Neko To Inu

di Aryuna
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Camere affittate ***
Capitolo 3: *** Una Star per convivente ***
Capitolo 4: *** Fuga dal fratello ***
Capitolo 5: *** Istinto ***
Capitolo 6: *** Neko ***
Capitolo 7: *** È solo una tua impressione ***
Capitolo 8: *** Neko to Inu ***
Capitolo 9: *** Unintended Choice ***
Capitolo 10: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Rieccomi con una nuova storia! Era progettata prima di Beauty and the Beast, ma ve lo dirò dopo >.>

Per ora sappiate che è in prima persona, le parti viola Kagome e quelle blu Inuyasha!

Buona lettura!

Aryuna

Neko To Inu














Prologo






“I’m strong, and now it’s my turn,

I’ll show you the way”




Mi fissavo nello specchio del camerino, osservavo il mio volto così pesantemente truccato. Odiavo andare in scena con quel trucco, ma non c’era modo per convincere la truccatrice ad alleggerirlo.

Sbuffai, per la decima volta in quel minuto. Ero troppo nervosa prima dell’entrata in scena.

Neko in scena tra 5 minuti!”, disse un ragazzo dalla porta. Mi alzai, e presi un respiro profondo. Era un’esibizione corta, solo un pezzo e poi via, tutto finito.

Neko!”, chiamò una voce familiare dalla porta, “se non esci farai tardi”.

“Arrivo!”, risposi, aprendo la porta. La mia arrangiatrice mi fissava, con il mio stesso disappunto sul volto.

“Ti hanno truccato troppo”, disse, fulminando con lo sguardo la truccatrice di spalle.

“È tardi per lamentarsi”, sbuffai io, esibendo il mio sorriso migliore, “è ora di andare in scena”.


Mi presentarono, ed io entrai sul palco, nascosta dai fumogeni emessi dagli scenografi. La mia gonna corta a pieghe seguiva i miei movimenti, mentre mi posizionavo al centro del palco.

Scossa. Ero sempre elettrizzata in quel momento. Loro non vedevano me e io non vedevo loro, ma entrambi sapevamo che eravamo gli uni davanti all’altra.

La musica partì, pianoforte elettrico e batteria, la chitarra e il basso attendevano il momento giusto.

Avvicinai il microfono alla mie labbra, il fumo si dissolse del tutto, ed io cominciai a cantare:

“I did not believe that love was so random,

But now, finally, I believe in destiny.

I could not believe that something could be better,

But now that I know you, everything seems so real”

La chitarra mi diede il via, e quasi senza prendere fiato, cominciai a cantare la strofa successiva, staccando il microfono e portandolo con me sul bordo del palco.

La folla urlava, cantava con me, mi faceva sentire viva…

“At least I feel the real essence of my life,

I can’t believe that our meeting happened by chance.

I crossed your eyes, and you mine,

And our soul discovered that they liked”

La batteria scandì il ritmo, il tempo giusto, io sorrisi, sapevo che quasi tutto il Giappone sapeva a memoria il ritornello che stavo per cantare. Ero famosa, e tutti mi volevano, e la folla stipata nella piazza non faceva altro che confermarlo.

“I feel your breath,

Feel your perfume,

I want you to be here,

I want you to be mine.

Show me true love,

Show me that your sincere,

Make me understand that you believe in me,

So that I can lose myself in your eyes”

Lo stacco musicale, ed io mi sistemai nuovamente al centro del palco. Lanciai uno sguardo dietro le quinte; anche se sapevo che dovevo evitarlo, non riuscivo ad esibirmi senza incrociare almeno una volta lo sguardo del mio manager.

Lui mi sorrise, conoscendo questo mio difetto, ma sapevo bene che una volta scesa dal palco mi avrebbe sgridato, come sempre.

Tornai a guardare la folla davanti a me, sorrisi, e mi avvicinai nuovamente al microfono. La musica si attenuò, in questo pezzo rimaneva solo il pianoforte ad accompagnarmi.

“Finally I understand my feelings for you,

I cannot believe that you are true.

I crossed your eyes, and you mine,

And I discovered that you were all my life”

Di nuovo la batteria, la chitarra e il basso, ed io ripetei il ritornello altre due volte. Poi, la musica rallentò, ed io terminai la canzone ripetendo due volte l’ultima frase del ritornello.

Sentivo il sangue ribollire nelle mie vene, adoravo quella sensazione, un emozione che nient’altro riusciva a darmi, solo cantare, cantare e ancora cantare.

La folla urlò, sapevo che volevano di più, un bis, un’altra canzone, ma il mio tempo era finito. Li salutai, a malincuore, e sentii il presentatore che annunciava la mia uscita.

“E questa era Neko con il suo ultimo singolo, Crossing you eyes!”.

Attraversai i corridoi, tutti che mi facevano i complimenti, qualche occhiata avversa di chi era invidioso del mio successo, ma ormai ero abituata a tutto ciò che comportava questo lavoro.

Entrai nel mio camerino, e dopo ore sentii finalmente pronunciare il mio nome.

Kagome, ti ho detto mille volte che non devi guardare dietro le quinte!”, mi sgridò il mio manager. Gli sorrisi, colpevole.

“Scusa Miroku, ma lo sai che mi tranquillizza vederti”, ammisi con occhioni da cerbiatto. Lui, come al solito, cedette. La porta si aprì, e vidi entrare la mia arrangiatrice.

Miroku, ci sono i giornalisti fuori”, disse esasperata, percorrendo la stanza ad ampie falcate. Aveva i capelli legati in un’elegante coda di cavallo.

“Va bene Sango, ma prima…”, disse lui, avvicinandola con sguardo serio. Sango lo guardò preoccupata, io avevo già capito cosa voleva fare. La mano scivolò sul sedere della donna, e si sporse per guardarle nella maglietta. Lei rispose fulminea, come al solito.

“MANIACO!”, strillò, schiaffeggiandolo. Lui, con faccia sognante, fuggì vicino alla porta.

“Stai meglio con il reggiseno viola”, disse, rifugiandosi dietro alla porta, e chiudendola rapido quando Sango gli tirò il mio microfono.

Sango, non rompere l’attrezzatura”, dissi io, abituata a quella scena giornaliera. Lei mi fissò, inizialmente furibonda, ma pian piano riuscii a calmarla.

Kagome, l’esibizione di oggi è stata bellissima, eri proprio piena di energie!”, mi disse, “ma stavo pensando che forse è il momento di comporre un nuovo disco”.

Sango, conosci il mio parere”, dissi io, “non mi piace comporre canzoni senza ispirazione. Finiamo a comporre un disco arrangiato completamente da te, ricordi l’anno scorso, vero?”.

“Sì, ti sei rifiutata di proporlo alla casa discografica perché dicevi che andava a mio nome”, rammentò Sango, osservandomi con disapprovazione. Io la ignorai, ero irremovibile su quell’argomento.

Sentimmo una serie di strani rumori all’esterno, e Miroku entrò di corsa nella stanza, richiudendo la porta dietro di lui, sudato.

“Questi non sono giornalisti, sono belve!”, disse sconvolto, “comunque, Kagome, domani hai un incontro alla radio”. Io sbuffai.

“Nel pomeriggio devi andare alla Tv”, continuò lui ignorandomi, “poi devi fare un’intervista per il giornale, incontrare la scrittrice che intende scrivere la tua biografia, poi devi…”.

Miroku, non voglio!”, mi lamentai, scattando in piedi, “cosa sono tutti questi impegni? Io voglio solo cantare!”.

“Per cantare devi fare anche questo, o il tuo sponsor smetterà di appoggiarci! Poi come le paghiamo le spese?”, mi rimproverò lui.

Io sbuffai, uscendo dalla stanza: quel maledetto Naraku mi rendeva la vita un inferno!



Scolai l’ennesima birra; non era una novità, i miei amici erano abituati a vedermi bere così.

“Sono convinto che ti serva una donna!”, mi disse Hiten, fissandomi, “guarda me! Sono molto più felice di mio fratello, che è single”.

“Stai zitto Hiten, non vedi che è sbronzo?”, disse una voce familiare, forse Bankotsu?

“Tanto Inuyasha non saprebbe tenersi una ragazza neppure volendo”.

Feci una smorfia: Koga poteva tenere per sé le proprie considerazioni.

“Non è vero, io adoro Inuyasha!”, disse una voce femminile.

Jakotsu, tu non fai testo”, disse Ayame, squadrandolo. La vedevo troppo storta, stavolta avevo davvero esagerato con l’alcol.

Inuyasha è cafone, non è per niente romantico, è ovvio che nessuna lo voglia”, terminò la ragazza, dandomi il colpo di grazia. Koga ridacchiò sommessamente.

Perché tutte le sere dovevamo finire a parlare di questo argomento. Mi alzai, traballando. Mi ero scolato minimo 30 birre, il mondo era storto. Sentì qualcuno sorreggermi.

“Dove vorresti andare?”, mi chiese Koga, con il tono da fratello maggiore. Non sopportavo quando faceva così, dato che litigavamo sempre.

Volio tornare a cascia”, dissi con voce biascicante. Oh cielo, stavo peggio di quanto pensassi.

“Tu non guidi ridotto così”, mi disse severo, “io lo accompagno a casa ragazzi, ci vediamo dopo!”.

“Non ho bisciogno di aiuto”, biascicai, prima di crollare sulla sua spalla.

“Si, come io non sono un demone lupo”, commentò, conducendomi fino alla macchina. Mi caricò e si sedette al posto guida. Ormai sapeva a memoria come usare la mia macchina, succedeva così quasi ogni sera.

Non ricordo cosa successe, so solo che mi ritrovai sdraiato sul letto, con un mal di testa terribile, che mi martellava sulle tempie.

E mi sono sentito terribilmente solo.



Fissavo la finestra che dava sulle scale di emergenza.

Era così invitante, avevo voglia di saltare giù e scappare da tutti quegli impegni.

Ma in fondo, non era così pesante, forse stavo esagerando…

Kagome, ci sono dei giornalisti!”.

No, non esageravo affatto!










Allora, che ve ne pare? ^^

Questa storia è nata così, di colpo. In seguito ho pensato assomigliasse ad un film di cui non ricordavo il nome (ho poi scoperto si trattava di Notting hill) quindi posso dire di averlo ispirato da lì ^^

Volevo scrivere due storie separate, Neko To Inu e Inu to Neko, l’uno dal punto di vista di Kaggy e l’altro di Inu, ma poi si sarebbe incasinato troppo per le scene assieme, e ho deciso di alternarli in un’unica storia >.>

Emiko mi obbliga anche a scrivere che i testi delle canzoni che leggete in questa storia li ho scritti tutti io, e che ho scritto anche la musica (Emiko: mostro! O.O). -.-

Ok, sorvoliamo, spero il prologo vi abbia incuriosito, è il più lungo che abbia mai scritto >.>

Dedico questa storia alla comunità di MSN, la mia piccola famigliola!

Emiko, Roro, Mery, Marty, Lily, Vale, Giulia, e tutte quelle che ancora non conosco, Kikka, mel, matt, ecc!

Al prossimo capitolo!

Aryuna

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Capitolo 2
*** Camere affittate ***


Capitolo numero 1! Il prossimo non so quando arriverà, prima devo scrivere B&B >.>

Spero vi piaccia, buona lettura! Alla fine (incredibile ma vero) i ringraziamenti!

Aryuna

Camere affittate






Un suono spacca timpani. Ringhiai, mentre la testa mi esplodeva.

Ormai non era una novità, era così tutte le mattine da circa un mese. Ero un hanyou, ma un’altra settimana così e, resistenza o meno all’alcol, sarei finito in ospedale.

Acchiappai il cellulare sul comodino, e osservai il numero sullo schermo. Era ancora quella dannata vecchiaccia. Emisi un brontolio sommesso, e risposi:

“Pronto?”.

“Signor Taisho, scusi se la disturbo a quest’ora, ma ho avuto un problema con…”.

“Non me lo dica”, la interruppi subito, “la lavatrice, giusto?”.

“Si, come ha fatto ad indovinare?”, chiese la voce gracchiante dall’altro lato.

“Lasci perdere, sono da lei tra mezz’ora”, le dissi, attaccando senza aspettare la risposta. Presi al volo un paio di jeans strappati e un maglietta sporca, non aveva importanza, tanto si sarebbero risporcati.

Era anche vero che con questo ragionamento non facevo il bucato da una settimana…

Mi mancò la presenza di Kikyo, come succedeva ormai ogni mattina. Kikyo era stata la mia ragazza, finché un giorno non era sparita, e non aveva torto: Ayame aveva ragione riguardo il mio modo di comportarmi.

Kikyo mi faceva il bucato, piegava e stirava, puliva la casa e la cucina, faceva tutto insomma. Potevo dire che l’avevo schiavizzata e non le avevo dato nulla in cambio. Un giorno, tornato a casa, era come se lei non fosse mai entrata. Tutto di lei, comprese le foto, era sparito.

Scossi la testa, scacciando quei pensieri. Presi una bottiglia di latte e ne bevvi un sorso, mi infilai i pantaloni e mi sedetti sulla sedia, accanto all’oggetto che ancora riusciva a farmi uscire da quella schifosissima vita che mi ero creato: la mia chitarra.

Non avevo tempo per suonare, mi limitai a fissarla, come incantato. Infilai la maglietta, presi gli attrezzi ed uscii.

Io non ero un idraulico, né un meccanico, né un tecnico, ma tutto questo insieme. Ero un tuttofare. Loro mi chiamavano, se potevo fare quel lavoro dicevo che andava bene, altrimenti nulla.

Finché non avevo incontrato quella vecchietta. Da allora, ogni mattina, mi chiamava con un nuovo problema, e il 99% delle volte riguardava la lavatrice.

Gli avevo detto mille volte che doveva ricomprarla, ma continuava ad usarla, e il mattino successivo mi chiamava perché, sempre lo stesso tubo, aveva ceduto, e aveva il bagno allagato.

“Signor Taisho, proprio non capisco! Stavolta l’ho caricata poco, c’erano solo le lenzuola e i vestiti di mia nipote!”.

‘Meno male che era poco’, pensai, osservando quell’elettrodomestico che urlava pietà e una degna sepoltura. Mi limitai a bloccare la fuoriuscita di acqua, per poi voltarmi verso la vecchia.

“Signora, ho cercato di essere chiaro, ma a quanto pare non ha funzionato, quindi glielo ripeterò!”, dissi tra i denti, sembrava quasi un ruggito trattenuto, “questa macchina è la trisavola di qualunque altra lavatrice della città, anzi, ma che dico, di tutto il Giappone! Quindi mi faccia il favore, la ricompri e la smetta di chiamarmi!”.

M-ma… è un regalo di nozze!”, balbettò, guardandomi mentre mi avviavo alla porta. Non volevo nemmeno venir pagato per quanto ero esasperato. Mi voltai con sguardo furente.

“Appunto! Ipotizzando che siete vedova da 10 anni e siete stata maritata per 60, quello macchina ha superato ogni record di sopravvivenza!”, e sotto lo sguardo incredulo della vecchia uscii, sbattendo la porta.

Ora il mio umore era pessimo, e nessuno mi aveva ancora chiamato per un lavoro decente!



Ok, dovevo ammettere che senza la guida di Sango, considerando il mio pessimo senso dell’orientamento, era stata una cattiva idea scappare dall’albergo senza neppure una cartina della città! E Tokyo non era certo piccola…

Oltretutto, ero vestita in modo tremendamente sospetto per il caldo che c’era: cappotto nero, cappello e occhiali scuri. Stavo per asfissiare, ma non avevo molta scelta. In giro per la città c’erano cartelloni con la mia immagine stampata sopra e il mio nome a lettere cubitali, non era certo un’idea geniale andare in giro completamente scoperta!

Un odore fastidioso e piacevole allo stesso tempo raggiunse il mio naso: avevo sempre avuto un olfatto molto sviluppato, come quasi tutti i miei sensi. Mi voltai verso il ragazzo che mi passava accanto, con capelli argentati e simpatiche orecchie da cane. Lui mi ignorò completamente, e non poté che farmi piacere. In compenso, per seguirlo con lo sguardo non guardai dove stavo andando e…

“Ehi, stai un po’ attenta!”, disse il ragazzo contro il quale mi scontrai. Caddi a terra, e gli occhiali schizzarono poco distante. Il cappello si storse, lasciando libera una buona parte delle ciocche corvine che vi tenevo raccolte.

Il ragazzo, dopo avermi guardato male, assunse un’espressione sorpresa.

“Ma tu… tu sei Neko!”, strillò, incredulo, io scattai in piedi, e mi voltai per allontanarmi di corsa, prima di avere tutta la strada addosso. Ma qualcosa mi prese per il polso.

“Ehi, mi sei finita addosso, non ti sembra il caso di farti perdonare?”, disse con un tono che non mi piaceva affatto, troppo confidenziale.

“Vuoi un autografo?”, domandai in una smorfia.

“Oh, non è sufficiente”, disse tirandomi a sé, e prendendomi la vita con un braccio.

“Lasciami o urlo”, dissi gelida, fissandolo con occhi infuocati.

“Vuoi vedere come ti tappo la bocca?”.

Qualcosa si parò tra me e il ragazzo, e un odore sgradevole raggiunse il mio naso.

Lo stesso odore di prima.



“Lasciala andare”, dissi, allontanando con la mano quel teppista dalla ragazza. Il suo odore sgradevole mi aveva colpito, e mi ero accorto di quando quel tizio l’aveva avvicinata.

Perché ero intervenuto? Bella domanda, me lo stavo chiedendo anch’io…

Incrociai gli occhi color cioccolata della ragazza, solo per un istante, poi distolsi lo sguardo, sentendo che non potevo reggerne il peso. Il colore era lo stesso di Kikyo, anche se erano decisamente più caldi.

“Che vuoi… hanyou”, disse il ragazzo con aria sprezzante.

Ok, considerando una notte mezza insonne, una vecchietta rompiscatole, 30 birre e una cucina allagata, quel ragazzo aveva scelto l’hanyou sbagliato con cui fare il razzista. Lo acchiappai per la maglietta, ringhiando, e, prima che potesse anche solo vedere i miei movimenti, gli avevo già assestato un pugno sul naso.

Cadde a terra come un sacco di patate, reggendosi il naso sanguinante e rotto.

Io, dal canto mio, mi voltai e mi allontanai tranquillamente, seguito dagli sguardi increduli della folla che aveva assistito alla tentata resistenza di quel teppista.



Fissai allucinata il ragazzo a terra, poi il mio salvatore, ma lui già si era allontanato.

Non aspettai un attimo e lo rincorsi, non volevo certo aspettare che il maniaco si riprendesse. È anche vero che peggio di Miroku non c’era nessuno… ma perché rischiare?

L’odore sgradevole di quel ragazzo era anche terribilmente attraente, non mi era mai capitato di sentire un odore simile; era muschiato, quasi selvaggio.

Continuai a seguirlo, finché non si voltò a fissarmi.

“Si può sapere che vuoi?”, mi disse scontroso. Rimasi sorpresa, si era accorto che lo seguivo? Ma soprattutto, mi guardava come se non mi avesse mai visto prima.

Bè… volevo ringraziarti”, gli dissi, sistemandomi i capelli nel cappello.

“Bene, lo hai fatto, ora vattene, il tuo odore è sgradevole!”, disse senza tanti mezzi termini. Si voltò e attraversò la strada. Io, inizialmente rimbambita, decisi di seguirlo per dirgliene quattro.

Come si permetteva di trattarmi in quel modo?

Sentii un clacson, e poi qualcuno mi tirò in avanti, prima che la macchina mi investisse. Il proprietario della vettura urlò contro di me frasi poco piacevoli.

Ma non era l’unico ad urlare…

“Insomma, mi hai scambiato per superman, ragazzina?”, strillò l’hanyou, guardandomi malissimo.

La sua mano era ancora stretta attorno al mio polso.

Ma… ma…”, balbettai io, confusa, osservando i suoi occhi ambrati. Lui li distolse subito, come se non volesse incrociare i miei.

“Vattene a casa e smettila di seguirmi”.

“Dimmi un albergo e ci vado!”, ribattei io, scocciata.

“Pagami e te lo dico”, fece lui, sbuffando. Io inarcai un sopracciglio.

“Lavori come mappa vivente?”, domandai, confusa.

“Rientra nei miei lavori”. Lo fissai perplessa, e lo mollai in mezzo alla strada. Non era affatto un bravo ragazzo come credevo.



Fissai la ragazza mentre si allontanava. Finalmente me l’ero scrollata di dosso!

Subito dopo, il mio naso cominciò a prudere: mi mancava il suo odore sgradevole. Perché in fondo era, non so come, anche terribilmente attraente.

Ringhiai, ignorando il prurito del mio naso, quando sentii un tonfo. Capii subito chi era stato a provocarlo considerando gli incidenti che aveva causato in meno di tre minuti. Feci dietrofront e andai verso la ragazza, che era inciampata in un tombino.

“Il mondo ce l’ha con me, uffa! Dov’è Sango quando serve?”, stava piagnucolando, continuando a rimanere a terra.

La acchiappai per il braccio e la tirai su.

Perché stavo facendo tutto questo non lo sapevo nemmeno io.

“Allora ragazzina”, cominciai, “ti dirò gratis dove trovare un albergo e ti ci accompagno per assicurarmi che ci arriverai viva!”.

Lei mi fissò, contrariata per il mio dubbio del tutto fondato riguardo la sua sopravvivenza. Stavolta non riuscii a distogliere lo sguardo, anche perché sarebbe stato maleducato.

“Si può sapere che lavoro fai?”, mi domandò, dubbiosa.

“Faccio tutto, sono un tuttofare”, ringhiai scocciato, tirandomela dietro. Lei mi seguì docilmente tra la folla, tenendo però gli occhi bassi. Sembrava che si stesse nascondendo, e il suo abbigliamento sembrava confermarlo.



Avevo perso gli occhiali, tutto stava andando contro di me e un ragazzo scorbutico mi stava trattando come una bambina.

Sperai che nessuna rivista di gossip registrasse quegli avvenimenti, o ero rovinata!

In compenso, in compagnia di quel ragazzo mi sentivo protetta, esattamente come se fossi circondata da guardie del corpo.

Lo seguivo senza dubbi su dove mi stesse portando, avevo fiducia, e sapevo che presto saremmo sbucati davanti ad un albergo… dove avrebbero chiesto il mio nome per una stanza… e non potevo dirgli che ero Neko, ma Kagome Higurashi, e così avrebbero saputo il mio nome, e tutti i miei tentativi di tenerlo nascosto sarebbero andati in fumo.

E ancora non capivo perché quel ragazzo mi ignorasse! Possibile che non mi conoscesse? Eppure era giovane, o lo sembrava, tutti ascoltano la musica alla radio cavolo!

Mi accorsi che mi stavo ingarbugliando in un discorso inutile e senza senso: non c’era nulla di male a non conoscermi, e per me era meglio così.

Tornai al problema dell’albergo e…

Spalancai gli occhi, illuminata da un’idea geniale! O meglio, geniale per me, se mi avesse sentita Sango mi avrebbe falciata all’istante.

“Senti, hai detto che sei un tuttofare?”, domandai, già con voce troppo smielata. Lui capì subito che c’era qualcosa che non andava, perché mi squadrò.

“Si”, rispose semplicemente.

“E abiti in affitto?”. Mi guardò malissimo.

“Che ti importa?”. , non aveva tutti i torti a chiedermelo.

“Visto che sei un tuttofare, puoi anche affittare stanze e…”.

“Non se ne parla!”, mi interruppe subito, “Tu sei proprio fuori!”.

…io ti pagherò metà dell’affitto come se dividessimo la casa e mi pagherò i viveri in più”, terminai ignorandolo.

Lui mi guardò, boccheggiando, poi richiuse la bocca, fissandomi con una sguardo indecifrabile.



Gli affari andavano male, avevo appena perso un cliente, e una ragazzina sprovveduta mi chiedeva il suo aiuto.

Dimezzare sarebbe stato un miracolo per il mio portafogli piangente.

Sorrisi, quasi maligno.

“Perché no?”.

Vidi benissimo che la ragazza, spaventata, deglutì.











Dopo il suicidio di The theft per scrivere i ringraziamenti (ancora peggio fu per Profumo, nel quale peraltro saltò la corrente poco prima che salvassi la pagina e li dovetti riscrivere tutti T.T), ho deciso di fare come molti, cioè di scriverli volta per volta!

Marty: Martyyyyy! Sono felicissima di dedicarvi la mia ficcy ^^ (e in essa le mie canzoni) (emiko: Mostro! O.O)(me: basta! XD). Che ne dici del punto di vista di Inu? Un po’ troppo malinconico forse, ma capiamolo porello ù.ù (porello un corno, schiavista! è.é ndKikyo) >.>’

Roro: Roro-chan! Mi spiace che vedi il cap pubblicato prima di avere l’anteprima, il prossimo prometto che non lo pubblico prima di avertelo fatto leggere! ù.ù (fosse una grande storia… ndTakuto)( tu che fai qui? O.O Torna da Roro, solo lei ha l’onore di scrivere le tue battute! ndMe) *caccia via Goshinuccio*

Mery: *Si precipita a leggere le ficcy di mery >.>* No, mi piacerebbe farlo, e lo farò giuro, devo solo ritagliare uno spazietto di tempo, che purtroppo è molto poco ultimamente, dato che mio bro ha gli esami universitari e sta sempre al pc ^^ Però ho letto Feelings and… couples, anche se, sempre per lo stesso motivo e perché ci si aggiunge che non sono brava a farlo, non ho mai commentato *si inchina profondamente per chiedere perdono* Scusaaaaaa! ç.ç

Onigiri: Felice che il prologo ti sia piaciuto, che mi dici di questo nuovo capitolo? ^^ Suvvia, non scrivo così bene >.> *Emiko la aggredisce* d’accordo, scrivo bene, scrivo bene ç.ç Cercherò di aggiornare presto, un bacio! ^^

Ary22: Grazie per il commento, ti piace la piega che sta prendendo la storia? Un incontro bizzarro, lo ammetto, ma sono così pucciosi! *.* Oddio, mi sto commentando da sola, non va bene questo >.>’ Fammi sapere cosa ne pensi ^^

Kaggi18: Capitolo postato, come vedi, spero la storia ti piaccia ancora *perdita di fiducia in sé stessa in breve termine T.T* *Emiko gli da una padellata in testa* Ehm, cosa dicevo? Ah si, ti è piaciuto l’incontro tra Inu e Kagome? ^^ Fammi sapere, una bacio!

Lilysol: Onore, il commento di zia lily! *.* *brillano brillano gli occhietti da volpe adorosa di Ary* Inchino profondo inchino *spazza e pulisce la strada che Lily percorrerà per il prossimo commento* Ehm, io non mi sento onorata, noooo ù.ù In compenso, ora sai di avere una nipote pazza ù.ù

Meg___X3: , in effetti credo che solo a me ricorda Notting Hill, le associazioni del mio cevello sono misteriose anche per me! XD Sono felice ti sia piaciuto Koga, e anche Ban e Jak (che è tutta stà confidenza? ndBankotsu) (zitti o vi cancello dalla storia è.é ndme) (nooo, poi non posso più vedere inu! ç.ç ndJakotsu) ù.ù Scusa, problemi con lo staff, comunque spero il capitolo ti sia piaciuto, nel prossimo Koga combinerà un po’ di guai ^^’

Emiko: Ok, durante questi commenti mi hai dato del mostro, aggredito e tirato una padellata, ora spero di sopravvivere quando ci incontreremo sperando che non mi ucciderai >.>’ RAGAZZI, EMIKO NON è PAZZA E OMICIDA! Sono io che mi diverto a prenderla in giro! In realtà è tanto dolce, è vero solo che mi dice mostro ^^’

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Capitolo 3
*** Una Star per convivente ***


Capitolo numero 2! Devo ringraziare Roro, che mi ha convinto a scrivere in uno dei miei momenti di assenza di ispirazione (per roro questo e altro ù.ù)

Un po’ di pubblicità, leggete The last time! XD

E HeartBreakers, di me e roro-chan ^^

E adesso il capitolo, un bacio!

Aryuna

Una Star per convivente




Mi alzai dal letto sbadigliando. La luce filtrava dalla tapparella rotta. Possibile che un tuttofare avesse la tapparella rotta? Mah, decisi di non pensarci.

A piedi scalzi mi avviai in cucina. Inuyasha, questo il nome dell’hanyou, mi aveva prestato, pardon, affittato uno dei suoi pigiami. Sì, me lo stava facendo pagare.

In realtà ne usavo solo metà, la maglietta era talmente grossa che fungeva da camicia da notte, ma lui, ovviamente, non aveva dimezzato il prezzo.

“Buongiorno”, dissi, vedendolo in cucina mente beveva il latte dalla bottiglia. Lui ringhiò in risposta.

“Non ho capito”, dissi io ironica, strappandogli di mano la bottiglia e versandomi il latte in un bicchiere. Lui mi fulminò.

“‘giorno Ka…”, si interruppe, e questo mi fece sospettare che avesse dimenticato il mio nome. Meglio, così se avesse scoperto che ero Neko non lo avrebbe sventolato ai quattro venti.

Gli restituii il latte, e mi sedetti tranquilla al tavolo, seguita dalle suo occhiate tutt’altro che amichevoli.

Diedi uno sguardo alla casa. Il giorno prima, appena entrata, ero andata subito a letto.

