Il posto che cercavo

di FourWalls
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Decisione ***
Capitolo 2: *** Incontro ***
Capitolo 3: *** Il Ranch ***
Capitolo 4: *** Agli Ordini ***
Capitolo 5: *** Pensieri. Occhi. ***
Capitolo 6: *** Sorprese e tentazioni ***
Capitolo 7: *** La festa ***
Capitolo 8: *** Sul Promontorio ***
Capitolo 9: *** Freddezza ***
Capitolo 10: *** Il Rodeo ***
Capitolo 11: *** Declarations ***
Capitolo 12: *** HERO. Parte prima ***
Capitolo 13: *** HERO. Parte Seconda ***
Capitolo 14: *** Love Is All You Need ***
Capitolo 15: *** Non sono più io ***
Capitolo 16: *** Be Here Now ***
Capitolo 17: *** Trust Me ***
Capitolo 18: *** I Found You Laying There ***
Capitolo 19: *** Back Home. Epilogo. ***



Capitolo 1
*** Decisione ***



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Questo è un pò un esperimento. Catapultare un ragazzo ricco e strafottente in un ambiente come le fattorie americane. Ditemi che ne pensate, probabilmente passerà un pò prima di aggiornare perchè mi sto accupando di ben 3 storie ^^. Mi raccomando recensite.
Peace out, FourWalls

DECISIONE

Sapevo ciò che stava per dirmi. Le solite cazzate da padre. Così rimasi in silenzio in attesa che me lo sputasse in faccia con la sua aria di superiorità. Non avevo scelta, ero obbligato essendo minorenne a fare ciò che mi dicevano i miei genitori, e sbuffando forte mi sedetti sulla poltrona di quell'ufficio perfetto buttando i piedi sulla scrivania. Presi una matita e iniziai a farla roteare.
Ma quanto ci voleva a salire le scale?
La porta si aprì e mi voltai appena. Mio padre entrò sempre con quell'aria seria e irritante e si sedette al suo posto.
"Tira giù i piedi dalla scrivania Mike". Sbuffai e li lasciai cadere pesantemente a terra.
"Mi sono stancato". Si tolse gli occhiali e mi guardò in faccia. "Andrai dalla sorella di Denise finchè non valuterò io quando farti tornare".
Denise era la mogliettina perfetta del mio simpatico e affettuoso papà. Una troia immensa.
"Dove vado posso saperlo o devo tirare a indovinare?".
"A Brentwood nel Tennessee. In un ranch di famiglia. Imparerai a lavorare come si lavora nelle fattorie". Era inutile ribattere. Avrei odiato quel posto che sicuramente puzzava di merda, ma se avessi fatto finta di goderlo e comportarmi bene sarei tornato prima, e tanto valeva iniziare subito. Continuai a far roteare la matita tra le mie dita.
"Partirai domani, non appena avrai fatto le valigie. E' deciso. Ora vattene fuori di qui". Si, era sempre molto simpatico.
Me ne andai sbattendo la porta e mi chiusi in camera mia. Accesi lo stereo e mi buttai sul letto.
La goccia che fa traboccare il vaso, l'espulsione dalla scuola per atti vandalici. Non era colpa mia se quella scuola non sapeva stare allo scherzo. Avevo allagato i bagni, non fatto incendiare l'edificio e messo tutti in pericolo. Per enorme sfiga questa volta non era bastato il nome di mio padre ne i suoi soldi per corrompere la scuola privata a cui ero costretto ad andare. Stavolta avevo oltrepassato il limite, così pensavano tutti.
Mi alzai dal letto e scesi le scale saltandone tre alla volta, facendo quasi cadere la domestica. Salutai il giardiniere con una pacca e aprìì il garage.
Eccola lì, il mio gioiello. La mia splendida Yamaha nera lucida mi stava guardando in attesa che la portassi a fare un giro.
"Ehi splendore" mi rivolsi a lei "Ti va di sgranchirti le ruote per l'ultima volta?". Presi il casco e accesi il motore.
"Forza splendore, è ora di correre". Feci aprire il cancello della villa e partìì a tutto gas.
"Siii" urlai. Andavo veloce senza preocuparmi delle leggi stradali.
Al diavolo, pensai. Questa è l'ultima volta che posso godermi la mia moto.
Il mio dannato padre che odiavo con tutto me stesso era uno dei chirurghi plastici più famosi di Los Angeles, e non poteva certo avere un figlio che combinava casini in giro. L'unica nota positiva in tutto ciò, era la mia bella Yamaha, che non avrei potuto comprare se mio padre non fosse un chirurgo plastico. Ecco spiegata anche la presenza di Denise. Tette rifatte ogni volta che voleva e shopping, tutto gratis per lei. Quanto odiavo anche quella troia.
Feci un giro al Green Oak, il locale che frequentavo con i miei amici e dove c'erano sempre, e dico sempre, belle ragazze e birre di qualità. Rimasi lì con i miei amici tutta la notte a bere birra. Quasi all'alba salutai tutti e me ne tornai a casa.
Buttai qualche straccio nelle valigie con cui vestirmi, tanto chi se ne fregava dei vestiti in una fattoria?
Aspettai che venisse a prendermi l'autista nel cortile, e diedi un bacio alla mia moto.
"Mi mancherai piccola".
Quando sentìì il suono del clacson salìì in macchina e partìì verso l'aereoporto.
Non salutai nessuna delle persone che vivevano in quella casa. Non importava ne a me ne a loro.

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Capitolo 2
*** Incontro ***


Chiedo umilmente scusa per la lunghezza del capitolo, ma mi sono detta che per sottolineare l'evento di cui sotto era meglio così ^^.
Vi mostro anche i volti dei protagonisti a cui pensavo scrivendo.


Lui è Shane West, visto nel film I Passi Dell'amore, lo trovo perfetto con la sua espressione naturale da duro XD.
Lei è Alexis Bledel, vista nel telefilm Una Mamma Per Amica, adoro il suo viso e la trovo perfetta per il ruolo di Elle.
Spero la pensiate come me ^^.
Peace Out, FourWalls.

INCONTRO

Mio padre aveva organizzato tutto.
Dopo 3 ore di volo atterrai a Nashville dove trovai una splendida sorpresa. Un pick up ricoperto di fango mi aspettava fuori dall'aereoporto, sotto gli occhi dei passanti schifati, esattamente come me. Sapevo che era lì per me, ed ero già scocciato ancora prima di vedere la fattoria. Una ragazza mi venne incontro.
"Tu sei Mike Evans?". Questa si che era una sorpresa come si deve.
"Può darsi". Le feci l'occhiolino. Era davvero carina. I suoi occhi del colore del ghiaccio mi fissavano.
"Elle Brooks". Mi tese la mano. La guardai per un attimo e alzai il soppracciglio.
"Non ho detto di essere io chi stai cercando".
"Posso immaginarlo".
"E cosa te lo fa immaginare?".
"Il tuo comportamento. Maleducato e arrogante". Fece un sorriso forzato. "Sei quello di Los Angeles".
"Uuh mi conosci bene, e ti piaccio, dì la verità".
"L'unica cosa che mi piace di te è...". Si mise un dito sotto il mento per sottolineare il suo finto pensarci. "Oh si, non esiste". Si incamminò verso il pick up.
"Muoviti! Non ho tutta la giornata". Mi urlò mentre saliva in quel furgoncino sporco.
"Io non salgo su quel coso".
La vidi alzare gli occhi al cielo. "Allora puoi restare lì se preferisci, ma nessuno potrà venire a prenderti". Mise in moto. "Sicuro?".
Mi incamminai verso il pick up sbuffando. Che cosa magnifica questo posto, pensai ironico.

Ringrazio chi ha letto la mia storia, chi l'ha inserita tra i preferiti o tra le seguite. Ringrazio soprattutto Ardiarsun che ha recensito.

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Capitolo 3
*** Il Ranch ***


Dare uno spessore caratteriale a questi personaggi si sta rivelando più difficile del previsto. Il difficile è anche immedesimarsi nella mente maschile di uno come Mike XD, del tutto distante da me!. Comunque, ho in mente la trama, e spero di riuscire a raccontarla al meglio. Grazie a tutti quelli che hanno letto e recensito, a proposito, sono contenta che la pensiate come me sui volti dei protagonisti ^^. Buona lettura.
Peace out, FourWalls.

Ah! quasi dimenticavo, lui è il piccolo Memphis, un ruolo importantissimo sarà il suo!

IL RANCH

Quando arrivammo al ranch dopo un'ora e mezza di viaggio, fu ancora meglio. Una sottospecie di mandria di cani mi assalì facendomi cadere a terra per leccarmi ovunque riuscissero ad arrivare. Elle rise di gusto mentre mi rialzavo sporco di terra e bava di cane.
"Ti faccio ridere, è già qualcosa" le dissi ammiccante.
"Rido perchè sei penoso". Tanto carina quanto insopportabile.
"Comunque, quelli che ti hanno salutato prima sono Carolina, Ranger e Daisy" mi indicò i cani di prima.
"Salutato?". Sottolineai il mio sarcasmo. Lei mi ignorò e continuò a parlare come se fosse costretta.
"Mi occuperò io di te finchè sarai qui".
"Questo mi piace". Mi fulminò con lo sguardo.
"Ti insegnerò ogni tipo di lavoro che dovrai fare".
"La prima parte era meglio".
"Vuoi tacere due minuti?".
Chiusi la finta cerniera sulla mia bocca con la mano.

Mi fece camminare lungo tutto il perimetro del guests ranch. Mi mostrò la scuderia, i recinti del bestiame e le stalle, poi mi condusse nelle stanze degli ospiti destinate a chi voleva passare l'estate lì. Un pazzo.
Sembrava quasi un albergo dalla quantità di stanze disponibili.
Elle si fermò davanti ad una porta.
"Questa sarà la tua stanza". Fece girare la chiave nella serratura e aprì la porta. L'odore di chiuso mi colpì in faccia come un pugno.
"Fa schifo". Dissi guardandomi intorno. C'era un letto alla destra della porta sistemato con la spalliera al centro del muro, una finestra di fronte all'entrata che dava sulla fattoria e di fianco al letto un armadio non molto grande. C'era una televisione visibilmente di vecchio stampo e una porta che conduceva al piccolo bagno. Il pavimento ricoperto di moquette. Nient'altro.
"Non importa, tanto non ci starai molto spesso".
Mi sedetti sul letto e per poco non mi lasciai sfuggire un gemito di dolore. Mai provato un letto tanto duro.
"Quando ti sarai pulito". Fece cenno alla polvere sui miei vestiti. "Raggiungimi nella casa principale". Chiuse la porta e se ne andò.
Mi lasciai sfuggire un sospiro scocciato. L'unica nota positiva di questo viaggio era il fatto che non avrei visto mio padre e Denise per un pò.
Mi tolsi i vestiti e mi misi sotto la doccia. Per fortuna funzionava bene. Lasciai correre l'acqua calda lungo il mio corpo nella speranza di togliere ogni traccia di terra e quando fui abbastanza soddisfatto uscìì. Mi infilai dei vestiti puliti e andai verso la casa principale.
Suonai il campanello e una voce femminile mi disse di entrare. Non feci in tempo a varcare la soglia che un animale peloso della grandezza di un topo mi corse incontro abbaiando isterico. Indemoniato. Si fermò a pochi passi da me e continuava ad abbaiare senza oltrepassare la barriera invisibile tra lui e me. Rimasi dov'ero.
"Memphis!!". Una voce che proveniva dalla cucina stava chiamando in ritirata il cucciolo indemoniato. Il cane, più simile ad un coniglio, fece un ringhio e tornò da dove era venuto.
Ma quanti cani ancora dovevo aspettarmi?
"Vieni pure in cucina!". Seguìì la voce verso la cucina.
Una donna forse sulla trentina stava girando frenetica per la stanza con un grembiule. Era una bella donna dai capelli scurissimi.
"Scusa per Memphis, non ama gli sconosciuti. Tu devi essere il ragazzo di Los Angeles" si fermò un istante per guardarmi.
"Così pare".
"Mike!". Elle comparve dietro di me. Si era cambiata e ora indossava shorts di jeans e una maglia bianca. Mi lanciò addosso dei vestiti.
"Lei è Alice, la sorella di Denise". Wow, pensai, non si assomigliavano per niente. Denise era sofisticatamente insopportabilmente acida. Quella donna sembrava molto dolce.
Elle si rivolse ad Alice. "Lui è Mike Evans, ci darà una mano per qualche tempo".
"Piacere di conoscerti Mike". Ricambiai con un mezzo sorriso.
"Mike, cambiati i vestiti e vieni nelle scuderie, ti ricordi dove sono?".
"Credo di riuscire ad intuirlo anche da solo".
"Come vuoi, ma cerca di non perderti". Sarcasmo di pessima qualità, pensai.
La raggiunsi dopo aver indossato quei vestiti ridicoli. Ci mancava solo lo stile Cowboy. Mentre mi avvicinavo a lei, che stava ridendo sonoramente, ebbi la sensazione che quei vestiti non erano affatto necessari.
"Lasciami indovinare, questi non servivano davvero" le dissi puntando il dito verso i pantaloni stretti di pelle con le frange ai polpacci e al cappello enorme da cowboy.
"Certo che servono, devi calarti del tutto nella parte".
Mi lasciai sfuggire un sorriso mentre lei soffocava a stento le risate. Si prendeva gioco di me, ma non ancora per molto.

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Capitolo 4
*** Agli Ordini ***


Sono molto soddisfatta di questo capitolo, mi diverte!^^

AGLI ORDINI

"Eh?". Fu tutto ciò che riuscìì a dire dopo che Elle mi spiegò ciò che dovevo fare.
Fece un lungo sospiro.
"Sei insopportabile". mi disse infine.
"Grazie, anche io ti trovo simpatica".
"Sei mai stato serio nella tua vita?" C'era una punta di sarcasmo nella sua domanda.
"è una domanda retorica, non serve che rispondo. Ma forse se rispondo per dire si o per dire no alla tua domanda inutile, sarai più contenta".
"Se mi correggessi con un'altra domanda, temo che anche quella sarebbe retorica. Concludo quindi che non avrei nessun piacere a parlare con te non trovando dialogo e quindi ritorno alla mia precedente affermazione, sei insopportabile". Riprese a tirare giù da un furgoncino il fieno con un forcone e gettarlo nei box dei cavalli.
Rimasi immobile dov'ero.
"Fingiamo un secondo che io abbia afferrato il concetto filosofico del tuo discorso" le urlai ironico dalla mia posizione. "Su quale base esprimi le tue teorie?". Lei tornò fuori per prendere un'altra manciata di fieno.
"Esattamente sulla stessa linea delle tue. La linea della superficialità e del pregiudizio. Ti dice nulla?". La imitai nei suoi movimenti e infilai il forcone nel fieno.
"Se non sbaglio non è un comportamento che ti piace, eppure...". Gettai il fieno nel box di un cavallo che mi guardò affamato in attesa della sua cena.
Elle si avvicinò a me. "Eppure è tutto ciò che mi ispiri quando ti vedo".
Sarei potuto andare avanti ore a continuare quel battibecco, ma invece di continuare mi limitai a scuotere la testa.
E' buffo, era riuscita a zittirmi. Una ragazzina presuntuosa era riuscita a far tacere il mio orgoglio.
Continuammo a scaricare il fieno in silenzio, finchè tutti i cavalli non ebbero la propria quantità di cibo.
"Sai cavalcare?". Mi chiese Elle senza guardarmi mentre sistemava i forconi al loro posto.
"In teoria non ci sarebbe bisogno di rispondere. Secondo la tua teoria".
"Perfetto. Allora vai a raccogliere le uova sotto i culi delle galline. Il pollaio è proprio di fronte a quel recinto". Era incredibile come mi stavo facendo trattare. Ed era incredibile che avesse mandato me nel pollaio. Elle tornò nella scuderia e io contro voglia mi incamminai verso il pollaio.
Aprìì lentamente il portone e all'interno regnava un silenzio perfetto, almeno finchè il primo spiraglio di luce entrò nel pollaio. Le galline iniziarono ad agitarsi e correre impazzite per tutto lo spazio a loro disposizione. Mi chiusi dentro veloce per evitare che uscissero e il buio calò nella stanza, insieme al silenzio di prima. Forse avrei potuto farlo al buio, mi dissi. Forse non era il caso di finire per terra inciampando in una stupida gallina, conclusi. Cercai a tentoni l'interruttore della luce e lo trovai dopo quelli che probabilmente erano minuti. Le galline pazze ricominciarono ad agitarsi e correre. Mi feci spazio tra di loro sperando che non mi attaccassero. Vidi il primo uovo alla mia sinistra e mi avvicinai cauto per afferrarlo. Lo misi nella cesta che trovai all'entrata e passai a quello dopo. Ne raccolsi abbastanza, facendone cadere alcuni per terra grazie agli spaventi causati da quelle stupide galline. Spensi la luce e uscìì da quell'inferno.
Cercai Elle con lo sguardo e la vidi nel recinto di fronte al pollaio che faceva correre? galoppare? un cavallo in cerchio intorno a se.
Mi avvicinai al recinto e posai le uova in terra. La osservai attentamente. Aveva l'espressione concentrata e sembrava che stesse sussurrando. Teneva tra le mani la corda che legava il cavallo al collo. Solo in quel momento mi accorsi che il cavallo era ferito su una spalla e sul collo. Sembrava.... un morso, un graffio enorme. Posai di nuovo lo sguardo su di lei, aveva i muscoli delle braccia e delle gambe tesi, una gamba davanti all'altra, seguiva il cerchio percorso dal cavallo sempre con quell'espressione concentrata. Sembrava in totale armonia con il cavallo. Rimasi a guardare finchè il ritmo della corsa divenne sempre più basso, fino a diventare una camminata. Elle si accorse della mia presenza.
"Hai raccolto le uova?" mi chiese mentre accarezzava il cavallo ormai fermo.
"Che ha quel cavallo?".
Lei mi guardò per un attimo poi rispose. "Un orso credo, lo ha attaccato sulle montagne dove pascola il suo branco. Lo abbiamo trovato in fin di vita accanto al fiume, ma ora si sta riprendendo." Sorrise al cavallo.
"Capisco". Lei mi guardò come se si fosse accorta solo in quel momento del suo interlocutore. Ovvero l'essere insensibile che ero io.
"E perchè lo fai correre in cerchio così? sembra una tortura".
"Essendo costretto a correre in quel modo, si rinforzano meglio i muscoli feriti e indolenziti, e lo aiuto a recuperare un pò di fiducia e coordinazione dei movimenti".
"Capisco" ripetei.
"Porta le uova da Alice, le serviranno per la cena". Detestavo farmi dare degli ordini, ma non avevo scelta.
In quel momento desideravo solo la mia bella Yamaha.
Entrai senza suonare il campanello, ma il piccolo topo bianco isterico mi vide appena entrai e si mise a ringhiare a pochi passi da me. A passo lento mi avviai in cucina, e il coniglio indemoniato rimase fermo dov'era ringhiando. Aprìì la porta della cucina e trovai Alice che preparava la cena per quelle che mi sembravano un centinaio di persone. Mi schiarìì la voce sonoramente e lei si voltò verso di me.
"Oh Mike, non mi ero accorta che fossi entrato".
"Già... Ehm... ho portato le uova". Le mostrai la cesta.
"Oh grazie, appoggiale pure per terra, temo che sia l'unico posto libero". Ok, non c'era niente di Denise in lei.
"Ok allora torno fuori".
"Certo" mi sorrise. Feci per uscire. "Ah! Dì a Elle che la cena sarà pronta per le otto". Annuìì e poi uscìì dalla cucina. Non appena aprìì la porta vidi il cane indemoniato seduto di fronte a me, che mi guardava sospettoso. Che cane strano, pensai.
Uscìì di casa e scorsi Elle appena fuori dalla scuderia che parlava con un ragazzo alto e muscoloso, con un cappello da Cowboy e degli stivali probabilmente da cavallo.
Mi avvicinai. "La cena è pronta per le otto". Entrambi mi guardarono.
"Mike, lui è Blake, mio fratello" poi come con Alice, si rivolse al fratello. "Blake, lui è Mike, il ragazzo di Los Angeles che lavorerà qui per un pò".
Blake mi rivolse uno sguardo sospettoso notando chiaramente i miei vestiti, e poi tornò a guardare la sorella. Sono proprio fratelli, pensai.
Elle guardò il cielo. "Dovrebbe mancare una mezz'oretta prima che la cena sia pronta. Blake, avete finito con le mandrie?".
Lui annuì.
"Bene allora Mike ti faccio vedere la marchiatura a fuoco, così non darai problemi domani". La seguìì anche se non avevo idea di ciò di cui parlava. Superammo il pollaio e il recinto vuoto, poi superammo il recinto delle vacche e entrammo nelle stalle.
Ci avvicinammo ad un recinto dove stavano i vitelli. Elle prese un bastone di metallo e me lo mostrò, alla fine c'era qualcosa di simile a un timbro.
"Questo è l'oggetto con cui si marchia il vitello. Lo devi posare sopra il fuoco che vedrai domani, finchè diventa incandescente, poi". si avvicinò ad un vitello. "Lo dovrai spingere contro la parte superiore della sua coscia, proprio qui". Mi porse l'oggetto di metallo.
"Naturalmente sarà sdraiato" con un gesto veloce fece coricare il vitello spaventato. "prova" mi disse.
Mi avvicinai e posai il timbro sulla coscia del vitello. "Più su". Feci salire di poco il timbro. "Ok, cerca di tenerlo a mente, perchè domani sarà un delirio".

Cenai insieme a tutta la famiglia di Elle e alle altre persone che lavoravano nel ranch, erano circa una ventina di persone. Elle aveva una sorella più giovane oltre che il fratello maggiore, Lexie, e suo padre Billy, fu l'unica persona che mi piacque. Era divertente e ironico.
Osservai Elle tutta la sera, rideva in continuazione con amici e parenti e sembrava che tutti l'adorassero. Non mi rivolse mai uno sguardo, e io fui costretto a sorbirmi le pillole di saggezza della zia Dolly, che mi diede il colpo di grazia dopo quella giornata pesante.
Appena entrai nella mia stanza mi misi il pigiama e mi infilai a letto, godendomi quell'attimo di pace e silenzio appena prima di sprofondare nel sonno profondo.

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Capitolo 5
*** Pensieri. Occhi. ***


Grazie di cuore a chi ha inserito tra le seguite e le preferite questa storia. Siete più di quelli che mi aspettavo, grazie!
Io amo la natura e gli animali, soprattutto i cavalli, e mi piacerebbe molto lavorare in un ranch come quello di questa storia, spero di farvi apprezzare ciò che amo e sogno.
Peace Out, FourWalls.

Il giorno dopo una serie di grida mi fecero svegliare.
Guardai fuori dalla finestra della mia stanza e la scena che vidi l'avrei ricordata per tutta la vita.
C'erano uomini che trascinavano i vitelli urlanti di paura dentro il recinto delle vacche, tirando con forza la corda che li legava al collo.
I vitelli cercavano di liberarsi in tutti i modi, scalciando con tutta la loro forza. Erano spaventati, come se sapessero che le braci che stavano preparando gli uomini fossero lì apposta per loro. Fu una scena piuttosto scioccante, e rimasi a guardare dalla finestra quasi in trance. Sentìì la porta della mia stanza aprirsi, ma non mi voltai. Potevo immaginare chi fosse.
"Ah sei già sveglio, bene, mi risparmi una fatica". Elle si avvicinò alla finestra.
"Che stai facendo?".
"Elle, non ho nessuna intenzione di fare quello che mi hai mostrato ieri".
"Invece lo farai".
"Ma è orribile". Lei rimase in silenzio e mi guardò per qualche istante come per valutare ciò che stavo dicendo.
Poi fece un sorriso.
"Sembra, ma in realtà non è nulla. Si spaventano perchè non sanno cosa gli succederà, ma alla fine ridono quando scoprono cosa facciamo veramente". La guardai.
"Ridono?" chiesi ironicamente.
"Si, come se dicessero 'è tutto qui?'". Stava sorridendo guardando la scena orribile fuori dalla finestra.
"Cerca di mantenere la calma quando li marchi, e mostrati sicuro. Loro capiscono quando possono approfittarsi della tua vulnerabilità. Agisci deciso, gli procurerai meno dolore". Si avviò verso la porta. "Muoviti a vestirti" poi uscì.
E' incredibile, pensai. Ma come ci riusciva a far sembrare tutto così semplice?

