I’ll be there for you

di sissi MIKA
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


“Allora Dottore! Il bambino è forte?” dissi con non poca preoccupazione. Dopo aver sorriso il dottor Stranamore, come mi piaceva chiamarlo, mi disse che il frugoletto era forte e sano come un pesce. “Fantastico, quando ci rivedremo?”. “Credo che tra tre settimane ci possiamo rivedere. Poi, comunque, ci aggiorneremo meglio più avanti.” mi rispose il dottor Smith. Lo ringraziai e feci per andaremene, ma mi blocco afferrandomi per il braccio, mi fece girare e mi disse con un sorriso imbarazzato “Non dimenticarti le chiavi di casa, Silvia”. Afferrai le chiavi e risposi “Non dimentico la testa perché ce l’ho attaccata al collo”. Contenta uscì dalla clinica per dirigermi a casa. 
La strada verso casa non era molto lunga, tuttavia ci misi mezz’ora perché continuavo a guardarmi in giro. Era primavera e il vento che mi scompigliava i capelli era una sensazione alquanto piacevole. Dopo tanto tempo ero finalmente rilassata, sorridevo e mi sento leggera - non che il mio pancione di cinque mesi mi aiutasse - però ero felice. Mi fermai addirittura a prendere un gelato, rigorosamente pistacchio e cioccolato, per placare un po’ le mie voglie. 
Appena messo piede in casa mi tolsi immediatamente i tacchi e mi misi qualcosa di più comodo. Vestirmi elegantemente era una cosa che avevo ereditato dalla mia madre adottiva Regina. Si! Sono figlia adottiva di Regina Mills e Emma Swan, nonché sindaco e sceriffo di Storybrooke, nonché la Regina Cattiva e la Salvatrice. Mi hanno adottato quando avevo poco più di qualche mese, i miei genitori biologici mi avevano abbandonato davanti al cancello di un orfanotrofio e immagino, o almeno è quello che penso sempre, che siano partiti per Las Vegas o Montecarlo a cercare un po’ di fortuna e magari finendo le serate ubriachi vomitando in qualche squallido hotel. Sono pur sempre uno scorpione, la vendetta la ho nel sangue. 
Dopo essermi cambiata, mi stendo un po’ sul divano e prendo in mano un libro, meglio dire il libro: Cime Tempestose, il mio preferito. Accendo anche lo stereo mettendo un po’ di musica di sottofondo e inizio a leggere. Il pomeriggio passa velocemente. Alle 7:30 di sera decido di alzarmi e mi dirigo in cucina per vedere cosa posso preparare per cena. Non avendo nulla in casa a causa del mio lavoro da assistente alla regia, decido di ordinare una pizza. Fortunatamente il quartiere italiano Little Italy di New York dista 15 minuti in macchina da casa. Alle 8:15 sono seduta ancora sul divano e sto guardando una commedia mangiando pizza. La serata si prospetta bene. 
Dovendo andare a lavorare il giorno dopo, alle 10:30 ero già stesa nel letto con addosso la mia camicia di seta. Prima di addormentarmi pensai alla mia vita: la felicità che la mia famiglia mi ha dato durante i miei 25 anni; la scelta di inseguire il sogno della mia vita - diventare regista - che mi ha portata fino a New York per seguire la produzione di un film. Solo un anno prima mi trovavo a Storybrooke; un giorno inaspettato mia madre Regina mi aveva chiamato tutta emozionata e mi aveva annunciato che mi avevano preso come assistente alla regia per seguire il lavoro di un vero regista. Emozionata era partita per New York e ora eccomi qui, in una casa piccola ma accogliente con il lavoro della vita tra le mani e ancora mille sogni da inseguire. E cosa più importante, un piccolo esserino sta crescendo dentro di me. 

Alle 5:30 giunge alle mie orecchie la canzone “I’ll be there for you”, sveglia perfetta per ricordami l’infanzia che ho passato stesa sul divano a guardare Friends. Mi alzo velocemente perché sono veramente felice, mi vesto con qualcosa di comodo ma non troppo causal, sono pur sempre una Swan-Mills, anche se qui a NY a nessuno interessa. Mando un messaggio alle mie madri avvisandole di non chiamare perché non avrei risposto. Non avendo voglia di prepararmi un caffè, prendo la borsa ed esco di casa per dirigermi prima da Starbucks per il mio Caffè Mocha e poi direttamente sul set. 
La mattinata passa piacevolmente tra riprese e consigli dati agli attori, finché non decido di dirigermi alla mensa per pranzare e lo vedo. È seduto da solo a un tavolo in mezzo alla sala a mangiare il cibo della mensa e per i miei gusti è troppo pensieroso. Vedo anche August, il mio migliore amico, così mi dirigo da lui, lo prendo sottobraccio e faccio per andare dalla parte opposta di dove è seduto Lui. Poso il mio vassoio e faccio in modo che con lo sguardo possa vederlo, ma che sia comunque nascosta dalle spalle larghe dello scenografo davanti a me. Si esatto, August è uno scenografo della serie tv che stiamo girando. È in grado di costruire un scenografia pazzesca solo con l’ausilio delle sue magiche mani - avrà preso sicuramente da suo padre Geppetto. 
Dopo solo 15 minuti abbiamo finito di pranzare tra chiacchiere, risate e occhiate oltre le spalle del mio amico, così decidiamo di alzarci e ci dirigiamo sul set. Il pomeriggio prosegue molto più lentamente di quanto mi aspettassi. Sono costretta a interagire con Lui, poiché cameraman di punta dello show. Ci limitiamo a scambiarci giusto qualche battuta, lo stretto necessario per andare avanti con il lavoro. Infondo dobbiamo essere professionali per fare bella figura con il regista e soprattutto avere maggiore credito per ambire al ruolo di regista e non semplice assistente per me. 
Una volta finite le riprese, faccio per andare, ma mi ferma prendendomi la mano. Un brivido percorre la mia schiena a quel contatto e maledico il mio corpo traditore per reagire così ogni volta che il suo corpo tocca il mio. Il contatto mi fa congelare il sangue nelle vene e dopo un secondo, a mio parere fin troppo lungo, mi costringe a guardarlo, occhi verdi negli occhi azzurri, facendomi girare. Mi guarda fin troppo a lungo con quello sguardo che da molto tempo mi ha fatto perdere il senno e mi chiede semplicemente come sto. Capisco che mi sta chiedendo come sta il bambino, essendo lui il padre, e che non è molto interessato a come sto io o come sta procedendo la gravidanza. Così gli rispondo con le esatte parole che mi ha detto il dottore il giorno prima e faccio per andarmene. Ma mi rigiro e gli dico con una voce che non lascia trasparire il mio stato alterato “ah, e comunque sto bene anche io”. Mi giro e me ne vado, lasciandolo a bocca aperta. Silvia 1 - Andrew 0. 
Una volta tornata a casa, controllo il telefono che non ho guardato per tutto il giorno e tristemente non vedo nemmeno un messaggio da parte della mia famiglia. Decido di chiamare le mie mamme ma nulla. Scatta immediatamente la segreteria. Mille domande iniziano ad affollarmi la mente: possibile che abbiano spento il telefono per fare altro? Magari sono in un posto dove la linea telefonica non prende? Possibile che sia successo qualcosa? Infondo si tratta di Storybrooke, il pericolo è dietro l’angolo. Mi ricordo anche che le mie madri, nell’ultima videochiamata che abbiamo fatto risalente a quattro giorni fa, si comportavano stranamente ma non ci ho dato molto peso, semplicemente pensavo che erano preoccupate per la loro unica figlia, sola, in una città immensa come la Grande Mela. 
