Troppo

di Dragonfly92
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo Due ***
Capitolo 3: *** Capitolo Tre ***
Capitolo 4: *** Ultimo Capitolo ***



Capitolo 1
*** Capitolo Uno ***


 

Troppo

 

“Quindi serve un incantesimo che trasformi il porcellino in principe...”

 

Un cigolio, un’inclinazione.

Un fulmine, la bruciatura sul terreno.

La causa che svanisce, il segno che rimane.

 

Yuuri lo aveva sentito.

Aveva sentito quel termine - Porcellino – dissociarsi dalle altre parole, echeggiare.

Diventare gigantografia e specchio.

Di se stesso.

Nudo, rosa, viscido, enorme.

 

In contemporanea, Yuuri, aveva anche sentito il sangue affluire al volto e dipingerlo in maniera violenta, seppellendo, sotto lo strato di evidente e normale imbarazzo, una più profonda, intensa vergogna.

 

Il processo era stato totalizzante.

Dieci secondi di infinità.

 

Dieci secondi che Victor non avrebbe nemmeno notato, dieci secondi che Yuuri avrebbe liquidato con un’alzata di spalle.

 

Perché, d’altronde, cosa sono dieci secondi confrontati alla vita?

 

A volte, una manciata di tutto.

 

“Ti ha ferito quella frase, Yuuri?”

 

Porcellino.

Porcellino.

Poi, l’indice che picchietta sulla pancia, sul grasso della pancia.

E ‘picchiettare’ è giocoso ed anche ‘Porcellino’ è giocoso.

E Victor.

Victor è Victor, ed è lì, bello, statuario.

È lì, campione, perfetto.

È lì per lui.

Incarnazione di miriadi di poster, ha preso vita, forma, una bellissima forma.

Ed ha picchiettato e detto Porcellino, ma lui è Yuuri Katsuki e che diritto ha Yuuri Katsuki di dire o anche solo pensare ‘Smettila, ho capito.’?

Nessuno, perché effettivamente Victor ha smesso di parlare e toccare.

 

Ingrato è stato il pianto di Yuuri, ingrato e mai esistito.

Perché se piangi sotto la doccia, non stai piangendo.

Non stai nemmeno stritolando fra le mani il grasso della tua pancia.

E non stai dicendo “Non fa niente, Non fa niente, Non fa niente.”

 

“Non fa niente.”

“Fa, invece.”

La Dottoressa sorride, Yuuri non la guarda.

“Ero sovrappeso.”

“Perché?”

 

Perché?

Perché?

 

Nessuno ha mai chiesto perché.

Nessuno ha mai voluto sapere.

Perché chi si abbuffa fa schifo, chi si abbuffa non vuole cambiare.

E allora si merita di restare solo col suo cibo, amato, saporito.

Con l'unico sapore che sente.

 

“Mi ingozzavo.”

Schifo, fa schifo anche dirlo.

“Perché?”

Perché.

Perché quando ero solo avevo paura.

Avevo paura del silenzio, del vuoto, dei pensieri.

E allora cercavo da mangiare e perdevo tempo.

E mangiavo e perdevo tempo.

Perché.

Perché non sapevo cosa fare, da dove ripartire.

Perché tutti dicevano “Non devi fare così” ma nessuno mi diceva come fare.

Perché.

Perché avevo fallito.

Perché ero un fallito.

Perché…

 

“Non lo so.”

“Se guardi il te di allora, Yuuri.

Cosa vedi?”

 

“Niente.”

Un niente che cammina, un niente che respira.

 

“Ma poi è arrivato Victor.

E con lui hai ricominciato a essere.

Con lui hai visto un futuro, Yuuri?”

“Un presente.”

 

Dopo lo sconforto, lo sfogo.

Dopo una notte di sonno facilitato dalle lacrime abbandonate nella doccia.

La mattina Yuuri si alza e vede.

Vede un piano studiato per lui, vede Victor.

Vede la svolta del presente, vede la quotidianità perdere grigiore.

E decide, che è stato sciocco sentirsi ferito.

Che la sua forma ricorda davvero quella di un…

Quello che ha detto Victor.

 

Ma può cambiare.

 

“Così avete iniziato il programma e la dieta.”

“Sì.”

“Ne eri felice?”

Yuuri annuisce.

“Stava funzionando?”

Il Si è muto.

Yuuri non vuole ungerlo di lacrime.

“Riuscivi a seguirla?

Seguivi le indicazioni di Victor?”

“Si.”

“Tutte?”

“Quasi.”

Due sorrisi.

Uno pieno di incoraggiamento.

Uno pieno di crepe.

 

I primi risultati sono tempestivi.

Il peso cala, i centimetri si riducono.

Ma poi sembra che tutto rallenti.

Mantenimento!”, dice Victor.

No, decide Yuuri.

 

Perché così è troppo in bilico, basta poco a riportarlo fuori dalla pista.

E lui non vuole più starle lontano perché è grasso.

Non vuole.

 

Ogni dieci giorni, una concessione.

Un gelato, il katsudon, cibo italiano.

Un premio.

Ma succede che quel giorno, prima di uscire, mentre si prepara, lo specchio gli indichi delle striature.

Sulle braccia, sulle cosce.

Sui fianchi.

E allora, quando sono a tavola, Yuuri si attiene al solito regime e rifiuta, la sua concessione.

E succede anche che scopra, quando è solo nel suo letto, che è quella sensazione, il suo premio.

Saper di non aver ceduto, sapere di aver rifiutato.

Da lì a sentirsi appagato per ogni riduzione dei pasti, il passo era stato breve.

 

“Victor però ti ha scoperto…”

Un’espressione affettuosa.

Una colpevole.

“Avete discusso.”

“Un po'.”

“Si è dichiarato.”

“Più o meno.”

“Non gli hai creduto.”

“Come avrei potuto?”

Elettricità nello sguardo.

“Sei arrabbiato come se stesse succedendo di nuovo, non è così?”

“Mi scusi, mi scusi davvero, io non so perché…”

Parlare senza piangere è complesso.

Così Yuuri tace, come ha imparato a fare.

Come fa sempre.

 

“Va bene essere arrabbiati, Yuuri.

E va bene anche essere tristi.”

“A lei va sempre bene tutto, Dottoressa.”

Yuuri le sorride e piccole rughe intorno agli occhi inghiottono lacrime che non vuol versare.

 

“Adesso arriva la mia parte preferita: Tu che ti spogli.”

Mila non riesce a trattenere una risata di fronte all'incandescenza delle guance di Yuuri.

“Non dica così!”

“Allora dimmelo tu, forza.”

 

 

Victor era furioso.

Hai boicottato la mia dieta!

Non è questo che ti ho insegnato a fare!

Perché stai facendo di testa tua?

Vuoi sentirti male?

Perché…”

 

Yuuri ascolta, ascolta, esplode.

 

Perché? Perché?”

Si sfila la maglia, furioso quanto il coach.

Strizza fra le dita i fianchi, la pancia.

Le smagliature.

 

Perché faccio schifo!”

 

Ma Victor lo inchioda al muro e Yuuri si ritrova bloccato.

Dal suo fiato, dai suoi occhi, dalla bocca.

Non dire mai più una cosa del genere.”

 

Victor lo bacia e Yuuri quasi sviene.

Poi Victor gli dice “Sei bellissimo.”

E Yuuri lo spinge via, via.

 

“Il giorno dopo ho trovato una crema di fronte alla porta di camera.

E un biglietto, con le sue scuse.

Diceva che avrebbe dovuto immaginare che farmi perdere peso così velocemente avrebbe…

Insomma, che sarebbero venute fuori quelle.

E che lui non dice cose che non pensa.

Comunque, quelle non se ne sono andate.

Ma almeno non se ne sono aggiunte altre.”

 

Victor gli bacia il collo, il mento.

Con la bocca percorre la mascella, sale fino allo zigomo.

Poi scende, giù, sempre più giù.

Il petto, il ventre.

Le carezze sui fianchi.

E Yuuri dimentica, lentamente dimentica quelle.

E la soddisfazione, il premio, non si trova più nei crampi della fame.

Ma in quelli piacevoli che provoca Victor.

Con la sua presenza.

Col suo sorriso.

 

“Le cose andavano meglio?”

“Si.”

“Ti pesavi tutti i giorni?”

“Qualche volta lo dimenticavo.”

“Era un bel passo avanti.”

“Era un bel passo avanti.”

“Poi, cosa è successo?”

“È arrivato Yura.”

 

 

È arrivato Yura.

Yura col suo indomabile carattere, Yura col suo senso d’abbandono.

Che Yuuri ha compreso, da subito.

C'era terrore, sotto gli insulti di Yura.

Terrore d'esser stato dimenticato, d'esser stato messo da parte.

Voglia di rivalsa, di farsi sentire.

E Yuuri lo sapeva.

Perché Yura si ingozzava di parolacce e frasi scostanti.

E non serviva qualcuno che gli dicesse di smettere.

O che gli dicesse “Così non va bene.”

Gli serviva qualcuno che gli dimostrasse come fare.

Gli serviva qualcuno che lo vedesse.

Che si chiedesse perché, faceva così.

 

Yuuri non ha difficoltà a farsi scivolare di dosso le parole dell'omonimo.

È partito preparato, è più sicuro.

È pronto.

Ed insiste, chiede a Victor di farlo rimanere, di allenarli entrambi.

Victor accetta, Yuuri respira.

Yura ringhia, ma non graffia.

 

Passa un po' di tempo, troppo o troppo poco.

