BS Week 2019 di HikariMoon (/viewuser.php?uid=119941)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Arte, Smoking ed Esplosioni ***
Capitolo 2: *** Pianeti, Asteroidi e Appuntamenti ***
Capitolo 3: *** Saponi, Dolcetti ed Equivoci ***
Capitolo 4: *** Gala, Blog e Vigilanti ***
Capitolo 5: *** Curry, Tavoli e Rivalità ***
Capitolo 6: *** Vite legate dal destino ***
Capitolo 1 *** Arte, Smoking ed Esplosioni ***
Arte,
smoking ed esplosioni
Suzuri
Hideto apprezzava l’arte ed era capace di ammetterlo
senza alcun problema, come ammetteva senza esitazione che il suo
interesse si
fosse sempre fermato a livello superficiale. Suzuri Hideto non sarebbe
stato in
grado di indicare i quadri di uno stesso pittore.
Inogashira
Nanao, invece, era un giovane magnate della
tecnologia e appassionato d’arte. Inogashira conosceva
perfettamente le
correnti artistiche, le minuscole differenze tra i diversi artisti, i
sottili
significati delle pennellate e dei colori.
Ed
era per questo che, quella sera, all’inaugurazione della
mostra della collezione privata c’era Nanao e non Hideto.
Nanao che passava di
quadro in quadro, un calice di champagne in mano, l’abito di
alta sartoria di
taglio elegante ma non pacchione, e che era in grado di sciorinare
aneddoti e
analisi su qualunque fosse la crosta che i suoi bersagli desideravano
ammirare
in quel momento.
A
fine missione, avrebbe dovuto fare un regalo a Stella.
Senza l’aiuto e gli appunti di una sua vecchia amica studiosa
d’arte, entrare
in contatto con il petroliere Joseph
Harrington Price
sarebbe stato molto più difficile.
Invece,
quella serata sarebbe stato l’ultimo pezzo del
puzzle che avrebbe mandato in carcere l’uomo, per traffico
d’armi, droga e
riciclaggio. Doveva solo trovare il momento di allontanarsi dal gruppo.
Il
suo bersaglio scoppiò a ridere sguaiatamente, afferrando
un nuovo calice di champagne da un cameriere. Con un cenno
indirizzò il gruppo
di imbellettati uomini d’affari, mogli ed escort (Hideto non
era nato ieri,
sapeva riconoscere un’attrice per quanto brava fosse). Il
nuovo quadro era un
quadrato bianco, con sopra spruzzi casuali di colori.
Nanao
dimostrò con poche e mirate parole il suo
apprezzamento, Hideto si chiese perché un quadro che avrebbe
potuto replicare
ribaltando le tempere di sua nipote potesse valere così
tanto.
“Opera
ammirabile. Non immaginavo foste un tale estimatore.”
Hideto
strinse impercettibilmente le dita attorno al calice,
sforzandosi di non mostrare la tensione istintiva dei muscoli. Invece,
imbastì
il miglior sorriso di Nanao e si voltò verso il nuovo
arrivato.
“Potrei
dire lo stesso.”
Izaz
ghignò e sorseggiò dal suo calice, posandolo poi
direttamente
sul vassoio di un cameriere.
“Ci
sono ancora molte cose che non sapete di me, mio caro
amico. Oh, Mister Price…”
Izaz,
fiore all’occhiello dell’agenzia privata che
offriva i
propri agenti al miglior offerente, si infilò nel gruppo
come la serpe che era,
ammaliando le dame e conquistando con la sua parlantina gli uomini.
Hideto
digrignò i denti e arretrò di un passo, portando
con
nonchalance il polso alla bocca.
“Abbiamo
un problema.”
“Agente
Suzuri, qual è la situazione?”
“Izaz
è qui.”
Stella
imprecò dall’altra parte
dell’auricolare. “Possiamo
scommettere che ha il nostro stesso obbiettivo.”
“Non
ci sono dubbi.”
“Ma
guardate, che sbadato, quasi dimenticavo. Ho un
appuntamento al quale non posso mancare alle 21:43:05.”
Hideto trasalì e si
rese conto di essere di nuovo circondato dal gruppo di uomini
d’affari. “Non
avete idea di quanto mi dispiaccia. Vi lascio nelle sapienti mani di
mister
Inogashira.”
Tutti
si voltarono verso di lui e Izaz ghignò, facendogli un
veloce gesto di saluto. “Alla prossima volta.”
Hideto
faticò a non imprecare e rovinare così la sua
copertura. Nel tempo che gli servì per liberarsi di loro,
Izaz era svanito tra
la folla. Si fermò in mezzo al salone, voltandosi in tutte
le direzioni.
“Riesci
a individuarlo?”
“Negativo.
Deve essere riuscito a manomettere le
telecamere.”
“Non
posso aspettare. Mi dirigo al-”
Un’esplosione
coprì le sue parole. Una nube di polvere e
detriti riempì la scalinata, riversandosi sulla folla che
prese a correre
urlando dal panico.
“È
già in azione.”
“Suzuri,
devi assolutamente recuperare quei documenti.”
“Affermativo.”
Iniziò
a correre nella direzione opposta della folla,
facendosi largo a gomitate. Afferrò la pistola nascosta
sotto a uno dei tavoli
e attivò i visori infrarossi. Arrivato al piano superiore,
tolse la sicura e si
avviò con passo felpato verso l’ufficio di Pierce.
Aveva pochi minuti prima che
pompieri e uomini di Pierce realizzassero che era tutto un diversivo.
Un’ombra
saettò nell’angolo sinistro dell’suo
campo visivo.
Hideto parò la mano con il coltello puntato alla sua tempia
e incrociò il
ghigno divertito di Izaz.
“Che
bello rivederci di nuovo, non trovi?”
E
iniziarono a lottare, distruggendo soprammobili e usando
parti di mobili come armi, pistola e coltello ormai persi in qualche
angolo.
“Suzuri,
che sta succedendo?”
Hideto
parava i colpi con bracci, mani, gambe e piedi con
l’istinto nato da anni di addestramento, dedicando tutta la
sua concentrazione
nell’individuare dove Izaz avesse la pendrive con i documenti.
Izaz
gli sferrò un nuovo colpo rivolto verso la testa, che
evitò per un soffio. “Se sapevo che avremmo
ballato, mi sarei messo le scarpe
da ballo.”
Erano
ormai sul balcone centrale. Nella nube dell’esplosione
dentro il corridoio, riuscì a sentire il rumore di passi
concitati dirigersi
nella loro direzione. In lontananza si sentivano le sirene di pompieri
e
polizia. Non avrebbe avuto una seconda occasione.
“Mai
stato un ballerino,” replicò afferrandolo e
immobilizzandogli il braccio dietro alla schiena. “Preferisco
il paracadutismo.”
E
spinse entrambi oltre il parapetto. Izaz emise uno verso
stridulo che sembrò uno squittio terrorizzato. Hideto
infilò la mano nella
tasca della giacca del rivale, afferrò la pennetta, e lo
usò come perno per
voltarsi verso l’alto. Izaz cercò di abbrancarlo
imprecando, ma Hideto allungò
il braccio e sparò il rampino nascosto nella giacca.
Il
gancio fendette l’aria e si conficcò
sottò alle tegole
del tetto della villa, trascinandolo verso l’alto.
“SUZURI!”
“Al
prossimo ballo!” Hideto rise anche quando un proiettile
sibilò a fianco della sua orecchia.
Atterrò
sul tetto con una semplice acrobazia. Si voltò verso
il giardino e, tra la folla in panico, scorse la figura di Izaz.
Ovviamente, il
suo rivale era riuscito a non far calare il sipario cadendo da tre
piani.
“SUZURI!”
Hideto
ghignò e si spazzolò l’abito ormai
quasi distrutto
dalla colluttazione.
“Materiale
recuperato. Mi dirigo verso al punto di
estrazione.”
“Suzuri,
mi è arrivata la notifica che hai usato il
rampino. Se hai distrutto un altro completo, giuro che chiedo al
consiglio-”
Gettò
un’occhiata alla giacca rovinata e la camicia
annerita, mancavano ancora dei bottini, e sorrise.
“No,
tranquilla. L’abito è perfetto. Forse le scarpe
sono un
po’ sgualcite.”
E
silenziò l’auricolare. Correndo sul tetto per poi
calarsi su
un albero e, da lì, superare la cinta del giardino sul
retro, si segnò un
appunto mentale.
Passare
in sartoria e comprare uno smoking identico.
g
g
g
NOTE DELL’AUTRICE:
Salve a tutti! Eccoci qui
con il primo
giorno del Battle Spirits Week. E questa volta un po’ di
fretta perché,
genialmente, ho rimandato fino all’ultimo e, quando
è arrivata l’ispirazione,
ovviamente non era una drabble come l’anno scorso.
Comunque, spero che vi
piaccia. Io mi
sono divertita un mondo a scrivere di Hideto in versione spia e di Izaz
(ancora
un po’ versione Zazie) come suo rivale. Forse non
è la mia migliore storia,
sono dovuta andare un po’ di fretta, ma per questa volta ho
voluto abbracciare
lo spirito della BS Week e non preoccuparmi di creare headcanon per
Resurgence.
Grazie a
quelli che leggeranno e/o recensiranno.
A domani,
HikariMoon
P.S. il
nome sotto copertura di Hideto è l’unione del nome
di due personaggi di Toppa Bashin,
la serie mai trasmessa in Italia prodotta prima di Gekiha.
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Capitolo 2 *** Pianeti, Asteroidi e Appuntamenti ***
Pianeti,
asteroidi e appuntamenti
“Non
credo sia necessario sottolineare l’importanza di
questa missione, Capitano Ray.”
Clarky
si voltò verso l’ologramma proiettato, scambiando
appena uno sguardo con Angers che si trovava dalla parte opposta del
tavolo.
“Ammiraglio
Kazan, posso assicurarle che io e il mio
equipaggio siamo perfettamente consapevoli della situazione. Faremo il
possibile per evitare che gli scontri tar le due colonie sfocino in una
guerra
civile.”
Il
volto di Kazan si rabbuiò, rimanendo in silenzio con le
mani incrociate dietro la schiena. L’ologramma bluastro
oscillò brevemente. Poi
si voltò di lato, concentrando la propria attenzione su
qualcuno fuori dalla proiezione.
L’uomo annuì e tornò a voltarsi verso
Clarky.
“Abbiamo
appena ricevuto conferma della presenza della
Otherworld King nel quadrante. Invieremo astronavi di supporto, ma ci
vorrà del
tempo prima del loro arrivo.”
Clarky
annuì lentamente, posò le mani sul tavolo e si
inumidì le labbra.
