Doppelgaenger

di Dira_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Ricordi - Parte I ***
Capitolo 3: *** Ricordi - Parte II ***
Capitolo 4: *** Ricordi - Parte III ***
Capitolo 5: *** Capitolo I ***
Capitolo 6: *** Capitolo II ***
Capitolo 7: *** Capitolo III ***
Capitolo 8: *** Capitolo IV ***
Capitolo 9: *** Capitolo V ***
Capitolo 10: *** Capitolo VI ***
Capitolo 11: *** Capitolo VII ***
Capitolo 12: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 13: *** Capitolo IX ***
Capitolo 14: *** Capitolo X ***
Capitolo 15: *** Capitolo XI ***
Capitolo 16: *** Capitolo XII ***
Capitolo 17: *** Capitolo XII (2° parte) ***
Capitolo 18: *** Capitolo XIII ***
Capitolo 19: *** Capitolo XIV ***
Capitolo 20: *** Capitolo XV ***
Capitolo 21: *** Capitolo XVI ***
Capitolo 22: *** Capitolo XVII ***
Capitolo 23: *** Capitolo XVIII ***
Capitolo 24: *** Capitolo XIX ***
Capitolo 25: *** Capitolo XX ***
Capitolo 26: *** Capitolo XXI ***
Capitolo 27: *** Capitolo XXII ***
Capitolo 28: *** Capitolo XXIII ***
Capitolo 29: *** Capitolo XXIV ***
Capitolo 30: *** Capitolo XXV ***
Capitolo 31: *** Capitolo XXVI ***
Capitolo 32: *** Capitolo XXVII ***
Capitolo 33: *** Capitolo XXVIII ***
Capitolo 34: *** Capitolo XXIX ***
Capitolo 35: *** Capitolo XXX ***
Capitolo 36: *** Capitolo XXXI ***
Capitolo 37: *** Capitolo XXXII ***
Capitolo 38: *** Capitolo XXXIII ***
Capitolo 39: *** Capitolo XXXIV ***
Capitolo 40: *** Capitolo XXXV ***
Capitolo 41: *** Capitolo XXXVI ***
Capitolo 42: *** Capitolo XXXVII ***
Capitolo 43: *** Capitolo XXXVIII ***
Capitolo 44: *** Capitolo XXXIX ***
Capitolo 45: *** Capitolo XL ***
Capitolo 46: *** Capitolo XLI ***
Capitolo 47: *** Capitolo XLII ***
Capitolo 48: *** Capitolo XLIII ***
Capitolo 49: *** Capitolo XLIV ***
Capitolo 50: *** Capitolo XLV ***
Capitolo 51: *** Capitolo XLVI ***
Capitolo 52: *** Capitolo XLVII ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Diciotto anni dalla scomparsa di Voldemort…
30 Agosto 2017


Il rombo di una moto aveva interotto il monotono frinire delle cicale a Privet Drive, Little Whinging.
La moto, un esemplare ben tenuto di Harley Davidson, era stata parcheggiata di fronte al vialetto della casa di Dudley Dursley, apprezzato vicino, avvocato di modesto successo, figlio del defunto Vernon Dursley.
Vi era sceso un uomo, in giubbotto di pelle e jeans lisi. Joanna Steel, dirimpettaia e vicina ficcanaso, la sera stessa avrebbe raccontato di un aitante quarantenne con i capelli scompigliati dalla brezza estiva, che aveva suonato alla porta dei Dursley. Si diceva fosse il cugino, un certo Harry Porter, tipo strano, con un passato turbolento, da teppista.
Dudley aveva aperto la porta. Quando aveva riconosciuto il visitatore, a dispetto dei pettegolezzi locali, aveva tirato un sospiro di sollievo.
“Harry, grazie al Cielo!”
“Scusate il ritardo, ma avevo degli affari da sbrigare… è in giardino?”
“Non entra in casa da ieri sera. Le abbiamo provate tutte, Robin ha persino tentato di avvicinarsi ma…”
Harry aveva corrugato le sopracciglia. “Spero non…”
“No, no. Le ha solo detto di lasciarlo in pace.” L’aveva guardato, sbuffando di nuovo attraverso le guance piene. Era la fotocopia del padre, Dud, ma in quanto a carattere dimostrava di saper cambiare. Opinione in generale e atteggiamento in particolare.
“Meno male…”
“Ha ricevuto la lettera due giorni fa… ma lo saprai.” Aveva schioccato la lingua “Sembrava contento. Poi mi ha chiesto come mai Vern non l’avesse ricevuta… e…”
“E hai pensato bene di dirgli la verità. Cioè che non è vostro figlio.”
Dudley l’aveva guardato male. “Harry, cosa diavolo avrei dovuto fare? Ormai è evidente che … beh, che è diverso da noi. Prima o poi dovevamo affrontare il discorso. Ho preferito farlo adesso.” Aveva concluso. Sembrava imbarazzato e a disagio, ma non aveva potuto evitare di dirlo. In fondo, non era forse la verità?
Harry aveva annuito, sospirando appena. “Potevi almeno aspettare che ci fossi io… forse sarebbe stato meno traumatico.”
Dudley aveva fatto una smorfia, facendogli cenno di entrare. Si erano accomodati in salotto, nonostante l’altro uomo avesse sperato di passare direttamente in giardino.
“Harry, undici anni fa, quando mi hai portato il ragazzo, io e Robin abbiamo accettato di occuparcene… beh, perché avevo un debito con te. I miei genitori non l’hanno mai ammesso apertamente, ma ti siamo stati tutti grati per averci salvato da… da…” aveva esitato. Cinismo babbano contro fatti a cui aveva assistito con i suoi occhi. “… da quelle cose.” Si era acceso una sigaretta. “L’abbiamo tirato su al meglio che abbiamo potuto… nonostante a volte facesse cose che non erano… normali.”
“Magiche.” Aveva corretto pazientemente Harry: Dudley poteva essere cambiato, ma il suo odio per la Magia non era stato granchè intaccato.
“Sentimi bene.” era infatti sbottato, irritato. “Siamo passati sopra il vederlo apparire da un posto all’altro della casa, e alle lampadine fulminate …” aveva borbottato. “Ma davvero Harry… Quanto pensavi che avrebbe potuto reggere questa storia? Ce ne siamo occupati come se fosse nostro figlio ma…”
“Ve ne siete occupati bene, tu e Robin… decisamente meglio di quanto gli zii abbiano fatto con me.” L’aveva blandito, con un mezzo sorriso. L’uomo si era corrucciato.
“Non ti ho chiamato qui per parlar male dei miei genitori.”
“Scusa, hai ragione… piuttosto. Lui come ha reagito?”
“Mi ha ascoltato in silenzio, a dire il vero. Gli ho detto che sarebbe sempre stato mio figlio, e che non sarebbe cambiato nulla… che gli avremmo voluto bene lo stesso. Mi ha ascoltato sì… e poi se n’è andato in giardino, senza una parola. È lì da ieri sera, e non vuole parlare con nessuno.”
Harry si era passato una mano trai capelli.
“Non l’ha presa bene…”
“No, mi sembra evidente. Ma… penso che lo sapesse già. E non lo dico per giustificarmi.” Aveva aspirato una boccata dalla sigaretta, che quasi spariva tra le sue dita grassocce. Harry l’aveva squadrato: era un brav’uomo in fondo, non particolarmente acuto, ma aveva sposato una donna intelligente, priva dei paraocchi dovuti all’amore cieco per la propria famiglia che aveva invece avuto Petunia Dursley.
“… Lo sapeva già?”
“Lo intuiva, forse, chi lo sa. Quel bambino è dannatamente sveglio. Forse… a volte… un po’ troppo.” Si era alzato pesantemente dalla sedia. “Ma ora vorrai vederlo… è in giardino. Robin è in cucina, sta preparando la merenda per Vernon e Alice. Faccio portare qualcosa anche per voi?”
Harry aveva sorriso. “Sì, grazie.”
Era quindi uscito nel piccolo giardino. Si era avvicinato alla vecchia altalena, una volta malandata, adesso riverniciata di un allegro color rosso.
Vi era seduto un bambino, di circa undici anni, dai capelli lisci, neri come ebano e l’incarnato pallidissimo, tipicamente anglosassone. Indossava una maglietta a righe e un paio di pantaloni di buona fattura. Erano vestiti nuovi, puliti, che dimostravano come non ci fosse disparità di trattamento tra lui e i figli legittimi della coppia.
Nonostante questo, Harry aveva avuto un violento flashback. Se stesso, magro e arruffato, seduto sulla stessa altalena, in quello stesso giardino, quasi trent’anni prima.
“Thomas…” aveva chiamato.
Il ragazzino aveva alzato la testa. Gli occhi blu erano inespressivi, diffidenti.
Harry aveva sospirato.
“So che sei arrabbiato con me.” Si era seduto sull’erba, di fronte a lui. Non aveva tentato di toccarlo, né blandirlo. Alla sua età non avrebbe sicuramente reagito bene alla condiscendenza di un adulto. “Hai ragione ad esserlo. Ti ho nascosto delle cose. Molte cose. Ma era necessario… per la tua sicurezza.”
Un altro flashback: lui, spaurito e pieno di domande, confuso, di fronte a Silente, un mago adulto e potente.
Le sue spiegazioni sarebbero state all’altezza di quelle del vecchio preside?

Lui sarebbe stato all’altezza?
Il ragazzino aveva alzato lo sguardo verso il cielo, pensieroso.
“Per la mia sicurezza?”
“Sì, proprio così.”
Un breve silenzio.
“Sapevo di essere diverso. Sapevo che avrei ricevuto la lettera, non come Alice o Vern.”
“Sì … sei diverso, questo è vero, ma…”
Quanto diverso?” aveva concluso il ragazzino, fissandolo negli occhi.
Harry aveva sospirato.
“E’ ora che ti racconti come ci siamo conosciuti io e te, Thomas.”


Note:
Come ho già scritto, questo è un prologo. Breve, lo so, ma mi rifarò con il prossimo pezzo. :P
Che dire... è la prima fan-fic che scrivo su HP. Sono cresciuta con questo libro, l'ho letto ed ho visto i film. Ed è proprio dall'ultimo film che il mio amore per Tom Riddle è aumentato esponenzialmente ... solo... cosa fare? E poi è praticamente il personaggio più 'slash' in cui mi sia mai imbattuta.
Scrivere l'ennesima fic dove Harry e Tom si innamorano? Le adoro, ma tutto ciò che di sensato c'era da scrivere su questa coppia è già stato scritto (mi riferisco alla storie di Lien e Mistress Lay, che hanno reso un'immagine di Tom Riddle ormai universalmente conosciuta su EFP e dintorni). Così ho provato un approccio diverso. Sì, il settimo libro mi ha fatto schifo (eufemismo) però una cosa buona l'ha lasciata... una marea di personaggi di cui non si sa niente, spendibilissimi,tutti da giocare. La cosidetta 'next generation'.
Unite queste due cose, è nata questa idea. Che dire, spero vi piaccia. Commenti e critiche sono accettate e volutissime! (XD)
Le mie fonti di informazioni (perdonatemi, la mia conoscenza del Potterverse è un po' arrugginita) sono HP Lexicon e HP Wiki. Per quanto riguarda i nomi, ho preferito lasciare la versione italiana, per abitudine, così come gli incantesimi.
NB: Tutte le immagini usate, linkate e manipolate non appartengono a me, ma le ho trovate sul web o su DeviantArt. Chiunque le rivendicasse, è pregato di inviarmi un pm, sia se voglia che le ritiri, sia che voglia essere creditato. Thanks ^^ Per quanto riguarda i volti dati ai personaggi ho cercato sul web, e presso forum di HP per avere un'idea generale di come il fandom immaginasse la Next Generation.
Le canzoni, frasi e varie citazioni non appartengono a me, ma a chi le ha ideate.
E per finire, l'impianto dell'intera storia, luoghi, personaggi etc appartengono a mamma Row, Dio l'abbia in Gloria.
Dira.



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Capitolo 2
*** Ricordi - Parte I ***


d
Doppelgaenger.







Harry si trovava di nuovo a King’s Cross. Ma non la King’s Cross babbana, né tantomeno quella magica.
Quella del suo sogno.
Harry Potter, il bambino-che-è-sopravvissuto, attualmente meglio conosciuto il ridondante titolo di Salvatore Del Mondo Magico, camminava per la stazione deserta, immersa in un’atmosfera brumosa e irreale.

Non c’era dubbio che si trattasse di un sogno. Un sogno inspiegabilmente simile a quello che aveva vissuto quando, durante la battaglia finale, era stato colpito da Voldemort, e creduto morto.
Non sapeva perché si trovasse lì, ma si trattava di un sogno, di questo era certo.
Dannatamente vivido, poiché non aveva nulla di incoerente. Quella era una stazione deserta, priva di treni, e lui era lì, da solo.
Poi l’aveva sentito. Un lamento, come quello di un animaletto ferito. Aveva percepito distintamente sudore gelido scorrergli lungo la schiena.
Era lo stesso suono di quella cosa che aveva incontrato poco prima di vedere Silente.
E poi l’aveva vista, di nuovo, sotto una panchina. Un neonato piccolissimo, rosso, come scorticato, che piangeva. Si era avvicinato, come quella volta di otto anni prima, e come quella volta non aveva osato toccarla.
“Cosa vuoi da me?” si era trovato a sussurrare al corpicino gemente.

Era ancora vivo, quindi, sebbene in quella specie di limbo, di non-luogo. Non vivo in senso tecnico del termine, certo. Quella cosa era una parte della sua anima straziata, che rantolava e gemeva, ma solo una parte. Non si poteva considerare Voldemort.
Aveva sentito di nuovo quel lungo brivido freddo. Aveva mosso qualche passo, incerto. Aveva finito per chinarsi di fronte al neonato.
“Perché mi hai chiamato qui? Sei stato tu, vero?”
La prima volta il colloquio con Silente era stato tutto nella sua testa. Ma stavolta quel sogno non gli apparteneva. Il luogo sembrava lo stesso, eppure non lo era.
Harry era sicuro che era stata quella cosa a chiamarlo.

Aveva teso la mano, e anche stavolta, non era riuscito a toccarlo.
Si era svegliato prima.


Otto anni dopo la sconfitta di Voldemort…
19 Dicembre 2006

“Harry… Harry!”
L’uomo aveva aperto gli occhi, lentamente. Sopra di lui, la moglie. Attorno a lui, la loro stanza alla Tana. Era mattino, e la moglie non gli era mai sembrata così radiosa, e il mondo così vivido. Le aveva sorriso, a lei e al suo ventre rotondo, perfetto. L’aveva baciata.

“Ginny… Ginny Weasley.” Aveva mormorato contro le sue labbra.
“E’ il mio nome.” Aveva convenuto ironica la donna. “Parlavi nel sonno, lo sai? Continuavi a chiedermi cosa volessi da te. Una bella prova d’amore coniugale!”

Harry aveva battuto le palpebre un paio di volte, ed era tornato prepotentemente il ricordo di quello strano sogno.
“No, non stavo chiamando te…”
Ginny aveva curvato le labbra in un sorriso malizioso.

“Fantastico, e quindi chi? Devo preoccuparmi?”
“Ma no, figurati… oh, Gin…” aveva riso, dandole un buffetto. “Non in quel senso, sai.” Poi si era fatto serio. Si era seduto sul letto, incrociando le gambe. “Ti ricordi quando ti ho raccontato del mio… diciamo sogno, quando credevo che Voldemort mi avesse ucciso? Di quando incontrai Silente, in quello strano limbo?”
Ginny aveva annuito, alzandosi e posandosi sulle spalle un cardigan pesante. Era un dicembre particolarmente freddo, quello, e la neve si era già posata pesantemente sui terreni attorno alla casa, proteggendola in un ovattato e bianco silenzio.
“Certo…” aveva atteso che continuasse.
“Beh, ho sognato di nuovo quel posto.” Si era passato una mano trai capelli, sfiorando leggermente la cicatrice, ormai poco più che un lieve segno sulla pelle.

“E Silente?”
“No, stavolta Silente non c’era. Ma c’era… quella cosa. Quella creatura.”
“Il neonato?” aveva corrugato le sopracciglia. “Quello che credevi fosse…”
“L’anima morente di Voldemort, già.” Aveva convenuto con una smorfia. Aveva guardato la donna, serio. Sentiva una sensazione spiacevole addosso, come se un serpente gli fosse strisciato lungo la schiena.

Sensazione orribile, davvero.
“Era come quella volta. Gemeva, e sembrava… mi chiedesse aiuto. Ma io non potevo darglielo. Cioè, volevo… ma non ci riuscivo, mi ripugnava troppo.”
“Silente ti disse che non poteva essere aiutato…”
“E se invece avesse mentito?” aveva mormorato, senza neanche rifletterci. Ginny l’aveva guardato perplessa, prima di scuotere la testa.

“Harry, lui è morto. Non è altro che concime per vermi, perdonami l’espressione. È stato solo un sogno, non rompertici troppo la testa…” aveva aggiunto affettuosamente, passandogli le braccia attorno al collo. Il ventre rotondo si era frapposto tra loro due, e Harry aveva sorriso, accarezzandolo.
“… sì, hai ragione. E’ solo che è stato un sogno così strano. Ero cosciente, come quella volta. E stavo davvero per toccarlo, stavolta… credo. Poi mi hai svegliato e…”
Harry Potter.” Aveva scandito il suo nome, seria. “I sogni sono soltanto sogni. La differenza tra quella volta e questa è che tu eri stato appena colpito da una maledizione senza perdono. Stavolta stavi dormivi della grossa. Noti qualche differenza amor mio?”
Harry aveva convenuto che sì, c’era in effetti una differenza.

Ginny gli aveva allora picchiettato l’indice sul naso: più piccola di lui di due anni, a volte sembrava quasi sua madre. Con i suoi ventisei anni e innumerevoli esperienze alle spalle … Harry a volte si sentiva comunque un bambino, di fronte alla giovane moglie.
Ed era una sensazione bellissima.
“Stiamo per avere un bambino, Mister Potter. Forse inconsciamente ti senti spaventato, ed hai sognato quell’orribile neonato…”
“Oh, andiamo Gin! Abbiamo già Jamie. Il terrore da neo-padre è cosa passata!”
Quasi, aveva pensato, quasi…
Ma non era il caso di farlo sapere alla moglie. Giusto?

Ginny l’aveva guardato a lungo. In silenzio. Alla fine, come tutte le volte, era capitolato sotto l’ironica fermezza di quegli occhi nocciola.
“Okay, forse sono un po’ preoccupato… voglio dire. Se fossero gemelli?”
“Non è un’eventualità.” Aveva pronosticato decisa. E Harry scommetteva che non sarebbe stata smentita. Non le capitava quasi mai.

“E’ stato solo un brutto sogno, Harry. Fatti una doccia, mangia un po’ delle uova strapazzate della mamma e va al lavoro. Qualcuno dovrà pur guadagnarsi da vivere, in questa famiglia.” Aveva concluso arruffandogli i capelli e alzandosi dal letto.
Al momento Ginny era disoccupata. Aveva lasciato le Holyhead Harpies quando era rimasta incinta di Jamie, e attualmente si occupava del piccolo a tempo pieno. All’inizio aveva trovato difficile rinunciare alla scopa e al Quidditch ma alla fine, complice la vivacità di Jamie e le pressioni di Molly, si era ufficialmente ritirata dai campi da gioco. Non riusciva a stare lontana dal figlio, e con il secondo in arrivo, la possibilità che tornasse a giocare, era ancora più remota.

Harry sapeva che per la moglie quella era stata una dura rinuncia. Amava giocare, e aveva talento. Ma più di tutto, come amava ripetergli quando provava a muovere qualche obiezione, amava la famiglia.
La loro famiglia.
Harry aveva sorriso, andando in bagno e infilandosi sotto il benefico getto caldo della doccia.
Se fosse stato maschio avevano già in mente il nome.


****


Una ventina di minuti dopo era seduto alla tavola Weasley. Molly gli aveva già riempito tre volte il piatto, e Arthur, dalla sua posizione di capofamiglia, stava tentando di coinvolgerlo in un’appassionante discussione sul funzionamento di una cosa chiamata intrenat.
Harry dubitava seriamente che Arthur avesse una vaga concezione del concetto di internet, ma lo stava ascoltando volenterosamente.
“Papà io non credo si dica demodè. Quello è un aggettivo.” Aveva obbiettato Ginny, bevendo un sorso di succo di zucca.
“E’ modem.” Aveva convenuto infatti Hermione, concentrata sulla lettura della Gazzetta del Profeta: erano tutti lì per le vacanze di Natale, Ron e la moglie erano venuti il giorno prima. Si attendevano George con la fidanzata, Bill e famiglia. Teddy sarebbe venuto per la Vigilia, con la nonna. Charlie, come al solito, era disperso nelle lande desolate della Romania.
“Oh… questo intrenet comunque è incredibilmente complicato. Anche a livello concettuale.” Stava per lanciarsi in una nuova arringa, quando un Crack! Aveva annunciato l’arrivo di un Ron particolarmente agitato.

“Harry, devi venire subito in ufficio.” Aveva borbottato, salutando con un cenno della testa i presenti. Il giovane uomo aveva annuito, alzandosi in piedi. Se si era addirittura smaterializzato per arrivare fino alla Tana il più velocemente possibile la faccenda doveva essere seria.
Ron era entrato l’anno prima, alla divisione auror, con gioia sua e dell’amico. Prima di tentare l’esame di ammissione aveva infatti aiutato George con ‘i tiri vispi Weasley’ per un po’. Era stata un’esperienza positiva per entrambi i fratelli, sebbene il minore non avesse la stoffa del negoziante. Infatti, per delicatezza nei confronti di George, Ron non aveva mai accennato alle sue vere aspirazioni. Era stato il fratello infine a licenziarlo, con tono brusco e amichevole, una mattina di cinque anni prima, con queste parole.
“Non ho intenzione di vedere libri di preparazione al test per auror spuntare tra le scatole di merendine marinare per tutta la vita né di continuare a sopportare il tuo occhio languido quando vedi Harry con la sua bella divisa. Sei licenziato, fratellino. Va’ a fare quello per cui sei tagliato.”
Ron era passato al primo colpo, stupendo soprattutto se stesso.
“Qual è il problema Ron?” Aveva chiesto quando si era infilato il mantello e messo la bacchetta in tasca. Erano andati all’ingresso, lasciando gli altri finire in pace la propria colazione.
“Forse è meglio se…”
“Sì, giusto.”
Poco dopo erano al secondo piano del Ministero della Magia, diretti verso il quartier generale. Harry gli aveva fatto cenno di parlare.
“Ti ricordi il caso Coleridge?”
Harry si era leggermente incupito: aveva annuito, senza rallentare il passo. Era un caso su cui stavano lavorando da anni: Artemius Coleridge era un ex-mangiamorte, attualmente fuggitivo. Era un vero asso nel fabbricare la pozione polisucco, che gli permetteva di passare inosservato sotto il naso degli auror. Estremamente frustrante.

Avevano sprecato uomini, tempo e risorse per cercare di sbatterlo dentro, ma era sempre riuscito a fuggire all’ultimo soffio. Le piste erano morte da mesi. Sparito, irrintracciabile. Si sospettava fosse scappato all’estero, riparando forse in Germania.
“C’è qualche nuova pista?”
“Un nostro informatore l’ha visto a Notturn Alley, da Magie Sinister.”
Harry aveva inarcato le sopracciglia. Un errore così grossolano da parte di Coleridge non se l’aspettava. Farsi vedere con il suo vero aspetto in un posto continuamente pattugliato da auror in incognito…

Una stronzata.
Ron gli aveva lanciato un’occhiata. “Sì, so cosa pensi. Sembra assurdo anche a me… ma Paulson dice che il tipo è affidabile, dico, l’informatore. Se non altro per quanto lo paga. E sai che Paulson non ama essere preso per il culo.”
Harry aveva fatto un distratto cenno con la testa.
“Andiamo in ufficio, dai. Sono già in ritardo, eh?”
Ron aveva fatto un mezzo sorriso.

“Sei scusato, amico. In fondo a Gin è scaduto il tempo, no?”
“Abbiamo già la valigia pronta, sotto il letto. Direzione San Mungo.”

Ron aveva riso, dandogli una pacca sulla spalla. “Speriamo non siano gemelli.”
Harry aveva fatto una smorfia. “Gin è sicura che non lo saranno. Ma non so, non abbiamo voluto sapere nulla e…”

“Beh, spero solo non tocchi a me ed Herm.” Aveva borbottato il rosso.
Harry aveva riso. “Per Merlino, speriamo proprio di no!”
Erano arrivati di fronte alla porta che recitava in lettere scarlatte ‘Ufficio Auror’. Ron aveva sorriso tra sé e sé, facendo sorridere di riflesso Harry.

Sapeva che l’amico non credeva ancora del tutto al suo successo. Spesso lo trovava seduto alla sua scrivania, a guardarsi attorno con aria luminosa e un po’ spaesata: era sempre stato così Ron. Ci metteva un po’ a carburare il concetto che poteva essere in gamba quanto e più degli altri. Ma gliela si poteva passare. Dopotutto erano solo sei mesi che era diventato ufficialmente un auror operativo.
Erano stati accolti dalla propria squadra, composta da lui, Ron, Richard Paulson, Liam Flannery e Artemisia Stump, che ventava con un certo imbarazzo una lontana parentela con uno dei primi ministri della Magia. Era una ragazza con una timidezza inversamente proporzionale alla sua corporatura minuta, anche se in caso di scontro non esitava a gettarsi in prima linea. Un leone travestito da agnellino.
Flannery, un corpulento irlandese con i capelli mori tagliati a spazzola, si era avvicinato.
“Ehi, capo.” L’aveva apostrofato trascinando l’ultima sillaba. Veniva da Galway ed era da poco entrato nella squadra, come Ron. Non si stavano particolarmente simpatici. Flannery era tutto quello che Ronald non era mai stato. Soprattutto, estremamente sicuro di sé.

“Aggiornatemi.” Nonostante avesse solo ventisei anni, nessuno questionava mai la sua autorità. Era del tutto accettata e digerita, come la certezza che Voldemort non avrebbe potuto far più male a nessuno.
Dopotutto ci sono certi aspetti positivi, nell’essere il salvatore del mondo magico.
Artemisia si era schiarita la voce. Aveva i capelli colorati di rosa, e a volte a Harry ricordava un po’ Tonks. Fortunatamente, pensava spesso con nostalgia, non era così goffa.
“Coleridge è stato avvistato ieri sera, verso le nove, mentre si materializzava davanti al negozio di Magie Sinister, a Notturn Alley.”
“Quindi non ci è entrato?”
Flannery aveva inarcato le sopracciglia. “No, capo. Chi te l’ha detto?”
Aveva visto con la coda dell’occhio Ron arrossire alle sue spalle. Aveva scrollato appena la testa. “Nessuno, avevo solo supposto si fosse materializzato nei pressi per entrarci. Va’ avanti Art.”

“… sì. Dunque, si è materializzato, poi si è diretto verso un pub nelle vicinanze…”
Aveva girato un foglio del piccolo taccuino di cuoio su cui si appuntava ogni cosa. Flannery aveva ironizzato una volta ci scrivesse anche quante volte andava in bagno.
“… il Black Goose. Lì il nostro informatore l’ha perso.”

“Perso?”
La ragazza aveva annuito, con un lieve sospiro, guardando verso Paulson, il più anziano della squadra: aveva una quarantina d’anni e non era di molte parole, e beh, a dire il vero, non sembrava aver simpatia per nessuno, nessuno appartenente alla razza umana perlomeno. Aveva una volta confidato a Harry di avere una muta di quindici cani da caccia che amava come figli. Era scapolo e non aveva famiglia.

“Il vecchio Jog ha provato ad entrare dietro Coleridge ma è stato fermato da uno che voleva i suoi soldi… ed ha perso un po’ di tempo per non farsi spaccare le ossa o beccarsi uno stupeficium. Quando è finalmente riuscito ad entrare, Coleridge se n’era già andato. Forse l’aveva notato ed era filato dal retro.”
Harry si era passato una mano trai capelli. “Bene… C’è altro?” ad una risposta negativa, aveva sospirato. “Allora non ci resta che andare a Notturn Alley e fare un po’ di domande. Ron tu verrai con me.” L’uomo aveva annuito.

Congedati dagli altri, e usciti dall’ufficio, l’amico aveva borbottato qualcosa trai denti.
“… Ron, è tutto a posto. Anche io avrei pensato che fosse entrato a Magie Sinister.”
“Già, ma non ci è entrato. Ed hai visto Flannery? Te l’ha subito fatto notare, accidenti!”
“Lui lo sapeva, tu no. Sei venuto subito a chiamarmi… Avrà saputo il resto mentre tu eri con me alla Tana, no?” aveva spiegato pazientemente al corrucciato amico. Ron aveva mugugnato qualcosa, poi aveva scrollato le grosse spalle.

“Sì, forse hai ragione.”
“Non forse, è così. Non rompertici troppo la testa. Sei un bravo auror. Sei un auror.” Gli aveva stretto una spalla, e finalmente Ron aveva sorriso. “Forza, andiamo a far cantare qualche uccellino.”

“… Come?” l’aveva guardato confuso. Harry aveva sbuffatto divertito: undici anni passati trai babbani, più svariate estati, non erano facili da lasciare alle spalle.
A volte sentiva la nostalgia di Privet Drive e le sue ordinate villette a schiera, per quanto gli sembrasse assurdo.
“Niente, è solo un vecchio modo di dire.”
Era quello il suo mondo ormai.

****

Un uomo era volato fuori da un vicolo, atterrando con un tonfo sordo di fronte a un negozio che esponeva una nutrita collezione di mani umane, rattrappite in svariate e raccapriccianti. forme.
L’uomo, Jogson, aveva provato a rialzarsi e ad afferrare la bacchetta sotto la giacca stazzonata.
Expelliarmus!”
La bacchetta era volata lontano, con un’imprecazione da parte del suo proprietario.
“Te l’avevo detto che non avrebbe collaborato…” Aveva sbuffato Ron, uscendo dal vicolo, e raccogliendo la bacchetta, mettendola al sicuro dentro al mantello.

“Quella è la mia bacchetta bastardo!”
“Ah sì? A me sembra di averla raccolta per terra, invece…” aveva replicato Ron con un sorrisetto. Harry guardava l’uomo seriamente, invece: non gli piaceva usare la forza, specie con supposti, leali, informatori. Ma quel tipo gli era sembrato un po’ troppo guardingo e ansioso di parlare con Paulson invece che con loro.
Jogson nascondeva evidentemente qualcosa. E con la sua propensione al firewhiskey, il buon uomo di Leeds non l’aveva notato.

Ad Harry Potter non piaceva usare la forza, no, ma non era neppure un santo. E lì si stava parlando di un mangiamorte in fuga da otto anni, che si era macchiato di omicidi efferati durante l’ascesa di Voldemort, e che stava, peraltro, continuando ad uccidere, seminando cadaveri durante la sua fuga.
“Jogson, non ci piace perdere tempo. Dov’è Coleridge?”
“Come ve lo devo dire, in serpentese?! Non lo so, dannazione! L’ho perso, perché quel bastardo di Nutt mi ha fermato prima che potessi andargli dietro!”
Harry si era guardato attorno: nessuno dei passanti sembrava stare notando la scena, né sembrava darle importanza. Gli auror in quel quartiere non erano ben visti, ma venivano generalmente temuti. Dopotutto erano la polizia del mondo magico.

Si era chinato sull’uomo, che puzzava di alcohol scadente.
“Non ti credo, Jog. Non c’è nessun valido motivo per cui un uomo sveglio come Coleridge si faccia vedere con il suo vero aspetto qui, a Londra. Puzza tanto di depistaggio…”
“Già.” Aveva convenuto Ron torvo,incrociando le braccia al petto. “Quanto ti ha pagato quel figlio di cagna, per dirci questa stronzate?”
L’uomo aveva inspirato, distogliendo per un attimo gli occhi da quelli verdi di Harry.

Era bastato.
Quanto?” aveva chiesto con tono fermo. “Se confessi potrai avere una pena minore. Forse riusciremo persino a evitarti Azkaban.”

L’uomo era impallidito, serrando le labbra sottili e rovinate. Anche se Azkaban, sotto il ministero di Kingsley, non aveva più i dissennatori rimaneva comunque ciò che era.
Una prigione.
“Cosa? Non ho fatto niente!”
“Hai dato informazioni volutamente sbagliate ad un auror del ministero, amico… a casa mia si chiama depistaggio. E viene punito duramente.” aveva sbottato Ron, irritato. “Quindi ti conviene parlare, o ti portiamo direttamente a Heligoland per un soggiorno gratis. Ti piacerebbe una bella cella umida con vista sul mare del Nord?”
L’uomo aveva ringhiato frustrato.

“Mi ammazzerà!”
Harry l’aveva afferrato per un braccio, tirandolo su con uno strattone che l’aveva fatto lamentare. “No, non ci provare… non funzionano con me certi trucchetti.” L’aveva avvertito. “Chi? Chi ti ammazzerà?”

“Mi farà fuori, vi dico… vi prego, lasciatemi andare. Sono solo un povero vecchio. Ho combattuto dalla parte giusta, durante la seconda guerra magica, sapete? Sono solo un povero vecchio…”
“Finiscila.” L’aveva zittito Harry strattonandolo. “Quello che hai fatto in passato non giustifica aver coperto un mangiamorte latitante. Perché è quello che hai fatto, non è così?”
La faccia dell’uomo si era accartocciata. Era scoppiato in lacrime, sottili, che colavano lungo il viso trascurato.

“Mi ha costretto… mi ha costretto! Mi ha detto che mi avrebbe cruciato. Oh, voi sapete come sono quelle maledizioni… sono orribili, orribili! Vi prego, proteggetemi… tornerà a cercarmi, lo so, e mi ucciderà! Mi ucciderà!”
Si era gettato ai piedi di Harry, che l’aveva guardato diviso tra la pena e il disgusto.

“Forse è meglio portarlo in ufficio e fargli dare una calmata. Mi sa che stiamo dando un po’ troppo nell’occhio, Harry…” aveva mormorato Ron, avvicinandoglisi.
“Sì, hai ragione. Ti proteggeremo, Jogson… ma tu dovrai parlare.” Gli aveva intimato, prima di afferrarlo per un braccio. Si erano smaterializzati, lasciando la strada vuota, spazzata da una lunga folata di vento dicembrino.


Quando erano apparsi, accompagnati da Jogson, l’ufficio era occupato solo dal buon irlandese, che stava scrivendo il rapporto sull’interrogatorio di Paulson. Quest’ultimo, fortunatamente, era uscito a pranzo, e probabilmente anche Stump. Ad Harry non sarebbe piaciuto dover sottilineare l’errore del suo sottoposto più anziano.
“Ehi, ma questo non è Jogson?”
“Lui in persona. Fagli un the, per favore Liam.” Harry aveva aiutato l’uomo a sedersi sulla sedia dietro la sua scrivania. Sembrava essere invecchiato di dieci anni, e la cosa non aveva certo aiutato la sua già smunta figura.

È terrorizzato. Comprensibile. Un ex-mangiamorte è pur sempre un mangiamorte. Un suffisso non dequalifica un assassino.
Si era appoggiato al bordo del tavolo, posandoci le mani. “Allora… raccontaci tutto dall’inizio.”
L’uomo, con una tazza di the bollente tra le mani, aveva esitato. Ma poi, sotto lo sguardo torvo di Ron e Harry si era deciso a vuotare il sacco.
“Mi ha avvicinato due settimane fa. Ero fuori dal Black Goose a bermi un goccetto, quando mi si avvicina un bel ragazzo, biondo, pulito. Del genere che di solito non frequenta certi posti. Mi chiede se non sono un Jogson. Sì, gli dico io, in persona. Mi dice che ha conosciuto mio fratello, Ernie, e comincia a dirne un gran bene… dice che era molto amico di suo padre. Chiacchieriamo e mi offre un sacco di bicchierini. Un tipo simpatico, sembrava. Poi mi chiede di seguirlo nel retro, che vuole parlarmi di affari. Sapete, io scommetto su un po’ di cosette e… beh. Gli chiedo se vuole piazzare una scommessa e a quel punto mi punta la bacchetta alla gola. Dal nulla, ma io ero ubriaco, e senza bacchetta. Sapete, mi capita di lasciarla spesso al bancone quando alzo un po’ il gomito…” ammette con un sorriso sbilenco.
Ron aveva fatto una smorfia.
“Geniale Jogson… Notturn Alley è proprio il posto giusto dove scordarsela.”
“Ehy, io conosco i ragazzi del Goose, sono gente in gamba! Non mi torcerebbero un capello!”
“Dei veri maghi gentiluomini…”

“Ron, fallo continuare…”
“Beh, a quel punto mi dice che devo dire quel che ho detto al vecchio Paulson. Cioè che l’avevo visto materializzarsi vicino a Magie Sinister, e poi entrare al Goose.” Aveva obbedito, lanciando un’occhiata soddisfatta a Ron. “Io gli dico, amico, ma di chi parli? A chi dovrei dirlo? Lui mi dice che sa che sono un informatore per gli auror. Mi dice anche che mi ammazzerà… e lo ripete un sacco di volte. Un sacco e… ma che se lo farò, lui mi ricompenserà.”
“Monete?” aveva chiesto Harry, corrugando le sopracciglia. L’uomo aveva sorriso, sinistramente.

“Oh, no, molto meglio. Io glielo giuro… e allora… allora… lui tira fuori la bacchetta e… pronuncia qualcosa, un incantesimo. Pensavo volesse ammazzarmi, ed ho cominciato ad urlare, ma… La mia gamba non funzionava più, dopo la guerra. Mi è rimbalzata addosso una maledizione senza perdono, già… e da allora non si muoveva. E adesso non zoppico più. Già. L’ha guarita! Quei cretini del San Mungo dicevano che non sarebbe più tornata come prima! L’ha guarita!”
Ron aveva guardato Harry perplesso.

Se al San Mungo non hanno potuto fare niente… che diavolo di incantesimo ha usato Coleridge?
“Sai dov’è adesso?”
Jogson aveva fatto un sorrisetto amaro. “E crediate che me l’abbia detto? No di sicuro, non siamo mica compagni di bevute. Ma il vecchio qua non è stupido…” si era picchiettato la fronte “… Ed adesso ha le gambe funzionanti. Sissignore. Così quando se n’è andato ho aspettato un po’, e poi l’ho seguito.”

“E dov’è andato?” aveva mormorato Harry, attento. L’altro fa un sogghignetto.
“Cos’ho in cambio?”
“Razza di bastardo, ringrazia che non ti spediamo in direttissima a Azkaban!” aveva sbottato il rosso furibondo. “Parla, punto e basta!”

“Niente Azkaban… se parlerai faremo in modo che nessuno sappia che hai dato informazioni fallate ad un auror sotto… consiglio, diciamo, di un mangiamorte…”
“E riavrò la mia bacchetta?”
“Lurido scarto di…”
“Riavrai la tua bacchetta.” Aveva confermato Harry, sebbene a malincuore.

L’uomo aveva valutato la proposta, o così sembrava, poi aveva fatto una smorfia, annuendo.
“È entrato in una vecchia casa disabitata, a pochi isolati dal Goose. Penso si stia rifugiando lì. Di posti fatiscenti a Notturn Alley ce ne sono un sacco, e nessuno ti viene a chiedere l’affito.” Si era cercato nelle tasche della vecchia giacca, poi aveva sbuffato. “Se mi date un pezzo di carta vi scrivo l’indirizzo.”


****

“Ci siete? Al mio segnale entriamo dentro. Non sappiamo dove esattamente si è rifiugiato, e se irrompiamo potrebbe avere il tempo di fuggire.”
Harry era acquattato assieme alla sua squadra dietro un vicolo che dava su una serie di tristi palazzi vittoriani, che avevano l’aria di stare per implodere su se stessi da un momento all’altro. Gli ricordavano Grimmauld Palace. In effetti, riuscivano persino ad essere una brutta copia di Grimmauld Palace: addossati gli uni agli altri ospitavano una masnada di disperati, di maghi e streghe falliti. Un tempo forse lo stesso Voldemort aveva abitato lì, quando ancora era Tom Riddle.

Sto pensando un po’ troppo a lui oggi. È per via del sogno. È sicuramente per via di quello.
Spesso sì, gli capitava di sognarlo. Come gli capitava di rivivere la battaglia finale, gli amici morti, i tanti e dolorosi funerali.
Ma erano sogni nebulosi, sfilacciati, da cui si svegliava con le lacrime agli occhi, cercando il caldo corpo della moglie. Non erano reali.
Quel sogno invece l’aveva lasciato lucido e con una brutta sensazione, che ancora non l’aveva del tutto abbandonato.
Anzi, forse si era acuita.
“Capo… tutto okay?” aveva sussurrato Flannery, che gli era spalla contro spalla. Harry si era riscosso.
“Sì… scusate. Stavo solo pensando a come entrare senza farci vedere dall’interno della casa. Non sarà facile.”
“Materializzandoci?”
“Non conosciamo l’interno della casa, Stump.”
La ragazza era arrossita. “Già, hai ragione…”
Ron aveva sorriso, tirando fuori quello che sembrava un accendino.

Harry aveva ridacchiato.
“Pensavo l’avessi perso…”
“Un regalo di Silente? Scordatelo… e poi questo piccolino c’è stato utile tante volte, non credi? Solo, non è una cosa che uso proprio tutti i giorni, ecco…”
“Che cavolo ci fai con un accendino Weasley? Ti pare il momento di fumare?” aveva borbottato Paulson, che era nato babbano.
Ron l’aveva guardato perplesso. “Non è un ACCENDino. Spegne le cose, non le accende!”
“Fagli vedere, Ron.” Aveva riso sotto i baffi Harry.

Il ragazzo aveva fatto scorrere il pollice lungo la pietra focaia, ed improvvisamente tutte le luci della stradina angusta erano state come ingiottite dal buio.
Paulson aveva trattenuto un’esclamazione.
“Deluminatore. Non accende, spegne.” Gli aveva spiegato soddisfatto Ron.
“Adesso andiamo, forza.” Li aveva richiamati all’ordine, prima che Flannery potesse fare ulteriori domande. Si erano mossi silenziosamente lungo il muro del palazzo, prima di avvicinarsi al vecchio portone, vetusto ma resistente.
Aveva estratto la bacchetta.
Alohomora.”

La porta si era aperta con un leggero cigolio, liberata dal pesante lucchetto che la teneva chiusa. Era spirata una lieve folata d’aria, dal sentore di chiuso e urina di topo. Flannery aveva fatto una smorfia disgustata.
“Niente commenti…” aveva sussurrato Harry, ammonitore.

Non riusciva ancora a capire perché Coleridge avesse deciso di tornare a Londra. Era un fuggitivo, braccato dalla comunità magica internazionale: perché tornare nel posto meno sicuro per lui al mondo?
Forse, come aveva suggerito Ron, poteva essersi stancato di fuggire in paesi stranieri. Poteva mancargli l’Inghilterra. Erano stati esposti un sacco di motivi, ma Harry non ne trovava valido neppure uno.
A meno che non sia tornato per qualcosa. O qualcuno.
Non sapeva se Coleridge aveva famiglia, ma per rischiare così tanto doveva avere un ottimo motivo.
E poi c’era un’altra domanda che tormentava Harry: perché far dire a Jogson che era a Notturn Alley? Non era un depistaggio quello. Era buttarsi tra le braccia del nemico.
Tutto questo non ha senso…
Avevano salito le scale, attenti a non fare il minimo rumore: Coleridge, se c’era, doveva essersi accorto dell’improvviso blackout, e temeva che fosse abbastanza intelligente da capire che non era stato casuale.
“Bacchette alla...”

AVADA KEVADRA!”
Prima che potesse terminare la frase un fascio di luce verde l’aveva quasi preso di striscio. Si era buttato contro il muro, fortunatamente seguito dagli altri.
“Certo che sono proprio monotoni…” aveva sibilato Flannery, con un sogghigno.
LUMOS!” aveva gridato Harry e il globo di luce per un attimo aveva illuminato il fuggitivo. Coleridge era un uomo di quarant’anni, atletico, dal sangue freddo, almeno a giudicare dalle foto del suo dossier al ministero.
Quello che aveva visto per una frazione di secondo, prima che scappasse lungo il corridoio del secondo piano, ne sembrava l’ombra. Si teneva una mano sotto il braccio, impedita. Reggeva infatti la bacchetta con la mano sinistra. Harry ricordava nitidamente non fosse mancino.
Questo spiega la pessima mira…
“Andare all’estero fa male…” aveva replicato Flannery seguendo a breve distanza Harry, che si era lanciato al suo inseguimento. “Cara buona vecchia Inghilterra!”
Harry aveva represso una risata, per non far indispettire Ron, che sembrava aver preso poco bene la retrocessione a guardaspalle della fila.

Imboccate le scale del terzo piano l’avevano di nuovo avuto davanti. Sembrava si muovesse lentamente, impacciato o impedito da qualcosa.
Stupeficium!” aveva gridato Harry, ma un protego da parte di Coleridge aveva vanificato il suo attacco.
“Perché non si smaterializza?!” era stata Stump, a chiederlo, ansimando per la corsa.

Già, perché? È stato lui a prenderci di sorpresa, non viceversa. Ci ha sentito arrivare, eppure non è scappato come ha sempre fatto.
Non appena l’uomo aveva voltato il corridoio, e il rumore sordo di una porta che si chiudeva rimbombava nell’edificio, Harry aveva capito.
“Sta cercando di portare via qualcosa!” aveva gridato alla sua squadra, prima di scattare verso la porta e aprirla con un calcio. Non molto magico, ma veloce ed efficace.

L’uomo era chinato su un cassetto, e stava tenendo tra le braccia una mole ingombrante, dando loro le spalle.
Stupefi-!
Non era riuscito a terminare neanche stavolta. L’uomo aveva estratto la bacchetta. L’aveva guardato negli occhi. Aveva occhi folli, da invasato.
Ardemonio!” aveva urlato e dalla bacchetta si erano sprigionate fiamme dense, nere, che avevano invaso la stanza lurida e ingombra di pergamene e libri.

“Maledizione!” aveva urlato. “Tutti fuori di qui!”
Conosceva quell’incantesimo. Tiger l’aveva evocato otto anni prima, nella Stanza delle Cose Nascoste, venendone coinvolto lui stesso. Ed era quello che stava accadendo all’ex-mangiamorte, tra le sue urla scomposte.
Per quanto ne sapeva, non c’era un incantesimo in grado di fermare quel rogo impazzito.
“Harry, vieni via!” aveva urlato Ron dalla porta. “Vieni via!”
Il giovane uomo si era guardato attorno. Tutti gli appunti, i libri di Coleridge, le prove, stavano venendo corrose dall’incantesimo. Aveva tossito, indietreggiando verso la porta.

Poi l’aveva sentito. Un vagito, singolo, forte. Seguito da altri. Il pianto di un bambino.
HARRY, VIENI VIA!” continuava ad urlare l’amico, pronto a scattare e portarlo via di peso, se fosse stato necessario.
C’è un bambino!” aveva replicato, cercando l’origine di quel pianto. L’aveva trovata proprio nel cassetto su cui era chinato l’uomo, ora accartocciato in un angolo, avvolto nelle fiamme.
C’era davvero un bambino, avvolto malamente in una coperta sudicia, che strillava a pieni polmoni. Un neonato. Senza esitare l’aveva preso in braccio, stringendoselo al petto.
Quello che fino a poco prima era stato Coleridge, e adesso era una massa contorta di carne bruciata, aveva ghignato ferocemente, nei suoi ultimi istanti di vita.
“Il Signore Oscuro risorgerà…” aveva sibilato.

HARRY!
L’aveva guardato un’ultima volta, prima di afferrare la mano dell’amico e smateriallizzarsi dal palazzo in fiamme.


****


La squadra guardava le rovine del palazzo bruciare, impotenti. Di lì a poco sarebbero arrivati i rinforzi, e sarebbe stato domato l’incendio che ne consumava le fondamenta. La povera gente di Notturn Alley era uscita in strada, spettatrice passiva di quel terrificante spettacolo.
“… È assurdo.” Aveva mormorato Stump. Sembrava la più scossa di tutti, ed aveva accettato con gratitudine la fiaschetta di whiskey irlandese, di fattura babbana, che Paulson le aveva porto: era comprensibile del resto. Quella era la sua prima missione, e aveva visto morire un uomo in modo atroce.
“Già, è proprio senza senso. Coleridge ha passato otto anni a scappare come una lepre, ed ha deciso di ammazzarsi in un modo del tutto idiota. Sarebbe potuto scappare. Avrebbe potuto farlo. Perché non l’ha fatto?” Flannery sembrava parlare per tutti. Ron si era seduto sul marciapiede, sospirando.

“Forse era stanco… una vita passata a fuggire. Che razza di vita è?”
“Ma ammazzarsi così… avrebbe potuto, chessò, buttarsi dalla finestra.”

“Voleva che tutto quello che c’era in quella stanza venisse con lui.” Harry teneva tra le braccia il bambino che piagnucolava. Sembrava illeso. Si soffermò a guardarlo meglio ora che erano al sicuro: non poteva avere che pochi giorni. Era innaturalmente piccolo, gracile, forse prematuro. Aveva la testolina coperta di una leggera lanugine nera e gli occhi aperti, di un denso color cobalto.
“Ma questo bambino…” aveva borbottato Paulson. “Da dove diavolo spunta?”

“Non ne ho idea… era in un cassetto… dentro un cassetto, a dire il vero.”
“Un bambino in un cassetto? Oh, povero piccolo…” Stump si era avvicinata, e aveva teso le mani, ma quando Harry aveva provato a passarglielo il bambino aveva protestato vivacemente con un urlo.
“Oh, ehi! Tienilo tu, amico. Di urla per stasera ne ho fatto il pieno.” Aveva borbottato Ron, grattandosi la folta capigliatura rossa. “Sarà suo figlio? Voglio dire… era figlio di quel bastardo?”
“E la madre?”
“Mah… forse un troll.”

Avevano riso. Non era una battuta particolarmente brillante per i soliti standardi di Ron, ma avevano tutti bisogno di sciogliere la tensione.
“Sarà ferito… dovremmo portarlo al San Mungo.” Aveva suggerito la parte materna di Stump. Harry aveva scosso la testa.
“Potrebbe essere una prova.”
“Harry, è un bambino!” Negli anni Ron aveva preso alcuni modo di fare della moglie, per una sorta di osmosi dei sentimenti. Quella era la tipica faccia che avrebbe fatto Hermione, indignata e densa di proteste sottointese. Per un attimo Harry pensò di farglielo notare, ma poi lasciò perdere.

“Lo so, Ron… ma Coleridge stava cercando di nasconderlo, quando siamo arrivati. Significa che era importante per lui. E che forse è il motivo per cui è tornato a Londra ed ha deciso di nascondersi qui. Diagon Alley con i suoi negozi sono dietro l’angolo. E un bambino ha bisogno di latte, ricambi, cure.”
“Però almeno controlliamo, se non ha qualche ferita…è stato tenuto in un cassetto, e chissà per quanto tempo!” aveva protestato con un’insolita decisione Art.

Harry aveva sospirato, ma capiva benissimo la reazione della ragazza. Aveva liberato il bambino dalla coperta, rivelando il corpicino magro e…
“Ma…”
“Non ha l’ombelico!” aveva sbottato Flannery incredulo.

In effetti, il pancino del bambino non presentava alcun segno, era liscio e…
“Miseriaccia.” Aveva borbottato Ron arruffandosi i capelli. “Beh, e adesso cosa…?”
… Facciamo?
Dovevano decidere, ed in fretta. Tra poco sarebbero arrivate altre squadre sul posto e ci sarebbero state richieste di spiegazioni, avrebbero dovuto stilare un rapporto, e visto la natura del ritrovamento del neonato probabilmente sarebbe stato esaminato: se non altro perché aveva una caratteristica ben più evidente di… una cicatrice, ad esempio, a forma di saetta.
Verrà portato via.
Del resto era questa la procedura.
Harry aveva guardato negli occhi i compagni. Aveva legato con quella squadra, con ciascuno di loro, in quegli anni di duro lavoro. Era entrato a diciassette anni, poco dopo la guerra, e non aveva mai smesso di lavorare. Più che un lavoro, quello per lui era una vocazione.
Essere un auror non era più facile che essere un poliziotto nel mondo babbano. La vita dura e i sacrifici erano molti. Le soddisfazioni, poche. E quella notte erano stati loro a scovare Coleridge. Ad assistere al suo assurdo suicidio. A trovare quel bambino.
Flannery aveva aperto bocca per dire qualcosa, ma l’aveva immediatamente richiusa: sembrava che l’imponente irlandese non sapesse bene cosa dire per la prima volta in ventun’anni di vita.
“Portiamo il marmocchio in ufficio.” Aveva borbottato Paulson, sbrigativo come sempre.
Stump si era schiarita la voce timidamente. “Sì… avrà fame.”
Harry aveva tra le braccia il bambino. Sentiva il suo corpicino, caldo, vivo, muoversi e respirare. Forse complice il fatto che di lì a pochi giorni sarebbe divenuto padre, un sentimento forte, impossibile da reprimere, gli era scoppiato nel petto.

Protezione. Quel bambino avrebbe potuto essere suo figlio, e doveva essere protetto. Dalla curiosità e da braccia estranee.
“Va bene. Andiamo.”

****

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Capitolo 3
*** Ricordi - Parte II ***


Prologo (III parte)
 
 
 
19 Dicembre 2006.
Ufficio Auror, Dipartimento Applicazione della Legge sulla Magia.


 
“Certo che mangia il piccoletto, eh?” aveva commentato bonariamente Flannery.
Si erano materializzati davanti ai bagni pubblici, dove c’era l’entrata per il ministero della magia, l’entrata per gli addetti perlomeno. Da lì era stata una corsa per non farsi scoprire dai colleghi: fortuna voleva fosse quasi ora di cena, e si trovavano in quel lasso di tempo in cui chi doveva andarsene se n’era già andato, e quelli del turno serale dovevano ancora attaccare.
Harry teneva tra le braccia il bambino, che succhiava soddisfatto il latte che Stump si era incaricata di comprare ad un supermercato babbano di fronte al Ministero. Aveva trasfigurato un calamaio in un biberon e adesso tutti assistevano rapiti, compreso Paulson, al pasto del bambino.
“E’ veramente minuscolo…” aveva borbottato Ron. “Jamie non era così piccolo quand’è nato, eh?”
“No, in effetti… credo sia denutrito, o forse addirittura prematuro.”
“Un bambino dovrebbe pesare circa tre chili.” Aveva borbottato Paulson, scolandosi l’ultimo goccio della fiaschetta.
“Questo ragnetto ne peserà al massimo due!” aveva sghignazzato Flannery, beccandosi un’occhiataccia da Ron.
“Non è un ragnetto.” Aveva replicato il rosso, irritato dall’accostamento tra la sua più grossa paura e il trovatello.
Harry aveva sospirato, posando il biberon, e mettendosi la testolina del bambino posata sulla spalla per farlo digerire.
“Lei è proprio un papà, capo.” Aveva esclamato colpito Flannery.
Aveva sorriso, inorgoglito. “Ho fatto pratica con quella carognetta di mio figlio… non sta certo buono come…”
Silenzio.
“Come… lui.” Aveva concluso, imbarazzato.
Stump si era schiarita la gola. “Ehm… ma non ha un nome… no?”
“No, ma non credo sia il caso di dargliene uno.” Li aveva anticipati. “Prima di tutto perché potrebbe già averlo, nel caso Coleridge l’abbia rapito alla sua famiglia… e comunque… non voglio che vi affezionate a lui, ragazzi. Dovremmo comunque segnalarlo al San Mungo. Se l’abbiamo portato qui è stato solo perché aveva bisogno di mangiare e stare fuori dal casino per un po’…”
I quattro compagni di squadra l’avevano fissato silenziosi.
“Harry, ma tu ci credi veramente a quel che dici?” era sbottato Ron, burbero. “Non vorrai mica affidarlo a qualche medimago del cavolo, che lo schiafferà chissà dove, da solo, in attesa che qualcuno gli faccia gli esami e lo studi perché… insomma, è senza…?”
“Ragazzi, è questa la procedura.”
Ancora silenzio.
Li aveva guardati: erano brave persone e capiva il loro punto di vista… Però…
Fare ciò che si ritiene giusto o ciò che si deve?
Questione annosa da dipendente pubblico. Magico e non.
Stump si era messa le mani sui fianchi. “Capo. Lei sta per avere un bambino, come Weasley… Lascerebbe suo figlio nelle mani di sconosciuti, affidato ad una sorte incerta? Voglio dire… sappiamo come vanno queste cose. Diamo il bambino al San Mungo, facciamo il nostro rapporto al dipartimento, e adieu, storia finita. Non potremo più vederlo. Né avere sue notizie. E… non è giusto.” Aveva concluso, con il viso acceso e la voce che tremava.
Harry le aveva sorriso.
Se ci fossero state auror come Stump quando mi hanno portato via da casa dei miei genitori chissà se le cose sarebbero state diverse.
Probabilmente no: Silente avrebbe comunque preso in mano la situazione ed avrebbe deciso di spedirlo lo stesso dai Dursley.
“Hai ragione Art. Ma tranne nasconderlo da qualche parte non mi vengono in mente altre soluzioni… e sai, sarebbe, come dire… illegale. E considerando che noi siamo tutori della legge magica…”
La ragazza si era morsa le labbra, annuendo. “Sì… ma ci deve essere pure un modo per aggirare la procedura!”
Flannery l’aveva guardato, leggermente titubante. “Capo… lei conosce un sacco di gente ai piani alti, voglio dire… lei è Harry Potter…” Occhiata alla sua cicatrice. “Non potrebbe…?”
Ron aveva schioccato le dita. “Cavolo Harry, Flannery ha ragione! Possiamo scavalcare il diparimento e chiedere direttamente… direttamente… a Kingsley!”
“Kinglsley Shacklebolt?” aveva esalato Stump. “Il primo ministro?”
Harry aveva accennato un assenso, pensieroso. Certo, non era corretto, ed era abusare chiaramente della sua posizione… ma Royal¹ non avrebbe rifiutato un incontro con lui.
Paulson li aveva guardati. “Il primo ministro? Per chiedergli cosa? Se possiamo inscenare tre scapoli e un bebè?” aveva borbottato.
Tutti l’avevano guardato perplessi, meno Harry che aveva represso una risatina.
“E’ un vecchio film babbano… mia madre ne andava pazza.” Aveva confessato infastidito. “Comunque, non possiamo certo occuparcene noi.”
“No, questo è vero…” aveva confermato Harry. “Ma potremo evitare al bambino esami e trafile burocratiche che lo confonderebbero e lo spaventerebbero. Potremmo anche… controllare, a chi verrà affidato.”
Ron aveva sorriso: ora sì che riconosceva il suo vecchio amico! Mai tirarsi indietro, quando c’era da aiutare qualcuno, specie un innocente. Hermione a volte ventilava l’ipotesi che quello non fosse altruismo, quanto piuttosto un certo egocentrismo, ma in fondo, accidenti, era il Prescelto!
“Io sono d’accordo!” aveva esclamato infatti, dandogli una pacca sulla spalla. Il bambino, disturbato dal movimento, si era messo a piagnucolare. L’uomo allora l’aveva cullato gentilmente, facendolo smettere quasi subito.
“E’ un marmocchio in gamba… non piange granchè, dico, per aver passato quell’inferno…” aveva proferito Paulson, con un inattesa benevolenza. “Voglio dire, quel figlio di cagna di un mangiamorte non doveva essere il paparino dell’anno.”
“Già…” Harry gli aveva accarezzato la testolina. “Comunque per stasera è meglio mettersi d’accordo così. Il bambino lo porterò con me alla Tana, e domattina chiederò un colloquio con il primo ministro, al Paiolo Magico.”
“Come mai proprio lì? È una locanda…” Art sembrava perplessa.
“Perché se gli chiedessi un colloquio ufficiale sarebbe difficile spiegare ai suoi segretari il motivo della visita. È una nostra vecchia abitudine, Art, in voga durante il ritorno di Voldemort…” le aveva spiegato con un sorrisetto ironico. Ricordava ancora i suoi incontri con l’allora ministro Caramel. Decisamente spiacevoli.
La ragazza aveva annuito. “Allora io resto a compilare il rapporto. Liam, rimani con me?”
“Sicuro dolcezza.”
“Vi terrò informati ragazzi. In gamba, e buonanotte.”
 
****
 
Harry e Ron sapevano che sarebbero stati accolti da ben due esemplari di moglie inferocite. E perlopiù, incinta. Si erano guardati con muto e fraterno sostegno, prima di varcare la porta di casa.
“Vi sembra questa l’ora di tornare?” Aveva iniziato Ginny, con le mani sui fianchi, in una perfetta imitazione di Molly Weasley. Semplicemente terrificante. Aveva visto il migliore amico farsi piccolo piccolo davanti a lui.
“Sono le nove passate, sbaglio o il vostro turno finisce vediamo… tre ore fa?! E neanche un gufo, né un messaggio con la metropolvere!”
“Volete mandarci una strillettera?” aveva proposto Ron, frapponendosi con la sua mole tra le donne e il bambino. Una cosa per volta. Prima calmarle, poi mostrarle il risultato dell’impresa pomeridiana.
Hermione aveva alzato gli occhi al cielo. “Santo cielo, Ronald! A volte sei così … così…”
“Adorabilmente canaglia?” aveva proposto.
“Stavo per dire idiota, veramente.”
“Ah…” Silenzio “Ehi!”
Harry aveva spostato l’amico, mostrandosi alle due donne.
“E tu…” Ginny era rimasta con il dito a mezz’aria. “Aspetta, ma… Quello è… è… un?”
“Neonato. Bambino. Infante.” Aveva snocciolato Ron con aria petulante. “Sì, sorellina. Ed anche il motivo del nostro ritardo.”
“Che ci fate con un bambino?” aveva mormorato perplessa Hermione.
“Avranno finalmente deciso di adottare. Me lo aspettavo, a dire la verità, da molti anni…” Ginny si era fatta ironica: una volta passato lo sgomento era la regina delle riprese mentali.
“Oh, dai Gin!” aveva borbottato il rosso, senza capire il sottointeso, come invece aveva fatto Harry, impallidendo leggermente all’immagine mentale propinatagli.
Hermione aveva incrociato le braccia al petto, per nulla divertita dalla situazione.
“Ronald Weasley. Cosa ci fate tu e…”
“Harry Potter…” le aveva suggerito con un sorrisetto l’amico, immediatamente fulminato.
“… e Harry…” Aveva ripreso con un’occhiata ammonitrice. “… con un bambino in braccio? Di chi è, prima di tutto?”
“L’abbiamo… ecco, trovato.” Ron si era schiarito la voce. “Potremmo entrare in casa? Fuori è un tempo da troll, si gela!”
Le due donne si erano guardate, poi Hermione aveva fatto un’imperioso cenno affermativo.
La porta era stata chiusa e i due mariti fatti accomodare in salotto. Harry continuava a tenere tra le braccia il bambino, che coperto dal mantello dell’uomo, dormiva placidamente.
“Questo bambino.” Affermazione da parte di Hermione.
“Eravamo in missione… stavamo tentando di catturare un ex-mangiamorte, un tipo latitante da anni. L’abbiamo preso, ma quello si è ammazzato prima che potessi capire che diavolo ci faceva con lui…” Ron aveva indicato il piccolo. “… Ecco tutto. Non è che l’abbiamo rapito o cosa, cacchio, Herm!”
La giovane l’aveva guardato severamente, ma dopo pochi attimi le si era addolcito lo sguardo. L’aria arruffata e confusa di Ron aveva il potere di irritarla e intenerirla in misure uguali.
“Così l’avete salvato da quel tipo…” ci aveva riflettuto un po’, poi aveva snocciolato a raffica, con naturalezza. “Ma, correggetemi se sbaglio, la procedura impone, in caso di coinvolgimento di minore, di portarlo al San Mungo per essere identificato e riportato alla famiglia, o in caso non ne avesse una, dato in affidamento.”
Ineffabile Hermione: impossibile fregarla.
Harry si era umettato le labbra: c’erano dei momenti in cui una burrobirra gli sembrava quasi d’obbligo. Ma aveva le mani ingombrate da quel frugoletto e non poteva certo chiedere alla moglie di andargliene a prendere una in dispensa.
Probabilmente gli avrebbe staccato la testa.
“Già… ma…” Ron aveva guardato disperato l’amico, in cerca d’aiuto.
Harry aveva tirato fuori il sorriso più innocente e spensierato del suo repertorio, a dire il vero non granchè ampio.
“Così abbiamo deciso di portarlo con noi. Non ci fidavamo a lasciarlo da solo…”
Da solo? Non dovevate fargli prendere un treno, dannazione, Harry!” era sbottata Hermione, mentre Ginny lo guardava incredula. “Avete volontariamente occultato un minorenne, anzi, un neonato, ignorando la procedura! Siete impazziti per caso?”
Ron era arrossito, torcendosi le mani. “Non potevamo lasciarlo da solo! È così piccolo dannazione, e guardatelo! Sembra… sembra…”
“Un ragnetto.” Aveva suggerito Harry.
“Un ragnetto no!” replica furibonda. “Sembrava mezzo morto, ecco… e sbatterlo subito in mezzo ad una corsia, con gente che urla, ferite ovunque, e con un personale che se ne frega di un bambino perché ha troppo lavoro, ecco…” Si era fermato, sprofondando in un cipiglio cupo, prima di concludere. “Non ci sembrava giusto.”
Le due donne si erano guardate brevemente, poi Hermione aveva messo una mano su quella del marito, parlandogli con dolcezza.
“Ron, capisco cosa provi… tra pochi mesi avremo una bambina… è chiaro che avete pensato entrambi a questo, quando avete deciso di mettervi nei guai, come vostro solito.” Frecciatina obbligata. “Ma non è così che si fa… al San Mungo c’è un ottimo personale medico, attento e scrupoloso. Non verrebbe abbandonato a se stesso, ma nutrito e curato.”
Harry aveva esitato, poi aveva liberato il bambino dal mantello, mostrandolo alla moglie e alla migliore amica.
“Io non credo che sarebbe stato così semplice se avessero visto questo…”
Hermione era scattata in piedi, mentre Gin era impallidita, sconcertata.
“Dov’è…” Hermione l’aveva persino cercato con lo sguardo, scettica fino all’ultimo.
“Dov’è il suo ombelico?” Ginny aveva visto molte cose strane e fantastiche nei suoi ventiquattro anni di vita… ma da lì a vedere un bambino senza ombelico
Beh, quello andava oltre l’abitudine alla magia, decisamente.
“Di sicuro non l’ha perso…” aveva ironizzato Ron, alzandosi per andare a prendere una bottiglia di whiskey incendiario. Se ne era versato una dose, ed aveva fatto lo stesso per gli altri tre.
Hermione aveva ignorato il drink, chinandosi sul bambino.
“E’ incredibile… Senza ombelico non può esserci cordone ombelicale e…” aveva guardato i tre.
Ginny aveva bevuto un sorso dal bicchiere, inspirando. “E’ nato da una donna?”
Era quella una domanda che anche loro si erano fatti: ma presi da problemi più immediati non se l’erano subito posta. Ora però balzava all’occhio.
Harry aveva sospirato. “Coleridge, il nostro uomo, stava cercando di fuggire con lui, ma non ce l’ha fatta… quindi ha tentato di bruciare tutto. Stavo per uscire quando l’ho sentito piangere, e l’ho portato via… era avvolto in una coperta sudicia, da due soldi, senza monogrammi o neanche un’etichetta. Sembrava quasi strappata da una coperta più grande…”
“Era suo figlio allora?”
Ron aveva fatto una smorfia. “Non credo Herm… insomma, quale padre tratterebbe così il proprio figlio?”
Harry aveva coperto di nuovo il bambino. “Non ci risulta che Coleridge fosse sposato o avesse figli… né tantomeno una compagna. Era una specie di solipsista patologico. Anche durante Voldemort lavorava da solo.”
“Allora l’ha rapito.” Aveva concluso Ginny. “Non credo che nessuno affiderebbe spontaneamente il proprio figlio ad una specie di psicopatico in fuga.”
“Perché no?” Harry aveva scosso la testa. “Pensaci Gin… magari era solo un corriere. Lo stava portando da un posto all’altro. Coleridge sapeva fabbricare una pozione polisucco potenziata, capace di fargli mantenere una falsa identità per giorni interi. Cambiare aspetto è un’assicurazione niente male sull’imprendibilità di un corriere con una consegna così delicata. Supponiamo quindi lo dovesse consegnare a qualcuno. Questo spiegherebbe perché era tornato a Londra…” si era rivolto a Ron, che aveva annuito. “… ma poi siamo arrivati noi. Forse aveva l’ordine di ucciderlo, nel caso qualcosa fosse andato storto.”
“Ma non ha senso! Se qualcuno voleva che quel tipo glielo consegnasse, perché farglielo uccidere?”
“Perché…” aveva esitato, poi aveva scosso la testa. “Non lo so amico mio, non ne ho idea. Non abbiamo prove, uno straccio di indizio. Solo supposizioni e…”
“… e un bambino trafugato.” Aveva rimbeccato Hermione, ma meno veemente. “Adesso cosa pensate di fare, eroi?”
Harry si era passato una mano trai capelli, guardandosi con Ron. “Pensavamo di tenerlo qui, per stasera, se Molly era d’accordo… e poi domattina volevo chiedere un colloquio con Kingsley.”
Hermione aveva alzato gli occhi al cielo. “Harry, Kingsley non è più la nostra balia, è il primo ministro!”
“La balia di tutto il mondo magico.” Aveva rimbeccato il marito.
“Comunque sia stai approfittando della tua posizione, Harry. Dovresti seguire la procedura, come tutte le altre volte…”
Harry aveva serrato le labbra. “Questa non è tutte le altre volte. Si tratta di un bambino, Herm, solo e abbandonato da tutti, senza identità. E vista la sua particolarità credo sia il caso di sottoporrre la questione direttamente a Kingsley. È più sicuro.”
“Per il bambino o per voi?”
Ron l’aveva guardato allarmato. Se Hermione si impuntava erano guai per tutti. Per lui soprattutto, ma anche per gli altri per proprietà transitiva. E Ginny non sembrava essere disposta ad essere loro d’aiuto, anzi, sembrava dare totalmente ragione alla cognata.
“Herm. So che abbiamo sbagliato.” Aveva iniziato Harry, seriamente. Ispirato. “Hai ragione, abbiamo infranto le regole. Ma è stato per una buona causa. Quando eravamo ad Hogwarts eri con noi, siete sempre state entrambe con noi…” aveva guardato la moglie e la vecchia amica. “Vi chiediamo di darci fiducia… Per favore.”
Le due donne si erano lanciate un’occhiata, poi Ginny aveva sbuffato esasperata.
“E va bene. Tanto mamma sarà felicissima di avere un altro Jamie di cui occuparsi e da vezzeggiare stasera. Ma domani mattina dovrai andare a parlare con Kingsley. Ora venite a cena, prima che si freddi del tutto…”
Ron aveva strizzato l’occhio all’amico, quando le due donne avevano lasciato il salotto.
“Sei stato gran-…”
“Ehi.” Hermione si era affacciata di nuovo. “Non pensererte di cavarvela così a buon mercato, vero? Ne riparleremo chiusa questa faccenda.”
La porta si era richiusa. Harry aveva dato una pacchetta alla schiena del bambino, che aveva emesso un gorgoglio soddisfatto.
“… dicevi Ron?”
“No… niente.”
 
****
 
Erano seduti in una stanza del Paiolo Magico, spoglia, ma pulita e ben areata. Tra di loro avevano un tavolino sbeccato su cui erano stati messi una pila di sandwich e una caraffa di succo di zucca. Harry James Potter e Kingsley Shacklebolt, l’Uomo del Cambiamento. Colui che aveva cacciato i Dissennatori da Azkaban e promulgato con l’aiuto di validi collaboratori leggi contro la discriminazione tra razze magiche.
E che al momento sembrava piuttosto perplesso.
“Vi rendete conto di quello che avete fatto?” aveva chiesto, pacatamente. La sua voce era come una mano su un tessuto di seta. Densa, rassicurante, profonda.
Non era un mistero che fosse acclamato come il mago più attraente dal Settimanale delle Streghe.
Harry non si era scomposto. “Sì, ne siamo perfettamente consapevoli. Per questo ho deciso di chiederti un parere su come procedere.”
“Harry, cosa vuoi che ti dica?” aveva sospirato l’uomo. “Avete infranto le regole, e le regole vanno rispettate. Anche dal Salvatore del Mondo Magico.”
“Tuttavia esistono casi particolari, e tu lo sai meglio di me, primo ministro.” Aveva sorriso Harry, dandogli del tu. Poteva permetterselo, e lo sapeva bene, e lo rimarcava con un certo compiacimento, perché no?
L’uomo aveva ricambiato leggermente il sorriso, facendo un gesto evasivo.
“Non siamo più in guerra, giovane Potter.”
“Ti ho spiegato la particolarità del bambino…”
“Sì, e l’ho perfettamente compresa.” Aveva annuito, pensieroso. “Sono d’accordo sul fatto che non sia un caso da trattare come tanti altri.”
“Allora…”
“Allora cosa vuoi da me, Harry?” si era rigirato il bicchiere di succo di zucca tra le mani, prima di berne un sorso. Mai bere in servizio: era un vecchio adagio che aveva imparato negli auror.
“Voglio sapere cosa succederà a quel bambino…”
“O piuttosto vuoi suggerirmelo tu?”
“Non ho questa presunzione.” Aveva immediatamente replicato, serio. “Voglio solo che sia seguito come si deve.”
“Ti sei affezionato a lui, dunque…”
“Se l’avessi visto capiresti perché.”
L’uomo aveva sorriso. “Sì, penso di sì.”
Rivedi in lui te stesso, non è vero, Harry Potter?
Harry era arrossito, indovinando il suo pensiero, ma non aveva obbiettato alla silenziosa domanda. “Cosa gli verrà fatto?”
Kingsley aveva riflettuto. “Non sono a conoscenza di tutte le tappe della procedura, ma immagino che verrà prima di tutto esaminato al San Mungo, per controllare che non abbia tracce di magia oscura in sé… capisci bene che l’assenza di ombelico da da pensare sulla natura della sua nascita.”
Harry aveva annuito.
“Poi saranno fatte delle ricerche, per rintracciare eventuali genitori, parenti o tutori. Se non vi saranno risultati, allora verrà affidato ad un istituto predisposto…”
“Orfanotrofio…” Harry si era irrigidito. Una sensazione spiacevole gli aveva gelato la nuca.
“Sì, i babbani credo lo chiamino così.”
“No, Kingsley… non mi sembra la soluzione adatta.”
L’uomo aveva inarcato le sopracciglia. “E’ la…”
“Procedura, lo so.” L’aveva interrotto, alzandosi in piedi, nervosamente. “Ma non deve finire in uno di quei posti. Lo so, io non posso parlare, mi dirai che non conosco certe realtà, ma … credimi, so che non deve finire lì.” Si era passato una mano trai capelli, guardandolo in tralice. “Non prendermi per pazzo, ma è una sensazione. Una sensazione che non posso ignorare.”
Il primo ministro si era seduto meglio sulla poltrona lisa, ma comoda, accanto al fuoco.
“Harry, io mi sono sempre fidato delle tue sensazioni, come molti hanno fatto prima di me… ma qui non si tratta di…”
“Coleridge. Coleridge ha detto che Voldemort sarebbe risorto. Erano sicuramente i vaneggiamenti di un pazzo, certo. Abbiamo distrutto gli horcrux, tutti, e abbiamo seppellito il suo corpo con tutte le precauzioni del caso. Lo so. Eppure…”
“Pensi che quel bambino possa essere in qualche modo legato a… Lui?” l’aveva guardato attento. Kingsley non era un uomo stupido, e, dote non comune tra le alte cariche dello stato, sapeva ascoltare.
Harry aveva scosso la testa, appoggiandosi al ripiano del caminetto, guardando il fuoco.
“Non lo so… non so nulla, perché le prove… la verità è morta con Coleridge. Quell’uomo si era bruciato tutti i ponti. Non aveva più nessuno, non un contatto, niente. Solo quel bambino.”
“Allora cosa proponi di fare?” Kingsley aveva intrecciato le mani sotto il mento, osservandolo. “Seguiamo la procedura. Facciamo esaminare, vediamo se è stato contaminato dalla magia oscura. Cerchiamo i suoi genitori. Ma se fosse pulito… e orfano… voglio…” aveva esitato, poi si era corretto. “Vorrei poter essere io a scegliere la famiglia a cui verrà affidato.”
C’era stato un breve silenzio, interrotto solo dallo scoppiare di un ciocco al calore del fuoco.
“Hai già qualcuno in mente?”
Harry aveva annuito. “Sì.”
“E chi, se posso saperlo?”
“Dudley Dursley, mio cugino.”


****


 Note:
1 – Royal è lo pseudonimo usato a Radio Potter (in inglese: Potterwatch) sotto cui si nascondeva Kingsley durante la repressione di Voldemort. Un nome di battaglia, se volete. :P




Voglio ringraziare tutti quelli che mi hanno messo trai loro preferiti o 'seguiti' (categoria di cui ho appreso l'esistenza solo adesso O_o). Ragazzi, ho visto che ci sono un sacco di letture, ma solo un commento. Dai, basta un piccolo sforzo per farmi sapere se sto andando bene! E' la mia prima fic su HP ed ho bisogno di sapere se non scrivo una sequela di cavolate!
Per Marty McGonnagal: Grazie mille per il commento! Mi fa davvero piacere che la storia ti abbia incuriosito! E' un terreno nuovo per me. Fino a questo momento non avevo mai scritto fiction, solo originali. ^^ Quindi mi fa piacere sapere di poter interessare ed essere in grado di delineare come si deve i Pg. Ho una paura fottuta di andare in OOC. Continua a seguirmi!
 

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Capitolo 4
*** Ricordi - Parte III ***


Prologo (IV Parte)


30 Agosto 2017

Privet Drive, Little Whinging.
 


Thomas lo guardò il silenzio, mentre il sole andava a morire dietro i tetti di ardesia di Privet Drive.
“Così, questa è tutta la storia.”

O quasi tutta…
Il ragazzino scese dall’altalena. Aveva esitato, decidendo poi di rimanere in piedi davanti a lui. “Non avevo tracce di magia oscura, vero?”
“No Tom, eri completamente pulito. Sei stato esaminato proprio bene. Ero lì quando è accaduto, e conoscevo il medimago che l’ha fatto.”
“Papà è stato contento, quando mi hai portato da lui? Sii sincero.” soggiunse cupo.
“… All’inizio no. Si era sposato da poco con tua madre, e non avevano in programma di avere figli. Non subito almeno. Però poi ha accettato. E adesso è molto contento di averlo fatto.”
“Non è vero.”
Harry cercò il suo sguardo “Sì che lo è, posso assicurartelo…” ma l’undicenne evitò il contatto visivo. “Tom… Mi ha chiamato per venirti a parlare, e per dirti che ti vuole bene, anche se non sei nato da lui e Robin.”
“Stando a quello che dici non sono nato da nessuno.” replicò monocorde, allontanandosi verso la piscinetta gonfiabile che conteneva poche dita d’acqua tiepida.

Harry lo seguì, affiancandoglisi. Capiva lo sgomento del figlioccio e avrebbe voluto poter fare qualcosa per porvi riparo. Thomas voleva delle risposte…
Ma lui non ne aveva.
“Non sappiamo come sei nato, Tom, è vero. Ma ci sei, esisti. Non è questa la cosa davvero importante?”
Tom rimase in silenzio: non era genericamente di molte parole. Diversamente dai fratellastri o dai cugini non era chiassoso come i bambini di quell’età. Preferiva la lettura ai giochi all’aperto – e questo spiegava il pallore quasi innaturale della sua pelle – il silenzio alla confusione. Era chiuso, anche se non ostile o sgarbato. Se avesse dovuto usare una parola per descrivere il figlioccio avrebbe detto che era … cauto.

Era un osservatore Thomas. Aggettivo che non si addiceva molto alla sua età, forse.
“Tom, ti va un giro in moto?” gli propose con un sorriso. Il bambino non aveva alzato lo sguardo, ma Harry aveva comunque percepito il cambio di atmosfera attorno a loro.
“Io e te?”
“Vedi altri qui?”
Silenzio.

“Sì o no?”
“… Sì.”
“Bene, vado a dirlo a tuo padre. Magari potresti cenare da noi, se ti va.”
“Noi chi?”
“Me, Gin, Al, Jamie e Lily. Noi.”
Ancora silenzio.
“Sì o no?”
“… va bene. Posso rimanere da voi?”
“A dormire? Certo, non ci sono problemi.” Non succedeva spesso. Thomas amava la solitudine e quando rimaneva da loro era costretto a dividere la stanza con Albus.
“No, non a dormire.” Lo sorprese. “Fino all’inizio della scuola, intendevo.” Finalmente lo guardò. Aveva due occhi dolorosamente blu. Non azzurri, blu. Con il cattivo tempo o con una particolare angolazione della luce potevano sembrare neri. Mai particolarmente espressivi, stavolta erano estremamente attenti alla risposta che gli avrebbe dato.

Harry Potter capì che da quella risposta sarebbe dipeso il suo futuro rapporto con il figlioccio.
E vigliaccamente scelse di cedere. 
“Certo che puoi… parlerò con i tuoi genitori, e se saranno d’accordo farò recapitare il tuo baule a casa.” Gli posò una mano sulla testa, e Tom accettò il gesto senza scacciarlo: era il suo modo di sorridere. “Sei contento?”
“Mi sta bene.” rispose, svicolandosi dalla sua mano prima di correre dentro.
Harry l’aveva seguito lentamente. Si scontrò quasi con Dudley all’entrata.
“Allora?”
“Si è un po’ calmato… abbiamo parlato.”
“Altroché! È quasi ora di cena, lo sai?” borbottò. Harry si sentì orribilmente in colpa: per avere il perdono di Thomas indirettamente l’aveva messo in cattiva luce. O comunque, non aveva sufficientemente perorato la sua causa.

“Veramente gli ho promesso un giro sulla moto, e poi…” sospirò “Mi ha chiesto di venire a stare da noi fino a…” esitò, senza riuscire a finire la frase. “Penso che sia la cosa migliore. È molto scosso.”
Dudley fece una smorfia. “Così lo porti nel tuo mondo magico, eh Harry?”
“Dudley, non è questo il punto… e poi si tratta solo di due giorni.”
“No, no. Capisco. L’hai parcheggiato qui finché non ti ha fatto comodo, e adesso te lo riprendi. Funzionano così le cose con te.” Era sarcastico.
Harry serrò le labbra. “Non cerco di sostituirmi a te, Dudley. Sei suo padre, lo so.”
“Non volevo essere suo padre, ma mi hai costretto a diventarlo. E adesso lo porti via. Come pensi che possa reagire? Stringendoti la mano cugino?” sibilò. “Il ragazzo ha il mio cognome, ma so che non sarà mai mio figlio. L’ho sempre saputo. Appartiene al vostro mondo.” sputò sprezzante “Ma va bene, forse è meglio che stia da te… Thomas!” chiamò imperioso. Il ragazzino uscì dalla cucina, guardando di sottecchi. Sembrava incuriosito.
“Sì, signore?”
“Va in camera e prepara le tue cose, starai da tuo zio Harry fino all’inizio della scuola.” Mentre stava per salire le scale lo richiamò. “Cerca di non combinare guai, intesi?”
“Sissignore.”
“E saluta i tuoi fratelli e tua madre, prima di andartene.”
“Sissignore.”
“Adesso va’, svelto.”
Thomas scomparve al piano superiore. Dudley lanciò un’occhiata ad Harry.
“Tu lo porterai ogni tanto a fare corse su quell’affare ma io l’ho cresciuto…” guardò verso le scale con un’espressione strana. Sarebbe stato affetto, se non vi avesse letto anche preoccupazione. E timore. “Tienilo d’occhio.”

Poi rientrò in salotto, da dove proveniva il vociare della tv, senza degnarlo di un’altra parola.
Harry lo lasciò andare via, senza trattenerlo, in preda a sentimenti contrastanti: vergogna, per averlo usato. Gli aveva chiesto di crescere un giovane e futuro mago, di tenerlo al sicuro e nasconderlo, per poi portarglielo via, fregiandosi di un titolo che non meritava, neppure per parentela. Non era davvero lo zio di Thomas, mentre Dudley poteva essere considerato suo padre: gli aveva dato un cognome, una casa, persino affetto. Non era come suo padre Vernon.
Però…
A ben pensarci provava anche sollievo. Finalmente aveva una scusa per riprendersi Tom. Dudley rivelandogli incautamente la verità aveva reso la situazione instabile, e messo la serenità del bambino a rischio.
Ed ecco arrivare Harry Potter, il Salvatore…
Non era fiero di se stesso, no.
Thomas era tornato giù con un semplice zainetto “Il baule l’ho lasciato in camera.” Gli disse con tono tranquillo. Quasi allegro.
“Me ne occuperò io dopo. Hai fatto bene. In moto bisogna viaggiare leggeri…” Gli diede una pacca sulla spalla magra. “Va’ a salutare tua madre e i tuoi fratelli. Io ti aspetto fuori.”
“Sì zio Harry.” Gli sorrise, inaspettatamente, prima di entrare in cucina.
Harry si sentì scaldare il cuore: sì, forse stava sbagliando. Ma per una buona causa. Per Thomas.

