
 
 
Il vento soffiava fortissimo, quella notte, talmente tanto che sembrava voler entrare nelle case della gente per fare Dio solo sapeva quali disastri.
Nel suo lettino Carlie tremava. Avrebbe voluto che qualcuno la abbracciasse forte e invece era lì da sola. Si alzò, infilò le ciabatte e uscì dalla sua stanza entrando poi in una camera attigua.
"A-Andrew?" mormorò.
Si sentì in colpa pensando che l'avrebbe svegliato, ma aveva bisogno di lui.
"Dimmi."
Il ragazzo era sveglio e fissava il soffitto. Con quel vento non riusciva a dormire.
"Posso stare qui con te? Ho un po' paura" confessò la bambina.
Era buio e non potevano vedersi bene, ma Andrew sorrise pensando che la sorellina fosse arrossita. Non diceva mai di essere spaventata da qualcosa, confessarlo doveva esserle costato molto.
"Ma certo che puoi, vieni."
Le fece spazio e la bimba si infilò nel letto accanto a lui.
"Quand'eri molto piccola dormivamo insieme" iniziò a dire il ragazzo. "E nelle notti in cui c'era il temporale o il vento soffiava forte ti raccontavo sempre una storia. Ti ricordi?"
"Sono grande per le favole."
Andrew stava per dire che non si è mai troppo grandi per le storie, ma poi pensò che forse Carlie si sarebbe sentita a disagio se gliene avesse raccontata una.
"Allora come posso aiutarti?"
Lei gli si fece più vicina, rannicchiandosi  e il fratello la strinse massaggiandole poi la schiena.
Va tutto bene" le mormorò. "È vento. Non è un mostro."
Si addormentarono così, abbracciati l'uno all'altra e Carlie trovò il calore e la sicurezza di cui aveva bisogno.
Anche Demi e Dallas, seppur in letti diversi, avevano preso sonno dopo molto tempo e ci erano riuscite solo quando si erano prese per mano. Ma la più grande dopo un po' si era svegliata ed era rimasta così a lungo, a guardare la sorella come per vegliarla e proteggerla, un gesto che le era venuto spontaneo. Mentre riposava, Demi sentì qualcosa leccarle la mano, o meglio, qualcuno. Non stava dormendo benissimo, continuava a pensare e pensare e pensare, quindi non le diede fastidio.
“Buddy?” chiese con voce assonnata. “Cos’hai? Hai paura?”
In risposta, l’animaletto saltò sul letto e le si accoccolò a fianco. Avrebbe voluto venire sotto le coperte ma lei non glielo permise. Glielo lasciava fare solo quando lei non era a letto e la mamma non poteva vederli, perché era sicura che non l’avrebbe presa molto bene.
“No” mormorò, “ma puoi starmi accanto. Anch’io ho un po’ paura.”
Con la sorella accanto e il cagnolino sui suoi piedi, Demi si sentì più tranquilla. Non dormì benissimo, ma si rilassò sapendo che non era sola e che non le sarebbe accaduto nulla.
 
 
 
Ma quella notte il vento svegliò anche la più piccola di casa che, di solito, aveva il sonno pesante. Madison iniziò a strepitare e Dianna si alzò subito. Dopo aver appurato che non doveva essere cambiata e che non aveva fame cominciò a cullarla e la bimba sembrò calmarsi. La donna fece appena in tempo a rimettersi a letto che Maddie riprese a piangere, se possibile ancora più forte.
"Faccio io" disse Eddie, che si offriva spesso, "se posso."
Era la moglie a voler fare da sola a volte, asserendo che lui lavorava molto ed era stanco. Quella notte però non ribatté e si rimise sotto le coperte.
"Che succede, piccolina?" chiese Eddie alla figlia dopo averla presa in braccio.
Camminò facendo il giro della stanza, poi si dondolò a destra e a sinistra, le cantò qualche ninnananna e alla fine,  non sapendo più che fare, la portò a letto con lui.
"Lo sai che non dovremmo" gli disse Dianna.
In realtà le era sempre piaciuto dormire con una delle sue figlie in mezzo a loro, ma aveva preferito abituarle a dormire nel proprio letto prima con i genitori e poi, verso i due anni, in un'altra stanza.
"Amore della mamma" mormorò Dianna accarezzandola. "Non devi avere paura. Ci siamo io e papà qui."
"Esatto, non ti succederà niente."
La donna schioccò più volte le dita, un gesto che faceva sempre ridere la bambina. Dianna e Eddie risero con lei. Del resto, la risata dei bambini è stupenda e contagiosa.
“Non volevo essere troppo insistente, oggi.”
“Non importa, Eddie.”
“No davvero, non voglio stressarti.”
“Shhh, è tutto a posto. Tu comunque stai tranquillo, mi sento bene anche se non mangio molto, okay?”
Si sorrisero e, dopo essersi uniti in un dolce abbraccio, le loro labbra si incontrarono e si aprirono piano, mentre un bacio passionale li faceva sentire ancora più vicini, mentre la fiamma mai spenta del loro amore si ravvivava ancora di più.
“Ti amo” mormorarono insieme, e non provarono nulla di particolare nel sapere che si erano lasciati andare davanti ad una delle figlie.
Non quella volta, almeno.
“Grazie!”
Dianna si fece di colpo seria, tanto che il marito si spaventò.
“Per… per cosa? Che cos’hai?”
“Patrick ha fatto molti errori, era malato.” Dianna ricordava ancora che, incinta di Dallas, un pomeriggio aveva trovato una bottiglia di vodka e prendendo coraggio l’aveva buttata via. Quando il marito era tornato si era arrabbiato tantissimo ma lei l’aveva scusato, dicendosi che il matrimonio è per sempre e che una volta diventati genitori sarebbe stato tutto diverso. Ma era solo una bugia. “E non mi perdonerò mai” riprese “per aver lasciato che le mie figlie vedessero tutto quello che hanno visto. Io e Patrick siamo stati felici per molto tempo. Poi le cose sono andate come sai, l’alcol, la droga e i suoi disturbi mentali l’hanno fatto diventare la persona che ha fatto quelle cose orribili. Perciò grazie, perché tu sei il mio cavaliere in un’armatura splendente. Mi hai aiutata, mi sei stato vicino e ti sei innamorato di me come io di te; e hai dato alle mie figlie un futuro migliore, amandole come fossero tue. Non lo dimenticherò mai e ti amerò per sempre.”
Una volta terminato quel discorso aveva le lacrime agli occhi e Eddie, commosso più di lei, non seppe cosa dire.
“L’ho fatto con il cuore, perché vi amo” sussurrò.
Dopo essersi dati un altro bacio, i due si guardarono per un lungo momento con occhi pieni d’amore.
“Sei così carina” disse Dianna alla figlia, accarezzandole i capelli color miele.
Madison la fissò con i suoi grandi occhi marroni che sembravano capire un sacco di cose.
“Ti somiglia, sai?” commentò suo marito.
“Anche tu hai gli occhi scuri.”
“Sì, ma tu sei più bella.”
“Non puoi comparare la bellezza maschile e quella femminile” gli fece notare ridendo.
“Allora dirò che hai un bellissimo sorriso.”
“Uh, siamo in vena di complimenti stanotte!”
Il sorriso della donna andava da un orecchio all’altro.
Eddie si girò dall’altra parte e tornando alla posizione di prima esclamò:
“Cucu!”
con l’intento di far divertire la bambina.
Ci riuscì, perché la piccola rise un sacco.
“Dai, amore! Se si eccita troppo stanotte non dormirà più.”
Per la donna era bello giocare con la figlia e anche vederla con le sorelle o con il marito, ma non voleva passare sveglia le poche ore di sonno che riusciva a concedersi.
“Hai ragione, scusa. Comunque,” continuò sorridendo, “ricordati che tu sei la mia regina e loro tre le mie principesse.”
“Okay te lo ripeto: ti amo!”
Grazie alla presenza così vicina di entrambi i genitori, Madison si calmò fino a rilassarsi del tutto, poi riprese a succhiare il suo ciuccio.
Quella notte i due rimasero svegli, coccolarono la bambina finché non si addormentò e poi la rimisero nel suo lettino.
 