Il disordine regnava sovrano.

L’unico angoletto pulito era alla mia destra, dove una chitarra stava poggiata delicatamente al muro.

“Suoni?”, domandai, osservandolo. Lui grugnì.

“Oh, ho sempre amato tradurre i grugniti”, dissi pungente, sorseggiando il mio latte.

“Ehi, siamo a casa mia qui!”, sbraitò lui, quasi sbattendo l’anta del frigo dove aveva appena rimesso il latte.

“Appunto, gli ospiti vanno trattati con riguardo”, dissi, sorridendo. Lui sbuffò, tagliando subito la discussione. Prese una specie di cassetta degli attrezzi arrugginiti e si dileguò oltre la porta. Dopo poco sentii sbattere l’uscio di casa.

“Oh, ciao”, mormorai scocciata. Che cafone!

Lanciai l’ennesima occhiata alla casa… forse era il caso di dare una sistemata.



Ma come si permetteva! Ero talmente arrabbiato che anche la gente per strada mi stava alla larga.

Così non sarei mai riuscito a trovare un lavoro.

Quella ragazza… come aveva detto che si chiamava? Kaname? Kasumi? Mah, che importanza aveva, in fondo? Assomigliava troppo a Kikyo per i miei gusti, e questo non faceva che infastidirmi ancora di più. Mi rendeva nervoso.

Perché avevo accettato? Avrei preferito Koga come convivente, ma che dicevo, avrei preferito Jakotsu! E con questo dicevo tutto!

Ma avevo bisogno di dividere le spese, dato che nessuno mi assumeva.

“Ehi!”, chiamò qualcuno, ma ero talmente distratto che non me ne accorsi.

“Botolo ringhioso!”, disse la stessa voce di prima. Mi voltai di scatto, lanciando una chiave inglese in quella direzione. Koga la prese al volo, schivandola anche.

“Stai zitto, lupastro ricoperti di pulci!”, ringhiai, avvicinandomi per riprendere la mia chiave. Lui, di tutta risposta, la nascose dietro la schiena.

Inuyasha, Inuyasha! Non si salutano così gli amici”, ridacchiò, osservandomi un po’ sorpreso. Non capì il perché finché non parlò di nuovo.

“Ieri non sei venuto al pub”. Dilatai gli occhi. Giusto! Come avevo fatto a dimenticarmene? E non solo, non sentivo, neppure adesso, il bisogno di bere. In compenso mi pizzicava il naso.

Koga mi fissò preoccupato.

“Ehi?”. Lo osservai.

“Ti sei fatto?”, chiese di punto in bianco.

“Ma come ti vengono certe idee?”, urlai, lanciandogli un cacciavite. Acchiappò anche quello.

“Che ne so! Il primo pensiero di tutti è stato che se non bevevi eri andato dallo spacciatore”, disse con semplicità. Non aveva neppure il minimo rimorso per aver pensato una cosa simile?

“Per tua informazione non è successo nulla di simile e… So cosa stai per dire! Non sono andato neppure in un bordello, chiaro?”, sbraitai. Per strada alcuni mi fissavano increduli, la mamme, scandalizzate, portavano lontano i bambini coprendogli le orecchie e altri si allontanavano rapidi temendo una rissa.

“Su amico, calmati! In fondo era normale sospettarlo, no?”, fece Koga in guardia, la mano con i miei attrezzi davanti.

“No che non lo è!”, gli urlai contro, strappandogli la chiave inglese e il cacciavite di mano. Lui non si oppose, sbuffando.

“E allora perché non sei venuto?”, domandò avvicinandosi pericolosamente. L’arrabbiatura lasciò spazio al disagio. Deglutii, odiavo quando Koga faceva l’impiccione, e avevo un terribile problema al riguardo: cedevo sempre, e quasi subito. Usava dei trucchi stupidissimi per tirarmi fuori quello che voleva sentire, e io ci cadevo sempre.

Inuyasha, per caso hai conosciuto qualcuno?”, cominciò lui. Io arrossii automaticamente.

“Ah, ci ho preso!”.

“No, non è vero!”, mentii io subito, ma continuavo ad essere inspiegabilmente rosso. Perché poi? Il pizzicore al naso aumento. Era da quando avevo conosciuto quella ragazza che faceva così, in assenza di quell’odore fastidioso.

“Su, come si chiama?”, domandò malizioso.

“Ti ho detto che non ho incontrato nessuno”, sbraitai nuovamente io.

“Quanto sei difficile, insomma! Dimmi il nome”, insistette Koga, impuntandosi sempre di più. Sapevo che tra poco sarei caduto in uno dei suoi trucchi, e non potevo evitarlo. Ero sempre stato incapace in queste cose.

“Non c’è assolutamente nessuno, Koga!”.

“Quante ne conosco?”.

“E CHE NE SO QUANTE KAGOME CONOSCI?”, urlai.

Ops. Lo dicevo io che sarebbe successo. E, incredibilmente, mi ero ricordato il nome di quella ragazza.

Il volto di Koga si illuminò, vittorioso, e capii che tanto valeva sputare il rospo prima che si facesse tutti i suoi castelli mentali.

“E va bene, andiamo al pub. Tanto non mi chiama nessuno”, cedetti, incamminandomi verso il locale. Koga trotterellò dietro di me fin troppo allegro, incentivando il mio pessimo umore.



Quella casa era un vero e proprio porcile. Vestiti sporchi ovunque, sul pavimento c’era talmente tanta polvere che si poteva scommettere su quale batuffolo sarebbe arrivato per primo alla fine del corridoio!

‘Se devo abitare qui, mi rimboccherò le maniche e lavorerò sodo!’, pensai, cominciando a raccogliere i vestiti e lanciando tutto il lavatrice. Notai che aveva tutti jeans e magliette bianche, quindi non dovevo nemmeno dividere troppo i capi.

Aprii l’acqua e cominciai a mettere tutti i piatti, le posate, le pentole, ecc, nella lavastoviglie, e poi lavai il tavolo e tutti i ripiani.

Soddisfatta osservai la stanza. La cucina era già più vivibile adesso.

Presi in mano l’aspirapolvere e cominciai a fare strage di acari. Ero rimasta in pigiama – o meglio – in maglietta, ma non avevo cambi. Dovevo andare a comprarmi qualcosa.

Ma prima, avrei sistemato tutto, così Inuyasha si sarebbe sentito in colpa per avermi trattato male!



“Voglio proprio vedere questa ragazza”, ridacchiò Koga, mentre rientravo. Mi aveva obbligato a fargliela conoscere.

Aprii la porta e…

Kami! Ma cosa è successo qui?”, urlai incredulo. La casa splendeva, le finestre – prima incrostate – facevano filtrare la luce dal tramonto e non c’era neppure una maglietta sul pavimento. Volai in cucina, e vidi la lavastoviglie carica, e fuori in balcone era steso tutto il bucato.

“Ma cosa diamine…”.

“Sicuro di aver preso una ragazza impacciata e non una colf?”, mi domandò Koga osservando l’appartamento. Non lo vedeva così pulito da quando Kikyo era andata via, e lui aveva cominciato a riportarmi ogni sera, ubriaco, a casa.

“Non posso credere che quella inetta abbia pulito tutto”, ringhiai, infastidito. Mi ricordava ancora di più Kikyo.

Sul tavolo della cucina c’era un post-it: ‘Sono uscita a fare compere, da oggi niente più affitto del pigiama!’. Il tutto era corredato da una faccina che faceva la linguaccia al lettore, alias io.

“Affitto del pigiama?”. Sobbalzai, mentre Koga, dietro di me, mi osservava scuotendo il capo.

“E non rompere!”, mi limitai a dire, lasciandomi cadere sul divano. Koga mi seguì, annusando spesso l’aria? Perché lo faceva? A proposito, la casa era piena dell’odore di Kagome, il naso non pizzicava più.

“Ehi, ma sei sicuro che sia umana?”, mi chiese di punto in bianco.

“Certo, che domande!”.

“Non senti… odore di gatto?”.

Lo osservai, confuso. L’odore di Kagome era sgradevole, come quello di Koga, ma al contempo attraente. Non era normale per un umano, in effetti. Mi concentrai meglio. Era vero, sapeva di gatto.



L’ascensore era rotto. Ringhiai, preparandomi a salire le scale carica di tutti quei pacchi e pacchettini. E intanto pregavo che Inuyasha sapesse aggiustare un ascensore.

Probabilmente mi avrebbe fatto pagare pure quello.

Salii le scale, con la schiena a pezzi – causa le pulizie di prima – e a quel punto ricordai che io non avevo le chiavi di casa.

E adesso come facevo? Dovevo solo sperare che Inuyasha fosse tornato dal lavoro. Suonai il campanello, e sentii dentro delle voci. Più di una. Oddio, e se fossero dei ladri? In fondo, non avendo le chiavi, non avevo neppure chiuso la porta a dovere.

La porta si aprì, e mi trovai faccia a faccia con un ragazza – chiaramente youkai – alto, con coda di cavallo e occhi azzurri.

Urlai.

Lui pure.

“Che succede qui?”, strillò una voce familiare, e il suo odore mi pizzicò il naso.

I-Inuyasha”, balbettai, tenendomi una mano sul petto. L’altro ragazzo che aveva urlato mi fissava sconvolto. Oddio, avevo già visto quello sguardo.

“Che hai Koga, paura di una ragazzina?”, lo canzonò Inuyasha, mentre io mi affrettavo ad entrare per posare i pacchi.

Il lupo continuò a seguirmi con lo sguardo, ignorando l’amico. Sapevo bene cosa stava per dire…

“Ti prego, fammi un autografo!”, urlò improvvisamente, buttandosi a terra in ginocchio e con le mani giunte. Anche se me lo aspettavo sobbalzai.

Inuyasha lo fissava sconvolto.

Ma… che fai, alzati!”, dissi tirandolo su. Inuyasha era sempre più sconvolto.

“Oddio, e un sogno che si avvera! Inuyasha, picchiami, devo sapere se sto sognando oppure no!”.

“Con piacere”, sibilò l’hanyou, dandogli un calcio sulla stinco. Il lupo cominciò a saltellare per tutta la stanza tenendosi la gamba.

Io fissavo la scena sconvolta, finché non incrociai gli occhi di Inuyasha.

“Che sta succedendo?”, mi chiese in un sibilo minaccioso.

Ecco… io…”, cominciai, in difficoltà. Koga, che aveva smesso di saltellare, ci fissava, confuso.

Inuyasha, non mi dire che non la conosci! Questa è Neko, la cantante più famosa del giappone!”, quasi urlò il lupo, prendendo il telecomando e accendendo su un programma musicale.

Le note di Crossing your eyes riempirono la stanza, mentre io diventavo un peperone. Nel video musicale apparivo spesso, a tratti camminando per strada, a tratti in uno studio di registrazione.

Inuyasha ora era davvero sorpreso.

Mi fissò, senza dire una parola. Il suo sguardo però parlava chiaro: ‘perché non me lo hai detto?’.

“Ecco, ho pensato fosse un bene mantenere segreta la mia identità, dato che non la sapevi”, dissi, giocando nervosa con le mie ciocche corvine.

Prese Koga per una spalla e, tirandoselo dietro, uscii sbattendo la porta.

Stavolta mi venne da piangere, e cominciò a pizzicarmi il naso, assieme agli occhi.



Fissavo da ore il soffitto del pianerottolo.

Mi sentivo preso in giro, e ci avevo messo ore per liberarmi di Koga. Ora, sapevo che Kagome era in pericolo. Anche se avevo fatto promettere a Koga di non parlare sapevo che presto lo avrebbe saputo tutto il quartiere.

Entrai nuovamente dentro casa, era tutto buio, tranne la luce accesa della TV.

Kagome?”, chiamai, guardandomi intorno. In effetti, magari non si chiamava neppure così, ed era solo uno pseudonimo.

Poi, sentii il suo odore eliminare il pizzicore del mio naso, e scoprii che si era addormentata sul divano mentre guardava un programma musicale. Sorrisi, vedendola dormire così.

E adesso mandiamo un vecchio singolo di Neko, Why don’t you!”, disse il presentatore, e partì una musica al pianoforte elettrico, nel video era lei a suonarlo.

Possibile che non l’avessi mai vista prima?

Suonò il citofono e, ringhiando, mi avviai a rispondere.

“Pronto?”.

“Posta, ci apre?”, disse una voce femminile in mezzo ad un brusio. Riappesi subito senza aprire.

Posta? Osservai l’orologio.

Posta all’una di notte?

Con un sospetto nella mente corsi al balcone per osservare il portone del palazzo. C’era una folla non indifferente, e ci misi poco a capire che fossero.

Impallidii. Giornalisti.

Koga ci aveva messo davvero poco a far girare la notizia.

Kagome svegliati, siamo nei guai!”.







Ringraziamenti:

-Roro: Stavolta hai letto in anteprima, eh? Che ne dici? Ti piace la piega? Ma non volerne così tanto a Koga, in fondo è un bravo ragazzo, io lo adoro! *.*

-Kaggi_inu91: Ok, mi sono appena accorta che agli scorsi commenti ho scritto Mery invece che Giulia XD Ehm, una piccola gaffe, capita a volte >.>’ … PERDONO! ç.ç Spero davvero mi perdonerai, sono riuscita a leggere Camp of Rock, mi piace! *sbava* P.S: brava, mandiamo a cuccia inu, magari si da una svegliata! A cuccia! è.é

-Onigiri: Davvero ti piace così tanto? *.* Me commossa ç.ç Spero anche questo cap sia venuto bene, è un po’ forzato causa assenza di ispirazione >.>

-Ary22: Aryyyy!!!! ^^ Che dici, ti piace il cap? Ti do una piccola anteprima, nel prossimo appaiono due personaggi, uno dei quali è molto amato e tante, me compresa, gli sbavano dietro *sbavsbav*

-Meg___X3: No, l’hai aggiunta davvero? ** Grazie!!!! Me commossa all’infinito ç.ç , quella di superman è notevole, lo ammetto XD A proposito, sto leggendo la tua ficci, anche se non ho molto tempo e sono rimasta indietro! ç.ç Sigh! Primao poi riuscirò a commentarla! *Aryuna sprigiona energia*

Kaggi18: Ciao, vista l’apparizione di Koga? Forse è un po’ troppo pettegolo, lo ammetto! Grazie per i commenti, un bacione!
Bchan: Uff, ti ho aggiunto in tempo! appena ho postato ho visto il tuo commento e sono volata a scriverti nei ringraziameti! Non ti salterei per nulla al mondo *.*

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Capitolo 4
*** Fuga dal fratello ***


Ok, avverto immediatamente che questa introduzione sarà lunga.

Devo spiegare parecchie cose, e non mentirò. Vi verrà voglia di uccidermi forse, ma odio mentire, quindi sarò sincera.

Non ho scritto perché stavo leggendo e vedendo Full moon wo sagashite.

*tempesta di oggetti che investono Aryuna* Nooooooooooooo, chiedo perdono!!! ç.ç

Allora, spiegherò meglio. Ho scoperto questo fumetto, a mio parere meraviglioso, e ne sono divenuta dipendente! Nel senso che se ogni giorno non vedo qualcosa che lo riguarda e non rileggo almeno un fumetto mi sento perduta, vuota, ecc ecc ecc. Mi scuso soprattutto con Roro, dato che non sono più neppure entrata su MSN.

Avevo cominciato questo capitolo prima della catastrofe di Full Moon, e l’ho finito oggi.

Inoltre vorrei dire una cosa.

Adesso pubblicherò in quest’ordine B&B, poi HB e infine The Last Time, dopodiché pubblicherò l’inizio di una nuova storia di cui non anticiperò nulla.

In realtà non avrei dovuto, solo Emiko sa il perché, ma non ho potuto resistere. So che mi sto sovraccaricando di lavoro, e magari senza sapere le motivazioni vi può sembrare stupido e un’esagerazione, ma vi assicuro che c’è un perché.

Ora, se non avete saltato o abbandonato questo noiosissimo intro, vi auguro buona lettura, e ancora scuse per la mia scomparsa.

P.S: potrò sembrare un po’ cupa rispetto al solito, il fatto è che, Emiko lo sa, in questi giorni oltretutto sto male, varie cose tra cui svenimenti, pressione bassa, ecc, scusate se posso sembrare poco allegra ^^’

P.P.S: Non ho più commentato, ma ho letto tutte le vostre storie! Ricomincerò da adesso a commentare, ma vorrei chiedere scusa soprattutto a Roro, che ha cominciato una nuova ficci e io non gli ho neppure fatto i complimenti! Ti dirò, è G-E-N-I-A-L-E! Sesshomaru mi fa morire dalle risate! XD Troppo troppissimo bello! XD

Chiedo scusa a Marty, per non aver commentato 1000 volte buonanotte, e anche a Lily e Roro per Il vento della vita. Scusa anche a te Giulia, non riesco a commentare neppure la tua, anzi vostra *chiedo venia a dolcesango91 ^^’*. Di nuovo scusa a Roro per BOY *le mie assurdissime abbreviazioni -.-* e mi sembra basta… spero… se mi sono scordata qualcuno perdono, ho mio padre che mi urla di chiudere!

Bye

Aryuna

Fuga dal fratello




Un uomo leggeva disinteressato il giornale, tranquillamente seduto sul suo divano in pelle bianco.

Dlin dlon

“Tesoro, apri tu?”, chiese una voce dolce e un po’ infantile dalla cucina. Sbuffando, l’uomo si avviò alla porta, aprendola senza nemmeno controllare prima; e se ne pentì.

La chiuse, sbattendola, tornando a sedersi sul divano, e ignorando le urla del ragazzo al quale aveva appena sbattuto la porta in faccia.



“SESSHOMARU!!!”, urlai per l’ennesima volta, ma nulla, lui non apriva. E va bene, se non apriva gentilmente, bisognava ricorrere alla forza. Suonai nuovamente, sapendo che dentro la casa c’era qualcuno contro il quale mio fratello non poteva opporsi. Infatti, quella vocina dolce arrivò subito alle mie orecchie demoniache.

“Amore, ma non hai aperto?”. Un grugnito fu la risposta, ed io risi, soddisfatto. Kagome mi guardava perplessa. Aveva tutti i capelli arruffati, causa la corsa che avevamo appena fatto per fuggire ai giornalisti.

La porta si aprì, ed entrambi concentrammo l’attenzione sulla donna mora che aveva aperto. Giovane, vent’anni, morbide curve e un volto con un non so che di infantile.

“Oh, Inuyasha! Sesshomaru, hai visto? C’è Inuyasha!”, urlò verso l’interno. Un altro grugnito. Mi domandai del perché, mentre mio fratello compieva gesti che tradivano la sua umanità acquisita, essendo lui demone, io non lo vedevo mai. Solo Rin aveva questo onore.

“Ciao Rin”, la salutai, sorridendo, “Ehm… abbiamo un problema”.

Rin posò lo sguardo nocciola su Kagome, e poi nuovamente su di me.

Inuyasha! Ti sei sistemato finalmente!”, quasi urlò. Io arrossii, e anche Kagome.

“Non te li do i soldi per il matrimonio!”, disse la voce gelida di Sesshomaru da dentro. Uhm, dovevo ammettere che non era da lui, forse Rin lo aveva cambiato più di quanto credessi.

Kagome divenne porpora, ed io mi decisi a rispondere alle imbarazzanti tesi che stavano facendo su noi due.

“Lei non sta con me! Cioè, sta con me, ma non sta con me”, dissi, impacciato. Rin mi guardò, perplessa, prima di spalancare l’uscio.

“Volete entrare?”, domandò ridendo, una risata cristallina.

Feci cenno a Kagome di precedermi, con una cavalleria che non avevo mai posseduto prima. Lei entrò, ancora rossa, e Rin la vide bene, e alla luce.

Urlò.



“ODDIO!”.

Sobbalzai, spaventata, mentre un demone, simile a Inuyasha ma più alto e adulto, affiancava Rin in meno di mezzo secondo.

“Che succede?”. Quella voce gelida mi fece rabbrividire, ma nel suo sguardo leggevo preoccupazione sincera per quella ragazza. Inevitabilmente, sorrisi.

Sesshomaru… tuo fratello…”, balbettò lei, stringendo la mano del demone che, senza che io l’avessi vista, ora era poggiata sulla spalla di lei. Come faceva Rin a sentirsi a suo agio con una creatura simile in casa? Era completamente diverso da Inuyasha, impacciato e rumoroso.

“… tuo fratello mi ha portato Neko dentro casa!”, esclamò Rin, ritrovata la voce e l’energia.

“Uhm, tua moglie sembra shockata”, disse Inuyasha ridacchiando, entrando e chiudendosi la porta alle spalle. Il fratello lo fulminò, mentre io fissai Rin incredula. Come era possibile che fossero sposati? Lei dimostrava massimo venti anni!

Inuyasha, non è ancora il mio compleanno! … , in realtà tu non lo hai mai voluto sapere, ma comunque non lo è”, disse Rin, con una nota di tristezza. Mi ritrovai a fissare Inuyasha male, assieme a Sesshomaru.

Lui sembrò accorgersene, perché sviò il discorso.

, non volete sapere che ci faccio qui? Visto che lo hai fatto notare, Rin, sai bene che non avrei mai messo piede dentro casa tua!”, disse scocciato, andandosi a sedere senza neppure chiedere il permesso.

Istintivamente, gli tirai una scarpa, rabbiosa, sotto lo sguardo sorpreso della mia ammiratrice, una dall’aria di avere tutta la mia discografia.

“Mi hai fatto male!”, ringhiò Inuyasha, voltandosi verso di me.

“Non ci si comporta così in casa d’altri! Vi prego, perdonatelo, è un cafone, lo so, se vedeste come era ridotta casa sua prima del mio arrivo”, mi lamentai, fissando i due padroni di casa. Una mi fissava sorpresa, e con un non so che di malizioso, mentre l’altro, con espressione illeggibile, sembrava orgoglioso del mio modo di fare dal modo in cui mi fissava.

“Fatti gli affaracci tuoi, dannata!”, sbraitò l’hanyou, ma io, impassibile, non feci altro che lanciargli l’altra scarpa: anche questa andò a segno in piena faccia. Rin scoppiò a ridere, mentre Sesshomaru accennò per meno di un secondo un debole sorriso.

Inuyasha, con volto imbronciato, brontolò:

“Ridete, ridete pure! E io che vi ho portato una star in casa”.

“Me se neppure mi conoscevi”, dissi io, scoppiando a ridere e aumentando l’ilarità della comitiva.

Sesshomaru tornò a sedersi, anche se sulla poltrona ben lontano dal fratello, mentre Rin mi accompagnò su un altro divano, sistemato di fronte a quello interamente occupato da Inuyasha.

“Allora, non credete di doverci una spiegazione?”, chiese Rin, fissandomi sognante. Capì che si aspettava di vedermi parlare e, sospirando, cominciai il racconto, del quale anche Inuyasha era all’oscuro.

“Vedete, al mio ultimo concerto…



“Tu hai occupato casa mia per un motivo così stupido?”, domandai fissandola incredulo. Lei mi fulminò, e con lei Rin.

Inuyasha, lo sponsor di Kagome è una delle persone più ricche ma anche più crudeli di tutta Tokyo!”, si lamentò Rin, mentre Kagome annuiva tristemente.

Io sentii la rabbia crescere dentro di me: l’aveva chiamata per nome, e non mi andava giù. Forse perché sapere il suo nome, che aveva appena rivelato a mio fratello e alla moglie, lo ritenevo un onore, un qualcosa di personale.

Ma perché mi stavo facendo simili castelli mentali per uno stupido, stupidissimo nome? Scossi il capo, deciso a cacciare via quei pensieri.

“Vieni Kagome, avrai fame dopo quella fuga!”, disse Rin, prendendola e conducendola in cucina. Io sbuffai; se qualcuno doveva avere fame, dovevo essere io!

Chi era saltato sui tetti della città con Kagome sulle spalle? Io!

Chi si era accorto dei giornalisti? Sempre io!

Sesshomaru si alzò, e mi guardò.

Seguimi”, sussurrò, avviandosi in balcone. Confuso, lo seguii, senza capire il perché di quel cambiamento. Normalmente non mi parlava mai.

Forse voleva compiere omicidio lontano dal divano per non macchiarlo di sangue, era decisamente da lui.

Avevo portato Kagome da Sesshomaru conscio del pericolo, sapendo bene che, sia per lui che per Rin, non ero un ospite gradito. Ero rimasto sorpreso quando lei mi aveva sorriso e mi aveva fatto entrare.

Non me lo meritavo dopo quello che le avevo detto due anni prima.

Crudele. Ecco cosa ero stato.

“L’odore di quella femmina è forte”, sentenziò Sesshomaru rompendo il silenzio. Lo squadrai.

“Non sono come te, Sesshomaru”, risposi acido. Ecco, l’avevo fatto di nuovo. Perché non riuscivo a comportarmi come avrei voluto? Perché dovevo fare sempre il cattivo della situazione?

La verità era che volevo solamente riappacificarmi, volevo solamente che noi due ci comportassimo come veri fratelli. Volevo solamente chiedergli scusa.

‘Scusa per quello che ho fatto, scusa per quello che detto, scusa per come mi sono comportato’… possibile che non riuscissi ad esprimermi?

“Non hai il diritto di criticare”, sibilò Sesshomaru, ghiacciandomi con un’occhiataccia. Abbassai le orecchie, colpevole.

“No, infatti… s…”, cominciai, arrossendo. Ma si può arrossire mentre parli con tuo fratello?! Lui mi fissava confuso – o meglio – intuivo la sua confusione.

sc…”, balbettai nuovamente, terribilmente nervoso. Ecco che sul suo volto appare un sorriso soddisfatto. Maledetto!

“Scarpe! Kagome mi ha fatto davvero male con quelle scarpe”, brontolai, voltandomi dall’altra parte. Lo sentii ridere – di nuovo mentre non lo guardavo – perché aveva capito benissimo dove volevo arrivare.

“Sei uguale a nostro padre, troppo orgoglioso”, disse, riottenendo la sua solita espressione, ma con un debole sorriso soddisfatto.

“Tu invece non gli somigli affatto! Troppo… freddo”, risposi io quasi schifato.

“Gli somiglio eccome”.

“Ah sì? E dove, di grazia?”, domandai sicurissimo di vederlo incapace di trovare una somiglianza. Non riuscii ad assaporare a lungo questa soddisfazione.

“Ho sposato Rin”. Lo fissai senza poter ribattere, e sentii un’incredibile senso di colpa stringermi il cuore. Abbassai le orecchie, tristemente.

S… scusa”, dissi mordendomi un labbro, “sapevo bene che non si può resistere al profumo della persona prescelta, ma nonostante tutto… io…”. Eccomi di nuovo in difficoltà con le parole.

Inuyasha, pensi sempre e solo a te stesso. Credi che sia stato facile per me? Come credi che mi sia sentito quando Rin mi è passata davanti, e in un attimo ho capito che cosa sarebbe successo? E Rin? Aveva solo diciotto anni”, mi rimproverò lui, con il suo tono gelido.

“Lo so, ma tu non pensi a Kagura?”, sbraitai di colpo, “non pensi a come si sia sentita?”. Sesshomaru assunse per un solo attimo un’espressione frustrata e malinconica.

Inuyasha”, mi richiamò severo, ammutolendomi, “io amavo Kagura”. Lo fissai, incredulo per quello che mi stava dicendo.

“E volevo anche che noi due ci riappacificassimo. Ma eri tu ad avere torto, e il mio orgoglio mi impediva di venirti a cercare”, aggiunse stringendo i pugni.

Mi convinsi che gli alieni avevano rapito mio fratello. Perché quello non era Sesshomaru. Ci misi diverso tempo per comprendere che era davvero lui, e che Rin aveva fatto miracoli. E che stava dicendo – a modo suo – che mi voleva bene! Boccheggiai, incapace di trovare qualcosa da dire, così lui continuò.

Kagura mi sta ancora aspettando, perché lei, a differenza tua, aveva capito tutto. E anche se so che dopo la morte di Rin non vivrò a lungo, lei ha accettato di dividere quel breve periodo della mia vita insieme”.

“Non avrei mai creduto che Kagura fosse così paziente”, ammisi, osservandolo ancora incredulo. Continuavo a cercare segni che confermassero un rapimento alieno, un avvelenamento, una sostituzione, ma sembrava proprio mio fratello. Ah ecco, trovato! Gli avevano fatto il lavaggio del cervello, era l’unica.

Inuyasha, sto parlando sul serio”, mi riprese gelido, vedendo che stavo annuendo da solo perso nei miei pensieri.

S… sì, scusa”, dissi. Incredibile, due scusa in meno di cinque minuti. Se stava registrando la conversazione poteva ricattarmi.

“L’unica persona che credevo mi avrebbe odiato mi ha appoggiato, e viceversa l’altra ha odiato me e Rin.”, disse squadrandomi, “Dimmi, con quale coraggio oggi ti sei presentato qui?”.

Ecco… non è che io odiavo Rin…”, cominciai in difficoltà. Sesshomaru mi fulminò. Ecco, ora lo riconoscevo, di nuovo con quel suo impassibile sguardo.

O… ok, ma solo perché sono il migliore amico di Kagura, altrimenti io…”.

Venni percorso dai brividi mentre Sesshomaru si scrocchiava le nocche osservandomi con sguardo omicida.