Questo forse non giustificava tutto?



1 Settembre 2017
Londra, Stazione di King Cross, Binario 9 e ¾.




“E se finissi a Serpeverde? Pensaci, se ci finissi?”
Albus Severus Potter, meglio conosciuto con un semplice ‘Al’, guardava ad occhi sgranati il fratello maggiore, che arruffato e trionfante si ergeva sul carrello dei bagagli.

… Sfottendolo allegramente come suo solito.
“Non ci finirò! Tu non ci sei finito, Jamie, perché dovrei finirci io?”
“Beh, si sa che il Cappello Parlante è mezzo matto! Magari vede i tuoi occhioni verdi e zack! SERPEVERDE!” gridò alzando le braccia significativamente.
Al impallidì, serrando i pugni contro il maglione sformato e caldo che la nonna gli aveva regalato a Natale dell’anno prima. Una bella ‘A’ fiammante campeggiava su un arancione improbabile.
“Non finirò a Serpeverde!” strillò a pieni polmoni facendo voltare entrambi i genitori.
“Jamie! Smettila di spaventare tuo fratello!” esclamò seccata Ginny, il cui problema principale era cercare di tener buona la figlia, che scalpitava recalcitrante.
“Mammina, voglio andare anche io con Jam e Al!” guardò in direzione di una colonna di mattoni “… E Tommy!”
“Thomas…” mormorò stancamente il ragazzino: erano anni che cercava di infilare in quella testolina rossa che non gradiva i nomignoli.

“Tommy!”
Tom sospirò, fissando il grosso treno nero, lucido e sbuffante. Sembrava estremamente annoiato da tutta quella faccenda. Tutta quella confusione
Harry gli sorrise divertito: in fondo allo sguardo riusciva a leggergli la stessa eccitazione di Al.

Solo, ecco… un po’ più nascosta.
Al gonfiò le guance, strattonando la giacca del padre. “Non finirò a Serpeverde, vero papà?”
“Non capisco cosa ci sia di sbagliato a Serpeverde.” replicò Tom, fissandolo. 

“Beh, Jamie dice…”
James, sentendosi chiamato in causa, scese con un balzo dal carrello. “A Serpeverde ci vanno quelli come… come i Malfoy!”
“Chi sono i Malfoy?” inquisì Thomas. James scrollò le spalle, noncurante: non gli piaceva granché quel damerino del cugino Tom. Prima di tutto non voleva mai giocare ad un accidenti, che fosse Quidditch o tuffarsi nel lago. Al massimo a scacchi magici, ma a lui annoiavano. Infatti il povero Ted si prestava volentieri al supplizio di quel moccioso, che ci impiegava secoli per fare una mossa.
E poi… ecco. A dire il vero non sapeva chi fossero i Malfoy. Sapeva solo che a suo zio Ron non piacevano affatto. Il che, dal suo punto di vista, bastava ed avanzava.
“Sì, chi sono i Malfoy, Jam?” rincarò la dose Al, incuriosito.

“I Malfoy… i Malfoy…” esitò, nel pallone. 
“Sono una casata di maghi, Al, molto antica. Sono stato compagno di scuola dell’attuale capofamiglia, Draco.” gli aveva spiegato gentilmente il padre, indorando decisamente la pillola: ma non voleva che i figli crescessero con dei pregiudizi.
I pregiudizi possono uccidere, io lo so bene…
“Dovrebbe avere un figlio della vostra età…”   
Neanche a farlo apposta, proprio in quel momento, Harry scorse in mezzo alla calca l’antico rivale – che sembrava aver ceduto ad una lieve stempiatura – e il figlio, sua fotocopia vivente. Gli rivolse un cenno, ricambiato dopo una lieve esitazione.

… e lo sa anche Draco Malfoy.
“Com’è che si chiama pa’?” chiese malandrino James. “Dico, il figlio di Malfoy.”
“Scorpius, credo… ma niente scherzi, intesi peste?”
Dal sorriso innocente che il dodicenne gli rivolse seppe che non sarebbe stato minimamente ascoltato.
Ron gli si era affiancato, battendogli una mano sulla spalla. “Ehy, padre dell’anno! Ci siamo anche noi.” Indicò con un cenno della testa la moglie e la figlia maggiore.
Albus sorrise immensamente sollevato alla vista della cugina. “Rose!”
La ragazzina gli sorrise di rimando, contenta. “Ciao Al! Non vedo l’ora di salire sul treno, e tu? Spero proprio di essere smistata a Grifon…”
“Non dirlo!” uggiolò il ragazzino. “Jamie dice che il cappello parlante è tutto matto, e smista a caso!”
Rose sbuffò, lanciando un’occhiataccia al maggiore degli eredi Potter.

“Che sciocchezza… il Cappello Parlante è assolutamente affidabile, me l’ha detto mia madre. Ti smisterà nella Casa giusta Al, sta’ tranquillo.”
“… Sei sicura?” pigolò, mentre gli occhioni verdi sembravano farsi più grandi. La ragazzina ignorò l’impulso di abbracciarlo forte: era pur sempre un maschio, come gli aveva spiegato bonariamente suo padre, e non avrebbe potuto non gradire i gesti di affetto.

Sempre meglio di Jamie, che intende come ‘gesti d’affetto’ buttarmi delle caccabombe nei capelli…
“Certo! E poi ormai le Case non sono più così separate… mamma dice che un sacco di Serpeverde adesso potrebbero essere ottimi Grifondoro e viceversa. Insomma, la casa in cui sei non dice nulla del tuo carattere o di quello dei tuoi compagni!”
“A dire la verità il sorteggio è dovuto al carattere…” intervenne Tom atono. “I Serpeverde, secondo la tradizione, sono quelli astuti e ambiziosi” concluse.
Rose fece una lieve smorfia: non gradiva essere interrotta durante la spiegazione. Specie dal cugino mezzo matto dei fratelli Potter.
Su una cosa Jamie ha ragione… è antipaticissimo!

“E dove l’avresti letto?”
“In un libro naturalmente. ‘Storia di Hogwarts’.” fece un pallido sorriso. “Tu l’hai letto?”
Rose arrossì di dispetto: ovvio che non l’avesse ancora letto tutto!
A dire il vero ne ho letto solo un pezzettino… poi sono iniziati i cartoni in tv…

“Non ancora…” sibilò di pessimo umore. Al aveva guardato dall’uno all’altra, confuso.
“Sì… Ma allora io che c’entro con i Serpeverde? Niente, no?” esclamò speranzoso. “Non sono di certo astuto o … ambizioso, ecco!”

Tom scrollò le spalle staccandosi dalla parete. “Le scelte del Cappello non sono così definite… dipendono da un sacco di fattori.”
Al lo guardò con l’aria di chi gli stava per crollare il mondo addosso. Rose allora, in quanto cugina buona, gli passò un braccio attorno alle spalle gracili.

“Non dargli retta, Al! Non finirai a Serpeverde, ma a Grifondoro!”
Tom serrò appena le labbra, poi si infilò le mani in tasca.
“Io andrò a Serpeverde.” decretò, prima di riprendere a guardare la folla.

“Che scemo…” sussurrò Rose. “Proprio è insopportabile.”
Al inspirò appena: invece a lui Tommy piaceva. Era il cugino più forte che avesse, o quasi. Certo, Ted era un mutaforma, però non era veramente suo cugino, purtroppo. E Rose era davvero in gamba e simpatica… ma Tom era… beh, Tom era diverso. E poi sapeva sempre rispondere a tutto, ed era difficile che gli adulti riuscissero a prenderlo in castagna.
Era intelligente, e Al lo ammirava sinceramente. Non era un tipo simpatico, vero.
Però era forte.
… e voleva andare a Serpeverde.
Sì, forse è un po’ matto, come dice Jam.

Albus al momento dei saluti si era avvicinato al padre.
“Papà… e se finissi davvero a Serpeverde?” mormorò, così piano che l’uomo quasi non lo sentì. Ma capì. Si inginocchiò di fronte a lui, con un sorriso complice.
“Albus Severus. Tu porti il nome di due presidi di Hogwarts. Uno di loro era un Serpeverde e probabilmente l’uomo più coraggioso che io abbia mai conosciuto…¹”
Al si era morso l’interno della guancia. “Quindi… Anche i Serpeverde possono essere okay?”
“Molto più che okay. E poi sai… il Cappello non impone le sue scelte. Non ti obbliga a dargli retta, se non vuoi. Pensa che voleva mandarmi a Serpeverde.”
Sgranò gli occhi. “Tu papà?”
Harry ridacchiò. “Proprio io. Ma gli dissi che non volevo, e lui mi assegnò a Grifondoro. Quindi, come vedi, la scelta finale sta a te. Siamo noi che decidiamo il nostro destino, Albie…” lo vezzeggiò affettuosamente. L’undicenne arrossì.

“Non chiamarmi così dai, papà. È da marmocchi.” Però gli aveva sorriso luminosamente.
“Ricevuto. Avanti, dammi un bacio. E ricordati di salutare Neville da parte mia e della mamma.”

Al sbuffò, ma subito dopo gli gettò le braccia al collo, stampandogli un bacio umido sulla guancia, imbarazzato e rapido. Salutò anche la madre, e baciò la sorellina prima di salire sul predellino del treno. Dei bagagli si era occupato un entusiasta James, che aveva quasi rischiato di potare la testa a qualcuno.
Salutò ancora un paio di volte i genitori, prima di sparire dentro il vagone.
“Thomas..” Harry richiamò il figlioccio, che si apprestava silenzioso come sempre a seguire l’esempio dei cugini e salire sul treno, evitando le smancerie di cui invece stava venendo sommersa Rose.
“Non ti aspetterai che ti baci, vero?” gli rispose un po’ scandalizzato.

L’uomo rise. “Non mi permetterei mai… Posso almeno augurarti un buon anno scolastico?”
L’undicenne annuì seriamente. “Certo, questo sì.”
Harry si sporse per stringergli leggermente una spalla. “Qualsiasi cosa ti serva, fammelo sapere. Un gufo, qualsiasi cosa. Intesi?”
Tom lo guardò con sufficienza. “So cavarmela da solo zio.”

Harry sospirò: Tom era orgoglioso, e nonostante le rivelazioni shockanti di pochi giorni prima di ostinava a comportarsi come se non fosse successo nulla. Ma sapeva che non sarebbe servito forzarlo a parlarne.
Avremo tempo, per farlo. Tutto il tempo del mondo.
“Ehi, sono o non sono tuo zio? È mio dovere morale romperti le scatole.”
Tom sbuffò, scrollando la testa. “Sì… comunque. Zio Harry… zia Ginny… Lily.” Snocciolò indietreggiando verso il treno che avvisava l’imminente partenza.
“Ciao Tommy…” mugugnò la bambina, con gli occhi rossi e gonfi, assolutamente irritata da tanta ingiustizia anagrafica.

Tom alzò gli occhi al cielo, senza neanche rispondere.


 

Harry rimase a guardare il treno partire in compagnia della moglie, di un piagnucolante Ron e di una esasperata Hermione.
“E non oso immaginare come ti ridurrai quando toccherà a Hugo!” sospirò con un sorriso simpatetico verso il marito: grande e grosso e dalla lacrima straordinariamente facile se si trattava dei figli.
“Oh, sta zitta, miseriaccia!” Il rosso si soffiò rumorosamente il naso. “Il mio fiorellino darà filo da torcere a quel Malfoy, hai sentito?”
“In realtà mi è sembrato che avesse alzato gli occhi al cielo. Figlia mia, del resto.”
Harry ridacchiò allo scambio di battute trai due coniugi. Osservò fino a che gli fu possibile il convoglio, fino a perdita d’occhio. Sentiva una morsa al petto. Prima Jamie, poi Al.

Ma James è sempre stato più indipendente….
Albie, che aveva i suoi occhi e quelli di Lily… gli sarebbe mancato immensamente vederlo girare per casa, infagottato nei maglioni marca Weasley – era l’unico membro della famiglia che li indossasse con evidente piacere.
Sentì la mano di Ginny intrecciarsi alla sua.
“Andrà tutto bene.” gli sorrise incoraggiante. Harry sospirò appena.
“Sì, lo penso anche io. Al e Tom se la caveranno alla grande…”

“Thomas specialmente.” osservò la donna. “Non ho visto bambino più rilassato al suo primo giorno di scuola…”
Harry ridacchiò. “Non era affatto rilassato, era un fascio di nervi, come Al.”
“Sarà…” Ginny scrollò le spalle, poco convinta, poi si rivolse a Lily. “Forza tesoro, basta tenere il muso. Gelato da Florian Fortebraccio?”
La piccola smise immediatamente di tenere il broncio, illuminandosi.
“Oh sì!”
Harry ridacchiò assieme alla moglie, sfiorandosi poi la cicatrice, quasi inconsciamente: erano anni che non gli dava più problemi.
Sì, sarebbe andato tutto bene.

 

*****
 


Note:
1-    dall’ultimo capitolo di “Harry Potter e i Doni della Morte” di J.K. Rowling.
 

Commenti:
Per chi mi ha gentilmente (grazie grazie grazie!) recensito...
Marty McGonnagal: Ciao! Mi fa piacere vedere che continui a seguire questo piccolo sgorbio partitorito dalla mia mente bacata ^^ Mi spiace, ma non ho potuto accontentarti su Harru che scarica il pupo a Dursley, ma spero di essermi fatta perdonare con King's Cross. E non è detto che tu non possa leggerlo. Contavo infatti di inserirlo trai flashback, più avanti, quando approfondirò il rapporto tra Tom e il buo vecchio Dud. (Dopotutto mi è simpatico :P)
Federica_06: Ciao, grazie mille per il bellissimo complimento! Mi fa piacere essere considerata 'originale'! So che in questo fandom non è proprio facilissimo. Penso che mi salvi il fatto che vengo dal mondo delle original-fiction, uhm... Comunque spero di non aver deluso le tue aspettative con questo capitolo! Fammi sapere!
Finalmente si è concluso il prologo! E poi....
Dal prossimo capitolo inizierà la storia vera e propria!
Visto e considerato che la Row non ha dato molte indicazioni sull’aspetto fisico della ‘Next Generation’ mi sono permessa di fare di testaccia mia. I link sottostanti sono le versioni undicenni/dodicenni. Serviranno anche per ulteriori flashback, essì. (*Dira aaama i flashback*)

Albus Severus Potter
Thomas Dursley
James Sirius ‘Jamie’ Potter
Rose Weasley

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Capitolo 5
*** Capitolo I ***


Capitolo I Capitolo I
 






I’m falling away with you

We can’t always say
In the cold light of day what’s true
Time will heal your wounds
I’ll see you through
(Falling Away, Evermore)
 



28 Agosto 2022

Devon, vicino a Ottery St. Catchpole, La Tana.
 
 
“Questo sarà un grande anno. Me lo sento.”
Albus Severus Potter, sedici anni, l’aveva decretato con tono profetico. 
Rose curvò le labbra in un sorrisetto.
“Non per frustrare i tuoi proclami Al, ma lo dici tutti gli anni.”
Il ragazzo si era alzato a sedere di scatto, sulla coperta a scacchi che divideva con la cugina. Erano stesi a guardar passare le nuvole nell’immenso prato di fronte alla Tana.
Aveva sedici anni Al, e si sentiva come se la vita fosse appena iniziata.

Cavolo, aveva sedici anni.
“Sì, ma questo è il nostro penultimo anno! Voglio dire, è importante!”
“Per i risultati dei G.U.F.O.?”
“Ma no!”
Rose corrugò le sopracciglia. “Allora pensi di diventare prefetto?”
“Ma che c’entra? Non ci penso neanche, proprio no! Mettere in punizione la gente, avere quella stupida spilla appiccicata al petto, proprio no…” borbottò arruffandosi i capelli, istintivamente imitando il fratello maggiore e il padre. Gesto Potter lo chiamava Ginny.

“Sei così… così…” rise lei. “Così poco Serpeverde!”
Al alzò gli occhi al cielo, buttandosi sulla coperta resa soffice dal manto erboso sottostante.
“Ho sempre detto che non sarei mai stato ambizioso. E anche sull’essere furbo, dovremmo riparlarne…”
“Beh, però sei intelligente…”
“Corvonero?”
“Hai ragione Al, non c’entri niente con gli eredi di Salazar.” Sospirò Rose teatrale. “Che destino infame, per Potter, il Serpeverde Incompreso.”  
Il ragazzo intrecciò le mani dietro la nuca. “Mmm… Sai, all’inizio la pensavo davvero così. Pensavo che sarebbe stato terrificante finire smistato lì… anche se papà mi aveva detto che sarebbe andato bene comunque e tutto il resto. Poi però…”
“Però?”
Non avevano mai affrontato quell’argomento, anche se ne avevano affrontati tanti. Il loro passatempo preferito era… beh, parlare. Un grado di confidenza pressochè assoluto.

Lei e il cugino potevano considerarsi a tutti gli effetti migliori amici. Anche se smistati in case diverse facevano tutto il possibile per trascorrere il proprio tempo assieme: in biblioteca, nel tempo libero, durante le lezioni che condividevano come Serpeverde e Grifondoro…
Al aveva sorriso, scuotendo la testa. “E’ una cosa stupida…”
“No, dai, dimmela! Ora sono curiosa!” Gli aveva picchiettato un dito sulla spalla, nascosta sotto una maglietta del fratello, di una taglia più grande. Al aveva sedici anni e ne dimostrava con molta buona volontà quindici. Gli Weasley erano tutti alti e ben piazzati come Ron o James, che svettava oltre i centottanta centimetri.

Al era più basso di lei.
Fenotipo Potter. Lo zio è più basso di zia Gin… ¹
Il ragazzo ridacchiò. “Mmmno. Magari un’altra volta. Comunque sia… Hai saputo di Teddy?”
“Che lui e Vic sono mostruosamente felici e blablabla…?” fece una smorfia. “Ogni singolo giorno da nonna Molly. Davvero, dovrebbe fondare un fan club.”
“Beh, è vero, sono una coppia fantastica.” Obbiettò Al facendo spallucce. “… ma non è questo.” Prese un’aria furba. “Ieri sera stavo andando a lavarmi i denti quando ho sentito zio Ron parlare con mio papà.”
Rose si era voltata, sostenendosi con un gomito, per guardarlo. “E..?”
“Pare che Teddy verrà ad insegnare a Hogwarts!” esclamò sorridendo. “Non è fantastico?”
Rose battè un paio di volte le palpebre, incredula: certo, Teddy aveva finito la scuola con il massimo sia nei G.U.F.O. che nei M.A.G.O. ed era dannatamente brillante – e sotto sotto aspirava a battere il suo record – ma… aveva solo ventiquattro anni!
Al sembrò averle letto nel pensiero, perché rise allegro.

“Già, forse sarà il più giovane professore di Hogwarts!”
Rose inspirò incredula. “Davvero… sarebbe una notizia pazzesca se fosse vera.”
“Lo è! Ammetto che le orecchie oblunghe a volte hanno qualche problemino di ricezione ma…”
“Al, hai origliato!”
“Ehi, ehi. All’inizio ho ascoltato per caso. Poi, quando hanno chiuso la porta del salotto, beh… ero curioso, dopotutto si parlava di Ted.”

“E porti sempre delle orecchie oblunghe nelle tasche del pigiama?”
Al sorrise sibillino, senza rispondere.
Ted era l’eroe dell’ultima generazione Weasley. Tutti volevano bene a Ted. Era come un fratello maggiore collettivo: gentile, spiritoso, divertente, non perdeva mai la pazienza. Ed era pure un metamorfomago. Era perfetto. E poi stava con Victoire. La bella Victoire dai lunghi capelli color lino e le labbra come fragole mature, e la pelle di pesca e…
Blablabla.
Era stata la prima cotta di metà ragazzi del suo anno. Alcuni la ricordavano ancora con nostalgia.

Rose si accigliò. “Non sta bene ascoltare. Sei proprio un Serpeverde!” lo rimbrottò senza troppa convinzione.
“Ah, lo sono solo quando fa comodo a te però, eh!” rise senza arrabbiarsi.

Dopo cinque anni di crisi esistenziali, aveva deciso che in fondo non gli dispiaceva vestire i colori verde-argento: aveva conosciuto un sacco di persone in gamba là dentro, ed avevano una squadra di Quidditch strepitosa, da annali, guidata da Michel Zabini, il miglior capitano e cacciatore da vent’anni a quella parte.
E poi c’era Tom.
Chissà che sta facendo… si starà annoiando a morte in quel posto con le case tutte uguali…

Beh, gli sta bene!  
Rose prese un filo d’erba tra le dita, posandoselo sulle labbra pensierosa.
“Certo che è strano…” lo riportò al discorso. “Credi che l’abbia chiamato il preside Vitius²?”
“Certo, chi altri?”
“Non so, non credevo volesse fare cambiamenti nel personale docente… e cambiamenti così grossi, poi.”
“Sì, ma hai presente il professor Facheux?” aveva fatto una smorfia. “Un totale incompetente. Te l’avevo detto che non sarebbe tornato dal suo ‘congedo temporaneo’, no?”
La cattedra di Difesa delle Arti Oscure, dopo la morte di Piton, sembrava aver perso la sua triste fama, e per un certo tempo era stata occupata da un ex-auror, Torrent. Poi, quando l’uomo era andato in pensione, il posto era stato assegnato in volata ad un nervoso docente trasferitosi da Beaux-Batons. Con l’aggiunta di un disastroso accento inglese il pover’uomo era stato in grado di reggere a malapena un anno scolastico, prima di un tracollo nervoso.

Ad esso, bisognava ammetterlo, avevano fortemente contribuito James e i gemelli Lorcan e Lysander Scamandro. Mente di James e muscoli degli Scamandro.
Un incubo per qualsiasi professore che non fosse un veterano dai nervi saldi.
E addio Professore…
“E di questo dovremo ringraziare Jamie e quei due.” Commentò infatti Rose. “Sono insopportabili, uno parla e l’altro sta sempre zitto. E non riesci a capire chi dei due parli di volta in volta. Quel poveretto è un miracolo che non sia finito vita natural durante al San Mungo.”
“Comunque non ridurranno così Teddy, questo è sicuro. O dovranno vedersela con me.” Decretò Al alzandosi in piedi, con piglio deciso.
Rose sorrise appena mordicchiando il filo d’erba: difficilmente un tipetto gracilino come Al avrebbe fermato quei tre grossi idioti… i gemelli da soli superavano la stazza e il peso specifico di un dorsorugoso norvegese.

“Non credo che ci sia bisogno che tu lo protegga… Ted è l’unico essere vivente sulla faccia della terra a cui Jamie dà retta, oltre a zia Gin…”
Il ragazzo annuì. “Sì, questo è vero. Magari questa è la volta buona che Jamie impara qualcosa su un banco di scuola!”
Risero assieme, prima di stendersi di nuovo sulla coperta, sonnolenti e beati. Stava per finire l’estate, e la loro unica preoccupazione era lasciar sgocciolare via il tempo che gli rimaneva.

James era chiuso in casa ad imprecare sui proprio compiti invece, pensò malignamente Al, godendosi gli ultimi tiepidi raggi del sole.
“E Thomas?” chiese Rose dopo qualche breve minuto di silenzio.
“Tom? E’ rimasto a casa dei suoi. Merlino solo sa perché gli piace tanto annoiarsi là.” Borbottò.
L’ultima lettera, nonché l’unica di tutta l’estate, era stata scritta di fretta, in insufficiente risposta alla sua, che era stata lunga, dettagliata, allegra.

 
‘Ciao Al. Qui va tutto bene, a parte il caldo fastidioso che affligge Little Whinging. Sono molto preso dalla lettura di alcuni libri. Mi dispiace ma non credo potrò venire alla Tana  quest’estate. Mi sono dato una scaletta precisa e so che  se venissi da voi  sarebbe completamente stravolta. Salutami gli zii e Lily.
Ci vediamo a Settembre, a Diagon Alley.
Thomas.


 
Totalmente insufficiente. Bocciato, bocciato su tutta la linea!
La cugina vedendolo adombrarsi di colpo – il viso di Al era una pagina ben scritta in lettere leggibili, stampatello puro – tentò di porre rimedio con la logica.
“Ci sono i suoi genitori… forse lo fa per delicatezza nei loro confronti. Dopotutto non li vede che d’estate.”
“I suoi genitori per la barba di un Thestral!” sbottò. “Mi ha dato buca perché voleva leggere. Ti pare una cosa normale? Leggere. Dei libri!” sibilò stizzito.
Rose ci pensò un attimo. “E non poteva leggerli qui?”
“No, perché Sua Maestà pensava che sarebbe stato disturbato! Come se passassimo tutto il tempo ad urlare e correre scompostamente per casa!”
“…Al?”
“Seh?”
“James lo fa. Continuamente.”
Il ragazzo sbuffò sonoramente guardando ostile una coccinella che si era posata sulla punta della sua scarpa da ginnastica. “Lo so… Jamie è un casinista nato. Però mi è puzzata tanto di scusa… Io… ci tenevo a passare l’estare con voi due.”
Rose gli sorrise, passandogli un braccio attorno alle spalle: Al adorava Thomas. Dio solo sapeva perché, personalmente lo riteneva… inquietante. E insopportabilmente saccente, anche. 

Non che fosse maleducato o sfacciato come Jamie. Anzi. Era sempre cortese e corretto con tutti. Ma lei preferiva comunque lo scapestrato James, al controllato Tom.
Non che l’avesse mai fatto capire a Al: sarebbe stato terribile per lui dover dividere tra loro due il suo affetto, così spontaneo e fiducioso.
Meglio evitare…  
“Al, Tom è un misantropo patologico.” Lo consolò infatti. “Non credo fosse per te, ma piuttosto credo volesse evitare Jamie e i gemelli…”
In quanto migliori amici di James, gli Scamandro avevano accesso libero alla tana. E poi abitavano giusto giusto a mezz’ora di scopa da lì.

“Sì, ma spesso sono fuori con la scopa e…”
“E poi c’è Lily.”

“Lily è adorabile!” protestò vivacemente. Stravedeva per la sorellina. Aveva quattordici anni ed era la cosa più carina e graziosa che avesse mai visto.
Cosa, insomma… ragazza. Non che riuscisse a considerarla tale. Come diceva sempre Jam, era loro sorella. Esulava dalla concezione propriamente muliebre.

“Lily lo chiama Tommy.”
“.. e lui odia essere chiamato così.”
“Eggià…”
Al sospirò. “Verrà comunque a comprare il necessario per la scuola con noi. Almeno questo…”
“Anche perché non ce lo vedo suo padre a mettere piede a Diagon Alley per accompagnarlo.” Replicò scherzosa. “Il signor Dursley sembra sempre comportarsi come se avesse un ungaro spinato in casa quando andiamo a fargli visita…”
Al fece una smorfia. “In un certo senso. Credo che abbia avuto delle brutte esperienze con il mondo magico, anche se papà non mi ha mai voluto spiegare quali.” Si alzò in piedi, spazzolandosi i jeans dall’erba. “E’ quasi ora di cena, dai andiamo…”
Rose annuì, imitandolo e piegando la coperta ordinatamente, mettendosela sottobraccio.
“Ti prego, dimmi che non ci sono i gemelli…”
“… Posso provarci, ma… sono sicuro che vorresti la verità, Rosie.” Mormorò serio “Io la vorrei.”
“… Oh, dannazione.” Sbuffò “Non li sopporto. Sono così… così…”
Gemelli?” suggerì facendola ridere. “Ehy, ti capisco. Presi singolarmente sono tollerabili. Ma assieme a James sono metifici.”

Rose raccolse i capelli – color miele di castagno, e ne andava molto fiera – in una coda sommaria. Sfoderò un sorriso che ad Al ricordò molto quello di zia Herm, quando trovava un cavillo legale e riusciva a dimostrare i diritti dei suoi assistiti magici.
“Se mi mettono di nuovo una caccabomba sotto la sedia giuro su Morgana che li schianto.”
Al sorrise tra sé e sé, seguendola.
Ognuno ha la famiglia che si merita… Ed io sono davvero fortunato.
 

 
****
 

 
Privet Drive, Little Whinging, Londra.
Il giorno prima, ora di cena.  
 
Mentre il sole stava lentamente scomparendo all’orizzonte del parchetto rugginoso accanto a casa sua, Thomas restava.
Gli piaceva vedere la notte mangiarsi il tramonto.

Inoltre c’era il non trascurabile particolare che a quell’ora il parco era deserto, diversamente dal resto del giorno, saturo di adolescenti che ciondolavano vicino alla altalene a bere e fumare e giovani madri che portavano il pupo all’aria aperta sperando di farlo smettere di dar sfogo ai polmoni.
Tra poco sarebbe comunque tornato a casa. Gli ultimi bagliori di luce scarlatta illuminavano le pagine fresche di stampa, ma presto sarebbe stato impossibile intellegire qualche riga di quel romanzo americano.
Quello che sembrava un romanzo americano.

In realtà l’aveva trasfigurato, assieme a molti altri, prima dell’inizio delle vacanze estive, in cui era proibito come da regolamento esercitare la magia.
Un’incredibile seccatura…
Ma utile. L’idea di una sanzione non lo solleticava più di tanto, mentre il desiderio di prendere con sé la bacchetta era sempre forte. Le due cose si equivalevano: Tom si portava dietro la bacchetta, nella tasca dei jeans, ma si imponeva di non tirarla fuori, solo perché un paio di pre-puberi infastidivano le sue letture.
Non che li avrebbe schiantati. Si sarebbe limitato ad un Repello Babbanum³.
Delizioso…
Comunque il problema non si poneva. Gli era proibito, e il padre stesso l’aveva diffidato da compiere incantesimi a casa.
Tom sorrise appena, all’idea che potesse metterlo in punizione, come paventato: cosa mai avrebbe potuto fargli? Aveva sedici anni, quasi diciassette (tra tre mesi) e non poteva certo sculacciarlo. E per quanto riguardava confinarlo in camera…

Lui adorava rimanere in camera, con un ottimo impianto climatizzato e pile di libri trasfigurati.
Era stata sua madre, Robin, ad imporgli di uscire di casa, anche solo per ‘prendere una boccata d’aria fresca’.
Tralasciando il fatto che la temperatura di quell’estate sfiorava quasi quella di un microonde in funzione…
Ecco perché si trovava in quel parchetto dimenticato dal comune senso civico, dalle panchine rose dalla ruggine e piene di scritte fallocratiche.
Chiuse il libro, alzandosi dalla panchina. Gli ultimi raggi di sole si erano spenti, era ora di tornare a casa.
Si incamminò lentamente, fissandosi la punta delle scarpe da ginnastica. Si ricordò che era un modo di fare tipico di Al: era difficile vederlo con la testa alzata. Sembrava sempre trovare profondamente interessante la conformazione dei suoi piedi.
Era arrabbiato con lui, Al.
Infuriato, a dir poco, dall’ultima lettera che gli aveva spedito.
Più che altro un biglietto, strettamente legato alla zampa del gufo di casa Potter-Weasley, Edwig.

 
 Crepa.
Con sinceri saluti.
Al.
 

Albus aveva un senso dell’umorismo tutto Serpeverde, Tom ne era certo, e segretamente ne era divertito, e persino un po’ soddisfatto.
Era arrabbiato perché aveva declinato l’invito alla Tana. Palese come il sole.

Tom sospirò risalendo la strada asfaltata di Privet Drive, dove poche macchine dimostravano il fatto che fossero tutti in villeggiatura. Tutti tranne la sua famiglia. Suo padre aveva dei casi su cui doveva lavorare, e sua madre aveva centinaia di associazioni di volontariato a cui collaborare, mostrando il suo brio australiano.
Vern e Alicia invece scappavano a Londra non appena ne avevano l’occasione, con la loro allegra combriccola di borghesi travestiti da ragazzi dell’East End.
A volte si trovava ad invidiarli un po’. Se non altro vedevano qualcosa di diverso che quelle orrende casette quadrate da mattina a sera.
Poi si ricordava qual’era la loro serata tipo: club e centinaia di sterline spese in cocktail pessimi. Allora tornava soddisfatto a rintanarsi in camera, aspettando Hogwarts.
Solo ad Hogwarts Thomas si sentiva bene. A casa.
Ad Hogwarts era Thomas Oltre Ogni Previsione, il Ragazzo Immagine di Serpeverde, secondo solo a Zabini, Quello Che i Professori Notano e Stimano.
Era in parole povere, se stesso.
Nel mondo Babbano invece era Tom Dudley, il fratello strampalato di Alicia e Vern. Quello che si poteva ammirare leggere al parchetto, con gli occhi incollati alle pagine e talvolta musica nelle orecchie – doveva pur neutralizzare i petulanti mocciosi delle altalene in qualche modo, non ricorrendo alla magia. Quello dark.

Quando si sentiva catalogare così, rischiava sempre una crisi convulsa di risa.
E una strage a colpi di stupeficium, ovviamente.
Tom odiava l’estate. La odiava, perché lo portava via da Hogwarts e dal suo mondo.
Aprì il cancello del giardinetto, entrando nel vialetto perfettamente lastricato di casa. Sua madre amava il giardinaggio quanto sua nonna. Se non altro in quello si erano trovate.
Per il resto si detestavano cordialmente.
Entrò in casa, driblando abilmente la cucina, sapendo che molto probabilmente i suoi erano lì. Non aveva intenzione… o per meglio dire, voglia, di ascoltare le loro lamentele su come impiegava male il proprio tempo.
Era sicuro che lo dicessero per il suo bene. Ma era comunque seccante.
La stessa idea, anche se per diversi motivi, sembrava averla avuta la sorella minore, con cui quasi si scontrò per le scale.
Indossava degli shorts arancioni fluo e una maglietta lunga, al ginocchio, con scritte che Tom trovò difficile decifrare. Eppure aveva ottimi voti anche in Antiche Rune.
“Ehy Tom…” strascicò Alicia.
“Ehy Alicia…” replicò urbanamente il ragazzo. “Esci?” si informò per cortesia.

La quindicenne alzò gli occhi al cielo.
“Sicuro Tommy. Che altro dovrei fare? Restare qui a crepare di noia?”
Tom.” La corresse. “In ogni caso non so… era solo per chiedere.”
“A volte fai domande così banali…”
“Forse mi piace sentire risposte banali.” Ironizzò con un sorrisetto. “Papà lo sa?”
“Ah, non fare il bacchettone…” sbirciò il libro che teneva sottobraccio. “Cummings?”
“Dovrebbe, sì.”
La ragazzina gli lanciò un’occhiata in tralice, intuendo. “… Come fai a…?”
Thomas sorrise: aveva una tiepida predilezione per Alicia. Vernon, che aveva quattordici anni e qualche chilo in troppo, era troppo… stupido.

Non c’era altro modo per definirlo.
Dicevano che fosse carino, e avesse un bel viso. Ma Tom lo trovava lento e arrogante.
Alicia aveva preso da sua madre.

“Come faccio a trasformare un libro di storia della magia in un classico del novecento?” le tirò leggermente una ciocca di capelli. “Sicura di volerlo sapere?”
Alicia arrossì. “Sei proprio uno stronzo Tom!” esclamò dandogli una spinta e uscendo.

Il ragazzo ridacchiò, ma smise quando vide la mole del padre stagliarsi sulla porta.
“Tom, avete ancora litigato?” Sembrava trovarlo del tutto normale. Era un po’ seccato, ma non molto. Probabilmente era stanco.

“Non proprio. Alicia esce, comunque.”
“Sì, lo so. Va con Loren e Mitch a Londra…” sembrava trovare normale anche quello.
Non era un cattivo padre, Dudley. Non essendo davvero suo figlio poteva guardare le cose, doveva ammetterlo, con sufficiente distacco.
Non era un cattivo padre, adorava la sua famiglia, e faceva il possibile per esserci. Era solo assente. Dopo che la ditta del padre aveva fallito, a causa della recessione di una quindicina di anni prima, Dudley era stato aiutato da un’amico di famiglia ad entrare in uno studio legale.

E forse non era stato proprio un favore, vista la mole di lavoro che gli veniva quotidianamente assegnata.
“E tu cosa fai?” Chiese l’uomo.
“Rimango a casa? Come sempre.” Concluse con un’alzata di spalle.

Dudley sbuffò appena. “Non vai con loro? Mi sentirei più sicuro.”
“Non mi piace il caos della City. E poi senza bacchetta sono inoffensivo come un bambino…” lo stuzzicò. L’uomo prevedibilmente impallidì, e poi arrossì.

Si controllava meglio, gli aveva confidato una volta zio Harry, da quando viveva con loro.
Probabilmente aveva imparato a convivere con il fatto che era un babbano.
“Tom, lo sai come funzionano le cose qui. Non voglio sentir parlare di magia.”
“Ma io sono un mago.” Rincarò.  

“E noi no. Va’ a lavarti le mani, è pronto a tavola piuttosto.” Concluse l’uomo definitivo, rientrando dentro senza dargli diritto di replica.
Tom serrò le labbra, ma salì in camera, disattendendo l’ordine: doveva prima rispondere alla lettera di Al. Poco importava fosse più che altro una stizzita dichiarazione di guerra.
Conosceva Mister Al Potter da una vita. Era arrabbiato, ma gli sarebbe passata in fretta.
Si sedette alla scrivania, tirando fuori penna e calamaio. Kafka, la sua cornacchia, avrebbe potuto tranquillamente portare anche un messaggio scritto dal pc di Vern, ma a lui piacevano i metodi tradizionali.

Kafka gracchiò dalla sua grossa gabbia, pretendendo cibo e attenzioni. Era un animale testardo, irritabile, ma fedele. L’aveva scovata in fondo ad un negozio di animali a Diagon Alley, invenduta per via di una certa tendenza a beccare i potenziali giovani acquirenti. Era nera, grossa, con due lucidi occhi color ossidiana. Se ne era innamorato a prima vista. Le sue dita un po’ meno.
Ci aveva messo un po’ per addomesticarla, ma adesso era fedele e diligente.
“Smettila. Ti darò da mangiare quando avrò finito qui.” Le concesse prendendo la carta e cominciando a scrivere.
Gracchiò di nuovo.
“Non ho intenzione di ascoltarti.” Sapeva che era intelligente. Infatti smise.
Le rivolse un sorrisetto obliquo. “Dovresti ringraziarmi, ti farò persino sgranchire le ali stasera… anche se certo, dovrai dividere la gabbia con Edwig poi.”
Kafka sbattè le ali, stizzita.
“Stavo scherzando. Fa’ come preferisci, come al solito…”
Kafka beccò le sbarre metalliche, in assenso. O forse no. Forse le aveva semplicemente beccate. Sbuffò, concentrandosi sulla lettera.

Mi metto persino a parlare con un uccello dandogli capacità di ragionamento, qualità prettamente umana… decisamente devo tornare alla socialità.
Ma non lo sfiorò il rimpianto di non essere andato alla Tana.
Quel posto non faceva per lui, esattamente come Privet Drive. Non tollerava Jamie, malsopportava Rose e per finire odiava trovarsi il piatto ricolmo di cibo.
Ed i ‘Tommy’ erano ancora più frequenti.
Solo per Al ne sarebbe valso la pena… ma era comunque troppo poco per sorbirsi un’estate di scherzi da parte degli Scamandro.
Si fermò, indeciso su cosa scrivere. Poi fece un mezzo sorriso, terminando in pochi istanti il biglietto. Asciugò l’inchiosto con la carta assorbente ed imbustò la lettera.
“TOM, LA CENA!” sentì dalle scale la madre. La ignorò, aprendo la gabbia e facendosi salire Kafka sul braccio, coperto preventivamente da una maglietta a maniche lunghe arrotolata.
“Alla Tana. Consegnala solo ad Al.” Specificò, divertito all’idea che fosse James l’addetto alla corrispondenza in quel periodo. L’avrebbe sicuramente beccato. “… e fa presto.”
Si vergognò non appena ebbe pronunciato quella frase, anche se l’unico spettatore che aveva era una cornacchia.

Al dopotutto poteva aver già dimenticarlo la sua lettera. Aveva Rose, e un sacco di cose da fare, come tuffarsi in un lago melmoso, cavalcare scope traballanti e lanciare gnomi in aria.
Aprì la finestra, facendola volare via.  
LA CENA, TOM! SCENDI O DEVO FARLA SALIRE CON UNA CARRUCOLA?!”
Tom sospirò aprendo la porta. “Arrivo mamma.” disse con voce sufficientemente alta per essere udito, ma senza urlare.
Se fossimo ad Hogwarts basterebbe un Wingardium Leviosa.

 
 
 
****
 


28 Agosto 2021

Devon, La Tana.
 
“Questa reincarnazione di Goblin mi ha morso!” urlò James tenendosi un dito gonfio e rosso, mentre Kafka sbatteva le ali soddisfatta, appollaiata sopra il lampadario del salotto.
“Oh per la barba di Merlino, Jamie! L’avrai sicuramente afferrata male!” lo rimbrottò nonna Molly. “Forza, cara, scendi giù.”
L’uccello non si mosse di un millimetro.

“Testadura come il suo padrone…” sibilò il diciassettenne, succhiandosi l’indice offeso.
Rose ridacchiò, seduta trai cuscini del divano. I gemelli se erano andati senza troppi incidenti una ventina di minuti prima. Ed erano stati immediatamente rimpiazzati dalla cornacchia di Thomas.

In questa casa non ci si annoia mai…
“C’è poco da ridere! Quella bestiaccia è infernale!”
Rose sorrise sottile. “Non esagerare adesso Jam. Lo sai benissimo che Kafka si fa solo prendere da Al. Non si fiderà delle tue manacce…”

“Le mie manacce, ti ricordo, cara la mia Rosie, ci hanno fatto vincere la Coppa delle Case due anni fa.”
La ragazza alzò gli occhi al cielo. “Per quanto vuoi ancora ammorbarci con questa storia?”
“Finchè non verrà capito che Malfoy è la scelta più cretina che si potesse fare…” replicò salace, mentre Molly fissava la cornacchia, domandandosi se avrebbe dovuto usare un’incantesimo di appello per tirarla giù dal lampadario.

“Malfoy è stato scelto ad unanimità, mi risulta. Perché non ti metti l’anima in pace, Jam?”
“Perché è Malfoy.”
“Sei ridicolo.”

“Sarò ridicolo, ma neanche a te è particolarmente simpatico.”
“La simpatia non c’entra con il fatto che è un ottimo capitano per Grifondoro.”

“Non sa reggersi su una scopa!”
“Durante l’ultima partita ha parato una pluffa tenendosi in bilico con una sola mano…”
“Solo fortuna!”
“Santo Godric…” concluse Rose con un lento sospiro. Diverbi verbali del genere con James erano la norma, infatti nonna Molly neanche li stava considerando. Erano solo loro tre, in salotto, fortunatamente, o la lite sarebbe presto degenerata se malaguratamente fossero stati presenti Lorcan e Lysander.

James le scoccò un’occhiataccia, affondando pesantemente sulla poltrona preferita di Nonno Arthur, ora occupato nel capanno degli attrezzi con un forno a micromaree.
Microonde ovviamente.
“Mettiamola così, Rosie. Se ti dicessi che sei ridicola quando Malfoy prende voti migliori di te a pozioni, o risponde prima di te ad una lezione di trasfigurazione e tu ti ci incazzi… Te la prenderesti?”
“E’ una cosa diversa.” Ribattè, con un lampo battagliero nello sguardo. “Che sia un buon capitano è un dato di fatto. Che sia più bravo di me a scuola è tutto da dimostrare.”

“Non sei corretta!” saltò su James.
“Invece sì. Non fraintendermi, io non sopporto Scorpius. Se dipendesse da me prenderei a calci nel sedere il suo culetto aristocratico da mattina e sera…”
“Ma?”
“Ma è bravo a Quidditch, e non ha comprato né il suo posto da portiere, né la sua candidatura a capitano. È semplicemente bravo.” Terminò. “Per quanto poco mi faccia piacere ammetterlo…” aggiunse vedendolo adombrarsi.

Il cugino e Malfoy erano la piena esplicazione della decennale rivalità Malfoy-Weasley, con una poco opportuna aggiunta Potter. Il risultato era che in campo collaboravano, ma fuori si sarebbero presi a pugni in ogni singolo angolo della scuola.
Si voltarono di scatto quando sentirono lo strillo stizzito della nonna che, tentando di afferrare la cornacchia appena presa con un accio, era stata prevedibilmente beccata.
Albie! Ti prego, smettila di ignorare la lettera di Thomas, prima che stacchi qualche dito di famiglia!” urlò Molly.
Si sentì un rumore di passi e Al si palesò dalle scale, imbronciato.

“Smettila di fare il muso, fratellino… Quella dannata bestiaccia rischia di restare appollaiata lassù finchè non dovremo impagliarla.” Sogghignò James.
Al sbuffò. “Vieni bella…” disse semplicemente e l’uccello planò dolcemente per aggrapparsi alla sua spalla. Molly sospirò.
“Immagino di non dover preparare la gabbia anche per lei…” Sembrava stizzita, ma di fronte ad Albus era la più mite e accomodante delle nonne.
Al sorrise. “No, nonna. Starà sotto il tetto, come al solito. A lei piace così.”
“Solo uno scoppiato come Tommy poteva prendersi un uccello che mangia cadaveri.” Commentò James una volta che Al ebbe lasciato al stanza. “Seriamente, un corvo.”

“Cornacchia, a dire il vero… e comunque credo sia onnivora. E sono carcasse di piccoli animali, non cadaveri di esseri umani. Sei il solito esagerato.”
“Rosie… sai che intendevo. Perché diavolo non si è preso un gufo o una civetta?” borbottò passandosi una mano trai capelli. “O chessò, una puffola pigmea.”
“… Ce lo vedi Tom con una Puffola?”
L’altro sghignazzò, scuotendo la testa, divertito enormemente dall’immagine.
Rose scrollò le spalle. “Appunto. Tom è fatto così.”

James fece schioccare la lingua, afferrando una cioccorana e scartandola. Se la infilò in bocca prima che potesse anche solo accennare ad un salto.
“E’ proprio un Serpeverde, quello lì.”
Rose non replicò stavolta.

****


Al corse nella camera sotto il tetto, che divideva con il fratello e il cugino Hugo, entrambi non presenti al momento. Il primo probabilmente stava ancora parlando male di Malfoy, e di quanto fosse folle la sua nomina a Capitano. L’altro era nella rimessa con il nonno, entrambi presi a carpire il segreto di manufatti babbani.
La cornacchia gli beccò gentilmente l’orecchio. Al rise.
“Hai fame, eh? Dal Surrey al Devon… Bel viaggio.” Prese una manciata di semi di zucca, di cui Hugo era ghiotto e che lasciava sempre sul comodino in una ciotola, e li porse all’uccello che li beccò avidamente.

Gli slegò la lettera dalla zampa, lasciando che si appollaiasse sul davanzale e la aprì, buttandosi sul letto senza neanche togliersi le scarpe. Dentro la busta c'era poco più di un biglietto.
Qualsiasi cosa ci sia scritta che vada a farsi fottere. Ci ha piantato in asso, che diavolo… e per dei libri.
Scorse le uniche due righe e si impose di non sorridere, né mostrare approvazione. Era persino più corta.

 
Faccio ammenda.
Cavallo in C6
Thomas

 
… Finì per piegare le labbra in un sorriso sinceramente divertito e rassegnato.
Si alzò, andando alla scacchiera magica, ferma da due mesi, cioè dall’ultima partita che avevano dovuto interrompere prima che suo padre riaccompagnasse Tom dai genitori, dopo due soli giorni di pernottamento alla tana.
Gli aveva promesso che l’avrebbero ripresa. Si mise dal lato di Thomas.
“Cavallo il C6.” Ordinò, e quello venne prontamente spazzato via dalla sua torre.
La partita era conclusa. Tom aveva lasciato il suo re privo di protezioni.
“Scacco matto…” mormorò con un sorriso, ridacchiando.

Era insopportabile quando riusciva a farsi perdonare.
 

****
 

Note
1 – Harry, almeno nell’adattamento cinematografico, è leggermente più basso di Ginny. Non ci è dato sapere se abbiano mantenuto quelle proporzioni, ma conoscendo la famiglia Weasley mi piace pensare di sì, e che Al abbia preso dal padre.
2 – La McGrannit è andata in pensione nel 2017. Essendo stato suo vice il professor Vitius mi è sembrato sensato promuoverlo a preside.
3 – Repello Babbanum : è un incantesimo usato per respingere i babbani dai luoghi frequentati da maghi (Es. Hogwarts). Quando sono nelle vicinanze, ricordano di aver dimenticato di fare qualcosa e si allontanano.
4 – East End è un quartiere malfamato alla periferia di Londra. Con il termine City invece si intende il centro di Londra.
5 – Kafka in cieco significa ‘corvo’. E Thomas, essendo cresciuto trai babbani e essendo un divoratore di libri, è abbastanza probabile conosca Francis Kafka Quindi… lo so, sono tremendamente banale. :P

Per le recensioni:
Marty McGonnagal: Beh, non che Dudley mi stia propriamente simpatico. Diciamo che capisco le sue ragioni. E andando avanti nella storia le capirai anche tu. Diversamente da Vernon, che era un'autentica figura negativa, senza nessun tratto buono, mi piacerebbe farlo con un po' più di sfumature. In fondo è stato l'unico a ringraziare sinceramente Harry per tutte le volte che ha parato loro il culo.
Natalia: Precisamente quello che intendo io su Dudley. Il rapporto tra Dudley e Thomas, suo figlio adottivo non è negativo quanto lo era quello tra Harry e Vernon, chiaro e delineato. Dudley vuole bene a Thomas, anche se non lo capisce. Penso sia più o meno la stessa cosa che se si trovasse un figlio gay. XD Tom sto cercando di costruirlo invece pezzo per pezzo, con calma. Anche se è cresciuto in un nucleo familiare che lo ha amato, rimane il fatto che non si sa esattamente da chi e ome sia venuto al mondo, nè per quale motivo. 
Pietro90: Grazie mille per i complimenti. Per uno scrittore in erba il più bel complimento che gli possa essere fatto, è appunto, dirgli che il proprio racconto ha una struttura che regge, e per uno scrittore di fan-fic che è riuscito a rendere l'originale. Thanks! Se hai qualcosa in cantiere dovresti assolutamente provare a postarla! Anche solo come esercizio. Te ne parla una che scrive da quando aveva dodici anni :P Tom... beh, Tom aspetta e vedrai! Dopotutto Thomas è un nome comunissimo anche trai babbani. Potrebbe averglielo dato  Dudley senza sapere delle sue implicazioni magiche, no? ;)

Per quanto riguarda il discorso delle immagini… vi ho dati i nostri ragazzi che erano ancora bambini, ora beccatevi gli adolescenti! XD

Thomas è Tom Sturridge. Chiunque lo conosca sa che è stato abusato in ogni fandom del pianeta, spesso pure un po’ a sproposito. Personalmente riesco a vederlo male come probabile Al. Con quella faccia a stronzetto Serpeverde è impossibile.
Albus è stato un travaglio, ma alla fine ho scelto Logan Lerman(no, non quello di House MD U_U) per la sua faccina pulita. Non so chi diavolo sia, ma penso gli rassomigli. Ditemi voi.
James è semplicemente Matt Melchovicz in Mean Creek. Non riesco ad immaginarmelo diverso.
Per Rose invece mi sono fatta aiutare dal fandom e Danielle Panebaker è perfetta.
Jamie
Thomas
Al
Rose
Per gli altri, come Scorpius, i gemelli Scamandro e Ted, beh… li ho, (lo so, sono malata. È estate, perdonatemi.) ma bisogna aspettare la loro apparizione. :P
Ted comunque è uno strafigo. XD

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Capitolo 6
*** Capitolo II ***



@Miriam Malfoy: Mi fa piacere che Thomas ti piaccia ^^ E' l'unico personaggio, come si può dire, originale, quindi ovviamente è quello su cui ho più dubbi, assieme ad Albus, che è praticamente il co-protagonista. Mi spiace che Al non riscontri il tuo gusto, purtroppo era il ragazzino che assomigliava di più all'idea che mi ero fatta di Albie. U_U' E sì, Scorpius è capitano della squadra di Quidditch, ma non solo, ma ti lascio la sorpresa. Penso che il povero Draco non se ne farà mai una ragione... E non parlarmi di Draco e i suoi pochi capelli. Non perdonerò mai la Row per averlo ridotto ad uno stempiato di mezza età! (senza contare che suo padre NON ha perso i capelli. Cheddiav...). Comunque, i Malfoy avranno un ruolo importante in questa fic, giusto per dirtelo. Continua a seguirmi e recensirmi, grazie!



******



Capitolo II

“On the Train”
 



 
 
 
 
 
 
Train set and match spied under the blind
Shiny and contoured the railway winds
The hiss of the train at the railway head
Always the summers are slipping away
(Trains, Porcupine Tree)
 
 
 
Albus Severus Potter contemplava la sua spilla da prefetto, seduto su una sporgenza del carrello bagagli alla stazione di King’s Cross, binario-inesistente-nove-e-tre-quarti.
Era lucida e vi era raffigurato un poderoso serpente verde brillante.

Era diventato un prefetto.
Roba da non credersi.
I suoi genitori l’avevano festeggiato tutto il giorno prima, mentre lui tentava di stamparsi in faccia un’espressione entusiasta. Adesso erano al lavoro, e poteva smetterla di sorridere come un idiota.

Era strano: era pur sempre il primo anno che non li accompagnavano alla stazione.
Ma ormai Hugo e Lils hanno quattordici anni e James ha la licenza per guidare la vecchia Ford del nonno… ¹
Rose accanto a lui, come sempre, gli rivolse un sorriso.
“Forse hai ragione. Forse sarà un grande anno.” Ridacchiò. Aveva ricevuto la spilla il giorno prima, come lui, via gufo. Ne era stata contenta, lei.

“Oh, dai, cos’è quella faccia? È un onore, sai!”
Al sbuffò appena. “Più che altro secondo me è una gran rogna. E poi non me ne importa nulla di diventare prefetto! Già faccio fatica ad essere un semplice studente, a volte.”
La ragazza gli arruffò i capelli affettuosamente. “Non vederla così…”
Non riusciva a vederla diversamente. Lui era un tipo tranquillo. Aveva buoni voti a scuola, una certa abilità che lo inorgogliva in pozioni, ma era tutto lì.

A volte sognava di non essere un Potter. Poi se ne vergognava ferocemente, perché amava la sua famiglia… ma non la viveva come Jamie.
Si alzò in piedi, cercando con lo sguardo tra la folla la sorella, che si era attardata a parlare con Roxanne vicino alla colonna d’entrata. Le vide. Non che fosse difficile.
Roxanne Weasley svettava nel suo metro e ottanta, con una carnagione caramello denso e profondi occhi azzurri. Era bella. E non se ne curava.
L’unico amore che poteva concepire e tollerare era quello per il Quidditch. Era una cercatrice, come lui, ma per Corvonero. Si vociferava che, essendo all’ultimo anno, le Holyheads Harpies l’avessero già contattata per giocare come riserva non appena si fosse diplomata.
Lily invece era minuta, graziosa, e trovare il Quidditch uno sport violento e poco divertente. Nonostante questo erano legatissime. Nessuna passione in comune, eppure erano l’una la confidente dell’altra. Infatti Lily aveva passato l’estate a Londra, dagli zii George e Angelina.
Alla fine quest’estate è stata all’insegna di Jamie e dei Lorcan. Che meraviglia.

Le vide salire sul vagone, e fece un cenno alla sorella, che ricambiò, sillabando muta ‘ci vediamo dopo’.
Jamie l’avrebbe inseguita per assicurarsi che Rox non la facesse avvicinare troppo ai ragazzi, ma a lui non importava. Non era più una bambina, e poi era spaventosa quando pensava di essere controllata.
Sfregò appena la spilla sulla felpa. Mentre la stava pulendo dalle sue dita maldestre, un ragazzo con un voluminoso baule gli diede una gomitata, facendola cadere.
“Dannazione!” sbottò preoccupato, vedendola sparire trai piedi concitati delle persone sulla banchina. Si chinò cercandola con lo sguardo.

Ci mancava solo questa… vediamo davvero se la perdo ancor prima di averla messa!
Prima che potesse afferrarla – era finita sotto un carrello dei bagagli – una mano forte ma pallida gliela porse. Alzò lo sguardo per incontrare iride grige metallo, inconfondibili.
Scorpius Hyperion Malfoy.
“Potter…”
“Malfoy!” sbottò alzandosi di scatto. Si spazzolò le mani sui pantaloni, sorridendo nervoso.
Non ce l’aveva con Malfoy. Gli era abbastanza indifferente, ma il fatto che fosse più alto di lui di almeno venti centimetri, e avesse sempre quell’aria beffarda stampata in faccia…

Beh, lo metteva a disagio. Almeno Jamie era suo fratello, e poteva accapigliarcisi.
“Questa credo sia tua.” Gli sorrise ironico. “Sta’ più attento. Tendono a consegnarne una sola all’anno.”
Al se la riprese, infilandosela velocemente in tasca. “Ah, già… uhm, beh, grazie.”

Rose che li guardava dal carrello bagagli sospirò appena, segnalando la sua presenza.
“Weasley.”
“Malfoy.”
Si fronteggiarono. Malfoy con le mani abbandonate nelle tasche, Rose con le braccia conserte.

Lui e Rose…
Beh, era difficile definire il loro rapporto, se di rapporto si trattava.
Erano entrambi Grifondoro, prima di tutto.
Scorpius allo smistamento, con un certo sgomento da parte di tutti, era stato assegnato proprio alla casata dei grifoni.
Un Malfoy.
Probabilmente non è mai successo nelle duemila generazioni della sua famiglia.
A suo padre sarà venuta una sincope.
E poi erano rivali, scolasticamente parlando. La cugina deteneva anche delle statistiche sui rispettivi rendimenti. Da pazzi.   
Si stuzzicavano con frecciatine durante le lezioni, e mentre il ragazzo le rinfacciava la sua scarsa abitudine alla socialità, Rose ribatteva sciorinando la sua pessima attitudine a farsi degli amici maschi. E così via.
“Dopo cinque anni dovresti averlo imparato, il mio nome, Weasley.”
La ragazza fece una smorfia, come se avesse sentito un suono fastidioso. “Tendo a rimuoverlo. Comunque lo stesso dovrebbe valere per te..”
Weasley trovo che ti si addica di più.” Replicò il biondo. “Come hai passato quest’estate?”
“Esattamente come la immagini tu. Tremendamente povera di divertimenti e di classe.”

Scorpius rise.
“Via, non darmi del classista. Non lo sono. Sono un Grifondoro.”
“Vogliamo tirare fuori il solito argomento sulla presunta poca lucidità decisionale del Cappello Parlante?” sorrise amabilmente. “Perché è quello che si dice, sai.”
Scorpius scrollò le spalle.

“Non do retta alle voci più di quanto non dia retta ad un vecchio straccio…”
Rose inarcò le sopracciglia.
“Ma non mi dire. Scorpius Malfoy scelse Grifondoro?”
Il ragazzo non rispose, limitandosi a guardarla sorridendo. Cosa che Al, sapeva bene, la mandava letteralmente fuori dai gangheri.

“Cosa vuoi Malfoy? Papà oggi non ti ha accompagnato e sentivi il bisogno di scambiare qualche parola con qualcuno che non fosse un’ochetta adorante?”
Scorpius ignorò la frecciatina. “Aveva da fare. Sono venuto da solo, con un elfo domestico. Dovrebbe star sistemando adesso le mie valige.” Sorrise urbanamente. “E comunque, volevo solo congratularmi con Albus per la nomina a prefetto… e anche con te, naturalmente.”

Rose lo guardò presa in contropiede. Era chiaro non se l’aspettasse. Dopotutto erano rivali.
Comunque… spero che ci metteranno assieme, durante le ronde. Adoro la tua pungente ironia, specialmente la sera. È come un buon bicchiere di whiskey incendiario”
Rose sgranò gli occhi. “Vuoi dire che tu…” le si bloccò il fiato in gola quando gli vide comparire tra le dita, come un vecchio gioco di prestigio – probabile l’avesse materializzata – la spilla da prefetto di Grifondoro.

“… Congratulazioni?” tentò Al prima di essere fulminato dalla cugina. Tacque, saggiamente.
“Come hanno potuto fare te prefetto?”
“Per lo stesso motivo per cui hanno pensato a te, Rosey-Posey.” La vezzeggiò, rischiando quasi una fattura dallo sguardo incenerente che gli rivolse.

“Chiamami ancora in quel modo e giuro che quella spilla dovranno estrartela da posti che non avresti neanche creduto di avere.” Sibilò.
L’altro le servì un sogghigno deliziato. “Ci divertiremo, ne sono certo.” Vedendo arrivare James però pensò bene di battere in ritirata. Ci sarebbe stato comunque tempo per inagurare il nuovo anno scolastico con il maggiore dei Potter. Fece un lieve inchino.
“A presto Weasley…” E scomparve fluidamente tra la folla.
“Io lo ammazzo.” Esalò Rose serrando i pugni. “L’hanno fatto Prefetto! Quel dannato… quel dannato…”
“… Malfoy.” Mormorò dolente James, dandole una pacchetta sulla spalla. “Hai saputo, eh Rosie? A me l’ha detto Bob Jordan.”
“Come hanno potuto!” esplose voltandosi inferocita verso i due cugini.
Al fece un passo indietro, e James si maledì per non averlo fatto.

“Quell’idiota non ha i requisiti per diventare prefetto!”
“… Perché io sì, eh…” sospirò Al.

James sbuffò. “Smettila di fare il coniglietto tremolante, Al. Sei in gamba, per questo Vitious ha appoggiato la tua candidatura.” Poi si voltò verso Rose. “Ma che voleva Malfoy da te?”
“Bullarsi, come al solito, di riuscire a copiarmi in tutto.” Replicò salace.

James sbuffò simpatetico. “Allora, che ti dicevo? Non senti un orrendo bruciore di stomaco all’idea che debba condividere con te la carica? Ecco. Io mi sento precisamente così.”
Rose si morse un labbro. Quando James aveva ragione – raramente, ma accadeva – aveva ragione.
“Non voglio pensarci, davvero.” Borbottò. “Dov’è Hugo?”
“Già dentro. Mi sono assicurato che salisse invece che tentare di capire il funzionamento dei vagoni. Sta peggiorando Rosie…”
La ragazza scrollò le spalle. “Finchè non tenta di montare un impianto elettrico in casa va tutto bene. E poi a Hogwarts non funziona la tecnologia babbana. Si disintossicherà.”

“O troverà il modo di farla funzionare.” Replicò James, passandosi una mano trai capelli e sorridendo a Roberta Fitz-Patrick, una tassorosso del quarto anno che ridacchiò seguita da una comitiva di par sue. Per lui era come un tic dispensare sorrisi affascinanti. 
“Beh, io salgo!”
Rose e Al si guardarono, facendo un sorrisetto. Sapevano che Teddy avrebbe fatto il viaggio con loro, aveva un mandato un gufo per avvertirli. Ma l’avevano nascosto a James.
“Certo, certo. Vai, io aspetto Tom.” Replicò il fratello, con un cenno.
“Io ti raggiungo tra poco.”
James li guardò perplesso, ma senza intuire. “Vabbeh, però sbrigatevi, che sta per partire. Se vi lascio sui binari ma’ mi ammazza.” Fece levitare il proprio baule con un colpo di bacchetta. “Alla solita cabina, mi raccomando!” urlò loro dietro seguendo il baule fluttuante.  

“Te la immagini la sua faccia quando vedrà Teddy?” rise Al quando si fu allontanato.
La cugina ridacchiò.
“Oh sì… Prima sarà contento di vederlo, poi gli salirà il panico quando realizzerà che le lezioni di DADA non saranno più il suo campo giochi personale.” Rose si guardò attorno. “Aspetti davvero Tom?”
La guardò confuso. “Certo che lo aspetto!”
“Sì, ma è in ritardo.”
“Probabilmente perché gli hanno fatto fare ritardo. Sua madre è così apprensiva. Neanche dovesse partire in guerra o non so che…” borbottò.
Si erano visti a Diagon Alley qualche giorno prima, ma in mezzo alla confusione di cugini e amici erano a malapena riusciti a parlarsi. Thomas poi era continuamente tormentato da Lily, che pareva trovare estremamente divertente la sua riluttanza a darle udienza.

“Vuoi che aspetti con te?”
Al scosse la testa. “Manca poco alla partenza, lascia perdere… vai dentro, io gli ho dato appuntamento qui.”
Rose lo guardò: a volte Al sembrava votato a Thomas. Gli voleva bene, su questo non c’era alcun dubbio, e Thomas ne voleva a lui.  

Però il loro rapporto non era fraterno, né amichevole come quello che intercorreva tra lei ed Al.
Era più…
… una dipendenza.
Si sentì ridicola quando lo pensò: Albus non era dipendente da Thomas. Gli era solo molto affezionato. Lo stimava, anche. Tutto qui.
 
Al sorrise, vedendo arrivare Thomas con la consueta flemma una manciata di minuti dopo. Poteva capire perché le ragazze perdessero la testa per lui, anche solo indossando un’anonima polo nera e un paio di jeans chiari come quel giorno. Oggettivamente Thomas era bello e naturalmente elegante, tratto che lo distingueva dal resto della famiglia Dursley.
Avrebbe voluto avere un briciolo di quello che aveva Tom, se non riusciva – e non ci teneva neanche – ad essere uno spigliato belloccio come Jamie.
“Mi raccomando, fa’ con calma… altrimenti rischiamo di prenderlo, questo treno!” gli sogghignò, dandogli una lieve pacca sul petto.
Tom sospirò. “Mia madre ha voluto controllare che avessi preso un quantitativo sufficiente di maglioni per tappezzare tutta la sala comune.”

Al rise, poi infilò la mano in una tasca, mostrandogli il badge. “Guarda qua. Riesci ad immaginarlo? Vitius quest’anno ha esagerato con l’aquavite al consiglio scolastico!”
L’altro ragazzo inarcò le sopracciglia. “Prefetto.” Disse.
“Prefetto Al Potter a rapporto, già.” Sbuffò. “Dimmi condoglianze.”
Thomas sorrise inaspettatamente. Pensava che ne sarebbe stato un po’ geloso. Era dannatamente competitivo, persino con lui.

Poi capì.
“Anche…?”
“Proprio così. Prefetto Potter…”
“…  e Prefetto Dursley!” Rise Al, dandogli una pacca sulla spalla. “E’ fantastico! Tom, sei un prefetto anche tu!”

“Non l’avevo notato.” Ironizzò. La locomotiva lanciò un lungo fischio, avvertendo i ritardatari dell’imminente partenza.
“Meglio se saliamo in carrozza, prefetto Potter.”
Al scosse la testa. “Sai, non mi ci trovo affatto con ‘sto titolo.”

“Perché?”
“Non lo trovo… boh, roba che mi compete.”
“Sciocchezze. Sarai l’unico Serpeverde sufficientemente onesto a non togliere i punti alle altre Case per una mera questione di principio. Sarai un livellatore del trend comune.”

“… Tradotto in linguaggio non fine ottocento?” lo prese in giro.
“Sei adatto per questo ruolo, Al. Falla finita.” Tradusse diligentemente. Il cugino gli rivolse uno dei suoi sorrisi radiosi. Non c’era altro modo per descriverli. Era come un incantesimo di lumos maxima magistralmente eseguito.
Non lasciavano ombre.
“Sarà un grande anno, lo sai?” ripetè a suo beneficio.
Thomas gli strinse una spalla con una mano, gentilmente. Era un loro gesto. L’unico intimo che concedesse ad uno dei membri della sua famiglia. Ad un essere umano in generale, a dirla tutta.

“Sì, lo penso anche io.”
 
 
****
 
 
 
Espresso per Hogwarts, Lowlands, Scozia.
 
 
James era al centro perfetto del suo mondo.
Seduto nel vagone dei Grifondoro, in viaggio verso Hogwarts per il suo Settimo anno, con i gemelli Scamandro che giocavano a Sparaschiocco nel sedile davanti.

Anche se, a dirla tutta, al momento si stava un po’ annoiando.
“Ehy, Lor…” si rivolse al gemello che quel giorno avrebbe parlato. “Vado a farmi un giro nel corridoio. Se passa il carrello cosa vi prendo?”
“Api frizzole.” Mugugnò concentrato sul gioco. L’altro annuì con un cenno distratto. “Porco Nargillo, Lys! Questa mossa non è valida!”
James si richiuse dietro la porta che Lorcan ancora roboava insulti strampalati.

Fischiettò un nuovo successo della WWN² che gli aveva fatto compagnia tutta l’estate, ravviandosi i capelli.
Sorrise svogliato ad un paio di ragazze e si scambiò pacche maschie con alcuni compagni.
Le facce erano sempre le solite. Pure i primini, volti freschi, sembravano assomigliarsi tutti.

Ti stai annoiando Jamie Potter?
Il fatto era che lui lì era il Re. Certo, Malfoy era un Prefetto ed era il Capitano della squadra di Quidditch, ma era un Malfoy. Oltre ad un certo livello di popolarità non sarebbe mai arrivato.
Le colpe dei padri…
Era un dato di fatto. Come era un dato di fatto che i meriti di suo padre ricadessero con naturalezza su di lui. E gli stava bene. Sapeva che non li avrebbe disattesi.
Era un vincente. Era un Re.
… e a volte anche i Re si annoiavano.
Si affacciò svogliato ad una delle cabine vuote, per vedere se nascondevano qualche tresca che si sarebbe divertito a commentare con i gemelli.
Sgranò gli occhi, sentendo la mascella allentarsi.
Probabilmente in quel momento aveva una faccia ben poco regale.
“Teddy!” urlò.
Il giovane uomo, preso nella lettura della Gazzetta, alzò gli occhi, ora azzurri. Sorrise.
“Jamie, ehi.” Gli fece cenno di entrare. James aprì la porta, scaraventandosi dentro.
“Che cavolo ci fai qui?” sbottò irruento.
Ted non sembrò adombrarsi dei modi rudi del ragazzo. Continuava a sorridere. A ben vederlo aveva un’aria divertita. A suo agio. Come se fosse normale la sua presenza .

Doveva avere davvero una faccia da cretino.
Ma Ted! Sull’espresso per Hogwarts! Diretto-solo-ad-Hogwarts!
“Beh, sto andando ad Hogwarts.” Disse infatti.
“E fin qui! Ma perché?”
Il ragazzo lo fissò perplesso. I capelli, lunghi fino alle spalle, da un colore castano chiaro sfumarono in lillà.

Ah, era perplesso. James da piccolo si divertiva ad indovinare i vari stati d’animo che Teddy simulava per lui, a seconda del colore dei capelli. Ma se era soprapensiero non riusciva a controllarli. Come adesso, appunto.
“Perché sto andando ad insegnare lì. Rose e Al non te l’hanno detto? Vi ho mandato un gufo l’altroieri.”
“Non mi hanno detto un cazzo!” si alzò in piedi. Si risedette. Ci riflettè un attimo. “Quegli stronzi!” concluse.
Teddy si mise a ridere. “Dio, Jamie, dovresti vedere la tua faccia!” gli fece cenno di accomodarsi accanto a lui, battendo una mano sul sedile. Il ragazzo sbuffò.
“Non sono più un bambino di tre anni.”

“Adesso ti stai comportando esattamente così. Dai, siediti.”
James si sedette.

“Però non mi hanno detto nulla davvero, porca puttana.” Mugugnò. “Davvero insegnerai?”
Teddy annuì. “Il preside Vitius mi ha convocato due mesi fa per propormi la cattedra. Era rimasta vacante.  Mi ha riempito di complimenti, non sapevo come uscirne senza sembrare un ingrato.” Rise. “Ma non sono stato sicuro fino all’ultimo.”
James si mordicchiò un labbro. Un dubbio atroce si fece spazio tra le sue sinapsi.

Per quanto ne sapeva, l’unica cattedra vacante…
“Cosa insegnerai?”
“Difesa contro le Arti Oscure.”
Appunto.
Fece una smorfia, ma fu attento a dissimularla. Almeno, pensò di esserlo stato.

Teddy inarcò infatti le sopracciglia sottili. Pure quelle, lillà.
“Qual è il problema?”
“Oh, no. Nessuno. È fantastico, Teddy!” sorrise, dandogli una gran pacca sulla spalla. Fortuna non fosse un fuscello come Al, o l’avrebbe steso a terra. Sopportò abbastanza bene la zampata.

“Jamie… La verità.” Chiese paziente. Chiedeva sempre, mai ordinava. Era un buon metodo con i ragazzi come James. Li disorientava.
Infatti James si morse di nuovo il labbro, tamburellando le dita contro le ginocchia.
“Aw, okay.” Sbuffò alla fine. “È solo che sono stato un po’ stronzo con l’ultimo professore…” Silenzio. “Un po’ tanto.”
“Lo so.” Vitius l’aveva edotto nel dettaglio. Anche troppo, per i suoi gusti. Gli sorrise. “Ma sono sicuro che con me non accadrà. Vuoi diventare un auror, no?”
“Sicuro!”
“Allora dovrai cominciare ad imparare…” lo fermò con un’occhiata ammonitrice “… imparare davvero intendo, una delle materie base.” 

James sospirò, abbandonandosi sul sedile. “E’ così palloso stare a scuola, Teddy. A te è sempre piaciuta. Per me è una tortura.” Incrociò i polsi significativamente. “Mi sembra di stare in prigione…” si sfogò lanciandogli un’occhiata afflitta.
Ted lo guardò con affetto: conosceva James da quando era nato, come tutti i Potter-Weasley del resto. Era un bravo ragazzo, ma diversamente da Albus e Lily aveva il sangue caldo. Era irruento, impulsivo, tutto azione, niente pensiero.
Capiva perché soffrisse a dover restare chiuso in un aula polverosa a sentire salmodiare un professore.
“Ma non tutte le lezioni saranno uguali, no? Ci sarà pure una materia che non detesti.”
“Beh, sì…” ammise imbronciandosi e passando un dito lungo il bracciale di pelle di Drago che portava al polso sinistro. Era un regalo dello zio Charlie, e ne andava matto.

“Mi piaceva Difesa, finchè c’era Torrent. Sicuro, a volte era dannatamente barboso, ma quando ci portava nella Foresta Proibita per le esecitazioni era figo.” Ci riflettè. “Anche Cura delle Creature Magiche è okay. Hagrid è in gamba.”
Teddy annuì, segretamente sollevato dalla risposta. Aveva visto giusto.
Già sarà dura tenere in riga due classi per ciascun anno. Ci mancherebbe solo dover temere che Jamie si annoi e cominci ad infastidire.
“Il programma sarà soprattutto pratico. Faremo molte esercitazioni e vi porterò delle creature magiche in classe. Ho già parlato col Preside, che si è detto d’accordo.” Notò con compiacimento il guizzo di attenzione negli occhi del ragazzo. “Niente noiose lezioni che cominciano con ‘aprire il libro a pagina’… okay? È una promessa.”
James sfoderò un gran sorriso, dandogli una pacca sulla spalla. “Non avresti mai potuto deludermi, Teddy. Grande.”

“A proposito di Teddy…”
James sbuffò.
“Ricevuto Capo. Alunno-e-professore. Niente Teddy.”
“James…” lo ammonì gentilmente. Il ragazzo roteò gli occhi.
“Okay Professor Lupin. Così va meglio?”
“Molto meglio.”
Si sorrisero. James giocherellò ancora un po’ con il braccialetto di pelle.

“Vic come sta? Non la sento da un po’. Adesso è in Francia, no?”
Sentì l’amico d’infanzia tendersi leggermente. Ma il color dei capelli rimase immutato.

Boh, magari è stata una mia impressione…
Non ci diede troppo peso. Doveva mancargli. Quando vivevano in Inghilterra erano praticamente in simbiosi.
Ed io che faccio fatica a sopportare una tipa per qualche minuto oltre il post-orgasmo…
“E’ a Parigi adesso. Sta seguendo dei seminari al Ministero.” Rispose evasivo. Non tanto normale pure quello, ma comprensibile.
Vic seguiva un sacco di corsi di formazione, seminari, conferenze. Voleva fare tutto, e non riusciva ad appassionarsi davvero a niente. Era così anche a Scuola, volubile e capricciosa.
Era un miracolo, commentava Rose, che avesse un rapporto stabile e duraturo con il mite Teddy.
Era amore, sospiravano le altre cugine.
Era un miracolo, sogghignavano lui e Rosie.
Grande Rosie.
Comunque…
“Dom e Louis invece? Lu è al primo anno, no?”
Teddy sorrise, ricordando con affetto i fratelli minori della fidanzata. Specialmente Louis. Era vivace e allegro, un vero terremoto. A volte gli ricordava Jamie.

Fortunatamente non aveva la sua stessa attitudine a rischiare il collo.
“Già, e penso che resterà a Beaux-Batons. Invece Dom è ancora indecisa…” scrollò le spalle, fasciate in una giacca che doveva avere come minimo vent’anni.
Indossava sempre vestiti dimessi, Teddy. Eppure sua nonna era una Black, e per quanto rinnegata,non aveva problemi di soldi.  
Ma era semplicemente nel suo stile indossare una giacca un po’ lisa sui gomiti, una maglietta anonima e dei jeans da due soldi.
Teddy non si curava del suo aspetto, proprio non gli importava. Ironizzava sempre che con i capelli che aveva, qualsiasi cosa si fosse messo addosso, anche un costume da Orco, sarebbe passata in secondo piano.
Non aveva tutti i torti. Adesso erano arancioni zucca.
“Un zellino per i tuoi pensieri…” cantilenò con tono infantile. Teddy gli sorrise.
C’era la quiete in quel sorriso. La serenità. Era nato durante la guerra, eppure tutto il suo essere urlava ‘pace’.
“Stavo solo pensando che Hogwarts mi è mancata.”
Ed era vero. Le sue aule scure e polverose, i corridoi di pietra, le scale che cambiavano continuamente posizione, la Sala Grande

Persino Pix gli era mancato.
Chi lascia Hogwarts se la porta sempre nel cuore…
“Già. Mancherà anche a me quando me ne andrò, penso. Praticamente ci sono cresciuto dentro.” guardò l’orologio che aveva al polso. Era babbano, un regalo di nonno Arthur. “Credo di doverti lasciare solo soletto Teddy. Devo andare a cambiarmi e diventare un bravo Grifondoro a tutti gli effetti. Ce la farai a ricordarti la strada per le carrozze?”
“Ci proverò.” Scherzò. “Ci vediamo a scuola, Signor Potter.”
“A scuola, professor Lupin!” Confermò stizzandogli l’occhio. Teddy per un attimo pensò di fargli notare che doveva abituarsi a non usare una gestualità troppo familiare. 

Ma poi lasciò perdere. Farglielo notare non avrebbe avuto senso, Jamie non avrebbe capito, spontaneo in tutte le sue manifestazioni. Si sarebbe offeso, probabilmente.
Avremo tempo per affrontare anche questo discorso.
Una cosa per volta…
Abbandonò la testa sullo schienale del morbido sedile, guardando scorrere il paesaggio dal finestrino. Erano entrati nelle Lowlands(3), stimò.
Amava quei paesaggi rugginosi, tipicamente anglosassoni. Erano spogli, spigolosi, eppure dotati di selvaggia bellezza. In Provenza era tutto linee morbide e paesaggi gradevoli. Belli sì, ma non appartenevano alla sua infanzia.
‘Cheri, non è bellissimo qui? Rimaniamo qui per sempre, cheri…’

Chiuse gli occhi, imponendosi di non pensare.
 
 
Scars in the country, the summer and her
Always the summers are slipping away
Find me a way for making it stay…
 
 
 
 
 
 
****
 
 
 
Note:
1 – So che la prima gloriosa Ford Anglia è attualmente nella Foresta Proibita, ma mi è venuto da pensare che probabilmente Arhur ne abbia stregata un’altra. :P
2 – Witch Wireless Network, è la stazione radio principale del mondo magico.
3 – “Le Lowlands Scozzesi indicano l’area della Scozia (Regno Unito) non riconducibile alle Highlands.” (Da Wikipedia)
 
Commenti:
E siamo arrivati al secondo capitolo. Non so a quanti importi di questa storia, considerando le poche recensioni e le molte visite. Forse fa schifo. Boh. Comunque, ecco i nuovi arrivati.
Per Scorpius dopo aver spulciato vari forum e siti sul Potterverse, la mia scelta è caduta su Toby Hemingway. Non è una bellezza angelica, ma non volevo una bellezza angelica. È un Malfoy, e i Malfoy NON sono angeli. Manco caduti.
Per Ted ho scelto Taylor Kitsch. Oggettivamente, era un Teddy perfetto. I gemelli Lysander e Lorcan, invece… beh, li ho immaginati biondi e vagamente jocks, quindi chi meglio dei Brewer’s Twins?
Scorpius
Teddy
Gemelli Scamandro

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Capitolo 7
*** Capitolo III ***


Commenti:
Ringrazio tutti quelli che mi hanno recensito! Si sa, l’autostima di un fic-writer è sempre estremamente sensibile, quindi davvero, ringrazio tutti di cuore per avermi fatto sapere cosa ne pensano di questa minchiatella. Un ringraziamento anche a chi mi ha fatto notare incongruenze o aspetti che poco gli piacciono di questa storia. Mi siete davvero utili!

Informazione: sotto consiglio ho deciso di dare dei giorni fissi di postaggio, che, salvo cambiamenti, saranno lunedì/giovedì/domenica.
Jakie Black: grazie per i complimenti! Sì, il legame tra lui e Tom è molto stretto, e presto vedrai ulteriori sviluppi. Dopotutto questa storia ha loro, come protagonisti principali, anche se certo gli altri meritano uno spazietto. :P Ted spero di non farlo solo troppo noioso. Ma è un Mr. Nice Guy e con una caratterizzazione del genere c’è sempre questo rischio! Rosey-Posey ammetto di averla già sentita da qualche parte ma era troppo bella per non ri-usarla. XD
Miriam Malfoy: Scorpius e Rose te li servirò su un piatto d’argento, promesso, nel prossimo capitolo. Spero di non averti deluso! Al è un dolcetto, ma è ancora un embrione, caratterialmente. Vedremo se sarà così buono e mite come sembra e Tommy così cattivo come si dipinge. Se trovassi un Ted così ne reale lo legherei ad una sedia, tu no? XD
Ombra: Grazie davvero per essere passata! Sì, le fic della new generation sono sempre un salto nel vuoto, ma spero continuerai a seguirmi! Come vedi i vecchi odi/amori di famiglia sono più o meno rimasti costanti, con qualche dovuta eccezione! ^_-

 
 
****
 
 
 
Capitolo III
“Wannabe Curious?”
 
 
 





 
 
 

 
L'invidia è la lima che assottiglia la coscienza.



 
 

La Sala Grande era sempre uno spettacolo da ammirare e a cui tornare con il cuore grato.
Al aveva alzato gli occhi al cielo, con un mezzo sorriso.

Centinaia di candele sospese sul soffitto rischiaravano la volta, da cui era visibile un pallido cielo stellato. I drappelli delle quattro casate sventolavano ad una lieve brezza fittizia e i centinaia di mantelli degli alunni gremivano l’ambiente. Un nuovo anno scolastico era appena iniziato.
Tom, affianco a lui, incrociò le braccia dietro la schiena, dando invece uno sguardo complessivo, focalizzandosi poi su alcune persone.
“Tom, guarda la volta!”
“Cos’ha di diverso da tutti gli altri anni?” lo freddò. Gli diede una gomitata sul fianco.

“Sei proprio poco poetico!”
“E tu sei lo sei fin troppo.” Concluse. Era già entrato nel mood da prefetto: monitorava i primini che chiocciavano entusiasti di fronte alle tante meraviglie che si spalancavano di fronte ai loro occhi.

