His Eyes

di Keyra
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Come fiori al vento ***
Capitolo 3: *** Sei la bufera. ***
Capitolo 4: *** Dove ho visto te. ***
Capitolo 5: *** Baciami ancora. ***
Capitolo 6: *** Ingoiando le tue parole. ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


 

 

Sentivo la sabbia sotto i miei piedi nudi, la luce fresca del mattino riempirmi gli occhi.
Ero stesa tra le sue braccia, su un telo da mare blu. Avevamo passato la notte lì, sulla spiaggia. E ora il bianco dell'alba ci inondava come in una fotografia.
Alzai gli occhi verso di lui, e mi stava guardando.

- Da quanto sei sveglio? -
- ... Sembri un cerbiatto, quando dormi -

 

 

 

His Eyes.

 

 


Avevamo diciassette anni.

Ora, che scrivo questa storia tenendo una penna tra le dita consumate dal tempo, mi sembra di ricordare la mia adolescenza come il periodo più bello della mia vita. Disobbedivo alle regole dei miei sentimenti, lasciandomi trasportare semplicemente dal cuore.
Non sapevo che, un giorno, avrei rimpianto la fluidità con cui passavano i giorni e i mesi, e gli anni volavano via, senza quasi che si avesse il tempo di pensarci su.

Avevamo diciassette anni e davanti una lunga strada da fare.
Non sapevamo che a volte il disco si ferma e comincia a cantare sempre la stessa nota.
Poi, a volte, si spegne.


Samuel aveva qualche mese più di me, gli occhi chiari come la polvere e il viso abbronzato. Portava i capelli come un pazzo, un giorno andai al mercato e gli comprai un pettine e quando glielo portai a casa si arrabbiò. Mi disse che a lui piacevano così, i suoi capelli scuri. Che non aveva bisogno di nessun pettine e di nessuna donna che andasse a comparglielo. Me ne andai sbattendo la porta, poi lui mi raggiunse sul vialetto e ammise di essere stato troppo brusco. Mi sfiorò il braccio con le dita.

              - Va bene, ma non farlo più -

Conoscevo Samuel da sempre, anche se non lo sapevo. Lo incontravo per le vie del paese, poi a scuola, e qualche volta in spiaggia, anche se non si faceva vedere molto in giro.
Credeva che quello non fosse il posto giusto per lui, che non fosse nato per vivere al mare, gli piaceva molto di più la montagna. Io invece avrei voluto contare ogni singolo granello di sabbia per poter dirmi padrona del mare. E avrei voluto avere l'agilità di un pesce per muovermi liberamente nell'acqua.
La prima volta che strinsi la mano di Samuel fu una sera, al pub del paese.
Lui e un suo amico si sedettero al tavolo con noi, mi guardò negli occhi e mi disse: - Martini con ghiaccio? -
Era buffo, sapeva già tutto di me.
E allora io ricambiai lo sguardo con insistenza, e avrei voluto controbattere e prendermi la mia rivincita, su quel ragazzo che non me la contava molto giusta, perché era impossibile che mi avesse guardata negli occhi e avesse indovinato cosa ordinavo ogni sera, ma rimasi come intrappolata in una rete, i suoi occhi mi succhiarono dentro un vortice colorato, mi strapparono le forze di reagire ed ero nuda davanti a lui.
 
          - Va bene, grazie - risposi con la voce smorzata dallo stupore.

Non li vidi mai più, occhi del genere. Occhi come i suoi.

Occhi come quelli del mare.

 

 

 

 

 

ANGOLO AUTRICE:

Non so se avete mai letto Her Eyes, e non so se chi l'ha letta se la ricorderà, ma eccomi qui a scrivere una nuova storia con un titolo più o meno simile, perché forse qualcosa di simile ce l'avrà. His Eyes. Questa volta non è un lui che racconta, ma bensì un gentilsesso, una come tutte noi, insomma, e forse sarà un po' più facile per me rivedermi nella sua figura.
L'unico errore che vi prego di non fare, è quello di pensare che His Eyes abbia qualcosa a che fare con la precedente Her Eyes. Sono due storie diverse, distinte, unite da un solo unico fattore, o forse più di uno, chissà...

Interessanti uguali? Non lo so. Non so se riuscirò a darvi le stesse emozioni che ho dato con Her Eyes, e di cui sono profondamente lusingata (è ancora la storia migliore che credo di aver scritto), so solo che vi prego di darmi fiducia :)

 

Un bacio a tutti, Keyra


 

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Capitolo 2
*** Come fiori al vento ***


Grazie per le recensioni ricevute :)






***





Samuel era vita. Io, a quel tempo, ero solamente una ragazzina viziata. Non pensavo troppo a ciò che facevo, semplicemente mi lasciavo andare come una foglia nella corrente del mare. Vagavo spersa tra la folla di amici, ignorando che nessuno di loro si poteva ritenere veramente tale. Ignorando che di lì a pochi mesi, avrebbero lasciato la presa e si sarebbero dimenticati di me.
Credevo che la mia vita, che l'intero mondo, girasse attorno a me, a quelli che consideravo "problemi" e che in realtà erano misere sciocchezze.
Non mi vedevo come avrei voluto essere, non ero chi avrei voluto. C'erano milioni di persone migliori di me, e io avrei voluto essere ognuna di loro. Non avevo ancora imparato che noi siamo ciò che siamo e non possiamo fare niente per cambiarci. Possiamo cambiare vestiti, e comportamento, e modo di fare, e le parole che usiamo e il tono con cui le diciamo, possiamo cambiare anche il nome, se vogliamo, ma rimaniamo sempre noi. Abbiamo sempre le stesse gambe e gli stessi occhi e la stesse pelle 
  e lo stesso cuore,

    il nostro.


Samuel invece era tutto il contrario. Non si riteneva importante, non voleva esserlo.
Era come se lui non esistesse, nella sua vita. Come se fosse un fantasma che osservava la vita degli altri, lo scorrere del tempo sui visi della gente, ma non sul suo.
Avrebbe potuto donare il suo cuore e il suo tempo come se fossero briciole di pane, ma lui sapeva,
 e non si sarebbe mai lasciato prendere.











Come fiori al vento.