“La
sua organizzazione trarrebbe vantaggio da un simile
colpo alla Federazione. E rischierebbe di diventare una scintilla che
innescherebbe i malumori nei sistemi. La sua missione NON
può fallire,
Capitano.”
“Sì,
signore!”
Clarky
e Angers si portarono sull’attenti e un istante dopo
l’ologramma svanì. La tensione, però,
non lasciò né la sala riunioni né i
volti
dei due.
“Cercherà
di impedirci di raggiungere il pianeta.”
Angers
fu la prima a interrompere il silenzio, facendolo il
giro del tavolo e affiancando Clarky.
“Quali
sono i suoi ordini, Capitano?”
Clarky
raddrizzò la schiena e si sistemò
l’uniforme. Poi, si
voltò verso la donna sorridendo con sicurezza.
“Raggiungiamo
il ponte di
comando.”
La
Magnifica Sophia non era un’astronave da
battaglia. Era un veicolo nato con lo scopo di fare da tramite tra la
Federazione e i pianeti nei vari sistemi, fiore all’occhiello
dei rapporti
diplomatici.
In
uno scontro a fuoco diretto, soprattutto con un’astronave
delle dimensioni della Otherworld King, era in
netto svantaggio. Erano
riusciti a sfuggire al primo agguato solo grazie a un salto
nell’iperspazio.
Non senza subire danni, però.
Clarky
espirò lentamente, gli occhi fissi sullo spazio
siderale che sfrecciava nella vetrata anteriore.
“Stima
dei danni all’iperguida?”
L’ufficiale
Hyoudo fece ruotare la sedia per incrociare il
suo sguardo. “Il sistema è funzionante,
fortunatamente, ma diversi sistemi
secondari sono andati in sovraccarico.”
“Tra
quanto sarà possibile fare un salto?”
Kenzo
si sistemò gli occhiali, tornò a voltarsi verso
il
computer, e fece scorrere velocemente lo sguardo sulla sequenza di dati.
“Per
un po’ dovremo limitarci ai motori sub-luce. Senza il
sistema di raffreddamento, fare ora un secondo salto rischierebbe di
far
completamente saltare in aria la Sophia.”
Clarky
si posò contro lo schienale, tamburellando le dita
sul bracciolo del sedile.
“Possibilità
di aggiustarlo?”
“Non
senza spegnere prima il computer centrale o forzare un
riavvio, Capitano, ma ci lascerebbe per ore con i soli sistemi
d’emergenza.”
L’allarme
zittì tutte le voci del ponte e ogni membro
dell’equipaggio corse alla propria postazione.
“Tenente
Loché qual è la loro posizione?”
La
donna non staccò gli occhi dal radar. “Presto
saremo nel
raggio delle loro armi.”
Clarky
si raddrizzò sul sedile. “Prepararsi alla
battaglia.
Scudi e armi pronti. Non voglio uno scontro diretto, ma dobbiamo
raggiungere
quel pianeta.”
Un
coro di signorì fu l’unica risposta. Non una
parola fu
pronunciata nei minuti successivi, tutti fin troppo consapevoli di non
poter
sfuggire alla più grande e potente astronave.
“Capitano.”
Clarky
tornò a voltarsi verso Angers, questa volta voltata
verso di lui, la fronte leggermente aggrottata e una mano ancora posata
sulla
tastiera del computer.
“Potrei
avere un’idea.”
Annuì
e la donna si girò verso il computer, proiettando la
mappa del quadrante davanti a lui.
“In
questo momento stiamo per raggiungere gli estremi del
sistema. Attorno ad esso, c’è un fitto anello di
asteroidi. La Sophia ha
una mobilità maggiore.”
“Idea
geniale, Loché!” Clarky le rivolse un sorriso
smagliante. “Se sopravviviamo, permettimi di offrirti una
cena.”
Tutto
l’equipaggio sbuffò esasperato.
“Per
favore, accontentalo non se ne può più di
sentirlo,”
borbottò Kenzo alzando gli occhi al cielo.
“Se
sopravviviamo, potrei pensarci,” replicò Angers
nascondendo un sorriso.
Clarky
alzò le spalle e, tornato serio, si voltò verso i
piloti.
“Rotta
verso la fascia di asteroidi. Vediamo di seminarli.”
La
Otherworld King li raggiunse prima di poter
mettere in atto il loro piano. I suoi cannoni al plasma riversarono sui
già
provati scudi della Sophia una pioggia di colpi che
aveva il solo scopo
di distruggerla.
“Scudi
al 65%!”
“Siamo
entrati nella fascia di asteroidi!”
Clarky
strinse i denti, sforzandosi di mantenere il sangue
freddo e continuando a impartire un ordine dietro l’altro.
Con ogni spia che si
accendeva, ogni sistema che raggiungeva l’area critica
diventava più difficile.
La
Sophia cominciò a sfrecciare tra gli
asteroidi, ma
erano ancora lontani dalla regione più fitta.
“Pensa,
Clarky, pensa.”
Continuava
a ripeterselo sottovoce nella speranza che potesse
accendere una qualche miracolosa idea. Doveva riuscire a trovare un
modo per
guadagnare un po’ di tempo.
“Attivate
il canale di comunicazione con l’Otherworld
King.”
L’ufficiale
addetto alle comunicazione trasalì, esitò, lo
guardò per conferma e solo allora, dopo l’ennesima
esplosione che fece
squassare l’astronave, eseguì l’ordine.
“Comunicazioni
attivate.”
“Scudi
al 42%!”
“Qui
è il Capitano Clarky Ray, della Magnifica Sophia. Parlo
con il comandante della Otherworld King?”
Ci
furono alcuni secondi di silenzio statico, intervallati
dal suono di esplosioni, urti con piccoli asteroide di cui
intercettavano l’orbita
e allarmi che si attivavano dai sistemi più disparati.
“Pronto
ad arrendervi, Capitano?”
La
voce profonda, minacciosa, sembrava godere della
posizione di potere che aveva nei loro confronti. Tutti a bordo della Magnifica
Sophia conoscevano la fama di quell’uomo
dall’identità sconosciuta che si era
posto a capo di un’organizzazione che manipolava e sfruttava
le più piccole
debolezze dei sistemi.
Clarky
sorrise.
“Se
devo essere sincero, volevo chiedervi di interrompere
l’attacco. Sono alquanto affezionato all’astronave.
Mi dispiacerebbe vederla
distrutta.”
“Sono
un uomo ragionevole, Capitano Ray. Consegnateci il
materiale nella vostra stiva e permetteteci di scortarvi lontano dal
sistema in
cui vi state dirigendo, e vi do la mia parola che voi e la vostra
astronave non
verrete ridotti a un rottame fumante.”
Angers
gli fece cenno di proseguire.
Clarky
si piegò in avanti, posando i gomiti sulle ginocchia.
“Offerta
allettante ma, vedete, ho degli ordini. Se mi
volesse offrire un segno delle vostre buone intenzioni, potrei
riflettere
meglio.”
Dalla
Otherworld King rispose solo il silenzio
statico. Ma, pochi istanti dopo, le esplosioni sugli scudi deflettori
si
interruppero.
La
regione centrale della fascia di asteroidi era a un
soffio da loro. Clarky si voltò verso Kenzo.
“Un
salto nell’iperspazio è possibile. Sarò
rischioso, ma
fattibile. Ma non possiamo essere colpiti.”
“Sto
aspettando.”
“Comandante,
le sono grato. Siete veramente un uomo di
parola. Quali sono i vostri termini, dunque?”
“Arrendetevi,
consegnateci il contenuto della vostra
stiva e allontanatevi dal sistema. Accettate entro un minuto o
preparatevi a
venire annientati.”
Clarky
incrociò lo sguardo di Angers. Lei annuì. Nella
vetrata frontale gli asteroidi si fecero sempre più numerosi.
“Siete
generoso, Comandante. Ma, come vi dicevo, ho degli
ordini.” Si voltò verso il pilota.
“Seminiamoli!”
I
cannoni al plasma della Otherworld King ripresero a
colpire ma, grazie allo scudo degli asteroidi, sempre meno colpi
riuscivano a
centrare l’agile e veloce Sophia.
“Motori
a tutta forza. Appena siamo fuori dalla portata di
tiro dei loro cannoni, voglio che venga eseguito il salto
nell’iperspazio più
veloce della vostra vita!”
“Sì,
signore!”
Clarky
strinse le mani sui braccioli, faticando a non venire
sballottato dalle brusche manovre manovre dell’astronave.
Sapeva che
rischiavano, sapeva che i sistemi non avrebbero potuto reggere a lungo.
“L’Otherworld
King è rimasta indietro!”
Un
hurrah spontaneo salì sulle labbra di tutto
l’equipaggio.
Clarky dovette quasi urlare per farsi sentire.
“Salto
nell’iperspazio! ORA!”
Kenzo
attivò uno dopo l’altro i comandi.
“Salto
nell’iperspazio in tre, due, uno!”
Asteroidi,
stelle e nero dello spazio si confusero in un
lunghe strisce luminose.
Clarky
si lasciò andare contro lo schienale. “Situazioni
dei
sistemi?”
“Lo
scudo è quasi al 10%. Molti sistemi secondari hanno
ricevuto un bello stress. Ma dovremmo essere in grado di raggiungere la
meta.”
Quella
volta Clarky si unì al coro di hurrah. Per poi
voltarsi verso Angers.
“Questa
volta, devi assolutamente venire a cena con me!”
Tutto
l’equipaggio alzò gli occhi al cielo.
g
g
g
SPAZIO
AUTRICE:
Secondo
giorno, secondo prompt. Comincio a rimpiangere di non
aver fatto come l’altro anno. Perché non mi sono
accontentata di scrivere delle
drabble? Spero di reggere il ritmo fino alla fine di questa settimana.
Anche
oggi, ovviamente, non ho avuto tempo di rileggere.
Spero davvero tanto di non aver fatto errori mostruosi. Nel caso,
perdonatemi,
ma la tabella di marcia è alquanto pressante.
Dopo
un inizio difficoltoso, anche oggi mi sono divertita un
mondo a scrivere di Clarky e compagnia in questa versione spaziale. Il
collegamento questa volta è meno difficile, Clarky era
già un capitano in Brave,
ma qui diciamo è passato alla fase successiva.
Che
lo show degli AU continui!
Grazie
a quelli che leggeranno e/o recensiranno.
A
domani, HikariMoon
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Capitolo 3 *** Saponi, Dolcetti ed Equivoci ***
Saponi,
Dolcetti ed Equivoci
Fin
da bambine, le sue amiche ripetevano ridacchiando le
parole vergate sulla loro pelle, sognando la persona che un giorno le
avrebbe
pronunciate.