Scaccio via quei pensieri, sentendo il mio stomaco brontolare, così mi dirigo in cucina e decido di mangiare qualcosa di salutare: insalata con pollo alla griglia, pomodorini e scaglie di grana. Cena che farà bene non solo a me ma anche al bambino, o almeno credo. Ovviamente non posso concedermi il solito bicchiere di vino, così decido per un bicchiere di Coca Cola, rigorosamente Zero. 
Finito di cenare, faccio per andare a fare la doccia, ma il suono del campanello mi costringe a dirigermi alla porta. Una volta aperta la figura che appare davanti ai miei occhi è l’unica persona sulla terra che non mi sarei aspettata di vedere. Andrew con un cappellino dei NY Yankees in testa e un viso che non lascia spazio alla preoccupazione. Non mi lascia nemmeno il tempo di essere gentile per chiedergli se voleva entrare che mi dice “dobbiamo andare. Ora”. Lo guardo spazientita perché non può permettersi di venire a casa mia e dettare legge. Non ne ha più il diritto da quando mi ha sbattuto la porta in faccia dopo che gli ho riferito di essere incinta e che in grembo portavo suo figlio, sangue del suo sangue. Lui continua aggiungendo solamente “problemi a casa”. Capisco cosa intende dire con casa e la mia mente inizia a pensare al peggio. Prendo coscienza di quello che ha detto e le mie gambe scattano, mi dirigo il più velocemente possibile nella mia camera - per quel che sia possibile a causa della mia pancia rotonda - e raccolgo alla velocità della luce le mie cose mettendole in un borsone. Dopo pochi minuti ritorno alla porta, facendogli capire che sono pronta per tornare a Storybrooke. Ci dirigiamo alla sua macchina in rigoroso silenzio e dopo un po’ - essendo il silenzio diventato assordante - chiedo se sa cosa sia successo. Mi dice che non è molto sicuro della situazione che potremmo trovare una volta arrivati ma sa per certo che si tratta di un altro sortilegio. Rifletto sulle sue parole sperando che la mia famiglia stia bene, non mi perdonerei mai se le succedesse qualcosa mentre non solo li a proteggerli.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Sognai. Sognai di essere in macchina con accanto a Andrew. Stavamo tornando a casa dopo la nostra luna di miele alle Bahamas. Sapevo di star sognando non perché sapevo di star andando a Storyboooke con un bambino in grembo ma perché questo non si sarebbe mai avverato. Andrew non era adatto ne per diventare padre ne tanto meno per diventare un marito. Questo lo sapevo io come lo sapeva lui. Mi sveglio sentendo sussurrare il mio nome, ma per la troppa luce decido che era meglio tenere gli occhi chiusi. Mugugno qualcosa come forma di dissenso ma quella voce riconoscibile continua aggiungendo un flebile “siamo arrivati”. Capisco che è meglio aprire gli occhi per vedere il casino che quel sortilegio aveva creato. Mi giro verso un Andrew preoccupato che aveva parcheggiato davanti al Granny’s, posto migliore per sapere un po’ di gossip. Lentamente mi apre la porta come un vero galantuomo ma sapevo che era dovuto solo alle mie condizioni. La situazione è tranquilla, nonostante sui nostri volti traspariva spavento, così ci dirigiamo verso il bancone per ordinare pancakes e caffè, tanto caffè. Dopo una manciata di minuti, si apre sul mio volto un sorriso spontaneo perché intravedo fuori dalle finestre del locale mia madre Emma che con passo svelto si dirige all’ingresso. Dopo essere entrata con il fiatone non mi rivolge neanche uno sguardo e fa per andare al bancone per ordinare. Penso tra me e me che forse non mi ha nemmeno visto e di certo non si aspetta che sua figlia sia arrivata a Storybrooke senza neanche averla avvisata della sua immediata partenza. Decido che è il momento di agire, vedendo mia madre che non si alza da quello sgabello su cui è seduta, così mi avvicino con estrema lentezza al bancone per evitare di spaventarla. Decido al volo che chiederò un altro caffè a Ruby, la quale sentendo parlare Emma con il nuovo cameriere si era avvicinata. Dopo aver schiarito la voce in modo tale da far girare il piccolo gruppetto verso di me chiedo altro caffè. La scena che si presenta alla mia vista è esilarante: quella che è mia madre mi guarda con un sopracciglio alzato - tipico dell’altra mia madre adottiva Regina; Ruby sorride ma sembra essere spazientita perché ho interrotto la conversazione che a quando pare era molto interessante e l’altro cameriere mi sorride imbarazzato. Capendo al volo che il tempo sta passando e nessuno apre bocca decido di parlare e dico “non volevo disturbare ma io e il mio amico vorremmo altro caffè”. Ruby scatta immediatamente e versa nei due bicchieri di cartone che ho in mano il caffè; il cameriere ha ancora stampato il faccia quell’espressione da ebete che mi porta a pensare che prima o poi gli tirerò un pungo in faccia e mia madre alla fine mi sorride. Non mi sfiora nemmeno nell’anticamera del cervello l’idea che mi abbia riconosciuto perché conoscendola mi sarebbe saltata addosso e avrebbe immediatamente chiamato Regina per dirle del mio arrivo. Dopo aver lanciato un lungo sguardo da vera Swan-Mills a mia madre mi giro e mi dirigo al mio tavolo dove vedo che Andrew ha osservato tutta la scena arrivando alla mia stessa conclusione: non sanno chi siamo ma oltre a questo credo anche che le mie madri ancora non sono sposate, mio zio Neal sarà appena nato e mia madre Regina sarà una persona acida e fredda a ciò oggi diremmo ‘ma scopa un po’ di più’. La situazione non mi piace, penso che ci sia qualcos’altro da scoprire che arriverà a farmi odiare l’intera situazione. Con Andrew discutiamo un piano d’azione per arrivare a catturare più indizi possibili ma, allo stesso tempo, non dobbiamo destare sospetti poiché il colpevole si nasconderà sicuramente tra di noi. Il piano prevede, per il momento, di andare a parlare con il Signor Gold e con il Sindaco, anche se esattamente non sappiamo con che scusa entreremo nel suo negozio e nel suo ufficio. Alla fine, per fare più in fretta, decidiamo che Andrew andrà da Gold e io andrò da mia madre. Conoscendo alla perfezione i suoi orari che, da quando mi hanno adottata, sono sempre gli stessi decido di aspettarla sulle panchine fuori dal comune. La curiosità è un suo punto debole e di certo non esiterà ad avvicinarsi se mi mostrerò interessata all’albero di mele che è proprio sotto la finestra del suo ufficio. Arrivo con 10 minuti di anticipo rispetto all’orario indicato nel cassetto mentale ‘lavoro’ all’interno della testa di mia madre e mi siedo su una panchina lì vicino. Spero che Regina arrivi in macchina perché quel Mercedes ormai vecchio e pieno di graffi - che sono anche opera mia - ha un rumore inconfondibile. Fortunatamente è così e una volta udito quel rumore mi avvicino all’albero iniziando a guardalo incuriosita o almeno spero che la mia faccia trasmetta quella sensazione. Come volevasi dimostrare sento alle mie spalle la voce di Regina dire “ha bisogno di qualcosa?”