Stanno pranzando.

L'allenamento di Yuuri è andato bene, quello di Yura un po' meno.

Lo ha detto Victor.

Victor che se la fa con Katsuki, Victor che tratta Katsuki sempre con i guanti.

Ma come cazzo te lo mangi quel panino?

Sembri un maiale!”

 

Yuuri sente un brivido lungo la spina dorsale, un brivido freddo.

 

Un cigolio, un’inclinazione.

Un fulmine, la bruciatura sul terreno.

La causa che svanisce, il segno che rimane.

 

Il boccone rimane incastrato in gola.

 

Non può parlare, ha la bocca piena e se lo facesse, allora sì, che sembrerebbe un maiale.

 

Non prendertela con lui.

Sai che avresti potuto fare molto meglio.”

Sta' zitto, che vecchio come sei dovresti andare in pensione, non allenare!”

 

 

“Perché pensi che Yura abbia dato a Victor del vecchio?

“Perché…

Perché Victor ha sempre paura di apparire così e…

Di avere i capelli bianchi, allora…

Yura era deluso da se stesso e quando è ferito…

Se la prende col mondo.”

 

“E perché pensi che Yura ti abbia dato del …”

Yuuri strizza gli occhi, un secondo, un’eternità.

“Perché pensi che ti abbia detto quelle cose?”

“Perché…

Il modo in cui mangiavo era…

Disgustoso, sembrava…

Sembrava che non mangiassi da una vita.

Lo avevo morso dalla parte centrale, non da una parte, come avrebbe fatto una qualsiasi altra persona e…

Avevo, le briciole sulle guance e…”

“Che schifo”, sussurra Yuuri.

Che schifo, si ripete.

 

“Yuuri, riesci a ricordarti come Yura aveva addentato il suo, di panino?”

 

Yura che afferra il panino entrambe le mani.

Morde, centrale, e mastica, le gote si riempiono e si gonfiano.

 

“È diverso.”

“D'accordo.

Allora permettimi un'altra domanda.

Credi che pensasse davvero quel che ha detto a Victor?

Che fosse troppo vecchio per allenare, intendo.”

“No, certo che no, lui…

Lui stima Victor.

Gliel’ho detto, in quel momento era…

Ferito, ecco.

E ha attaccato.”

“Capisco.

Allora perché pensi che le parole contro Victor fossero soltanto uno sfogo, ma quelle che ha detto a te rappresentino la verità?”

“È diverso.”

“No, non lo è.”

 

Un sospiro, non può capire.

Ma non ha importanza, davvero.

 

“È stato solo un episodio stupido.

Io, io non so nemmeno perché l'ho raccontato.”

 

“Forse perché non è stato così stupido, per te.”

“Solo un episodio, l'ho detto.”

“Va bene, Yuuri.

Ha più mangiato panini da allora?”

 

“Certo che sì.”

Uno sguardo costretto alla soddisfazione.

Un muto te l'avevo detto.

“Come?

Come li hai mangiati?”

 

Dividendoli in pezzi.

Piccoli.

Con le mani.

Ma questo, Yuuri non lo dice.

 

Si morde le labbra, si guarda attorno, in basso.

 

“Yura è un ragazzino.

Il suo era uno sfogo.

Non c'è niente da aggiungere, davvero.

Il giorno dopo era tutto come prima.”

“Andavate d'accordo?”

 

Yuuri sbuffa un sorriso.

“Sì, ma non lo faccia sapere a lui.”

 

Complicità.

È la natura del rapporto che si instaura fra Yuuri e Yura.

Faticosa, silenziosa.

Ma profonda.

Yuuri è premuroso con Yura.

Di nascosto.

Yura si ritrova cerotti e disinfettanti nel borsone.

Vestiti puliti e ripiegati sulla sedia in camera.

I cereali al miele, per colazione, non mancano mai.

 

Yura non inveisce.

E nella mancanza dei suoi ruggiti, Yuuri sente ogni ‘grazie’.

 

“Un bel caratterino.”

“Sì, decisamente.”, ridacchia Yuuri.

Lo fa ogni volta che parla dell'omonimo.

Ride con tenerezza e comprensione.

 

A Yuuri, il Touring non riesce.

Victor incita, sprona.

Ma a lui, proprio non riesce.

La sera, nel letto, Yuuri si rigira nello sconforto.

Poi, una notifica.

 

Il mittente è a poche stanze di distanza.

 

È un video.

Mostra Yura intento nel Touring

Il rallenty e l'enorme freccia fluorescente apparsa al nono secondo, mostrano la precisa posizione delle lame.

 

Il cuore di Yuuri si gonfia.

Grazie’, scrive.

Si, si.

Ma questo ammorbidente puzza.’

Profuma di lavanda…’

Ti sembro una cazzo di ape?

Fiori? Sul serio, Koutsudon?

Rivoglio quello alla vaniglia.’

Anche la vaniglia è un fiore…’

Fanculo.’

Notte anche a te.’

 

“È il suo modo di essere amichevole.”

Yuuri alza le spalle, continua a sorridere.

“Era un bel periodo, Yuuri?”

“Lo era, si.”

“Anche con Victor?”

“Soprattutto.”

Le guance si infiammano nel rendersi conto dell'espressione malinconica.

Gli sguardi si intercettano, un attimo.

“Ti manca, Yuuri?”

“Ogni minuto.”

 

Quando Mila allunga una mano per sposarla sul suo braccio, Yuuri la ferma.

“Va tutto bene…”, dice, premendosi le dita sugli occhi.

Un respiro grave.

Il controllo ritrovato.

 

“Ti do una mano a sistemare il cuscino?”

“No, grazie.

Ma se potessi…”

Il tentativo di disincastrare il filo impigliato alle maniglie del letto.

Subito assistito da Mila, che scioglie l’incastro e, sfacciata, modella il guanciale dietro la schiena di Yuuri.

“Grazie.”

“È una delle tue parole preferite?

Insieme a Scusa, ovviamente.

Il tono giocoso stempera l'aria, addensata nella prospettiva della domanda futura.

Non ne hanno mai parlato, non ancora.

 

“Cosa è successo, Yuuri?”

 

Non c'è bisogno di specificare altro.

Mila vuole sapere quando, vuole sapere cosa.

Gli ha chiesto di pensarci, già il primo giorno.

Ma Yuuri non ne aveva bisogno.

Sapeva, sapeva quel era stato il punto di rottura.

 

“C’è stata l’esibizione…”

“Eros e Agape?”

“Si.”

“Ti sentivi a tua agio ad interpretare Eros?”

“Era un bel periodo…”

Yuuri si giustifica.

Mila lo comprende, non aggiunge altro.

Qualsiasi altro commento arriverebbe distorto, nella testa di Yuuri.

“Hai vinto, giusto?”

Un’altra alzata di spalle.

L'annuire breve.

 

Comprendere.

 

“E Yura ha perso…”

 

Yura si allontana a grandi passi dal Palaghiaccio.

A nulla serve rincorrerlo, cercare di fermarlo.

Ha bisogno di tempo, per ammortizzare il tutto.

Victor ha organizzato quella gara per spronarli, per motivarli.

Ma lui l'ha persa, l'ha persa.

 

Yura non si fa vedere, la sera.

Yuuri gli lascia un piattino con la cena di fronte alla porta della stanza.

Ma, un tentativo.

Yuuri bussa una volta.

Vorrebbe dirgli che era solo una sciocca serata.

Che non è da quello, che si decide un vincitore.

Bussa, una seconda volta.

Bussa una terza e Yura gli urla di andarsene.

Ti lascio la cena qui…”

Perché non te la mangi tu!

Scommetto che non vedi l'ora! Katsudon del cazzo.”

Insistere non è buona mossa, con Yura.

Yuuri sistema il vassoio e se ne va.

E sorride, quando sente la porta aprirsi e richiudersi.

 

Yura sta facendo pace con se stesso.

 

“Perché Yura se la prendeva così tanto?”

“Perché credeva di valere solo quello che dimostrava sulla pista.”

“Oh, potresti fare lo psicologo, sai?”

“Credo che uno psicologo sarebbe stato più cauto di me.

Avrebbe evitato di dirglielo, Dottoressa.”

“Ti ha fatto un occhi nero?”

“Mi ha quasi rotto il naso!”

La risata nasce sincera.

Ma sfuma, un punto dolente che si avvicina.

Si avvicina.

 

“Vi siete rivisti il giorno dopo?”

“A…

Colazione, si.”

 

Una pausa.

Un sospiro lungo.

 

“È successo allora.”

“È successo allora.”

 









 

--------------------------------------------   Spazio a noi  ---------------------------------------------

 

Buongiorno : )

Chi mi conosce sa che non posso non scrivere del dolore.

Che non posso fare a meno di raccontarlo, analizzarlo, provare ad esorcizzarlo.

Contrariamente a “La forza dell'Amore”, un pochino di questo mi è appartenuto.

È vecchio, risarcito. Ed era il momento giusto per scriverne.

Come sempre, la mia paura più grande è quella di sminuirlo.

Perché sminuire il dolore, una ferita, è ciò che credo possa far più male della sofferenza stessa.

Sentirsi dire 'passerà', 'non pensarci' o, in questo caso, scrivere di determinate tematiche con superficialità, è doloroso per chi legge/sente.

Quindi, se in qualche modo l'ho fatto, scrivetemi, anche in privato.

 

In molti pensano che le fanfiction debbano essere storie leggere, storie per passare il tempo.

Hanno ragione, anche loro.

