Si
richiuse silenziosamente la porta alle spalle, il cuore in tumulto,
le guance arrossate e i pensieri che frullavano a mille.
Poteva
lasciare quella vita, una volta per tutte; sapeva che non
c’era via
di ritorno una volta imboccata quella strada, ma almeno sarebbe stata
una sua scelta.
Sorrise
alla consapevolezza che per una volta il suo destino sarebbe stato
tutto in mano sua, ma un attimo dopo brillò nel suo animo
una
scintilla di rimorso e preoccupazione per quello che tali scelte
avrebbero causato alle persone che le volevano bene.
Cosa
avrebbero fatto i suoi genitori? E Luka, sarebbe stato additato come
il marito di una fuggitiva? Con chi avrebbe passato i pomeriggi Alya?
Appoggiò
la schiena al muro e, alzando lo sguardo, incontrò il
proprio
sguardo nel grande specchio che le era di fronte, appeso
all’ingresso: come poteva voltare le spalle a tutti quegli
anni di
vita?
Non
si vive né si ama nel vuoto. Intorno a lei c’erano
persone che le
volevano bene e che sarebbero state ferite, se si fosse concessa di
fare ciò che voleva.
Era
una regola universale, che non valeva solo per lei, ma a Marinette
parve, in quel momento, di essere l’unica a sentirne il peso.
E
mentre era i balia di questi pensieri, udì il suo nome,
pronunciato
da Luka sopra le scale, con un velo di preoccupazione.
–
Marinette?
–
Lei
deglutì.
–
Sono
qui. –
Silenzio,
poi un sospiro.
–
Ti
spiace raggiungermi nel mio studio, cara? –
Stringeva
convulsamente la tazza di tè caldo fra le mani, seduta di
fronte a
suo marito. Era una stanza accogliente, calda e ordinata;
sgattaiolava spesso lì per leggere o anche solo sfogliare un
libro
preso a caso dagli altissimi e stipati scaffali in mogano.
Seduta
davanti a lui, dopo avergli riferito della sua chiacchierata con la
Morte, la ragazza aveva cominciato a temere che, usando le sue doti,
lui avrebbe potuto convincerla a non accettare l’invito della
creatura. Non che fosse nello stile di Luka, ma le persone sono
imprevedibili.
Lui
smise di tamburellare le dita sul bordo di un grosso tomo e
alzò lo
sguardo, incrociando così quello di Marinette.
–
Cosa
aspetti? Perché sei ancora qui? – chiese.
Lei,
stupita dalla semplicità della domanda, ci mise un
po’ a
rispondere, e quando lo fece scandì bene ogni parola dopo
averla
accuratamente scelta.
–
Io
non posso permettermi il lusso di mettere tutto in una valigia e
voltare le spalle a questa vita, anche se tutto quello che mi
circonda non è una mia scelta. Tu hai fatto tanto per me,
non mi hai
mai forzata, non mi hai mai rinfacciato nulla, non posso andarmene
senza ringraziarti. –
Fece
una pausa per scrutare il viso del ragazzo, che con un cenno la
incoraggiò ad andare avanti.
–
I
miei genitori... loro non hanno colpa. Sono nata nel momento
sbagliato, nell’epoca sbagliata; non biasimo le persone,
forse non
biasimo nemmeno la società. Le cose vanno così,
punto. Forse non a
causa dei singoli individui, o magari proprio per quelli che si
distinguono ed erigono.
Perciò
non me la sento di partire senza salutarli, senza dirgli quanto gli
voglia bene, quanto sia loro grata per aver cercato di darmi sempre
il meglio. Non posso semplicemente salire sulla groppa di un cavallo
e annullare o dimenticare tutto questo tempo.
È
quello che voglio, ma so per esperienza che, nel migliore dei casi,
si deve trovare un punto d’incontro tra ciò che si
vuole, ciò che
si deve e ciò che si può. –
Lui
annuì, poi abbassò lo sguardo; Marinette
avvertì una stretta al
cuore intuendone il motivo.
–
Non
vorrei doverti lasciare. – disse lentamente. –
Tu... tu hai fatto
molto per me e vorrei riuscire a dirti quanto te ne sia grata. Vorrei
che tu potessi venire con me, o quantomeno parlare con Adrien. Sono
sicura che saprebbe mostrarti la strada. –
Luka
sospirò.