I più entusiasti sono, ovviamente, i nati babbani…
“Rilassati dai, ancora non sono neanche stati smistati…” Albus gli tirò appena il mantello, cercando attenzioni. A volte era stancante.
“Vorrei evitare che qualcuno si infili nella zuppa di verdure.” Ironizzò, ma scollò lo sguardo dalla folla per riportarlo su di lui. “Michel?”
“Sarà in giro. L’ho visto strigliare Nott all’ingresso. Credo tentasse di non fargli vendere mappe della scuola.”
Inarcò le sopracciglia. “Mappe della scuola?”
“Lo sai com’è fatto Nott.” Sogghignò Al. Quando aveva quell’espressione gli occhi gli si assottigliavano, diventando ancora più verdi. Thomas non aveva mai visto un verde così limpido. Lo considerò distrattamente, finendo di ascoltarlo. “Se c’è qualcosa che può farlo guadagnare, ci si butta a capofitto. E devi ammettere che per le matricole questa scuola è un labirinto.”
Tom stese le labbra in un sorrisetto. “Quell’idiota ha alcuni picchi di genialità, talvolta. A quanto le mette?”
“Non ho sentito, ma Zabini sembrava piuttosto furioso. Sai, il prestigio della Casa, traffici sottobanco, poca dignità, blablabla… Se andrà tutto bene riuscirà a strappare gli interessi del venti per cento sulle vendite.” snocciolò guardandosi attorno, e sorridendo ampiamente quando vide Ted Lupin sedersi al tavolo dei professori.

Thomas aggrottò le sopracciglia.
“Al, cosa ci fa Ted al tavolo dei professori?” si informò quietamente.
Albus lo guardò perplesso, poi si morse un labbro. “Ops. Mi sa che con tutto il trambusto a Diagon Alley mi sono dimenticato di dirtelo. Ted adesso insegna qui. Difesa contro Le Arti Oscure. Sai, al posto di Facheux.”
Silenzio.
“Oh.” Disse soltanto.
Al sentì che una catastrofe era imminente.
Thomas adesso aveva quella faccia.
Sì, quella che avrebbe dovuto avere quando gli aveva mostrato la spilla.
Al non era un cinesteta, ma la sapeva riconoscere.
Stendeva le labbra in una linea sottile, perdeva espressione. E parola.
Invidia.
Tom aveva un piccolo, grosso problema con l’invidia.
E Ted spesso era l’oggetto di tale sentimento. Teddy il Ragazzo Perfetto. Teddy-che-adesso-era-un-giovanissimo-professore.
“Dai, non fare quella faccia! Ted è in gamba!”
“Lo so.” Replicò. “Sono contento per lui.”
… ma proprio per niente.
Sospirò, toccandogli un braccio. Lo sentì teso, con i muscoli contratti. Avendo un fisico asciutto a volte l’unica cosa che si percepiva toccandolo erano muscoli, e tendini. E nervi.
“Teddy se lo merita.” Esitò. “Alla sua età anche tu avrai una cosa del genere… voglio dire, verrai ad insegnare qui o farai qualsiasi altra cosa ti passa per la testa. Ne sono sicuro.”
Lo tirò verso di sé, facendolo voltare. Lo vide, che la cosa non gli era piaciuta, da come contrasse l’espressione, in una furente. A Thomas non piaceva essere costretto, specie fisicamente, a fare qualcosa.

Se ne fregò. A volte andava costretto, quel caprone.
“Ehy, dico sul serio! Smettila di avere quella faccia da veglia funebre. Lui è diventato professore, tu Prefetto.”
“Non è la stessa cosa.”
“Tom, hai sedici anni, cazzo.” Si spazientì. Perdeva totalmente lucidità quando qualcuno dimostrava, platealmente, di avere delle doti notevoli. Specie se riguardava l’intelletto.
Dello sport, in effetti, se ne fregava.
Come se volesse essere sempre lui, il primo in tutto. A volte è proprio un bambino…
Il ragazzo fece una smorfia. “Mollami il braccio. Ho capito… mi congratulerò con lui.”
“Seriamente.” Serrò appena la presa. “Seriamente, senza fare il bambino.”
“Non faccio il bambino. E comunque, giusto per puntualizzare… Ted ha ventiquattro anni. Non credi che Vitius si sia lasciato prendere dall’emotività, e dalla triste storia dell’orfano Lupin?”

Tom!” lo guardò scandalizzato. “Dovresti essere felice che un membro della nostra famiglia si sia realizzato in qualcosa che ama davvero fare! Davvero, a volte ti comporti in modo assurdo…”
Tom si liberò con uno strattone. Un paio di ragazzi li guardarono. In effetti erano ancora in piedi di fronte alla porta.
“Sei dannatamente testardo. Cosa vuoi che ti dica? Che sono entusiasta per lui? Che andrò ad abbracciarlo? Non lo sono.”
“Lo vedo, ma…”
“Questo discorso è concluso.” Lo seccò voltandogli le spalle e andandosene. Sentì la risatina di James, già seduto al tavolo dei Grifondoro.

“I due amichetti del cuore hanno litigato?” cinguettò facendo ridere in sincrono i due gemelli Scamandro.
“Vaffanculo Jam.” Ringhiò Al, seguendo Lo Stupido Caprone.
Si sedettero, entrambi imbronciati, al tavolo dei Serpeverde: i tavoli sarebbero stati quattro solo per quella sera e per via dello Smistamento. Il resto dell’anno venivano infatti sostituiti da una dozzina di tavolate più piccole, dove chiunque poteva sedersi.
Era stata la McGrannit a introdurre quel cambiamento. Per avvicinare gli studenti, per far loro capire che si poteva essere amici e compagni anche se si indossavano colori diversi.
A lui piaceva fare colazione con Rose, i fratelli e Tom.
Al momento certo, quest’ultimo non era contemplato.
Si era seduto a tre posti distante da lui, accanto a Loki Nott, uno ricciolo bruno, che stava impilando un mucchio di zellini di fronte a sé.
Idiota. Dovrebbe essere felice per Teddy. Tutti dovremmo esserlo! Se lo merita!
“Problemi in paradiso?” una voce morbida come la seta gli solleticò l’orecchio. Deglutì appena.
“Mick! Mi fai sempre prendere un colpo! Ma avvertire con una pacca sulla spalla no?” sibilò stizzito al ragazzo di colore che gli si sedette elegantemente accanto.

Michel Zabini era il ragazzo-immagine di Serpeverde, assieme a Tom: purosangue, di antica Casata, distinto, alto, dalle membra longilinee e dal viso perfetto. Gli occhi da orientale facevano sognare e sospirare parecchie ragazze del loro anno, e non solo.
Nessuno indossava l’uniforme di Serpeverde come la indossava lui. Neanche Tom.
“Scusa, scusa.” Sorrise. “Pensavo mi avessi sentito arrivare. Sarebbe un bel problema se il mio cercatore perdesse la sua sensibilità…” gli fece un buffetto sulla guancia.
Al si scostò.
“La mia sensibilità è al sicuro, tranquillo. Semplicemente stavo pensando ad altro.” Scrollò le spalle, lanciando un’occhiata distratta verso lo Smistamento. Il Cappello Parlante urlava sincopato i nomi della quattro Case. Toccò ad un ragazzino la cui testa fu quasi inghiottita dal Cappello. Sorrise. A lui era successo lo stesso.
“Pensando… a cosa, se posso chiedere?”
“Me l’hai chiesto quando mi sei strisciato alle spalle.” Lanciò un’occhiata ispida verso Tom, che lo stava palesemente ignorando. “Abbiamo litigato.”

“Avete litigato. Capisco. Non è una cosa nuova Al.” Fece una breve risata. “Per Merlino, bisticciate in continuazione.” Gli passò una mano trai capelli. “Allora, stavolta l’argomento è?”
“L’argomento è il nuovo professore di Difesa.” Indicò con un cenno della testa Teddy, che stava chiacchierando piacevolmente con un’entusiasta Hagrid. Il buon mezzo-gigante l’aveva visto crescere, e stavano rievocando l’adolescenza del giovane.
“Mmh. Delizioso, devo dire. Quei capelli lunghi, quel viso pulito e gli occhi luminosi…”
“Ted-… il professor Lupin è come un fratello per me, Santo Godric! Potresti non parlarne come se fosse un paginone centrale di Strega Oggi?” lo guardò leggermente traumatizzato, facendolo ridere di gusto.
“Va bene, va bene cherie… Cercherò di trattenere il mio trasporto emotivo. Comunque. Dov’è il punto? Tom è geloso di lui?”
“Sì, tremendamente. Sai, è giovane, in gamba…”
“… e così legato a te…” concluse con aria seria. “
Gelosia è un mostro dagli occhi verdi che schernisce la carne di cui si nutre¹…”
Silenzio.
“…Ma che hai capito!” sbottò esasperato. Quando parlava con Michel non sapeva mai se mettersi a ridere o disperarsi. E poi aveva quella brutta abitudine di stargli troppo addosso. E toccarlo. Non gli piaceva granchè essere toccato. “Intendevo dire che è geloso perché è diventato il più giovane insegnante ad Hogwarts!”
“Oh.” Lo guardò. “Ho frainteso?”
“Direi!” sbottò arrossendo. Michel lo metteva continuamente in imbarazzo. Un imbarazzo generico, dovuto al fatto che spesso insinuasse cose su lui e Thomas assolutamente inconcepibili.

Tom era il suo miglior amico!
Inutile che cerchi di spiegarglielo... Probabilmente troverebbe ambiguo anche questo.
Zabini era l’ambiguità fatta persona. Si diceva anche fosse bisessuale. Non che l’avesse mai visto in atteggiamenti equivoci con un ragazzo, c’era da dire.
Forse scherzava soltanto.
Forse.
“Va bene, va bene. Ma dovresti scusarlo… siamo Serpeverde dopotutto.” Ascoltò distratto Vitius parlare. Abbassò il tono di voce, chinandosi su di lui. “Capisci che intendo?”
Al fece per rispondere, ma fu distratto da Ted, che si alzò dopo il breve discorso di introduzione del Preside, ricevendo gli applausi con aria schiva e imbarazzata.
Tremendamente Teddy. Era così orgoglioso di lui.
Sentì un lungo fischio euforico. Jamie. Ridacchiò. Con la coda dell’occhio vide che Tom aveva le braccia conserte.
Idiota…
Si risedette, di nuovo di pessimo umore. “Veramente no. Non capisco.” Borbottò all’indirizzo del vicino, incrociando le braccia sul tavolo. “Spiegami.”
“Ambizione, piccolo Al. Thomas è brillante, senza ombra di dubbio. Ammetto persino che i suoi risultati scolastici a volte siano leggermente superiori ai miei.” Gli picchiettò sul naso con l’indice affusolato. “Chissà, forse avrebbe voluto infrangere lui quel record … Al mondo d’oggi sono rimasti così poche vette a cui aspirare...”

Il sedicenne fece una smorfia. “Non mi ha mai detto che gli piacerebbe insegnare…”
“Non è insegnare. È la posizione di prestigio che ricopre un docente di Hogwarts. Pensaci. Quanti grandi maghi e streghe hanno insegnato qui? Albus Silente, Severus Piton, Minerva McGrannit… senza contare che hanno avuto influenza a livello del Ministero. Silente non è forse stato presidente del Wizengamot? E non dava forse del tu al Primo Ministro? È tutto connesso. Educazione è potere.”

Albus sospirò: allora era quello. Aveva senso, considerandolo nell’ottica di Tom.
Certo, magari Mick come al solito esagera sulla questione del potere… Tom poi non è interessato ad entrare al Ministero. Dice che il lavoro d’ufficio non fa per lui.
Vitius diede il segnale che la cena poteva cominciare e ben presto la sala si riempì del rumore di centinaia di mascelle che masticavano entusiaste. Al poté di nuovo alzare la voce.
“E’ stato davvero sgarbato però. Si trattava solo di essere contento per un amico!”
“Un tuo amico. Thomas non mi risulta sia un amico di famiglia del Professor Lupin.”

Touché.
Sospirò: Zabini aveva ragione. A volte si dimenticava che non sempre Tom poteva provare le stesse cose che provava lui. Non sempre era contento quando lui lo era, e viceversa.
È più facile con Rosie…
Si alzò, prendendo piatto e bicchiere.
“Loki, ti spiace metterti al mio posto?” chiese al giovane Nott, che alzò la testa dal suo piatto, dove si stava abbuffando di pasticcio. Era incredibile quanto cibo riuscisse ad ingurgitare rimanendo scheletrico. Il ragazzo sbuffò, contrariato.

“E che ci guadagno?”
“Ho un bicchiere di succo di zucca sospeso sulla tua testa, Lo.”

“… ricevuto. Dannati Potters.” Sogghignò senza vera cattiveria, spostandosi.
Tom continuava a guardare il suo piatto con aria particolarmente interessata. Al gli si sedette a fianco. “Non devi essere contento per Ted.” Esordì.
Silenzio.
“Davvero. Non devi. Puoi anche essere incazzato per questa storia…”
“… Ne sono lieto.” Era sarcastico. Si poteva ancora migliorare.

“Diventerai professore anche tu.”
“Al, non è…
“Preside.”
“Al…”
“Presidente del Wizengamot.”
“A-…”
“Capo della Sezione Auror, Presidente della Lega di Quidditch, Maestro di Pozioni, Direttore della Gazzetta…” si fermò. Gli sorrise. “Tu puoi diventare tutto quello che voi, Tom. Tutto.” Gli mise una mano sul braccio. “Ne sono sicuro come sono sicuro che i Cannoni di Chudley sono delle vere schiappe e non vinceranno mai la Coppa.”

Tom inspirò appena. Esitò.  
“I Chudleys fanno davvero schifo, mi è stato detto.” Finì per sciogliersi in un sorriso.
Sua madre diceva sempre che chi non sorrideva mai di solito aveva un sorriso stupendo. Cavolo, era vero. Quello di Tom era raro come un eclissi di sole, ma altrettanto d’impatto.

Si sentì un po’ idiota a considerarlo. Lo diceva sua madre. Una femmina.
Però mamma ha la brutta abitudine di aver sempre ragione, diavolo…
“Davvero schifo, già.” Confermò allegramente. “Una roba vergognosa.”
Si misero a ridacchiare.
“Mi congratulerò con Teddy.” concesse con una lieve smorfia. “Dopotutto ha raggiunto un ottimo risultato.”
“Tom, non sei tenuto…”
“Voglio farlo. Hai ragione, sarebbe scortese da parte mia ignorarlo.” Si mise in bocca un pezzo d’arrosto, masticando lentamente. “Ma non ne sono contento.”
“Okay. Puoi non esserlo.” Annuì. “Voglio dire, è giusto così… Non ti obbligherò più a sprizzare gioia.” scrollò le spalle. “Scusa.”
“Quindi pace?” lo guardò con un lieve sorrisetto. Fu sicuro che Tom avesse capito le sue intenzioni, e ne fu contento.

“Pace.”
 

*****
 

 
“E’ incredibile come Malfoy sia sempre pieno di donne…” eruppe Hugo, in maniche di camicia, tirate su fino ai gomiti, nonostante il settembre già freddo che si riverberava nelle mura del castello. Gli ispidi capelli rossi erano già impazziti in tutte le direzioni, ora che le strigliature mattutine e forzate della madre erano lontane. “Davvero, guardatelo!”
Fortunatamente, anche se parlava ad un tono di voce sufficientemente alto da risvegliare i morti, Scorpius era in fondo alla tavola, e non li sentì. Aveva avvinghiata una del sesto con delle grosse gengive, stimò Rose. Clara Haggins forse?
A lei sembravano tutte uguali.
“Perché dovremo?” fece spallucce. “Finisci quello che hai nel piatto piuttosto, che si fredda.”
“Non dirmi cosa devo fare, sorella!” la accusò puntandole il dito addosso. Rose lo spostò infastidita.
“Per Merlino, a volte sei insopportabile come Jam.”
“Magari avessi la sua fortuna con le tipe...”
Quello era l’anno della pubertà del fratellino, l’ultimo nato in casa Weasley – sezione britannica.

Dio, quanto vorrei che avesse ancora dieci anni e le fossette sulle guance. Invece no. Foruncoli, scarsa igiene e propensione a urlare invece che esprimersi coerentemente.
Mio fratello è diventato una specie di mostro mitologico. Un adolescente.
Guardò con affetto la cugina Lily. Era dolce, delicata, aveva forme acerbe, ma già morbide, come il fiore che le aveva dato il nome.
Certo, bastava non contrariarla.
Lily arruffò i capelli ispidi di Hugo con le dita. “Dai, Hughie, fai il bravo. Prometto che ti presenterò qualcuna, se la smetti di … parlare.”
Rose sghignazzò, bevendosi un sorso di succo di zucca. Lanciò un’occhiata al tavolo dei Serpeverde. Albus stava chiacchierando allegramente con Thomas, che lo ascoltava distratto come sempre. Dal tavolo dei Corvonero Roxanne aveva fatto capannello, mentre spiegava al proprio capitano, Rupert Chang, le strategie che aveva elaborato durante l’estate. Chang più che altro guardava Roxanne.
Un altro anno era iniziato, esattamente uguale ai precedenti.
I professori erano ordinatamente schierati al tavolo in fondo. Ted stava chiacchierando con il Preside, Hagrid stava facendo ridere con una battuta il professor Paciock – non sarebbe mai riuscita a non trovare strano dover chiamare zio Neville per cognome.
“Ehy, hai notato che non c’è il professor Ziel?” le chiese Lily, toccandole la spalla. Rose annuì. Era il professore di trasfigurazione, subentrato alla McGrannit dopo che questa si era ritirata a vita privata. Era un uomo corpulento, dai modi affabili. Purosangue, si occupava dei Tassorosso. E al momento non c’era.
“Sarà rimasto nei suoi appartamenti.”
“A darci di cicchetti!” sghignazzò il fratello.
“Hugo! Non sta bene parlare male di un professore!”
Finì di dirlo, quando il poderoso portone della Sala Grande si aprì, sospinto da un trafelato Mastro Gazza: ormai viaggiava per l’ottantina, ma non aveva smesso certo di essere sgradevole e vagamente unticcio. L’uomo corse goffamente verso la tavolata dei professori. Aveva un’aria sconvolta, e si era dimenticato persino di portarsi dietro l’ennesima copia della ormai defunta Mr. Purr.

“Dov’è quella specie di sacco pulcioso del suo gatto?” chiese infatti Hugo perplesso. “Se lo porta ovunque tipo stola …”
Vitius lo accolse, scendendo dallo scranno dorato che era stato di Silente, opportunamente rialzato e sistemato per la sua discendenza goblin. Parlottò con l’uomo, prima di prendere un’espressione grave.

“Che cavolo sta succedendo?” borbottò Hugo. Aveva la vista di un aquila. Ed era dannatamente curioso. Rose sentì James alzarsi e scivolare accanto a lei.
Lupus in fabula…
“Ehy, che si dice?” mormorò lanciando occhiata curiose alla tavolata dei docenti.
“Niente al momento. Gazza sembra agitato.”
“Forse qualcuno gli avrà messo una sorpresina nei corridoi del secondo piano. Sai, una cosa tipo, bentornato anno scolastico…”
“Jamie!”
“Ehy, ehy. Non ho detto che sono stato io.”
“Allora sono stati gli Scamandro.” Concluse Rose rassegnata. Videro il piccolo Preside trotterellare fino a Ted, chiedendogli di seguirlo con un gesto veloce e nervoso. Il giovane si alzò. Sembrava perplesso. Vitius disse qualcosa anche al professor Paciock che annuì. Uscirono, senza dare altre spiegazioni. Un lieve brusio da parte degli studenti fu messo a tacere dal richiamo di Neville.
“Teddy va con loro, avete visto?” esclamò il più giovane degli Weasley.
James annuì. “E pure io.”
Rose alzò gli occhi al cielo. “E come pensi di fare genio?”
James sfoderò un sorriso allegro. “Cavolo. Devo proprio andare in bagno.”
“… Io me ne lavo le mani. ”
“Se ti mettono in punizione giuro che sarò io a scrivere alla mamma per dirglielo.” Replicò Lily irritata. “Perché devi essere sempre così…”
“Grifondoro?”
“No, stupido.” Sibilò guardandolo male. Poi prese ad ignorarlo forzatamente.

“Aw, andiamo…” guardò la sorella. Sbuffò. “Beh, potrai strigliarmi dopo, all righty?” Si alzò, tornando al suo posto. Aspettò una decina di minuti, prima di alzarsi.
“Ehy!” il baritono della voce di Rubeus Hagrid esplose nella Sala. “James Potter, dove credi di andare, eh?”
Il ragazzo si voltò con volto sofferente. “Al bagno, professore. Sa, certe urgenze…” disse ad alta voce, facendo ridere la tavolata. Rose scosse la testa, e Albus lo guardò perplesso. Poi, consapevole.

“Oh, no…” mugolò, prima di serrare le labbra infuriato.
“No, cosa?” Anche Tom aveva notato il comportamento anomalo del Preside, e non ci mise molto a realizzare. “Oh. No.” Ripeté atono.

Hagrid lo squadro da capo a piedi, poi sbuffò. “Se ci devi proprio andare Potter, ecco, vacci.”
“Grazie professore!” trotterellò via, seguito dagli sguardi sghignazzanti dei gemelli Scamandro.
“… Devo andargli dietro.” Sibilò Al di malumore.
“Perché?”
“Perché è mio fratello, e se lo becco io, gli tolgo una decina di punti. Se lo becca il Preside lo sbatte in punizione a lucidare senza magia la stanza dei Trofei. Non che non se lo meriterebbe. Ma finirebbe per usarla e cacciarsi ancora di più nei guai.”

Tom lo guardò spassionato. “La tua devozione per quel cretino è ammirevole.”
“Non è devozione. È che mamma gli manderebbe una strillettera, ed hai idea di quanto siano imbarazzanti anche per il sottoscritto? Le strillettere… strillano.” ringhiò alzandosi in piedi. “Coprimi Tom.”
“… Farò di meglio. Verrò con te.”
“E come lo spieghiamo che ce ne stiamo andando?”

“Un tenero incontro amoroso?”
Michel era scivolato con grazia accanto a loro, posando una mano sulla spalla di ciascuno.
Zabini!” sbottarono all’unisono. Tom schiaffeggiò via la mano.

“Siete pure intonati… Dovreste proporvi per il coro della scuola, davvero. Comunque. Lasciate fare al vostro Michel…”
“E non vuoi niente in cambio?” lo squadrò sospettoso il giovane Dursley.

“Non sarà una scusa sessuale, vero?” borbottò Al.
“Suvvia, non sono certo Nott. Lasciate fare a me.” Sorrise, prendendo da sotto il mantello la bacchetta mormorando un breve incantesimo.

Non sarà un Wingardium…
All’improvviso il tavolo dei Grifondoro cominciò a levitare a diversi centimetri da terra, tra le esclamazioni degli studenti. Hagrid e gli altri professori si alzarono, e fu trambusto.
… lo era.
“Presto, andate.” Sogghignò Zabini. Tom ricambiò l’espressione, prendendo per un braccio Al e trascinandolo fuori. In pochi attimi furono nel corridoio dell’ingresso.
“Proprio il tavolo dei Grifondoro?” si lamentò Al.
In ventiquattro anni si è fatto di tutto per non alimentare l’antipatia tra Case…
Sigh. Ma che ci faccio a Serpeverde? Davvero, a volte me lo chiedo.
“Non ci avrà neanche pensato, gli sarà venuto naturale.” Scrollò le spalle. “Forza andiamo.”
“Sì, ma dove? Dove credi che si siano diretti?”

Tom si fermò, pensieroso. Si guardò attorno.
“Sarebbe una buona idea seguire l’odore del pessimo dopobarba di James, ma non ho un olfatto da licantropo …” sguainò la bacchetta e gridò “Immobilus!” mentre un fascio di luce argentata si perdeva nell’oscurità del corridoio.
“Ma cosa…”
“Guarda su.”
Pix, l’insopportabile poltergeist che qualcuno sosteneva fosse l’incarnazione del caos, sostava poco sopra le loro teste, in un’immobilità fluttuante, pronto a rovesciare su di loro quello che sembrava un gran secchio di vernice magica. Asciugatura garantita in pochi secondi, colore improponibile.

“… Come hai fatto a…?”
“Ho visto il barattolo di vernice riflesso nell’armatura.” Indicò la vecchia armatura di guardia alle scale che portavano al primo piano. “Possiamo chiedere a lui, vero Pix?”
“Scioglimi, stupido ragazzo cattivo, scioglimi!” strillò il poltergeist.
“Naturalmente Pix.” Incrociò le braccia al petto, sorridendo sottile. “Non appena mi avrai detto dove sono andati James Potter, Ted Lupin e il Preside Vitius.” Fece una smorfia. “Ah, e Gazza.”
Il fantasma lo guardò furente, ma non poteva muoversi. Differentemente dagli altri non-morti aveva caratteristiche più materiali ed era quindi vulnerabile agli incantesimi: certo, su di lui gli l’effetto erano minori, ma per un paio di minuti potevano metterlo fuori-gioco.

“Non so, non so, non so!” cantilenò. Albus sospirò.
“Lascia perdere Tom, non ci dirà niente…”
“Invece ce lo dirà, o andrò a chiamare il Barone Sanguinario.” Lo spettro sembrò improvvisamente attento.

“Tu non gli piaci ragazzo cattivo, non gli piaci cattivo ragazzo!” eruppe in una risata stridula che fece stringere gli occhi ad Al per il fastidio. Thomas rimase impassibile.
“Smettila di chiamarmi in quel modo idiota.” Disse pacatamente. “Posso chiamarlo. Sono un Serpeverde, sono della sua Casa. Posso farlo, oppure tu puoi dirci dove sono andati.”
“Il vecchio Silly non risponde, non risponde, non chiama più!”
“Che diavolo sta dicendo, per le sottane di Morgana…” mugugnò sconfortato Al. “Non ci capisco niente.”
“Silly…” Tom lo guardò. “Intendi il professor Ziel?”
Albus lanciò un’occhiata al folletto e poi all’amico. “Il professore? Gli è successo qualcosa?”
“E’ quello che sto cercando di capire. Dove sono andati, Pix?”
“Nell’ufficio di Silly-Sil! Sìsì!” Esclamò sghignazzante, prima di roteare velocemente su se stesso lasciando cadere il barattolo e sparendo in uno schiocco squillante. Thomas tirò indietro Albus per un soffio, afferrandolo e tirandolo contro di sé. La vernice si riversò al suolo con un rumore viscido. Era rosa confetto.

“Ahu!” sbuffò Al, massaggiandosi il naso che aveva sbattuto contro il petto dell’altro ragazzo. “Tom, mi hai quasi rotto il naso!”
“Scusa. Non è colpa mia se le proporzioni giocano a tuo sfavore.” Sogghignò appena, facendosi spintonare docilmente. “Adesso andiamo. Ufficio di Ziel.”
Al si morse un labbro. Quella storia non gli piaceva. Sentiva che era sbagliato cercare di sgattaiolare via, e che non avrebbero dovuto essere lì. Perché non erano lì per seguire Jamie e salvarlo da una punizione meritata. Nessuno dei due.

Erano lì per curiosità.
Tom intanto si incamminò verso le cucine, vicine ai dormitori dei Tassorosso e l’ufficio dell’uomo, riponendo la bacchetta dentro la tasca del mantello. Era una delle persone più naturali nello sguainarla e rinfoderarla che conoscesse.
Non è certo goffo come me, che quando sono nervoso la faccio ancora cadere…
“Tom… pensi che dovremo andare?” Conosceva già la risposta, ma tentò lo stesso.
Il ragazzo sospirò, lanciandogli un’occhiata da sopra la spalla, continuando a scendere.

“Non farmi domande a cui puoi rispondere da solo, Al.”
Sei tu che l’hai proposto.
Appunto.
Lo seguì.  
 
 

****
 
 

Note:
1 – William Shakespeare, Otello.
2 – Ziel, storpiato debitamente può trasformarsi in ‘Silly’ cioè ‘sciocco’. Ho pensato che fosse tipicamente da Pix, pensando a come storpiava il cognome del povero Harry.
 
 

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Capitolo 8
*** Capitolo IV ***


Insomma, insomma, sigh, lo scorso capitolo a quanto pare non è piaciuto a molti, a giudicare dalle visite. Spero con questo di aver messo un po’ d’azione dove, in effetti, ne mancava.
Sì, ‘azione’ non l’ho messa a caso nei campi. :P
Jakie Black: Grazie, per continuare a recensire! ^^ Mi fa piacere che tu trovi i miei capitoli con una struttura che regga, in effetti ci tengo davvero che non sembrino campati in aria. Fortuna che ho fatto un po’ di esperienza precedentemente! Zabini è il mio inside man, senza di lui ho paura che questi due rincoglioniti non arriveranno mai a niente. E dire che Thomas è così sveglio! (Seeeh) Pix lo adoro, come si può non adorare la personificazione del Caos? XD
Spero che questo capitolo abbia un po’ più mordente.
Kika2: wow, addirittura hai perso tempo per questa mia stronzatina? XD Grazie mille! Per la Trama, sto raccogliendo informazioni, come si dice. Cerco di non fare mai un capitolo piatto e messo lì tanto per pubblicare, li odio quandi li leggo, quindi figuriamoci se ne scrivo :P Grazie per la recensione, e fammi sapere cosa ne pensi di questo!
 
 
*****
 
 
 
Capitolo IV
“The stroke.”
 



 
 
 
 

Tie me to a tree

Tie my hands above my head
Sing a song to me
Sing a song like what you said
'Cause they're gonna murder me
(Murder, Coldplay)
 
 
 
Appartamenti del professor Ziel, Dietro le Cucine.
 
Ted Lupin quando aveva accettato l’incarico di professore pensava alla cena in Sala grande come un rito, un po’ imbarazzante per via della probabile presentazione traballante del Preside. Ma niente che avrebbe superato le sue aspettative. Nel bene o nel male.
Infatti non avrebbe mai creduto di dover assistere il suddetto mentre scassinava l’ufficio di un docente ed entrava di gran carriera seguito da lui e Gazza…
… E non avrebbe mai creduto di dover vedere un cadavere.

Il defunto professor Ziel giaceva riverso sulla poltrona. Una chiazza di un liquido denso, scuro, si stava spandendo sul soffice tappeto sotto di essa. Dall’odore sembrava alcohol. L’uomo in effetti stringeva tra le dita rattrappite un pesante bicchiere da whiskey. Il fuoco scoppiettava nel camino, quindi era probabile che l’avesse acceso da poco.
La cosa gli diede stranamente i brividi.
Vitius controllò le pulsazioni con due dita. “E’ morto.” disse a bassa voce.
Ted si fece avanti, un po’ confuso sulla sua presenza lì. Poi capì. Vitius era un reduce della Seconda Guerra Magica. Probabilmente il suo istinto gli aveva suggerito che una porta chiusa e nessuna risposta da parte di un uomo potevano significare cose spiacevoli, e implicanti magia.

Magia Oscura. E lui era il docente di Difesa. Appropriato, senza ombra di dubbio.
Filius Vitius non era uno stupido.
“Preside… cos’è accaduto?” Chiese discretamente. Il mezzo goblin trasse un profondo sospiro.
“Credo abbia avuto un infarto. Pover’uomo. Ultimamente sembrava prediligere la compagnia della bottiglia, più che la nostra.” Scosse la testa. “Che disgrazia… proprio all’inizio dell’anno scolastico.”
“Vuole che controlli se è morto in modo… naturale?” chiese comunque, anche se il caso era palese. Aveva avuto un malore. Era un uomo di una certà età, e da quanto poteva vedere, particolarmente male in arnese. Gli occhi infossati, il naso solcato da vene gonfie, il colore rubizzo della pelle. Un alcolista.

Vitius scrollò le spalle. “Credo che non ce ne sia bisogno, professor Lupin. È chiaro cos’è accaduto qui… il povero Immanuel ha bevuto il bicchiere fatale. Mastro Gazza, faccia chiamare Poppy per cortesia. E dica ai Prefetti di portare i ragazzi direttamente nelle loro Case. A quelli di Tassorosso parlerò io a tempo debito. Dovremmo trasportarlo in infermeria, in attesa di trovargli una sistemazione… definitiva.”
L’uomo annuì piegando leggermente la testa di lato, prima di caraccolare goffamente via.

Ted si avvicinò al cadavere dell’uomo. L’espressione era tormentata, i muscoli del viso tesi, incupiti. Chissà a cosa stava pensando, prima che il cuore malandato cedesse.
“Ha combattuto in Germania, durante l’ascesa di Voldemort. Anche lì, purtroppo, Tu-sai-Chi aveva esteso la sua metifica influenza… Non come qui in Inghilterra, certo, ma… oh, caro ragazzo…” sorrise aggiustandosi gli occhialetti pinch-nez. “Tu lo sai meglio di me. Queste storie ti saranno state raccontate fino alla nausea.”
Teddy sorrise cortese. “Ogni versione di una storia è diversa, Preside. Mi piace ascoltarle. Sono la nostra memoria.” Guardò Ziel. “Era… un alcolista?”
“Non proprio. Ha sempre bevuto forte, ma senza mai esagerare. Ultimamente però aveva qualcosa che lo tormentava. Credo fossero i pessimi rapporti con la sua famiglia. A proposito, dovrò scrivere loro. Godric solo sa come farò a rintracciarli, Immanuel ha troncato i rapporti con loro anni fa.” Sospirò. “Che gran, guaio, che gran guaio… proprio all’inizio dell’anno scolastico! Dovremmo trovare un docente sostituto, e al più presto.”
Ted annuì, scrutando il volto dell’uomo, e poi l’ambiente circostante: un tempo quell’ufficio doveva essere stato accogliente, lo dicevano i tendaggi pesanti, e caldi, con i colori Tassorosso. Confortevole era una qualità ben apprezzata da quella Casa.

Adesso però per l’incuria dell’uomo il disordine regnava sovrano, rendendo tutto singolarmente tetro.
Soffriva di depressione, forse.
Alcolismo, scarso igiene… non si tagliava la barba da giorni…
Gazza tornò indietro con Madama Chips, che quando vide la povera salma soffocò un singhiozzo, mettendosi una mano davanti alle labbra. Era rimasta immutata negli anni, considerò Ted. “Oh, povero, povero professore… Erano giorni che gli dicevo, oh, che gli dicevo di venire in infermeria a farsi controllare! Aveva una così brutta cera…”
Vitius le si avvicinò, prendendole la mano tra le sue, dandole una pacchetta. “Su, su Poppy… è uno spettacolo triste, lo so. Ma chi è causa del suo mal…”
“Oh, Preside! Non lo dica neanche per scherzo!”
Ted si voltò verso la porta.
Eppure…

Inspirò appena, poi fece una smorfia, e tornò a voltarsi verso i due. Vitius, dopo aver convenuto con l’infermiera che era meglio lasciarlo nelle sue stanze, agitò la bacchetta e recitò un ‘corpus locomotor’ facendo sollevare il corpo dalla poltrona. Lo adagiò sul letto della stanza attigua, componendolo in modo che sembrasse addormentato.
“Non ci si abitua mai alla morte… Era un uomo ancora nel pieno delle proprie forze, un professore così capace…” mormorò l’infermiera con un lieve sospiro. Prese un’espressione imbarazzata quando ricordò che una frase simile l’aveva usata per il povero professor Lupin Senior, il cui figlio ora le stava accanto.
“Poppy, puoi assicurarti che dal San Mungo qualcuno venga a prendere la salma e ne disponga il funerale? Credo che Ziel fosse originario della Baviera, forse avrebbe voluto essere seppellito là…” guardò l’uomo, poi scosse la piccola testa. “Coraggio andiamo. Non c’è più niente da fare per lui qui.” Si voltò, seguito dalla donna. “Professor Lupin, viene?”
“Subito… volevo prima controllare se per caso non aveva tra le sue cose… non so, un indirizzo, una fotografia della sua famiglia. Per contattarli.” Sorrise appena. “Sarebbe triste se nessuno venisse a rendergli l’ultimo omaggio, non trova?”
“Certo, naturalmente. Ma temo che non troverà nulla.”
“Proverò comunque.”

Aspettò che si fossero richiusi la porta dell’ambiente alle spalle, poi uscì dalla stanza e puntò la bacchetta contro la libreria, almeno apparentemente.
Homenium Revelio!” esclamò infatti, e James sentì che il mantello gli veniva strappato di dosso, facendolo tornare di nuovo visibile.

“James…” sorrise Teddy, in tutta tranquillità, incrociando le braccia al petto. “Allora a quanto pare Harry non l’aveva semplicemente lasciato in soffitta, e perso tra tutte quelle cianfrusaglie.”
Il ragazzo si schiarì la voce, sorridendogli di rimando con un’ammirevole faccia da schiaffi.
“Ci ho messo un po’ a scovarlo. Credevo fosse il vecchio mantello di zio Ron. Era davvero male in arnese. Ma come hai fatto a capire che ero qui?”

“Intuizione, diciamo. E il tuo dopobarba, Jamie. Perdonami, ma è terribile.”
“Ah.” Si annusò ma non lo trovò così male.
“E immagino che tu ci abbia rintracciati con la vecchia Mappa Del Malandrino.”
“Uh, la conosci?”
Ted rise. “Jamie, mio padre era uno dei creatori.”
James sbuffò. “Giusto… comunque papà non ha più motivo di venire a Hogwarts, no? Ormai non è più uno studente. A cosa gli serviva? Era nel suo studio, e l’ho presa. Non credo neanche se ne sia accorto.”

Ted sospirò, chiudendo la porta della camera da letto dell’uomo. “Tralasciando la tua preoccupante propensione ad appropriarti di oggetti non tuoi…”
“Erano di mio padre, quel che suo è mio! No? Più o meno…” si strinse nelle spalle.
“… Comunque non dovresti essere qui. Dovrei punirti, lo sai? Uscire dalla Sala Grande e sgattaiolare per i corridoi…”
“Ero solo curioso! Il vecchio Gazza aveva una faccia così spaventosa, pensavo fosse incazzato per le fatture orcovolanti al secondo piano.” Guardò verso la porta. “E’ morto sul serio?” si informò un po’ titubante. Era riuscito ad arrivare solo alla fine.

Ted annuì. “Infarto. Non c’era nulla che la medicina magica o quella babbana potessero fare. Non credo abbia sofferto…”
“Cavolo…” borbottò guardandosi attorno. “Era una brava persona, anche se non faceva altro che farci trasfigurare uccellini in tazze da the.”

Ted gli mise una mano sulla spalla. “Ne sono sicuro. Purtroppo anche le brave persone muoiono…” sorrise dolcemente, e James si sentì stringere il cuore. Teddy non si era mai mostrato arrabbiato, addolorato o triste per il fatto di essere orfano.
Certo, aveva sua nonna Andromeda, aveva loro… ma non aveva i suoi genitori.
Sembrava quasi che non volesse essere di peso a nessuno, neanche con la sua mancanza.
Solo a pensare di non poter vedere i suoi, sebbene rompiscatole, lui si sentiva mancare l’aria.
La morte è una cosa schifosa… Per quelli che restano.
“Mi punirai per essere venuto a ficcare il naso?” chiese guardandolo di sottecchi. Ted scosse la testa, sbuffando.
“No. Per questa volta no.” Guardò verso la porta. “E poi non posso punire tre studenti a sole poche ore dalla mia investitura…”
James corrugò le sopracciglia. “Tre?”
Che quei due cretini di Lor e Lys mi abbiano seguito? Assurdo, non lo farebbero mai. E poi ci scoprirebbero subito così.

Chi fu ad aprire la porta furono invece il fratello e Thomas. Il primo evidentemente contrito, il secondo vagamente annoiato.
James battè le palpebre.
“Voi due…?”
“Non fare quella faccia indignata, Jam! Per chi credi siamo venuti? Per evitare una punizione a te, testa di troll!” sbottò Albus rosso in viso. Essere beccato ad infrangere le regole da Teddy era per lui la più cocente delle umiliazioni.  

“Oh, ma falla finita! Siete venuti perché siete due impiccioni, come me! Almeno io non sono ipocrita!” e non potè fare a meno di lanciare un’occhiata alla cravatta verde-argento del fratello.
Albus serrò le labbra, guardandolo male. “Sei proprio in una bella posizione per criticarci, Jam…”
Ted guardò Thomas, che fino a quel momento se ne era rimasto in silenzio. Lo vide guardare l’ambiente con un’occhiata complessiva, soffermandosi sulla macchia odorosa del tappeto.

… ha buono spirito di osservazione…
“Forza, smettetela.” Li rimbrottò “Avete infranto il regolamento, tutti e tre. Per stavolta passi, non vi toglierò punti e non dirò a nessuno della vostra scappatella. Ma ora tornate ai vostri dormitori.”
Al si mordicchiò l’angolo di un labbro, come faceva sempre quando era nervoso o voleva chiedere qualcosa senza averne il coraggio.
“Tedd-… cioè, professor Lupin… il professore Ziel è… morto?”
“Sì, purtroppo…”
Albus impallidì leggermente, annuendo. Non era il loro Capo-Casa però aveva avuto un sacco di lezioni con lui, ed era un uomo gentile, con un buffo accento teutone. Anche le sue tazzine avevano sempre ali e becco non lo rimproverava mai. Sentì un groppo alla gola.

Sentì anche la mano di Tom alla base della schiena. Non l’avrebbe mai consolato in pubblico – anche se erano Teddy e Jamie – ma quello era il suo modo per dirgli che c’era.
Prima che se ne andassero, a testa bassa e penitenti – forse nel caso di Thomas non era l’aggettivo adatto, ma Ted fece finta di non notarlo – il giovane li richiamò.
“Ragazzi, mi raccomando. Non ditelo a nessuno. Ci penserà il Preside domattina, a dare il triste annuncio.”
Quando furono fuori James schioccò la lingua, infastidito. “E’ assurdo che un uomo della sua età crepi così, fulminato. L’anno scorso stava benissimo. Per la barba di Merlino, quanti anni aveva, una cinquantina?”
“Capita molto più spesso di quanto tu non creda, specialmente nel mondo babbano. La medicina preventiva può servire, ma il cuore è una macchina complicata.”

“Era un alcolizzato, altrochè…” sbuffò James. “Sapete come si dice. S’è scavato la fossa da solo.”
“Piantala!” sbottò Albus rabbioso. “Se beveva così tanto era perché aveva dei problemi, no? Non te lo ricordi quando ci ha raccontato delle rappresaglie dei mangiamorte al suo paese? Sono cose che ti segnano.”
“Papà era il Prescelto, eppure non mi sembra sia attaccato alla bottiglia.” Replicò salace. “Uno i ricordi li può affrontare anche senza litri di whiskey incendiario in corpo.”
“Per te è sempre una questione di coraggio, eh?” serrò la mascella Albus.

A volte detestava suo fratello, per essere così ottuso, trincerato nei suoi pregiudizi. Non erano ideali Grifondoro quelli, anche se li spacciava per tali. “Non tutti sono disposti ad affrontare le proprie paure, sai?”
“Beh, dovrebbero. È così che si diventa uomini.” Scrollò le spalle. “Perché ti arrabbi tanto? Ziel non era mica il tuo direttore, no?”
“Cosa cazzo c’entra?.” Sibilò Al. “A volte sei davvero uno stronzo.”
“Ehi, ehi, piano nanerottolo con le parole grosse…” sbuffò contrariato. “Sei capace di dimostrarmi che hai ragione? Perché se non ne sei capace è inutile che gracchi tanto.”
“Se ne sono capace…?” sentiva la bacchetta nella tasca dei pantaloni, e voleva così tanto tirarla fuori. Sarebbe stato assolutamente idiota, stupido. Si limitò ad inghiottire il boccone amaro e abbassare i pugni contratti.

“Per essere uno che sa difendere le proprie convizioni sei straordinariamente poco incline al dialogo costruttivo, James.” Si introdusse Tom, sempre con quel suo tono monocorde. “Comunque mi sembra ridicolo scaldarsi tanto per una morte dovuta a cause naturali. Era malato, ed è morto. Tutto qui. Altre speculazioni sono inutili.”
James fece una smorfia: detestava quando il cugino aveva quell’aria saccente. Cioè lo detestava sempre. Ma aveva ragione. E guardando l’aria scombussolata e rabbiosa del fratello minore capì che non ne valeva davvero la pena.

Non gli piaceva litigare con Albus, ma accadeva più spesso di quanto non volessero entrambi. Albus era diverso da lui. Era sensibile, emotivo, dolce. Eppure c’era qualcosa in lui di innegabilmente Serpeverde. Scusava troppo le debolezze altrui. Anche le sue.
“Sì… beh. Scusa Al. Hai ragione. Non sta bene parlar male di un morto.” Gli tese la mano. “Dai, pace.”
“Non abbiamo più cinque anni. Vaffanculo Jamie.” Lo freddò, ignorando la mano e andandosene. Tom trattenne un sorriso, che però a James non sfuggì.

“Che cazzo hai da ridere?” lo aggredì.
“Dimentichi troppo spesso che siamo Serpeverde. A noi non basta una stretta di mano…” si chinò al suo orecchio. “Dieci punti in meno a Grifondoro per essere uscito senza permesso.” Si raddrizzò, dandogli una pacca sulla spalla. “Buonanotte, James.”
Le imprecazioni di James si udirono a lungo, quella notte.

 
 
****
 
 
Corridoi, nei pressi della Torre di Grifondoro.


“Malfoy, stammi lontano almeno tre passi!”
“Devo ricordarti, Rosey-Posey, che dobbiamo camminare appaiati?”
“Non è scritto sul regolamento! E non chiamarmi così, sottospecie di Schiopodo!”

“Rosey? O Posey? Quale dei due non ti piace?”
Rose lo guardò ringhiando. Scorpius era a pochi passi da lei, con il solito beffardo sorriso stampato in faccia. Sul mantello era appuntata la spilla con una ‘P’ luccicante. Il leone rampante sembrava ammiccarle malizioso.

Naturale. Il primo turno di sorveglianza dei corridoi tocca a me, e in coppia con Malfoy.
Ci sono altri quattro prefetti, ed ovviamente io vengo sorteggiata con Malfoy!
Aveva voglia di urlare.
Il ragazzo la raggiunse, prevedibilmente, scuotendo appena la testa.
“Rosie, Rosie… dovremmo cercare di andare d’accordo.”
“Tu non vuoi andare d’accordo con me, vuoi darmi il tormento!”
Touchè.”
L’avrebbe ucciso alla fine della nottata. Forse anche prima.

Decise di ignorarlo. Lasciò che le si affiancasse e che cominciasse a fischiettare un’orrenda filastrocca che terminava, a quanto ricordava dalla sua infanzia, con la cruenta uccisione del protagonista.
Scorpius era… un Malfoy.
Non c’era altro modo per definirlo. Modello Grifondoro, più unico che raro, ma altrettanto metifico. Suo padre aveva ragione a definirli dei grandissimi…
Gli epiteti erano molti, e neanche uno sarebbe mai stato lusinghiero.
Aveva la pelle pallida e malaticcia di quella schiatta, i capelli quasi bianchi, gli occhi slavati di un grigio color pozzanghera depressa, e poi era straordinariamente allampanato.
Ah, e aveva il mento appuntito.
Come facevano a trovarlo ‘bello come un angelo peccatore’ era un vero mistero.
Certo, non era orrendo come una pustola urticante. Sicuro, aveva la pelle liscia e non era stato aggredito da migliaia di foruncoli come era accaduto al povero Ernie Rodriguez, ma…
Da lì a considerarlo nella rosa dei belli di Hogwarts ce ne passava.
È solo perché è Capitano della squadra di Quidditch e sa cantarsela. Come Jamie. Solo che almeno James è un bel ragazzo. Non che questo lo giustifichi ad essere un deficiente, ma almeno giustifica lo stuolo di cretine che gli sbava addosso.
“Lo so, sono così bello che non mi si può togliere gli occhi di dosso.” Sussurrò Scorpius.
Merda! L’aveva beccata a guardarlo!
“Mi chiedevo come fosse possibile che qualcuno potesse considerarti meno che repellente, Malfoy…” gli sorrise zuccherosa pregando Merlino che non si fosse notata la sua vergognosa vampata di imbarazzo. I corridoi erano male illuminati dalle torce, magari...

Scorpius non si scompose minimamente, picchiettandosi invece pensieroso il mento con due dita. “Immagino per via del fatto che sono un abile giocatore di Gobbiglie.”
Rose dovette trattenersi per non increspare le labbra in un sorriso.

Malfoy era un idiota, ma se non altro dimostrava di avere auto-ironia. Tratto non Malfoy. Sua madre le aveva confermato che il padre ne era totalmente sprovvisto.
“Cosa ha detto tuo padre della tua nomina a Prefetto?” gli chiese dopo un po’. Se c’era una cosa che odiava era il silenzio. Cresciuta in una casa continuamente rumorosa, il silenzio la metteva a disagio. Scorpius invece sembrava cullarcisi piacevolmente.
Le sorrise e dovette ammettere che almeno aveva i denti dritti.
“Ha corretto il porridge della colazione con una sana dose di vino elfico.” Rise, facendola inevitabilmente ridacchiare. Si maledisse, ma fortunatamente l’altro non glielo fece notare.
“Più o meno è la sua reazione media a tutto quello che mi accade qua dentro.” Si fece un attimo serio, poi scrollò le spalle, continuando a camminare.
“Non è contento della tua nomina?”
“Della nomina? No, di quella è contento. È solo che crede che il rosso-oro sbatta un po’, sai, noi Malfoy abbiamo colori più nordici.”

Rose annuì, pensierosa: non ci aveva mai pensato ma probabilmente la famiglia di Scorpius non aveva preso bene la decisione del Cappello. I Malfoy, per come gliel’aveva raccontata suo padre, erano sempre stati, per generazioni, Serpeverde. Senza via di scampo.
“Però sai, alla fine l’importante è che mi dimostri superiore. La Casa non ha tanta importanza. Semplicemente ovunque dovrò essere il numero uno.” Sogghignò, facendola sbuffare.
“Devi sempre scherzare?” lo redarguì. “Non riesci ad essere serio?”
“Perché essere seri?” ribattè con un sorriso allegro. “Il mondo è già abbastanza noioso di suo, Weasley. Dovresti farti una bella risata ogni tanto. Alla tua età non dovresti temere le rughe.”
“Cretino!” sbottò, dandogli un colpo sul braccio. “Io rido. Un sacco.”
“Ma non con me. Questo mi rende triste.” Battè le palpebre significativamente. Dovette di nuovo trattenersi per non sorridergli. La sua vicinanza fuori da un contesto pubblico era inquietante. Riuscivano persino ad essere ironici senza sbranarsi.

… Già. Stavano chiacchierando.
Lo notò un po’ perplessa.
“Rido con i miei amici, Malfoy, e tu non sei uno di loro.” Lo freddò facendo un paio di passi avanti, per distanziarlo. Lo sentì ridacchiare alle sue spalle, ma non si voltò per guardarlo male. Avevano ancora mezz’ora prima di tornare ai dormitori, dovevano cercare di coesistere.
Si avvicinò ad una delle finestre trigonali del corridoio, guardando il silenzioso paesaggio scozzese, e la Foresta Proibita che si stagliava a perdita d’occhio illuminata da una luna piena, lattiginosa. Scorpius le si avvicinò, dando un’occhiata.
“Non si vedono stelle stasera…” considerò. Era un genio nel riavviare una conversazione morente. Probabile fosse un corso extra che facessero seguire ai figli di Purosangue o qualcosa del genere.

“La luna, è troppo brillante. Per questo non si vedono.” Ribattè, per non essere da meno. Da meno, mai.
“Da qui secondo te si vede Hogsmeade?”
“Dubito, considerando che è al lato opposto rispetto alla Foresta. Punti cardinali labili, Malfoy? Preoccupante, per un giocatore di Quidditch.”
Scorpius fece una smorfia, gratificandola di un punto segnato al suo orgoglio mastodontico.

Prima che potesse però cantare vittoria una scia luminosa, verde, attraversò il cielo sgombro di nuvole, tagliandolo esattamente a metà.
Muti assisterono alla parabola velocissima che disegnò prima di andare a morire da qualche parte all’interno del bosco.
“… Cosa diavolo è stato?” Malfoy fu il primo a parlare. Sembrava sinceramente sconcertato, ed era un’espressione che non gli aveva mai visto in faccia.
“Stella cadente? Anche se siamo un po’ fuori periodo.”
“Non essere stupida, Weasley. Le stelle cadenti non hanno quel colore.”

“Dipende dalla composizione chimica, genio.” Sibilò Rose irritata. “O per te, povero Purosangue, dalla composizione di elementi che si trovano all’interno della scia della cometa.”
Scorpius la guardò male di rimando. Era impallidito, lo notò confusa.
“Non ne ho mai visto una verde.” Ribattè, serrando la mascella. “Merda, non sarà stato…”
Rose capì. La scia, il colore anomalo, la velocità. Sembrava proprio…

“Il Morsmorde era nero, e partiva da un cumulunembo in cielo. Non ci sono nuvole stanotte, Scorpius.” Possibile che avesse creduto…?
Beh, ovvio, non credo che suo padre gli abbia mai spiegato nel dettaglio come venivano richiamati i servi di Voldemort. E tantomeno suo nonno.

I mangiamorte, benchè ormai da anni privi di una guida, non erano certo spariti dal mondo, nè si erano dissolti alla fine della guerra. Molti di loro erano scappati alla cattura, riparando in paesi stranieri. Alcuni avevano taglie stratosferiche sulla testa, ma probabilmente vivevano una vita tranquilla in qualche paese franco.
Vide il ragazzo tirare un lieve sospiro di sollievo. “Naturalmente. Che idiota.” Mormorò a bassa voce prima di staccarsi dalla finestra, allontanandosi. Rose, dopo un’ultima occhiata al cielo, ora privo di strambi fenomeni siderali, lo raggiunse.
Camminarono un po’ in silenzio poi fece per prendere la parola. Scorpius la precedette.
“Non sono un codardo.” Scollò dal palato. “Se mai venissero… a rendere conto alla mia famiglia li affronterei.”
“Perché dovrebbero?”
Scorpius fece una smorfia amara. “Lo sai il perché Weasley.”
Rose arrossì: certo che lo sapeva. La famiglia di Scorpius aveva partecipato alla Seconda Guerra Magica, e per buona parte dal lato sbagliato. Solo alla fine avevano fatto le scelte giuste. Specialmente Narcissa Malfoy, la nonna di Scorpius. Sua madre le aveva raccontato di come avesse salvato la vita a zio Harry, mentendo a Lord Voldemort in persona.

‘La guerra impone spesso delle scelte drastiche Rosie. Bisogna saperle riconoscerle, prima di tutto, quando ci si presentano. E poi seguirle, a discapito della paura e dell’incertezza. I Malfoy, Narcissa in particolare, hanno agito per se stessi, ma così facendo hanno agito anche per il Bene Comune. È difficile poterli giudicare.’
In seguito anche Lucius Malfoy aveva collaborato con il Ministero, fornendo nomi e nascondigli.
Da un certo punto di vista, alcuni mangiamorte potrebbero avere dei motivi per volersi vendicare… in effetti.
“È solo che ho pensato…” continuò il ragazzo, prima di fermarsi. Sospirò. “Niente. Non ho pensato.”
Rose si morse un labbro: era la prima volta che lo vedeva così… vulnerabile.

Già, era la parola giusta. Era serio, teso, preoccupato.
È pietà quella che provi per Malfoy, Rosie?
La voce della sua coscienza sembrava quella di suo padre.
“Forse era un UFO.” sorrise al suo sguardo perplesso. “Dischi volanti. Sai, persone da altri pianeti venute a visitarci. È una cosa babbana.”
Scorpius ricambiò il sorriso, quietando i suoi sensi di colpa. Se sorrideva andava tutto bene. Scorpius sorrideva sempre. “Sì, ne ho sentito parlare. Per quanto ne so il più delle volte sono idioti che affatturano oggetti babbani spedendoli in aria, o cercando di volarci sopra.”  

Rose pensò alla Ford di famiglia, ma non disse nulla. Malfoy avrebbe avuto tutto il diritto di ironizzarci sopra. Meglio non dargli altro materiale.
Gentile sì, ma fessa no.
“Già, il più delle volte. All’ufficio regolazioni rapporti coi Babbani hanno un sacco da fare per questo motivo.”
Arrivarono alla fine del corridoio, e tornarono indietro. Nessuna matricola persa e in lacrime.

Niente Jamie o gemelli Scamandro che si muovevano furtivi nell’ombra. Notte tranquilla.
Tornarono alla torre, salendo lentamente le scale. Si scambiarono qualche parola, ma non molte. Il compagno sembrava aver perso la capacità di scherzare. Era strano, ma Rose l’attribuì anche alla stanchezza. Era da poco passata mezzanotte dopotutto.
“Sai…” cominciò prima di attraversare il ritratto della Signora Grassa. “Potrebbe essere caduta nella Foresta Proibita.”
Rose scosse la testa, con un sorrisetto divertito. “Dubito, ma se fosse così, sarebbe da qualche parte inaccessibile.” scrollò le spalle. “E comunque cosa vorresti fare, andare a controllare? È proibito.”
Malfoy sorrise, senza risponderle direttamente. “Sei sempre così drastica nel dare la tua opinione, Weasley?” la canzonò.

Argh. È tornato, in tutto il suo splendore.
Rose serrò appena le labbra. “Cerco di arginare quelli come te, Malfoy.”
Scorpius ridacchiò. “Te l’avevo detto che sarebbero state ronde interessanti… non hai disatteso le mie aspettative.”
Rose fece una smorfia, guardando di nuovo verso la finestra.

Davvero una strana stella cometa.
 
 
****
 

Da qualche parte nella Foresta proibita…
 
Si accese una sigaretta, guardando l’ammasso di brulicanti esseri deformi che stavano risalendo la collinetta su cui si era seduto. La scosse, facendo cadere la cenere sul manto erboso, umido e di un verde brillante.  
Il viaggio per quelle bestie schifose non doveva essere stato particolarmente comodo, stimò, ma purtroppo pensare di insegnargli a materializzarsi era del tutto fuori discussione.
Non erano abbastanza intelligenti, prima di tutto. Ed avrebbero rischiato di farsi esplodere durante il processo.
Uno degli esseri prese forma umana. A quanto gli aveva detto era il capo. In effetti indossava un rudimentale copricapo, fatto di piume e ossa. Parlava un inglese raccapricciante.
Anche se certo, parlare è una parola grossa – considerò disgustato dalla pelle traslucida dell’essere e gli occhi obliqui color rubino.
“Ordinate…” sibilò. Sembrava più ordinargli di ordinare, ma glissò. Era stanco e aveva le ossa indolenzite per la troppa umidità. Voleva stendersi in un letto passabile e farsi una dormita.
Prese un’altra boccata alla sigaretta. Un’usanza schifosamente babbana che in tutti quegli anni di esilio aveva preso, suo malgrado. Se non altro, fumarsi una sigaretta era un buon modo per passare il tempo.

“Cercate la pietra.”
 

 
****

 

 
Commenti:
Sotto metto i volti dei nuovi protagonisti. Ovviamente non siete tenuti a visionare e uniformarmi all’idea che ho di loro. Che chiunque se li immagini a suo piacimento!
Questa è la mia versione. :P

Michel Zabini
Loki Nott

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Capitolo 9
*** Capitolo V ***


Annuncio importante: Mi sono accorta, con orrore, che ho fatto un errore a dir poco grossolano. Al e Rose hanno detto di dover fare il quinto anno, ma hanno sedici anni, e dovrebbe essere al sesto. Inoltre si diventa prefetti al Quinto e i GUFO sono sempre al quinto. Comunque… l’ho aggiustata così: Rose e Al, come Tom, Michel e Loki hanno già conseguito i GUFO, l’anno prima. L’unica differenza è che si diventa Prefetti al Sesto.  
Un po’ raffazzonata come spiegazione, lo so. Ma dopotutto mi conviene. Meno problemi scolastici e più azione. :P Ovviamente per James e gli Scamandro è l’ultimo anno.
@Miriam Malfoy: Eh, forse i controlli andavano fatti, ma si sa, vedi un tipo grasso e malandato che beve come una doga e pensi ad infarto. :P Scorpius considera la povera Rose, la sua Rosey-Posey. Chissà cosa vorrà dire per quella testaccia Malfoy! XD per quanto riguarda Jamie, si sa, è uno stronzo, ma diamo tempo al tempo. Ha diciassette anni, e alla sua età anche il nonno era un cretino. Loki se non avesse l’aria da furfante come potrebbe avere il nome che porta!XD Grazie per la recensione, continua a seguirmi! ;)
@Jakie Black: Ti è arrivato il mio pm? Comunque, apparte tutto, grazie per aver apprezzato la scena fuori dall’ufficio di Ziel. Ci tenevo a farla bene, per far capire come Albus e James sono diversi. Dopotutto lo accenna anche Mamma Row nell’epilogo. Scorpius e Rose sono molto Fandom, e per questo mi piacciono. Sono una sfida, per non renderli la classica brutta copia delle DraMione. Al e Tom sono i miei due puccini, lo so, lo so. XD Spero che questo capitolo ti abbia tolto qualche domanda. :P
@Natalia: Ciao Natalia! Prima di tutto grazie mille per la lunga recensione! Le mie preferite! (ehehe, che paracula) addirittura paragonarmi alla Row! Wow, grazie! Comunque sì, il rapporto tra Thomas e Al è molto stretto. Ma non si sa ancora bene chi dei due sia la parte più bisognosa, in fondo, e chi quella più forte. Per quanto riguarda Asa Butterfield, sì, è proprio il bimbo di Merlin e del film che mi hai accennato. Io lo vedo come Al, non ci posso fare niente. Spero che lo tengano in considerazione. Vuoi mettere la soddisfazione di averci preso? XD
 
 
 
*****
 
 
 
Capitolo V
“When the sun start sinking”

 
 
 


 
 
 


You ain't seen my bad si
de
Shame on me, shame on the things that I be
Sometimes, you're the best time
I've ever, ever known
(You’re so real, Matchbox 20)
 
 
 
 
2 Settembre 2022
Dormitorio dei Serpeverde, Hogwarts.
 
 
Se la mattina fosse capace di umori, ne avrebbe avuto uno isterico, quel giorno.
Tom si era alzato verso le sei e mezzo, e si era beccato Michel in piena paranoia da primo giorno, indeciso se indossare … una serie di uniformi tutte uguali, il cui unico cambiamento percepibile era forse qualche centimetro di stoffa in meno e l’usura.
Loki gli si era infilato da sotto per fregargli il bagno.
Odiava la vita in comune.
E certo non aiuta avere come compagni di stanza Zabini e Nott…
Il dormitorio Serpeverde non era esattamente un luogo ameno dove risvegliarsi. Prima di tutto, non si poteva contemplare il sorgere del sole, trovandosi circa a venti metri sottoterra, con metà Lago Nero sopra la testa.
In secondo luogo, c’era sempre un freddo a dir poco sgradevole.
Non che lui ne soffrisse. Affatto. Il problema era Zabini che si lamentava continuamente, e Nott che cercava di vendere scaldini magici ‘capaci di scaldare l’intera Sala Comune’ agli intirizziti primini. L’ultima volta uno di quei cosi aveva dato fuoco alla testa di un certo Spurgis.

Al momento attuale era riuscito ad appropriarsi del bagno, pena fisica a chi avesse osato disturbarlo mentre si godeva il getto tonico della doccia.
“Dursley, uomo, ti avverto! Se finisci l’acqua calda Zabini ti ucciderà!”
“Che me lo dica di persona.” Non fece una piega.
“Ti ucciderò!” replicò la voce soave del compagno. “Lo, dici che mi sta bene il profumo di malva o di sandalo e rabarbaro? Vorrei qualcosa di aggressivo.”

“Qualcuno uccida me.” Sentì esalare Nott.
Così impara a fregarmi la prima mezz’ora di acqua calda.
Tom sospirò. Erano esasperanti, senza ombra di dubbio. Se non altro, l’ultimo componente della camerata era Albus. Era ancora sprofondato sotto un cumulo di coperte – molto freddoloso – e tra le braccia di Morfeo.
Uscì dalla doccia, buttandosi un asciugamano sulla testa e strofinandoselo. Pulì con una mano la condensa sul vetro.
L’immagine che venne riflesse era quella di un adolescente. E fin lì…
Un adolescente magro, praticamente privo di melanina (estati passate al coperto), con capelli lisci e corvini appiccicati al viso.
Stavano diventando troppo lunghi, stimò, passandosi le dita tra le ciocche bagnate.
Abbassò lo sguardo.

Ah, poi c’era il pezzo forte.
Lo stomaco liscio, privo di avvallamenti, affossature, difetti. Privo di ombelico.
Nessuno era mai riuscito a capire come potesse non averlo.
Né zio Harry, né il medimago che ogni anno si occupava di fargli un check-up completo.
Non c’era niente in lui che non andasse. Tutto era perfettamente al suo posto. Aveva una salute di ferro, non si era mai ammalato, neanche un’infreddatura. Niente.
Aveva denti sani, riflessi pronti e non aveva mai avuto bisogno di occhiali o apparati sostitutivi di qualche mancanza sensoriale.
Certo, era un po’ troppo magro, e la sua pelle era bianca come quella di un neonato.
Imperfezioni comunque comuni, niente di cui preoccuparsi.
Solo, niente ombelico.
La prima volta che chiese spiegazioni aveva undici anni. La seconda, tredici.  
Albus e James gli avevano chiesto se non avesse voglia di farsi un tuffo nel laghetto vicino alla Tana. Era un estate caldissima, e il solo mettersi una maglietta costituiva per chiunque una sofferenza. Lui non se l’era mai tolta. Neppure per dormire.
Aveva detto di no, e James l’aveva preso in giro. Si erano picchiati, ed Albus era andato a chiamare il padre. Harry aveva sedato la lite, e poi l’aveva portato a fare una passeggiata per i campi che costeggiavano la Tana.
 
 
Harry camminava affianco a Tom, che già a tredici anni riusciva quasi a raggiungerlo in altezza. Faceva caldo, e tutti avevano ridotto il loro vestiario al minimo. Solo lui si ostinava ad una maglietta e pantaloni lunghi. Neri.
Sapeva che l’opinione pubblica Weasley non avrebbe perso tempo a farglielo notare.
Specie James. E infatti…
“Come va il naso?”
“Bene zio. Sei bravo ad aggiustare ossa rotte.” Ma non sorrideva. L’afa appiccicava la canottiera al torace dello zio. La sua t-shirt era asciutta.

“Oh, dovresti vedere Luna, cioè, la signora Scamandro. Ha un talento naturale. Spero di esserci andato leggero…”
“Sì.”
“Thomas, non prendertela troppo con Jamie. Ha sbagliato, e sarà punito. Ma non farti rovinare la giornata da una lite. Fidati.” Gli aveva sorriso amichevolmente. Aveva staccato una spiga dal lato dello stradello sterrato che stavano percorrendo e aveva preso a giocherellarci. “Davvero.”
“Non voglio fare il bagno nello stagno.” Aveva borbottato dopo un po’. “Non voglio che mi vedano.”
“Capisco…” aveva esitato. “Potresti farlo con la maglietta. E comunque lo sanno, Tom.”
“Lo so. Ma questo fermerebbe James?”
“James è in casa a scontare la sua punizione dando una mano a Molly con la cena. Non preoccuparti.” Un nuovo sorriso, ma Tom si sentiva un macigno in petto.

Rabbia, era furioso.
“Perché sono fatto così?” aveva sputato, fissandolo con odio. In quel momento lo odiava.
Perché Harry Potter era normale. Sì, certo, la cicatrice. Ma era qualcosa in più.
Non aveva qualcosa in meno.
Harry l’aveva guardato serio di rimando. Si era fermato, buttando la spiga.
“Thomas…”
“Non mi hai mai detto perché sono così. Mi dici che non lo sai. Come fai a
non saperlo?”
“Perché è la verità.” L’aveva preso per le spalle magre. “Non ti sto mentendo. Non ti nasconderei mai nulla. Credimi. So cosa significa essere all’oscuro del proprio passato, so come ci si sente. Se potessi, te lo eviterei.”

Tom aveva abbassato lo sguardo.
“Abbiamo fatto delle ricerche. Sono un auror, so di cosa parlo. Te l’ho spiegato. Abbiamo cercato di rintracciare i tuoi genitori, un parente. Ma non ci siamo riusciti.”
“Ma io sono umano?” aveva soffiato, serrando la mascella. “Un essere umano senza… non esiste. Non è vero? Il cordone ombelicale assicura la vita del feto. Io non l’avevo?”

Harry aveva aspettato a rispondere. Sapeva che Thomas non avrebbe voluto una risposta banale.
Alla sua età una risposta banale, una scusa, era l’ultima cosa che avrebbe voluto.
E ne aveva avute tante, troppe di quelle. 
“Forse il tuo concepimento è stato magico. Ci sono molte tecniche, alcune sconosciute qui in Europa, per concepire bambini nel caso la madre sia sterile, o lo sia il padre.” Rammentò le ricerche con la squadra, con il valido aiuto di Hermione, tutte finite nel vuoto. Se il modo c’era, non era contenuto in testi in loro possesso. Casi di concepimento aiutato dalla magia c’erano, ma nessun feto aveva come controindicazione:
potrebbe non avere il cordone ombelicale.
“Io non sono un esperto, ma esistono.”
“Vorrei solo sapere…” inspirò. “Sapere.”
Harry avrebbe voluto abbracciare il figlioccio. Stringere quel corpo magro e tormentato e assicurargli che tutto sarebbe andato bene. Ma sapeva che non avrebbe avuto senso.

Quello non era un brutto sogno. Ma il suo passato.  
“Ti giuro che se scoprirò qualcosa, te la dirò. Brutta o bella che sia. È una promessa.”
“Non smetterai di cercare?”
“Mai. Nella biblioteca di Hogwarts non hai trovato niente, non è vero?”
Esitò. Poi annuì. Inutile mentire.

“Non c’è niente, credimi. Ho chiesto il catalogo completo, compreso quello della Zona Proibita.”
La zona proibita. Sì. Aveva guardato quell’angolo buio molte volte, ma quel cerbero della Pince gli stava col fiato sul collo ogni volta che indugiava troppo con lo sguardo.

“Devi fidarti di me, Tom. Okay?”
Aveva annuito. Harry era l’unica persona che probabilmente meritava una promessa, e la verità.

Sempre se avesse continuato a meritarsi la sua fiducia.
“Coraggio… con questo caldo Albus sarà già a mollo. Ti sta aspettando.”
“Farò il bagno con la maglietta.”
Harry gli aveva sorriso. “Certo. E’ una tua scelta.”

 
 
“Uomo, noi andiamo a rifocillarci! Sveglia Potters, prima che faccia tardi e si perda la Gran Colazione Del Primo Giorno!” urlò Loki al di là della porta, calibrando adeguatamente le maiuscole. A volte parlava per maiuscole.
“Sì. A dopo.” Mormorò un incantesimo per asciugarsi, prima di uscire.
In effetti, la camera era gelida. Il pavimento era in pietra, i baldacchini di legno scuro, color carbone. Persino le lampade avevano un’aria lattiginosa, bluastra. Anche con un camino all’angolo, la stanza non riusciva mai a riscaldarsi adeguatamente.
Thomas l’adorava. Si sentiva a casa.
Si avvicinò al letto del cugino, ancora con le tende tirate, di un pesante verde cupo. Le aprì, infilando la testa dentro. Di Albus si intravedevano solo alcune ciocche di capelli castano scuro, e poi una marea di cuscini e coperte sommergeva tutto il resto.
Quando si tratta di trasfigurare qualcosa in un cuscino o una coperta è un re.
“Al, svegliati…”
Nessuna risposta.

“Al. Sono le sette e mezzo. La colazione.”
Un indefinito rantolo.

Sospirò: era sempre così. Abituato ai ritmi della Tana, dove si veniva svegliati dall’odore del caffè e delle frittelle, verso le undici, il primo giorno di scuola per lui era sempre un trauma.
Impietoso, Thomas lo liberò dalle coperte. Il freddo sarebbe stato il suo miglior alleato.

Albus dormiva supino, con le braccia alzate sopra la testa, come un bambino.
Ovviamente questo comportava che il più delle volte avesse lo stomaco scoperto. Quella posizione gli era valsa innumerevoli maldipancia, il primo anno, prima di adottare il sistema a ‘fortezza di coperte’.

Tom sorrise appena. Al era ancora un bambino.
Ma stava cominciando a dimostrare un carattere che giustificava le scelte del Cappello Parlante. La sera prima aveva seguito James per curiosità, mentendo sui suoi reali intenti.
Lui lo sapeva. Ted Lupin probabilmente no.
Molto Serpeverde, Al. Molto Serpeverde.
L’adolescenza comunque non aveva distrutto nulla della sua infanzia incantata. Aveva ancora gli stessi occhi pieni di meraviglia, il viso aperto, il sorriso luminoso.
E la pancia scoperta…
Sogghignò.
Era tanto che non guardava così da vicino Al, comunque. Non che fosse cambiato granché dall’estate prima, quando avevano diviso la camera, alla Tana. Era sempre deplorevolmente mingherlino. Non era efebico, faceva sport dal primo anno, ma niente addominali, come quelli orgogliosamente vantati da James.
Il rapporto fisico tra loro era sempre stato particolare, considerò d’un tratto. Albus era affettuoso, non aveva problemi ad abbracciare qualcuno o toccarlo. A lui non piaceva.
Due opposti, praticamente.
Eppure la fisicità di Al non lo minacciava. Mai. Era prevedibile, non invasiva.
Senza riflettere tracciò un cerchio attorno all’ombelico del ragazzo. Lo sentì sospirare.
Ah, giusto. Soffriva il solletico.
“Tom…” sussurrò infastidito. Thomas sentì una morsa allo stomaco, e non ne capì la provenienza. Ma capì che era la situazione a generarla, e quindi si alzò dal letto, scuotendolo per una spalla.
“Svegliati.”
Al sbuffò, aprendo gli occhi e tirandosi a sedere. “Che freddo… ma che… per Merlino! Le mie coperte!”
“A meno che tu non voglia portartele fino alla Sala Grande...”
“Uh?” sbadigliò. “Ma che ore sono?”
“Le otto.”

“Per tutte le braghe di Godric! Cazzo, sono in ritardo!” urlò, dandogli uno spintone e infilandosi in bagno. “Perché diavolo non mi hai svegliato prima?!”
Già. Se lo chiese anche lui.

 
 
 
****
 
Sala Grande, Ora di Colazione – quasi passata.
 
Il tavolo Potter-Weasley più amici quella mattina era silenzioso.
Hugo era preso dalla lettura della Gazzetta, che leggeva sopra la spalla di Lily, mentre Rose stava imburrando una fetta di pane con aria profondamente concentrata. James aveva improvvisato una sorta di canestro con le posate e stava giocando un’animata partita di Quidditch da tavolo con uno dei gemelli Scamandro, mentre l’altro stava sbocconcellando un muffin con aria beata.
Tom e Al giunsero per ultimi, il giovane Potter con l’aria trafelata e la cravatta di traverso.
“Ehy!”
Rose alzò lo sguardo dalla sua fetta imburrata, sorridendo al cugino e spostandosi per fargli posto. “Ciao Al. Alzato tardi stamattina?”
“E’ stata tutta colpa di Tom. Non mi ha svegliato!”
Il ragazzo in questione si sedette tranquillamente in un angolo, prendendo la propria tazza e riempendola di the in cui sciolse quattro o cinque cucchiaini di zucchero. Adorava le cose dolci.

“Potevi svegliarti da solo.” Ribatté, ma fece un lieve sorriso. “Non è colpa mia se hai bisogno di dormire dodici ore.”
Al sbuffò, poi lanciò un’occhiata verso lo stemma dei Tassorosso. Era stato sostituito da un lungo stendardo nero. Serrò appena le labbra.
Rose sospirò appena, seguendo la direzione del suo sguardo. “Hai saputo? Il professor Ziel è morto ieri sera, nelle sue stanze. Un infarto. Domani ci saranno i suoi funerali, e poi la bara verrà portata a Monaco.”
“Il Preside ha detto qualcosa? Mi sono perso il discorso?”
“Ah, niente di che.” Borbottò Hugo alzando gli occhi dalla pagina. “Sai, le solite cose, su quanto era in gamba, che disgrazia che sia morto un uomo così giovane… La solita roba trita. Avrei tanto voluto sentire un discorso di Silente. Si dice fossero pazzeschi, roba da farti piangere come un bimbetto.”
“E’ incredibile però…” Commentò Lily con un sospiro. “Joanna, sapete, quella ragazza di Tassorosso con cui vado sempre ad Hogsmeade? Era distrutta. Ma in un certo senso quelli della sua Casa se l’aspettavano, mi ha detto. Nell’ultimo mese di lezione era sempre assente, e non gli interessava neanche più vincere la Coppa delle Case. Ed era un tipo molto competitivo.”

Hugo scosse la testa, allungando il collo per finire di leggere. “Mi chiedo solo chi cavolo ci metteranno di rimpiazzo. Diciamocelo, non puoi trovare un professore come si deve con un colpo di bacchetta…” afferrò distrattamente un muffin ai mirtilli e se lo infilò voracemente in bocca.
Rose diede un morso alla fetta di pane imburrata che teneva in mano da venti minuti buoni.
Aveva rimuginato tutta la notte su quella strana luce verde. Ed era giunta alla conclusione che una cometa non poteva essere.
Sentì l’impulso di andare da Malfoy, e dirgli ‘Sai, a ben pensarci forse avevi ragione.’
Una follia.
Prima di tutto perché Scorpius era seduto ad un altro tavolo, in compagnia di cinque ochette starnazzanti. Se solo si fosse avvicinata l’avrebbero fatta a pezzi.
E poi a che pro? Certo, erano stati entrambi testimoni di quell’assurdo fenomeno metereologico, e quella sera Scorpius era sembrato sinceramente curioso.
Ma poteva essersene già dimenticato, per come era frivolo.
Lo vide ridere, e scostare una ciocca di capelli dalla stessa tizia con le gengive grosse della sera prima.
Clara Haggins, indubbiamente.
“Rosie? Ehi, ci sei?” Si vide passare la mano del cugino Serpeverde davanti al viso, ed arrossì, riscuotendosi.
“Uhm? Ah, sì. Certamente. Dimmi.” Sorrise ad Al, che ricambiò: Albus… così dolce.
Sembrava non essere stato investito da un vagone pieno di ormoni come il resto dei maschi di famiglia. Jamie con la sua arroganza, Hugo con la sua idiozia, per non parlare del cugino Fred, che stava passando la sua intera esistenza post-scolastica a inseguire gonnelle.
Albus era rimasto coerente a se stesso, identico a quando aveva undici anni.
Beh, certo, non proprio identico. Era un ragazzo adesso. Non molto alto, ma aveva un fisico asciutto e non privo di una certa mascolinità.
E poi quei grandi occhi verdi, di un verde brillante
Un sacco di ragazze sussurravano il suo nome sugli spalti, durante gli allenamenti.
Non che Al se ne accorgesse. Era un tonto cronico. Per lui esisteva solo il Quidditch, le lezioni…
… E Thomas.
L’unico essere muliebre che suscitava qualche barlume di interesse in lui era lei, la sua confidente-cugina, e Lily, l’adorata sorellina.
Fine.
Rose si diede della… beh, della stronza.  Era maliziosa lei, non Albus.
“Secondo te quest’anno Hagrid farà la Caccia alla Creatura?” le chiese.
Era una consuetudine che il buon professore di Cura delle Creature Magiche aveva introdotto da qualche anno: si trattava sostanzialmente di compilare un elenco di varie creature presenti nella Foresta Proibita. Alcune erano autoctone, altre Hagrid le liberava la notte prima, in un’area circoscritta dalla Magia, per permettere agli studenti di non inoltrarsi troppo nel bosco.
Una sorta di caccia al tesoro, con oggetti ‘viventi’.
Al la trovava divertente. Lei la trovava terrificante, considerando che l’anno prima nell’elenco c’era anche un’acromantula.
Represse un brivido, sorridendo al cugino.
“Penso proprio di sì.”
Hugo sogghignò. “Quest’anno ti divertirai un sacco, Rosie. Mi sa che il vecchio Hagrid riproporrà ‘Acromantule dal pessimo carattere’.”

Rose deglutì. I ragni erano una fobia che condivideva, e per giunta con molta partecipazione, con il padre. L’anno prima era scappata fino al punto d’arrivo urlando, tra l’ilarità dei Serpeverde e di metà Grifondoro. Si ricordava con particolare nitore l’espressione esilarata di quel deficiente di Sgorbius.
“Non dire cretinate. L’anno scorso Rose si è spaventata, e Hagrid ha promesso che non le avrebbe messe nella lista. Sta tranquilla.” La rassicurò Al, toccandole in braccio.
“Si sa che il professore ha la memoria corta…” ridacchiò Hugo, beccandosi uno scappellotto fulmineo da Al.
“Ahu! Albie!”
“Chiamandomi così mi dai solo un motivo in più per rifarlo.” Replicò seraficamente, prima di prendere un tortino alla zucca e darci un morso soddisfatto. Si sorrise con Rose.

Il rosso si massaggiò la nuca, sbuffando. “Comunque sia… avete letto la Gazzetta di oggi?”
“Tu non l’hai letta, Hughie. Hai sbirciato dalla mia spalla. Vuoi la pagina di politica estera?”
Chissenefrega delle politica estera! Avete visto cosa c’è in seconda pagina?” Strappò il giornale dalle mani di Lily che sospirò esasperata. La squadernò facendosi spazio sul tavolo.
“Guardate qua.” Indicò una foto, al centro pagina, che mostrava una specie di creatura serpentina, che batteva le palpebre oblique, sanguigne. Aveva il torso muscoloso, e umano. Il resto del corpo non era mostrato nella foto, ma si intravedeva l’attaccatura dei fianchi, coperti da fitte scaglie color acquamarina.

“Figo, eh? Sei di questi si sono persi ad Edimburgo! Qui vicino!”
Persino James smise di tentare di infilare una mollica di pane dentro una tazza vuota.
Rose si chinò sul giornale. “Sei Naga si perdono ad Edimburgo. Che razza di notizia è?”
“Cos’è un Naga?” chiese Albus confuso.

“Uno di questi affari, è chiaro!” 
“Grazie tante Hugo. Non ci ero arrivato.”
“Credo… uomini-serpente. Indiani. Credo.” Azzardò Lily, che da anni riceveva per Natale enciclopedie illustrate di “Creature Da Tutto Il Mondo" di Rolf Scamandro.

I due gemelli si guardarono, poi uno fece un cenno d’assenso all’altro.
Lysander – forse – si schiarì la voce, picchiettando il dito contro la foto.
Naga. Sono un popolo mitico, con tradizioni che affondano nelle radici induiste. Come ha detto la dolce Lilù, sono uomini-serpente. Etica guerriera. Molto incazzosi. Papà è stato ospite di una delle loro, tipo, ottocento tribù. Erano tipetti irascibili, ma con un alto codice d’onore.”
“Tipo i Klingon!” esclamò Hugo.
Tutti lo fissarono. Si imbronciò.
Star Trek. Ehy, i babbani ci fanno mangiare la polvere in quanto a telefilm!”
“Non abbiano neanche la televisione, Hughie.” Sospirò Lily. “Comunque sia… che brutta faccia.” mugugnò. “Sono pericolosi?”
Lys – sembrava proprio lui – scrollò le grosse spalle.

“Dipende. Ogni tribù ha un suo codice di comportamento. Alcune sono pacifiche e si fanno i fatti loro. Però questi qua non hanno mai visto un babbano in vita loro. Noi maghi non ci spaventiamo per una lingua biforcuta, o per il fatto che quando gli girano si tramutano in grossi serpenti.”
“In grossi serpenti?” fece una smorfia Lily. “Io mi spaventerei. Moltissimo!”
Rose lesse attentamente l’articolo. Vide con la coda dell’occhio Tom fare lo stesso.
“Qui dice che sono una delegazione della tribù…” socchiuse gli occhi. “… Zhamai. È una piccola tribù che si è distaccata da un nucleo originario più grande. E… abitano sì, in India. Nella regione di Nagaland.”
Nagaland?” Hugo fece una smorfia. “Cos’è, un parco giochi?”
“Scemo. Si chiama davvero così.” si schiarì la voce, continuando. “Sono venuti qui in visita, sotto patrocinio dell’ufficio per la Cooperazione Magica Internazionale. Il loro referente, il Signor Parva Tuil, è scomparso, e i sei Naga non sono mai tornati alla Locanda che li ospitava.”

“Circe…” commentò Al pensieroso. “Una tribù di guerrieri si è persa in Scozia?”
“Praticamente… qui dice che li stanno cercando, stanno rivoltando tutta Edimburgo. Si teme che possano palesarsi ai babbani, soprattutto.”
“I ragazzi del Ministero dovrebbero passare giorni a sgolarsi a furia di Oblivion.” Commentò James appoggiando una mano sulla guancia. “E sono molto pericolosi?” chiese interessato.

“L’articolo non lo dice apertamente. Ma per quanto li stanno cercando, è chiaro che non li considerano dei turisti sbadati.” Sospirò Rose chiudendo il giornale.
“Sempre che si siano persi…” osservò Tom tranquillamente.
Rose corrugò le sopracciglia. “Cosa intendi?”
“Potrebbero aver volutamente deciso di non tornare alla locanda.” Sorseggiò il proprio the.