Flora
aveva provato il loro entusiasmo fino al giorno in cui
aveva imparato a leggere. E, da quel momento, aveva capito
perché i suoi
genitori avessero sempre sviato il discorso.
Dopo
che anche le sue amiche, trattenendo a fatiche le
risate, avevano cercato di consolarla assicurandole che avrebbero
potuto non
essere così male, Flora aveva iniziato a nascondere la frase
e a dire a tutti
che era nata senza un’anima gemella.
“Inverti
sale e zucchero! Lo troverei in un battibaleno!”
Aveva
frequentato un corso di
cucina dietro l’altro e, anche quando si ritrovava sporca di
farina dalla testa
ai piedi, si ripeteva che era per un bene superiore. Perché,
era ovvio per lei,
una persona del genere era meglio perderla che trovarla.
Zolder
non aveva paura di nulla, non provava vergogna di
nulla.
Non
era certo per quello che, dal primo momento che aveva
letto le parole sulla sua pelle, era inorridito e le aveva nascoste.
Tutte le
persone che aveva conosciuto avevano frasi brevi, a volte banali, a
volte
stranamente romantiche.
Solo
lui si era ritrovato la tirata di una pazza che
probabilmente sarebbe morta d’asfissia dopo averla
pronunciata.
Si
chiedeva mentre si allenava, quando il suo sguardo si
posava sulla fascia bianca che gli avvolgeva l’avambraccio,
cosa avrebbe mai
potuto dire di così terribile da meritarsi una simile
reazione.
Ma
non se n’era mai fatto un cruccio.
Non
aveva bisogno dell’anima gemella.
Una
palestra, i suoi
allenamenti, le sue gare e avrebbe fatto benissimo a meno di lei per
tutta la
sua vita.
Flora
canticchiava mentre preparava lo stand insieme alle amiche
del suo gruppo. Sulla tovaglia bianca, ognuna delle loro saponette
intagliate
avrebbe fatto un figurone.
La
loro era una piccola passione, ma era sempre pronte a
lavorare sodo quando c’era una raccolta fondi.
E
lei adorava vedere le espressioni stupite degli adulti e
quelle strabiliate dei bambini.
“Le
dividiamo per tipologia, vero?”
Flora
annuì, adagiando una dopo l’altra le piccole
ciambelle. Poi, chiuse gli occhi e annusò i profumi che si
confondevano
nell’aria, assaporando il momento.
“Ma
sono saponette!”
La
voce di una bambina la distolse dai suoi pensieri e, con
un enorme sorriso, si voltò verso i clienti.
“Benvenuti!
Se preferite qualche profumazione, possiamo trovare
quella più adatta a voi!”
La
bambina saltò su e giù indicando i muffin.
“Voglio quello
al cioccolato!”
Dopo
aver ricevuto l’assenso dai genitori, Flora
afferrò la
saponetta e si diresse verso il retro dello stand.
“Adesso
troviamo la busta e avrai subito il tuo muffin!”
Dovette
rovistare qualche istante, ma finalmente trovò i
sacchetti che non era ancora stati tirati fuori. La prossima volta
sarebbero
dovute arrivare prima per evitare di ritrovarsi indietro con la fiera
già
iniziata.
Quando
sbucò fuori, sacchetto in mano, rivolse un nuovo
sorriso alla famiglia. “Eccoci qua!”
Le
sue amiche stavano già parlando con altri clienti che
ammiravano stupiti i loro lavori. Profondamente orgogliosa, Flora
consegnò il
muffin e ricevette il pagamento. Stava ancora salutando la bambina,
quando si
accorse di un altro potenziale cliente che si era avvicinato e fissava
incuriosito la loro esposizione.
Era
un tipo muscoloso, non certo il loro cliente tipo, ma
dopotutto anche gli atleti dovevano pur lavarsi. Si avvicinò
a lui con il suo
miglior sorriso e aprì la bocca per chiedergli a cosa fosse
interessato.
Fu
allora che lui allungò la mano, afferrò una delle
piccole
ciambelle e se la gettò in bocca.
Flora
sgranò gli occhi e gelò, notando appena le
espressioni
altrettanto stupite di clienti e amiche.
Il
tipo masticò un paio di volte per poi sputare la
ciambella spezzettava e ricoperta di saliva per terra.
“Bleah!
Oh, mamma!”
E
sputacchiò ancora un paio di volte. Flora
cominciò a
scuotere la testa, lentamente, afferrandosi convulsamente
l’avambraccio coperto
dal maglione, affondando quasi le unghie nelle pelle. Se avesse potuto,
se la
sarebbe strappata la pelle.
Il
tipo si volò verso di lei, strofinandosi un braccio sulla
bocca, riuscendo a essere sorpreso che le saponette
non fossero di suo
gusto. “Che schifo!”
Flora
era certa di sentire le parole incise sulla sue pelle
bruciare. Che cosa aveva fatto di male?
Forse
sarebbe stato meglio che lei avesse davvero scambiato
zucchero e sale.
Il
tipo la guardò stralunato, come se, in quella situazione,
fosse lei la strana.
“Razza
di buzzurro!” Flora inveì
verso di lui, puntandogli un dito contro. “Ma mangi qualsiasi
cosa ti capiti a
tiro? Lo sai distinguere un fiore da una foglia di insalata?”
Quella
giornata, per Zolder, era iniziata male. Non poteva
essere altrimenti, o la palestra non sarebbe stata chiusa a causa di un
allagamento.
Con
tanto tempo da occupare, aveva vagato per le strade fino
a quando era stato attratto dai cartelloni della fiera. Fiera voleva
dire cibo
e non ci aveva pensato due volte. Il cibo avrebbe sicuramente
migliorato quella
giornata.
Ma
si era sbagliato, eccome se si era sbagliato. Quella
mattina non sarebbe neppure dovuto uscire dal letto.
La
fiera si era dimostrata carina, ma niente aveva attirato
la sua attenzione e gli stand del cibo scarseggiavano. Poi aveva
sentito una
bambina parlare di muffin. Si era avvicinato e, finalmente, aveva
creduto che
le cose stessero andando nel verso giusto.
Aveva
fame, era da ore che non mangiava, e aveva afferrato il
primo dolcetto sotto ai suoi occhi. Non era molto elegante, ma avrebbe
pagato
la commessa e, se gli fossero piaciute, ne avrebbe anche comprati altri.
Ma
la ciambella non era una ciambella.
Era
sapone.
Dannatissimo,
schifoso, sapone.
Sputò
la poltiglia impiastricciata contro i suoi denti.
Chi
era la persona sana di mente che illudeva le persone in
quel modo! O sapone o cibo.
“Bleah!
Oh, mamma! Che schifo!”
La
commessa dai capelli rosa lo guardò come se fosse un
mostro e gli puntò un dito contro. Tutto, davvero tutto si
era aspettato, ma
non la pazza in grado di strillare senza prendere fiato. Solo allora si
rese
conto che la pazza aveva stretto le proprie dito su uno dei suoi
avambracci.
“Razza
di buzzurro! Ma mangi qualsiasi cosa ti capiti a
tiro? Lo sai distinguere un fiore da una foglia di insalata?”
Il
più assurdo marchio dell’anima gemella della
storia quasi
bruciò la sua pelle. Zolder arretrò, sbattendo le
palpebre, non riuscendo a
trattenere la smorfia inorridita sul suo volto.
“Ma
che razza di frase è la tua!”
Zolder
si strappò la fascia dal braccio e le sventolò
l’avambraccio davanti alla faccia rossa dalla rabbia, le
parole che occupavano
quasi tutto lo spazio dal gomito al polso.
“Ti
rendi conto che ho dovuto vivere per tutta la vita con
questa porcheria?”
Lei
inspirò, borbottando indignata, e alzò in fretta
e furia
la propria manica. Ormai, non solo le sue amiche, ma anche i clienti e
altri
passanti osservavano allibiti la loro scenata.
“Perché
la tua frase pensi sia migliore! Bleah, oh mamma,
che schifo! Lo sai che se tu sapessi leggere saresti stato in
grado di
tirare fuori qualcosa di meglio!”
E
puntò il dito contro il cartellone del loro stand. Saponi
intagliati.
“Beh,
avevo fame,” si difese Zolder senza troppo successo.
“Non ho fatto caso.”
Flora
afferrò un muffin colorato, verde e bianco, e glielo
lanciò contro. Abbassò la testa per riuscire a
evitarlo.
“Non
farti rivedere mai più!”
Zolder
alzò le mani in alto,
sbuffando e facendo retro-front. “Contaci!”
Flora
riuscì a trattenere le lacrime per tutta la giornata.
Ma, quella sera, quando si ritrovò a impacchettare i saponi
non venduti, non
riuscì a non piangere.
Imbustava
i saponi, tirava su con il naso e si strofinava
gli occhi.
Perché
la sua anima gemella doveva essere quel buzzurro?
Aveva
sempre creduto di essersene fatta una ragione tanti
anni prima, ma evidentemente una parte di lei aveva davvero sperato che
potesse
non essere così male.
“Scusa?
Sei ancora qui?”
Flora
irrigidì, inspirò ed espirò. Poi,
ruotò e marciò verso
il tavolo ormai vuoto, pronta a dirgliene quattro. Il tipo davanti a
lei stava
tenendo un braccio dietro la schiena e si dondolava con evidente
imbarazzo.
“Cos-”
“Tieni.”
E
quasi le sbatté in faccia una rosa bianca. Flora
sbatté le
palpebre, aprendo e chiudendo la bocca senza saper cosa dire.
“Ci
ho ripensato, ed effettivamente sarei dovuto stare un
po’ più attento. Però siete brave, non
avrei mai saputo dire la differenza.
Quindi, tieni.”
Flora
allungò le dita e afferrò il fiore, inghiottendo
un
groppo in gola. “Grazie.”
Rimasero
immobili per più di qualche minuto, poi lui spinse
la mano in avanti.
“Io
sono Zolder.”
“Flora.”
E
gliela strinse dopo un attimo di esitazione.
“Ti
va di andare a mangiare qualcosa?”
Flora
scoppiò a ridere e portò una mano davanti alla
bocca.
“Sicuro di non preferire una saponetta? Ce ne sono rimaste
diverse.”
Zolder
le rivolse una smorfia. “Spiritosa. Ti va o no?”
Flora
tornò a voltarsi verso gli scatoloni, la rosa stretta
tra le dita. “Ok, ma devo prima finire di
sistemare.”
