Amore imprevisto di fallsofarc (/viewuser.php?uid=71978)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Quando è meglio non ricordare ciò che si è dimenticato ***
Capitolo 2: *** Prologo - nuova versione! ***
Capitolo 1 *** Quando è meglio non ricordare ciò che si è dimenticato ***
Capitolo 1
CAPITOLO 1
Quando è
meglio non ricordare ciò che si è dimenticato
Un banalissimo acquazzone estivo. Di quelli che ti sorprendono in
canotta e pantaloncini quando sei troppo lontano da qualsiasi luogo
riparato e ti fanno arrivare ansante e gocciolante al chiuso,
nell’esatto istante in cui alla pioggia si è
già sostituito il sole.
Con la differenza che il sole era già tramontato da un
pezzo, lasciando le ombre scure di una pigra serata di fine estate a
raffreddare l’asfalto nero e bollente.
Ancora qualche minuto di pioggia torrenziale e poi l’aria
rinfrescata avrebbe portato lontano i nuvoloni che nascondevano le
stelle.
Ma i minuti passavano e la pioggia non cessava. Inutile aspettare
ancora in auto, le pizze si stavano raffreddando e il suo stomaco ormai
brontolava da più di un’ora.
Coordinando i movimenti e controllando di aver preso tutto, si fece
coraggio e si gettò nel torrente di acqua gelata che correva
in ogni direzione, dal cielo e dall’asfalto allagato in
rivoli d’acqua.
Puntando il telecomando dell’auto dietro la sua schiena, per
attivare la chiusura centralizzata, corse fino al portone del palazzo,
appoggiando brutalmente il palmo sull’ultimo campanello in
alto.
“Sì?” Una voce familiare rispose.
“Sono io. Apri!” Ordinò, imprecando
contro l’acqua che gli aveva inzuppato la maglietta, la sua
preferita del mega concerto di tre anni prima, nonché le
leggere scarpe estive che erano completamente permeabili.
Odiava avere i piedi bagnati, così come odiava il
raffreddore che già sentiva avvicinarsi a larghi passi.
Si precipitò dentro, spingendo il portone di legno
scheggiato e scolorito da anni di esposizione al pieno sole pomeridiano.
Salì le scale di marmo, accompagnato da un fastidioso
squittio delle scarpe bagnate in cui stava annegando.
“Sei completamente fradicio!” Lo
apostrofò lei, con sorpresa ovvietà.
“Ah sì? Non me n’ero accorto.”
Sbuffò lui, sarcastico e di cattivo umore.
La seguì nell’appartamento, consegnandole i
cartoni della pizza e il sacchetto di plastica con le lattine,
accatastato sopra con la speranza che riparasse la loro cena
dall’allagamento.
“Potevi chiamarmi e chiedermi di scendere con un
ombrello.” Continuò lei, le mani sui fianchi e
l’espressione rassegnata.
“Batteria scarica. Ho aspettato cinque minuti ma non sembrava
intenzionato a smettere, la pizza si stava già
raffreddando.” Spiegò mentre lei controllava se al
posto della capricciosa ci fosse una nuova varietà di pizza
annegata.
Finché non arrivò il verdetto, che gli
risollevò un po’ l’umore.
“Ancora un minuto e il cartone sarebbe stato zuppo, la cena
è salva. Vai ad asciugarti, dai. Gli asciugamani
sono…”
“Nel secondo cassettone, lo so.” Finì la
frase per lei, avviandosi già verso il piccolo bagno.
Conosceva quel bilocale come se fosse casa sua, il salotto con angolo
cottura, la camera da letto e il piccolo bagno con il box doccia e le
piastrelle blu cobalto.
Con l’aiuto di asciugamano e phon, riuscì a
sentirsi sufficientemente asciutto per poter pensare finalmente al suo
povero stomaco. Le scarpe però erano troppo imbevute
d’acqua piovana.
Senza chiedere il permesso alla padrona di casa, entrò nella
camera da letto e aprì la cassettiera alla ricerca di un
paio di tubolari da palestra, sperando che il suo 43 di piede
avrebbe trovato sufficiente spugna per coprirsi in un paio di calze
indossate generalmente da un 38 scarso.
Quando ritornò in cucina, la maglietta ancora un
po’ chiazzata d’acqua e ai piedi solo le calze,
rosa e fucsia che gli erano entrate per miracolo, la loro legittima
proprietaria lo guardò attentamente, da capo a piedi, con
una smorfia.
“Hai fatto casino nei miei cassetti.” Non era una
domanda, era una constatazione. Un’accusa ammorbidita dalla
rassegnazione.
“Solo in quello dei perizomi.” Le rispose serafico,
aprendo il cartone della pizza e afferrando una fetta, ancora in piedi.
“Cretino. Dai siediti, non si mangia in piedi.”
Sospirò, sempre più rassegnata, sedendosi al
piccolo tavolo quadrato.
“Sì mamma.” Sbuffò.
“Solo perché cerco di educarti a comportarti da
uomo e non da animale, non vuol dire che voglia farti da madre. E poi
non penso che tu vada a mettere le mani nel suo cassetto della
biancheria.” Uno pari.
Lui la guardò schifato, con la fetta di pizza, mezza morsa,
che colava mozzarella e unto nel cartone.
“Invece di ringraziarmi per averti portato la cena,
rischiando di annegare là
fuori, cerchi di farmi passare l’appetito.
Bell’amica!” La rimproverò.
I canonici cinque secondi di finto disgusto erano passati, lasciandolo
avventarsi sulla pizza come uno che non mangiava da giorni. In fondo
era dalle sei di quel pomeriggio che non mangiava nulla, oltretutto una
confezione di patatine al formaggio non era propriamente cibo, era
giusto uno snack.
“Ma per piacere. Riusciresti a mangiare di gusto anche
accanto a un’operazione a cuore aperto. Sei un pozzo senza
fondo.” Aveva perso il conto di quante volte lei lo aveva
rimproverato di mangiare come un porco, senza neanche masticare il
cibo. In realtà era lei a metterci un secolo a mangiare, lo
dimostrava il fatto che lui avesse già mangiato due tranci
interi di pizza farcita, mentre lei non era nemmeno a metà
del primo di una semplice margherita.
“N-on è v-ero.” Farfugliò,
masticando e aprendo la lattina di coca cola per annaffiare il boccone
quasi intero e deglutirlo. Ma solo perché aveva fame, e
comunque masticare troppo poi faceva perdere sapore al cibo. Era come
frullarlo in un mixer e poi mangiare quella pappina incolore, come
quella che davano a sua nonna che ormai non aveva più denti.
“Sai…” Iniziò lei, non
celando la sua espressione di disgusto. “A volte mi sono
chiesta perché ceni più volte qui da me che a
casa tua o fuori con qualche ragazza. La risposta è
semplice: vederti mangiare è uno spettacolo che le persone
deboli di stomaco evitano.”