Mi vestìì con un paio di vecchi jeans strappati e una maglia semplice nera. Decisi di mettere il cappello da Cowboy, mi stava alla grande. Quando fui pronto raggiunsi il recinto facendo un lungo sospiro. Elle mi vide subito e mi prese per il braccio, anche lei indossava un cappello come il mio, e mio malgrado sorrisi. Mi portò dentro alla stalla.
“wow ci conosciamo da neanche due giorni e siamo già appartati”. Mi ignorò.
"Allora Mike ascoltami bene. Per questo lavoro ci si divide a coppie, io cercherò di trascinare fuori il vitello e tu penserai a marchiare." Mi tese il metallo con il timbro. "Vai fuori e mettilo sulle braci finchè diventa incandescente. Hai capito?". Io annuìì un pò spaventato da tutta la situazione.
Uscìì e andai verso il fuoco, dove misi in mezzo il timbro. Dopo poco mi voltai, e scorsi Elle che tirava la corda per trascinare fuori il vitello, non riuscìì a fare a meno di guardare la sua espressione concentrata.
Il vitello scalciava e cercava di tornare indietro, ma Elle sembrava non preocuparsene, era calma.
Mi guardai intorno e quella scena si ripetè ovunque. Accanto all'enorme recinto c'erano Lexie e Alice che ci guardavano sorridendo, poi mi resi conto che Elle era l'unica donna che lavorava.
"Mike!!" sentìì urlare. Elle era riuscita a coricare il vitello. Andai verso di lei con il timbro incandescente. "Parte superiore della coscia". Avvicinai il timbro alla coscia del vitello, ma mi fermai.
"Non riesco, è crudele". Mi sorpresi delle mie parole, e lo stesso fece Elle.
"Blake!!" Elle chiamò suo fratello urlando forte. Blake ci raggiunse.
"Tieni fermo il vitello". Lui prese il posto di Elle, e lei si sistemò dietro di me.
Mise le sue mani sopra le mie e mi guidò marchiando il vitello in modo deciso. Un urlo straziante uscìì dalla bocca del vitello, mentre fumo nero saliva dalla sua coscia, durò un attimo, e l'attimo dopo fu come se non fosse accaduto nulla, anche se sulla coscia c'era un tatuaggio. Le sue mani rimasero sulle mie per un pò. "Hai visto? adesso sorride".
La guardai negli occhi color ghiaccio. Dio, come era carina.
Distolsi lo sguardo e lei tolse le mani da sopra le mie.
Dopo che mi mostrò come marchiare, fui in grado di cavarmela da solo e riuscimmo a marchiarne altri tre prima di pranzo. Il difficile era riuscire a far stendere il vitello, che non capendo ciò che gli succedeva, cercava di difendersi in tutti i modi.
All'ora di pranzo io ed Elle ci avviammo insieme verso la casa principale, Alice aveva preparato la tavolata appena fuori casa.
"Non ci riesco è crudele" mi imitò lei facendo finta di piangere.
Non riuscendo a fare altro, risi di me stesso.
"Sai, se non ti conoscessi avrei detto che ti dispiaceva per i vitelli".
"Perchè, mi conosci?".
"Abbastanza per poter dire ciò che ho detto". Ecco, era carina finchè iniziava a parlare.
"Posso affermare ufficialmente che sei insopportabile".
"bhe, la cosa è reciproca quindi non mi preocupa".
Ci sedemmo a tavola, questa volta feci attenzione a dove sedermi. Lontano da zia Dolly e da Lexie, che sembrava non stancarsi mai di fare domande. Mi sedetti di fianco a Blake e John, uno dei ragazzi che lavorava lì. Elle era seduta di fronte a me, e di nuovo la guardavo ridere. John se ne accorse. "è adorabile non trovi?" disse riferendosi ad Elle. Lo guardai.
"Oh si, un vero tesoro" risposi ironicamente, ma lui non sembrò farci caso.
Dopo una pausa di circa due ore, riprendemmo la marchiatura, che durò quasi tutto il pomeriggio. Quando anche l'ultimo vitello fu marchiato trassero tutti un sospiro di sollievo e si avviarono tutti verso le docce.
"Te la sei cavata bene ragazzo". Una pacca sulla spalla. Mi voltai. John.
"John!" Elle ci corse incontro. "Ti ricordi che oggi è venerdì?".
"Certo baby, la chitarra è pronta".
Lo baciò sulla guancia. Poi John se ne andò verso una stanza degli ospiti.
"Il venerdì è la serata della musica" disse in risposta al mio sguardo perplesso. "Dopo cena ci mettiamo sulla veranda e suoniamo, cantiamo, per divertirci".
"Che modo strano di divertirsi" dissi ridendo.
"Certo, niente può battere l'acool e la droga, o le scopate con le sconosciute". La sua risposta sarcastica mi fece innervosire.
"Il tuo giudizio è infondato" mi uscìì quasi come un ringhio.
"Ah davvero? Vuoi dirmi che non è così?". Dove voleva arrivare?
"Non è così, almeno per quanto riguarda la droga".
"Mi fai quasi schifo".
Risi. "Non è un mio problema". Entrai nell'albergo e raggiunsi la mia stanza.
Ragazzina insopportabile. Ma come si permetteva di parlarmi così?

Dopo la cena, io me ne tornai nella mia stanza mentre tutti gli altri rimasero sulla veranda a suonare la chitarra e cazzate varie. Ero davvero stufo. Stufo di essere trattato in quel modo, stufo di lavorare come un contadino e stufo di dover dormire in un buco peggio di una vecchia cantina. Stufo di non essere compreso. In quel momento tutto ciò che volevo era la birra del Green Oak, mentre ero costretto a girare i canali della tv per trovarne uno che si vedesse decentemente.
Dopo aver constatato che la tv era inutile, mi sdraiai sul letto e iniziai a pensare. Era piuttosto strano, perchè non pensavo mai. Io agivo e basta, forse solo dopo aver agito, potevo pensare.
Il pensiero è la cosa più segreta che ci è dato avere, l'unica cosa di cui puoi essere sicuro che le altre persone non sapranno mai, e tenere dei segreti portava sempre a sensazioni e sentimenti inutili come la delusione, la nostalgia, il dolore e la solitudine. Questo ero io, uno che non pensa mai. Qualcuno la chiama paura di provare sentimenti, per me, era solo realtà.
In ogni caso, quella sera la linea segreta dei miei pensieri andò ad Elle, e non potei farci nulla.

Mi svegliai di soprassalto, sudato, il respiro ansimante e gli occhi spalancati.
Riuscivo ancora a sentire la voce di Elle che mi diceva di non farlo, poi il rombo del motore della mia Yamaha, la partenza a tutto gas, la velocità massima, e infine lo schianto.
Rabbrividì e mi alzai per sciacquarmi la faccia. Le 4:21 del mattino, lessi sull'orologio.
Un'ora dopo probabilmente sarei dovuto alzarmi, perciò decisi di stare sveglio.
Aprìì le persiane alla finestra e vidi in lontananza una sagoma scura che avanzava verso il ranch, spensi immediatamente la luce per evitare di farmi notare e rimasi in attesa del suo arrivo. La sagoma si faceva sempre più chiara e visibile. Sembrava... un cavallo, e un uomo. Cercai di guardare più attentamente finché mi fu chiaro chi fosse.
Elle sopra un cavallo che tornava nella scuderia. Che diavolo era andata a fare di notte a cavallo?
La vidi uscire dopo aver sistemato il cavallo nel box e guardarsi intorno, mentre tornava in casa in punta di piedi.
Quella ragazza era pazza, oltre che insopportabilmente presuntuosa e tremendamente carina.
Ahh troppo complicata, pensai scuotendo la testa per cacciare certi pensieri che prendevano vita.

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Capitolo 6
*** Sorprese e tentazioni ***


Eccovi un altro capitolo, mi appassiona scrivere questa storia!
Non aggiornerò spesso perchè ho poca disponibilità di internet. Spero anche questo capitolo vi piaccia.
Grazie a Ardiarsun e ElisabethXD che recensiscono.XD
Peace out, FourWalls.

SORPRESE E TENTAZIONI

Quel mattino Elle mi mise a pulire i box schifosi e puzzolenti dei cavalli, mentre questi erano stati portati a pascolare sulle montagne. Non avendo ascoltato una sola parola di ciò che mi aveva spiegato, la imitai.
“Allora…” iniziai a punzecchiarla. “Hai dormito bene stanotte?”. Lei continuò a pulire senza guardarmi.
“Alla grande” mi disse in tono freddo. Riuscivo comunque a cogliere il sarcasmo.
“davvero? Eppure non mi sembra che il cavallo sia molto comodo”. Lei si fermò e mi guardò.
“Dove vuoi arrivare?”. Andai verso di lei e avvicinai pericolosamente il mio viso al suo.
“Ti.. Ti..”. I suoi occhi mi paralizzarono all’improvviso.
Lei non si scostò di un millimetro, mi guardava perplessa e incuriosita. Che diavolo mi succede? Sto balbettando?
“Ti ho vista” dissi infine, allontanando il viso dai suoi occhi.
“Tornavi a cavallo.” dissi in risposta al suo sguardo interrogativo. “Dove sei stata?”.
“Non sono affari tuoi” si rimise al lavoro, ma poi si fermò di nuovo.
“E poi che diamine, che fai mi spii adesso?”.
“C’è una cosa che ancora non sai di me, e mi sorprende, dato che sembra tu sappia tutto di me”. Avvicinai il capo di nuovo al suo viso, mentre con le mani mi tenevo appoggiato al rastrello.
“Sono un maniaco” le dissi in un sussurro degno di un film horror. Si avvicinò qualche centimetro in più, e di nuovo i suoi occhi catturarono i miei. Sapevo che era consapevole dell‘effetto che facevano quei suoi occhi.
Stava per dirmi qualcosa quando John ci interruppe.
“Siamo tornati Elle”. Lei sobbalzò e si voltò verso di lui.
“Oh scusate”. Aveva frainteso.
“Non c’è motivo per cui tu ti debba scusare John”. Si incamminò verso l’uscita “Non vi ho sentiti tornare”.
Io misi a posto il rastrello e li raggiunsi in silenzio. I cavalli erano tutti nel recinto più grande.
“Il signor Backer vuole comprarci degli esemplari”.
Elle alzò gli occhi al cielo. “Non è una novità”.
“Lo so, solo che questa volta è fissato con i mustang, sauri”. Non capì di cosa parlava, ma l’unica cosa che mi venne in mente fu una splendida automobile.
Il sorriso di Elle si spense immediatamente.
“MAI! Non gli abbiamo mai permesso di comprarci dei mustang per i suoi stupidi rodei, e tanto meno lo faremo adesso. Nessuno tocca Aira”. Il suo tono mi ricordò molto un cane pronto all’attacco, con i canini fuori e il respiro rabbioso. Lei tornò dentro la scuderia, e io guardai John in cerca di una spiegazione.
“Aira è lei” mi indicò un cavallo. “Il sangue nelle sue vene è mustang, un cavallo selvaggio. Vedi il suo mantello?” lo guardai interrogativo. “Il suo ‘pelo’, quando è di quel color rame, è sauro”.
Continuava a guardare quel cavallo. “Elle gli è particolarmente affezionata, l’ha fatta nascere”. Mi guardò poi continuò “Quell’uomo insisterà finchè non avrà ciò che vuole, anche se poi non lo otterrà, è comunque un fastidio”.
“Sei mai andato a cavallo?” mi chiese poi.
“No, cioè, forse da bambino, ma non ho intenzione di salirci”.
“Non sai cosa ti perdi”. Si, certo.
“Ora devo andare”. Andò verso un cavallo e ci salì con un gesto pratico. Mi salutò con un saluto alla militare, portandosi la mano sopra la fronte. Risposi con un sorriso e tornai nella scuderia.
Elle stava continuando a pulire. Io la imitai e mentre pulivo la guardavo, cosa diavolo ci era andata a fare fuori a cavallo di notte?
Non ero mai stato un tipo curioso, avevo sempre preferito farmi gli affari miei, o semplicemente non trovavo nulla che mi interessasse a tal punto da continuare ad ossessionarmi. Elle mi interessava?
“Smettila di fissarmi! È fastidioso”. Se n’era accorta, maledizione.
“Scusa, ma non riesco a smettere di chiedermi che diavolo ci facevi su un cavallo di notte”. Si fermò.
“Non so se essere più sorpresa del fatto che mi hai appena chiesto scusa o del fatto che ti interessa sapere dove io sia stata”.
Per la prima volta in vita mia, non sapevo cosa rispondere.
“o del fatto che ti sei mangiato la lingua”. Confuso com’ero, non mi accorsi nemmeno che si era avvicinata a me.
“Non so cosa risponderti”. Forse il mio atteggiamento l’aveva perplessa, ma mai quanto sorpresi me stesso.
Alzai la testa e il suo viso era a due centimetri di distanza dal mio, i suoi occhi di nuovo catturarono i miei in un vortice di confusione. In un attimo solo ebbi la tentazione di baciarla, e ebbi la sensazione che anche lei provava la stessa cosa. Eravamo sempre più vicini, quando lei si scostò e tornò dov’era prima. Maledizione, pensai, stava giocando con me.
Nei minuti successivi, non feci altro che chiedermi a cosa aveva pensando mentre tentavo di baciarla. Si era accorta delle mie intenzioni?
Certo che se n’era accorta, altrimenti perché si era scostata. Eppure mi sembrava di aver notato che non le dispiaceva.
Mi passai la mano avvolta nel guanto fra i capelli, sentendomi confuso da pensieri che mai erano stati nella mia mente, e soprattutto, mai così tanti e così confusi.
Finimmo di pulire il resto della scuderia in silenzio, entrambi immersi nei propri pensieri.
“Dopo pranzo dovremmo portare dentro i cavalli. Te la senti?” mi chiese lei mentre andavamo a pranzo.
“Non lo so, ma credo di si, se non devo salirci su ovvio”.
“No, solo guidarli verso il box, anche se ormai potrebbero farlo da soli, ma è solo per sicurezza”.
“Allora immagino di si”.
“Va bene”. Si percepiva un certo imbarazzo tra di noi.

Dopo pranzo Elle mi spiegò come portare il cavallo nel box, e stavolta la ascoltai, concentrandomi sul suo viso.
“E’ tutto qui, hai afferrato?”
“Cavezza, box”.
“Perfetto, lui è Tennessee, su ogni box c’è il nome del proprietario. Fai attenzione a centrare quello giusto”.
Presi Tennessee per la cavezza e iniziai a tirarlo fuori dal recinto verso la scuderia. Il cavallo si mosse subito e io cercai di mantenere la giusta distanza per evitare eventuali danni. Elle mi guardò finché entrai nella scuderia poi mi seguì con un altro cavallo.
Cercai con gli occhi la scritta Tennessee e la trovai subito, rimasi fermo un secondo.
“Lascialo pure intanto che apri, loro sono abituati poi a entrare da soli dopo che hai aperto” disse lei in risposta alla mia domanda silenziosa.
Lasciai la cavezza e il cavallo rimase immobile dove era mentre mi servivo di tutte e due le braccia per aprire il box. Il cavallo entrò da solo una volta che il box fu aperto, e lo chiusi non appena anche la coda fu dentro.
“La cavezza la tolgo?” urlai. Un no urlato arrivò alle mie orecchie poco dopo.
Portare i cavalli nei loro box ci tolse l’intero pomeriggio, dove a parte i nomi dei cavalli, non parlammo di altro.
Mentre portavo dentro l’ultimo cavallo, Elle mi venne incontro.
“Stasera c’è una festa al ranch dei Collins. Noi ci andiamo tutti, vuoi venire?”. C’era una punta di imbarazzo nella sua voce, ma fu il suo improvviso cambiamento a sorprendermi.
Risi. “Elle, non è roba per me”.
“Si lo so, ma qui non abbiamo le tue idee di divertimento, ed è sempre meglio che rimanere in quella stanza da solo”. Fece un debole sorriso.
“Va bene”. La risposta mi uscì automatica.

Dopo aver dato uno sguardo all’armadio, mi maledissi di aver buttato nella valigia degli stracci. Ma non potevo sapere che una sera avrei voluto apparire al meglio per una ragazza. Era così?
Non lo sapevo, sapevo solo che stavo viaggiando in un mare di confusione.
Scelsi le cose più decenti che avevo, un paio di jeans chiari e una camicia nera. Mi sistemai i capelli e mi feci la barba, poi mi spruzzai del profumo e uscì dalla stanza per andare nella casa principale.
Sulla veranda Memphis, il piccolo topo bianco, fissava il mio arrivo. Restò immobile in cima ai gradini finché fui abbastanza vicino da farmi i suoi saluti. Dapprima abbaiò, poi si mise a scodinzolare. Lo salutai con una carezza leggera sulla testa, piuttosto stranito dai cambi d’umore di quel cane.
“Sei piuttosto lunatico” mi rivolsi a lui.
“Memphis è il più lunatico tra tutti noi”. Alzai lo sguardo. Elle era in piedi di fronte a me. Mi alzai.
Fu come vederla per la prima volta, con occhi diversi. Era bellissima, avevo visto ragazze più belle, ma la sua bellezza aveva qualcosa di diverso, di sconvolgente. Indossava un vestito molto semplice azzurro, ma stava d’incanto abbinato alla sua pelle chiara e ai suoi occhi. Era leggermente truccata e i capelli lunghi e mossi castani le cadevano lungo le spalle morbidi. Sembrava … femminile, ed ancora più bella di come l’avevo vista fino ad allora vestita da lavoro con i capelli legati. Rimasi a guardarla come un deficiente senza dire una parola.
Probabilmente se ne accorse.
“Ehm, John ci aspetta sul pick up”. Si leggeva imbarazzo tra le sue parole. Poco dopo uscì Lexie che interruppe quel momento con le sue chiacchiere instancabili. Era davvero troppo loquace per avere quattordici anni, due in meno della sorella. Mi sistemai nel posto del passeggero di fianco a John che guidava, mentre Lexie e Elle nei posti dietro, ma durante il viaggio fu solo Lexie a parlare.

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Capitolo 7
*** La festa ***


Eccomi con un altro capitolo. Per sapere dove è andata Elle, dovrete aspettare un pochetto! XD
ElisabethXD: grazie mille per le tue recensioni, non sai quanto sono contenta!

LA FESTA

Arrivammo al ranch dei Collins circa un quarto d’ora dopo.
Appena scesi dal pick up notai le luci della festa provenire da un capannone appena fuori dal ranch vero e proprio. Alcune note di musica country ci raggiungevano. Non era affatto roba per me.
Quando entrammo nel capannone, notai che era piuttosto affollato. Al capo opposto dell’entrata era stato montato un palco, dove in quel momento una ragazza intonava una canzone accompagnata da tre suonatori di chitarra. Appena sotto il palco c’era una pista da ballo colma di coppie che si muovevano a ritmo con la canzone allegra. Il resto dello spazio era occupato da tavoli e sedie. Ci dirigemmo nei tavoli vicini agli altri componenti del nostro ranch.
Elle baciò sulla guancia suo padre, che ricambiò con un abbraccio. La tenerezza di quel gesto mi fece sorridere.
La ragazza bionda che stava cantando poco prima, raggiunse Elle di corsa e l’abbracciò. Poco dopo la sentì parlare di me.
“Ellie, chi è quello? Dove ne trovo uno simile?” sorrisi e rimasi in ascolto senza farmi notare.
“Smettila Jess, sei sempre la solita”.
“Dai presentamelo ti prego”.
Subito dopo le vidi venire verso di me.
“Mike, ti presento la mia amica Jessica”.
La ragazza bionda mi sorrise ammiccante.
“Piacere di conoscerti” mi disse. La situazione mi divertiva, e decisi di giocare.
Le presi la mano e la baciai come un perfetto gentiluomo.
“Il piacere è tutto mio”. Jessica arrossì violentemente. Elle mi guardava incredula e io sorrisi divertito.
“Ehm … devo andare a prepararmi per la prossima canzone”. Jessica se ne andò dedicando uno sguardo compiaciuto ad Elle che le rivolse un sorriso incerto.
“Non ci posso credere” mi disse Elle appena l’amica fu fuori portata.
“Che c’è? La tua amica è carina”.
“Sei incredibile”.
“Secondo la tua amica sono irresistibile”.
Lei rise. “Sei uno spaccone, se la tratti male sei morto”.
“Cosa ti fa pensare che voglia fare qualcosa con la tua amica?”. Mi guardò come se la risposta fosse ovvia.
“Non è così?” mi chiese.
“Ti sembrerà strano ma non mi interessa la tua amica”.
Anche a me sembrava strano, poco tempo fa ne avrei approfittato immediatamente. Ora non ne avevo voglia.
“Come vuoi, ma fammi un favore, non sottolineare ogni volta ‘la mia amica’, si chiama Jessica”.
“Va bene, allora Jessica non mi interessa, è carina certo, ma non è il mio tipo”.
Lei scoppiò in una risata. “Ok questo è davvero strano”.
Suo padre la chiamò e insieme andarono a ballare. Il loro rapporto era forte, e li invidiavo. Di colpo mi resi conto che non avevo conosciuto sua madre, dubitavo che fosse Alice.
“Ehi Mike, vieni a bere un po’ di birra?”. John comparve al mio fianco. Birra? Finalmente.
Lo seguì e mi sedetti al tavolo insieme a Blake e altri ragazzi.
Blake non mi sopportava, lo vedevo dalle sue espressioni, non mi rivolgeva mai la parola e subito pensai che fosse così caratterialmente, e in parte lo era, ma vedendolo in mezzo agli altri mi resi conto che ero io a schifarlo. La cosa non mi importava più di tanto, gli altri ragazzi erano simpatici e passai una serata tutto sommato piacevole, anche se la musica non era davvero il mio genere.
Jessica tornò a farsi vedere chiedendomi di ballare con lei ed io accettai guidato dalla birra e da vecchi istinti. Ballammo ben tre volte musica allegra. Poi finalmente riuscìì a liberarmi di lei e tornai al tavolo ridendo.
“Ti diverti?”. Mi voltai sobbalzando.
“La tua am … ehm Jessica è instancabile”.
Lei rise. “Ti ha adocchiato, ora sei suo”.
“Elle, mi gira la testa” dissi. Ero mezzo ubriaco. Mi prese il braccio e mi portò fuori dal capannone.
“Grazie” dissi. Mi sedetti su una panca di fianco all’entrata. “Tuo fratello mi odia”.
Lei si sedette di fianco a me. “Già, ti trova insopportabile e snob”.
La guardai. “Lo hai influenzato con i tuoi giudizi”.
“Ti sbagli, ha fatto tutto da solo, anzi, tu hai fatto tutto da solo. Sei riuscito ad essere insopportabile a molte persone”.
“Tranne a Jessica” dissi ridendo “Elle, mi dispiace se sono stato insopportabile” le parole uscivano da sole grazie alla birra.
“E’ la birra che parla”.
“No” barcollavo. “Torniamo dentro”. Mi alzai e tornai dentro, lei mi seguì. Rimasi seduto rifiutando le proposte di Jessica di ballare, e guardavo Elle che ballava con i suoi fratelli e con John. Era davvero carina quella sera.
C’era qualcosa di diverso in me, una bionda mozzafiato si era presentata e mi aveva fatto chiaramente capire che le interessavo, e non mi faceva il minimo effetto. Ero riuscito a divertirmi ad una festa come quella. Forse, stavo cambiando?
Elle iniziava a piacermi. Non mi piaceva come mi erano sempre piaciute le ragazze. Ero interessato a sapere di più della sua vita, di sua madre. Che mi stava succedendo?
Mai mi era importato così di nessuno.
Scossi la testa ridendo di me stesso, di come mi stavo riducendo.
Poi l’istinto si fece sentire. Mi avvicinai ad Elle e le porsi la mano.
“Mi concederebbe l’onore di un ballo?” le chiesi.
Deliravo, non sapevo più se fosse la birra o semplicemente avevo voglia di ballare con lei.
Lei mi squadrò poi decise di accettare.
Quando mise la sua mano sulla mia un brivido mi percorse la schiena, e sperai che lei non l’avesse notato.
Jessica cantava di nuovo, una canzone di ritmo lento.
Misi l’altra mano attorno alla vita di Elle e l’avvicinai a me. Non sapevo come muovermi, e fu lei a fare i primi passi.
“Sono un disastro” dissi.
“Si e sei ubriaco. Ho accettato perché tanto domani non ricorderai nulla”. Rise. Mi sembrava che volesse giustificarsi. Sorrisi.
“La verità è che anche tu mi trovi irresistibile”.
Rise di nuovo. “Mike, io odio le persone come te”.
“Le persone come me, non me”.
“Non c’è differenza”.
“Se invece io fossi diverso?”.
“Dimostramelo, anche se ormai ti sei già impegnato ad essere odioso”.
Risi. I suoi occhi mi imbarazzavano.
“Non mi hai presentato tua madre”.
Lei esitò, sembrava sorpresa di quell’improvvisa domanda, tuttavia si era intristita. Capìì all’istante.
“Scusami … Non lo immaginavo nemmeno”.
“Non fa niente” mi interruppe, e qualcosa cambiò sul suo viso. La canzone finì e lei mi lasciò la mano e se ne andò lasciandomi in mezzo alla pista. Mi maledissi per averglielo chiesto. Dovevo immaginarlo. Sentendomi un imbecille in mezzo alla pista da solo, decisi di uscire a prendere una boccata d’aria.
Uscii e guardai il cielo pieno di stelle, quando un singhiozzo alle mie spalle mi fece voltare. Elle era seduta sulla panca di fianco all’entrata e stava piangendo. Istintivamente mi avvicinai a lei e mi abbassai inginocchiandomi per terra.
“Mi dispiace, non dovevo chiedertelo”.
“Mike, non è colpa tua. Sono io che dovevo dirtelo”. Mi sembrava così diversa da come l’avevo conosciuta. La sua corazza difensiva era crollata, e notai solo in quel momento che avevamo qualcosa in comune.
“Ti capisco”. le dissi soltanto. Lei mi guardò poi alzò gli occhi al cielo.
“Ma per favore Mike, tu non puoi capire, e fai così solo perché mi vorresti come trofeo come fai con tutte”.
Feci una risatina. “Adesso sei tu che non capisci”.
“Mia madre è morta quando ero piccolo” aggiunsi. Lei fece un sospiro.
“Scusami”.
“Per quanto riguarda il trofeo, non ho intenzione di metterti su uno scaffale insieme alle altre. Tu … sei diversa. Sei insopportabile”.
Rise. “Già, dimenticavo. Sul serio non ti interessa Jess? Davvero se non ti interessa non farla soffrire, lei è sensibile, non voglio che stia male per un deficiente come te”.
“Non mi interessa e non voglio farla stare male”.
“Sei davvero strano stasera”
“Adesso ripigliati per favore, non voglio vederti piangere”.