La mano di Alex mi accarezzava i capelli, facendoli rotolare tra le sue dita.
Con l'altra mano cominciò a muovere sulla mia pancia le dita come se stesse suonando una chitarra. Aspettava che dicessi qualcosa, ma io rimanevo immobile.
      - Si può sapere cos'hai? Sono due ore che sei qui e hai detto sì e no due parole -
      - Non esagerare, Alex, dai. Non ho niente -
      - Dimmi cos'hai -
      - Ti ho detto che non ho niente -
Lo guardai con una punta di disprezzo negli occhi, e in quel preciso momento cominciai a sentirmi a disagio. Non ne potevo più di quelle mura bianche, lisce, vuote, e di quel letto spazioso e duro, non ne potevo più della sua voce, e della sua insistenza, del suo voler sapere tutto di me, a tutti i costi.
Stavamo insieme da un anno, da quando lo avevo conosciuto sulla spiaggia, un giorno in cui io e le mie amiche non eravamo andate a scuola. Avevamo progettato tutto con precisione, e alla fine ognuna di noi era andata disperdendosi, ed io ero finita con quel ragazzo che avevo conosciuto da cinque minuti, ma che sentivo già mio.
Aveva due anni in più di me, lavorava dietro il bancone del chiosco sul mare. Avevo ordinato una granita alla pesca, lui senza guardarmi aveva preso un bicchiere di plastica e ci aveva fatto colare dentro il ghiaccio arancione, poi me l'aveva passato e mi aveva guardata. Ed era rimasto immobile per qualche secondo, con il bicchiere sospeso tra noi due, poi mi aveva sorriso.
Avevo bevuto la granita davanti a lui, seduta al bancone fissandolo, ogni tanto mi passavo le mani tra i capelli, fingendo di non curarmi del suo sguardo. Lui continuava a lanciarmi occhiate di sbieco, mentre serviva altri clienti, poi si era avvicinato a me e avevamo cominciato a parlare.
La nostra storia era nata come una banalissima storia, in seguito mi aveva chiesto di uscire una sera, io avevo accettato, e per la prima volta un ragazzo mi aveva portato a cena in un ristorante, e io ne ero rimasta affascinata. Dai suoi modi di fare, dalla sua sicurezza, dalla sua consapevolezza di essere l'unico ragazzo con cui fossi mai uscita che mi avrebbe potuto dare tutto ciò che volevo, semplicemente perché lavorava e non era un ragazzino di sedici anni.
Mi ero innamorata di lui. Giorno dopo giorno. Ero arrivata ad amarlo. E poi così, improvvisamente, quel giorno, tutto di lui mi andava stretto. Mi andava stretta la sua monotonia, il suo adagiarsi nella sicurezza del nostro amore, ma non era così, per me. Non capiva che avevo diciassette anni, lui ormai venti, e avevo bisogno di cose che anche lui aveva avuto alla mia età.
Avevo bisogno di lasciarmi andare, di essere libera come un fringuello, di avere il tempo e la voglia di pensare a me stessa.
Mi divincolai dalle sue braccia che mi tenevano stretta e mi alzai dal letto come se stesse bruciando.
     - Devo andare -
     - Dove? -
     - Ho.. Ho una cosa da fare con mia madre, non ti ricordi? -
     - No, non mi hai detto niente -
     - Ma come no, te l'ho detto un paio di giorni fa. Deve andare a una visita -
     - Può essere, ma io non mi ricordo. Fa' pure -
Percepì ostilità nei miei occhi, nella mia voce. E forse percepì anche che mi ero inventata quella bugia per scappare. Eppure mi lasciò andare.
Lo guardai incredula, chiedendomi se fosse davvero lui. Come mai non mi stesse trattenendo. E poi capii, capii che non c'era bisogno di tante parole, che bastavano i miei occhi a spiegare cos'avevo.
     - Ci sentiamo stasera, va bene? -
Lo guardai un'ultima volta, lanciando un'occhiata ai suoi capelli chiari, e poi mi chiusi la porta alle spalle.


Mi fermai su una panchina in riva al mare. 
L'acqua pian piano diventava sempre più scura, fondendosi con il colore del cielo. Il vento mi disordinava i capelli lisci, scuri.
Avevo lasciato Alex da solo, in camera sua, e non sentivo nessun peso addosso. Mi sentivo leggera, e libera. Ero lì, su una panchina in riva al mare, con la luce giallastra del tramonto che mi copriva il viso, e nessuno lo sapeva. Era un segreto tra me e me. Un momento da dedicare a me stessa.
 Quando spostai leggermente lo sguardo, intento a fissare una formica e le sue seguaci, vidi un piede accanto al mio e spostai velocemente lo sguardo in su.
Samuel rise dell'espressione che avevo sul viso. Spaventata, quasi atterrita.
        - Non aver paura, non ti mangio -
Scostai una ciocca di capelli dietro le orecchie.
        - Ciao... -
        - Ti ricordi di me, vero? -
        - Sì, mi ricordo -
        - Bene, avevo paura che quel martini con ghiaccio non fosse bastato a colpirti... Che facevi? -
        - Pensavo... -
        - Ah sì, questo era evidente. Ma a che pensavi? -
Lo guardai stizzita.
        - Cose senza senso... Non importanti -
        - Capisco. Strano, perché a me il mare ispira sempre pensieri angoscianti -
Gli sorrisi impercettibilmente.
Aveva una maglietta bianca a maniche corte e un paio di jeans consumati dal tempo. Sembrava che non gliene importasse niente di come usciva di casa. Il vento gli muoveva i capelli scuri con frenesia, sbattendoli a destra e poi a sinistra, lasciando liberi i suoi occhi color del mare.
        - Perché sei qui? -
        - Camminavo, e ti ho vista da sola -
        - E perché ti sei fermato? -
        - Perché .. Perché eri da sola -
        - ... -
        - E perché credo ne valga la pena -
Rivolsi di nuovo lo sguardo all'acqua che si confondeva con il cielo.
        - Grazie -
Rimanemmo così, uno vicino all'altro, senza parlare, senza che i nostri pensieri facessero rumore, comunicando attraverso un filo sottile e trasparente, per tanto, tanto tempo.
Poi il cielo si fece sempre più buio, fino a quando ormai era l'ora di tornare a casa per cena.
       - Credo che sia ora di andare... -
       - Sì, lo penso anch'io -
       - E' quasi buio -

       - Sai, mi piacerebbe offrirti la cena, portarti in qualche ristorante chic, come fa il tuo ragazzo, ma temo di non poterlo fare -
Lo guardai stupita. Aveva centrato in pieno.
       - Non preoccuparti, hai fatto molto per me. Più di una cena -
Guardai ancora una volta dentro i suoi occchi, e lui ricambiò lo sguardo facendomi male. Perché era uno sguardo tagliente, freddo, della profondità del mare.
Mi allontanai abbracciandomi con le mani, infreddolita dalla frescura serale, dirigendomi verso casa mia, verso i miei pensieri.