“E va bene, lo ammetto! La odiavo, perché in un sol colpo si è portata via mio fratello, la mia migliore amica e la mia casa!”, quasi urlai, tirando un pugno al parapetto in marmo, crepandolo.

Lui spalancò gli occhi, confuso.

“Sì, non capisci vero? Semplice invece, tu sei andato via, e cosa credi abbia fatto tua madre? Mi ha cacciato, ovvio!”, sbraitai, sputandogli addosso tutto quello che avevo pensato in quegli anni, “E cosa dire di Kagura? Abita a casa nostra come tua promessa sposa, e tua madre non mi fa mettere piede lì senza tentare di farmi uccidere. E lei non mi vuole vedere! Come potrebbe? Ti assomiglio troppo, anche pensarmi la fa soffrire. Non posso neppure telefonarle che scoppia a piangere. Sì, non guardarmi inebetito, Kagura! Quel pezzo di marmo che non piangeva nemmeno se gli ammazzavi davanti venti ragazzini!”.

Sesshomaru continuò a fissarmi sconvolto senza dire una parola, mentre io ansimavo, riprendendo fiato.

I… Inu…”, cominciò, cercando di riprendersi.

“NO, MALEDIZIONE! STAI ZITTO!”, urlai, facendolo sobbalzare, “Odio Rin per il semplice fatto che non riesco a odiare te! E sono venuto comunque qui perché… perché…”. Oddio, che mi stava succedendo? Perché ero andato lì? Sesshomaru continuava a fissarmi pietrificato, con la sua espressione sorpresa – che sottolineiamo, è impassibile, ma io capisco che è sorpreso quando la fa – mentre io boccheggiavo fermo su quel ‘perché’.

Inuyasha, come credi ti sia sentita tua madre sapendo di poter essere solo la numero due?”. Spalancai gli occhi, fissandolo. Che cosa stava dicendo?

“E come pensi si sia sentita la mia sapendo che l’uomo che amava la tradiva? Io… io non volevo ripetere l’errore di nostro padre. Ecco perché ho sposato Rin. Io ho scelto, quello che lui non ha mai avuto il coraggio di fare. Ho scelto di far soffrire un’unica persona”, terminò, tornando a guardare il cielo stellato. Io abbassai le orecchie.

Proprio io, il figlio di una relazione simile, colpevolizzavo mio fratello per aver evitato un’altra situazione come la mia.

“Quella ragazza è importante?”, domandò, spezzando il filo dei miei pensieri.

“Ma se la conosco da due giorni?”, risposi arrossendo.

“Io ci ho messo cinque secondi a capire che Rin era importante. I tuoi istinti demoniaci saranno pure ridotti ma non sei certo stupido”, disse lui, guardando dall’altra parte.

“NO, tu non sei Sesshomaru! Ridatemi mio fratello!”, urlai, incredulo. Lui mi fulminò, pietrificandomi. Onde evitare che un’enorme demone cane mi aggredisse sul balcone, decisi di rispondere alla domanda precedentemente postami dal mio – probabilmente fasullo – fratello.

Il pizzicore al naso aumentò a quel pensiero, divenendo quasi insopportabile.

“Sì, credo sia importante”.



Rin mi portò a vedere la sua collezione, composta da una quantità impressionante di miei poster, ogni gadget possibile immaginabile, la mia intera discografia – ovviamente – e biglietti di miei concerti appesi ai muri.

Ma la cosa che più mi sorprese era la stanza dove tutto ciò si trovava. Un’enorme camera insonorizzata, con dentro una batteria che imperava al centro della sala, due chitarre elettriche, un’acustica, un basso, un pianoforte e, ciò che catturò la mia attenzione, un microfono appeso alla sua asticella.

Dovevo avere le lucette agli occhi, perché Rin mi chiese:

“Ti piace? Vorresti cantare mentre suono?”.

C… cantare?”, domandai imbarazzatissima, “E tu suoni?”.

“Certo, il pianoforte! La batteria è di Sesshomaru, anche se lui sa suonare tutto in realtà”, ammise lei, sbuffando, “E io che ci ho messo anni per imparare a suonare il piano! Lui sa fare anche la Campanella di Liszt!”.

Non conoscevo la Campanella di Liszt, ma sembrava difficile da come l’aveva detto.

“Comunque, so suonare ‘Why don’t you?’, ti va di provare? Per me sarebbe un onore!”, continuò lei con la sua allegria. Non amavo molto quella canzone, non più almeno. Era un mio singolo, ma adesso la ritenevo troppo infantile, un testo povero di sentimenti, sembrava scritto dalla prima ragazzina con una cotta che passava per strada. Ma non potei evitare di concederglielo, e così Rin si sedette alla sua postazione, mentre io presi in mano il microfono, staccandolo delicatamente dal supporto.

L’accompagnamento cominciò, e io attesi ad occhi chiusi il mio momento.

“Sit down on the sand

I was thinking at you

You always played with your friends

You never asked me if I wanted to play too”

Cantai senza pensare troppo, non potevo sapere che oltre la porta socchiusa qualcuno mi stava ascoltando, con pensieri che mai avrei immaginato nella sua mente.

Mi accorsi solo che in quel momento il pizzicore al mio naso era svanito.







Allora allora, per la storia del profumo è la stessa di “Profumo”. Per chi non l’abbia letta… leggetela ù.ù

No, scherzo ovviamente, la rispiegherò brevemente nei prossimi capitoli ^^



Ringraziamenti:

-Roro: Non so in che lingua chiederti scusa. Ho paura tu sia arrabbiata per essere sparita, scusa davvero ç.ç Spero ti sia piaciuto il cap *terrore* … SCUSA!!!!! ç.ç *offre in dono la pelliccia di Sessho su un piccolo altare, accende un incenso e si allontana, inchinandosi ogni tre passi*

-Kaggi_inu91: PERDONO! ç.ç Anche a te lo chiedo, lo chiedo a tutti! Non mi merito di essere vostra parente nella nostra famigliola, sigh T.T I guai sono arrivati, hoi paura che Sessho sia troppo OOC, ma mi serviva di farlo così in questo cap >.> Chiedo perdono, tornerà immediatamente gelido come una blocco di ghiaccio ù.ù

-Onigiri: SCUSA!!! *un’altra volta inchino T.T* Temo Sessho sia venuto male, non trovi? Ma come ho già detto mi serviva così >.> Forse mi sono dilungata un po’ troppo sui due fratelli, ma in fondo in capitolo doveva essere incentrato sulla loro storia ù.ù Spero ti sia piaciuto, ancora scusa ç.ç

-Ary22: Complimenti, hai indovinato! ^^ Era proprio Sessho! A proposito…. Scusa anche a te!!! ç.ç Sigh, sob, sniff *disegna i cerchietti in un angolino*

-Bchan: Maledetti verbi! XD Mi fanno dannare, per quanto io ricontrolli me ne perdo sempre qualcuno! Mi piace tanto scrivere in prima persona, ma le “i” dei verbi mi fregano sempre. Grazie, mi fa piacere che mi si facciano notare gli errori, mi impegnerò per ricontrollare meglio ^^ Anche a te… SCUSA!!! ç.ç

-Emiko92: Te sei l’unica *incredibile ma vero* con qui non devo scusarmi, non di nuovo almeno, dato che l’ho già fatto 1000 volte >.>’ Non ti preoccupare per i commenti, so che leggi e questo è l’importante ^^ *ovvio che lo so, te la leggo io in diretta ogni volta ù.ù* Riguardo lo staff… statevene un po’ buoni, CHIARO?? è.é *lo staff si accumula terrorizzato in un angolino* Ecco fatto, tutto a posto ora ù.ù

-Jessy101: Jessjess *i miei stupidi nomignoli -.-*, chissà chissà se la tua teoria è giusta o meno! Lo scoprirai solo leggendo ^^ Sono felice che la storia ti stia piacendo, e chiedo scusa anche a te per il ritardo ç.ç SCUSA!!!!! ç.ç

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Capitolo 5
*** Istinto ***


Questo capitolo finisce con suspence! XD *adoro quand’è così!*

Dico immediatamente, la canzone citata non è di Kagome *alias mia*, ma è Eternal Snow di Full Moon Wo Sagashite. E Rin è ispirata alla rin di LdC di Roro-chan! XD *me approfitto delle idee altrui mode on!*

Aryuna

Istinto




 

 

 

“Oggi cucino io!”, esordì la piccola Rin, avviandosi allegra verso la cucina dopo la nostra esibizione. In effetti, nonostante il nostro programma originario fosse mangiare, non avevamo ancora risolto nulla. Erano le tre, ed ero affamata. In salotto, trovammo un Inuyasha che ci fissava terrorizzate e un Sesshomaru che, se possibile, era ancora più inpanicato.

“Ma no, Rin, figurati!”, intervenne Inuyasha, agitando le mani davanti al volto, “ordiniamo una pizza, ti va? Anzi, no! Prendiamo qualcosa al ristorante cinese!”.

Alle tre di notte? Mi preoccupai di queste reazioni, avevo un pessimo presentimento.

“No no, non abbiamo mai ospiti, voglio cucinare!”, insistette la ragazza, dirigendosi tutta saltellante verso la cucina. Io la seguii, intenzionata ad aiutarla  o – nell’eventualità, come sembrava, di un pericolo pubblico – di cucinare al suo posto.

Eventualità che non si fece attendere.

Rin, a che ti serve lo zucchero?”, domandai, mentre metteva sul tavolo ingredienti vari.

“Ma per il pollo, ovvio!”, disse allegra. Lessi la ricetta aperta sul tavolo. Pollo arrosto. Non criticai la pesantezza del piatto, in quel momento avevo troppa fame, ma il problema era diverso. Non comprendeva zucchero.

“Ehm, Rin! Ma lo sai che mi voglio sdebitare per la tua gentilezza?”, cominciai con voce dolce e smielata. Lei, non sospettando nulla, si voltò nella mia direzione, commossa.

“Oh, Kagome! Non devi dirlo neanche per scherzo. Sarai sempre benvenuta qui!”. Forse era solo una mia impressione, ma ero sicura di aver sentito Sesshomaru ringhiare nella stanza accanto.

“Permettimi di cucinare al tuo posto, allora”, la pregai, congiungendo le mani.

Kagome, no! Davvero, non devi preoccuparti”, disse lei, sempre più commossa.

“Davvero Rin, non riesco a pensare che tu stai facendo tutto questo per me senza che io possa sdebitarmi!”, insistetti, con tono quasi disperato.

Rin mi fissò, con le lacrime agli occhi. Poi, prima che potesse ribattere ancora, Sesshomaru apparve alle sue spalle, in un altro di quei movimenti a cui non potevo abituarmi.

“Lasciala fare, Rin”, le sussurrò all’orecchio, freddo ma – incredibilmente – dolce. Rin sorrise, rassegnata, mentre Inuyasha, decisamente più lento e rumoroso del fratello, ci raggiunse con espressione schifata – suppongo per la scena sdolcinata tra i due coniugi.

“Anche io voglio sdebitarmi”, disse, affiancandosi a me. Io lo fulminai, presa dal sospetto che volesse controllare non avvelenassi il cibo.

“Posso fare da sola”, sibilai, già offesa. Era mia abitudine saltare a conclusioni affrettate. Lui mi lanciò un’occhiataccia, decisamente spaventosa, tanto che sobbalzai.

“Ho detto: Anche. Io.”, sillabò tra i denti, con due occhi che non ammettevano – ne permettevano – ulteriori repliche. Erano magnetici, non riuscivo a distogliere lo sguardo, e il pizzicore al naso tornò. Strano, sembrava fosse la sua presenza a farlo smettere, e allora perché ora tornava? Cosa voleva che facessi, il mio misterioso naso? Forse era un modo per dire che aveva fame. Comunque, lui si concentrò nuovamente su Rin, liberandomi dalla prigionia dei suoi occhi dorati. Il pizzicore terminò nuovamente.

“Facciamo noi due, va bene?”, le disse, sorridendogli. Sembrava quasi si volesse far perdonare, e Rin era commossa come non mai, sull’orlo del pianto. Avevo capito dai loro enigmatici discorsi che in quella famiglia c’era un problema, un litigio credo. Inuyasha voleva farsi perdonare, a quanto pare. Non potei evitare di sorridere, e di concedergli di affiancarmi ai fornelli. Tanto, conoscendolo, anche se non avessi voluto sarebbe rimasto comunque. Silenzioso, si mise a preparare il contorno, mentre io mi concentravo sul pollo e facevo sparire lo zucchero.



 

Kagome era decisamente brava in cucina, l’esatto opposto di Rin. , almeno eravamo scampati ad un’intossicazione alimentare.

Dalla cucina potevo ascoltare i discorsi di Sesshomaru e Rin – prevalentemente di Rin, dato che mio fratello non parlava – mentre si facevano i loro filmini mentali sulla relazione mia e di Kagome.

“Quanto credi resisterà al profumo di Kagome? Non era carino, quando si è offerto di aiutarla?”, cinguettava Rin tutta emozionata. Sesshomaru grugniva in risposta. Meno male che era tornato mio fratello, gli alieni dovevano aver abbandonato la loro postazione sul pianeta Terra.

“Scommetto che entro stasera si dichiara!”. Arrossii terribilmente. Come faceva a parlare così? Probabilmente non aveva capito che dal salotto alla cucina, e viceversa, noi demoni sentivamo tutto. Osservai Kagome, completamente rapita negli aromi. Il pizzicore divenne insopportabile, e dovetti distogliere subito lo sguardo, per evitare di tagliare il mio dito invece del ravanello sul tagliere.

“Kimi wo suki ni natte

dore kurai, tatsu no kana

Mi immobilizzai, mentre il pizzicore diventava addirittura doloroso. Com’era possibile che fosse aumentato così tanto in così pochi giorni? Ricordai la frase di Sesshomaru, sull’importanza delle persone. Ammettere che Kagome era importante poteva aver complicato le cose? Non lo sapevo, ma la sua voce lo stava sicuramente facendo. Ma trovavo dipendenza dalla sua voce, mentre cantava. Non riuscivo a chiederle di smettere.

Kimochi fukurande yuku

bakari de”

Cominciai a valutare seriamente l’opzione di tagliarmi il dito, così avrebbe smesso di cantare per evitare che mi dissanguassi. Avrei dovuto sopportare Sesshomaru che mi canzonava per essermi tagliato, ma…

Ma non avrebbe funzionato. La situazione stava degenerando, e io lo sapevo. Voce o non voce, il problema era la sua presenza. Il problema era il suo odore.

Yuki no yori tadashizu kani

Furitsumori tsutsukete yuku

E, soprattutto, non potevo privarmene. Era una sofferenza averla accanto senza che fosse mia, non averla affatto… sapevo che quando si trovava una compagna era questione di vita o di morte. Uno youkai doveva saper tenere le proprie emozioni.

Ed era questo il problema.

Io non ero uno youkai. Io non sapevo essere gelido come mio fratello. Perché il mio sangue umano andava contro quella natura. Non potevo privarmi della presenza di Kagome né trattenermi perché mi mancava la freddezza per farlo. O il masochismo, a differenza di come si voleva vedere la scena. Avevo visto gente soffrire per questo, Kagura, e la ritenevo decisamente masochista.

“Hold me tight, konna omoi nara

Dareka wo tsuki ni naru kimochi

Shiritaku nakatta yo

Mi accorsi che le fette di ravanello erano diventate una pappetta confusa per quanto l’avevo tritate.

“I love you, na…

“Ahi!”, urlai, interrompendo la canzone. Ok, sentire quelle parole sulle labbra di Kagome mi aveva sconvolto. E tanti saluti al dito… o alla mano, notai meglio, scoprendo il taglio sul palmo. Perché non mi ero tagliato per errore, ma avevo stretto la lama convulsamente, per trattenere un istinto non ben identificato di saltare addosso a Kagome.

Inuyasha, tutto bene?”, domandò subito lei, avvicinandosi preoccupata. Pessima mossa. Il suo odore mi colpì con una forza a cui non potevo opporre resistenza. I miei occhi schizzarono nei suoi, imprigionandoli. Ma il contatto venne interrotto.

“Ci penso io”, disse Sesshomaru, parandosi tra di noi. Kagome, preoccupata, annuì, mentre mio fratello mi tirava via dalla cucina in malo modo, seguito da una preoccupatissima Rin.

Inuyasha, se sei figlio di nostro padre trattieniti, per la miseria!”, esclamò Sesshomaru, praticamente lanciandomi addosso al lavandino del bagno. Era di nuovo posseduto, o mai e poi mai sarebbe venuto in mio aiuto. Né avrebbe mai detto ‘per la miseria’. Rin lo superò, con disinfettante e tutto, e fu allora che ricordai di essermi squartato una mano con un coltello.

Nulla in confronto all’attuale pizzicore del mio naso. Come potevo affrontare la cena in queste condizioni?  Sarei saltato addosso a Kagome in meno di mezzo secondo. Anche ora avevo la tentazione di correre in cucina.

Inuyasha, ricomponiti”, disse Sesshomaru, facendomi sobbalzare per l’autorità della sua voce, “io non sono saltato addosso a Rin”.

“Tu! Io non ci riesco! Tu e la tua maledettissima freddezza!”, sbraitai io, mentre Rin cercava di tenere ferma la mia mano. Stavo facendo schizzare sangue ovunque, riducendo il bagno stile Psyco. Era la prima volta che davvero invidiavo l’autocontrollo di mio fratello. Così era ingestibile.

“Non ti rendi neppure conto? Quella ragazza non è umana”, sibilò Sesshomaru. Rin alzò la testa, come se avesse toccato un argomento a lei caro. Io ripensai alla frase di Koga. Odore di gatto.

“Lo deve essere per forza, non ha nulla di demoniaco”, risposi, ignorando entrambi. Era impossibile, non poteva essere un demone. Solo una coincidenza.

“Ma hai sentito la sua voce?”, mi rimproverò lui, “hai sentito come canta? Quella non è la voce di un essere umano! E oltretutto il suo odore…”.

“Lei è famosa proprio per questo! La chiamano l’umana con la voce di un demone”, lo interruppe Rin. Noi due la fulminammo nello stesso istante.

“Non ora Rin!”. Lei, offesa, si concentrò nuovamente sulla mia fasciatura. Sesshomaru tornò a fissarmi, severo, quando la voce di Kagome chiamò dal corridoio.

“Dove siete?”, chiese, vagando per la casa. Non appena si avvicinò, ecco il suo odore che tornava a torturarmi. Fece capolino, lentamente, vedendo la luce accesa e la porta aperta. Il suo stupore mi fece capire che dovevo aver ridotto il bagno davvero male.

Ehm…”, cominciò, distogliendo lo sguardo dalle macchie cremisi sparse ovunque, “il… il pollo è pronto. Come stai, Inuyasha?”. Arrossì a quella domanda, e questo mi rese perplesso. Ma il rossore sulle sue guance scatenò anche un’altra reazione in me. Sesshomaru se ne accorse subito, perché intervenne nel discorso.

“Forse è meglio se voi andate a tavola”, propose, “finisco io qui, e poi vi raggiungiamo”. Rin annuì rapidamente, ancora offesa per prima, e portò via Kagome.



 

“Non vengono”, dissi preoccupata, fissando i loro piatti ormai freddi. Forse la ferita di Inuyasha era peggiore di quanto voleva far credere. Rin mi sorrise, come a rassicurarmi, ma non parlò. Accese la televisione, su un canale musicale, e cominciò a sparecchiare.

“Mangeranno più tardi in cucina”, disse vedendo il mio sguardo interrogativo. La aiutai a pulire il tutto, e anche a fare i piatti. Sobbalzai, quando mi capitò sotto mano il coltello con cui si era tagliato Inuyasha, ancora sporco di sangue.

“Chissà come sta”, sussurrai tra me e me, lavando la lama. L’occhio mi cadde su un adorabile cucù appeso al muro. Le cinque del mattino.

“Avrai sonno”, concluse Rin, “vieni, ti presto qualcosa per dormire”. Erano tutti così gentili con me, mi sentivo tremendamente fuori posto.

Ed ero sempre più preoccupata. Rin mi diede degli abiti un po’… , non proprio casti. Era una camicia da notte nera con spalline, di pizzo, decorata da fiocchetti rosa e che metteva in risalto il seno. Era lunga lo stretto – ma che dico, strettissimo – necessario, ma almeno aveva anche delle culottes abbinate – mi sarei aspettata un tanga – che non mi facevano sentire del tutto osé.

Ma la cosa che più mi scioccava era… Rin mette roba simile?! Questa Rin? Questa innocentissima ragazza che sembra quasi più piccola di me? Ok, è già sposata ma…

Non dovevo pensarci, o non sarei riuscita a dormire.



 

Guardai l’orologio per l’ennesima volta. Le undici e mezza. E non avevo chiuso occhio. Come potevo? Il mio naso, e ormai non solo quello, ma ogni mio muscolo, non mi dava tregua. Sapevo che Kagome era distante dalla mia stanza, Sesshomaru aveva preso tutte le precauzioni del caso, ma la nostra lontananza non faceva che rendermi più nervoso.

E il peggio era che dovevo andare al bagno. Il bagno era vicino alla stanza di Kagome. La porta della stanza di Kagome era pericolosamente socchiusa. Lo sentivo dai cigoli che faceva di tanto in tanto quando veniva leggermente spostata dall’aria.

Potevo resistere ad un’innocentissima porta socchiusa? Decisi di sì, e mi alzai. In effetti, trattenendo il respiro nel tratto di corridoio incriminato, riuscii a raggiungere il bagno senza problemi.

Il ritorno non fu altrettanto semplice. Sperai che un po’ del suo odore riuscisse ad alleviare quel terribile pizzicore, ma sbagliai. Fissai i miei occhi su di lei, attraverso la fessura della porta, sufficientemente ampia per vedere completamente il suo letto. Venni percorso da un brivido, quando la vidi. Era accoccolata in posizione fetale, la camicia da notte che le lambiva la vita, lasciando scoperte parte della pancia e della schiena. Le gambe lisce erano delicatamente piegate l’una sull’altra, i piedi intrecciati nel lenzuolo abbandonato in fondo al letto, le braccia che abbracciavano il cuscino, leggermente storto. I capelli neri erano sparsi, in disordine – affascinanti – la palpebre chiare e le folte ciglia a celare le pozze cioccolato. Le labbra dischiuse – tentazione – il petto che si muoveva al ritmo del suo respiro – sensuale – tutto in lei era così perfetta che non mi sembrava quasi vera.

E il suo odore. Agrodolce, così fresco e inebriante, sapevo che quella stanza ne era piena. Venni percorso da pura elettricità, quasi sicuro di perdere il controllo. Automaticamente spalancai la porta, e lei si svegliò di colpo, tirandosi su con le braccia, in allarme, e fissando gli occhi profondi – liquidi – su di me.

Inu…”, biascicò, con voce impastata – irresistibile – dalla stanchezza, “Inuyasha”.

Cercai di mantenermi immobile con quell’autocontrollo che non possedevo. Mentre una voce nella mia testa mi ammoniva, ‘Inuyasha, esci e fai finta di nulla’, un’altra mi urlava il contrario.

“Che succede?”, mi chiese, confusa, socchiudendo gli occhi, strofinandone uno con il dorso della mano. Così tenera. Non potevo rifiutargli una risposta.

“Controllavo se eri sveglia”, mentii, “per… preparare la colazione”. Mi sorrise debolmente, come ringraziamento per il pensiero.

“Come va la mano?”, domandò, sedendosi sui talloni e sistemandosi la camicia da notte. Sembrò ricordarsi solo in quel momento com’era vestita, perché si affretto a coprirsi, per quanto era possibile con quell’indumento striminzito. Ero rapito a fissare una spallina scesa, che lei si affrettò a tirare su.

“L-La mano?”, chiesi confuso, stringendola per essere sicuro di avere una mano, “Ah, la mano! È tutto a posto”. La mostrai, per confermarlo, sorridendogli. Lei sorrise a sua volta, arrossendo.

Fissai le sue guance mentre si imporporavano, le lunghe ciglia abbassarsi per nascondere gli occhi, il capo che s’inclinava, mostrando la delicata linea del collo, la spalla scoperta, bianca. Perfetta.

Da quel momento in poi, non capii più niente.



 

Spostai nuovamente lo sguardo su Inuyasha, e vidi che nei suoi occhi c’era qualcosa di strano. Mi fissavano come se… come se mi stesse mangiando con gli occhi. Questo mi fece sentire terribilmente a disagio, tanto che allungai un braccio per prendere il lenzuolo in fondo al letto. Mi ero sistemata, ma a quanto pareva il completo di Rin era più… vistoso di quanto credessi. Vidi la mano di Inuyasha prendermi il polso, con un movimento veloce… come Sesshomaru. Mi voltai verso di lui, confusa, trovando il suo volto a pochi centimetri dal mio, gli occhi dorati che incatenarono i miei, una gamba piegata sul letto. Mi spinse contro il muro, imprigionandomi anche l’altro polso, mentre continuava a tenere in suo volto così vicino. Talmente vicino, che cominciai a desiderarlo, tanto il suo odore –così dolce, così selvatico – in quel momento sembrava aria per me. Sembrava cercare di trattenere qualche istinto, perché abbassò lo sguardo, liberando i miei occhi, per qualche breve istante, da quell’ipnosi misteriosa.

Respiravo affannata, senza sapere il perché, e lo stesso valeva per lui. Uno strano istinto, mai sentito prima, stava prendendo il controllo di me. Quando mi baciò, fu come se pura elettricità scuotesse il mio corpo, chiedendomi qualcosa che non riuscivo ad interpretare. Mi adagiò sul letto, lui sopra di me, mentre cercava di approfondire il bacio, ma non avevo più un serio controllo di me stessa. Cercavo solo di trattenermi. La sua mano destra passò dietro al mio collo, mentre l’altra mi carezzava la spalla, provocandomi brividi. Le mie braccia si allacciarono dietro la sua schiena in automatico, nello stesso istante in cui le mie labbra si dischiusero, permettendogli di approfondire il contatto. Gemetti sotto le sue carezze, arcuando il mio corpo contro il suo, percependo il suo calore, assaporando il suo sapore unico. Sentì la sua mano abbassarmi una spallina, mentre lasciava le mie labbra per baciare la mia spalla scoperta. Un nuovo turbine mi travolse, di nuovo chiedendo qualcosa che non riuscivo a capire.

Avevo paura. Non ero più io, non avevo il controllo di me. Non volevo che succedesse questo, non adesso almeno. Volevo conoscerlo meglio, uscire insieme, avere bei ricordi del tempo passato assieme. Qualcosa che desse importanza a quel gesto. Che senso aveva, se non avevo ancora sviluppato amore nei suoi confronti?

Il panico prese il posto dell’energia che mi percorreva, e sentii il sangue ribollirmi nelle vene. Le mie dita si strinsero alla schiena di Inuyasha, mentre fissavo il suo collo, terrorizzata.

Un nuovo istinto prese il controllo di me. Strinsi ancora più i pugni, e lo morsi, convinta di non fargli davvero male, ma almeno di fargli capire di allontanarsi da me.

Invece, Inuyasha urlò.









 

 

 

 

Ricordate di Commentare per supportare noi poveri scrittori! COMMENTATE!!! XD



 

 

Ringraziamenti:

-Roro: Che ne dici de ‘L’eterno indeciso’ di questo cap? ^^ Non è poi tanto indeciso! XD Come ti ho detto, ricorda Takuto, ma questa scena l’avevo progettata prima ancora di leggere FMWS stata una delle prime scene!* Un bacione, mia commentatrice perenne! ^^ *meno male, se no me disperata XD* P.S. Spero perdonerai la scopiazzatura della tua Rin in cucina *decisamente meno comica, ma l’hanno fermata in tempo stavolta! XD*

-Kaggi_inu91: Giulia-chan! ^^  Lord Fluffy continua a dondolare tra l’OOC e il normale, gli alieni non vogliono proprio staccarsi da lui! ù.ù Ma mi piace troppo l’idea che aiuti Inuyasha! XD Le canzoni di Kaggi le scrivo tutte io *tranne quella di questo cap, com’è citato in cima, stava canticchiando a caso >.>* Se ti piace Full Moon, ho postato una Shot *la mia prima shot!*, se ti va e hai tempo facci un salto! ^^ Baci!

-Ary22: Felice che ti sia piaciuto questo… scontro? Litigio? Rappacificamento? Non lo so bene neanch’io >.>’ Continuano a litigare, Rin è offesa e… , sorvoliamo sulla fine, ti va? XD *rossor* Inuyasha, Maniaco! *sembra di parlare con Miroku* Spero ti piaccia anche questo capitolo, bye! ^^

-Bchan: Spero non aver fatto disastri stavolta *falsa speranza, ci saranno di sicuro*, è un un macello considerando la quantità di descrizioni di questo capitolo >.> Spero ti sia piaciuto! ^^ Grazie sempre per i commenti *commenti sempre, almeno tu ç.ç*

-KaDe: Kaddy!!!! *.* *ecco un’altra che mi odierà per i soprannomi >.>’* Sono felice che tu stia leggendo la mia storia, davvero davvero happy! *.* , con me non mancano mai Sessho e Rin! Un bacio, ciao!

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Capitolo 6
*** Neko ***


Ok, farò un intro un po’ serio, per essere chiara e compresa.