Ma per me, sono un mezzo per arrivare a qualcuno. Per abbracciare quel qualcuno.

Per farlo sentire un po' meno solo.

So che questo potrebbe esser scambiato per presunzione.

Ma vale il rischio.

È tanto tempo che sto scrivendo questa storia.

Adesso che è finita, voglio condividerla e rassegnarmi a passare la giornata tormentata dai dubbi.

Devo ringraziare Syila, che ha atteso e ha spronato. Senza di te, questa storia sarebbe ancora una bozza.

E BerriesTart_LilacSweet, per i pezzi di lei che sono qui dentro.

E BlackUnicorn, che non ho dimenticato, così come Fioredipesco.

E 1234ok.

Perché sei tanto, tantissimo.

 

E te.

Che hai letto, stai leggendo.

Che sei bella e non lo sai.

Che non sei sola e, forse, alla fine di questa storia, lo saprai.

 

Dragonfly92

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Capitolo 2
*** Capitolo Due ***


Capitolo Due

 

 

 

“Vi siete rivisti il giorno dopo?”

“A…

Colazione, sì.”

 

Una pausa.

Un sospiro lungo.

 

“È successo allora.”

“È successo allora.”

 

Victor scompiglia i capelli a Yura, bacia Yuuri.

Si siede capotavola, fra i due.

Yura non ha ancora detto una parola, da dopo la gara.

Ma se si considera che è scomparso dopo pochi minuti e che è ancora mattina…

Bè, è normale.

 

Yuuri sembra sereno, sereno davvero.

Non è solo la vittoria, ma l'esser riuscito a credere di poter interpretare quel ruolo.

Stesso motivo, poi, per cui Yura è così arrabbiato.

Sa di non averlo interpretato, sa qual è stato il suo errore.

Ma è un buon punto di partenza, potranno lavorarci, potrebbero esercitarsi su questo.

Magari facendogli improvvisare dei pezzi, mirati al trasmettere sensazioni, non tecnica.

Magari oggi stesso, magari…

Yuuri, che c'è?”

Il cellulare, nella sua mano, trema.

Yuuri?”

Yura alza la testa.

Anche lui, si immobilizza.

Perché Yuuri è sconvolto, ha la bocca socchiusa, il respiro frammentato.

E mentre il pollice scorre, le lacrime cascano senza che se ne occupi.

Offuscano la vista, ma non a sufficienza da impedirgli di vedere.

 

Yuuri, ma cosa diavolo sta succedendo?”

Victor gli sfila il telefono dalla mano.

E quella rimane lì, sospesa, immobile.

Gli occhi ancora fissi sull’immagine, sulle parole.

Poi uno scatto, dritti su Yura.

 

Ma è un secondo, una frazione di secondo.

Non ce la fanno, non resistono.

Yuuri si alza, il rumore del movimento attutisce il singhiozzo.

I richiami di Victor.

Il mondo.

 

“Cosa c'era, Yuuri?

Cosa hai visto?”

 

Una foto.

Una foto pubblicata da Yura.

Una sua foto, pubblicata da Yura.

 

“Vuoi che ci fermiamo, per oggi?”

 

Yuuri sulla spiaggia.

Semi sdraiato, i gomiti puntati nella sabbia, il collo allungato a seguire l'indice di Victor.

È estate, sono entrambi senza maglia.

E nella sua posizione, il ventre forma due naturali onde.

 

Mi sono fatto battere da uno che non riesce nemmeno a vedersi i piedi.”, recita la didascalia.

 

E i commenti.

I commenti.

 

“Hanno…”

 

L’eros dei poveri.

 

“Hanno s-scritto…”

 

Katsuki, ti ha punto una medusa sui fianchi?

 

“Tante cose…

Cattive.”

 

Abbiate rispetto per chi è evidentemente appena uscito da una gravidanza.

 

“Yuuri…”

“P-puoi uscire?

P-per favore!”

 

Yuuri si tappa la bocca ma il singhiozzo riempie la stanza.

E si copre la faccia, con le mani, con le braccia.

 

Fa male, fa sempre male come se ancora vedesse.

Come se ancora leggesse.

 

L'amore è cieco ma la giuria di più.

Per non parlare di Nikiforov poi…

 

E fa dolore lo stomaco, lo stringe, lo attorciglia.

E viene da vomitare, ma sarebbe deleterio e allora sono respiri enormi, difficili.

Si soffoca, si soffoca.

 

“Bevi un po' d'acqua, bevi Yuuri.”

E chissà quando c'è arrivata quella mano sulla sua guancia.

Chissà quando Mila si è avvicinata così tanto.

“Ok, ok.

È tutto ok, Yuuri.”

 

“M-mi piaceva quella f-foto!

M-mi piaceva t-tanto!”

 

Le confessioni, i singulti, il dolore.

 

“N-non avevo mai visto che…

Che facevo così…

Così SCHIFO!”

 

Mila lo stringe, ma Yuuri urla.

E l’esplosione sfocia in panico e arrivano le infermiere.

E Mila deve uscire.

E Yuuri deve calmarsi.

E non si vedono più, per due giorni.

 

 

 

“Victor e Yura hanno discusso?”

 

 

 

Cosa credevi di fare?

Sei impazzito?

Non ti vergogni?”

Yura ostenta indifferenza.

Victor non si trattiene.

Hai perso una stupida sfida e cosa fai, Yura?

È questa la tua rivalsa?

È cercare di distruggere le persone che ti fa sentire vittorioso?”

Stai esagerando come sempre.”

Victor sbatte i pugni sul tavolo, Yura lo guarda indignato.

Se fosse stato lui a farlo, non reagiresti così, Victor!”

Non ci credi nemmeno tu, Yura!

Vergognati, devi solo vergognarti!”

E tu devi solo fotterti!”

 

Victor deve andarsene, deve.

 

Vai ad asciugargli il moccio?”

Vuoi che finisca di allattarti, prima?”

 

Ma Victor se ne va e Yura rimane di fronte al display.

E legge, incazzoso.

E continua a leggere, incredulo.

E scorre, scorre, scorre.

Colpevole.

 

“È stata la prima volta che hai vomitato?”

“Non è stato intenzionale.

Avevo fatto colazione, ero salito su di corsa.

E, insomma…

La doccia, i pensieri.

Mi viene ancora la nausea se ripenso a quella fotografia.”

 

Yuuri è più calmo.

Il sondino ha creato un livido che Mila evita con lo sguardo.

Ma spicca sulla pelle chiara, come la macchia sullo zigomo, sulla tempia.

 

“E dopo?”

 

Yuuri chiede di esser lasciato solo.

Dopo più di un'ora, Victor lo accontenta.

Non allena Yura, quel giorno.

E la mattina successiva, a colazione, si respira un'aria di finta quotidianità.

 

Smettiamola.

Basta.”

 

Yuuri non permette né a Yura né a Victor di ribattere.

Durante l’allenamento è il primo ridare vita alla normalità.

Victor e Yura si lanciano sguardi di fuoco.

Ma quando posano gli occhi su Yuuri, entrambi provano lo stesso identico dispiacere.

 

Hai ricomprato la Vaniglia.’, gli scrive Yura quella notte.

E mai nessuno saprà che ingoierà il cuore nell'attesa della risposta.

Fiori di vaniglia, sì.’

Né che sentirà un nodo indecente nella gola al suono della notifica.

Grazie.’

Né che si flagellerà per la sua incapacità di dire quel che dovrebbe.

O per la ninna nanna di lacrime in attesa di una risposta che non arriverà.

 

“Non ero arrabbiato con lui.”

“Chiunque sarebbe stato arrabbiato con lui, Yuuri.”

“Non lo ero.”

“Perché?”

“Perché…”

“Perché, ancora una volta, eri arrabbiato con te.”

“Non parliamo della foto, va bene?”

“Va bene.

Parliamo del dopo.

Parliamo di quando le cose hanno iniziato a peggiorare.”

 

 

Dai, solo per oggi, fammi felice!”

Non insistere, per favore.”

Dai Yuuri… Ti prego!”

Una cantilena di tentativi.

Victor…”

Ti prego, amore! Assaggialo e basta, almeno...

Un pezzettino solo…”

Smettila, non mi va.”

Ti prego, mio Katsudon!”

Ti ho detto di no!

E piantala di chiamarmi così!”

 

Yuuri ha le lacrime agli occhi e Victor è mortificato.

 

Scusa, io…”

Niente. Colpa mia. Lascia stare…”

Victor prova a dire qualcosa ma Yuuri è andato via.

 

“Ti dava fastidio quel soprannome?”

“No, in realtà…”

Yuuri ci pensa.

“Non credo.

Forse…

Lo so che Victor lo diceva con affetto.”

“Ma questo non cambia il disagio che sentivi.”

 

Un' alzata di spalle.

 

“Non fa niente?”

 

Un sorriso minuscolo.

 

“Tutti questi Non fa niente fanno tanto, Yuuri.”

 

La scena si ripete.

Sempre più spesso.

Ma Yuuri è sempre Yuuri.

E ferire Victor gli fa male.

 

Per il compleanno di Yura.

Un pezzettino e basta?”

Va bene.”

 

Yura non commenta, Victor tocca il cielo con un dito.

Yura osserva, in un silenzio che si è imposto e, sempre tacitamente, esulta.

Yuuri, poco dopo, spinge le dita in fondo alla gola.

Tutti sono felici.

 

“Come ti sentivi, dopo?”

“Bene.

Bene davvero.

Mi sentivo svuotato.