Non lo vidi più per tre settimane. Lo cercai, tra la gente seduta ai tavolini dei bar, sulla spiaggia, in riva al mare, sulla stessa panchina su cui eravamo rimasti seduti per ore, in silenzio, provai anche a passare davanti a casa sua, ma lui non c'era. Si era dileguato, non lasciando nessuna traccia di sé.
E l'estate scivolava via come il vento, e Alex non era più nei miei pensieri.











Anticipazione:


- Ti ricordi quando mi hai detto che un giorno sarei cresciuta e avrei avuto voglia di vivere come vivono tutti quelli della mia età e mi sarei resa conto che stando con te non avrei potuto farlo? -
- Sì, me lo ricordo... -
- ... -
- ... -
- ... -
- ... -
- Ecco, credo che quel giorno sia arrivato -

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Capitolo 3
*** Sei la bufera. ***


Sei la bufera.

 

 


Dopo sedici giorni che Samuel non si faceva vivo, né con me tantomeno nell'intero paese, decisi di correre a casa sua, bussare alla sua porta e presentarmi come una sua amica. Non avevo paura di incontrare gente nuova, genitori di cui non sapevo niente, e non mi spaventava l'idea di entrare così burroscosamente nella sua vita, irrompendo nel suo territorio.
Mi ero fatta dire dove abitava da un suo amico, non era molto lontano da casa mia, percorsi con la bicicletta prima alcune vie secondarie del paese, poi arrivai in un sentiero selciato.
Le ruote smuovevano un sacco di polvere, cominciai a starnutire per la mia allergia.
Il posto era bello, quasi incantevole, una piccola villa immersa nel verde delle campagne poco fuori il paese.
Ci ero già passata qualche volta, nei giorni precedenti, per cercare di capire un po' di più, sperando di trovarlo intento a camminare avanti e indietro davanti alla porta di casa sua, ma erano stati tutti tentativi andati a vuoto. Eppure, quel pomeriggio, quel posto, quella casa, mi sembravano diversi. Quasi magici, irreali. Una spina elettrizzante mi attraversò il corpo. Mi ricordai di una frase che avevo letto poco tempo prima sulle pagine di un giornale: la realtà non esiste.
Sospirai a fondo, posai la mia bicicletta sul prato lì vicino, mi sistemai i vestiti e suonai alla porta.
Una donna dal viso lungo,dagli occhi verde acqua stanchi e i capelli come i miei, scurissimi, allargò la bocca in un sorriso e mi salutò. Riuscivo a leggere lo stupore sul suo viso.
       - Buongiorno, io sono.. sono Eva, sto cercando Samuel... -
La vidi raggelarsi un secondo, poi tornare rilassata, più di prima.
       - Oh, cerchi Samuel? -
       - Sì, ecco.. sono una sua amica. Non lo sento da molto, volevo sapere come sta, insomma... -
       - Vieni, ti faccio entrare. Vado a chiamarlo -
Mi posò una mano sulla spalla e mi condusse dentro casa. Non era grande come sembrava da fuori, eppure aveva qualcosa di vivo. Come se entrando ti abbracciasse in una stretta materna, pregandoti di non andartene più.
La madre di Samuel sparì dietro una porta e la socchiuse dietro di sé. Sentivo voci sussurrate e bisbigli che si mescolavano tra loro.
Poi ne uscì, venendomi incontro.
      - Samuel arriva tra un secondo. Dimmi, vuoi qualcosa? Un succo di frutta? -
Accettai. Mia madre mi aveva insegnato che rifiutare un'offerta in casa di altri può risultare un'offesa.
      - E dimmi, che scuola fai, tu? -
      - La stessa di Samuel -
      - Ah, ma davvero? Non siete in classe insieme, giusto? Insomma, non ho mai sentito il tuo nome... -
      - No, siamo in sezioni diverse...-
      - Ah, ecco... -
La guardai versare il succo di frutta, intenta a non lasciarsi scappare una sola goccia fuori dalla caraffa di vetro, gli occhi puntati sul bicchiere.
Avrà avuto quarant'anni, non di più, era giovane, o almeno, portava bene i suoi anni, si leggeva ancora sul suo viso il segno di una bellezza passata, una bellezza quasi morbosa, irrompente, invadente.
Attorno al viso e sulla fronte si allineavano già un po' di rughe, ma le davano l'aspetto di una donna affascinante, matura, intelligente, che nella vita ne aveva passate tante, ma che nonostante tutto continuava a sorridere, e a offrire succhi di frutta a chi capitava a casa sua.
Mi porse il bicchiere, mi lasciai andare delicatamente su una sedia, lei mi seguì, sedendosi davanti a me.
Continuava a trastullarsi le mani, passando le dita sulla loro superficie liscia, osservando ogni parte di me, come se stesse esaminandomi per un provino. Le sorrisi imbarazzata, lei ricambiò.
- Ciao - la voce di Samuel arrivò nella stanza attutita, disperdendosi. Quasi come se avesse pronunciato quel saluto perché doveva farlo. Avrebbe preferito di gran lunga starsene in silenzio.
Mi voltai in fretta, posando il bicchiere sul tavolo. La madre sparì dietro un'altra porta.
       - Ciao -
Mi alzai, rimanendo lì dov'ero, immobile.
      - Che ci fai qui? -
Sembrava offeso da quella mia apparizione, e in un certo senso ero già pronta a un'eventuale reazione del genere. Che diritto avevo di essere lì?
Cercai di rimanere calma, di non agitarmi.
     - E' da molto che non ti vedo, in giro. Volevo sapere che fine avevi fatto -
Mi guardò come se non esistessi. Come se in realtà i suoi occhi stessero fissando qualcosa dietro di me. Gelidi, come il mare in inverno.
     - Ma se vuoi vado, non c'è problema. Ero solo venuta così.. per controllare -
     - Controllare cosa? -
Mi accorsi di un movimento quasi impercettibile del suo corpo. Una reazione impulsiva, forse.
     - Che.. che stessi bene. Ma vado, non c'è problema, davvero. Ero fuori e ho detto, perché no, andiamo, non fa male a nessuno, ma.. vado, davvero -
     - No, rimani. Vieni -
Mi fece segno di seguirlo e aprì la porta dietro la quale poco prima era sparita la madre.
    Era la sua stanza.