Non ho più scritto per motivi scolastici, ma principalmente per motivi di salute. Mi spiace molto di non essere riuscita più a postare nessun capitolo, tantomeno a scrivere, ma il fatto è che non faccio praticamente nulla al computer da due mesi. So che mi capirete, perché mi avete sempre capito per molto meno, e vi sono molto grata per questo.

Spero che i miei problemi non si siano riversati sul mio modo di scrivere, e che il capitolo vi risulti piacevole come i precedenti. Appena potrò posterò anche le altre storie, ma non posso promettere nulla riguardo date o simili.

Grazie di tutto in anticipo, vi lascio al capitolo e agli scleri-risposte di fine capitolo!

Aryuna

Neko

 Cosa fare quando un manager è convinto che la propria cantante sia stata rapita?






 

 

 

Qualcosa di appuntito – affilato – mi penetrò la pelle, lentamente. Dolore. Urlai, scattando istintivamente indietro, riprendendo il controllo di me stesso. Sentivo nuovamente la mie braccia come parte del mio corpo, la mia mente era più lucida. Nonostante questo, ci misi del tempo per inquadrare Kagome, per capire cosa stava succedendo.

Quella non era Kagome.

La ragazza rannicchiata sul letto – spaventata – mi fissava con uno sguardo tagliente, luminoso. Occhi color del sole, pupille taglienti che sembravano trapassarmi. Potevo vedere i canini, luminosi, che sporgevano dalle labbra carnose. E poi…

Kagome!”, urlò Rin, apparendo dal corridoio. Accese la luce, e rimasi accecato. Sentì l’urlo di Rin, e un attimo dopo, Sesshomaru era apparso al suo fianco, sentivo il suo odore vicino. Mi abituai alla luce, e concentrai lo sguardo sui due alla porta. I quali fissavano con sconcerto Kagome. Sesshomaru in pigiama con la bocca spalancata era uno spettacolo da segnare sul calendario. Ma poi, il suo sguardo gelido si concentrò su di me, ed io deglutii. Prima che potessi vederlo, mi ritrovai schiantato a terra da un suo pugno.

“Brutto maniaco”, sibilò lui, fissando la mia schiena, “uhm… graffi. Hai anche gli artigli vedo, Kagome”. Mi sorpresi della freddezza con cui aveva pronunciato il suo nome. Era così gelido. Concentrai lo sguardo su Kagome, adesso abbracciata a Rin. Potevo vedere bene alla luce le orecchiette nere che si confondevano tra i capelli corvini, ma la cosa che mi colpì fu la lunga e folta coda, adagiata sul materasso, la punta che si agitava frenetica.

“Stupido fratello”, mormorò Sesshomaru, squadrandomi per l’ennesima volta, “andiamo in salotto, e cerchiamo di chiarire questa situazione”. Stavolta, era rivolto a tutti.



 

Tremavo.

Tremavo troppo. Possibile che non riuscissi a calmarmi? Sentivo ancora il sangue ribollire, e la mia mano tremava, mettendo in serio pericolo la tazza di tè che avevo tra le mani – con relativo contenuto. Inuyasha si teneva la testa tra le mani, dalla parte opposta del tavolo, mentre Sesshomaru continuava a tenergli una mano sulla spalla. Sembrava una guardia carceraria.

“Allora, Kagome. Cosa… , cos’è questo?”, mi domandò Rin, sedendosi accanto a me. Mi morsi un labbro, e sorrisi debolmente.

Ecco…”, cominciai, “il fatto è che… mio nonno era un demone gatto”. Inuyasha alzò la testa di scatto, facendomi sobbalzare. Era chiaramente incredulo. Era anche la prima volta che dicevo una cosa simile. Lo sapevano solo Miroku e Sango: fino a quel momento, almeno. E lo avevano scoperto in un modo… simile. Un incidente in macchina, ricordo. Nessun ferito, ma io mi ritrovai così, per la prima volta in vita mia.

“La voce da demone”, sussurrò Rin, improvvisamente capendo tutto. Io annuì, forzando un sorriso. Sentì la sedia di Inuyasha muoversi, lui aveva cercato di alzarsi. La mano di Sesshomaru sembrava stritolargli la spalla, per costringerlo a risedersi.

Ehm…”, mugugnai, decisamente confusa, “e adesso, qualcuno mi spiega cosa succede qui?”.


 

“CHE COSA?”, urlai, sconvolta. Avrei preferito non saperlo. Profumo? Odore? No, decisamente non capivo, tantomeno volevo accettarlo.

“È così, Kagome”, cercò di rassicurarmi Rin, “quando un demone sente il profumo della donna della sua vita, e viceversa, non riesce a resistergli. O meglio, dovrebbe, ma Inuyasha non è un demone completo”.

“Mi stai dicendo che Sesshomaru ti ha obbligato a sposarlo?”, chiesi confusa. Non era possibile, era irreale! Perché sposarsi in base ad uno stupido istinto?

, Sesshomaru mi ha corteggiato, io non potevo certo sentire il suo profumo, essendo umana”, spiegò la donna semplicemente, “Certo, non mi è saltato addosso”,  – chissà a chi si riferiva –, “ma mi ha dato il tempo di innamorarmi e capire”.

La situazione continuava a confondermi. Sesshomaru amava Rin? O era solo un’attrazione fisica? Evitai lo sguardo di Inuyasha, anche se lo sentivo su di me.

Kagome, vieni un attimo con me”, disse Rin dopo un breve silenzio. La seguii silenziosamente in cucina dove Rin – accesa la televisione – si sedette al tavolo, facendomi cenno di accomodarmi. Confusa e decisamente terrorizzata dalla situazione, obbedii senza obbiettare.

“Allora, direi che è il caso di spiegarti la situazione in termini più… umani”, mi disse. In effetti la spiegazione di Sesshomaru era stata talmente vaga che non avevo capito un granché, dovevo ammettere. In compenso, il pensiero che questo ‘profumo’ avesse reso Inuyasha un potenziale aggressore era bastato a farmi impanicare.

“Allora, hai capito la differenza tra profumo e odore?”, mi chiese, conscia che suo marito non era una cima nelle spiegazioni. Io annuii, ma il silenzio di Rin mi fece capire che dovevo dimostrarglielo.

“L’odore è in generale”, dissi a grandi linee, “il profumo è quell’odore che permette agli youkai di individuare la propria o il proprio compagno”.

“Sì, ma c’è un dettaglio”, continuò lei, “su come si scambiano gli odori”. La fissai sempre più confusa – sempre che fosse possibile essere più confusa di quanto già non fossi – cercando di capire dove voleva andare a parare.

“Sarò diretta Kagome, sei grande e vaccinata”,  – ecco, mi stavo preoccupando –, “due youkai si sposano quando parte dell’odore di uno si mescola con quello dell’altro. Così tutti possono capire che sono compagni”.

“Oh”, esclamai, “non è così shockante come volevi farmi credere”. Mi sentivo sollevata.

“Non è shockante infatti”, disse, sorridendo, “è perfettamente naturale. Basta fare sesso”.

Silenzio. Rimasi a fissare Rin, che per non so quale ragione mi sorrideva beatamente.

“Oh kami”, sussurrai, impallidendo. Rin mi fissò confusa.

“Che hai, Kagome?”, domandò, non potendo certo intuire i miei pensieri. Inuyasha. Avevo cercato di convincermi in tutti i modi che non era quello che sembrava, ma ora come potevo negarlo?

Kagome, suvvia! Sei grande, perché tutta questa sorpresa?”. Fulminai Rin con lo sguardo, tra il deluso e l’arrabbiato.

“Naturale dici? Quanto è naturale contro volontà?”, sibilai tra i denti. Il suo sguardo confuso mi irritò ancora di più. Inuyasha mi aveva aggredito con quella intenzione, come potevo essere tranquilla?!

“… e adesso i titoli del telegiornale!”.

“Senti, spegni quell’affare per favore”, mormorai alludendo alla televisione, portandomi una mano sulla fronte. Mi veniva da piangere. In quel momento cominciai a realizzare tutto. Anche io ero un mezzo demone, in fondo: il pizzicore al naso, quell’impulso ad avvicinarmi a lui... però… per me era anche qualcosa di più. E per lui?

Rin si alzò per spegnere la televisione, molto lentamente. Era concentrata su di me, fece due volte il giro della stanza alla ricerca del telecomando che lei aveva precedentemente lasciato sul tavolo. La chiamai, e glielo indicai.

“Ah, ecco dov’era!”, disse illuminandosi, mentre io mi disperavo.

“La cantante Neko è sparita. Oggi è stata denunciata la scomparsa alla pol…. Silenzio. Alzai lo sguardo sulla televisione, spenta.

Rin, riaccendi immediatamente!”, strillai con voce mostruosamente acuta.

“Ma mi hai appena detto di spegnere!”, esclamò lei confusa. Le strappai il telecomando dalle mani e riaccesi la televisione.

“… il manager della famosa cantante. Passiamo alla manifestazione che si è svolta oggi a Osaka nel centro della città….

“Merda!”, urlai.



 

“Che succede?”, domandai confuso, cercando di alzarmi. Sesshomaru mi sbatté sul divano, con sguardo gelido.

“Non ti riguarda”, sibilò, alludendo alle mie pessime capacità di autocontrollo. Io deglutii, mentre mi torturavo le mani. Avevo rovinato tutto. O forse no, magari a Kagome non gliene fregava niente di me. In fondo la conoscevo da quanto? Due giorni?

Sentii il suo profumo colpirmi, e alzai di scatto la testa. Stava attraversando il salotto a grandi passi verso Sesshomaru.

“Il telefono”, ordinò, tendendo la mano. Fissai Sesshomaru, temendo che la facesse a fettine per aver solo osato ordinargli qualcosa. Invece, mio fratello, indicò il comodino accanto al divano, dove troneggiava un telefono argento opaco. Kagome lo artigliò, componendo ad una velocità disumana il numero di un cellulare. Mentre attendeva la risposta dall’altro capo dell’apparecchio, mi soffermai sulle sue sembianze ancora demoniache. Le lunghe ciglia nere nascondevano le pozze d’oro liquido, mentre la coda si agitava frenetica. Le orecchie erano ritte e in guardia, ma la cosa peggiore era che in questa forma il suo odore era ancora più forte. Anche Sesshomaru sembrò accorgersene, perché stava per spezzare la mia spalla per quanto stringeva. Stava cercando di distrarmi con il dolore?

, non funzionava.

“Pronto?”, disse improvvisamente Kagome, facendomi concentrare sulla sua voce, “Parlo con Miroku Houshi? Sì? BRUTTO DEFICIENTE!”.

Tutti, escluso Sesshomaru, ci tappammo le orecchie.

“SÌ, SONO KAGOME, GENIO CHE NON SEI ALTRO! COME TI SALTA IN MENTE DI DENUNCIARE ALLA P…”, si bloccò, e lentamente staccai le mie mani dalle orecchie. Stava ascoltando quello che succedeva dall’altro capo del telefono.

“Ah, Sango ti ha beccato con la microfonista? , sai che ti dico? SPERO CHE TI SPEZZI IL COLLO!”, strillò nuovamente, facendomi sobbalzare. Prese un respiro profondo, ed esibì un sorriso inquietante.

“Adesso fai così. Tu chiami la polizia e dici che mi avete ritrovato, e io ti salvo dalle grinfie di Sango, va bene?”. Suonava più come un ultimatum che come un compromesso. Kagome assunse di colpo un’espressione seria.

“Come è stata un’idea di Sango? Che vorresti di… No che non ti dico dove sono!”. Rin lanciò un’occhiata preoccupata al marito, mentre Kagome si faceva pallida.

“Ma siete impazziti? La polizia ha di meglio da fare che cercare me! E dite a Naraku che se torce un capello alle persone con cui sto adesso che…”.

Kagome, mi sa che è meglio se gli dici dove sei”, consigliai io, procurandomi un’occhiata mista di odio e di pianto. Ebbi l’impressione che il pianto fosse rivolto a me in particolare. Mi sentii uno schifo.

Kagome, parlo io, che dici?”, suggerì Rin, prendendole delicatamente la cornetta dalle mani. La ragazza non oppose più resistenza, ma si andò a mettere ben lontana da me. Era spaventata.

“Ok, adesso basta”, mormorò Sesshomaru, tirandomi in piedi e trascinandomi successivamente verso la porta.

“Ehi, che stai facendo?”, strillai, confuso. Lui mi ignorò, aprì la porta e mi lanciò fuori in malo modo.

“Se ti vorrà vedere verrà da te. E adesso fila a casa tua”, disse gelido come un blocco di  ghiaccio. Boccheggiai, incredulo, quando mi chiuse la porta in faccia.



 

“Non ci credo, come hanno potuto farmi questo?”, mi lamentai disperata. Rin mi diede qualche pacca sulle spalle, ma non mi rassicurò affatto.

Oltretutto, Inuyasha era sparito. Sesshomaru non voleva dirmi che fine aveva fatto, e io continuavo a tormentarmi. Non riuscivo a dedurre cosa pensasse lui, né cosa pensavo io. Sentivo qualcosa nei suoi confronti, ma cosa? Forse era semplice gratitudine per avermi aiutata.

Sì, doveva essere gratitudine. E quello stupido pizzicore al naso doveva essere qualche allergia, altro che profumo!

“Tra quanto arriveranno?”, domandai, alludendo a Miroku e Sango, i quali avevano estorto a Rin l’indirizzo.

Il campanello suonò.

“Devono essere loro”, mi disse sorridendo. Non capivo cosa ci trovasse da sorridere.

Andò all’ingresso , e un sonoro schiaffo confermò i suoi sospetti.

“BRUTTO MANIACO!”, strillò l’inconfondibile voce di Sango, mentre io sospiravo rassegnata.

“Ma Sango, come potevi pretendere che non ti palpassi! Hai indossato il completo blu, che è quello che più ti dona!”, si lamentò il ‘malcapitato’. Dopo un breve silenzio, un nuovo ceffone.

“Non spiare il colore del mio intimo, pervertito!”.

Sango, smettila di dare spettacolo!”, sbraitai precipitandomi all’ingresso. Trovai Miroku con le guance gonfie – sopra stampate due cinquine – e incrociai in un attimo lo sguardo della mia arrangiatrice.

Kagome!”, strillò, buttandomi le braccia al collo, “Oddio, ero così preoccupata! Temevo ti avessero rapito sul serio, cosa credi?”.

“Ma come ti vengono in mente certe idee?”, domandai incredula. Lei singhiozzò, e decisi di lasciar perdere la sgridata che avevo progettato. Miroku si avvicinò, sorridendomi.

“Sono contento che tu stia bene Kagome”, mi disse, prima di rivolgersi a Rin, “e la ringrazio per aver accolto Kagome signorina! A proposito…”. Miroku prese le mani di Rin tra le sue, con occhioni luccicanti. Alzai gli occhi al cielo.

“Mi farebbe l’onore di avere un…”.

Miroku, non te lo consiglio, Sesshomaru non…”, cominciai io, ma Miroku mi ignorò finendo di parlare sopra di me. Inutile descrivere la reazione di Sango.

“… figlio con me?”.

“MI-RO-KUUUU!!!!”, ruggì la ragazza, mentre Rin fissava il mio – mi vergogno a dirlo – manager allibita. La cosa più preoccupante avvenne dopo.

Rin”. Una voce fredda come un iceberg sembrò provenire da una dimensione parallela, congelando tutti noi. La mia mano sbatté sulla mia fronte come ferro attratto da una calamita, mentre scuotevo il capo. Brutto idiota maniaco depravato!

“Oh, Sesshomaru!”, disse la ragazza. Il suo volto mutò espressione quando incontro lo sguardo ambra del marito, tornando raggiante. “Guarda quanti ospiti in questo periodo! Vado a preparare il tè!”. Detto ciò si avviò saltellante verso la cucina. Miroku, ancora le mani sollevate, era impallidito vedendo Sesshomaru, e adesso sudava freddo.

Per Sesshomaru?

Ma certo che no! Per Sango, ovvio.

“È solo una mia impressione o la tua amica è un po’ alterata?”, mi disse la voce atona del padrone di casa, gli occhi ancora fissi sulla ‘mina vagante’ che poteva attentare a sua moglie. Sango fissava bieca Miroku, circondata da un’aura fiammeggiante. Si voltò verso Seshomaru con sguardo fulminante.

“È SOLO UNA TUA IMPRESSIONE!”, urlò la ragazza, facendo sobbalzare me e quasi uccidendo di attacco cardiaco il mio – me ne vergogno, l’ho già detto? – manager. Poi, Sango si soffermò su di me. Mi fissava prima stranita, poi sconvolta. Perché? Che avevo?

Kagome, che diamine hai fatto? Perché le orecchie… e i tuoi occhi! Ma come ho fatto a non notarlo prima?!”.

“Ah”, mi limitai a fare io. Giusto, non avevo pensato a quel dettaglio. Miroku si asciugò la fronte, conscio di aver appena scampato un pericolo mortale. L’ira funesta di Sango era ben nota, perché privava il malcapitato di qualunque speranza di sopravvivenza.

“Ok, Kagome, affrontiamo i problemi uno a uno. Se non torni al lavoro, Naraku ci taglia i finanziamenti. E adesso spiegami perché sei ridotta così!”, disse, chiaramente agitata. Io sospirai. Sapevo che, dopo aver raccontato il tutto, sarei dovuta tornare al lavoro. Non avevo scelte. La mia fuga era stata breve quanto inutile.

Ma come avrei fatto con Inuyasha?



 

Diedi un calcio alla parete metallica dell’ascensore.

Merda, perché andava sempre tutto da schifo? La scatola tremò, fermandosi per un attimo tra il primo e il secondo piano, prima di ripartire. Il pizzicore al naso era talmente insopportabile che dovevo lottare contro la tentazione di correre a casa di Sesshomaru. Ma sarebbe stato tutto inutile. Mio fratello era lì, a fare da bodyguard alla ragazza che io dovevo avere. Doveva essere mia. Sospirai, rendendomi conto della mia attuale pateticità. Se Kagome avesse potuto sentire i miei pensieri si sarebbe certamente imbestialita. Lei non era un oggetto.

L’ascensore si fermò al piano, e aprì le porte automatiche con una lentezza insopportabile. Sfilai dalla tasca le chiavi, le infilai nella toppa e aprì con un rapido gesto del polso. Avevo quasi spalancato l’uscio, quando mi immobilizzai.

Rapido gesto del polso? Perché la porta era aperta? Cercai di fare mente locale. Forse l’avevo chiusa senza girare la chiave nella serratura durante la fuga…

Ma se ero uscito dalla finestra?!

Io chiudevo sempre la porta con minimo una mandata, era impossibile che fosse semplicemente chiusa!

“Se c’è qualcuno in questa casa… amico, spero che tu sappia smolecolarti prima che sia io a farti a pezzi”, ringhiai, aprendo la porta.

Sentì una risata, e un odore familiare. Poi calò un silenzio imbarazzante.

“Ciao Inuyasha”, disse la voce, più timidamente.

Aprii la bocca e la richiusi, senza dire una parola.

Kikyo.



 

“Grazie per l’ospitalità Rin”, ringraziai per la millesima volta.

“Torna a trovarci!”, urlò la ragazza allegramente, mentre Sango mi tirava in macchina. Dopo il tè, ero tornata normale, senza orecchie, coda e simili, e il pizzicore al naso era diminuito.

Diminuito, non svanito.

Ero riuscita a corrompere Sango a portarmi da Inuyasha per ringraziarlo. Solo ringraziarlo, era gratitudine quella che provavo per lui, no? Il pizzicore stava diminuendo perché… perché probabilmente ero allergica a qualche profumo che Inuyasha usava. Ecco, tornava tutto! Altro che strani teoremi su odori tra demoni!

Kagome, vai e torna”, mi ammonì Miroku, alla guida dell’enorme SUV. Scesi dalla macchina seguita a ruota da Sango, che non mi lasciava da sola neppure un attimo.

“Un saluto veloce”, ripeté la ragazza per la ventisettesima volta. Io annuì, sospirando, mentre l’ascensore raggiungeva il piano. Erano insopportabili. Suonai alla porta, in attesa. Sentivo delle voci dentro, persone che litigavano, forse c’era Koga.

La serratura scattò, e Inuyasha mi aprì la porta. Inizialmente lo vidi sorpreso, poi la sua espressione si indurì, e si morse un labbro.

Ehm… ciao”, dissi io, leggermente spiazzata da quella reazione. Lui non mi rispose. Si stava trattenendo? Ringraziai Sango per avermi seguita, in caso di aggressione.

Inuyasha, chi c’è?”, chiese una voce femminile dall’interno. Sbiancai, e vidi dietro la spalla dell’hanyou una ragazza con lunghi capelli neri, e occhi nocciola. Mi somigliava.

Molto.

Ehm… io…”, balbettò Sango, sentendosi mostruosamente di troppo.

“Grazie per tutto quello che hai fatto per me”. Tre paia di occhi si concentrarono su di me, tutti sorpresi. La ragazza dietro Inuyasha mi aveva appena riconosciuto, e sussurrava il mio nome con una mano davanti alla bocca, mentre gli altri due erano decisamente sconvolti dal mio tono distaccato.

“Addio”, pronunciai fredda, prima di voltarmi. Avevano chiamato l’ascensore, e mi fiondai per le scale, seguita a ruota da Sango.

Inuyasha rimase immobile sulla porta a fissarmi sparire dalla sua visuale.












 

 

 

 

 

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Ringraziamenti:

-Roro: RORO-CHAN!!! ç____ç *mentre rispondo al tuo commento è mezzanotte e 2 minuti e ascolto Myself, Meroko version* Ma certo che mi ispiro alla tua Rin, è talmente spettacolare! ^^ Chiedo venia per il ritardo, come sopra, questo capitolo non è particolarmente lungo, e non posso prometterti di aggiornare in fretta, ma appena sarò ispirata mi fionderò al pc, questa è una promessa! è__é Manca poco alla fine, sei curiosa? ^^ *siii, me curiosa!!! *___* ndRoro-chan* Eh eh eh! XD *sadismo style* A proposito, sto leggendo le tue storie, anche se con un ritardo mostruoso quando trovo buchi. Sono in ritardo con tante altre, devo chiedere perdono ad una marea di gente ç___ç Scusaaaa!!!! Cercherò di commentare, ma anche lì niente promesse *rischierei di spezzarle ç__ç* Baciottoli!

-Kaggi_inu91: “Mi raccomando aggiorna presto…Ehm… sì, ho aggiornato prestissimo! >.>’’ Come anche con Roro, non mi dilungo, ho già scritto abbastanza sull’argomento ^^’ Certo, chiedo perdono! *ormai sono più le volte che mi scuso che quelle in cui non mi scuso ç__ç* Cmq, che ti pare di questo capitolo, cara omonima? ^^ Anche tu sei d’accordo con me che Rin stile LdC è geniale! XD *viva viva roro-chan!* Ti conferisco il titolo di membro onorario del movimento *I love Roro-chan* di cui io sono fondatrice e presidente ù.ù Alla prossima, Omonima CaVa! XD

-Bchan: Hi carissima! ^^ Come al solito indovini tutto XD Con te posso rinunciare alle sorprese, il tuo intuito mi batte sempre ^^’ Noto che la cucina ha avuto successo, meno male! ^^ *vedi Roro? Sei un genio!* Baciottoli anche a te!

-KaDe: Kaddy-chan! *__* Per cominciare chiedo venia per non aver ancora letto il nuovo capitolo di Amore su Tela *profondo inchino* e di non averlo commentato *secondo profondo inchino*. Rimedierò appena possibile! *fiammeggia* Anche tu indovini tutto! Uaaaahhh!! *dispera* Ma, sono felice che la gente intuisca le mie idee!!! ^^ *ma come, non disperavi? O.o ndInu* Cosa vuoi tu? è__é Sparisci! Il massimo che sopporto oggi è la presenza di Sua Grazia e dei suoi numerosi “…” ù.ù Baciottoli!

-Onigiri: Sembra proprio che non riusciamo mai ad essere puntuali entrambe! XD Quando tu quando io, siamo sempre in ritardo! *io decisamente di più! XD* Chiedo perdono anche a te! Sono felicissima del tuo commento, è così bello!! *__* *lo appunta sul suo tabellone dei commenti più belli* AWHHHH!!! *____* Tantissimi Baciottoli *lo so, sono fissata con i baciottoli in questo periodo* Per la cronaca, non so cosa siano di preciso i baciottoli, forse dei baci paffuti che rotolano O.o *ecco lo sclero del giorno!* Bye! ^^

-Chiho_chan: Chiho-chan, la tua domanda è arrivata proprio a puntino! ^^ Questo era proprio il capitolo della riscossa di Sango e Miroku! *alla riscossa! ndSango&Miro* Ehm… non intendevo letteralmente -___- Ok, sorvoliamo sugli scleri, è mezzanotte e mezza, sono sola in casa e sono rimbambita e disperata, spero mi comprenderai XD Anche ci indovini con Kagome *dovrei fare dei centri di scommesse…**smettila con queste idee a scopo di lucro! è__é ndKagome* Quando mai faccio piani a scopo di lucro? >___>’’’ Ehm… Baciottoli anche a te! ^^’’ *fugge inseguita dai debiti*

 

 

 

 

 

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Capitolo 7
*** È solo una tua impressione ***


Ok, tutte le news a fine capitolo! XD

Aryuna

È solo una tua impressione






 

 

 

Kagome! Ehi, Kagome, ascoltami!”. Ma io non sentivo nulla. Sango mi chiamava, urlava il mio nome per strada, la gente si voltava a guardarci. Ma non importava. Aprii lo sportello dei sedili posteriori, e mi lasciai cadere dentro, sfinita come non mai. Ero distrutta, come se avessi le ossa a pezzi, i miei muscoli erano tutti indolenziti, e avevo un improvviso e terribile mal di testa. Perché poi? Non mi importava nulla di lui. Né di lui né di quella stupida ragazzetta che si portava dietro. Non era importante… giusto? Gratitudine, solo gratitudine. Sango continuava a parlarmi, come un ronzio che faceva da colonna sonora ai miei pensieri. Una fastidiosa colonna sonora. Davanti ai miei occhi riapparve l’immagine della ragazza che stava dentro l’appartamento di Inuyasha, così simile a me, ma così diversa. Sì, lei era una donna, la donna che io non ero. La donna di Inuyasha, probabilmente. E io che mi ero illusa che forse… Scossi la testa, cercando di non confondermi le idee.

G.R.A.T.I.T.U.D.I.N.E. Una parola e undici magiche lettere che dovevano mantenermi lucida. Forse l’attrazione di Inuyasha nei miei confronti era proprio la mia somiglianza con la sua ragazza. Ma questo non doveva importarmi, la mia era solo gratitudine!

Alzai lo sguardo, incrociando quelli confusi di Miroku e Sango. Solo in quel momento mi accorsi che la macchina era ancora ferma.

“Allora? Che fate così impalati? Andiamo allo studio, sì o no?”, chiesi fredda e rapida. Miroku sobbalzò, e terrorizzato premette la frizione, girando la chiave rapidamente e artigliando il volante. Sango mi fissava incredula, e anche io ero sorpresa di me stessa. Capivo dalla reazione del mio manager che dovevo essere molto peggio di quanto credessi.

“Non mi hai ascoltato, vero Kagome?”, domandò Sango prudente, pronta a cambiare argomento. La fissai con occhi vuoti, indecisa su come rispondere. Volevo terrorizzare anche lei?

“Dipende. Se hai parlato di lavoro, ripeti”, dissi, cercando di risultare più morbida. Non mi riuscì molto bene, la vidi sbiancare.

V-veramente…”, balbettò lei, in evidente difficoltà. La squadrai immediatamente, facendola ammutolire. Questa mia nuova capacità mi stupì.

“Lavoro, Sango”, ringhiai, e lei si immerse nel sedile come Miroku prima di lei. Cominciò a chiacchierare del lavoro arretrato senza mai guardarmi, mentre io cercavo di rilassarmi ad occhi chiusi, un po’ seguendo il suo discorso, un po’ persa nei miei pensieri. Ma lì mi attendeva sempre l’immagine di Inuyasha, e di quella maledetta ragazza. Spalancai gli occhi, cercando di cancellare quell’immagine.

“… voleva sapere se quel disco nuovo può essere pronto entro quest’inverno perché…”.

“Sarà pronto molto prima”, dissi, quasi senza rendermene conto.

“Come?”, domandò Sango voltandosi, ma subito tornando a fissare la strada per evitare il mio sguardo.

“Preparerò il disco in una settimana”, mormorai. Lei non mi prese sul serio, e continuò a raccontare delle minacce di Naraku. Ma io ero decisa.

C’era una sola cosa che poteva distrarmi in questa situazione.

Il lavoro.



 

Fissavo il pianerottolo, immobile.

Il suo odore era ancora nell’aria. Potevo sentirlo, percepirlo, dolce e inebriante, sembrava quasi carezzarmi la pelle, torturandomi, perché sapevo bene che non potevo possederlo. La cosa peggiore era che io non riuscivo a rinunciarvi. Sapevo che Kikyo era dietro di me, e probabilmente avrebbe voluto sapere come conoscevo una idol di cui non sapevo nulla fino al giorno precedente.