“Quante storie. Come mai sei così acida stasera?
Io sono incazzato per aver preso la pioggia, rischio anche di trovarmi
con il raffreddore domattina che è sabato e ho dei giri da
fare. La tua scusa quale sarebbe?”
“Non sono acida!” Sbottò, gettando la
crosta rimasta della pizza nel cartone, con stizza.
“Ho capito.” Annuì lui, rubandole il
pezzo di crosta bruciacchiata e ingoiandolo. “Ti sta per
venire il ciclo. Sei sempre intrattabile il giorno prima.”
“E tu sei il solito campione di tatto.” Lo
apostrofò, prendendo la sua pizza e portandola sul divano.
Accese la tv e pose fine a quella conversazione inutile.
Gli uomini e la loro sensibilità inesistente. Se una donna
era nervosa o depressa, non poteva che avere le mestruazioni o essere
in piena sindrome pre-mestruale.
E loro che scusa avevano per essere così trogloditi
trecentosessantacinque giorno l’anno?
Di solito non se la prendeva con lui in quel modo, battibeccavano
spesso ma sempre per qualche motivo, serio o futile che fosse.
Quella sera, però, si sentiva inquieta e nervosa,
insofferente a tutto, alla solitudine come alla compagnia.
Tutta colpa dell’incontro di quel pomeriggio in centro.
Imbattersi in vecchie compagne di scuola era sempre traumatico, nel
bene o nel male. Per lei era stato certamente un male, visto che
l’ex compagna in questione era vistosamente incinta e
vistosamente sposata con un pezzo di manzo che si era persino rivelato
essere un rampante avvocato per i diritti civili.
Aveva persino letto di lui sul giornale, qualche giorno prima, cosa che
si era ben guardata dal rivelare durante il breve e traumatico incontro.
Tutte le sue conoscenti e amiche erano sposate, madri o fidanzate.
Tutte tranne lei.
Ovviamente la realtà non era così come se la
stava dipingendo ma in momenti di sconforto si tende spesso a
estremizzare.
“Vuoi vedere un film?” Il suo amico si era seduto
accanto a lei, qualche minuto dopo, senza il suo cartone della pizza
che giaceva ormai vuoto sul tavolo.
“Fai tu.” Avrebbe voluto chiedergli scusa per il
suo malumore ma non aveva voglia nemmeno di parlare.
“Va bene, miss allegria. Evitiamo i film drammatici, non
vorrei darti altre scuse per piangere.”
“Ma ti sembra che stia piangendo?!” Effettivamente
due lacrime di nervosismo fecero capolino in quel momento, pizzicandole
gli occhi.
Abbandonò la pizza sul tavolino, ormai priva di appetito, e
si lasciò sprofondare nel divano, le braccia incrociate al
petto e il viso imbronciato.
Con pazienza, lui si avvicinò e le voltò il viso
verso il suo. “Mi dici che è successo,
possibilmente senza mordermi?”
Lei si lasciò sfuggire uno sbuffo misto a un mezzo sorriso e
poi si mise a raccontargli dell’incontro e delle sue mille
elucubrazioni drammatiche.
“Mhm. Posso parlare e dire la mia, senza che tu mi interrompa
per dirmi che ho torto?” Sondò il terreno, il tono
cauto e rilassato, dopo averla lasciata parlare per dieci minuti senza
fiatare.
Lei annuì in silenzio.
“Jules, ascoltami. Hai ventisei anni, non sei vicina ai
quaranta con l’orologio biologico che ticchetta inesorabile
contando i tuoi giorni fertili. Non ti devi buttare giù
perché qualche oca si è accaparrata un povero
diavolo, si è fatta mettere incinta e tra qualche anno si
godrà gli assegni di mantenimento dopo il
divorzio.”
“Andrew, tu non capisci…”
“Non ho finito, aspetta.” La redarguì
l’amico, zittendola.
“Sei stata sfortunata ultimamente, hai beccato un sacco di
stronzi e vorresti un ragazzo normale. Su questo ti posso dare ragione,
però questa improvvisa depressione e voglia di accasarsi mi
sembra prematura… siamo ancora giovani!”
L’idea di sposarsi e mettere su famiglia alla loro
età era inconcepibile per lui, lo notò perfino
dall’espressione quasi schifata che assunse mentre parlava.
“Abbiamo quasi trent’anni, non siamo ragazzini! Ti
sembra così strano che voglia sposarmi?” Si
indignò, sistemandosi in ginocchio sul divano, i pugni
serrati nello sforzo di non urlare.
“Sì che mi sembra strano! Fino a ieri eri normale
e stasera ti è presa questa assurda idea, sicura che non ti
debba venire il ciclo?”
“La pianti con questa storia? Vai a prendere la confezione
della pillola dal mio comodino e vedrai che c’è
ancora un’intera striscia. Non ho uno sbalzo ormonale, sto
solo facendo un pensiero serio e maturo. Che lo dico a fare a te, mi
chiedo.” Terminò in un sussurro, consapevole che
era come parlare al vento. Perché Andrew era molto
pragmatico, o meglio, Andrew era uno che viveva alla giornata, non si
faceva problemi e non stava a ragionare sul futuro e
sull’esistenza umana. “Va bene, signorina seria e
matura. Anzi signora,
vista l’età. Dove vorresti andare a parare con
queste riflessioni, vuoi andare alla banca del seme e farti ingravidare
da una provetta?” La prese in giro con amaro sarcasmo.
Lei lo liquidò con un gestaccio, prima di sprofondare ancora
di più nei cuscini mezzi sfondati del divano preso in saldo
due anni prima, quando si era trasferita a vivere da sola.
“Dai, Giulietta, dimmi che vuoi fare per trovare il tuo
Romeo. Qual è il piano d’azione?”
Sorrisone e sguardo complice. Era impossibile per lei resistere a
quell’espressione buffa, ormai collaudata, e lui lo sapeva
bene. Giocava sempre sporco, quell’adorabile idiota.
Stava cedendo, era un mago nel premere sui punti deboli di Julia.
Sapeva che certe espressioni erano il suo asso nella manica e sarebbe
stato stupido non approfittarne, si disse Andrew.
“Non ho nessun piano, non è che questi pensieri mi
abbiano portata a progettare chissà che assalto a un
possibile marito.” Gli stava nascondendo qualcosa, era molto
più che evidente perché aveva distolto lo sguardo
e stava facendo scrocchiare le dita, tormentandole.
“Sputa il rospo.” Lui socchiuse gli occhi,
esaminandola attentamente e dandole una leggera gomitata per spronarla
a parlare.
“Ahi! Non c’è bisogno di essere
violenti! Ora mi verrà un livido.” La solita
esagerata.
“Se la smetti di contarmi balle, lo so che hai in mente
qualcosa, sei nervosa. Dai, sto aspettando.” Magari entro mezzanotte.