 

 


Appesa al muro c'era una chitarra. Lungo il perimetro della stanza, una scrivania e un computer, un letto coperto da una trapunta blu, tende tirate che coprivano le finestre, un armadio piccolo, che dava un po' l'impressione di vecchio, un tavolino e una televisione, un tappeto al centro della stanza.
Non c'erano foto, nemmeno una.
       - Suoni? - gli domandai indicando la chitarra.
       - Sì. Da quand'ero bambino - sorrise, per la prima volta da quand'ero lì.
Sfioravo tutto ciò che mi capitava davanti, arrivai a una libreria stracolma di libri.
       - Wow, deve piacerti leggere... -
       - A te no? -
       - Non particolarmente. Un po' -
       - Dovresti invece -
       - Non è che non mi piace, è che... non ho ancora trovato il libro per me -
       - Sono stato male, per questo non uscivo -
       - Oh.. che genere di.. di male? Influenza? -
Fermò il suo sguardo per un attimo. Un attimo solo, impercettibile. Continuavo ad avere quella sensazione, che lui, in fondo, non stesse pensando a me. Che non mi stesse neanche vedendo. Che fosse assorto in tutt'altro mondo.
       - Sì, influenza -
       - E ti è durata così tanto? -
       - Sì, strano eh? -
Feci cenno di sì con la testa, mi girai verso la finestra.
       - Perché le tieni chiuse? C'è un bel sole, e hai tutta la campagna davanti... -
       - Perché fai tutte queste domande? -
Mi lasciai cadere sul letto, sentivo che le cose non andavano per il verso giusto, o almeno non andavano come avrei voluto.
       - Senti, mi puoi dire che hai? No perché io pensavo solamente di venire a trovarti, tutto qui. Di venire a vedere che caspita ti era successo! Non voglio niente da te, non pretendo che tu mi ringrazi e mi abbracci... ma non pretendo nemmeno che tu mi tratti così. Insomma, voglio dire, sembra che io abbia violato il tuo.. il tuo territorio! Quasi come se fossi un cane! Sei forse un cane? Hai tracciato la tua zona con le unghie e oltre quel confine gli altri non possono passare? O forse sei solamente geloso della tua vita privata, della tua casa? -
Si accasciò sul tappeto, incrociò le gambe, appoggiò la testa sui palmi delle mani aperte e rimase in silenzio. Poi sollevò il viso, piano.
       - Mai nessuno è stato a casa mia -
Lo guardai impietrita. Nessuno?  Nessun suo amico, nessun suo compagno?
       - Perché ? - mi riuscì solamente di dire.
       - Perché io non ho mai voluto -
       - E io? Potevi benissimo far dire a tua madre di andarmene, o scacciarmi via te, quando mi hai vista -
       - Ma tu sei diversa -
       - Diversa? Diversa da che? -
       - Dagli altri. Mi piace, che sei qui. Ma non sono sicura che tu possa trovarci qualcosa di interessante -
       -...-
       -...-
       - A me non importa di trovare qualcosa di interessante. Io sono venuta qua per te. -

 

 

 

 

Mi portò fuori, in mezzo a quei prati infiniti che avvolgevano casa sua. Ci sdraiammo a pancia in su sull'erba fresca, tagliata quella stessa mattina, assorbendone il profumo.
Il sole era accecante, eppure entrambi fissavamo il cielo come se fosse il più bello spettacolo mai visto.
        - Come va con il tuo ragazzo? -
        - Non sa che sono qua -
        - Ah, bene. E dove dovresti essere, ora? -
        - Sto dormendo -
Scoppiò a ridere, sollevando il mento verso il cielo. Quella risata mi contagiò, ridevamo entrambi, dimentichi della tensione che c'era stata poco prima tra noi.
         - Bé, buonanotte allora! -
         - Buonanotte! -
         - Non trovi che tutto questo sia bellissimo? -
         - Quello che c'è intorno a noi? -
         - Sì, questo. E la vita. Vivere, non trovi che sia bellissimo? -
         - Sì, è bellissimo -
         - Per la prima volta in vita mia, non vorrei tornare indietro, e non vorrei nemmeno andare avanti. Voglio rimanere qui, dove sono ora, in questo momento -
         - Con me o senza di me? -
         - Con te. -

 

 

 

 