Forse,
non sarebbe stato così male.
g
g
g
SPAZIO
AUTRICE:
Terzo
giorno e anche il terzo AU è completato! Oggi credevo
davvero di non riuscire a
scrivere nulla. Continuavo a fissare il foglio bianco senza la minima
idea,
anche se sapevo di voler scrivere di Flora e Zolder. Che volete, sono
il mio
duo comico preferito e avevo già deciso di non voler fare un
SoulmateAU troppo
sdolcinato. Non sapete che sollievo quando l’ispirazione
è arrivata!
Anche
oggi, ho letteralmente finito di scrivere e aggiornato, quindi chiedo
il solito
perdono per possibili errori.
Spero
che
questa versione di Zolder e Flora via abbia divertito come mi sono
divertita io
a scriverne.
Mi
sto
divertendo da pazza con questi AU!
Grazie
a
quelli che leggeranno e/o recensiranno.
A
domani,
HikariMoon
|
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Capitolo 4 *** Gala, Blog e Vigilanti ***
Gala,
blog
e vigilanti
“...
sono attese diverse figure di spicco nel panorama
artistico e sociale. L’annuale gala sponsorizzato dalla
Shinomiya Innovations
quest’anno raccoglierà i fondi per gli aiuti alle
popolazioni coinvolte…”
Mai
sbuffò e voltò la pagina della rivista appoggiata
contro
il divano, approfittando per bere un sorso del suo frullato.
“Non
sanno parlare d’altro in questo periodo. Serjou, metti
un po’ di musica.”
“Subito,
madame.”
L’abitacolo
della limousine si riempì delle note allegre e
vivaci dell’ultima canzone che aveva appassionato Mai. La
giovane donna sospirò
di sollievo, si tolse le scarpe e allungò le gambe sul
sedile.
“Finalmente.
Quello che ci voleva.”
Sfogliò
ancora un paio di pagine del giornale per poi
roteare gli occhi e lanciarlo sul sedile opposto, su una già
piuttosto precaria
pila di riviste.
“Sai
quanti articoli speculano su quale vestito indosserò
questa sera?”
Serjou
fece fermare l’automobile al semaforo, abbozzando un
piccolo sorriso. “No, madame.”
“Tutti.”
Mai
sciolse i capelli stretti fino a quel momento in uno
chignon e lasciò vagare lo sguardo fuori dal finestrino. La
concorrenza era sul
piede di guerra, più del solito, e ogni consiglio
d’amministrazione diventava
una battaglia di numeri e opinioni.
“Da
quello che ho sentito, l’ultima apparizione di Violet
Shadow ha attirato molta dell’attenzione dei media.”
Mai
ghignò, intrecciando una ciocca attorno al dito.
“È stato
interessante leggere le loro ipotesi, più divertente del
solito. Più del vedere
il mio toto vestito. Violet Shadow è un vampiro
è diventato il nuovo
trend sui social.”
Il
cancello di casa sua apparve dopo aver svoltato. Dopo il
breve vialetto attraverso il giardino, Serjou fece fermare la limousine
davanti
al portone d’entrata. Mai tornò a infilarsi ai
piedi le scarpe, afferrò la
propria ventiquattr’ore e spalancò la portiera.
“Il
gala inizia alle 21:30.”
“L’automobile
sarà qui ad aspettarvi alle 20:50 in punto.”
Mai
rivolse a Serjou un enorme sorriso e scese
dall’automobile. Non appena entrò
nell’atrio, tolse di nuovo le scarpe e
proseguì a piedi scalzi. Raggiunto il salone,
lanciò la borsa sul divano e
iniziò a togliersi gli orecchini.
“Plym,
sono a casa.”
Nessuno
le rispose.
La
donna alzò gli occhi al cielo e proseguì oltre.
Passò in
cucina, dove afferrò una mela, percorse il corridoio fino
alla porta che
conduceva al seminterrato: il mondo di Plym.
Già
con la porta chiusa era possibile sentire uno strano
ronzio, misto a tonfi di vario tipo e clangore di oggetti meccanici
salire dal
piano inferiore. Mai aprì la porta e, cominciando a mangiare
la mela, scese la
rampa di scale.
Il
seminterrato era illuminato a giorno, riempito
all’inverosimile di apparecchiature, parti meccaniche ed
elettroniche di cui
Mai, in tutta sincerità, aveva perso il conto. Si
posò contro il parapetto e
sorrise nel vedere la ragazza armeggiare con uno dei suoi robot, mani e
viso
sporchi di grasso.
“Passato
un bel pomeriggio Plym?”
La
ragazza trasalì, per poi voltarsi con un sorriso.
“Mai!
Non ti avevo sentito tornare. Stavo finendo di fare i compiti, quando
mi è
venuto in mente la possibile soluzione del problema di ieri. E indovina
un
po’?”
Mai
le fece cenno di proseguire.
“Mecha
fantastico! Tutto sta funzionando secondo i piani.”
“Meglio
così,” concordò Mai guardandola con
affetto. Poi
tornò a rizzarsi e gettò il torsolo in un
cestino. “Questa sera farò tardi,
cerca di non essere ancora qui quando tornerò dal
gala.”
Plym
ghignò, afferrando un cacciavite. “Farò
il possibile. E
sappi che non ti invidio neppure un po’.”
Mai
scosse la testa e tornò a risalire le scale.
“Qualunque
cosa, io adesso vado
a farmi un bagno. Speriamo sia una serata tranquilla.”
Il
bagno era stato favoloso, riuscendo a rilassarla e a
eliminare ogni traccia dello stress accumulato durante la giornata. La
serata
sarebbe stata perfetta, non ci fosse stato il gala, ma era pronta a
soffrire un
po’ per una buona causa.
“Cosa
ne pensi Serjou? Nero è sempre elegante, ma mi sembra
un po’ banale. Il 75% dei sondaggi supponeva che avrei scelto
questo colore.”
Serjou
superò il letto, su cui Mai era seduta a gambe
accavallate in mezzo a una dozzina di vestiti buttati sopra alle
coperte, e
affiancò l’armadio. Dopo un qualche istante,
tirò fuori un vestito.
“Posso
suggerire questo color crema? I ricami viola e neri
non sono eccessivi e ricordo eravate entusiasta quando lo avete
provato.”
Mai
sollevò lo sguardo dai vestiti davanti a lei e la
smorfia di disappunto si trasformò in un luminoso sorriso.
“Sei
un genio! Come farei senza di te?”
“Credo
sapreste cavarvela egregiamente.”
La
donna saltò giù dal letto, afferrò il
vestito e provò a
vedere l’effetto davanti allo specchio.
“Perfetto.
Insieme potrei mettere-”
“Non
vorrei disturbare, ma ci sarebbe un problemino.”
La
voce estremamente dispiaciuta di Plym venne diffusa
dall’altoparlante. Mai alzò gli occhi al cielo e
tornò a passare il vestito a
Serjou, per poi posare le mani sui fianchi.
“Che
succede?”
“Il
Golden Lion è hai Laboratori von Bergen.”
Mai
sollevò il polso. “Sono le 19:45. Meno di
un’ora. O
quasi una e mezza se ti raggiungo a metà strada. Spero che
oggi non abbia
preparato un monologo troppo lungo.”
Serjou
annuì, stendendo l’abito sul braccio, mentre la
donna
si stava già avviando verso la porta della camera.
“Preparo
tutto l’occorrente nella limousine? Ha qualche
preferenza per le scarpe?”
Mai
tornò a sporgersi, i capelli
che scivolarono sulla sua spalla. “Mi fido di te. Violet
Shadow deve entrare in
azione.”
Plym,
abbandonati i suoi progetti, si era seduta al computer
di ultima generazione di cui Mai aveva dotato lo spazio del loro
piccolo hobby,
una stanza segreta sotto il seminterrato piena di tutti i gadget di cui
aveva
dotato Violet Shadow negli ultimi anni.
“Io
sono pronta. Pome è pronto?”
Plym
roteò sulla sedia facendole il segno di ok con un
enorme sorriso. Mai aveva già indosso la sua uniforme, una
tuta rinforzata in
kevlar e titanio che sfumava dal nero al viola, ed era già
seduta sulla sua
moto. La motorviole come lei si divertiva a
chiamarla.
“Sarà
in posizione come al solito.”
Il
piccolo drone emise un bip dal tavolo su cui era posato.
“Ottimo.
Dopotutto, l’immagine di Violet Shadow deve essere
curata. E sai come finirebbe con i giornalisti…”
Plym
scoppiò a ridere e tornò a voltarsi verso il
computer,
sul cui schermo era già visualizzata la mappa della
città, afferrando le cuffie
e attivando il microfono.
“Buona
fortuna Violet Shadow!”
Il
rombo della moto fu la sua
unica risposta.
Violet
Shadow, mimetizzata tra le ombre, raggiunse il limitare
dei laboratori von Bergen. Verificato che nessuno potesse vederla,
prese una
ricorsa e piroettò oltre il muro che cingeva la
proprietà. Atterrò dall’altra
parte senza emettere un suono e si proseguì dopo aver fatto
un occhiolino verso
Pome.
Arrivò
a una porta secondaria. La serratura era collegata a
un codice numerico. Prese dalla cintura una pendrive e, dopo aver
forzato la
copertura, la collegò a esso. Un attimo dopo, sul suo
schermo apparve la
combinazione e la porta si aprì.
Si
intrufolò senza fare rumore, chiudendosi la porta alle
spalle. L’interno era scuro, appena rischiarato dalle piccole
luci d’emergenza.
Shadow attivò i visori notturni.
“Dove
si trovano?”
“Sono
nel laboratorio centrale. Golden Lion è insieme a sei
uomini. Altri due sono alla porta d’entrata e due sono sul
tetto. Hanno già
manomesso le telecamere, quindi meno lavoro per me.”
“Inviami
la mappa dell’edificio. Attenta che Pome non venga
visto.”
“Mappa
inviata.”
La
guardò appena, gettò uno sguardo
all’orologio e si spinse
avanti. Erano già le 20:15, doveva fare in fretta.
Il
tragitto fu veloce e privo d’intoppi. Arrivata
all’angolo
dietro cui c’era il corridoio con la porta del laboratorio,
si sporse appena e
vide i due uomini armati.
Shadow
afferrò due dischi taser dalla cintura. Si lanciò
fuori dal nascondiglio e gli lanciò contro i due avversari.
I due uomini non
fecero in tempo a emettere un suono prima di venire messi k.o. dalla
scarica
elettrica che attraversò il loro corpo.
Li
superò senza dar loro bada, sarebbero rimasti nel mondo
dei sogni fino all’arrivo della polizia, ed entrò
nel laboratorio gettando una
bomba fumogena.