Controllò perfino l’orologio che aveva al polso,
per sottolineare la sua premura. Finta premura, non aveva altri piani
per la serata.
“Non ho in mente niente, guardiamo il film.”
L’argomento era chiuso per lei, apparentemente.
Ovviamente lui sapeva bene che quello non era altro che il primo segno
di cedimento, perciò si strinse nelle spalle con noncuranza
e si avvicinò alla libreria per scegliere un dvd.
Stava contando i secondi, dandole le spalle, mentre scorreva i titoli
dei film con lo sguardo. Anche senza vederla poteva sentire il rumore dei suoi
pensieri e della sua rabbia.
Oh, era così permalosa che si era senz’altro
stizzita perché lui non aveva insistito ancora, mentre in
realtà lei voleva parlare e raccontargli, come sempre,
l’idea contorta che la sua testa matta aveva partorito,
insieme a tutte quelle pippe mentali da donna in fase di pre ciclo.
Poteva continuare a negare o a sostenere quello che voleva, magari le
si era allungata la sindrome pre-mestruale o stava entrando in
menopausa precoce, ma lui era certo che c’entrassero gli
ormoni o quelle cose da donne, perché lei era
così elettrica e nervosa che non c’era altra
spiegazione plausibile.
Un pensiero lo colse, mentre sfilava un film a caso dallo scaffale.
“Da quant’è che prendi la
pillola?” Le domandò, girandosi.
“E questo che cavolo c’entra adesso?” Era
quasi furibonda, riusciva a leggerle la stizza in viso, così
come il motivo: perché lui non la stava supplicando di
raccontargli i suoi pensieri ma aveva addirittura osato fare una
domanda di tutt’altro genere.
“No niente, non mi sembrava che stessi uscendo con qualcuno.
Tutto qui.” Si girò, noncurante, per inserire il
disco nel lettore.
“E quindi? Guarda che la pillola non è solo un
anticoncezionale, caro il mio uomo delle caverne. E poi non sono
obbligata a raccontarti le mie cose private.”
Andrew tradusse mentalmente la frase con: “sono arrabbiata e
offesa perché non mi stai domandando ancora cosa ho pensato
di fare.” Perché lo sapevano entrambi che lei gli
raccontava sempre tutto, erano dieci anni che si conoscevano ed erano
entrati ormai in confidenza, soprattutto da quando si erano ritrovati
un paio di anni prima, per caso in un bar del centro.
Avevano frequentato gli ultimi anni di liceo insieme, perché
lui era stato bocciato ed era finito a essere il suo assillante
compagno di banco, sempre a elemosinare di copiare qualche compito.
Si erano tenuti in contatto durante il primo anno di
università, poi si erano un po’ persi di vista e
ritrovati per caso, come a volte capita, così per scherzo
del destino.
Avevano costruito uno strano tipo di rapporto, iniziato con un
tollerarsi a fatica a vicenda, continuato con un conoscersi
forzatamente per riuscire a coesistere, ritrovandosi poi molto
più compatibili di quanto si credesse inizialmente e finendo
con il confidarsi e appoggiarsi l’uno all’altra nei
momenti difficili, tra un battibecco e una frecciatina.
Quando lui si riaccomodò sul divano, stravaccandosi senza
alcun ritegno, lei sbuffò scacciando con forza una
gamba da sopra le sue.
“Se non vuoi parlare, va bene. Però puoi smetterla
di sbuffare come una vecchia locomotiva che vorrei seguire il
film?” Cercò di nuovo di sistemarsi comodamente
sul divano, ignorando il fatto che ci fosse anche lei seduta
dall’altro lato.
“Certo che sai essere proprio uno stronzo.”
Ruggì Julia, alzandosi e portando sul bancone della cucina
il cartone con oltre metà della pizza ancora intatta.
“A volte mi chiedi perché non metto la testa a
posto e mi trovo una ragazza fissa. Ecco, ora ti dico il motivo.
Perché ho già le tue paturnie da sopportare e
più di una donna schizzata alla volta non saprei
gestirla.” Forse aveva esagerato, ma quando ci vuole ci
vuole. Era più pazza dal solito.
Si sdraiò prendendo tutto il posto sul divano, ignorando la
risposta colorita della sua amica che lo mandava a quel paese senza
tante cerimonie.
Julia non poteva negare che lui si fosse dimostrato un buon amico,
quando aveva avuto davvero bisogno di conforto in passato,
così come non poteva negare una certa utilità
anche nell’esserselo ritrovato in casa quella sera.
Le aveva fatto passare in fretta la voglia di trovarsi un fidanzato,
esasperandola con la sua completa stupidità, evidentissima
prerogativa del genere maschile.
Era ormai ben oltre la soglia massima di sopportazione, quel nervosismo
latente era esploso e la rendeva poco lucida per comprendere che in
realtà Andrew non aveva colpe e che la stava stuzzicando
né più né meno del solito, senza mai
essere veramente offensivo e con un tono sempre accondiscendente e, a
suo modo, affettuoso.
Perché le voleva bene e lei lo sapeva. Quando, in prima
liceo, si era trovata questo ragazzo più grande, ripetente e
senza la minima voglia di studiare, nel banco accanto al suo, aveva
pensato che il cielo ce l’avesse con lei.
Dopo qualche giorno, aveva rettificato la sua idea, ringraziando il
cielo perché le aveva procurato un ragazzo tutto sommato
carino, più grande e che sembrava essere interessato a lei.
In realtà era interessato solo a copiare i compiti e lei,
che era sì giovane e preda degli ormoni, ma non era stupida,
lo aveva capito in fretta.
Forse non abbastanza, visto che si era ritrovata avvinghiata a lui nel
suo letto, con la sua lingua in bocca e le mani che vagavano sotto la
sua maglia.
Sull’onda del momento, a cavallo di un ormone grande come un
cavallo, aveva addirittura pensato qualcosa tipo: “evvai, ho
trovato qualcuno con cui fare finalmente l’amore, qualcuno
che almeno riesca a slacciarmi il reggiseno senza rompere il gancio e
non sembra fissato con il leccare le orecchie. Grazie al
cielo.”
Poi lui aveva ansimato qualcosa di molto poco romantico mentre
già le slacciava i pantaloni: “Domattina mi fai
copiare la versione? Così ora possiamo dedicarci ad
altro…”
Così si era conclusa la loro unica parentesi fisica, con un
calcio ai gioielli di famiglia del povero Andrew che non aveva mai
più accennato all’argomento.
Semplicemente quel pomeriggio non era mai esistito, per tacito accordo
tra le parti, da quando avevano iniziato a essere amici, passata la
fase di insulti e di finta indifferenza, qualche mese dopo il focoso
pomeriggio.