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Capitolo 8
*** Sul Promontorio ***


Non scrivo molti pensieri di Mike, proprio per sottolineare la sua estrema impulsività. Spero di esserci riuscita.
Bellatrix_Indomita: Ti ringrazio davvero per il tuo commento. Sono davvero contenta che condividiamo questa passione, ormai è quasi raro trovare persone che adorano questo tipo di vita.
ElisabethXD: Si scoprirà dove va Elle solo verso la fine! XD, comunque, credo che questo capitolo ti piacerà molto XD

SUL PROMONTORIO

Quando tornammo a casa era ormai notte fonda, ma mi addormentai qualche ora dopo, la mia mente era piena di pensieri. Elle, l’altro lato del suo carattere che avevo visto quella sera, e poi mia madre. Ripercorsi quei pochi ricordi che mi erano rimasti.
Ricordavo a fatica i momenti con lei, ma qualcosa mi era rimasto più forte e chiaro degli altri. Fu quando mi portò a lezione di equitazione per la prima volta facendomi salire sul cavallo insieme a lei. I cavalli erano la sua passione, aveva partecipato a concorsi ippici da quando era ragazzina.
Sentivo la sua mancanza in quel momento dopo tanto tempo, e mi addormentai pensando a lei.

Quel giorno era domenica, e avrei potuto dormire anche tutta la mattina se avessi voluto, ma mi svegliai abbastanza presto, non riuscendo più a riprendere sonno.
Mi feci una doccia bollente per calmare la strana sensazione di ansia che mi era venuta.
Mi vestii e uscii dalla stanza. Guardandandomi intorno notai che il ranch era poco attivo quella mattina. Salutai i pochi ragazzi che vidi e decisi di andare nella casa principale.
Sulla veranda Memphis era steso su una sedia e si guardava intorno. Quando mi vide drizzò la testa e appena fui vicino alla porta iniziò a scondinzolare restando dov’era. Lo salutai con una carezza e suonai il campanello. La gatta bianca Leslie che viveva in casa si strusciò sulle mie gambe, ma nessun altro rispose al suono del campanello.
Ma dov’erano tutti?
Non sapendo cosa fare andai nella scuderia ad osservare i cavalli appartenenti alla famiglia Brooks. Il primo che vidi fu un certo ‘Fly of an Eagle’, sotto al nome appariva la scritta Tennessee Walking Horse, doveva essere la razza. C’erano altri di quella razza, altri erano Quarter Horses, e una piccola quantità Mustang, la loro bellezza spiccava in mezzo agli altri. Mi avvicinai ad Aira, era il cavallo più bello che avessi mai visto. Fu lei a venirmi incontro sporgendo il muso curioso dal box.
“Ciao Aira” tesi la mano e lei la annusò, poi la accarezzai sul muso.
“Sei stupenda”. Lei sembrò contenta del complimento e si sporse di più.
“Mi dispiace deluderti, ma non ho portato nulla con me da farti mangiare”.
“Siete una bella coppia”. Elle comparve all’entrata della scuderia.
“Da quanto sei lì?” le chiesi.
“Qualche secondo”. Si incamminò verso di me. Indossava un paio di pantaloni lunghi di raso e una camicetta bianca. I capelli sciolti e un velo di trucco.
“Dove siete stati tutti?”.
“In chiesa” rispose. “Come tutte le domeniche”.
Si avvicinò ad Aira e la salutò con un abbraccio intorno al collo. Doveva essere un abitudine.
Tornò a guardarmi. “Di solito la domenica andiamo a cavallo sulle montagne e ci portiamo il pranzo. Tu che fai?”. Non avevo nessuna intenzione di salire su un cavallo.
“Vi aspetto qui”.
“Non essere sciocco, cosa fai qui da solo tutto il pomeriggio?”.
“Io non salgo su quegli animali”.
“Neanche se ti porto io?”. Mi rivolse un sorriso.
“Che vuoi dire?”
“Sali con me, su Aira”. Guardai il cavallo, poi lei. I suoi occhi.
“Potrei provare”. La sua bocca si curvò in un sorriso che non potei fare a meno di ricambiare. Qualcosa era cambiato tra di noi.
Si andò a cambiare e io raggiunsi i ragazzi fuori dalle scuderie.
Qualche minuto dopo Elle venne verso di me. Indossava shorts di Jeans e stivali, una maglia e il cappello da cowboy. Era sempre carina, ma preferivo di gran lunga la sua versione femminile. Appena mi raggiunse mi mise in testa un cappello come il suo e mi sorrise.
La seguìì nella scuderia.
“Porta fuori Aira, mentre recupero la sella.” mi disse mentre metteva la testiera al cavallo.
Subito dopo presi le redini e tirai Aira fuori dal box per guidarla fuori dalla scuderia.
Appena arrivai fuori, Billy, Blake e Lexie sistemavano i loro cavalli. Poi si unirono Alice e John. Legati alle selle dei cavalli pendevano dei sacchetti di plastica. Probabilmente era il pranzo.
Elle sistemò la sella poi salì su Aira, che non fece una piega.
“Sali”. Facile a parole.
“Come faccio?” le chiesi davanti alla figura sovrastante del cavallo.
“Infila il piede destro nella staffa e datti una spinta. Fai passare la gamba sinistra dall’altra parte e ti aggrappi a me”.
La guardai in un misto di confusione e terrore.
“Vieni qui”. Mi avvicinai alla sua gamba.
“Piede destro nella staffa”. Misi il piede nella staffa e quasi mi venne un crampo.
“dammi la mano e spingiti in alto”. Feci come mi aveva detto e in un attimo la mia gamba sinistra era dall’altra parte e io ero seduto dietro di lei sulla schiena di Aira.
“Ci siamo tutti?”. Billy si trovava davanti al gruppo. “Perfetto allora partiamo, seguitemi”. Partimmo tutti al seguito del capo gruppo e uscimmo dal ranch. Era davvero strano posare le mie mani sui fianchi di Elle, mentre lei dandomi le spalle faceva andare l’animale sotto i nostri sederi.
“Tutto a posto?” mi chiese senza girarsi.
“Circa”.
Rise. “Ne vale la pena, il posto dove andiamo è stupendo”.
Non riuscivo a non pensare al fatto che il suo atteggiamento nei miei confronti era cambiato, parallelamente al mio.

Arrivammo dopo circa un’ora e mi accorsi solo quando fui con i piedi per terra del posto stupendo in cui ci trovavamo. Uno spiazzo enorme sul promontorio sul quale sembrava di essere in cima al mondo. Si vedevano in lontananza tutti i ranch della zona, e più in basso anche il centro di Brentwood, che sorgeva in una valle tra alte montagne e promontori. Il sole splendeva sereno e tirava quel tanto di vento che bastava a non sentire il calore bruciante del sole sopra le nostre teste.
“Allora ne valeva la pena no?”. Elle apparve al mio fianco, come sempre.
La guardai e la risposta uscì da sola. “Assolutamente”. Sperai non si fosse accorta che mi riferivo a lei.
“Circa dieci minuti di camminata in quella direzione” mi indicò un punto dietro di noi nel bosco. “e si arriva al fiume”.
Mangiammo il pranzo insieme, nel punto in cui si vedeva la vallata. Da soli.
“Jessica vorrebbe rivederti”. Mi guardava sorridente.
La ignorai. “Desideri mai essere in un altro posto?”. Lei mi guardò qualche istante prima di rispondere. “No, cioè in realtà non ci ho mai pensato, ma non vorrei vivere in nessun altro posto, io amo la mia vita”.
“Non senti mai che ti manca qualcosa?”
“No”. Si girò sorridendo verso di me e io mi avvicinai al suo viso. Lei si scostò tornando a guardare il cielo, capendo le mie intenzioni. Maledizione.
“Guarda” mi indicò un punto nel cielo. “Un’aquila reale. Non è bellissima?”.
L’aquila planava sopra di noi in tutto il suo splendore. “Si” risposi soltanto.
“Mia madre adorava le aquile, mi diceva sempre che tenevano d’occhio il ranch per proteggerci, quando le vedevamo planare in cielo.”
“Doveva essere una bella persona”.
“Oh si, era la persona più dolce che io abbia mai conosciuto”.
“Mi sarebbe piaciuto conoscerla”. Si voltò e mi guardò. I suoi occhi chiari erano lucidi.
“Parlami di tua madre” mi disse.
“Bhe, non ho molti ricordi, è morta quando avevo quattro anni”. Feci una pausa ma lei non smise di guardarmi. “Mi portava a cavallo” dissi infine. “Era la sua passione”.
Finimmo con il parlare della nostra totalmente differente infanzia, e lei mi parlò di sua madre.
Ad ogni parola Elle entrava più nel mio cuore, facendosi spazio tra i mille tentativi di allontanare sentimenti come quelli che non avevo mai provato, e che mai avevo intenzione di provare nella mia vita. Avevo avuto molte ragazze, ma di nessuna di loro mi era mai importato nulla, Elle era diversa. Sentivo il desiderio di conoscerla in ogni suo aspetto ogni volta che guardavo i suoi bellissimi occhi.
Il nostro rapporto era cambiato, mi bastava ascoltarla e vederla sorridere per provare gioia.
“Mi dirai mai dove sei andata quella notte a cavallo?”.
“Te lo dirò quando sarà il momento. Per ora posso dirti che quella non era la prima volta, anzi lo faccio spesso”
“Che vuol dire quando sarà il momento?”.
“Questo lo so io”.
“Nessuno ti ha mai vista uscire a cavallo di notte?”.
“Credo di no”. Mi sorrise.

Dopo il pranzo al sacco Elle volle portarmi al fiume, così dopo dieci minuti di camminata arrivammo a destinazione.
“Ti fa ancora tanto schifo questo posto?”. Era di fronte a me, le mani sui fianchi.
“Mmm… è sulla buona strada per piacermi”.
Rise. Una risata dolce.
Mi avvicinai a lei giudato dall’istinto e le presi la mano. Aspettai una sua reazione, ma rimase ferma e mi guardò, il viso a pochi centimetri dal mio.
“Elle, tu mi piaci, so che ti sembra impossibile, ma non riesco a fare a meno di pensare a te, sento che mi stai facendo cambiare, mi stai facendo provare cose che neanche pensavo di poter provare, tutto questo in pochi giorni.
All’inizio poteva sembrare un gioco, ma non lo è più. Mi piaci davvero, in un modo diverso dal solito, starei a guardarti parlare per ore senza mai stancarmi. Prima, mentre mi parlavi di tua madre, ho capito che non volevo essere da nessun‘altra parte se non accanto a te. Elle è la prima volta che sento il desiderio di stare vicino a qualcuno” Feci una breve pausa.
“Credo che ci siano buone probabilità che io mi stia innamorando di te”. La guardai e cercai una risposta nei suoi occhi.
Lei lasciò la mia mano e si allontanò da me. “Mike, non è così che deve andare”
Feci una risatina. “Forse no, ma è così che sta andando”.
Tornò ad avvicinarsi a me. “Tu … sei di Los Angeles, sei un ragazzo ricco e superficiale. Io sono una ragazza di umili origini che vive in un ranch sulle montagne. Non può funzionare”.
Mi feci più vicino. “Guardami adesso Elle, in questo momento. Può funzionare, io sono pronto a cambiare, sto già cambiando”
“No, Mike. Tra una settimana, forse due o tre tu tornerai alla tua vita e mi spezzeresti il cuore, quindi è meglio così credimi.”. In quel momento desideravo abbracciarla e farle sapere ciò che nemmeno io sapevo.
“Non ti innamorare di me” mi disse. Forse è troppo tardi, pensai.
“Guardami negli occhi e dimmi che non provi lo stesso”.
“No. Mike ti prego, torniamo dagli altri”.

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Capitolo 9
*** Freddezza ***


La storia sarà abbastanza lunga perciò portate pazienza! XP
ElisabethXD: Eccoti accontentata! Subito un altro capitolo. Adesso che ho un pò di tempo ne approfitto. Non ne sono molto contenta, ma alla fine un senso ce l'ha XD
Bellatrix_Indomita: Si monta da sinistra solo per consuetudine storica, quando il cavallo è abituato e ammansito da entrambi i lati, puoi montarlo dove ti pare! Cmq voglio darti un anticipazione, nel prossimi due capitolo si scopre ciò che pensa Elle XD.
Baci, FourWalls.

FREDDEZZA

Quando tornammo sul prato dove si trovavano tutti gli altri, Blake sembrò notare che qualcosa non andava, e si avvicinò a me con un aria infastidita.
“Cosa è successo fra te e mia sorella?”.
“Che vuoi dire?”.
“Andiamo Mike, ho visto come vi guardavate. Siete tornati dopo un ora da chissà dove e mia sorella ha cambiato faccia. Che cosa le hai fatto?”
“Io … niente. Senti Blake, so che non mi sopporti, e la cosa francamente non mi interessa…”.
Lui si avvicinò ancora più a me.
“Se la vedo soffrire a causa tua, la pagherai. Lei non è come le ragazzine di cui sei abituato a portarti a letto, lei è speciale ed è mia sorella, se sta male non esiterò a fartela pagare cara”.
“Non ho nessuna intenzione di approfittarmi di lei. Il tuo giudizio è infondato, non mi conosci”.
“So quel tanto che basta per dirti ciò che ti ho detto, perciò fai attenzione”. Girò i tacchi e se andò.
Io ed Elle non ci rivolgemmo la parola neanche durante il viaggio di ritorno.
Mi chiesi più volte a che diavolo stesse pensando. Sapevo che provava qualcosa per me, forse non quanto me, ma qualcosa c’era.

Il giorno dopo mi alzai in orario e dopo essermi vestito uscii in cerca di Elle. La trovai subito, nel recinto che faceva correre in cerchio il cavallo ferito, esattamente come la vidi la prima volta. Mi avvicinai e appoggiato allo steccato, rimasi a guardarla.
“Sta meglio?” le chiesi appena si fermò.
Lei mi guardò. “Si, è arrivato il momento di montarlo”.
“Che vuoi dire?”.
“Non può tornare nelle praterie esposto al pericolo, deve restare qui ma per restarci deve essere domato”.
“Te ne occuperai tu?”.
“Si, adesso”. Uscì dal recinto e si diresse a passo svelto nella scuderia e tornò fuori poco dopo con una sella e una testiera.
Io rimasi dov’ero incapace di toglierle gli occhi di dosso.
Domare un cavallo non era affatto semplice, Elle rimase ad accarezzare il cavallo per un tempo lunghissimo, sussurrandogli parole per me incomprensibili. Avvicinò la testiera al muso leggermente infastidito del cavallo per farglielo annusare, poi con movimenti lenti ma precisi tentò di avvicinarla alla testa, ma il cavallo indietreggiò. Tornò a fargliela annusare senza smettere di toccarlo. All’ennesimo tentativo Elle riuscì ad infilare il morso nella sua bocca. La tensione tra di loro era quasi palpabile, ma la calma non la abbandonò neanche per un istante. Lo accarezzò e lo fece girare per il recinto abituandolo all’imboccatura. John e Alice mi raggiunsero e rimasero con me a guardare la concentrazione e la pazienza di Elle. Era incredibile, non avevo mai visto tanta bellezza in movimenti che richiedevano concentrazione massima. Continuai a pensare che lei fosse una creatura meravigliosa.
Dopo circa una o due ore, prese la sella e la portò vicino al muso del cavallo, quando questi fu sicuro che non si trattava di qualcosa di pericoloso Elle sfregò i riscontri sul collo lungo il pelo facendogli sentire il rumore. Dopo qualche minuto fece scorrere la sella sulle sue spalle e la posizionò sulla schiena, le staffe legate. La scosse un po’ con le mani, mentre continuava a ripetergli parole dolci e incomprensibili alla mia distanza. Gentilmente legò il sottopancia in modo leggero, facendo muovere il cavallo per abituarlo. Dopo di che strinse il sottopancia più stretto.
“Non è la prima volta che lo fa giusto?” chiesi ad Alice di fianco a me.
“No, ha domato Aira, ma questo è molto più tranquillo, ci metterà molto meno”.
Continuò a far girare il cavallo nel recinto facendogli capire l’uso dell’imboccatura e delle redini, praticando una pressione sulla sella con il braccio. Quando fu abituato e ammansito da entrambi i lati e intorno alla sella, Elle portò il cavallo in mezzo allo spazio del recinto e fece un lungo sospiro.
Non riuscii a non pensare che fosse pericoloso ciò che stava facendo. Prese un piccolo blocco e lo sistemò alla sinistra del cavallo, poi ci salì con estrema lentezza. Slegò le staffe e mise il piede su una di queste, facendo sentire al cavallo il tocco della sua gamba e rimanendo in quella posizione qualche istante. Portò la mano destra dalla parte opposta del cavallo, sulla sella, afferrando le redini e un ciuffo della criniera. Poi portò tutto il peso del corpo sul piede nella staffa e sulla mano, facendo sentire gradualmente al cavallo il peso, ripetendo l’operazione più volte. Quando finalmente fu in groppa, il cavallo non si mosse, e lei gli sussurrò ancora qualcosa accarezzandolo. Gli fece fare qualche giro del recinto poi si fermò.
“Per oggi è già tanto, sei stato bravissimo”. Gli tolse la sella e uscì dal recinto. Mi fece cenno di seguirla e io la seguii nella scuderia.
“Oggi pomeriggio vado verso Nashville, abbiamo venduto due cavalli a Backer e dobbiamo portarglieli. Vieni anche tu, altrimenti non saprei che altro farti fare”.
Feci una risatina notando la sua freddezza. “Certo”.
Pranzammo e subito dopo aver caricato i cavalli nel van partimmo verso Nashville. Nel pick up l’atmosfera era tesa.
“Di preciso di che vi occupate al ranch?”.
“Siamo allevatori di cavalli e vacche. Li alleviamo poi li vendiamo”.
“Quindi quei cavalli che vivono fuori dalla scuderia sono quelli che allevate per vendere?”.
“Esatto, i puledri dei nostri cavalli”.
Dopo un attimo di esitazione mi rivolsi a lei.
“Elle, senti, per quanto riguarda quello che è successo ieri. Non voglio che tu ti senta obbligata a dover provare lo stesso. Cioè, per me va bene comunque. Siamo amici?”. Non sapevo che altro dire, ma non volevo che tornasse ad essere fredda e tagliente con me.
Lei fece un sospiro. “Si”.
Per il resto del viaggio nessuno disse nulla. Arrivammo dopo un’ora e mezza.
Appena scesi il posto in cui ci trovavamo mi sembrò inquietante. In un recinto erano stati spinti troppi cavalli costretti a stare ammassati.
“Perché ne hanno messi così tanti in quel recinto?”. Elle mi guardò.
“Fanno di tutto per farli diventare cattivi. Sono cavalli selvaggi, in attesa del rodeo di Backer”.
“è orribile”.
“Già, ma poi mi dico che nessuno riesce a domarli e a portarsi a casa il premio, e allora sono leggermente più contenta”.
“Per questo non vuoi dare i tuoi cavalli a quell’uomo?”.
“Esatto, specialmente i mustang. Quella è la gara più folle e crudele”.
Un uomo brizzolato ci venne incontro. Doveva essere sulla cinquantina.
“Signorina Brooks, ma che piacere” strinse la mano ad Elle poi si accorse della mia presenza.
“Un nuovo assunto?”.
“Solo per poco tempo” rispose Elle impassibile.
“Mike Evans” gli strinsi la mano.
“Robert Backer” ricambiò la stretta di mano sorridendo. “Hai un accento dell’ovest”.
“Si sono di Los Angeles”.
Finite le presentazioni portammo i cavalli, due quarter horse, nei recinti appositi per uno dei rodei del signor Backer.
“è inquietante questo posto”.
“I rodei sono un’attrazione turistica, e chi li tiene fa di tutto per far sì che ciò frutti dei soldi”.
“In cosa consiste la gara dei mustang?” le chiesi incuriosito e ripensando ad Aira.
“Due uomini e un cavallo. Un uomo tenta di reggere il cavallo, l’altro prova a sellarlo. L’obiettivo è cercare di montarlo e starci su qualche secondo. Ma è quasi impossibile, i mustang sono ribelli, e incattiviti, poi non dovrebbero montarli a quel modo. Nessuno ci riesce, però tutti tentano di vincere”.
Incapace di dire qualsiasi cosa rimasi a guardarla sistemare i cavalli e salutarli, poi tornammo entrambi sul pick up, decisamente disgustati dall’atmosfera.
“Jessica partecipa ad un rodeo di domani, e io devo andare a vederla. Vuoi venire? Non è come quello dei mustang, è una specie di corsa ad ostacoli per cavalli, come lo sport inglese.” mi chiese mentre guidava.
“Ok”. La situazione tra di noi iniziava a darmi fastidio, tuttavia accettai. Iniziai seriamente a pentirmi di come mi ero comportato fino ad allora con lei.

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Capitolo 10
*** Il Rodeo ***


ElisabethXD :Ecco un altro aggiornamento lampo per una cara lettrice XD
Bellatrix_Indomita: Non hai assolutamente perso la mia simpatia anzi! Ero convinta si montasse da sinistra solo per tradizione storica. Mi hanno raccontato la storia dei cavalieri che tenevano la spada a destra e per non ferire il cavallo salivano dall'altra parte. Comunque, è lo stesso! Non è così importante. Sono contenta che continui a recensire e leggere, davvero non sai come mi fai felice! XD

IL RODEO

La mattina successiva appena uscii dopo aver indossato una camicia e i jeans con gli stivali, come indicato da Elle, mi diressi verso la casa principale.

Memphis era lì, pronto a salutarmi, ma questa volta mi venne incontro saltellante e lo presi in braccio. Quando tentò di leccarmi lo rimisi per terra e lui mi fece strada verso la sala dove Alice sistemava delle scartoffie.
“Buongiorno” dissi, e lei si voltò sorridente.
“Buongiorno, Elle scenderà tra qualche minuto. Andate al rodeo?”. Annuii. Mi guardai intorno e vidi foto ovunque.
In una foto c’era Billy molto più giovane in groppa ad un cavallo, e sedute davanti a lui c’erano due bambine, la più grande teneva abbracciata la più piccola. Dietro di loro un altro cavallo con in groppa una bella donna bionda e un ragazzino, probabilmente Blake. Guardai la donna bionda poi le due bambine, erano uguali e splendide. Mi soffermai sulla madre di Elle e ripensai a mia madre.
“Più tardi verremo anche noi. Quando Billy e Blake tornano con le mandrie”. Alice mi scostò da quei pensieri.
Non la smetteva di sistemare le scartoffie. “e io finisco con la contabilità” mi sorrise. Il suo atteggiamento in qualsiasi cosa facesse era materno e di una dolcezza più unica che rara.
“Quindi tu ti occupi della contabilità?” le chiesi notando Memphis seduto all’entrata che mi fissava. Cercai di non farci caso.
“Si, qualcuno deve occuparsene”. Sorrisi poi Elle scese dal piano di sopra. Diede un bacio ad Alice e uscì. Salutai a mia volta e la seguii.
Non mi aveva nemmeno degnato di un sorriso.
Salii sul pick up e partimmo per Brentwood. Dopo dieci minuti eravamo già in città nel posto in cui si teneva il rodeo.
Venditori di cibi e vestiti e bancarelle di artigianato erano sparsi ovunque e ogni persona presente indossava un cappello e una cintura tipici del posto. C’erano le giostre per i bambini e saloni da dove proveniva la musica dei balli popolari. C’erano uomini che tenevano degli spettacoli con le corde e poi i recinti degli animali usati per le gare con accanto il box di vendita dei biglietti.
Seguii Elle in quel box dove comprammo due biglietti per il rodeo ed entrammo nell’arena. Un uomo, probabilmente il sindaco, diede il benvenuto a tutti e presentò la gara su una specie di torre simile a quella dei bagnini nel telefilm Baywatch. Mentre la prima concorrente iniziava il percorso ad ostacoli, il cronista commentava ogni singola mossa, ed era piuttosto irritante. Arrivò il turno di Jessica, che se la cavò abbastanza bene, anche se non si aggiudicò il premio che invece andò ad una ragazza del Wyoming. Tutto sommato la gara non era stata soporifera come avevo pensato.
Più tardi ci raggiunse il resto della famiglia di Elle, e insieme girammo per i rodei. Alice ci invitò ai balli, e non ebbi scampo.
Era ormai sera e quando entrai nella sala, si muovevano tutti all’unisono. Era uno di quei balli dove fanno tutti insieme gli stessi passi, ripetendoli più volte. Ballai con Alice, poi con Lexie.
Poi mi chiese di ballare Elle, la prima cosa che mi disse in tutta la giornata. Il ritmo del ballo ci teneva distanti, ma cercai lo stesso di parlarle.
“Si…Può…Sapere…Che …Diavolo… Ti… Prende?”. Facevo davvero fatica a parlare.
“In…Che…senso?”. Iniziava ad innervosirmi il suo comportamento. “Mi… eviti… da… domenica…oggi…non…Mi…hai…rivolto…una…sola…parola”.
“A…parte…ora”. Ne avevo abbastanza. Le presi il braccio e la feci fermare in mezzo alla pista di fronte a me. Non guardai, ma seppi che Blake stava osservando in attesa di un mio passo falso. Non me ne importava un accidente in quel momento. Ero preso da lei, ed ero stufo dei suoi giochetti.
“Adesso ne ho abbastanza. Non giocare con me Elle, non mi diverto affatto”.
Mi sorrise. Che diamine aveva da sorridere?
“Non sto giocando”.
“Davvero? Eppure non mi sembra”. Cercai di tenere a bada il nervosismo.
“Mike, lasciami il braccio mi fai male”. Allentai la presa, non mi ero accorto che le stavo stringendo il braccio.
“Mi vuoi dire che ti succede?”. Cercai di addolcire il mio tono di voce.
“Non sono affari tuoi”. Non mi stava guardando in faccia.
“Si invece, dato che cambi atteggiamento con me quasi tutti i giorni”.
“Non è così”.
“Si lo è” insistetti.
“è inutile che insisti, non ha niente a che vedere con te”. Guardava a terra, in mezzo alla gente che ballava riuscivo a scorgere l’espressione del suo volto. Qualcosa non andava. Scrollò il braccio dalla mia ormai debole presa e si diresse verso l’uscita.
Restai dov’ero passandomi una mano tra i capelli come per tenere in piedi la testa diventata pesante. Non mi riconoscevo più. Non sapevo quale fosse la cosa giusta da fare. Decisi infine di affidarmi al mio istinto, il quale continuava a ripetermi di seguirla. Uscii da quella sala di corsa, e la trovai appena fuori l’uscita. Mi avvicinai a lei esitante, lei mi guardò per un istante che mi parve infinito, poi mi prese la mano e mi guidò lontano dalla sala da ballo caotica.