Tornai a casa piena di speranze. Non m'importava più niente, di quello che mi stava attorno. Volevo passare i miei giorni con Samuel, ridere con lui stesi su un prato, fotografarlo mentre guardava il cielo. Assorbire ogni sua parola e farla mia, immagazzinarla nel mio bagaglio di esperienze. Farne un insegnamento, un modo di vivere.
Vedevo Samuel non tanto come il ragazzo ideale, quello che noi ragazze sogniamo da quando, bambine, scopriamo che c'è un altro sesso, oltre al nostro, un sesso con cui si può andare oltre l'amicizia. Samuel era la persona perfetta. Era tutto ciò che un umano potesse desiderare di essere.
Samuel amava la vita come non avevo mai visto fare a nessun altro. L'amava, e vi era attaccato morbosamente. La custodiva gelosamente dentro le mura di casa sua, o forse, dovrei dire, del suo corpo.
Lo salutai con un bacio sulla guancia, mi disse:  - Ci vediamo domani -.
Non ero sicura che sarebbe stato davvero così, ma non m'importava. Mentre pedalavo verso casa, in mezzo ai campi e alle sterpaglie sulla strada, mi sentivo leggera, come se in realtà stessi lievitando sul terreno e la mia bicicletta galleggiasse, invece che pedalare.
Arrivai in paese, ma decisi di non tornare subito a casa mia. Svoltai verso il mare, decisa.
Il chiosco di Alex era proprio sulla spiaggia, e a quell'ora doveva essere pieno di gente. Ma, di nuovo, non m'importava. Non so perché, non lo so ancora oggi che sono passati tanti anni. Non ho mai più provato una sensazione del genere. Mi sentivo libera e capace di poter fare tutto ciò che mi andava. Come se il mondo fosse nelle mie mani. Mi sentivo di poter mandare all'aria un intero anno della mia vita. Di gettarlo alla rinfusa, senza dare nemmeno una spiegazione a me stessa. Perché la spiegazione ce l'avevo già.
Quando frenai davanti al chioschetto di legno e Alex mi vide, sorrise.
    - Ehi, che ci fai qui? -
Era stupito. Non aveva ricevuto il messaggio mattutino "Mi sono svegliata, buongiorno amore". Ero uscita di casa senza dirglielo. Una tragedia.
    - Devo parlarti -
Ero sudata, faceva un caldo bestiale, la canottiera mi si appiccicava alla pelle umida. E tra i capelli avevo qualche filo di erba.
Uscì dal bancone e mi venne incontro.
   - Ma che hai fatto? - mi disse accarezzandomi i capelli.
Indietreggiai un po', confusa da quel gesto. Mi sentivo di nuovo molle, paurosa, incapace di vivere senza di lui. Ma ci sarebbe stato Samuel, no? O forse no? Forse avevo solo confuso tutto, forse Samuel non ricambiava i miei stessi sentimenti, forse ero solo una pazza che aveva visto in lui il primo spiraglio di libertà dopo dodici mesi ed era andata fuori di testa, avevo cominciato a costruirmi castelli in aria, sperando in un futuro che nemmeno esisteva....
Non riuscivo a guardarlo in faccia.
    - Che ne dici se... se andiamo a farci un giro? Sulla spiaggia, ti va? -
    - Ora? Amore non posso... Sto lavorando -
    - Dai, c'è Sergio, no? Può stare lui per un po', no? Non te l'ho mai chiesto, per favore... -
Alex si fece convincere, lasciammo la bicicletta attaccata a un palo e andammo verso la spiaggia.
Camminammo a lungo sulla riva, per lo più rimanendo in silenzio. Il mare stranamente era calmo, calmissimo. Lui mi osservava curioso, non riusciva a capire perché gli avessi chiesto di lasciare il lavoro e venire con me, se poi non aprivo bocca.
    - Si può sapere cos'hai? Cos'è successo? Cos'è tutta quest'erba sui capelli? -
Me li toccai spaventata. - Erba? Ah, no.. è che ho giocato un po' con Terra, prima di venire qui..sull'erba -
   - Ma cosa c'è che non va? -
Feci un lungo, lunghissimo respiro. Guardai il sole, l'orizzonte del mare che spariva. Sapevo che quella sarebbe stata l'ultima volta che l'avrei guardato insieme a lui.
   - Ti ricordi quando mi hai detto che un giorno sarei cresciuta e avrei avuto voglia di vivere come vivono tutti quelli della mia età e mi sarei resa conto che stando con te non avrei potuto farlo? -
   - Sì, me lo ricordo... -
   - ... -
   - ... -
   - ... -
   - ... -
- Ecco, credo che quel giorno sia arrivato -
Alex mi guardò impietrito. Non poteva credere a quello che gli stavo dicendo. Era letteralmente paralizzato. Aggrottò la fronte, io spostai lo sguardo verso il mare. Mi afferrò un braccio, lo strinse forte.
   - Stai scherzando, Eva? -
   - No, non sto scherzando -
   - Che cazzo ti prende? -
   - Lasciami il braccio, per favore -
Lo strinse di più.
   - Dimmi che cazzo ti prende! -
   - ... -
   - E' per quell'idiota, vero? Come si chiama? Mi ha detto Sergio che vi ha visti insieme, e tu non mi hai detto niente -
   - Di chi stai parlando, cosa dici? -
   - Fanculo, Eva, vaffanculo -
Il suo tono di voce era aspro, crudo, cattivo. Ad ogni parola si alzava sempre di più e la stretta sul braccio aumentava.
  - Mi stai facendo male al braccio -
  - Dimmi che cazzo ti sta succedendo - mi gridò in faccia.
Rimasi in silenzio, non sapevo cosa dire.
  - Tutto d'un tratto vieni a dirmi che vuoi mollarmi? Mandi in fumo tutto così? Per cosa? Per chi, cazzo? -
  - Per nessuno ,per me stessa. Non ci deve essere per forza un'altra persona. Lo faccio per me, perché ho imparato ad ascoltarmi, cosa che non facevo da troppo tempo. E tu non mi capisci più, non mi ascolti neanche più, è diventata una consuetudine ormai per te, stare con me. Sai che ci sono, e questo ti basta. Non ti va, non ti viene neanche mente, di farmi presente che ci sei anche tu. Non mi fai sentire un bel niente, mi basterebbe un gesto qualsiasi, mi basterebbe che tu mi capissi, come una volta. Non m'importa niente dei regali e delle cene nei ristoranti, io voglio parlare, voglio essere libera -
  - Vuoi essere libera? Complimenti, dovevo aspettarmela una frase del genere -
Ancora una volta, non capiva. Per me libera non voleva dire essere single. Voleva dire essere... leggera.
  - Ti prego, lasciami il braccio -
In una frazione di secondo sentii la sua mano lasciarmi il braccio e posarsi sulla mia guancia. Non per accarezzarmi. Mi mollò uno schiaffo violento, pieno di rabbia.
  - Sei pazzo?! -
  - No, tu sei la pazza -
Lo guardai incredula, proteggendomi la guancia con la mia mano. Non aveva mai fatto una cosa del genere, e aveva sempre detto che mai l'avrebbe fatta.
Era come se qualcuno mi avesse cucito la bocca. Poi riuscii a parlare.
  - E' finita -
  - Va bene, basta che te ne vai. Vattene, cazzo -
Mi voltai, lenta, con la paura che qualsiasi mio gesto potesse farlo di nuovo impazzire.
Ogni passo era una tortura, mi sentivo a pezzi. Sì, è vero, avevo buttato all'aria un anno con lui. Ma lui chi era? Chi era stato, ora?
Mi girai, continuando a camminare. Si era accasciato sulla sabbia, si teneva la testa tra le mani, nascosta, la sua schiena si muoveva su e giù, lenta, poi veloce, poi di nuovo lenta.
       Piangeva.
Mi voltai, non potevo continuare a guardarlo. E non potevo non piangere anch'io. Mi sfogai come era da troppo tempo che non facevo, lasciando andare ogni lacrima che si nascondeva dietro le pupille, lasciando che il mio corpo si disidratasse, abbandonando i singhiozzi all'aria.