Quando poi si erano ritrovati per caso in quel bar, diversi anni dopo,
erano ormai già adulti ed era bastata una sessione di
chiacchiere fino all’alba, per aggiornarsi degli anni persi e
riscoprirsi amici, come e più di prima.
I punzecchiamenti e le battutine non erano mai scomparse,
però quella sera stavano rischiando di discutere veramente,
se lei non si fosse fatta passare quel malumore cronico.
Con quell’amara consapevolezza a schiarirle un po’
i pensieri nevrotici, Julia si avvicinò al divano e
borbottò: “Mi fai un po’ di
posto?”
Andrew, per nulla stupito dalla sua ricomparsa, si era limitato a
schiacciarsi di lato contro lo schienale del divano, lasciandole la
striscia sul bordo per sdraiarsi di fronte a lui.
Julia gli diede le spalle, poggiando il capo su un cuscino soffice,
investita dal sospiro caldo del suo amico che la sovrastava, con la
testa poggiata sul bracciolo del divano.
“E’ successo qualcosa al lavoro? Hai litigato con
qualcuno?” Le sussurrò gentilmente e con cautela,
come faceva sempre quando temeva di provocare reazioni isteriche in lei.
E solitamente era il giorno prima del ciclo. Dannazione, non poteva
conoscerla così bene.
Quella sera, però, c’era altro a pesarle sui
pensieri e sulla tranquillità domestica.
“No, sto solo… aspettando la risposta a
un’e-mail.” Si decise a rivelare.
“Un’e-mail personale o di lavoro?”
Incalzò lui, sempre con la stessa calma.
“Personale… Ho… scritto a
Richard.”
Richard chi? Si chiese Andrew, vagliando in fretta ricordi e racconti
che forse non aveva ascoltato così bene.
“E’ qualcuno che hai conosciuto di
recente?” Deglutì, temendo di ottenere
un’altra reazione psicotica, perché lui non la
ascoltava mai quando lei gli parlava.
Certe volte, avere a che fare con Julia era veramente come avere una
fidanzata. Se non altro stava facendo pratica per quando avrebbe avuto
voglia di sistemarsi.
Tanto c’era tempo, aveva appena compiuto ventotto anni, era
ancora un ragazzino. Soprattutto nell’animo.
“Se ci pensi, forse lo ricordi. L’hai visto anche
tu, l’estate del diploma.”
Se non avesse avuto il corpo della ragazza a bloccarlo da un lato e lo
schienale del divano dall’altro, sarebbe rotolato sul
pavimento per lo stupore.
“Dimmi che stai scherzando! E cosa hai sentito il bisogno di
scrivergli? Condoglianze per qualche lutto in famiglia? E’
morto Richard primo il nonno o Richard secondo il padre?” Non
si era mai capacitato dell’assurdità di tramandare
a un’intera famiglia lo stesso nome, in una famiglia che non
fosse quella di una soap opera.
“No no, nessun lutto che io sappia. Gli ho chiesto se voleva
prendere un caffè e fare due chiacchiere, tutto
qui.” Julia non si era ancora girata, gli dava ancora le
spalle e stringeva il cuscino tra le braccia.
“Ok, ragioniamo. Prima cosa: non hai nessun essere vivente
normale con cui prendere un caffè? E seconda cosa: una mail
per dirgli questo? Perché non un telegramma o una pergamena
con la cera lacca?” Non si girò nemmeno in quel
momento ma si limitò a piantargli, in risposta, una gomitata
nello sterno, non troppo forte almeno.
“Ahi!”
“Forse non lo ricordi, però Richard è
contrario agli sms. E non fare commenti che sono già
abbastanza pentita di avergli scritto!”
Andrew sospirò, rumorosamente, scuotendo il capo.
“Nessun commento, agli ordini. Però ti
dispiacerebbe spiegarmi, con calma, perché diamine hai
scritto a quel mollaccione figlio di papà?” Aveva
iniziato la frase in modo così pacato, poi si era perso per
strada, trasportato ancora dell’incredulità.
“Allora non mi ascolti! Ti ho detto che pensieri stavo
facendo oggi, dopo aver visto…”
Non la fece finire, troppo sconvolto dall’aver capito.
“Vuoi tornare insieme a lui? Ma sei pazza? Non ricordi
com’era tra voi?”
“Sì che lo ricordo! E non era male,
checché tu ne dica! Mi ha sempre trattata con rispetto,
è sempre stato gentile, mi regalava i fiori, mi portava a
cena fuori. Non era così male.” La vide
gesticolare, mollando la presa sul cuscino, come faceva quando voleva
giustificarsi. Aveva ripetuto due volte lo stesso concetto,
probabilmente per convincere se stessa, oltre a lui.
“A letto era un disastro.” Tanto valeva dirlo
subito.
Julia sussultò, scivolando un po’ in avanti, fu
lui ad afferrarla per un fianco e ad evitarle di cadere. “E
tu che ne sai?”
“Me l’hai raccontato tu, quella sera di fine
estate, alla festa in spiaggia.” Andrew trattenne il
sorriso di scherno che gli stava nascendo al ricordo di
quella notte, per non rischiare che lei si girasse improvvisamente e lo
scorgesse.
“Ma se ero ubriaca fradicia! Mi sono svegliata il mattino
dopo, su un lettino, con il profumo di un espresso e
l’aspirina pronta. Mi hai detto che ero crollata addormentata
e che non avevo dato spettacolo!” La voce le si era
incrinata, segno che il sospetto si stesse annidando tra le pieghe
della labile memoria di una notte dimenticata.
“Non ti ho mentito, ti ho trascinata lontano dagli altri
prima che finissi per dare spettacolo. Sei stata anche fortunata, io
ero sobrio perché ero stato male tutto il giorno per la
sbronza della sera prima, così quella sera mi sono limitato
a bere acqua. Penso sia stata l’unica festa dove ho bevuto
acqua, l’unica dalle elementari.”
“L’unica in cui io, invece, mi sono ubriacata. Sono
stata così male il giorno dopo da non aver toccato nemmeno
una birra leggera per un anno intero.” Sospirò
Julia, rabbrividendo al ricordo.
“Comunque stiamo divagando.” Riprese, poi.
“Cosa ti avrei raccontato quella sera su Richard?”
“Hai detto che non ti ha mai fatto provare un orgasmo, mai
una volta in mesi che eravate insieme.”
Aveva addirittura usato un linguaggio ancora più diretto e
colorito ma si guardò bene dal raccontarlo, pensando che
già così l’avrebbe parecchio sconvolta.
A quel punto Julia scivolò veramente dal divano, atterrando
sul tappeto.
Si rialzò, a bocca aperta e occhi sgranati. “Dimmi
che mi stai solo prendendo in giro.”
Andrew scosse il capo, negandolo. “Giuro.”
“Oh porca miseria, sono un pericolo da ubriaca.