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Capitolo 11
*** Declarations ***


Grazie di cuore a chi continua a seguire questa storia, mi rende davvero felice e spero un giorno vi fermiate a recensire, solo per dirmi cosa pensate mentre leggete. Sarebbe fantastico!

DECLARATIONS

Continuai a chiedermi dove saremmo andati a finire, mentre mi guidava fuori dal raduno. Accadde tutto talmente in fretta che non riuscii nemmeno a capacitarmene. Mi guidò verso un recinto di cavalli isolato, che a giudicare dall’aspetto, era quello dei cavalli selvaggi. Notai che era quasi vuoto rispetto a quello che avevamo visto il giorno prima da Backer. Le luci del rodeo illuminavano la strada e il recinto.
Si fermò e mi lasciò la mano. La seguii e ci attaccammo allo steccato. Non dissi nulla, aspettando una sua reazione. Dopo qualche minuto si voltò verso di me scostandosi una ciocca di capelli dietro le orecchie.
“Guarda i cavalli”. Le mie sopracciglia si strinsero assumendo un espressione confusa, mi voltai a guardare i cavalli. Mi aveva portato lì per vedere i cavalli?
“Non devi semplicemente guardare, devi osservare, ogni singolo movimento. Quando li avrai osservati potrai capire che loro ci assomigliano molto: cercano sempre un modo per farci sapere ciò che provano. Bisogna solo imparare ad ascoltarli”. La guardai, ma lei continuò ad osservare i cavalli.
“Per saper godere di ciò che godo io quando cavalco nella prateria: libertà e amore”. Continuai a guardarla parlare, rendendomi conto che mi ero innamorato di lei.
“Molte volte” continuò, voltandosi verso di me. “Penso che questo sia tutto ciò che mi serve. Guardo i cavalli e so di appartenere a loro”. Fece una pausa, e il mio cuore stranamente prese a battere piuttosto forte.
“Ma… sono troppo occupata ad ascoltare ciò che cercano di farmi capire loro, per imparare ad ascoltare me stessa.”. Scese dallo steccato, l’espressione sul suo viso era seria, si percepiva la fatica di far uscire quelle parole. Io ero di fronte a lei, incapace di interromperla.
“Per fortuna ho imparato ad ascoltarli, ho avuto così qualcosa in cambio. Forse non mi crederai ma ascoltandoli ho capito alcune cose di me stessa che da sola non capivo”. Fece un lungo sospiro, non mi mossi.
“Ho costruito un muro attorno a me dalla morte di mia madre, accessibile quasi esclusivamente agli animali. Pensavo che mi avrebbe protetta da ciò che può farmi stare male, ma le mie difese crollano quando sei vicino a me. Non posso starti vicino, ma non riesco nemmeno a starti lontana. Sei un pericolo per il mio equilibrio. Io non posso stare male, ora più che mai.” Fece un altro lungo sospiro prendendosi una pausa. Non riuscendo a resistere mi feci più vicino e le presi il viso tra le mani.
Incapace di parlare, la baciai. Fu un bacio nuovo. Le emozioni che provai erano forti come il vento di un tornado. Baciarla e starle accanto erano tutto ciò che desideravo e avrei voluto vivere così per sempre. In quel momento l’unica cosa sicura era che ero innamorato perso di lei e che avrei fatto ogni cosa per non farla soffrire.
Le accarezzai i capelli e le sorrisi.
“Ciò che mi hai detto, è la cosa più bella che abbia mai sentito. Capisco ciò che provi, davvero”.
“Per me è tutto nuovo Mike. Io… ancora non sono sicura che sia giusto”. La baciai dolcemente sulle labbra.
“Non hai idea di quanto sia nuovo per me. Persino il mondo mi sembra diverso. In pochi giorni mi hai stravolto la vita”.
Mi sorrise, finalmente. “bhe, se ti consola anche tu hai completamente stravolto la mia vita, anzi, il mio equilibrio perfetto”. La baciai di nuovo.
“Perché non potresti avere il tuo equilibrio con me incluso?”. Tornò seria e si allontanò appena.
“Ho paura”. Le presi la mano e la tirai a me. La strinsi in un abbraccio.
“Se ti consola, anch’io ho paura”.
Ci guardammo negli occhi per lunghi istanti finchè mi venne voglia di fare una cosa.
"Vieni con me un secondo?".
"Dove?"
"Tu vieni e basta".
Mi guardò valutando le mie parole. "Va bene" rispose infine.
Le sorrisi per rassicurarla e le strinsi la mano. Mano nella mano la guidai verso le scuderie dei quarter horses della gara a cui aveva partecipato Jessica. Non mi chiese niente, probabilmente già sapeva cosa intendevo fare.
"Ti va di fare un giro a cavallo?" le chiesi cercando di nascondere qualche traccia di paura.
"Sei sicuro? è notte" mi chiese dolcemente stringendomi la mano ancora nella sua. Annuii deciso.
"Non mi fa paura se ci sei tu. Mi fido". Sorrisi e aprìì il portone della scuderia. Entrò uno spiraglio di luce proveniente dal raduno e i musi infastiditi dei cavalli si alzarono all'unisono.
Le presi di nuovo la mano e insieme entrammo nella scuderia.
"Chi vuoi montare?" mi chiese, non conoscevamo nessuno di quei cavalli, la cosa per un momento mi infastidì. “Cheyenne e Eldorado sono due cavalli del ranch di Jessica”.
Mi avvicinai ai box di quei cavalli poi mi rivolsi ad Elle. “Come ti sembrano?”.
Lei si voltò e mi sorrise. “Perfetti”.
Prendemmo due selle e due testiere, poi rimasi ad osservare Elle che preparava i due cavalli, chiedendomi se ero davvero pronto a fare ciò che stavo per fare.
Mi tese le redini di uno di loro e la seguii fuori dalla scuderia.
"Allora cavallerizza, dove ci porterai?" le chiesi cercando di sembrare tranquillo.
"Ho in mente un posto che di notte è meraviglioso". Mi tornò in mente quando la vidi uscire di notte a cavallo.
"A sorpresa quindi?"
"Si. Ce la fai a seguirmi?"
"Credo di si".
Montò in sella al suo cavallo e lo stesso feci io.
"Tutto ok?" mi chiese prima di partire. Mi ricordai di colpo appena salii sul cavallo, come un flash, di quando mi portava a equitazione mia madre. L’ultima volta che salii su un cavallo.
"Si. Non preocuparti".
Attraversammo il cortile e uscimmo definitivamente dal raduno. Prendemmo un percorso in mezzo al bosco andando al passo. Ogni tanto Elle si voltava per vedere se andava tutto bene e io mi sorpresi della naturalezza con cui cavalcavo. Riuscii a seguirla senza problemi, e mi sentivo bene. Sentivo che c’era armonia in quel momento, nonostante l’oscurità del bosco.
Arrivammo in una radura. Scendemmo entrambi da cavallo ed Elle andò a legare i cavalli a due alberi poco lontani da noi. Tornò da me e mi prese per mano. Non dissi niente e mi guidò attraverso l'oscurità illuminata soltanto dalla luce della luna.
"Non è un bellissimo posto?" mi chiese quando ci fermammo di fronte ad una piscina naturale che rifletteva la luna alta nel cielo. La piscina era alimentata da una cascatella leggera che sembrava quasi finta, ed era coperta da una grotta ad arco. Tutto intorno cresceva la vegetazione, che rendeva nascosto quel luogo. L'acqua era limpida e nera, colorata di macchie bianche dalla luna. Intorno c'erano alberi probabilmente di pesco che profumavano l'aria.
"è stupendo" esclamai estasiato dalla vista. "Non ho mai visto niente di simile".
"hai voglia di farti un bagno?"
"adesso?"
"si, l'acqua ha trattenuto tutto il calore del sole di oggi, perciò è sicuramente calda"
"come posso rinunciare allora?"
Ci togliemmo i vestiti rimanendo in intimo e ci buttammo in acqua.
Giocammo nell’acqua calda come bambini, ridendo di complicità e sentimenti nuovi. Attirandola vicino a me, notai che i suoi occhi sotto la luna erano meravigliosi, bianchi.
La guardai imprimendomi nella testa quell’immagine di meraviglia.
“Ho paura che dirtelo rovini tutto, ma lo sento forte come cannonate…ti amo“. Le parole uscirono attirate fuori dalla mia bocca come ferro vicino ad una calamita, ma racchiudevano tutto ciò che stavo provando. Un sentimento per me assolutamente nuovo, che mi rendevo conto di non sapere come gestire. Tuttavia lei non disse nulla, mi abbracciò sott’acqua.
Uscimmo dopo chissà quanto tempo ed eravamo entrambi in silenzio mentre aspettavamo di essere abbastanza asciutti.
“Per me non è facile esternare ciò che provo. So che non sembra, ma la mia sicurezza è crollata e mi sento un pesce fuor d’acqua”. Mi spostai per esserle seduto di fronte, misi le mie mani sulle sue ginocchia avvicinando il viso al suo.
“Anch’io mi sento un pesce fuor d’acqua, siamo cambiati entrambi e entrambi non sappiamo gestire questa cosa. Possiamo imparare insieme, io ho la assoluta certezza di volerla vivere, e questo è tutto ciò che conta, perché non riesco nemmeno a pensare di starti lontano”.
“Mike, non voglio che corri troppo, tu partirai presto …”, la frase si spezzò a metà, ma capii perfettamente.
“Non devi pensare a questo, troveremo una soluzione. Non riesco a non correre quando tutto intorno a me sta correndo così veloce”.
Mi baciò, un bacio inaspettato, e un brivido mi percorse la schiena saltando di gioia, felice di poter finalmente scendere.
Senza dirci una parola ci vestimmo e prendemmo i cavalli, poi tornammo verso il rodeo.
Sistemammo i cavalli facendo attenzione a non farci notare poi tornammo al raduno che ormai si era vuotato. Doveva essere notte fonda.
“Papà si sarà accorto della nostra assenza?”, Elle mi guardò leggermente preocupata.
“Secondo me no, anche se mi preocuperei molto più di Blake”.
“Che vuoi dire?”
“Mi odia, e mi ha fatto capire che mi avrebbe assassinato se ti avessi ferita”.
Lei rise. “Non farci caso, Blake è un gran tenerone sotto sotto”.
“E comunque non ci sarà nessun assassinio, non servirà”.
Mi guardò e mi sorrise, e in quel momento sapevo di essere esattamente dove dovevo essere.
Del nostro ranch era rimasto solo John, che naturalmente ci aspettava e non avendo idea di dove fossimo andati a finire, appena ci vide capii e non disse nulla a riguardo. Gliene fui davvero grato.
“Jessica ti stava cercando stasera Ellie”, John si rivolse ad Elle guardando nello specchietto retrovisore del pick up.
“Ti ha lasciato detto il motivo?”.
“Presumo da ciò che ho capito che fosse per la festa di compleanno”.
Lei aggrottò le sopraciglia. “Quale festa?”.
John alzò gli occhi al cielo. “Sveglia Ellie, la tua”.
Sorrise. “Ma è presto, quella scema starà sicuramente muovendo le montagne per questa festa che per me non ha nessuna importanza”.
“Baby, diciassette anni sono importanti, non li festeggerai mai più”.
Gli diede un buffetto sul braccio e rise. “Dici così tutti gli anni”.
“Perché è vero, tutti i compleanni sono speciali, non compirai più la stessa età ma andrai sempre avanti, e dovrai ricordare quel momento”.
“Quando è il grande giorno?” interruppi io.
“Sabato” mi rispose Elle.
“Sabato? E cosa aspettavi a dirmelo?”.
“Perché non ci ho pensato, non mi ricordavo nemmeno”.
Arrivammo al ranch e John se ne andò subito lasciandoci soli. Gliene fui grato ancora.
Rimanemmo soli sotto la luce dei lampioni del ranch.
L’abbracciai. “E così compi gli anni sabato?”.
“Così pare”, mi sorrise.
“Quindi sabato avremo la stessa età”.
“Così pare”
“Sono stato bene stasera, davvero. Quel posto è magnifico, è lì che vai di notte?”.
“Qualche volta, non ci ho mai portato nessuno, dovresti ritenerti fortunato”.
“Dovrei?”
Mi diede un buffetto. “Devi. Sei stato fortunato”.
Risi. “Sei stata lì anche quando ti ho vista tornare?”.
“No, non posso dirti dov’ero quella notte, almeno finchè sarai in grado di capirlo”.
Non insistetti oltre, sapevo che aveva ragione, e mi fidavo di lei.
“Forse dovremmo andare a dormire” dissi cambiando argomento.
“Forse si, perché domani si lavora”.
“Allora buonanotte”. Lasciai l’abbraccio e feci per andarmene sorridendo, chiedendomi come avrebbe reagito. Feci qualche passo poi mi voltai. Era rimasta dov’era.
“Non mi saluti?”. Sorrisi e rimasi dov’ero.
“Buonanotte” mi disse senza muovere un dito.
“Non vai?”.
“Mi sembra che neanche tu stia andando”.
“Come la mettiamo?”. Sorrisi di nuovo divertendomi della situazione.
Scrollò le spalle. Se avevo imparato a conoscerla, non si sarebbe mai mossa per darmela vinta.
Tornai verso di lei e le presi il viso tra le mani baciandola. Quando mi scostai il suo viso rimase com’era, gli occhi chiusi e la bocca dischiusa.
“Insomma Elle, non puoi cedere così”. Sorrisi.
Lei aprì gli occhi poi si voltò per andarsene. “Buonanotte" disse in tono neutro.
Le presi la mano prima che potesse essere troppo lontana e la feci voltare verso di me stringendola. “Ahi”.
La baciai di nuovo. “Buonanotte”.
“Adesso te ne vai davvero però”. Mi sorrideva. Le lasciai la mano e entrambi ci incamminammo verso i nostri letti, voltandoci entrambi per assicurarci che ognuno di noi stesse davvero andando.

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Capitolo 12
*** HERO. Parte prima ***


ElisabethXD: Grazie per le tue continue recensioni, davvero. Per quanto riguarda i viaggi notturni di Elle, dovrai aspettare ancora un pochino. Qualche capitolo ancora e la storia finisce. XD
Baci.

HERO. PARTE 1

Appena mi stesi sul letto ripercorsi mentalmente gli avvenimenti di quella sera, sorridendo da ebete tra me e me. Ciò che mi aveva detto Elle quella sera non l’avevo mai sentito da nessuno. Avevo percepito le sue paure e la sua passione per i cavalli riuscendo quasi a toccarle.
Poi ripensai al mio arrivo al ranch e di come l’avevo odiato. La mia idea era totalmente cambiata, grazie ad Elle e alla natura di quel posto avevo trovato una serenità che mi mancava quasi da sempre.
Ero cambiato, le mie idee erano cambiate e ripensando al mio passato, mi chiesi per quale motivo fossi stato così insopportabile e mi resi conto di avere la risposta. Mia madre. Non ne avevo mai parlato con nessuno, ne ci avevo mai pensato.
Uno sbaglio enorme. Parlarne con Elle mi aveva alleggerito l’anima.
Poi sorrisi, pensando che avrei fatto qualsiasi cosa per rimanere in quel posto, accanto a lei, che mi permetteva di stare bene per la prima volta dalla morte di mia madre.

***

Mi alzai presto e accesi la radio portatile che mi aveva dato John mentre mi lavavo e mi vestivo. Le note di ‘Hero’ cantata da Enrique Inglesias di diffusero nella stanza e ascoltando le parole mi sembrava perfetta. Iniziai a canticchiarla, poi un idea percorse la mia mente.
Uscii e cercai Elle. Tentava di nuovo di montare il cavallo ferito. Mi avvicinai allo steccato guardandola rapito dai suoi movimenti.
Rimasi qualche ora con la compagnia di Ranger, uno dei cani pastore jack russel, e Memphis, accocolato tra le mie gambe, finchè Elle riuscii a portare il cavallo al passo, e fargli capire ogni singolo movimento.
Lo accarezzò. “Per oggi basta, sei stato bravissimo”. Poi mi vide e mi salutò con un sorriso che ricambiai, prima di vederla scendere da cavallo.
Scavalcò lo steccato e mi fu accanto.
La baciai. “Buongiorno”.
“Buongiorno”. Ci guardammo per qualche secondo, in cui mi persi nei suoi occhi dal colore così raro.
“Dovrei trovare un nome per questo splendido stallone”. Guardò il cavallo.
Lo guardai e il nome perfetto mi saltò alla mente. “Viste le sue precedenti avventure. Direi che il nome perfetto sarebbe… Hero. Che ne dici?”.
Mi guardò poi sorrise. “è perfetto”.
L’aiutai a portare il cavallo nel suo nuovo box, sul quale splendeva il cartellino “Hero. Mustang Stallion”.
“Domani pomeriggio c’è una festa di beneficienza alla quale partecipano quasi tutti i ranch della zona, noi compresi. Possono partecipare massimo cinque o sei componenti di ogni ranch. Siamo io, papà, Alice, Lexie, John e poi… siccome Blake odia quelle feste…”
“Lo sostituisco più che volentieri” risposi baciandola.
“Dov’è John?” le chiesi mentre l’abbracciavo, ricordandomi dell’idea di quella mattina.
“Oggi aveva un incontro con un cliente, dovrebbe tornare dopo pranzo. Perché?”.
“Segreto professionale”. Lei mi guardò perplessa.
“Mi nascondi qualcosa” concluse.
“E cosa te lo fa credere?”. La guardai cercando di sembrare innocente.
“La tua faccia in questo momento”. Risi. “Lo sai che John non è capace di mantenere un segreto?”.
“Comprerò il suo silenzio”.
“Non lo faresti”.
“Oh si, non sai di cosa sono capace”.

Passammo il resto della mattina lavando e pulendo qualche cavallo, facendoci scherzi con l’acqua e il sapone come due bambini. Per l’ora di pranzo eravamo entrambi fradici e insaponati.
Rideva di gusto quando la presi e la avvicinai a me. I nostri corpi l’uno contro l’altro.
“Sei bellissima anche piena di sapone”.
Posò l’indice pieno di sapone sul mio naso, sporcando l’unica cosa che era rimasta pulita. “Anche tu. Però forse è il caso di sistemarsi prima di andare a pranzo”.

Dopo pranzo John tornò e io ne aprofittai subito, appena scese dal pick up.
“Ehi” mi salutò con un cenno della mano.
“Ciao, posso parlarti un secondo?”
“Certo”. Ci incamminammo verso il recinto dei cavalli dove non c’era nessuno. “Che succede?”.
“No, niente… Volevo parlarti di un idea che dovresti aiutarmi a realizzare”.
Mi guardò leggermente scettico. “Di che si tratta?”
“Ho in mente una sorpresa per il compleanno di Elle. Mi servono fuochi artificiali, non bado a spese”.
“Che c’è tra voi due?” mi chiese dopo qualche istante di silenzio.
Feci un sospiro per cercare le parole giuste. “John, lei sta cambiando la mia vita. Voglio fare qualcosa per lei”.
“Le vuoi bene veramente?”.
Lo guardai negli occhi. “Sono innamorato di lei probabilmente dal primo momento in cui l’ho vista, troppo incapace per rendermene conto”.
Sembrò che mi trovasse sincero. “E’ la prima volta giusto?”. Io annuii. “L’amore è come un fiore Mike, l’entusiasmo iniziale lo fa fiorire bene. Ma se lo trascuri le conseguenze saranno brutte. Non dimenticare mai che amare è complicato, e quando qualcuno dimentica quel fiore, il fiore appassisce. Questo è ciò di cui ha meno bisogno Elle in questo momento. Sapevamo tutti che lei era presa da te fin da subito, e sapevamo tutti che eri pericoloso sotto quel punto di vista. Non hai idea di come abbia sofferto per sua madre, e se dovesse stare male adesso, non so se sarebbe capace di affrontarla. Ma nonostante questo, devo dirtelo: Tu sembri l’unica persona capace di farla sorridere e farla stare bene. E’ un paradosso, ma ha bisogno di te. Mike, non trascurare quel fiore, potrebbe finire male”.
Rimasi qualche istante in silenzio, raccogliendo le sue parole che mi colpirono come fulmini. “John, io ho bisogno di lei. Ti sembrerà strano, ma la situazione è uguale per entrambi. Ci capiamo perché viviamo negli stessi dubbi e nelle stesse difficoltà. Io ho bisogno di lei perché lei ha bisogno di me. L’ultima cosa che voglio e farla soffrire, dipendo troppo da lei e soffrirei anch’io”
“Ti credo Mike” fu tutto ciò che mi disse al riguardo. “Tornando alla tua idea da realizzare, cosa avevi in mente esattamente?”.
Gli spiegai ciò che intendevo fare quasi in ogni particolare scatenando un entusiasmo inaspettato. Mi diede tutti i contatti di cui avevo bisogno per realizzare la sorpresa, poi tornammo verso l’entrata del ranch. Vidi Elle venirci incontro e mi affrettai a chiudere il discorso.
“John ti prego, non dirle nulla”. Lui annuì.
“Allora? Che tramate voi due?”.La domanda di Elle sembrava quasi retorica.
“Segreto professionale” esclamammo entrambi, poi scoppiammo a ridere.

Quel pomeriggio faceva davvero caldo, al ranch erano registrati più di quaranta gradi, così organizzammo tutti insieme una gita al lago cercando di toglierci di dosso il caldo secco della giornata tuffandoci nell’acqua fresca.
Mi divertii, e ogni giorno che passavo al ranch mi rendevo conto che bastava davvero poco per divertirsi e stare bene. Bastava poco per amare una persona, Elle me lo insegnava tutte le volte che passavamo del tempo insieme, e bastava poco per avere una felicità semplice, ma pur sempre una felicità di ogni gesto, ogni parola.

*

Appena scesi da cavallo tornando dal lago, Alice che non era rimasta con noi mi corse incontro con un espressione indecifrabile.
“Ha chiamato tuo padre”. Tutte le persone abbastanza vicine a me da poter sentire si voltarono. Guardai Elle, e dal suo sguardo capii che sarei dovuto partire prima del previsto.
“Mi ha detto solo di farlo richiamare appena fossi tornato”. Questo era abbastanza strano.
Mi avviai nella casa principale in silenzio, e mi avvicinai al telefono per comporre il numero di casa mia.
A rispondere fu la domestica, come al solito.
“Maria, sono Mike, mio padre è in casa?”.
“Oh salve signore, si suo padre dovrebbe essere nel suo ufficio, aspetti”.
Rimasi in attesa finchè mio padre si decise a rispondere. “Si?”
“Charles, sono Mike”. Si, avevo preso l’abitudine di chiamarlo per nome, in onore del poco affetto che c’era tra di noi.
“Ciao Mike, come stai?”. Sebbene ci provasse, il suo tono era sempre freddo.
“Bene. Mi hai cercato?”.
“Si, ti ho prenotato un biglietto aereo per tornare questa domenica. Non si discute, Denise sta male e devi essere presente”. Mi trattava ancora come fossi il vecchio Mike, non sapeva quanto in realtà fossi cambiato. Una cosa sola era sempre la stessa: di Denise e di mio padre me ne importava davvero poco. Elle entrò nella stanza e si sedette sul divano di fronte a me guardandomi con un espressione triste e preocupata.
“Che cos’ha?” chiesi cercando di sembrare preocupato.
“L’intervento per la liposuzione non è andato come previsto, è ricoverata in ospedale”. Cercai di non ridere, anche se non potei evitare di pensare che se lo fosse meritato. Non riuscivo a capire per quale motivo una donna dovesse sottoporsi a quelle torture.
“Va bene, allora ci vediamo domenica” risposi infine salutando mio padre e chiudendo la telefonata.
Guardai Elle, il suo sguardo era spento. “Cosa è successo?”. Andai a sedermi vicino a lei.
“Domenica devo partire, Denise è stata male dopo un intervento e mio padre vuole che sia presente, anche se non ne capisco il motivo”.
“Quindi te ne vai?”. Annuii e lei rimase in silenzio.
“Tornerò, lunedì o martedì o mercoledì, te lo prometto”.
“Per quanto potrà essere così? Prima o poi dovrai andartene definitivamente”.
La strinsi in un abbraccio. “Troveremo una soluzione” sapevo che ciò che stavo dicendo era più grande di noi, ma avrei fatto ogni cosa per trovare quella maledetta soluzione.