–
Voglio
solo una cosa, anzi tre. –
–
Tutto
quello che vuoi. –
–
Promettimi
che sarei felice, che lotterai per la tua felicità. Secondo,
non
dimenticarti mai della storia che hai alle spalle. Non nel senso che
deve essere un peso, no, ma cerca di ricordare perché sei
dove
sarai. E terzo... –
Si
interruppe, le guance accese violentemente di rosso.
Lei
lo incoraggiò posando la sua piccola e affusolata mano
sinistra
sulla sua destra.
–
Promettimi
che non ti dimenticherai di me. – disse tutto d’un
fiato.
Lei
sorrise mentre una lacrima luccicante le rigava una guancia.
–
Neanche
se bevessi tutta l’acqua del fiume Lete potrei. –
Prese
un respiro profondo e sollevò gli occhi dalla scrivania,
mentre la
sua mano indolenzita lasciava cadere dolcemente il pennino sul
ripiano.
Erano
due giorni che scriveva incessantemente; scriveva lettere per tutti
coloro che avevano avuto un ruolo di rilievo nella sua vita: sua
madre, suo padre, i parenti, le sue amiche.
Si
passò il dorso della mano sulla fronte e guardò
fuori dalla
finestra.
A
breve, Adrien, a breve ti raggiungerò...
–
Tutto
bene? – giunse una voce dalla porta.
Con
calma, prese in mano tutte le lettere e controllò che ci
fosse il
nome su ognuna, poi si alzò, andò verso il marito
e gliele
consegnò; lui le accettò con un cenno
d’intesa.
–
Quando
sarà il momento... – si limitò a dire
lei.
Lui
la tranquillizzò, ribadendo che avrebbe fatto tutto per bene
al
tempo giusto.
Rimasero
in piedi, uno di fronte all’altra, per un po’,
imbarazzati, poi
lei lo abbracciò di slancio.
–
Grazie.
Grazie di tutto. Vorrei che le cose fossero andate in modo diverso
tra noi. Forse col tempo avrei potuto amarti come avresti voluto e
meritato... –
–
No.
– la interruppe lui con uno strano tono cupo. – Ad
ognuno ciò
che si merita quando lo merita. Ho preferito di gran lunga che le
cose siano andate così; almeno ho avuto la fortuna di
conoscerti. E
chissà, magari un giorno questa mia azione di aver liberato
una
creatura pura dalle catene della società varrà
qualcosa anche per
la mia felicità. –
Lacrime
scendevano dagli occhi di Marinette, lacrime che prontamente Luka
asciugò.
–
Se
ti fai vedere così, Adrien penserà male. Un bel
sorriso, su. –
La
ragazza sorrise e alzò il mento; negli ultimi giorni aveva
acquisito
una sicurezza finora a lei sconosciuta, che la faceva sentire in
grado di fare tutto.
Si
guardò attorno, cercando di assimilare ogni dettaglio di
quella
stupenda casa, che una piccola parte di lei sperava di rivedere,
presto o tardi.
–
Pronta?
– le chiese lui tendendole una mantellina.
–
Da
tutta la vita. –
L’addio
fu struggente: Luka le teneva una mano tra le sue, sorridendo
mestamente, mentre lei lo ringraziava per la comprensione e la
libertà che gli stava dando; il giovane si limitò
a scuotere la
testa e dirle che stava rendendo solo giustizia.
Dopo
una serie di abbracci, lui le aprì la porta, facendo entrare
un
fascio di luce lunare nell’atrio, insieme ad una frizzante,
quasi
fredda, aria autunnale.
La
guardò preoccupato.
–
Non
avrai freddo? –
–
Sto
per seguire verso l’ignoto un misterioso cavaliere a cavallo
di una
creatura parlante che dice di essere la Morte e tu ti preoccupi che
io abbia freddo? – rise lei.
–
Effettivamente
vista da questa prospettiva... –
Risero,
per poi piombare nel silenzio.
Marinette
alzò un braccio e tracciò il profilo delle labbra
del ragazzo con
un dito; lui le baciò i polpastrelli tenendo gli occhi
chiusi.
Lasciò
ricadere il braccio lungo il fianco e si voltò verso la
porta
aperta; Luka continuava a tenere le palpebre abbassate.
–
Arrivederci
Luka. – bisbigliò la ragazza, e furono le ultime
sue parole che
risuonarono nella grande villa.
Quando
il ragazzo riaprì gli occhi, molti minuti dopo, la porta era
ancora
aperta, e un senso di vuoto aveva pervaso la casa, ma non il suo
cuore; che potè giurare di riconoscere in
quell’esatto istante il
sapore della pace.