 

Guardai il mare. Era sempre lì.
Solamente, ora era agitato.

 

 

 

 

 

 

 

NOTE AUTRICE:
Mi scuso per l'immenso ritardo, ma ho avuto problemi con il computer, tempo occupato e neanche tanta ispirazione :) ma ora eccomi qui, scritta tutto d'un fiato. Adieu ^^

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Capitolo 4
*** Dove ho visto te. ***


 

Dove ho visto te.

 

 

   - Sei pronta? -
   - Ma dove mi porti? -
   - Salta su, non fare domande -
Samuel era venuto a prendermi con il suo scooter.
Erano passati due giorni da quando ero andata a casa sua e avevo lasciato Alex. Non avevo più sentito nessuno dei due. Ero caduta in un turbine di paure e dubbi che mi giravano attorno per farmi paura. Una voce sottile mi sussurrava "Sei rimasta sola, sola".
Invece, quel giorno Samuel mi chiamò. Non sapevo avesse uno scooter, ma mi disse "Preparati, che vengo a prenderti con lo scooter!".
Mi porse un casco che aveva come scorta, me lo infilai in testa e saltai dietro di lui.
   - Vuoi dirmi dove andiamo? -
   - Ti ho detto che non te lo dico! Sei mai salita su uno scooter? -
   - A dire il vero, no -
   - Allora tieniti forte, stringimi in vita, qui, capito? -
   - Sì -
Era la prima volta che lo toccavo. Avevo quasi paura di farlo. Avevo paura che le mie mani scivolassero attraverso il suo corpo, avevo paura di scoprire che lui non fosse reale. Che fosse solo una mia creazione immaginaria. Me l'ero inventato io per scappare dalla monotonia in cui vivevo. Era solo un essere fittizio, tutto qui.
Invece le mie braccia si strinsero forte attorno ai suoi fianchi. Riuscivo a prendermi le mani e a incrociarle, era magrissimo.
Attraversammo il paese - sapevo che, probabilmente, Alex mi avrebbe visto con lui - e uscimmo poi verso la costiera. Sfrecciavamo sui pendii di una montagna, davanti al mare che brulicava di minuscoli puntini di luce bianca, continuavo a tenermi stretta a lui, mi sembrava di volare. A ogni curva avevo paura di cosa ci sarebbe stato dopo. 
Ci allontanammo dal paese di una trentina di chilometri, poi Samuel girò per un sentiero in salita. Non vedevo più il mare, ma solo alberi. Eravamo nel mezzo di una foresta. Lo scooter avanzava a stento per quel sentiero sterrato e in pendenza, ma Samuel diede un ultimo colpo e arrivammo alla fine del pendio.
Una pezza d'erba grande quanto due stanze, e poi un dirupo. E davanti, l'immensità del mare.
Scesi dallo scooter, mi tolsi il casco e lo appoggiai sul manubrio. Lui fece lo stesso.
Poi lo guardai stupita.
   - E'... è bellissimo -
   - Sì, non ci sono altre parole per descriverlo -
   -  E' impressionante -
   - Vieni, sediamoci -
Samuel si avvicinò al confine di terra e si sdraiò, lasciando penzolare le gambe in aria, sopra la distesa di mare che luccicava.
   - Hai paura? -
   - No! E'.. è talmente bello che.. E' incredibile come la natura sia capace di una cosa del genere -
   - Una cosa del genere cosa? -
   - Di farti provare una stretta al cuore... potrei morire guardando tutto questo -
   - Lo so. E' quello che provavo anch'io, le prime volte che venivo qui -
   - Come l'hai scoperto? -
   - Per caso... -
   - Non ci credo, come hai fatto a scoprire un posto del genere "per caso"? -
   - Ero in auto con i miei, eravamo sulla costiera. Ho intravisto questo posto da lontano e me ne sono innamorato. Ho promesso a me stesso che l'avrei trovato, a tutti i costi. Allora un giorno, sono partito con lo scooter e l'ho cercato -
   - Wao... -
Rimanemmo in silenzio, timorosi di rovinare la bellezza di quel posto con le nostre voci. Volevamo che tutto rimanesse intatto, così com'era, che l'aria ci scivolasse addosso senza però andarsene. Che non cambiasse un solo colore di tutto ciò che ci circondava.
   - Perché mi hai portata qui? -
   - Per la stessa ragione per cui ti ho fatto entrare in casa mia -
Samuel aveva la capacità di mettermi in imbarazzo, e di farmi sorridere, sempre.
   - Sai, l'altro giorno, dopo che sono stata da te... sono andata da Alex -
   - Sì, immaginavo -
   - L'ho lasciato -
I nostri respiri si fermarono, si condensarono insieme all'aria. Aspettavo che mi rispondesse, lui aspettava che dicessi qualcosa io.
   - Perché? -
Che domanda era, perché? Avrei dovuto gridargli: perché mi sono accorta che mi piaci da morire? Non era in grado, forse, di capirlo da solo? O forse, non voleva capirlo? Forse, per lui ero solamente una persona fantastica. Una persona fantastica da portare nei suoi posti segreti. Quelli che non aveva mai mostrato a nessuno. Ero solamente un'amica. Forse, non aveva mai avuto un'amica.
   - Perché? Perché.. perché le cose sono cambiate. Non lo amo più, non mi bastano i regali e le cene -
   - E cosa vorresti? -
   - Essere capita, solamente questo. E quando sto con una persona, mi piace sentirmi speciale. Mi piace che lei mi faccia credere di esserlo -
   - Non c'è bisogno che tu lo creda, tu sei speciale -
   - Ma perché dici questo? Insomma, che ho fatto di tanto speciale? Io non capisco... Non ho fatto niente che tu possa considerare speciale -
   - Non lo so, è che mi basta stare con te e sono felice. Lo sento, è come se fosse un'energia che tu scaturisci su di me, senza che te ne accorga. Mi fai un effetto positivo -
Guardai il mare davanti a noi. Era così simile ai suoi occhi. I riflessi bianchi della luce ricordavano quelli che si diramavano nell'iride.
   - Grazie... -
Tra di noi tornò il silenzio, e restammo lì per un tempo che ci parvevo ore, con le gambe penzolanti, a respirare la frescura di fine estate.
Poi Samuel si alzò, mi porse la mano e disse - Torniamo in paese? -
Non sapevo che quel posto sarebbe diventato il mio rifugio. Che lì, spesso, avrei incontrato Samuel.