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Capitolo 13
*** HERO. Parte Seconda ***


___Yuki___: ti ringrazio per aver letto e recensito questa storia, sono felice che ti sia piaciuta.
Bellatrix_Indomita: Grazie ancora per i tuoi complimenti, e non ti preocupare se vai di fretta, non ti torturerò per questo! XD
ElisabethXD: Carissima lettrice XD, sono contenta che la storia ti abbia appassionata tanto, questo capitolo lo dedico a te XD. A me piace particolarmente, poichè si nota molto il cambiamento di Mike. Spero piaccia tanto anche a te, ma credo proprio di si XP

HERO. PARTE 2

Per fortuna almeno potevo rimanere fino al suo compleanno.
A proposito di questo, telefonai ad un paio di persone e cercai di organizzare la sorpresa per Elle. Dopo aver sistemato pagamenti vari, e dopo aver deciso cosa fare con esattezza, mi fu detto che entro sabato sarebbe stato tutto pronto.
Riuscii a mantenere la cosa segreta con Elle, anche se qualche sospetto ce l’aveva.
“Si può sapere che stai tramando tu?” mi chiedeva qualche volta.
“Io? Niente, che cosa dovrei tramare?”rispondevo io, innocente ma soprattutto convincente.
“Ho la sensazione che lo scoprirò presto”.
A quel punto le sorridevo. “Forse” era la mia risposta.
Jessica mi chiamò una volta per chiedermi di aiutarla a organizzare la festa di compleanno, ma fui costretto a rifiutare. Volevo passare tutto il tempo possibile che mi rimaneva con Elle, e dovevo organizzare la mia festa di compleanno, per noi due soli. Mi aveva dato l’impressione di avermi invitato per tutt’altre ragioni, sulle quali decisi di non indagare. Non avevo idea di cosa sapesse esattamente di me ed Elle, ma la cosa francamente non mi importava. Era l’ultima cosa che mi preocupava.
Sabato arrivò in fretta e io ero davvero agitato. Non avevo mai fatto niente di simile per nessuno. Avvertii tutti che ad un certo punto della serata avrei dovuto rapirla per farle una sorpresa, e ognuno di loro sembrò capire. Ero riuscito a coinvolgere anche Blake nell’impresa. Aveva cambiato atteggiamento, almeno in parte, anche se ero convinto che aveva accettato più per la sorella che per fare un piacere a me.
La giornata passò, Elle volle trascorrerla con la famiglia, e conobbi sua nonna Pearl, la persona più empatica che avessi mai conosciuto.
“Agitato?” mi chiese, sedendosi affianco a me e Memphis sui gradini della veranda.
La guardai esitante, poi annuii.
“Tu sei il ragazzo di mia nipote giusto?”.
“Esatto” risposi soltanto.
“Mi aveva detto al telefono che ti avrei conosciuto, mi sembri una persona davvero carina. Ellie ti è davvero affezzionata”.
“Anch’io lo sono”. Lei annuii.
“Apprezzerà ciò che hai fatto per lei”. La guardai negli occhi, e mi pareva di guardare un angelo.
“Grazie” sorrisi sinceramente, e l’agitazione si era leggermente calmata.
Mi vestii e mi rivestii tre o quattro volte prima di essere soddisfatto, con jeans neri e camicia, poi andai alla casa principale. Alice era già sulla veranda che aspettava.
“E’ arrivata la serata” mi disse sorridendo.
“Già”.
“Sei nervoso?”.
“Si nota molto?”.
“Solo un pochetto”. Risi, se mai avessi voluto una matrigna, avrei voluto sicuramente Alice.
“Mike, domani verrò con te a Los Angeles, in fondo Denise è mia sorella anche se parliamo poco. E almeno avrai un po’ di compagnia sull’aereo”. Volevo lei, decisamente.
“Grazie”.
Elle e Lexie uscirono e quando la vidi, rimasi a guardarla estasiato. Ogni giorno diventava più bella.
Indossava un vestito semplice ma elegante e in quel momento mi chiesi perché avessi aspettato così tanto per conoscerla. C’era una ragione per amare qualcuno così tanto? Io avevo la risposta, e stava nei suoi occhi quando mi guardava, e nei miei che ammiravano la sua bellezza scendere le scale di casa. Il cuore mi batteva tanto forte che poteva uscirmi dal petto e le mani mi tremavano.
Potevo sembrare un perfetto idiota, ma non me ne importava, perché il dolore delle martellate sotto il mio petto era piacevole. Ero felice, ed era tutto ciò che volevo.
“La tua bellezza è imbarazzante” le sussurai all’orecchio appena mi fu vicina.
“Andiamo?”. Le presi la mano e salimmo in macchina.
La festa organizzata da Jessica era perfetta, nel capannone del suo ranch. Aveva organizzato la cena con una torta magnifica grande quasi quanto un palazzo.
Partecipava molta gente, abitanti di Brentwood che conoscevano Elle e la sua famiglia da sempre. Dopo la cena era stato organizzato una specie di karaoke simile a quello della festa di beneficienza a cui avevamo partecipato pochi giorni prima. Billy sorprese tutti, salendo sul palco e battendo le dita sul microfono per attirare l’attenzione dei presenti.
“Come tutti sapete” iniziò, ogni parola scandita dall’emozione. Elle era affianco a me, come sempre, e le lacrime le salirono agli occhi per le emozione quando suo padre parlò.
“Questo è un giorno speciale. La mia bambina diventa sempre più grande”. C’era un contatto visivo intenso tra loro due, sebbene fossero ad una lunga distanza l’uno dall’altro.
“Ho scritto una canzone, guidato dal mio amore incondizionato per mia figlia, alla quale dedico queste parole. Buon compleanno tesoro mio” la voce si spezzò alle ultime parole. Cercò di riprendersi e iniziò a suonare la chitarra.
Con un gesto inaspettato, Elle intrecciò le dita della sua mano nelle mie, stringendola. Non mi guardò, impegnata nel contatto visivo con il padre. Ma quel gesto mi diede un tuffo al cuore, mi voleva coinvolgere in quel momento per lei importante e sorrisi, pronto ad ascoltare l’altra sorpresa della serata.

Gotta hold on easy as I let you go.
Gonna tell you how much I love you,
though you think you already know.
I remember I thought you looked like an angel wrapped in pink so soft and warm.
You've had me wrapped around your finger since the day you were born.

Your beautiful baby from the outside in.
Chase your dreams but always know the road that'll lead you home again.
Go on, take on this whole world.
But to me you know you'll always be, my little girl.

When you were in trouble that crooked little smile could melt my heart of stone.
Now look at you, I've turned around and you've almost grown.
Sometimes you're asleep I whisper "I Love You!" in the moonlight at your door.
As I walk away, I hear you say, "Daddy Love You More!".

Someday, some boy will come and ask me for your hand.
But I won't say "yes" to him unless I know, he's the half that makes you whole, he has a poet's soul, and the heart of a man's man.
I know he'll say that he's in love.
But between you and me. He won't be good enough!

Fu un momento davvero toccante. Riuscii solo ad immaginare cosa stesse provando Elle, mentre piangeva di gioia accanto a me, la sua mano nella mia.
Poi si alzò, e andò ad abbracciare suo padre. Vedendo il loro rapporto tanto forte, non riuscii a non pensare a quanto mancasse tutto ciò nella mia vita, e a quanto ne avevo risentito.
Il momento finì, lasciando spazio ad altri cantanti azzardati, che cantarono canzoni legate all’amicizia su cui poter ballare allegramente.
Qualcuno intonò una canzone di ritmo tranquillo, lento.
Presi la mano di Elle senza dirle niente e la guidai in mezzo alla pista.
“Ehi, non si rapiscono le persone”. Rideva, felice. I suoi occhi brillavano, era ancora più bella.
“Non ti ho rapita, sei già mia”. Le sorrisi e lei ricambiò. Mi baciò dolcemente il collo poi appoggiò la testa sulla mia spalla.
“Comunque anche se non ti appartenessi già, con te verrei dovunque”. Sentii la sua bocca curvarsi in un sorriso sulla mia spalla.
Rimasi in silenzio, ascoltando il suono del mio cuore che batteva ad un ritmo del tutto irregolare. Mi guardai distrattamente intorno. Incrociai lo sguardo di Billy che annuì, per darmi il consenso di rapire per un po’ sua figlia.
“Proprio dovunque?” le chiesi, il tono di voce basso, leggermente agitato.
“Ovunque”.
Mi fermai e lo stesso fece lei, mi guardò negli occhi confusa, ma sapeva che avevo in serbo qualcosa per lei.
Le presi la mano e la strinsi. Un calore mi invase il corpo. Ero agitato davvero molto. Lei mi seguì senza dire nulla.
La portai fuori dal capannone verso il bosco. Aira ci stava aspettando e quando ci vide scosse la testa in segno di saluto, nitrendo appena. Montai a cavallo e lei salì dietro di me. Questa volta ero io a guidare.
In silenzio, raggiungemmo la piscina naturale che mi aveva mostrato lei qualche giorno prima. Sembrava sorpresa quando scendemmo da cavallo, ma in ansia euforica. Tirai fuori una benda dalla tasca dei pantaloni e la baciai prima di mettergliela sugli occhi.
“Ma che fai?” mi disse ridendo.
“Deve essere una sorpresa fino in fondo”. Le presi la mano e le feci strada stando attento a non farla inciampare.
Arrivammo ad una prateria in cui avevo fatto sistemare delle piccole luci disposte a cerchio.
“Che succede?” mi chiese lei. Probabilmente vedeva la luce attraverso la benda.
“Aspettami qui” le sussurai all’orecchio. “Torno subito”.
Andai verso lo sgabello vuoto di fronte a noi, appena fuori dal cerchio illuminato. Blake apparse subito davanti a me, facendomi un cenno per farsi notare. Ammetto che per un attimo pensai che mi avesse mollato.
"Oh avanti quand'è che potrò togliere la benda?". Tornai di corsa da lei. Si mise le mani sugli occhi per togliere la benda e io misi le mie mani sopra le sue. "Non ti azzardare".
Sbuffò. "Guarda che è fastidiosa".
"Ancora qualche secondo". Le tenevo la mano guidandola all‘interno del cerchio.
"Ecco fermati qui e non ti muovere". Le lasciai la mano e andai ad attivare la sorpresa, come mi era stato detto di fare.
"Te l'ho detto vero che odio le soprese?".
Sorrisi. “No, ma credo che questa ti piacerà".
"Posso toglierla?". Urlò senza sapere dove fossi.
"Adesso si". Le sussurai all'orecchio e lei sobbalzò per lo spavento.
Tolse la benda e qualche secondo dopo uno scoppio la fece sobbalzare. Una scritta pochi metri davanti a noi prese fuoco. Lettera per lettera. "Buon Compleanno Elle" illuminava la notte intorno a noi. La guardai e i suoi occhi azzurri riflettevano le fiamme.
"Allora? Ti piace?". Non rispose e mi abbracciò mentre piccole lacrime le rigavano il viso. Ero felice come non lo ero stato mai prima di quel momento. Lei mi strinse forte a se quando la scritta si spense e scintille colorate riempivano il cielo sopra le nostre teste. I fuochi d'artificio composero un'altra scritta "Ti amo" che sembrava venisse verso di noi. Il suo viso era solcato da lacrime di gioia, un espressione felice. Entrambi non dicemmo nulla per tutto il tempo assaporando quel momento. Quando i fuochi si spensero comparve Blake, e la sua presenza stupì Elle visibilmente.
"Auguri sorellina". Si sedette e iniziò a suonare la chitarra.
Le tesi la mano. "Mi concederebbe questo ballo bella fanciulla?". rise nonostante le lacrime non avevano intenzione di fermarsi.
Blake suonava la canzone che mi era rimasta in testa per giorni, le cui parole davano un significato ancora più profondo a ciò che provavo.
Iniziai a canticchiarla al suo orecchio. “Balleresti, se ti chiedessi di ballare?”. Mi guardò spaesata dal mio canticchiare, poi sorrise e un’altra lacrima le bagnò la guancia. La felicità che lessi nel suo sguardo non l’avrei mai dimenticata, poiché era il riflesso della mia. Lei era il mio riflesso, il dopo immagine della mia vita.
“Correresti, senza mai guardare indietro?”. Intrecciai le mie dita alle sue, che tremavano come piccole foglie sotto la tempesta. La tempesta di emozioni che ci stava facendo scoppiare come i fuochi d'artificio di poco prima.
“Piangeresti se mi vedessi piangere?” le asciugai le lacrime con i pollici.
“Salveresti la mia anima stanotte? Tremeresti se toccassi le tue labbra?”. La baciai dolcemente, poi il bacio si fece più appassionato, accompagnato dai battiti dei nostri cuori.
“Tienimi fra le tue braccia stanotte” la strinsi.
“Posso essere io il tuo eroe piccola, posso far sparire il dolore con un bacio. Ti starò vicino per sempre, tu riesci a togliermi il respiro. Giureresti che sarai mia per sempre? Mentiresti, correresti e ti nasconderesti? Ho perso la testa, ma non mi interessa finchè sei qui stanotte. Voglio solo tenerti qui”. Smisi di cantare mentre Blake continuava a suonare. Il viso di Elle era nascosto sul mio petto. Avrei voluto rimanere in quell’istante di felicità delirante per tutta la vita, assaporando il profumo dei suoi capelli, vederla felice tra le mie braccia. Avrei voluto solo non partire il giorno seguente.

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Capitolo 14
*** Love Is All You Need ***


Questo capitolo è particolare lo so... ma a me piace l'idea di amore e passione che si coglie tra Elle e Mike. Un ringraziamento particolare alle mie lettrici che recensiscono! Siete fonte di gioia! Bacioni.
Adesso aggiorno più frequentemente perchè i capitoli sono già pronti.

LOVE IS ALL YOU NEED

Rimanemmo in quella posizione a lungo, anche quando Blake smise di suonare e si allontanò tornando verso la festa lasciandoci soli.
“Non so cosa dire” mi disse Elle alzando la testa e guardandomi.
“Non c’è bisogno che tu dica qualcosa”. Le spostai i capelli dietro alle spalle.
“Ma come ti è venuto in mente, cioè… perché?”. Sorrisi, contento che le fosse piaciuta la sorpresa.
“L’ho fatto per tanti motivi, quello principale è che tu sei ciò che manca alla mia vita”. Mi sorrise poi mi baciò. “Sono contento che ti sia piaciuta la sorpresa”.
“Ti amo”. Le sue parole mi colpirono, era la prima volta che me lo diceva, e sentirlo era stato qualcosa di particolare. Come avere la certezza di avere la felicità tra le mani. Provare un sentimento che rende fragili ma fa sentire tremendamente bene, qualcosa che fa dimenticare ogni cosa intorno a se. Mi si era fermato il cuore per qualche battito, facendomi sperare di vivere davvero ciò che provavo.
“Anch’io ti amo”.
Mi strinse la mano mentre si avvicinava per baciarmi. Feci scorrere la mano lungo la schiena nuda dal vestito scollato. La sua pelle era morbida e vellutata. Le baciai dolcemente il collo, poi la spalla facendo risalire la mano lentamente sul braccio, accarezzando la sua pelle, il calore di cui avevo bisogno. Avevo bisogno di lei come di una droga, senza la quale non potevo stare nemmeno volendo. La baciai di nuovo, con foga. Feci salire la mano dal ventre ai suoi seni, mentre sentivo il suo respiro caldo sul collo. Si scostò piano da me, e mi guardò negli occhi, un lampo di desiderio sul volto.
“Potrei non esserne capace”, la frase le uscì in un sussurro carico di tensione.
“Faresti l’amore con me?”.
Mi guardò esitante, poi abbassò lo sguardo senza rispondere.
“Se non vuoi va bene, non è un problema davve…” cercai di rassicurarla, ma lei portò l’indice sulla mia bocca per zittirmi, poi mi baciò e quando si scostò mi prese la mano e mi guidò verso la piscina naturale nelle vicinanze, dove avevamo legato Aira. Slegò la coperta legata alla sella e la sistemò non molto lontano, vicino all’acqua. Mi guardò esitante, in un cipiglio di tensione e concentrazione. La raggiunsi e l’abbracciai, cercando di rassicurarla di ciò che stavamo per fare. La mia paura nasceva con la sua, pur avendolo fatto altre volte, avevo paura. Paura di essere andato troppo oltre, paura di farle provare quel dolore unico che si prova una volta sola nella vita. Paura di un legame ancora più intimo e profondo.
La tensione si percepiva chiaramente, mentre la mia mano scendeva lentamente lungo la schiena di Elle. Lei mi passò le mani sulle spalle, poi sui pettorali sopra la camicia senza interrompere il contatto visivo di cui avevamo bisogno per sentirci rassicurati. Iniziò a sbottonarmi la camicia, più sicura, mentre facevo scorrere la lampo del suo vestito. Senza togliere gli occhi dai miei mi sfilò la camicia, poi si tolse il vestito. Ci sistemammo in ginocchio sulla coperta senza smettere di baciarci. Mi baciò il collo, mentre con un gesto pratico le sfilai il reggiseno. Mi slacciò la cintura con le mani tremanti, il respiro ansimante, i muscoli tesi. Allacciai le bracciai attorno alla sua vita e lentamente la coricai sulla coperta. Il suo petto si muoveva dall’alto al basso velocemente scandendo i battiti accelerati del cuore. Le baciai il collo e la scapola poi scesi percorrendo con la lingua piccoli cerchi umidi attorno ai suoi seni. La guardai cercando consenso per andare oltre, teneva gli occhi chiusi la bocca dischiusa, ansimante. Le baciai la fronte e le guance, i lobi delle orecchie e il mento, mentre con la mano scendevo lungo i fianchi, accarezzando le cosce e l’interno cosce. La sentii tremare sotto le mie mani, quando i nostri baci si interruppero e i nostri sguardi si incontrarono lasciando spazio a piccoli gemiti di piacere mentre muovevo lentamente le dita dentro di lei. Le sue mani si posarono delicatamente sulle mie spalle quando mi fermai, i miei occhi incollati ai suoi.
“Mike…” mi sussurò ansimante “Ho paura”.
“Non dobbiamo per forza se non te la senti” le accarezzai dolcemente i capelli.
“Non voglio perdermelo” aggrottai le sopracciglia non capendo. “Non voglio perdermelo con te, intendo. Sei il primo sotto molti punti di vista” mi sorrise, e capii a cosa si riferisse.
“Voglio solo che tu sappia che questo non è uno scopo prefissato, se ti può sembrare strano, è una cosa nuova anche per me, anche tu sei la prima sotto molti aspetti. Questo non è lo scopo per cui ti sto amando in modo così intenso. Perciò qualsiasi cosa decidi e deciderai, per me sarà perfetta”.
“Lo so, credimi, altrimenti non sarei qui ad amarti. Ma sarei ancora di fronte a te a risponderti a tono e a cercare di evitare che tu mi coinvolga. E’ stato inevitabile, e io ora ho la certezza di non volermelo perdere e su questo mi sento sicura”.
Le sorrisi e presi a baciarle la guancia e il collo. “Mike… mi scostò obbligandomi a guardarla negli occhi. “Solo… cerca di fare piano”. Annuii colto dalle sue stesse paure. Avevo paura che fare l’amore rovinasse tutto, anche se desideravo farlo con lei più di ogni altra cosa, non era necessario proprio in quel momento, quando a ore sarei dovuto partire verso l’ignoto. Nonostante le paure e la tensione, guidato da un amore nuovo e intenso che non dava segni di volersi fermare continuai a baciarla e toccarla ovunque. Quando entrai dentro di lei, cercai di farlo più lentamente e delicatamente possibile, volendo evitare di danneggiare quel fiore tanto raro e prezioso che stava sotto di me, le gambe intrecciate ai miei fianchi, le mani che si strinsero sulla mia schiena. Le accarezzavo i capelli tenendole la testa tra le mani.
Diedi una spinta, poi un’altra esercitando una leggera pressione. La sentii tremare, tesa come una corda di violino, bella come un angelo, mentre piccole lacrime di dolore le rigavano il viso accompagnate dal suono dei nostri cuori e dai gemiti di piacere. La mia paura se ne stava andando a braccetto con la sua, lasciando lo spazio alle altre emozioni travolgenti. La gioia e il desiderio, l’amore e la commozione. Non avevamo più paura.
La sentii accarezzarmi la schiena e i capelli quando un gridolino di piacere intenso annuciò l’orgasmo.
Mi coricai accanto a lei su un fianco senza smettere di baciarla e guardarla. Le accarezzai dolcemente i capelli e lei sistemò il capo sul mio petto. Ci addormentammo insieme, i nostri corpi nudi vicini.
Mi svegliai qualche ora dopo mentre lei ancora dormiva. La guardai dormire per un po’. Le scostai una ciocca di capelli dal viso. Non meritavo tanta bellezza, pensai cercando di farmi una fotografia di quel momento nella mente. Guardandola, tutto ciò che pensai fu che se il mondo intorno a noi fosse crollato, non mi sarebbe importato più di tanto poiché lei era lì accanto a me che dormiva, il viso perfetto, il momento perfetto.
“Ti ho svegliata. Scusami” le dissi appena la vidi aprire gli occhi. Mi baciò dolcemente.
“No” mi accarezzò i capelli. “Il mio stomaco richiama cibo”.
Risi. “Forse è meglio che torniamo”. Feci per alzarmi ma il suo braccio mi fermò.
“Non andare via”. Come potevo andarmene? Come ci sarei riuscito?
Mi avvicinai a lei e la baciai, di nuovo desiderandola più di ogni altra cosa. Facemmo di nuovo l’amore, questa volta più sicuri, come se non fosse mai abbastanza per colmare il bisogno che sentivamo l’uno dell’altra, per colmare il vuoto dei giorni a seguire, quando saremmo dovuti stare lontani.
Un rumore proveniente dal suo stomaco ci fece ridere entrambi.
“Ci conviene mangiare qualcosa, se vogliamo riprendere le forze”. Mi alzai e mi infilai i boxer. Due braccia morbide si chiusero attorno alla mia vita. Mi voltai e la sua bellezza mi colpì, come se non l’avessi mai vista prima.
“Sei bellissima” le sussurrai tra le nostre labbra. Lei mi sorrise, quel sorriso che avevo sperato di trovare per anni nei volti delle persone, quel sorriso che mi aveva portato dove ero in quel momento, il sorriso che mi aveva guarito.
“Come ho fatto in questi diciassette anni senza te?” mi baciò, un sapore dolce, un brivido lungo la schiena.
“Sono qui adesso”. La strinsi forte a me non potendo fisicamente fare altro, ma se avessi potuto fare di più avrei fatto il possibile e oltre, per farle capire ciò che provavo stringendola, baciandola, toccando la sua pelle morbida.
“Non voglio tornare a casa”.
“Ma stai morendo di fame”.
“Non mi importa. Facciamo il bagno?” mi fece cenno verso la piscina calda e anuii sfilandomi i boxer.
Non dormimmo più, fino al mattino seguente, quando esausti dopo aver giocato e fatto l’amore tutta la notte avevamo davvero bisogno di mangiare, e io sarei dovuto partire entro poche ore.
Dopo esserci vestiti tornammo con Aira direttamente verso il ranch dove gli sguardi maliziosi della famiglia ci accolsero silenziosi.
“Credevamo di avervi perso in mezzo al bosco, ancora un po’ e mandavano qualcuno a cercarvi” il tono malizioso di John ci imbarazzò. Finalmente riuscimmo a mettere qualcosa tra i denti, dopodiche Elle mi seguii nella mia stanza, dove insieme ci infilammo nella doccia calda.
Mentre le mie mani scorrevano lungo la sua schiena e il suo corpo era contro il mio, avevo la assoluta certezza di aver trovato ciò che stavo cercando.
“Ti amo” le sussurrai di nuovo, del tutto consapevole delle mie parole. Lei alzò la testa e mi sorrise. Non c’era bisogno di parole. Le baciai la fronte.
Usciti dalla doccia mi aiutò a preparare le mie cose per la partenza, indossando la mia camicia di quella sera.
“Me la lasci?”.
“Davvero vuoi che ti lasci la mia camicia sporca?”. Risi e lei mi diede un buffetto sulla spalla.
“Non è sporca, ha il tuo profumo”.
“D’accordo puoi tenerla. Tu che cosa offri in cambio?”.
Aspettandosi la domanda, sorrise e slacciò una bandana dal polso, blu. Me la porse e l’annusai, il suo profumo inebriante mi commosse. Il suo odore meraviglioso era sulla bandana.
Me la legò al polso. “Così tutte le volte che la vedi pensi a me e a questa notte stupenda” mi baciò.
“Comunque non c’era bisogno della bandana per pensarti”. Mi sorrise ammiccante, poi il clacson del pick up annunciò la imminente partenza. Ci guardammo qualche istante improvvisamente rattristiti.
“Devi tornare” mi disse, le lacrime agli occhi.
L’abbracciai stringendola e vivendo quel momento il più possibile, cercando di rimandare ancora per un po’ la terribile mancanza che avrei sentito.
“Lo farò” la baciai ovunque riuscissi ad arrivare frettoloso. Sugli occhi, le guancie, il naso, la fronte, la bocca. Poi le baciai la mano, la sua mano che mi accompagnò fino all’uscita della stanza.