 
 
Il mattino seguente Demi si svegliò tranquilla e riposata. Il giorno precedente, a parte quel piccolo momento di tristezza, era andato benissimo e il momento più bello era stato quello in cui lei, Madison ed Andrew si erano ritrovati insieme sul divano. Appunto, Madison. La sentiva dalla sua camera; non piangeva, ma si lamentava e la mamma, forse perché stava dormendo profondamente, non se n'era resa conto. Che doveva fare? Alzarsi e andare a controllare, oppure lasciar stare? Optò per la prima opzione, si liberò delle coperte e stava per andare verso la stanza dei genitori. Si domandò come avesse fatto a sentire la piccola se si trovava di sopra e poi si rese conto che la mamma era sul divano e la bambina nel passeggino. Erano le sette di mattina. Forse la sorellina si era svegliata e la mamma, dopo averle dato da mangiare, l'aveva messa lì e si era riaddormentata, troppo stanca per rifare le scale e tornare a letto. Non volendo svegliarla si avvicinò a Madison, che non appena la vide smise di lamentarsi e rise.
"Maddie!" esclamò Demi a voce un po' troppo alta.
"Ah!" rispose la bambina, poi cominciò a tirare i capelli della sorella - cosa che le piaceva particolarmente - mentre Demi provava inutilmente a tirarli via.
I bambini sono forti, anche se piccoli. Riuscì comunque a liberarsi in fretta e le fece il solletico.
"Sei una monella, lo sai?"
Lasciò che si divertisse a piegarle piano le dita delle mani, poi la guardò mentre alzava le piccole braccia verso di lei lanciando gridolini sempre più acuti.
"Ah, eh!" esclamò poi, vedendo che la sorella non si muoveva.
Demi temeva che le cadesse, di farle male, si domandava se avrebbe dovuto svegliare la mamma, ma alla fine si disse che ce l'avrebbe fatta. Sganciò la piccola cintura e la sollevò, sedendosi poi su una sedia.
"Va bene così?"
"Mmm" disse la piccola come per rispondere, appoggiando la testolina sulla spalla di Demi che, intanto, si sentiva sciogliere il cuore. “Mmmbrrr, mmmbrrr, brrr” continuava.
Demi prese un fazzoletto e le asciugò un po’ di saliva che le era colata sul mento, poi sorrise ancora. Con Madison lo faceva così tanto che le facevano male i muscoli. Ma era sincera, almeno. Non doveva nasconderle niente, né fingere.
"Mimi" disse poi la bimba, guardandola.
Di solito diceva "Ma" o "Mama" per riferirsi a Dianna e non aveva ancora imparato a dire bene quella parola, però adesso le vocali erano diverse e stava guardando proprio lei.
"Ripeti cos'hai detto, piccola" mormorò con dolcezza.
"Mimi" disse l'altra, decisa.
"Vuoi… vuoi dire "Demi"? È questo che stai cercando di…"
Non riuscendo più a trattenersi, la ragazzina scoppiò a piangere. Fu un pianto silenzioso ma intenso. Non erano lacrime di tristezza, bensì di pura gioia, ed era bellissimo piangere di felicità. La faceva sentire leggera come una farfalla e poche volte aveva provato quella sensazione di liberazione nella sua vita.
Madison la guardò con gli occhietti pieni di lacrime, ma Demetria si affrettò a rassicurarla.
"Stai calma, tesoro. Va tutto bene, è che sono felice! Capito? Sono felice!"
La sua voce era rotta, ma sorrideva nonostante gli occhi ancora bagnati. Madison alungò una manina e gliela passò sulla guancia come per asciugarla, poi fece lo stesso con l'altra. Sempre più colpita da quella dolcezza così spontanea e innocente, Demetria la riempì di baci sulle guance e sulla testina e la strinse forte, sentendo il suo piccolo cuore battere sotto la sua mano.
"Sei sempre molto dolce con lei."
Una voce fece sobbalzare Demi e la bimba più piccola si guardò in giro leggermente spaventata. Ma era solo Dianna che, ancora sdraiata sul divano, le guardava.
"Buongiorno, mamma" la salutò la maggiore.
"Ciao! Vi stavo guardando da un po', fingevo solo di dormire."
"Scusami, si lamentava e non sapevo cosa fare, poi voleva venire in braccio ed io…"
"Hai fatto bene, non sono arrabbiata."
Demi si rilassò.
"Maddie, vieni dalla mamma? Sì?" chiese Dianna.
Una volta con i piedini per terra, la bambina tenne le mani della sorella per trovare un equilibrio e, da sola, mosse per la prima volta un piccolo, timido passo, poi un altro e un altro ancora, dopodiché si fermò. La madre la incoraggiò, la chiamò, batté le mani, ma la bambina non si muoveva. Guardava prima lei, poi il pavimento come se avesse paura.
"Sei stata molto brava, principessa" le disse la donna avvicinandosi e prendendola in braccio. "Imparerai presto."
Quando tutti furono svegli e si ritrovarono a colazione, Dianna disse che Madison aveva mosso qualche passo senza l’aiuto di nessuno.
“Ma è meraviglioso!” esclamò Dallas che corse ad abbracciarla.
“Tremo solo a sentirlo” disse Eddie, che era anche dispiaciuto per non aver vissuto assieme alla moglie quel magico momento.
Andò a dare un bacio alla figlia e le mormorò:
“Brava, principessa.”
Dallas chiese quando sarebbero andati via. Avevano detto il 27, ma mattina o sera?
"Pomeriggio" le rispose Eddie. "So che non siamo stati via molto, ma spero che vi divertirete nel giorno e mezzo che ci resta."
"Voi non venite sulla neve?" domandò Demi.
"Sì, certo!" esclamò Dianna.
Una volta fuori, Demetria fece una corsa verso Andrew e Carlie che li stavano raggiungendo assieme ai genitori.
"Dov'è questo posto?" chiese all'amico senza nemmeno salutarlo.
Quella notte aveva dormito poco, continuando a rigirarsi nel letto e a domandarsi di che luogo potesse trattarsi.
"Ti ci porto ora, Ms. Impazienza" ridacchiò il ragazzo.
"Ehi!"
Demi gli tirò una palla di neve e lui fece lo stesso.
"Sei agguerrita stamattina, vedo" constatò, dato che lei non mollava e continuava a lanciargliene una dopo l'altra.
"Prova a ripetere il soprannome che mi hai dato, se hai il coraggio!"
Sorrideva mentre lo diceva, voleva solo scherzare e giocare un po'.