Perché non me l’hai mai detto?” Si
sedette sul bordo del divano, guardando l’amico che prendeva
tempo prima di rispondere.
“Perché eri ubriaca, non ricordavi niente e hai un
po’ straparlato…” Andrew si
schiarì la voce, rivelandole che c’era molto altro
di non detto.
“Che altro ho detto?” Julia si coprì la
bocca con una mano, già terrorizzata ancor prima di sentire
il resto del racconto.
“Tutte belle cose sulle NON doti di Richard… per
questo ti ho chiesto se sei sicura di voler uscire di nuovo con
lui…”
“Andrew, dai. Eravamo ragazzini, non possiamo paragonare le
esperienze di quel periodo a quello che potrebbe essere una relazione
seria tra adulti!” Le era uscito un suono un po’
stridulo, perché cominciava a sentirsi un po’ in
imbarazzo.
“Ma non è finita per quello tra di voi? E
perché era anche mortalmente noioso e attaccato alla gonna
della mamma?” Andrew non si faceva mai problemi a essere
diretto, molto diretto.
“No! E’ finita perché lui è
andato a studiare in Inghilterra e le relazioni a distanza non durano,
si sa.”
“Se uno poi è pure allergico agli
sms…” Borbottò lui, non resistendo a
sghignazzare leggermente.
Un bel pugno sul braccio era il minimo, se l’era cercato a
fare tanto lo spiritoso. Julia sapeva essere manesca quando voleva,
soprattutto nei confronti di Andrew.
“Hai altre battute idiote da fare o obiezioni sulla mia vita
sessuale? Perché, a parte quelle, e grazie tante per la
premura, non stiamo parlando di un alcolizzato maniaco, ma di un
bravissimo ragazzo.”
Andrew si sedette, sgusciando accanto a lei sul divano. “Sei
sicura di ricordare bene quei mesi? Eri esasperata da lui e dalla sua
scarsa… vitalità.”
“Avevo diciannove anni! Non sono più la stessa
persona!” Julia alzò gli occhi al cielo,
lasciandosi sprofondare nel divano.
Inutile, non capiva quello che lui stava cercando di dirle. Che poi non
si lamentasse, come faceva sempre, del suo poco tatto. Era lei ad
essere poco perspicace!
“Ok, quanto a feste e uscite può essere.
Però non mi sembra che tu sia entrata in una fase di
ascetismo sessuale… sei sempre una donna no?” Non
voleva dirle esattamente cos’altro aveva detto quella notte,
quando l’alcol le aveva tolto le inibizioni e la gabbia della
razionalità.
“Certo che sono sempre una donna, che cavolo di discorsi! Ma
mi vuoi dire cosa ho detto di così tremendo quella notte, al
punto da renderti così preoccupato all’idea che io
esca con Richard?”
“Non sono preoccupato, forse tu non ricordi bene che la scarsa soddisfazione che
lui ti dava, su quel fronte,
ti ha resa un tantino disperata.” Assatanata, maniaca.
Aveva scelto l’aggettivo meno forte, per una volta.
“Ok, basta girarci intorno. Che cavolo ho detto? E ricordati
che ero ubriaca!”
“Oh lo ricordo eccome, hai vomitato tre volte quando ti sei
svegliata e hai sentito l’odore del
caffè.”
“Non divagare!” Si stizzì lei, facendo
pentire amaramente Andrew di aver tirato fuori
quell’argomento che era così ben sepolto.
“Dopo aver esternato quanto poco il buon Richard terzo, erede
dell’impero di famiglia, fosse capace di darti…
soddisfazione, mi hai chiesto una cosa.”
“Oddio, che ti ho chiesto? No aspetta, non dirlo.
Merda.” Aveva fatto tutto da sola, domanda e risposta.
“Ti ricordi, quindi?” Andrew cercò di
rimanere rilassato, però era nervoso quanto lei.
“No che non mi ricordo! Però penso di aver capito,
visto ciò che hai detto! Ti ho chiesto di venire a letto con
me?” Era impallidita.
“Sì e no.” Sbagliato, se avesse detto
semplicemente sì il discorso si sarebbe chiuso, per buona
pace di entrambi.
“Come sarebbe a dire? Ho detto di peggio?”
“Ok, vuoi la versione soft o le tue testuali
parole?” Ormai che c’erano.
“E come fai a ricordarle?” Si morse
un’unghia e lo guardò, indecisa e in preda
all’ansia.
“Bè, è una frase che un uomo non
dimenticherebbe mai.” Sorrise ma poi si rifece serio,
vedendola sgranare gli occhi.
“Dimmelo, su. Ormai voglio sentirla e poi voglio anche sapere
perché cavolo me l’hai tenuto nascosto per oltre
sette anni!”
Probabilmente si sarebbe risposta da sola, non appena lui le avesse
rivelato il re degli aneddoti imbarazzanti.
“Eravamo seduti su un lettino, tu stavi gesticolando e
parlando da venti minuti e io me la stavo ridendo, pensando a quanto
avrei potuto prenderti in giro il giorno dopo, senza contare che non
sarei mai più riuscito a guardare Richard in faccia senza
ridere.”
Accennò un sorriso ma Julia lo spintonò, avida di
informazioni. Peggio per lei, si sarebbe pentita di quella
curiosità.
“Improvvisamente sei sbottata, dicendo che eri disperata e
che non potevi continuare a fingere orgasmi così giovane,
era contro natura.”
“Oddio.” Sussurrò lei, torcendosi le
mani.
“Poi mi hai guardato negli occhi e mi hai detto:
“Andrew, tu devi aiutarmi. Ho bisogno di un vero orgasmo,
prima di impazzire. Fammi venire, ti prego.” E mi hai messo
la mano tra le tue gambe.”
Julia passò dal bianco al rosso in due secondi, poi nascose
il viso dietro un cuscino, cantilenando qualche imprecazione che si
spegneva contro la gommapiuma.
“Dai, Jules. Non ti nascondere, è successo un
secolo fa ed eri ubriaca persa. Almeno non ti sei spogliata!”
Cercò di alleggerire l’atmosfera, strappandole il
cuscino dal viso.
“E tu che hai fatto?” Lo guardò, seria e
preoccupata.
“Ti ho fatta stendere sul lettino e ti ho detto di
rilassarti.”
“OH PORCA MISERIA! Hai approfittato di me quando ero
ubriaca!” Urlò, alzandosi dal divano come se
avesse avuto una molla sotto il sedere.
“Ma cosa urli! A parte che sei tu che volevi usare me, quella
sera! Non mi hai proposto di andare a letto insieme, mi hai chiesto
solo di toccarti!” Non solo chiesto, lo aveva ben esplicitato
a gesti, visto che si era ritrovato la sua stessa mano sulle mutande di
pizzo bianco di Julia, ancor prima di realizzare le intenzioni di
quella pazza ubriaca.