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Capitolo 15
*** Non sono più io ***


NON SONO PIU’ IO

Sull’aereo per Los Angeles accanto a Alice, non riuscii a chiudere occhio. Una marea di pensieri mi frullavano nella mente e già sentivo la mancanza di Elle. L’attaccamento morboso senza il quale non riuscivo a stare neanche per un momento iniziava a preocuparmi. Amore è una parola che cela un enorme significato, e non necessariamente un solo ed unico significato. Per alcuni forse quel sentimento è in una piccola parte di noi, della persona che lo rende tale, per qualcuno sta nelle piccole cose, in ogni gesto.
Per altri l’amore è una cosa banale che richiede poca importanza e poca parte del proprio tempo. Oppure per altri ancora è una cosa rara da provare, e quando si presenta davanti a loro, probabilmente ci mettono un po’ a capire se si tratta davvero di amore, ma quando se ne rendono conto, danno ogni pezzo della propria anima per renderlo qualcosa di forte e trasformarlo da una rarità a qualcosa di unico. Ogni individuo classifica la parola amore secondo il suo punto di vista, che sia un amore sentimentale, violento, passionale, puro, sognato, dimenticato, impossibile, forte o debole, oppure semplicemente qualcosa da condividere.
Per me, l’amore non aveva ancora un significato vero e proprio. La settimana a Brentwood era stata una corsa contro me stesso, come correre su una strada contro mano.
Il vecchio io stava dormendo dentro di me, lasciando spazio alla parte reale che aveva sempre fatto tacere.
Avevo la certezza di voler essere quella persona, quella che amava e provava emozioni, quella che si accontentava di un ballo o di una parola o anche solo di un sorriso per essere completa.
Ecco, forse questo era l’amore per me. Quello che riesce a renderti consapevole di ciò che stavi perdendo. Quello che ti lascia i brividi lungo la schiena. Quello che risveglia i sensi e ti fa percepire tutto con più enfasi. Quello che ti fa essere una persona migliore.
E avevo paura che tutto ciò svanisse con un battito di ciglia, una volta arrivato a Los Angeles dove sicuramente per un po’ sarei stato la persona che ero, e che non volevo più essere.
“Mike”. Alice mi posò delicatamente la mano sulla spalla scostandomi dai miei pensieri, mi voltai verso di lei. “Cerca di essere carino con tuo padre. So che non avete buoni rapporti, ma provaci. Non farlo per lui, fallo per te stesso”. La guardai per qualche istante in silenzio, ancora perso nei miei dubbi.
“Ci proverò” risposi, e lei mi sorrise. Probabilmente era seduta affianco a me soltanto per evitare che tornassi ad essere il vecchio Mike.
“Non c’era bisogno che tu venissi, riesco a cavarmela anche da solo” mi affrettai a chiarire, sbagliando completamente tono.
Alice mi guardò per qualche istante scrutandomi in viso come se si fosse aspettata quella mia affermazione, e la cosa iniziava ad innervosirmi.
“Sono qui per Denise” rispose non del tutto convincente.
Atterrammo dopo quelli che mi parvero giorni, e una limousine ci aspettava all’aeroporto. Dopo circa un oretta di traffico in silenzio arrivammo a casa. La enorme villa bianca preceduta da un vialetto in salita aveva già iniziato a rendermi nervoso, ancora prima di entrare. La portiera si aprii e rifiutai sgarbatamente l’offerta di uno dei domestici di portare il mio bagaglio, dirigendomi verso la mia camera a passo svelto, richiudendomi la porta alle spalle, lasciando Alice da sola. Quella che mi trovai di fronte non era la mia stanza, non lo era più, non sentivo più che quella stanza fosse il mio nido, il mio rifugio. Quel letto enorme non era il mio letto, così come gli armadi, lo stereo, il televisore al plasma, il divano in pelle, il computer. Lasciai il bagaglio intatto in camera, poi scesi le scale di corsa verso il garage. La mia Yamaha era lì al solito posto, ma aveva qualcosa di strano, non era più la mia moto. Decisi di andare contro al mio istinto in quell’istante, e cercare di essere razionale e affrontare la situazione, il casino in cui ero arrivato e dal quale forse non ero mai uscito.
Andai nella sala degli ospiti, dove mio padre di solito intratteneva gli ospiti con il biliardo e balle simili.
Trovai subito Alice che parlava con mio padre, seduta sul divanetto. Entrai senza bussare, l’espressione fredda che caratterizzava il rapporto con Charles Evans.
“Ciao Charles” dissi, in tono freddo. Lo osservai e accanto alla figura minuta di Alice, la sua pancia sembrava ancora più grossa.
“Ciao Mike” rispose, usando lo stesso tono. “Come è stato il soggiorno a Brentwood?”. Alice mi guardò rattristata dal mio comportamento.
“Che importanza ha?” chiesi, senza avere risposta. Come era possibile essere garbati avendo di fronte un uomo così vuoto?
Rimanemmo a lungo in quella stanza, forse delle ore, durante le quali fu solo mio padre a parlare, aggiornando Alice sulle condizioni di Denise. Mio padre era un bastardo, non aveva sentimenti, e questo anche da prima che mia madre morisse. Non li aveva per me, per Denise, per i suoi pazienti, per nessuno. Era vuoto, fluttuava su una nuvola fatta di lavoro e sigari, un bicchiere di scotch e una partita a biliardo. Quella era tutta la sua vita, non metteva passione in niente, le sue parole suonavano sempre prive di emozione. Non era capace di amare il suo unico figlio, non era capace di farsi amare dal suo unico figlio. Ed era un bastardo, pronto a tutto per denaro e disposto a nulla per il resto.
“Mike” si rivolse a me all’improvviso, facendomi scendere dalla nuvola nera che avevo solo per lui. “Ho convinto il consiglio di istituto a riammetterti all’ultimo anno, potrai rifarlo, ma questa volta lo farai seriamente, e ti diplomerai, e poi andrai al college. Sono stato chiaro?”.
“Si” risposi, cercando di nascondere l’improvvisa ondata di odio che mi aveva travolto. Guardai distrattamente l’orologio, erano passati solo alcuni minuti da quando ero entrato nella sala.
“Singnorina Hamilton, mi permetta di ringraziarla per quello che ha fatto per Mike, non deve essere stato facile badare a lui me ne rendo conto”. Ridacchiò, mentre serravo i denti e stringevo i pugni cercando di pensare a qualcos’altro che non fosse l’uomo di fronte a me. Sentii gli occhi di Alice puntati su di me.
“In realtà signor Evans, non è stato affatto difficile. Mike è un ragazzo molto divertente e di compagnia”. La sentii sorridere, seguita da una risata.
“Suvvia signorina, non vedo il motivo per cui debba difenderlo”. Mi alzai e uscii dalla stanza in preda alla collera, accompagnato dallo sguardo di Alice.
Andai in quella stanza che un tempo era il mio rifugio, che ora non era nemmeno quello, e mi chiusi dentro. Accesi il cellulare che per una settimana era rimasto in quella posizione, e una marea di chiamate e messaggi lo travolsero. Inviti per serate, ragazze, inviti, ragazze. Dopo aver cancellato tutto lo rimisi al suo posto e mi stesi sul letto, lasciandomi andare a qualche ora di sonno.
Quando mi svegliai il cellulare stava squillando. Lessi sul display e lo rimisi a posto. Non volevo parlare con Elle, non in quel momento. Mi maledissi di averle dato il numero, e di avere acceso il cellulare. Mi mancava, da morire. Ma l’ultima cosa che volevo era farle sapere quanto era ripugnante il vecchio Mike. Lasciai suonare più volte il telefono, finchè smise di cercarmi.
Passai tutto il pomeriggio chiuso in quella stanza ascoltando musica, finchè il cellulare suonò un’altra volta. Risposi.
“Mike, che cazzo di fine hai fatto?”. Di colpo mi ricordai di non aver detto a nessuno del mio viaggio.
“Ciao Alan. Ho avuto da fare per un po’, mi dispiace di non avervi avvertito”.
“Non fa niente capo, stasera sei dei nostri?”. Ci pensai, in quei secondi che mi separavano dalla risposta, ma non trovai un motivo che rendesse sbagliato ciò che stavo per fare.
“Certo, solito?”.
“Sicuro!”.
Dopo essermi fatto una doccia e sistemato, uscii con la mia moto verso il Green Oak. Niente era più lo stesso, nemmeno la velocità in moto. Appena arrivai mi sentii spaesato, fuori luogo, quasi un estraneo. Alan e altri ragazzi mi vennero incontro dandomi delle pacche amichevoli sulle spalle.
“ma dove diavolo sei stato? Dimmelo immediatamente perché doveva essere magnifico se sei tornato con quei muscoli e quella abbronzatura”.
“Ciao Mike” la voce cantilenante di Mandy ci interruppe, e i suoi occhi saltarono subito ai bicipidi.
“Caspita, sei stato in palestra tutto questo tempo?”.
Mandy era l’ultima persona che avrei voluto vedere quella sera, l’unica che avrei dovuto evitare.
“Ciao Mandy, ti trovo bene”. Mi limitai a sorridere, non mi faceva più alcun effetto.
“Noti niente di diverso?”. fece un giro su se stessa cercando di mettersi in mostra.
“Hai una nuova amica. Piacere” mi rivolsi alla biondina piuttosto bassa a fianco di Mandy, sembrava timida. Le porsi la mano. “Mike Evans”.
Mandy mi rivolse uno di quelli sguardi increduli tipici del tipo di donna che rappresentava. Vi lascio immaginare quale fosse quel genere di donna.
La biondina mi strinse timidamente la mano. “Elle Rowland”.
Fantastico, pensai. Staccai la mano dalla stretta e mi avviai al bancone del bar per ordinare qualcosa da bere.
Che diavolo stavo facendo? Mi stavo facendo assalire dalla parte peggiore di me, e non era quello che volevo. Non sapevo più niente, ero stufo di pensare.
“Mike, che ne dici di venire a casa mia stasera?”. Mandy mi accarezzò i capelli, parlandomi all’orecchio. “I miei sono a Parigi”. Rimase in attesa di una mia risposta che non arrivò. “Voglio farti vedere il mio nuovo tatuaggio” aggiunse, sorridendo.
“Mandy, non è giornata” sbottai, infastidito, e lei se ne andò delusa.

***

Due giorni dopo, ero ancora a Los Angeles, tempestato di chiamate di Elle e John, Billy e Lexie, alle quali continuavo a non rispondere, così come altre chiamate di Alan e Mandy. Non lo facevo per il gusto di non rispondere, ma ancora non avevo capito chi ero, e parlare con qualcuno per mostragli parti differenti di me stesso non era ciò che volevo che gli altri sapessero. Non parlai con Alice da domenica, ma sapevo che Elle la chiamava per sapere di me, e anche se non sapevo ciò che rispondeva, le ero comunque grato che non insistesse.
Sentii bussare alla porta della mia stanza, nella quale stavo ormai segregato.
“Maria, non mi serve niente, quante volte devo dirtelo?” sbottai spazientito.
“Mike, sono Alice, posso entrare?”. Il suo tono di voce preocupato mi fece rispondere di si automaticamente.
Entrò lentamente nella stanza, e si sedette al capo opposto del letto.
“Va tutto bene?”.
“Si” mentii.
Lei fece un sospiro. “Elle si preocupa per te, dovresti chiamarla”.
“No, non capisci”.
“Invece si. Sapevo che ti saresti sentito spaesato una volta tornato, ma non è questo il modo di reagire”. Mi misi seduto, guardandola negli occhi.
“Come fai a dirlo? Io non so chi sono, non so cosa sto provando, e non voglio muovere un dito da questo letto”.
“Domani parto per Brentwood, Denise sta meglio, e non voglio indugiare oltre”. Fece una pausa durante la quale mi fissò. “Tu resti?”.
“Non lo so”.
Lei distolse lo sguardo e guardò un punto di fronte a se, sospirando.
“Che importanza ha?” aggiunsi. “Devo tornare comunque, hai sentito Charles? Devo fare l’ultimo anno, e non me lo farà frequentare di certo a Nashville o Brentwood”. Lei annuì, tornando a guardarmi. “Chiama Elle” disse, poi uscì dalla stanza lasciandomi di nuovo solo. Sapevo che Alice si riferiva alla promessa che avevo fatto. Non volevo distruggerla, ma non mi rimaneva altra scelta. Se fossi tornato avrei dovuto abbandonare Elle un’altra volta, e non volevo che accadesse. Se finiva così, forse era meglio. L’amavo, ogni giorno più del primo, e l’idea di lasciarla in quel modo mi distruggeva.
Mi affidai al mio istinto una volta ancora, e decisi di telefonare. Almeno questo glielo dovevo.
“Pronto?”. Chiusi gli occhi sentendo la sua voce, la sua voce che per un attimo riportò il mio spirito a Brentwood, nel posto che cercavo. Nel posto a cui appartenevo.
“Mike?”. Elle era preocupata. Cercai di ingoiare il groppo che avevo in gola.
“Ciao” dissi, e la voce mi uscii a stento.
“Ciao”. Per un attimo mi parve che avesse capito ciò che stavo per fare. Seguirono lunghi momenti di un silenzio quasi assordante.
“Che ti prende? Si può sapere?”. Il suo tono non mostrava rabbia, solo tristezza.
“Mi manchi” quelle due parole furono le più sincere che avessi mai pronunciato. Volevo essere quella persona, quella che amava, non quella che distruggeva. Quella persona che non mi era permesso essere.
“Per questo non rispondi?”.
Mi passai una mano tra i capelli, cercando un po’ di forza. Niente era mai stato tanto difficile in vita mia. Rimasi in silenzio per un po’, e lo stesso fece lei.
“Non posso tornare”.
Una risatina precedette le sue parole. “Lo immaginavo”.
“Non posso” ripetei.
“Ho capito” disse improvvisamente fredda.
“Non voglio lasciarti" dissi lasciandomi andare.
“Allora non farlo".
"Ma devo, non può essere così, io devo stare a Los Angeles per forza e..." non sapevo più cosa dire. "E' meglio così".
Ero quella persona, in quel momento, e lo sarei stato per lei ovunque e comunque. Ero quella persona, e volevo esserla ancora.

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Capitolo 16
*** Be Here Now ***


Eccomi dopo ben una settimana di super impegni a postare uno degli ultimi capitoli. Sto ancora scrivendo il finale, e ci saranno ancora due o forse, ma improbabile, tre capitoli. Vi annunciò che avrete un lieto fine(facciamo pure spoiler!XD), mi sembrava più opportuno. Anche se manca ancora il luogo misterioso delle escursioni notturne, e il ruolo del bellissimo Memphis! Non me li sono scordati! XD
Una cosa, per chi legge, e siete in tanti, visto che siamo alla fine, mi piacerebbe davvero molto che mi faceste sapere cosa ne avete pensato della storia. Thanks a lot! Peace Out.

BE HERE NOW

Volevo ancora essere quello che ero quando stavo insieme ad Elle, e fu questo a portarmi all’aereoporto il giorno seguente. Mio padre non la prese proprio bene, e all’iniziò tentò di trattenermi dalla partenza, ma poi acconsentì grazie all’aiuto di Alice, che intervenne dicendo che il mio aiuto alla fattoria sarebbe stato molto utile per un po’. Fu abbastanza per convincerlo, non volli sapere e nemmeno pensare per quale precisa ragione era d’accordo, la cosa importante è che avevo il permesso di tornare a Brentwood, almeno per un po’.
Elle mi mancava, tanto quanto bastava ad impazzire. Dopo quella telefonata mi accorsi che mi ero levato la bandana e l’avevo lasciata in un angolo sulla scrivania. Rivedendola avevo avuto l’impulso di prenderla e annusarla. Il suo profumo era ancora impresso su di essa, forte e intenso. L’avevo rimessa al polso e avevo deciso che non era ciò che volevo io quello che stavo facendo, niente di ciò che facevo a Los Angeles era quello che volevo, niente di ciò che stavo facendo ad Elle lo volevo.
Qualcuno diceva che si dovesse toccare davvero il fondo per riemergere più forti e sicuri di prima, e ora che l’avevo provato, potevo affermare che era davvero così.
Sebbene la mia sicurezza su ciò che volevo in quel momento fosse una certezza, ero comunque preocupato, avevo paura che Elle… non riuscivo nemmeno a pensarci. Avevo combinato un disastro, e avrei dato l’anima al diavolo pur di rimediare.
Mentre guardavo fuori dal piccolo finestrino dell’aereo, non facevo altro che pensare ad Elle e a come avrebbe reagito una volta che mi fossi presentato di fronte a lei dopo ciò che le avevo detto la sera prima.
Quando fummo vicini all’atterraggio, il mio cuore martellava sotto il petto, e la mia agitazione era in ascesa costante. Alice mise la propria mano sopra alla mia, cercando di rassicurarmi, e mi sorrise. Ricambiai pensando che era grazie a lei che potevo ancora provare qualsiasi emozione.
“Grazie Alice, davvero”.
Lei mi sorrise di nuovo, poi atterrammo a Nashville.
John ci stava aspettando, o meglio, stava aspettando Alice, appoggiato al suo pick up mentre masticava tabacco come suo solito. Appena mi vide mi lanciò un occhiataccia piena di rancore, poi salì sul pick up, ignorandomi. Lo sapevano tutti, conclusi, e la cosa non mi tranquilizzava affatto.
Il lungo viaggio verso il ranch fu silenzioso e carico di tensione. Ogni tanto Alice mi guardava cercando di tranquilizzare le mie paure, ma non ci riuscì, perché ad ogni metro in meno di distanza la mia agitazione saliva.
Come avrebbero preso il mio arrivo? Mi avrebbero cacciato o mi avrebbero solo ignorato?
L’agitazione e il nervosismo presero una forma definita appena arrivammo al ranch. L’intera famiglia era lì, ad accogliere Alice, e non appena mi videro fu proprio come mi ero aspettato. Sguardi sorpresi mi avvolsero. Quando Alice scese dal furgone, tutti le andarono incontro dimenticandosi di me per qualche istante, tutti tranne una. Elle era a qualche metro di distanza proprio di fronte a me. Quando i nostri sguardi si incontrarono, qualcosa dentro di me si lacerò. Il suo sguardo era sorpreso e diffidente, come se non sapesse più cosa aspettarsi. Aveva gli occhi gonfi, aveva pianto. Per il resto era bellissima come sempre. Restammo a guardarci per lunghi istanti senza capire cosa fare, finchè qualcosa di duro e forte mi colpì in pieno viso, facendomi perdere l’equilibrio e cadere a terra. Sentii un dolore bruciante prendere fuoco e pulsare sullo zigomo sinistro. Udii qualche urlo indistinto e cercai di portare la mano sulla guancia, non riuscivo ad aprire l’occhio sinistro.
“Ti avevo avvertito schifoso bastardo, te lo sei cercato”. Riuscii a distinguere la voce di Blake sovrastare il chiacchiericcio intorno a me.
“Blake, sei forse impazzito ragazzo?”. Billy usava un tono di rimprovero non troppo convinto.
“Papà me ne occupo io”. Elle si avvicinò e si mise in ginocchio davanti a me. Mi fissava con occhi esasperati.
“Elle, forse…”. Continuò Billy.
“è tutto ok chiaro? Ho detto che ci penso io”. La sua mano si strinse sulla mia spalla ed emisi un gemito di dolore, cadendo avevo colpito anche la spalla. Il gruppo che si era accerchiato alla situazione si dileguò verso la casa principale, mentre io ed Elle rimanemmo soli sulla ghiaia.
“Che ci fai qui?” mi chiese in tono neutro, mentre osservava i danni sul mio corpo.
“Sono venuto per farmi prendere a pugni e calci, e direi che ci sono riuscito”. Cercai di sviare la cosa il più lontano possibile, concentrandomi sul dolore alla spalla e a tutta la parte sinistra della mia faccia.
“Riesci a muovere il braccio?”. Feci un leggero movimento abbastanza doloroso.
“Bene, almeno non è una lussazione, ti passerà”. La sue dita fredde toccarono la mia guancia, e mi scostai automaticamente. “Ahi, mi fai male”.
“Dovresti disinfettare, ti esce del sangue dallo zigomo”.
Non riuscii a credere che fosse così gentile con me, quando mi aiutò a rialzarmi e a camminare verso il fienile. Il fienile?
“Perché stiamo andando nel fienile?” le chiesi confuso. “Non vorrai sopprimermi spero”. Mi sorrise, finalmente.
“E’ l’unico posto al momento in cui forse sei al sicuro” Mi fece sedere su un accumulo di fieno. “Aspettami qui vado a prendere il disinfettante”. Si voltò e uscì a passo svelto dal fienile.
Subito dopo udii un cavallo nitrire spaventato, mi avviai verso l’uscita lentamente, tenendomi a tutto ciò che mi trovavo davanti. Nel recinto dove fino a poco tempo fa c’era stato Hero, c’era un altro cavallo, correva da una parte all’altra impennandosi e nitrendo, spaventato. Rimasi a fissarlo per un po’ , e notai le ferite profonde al collo e le spalle, e le più lievi sulla schiena. Era davvero raccapricciante. Perdeva sangue e aveva un lembo di pelle che pendeva dalla spalla, mostrando il muscolo rosso sotto di essa. Senza che me ne accorgessi, Elle era già tornata e mi stava osservando con un espressione triste, mi voltai spaventato. “Cosa gli è successo?”.
Lei abbassò lo sguardo. “l’orso che ha attaccato Hero, ha attaccato questo mustang allo stesso modo crudele. Quell’orso è particolarmente agressivo, andrebbe soppresso, ha già attaccato molti branchi di mustang sulle montagne” si fermò, la voce colma di rabbia e tristezza. “Cercherò di occuparmi delle sue ferite, se riesco ad avvicinarlo, è davvero ribelle”. Mi sorrise debolmente, poi mi aiutò a rientrare nel fienile. Mi disinfettò delicatamente la ferita sullo zigomo sinistro.
“Cerca di stare fermo se non vuoi peggiorare le cose”.
“Perché ti stai prendendo cura di me? Non me lo merito”.
Lei rimase in silenzio qualche istante. “Non ho scelta”.
“Si che ce l’hai, puoi distruggermi l’altra guancia, oppure potevi lasciarmi sulla ghiaia” cercai di sorriderle, ma il dolore non me lo permise.
“E tu perché sei qui Mike?”. Si fermò, e rimase a guardarmi in attesa di una risposta convincente. La verità, era che non sapevo come risponderle.
“Mi hai lasciata se non sbaglio”. Il suo tono di accusa mi ferii.
“In effetti si, ma…”. Mi interruppe distogliendo lo sguardo e sbuffando.
“Ti prego Mike, dimmi chiaramente cos’altro vuoi da me se non vuoi che ti distrugga sul serio l‘altra guancia”. Il suo tono era scherzoso, anche se si percepiva un fondo di sincera cattiveria.
“Io, niente…” non riuscii a terminare la frase che la sua crisi nervosa scoppiò.
“Perché si presume che tu sia contento ora che hai ottenuto ciò che volevi. Abbiamo fatto sesso, adesso cos’altro vuoi?”. Mi fissava accigliata.
“Ma che diavolo stai dicendo? Ahi!”, mi ero alzato troppo rapidamente e la spalla mi doleva ancora. “Non è per quello che ti ho lasciata”. Rimasi in piedi davanti a lei, tenendo il braccio dolente con l’altro.
Lei guardò per terra, poi tornò a guardarmi, sempre più accigliata. “Allora spiegami come è andata Mike, perché non credo di averla capita”.
Il suo tono arrogante mi fece esplodere.“Era quello che stavo cercando di fare!“ sbottai “e ci sarei riuscito se non avessi continuamente interrotto il mio discorso con le tue stupidaggini!”.
Fece un passo indietro. “Stupidaggini?”. Scosse la testa. “Non ci posso credere!”.
“Sono io che non posso credere che tu pensi questo di me!” la mia voce era sempre più alta ed io sempre più alterato.
“Cos’altro dovrei pensare? Non mi hai lasciato spiegazioni!”.
“Si invece, te l’ho detto eccome! Io non posso restare per sempre in questo ranch maledizione!”.
“Perché stai alzando la voce?”.
“Perché mi stai facendo innervosire!”.
“Ma non sono motivazioni valide” buttò lì, incrociando le braccia.
“Elle” iniziavo ad essere spazientito. “Dimmi che lo stai facendo apposta per innervosirmi e farmi tornare a casa perché è questo che vuoi”.
“Voglio solo sapere per quale motivo mi hai lasciata così! Per telefono!”.
“Ma te l’ho detto! Non posso restare qui”. La guardai e il silenzio calò nel fienile. Durò qualche istante.
“Che significa che non puoi restare qui?”.
“Elle! Mio padre vuole farmi diplomare a Los Angeles, per farlo devo tornare a casa e vivere là! Riesci a capire? Non è un concetto tanto difficile”.
Mi guardò, e sospirò abbandonando l’espressione accigliata. “Non sono stupida”. L’avevo ferita di nuovo, senza volerlo. Mi guardò stare in silenzio, poi si avviò fuori dal fienile.
“Elle!” urlai cercando di fermarla. “Non era quello che intendevo! Aspetta!”. Sospirai vedendo che non si fermava, e tornai a sedermi sul fieno, stanco. Non era così che sarebbe dovuta andare. Ero convinto che mi amasse e speravo che per questo mi avrebbe perdonato. Ma così non fu. Veramente non capiva? O era un pretesto per farmi tornare a Los Angeles?
Non ero riuscito a spiegarmi come volevo, il suo tono arrogante e le sue accuse mi avevano fatto arrabbiare, e non avevo visto più nulla. Come si era permessa di insinuare che l’avessi lasciata perché avevamo fatto l’amore e quindi non avevo bisogno di nient’altro?
Ci riflettei e conclusi che con molte probabilità chiunque l’avrebbe pensato in una situazione simile. Forse persino io. Ma il fatto era che le avevo detto la ragione della nostra rottura, lo sapeva.
Mi ritrovai a pensare alla settimana passata insieme, la più significativa della mia vita. Non potevo dimenticare ciò che mi aveva dato lei, ne ciò che lei aveva di me.
Ero tornato lì solo per lei, perché l’amavo, e non potevo sopportare di starle lontano. Non potevo sopportare di mandare a monte tutte le promesse che avevo deciso di sostenere.
Ma volevo anche che lei capisse ciò che provavo, e i problemi che stavamo passando. Invece mi sembrava che fossi solo io a comprendere la gravità della cosa. Perché ero io a dovermi trasferire a Brentwood? Lei non poteva venire a Los Angeles? Almeno solo per il periodo in cui avrei dovuto frequentare l’ultimo anno di liceo. Poi avrei compiuto la maggiore età, e non sarei più dipeso dalle decisioni di mio padre.
Un’idea mi balenò nella mente, non era una soluzione, ma non era finita. Non era ancora finita.
Con tutta la velocità che riuscii a raggiungere, il dolore alla spalla diminuiva, uscii dal fienile e iniziai a cercare Elle. Con sorpresa, la vidi accanto allo steccato del cavallo ferito e spaventato. Era piegata sulle ginocchia e fissava il cavallo, che a sua volta fissava Elle, improvvisamente più tranquillo, anche se visibilmente teso. Mi avvicinai al recinto in silenzio, rimanendo in piedi dietro di lei. Si accorse della mia presenza quasi subito, senza voltarsi.
“Che cosa vuoi ancora Mike?”. Si alzò e si voltò con un espressione scura, due goccioline sulla guancia. Aveva pianto.
Mi avvicinai di più ma lei tese le mani in avanti e indietreggiò, scuotendo la testa. Contro voglia, rimasi dov’ero, lontano da lei. “Elle, mi dispiace” dissi dolcemente. “Non volevo alzare la voce, ne ferirti”.
“Mike…”.
“Ssh” la interruppi. “Aspetta, ascoltami prima di parlare”.
Feci un lungo sospiro poi mi avvicinai a lei, che non si mosse. Mi feci ancora più vicino, abbastanza per poterle leggere gli occhi.
“Ero convinto che lasciarti fosse la cosa giusta da fare, che facendo in quel modo avresti sofferto molto meno, piuttosto che una separazione lenta e sofferta. E forse ero preocupato per il mio stato d’animo una volta che fossi tornato e ti avessi detto come sarebbero dovute andare le cose”. Mi presi una piccola pausa, lei mi guardava dritto negli occhi, come per valutare se davvero fossi sincero.
“Più di ogni altra cosa ho bisogno che tu capisca ciò che sta succedendo, e ciò che sto passando. Ciò che ho provato tornando a Los Angeles non lo voglio più provare. Mi sono sentito vuoto ed estraneo. Mi sono sentito impotente di fronte ad una situazione che non posso cambiare, ma questo non significa che io non voglia cambiarla. Credimi, lo voglio con tutto il mio cuore, la mia anima, e tutto quello che ci sta in mezzo”. Riuscii a strapparle un mezzo sorriso. “Li ho contati, sono sei mesi. Fra sei mesi, potrò decidere da solo della mia vita. Fra sei mesi potrò essere qui con te senza problemi”. La guardai per lunghi istanti, lei rispose abbassando lo sguardo.
“Che stai dicendo, che vuoi trasferirti qui?”. Sebbene il significato di quelle parole poteva essere qualunque, mi ferirono, inaspettate. Ero convinto che fosse ciò che voleva, ciò che entrambi desideravamo.
“Ti ho fatto una promessa Elle, e intendo mantenerla”. Le parole uscirono in tono nervoso.
“Io non voglio che rinunci al tuo futuro Mike, non è così che funziona, l’università è importante”. Una lacrima le scendeva lentamente sulla guancia. Mi avvicinai e con la mano non dolorante le accarezzai la guancia per portarle via quella lacrima.
“Il mio futuro sei tu. La ricerca della felicità è ciò che l’uomo percorre nel suo cammino. Può durare all’infinito. Potrebbe essere ovunque, all’università, in una fattoria. Ma se qualcuno l’ha già trovata, può anche smettere di cercare”. Mi guardò negli occhi e capii che forse non avevamo più possibilità.
“Non è ancora finita, io sto cercando una soluzione e ce la sto mettendo tutta perché non voglio che finisca”.
“Nemmeno io voglio che finisca, ma non posso rovinarti la vita per questo. Io sono felice se tu vai all‘università e ti farai una lunga carriera”.
“Elle, a me non interesserebbe comunque l’università. Non è poi così importante”.
“E in questi sei mesi? Voglio dire, cosa succederà?”.
“Non lo so”.
Lei sospirò. “Perché deve essere così difficile?”.
Le sorrisi, finalmente rilassato. “Se no non ci sarebbe gusto”.