“Violet
Shadow!”
Lion
quasi ringhiò il suo nome e tutti i suoi uomini
alzarono le armi, senza però riuscire a prendere la mira.
“Fatti
vedere. Questa volta non riuscirai a fermarmi.”
Shadow
ghignò da dietro il banco dove si era nascosta.
“Credevo ti fosse chiaro, caro Lion.”
Si
alzò in piedi e, usando il bancone come appoggio, si
gettò oltre ad esso. Schivò i primi colpi e,
arrivata vicino al primo, lo stese
con un calcio rotante.
“Sono
io la protagonista di questo show.”
Con
rapidi e precisi gesti, muovendosi prima che potessero
fermarla, Shadow affrontò uno dopo l’altro i
cinque uomini ancora in piedi.
Sfruttando soprattutto la potenza dei suoi calci e
l’agilità dei suoi salti, li
disarmava per poi parare i loro pugni. Ma lei si era addestrata per
anni nelle
arti marziali: non avevano chance contro di lei.
Stese
l’uomo con un disco taser e si voltò pronta a
combattere verso il Golden Lion.
“E
la protagonista vince sempre.”
L’uomo
gridò, un grido di battaglia che davvero sembrava il
ruggito di un leone, e si gettò contro di lei. Shadow
iniziò a schivare i
pesanti colpi dell’avversario, conscia che i suoi punti di
forza erano la
maggior mobilità e agilità rispetto al
più grosso uomo.
Il
loro scontro rovesciò e danneggiò la maggior
parte del
materiale presente nel laboratorio. Fortunatamente, le celle
frigorifere dove
erano contenuti gli agenti pericolosi, tra cui quello che Lion aveva
cercato di
rubare, rimasero intatti.
Shadow
continuò a punzecchiarlo, schivando e parando ogni
suo colpo, aspettando che la furia avesse la meglio. E, anche quella
volta,
tutto andò come si aspettava. I criminali non erano le sole
persone i cui ego
si divertiva a sgonfiare.
Appena
vide un varco afferrò un taser dalla cintura e lo
premette contro il suo collo. Lion emise un grido di rabbia cieca e di
dolore,
afferrandosi il collo e vacillando. Shadow ghignò e lo stese
con un calcio
rotante.
Lion
cadde a terra con un tonfo, lei non esitò e lo
legò
agganciandolo a uno dei banconi.
Per
scrupolo, si avvicinò e controllò che
effettivamente non
fosse riuscito a prendere l’agente chimico che cercava.
Soddisfatta, Shadow si
rimise in piedi e si guardò attorno.
“Le
riprese sono venute fantastiche, Shadow!”
Pome
volteggiò attorno a lei, facendo un’ulteriore
ripresa
degli uomini stesi e di Golden Lion, che stava già
riprendendo coscienza.
Appuntandosi di tarare meglio il voltaggio dei taser, lo raggiunse e
gli tappo
la bocca con un pezzo di nastro adesivo. L’uomo le
lanciò uno sguardo cocente
di rabbia.
Shadow
gli fece un cenno di saluto e uscì, correndo lungo i
corridoi verso la porta da cui era entrata.
“Perfetto.
Mi affido a te per scegliere il meglio per il
nuovo post di Parole Violette. E prepara anche
qualche foto se nel caso
ti assillassero i giornali. E controlla che tutti i firmware e i
sistemi di
criptazione siano attivi. E che-”
“Tranquilla,
lo so come si fa. Me lo hai insegnato tu.
Nessuno riuscirai mai a risalire a noi dal blog di Violet Shadow. Ora
vai, la
polizia è già avvisata e Serjou sta venendo a
prenderti a un paio d’isolati da
lì.”
Shadow
rise tornando a immergersi nell’aria della notte. Era
un rischio, ma era anche una motivazione in più, che
aggiungeva quel brivido di
adrenalina. Dopotutto, nessun eroe aveva mai avuto il coraggio di
gestire la
propria pagina web.
Plym
aveva ragione. Fino a quel
momento, nessuno aveva mai neppure pensato di collegare la vigilante
Shadow
Violet alla CEO e filantropa Shinomiya Mai.
“Quanto
sono in ritardo?” furono le sue prime parole quando
si fiondò dentro la limousine, che mise in moto prima ancora
che lei avesse
chiuso la porta.
“Se
la mia stima risultasse corretta, dovremmo arrivare con
appena quindici minuti di ritardo. Se premette, un ritardo
più che consono per
un’entrata a effetto.”
Mai
ghignò verso il vetro oscurato, anche se Serjou non
poteva vederla, e cominciò a togliersi l’armatura.
I successivi venti minuti
furono una corsa contro al tempo per riuscire a vestirsi, acconciarsi e
truccarsi come se in realtà avesse impiegato più
del triplo del tempo.
Ma,
negli anni, aveva avuto più
d’un’occasione per allenarsi
e ormai le veniva quasi naturale.
Finì
di mettersi il rossetto nell’esatto istante in cui
Serjou fermò l’automobile davanti al tappeto rosso.
Mai
si diede un’ultima controllata, afferrò la
borsetta e
lisciò il vestito.
“Augurami
buona fortuna.”
“Buona
fortuna, Lady Viole.”
Mai
sorrise determinata e posò la mano sulla maniglia.
“Che
lo show abbia inizio.”
E
scese dall’automobile.
a
a
a
SPAZIO
AUTRICE:
Rieccomi
qua! Eh, sì, niente quarto giorno. Purtroppo, ieri ho avuto
davvero poca poca
ispirazione e, piuttosto di buttare giù una schifezza, ho
preferito saltare il
giorno. Oggi però non ho avuto problemi anche
perché questa era una delle prime
idee che mi sono venute pensando ai prompt.
Ho adorato
scrivere di Mai in versione supereroe, con Parole Violette
trasformato
nel blog gestito dalla stessa Mai per presentare una buona immagine del
suo
alter ego e con Plym e Serjou come suoi perfetti compagni di squadra.
So che i
combattimenti sono molto affrettati, ma il tempo è poco e
non avevo davvero
voglia di scrivere qualcosa di super dettagliato. Spero che perdonerete
l’estrema vaghezza. Ma, dopotutto, per scrivere in
così poco tempo in questi
giorni mi sono dovuta appoggiare a cliché e a prendere
ispirazione da materiale
esistente.
Solo due
giorni alla fine della Week!
Grazie a
quelli che leggeranno e/o recensiranno.
A domani,
HikariMoon
|
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Capitolo 5 *** Curry, Tavoli e Rivalità ***
Curry,
tavoli e rivalità
Il Gurii’s
Bistro era il punto di ritrovo per i molti
studenti dell’università vicina o gli impiegati
dei vicini uffici. Il luogo era
piccolo e confortevole, i gestori gioviali e rumorosi erano una
famiglia che
gestiva il locale da tre generazioni.
Dan ci era arrivato per
caso, mentre si dirigeva verso la
fermata della metropolitana, dopo essere passato in
università per informarsi
sui corsi che offriva.
Il locale, quel
pomeriggio, era ancora pressoché deserto. Ai
tavoli c’erano solo un paio di studenti, impegnati su libri o
computer. Dan si
infilò in uno dei tavoli contro la finestra e si mise a
sfogliare i dépliant dell’università.
“Vuoi ordinare
qualcosa?”
Dan si voltò
senza vedere nessuno. Sbatté gli occhi e si
guardò in giro.
“Qui
sotto,” aggiunse timidamente la stessa voce.
Solo allora Dan si accorse
che a parlare era un bambino che
arrivava appena all’altezza del tavolo, con folti capelli
marroni e un enorme
sorriso.
“Non sei un
po’ piccolo per fare il cameriere?”
Il bambino
gonfiò le guance e puntò i pugni sui fianchi.
“Ho
già quasi sei anni. Nella mia famiglia cresciamo tutti
dopo!”
Dan alzò le
mani davanti a sé, arretrando un po’ sul
divanetto.
“Scusa, non
volevo fare insinuazioni. Ma non dovrebbe
esserci qualcun altro a servire ai tavoli?”
Il bambino
saltò sul divanetto di fronte al suo, sospirando.
“Nonbirii
è di là in cucina. Di solito
c’è anche mamma a
quest’ora, ma è dovuta andare a casa
perché i gemelli piccoli stavano male. E
papà doveva andare a prendere mio fratello e mia sorella.
Volevo rendermi
utile. Io mi chiamo Zungurii!”
E gli rivolse un altro
enorme sorriso.
Dan aggrottò la
fronte e sbatté le palpebre un paio di
volte. “Ma quanti siete?”
Zungurii
abbassò lo sguardo, sollevando la mano davanti a
sé. “Donburii,
Nonborii, Yukurii…”
Continuò a
sciorinare un nome dopo l’altro, sollevando per
ognuno un dito.
Dan si sporse in avanti e
spalancò gli occhi. “Ma quanti
siete?”
“Venti?”
“Zungurii,
quante volte ti ho detto di non disturbare i
clienti?”
I due si voltarono verso
il nuovo arrivato, un ragazzo alto
e corpulento con tratti sorprendentemente simili a Zungurii.
“Non stavo
disturbando! Volevo prendere il suo ordine!”
“Va tutto
bene” si intromise Dan con tono allegro. “Stavamo
facendo amicizia.”
Nonbirii non
sembrò del tutto convinto, ma si limitò a
scuotere la testa. “Cosa posso portarti?”
“Ordina il
nostro riso al curry!”
Dan tornò a
guardare verso Zungurii, che si era sporto in
avanti. “È il piatto della casa!”
Guardò
l’ora e mandò con la mente un breve pensiero di
scuse
a sua madre. Quella sera a cena non sarebbe stata contenta.
“Va
bene!”
“Non te ne
pentirai! Uh, com’è che ti chiami?”
Dan
scoppiò a ridere, mentre Nonbirii
si allontanava, e porse la mano. “Dan. Mi chiamo
Dan.”
Dan aveva scoperto per
caso il Gurii’s Bistro ma,
pian piano, si era sempre più affezionato al piccolo
Zungurii. E tornò così
tante volte in quel posto, dove a suo dire facevano un riso al curry
buono quanto
quello di sua madre, che finì per essere assunto come
cameriere.
La prima volta era
successo per caso, un altro pomeriggio in
cui impegni improvvisi avevano tenuto lontano i membri della famiglia
Gurii.
Ma, poi c’era stata una seconda e una terza. Dopo la quarta
volta, Nonbirii gli
aveva offerto un posto part-time come cameriere. E Dan aveva accettato.
Tutto andò bene
nei primi tempi: Dan si divertiva a
chiacchierare e servire le persone, sempre con un sorriso e una battuta
pronta.