“E tu l’hai fatto, oddio non ci posso
credere.” Julia prese a camminare in cerchio, attorno al
tavolino basso di fronte al divano.
“No che non l’ho fatto, scema! Ti ho fatta
addormentare e sono rimasto sveglio per controllare che nessun maniaco
venisse a importunarti in spiaggia di notte, mezza collassata per
l’alcol!”
Era risentito, veramente. Come poteva anche solo pensare una cosa del
genere?
Julia si lasciò cadere a peso morto sul divano.
“Ok, scusami, davvero. Ero solo sconvolta da questo racconto
assurdo. Ma perché non me l’hai mai
detto?”
“Perché non c’era niente da dire, non
è successo nulla e tu non eri lucida. Per lo stesso motivo
per cui non ho fatto nulla e ho tolto subito la mano.”
“Se fossi stata meno ubriaca, o tu lo fossi stato quanto me,
lo avresti fatto? Avresti fatto ciò che ti avevo
chiesto?” Eccola, la domanda che lui non avrebbe mai voluto
sentirsi rivolgere.
“Se tu mi avessi chiesto di andare a letto insieme,
probabilmente sì. Se tu fossi stata più lucida o
io lo fossi stato di meno. Ma così no, avrei rischiato di
rovinare un’amicizia, se tu avessi ricordato tutto al
risveglio. E tutto per far godere solo te, il gioco non valeva la
candela.”
Non seppe nemmeno perché riuscì ad essere
così sincero, forse perché era abituato a dirle
tutto senza problemi.
“Non toccherò mai più un goccio
d’alcol in vita mia, sono un pericolo pubblico.”
Julia si nascose il viso tra le mani, esasperata.
Andrew però si accorse che era arrossita, proprio lei che
ormai non si imbarazzava per nulla con lui. Aveva addirittura avuto il
coraggio di mandarlo a comprarle i tampax e il vagisil in farmacia.
“Comunque, non stavamo parlando di questo. Che intenzioni hai
con Richard?”
Julia si alzò, in silenzio, e scomparve in camera da letto.
Andrew sbuffò, abituato ormai ai suoi sbalzi
d’umore, e la seguì.
La trovò con il pc portatile sulle ginocchia. “Mi
ha risposto.”
Magari Richard, l’uomo antiorgasmo, era sposato e la
questione si sarebbe chiusa, per il bene di tutti.
“Mi ha invitata a pranzo domani al suo club, in centro. Si
scusa per il poco preavviso ma lunedì partirà per
New York e starà via due settimane, ma ci teneva molto a
incontrarmi.”
Speranza vana. “E ci andrai?”
Il tono di Andrew sembrava indolente e annoiato, in realtà
era infastidito. Solo perché lei non ascoltava mai i suoi
consigli, si disse.
Julia posò il pc sul copriletto con i delfini e
saltellò per la stanza, aprendo cassetti e cassettini,
finendo poi a rovistare nella borsa.
“Che stai facendo ora?” Chiese lui, quando ormai
aveva rinunciato a capirlo da solo.
“Cerco la ricevuta della lavanderia, devo andare a ritirare
il tailleur, è l’unico che ho ed è
l’unica cosa che posso indossare per un pranzo al
club.”
“Tu sei una pazza masochista. Lo sai vero?”
“Andrew, dammi tregua. E’ solo un pranzo e ormai
sarebbe scortese rifiutare! Ecco, trovata!”
Sventolò un bigliettino, tutta felice.
“Senti, se è per la storia dei figli, sei davvero
ancora giovane. Se tra qualche anno non avrai trovato con chi sfornare
un paio di marmocchi, posso farti io da donatore. Non rovinarti la vita
dietro a gente come quel moscio di Richard.”
“E poi sarei io la pazza. Mi hai rifiutato un orgasmo e mi
hai accusata di aver cercato di usarti e ora mi stai offrendo di fare
un figlio con te? Ma la tua scala delle priorità chi
l’ha scritta?”
“Ma che c’entra, sarebbe per una causa superiore. E
poi mica è detto che dobbiamo farlo in provetta, potrei
accontentare due richieste in una volta sola. O in due o tre
volte.”
“Andrew, vai a casa e fatti una dormita. La pioggia che hai
preso ti sta facendo venire la febbre, stai dicendo più
cazzate del solito e sei tutto rosso in viso.”
Lui si avvicinò allo specchio e notò di essere un
po’ accaldato, forse gli stava davvero venendo la febbre. Ma
porca miseria, con tutto quello che doveva fare.
“Merda. Hai un’aspirina?” Senza aspettare
la risposta, si diresse da solo in bagno a cercare nel mobiletto dei
medicinali.
Trovò l’aspirina dietro a mille altre confezioni,
Julia era leggermente ipocondriaca.
Ritornò in cucina per prendere un bicchiere
d’acqua, mentre lei stava sistemando i cuscini maltrattati
del divano e spegneva la tv.
“Come mai hai un flacone di sonnifero in bagno?”
“Faccio fatica a dormire a volte. Mi sento sola e mi viene
l’ansia.” Rispose lei con naturalezza, la voce
bassa e un po’ triste.
“Lo sai che basta una telefonata e arrivo in cinque minuti.
Non imbottirti di quella roba, ci facciamo una camomilla e ti faccio
addormentare trovando uno dei film più noiosi di sempre.
Sono un mago a trovarli sulla pay tv.”Si avvicinò
a lei, con un sorriso.
“Ah sì? Ultimamente beccavi solo i porno, dicendo
che avevi letto male la trama.”
“Ma non è colpa mia, la guida elettronica dei
programmi mette solo due righe!” Si difese.
“Ah certo, perché un film che si chiama Segretarie tettone
potrebbe essere un film drammatico.”
“Certo, sullo sfruttamento della donna nei posti di lavoro.
Devi cogliere il significato profondo, stare tutto il tempo
inginocchiate può portare seri danni al menisco, non
credere!”
Uno dei pregi di Andrew era che riusciva a fare le battute
più cretine del mondo, rimanendo perfettamente serio.
E la faceva sempre ridere.
Scoppiò a ridere insieme a lei, poi le si
avvicinò per abbracciarla.
“Vado a casa e mi metto a letto, mi chiami dopo il pranzo?
Voglio sapere se si è già stempiato o se gli
è venuta la pancia.” Sorrise e lei gli diede un
pizzicotto sulla pancia.
“Come quella che è venuta a te.”
Lui trattenne il respiro, petto in fuori e pancetta in dentro.
“Non so di cosa tu stia parlando.”
“Certo certo, notte Andrew.” Julia gli strinse il
pizzetto con due dita, abbassandolo alla sua altezza per lasciargli un
bacio sulla fronte.
“Quando ti farai la barba, togliendo quel pizzetto
ridicolo?” Gli chiese, mentre lo accompagnava a prendere le
scarpe e lui le infilava.