E io non sapevo che dire, che fare… non sapevo nulla. Le mie poche certezze erano scese di corsa dalle scale assieme a Kagome. Non avevo un lavoro fisso, e probabilmente la vecchietta con l’osteoporosi non mi avrebbe più chiamato. O forse sì, era rimbambita a sufficienza per mettere la sua vita in pericolo con un hanyou  fuori di testa. E innamorato. Scossi la testa, mettendomi una mano sulla fronte. Non dovevo pensarci. Faceva male, e non risolveva assolutamente nulla. Adesso dovevo inventare qualcosa da dire a Kikyo. Dal momento in cui l’avevo trovata nella casa era calato un silenzio imbarazzante, nel corso del quale ero riuscito a pronunciare solo un ‘vuoi qualcosa da bere?’. Arretrai senza voltarmi, e sbattei la porta con tale violenza che la sentii sobbalzare dietro di me. Ero un idiota. Un deficiente. Un decelebrato, uno stupido, un… Presi un respiro profondo, con l’intenzione di calmarmi, ma non funzionò. Il suo odore era ancora troppo forte. Ringhiando mi diressi verso un cassetto, ignorando del tutto Kikyo, confusa e spaventata. Lo aprii, tirando fuori dei lunghi e fragili fili di legno, un piattino e un fiammifero. Kikyo si decise a parlare, lo capii dal profondo respiro che stava facendo.

Inuyasha, che succede?”, domandò timidamente, temendo in una mia reazione troppo esagerata. Io cercai di mantenere la voce ferma, mentre sistemavo i vari oggetti sul ripiano. “Nulla”. Lei inarcò un sopracciglio, mentre io accendevo l’asticella con il fiammifero.

 Inuyasha, tu odi gli incensi”, ricordò. Aveva ragione, quelli li aveva lasciati lei prima di andarsene. Probabilmente l’unica cosa che aveva lasciato nella casa, forse apposta per infastidirmi. Perché io odiavo l’odore e il fumo degli incensi. Impregnavano il naso a tal punto da impedire di sentire qualsiasi odore.

Era perfetto.

Lo inalai, sentendo la gola bruciare. Tossii, ma sembrò funzionare. Rimosse ogni traccia dell’odore di Kagome. Ricominciò a pizzicarmi il naso, ma non riuscivo a capire se fosse colpa del mio istinto o dell’incenso. Kikyo sembrava ancora più confusa. Forse non si aspettava di trovarmi così a pezzi, nascondevo bene i miei sentimenti. Forse pensava di essere lei la causa. Mi sedetti sul divano, pronto ad una discussione coi fiocchi.

Inuyasha”, cominciò lei, sedendosi sulla poltrona accanto al divano, “noi dobbiamo parlare”.

“Non c’è nulla di cui parlare”, ribattei io immediatamente, scocciato e con una dose di pazienza talmente bassa da essere inutile, “io sono un fidanzato di schifo e tu te ne sei andata, tutto qui”. Lei aprì la bocca, ma la richiuse subito, forse interdetta, non avevo il tempo di soffermarmi sui suoi pensieri. Dovevo evitare di pensare a Kagome, avevo paura di correrle dietro anche senza l’aiuto del suo profumo.

“Però sono tornata”. La risposta di Kikyo fu spiazzante. Alzai gli occhi ambra su di lei, incredulo. Come poteva pensare di risolvere così le cose? Si guardava attorno, evitando il mio sguardo. “Hai dato una pulita alla casa”, disse soddisfatta. Evitai di dirgli che era stata Kagome, e pensai rapidamente a come concludere la cosa.

“Vado a prepararti la stanza”, liquidai, correndo nella camera dove avevo messo a dormire Kagome. Fu una pessima idea. Per quanto l’incenso inibisse il mio olfatto, sentii il suo odore alleviare il pizzicore del mio naso, per rimpiazzarlo con l’istinto di correre da lei. Sbattei la porta dietro di me, e tirai un pugno al muro, crepandolo. Mi veniva da piangere, ripensando all’incapace che ero.

Lei non era più con me, e lo realizzavo solo adesso.



 

“Allora, vorrei un titolo giapponese, ma il testo inglese, tranne qualche parola…”, borbottai, fissando il foglio bianco e calciando delicatamente il secchio contenente un’unica matassa di carta scritta e bocciata, facendolo dondolare pericolosamente. Sango mi fissava, componendo motivi per le canzoni. La stavo facendo impazzire, avevo già bocciato decine di melodie. Miroku stava organizzando il mio concerto per la fine della settimana, la punizione che mi aveva affibbiato Naraku per aver marinato il lavoro. Avevo già composto tre canzoni in due giorni, ne mancavano circa altre nove per comporre un disco degno di questo nome. Ma non avevo ancora deciso che singoli lanciare.

“Ok, senti questa”, fece Sango di colpo, ispirata, “è il motivetto per un ritornello”. Cominciò a canticchiare, abbozzando le note su una tastiera posizionata strategicamente sul tavolo. Fissai sconsolata i tasti abbassarsi sotto le sue dita affusolate. Era una bella melodia, però… non mi venivano le parole giuste. Avevo bisogno di qualcosa di frizzante, ma non sembrava venirmi nulla che ai miei occhi non apparisse forzato. Le prime tre canzoni non mi soddisfavano affatto, e volevo provare a tirare fuori qualcosa di originale. Sbuffai, cercando di comporre qualcosa sul motivo di Sango. Era perfetto, non c’era motivo di farla scervellare ancora, quando la colpa era mia.

“Ecco, e qui”, continuò Sango, non accorgendosi della mia esitazione, “dove fa si, do, si, la, sol… ecco, se scegli un titolo breve sarebbe perfetto come punto per inserire il titolo. Sempre che tu voglia citarlo nel testo”.

Si, do, si, la, sol.

Questo mi diceva qualcosa.

Taran, tara-ran”, canticchiai sottovoce, cercando di trovare le parole. Posizionai la penna sul foglio, e lasciai che la mano scorresse libera. Avrei sistemato in seguito. Sango sorrise, vedendomi tirare fuori qualcosa. A differenza sua, Naraku aveva preso sul serio la mia promessa di finire il cd entro la settimana. E lo voleva pronto sulla sua scrivania alla scadenza.

“Componi la strofa”, dissi immediatamente, cominciando a scrivere la prima. Lei subito cominciò a fare tentativi, perfezionandoli di volta in volta. “Ecco, così è perfetto!”, esclamai, lasciando che la penna sputasse tutte parole che non stavo seguendo.

Non dovevo pensare.

Se pensavo, pensavo a lui. La mia gratitudine sembrava infinita. Sango era decisamente preoccupata, ma io non dovevo pensarci. Perché io non provavo nulla per lui, e nemmeno lui per me! Era semplice attrazione fisica, cose che possono succedere.

Scossi la testa, staccando la penna dal foglio. No! Non dovevo pensarci! Mi aveva preso dalla strada quando ero da sola, e poi mi aveva lasciato andare. Era normale in fondo, eravamo sconosciuti… no? Non capivo perché non riuscissi a convincermi del tutto.

Kagome?”. Alzai lo sguardo su Sango. Sembrava preoccupata. “Stai leggendo ciò che scrivi?”. Abbassai lo sguardo sul foglio.

Oh. Mio. Dio.

Kagome, non credo affatto che vada tutto bene come dici”, cominciò lei, ma subito mi rifiutai di ascoltarla. “Sango, sono solo tue fantasie!”, sbraitai subito, scattando in piedi. Lei sospirò.

“È inutile che menti, stai cercando di affogare la delusione amorosa sul lavoro”. “NON È VERO!”, urlai. Sango non sapeva nulla di quello che era successo, non poteva parlare! Stavolta non si scompose. Dopo l’iniziale spavento per il mio comportamento, sia lei che Miroku si erano abituati, e non mi davano più alcuna soddisfazione. Mi morsi il labbro, stringendo i pugni tanto da farmi male con le unghie.

Kagome, ho come l’impressione…”, cominciò severa, ma non la lasciai finire. “È solo una tua impressione, Sango!”. Stavolta si scompose. Mi fissava sconvolta. “Kagome, quella è una mia frase! Stai peggio di quanto pensassi!”. Roteai gli occhi, vedendo la mia pazienza volare via – un po’ in ritardo dato che l’avevo persa all’inizio della discussione – per poi concentrami nuovamente sulla mia arrangiatrice.

Sango, ti stai arrampicando sugli specchi”, dissi più calma possibile, “le parole sono solo parole, il fatto che abbia detto che è solo una tua impressione non significa che…”.

“Ah, e così le parole sono solo parole, eh?”, disse sorridente, prendendo il foglio sul tavolo, “Stavo solo camminando da sola, e ti ho incontrato, hai preso la…”. “Sango, smettila!”, urlai imbarazzata, cercando di strappargli il foglio di mano. Lei rise, ritraendosi e facendomi la linguaccia. Di sicuro voleva farlo leggere a Miroku.

Ecco, ero nei guai.



 

“Ecco fatto, la porta è a posto”, sospirai tristemente, mentre la vecchina continuava a dire che non sapeva come si fosse potuta rompere.

Possibile che non sapesse mai niente?! Presi la mia paga in silenzio, ringraziando di avere ancora una cliente, ed uscii di corsa. Volevo tornare a casa, ma non volevo tornarci. Volevo sentire se l’odore di Kagome impregnava ancora la stanza, o se era stato sostituito da quello di Kikyo. Ma sapevo che sarei rimasto deluso, era passato troppo tempo, oppure mi sarei sentito nuovamente male. In ogni caso, andava male per me. Stavo percorrendo la solita strada, quando mi accorsi di dove stavo passando. Mi bloccai di colpo, scatenando le proteste di qualcuno, ma non ci feci caso.

L’avevo incontrata lì.

In quel punto, salvandola da quel teppista che, a differenza mia, l’aveva riconosciuta. Portandola a casa mia dopo che a momenti si lasciava investire. Era così goffa, così indifesa. Così mia. E ora non lo era più.

“Ehilà botolo!”. Mi voltai ringhiando istintivamente. Era sempre così quando sentivo la voce di Koga. O forse no. So solo che mai era impallidito di fronte a me. Mai. E invece vidi il pallore farsi strada sul suo volto, rapidamente.

“Oh. Kami. Inuyasha! Che cosa hai fatto?”, mi domandò incredulo. Ok, non dovevo avere una bella cera. “Volevo sapere come andava con Neko, e invece… credimi, non ti avevo mai visto peggio! Neppure quando hai scolato nove birre, sette vodka alla pesca, quattro angelo azzurro e otto invisibile!”. “E dodici rum e pera”, precisai. Ricordavo bene quel giorno, avevo rischiato seriamente di finire in ospedale, se non fosse che Ayame e Jakotsu mi avevano fatto vomitare tutto l’alcool che avevo in corpo.

Comunque, sapere che stavo peggio di quel giorno era eloquente. Mi venne nuovamente da piangere.

Koga, è tornata Kikyo”, mi disperai, mettendomi una mano nei capelli. Stavo proprio a pezzi. Koga aprì la bocca, la richiuse e la riaprì, questo per circa sei o sette volte. Eravamo amici da decenni, e non si era mai verificato un evento simile. Nemmeno lui sapeva come comportarsi. Sicuramente non capiva bene perché mi stavo disperando per il ritorno della mia ragazza.

In effetti, Koga non sapeva nulla.

E io non vedevo Kagome da cinque giorni.












 

 

 

 

 

Allora, anche se mi ammazzerete perché sto togliendo tempo ai commenti per scrivere questo, vorrei informare tutti che ho intenzione di organizzare un po’ il mio tempo e le mie fic con l’aiuto di Roro ^^’

Tanto per cominciare, sono troppe e tutte insieme, quindi comincerò con finire Neko to Inu, dato che mancano solo due capitoli alla conclusione. Poi, per chi segue B&B, non l’ho interrotta, solo che al momento non sono ispirata per quella Fic. Probabilmente perché ho allargato troppo la trama originale, e non mi sono più ritrovata a mio agio. Comunque la finirò appena riuscirò a mettermici. Ghost Love Score continuerà forse un po’ lentamente, almeno finché non avrò sistemato questi problemi! XD

Tutto questo per dirvi che la genialità di Roro mi ha spinto a fare una cosa che rimanderà ulteriormente il mio ritiro… il seguito di Profumo! Forse presto o forse tardi avrete da lei una news, e appena avrò sfoltito la fila delle mie fic avrete il seguito che in molti a suo tempo mi avete chiesto!

Bye! ^^


 

Ricordate di Commentare per supportare noi poveri scrittori! COMMENTATE!!! XD


 

 

Ringraziamenti:

-Roro

-LizzyeJane

-Kaggy95

-Onigiri

-Bchan

-Alidipiume

 

 

 

 

 

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Capitolo 8
*** Neko to Inu ***


*sbircia timidamente da dietro le quinte, ma subito viene sommersa da una pioggia di coltelli*

Ok, aspetterò che vi plachiate con il capitolo prima di sbirciare >___>

A dopo!

Aryuna

Neko to Inu







 

 

 

Fissai l’orologio sul comodino. Le ventitré. Sbuffai, rigirandomi sul letto, ancora vestito e decisamente brillo. Koga mi aveva portato con lui al pub, e mi aveva obbligato a bere per farsi dire tutto quello che era successo. E c’era malauguratamente riuscito. Sperai solo che non arrivasse nulla alle orecchie di Kikyo. Lei non aveva nessuna colpa se io ero stupido, e non c’entrava niente. Tanto valeva farle credere che stessi ancora male per lei.

Inuyasha?”. La sua voce era quasi agrodolce, e questo mi infastidiva. Kikyo non era così. La Kikyo che conoscevo era sensibile, dolce e gentile, ma nascondeva tutto dietro una maschera di ghiaccio. Era fredda. Alle volte anche distaccata. Ma era sempre lì per cercare di alleviare ogni tuo peso.

Non era adatta a me.

Io ero chiuso, lei non dava a vedere i suoi sentimenti. Eravamo due autolesionisti coi fiocchi. Eppure mi ero innamorato, a suo tempo. E non l’avevo mai capita, proprio perché lei non si esprimeva. Questo finché non era esplosa. Solo che adesso non ero più innamorato. Non avevo mai sentito effettivamente il suo profumo, non potevo immaginare cosa volesse dire essere innamorato.

Era molto peggio di quanto un umano potesse immaginare.

Inuyasha” – stavolta c’era una nota di rimprovero nella sua voce – “ti sei ubriacato?”. Inarcai le sopracciglia, chiudendo gli occhi. Non avevo mal di testa, ma i suoni e le voci mi infastidivano.

“No”, risposi scocciato, girandomi dall’altra parte, “è colpa di Koga”. La sentii sbuffare scocciata. Ero sicuro stesse pensando ‘è sempre colpa di Koga, per te!’. Non mi importava effettivamente sapere cosa pensava.

Inuyasha”. “Mhh”, risposi scocciato con uno dei miei monosillabi preferiti. Sentii i suoi passi, e il materasso piegarsi sotto il suo peso. Mi sollevai, guardandola bieco. Lei inclinò il capo da una parte, lasciando scivolare i lunghi e lisci capelli neri sulla spalla. “Perché dormiamo in camere separate?”.

Domanda stupida. Stupidissima. Per me, ma non per lei. Era lei quella arrabbiata, giusto?

“Credo sia meglio così se non ci tieni a sposarti”, borbottai. Risposta stupida quando la domanda. Lei sbuffò guardandomi fredda. “Che risposte dai? Con il preservativo non succede niente, l’abbiamo già fatto! E poi non intendevo quello”. Io distolsi lo sguardo. Questo era vero, era ovvio che lei non intendesse quello. Ma era la mia unica carta per tenerla lontana senza ferirla. “, non ce l’ho, quindi meglio non rischiare”, liquidai. Lei inarcò un sopracciglio. Ancora non riuscivo a capire quando era arrabbiata e quando no. “E che fine ha fatto il pacchetto nuovo che ti comprai prima di andarmene?”, chiese con un evidente tono d’accusa. Ma che razza di memoria aveva quella donna? “L’ho dato a Koga”, mentii. Tanto, anche se lo avesse trovato, potevo dire di essermi confuso. E poi, se avessi voluto sfogarmi quando lei mi aveva abbandonato? Non potevo? Nessuno mi avrebbe mai potuto assicurare che sarebbe tornata. Scossi la testa, cercando in ogni verso di non accusare Kikyo. Mi alzai ignorandola, e andai a prendere la mia chitarra, appoggiata nel suo angolino.

Dovevo sfogarmi.



 

“Ecco il disco”, annunciai, lasciandolo scivolare sulla scrivania. Miroku, dietro di me, mi mise una mano sulla spalla. Finire quel disco in tempo era stato un parto!

Il mio sponsor, Naraku, mi fissava ghignante dall’altro lato della grande scrivania in mogano. Aveva le mani davanti al volto, le dita intrecciate tra loro, e gran parte della sua giacca era coperta dalla folta cascata di capelli corvini.

“Bene, Neko”, esordì con la sua voce cupa, e con una smorfia sul volto, “sono felice di vedere che hai finito il disco con un giorno di anticipo”. Io sorrisi falsamente. Era odioso. “Così domani potrò concentrarmi sul concerto”, risposi cordialmente, quando avevo una gran voglia di infilzargli il tagliacarte in fronte. Su, Kagome, calmati. Non diventare violenta come In… scossi la testa. Non pensare a lui, non devi Kagome! La mia moneta vivente rise.

Kuhuhuh, Neko, sono felice di vederti così ligia al dovere”. Spero che ti investa un treno. “Perché non scegli tra le canzoni un singolo da cantare domani in anteprima?”.

“La sesta traccia”. Fui veloce, rapida. Sapevo che me lo avrebbe chiesto. E io avevo già scelto.

Potevo mentire a Sango, a Miroku, anche a Naraku. Ma a me… ero stufa di mentire a me stessa. Il naso continuava a pizzicarmi, e la lontananza mi stava uccidendo. Il suo pensiero mi attraversava talmente tanto spesso che la notte faticavo ad addormentarmi.

Io ero un mezzo demone, non del tutto ma lo ero.

Era inutile fuggire dalla realtà. Per quanto mi costasse il pensiero di sapermi destinata a lui solo per uno stupido odore. Ma io ero più umana di lui. E potevo resistere. E sapevo che lui stava soffrendo più di me, essendo lui più demone di me.

L’immagine di quella ragazza, così somigliante, mi colpì nuovamente come un pugnale.

Sì, stava soffrendo.

E lo meritava.



 

Era sabato.

Uno stramaledettissimo sabato.

Niente lavoro, niente vecchietta, una tipica giornata da casa. E a casa c’era Kikyo. Ringhiai, ancora sdraiato nel letto. Volevo rimanerle lontano il più possibile. Io non volevo Kikyo. Volevo Kagome. Ero l’unico in tutto il Giappone che la voleva veramente. Non mi importava di come cantava, di quanto guadagnava o di quanto era famosa. Volevo solo che fosse mia. Erano le undici, e non avevo intenzione di alzarmi. Non volevo affrontare la realtà.

Com’è quella frase che dicono sempre ai bambini? Ah, sì. L’erba voglio non cresce neppure nel giardino del re. Potevo desiderare Kagome come l’aria, potevo anche morire. Ma non l’avrei più riavuta indietro. Lei era lì, nel suo mondo di idol, e io ero solo uno stupido tuttofare. Un’inutile tuttofare.

Squillò il telefono, e la mia mano guizzò immediata ad agguantarlo, scattando seduto.

“Pronto?”, quasi urlai, e sentii qualcuno urlare dall’altra parte. Era una voce femminile. Ma non la sua. Sospirai sconfitto. Che illusione aspettare una sua telefonata. “Scusa Ayame”, borbottai dispiaciuto, sicuro che me lo avrebbe rinfacciato per almeno una settimana, se ero fortunato.

Inuyasha, che razza di modo di rispondere hai?”, mi chiese, già cominciando ad infierire sul mio senso di colpa, “comunque, perché non vieni con me e Koga qui al pub?”. Inarcai un sopracciglio. “Ayame, sono le undici del mattino, che cosa ci fate al pub?”. “Suvvia, ogni ora è buona per fare baldoria! Porta anche Kikyo, no?”. Mi diedi uno schiaffo sulla fronte. Ma bene.

“Arrivo”, borbottai, schiaffando poi la cornetta al suo posto.

E sperai vivamente di romperla.


 

Avevo una gran voglia di bere, ma non potevo. Non potevo affogare i miei problemi nell’alcool. Non finché c’era Kikyo. Era tutto il giorno che parlava con Koga, mentre Ayame, Bankotsu e Jakotsu mi tenevano impegnato. Non capivo cosa avessero da parlare. Arrivati al bar, scoprimmo che volevano andare a mangiare una pizza, per poi fare giri su giri nei centri commerciali – inutile dire che la proposta era di Ayame –, e solo la sera eravamo tornati al pub.

“Su Inuyasha”, mi invogliò Bankotsu, “non prendi nemmeno una birretta?”. “No”, risposi secco. Alcool tira alcool.

La porta venne spalancata, e Hiten e il fratello fecero irruzione nel pub. Hiten, ovviamente con una ragazza nuova – cambiavano ogni giorno, a volte dalla mattina alla sera – notò subito la presenza di Kikyo, e mi fissò.

Almeno ebbe il buon senso di tacere, a differenza degli altri. Venne a sedersi assieme a me, lasciando soli Koga e Kikyo. Cominciai a fissarli bieco. Non mi fidavo affatto di Koga. Non sempre almeno.

Hiten, era un po’ che non ti vedevamo”, cominciò Jakotsu, fissandolo con occhi luccicanti. Capirai, lui fissava tutti i ragazzi con occhi luccicanti. Hiten fece una smorfia, abbracciando la ragazza.

“Sì, ho conosciuto Yura. È la mia fidanzata”. Ci fu un silenzio tombale. Tutti si concentrarono sulla ragazza precedentemente ignorata. Aveva dei corti capelli color ebano, occhi felini e un fisico prorompente. Ma la parola… fidanzata. Hiten tossì, per riattirare l’attenzione. “Ecco, è un matrimonio combinato, e non ci conoscevamo fino alla scorsa settimana. Però… sembra che siamo stati fortunati”.

“Non ci credo!”, strillò Ayame scattando in piedi, “Hiten si sposa!”.

Rischiai di strozzarmi con la saliva.

Cominciai a tossire, tanto che Bankotsu dovette darmi diverse pacche sulla schiena. Ayame spostò lo sguardo smeraldo su di me. La stavo fulminando.

“Che c’è?”, domandò con fare innocente. Ringhiai. “Non. Parlare. Di. Matrimonio.”, proferii scandendo le parole una ad una. Lei deglutì. Ma bene, Koga aveva parlato anche con Ayame. Ok, chi non sa di tutti i miei problemi personali alzi la mano! Nessuno? Oh, che strano, non sono affatto sorpreso…

“Complimenti Hiten”. Raggelai. Kikyo? Non mi ero neppure accorto che era tornata al tavolo con noi. E che stava chiacchierando con Bankotsu. Fulminai Koga, che mi fissava tutto sorridente. C’era qualcosa di sbagliato nella situazione attuale.

“Ragazzi, un po’ di attenzione!”, richiamò Hiten, “Inuyasha è ancora vivo, potete ascoltarmi un attimo? Credo possa interessarvi. Soprattutto a te, Koga”. Koga lo fissò tutto attento. Hiten prese un respiro profondo.

“Sapete che domani c’è il concerto di Neko?”. “Ops”, fece Koga, mentre io rischiavo di morire nuovamente per un attacco di tosse cronico. “”, – Hiten mi ignorò –, “Yura conosce nell’ambiente, e sono riuscito a tenervi i posti”.

Koga, prima concentrato ad evitare la mia morte, fece un balzò di circa tre metri urlando, prima di aggredire Yura. Grazie Koga, ti voglio bene anch’io. Hiten cominciò a cercare di staccarlo dalla sua ragazza, Ayame cominciò ad urlare contro Koga riguardo ai tradimenti, e io fissavo il tavolo con sguardo vuoto.

Non di nuovo. Perché il mondo continuava ad illudermi così? Anche se fossi riuscito a incontrarla nuovamente non sarebbe cambiato nulla. E poi, lei non voleva vedermi. Non avevo bisogno di sbattere contro la verità ulteriormente.

“Io non vengo”. Diversi sguardi si concentrarono su di me. “Inuyasha, ma cosa dici?”, quasi urlò Jakotsu, “non vuoi rivederla?”. Scattai in piedi, afferrando Jakotsu per il collo e facendo cadere la sedia.

Vedevo rosso.

“Non sono affari tuoi”, sibilai, prima di lasciarlo lentamente. Non volevo fare a botte. Ma non avevo più la pazienza di stare là con loro. Aggirai il tavolo e uscii, seguito dagli sguardi di tutti.

Inuyasha!”. Ancora lei. “Kikyo, rimani qui”, ringhiai, senza neppure voltarmi. Lei emise un brontolio. “Ma perc…”. “RIMANI QUI!”, urlai, cercando di non voltarmi.

Stavo decisamente perdendo il controllo.

E Kikyo rientrò nel pub.



 

Era il giorno del concerto. Il mio concerto.

Stavo seduta nel camerino, Sango accanto e Miroku fuori, nel tentativo di impedire ai giornalisti di aggredirmi. Non sapevamo per quanto avrebbe resistito. Io ancora per poco. Stavo cominciando con le crisi isteriche. Non capivo perché dovesse essere tutto così progettato.

Sopravvivenza della specie?

Errore di madre natura?

O, più semplicemente, il destino voleva avere il piacere di privarmi della scelta.

Ma io non volevo. Io volevo essere capace di dire che no, io non volevo Inuyasha. Inuyasha stava con un’altra donna, in fondo. Forse era amore non corrisposto. Mi tornò alla mente la mattina della settimana precedente. Venni percorsa da un brivido. Se era amore non corrisposto, allora… lui voleva solo divertirsi? Stava mentendo?

Sango”, cominciai titubante, fissando la mia immagine riflessa nello specchio. Lei era tutta intenta a truccarmi, stavolta si era sbarazzata della truccatrice per evitare che la mia faccia diventasse quella di un clown. Mugolò in risposta, invogliandomi a continuare. Ma non era così semplice. Come fare una domanda simile senza farle capire dove volevo arrivare? Impossibile. Quindi, decisi che non mi importava. Tanto ormai lei era convinta, sebbene io continuassi a negare.

“Come capisci quando Miroku fa sul serio?”. Sentii la sua mano esitare mentre mi passava il fondotinta. Cominciai a dubitare… lo capiva, vero?

Ecco…”, cominciò lei, “diciamo che Miroku non è sempre maniaco. Cioè, lo è spesso, ma non sempre. Ogni tanto si sofferma a farmi capire che sono importante per lui”. Una spiegazione decisamente superficiale. Sbuffai, cercando comunque di trarre delle conclusioni. Inuyasha si era mai soffermato a farmi capire che ero importante?

Mi aveva fatto pagare il pigiama. Decisamente no.

Mi aveva aiutato in cucina… o aveva già un doppio fine?

Mi aveva portato a casa del fratello quando erano arrivati i giornalisti. , in quel caso avrebbe potuto lanciare l’esca e scappare per conto suo, invece di proteggermi.

Come dovevo interpretare questa serie di avvenimenti? O forse non c’era nulla da interpretare, e io mi stavo solo facendo problemi per nulla. Inuyasha non mi voleva con lui, lo aveva dimostrato diverse volte. E l’ultima era stata più che eloquente.

Neko sul palco tra 10 minuti!”, esclamò un tecnico dall’esterno. Deglutii. Ero nervosa. Troppo nervosa. Non mi era mai successo, neppure al mio primo provino. Sango mi prese delicatamente per le spalle, fissandomi nello specchio.

Kagome, ora tu devi pensare solo a te stessa”, sussurrò dolcemente, carezzandomi i capelli acconciati, “lui non è qui, non è parte del tuo mondo e non ti merita”. Scossi la testa, per nulla convinta.

“Secondo te nessuno mi merita”, borbottai, memore dei tempi passati. Sango ridacchiò, circondandomi il collo con le braccia e affiancando il suo volto al mio. “Già, ma lì fuori c’è molta gente che ti ama. E quando qualcuno riuscirà a renderti felice, allora ti meriterà”. Sorrisi di questa sua frase.

Felice? Sì, era possibile.

Ma cos’è la felicità?

Non ero sicura che potesse andare d’accordo con l’amore.



 

Ero al pub.

Quello stupidissimo pub.

Solo, e con me Kikyo. Era lei che mi aveva costretto ad andarci. Ero fin troppo succube in quel periodo. Il pensiero di Kagome pervadeva ogni angolo della mia mente e del mio corpo, e non avevo vie di fuga. O meglio, una via c’era, ma non ero ancora così disperato da contemplare il suicidio. La televisione del pub era fissa su un canale musicale, a cui non facevo attenzione. Non ne ascoltavo le parole, non guardavo lo schermo, nulla. Ero concentrato su un bicchiere con un intruglio alla frutta, che Kikyo mi aveva costretto a prendere per non farla bere da sola. E lei parlava con me, senza sosta. Non le importava se non rispondevo, era solo particolarmente loquace.

“I did not believe that love was so random”.

Sollevai lo sguardo, fissando un punto imprecisato davanti a me. Quella voce…

But now, finally, I believe in destiny”.

“Guarda Inuyasha”. No. No. Non voglio sentire. Non voglio crederci. Almeno così posso illudermi di poterle stare lontano. Così posso sperare di guarire da questa pazzia.

“I couldn’t not believe that something could be better,

But now that I know you, everything seems so real”.