James lo guardò sospettoso. “Vuoi dire che secondo te sono scappati?”
Non sapeva se approvarlo per aver messo la pulce nell’orecchio all’uditorio o detestarlo perché l’aveva preceduto.
Nel dubbio lo detestò. I punti tolti la sera prima ancora gli bruciavano.
“Perché no. Potrebbe essere un’eventualità.”
“Ma… perché? Sono qui in visita…” Borbottò Al. Quelle creature non avevano un’aria propriamente amichevole.

“Considerando le tempistiche per ottenere un visto, specie per creature umanoidi… beh. Se avessi qualcosa da fare che non mi va di dichiarare direi che sono in vacanza.”
Hugo lo guardò con aria interessata. “Qualcosa di losco?”
“Probabile.” Lo graziò. Rose sbuffò.

“Che sciocchezza. Sono esseri che probabilmente non hanno mai lasciato il proprio villaggio. Avranno sbagliato strada, si saranno trovati fuori dalla Edimburgo magica e avranno deciso di nascondersi da qualche parte, magari sulle colline, per evitare i babbani.” Concluse, con tono pratico.
Tom sorrise. “Sì, anche questa è un’alternativa valida.”
Rose sentì che la stava prendendo in giro, ma lasciò perdere.

Non lo sopportava. Davvero. Almeno Malfoy era più manifesto nella sua ironia.
Albus fece spallucce. “In ogni caso non è affar nostro, giusto? Sono sicuro che gli auror li ritroveranno. Sono addestrati anche per questo genere di situazioni.”
Finiro la colazione parlando del più e del meno, interrotti poi dalla consegna degli orari. Rose e Al furono contenti di vedere che avevano molti corsi in comune, e ben distribuiti lungo la settimana. Hugo commentò con aria afflitta qualcosa sulla barbosissima lezione di Arimatzia che gli sarebbe toccata di lì a poco. Rose lo riprese, e Lily lo consolò prendendolo a braccetto e assicurandogli che l’avrebbe aiutato nei compiti.

La normale routine. Thomas li osservò chiacchierare, senza dare pareri o commenti. Semplicemente godendosi una conversazione da Hogwarts.
Fu l’ultimo a lasciare il tavolo. Lanciò un’occhiata al giornale.
Fu una sua impressione, probabilmente, ma gli sembrò che quel Naga lo stesse fissando.
 
 
****
 
Note:
Era un po’ che il volto di Al, non mi convinceva. E infatti.

Sostituitelo dalle vostre teste. Ecco il vero Al.
Al Potter

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Capitolo 10
*** Capitolo VI ***


Coraggio, non mordo se recensite! Mi fa piacere vedere tutte queste visite, ma le recensioni? Su, su. Fate felici una piccola scrittrice. E poi sono in lutto perchè il trailer figo della fic che volevo farvi vedere su youtube non sono riuscito a caricarlo. (Qualcuno sa come evitare errori nel caricamento da progetto a filmato di Windows Movie Maker?)
@Jakie Black: Ciao Jakie! Hai ricevuto la mia mail di risposta? Spero, perché gmail fa dei begli scherzetti in proposito. Allora, prima di tutto grazie. Speravo che la scelta del nuovo faccino di Al vi piacesse. L’ho visto ed ho pensato fosse perfetto. :P E sì, mi diverto molto nelle scene corali, con tutti. E di questo devo ringraziare tutti i telefilm che mi hanno cresciuta. È grazie a loro che riesco a scrivere senza incasinarmi! XD Tom sta cominciando a accorgersi, e in questo capitolo chissà… Il rapporto tra Tom e il padrino (ti ricorda niente? XD) sarà molto importante ai fini della trama. Vedrai. Grazie per la puntualità delle tue recensioni. Le aspetto sempre con vero piacere! ;)
@Sammy Malfoy: Sappi che sei diventata la mia nuova eroina. Due recensioni in due posti diversi! Ti adoro. (Sì, sono malata di recensioni come una tossica, sigh. T_T)
 
 
 
****
 
 
Capitolo VI
“A forest.”
 
 

 
 
 
 
 
Go on go on/ Just walk away
Go on go on/ Your choice is made
(In Between Days, The Cure)
 
 
La mattina era soleggiata e calda, mentre Al e gli amici si dirigevano verso il limitare della Foresta Proibita. Il punto di ritrovo sarebbe stato davanti alla capanna del guardiacaccia, carica ora ricoperta da un robusto ragazzo gallese di venticinque anni, Redmayne. Hagrid invece, professore ormai da quasi trent’anni, aveva spostato la sua residenza, una capanna identica a quella che aveva lasciato, a pochi metri dal fitto della boscaglia.  
Albus si era tolto il mantello e maglioncino, restando in maniche di camicia: ancora il clima lo permetteva, e del resto non gli piaceva soffrire il caldo.

Thomas, invece, era vestito di tutto punto, anche se non aveva allacciato gli alamari d’argento del mantello.
“Non ti fa caldo?” gli chiese perplesso. Anche Rose teneva sottobraccio il suo.
Tom scosse la testa. “Non ho mai caldo. Come non ho mai particolarmente freddo.”
Al fece spallucce, lanciando un’occhiata verso il gruppetto di Serpeverde e Grifondoro già riunito davanti al campo di zucche. Tendenzialmente ogni Casa faceva gruppetto a sé, ma Malfoy al momento stava chiacchierando con Zabini. Sapeva che le loro famiglie si conoscevano da anni, e Michel non era tipo da guardare troppo il colore di una cravatta.

Di un uniforme di Quidditch sì, ma una spilla rosso-oro non gli causava nessuno scompenso.
Ad Al piaceva anche per questo.
Vide Rose rallentare, e quasi nasconderglisi dietro. La guardò perplesso.
“Rosie?”
“Eh?” si riscosse, con notevole faccia tosta. “Dimmi.”
“Perché ti sei nascosta?”
“Non mi sono nascosta.” Puntualizzò seccata. Vide anche Malfoy guardare verso la cugina e sorriderle tutto denti.

“… Come va con Malfoy? Siete riusciti a raggiungere una… tregua?” soppesò le parole, volutamente. La ragazza scosse la testa.
“Com’è possibile raggiungerla con lui. Non ci sbraniamo, ecco tutto.” Borbottò, stringendosi nelle spalle. “E’ meno odioso da solo che in compagnia, comunque.”
“Beh, la sua compagnia solitamente sono solo ragazze. E neanche tanto simpatiche.” Ribatté Albus. “Sul serio, non capisco come riesca a sopportare di sentirle ciarlare per ore.” Si arruffò i capelli. “A me verrebbe un gran malditesta.”

“Sarà abituato a sentire teste vuote chiacchierare.” Rose si avvicinò verso Scorpius, gratificandolo di un sorriso freddo ma educato, prima di sorpassarlo e unirsi alle compagne di dormitorio.
Albus guardò Scorpius. Scorpius guardò Albus.
“Ehilà.” Propose il biondo. Albus sorrise.
“Ehilà.”

Sapevano entrambi cosa sarebbe accaduto.
In poche cose Albus Severus era sicuro di sé. Ed una di queste era cercare.
“Anche quest’anno caccia al tesoro. Pronto ad essere stracciato Potter? Lo stavo giusto facendo notare a compare Zabini qui.”
“Fagli mangiare la polvere, Al.” sorrise soavemente Michel, dando una pacca sulla spalla a Scorpius.

“Ci proverò, Capitaine…” ridacchiò, usando il nomignolo francofono che i membri della squadra avevano affibbiato a Michel.  
“Ci devi riuscire. Sei un Serpeverde.”
“Può tentare, è un Serpeverde.” Motteggiò Scorpius. Michel gli lanciò un’occhiataccia. Gli bruciavano le vittorie Grifondoro alla Coppa delle Case, era evidente.

A chi non brucerebbero? Jamie poi si pavoneggia come un’idiota per mesi.
Da spaccargli la faccia, veramente.
“Quest’anno vi lasceremo col culo a terra, Sy.” Replicò Zabini, serio.
“Ci potete provare, come ho già detto, Mike.” Sogghignò l’altro. Al sospirò divertito.
Non c’era livore trai due, si percepiva. Solo sana rivalità agonistica. Una specie di miracolo, nell’esperienza millenaria di Hogwarts.

Ma non è tanto male. Se non si scannano due capitani di Quidditch non lo fanno neanche le squadre. E se non lo fanno le squadre, le Case sono molto meno competitive.
Comunque ciò non toglieva che anche Albus avrebbe voluto vedere Grifondoro culo a terra.
“Chi è quest’anno il vostro cercatore?” chiese a Scorpius.  
“Quest’anno facciamo le selezioni.” Spiegò “Smith si è diplomato l’anno scorso.”
“Era in gamba.” Annuì Albus: l’anno prima aveva passato tutte le partite che avevano avuto contro i Serpeverde a contendersi il boccino con lui. Ed era una dannata scheggia.

Scorpius annuì. “Dannatamente. Ci sono dei candidati niente male comunque. Vedremo.” Sorrise. “Non cantate vittoria troppo presto però. La squadra rimane la stessa. Squadra vincente, come si dice…”
“Sì, sì… vieni Al, non fraternizzare troppo con il biondo nemico.” Michel gli passò un braccio attorno alle spalle e lo portò via, tra gli sghignazzi di Scorpius.

“Ride sempre Malfoy… non è mai di cattivo umore?” chiese quando raggiunse Tom e Loki, seduti sullo steccato al limitare della capanna.
“Gente allegra ciel l’aiuta.” Esclamò Loki, lanciando in aria uno zellino e riprendendolo al volo.
“Scorpius non è poi tanto allegro.” Ribatté Michel. “Voglio dire, è molto bravo ad atteggiarsi. Comprensibile. È un Malfoy. Ed è pure Grifondoro. Mix micidiale.”
“Che vuoi dire?”
Michel esitò, poi scrollò le spalle. La riservatezza tipica del suo cognome gli impediva di parlare apertamente di uno dei suoi amici d’infanzia. Certo, Al Potter era un tipo affidabile e Tom un menefreghista. Il problema era Loki, naturalmente.
“La sua famiglia ha avuto problemi, dopo la guerra. Non avevano una buona reputazione, tutto qui. Adesso è diverso, il signor Malfoy lavora al Ministero. Ed hanno tutti una buona opinione di lui.”
“Ah, sì. Papà mi ha detto che lo incontra spesso.”
Credo ci fossero delle frizioni tra di loro, quando aveva la nostra età. Non me ne ha mai voluto parlare però. Sorride e mi dice che per fortuna le cose sono cambiate, ed è cambiato anche il signor Malfoy… mah. 

Loki frugò nelle tasche e si ficcò in bocca una gelatina tuttigusti+1. Al lo guardò ammirato, aspettando il verdetto.
“Menta piperita.” Decretò l’altro soddisfatto.
“Come fai ad azzeccare sempre quelle buone?” A lui uscivano sempre gusti raccapriccianti come tabasco, cerume, cemento.
“Calcolo delle probabilità.” Sorrise con bonomia Nott. Poi riprese il filo del discorso. “Ho saputo che hanno guadagnato parecchi punti quando il padre di Malfoy ha sposato l’ultimogenita dei Greengrass.”
Michel lo guardò di traverso. “Messa così lo fai sembrare un matrimonio di convenienza.”
“Perché, non lo è stato?”
“Non lo so, e comunque non credo che abbiamo elementi per giudicare i genitori di Scorpius.” Loki alzò gli occhi al cielo.

“Come vuoi, Prefetto-Perfetto. Stavo solo facendo un po’ di pettegolezzi.”
“E sai che sono sempre il primo a darti manforte. Ma questi sono noiosi… preferirei parlare delle ultime conquiste di Elias Dodge piuttosto. Sai che ha di nuovo tradito la sua ragazza?”
Mentre gli altri due spettegolavano, da brave comari, Albus guardò verso Scorpius.

Nel farlo incrociò lo sguardo di Rose, al lato opposto della staccionata.
Con sorpresa si accorse che stavano fissando la stessa persona.
...uhm.

Hagrid uscì in quel momento dalla foresta, gigantesco e dalla barba incolta, ormai grigia. Li abbracciò con un unico sguardo, sorridente. Al ne approfittò per avvicinarsi alla cugina, empatico. Rose era impallidita.
Ha proprio paura … okay. Supporto psicologico.
“Quando sorride così mi fa sempre venire i brividi.” Borbottò infatti Rose. “Godric, spero proprio che non abbia messo in lista le acromantule.”
“Non l’avrà fatto.” Cercò di assumere un’aria convinta. Purtroppo Hagrid sembrava troppo eccitato dall’imminente caccia.
“Buongiorno ragazzi!” esordì. “Anche quest’anno si partirà con la Caccia alla Creatura! Quest’anno, uhm… ho escogitato un bel po’ di trucchetti per divertirvi un po’ di più.”
“Meraviglioso.” Commentò atona Rose. “Acromantule.”

“Prima di tutto, ecco, ci sarà più spazio… ho ingrandito il terreno di cerca, e messo un paio di animaletti in più.” Fece un largo sorriso a cui ben pochi risposero.
“Oddio, ha messo un drago.” sussurrò Rose terrificata. Al represse la risata dietro una mano.

“Ma bando alle ciance. Adesso vi darò un pezzo di pergamena e una piuma per annotarvi gli animaletti che vedrete. Ricordatevi, avete due ore di tempo, poi, quando vedrete delle scintille bianche in cielo, sarà finita la prova. Alla coppia che troverà più creature verranno assegnati venti punti.” Terminò nella sua solita parlata sconclusionata.
Albus sorrise, cercando Tom con lo sguardo. L’altro annuì, semplicemente.

Ovvio, anche quest’anno la vittoria sarà nostra. 
Forse solo Scorpius poteva essere al loro livello, ma era sempre stato penalizzato dal compagno. Michel e Loki invece non si sforzavano neanche di partecipare. Rose era potenzialmente pericolosa, ma era un aracnofobica in un bosco pieno di ragni.
Fuori combattimento.
“Anche quest’anno lavorerete in coppia. Ma per evitare la baruffa dell’anno scorso, le coppie ‘sto anno le sorteggiamo.” Borbottò. L’anno prima due ragazze, una di Grifondoro e l’altra di Serpeverde, si erano rotolate nel campo di zucche dopo un’accesa discussione su chi sarebbe stata la compagna di Scorpius.
Hagrid prese un grosso cappello, probabilmente suo, e fece scrivere ai ragazzi il proprio nome sul pezzo della propria pergamena, che strapparono e buttarono nel cappello.
Albus fece una smorfia. “Dannazione. Non voglio finire con Lo. Non si impegna affatto!”
“E tu ti scaldi troppo.” Replicò l’altro senza fare una piega.
Thomas non commentò, ma lanciò un’occhiataccia a Hagrid: il sistema non gli piaceva. Dover dividere due ore del suo tempo, in una foresta, con un grifondoro o simili, non lo entusiasmava.

E poi voleva vincere.
Hagrid cominciò ad enunciare le coppie, che come da copione si rivelarono astruse e malassortite nella maggior parte dei casi. Albus, invece, con suo grande stupore si ritrovò in coppia con Thomas. Si diedero il cinque, soddisfatti.  
Rose si trovò in coppia con…
“Siamo assieme, di nuovo, Rosey-Posey!” esclamò garrulo Scorpius.
Merda. – pensò perdendo espressività. Sentì l’ostilità delle altre ragazze investirla come un’ondata.
“Acromantule e Malfoy. Delizioso. Che qualcuno mi ammazzi adesso.” Sibilò disgustata, mentre il sorteggio veniva concluso e l’ultima coppia estratta.

Scorpius sorrise, facendo spallucce. “Andiamo. Non sono il diavolo.”
“Infatti. Non sei così interessante.” Si ficcò con un movimento rabbioso la penna e la pergamena nella tasca della gonna e si allontanò.

“E’ sempre così amabile tua cugina, Potter?” apostrofò il Grifondoro. Sembrava raggiante.
Tipo strano. Rosie lo tratta malissimo e lui sembra divertirsi come un matto.
Sarà mica masochista?
Al fece spallucce.
“Sei tu che non le piaci, Malfoy.”
“Non dovrei prenderla sul personale?”
Scosse la testa, facendo un sorrisetto. “Dovresti proprio prenderla sul personale invece.”
Per come ti guardava prima, davvero.

 
 
 
****
 
“Povera Rosie. La fortuna non è proprio dalla sua parte!” esclamò Al agitando un ramo secco che usava come una spada improvvisata per fendere l’aria. Adorava la Foresta Proibita.
Certo, era proibito, e spaventoso di notte, e ricco di creature perlopiù poco amichevoli. Però aveva un’atmosfera… magica.
Sorrise alla banalità della sua osservazione, mentre dietro di lui Tom, pergamena alla mano si guardava attorno. Due diversi tipi di approccio alla materia.
Tom era professionale, attento, concentrato.
Lui si guardava attorno, si godeva i profumi della foresta, i giochi di luce trai rami e… scovava le creature con un colpo d’occhio. Ottima vista, a differenza del padre.
“Più che altro direi che si tratti di caso. Non fortuna. La fortuna non esiste.” Osservò atono l’amico, chinandosi a controllare una tana di volte in cerca di snasi. Erano i più innocui ma anche i più difficili da trovare.

Al sorrise, scuotendo la testa, vedendo con la coda dell’occhio una coppia di Grifondoro che stava seguendo un sentiero battuto. Lì non avrebbero trovato proprio niente, sogghignò sotto i baffi. Si capiva da sé: per cercare le creature magiche bisognava avviarsi per sentieri non battuti.
Le estati alla tana fanno forse di me un mezzo campagnolo. Ma di sicuro so come ci comporta in un bosco. Ah-ah.
“Caso, fortuna. Come ti pare. Resta il fatto che Rosie non lo tollera, Malfoy.”
“Solo perché probabilmente è affascinata da lui.”
“Aw, per favore!”
Tom alzò lo sguardo, seccato dalle continue interruzioni. “Chi disprezza compra. Vecchio adagio. E comunque sia, mi risulta che Malfoy sia genericamente ben voluto dalle ragazze.”
“Che paroloni! Piace perché è figo. Un po’ come Jamie, ma Jamie è un cretino. Malfoy è …beh, un po’ più serio.” Ci rifletté, scagliando il ramo lontano. “Un po’, almeno.”

Tom smosse la terra con una scarpa e uno snaso scappò fuori, fuggendo veloce verso il primo buco, tana di talpa o di volpe disponibile. “Snaso.” Disse soddisfatto, appuntandolo sulla lista.
“Siamo vicini al Lago Nero?”
“Stiamo costeggiando il limitare della foresta, sì, perché?”
Al sospirò indicando con un cenno della testa Loki e Michel, che, chiacchierando stavano prendendo l’uscita. Gli si erano parati davanti non appena avevano svoltato una fila di alberi e arbusti particolarmente fitta.

“E’ incredibile come poco considerino Hagrid. Non è giusto. È un professore anche lui.”
“Direi che più che Hagrid, non considerino la materia.” Replicò Tom. “Non gliene frega assolutamente nulla, ed è normale. Non vedo nessuno dei due nei panni di un guardiacaccia.”

“Sì, però…” si fermò, vedendo che Michel sembrava infastidito da qualcosa che Loki gli stava dicendo. Un caso più unico che raro. Si avvicinò per sentire, prima che Tom potesse impedirglielo. Si premurò che non lo vedessero, nascondendosi dietro una grossa radice. Tom dopo un attimo di stizzita esitazione lo imitò.
“Ti dico che dovresti dirglielo.” Esordì Loki. Ma sembrava un discorso già iniziato da parecchi minuti.
“E perché dovrei? Lo metterei in imbarazzo, e comunque non credo la prenderebbe bene.”
“Lo conosciamo dal primo anno. È nostro amico. Qui non si tratta di scherzi. È un Serpeverde, come noi, ed è un amico. E tu ti stai scopando…”
“Finiscila. Qui anche gli alberi hanno orecchie.” Sibilò Michel con aria infastidita. “Non glielo dirò. E smettila di fare l’ipocrita. Perché non glielo dici tu?”
Loki fece una smorfia. “Perché non sono un delatore. Un pettegolo, sicuramente. Ma non sputtano gli amici.”
Michel sorrise. “In fondo ti dipingi peggio di quello che sei, Loki Nott.”

Loki però non sorrise, lanciando in aria il suo zellino. “Dovrai dirglielo prima o poi. Se non lo fa quel vigliacco di Grifondoro, lo dovrai fare tu. Perché lo scoprirà. È impossibile che non lo scopra, Michel. Viviamo in un castello sperso nelle Highlands, senza nessun contatto esterno.”
“Ci penserò a tempo debito.”
“Se lo scoprirà da solo non ti perdonerà mai. Lo conosci. È troppo onesto.”
Michel sospirò, e per la prima volta sia Thomas che Al lo videro preoccupato per qualcosa. Solitamente viveva in un limbo di languida atarassia.

“Per come si sono messe le cose non lo scoprirà mai. E poi non credo sarà una cosa duratura. Del resto è solo sesso.”
Loki si strinse nelle spalle, dandogli una pacca sul braccio, simpatetico.

“Lo spero per te, Mikey. Dai, andiamo al Lago Nero. Ho dato un appuntamento a due Tassorosso con due tette come pluffe.”
Michel sogghignò soave. “Icastico.”
“Come sempre, Signor Zabini. Solo il meglio, per noi. Andiamo.”
Si allontanarono finché non sparirono dietro un grosso masso dall’aria millenaria.

Al si tirò su, spazzolandosi i pantaloni dell’uniforme, perplesso.
“Di chi pensi stessero parlando?”
“Non ne ho la minima idea.” Fece spallucce. “Dai, continuiamo. Abbiamo già perso troppo tempo.”
“Ma…”
“Vuoi vincere?” lo guardò irritato. “O vuoi perdere tempo?”
Al si morse un labbro, rientrando nei ranghi. Sicuro che voleva vincere.

Era una dannata bella sensazione.
“Certo.”
Si incamminarono in silenzio. Per una ventina di minuti si udì solo i rumori della foresta e quelli dei loro passi. Segnarono molte creature, persino un berretto rosso della Cornovaglia, da cui si tennero ben lontani.

Tom alla fine emise un lungo sospiro rassegnato.
“Potrebbe trattarsi di un compagno di Casa…”
“Vero?” esclamò Al illuminandosi. “Lo pensavo anch’io!”
“Sì, ma comunque non sono affar nostri.”

Al sbuffò appena, ficcandosi le mani in tasca. “Lo so… è solo. Hai visto che faccia che aveva? È la prima volta che lo vedo nervoso per qualcosa!”
“Non era nervoso, era impensierito.” Lo corresse. “Michel ha il dono di cacciarsi in situazioni imbarazzanti e perennemente implicanti sesso o affini.” Considerò con un lieve sospiro.
“Beh… è normale. Voglio dire. È così bello…” ammise spontaneamente. Tom lo guardò.
“Pensi sia bello?”
L’altro arrossì. Quando lo guardava con quell’aria di sufficienza si sentiva sempre un idiota.

“Beh, non lo è? È molto popolare tra le ragazze.”
“E i ragazzi.”
“Come?”
“E’ bisessuale.” Inarcò un sopracciglio. “Pensavo lo sapessi.”

Albus si sentì avvampare e si maledisse per essere così ragazzina.
“Cioè… sì. Ehm. Lo immaginavo. Ma non è che l’ho mai visto…” silenzio. “Tu l’hai visto?”
“Con un ragazzo? Sì. Una volta, in un’aula vuota. L’anno scorso mi sembra.” Scrollò le spalle, segnando con la coda dell’occhio una coppia di lumache cornute dal guscio iridescente, che strisciavano lungo il tronco di un albero abbattuto.
"Perchè non me l'hai detto?!"
"Sai che non faccio pettegolezzi."

“… Guarda, un paio di lumache cornute.” Mugugnò indicandole. Tom gli sorrise.
“Le ho viste. Già segnate.” Lo guardò con attenzione. “Al, la cosa ti mette a disagio?”
“Chi, a me? No! Assolutamente!” emise in sequenza alzando il tono fino ad un falsetto ridicolo.

Oh, Dio. Era ridicolo.
Tom si mise a ridere, beccandosi un pugno sulla spalla. “Finiscila, stronzo!”
“Scusa, ma la tua faccia…” ridacchiò. “Esilarante. Scusa.”

“Cazzo… non sono omofobo, okay? È solo… che … perché tu sei così tranquillo?” inquisì con aria profondamente seccata. Perché non si scomponeva mai? Dannato.
“Perché per me non cambia nulla. Che sia etero, o gay. O bisessuale.”

Perché a te dà tanto fastidio invece?
Si chiese, ma non pronunciò la frase ad alta voce.
“Anche per me… è…” inspirò. “Non lo so. Pensi che ci provi con me?”
Tom si mise di nuovo a ridere. Stavolta Albus fu seriamente tentato di schiantarlo. Lo guardò furente finché non smise. Un centinaio di metri dopo.
“Michel ti vuole bene come un fratello. Ti stima come persona, ma sinceramente non credo tu sia il suo tipo. Scherza soltanto.”  Si ricompose, riprendendo la solita aria distaccata.
“Perché, chi pensi sia il suo tipo?” replicò piccato. Bella forza, lui non era il tipo proprio di nessuno. Le ragazze lo trovavano un cosetto buffo.
O almeno, così gli aveva detto Ifigenia Spellman, quando l’anno prima gli aveva chiesto se voleva andare ad Hogsmeade con lui. Stronza. Ma era una Serpeverde.
Dovevo aspettarmelo, anzi, è stata insolitamente pietosa. A dire il vero non me ne fregava nulla di andarci con lei. Era solo per chiudere il becco a Jamie e i gemelli…
“Il suo tipo? Non ne ho idea. Probabilmente la persona che cerca di nascondere. Quella con cui fa…” pausa. “Sesso.” Concluse sadico.
Si deliziò nel guardare Al avvampare di nuovo come un fuoco d’artificio: era facilmente imbarazzabile sull’argomento che solitamente occupava la testa di un adolescente medio.

Non la sua.
Non ho tempo per certe sciocchezze.
Non ne hai, quando vuoi diventare Capocasa. Non do retta a chi dice che certe onoreficienze arrivano quando meno te le aspetti. A me le cose non capitano.
Le faccio capitare.
Al si chinò per osservare delle tracce fresche sul tappeto di foglie marce e terriccio umido scozzese. “… Credo che Hagrid ci abbia infilato anche le acromantule. Povera Rosie.” Sospirò, cambiando discorso, e neanche tanto bene.
“Non credo ci sia nulla di male nel fatto che tu non abbia ancora avuto una ragazza.” Replicò Tom pietosamente.
“Per un sacco di gente sembra la cosa più importante invece…” borbottò. “E per Jamie.”

Ovviamente. Competizione sempiterna tra fratelli.
Sarebbero arrivati alla tomba chiedendosi chi dei due fosse più in gamba probabilmente: Al era quello che rendeva la rivalità più manifesta, ma anche James non scherzava.
“Al…” sospirò. Si erano ormai allontanati da qualsiasi sentiero battuto, anche se erano ancora all’interno del perimetro. Se così non fosse stato, avrebbero udito un fischio lancinante alle orecchie. Una variazione del incantesimo gnaulante indubbiamente utile per evitare di perdersi.
“Sono un imbranato.” Ribatté l’altro senza lasciarlo finire, cocciuto come tutti i Potter.
“No, sei solo più timido. Penso che una ragazza possa anche considerarla una qualità.”
Albus lo fissò di sottecchi, con una strana faccia. Tom si preparò al peggio. “E tu?”
“Cosa vuoi sapere?” Chiese sulla difensiva, ma premurandosi di non darlo a vedere.

“Ce l’hai… avuta, dico, una ragazza?”
“Mi hai mai visto con una ragazza?” Ritorse con naturalezza. “Al, stiamo assieme quasi nove mesi l’anno, ventiquattro ore su ventiquattro. Te ne saresti accorto, se ne avessi avuta una.”
Al arrossì. “Sì, beh, immagino di sì, sicuro…” ci rifletté. “Però non stiamo assieme quando sei dai tuoi!” trionfante. “Hai mai avuto una ragazza babbana?”
“… No.” Era così strano quel discorso. Non gli piaceva.

“No? Perché?”
“Ti ricordo che io l’estate studio. Non ho tempo per pensare alle ragazze.” Rispose secco, più di quando avrebbe voluto. Vide infatti l’amico battere le palpebre, e serrare appena le labbra.

“Chiedevo solo.”
“Sembra più un interrogatorio.”

“Oh, al diavolo Tom… erano solo delle domande! Ero curioso!” Cincischiò con l’orlo della camicia. “E ti è mai piaciuta qualcuna?”
Salazar, aiutami tu…
“Trovo gradevole Martha Upkins, quella del quinto, nella squadra di Gobbiglie.”
Martha Upkins era per metà figlia di un goblin. Al infatti rise.
“Che stronzo che sei… dai. Davvero. Ti piace qualcuna?”
Quella conversazione stava sfociando nel surreale.

“No, Al. Non mi piace nessuna. In realtà sono gay. Sono io il misterioso amante di Zabini.” Lo prese in giro, sperando di farlo smettere. 
Non si aspettava la reazione seguente.
Al impallidì di colpo, guardandolo con gli occhi sgranati. Sentì distintamente che smetteva di respirare. Poi arrossì violentemente, mettendosi a fissare con particolare impegno la propria bacchetta.
Beh, ha funzionato. Anche troppo.
“Stavo scherzando.” Sospirò “Non sono gay.”
“…”
“Al. Non. Sono. Gay. Era uno scherzo, stavi diventando insopportabile con tutte quelle domande. Inoltre non andrei a letto con Zabini per tutti i tesori della Gringott.” Inarcò il sopracciglio con il miglior tono canzonatorio che gli riuscì. Si sentiva stranamente nervoso. “Hai capito?”

Non mi avrà creduto sul serio? Razza di idiota.
“Ah…” lo vide riprendere colore, ed accennare persino un sorriso. “Ma vaffanculo.” Lo graziò. Poi scosse la testa. “Sai, eri così serio.”
“Al, onestamente.” Alzò gli occhi al cielo “Sei l’unico che avrebbe potuto crederci.”
L’altro si mise a ridere, e il discorso fu stemperato con un paio di battute.
Ma Tom ci mise venti minuti buoni per smettere di sentirsi incredibilmente nervoso.

Al, in compenso, riprese a respirare senza sentirsi il cuore in gola solo alla sera.
E non soltanto per lo stupido scherzo di Thomas, purtroppo.
 
 
****
 
“Oh, guarda, uno snaso.”
“Malfoy, quello è un pezzo di legno.”
“Mmh. È vero.”
Sarebbe sempre stato così il loro rapporto? Quell’idiota che sparava cavolate e lei che lo redarguiva acida?

Rapporto inteso come rapporto di lavoro. Si capisce.
Malfoy era un cretino e lei… era stufa marcia di lui.
Persino del modo in cui portava la camicia slacciata, con la cravatta allentata e le maniche tirate su fino ai gomiti.
Credeva di essere figo?
Beh, non lo era.
Scorpius la graziò di un sorriso. “Che c’è? Sai benissimo che non vinceremo contro Durlsey e tuo cugino. Hanno due occhi da lince. Goditi la passeggiata.”
Lo guardò incredula. “Ma se prima hai fatto tutta quella scena su chi gonfiava di più i muscoli tra te e Zabini…”
Fece spallucce. “Rivalità dovuta tra case.”
“Non te ne importa proprio nulla di guadagnare venti punti?”
Il ragazzo si strinse nelle spalle. “Durante una partita ne posso guadagnare minimo centocinquanta. Che cosa vuoi che mi importi di venti miseri punti?” si sedette su una chiazza erbosa dall’aria soffice, con il volto rivolto verso i pochi raggi di sole che filtravano dalle fronde.

“Mmh, senti che bel tepore. Arriva fin quaggiù.”
Rose lo guardò spazientita, poi si sedette su un tronco tagliato perfettamente a metà, soffiando una ciocca ribelle via dalla fronte: anche se non aveva i capelli della madre, crespi in modo terrificante, comunque a volte si auto-gestivano. In quel momento infatti li teneva in una stretta e pratica coda di cavallo.
“Così… stiamo perdendo tempo…” esordì dopo qualche minuto di imbarazzante – per lei – silenzio.
“Devi proprio essere così antipatica?” ribatté l’altro socchiudendo gli occhi. “Avanti. Rosie. Non possiamo essere amici?”
“Manco morta. E poi a te non interessa veramente. Vuoi solo prendermi in giro.”

Voi Malfoy siete tutti fatti così. Come potremmo essere amici, poi? Io figlia di una mezzo-sangue, con due genitori che lavorano per vivere, mentre tuo padre potrebbe anche non lavorare e vivere dei proventi delle sue eredità centenarie.
Scorpius sembrò quasi indovinare il suo pensiero, perché smise di sorridere. Davvero.
Fece spallucce.
“Forse che sì, forse che no. Non ti stanchi di avere sempre la guardia alzata, Weasley? Te l’ho detto, non sono il diavolo. E non sono mio padre.” La fissò con seri occhi grigi, e Rose sentì uno strano calore all’altezza dello stomaco.
Gli occhi. Probabilmente erano i suoi occhi a fare colpo sulle ragazze. A ben guardarli non erano color pozzanghera. Erano argento.
“Sì, lo so, e…”
“E poi sono molto più bello!” esclamò con un sorriso da schiaffi. “Non credi? Finirai per amarmi, Rosey-Posey!”
… brutto imbecille.

Rose si alzò di scatto, fissandolo inferocita, prima di dirigersi verso il sentiero, a passo di marcia. Che stupida! Che stupida era stata a credere che fosse serio, che stesse per farle un discorso serio. Malfoy era un buffone. Nient’altro che quello.
Un buffone.
Il calore che prima aveva sentito si era trasformato in un magone di rabbia e stizza.
Perché me la prendo tanto? È solo uno stupido ragazzo.
Lo sentì chiamarla, ma non ci badò. Continuava a camminare, a testa bassa, e avrebbe camminato, avrebbe corso, finché non avrebbe più sentito quella voce orribile chiamarla.
Si fermò, invece, quando si trovò di fronte a quello che, di primo acchito, gli sembrò un grosso tronco d’albero. Ci andò quasi a sbattere.
Ma i tronchi non hanno scaglie come i serpenti…
Acquamarina. Scaglie acquamarina.
Quando alzò lo sguardo si trovò di fronte qualcuno, o meglio, qualcosa che aveva già visto.
Quella mattina, sul giornale.
Sentì il sudore ghiacciarlesi sulla schiena.
Aveva di fronte un Naga.
 
****
 
Note:
1 – Un piccolo link utile. Naga

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Capitolo 11
*** Capitolo VII ***


Ringrazio infinitamente chi mi ha recensito, anche solo con un piccolo incoraggiamento! Questo, prima di tutto. Secondo, passo a rispondere alle recensioni. Terzo, date un’occhiata alle note in fondo capitolo, se vi va.
@Hel_Selbstmord: Ciao! Dovrai spiegarmi l’origine del tuo nick, che mi intriga molto. Sa di mitologia norrena, uhm. Ti ringrazio per i complimenti, che mi hanno davvero fatto piacere. Sentirsi definire da una persona poco affascinata dal Potterverse che la tua fiction è una tra le migliori lette è… wow! :)
@Ombra: Ciao! Beh, vedremo qui se per Rosie è meglio un’acromantula o un lucertolone. Io, con la mia aracnofobia, preferisco quest’ultimo. XD Il misterioso amante Lily? Uhm, tu ce la vedi? Chi vivrà, vedrà. XD Comunque l’arcano verrà svelato nel prossimo capitolo.
@Cloto: Ah, sono assolutamente d’accordo! Di schifezze scritte con i piedi, ce ne sono fin troppe! (leggiti Poisonus Bites, archivio di critica, e fatti due risate). Specie nel Potterverse. 
1)Oh, insomma pensate tutti che sia Lily la fortunata?! XD Beh, vedremo se nel prossimo capitolo avrete ragione o meno. 2) Su Scorpius e Rose, credimi, dovremmo sudare, sono due testoni. Voglio dire, lei è figlia di Ron ‘Non mi accorgo di un tubo’ Weasley. 3) Il legame tra Albus e Tom, sì, non è trai più ‘lineari’, ma ha le sue buone ragioni. Ah, per l’ultima cosa. Doppelgaengen è un termine tedesco che letteralmente può essere tradotto con ‘doppio che se ne va’. Nella cultura tedesca può essere vista anche come un ‘doppio’, il concetto di ‘gemello malvagio/gemello buono’? una cosa simile. È un po’ complicato spiegarlo, ed io faccio schifo, quindi se ti interessa ti rimando alla definizione di wikipedia qui . 
@JakieBlack: Ciao! Come al solito fai un’analisi puntuale e perfetta del capitolo. Ti adoro, davvero! XD Sulla rivalità tra Case, ho pensato che fosse bello per una volta che le disparità smettessero di essere così velenose, anche se vedrai che non sono del tutto scomparse. Ma possono farlo solo gli studenti. Piazzare Scorpius a Grifondoro non è stata una scelta casuale, tanto per fare scena. ;P Poi vedrai. Grazie ancora per la recensione!
 
 
 
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Capitolo VII
 
 



 
 
 
 
 
 
Show me what it's for.  Make me understand it.
I've been crawling in the dark looking for the answer.
Is there something more than what I've been handed?
I've been crawling in the dark looking for the answer.
(Crawling in the dark, Hoobastank)
 
 
 
L’essere fissò Rose, mentre, pietrificata, non si muoveva di un millimetro.
Dove è?” chiese sibilando. L’accento era terribile e Rose fece fatica a capire cosa le stesse chiedendo. Che era evidente le stesse chiedendo qualcosa.
Non riusciva a ragionare. Quel… mostro… era alto come due se stesse. E aveva due lunghe zanne da cui gocciolava un liquido verdastro. Veleno, forse.
Abbassò lo sguardo e le venne da vomitare. Al posto delle gambe aveva un lungo tronco serpentino che terminava con una coda sfumante nel verde pallido, che frustava a terra impaziente.
Voleva scappare, ma non riusciva a muoversi. Era come se tutto il suo corpo pesasse come piombo. Aprì bocca per inghiottire aria.
Panico. Terrore.

Dove è?” chiese ancora il Naga, scoprendo le zanne.
Rose urlò. E pochi secondi dopo si sentì afferrare per un braccio e strattonare indietro.
“CORRI IDIOTA!” le urlò qualcuno.

Solo dopo un centinaio di metri, in cui le gambe le si muovevano per inerzia, si accorse che Malfoy la stava trascinando via. Correvano come se ne andasse della loro stessa vita.
E probabilmente era così.
Si concentrò solo nell’azione, solo nel fuggire via il più lontano possibile. Dopo un po’, non seppe quantificare quanto, si fermarono, ansanti. Rose si appoggiò al tronco di un albero, inghiottendo aria a boccate. Scorpius era piegato sulle ginocchia, la camicia macchiata di sudore. La fissò. Ci mise qualche attimo prima di riuscire a parlare. Ansimava troppo forte.
“… Cosa … diavolo… era…?” sillabò. “Hagrid… è … impazzito? Dannato… mezzo-gigante.” esalò infine, in un’imitazione del padre che però Rose non criticò. Se non avesse visto la Gazzetta quella mattina avrebbe chiesto lei stessa l’espulsione di quel pazzo di Hagrid dalla scuola.
“Non l’ha…” inspirò, lasciandosi scivolare a terra. “Non ce l’ha portato il professore. Quello è un Naga. È.. indiano. È…” chiuse gli occhi. Dio, ma l’avevano seminato?
Scorpius sembrò chiedersi la stessa cosa perché comincio a guardarsi intorno, con la bacchetta sguainata.

Nonostante tutto non poté non pensare che fosse quasi… interessante, con quell’espressione tesa e maschia.
Maschia? Merlino. Stupidi ormoni adolescenti.
“E come ci è finito qui se è indiano?” ringhiò distogliendola da pensieri ben poco consoni alla situazione.
“Una delegazione è venuta in visita… dal suo paese.” La voce le stava tornando, e con essa la razionalità. Ma decise che per il momento non si sarebbe alzata in piedi. Stava troppo bene abbracciata a quel tronco, grazie. “Hanno fatto tappa ad Edimburgo… e si sono persi.”
“Quello non si era perso.” Sibilò il ragazzo, avvicinandosi a lei. “Quello era qui per un motivo. Edimburgo è a miglia da qui. Non può aver camminato…” fece una pausa, seguita da una smorfia disgustata. “… strisciato, pardon, fin qui.”

Rose guardò in alto, il sole che si nascondeva tra le fronde degli alberi. La foresta era immersa in un silenzio pacifico, sereno. Era quasi incredibile credere che quell’incontro terrificante fosse accaduto davvero.
La foresta nasconde molti segreti…
L’aveva sentito dire da suo padre una volta, quando bambina, gli aveva chiesto di raccontargli l’ennesima avventura del fantastico trio.
“Weasley! La vuoi finire di guardare il cielo e vuoi deciderti a darmi delle risposte?” sbottò Malfoy riportandola alla triste realtà. Cioè che era distrutta dalla fatica e probabilmente a pochi passi da una creatura terrificante con denti avvelenati grossi quanto quelli di un Basilisco.
Grazie Malfoy.
“L’ho letto oggi sul giornale, Scorpius, non ne so tanto più di te.” Si rialzò con fatica, sentendo la caviglia urlare. Probabile che se la fosse storta in quella corsa forsennata. “Dobbiamo tornare dal professor Hagrid e dirgli che quel … coso… è in giro a piede libero. Qualcun altro potrebbe incontrarlo.” Fece per azzardare qualche passo, prima di emettere un lamento, e fermarsi.
“Che c’è?” si informò Scorpius, avvicinandolesi. “Ti fa male da qualche parte?”

“La caviglia. Credo di essermela storta mentre correvo. Tutte quelle radici…” mugugnò. Il ragazzo annuì, prima di chinarsi e abbassarle il calzettone dell’uniforme. Rose, nonostante la situazione critica, si sentì avvampare come una scolaretta.
“Che cavolo fai Malfoy?”
“Controllo che non sia rotta, Weasley.” Replicò scocciato. “Sai, dovremmo correre nel caso che quella bestiaccia ci raggiunga.”
Rose deglutì. “E tu come fai a sapere se è rotta o meno?” trovò comunque la forza di ribattere Scorpius alzò gli occhi, fissandola. Sembrava incerto se essere divertito o esasperato.

“Gioco a Quidditch. Hai idea di quante fratture ho visto in vita mia?”
Touchè.

Rose non replicò stavolta, lasciandosi esaminare. Incredibile come avesse le mani fresche anche dopo una corsa del genere.
“No, è solo slogata.” Sospirò “Ma camminare in queste condizioni non puoi.”
“Okay, allora tu torna indietro, io…”
Tu verrai con me. Non torno indietro da solo, Weasley.” Disse sbrigativo e quando provò a protestare la guardò irritato. “Ti ho fatto il favore di salvarti la vita prima, tu fammi il favore di non metterla a rischio adesso.”

“Non mi hai salvato la vita!”
Oh, sì che l’hai fatto maledizione.

Scorpius scosse la testa. “Ingrata e Weasley. Ancora mi chiedo perché mi ostini a rivolgerti la parola.”
“Va’ al diavolo.” Mugugnò, facendolo sorridere. “Allora cosa facciamo?”
“Facciamo che ci facciamo salvare il culo. In fondo siamo sotto la responsabilità del corpo insegnanti, no?” alzò la bacchetta da cui si sprigionarono scintille rosse che finirono ad esplodere in cielo.
“Segnale di pericolo.” Spiegò strizzandole l’occhio.
Diavolo, non ci avevo pensato.
Si sentì profondamente scema.

“Verranno a prenderci, dobbiamo solo star fermi e guardarci attorno. Fortuna che da qui si ha una bella panoramica.” Si arrampicò su un agglomerato roccioso, tenendo la bacchetta ben salda in pugno. Quando fu sicuro che ci fosse posto per entrambi l’aiutò a arrampicarsi.
“Perché ci siamo arrampicati qui?” chiese dopo un po’.
“Perché due occhi sono meglio di due. E quella bestiaccia sarà grossa, ma hai mai visto un serpente arrampicarsi su un sasso?”
… Non è del tutto idiota, devo ammetterlo.
“Non tornerà…” mormorò Rose, sedendosi con una smorfia. “Non era né me né te che cercava.”
“Cercava qualcuno?” chiese l’altro attento. “E chi?”
“Non lo so. Ma continuava a ripetere ‘dov’è?’”

“Spero allora che non gli venga voglia di chiedercelo di nuovo.” Si allentò ulteriormente la cravatta, sbuffando. “Io con i rettili non ho un buon rapporto. Non ci piacciamo a vicenda, è evidente.”
Rose lo guardò stupita, prima di mettersi a ridacchiare.
Okay, questa era buona.

“Scorpius?”
“Mmh?” Non distolse neanche lo sguardo, continuando a monitorare il bosco. Avrebbe potuto andarsene, scappare a cercare aiuto o semplicemente mollarla lì. Ma non l’aveva fatto.
“Sei un vero Grifondoro, lo sai?” mormorò. Si sentì scema: avrebbe dovuto ringraziarlo per averle salvato la pelle, e invece le era uscita quella frase senza senso.

“I soli a pensarlo siete tu e quello straccio sudicio e bislacco…” replicò beffardo. Ma Rose fu quasi sicura di leggervi sorpresa, e piacere, nella sua espressione.
“Tu non lo pensi?”
Si strinse nelle spalle. “A volte.”
“Dovresti farlo più spesso.” Esitò. Gli sorrise. “Mi hai salvato la vita. Grazie.”  Riuscì finalmente a dire, soddisfatta.

Stavolta fu sicura di vederlo sorridere di autentico piacere.
Scusa papà. Ma sono una Grifondoro. Sono onesta.
Se solo fosse stata onestà, certo.
 
 
****
 

Thomas stava finendo di ricopiare nella propria pergamena la lista completa di tutti le creature avvistate. Erano più di cinquanta. Potevano ritenersi soddisfatti.
Al era seduto sotto un albero, con la testa appoggiata su una radice: si erano fermati in una piccola radura baciata dal sole settembrino per fare il punto della situazione e riposarsi.
Lasciò filtrare la luce dalle dita socchiuse, sbuffando appena.
“Pensi che vinceremo?”
“Temo proprio di sì.” Ironizzò Tom con un sorrisetto. Al ridacchiò.

Ora era tutto apposto.
Prima… non tanto. Erano rimasti silenziosi e in imbarazzo per un bel pezzo, prima che l’avvistamento delle tracce di un unicorno li distraesse.
Era stato… strano.
Thomas, certo, amava le freddure. Però quella battuta era stata…
Al non sapeva definirla bene, ma sapeva come si era sentito: incredibilmente… ansioso.
… Gay.
Non ci aveva mai pensato. Certo, non era improbabile.
Si sentì arrossire e fu sollevato dal costatare che il cugino era totalmente assorto nel ricopiare.
Non l’ho mai visto parlare con una ragazza, se non con Rosie ogni tanto. O Lils, ma solo perché lo assilla lei. E poi non ha mai invitato nessuna ad Hogsmeade. Eppure non avrebbe problemi.
Thomas era magnetico. C’era qualcosa in lui che spingeva la gente a guardarlo, a considerare la sua opinione, a stimarlo.  E poi non si scomponeva mai.
Fece un sorrisetto, tirandosi a sedere: per questo era stato strano, prima. Si era agitato.
Era la prima volta che l’aveva messo in difficoltà.
In un certo senso era stato soddisfacente.
Comunque, anche se fosse stato gay. Beh. Non gliene sarebbe importato.
Tom è Tom. Fosse anche giallo e con la coda.
Non gli sarebbe importato, no, anche se in quel momento aveva sentito come un cucchiaio che gli scavava la pancia. Essì. Proprio quella, la sensazione.
Come panico, ma simile al magone che gli prendeva poco prima della riconsegna di un compito.
“Uno zellino per i tuoi pensieri.” Disse Tom, sorprendendolo. Gli fece un mezzo sorriso, alzando lo sguardo, quando non sentì risposta. “Avido. Vuoi un galeone?”
Al scosse la testa, sentendosi il cuore in gola. Realizzò in quel momento quanto gli volesse bene. Quanto fosse fortunato ad avere la sua amicizia. Tom non la offriva spesso, anzi, tolti Zabini e Nott, con cui comunque aveva un rapporto più blando, non l’aveva proprio offerta a nessuno.
Era una bella sensazione, essere il primo.
Non lo sono stato neanche quando sono nato. C’è sempre stato prima Jamie.
“Mi sei mancato quest’estate…” disse di slancio. L’altro inarcò un sopracciglio.
“Pensavi a questo?” Replicò senza troppo sentimento. Era fatto così, non bisognava arrabbiarsi. Però non poté evitare di sentirsi deluso.
“Anche. E a chi sarà il nuovo professore di Trasfigurazione.” Mentì. “Loki ha detto che Vitius ha già una rosa di candidati.”
“Nott ne sa più del reparto degli Indicibili.” Commentò finendo di appuntare l’ultimo animale, un vermicolo che si era arrampicato sulla spalla di Al cadendo da un ramo.

“Già. Però c’è da dire che deve trovarlo in fretta. Domani dovremmo avere Trasfigurazione. Due ore. Non che mi spiacerebbe passarle a non far niente.”
“Io andrò in biblioteca.” Fece spallucce. Al sospirò.

“Sei peggio di zia Herm. Neanche Rosie è così secchiona!”
“Non sono affatto secchione.” Replicò con sufficienza, alzandosi. “Semplicemente, stasera prevedo trenta centimetri sulla rivolta dei Goblin.”
“Cazzo, Ruf.” Esalò Al scornato. “Tre ore. Abbattimi.”
“Mi dispiace, non conosco pietà.” Si spazzolò il mantello da residui di foglie e terra. “Andiamo.”

Camminarono per un po’, ognuno preso dai propri pensieri. A Tom il cugino piaceva anche perché era qualcuno con cui stare in silenzio. Non cercava di ciarlare ogni tre per due, terrorizzato da non sapere cosa dire. A volte semplicemente si poteva non dire.
Albus era cresciuto nel baccano di un fratello iperattivo e di una sorellina in cerca di perenne uditorio. Sapeva quindi gustarsi il rumore dei propri pensieri.
Tom improvvisamente sentì qualcosa che non andava. Non capì subito. Allora tese le orecchie. E comprese.
Non c’erano rumori. O meglio, c’erano i loro passi, il fogliame che frusciava… ma nient’altro.
Niente uccelli, niente cespugli mossi da animali furtivi. Niente di niente. Al sembrava non essersi accorto di nulla.  
Lasciò passare qualche altro attimo, prima di fermarsi. L’altro fece lo stesso, perplesso.
“Che c’è?”

“Ascolta.”
“… Ehm. Cosa?”
“Appunto.” Lo guardò. “Non si sente nulla.”
Al rimase un attimo in silenzio, poi deglutì. “Cazzo.” Disse semplicemente.

Apprezzava il cugino anche per la prontezza con cui si uniformava al suo pensiero.
“… Ma siamo ancora nell’area protetta dall’incantesimo, giusto?”
“Sì. Ma credo che qualcosa si sia introdotto…”
“Cazzo, non dire così che mi spaventi!”
“Cosa dovrei dire? Ci dovrebbe essere un incantesimo che respinge le creature più pericolose, ma pare che non funzioni?”
“Meno agghiacciante.” Borbottò Al tirando fuori la bacchetta. “Che ne dici di darcela a gambe verso l’uscita?”
“Direi che è una buona idea. Fermo!” lo prese per un braccio, mentre stava per mettersi a correre, sufficientemente suggestionato. “Se ti agiti, qualsiasi cosa ci sia, se c’è, capirà che sappiamo che è qui.”
“Ma potrebbe essere solo una nostra impressione no?” tentò “Meglio…”
“Nostra e del resto della foresta?”

Al non ribatté ma annuì semplicemente, prendendo a camminargli a fianco, con la bacchetta ben stretta nel pugno. Non era un coraggioso lui, affatto.
O sarei finito a Grifondoro come Jam e Lily.
Si sentiva teso come una corda di violino e aveva solo voglia di scappare il più lontano possibile.
“Tom, cosa credi…”
Non riuscì a finire la frase, perché sentì come una gigantesca spinta, violentissima, colpirgli la schiena. Per un attimo, ironia a parte, gli sembrò quasi di volare, prima di impattare duramente contro il suolo, fortunatamente erboso e pieno di foglie marce, un paio di metri più in là.

Stordito, gli ci volle qualche attimo per mettersi in ginocchio e voltarsi per controllare cosa l’avesse colpito. Rimase senza fiato quando vide cosa ora era affianco al cugino.
Un orrendo uomo-serpente, alto quasi due metri, vestito di una corazza di ossa e…
Dio, aveva due zanne grosse quanto due mazze da battitore.

Sentì la mente bianca. Pura paura.
L’essere afferrò Tom per un braccio facendo sibilare una lingua serpentina, nerastra. Vide Tom impallidire e cercare di alzare la bacchetta.
Il mostro gli colpì la mano, facendolo urlare di dolore, mentre la bacchetta volava via lontana.
“TOM!” trovò la forza di gridare, alzandosi in piedi.
“VA VIA! VATTENE!” urlò di rimando il ragazzo, mentre la bestia rimaneva stranamente immobile. Semplicemente, lo guardava. Ma tenendolo saldamente per un braccio. Per liberarsi avrebbe dovuto strapparselo, probabilmente. “VA’ A CHIAMARE AIUTO AL!”

Scappò. Non riuscì a fare altro se non girare i tacchi e correre via.
Una parte di lui gli stava urlando di rimanere, cercare di fermare quel mostro, salvare Tom. Ma i suoi piedi non gli obbedivano. Era come se mente e fisico facessero stato a sé.
 
Tom vide Al scappare via, e provò sollievo. Prima di rendersi conto che era un po’ fuori luogo. Guardò in faccia la creatura, e represse un conato di vomito quando sentì una zaffata di marcio soffiargli addosso.
“Tu…” sibilò la creatura. “Ora. Corri.” Scandì lentamente, per avere la certezza di essere capito. E lo lasciò. Tom rimase fermo, incredulo.
Mi ha chiesto di scappare?
L’essere ghignò. “Caccia.”
E capì. Il gatto col topo.

Con la coda squamosa gli porse qualcosa. La sua bacchetta. Dopo una breve esitazione la prese. “Non sono una preda…” mormorò, trovandosi piuttosto temerario. L’altro non sembrò neanche averlo ascoltato. Squadernò le fauci da cui gocciolò una sostanza vischiosa. Era acido, a giudicare da come corrose il fogliame sottostante.
E Tom stavolta diede retta all’istinto. Fuggì.
 

****

 
“Ragazzi! Eccovi qua!” esclamò il buon mezzo-gigante, arrivando con un festoso Odino, figlio di Thor il cane, non il dio. “Che v’è successo?”
Rose sospirò di sollievo, quando l’omone la prese per le braccia e la tirò giù come se non pesasse niente. “Professore, c’è un Naga nella Foresta!”

Scorpius scese da solo, nonostante l’aiuto fosse stato offerto anche a lui. “Un enorme uomo-serpente velenoso. Sa. Abbastanza spaventoso.” Sibilò con sospetto. Rose gli rifilò un’occhiataccia. Che testardo!
Va bene che Hagrid tende ad avere un’opinione un tantino miope sulla pericolosità di certe creature, ma da qui a piazzare un guerriero assetato di sangue nella Foresta Proibita…
Hagrid corrugò le folte sopracciglia. “Un uomo-serpente? Ma non ci sono robe del genere nella foresta, ragazzi!”
“Beh, Weasley ci ha sbattuto contro. E le assicuro che era molto reale. Ora, vuol fare qualcosa?”

“Scorpius!” sbottò Rose esasperata.
Anche se avrei dovuto usare il cognome, per quanto sembra posseduto dall’arroganza della sua famiglia!
Il ragazzo non replicò, anche se non abbandonò l’aria riottosa. Rose fece un profondo respiro, prima di continuare. “Oggi sul giornale c’era scritto che sei Naga, in vacanza, si sono persi vicino ad Edimburgo. Potrebbe essere uno di quelli.”
Hagrid si rabbuiò. Se non altro, la caratteristica che lo rendeva tanto amato presso gli studenti era la fiducia che accordava loro. “Uhm, d’accordo. Vado a controllare.” Diede una carezza ruvida al grosso cane. “Voi andate con Odie. Vi riporterà alla capanna. Ormai sono tornati quasi tutti, a parte voi due e…” esitò, poi scosse il testone. “Andate.”
“E chi, professore?” chiese Rose, con un orribile presentimento. “Chi?”
“Albus e Thomas.” La guardò impallidire, e si affrettò ad aggiungere. “Ma ci sta Grop in giro, sai. Per monitorare le cose. Li troverà prima di me, e se quel coso sta dando loro fastidio vedrai che ci dirà di lasciarli perdere.” Le sorrise. “E’ in gamba, sai, il mio fratellino.”
Entrambi evitarono di fargli notare che il ‘fratellino’ aveva l’abitudine di giocare a ‘sradica l’albero’ e che gli schianti si sentivano di solito fino alla Torre di Grifondoro.

Rose vide che Scorpius si stava mordendo la lingua. Letteralmente.  
“Su, andate. E non vi preoccupate, che li ritroviamo subito. Magari son già tornati!”
Quando Hagrid si fu allontanato, Rose guardò la propria caviglia.

Diavolo, continua a farmi male.
“Vuoi che provi a …”
“Senza offesa, ma preferisco zoppicare che trovarmi senza un pezzo di gamba.”
“Esagerata. Comunque come conti di camminare?” le chiese con un sorriso beffardo, scostandosi perché Odie tentava di leccargli una mano.

“Conto di appoggiarmi a te.” Sibilò, arrossendo e notando con orrore che Scorpius se n’era accorto. “Niente commenti o ti infilo la bacchetta su per il naso.”
“Sei sempre deliziosa. Avanti, prova ad appoggiarti con il tuo dolce pe- Non tutto! Rischi di azzoppare me, Weasley!” si finse dolorante.
“Malfoy!” lo minacciò con un ringhio.
“Sì. E’ il mio cognome.” confermò con un sorriso. Rose lo guardò male, poi lanciò un’occhiata verso la foresta. Si morse un labbro.
Al… dimmi che sei fuori di qui.
“Credi che…” esitò. Avrebbe detto qualcosa di cretino?
Stranamente Scorpius scosse appena la testa, guardando nella sua stessa direzione. Serio.
È incredibile come cambia facilmente stato d’animo.
“Dursley non è un cretino, ed entrambi sono Serpeverde. Conosco il genere. Saranno già tornati al campo-base con una pergamena di quaranta centimetri.”
“Ma se…”
Se l’hanno incontrato… beh, in certi casi l’unica cosa da fare è scappare il più lontano possibile. Auto-conservazione. Me l’ha insegnata mio padre. È nel decalogo del perfetto Serpeverde. Molto utile.”

“E tu? Prima non sei scappato. Dov’è la tua auto-conservazione?” lo canzonò, grata.
Scorpius sospirò teatrale. “Grifondoro. Capisci perché mio padre è tanto disperato adesso?”
Rose ridacchiò, e non trovò più così disdicevole appoggiarsi un po’ di più a lui.
 
 
 
****
 

Tom si sentiva mancare il fiato. Ma non si fermava. Non poteva fermarsi.
Si era liberato del mantello centinaia di metri prima, dato che gli impacciava i movimenti. Correva, in preda al puro istinto.
Sentiva i sibili della bestia dietro di sé. Che fosse suggestione o meno non ne aveva idea.
Stava correndo al massimo delle sue forze, gli occhi gli bruciavano, i polmoni sembravano scoppiargli. Decisamente non era atletico.

Decisamente non aveva una resistenza inumana.
Si fermò solo quando cadde, inciampando su una radice sporgente o un sasso, non sapeva.
Crollò a terra, rotolando per parecchi metri di un pendio ben poco dolce.
Atterrò di schiena, sentendo come se tutta l’aria gli fosse uscita di colpo dai polmoni.
Rimase immobile per qualche secondo, stordito.
Poi capì che sarebbe stato quello ad ucciderlo. La paura.
Si rialzò lentamente. Fortunatamente la caduta non aveva avuto conseguenze. Si controllò le caviglie, e provò a mettersi in piedi. Si guardò attorno.
Nessuno in vista.
No, non mi ha lasciato perdere. Forse mi ha dato un vantaggio.
Gli venne quasi da ridere all’idea che la bestia fosse stata in qualche modo sportiva.
Inspirò ed espirò un paio di volte, finché sentì il cuore rallentare i battiti.
Doveva fare il punto della situazione. Doveva razionalizzare.
È l’unico modo che ho per tirarmi fuori da questa situazione.
Non era ferito, punto primo. E cosa più importante: aveva ancora la sua bacchetta.
Anche se non aveva idea di dove si trovasse.
Si guardò attorno, muovendo cauti passi, frugando con lo sguardo ogni cespuglio, ogni minimo angolo. Si trovava sotto un lieve dirupo, che digradava bruscamente fino a terminare con alberi fitti, da cui era difficile intravedere qualcosa.
Poteva trovarsi ovunque. Non aveva nessun punto di riferimento e correndo aveva sentito l’ululato dell’incantesimo. Era quindi uscito dalla barriera protetta dalla magia.
Perfetto. Siamo io, il Naga e una mezza dozzina di altre creature mortifere.
Il Naga… sì, non c’erano dubbi. Era lo stesso essere che aveva visto nella Gazzetta di quella mattina.
Impossibile dire come ci fosse finito, nella Foresta Proibita, a miglia da Edimburgo.
Ma non era questo il punto.
Il punto è che stava cacciando lui.
Serrò la presa sulla bacchetta. Era terrorizzato, certo, ma c’era una parte di lui che era irrazionalmente furiosa.
Io non sono una preda.
Gli uscì dalle viscere, quella frase. Forte, chiara.
Era folle quello che stava per fare. Sì, da pazzi. Ma anche razionalmente, non aveva nessuna speranza di fuggire in eterno da quel Naga: era veloce, era grosso, era un guerriero, come avevano letto quella mattina.
Pensare di batterlo sul suo stesso terreno, credere di potersi nascondere finché qualcuno – non ben precisato – fosse venuto a salvarlo era ancora più idiota.
Si era perso in mezzo ad una foresta che si estendeva per chilometri, a lui sconosciuta. E più si sarebbe addentrato più i pericoli sarebbero aumentati.
Doveva fermarsi. E capire.
Perché me? Perché non ha inseguito Al? Ha un istinto animale. E gli animali attaccano sempre la preda più debole.
Puntò la bacchetta di fronte a sé.
“Vieni fuori. Sono stanco di scappare.” Pronunciò con voce ferma. La mano che reggeva la bacchetta pregava di tremare, ma Tom glielo impedì.

La paura, era la paura che aveva spinto quella bestia a giocare con lui.
Sentì un fruscio. Tese i sensi e ripeté. “Vieni fuori! Vuoi me? Sono qui! Non scappo più. È chiaro? Non scappo più!” urlò furioso.
Questo mi farà diventare membro onorario dei Grifondoro.
Pensò con amara ironia.
Sentì un sibilo e si sentì scaraventato contro un albero. Serrò la presa sul manico della bacchetta, che fortunatamente non gli sfuggì dalle mani.
Il Naga si palesò, con un orrendo ghigno. Sembrava soddisfatto.
“… Combattere?” Chiese stentato.
Tom inspirò bruscamente. Respirare, era quello il segreto.
“Non credo di avere molta scelta.” rispose di rimando. Poi non gli diede tempo o nessun vantaggio. “Stupeficium!” Gridò. La luce rossa partì dalla bacchetta. Ma il Naga rimase in piedi.

Tom sgranò gli occhi.
L’incantesimo. Cosa…
Sentì un suono sgradevole, come se qualcuno raschiasse su una lavagna. Il Naga stava ridendo. “Le tue inutili… magie… sono più… resistente.”
Grandioso. Era immune agli incantesimi. O forse quella sua pelle squamosa, come quella dei draghi, era dannatamente resistente.

Probabile.
“Ora… a me…” Non gli diede tempo. Con la gigantesca coda sferzò nel terreno, colpendogli le gambe. Crollò a terra, una seconda volta. Stavolta sentì un dolore acuto al gomito. Tentò di rialzarsi ma un secondo colpo di coda lo spinse di nuovo al suolo.
Il Naga torreggiava sopra di lui.
“Debole… così debole… possibile?” sembrava divertirsi un mondo.

Bastardo malato di etica guerriera. Ti diverti? Vediamo se ti diverti con questo.
Recido!” urlò alzando la bacchetta al cielo. L’incantesimo sfrecciò trai rami degli alberi. Il Naga capì cosa stava succedendo solo quando sentì un ramo, o meglio, una fronda, piombargli in testa. Crollò al suolo, mentre Tom scattò in piedi.
Ma l’aveva sottovalutato. Lo capì quando con quella sua dannata coda si rimise in piedi e gli circondò il braccio, stringendo con forza. Udì uno schiocco e un dolore lancinante. Lasciò cadere la bacchetta, piegandosi in due.
“Piccolo… sciocco…” lo sollevò da terra, tenendolo per il polso fratturato. Tom sentì il dolore esplodere in milioni di schegge. Urlò.

“Mostrami… mostrami quello che sei…” sibilò, scuotendolo. Tom serrò i denti per il dolore.
Cosa voleva? Cosa diavolo voleva quel mostro da lui?
Non gli diede tregua. Lo sbatté contro un albero, premendocelo contro.
Tom tossì.
“Mostrami…”
Cosa? Cosa dannato bastardo? Come so gridare? Come crepo?!
Non riusciva neanche a parlare, tanto era il dolore e la paura. Impotente, ecco cos’era.

Uno stupido ragazzino impotente.
Sentì la collera montargli dentro come un mare impetuoso. Partirgli dallo stomaco, esplodere, irradiarsi negli arti, fino alla punta delle dita.
Per la prima volta odiò.
Nessuno, nessuno poteva permettersi di farlo sentire così.
Nessuno.
A posteriori capì di aver agito come in preda ad una forza sconosciuta. Afferrò il Naga per la selva di collane che portava al collo. Strinse.
Muori.
Vide il ghigno del Naga spegnersi, e la faccia aggrottarsi mostruosamente. Vide il dolore nel suo volto mentre lanciava un urlo disumano, prima di lasciarlo andare.
Crollò al suolo, mentre il Naga si allontanava da lui, con le mani serrate sulla testa, come se un’emicrania spaventosa lo stesse lacerando.
Muori.
C’era solo quella parola nella sua testa. La ripeteva all’infinito, come una preghiera. Come un ordine. Non riusciva a smettere.
Poi sentì come se qualcosa di enorme gli fosse atterrato accanto. Il rimbombo, la terra scuotersi. Vide una gigantesca ombra afferrare il Naga per la coda e sbatterlo al suolo. Sentì un ruggito.
Arriva la cavalleria… - pensò stancamente.
Poi il buio lo inghiottì.
 
 
 
****
 
 
Note:
E poi non dite che non vi do l’azione… :P
Comunque, ecco una piccola precisazione sulle età dei nostri eroi e l’anno che frequentano, visti i casini che ho fatto nei precedenti capitoli.
Adesso siamo nel 2022. Anno scolastico 2022-2023.
7° anno (17-18 anni): James/ Gemelli Scamandro/ Roxanne.
6° anno (16-17 anni): Thomas/Albus/Rose/Scorpius/Michel/Loki/Dominique (a Beaux-Batons).
4° anno (14 anni): Lily/Hugo.
1° anno (11 anni a Beaux-Batons): Louis.
Teddy ne ha ventiquattro invece, mentre Victoire ne ha ventidue.
Tutte le età sono state estrapolate da HP Wiki e la pagina di HP di Wikipedia in italiano. Per alcune ho un po’ abbozzato dato che non c’erano riferimenti precisi nella timeline.

Gli altri cugini, come Fred Jr, Molly e Lucy (le figlie di Percy), li ho già fatti diplomare oppure sono bambini. In fondo non si vede da nessuna parte le date di nascita. Licenza scrittoria. U_U
Per chi volesse vederla, ecco Roxanne: Roxanne . Essendo figlia di Angelina, di colore sia nel libro che nel film, l’ho voluta immaginare così.
 

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Capitolo 12
*** Capitolo VIII ***


2 Ringrazio le ragazze che mi recensiscono (ragazzi? Non  so se ce ne siano. Argh, ‘sti nick oscuri). Grazie, siete voi che finanziate questa storia! ^^
@Hel_Selbstmord: Hai un nick favoloso! Al di là del cupo significato mi piace troppo. Mi sa di ‘sturm und drang’ tedesca! Per quanto riguarda questo capitolo è Thomas-centrico. Quindi spero non deluderà le tue aspettative! I commenti di una non-appassionata sono una vera lusinga per l’ego. Ed è vero, mi smazzo (a scapito dello studio :P) per fare un buon lavoro su questa fic. Odio quelle tirate via, OOC, che non curano affatto l’ambientazione. Secondo me, documentarsi, è la parte quasi più divertente! :) E poi, a mio avviso, se ci metti impegno, in una storia, i risultati si vedono. (sono una paranoica, lo so)
@JakieBlack: Tu sei la mia ‘analista’. Spiace troppo se ti chiamo così? XD Ogni capitolo ha una tua analisi puntuale, ed io le adoro! Per quanto riguarda l’intuizione che hai avuto su Michel, beh, diciamo che in questo capitolo avrai le tue risposte. Se fossi in te, comunque, non regalerei un Naga a tuo cugino. Sono poco malleabili (tipo i Klingon, come ha detto Hugo XD ) La tua analisi su Tom è quanto di più perfetto ci potesse essere. Grazie davvero per seguirmi (e ovviamente per tentare di dare una cover a questa mia storiella :P)
@Sammy Malfoy: Oh, non preoccuparti se risulti ripetitiva, il mio ego lo apprezza immensamente! XD A parte gli scherzi, mi fa davvero piacere che apprezzi la mia scelta di Scorpius Grifondoro. Ci sono delle ragioni, tra l’altro, perché l’ho messo lì, non solo per fare ‘l’originalata’ (che tale, tra l’altro, non credo neanche sia). Tom e Albus sono due rincoglioniti, ma in questo capitolo ci sarà un passetto (ino ino) in più. Grazie per seguirmi!
@Marty McGonnagal: Non preoccuparti, perdonata! XD Mi ha fatto piacere sapere di essere riuscita a dare un’impronta caratteriale diversa a ciascun personaggio. Non è facile, quando ne hai tanti, ma diciamo che gestire un GdR ha aiutato. Scorpius ti piace, anche se dal nick mi pare di intuire che sei una Grifondoro? XD Evviva! In effetti io adoro Scorpius, è come una seconda possibilità di riscattare i Malfoy (che trovo affascinanti).
@Altovoltaggio: Ciao! Vedo che sei una new entry, e i tuoi complimenti non possono che farmi piacere! Tom-Voldemort? Vedremo se hai ragione, ma diciamo che ho seminato ovunque indizi nella storia per smentire o confermare la tua tesi. ;)
 
 
 
 
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Capitolo VIII
 
 

 
 
 
 
 
There's oceans in between us/ But that's not very far
(Blurry, Puddle Of Mudd)
 
 
 
 
4 Settembre 2022
Infermeria, Hogwarts, primo pomeriggio.
 
Thomas si svegliò contemplando il soffitto a volte dell’infermeria.
Batté le palpebre un paio di volte. Riallacciò la sua coscienza all’ambiente circostante.
Infermeria.
Si guardò attentamente attorno. Doveva essere il primo pomeriggio. Era solo, anche se sentiva da lontano il chiacchiericcio di Madama Chips e della sua assistente.
Si guardò il braccio. Era fasciato, ma per il resto non sembrava avere ferite. Guardò il comodino e lo trovò ingombro di dolci magici e anche un mazzo di fiori.
Un mazzo di fiori? Quella è gramigna.
Pensò perplesso. Ah, giusto. C’era una pazza di Tassorosso fissata con la gramigna. Gliela spediva ogni San Valentino.
Provò a sedersi e dopo qualche sforzo, il polso protestò un po’, ma meno di quanto si sarebbe aspettato visto che l’ultima volta era rotto, riuscì a issarsi trai cuscini.
La cerca alla creatura nella Foresta Proibita, il Naga, la corsa, la colluttazione.
Se le ricordò tutte all’improvviso. Serrò le labbra per un’improvvisa fitta di emicrania.
Mi sono alzato troppo velocemente…
Comunque, a quanto sembrava, era ancora vivo.
Sentì lo scalpiccio, sincopato e nervoso, inconfondibile, dell’infermiera e poi la sentì tirare le tende del suo lettino. Serrò appena le labbra alla luce del primo pomeriggio che lo investì.
“Ah, bene, ti sei svegliato caro… Come ti senti?” chiese sbrigativa, mentre gli sollevava il viso per scrutarne il colore.
Non ne troverà molto, temo – pensò con ironia.
“Non male.” Disse sinceramente. Inutile pensare di fregare Poppy. Quella donna era un asso a capire se stavi mentendo sulle tue condizioni fisiche. “Ho malditesta.”
“Oh, quello direi è normale, con quel che ti è successo. Sono i postumi dell’Infuso Aggiustaossa.”
“… Perché, quante ne avevo rotte?”
“Polso sinistro, metacarpo, gomito destro e un paio di costole.” Snocciolò la donna, guardandolo severa. Come se fosse colpa sua, poi. “Senza contare la commozione cerebrale.”

Scusi tanto se mi sono imbattuto in un enorme lucertolone assetato di sangue.
“Sei stato fortunato che Grop ti abbia trovato. Io lo dico sempre, al Professor Hagrid che sono stufa di dover curare bruciature, contusioni e lividi per via delle sue lezioni! Per la bontà di Merlino, non ha un briciolo di senso critico a volte!” borbottò facendogli aprire la bocca e controllandogli la lingua.
“Veramente credo che quella creatura non facesse parte della lezione…” tentò. Non che volesse scagionare quel folle. Anche lui pensava che le sue lezioni a volte mancassero totalmente di oggettività. Ciò non toglieva che quel Naga non fosse lì per farsi ‘trovare’.
“Posso essere dimesso?” chiese poi, non ricevendo risposta.
“Assolutamente no! Sei stato due giorni privo di conoscenza.”
Tom corrugò le sopracciglia. “Due giorni?”
“Proprio così. Stavi cominciando a farmi dubitare persino dei miei metodi di cura sai?” gli lanciò un’occhiata. Scrollò le spalle. “Sonno ininterrotto. Mai vista una cosa del genere, solo con Harry Potter. Quel benedetto ragazzo aveva l’abbonamento qui, per incidenti strani!” Si voltò verso l’ufficio. “Milly, portami l’infuso cinque!” strillò all’indirizzo dell’assistente.

Tom fece uno sforzo sovraumano per non tapparsi le orecchie. Con l’età Madama Chips era diventata un po’ sorda, e per proprietà transitiva credeva che tutti avessero il suo stesso problema.
L’assistente, una graziosa moretta uscita fresca dall’accademia medica del San Mungo, portò un grosso bottiglione con tanto di bicchiere smaltato. Gli rivolse un bel sorriso, che lui non ricambiò. Non era in vena. La donna più anziana riempì il bicchiere fino all’orlo e glielo mise sotto il naso. Sapeva di frutta marcia.
“Devo proprio?”
“Vuoi farti passare il malditesta?”
“Preferisco tenermelo, grazie.” Replicò atono. L’infermiera lo guardò male.

“Signor Dursley, chi dei due fa questo mestiere da più di quarant’anni?”
Tom, arreso, prese il bicchiere e lo vuotò di un sorso. Stranamente il sapore non era malaccio. Un calore gli si diffuse nello stomaco e si sentì immediatamente meglio.

Miracoli della medicina magica.
“Quindi… sono stato incosciente per due giorni.”
La donna annuì. “E due notti.” Ripeté pazientemente. “I tuoi amici erano terribilmente preoccupati. Ho dovuto minacciare il giovane Potter. Voleva accamparsi qui.”

Al…
Alzò la testa. “Come sta?”
“Oh, benissimo. Aveva solo qualche graffio. Credo sia caduto mentre stava andando a cercare aiuto.” Un sorriso quasi intenerito passò nel volto severo e professionale dell’anziana donna. “Quel ragazzo ha corso come un pazzo. Si è imbattuto in Grop, e l’ha mandato a cercarti. Molto intelligente da parte sua. Un mostro del genere difficilmente sarebbe stato tenuto a bada dal Professore.”

Anche perché sembrava immune agli incantesimi…
Tom si guardò le mani. Ricordava ancora con nitore la sensazione viscida che aveva provato ad afferrarlo. Come ricordava la potente sensazione di odio che gli era esplosa dentro.
Inspirò appena. 
“Il Naga…è morto?”
“Naturalmente. Ma questi non sono affari che ti riguardano, ragazzo. Ora devi soltanto cercare di riposare.”
“Ma sto bene.” protestò corrucciandosi. La donna non si fece né intimidire né tantomeno intenerire.

“Deciderò io quando starai bene.”
“Posso almeno vedere i miei amici?”
Doveva chiedere ad Al se ne sapeva qualcosa di più, di quella storia. Sicuramente da quella donna testarda non avrebbe ricavato nulla.  

“Quando le lezioni saranno finite. Tra un paio d’ore quindi. Nel frattempo dormi un po’.”
“Ho già dormito...” Lo guardò male. Thomas serrò le labbra, ma non replicò.

“… Conterò le travi del soffitto.” Sibilò ironico.
“Ottimo passatempo. Se hai bisogno di qualcosa, chiama.”

Thomas si lasciò cadere sui cuscini, seccato. Voleva delle risposte.
E, come al solito, avrebbe dovuto cercarsele da solo.
 
****
 
 
Si sentiva sballottato da ogni parte. Qualcuno stava correndo, e stava correndo tenendolo in braccio.
“Non permetterò che la prendano, no, non permetterò che la rendano loro schiavo.” 
Era piccolo, e indifeso. E spaventato. Non aveva ancora una coscienza, ma sapeva che qualcosa di brutto stava per accadergli. A livello istintivo.
Si sentì chiuso dentro qualcosa di scomodo, duro. Sentì qualcuno gridare.
Pianse, pianse con quanta forza aveva nei polmoni. Rabbia o paura.
 “HARRY! VIENI VIA!”
Sentì uno strattone, e braccia salde prenderlo. Era salvo.

 
 
Tom aprì gli occhi di scatto, inspirando bruscamente. La sensazione di calore e di dolore era ancora forte e vivida.
Un incubo…
Gliene capitavano spesso, di quel genere. Non se ne preoccupava particolarmente: erano talmente ripetitivi che ormai aveva imparato a ignorarli. Zio Harry gli aveva detto che anche lui, da giovane, aveva sognato fatti accaduti quando era poco più di un neonato.
Una delle mie tante stranezze… non la prima sicuramente.
Mise a fuoco la stanza.
Si era addormentato. Di nuovo. Una lieve pressione sulla mano lo fece voltare.
Albus era seduto, più che altro era crollato sul suo letto, e stava sonnecchiando. La guancia appoggiata al lenzuolo e una mano sopra la sua. 
Sospirò appena.
Si intravedeva il crepuscolo dalle possenti vetrate dell’infermeria. Le lezioni erano decisamente finite. Doveva quasi essere ora di cena.  
Rimase a guardare il cugino, prima di svegliarlo. Aveva qualche graffio sul viso, e un occhio pesto. Per il resto sembrava stare bene.
Si sentì sollevato, e fu forse la prima emozione positiva della giornata. Per il resto si sentiva nervoso, stanco, irritato.
Ma se non altro, sono vivo.
Particolare non disprezzabile, in effetti.
Era un attimo di insolita quiete. Avrebbe quasi voluto non romperlo. Ma doveva.
“Al.” Lo chiamò a voce sufficientemente alta. “Al, svegliati.”
Il ragazzo mugugnò qualcosa, ma poi alzò la testa. “Tom!” esclamò, sgranando gli occhi. “Tom! Sei sveglio!” ripeté. Aveva il sorriso più largo e felice che avesse visto da… uhm. Giorni probabilmente.

Non se la sentì di dirgli che invece lui non si sentiva così entusiasta.
“Lo ero anche prima, ma Madama Chips mi ha costretto all’immobilità. Così mi sono addormentato per la noia.” Sospirò “Sto bene, comunque.” Lo anticipò.

“Hai dormito…”
“Due giorni, lo so.”
“Eravamo così preoccupati. Cioè… io, Loki, Michel… anche Rose.”
“E basta. Non allungare l’elenco. Potrei scoprire che menti.” Sogghignò appena. Al sbuffò.

“Eravamo tutti preoccupati. A proposito, devi mandare un gufo a mio padre stasera. Mi ha fatto promettere che l’avresti fatto non appena ti fossi svegliato.”
“Sì, certo.” Annuì distrattamente. “Al, cos’è successo?”
Il ragazzo fece una smorfia, sedendosi meglio sulla sedia. “Beh… non ne so molto. Sai, sono tipo scappato.”
“E così facendo mi hai salvato la vita. Se Grop non fosse arrivato quel Naga mi avrebbe ucciso.”

Forse. O forse l’avrei ucciso io. Solo, non so come.
Al si morse un labbro. Vide con vago orrore che aveva gli occhi lucidi. Non aveva la lacrima facile, ma che fosse sensibile era indubbio. E che fosse terribilmente duro con se stesso, anche.
“Sono un codardo…” sussurrò affondando i denti nel labbro. “Ti ho quasi lasciato ammazzare da quel…”
“Al.” Lo riprese serio. “Se tu non fossi corso a chiamare aiuto ci avrebbe uccisi entrambi.”

“Sì, forse. Ma… me la sono data a gambe. E… non… non posso credere di non aver neanche tentato di aiutarti!” Aveva l’aria di volersi suicidare strozzandosi con la pila di cioccorane sul suo comodino.
Per un attimo fu tentato di fare qualcosa, di… toccarlo. Consolarlo?
Lasciò perdere. Tanto sarebbe stato superfluo. Poteva convincerlo a parole.
“E come? Tirandogli un calcio? Aveva la pelle dura come una roccia, respingeva gli incantesimi.”
Al sgranò gli occhi, distratto dal suo mea culpa. “Respingeva gli incantesimi? Sul serio?”
La curiosità a volte lo mangia vivo. -  pensò Tom con un sorrisetto.

“Già. Ho provato a schiantarlo, ma non c’è stato verso. È stato come se la sua pelle avesse assorbito l’incantesimo. Forse con incantesimi più complessi non funziona, ma chi lo sa.” Scrollò le spalle, prendendo una cioccorana dalla pila, e scartandola. Se la mise in bocca e si gustò l’esplosione di cioccolato. Al guardò la pila, indeciso.
“Avanti, prendine una.” Lo esortò. In quelle condizioni di prostrazione profonda non gli sarebbe stato minimamente d’aiuto.
“Te le hanno mandate le ragazze… di uhm, credo la squadra di Gobbiglie.”
“E’ incredibile. Ti iscrivi per un anno e sei marchiato a vita.” Commentò con una smorfia. Poi si fece serio. L’altro lo guardò incerto.
“Tom?”
“Martha Upkins? Non me le avrà mandate lei?” si informò preoccupato. Al scoppiò a ridere, e anche Tom si sentì più leggero. Odiava vederlo auto-flagellarsi.
Voleva farsi ammazzare eroicamente per salvarmi la vita? Che stronzata. Questa è roba da Grifondoro.
“Forse, non ne ho idea. C’è un biglietto, credo.” Lo prese e lo aprì. “… Err, no, non credo tu voglia saperlo veramente.” Se lo infilò in tasca, prendendo una rana e mangiandosela prima che provasse anche solo a saltare.
“Spero solo non ci sia un filtro d’amore.” Sogghignò.
“Non credo. Cavolo, almeno spero.” Guardò ancora il biglietto, poi scosse la testa. “Nah, niente del genere. Non ha messo nessuna foto.”
Mangiarono un altro paio di cioccorane in silenzio. Poi sospirò, guardandolo.
Conosceva Tom. Se gli succedeva qualcosa voleva sapere perché. Non sopportava non essere informato.
“Non ne so molto su quello che ti è successo. So solo che Grop ti ha trovato svenuto, e quel mostro stava… insomma, era lì. Grop l’ha preso e l’ha sbattuto contro un albero.” Deglutì. “Gli ha tipo fracassato la testa.”
Tom annuì. “E adesso?”
“Ah, c’è un mezzo casino diplomatico con il ministero indiano. Pare che i Naga in questione siano tutt’ora scomparsi. L’ufficio per la cooperazione magica, mi ha detto papà, è in subbuglio. Sai, un umanoide straniero ucciso in suolo inglese. Diplomaticamente è un disastro. Responsabilità, e roba così. A parte questo, l’ingresso alla Foresta Proibita è interdetto fino a nuovo ordine. Hanno messo barriere magiche ovunque.”