Andrew aveva appena aperto la bocca per dire quel nomignolo quando scivolò all'indietro e cadde. Non si fece nulla, anzi scoppiò a ridere come Demetria e i genitori di entrambi. Nel frattempo infatti erano usciti anche Eddie e Dianna con Madison, che guardava la neve con la tipica curiosità dei bambini che vorrebbero toccare tutto e subito. I due amici risero così tanto da piegarsi in due e fu stupendo per entrambi lasciarsi andare e lo fu anche per Dianna, che per qualche attimo si sentì davvero bene. Non che il giorno prima fosse stata male, a parte nei momenti in cui aveva dovuto mangiare, però ogni cosa facesse, ogni situazione vivesse, sentiva sempre un peso opprimerle il cuore e l'anima. Era un altro sintomo della depressione, ne era sicura. Altrimenti non si sarebbe sentita così tutti i giorni. C'erano dei momenti nei quali aveva la sensazione di essere più leggera, non pensava a cose brutte, a quanto si sentiva un fallimento come mamma, ma purtroppo erano molto pochi. Anche se aveva tanti impegni con le sue figlie tali pensieri non se ne andavano mai, si nascondevano in un angolino della mente per poi tornare non appena smetteva di concentrarsi su qualcosa.
"Mamma? Stai bene?" chiese Demi quando le risate si furono spente.
Dianna fissava il vuoto, sembrava assente.
"Io?" domandò, sentendosi come se qualcuno le avesse dato una forte botta per farla tornare alla realtà. "Sì, sì è tutto okay. Vai pure a giocare, tesoro. Io sto qui con Madison." Detto questo si rivolse alla bambina. "Vedi tutta questa roba bianca per terra? È neve."
Si chinò e fece allungare a Maddie una manina. Quando sentì che quella cosa che la attirava tanto era fredda, la piccola si ritrasse. Dianna allora la mise a terra e lei e il marito la tennero per mano per cominciare poi a camminarci insieme a lei. Muovendo qualche passo lì dove la neve era bassa e non si sprofondava, Maddie si rese conto che non era affatto male. Ad ogni passettino che muoveva sentiva un rumore strano sotto i piedini, un suono che le piaceva moltissimo e, guardando i bambini che ci giocavano, forse era anche divertente. Buddy era lì con loro e seguiva ogni movimento della bambina, camminando quando lei lo faceva , scavando nella neve e continuando ad annusare come suo solito.
“Se vuoi portiamo il cane con noi, Eddie” propose Andrew.
“Non è un problema” aggiunse Demi.
“No, andate pure. Lui e Madison si stanno divertendo” disse e indicò la bambina che gli stava tirando un po’ di neve addosso, ma il cane non si spostava e anzi, con le zampe gliene lanciava sulle scarpette.
“D’accordo, allora andiamo” conclusero.
Si allontanarono, mentre Dallas chiese a Carlie se avrebbe voluto fare un pupazzo di neve.
"Voi non fate niente?" domandò agli adulti. "Sono sicura che sarebbe carino farlo tutti insieme e Madison si divertirebbe."
Le due coppie sorrisero e accettarono con piacere, perché in fondo la neve è un divertimento per grandi e piccini.
Intanto, gli amici stavano arrivando al lago. Era presto ma stranamente non c'era nessuno lì a quell'ora.
"Hai notato che ero un po' triste ieri a un certo punto?" chiese Demi all'amico.
"Sì, ma non ho detto niente perché pensavo non volessi parlarne."
Dio, quant'era dolce!
"Ed io ti sono grata per questo" gli rispose sorridendo. "Comunque pensavo a mio padre, Patrick. Ha rovinato il mio quarto compleanno riportandomi a casa dopo essere andato con me a prendere un regalo e lasciandomi in lacrime, perché non dovrebbe farlo anche con questa vacanza?"
Andrew le si mise di fronte e le prese le mani.
"Sei uscita senza guanti? Sei gelata!"
"Non li trovavo e avevo troppa voglia di venire qui con te."
"Ma sei matta? Ti prenderai un raffreddore o peggio. Non siamo ancora arrivati nel posto che ti dicevo, ma non puoi stare senza guanti. Andiamo a prenderli, coraggio."
Lei acconsentì, anche perché ora che ci faceva caso aveva un po' freddo.
"Demetria, riguardo quello che mi hai appena detto, io non posso capire ciò che provi."
Andrew si fece serio. Sapeva che l'argomento che stavano affrontando era molto delicato e che per l'amica era un tasto dolente, perché anche se ora le cose con il padre erano migliorate e se lui veniva a prendere lei e Dallas nei fine settimana, le due non potevano dimenticare quel che aveva fatto, i piatti lanciati per la cucina che si frantumavano a terra, le urla, alcuni oggetti che aveva preso per colpire proprio lei e Dallas. Per fortuna la mamma si era messa in mezzo per proteggerle. E poi, Dianna per colpa sua non aveva più una parte di un dito. Demi voleva bene a Patrick e anche Dallas, ma le cose con lui erano difficili.
"Per me è già importante che tu mi ascolti" gli disse.
"No, aspetta. Quel che sto cercando di dirti è che anche se è difficile, seconndo me puoi stare tranquilla. Patrick non sa dove siamo, giusto?"
"Giusto."
"Allora non hai nulla di cui preoccuparti."
"E se cominciasse a chiamare incessantemente la mamma?"
Era già successo parecchie volte negli anni passati, soprattutto dopo la separazione quando le continuava a chiedere di tornare con lui e si scusava, ma la donna non ci era cascata.
"Se accadrà, Dianna saprà come reagire ma non penso succederà, ho questa sensazione. E comunque, ti ricordi che cinque anni fa avevi avuto la stessa paura?"
Era vero. Aveva temuto che Patrick rovinasse il loro Natale.
"Sì."
"Ma poi non è successo niente ed è stata una bellissima giornata, ricordi?"
"È vero."
"Guarda" disse Andrew a Demi, "guarda quanto è grande."
E lei lo fece. Puntando lo sguardo davanti a sé, e poi a destra e a sinistra vedeva solo acqua, acqua dappertutto. A destra e a sinistra si vedevano altre montagne innevate. Quella notte aveva nevicato un altro po' ma ora il cielo era terso, di un azzurro limpidissimo, e quel colore sembrava fondersi con il blu dell'acqua creando un'armonia perfetta. Nell'aria si respirava profumo di neve e di qualcos'altro che la ragazzina non riusciva ad identificare.
"Che cos'è?" chiese. "Sembra profumo di mare, ma è diverso, è meno intenso."
"Anche il lago ha un suo profumo, è questo che sentiamo."
"Mi piace, e anche quello della neve. L'aria ne è piena."
"Probabilmente nevicherà ancora, forse non oggi ma magari stanotte. Vedremo."