Lo incontro ancora adesso, a volte.







 

 

 

 


- Grazie - gli dissi scendendo dalla sella, davanti alla porta di casa mia.
- Di cosa? -
- Di quello che fai.. è da tantissimo che non mi sentivo felice, così, come riesci a farmi sentire tu -
Samuel sorrise. - Grazie a te -







***














I giorni passarono, ma tra noi due non successe niente. O meglio, stava nascendo un rapporto bellissimo, intriso di frasi importanti e riflessioni che non ero riuscita a fare mai con nessun altro, ma tutto si fermava lì. C'erano volte che Samuel mi guardava come se volesse prendermi e baciarmi e tenermi stretta per ore, stritolarmi con tutta la sua forza, altre invece nei suoi occhi c'era una luce diversa, quasi indifferente, e a volte anche insofferente.
C'erano volte che non si faceva vivo per giorni e io avevo imparato a starmene per conto mio e aspettare. Lui sarebbe riapparso quando voleva. Si chiudeva in casa tra le mura nere del suo umore, e preferiva non rendermene partecipe. In quei momenti mi tagliava fuori completamente, come se non esistessi.
Ero tornata qualche altra volta a casa sua, ci sdraiavamo sull'erba della campagna a parlare, oppure facevamo lunghe passeggiate per i sentieri. Sua madre, giorno per giorno, si apriva sempre di più, mi mostrava ogni volta un sorriso diverso, più bello, e mi sembrava addirittura che mi guardasse con meraviglia, quando parlavo con lei, con una luce opaca negli occhi.
Ero sempre più convinta che per lui fossi solamente un'amica. Un'amica speciale. C'era qualcosa di strano in lui, come se non gliene importasse niente di amare, e di essere amato. Non mi raccontò mai di nessun altra ragazza, come se non avesse avuto un passato.
Non so dove prendevo la forza per andare avanti con quel suo comportamento incomprensibile.
Ma sentivo che l'avevo preso con me, e non potevo più lasciarlo andare.
Come aveva detto lui stesso? Gli inviavo un'energia elettrizzante, una forza positiva, che gli permetteva di vivere.
In qualche modo sentivo già che senza di me, non ce l'avrebbe fatta.































ANGOLO AUTRICE:

bè, che dire. le vostre recensioni mi commuovono. no, sul serio. sono senza parole, non so che dire..perché sono così piene di complimenti. davvero, non posso dirvi che grazie. è un onore grandissimo per me =)
sperando che vi sia piaciuto anche questo capitolo, a presto =)

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Capitolo 5
*** Baciami ancora. ***


Baciami ancora.

 

Il tempo volò via troppo veloce, le nuvole estive cominciarono a diramarsi per far spazio a quelle grigie dell'autunno, e Samuel era sempre con me.
Settembre arrivò troppo in fretta, l'inizio della scuola era sempre più vicino.
Un giorno ci venne l'idea di passare una nottata in spiaggia. Gli dissi che avevo sempre desiderato farlo, ma non ce n'era mai stata la possibilità. Neanche con Alex.
Lui non esitò, non mi rispose nemmeno,non c'era bisogno di una risposta. Una sera venne a prendermi con il sacco a pelo sotto il braccio, e mi disse - Allora, sei pronta? - proprio come quella volta che mi aveva portata nel suo posto segreto.
Montammo la tenda in un'insenatura nascosta della costa, dove praticamente nessuno avrebbe potuto vederci e così saremmo stati sicuri da qualsiasi incursione notturna di ladri e altri benvenuti.
- Hai mai più sentito Alex? - mi chiese mentre stendeva una coperta sulla sabbia.
- Mi ha chiamato, un po' di giorni fa -
- Davvero? - si irrigidì, aspettando le mie parole.
- Sì -
- E quindi? -
- Mi ha chiesto di tornare insieme.. piangeva -
- E tu? -
- E io.. cosa dovevo dire? -
- Che gli hai detto? -
- Gli ho detto che mi  serve del tempo per capire -
Non so perchè non l'avevo liquidato con un no secco. Forse, non me l'ero sentita. L'avevo sentito così fragile.
- Allora vuoi tornarci insieme? -
- .. No, non credo -
- Bé, fatti vostri -
- Sono anche fatti tuoi, no? -
Lui mi guardò con una strana espressione sul viso, turbato, stupito.
- Perché dovrebbero? -
- Perché.. perché beh, ti racconto tutto, non dovrei? -
- Come vuoi.. non ti chiedo di raccontarmi ogni particolare della tua vita -
- Va bene, scusami -
Aspettammo che arrivasse il buio e poi accendemmo un fuoco per cuocere alcuni spiedini che ci eravamo portati. Seduti lì, davanti alla fiamma rossa, ci raccontammo pezzi della nostra vita che non avevamo potuto vivere insieme. Samuel era lì, vero, accanto a me, in carne ed ossa, e più lo osservavo più avrei voluto baciarlo, avrei voluto che fosse mio e solamente mio. Era così impenetrabile, e io volevo scoprire cosa ci fosse dentro di lui. Si portava dietro una corazza di pietra e nonostante i giorni passassero, nonostante fossero passati ormai anche i mesi, non mi permetteva di romperla. Eppure, nonostante questo, era sempre stato capace a farmi sentire a mio agio, come mai nessuno era riuscito a fare. Dalle mie labbra scivolavano i miei segreti più reconditi, quelli che non avevo mai osato confidare a nessuno.
Non c'erano parole per descrivere Samuel. Se non vita. Vita, ne era pieno. Strabordante.



Annaspava nella voglia di vivere, Samuel.



