Svuotato da tutto e…

Leggero.

Mi sentivo leggero.

Sentirmi leggero mi faceva stare bene.”

“All’inizio…”

“All'inizio.”

“Poi?”

“Poi ho iniziato a distruggere tutto.”

 

Sei bellissimo, Yuuri…”

Smettila, Victor…”

Tu non mi credi?”

Uno sbuffo spazientito.

Non credermi ma sei bell…”

Smettila!”

Victor passa dall'essere sorpreso all'essere arrabbiato.

Ma cosa ti sta succedendo, Yuuri?”

A me? Sei tu che sei insistente!”

Ma ti rendi conto che ogni volta che ti faccio un complimento tu reagisci così?”

Forse perché non voglio che tu li faccia? Non ci vuole molto a capirlo!”

E a te quanto ci vuole a capire che a volte ho bisogno di dirti quello che penso?

Dannazione, Yuuri!

Ce li ho anche io dei sentimenti!

Ed ogni singola volta che provo a dimostrarteli tu, TU...”

Victor scuote la testa.

È amareggiato, è ferito.

 

Victor…”

Lasciamo stare.

Non ho voglia di discutere. Doveva essere una bella serata!”

Victor sbatte la porta e le lacrime, meritate, cascano.

La cena è diventata indigeribile.

Ma nemmeno vomitare, nemmeno svuotarsi, nemmeno essere leggero…

Lo fa sentire meglio.

 

 

Katsuki, muoviti!”

Yura rallenta e si volta, l’espressione scocciata.

Non ho tutto il giorno!”

Continua a correre sul posto attendendo che Yuuri lo raggiunga.

Yuuri che ha le mani sulle ginocchia e non riesce a racimolare abbastanza ossigeno.

E dai, ti vuoi muovere?”

Perché non ti avvii tu?

Perché non te ne vai se hai tanta fretta?”

Yura rimane sorpresa dal tono ostile.

Ma di più dalla ferita che luccica in due occhi offesi.

Ma che cazzo…”

Vai.

Se sei così veloce, vai.

Vai che arrivi primo.

Vai, che stavolta vinci.

Era quello che volevi, no?”

 

No.

Lo sanno entrambi.

Ma Yura se ne va.

E Yuuri rimane piegato sulle sue ginocchia.

Senza la forza di piangere.

 

“Eri stanco?”

“Spaventato.”

“Iniziavi a stare male?”

“Mi sembrava di morire.”

 

Prima la stanchezza.

Poi la testardaggine.

Il fiato che manca.

L’energia che manca.

Gli attacchi di panico.

E, per nasconderli, è necessario.

È necessario allontanare tutti.

 

“Li ho feriti.”

“Volevi proteggerli?”

“Volevo che non vedessero.”

“E loro non hanno visto.”

“E loro non hanno visto.”

 

 

Il senso di leggerezza scompare.

E ficcarsi le dita in gola rimane necessario ma non funziona più.

Yuuri non ha più resistenza, sulla pista.

Spinge, spinge il corpo al limite.

Spinge la mente.

Vacilla.

Vacilla e si nasconde.

 

“A volte…

Mi sentivo…”

Yuuri ingoia un nodo di sentimenti.

Respira.

Riprende a parlare.

“Mi sentivo soffocare e…

Non riuscivo a muovermi.

E volevo...

Volevo solo…”

“Cosa, Yuuri?”

 

“Che finisse...”

 

Una mano sulla sua.

Un momento per congelare la tristezza.

“Ti sei reso conto che avevi un problema?”

“Non riuscivo più a smettere…

Io…

Mi ritrovavo in quel bagno e…

Ha mai conosciuto qualcuno più patetico di me?”

 

Una domanda sincera, dolorosa.

 

“Io no, non ho mai conosciuto nessuno di tanto assurdo e...

Stupido come me e…”

Yuuri piange.

Piange e si arrabbia, ancora.

 

“Perché ce l'hai tanto con te, Yuuri?”

 

Perché non dovrebbe?

Yuuri era grasso.

Poi Yuuri era magro.

Yuuri era malato.

Yuuri era irritabile.

Yuuri era magro, grasso e irritabile e inutile.

E…

Yuuri era la colpa, la colpa di tutto.

 

“Sei arrabbiato con te perché eri triste?”

“Si può essere tristi perché si è grassi, Dottoressa?

Le sembra un motivo valido?

Con tutti i problemi che ci sono nel mondo, l-le sembra un motivo valido?”

 

Il labbro trema, mentre Yuuri domanda.

“Si.”, dice lei.

Semplicemente.

Accorda il permesso.

Forse perdona.

E allora, Yuuri, Yuuri piange.

Scuote la testa, ma piange.

“Si può esser tristi per la nostra immagine, Yuuri.

Hai il diritto di essere triste per quel che vivi.

Qualsiasi cosa sia.

Hai il diritto di essere arrabbiato se qualcuno condanna un tua fotografia all'umiliazione.

Hai il diritto di essere triste se qualcuno di paragona a un porcellino.

Hai il diritto di essere triste quando sei triste.

Hai il diritto di essere triste e arrabbiato.

Anche con chi ti ama.

Se, per qualche motivo, ti ferisce.”

 

Non c'è convinzione nell'annuire di Yuuri.

Solo necessità di nascondere il viso e non mostrarsi.

 

“Cosa è successo dopo?”

 

Yuuri diventa minuscolo.

Mila capisce con un secondo di ritardo che si sta nascondendo.

Yuuri ha già iniziato a boccheggiare.

Si vedranno tre giorni dopo.

 

 

 

“Cosa gli hai detto, Yuuri?”

Uno sguardo lontano, lontano.

Arresa in un sospiro, accettazione in due occhi asciutti.

 

Yuuri si può sapere che ti prende?

Cos’era quella?

La performance di un novellino?”

 

I polmoni in fiamme, la fatica curva la schiena.

Lo stomaco frizza.

 

Ehi Koutsudon, Popovich ha più vitalità di te, lo sai?”

 

Un conato di vomito trattenuto a stento.

Le mani sull’addome.

 

Yuuri, che c'è?”

La mano sulla schiena scacciata via.

Nausea placata, ritorno alla realtà.

 

C'è che mi avete stufato!

Voi e questo dannato sport!”

Sei solo stanco, Yuuri…

Non…”

Si, sono stanco di te!

E di te!

E di tutto questo!”

 

Yuuri abbandona nel palazzetto un eco di sgomento.

Che si solidifica, incomprensione che lo rincorre, fino a casa.

Spiegami che succede!”

Niente, niente di niente!”

Yuuri!”

Victor, basta!

È finita, basta!”

 

Mila controlla i valori, il ritmo accelerato del cuore.

“Yuuri, sei con me?”

Il lenzuolo stretto fra le mani, le vene in risalto sulla pelle.

 

Yuuri apri la porta!

Apri la porta!”

 

Yuuri fatica ad alzarsi.

A staccare le mani dalla ceramica, a controllare le gambe e riportarle dritte.

Il corpo è un fascio vibrante.

Arrivare al lavandino è uno sforzo ma, almeno, il contatto con l'acqua gelida gli dà sollievo.

La gola brucia, lavarsi i denti è necessario.

La menta del dentifricio mette alla prova la resistenza dello stomaco.

La voce insistente di Victor, quella della sua mente.

 

Un attimo!”

Yuuri non controlla la rabbia.

Non controlla più niente.

Oggi non si è ficcato le dita in gola.

Non è stato necessario.

Il viso affacciato sulla tazza è stato sufficiente a farlo rimettere.

Di nuovo?”, sembrava chiedergli.

Di nuovo qui, Katsuki?”

 

“Yuuri?”

“Si, si, mi scusi…”

Mila lo accarezza con il suo sguardo affettuoso.

“Io…”

Yuuri guarda, attraverso un punto inarrivabile, il passato.

Lo fissa.

Senza espressione.

Le contratture della mascella tradiscono la sua apatia.

“Sono uscito dal bagno.

E ho preparato le valigie di Victor.”

 

È finita, Yuuri?

Mi stai mandando via?

Ti stai arrendendo?”

 

Vestiti piegati in fretta.

Fotografie.

Bagnoschiuma, profumi.

 

Parlami, Yuuri!”

Non ho niente da dire!”

 

A parte tutto.

A parte un mondo.

Che spinge per evadere, che preme per esser liberato.

 

Ma è tanto assurdo da non meritare voce.

Tanto irrilevante da meritare una morte silenziosa.

 

“Quanto tempo era passato, Yuuri?”

“Da… Da cosa?”

“Tu e Victor.”

“Quasi un anno.

Avremmo festeggiato l'anno qualche giorno dopo.

Ma ho cambiato i piani.”

“Non era questo che volevi.”

“Ha importanza ormai?”

“Si, ce l'ha.”

 

Yura e Victor se ne vanno la sera stessa.

La porta di casa e quella del bagno si chiudono simultaneamente.

Lo stomaco sta per esplodergli, Yuuri ne è certo.

Ma sa anche di meritarlo.

Il vomito arriva accompagnato da un senso di liberazione.

E terrore.

Yuuri non riesce a respirare.

Trema.

Le gambe cedono.

 

Passerà, si dice.

Ma non passa.

Non

Passa

Più.

 

 

 

“Hai detto una piccola bugia, vero?”

Imbarazzo.

Colpa.

“Quando hai iniziato, Yuuri?”

“Poi ho smesso, davvero.”

 

Un sorriso gentile.

Uno sguardo sfuggente.

 

“Ti credo.”