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Capitolo 17
*** Trust Me ***


TRUST ME

Elle si rilassò, e mi diede un buffetto sul braccio sano. “Ne sei davvero sicuro?”.
“Si, perché ho bisogno di te più che di tutto il resto, e ho bisogno di te perché ti amo. E’ chiaro?”. Mi avvicinai e l’abbracciai con l’unico braccio che avevo a disposizione.
“Ne sono contenta” mi sussurò lei. Le accarezzai i capelli. “Non hai idea di quanto abbia sofferto la tua mancanza”.
La baciai, quel bacio che solo lei poteva regalarmi, e che non avrei mai voluto perdere, quel sapore di lei che mi faceva sentire su un altro pianeta, un posto magico, molto simile a quello descritto nei film, ai quali la gente si affida e cerca di consolarsi pensando che possa accadere solo nei film. Non era così, era possibile. Il sapore di vita, la consapevolezza delle sensazioni e la gioia del provarle e non sentirsi troppo deboli per farlo, ne troppo romantici.
Il romanticismo c’è sempre dentro di noi. A volte si nasconde per proteggere le nostre delusioni, ma viene spontaneo quando ti trovi in una situazione simile a quella dei film, dove vuoi e cerchi di fare il possibile per dimostrare ciò che provi. Era possibile trovarlo dentro di noi.
Se solo poco più di una settimana prima mi avessero parlato di romanticismo, io avrei risposto di non averlo, perché era roba da ’sfigati’. Avrei aggiunto anche che l’amore era una condizione di schiavizzazione, di eterno sottostare a qualcun altro, cosa che odiavo parecchio.
Se me ne avessero accennato in quel momento, avrei risposto di guardare Elle, perché in lei avevo trovato qualcosa che mi faceva stare al di sopra del mondo. Mi donava qualcosa che nient’altro avrebbe potuto ne potrà mai più donarmi. Non avrei risposto che l’amavo, perché era riduttivo. Avrei risposto che avevo trovato il romanticismo, e non era una cosa da ’sfigati’, anzi, era una cosa troppo superiore per un semplice essere umano.
Mi prese per mano, e mi guidò verso quella che era stata la mia stanza in quella settimana. Non sentivo più il dolore alla spalla, ne quello allo zigomo, mentre Elle mi conduceva all’interno della stanza, baciandomi e togliendomi la maglia.
Quando ci buttammo sul letto, mi ero completamente scordato del dolore al braccio, che bruciò terribilmente nell’impatto con il letto.
“Che ti succede?” mi chiese Elle, preoccupata vedendo la mia smorfia.
“Il braccio…” . “Ti fa ancora male?”.
“Si, ma è sopportabile”. Le sorrisi e lei ricambiò.
“Mi dispiace che Blake si sia comportato così, lui di solito si tiene fuori da queste cose, si vede che proprio non gli piaci”.
“Dobbiamo proprio parlare di questo?”.
Rise, poi mi baciò e la sua mano scese sulla mia schiena, sicura.

Mi svegliai accanto a lei qualche ora dopo. Guardai l’orologio che mostrava le sei del pomeriggio, poi mi girai e rimasi ad osservarla. Alzai il lenzuolo sulla sua pelle nuda e le spostai i capelli davanti al viso. Come avrei potuto lasciarla e stare bene? Come avrei potuto pretendere qualsiasi felicità senza di lei?
Non avevo più dubbi, sapevo ciò che volevo, e niente avrebbe mai più potuto allontanarmi. Guardando Elle in quel momento, sapevo di voler passare tutta la vita a vederla svegliarsi accanto a me, a sentire il sapore delle sue labbra morbide, il calore della sua pelle. Era ossigeno, come una bombola per il subacqueo, senza la quale le speranze di sopravvivenza erano sotto la percentuale dello 0% e senza la quale non c’è nessuna possibilità di visitare un posto tanto meraviglioso come il fondo dell‘oceano.
Non c’era Blake, ne John ne Charles. Non avrei permesso a nessuno di togliermi l’ossigeno.
La sentii sbadigliare, poi aprì gli occhi e vedendomi mi sorrise teneramente.
“Sei qui”.
“Sono qui”.
“Non te ne vai”.
“Non me ne vado”.
“Ho sognato che mi avevi lasciata dormire qui da sola”.
Mi avvicinai e la baciai dolcemente. “Non lo farò, era solo un sogno”.
“Mike devo dirti una cosa”. Il suo cambiamento di espressione mi fece preoccupare.
Annuii quando mi guardò, e dopo un attimo di esitazione proseguì. “Stanotte, devo andare via”.
“Cioè? dove devi andare?”.
“Devo andare in un posto, ma tornerò prima che tu te ne accorga, non devi preoccuparti”.
Vedendomi perplesso, continuò a cercare di spiegarsi. “Volevo solo fartelo sapere”.
“E non puoi dirmi dove andrai?”. Lei scosse la testa. “Lasciami indovinare, è quel luogo misterioso di quando ti ho vista tornare?”.
“Si, ma davvero non te lo posso dire, non capiresti”.
“Mettimi alla prova”.
“No, te lo dirò un giorno, ma non ora”.
“Non ti fidi di me?”.
Sospirò. “Si che mi fido, ti affiderei la mia vita, è che voglio essere sicura che tu possa capire”.
Decisi che avviare una nuova discussione non era il caso. “D’accordo, come vuoi. Cerca di non cacciarti nei guai però”. Sapevo che qualcosa non tornava, ma mi fidavo di lei, se riteneva giusto ciò che mi stava nascondendo, allora un motivo c’era sicuramente.
“Grazie”. Mi diede un bacio, e questo cancellò le mie perplessità.
“Come sta il braccio?”. Mi chiese poi.
“Molto molto meglio”.
Rimanemmo a letto per quasi un’ora, scherzando e facendo di nuovo l’amore. Continuavo a pensare a quella domanda, finchè non fui più in grado di ignorarla. Eravamo abbracciati, in silenzio immersi ognuno nei propri pensieri, finchè la sua domanda mise fine al segreto.
“A cosa stai pensando?”.
“Pensavo a una cosa”. Azzardai, decidendo ancora una volta se fosse fattibile. Lei alzò la testa e mi guardò in attesa.
“Pensavo che, se sei d’accordo ovviamente, non sei obbligata, in questi sei mesi potresti stare a Los Angeles… con me”.
Si spostò alzando di più la testa per guardarmi meglio. “Stai dicendo sul serio?”. Sembrava allibita.
“Si, no, cioè se vuoi. Era solo una possibilità”.
Lei sospirò e si mise a sedere, io feci lo stesso. “Sapevo che me lo avresti chiesto prima o poi, ma Los Angeles non fa per me, io voglio stare qui con la mia famiglia e i cavalli. Non potrei farcela in una città, insomma…”.
“Amore, non preoccuparti. Non c’è nessun problema. Era un opzione che avevo considerato, ma non proprio completamente”.
“Come hai detto?”.
La guardai confuso. “Ho detto che se vuoi rimanere lo puoi fare, anzi lo devi fare”.
“No, intendevo quello che hai detto prima”. Il suo sorriso si era aperto in tutta la sua bellezza, eppure non capivo a cosa si riferisse. La guardai interrogativo.
“Come mi hai chiamata”.
“Amore?”.
Lei annuii sorridendomi gioiosamente e io risi. Bastava così poco a far gioire le donne.
“Perché ridi?”. Mi chiese ridendo, dandomi uno dei suoi buffetti.
“Dovresti vedere la tua faccia”.
“Perché? È bello sentirsi chiamare amore”.
“Davvero?”.
Lei annuii di nuovo, contenta.
“Allora ti chiamerò più spesso amore”. La baciai.
“Comunque la prenderò in considerazione”. Affermò.
“Che cosa amore?”.
Mi sorrise poi mi baciò. “La tua opzione. Non ti prometto nulla, ma ci penserò”.
“Va bene”.
Qualcuno bussò alla porta, facendoci voltare entrambi nello stesso momento.
“Elle, sei lì?”. La voce mi sembrava quella di John.
Rimanemmo in silenzio per un po’ valutando bene cosa fare.
Elle mi guardò prima di rispondere. “Si”.
Entrambi credemmo per un po’ che John non sarebbe rimasto contento della situazione, e avrebbe detto qualsiasi cosa per farla uscire dalla mia stanza, ma entrambi rimanemmo sorpresi quando parlò. “Il mustang perde molto sangue, forse è il caso che mi dai una mano a medicarlo, non possiamo più aspettare”.
Elle sorrise. “Non so se riusciremo ad avvicinarlo”.
“Perché non provarci? E’ messo male”.
“D’accordo, arrivo”. Mi fece cenno di alzarmi, mentre lei recuperava i vestiti. Ci vestimmo e sistemammo il letto, prima di aprire la porta a John. Ci guardò con un espressione indecifrabile, e il suo sguardo indugiò sul letto mezzo disfatto, per poi fissare i miei occhi.
Di fronte a quell’imbarazzo, Elle decise di scappare. “Ehm, vado a cercare di portare quel cavallo alla tranquillità”. Mi sorrise strizzando l’occhio, poi proseguì fuori dalla stanza, lasciandomi solo con John.
“Che fai? Ci dai una mano?”. Mi chiese freddamente. Fece per voltarsi e incamminarsi verso l’uscita, ma lo fermai stringendogli il braccio.
“Dimmi che non è cambiato niente tra di noi, John”.
Mi fissò a lungo, ma sostenni il suo sguardo. “Non so se ci si può fidare di te Mike”.
“Si che lo sai, mi conosci bene. Forse anche molto più di quanto mi conosca Elle”.
“Spero solo che Elle non stia facendo uno sbaglio permettendoti di restare ancora nelle nostre vite”.
“John, ci sono dei problemi che non mi permettono di stare qui come vorrei. L’unico errore è stato quello di aver creduto di aver perso le speranze per un futuro insieme. Ma so che possiamo farcela comunque. Io non ho smesso nemmeno per un istante di amarla, è questo che non capite. Si sono solo creati degli equivoci. Dovreste smetterla di pensare ad Elle come ad una bambina che non sa ciò che fa o ciò che vuole, lo sa meglio di chiunque altro, e se lei ha deciso che la nostra storia può farcela, allora dovreste fidarvi di lei e lasciare che le cose vadano come vadano”. Finì il discorso tutto d’un fiato, e quando terminai, feci un respiro profondo cercando di recuperare un po’ di ossigeno.
Lui mi fissò ancora, scegliendo con cura le parole. “Non dirò che ti sbagli, perché so perfettamente che non è così. Ciò che cerchiamo di fare è proteggere la fragilità di Elle, temendo che si possa spezzare. Forse Billy e Blake fanno fatica a lasciarla crescere, troppo occupati a cercare di proteggerla, ma lo fanno con le migliori intenzioni. Tu sei stato visto come un allarme di pericolo dopo aver visto Elle piangere durante la tua assenza durante la quale, lasciamelo dire, sei stato un vero stronzo. Non una telefonata, niente. E l’unica volta in cui vi siete sentiti tu l’hai lasciata senza un apparente motivazione valida. Posso provare a capire che tornando a Los Angeles tu abbia avuto una specie di sbandata, Alice me l’ha raccontato, ma non puoi certo biasimarci se abbiamo pensato ad ucciderti. Ma ciò che ho pensato quando ti ho visto scendere dall’aereo con Alice, è che eri tornato. Conoscendoti, se non fossi stato pronto a cambiare di nuovo le cose, non l’avresti fatto. Adesso sei qui, ed Elle sorride. Questo è tutto ciò che conta. Ma posso assicurarti Mike, che se ti azzardi a fuggire di nuovo, ti inseguiremo e ti troveremo. E non avremo nessuna pietà. E ora andiamo a lavorare”. Uscì dalla stanza e si avviò verso l’esterno, mentre io rimasi un istante dov’ero, deglutendo con forza.
John era l’unica persona al mondo capace di farti cogliere in pieno il significato delle sue parole, senza pensarci due volte.
Era chiaro in ciò che diceva, e non si sprecava a ripeterlo. Il suo avvertimento non mi aveva intimorito più di tanto. Anche se sapevo che ne avrebbe mantenuto fede, pensavo solo al fatto che lui avesse capito perfettamente ciò che era successo. La stima tra di noi era sincera e reciproca, ma lui proteggeva un valore molto più importante, ed era questo ciò che mi piaceva di lui.
Mi aveva offerto la sua stima, facendomi rimanere con i piedi per terra avvisandomi che avrebbe fatto qualsiasi cosa per la famiglia a cui apparteneva non di fatto ma di affetto. John era essenziale, e la sua amicizia era per me una cosa importante da mantenere.
Quando uscimmo Elle era dentro al recinto, sempre più vicina al cavallo con il braccio leggermente teso verso di lui, che era schiacciato allo steccato, dopo aver esaurito lo spazio disponibile alla fuga.
“Vedi, ecco perché mi serve il suo aiuto. Solo lei ci riesce”.
La osservai avvicinarsi sempre di più al cavallo che cercava di indietreggiare spaventato, e pensai che Elle fosse una creatura meravigliosa. Non solo per me, ma per tutti gli esseri viventi.
Ci avvicinammo allo steccato e rimanemmo ad osservarla finchè riuscì a toccare il cavallo e accarezzarlo sul muso.
A quel punto John mi diede una lunga siringa che aveva riempito di qualche medicinale e mi disse di avvicinarmi a loro dall’altra parte, rimanendo fuori dal recinto. Feci come mi aveva detto, e porsi la siringa ad Elle. Continuando ad accarezzarlo, gli infilò l’ago sulla parte inferiore del collo, e lui iniziò ad agitarsi.
“Elle esci da lì, subito!” urlò John, mentre il cavallo iniziava ad impennarsi in segno di attacco. John aprì il cancello ed Elle corse fuori.
“E’ un buon inizio” esclamò lei.





La cena fu tranquilla. Billy sembrò essere tornato ad essere gentile, così come tutti, tranne Blake ovviamente.
Continuò a lanciarmi occhiate d’odio per tutta la sera.
“Cerca di ignorarlo. Dovrà passargli se vuole rivolgermi ancora la parola”. Mi disse Elle, avendo notato che mi dispiaceva per le sue occhiatacce.
“Non vi parlate?”. Chiesi, stupito.
“Per il momento no, è arrabbiato con me perché ti ho dato un’altra possibilità. Prima abbiamo litigato pesantemente. Sono stufa che mi tratti come fossi Lexie”.
“Mi dispiace avervi fatto litigare”.
“Non è colpa tua”.
Mi dispiaceva veramente che Blake fosse così crudele con me ed Elle, sebbene non capissi la ragione della sua eccessiva cattiveria.
Dopo cena quasi tutti si ritirarono nelle proprie stanze, mentre sulla veranda eravamo rimasti io e Elle in compagnia di Lexie e John, con i quali mi trovai davvero bene. Lexie volle sapere tutto di Los Angeles, così le raccontai delle spiagge di Santa Monica e della ruota panoramica alta più di 70 metri. Parlai dei negozi e la città illuminata di notte, i grattacieli e il parco Disneyland. Le dissi che avevo visitato la Hall of Fame e il museo delle cere. Alla fine dei racconti Lexie sembrava imbambolata e del tutto persa nelle sue fantasie.
“Un giorno verrò a trovarti quando ne avrò la possibilità” mi disse infine, ancora incantata.
“Mi farebbe piacere”. Le risposi, poi guardai Elle di fianco a me. “Cerca di trascinarci anche tua sorella”.
Elle mi sorrise, pensierosa.
La serata si concluse rapidamente in mezzo alle chiacchiere, e quando fu il momento di andare a dormire, mi preoccupai per Elle, per quello che aveva intenzione di fare, e al quale, ne ero sicuro, aveva pensato tutta la sera. Non sapevo cosa stava per combinare, ma il fatto che lei fosse così strana e pensierosa, non mi accertava per niente il buon fine dell’impresa.
“Sei proprio sicura di ciò che stai facendo?”. Le chiesi davanti alla porta della mia stanza.
“Veramente non molto. Ma non ho scelta”.
“Perché ho l’impressione che tu ti stia cacciando nei guai?”.
Lei mi sorrise poi mi baciò. “Perché ti preoccupi troppo. Posso dormire un po’ con te?”.
“Certo amore”.
Restammo abbracciati per un po’, finchè entrambi ci addormentammo l’uno accanto all’altra.

Quella notte feci un incubo. Camminavo su una delle spiagge di Santa Monica insieme ad Elle, la spiaggia deserta. Una nebbia fitta e densa calò all’improvviso su di noi rendendo impossibile la vista di qualsiasi cosa.
“Mike, non trovo più Memphis”. Esclamò Elle in preda al panico. “Devo andare a cercarlo”.
“No!”. La fermai tirandole un braccio. “E’ pericoloso, potresti non trovarmi più”.
“MA non capisci! Devo trovare Memphis!”. Scoppiò a piangere a dirotto, poi sciolse la mia presa facendomi male. Era così forte?
Iniziò a correre in mezzo alla nebbia e poco a poco la sua sagoma scomparve mentre cercavo di seguirla urlandole di tornare da me. Continuai a cercarla in preda alla disperazione e al panico. Un rumore improvviso mi fece sobbalzare in mezzo alla nebbia. Sembrava che qualcuno stesse grattando su una porta. Il rumore era sempre più forte e più vicino. Poi dal mezzo della nebbia comparve una porta.
Spalancai gli occhi e mi misi a sedere sul letto. Sentivo ancora quel rumore di grattamento. Sembrava provenire davvero dalla porta. Mi alzai e lentamente mi avvicinai alla porta. Un lamento provenne da dietro di essa, e mi decisi ad aprirla. In una frazione di secondo Memphis mi fu addosso, tirandomi i pantaloni del pigiama e ringhiando.
“Che ti succede Memphis?”. Lui sembrò capire e si fermò restando a guardarmi paralizzato. Corse fuori dalla porta, poi tornò indietro e ricominciò a tirarmi i pantaloni.
Capii che voleva portarmi fuori.
“Memphis, non mi sembra il caso di andare fuori, sono le…”. Guardai l’orologio. “Le tre di notte! E fuori c‘è una tempesta”. Lo fissai e lui ripetè l’operazione. Per un lampo di secondo un idea assolutamente terribile mi tuonò in testa al suono del temporale fuori. Guardai il letto, era vuoto. Poi guardai Memphis, sembrava impaurito.
“Oh mio dio!”. Esclamai, poi corsi fuori.

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Capitolo 18
*** I Found You Laying There ***



Questo è il penultimo capitolo, enjoy! e non scordate di recensire!