Inuyasha?”. Kikyo mi stava fissando preoccupata. Stavo stringendo i pugni, li stavo stringendo troppo. Quella voce. Non speravo di sentirla ancora.

Ma non l’avrei più sentita rivolta a me.

Inuyasha”. Non mi stava chiamando. Era quasi… rassegnata? Sì, ma a cosa? La musica continuava, e io mi voltai a fissare Kikyo. Mi fissava con i suoi occhi vuoti, in un misto di pietà e rassegnazione.

Perché? Perché mi guardava così?

Avevo voglia di urlarle di smetterla, volevo tornare indietro e cacciarla prima dell’arrivo di Kagome. Tutte cose che non potevo o che non sarei riuscito a fare. Non riuscivo a incolpare Kikyo di nulla, tanto io mi sentivo colpevole.

“Grazie a tutti!”.

La mia attenzione venne catturata nuovamente da quella voce, e stavolta la tentazione di guardare lo schermo fu troppo forte. La telecamera era impegnata in una panoramica del pubblico. Una folla mostruosa.

“Mi spiace di avervi fatto preoccupare per la mia sparizione”.

No, di questo non mi sarei mai pentito.

“Per farmi perdonare, ecco il mio nuovo singolo! Neko to Inu!”.

La musica partì non appena lei terminò di parlare, quasi gli strumenti fossero un prolungamento della sua voce. Ma io sentivo bene la differenza. Non c’era nulla di più bello della voce di Kagome.

“Senti Inuyasha, noi…”. Di nuovo Kikyo. Non in quel momento. “Zitta”, risposi brusco, fissando lo schermo, aspettando di vederla. E le telecamere la ripresero, nello stesso momento in cui lei avvicinò le labbra al microfono.

“I just walked alone and I met you,

You took my hand, you understood that I was lost,

You showed me the way, you showed me the light,

But now around me, I see only darkness”.

Ebbi uno strano presentimento, sentendo quelle parole. Avevo come l’impressione che fossero rivolte a me. Mi ricordavano qualcosa.

“We’re like cat and dog

We’re like Neko to Inu

We’re like Mizu to Hi

We have to be parted.

You’re the moon that eclipse my sun.

I feel the pain in my heart”.

“Oh kami”, sibilai tra i denti. Kikyo fece per parlare, ma lo stacco musicale durò poco, e non aveva intenzione di farsi azzittire nuovamente.

“I just thought ‘let’s try,

Maybe he’s the right one’

But I was so blind

You took me so far

In the darkness lonely I don’t want ever stay again

I’m strong, and now it’s my turn, I’ll show you the way!

We’re like cat and dog

We’re like Neko to Inu

…”.

Non mi soffermai a sentire il seguito. Ero sicuro che fosse tanta rumorosa musica e poco concetto. Scattai in piedi, dirigendomi alla porta, seguito dallo sguardo confuso di Kikyo. In realtà non sapevo bene cosa fare, ma ormai avevo ben poco da perdere.

Inuyasha!”. Ecco, ero certo che mi avrebbe seguito. Stava sempre a chiamare il mio nome senza effettivamente dire nulla. “Aspetta, devo parlarti!”. “Non ora, Kikyo”, sibilai, dirigendomi verso la macchina. Aprii rapido la portiera. “E quando?”. Non risposi.

“Stai andando via, vero?”.

Mi immobilizzai. Sì, stavo andando via. La stavo lasciando da sola. Non volevo parlare perché non saremmo arrivati a nulla. Pensavo solo a lei, tutto in resto non era importante. Ma come potevo dirglielo? Kikyo aveva sofferto per causa mia, e ora che aveva deciso di tornare la abbandonavo così.

Koga mi ha raccontato tutto”.

“CHE COSA?”, urlai tra l’incredulo, il disperato, lo sconfitto e un’altra decina di sensazioni che non so elencare. Non riuscivo a capacitarmi. Forse stavo immaginando tutto. La pazzia mi stava distruggendo. Ma Kikyo mi stava fissando, seria e fredda. Stavo immaginando anche quello?

“Sai, Inuyasha”, cominciò nuovamente lei, senza avvicinarsi ulteriormente, “Koga è davvero un grande amico. Anche se non lo da a vedere, ti vuole davvero bene”. Continuai a fissarla, senza capire dove volesse arrivare. Koga amico? Come poteva dirlo dopo quello che aveva fatto? “Mi ha spiegato la situazione in cui ti trovi. Ho capito molte cose sul tuo comportamento di questi ultimi giorni”.

Kikyo, io…”. “No, ascoltami stavolta”, mi interruppe autoritaria, “sono stufa di sentirti, voglio essere io a parlare. Tu andrai da lei, che io voglia o no”. La fissai confuso. Non era una domanda. “Io sono tornata perché… mi sono pentita. Non mi sono comportata in maniera matura. Fuggire non risolve nulla. Ora non voglio fare lo stesso errore di allora. Cercando di tenerti con me fuggirei solo dalla realtà. Tu non mi ami, e non ne hai colpa”.

“Non capisco”, ammisi. Le sue parole non facevano che confondermi. E soprattutto stavo perdendo tempo. Volevo bene a Kikyo, ma ormai c’era qualcuno al centro dei miei pensieri molto più importante. E a lei toccava perdere.

“Io ti lascio andare”.

Inarcai un sopracciglio, confuso. Mi lasciava andare? Che cosa voleva dire? Io sarei andato via comunque. Lei rise, una risata triste e malinconica.

“Sei lento come sempre, Inuyasha”, disse, quasi dolcemente, “ora sei troppo impegnato a pensare alla tua ragazza per renderti conto che dopo mi avresti avuto sulla coscienza”.

Già, aveva ragione. La fissai, sorridendo amaro. Con me era sempre stata troppo buona.

Anche adesso.

Montai rapido in macchina. Meta: la torre di Tokyo.


 

Non c’era posto per parcheggiare neppure a pagarlo oro. E non avevo intenzione di cercarlo. Parcheggiai rapido in doppia fila, e mi fiondai verso la piazza. Qualcuno inveì contro di me perché lo avevo bloccato mentre stava uscendo dal parcheggio. E chi se ne fregava. Vidi da lontano due guardie davanti all’ingresso, e infilai istintivamente la mano in tasca, prima di immobilizzarmi.

Il biglietto.

Che idiota, non lo avevo! Avevo detto chiaro e tondo che non ci sarei andato e Hiten non me lo aveva lasciato, ovvio! Ma il mio cervello impiegò meno di un decimo di secondo per decidere che non importava. E che se quelle guardie si fossero opposte… se la sarebbero vista brutta. Mi fiondai verso l’ingresso con sicurezza, magari mi avrebbero ignorato. Le avevo appena superate di qualche centimetro prima di sentire il fruscio del colletto, segno evidente che si erano voltate a guardarmi.

“Scusi, signore”. E ti pareva. “Ha il biglietto?”. Mi voltai a guardarle bieco. Due umani. Keh, che ci provassero a tenermi fermo e buono lì all’ingresso! Li fulminai, e li vidi rabbrividire terrorizzati. Ottenuto l’effetto desiderato avanzai verso la piazza e la folla smisurata. La sentivo cantare, la sua voce risuonava tutto attorno, vellutata e dolce. Era vicina. Ormai non sarei più riuscito a tornare indietro.

“Ehi, tu”. Mi voltai, qualcuno mi aveva preso per la spalla. Era in divisa, ed era un demone. Fissai confuso i due della sorveglianza, e ne trovai uno ancora con il cellulare all’orecchio. Come al solito Kagome riusciva ad offuscare completamente i miei sensi e a farmi perdere totalmente. Non avevo sentito minimamente la guardia chiamare rinforzi demoniaci. E notai solo in quel momento che dietro alla guardia che mi aveva preso ce ne erano altre tre. Tutti youkai.

Questo poteva essere un problema.

“Devo passare”, li ammonii gelido. La guardia sorrise come una deficiente. “Niente biglietto, niente ingresso”. Quel sorriso strafottente… avevo voglia di prenderla a pugni.

E lo feci.

Dritto sul volto, senza pietà. Fu talmente inaspettato che neppure si preoccupò di schivarlo. Si vedeva che non aveva mai avuto a che fare con un hanyou impazzito. Le altre tre guardie balzarono in avanti. Era il momento della fuga. Non potevo certo tenerle a bada tutte e quattro. Pregai che nessuna di loro fosse una velocista.

“CARICAAAA!!!!”. Quella voce femminile, quel tipico urlo da battaglia, quella insensata voglia di dare sempre ordini agli altri; alzai i miei occhi dorati, increduli, su una battagliera Ayame che mi superava di corsa. Rimasi immobilizzato, seguendola mentre si avventava senza pietà su una delle guardie. Poi, vidi Bankotsu, Jakotsu, e tutti gli altri sfrecciare accanto a me, imitando la ragazza scellerata.

“Ma cosa diam…”. Venni interrotto dagli urli di Ayame e di Jakotsu.

“Forza, banda Yoro! All’attacco!”. “Cosa dici? Io propongo di chiamarci Squadra dei sette!”. “Ma se siamo in sei?!”. “E Inuyasha non lo conti?”, intervenne Bankotsu dopo aver assestato un bel pugno sullo stomaco di una delle guardie. “Non importa, Banda Yoro è più figo!”. “E chi lo dice questo?!”, si lamentò nuovamente Jakotsu. “Lo dico io, ecco chi lo dice! Sono una ragazza, ho senso estetico più di te, checca!”. “Tsk, se tu sei una ragazza allora io sono un uomo!”. “Ma tu sei un uomo, Jakotsu…”, fecero notare in coro Hiten e Manten. Jakotsu fece l’espressione sconvolta di chi ha appena scoperto una terribile verità, e sfogò la sua ira sulla povera guardia che aveva di fronte.

Come? Chiedete che fine avevo fatto io? Io fissavo la scena sconvolto, ovviamente. Almeno finché non sentii l’ennesima mano prendermi per la spalla. Stavolta mi voltai istintivamente, artigli sguainati davanti a me. Ma la mia mano venne prontamente fermata con velocità. Feci una smorfia: l’unico a conoscermi così bene da prevedere le mie mosse, Koga, mi fissò severo con i suoi occhi azzurri.

“Che diavolo stai facendo ancora qui?”, domandò con il suo tono di sempre, “Corri dalla tua padroncina, da bravo cagnolino quale sei”. Lo fissai arrabbiato, pronto a ribattere. Cagnolino?! Parlava lui, succube di Ayame! Ma invece di aspettare la mia risposta mi superò lentamente, ignorandomi.

“Mi aspetto che paghi la cauzione per tutti noi, dato che ci stai facendo aggredire degli sbirri”, aggiunse con un tono di rimprovero. “Ehi, io non ti ho chiesto nulla!”, mi lamentai strillando, “E poi chi ce li ha i soldi per la vostra cauzione?”. Ero decisamente isterico. Koga mi guardava dall’alto in basso, e questo mi infastidiva. Mi guardava come se gli facessi pena. Anzi, probabilmente era così. Sbuffò, dandomi le spalle.

“Invece di fare l’orgoglioso, vedi di correre. Non puoi permetterti di parlare dopo che ti sei fatto aiutare da una donna”. Rimasi confuso da quest’ultima affermazione. Una donna? Lui alzò gli occhi al cielo, prima di riportarli su di me come se stessi perdendo di vista qualcosa di ovvio.

“Chi ci ha chiamato avvertendoci che stavi venendo qui come un pazzo e che non avevi il biglietto?”, domandò sghignazzando, avviandosi verso gli altri. Rimasi a riflettere, prima di trovare la risposta.

Ero decisamente in debito con Kikyo.



 

“Grazie a tutti!”, esclamai, riprendendo fiato tra un brano e l’altro. Le luci del palco mi accecavano, e il caldo sembrava quasi bruciare la mia pelle. Avevo sempre odiato i riflettori. L’aria era soffocante, temevo di svenire da un momento all’altro. Mi reggevo a fatica, ma dovevo continuare a sorridere, a cantare… a sperare. Sperare che lui sentisse tutto il mio rancore, sperare che lui capisse che potevo andare avanti senza di lui. Io non avevo bisogno di Inuyasha. Dovevo convincermene. Era così.

E allora perché sentivo le lacrime salirmi agli occhi per ogni parola che pronunciavo?

Avevo l’impressione di precipitare in un baratro senza uscita, senza aria, senza luce. Non c’era fondo alla mia disperazione, né fine alle mie lacrime, né voce per le mie canzoni. Ma soprattutto non c’era lui. I suoi capelli argentati davano luce a quel luogo oscuro, la sua mano era l’appiglio per tenermi in equilibrio nel nulla, i suoi occhi erano ciò che ispirava le mie note. Aveva cancellato quanto c’era di bello nel mio mondo prima del suo arrivo, e adesso pretendeva di essere il mio unico appoggio. E lo era. Ero stata sicuramente più cocciuta e testarda di lui, ma non potevo fare nulla contro la mia natura demoniaca.

Strinsi con forza il microfono, come sperando di sorreggermi all’asta di metallo. Vedevo il pubblico come una nube sfocata, e sorridevo. E parlavo, e cantavo, ma non sapevo né cosa dicevo né cosa avevo di fronte. Continuai a cantare, finché il tocco della mano di Miroku sulla spalla mi fece bloccare di colpo. Mi risvegliò da quel triste sonno in cui ero caduta, e interruppi il brano di colpo, seguita degli strumenti. A quel punto sentii una serie di urla sovrastare il brusio della folla. Un uomo della sicurezza prese il microfono, mentre Miroku mi portava via. Non opposi resistenza, era già un miracolo se riuscivo a reggermi sulle gambe.

“C’è una rissa all’ingresso, e sembra si stia scatenando del panico”, spiegò Miroku, facendomi sedere dietro le quinte, “appena si sistemano le cose torno a chiamarti”.

Niente panico, gente. La sicurezza si sta già occupando dei teppisti all’ingresso, non preoccupatevi. Appena possibile riprenderà il concert… ehi, ma chi diav…”.

Seguì il tonfo metallico dell’asta sul pavimento, il fischio del microfono, ma io ero concentrata sulla strana sensazione che mi stava pervadendo.

Sango, prendi Kagome!”, urlò Miroku, e mi sentì trascinare via prima di rendermene conto.

“È vicino”, sussurrai, mentre Sango quasi mi schiaffava nel camerino e mi chiudeva dentro.

“È vicino”, ripetei, quasi tremante, “sento il suo odore”. Ero abbastanza isolata, lì nel camerino.

Ma la sua voce la sentii comunque.

“KAGOME!!!”.
















 

 

 

 

 

Eccomi qua! XD

Vi ho rabbonito, eh? Però immagino che se vi informo che mancavano solo le ultime due pagine da tre settimane mi ucciderete >__>

Ops O__O

*pioggia di freccie infuocate Aryuna si difende prontamente con una secchiata d’acqua, ma viene comunque punzecchiata* Ahia ç__ç , la ragione è più che semplice ù.ù Dovete sapere che ho indetto un contest, e che una delle partecipanti mi ha chiesto se conoscevo bleach. , che dire, ero ignorante in materia dato che sapevo solo il nome del protagonista e che c’erano shinigami >___> Così mi sono messa a leggerlo dall’inizio, in fretta e furia, così da poter leggere la storia della mia concorrente ù.ù

Ma come sapete Bleach è molto lungo e quindi… ho finito di leggerlo solo stamattina! ç___ç

Chiedo venia e perdono, lettori cari!

Il prossimo è forse l’ultimo o forse il penultimo capitolo, dato che h dovuto dividere questo in due per evidenti ragioni di tempo e spazio >__>

Sigh… *si è depressa a parlare della fine di NtI*






 

 

Ricordate di Commentare per supportare noi poveri scrittori! COMMENTATE!!! XD






 

 

Ringraziamenti:

-Roro

-Vale728

-Achaori

-LizzyeJane

-Bchan

-Alidipiume

-Lola2

-Solandia

- E tutti coloro che mi hanno aggiunto ai preferiti!!! ^^



 

Il prossimo capitolo ringrazierò a dovere, lo giuro!!! ç__ç

 

 

 

 

 

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Capitolo 9
*** Unintended Choice ***


Benvenuti a quest’ultimo appuntamento con Neko to Inu! ^o^ Non è proprio l’ultimo in verità, ma il prossimo capitolo è l’epilogo ù__ù

Non partirò con le solite crisi per il mio ritardo, non vi interessano e volete giustamente leggere dopo… quanti mesi? Sei? Cinque? Boh >__>

Consolatevi però, il capitolo è lungo e ricco di scene! XD

Buona lettura!

Aryuna

Unintended choice







 

 

 

“KAGOME!!!”, strillai, saltando verso le quinte. Sentivo la folla borbottare confusa, troppe voci che affollavano le mie orecchie troppo sensibili. Erano superflue. Inutili esistenze che attraversavano la mia vita senza lasciare alcuna traccia. Non dovevano frapporsi tra me e Kagome, come aveva appena scioccamente fatto l’uomo che brandiva il microfono.

Inuyasha?”. Mi fermai di scatto. Era una voce maschile, che non conoscevo. Come faceva a sapere il mio nome? Fissai gli occhi sulla figura dell’uomo in questione, a vista un trentenne con capelli scuri, legati, e uno sguardo fin troppo calmo.

“Cerchi Kagome?”. Mi prese alla sprovvista, e inarcai un sopracciglio. Non sapevo che pensare, ma al contempo la mia mente di affollava di troppi concetti che la facevano sentire piena e vuota allo stesso tempo: era come essere invasi da un’ondata di adrenalina, tutto scorreva così lento. “Posso portarti da lei”. Questo non faceva che confondermi ulteriormente. Quell’uomo aveva qualcosa di sospetto. Eppure, quando si incamminò verso il camerino di Kagome – potevo sentire la sua scia, era passata di là – non potei evitare di seguirlo. C’era una donna poggiata alla porta: era la stessa che aveva seguito Kagome nel mio palazzo. I suoi occhi, dal taglio felino, si soffermarono sui miei. L’ondata di odio che mi travolse fu impressionante. Avanzò a grandi passi verso di me, a tal punto che temetti di venire travolto. E invece, con una sequenza di rapidi movimenti si fermò davanti a me…

E mi schiaffeggiò.

“Questo è per aver fatto soffrire Kagome”, sibilò. Mi misi una mano sulla guancia dolorante, confuso. Stava ancora con la mano a mezz’aria, quando la fece tornare indietro alla stessa velocità, schiaffeggiandomi anche l’altra guancia con il dorso. “Questo è per aver interrotto il concerto”. La mano era ancora una volta immobile, pronta a colpire nuovamente. Erano tutte accuse fondate, e non riuscivo assolutamente ad oppormi a quei due. Uno era troppo calmo, l’altra era troppo violenta, e mi spiazzavano completamente. Quando ebbi l’impressione che stesse per muoversi nuovamente, chiusi gli occhi, pronto ad essere colpito nuovamente con una buona scusa.

“E questa…”. Sentii la sua mano calda prendere la mia, e lasciarci qualcosa di piccolo e altrettanto caldo. Aprii gli occhi, concentrandoli immediatamente sul piccolo oggetto. Era una chiave. “È la chiave del camerino di Kagome”, terminò la donna, fissandomi seria. Per un attimo vidi la sua rabbia sparire dal suo sguardo. Un attimo molto breve. Mi fulminò nuovamente, e venni travolto dall’ennesima sensazione di confusione… e paura. “Ma se la farai piangere, soffrire, o anche solo deprimere per un millesimo di secondo”, sussurrò, poggiandomi una mano sul petto, minacciosa, “ti ridurrò in uno stato tale che nemmeno tua madre riuscirà a distinguere la tua sporca faccia dal tuo culo puzzolente”.

Deglutii.

“Voglio una risposta”, ringhiò, facendomi sobbalzare. “S-Sì”, risposi balbettando, con la forte tentazione di rispondere invece con un più completo ‘sì, signora!’. Mi spinse verso la porta del camerino, senza staccarmi gli occhi di dosso.

“Su, Sango, calmati”, la pregò il ragazzo, mettendole un braccio sulle spalle. Lei sbuffò, fulminandolo, ma lui, a differenza mia, non fece una piega. Mi voltai nuovamente verso il camerino.

Avevo perso già troppo tempo con i due scellerati.



 

La chiave girò nella toppa, lentamente. Troppo lentamente. Sango apriva sempre la porta come un uragano. Alzai lo sguardo, impaurita. Non pensavo che sarei stata così nervosa. Eppure non aspettavo altro da giorni. Lo volevo, lo volevo con tutto il mio cuore. Speravo che fosse così, che fosse davvero amore. Non potevo sopportare di essere la donna di un uomo che odiavo.

La porta si aprì lentamente, svelando proprio quella vista che desideravo e temevo allo stesso tempo. Inuyasha era lì, davanti a me, e i suoi occhi dorati mi fissavano… come se volesse mangiarmi.

Inuyash…”, cominciai subito, terrorizzata, appiattendomi contro l’angolo del divano. “Non parlare”, mi fermò lui. Mi azzittii, come ordinato, ma la paura si stava impadronendo di me. Avevo paura che perdesse il controllo. E avevo paura di perderlo anch’io. Chiuse gli occhi, e prese un respiro breve e rapido. Lo vidi stringere i pugni.

“Questa stanza”, cominciò lui, aprendo lentamente gli occhi, “è satura del tuo odore”.

Inuyasha, io…”. “No”, mi fermò nuovamente, accompagnandosi con un gesto della mano, “sto cercando ancora di controllarmi”. Sospirai, e il suo odore raggiunse il mo naso, fermando il fastidioso pizzicore che lo assillava da giorni. Venni percorsa da un brivido, e lo fissai avida. Lui inarcò le sopracciglia, sembrava confuso.

Kagome, i tuoi occhi”, mi avvertì. Spostai il mio sguardo sullo specchio, contemplando confusa il mio riflesso. C’era un luccichio strano sulle mie iridi. Non mi resi conto immediatamente che erano diventate dorate.

“Ok”, dissi annuendo nervosamente, “ok, sai come facciamo? Facciamo che tu rimani lì, sulla porta e io rimango qui sul divano. Così possiamo parlare senza aggredirci. Ti va?”. La mia voce era spezzata e troppo acuta, ma lui richiuse la porta senza fiatare.

“Va bene. Facciamo come vuoi tu”. Peccato che subito dopo calò un silenzio agghiacciante. Ovvio, passato il terrore di aggredirci a vicenda dovevamo affrontare i problemi. E nessuno di noi sapeva da dove cominciare. La mia mente si affollò di pensieri, avida di sapere la verità su tutto ciò che mi confondeva. Mi amava o no? Era solo attrazione fisica? Perché era sparito da casa di Rin senza avvertirmi? Chi era quella donna? E perché non si era più fatto sentire?

Kikyo…”. Concentrai meglio lo sguardo su di lui. Non mi stava guardando, e sembrava imbarazzato. Kikyo? Era il nome di quella ragazza? “Lei era la mia ex”, ammise, fingendo indifferenza. Questo non fece che peggiorare il mio umore. Ero isterica, e simili affermazioni mi facevano ribollire il sangue. Artigliai un cuscino e glielo lanciai dritto sul volto.

“FUORI DA QUESTA STANZA!”,strillai, cercando vicino a me qualcosa di più grande e solido da lanciargli. Tipo un comodino, per intenderci. Di spigolo. Appuntito.  Lui scansò il cuscino, fermandolo con la mano, osservandomi confuso e preoccupato.

“Ehi, ho detto ex!”, sottolineò, trattenendosi dall’urlare. Stava cercando di frenare il suo carattere impulsivo. Sbuffai, fulminandolo, decisamente poco convinta.

“Ah, sì? E che ci faceva a casa tua?”, domandai in tono di sfida. Non aveva scusanti, non poteva averle. Lui si irrigidì. Visto? Non le aveva!

Ecco…”, cominciò, cominciando a torturare il cuscino che teneva tra le mani, “devo proprio parlarne?”. Spalancai gli occhi, incredula. Proprio parlarne? Proprio parlarne?! Perbacco se doveva! No Inuyasha, guarda, mettiti pure comodo sul divano, anzi, magari vuoi il tè con i pasticcini? Mi faceva proprio imbestialire, la mia ricerca di qualcosa da tirargli contro si fece più motivata. Lui sembrò notarlo, perché deglutì.

“Ok, ho capito, va bene”, disse, proprio mentre afferravo un pericolosissimo fermacarte di cristallo, pesante e adatto all’omicidio. Inarcai un sopracciglio perplessa. Lui prese qualche respiro, probabilmente indeciso su come cominciare. Io, dal canto mio, ero molto confusa. Finalmente lo avevo davanti, la tentazione di saltargli addosso era mostruosa. E invece stavo lì, seduta sul divano a fissarlo, aspettando risposte di cui effettivamente non mi interessava nulla. Non importava chi era la donna nella sua casa. Sapevo di non potergli stare lontano, e questo mi bastava. Eppure il terrore di sentirmi rifiutata sembrava talmente forte da impedirmi di alzarmi e muovere verso di lui.

Kikyo è scappata di casa tempo fa”, cominciò finalmente, soffermai le mie iridi dorato scuro su di lui, “perché la trattavo… male. Non fraintendermi, non intendo che la picchiavo. Ma non riuscivo a conviverci bene e non ricambiavo affatto il suo modo di aiutarmi.” Mi fissò, soffermandosi sui miei occhi caldi. Ormai riuscivo ad interpretare i suoi sguardi come se potessi leggergli nella mente. Era sorpreso dal cambiamento dei miei occhi, e questo lo attraeva. Immaginai che anche il mio odore stesse aumentando di intensità, perché i suoi occhi si fecero più accesi e rividi la stessa espressione di quel giorno, a casa di Rin: era affamato. Rabbrividii, stringendomi le spalle. Suonava così mostruosa quella parola. Cercai di convincermi che non mi avrebbe certo mai fatto del male.

Inuyasha?”, domandai, sperando che la mia voce potesse riscuoterlo, e pregando di non ottenere l’effetto contrario. Lui sbatté le palpebre un paio di volte, confuso. “Stavi dicendo che era scappata”, gli ricordai, anche se quella storia mi innervosiva. Perché quella ragazza poteva stargli accanto e io no? Perché lui glielo permetteva?

“Sì. Kikyo mi sosteneva economicamente mentre finivo gli studi all’università e al conservatorio”, continuò. “Conservatorio?”, lo interruppi subito, confusa. Inuyasha? Conservatorio? Le immagini morbide e eleganti che mi inspirava quella parola facevano decisamente a pugni con la sua immagine, spigolosa e violenta. Lui tossì, forse intuendo i miei pensieri. “Facevo chitarra”, quasi ringhiò, “e ho dovuto abbandonare il corso all’ultimo anno per cominciare a lavorare quando Kikyo se ne è andata”. Di colpo capii perché un ragazzo con una casa così grande si ritrovava a fare il tuttofare. Inuyasha si era ritrovato di colpo nei guai per colpa della sua ragazza. Dentro me sentii l’antipatia nei suoi confronti accentuarsi, mentre la mia mente era invasa dalla gelosia e dai termini di paragone: anche io potevo sostenere economicamente Inuyasha, e potevo anche trovargli un lavoro nel campo musicale. Potevo e volevo farlo.

“Ho capito”, cominciai, molto lentamente. La mia voce era bassissima, e non riuscivo a parlare con un tono più forte. Lentamente sentivo tutto attutirsi attorno a me: i suoni, i movimenti, i colori si facevano più spenti. Riuscivo solo a rimanere concentrata su Inuyasha. “Ho sbagliato a giudicare la situazione così in fretta”, ammisi infine. Lui sembrava in imbarazzo, perché distolse lo sguardo.

“Credo sia normale”, mi disse, “in fondo eri spaventata”. Spaventata? I ricordi della settimana passata riemersero nella mia mente offuscata dal suo odore. Ah, giusto. Ecco perché era in imbarazzo.

Non…”, dissi, ma mi bloccai per un breve attimo, “non sono arrabbiata”. Già, non lo ero. O almeno non più. In verità non ero mai stata davvero arrabbiata con lui per quello, ero più arrabbiata con il mio destino ingiusto. O almeno, che io credevo ingiusto. “Non ho detto che eri arrabbiata”. Mi bloccai, mozzandomi il respiro. Inuyasha mi stava fissando con uno sguardo strano. Era diverso dal suo solito sguardo, così acceso e scontroso. Era terribilmente… triste. Il solo guardarlo mi faceva spezzare il cuore. “Che eri… che sei arrabbiata lo sapevo”, continuò lui, “e anche che eri spaventata in verità”.

“Non sono arrabbiata”, mi costrinsi a dire con maggior trasporto, “non lo sono Inuyasha! Ero spaventata, e ammetto che prima ero anche arrabbiata, ma non con te”. Sembrò credermi, perché il suo sguardo ottenne nuova luminosità. Questo mi fece sentire sollevata. Non potei evitare di sorridere, per un breve attimo.

“Mi sono tranquillizzata adesso”, spiegai lentamente, “so che non è stata colpa tua, e adesso so anche che non avevi cattive intenzioni”. Feci una breve pausa. Scegliere le parole in una situazione così delicata era molto complicato. “Credo che… dovremmo parlare un po’. Di questa situazione in cui ci siamo ritrovati… e di noi”. Lui annuì, ma non si schiodò dalla porta. Si vedeva che aveva paura: era lui quello spaventato, non io. Ma per quanto mi sforzassi non riuscivo a capire di cosa lui dovesse avere paura.