“Poi come faresti a tirarmi giù alla tua
puff-altezza per salutarmi? Lo faccio per te, lo sai.”
“Lo fai perché hai letto non so dove che alla
donne piace il pizzetto e che fa
figo, finché non compaiono i primi peletti
bianchi nella barba e a te stanno già venendo.”
“Sei una donna crudele, lo sai?” Socchiuse gli
occhi, fulminandola.
“E mi vuoi bene per questo.”
“Già, sono un uomo bello e masochista. Notte
puffetta.” Le baciò la fronte e si diresse alla
porta.
“Sul masochista non ho dubbi, sul bello avrei qualcosa da
ridire.”
Lui le fece un gesto molto poco elegante, mentre si chiudeva la porta
alle spalle.
Julia sorrise, scuotendo il capo. Richard inorridiva sempre di fronte
ai modi un po’ volgari, a suo dire, del suo amico Andrew.
Magari Richard era cambiato, in quegli anni. Probabilmente no, visto
l’ambiente in cui era cresciuto. Sarebbe inorridito ancora di
fronte ad Andrew.
Julia andò a dormire, sperando che in qualcosa Richard fosse
cambiato. Soprattutto, si disse mentre incrociava le dita sotto le
coperte fresche del suo letto grande e mezzo vuoto, sperava che Richard
avesse scoperto l’esistenza del clitoride nelle donne.
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Capitolo 2 *** Prologo - nuova versione! ***
Capitolo 21
PROLOGO
Due anni prima
«Vado a ordinare il secondo
giro.»
Andrew si alzò dalla scomoda sedia, stiracchiandosi la
schiena. Aveva iniziato a lavorare come facchino solo da un paio di
settimane e già non ne poteva più.
Matt alzò una mano. «Per me basta così,
ho un corso di aggiornamento domattina e devo ancora fare la valigia.
Non so come infilarci il completo senza spiegazzarlo, anzi, se avete
consigli sono ben accetti.»
«Ti pare che io possa saperlo? Ci pensa mia madre a queste
cose.» Steve scrollò le spalle, disinteressato:
tra i quattro era l’unico che viveva ancora a casa dei
genitori.
«Quando ho un dubbio, lascio fare a mia sorella, anche se poi
mi ricatta per farsi pagare qualsiasi cosa.»
Matt sgranò gli occhi all’affermazione di Tony.
«Lara è ancora una ragazzina, sei uno
sfruttatore!»
«Guarda che si è diplomata l’estate
scorsa.»
«Cosa?! Stiamo invecchiando,
dannazione…»
Quello fu il segnale per Andrew di andare a procacciare altro alcol.
«Prendo una birra anche a te, Matt, e vediamo se ti passa la
fase depressiva. Hai venticinque anni, non quaranta!»
«Comunque è Tony il più vecchio tra
noi.»
Il diretto interessato scosse la testa, con fare solenne. «La
mia è tutta esperienza in più. Infatti domani
esco con Gilda.»
«Spero che non ti usi di nuovo come autista per farsi portare
in giro nel suo giorno libero» sghignazzò Steve.
Andrew si allontanò, ignorando la replica colorita di Tony.
Si avvicinò al bancone e fece segno al barista di preparare
un altro giro.
Il locale aveva arredi quasi fatiscenti e nessun servizio ai tavoli, ma
era più o meno equidistante da casa di tutti e quattro e le
birre erano buone, pur essendo economiche.
Mentre aspettava che l’ordine fosse pronto,
origliò la conversazione della ragazza accanto a lui: era
girata di spalle e parlava con un’amica.
«Già solo il fatto di aver scelto un locale del
genere dovrebbe farci desistere da questo assurdo appuntamento a
quattro. Poi sono pure in ritardo!»
Andrew pensò che i tizi in questione non si sarebbero
presentati, perché scegliere il Dreamland come luogo di
ritrovo era un palese sintomo di scarso interesse. Gli unici sogni che
il locale avrebbe potuto ispirare erano quelli deliranti dovuti
all’eccesso di alcol.
Lasciò i soldi sul bancone e afferrò il vassoio,
urtando per sbaglio la schiena della ragazza.
«Scusami!»
Lei si girò, con espressione sorpresa.
«Andrew?»
La riconobbe subito. Non la vedeva da quando studiava al college e, a
conti fatti, dovevano essere passati almeno sei anni. Era cambiata un
po’, nel taglio di capelli e nel trucco più
accentuato, però l’avrebbe riconosciuta anche con
la maschera di argilla sul viso, con cui l’aveva vista in
passato.
«Jules, ciao!»
Lei gli sorrise e, sull’onda dell’entusiasmo e
della sorpresa, gli gettò le braccia al collo.
Andrew l’abbracciò, non resistendo a dirle:
«Da dietro non ti avevo riconosciuta, sembravi più
alta!». Notò i tacchi alti, che non le aveva mai
visto indossare in passato.
Lei si staccò, ridendo. «Tu invece ti sei fatto
crescere il pizzetto. Una volta non avevi abbastanza peli
perché risultasse credibile!» Si rivolse poi alla
sua amica. «Samantha, lui è Andrew. Eravamo al
liceo insieme.»
«Ero il migliore del laboratorio di scienze» si
vantò Andrew, tendendo la mano alla ragazza.
«Il migliore a copiare, per non rischiare di ripeterlo per la
terza volta!»
«Non ho specificato migliore in cosa, Jules.»
Julia stava per ribattere, quando Samantha fece un cenno a uno dei due
tizi appena entrati, che si stavano guardando attorno spaesati.
Andrew si trattenne a stento dal ridere. «Cercano
voi?»
«Temo di sì» sussurrò Julia,
con una smorfia.
Come avevano fatto a scegliere il Dreamland
e presentarsi in giacca e cravatta? Che imbecilli.
Andrew guardò il vassoio pronto per i suoi amici, con le
birre che rischiavano di diventare calde. Poi posò lo
sguardo su Julia, che si toccava il collo, nervosa.
«Ti serve Andy?» le sussurrò
all’orecchio, rimanendo alle sue spalle e sentendola
irrigidirsi.
Lei inclinò leggermente il capo all’indietro per
guardarlo negli occhi. «Come ai vecchi tempi?»
Le fece l’occhiolino. «Dovrei essere ancora in
grado.»
Julia guardò i tizi che le avevano riconosciute e si stavano
avvicinando, poi prese la sua decisione. «Scusami, Samantha,
però io passo…»
L’amica comprese il messaggio, però non fece in
tempo a ribattere, che erano state raggiunte dai due uomini. Devono avere più di
trent’anni o qualche rotella fuori posto per pensare di
risultare interessanti vestiti come dei vecchi,
pensò Andrew guardando i jeans sfatti e la felpa che
indossava.
«Bellezze, scusate il ritardo. Abbiamo sbagliato a darvi
l’indirizzo, credevamo fosse quello del locale appena aperto
dall’altra parte della città.»