Continuarono a camminare lungo il lago, poi si discostarono e si diressero verso un piccolo boschetto di pini. Lì c'era un profumo diverso unito a quello sempre presente della neve. C'era odore di pino e di resina, un profumo forte ma affatto fastidioso che ai due ragazzi fece pensare alla libertà. Si presero per mano e, spinti anche dal vento che soffiava alle loro spalle, iniziarono a correre. Il terreno era dissestato, nonostante la neve sentivano qualche sasso sotto le scarpe e, comunque, correre con tutto quel bianco era difficile. Sapevano che rischiavano di cadere o di scivolare, che non era il caso, ma qualcosa in loro era stato più forte di tutto, di qualsiasi precauzione. In ogni fibra dei loro corpi sentivano scorrere un'energia nuova e volevano solo correre senza pensare a niente  restando a contatto con la terra, con il cielo sopra di loro e con la natura stessa. Dai rami dei pini, spesso piegati dal peso della neve, pendevano ghiaccioli. Altri alberi che, invece, erano stati meno rivestiti di quel manto bianco, si ergevano ritti mentre i loro rami frinivano al vento. Eppure loro resistevano come guerrieri nel bel mezzo di una tempesta che non si arrendevano nonostante le difficoltà. Non appena Andrew e Demi si fermarono, entrambi con il fiatone, si domandarono dove fossero gli animali di quel piccolo bosco. Più in là ce n'era un altro, con alberi diversi e non solo pini, c'erano per esempio delle betulle e altre piante di cui non ricordavano i nomi. Chissà, forse in quello c'erano dei caprioli che sicuramente nel periodo invernale non trovavano molto da mangiare, come molte altre bestiole del resto. Amando gli animali ed essendo molto sensibile, Demi si ritrovò a rivolgere a Dio una muta preghiera. Gli chiese, se possibile, di fare in modo che tutti gli animali del bosco stessero bene.
"Allora, ti piace?" le chiese Andrew non appena si fu ripreso.
"È bellissimo, davvero! Grazie per avermi portata qui."
"Non è nulla di speciale."
"No invece, lo è!” esclamò con trasporto. “O almeno, per me lo è e non dimenticherò mai questo momento."
"Nemmeno io."
Sussurravano, come se avessero paura di disturbare le piante o gli animali.
"Cinque anni fa a Natale ci siamo fatti una promessa, ti ricordi? Ci siamo detti che ci sarebbe sempre stato un filo invisibile che avrebbe legato i nostri cuori."
"Ma certo che lo ricordo."
Le loro voci tremavano per l’emozione ripensando a quel momento, durato pochi secondi ma che aveva costituito una delle fasi più importanti della loro amicizia.
"Ora, visto che siamo in un posto magico vorrei rinnovare quella promessa."
"Va bene."
Detto questo lui le appoggiò una mano sul cuore e lei fece lo stesso, le tennero così per un po' e poi se le strinsero, infine li unì un delicato abbraccio. Era stata una promessa silenziosa, ma valeva più di mille parole. E il sorriso radioso che si dipinse sui loro volti ne era la prova.
Restarono immobili a lungo ad ascoltare la voce del vento che spirava tra gli alberi. In realtà sembravano più voci, visto che ogni pianta pareva produrre un suono diverso. Chissà che cosa diceva, quel vento. Non l'avrebbero mai capito, ma erano sicuri che i pini lo comprendessero e che non dicesse mai loro nulla di male… beh, forse durante le tempeste, quando l'aria era tanta che ogni tanto sradicava un albero sì, ma in quel momento no di certo.
“Non farlo se non vuoi, ma mi reciteresti qualcosa? Qualche tua battuta di “Barney And Friends”.”
“Vuoi un’anteprima, eh?”
“Diciamo che so che sei brava e vorrei sentirti.”
“D’accordo, lo faccio volentieri.”
Demi trasse un profondo respiro, poi fissò un punto imprecisato e si concentrò. Lo fece così intensamente che ad Andrew parve di sentire gli ingranaggi del suo cervello che lavoravano. Quando Demi cominciò a recitare, l’amico vide accadere qualcosa di meraviglioso, qualcosa di cui, quando l’aveva sentita in precedenza, non si era mai reso conto.  Mentre recitava quella piccola parte non sembrava, anzi non era più lei. Lui non vedeva più Demetria Devonne Lovato, ma Angela, la bambina che interpretava.  Il ragazzo era sbalordito. Gli pareva di avere davanti qualcuno che non aveva mai né visto né conosciuto, con una voce diversa, un modo di muoversi differente, non c’era nulla di Demi in lei a parte l’aspetto fisico, ma a quello lui non stava prestando la  minima attenzione, troppo impegnato ad osservare i suoi movimenti e as ascoltarla. Poi, com’era iniziata, quella trasformazione finì. Demi buttò fuori un po’ d’aria che aveva trattenuto, probabilmente a causa della tensione, e tornò ad essere se stessa.
“Allora? Come sono andata?” chiese, impaziente.
“Mio… Dio” mormorò solo Andrew, poi sorrise.
“Sei quasi senza  parole sul serio o fai finta?”
“No, davvero! Cioè wow, sei stata fantastica!”
“Grazie.” Demetria non sapeva cosa dire. Quei complimenti erano tra i più belli che avesse mai ricevuto pur nella loro semplicità, perché vrenivano dal cuore di una persona a cui lei voleva bene e che ricambiava quel sentimento. "Vorrei restare qui per sempre" disse con voce sognante.
"Lo so, anch'io ma dovremmo tornare. È passato un po' e ti ho portata anche troppo lontano. I tuoi saranno preoccupati."
La bambina non vedeva l'ora di diventare grande, così sarebbe stata più libera di rimanere fuori per più tempo.
"D'accordo ma vorrei fare una cosa, prima." Si chinò e raccolse un rametto da terra, un pezzetto di corteccia piuttosto duro che forse apparteneva a qualche altro albero ed era stato portato dal vento. Somigliava ad un bastoncino. "So che quando la neve si scioglierà questo andrà via o che qualcuno potrebbe calpestarlo, ma vorrei comunque scrivere."
Prima che Andrew potesse chiederle cosa, lei si era già messa all'opera e dopo qualche secondo, quando si alzò, sulla neve davanti a lei c'era scritto in grande:
A&D.
"Sono le iniziali del mio e del tuo nome" gli spiegò. "E quel simbolo sta ad indicare che siamo amici, è come un'unione fra di noi."