Inuyasha, siediti qui”, gli dissi, con tutta la dolcezza possibile. Lui si irrigidì, rimanendo immobile. “Mi tengo lontana per sicurezza, ma ti prego, siediti qui sul divano”, lo implorai, cercando di spingere sul tasto dolente, “mi sento a disagio a vederti lì in piedi. Sembri un imputato alla corte e io il giudice. Ma io non sono qui per giudicarti”. Lui mi guardò fisso negli occhi. Stava valutando la situazione, probabilmente quanto poteva resistere accanto a me.

“Va bene”, decise infine, “ma stai attenta”.

Annuii, decisa a non farlo pentire della sua scelta.



 

Mi avvicinai molto cautamente a Kagome. Nel momento stesso in cui ero entrato in quella stanza ero diviso tra due emozioni contrastanti: la prima era l’impulso di renderla mia all’istante, come già era successo a casa di Sesshomaru, ma la seconda mi permetteva di mantenere la lucidità.

Ero terrorizzato. Avevo una paura impressionante di perdere il controllo, paura di spaventarla di nuovo, paura di non fermarmi. Contrariamente a Kagome, io sapevo cosa sarebbe successo se fosse avvenuto il peggio. Inoltre non ero affatto convinto che Kagome fosse innamorata di me. Lei era molto più umana, non sarebbe stato affatto strano se le sue due nature si fossero ritrovate in contrasto.

Mi sedetti con altrettanta cautela, cercando di mantenere comunque le distanze. Perché avevo accettato di avvicinarmi? Forse avevo troppa paura di vederla sparire davanti a me come già precedentemente era successo.

Io…”.

Io…”. Mi bloccai, guardandola. Avevamo cominciato a parlare contemporaneamente. Lei sorrise impercettibilmente a questa coincidenza, e le feci cenno di continuare. “No, vai tu”, ribatté invece lei, in un automatico gesto di cortesia. Non mi andava di andare avanti a lungo con quel botta e risposta, di conseguenza mi feci coraggio e presi un respiro profondo.

“Io vorrei mettere in chiaro la situazione”, cominciai con troppa foga. Non riuscivo più a trattenere tutto ciò che mi esplodeva dentro. E l’unica che potesse condividerlo con me era Kagome.

"Guarda che da Sesshomaru", cominciai, ma mi fermai subito. Non trovavo le parole per essere delicato e carino; non era da me esserlo. La guardai, sperando di trovare qualche aiuto nei suoi occhi ambra, ma non facevano altro che confondermi di più. "Non...". Lei continuava a guardarmi confusa, forse con una punta di preoccupazione. "Non credere che mi interessassi! Ti ho aggredito contro la mia volontà!", quasi strillai, guardandola fin troppo intensamente. Lei mi fissò inizialmente confusa e spiazzata. Poi, d'improvviso, la vidi tirare su con il naso.

Oh no.

NO!

"No, Kagome! Calmati, non hai capito!", cercai di calmarla, ma lei aveva già cominciato a piangere come una fontana, e sembrava non voler smettere più."Tu...", balbettò, guardandomi con gli occhi bagnati e singhiozzando. Vederla ridotta così mi ammutolii. "Dillo che non ti piaccio! Ecco perché mi hai fatto pagare il pigiama!", strillò di colpo, facendomi sobbalzare. Mi fissò arrabbiata per qualche secondo prima di scoppiare nuovamente in lacrime.

Il... il pigiama?

"K-Kagome", cominciai spiazzato, "scusa ma cosa c'entra questo adesso?". "Sai che ti dico?", mormorò con voce strozzata, "puoi tenertela la tua maglietta sbrindellata!". La guardai senza parole, con gli occhi spalancati. Stava proprio dando i numeri, ma alla grande!

"Kagome, non hai capito niente!", mi arrabbiai; non riuscivo a sopportare quel tono infantile che stava avendo, proprio quando io stavo cercando di parlarle seriamente. Lei immerse il volto tra le braccia, poggiandosi allo schienale del divano.

"Ti odio".

Rimasi paralizzato. Non mi guardava, ma continuava a singhiozzare. Sentii il sangue salirmi al cervello, cancellando ogni altro pensiero. Qualcosa in me si stava smuovendo, e dovevo impedirlo. Perché doveva sempre comportarsi così stupidamente? Perché doveva provocarmi in quel modo? Non aveva ancora capito quanto potessi essere pericoloso per lei? "Kagome, sei una stupida!", strillai scattando in piedi. Lei rialzò il volto rigato dalle lacrime. Il trucco le era colato, ma riusciva a essere terribilmente affascinante e attraente anche in quelle condizioni. "Stupida io?!", strillò a sua volta, alzandosi come me, "Tu dovresti cucirti la bocca, e ringraziare che non ti ho denunciato per violenza!". Si voltò, probabilmente decisa ad andarsene, concludendo così il nostro discorso. Eppure la vidi muoversi così lentamente, come se stesse esitando.

Quella sua frase... era stata così ingiusta.

Senza neppure rendermene conto, l’avevo affettata istintivamente per il polso. Si rivoltò verso di me, per divincolarsi. Aveva un'espressione adirata, ma al contempo così triste. Sembrava che dentro di lei si fosse infranto qualcosa. Ero sicuro di sentirla urlare di nuovo, ma invece quando mi guardò negli occhi ammutolì.

"Ti sbagli", riuscii a dire dopo un breve silenzio. La mia voce era solo un debole e roco sussurro, oppresso da tutto ciò che premeva dentro di me. Da tutto ciò che mi aveva detto, non potevo dedurre che una cosa: una parte di lei mi odiava. E io non potevo fare nulla se non cercare di far sopravvivere almeno lei a quel fato ingiusto. "Ti sbagli, Kagome. Io... io mi rendo che può sembrarti impossibile, ma non volevo che finisse così. Non volevo aggredirti a casa di Sesshomaru, non volevo che Kikyo tornasse, e vorrei tanto essere bravo ad esternare i miei pensieri, ma non lo sono. Finisco sempre per esprimermi male, e nessuno capisce mai quello che provo veramente". Mi interruppi di colpo: dove volevo arrivare? Lei mi avrebbe odiato comunque. Parlarle con sincerità avrebbe davvero cambiato qualcosa? "Mi dispiace", riuscii a dire distogliendo lo sguardo, "io non... non riesco a starti lontano. Ci ho provato, te lo assicuro, ma è inutile. Il tuo profumo è troppo forte". Sentivo il suo sguardo pesante su di me, insopportabile e magnetico. Ma dovevo costringermi a controllarmi, a non guardarla. "Io non voglio condannarti a starmi accanto se mi odi. Voglio solo che tu sia felice, e se non vedermi più servisse a qualcosa, sono ben disposto a spezzarmi gambe e braccia per impedirmi di raggiungerti. Però...". Mi costrinsi a sollevare lo sguardo, anche se sentivo le guance calde, e incrociai le sue meravigliose iridi dorate. "Però io voglio che tu sappia una cosa. Non volevo abusare di te da Sesshomaru. Sei la cosa più preziosa per me al mondo, e non ti farei mai del male. Quella volta... ho avuto così paura della mia reazione che anche adesso la parte umana di me riesce a frenare l'istinto che ho di...". Mi fermai di colpo, guardandola confuso. C'era qualcosa di diverso in lei. "Kagome?". La sua pupilla si era allungata, come quella di un gatto, e mi fissava avida.

"Tu mi ami, Inuyasha?".

La fissai spiazzato. Il suo sguardo era troppo intenso e concentrato. Dovetti distogliere lo sguardo per mantenere il controllo. Perché doveva fare domande così dirette? Sentii il calore alle guance aumentare, chiaro segno che stavo arrossendo notevolmente.

"Ecco... diciamo di sì", abbozzai timidamente. "Sì?", insistette lei subito, senza darmi neppure il tempo di pensare. Presi un respiro profondo, voltandomi verso di lei con gli occhi chiusi. "Sì", risposi aprendoli e fissandola.

Ma, quasi prima di finire la risposta, mi ritrovai scaraventato sul divano.



 

Non mi resi immediatamente conto della situazione. Mi ero mossa troppo velocemente, talmente tanto da spaventarmi. La mia mente fissava la scena con razionalità, ma sembrava completamente separata dal corpo. E, contemporaneamente, sentivo rimbombare nella testa un pensiero fisso, che continuava a occuparla, sotterrando ogni pensiero logico. Era come essere divisa in due.

Inuyasha mi fissava; gli occhi affamati cercavano di trattenersi, come anche lui. Aveva artigliato il divano, e si era appiatto del tutto contro di esso. Quando la mia parte razionale fu in grado di farsi un piccolo spazio nella mente, mi resi conto ciò che aveva causato quel mio gesto troppo veloce.

Lo avevo scaraventato sul divano, ed ero salita a cavalcioni su di lui, tenendo le mani ben premute contro il suo petto. Lentamente il mio controllo cominciò a cedere, invaso da uno strano istinto irrefrenabile.

Lui mi amava.

Non mi aveva aggredito per approfittarsene, non era colpa sua se la sua ex si era presentata da lui. Mi venne da piangere, ma i miei occhi si rifiutavano di farlo. erano concentrati solo su di lui. Sentivo il bisogno di averlo, solo per me. Non avevo più bisogno di mentire a me stessa per non soffrire.

"Kagome, scendi immediatamente". La sua voce era fredda, fin troppo misurata. Per la seconda volta, mi sembrò di avere davanti Sesshomaru invece di Inuyasha. "No", risposi secca, "non ci riesco".

Lui inarcò le sopracciglia, facendo una strana smorfia. Non mi sarei fatta sfuggire l'occasione di persuaderlo. Lasciai scorrere le dita sul ruvido tessuto della sua camicia, seguendone i dettagli con lo sguardo. Anche quella profumava di lui? Era così vicino che non riuscivo a dirlo con certezza. Avevo attirato la sua attenzione con quei gesti lenti e calcolati, probabilmente stava cercando di analizzarmi lentamente. Raggiunsi lentamente il suo colletto, per poi passargli la mano sul collo. Lo vidi rabbrividire per un attimo al contatto, la mia mano era incredibilmente fredda rispetto alla sua pelle calda. "Kagome?". La sua voce era nuovamente un sussurro roco; stava cercando di farmi ragionare. Il mio sguardo abbandonò la mia mano, per soffermarsi di nuovo sui suoi occhi ambra.

"Ho fatto la mia scelta involontaria", sussurrai, carezzandogli una guancia dolcemente, con il dorso della mano libera, "di ricostruire la vita che avevo prima. E non mi pentirò". Sorrisi, mentre lo vedevo già pronto a ribattere. Dov'era finita la divisione della mia anima? Non riuscivo più a percepirla. Ero invasa solo da una profonda dolcezza, e da una sola certezza. Mi chinai su di lui, percependo il contatto con il suo petto, e lascia scivolare con delicatezza le mie labbra sulle sue. Lo sentii irrigidirsi a quel contatto inaspettato, ma sapevo che non aveva la forza di respingermi: stavo approfittando di questa sua debolezza, ma era il mio unico punto di forza. Continuai a baciarlo a fior di labbra, con dolcezza, cercando di farlo sciogliere un poco. Mentre continuavo a carezzargli il collo con la destra, cominciai a giocare con ciocche dei suoi capelli argentati con la mano sinistra. Finalmente sembrò sciogliersi un poco, e ne approfittai per baciarlo con maggior trasporto. Sentivo che era ancora teso, e sentivo stridere il cuoio del divano che non si decideva a lasciare. Anche quando lo sentii respirare con più tranquillità, continuava  a tenersi saldamente aggrappato con le unghie.

, sarei riuscita a fargli lasciare quel maledetto divano.

Lasciai scivolare lentamente le mie mani sul suo petto, raggiungendo i piccoli bottoni della sua camicia scura. Lui mugolò qualcosa, protestando, ma mi affrettai ad approfondire il bacio per zittire le sue lamentele. Sbottonai con lentezza calcolata i lembi della camicia, e passai le mie mani fredde sul suo petto marmoreo. Lo sentii rabbrividire al contatto, e passai alla sua schiena per accentuare l’effetto. Sapevo bene che lo stavo conquistando pezzo per pezzo. Scesi con le mani fino ai fianchi, raggiungendo la cerniera dei suoi pantaloni. Lui protestò, ma lo ignorai, sbottonandoli e abbassando la zip. Ma quando tornai con le mani sui suoi fianchi, lui mi prese per i polsi, e mi costrinse a staccarmi da lui. Sentii un improvviso gelo sulle labbra, e capii che era lo stesso per lui. Mi fissava con occhi avidi e brillanti, e stava tremando.

Kagome. No.”, disse con voce ferma e autoritaria, fin troppo per la situazione. Io inarcai le sopracciglia offesa.

“E perché no?”, domandai come una bambina a cui è appena stato negato qualcosa. “No”, fu la sua unica e fredda risposta. Sentii immediatamente le lacrime salirmi agli occhi.

“Lo sapevo!”, strillai offesa, dimenandomi. Lui mi tratteneva, ma al contempo mi impediva di avvicinarmi nuovamente. “Tu non mi ami veramente, sei un bugiardo!”, continuai ad urlare piangendo. Inuyasha si irrigidì, e lo vidi colmarsi di rabbia.

“STUPIDA!”, urlò lui a sua volta, “non hai capito nulla!”.

Questo non fece che offendermi di più.

“Ah, è così?”, domandai con i nervi completamente altrove, “allora non avrai problemi con questo!”. Mi dimenai, e lui perse il controllo per un brevissimo istante. Si artigliò immediatamente al divano, per evitare di aggredirmi, e io ne approfittai spudoratamente. Scattai in piedi, e acchiappai i suoi pantaloni, cominciando a tirarglieli via.

Kagome, mollali!”, stillò lui, reggendoseli con una mano.

“L’hai detto tu che non ho capito nulla no? Bene, allora non avrai problemi!”, continuai io, tirandoli con più forza con entrambe le mani. Lui ringhiò. Mi immobilizzai di colpo, spostando gli occhi sul suo volto. Era decisamente molto arrabbiato, lo capivo ad occhio.

“Sì, non hai capito proprio niente!”, strillò di colpo, spaventandomi, “se vuoi morire così stupidamente fai pure! Ma io non ne ho alcuna intenzione, quindi non mi coinvolgere nelle tue manie suicide!”.

M-morire?”. La mia voce era solo un sibilo, mentre la sua espressione si faceva sempre più  seria.

“Mi hai detto che sono un bugiardo, ma semmai è il contrario; sei tu quella confusa, non io. Scambiarsi il profumo non è una sciocchezza, Kagome”, mi disse fissandomi negli occhi, dimostrando una resistenza che non pensavo potesse avere, “nel momento in cui si condivide il profumo del proprio compagno ci si unisce in anima e corpo. La separazione fisica o psicologica è talmente insopportabile che porta alla morte in breve tempo. Se uno dei sue lascia questo mondo, l’altro è destinato a seguirlo. E lo stesso vale per la lontananza emotiva”.

“Non capisco”, ammisi, confusa e spaventata. Cosa stava dicendo, così d’improvviso? Lo sguardo con cui mi fissava mi rendeva inquieta.

“Sono convinto che tu mi odi”, confessò, cogliendomi impreparata, “o meglio, la tua parte umana mi odia. Credo che sia una cosa che può succedere a noi mezzi demoni. Se è così, allora saremmo destinati a morire entro breve”.

Continuai a guardarlo senza sapere cosa dire. Era per questo che era così determinato a tenersi lontano da me? Com’era possibile che un matrimonio portasse alla morte.

“Allora Sesshomaru…”.

“Quando Rin morirà, lui la seguirà. Gli rimarranno pochi anni di vita probabilmente”, sussurrò lui, distogliendo per la prima volta i suoi occhi da me. Non sapevo più cosa pensare. Era un mondo così lontano dal mio, così crudele. Mi vennero le lacrime agli occhi.

“Capisco”, mormorai, ma la sua reazione mi spiazzò.

“No, non hai capito niente!”, sbraitò di colpo, facendomi sobbalzare, “io ho il terrore di avvicinarmi a te, per paura di condannarti a morte, e tu… tu… mi salti addosso!”. Era terribilmente esasperato. E mi fece sentire mortalmente in colpa.

Non… non lo faccio più”, fu l’unica stupidissima giustificazione che riuscì ad uscire dalla mia bocca. Lui mi guardò, prima di sbuffare distrutto, lasciandosi cadere sullo schienale del divano; si teneva ancora ancorato con gli artigli ai cuscini, ormai completamente squarciati.

“È inutile”, mormorò al limite della pazzia. Lo leggevo nei suoi occhi. “Siamo condannati, Kagome”. Spalancai gli occhi. Condannati?

“Se è così mi terrò lontana, davvero!”, confermai più convinta, sperando di farlo riprendere, “non mi avvicinerò finché non sarai convinto che non ti odio!”.

Lui scoppiò a ridere, isterico. Mi stava spaventando. Doveva avere i nervi a pezzi, come credeva di resistere in quelle condizioni?

“Siamo condannati”, ripeté tristemente, reggendosi la fronte con la mano, “siamo mezzi demoni, non potremo mai resistere, Kagome. Io sono già al limite, e tu lo sai”. Mi morsi un labbro, in difficoltà. Niente di tutto quello aveva senso. Perché si tratteneva ora se sapeva che presto non ci sarebbe più riuscito? Vedevo le sue forze prosciugarsi davanti a me; il cuore mi si stringeva, in una sensazione orribile.

“Io non ti odio”. Quelle quattro parole sfuggirono dalle mie labbra, senza che me ne accorgessi. Lui alzò lo sguardo, fissandomi confuso con quel solito luccichio nei suoi occhi ambra. “Non puoi dirlo Kagome, non ora”.

“Lo dico eccome!”, sbraitai di colpo, facendogli inarcare le sopracciglia per lo stupore, “Tu non sai come mi sento, non sai cosa provo! Come puoi dire che ti odio? Non è così, non è mai stato così!”.

“Non mentirmi, non funzionerà”, mormorò lui, chiudendo gli occhi.

Quello fu il colmo.

“Sì, è vero! Ti odio quando fai così! O quando mi rispondi a monosillabi! O quando mi affitti il pigiama!”, strillai isterica, “Ma… è normale… giusto?”. Sollevai gli occhi dal pavimento, sul quale li avevo puntati: Inuyasha mi fissava confuso.

“Questo non è odio, Inuyasha”, continuai in un sussurro, che sapevo lui avrebbe udito, “l’odio vero, quello per te non l’ho mai provato. Non mento, e non riuscirò mai a farlo: è questo che ho capito in questi giorni di lontananza. Non sono neppure capace di convincere me stessa di odiarti, e nessuno mi ha mai creduto”. Sbattei le palpebre un paio di volte, prima di rendermi conto che avevo gli occhi umidi. “Io volevo davvero essere in grado di odiarti! Stavo così male, non riuscivo a sopportare il dolore della lontananza, ma… non ci sono riuscita”, terminai con voce strozzata, cercando di fermare le lacrime, asciugandole con il dorso delle mani. “Non… non ci riuscirò mai… e voglio che sia così… Oh, stupide lacrime!”, strillai, “non smettono di scendere!”. Strofinai con forza le dita sulla guancia, quando una mano calda si posò con delicatezza sulla mia, fermandola. Spalancai gli occhi, fissandoli incredula su Inuyasha, in piedi a pochi centimetri dal mio volto.

“È la verità?”, domandò in un sussurro, con voce roca, facendomi arrossire. “Sì”, risposi con sincerità, posando la mano bagnata sulla sua guancia. Lui si avvicinò, asciugandomi una lacrima con un bacio. Sorrisi, ma mi scansai; lui mi fissò confuso.

Inuyasha, riesci a resistere qualche minuto?”. Non rispose subito, valutò la risposta. “Sì”, disse infine, trattenendo il respiro, “sempre che sia qualche minuto”.

Sorrisi, avvicinandomi al tavolino, e prendendo una scheda magnetica, con sopra impresse lettere dorate. Lui mi seguiva noi miei spostamenti, ma non mi infastidiva affatto: riusciva, non so come, a non intralciarmi mai nei movimenti. Aprii la finestra, per poi voltarmi verso di lui sorridente.

“Andiamo al mio albergo. Non ti dispiace portarmi in spalla, giusto?”, domandai retorica, conoscendo bene la risposta. Anche lui sorrise.

“Certo che no, salta su”.



 

Kagome aveva calcolato bene i tempi, impiegai solo pochi minuti a raggiungere il suo albergo. Certo, essere fuggiti dalla finestra come due fuorilegge mi aveva fatto una strana impressione.

Stavo dietro di lei, mentre passava la chiave magnetica nella fessura della serratura. Era davvero un’impresa trattenersi ora che non c’era più la paura a bloccarmi. Kagome aprì la porta, e cominciò a cercare il pulsante della luce. La abbracciai, senza darle il tempo di accenderla, e le baciai il collo scoperto. Lei rise.

Inuyasha! Un attimo!”, si lamentò ridendo, ma la ignorai. Anche lei stava crollando, e io la volevo subito. La porta si chiuse da sola dietro di me, lasciandoci nel buio totale.

Le scansai i capelli dal collo, mentre le cingevo la vita  con delicatezza. La sentii cedere, quando si voltò verso di me per baciarmi. Da lei mi aspettavo un bacio timido, non certo quello passionale e focoso che mi diede.

Forse fu proprio quello a farmi perdere completamente il controllo.

Kagome…”, mormorai sulle sue labbra, per poi catturarle con le mie. Lei gemette, infastidita dal mio eccessivo trasporto, ma mi assecondò quasi subito.

Inuyasha… un attimo…”, gemette ancora, mentre le scoprivo la spalla, tirandole il colletto della maglietta a maniche corte che indossava. Lei si allontanò da me, privandomi del piacere di quel piccolo dispetto che le stavo facendo. Mi teneva la mano, e mi guidava nel buio, dove i miei occhi demoniaci cominciavano a distinguere nitidamente gli oggetti. Mi fece sedere sul letto, e quando provai a baciarla si ritrasse.

Mhhh”, mugolai infastidito, e lei rise. Una risata irresistibile.

“Adesso ho esaurito l’ultimo goccio di autocontrollo che mi era rimasto”, sussurrò, sedendosi a cavalcioni sulle mie gambe, “e non ti resisterò più”.

Era proprio la frase che avevo bisogno di sentire.

Prima che potesse fare da sola, le sfilai con rapidità la maglietta, spettinandole inevitabilmente tutti i capelli. La sentii ridere e sbuffare contemporaneamente. Amavo quella risata. Avrei potuto passare le mie intere giornate a sentirla. Indossava un semplice reggiseno nero. Passai le mie mani sulla sua pelle gelida, accarezzandole la schiena. Lei abbassò nuovamente i suoi occhi nocciola su di me, sorridendo dolcemente. Era decisamente imbarazzata, potevo capirlo dal colore purpureo delle sue guance.

“Sei bellissima”, sussurrai, carezzandole le spalle. Lei distolse lo sguardo, mugolando debolmente, e coprendosi con le braccia. Aveva gli avambracci con manicotti a righe nere e fucsia.

“Che cosa sarebbero quelli?”, domandai ironicamente, per distrarla. Lei sbuffò, continuando a coprirsi. “Non è colpa mia se le idol si vestono così!”, rispose per ripicca, ma al contempo si affrettò a sfilarseli. Sorrisi, sembrava proprio una bambina. Eppure amavo anche quel lato infantile di lei. Le baciai il collo, mentre col le mani cercavo la chiusura del suo reggiseno.

“No!”, si lamentò lei, ritraendosi. La guardai come un cane bastonato. Lei arrossì nuovamente. “Mi sento a disagio”, borbottò, “possiamo infilarci sotto le coperte?”. Io inarcai un sopracciglio, guardandola perplesso. “Vestiti?”, domandai, cercando di trattenermi dal ridere. Lei arrossì ancora di più. Questo non faceva che aumentare la mia impazienza.

Io… è che…”, balbettò lei, coprendosi nuovamente con le braccia, “non ho mai… ecco… non so come fare!”. Mi fissò con i suoi grandi occhi, come qualcuno che si è appena tolto un grande peso dalla coscienza.

“Devi solo fidarti di me”, sospirai, chiamando a raduno tutto il mio autocontrollo. Le si inumidirono gli occhi.

“Ho paura!”. Oh cielo, ti prego fulminami!

“Scusami, Kagome”, cominciai al limite dell’esasperazione, “ma non eri tu quella che mi era saltata addosso nel camerino?”. Perché solo io dovevo affrontare situazioni tanto assurde? Lei mi fissò con i lacrimoni, le mani davanti alla bocca chiuse in due pugnetti innocenti: la tipica immagine del coniglio sofferente che deve far desistere il cacciatore.

“Solo che…”, squittì lei, tirando su con il naso, “non ero nel bel mezzo della situazione!”.

Perché questa frase è mostruosamente da lei?!

Kagome”, cominciai cercando di calmarmi, “comincio a chiedermi se mi ascoltavi quando parlavo prima. Ti giuro che non ce la faccio più, ma così mi fai sentire un cane!”.

“Lo so ma… ho davvero paura!”, continuò lei, “perché non so nulla su cosa devo fare, e come comportarmi, e magari tu penserai che sono un’incapace, e magari starai male con me, e…”.

“Frena, frena!”, la bloccai, sconcertato dalla velocità con cui parlava, “Respira! E poi  ti senti? Cosa stai blaterando? Non potrai mai essere un’incapace, per il semplice motivo che è con te che voglio stare, e non mi importa del resto, di nulla e di nessuno!”. Lei si immobilizzò di colpo.

Inuyasha”, mormorò, fissandomi confusa, “queste effusioni non sono da te”.

Giustissimo. Verissimo. Ma ormai ero troppo a pezzi per pensare a come sarebbe stato me stesso, o come avrebbe agito, o cosa avrebbe detto.

Khé!”, sbuffai, evitando di sottolineare questo particolare, “comunque se non vuoi mi tratterrò… in qualche modo… insomma, se mi rompo una gamba non posso mica fare miracoli!”.

“No!”, strillò lei, facendomi sobbalzare, “No. Mi sono calmata adesso…”. Inarcai un sopracciglio, perplesso. “Sicura?”. Lei annuì debolmente.

Però…”. Ecco, le ultime parole famose. “Posso toglierti la camicia?”.

“Ma che domanda è?”, chiesi esasperato, lei ridacchiò leggermente. “Ecco…”, disse, arrossendo e giocando con le dita, “è che io sono senza maglietta, e tu sei tutto vestito e… mi sento… a disagio”.

Sospirai, prendendole le mani tra le mie. Erano ancora incredibilmente fredde. “Stai congelando”, sussurrai, avvicinandole al mio volto. Le baciai delicatamente le dita, carezzandole ritmicamente per riscaldarle.

“Devi impazzire davvero con una come me…”, mormorò lei dispiaciuta, “non capisco come tu faccia a sopportarmi”.

“Non ricominciare, ti prego”, sbuffai sconsolato, continuando a strofinarle le mani, “sto cominciando ad impazzire seriamente”.

“Ho ragione io, visto?”, mi fece notare, sfilando le mani dalle mie. La fissai negli occhi, ma la sua espressione era illeggibile. “Non lo dico come critica solo che…”, disse lentamente, scegliendo le parole, “sei proprio sicuro che ti vada bene così?”. Rimasi in silenzio, mentre faceva scorrere le mani sulla mia camicia, con aria distratta. “È una domanda stupida, lo so. Tu mi hai già risposto, ma mi sembra davvero incredibile che qualcuno non mi trovi noiosa e odiosa”. Strinse il mio colletto con le sue piccole dita; mi sembrava così terribilmente fragile, come se fosse di cristallo.

Kagome, dove vuoi arrivare?”, domandai, avvicinandomi al suo volto. Lei non si scansò stavolta, ma non colmò neppure quel breve spazio che ci separava. Fece scorrere le dita fino al primo bottone della mia camicia, mentre il suo respiro caldo mi carezzava il volto.

“Non è che un giorno ti stuferai di me, e mi lascerai indietro?”, domandò fermandosi di colpo. Io sorrisi, sollevandole il mento con una mano, obbligandola a fissarmi con i suoi occhi oramai completamente dorati.

“Impossibile”, sussurrai, baciandole delicatamente le labbra. Le sentii incresparsi in un sorriso, prima di venir catturato da una passione irrefrenabile.

Sentii la mia mente annebbiarsi, esattamente come mi era successo altre volte.

In quel momento capii che non sarei più stato capace di fermarmi.



 

Ogni mia resistenza cessò in quel momento, con quel semplice e delicato bacio. Inuyasha era capace di annullare le mie barriere in un attimo, con una semplice parola. Forse non si rendeva conto dell’influsso che aveva su di me. Sorrisi inevitabilmente, e poi improvvisamente lui approfondì il bacio, prendendomi alla sprovvista. Certo non ero capace né volevo più resistergli. Cominciai a sbottonare rapidamente la sua camicia, mentre ricambiavo il suo bacio appassionato. Sentii le sua mani carezzarmi i fianchi, mentre le nostre labbra si cercavano, e le nostre lingue si rincorrevano in un’antica danza da sempre conosciuta.

Finii di sbottonare l’ultimo bottone, e gli sfilai la camicia con rapidità. Lui mi strinse a sé, con foga incontenibile. Mi sentivo trasportata da emozioni che non avevo mai conosciuto prima, sentivo la pelle bruciare, e solo il suo tocco riusciva ad alleviare quella piacevole pena. Cominciavo a sentire il bisogno di averlo, di saperlo solo ed unicamente mio. Volevo che chiunque lo capisse, doveva essere di mia proprietà, e nessuna donna più potesse portarmelo via, come aveva fatto Kikyo.