. Senza neanche girarmi, sapendo che quel tono di voce indica solo irritazione, dico “stavo facendo una passeggiata e appena mi sono imbattuta in questo albero di mele mi sono ricordata la mia bellissima infanzia”. Sento sospirare e “anche a me ricorda l’infanzia”. Decido di girarmi e osservare il suo volto. So che l’infanzia e gran parte della sua vita - fino a quando una certa Emma Swan è entrata nella sua vita - sono state terribili. Vedo una Regina abbastanza seccata con le braccia incrociate sotto il seno ma quello che mi fa più paura è vedere scorrere nelle sue iridi una sete di vendetta a cui ha rinunciato parecchio tempo fa. So che in situazioni come questa non devo irritarla più di quanto è, così faccio per andarmene. Però lei mi ferma chiedendomi “lei è nuova? Non l’ho mai vista qui a Storybrooke anche se per certi tratti mi ricorda qualcuno”. “In un certo senso, comunque sono Silvia” dico allungando un mano. Lei la stringe e si presenta dicendo “Regina Mills, piacere, sono il sindaco”. Ho un’irrefrenabile voglia di abbracciarla, di sentire quel calore che da un anno mi manca, vorrei dirle che tra poco diventerà nonna e che il lavoro della mia vita procede alla grande. Purtroppo non posso dire nulla di tutto ciò poiché semplicemente mia madre non sa di essere mia madre. Mentre ci stringiamo la mano sento la voce dell’altra mia madre pronunciare “Regina Mills che tende la mano a una perfetta sconosciuta è un evento più unico che raro”. L’aria inizia a farsi carica e sento la tensione che scorre tra le due. Ovviamente so che Emma dice quelle cose solo perché le piace stuzzicarla. Regina, infatti, cambia espressione e con un “Signorina Swan ma che piacere. Come sempre molto cordiale” se ne va dopo avermi cordialmente salutato con un cenno del capo. Non faccio in tempo a salutarla che è già scomparsa dentro l’edificio. Mi giro verso Emma e la vedo che sorride vittoriosa e si dirige verso l’ingresso, lasciandomi li accanto all’albero di mele.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Sapevo che quelle due, insieme, in un ufficio potevano fare solo due cose: l’amore - cosa meno probabile vista la situazione - oppure avrebbero alzato la voce e avrebbero iniziato a litigare. Regina avrebbe dovuto riguadagnare punti dopo l’accaduto di poco fa ed Emma lo avrebbe fatto solo per il gusto di tormentarla un po’. Tuttavia il piano organizzato da me ed Andrew doveva procedere, quindi raccolsi tutto il controllo che potevo per cercare di dominare quelle che sono le mie madri e faccio per avvicinarsi all’ingresso principale. Mentre mi avvicino all’ufficio del sindaco, mille dubbi mi assalgono: dopo aver bussato cosa avrei chiesto? E se dovessi interrompere qualcosa di compromettente, mi avrebbero fulminato prima e poi uccisa? Cosa succede se non credono a quello che le dirò? Sicuramente mi rinchiuderanno nelle stazione di polizia dello sceriffo e getteranno via la chiave. Tuttavia sarebbe peggio se mia madre Regina mi rinchiudesse nel reparto ultra super segreto psichiatrico credendomi pazza. Una volta davanti alla porta con la scritta “Sindaco di Storybrooke” prendo un respiro profondo e busso. Sento un “avanti” alquanto irritato e con la mano tremante apro la porta. Emma e Regina si stanno guardando in cagnesco: Regina è seduta sulla sua poltrona ed ha la solita postura da “non mi freghi più Swan” con le braccia incrociate; invece Emma ha entrambi i palmi delle mani poggiate sulla scrivania del sindaco e un sorriso furbo si apre sul suo volto. Una volta entrata la prima cosa che la mia bocca formula è “Mamme sono io, Silvia, vostra figlia”. Da irritate la loro faccia trasmette dubbio, stupore e sconcerto. Decido di restare vicino alla porta per una via di fuga più accessibile nel caso la situazione si trasformi in qualcosa di pericoloso - non tanto per me ma per il bambino, o meglio dire il loro nipote. Nonostante le loro facce allucinate continuo “siete sotto una maledizione, come già sapete, che vi ha cancellato la memoria. Esattamente non so quanti anni avete perso ma sicuramente non sapete della mia nascita” ‘e di certo voi non sapete di essere sposate’ penso ma meglio evitare dirlo per non causare un arresto cardiaco a entrambe. Aggiungo velocemente “se non mi credete, Emma può testare il suo super potere su di me”. Dopo un momento di stupore Emma si avvicina e mi scruta molto intensamente, come se mi stesse leggendo l’anima. Una piccola speranza cresce in me quando Emma mi sorride, si volta verso Regina e le dice “credo abbia ragione. Anche perché questa notte ho fatto un sogno molto strano: desideravo che mia figlia, che a quanto pare è anche tua anche se non so come sia possibile, tornasse da NY”. Regina è ancora molto restia infatti “Miss Swan, potrebbe essere una strega. Potrebbe essere lei la colpevole. Io non mi fiderei”. Quelle parole sono come un pungo allo stomaco. Per provare la mia testi dico “Non ti piace quando lascio le scarpe sulle scale, non ti piace nemmeno quando metto la musica troppo alta perché non riesci a concentrarti, non ti piace quando parla con la bocca piena e soprattutto non ti piace mai il cibo che Emma mangia, tanto che lo chiami cibo spazzatura. Ah, e come dimenticare il tuo odio profondo verso il maggiolino giallo di Emma che ti ostini a chiamare trappola mortale”. Regina sembra stupita delle mie parole ma non lo da a vedere. Crede ancora che stia mentendo infatti “mettiamo che io ti credessi, chi ha scagliato la maledizione su di noi?”. “Riconosco che questa domanda è più che lecita ma io purtroppo non so dare una risposta, ma potremmo scoprilo insieme”. Forse troppo azzardato ma spero che funzioni. “Io ci sto” conferma Emma. Regina sapevo che era molto più difficile da convincere ma ho un piano: farò leva sul fatto che lei non era felice in questo momento e come lo sa lei lo so anche io. Per convincerla dico “se la maledizione sarà spezzata, sarai felice Regina. Te lo prometto! E come mi hanno insegnato le mie mamme, bisogna sempre mantenere una promessa. A quanto pare sono l’unica a ricordare quello che succederà - anche se non proprio tutto - ma so che sarai felice”. “E cosa suggerisci?” disse Regina risedendosi sulla sua sedia e accavallando le gambe. Sapevo che questa domanda sarebbe arrivata prima o poi “suggerisco di indire una riunione speciale. Dobbiamo fare in modo di mettere pressione sul colpevole per farlo o farla uscire allo scoperto. Ma prima: sapete quanti anni di memori avete perso? Perché secondo i miei calcoli: io non sono ancora nata perché voi non mi conoscete e quindi io direi più di 30 anni fa, ma non so esattamente quando”. “Abbiamo appena spezzato la maledizione che Regina qui presente ha lanciato