Commosso da quel gesto tanto semplice quanto dolce e significativo, Andrew la abbracciò di nuovo e lei ricambiò, dandogli anche un bacio su una guancia. Rimasero lì ancora, non rendendosi conto del tempo che passava. Stettero molto in silenzio ad ascoltare i rumori del bosco, ma a parte il vento e qualche uccellino non udirono altro. Tuttavia non furono affatto dispiaciuti, era stupendo stare in quasi assoluto silenzio e sentirsi bene.
Dopo aver pranzato tutti insieme, quel pomeriggio Dianna ed Eddie decisero di rimanere in casa con Madison che era parecchio stanca dato che era rimasta tutta la mattina a pestare la neve e ridere di gusto.
Una volta fuori, Dallas e Carlie e Andrew e Demi si divisero in due squadre e decisero di fare una gara a chi avrebbe fatto il pupazzo di neve più grande. Avendone costruito uno la mattina, le due bambine credevano di avere la vittoria in tasca.
"Noi siamo più esperte, papà ci ha detto come si fa" disse Carlie. "Vinceremo sicuramente."
"Esatto!" esclamò Dallas. "Siamo le più forti."
"Adesso gliela facciamo vedere" mormorò Demi.
E così, i quattro cominciarono a lavorare. Per prima cosa Demi e Carlie fecero una palla di neve e la compattarono. Per fortuna la neve non era né troppo soffice né ghiacciata, quindi riuscirono a modellarla bene. In seguito fecero rotolare la palla su altra neve in modo che la sfera diventasse sempre più grande e quando furono soddisfatte la appoggiarono a terra, felici di aver creato la base per il pupazzo.
"La mia è più grande! La mia è più grande!" esclamò Demi.
"Ma il nostro pupazzo sarà più bello" le rispose prontamente l'altra.
"Bimbe, buone" intervenne Andrew. "Dev'essere un gioco, non una gara vera e propria. Non si vince e non si perde nulla."
"Ha ragione" disse Dallas. "Ci dobbiamo divertire e basta."
Era importante che comprendessero che non conta vincere o perdere nei giochi, ma solo passare del tempo assieme agli amici ridendo e godendosi ogni momento.
Usando la stessa tecnica, le due bimbe crearono una seconda palla di medie dimensioni e la impilarono sulla prima, mettendo altra neve e schiacciandole un po' in modo che restassero in equilibrio. Buddy continuava a girare attorno a loro e provò a buttar giù le loro costruzioni ma senza successo, visto che i ragazzi gli dissero di allontanarsi. Allora lui portò loro un ramo e si diedero i turni per giocarci assieme, così mentre il cane rincorreva l’oggetto e andava a prenderlo loro continuavano il proprio lavoro. Fecero dunque una terza palla, la più piccola, he rappresentava la testa. Dopo aver lisciato i bordi di ogni cumulo, i due pupazzi erano quasi fatti ma un po' traballanti.
"Vado a cercare un bastone da mettergli dentro" disse Dallas ed Andrew la imitò.
Poco dopo li infilarono nella testa fino ad arrivare alla base, nascondendoli poi con altra neve. In questo modo i personaggi erano finalmente stabili. Demi e Carlie corsero dentro, uscendo pochi minuti dopo con una carota e due bottoni a testa. La prima faceva da naso, i secondi erano gli occhi.
"Ora cosa manca?" chiese Carlie a Demi.
"Non te lo posso dire, non si aiuta l'altra squadra" le rispose la bambina.
Demetria sbuffò, ma fu Dallas a spiegarglielo. Con alcuni sassi sotto la carota, le due squadre crearono la forma di un sorriso. Misero due bastoni per le braccia e formarono con altra neve un cappello e una sciarpa sulla testa e sul collo del pupazzo, che a quel punto era davvero pronto.
"Yeah!" esclamarono tutti e quattro, alzando le mani in aria ed esultando.
I due personaggi erano più o meno delle stesse dimensioni. Frank, Joyce, Eddie, Dianna e Madison uscirono a vederli e scattarono qualche foto ricordo, prima solo ai personaggi e poi ai figli davanti ad ognuno di essi.
"Hai fatto anche tu un pupazzo, piccola?" chiese Demi a Madison.
La bambina sorrise, poi lanciò un gridolino.
"Sì" rispose Dianna, "è quello lì."
Ce n'erano altri, fatti dai bambini delle famiglie che stavano nei cottage lì intorno. La donna ne indicò uno a una ventina di metri da loro, piccolo ma carino, con un naso di dimensioni un po' sproporzionate rispetto alla testa. Demi rise guardandolo.
"In effetti abbiamo preso una carota un po' grande" commentò Eddie ridacchiando.
"Sì, solo un po', eh."
Anche Dianna rideva e a tutti pareva più rilassata del giorno precedente. Certo, a pranzo non aveva mangiato un granché, però strano ma vero non aveva pensato quelle cose orribili che le venivano in mente ogni volta che rifletteva sul cibo e la cosa la stupiva molto. Forse ciò accadeva perché si sentiva più tranquilla, si disse, ma una volta tornata a casa tutto sarebbe ricominciato come prima. Doveva ricominciare.
"È bellissimo, Maddie" riprese Demetria riferendosi all'uomo di neve che pareva guardarli.
La bambina lo indicò e batté le mani, felice. Demi pensò che sarebbe stato bellissimo, l'anno seguente, giocare a palle di neve con lei o fare un pupazzo insieme e non vedeva l'ora che arrivasse quel momento.
Stanchi ma contenti, tutti tornarono in casa e bevvero una tazza di tè caldo con i biscotti, dandone un paio anche a Buddy che corse a mangiarli nella sua cuccia, come se temesse che glieli avrebbero sottratti.
Il giorno dopo, dato che Eddie e Frank avevano portato due slittini a testa, i due fratelli e le due sorelle si divertirono a gareggiare lanciandosi giù per le discese, anche se scelsero quelle non troppo ripide. Fu bellissimo scivolare gridando a squarciagola, senza paura di dare fastidio perché, tanto, anche altri bambini si comportavano nello stesso modo. L'adrenalina che scorreva loro nelle vene prima e durante la discesa era qualcosa di indescrivibile, faceva venir loro voglia di prendere lo slittino, risalire e rifarlo ancora e ancora e ancora, nonostante la stanchezza che ad un certo punto cominciò a farsi sentire. Tuttavia, se Andrew e Dallas erano quelli più provati, Demi e Carlie non si sentivano affatto esauste, anzi. Del resto, quando i bambini si divertono non capiscono di essere stanchi, se ne rendono conto solo quando smettono di giocare.
Dopo pranzo e qualche altra corsa sulla neve, aver fatto un altro piccolo pupazzo e alcune altre discese, Demi chiese ad Andrew di ritornare in quello che definì "il nostro boschetto". Il ragazzo accettò volentieri, tanto mancava ancora un po' alla partenza.