Il
percorso che l’avrebbe portata al limitare del bosco lo aveva
pianificato per bene, in modo che nel percorrerlo non avrebbe
incontrato nessuno e al tempo stesso avrebbe incontrato tutti: si
fermò davanti alla cappella, per una breve ma intensa
preghiera;
passò davanti a tutti i negozi; sostò sotto casa
di Alya, e quella
fu la pausa più lunga e dolorosa. Sapeva bene che la ragazza
era
sola, molto probabilmente in camera da letto a cucire per non farsi
vincere dal sonno: ci teneva ad andare ad accogliere quello
scellerato del marito quando lui si degnava di tornare, a qualsiasi
ora, con il puzzo di fumo e rum addosso.
Strinse
i denti e contrasse la mandibola, augurandosi che presto anche per la
sua amica arrivasse il giorno della liberazione. Con un sospiro, si
costrinse a continuare.
L’ultima
tappa fu la taverna. Grasse risate e urla si sentivano fin
dall’altra
parte della strada, dove si trovava lei. Era da lì che tutto
era
partito: gli uomini avevano avvistato cavallo e cavaliere, avevano
sparso la voce, ne era nata una nenia. Dopo chissà quanti
anni -
molti più di quanti ne avrebbe potuti contare - quella nenia
era
arrivata a lei e l’aveva portata lì, in piedi nel
silenzio di
quella notte, con un uccellino imbizzarrito al posto del cuore.
Si
concesse un attimo per ascoltare la cacofonia proveniente dal locale,
poi drizzò la schiena e riprese a camminare, per fermarsi
solo una
volta arrivata davanti al masso che era stato spettatore dei suoi due
precedenti incontri notturni.
Loro
erano lì. Lui
era lì.
Le
dava le spalle; era in piedi davanti al cavallo, la testa
dell’animale tra le mani, la fronte quasi poggiata sul suo
muso.
Stava sussurrando qualcosa, ma non riuscì a capire cosa.
Le
dispiacque interrompere una scena di tale intimità, quindi
si fermò
a un paio di metri e restò in silenzio, cercando di non fare
rumore
neanche respirando; sperò che il tamburellare furioso del
suo cuore
non la facesse scoprire.
Ma
i suoi tentativi furono vani: quasi subito Adrien si girò
verso di
lei, e la visione del suo viso le fece al tempo stesso perdere un
battito e aumentare la frequenza cardiaca. Gli occhi azzurri accesi
di una luce calda e familiare, il sorriso splendente, le guance
arrossate, chissà se dal freddo o dall’emozione di
vederla.
A
quest’ultimo pensiero, anche lei arrossì.
–
Sei
venuta. – la accolse lui.
–
Sono
venuta. E tu sei qui. – rispose lei.
–
Io
ci
sono sempre stato. Tu piuttosto... –
–
Anche
io ci sono sempre stata. – lo interruppe la giovane, senza
foga ma
con decisione.
Adrien
sorrise, poi la scrutò da capo a piedi, le sopracciglia
aggrottate;
Marinette giurò di non aver mai visto nulla di
più dolce e bello.
–
A
quanto pare non sei preoccupata per il freddo. –
constatò il
ragazzo. A lei non sfuggì come, con assoluta e normale
naturalezza,
si stessero dando del tu. La cosa le piacque.
–
Suppongo
che non avrò bisogno di vestiti caldi, non dopo che
sarò... salita
sul tuo destriero. Con te. –
Lui
annuì, senza però allentare la tensione della
fronte. Dopo un
attimo di stasi da parte di entrambi, si tolse il mantello; la sua
armatura scintillò lievemente. Le andò vicino e
le cinse le spalle
con il mantello, fissandolo bene con una spilla sotto il collo.
Non
ritirò le mani; rimase fermo, indeciso, per qualche secondo,
poi le
accarezzò la gola con il pollice; vedendo che lei
socchiudeva gli
occhi e dischiudeva le labbra, prese coraggio e le posò una
mano
sulla guancia, mentre con l’altra seguiva il profilo della
mascella.
Le
punte dei loro piedi si toccavano, i loro respiri si univano. Gli
occhi di lui erano fissi sul volto di lei, quelli di Marinette erano
chiusi; le mani di lei rimasero per un po’ ferme, abbandonate
lungo
i fianchi, ma presto si mossero e andarono a posarsi sul petto di
Adrien.