 

Un ricordo disseppellito.

 

“Scuola.”, dice Yuuri.

Ma non riesce ad aggiungere altro.

 

 

Yuuri scivola per terra.

Il panico è prepotente, più di ogni altra volta.

Ma quando si accorge che non è quello, il colpevole.

Quando si accorge che la saliva ha un gusto ferroso.

Quasi si convince ad urlare.

A chiedere aiuto.

 

Ma non riesce a parlare.

 

Se lo merita.

 

 

 

“Yuuri, ricordi chi ti ha portato qui?”

“No, non ho chiesto.

Non…

Credo di volerlo sapere.

So che è venuta la mamma.

L'ho sentita.”

 

“Ti ha fatto male quello che hai sentito?”

 

Silenzio.

 

“Come darle torto, Dottoressa?”

 

“Ma aveva torto, Yuuri.”

 

Suo figlio soffre di disturbi alimentari.

Bulimia, Signora.”

Una risata isterica.

È questa la vostra diagnosi?

Lei ha visto mio figlio?

Lo ha visto?

Non sia ridicola!

Le sembra anoressico?

Lo guardi! Mio figlio era quello che a scuola rubava le merende dei compagni!

C'è qualcos’altro!

Qualcosa che voi non volete trovare!”

 

Bulimico, Signora.

Non anoressico.

È…”

 

Non ascolterò le parole di qualcuno che evidentemente non ha nemmeno guardato mio figlio!

Chiami il suo superiore!”

 

“Non fa niente.”

“Con quanti non fa niente ti sei ferito, Yuuri?

Quanti te ne sei imposti?”

 

“Aveva ragione.

Mi guardi.”

 

“Lo faccio, Yuuri.

E vedo un ragazzo che sta morendo sotto strati di non fa niente.”

 

 

 

 

 

 

 

Fine Seconda Parte

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Capitolo 3
*** Capitolo Tre ***


Capitolo Tre

 

 

Gli occhi di Yuuri sono quadri drammatici in una cornice violacea.

Quadri che nessuno comprende perché troppo impegnativi.

Etichettati come falsi, come sciocchi, come gli passerà.

 

Quadri dal titolo sbagliato.

 

“Ci sono due persone con le quali vorrei che parlassi.

Sono qui fuori.”

Yuuri sente un'onda di panico e sollievo.

“Entreranno e rimarranno alle tue spalle.

Per questo, ho aspettato che tu riuscissi a venire nel mio studio, per fartele incontrare.

Voglio che entrino e stiano lì.

Voglio che tu parli con loro.

Voglio che tu gli dica quel che non gli hai mai detto.

Voglio che tu gli mostri.

Voglio che e tu smetta di mentirgli e di proteggerli.

Voglio che tu smetta di mentire a te stesso.

E per farlo, Yuuri, devi parlare.

Devi parlare con te.

E con queste persone.

Va bene?”

Lunghi minuti di nulla, in attesa di un cenno.

Di un assenso che costa la fatica di una vita.

 

Che pesa, di più, quando la porta cigola e fa accomodare altro silenzio.

Fa accomodare l'ascolto.

 

“Hai detto scuola, vero?”

Annuire.

“Parti da lì.”

Annuire, di nuovo.

Occhi offuscati.

Ricordi opprimenti.

 

“U-Un gioco.”

Respiri gravi.

“Abbiamo tutto il tempo.

Con calma.”

Più gravi.

Ad ogni pensiero condotto in quella direzione.

Quella maledetta direzione.

“L-lo chiamavano ‘Ce l'hai’.

Ti toccavano e se non avevi le dita incrociate…

Ce l’avevi.

Un gioco stupido, un…”

Tremore, delle mani, del cuore.

“Era tipo…

Tipo un’infezione, per spiegare.

E le avevano dato il mio nome.”

 

Yuurite.

Yuurite.

 

“E q-quando…

Quando si toccavano…

Dicevano: ‘Hai la Yuurite.’

E allora…

L'infetto.

Faceva il verso…”

 

Un nodo da inghiottire.

Una ferita mai chiusa.

 

“Ti facevano il verso?

Ti imitavano?”

 

“Si, l-loro…

F-facevano il verso del…

Maiale.

Del maiale.

Di me.”

 

Lacrime cadono e si sfracellano sul presente.

 

“Un gioco stupid…”

Ma Yuuri non riesce a continuare.

Ci vuole tempo.

Ci vogliono respiri.

 

“Un gioco cattivo, Yuuri.”

Un'alzata di spalle.

La testa si scuote.

Gli occhi si sciolgono.

 

“Tutti i giorni.

Tutti.

E…

Durante la ricreazione.

E-erano…

Mi d-davano le loro merende.

T-tutte e…

Io non le rubavo! Non...”

Una rabbia che Yuuri stesso non capisce.

Mio figlio era quello che rubava le merende ai compagni!”

O forse sì.

Ma non è colpa di sua madre.

Lei non poteva sapere.

Ma come ha potute pensare che lui rubasse?

Come ha potuto...

Ma non è colpa sua.

Non è colpa sua.

 

“Le m-mangiavo.”

Yuuri aspetta che Mila dica qualcosa.

Che gli dica che, in effetti, poteva rifiutarsi.

Poteva non mangiarle e se lo ha fatto forse...

Ma Mila non dice niente.

Non ha un sorriso di scherno sulla faccia.

Non dubita.

Non dubita nonostante lui fosse il bambino più grasso della classe.

 

“Le mangiavo p-perché sennò non la smettevano mai.

Continuavano a spingere.

A toccarmi la p-pancia.

M-me le infilavano in bocca.

A v-volte e…

E p-poi era peggio.

A-allora…

Allora le m-mangiavo.

C-cosi chiamavano gli altri per f-fargli vedere.

Però finiva lì, finiva…”

 

Singhiozzi.

Che scappano e scuotono.

“N-non finiva mai.

Mai.”

 

Scuse.

Pause.

 

Una delle persone, alle spalle, preme la mano sulla bocca.

L'altra, stringe i pugni.

Le unghie si conficcano nella carne.

 

“Così, c-così è iniziato.

V-vomitare mi faceva sentire…

Di aver v-vinto.

D-Di... Di non essere proprio come di-dicevano loro...

Mi dava l'illusione di avercela fatta.”

 

Mila ha l’espressione seria di chi sta raggiungendo uno scopo che comunque fa male.

Yuuri, quella di chi sta cercando di perdonarsi.

Ma non riesce.

 

 

“Q-quando ho t-trovato il pattinaggio…

Mi sono sentito…”

Lacrime di gratitudine.

Di speranza.

“Ho s-sentito di potercela fare, di poter riuscire a fare qualcosa di bello.

Anche col mio corpo.

Era…

Era libertà, sul ghiaccio.

Potevo essere e vivere, essere la persona che volevo e vivere le emozioni belle.

 

Ma quando…

Quando fallivo.

Riuscivo solo ad i-ingozzarmi.

Non riuscivo a riprovare.

E mangiavo, mangiavo come un maiale, come quello che ero durante le ricreazioni, come quello che loro insinuavano fossi ed ho iniziato ad essere.”

 

“Non è stata colpa tua, Yuuri.”

“Invece sì.

Invece sì.

Lo sapevo.

E per questo, ogni tanto…

Arrivavo in bagno e…

Cercavo di rimediare.”

 

“Vai avanti…”

 

“S-Sono passati tanti anni.

La scuola è finita e…”

Un sospiro, la liberazione.

“Ho smesso di fare…

Quello che facevo, in bagno.

Le persone hanno iniziato a credere in me e forse, anche io.

Un po' anche io.

Mi allenavo, davvero, mi a-allenavo tanto.”

 

“Nessuno ha dubbi su questo, Yuuri.

No?”

 

Yuuri stringe le spalle.

 

“Se ce li avevano li ho confermati al Grand Prix…”

 

Il fallimento schiaccia Yuuri, facendolo riaffacciare alla voragine del passato.

In un giorno, torna ad essere un insignificante Yuuri qualsiasi.

Che ci ha creduto e non ce l'ha fatta.

E forse, quel che fa più male, è averci creduto.

 

“Hai ricominciato?”

“A mangiare, sì.

A fare ciò che mi riusciva.

Ma poi…

Poi è arrivato…”

 

Di nuovo, silenzio.

Attesa.

Tremori.

Diversi, uguali.

Potenti.

 

“Sei arrivato tu.”

 

Brividi, sulle braccia, sul cuore.

 

“E ho creduto di potercela fare.

E mi sono sentito come…

Come q-quando ho trovato il p-pattinaggio.”

 

E un peso, sull’anima.

 

“Vai avanti…”

 

La consapevolezza del rischio di ferire.

 

“Parla, Yuuri.”

 

Non volerlo fare.

“Digli del soprannome.”

“N-no.

Non posso, non posso.”

 

Il pianto si blocca in gola, scappa in singulti che Yuuri tenta di spingere giù.

 

“Puoi, invece.”

 

E Victor freme, impotente, arrabbiato.

Dimmelo, Yuuri.

Dimmi tutto ciò che non sono riuscito a vedere.

 

“Siamo qui per questo.

Siamo qui perché a volte le persone non sanno di ferirci.”

“I-io lo so che non lo facevano con cattiveria!”

 

Yuuri alza la voce, che si rompe.

Mila annuisce, si sporge dalla scrivania, lo guarda.

 

“Non lo facevano con cattiveria, Yuuri, ma lo facevano.

E ti faceva male.

Che uno schiaffo sia dato con rabbia, per gioco o per sbaglio, fa sempre male.