"La mia scritta c'è ancora!" esultò la bambina quando la vide.
"È fantastico! Speriamo resti qui a lungo."
"Torneremo qui insieme, un giorno?"
"Beh, i miei stanno pensando di comprare un cottage da queste parti, anche se non hanno ancora deciso la zona ma non credo andranno al sud, è troppo caotico. Qui a nord del lago invece è più tranquillo. Chissà, forse ci torneremo, sì."
"Sarebbe bellissimo. Se avrò dei figli vorrei portarli qui in vacanza, almeno una volta."
"Speriamo che questo tuo desiderio si avveri, allora. Sai, l'altroieri ti ho detto che sarai una brava mamma. Lo penso ancora, però fare il genitore è molto complesso. Non ne so tanto ma vedo i miei, tutte le cose che fanno per noi. Insomma, non è facile e entrambi abbiamo ancora tanta strada davanti."
Demi lo guardò senza capire.
"Vuoi dire che non devo parlarne?" chiese mentre la voce le si spezzava e le diventava roca.
Deglutì a vuoto, ferita. Solo perché era piccola non poteva parlare di queste cose? Credeva che Andrew non fosse come tutti gli altri e sperava davvero di non sbagliarsi. Ma quello che le aveva appena detto la fece, per un solo istante, dubitare.
"No, con me puoi parlarne quanto vuoi!"
Il sollievo che la ragazzina provò fu immenso. Non si  era sbagliata, allora. Lui vedeva in lei non solo una bambina, ma anche una persona che stava crescendo ed era già piuttosto matura. Non riuscendo a tenersi tutto dentro gli disse ciò che aveva pensato. Sapeva però di correre un rischio: l’amico avrebbe potuto arrabbiarsi. Dopo aver ascoltato rimase serio per alcuni secondi.
“Forse non mi sono spiegato e ci siamo capiti male. Non importa se hai dubitato di me, ti perdono” la rassicurò.
Demi tornò a respirare meglio.
“Scusami, non avrei dovuto” sussurrò vergognandosi.
“Tranquilla. Non avevo finito il discorso, è stato solo un malinteso.”
Si diedero la mano come per dirsi che andava tutto bene.
 "Sto solo dicendo," riprese il ragazzo, "che dobbiamo vivere senza pensare troppo al futuro, o almeno tu fallo finché puoi. Quando avrai la mia età, rifletterci ti farà paura."
"Perché?"
"Comincerai a capire che stai diventando grande e che crescendo cambiano un po' di cose. Ma non voglio spaventarti. Continua semplicemente a fare quello che fai tutti i giorni, d'accordo? Tranquilla."
Ma Demi tornò a casa con una punta d'angoscia che non voleva sapere di andarsene. Il malinteso con Andrew era ormai stato dimenticato, però quello che le aveva detto sul futuro l’aveva destabilizzata. E se non fosse stata in grado di affrontare quei cambiamenti di cui lui parlava? Se fosse stata troppo debole? Non era colpa di nessuno se provava tutto ciòm solo di lei stessa e delle sue stupide insicurezze. In un momento in cui i suoi genitori erano usciti con Madison e Dallas non era in casa, aprì la credenza e ne tirò fuori un pacco di mandorle caramellate che sua mamma preparava ogni tanto. Era un dolce che le piaceva moltissimo. E i dolci erano l’unica cosa che la aiutava a calmare e a controllare l’ansia. Ne mangiò una, due, godendosi il loro sapore dolce e un po’ salato insieme, ma come aveva fatto con le merendine, anche adesso iniziò a divorarle senza più fare caso al gusto. Arrivò a tre manciate e continuò così fino a quando si accorse che ne era rimasto mezzo sacchetto.
"Che ho fatto?" si chiese. "No, io devo essere magra, devo essere perfetta! Devo sorridere, devo fingere di essere sempre felice, di stare bene in ogni momento."
Lì, da sola, si concesse di essere triste, molto più del giorno prima. E pianse tantissimo. Tutti quei dolci l'avrebbero fatta ingrassare, pensò mentre calde e grosse lacrime le rigavano le guance e le bagnavano il collo e i vestiti. Una domanda le ronzava in testa:
“Come sarebbe avere un funerale? Il mio funerale?”
Immagini mentali le le scorrevano davanti come in un film, ma parevano così reali! Il suono dell'organo, la voce monotona del parroco che di certo non avrebbe avuto nulla di interessante da dire su di lei, la sua famiglia che non sembrava poi tanto addolorata. A volte Demi aveva questi momenti nei quali pensava alla propria morte e pensieri oscuri le si facevano strada nella mente, mentre lei si sentiva sempre meno lucida. Com’erano venuti, però, se ne andarono. La bambina tirò un sospiro di sollievo, mentre si sentiva la testa un po’ più leggera. Quando Dianna aprì la credenza per offrire un po’ di mandorle agli altri si accorse che ne mancavano molte. Non chiese niente a Demi, né le disse nulla. Sapeva che era stata lei a mangiarle, non era la prima volta che accadeva che si abbuffasse. Avendo un disturbo alimentare e non vedendolo come un pericolo, la signora non considerò quello di Demetria un problema. Pensava fosse solo una fase della sua crescita e si diceva che, in fondo, a tutti i bambini piacciono i dolciumi. Ancora non sapeva che quando le madri hanno un disturbo alimentare anche le figlie potrebbero soffrirne. Ad ogni modo, il suo comportamento e quello che Andrew le aveva detto non riuscirono a rovinare a Demi il buon umore. Aveva avuto un momento di forte tristezza e di sconforto, ma dopo aver mangiato si sentiva molto meglio. Il cibo pareva essere l’antidoto contro il suo male.
Dopo aver preparato le loro cose e salutato calorosamente Emma, che diede sia ai Lovato che ai Marwell altri biscotti, tutti partirono per tornare a casa. Quella era stata una vacanza piena di problemi nascosti, sorrisi veri e finti e anche di tristezza, ma non solo. Alla fine, rifletté ognuno di loro durante il viaggio, si erano anche rilassati, divertiti, Demi ed Andrew pensarono che avevano rinnovato la loro promessa di amicizia, un gesto importante che li aveva uniti ancora di più. Avevano giocato a fare pupazzi di neve, a scendere con lo slittino, a rotolarsi e a palle di neve. Insomma, nonostante tutto avevano passato dei bei giorni di vacanza in famiglia, tra il calore dei propri cari e il bianco della fredda neve.
 