“E il Naga? O meglio, il suo corpo?”
“Ah, giusto.” Si grattò la punta del naso. “Credo sia in qualche stanza in disuso del castello. Non so dove, non ce l’hanno certo detto. James sono due giorni che cerca di trovarla. Comunque lo terranno qua, ma fino a domani, credo. Poi un paio di auror verranno a prenderlo. E poi boh…” scrollò le spalle. “Nei giornali non è apparso nulla. Credo che papà abbia fatto di tutto per far passare la cosa sotto silenzio.”

“Se ne occupa l’ufficio auror?”
“Mmh, già. Dopotutto si tratta di una creatura oscura. A proposito, forse verranno a farti delle domande.” Lo guardò incerto. “Solo se te la sentirai di rispondere però. Il Preside è stato irremovibile su questo.”
“Ce la faccio.” Considerò distrattamente. “Non sono certo malato.”
Al annuì, muovendosi ancora sulla sedia. “Quando hanno detto che ti dimetteranno?”
“Non l’hanno detto. Ma penso domani. In fondo non ho niente, a parte un po’ di malditesta. Ma è un effetto collaterale di avere di nuovo le ossa al proprio posto.” Si sarebbe mangiato la lingua quando vide Al impallidire.

È incredibile: se si spacca la testa precipitando dalla scopa, è capace di saltare su come se niente fosse, e continuare la partita. Stesso vale se si prende un bolide in piena faccia.
Ma se, ad esempio, Lily si taglia con una risma di carta, si sfiora la tragedia.
Gli venne quasi da ridere. “Piantala di fare quella faccia sconvolta. Sto bene.”
Al avvampò di sdegno. “Coglione! Eri più morto che vivo quando Grop ti ha riportato alla capanna! E le braccia ti pendevano tutte in angoli strani!”
“Che bella immagine. Grazie.” Sogghignò. “Piuttosto… credo di doverti la vita.”
Al scrollò le spalle. “Non ho fatto niente. È stata una fortuna che ho intravisto Grop usare un ramo come stuzzicadenti mentre me la davo a gambe. C’è voluto un sacco per spiegargli cosa stava succedendo. Per fortuna non ha pensato di ciucciare me.” Terminò cupo.

Tom sospirò. “Al. È finita. Non prevedo nuovi attacchi Naga, per quest’anno.” Lo vide fissarsi le scarpe. “Cosa c’è?”
“Senti…”
“Sì.”
“Se ti abbraccio mi schianti?”
Tom inarcò un sopracciglio. “Al, non so neanche dove sia la mia bacchetta.” Terminò la frase e si sentì placcare dal cugino.

“Vorrei ricordarti che le mie costole sono convalescenti…” osservò con tono leggero.
“’Fanculo.” Replicò urbanamente. “Fatti abbracciare e sta zitto.”
Tom obbedì. Sentiva il respiro di Al contro la spalla. C’era qualcosa di piacevole nel farsi abbracciare da Albus. Non era tutto angoli, come altri ragazzi – non che ne avesse mai abbracciato uno, ma a volte gli toccavano gli abbracci del padrino – né stringeva come un boa costrictor alla maniera di Lily. Era semplicemente… un abbraccio.
Stavolta lo stomaco gli si serrò quasi senza che se ne accorgesse.
Al sapeva di cioccolato e inchiostro per piume.

Se ne rovescia sempre un quantitativo imbarazzante addosso, specie il primo giorno…
“Godric, Tom… ho avuto paura.” Confessò con voce soffocata. Gli stava parlando sulla stoffa della maglietta. Tipico suo. Sorrise appena.
“Ne ho avuta anch’io.” Rispose, e in un certo senso era vero. “Mi stai mangiando la maglietta.” Aggiunse.
“… devi sempre rovinare tutto.” Borbottò l’altro. Tom corrugò le sopracciglia.
Rovinare cosa, Al?
“Ehy, interrompiamo un momento magico?” la voce di James fece irrigidire Al di botto. Si scostò, rosso e infuriato.
“Va’ a dia-!” si accorse che c’era anche Teddy, che sembrava aver trovato poco felice l’uscita di James, da come l’aveva guardato male. “Oh, ciao Ted-… ahm, volevo dire, professor Lupin!”

Ted sorrise gentile. “Ciao Al… siamo venuti a vedere come sta Tom.”
“O per meglio dire, mi hai costretto mentre invece avrei potuto direttamente andare a cena.” Recitò annoiato James. Però scoccò un’occhiata incuriosita a Thomas. L’altro capì che aveva una voglia folle di farsi raccontare la sua avventura col Naga.

Cretino di un Grifondoro.
“Sto bene. Domani forse dovrebbero dimettermi.” Li guardò incolore. La loro presenza lì per quanto lo riguardava era superflua. Se non altro Al lo divertiva.
Sebbene la separazione brusca dall’abbraccio l’avesse molto infastidito.
“Oh, bene, fantastico. A domani. Ora, cibo.” Snocciolò James voltandosi. Ted l’afferrò per un braccio, senza neanche guardarlo.
“La cena non scappa, Jamie… ” Disse semplicemente. “Accompagna tuo fratello in Sala Grande, avanti.”
James arricciò le labbra irritato dall’ordine esplicito, ma poi sbuffò.

Aye aye sir. Andiamo Al.”
“Ah… sì.” mugugnò il minore alzandosi. “Ci vediamo domani a lezione allora?”
“Sicuramente.”

Spero. E vorrei sapere cos’ha Ted da dirmi, che si porta dietro James per portarsi via Al.
I due fratelli se ne andarono. Ted invece si accomodò al posto di Albus.
Appunto. Quanto sarà prevedibile?
“Allora…” sorrise. E già lo odiò. Odiava quei sorrisi da Bravo Ragazzo. “Ho parlato con zio Harry. Abbiamo concordato che forse per te sarebbe stato troppo duro subire un interrogatorio… Così hanno delegato a me, per farti qualche domanda.”
“Hanno delegato ad un professore?” ironizzò con finta innocenza.

Non sono un ragazzino sensibile. Avrei potuto tranquillamente sostenere il ciarlare di qualche auror.
Ted non sembrò aver notato la stoccata.
“Sì. Ho fatto l’Accademia Auror, anche se non sono arrivato agli esami finali di ammissione. Diciamo che conosco qualche procedura…” scrollò le spalle, prendendo un taccuino e una penna. “Ti faccio solo qualche domanda. Ma se ti senti stanco possiamo rimandare.”
“No. Va bene anche adesso.” Si sistemò i cuscini dietro la schiena. “Dica pure, professore.”

Gli fece una serie di domande. Noiosamente di routine. Non si aspettava certo picchi di genialità da Lupin.
Un’intelligenza settoriale: bravo nello studio, buona memoria e sa come esporre i concetti. Ma la cosa finisce qui. Non sapevo avesse fatto l’Accademia comunque. Al non me ne ha mai parlato…
Ovviamente omise tutto quello che riguardava il suo scoppio d’ira e le supposte conseguenze.
Ci mancava solo si facesse venire in mente strane idee.
Sì, ma quali?
In effetti se lo chiedeva anche lui.
“Hai idea del perché abbia inscenato questa caccia con te?” gli chiese all’improvviso. Tom fissò gli occhi nei suoi. Buffo, da celesti erano diventati gialli. I capelli erano rimasti castani.
“No, naturalmente. Non me l’ha spiegato. Non credo neanche ne fosse in grado.”  
“E tu? Non ti sei fatto un’idea?” Sorrise di nuovo. Tom gli scoccò un’occhiata.
Allora non sei del tutto idiota, Mister Lupin.
“Forse. Ma è solo un’idea… come potrebbe interessare gli auror?”
“Beh, potrebbe interessare me. A titolo di pura curiosità.” Si appoggiò alla sedia, facendo roteare la penna tra le dita. 
Tom serrò appena le labbra. Scrollò le spalle.
“Penso cercasse una preda. Albus era troppo spaventato. Se è vero che quegli esseri hanno un’etica guerriera, chissà, forse voleva qualcosa in più di un ragazzino terrorizzato. Di sicuro, con me si è divertito molto.” Alzò il braccio fasciato fino al gomito.
“Tu non eri spaventato?”
“Cercavo di dominarmi.” Replicò aspro. “Il terrore non serve. Mai.”

“E’ vero…” confermò Ted. “Beh, direi che abbiamo finito. Ti ho fatto tutte le domande di procedura. Ti ringrazio, e scusami se ti ho annoiato.” Sorrise di nuovo.
C’era una sfumatura ironica in quel sorriso. C’era sempre. Se ne accorse solo in quel momento.
Si sentì preso in giro. Si sentì un ragazzino, e questo non gli piacque. Affatto.
“Dov’è adesso?” gli chiese a bruciapelo, mentre si stava alzando. Persino la tonaca da insegnante era logora. E avrebbe dovuto essere nuova.
Gli piace vestirsi da pezzente o cosa?
Ted lo guardò confuso. “Chi?”
“Il Naga. Al mi ha detto che il suo corpo è nel castello. Che domani gli auror verranno a prelevarlo.”
“Ah… certo. Beh. È nel castello.” Fece un sorrisetto. “Mi dispiace, Tom, ma come ho detto a James, fino alla nausea peraltro… non sono autorizzato a rivelare agli studenti dove si trova.”

“Naturalmente.”
Ted si strinse nelle spalle con aria molto empatica. Lo detestò. “Eh, già.”
“La ringrazio lo stesso professore. Ora, se non le spiace...”
“No, no. Assolutamente. Tra poco Madama Chips dovrebbe portarti la cena. Tu pensa a riposare.”
Non ho fatto altro, maledizione!

“La ringrazio.” Disse a denti stretti. Quando avrebbe voluto cancellargli quel sorrisetto dalla faccia.
Dov’era la sua bacchetta?
Sul comodino. Stupidamente lontana. Lo guardò andare via, profondamente scornato.

Si buttò di nuovo trai cuscini.
Lo scoprirò da solo, Professor Lupin.
Ricordò la faccia di James, la sua curiosità…
‘Come ho detto a James, fino alla nausea peraltro…’
Sogghignò.
Mi ha detto comunque quel che mi serve, professore.
 
 
****


 
Sala Grande, Hogwarts.
Ora di Cena.
 
“Come sta Tommy?” chiese Lily distrattamente, mentre terminava un lungo foglio di pergamena, seduta tra Roxanne, imbronciata per un pessimo allenamento, e Hugo, che si abbuffava di patate ripiene.
Al si sedette, imitato da James, che ne approfittò per fregargli immediatamente la caraffa di succo di zucca, sita ingiustamente troppo lontana da lui.
Al sospirò. “Bene, più o meno.”
“Oh, era odioso come al solito, stava benone Lils.” Scrollò le spalle il maggiore. “A chi stai scrivendo? Ancora a quello sfigato bulgaro?”
“Veramente è tedesco, Jam.” Puntualizzò terminando la lettera con uno svolazzo.

“E comunque Søren non è uno sfigato. È di Durmstrang ed è davvero… beh, interessante.”
“Ha i capelli unti.” Puntualizzò James. Lily lo fulminò.
“Hai frugato tra le mie cose!”
“Non è colpa mia se tieni le sue lettere nel cassetto accanto a letto. È il tuo fidanzatino di penna?” la prese in giro, mentre Al ridacchiava sotto i baffi.

Lily lo guardò oltraggiata. “Quanto sei idiota! Le tengo lì perché mi piacerebbe che voi due non le leggeste.” Sibilò guardando male Al, che alzò le mani in segno di resa.
“Ehy, Lils, io non frugo tra le tue cose!”
Lo fa James e poi mi faccio raccontare tutto.

“Io sì.” replicò James schivando un calcio dalla sorella, che gli era seduta di fronte. “Dai, non  prendertela! Comunque mi spieghi cosa c’è di così divertente nello scrivere ad un norvegese?”
“E’ tedesco…” borbottò la ragazzina. Era una partita persa. Doveva solo diventare più attenta.

La prossima volta affatturo il cassetto.  
Sospirò, guardando male i due. “È divertente scrivergli, sapere delle tradizioni del suo paese e di quello che fa a scuola. Dovreste provare anche voi. Non esiste soltanto Hogwarts e l’Inghilterra, sapete?”
James fece spallucce. “Io ho scritto un sacco di volte a Teddy, quando era in Francia. Non è che sia così divertente. Cioè, lo era perché Teddy è divertente.”
Albus tentò un timido sorriso di interesse. “Sai, non mi piace granché scrivere Lils…”
“Siete due caproni.” Sbuffò, scuotendo la testa. “Søren è in gamba. Ed è diverso dagli amici di penna che ho avuto prima di lui. Quelli mi chiedevano subito una foto e voleva venire a trovarmi… con lui posso parlare davvero.”
James drizzò le orecchie. “E tu a quelli non hai dato corda, vero?”
“Figuriamoci. Non potrei mai senza il benestare del mio adorato fratellone.” Sbatté le ciglia, facendo ridere Al. James fece una smorfia.

“Sono solo preoccupato che qualche francese di Beaux-Batons venga a bussare alla porta di casa nostra. Detesto i francesi.”
“Quanto sei scemo! Vic, Dom e Lu lo sono per metà!”

“Appunto. Vic è una rompiscatole, Dom è pazza e Lu… Beh, Louis forse è l’unico che si salva in quella famiglia di biondi.”
Lily alzò gli occhi al cielo. “Oh, non farai ancora la lagna per quella storia…” guardò Al complice. “Sai, quella.”
Al sogghignò. “Mi hanno portato via Teddy…” piagnucolò.

James, con gran sollazzo dei fratelli minori, avvampò.
“Fatela finita! Ero ubriaco fradicio!” sembrava mostruosamente a disagio e questo era molto divertente.

“Non eri ubriaco fradicio. Ti eri bevuto un paio di birre babbane che papà aveva lasciato in dispensa per regalarle a nonno Arthur.”
“Non avevo mai toccato una goccia d’alcohol. Avevo tredici anni!” li fulminò. “Fatela finita, cazzo!”
“Oh, manchi completamente di senso dell’humour quando si tratta di prenderti in giro, Jamie.” Gongolò Al prendendo la caraffa di succo e rimettendola al suo posto. Cioè accanto a lui.

“Anche Lily ci restò male quando annunciò che si sarebbe trasferito in Francia con Vic!”
La ragazzina scrollò le spalle. “Veniva a cena quasi tutte le sere quando non eravamo ad Hogwarts… ci rimasi male, sicuro, ma io non mi ubriacai per poi gettarmi fuori dalla finestra in pieno inverno. Con una scopa vera. Di quelle con cui si spazza.” Puntualizzò impietosa, mentre Al si teneva una mano sulla bocca per non sghignazzare troppo follemente al ricordo.

“Non mi…” abbassò il tono di voce perché, anche se Hugo chiacchierava con Roxanne… beh, c’era sempre la possibilità che lo sentissero. “’Fanculo. Per quanto ancora volete ricordarmi quella storia?”
“Fino alla tua morte probabilmente.”
“La proietteremo sul tuo letto di morte.” Confermò Lily.
“Mi avete fatto delle foto?!”
I due fratelli sorrisero angelici.
“Vuoi ancora un po’ di pasticcio, Lils?”
“Oh, grazie mille Al…”

“Al! Serpe che non sei altro!”
Il ragazzo fece un sogghignetto perfettamente in linea con i colori che indossava. “Guarda che le foto le ha fatte Lily. Io ero più occupato a ridere.”
Lily!
“Perché non cerchi nei miei cassetti?” sorrise amabile la sorella. Poi vedendo la sua espressione sconfortata, gli diede una pacchetta sulla mano. “Dai Jamie. Non c’è niente di male a volere bene a Ted. È così dolce e … beh, favoloso. E ci ha fatto da babysitter fino alla noia. La sua. E tu sei sempre stato il suo preferito.”

“Vai a capire perché…” commentò Al.
“Perché ha un debole per i caratteri esplosivi. Guarda Vic. Non si può certo dire che sia una ragazza tranquilla.” Lily fece una lieve smorfia. Non le piaceva Victoire. Preferiva Dominique, bella e bionda come la sorella, ma di gran lunga meno egomaniaca. “Jam in un certo senso gli somiglia.” Concluse.
“Non paragonarmi a Vitro!” sbottò irritato. Era un nomignolo che aveva coniato coi fedeli Scamandro: Vitro come il vetriolo che aveva al posto del sangue nei suoi giorni no.

Era perfetto.
“Non sono affatto come quella… rompipalle!” Avrebbe voluto usare epiteti meno signorili, ma in quel momento Ted passò tra le file di tavoli, diretto verso quello degli insegnanti. Sorrise loro.
James si sentì spuntare un sorriso in faccia.

Non ci poteva fare niente. Si sentiva sempre a posto e contento, quando c’era Teddy.
Quando era bambino, ogni volta che veniva a trovarli, era come se il suo supereroe, con i capelli multicolori, fosse atterrato in giardino per giocare proprio con lui.
Ora James aveva diciassette anni. E le cose erano diverse.
Ma le ignorava. Che altro avrebbe potuto fare?
Si accorse di qualcosa accanto al suo tovagliolo. Un biglietto. Lo prese e lo aprì, approfittando dell’entrata in scena di Rose, che affannata si sbrigò a sedersi di fronte ad Al.
“Ehy, dove sei stata?” chiese quest’ultimo.
“Sono rimasta fino ad adesso a parlare con Nev-… ehm, il professor Paciock. Chiarimenti per una lezione. Poi ci siamo messi a parlare del più e del meno. Comunque ci ha invitati il prossimo venerdì a cena, da sua moglie.”
“Ai tre manici di scopa? Grande!” si inserì Hugo, per cui ogni occasione era buona per uscire da scuola. James invece scrollò le spalle.
“Prossima settimana? Salto. Abbiamo gli allenamenti di Quidditch.”

“A cena?” chiese perplessa Rose.
“Prima, ma poi avrò a malapena la forza di trascinarmi a letto. Salto. Scusatevi con Hannah¹.” Borbottò. Si infilò un pezzo di focaccia in bocca, alzandosi in piedi. “Vado… sapete, compiti.” bofonchiò. Fece cenno ai gemelli, in fondo al tavolo, di non alzarsi e si allontanò furtivo.
“Ne sta pensando una delle sue…” sospirò Al, guardato con muto sostegno dalle due donne di casa. Roxanne alzò appena lo sguardo invece.

“Dai Roxie, andrà meglio il prossimo allenamento!” cercò di consolarla Lily. La ragazza non rispose, fissando cupa il tavolo in cui Rupert Chang mangiava. Il capitano di Corvonero aveva un occhio pesto e l’aria piuttosto miserevole. Lanciò uno sguardo verso la bella Weasley ma fu gratificato da un dito medio.
“Dubito.” Disse secca, alzandosi. “Uomini.” serrò le labbra, prima di alzarsi e marciare via con aria marziale.
“Che cavolo è successo?” sbottò Hugo confuso.
Rose e Lily si guardarono, con solidale istintivo femminile.
“Non è che sta con Chang adesso?” chiese Al incerto. Si beccò due occhiate incredule dalla sorella e la cugina.
“E tu come lo sai?” chiese Lily.
Non facevo mio fratello così sveglio.
Al fece spallucce. “Uhm, ho tirato ad indovinare. Lei sembrava così furiosa, e lui così miserabile. E Rox pretende molto dalle sue vit-… dai suoi ragazzi.”

Lily fece una smorfia. “Vuole solo che la rispettino. E credo che lui abbia fatto il cretino con una delle cacciatrici.”
“Oh.” Annuì Al. Si guardò con Hugo che annuì forsennatamente. Ma sapeva che non pensavano alla stessa cosa.
A volte è un bene non avere la ragazza! – pensò Hugo.
È meglio non averla affatto… – pensò Al.
 
 
****
 
Infermeria. Sul letto di Thomas Dursley
Appena passata ora di cena.
 
“Devo ammette che la mensa dell’infermeria è ottima.”
“Michel, è lo stesso cibo che proviene dalle cucine.” Replicò Tom mentre il capitano di Serpeverde masticava con voluttuosità un pezzo di tortino alla menta, seduto in fondo al suo letto. 

Touché. Sicuro che non ne vuoi…?”
“No. La menta non mi piace. E comunque perché, di grazia, sei venuto qui invece di essere in Sala Grande a consumare la tua porzione?”
Michel prese un’aria offesa. “Via Dursley, non è ovvio? Pensavo t’annoiassi, e sono venuto a farti compagnia, mentre il nostro dolce Al si intrattiene con i suoi amichetti Weasley.”
“Tralasciando che sono i suoi cugini Weasley… Perché tutto quello che dici sembra qualcosa di sconcio?” indagò incolore, sistemandosi meglio sui cuscini.

“Sai, stai cominciando a farmi le stesse domande di Al. Due corpi, un’unica mente.”
“Non credo proprio.”

Michel si leccò le dita, emettendo un suono soddisfatto.
“Cosa vuoi veramente, Zabini?” chiese Tom con un sospiro: era venuto a trovarlo poco dopo che l’assistente di Madama Chips – non ricordava mai il nome – gli aveva portato la cena.

Erano Serpeverde. Era impossibile che fosse venuto lì per puro spirito caritatevole.
Michel lo guardò, poi fece un mezzo sorriso. “Al è molto curioso…”
Inarcò un sopracciglio. “E in cosa sarebbe stato curioso?”
“Oh, nulla di grave. Anzi, una cosa molto in linea con i precetti della nostra Casa. Mi ha spiato. Durante una conversazione privata.”
Oh, quella della Foresta Proibita…

“Non ti ha spiato. Tu e Nott stavate parlando ad alta voce in un luogo pubblico.”
“Oh, allora nella Foresta Proibita… hai sentito anche tu?”
Tom fece spallucce. “Ero lì.”

“E cos’avete sentito?”
Tom sorrise. “Perché ti interessa Michel? Cos’è che Albus non deve sapere?”
L’altro ragazzo fece una smorfia. Di nuovo quell’espressione preoccupata.

Guarda, guarda. Allora è lui il misterioso amico ignaro della situazione…
“Sa che sei bisessuale.” Tentò. Era quello? Impossibile. Diversamente dal mondo babbano, nel mondo magico l’omosessualità era pienamente riconosciuta. Certo, non tutti reagivano accogliendola con un sorriso, ma quello dipendeva da persona a persona.
Del resto la religione e la magia non sono mai andate molto d’accordo. Quindi, niente peccato di sodomia.
“No, non è quello.” Negò infatti.
“Allora hai un partner di cui Al non deve venire a conoscenza?”
Di nuovo quell’espressione. In un certo senso era divertente, anche se avrebbe preferito rimanere solo per ritoccare alcune parti del suo piano, prima che arrivasse…
“Ah, non sapevo avessi visite…” la voce roca e strafottente di James Potter fece alzare ad entrambi lo sguardo.
Madama Chips è davvero invecchiata se fa entrare e uscire chiunque a piacimento.

Comunque, la cosa volge indubbiamente a mio favore.
“Zabini se ne stava andando.” L’altro lo guardò irritato. “Vero?”
Michel si alzò. “Vero. Ci vediamo domani a lezione.” Si allontanò, passando di fianco a James.
Fu a quel punto che Tom capì: notò come il Grifondoro si fosse irrigidito, e come il vago sorriso di Michel si fosse fatto più acuto. Più consapevole.

Cristo – pensò molto babbanamente – Al lo ucciderà.
Ma in fondo, non erano affari suoi. Per il momento.  
Rimase James, con le mani affondate nelle tasche della divisa. Non aveva la cravatta.
“Ho ricevuto il tuo biglietto. Cosa vuoi?” sembrava irritato, ma sapeva fosse incuriosito nella stessa misura.
Tom sorrise.
“Siediti James. Te lo spiego subito.”
 
 
****
 
Note:
Vediamo se adesso avete capito chi è il misterioso ragazzo di Zabini? XD
Altro piccolo indovinello: vi esorto ad andare a vedere l’origine del nome Søren. ;)
Ah, casualmente, questa è Lily. Tra parentesi, chi mi aiutasse a capire chi è ‘sta ragazza, e se fa l’attrice, se l’ha già vista, vince un pupazzetto di Al anti-stress. (testato su Tom. Funziona.)
1 – Hannah Paciock (Abbott) è la moglie di Neville e la proprietaria attuale dei ‘Tre Manici di Scopa’. Così ha detto la Row. Amen.
 

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Capitolo 13
*** Capitolo IX ***


A questo giro non mi devo davvero lamentare delle splendide recensioni che mi avete lasciato! Mi raccomando, abituatemi così! XD Un suggerimento, che sono un po’ nuova del mondo del fandom. Secondo voi, questa storia, è AU o What If? Me lo chiedevo da un po’, ma sono un po’ confusa in merito. Illuminatemi, please!
Comunque, i giorni di postaggio sono ufficialmente il giovedì e la domenica.
@Miriam Malfoy: Ehilà! Cerco di recensire il più costante possibile, così almeno vi do un appuntamento fisso per leggervi le mie menate. :P Al sì, li farà fuori. Dopotutto, si sa quel che si dice sulle acque chete, no? ;)
@MartyMcGonnagal: Ciao Marty! Figurati, per la recensione è poca cosa, e te la sei totatalmente meritata. Quelle drabble erano semplicemente adorabili. ;) James detestabile? In effetti fino ad adesso non è stato propriamente simpaticissimo. Roba da prenderlo a manate, in effetti. E mi piace molto la considerazione che hai fatto, grazie! ^^ Il pupazzetto anti-stress eccotelo qua, telematico. il peluche telematico
@Nyappy: Una new entry! ^^ Piacere di conoscerti,e  graaazie per la recensione! Addirittura scritta ‘divinamente’. Non farmi arrossire! XD
@Trixina: Certo che puoi chiamarmi Dira, anzi, il ‘real’ l’ho dovuto aggiungere posticcio perché Dira era già stato preso! XD Sei l’unica che al momento apprezza il povero Teddy. Il prossimo capitolo sarà interamente centrato su di lui. ;) Insomma, James-Michel ha sconvolto tutti. Ehehe, beh, se non altro non sono stata prevedibile. ^^’’.
@Altovoltaggio: Lo so, lo so… Michel/Jamie è un duro colpo per tutti. Anche per me. XD Ma sono felice che continui a seguirmi anche se non riscontrano propriamente i tuoi gusti, i miei pairing. Grazie davvero! L’attore che fa Scorpius lo so, a volte può sembrare brutto, ma diciamo che io lo immagino così. Poi tu puoi immaginarlo come vuoi! ^_-
@Cloto: Una delle parche o sbaglio? Viene da lì il tuo nick? Beh, comunque James non è propriamente gay. Gli piacciono le ragazze, ma diciamo che a volte… è sviato. Capita a quell’età, senza contare una certa cotta decennale. Per quanto riguarda Søren non mi riferivo al nostro caro vecchio filosofo. Ma bensì, all’origine del nome Søren (www.behindthename.com dacci un’occhiata ;) ) E sì, hai azzeccato la ragazza (Grazie mille!) quindi ti vinci il pupazzetto anti-stress, anche se telematico, sorry il peluche telematico di Al
@Hel_Selbstmord: Ogni volta che scrivo il tuo nick devo controllare tutte le consonanti! XD Però mi piace un sacco. Anyway, contenta ti sia piaciuto, e sì, credimi gli sviluppi tra quei due non saranno a razzo, ma si faranno sentire. Non è solo una storia romantica questa (anche se lo finisce per essere inevitabilmente ad ogni capitolo XD).
@JakieBlack: Ah, la mia analista! Lo sai che aspetto sempre con trepidazione le tue bellissime recensioni? Niente scherzi ^^. Allora, anche in questa non c’è una cosa che non hai centrato. Per il dialogo Michel-James ti assicuro che non dovrai aspettare troppo. E vedrai che dialogo! Tom invece me lo descrivi talmente bene che mi sembra quasi di aver messo su un personaggio niente male, quindi, grazie! Per la cover… lo sai che aspetto con gli occhietti così? > *_*. Sì, sappi che la aspetto in gloria. ;P
@Ombra: James? Certo che è più complesso del ragazzino viziato e superficiale che sembra. Forse. :P Per quanto riguarda l’origine del nome Soren, guarda www.behindthename.com Lì c’è quella che intendo io. Non posso dirlo qui, niente spoiler per gli altri ;)
 
 
****
 
 
Capitolo IX
 



 
 
 
 



In the shadowplay, acting out your own death, knowing no more,

As the assassins all grouped in four lines, dancing on the floor,
And with cold streel, odour on their bodies mad a move to connect,
But I could only stare in disbelief as the crowds all left.
(Shadowplay, The Killers¹)
 
 
 

Thomas fissava James. E James fissava Thomas.

Alla fine il giovane Potter si decise a sedersi, con uno sbuffo.
“D’accordo. Cosa vuoi?”
“E’ interessante come cambi modo di porti quando non c’è zio Harry…” ironizzò l’altro ragazzo scartando una cioccorana e mettendosela in bocca. Adorava che cercassero di scappare. E poi erano incredibilmente dense di cioccolato.

“Vuoi che ti abbracci forte forte come Albie?” sogghignò beffardo.
Tom ebbe l’impulso di schiantarlo, ma si dominò.
“Nient’affatto. Comunque… credo che entrambi sappiamo perché sei qui.”
“Perché mi hai mandato un biglietto.” fece una smorfia. “A proposito, come ci sei riuscito?”
“Ho chiesto a Milly. Sai. L’assistente di Madama Chips.” Fece un sorriso amabile, sapendo che James ci stava provando spudoratamente da mesi, ricevendo continuamente picche, a causa del ragazzo di lei, medimago.

Anche se, a quanto pare, hai le idee un po’ confuse in materia, Jamie.
L’altro si adombrò.
Come se ti interessassero le ragazze, Tommy.
Era morboso il modo il cui stava attaccato a suo fratello, per fare un esempio. Del resto era una cosa che notava chiunque avesse avuto modo di conoscere sia Albus che lui. Erano inseparabili. Ma non come due amici di una vita. No, decisamente non in quel modo.
E James lo sapeva meglio di tutti.
“Ah-ah. Beh, allora?”
Tom lo guardò. “Mi serve la Mappa.”
“La mappa di cosa?”
“Lo sai benissimo.”

Si guardarono in cagnesco. James sbuffò.
“Va bene. okay. Mappa del Malandrino. Ma a che ti serve, si può sapere?”
“A che ci serve.” Puntualizzò Tom. “Al mi ha detto che vuoi vedere il Naga.”
Il Grifondoro si fece improvvisamente più attento. “Sicuro… ma non risulta. Dico. Sulla Mappa. Devono aver fatto qualche incantesimo che lo rende intracciabile. Non viene segnata la sua posizione. Ho già controllato.” Aggiunse.

“Naturale. Ricordati che è l’ufficio Auror a seguire questo caso. E tuo padre ne è a capo. Sa che hai la Mappa e sa che sei curioso.”
James lo guardò quasi valutandolo per la prima volta. “Comunque è inservibile. Potrebbe essere ovunque, questo castello è un fottuto labirinto…” obbiettò incrociando le braccia al petto. “Se lo sai, che è intracciabile, a che ti serve?”
“E’ intracciabile il Naga, ma non quello che c’è attorno. O chi.” Fece un sorrisetto. “Pensi che l’abbiano lasciato in qualche aula vuota? Con il rischio che qualche studente del primo anno che si è perso lo veda? Del tutto irresponsabile, considerando il caos diplomatico che sta suscitando questa faccenda.”

James corrugò le sopracciglia. “Credi che ci sia qualcuno a sorvegliarlo?”
“Probabile. Notato nuovi arrivi negli ultimi giorni?”
James annuì. “Sì, c’è stato un gran viavai di auror, hanno battuto la Foresta palmo a palmo, hanno fatto domande in giro…cose di questo genere.” sorrise. Era stato davvero divertente. Aveva passato tutto il pomeriggio a chiacchierare con Flannery, un vecchio membro della squadra originaria di suo padre.

Auror. Totalmente. Non riesco a vedermi a fare nient’altro.
“Beh, forse qualcuno è rimasto. È difficile in una scuola con quasi duemila studenti notare un volto nuovo in più.”
James si morse un labbro. “Okay, io voglio vederlo. Ma tu l’hai già visto. Da molto vicino tra l’altro.”

Se fossi stato sbattuto come un tappeto sporco da un coso del genere io mi ci terrei lontano miglia. Se fossi un Serpeverde, soprattutto.
“Diciamo che devo controllare una cosa.” Sorrise appena. “Allora, siamo d’accordo James?”
Controllare una cosa…
Thomas non sapeva neanche cosa dovesse controllare.
Ma sapeva che aveva bisogno di vederlo un’ultima volta, prima che fosse portato via.
Pensiero ridicolo, forse. Ma l’unico che gli venisse in mente per farsi passare quella frustrazione infinita, dovuta al non sapere.
“Non ho ancora capito come riuscirai a trovarlo.”
Tom sospirò come se parlasse ad un bambino scemo. La cosa irritò incredibilmente James, ma si frenò. Il cugino poteva essere un inquietante cretino, ma era fornito di un cervello di prim’ordine. E se stavolta lavorava a suo beneficio, chi era per ostacolarlo?

“Usiamo la mappa per vedere dove sono gli auror di pattuglia. A quel punto avremo trovato dove lo tengono nascosto.”
“E come ci avviciniamo senza essere scoperti?”
“Sbaglio o hai una cosa chiamato Mantello dell’Invisibilità?”

Lo guardò a lungo: fidarsi di Tommy? Non ne era convinto. Ma del resto, cosa aveva da perdere? Se le cose fossero andate storte, avrebbe sempre potuto lasciarlo a cavarsi fuori dai guai. Di sicuro, il Mantello non avrebbe coperto entrambi.
“Affare fatto?” chiese l’altro, alzandosi in piedi. Gli tese la mano.
Avanti Grifondoro. Questo genere di gestualità la capite. È vostra. Vi mette a vostro agio.
James infatti strinse la mano, anche se di malavoglia.
“Affare fatto.”
 
 
****
 
Hogwarts, pianoterra davanti alle scale.
Dopocena.
 
“Allora ci separiamo qui…” le sorrise Al. Rose annuì distrattamente.
“Sì, ci vediamo domattina a colazione.”
Guardò il cugino scendere le scale, sparendo nei sotterranei: quando allo Smistamento aveva sentito il Cappello assegnarlo a Serpeverde era scoppiata a piangere.

Come se dovesse andare in guerra o cose del genere…
Sorrise. Era una bambina allora, e finire a Serpeverde, a detta di suo padre, era il più infame dei destini.
Invece Albus si era ambientato bene: aveva degli amici, pochi certo, ma buoni. Giocava nella squadra di Quidditch, ed era genericamente benvoluto o se non altro, ignorato. La nomea di ‘figlio del Prescelto’ si era appiccicata più a James, che a lui.
E poi con lui c’è Tom.
C’era poco da fare, era quello il motivo principale per cui Albus non era svenuto, quando il Cappello aveva annunciato il suo verdetto. Thomas già sedeva al tavolo dei Serpeverde.
Anche se Rose aveva sempre avutol’impressione che il Cappello non avesse scelto totalmente di ‘testa’ sua.
Se lo ricordava come se fosse ieri…
 
“SERPEVERDE!”
Aveva urlato il Cappello e un brusio indistinto era serpeggiato trai tavoli. Il piccolo preside l’aveva tacitato con un cenno, mentre Al si toglieva il vecchio straccio e correva trai tavoli, rosso in viso. L’aveva visto con la coda dell’occhio avere gli occhi lucidi e l’espressione stravolta.

Ma anche stranamente coraggiosa.
Si era seduto accanto a Tom. I due si erano guardati. Rose non sapeva leggere le labbra, ma quello scambio di battute era riuscito a decifrarlo.
“Pensavo volessi andare a Grifondoro, Al.”
“A Grifondoro tu non ci sei.”
Per la prima volta Rose aveva visto Thomas sorridere.
 
“Persa nei tuoi pensieri Weasley?”
Rose si voltò, quasi spaventata dalla vicinanza della voce, e si trovò di fronte Malfoy.
Solo, stranamente. Come al solito, in camicia e cravatta, con le maniche rimboccate. Era praticamente impossibile vederlo vestito completamente.

In questo lui e Jamie si somigliano…
“Ah, Malfoy. Dov’è il tuo harem?”
“L’ho lasciato a riposarsi stasera. E poi che non si dica che i Malfoy non danno diritti sindacali.”
Rose sbuffò appena, con un sorriso.

“Hai dato il giorno libero anche al tuo maglione?”
“Lamentava un po’ di raffreddore. Non sono un proprietario crudele.” Sorrise amabile, prendendo a fare le scale con lei. Notò che era davvero alto. A malapena gli arrivava alle spalle.

“Ma non hai freddo?”
Scrollò le spalle. “Dovresti sentire a casa mia. Qui in confronto è clima tropicale.”

Rose annuì: sapeva che qualche anno prima la sua famiglia era riuscita a ricomprarsi il Manor, dopo che era stato messo sottosequestro dal Ministero, a causa del suo … ultimo inquilino.
“Come sta Dursley?” si informò.
“Al dice che si è svegliato. Non è in gran forma, ma Thomas non è mai stato tipo da sembrarlo particolarmente.”

“Già, è quasi più pallido di me, io, con il mio incarnato niveo…” recitò con sentimento, facendola ridere.
Era inevitabile. Non riusciva più ad odiare il Maledetto Malfoy (altri nomignolo coniato nella sua testa e mai divulgato) dopo che le aveva salvato la vita.
Non è mica un dettaglio di poco conto come prestarti una piuma…
Questo, certo, poteva costituire un problema.
“Saranno i sotterranei, a dargli quel colorito poco sano.” Elucubrò Scorpius. “Del resto, non sono esattamente un posto accogliente.”
“Tu come lo sai? Io non ci sono mai entrata… e in Storia di Hogwarts non sembrano così male. Voglio dire, certo, anche se … molto crepuscolari.”
“Mio padre ci ha vissuto per sei anni. Li adorava. E mio padre è un tipo cupo. Ergo, sono un posto cupo e incredibilmente freddo.” Piegò le labbra in un sorrisetto strano. Si sarebbe detto… rassegnato, e in buona misura divertito.

Impossibile capire le centinaia di sfumature del sorriso di Scorpius Malfoy.
“In effetti la nostra Sala Comune è più accogliente…” considerò Rose, aspettando che una rampa di scale coincidesse con la loro, per permettergli di proseguire il tragitto.
“Vero.” Confermò. “A proposito di Sala Comune, mia cara collega…”
Lo guardò con sospetto. “Sì?”

“Pensi che sia possibile multare un primino per avermi fottuto la mia poltrona preferita? No, perché sinceramente temo gli abusi di potere, ma ammetto di esserne spesso tentato…”
“Scorpius!” sbuffò. “Non puoi togliere punti per una cosa così idiota!”
“Lo supponevo. È stato bello però immaginarmi la scena…” sospirò teatrale, facendola ridere di nuovo. Scorpius Malfoy era divertente.

Godric, lo era davvero.
Questo è un problema.
Ed era anche un problema il sorriso allegro che le stava rivolgendo. “Ah, finalmente ho l’onore di contemplare una tua risata, Weasley!”
Rose sbuffò, fermandosi di fronte al ritratto della Signora Grassa. “Odi et amo.” Recitò.
La vecchia signora fece un risolino chioccio. “Certo, cara…” disse, guardando Scorpius civettuola.
Oh, fantastico. Anche i ritratti hanno una cotta per lui! – pensò esasperata. Entrarono.
La Sala Comune, era la sua definizione di ‘casa’ quando era ad Hogwarts.
Rose adorava sedere vicino al fuoco con un buon libro. Ci passava tutto il tempo che poteva, anche se preferiva farlo da sola. Hugo era troppo agitato e James non era un conversatore sopraffino, a meno che non fosse lui l’argomento principale. Lily, poi, non smetteva un attimo di parlare.
“Io rido spesso Malfoy, te l’ho già detto.” Borbottò, buttandosi su un divanetto libero. Si accorse con orrore che era un divanetto quando Scorpius le si sedette affianco. 
“Ed io ti ho già detto che non ti ho mai vista ridere. Con me.”
“Di te, spesso.” Rimbeccò.
“Ma con me, mai.” Ribadì con un sorriso adorabile.

Argh. A D O R A B I L E?!
Rose sbuffò. “Malfoy, se vuoi rompere le scatole a qualcuno…”
“Ora sono di nuovo Malfoy? Cattiva ragazza. Ho un nome, sai.”
Scorpius. Solo perché siamo entrambi prefetti, e siamo compagni di ronda…”
“E abbiamo vissuto una straordinaria e spaventosa avventura…”
“E sì, okay, e …”
“E ti ho salvato la vita.”
Si guardarono. Rose mugugnò, capitolando.

“Ma cosa vuoi?”
“Chiacchierare, te l’ho detto. Adoro i nostri diverbi. Tu no?”
“Quanto un’ora di pozioni.” Replicò salace. In realtà, glissando sulle feroci irritazioni che gli scatenavano a volte… erano stimolanti, ecco.

È orribile. Sto definendo i sipariatti-Malfoy STIMOLANTI?
Per la barba di Merlino, Rose!
La voce della sua coscienza era incredibilmente simile a quella di suo padre.
“Io adoro pozioni.” Continuò il ragazzo.
“Io no.”
“Sei troppo prevenuta sulla materia. È dannatamente interessante invece… Si può distillare tutto, sai? La gloria, il successo, la morte… l’amore.”
Rose si trovò improvvisamente un po’ troppo vicina a Scorpius. Il bastardo aveva casualmente messo un braccio sullo schienale, avvicinandosi. E profumava, il maledetto.

Profumava di bucato pulito e… sole.
Sole? Perché diavolo si è avvicinato così? Stupido biondino!
Si alzò in piedi di scatto. “Scusa, sono dormita, devo andare a stancarmi!” blaterò, con l’intenzione di inventare una scusa credibile, sembrando una psicopatica nei fatti.
Scorpius la guardò meravigliato. “… Weasley, stai bene?”
“Buonanotte!” strillò scappando come un fulmine. Non c’era niente di meglio di un incantesimo scivolo sulle scale dei dormitori femminili per fermare un’eventuale…

Eventuale cosa?
Si barricò in camera, chiudendosi la porta dietro.
Trovò Lily che la guardava perplessa, con un libro in mano.
“Uhm.” Disse Lily.
“Non è come credi, non sto seminando Malfoy!” ululò. La ragazzina la guardò come se le fossero di colpo saltate le rotelle.

In effetti, può sembrare.
“Cos’è che hai fatto con Malfoy?” indagò con un lieve sorrisetto saputo. Rose si sentì avvampare fino alla punta dei capelli.  
“Niente!” la aggredì. “Cosa ci fai qui?!”
“Beh, ero venuta a restituirti questo.” Le mostrò il libro. “Volevo lasciartelo sul letto, ma poi sei entrata strillando come una pazza…”
“Non sono entrata strillando.”
“No, scusa. Sei entrata come se avessi un lupo mannaro alle calcagna.” Precisò sedendosi sul suo letto. “Malfoy ti ha infastidito? Posso dirlo a Jamie. Non vede l’ora di mettergli le mani addosso con un pretesto qualsiasi.”
“Non… non mi ha infastidito.” Ammise sentendosi profondamente psicopatica. Chissà cos’aveva pensato di lei.

Sono DORMITA devo andare a STANCARMI? Godric…
… Penserà che mi è dato di volta il cervello.
“Stavamo solo parlando, accanto al fuoco.” Precisò e si accorse con orrore che era passato un guizzo negli occhi verdi di Lily. “Parlando, Lily. Non avvinghiati sul tappeto, per tutte le mutande di Merlino!”
“Allora perché se stavate parlando sei scappata?”
“Non… non lo so.” Mugugnò sedendosi accanto alla più piccola: era ridicolo. Lily aveva quattordici anni ed in confronto a lei sembrava una donna di mondo.

Forse è perché io sembro una sfigata.
Lily le accarezzò una spalla, con aria comprensiva. “Rosie… sei sbocciata.” proferì seria prima di scoppiare a ridere. Avrebbe voluto strozzarla. In certe cose assomigliava incredibilmente a James.
“Piantala!” ringhiò con cipiglio Grangeriano. Lily smise quasi subito, con un sorriso divertito.
“Rosie.” Replicò. “Te ne sei accorta alla fine, eh?”
“Di… di che cosa?”
La guardò con sufficienza, tracciando un ghirigoro sulla copertina del libro.

“Tu piaci a Scorpius.” Sentenziò con naturalezza. Aveva gli stessi occhi di Al, ma l’espressione era completamente diversa: innocenti quelli del primo, malizia liquida quelli della seconda.
“Che stronzata!” sbottò sentendosi avvampare. Come se le interessasse, poi.

Malfoy era la sua nemesi.
“Beh, potrebbe essere. Ma spiegami perché ti pesta i piedi dal primo anno.”
“Perché siamo nemici!”

Lily stavolta la guardò con compatimento. “Rosie. Non avete undici anni. Se un ragazzo continua a farti i dispetti a quest’età significa solo una cosa. Che ti vuole far evanescere la gonna per intenti molto meno innocenti che farsi due risate.”
“Lily!” sbottò scandalizzata. Ma era davvero la sorellina di Al?
… E’ anche la sorellina di Jamie, già.  
“Tra me e Malfoy non c’è niente, se non rivalità scolastica, vago disgusto e prese per il culo!” borbottò cincischiando con il bordo del maglione. Ma quel sorriso… così vicino, e quel profumo… Doveva ammettere che per essere un biondino slavato aveva… un certo fascino.
Fascino, tsé. Mi stava solo prendendo in giro. Adora farlo. È tutto qui.
“Ti ha salvato la vita, Rosie. Questo è molto romantico, non disgustoso o rivaleggiante.”
“È…” si zittì. “Non significa nulla!”

Non mettermi in testa strane idee, maledizione! Ho una fantasia tremenda per cose del genere!
“Se lo dici tu…” La piccola Potter fece spallucce, mettendo il libro sul comodino. “Ma dalla faccia che avevi, direi che la pensi più come me, che come zio Ron…” concluse con un lieve sorrisetto. “Sogni d’oro cuginetta. Anzi, sogni biondi.”
Si chiuse la porta alle spalle, prima che Rose riuscisse a centrarla con una scarpa. 

 
 
 
****
 
Corridoio del Secondo Piano, Hogwarts.
Verso le dieci.
 
“Ehy, non ci provare neanche! Il mantello è mio! Se qualcuno deve restare scoperto, quello sei tu!”
“Se smetti di agitarti possiamo starci entrambi.”
Tom cominciava a pensare che fosse stata una pessima idea chiedere aiuto a James, benché fornito dei giusti strumenti. Il mantello era troppo corto per le loro stazze di adolescenti.

E James troppo imbecille.
Fortuna voleva che in quei corridoi al momento non passasse nessuno.  
Erano dalle parti del secondo piano, vicino all’aula di storia della magia. Erano sgattaiolati lì per poter guardar la Mappa senza essere visti.
Lumos.” Mormorò James illuminandola. “Giuro solennemente di non avere buone intenzioni.” Aggiunse, recitando la formula ideata dal suo omonimo. Adorava quel motto. Forse l’estate prossima se lo sarebbe fatto tatuare sul braccio.

La mappa si disvelò sotto i loro occhi. Due puntini, in corrispondenza del secondo piano, recitavano i loro nomi. “Bene, genio. Adesso dimmi dove si trova il Naga.”
Il tono era beffardo ma Tom finse di non udirlo. La guardò a lungo.

“Terzo piano” recitò sottovoce. La planimetria cambiò.
“Aw, guarda lì… Gazza. Quel vecchiaccio è immortale, è peggio della gramigna!” sbuffò James. “E’ un magonò, quindi, a dirla tutta, non ha neanche la longevità tipica dei maghi.” Obbiettò, prima di corrugare le sopracciglia. “Comunque possiamo toglierci il mantello. Qua non c’è nessuno.”
Respirarono entrambi di sollievo quando si trovarono non impacciati dalla stoffa e dalla vicinanza inopportuna.
“Il profumo che usi fa schifo.” Si premurò di fargli notare Thomas, beccandosi un’occhiataccia.
A me piace.”

Si misero entrambi a guardare in silenzio la cartina. Poi apparvero. Due minuscole pergamene recitanti ‘Stump’ e ‘Singer’ accanto all’aula dei trofei.
“Li conosco!” esclamò James “Cioè, conosco Stump. Era nella vecchia squadra di mio padre, ora ne ha una sua… Art, Artemisia.” Sogghignò appena. “E’ un auror.”
Li osservarono spostarsi lungo il corridoio, per finire in un’ala del terzo piano che nessuno dei due aveva mai frequentato, essendo perennemente chiusa per infiltrazioni. I due auror si fermarono di fronte ad una stanza, piccola, delle dimensioni di una camera da dormitorio. Poi, tornarono indietro.
“Ottimo. Il corpo è al terzo piano.”
“Sei sicuro?” interloquì James. Vederlo sbagliare avrebbe voluto dire punizione assicurata, certo. Ma anche vederlo in difficoltà… che dolce momento sarebbe stato.

“No.” Disse incolore, prima di guardarlo. “Ma il rischio non è il mestiere di voi Grifondoro?”
Il ragazzo fece una smorfia, ma drappeggiò di nuovo il mantello sopra di loro.  

Maledetta serpe. Deve sempre avere l’ultima parola.
Riuscirono ad arrivare incolumi, tra scale mobili e ronde di prefetti di altre case. Se non altro, James sapeva esattamente come muoversi sotto quel mantello e come evitare spiacevoli incontri.
Anni ed anni passati a fare stronzate su e giù per i corridoi devono averlo aiutato…
“A proposito…” sussurrò “Come pensi di distrarli, quei due, per poter entrare?”
“Con te.”
Cosa?” alzò appena la voce e Tom gli rifilò un’efficace gomitata tra le costole, facendolo sbuffare.
“Non agitarti. Hai con te delle caccabombe?”
“Non ne porto sempre in tasca!”
“…”
“Okay, sì, ne ho due. Perché?”

“Lanciale nella direzione opposta in cui siamo, e poi corri. Il rumore li distrarrà e noi entreremo dentro la stanza con il Mantello. Pattugliano fuori. Dentro, come hai visto, non c’è nessuno.”
Sentì lo sguardo di James fissarsi su di lui nella penombra. Probabilmente se non fosse stato Serpeverde e Thomas gli avrebbe rivolto qualche roboante complimento.

Fu felice di essere entrambi.
“Eccoli!” sussurrò James indicando due figure che, appoggiate al muro, chiacchieravano del più e del meno, scacciando la noia del piantonamento. Indossavano due mantelli scuri, con una ‘A’ ricamata sopra. Auror.
James ispirò appena: non ricordava precisamente da quando, ma credeva di aver sempre voluto diventare auror. Era un mestiere difficile, lo sapeva. Le selezioni erano durissime, anche se non infattibili come un tempo. La paga era buona, ma il lavoro era tanto. Aveva passato l’infanzia a vedere suo padre tornare tardi a casa, stanco e distrutto. Ma sempre soddisfatto.

“Lanciala, adesso.” Lo risvegliò Tom. James sbuffò appena, tirando fuori la caccabomba dalla tasca. La tirò, con un lungo lancio.
Beh, del resto sono un cacciatore coi fiocchi, o no?
Esplose, con un gran fragore che si riverberò dei corridoi di pietra. Stump e il collega si precipitarono, passando loro accanto senza vederli.
Adesso.
James si mosse assieme a Tom, togliendosi il mantello e correndo dietro di lui. Svoltarono il corridoio, trovandosi di fronte ad una serie di porte. Tutte uguali.
“Merda! E adesso?!”

“Adesso Mappa.” Tom tese la mano. James lo guardò male: chi si credeva di essere per dargli ordini?
“Vuoi sbrigarti o farti pizzicare dai tuoi amici?” lo stuzzicò. James gliela porse di malagrazia.

Stronzo.
Thomas, dopo una breve consultazione alla luce della bacchetta, indicò con un cenno della testa l’ultima porta a sinistra.
“E’ là. Sbrighiamoci, non ci metteranno molto a scoprire che è stato solo un falso allarme e tornare qui a controllare.”

“Come fai a sapere che è quella giusta?”
“È l’unica non murata.”
Corsero alla porta, e riuscirono ad aprirla, con un semplice alohomora. James fece una smorfia.
“Li facevo più furbi.”
“Penso che si sentano positivamente sicuri…” aprì la porta di legno pesante ed entrò dentro la stanza. James lo imitò, chiudendosela alle spalle. “… già mettendo il Naga qui.”

L’aula doveva essere servita, forse un migliaio di anni prima, stimò James, come aula di lezione. Erano ancora presenti i segni dei banchi sul pavimento di legno. Ora era completamente spoglia, eccezion fatta per un lungo tavolo, di quelli da laboratorio… dove era appoggiato qualcosa di molto grosso. E squamoso.
“È… è quello il Naga?” mormorò a mezza voce avvicinandosi. Thomas annuì.
Rivederlo era… strano. Specialmente perché era…

Morto. È morto sul serio.
Si avvicinò al tavolo, notando per la prima volta quanto davvero fosse grosso e muscoloso. La coda era attorcigliata attorno alla vita, ma ciondolava per buona metà oltre il tavolo.
Aveva il viso, se tale poteva essere chiamato, contorto in una smorfia di dolore.
“Wow, Grop deve averlo proprio conciato per le feste.” Commentò James, squadrandolo a distanza ravvicinata. “E’ enorme. È grosso quasi quanto Hagrid, ah?”
Tom non rispose. Voleva capire. Capire perché quell’essere l’aveva attaccato. Perché aveva continuato a ripetergli di mostrargli la sua vera forza.

Quale vera forza? Sono solo uno studente del sesto anno di una scuola di magia neanche particolarmente tarata sull’addestramento al combattimento magico.
Certo, in effetti qualcosa di particolare ce l’aveva. Anzi, non aveva.
Si sfiorò lo stomaco impercettibilmente.
James si chinò sul brutto muso del mostro. “Guarda che zanne… dici che con queste è come per le mandibole dell’acromantula? Cioè, se sono velenose magari ci si può tirare fuori qualche distillato iper-raro?”
“Non ne ho idea.” soffiò per farlo smettere di ciarlare a vuoto.

Osservò le molteplici collane che la bestia portava, fittamente intrecciate attorno al collo taurino. Erano fatte di perline, in colori sgargianti, rosso, avorio, nero. Molte avevano attorcigliati pezzi di osso, ebano, piume. Una in particolare attirò la sua attenzione.
Non era uguale alle altre. Aveva un lungo filo, di corda nera, intrecciato. Vi era attaccato un medaglione di forma ovale.
Si chinò ad osservarlo. Era sporco, ossidato. Sembrava d’argento. Un tempo doveva essere stato un oggetto di un certo valore.

James, più occupato ad osservare l’enorme coda serpentina del mostro, sembrava non averlo notato.
Tom sfiorò con il pollice la superficie liscia del medaglione, sentendo a tatto una sorta di filigrana. C’era stato inciso qualcosa, che lo sporco stava occultando. Un motto, forse.
L’oggetto inoltre sembrava di fattura britannica.
Le Indie sono state una colonia britannica babbana meno di un secolo fa.
Eppure sentiva che quel medaglione non aveva nulla di babbano. Persino per uno studente del sesto anno era percepibile la traccia di magia che portava.
Era dannatamente forte.
Tom lo volle. Fu un desiderio che quasi lo stupì, ma non riuscì a scacciarlo.
Era particolare, era appartenuto a quel mostro misterioso…
Lo volle.
Sentirono dei passi fuori dalla stanza. James alzò di scatto la testa, guardandolo allarmato.
“Se ne sono accorti!” sibilò. Tom si guardò attorno. La stanza era spoglia, tranne per la presenza di un brutto quadro ritraente una natura morta. Più o meno era ad altezza uomo.
“La mappa! Guarda se c’è un passaggio segreto!” lo incitò.

James la prese, scrutandola febbrilmente alla luce della bacchetta. Si illuminò, guardando verso il ritratto. “Là dietro!”
Spostò il quadro di peso, rivelando in effetti un cunicolo ovoidale, che sembrava piuttosto profondo. “E’ un’uscita! Muoviti!” gridò prima di gettarsi dentro senza pensarci due volte.
Tom fece una smorfia. Guardò il Naga.

Lo voglio.
Afferrò la collana e la strappò con un gesto deciso, prima di gettarsi anche lui nel cunicolo.
A posteriori pensò che forse sarebbe stato meglio farsi beccare dagli auror.
Il cunicolo infatti si gettava nientemeno che su uno scivolo ripido e in pietra, una sorta di condotto strettissimo, in cui i due ragazzi si trovarono a scivolare a velocità folle ed esponenziale. Tom sentì arrivargli in faccia un paio di ragnatele filamentose, ma in confronto a quello che James si stava beccando, a giudicare dalle urla disgustate, era ben poco.  
Finiremo per essere scaraventati nel Lago Nero, o per romperci l’osso del collo? – Si chiese con incredibile lucidità.
La risposta la ebbero quando un lampo di luce violento li investì prima che fossero sbattuti di malagrazia su una dura superficie, non resa piacevole neanche dalla presenza di un tappeto.
Tom atterrò addosso a James, che ringhiò di dolore.
“Sta’ attento idiota!” sbottò, cercando di alzarsi in piedi. Tom rotolò di fianco, ansante e dolorante.

Fare un viaggio del genere con delle ossa convalescenti non è decisamente una bella esperienza.
Ancora abbacinati dalla luce improvvisa non capirono subito dove si trovassero.
James lo capì prima di Tom. Visto che si trovò di fronte la faccia di Ted Remus Lupin, in camicia da notte.

Li guardava sconvolto, lo stadio primo di una feroce incazzatura. E James lo sapeva. Sfoderò il suo miglior sorriso malandrino.
“… Sorpresa Teddy?”
Vide i capelli di Teddy incendiarsi di rosso carminio.
Ops.
“James Sirius Potter…” Scandì ad ogni sillaba.
Okay. Adesso erano davvero nei guai.
 
 
****
 
Note:
1 – So che l’originale è dei Joy Division, ma perdonatemi, è più adatta la versione dei Killers come colonna sonora. Il video, se vi va di darci un’ascolto (è molto bello e un bel tributo a Ian Curtis) è qui .

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Capitolo 14
*** Capitolo X ***


Grazie mille a chi mi ha recensito, prima di tutto. Questo capitolo sarà Teddy/Jamie centrico, quindi, godetevelo che è slash. ;P
@Trixina: Sì, in effetti la storia è una What If, avevi ragione tu (me andata a spulciare definizione su wikipedia). Jamie e la sua sessualità… beh, è un adolescente, bisogna ricordarcelo. Durante l’adolescenza sono tipici casi di confusione. Parole grosse per dire che né io né Jamie sappiamo come andrà a finire. Di certo l’affetto che ha per Teddy giocherà un ruolo fondamentale. Grazie per la recensione, davvero ^^
@Sammy Malfoy: Aaah, grazie per il bellissimo commento prima di tutto! Certo Al e Tom sono intelligenti. Su cose che non riguardano i sentimenti, altrimenti sono due incasinati cronici. Nell’11 capitolo (già scritto) ci saranno dei begli avvenimenti succosi. Hai capito anche tu che Rose in realtà assomiglia più a Ron che a Herm, eh? XD purtroppo non molti se ne accorgono, lei per prima. XP
@Pietro90: Ma ciao! Chi si rivede! :P Tutti i complimenti che mi hai fatto spero proprio di meritarmeli! Addirittura più realista-adolescenziale della Row! XD Eh, beh, non che ci voglia molto, dopotutto lei è una signora di una certa età, io sono ancora annoverabile tra gli adolescenti. XD Posso attingere direttamente da fonti dirette. Gli sviluppi prometto ci saranno, e assolutamente adolescenziali. Quindi, privi di ogni controllo! Grazie per avermi recensito, ed esserti rimesso in pari!
@Nyappy: Beh, Lily è la mia girl-inside, e la cosa veramente comica è che è la più piccolina della situazione (persino Hugo ha qualche mese in più dal Potterverse americano). È la più saggia, non c’è niente da fare. Rose è figlia di Ron, punto. Il ciondolo di Tom farà una bella parte in questa storia. Come dire, sarà un mezzo. ;)
@Natalia: Ciao Natalia! Figurati, non preoccuparti, mi fa soltanto piacere vederti qui! Spero il tuo pc si sia ripreso! La tua recensione arriva per un capitolo di magra, quindi non posso che adorarti. Neanche io sono una fan delle DraMione, per il motivo che hai spiegato benissimo tu. Come caratteri assieme potrebbero essere intriganti, ma i fatti smentiscono ogni coinvolgimento romantico trai due. Lily e Piton… non mi ci far pensare. Quella coppia era troppo OTP, ma forse è così bella perché è stato un amore morto prima di nascere. Aehm. Comunque. Grazie davvero per i complimenti, che contraccambio di cuore, dopo aver letto le tue bellissime shots sui Beatles. Pensa che mi sono comprata anche ‘Abbey Road’ dopo averle lette! XD E grazie, perché non penso di aver fatto acquisto più azzeccato…
@Ombra: Sì, in effetti James e Tom insieme sono un’accozzaglia malassortita e quindi esilarante. Mi fa davvero piacere che ti sia piaciuto il flashback dello Smistamento, volevo metterlo assolutamente, ma non sapevo dove. Poi s’è presentata l’occasione. Grazie per la recensione!
@Evetta96: Ciao! Grazie mille per la recensione! ‘Sono dormita devo andare a stancarmi’ è una cosa che io ho detto veramente in un momento di stanchezza assurda. Non potevo non riusarla, anche se in un altro contesto. Continua a seguirmi! ;)
 
 
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Capitolo X
 
 

 
 
 
 
 


I am covered in skin / No one gets to come in

Pull me out from inside / I am colorblind
(Colorblind, Counting Crows)
 
 
 
 
Appartamenti del professore di Difesa Contro le Arti Oscure, Hogwarts.
11 PM.
 
“James. Tom.” Scandì Ted guardandoli. I capelli erano come un manto infuocato, e cangianti. Tutte le sfumature del rosso.
James li aveva visti di quel colore solo una volta. Quando inavvertitamente, a undici anni, era franato con la scopa sulla preziosissima biblioteca appartenuta a Remus Lupin, a casa di zia Andromeda¹.
Solo che stavolta Ted non era il suo babysitter-migliore amico.
Era il suo professore.
Tom si alzò in piedi, con una lieve smorfia. “Professor Lupin.” Disse tranquillissimo.
Questo parve incrementare l’irritazione del giovane uomo.
“Da dove siete usciti?”
“Dal quadro.” Indicò Tom. “Si è spostato al nostro passaggio.”
“Mi pare evidente.” Lo seccò Ted. Stavolta anche Tom ebbe la buona idea di non ribattere.

James si guardò attorno. Si accorse in quel momento di trovarsi in una camera da letto.
Dietro Ted c’era un grosso letto di legno scuro, una scrivania in mogano, una voluminosa biblioteca e decine di stampe raffiguranti anatomie di creature fantastiche. Persino quella, che sapeva rarissima, di un’unicorno.
Ted stava per andarsene a letto a giudicare dalla sua mise notturna. E loro gli erano piombati in camera.
Cazzo.
Si guardò la punta delle scarpe da ginnastica.
Stavolta l’ho combinata proprio grossa. Mastodontica… C’è qualcosa di peggio di mastodontica?
Gigantesca. Forse.
“Da dove siete arrivati?” chiese di nuovo. James si schiarì la voce. Guardò il cugino, che sembrò improvvisamente aver perso l’uso della parola. Si guardava attorno, pensieroso.
Stronzo.
“… Da… dal terzo piano.”
“Curioso. Proprio dov’è stato portato il Naga?” si informò urbanamente. I capelli adesso riverberavano i riflessi del fuoco che scoppiettava nel camino in fondo alla stanza.
“Oh, è stato portato lì?” tentò con un sorriso di vaga meraviglia. Ted lo fulminò.
“Pensi che sia un idiota James?”
Tom gli scoccò un’occhiata che sembrava dirgli – sei completamente deficiente o cosa?
James lo guardò male di rimando.

Visto che sei tanto brillante perché non gli spieghi tu, cosa cazzo ci facevamo al terzo piano senza rischiare l’espulsione?
“… No Teddy, non lo penso!” Borbottò pieno di buona volontà. “Volevamo… volevamo solo dargli un’occhiata! Niente di che! Era solo curiosità, che diamine! Non siamo riusciti ad arrivarci però!” mentì. Sperò solo che Ted non cercasse di approfondire.
“Era proibito, e questo doveva bastarvi per non cercare di arrivare fin là. Ho passato tutto ieri a convincerti a lasciar perdere, James. Vedo che non sono stato minimamente ascoltato.”

La cosa peggiore era che Teddy non si scaldava. Mai. Non urlava, non alzava la voce. Il tono era calmo, distaccato. Al limite sottolineava una parola con una lieve inflessione della voce.
Cazzo, è un prof nato.
“Venti punti in meno a Grifondoro, e venti in meno a Serpeverde.” Recitò meccanicamente, senza neanche guardarlo (alzò la testa per controllare). “Adesso riporto Thomas in infermeria.”
James si morse un labbro: venti punti erano una punizione irrisoria, lo sapeva, in confronto alla sua infrazione. Ma sapeva che c’era una punizione peggiore ad attenderlo.

La delusione di Teddy.
Diavolo, forse stavolta ho davvero combinato una stronzata.
“Allora io… torno al dormitorio?” chiese umilmente.
“Non adesso, no di certo.” Ribatté, gettandosi addosso il mantello e chiudendo gli alamari. “Anche se hai modo per non farti vedere, non mi pare opportuno. Ti ci accompagnerò io dopo. Resta qui.” Lo guardò finalmente, e James vide che aveva gli occhi azzurri. Sperò. Appena.

“Dobbiamo parlare io e te, James.” Gli disse però, facendo un cenno a Tom, che lo seguì docilmente.
Quando si richiuse la porta alle spalle il ragazzo tirò un profondo sospiro.
In quel momento, più che un re, si sentì un gran pezzo d’asino.
 
****
 
Piano terra, Hogwarts.
 
Thomas seguiva docilmente l’incedere del professor Lupin.   
Se non altro non aveva chiesto troppe spiegazioni. Almeno quello, era un bene.

Nella tasca dei jeans gli pesava il medaglione, quasi come un macigno. Era sicuro che James non l’avesse visto mentre la prendeva. Del resto era già sceso quando lui l’aveva strappata di dosso al Naga.
Ted si fermò, svoltando un corridoio. La luce delle torce illuminava il profilo sottile. I capelli erano tornati castani.
“Thomas… preferisci tornare in infermeria o al tuo dormitorio?” lo sorprese.

“Dormitorio.” Disse con sicurezza. Preferiva l’umidità dei sotterranei alle premure di Madama Chips e della sua petulante assistente.
“Bene…” Non aggiunse altro, accompagnandolo nei sotterranei, che si snodavano in un lungo e serpentiforme labirinto. I loro passi echeggiavano tra le mura di pietra umida.
Ted si fermò di fronte alla porta del dormitorio, di cui una possente arcata ne rivelava la presenza. Si doveva infatti pronunciare la parola d’ordine per farla apparire completamente.
Adesso c’erano solo pietre scure.
“La ringrazio professore. Buonanotte.” Disse, già pronto ad aggiungere alla frase la parola d’ordine e andarsene a dormire. Ted lo afferrò per un braccio.
“Professore…?” chiese, pieno di meraviglia.
E adesso cosa vuoi, ragazzo-perfetto?
“La prossima volta che vuoi aggirarti per Hogwarts ti prego di non tirare in causa James. È già abbastanza stimolato a farlo di suo.” Disse secco.  
Thomas gli restituì uno sguardo incolore. “Non l’ho obbligato. E comunque, perché pensa che l’idea sia partita da me?”
Facciamo favoritismi, professore?

“James non ti avrebbe mai portato con sé, se non fossi stato tu la mente di questo stupido piano… So che non siete in buoni termini.” Corrugò le sopracciglia. “Spero che almeno tu te ne renda conto, Thomas. Avreste potuto essere scoperti dagli auror. E non sarebbe stato come essere pizzicati da un vostro coetaneo. Sono autorizzati ad usare incantesimi come lo stupeficium. E l’avrebbero fatto, perché non vi avrebbero riconosciuti.”
“Certo…” si premurò di abbassare lo sguardo, fingendo dispiacere. “E’ stata un’idea stupida. Non tirerò più in mezzo James.”
A meno che la sua stupida sconsideratezza Grifondoro non mi serva di nuovo.
“Non avrai più idee così stupide in generale, spero.”
“Perché, le interessa se riguardano solo me, professore?” chiese innocentemente. Dovette trattenersi per non sogghignare. No, meglio evitare altri punti in meno. Al l’avrebbe ucciso.

Vide Ted serrare la mascella. Oh, aveva toccato il segno.
Non prendertela, Teddy. Siamo tutti essere umani. Abbiamo tutti i nostri preferiti.
“Vattene a letto, Thomas. Non darmi altri pretesti per farvi perdere la Coppa delle Case quest’anno.” Gli ordinò, prima di voltargli le spalle e andarsene.
Tom lo guardò sparire nel corridoio male illuminato. Sbuffò.
Serpens excito est.” Recitò, mentre l’entrata Serpeverde si rivelava. Si infilò una mano in tasca, stringendo tra le dita il medaglione. Era caldo al tatto. Si morse un labbro.
Su una cosa Lupin aveva ragione. Era ora di andare a dormire.
 
 
****
 
 
James, una volta lasciato solo, si rese conto… beh.
Che era solo. Nella stanza di Ted. O meglio, nella stanza del docente di Difesa Contro le Arti Oscure.
Non poté fare a meno di cominciare a curiosare: era un suo dovere morale.
I colori principali erano nero e giallo, tanto per non smentire le origini Tassorosso del vecchio amico. Sorrise divertito; per certe cose Teddy era un terribile nostalgico.
Osservò con attenzione le stampe animate raffiguranti creature perlopiù sconosciute. C’erano anche alcuni barattoli, che esibivano sotto formalina scheletri di creature incredibili. Sapeva le avesse ereditate dal padre, professore della stessa materia prima di lui.
Dopo aver bighellonato tra le stampe, la sua attenzione fu inevitabilmente attratta da un folto gruppo di foto sparse senza un’apparente ordine su un cassettone accanto alla porta.
Le cornici erano recenti ma le fotografie invece coprivano un arco di tempo che andava dai primi anni di vita di Ted fino a pochi mesi prima.
Ce n’era persino una in cui i suoi genitori lo teneva in braccio. L’aveva vista a casa di Andromeda. Ted assomigliava straordinariamente a suo padre, anche se una certa dolcezza dei lineamenti li aveva ereditati dalla camaleontica Tonks, che in quel momento esibiva dei capelli rosa perlaceo.
I capelli…
James si raddrizzò. Scrutò le foto una per una, attentamente. Gli svariati compleanni in famiglia, con il piccolo e poi giovane Ted in primo piano, le foto di gruppo con i cugini acquisiti, quelle con i compagni di scuola, in divisa con la spilla da prefetto prima e Capocasa poi… e per finire quelle con Victoire, abbracciati e sorridenti in mezzo a paesaggi provenzali.
In tutte le foto Teddy aveva i capelli blu. Per anni li aveva avuti blu. Una volta gli aveva confidato che era il suo colore preferito e quello che pensava gli si addicesse meglio.
E poi è la versione maschile del colore preferito di sua madre… cioè il rosa shocking.
Si diede dell’imbecille per non averlo notato prima.
Adesso li aveva castani. E non li aveva mai avuti di quel colore – che si supponeva in famiglia fosse l’originale – tanto a lungo.
Perché?
Prese in mano quella che sembrava la foto più recente. Lo ritraeva con Victoire mentre, seduti sul portico della villa provenzale dei Weasley, fissavano l’obbiettivo. Ted teneva un braccio sulle spalle della fidanzata. Entrambi sorridevano.
Ma c’era qualcosa che non andava.
Sicuro. Sono sempre i capelli. È l’unica foto in cui ha i capelli castani, come adesso…  
Corrugò le sopracciglia. Sembrava una bella foto, di due persone felici.  
Insomma, Teddy e Vic erano La Coppia. Quella da prendere ad esempio. Tutte le cugine sognavano una storia con un principe azzurro come Teddy. Che lo era davvero, capelli compresi.
Non adesso però.
Sentì dei passi sulle scale, e si sbrigò a rimetterla a posto, schizzando vicino al caminetto.
Quando aprì la porta lo accolse con l’aria più umile e innocente del suo repertorio.
“Teddy…” iniziò pieno di buone intenzioni.
“Vuoi un po’ di the? Ne faccio per me.” Lo interruppe l’altro. Sembrava davvero stanco, e non di quello sfiancamento dovuto al vedersi piombare due adolescenti sul tappeto di camera. Era stanco triste.

James sapeva di non avere grandi proprietà di linguaggio, e gli era venuta in mente solo quell’espressione. Stanco triste. Esattamente così.
Che ti succede, Teddy?
“Uhm, sì. Grazie.” Annuì. “Posso sedermi?” azzardò poi.
Lo guardò in viso stavolta. Sorrise appena. “Certo, se trovi posto da qualche parte… sto ancora mettendo via le ultime cose.”
James si guardò attorno. La stanza era immersa in un caos di libri e vestiti.

Non è mai stato un tipo ordinato… – pensò divertito.
Alla fine si risolse a buttarsi spontaneamente a terra, sul tappeto davanti al fuoco.  
“Mi dispiace Teddy. Ti ho messo in una brutta posizione piombandoti qua.” Iniziò velocemente, approfittando che l’altro stesse armeggiando attorno al bollitore. “Senti, non sapevo che saremo finiti a gambe all’aria proprio qua. Per non farci beccare abbiamo preso un cunicolo e…”
“Lo sai che potevate finire anche fuori dal Castello?” lo interruppe “E con fuori intendo, scaraventati fuori, a magari una cinquantina di metri d’altezza. Ci sono dei passaggi segreti che finiscono così.”

“Li hai provati?” chiese curioso. Ted lo guardò male.
“Uhm, scusa, chiedevo solo…” sospirò. “Sì, insomma…”
“Hai fatto una cretinata.” Suggerì. James lo guardò di sottecchi e lo vide sorridere.

Capì che non era più arrabbiato e fece una risata.
“Sì, mi sa proprio di sì!” Accettò con gratitudine la tazza di the fumigante che l’altro gli porse. La annusò, perplesso. “Sa di arancia…”
“… cioccolato e cannella. Il mio preferito. Non te lo ricordi?” Si sedette affianco a lui, e James sentì di aver ritrovato Teddy. Il professor Lupin non si sarebbe mai seduto a terra, spalla contro spalla ad uno scemo diciassettenne. Magari era un pensiero infantile, ma se ne fregò. Lo faceva sentire bene.
“Sicuro! Solo tu puoi berti una roba così dolciastra!” sogghignò.

“Se non lo vuoi…”
“No, no!” Ne bevve diligentemente un sorso. Mai rifiutare il calumet della pace. “Senza zucchero è passabile.”
“Non posso dire lo stesso del tuo profumo.”
“Oh, anche tu! Ma cos’ha che non va?”

“Puzza James. Sembra tu ti sia infilato in un sacco di naftalina.” Commentò impietoso, bevendo un sorso di the. “Dico davvero.”
Me l’ha detto anche Zabini… - Al pensiero dell’altro ragazzo si sentì improvvisamente a disagio, e lo scacciò prontamente. Non voleva pensare a quella cosa con accanto Teddy.

Affatto.
“Mah… forse lo cambierò.” Concesse distratto. Guardò il fuoco scoppiettare. “Ehy, domani l’altro avremmo lezione assieme!” Disse, volendo dire tutt’altro.

Perché non hai i capelli blu? Perché li tieni castani, tranne quando ti arrabbi o quando qualcuno ti coglie di sorpresa?
Sapeva come funzionava: Ted poteva cambiare colore ad occhi e capelli a piacimento. Non controllava la trasformazione solo quando l’emozione era improvvisa, o forte.
L’altro annuì. “Sì, mi avrai alla seconda ora. Cerca di fare il bravo. Penso che tu mi abbia dato abbastanza grattacapi per un intero mese con la bella idea di stasera.” Gli arruffò i capelli.
“Non sono più un bambino!” sbottò, scansando la mano. “Ho diciassette anni.”
Si sentì un bambino, proprio non appena lo disse. Anche l’amico gli sorrise con indulgenza.
Questo è peggio di venti punti in meno…
“Pensi che lo sia ancora?” sussurrò.
A volte sono proprio masochista.
Ted sospirò appena. “No, non lo penso. Ma a volte ti comporti in modo immaturo. Come stasera.”
“Come mi vedi allora Teddy?” gli chiese a bruciapelo, quasi fuori contesto. Ma erano davanti al fuoco, da soli, e con una dannata tazza di the dolciastro.
Forse la domanda non era poi così campata in aria.
Mi vedi ancora come un bambino?
Lo vide inarcare le sopracciglia, perplesso. Per un attimo sperò.
Sperò che per una volta l’amico d’infanzia non lo vedesse come Jamie.
Jamie era il ragazzino pestifero che durante l’infanzia e la prima adolescenza gli era sempre stato trai piedi. Quello che gli aveva distrutto la libreria, che aveva consolato dopo una brutta caduta o una stigliata materna, e che aveva pianto come uno scemo alla sua partenza. Un fratellino.
Sentì come se avesse ingoiato un boccone amaro.
Sono ridicolo…
Lui ha Victoire. Gli piacciono le donne. Solo quelle.
Chiunque abbia detto che l’adolescenza era un periodo roseo, è un gran figlio di puttana.
“Come ti vedo?” lo guardò. Dallo sguardo serio aveva capito che non stava scherzando come suo solito.
Era cresciuto, Jamie. L’ultima volta che l’aveva guardato davvero aveva i capelli arruffati, un maglione Weasley improponibile e ciarlava di conquiste scolastiche a raffica. Quattordici anni, un Natale alla Tana. Eppure già si intravedeva l’uomo che sarebbe diventato.  
Adesso invece….
Indossava una t-shirt nera che definiva una figura snella, ma muscolosa. Aveva le spalle larghe, l’altezza Weasley in qualche modo si era armonizzata ad un fisico compatto. I capelli era arruffati, di un denso color mogano e gli occhi color nocciola erano accesi di una luce sfrontata, spavalda, di chi affrontava il mondo credendosi perfettamente in grado di farlo.  Questo era James Sirius Potter.
Era stato un bambino carino, ma adesso era un bel ragazzo, un giovane uomo. In qualche modo, ne era scioccamente orgoglioso.
Per quanto continui ad avere dei difetti grossi come case…  
Ma persino adesso, come professore, riusciva a scusarglieli.
“Sì, come mi vedi?” Insistette il ragazzo, avvicinandoglisi. “A parte la figuraccia di stasera, si capisce…” aggiunse con un borbottio.
“Come un Grifondoro dannatamente irresponsabile, che non dà retta al suo giovane professore.” Scherzò, dandogli uno scappellotto. James lo accettò con un brontolio.
Ted si alzò. Al di là della scomodità della posizione, sentì che era meglio farlo. James non aveva mai imparato a non invadere lo spazio altrui.
Prima mi si è praticamente buttato addosso…
Sentiva lo sguardo del ragazzo sulla schiena, mentre con un colpo di bacchetta ripuliva le tazze e il filtro per il the. Cominciò a sentirsi nervoso. Stupidamente, tra l’altro.
È Jamie, per Merlino…
“Teddy, posso chiederti un’altra cosa?”
“Se ti dico di no?”
Silenzio dietro di lui. Sgomento. Ridacchiò.

L’ho sempre viziato troppo…
“Jamie, stavo scherzando. Certo, dimmi pure.”
“Perché hai i capelli castani?”
La domanda risuonò come uno sparo nella camera silenziosa. Almeno, a James sembrò così.
Mi sa che non avrei dovuto farla…
“… Non lo so. Non c’è un motivo particolare. Avevo voglia di tornare alle origini, forse.” Mormorò, sempre dandogli le spalle, occupato a mettere via il bollitore. James capì che mentiva.
Non che ci voglia un genio.
“Teddy, va tutto bene… voglio dire, in generale?” Si azzardò, alzandosi in piedi e avvicinandosi. Vide le spalle dell’amico irrigidirsi, più che vederlo lo capì. James era un giocatore di uno sport platealmente violento e si accorgeva quando qualcuno assumeva una posizione di difesa.
Da cosa ti stai difendendo? Da me?
Soffocò l’istinto di abbracciarlo. Era una testa calda, sicuro, ma sapeva che certi gesti ormai erano inadeguati.
Non sono più un bambino, vero Teddy? E gli uomini tra di loro non si abbracciano.
A meno di non essere Al e Tommy, si capisce.
“Va tutto bene, certo.” Si voltò per sorridergli. “Ma sto tanto male coi capelli castani?”
“Nah, figurati!”

Tu stai bene pure con i capelli verde pisello.
“Meno male.” ridacchiò. “Beh, direi che è tardi, e tu devi tornare a letto.” Sospirò. “Avrei dovuto farti una ramanzina, ma mi accontenterò di dirti che se ti ribecco ti porto direttamente da Gazza.”
Da Gazza?” lo guardò sconvolto. “Ma quanto sei sadico!” sbottò facendolo ridere.
“Più di quanto immagini. Avanti, andiamo, ti riaccompagno al dormitorio…”
James sbuffò, ma annuì docilmente. Lo seguì alla porta, ma prima di richiudersela alle spalle lanciò un’ultima occhiata alle fotografie. Quei capelli castani spiccavano come un brutto pugno in un occhio. Come se si fossero spenti.

E James aveva assolutamente intenzione di scoprire cosa avesse spento Teddy.
 
 
****
 
 
Banchina, Lago Nero, Hogwarts.
 
Hagrid sostava di fronte all’attracco delle barche del Lago Nero, intabarrato nel suo vecchio e consunto pastrano, riparandosi sotto un grosso e brutto ombrello. Un vento freddo aveva cominciato a spirare dal Nord. Ormai l’autunno si avvicinava, considerò, carico di nuvole e pioggia gelida.
Non sarebbe stato un bell’inverno, quello, nossignore. Si poteva capire dalla forma delle nuvole. Erano lunghe, gravide e minacciose. La pioggerellina che cadeva quella notte ben presto si sarebbe trasformata in diluvi torrenziali.
Stavano succedendo cose strane, ad Hogwarts. Prima la morte del povero professor Ziel, poi quella strana creatura, spuntata fuori dal nulla, che attaccava uno studente.
No, Hagrid non presagiva nulla di buono. E con l’età, se lo sentiva nelle ossa.
Ciononostante aspettava paziente l’arrivo del nuovo professore. Il Preside, il buon Filius (chiamami Filius, Hagrid, siamo amici da una vita!) gli aveva chiesto di accoglierlo alla banchina, e così avrebbe fatto. Non aveva capito il perché fosse voluto venire in barca, ma supponeva fosse un capriccio da straniero. Il Preside gli aveva detto fosse americano…
O americana. A volte parlava così veloce che mica lo capiva tanto bene, Hagrid.
Fino a poche ore prima, tra l’altro, neanche immaginava ci fossero maghi americani.
Beh, ma la magia mica ci sta solo in Europa, eggià.
Si strinse nel pastrano, sbuffando. Avrebbe voluto essere nella sua capanna a sorseggiare un buon whisky incendiario, o a giocare a carte ai Tre Manici: Hannah era sempre così gentile da lasciargli un po’ di idromele in serbo a fine serata, da portare a casa. 
Sbuffò condensa, di puro sollievo. Aveva visto il profilo di una delle piccole barche incantate lambire la superficie brumosa del lago. Stava arrivando. Scese le scalette, che gemettero al suo peso. Scese sulla piattaforma.
“’Sera… tempaccio da lupi, eh?” Eruppe cordiale, tendendo la mano alla figura incappucciata. Aveva un mantello nero, dal grosso cappuccio. Sembrava ben imbottito.

C’è da capirlo… se è americano non ci sarà abituato al clima inglese.
“Oh, è proprio vero…” rispose una voce. Indubbiamente femminile. “Il clima inglese… Non lo ricordavo così inclemente. Però avete un lago magnifico.”
Ah, allora è una LEI.
Sentì una mano piccola e delicata posarsi sulla sua. Peso irrisorio. La donna, dalla voce doveva essere piuttosto giovane, scese dalla barchetta. Abbassò il cappuccio, e sorrise.
Hagrid si trovò di fronte agli occhi trai più blu che avesse mai visto in vita sua. Resse bene il colpo, ovviamente. Era Hagrid, mica uno studentello.
Anche se ci darà grattacapi, a tutti gli sbarbatelli. – pensò con vago sconforto.  
“Beh, ci farà un po’ freddo quest’inverno, sì… le nuvole.” Borbottò. “Lei è…? Scusi, me l’avranno detto il suo nome, ma mica me lo ricordo…” Confessò con candore.
La giovane donna non sembrò preoccuparsene. Continuò a sorridere.   
“Ainsel Prynn. Sono la nuova professoressa di Trasfigurazione.”
 
 
****
 
Note:
Capitolo corto, lo so, ma per ogni cosa ci vuole il suo tempo.