Ogni volta che c’era un momento di pausa, aiutava Zungurii
con i compiti o
giocavano insieme ai videogame.
Le
cose cambiarono quando, un
paio di mesi dopo, la famiglia Gurii decise di assumere un secondo
cameriere.
“Sono
arrivato!”
Dan spalancò la
porta e, come ogni pomeriggio, entrò nel
caldo e famigliare interno del bistro. Ormai, lo conosceva come le sue
tasche e
li considerava un po’ parte della sua famiglia.
Quel pomeriggio,
però, c’era qualcosa di diverso.
Di solito, quando
arrivava, molti dei tavoli dovevano ancora
essere puliti, con piatti da sparecchiare e tovaglie da cambiare. Quel
giorno,
invece, tutti i tavoli erano tirati a lucido e i cuscini sui divani
posizionati
alla perfezione.
Dan si avvicinò
al tavolo dove era seduto Zungurii, chinò su
un quaderno, e lo colpì su una spalla lasciando cadere la
borsa accanto a lui.
“Ma che
è successo qui? Non sono in ritardo vero?”
Zungurii scosse la testa e
gli rivolse un sorriso incerto.
“Più puntuale del solito, ma non è
colpa tua. Mamma e papà hanno assunto un
nuovo cameriere.”
“Tu devi essere
Bashin Dan.”
Dan ruotò e
vide a due passi da lui un ragazzo dai capelli
biondi stretti in una coda, una mano posata sul fianco. Il ragazzo lo
guardò
dall’alto in basso, con uno sguardo di sufficienza, quasi lo
stesse squadrando.
“Visto che non
arrivavi, mi sono permesso di
occuparmi di tutti i tavoli. Spero non sia un problema.”
“Nessun
problema,” disse Dan porgendo la mano e cercando di
mostrarsi amichevole. “Ora siamo una squadra!”
Il ragazzo si
limitò ad annuire, girare sui tacchi e
dirigersi verso una coppia di clienti appena entrata nel locale.
Dan rimase imbambolato a
fissarlo, la mano ancora tesa. Poi,
lanciò uno sguardo a Zungurii.
“Ma che ho
detto?”
Zungurii
alzò le spalle. “Si
chiama Chiarodiluna Barone. Credo sia uno studente di scienze
politiche.”
Magisa era una cliente
abitudinaria del Gurii’s Bistro,
che sceglieva sempre per il buon cibo, i prezzi modici e
l’ambiente famigliare.
Da un paio di settimane, però, c’era un motivo in
più per cui visitava il
locale.
“Il solito
Nonbirii!”
Era diventata una routine.
Magisa entrava, si sedeva al
bancone e Nonbirii le serviva una fetta di torta al cioccolato e il suo
solito
cocktail all’arancia. E si sistemava per assistere allo
spettacolo.
“Fra quanto
pensi che arriveranno?”
Nonbirii guardò
appena l’orologio appeso al muro e,
sospirando, continuò ad asciugare i bicchieri.
“Presto.”
La porta si
spalancò con forza, ribalzando contro al muro.
Dan si appoggiò un attimo allo stipite, l’altra
mano posata sulle ginocchia
piegate. Prese un respiro e si rimise in piedi rivolgendo loro un
enorme
sorriso.
“Primo!”
Magisa mise in bocca un
pezzetto di torta ridacchiando.
“Bravissimo
Dan!” esultò Zungurii, saltando giù dal
solito
tavolo e correndogli incontro.
“Glielo fatta
vedere a Barone oggi! Dov’è mister
puntualità?”
“Proprio dietro
di te.”
Dan fece un balzo in
avanti, quasi ribaltando Zungurii che
arretrò goffamente, e si voltò ritrovandosi un
impassibile Barone a un passo da
lui.
“Se ti metti a
perdere tempo sulla porta, come pensi che i
clienti possano entrare?”
Dan aprì la
bocca per ribattere, ma Barone lo ignorò, entrando
dentro il locale e dirigendosi dietro al bancone.
“Ma chi si crede
di essere?” borbottò correndogli dietro
dopo aver lanciato il proprio zaino a Zungurii.
Pochi minuti dopo,
entrambi erano già nella sala, senza
quasi guardarsi mentre pulivano un tavolo dietro l’altro.
Magisa scolò l’ultimo
sorso del bicchiere e lo porse, senza staccare gli occhi dai due, a
Nonbirii
che, come al solito, tornò a riempirglielo. Da un angolo
della sala, Zungurii
faceva il tifo per Dan.
Entrambi i due ragazzi
pulivano i tavoli a tempo da record,
con la maggior foga da parte di Dan e con i precisi e mirati movimenti
di
Barone.
“Laggiù
c’è ancora una macchia!”
“Magisa, ti
prego, non istigarli. Ci pensano da soli.” Nonbirii
la supplicò porgendo il bicchiere di nuovo pieno. Magisa lo
afferrò alzando le
spalle.
“Dove sarebbe il
divertimento altrimenti?”
Barone e Dan,
quest’ultimo quasi inciampando su una sedia,
si fiondarono al tavolo indicato dalla donna.
“Cercati un
altro tavolo, Bashin. Sono arrivato prima io.”
“Bugiardo! Ho
posato la mano ben prima di te!”
Barone ghignò.
“Può
essere, ma io non ho lasciato il mio straccio
sull’altro tavolo.”
Dan si guardò
le mani, per poi voltarsi verso il tavolo che
aveva appena lasciato. Lo straccio sembrava deriderlo dalla superficie
lucida
su cui era posato.
“Siete sicuri di
cavarvela da soli?”
Dan annuì e
allargò le braccia, indicando tutto il locale,
con entusiasmo. “Non ti preoccupare, Nonbirii. Il Gurii’s
Bistro non
potrebbe essere in mani migliori!”
Nonbirii
ridacchiò nervosamente, continuando a lanciare
occhiate preoccupate ai due anche quando aiutò Zungurii a
indossare il capotto.
“Cercherò
di portarti una fetta di torta, Dan!”
Dan si chinò in
avanti e gli arruffò i capelli. “Divertiti e
fai gli auguri a Yukurii!”
“Contaci!”
Una volta che i due Gurii
uscirono dalla porta, Dan
controllò che il cartello con scritto aperto
fosse appeso e si diresse
verso Barone.
“Come vuoi
che-”
“Io servo i
tavoli, tu resta dietro il bancone.”
E il ragazzo lo
superò dirigendosi verso l’armadio delle
tovaglie. Dan sospirò e andò ad aprire la cassa.
Man mano i clienti
riempirono il locale e i due riuscirono a
gestire tutto senza troppi problemi, anche se Dan confuse un paio di
bevande e
Barone sembrò sul punto di graffiare la faccia di un paio di
clienti che
avevano deciso di dover criticare anche la posizione dei chicchi di
riso nel
piatto.
L’autocontrollo
di Barone, però, ricevette il colpo di grazia
quando un gruppo di bambini accompagnati da un paio di genitori
arrivò per
festeggiare un compleanno. Barone si avvicinò con un sorriso
tirato, lanciando
occhiatacce a ogni bambino che faceva volare un tovagliolo dal tavolo.
“Cosa vi posso
portare?”
I bambini cominciarono a
urlare uno sopra all’altro,
nonostante i due genitori che cercavano invano di far loro abbassare la
voce.
Alcuni clienti dei tavoli vicini cominciarono a guardarsi attorno,
infastiditi.
Barone riprovò un paio di volte a segnare gli ordini, che
puntualmente doveva
cambiare perché cambiavano idea non appena un altro dei
bambini gridava quello
che voleva mangiare. Quando l’ennesima forchetta cadde per
terra, Barone si
chinò fulmineo ad afferrarla.
“Torno
subito,” sibilò allontanandosi per recuperarne una
nuova.
Dan si rese conto che
l’altro stava raggiungendo il punto di
rottura. Posò il bicchiere che aveva appena lavato,
afferrò una forchetta
pulita e corse incontro a Barone.
“Me ne occupo
io. Tu vai al bancone. Tanto sei comunque più
veloce di me come barista.”
Dan lo spinse avanti e si
diresse con un sorriso verso il
tavolo di bambini urlanti. Una battuta e una scenetta buffa dopo, Dan
riuscì a
conquistarli tutti e, trasformando tutto in un gioco, riuscì
a prendere le
ordinazioni.
“Visto, tutto
sotto controllo!” esclamò entrando in cucina.
Barone scosse la testa e
iniziò a preparare le bevande.
Il resto della serata
passò senza intoppi, grazie al modo
con cui Dan riusciva a vincere i clienti e alla precisione e
velocità con cui
Barone serviva al banco e faceva funzionare la cassa.
Nonostante questo, quando
l’ultimo cliente uscì e venne
appeso sulla porta il cartello di chiuso, Dan
tirò un sospiro di
sollievo.
“Wow, non
pensavo che sarebbe stato così pesante. Ma abbiamo
fatto un buon lavoro, che dici?”
Barone lo
affiancò porgendoli una bottiglia ghiacciata
appena tirata fuori dal frigo. Dan la afferrò con un sorriso.
I due si sedettero al
bancone, bevendo in silenzio e
osservando i tavoli ancora tutti da pulire. Dan posò la
bottiglia sul tavolo e
si voltò verso Barone.
“È un
po’ che me lo chiedevo, com’è che sei
arrivato a
lavorare qui?”
Barone smise di bere e
lanciò uno sguardo diffidente verso
di lui.
“Perché
questa domanda?”
Dan alzò le
spalle e agitò le mani per poi tornare ad
afferrare la propria bottiglia.
“Così,
non mi sembri proprio il genere di persona che ha
bisogno di soldi per pagarsi la retta. Sei così,
così-” Dan si grattò la testa,
sforandosi di trovare un termine che non suonasse offensivo. Barone lo
fissò
con un sopracciglio alzato. “Raffinato?”
Barone distolse lo
sguardo, voltandosi verso i vetri su cui
si vedevano i loro riflessi. Per alcuni istanti, i soli rumori furono
il
ticchettio dell’orologio e le automobili sulla strada.
“Hai ragione,
non mi serve.”
Barone bevette un altro
sorso.
“La mia famiglia
è ricca e non ho mai dovuto fare sacrifici
per ottenere nulla. Ma…”
“Ma?”
“Ma sentivo di
voler sapere, di voler capire.” Barone si
alzò, lasciando la bottiglia sul tavolo e rivolgendo le
spalle a Dan. “Voglio
entrare in politica e voglio farlo per aiutare le persone, per fare in
modo che
tutti ottengano lo stesso trattamento, soprattutto i più
deboli. Ma come posso
farlo, se non so niente di come sia davvero la loro vita?”