Nonostante
la cotta di maglia, la ragazza potè giurare di percepire
contro il
palmo delle mani il battito furioso del cuore di lui.
–
Lo
senti? – sussurrò Adrien. – Batte
così per te. Non mi sono mai
sentito così vivo. –
Lei
rovesciò la testa all’indietro e rise. Lui la
guardò, incerto,
poi le sue labbra si distesero in un sorriso; la risata della ragazza
echeggiava nella notte, cristallina, vera. Libera.
–
È
tutto vero. – ripeteva lei, quando l’euforia glielo
permetteva,
tra una risata e l’altra.
Lui
annuiva stringendola a sé, baciandole la testa, mandando
giù nel
profondo dei polmoni l’odore dei suoi capelli.
Sarebbero
potuti restare così per l’eternità, ma,
quando ormai il battito
dei loro cuori si era regolarizzato, il cavallo nitrì.
Adrien
sospirò e si girò a guardare l’animale,
tenendo un braccio
attorno alla vita di Marinette; lei sbirciò al di sopra
della sua
spalla il destriero del ragazzo.
–
È
ora di andare. – la informò.
Marinette
annuì e insieme si avvicinarono al cavallo, fermandosi al
suo
fianco; lei allungò una mano, senza alcuna titubanza, e ne
accarezzò
la schiena, avvertendo i muscoli possenti a riposo. Il pelo era
liscio e morbido, corto.
–
Quando
dici che dobbiamo andare... – fece. – Chi ce lo
impone? –
–
Nessuno.
Siamo liberi. Ma tenerci in movimento è sempre preferibile.
–
rispose lui con una scrollata di spalle. Le posò una mano
sul gomito
e lei si voltò a guardarlo; quegli occhi, Dio, quegli
occhi...
Senza
interrompere il contatto visivo, Adrien la prese per i fianchi e,
come se lei non pesasse nulla, la issò in sella,
delicatamente.
Appena lei si sistemò, a ruota salì in groppa,
dietro Marinette, e
afferrò le redini. L’animale iniziò a
muoversi, passi lenti,
quasi come in una processione. Forse le stava dando il tempo per
cambiare idea, o girarsi a dare un ultimo sguardo. Non fece nulla di
tutto ciò; rimase dritta, con la schiena contro il petto del
cavaliere, il suo cavaliere, beandosi delle braccia di lui che le
sfioravano i fianchi mentre teneva le redini, del suo mento sulla sua
testa.
Ormai
erano arrivati ai primi alberi del bosco; la Morte si fermò.
Le
fronde ondeggiavano, e Marinette ringraziò mentalmente
Adrien per il
mantello. Si girò a guardarlo, per quanto la posizione di
entrambi
glielo permettesse.
Lui
la stava fissando con espressione pacifica. Le sorrise.
–
Ricorda
questa sera, perché sarà l’inizio
dell’eternità. –
Poi
diede un impercettibile colpo di redini, e l’animale
partì al
galoppo, lasciando profondi solchi nel terreno che sparivano con la
stessa velocità con cui erano comparsi.
Angolo
autrice:
Siamo
arrivati alla fine.
Vi
ho fatti aspettare, me ne scuso, ma sono un essere profondamente
sfaticato, senza contare la
mia
ispirazione altalenante che
va e viene troppo spesso
Sì
insomma, mi dispiace, ma ora sono qui, questo conta, no?
Se
vi sembra che il finale lasci qualcosa in sospeso sappiate
che è altamente voluto. Ciò non toglie che nel
caso di malcontento
generale, sì, avete il diritto di prendermi a calci. Quando
dico che
è voluto non intendo affatto dire “mi ero rotta le
palle di vedere
la fic incompiuta nella cartella insieme ad altre trentordici mila e
allora ho cercato di farla finita il prima possibile”.
ASSOLUTAMENTE NO. Semplicemente mi sono detta che andare a scrivere
di altri cavoli era inutile e sarebbe potuto risultare fuorviante. La
storia è incentrata su Marinette,
i suoi problemi e la leggenda del cavaliere. Il resto è una
cornice.
Ho finito, credo. Boh.
Non mi viene altro, quindi passo ai
ringraziamenti:
alwais
hanon993
TalesOfAFairy
mippippippi
_Farye
_
Grazie.
Grazie delle attenzioni silenziose,
della
recensione,
e
della pazienza.
Grazie di tutto!Fatemi
sapere se vi è piaciuta, o cosa avreste preferito vedere da
questa storia…
A
presto,
JLuna
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