1-Andromeda non è imparentata coi Potter-Weasley, ma James da bambino era la peste che è ora (Row Said So). Quindi tutti potevano aspirare ad essere chiamati confidenzialmente zii.
2-Il nome Ainsel non è di mia invenzione, ma della sublime (mi inchino) Kaori Yuki.
Per quanto riguarda Teddy Tassorosso (sembra il nome di un peluche XD ) è una notizia che ho trovato su internet, confermata in più siti. Leale, onesto, gran lavoratore. Direi che gli si addice. :P
Invece, a proposito del colore di capelli abituale del nostro metamorfomago, ho semplicemente seguito il fandom. Alcuni dicono turchese, ma onestamente, quale maschio adolescente e poi giovane uomo andrebbe in giro con i capelli turchini? O_o

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Capitolo 15
*** Capitolo XI ***



I misteri si infittiranno, lo ammetto, ma prometto che ogni nodo verrà al pettine. In ogni caso questo capitolo piacerà molto alle slash fan. ;)
@Myriam Malfoy: È vero, Ted è un po’ di parte, ma alla fine ha tolto punti ad entrambi. Poi che tenda ad essere più gentile con quello scemo di Jamie, beh… se l’ha perdonato persino quando gli ha distrutto la sua amata biblioteca… XD Teddy lasciato con Vic? Tutto può essere. E comunque sì, c’entra il colore dei capelli. Grazie per la recensione! ^^
@Shiratori-chan: Ti ho già ringraziato doverosamente per la bella recensione e per lo strappo alla regola! Grazie ancora!
@Nyappy: È un gran complimento quello che mi hai fatto. Sapere che delle non-slash-fan (e non sei la sola!) mi leggono ed apprezzano non può che farmi un enorme piacere. Alla fine penso che qui non si tratti solo di scrivere una storia su due ragazzi gay, ma due esseri umani che si sono presi una gran cotta ;P. Teddy fata-turchina NO, vero? X°D
@Hel_Selbstomord: Ciao! Non preoccuparti, capisco benissimo! Anche io dovrei essere a studiare, ma… eh. Poca voglia T_T. Spero di risvegliare con ‘sto capitoletto definitivamente la tua vena slasher!
@Natalia: James-Ted sono un’accoppiata sottovalutata, ma secondo me vincente! XD Apparte gli scherzi, io trovo incredibilmente tenero un rapporto fratello maggiore-fratello minore, senza esserlo veramente, ovvio! Tom deve farti paura, dopotutto è un Serpeverde fatto e finito. È Al che poverino c’entra poco con la sua Casata. (anche se il cappello ce l’ha comunque smistato quindi…). Hai fatto una bellissima descrizione del Serpeverde tipo, e la penso esattamente come te! Zabini è un figo, lo so. Fosse anche vero. :P
@Ombra: Lo so, James e Ted è una cosuccia delicata da trattare, ma spero di non deludervi. Al ce la metterà tutta per farlo rimanere sulla strada ‘paturnie adolescenziali’ in questo capitolo specialmente. XD Grazie per la recensione!
@Altovoltaggio: Ti ringrazio davvero! XD Mi fa davvero piacere che tu continui a seguirmi anche se detesti lo slash. Ti dirò, io più che la solita coppia slash, la vedo più come due esseri umani che si innamorano. Non sono fissata con i clichè del fandom slash, non più di tanto. Non voglio far finire due maschi assieme perché sono ‘carini’. È una forzatura. Cerco di motivare le inclinazioni e le scelte dei miei personaggi. Spero che questo si capisca. Grazie comunque per continuare a seguirmi. ;)
 
 
 
****
 
 
 
Capitolo XI
 
 
 
 
 
 
 
 
Si vive per anni accanto a un essere umano. Un giorno ecco che uno alza gli occhi e lo vede.
In un attimo non si sa perché, non si sa come, qualcosa si rompe: una diga tra due acque.
E due sorti si mescolano, si confondono e precipitano.
(Il Ferro, Gabriele D’Annunzio)
 
 
 
5 settembre 2022
Torre dei Grifondoro, Dormitori Maschili.
Un’ora irragionevolmente mattiniera.
 
Quella mattina i gemelli Scamandro ebbero una stramba sorpresa, risvegliandosi.
Lorcan corrugò le sopracciglia, guardando Lysander. Lysander avrebbe dovuto parlare.
“Capo…” cominciò infatti, riconoscendo sin dal primo mattino l’autorità di James.

“… che diavolo stai facendo, per tutti i Gorgosprizzi?” concluse perplesso.
James era seduto sul letto, con aria profondamente concentrata mentre terminava la stesura di una lettera. Vestito di tutto punto. Alle sette di mattina.
Solitamente era a malapena capace di ricordarsi il nome, a quell’ora antelucana.
“Sto scrivendo una lettera, non si vede?” borbottò con le sopracciglia corrucciate per la concentrazione. “E non avete aiutato con i vostri grugniti, tra parentesi. La gente normale russa, non grugnisce. Fatevi vedere. E da qualcuno bravo.”
“Da quant’è che la stai scrivendo?” eruppe Lorcan, scordandosi che non era lui a dover parlare. Si scusò silenziosamente con il gemello, e attesero assieme la risposta.

“Un’oretta. Ho pensato di svegliarmi presto per andare in Guferia prima di colazione.”
I due si guardano esterrefatti. Dall’altra parte della stanza Bob Jordan, il quarto prode della camerata, malandrino part-time e palo affidabile di tutte le marachelle dei tre, era ancora nel mondo dei sogni.
Com’era giusto che fosse per un diciassettenne col sonno robusto. E lui e Jamie se la contendevano, di solito.
Non oggi però.
“Capo, ti senti bene?” borbottò Lysander.
“Certo, sto benissimo!” terminò la lettera con uno schizzo nervoso – la sua firma – e scese giù dal letto. “Ci si vede a colazione!” Sparì oltre la porta, tirandosela dietro.

I due gemelli si guardarono, di nuovo.
“Ma a chi…?” iniziò Lorcan, con un punto interrogativo al posto del viso.
“… doveva mandarla così presto?” 

Ci rifletterono, assieme.
“La vera domanda è…” concluse Lysander con un sospiro, alzandosi. “… perché vuole una risposta così presto.”

James corse fino alla Guferia. Notò con stupore che la mattina rendeva davvero deserti i corridoi di Hogwarts. Non vide nessuno, finché non aprì la porta dell’imponente guferia.
Forse dovremmo spostare l’ora x dei nostri piani alle sette di mattina.
Si aggirò, maledicendosi perché non ricordava dove ad Anacleto¹, il gufo di Albus, piacesse appollaiarsi. Il suo gufo, un gufo reale che divideva con Lily, era fuori per spedire una maledetta lettera all’ungaro unto.

“Cleto! Ehy, palla di piume, dove diavolo sei!?” sbottò innervosito da centinaia di occhi tondi e gialli che lo fissavano. Odiava la guferia. E poi, c’era sempre una puzza insopportabile.
Il gufo, anche sentendolo, tardò a lanciare il suo verso acuto per farsi localizzare.
“Sei stronzo come Al, quando ti ci metti… senti. Devi recapitare questa lettera a Fred. Fred Weasley. Ma non al negozio. Fallo a casa, chiaro?”
Fred, il suo cugino preferito (tutti i cugini avevano un cugino preferito. Al e Rose, Lily e Roxanne, lui e Fred…) era stato un paio di settimane ospite di zio Bill quell’estate, ufficialmente per farsi un po’ di vacanze. Ufficiosamente per correre dietro ad una bella francesina che aveva conosciuto a York, mentre suo padre trattava di un grosso affare di non-so-quale polvere magica tibetana.

Se era successo qualcosa a Teddy, in Francia, e la causa era Vitro – come pensava fosse - Fred l’avrebbe saputo. Era quasi più pettegolo di Dom e Lily messe assieme.
Sono un genio. Oh, yes. Un dannato genio. Qua il cinque, James Potter!
Non se lo diede solo per non farsi dare del cretino dallo sguardo severo del dannato pennuto.
Finì di legargli la lettera alla zampa.
“Vai.”
Il gufo spiccò il volo. James si affacciò, osservandolo diventare un puntino lontano nel cielo nuvoloso.

A volte adorava avere una famiglia ramificata.
E straordinariamente pettegola.
 
 
****
 
 
Sotterranei Serpeverde, Dormitori Maschili
Un’ora palesemente tarda.
 
“Per me, è morto.”
“Ode al Dursley morente.”
“Ho detto morto, non morente. Seguimi Nott, quando parlo…”

“Chiedo venia, Mastro Zabini.”
“Concessa.”
I due Serpeverde erano impegnati a decidere della sorte del compagno di stanza, che dormiva al di là delle tende color verde scuro.

Al uscì dal bagno, infilando la testa arruffata dentro il maglione e tirando poi fuori la cravatta, penzoloni come una lingua molle.
“Fatela finita! Lasciatelo in pace, ieri notte sarà tornato tardi…”
“… da qualche appuntamento galante.” Terminò Zabini. “Scusa, Al, me l’hai tirata fuori dai denti.”
Il ragazzo sbuffò, alzando gli occhi al cielo. “Sì, sì. Piuttosto, renditi utile e dammi una mano con la cravatta. Sto impazzendo.”
Loki sogghignò. “In sei anni ancora non hai imparato ad allacciartela?”
“In sei anni tu non hai ancora capito come non far esplodere un calderone, quindi direi che siamo ragionevolmente pari. Almeno io saprò distillare pozioni.”
“Con la cravatta storta…” disse dolcemente Michel, sistemandogliela con due semplici colpi di dita. “Sei delizioso.”
“Grazie.” Disse distrattamente. “Ma non si sveglia?”

Quella mattina, con grande stupore dei tre, le tende del letto di Thomas erano state ritrovate tirate. Dopo una breve consultazione, Albus aveva constatato la presenza del convalescente, ora dormiente.
Ma la cosa più assurda è che sta ancora dormendo… di solito a quest’ora sta già guardando la pendola con aria spazientita.
“Ho provato a urlare che la biblioteca stava bruciando ma non ha dato segno di vita.” Fece spallucce Loki. “Secondo me è grave.”

Al gli tirò una spinta leggera. “Due giorni fa aveva metà delle ossa come biscotti sbriciolati. E’ chiaro che non può scoppiare di vitalità adesso.”
Aprì le tende e gli posò una mano sulla spalla, chinandosi per scuoterlo. “Tom, ehy, Terra chiama Tom. Avanti, svegliati!”
Una lieve smorfia.
“Chiamo un prete?”

“Un’esorcista, magari…” disse serissimo Michel, in vena di lepidezze.
“Falla finita Mike!” sbottò Al, voltandosi. Peccato che nel passaggio non avesse calcolato le scarpe di Tom, abbandonate accanto al letto. Ci inciampò, perdendo l’equilibrio. E si ritrovò addosso al cugino.

Sopra al cugino.
Con orrore si accorse di avere la faccia a pochi millimetri dalla sua. E che Thomas, in quel trambusto, si era finalmente svegliato.
Ci fu un improvviso silenzio tombale. Imbarazzato. Zabini e Nott sembravano diventati una specie di fondale, inavvertibili.
Beh…
Non si era mai accorto di quanto fossero piene le labbra di Thomas. Come quelle di una ragazza. Anzi, meglio. Da così vicino riusciva anche a contargli le ciglia.
Eeehm…
Sentì la mano di Tom posarglisi sul fianco.
“Al…” mormorò.
“Io…”

“Mi stai schiacciando lo sterno. Non riesco a respirare.”
Al si tirò su, sentendosi il respiro corto e il cuore ad altezza carotide.
Non era tanto essergli franato addosso. Quello, stimò con un certo fastidio, accadeva anche troppo spesso per colpa della sua goffaggine.
E che si era ritrovato praticamente ad un passo dal…
Baciarlo.
Le loro labbra si sarebbero toccata involontariamente, certo.
Però avrebbe baciato un ragazzo. Il suo primo bacio, con un ragazzo. Con Tom.
Sì, sono il re delle seghe mentali, come Jam è il re dell’idiozia.
Bei sovrani, che siamo.
Si sentì incredibilmente nervoso e agitato, mentre il cugino si tirava a sedere, passandosi una mano trai capelli.
“Che ore sono?”
“Ora di svegliarsi, principino addormentato…” cinguettò Nott, venendogli in soccorso, mentre Michel sembrava indeciso se mettersi a ridere o scattar loro una fotografia. Era del tutto ininfluente non avesse una macchina fotografica con sé.

Era un momento succoso.
Al tutto arruffato, con quelle deliziose labbra tumide, e Tom, appena svegliato e con quell’aria da adolescente arrogante e insonnolito… meravigliosi, meravigliosi!
Li guardò benevolmente, come un padre orgoglioso.
“So… sono le sette e mezzo.” Balbettò miserevolmente. “Ti aspettiamo?”
“No, non vorrei farvi perdere la colazione.”
“Oh, noi andiamo, infatti. Siamo in deprecabile ritardo, vero Loki?”
“Totalmente!”

“Ma veramente…” tentò Al.
“A dopo!” trillò Michel, prima di chiudersi dietro la porta e lasciarli soli.
Tom lo guardò accigliato. “Cosa diavolo gli è preso?”
“Non ne ho idea, davvero.” Mugugnò sedendosi sul suo baule chiuso. Fu incredibilmente sollevato dal costatare che l’amico non aveva capito assolutamente nulla di quell’imbarazzante teatrino. Si sentiva anche un po’ preso per il culo però.
Ti sono franato addosso e stavo per … Salazar. Come hai fatto a non accorgerti di niente?
Sentì di nuovo le guance scottare. Era così ragazzina
Devo trovarmi una ragazza, prima che prendano per ragazza me.
Già siamo a buon punto...
Thomas intanto si era alzato, liberandosi con uno strattone stizzito dalle coperte.  
“Com’è che sei qui? Non dovresti essere in infermeria?” chiese Albus, tanto per. L’altro lo guardò male, e senza degnarlo di una parola entrò in bagno, sbattendosi dietro la porta.
Ahi. Oggi si è svegliato con la luna di traverso.
Sospirò, avvicinandosi allo specchio fissato accanto alla porta per cercare di aver ragione dei propri capelli. Sapeva che erano una causa persa, ma era tanto per tenere le mani occupate.
Speriamo gli passi…
Si voltò, incerto se bussare alla porta del bagno o meno, quando qualcosa attirò la sua attenzione. Tra le coperte del letto di Thomas c’era qualcosa che brillava. Si avvicinò, incuriosito, e scostò il cuscino. Tra le lenzuola c’era un medaglione, dalla forma tonda, come quella di un vecchio orologio a cipolla.
Lo prese in mano, confuso. Non ricordava che Tom avesse un oggetto del genere.
Perlomeno non gliel’ho mai visto addosso…
Era piuttosto vecchio e sporco, e il cordoncino era sfilacciato in più punti. Doveva essere stato un bell’oggetto.
Un milione di anni fa, o qualcosa del genere…
“Che stai facendo?”
La voce di Tom lo sorprese, facendolo sussultare. Si voltò, tenendo stretto il medaglione in mano. L’amico aveva l’aria seccata, e il tono di voce era stato freddo e scortese.

Di cattivo umore davvero…
“Niente, stavo solo guardando… È tuo?”
“Se l’hai trovato nel mio letto...” Replicò. “Ridammelo, avanti.”
“Va bene, va bene…” sbuffò porgendoglielo. L’altro se lo riprese, infilandolo nella tasca dell’uniforme. “Non te l’ho mai visto… È nuovo? Cioè, nuovo…”
“E’ un regalo.” Scrollò le spalle. “L’ho trovato sul comodino dell’infermeria.” Mentì.
Al si ficcò le mani in tasca, mordicchiandosi un labbro.

“E’ piuttosto brutto. Ma che roba è esattamente?”
“Un medaglione.” Si infilò il mantello, intascando anche la bacchetta. “Di quelli vuoti all’interno… anche se non sono ancora riuscito ad aprirlo, quindi non so se dentro ci sia qualcosa o meno.”
Ci aveva speso quasi un’ora buona, la sera prima, alla luce della bacchetta e con le tende del letto tirate, mentre tutti dormivano. Alla fine il sonno l’aveva vinto, ed era crollato.

“È un regalo strano. Sicuro che non sia affatturato?”
“Se lo fosse perché renderlo così ostico ad aprirsi?”
“… Sì, beh. Hai ragione.” Convenne. “Sai chi te lo ha regalato?”
“Non ne ho idea. Non c’era nessun biglietto.” Gli credeva. Tom si sentì quasi in colpa, vedendo la tranquillità con cui Al aveva sposato la sua bugia. “Dai, andiamo a fare colazione…”

“Te l’avrà regalato una ragazza?” se ne uscì sulla soglia della camera. Tom lo guardò sorpreso.
“Può essere…” Disse lentamente, non sapendo bene cosa aspettarsi. Infatti Al sembrò stranamente irritato dalla risposta.

“E’ un regalo idiota.” Sentenziò, sorpassandolo e lasciandogli l’onere di chiudere la porta della camera.
Un medaglione, che idiozia! Che razza di regalo è, da fare ad un convalescente?
Un regalo personale… - gli disse una vocina interiore, che aveva stranamente voce e corpo di Zabini. – Un regalo personale che Tom non voleva che vedessi, da come ha reagito… - continuò, malefica.
Era inutile girarci attorno: la cosa lo stava infastidendo enormemente.
Quel coso, per quanto orrendo, deve valere un sacco di soldi… Chi gliel’ha regalato?
Si arruffò i capelli, quasi per scacciare quel tarlo dalla testa. Sentiva che l’amico gli camminava dietro, ma accelerò per non farsi raggiungere.
 
 
****
 
Aula di Trasfigurazione
Quasi ora di pranzo.
 
Rose si sentì toccare la spalla, seduta su uno degli scomodi banchi dell’aula di Trasfigurazione, lezione che i Grifondoro condividevano coi Serpeverde.
“Malfoy non ho intenzione…” Cominciò seccata, prima di accorgersi che Scorpius era due file avanti a lei.
“Ehm, veramente sono Al.” Sorrise il cugino divertito. “Posso o disturbo?”
“Al, ma falla finita! Siediti.” Sbuffò facendogli posto. Era un rito che perpetravano con piacere, quello di sedersi accanto, nonostante l’aula fosse stata divisa per secoli a metà tra Serpeverde e Grifondoro.  

Al si sedette, mascherando uno sbadiglio.
“Dormito poco?”
“E quando mai si dorme tanto qui ad Hogwarts?” Mugugnò di rimando, nascondendo la testa sotto le braccia. Rose ridacchiò, arruffandogli i capelli già piuttosto ribelli. Esserseli tagliati corti non aveva affatto aiutato a renderli domabili.

“Sei tu che dormi troppo. Thomas?”
Al stranamente non rispose. O meglio, non subito.

“Con Mike, come al solito…” indicò, al lato opposto dell’aula, la prima fila di banchi dove i due facevano mostra di sé.
“Sì, vedo. Mi sembra stia bene.”
“Scoppia di salute e malumore.” Borbottò, alzando appena il viso, e appoggiando il mento sulle braccia. “Senti Rosie.” Iniziò, abbassando il tono di voce fino a renderlo quasi un sussurro. “Ma se ti avvicini ad una persona e non lo baci, ma quasi… è un bacio?”

Rose inarcò le sopracciglia.
Che diavolo…?
“Dico, se inciampi su una persona e quasi la baci… per sbaglio. È classificabile come bacio?”
“No, non credo…” Considerò perplessa. “Perché, chi hai quasi baciato?”
“Nessuno.” Si affrettò a dire, sedendosi dritto sulla sedia, e guardando in punto indefinito dell’aula. “Proprio nessuno.”
Nessuna, Al. Se ti riferisci ad una ragazza…” lo aiutò pietosa.

Silenzio.
“… Scusa Al, ma cosa fate nei dormitori voi Serpeverde?” 
“È stato un caso!” sibilò, guardandola male.
“Al, perdonami, ma non ci sto capendo…”
“Shh!”
Mi sembra vagamente isterico.

Si guardarono. Al alla fine sospirò.
“Sono caduto addosso a Tom.”
“… Senza offesa, ma non è la prima volta che gli cadi addosso.”
“Non dipingermi più goffo di quel che sono!”
“No, infatti. Non lo sto facendo.” Sorrise divertita. “Al, va tutto bene… se gli sei crollato addosso è normale che la tua faccia possa essere, come dire, finita in collisione con la sua. Tutt’al più è un po’… imbarazzante.”
“È stato molto imbarazzante.” Mormorò, mordicchiando la punta della sua piuma. “Se non altro Tom dormiva e non se n’è accorto… Lui.”
“Beh, meglio così.”
Chissà quanto l’avranno preso in giro Zabini e Nott… povero Al.

“Questo è perché non ho mai avuto una ragazza.” Disse convinto. La guardò. “Se avessi una ragazza non sarebbe stato così imbarazzante, no?”
“Al, ma vuoi una ragazza?” Chiese di rimando: non era il momento per fare discorsi di quel genere, a pochi minuti dall’inizio della lezione, con un nuovo professore in arrivo. Però capiva che il cugino stava per fare un passo. Verso qualcosa.

Certo poteva farlo in un tempo meno risicato.
Al si morse un labbro. “Non lo so. Cioè, credo di sì. Dovrei volerla?”
“Al, non è che devi. Non te lo prescrive mica Madama Chips.” sospirò paziente. Gli mise una mano sulla sua. “Tu la vuoi?”
“… Non saprei cosa farci.” Sussurrò sconvolto. A Rose venne da ridere, se non fosse che probabilmente Albus era davvero traumatizzato dal realizzarlo.

“Beh, sai, di solito… con una ragazza ci si bacia, la si tiene per mano, si va insieme ad Hogsmeade… Cose di questo genere.”
… Che diavolo ne so, io? Per sentito dire. Non è che sia messa tanto meglio.

Beh. Almeno io so con chi vorrei stare.
Intendo dire… con dei ragazzi. Maschi. Non qualcuno in particolare.  
“Dici che è normale non voler fare queste cose?” mormorò a bassa voce.
Rose inspirò appena. “Non ne hai proprio voglia?”
“Ora che ci penso… cioè, ci ho sempre pensato…ma… No.”

“… Okay.”
“Sono normale Rosie?” uggiolò con gli occhi grandi come due colini da the.

Mica tanto. Ma se te lo dico ti lanci dalla finestra dell’aula, ho idea.
“Massì, non dire cretinate!” disse invece. “Ognuno ha i suoi tempi. A te piace di più giocare a Quidditch e stare con gli amici.” Scrollò le spalle. “Sono sicura che quando troverai la ragazza giusta ci penserai. Sicuramente.”
Mi sento tanto come te, quando mi rassicuri sul fatto che il bosco non pulluli di schifosissimi ragni…
Al la guardò meditabondo. “Quindi, quando mi piacerà qualcuna, ci penserò.”
“Sicuro!” annuì con entusiasmo forse esagerato.

“E a te piace qualcuno?” Le chiese a bruciapelo.
… Mi piace qualcuno?  
Fortunatamente il gong la salvò. Il gong in questione fu l’entrata del nuovo professore…
Rose inarcò le sopracciglia, e Al deglutì meraviglia.

Il nuovo professore era una professoressa. Bionda. Eccezionalmente bionda.
Statuaria, con lunghi capelli fluenti e lineamenti sani, da americana. Alta e prosperosa.
Rose sentì soffiare un ‘pin-up’ dalle ultime file.
Beh, è bella. E allora?
La donna sorrise alla classe. Era entrata dalla porta secondaria, da cui di solito Ziel passava a fatica, perché stretta ed angusta. Era scivolata fuori da quell’entrata, come se non avesse fatto altro per tutta la vita.
Rose, e buona parte dell’elemento muliebre della classe, la detestò immediatamente.
“Buongiorno a tutti!” Disse con squillante accento americano. A Rose sembrò lo stesso tono di voce di una televendita babbana che sua nonna materna guardava sempre all’ora di cena.
“Sono Ainsel Prynn e sarò la vostra nuova professoressa di Trasfigurazione.”
Il gesso cominciò a scrivere, in una grafia elegante, il nome alla lavagna.
Loki si sporse dal suo banco, picchiettando sulla schiena di Michel.
“Pace all’anima di Ziel, ma grazie America…” sogghignò, facendolo sbuffare divertito. “Ehi, Dursley, tu che ne pensi di Zio Sam?”
Tom non rispose, facendo sogghignare il ragazzo.
“Pensa bene, direi… guarda che faccia.”

Tom continuava ad ignorarlo. Fissava la donna, come stordito.
In realtà quello che provava, più che stupore e ormonale allegria, come il resto dei ragazzi, era… angoscia.
Era assurda, una sensazione del genere, specie addosso a lui. Specie se mischiata ad un’aspettativa di qualcosa non ben definito.
Perché mi sento così?
Michel gli tirò una gomitata. “Tom, smettila di fissarla così, siamo in prima fila. Sembri uno psicopatico, cheri…”
Che gli prende? È la prima volta che lo vedo guardare così tanto una donna…
Tom distolse lo sguardo, mentre la professoressa continuava l’appello.
Si accorse a malapena di aver risposto. Non si accorse invece che Al lo stava guardando, e che lo stava guardando male.
Michel lo notò. Sospirò.
Gelosia, ragazzo dagli occhi verdi…
“Albus Severus Potter?” Scandì la donna. Al, troppo preso a fissare trucemente l’amico, non si accorse subito di essere stato chiamato. Arrossì miseramente quando la professoressa ripeté il suo nome completo con annesso pizzicotto da parte di Rose.
“Ah, sì. Mi scusi. Presente.”
“Figlio del famoso Harry Potter?” In bocca a quella donna il nome di suo padre sembrava quello di un fumetto. Stupido accento yankee.

“Già.” Commentò asciutto. Vide con la coda dell'occhio che Rose inarcava le sopracciglia accanto a lui.
Che giornata schifosa…
La donna non sembrò preoccuparsi della sua risposta scortese, perché gli rivolse un sorriso e
terminò l’appello, prima di riporre la pergamena sul tavolo, con un sapiente colpo di bacchetta.
“Bene! Ora voi sapete il mio nome, io cercherò di imparare i vostri. Purtroppo sono qui per sostituire il povero professor Ziel, e di certo questo non è un piacere per me…” si aggirò attorno alla piattaforma della cattedra. Aveva movimenti energici, ma non privi di grazia. “Comunque cercherò di non apportare troppe modifiche al programma stilato dal professore, a meno che voi non lo vogliate, certo…”
Un mormorio serpeggiò trai banchi.

Rose boccheggiò, totalmente presa alla sprovvista: che significava? Potevano scegliere il programma?
La strega li guardò soddisfatta. “Certo, è quello che ho detto. Vedete ragazzi, i metodi di insegnamento americani sono diversi da quelli europei. Io ho insegnato per tre anni nella Accademia Magica di Salem… Qualcuno di voi la conosce?”
Un paio di ragazzi alzarono la mano, tra cui ovviamente Scorpius e Rose. In perfetto sincrono.

“Prego… Signor Malfoy?”
“Sì professoressa.” Confermò soddisfatto, sentendo un’ondata di odio investirlo dalle retrovie.

Ah-ah. Uno a zero per me, Rosey-Posey.
“L’Accademia Magica di Salem è stata fondata nel 1866, nei pressi di Salem, nel Massachussets. Conta ben diecimila inscritti l’anno, da tutta l’America Centrale. È indisegnabile, come Hogwarts, e gli unici a conoscerne l’ubicazione sono il corpo docente e il Preside. L’insegnamento è focalizzato sopratutto su Trasfigurazione e Difesa dalle Arti Oscure.” Recitò compito.
“Molto bene Signor Malfoy, dieci punti per Grifondoro.” Sorrise la professoressa. Scorpius si voltò per strizzare l’occhio a Rose, beccandosi un’occhiata mortifera. “Ma questo, immagino, vi dica molto poco sull’affermazione che ho fatto prima…”
Con un gesto della bacchetta scrisse la parola ‘Trasfigurazione’ nell’aria, in lettere dorate.
Trasfigurazione.” Scandì lentamente. La classe era nel più completo silenzio. Non volava una mosca. Rose si guardò attorno.
Bisogna ammettere che sa come affascinare un uditorio…

“Trasfigurazione…” ripeté “Qualcuno sa darmi la definizione esatta del termine? Attenzione, definizione del lemma, non una descrizione del contenuto della materia.” Analizzò la classe, fino a fermarsi su Tom. “Signor Dursley, vuole fare un tentativo?”
Il ragazzo la guardò.
Più la guardava, più quella sensazione di angoscia permaneva.
Si decise a rispondere, per non fare la figura dell’idiota. Già sentiva Nott ghignargli alle spalle.
“Trasfigurazione, nel senso proprio del termine, significa mutare una cosa in un’altra.” Cominciò, cercando di usare il solito tono annoiato. “Nel mondo babbano il termine viene usato in ambito cristiano, per indicare, ad esempio la tramutazione dell’acqua in vino, in un passo della Bibbia. Nel mondo magico ci atteniamo invece al senso stretto del termine, adoperando come mezzo, appunto, la magia.”
La donna fece un mezzo sorriso. “Spiegazione esauriente Dursley, molto bene. Dieci punti anche per Serpeverde.” Cancellò con un colpo di bacchetta la scritta. “Ed ora… sapete dirmi come avviene esattamente il processo?”
Gli studenti si guardarono tra di loro perplessi. Rose alzò la mano, prontamente.

“Sì…?” sorrise. “Mi perdoni cara, ma non ricordo il suo nome.”
“Weasley, Rose.” Scandì con decisione. “Con la magia. Attraverso un incantesimo. Per fare un esempio, il feraverto. Tramutare un oggetto in un animale.”

“Sì, sì. Naturalmente, con un incantesimo!” Sorrise smagliante. “Ma il principio … diciamo così, meccanico, per cui potete tramutare una tazzina…” ne fece levitare una dal mucchio impilato accanto alla cattedra. Gli diede un colpo con la bacchetta e un uccellino dal piumaggio iridescente si librò in volo. “… in un grazioso colibrì. Qualcuno sa dirmelo?”
Rose richiuse la bocca, presa in contropiede.
Che diavolo di domanda è? Con un incantesimo. Con la magia, attraverso la bacchetta!
Ainsel Prynn abbracciò con uno sguardo la classe. Sembrava esattamente aspettarsi quella reazione di confusione e spaesamento. E sembrava divertirsi un mondo.
“Il principio dello scambio equivalente. Qualcuno di voi lo conosce?”
Tom corrugò le sopracciglia. Cercò di ripescare nella memoria un termine del genere, ma non gli sovvenne nulla. Guardò il compagno di banco, ma Michel aveva la stessa espressione confusa.

“Mai sentito…” borbottò Rose, corrucciata. Al sospirò.
Se non l’abbiamo mai sentito dire da Ziel ho come la vaga impressione che sia una teoria americana, più che un principio collaudato.

Ma non disse nulla: non era il tipo di persona che si esponeva davanti a tutta quella gente.
“Non preoccupatevi, mi aspettavo questa reazione.” Ridacchiò. “Come vi ho detto, i metodi di insegnamento americani sono ben diversi da quelli europei, e soprattutto, inglesi. Incredibile, non è vero? Parliamo la stessa lingua, eppure ciò che ci insegnano è spesso profondamente diverso…” Si appoggiò alla cattedra con le mani.
“Naturalmente non sono qui per farvi una lezione di storia della magia. Mi limiterò a spiegarvi questo principio… A Salem lo spieghiamo il primo giorno di lezione… qui diciamo si tratterà di un’integrazione a quello che già sapete.”
Non mi piace, non mi piace per niente. Non vorrà confonderci le idee coi suoi metodi americani… - pensò Rose, ma aprì il quaderno e inforcò la piuma.

Non ci poteva fare niente, era quasi un tic.
“In natura, come ben sapete, e lo sanno anche i babbani, nulla si crea e nulla si distrugge. Tutto si trasforma.”
Tom aggrottò le sopracciglia: conosceva quell’aforisma. Era babbano, e teorizzava un principio della fisica moderna.
Una strega che parla di fisica babbana?
“Il principio dello scambio equivalente è sostanzialmente questo: se volete un grazioso colibrì da mostrare agli amici, dovrete rinunciare a prendere il the!” la classe rise, e persino Rose stirò un sorrisetto.
“In parole povere, ragazzi, se volete qualcosa, dovete essere disposti a sacrificare qualcos’altro. Facciamo un esempio. Pozioni. Avete degli ingredienti. Se li mescolate, se li trattate, avrete una pozione. Ma non potrete mai avere entrambi contemporaneamente, come non potrete avere più indietro gli ingrediente originari… È una trasformazione. Questa materia rende il fenomeno solo più palese, plateale… tangibile.”
La classe era in completo silenzio. Rose stava trascrivendo furiosamente tutto, e con lei, molti altri. Al inspirò appena.
Che discorso strano… non sembra certo parlare di Trasfigurazione…
Un discorso del genere si sposava soltanto con una materia. L’alchimia.
E non è mai stata insegnata ad una scuola superiore di magia… 
Ainsel Prynn si ergeva dritta davanti alla classe, soddisfatta. Sembrava che la confusione degli studenti desse più vigore alle sue parole.
“Quello che faremo nel breve periodo di tempo che passeremo assieme sarà scoprire come funziona quest’affascinante materia, dall’interno. E naturalmente, spero sarò in grado di farvi trasfigurare come si deve qualcosa di più complesso di queste tazzine!”
 
“È in gamba, eh?”
Sogghignò Loki, mentre con Michel, Tom e Albus si recava a pranzo. Michel lo ascoltava pazientemente, mentre gli altri due, a due metri di distanza l’uno dall’altro, erano sprofondati nei propri pensieri.

“In gamba, e pure uno schianto!” Continuò ispirato. “Avete visto che capelli, e che sorriso e che… occhi?” Tom alzò appena la testa. “L’hai notato anche tu, eh, mio buon Dursley? Gli occhi…” disse insinuante. Chiaramente non si parlava di globi oculari.
“Ho notato che aveva gli occhi blu, sì.” Travisò distrattamente, facendolo sbuffare esasperato.
“Io intendevo qualcosa che va sempre a paio, Signor Dursley…”
“Io no. Ho solo notato che è una bella donna. Dato oggettivo.” Lo seccò irritato.
Al non aveva ancora aperto bocca.
“E tu che ne pensi Albie?” chiese Nott, per rendere partecipe il compagno.

“È Al.” Lo fulminò, affatto grato. “E comunque cosa vuoi che pensi? L’abbiamo avuta per un’ora scarsa, perché è pure arrivata in ritardo. E poi quel discorso non aveva il minimo senso. È tipicamente americano impressionare con un bel po’ di frasi roboanti.”
Loki lo guardò perplesso. “Sì, ma io intendevo il fatto che abbia delle gran-…”
“Per me è troppo bionda. Non mi piacciono bionde.” Infilò la gigantesca porta della Sala Grande, senza dare a nessuno la possibilità di ribattere.

“Io intendevo il seno.” sbottò Nott esasperato. “Il seno, per Salazar!” Guardò la direzione presa da Albus. “Comunque… Che gli è preso?” 
Thomas a quel punto si sentì piuttosto osservato “Come, prego?” chiese infastidito.
“Sei stato l’ultimo a rimanere da solo in sua compagnia.” Sentenziò gravemente Loki. Ma gli occhi bicolori gli brillavano di divertimento. “Confessa.”
“Che hai fatto al nostro piccolo raggio di sole?” incalzò Michel.
“… Assolutamente niente. È strano da stamattina. Non ho il monopolio dei suoi malumori, comunque.” Borbottò.

Non era stupido: si era accorto che Al era nervoso. A colazione non gli aveva neanche rivolto la parola.
Ma vogliamo parlare della mia sveglia di stamattina?
Si era quasi preso un colpo quando si era trovato il cugino a due millimetri dal viso.
Era stato un contatto non richiesto, intimo…
Troppo intimo. Sentirsi invadere in quel modo gli spazi vitali lo aveva inevitabilmente portato ad irritarsi, e…
Se chiudeva gli occhi se lo rivedeva di nuovo addosso. Sentiva il peso sulle sue ossa, il calore della pelle contro la sua mano e l’odore di inchiostro e cioccolato.
Il profumo di Al.
E questo non andava bene. Per niente.
E poi dovrebbe essere lui quello di malumore…
 
 
****
 
Aula di Trasfigurazione.
 
“Arrivederci professoressa Prynn!”
“Arrivederci!”
La donna fece un sorriso all’ultimo studente che usciva dall’aula, non dopo averle lanciato un’occhiata di adorante apprezzamento.

Era divertente. Davvero, tutto quello era molto divertente.
Si sedette comodamente sulla cattedra, osservando l’aula nel suo complesso.
Questi inglesi… hanno un gusto cupo che proprio…
Estrasse uno specchietto d’argento dalla tasca del mantello e lo aprì.
Mmh… non si fanno attendere.
Un messaggio subito vi si formò, con una grafia sfilacciata e brumosa.
‘L’hai trovato?’
Ainsel Prynn ridacchiò. Era esilarante che dubitassero proprio di lei, con la armi che aveva in possesso.
‘Naturalmente. È proprio grazioso. Il piano, comunque, va avanti.’
 
 
****
 
Note:
 
Principio dello scambio equivalente: il trademark, come molti di voi avranno capito, è FullMetal Alchemist. Il termine è stato preso da lì, come la definizione. Per il resto, FullMetal parla di una cosa, la mia storia di un’altra. Diciamo che abbiamo le stesse fonti a cui attingere. :P
1 – Non so se avevo già dato un famiglio ad Al, ma quando ho riletto l’epilogo ho notato che Albus (per quel poco che si capisce) ha un gufo, come il fratello, avendo ‘due gabbie con grossi gufi nel carrello’. Anacleto perché… beh. Al ha comunque avuto contatti con la tv babbana. La spada nella roccia e il gufo Anacleto vi dicono niente? XD
2-Accademia Magica di Salem: nel Potterverse è citata la presenza di una comunità di streghe e maghi a Salem, precisamente nel quarto libro. Ho pensato che fosse impossibile che in America non ci fosse una scuola di magia. Salem è, per tradizione, un luogo magico. Ho fatto due più due. Le informazioni date da Scorpius sono tutte di mia invenzione.

3- Principio enunciato dal chimico Antoine Lavoisier. È anche il tema centrale della speculazione alchimistica. ;)  

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Capitolo 16
*** Capitolo XII ***


Lo scorso capitolo non ha riscosso molte attenzioni, ho notato. Eppure pensavo che con la scena tra Al e Tom… vabbeh, capitolo sportivo questo. E torna in gioco una nostra vecchia conoscenza. Il tipo occhialuto che ha dato nome al libro vi dice niente?
Godetevelo. E lasciatemi qualche recensioncina, via! T_T

@HelSelbstmord: I porcupine Tree? Ma io li adoro! Metterei più canzoni, ma è quel progressive che mal si sposa con le atmosfere alla HP XD. Trains però è meravigliosa. La ascolterei in continuazione (e in effetti, uhm, lo faccio). Pausa musicale a parte, contenta di averti soddisfatto con questo capitolo. Ho sempre adorato l’alchimia, che è un mondo allegorico talmente complesso che ovviamente ho capito (male) solo la superficie. Ah, per Ainsel è normale stia antipatica, lo deve fare. ;)
@Trixina: Come ti ho già scritto nella mail che ti ho mandato (arrivata?) mi dispiace davvero TANTO di aver saltato la tua risposta. Ero super sicura di averti risposto, e invece… per rispondere alla tua domanda Fred e Roxanne non sono gemelli, ma Fred è il fratello maggiore di Roxie. Informazione presa da HP Wiki, quindi penso sia abbastanza affidabile. Ovviamente i pareri discordano, e la Row non ci ha date molte informazioni. Oh, sì, Anacleto è precisamente petulante come quello del cartone animato! XD Per la faccenda capelli-Teddy ti ho risposto sull’email, pardon, questioni di segretezza. XD
@Nyappy: FullMetal Alchemist ha più o meno impestato l’adolescenza di tutto EFP ho idea XD. Beh, gran bel cartone, no? Grazie per la recensione!
@Pietro90: E’ davvero un piacere sapere che nonostante non ti piaccia continui a leggermi. Significa che ho proprio colpito nel mio intento. Cioè di non fare soltanto una storia slash. Yuppy! Il discorso ‘chimico’ sulla trasfigurazione è una cosa a cui avevo pensato spesso, quindi grazie per avermelo notato! A presto!
@Altovoltaggio: Figurati, dovere. Come ho detto non è una storia soltanto slash. Anche, ma non è un fattore preponderante e che va a scapito della trama. E poi, abbiamo sempre Scorpius e Rosie a riequilibrare, no? Grazie per seguirmi!

****

Capitolo XII






I don't blame you for being you

But you can't blame me for hating it
So say, what are you waiting for?
Kiss her, kiss her
I set my clocks early 'cause I know I'm always late
(A Little Less Sixteen Candles [A Little More Touch Me], Fall Out Boy)



5 Settembre 2022
Primo pomeriggio, Campo di Quidditch.


Il campo di Quidditch ospitava la selezione annuale dei membri di ben due squadre quel giorno. Un caso più unico che raro, dovuto alla richiesta da parte dell’ufficio Auror di non ‘dilazionare in più giorni’ una riunione potenzialmente dispersiva di studenti in un unico posto.
Una piccola squadra di auror percorreva il perimetro del campo, lanciando sguardi ai ragazzi che si libravano in aria sulle proprie scope.
Ciascuna squadra aveva preso una mezzaluna del campo, e cercavano, con fatica, di darsi meno fastidio possibile.
Michel lanciò uno sguardo tagliente a Scorpius, dopo aver schivato un bolide che casualmente uno dei gemelli Scamandro aveva spedito dalla parte Serpeverde.

“Vogliamo finirla?!”
Scorpius si strinse nelle spalle. “Non l’abbiamo certo fatto apposta. Lorcan, ehy! Vacci piano!”
“Sono Lysander!” urlò quello, già lontano.

Michel inspirò pesantemente. Poi lanciò uno sguardo verso la metà Grifondoro.
“Sta andando male come sembra, Sy?” chiese usando il vecchio nomignolo d’infanzia. L’unico proponibile per un nome improponibile.

“Ce la stiamo cavando, a differenza vostra, Mike.” Ribatté beffardo, indicando con un cenno della testa un aspirante portiere verde-argento, aggrappato all’anello.
Michel arrischiò un’occhiata, poi sospirò.

“Coraggio Capitaine… non sta andando così male.” Sghignazzò Scorpius, prima di volare via.
Michel emise una smorfia stizzita.
E ora dove diavolo è Al?!
Al stava volteggiando per il campo, beandosi del momentaneo far niente dato che il suo posto era stato riconfermato neanche mezz’ora prima.
“Potter! Scendi giù!” sbottò.
Non possiamo farci soffiare la Coppa anche quest’anno! È inammissibile!
Al gli planò affianco, perplesso. “Che succede?”
“Che succede mi chiedi?” lo guardò, ma poi gli arruffò i capelli con un sospiro. Aveva un’aria così confusa e adorabile che non poteva non capitolare. Era un fine esteta anche su una scopa, dopotutto.

“Nulla. Capitan Malfoy sta dando fondo a tutta la sua ironia. Queste selezioni condivise sono uno stillicidio.”
Al annuì: capiva la sua frustrazione. James era già passato cinque o sei volte nella sua traiettoria, rischiando di fargli perdere l’assetto di volo, giusto… così.

Tanto per. Idiota.
Scorpius, certo, l’aveva rimproverato, ma senza troppa convinzione.
La rivalità agonistica, è rivalità agonistica anche quando non siamo in partita…
“Pensala così…” Cerco di consolarlo. “Dopo l’aggressione di Tom erano a rischio anche le selezioni. È stata una fortuna che Madama Bumb si sia impuntata tanto.”
Michel roteò gli occhi al cielo. “Certo, perché ora quei cosi volano anche?”
Al fece spallucce. “Non ne ho idea. Ma sai come sono al Ministero. Bisogna salvaguardare le nostre giovani promesse per il futuro…” borbottò imitando Kingsley, facendolo ridacchiare.

“Vedo che adesso sei di buon’umore. Mi fa piacere. Senti, sostituisci Daniels alla pluffa. Se continua a terrorizzare quelle mammolette finirà che non avremo più nessuno da esaminare…”
Al abbozzò un saluto militare. “Aye aye mon capitaine!”
Mentre si sostituiva a Daniels, un corpulento ragazzo del settimo, sbuffò.
Non che si sentisse meglio. A dirla tutta, affatto.

Era ancora irritato con Thomas, si sentiva ancora a disagio per l’episodio della mattina.
Ma quando volava non c’era niente da fare… accantonava il problema. ‘Lo lasciava a terra ’, come amava dire suo padre.
C’erano ben poche cose che ad Albus piacessero come volare.
E nessuna che lo facesse sentire così bene.
“Ehy, sei pronto?” chiese al ragazzo mingherlino. Gli sorrise. “Non la tirerò tanto…”
Potter! Smettila di fare conversazione e tiragli quella dannata pluffa prima che cada dalla scopa!” Sbottò Zabini sfrecciandogli accanto. Al sospirò: a volte dimenticava che la gentilezza d’animo non era qualità riconosciuta nella sua Casa.
Guardò verso la squadra avversaria. Il fratello intercettò l’occhiata e gli mostrò la lingua, improvvisando un’acrobazia sulla scopa. Albus gli mostrò il medio, voltandosi poi verso lo spaurito aspirante.
“Allora, continuiamo?”
Odio i Grifondoro…


Scorpius intanto supervisionava le loro selezioni, che, con sua somma soddisfazione, si stavano svolgendo in modo soddisfacente per tutti i ruoli.
Certo, c’è ancora da trovare un cercatore… e se possibile che possa competere con Mini-Potter.
Lanciò un’occhiata agli spalti e ci trovò esattamente chi si aspettava di trovarci. Sfoderò un sorriso deliziato, volando fino all’altezza della quarta fila, dove Rose, imbacuccata in una giacca di jeans, guardava giù con aria preoccupata.
“Ehilà, Weasley!” esclamò allegro. Rose gli scoccò un’occhiataccia.
“Va’ ad inseguire boccini, Malfoy.” Replicò, fingendo ostentatamente di non calcolarlo.
Scorpius rise. “Come siamo poco informate! Io gioco come portiere, non sono il cercatore. Tuo fratello invece a quanto pare aspira al ruolo…”

Indicò con un cenno della testa Hugo, che, a terra, stringeva spasmodicamente il suo manico di scopa, vestito della pettorina rossa della squadra.
Rose gli lanciò un’occhiata valutativa. “Sì, è vero.”

“Sembra un po’ nervosetto…”
“È bravo.” Borbottò. “È solo un tipo ansioso, tutto qui. E James non migliora le cose.”

Cretino. Come si fa a dire ‘non preoccuparti, anche cadrai da dieci metri d’altezza la prova non verrà invalidata’? Cioè, è da dementi.
Scorpius sorrise. “Non è un tipo molto incoraggiante, vero?”
“Già…” fece una smorfia. Non gli piaceva parlar male del cugino, benché fosse un deficiente conclamato. Solidarietà Potter-Weasley.

Anche se a volte vorrei proprio evitarmela…
“Comunque cercavo proprio te.” Cambiò discorso Scorpius.
“Che gioia.” Commentò atona. Gli lanciò però un’occhiata incuriosita. “Per quale motivo?”
“Ti ricordi della luce verde che abbiamo visto la sera del nostro arrivo?”
Rose batté le palpebre: certo che se la ricordava. Aveva fatto anche delle ricerche in merito, in biblioteca, senza trovare nulla. Era solo giunta alla conclusione che non era una stella cometa.

Ma non pensavo che lui se ne ricordasse…
Annuì, troppo stupita per trovare una battuta adeguata.
“Beh, in questi giorni ammetto che mi sia un po’ passata di mente. Sai, il lucertolone, Dursley mezzo morto… auror in giro per la scuola… Cose così.” Si appoggiò con tutto il peso al manico, facendolo inclinare per avvicinarlesi. “Però oggi mi è venuta un’idea.”
Rose finse di non notare come fosse attraente, con i capelli scompigliati dal vento e l’aria provata dallo sforzo di capitaneggiare un branco di Grifondoro esuberanti.
Gli sta bene l’uniforme d’allenamento…
Argh!
Si schiarì la voce. “… Sarebbe?”
“Andiamoci. Andiamo a controllare dove abbiamo visto sparire quella luce.” Disse semplicemente.
“Dove? Nella Foresta Proibita?” Inarcò le sopracciglia. “Ti ha dato di volta il cervello, Malfoy? Ci sono barriere protettive ovunque… Non possiamo neanche avvicinarci alla Foresta, figurati spingerci fin dove…”
“Ma non ci andremo a piedi.” Batté la mano sul manico Nimbus 3000. “Ci andremo via scopa.”

Rose rimase in attonito silenzio per qualche attimo.
“No. Tu sei veramente fuori di testa. Credevo fossi matto, ma non fino a questo punto!”
Scorpius assunse un’aria offesa. “Mi ferisci così, biscottino! La mia idea è fantastica, priva di complicazioni! Prendiamo le scope, e sorvoliamo la Foresta. Le barriere non sono in aria. Quella… cosa… deve essere atterrata da qualche parte. Quindi ci sarà un cratere, e dall’alto potremo vederlo. ”
“Non è un asteroide!”
“Sì, ma è atterrato. L’abbiamo visto. ” Continuò testardo. “Io, comunque, ci vado.”

“Non puoi! È proibito. E poi sei un prefetto, Santo Godric!”
“Appunto. Lo sei anche tu.” Sogghignò mentre gli occhi gli brillavano di una preoccupante luce divertita. “Non puoi lasciarmi andare da solo. E non puoi neanche togliermi punti.”
“Posso sempre chiedere gentilmente a qualche professore di farlo…” lo minacciò.
“Andiamo, collega… non sei neanche un po’ curiosa? Eppure i tuoi facevano parte del trio più ficcanaso dell’intera storia di Hogwarts…”
Rose arrossì indignata, percependo con orrore che la sua convinzione si stava lentamente sgretolando sotto i colpi di quel sorriso. “E questo come lo sai?”
“Me l’ha detto mio padre. Ha aggiunto altro, ma per buona pace non commenterò.” Sogghignò. “Allora? Il tuo senso di trasgressione non sta pizzicando?”
Rose lo guardò esasperata. Non doveva, non doveva sorridergli, maledizione!
Si trovò senza accorgersene a piegare gli angoli delle labbra. In un sorriso.

“Ah! Stai sorridendo! Coraggio, Weasley!”
Merda.

“Okay.” Sibilò assottigliando gli occhi. “Verrò con te, ma… solo un breve volo. Una ricognizione. E se ci beccheranno darò tutta la colpa a te.”
“Sia mai. Un vero cavaliere si prende tutte le colpe.” Fece un pomposo mezzo inchino. “Ci vediamo dopo gli allenamenti, dietro la rimessa. Troverò un manico anche per te, signorina. Non ne hai uno personale, vero?”
“No, naturalmente.” Dissimulò tranquillità che non provava affatto. Se suo fratello era nervoso su una scopa, beh… lei era terrorizzata.

E ho molte più ragioni per esserlo. Dannazione! Perché mi faccio sempre trascinare!?
Ma Scorpius già le sorrideva entusiasta. “A dopo Rosey-Posey!” sghignazzò, prima di spronare la scopa e raggiungere i compagni di squadra.
Rose si risedette pesantemente sulle gradinate.
Merda.
Per un attimo pensò di scendere, invadere il campo, afferrare Scorpius per il mantello dell’uniforme da allenamento e urlargli contro che non aveva la minima intenzione di farsi trascinare nelle sue stronzate. E che il suo stupido sorriso non le faceva il minimo effetto.
Ma poi lo vide avvicinarsi ad Hugo e afferrarlo bonariamente per una spalla, chinandosi a parlargli fitto. Qualsiasi cosa gli disse, funzionò.
Vide il fratello riprendere colore, lanciare un’occhiata quasi grata (era pur sempre un Weasley) a Malfoy e salire sul suo manico, mentre James, perplesso, liberava il boccino.

Dieci minuti dopo tornò trionfante, stringendolo tra le dita della mano sinistra. La squadra applaudì entusiasta e James lo placcò immediatamente per arruffargli i capelli e complimentarsi in modo maschio.
… Ma che gli ha detto?
Rose guardò sbalordita Scorpius, che per tutta risposta si voltò e le strizzò l’occhio.
Merda. Non Malfoy, non Malfoy!
Invece era proprio Malfoy.
Aveva finalmente realizzato: le piaceva Scorpius Hyperion Malfoy.


****

Biblioteca, Hogwarts.
A pochi minuti dalla triste realizzazione di Rose.

Thomas apprezzava la biblioteca. Il termine era esatto, considerando che c’erano ben pochi posti in cui si sentisse veramente a suo agio. Sedeva, eccezionalmente con le maniche del maglioncino rimboccate, a studiare un grosso tomo dall’aria centenaria.

Il libro era ‘Cento ed uno stemmi nobiliari magici e inglesi’.
Aveva pensato che se il medaglione sembrava di buona fattura, probabilmente lo era. Nelle Indie si erano spostati un sacco di maghi, oltre che i babbani, per tentare la fortuna in un nuovo paese. Molti di loro erano purosangue, con risorse necessarie per rifarsi una nuova vita con tutti gli agi del caso.
Confrontando l’arabesco disegnato davanti al medaglione con le illustrazioni sperava di venirne a capo.
Non sapeva neanche lui, esattamente, perché volesse scoprire l’origine di quell’oggetto.
Curiosità, certo. L’aveva… preso… perché lo incuriosiva, soprattutto.
E perché sperava di trovare qualche indizio sul motivo per il cui il Naga se l’era presa con lui.
Non so se il medaglione c’entri qualcosa… ma era l’unica cosa stonata addosso a quel bestione.
Come se fosse stato un regalo. Non poteva essere suo.
Inoltre il potere magico di quell’oggetto era forte, vivido. Il medaglione, anche lasciato sopra il tavolo per ore, continuava a essere tiepido. Come se…
Come se fosse vivo.
Inspirò appena, guardandolo, posato accanto ad un paio di libri di studio che aveva portato per dissimulare la sua ricerca agli occhi di curiosi o cugini in arrivo.
Non che tema Al o Michel… sono al campo di Quidditch. E Nott sarà dietro a qualche sua strampalata compravendita…
A proposito di Nott…
C’era anche la faccenda della nuova professoressa. Aveva deciso di accantonare le sensazioni che gli aveva scatenato, ma ritornavano ad ondate.
La più forte era quella di tensione.
Non è solo questo...
Si sentiva inquieto, come se dovesse ricordarsi chi fosse per starne alla larga.
Già.
Eppure era ridicolo: non era mai stato in America, né tantomeno a Salem.
Inspirò, intimandosi di concentrarsi nuovamente sulle pagine che stava leggendo. Per ora, nessun risultato.
“Sapevo che ti avrei trovato qui, Thomas.”
Il ragazzo alzo la testa di scatto. Si trovò di fronte a occhiali fuori moda, capelli scompigliati e un sorriso divertito.
Harry Potter, il suo padrino.

“Ciao zio Harry…” Sorrise appena, alzandosi. Evitò di guardare il medaglione accanto a sé. Con un po’ di fortuna non l’avrebbe notato. Spostò con un leggero movimento il libro per occultarlo sotto di esso. “Come mai qui?”
L’uomo scrollò le spalle, guardandosi attorno. Non indossava l’uniforma da auror, ma semplicemente una giacca e un paio di jeans. Era sempre stato dannatamente informale.

Forse troppo. È a capo dell’ufficio auror dopotutto…
“Lavoro. Sono venuto a discutere con il Preside delle misure di sicurezza attorno alla Foresta Proibita.” Gli lanciò un’occhiata. “Come ti senti? Ti avevo chiesto di mandarmi un gufo, forse Al non te l’ha detto…”
“No, me l’ha detto. Sono io che me ne sono dimenticato. Mi dispiace. Le indagini stanno andando avanti?” Si informò, facendo cenno di sedersi davanti a lui.
Harry si sedette con uno sbuffo. “Più o meno. I miei ragazzi stanno battendo ogni palmo della Foresta… per il momento, non hanno trovato ancora nulla.” si tolse gli occhiali, pulendoli con il fazzoletto. Gli occhi, così simili a quelli di Albus, lo squadrarono attentamente.

Distolse lo sguardo, sentendosi a disagio.
“Teddy mi ha detto della tua scappatella con Jamie. Non pensavo avreste mai collaborato per qualcosa…”
Sorrise, e sembrò sinceramente divertito. Non negativo.

È probabilmente uno di quei rari adulti che si ricorda della propria turbolenta adolescenza…
“Mi serviva il suo Mantello. Anzi, il tuo.” Confessò candidamente “Sai che ce l’ha lui, vero?”
“Non sono uno stupido, Tom.” Ridacchiò. “Certo che lo so. E non sarei neanche troppo contrario se Ginny non ci perdesse il sonno, per le cavolate che combina…” Si rimise gli occhiali. “Hai trovato qualcosa di interessante?”
Tom per un momento fu quasi sicuro che sapesse del medaglione.

Impossibile.
Scosse la testa.
“Nulla. Volevo solo… vederlo. Dopotutto mi ha quasi ammazzato.” Confessò, a metà tra la verità e la bugia. “Ho approfittato del fatto che James volesse fare lo stesso. Comunque non ci siamo riusciti. Ma sono stato sufficientemente edotto del fatto che non avrei dovuto trascinare tuo figlio in quel guaio…” Concluse sardonico.
“Da Teddy.” sospirò Harry. “Non prenderla sul personale, ma Ted è sempre un po’ di parte quando si tratta di James…”
“Sì, l’ho notato.”

“È stato così parziale?” Tom fece una smorfia, suo malgrado.
“No, ha tolto ad entrambi la stessa quantità di punti. È stata solo un’impressione. Comunque non è importante.” Abbassò lo sguardo sul libro, per poi rialzarlo. “Sapete perché quel Naga è venuto qui?”
Perché stesse cercando me?
“L’ipotesi più sensata è che si sia semplicemente perso. È vero, siamo un po’ distanti da Edimburgo, ma quella specie è capace di percorrere molte miglia in breve tempo. Forse si è staccato dal gruppo, ed ha definitivamente perso l’orientamento…”
“E perché mi avrebbe aggredito? Ha inscenato una caccia, con me.” Obbiettò.
Harry tirò un sospiro, passandosi una mano trai capelli. Tom occhieggiò la cicatrice, ormai quasi invisibile.

L’unico uomo sopravvissuto alla maledizione senza perdono per due volte…
Chissà com’è stato trovarsi di fronte alla morte, per ben due volte… Chissà cosa si prova…
“Non lo so, Tom. Forse perché ha riconosciuto in te una preda. Sei un ragazzo sano, forte. Certo, anche Al lo è, ma…”
quegli esseri hanno una sorta di recettore che capta la forza magica di oggetti, persone.
Secondo le nostre fonti ne sono attratti come falene alla luce…
E la tua forza magica è stata, forse, quella luce. Se Al è una lampadina tu sei un fanale.
Quel pensiero gli era scivolato nella mente senza volerlo. Era tanto che non vi indugiava.
Quando per la prima volta l’avevano analizzato, da neonato, al San Mungo avevano confermato che sì, non aveva tracce di Magia Oscura in sé, ma la concentrazione di forza magica era superiore alla norma.
Era quella di un adulto…
Naturalmente non aveva avuto alcun modo di mostrarsi all’esterno. Il conduttore, il corpo di Tom, era ancora troppo acerbo per esprimere il suo ‘potenziale’ (il medimago l’aveva chiamato così) in modo completo.

“Le faccio un esempio, Signor Potter… È come una bottiglia dal collo molto stretto e il ventre pieno di sassolini. Quei sassolini sono più grandi dell’apertura e quindi non possono uscire.”

Sebbene…
Sebbene ci fossero stati degli episodi a fargli dubitare delle parole del medimago.
Quando era bambino, Harry aveva sempre avuto paura che Tom fosse spaventato dall’avvento dei suoi poteri.
Dopotutto era cresciuto trai babbani. E Dudley non era la persona migliore a cui chiedere spiegazioni, specie su quell’argomento.
Certo, l’aveva sempre visto fare magie, ma cose di poco conto. Dudley era tassativo su questo. Non aveva la minima intenzione di vedere ‘strani trucchi’ a casa sua.
Per un periodo era stato piuttosto preoccupato, ma poi, un giorno, aveva capito che Thomas non avrebbe mai avuto paura delle sue capacità.
Semplicemente, perché se le aspettava.

Tom se ne stava con i piedi dondolanti nel vuoto a guardare il lento, placido scorrere del Tamigi. Era comodamente seduto sul cornicione del tetto di una delle due torri, a svariati metri di altezza.
Si era voltato al sonoro
Crack! della materializzazione, che aveva imparato a conoscere come il segnale che era arrivato zio Harry.
“Tom! Eccoti qui birbante!” aveva sospirato l’uomo sollevato: non era stato affatto facile gestire l’ansia congiunta dei coniugi Dursley.
“Ciao zio.” l’aveva salutato perfettamente a suo agio. “È bello il fiume. Ci sono le chiatte.” Aveva indicato con il dito una barcone bianco che pigramente risaliva le acque.
Harry aveva sospirato, sedendosi accanto a lui.

Sperava solo che nessuno, da sotto, li notasse. Sarebbe stato un po’ difficile spiegare come ci erano arrivati.
“Va tutto bene Tom?” Gli aveva chiesto. Il bambino l’aveva squadrato con quella che sembrava proprio perplessità, sul volto tondo di un bimbetto di appena sei anni.

“Sì. Volevo vedere le chiatte. Papà aveva promesso che ci avrebbe portato, ma poi non l’ha fatto. Così ci sono andato da solo.” Aveva concluso, stringendosi nelle spalle.
“… intendi dire che volevi proprio venire qui?”
Harry aveva inarcato le sopracciglia: non aveva mai sentito di nessun bambino, specie di quell’età, che era riuscito a materializzarsi di sua spontanea volontà.

Ma Thomas, beh, era un caso particolare.
Tom aveva battuto le palpebre confuso. “Certo. Ci volevo andare e ci sono andato.” Aveva socchiuso gli occhi, squadrandolo di sottecchi. Aveva un modo singolare per studiare qualcuno.
Sembrava un gattino diffidente, aveva commentato una volta Robin, la moglie di Dudley.
“Ho fatto male?”
C’era ansia nel tono di voce. E questo, almeno, era perfettamente normale.
Harry gli aveva arruffato i capelli.
“No Tom. Ma hai fatto preoccupare i tuoi genitori, di questo te ne devi rendere conto… Non si fa.”
“È sbagliato?” chiese mordendosi un labbro.
“Sì, Tom. Lo è. Non lo devi rifare.”
Tom aveva emesso un piccolo sospiro. “Va bene.”

Harry gli aveva messo una mano sulla spalla. “Forza, andiamo.”
Scesi, dopo una materializzazione che aveva un po’ scombussolato il bambino (io sono stato più bravo a farla, zio) Harry l’aveva portato fino al vialetto di casa. Aveva sospirato. Doveva chiederglielo.

“Tom, non hai avuto paura?”
Tom ci aveva pensato. Aveva scosso la testa. “Tu lo fai sempre zio.
Volevo farlo anch’io. Sono stato bravo?” gli aveva chiesto con un sorrisino soddisfatto.
Harry aveva sorriso di rimando, non potendo fare nient’altro.
“Sì, Tom, davvero molto bravo.”

Comunque, venendo qui ad Hogwarts la situazione si è normalizzata… Non è più capace di materializzarsi da solo. E secondo il San Mungo i suoi parametri magici sono rientrati nella norma…
“Anche Al è un ragazzo in salute, ma ha scelto me…?” lo incalzò Tom. Harry batté le palpebre, riportando l’attenzione sul figlioccio.
“Perché sei più vistoso.” Concluse con un sorriso bonario. In fondo era una mezza verità.
Odiava dover mentire a Thomas, ma il particolare della sua forza magica altalenante era qualcosa di cui era meglio non metterlo a parte.
In ogni caso, saperlo o non saperlo non cambierebbe nulla per lui…
“Al non ha l’aria di una preda... diciamo gustosa. Alla sua età io ero come lui. In effetti, si chiedevano tutti come avessi fatto ad aver ragione di Voldemort.”
Tom fece una smorfia, annuendo e accettando la spiegazione.

Stronzate. Quella bestia voleva me. Se ci fossero stati Malfoy o James avrebbe comunque voluto il sottoscritto…
“Comunque stiamo indagando. Certo, se solo riuscissimo a ritrovare i compagni di quel Naga sarebbe tutto più semplice. Ma di loro si sono perse le tracce.”
“Credete che siano nascosti nella Foresta Proibita?”
Harry scosse la testa. “A dire la verità, no. Teniamo le barriere e una squadra solo per tener tranquilli i genitori. Procedura.” Scrollò le spalle. “Hagrid ha parlato con i centauri. Se ci fosse qualche nuova creatura nella Foresta, loro lo saprebbero. Ed hanno detto di non aver visto niente… a modo loro, certo, ma l’hanno detto.”
“Le stelle sono luminose stasera?” suggerì con un sogghignetto, facendolo ridere.
“Sì, qualcosa del genere… Beh!” si alzò. “Credo di essere in spaventoso ritardo con Vitious. Non vorrei proprio che mi tirasse le orecchie. Devo proprio andare.”
Tom si alzò di rimando. “Dirò ad Al che sei passato. Qualche consegna da lasciarmi?”
“Nessuna, digli solo di non farsi abbattere troppo dalle selezioni di quest’anno.” Ridacchiò.
Tom sbuffò: sapeva che il padrino cercava di non essere parziale con i due figli, ma era evidente la gioia con cui accoglieva la notizia delle vittorie rosso-oro.

“Cercherò di dirglielo in modo che non mi mozzi una mano…” Ironizzò.
Harry ridacchiò. “Mi raccomando Tom. Tieniti fuori dai guai, mmh?”
“Cercherò.” Ripeté.

Si salutarono, poi Harry lasciò la biblioteca, seguito da una scia di occhiate curiose.
Il Salvatore Del Mondo Magico…
Tom si risedette, alzando la copertina del libro. Il medaglione lo aspettava, silente.
Lo prese in mano. Lo girò.
Si accorse in quel momento che la filigrana dello stemma aveva qualcosa di strano. Era come… posticcia. Come se fosse stata aggiunta. Non l’aveva notato subito, perennemente preso a scrutarlo.

Spesso le cose sono davanti ai nostri occhi, e non le vediamo…
Prese la bacchetta e con un ‘gratta e netta’ eliminò lo sporco dovuto all’ossidazione dell’argento, incurante di distruggere il lieve bassorilievo smaltato.
Lo sapevo… era una copertura.
Sotto lo stemma apparve una scritta, incisa nel metallo.

Di enigma e’ fatto il mio secondo nome.
Le prime tre di tomba son le prime


… Ma che vuol dire?
Corrugò le sopracciglia.
Le cose si complicavano.


****


Note:
1 –  Di solito viene confuso e chiamato London Bridge. Ponte piuttosto famoso vicino alla torre di Londra.
Tower Bridge
2 – L’ho inventata io… e sì. Lo so. Fa pena. Ah, dovrebbe essere una sciarada. Se voi la capite è normale, ma ricordate che Tom è a digiuno di informazioni. Mica come noi. ;)

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Capitolo 17
*** Capitolo XII (2° parte) ***


Considerando le scarse recensioni ricevute nello scorso capitolo, in rapporto 100:1 con le visite non mi so rapportare bene. Non riesco a capire se questa storia piaccia o meno. Per uno scrittore di fan-fiction (specialmente) le recensioni sono l’unico compenso che riceve. E’ frustrante non vederne quando c’è chi comunque legge.
Comunque, causa studio, il prossimo aggiornamento di giovedì salta.
@Kika2: Ciao Kika! Beh, prima di tutto grazie per i complimenti! Il medaglione sembra contenere qualcosa di vivo, ma t’assicuro che non c’è niente XD dopotutto è solo un’impressione di Thomas! XD
@Trixina: Di niente! ;) Dovevo farmi perdonare in qualche modo per averti ignorato! XD Sì, l’antagonismo Serpi-Grifoni ormai è ridotto all’ambito sportivo, anche se certo, non posso parlare a nome di tutti i Grifondoro (guarda Jamie per esempio XD) La sciarada non l’hai capita? Meno male, almeno non l’ho fatta troppo semplice! XD Sennò che gusto c’era!
@Nyappy: Ah, chi non adora Sy e Rosie? ;) Grazie mille per la recensione e per la costanza!
@Ombra: Figurati, capisco benissimo la scuola! Meno male ormai me la sono lasciata alle spalle! Purtroppo non ti posso passare il numero di Al, perché beh, non ha un cellulare il nostro maghetto! XD Apparte le stronzate, ecco cosa sono riusciti a combinare! Ovviamente un casino!
@Altovoltaggio: non preoccuparti, l’importante è essere passata! XD Il punto di vista di Scorpius qui si evincerà! Spero ti piaccia! Grazie per la recensione!
 
****
 
 
Capitolo XII (2° parte)
 



 
 
Love. This is getting the best of me.
And truth be told, you were the start of it all.
(155, Plus 44)
 
 
 
 
Rimessa delle Scope, accanto al Campo di Quidditch.
Dopo le selezioni.
 
Rose ci rimuginò sopra fino all’ultimo secondo.
Andare o non andare?
Alla fine optò per una risoluzione positiva: nonostante tutto, si disse, non poteva lasciare quel deficiente di Malfoy da solo. Sarebbe stato capace di passare sotto i nasi degli auror, dritto verso la Foresta… e di salutarli con la mano.
Deficiente.
Si diresse con cipiglio ferreo verso la capanna dove venivano lasciati le scope delle squadre di Quidditch, debitamente incantate onde evitare manomissioni da parte delle squadre avversarie.
Scorpius era già lì, appoggiato indolentemente alla porta. Si era lasciato il sotto dell’uniforme, togliendosi il mantello e le protezioni. Il maglione giallo-rosso spiccava nel grigio dilagante di un pomeriggio nuvoloso.
Le sorrise.
“Ehilà Rosey!”
Se non altro non ha aggiunto Posey…

“Ehilà folle.” Lo apostrofò beffarda, raggiungendolo. “Se vuoi un consiglio mi toglierei quel fanale cromatico che hai addosso.”
Scorpius abbassò lo sguardo. “Oh… mi sa che hai ragione.”
Rientrò negli spogliatoi, uscendo con un paio di jeans e un maglione nero a collo alto.

Era indubbio che anche un dannato maglione, del tutto banale, riuscisse a sembrare comunque elegante indossato da lui. Era come metteva le cose, probabilmente.
Qualità Malfoy. A lei sembrava sempre di essere infagottata.
“Allora, sei pronta?”
“No.” Disse secca. “Ma dubito che la cosa faccia qualche differenza.”
“Infatti!” Trillò deliziato, aprendo la porta della rimessa. “Allora… cosa vuoi? Una Nimbus, una Firebolt, oppure andiamo verso quelle in dotazione alla scuola, cioè una bella Comet 260 di circa mille anni fa?”
Rose sbuffò. “Non lo so, fai tu. Ma che non sia troppo… veloce.” Aggiunse, lentamente.

Scorpius la guardò, inarcando le sopracciglia. “Che non sia troppo veloce? Sono scope da corsa, è ovvio che lo siano.” Breve pausa. “Ma tu sai di cosa sto parlando?”
“No.” Replicò sentendosi arrossire. “Sono mio fratello e mio padre quelli fissati con il Quidditch, non io.”

Scorpius le servì un sorrisetto divertito, senza commentare, mentre con la bacchetta disincantava la rastrelliera dei Grifondoro. Studiò i manici, poi ne prese uno, leggero.
“Questo è della Bones. Provalo.”
“Ma è della Bones.” Lo guardò male. “È rubare.”
“Che esagerata. È prendere in prestito.” Glielo porse di nuovo. “È una ri-edizione della StellaFreccia. Ha un buon assetto e non è tanto…” gli scappò da ridere. “Veloce.”

“Vaffanculo Malfoy.” Sibilò strappandoglielo di mano e uscendo dalla rimessa. Si sentì osservata mentre lo inforcava. Rimase in silenzio.
… E adesso?
Perché era questo il problema di base. Lei non sapeva volare.
Scorpius le si avvicinò. Si aspettava di vederlo spanciarsi dal ridere da un momento all’altro, invece sorrideva ebbasta.
La cosa la mise ancora più a disagio.
“Weasley…”
“Non so volare.” Sentì la sua voce ridotta ad un imbarazzante pigolio.

Qualcuno mi ammazzi. Grazie.  
Scorpius sospirò divertito. “Potevi dirmelo subito. Ma le lezioni di volo del primo anno?”
“Sì, ho seguito il corso, ma… sono passata con il minimo storico. E da allora non ho più...”
Scorpius fece un mezzo sorriso. “Toccato una scopa? Ed io che pensavo che fosse perché non sopportavi la Bumb…”
“Non la sopportavo perché mi dava dell’incompetente. Come se salire su un dannato legno volante misurasse l’incompetenza…” sibilò.

“Okay… beh, dai. Prova. Prima di tutto, posala a terra, e poi…”
“Sì, sì. Me lo ricordo.” Buttò il manico a terra “Su!” urlò.

Le arrivò dritto in fronte. Indietreggiò, stordita, mentre il manico andava per conto suo.
Scorpius lo afferrò al volo, ed emise una specie di rantolo soffocato. Stava palesemente trattenendosi a stento da non ridere come un matto.
Rose si massaggiò la fronte, fissandolo malissimo.  

Scorpius strinse trai denti una risatina. “Okay, cambiamo approccio. È evidente che non puoi imparare in dieci minuti a volare, e comunque non così bene da sorvolare una foresta da minimo venti metri d’altezza.” La vide impallidire e sogghignò. “Tranquilla Weasley, ho la soluzione. Volerai con me.”
“Con… te?” aggrottò le sopracciglia. “Malfoy, non dire cavolate. Le scope sono monoposto.”
“Non tutte. E si dà il caso che la scuola abbia una nutrita collezione di manici da due soldi.” Rientrò dentro, senza darle possibilità di ribattere. Ne uscì con una grossa scopa, che sembrava quasi appartenere ad Hagrid. Se non fosse che, probabilmente, non sarebbe mai riuscita a sollevarlo.

“… Che roba è?”
“Bluebottle 6. Scopa per tutta la famiglia. È adattabile, a seconda delle persone che deve portare. Ne può portare fino a tre, a dire il vero.” La guardò con vaga riprovazione. “È lenta come un troll, ma ha una buona stabilità, e cosa più importante, può reggere il nostro peso.”

“Aspetta… sei sicuro?” La prospettiva di doversi stringere a Malfoy le sembrava agghiacciante. Specie dopo la terrifica realizzazione di neanche un’ora prima.
Il ragazzo fece spallucce. “Beh, mi pare l’unica soluzione praticabile. Tu non sai volare.”
Rose serrò le labbra, guardando trucemente la scopa.
“Allora?” La incalzò.
“Se vai troppo veloce giuro che ti butto giù.”
“Allora vorrò vederti alle prese con le vertigini da principiante…” replicò con un sogghignetto, inforcandola. “Forza principessa, il cocchio la aspetta.”
Rose salì dietro al ragazzo, passandogli le braccia attorno alla vita.

Bucato pulito e… sole. Di nuovo. Dannazione, perché Malfoy profumava?
Era un essere sgradevole, doveva puzzare.
James sa di naftalina infatti.
“Pronta?”
“Muoviti.”
“Sissignora!” Sghignazzò dandosi una spinta. La scopa salì di diversi metri in pochi secondi. Rose soffocò un urlo, vedendo la terra abbandonarla, mentre si stringeva all’altro. 

“Weasley, spero che tu non soffra di vertigini!” Rise mentre sfrecciava verso la Foresta.
“Snooo!” ululò cianotica.

La terra, voglio tornare a terra!
Serrò gli occhi con forza, mentre passavano lunghi attimi di agonia in verticale.
Ad un certo punto sentì Scorpius smettere di ridacchiare come un deficiente mentre la scopa tornava in assetto orizzontale. Si fermarono.
“Dai, Rose, apri gli occhi…” Le disse con un tono stranamente gentile.

Rose socchiuse gli occhi, giusto per non dargli la soddisfazione di farsi vedere completamente terrorizzata. Poi li sgranò.
Sotto di sé si estendeva un manto verde smeraldo di alberi, fino a perdita d’occhio. Da lontano il lago, come un’immensa lastra di metallo lambiva dolcemente il pendio delle montagne. Un sole pallido e lattiginoso faceva capolino tra le nuvole, illuminandone la superficie e facendolo riverberare di guizzi d’argento.
È… meraviglioso.
“Bello no?” chiese Scorpius, guardandola da sopra la spalla.
“Sì…” ammise con un mezzo sorriso. “È stupendo da quassù.”
“Spesso bisogna cambiare prospettiva per poter vedere veramente le cose. E le persone.” Aggiunse, voltandosi e riprendendo a volare. Rose serrò appena le labbra.

Era una frecciatina, ed era rivolta a lei.
Mi sto sbagliando su di te Scorpius? È questo che vuoi dirmi? Forse è vero… a volte penso a te come un Malfoy, più che come… semplicemente Scorpius.
“Senti…”
“Sì?”
“Che hai detto a Hugo? Cioè, per convincerlo a salire sulla scopa?”
Il ragazzo ridacchiò. “Gli ho detto che se avesse preso il boccino gli avrei presentato la ragazza più carina della scuola. A tuo fratello le donne danno alla testa, eh?”
“Senti chi parla…” sbuffò Rose.
Però… astuto. La passione di Hugo per le ragazze è seconda solo a quella del Quidditch. E morirebbe dalla voglia di bullarsi con qualcuna di essere il nuovo cercatore.

“Comunque gli ho detto una bugia…” Soggiunse, dopo una breve pausa di volo silenzioso.
“Cioè non gliela presenterai?”

“No, gliela presenterò. Un Malfoy mantiene sempre le sue promesse. Solo, non sarà la più carina.”
“Oh, certo, vuoi tenerla per te…” Ribatté ironica, sentendo una fitta di fastidio contrarsi nello stomaco. “Nel tuo harem.”
“No, è che è una Weasley come lui.”
Silenzio.
Rose annuì, con un sorrisetto. “Ah, parli di Roxanne. In effetti…”

Scorpius fece un respiro profondo.
Merlino, quant’è tonta.
Rose aguzzò lo sguardo. “Ehy, guarda laggiù!” indicò un punto alla sua destra.
Da lontano era ben visibile una macchia, grigiastra, in mezzo allo smeraldo del bosco.  Volarono fino ad essergli sopra. Nessun dubbio. Era un cratere causato dalla caduta di qualcosa.
“Avevo ragione!” Esclamò soddisfatto. “Forza, scendiamo.”
La scopa planò, fino a farli atterrare dolcemente all’orlo del piccolo cratere. Misurava circa sei metri, ed era profondo al massimo sei, sette, stimò Rose accovacciandosi per guardare giù.
“Devono aver fatto un bel botto atterrando qui…” considerò Scorpius.
“Chi?”
Scorpius la guardò come se fosse dannatamente ovvio. “I Naga.”
“I Naga?”
“Sveglia Weasley. La notte vediamo una luce verde schiantarsi nella Foresta Proibita, e il giorno dopo spunta dal nulla un lucertolone. Non credi sia un po’ strana, come coincidenza?” Si mise il manico di scopa su una spalla, aggrottando le sopracciglia. “Per me lo è.”
Rose si morse un labbro, guardando il cratere. “E come… Che mezzo avrebbero usato per arrivare qui e per… fare questo cratere?”
“Andiamo per esclusione. Niente metropolvere, non ci sono camini. Niente scope, non li reggerebbero. Niente smaterializzazione, non sono elfi né esseri umani.”
“Una passaporta?” Suggerì, ma poi scosse la testa. “No, non fanno voragini.”

“E, inoltre, non è possibile crearne all’interno di Hogwarts o per Hogwarts senza la previa autorizzazione del preside.” Aggiunse il ragazzo. “No, devono aver usato un altro modo.”
Rose sbuffò. “E quale?”  
Scorpius sospirò, sedendosi accanto a lei. “Sinceramente? Non ne ho idea.”
“Forse in biblioteca c’è qualcosa…”
Scorpius si strinse nelle spalle. “Dubito. Ma potremo fare un tentativo.”
Potremo…
Rose sorrise appena. Era buffo: fino a pochi giorni prima non avrebbe mai creduto di poter collaborare pacificamente con Malfoy.  

“Potrei chiedere a mio padre. Lavora al Ministero ed ha un sacco di amici all’ufficio del trasporto magico.”
“Anche mio padre.” Gli fece notare l’altro, con un mezzo sorriso. “Comunque non credo che i nostri genitori sarebbero entusiasti di sapere che ficchiamo il naso in faccende di lucertoloni assassini e crateri misteriosi…”
“Proprio così.” Disse una voce che rese Rose un ghiacciolo. Si voltò lentamente, sapendo benissimo a chi apparteneva. La sentiva da ben sedici anni dopotutto.
“Miseriaccia Rosie, che diavolo ci fai qui?!” Pausa. “E con Malfoy?!”

 
 
****
 
Accanto al Campo di Zucche.
Ramanzina in arrivo.
 
“Rosie! Non me lo sarei mai, mai, mai aspettato da te!”
Rose incassò la testa nelle spalle.

Erano stati colti sul fatto, o meglio colti sul cratere, da Ron Auror Weasley in persona.
Cioè il suo adorato papà. Non tanto adorabile, al momento attuale.  
Che diavolo ci fa qui?!
Ron li aveva materializzati con sé il più lontano possibile dalla Foresta e da occhi indiscreti e ora stava dando fondo a tutte il suo repertorio di ‘padre furibondo’.
“Come hai fatto a sapere che…”
“La pattuglia vi ha visto sorvolare con la scopa il Lago Nero!”
Rose lanciò un’occhiataccia a Scorpius, che ebbe la faccia tosta di sorriderle.

“Ero venuto a salutare te e Hugo, e guarda dove ti ritrovo! Con chi!”
Qualcuno dovrebbe dirgli che assomiglia a nonna Molly quando si arrabbia.
Inspirò, approfittando che suo padre, paonazzo come un ravanello, stesse riprendendo fiato.
“Papà, lo so che abbiamo sbagliato! Lo so che era proibito. Ma… due giorni fa stavamo facendo la ronda, sai, siamo entrambi prefetti… E abbiamo visto una luce verde perdersi nella Foresta e… poi c’è stato quel Naga, e...”
“E avete pensato di andare controllare?! Rosie, la foresta è pericolosa. Ci sono creature aggressive là dentro!”
Rose mugugnò qualcosa, fissandosi le stringhe delle scarpe. Lanciò un’occhiata a Scorpius.

Oh, no.
Vide con orrore che gli occhi del compagno di Casa brillavano.
Si stava divertendo
È fuori di testa?! Mio padre ci sta urlando addosso!
Anche Ron sembrò accorgersi dell’aria divertita del giovane Malfoy, perché aggrottò le sopracciglia.
“E tu? Cos’hai da ridere, ragazzino? Trovi tanto spassosa questa situazione?”
“No signore.” Rispose educatamente. Ci pensò. “Effettivamente sì, signore. Ma io trovo divertenti un sacco di cose, quindi non ci faccia troppo caso, davvero.”

Rose lo guardò esterrefatta, mentre Ron diventò rosso aragosta.
“Beh, non lo è Malfoy. Non lo è affatto. Se non vi avessi beccato io avreste potuto…”
“Ha notato che quel cratere è stato fatto di recente?” lo interruppe. “E cosa ha detto Rose? Una luce verde, abbiamo visto una luce verde che si perdeva nella Foresta. Non crede che possa essere collegata all’arrivo di quel coso?” lo incalzò.

Ron, colto di sorpresa, sbuffò confuso.
“Beh, sì… non avevamo notato quel cratere. E potrebbe essere un elemento utile alle indagini, se fosse collegato…”
“Io e sua figlia pensiamo che lo sia.”
“Non è… non è questo il punto che stiamo discutendo adesso, Malfoy!” Ringhiò. “Tutti uguali nella vostra famiglia. Vi sentite autorizzati a dare la vostra opinione, anche quando non è richiesta!”
Rose si sentì arrossire: sapeva benissimo quanto il padre detestasse la famiglia di Scorpius. E fino a poche settimane prima gli avrebbe dato manforte, e sarebbe stata felice che l’attenzione si fosse spostata da lei a quel cretino.

Fino a una settimana fa. Godric, sembrano secoli.
“Pensavo potesse interessarle, tutto qui.” Fece spallucce. “Mi dispiace essere stato frainteso.”
“Oh, certo. Siete sempre fraintesi voi Malfoy. Tuo padre, tuo nonno… mai che si paghi per le parole o per le azioni, nella vostra famiglia.”
Scorpius serrò di botto la mascella. Rose vide l’espressione del ragazzo cambiare. Farsi tesa, rabbiosa.