Smettila di sentirti in colpa anche per gli errori altrui.”

 

Victor ringrazia, in silenzio.

Anche lo sguardo che la Dottoressa gli dedica.

Sa che non vuole ferire lui, per aiutare Yuuri.

Ma sa anche che è necessario.

Che Victor lo ha chiesto.

Che è pronto a vedere.

Forse, un po’ più pronto di Yura.

 

“M-mi hai chiamato…

In quel modo e…”

“In quale modo, Yuuri?”

“No.”

“Diglielo, per favore.”

“N-no.”

“Yuuri…”

 

“Porcellino...”

 

È Victor a sussurrarlo, a confessarlo.

È lui a subire il singhiozzo di Yuuri.

A farsene carico, a prendersi la colpa.

 

È Yuuri a chiedere scusa.

E Mila a fermare Victor, che muore un po', ogni volta che non può avvicinarsi.

 

“Non volevo che tu m-mi vedessi come mi vedevano loro!

Io n-non volevo più essere quella persona, io n-non volevo essere così ai tuoi occhi, volevo…

N-non volevo che tu v-vedessi in me un…

Piatto o…

U-un…”

“Yuuri…”

“Un…”

“Yuuri, ascoltami…”

“Un maiale!”

 

Mila gli afferra le mani, umide.

“F-falli uscire, falli uscire!”

 

L’ansia entra in circolo.

Costringe i polmoni.

 

“Guardami.”

“M-mi dispiace, mi dispiace!”

 

Scuote, ovatta, distorce.

 

Yura deve trascinare Victor fuori.

Ed assorbire le sue lacrime.

 

 

 

 

 

 

“Quando sono iniziati gli attacchi di panico?”

“Sono sempre stato ansioso.

Sempre stato...

Così.”

 

“Questo come ti fa sentire?”

 

Che razza di domanda è?

 

“Quando sono ricominciati gli attacchi di panico?”

“Dopo…”

“Dopo cosa, Yuuri?”

 

Respiri trattenuti.

Cuori al galoppo.

Mani strette a pugno.

 

“Perché non hai detto niente, Yuuri?”

“Perché…

Perché avrei trascinato tutti a fondo.”

 

“O forse loro ti avrebbero riportato su.

Perché pensi che siano qui?”

 

Non lo sa.

Yuuri non ne ha idea.

 

“Come pensi che si sentano?

Nei tuoi confronti…”

 

“A-Arrabbiati.

Delusi.”

 

“Glielo chiederemo.

Sei d'accordo?”

 

“Credo di sì.”

“Ma prima, vorrei che si avvicinassero.”

 

“V-vorrei che non mi vedessero così.”

“Loro, invece, vorrebbero iniziare a vederti.

Proviamo, Yuuri?”

 

I passi sono insicuri.

Victor e Yura si avvicinano, in silenzio.

Yuuri si volta verso di loro.

Gli occhi però, rimangono bassi.

 

Dovrebbero aspettare indicazioni, dovrebbero.

Ma Yura, non può.

E scatta, si avvicina.

Si abbassa sulle ginocchia.

Yuuri chiude gli occhi quando Yura gli afferra il viso fra le mani e lo fa alzare, per guardarlo.

Continua a tenerli chiusi anche quando le loro fronti vengono fatte coincidere.

I respiri sono pesanti.

 

“Quando.”

“Dopo la fotografia.”

Yura incassa un colpo che si aspettava.

Strizza gli occhi; Lo sapeva.

Eppure, eppure fa un cazzo di male assurdo.

“Ma ce li a-avevo anche prima non è stata colpa...”

“Sta' zitto, sta' zitto.”

Le mani di Yura premono sulle tempie di Yuuri.

Si mantengono ferme, quando Yura si allontana.

Quando racimola il coraggio di una vita ed alza il viso.

 

Per guardare una colpa di cui è complice.

Per guardare un viso stanco.

Per guardare ed incazzarsi.

 

C'è così tanta tristezza fra le sue mani che basterebbe una parola per mandarla in frantumi.

 

“N-on ero arrabbiato con te ma…”

Il labbro trema, Yuuri prende una pausa.

Il volto di Yura è una maschera di gelida rabbia.

“Ma un po' si…

A volte…”

 

Una lacrima scivola fin sotto il mento.

Yura annuisce, una volta, forte. Vai avanti.

 

“P-Perché t-tu…

Tu avevi scattato quella foto e…

T-tu l’hai pubblicata e…

I-io non mi ero accorto ma tu…

Se tu avevi visto com'ero…

Perché Yura?

P-Perché…”

 

Yura stringe le mani, ricongiunge la fronte a quella di Yuuri, nascondendo, nascondendosi.

Mi hanno assecondato solo perché ero io.

Mi hanno assecondato ma niente era vero.

 

“No.”

Pelle struscia contro pelle.

Yuuri tace.

Yura tace.

 

Incapace di spiegare.

Capace di capire.

 

“No.”

 

Yura lo ripete, sentendo sulle mani il formicolio che le lacrime di Yuuri provocano.

Uno scatto, occhi negli occhi.

Lacrime trattenute e lacrime evase.

 

“No. Hai capito? No.”

 

Iridi verdi che bruciano.

L'espressione trema, rabbia e tristezza che lottano.

 

E Yuuri capisce.

 

“Ok.”

“No.”

 

Le scuse rimangono impigliate nell'anima del russo.

Che combatte per farle vincere.

Che perde.

 

“Stupido giapponese del cazzo.”

 

Yuuri costringe un sorriso umido comprendendo e Yura vorrebbe urlare piangendo.

 

“Stupido giapponese del cazzo.”

 

Lo sguardo di Yura brucia, con tutte le sue parole nascoste.

E le sue mani sudate, tremanti confessano una colpa che non riesce a prender voce.

 

Yura è costretto ad aumentare la forza nel contatto quando gli occhi sfiorano la pelle di Yuuri, leggendo le conseguenze della sua, della loro superficialità.

 

Mi dispiace.

Mi dispiace.

Non era quello che volevo.

Ero arrabbiato, incazzato.

Ma non era quello che volevo e…

E se avessi davanti quei ragazzi li ammazzerei.

Con questa mani, queste.

Con la parole.

E i pugni.

E gli infilerei le merende in bocca.

E gliele farei vomitare.

E gli chiederei cosa si prova.

E poi pubblicherei una mia foto, una foto della mamma.

E mi lascerei bruciare dai commenti, dalle domande.

E mi venderei alle domande degli ignoranti, come ho venduto te.

E saprei che, nonostante tutto, tu…

Non lo vorresti, non lo vorresti.

Perché sei uno…

 

“Stupido giapponese del cazzo.”

 

È tutto ciò che, realmente, esce dalla bocca di Yura.

E mentre Victor si fa violenza per non intromettersi, Yuuri…

 

“Ok, Yura.

Ok.”

 

Yuuri comprende.

Yura esce.

 

E Mila osserva un dolore tenue restare ed uno prepotente andar via.

 

“E' tutto.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Yuuri torna in camera e si addormenta quasi subito.

Si sente svuotato.

Si sente leggero.

 

 

Victor segue Mila.

Ha bisogno di sapere.

“Come ho fatto a non vedere?”

La Dottoressa sospira.

Victor contrae la mascella.

In fondo alla gola si è incastrato un dolore che preme e fa pulsare il palato.

È occorso tutto il suo coraggio per dar voce alla domanda.

Tutto.

 

“Ero lì...

Come compagno, come...

Allenatore.

Che razza di allenatore sono?”

Mila ha un sorriso un po' triste.

Sa di colpa.

Di comprensione.

 

“Lei si è accorta che mentiva...

Ha capito che lui faceva... Rimetteva dopo i pasti e lo faceva da diverso tempo e io...”

“Eri e sei inesperto, Victor.

Come allenatore e da quel so, come compagno.

Poi non avevi il quadro clinico alla mano...”

 

Victor non permette ai suoi occhi di brillare di speranza.

Non permette al sollievo di farlo respirare.

Ha domandato ma non chiede, non vuole, non crede a nulla che somigli alla discolpa.

 

“L'esofago non si riduce in quello stato per degli episodi sporadici...

Ha avuto un'emorragia. È stato facile per me supporre che mentisse.”

Victor annuisce e non c'è convinzione nel movimento.

“Io...”

Pensieri.

Ricordi.

Ora sembra tutto così chiaro.

 

“Non ho giustificazione.

Non ne ho.

Nemmeno una.”

 

Cieco, come l'amore.

Victor si era innamorato di quell'amore.

Ci era caduto in quell'amore.

 

Trascinandosi dietro il suo ruolo.

 

Victor picchietta e dice 'Porcellino'.

Quando Yuuri se ne va, si chiede se non sia stato troppo duro.

Sono due sconosciuti.

Ma il giorno dopo Yuuri è una bomba di energia.

E Victor crede di aver iniziato col piede giusto.

 

 

Aveva accettato ciò che non capiva; Yuuri che si chiude in bagno, l'ennesima doccia e la musica che riempie la stanza tenendolo lontano.

Aveva bisogno di smaltire l'ansia, diceva Yuuri.

Da solo, insisteva.

 

Victor gli aveva impedito le corse notturne, quelle pazze, suicide corse notturne.

“Almeno una doccia la posso fare o vuoi avvalerti del tuo ruolo per togliermi la libertà? E quali dei due Victor sta parlando, eh? L'allenatore o il fidanzato?”

 

Si era sentito mortificato.