Tornò a
voltarsi verso Dan, che ricambiò l’intenso e
determinato sguardo con un’espressione sorpresa. Poi sorrise
e gli porse
nuovamente la bottiglia.
“Beh, sono
felice che tu sia venuto a lavorare qui.”
Barone la
afferrò e le fecero tintinnare.
a
a
a
SPAZIO AUTRICE:
Penultimo giorno!
Più passano i giorni, più mi sto rendendo conto
di che assurde storie sto
inventando. Però mi sto divertendo un mondo,
dovrà pur contar qualcosa no?
Comunque, ve li
sareste mai immaginati Dan e Barone in versione camerieri? A quanto
pare, io sì.
Tanto, la loro amicizia-rivalità rimarrebbe comunque la
stessa. Come anche l'amicizia con Zungurii!
Domani è l’ultimo
giorno e, nonostante sia stato divertente, credo di essere pronta per
far
finire questa BS Week. È stato veramente una corsa!
Grazie a quelli che leggeranno e/o
recensiranno.
A domani, HikariMoon
|
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Capitolo 6 *** Vite legate dal destino ***
Vite
legate
dal destino
La sveglia riprese a
suonare e Dan borbottò qualcosa contro
il cuscino, stringendoselo più forte alla testa.
Perché la sera prima si era
dimenticato di togliere la sveglia? Per una volta che aveva un giorno
di ferie.
Sbadigliò e
allungò il braccio per spegnere l’oggetto
infernale che stava tentando di spaccargli i timpani. Tastò
e tastò, ma sul
comodino c’era solo la lampada e il cellulare.
La sveglia riprese a
trillare.
Dan sospirò
rassegnato e, con grande sforzo, emerse dal
bozzolo delle coperte in cui si era rinchiuso. Sbatté le
palpebre più e più
volte, strizzando gli occhi contro la luce del sole che filtrava tra le
tende.
Perché aveva lasciato le tende aperte?
Si guardò
attorno ancora una volta e, finalmente, la vide.
La sveglia sembrava deriderlo da sopra la scrivania, accanto a un
foglio con
scritto una data. Perché aveva segnato la data di oggi?
Dan gemette e si
lasciò cadere contro il cuscino. Che cosa
gli era preso la sera prima?
Il cellulare
vibrò.
Sperando che non fosse
qualche problema sul lavoro, lo
afferrò e si sforzò di mettere a fuoco le scritte
sullo schermo. Aveva un
messaggio vocale. Non guardò neppure di chi fosse, si
limitò ad attivarlo
lasciando scivolare il telefono sul cuscino. Aveva già
chiuso gli occhi.
“Dan,
sono Kajitsu. Stai ancora dormendo, vero? Yuuki era
sicuro che sarebbe successo. Mi raccomando, non fare tardi. Altrimenti
ci resto
male.”
Alla risata divertita di
Kajitsu che chiuse il messaggio,
Dan saltò su dal letto con gli occhi sgranati, affondando le
mani nei capelli.
“Maledizione!
Ecco perché!”
Si catapultò
giù dal letto, finendo in ginocchio, e gattonò
fino alla scrivania. Solo allora realizzò che avrebbe potuto
controllare sul cellulare
che ora fosse. Afferrò comunque la sveglia e
sbiancò. Erano le 9:08.
Dan si rimise in piedi e
fece volare la sveglia sul letto.
Si guardò attorno, per un attimo colto dal panico, e vide
sulla maniglia
dell’armadio il completo. E si portò di nuovo le
mani tra i capelli.
Kenzo, blocco in mano,
passò in rassegnare per la seconda
volta il salone e i tavoli del giardino. I membri del catering lo
stavano
guardando male e, in un certo senso, lui li capiva ma aveva promesso a
Mai che
sarebbe stato tutto perfetto. Lei aveva già abbastanza di
che preoccuparsi con
Clarky.
“E ricordate che
vi farò segno quando sarà il momento di
portare la torta.”
Non aspettò che
gli rispondessero e andò a verificare che la
leggera pioggia della notte prima non avesse danneggiato le decorazioni
del
giardino.
“Kenzo! Non so
come avrei fatto senza di te!”
Mai sbucò in
quel momento, borsa in spalla e fiato corto.
“Hai fatto un lavoro straordinario.”
“Il merito
è stato soprattutto di Kajitsu, Yuuki e Clarky.
Hanno scelto tutto loro. Hai visto la torta?”
La donna annuì,
ammirando le tavolate pronte ad accogliere
il buffet. “Kajitsu ha fatto un capolavoro, come sempre. I
suoi dolci sono
arte!”
Kenzo allungò
la mano per sistemare uno dei rami intrecciati
e, dopo averlo guardato, annuì soddisfatto.
“Hai visto
Clarky?”
Kenzo tornò a
voltarsi verso Mai, sedutasi un attimo su una
delle sedie. Aveva aperto la borsa e stava controllando la sua macchina
fotografica, quella professionale che usava solo in quelle occasioni.
Anche se,
pensò divertito, quel giorno avrebbe dovuto lasciare che
anche qualcun altro la
prendesse in mano.
“Al piano di
sopra. Penso ti stia spettando.”
Mai scoppiò a
ridere, si rimise in piedi, e afferrò la
borsa. “Allora lo raggiungo. Lo sai come può
essere lui. È capace di creare un
dramma per un nonnulla.”
“Allora, vai,
che qui è tutto sotto controllo. Così ti
prepari anche tu.”
Mai gli schizzò
l’occhio e corse verso la casa, un sorriso
sulle labbra. Kenzo tornò serio e riprese a scorrere la
propria lista. Catering
controllato, decorazioni controllate…
“La
musica!”
E
si affrettò verso il gruppetto
di musicisti per far loro una nuova interrogazione a sorpresa. Tutto
sarebbe
stato perfetto, o lui non si chiamava Hyoudo Kenzo.
Hideto gettò
un’ultima occhiata al navigatore, giusto per
essere sicuro che la strada fosse giusta, e svoltò. La
richiesta di Yuuki lo
aveva colto un po’ alla sprovvista, soprattutto quando aveva
scoperto che anche
Kajitsu si era premunita di imprimere la data nella sua testa. E
Kajitsu era
tanto dolce, ma sapeva essere determinata.
Questo Bashin Dan doveva
proprio essere un caso particolare.
Non appena svolto, la
prima cosa che vide, a una ventina di
metri da lui, era un uomo dai folti capelli rossi vestito in smoking
che
imprecava contro un automobile. Si avvicinò rallentando la
macchina e scuotendo
la testa: cominciava a capire.
“Stupida
automobile!” E il tizio dai capelli rossi sferrò
un
calcio a una delle gomme.
Hideto si
fermò, abbassò il finestrino e si sporse sopra al
sedile del passeggero. “Bashin Dan?”
Dan ruotò e
aggrottò la fronte, guardandolo sorpreso.
“Sì,
sono io.”
Poi sembrò
realizzare che anche lui indossava uno smoking e
il sollievo si fece largo sul suo viso.
“Sei un amico
dei Momose?”
Hideto si
sforzò di non ridere, limitandosi ad aprirgli la
portiera.
“Esatto, Yuuki
mi ha quasi obbligato a farmi venire qua. E a
vederti, mi sa che aveva ragione.”
Dan scoppiò a
ridere, afferrò chiavi, cellulare e un
sacchetto dalla sua auto, e si sistemò sul sedile.
“Sei il mio
salvatore. Ho fatto del mio meglio, ma
stamattina mi sono comunque svegliato tardi e non so che cosa
è preso alla mia
auto.”
Hideto
ridacchiò, immettendo l’automobile nel traffico.
“Io sono Dan,
comunque.”
Gli strinse brevemente la
mano ricambiando il sorriso.
“Hideto. Sicuro di essere amico di Kajitsu e Yuuki? Non me ne
volere, ma loro
sono sempre così precisi e-”
Dan scoppiò a
ridere. “Lo so. Me lo dicono tutti. Ci siamo
conosciuti a una convention di non mi ricordo più quale RPG.
Aveva bisogno di
un terzo componente dato che loro già occupavano il ruolo di
tank e di healer.
Così sono entrato in scena io.”
“Ora
capisco,” ribadì Hideto impostando
l’indirizzo datogli
da Mai. “Hai approfittato della segreta passione dei fratelli
Momose.”
“Ma
tu gli hai mai visti
giocare? Fanno quasi paura!”
Clarky inspirò
profondamente e riprese a marciare. Mai,
seduta su una delle poltroncine, sbuffò e alzò
gli occhi al cielo. Sapeva di
essere ridicolo, ma non riusciva a trattenersi. Era andato tutto bene,
fino a
pochi minuti prima. Poi era arrivata Mai, anche lei già
pronta, e lui aveva
realizzato quanto poco tempo mancasse alla cerimonia.
Si infilò le
mani nei capelli e si voltò verso di lei con
gli occhi stralunati.
“E se stessi per
fare l’errore peggiore della mia vita?”
“Non dire
sciocchezze. State insieme da quattro anni.
Avevate pianificato il matrimonio da cinque mesi.”
Mai si alzò in
piedi e gli venne incontro. Gli afferrò le
mani e gliele strinse, sorridendo.
“Siete la coppia
più dolce e adorabile che conosco. Mi fate
quasi venire le carie.”
Clarky abbozzò
un sorriso, per poi tornare serio. Si separò
da Mai e si diresse verso il tavolino sui cui aveva posato il piccolo
bocciolo
di rosa. Lo prese delicatamente tra le dita, facendolo roteare.
“Non voglio
farla soffrire, Mai. Ha già dovuto affrontare
così tanto.”
Mai tornò ad
affiancarlo, lo afferrò per le spalle e lo
costrinse a guardarla negli occhi.
“Clarky,
ascoltami. Yuuki non ti avrebbe mai fatto
avvicinare a lei se avesse anche solo sospettato che tu le avresti
fatto del male.
Tu la fai felice, vi amate. Perché non lasci perdere tutte
queste sciocchezze e
ti decidi a godere questo momento? Vuoi passare il resto della tua vita
con
lei, non è vero?”
Clarky distolse lo
sguardo, ripensando alla prima volta che
aveva incontrato Kajitsu. Era ancora solo uno sciocco, che si divertiva
ad
andare alle feste e a conquistare le ragazze in cerca di quella giusta
per lui.
Le aveva offerto un fiore e un sorriso smagliante, ma lei lo aveva
guardato
senza battere ciglio e aveva rifiutato.
Si era innamorato in quel
momento e si era ripromesso che
avrebbe fatto di tutto per dimostrare che non stesse scherzando.