Se già non gli fossero stati sulle palle, li avrebbe
comunque etichettati come idioti senza speranza per le occhiate
disgustate che i due stavano lanciando al bar e ai suoi pochi avventori.
Andrew posò un braccio sulle spalle di Julia e sorrise.
«Dove si va di bello?»
«Scusami, tu chi saresti?» chiese il secondo tizio,
vestito e pettinato come il primo, tanto da risultare difficile
distinguerli.
«Lui è il mio ragazzo. Siamo una coppia
aperta.» Julia ricordava ancora bene la loro scenetta
collaudata per far sparire i ragazzi di cui non gradiva le attenzioni.
«Credo ci sia stato… un
fraintendimento.» Uno dei due si allargò il nodo
della cravatta, mentre l’altro ostentava
un’espressione oltraggiata, guardando l’amica di
Julia.
Julia non avrebbe voluto metterla in difficoltà e, di certo,
la sua collega era pentita quanto lei di aver accettato di uscire con
quei due rappresentanti, che erano passati in ufficio la settimana
precedente.
«Tranquilli, Julia e il suo ragazzo sono uno
spasso!» Samantha le diede corda.
Come si aspettava, i due gettarono la maschera di finta educazione e
imprecarono, prima di girare i tacchi e andarsene.
«Senza offesa, Jules, però come diavolo hai fatto
ad accettare questo appuntamento?» Andrew tolse il braccio
dalle sue spalle e lei sentì freddo, forse per la corrente
d’aria arrivata dalla porta del locale, che si stava
richiudendo dietro al doppio appuntamento sfumato.
«Sto lavorando troppo» si giustificò,
ermetica. Sapeva che Andrew non l’avrebbe pressata per sapere
altro. «Tu che ci fai qui?»
«Sono qui con i ragazzi.» Indicò il
tavolo in fondo al locale, vicino allo schermo che trasmetteva una
partita di qualche campionato estero.
«Ti lascio tornare da loro, io accompagno Sam.» Un
po’ era dispiaciuta, perché le aveva fatto piacere
ritrovare Andrew dopo tanti anni: si erano persi di vista poco dopo la
fine del liceo, come spesso succede, prendendo strade diverse.
«Tranquilla, July, prendo un taxi. Resta pure con il tuo
amico.» Samantha le diede un bacio sulla guancia e li
salutò.
«Porto queste agli altri e facciamo due chiacchiere, ti
va?»
Julia accettò e si sedette su uno sgabello, mentre Andrew
raccomandava al barista di non darle nulla di troppo forte,
perché reggeva malissimo l’alcol.
«Andrew, dai! Ho ventiquattro anni, ormai.»
«Credo che il tuo fegato sia un quinto di quello di
Tony.»
Andrew sparì con il vassoio e lo guardò parlare
con i suoi amici. Non le aveva chiesto di unirsi a loro, forse pensando
che da soli avrebbero chiacchierato meglio di ciò che era
accaduto nelle loro vite, durante gli ultimi sei anni.
Rimasero a parlare finché fu il proprietario stesso del
locale, ormai vuoto, a far loro presente che ore fossero.
«Domattina devo alzarmi alle sette per andare in
ufficio!» Avrebbe dormito meno di cinque ore, però
non le dispiaceva.
«Vieni, andiamo.»
Si ripromisero di tenersi in contatto e vedersi per mangiare una pizza
insieme.
Julia lo abbracciò, alzandosi sulle punte, e si
ritrovò a stringere un corpo da uomo e non il ragazzino
smilzo che ricordava dal liceo.
«Grazie per questo tuffo nei ricordi.»
«Sempre a disposizione, Jules, per ricordarti i disagi e gli
imbarazzi dell’adolescenza» ridacchiò.
Si salutarono di fronte all’auto di Julia, e lei
immaginò che si sarebbero di nuovo persi di vista, come
succede quando ci si imbatte per caso in vecchi amici, dopo troppi anni
di lontananza.
Fu sorpresa di trovare un messaggio di Andrew, il mattino dopo, che le
proponeva di vedere con lui un horror appena uscito al cinema, come ai
vecchi tempi.
Al lavoro, Samantha la tampinò tutto il giorno
perché non credeva che lei e Andrew fossero sempre stati
solo amici. Julia si ritrovò di nuovo a difendere la loro
amicizia, come era accaduto spesso in passato.
Dopo la serata al cinema, si incontrarono altre volte a cena da Julia,
che si era trasferita da poco in un piccolo appartamento.
Andrew la stupì invitandola a pranzo da sua madre,
perché nel suo monolocale non c’era posto nemmeno
per mangiare in due. La signora Theresa ricordava con affetto quella
compagna di scuola, che aveva evitato al figlio di dover ripetere di
nuovo il laboratorio di scienze. Julia non pensò nemmeno per
scherzo di ricambiare l’invito: non avrebbe mai fatto quel
torto ad Andrew, perché era un supplizio anche per lei dover
andare a pranzo da sua madre.
Settimana dopo settimana, si instaurò una routine fatta di
telefonate, serate a base di cibo pronto, film e confessioni a cuore
aperto. Si raccontavano tutto, si lamentavano dei propri lavori e delle
famiglie, anche se per motivi diversi.
Julia era incappata in una spirale discendente di pessimi appuntamenti
con uomini inadatti a lei, mentre Andrew continuava a preferire le
storie di una notte e, quando replicava, era costretto a chiedere a
Julia il nome della tizia con cui era stato l’ultima volta,
non avendolo memorizzato.
Lui sembrava non avere ritegno né senso del pudore, come se
fossero rimasti adolescenti, e lei perciò lo trattava con la
stessa confidenza che avevano avuto al liceo.
Julia, sempre più spesso, si sentiva sola
nell’appartamento vuoto e silenzioso, e talvolta ricorreva ai
sonniferi per riposare meglio, tranne quando lui si fermava a dormire
sul divano, dopo il film.
Andrew non le proponeva mai di uscire con i suoi amici e, quando lei si
decise a chiederne il motivo, lui liquidò subito il
discorso, dicendo di volerle risparmiare battute stupide e insinuazioni
sul loro rapporto.
Nessuno dei due si era reso conto dell’evidenza:
quell’amicizia, ritrovata all’improvviso, si stava
trasformando in qualcos’altro.
NOTA: Quello
che trovate qui sopra è il prologo inedito
della versione riscritta (con nuove scene) di Amore
imprevisto, disponibile da oggi solo su Amazon,
per Kindle (iscritto anche nel programma Unlimited) e nei prossimi
giorni in versione cartacea (con copertina flessibile) sempre in
esclusiva su Amazon.
In autunno arriverà anche la nuova versione di Iniezione
d'amore!
Grazie a chi vorrà rileggere di Andrew e Julia, dopo questo
restyling!
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