Si era sentito, per la prima volta, non all'altezza.

Aveva avuto paura di perderlo.

Così aveva smesso di insistere.

E con l'innamorata speranza che prima o poi Yuuri avrebbe iniziato ad abbassare le difese gli aveva dato talmente tanta libertà...

Da perderlo.

 

“Yuuri mente da quando aveva undici anni, Victor... Se non da prima.”

Mila soppesa le parole poi lascia che gli arrivino.

 

“Victor...”

Uno sguardo duro.

Si riempie di lacrime.

“Rideva...” dice lui e poi si ferma.

Raduna il controllo.

Lo perde. Le lacrime cascano e lui si passa una mano sulla faccia, sulla bocca, sul male, sulla colpa.

“...Rideva così forte...”

 

 

Ehi, Yuuri!”

I due amici si abbracciano, si stringono.

Yuko sembra non volerlo lasciare mai.

Guardati! Sei proprio in forma! Hai preso un paio di chili?”

Anche tre!”

La risposta scoppia con una risata fragorosa.

Victor la ricorda bene, non lo aveva mai sentito tanto euforico.

Tanto forzatamente euforico.

Si era lasciato contagiare da quel suono.

Non ricorda altro.

 

Ma la risata.

Oh, quella, adesso, non la dimenticherà più.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fine Terzo Capitolo

 

 

 

 

Il prossimo, sarà l'ultimo.

Sarà piccolo ma necessario.

Lascio tutti i miei pensieri per quel momento.

 

Vi stringo.

Fortissimo.

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Capitolo 4
*** Ultimo Capitolo ***


Ultimo Capitolo

 

 

 

 

“Sono stato io a trovarti. Ero tornato per restituirti l'anello.”

Il singhiozzo di Victor spezza il silenzio, il cuore della notte.

Le sue braccia lo stringono e da quel bisogno Yuuri si sente travolto.

Victor gli chiede perdono e Yuuri fa lo stesso.

Sono passati tre mesi e il dolore è sempre lì.

 

 

“Come sta andando?” chiede Mila, mani sotto il mento e speranza viva.

Victor sorride un “Meglio” ed entrambi sanno che è vero.

Ma sanno anche che Yuuri presto avrà una crisi.

Sono tornate le risate prepotenti e quell'ostentata serenità.

 

Succede durante il pranzo di qualche giorno dopo.

Pranzo che Yuuri lascia a metà dopo che Victor ha trovato e tolto il tovagliolo che si era nascosto fra le gambe.

Non ha detto nulla.

Lo ha preso, lo ha buttato e gli ha anche baciato la tempia subendosi i mugugni di Yura per la scena stucchevole, fingendo di non vedere la rabbia colorargli le guance; Victor gli ha promesso che non gli permetterà più di farsi del male.

Oh, bravo Victor, sei diventato attento.

 

Il piatto allontanato, l'insofferenza nel dover attendere che Yura e Victor finiscano.

L'insofferenza che fomenta l'irritazione.

Yuuri la sente bruciargli il petto.

“Dove vai?”

Potrebbe mentire ma ha giurato di non farlo più.

“Ho finito,” dice e Victor scuote la testa.

“No. Non hai finito.”

La mascella si stringe, Yuuri si siede.

“E' abbastanza.”, ribatte e Victor afferra il cellulare.

“Questo è abbastanza e lo sai.”

Yura vede l'odio col quale Yuuri osserva il suo schema alimentare e sente le mani inumidirsi.

Per favore, prega.

Fa' che passi, fa' che passi.

Pochi bocconi, lenti, duri, odiati.

Pochi bocconi, il respiro arrabbiato, malcelato.

Il limite.

“Dove vai?”

“E' troppo.”

“Non lo è, lo sai.”, insiste Victor e quello sguardo, quel suo stupido sguardo liquido lo irrita, lo irrita.

“Ho detto che è troppo.”

“Ed hai mentito.”

“No.”

“Yuuri, lo sai che devi finirlo. Per favore, tesoro...”

Tesoro! Tesoro un cazzo!

Yuuri si siede, infilza il cibo con la bacchetta, mastica, veloce, veloce.

I suoi occhi si fanno scuri di sfida, di odio, per Victor, per sé.

Sei contento? Sei contento?

“Smettila.”

Ma stavolta non ascolta e insiste, inclina il piatto, fa scivolare quella roba nella sua bocca, la spinge, giù, giù, giù.

“Basta.”

Quella voce gentile, quella maledetta voce, Yuuri la spinge via e con lei il piatto che si frantuma.

Si alza e quando Victor lo afferra, urla.

“Dove vai?”

“LO SAI DOVE VADO!”

Lo spinge e non si rende conto delle sue lacrime né di quelle di Yura, né di quanto sia inutile continuare a divincolarsi da quella stretta che non lo lascia, che si fa più forte e contro la quale urla.

“ERA TROPPO! POTEVI LASCIARE CHE LO BUTTASSI SE NON VOLEVI QUESTO, HAI CAPITO?”

Nè si accorge che sono finiti entrambi sul pavimento.

“LASCIAMI STARE!”

Si divincola, Yuuri, suda fra le braccia di Victor e sovrasta i sussurri con il veleno che sono adesso le sue parole.

“PERCHE' MI FAI QUESTO! PERCHE' VUOI CHE IO SIA COSI'! LO SENTI COSA TOCCHI?

TI SEMBRA POCO? TI SEMBRA POCO, VICTOR! NON LO E'!

E' TROPPO!

E' TROPPO E FA TROPPO SCHIFO! HAI CAPITO? HAI CAPITO?”

La rabbia si rompe, una bolla esplode in miliardi di minuscoli pezzi di lacrime che ingoiano le parole.

“Va bene, va bene...”, dice Victor e Yuuri piange un dolore che non ha mai saputo accettare.

“So-no pazzo, sono fuo-ri di testa, sono...” ma Victor ripete “No, no” e Yuuri smette di combattere.

Singhiozza e lascia per un momento la mente libera di credere alle parole di Victor.

Un momento di sollievo, piccolo, una concessione, poter piangere per il suo dolore stupido, per la sua stupida fissazione, per quella...

Malattia, l'ha definita Mila, malattia.

Ed è stata la diagnosi, l'inizio della cura, del perdono.

 

 

 

“Yura, facciamo...

Facciamo merenda insieme?

L'ho portata, ho messo...”

Yuuri credeva che fosse passata.

Una mattinata dura, complicata, malata.

Passata.

Ma ora che si siede sul suo letto e guarda Yura, vede che ha pianto, lo vede e lui si sente così...

“Ho messo la marmellata e n-ne ho pre-prese quattro, non tre.”

Yuuri si schiaffeggia le lacrime, obbliga i sorrisi a susseguirsi.

“Q-Quattro fette biscottate pe-per me e sei per te così...

Così si-siamo contenti, eh?”

Hanno entrambi striature sulle guance e quando si guardano, quando Yura alza la testa, scoppiano a ridere e continuano a piangere.

“Siamo contenti.”, gli fa eco Yura e di nuovo un colpo di risa e di lacrime e dolore e allegria.

Poi Yuuri posa il vassoio sul letto e iniziano a mangiare.

E Yura offende la marmellata di albicocche e Yuuri ne elenca i benefici.

La tempesta è passata.

Entrambi godranno di quelle briciole di serenità.

 

 

 

 

“Sei...

Sei molto bello.”

Le guance di Yuuri si colorano e Victor si sente rinascere.

Ci sono voluti anni, ANNI, per arrivare a quello.

A quell'imbarazzo sano, al sorriso di Yuuri che inclina la testa per la vergogna.

Non c'è più la rabbia.

Perché Yuuri sa che Victor non lo sta prendendo in giro.

 

 

 

Perchè ti arrabbi quando ti faccio i complimenti?”

Perchè posso sopportare che gli altri mi prendano in giro ma non che sia tu a farlo.”

Avevano litigato.

Furiosamente.

Victor si era incendiato e Yuuri aveva fatto lo stesso.

Poi Victor aveva detto “Non sono io, il bugiardo fra i due! Non sono io quello che si è quasi ammazzato!” e Yuuri era scoppiato a piangere.

Victor aveva continuato ad urlare.

Non poteva paragonarlo a loro!

Non poteva fare una cosa tanto meschina.

Non poteva dire che era uguale a quella gente schifosa, capace di far ingozzare un compagno solo per ridere di lui!

 

Sentirlo dire, a voce alta, gli aveva scosso il cuore.

 

VATTENE, VICTOR, VATTENE!”

 

Lo aveva fatto.

E l'accusa di Yuuri gli era rimbombata nelle orecchie.

Aveva sentito la rabbia esplodergli nella testa, nel petto.

Era tornato indietro.

Lo aveva guardato.

Sei bello, Yuuri.”

 

SMETTILA!”

Una spinta.

Sei la cosa più bella che mi sia capitata.”

STAI ZITTO!”

Due, tre. I pugni sul petto.

La più bella.”

TI ODIO!”

Di tutta la mia vita.”

Il lamento di Yuuri, il suo aggrapparsi, la sua disperazione.

Victor! V-ictor!”

Parole affogate nel pianto.

Quel senso di pazzia.

Rabbia, dolore, sollievo, voglia di urlare, di piangere, di stare solo, di stare insieme, di.

La più bella di tutta la mia vita”

Bambini, risate, grasso, maiale, ce l'hai.

Ho fatto l'amore insieme a te, Yuuri....”

Smagliature, grasso, crema, baci, vattene, bugie. Baci. Lacrime sue, non sue, bello, bugiardo, baci.