per distruggere il lieto fine di tutti gli abitanti della Foresta Incantata” dice Emma confermando la mia teoria. Faccio un calcolo mentale e rispondo “Bene quindi prima che io venga adottata da voi ci vogliono ancora 6 anni. Avete in mente qualche papabile colpevole? Regina mi dispiace dirlo ma i tuoi trascorsi non sono ottimi” ‘se mia madre fosse in lei mi avrebbe già ucciso per quello che le ho detto’ penso tra me e mi viene da ridere. “Non c’è niente da ridere Signorina. So di avere molti nemici ma non so esattamente chi mi voglia morta e perché ci ha cancellato la memoria?” mi ammonisce Regina. Mi sento in colpa per quello che ho detto e le chiedo scusa chinando il capo. “Regina, Silvia ha ragione. Qualcuno potrebbe volerti morta” aggiunge Emma cercando di prendere le mie difese. “Lo so! Ma non ho la minima idea di chi possa essere. Può anche essere una persona che abbiamo conosciuto in questi anni che pero non ricordiamo perché non abbiamo più memoria” dice Regina. “Ok, allora se tu Regina, come sindaco, indici la riunione possiamo fare in modo che il colpevole si senta in qualche modo braccato e non so potremmo iniziare a escludere dei colpevoli. E tu Emma puoi usare il tuo superpotere” dico lasciando uscire i miei pensieri. Continuo “sicuramente daranno la colpa a Regina solo perché il sortilegio precedente è stato spezzato”. Emma sembra aver capito il mio piano “si, se alla riunione facciamo capire che stiamo già cercando il colpevole e abbiamo ristretto già il campo, forse si sentirà minacciato” “o minacciata” aggiungo velocemente. “O minacciata e allora compirà qualche errore per evitare di farsi scoprire”. “Mi sembra un piano che regge abbastanza ma non sono molto sicura che funzioni” interviene finalmente Regina. “Sentiamo! Allora cosa suggerisci Signor Sindaco?” dice Emma con tono di sfida. “Punto primo: dobbiamo capire perché ci ha sottratto la memoria e perché ha fatto in modo che i nostri ricordi arrivano fino a questo istante. E solo allora possiamo capire quale sia il vero colpevole” dice Regina in modo altezzoso. “Possiamo anche dire che stiamo replicando una posizione della memoria, anche se non è necessariamente così. Il colpevole farà in modo di trovarla e distruggerla. E sarà in quel momento che agiremo” aggiungo fiera come aveva fatto precedentemente una delle miei madri. Finalmente è pomeriggio e Regina si è decisa a fare questa maledetta riunione. Andrew dal Signor Gold non ha scoperto nulla, anche se gli è parso strano che Gold non ricordi nulla proprio come tutti gli altri. In fondo lui è il Signore Oscuro. Ci troviamo seduti nel salone del municipio, usato per le riunioni cittadine, in ultima fila - essendo anche gli ultimi arrivati - e continuo a guardarmi intorno per paura di un attacco imminente da parte del colpevole. Non noto nulla di strano anche se il mio istinto dice che c’è qualcosa che non va. Anche Emma, vicino al palco intenta a parlare con Regina, sembra agitata. Dopo un po’, la sedia accanto a me che fino a un secondo fa era libera, ora è occupata da una ragazza che avrà più o meno l’età di Emma. Ha i capelli marroni, quasi neri, e gli occhi marroni, ma più chiari rispetto ai capelli. Sembra gentile. Una volta seduta, mi guarda e mi chiede “è libero questo posto? Sono nuova e non so ancora come funzionano qui le cose”. Annuisco con la testa senza guardarla negli occhi e sento il suo sguardo trapassarmi il cuore. “Comunque io sono Lily ” dice allungando una mano verso di me. Alzo finalmente lo sguardo e allungando la mano dico “Silvia piacere”. “Che bellissimo nome”. Ringrazio arrossendo leggermente. Dopo queste poche battute, entrambe dirigiamo la nostra attenzione verso la donna che sta parlando.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


“Come ben sapete, qualcuno ha scagliato una nuova maledizione”. Regina viene interrotta da Brontolo che alzandosi afferma “Io non userei il termine qualcuno, Vostra Maestà” calcando sulle ultime due parole. “Allora nano dimmi, perché mai dovrei avvisarvi sulla maledizione e indire questa riunione speciale? E comunque non interrompermi mentre parlo”. Lancia verso colui che ha osato parlare uno sguardo inceneritore e continua. “Come dicevo prima di essere interrotta. Qualcuno ha lanciato una nuova maledizione e ci ha cancellato la memoria di circa oltre 30 anni”. La Salvatrice a questo punto interviene aggiungendo “Stiamo replicando la pozione per la memoria così da capire e almeno ricordare per scoprire il colpevole”. Tutti si guardano attorno sbigottiti: vedere la regina cattiva e la salvatrice collaborare non è una cosa che accade molto spesso. “Abbiamo informazioni che potrebbero aiutarci ma sono davvero poche. Se qualcuno ricordasse qualcosa non esiti a venire alla stazione dello sceriffo. Ed è inutile che venite alla stazione per chiedermi di uscire perché la mia risposta sarà sempre negativa” aggiunge quest’ultima frase rivolgendosi direttamente a Capitano Uncino. La ragazza di fianco a me è strana, o perlomeno, percepisco che c’e qualcosa che non va. La guardo e gli sorrido dolcemente poiché penso che sia solamente impaurita dalla regina cattiva che si trova sul palco. Mi sorride di rimando e dico “non temere, il sindaco sembra severo ma in realtà sta facendo solo il suo dovere”. “Lo spero”, dicendo ciò se ne va. Penso di seguirla ma meglio di no, anche se è nuova e sembra gentile non la conosco per sapere realmente cosa le passa per la testa. Anche se il suo cambio di atteggiamento, da gentile prima del discorso a spaventato dopo, non sembra normale. La sala del municipio dove si è tenuta la riunione si sta svuotando: tutti si stanno dirigendo verso le loro abitazioni per andare avanti con la loro vita. Dopo essere stata seduta troppo a lungo sulla sedia, guardo Andrew e “io vado al Granny per prenotare una camera, non potendo tornare a casa mia perché mia madre Regina mi sbatterebbe in prigione per violazione di domicilio. Vuoi venire?”