Mi tolse la gonna, ma quasi non ci feci caso, occupata com’ero ad accarezzarlo, baciarlo, volerlo. Senza rendermene conto mi ritrovai stesa sul letto, lui sopra di me mentre mi baciava il collo – focoso – e mi carezzava il seno. Sentii la sua mano scendere sui miei fianchi, mentre mi arcuavo contro il suo corpo caldo e accogliente. Percepivo il piacere che mi pervadeva ad ogni suo movimento, in una danza ritmica e naturale.

Ero percorsa da brividi, aggrappata alla sua schiena, il mio unico appiglio sicuro in quella situazione a me estranea.

Umana o demone? Non avevo mai capito quale era il mio mondo prima di allora.

Adesso, invece, tutto era più chiaro.

Era lui. E non l’avrei mai più lasciato.
















 

 

 

 

 

Ci ho messo tanto, lo so, ma la mia ispirazione era prosciugata ù__ù

Non ringrazio a dovere, pur avendolo promesso, perché altrimenti aggiornerei dopodomani >__>

Ringrazio comunque tutti i lettori, e tutti coloro che hanno cominciato a leggere la storia recentemente, rendendomi felice come una pasqua!!! *___*





 

 

Ricordate di Commentare per supportare noi poveri scrittori! COMMENTATE!!! XD





 

 

Ringraziamenti:

-Roro

-Vale728

-Achaori

-LizzyeJane

-Monik

-Inufan4ever *KIKKAAAAA!!! *___* Spupazz*

-Eriko Chan

- E tutti coloro che mi hanno aggiunto ai preferiti!!! ^^

 



Il prossimo capitolo ringrazierò a dovere, lo giuro!!! ç__ç *vorrei vedere, è l’ultimo! XD*

 

 

 

 

 

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Capitolo 10
*** Epilogo ***


Epilogo

 

 

 

Kagome!”. Sango bussò nuovamente alla porta senza ottenere risposta. Fissò Miroku confusa, il quale fece spallucce altrettanto spiazzato. Origliavano alla porta da quando era entrato Inuyasha, ma poi le voci erano cessate di colpo.

“Basta, io entro!”, esordì alla fine la ragazza, facendosi coraggio.

Sango!”. Miroku la trattenne per il polso, facendola girare immediatamente sulla difensiva. “Che c’è?”, domandò lei scocciata. Lui la fissò per diversi secondi.

“Credevi che stessi per palparti vero?”, domandò con un’innocenza vergognosa. Sango arrossì inevitabilmente, ritraendosi. “C-che c’entra questo ora? E anche se fosse ne avrei decisamente motivo!”, si difese subito la ragazza facendo l’indifferente. Miroku sorrise sghembo.

“Facciamo così: prima risolviamo il problema di Kagome e poi mi avrai di nuovo maniaco e tutto per te!”.

“Guarda che mica ci tengo!”, strillò Sango arrossendo, mentre l’altro ridacchiava divertito. “Basta adesso! Io entro davvero!”.

“Fossi in te non lo farei”, suggerì il ragazzo. Sango lo fissò perplessa. “E perché?”, domandò con la mano sulla maniglia.

“Potresti trovarli mentre consumano”, rispose lui con semplicità.

“MIROKU!”, urlò Sango arrossendo nuovamente.

“Il nostro amico si è dato da fare allora!”. I due si voltarono verso l’origine della voce, incontrando gli occhi verdi di una ragazza circondata dalla sicurezza. Assieme a lei c’era una banda di ragazzi che continuavano a discutere tra loro in manette.

“Prego?”, domandò Sango confusa, fissando una delle guardie.

“Sono i teppisti dell’ingresso”, spiegò l’uomo, “il signor Miroku ha detto di portarli qui una volta catturati”. Sango fece per parlare di nuovo, ma proprio in quel momento vide il manager fiondarsi sulla ragazza con mani affamate.

“MI-RO-KU!!!!”, strillò, mentre l’uomo si presentava alla ragazza con una delicata palpata. Ayame si immobilizzò.

“TU SEI MORTO!”, strillò di colpo, liberandosi dalle guardie con una forza sovraumana.

“TU!!! COSA HAI FATTO ALLA MIA FIDANZATA?!”, urlò un ragazzo con la coda nel mezzo del gruppo, facendosi largo a spallate.

“Posso spiegare, sono scivolato”, si giustificò Miroku agitando le mani davanti al volto.

“Adesso nessuno vorrà più sposarmi!”, pianse Ayame rabbiosa, “Voglio vendetta!”

“Guarda! L’hai fatta piangere!”, sibilò accusatorio il demone lupo.

Ma… no… io…”, balbettò Miroku in difficoltà. Si rivolse a Sango in ricerca di aiuto. “Sango, una mano?”.

La ragazza lo squadrò, prima di alzare il mento altezzosa.

Magari la prossima volta si sarebbe ricordato di non scivolare.

 

“Secondo te saranno arrabbiati?”, domandai, tenendomi con le braccia allacciate al collo di Inuyasha. Lui correva veloce come il vento, tenendomi in braccio. I suoi capelli argentati si confondevano con i riflessi della luna, e ne rimasi ipnotizzata finché la sua voce non mi riscosse.

“Non saprei. Mi ha fatto entrare la ragazza mora, quindi immagino si aspettassero che la nostra discussione andasse per le lunghe”, disse con sincerità, mentre atterrava agilmente sul retro del palco. Mi lasciò toccare terra con delicatezza, mentre lo baciavo a fior di labbra.

“Vado e torno, promesso”, dissi sorridendogli. Lui annuì, un po’ imbarazzato. La sua timidezza mi faceva impazzire. Era troppo dolce quando distoglieva gli occhi con quel rossore quasi impercettibile.

Neko? EHI, NEKO!”. Mi voltai perplessa verso la voce che mi chiamava, e vidi un microfonista che correva nella mia direzione. “Vieni immediatamente! Il tuo manager è stato aggredito!”.

Spalancai gli occhi incredula.

“CHE COSA?”.

Corsi nei camerini, guidata dal microfonista e seguita da Inuyasha, come un’ombra senza la quale non riuscivo a muovermi. Vidi Sango da lontano mentre usciva dal mio camerino, e la chiamai. Lei si voltò nella mia direzione confusa, ma poi mutò subito espressione.

Nonostante fossi decisamente lontana, mi bastò un suo sguardo per terrorizzarmi.

Era arrabbiata.

Molto arrabbiata.

“KAGOME!”, urlò venendomi incontro. Mi paralizzai in preda al terrore. “Come ti viene in mente di sparire? Senza un biglietto! Un’indicazione! Nulla!”. Aprii la bocca per scusarmi, ma lei non mi diede il tempo di farlo. “Non pensi a come mi sia preoccupata? Io mica mi fido di questo qua!”, esordì additando ‘questo qua’ – alias Inuyasha – il quale la fulminò immediatamente.

“E, tanto perché le disgrazie non arrivano mai da sole, Miroku le ha prese dall’amica teppista di questo qui! Lui con le mani ferme mai!”, continuò a lamentarsi Sango.

“Oh mamma!”, esclamai preoccupata, “e come sta?”.

“Ovviamente è rimasta scioccata, ma è una ragazza forte”, mi tranquillizzò Sango, “supererà il trauma, anzi ha già reagito fin da subito”.

“Sono contenta”, sorrisi, “poverina, deve essere stata un’esperienza terribile”.

Ehm… scusate?”. Ci voltammo assieme verso Inuyasha, che ci fissava con sguardo confuso. “Ma il tuo manager?”.

“Ah, non ti preoccupare! Figurati se quello desiste per un po’ di botte”, sbuffai io rassegnata.

“Infatti, fossi in te mi preoccuperei della sanità psicologica della tua amica”, gli consigliò Sango, “anzi spero che non si sia fatta male alle gambe per picchiare quel maniaco”.

Annuii, anche se Inuyasha mi fissava decisamente perplesso.

“Comunque, Kagome…”, continuò Sango con una voce poco rassicurante.

“Sì?”, domandai, cominciando da subito a terrorizzarmi.

“FILA SU QUEL BENEDETTO PALCOSCENICO!!!”, strillò additando le quinte.

Ci corsi come un fulmine.

Faceva troppa paura per non obbedirle.

 

Fissai Kagome mentre fuggiva letteralmente da quella donna spaventosa – Sango avevo capito – la quale sospirava rassegnata.

“Che ragazza… non avrà mai la testa sul collo!”, esclamò sconsolata, prima di concentrarsi su di me svogliatamente. “Ti consiglio di andare dalla tua amica, gli altri tuoi compagni teppisti sono in commissariato”, mi disse sbuffando, “immagino che ci toccherà pure pagargli la cauzione. La ragazza è rimasta per farsi visitare da un medico nel caso si sia fatta male”.

“Quindi è dal medico”, constatai, ma Sango scosse la testa con espressione contrariata.

“No, il medico è ancora da Miroku. Ha insistito per visitare prima lui anche se dicevo che non faceva niente”.

Ma che razza di gente conosceva Kagome?!

Seguii le indicazioni di Sango, e raggiunsi la stanza in cui avevano chiuso Ayame. Fissava il vuoto. Oh Kami, magari era davvero rimasta shockata da quel maniaco!

Aya…”, cominciai, ma mi interruppi appena si voltò a guardarmi, con uno scatto che non mi aspettavo. Aveva lo sguardo di chi è persa in un altro mondo.

“Oh. Inuyasha”, disse completamente atona, tornando a guardare davanti a sé. Era terribilmente inquietante.

Ehm… stai bene?”, domandai avvicinandomi con lentezza calcolata. Domanda sbagliata. Mi fulminò, scattando in piedi.

“BENE?! Come ti viene in mente! Adesso non mi vorrà più nessuno, non sono più una fanciulla pura e casta!”, strillò coprendosi il volto con le mani. Nonostante la tragicità della scena – controllai di non essere finito in uno shojo – la scenata non mi toccò affatto.

Ayame, tu non sei mai stata pura e casta”, gli feci notare senza mezzi termini. Lei alzò il volto altezzosa, facendo l’offesa.

“Non puoi certo dirmi tu queste cose, stupido padre di famiglia!”, disse stizzita. Raggelai, prima di arrossire mortalmente.

“Non sono un padre di famiglia, lupaccia!”, urlai imbarazzato. “Ma lo sarai presto! A me non mi vorranno mai, mai, mai più!”, terminò lei ignorandomi.

Perché mi doveva rinfacciare il fatto che ero… ero spos… Ero, punto!

Inuyasha?”.

“Che vuoi?”, domandai sulla difensiva, anche se il suo tono aveva qualcosa di diverso. Mi guardò con i suoi grandi occhi verdi, con lo stesso sguardo illeggibile di prima.

“Da quanto conosci me e Koga?”. La guardai perplesso; non capivo dove volesse arrivare. “Molti, troppi anni”, risposi acido. Lei sorrise debolmente, rendendomi ancora più confuso.

“E lui non è mai stato d’accordo su di noi, giusto?”, domandò in tono malinconico. Non risposi, ma non riuscii a capire se era una domanda retorica o meno. “Lo sai com’è lui”, cercai infine di tranquillizzarla – anche se non era affatto il mio forte –, “non sopporta che gli sia stato imposto un matrimonio, Ayame. È solo per quello che si comporta così nei tuoi confron…”.

“No”, mi interruppe di colpo, “non è questo”. Inarcai un sopracciglio confuso. Se voleva sfogarsi non ero la persona giusta per farlo.

“Ha urlato che sono la sua fidanzata”.

La fissai sconvolta. Koga? Proprio il Koga che conoscevo io? Quello che non si sarebbe piegato ai voleri della famiglia Yoro mai e poi mai? Il tipico ragazzo ribelle? Certo, era sempre stata Ayame a rimetterci, e tutti capivamo che c’era del tenero, ma lui era troppo orgoglioso.

Mi riscossi dai miei pensieri solo quando vidi gli occhi di Ayame farsi lucidi.

Inuyasha!”, strillò scoppiando a piangere e abbracciandomi, “Sono così felice!”.

Rimasi paralizzato dalla sorpresa. Non avevo mai visto Ayame piangere. Mai. Tantomeno era mai stata tanto affettuosa. Nonostante il mio carattere freddo non potei evitare di sorridere, ricambiando il suo abbraccio.

“Stupida palla di pelo rosso che non sei altro”, mormorai divertito, “piangi per quello scemo?”.

“Zitto, stupido marito da quattro soldi!”, strillò lei isterica, continuando a piangere sulla mia spalla.

“Non dovresti dirlo a me dato che il tuo non sarà certo meglio”, borbottai offeso e imbarazzato. La sentii ridacchiare debolmente.

“Già”, singhiozzò asciugandosi le lacrime, “sembra che sarà così”.

Sospirai sollevato, mentre lei si calmava e si sedeva nuovamente con gli occhi leggermente arrossati.

“Devo andare immagino”, le dissi, avvicinandomi alla porta. Troppo affetto tutto insieme, non ero abituato a dire frasi tanto consolanti alle persone.

“Non dire a Koga che ho pianto”, mi pregò subito, ed io mi limitai ad annuire. Tanto non l’avrei fatto comunque.

“Verrò a pagare la cauzione, prometto”, dissi aprendo la porta. Lei annuì tranquilla.

“Ah, Inuyasha!”. Mi fermai, fissandola. “Hai un buon nuovo odore”. Sorrise malignamente: ecco l’Ayame che conoscevo.

“Sì”, borbottai arrossendo, e sbattendo la porta dietro di me. Doveva sempre avere l’ultima parola quella maledetta!

Adesso cosa dovevo fare? Kagome era sul palco, Sango si era dileguata, e io ero dietro alle quinte del concerto più seguito del Giappone.

Cosa mi avrebbero fatto se avessi accidentalmente staccato qualche contatto degli altoparlanti? O dei microfoni? Forse mi avrebbero crocefisso. O, in alternativa, mi avrebbero costretto a lavorare a vita per la nonnetta della lavatrice. Ma poi, alla fine, l’aveva ricomprata oppure no? Non ero sicuro di volerlo sapere, saperlo equivaleva a ricevere una sua chiamata, sicuramente per un guasto.

“Ehi tu?”.

Mi voltai verso il proprietario della voce, per assicurarmi di essere il ‘tu’ in questione e, nel caso, per fargli una bella ramanzina per la sua educazione di trascurabile qualità.

Ma mi ritrovai davanti ad una persona di non trascurabile importanza.

Ok, non conoscevo Neko.

E va bene, non frequentavo da un po’ l’ambiente musicale.

Ma nessuno, nessuno in tutto il Giappone non conosceva Naraku Shouki, della omonima e onnipotente azienda. Credo che solo le nobili famiglie dei demoni potessero essere più ricche di lui. Come la mia. Ma io non ne facevo parte in fondo, o non avrei scroccato soldi dalla prima ragazza che incontravo per strada. E questa mia perenne mancanza di denaro non l’avevo mai adorata come in quel momento.

“Dov’è Neko?”, domandò brusco, squadrandomi dall’alto in basso.

“È sul palco”, mi limitai a rispondere freddo.

, portami da lei… cosa sei, un microfonista? Addetto alle luci?”, domandò con disprezzo. Aprii la bocca per rispondere, quando Sango sbucò davanti a me.

“Cosa fai ancora qui?”, mi chiese confusa, “La saletta è da quella parte!”.

“Ci si rivede Sango”, ridacchiò Naraku, dietro di lei. La vidi paralizzarsi, prima di voltarsi lentamente.

Ah… io…”, balbettò la ragazza, lasciandomi di stucco. Non pensavo che quella furia della natura fosse capace di balbettare.

“Portami da Neko, dato che i tuoi sottoposti sembrano incapaci”, comandò lui, fissandomi in maniera fastidiosa, “E hanno un odore strano. Quasi familiare… chi sei?”.

Feci per rispondere, ma Sango mi fermò.

“Nessuno! Non è nessuno!”, ripeté, lanciandomi un’occhiata intimidatoria, “Venga, Kagome ha quasi finito”.

Sarà…”, si limitò a mormorare lui, per poi seguire Sango. Non prima di avermi raggelato con lo sguardo, ovvio. Non ci feci grande caso, ero ancora confuso dalla reazione di Sango. Odore familiare… era perché adesso odoravo anche di Kagome. Ma perché non poteva saperlo? Precisiamo, non ci tenevo che la notizia facesse il giro del mondo, non così almeno. Mi bastava sapere che Kagome fosse mia, e che tutti potessero sentirlo. Non per questo dovevo correre in giro lanciando volantini riguardo il mio ma… il mio matr…

Oddei, non riuscivo neppure a pensarci.

Seguii la scia di Sango, e la raggiunsi proprio mentre Kagome scendeva dal palco.

“Bene Neko, spiegami un po’ cosa è successo”, comandò Naraku, con tono minaccioso, “Ti sembra il caso di interrompere un concerto così? Sai da dove sono venuto a causa tua? La mia esistenza non è così inutile come la tua, sono corso qui da un meeting importante”.

Strinsi i pugni, mentre Kagome si mordeva il labbro inferiore, abbassando lo sguardo. Avevo una forte tentazione di picchiarlo, ma sapevo bene che non potevo farlo. Ogni mio gesto sarebbe ricaduto su Kagome.

Naraku annusò l’aria, perplesso. Spalancò gli occhi, prima di voltarsi a fissare me.

“Non è possibile”, sibilò, assottigliando gli occhi, “tu sei pazza!”.

“Non ho potuto fare nulla, mi dispiace”, si difese lei rapidamente, “non potevo aspettare!”.

“Ti rendi conto di cosa hai fatto?”, sbraitò Naraku, “tu sei una idol! Non puoi fare come ti pare! Sei di mia proprietà!”.

Mi stavo trattenendo, lo giuro.

Ma di fronte a quell’affermazione, non potei evitare di ringhiare.

“Lei. È. Mia”, scandii minacciosamente, mentre l’uomo mi fissava sconvolto.

Naraku boccheggiò, mentre Kagome si torturava le mani per l’ansia.

“Le idol non possono causare simili scandali”, sibilò infine, “ogni loro gesto deve essere calcolato in base al tempo, e preparato per ottenere dall’evento più soldi possibili”.

Kagome non è una macchina per sfornare soldi”, ringhiai, ormai incapace di trattenermi.

“Questo lo decido io, ragazzino”, concluse lui, prima di darmi le spalle.

“Non se Kagome cambia sponsor!”.

Quella voce.

Mi voltai sconvolto verso la ragazza che aveva pronunciato quelle cinque parole, e vidi una sorridente Rin venirmi incontro. Ovviamente mio fratello – o l’alieno che lo sostituiva, dovevo accertarmene – la seguiva come un’ombra.

“Come dici?”, domandò Naraku sconvolto. Sempre educato a quanto pare, dato che dava del tu ad una sconosciuta. Sesshomaru lo gelò con lo sguardo.

“Quello che ho detto”, spiegò Rin con semplicità, “sono della famiglia Taisho. Sì, non faccia quella faccia, sono la moglie del primogenito di Inu no Taisho. E sono qui per diventare il nuovo sponsor di Kagome”.

Rin era sempre stata molto diretta quando si arrabbiava.

“Non può! Lei ha un contratto con me!”, urlò Naraku adirato.

“Bene”, liquidò Rin semplicemente, “la denunci. Pagheremo la causa”.

L’uomo boccheggiò, per poi andarsene in preda all’ira.

Sango ancora non credeva ai suoi occhi.

Kagome mi fissava incredula.

Io ero convinto che Rin fosse un mito.

Miroku arrivò zoppicante esordendo con un semplice ‘Che mi sono perso?’.

Sesshomaru… , lui fissava Rin contrariato. E ci credo, la ragazza gli aveva spillato fior di quattrini con due frasi messe in croce.

“Non ci credo”, sussurrò Kagome avvicinandosi, “sono libera da Naraku”.

“Suvvia Kagome, siamo amiche!”, ridacchiò Rin spensierata, “Avrei fatto questo e altro per te”.

Kagome la guardò, con le lacrime agli occhi.

“Oh Rin”, singhiozzò, “grazie!”. La abbracciò scoppiando a piangere.

Sospirai, fissando mio fratello. Anche lui mi guardava, probabilmente per il mio odore. Feci spallucce, sorridendo debolmente.

Lui si voltò a guardare Rin.

Quel giorno giurai di aver visto, seppur debolmente, un piccolo sorriso increspare le labbra di mio fratello.

 

“Voglio che tu sia il mio chitarrista”, annunciò Kagome, sorseggiando il suo cocktail. Quasi mi cadde di mano il mio bicchiere.

“Che cosa?”, domandai incredulo, mentre Koga si faceva una risata, probabilmente per la mia espressione. Lei mi fissò con lo sguardo di una che non stava affatto scherzando. Boccheggiai spiazzato, anche Bankotsu e Hiten ridacchiarono.

“Insomma, ma è impossibile!”. Ci voltammo tutti verso la provenienza dell’urlo. O meglio, tutti tranne me, io fissavo ancora Kagome sconvolto.

“Io sono un mago delle freccette, non mi batterai mai!”.

“Concordo, non avevo mai perso contro nessuno prima d’ora!”, confermò Jakotsu tutto eccitato, “e poi con un uomo così bello!”.

Kikyo e Sango fissarono perplesse Jakotsu, mentre Miroku ancora si gongolava nella sua vittoria.

“Suvvia signorina Kikyo, potrei concederle la rivincita ma…”.

“Ma?”, domandò Kikyo, l’autrice dell’urlo di prima. Era esasperata, ma il suo volto manteneva quell’espressione impassibile.

“Prima potrei avere l’onore di avere un…”.

“Ehi Sango! Posa quel tavolo!”, strillò Kagome mettendosi in mezzo. Saltò giù dallo sgabello, correndo verso la ragazza.

Non riuscivo a credere che potesse sollevare un tavolo, che razza di forza aveva?

“I tuoi amici sono davvero divertenti, Inuyasha!”, disse Ayame, il gomito sul bancone come un maschiaccio.

“Dici?”, biascicai io perplesso.

In effetti rallegravano il locale, e Kagome sembrava felice. Si stava alleando con Kikyo per battere Miroku a freccette, mentre Sango lo fulminava circondata dalle fiamme infernali.

“Facciamo maschi contro femmine!”, propose Yura, trascinata dall’entusiasmo generale.

“Sì! Kagome, Ayame, voi in squadra con me!”, disse Jakotsu con entusiasmo.

Jakotsu, tu sei un uomo”, disse Kikyo con innocenza.

Il povero ragazzo si ritirò in un angolino a fare cerchietti depresso.

“Io passo”, dissi subito, non avevo voglia di mettermi in mezzo.

“Anche io passo!”. Mi voltai perplesso verso Rin. Era lì da molto tempo, ma non aveva ancora ordinato nulla. Aveva solo fatto amicizia con Ayame, e aveva chiacchierato un po’ con Hiten.

Rin, non dovresti essere a casa?”, domandai con tutta la delicatezza di cui ero dotato.

“Casa è una noia quando Sesshomaru non c’è”, borbottò lei, accasciandosi sul bancone, “e i tuoi amici mi sembravano molto simpatici!”.

“Davvero?”, domandai perplesso. Strano pensiero quando al concerto aveva assistito a una rissa.

“Sì! Anche se Sesshomaru è convinto che siano una banda di teppisti”.

Questo mi rassicurava, forse gli alieni avevano finito di fare esperimenti su mio fratello.

“Senti Rin, c’è una cosa che voglio chiederti”, ricordai, guardandola serio. Lei mi sorrise come suo solito, invitandomi a continuare.

“Cosa ci facevate tu e Sesshomaru dietro alle quinte del concerto?”.

Kagome ci aveva dato un Pass”, rispose semplicemente, “per sdebitarsi della nostra accoglienza. Grazie a lei abbiamo visto in concerto in prima fila!”.

“Capisco”, mi limitai a mormorare, prima di concentrarmi su Kagome e Kikyo. Stavano elaborando strategie contro Miroku, e Kagome spiegava con precisione la tecnica del lancio a Kikyo.Ero convinto che entrambe si stessero sforzando per diventare amiche, e non sapevo se esserne felice o meno.

La porta si aprì, accecandomi con la luce dall’esterno.

“Buongiorno”, salutò il barista, mentre un ragazzo alto, snello, con capelli biondi e lunghi fino a metà collo si posava come un modello sul pianobar.

“Buongiorno, cercavo il Neko Café. Sa dirmi dove trovarlo?”, disse con voce suadente e dolce. Tutti noi, concentrati sullo sconosciuto, inarcammo le sopracciglia.

Il suo modo di fare ricordava qualcuno.

“Non c’è nessun locale simile in questo quartiere”, spiegò con semplicità il barista. Il ragazzo lo guardò male.

“È impossibile! Sono sicuro che ci sia!”, strillò subito, inalberandosi.

“Mi spiace signore, ma le assicuro che non c’è”, si difese l’uomo, decisamente colpito dalla reazione del ragazzo.

“Sta dicendo che me lo sono inventato?”, domandò l’altro, permaloso come non mai.

“No ma…”.

Jakotsu, dal suo angolino, sollevò lo sguardo verso il ragazzo.

“Oh. Mio. Dio!”, scandì, accorrendo al bancone, “Sei il ragazzo più bello che io abbia mai visto!”.

L’altro si voltò verso di lui arrossendo terribilmente.

“G-Grazie”, balbettò arretrando un poco, “sei molto gentile”.

“Dico sul serio!”, esclamò Jakotsu con gli occhi che brillavano, “Ti prego, esci con me!”.

Io… ecco…”, balbettò l’altro, “magari posso fermarmi un po’… sì, per fare conoscenza…”.

Tutti quanti fissavamo la scena sconvolti.

“Piacere, mi chiamo Maguri”.

Era come Jakotsu.

“Vieni, ti offro da bere”.

Le ragazze lo fissavano, tutte con lo stesso pensiero in mente – lo avrei giurato.

Che spreco di materiale.

Poi un urlo ci riportò alla normalità.

Miroku palpò Yura, Hiten lo minacciò di morte, e nel locale tornò il caos. Kagome tratteneva Sango, che aveva presto un paio di bottiglie – rigorosamente piene – e stava tentando di lanciarle con la tecnica delle freccette dell’amica addosso a Miroku.

Mi allontanai dal bancone per tenermi lontano dall’aura di Shojo manga che emanavano Maguri e Jakotsu, e per cercare di salvare quel maniaco con cui, in fondo, ero in debito.

Sorrisi, fissando Kagome che rideva divertita, mentre Sango le chiedeva confusa che cosa ci fosse da ridere.

Forse era proprio così che dovevano andare le cose, da quel fatidico giorno in cui la incontrai, completamente coperta da risultare irriconoscibile.

E forse sì, potevo decisamente diventare il suo chitarrista.

In fondo non c’era nulla di male.

Ero già suo marito, no?


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NdA:

Allora, avevo promesso di non partecipare a contest prima di finire questa storia, vero? Ecco… come dire… i bandi erano così attraenti e pucciosi…

*Aryuna schiva pugnale ò.ò* O-ok, ma adesso la storia è finita, giusto? ^__^’ suvvia, siate clementi con me ù__ù Ho scritto 4 shot e 6 drabble in due giorni per scrivere questo capitolo! *anche questo in due giorni e finito ieri, ma prima di pubblicarlo sono stata sfrattata dal mio adorabilissimo (?) fratello =__=*

Allora, vorrei parlare un poco della storia appena finita.

Fin dall’inizio avevo deciso che si sarebbe conclusa nel bar, e l’avrebbe raccontata Inuyasha. Date che il prologo era cominciato con Kagome, volevo che l’epilogo terminasse con lui. Ma devo ammettere che doveva essere molto più corto l’intro, il litigio con Naraku molto più lungo e il pezzo di Ayame totalmente assente O.o Mi è venuto così scrivendo. L’unica cosa decisa era l’incontro tra Jakotsu e Maguri *personaggio di Shishi Doumei Cross* perché per una volta volevo che anche la nostra adorabile fatina (?) avesse un happy ending ù__ù

La frase pensata dalle ragazze è la stessa che pensai io vedendo Maguri sulla copertina del volume la prima volta, quando seppi che era omosessuale XD

 

Ok, avevo scritto dei lunghi e bellissimi ringraziamenti a Roro, Emiko e Onigiri, ma il mio adorato Word, che funziona sempre perfettamente si è bloccato e se li è mangiati. Ora, dato che avevo appena finito di scrivere TUTTI i ringraziamenti, non me ne volete se farò un elenco povero e misero, ma è dalle 11 che scrivevo ringraziamenti e proprio non ce la faccio, scusate T___T

 

Ringraziamenti per i commenti:

 

-Onigiri

-lola2

-Vale728

-Bchan

-Eriko chan

-achaori

-coco_

-Emiko92

-roro

 

Ringraziamenti per i preferiti:

 

-achaori

-akuby_ge

-baby_dark

-Bchan

-BebyChan

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-Danda93

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-Eriko Chan

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-Onigiri

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-sunsunset

-TheBestLady

-_Dana_

 

Ringrazio per le seguite:

 

-inufan4ever

-meris

-pillina28

-vanessa_91_

 

 

Ci risentiamo per B&B *rabbrividisce*

 

 

 

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