 
 
 
NOTE:
1. Demi abitava in Texas quando ha registrato le puntate di "Barney And Friends". L'ho scoperto di recente, leggendo il libro “Falling With Wings: A Mother’s Story” di Dianna De La Garza. Avendo ambientato tutte le mie storie a Los Angeles ho deciso di non cambiare l'ambientazione iniziale.
Tra l'altro, sempre grazie a questo libro ho saputo che anche Dallas ha avuto problemi di droga  come Demi, che è andata in rehab prima di lei e che anche Demetria ha fatto uso di droghe e di alcol, è stata in clinica anche nel 2012 per tale ragione. Tuttavia, dato che ho cominciato a scrivere fanfiction molto prima di sapere tutto questo, ho scelto di non affrontare nelle mie storie queste tematiche. Non so moltissimo riguardo al modo in cui le due sorelle si sono sentite in quelle situazioni e di quanto accaduto.
Ci tengo a precisare che non faccio tutto ciò per offendere, non mi permetterei mai.
2. Nel suo libro  Dianna parla del fatto che Demi si sfogasse principalmente sui dolci per controllare la propria ansia dovuta al fatto di aver lasciato la scuola e iniziato a recitare in “Barney And Friends” e anche perché dopo la nascita di Madison molte attenzioni fossero riservate alla piccola (quest’ultima cosa è stata detta anche da Demi nel documentario “Simply Complicated”). La ragazza ha raccontato, sempre nel documentario, che da piccola pensava al suo funerale anche se non ho sentito nulla riguardo a cos’ha provato in quei momenti. Ha detto di essere stata molto triste e depressa sin da quando era una bambina, la morte la affascinava e si domandava, appunto, come sarebbe stato avere un funerale. Non sapeva cosa la portasse a pensare quelle cose e ha aggiunto che le ci è voluto molto tempo per capire quel che stava succedendo. Dianna ha spiegato che la bambina era sempre molto triste a causa dei problemi con il suo padre biologico, e Dallas che lei, la mamma e la sorella non parlavano molto, ognuna si teneva i suoi problemi dentro. Demetria ha sviluppato il suo disturbo alimentare a nove anni (anche se lì era solo agli inizi, so che mangiava tanto e soprattutto molti dolci ma non vomitava. Informandomi ho scoperto che si trattava di binge eating, un disturbo che non coinvolge il vomito: si mangia molto, troppo fino quasi a star male e poi ci si sente appagati, tutto ovviamente parte dalla testa, per sfogare sul cibo il proprio dolore, mangiando i modo sregolato e presentando spesso obesità o sovrappeso, dando un'eccessiva importanza al proprio corpo e al peso, al cibo e al proprio aspetto). Alcuni anni dopo la cosa è diventata più seria. Ha sofferto di bulimia ma anche di anoressia. Comunque, essendo cresciuta in una famiglia in cui le abitudini alimentari non erano di certo sane, Demi fin da piccola guardava la sua pancia e si vedeva grassa pensando di dover dimagrire ed essere perfetta, l'ha detto in alcune interviste. Come ho letto in diversi articoli sull'argomento, avere persone con disturbi alimentari in famiglia o vivere in contesti che fanno capire al soggetto che la magrezza è una cosa di fondamentale importanza può rendere più facile anche l'insorgere del binge eating oltreché di altri disturbi. Il binge eating è causato anche da bassa autostima e altri fattori.
3. Dianna ha sofferto di depressione, depressione post partum e dipendenza da Xanax (quest'ultima iniziata dopo il periodo in cui la mia fanfiction si ambienta). Con Demi aveva avuto il disturbo depressivo dopo il parto e con Madison è accaduto lo stesso ma è stato più intenso. Nessuno lo sapeva, lo nascondeva a tutti pensando che se Eddie l'avesse scoperto l'avrebbe considerata debole. E negava anche di avere un disturbo alimentare, per questo non ha dato importanza al fatto che la figlia mangiasse molti dolci e non si è accorta dei segnali delle sue malattie. Anche l’addormentamento in auto, i tre giorni senza cibo, il fatto che ha smesso di allattare Madison e la questione degli antidepressivi sono reali, così come la rabbia di Patrick a causa di ciò che la moglie aveva fatto e i pensieri della donna. Mentre il fatto che lui e lei fossero stati felici per molto tempo è preso da alcune parti del libro nelle quali tutto ciò si vede e lei l’ha detto anche in alcune interviste. Riporto questo pezzo con la traduzione.
 