. Mi guarda un po’ allucinato, come se mi fosse cresciuto un corno in testa. So che non si aspettava la mia domanda ma almeno ho qualcuno che mi faccia compagnia - non che avessi così bisogno di compagnia essendo che ha NY ero sempre sola, ma so che se lui è al mio fianco mi proteggerebbe in qualsisia caso. Annuisce e così ci alziamo per andare. Non salutiamo nessuno sapendo che l’ultimo gruppetto rimasto composta da Regina, Biancaneve, Charming, Emma e Belle sta elaborando un piano. Quando arriviamo al Granny sono esausta: mi fanno male i piedi avendo camminato così tanto; ho una fame assurda perché devo mangiare per due - questo piccoletto mi prosciuga; e ho pure mal di schiena perché non tocco un letto da due giorni. Appena entrati in camera mi butto sul letto e ancora vestita mi addormento. Sogno. Non è lo stesso sogno della notte precedente, ma siamo sempre io e Andrew su una banchina. Riconosco quella banchina perché è il molo di Storybrooke. A un certo punto sento le voci delle mie due madri che dopo essersi avvicinate mi dicono che sono stata una figlia pessima, mi sono fatta mettere in cinta e non ho nemmeno pensato alla conseguenze, non sono mai state fieri di me e che sono una buona annulla. Inizio a piangere perché le loro parole fanno male, sono peggio di una lama che mi trafigge il cuore. Sento una mano asciugarmi le lacrime che inconsapevolmente sono scese sulle mie guance e mi culla dolcemente tra le sue braccia. “Brutto sogno?” mi chiede Andrew. Annuisco ma non ne voglio parlare, così sentendomi al sicuro mi sistemo meglio e cerco di addormentarmi. Non riuscendo a dormire dopo quel terribile sogno e continuando a rigirarmi nel letto scrivo un breve bigliettino per Andrew ed esco dalla camera. Andrò a fare un giro sulla spiaggia e cercherò di schiarirmi le idee. Dopo venti minuti di cammino solo finalmente seduta sulla spiaggia. Guardo le onde del mare schiantarsi a riva e non penso ad altro se non al sogno. È come un tormento. Inizio a pensare alla mia vita, a quello che ho passato a Storybrooke e a poi penso alla mia nuova vita a NY. Penso a quanto io non sia mai stata sola, anche quando ero nella grande mela sapevo che c’era gente che mi amava. Ora invece, sola sulla spiaggia e con in grembo un bambino da crescere, mi viene da chiedermi se mai sarò una brava madre anche da sola. Se la maledizione non sarà spezzata cosa farò? In questi cinque mesi non ci avevo mai pensato perché sapevo che qui a Storybrooke c’erano persone che nel bene e nel male mi avrebbero aiutato. Sono talmente assorta nei pensieri che non mi accordo della figura che si è seduta affianco a me. È Emma. “Silvia come mai qui a quest’ora?”. “Ho la testa che mi frulla e non c’è posto migliore per pensare che la spiaggia”. “La penso come te. È un posto perfetto per pensare in solitudine”. Ridiamo capendo che in realtà in questo istante non penseremo in solitudine. Erano le cinque quando sono arrivata e tra poco dovremmo anche vedere l’alba. Quando si fanno le 7, Emma mi chiede se mi andava di fare colazione da Granny con lei, aggiungendo che si sarebbe dovuta vedere con Regina per discutere del piano. Ci avviamo verso il Granny in rigoroso silenzio e una volta entrare vediamo Regina già seduta al tavolo intenta a leggere il giornale. Prima di avvicinarmi al tavolo, lascio andare Emma verso di lei in modo che possa sospettare che non saranno solo due a discutere. Ricevendo un cenno da Emma, mi avvicino e porgo i miei saluti a Regina che ricambia con un solo gesto del capo. Dopo essermi seduta, Ruby arriva con il solito per Emma e Regina - Caffè Nero e cioccolata. Poi rivolgendosi a me “e tu cosa vuoi?” “Caffè Mocha, grazie”. “Sarà immediatamente da te”. Pochi minuti dopo Ruby torna con il mio caffè e Emma è la prima ad aprire bocca “Allora Regina, la notte ti ha portato consiglio?”. “La notte mi porta sempre consiglio, a differenza tua Signorina Swan” dice Regina in modo altezzoso. “Comunque, stavo pensando che magari lei” dice indicandomi “può aiutarci a capire chi in questi 30 anni abbiamo combattuto e vuole tornare in questo preciso momento. Nel frattempo ho tentato di replicare una posizione della memoria che Gold mi aveva dato un po di tempo fa - sicuramente nel periodo che non ricordiamo - perché non ricordo di averla mai chiesta. Comunque la pozione era troppo poca e sto cercando di replicarla nella mia cripta”. “Perfetto Regina” ‘o forse sei tu perfetta’ dice Emma, quest’ultima frase citandola solo muovendo le labbra, ma essendo davanti a Emma ed essendo brava a leggere il labiale riesco a capire. “Forse allora c’è ancora speranza” dico più rivolta alla frase detta da Emma che alle parole precedentemente dette da Regina. Sentiamo il campanello appeso alla porta del Granny suonare, ci voltiamo tutte e tre contemporaneamente verso la porta perché chi mai entra da Granny alle 7 e 30 della domenica mattina. È quella Lily che avevo visto alla riunione. Regina, dopo averla vista entrare, si alza e fa per andarsene. Io ed Emma rimaniamo senza parole e entrambe stiamo pensando alla stessa cosa: chi è quella ragazza e perché mai Regina ha reagito così. La ragazza che è entrata poco fa si avvicina al nostro tavolo e mi saluta cortesemente allungando una mano. “Emma, lei è Lily. Lily, lei è Emma” dico presentando la donna seduta al tavolo con me e la ragazza in piedi davanti a noi.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


“Allora, Lily, sei nuova?” dice Emma rompendo il silenzio. “Si, è la prima volta che vengo in questa cittadina e mi piace assai, quindi penso che resterò qui per un po. Non ho un lavoro ma la mia famiglia è molto ricca, quindi non ho problemi e loro non hanno problemi - essendo che non sono mai a casa - se resto via per un po più a lungo.” “Quanti anni hai?” chiedo a Lily. Voglio sapere di più sul suo conto perché non mi convince. “Ho 34 anni, sono nata a Phoenix e sono stata adottata dalla mia famiglia all’età di 3 anni” dice Lily rispondendo alla mia domanda e aggiungendo altro giusto per placare la mia curiosità. Vedo Emma che sta guardando l’orologio e sembra che voglia scappare al più presto da questa conversazione. Infatti, esordisce dicendo “ragazze sarà bene che io vada. Pur essendo domenica il lavoro da sceriffo chiama”. Io e Lily decidiamo di rimanere un po per conoscerci meglio. O meglio, io decido che lei deve restare perché voglio conoscerla. “Allora, Lily, parlami se ti va un po della tua vita? Cosa ti piace fare? Hai un lavoro? Cosa ti ha portato qui?” dico dando sfogo a tutte le domande possibili che mi frullano per la testa. “Allora, come ti dicevo mia madre mi ha abbandonata, sono stata adottata la prima volta quando avevo solo un mese da una donna single che vive in una piccola cittadina. Poi però il destino ha voluto che quella donna non mi volesse più, cosi sono tornata a Boston - città dove lei mi ha adottato - e sono stata prima in un orfanotrofio finche all’età di tre anni quando la mia attuale famiglia mi ha presa con se. Erano genitori amorevoli anche se non erano mai a casa, mi viziavano proprio per questo, finche quando avevo 20 anni me ne sono andata da casa per costruirmi una vita, ho un lavoro che mi piace abbastanza - sono una cacciatrice di taglie - e non ho famiglia ad accezione dei miei genitori che non vedo da un po ma mi fanno avere tutto comunque”. Mentre sta parlando la mia testa non ha smesso un attimo di pensare e ripensare alla prima frase che ha detto. “Invece qual’e la tua storia?”