I FOUND YOU LAYING THERE

Ciò che stavo facendo mi sembrava incredibile. Stavo seguendo un cane grosso quando un topo in mezzo alla pioggia, mentre mi guidava verso il bosco affiancato al ranch. Riuscii a distinguerlo in mezzo ai rami e alla pioggia grazie al suo colore bianco acceso, che illuminava la via come un lampione. La prima cosa che pensai fu che qualcuno del ranch era in pericolo. Nonostante volessi trovarmi io in pericolo al posto di qualsiasi altra persona del ranch, sperai con tutto il mio cuore che si trattasse di qualcuno che non fosse Elle, anche se la mia razionalità continuava a ripetermi che tutte le tracce portavano a lei.
Sentii il cuore battere ad un ritmo accellerato e le mani si muovevano tra i rami convulsamente. Ero in pigiama e correvo sotto la pioggia fitta senza fermarmi, colto da un improvviso senso di nausea.
Correvo, correvo, in preda al panico, non sapevo nemmeno se ero in grado di percepire il mio respiro. Ad un certo punto del percorso, non vidi più Memphis davanti a me.
Avevo corso per non so quanto tempo, e fermandomi, fui colto dall’affanno della corsa. Mi bruciava deglutire come se avessi della carta vetrata lungo le pareti della gola.
L’aria era irrespirabile, la pioggia rendeva appannata ogni cosa intorno a me. Non sapevo dove mi trovavo, ne da che parte dovessi proseguire. La fitta vegetazione del bosco mi impediva persino di respirare regolarmente. I lampi della tempesta erano l’unica cosa che illuminasse l’oscurità della notte. Cercai di mantenere in testa l’obiettivo di quella ricerca disperata mentre i polmoni erano in fiamme e avevo addosso i vestiti fradici. Probabilmente mi sarei preso un accidente, ma non mi importava. Dovevo assicurarmi che Elle stesse bene.
Gridai alla notte il nome di Memphis, cercando di riportarlo da me. Fui colto da un’improvvisa ondata di panico quando urlai per forse qualche minuto senza avere alcun tipo di risposta. Se Memphis non tornava, non solo non avrei trovato quale fosse il pericolo, ma mi ero perso nel bosco di notte, sapendo che un orso aggressivo si aggirava per le montagne. Un presentimento forte nacque nella mia testa e proseguì fino al cuore. No! Ti prego, gridai nella mia testa nella speranza di cacciarlo. Urlai a squarciagola qualcosa senza sapere nemmeno cosa stavo urlando. Sentii tirare il pantalone.
“Memphis?”. Chiesi istintivamente. Mi sentii tirare più forte verso la mia destra. Un lampo illuminò il bosco, e vidi il piccolo cane bianco avviarsi alla mia destra, lo seguii pensando che quello non era un cane qualsiasi.
Cercai di respirare in modo naturale mentre proseguivo più lentamente e attentamente.
Ad un certo punto la fitta vegetazione si interruppe, le mani non toccarono più gli alberi, ma il vuoto. Mi fermai, e udendo il battito forte del mio cuore nel silenzio rotto solo dalla pioggia, aspettai un lampo di luce che mi rivelasse la mia posizione. Sentii tirare ancora il pantalone, poi un lamento proveniente da Memphis, ma rimasi fermo dov’ero a fissare davanti a me, in attesa.
Il lampo arrivò, durò una frazione di secondo, per questo sperai di aver visto solo con la mia immaginazione.
Un altro lampo, la stessa immagine. Mi strofinai gli occhi appannati.
Un altro ancora, riuscii a distinguere la sagoma di un cavallo steso a terra. Mi avvicinai cauto nell’oscurità.
Ed ecco un lampo, non riuscivo a riconoscere il cavallo.
Feci due passi alla mia destra e poi altri tre avanti.
Lampo. Affianco al cavallo un’altra sagoma. Un altro passo avanti.
Luce, una sagoma umana.
“Oh mio dio!”. Urlai e corsi verso le due sagome a terra.
Un flash, e fu abbastanza per riconoscere la forma del viso della persona che amavo. Conoscevo ogni piccola cellula di quel viso celestiale, e l’avrei vista ovunque.
Le mani mi tremavano talmente forte che mi sembrava di avere un attacco convulsivo. Tastai il suo corpo in preda al panico cercando eventuali ferite che vedevo nella mia immaginazione, e che in realtà non avrei saputo come trovare. Cercai di tranquilizzarmi e sempre in ginocchio mi spostai tastando in terra tra le foglie e il terreno bagnato finchè sentii il corpo del cavallo muoversi su e giù sotto le mie mani. Era vivo. Se era steso a terra significava che qualcosa non andava, pensai cercando un po’ di lucidità per trovare una soluzione. Il muso del cavallo si posò leggermente sulla mia mano, e capii all’stante.
“Aira! Ma che ti è successo?”. La mia voce si ruppe in singhiozzi quando un nuovo lampo di luce mi rivelò il corpo ferito del cavallo, era una scena raccapricciante e sembrava davvero grave. Qualcosa scattò dentro di me.
“Piccola, cerca di resistere, torneremo a prenderti immediatamente! Ma cerca di resistere”. Le urlai, poi mi avvicinai al corpo di Elle e le sistemai le braccia sotto la testa e le gambe e cercai di alzarmi. Le forze mi mancavano, ero sfinito. Ma una forza che non era fisica mi fece alzare e incamminarmi nel punto in cui ero arrivato con lei tra le braccia, svenuta. Una forza superiore a quella della distruzione, una forza simile all’amore.

Cercai di concentrarmi sul percorso, di ricordarmi da dove fossi arrivato prima. Cercai di seguire gli abbai di Memphis, che mi guidava. Mi sembrò un tempo infinito, interminabile. Mi tremavano le braccia per lo sforzo e mi mancava l’aria, ma nonostante questo, camminai con attenzione, strinsi Elle più forte a me cercando di ripararla dalla pioggia.
Riuscii a riconoscere le luci dei lampioni di un ranch non molto lontano da noi. Seppi che si trattava del nostro perché Memphis puntò in quella direzione. La tempesta si era ormai placata, e il cielo era diventato più chiaro.
“Resisti amore, ci siamo quasi”. Le sussurrai vicino al viso.
Quando mi trovai davanti al cancello dell’entrata del ranch, non ce la facevo più. I miei passi erano sempre più corti e lenti, non riuscivo più a camminare. Mi lasciai andare per terra e mi sedetti appoggiato allo steccato del cancello stringendo Elle tra le braccia. Vidi qualcuno correre verso di noi, poi gli occhi si chiusero, e non sentii più nulla.

***

Mi svegliai lentamente, aprendo la mente prima degli occhi. Mi trovai tra le coperte del letto nella mia stanza, e di primo impatto mi sembrò che tutto fosse normale, come tutti i giorni. Ma un chiacchiericcio indistinto mi riportò a quello che era successo. Aprii gli occhi con fatica, mi sentivo ancora stanco e avevo i brividi di freddo. Qualcuno si spostò di fianco a me, guardandomi per capire se ero sveglio veramente.
“Ciao Alice” sussurrai, la voce mi uscii rauca.
Lei mi sorrise, sollevata. “Ehi, come ti senti?”.
Sorrisi e ci pensai un attimo prima di rispondere. Mi sentivo debole e mi dolevano le ossa. Sentivo la testa e gli occhi gonfi, la gola bruciava.
“Bene”.
Lei mi strinse la mano, sapendo che il mio ‘bene’ in realtà non era bene affatto.
Il mio cuore fece un salto improvviso, quando la mente lo portò a pensare ad Elle. I battiti accelerarono facendo muovere forte il petto. Guardai Alice, e il suo sguardo triste mi lacerò l’anima.
“Dov’è? Come sta?”. Mi uscii in un sussurro carico di tensione. Il suo distogliere lo sguardo mi fece temere il peggio.
“Non si è ancora svegliata. Ha la febbre molto alta e si agita nel sonno”. Scosse la testa, come per sottolineare che tutto ciò era davvero incredibile.
“Quanto tempo ho dormito?”. Le chiesi senza guardarla.
“tre giorni”.
Il mio cuore batteva ancora forte, e non dava alcun segno di volersi fermare. “Aira?”.
Mi guardò, e dagli occhi rossi le scese una lacrima piena di dolore. “Lei non ce l’ha fatta, se n’è andata qualche ora fa”.
Qualcuno bussò alla porta, e Alice si alzò dal mio capezzale per andare ad aprire. Blake entrò nella stanza, la fronte agrottata e gli occhi gonfi di chi aveva pianto.
Immediatamente pensai che volesse uccidermi, ma si avvicinò a me sedendosi sul letto, e ne rimasi sorpreso.
“Mi dispace. Per quello che ho pensato di te, per quello che ti ho fatto. Se Elle adesso può respirare è solo grazie a te”. Sebbene in quel momento provavo solo ansia e preocupazione per quello che sarebbe potuto succedere, rimasi molto colpito dalle sue semplici parole. Era sincero, e gli porsi la mano in segno di amicizia. Lui la strinse ed accennò ad un sorriso, poi gli chiesi di accompagnarmi da Elle. Alice insistette nel farmi rimanere a letto, poiché ero ancora debole, ma non volli sentire nient’altro se non le braccia di Blake che mi aiutavano a proseguire verso la casa principale.
Il tempo fuori era ancora terribile, non pioveva, ma i nuvoloni scuri sopra le nostre teste erano abbastanza per fermare le normali attività lavorative del ranch.
Con fatica raggiunsi la camera da letto di Elle, e Blake si fermò sulla soglia, lasciandomi proseguire da solo.
Appena entrai, mi resi conto che non avevo mai visto la sua stanza. Era tapezzata di foto e di premi dei rodei. Le foto la ritraevano sempre insieme ai cavalli e alla famiglia. Come tutte le ragazze, la stanza era colma di pupazzetti. Mi venne un tuffo al cuore quando il mio sguardo si posò sul letto. La posizione del suo corpo era rigida.
Mi avvicinai e le strinsi la mano bollente. Le baciai la fronte e per poco non mi scottai. Doveva avere la febbre davvero alta. Vicino al letto sul comodino c’era una pentola con l’acqua fredda e uno straccio bagnato. Lo presi e lo immersi nell’acqua per poi posarglielo sulla fronte.
Mi sedetti sulla poltrona e rimasi a guardarla dormire finchè gli occhi non mi si chiusero per la stanchezza.


Un urlo mi svegliò di colpo. Elle si stava agitando nel letto e le fui accanto in un secondo, le mani sul suo viso. Lei spalancò gli occhi e quando mi vide si tranquillizzò, mentre le lacrime le stavano solcando il viso così bello. L’abbracciai e strinsi forte il suo corpo bollente.
“è tutto a posto amore sono qui con te”. Le sussurrai, la voce ancora rauca.
“Aira è morta per colpa mia vero?”. La sua voce era rotta da violenti singhiozzi. Non risposi, le accarezzai i capelli.
“Non volevo che succedesse, non l’ho nemmeno visto. Ci è piombato addosso e mi ha scaraventato a terra attaccando Aira. La sentivo urlare di dolore mentre quell’orso la feriva. Ho cercato di tirargli tutto ciò che trovavo…”. Non riuscì più ad andare avanti.
“Ssh. Stai tranquilla”.
“Io non volevo ucciderla”.
“Non è stata colpa tua”. Le lacrime inziarono a scendermi inesorabilmente, mentre stringevo il suo corpo scosso dai songhiozzi. In quel momento capii ciò che aveva voluto fare quella notte. Sapevo che la sua rabbia verso quell’orso assassino l’avrebbe condotta ad una pazzia, ma non riuscivo a pensare che le sue intenzioni di vendetta fossero così sbagliate.
Non era riuscita ad ucciderlo, ma io ci sarei riuscito in qualche modo. Aira doveva essere vendicata.

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Capitolo 19
*** Back Home. Epilogo. ***


Ecco, siamo alla fine! :(
Mi dispiace così tanto che sia finita, però non vedevo l'ora di postare l'ultimo capitolo...
Devo spiegare una cosa, il finale mi rendo conto che è un pò...come dire, esagerato, ma mi sono sentita di farlo così, perchè mi sono affezzionata ai protagonisti della mia stessa storia, e volevo fare un regalo ad entrambi, rendendo spero l'idea di qualcosa di perfetto, di qualcosa che corona le loro vite con le quali si sono curati a vicenda. Così è finita, e così rimane.
Spero che condividiate questo per me stupendo finale!
Vi annuncio che la storia è nata per finire, perciò non ci sarà una continuazione... a meno che decida di fare la stessa storia dal punto di vista di Elle... ma questo è un altro discorso! Baci Baci, FourWalls


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14 mesi dopo.



“Mi manchi”. Chiusi gli occhi a quelle parole improvvise, colto anche io dalla stessa sensazione così potente.
“Tra poche ore sarò lì”. Risposi, essendo finalmante sicuro di poterlo dire. Erano sei mesi che non toccavo il suo corpo, la sua pelle, i suoi capelli. Erano sei mesi che non potevo vedere i suoi occhi chiari e intensi, quello sguardo che mi dava ossigeno per respirare.
“Ho una sorpresa per te”. Dichiarò lei dall’altra parte della cornetta telefonica.
“Che genere di sopresa?”. Chiesi incuriosito.
Mi sembrò di sentirla sorridere. “Una specie di bentornato”.
Sorrisi. “Lo sai che non mi piace ricevere sorprese”.
Lei rise. “Ti piacerà… spero”.
Quando chiusi la telefonata, ripensai alla sorpresa che avevo preparato per il suo compleanno poco più di un anno fa. Era passato molto tempo da allora, eppure nella mia mente era un ricordo così chiaro. La sua emozione nel vedere i fuochi d’articifio, il suo cuore che martellava sotto la mia mano quando facemmo l’amore. La sensazione di essere dove e con chi avrei dovuto passare tutta la mia vita.
Quelle sensazioni di felicità e amore immenso non mi abbandonarono mai, erano rimaste le stesse senza essersi mai sbiadite con il tempo, anzi, più passava, più l’amore che provavo per lei si ingrandiva. Certe volte mi spaventava, era un sentimento talmente grande che avrebbe potuto abbracciare il mondo intero. Ma sapevo che lei provava lo stesso per me, tanto da seguirmi a Los Angeles.
Dopo quella notte di terrore, dopo la morte di Aira, intuii che qualcosa l’avrebbe segnata per sempre.
Passarono giorni e mesi di dolore accompagnati dagli incubi notturni che faceva senza nemmeno rendersene conto.
Ancora in quei momenti, dopo più di un anno, c’erano giorni in cui lei smetteva di rispondere al telefono, spariva da casa, si estraniava da tutti. Le prime volte, Billy e Blake si preocuparono talmente tanto da andarla a cercare ovunque, finchè la trovavano sul luogo dell’incidente accovacciata a terra, lo sguardo fisso nel vuoto. Con il tempo avevano imparato a non ritenerlo così preocupante, e aspettavano che lei tornasse di sua volontà.
Avevamo imparato tutti a convivere con quel dolore e unimmo le nostre forze per far si che l’orso che aveva ucciso insieme ad Aira altri cavalli selvaggi della montagna venisse soppresso. La guardia forestale lo cacciò per giorni finchè riuscì a coglierlo in trappola e sopprimerlo. Ovviamente c’erano stati molti dubbi sulla sua uccisione, ma il fatto che molti ranch della zona avevano manifestato che fosse pericoloso non solo per le specie animali, ma anche per l’uomo, e alla luce di ciò che era successo con Elle, si decisero che fosse la cosa migliore per tutti. Seppure ne fui estremamente felice, la morte dell’orso non riuscì mai a colmare il vuoto che lasciò Aira, sia per me che per tutti noi.
Elle non volle mai saperne nulla di quella storia, anche se probabilmente lo aveva immaginato.

Dopo circa un mese dalla notte dell‘incidente, mi si avvicinò rivelandomi di volermi seguire a Los Angeles, dove io sarei dovuto tornare per frequentare l’ultimo anno di liceo. Convinsi l’intera famiglia a permetterle di venire con me, dicendo che le avrebbe fatto bene allontanarsi per un po’. Così partimmo insieme, e per un po’ le cose andarono bene, io frequentavo il liceo e lei rimaneva ad aspettarmi. La presentai ai miei amici con i quali si trovò a suo agio, ma con il passare del tempo entrambi ci accorgemmo che le mancava la sua famiglia, il suo ranch, i suoi cavalli. Così, seppure molto riluttante all’idea che lei mi lasciasse da solo, l’accompagnai all’aereoporto.
Le cose tra noi non andarono sempre bene, litigammo spesso dopo la sua partenza, anche per motivi futili come l’aver risposto al telefono dopo averlo lasciato squillare per un po’.
Ero convinto che le tensioni tra noi erano dovute alla lontananza, ma l’amore che condividevamo ci faceva rimanere uniti. Mi mancava terribilmente, e la cosa in certi momenti mi accecava.
Molte volte iniziavo a pensare di non farcela più e di voler mollare tutto e andarmene da lei, perché in fondo lei era tutto ciò che volevo, tutto il resto era superfluo.
Pensando al mio percorso fino al giorno del diploma, mi ritenei orgoglioso di me stesso nell’essere riuscito nell’impresa di diplomarmi con ottimi voti pur provando il dolore della lontananza dalla mia unica ragione di vita.

Guardai sul letto nella mia stanza, dove due valigie erano posate su di esso, piene da scoppiare. Ero riuscito a tenere l’essenziale per potermi trasferire a Brentwood, lasciando a Los Angeles il resto. Feci un ultimo giro perlustratore e poi scesi al piano di sotto per affrontare mio padre per l’ultima volta. Non avrebbe più avuto il diritto di trattenermi dato che avevo ormai compiuto la maggiore età, e questo mi dava una certa carica. Quando arrivai al piano di sotto nella sala del biliardo, Charles sembrava aspettarmi, tentando di giocare a biliardo, con un sigaro tra le labbra.
“Hai preparato tutto?”. Mi chiese, e fui colto dalla tristezza delle sue parole.
“Tornerò presto a trovare te e Denise”. Annunciai guidato dall’istinto. Per quanto potessi odiarlo, era pur sempre mio padre, e io ci sarei stato comunque per lui, nonostante tutto.
Lui annuì, e mi raggiunse a passo lento. “Sono orgoglioso di te, di come sei cambiato”. Il suo tono sembrava leggermente sciolto dalla solita freddezza, ma nel dirmelo, rimaneva comunque lontano, non un gesto, non una stretta di mano. In qualche modo entrambi avevamo paura di un contatto fisico.
“E’ grazie a te che sono cambiato, se non avessi mai deciso di spedirmi a Brentwood, sarei ancora lo stesso Mike Evans”. Le mie parole furono sincere, e notai di sfuggita i suoi occhi diventare lucidi. Mi faceva una tremenda tenerezza, ma la mia decisione era quella, e niente poteva fermarmi. Mi avvicinai e gli porsi la mano che dopo qualche momento di esitazione lui strinse.


Avevo già salutato tutti i miei amici e le persone che avevano fatto parte della mia precedente vita, anche se non mi rattristava poi tanto doverle lasciare, in fondo avevo trovato qualcosa che valesse molto più di quel gioco in cui vivevo.
Salutai i domestici, Eduardo mi accompagnò fino all’aeroporto aiutandomi con le valigie. Gli strinsi la mano in un arrivederci e salii sull’aereo.
Mi sentivo agitato all’idea di tornare da quella che per me era una famiglia, di rivederli dopo tanto, di poter toccare Elle.
Ero riuscito a trovare lavoro come agente di commercio per l’azienda dei Collins, la famiglia di Jessica, che avevo scoperto essere una delle aziende più produttive e ricercate della zona. Era stata una fortuna, e il fatto di essere riuscito a farmi dare un incarico senza raccomandazioni mi rendeva soddisfatto, oltre al fatto che lavoravo nelle vicinanze del ranch, in modo da poter essere a casa ogni sera.
Tirai un lungo sospiro soddisfatto di me stesso e di quello che ero diventato, e mi rilassai guardando le nuvole fuori dal finestrino. Tra pochissime ore l’avrei rivista.

***

Quando scesi dall’aereo ad accogliermi non ci fu Elle come speravo, ma soltanto John con il suo pick up.
“Ti aspettano tutti a casa, e ti consiglio di prepararti psicologicamente, perché credo che per te sia un colpo forte, come lo è stato per tutti noi del resto”. Mi sorrise, dopo aver notato il mio stupore nel vederlo solo all’aeroporto. Non capii cosa dovessi aspettarmi ma la cosa mi impaurii leggermente.
Mi aiutò a caricare le valige pesanti sul pick up continuando a parlarmi di ciò che era successo dall’ultima volta che ci eravamo sentiti. Qualche giorno.
Non lo ascoltavo, ogni metro che mi avvicinava a casa mia mi faceva agitare. Non mi piacevano le sorprese, non sapevo mai come reagire.
Quando scendemmo dal furgoncino John mi fece l’occhiolino e ci avviammo verso la casa principale. Entrammo nel salotto dove ci fu tutta la famiglia ad accogliermi e abbracciarmi, compreso Blake. Elle non era lì in mezzo a loro.
Mentre Lexie mi abbracciava, continuai a guardarmi intorno cercando il suo sguardo. Guardai poi sulle scale e finalmente la vidi scendere lentamente.
Rimasi stupito nel vederla ingrassata, il suo corpo era deforme. Continuai a guardarla stranito finchè mi fu di fronte, i suoi occhi incollati ai miei.
“Bentornato”. Mi disse dolcemente, un velo di emozione nella voce. Cercai una spiegazione scrutandola. Che diavolo era successo al suo corpo? Era enorme, la pancia gonfia.
Il mio sguardo all’improvviso lampeggiò e tornò a posarsi sulla sua pancia, poi nei suoi occhi. Lei annuii in risposta alla mia domanda silenziosa.
Non riuscivo ne a dire ne a fare niente. Mi sembrava di pensare in modo strano, non era possibile. Non avevo mai notato niente di strano in lei prima d’ora. Guardai di nuovo la pancia, era davvero enorme. Possibile che…?
“Non te l’ho detto perché volevo fosse una sorpresa”. Mi disse lei, visibilmente preocupata per la mia rezione-non reazione.
“Ma… quanto…?”. Chiesi incapace di pensare e parlare.
“Sono al sesto mese”. Era davvero incinta. Ero io il padre di quella vita che crescendo le allargava la pancia. Non vedevo più nulla intorno a me, tutto di me era concentrato su quella cosa tonda. Non mi accorsi che la stanza si era svuotata ed eravamo rimasti soli.
Elle mi prese la mano e mi guidò sendendosi sul divano dove mi accomodai al suo fianco. Continuava a massaggiarsi la pancia.
“Stai male?”. Chiesi preocupato.
Lei sorrise, gli occhi riflettevano una luce di gioia contagiosa. “Sto benissimo”.
“Posso?”. Le chiesi tendendo la mano verso quella sporgenza tonda. Lei annuii sorridente.
Misi delicatamente la mia mano sulla sua pancia. La pelle era tesa e sembrava sottile. Come era possibile provare tanta gioia con una simile notizia, con quel semplice gesto di toccarle il ventre? Non riuscivo a credere a ciò che sentivo. Avrei voluto vedere quel bambino immediatamente per sperare che assomigliasse completamente ad Elle. Lo volevo tenere subito tra le mie braccia. Era un desiderio che proveniva da quella parte di me più profonda, la stessa dove era custodito l’amore per Elle.
Sentivo già di amare quella vita affiancata alla sua. Era semplicemente naturale.
Qualcosa mi colpì la mano posata sulla pancia e guardai istintivamente Elle per capire cosa fosse successo.
“ogni tanto si diverte a darmi i calci”.
“ti fa male?”.
“No, è divertente. E’ una cosa piacevole”. La guardai sorridere, i suoi occhi luccicavano come due stelle stagliate nel cielo scuro, e mi dissi che non c’era più niente al mondo che potessi desiderare.
“Sai già il sesso?”.
Lei mi sorrise poi annuì. “Pensavo di chiamarla Elizabeth, come tua madre. E Aira, come secondo nome. Che ne dici?”.
Era perfetto, un momento perfettamente felice. “Sta accadendo davvero?”. Le chiesi fissando la sagoma del piccolo piede attraverso la sua pelle chiara.
“Ti è piaciuta la sorpresa?”.
“Molto più di quanto non si veda”. Risposi, riuscendo a stento a trattenere la gioia.
Lei mi sorrise e mise una mano sopra la mia, ancora posata delicatamente sulla sua pancia. “Tornerai nella città degli angeli?”. Mi provocò.
La guardai poi le diedi un bacio. Tutto quello che mi era sempre mancato nella vita lo trovai nella dolcezza di quel bacio. In quel momento seppi con certezza di essere nato con lo scopo preciso di amarla sopra ogni cosa, sapevo di aver trovato ciò che tutti cercano disperatamente, e mi ritenevo fortunato.
“A che mi serve una città, se gli angeli ce li ho tra le mani”. Le baciai la fronte.
Si, ero pronto a passare il resto della mia vita con una mano tra i suoi capelli e con lo sguardo sulle montagne.
Ero pronto ad accogliere la piccola Elizabeth Aira. Ero pronto a dare la mia vita per vederla correre felice e crescere apprezzando ciò che di più semplice ha la vita. Ero pronto ad amare intensamente di nuovo.



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E' il momento dei ringraziamenti. Prima di tutto ringrazio chi ha letto, anche solo il primo capitolo, per me è già tanto. Ringrazio chi ha continuato a leggere, chi si è appassionato, chi si è visto a fianco dei protagonisti, chi si è immedesimato, chi ha apprezzato tutto ciò che amo, contenuto tutto nella storia.
Ringrazio di cuore chi ha inserito tra i preferiti e le seguite questa storia, siete rispettivamente più di trenta, non ho il tempo per ringraziarvi singolarmente, ma sappiate che per me è stato un onore.
Infine, ringrazio Ardiarsun, ElisabethXD,___Yuki___,Bellatrix_Indomita,bunNyDolcEtestOlinaBuffa, __piccola_stella_senza_cielo__,paragni, che hanno recensito.
Grazie a tutti di cuore. Alla prossima.
Baci Baci, FourWalls.


Per Yuki: Si, per il 18°capitolo mi sono lasciata prendere da quel film fantastico che amo ^^. Anche io come te sono una animalista molto sensibile! Ci ho messo giorni per decidermi se la storia dell'orso potevo reggerla, poi mi sono trasformata per un pò in Mike e nei suoi pensieri e mi sono lasciata andare.

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