At the time I didn't understand it. I didn't know how to handle things. But I knew that he had a good heart. I wouldn't never married him in the first place if he didn't. But sometimes, if you don't get help for what you're struggling with, a good heart sometimes isn't enough."
 
"Allora non lo capivo. Non sapevo come gestire la situazione. Ma sapevo he aveva un buon cuore. Non l'avrei mai sposato se non l'avesse avuto. Ma a volte, se non vieni aiutato per le difficoltà che hai, delle volte un buon cuore non è abbastanza."
 
Pian piano le cose con il marito sono degenerate. Nel documentario Dallas ha anche detto che lui era una persona amorevole ma che quando cominciava a bere si trasformava in una persona completamente diversa.
Nel memoir Dianna definisce Eddie proprio “my             knight   in            shining armor”, come ho scritto qui. E la frase “Non posso andare avanti così” è sempre presa da lì, in inglese il passaggio è:
“I            can’t     go          on          like         this,”     I              pleaded               to           Eddie     that       night.
Significa:
“Non posso andare avanti così,” implorai Eddie quella sera.
Per questo, dato che si tratta di citazioni, le ho messa in corsivo nella storia.
Tutto quello che ho scritto è quindi vero. Ho cercato, informandomi su queste problematiche, di trattarle nel modo più realistico possibile e fedele a quanto la donna dice di aver provato nel suo memoir. Non ha mai detto di aver vomitato dopo mangiato, non so se l'abbia mai fatto, ma di certo cercava di mangiare pochissimo. È anche vero il fatto che era sempre molto ansiosa quando dovevano partire e che si alzava ad orari assurdi per essere preparata e perfetta. C’è un passaggio del libro di quando Madison aveva circa due anni in cui spiega molto bene la prima di queste due cose, mentre dell’altra aveva parlato anche in precedenza.
4. Ho scoperto sempre dal libro che da piccola Demi aveva davvero un cocker spaniel, ma a differenza di quello che ho descritto io si chiamava Trump, era nero ed era un cane che stava fuori. Avevo scritto che i genitori le regalavano un cagnolino bianco, che poi lei chiamava Buddy come quello che avrà da adulta, quando aveva cinque anni nella storia “Cronaca di un felice Natale”. Qui ho aggiunto la razza che nell’altro racconto non avevo specificato.
5. Per il lago Tahoe, non potendo vedere le immagini dato che sono non vedente, ho cercato delle testimonianze di chi ci è stato. Non ho scelto una zona in particolare ma sapendo che appunto il nord è più calmo ho deciso di ambientare la vacanza lì. Non so se ci siano boschi di pini ma in una testimonianza una persona diceva che si sente odore di pino. Per quanto concerne i cottage, ci sono delle case che si possono affittare e anche dei cottage. Emma è un personaggio inventato, ispirato però alla mia amica Emmastory a cui ho chiesto il permesso di mettere il suo nome. La descrizione fisica e l’età del personaggio però sono completamente diverse dalle sue.

 
 
                     RINGRAZIAMENTI
 
Se penso che quando Emmastory mi ha parlato di quei prompt che aveva trovato su Facebook non mi era nemmeno venuto in mente di sceglierne alcuni e scriverci sopra qualcosa, mi domando come ho fatto a non avere avuto prima quest'idea. Avendo altre cose per la testa, anche personali, forse mi ci è voluto solo un po' di tempo per arrivarci.
Ho cominciato a scrivere la prima storia poco più di una settimana fa e riflettendo su quel momento posso ancora sentire l'adrenalina scorrermi nelle vene all'idea di buttarmi in un altro progetto, in una serie di racconti nei quali trattare tematiche non certo facili. Farlo per me è stata una sfida con me stessa. Volevo vedere se ci sarei riuscita bene dando il meglio di me, facendo ricerche, riguardando "Simply Complicated" per la centesima volta ed emozionandomi come se fosse stata la prima e rileggendo parti del libro di Dianna che mi hanno aiutata a riflettere ora più che mai.
 
Lavorare sulla trama, sui personaggi, sui loro sentimenti (e mi riferisco non solo a quelli famosi ma anche agli originali) è stato a tratti divertente, a tratti molto difficile in particolare per quanto riguarda Dianna perché non sono una mamma e non ho mai sofferto di depressione post partum. Ma è stata dura anche dal punto di vista emotivo: vedere i personaggi soffrire e sapere che, al di là di questa storia, Demi, Dianna, Dallas e Madison (che crescendo è stata vittima di cyberbullismo) sono state così tanto male è triste e mi dispiace davvero tanto per loro. Come saprete Demi è andata in overdose l’anno scorso e anche poco tempo fa ha avuto un crollo emotivo. Spero si riprenderà presto e le auguro il meglio.
 
Vi consiglio di vedere il documentario e leggere il memoir perché non vi deluderanno. Per me sono stati illuminanti. Mi hanno fatto scoprire cose che non sapevo e vedere Demi, Dianna e la loro famiglia ancora di più non come personaggi famosi ma semplicemente come persone. Troppo spesso dimentichiamo che al di là della fama sono esseri umani come noi, che hanno sentimenti e che non hanno una vita perfetta come tanti tendono a credere.
Tornando alla mia storia, è stato con quest'idea in mente che ho scritto ogni singola parola: provare a immedesimarmi in loro, ad essere il più fedele possibile ai loro sentimenti soprattutto in questa terza storia e a raccontare non le celebrità ma le persone. Ovvio, non tutto è reale, altrimenti avrei scritto una biografia e non una fanfiction, ma spero comunque di essere riuscita nel mio intento.
Ho dato valore ai legami familiari, all’amicizia e in particolare al rapporto tra Demi e Madison, che hanno anche nella realtà un legame speciale.
Come sa chi mi legge da tempo non ho mai scritto questo genere di storie per offendere, non mi permetterei mai e sarebbe oltremodo scorretto da parte mia farlo, ma solo perché ho scoperto che mi piace, e anche perché a Demi devo molto.
Alcuni problemi che ha avuto li ho anch'io (sto meglio, per fortuna, ma non ne sono ancora uscita), anche se con esperienze diverse dietro; e benché io la segua da soli cinque anni, sapere la sua storia mi ha fatta sentire meno sola. Lei mi ha aiutata nei momenti più difficili della mia vita e con i suoi sei album e le vecchie interviste che ogni tanto guardo lo fa ancora adesso. Una volta ha detto che quando ci sentiamo soli dobbiamo mettere la sua musica e pensare che lei è qui con noi ed io lo faccio, soprattutto nelle notti in cui piango o in cui l’ansia è così forte e i pensieri tanti che non mi danno pace. In quei casi mi alzo, accendo il PC, indosso le cuffie e metto una canzone. Funziona. Mi pare di sentire Demi mentre mi abbraccia e mi parla e non mi vergogno né mi sento pazza a dirlo. Ho solo un paio d'anni meno di lei e l'ho conosciuta nel periodo più buio e difficile che io abbia mai vissuto, periodo che sta continuando ancora oggi anche se la situazione è migliorata. A suo modo, senza saperlo, lei mi è stata accanto. L'anno scorso, il 28 giugno, ero al suo concerto a Bologna. Non sono riuscita a parlarle purtroppo, ma spero che lei in qualche modo sappia quanto ha fatto per me. Quindi grazie, Demi. Grazie davvero perché senza di te a volte non so come avrei fatto.
Di nuovo grazie alla mia amica Emmastory per tutto.
Grazie ai miei genitori e a mio fratello, che mi sostengono anche se non leggono mai quel che scrivo e non capiscono che bisogno ci sia di scrivere fanfiction.
Grazie ai miei gatti Furia e Stella, che spesso sono con me mentre le mie mani volano sulla tastiera e che amo con tutta me stessa.
Grazie anche a tutte le altre mie amiche JustBigin45, Fujiko91, MaryS5, _FallingToPieces_, Ciuffettina, la luna nera, cussolettapink, evelyn80, neveah e komova_va che leggono e commentano le mie storie, siano esse fanfiction o meno. Ragazze, il vostro parere sincero per me è importante soprattutto quando mi date consigli su come migliorare.
E infine, ultimo ma non meno importante, un grazie a tutti i personaggi di questa raccolta, famosi e originali, che mi hanno seguita nelle avventure che ho fatto vivere loro.

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