***


















Sentivo ogni suo respiro. Vedevo la sua schiena sollevarsi a ogni soffio d'aria. Le costole muoversi sotto la maglietta. Era agitato, lo sentivo. Ed era sveglio.
Cercavamo di dormire da quasi un'ora, ci eravamo dati la buonanotte e poi si era girato dandomi le spalle, ed eravamo rimasti così. Ma sapevo che, dall'altra parte, i suoi occhi erano aperti.
La tenda ci circondava quasi togliendoci il respiro, facendoci sudare.
Mi decisi e mi alzai a carponi.
- Esco un po' -
Lui si voltò immediatamente. - Hai caldo? -
- Sì, vuoi venire? -
- Va bene -
Mi seguì sulla spiaggia fresca, quasi fredda. Ci sdraiammo lì, guardando le stelle. Non avevamo bisogno ora di fingere di dormire. Quel tappeto di stelle ci copriva come se fosse una coperta.
Restammo in silenzio, respirando regolarmente. Pian piano, i nostri respiri si unirono in un unico suono armonioso.
Lo guardai sorridendo. - Stiamo respirando insieme -
- E' vero - mi rispose, accennando un sorriso sulle labbra.
- Samuel? -
- Sì? -
- Hai mai pensato a me come qualcosa di diverso.. da un'amica? -
Cercai di non guardarlo. Quelle parole mi erano uscite senza che io lo volessi. Lo sapevo, avrei rovinato tutto. Avrei rovinato quelle stelle, quella notte. Avrei rovinato le nostre giornate stesi sull'erba di casa sua,  quelle nel suo rifugio segreto.
- Sempre -
Lo guardai stupita. Immobile. Senza fiato.
- Sempre? -
- Sempre -
Il mio cuore cominciò a battere fuori dal tempo, voleva uscire dal mio corpo, sentivo che avrei ceduto sotto il suo peso. Mi avrebbe lacerato la carne, pur di rifugiarsi tra le sue braccia.
I nostri occhi rimasero sospesi, ci guardavamo ma era come se stessimo vedendo tutt'altro che noi.
Poi, senza che  me ne accorgessi, sentii le sue labbra sulle mie.


















ANGOLO AUTRICE:
 e il resto....lo saprete nel prossimo capitolo :)

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Capitolo 6
*** Ingoiando le tue parole. ***


 

Ingoiando le tue parole.










Lì, sulla spiaggia fresca e scura, sotto una coperta di stelle, facemmo l'amore.
               Due corpi nudi sulla sabbia.
E fu la volta più bella della mia vita.


Ci addormentammo così, l'uno nelle braccia dell'altro, tenendo i nostri cuori in mano, senza dirci niente, senza neanche poterci guardare, immersi nel buio.










***











Mi svegliai.
Sentivo la sabbia sotto i miei piedi nudi, la luce fresca del mattino riempirmi gli occhi.
Il bianco dell'alba ci inondava come in una fotografia.
Alzai gli occhi verso di lui, e mi stava guardando.


- Da quanto sei sveglio? -
- ... Sembri un cerbiatto, quando dormi -


Gli sorrisi.

- Mi sono svegliato ora anch'io -


Gli diedi un bacio.
Si alzò e andò verso la riva, io lo seguii.


- Samuel... -
- Sì? -
- Vorrei che stanotte fosse durata per sempre -
- Durerà per sempre, te lo prometto -










***











Da quel giorno le cose cambiarono in fretta.
 Samuel sparì.
Provai a chiamarlo, ma non rispose mai. Andai a casa sua, ma sembrava essersi...addormentata. Tutto era chiuso, e silenzioso. Provai a bussare, ma non venne nessuno ad aprire.
Non capivo.
Furono giorni tremendi.
Aspettavo con il cuore in gola, non riuscivo nemmeno più a parlare.










Qualche giorno dopo squillò il mio cellulare. Era lui.

- Samuel! -

- Ciao -
La sua voce era sottile. Più sottile del solito. Più silenziosa.


- Che fine hai fatto? -

- Sono dovuto partire, scusami -

- Dove sei? -

- Dai miei zii -

- Ma.. Samuel... Ma scusa... perché non me l'hai detto? Perché non ti sei fatto sentire? E' passata quasi una settimana! -

- Ora non posso spiegarti, quando torno... -

- E quando torni? -

- Dopodomani... dopodomani ci sarò -



















Andai a casa sua. Non l'avevo più sentito, ma speravo fosse tornato per davvero.
Mi aprì sua madre. Aveva l'aria stanca, tirata. Non sembrava più quella donna che avevo conosciuto due mesi prima. Sembrava che la vecchiaia le fosse volata addosso all'improvviso.
Chiamò Samuel, lo fece uscire. E anche lui era diverso. Più magro di quanto lo ricordassi, rigido nel suo corpo bianco. Si era tagliato i capelli, quei capelli ribelli che adoravo.
Mi fece cenno di seguirlo fuori.
Gli presi la testa tra le mani. - Ma che è successo? Sei strano... -
Lui le tolse.
- Niente, sono solo un po' stanco... -
Cominciò a camminare verso il solito prato su cui ci stendavamo, e io lo seguii.
- Perché sei partito così, all'improvviso? -
- Mio zio è stato male, non ho potuto avvertirti, avevo dimenticato il cellulare a casa... -
- Ah... E... Tuo zio, sta bene? -
- No, non molto -
- Mi dispiace... -
Lo guardai in faccia. Stava succedendo qualcosa, lo sentivo. Samuel era un altro.
Gli presi la mano.
E lui la tolse, con un gesto spontaneo e frettoloso.
- Samuel, ma che hai? -
- Ti ho detto niente... -
- Non ti fai toccare -
- Perché dovresti toccarmi? -
Rimasi impietrita.
Perché dovresti toccarmi?
Non sapevo cosa fare, avrei voluto girarmi e scappare. Ma non volevo lasciarlo solo. Sembrava così fragile.
- Perché dovrei toccarti? Che domanda è? -
- Eva, lasciami stare.. per favore.. -
- Io.. non ti capisco! Abbiamo passato una notte stupenda, abbiamo fatto l'amore, e poi sei sparito all'improvviso e ora non ti fai nemmeno toccare! E devo lasciarti in pace! Ma che cosa vuoi da me? -
Samuel mi guardò dritto negli occhi, come quel giorno ancora non aveva fatto. Ma con una freddezza che non avevo mai visto.
- Voglio che te ne vai -
Sentii le ginocchia cedermi. Il viso sciogliersi, stordito. Le lacrime che si raggrumavano come sangue intorno agli occhi e che poi si tuffavano sulle guance intorpidite.
- Vuoi davvero che me ne vada? -
- Sì -
- Va bene -
Deglutii forte, come per ingoiare quelle parole appena pronunciate.
Mi girai e camminai lenta verso la bicicletta.
Speravo che mi chiamasse, ma il mio nome non lo gridò nessuno.



















ANGOLO AUTRICE:

Ebbene sì, so che mi odierete. Ma ci sarà una spiegazione, non temete, non disperate. Continuate solo a leggere e a recensire :) au revoir!


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