. La guardo un po’ allibita per la schiettezza “la mia storia? Beh direi che è abbastanza semplice: i miei genitori mi hanno abbandonata e due meravigliose donne mi hanno adottata. La mia infanzia, come la mia adolescenza, è stata eccezionale. Poi sono partita per NY solo un anno fa finché il mio cuore non mi ha portato qui.” “Ma dove sono le tue mamme?” dice indagando un pochino. “Ora sono - non so esattamente cosa rispondere perché non voglio dirgli che sono qui con me - hanno deciso di prendersi una pausa. Sono in vacanza”. Invento una scusa sul momento non sapendo davvero che rispondere. Cerco di cambiare argomento dicendo che si ė fatto tardi e devo andare a vedere come sta il mio amico Andrew, così dopo una stretta di mano e un sorriso la saluto e mi dirigo verso le scale che portano al piano superiore quindi alla mia stanza. Cerco le chiave ma non le trovo e mi maledico mentalmente perché sono costretta a bussare. Dopo un tre colpi, il terzo più forte degli altri, sento dalla parte opposta della porta dei lamenti un po’ troppo volgari. Mi apre la porta un Andrew ancora assonato, ma che dopo avermi visto mi regala un sorriso. Entro nella stanza ringraziandolo e mi dirigo al bagno. Quando esco Andrew è steso sul piumone a pancia in giù e sta già dormendo. Ma come caspita è possibile? Riprendo la borsa che avevo precedentemente appoggiato sulla scrivania e dopo aver trovato un paio di chiavi in più della stanza le prendo e le infilo nella borsa. Quando tornerò qui sicuramente Andrew il dormiglione dormirà ancora. Esco dalla stanza e penso di dirigermi nello stagno di Storybrooke dove le mie mamme erano solite portarmi quando ero più piccola perché mi piaceva dar da mangiare alle anatre. Appena arrivata vedo che la panchina che c’è davanti allo stagno è già occupata da una donna. Quando mi avvicino vedo che quella è donna è il sindaco Mills. “Posso sedermi o stai aspettando qualcuno?” chiedo gentilmente. Alza lo sguardo verso di me - nonché persona che ha interrotto i suoi pensieri - e dice “siediti pure io stava per andarmene”. Capisco che non vuole la mia compagnia ma devo capire come mai prima ha reagito così. “Non volevo importunarti solo che adoravo venire qua da piccola con le mie mamme. Anche se non ci crederai tu ed Emma mi portavate sempre qui per dare da mangiare alle anatre e poi andavamo a prendere un gelato anche se faceva troppo freddo. E tu, soprattutto nei mesi invernali, ti arrabbiavi sempre perché non volevi che prendevo una congestione o chissà che cosa così lo prendevamo e andavamo a casa a mangiarlo. Era una sorta di rito” dico senza nemmeno girarmi a guardare in faccia la donna al mio fianco. “Ero una brava madre?” mi chiede molto dubbiosa. “Sei la mia mamma Regina, anche se non te lo ricordi. Sarai sempre la mia mamma e ho solo parole positive per te. Eri amorevole ma severa quanto bastava. Emma era quella più permissiva. Mi hai educata nel migliore dei modi. Ma ora se posso permettermi: perché questa domanda?”. Abbassa la testa e non so che non sa se dirmi davvero le sue ragioni. Infondo per lei in questo momento io non sono nessuno, sono solo una probabile bugiarda che dice che sono sua figlia. Forse però le mie parole hanno smosso qualcosa perché mi guarda e dice “devi promettermi però qualsiasi cosa io ti dirò continuerai a guardarmi come hai appena detto di vedermi. Quando ho lanciato il sortilegio sapevo a cosa andavo incontro, Tremotino mi ha detto che avrei sentito un vuoto all’interno del mio cuore. Così dopo che ho conosciuto Owen, il quale poi se n’è andato, ho capito - grazie anche al Dottor Hopper - che quel vuoto poteva essere colmato dalla presenza di un bambino. Così ho chiesto aiuto a Gold che mi ha messo in contatto con un’agenzia di Boston e ho adottato questa bambina. I primi giorni continuava a piangere finché un giorno la supplicai che tutto sarebbe andato per il verso giusto. Lei, non so come, smise di piangere. Dopo pochi mesi venni a sapere da Gold stesso che quella bambina era la figlia di Malefica, donna che io ho costretto a vivere sotto forma di drago sotto la biblioteca di Storybrooke per oltre trent’anni. Non sapevo avesse una figlia ed era più incredibile che proprio io, la regina cattiva, l’avevo adottata. Ovviamente non era un caso e Gold lo sapeva. Così a malincuore sono tornata Boston e dissi all’agenzia di adozione che non potevo più tenere la bambina. Ho lasciato detto all’agenzia di adozioni tutto l’occorrente per farla stare bene e le ho lasciato anche la copertina con cui dormiva. Senza quella era un dramma farla addormentare. Comunque avevo paura, anche perché pensavo che in qualche modo - dato che Gold sapeva e lui mi ha aiutato nell’adozione -poteva spezzare la mia maledizione, così la portai indietro.” Dalla mia faccia traspariva ogni cosa: stupore, dispiacere, perplessità. Era davvero possibile che quella che era mia madre abbandonasse una bambina perché aveva paura che la maledizione si spezzasse. Dopo un minuto di silenzio interminabile, decido di aprire la bocca, in fondo avevo promesso a mia madre che non l’avrei giudicata. “Immagino che quindi quando hai visto Lily entrare al Granny, hai rivisto quella bambina che tenevi in braccio quando lei era piccola, quando io non c’ero ancora e quando la maledizione non era ancora spezzata?”. Lei annuisce solamente. Capisco che le mie parole sono suonate più dure di quello che pensavo ma devo ancora metabolizzare la cosa. Mi metto anche nei panni di Lily: cosa sarebbe successo a me se fossi stata io ad essere abbandonata di nuovo? Come avrei vissuto se non solo mia madre ma anche la mia madre adottiva non mi voleva? Non voglio neanche pensarci. Guardo Regina, si sente in colpa, terribilmente. Tutta la città sa che è cambiata, o meglio sapeva che era cambiata, e quindi posso capire perché ora si senta così. In mezzo a tutto il casino che ho nella testa penso anche che forse è possibile che sia lei il colpevole? Faccio uscire i miei pensieri e dico “non è che ha deciso di eliminare la memoria di questi anni per cambiare le cose, in modo tale che tu non ti ricordassi di me” Ho paura per quello che possa rispondere. Sembra pensarci su e non riesco a capire quali pensieri gli attraversano la mente. Esordisce dicendo “non saprei perché ha scelto di rimuovere 30 anni: sarà pur accaduto qualcosa in questi 30 anni che non vuole che ricordiamo a parte la tua adozione”. Penso che sia arrivato il momento di dirglielo: lei ed Emma erano spostate, avevano rotto la maledizione di Zelena scambiandosi il bacio del vero amore e prima di sposarsi ci sono voluti 3 anni. “Beh Regina devi sapere che in questi anni non avete solo adottato me, ma tu ed Emma vi siete sposate. Avete rotto la maledizione di Zelena scambiandovi il bacio del vero amore. Dopo 3 anni vi siete sposate e un anno dopo avete deciso di adottarmi perché eravate pronte per fare il grande passo - o almeno così voi mi avete detto”. La faccia di Regina sembra trasmettere solo una parola ‘impossibile’. “Regina so che sembra assurdo ma non hai mai provato, che ne so, qualcosa quando siete vicine? Quando vi sfiorate? Nel profondo so che entrambe provate qualcosa di sincero. Dobbiamo solo farlo uscire allo scoperto così finalmente la maledizione si spezzerà - o almeno cosi credo”. Regina continua a fissarmi ma so che sotto sotto prova qualcosa per Emma e sta cercando in tutti i modi di tenerlo nascosto. So che per loro è stato difficile venire a patti con la nuda e cruda realtà. Entrambe non erano fatte per amare, o comunque era quello che credevano, perché entrambe hanno avuto una storia difficile fatta di tradimenti e abbandoni: Daniel per Regina e Neal per Emma. Si sono trovate e come accade in questa famiglia, per meglio dire nella famiglia di Emma, tutti si ritrovano sempre. Regina continua a non voler rispondere alla mia domanda cosi decido di continuare “Regina so che provi qualcosa per lei sotto tutta quella rabbia che mostri per il fatto che ha spezzato la maledizione. Allora dimmi di cosa esattamente hai paura? Perché ci deve essere per forza una ragione sotto tutto questo. Quello che posso dirti, anche se non so di cosa si tratta, è che non devi averne: la vostra vita, seppur con alti e bassi, è andata avanti magnificamente ed ero quasi sempre presente, l’ho vissuta con voi quindi non capisco le preoccupazioni che ti assillano”. Regina alla fine decide di rispondere, forse le mie parole sono suonate più veritiere di quello che credevo. Sicuramente erano sincere. “Non ho paura, sono terrorizzata che in qualche modo non riusciremo a spezzare la maledizione perché credo che facendoci dimenticare la nostra vita allora di conseguenza anche il nostro amore si è perduto. Sono terrorizzata perché la vita che continui a raccontare, la mia vita, sembra perfetta e forse il destino ci ha portato qui proprio perché i cattivi non hanno il lieto fine e quindi ha deciso di cancellarlo”. Decido di interromperla “Hai detto che i cattivi non hanno un lieto fine, ma se cosi fosse questa maledizione oltre a punire te, punirebbe anche Emma e lei è la salvatrice. Lei fa parte dei buoni e sempre come ha detto tu merita un lieto fine che sempre secondo il destino sei tu. Quindi questo tuo discorso non regge” dico cercando di trasmetterle quella poca speranza che mi è rimasta. “Tu stai dando alla regina cattiva speranza?” dice Regina con una faccia allucinata. “Non alla regina cattiva, ma alla mia mamma perché le voglio bene” dico sorridendo. Detto ciò, la saluto e me ne vado. Ho compiuto la mia missione - o almeno un parte di quella che dovrebbe essere la mia missione.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Cammino sorridente per la strada. Sono felice e non perché c’è il sole. Sono felice e basta - cosa che accade raramente. Una mano è sul pancione in maniera protettiva. Mentre l’altra ondeggia seguendo il mio passo. Mi guardo in giro cercando di catturare le meraviglie che mi circondano e non mi accordo che i miei piedi mi hanno portato davanti al 108 di Mifflin Street - quella che poco più di un anno fa era la mia casa. Mi fermo a osservare tutti quei dettagli che hanno coronato la mia infanzia e la mia adolescenza: l’albero di mele, il giardino dove anche negli inverni più terribili non mancava mai il pupazzo di neve, quel portico dove ogni mattina - o quasi - le mie mamme si scambiavano un tenero bacio perché solo una delle due mi portava a scuola, quel vialetto dove mia madre Regina era costretta un giorno sì e l’altro pure a rincorrermi per ricordarmi che avevo dimenticato il mio pranzo. Ricordi impressi nella mia mente, ma che non ci sono più in quella delle mie mamme e in quella di tutti gli abitanti di Storybrooke. Abbandono i miei pensieri perché sente delle voci in lontananza che si stanno avvicinando a quella che era la mia abitazione. Sono Emma e Regina che discutono. Mi nascondo dietro una macchina parcheggiata nella via e mi metto a origliare. “Così ora ti fidi di Silvia” dice Emma. Forse allora il mio discorso ha avuto effetto su Regina penso. “Non lo so! So solo che c’è qualcosa in lei che mi spinge a crederle. Quindi se quello che lei dice è vero io e te saremmo sposate” dice Regina in maniera titubante. “A quanto pare!”. “Beh allora cosa hai intenzione di fare Miss Swan?” sento dire da Regina con un tono seducente. “Io? E cosa dovrei fare Signor Sindaco?”. “Per una volta Miss Swan usa quella testa e chiedimi di uscire in maniera che io non possa rifiutare”. “Beh, Signor Sindaco le va di uscire con me?” dice inchinandosi. “Controllo la mia agenda e le faccio sapere al più presto, Miss Swan, ma credo che posso concedermi un’uscita” dice Regina, picchiettandosi un dito sul mento come se ci stesse davvero pensando. “Va bene signor sindaco. Buona giornata” dice avvicinandosi a Regina, la quale - volendo evitare il suo sguardo - si gira verso la porta per aprirla e scomparire dentro casa. Esco dal mio nascondiglio faccio finta di non aver assistito alla scena. Sento Emma, che poco prima stava percorrendo il dialetto della grande abitazione, dietro di me. “Ehi Silvia come stai? Non ti avevo visto prima”. Mi giro verso di lei “ciao Emma, tutto bene, tu? Cosa ci fai da queste parti?” dico facendo la finta tonta. “Mm nulla di che. Tutto bene comunque. Ti va di andare da Granny? Si sta avvicinando l’ora di pranzo e ho una certa fame”. “Ma certo! Sono contenta che tu me lo abbia chiesto”. “Beh, in realtà avrei bisogno di un tuo aiuto”. “Del mio aiuto? Di che si tratta?” chiedo facendo finta di non sapere che mi chiederà consigli su come affrontare l’appuntamento con Regina. “Preferisco dirtelo quando siamo sedute da Granny”. Dopo venti minuti di cammino, finalmente siamo arrivate. Sono molto stanca anche perché il mio peso non è più quello di un tempo. Ora c’è un piccolo bambino che cresce dentro di me e mi frega anche l’ossigeno che inalo. Una volta seduta al tavolo ordiamo: per lei panino con patatine fritte; io opto invece per un’insalata e patatine fritte a parte. Sono pur sempre figlia delle mie madri. Emma dopo aver ordinato esordisce dicendo “sei proprio figlia di tua madre, anche se qualche merito lo ho anche io”. So per certo che si riferisce alle patatine. Continua dicendo “comunque, non siamo qui per discutere sulla tua educazione. Ma voglio sapere come hai fatto a convincere Regina di questa storia? E poi ho bisogno di una mano. Beh, io - dice imbarazzata - ho chiesto a Regina di uscire. Siamo spostate e mi ha detto che tu le hai detto così, quindi vorrei in qualche modo ricostruire quello che avevamo. Mi ha anche detto del bacio che ha rotto l’incantesimo”. Dice tutto ciò senza fermarsi un attimo. “Non è stato facile convincerla. Anche perché in questo momento lei si avvicina molto di più alla definizione di Regina cattiva che di semplice Regina Swan Mills, moglie innamorata e devota. Comunque per la serata devi solamente essere te stessa e tutto andrà per il verso giusto. Ne sono convinta!” dico sorridente. Continuo “a quando il grande giorno?”