Ricordò i primi
appuntamenti, le serate a guardare film e
chiacchierare, le passeggiate nei parchi e i pomeriggi a pattinare.
Sorrise
ripensando al giorno in cui Yuuki lo aveva preso da parte e gli aveva
chiesto
quali fossero le sue intenzioni. Aveva realizzato allora che voleva
stare tutta
la vita con lei.
“Sì.”
Clarky
scoppiò a ridere e
strinse tra le braccia Mai, facendola roteare.
“Sì! Grazie Mai, per avermi
impedito di fare l’errore peggiore di tutta la mia vita! Non
vedo l’ora che la
cerimonia inizi!”
Quando Yuuki
rientrò nella stanza, Kajitsu era seduta vicino
alla finestra. Stringeva il bouquet di rose bianche e girasoli tra le
dita e
fissava l’esterno.
“Tutto a posto,
sorellina?”
Si voltò verso
di lui con un sorriso radioso. “Non riesco
ancora a credere che sia tutto vero.”
Yuuki superò in
poche falcate la distanza che lo separava da
lei e si inginocchiò al suo fianco. Strinse le sue mani
inguantante tra le sue
e la guardò dolcemente.
“È
tutto vero.”
Lei chiuse gli occhi e lui
notò piccole gocce imperlate tra
le sue ciglia. “Sono così felice, Yuuki.
Così felice.”
Delicatamente le tolse il
bouquet dalle mani. Si alzò,
trascinandola su, e la strinse tra le braccia.
“Va tutto bene,
sorellina. Va tutto bene.”
Kajitsu posò la
guancia contro la sua spalla, stringendo le
dita sulla sua giacca.
“Mi sembra
impossibile, fratellone. Dopo l’incidente in cui
sono morti i nostri genitori, abbiamo sempre dovuto lottare. E ora
invece…”
Yuuki sentì la
sua voce incrinarsi. La fece staccare da lui
e le strinse il volto tra le mani.
“E invece ora
è arrivato il momento che tu sia felice. Il
mio sogno più grande è sempre stato quello che tu
avessi un futuro bellissimo.
Dimentichiamoci il passato, ok?”
Kajitsu annuì,
afferrando il fazzoletto che le stava
porgendo e usandolo per asciugarsi gli occhi. Aveva passato la maggior
parte
della vita a proteggerla, a fare il possibile affinché
niente potesse più farla
soffrire. Aveva avuto paura, quando aveva realizzato quanto Kajitsu si
fosse
innamorata di Clarky. Se lui l’avesse presa in giro, le si
sarebbe spezzato il
cuore. Ma aveva temuto invano perché lui amava Kajitsu
quanto lei amava lui. E,
per la prima volta, Yuuki aveva potuto fare un passo indietro e
affidare la
felicità di sua sorella a qualcun altro.
Kajitsu gli
afferrò una mano. “Promettimi che troverai la
felicità anche tu, dammi la tua parola, ti prego.”
Yuuki
sorrise e le sfiorò la
fronte con un bacio. “Lo farò, te lo giuro. Ma ora
non pensare a me, pensa a te
stessa. Vai a vivere il tuo futuro.”
Kajitsu si
guardò attorno e faticò a trattenere le lacrime.
Attorno
a lei c’erano tutti i suoi amici, le persone che
più amava, che erano diventate
una famiglia per lei, e ogni volta che si voltava vedeva tutti gli
sforzi che
avevano fatto per rendere quel giorno meraviglioso.
Non avrebbe mai potuto
ripagarli abbastanza.
“Sei una sposa
radiosa, Kajitsu!”
Mai si fece largo e le
venne incontro con le braccia
spalancate, due calici di champagne nelle mani. Le gettò le
braccia al collo.
“Mai, grazie!
Grazie davvero. Non so come avremmo fatto
senza di te! Clarky mi ha raccontato tutto.”
La donna
scoppiò a ridere e, separatasi da lei, le porse uno
dei due bicchieri.
“Lo sai,
com’è. Ogni tanto ha bisogno che qualcuno gli
metta
in chiaro le cose.”
Kajitsu sorrise cercandolo
con lo sguardo. Era a pochi metri
più in là, in un gruppo in cui c’erano
anche Yuuki, Hideto, Dan e Kenzo. Mai
intrecciò un braccio al suo.
“Sono quasi
invidiosa di come vi guardate. Se uno dei miei
ragazzi mi avesse mai guardato così, mi sarei già
sposata.”
Kajitsu abbassò
lo sguardo, sentendosi le guance accaldarsi.
Poi, tornò a voltarsi verso l’amica.
“Troverai anche
tu l’uomo perfetto.”
Mai sbuffò e
rise, facendole poi un cenno verso avanti. “Vi
lascio soli.”
Kajitsu
ridacchiò e scosse la testa vedendola allontanarsi
con i pollici alzati. Poi, si voltò e il suo sguardo
incrociò quello di Clarky.
Sorrise e intrecciò la mano alla sua. Clarky le
sfiorò le nocche con il
pollice.
“Permettete
questo ballo,
signora Ray?”
Annuì,
faticando a trattenere la
propria gioia. Risero mentre si stringevano l’uno
all’altra, cominciando a
ondeggiare piano sulla melodia che riempiva l’aria. Il mondo
si restrinse a
loro soli.
“Sono
l’uomo più felice di
questo mondo.”
Kajitsu
posò la testa contro il
suo petto e sorrise felice.
Rimasero
in silenzio a lungo,
appagati dallo stare semplicemente vicini. Non avevano bisogno di
parole per
sentire l’amore l’uno dell’altra.
Poi,
Clarky rise. Kajitsu
sollevò la testa e seguì il suo sguardo. Rise
anche lei.
“Ma
sei sicura che tra quei due
possa funzionare?”
“Chiamalo
intuito femminile.”
“Ah,
beh, io sicuro non ti
contraddico. Ti conosco troppo bene per farlo!”
E
le catturò le labbra in un
bacio.
Mai si lasciò
scivolare su una sedia, emettendo un verso di
sollievo dal togliere il peso dai piedi, almeno per un paio di minuti.
La
cerimonia era stata meravigliosa, tutto era stato perfetto, anche
grazie a
Kenzo, ma lei non vedeva l’ora di scaricare un po’
di tensione.
Sorseggiò dal
proprio calice di champagne, sorridendo nel
vedere Clarky e Kajitsu ballare dolcemente stretti l’uno
all’altra.
Era tutto bellissimo, ma
sperava davvero che nessuno dei
suoi amici e amiche avesse intenzione di sposarsi
nell’imminente futuro.
“Questo posto
è libero?”
Mai si voltò e
vide davanti a lei un giovane uomo con capelli
rossi fin troppo spettinati per una cerimonia. Poi si rese conto di
quello che
aveva tra le mani e scoppiò a ridere. Il tizio
sbuffò e si sedette dalla parte
opposta del tavolino, posando tra loro due il bouquet di rose e
girasoli.
“Non
è divertente.”
Mai si morse un labbro,
nascondendo la bocca dietro alla
mani e sforzandosi in tutti i modi di frenare
l’ilarità.
“Devo farti le
mie congratulazioni?”
Le rivolse una smorfia e
incrociò le braccia. “Non capisco
perché non poteva lanciarlo di nuovo. Ero lì per
sbaglio! Una delle ragazze
aveva perso la borsa!”
“Voleva il
bouquet!”
E Mai scoppiò
di nuovo a ridere. Lui le lanciò
un’occhiataccia, ma si vedeva che anche lui stava cominciando
a fare fatica a
restare serio.
“Prima di
prendere in giro le persone, potresti anche
presentarti almeno.”
Mai tornò
seria, anche se non riuscì a togliersi il sorriso
dalle labbra, e gli tese la mano.
“Shinomiya Mai,
la testimone dello sposo e grande amiche di
entrambi.”
“Bashin Dan,
amico della sposa.”
Mai aggrottò la
fronte e poi gli puntò il dito contro.
“Quello con cui giocano a… cavolo qual
è il nome di quel gioco?”
Dan scoppiò a
ridere. “Tu invece come li conosci?”
“Sono
un’assidua della White Rose, la
pasticceria di
Kajitsu. E ho frequentato alcuni con
all’università insieme a Clarky e Yuuki.”
Poi Mai si
abbassò, mettendosi a rovistare nella borsa. Dan
si sporse per vedere che cosa stesse facendo.
“Puoi prendere
un attimo il bouquet?”
“Certo.”
Si voltò
fulminea, la macchina fotografica stretta tra le
mani, e scattò una foto di un allibito Dan.
Continuò a fissarla con gli occhi
sgranati anche mentre controllava come fosse venuta.
“Questa Kajitsu
e Clarky la adoreranno.”
“Non puoi dire
sul serio!”
Mai gli schizzò
l’occhio. “Ovvio che sì, sono la
fotografa
del matrimonio! E adesso scusami, ma il dovere mi chiama!”
Corse via ridendo.
Gettò uno sguardo oltre la spalla e lo
vide saltare in piedi, trottandole dietro.
“Mai!”
a
a
a
SPAZIO
AUTRICE:
Siamo arrivati
alla fine della seconda BS Week! Quasi quasi mi commuovo! Anche
quest’anno ho
voluto concludere con una storia un po’ più
corale, dove ci fossero tutti i
Maestri della Luce.
Ero riuscita a depistarvi
all’inizio? Immaginavate che fosse di qualcun altro
il matrimonio? Lo so, sono perfida. Ma l’idea mi piaceva
troppo. Ho cercato di
immaginarmi come avrebbero potuto essere le vite dei Maestri
della Luce in un mondo come al nostro, senza portali per altri mondi o
missioni
per salvare la Terra (quindi niente Angers, sorry).
Quindi, è
nata questa piccola storia. Dove Yuuki e Kajitsu
non portano con loro il peso delle vite passate e dove i Maestri della
Luce non
si sono per forza conosciuti tutti da ragazzi. Ma voi che dite, Kajitsu
ci avrà
visto giusto? Dopotutto,
in Gekiha sembrava averci
visto lungo.
Non penso
di avere molto altro da dire, se non ringraziare tutti coloro che hanno
letto e
in particolare Elinacrisant per aver partecipato insieme a me a
quest’avventura! Grazie!
Detto questo,
si chiude il sipario su questa settimana. Forse in futuro se mi
verrà
l’ispirazione aggiungerò un capitolo
“bonus” per il giorno in cui non ho
scritto niente. Si vedrà!
Mi prenderò
un paio di giorni per ricaricare le energie (è stato davvero
un tour de force) e
vi do appuntamento all’episodio 4 che spero di pubblicare il
prima possibile!
Varco
apriti, energia!
HikariMoon
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