La spaventò.
“Tenga fuori mio nonno da queste recriminazioni da due soldi. Credo abbia già pagato abbastanza.” Vide il sorriso del compagno, di solito allegro, storcersi in un ghigno. “In compenso voi Weasley siete bravissimi a sputare sulla memoria dei morti, vedo.”
Suo padre sembrò improvvisamente a disagio. “Ragazzo, io…”
“Arrivederci, signore.” Lo seccò, dando loro le spalle e allontanandosi.
“Ehy, torna qui!” tentò l’uomo. Ma sembrava che la sua furia si fosse sgonfiata come un palloncino. “Malfoy!”
Scorpius si voltò. Aveva i lineamenti stravolti dalla rabbia. “No. E se vuole, mi punisca pure. Faccia rapporto al preside. Sa, non vorrei rischiare di essere frainteso.” Sibilò, prima di voltarsi e risalire il pendio.

Rose guardò il compagno allontanarsi, attonita.
Che diavolo gli è preso? È per quello che ha detto mio padre?
No… c’è abituato alle frecciatine sulla sua famiglia. Risponde sempre per le rime.
Stavolta è stato diverso. Era fuori di sé.  
Guardò il padre, che sembrava incerto se arrabbiarsi per essere stato ignorato o sentirsi in colpa per qualcosa.
“Papà, ma che… Di che stava parlando?”
L’uomo si strinse nelle grosse spalle fasciate dal mantello da auror. “Nulla, Rosie, nulla.”
Papà!” esclamò. “Scorpius è un mio compagno di Casa… Lo conosco da sei anni e non l’ho mai visto reagire così.”
“Beh, a me sembra che abbia reagito proprio come suo padre…”
“Ma non lo è!” sbottò irritata: adorava suo padre, ma spesso aveva la testa offuscata dai pregiudizi. E quelli per i Malfoy erano i più pervicaci.

Ron le lanciò un’occhiata. “Sì, forse ho esagerato.” Ammise di malumore. “Non dovevo parlargli così…”
“No, non avresti dovuto.” Esitò. “Papà, perché ha parlato di morti? Suo padre…”
A quanto mi risulta i suoi genitori sono entrambi in salute. Dei suoi nonni non so molto… se non beh, le voci che girano di solito. 

Ron si grattò la nuca. Sbuffò.
“No, Draco Malfoy è vivo e vegeto. E chi lo ammazza, a quello.” Si schiarì la voce ad un’occhiataccia della figlia. “Suo nonno. È morto quando era ragazzino. Quando aveva sei anni, forse.”

Rose deglutì. “Non lo sapevo… Non me ne ha mai parlato.”
Non che siamo mai stati in rapporti tali da parlare di morti in famiglia in effetti…

“Beh, non è una cosa facile di cui parlare, credo.” Esitò. “Insomma, non è morto in modo… sereno. Ecco.”
“In che senso?”
Ron si appoggiò allo steccato del campo di zucche. “Rosie, lo sai, non tutti i mangiamorte sono stati catturati durante la Battaglia … sennò che ci staremo a fare adesso noi auror?” Sorrise appena. “Beh, comunque… parecchi riuscirono a fuggire. Tra questi Fenrir Greyback.”
Rose inspirò bruscamente. “Il mannaro?”
“Proprio lui. Era un tipo feroce, una vera bestia. Ma era dannatamente astuto. Si finse morto, e poi, appena girammo le spalle si tramutò in lupo e se la diede a gambe. Impossibile prenderlo in quella forma… troppo veloce.”

“… Fu lui ad uccidere suo nonno?”
Ron confermò, con un cenno della testa. “Aspettò parecchi anni. Credo fuggì all’estero, o sulle montagne della Scozia, chi lo sa. Lucius Malfoy in quegli anni collaborò con il Ministero per scovare i mangiamorte superstiti, i loro nascondigli, gli pseudonimi sotto i quali si nascondevano. Beh, era un disco già visto… Solo che stavolta il Signore Oscuro era morto davvero e lui era reo confesso. Dovette sborsare un sacco di galeoni al Ministero per i familiari delle vittime. Praticamente perse tutto il patrimonio, soldi e ville.”

“Tutto… Allora erano poveri!”
“Beh, i Malfoy non sono mai stati poveri.” Replicò con una vaga vena astiosa. “Ma da allora non hanno più sguazzato nel lusso, ecco tutto. Comunque a molti dei loro ex compagni beh… non credo fosse andato giù il loro secondo voltafaccia. Né che Lucius avesse scampato Azkaban.”

Ron guardò verso il castello, con una smorfia amara: Hermione gli diceva sempre che parlava prima di pensare.
Stavolta l’ho fatta grossa con quel ragazzetto.
In fondo non è colpa sua, se ha i parenti che ha.
“Papà… tu eri lì quando successe?”
“No. Fu un’altra squadra ad essere chiamata, non la nostra. Noi eravamo in Galles per non so quale caso. Greyback aveva scoperto dove abitavano Lucius e sua moglie. Non fu un bello spettacolo. Era una bestia Rosie… e da bestia si comportava.”
Rose rabbrividì. Sapeva che il nonno di Scorpius non era stato una brava persona. Ma...

Morire sbranato da un Mannaro…
“Lo uccisero? Voglio dire, Greyback…”
“Sì. Ma Malfoy era già spacciato.” Concluse con un sospiro pesante. Ma Rosie conosceva bene il padre. C’era dell’altro.

“Papà, Scorpius…” esitò. Non poteva neanche pensarci.
L’uomo guardò con insistenza verso il castello. “Sì, Rosie. Ha visto tutto. Era lì quando successe. Lo trovarono nello studio, accanto a suo nonno.”
Oh, Dio…
Rose si mise una mano sulle labbra. “E…” sussurrò. “Greyback lo…”
“No, non lo morse. Non fece in tempo credo.” Si passò una mano trai capelli. “Mi ero completamente dimenticato di questa storia… Fu abbastanza disgustoso dopo. Tutti i giornali, sai… ci ricamarono sopra. Lucius Malfoy non era proprio un idolo delle folle.”
“Dissero che se l’era meritato…” sussurrò la ragazza. Le veniva da piangere. Era orribile.

Scorpius aveva assistito alla morte di suo nonno, e dopo aveva dovuto subire anche la gioia feroce delle vittime di Voldemort.
Ron annuì. “Malfoy non era una brava persona, e … non aveva pagato a sufficienza per i suoi crimini. Ma morire in quel modo supera di gran lunga qualsiasi punizione...”
“Scorpius non meritava di vederlo…” Si asciugò le lacrime che premevano per uscire. “Io non ne sapevo niente.”
“Eri troppo piccola per ricordartelo, Rosie. E poi Draco Malfoy fece di tutto per insabbiare la cosa. Pagò praticamente tutti i giornali del mondo magico per non parlarne più del dovuto.” Le accarezzò la testa, goffamente. “E suo figlio non ne parlerà volentieri.”
“Non ne ha parlato con nessuno, credo.”
Scorpius non è decisamente tipo da fare queste confidenze a chicchessia.

E poi, a chi le farebbe? Alle sue oche?
“Mi spiace avergli ricordato quelle cose.” Borbottò l’uomo. “La situazione mi è un po’ sfuggita di mano. Ma mi ha fatto saltare i nervi, con quel sorrisetto…”
“Scorpius sorride sempre così, papà. Non voleva mancarti di rispetto, ne sono sicura.”

Ron le scoccò un’occhiata perplessa: da quando sua figlia difendeva quel biondino slavato?
Decide di glissare: dopotutto Scorpioncino Malfoy era compagno di Casa dei suoi figli.
Solidarietà tra Grifondoro… roba da pazzi.
Sbuffò.
“Meglio se torni al castello, Rosie… È quasi ora di cena.”
“Ceni qui?”
“Nah, aspetto che Harry abbia finito di parlare con Vitious. L’ho accompagnato. Andremo a mangiarci un boccone ai Tre Manici.”

“Ah, allora salutami Hannah e il piccolo Cedric.”
Ron annuì, con un sorriso. “Sicuro. E tu dì a Hugo di non combinare troppi guai.”
“Come se servisse a qualcosa…” sbuffò Rose, abbracciandolo. “Scusa se mi sono messa nei pasticci.” Disse, con un sorrisetto ironico. “Ma dopotutto ho solo seguito le vostre orme.”
L’uomo borbottò qualcosa, ma quando si staccò aveva un sorrisetto uguale a quello della figlia.

“Ed io che pensavo che sarebbe stato Hugo, quello a farmi disperare...” Le diede un buffetto. “Dai, vai, o farai tardi per la cena.”
La ragazza lo salutò, e prese le scalette che l’avrebbero portata all’ingresso del Castello.
“Rosie!” si sentì chiamare. Si voltò, interrogativa.
“Ma non è che ora tu e Malfoy siete amici, vero?”

La faccia del padre era davvero buffa: un misto tra la confusione e terrore.
Sorrise, fece spallucce, e senza rispondergli riprese a salire.


 
****
 
Stanze del Direttore di Tassorosso (professor Ziel)
Dopocena.
 
Ted Lupin cominciava a pensare che la sua famigerata disponibilità in realtà fosse una gran seccatura.
Un’arma a doppio taglio sicuramente.

Si trovava nel bel mezzo del caos dell’ufficio del defunto Immanuel Ziel, con il gravoso compito di dover visionare tutti gli oggetti personali del professore.
Insomma, inventariare.
Il funerale si era svolto nel piccolo cimitero di Hogsmeade due giorni prima, con la sparuta presenza del corpo docenti e di un prete. Si era supposto Ziel fosse cattolico. O protestante.
Comunque credente?
In quel lasso di tempo, dalla morte al funerale, sia lui che il preside si erano adoperati per cercare la famiglia dell’uomo, ma senza successo.
Sospirò, passandosi una mano trai capelli.
Si era offerto di fare l’inventario da solo per poter dare una seconda occhiata, alla ricerca di una traccia sfuggita al loro alacre lavoro. E l’aveva fatto perché continuava a dispiacergli.  
Quell’uomo era morto distante dalla sua terra natia, dai suoi affetti (se ancora ne aveva), insomma da tutto ciò che lo aveva cresciuto e formato. L’Inghilterra era una seconda patria, era evidente dall’imponente biblioteca in tedesco, con qualche sparuto volume in inglese.
Ed era morto solo.
Questo bruciava a Ted, che era sempre stato sensibile alla solitudine altrui.
Sospirò, prendendo in mano un leggero volumetto. Il Faust, di Goethe.
Un autore babbano, pensò sfogliando le pagini sottili e ingiallite dal tempo: lo aveva letto da ragazzo e gli era anche piaciuto.
Si guardò attorno. Quell’uomo doveva aver apprezzato la compagnia, in tempi migliori.
Le poltrone avevano l’aria comoda, pronte ad ospitare amici e visitatori, e nel piccolo mobiletto degli alcolici erano presenti ben sei coppie di bicchieri smaltati, dalle varie fogge e colori.
Amicizia e ospitalità, dettami Tassorosso.
Teddy non poteva non ammettere di essersela presa a cuore anche perché appartenevano alla stessa Casa. Entrambi Tassorosso: Ziel d’adozione, lui nel cuore.
Il Cappello, anni prima, non aveva avuto neanche un’esitazione a mandarlo tra gli ‘onesti lavoratori’.
 
“Sì, vedo del coraggio in te, figliolo, una caratteristica Grifondoro. Ma è più grande la voglia di avere amici e affetto. Approvazione, forse. Sei onesto e sensibile, rifletti molto e metti gli altri prima di te stesso, forse a scapito dei tuoi stessi desideri e sentimenti. Sì, credo che Tassorosso faccia al caso tuo.”
 
Ted sospirò, rimettendo a posto il volume. Si avvicinò all’ennesima scatola, alla ricerca di una seppur minima traccia del passato di Ziel.
Quella, nello specifico, ospitava una decina di piccoli quadernetti neri, rilegati in cuoio e dall’aria anonima. ‘Appunti per le lezioni’ recitavano.
E se invece…
Colto da un’intuizione ne prese uno, sfogliandolo.
Bingo.
Non erano appunti. Erano il diario di Ziel.
Ne prese cinque o sei, mettendosi a sedere su una poltrona, cominciando a sfogliare il primo della serie.
Tirò un sospiro vinto.
Partivano dal primo anno di insegnamento ad Hogwarts. Niente da fare quindi.
Quest’uomo ha cancellato completamente il suo passato…
Poteva capirlo. A volte i ricordi andavano sepolti, dimenticati, lasciati indietro.
Si morse un labbro, mentre nello specchio del salotto si riflettevano i suoi capelli castani.
Cercò di scacciare il viso di Victoire, la sua espressione confusa e ferita, poi rabbiosa.
E alla fine rassegnata.
Ho sbagliato, lo so... Ma non potevo più restare in Francia. Non potevo più continuare a fingere che andasse tutto bene.
Le cose non andavano bene da tanto. Ma quell’episodio, quella scoperta… avevano definitivamente cambiato le carte in tavola. E si era accorto di non riuscire più a fingere.
Victoire non meritava quello che le stavo facendo…
Si impose di scacciare quei pensieri. Era ad Hogwarts e in quel momento doveva dedicarsi completamente al povero Ziel.
Lesse le prime pagine. Sostanzialmente l’uomo descriveva il posto, il cibo (un paio di pagine sul menù della prima sera), e poi…
Aggrottò le sopracciglia.
E poi smetteva di scrivere in alfabeto.
Dopo un’accurata descrizione di una portata di vitello tonnato si susseguivano frasi e frasi in una grafia incomprensibile. All’iniziò pensò che si trattassero di Rune, ma scartò subito l’idea: le aveva studiate da ragazzo e non riconosceva nessun carattere.
È un codice.
Sfogliò le pagine, ma la scrittura non accennava a tornare alfabetica. Studiò tutti i quaderni, ma il risultato era sempre lo stesso. 
Scrive in codice. Ma perché?
C’erano molti motivi per cui un uomo volesse occultare i suoi pensieri.
Ma sarebbe bastato un incantesimo, come rendere il diario illeggibile.
… Certo,  ci sono modi per forzare comunque la lettura. Un contro-incantesimo. E qui siamo in una scuola di magia. Scrivere in codice è più sicuro, indubbiamente.  
Un po’ paranoico, ma non inusuale.
Sospirò, stiracchiandosi.
Già stanco e incriccato alle dieci di sera? Stai perdendo colpi, vecchio mio.
Ed hai solo ventiquattro anni…  
“Salve! Disturbo?”
Ted si voltò verso l’entrata, confuso dalla squillante voce femminile che era aveva rotto il flusso dei suoi pensieri.

Ebbe un attimo di spaesamento quando vide entrare una bionda di neanche trent’anni, il cui mantello nascondeva a malapena forme procaci.
Ah… la nuova professoressa di Trasfigurazione…
“Salve… No, prego, nessun disturbo.” Sorrise educatamente avvicinandosi per stringerle la mano. “Lei deve essere…”
“Oh, ti prego, dammi del tu!” Rise. “Non sono così vecchia. Chiamami Ainsel.” Si presentò stringendogli la mano con energia forse eccessiva.
“Ted Lupin… Sono il professore di…”
“Di Difesa Contro le Arti Oscure. Sì, sì… Filius mi ha parlato di te.” Diede con disinvoltura del tu al vecchio preside. Ted non fu sicuro che quello l’avesse autorizzata. “Siamo i più giovani in circolazione, escludendo gli studenti naturalmente. Dovevo assolutamente conoscerti. Mi sono detta, ‘Ainsel, è ridicolo che in mezza giornata che sei qui non hai ancora conosciuto l’unico quasi-coetaneo della scuola!’”

Teddy, stordito dall’eloquio, si limitò ad annuire timidamente.
Che fosse entrante non c’era ombra di dubbio.
È molto… americana. 
“Lei è… americana, suppongo.” Mormorò con un mezzo sorriso, mentre le lasciava la mano. L’aveva indolenzita.
“Del tu, Ted. Comunque sì, americana.” Lo corresse smagliante. “Californiana, per la precisione. Gran bel posto la California. Sole, mare, poca pioggia. Beh, tranne quand’è stagione. Qui in Inghilterra invece sembra sempre stare per piovere da un momento all’altro, non è vero?”
“Sì, beh, il clima continenta-…”
“È terribile, no? Mi hanno detto che sei un metamorfomago.” Cambiò argomento così in fretta che Ted riuscì a malapena a capire di che diavolo stesse parlando. “Ma mi sembri avere colori piuttosto, come dire… nella norma.”
Il giovane si sentì arrossire. Il suo arrossire ovviamente si esplicava in un tenue rosa all’attaccatura dei capelli che si propagava velocemente fino alle punte. Ainsel rise.
“Ah, come non detto!” lo squadrò. “Scusa, parlo troppo, non è vero?”
“No, non…”
“Me lo dicono da quando sono arrivata qui. Purtroppo è sempre stato un mio difetto.” Si fermò. Probabilmente anche lei aveva bisogno di respirare. “Ted è il diminutivo di Theodore?”
“No. Soltanto Ted.” Riuscì finalmente a terminare una frase.
“Quindi il diminutivo è Teddy!” trillò con una delizia che trovò francamente irritante. “E come ti piace essere chiamato?”
“Ted.” Disse subito. In realtà preferiva Teddy, il nome con cui l’avevano sempre chiamato la nonna e i membri della famiglia Potter. Ma non trovò proficuo comunicarlo a quella specie di tornado yankee.

“Ted, okay.” Sorrise. Si guardò attorno. “Merlino, che disordine! Erano le stanze di quel poveretto, vero?”
“Sì, ehm… e dovrebbero essere anche i tuoi alloggi. Mi dispiace per il ritardo, ma dobbiamo fare un inventario di tutti gli oggetti e…”
“Oh, nessun problema! Anche la mia sistemazione attuale è abbastanza confortevole.” Scrollò le spalle. “Sono nella torre, quella della Guferia, non so se hai presente…”
“Vagamente.” Si affrettò a dire. Scoprì che se parlava a monosillabi riusciva, perlomeno, a non farsi parlare addosso.

Gli americani saranno tutti così?
Sperava sinceramente di no.
“Ti sei offerto di fare l’inventario? Che caro… sei un bravo ragazzo, vero?”
Ted arrossì di nuovo. Si schiarì la voce. “Sì, beh… cerco di esserlo.”
Che razza di domanda è?

“E poi, sono stato anch’io un Tassorosso, quindi… lo sentivo come un dovere, ecco.” Aggiunse. La donna annuì, aggirandosi per la stanza e curiosando trai vari oggetti.
“Sei distrutto.” Stimò, lanciandogli l’ennesima occhiata penetrante.  

Complessivamente era una donna notevole: bionda, alta, ben fatta e dal sorriso smagliante.
Eppure a Ted non piaceva. Si sentiva…
… mi sento invaso. È troppo esuberante.
Certo, anche Jamie lo era. Ma era un esuberanza fisica, come quella di un grosso cucciolo che vuole giocare. Buffa. Quella era un’esuberanza sottile, personale.
Era un’invasione.
“Sì, beh, non è un lavoro molto piacevole.”
“Lo credo! Perché non vai a letto? Posso continuare io, se vuoi. Dormo poco!” Lo fermò con una mano. “Dopotutto queste saranno le mie stanze, giusto? Mi sembra ridicolo non dare una mano, visto che è nel mio stesso interesse trasferirmi quanto prima.”

Ted capì che non avrebbe vinto. Contro una donna di quel genere si poteva fare solo una cosa: capitolare e levarsi dai piedi il più velocemente possibile per non essere sepolto dalle chiacchiere.
“Se non è un disturbo per te… ma...”
“Sì, sono assolutamente sicura. Se avrò bisogno di una mano ti chiamerò, Ted.” Gli strizzò l’occhio. “Uno di questi giorni dobbiamo prenderci un caffè assieme.”
“Non vado pazzo per il caffè…” confessò.
“The, giusto? Certo, sei inglese!” Rise. “Va bene allora, vada per un the. Su, su! Sei ancora qui? Per avere ventiquattro anni dovresti essere un po’ più vitale! Prendi esempio dai nostri studenti. C’è un certo Potter…”
Ecco, mi sembrava.
“James?”
“James sì, beh, è davvero un ciclone. Ragazzo simpatico. Piuttosto portato per la mia materia. Un po’ indisciplinato, ma sai come sono i ragazzi…” Rise. “Su, vai.” Intimò poi.
Ted si ritrovò fuori dalla porta, confuso e invaso. Si allontanò, ma l’idea di essere stato buttato fuori non lo abbandonò per un bel pezzo.

Ainsel Prynn guardò la porta chiusa, ridendo.
Troppo facile.
Era carino, comunque.
Sono davvero graziosi questi ragazzi inglesi.
Si avvicinò alla poltrona, dove giacevano sparpagliati i quaderni-diario di Ziel. Ne prese uno, sfogliandolo. Il quaderno prese fuoco tra le mani della donna. Lo gettò a terra mentre veniva divorato dalle fiamme.
“… E davvero ingenui.” 
 
****
 

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Capitolo 18
*** Capitolo XIII ***


Vi sono mancata? Uhm, dai, per niente direi! XD
Purtroppo lo studio mi assilla (cinque esami alla Laureaaa!) quindi temo di dover mantenere il tempo di postaggio ad ogni domenica. Sorry.

Per il vostro piacere personale consiglio di leggere la parte di Nott e James con sottofondo di 'Michael' dei Franz Ferdinand.
Intanto passiamo a rispondere alle recensioni ;)
@Altovoltaggio: mi fa piacere che lo scorso capitolo ti sia piaciuto! ^^ In effetti Scorpius/Rose è uno spasso scriverne. Le domande, lo so, sono molte. Ma dopotutto questo è indicato come ‘mistery’ al genere, se non ci fossero domande, che rating sarebbe? XD Dunque, Rosey-Posey può avere molti significati. Sono composizioni di roselline, tipo bouquet. È la protagonista, anzianotta e vestita di rosa di un libro di fiabe per bambini inglese. È un concetto molto lezioso, insomma. Per questo si arrabbia tanto. In italiano è intraducibile ma verrebbe come ‘rosellina piccina’, cosa che, in effetti, fa accapponare la pelle. XD Ah, Rosey-Posey è anche uno dei miei mini-pony, quella rosa, con la criniera arcobaleno. Non che Scorpius conosca i miei mini-pony, ma per darti l’idea. XD
@Nyappy: Sai sempre come tirarmi su di morale! Grazie per la recensione!
@Pietro90: Di sicuro hai ragione su Teddy. È davvero un tontolone per certe cose quanto brillante per altre. Che ci vuoi fare, è cresciuto fidandosi della gente. Tutta colpa di Harry Potter! XD Grazie per i complimenti su Scorpius, sono sempre ben accetti perché sinceramente non avevo voglia di fare un secondo Draco. ;) Grazie anche per avermi detto che la storia di Lucius è verosimile, avevo paura di aver scritto una baggianata. Ti ho commentato la tua storia, e rinnovo i complimenti qui!
@Grattastinchi2: Ciao! Una new-entry, che bello! ^^ Grazie mille per I complimenti, che sono SEMPRE ben accetti visto che è la prima volta che scrivo su questo fandom, ho un sacco di paura di scrivere cazzate. Sì, so quant’è difficile riuscire a completare l’iscrizione. Io dovetti mandare, all’epoca, un pm a Erika stessa! >_< Continua a seguirmi! ;)
@Hel_Selbstomord: Ciao! Com’è andata a Barcelona? È fantastica quella città, vorrei tanto visitarla (vacanzeee T_T) Teddy è un tenerotto, vero? Fosse anche più sveglio sarebbe meglio. Forse è meglio che abbia seguito le orme del padre, invece che della madre, come auror si sarebbe fatto fare fesso un po’ troppo, ho idea. Michel Zabini è il nostro God of Sex, eh? ;) Aiuta anche che sia interpretato da un gran bonazzo di modello (Marcus Lloyd). Ho scaricato giusto ieri il nuovo cd dei Porcupine. Innamorata al primo ascolto T_T.
@Ombra: Teddy in effetti è un po’ debole alle bionde… PER ORA.XD infatti Ron non si è insospettito perché Scorpius… E’ UN MALFOY! Non si metterebbe mai a fare il cascamorto con la sua BAMBINA (Seeh) XD
@Fly_Down: Ciao! Mi piace tantissimo il tuo nick! Grazie mille per I complimenti, fa sempre piacere! ^^ Tom ti piace? Beh, è anche il mio personaggio preferito! XD Grazie davvero per la recensione e continua a seguirmi! ;)
 
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Capitolo XIII
 

 
 
 
 

Swear to shake it up and you swear to li
sten.
Oh we're still so young, desperate for attention
(The Only Difference Between, Panic! At the Disco)
 
 
12 Settembre 2022
Sala Grande, Ora di Colazione.
 
 
“Non arriva.”
James aveva gli occhi puntati sul soffitto della Sala Grande, mentre il tempo per la colazione sgocciolava via velocemente. I gemelli Scamandro si guardarono in silenziosa rassegnazione.

Era una settimana che il Capo si comportava… beh.
Come una femmina in attesa di notizie dal suo amato partito per la guerra.
L’espressione era calzante.
Bob Jordan, un ragazzo di colore con un estroso dreadlock nonché il quarto membro della combriccola, guardò i gemelli, e poi l’Incupito, come veniva chiamato da una settimana James.
“Ehi, Damina Abbandonata, si può sapere a chi hai scritto, che sei tanto ansioso di avere una risposta?”
“A mio cugino Freddy, cazzo ve lo dico da giorni.” Sibilò, ficcando il cucchiaio nella densa consistenza del suo porridge.
“E per tuo cugino sei in queste condizioni? Amico, non me la conti giusta.”
“Invece te la conto giustissima. Gli ho chiesto delle fottute informazioni, e invece di mettersi al tavolo a scrivermi una cazzo di risposta probabilmente lo usa per sbattersi le sue donnine...” Commentò triviale.  

Bob, il cui nome di battesimo era Robert, si grattò il mento.
“E di che informazioni si tratta?”
“Cazzi miei, bello.” Replicò, continuando ostinatamente a guardare la volta, aspettando la venuta dei Gufi.

“Sì, così tuoi che hai preso il mio Gufo per mandarla… Non mi hai neanche chiesto il permesso!” esclamò Al, al tavolo accanto. Quel giorno si era seduto con le cugine, perché, in plateale ritardo e con nessuna voglia di alzarsi, era stato lasciato in balia del suo destino dai compagni di stanza e Tom stesso.
Bastardi.
Lanciò uno sguardo verso il tavolo dove sedevano gli altri tre serpeverde: Tom era assorto nella lettura di un tomo dalla copertina elaborata. Non scollava gli occhi dalle pagine e si portava meccanicamente alla bocca un pezzo di toast carico di marmellata. Ribes, stimò il ragazzo. Colorava le labbra di Tom di un rosso acceso.
Per un attimo non si chiese se invece fosse proprio il colore delle sue labbra ad essere così … invitante.
Scrollò la testa trangugiando il proprio the mattutino.
È invitante la marmellata di ribes, non le sue labbra!
“Da quando devo chiedertelo, Albie?” Sogghignò James, riportandolo bruscamente alla realtà.
Al!” Rimbeccò automaticamente “E comunque perché non hai usato il tuo?”
“Fabian se l’era preso la nostra adorata sorellina per corrispondere con il suo straniero gocciolante untume…” Sibilò di rimando, sulle sue. “Vero traditrice del sangue britannico?”
Lily gli scoccò un’occhiataccia. “Se sei di cattivo umore non ci interessa Jamila. Godric, neanche io sono così girata in quei giorni…” Soggiunse ironica, facendo sghignazzare i gemelli e Jordan.

James ringhiò qualcosa sottovoce, ingollando una cucchiaiata della sua colazione.
Non era girato… era solo esasperato dall’ eterno procrastinare del cugino Fred.
Che gran cazzone. Eppure glielo avevo scritto di darmi una risposta subito!
Alla fine arrivarono. Era sempre uno spettacolo vedere centinaia di gufi invadere la Sala, passando dai grossi finestroni aperti, vederli volteggiare attorno ai tavoli e infine lasciar cadere una pioggia di lettere.
“Finalmente!” si sentì urlare dal tavolo di James. Il ragazzo stringeva una busta stropicciata tra le mani, con un largo ghigno soddisfatto. “Quel bastardo mi ha scritto!”
“Per come l’aspettava in gloria ho paura che Fred gli abbia assicurato una fornitura quinquennale di caccabombe dal negozio di papà…” sussurrò Roxanne guardandolo male.
“Nah, quella ce l’ha già.” Negò Lily con sufficienza. “Sarà qualche sostanza illegale e altamente esplosiva.”
“Speriamo di no… se devo multarlo un’altra volta dovrò ammazzarlo per averci fatto perdere la Coppa delle Case.” Sbuffò Rose, sorseggiando caffè. “Ieri è quasi venuto alle mani con Scorpius. L’abbiamo beccato di fronte alla Strega Gobba. Voleva andare ad Hogsmeade, alle undici. Di sera. Ho dovuto dividerli con un protego, prima che quel cretino spiattellasse tutto sul passaggio segreto fino ad Hogsmeade.” Si fece pensierosa. “O si facesse ammazzare da Scorpius.”  

“Come avete fatto a beccarlo?” chiese Roxanne perplessa. “Non aveva il mantello?”
E da quando chiama Malfoy per nome? – pensò Al, ma senza dire nulla.
Rose scosse la testa, lanciando un’occhiata a James, che leggeva avidamente la lettera, neanche si trattasse delle soluzioni del prossimo test di Aritmazia.

“No. Se l’era dimenticato.”
Lily corrugò le sopracciglia. “Strano. Praticamente ci vive in simbiosi con quello coso millenario.”
“Lasciamo perdere… solo in questi sei giorni l’abbiamo pizzicato otto volte. Ha la testa da un’altra parte, poverino...” Borbottò Rose, lanciando uno sguardo verso il tavolo a cui era seduto Malfoy. Non poteva farci niente, lo sguardo gli finiva sempre lì.
Come al solito era circondato dalle sue oche, che ciarlavano a tutto spiano.
Lui dispensava sorrisi, vaghi cenni affermativi (era convinta che non ascoltasse una parola delle domande che gli rivolgevano) e nel frattempo si leggeva la Gazzetta.
Era diventato… freddo.
Ovviamente alla sua maniera: continuavano le prese in giro e i sogghigni.
Ma erano spariti i nomignoli, i battibecchi e i sorrisi luminosi.
Le bruciava. Le bruciava terribilmente.  
Ora che aveva realizzato i suoi sentimenti verso Malfoy, ora che aveva capito che non era solo un ridanciano cretino…
Sospirò.
Ora che l’aveva capito, per colpa di suo padre, Scorpius si era allontanato, tranciando di netto ogni germoglio di confidenza che era nato tra di loro. 
Grazie tante papà.
Lo vide baciarsi con Clara ‘Gengive Grosse’ Haggins. Sentì come se una gigantesca mano le avesse afferrato lo stomaco, strizzandolo senza pietà.
Sbatté la tazza sul tavolo, facendo sobbalzare Albus.
“Vado a lezione.”
“Ma è tra mezz’o…” tentò il cugino.

“Mi anticipo.” Sibilò, prendendo i propri libri e allontanandosi di corsa.
Merda. Merda. Perché dalla realizzazione al contorcersi in preda alla gelosia passa neanche una settimana? Perché?! Io lo odiavo!
Roxanne inarcò un sopracciglio, guardando verso Albus, cugino-confidente di Rose.
“Ma che le è preso?”
Albus sospirò. “Non ne ho idea.” Mentì.

Quando intendevo che sarebbe stato un grande anno non intendevo un anno di grandi nevrosi però…
 
 
****
 
Biblioteca, dopo pranzo.
 
Era ridicolo. Semplicemente ridicolo.
Erano sei giorni che stava lavorando su quel dannato indovinello.
Thomas Dursley era giunto alla frustrante conclusione che non aveva una risposta.
Era incompleto, mal formulato...
Non lo sapeva.
Ma senza la soluzione, non sarebbe riuscito ad aprirlo.
Il medaglione infatti era stato sigillato con la magia. Una magia talmente potente che un alohomora non ne aveva avuto ragione.
Né avevano funzionato altri incantesimi. Aveva soltanto rischiato di farsi saltare in aria le sopracciglia.
Estremamente scoraggiante
Tom guardò con livore il pezzo di metallo davanti a sé, seduto al tavolo più umbratile e solitario di tutta la biblioteca. Aveva un’ora vuota tra una lezione e l’altra e si era andato a rifugiare lì, per potervi ragionare in tutta calma, senza le chiacchiere dei compagni a distrarlo.
Sentì avvolgersi da due braccia che profumavano di fragole. Sospirò.
“Tommy! Che ci fai qui tutto solo?”
“Lily…” mormorò atono. “Evidentemente cerco di restare da solo.”
“Sei il solito musone!” Ridacchiò sedendosi sul tavolo con aria sbarazzina. “Anzi, no. Pardon. Misantropo.”
“Che parole complicate conosci…” Ironizzò, incrociando le braccia al petto; in realtà Lily gli piaceva. Era impicciona, rumorosa, ma anche intelligente e salace. Non gli dispiaceva la sua compagnia, basilarmente, quando non cercava di ficcanasare nei suoi affari.

Come in quel momento.
“Guarda che il Cappello era indeciso tra Grifondoro e Corvonero.” Si imbronciò.
“Lo so, ce l’hai raccontato centinaia di volte. Cosa posso fare per te?”
“Nulla, solo farmi passare cinque minuti di noia! Sto aspettando delle amiche per studiare assieme, ma chissà… si saranno perse per strada. Le scale mobili, sai…” Fece un gesto vago con la mano. “Come mai non sei con Al?”
“Non viviamo in simbiosi.” Replicò irritato. “Stavo studiando, comunque. Mi sembra evidente.”
“Certo, certo…” sorrise indulgente Lily, con l’aria di saperla lunga.

Di cosa poi?
Lo sguardo le cadde, senza che Tom potesse evitarlo, sul medaglione.
“E questo cosa…?”
“Un regalo.” Spiegò facendo per prenderlo. Lily fu più veloce e glielo soffiò da sotto le dita.

“Lily!”
“È bello! Un po’ vecchio…” lo ignorò, corrugando le sopracciglia. “Ah, ma c’è una dedica! Che cosa romantica… Chi te l’ha regalato?” Chiese con aria tremendamente pettegola.

“Non lo so. E ora, se volessi rida…”
Di enigma è fatto il mio secondo nome. Le prime tre di tomba son le prime.” Scandì Lily. Lo guardò confusa. “E’ un po’ criptica come dedica…”
“Non è una dedica, è un indovinello.” Ringhiò, strappandoglielo dalle mani.  

“Ehy! Ero solo curiosa!” sbuffò indispettita. Poi gli lanciò un’occhiata. “Comunque non è un indovinello, sapientone. È una sciarada.”
“… Una sciarada?”
“Sì, hai presente? Una roba tipo, ‘La terza di dissuasione sono, persona amata, albero famoso. S-cara-faggio. Scarafaggio.” Recitò pensierosa. “Zia Herm ne va matta.” Glielo riprese dalle mani, ma Tom era troppo sorpreso per ribellarsi. Rilesse a bassa voce la scritta. “Beh, la soluzione della seconda frase è semplice.”
Tom la guardò meravigliato. “Davvero?”
“Certo! Le tre di tomba son le prime. Un po’ macabro, ma piuttosto chiaro. Le prime tre lettere di tomba. Tom.” Gli picchiettò il naso con l’indice. “Il tuo nome, Casanova.”
Il ragazzo fece una smorfia, strofinandosi il naso.  

Si sentiva piuttosto idiota. Perché non ci aveva pensato prima?
Le cose quando le hai sotto il naso… - era un adagio di sua madre Robin. Babbano, ma assolutamente veritiero.
“E la prima?”
Lily la lesse attentamente. Si mordicchiò le labbra, ma poi scosse la testa.

“Mi dispiace, questa non la so. Però dev’essere qualcosa che ti riguarda, visto che è un regalo, no?”
“… Già.”

Peccato che non sia un regalo.
Ma ciò significa anche che quella cosa cercava davvero me.
Aveva addosso un medaglione con il mio nome.
… certo, Tom è un nome piuttosto banale, ma se la prima frase dimostrasse che si riferisce veramente a me?
Si sentiva elettrizzato. A stento si dominò dal lasciare Lily senza una parola per andare in un luogo tranquillo a rifletterci da solo.
Ma avrebbe avuto tempo.
La fretta non mi ha certo aiutato prima. Devo solo rifletterci con calma. 
Lily lo guardò attentamente. Gli scostò una ciocca di capelli dalla fronte, facendolo irrigidire appena. Come il fratello maggiore aveva un’idea piuttosto confusa degli spazi vitali altrui.
“Hai l’aria troppo cupa, cuginetto.” Considerò. “Fatti due risate. Stare qui rinchiuso ti fa sembrare un vampiro. Ho visto Al e i vostri antipatici amici serpeverde vicino al lago. Perché non li raggiungi?” Sembrò quasi un ordine, mentre scendeva dal tavolo. Si chinò per dargli un breve bacio sulla guancia, prima di trotterellare via.
Tom fece una smorfia, posando il medaglione sul palmo della mano.
Di enigma è fatto il mio secondo nome…
Quale diavolo sarà la soluzione?
Guardò fuori dalla finestra, dove era visibile una grossa porzione di parco e un lembo di lago.
La giornata era soleggiata, e l’umidità si era ritirata a favore di un piacevole tepore.
Da lì riusciva a vedere Albus e gli altri, notò.
… forse potrei raggiungerli, in effetti.
Per quanto fosse basilarmente una persona solitaria, non era un misantropo come sosteneva Lily: gli piaceva avere compagnia attorno a sé, anche se scelta, certo. Gli piaceva ascoltare.
Si apprendono più cose su Hogwarts ascoltando Zabini e Nott parlare, che cercando personalmente i pettegolezzi interessati. E poi Al…  
Al. Albus. Quella settimana si era emarginato anche per ciò che era successo tra di loro.
Si sentiva in imbarazzo. Non aveva mai considerato con grande interesse l’interazione fisica tra due persone.
Far entrare una ragazza nei miei spazi personali in cambio di cosa? Sesso, baci? Non mi interessa.
E quindi qualsiasi contatto vagamente ambiguo gli risultava indigesto.
In effetti l’unico contatto che ho avuto è stato… un totale fallimento.
Era stato una sera, un anno prima, quando si era lasciato convincere dalla sorella ad uscire con il suo gruppo di amici. Alla fine della serata si era ritrovato solo con una delle sue amiche. Era stata un’idea di Alicia, e per non dimostrare a quella massa di idioti che non era capace di interagire con una ragazza l’aveva baciata. Era quello che ci si aspettava da lui del resto.
Ridicolo. Io sono stato ridicolo.
Era stato un gesto impulsivo, dettato dalla rabbia. Le labbra di quella ragazza sapevano di sigaretta e birra da discount. Era stato… disgustoso.
Lì si erano concluse le sue esperienze con le ragazze, per quanto lo riguardava.
Per quanto riguardava i ragazzi… li considerava una branca di esseri governati dal testosterone, salvo rare eccezioni. Nient’altro.
Sospirò, appoggiandosi alla finestra, soffermandosi a guardare gli amici.
Michel doveva aver rubato un libro al cugino, che si affannava per cercare di riprenderselo, tra le risate di Nott.
Sorrise quando vide che, con un abile calcio negli stinchi, Al riuscì a re-impossessarsene.
Serrò le labbra quando vide che Michel, ripresosi immediatamente, gli passò confidenzialmente un braccio sulle spalle, sussurrandogli qualcosa all’orecchio. Vide Albus corrucciarsi ma poi scoppiare a ridere.
Zabini lo tocca troppo
Batté le palpebre.
Quella era gelosia forse?
Scosse la testa, quasi a negare l’evidenza, e uscì con piglio deciso dalla biblioteca, diretto ai dormitori.
Ma Albus?
La domanda sembrava slegata dal contesto e dai pensieri precedenti.
Eppure Thomas sapeva che non fosse del tutto così.
 
****
 
 
In aula vuota al primo piano.
Dopo pranzo. Attendendo qualcuno.

James rilesse attentamente la lettera, sicuro di memorizzare bene le informazioni, seduto su uno dei banchi di un aula al momento vuota del primo piano.
 
‘Ciao JaS.
Qui tutto bene, grazie per (non) avermelo chiesto. Ultimamente il negozio è sempre irragionevolmente pieno di clienti che si danno fuoco/esplodono/si cauterizzano qualche arto con le nostre invenzioni. Ieri, per farti un esempio, un bambino ha addentato una merendina di nascosto ed ha dato luogo ad una rivoltante emorragia per tutto il locale.

Papà dovrebbe cacciarsi in testa l’idea di chiudere tutto in delle teche, ma temo che lo diverta immensamente avere clienti che si aggirano in preda al panico come galline dalla testa mozzata.
Questo per farti capire il motivo per cui non ho risposto subito alla tua lettera.
Sei diventato isterico, vero? Ahahaah.
Comunque.
Mi hai chiesto informazioni sulla nostra bionda cugina e il tuo adorato Teddy-bear.
Sì, so qualcosa.
Ma non credo sia questo il luogo (cartaceo) opportuno per discuterne.
Incontriamoci stasera ( 12 settembre. Spero che Zonko abbia recapitato in tempo la lettera e non sia andato a sbattere contro qualche palo telefonico babbano) alla Testa di Porco, ad Hogsmeade.
Stasera, alle undici. Cerca di non farti scoprire e non schiantare nessuno.
Baci baci.
Il Magnifico (fred).
PS: Smettila di frignare perché Teddy ti ha punito. Io, con il casino che hai fatto, ti avrei gettato tra le amorevoli braccia del Platano Picchiatore. O ti avrei stretto la mano. Non so.’
 
James sghignazzò, rileggendo la lettera: uno dei motivi per cui lui e il cugino si piacevano era perché entrambi erano due sconclusionati pieni di sé.
“Ridi da solo? Guarda che è un brutto segno…”
James alzò lo sguardo, intascando la lettera.
“Ah, alla buon’ora…” Sbottò scontroso di rimando.
Michel sorrise, facendo spallucce. Si avvicinò, passandogli le dita sul cravattino.
“Vedo che non hai abbandonato quell’orrendo profumo…” Considerò, soffiandogli sulle labbra.
James gli fermò la mano, tacitando la fitta all’inguine che aveva percepito prepotentemente.

Michel Zabini era… uno stronzo.
Sì, soprattutto.
E poi collateralmente era l’unico maschio con cui andava a letto.
Era iniziato tutto prima dell’inizio dell’estate, in un modo beh… che si poteva definire… surreale.
Per cinque anni non si erano parlati. Certo, Zabini era uno dei migliori amici di Albus, e l’aveva incontrato più volte sul campo da Quidditch. Ma non era mai arrivato a parlarci, o considerarlo. Era successo tutto ad una festa organizzata dai Serpeverde, in concomitanza con l’equinozio di primavera.

Una di quelle feste a cui non puoi mancare. E infatti James, da bravo Grifondoro Numero Uno, non era mancato. Non era permesso l’alcohol, certo, ma era stata una proibizione del tutto inascoltata. Aveva bevuto quella sera, tanto. I fratelli erano andati via prima delle dieci, lasciandolo felicemente in balia di se stesso e di una sbronza epocale.
Al, a onor del vero, aveva provato a portarlo via, ma sentendosi mandare al diavolo per ben tre volte aveva deciso, infine, di lasciarlo al suo destino.
 
James si era appoggiato al muro della stanza ancora densa di gente, dove la musica pompava a tutto volume e l’alcohol sembrava il carburante vitale. Aveva riso, quando aveva visto Lorcan cercare di baciare una tipa sbronza di Corvonero che gli aveva poi mollato un ceffone.
“Ehy Potter… a quanto pare sei l’unico cattivo ragazzo della famiglia.”
Si era voltato e aveva trovato Michel Zabini accanto a sé, appoggiato alla parete come lui. Il bastardo, di solito, riusciva a sembrare perfettamente in controllo. In un certo senso c’era da stimarlo.

Ma quella sera sembrava più ubriaco di lui, a giudicare dalla camicia fuori dai pantaloni e l’assenza di cravatta.
La festa era a tema, un po’ banale, ma sempre efficace. ‘Cattivi ragazzi, Bravi ragazzi’
Ovviamente lui era quello cattivo. Pantaloni di pelle di drago, maglietta bianca attillata.
Si sentiva un figo. Un figo decisamente sbronzo.
“E tu invece, cosa saresti? Il figlio di papà?”
“Acuto, da parte tua Potter… Bella
mise. Pelle di drago?” Aveva indugiato sui suoi pantaloni. Solo dopo James avrebbe capito su cosa aveva indugiato veramente.
“Sì. Li tiro fuori per le grandi, cattive, occasioni.” Aveva ghignato.
“Naturalmente… Bevi qualcosa?”
Il sorriso del Serpeverde, aveva stimato James trai fumi etilici, era strano. Ma non ci aveva fatto troppo caso. In quel momento anche le mani di Lysander sul culo di una Tassorosso particolarmente brilla gli sarebbero sembrate strane.

“Ma se è tutto finito…”
“Dipende a chi chiedi, Grifondoro.” Gli aveva porto una fiaschetta col monogramma. James l’aveva guardato. Era una sfida?
Se l’era vuotata, facendo ridere l’altro.

“Però… reggi…” Gli aveva messo una mano sulla spalla. “O sembra, almeno.”
“Per chi cazzo mi hai preso, Zabini? Per mio fratello?”  

Il moro aveva sorriso, di quel suo sorriso strano.
“Affatto.”
 
La cosa seguente che ricordava e che si stavano divorando le labbra dietro le tende, mentre i fianchi magri del ragazzo sbattevano contro i suoi.
Era iniziata così. Una sbronza e pochi pensieri. Ed era continuata così.
Si vedevano ogni tanto, al ‘bisogno’ come sentenziava ironicamente Zabini. Non condividevano nulla, se non qualche battuta salace e il sesso. Ottimo sesso, ma zero confidenza.
Continuiamo persino a chiamarci per cognome…
“Non ho voglia stavolta, Zabini.” Disse duro.
L’altro fece un mezzo sogghigno. “Davvero?”

Sentì la pressione della mano dell’altro sull’inguine e si inghiottì un sussulto.
“Vaffanculo. T’ho detto di no.”

“Va bene, va bene…” Si allontanò, alzando le mani in segno di resa. “Allora posso sapere perché sono qui?” Chiese ironico.
James sbuffò. “Per stasera, salta. Ho un impegno.”
“Possiamo farlo diventare a tre?”
James fece una smorfia schifata. “Mi vedo con mio cugino Fred. Falla finita.”
Michel rise, facendolo sentire un imbecille. “Per come mi tratti sembra che ti obblighi. Ironico, considerando che mi cerchi sempre tu…”
James serrò i pugni.

C’era qualcosa in quel serpeverde che gli faceva venire voglia di spaccargli la faccia, quel viso perfetto dagli zigomi alti da orientale. Eppure la stessa cosa lo spingeva a schiacciarlo su un letto e scoparlo.  
Era istinto, nient’altro. Sbagliato o giusto che fosse, non riusciva a sottrarsi.
Doveva ammetterlo: con le ragazze non era mai stato così facile.
Prima di Zabini non aveva mai pensato ai ragazzi: ma poi era stato tutto semplice e talmente naturale, che, sinceramente a volte si chiedeva come non se ne fosse accorto prima.
Che gli piacevano anche gli uomini.
Comunque, tutto quello aveva del comico: lui, che non mancava occasione per sputare sul verde-argento, si ripassava il Super-Serpeverde.
Da ridere, no?
“Beh, non sono qui per parlare di noi due, Zabini, anche se so quanto ti piace pettinare le bambole con mio fratello…” Salto giù dal banco. “Stasera niente. Prossima settimana.”
Michel fece spallucce. “Prossima settimana.” Confermò. Quando fu sulla porta però lo fermò.
“Sai, è ironico come femminilizzi Albus, quando sei tu quello che va ad uomini.”
James si voltò, serrando la mascella. “Figlio di puttana… se provi a dire in giro…”  Iniziò minaccioso: sebbene non avesse problemi con se stesso, non voleva averne con gli altri. E con la sua famiglia soprattutto. E se anche una sola persona ad Hogwarts ne fosse venuta a conoscenza… beh.

Sarebbe stato come gridarlo ai quattro venti.
“Cosa dovrei dire in giro? Sai che non sputtanerò la tua reputazione. Non mi converrebbe. Ma non mi piace che si parli male dei miei compagni di Casa.”
James fece una smorfia, senza rispondergli, andandosene e sbattendosi la porta dietro.
Michel sospirò appena, controllando che la divisa fosse in ordine e la cravatta fosse ben liscia e dritta.
Non che la mia reputazione sarà mai in pericolo. So difendermi meglio di te dai colpi dell’opinione pubblica, Potter-boy.
È solo che Al non mi perdonerebbe mai, se facessi scoppiare uno scandalo sulla sessualità ambigua di suo fratello. Non quando voglio risvegliare la sua…  – ma lo pensò soltanto.
Quello che pensava e desiderava Michel era spesso molto lontano da quello che mostrava all’esterno.
Dopotutto, era Il Serpeverde, no?
 
 
****  



 

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Capitolo 19
*** Capitolo XIV ***


Questo capitolo è dedicato a chi si è fatto due palle così ad aspettare di sapere cosa fosse successo realmente tra Victoire e Ted. ;)
@Sammy Malfoy: Ehilà! Non preoccuparti, so bene che rottura è la scuola e i problemi di connessione! ;) Michel? Michel fa stato a sé, come ogni buon Serpeverde che si rispetti… tranne Al, ma lo sappiamo che il nostro principino è un caso apparte. XD Tom è super-geloso, del resto si sa che i Tom hanno una certa predisposizione ad essere gelosi delle proprie cose ;P E’ vero, il rapporto Tom/Harry mi è piaciuto lavorarci. Credo che Harry lo senta molto affine, e per questo tenda ad essere un po’ indulgente con Thomas, un po’ paterno. Vedremo se fa bene. Grazie per essere passata!

@Altovoltaggio: Ehi, ti sto facendo appassionare alle vicende slash di questa fic? XD Essì, è un bel casino questi rapporti tra adolescenti, ma sono, appunto, adolescenti. XD Incasinatissimi. Posso però dirti che Lily nutre solo un affetto fraterno per il bel Tom. Troppo musone per lei, mi dice! XD La sciarada… perché non provi a mettere ‘enigma’ in un traduttore automatico di inglese e vedere cosa ti viene fuori? Dopotutto i nostri pg sono inglesi purosangue! ;P (e qui si capisce la voglia di Dira di spoilerare).  
@Trixina: Non preoccuparti, so bene che razza di rottura sia la scuola! Ci siamo passati tutti! (o non saremo qui a scrivere ;P) Lily ti assicuro che è una gran ragazza, dietro quei pochi camei che fa! Lei SA. XD Grazie per i complimenti sul rapporto Michel/James. Sono stata indecisa fino all’ultimo se spiegarlo in quel modo. Fa piacere che tu li abbia apprezzati.
@Pietro90: Ehilà, compare di fandom! XD Grazie per i complimenti, e rinnovo i miei per la tua fic. Grazie per continuare a seguirmi! ^^
@MissMary: Una new entry! Ma ciao, che meravigliosa recesione mi hai lasciato! Non preoccuparti, ADORO le recensioni enormi! *_* Certo, hai azzeccato la soluzione dell’enigma… o forse no? Lo vedremo assieme a Tom! Non preoccuparti, una Al/Tom è assicurata (non necessariamente in quest’ordine ehehe). Quei due in effetti sono abbastanza palesi come coppietta tenerella, no? In questo capitolo avrai qualche soddisfazione. Per Rose e Scorpius, sono ufficialmente la coppia in testa della storia, a quanto pare. C’è da dire che è quasi Canon ormai. XD
@Nyappy: Grazie per la recensione per l’augurio, che ricambio con un crepi (il lupo!). fa sempre piacere vedere che continui a seguirmi ^^
@Hel_Selbstmord: Ciao Hel! Non preoccuparti le tue recensioni sono sempre benvenute, presto o tardi che siano! Tutte amiamo Michel, vero? Mi sa che ti aiuto nella fabbricazione dello striscione! XD Come si fa a non adorare quella canaglia sexy e serpeverde? Mi fa piacere inoltre che tu abbia dato qualche merito a Jamie, che lo so, non è un personaggio facilissimo da amare. Ma del resto anche il suo omonimo, nel canon, era un gran testa di… XD
Crepi per i miei esami e beata te e Barcellona. Meno male che io vado a Berlino :P

 
****
 
Capitolo XIV
 

 
 


Everybody thinks you
're well / Everybody thinks I'm ill
Watching me fall apart / Falling under your spell
(Re-offender, Travis)
 
Dormitori Serpeverde.
Verso le undici di sera.

 
Albus era seduto, con la schiena appoggiata ad una pila di cuscini, sul suo letto.
Il coprifuoco era passato da un pezzo.
Zabini non era ancora tornato dalla sua ronda notturna da prefetto, mentre Nott probabilmente si intratteneva con qualche ‘fanciulla’ nella stanza di lei, con un incantesimo silenziante di rinforzo.

Sospirò, appoggiando sulle gambe il tomo di pozioni che Lumacorno ci aveva tenuto assolutamente a regalargli, quel pomeriggio.
Si sentiva sempre un po’ a disagio a parlare in privato con quell’uomo: si sentiva sempre come se da un momento all’altro volesse… collezionarlo.
Il che era abbastanza inquietante, in effetti.
Thomas dormiva, con le tende tirate. Era una settimana che le chiudeva quando andava a dormire e le riapriva la mattina. Serrata totale. Michel e Loki lo reputavano un capriccio, ma lui si sforzava di ignorarlo.
Come si sforzava di sopportare i suoi improvvisi silenzi e le sue sparizioni giornaliere in biblioteca. Non che non se ne fosse accorto: Thomas stava evitando tutti.
E soprattutto stava evitando lui.
Sbuffò, chiudendo il libro per appoggiarlo sul comodino. Si stropicciò un occhio, guardando nella direzione delle tende tirate.
Lo stava evitando. Era un dato di fatto.
Non che lo desse a vedere troppo chiaramente, infatti gli altri si erano limitati ad osservare che era di malumore. Ma Thomas era spesso di malumore. E non era quello il modo in cui lo dimostrava ad urbi et orbi.
E soprattutto i suoi malumori non duravano un’intera settimana.
Certo che ne sai di cose … - Disse una vocina, che aveva come al solito il tono suadente di Michel – Neanche una fidanzata saprebbe tanto del proprio ragazzo…
Arrossì, come un deficiente, considerando che aveva fatto tutto da solo. Inspirò.
Tom, comunque, aveva qualcosa di strano.
E sperava di tutto cuore che non c’entrasse nulla la nuova professoressa. 
Non può essere quello… la prima cotta di Tom non può essere una professoressa. Una donna più grande di lui!
Anche se non sarebbe stato così strano, riflettendoci: Tom aveva stima delle persone intelligenti, con una grande passione per la conoscenza. Non era un caso, infatti, che andasse piuttosto d’accordo con Hermione.
(Una volta avevano passato persino un pomeriggio a discutere di libri.)
E poi era maturo, nulla da dire su questo: rispetto ai loro coetanei, presi da piccoli drammi quotidiani come compiti non fatti o la sconfitta della squadra del cuore, il cugino ne usciva praticamente adulto.
Non sarebbe strano se si innamorasse di una donna matura, acculturata, intelligente come la professoressa Prynn… - Continuò la vocetta.
Albus si arruffò furiosamente i capelli, emettendo un lamento frustrato.
Sarebbe stato terribile.
E perché? – Incalzò Vocetta-Zabini.
Mugugnò: era ovvio. Perché si sarebbe reso ridicolo di fronte a tutta la scuola.
Ebbe un flash mentale del cugino mentre faceva una dichiarazione appassionata alla professoressa, di fronte a tutta la Sala Grande, con in mano un fascio di rose rosse (in quei casi erano sempre rosse).
Invece di mettersi a ridere si sentì il sangue gelare nelle vene.
Sarebbe stato orrendo.
Fece una risatina nervosa.
Assurdo… Tom non farebbe mai niente del genere. È talmente riservato che …
Beh, fino ad una settimana prima nessuno si sarebbe mai immaginato che avrebbe potuto fare la faccia da pesce lesso ad una professoressa.
Lanciò uno sguardo nervoso verso il suo letto. Si liberò delle coperte, andando ad aprire le tende. Tom, ovviamente, dormiva.
Corrugò le sopracciglia quando si accorse che il sonno dell’altro era tutt’altro che sereno.
Tom dormiva sempre di schiena, e in quel momento era pallido, leggermente sudato e respirava irregolarmente.
Ha un incubo…
Al si morse un labbro, incerto se svegliarlo. Di solito con James non era mai una buona idea. Una volta si era ritrovato un gran occhio nero.
Rimase a guardarlo, incerto sul da farsi: sapeva che gli incubi di Tom non riguardavano brutti voti o girare nudo per la scuola (erano i suoi quelli), quanto piuttosto… il modo in cui era stato trovato.
Quando era bambino suo padre gli aveva raccontato, dopo averlo informato che Tom non era davvero suo cugino, di come l’avesse salvato da un uomo cattivo, che poi era risultato, qualche anno più tardi, essere un mangiamorte.
Era ancora un bambino… però si ricorda del suo rapimento… 
Una delle tante stranezze di Tom. Come essere stato colpito da una maledizione e non avere l’ombelico.
Si sedette sulla sponda del letto. Il movimento ebbe l’effetto di svegliare l’altro, che si raddrizzò di scatto, soffocando un urlo in gola, ansante.
Al saltò in piedi. “Tom!”
Il ragazzo lo guardò. Per un momento parve non riconoscerlo, ancora nelle lande brumose del sonno, poi deglutì lentamente “Al…” mormorò. Sembrava davvero sconvolto. Abbassando lo sguardo Albus notò che gli tremavano le mani.

“… Fatto un brutto sogno?” Chiese, sentendosi un idiota.
Beh, non era sicuramente bello.
Tom deglutì ancora, annuendo.
“Studi troppo ultimamente. E non ce ne sarebbe neanche bisogno. I M.A.G.O. sono il prossimo anno sai…” Lo motteggiò con affetto. “Tutto quel tempo in biblioteca ti fonde il cervello.”
Tom non rispose, guardandosi le mani. Sembrò accorgersi in quel momento che gli tremavano.
“Vuoi che ti prenda…”
“Sto bene.” Disse, in tono nuovamente controllato. Lanciò un’occhiata fuori dal letto. Al intuì.

“Lo e Mike sono fuori… Mike per la ronda, Lo…” fece uno sbuffo significativo. “Non ci sono.”
“Bene.” Gli scoccò un’occhiata. “È tardi, perché non dormi?”
Al fece spallucce. “Stavo leggendo il libro che mi ha dato Lumacorno. Più che altro, che mi ha imposto. Però è interessante.”

L’altro annuì. Sembrava distratto. “Al… mi hai sentito parlare?” chiese poi.
“No, te l’ho detto, stavo leggendo. Ma tu non parli mai nel sonno, giusto?”
“No.” confermò scrollando le spalle. “Sono contento di non averti svegliato.” Gli sorrise, e Al ricambiò. Si sentiva stranamente sollevato.

Era quasi una settimana che non chiacchieravamo…
“Hai un aspetto terribile…” lo canzonò. Ma lo aveva davvero. Era talmente pallido da far sembrare Malfoy abbronzato. 
E inoltre sembra ancora piuttosto scosso...
“Vuoi che dorma con te?” gli chiese spontaneamente. Se ne pentì subito, vedendo l’espressione meravigliata dall’altro.
Che imbecille. È Lily che consolavo quando aveva un incubo dormendoci insieme, non lui!
Ma che mi è venuto in mente?
“… Sì.” La risposta ebbe il potere di fermare il suo flusso di seghe mentali.
Ha detto sì?
Si guardarono sbalorditi, prima di mettersi a ridacchiare entrambi, l’uno della faccia dell’altro.
“Chissà cosa penserà Michel…” ridacchiò Al, molto più rilassato. Non sapeva se per l’assenso di Tom o per la risata. Forse per entrambe.
“Pensi quello che vuole. In ogni caso, pensa sempre male.” Replicò, scostandosi per farlo entrare sotto le coperte. Il letto era sufficientemente spazioso per entrambi.
Non si fanno economie qui a Serpeverde… in effetti siamo circa la metà dei Grifondoro… lo spazio non ci manca di certo.
“Beh, stiamo solo dormendo assieme.” Borbottò Al, di nuovo a disagio.
Andava ad ondate, quel dannato disagio.
Tom sorrise, con una sfumatura improvvisamente maliziosa. “Infatti.” Confermò.
Al sbuffò, tirandogli una gomitata. “Non cominciare anche tu! Cos’è, Mike ti ha contagiato?”
Tom ridacchiò. “Penso sia impossibile diventare pervertiti come lui…”
“Questo è vero.” Sorrise. “Pensavo ti desse fastidio dormire con qualcuno…”
Tom fece spallucce, stendendosi. Era strano condividere lo stesso letto, l'avevano fatto da bambini, ma ora non lo erano rifletté Al, però in un certo senso era una cosa naturale. Forse Tom non lo percepiva come un intruso, nei suoi preziosi spazi vitali. E lo stesso valeva per lui.
Quel pensiero gli diede un piacere sottile, soddisfacente.
E stranamente annullò anche gli orribili pensieri su Tom e la professoressa Prynn.
“Ehi?” chiese dopo un po’. Sentiva il calore del corpo dell’altro, e per un folle momento si immaginò a rannicchiarsi contro di lui.
Chissà forse è lo stesso motivo per cui Tom mi ha detto di sì… aveva bisogno di avere accanto qualcuno…
“… Al, sinceramente è un po’ urtante che mi chiami e poi ti metta a pensare ai fatti tuoi.” Lo richiamò l’altro, nella penombra. “Che c’è?”
“Ah… scusa. No, è che… il sogno era tanto brutto?”
“Ti ho detto che non me lo ricordo.”

“Però ti ha spaventato.”
“Non mi ha…”
“Tom, tremavi.”
Sentì un sospiro.

“Sì. Non ricordo cosa mi ha spaventato, ma mi ha spaventato.” Confermò, e anche al buio Al seppe che aveva fatto una smorfia di disappunto. Gli cercò la mano, e gliela strinse.
Tom dopo una breve esitazione rispose alla sua stretta.
Si sentì stupidamente felice.
“Beh, non c’è niente di male ad essere spaventati da un incubo.” Disse.
“Non sono un ragazzino Albus.” Replicò l’altro di malumore. Ora era di malumore. Gli venne da ridere, ma si trattenne.

“Certo che lo sei. Abbiamo sedici anni.” Rimbeccò. Lo sentì sbuffare.
Tu sei un ragazzino.”
“E tu cosa sei?” Replicò ridacchiando.
“Un giovane mago.” Disse Tom serio, anche se era certo che stesse sorridendo. “Dormi ora… o domattina andrai a sbattere contro tutti gli angoli del castello.” Sussurrò.
Albus sentì un nodo alla pancia, e fece in modo da girarsi, per lasciargli la mano con una buona scusa. Gli aveva sussurrato, senza volerlo, sul collo. Era davvero vicino.
Se ne accorse in quel momento. Come si accorse del brivido che lo scosse tutto.
E non era di freddo. Oh no, per niente.
Chiuse gli occhi con forza, imponendosi di dormire. Fortuna voleva che fosse una di quelle persone dal sonno facile. Si addormentò immediatamente.
Tom sospirò appena quando sentì il respiro regolare dell’altro. Scivolò fuori dal letto.
Avevano sì dormito assieme, ma da bambini.
E ci sono ottimi motivi per non farlo adesso… - pensò con una punta di irritazione, scosso da un turbamento che sapeva avesse precisamente un nome.
Attrazione.
Era attratto da Al.
 
 
****
 
Hogsmeade.
Undici di sera.
 
James tirò su con il naso. Stava camminando di soppiatto nella via principale di Hogsmeade.
Non era stato semplice arrivare fin là. Affatto. Si assicurò che il mantello lo coprisse adeguatamente, fermandosi in corrispondenza della vecchia insegna sbrecciata, che recitava ‘Pub Testa di Porco’.
Entrò dentro, tirando un energica manata alla vecchia porta in legno.
L’odore di fumo di pipa, birra e polvere stantia l’aggredì piacevolmente. Quel luogo poteva non essere caratteristico e ameno come i Tre Manici, ma di sicuro era il posto adatto per passare inosservati, se si trasgrediva le regole. Si guardò attorno, e non vide nessuno di conosciuto. Niente professori. Perfetto.
Si tolse il mantello, rendendosi nuovamente visibile. Vide il vecchio proprietario, Aberforth Silente, sempre più incanutito, lanciargli un’occhiataccia. L’unico che avesse notato la sua improvvisa epifania.
Beh, normale. Ognuno qui si fa i fatti propri…
Gli sorrise smagliante, rimediandosi un brontolio sordo.
“Ehy Abe, come ce la passiamo?”
“Ti va di scherzare?” chiese scuotendo la testa, mentre passava uno straccio sul bancone. “E comunque, tu non dovresti essere ad Hogwarts?”
Dovrei, appunto. Ma sono qui. Aspetto una persona. Intanto porta due…”
“Succhi di zucca.” Replicò l’uomo con un sogghigno. “Solo perché sei in una bettola non significa che Abe non sa che sei minorenne, James Sirius Potter.”
James alzò gli occhi al cielo. “Okay. Facciamo così. Una burrobirra e un whiskey incendiario. Mio cugino Fred è maggiorenne, Abe.”
L’altro grugnì qualcosa, ma si voltò per preparare l’ordinazione. James si sedette ad un tavolo vicino alla finestra, togliendosi il giubbotto e la sciarpa.

Cominciava a fare freddo.
Adoro il freddo… tempo da camino. Halloween, Natale.
La porta si aprì di nuovo e James sorrise. “Ehy Freddy, qua!”
Fred Weasley Junior replicò con lo stesso sorriso. Assomigliava alla sorella. Pelle color caramello denso, perfetta unione di quella dei genitori, capelli corvini rasati a zero e vestito di colori sgargianti, come il padre. Aveva gli stessi occhi giocosi dei gemelli, di un azzurro limpido e privo di macchie. James si alzò, dandogli una pacca sulla spalla.
“Salve a te, Jas. Tempo da cani. Questo mese danno pioggia.” Si sedette. “Hai rischiato una bella sospensione, stasera.” Sogghignò dando un sorso al suo bicchiere.
“Mi hai chiesto tu di vederci qua!”
“Beh, non posso certo venire io. Ti ricordo che sono un ex-alunno, ed oltretutto non ci si può…”
“Smaterializzare o Materializzare ad Hogwarts. Zia Herm dovrebbe stamparci delle magliette con questa frase… farebbero furore.” Recitò annoiato James.

“Teddy.” disse Fred, ammiccando. James sbuffò.
“Teddy.” Confermò.
“Beh, cosa vuoi sapere di preciso?”
“Te l’ho detto! Cos’è successo quest’estate?”

“Intendi dire in Francia? Beh, io ho conosciuto Vivienne…”
“Non tu, caprone! Teddy. Ti rendi conto che fino a due mesi fa sembrava che dovesse vivere per sempre in Provenza e adesso insegna qui?” scosse la testa. “Inoltre… ha i capelli castani.”
“Davvero? Ero convinto che ci fosse nato, con quegli orribili capelli blu.”

“Non sono orribili!” Ringhiò James. “Sono suoi. E comunque non prendermi per il culo, cazzo. Ted non ha mai avuto i capelli castani. È un colore… scialbo! Non da lui.”
“Sai Jas, credo sia il suo colore originario. È un metamorfomago ma comunque con un colore di base dev’essere nato per forza…” Suggerì l’altro con aria divertita.

James incrociò le braccia sul tavolo, guardando assorto il colore ambrato della sua bevanda.
“Che è successo in Francia, Fred? Tu lo sai per forza. Sei stato ospite di zio Bill per tutta l’estate…” ripeté pazientemente. Fred era un genio nel divagare.

Il segreto è continuare ad insistere con la stessa domanda.
Prima o poi gli entra in testa, invece di scivolargli addosso.
Fred si stiracchiò. Lo guardò per un tempo che James trovò assurdamente lungo e irritante. Ovvio che lo facesse apposta.
“Perché ti interessa saperlo?” Chiese gentilmente. James serrò le labbra: odiava quando lo trattavano come un ragazzino impiccione. Fred non lo trattava con la condiscendenza tipica dei genitori, o degli adulti di famiglia, cugini maggiori compresi, per questo andavano d’accordo. Di solito.
Okay, probabilmente era impiccione.
Ma non era un ragazzino.
“Perché voglio bene a Teddy.” Disse sincero, guardandolo negli occhi. “Perché è famiglia, ed ha qualcosa che non va. È triste. Non parla di Vic, quando prima era tutto ‘quant’è fantastica Vic, Vic ha detto’… e roba del genere.”
“Questo quanto tempo fa? Quando tu eri al secondo anno?” Lo corresse Fred, scuotendo la testa. “Nei rapporti le cose non rimangono mai uguali. Credo che Ted abbia passato la fase di entusiasmo per avere finalmente una ragazza.” Soggiunse ironico. “Sono passati sei anni, Jam… le persone e i rapporti cambiano, in sei anni.”

James sentì che le dita gli premevano nei bicipiti, fino a fargli male.
Non Ted. Ted è sempre Teddy.
“Lo so.” Eruppe secco. “Vuoi dirmi cos’è successo? O devo scoprirlo da solo?”
“Per Merlino, ce ne scampi!” rise l’altro. “No, no… vuoterò il sacco.” Finì il suo bicchierino, schioccando la lingua. “Senti, è una notizia che non è arrivata ai confini britannici, ma penso che prima della fine dell’anno lo sapranno tutti. Sai, c’è Natale…” Si passò una mano sulla testa. “Ted e Victoire si sono lasciati.”
James batté le palpebre. “… Si sono?”
“Mollati, piantati, scaricati, mandati al diavolo. Mettila come vuoi, ma non stanno più assieme.” Scrollò le spalle. “È successo poco prima che partissi. Zia Fleur era sul piede di guerra. Victoire è partita per Parigi il giorno stesso della rottura, senza avvertire nessuno. Teddy credo abbia sistemato i suoi affari e poi sia partito. E adesso…”
“… è qui.” Terminò James per lui. Si sentiva… strano.

Aveva come un groppo alla gola, ma non certo per il pianto. Non era come Lily, che avrebbe pianto per il loro defunto amore. Era abbastanza cinico da sapere che anche una coppia d’oro come Teddy e Vic si sarebbe potuta mollare.
Soltanto che…
Teddy adesso è solo.
Si sentiva come se qualcuno gli avesse fatto un incantesimo levitante.
Come se il mondo, improvvisamente, fosse a testa in giù.
“Zia Fleur ha obbligato tutti al silenzio stampa… Credo speri ancora che Teddy torni con la figlia. Dopotutto, chi se la prenderebbe una piaga del genere?” sghignazzò, cercando approvazione da James.
Che non arrivò, perché il ragazzo guardava attonito la sua burrobirra, intoccata.
“Ehy, Jas? Tutto okay?”
“Uh? Ah, sì… certo. Sono solo sorpreso.” Borbottò, alzando lo sguardo. “Com’è successo? Cioè, si saranno mollati per un motivo…”
“Non ne so molto.” Ammise Fred. “Dom mi ha detto che da quando era tornato da Londra era strano, e una settimana dopo…”
“Da Londra? Teddy quest’estate era in Inghilterra?”
E non me l’ha detto?!
“Uhm, sì. Ma non ti scaldare perché non è venuto a giocare con te, Jamie. C’è stato solo un giorno. Sua nonna aveva bisogno di lui per non so che.” Sbuffò divertito. “Comunque quando sono tornato…”
“Aveva i capelli castani?”
“Cosa? Oh, ancora con ‘sta storia?” esalò esasperato. “Non ne ho idea. Io ero a Marsiglia, con Vivienne. Quando sono tornato Vic era sparita e Teddy era partito. È tutto quello che so sulla faccenda.”

“È assurdo. In una settimana si sono piantati? Stavano insieme da… milioni di anni!”
Fred fece una smorfia. Prese la pipa da dentro la giacca, e cominciò a prepararla, schiacciandoci dentro tabacco dolce. “Le cose non andavano da tanto, Jas. Sei anni per una coppia sono tanti… e sai, cominci a fare piani. A pensare al futuro.” Lo disse in tono lugubre, strappandogli un sorrisetto. Sapeva quanto Fred fosse allergico ai legami, specialmente implicanti un anello al dito.

“Tipo… sposarsi?”
“Tipo sposarsi.” Confermò. “Almeno, era quello che aleggiava nell’aria. Zia Fleur era tutta una frecciatina in proposito.” scrollò le spalle. “Non so come la pensasse Ted in merito, sai, non siamo amichette del cuore… ma credo che la cosa lo stressasse.”
“Perché?” Sentiva quel nodo serrarsi. Sperava che Fred non si accorgesse del fatto che si sentiva avvampare. “Voglio dire… era l’amore della sua vita, no?”
“In sei anni le cose cambiano…” riprese criptico. “Io mi stanco di una ragazza in sei settimane. Forse Teddy se n’è stancato in sei anni.”
“Ted è fedele!” Si inalberò contraendo i pugni. Fred gli lanciò un’occhiata.

“Lo stai idealizzando, Jamie. È solo un ragazzo di ventiquattro anni, con la famiglia della propria fidanzata che non gli dava respiro, pianificando un matrimonio, che a sentire Fleur, era prossimo. Io sarei scappato al Polo Nord. Teddy è un nostalgico. È tornato in Madrepatria.”
Si appoggiò allo schienale della sedia, accendendo la pipa con un paio di boccate. Un profumo dolciastro salì le narici di James, che aveva sempre odiato il tabacco alla ciliegia.
“Con questo non intendo dire che abbia tradito Vic. Teddy è troppo onesto per fare una cosa del genere, vero?” Sorrise ironico. “Se vuoi un parere, si sono lasciati perché lui non sopportava di dover restare legato a quella piattola tutta la vita. E lo capisco. Ha tutta la mia maschia comprensione…” terminò.
James ridacchiò, ma poi scosse la testa. “Tu non conosci Teddy. Non l’avrebbe lasciata perché si sentiva soffocato… Ne avrebbe parlato con lei, forse per mesi, ma poi le cose si sarebbero risolte.”
“Se la amava.”
“Cosa?”
“Ho detto…” tirò una boccata dalla sua pipa in gesso rosso. “Se la amava ancora. Se la passione si è spenta, io non ci penserei di certo a sposarmi.”

James serrò le labbra. “Sono la coppia perfetta.”
La fottuta coppia perfetta, inscalfibile. Principe azzurro e Principessa dai lunghi capelli biondi.

Finisce sempre con ‘tutti vissero felici e contenti’, no?
Perché se non finisse così… se non finisse così…
“Non esistono coppie perfette.” Disse Fred guardandolo. “Non esistono amori perfetti, Jas. Anzi, mi arrischio a dire che quelli che valgono la pena sono proprio quelli sbagliati. Non trovi?”
Gli occhi di Fred erano limpidi, acuti.
Uno dei motivi per cui James apprezzava e stimava proprio quel cugino… era perché era il solo che lo capisse completamente. Perché ragionavano allo stesso modo.
L’hai capito, vero Freddy?
Non sono un bambino di sei anni con le ginocchia sbucciate.
Non voglio bene a Teddy. Io voglio Teddy.
“Vuoi la mia opinione cuginetto Potter? Teddy ha giocato a fare il principe azzurro per troppo tempo. Vivere nel bel castello in Provenza con la sua principessa gli ha fatto capire che non era quello che voleva veramente. Non so come lo abbia capito… personalmente credo sia un po’ tardo su certe cose…” sogghignò, tirando un’altra boccata. “Però ci è arrivato, ed ha mandato tutto a monte. Per come sono fatto io, gli stringerei la mano e gli offrirei da bere. Ma credo che lui abbia il cuore roso dal rimorso…”
James sbuffò. “Probabile.”
Fred guardò il quadrante dell’orologio. “Senza offesa, piccolo Jas, sai che adoro la tua compagnia. Ma in questo momento dovrei essere ad un rendez-vous con una simpaticissima ragazza di Leeds. Amanda. Deliziosi occhi color nocciola…” Si alzò, con la pipa tra le labbra. “Paghi tu, vero?”
James sbuffò. “Carino da parte tua approfittarti di uno studente…”
“Beh, è il prezzo per le informazioni. Tutto, a questo mondo, ha un prezzo.”
“Arido commerciante.”
Fred si inchinò leggermente, beffardo. “Lo prendo come un complimento.” lo guardò ironico. “Non strapazzare troppo Teddybear, mi raccomando. Buon ritorno a scuola.” Gli strizzò l’occhio e si smaterializzò.

 
****
 
Piazza Centrale di Hogsmeade.
Mezzanotte passata.
 
James guardava il grasso spicchio di luna che si stagliava in cielo, privo di nuvole.
Sedeva su una panca accanto alla fontana della piccola piazza, guardando il getto pigro dell’acqua abbattersi sulla superficie cristallina della polla.

Tra le dita stringeva una sigaretta. Pessimo vizio, lo sapeva, decisamente babbano, ma lo aiutava a rilassarsi. Se sua madre l’avesse saputo l’avrebbe ucciso.
Teddy e Vic… si sono lasciati.  
Si rifiutava di darsi una speranza. Lui era Jamie.
Un maschio, il fratellino pestifero.
Praticamente neanche mezza speranza. Dovrei pensare a scoparmi Zabini e non farmi illusioni…
Aspirò un tiro, buttandolo fuori rabbiosamente.
Non sapeva quando aveva cominciato a provare quello che provava – ridicolmente – per Teddy. Semplicemente, un giorno, davanti ad un sorriso e un abbraccio aveva capito che non lo voleva come fratello maggiore.
Che gli sarebbe piaciuto baciare quelle labbra sottili, sentire se la pelle dei fianchi era morbida come quella delle sue guance. Che gli sarebbe piaciuto ricevere i baci che dava a Victoire, e che se lo cercava sempre con lo sguardo era per motivi tutt’altro che infantili.
Era stato un trauma, ma semplicemente se l’era buttato alle spalle. Era bravissimo, ad ignorare i problemi.
Chiuse gli occhi.
T’ha fatto soffrire quella puttana, Teddy?
Gli sarebbe andato bene, avrebbe persino applaudito ad un loro matrimonio e si sarebbe scarrozzato i loro marmocchi in giro per le campagne inglesi…
Bastava che tu fossi felice, cazzo.
Invece lui era lì. Non in Francia, a fare il principe azzurro della bionda principessa.
Era lì, solo e triste.
Le carte in tavola erano cambiate. E quei sentimenti spingevano, bastardi e tenaci per uscire, fottendosene del passato, dell’età, del fatto che fosse un suo fottuto professore.
Sono proprio un cazzone…
Buttò la sigaretta.
Basta seghe mentali. Si torna a Hogwarts… e speriamo che non ci sia Gazza in giro.
Si alzò in piedi, quando sentì dei rumori. Passi.
Stavano arrivando da un vicolo laterale, persone.
Soffocò un’imprecazione. Era chiaro che non fosse un autoctono, ma uno studente, e se l’avessero beccato sicuramente l’avrebbero scortato ad Hogwarts con tutti gli onori.
E grazie no, niente punizione. Ne sto facendo la collezione ‘sto anno…
Si nascose dietro la fontana, sperando che passassero senza notarlo.
Non si aspettava di trovarsi di fronte a… quello.
Due dei sei Naga scomparsi – cinque considerando che uno era morto centrifugato da Grop - in tutta la loro squamosa magnificenza.
Da vivi erano ancora più spaventosi. In posizione eretta erano alti due teste più di lui.
Indossavano delle grosse e grezze tuniche grigie, probabilmente per ripararsi dal freddo.
Accanto a loro una figura più piccola. Un essere umano, sicuramente. Era impossibile capire se fosse maschio o femmina, considerando che era coperto anch’esso da capo a piedi da un mantello con il cappuccio tirato.
James si accovacciò dietro il bordo della fontana di pietra.
Parlavano, ma non riusciva a distinguere le parole. Il piccoletto sembrava calmo, e stava spiegando loro qualcosa, i mostri invece frustavano l’aria con le lunghe code serpentine e sembravano nervosi. Probabilmente si sentivano esposti, in mezzo a quella piazzetta deserta.
Si chiese il perché di quell’incontro in luogo così aperto. Poi vide la stazza del piccoletto e capì che forse preferiva innervosirli, che trovarsi con loro in mezzo ad una foresta deserta.
Qui di certo non proveranno a spolparlo o roba del genere…
James cercò con la mano la bacchetta dentro la tasca della giacca. Quando afferrò il manico si sentì meglio.
Dubitava che gli sarebbe servita a qualcosa contro quelle bestie gigantesche, ma… era sempre meglio che essere disarmato.
Poi qualcosa nell’atmosfera nel gruppetto cambiò. E vide con orrore che uno dei naga guardava verso di lui.
Annusava verso di lui.
Merda!
Il piccoletto si voltò verso di lui. L’ultima cosa che sentì fu…
STUPEFICIUM!
Un lampo rosso e poi il buio più totale.
 
“Guarda, guarda.”
Certo non se lo aspettava, ma in fondo da che mondo e mondo gli studenti amavano trasgredire le regole. E certo il ragazzo svenuto a terra non faceva eccezione.
Uno dei naga sibilò qualcosa che somigliava molto ad ‘uccidere’.
Grossi e stupidi idioti. E piuttosto prevedibili.
“Non siate idioti. È uno studente… Volete davvero che si scateni una caccia all’uomo? Un cadavere minorenne è l’ultima cosa che ci serve.”
Rise della perplessità dei naga, espressa attraverso sibili frustrati.

“Non vi preoccupate, cari i miei bestioni… La soluzione è talmente semplice che farebbe ridere anche voi, se aveste qualcosa di simile all’umorismo nella vostra testa vuota.”
Rovesciò addosso ai vestiti del ragazzo una fiaschetta di un liquido dall’odore penetrante. Gli bagnò anche le labbra, prima di arruffargli i capelli.
“Sinceramente mi dispiace sprecare questo buon Ogden Stravecchio, ma se è per la causa…” Ridacchiò tra sé e sé. “Mi spiace solo che tu non te lo sia goduto, ragazzo mio.”

 
****
 
Note:
Se potete ascoltatevi la canzone da cui ho preso le due frasi all’incipit del capitolo. I Travis sono una band totalmente sottovaluta (T_T) qui il video .

Chi è interessata a vedere il bel Fred, eccolo qui. Fred Jr.

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Capitolo 20
*** Capitolo XV ***



Mi scuso ma le risposte alle vostre fantastiche recensioni non ci potranno essere(un benvenuto a BlackFra92!) : a quanto pare la mia tastiera ha deciso di dare forfait (pare che il chip di alcuni tasti tra cui la ‘e’ si sia misteriosamente ‘fritto’) e quindi non posso scrivere. Sto infatti scrivendo dal pc della mia coinquilina. Di tutte le problematiche di un pc questa è la più assurda mai sentita, lo so. L Spero di risolvere il problema in settimana o dovrò saltare l’aggiornamento della prossima domenica.

Scuse (disperate)
Intanto godetevi questo capitolo. T_T

 

 
****
 
 
 
  
Capitolo XV
 





It's the wrong kind of place/ To be thinking of you
It's the wrong time/ For somebody new
It's a small crime/And I've got no excuse
(9 Crimes, Damien Rice)


Vicino alla Torre Grifondoro.
Mezzanotte circa.
 
Doveva fare qualcosa.
Rose lanciò un’occhiata di sottecchi a Scorpius, che, in uniforme come lei, pattugliava in silenzio i corridoi dell’ala dove era situata la torre Grifondoro.
Era poco più di mezzanotte e la stanchezza cominciava a farsi sentire. Tuttavia Rose era un prefetto e mai avrebbe rinunciato ai suoi compiti, e doveri.
Specie se le davano la possibilità di stare a tu per tu con Malfoy.
Anche se… è come fare la ronda da sola.
Dopo un paio di frasi di circostanza, a inizio turno, non si erano più parlati.
Ed era quanto di più deprimente Rose avesse mai sperimentato.
Non l’avrei mai detto, ma mi mancano le sue battutine del cavolo…
Inspirò. Doveva fare qualcosa.
“Scorpius…” Tentò schiarendosi la voce. Il ragazzo si voltò, interrogativo.
“Sì?” Chiese gentile: era questo il punto. Non la stava ignorando o trattando male.

Semplicemente la trattava come una qualunque.
E questo le bruciava.
“Dobbiamo parlare.”
Il ragazzo la guardò un po’ perplesso.
“Lo stiamo già facendo Weasley.”