. “Beh, pensavo martedì. Così entrambe abbiamo un po’ di tempo per prepararci” dice ancora più in imbarazzo e capisco che non vede l’ora che arrivi Ruby con le nostre ordinazioni. Il pranzo passa velocemente. Dopo aver parlato di Regina, mi ha chiesto della mia vita. Speravo davvero con tutto il cuore che il mio racconto facesse riaffiorare dei ricordi, ma ciò non accadde. Solo alla fine, Emma si accorse della mia collana. Era una collana d’oro con il mio nome che risaltava al centro. Le spiegai che me la regalarono loro quando compii un anno e con il tempo divenne parte di me. Ovviamente ha subito delle modifiche poiché la prima era molto più piccola però l’ho sempre portata con me. È il mio portafortuna. Quando sono lontano da casa, lo tengo tra le mani ricordandomi che ho persone che mi amano anche se non sono fisicamente lì con me. Infondo è vera la frase “Home isn’t a place. It’s the people in it”. Il pomeriggio decido di fare delle ricerche. Mi dirigo prima in biblioteca, ma per mia sfortuna non trovo nulla che faccia al caso mio. Trovo solo un libro, apparentemente insignificante per gli altri, ma per me delizioso. Cime Tempestose: il primo libro che mia madre Regina, nonché accanita lettrice, mi ha regalato. Decido di prenderlo in prestito. Lo rileggerò per la milionesima volta, ma fa nulla: lo adoro troppo. Dopo aver finito in biblioteca mi dirigo alla mia camera. È vuota e penso ‘finalmente Andrew ha deciso di fare qualcosa di produttivo anziché starsene rinchiuso qui a dormire’. Prendo in mano il mio adorato pc con una delle schermate più amorevoli che ci siano: ci sono io distesa sul letto che faccio una linguaggio con entrambe le mie madri al mio fianco che mi danno un bacio sulla guancia. Dopo aver fissato quella foto per un tempo troppo lungo, decido di indagare sul passato di Lily. Chiamo anche un amico - che ho lasciato a NY - per chiedergli informazioni, dato che ha la fidanzata che lavora al distretto di polizia. Finalmente riesco a trovare qualche informazione in più sul conto di Lily: dove è andata a scuola, qual era l’orfanotrofio in cui è vissuta, informazioni non del tutto utili ma che solleticano la mia curiosità. Decido di chiudere tutto e fare una doccia rilassante. Dopo essermi piazzata sotto il getto d’acqua lascio vagare i miei pensieri. Inizio a ipotizzare cosa sarebbe accaduto se non avessi incontrato Andrew; cosa sarebbe successo se non fossi stata adottata e Regina avesse tenuto Lily; cosa sarebbe successo se Emma non fosse mai venuta qui. Domande a cui non c’è una risposta - che forse solo Doctor Strange avrebbe avuto. Domande che si affollano nella mente insieme a tutte le altre che mi pongo ogni giorno. Domande a cui ho paura a rispondere, perché se la vita fosse stata diversa sicuramente sarebbe stata peggio. Molto peggio. Insomma, sono quelle domande esistenziali che immancabilmente, o sotto la doccia o prima di addormentarci, arrivano e iniziano a tormentarci. Quando il mio cervello decide di darmi una tregua, esco dalla doccia e inizio a preparami anche se non devo andare da nessuna parte, se non a mettere qualcosa sotto i denti. Opto per qualcosa di comodo solo perché sono veramente troppo stanca per cercare qualcosa di decente. Dopo essermi cambiata mi stendo un po’ sul letto, chiederò a Andrew se gli va di cenare con me. Mando un messaggio al mio amico e la risposta affermativa non tarda ad arrivare. Dopo che anche lui si è sistemato e preparato, decidiamo di scendere le poche scale che ci dividono dalla nostra cena. Decido di prendere solo dell’insalata leggere e delle Coca Cola - rigorosamente zero - mentre lui opta per un hamburger. Poco dopo che le nostre orinazioni sono arrivate, sentiamo il campanello della porta suonare e appaiono due personaggi: uno che non avevo mai visto prima, anche se vagamente mi ricorda Robin Hood, e l’altro è Killian, meglio conosciuto come Capitano Uncino - o come lo chiama mia madre Regina Capitan Mascara. Si siedono a un tavolo poco distante da noi e ordinano anche loro qualcosa da mangiare. Tutto questo si svolge in un assoluto silenzio da parte di me e Andrew che osserviamo la scena con una faccia shoccata. Le domande che entrambi ci poniamo senza esprimerle sono le stesse: cosa ci fa qui Hook con Hood, non sono mai stati amici quei due. Ma soprattutto, come fa Robin a essere vivo? Mia madre Regina mi aveva spiegato come erano andate le cose tra di loro - ovviamente non molto bene poiché poi si era resa conto che Emma era il suo vero amore - e mi aveva anche spiegato come era morto: Ade pensando di fare un torto a Regina, che non voleva che stesse con Zelena, lo aveva ammazzato, ignaro del fatto che lei era palesemente e perdutamente innamorata della signorina Swan. Andrew decide di rompere quel silenzio e sapevo che la fatidica domanda sarebbe arrivata: “cosa ci fa qui Robin? Non mi avevi detto che era morto e la sua anima si era distrutta”. “Era quello che pensavo anche io. Sicuramente non può essere tornato dal mondo dei morti, senza un aiuto da parte di qualcuno. Dobbiamo solo scoprire chi sia questo qualcuno e perché lo vuole ancora vivo” dico picchettando le dita sul tavolo. “Non c’è nulla nella storia della tua famiglia che ci possa dare qualche indizio? Parliamo di Hook, nonché ex fidanzato di Emma, e Hood, ex fidanzato di Regina. Avranno sicuramente a che fare con loro, anche perché ricorda che hanno cancellato la memoria a tutti”. Devo dare atto ad Andrew. Quello che ha appena detto può sicuramente c’entrare con il colpevole della maledizione. “Sai che puoi avere ragione. Entrambi hanno avuto delle storie con le mia madri. E se hanno eliminato la memoria a tutti perché avessero intenzione di - che ne so - cambiare il destino di entrambe? Prima della maledizione sapevano di essere spostate e si amavano. Ora il loro amore c’è ancora ma è nascosto perché non sanno di amarsi, o almeno non lo sanno ancora. Quindi, dobbiamo fare in modo di far innamorare quelle due, in modo che la maledizione si spezzerà dopo che si sono scambiate il bacio del vero amore e in più quei due non la fanno franca” dico tutto d’un fiato. Un Andrew pensieroso annuisce ad ogni cosa che dico e forse il mio ragionamento ha una base solida. Apre bocca e dice “quindi? Come facciamo a farle innamorare?”. “A questo ci ho pensato io. Domani sera hanno un appuntamento. Dobbiamo solo fare in modo che vada tutto per il meglio e che mia madre Regina si presenti. Dopo il mio discorso di oggi, dubito che non si presenterà ma è imprevedibile. È pur sempre Regina Swan Mills”.

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