L'ho sentito nascere, l'amore...”

Impossibile, lui e la bellezza, baci, lui e qualcosa di buono, baci, lui per terra, il mondo gira, Victor e le sue parole.

Bugie. Baci. Fare l'amore. Crearlo.

E tu non mi credi e allora te lo dirò di nuovo e di nuovo finchè non ci crederai perché...”

Immeritevole, vuoto, pieno, disperato, aggrappato. Baci.

Perché sei la cosa più bella della mia vita.”

Amore. Baci.

Amore, amore...”

 

Victor aveva cullato il suo dolore fino a farlo addormentare.

Aveva pianto parole

 

Si erano distrutti insieme.

 

Adesso potevano ricostruirsi.

 

 

 

 

“Quando ti sentirai al limite, dovrai dirglielo...”

“Non so come fare.”

Mila gli sorride e Yuuri guarda altrove.

Victor continua a tenergli la mano.

“Una safeword...” suggerisce.

Troppo.

Troppo.

 

 

 

Victor è già in pigiama quando esce dal bagno.

Yuuri è in piedi, lo sguardo verso la finestra, gli dà le spalle.

Hanno passato una piacevole serata in compagnia.

Victor ripiega i vestiti, apre l'armadio per poter sistemare il completo.

“E' stato divertente, vero?” chiede mentre infila la testa nel mobile perché la cravatta gli è scivolata di mano.

 

I respiri sono piccoli, veloci.

Le mani si aggrappano alla finestra e le nocche sbiancano.

La fila per il buffet. Due piatti. “Terzo giro, Katsuki?” “Diciamo che se fosse una disciplina olimpica potrei vincere l'oro”

 

 

Victor si volta, perplesso dal silenzio.

Oh.

I passi sono cauti, pensierosi.

Sta imparando ad osservare.

 

Troppo?” domanda e Yuuri annuisce senza guardarlo, con urgenza e liberazione.

Victor lo abbraccia da dietro, allontanandosi un po' nel sentire l'altro corpo fremere a disagio.

Gli posa le mani sulle spalle, lascia che scivolino lungo le braccia.

 

“Ti va di fare una passeggiata, Yuuri?”

 

Yuuri si volta. È frastornato.

“Si...” dice.

Ed è vero.

Anche se soltanto qualche secondo prima non lo avrebbe creduto possibile.

C'era solo il panico.

E l'angosciante voglia di rinchiudersi in bagno.

 

 

 

 

 

 

La forchetta rimane a mezz'aria, vuota, così come lo sguardo di Victor quando si rende conto che Yuuri sta masticando il suo boccone, lo sta guardando e i suoi occhi lo prendono in giro.

C'è un attimo di niente, un attimo che si blocca in una realtà parallela.

Dove Yuuri è libero e non abbassa lo sguardo.

Dove Yuuri rimane perplesso dal silenzio di Victor, se ne preoccupa, lo scuote.

“Cosa c'è?”, domanda allarmato e Victor si rende conto che non c'è nessuna realtà parallela.

 

C'era lui, che ha chiesto a Yuuri di assaggiare quella cheesecake e ora c'è Yuuri che si è avvicinato e lo ha fatto.

Semplicemente.

“Oh, no, no. Un... Gatto, mi sembrava ci fosse un gatto nel... Ristorante...” blatera, ma a Yuuri non interessa perché ciò che conta per lui è non essere la causa di quello sgomento.

E Victor allora deve trattenere le lacrime.

Deve far passare il momento, qualche minuto, dire “Vado ad incipriarmi il naso”, farlo sorridere, allontanarsi.

Rinchiudersi in bagno.

Piangere.

 

Perché Yuuri ha assaggiato, ha assaggiato quel maledetto dolce e ha detto che era squisito e poi i suoi occhi non si sono persi in nessun luogo di dolore.

 

Sono rimasti, lontano dal peso, dal gusto, dall'ingordigia, dal male.

 

Victor piange, in quel bagno.

Perché la malattia non è scomparsa ma ogni tanto si allontana.

E lui e Yuuri possono respirare.

Respirare la vita.

E mangiarla.

 

 

 

 

 

Fine

 

 

 

 

 

 

Posso dire che la pubblicazione di questa storia si è rivelata, ancora una volta, un'esperienza straordinaria.

È stato commovente leggervi.

È stato bellissimo conoscervi.

Spiazzante, leggere, in qualche caso, di avervi fatto provare qualcosa.

Incredibile, sul serio.

 

Questa storia è nata per una persona che ho conosciuto qui e poi nella vita reale.

Durante la sua laurea.

Straordinario, di nuovo.

Quello che la scrittura, la lettura può creare.

 

È nata per una persona che a volte si dimentica di brillare.

Perché quando le persone ti dicono che non ne sei capace, ci credi.

Oh, invece sì che ne sei capace, stellina mia.

 

Hai detto che hai fiducia in me.

Io ti chiedo di aver fiducia in quello che ti dico: sei bellissima. Bellissima.

 

Troppo è nata, come spesso accade a ciò che scrivo, per abbracciare.

 

Per dire a voi, Yuuri, che non siete da soli. Non siete sbagliati. Nè pazzi. Nè troppo.

Per dire a voi, Victor, che ce la farete. Non siete stupidi. Non siete ciechi. Siete fondamentali.

E per dare a voi, Yura, uno specchio.

 

E' nata e rimasta in incubatrice per quasi un anno, credo.

Ansia, dubbi, troppo.

Poi Syila è intervenuta. Ha spronato, incoraggiato.

Mi ha dato uno spintone,

Ed eccola qui.

 

Grazie, Syila. A te e alla fortuna che ho di poter contare sul tuo aiuto.

 

Avevo paura.

Di ferire, di sminuire.

Di deludere.

Di far male a BarriesTart.

 

Di aver scritto cose che non si capivano, aver detto cose stupide o in un modo stupido.

Ecco, questo dubbio è persistente ma vabbè.

 

Grazie.

Per ogni commento.

Per

ogni

commento.

 

Sono una persona composta dal 70% di dubbi.

Per questo leggo, studio, sviscero ogni vostro messaggio e lo faccio mio.

Lo faccio entrare nella storia.

 

Forse qualcuno di voi lo ha visto, questo. Forse no.

Ci ho provato, lo giuro.

 

Bene.

Sono logorroica, abbiate pazienza.

 

Ma è importante ringraziare. Almeno quanto chiedere scusa, ecco.

Dunque...

 

Grazie a Fioredipesco. Sempre cara. Sempre bellissima con i tuoi pensieri.

Grazie a Isilme. Per aver parlato di stima. È stato commovente. Lo è ancora.

Grazie ad Amelia. Curiosa, presente, gentile.

Grazie a Marymark. Per gli abbracci virtuali e la fiducia. Spero di non averla tradita.

 

Grazie a Tenar80. Per i tuoi preziosi consigli.

Delicati ma forti. Per le tue riflessioni, la tua accortezza.

Per ogni parola che mi hai dedicato.

Per le rassicurazioni. Sei stata comprensiva e paziente. Sei stata un aiuto.

Preziosa.

Di valore.

Importante.

 

 

Grazie a Pally93. Lettrice attenta, autrice straordinaria.

 

Ho fatto un viaggio, grazie a lei. Si intitola “Lettere da Azkaban”.

Un immersione in due personaggi, Harry e Draco. Che evolvono con un realismo spiazzante. Pochi giorni, non c'è tempo. Ma lei lo ha saputo usare benissimo. A fine storia, rimane il dolore. Quello da libro chiuso. Da amico perduto. Quello che sanno lasciare le storie che non dimenticherai.

 

Grazie a Belladonna. Per i tuoi pensieri teneri.

 

Anche lei autrice, un viaggio iniziato da poco nella profondità degli abissi.

Doloroso, intenso. “Il cuore in conchiglia” ci mostra quanto gli essere umani possano essere mostruosi. Ma, forse, ci insegnerà anche a non giudicare un'intera specie dalle azioni di pochi.

Di sicuro, so che c'è uno Yuuri-Cecaelia in quei capitoli. Che quello Yuuri è bellissimo anche se non lo sa.

 

 

Grazie a ElinaFD. Oh, Elina cara.

Cara.

Sono grata a questa storia per avermi fatto incontrare te e “Pyeongchang 2018 – Kintsugi”.

Te e la tua scrittura.

Te e la tua anima bella.

Sei stata una piacevole sorpresa, un regalo immeritato.

 

Grazie a Syila. Per tutto ciò che fai. Per la pazienza.

Per l'aiuto.

 

Per i viaggi.

Per “Il sole a mezzanotte”.

Un mondo meraviglioso, che non conoscevo.

Dove puoi toccare l'anima di creature meravigliose, i vampiri.

Dove puoi conoscerli e lasciare che modellino le tue emozioni.

 

Grazie, per l'esempio che sei.

 

E grazie a BarriesTartLiliacSweet.

Per avermi permesso di sfiorare la tua anima.

Sei un tesoro.

Dorogoy.

 

 

Grazie alla scrittura.

Per tutto quello che mi dai.

Perché attraverso te, anche io riesco a parlare.

Ridere. Piangere.

 

 

E grazie a voi che avete letto in silenzio.

Vi abbraccio.

Uno

alla

volta.

 

Se volete avvicinarvi, mi trovate con il nome di Andrea Fiore, su facebook.

Di _Rainword_ su instagram.

 

Grazie ancora.

Di tutto

Ciò che siete.

 

 

 

Dragonfly92

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