E siamo tornati al Weasley.
“Prima di tutto, se io ti chiamo Scorpius pretendo di essere chiamata per nome.” Iniziò con cipiglio sicuro. “In secondo luogo… vuoi dirmi per quale motivo ce l’hai con me?”
Dritta al punto. Bene così.

L’altro fece spallucce. “Non ce l’ho con te. Perché dovrei?”
“Lo sai.” Incrociò le braccia al petto. “Non mi muovo di qui finché non abbiamo risolto i nostri problemi.”
Scorpius inarcò le sopracciglia. “Nostri problemi?”
“Falla finita!” Sbottò esasperata. “È per quello che è successo con mio padre che adesso mi tratti come se ci fossimo conosciuti tre giorni fa. E ci conosciamo da sei anni.”

Le torce illuminavano il profilo di Scorpius. Lo vide, con sua grande sorpresa, esitare e poi emettere un lieve sospiro, passandosi una mano trai capelli.
Sembrava a disagio, e la cosa le fece capire che stava andando nella direzione giusta.
A volte la migliore difesa è l’attacco…
Scorpius.” In qualche modo sentiva di aver rovesciato la situazione. La sensazione era quasi inebriante. “Mi dispiace per quello che ti ha detto mio padre.”
Lo vide serrare di nuovo la mascella. Per la prima volta lo vide umano. Fragile.
Represse l’impulso di eludere la distanza tra di loro ed abbracciarlo.
“Davvero?” Soffiò sarcastico. “Ti dispiace?” Chiese lentamente.
“Sì.” Si avvicinò. Anche se senza toccarlo sentiva che era teso. “Mi ha detto tutto. Su tuo nonno. Mi ha detto che eri lì quando…”
“Non voglio parlarne.” La bloccò. “Non voglio parlare di quello. Cosa vuoi, Weasley? Che accetti la tua compassione?” Sibilò.
Rose deglutì, vedendo la rabbia contorcergli nuovamente i lineamenti. Ma non si perse d’animo.

Puoi fingere di essere un ridanciano cretino con tutti, ma non con me.
Non puoi pretendere di darmi il tormento per sei anni e poi lasciarti ignorare quando smetti di farlo…
“Non è compassione, idiota. Non sono San Mungo.”
“Vuoi sapere allora com’è morto? Cos’ho visto?” Incalzò. Era sospettoso.

Comprensibile. Chissà quanta gente gli avrà chiesto dettagli…
La curiosità sa essere morbosa.
“No. Non se tu non me lo vuoi dire… Volevo solo dirti che mi dispiace. Per te. Tutto qui.” Scorpius la guardò a lungo. Si sentiva a disagio sotto quello sguardo grigio acciaio, che sembrava volerla testare. E probabilmente era davvero così: con il suo passato, con le dicerie sulla sua famiglia, era chiaro che Malfoy non avesse la minima intenzione di dare fiducia al primo venuto.
Rose si scoprì a pensare che avrebbe davvero voluto che si fidasse di lei.
Alla fine Scorpius fece una smorfia. “Scusa…” mormorò. “Non ce l’ho con te. Sul serio.”
“Davvero? Hai uno strano modo di dimostrarlo. Ti sei reso conto che mi hai ignorata per una settimana?” Borbottò di rimando.  

L’altro la guardò perplesso, prima di sorridere leggermente. “Non mi dire… ti sono mancato?”
“Non dire cavolate.” Sbottò sentendosi arrossire. “Diciamo che mi è mancato avere qualcuno con cui prendermela.”
Rise, e Rose si sentì sollevata. Era bello sentire di nuovo la sua risata.

Ripresero a camminare, in silenzio, ma con molta meno tensione addosso.
“Abbiamo fatto pace?” Chiese querulo, di nuovo con quel suo sogghignetto da schiaffi. Rose pensò, con estrema razionalità, che gliel’avrebbe voluto baciare.
“Per quanto mi riguarda non abbiamo mai litigato.” Stimò con sussiego. “Hai semplicemente cominciato, deliberatamente, ad ignorarmi.”
“Vero…” Concesse. “È che… non sapevo come comportarmi.” Ammise infine, con un borbottio.

Rose gli scoccò un’occhiata meravigliata: Scorpius Malfoy era capace di provare vergogna?
Wow, decisamente incredibile.
“In che senso?”
“Pensavo fossi arrabbiata con me. Per averti messo nei casini con tuo padre.”
“Arrabbiata?” Lo guardò incredula. “Non ero arrabbiata! Ti ho seguito, no? Quindi ero d’accordo. Eravamo complici!”

“È una settimana che mi guardi torva!”
Torva?”
“Sì!” Esalò irritato. “Ho pensato che volessi essere lasciata in pace, e del resto neanche io sapevo cosa diavolo dirti dopo quel teatrino imbarazzante con tuo padre!”

Si fissarono un attimo spaesati, prima di mettersi entrambi a ridere.
“Siamo stati…”
“Due idioti.” Convenne Rose. “Immagino che l’antipatia tra le nostre famiglie abbia influito. Anche se io… non la penso come mio padre.”
Non più almeno.

Scorpius annuì. “Neanche io la penso come il mio.”  Fece un mezzo sorriso.  
“Non pensa...” Rose si morse un labbro. “Mio padre non pensa le cose che ti ha detto. Davvero.”
Più o meno.
Scorpius fece una smorfia, facendole capire che non ci credeva minimamente. Non poteva dargli torto. Si umettò le labbra, a disagio, guardandolo di sottecchi.
“Tuo padre non pensa tanto prima di parlare…”
“Ha altre qualità.” Dovette ammettere.
“Mio nonno…” Fece una pausa lui. Socchiuse gli occhi. “Non era una brava persona, ma gli volevo bene.” Sussurrò. “Credo che si fosse pentito di tutto il male che aveva fatto. Era colpevole… ma era mio nonno.”
Rose annuì: lo poteva capire. Suo padre era un auror, era uno dei buoni. Eppure a volte si comportava in modo insensibile ed ottuso.

Siamo disposti a scusare la nostra famiglia perché l’amiamo.
Siamo più simili di quanto pensassi, alla fine…
Gli sfiorò la mano. Scorpius le scoccò un’occhiata meravigliata.
“Se avessi mai bisogno di parlarne con qualcuno… beh.” Mugugnò lei. “Potrei essere nei paraggi.”
Il ragazzo inarcò le sopracciglia. “Vuoi dire che siamo amici adesso?”
“Qualcosa del genere.” Ammise imbarazzata. “Se ti va, ovviamente.” Aggiunse in fretta.

I sentimenti fanno schifo.
L’adolescenza fa schifo.
Godric, come mi sento cretina.
Scorpius la guardò, inclinando leggermente la testa. “Se mi va?”
Si avvicinò, chinandosi alla sua altezza.

“Malfoy cosa…?”
Le mise un dito sulle labbra, fermandola.
“Sai? Parli troppo a volte.”
E la baciò.
Non fu come Rose se lo sarebbe aspettato. Niente bocche che cozzavano, niente imbarazzo nel non sapere come incastrare i nasi. Niente fuochi d’artificio.
Fu morbido, lieve. Come quando da bambina appoggiava alle labbra la piuma con cui sua madre le insegnava a scrivere.

Fu dolce.
Vide il viso di Scorpius allontanarsi. Lo vide sorriderle.
“… Perché?” Le uscì in un soffio. Non era sicura fosse la domanda giusta, ma era l’unica a cui era capace di pensare al momento.
Il ragazzo la guardò attentamente. Sembrava lui stesso stupito dal gesto appena compiuto.
Fantastico. Qualcuno qui sa che diavolo sta succedendo?
“Weasley…” Iniziò, ma prima che potesse terminare la frase un gran baccano rimbombò nel corridoio. Si guardarono.
“Scamandro.” Sibilò Rose. “Scamandro e James.”

Io li uccido.
Corsero fino alla fine del corridoio che si apriva su un altro, mal illuminato e disseminato di armature. Vide un lampo rosso-giallo saettare dietro un’imponente armatura, diretto verso le scale.
Petrificus Totalus!” Scagliò l’incantesimo con crudele soddisfazione. Sentirono eccheggiare due tonfi sordi.
“Li hai pietrificati…” Mormorò colpito. “Wow. Spietata.”
“Non ne hai idea …” Replicò, intascando la bacchetta.

Specie quando interrompono delle spiegazioni vitali.
Si avvicinarono al groviglio umano steso a terra.
Lumos.” Disse Scorpius illuminandoli con la bacchetta. “Scamandro.” Li identificò.
“Naturale.” Rose fece una smorfia, chinandosi sui due ragazzi che la guardavano infuriati, bloccati in strane pose angolari. “Buonasera, Lorcan, Lysander.” Si guardò attorno. “Avanti, rendetemi le cose più facili… Dov’è mio cugino? So che è qui da qualche parte.”
I due la fissarono muti.

“Rose, credo che non possano parlare in queste condizioni.” Le fece notare il compagno, ilare.
Finitem incantatem.” Sbuffò la ragazza. I due si misero a sedere, indolenziti.
“Rosie, sei una sadica!” Sbottò quello che forse era Lorcan. “Potevamo romperci l’osso del collo!”
“Ne sono addolorata, veramente...” Sillabò sarcastica.

Mi ha baciata, e si stava anche degnando di spiegarmi perché!  
Ringraziate che non siete parte della pavimentazione!
I due si guardarono, e decisero che il cipiglio di lei era motivo sufficiente per non buffoneggiare come loro solito.
“Il capo non è con noi. Volevamo andare dagli elfi in cucina per farci dare qualcosa da mettere sotto i denti. Stiamo morendo di fame.” Si giustificò Lorcan. “Poi siete arrivati voi.”
“Non dire cavolate…” Esitò. “Chiunque tu sia.” Sbuffò al sogghigno soddisfatto dei due. “Jamie è sempre con voi.”
“Non stavolta. Aveva un impe…”

Lor!” Sbottò quello che evidentemente era Lysander. “Sta’ zitto, porco nargillo!”
Rose corrugò le sopracciglia. “Aveva un impegno? E con chi?”
Con qualche ragazza, come minimo.

Però dall’aria colpevole dei due aveva l’impressione che non fosse così.
Ho un brutto presentimento…
“Lysander, dove diavolo si è cacciato?”
Lysander fece cenno verso Lorcan. Stava a lui parlare. Rose alzò gli occhi al cielo.
“Merlino, per una volta potreste piantarla con questa pantomima?”
“Non lo sappiamo!” Dissero in coro.

Rose accarezzò l’idea di schiantarli per un lungo momento. Scorpius, indovinando, le mise una mano sulla spalla, facendogli cenno di lasciarlo fare.
Pensi davvero di riuscire a convincere i due scagnozzi di mio cugino a tradirlo?
Illuso.
Scorpius sorrise ai due. I due gli sorrisero di rimando.
“Non parleremo.” Cinguettò Lorcan.
“È uscito dal castello, vero?” Ribatté il giovane Malfoy senza scomporsi. “Lo sapete cosa c’è fuori?”
“Molte cose! Unicorni, Foresta proibita, Hogsmeade, Piovra gigante…” Elencò uno dei due, senza nessun criterio logico.
“Tra l’altro, anche i naga.” Concluse Scorpius. “Se è uscito potrebbe essere in pericolo.”

Per l’occasione mise su persino un’aria seria e responsabile. Rose sentì di adorarlo ardentemente.
Sono la vergogna della famiglia…
I due gemelli si guardarono. Sembrarono riflettere, poi Lorcan inspirò.
“Beh, potrebbe essere andato ad Hogsmeade.” Disse, sottolineando la probabilità.

“Come non potrebbe, naturalmente.” Soggiunse immediatamente Lysander.
“Noi non ne sappiamo nulla.” Concluse Lorcan.
“Beh, se ci è andato, potrebbe essere in pericolo.” Li imitò Scorpius. “Sapete, no, come uno di quelli ha ridotto Dursley? In poltiglia.” Scandì.

I due gemelli si guardarono di nuovo.
“Aveva un appuntamento con suo cugino Fred.” Confessò Lysander, con l’aria di chi stava ingoiando puzzalinfa a cucchiaiate.   

Scorpius fece una smorfia.
Sono da ammirare, per la fedeltà perlomeno…   
“Freddy? E dove dovevano incontrarsi?” Li incalzò Rose.
“Questo non lo sappiamo. Il capo non ce l’ha detto. Ma è uscito un’ora fa.”

“Più o meno.” Confermò Lorcan.
Si morse un labbro. “Idiota.”
Era preoccupata: al di là del bluff del compagno, la possibilità che i naga fossero in giro era comunque presente.

E Jamie sarebbe abbastanza cretino da cercare di affrontarli…
“Cosa contate di fare ora che lo sapete?” Indagò Lorcan alzandosi in piedi, seguito dal gemello. “Intendo dire… andrete a riferirlo al professor Paciock?”
Scorpius guardò Rose. Regolamento avrebbe voluto che filassero a riferire tutto al buon professore di Erbologia. Anche se si trattava di un membro del clan Potter-Weasley.

Ma ho come l’impressione che regolamento e clan Potter-Weasley non vadano d’accordo nella stessa frase…
Rose scoccò loro un’occhiata. “Non credo siano affari vostri. Voi pensate a tornare alla torre, invece di improvvisare raid notturni alle cucine. E la prossima volta ve li tolgo davvero, dei punti.” Minacciò. “Filate.”
I due grossi Scamandro le lanciarono un’occhiata irritata, ma obbedirono di buon grado: per esperienza personale sapevano che non era il caso di questionare con Rose.

Specie se lei aveva la bacchetta e loro no.
Dopo che i gemelli ebbero svoltato l’angolo, Rose inspirò. “Dobbiamo evitare che James si cacci in qualche guaio. O che i guai caccino lui.”
Scorpius la guardò sconvolto. “Vuoi uscire da Hogwarts?”

Non avrei dovuto chiederle di accompagnarmi nella Foresta. Ho creato un mostro.
Rose fece una smorfia infastidita. “Certo che no! Non ci tengo ad essere espulsa per colpa di quel cretino!” Inspirò, guardandolo. “Ma dobbiamo avvertire un professore.”
“Paciock?” Suggerì “È il nostro capocasa…”
“No. Non saprebbe dove cercarlo. James quando decide di farsi gli affari suoi diventa introvabile.”
Ed ha un mantello dell’invisibilità con sé… È introvabile.

Il ragazzo la guardò perplesso: si era sempre fregiato del titolo di ‘profondo conoscitore dell’universo femminile’ (e delle sue grazie soprattutto) ma a volte i percorsi mentali di quella ragazza gli sfuggivano. Totalmente.
Probabilmente è questo che mi attrae, in lei.
Beh, sì. Lo so. Sono un masochista. Mai detto di essere perfetto.
“Allora a chi ti riferisci?”
Rose fece un profondo sospiro. “Al professor Lupin.”

Scorpius le lanciò un’occhiata riflessiva. Poi annuì. “Hai ragione. Andiamo.”
E tanti saluti alle spiegazioni per quel bacio.
James, questa me la paghi.
 
****
 
Corridoio del terzo piano.
L’una di notte passata.
 
Ted Lupin era furioso.
Era il concetto perfetto in cui poteva racchiudere il suo stato d’animo attuale.
Non si era mai sentito così infuriato, seccato, deluso in un colpo solo.
Incedeva per i corridoi male illuminati del terzo piano, mentre il mantello che si era buttato sopra ad un paio di jeans e una felpa, si gonfiava sbattendo contro le gambe.
Neanche dieci minuti prima, qualcuno aveva bussato alle sue stanze. Si era trovato di fronte Rose e Malfoy. Il connubio era stato talmente singolare che per un attimo si era sentito spaesato, prima di ricordare che erano entrambi prefetti per Grifondoro.

 
“Professor Lupin, scusi l’ora…”
“Nessun problema Rose, non stavo dormendo. Dimmi pure.”
“Si tratta di James…”

 
In qualche modo, da quando era lì, si trattava sempre di James.
È incredibile. Sarò io… ma sembra che da quando sono qui non faccia che combinare guai al di fuori della normale portata delle sue cretinate.
Sapeva di essere di parte. Da quando, per la prima volta, aveva preso in braccio Jamie, lui otto anni, la peste pochi mesi, aveva capito che sarebbe sempre stato debole con lui.
All’inizio il primogenito del suo adorato padrino, gli era sembrato un alieno, un intruso nel loro rapporto.
L’aveva detestato, con quella forza di cui solo un bambino è capace, e per settimane aveva cercato disperatamente di evitare il confronto.
 
“Non lo voglio vedere! Non lo voglio vedere!” Strillava a pieni polmoni, mentre grosse lacrime gli colavano dalle guance paffute. Andromeda aveva sospirato, guardando un venticinquenne e imbarazzatissimo Harry. Il nipote gli si era aggrappato con tenacia alla gonna, senza dar segno di voler mollare.
“Mi spiace Andromeda… pensavo fosse una buona idea.” aveva mormorato afflitto. “Era così contento di venire a conoscere Jamie, ma poi…”
La donna aveva sorriso.
“Credo sia un po’ geloso, Harry…” aveva sussurrato ironica. “Sai, è sempre stato lui il tuo bambino preferito… Non è forse vero tesoro?”
Teddy si era morso un labbro, senza rispondere, ma i capelli gli erano diventati di un verde scuro ben poco invitante. Era arrabbiato. E geloso.
Harry aveva sorriso. “Teddy, tu sarai sempre il mio bambino azzurro preferito.” Lo vezzeggiò con il nomignolo che aveva coniato per lui. “Però anche Jamie non è tanto male, sai? Non vuoi provare a prenderlo in braccio?”

“Sbava e urla.” Aveva sentenziato facendoli ridacchiare.
“Beh, ma perché è piccolo. Ed io non sono tanto bravo a tenerlo. Forse tu sei più bravo. Anzi, ci scommetto dieci galeoni che lo sei.”
“Dieci? Ma sono tantissimi zio!” aveva corrugato le sopracciglia. “Non posso proprio accettare.”
Harry gli aveva arruffato i capelli, intenerito. “Sei come tuo padre… neanche lui avrebbe mai accettato una scommessa così. Va bene, allora che ne dici di un manico di scopa giocattolo nuovo?”
Teddy si era illuminato. “Quello sì!”
“Harry…”
“Dai Andromeda, gliene avevo promesso uno per Natale. Anticipiamo un po’ i tempi. Allora, ci stai?”
Teddy aveva annuito, serio. “Ci sto.”
Quando gli avevano messo James in braccio gli aveva fatto un po’ di paura. Invece si era semplicemente ciucciato il pugnetto, guardandolo, in religioso silenzio. Poi aveva emesso un gorgoglio.
“Non urla…” aveva sussurrato pieno di meraviglia. Harry aveva sorriso.
“Beh, non ha molti modi per esprimersi. Ma questo credo voglia dire che gli piaci…”
I capelli di Teddy si erano tinti di un rosa tenue.
“Beh, neanche lui è
così tanto male…” aveva borbottato.
 
Un vero e proprio colpo di fulmine.
Si era così assunto il compito di essere suo compagno di giochi, fratello maggiore, e consigliere personale. Quante volte, nei suoi anni scolastici, se l’era ritrovato ad Hogsmeade, i fine settimana, accompagnato da una paziente Ginny, pronto a placcarlo e strillargli nelle orecchie le ultime novità della sua settimana?
Gli sembrava passato pochissimo tempo, e invece… 
James era cresciuto. In un certo senso, gli sembrava di non conoscerlo più. C’era un abisso, tra quel ragazzino arruffato e sbruffone, e quel giovane testardo che…
Non mi dà minimamente ascolto.
Si impose di non cercargli giustificazioni, e di essere impietoso.
Stavolta una punizione coi fiocchi non gliela toglie nessuno.
Si fermò di fronte alla statua di pietra raffigurante la vecchia strega.
Il passaggio per Mielandia sfruttato da ben tre generazioni Potter.
Più due generazioni Lupin… - Pensò con affetto.
Dissendium.” Sussurrò toccando la base della statua con la bacchetta. Quella si aprì lasciando intravedere un passaggio illuminato dalle torce.
James le aveva accese, probabilmente certo di tornare in tempo perché nessuno si accorgesse della sua sparizione.
Percorse il cunicolo, fino a spuntare fuori dall’ingresso laterale del vecchio negozio, aperto con un rapido alohomora.
Il villaggio era immerso nel silenzio della notte.
Si strinse il mantello addosso, sopprimendo un brivido. Non era più abituato al rigido clima inglese.
Si mosse veloce sulla strada principale, guardando ai lati. Dubitava fortemente che James fosse rimasto fuori con quel tempo da lupi: più probabile fosse al caldo, in una locanda.
E essendocene solo due, la scelta era ovvia.
Ai Tre Manici non può essere andato. Hannah lo avrebbe subito bloccato e riaccompagnato a scuola. È al Testa di Porco.
Entrò dentro il locale, lanciando uno sguardo ad Abe. L’uomo fece un sogghigno, ma non aprì bocca finché non gli fu davanti.
“Buonasera Aberforth. Cerco James Potter.”
“Credo sia al cimitero.” Ironizzò, continuando a pulire il bicchiere tra le sue mani, che sembrava non trovarne alcun giovamento igienico. “Godric’s Hollow?”
Ted serrò le labbra alla battuta di pessimo gusto, ma glissò.
“Io intendo James Sirius. Il figlio di Harry.”
“Ah, certo. Sì, è stato qui.” Confermò. “Ma se n’è andato mezz’ora fa.”

Ted sentì un brivido freddo strisciargli lungo la schiena.
Mezz’ora fa? Doveva già essere tornato.
Si impose di ragionare: James probabilmente aveva il Mantello. Potevano persino essersi incrociati dentro al castello.
Certe volte vorrei che mio padre non avesse riconsegnato ad Harry la Mappa del Malandrino…
Con quella l’avrei trovato.
“Sei sicuro?”
“Certo.” Lo guardò male. “Il vecchio Abe sarà strano, ma sa ancora contare dodici rintocchi.” Indicò l’orologio a muro sopra di sé. “Era mezzanotte. Sono sicuro.” Gli lanciò un’occhiata. “È uscito di qui, e sembrava… strano.”
“Strano? In che senso?”
“Sembrava aver ricevuto un brutto colpo. Era pallido.” Chiarificò, prima di rimettersi a pulire il bicchiere, distrattamente.

Ted inspirò lentamente. “Ti ringrazio.”
Fu un tutt’uno salutarlo ed uscire fuori.

Pallido? Che gli è successo?
Magari Aberforth si sbagliava. Magari in quel momento James era sotto le coperte, ignaro di tutto.
Eppure sapeva che non era così. Se lo sentiva nelle ossa.
La stradina principale era immersa nella nebbia, che la sfumava, dandogli contorni quasi irreali. Senza rendersene conto si trovò a stringere la bacchetta tra le dita.
Doveva trovare James. Doveva trovarlo, strigliarlo e riportarlo ad Hogwarts. Al sicuro.
Harry gli aveva mandato un gufo giorni prima, chiarificandogli informalmente che i naga sembravano non essere più in zona. Ben tre pattuglie di auror avevano rivoltato i terreni di Hogwarts senza trovarne traccia alcuna.
Però sembra. Non ne era certo neppure lui.
Si era sempre reputato una persona ragionevole, pragmatica.
Eppure in quel momento correva per la strada principale, pregando che quello stupido ragazzino stesse bene.
Sei poco lucido quando si tratta di Jamie, lo sai? – Era un’accusa che spesso sua nonna gli rivolgeva.
Ma come poteva essere diversamente?
James era tutto quello che lui non era mai riuscito ad essere.
Aveva sempre ammirato in segreto (mai dargli soddisfazione) la sua capacità di vivere in modo rumoroso, i suoi sorrisi puri e sfrontati, la noncuranza verso i giudizi o la reprimende che l’avevano investito sin dall’infanzia.
Non era facile essere il primogenito del Prescelto. Eppure Jamie affrontava quel peso a testa alta, senza lasciarsi schiacciare, come a molti era successo prima di lui.
Si era scoperto un po’ ad invidiarlo, lui, che si da bambino si era ingegnato per compiacere tutti, e non avere mai un nemico.
Ma ora le carte in tavola erano cambiate: era un suo professore, e Godric solo sapeva come gliel’avrebbe fatta pagare per avergli dato quello spavento.
Poi, lo vide. Una figura addossata ad una delle panche della piazza centrale. Stesa a terra.
Esanime.
Sentì il respiro mozzarglisi in gola, e il panico attanagliargli le viscere.
“Jamie!” Gridò, correndo verso di lui, e inginocchiandosi. Il ragazzo non rispose, ma, dopo un tempo che gli sembrò infinito, emise un lieve lamento.

Si accorse in quel momento che puzzava. Di alcohol.
Il panico e il sollievo vennero cancellati da una rabbia sorda, ed una delusione cocente.
James era ubriaco.
Ed io che mi sono preoccupato… che ho creduto stesse male…
Lo scrollò malamente. “Avanti, alzati.” Sibilò.
Il ragazzo batté le palpebre, borbottando qualcosa, ma tirandosi a sedere.

Gli lanciò un’occhiata confusa, prima di metterlo a fuoco ed avere la decenza di impallidire.
“Teddy!” Esclamò rauco. “Cosa… Che diavolo ci fai qua?”

“Non credi che dovrei essere io a farti questa domanda?”
James gli lanciò un’occhiata: la testa gli doleva terribilmente, e si sentiva sbattuto come un calzino. Gli si gelò il sangue nelle vene.

Teddy non aveva cambiato colore dei capelli, ma non aveva importanza. Non gli aveva mai visto uno sguardo del genere.
Per la prima volta ebbe sinceramente paura del suo futuro scolastico.
“Hai bevuto James?” Chiese lentamente.
James deglutì. “No! Ero venuto a parlare con…” Esitò. Dirgli la verità? Impossibile. Forse sarebbe stato persino peggio. “Non ho bevuto Teddy!”
Okay. Fermi tutti.
Che cazzo è successo?
Doveva ricordare. Era uscito da pub, si era messo a sedere davanti alla fontana, si era pianto un po’ addosso… e poi.
C’era qualcuno… aveva l’impressione che ci fosse stato qualcuno con lui.

Meglio, che avesse visto qualcuno, ma…
Serrò le labbra, quando una fitta di dolore gli attraversò il cervello.
“Non mentirmi, James. Puzzi di alcohol. I vestiti, l’alito.” Elencò Ted freddamente, alzandosi in piedi. “Non me l’aspettavo da te. Pensavo, sinceramente, tu avessi un po’ di decenza.”
Si sentì morire. Si alzò anche lui, di scatto, sentendosi girare la testa.
Non aveva bevuto!   

Ho a malapena toccato la mia burrobirra!
“Non ho bevuto! Sono semplicemente venuto a farmi due passi qui… dovevo…” Inspirò. “Ho incontrato Fred, okay? Chiedi ad Abe. Non ho toccato un goccio! Non avrei potuto, so quanto… Teddy!” Lo afferrò per un braccio, con forza. “Devi credermi! Maledizione, come puoi pensare che sia uscito di nascosto per ubriacarmi?!”  
Ted aveva smesso di guardarlo. Fissava un punto oltre la sua testa, e sembrava che non lo ascoltasse neanche.
Sentì l’impulso di scrollarlo, picchiarlo. Fare qualunque cosa per farsi guardare.
“Domattina notificherò la tua punizione al preside.” Disse semplicemente.
Sgranò gli occhi.

No Teddy, no, cazzo!
Non gli importava della punizione. Ma che Teddy gli credesse.
Doveva credergli.
“Ascolta! Non ricordo cosa sia successo, ma c’era qualcuno, qui con me e…” Lo scrollò ma sentì immediatamente la presa ferrea delle mani dell’uomo sulle sue. Lo allontanò, crudelmente.
“Basta James. Sono stufo di essere preso in giro.” Disse, intascando la bacchetta e dandogli le spalle. “Adesso andiamo. È tardi e non ho intenzione di passare tutta la notte qua fuori.”
“Teddy…” Lo sentì sussurrare.

 
Fu strano non sentirlo urlare, protestare, declamare le sue ragioni, per una volta.
Sentì quello sguardo nocciola sulle spalle, sulla nuca. Si impose di non voltarsi.
Era preso tra la delusione e il desiderio di credergli.
Inevitabile: ci sarebbe sempre stata una parte di lui tesa a fidarsi del suo ragazzino.
Ma ormai era un uomo adulto, un professore. Sapeva quanto le persone potessero fingere.
“Professor Lupin, James. Non farmelo più ripetere.”
Non aspettò che lo seguisse, incamminandosi. Pochi attimi dopo sentì i passi del ragazzo dietro di lui. Fu quasi sicuro di sentire un solo, unico, singhiozzo.

Non si voltò.
Non avrebbe potuto.
 

****
 
Note:
Beh? Vi ho dato sia una cosa con cui gongolare (parlo a tutti i fUns delle Rose/Scorpius sia una per lapidarmi. Odi et amo. :P

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Capitolo 21
*** Capitolo XVI ***


Il problema al pc non è stato del tutto risolto. Nel senso che adesso scrivo con una tastiera usb. Roba da pazzi. TvT Altra cosa. Da martedì a sabato sarò a Berlino, quindi non mi sarà materialmente possibile scrivere il prossimo capitolo (già questo è andato in corner).
Ah, messaggino biecamente promozionale: Sono a quota 90 recensioni. Dieci a cento. Me lo fate un favore e mi lasciate una recensioncina, o’ lettori silenti? ;)

@Trixina: Ciao! Per Ted/Jamie dovrai aspettare il prossimo capitolo, sorry. Purtroppo devo fare un po’ tutti per volta. Grosso problema di avere tre storyline che si intrecciano. Il pezzo di Ted e Jamie bambini ero indecisa fino all’ultimo. L’avevo scritto settimane fa, e non sapevo dove utilizzarlo. Poi, colpo di genio, l’ho piazzato lì. XD Piacere che ti sia piaciuto. ^^
Per rispondere alle tue domande dello scorso capitolo, non è raro che due fratelli maschi, praticamente coetanei e cresciuti assieme sviluppino tendenze sessuali simili. Comunque ricordati che a Jamie le ragazze piacciono. Solo, a volte, va anche coi ragazzi. ;)
@Hel_Selbstmord: lo ammetto, con Ted/Jamie sono stata una gran stronza. Ma che ci vuoi fare, un po’ di angst fa parte della vita (che paracula che sonoXD). Il magone so cos’è! Pensa che si usa anche in Toscana O_O. Ti farà piacere sapere che questo capitolo è dedicato anche ai due confusi, anzi, ai confusi uno-e-mezzo visto che Tommy comincia a comprendere. :P Comunque, ho adorato l’idea che hai di Jamie. È precisamente come me l’hai descritto tu!

@BlackFra92: Ma ciao! Successo anche a te con i tasti? E tu come hai risolto? Se hai un modo veloce ti prego, dimmelo, che sto impazzendo! T_T Rose e Scorpius in questo capitolo chiariranno di brutto. XD
@MissMary: Questo capitolo sarà ancora più denso di emozioni, ho idea, specie per la Rose/Sy :P. Ted e Jamie… eh, purtroppo quei due sono due testoni. Specie Teddy. Mister X (ahaha in effetti è un nomignolo azzeccato!) sarà tale ancora per un po’. Tom venerato! Ti prego no, se si monta la testa ‘sto disgraziato è la fine. XD
@Ombra: La scuola incombe, eh? Ti capisco, ti capisco. Non preoccuparti, basta segnalarmi la tua presenza :P Neanche io, guarda, so a volte come riesco a non incasinare tutto. Probabilmente pazienza e tanti e tanti schemi sui quaderni per far quadrare tutto. ;)
@Altovoltaggio: Ognuno ha le sue teorie mia cara, anche se la tua, diciamocelo, è fuochino. Non preoccuparti per la recensione, capisco gli impegni universitari (uhm, dovrei averli anche io, invece me ne vado a Berlino XD)
 
****
 
Capitolo XVI
 
 
 
Is there anybody out there?
That can see what a man can change?
(Top of The World, All American Rejects)
 
Se non sei la soluzione, allora sei parte del problema.
(Vera Peiffer)
 
13 Settembre 2022
Hogwarts, Sala Grande.
Ora di pranzo.

 
“Jamie è davvero un cretino.”
Lily sbuffò a beneficio del piccolo uditorio riunito attorno a lei: era ora di pranzo e lei, il fratello e Hugo, con la speciale partecipazione di un Thomas silente come un monolite, stavano consumando un pasto a base di sandwich.
Albus sospirò, dandole manforte. “Sì, stavolta ha davvero esagerato. Voglio dire, non so cos’abbia combinato di preciso, ma per farsi mettere in punizione da Ted…”
“Se lo meritava, eh. Non per dire, Albie, ma- ouch!
Al. È Al.”
“Va bene, va bene!” Borbottò il colpito, massaggiandosi la nuca. “Dicevo… se lo merita. Andare ad Hogsmeade dopo il coprifuoco. E farsi beccare! Se lo merita perché s’è fatto beccare, ecco!”

“Rosie non t’ha detto cos’è successo precisamente?” Chiese Lily al fratello.
“E chi l’ha vista oggi?” Sbuffò Albus. “Avevamo pozioni assieme, ma si è messa in fondo all’aula, sai, al tavolo sette?”
“Quello dietro la colonna, col nido di ragni?” La ragazzina parve perplessa. “Ma stava bene?”
“Se fossi riuscito a parlarle… vero Tom? Se n’è stata in disparte tutto il tempo.”
“Mmh.” Emise l’interpellato, staccando un morso dal tramezzino. Al gli lanciò un’occhiata esasperata. La sera prima sembrava tutto risolto e adesso l’amico era piombato nella catatonia relazionale. Di nuovo.

Sinceramente, è preoccupante.
Persino Hugo arrischiò un’occhiata, quando di solito si calcolavano a vicenda quanto due pianeti su orbite diverse.
“Siamo tutti un po’ strani negli ultimi tempi.” Stimò Lily lentamente. “Vero Tom?”
“Mmh.” Confermò.

“Rose ha sicuramente magagne sentimentali con Malfoy.” Continuò.
“Eh?!” Ululò Hugo. Lily gli rifilò con nonchalanche un calcio negli stinchi, facendolo guaire pietosamente.

“Dicevo, Anche tu hai problemi sentimentali, Tommy?”
“Ah-ah.” Cambiò registro. Corrugò le sopracciglia. “È Tom.” Corresse in automatico.
Prima di accorgersi che due paia d’occhi Potter lo stavano fissando. Alzò lo sguardo dal suo sandwich per incrociare quelli di Al. Sufficientemente sgranati.

Dannazione.
“No. Non ho…” Inspirò. “Non ho niente del genere.”
“Ah-ah.” Gli fece il verso Lily, scherzando. Lei. Al sembrava un cucciolo di cane mollato su un autostrada a doppia corsia.

Non mi hai detto niente. Noi, che siamo migliori amici? – sembrava uggiolare la sua espressione.
Non te lo direi comunque. Ma non te lo dico soprattutto perché riguardano te, ieri sera, consapevolezza e venti minuti in bagno sotto la doccia per calmarmi.
Deglutì, pacatamente.
“Devo andare in biblioteca.” Proclamò dignitosamente, afferrando i suoi libri con calma studiata, e dandosela, sempre in modo signorile, a gambe.

“Di nuovo?!” Sbottò Al esasperato. Guardò la sorella minore. “Visto? Poi dici che è il solito Tom misantropico?!”
“Beh, forse ha bisogno di restar solo…” Suggerì Hugo rubando la porzione di Tom, praticamente intoccata.
“Solo? Siamo ad Hogwarts, perché diavolo dovrebbe stare solo se qui ci sono i suoi amici?”
Lily fece spallucce. “Arrivano dei momenti, nella vita di un giovane uomo, fratellino… in cui la compagnia maschia diventa un bisogno più sporadico.”
Al la guardò sospettoso. “Scusa Lils, ma sono deficiente anche per i canoni serpeverde. Non afferro.”

“Una ragazza, Al. Tom ha una ragazza nei pensieri.”
“Non ha la ragazza! Lo saprei!” Sbottò facendo sussultare Hugo.

“Ehy cugino, quanto la prendi sul personale…” Borbottò irritato da tanto inutile chiasso.
“Non la…”
“Sì. La.” Confermò la sorella, prendendogli una mano tra le sue. Lo guardò con affetto. Suo fratello era maggiore solo anagraficamente per certe cose.

Ed io sono una dannata corvonero mancata. Ma se non fossi andata a Grifondoro, chi avrebbe badato a loro? – Pensò con un sospiro – Beh, almeno alla maggior parte di loro…
“Mi sta nascondendo delle cose. Okay? E mi ignora.” Bofonchiò arrabbiato.
Pensava che le cose la sera prima si fossero perlomeno aggiustate un po’.  

Era stato un ingenuo: quella mattina si era ritrovato nel suo letto, e Thomas pareva considerarlo assolutamente invisibile.
Che diavolo gli ho fatto stavolta?!
“Al.” Lo riscosse Lily dai suoi pensieri. Sembrava inaspettatamente seria. “Tu e Tom siete amici, è vero. Ma avete sedici anni. Per quanto pensi che possiate confidarvi ancora come se ne aveste dieci?”
Il colpo andò a fondo. Al si sentì stupido, imbarazzante. Se persino sua sorella di quattordici anni gli faceva notare che si comportava come una ragazzina…
Perché ci aveva pensato. Vedeva i rapporti tra gli altri ‘migliori amici’: Michel e Loki, per fare un esempio. Legati, ma ognuno preso dalle proprie cose.
“Pensi che sia morboso?” Chiese mordendosi un labbro.
Lily scosse la testa. “No. Penso che tu gli voglia davvero bene, e che tu sia preoccupato.” Abbozzò un sorriso. “Insomma, avete un rapporto splendido. Tom si farebbe dare un abbraccio dal Platano Picchiatore, se tu…”
“Ah, andiamo…”
“Se tu ci finissi in mezzo.” Concluse. “E non credo si esporrebbe così tanto per nessun’altro. È un po’ stronzo, sai.”
Al non disse niente: era snervante sentire da altri quanto fosse speciale la loro amicizia, quando poi, a conti fatti, Thomas si comportava da amico a periodi.

Più che altro mi fa incazzare.
“Non so se ti nasconda qualcosa…” Continuò la sorella. “Ma di sicuro qualcosa per la mente la ha. Lo vuoi un consiglio?”
“Sono tutto orecchie.” Sibilò sarcastico.

L’altra non sembrò essersi resa conto del tono, o lo ignorò. “Non cercare di tirargli fuori nulla. Con voi maschietti è un’impresa disperata. Credo sia meglio che sia lui a parlartene…”
Al fece una smorfia. “Sai cosa? Mi sono stufato di dover sempre aspettare i suoi comodi. Non siamo più ragazzini, hai ragione. Ignorarmi perché è di cattivo umore non fa parte delle cose che potrò tollerare ancora a lungo.” Concluse, alzandosi in piedi. “Devo andare. Ho gli allenamenti. Se ritardo Michel mi schianta.”
“Ah, ma Al…”
“A dopo.” Non le lasciò il tempo di finire.

Hugo guardò il cugino andare via. Schioccò la lingua per liberarsi da un rimasuglio di cetriolo trai denti.
“Sai, Lils? A me è sembrato tutto un po’ gay.” Confessò. “Ma era una roba mia, no?”
Lily sorrise, dandogli una pacchetta sulla spalla.

Inaspettatamente ha centrato il punto della conversazione.
“Dipende Hughie…” Concesse.
Il ragazzo sbuffò. “Ma che risposta è?”
“Una risposta.” Considerò pacatamente.

Hugo la guardò con cipiglio che pareva preso di peso dal padre. “Senti. A proposito di risposte poco chiare… Ma Rosie e Malfoy…” Cominciò sospettoso.
“No comment.”

“Lily! Devo sapere se mia sorella sta avendo una… una… roba con Sgorbius!”
Lily ci pensò su, alzandosi e raccogliendo le sue cose.  

“Non so se sta avendo una roba con Malfoy.” Ammise, con un sinistro luccichio negli occhi. “Ma se fosse, non sarebbe terribilmente divertente?”
Hugo emise un gemito disperato.

C’è qualcuno di normale in questa dannata famiglia?!
 
****
 
Poco lontano dalle serre di erbologia.
Primo pomeriggio.
 
“Ti ringrazio davvero per l’aiuto, Rose.”
“Si figuri professor Paciock.”

Sorrise Rose. Stavano trasportando in infermeria una cassa che mandava un odore nauseabondo. Era certa di non volerlo sapere cosa contenesse.
Il motivo per cui aveva accettato di aiutare il professore era che, primo, l’aveva visto in palese difficoltà fuori dalle serre. Secondo, con un compito maleodorante tra le mani era piuttosto improbabile che qualcuno venisse a disturbarla.
Sono ufficialmente un genio.
Salirono le scale che li avrebbero portati all’entrata del castello sbuffando fatica, in silenzio.
Il motivo per cui cercava disperatamente di evitare cugini e amiche era uno solo.
Scorpius Malfoy.
Che la sera prima l’aveva baciata, senza poi darle uno straccio di spiegazione.
Beh…
Doveva ammettere che non gliene aveva dato il tempo. Dopo aver parlato con Teddy era immediatamente schizzata su per le scale del dormitorio. A prova di maschio.
Non aveva voluto sentire cosa avesse da dirle.
Lo sapeva già. Se lo immaginava, perlomeno.
Scusa ma è stato un momento di debolezza…
Scusa ma era un gesto d’amicizia, pensavo lo sapessi…
Scusa ma mi è caduta la faccia sulla tua…
“Rose?” La richiamò Neville. Sul viso magro e intelligente gli apparse un’ombra divertita. “Tutto bene?”
La ragazza arrossì, inspirando. “Certo professore. Perché?”
“Hai l’aria un po’ strana. Anche oggi, a lezione, mi sembravi distratta.”
Beh, naturale. Il playboy per eccellenza di Grifondoro, e della scuola tutta se si esclude Jamie, mi ha baciata. Non sapevo, a posteriori, se ucciderlo o scrivere tutto nel mio diario segreto.

“Pensieri…” Sorrise nervosamente, con la segreta richiesta di essere lasciata in pace. Neville comprese, perché non chiese altro.
“Ancora uno sforzo, dobbiamo arrivare fino all’infermeria.”
“Sissignore.”
Quella cassa puzzava come l’inferno.

Rose si chiese se fosse poi stata un’idea così brillante quando vide il gruppetto delle ‘oche’, capeggiato da Clara Haggins, ridacchiarle dietro, mentre paonazza e sbuffante trascinava quella specie di cadavere di legno verso l’infermeria.
Al diavolo. Chi avrà i M.A.G.O. più brillanti della storia di Hogwarts degli ultimi dieci anni?
Io. Io con le mie idee brillanti. Ah-ah.


Merlino, mi chiameranno la puzzola brillante.
“Siamo arrivati.” Le annunciò trionfante Neville, varcando le porte a vetri dell’infermeria.
Rose sorrise sollevata. Salvo sentire uno spasmo alla bocca quando vide chi, oltre a Madama Chips, occupava quella stanza.
“Ehilà Rosey-Posey!” Trillò Scorpius, alzando la mano in segno di saluto, comodamente disteso su un lettino. L’altro braccio l’aveva fasciato.

“Che diavolo hai fatto?” Strillò quasi lasciando andare la cassa. Neville la riacchiappò al volo.
Scorpius fece spallucce. “So che sei angosciata per la mia salute, trottolina, ma sto bene. Ho solo qualche osso rotto.”
“Come?” Ringhiò.
Il ragazzo indicò l’uniforme da Quidditch che indossava, sorridendo soave.
“… sei un imbecille.” Mugugnò, fissandolo in cagnesco. Prima di accorgersi che, a conti fatti, la stavano fissando tutti.

Si schiarì la voce. “Sei un prefetto, vorrei ricordarti. L’integrità fisica è… è… un tuo dovere.”
Non ho avuto un infarto a vederlo qui, e pure ferito
NON ho avuto un infarto, per tutte le mutande millenarie di Merlino!
“Hai ragione pasticcino. Cercherò di fare più attenzione la prossima volta che un bolide impazzito cercherà di disarcionarmi.” Sorrise, ma il tono era palesemente irritato.
“Non fare l’idiota…” Sussurrò imbarazzata. Neville, forse impietosito, chiese l’aiuto della Chips per spostare la cassa nauseabonda nel magazzino. Sparirono, e Rose non gliene fu mai così grata.
Poi Scorpius aprì bocca.
No!” Sbottò sentendosi una psicopatica quando la guardò sbigottito. “Cioè… non voglio sentire. Sapere. Non voglio. Okay? È stato tutto un errore, un momento di debolezza, lo so io…” Blaterò senza neanche ascoltarsi.

Se mi ascolto è finita.
“Rose.” La fermò Scorpius, deciso. “Chiudi quella bocca.”
La chiuse.
Bisogna ammettere che quando vuole sa essere convincente.
“Molto meglio.” Concesse con un sorrisetto. Batté una pacca sul letto, accanto a sé.
“Scordatelo.”
“Andiamo, sono imbottito di pozioni antidolorifiche! Giuro sulla spada di Godric Grifondoro che non ho cattive intenzioni.” Sbuffò. “Avanti, vieni qui.”
Si sedette.

Da quando sono diventata così malleabile?
Merda! Da quando sono cotta di lui! Merda!

“Il bacio.” Sparò subito a bruciapelo. Rose sentì distintamente la terra cederle sotto i piedi. Dopotutto, farla sedere, non era stata una cattiva idea.
“Sì.” Disse semplicemente.
Meglio esprimersi a monosillabi. Più sicuro.
“Ti ho baciato perché…”
“Perché ti andava, per ringraziarmi delle belle parole d’amici…”
“Rose, un’altra sillaba e giuro che ti bacio.” La minacciò.
Ammutolì.
“Ti ho baciato perché tu…” Silenzio. Per un attimo, solo per un istante, a Rose sembrò che Malfoy fosse… in difficoltà?

No. In imbarazzo.
L’assurdità era tale che non fu capace di approfittarne.
“Perché mi piaci.” Confessò infine.
“È uno scherzo?” Disse, pentendosene subito dopo. Scorpius infatti la fissò omicida.
“Ti sembra che io abbia l’aria di uno che sta scherzando?” Sbottò. “Dannazione Weasley. Sto dicendo sul serio!”
“Hai passato sei anni a prendermi in giro! Scusa, se non credo a tutto quelle che ti esce dalla bocca!”
“Molto acuto da parte tua.” Replicò esasperato “E non ti sei mai chiesta perché?”
“Perché…” Esitò, ricordando le parole di Lily. Le cancellò. “Oh, fammi il favore. Perché ti diverte!”  

Il ragazzo ci pensò su. “Sì, forse.” Ammise. “Ma anche perché… tu sei l’unica persona che non finge.” Concluse.
“Fingere cosa?”

Scorpius si appoggiò ai cuscini. Fece una smorfia. “Donna scettica…” Sorrise appena. “Ti sei mai resa conto di come la gente davanti mi chiami per nome, e alle spalle per cognome?” Non aspettò risposta. “Sono un grifondoro, ho amici grifondoro? No. Guardati attorno. Per quanti sforzi possa fare rimango sempre un Malfoy... Sanno chi è la mia famiglia, e basta questo, per classificarmi.” Concluse amaro.
Rose rimase in silenzio: non era un discorso da prendere alla leggera.

Ciò che li rendeva simili, in fondo, erano i loro cognomi scomodi: certo, per Scorpius era più difficile, visto che il passato della sua famiglia era legato a episodi ben poco eroici.
Ma anche essere figlia di due eroi della Seconda Guerra Magica non è una passeggiata…
Non sei un nome. Sei un cognome.
“Sì.” Sospirò. “Credo di capirlo.”
Scorpius annuì. “Almeno per te, sono stato Malfoy fin dall’inizio. Mi hai chiamato per nome solo quando hai cominciato a conoscermi. Ti sei presa il disturbo di farlo.” La guardò. “Non hai idea di quanto mi hai fatto sentire bene, quando, nel bosco, mi hai dato del grifondoro.” Sorrise appena.

Rose si sentì arrossire. “Beh. Ironico che te l’abbia detto una Weasley, no?”
“Ironico che sia stata Rosey-Posey.” Replicò inarcando le sopracciglia.
Si sorrisero. Dopo una breve esitazione si spostò più vicina, mentre Scorpius le faceva spazio. Era inutile fingere. A quel punto era persino un po’ ridicolo.

Qualsiasi cosa sia, non ci detestiamo di sicuro.
“Quindi ti piaccio.”  
“Pare di sì.” Sospirò teatrale. “Sei un po’ lenta a realizzare, eh?”
“Quanto tu a schivare i bolidi.” Rimbeccò, sicura di farlo arrabbiare. Infatti lo vide accigliarsi.
“Non è stato un bolide. È stata una pluffa.” Confessò, e fu certa che stavolta fosse imbarazzato. “Mi ha preso in faccia ed ho sbattuto contro uno degli anelli.”
Rose represse una risata. “Ma sei un portiere!”
“Ero distratto.” Ringhiò. Si mise a giocherellare con l’orlo del suo maglioncino. Glielo lasciò fare.

Probabilmente darmi fastidio lo mette a suo agio… - pensò divertita: era ovvio, e anche tenero, che Scorpius fosse palesemente sulle spine.
“Distratto? Qualche ragazza ha invaso il campo seminuda?” Ironizzò, beccandosi un’occhiataccia esasperata.
“Ero tormentato dall’idea che una ragazza potesse essere scappata da un mio bacio.” Le tirò dispettosamente un filo del maglione. “Te la sei letteralmente data a gambe dopo che abbiamo parlato con Lupin.”  
Rose inspirò. Era stata così plateale?
Evidentemente…
“Mi vuoi dire perché l’hai fatto?” Il tono era scherzoso, ma gli occhi erano seri. Probabile se lo chiedesse davvero.

Godric, che ragazzo complicato che è.
“Avevo paura che tu dicessi… cose tipo… quelle che blateravo poco prima”
Scorpius la guardò perplesso, prima di sbuffare sonoramente. “Rose. Sinceramente. Sei paranoica. Se una ragazza non mi piace, non la bacio.”
“Quindi ti piaccio come ti piace Clara Haggins?”
Paragonami alla Haggins e sei morto.

Scorpius sogghignò. E capì di essersi fatta fregare di nuovo.
“L’hai fatto apposta quello spettacolino in Sala Grande, ieri!”
“Forse.” Confessò divertito.
“… Dammi un buon motivo per non romperti l’altro braccio.”
“Ce l’ho.” Le assicurò con un sorrisetto saputo. “Ascolta. Esistono due tipi di ragazze. Quelle con cui puoi divertirti, sapendo che sei lo stesso per loro. Un divertimento. E poi ci sono le altre.”
Le altre?” Sillabò scettica. “E sarebbero?”
Saresti. Tu.” Si chinò su di lei. Rose sentì di nuovo prepotente il suo profumo. E una mano esplorarle un fianco, mentre le dita tormentavano il povero maglioncino. “Se ti ho baciata, non è stato per divertirmi. Ma per farti una proposta.”
Rose inspirò di nuovo.

C’erano sicuramente milioni di motivi per cui non era una buona idea stare lì ad ascoltarlo.
Milioni di motivi… Mio padre, il fatto che è un donnaiolo incallito, mio padre, il fatto che è un bugiardo matricolato, mio padre…
“Che proposta?” Chiese.
Scorpius sorrise.
“Vuoi diventare la mia ragazza, Rose?”  
… Per tutte le mutande di Merlino…  
 
Scorpius, per la prima volta in vita sua si sentì nervoso come mai gli era successo.
Ah, sì. Forse allo Smistamento. Che giornata agghiacciante.
Rose lo guardava come se improvvisamente gli fossero spuntate un paio di corna ramose.
Era una ragazza buffa, Rose Weasley.
Non ci si annoia mai con lei.
“Rose?”
“Sì!” Sbottò quasi facendogli saltare un timpano. “Cioè… no!”
Scorpius inspirò lentamente.

“Sono un po’ confuso in merito, pasticcino. Vuoi metterti con me o vuoi scappare il più lontano possibile?” Ironizzò.
In realtà si sentiva lo stomaco rivoltato, e la sensazione orrenda di aver travisato tutto.
Credeva che di non esserle indiffente. E un Malfoy solitamente non sbagliava in questi pronostici.
Ma c’è sempre una prima volta, no? Io sono l’uomo, da prima volta Malfoy.
Rose finalmente sembrò tornare in sé. Si schiarì la voce.
“Vuoi che diventi la tua ragazza.” Sillabò.
Scorpius alzò gli occhi al cielo. “Tu mi piaci, ed io, se non ho completamente travisato i segnali, piaccio a te. Cosa c’è di così complicato, alla fine?”
Rose si umettò le labbra.

“Le nostre famiglie…”
“Lontane miglia.”
“Hai un harem.”

“Quando sto con te sento un impellente bisogno di diventare monogamo.”
“Litighiamo in continuazione.”
“Lo trovo stimolante.”

“Come posso sapere che non è uno dei tuoi scherzi?”
Scorpius sorrise sfavillante, mettendo fine a quel botta-e-risposta. E Rose seppe, in quel preciso istante, che avrebbe capitolato. Miseramente.

“Non fare la Weasley…” Sussurrò sulle sue labbra, prima di baciarla.
E fu il bacio, a schiarirle definitamente le idee.
Perché lo ricambiò. Perché dopotutto, non stava baciando Malfoy.

Ma Scorpius.
 
****
 
Biblioteca, Pomeriggio.
 
Thomas era ancora lì. Seduto al suo tavolo preferito, sepolto tra due enormi scaffali, rispettivamente di pozioni e antiche rune, con una finestrella asfittica che a malapena donava un po’ di luce all’ambiente.
Si sentiva un po’ cretino, a dirla tutta.
Prima era scappato, come un dannato codardo. Autoconservazione serpeverde, avrebbe ironizzato Michel.
La verità è che gli si era gelato il sangue nelle vene quando Lily aveva ipotizzato un suo coinvolgimento sentimentale con qualcuno.
Perché, basilarmente, era la verità.
Quello che provava per Al ormai travalicava la semplice amicizia.
Era attratto fisicamente da lui. Sentiva il suo profumo ovunque, ed ogni volta sentiva quel peso all’altezza dello stomaco, quell’urgenza di allontanarsi il più velocemente possibile.
Quell’urgenza di stringerlo. Forte. A sé.
Deglutì.
Era ridicolo. Ma impossibile da frenare.
Quando aveva baciato l’amica di Alicia era rimasto deluso, e pure sottilmente disgustato. Quando Al gli era piombato addosso, si era sentito agitato e confuso.
Analizzandolo freddamente (per come poteva nelle sue condizioni) il verdetto era chiaro.
Serrò le labbra, chiudendo con uno scatto frustrato il libro che stava leggendo.
‘1001 Sciarade Inglesi’
Anche la sua ricerca si era miseramente arenata su … una frase.
‘Di inganno è fatto il mio secondo nome’.
Il peso del medaglione, che aveva indossato sotto la camicia, sottolineava solo che razza di fallimento fosse.
Ignorava quello che doveva essere il suo migliore amico per colpa dei propri ormoni confusi, e non riusciva a risolvere un banale indovinello.
Patetico. Dov’è finito tutto il tuo cervello?  
La verità è che stai perdendo di vista i tuoi obbiettivi.
Ignora Al. Concentrati sul problema.
Tirò fuori il medaglione, osservandolo.
Era la chiave di tutto. Aprirlo avrebbe portato a delle risposte, ne era sicuro.  
Sospirò frustrato. Forse avrebbe dovuto chiedere aiuto.
Ma a chi? Avrebbe comportato dover dare spiegazioni.
Cioè spiegare che ho trafugato un medaglione dal naga morto…
Certo. Fattibile senza conseguenze gravi, soprattutto.
“Ma guarda… allora è vero quello che dicono di te, Thomas Dursley! Sei proprio un ragazzo studioso…”
Tom sussultò, voltandosi di scatto, per trovarsi davanti la professoressa Prynn, che lo guardava come se fosse la cosa più divertente al mondo.

Sorrise cortesemente, dissimulando fastidio.
“Buonasera professoressa.” Si alzò, ma quella gli fece velocemente segno di sedersi. Obbedì.
“Non ti piace studiare con gli altri, Thomas?” Chiese.
La regina delle domande inopportune… pare che tra professori la chiamino così.

“Ho bisogno di molta concentrazione. Di solito studio da solo.” Spiegò.
Veramente di solito studio con Al. Ognuno fa le proprie cose, ma ci teniamo compagnia.
Di solito? Un tempo…
“Capisco…” Si sedette accanto a lui. Non che gli dovesse chiedere il permesso, ma comunque non era una cosa… piacevole. “Sciarade? È materia di studio adesso?”
Tom lanciò un’occhiata al libro accanto a lui.

“Interesse personale. Del resto, si può anche non studiare solo materie da programma…”
“Vero, vero.” Confermò la donna. “Ti divertono?”
“Non mi dispiacciono.”
Le detesto.

“Ce ne sono di complesse, vero? Io non riesco a risolverne neppure una… sono proprio negata per questo genere di esercizio mentale. Tu?”
“Neppure io sono molto portato…”   

Quella donna lo metteva a disagio. Il fatto di essere così entrante, chiassosa, avrebbe dovuto portarlo a mal tollerarla.
In realtà lo affascinava: si era subito capito che era una docente preparata, che sapeva come catturare un uditorio. Stimolava domande.
L’intero sesto anno grifondoro e serpeverde, almeno per parte maschile, ne era completamente ammaliato.

L’unica eccezione era Al: la considerava una ciarlatana, e neppure le lodi sperticate di Loki, o le considerazioni pragmatico-sessuali di Michel riuscivano a smuoverlo da quella convinzione.
Strano. Avrei giurato che una persona così alla mano gli sarebbe piaciuta…
“E questo medaglione? Che bell’oggetto…”
Tom abbassò lo sguardo, e si accorse di non averlo nascosto: non che sarebbe servito a molto. Prima l’aveva preso di sorpresa.

“È un regalo.” Spiegò in automatico.
“Posso vederlo?”
Ho scelta? Temo di no.
“Prego…”
La donna lo prese tra le dita, avvicinando il viso al suo. Tom, con fastidio, si sentì incredibilmente agitato e sulle spine.
Detestava che qualcuno entrasse nei suoi spazi vitali. Persino se era una donna attraente come la professoressa Prynn.
“Ah, una sciarada. Era per questo che ti documentavi? Non riesci a risolverla?”
“Già.”
“Beh, non è facile, bisogna dirlo…” Socchiuse gli occhi per leggere meglio. “Di enigma è fatto il mio secondo nome. Proprio difficile…” Confermò, raddrizzandosi. “Secondo nome… credo sia questo a sviare.”
Tom batté le palpebre. Attento. “In che senso?”
La donna fece un mezzo sorriso. “Beh. È una frase ambigua. Può voler dire secondo nome o…”
Cognome.” Sussurrò Tom, colto da un’illuminazione. “Dopo il nome viene il cognome. Che è praticamente un secondo nome.”

Come direbbero i babbani… Eureka.
“Esatto!” Esclamò Ainsel stupefatta. “Che bravo, io non ci sarei mai arrivata…”
“Sì. Però… Non ha molto senso.” Borbottò. Ainsel annuì, parimenti perplessa.
“Sicuro che abbia una soluzione? Intendo dire, sicuramente per il creatore la ha. Ma non si riesce a risolverla.”
“No. Deve averla.”

La donna lo guardò, stupefatta dal tono sicuro. Poi sorrise, alzandosi in piedi. “Beh, se la ha, sono sicura che un ragazzo brillante come te riuscirà a trovarla…” Gli diede una pacchetta sulla spalla. “Magari è persino una soluzione banale. In questo genere di indovinelli è meglio non scervellarsi troppo.”
Tom la guardò andare via.
Indovinelli.
Inganno è il mio cognome.
C’era un collegamento. C’era.
Una parte di sé sapeva che avrebbe dovuto mollare tutto, contattare Harry e consegnargli il medaglione. Quella storia stava diventando… inquietante.
Ma l’altra parte di sé, quella più forte, lo spingeva a ricomporre il puzzle. A sapere.
Senza andare a piangere da zio Harry…  
Le tre di tomba son le prime. Tom.
Inganno è il mio cognome…
Espirò lentamente, serrando la presa sul medaglione. Era bollente.
“Tom Riddle.” Scandì. Era quella la soluzione? E se era quella, cosa voleva dire?
Sentì un click secco. Si aprì.

Eureka, di nuovo.
Il cuore minacciava di sfondargli il petto. Si sentiva spaventato ed esaltato al tempo stesso. L’ho risolto. Ho vinto.
Spostò la copertura. Doveva sapere cosa conteneva il medaglione.
Non ebbe il tempo di capirlo. Un lampo di luce, violento, lo investì.
E semplicemente, scomparve.
 
****
 
Note:
Suuuspance!
*Evita la pioggia di pietre affilate e molotov*

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Capitolo 22
*** Capitolo XVII ***


Per farmi perdonare l’assenza berlinese, un capitolo bello farcito.
Al, Thomas, Michel. La triade eye-candy. Enjoy. ;)
Ringrazio TOTALMENTE chi continua a seguirmi e mi recensisce. Siete la mia forza (*Dira usa un tono strappalacrime con tanto di violini*)
Apparte questo (*espressione paracula mode on*) chi mi segue o mi ‘preferisce’ batte un colpettino?
@MissMary: Avevi indovinato, ebbene sì! Beh, certo Tom è intelligente, ma devi ammettere che noi siamo a conoscenza di più informazioni di un sedicenne dentro la storia. ;) E’ questa la mia politica: voi sapete, loro no. XD Purtroppo in questo capitolo non ci saranno Teddy e Jamie, ma ti prometto che ti piacerà comunque. Tempo di rivelazioni! La prof e Mister X stanno diventando dei veri e propri nemici. XD Mi piace! Grazie per le tue recensioni!
@Altovoltaggio: Sono riuscita addittura a convertirti un po’ allo slash! Evviva! In realtà cerco di fare lo slash in modo che sembri il più possibile attinente alla realtà. Mi fa piacere che tu ti sia innamorata dei nostri due puccini. Dopotutto Tom/Al è la classica dicotomia bello&tenebroso/puccinoadorabile. Impossibile resistergli! XD
@Pietro90: Chi si rivede! XD Ciao Pietro! Spero che Catilina non ti abbia dato troppi grattacapi, a me ha dato nausea e capogiri. ;P Ti prego, non mandarmi più eserciti di Naga, sono ESTREMAMENTE difficili da convincere a sloggiarsi da casa. XD E tu, che mi dici di Oblivion? A quando un aggiornamento? Grazie per continuare a seguirmi, e per la recensione!
@Trixina: Ammetto che tra me e Voldemort è una bella sfida, ma spero con questo capitolone di essermi fatta ampiamente perdonare. Rose/Sy sono esilaranti. Mi diverto sempre tantissimo a scrivere di quei due. Poi i nomignoli sono la parte più divertente (e vedrai prossimamente, come si divertirà Sy).
@Ombra: Ebbene sì, Rose è una Weasley coi fiocchi. Del resto si dice sempre che la figlia femmina prenda dal padre. E infatti, dietro il cervello operativo, ci sta una Ron in gonnella! XD Tom è un coglione, perdonalo. ;P Per quanto riguarda il pooovero James dovrai aspettare il prossimo capitolo, ma non verrai delusa!
@Hel_ Selbstmord: Grazie per i complimenti sulla Rose/Sy! Avevo paura di averla fatta troppo affrettata (sì, se non fosse per voi la tirerei ANCORA più per le lunghe) ma se è piaciuta, forse allora gli sforzi ne sono valsi la pena. Se ti ho corrotta sulla via rosata dello slash mi riterrò personalmente soddisfatta. XD E non preoccuparti per la lunghezza delle tue recensioni. LE ADORO. 
@Nyappy: Grazie mille! Addirittura magnetici! Sei grande! Continua a seguirmi! Ci saranno altri siparietti Lily/Hugo. ;)
 
****
 
Capitolo XVII
 

 

Blurring and stirring the truth and the lies

So I don't know what's real and what's not
Always confusing the thoughts in my head
So I can't trust myself anymore
(Evanescente, Going Under)
 
Quando Tom riprese conoscenza si rese immediatamente conto che qualcosa non andava.
Un vento gelido gli schiaffeggiava il viso, e si trovava...
In strada.
Si alzò a sedere, mentre lentamente gli occhi si abituavano alla penombra.

Da lontano una luce gli permise di individuare dove si trovasse.
In un vicolo. All’aperto.
Si alzò in piedi, appoggiandosi al muro.
Dove diavolo mi trovo?
Dalla pietra grigia, l’asfalto scadente, era chiaro si trovasse lontano da qualsiasi moderno centro abitato.

Di sicuro, non si trovava ad Hogwarts.
Doveva fare il punto della situazione.
Aveva aperto il medaglione. Ed era stato letteralmente catapultato lì.
Dovunque sia qui.
Era una passaporta. Chiaro come il sole: aprendo il medaglione doveva averla attivata.
Sicuramente era magia avanzata. E lui ci era finito in mezzo.
Si guardò attorno.
Se non altro, dallo stile delle case, credo di essere ancora in Inghilterra.
Inspirò lentamente.
Ragiona. Sei stato portato qui con magia avanzata, ma pur sempre magia. E hai ancora la bacchetta.
Avrebbe dovuto davvero ringraziare Harry, per ricordargli continuamente che la bacchetta non era altro che il prolungamento naturale del braccio di un mago.
Una folata di vento gelido, che ghiacciava le ossa, lo fece rabbrividire.
Aveva solo il maglione. Niente mantello.
Certo non credevo che aprire quel dannato medaglione avrebbe portato a questo.
… Il medaglione…
Si frugò nelle tasche dei pantaloni, senza trovarlo. Si tastò il petto.
Era sparito.
Lumos.” Perlustrò attentamente la pavimentazione del vicolo, a lungo.

È sparito.
E se è una passaporta, è l’unica cosa che può riportarmi ad Hogwarts.
… Era.
Si impose di non farsi prendere dal panico, ma non poté impedirsi un lungo brivido gelido che gli attanagliò la nuca.
Niente panico. Cerca di capire dove sei. Esci da questo vicolo, orientati.
Il paesaggio che gli si aprì non appena affacciatosi fu quanto di più desolante potesse aspettarsi.
Era atterrato in quello che sembrava, a conti fatti, un triste e sperduto villaggio dell’entroterra inglese.  
Ottery St. Catchpole in confronto è una metropoli…
Era poco più che una manciata di casupole in muratura, rese grigie dalle intemperie e dal clima.
Non riusciva neppure a capire che ora fosse. Una spessa e densa coltre di nubi oscurava il sole.
Mosse qualche passo per la via principale, deserta.
Si guardò attorno. La città era immersa in un silenzio innaturale. Innaturale perché non poteva essere che, al massimo, poco prima di cena.
Una città fantasma?
Eppure le insegne dei negozi sembravano relativamente nuove, le vetrine ben tenute. Semplicemente, mancavano le persone.
Senza rendersene conto, si trovò a impugnare la bacchetta.
Percorse la via principale senza trovare anima viva. Non c’era una sola finestra illuminata.
Poi, la vide. Difficile non notarla, dato che gli si stagliò davanti. In cima ad una ripida collina, a poche centinaia di metri dalla fine del villaggio, c’era una villa.
Due piani, con il tetto di ardesia, mangiato da erbacce e quella che un tempo doveva essere stata edera rigogliosa, ora piuttosto un agglomerato vegetale semi-morente .
Lì, una sola luce, era accesa.
L’intero paese era al buio, deserto, ma in quella villa doveva esserci qualcuno.
Qualcuno che voleva segnalargli la sua presenza? Forse.
Comunque qualcuno. Qualcuno a cui fare delle domande, da cui farsi aiutare.
Strinse la bacchetta in pugno.
Non so smaterializzarmi. Ho perso la passaporta. E nessuno sa che sono qui.
Non aveva altra scelta. Doveva raggiungere quella casa.
Lasciò la strada lastricata di pietra umida del villaggio, per affondare le scarpe nella fanghiglia del sentiero che si snodava lungo la collina.
Il freddo era umido, pungente, e Thomas ringraziò la sua resistenza alle basse temperature. Arrivò al cancello della villa. Provò a spingerlo. Cedette senza opporre resistenza.
Mi stanno aspettando?
La cosa lo spaventava, ma al tempo stesso lo…
Deglutì.

Lo eccitava.
C’era qualcosa che gli contraeva le viscere, facendogli desiderare sapere cosa stesse succedendo.
Che ormai era ovvio che tutto quello, i naga, il medaglione, la sciarada, fossero parte di uno stesso piano. Che fosse stato tutto organizzato dalla stessa mano.
Inspiro una boccata d’aria gelida mentre raggiungeva il portone, in pesante quercia. La luce al primo piano della villetta era rimasta accesa, senza vacillare, per tutto il tempo.

Esitò.
E se fosse una trappola? Dopotutto non posso essere certo che non lo sia.

Quel naga voleva uccidermi. Come posso essere certo che chi è qua dentro non voglia fare lo stesso?
Non lo sapeva, ovviamente.
Ma del resto, ho scelta? Non so dove mi trovo, e non ho modo per mettermi in contatto con nessuno, neppure zio Harry.
Eppure c’era una parte di sé che sapeva, in modo irrazionale ma sicuro, che non gli sarebbe stato fatto del male.
Fece per bussare al portone ma la porta si aprì, cedendo come aveva fatto il cancello.
Entrò in un ingresso buio. L’odore di muffa e umidità non era poi molto dissimile da quello all’esterno, ma almeno la casa era riscaldata.
La luce è al primo piano. Devo salire al primo piano.
Strinse saldamente la bacchetta in pugno, salendo le scale che scricchiolavano sotto il suo peso. Era una vecchia casa appartenuta probabilmente all’unica famiglia ricca della zona.
Proprietari terrieri…
Erano pensieri inutili, ma lo aiutavano a non cedere alla paura.
Arrivato al primo piano vide la luce filtrare da una stanza. La porta a due ante, in mogano, la identificava presumibilmente come una sala da pranzo.
Non c’è niente di cui aver paura. Sei armato.
Inspirò e afferrò la maniglia della porta, aprendola di scatto.
La luce improvvisa lo abbacinò. Distolse lo sguardo brevemente, ma con i sensi tesi per non lasciarsi cogliere di sorpresa.

Per schiantarmi devi prima pronunciare l’incantesimo. Chiunque tu sia.
“Benvenuto Tom.”
Disse invece la voce. Thomas alzò lo sguardo, e sentì il sangue fermarglisi nelle vene, quando riconobbe chi gli stava davanti.

Sarebbe bastato uno specchio, del resto.
Era di fronte a se stesso.
 
****
 
Spogliatoi Di Quidditch.
Tardo pomeriggio.

 
“Io lo uccido.” Stimò con incredibile lucidità mentale Albus Severus Potter, mentre si disfaceva della divisa da Quidditch, reduce da un lungo e lurido allenamento.
Michel Zabini si limitò ad inarcare le sopracciglia, mentre si abbottonava la camicia pulita, fresco di doccia.
“Fammi indovinare…” Iniziò. Fu fermato dall’aria mortifera dell’altro ragazzo.
“Evita il sarcasmo.” Sbottò Al. “Io e lui siamo di ronda assieme stasera, ed è da poco dopo pranzo che non lo vedo.”  

“Cercasi Tom Dursley disperatamente…” Chiosò con un sogghignetto Michel. “Comunque, io non so dove sia.”
“Bene. Grazie mille.” Si scollò dal palato, prima di liberarsi degli ultimi indumenti e infilarsi sotto il benefico getto delle docce.
Michel lo guardò andare via. “Nervosetto…” Commentò.
“Prima mi ha quasi disarcionato, quando ho tentato di prendere il boccino prima di lui.” Lo informò il sostituto-cercatore, un ragazzo del terzo anno con un grave problema di acne. “È pazzo quello lì.”

“Oh, no Lawson. Sono solo tensioni sessuali irrisolte. Non lo trovi delizioso?” Sorrise il moro, beandosi dello sguardo agghiacciato dell’altro. “Ti consiglio di non entrare nelle docce, adesso. Sai, devo calmarlo…” Soffiò lentamente, facendolo impallidire del tutto.
Trovo Albus che si insaponava furiosamente i capelli.
“Al, i capelli si lavano gentilmente, non si strappano. Rischi di diventare pelato, e questo mi affliggerebbe moltissimo…”
Al gli scoccò un’occhiataccia. “A te non hanno mai detto che a volte farsi gli affari propri è cosa buona e giusta?”  

Michel scosse la testa, con un sorriso lieve.
“L’hanno fatto, ma non ha mai funzionato.”
“Ci avrei scommesso…” Commentò acido.

Al, così ingenuo e trasparente…
Adesso si accorgerà di essere stato troppo brusco, e si scuserà.
“Mike. Non è aria, mi dispiace.” Disse infatti, uscendo dalla doccia e avvolgendosi un asciugamano attorno alla vita. “Davvero.”
“Lo so. Ma credo che tu abbia bisogno di parlare.” Lo informò pacatamente.

 “Lo sai, è Tom.”
“Si è allontanato.” Annuì Michel. “Ha qualcosa per la mente…”
“Già. Ma cosa? Maledizione, non lo dice! Ed io…”
“Ti fa stare male.”
“Esatto!” Si sedette su una delle panche, vinto. “A lezione è assente ed è più scorbutico del solito. E sembra che ce l’abbia con me… ma non so perché!”
Michel emise un lungo sospiro. Era uno Zabini, e si era sempre considerato super partes. I suoi interessi, prima di tutto.

Ma c’era qualcosa in Albus che lo spingeva ad essere…. altruista.
Gene Potter. Suo padre è riuscito a convincere il mondo magico a ribellarsi a Voldemort.
Chissà che non sia contagioso, tirare fuori il meglio dalle persone.
E farle sentire in colpa, se vanno a letto con suo fratello maggiore…
“Al, siamo serpeverde.” Gli mise una mano sulla spalla. La sentì contratta. “Attestiamo un torto fattoci, senza divulgarlo al diretto interessato.”
“Oh, giusto. Portiamo rancore in silenzio…” Ironizzò. Poi gli lanciò una lunga occhiata valutativa. “Che intendi dire veramente, Michel? Fai l’amico, per una volta.”
Michel rifletté. Giocare era divertente, ma forse, in quel caso, doveva semplicemente dare la sua versione dei fatti.

“Vuoi la verità su te e Thomas?”
Al si corrucciò.

La verità? Di che diavolo…?
“Sono tutto orecchi.”
Il ragazzo sospirò. “Tom ti evita perché si è scoperto attratto da te.”
Silenzio.
Al emise una risatina strozzata.
“Finiscila. Ti ho chiesto la verità.”
“Ed io te l’ho data, Albus.” C’era qualcosa di profondamente ironico in tutto quello. Sia nella faccia sconvolta dell’amico, sia nel fatto che fosse lui a metterlo a parte dell’intera faccenda.

Lui, che a dirla tutta, invidiava Dursley per avere un simile fiore da far sbocciare tra le mani, e che se lo lasciava sfuggire per ridicole fisime mentali.
Al boccheggiò. Sentiva le orecchie arroventarsi, e il cuore in gola.
Panico.
Zabini poteva essere un ridanciano figlio di buona donna, ma quando parlava sul serio…
… Era un oracolo. 
“Chi… come… lo sai?” Sussurrò.
Michel scosse la testa. “Thomas non è mai stato interessato alle ragazze. Non ne ha mai guardata una. Ma guarda te.”

“Tom è gay?”
“Molto probabilmente.” Confermò Michel impietoso. Lì ci voleva polso.

E anche un pizzico di crudeltà. E in questo, permettetemi, sono un maestro.
Al inspirò.  
Avrebbe dovuto andarsene, non credergli, infuriarsi ma… si fidava. Non era un bugiardo come Loki. Dissimulava la verità, ma la diceva. Sempre.
“Ne sei sicuro?” Chiese a bassa voce. Gli spogliatoi erano vuoti, ma un certo grado di riserbo in ambienti comuni era sempre dovuto.
“No. Ovviamente non ne ho la certezza. Ma certe cose si sentono.”
“Perché non me l’hai mai detto?”
“Mi avresti creduto?” Michel scosse la testa. “No, non l’avresti fatto. Ma adesso? Mi pare ovvio che Thomas abbia un problema verso di te. Non so se sia l’unico, ma è il principale.”

Al esitò appena, poi lo disse. O meglio, lo chiese. “Ed io?”
Michel inarcò le sopracciglia. “Tu cosa?”
“Io… cosa sono?” Aggrottò le sopracciglia. “Hai detto di avere un sesto senso nel capire l’orientamento altrui. Bene. Il mio?”
“Se non lo sai tu…”
“No, non lo so.” Ammise. “Sono confuso, non ci sto capendo niente.”
Zabini sospirò, lanciando uno sguardo all’aria speranzosa dell’amico. Giocare con la sua confusione sarebbe stato fin troppo facile.

Con Re Potter posso farlo. Ma non con te, Al.
… È grave, dottore?

“C’è una sola domanda da fare in questo caso. Cosa ti piace?” Fermò il giovane Potter prima che potesse rispondere. “Lo sai da solo.”
“Io non…”
“Al, lo sai. Fidati.” Gli sorrise. “Devi solo darti tempo. Non posso dirtelo io. Potrei fuorviarti… Anche se non sai quanto mi piacerebbe.” Scherzò, arruffandogli i capelli umidi. Al sbuffò, aggiustandoseli senza molto successo.

Poi però sorrise. “Grazie Mike. Sei un amico.”
Sospirò, sorridendogli di rimando.
“Non c’è di che.”  
È decisamente grave dottore.
 
****
 
Un altro se stesso.
Di tutto ciò che si aspettava….
L’altro sé gli sorrise apertamente. Niente a che vedere con la sua espressione. Questo lo spinse a recuperare controllo.
“Chi diavolo sei?”
“Di sicuro non te.” Rise quello, facendogli cenno di sedersi sulla sedia di fronte a lui. “Avanti, siediti.”
“No.” Tom gli puntò addosso la bacchetta. “Chi sei?”
“Ha importanza? O meglio, è questo che ti interessa davvero?” Scosse la testa. “Sai, non credo.”

Lo guardò attentamente: sì, non c’era dubbio che si somigliassero. Ma l’espressione degli occhi, il modo in cui si esprimeva… erano diversi.
Si è camuffato. Polisucco?
“Non sai cosa mi interessa.” Ribatté continuando a tenerlo sotto tiro. “Perché sono qui?”
L’altro sé sorrise allegro. “Ah! Questa è una buona domanda finalmente.”

Tom corrugò le sopracciglia. Si stava forse prendendo gioco di lui?
“Hai intenzione di rispondermi?”
“Dipende. Sono qui proprio per darti delle risposte. Però dobbiamo metterci a nostro agio, non credi?” Fece un cenno verso il camino, in cui scoppiettavano ceppi ardenti. “C’è il fuoco acceso. Ho fatto fare del the. Ne vuoi?”
Tom serrò le labbra. La presa sul manico della sua bacchetta stava diventando dolorosa.

Era stanco, confuso, infreddolito. Voleva delle risposte. Voleva tornare ad Hogwarts.
Voleva sapere chi diavolo fosse quel tipo, e cosa volesse da lui.
Voglio. Voglio, ma non posso avere.
L’altro sé sospirò. “Non andiamo da nessuna parte così, vero? Vuoi che prenda un aspetto che ti metta meno a disagio? Era solo uno scherzo, sai.”
“Uno… scherzo?”
“Non penserai che sia davvero questo il mio aspetto?” Rise. “Via, Thomas, ti facevo più intelligente di così!”

“Non costringermi a mostrarti fino a che punto posso esserlo.” Sibilò di rimando.
L’altro ghignò leggermente. La somiglianza lo rese nervoso.

Sono così inquietante quando sorrido?
“Vuoi attaccarmi? Non so quanto ti convenga. Avanti, ragazzo mio. Usa il cervello. Siamo soli, ma potremo non esserlo. E tu sei un ragazzo.”
“Tu non lo sei?” Interloquì immediatamente.

Vuoi giocare? Non sai quanto posso essere bravo.
L’altro sé prese un’espressione sorpresa, prima di ridere. Sembrava divertito.
“Oh, molto acuto Tom, molto acuto.”
Thomas.” Replicò. Si guardò attorno: la stanza era spoglia. Il camino acceso, le due poltrone, un tavolino con un servizio da the di poco valore. Nient’altro.

Non è una casa abitata questa. È stata sistemata provvisoriamente.
L’altro ragazzo, se tale era, scrollò le spalle. “Thomas. Come vuoi. Non sono qui per litigare, sono qui per parlare. Non ti sono nemico, credimi.”
“Allora inizia col mostrarmi il tuo vero aspetto.” Commentò, premurandosi di tenere sempre la bacchetta di fronte a sé. Mosse un solo passo verso la poltrona. L’altro non reagì, aspettando che finisse di parlare. “Non ti aspetterai che ti creda, mentre indossi la mia faccia…”

Touchè.” Ammise. “Va bene, basta scherzare.”
Fu un attimo. Fu come se una colata di magia pura fuoriuscisse dai pori della pelle dell’altro. Si tramutò in un ragazzo biondo, dall’aria florida e profondi occhi blu.
Indossava ancora la divisa dei serpeverde, ma la riempiva completamente, tendendo il maglione in più punti. Era presumibilmente più alto e in carne di lui.
Tom non commentò, limitandosi a fare una smorfia. “Non penserai che ti creda un mio coetaneo…”
“Perché no? Ti faccio forse pensare il contrario?”
“Nessun ragazzo della mia età chiama un altro ragazzo mio.”

Il biondo batté le palpebre, salvo ridere. “Sei in gamba, Thomas. La tua fama non viene smentita dai fatti.”
“Chi sei?”
“Non lo vedi? Uno studente.” Motteggiò. “Avanti, avanti. Tu vuoi chiedermi altro. Ed io non posso rispondere a tutto. Panta rei, come dicevano i greci. Il tempo scorre. Cosa succederebbe se si accorgessero della tua scomparsa da Hogwarts?”

Tom gli lanciò un’occhiata. “Sei tu ad aver organizzato tutto questo?”
“Cosa, precisamente?” Fece un gesto vago. “Metti via quella bacchetta, coraggio. Non voglio farti del male.”
“Cosa ti fa credere che io non voglia farne a te?” Rimbeccò, sentendosi scrutare attentamente.
Quel tipo aveva una postura rilassata, l’aria amichevole. Ma c’era qualcosa di complessivamente… storto, nella sua faccia. Non avrebbe saputo dire cosa. Ma c’era.

Non è la polisucco. La polisucco termina i suoi effetti indipendentemente dalla volontà di chi la assume. Un metamorfomago? Può essere. Ma ho visto trasformare Ted. E lo fa in modo diverso.
“Ti stai chiedendo cosa sia, vero?” Allargò le braccia. “Un mago. Al momento, con le risposte che ti servono. Vuoi deciderti a farmi le tue domande?”
Tom serrò le labbra. Poi rinfoderò la bacchetta, sotto il sorriso dell’altro.
“Sei stato tu a portarmi qui?” Chiese.
“No, naturalmente. È stato il medaglione.”
“Era una passaporta.”   
L’altro annuì. “Proprio così. Aprendola sei stato portato qui.”
“Qui dove?”
“Little Hangleton.”
Il breve botta e risposta lo lasciò più confuso di prima. Si sentiva così… stanco.

Si impose di non lasciarsi vincere dal freddo e dal disagio.
“I Naga… li hai liberati tu ad Hogwarts?”
“Dovevano trovarti e sanno essere molto convincenti, non è vero?”
“Uno di loro mi ha quasi ammazzato.” Sibilò sentendo la collera montare, al ricordo del terrore, della rabbia  e delle ferite che ancora gli dolevano.

Il ragazzo sbuffò. “Andiamo. Non mi sembra sia successo. Anzi, sei stato tu ad uccidere lui.”
“È stato Grop.” Ribatté monocorde: almeno, così era stato accertato.

Certo… tu però l’hai fatto urlare di dolore, di un dolore tale che ti ha mollato e si è fatto ammazzare come una bambola di pezza dal gigante.
“Più o meno…” Concesse il ragazzo misterioso. Tirò fuori dalla tasca dell’uniforme un pacchetto di sigarette babbane. Le riconobbe come Lucky Strike. “In realtà il naga serviva solo per sapere se eri speciale.”
“Speciale?” Fece una smorfia. “In che senso, speciale?”
“Non dirmi che tutti i tuoi amici hanno quel piccolo problemino…” Sorrise l’altro.
Tom si sfiorò lo stomaco, inspirando. “Come…”
“Te lo chiedi sempre, vero? Continuamente direi. Perché sei nato così, per quale motivo. Perché c’è un motivo. Un motivo per cui sei stato rapito da bambino, per cui non hai l’ombelico. Ovvio, c’è un motivo per tutto. Anche per te.”

Tom si sentì le labbra secche. Il cuore gli martellava nel petto, forte, così forte che quasi lo assordava.
“Tu… sai come sono nato?”
“È il motivo per cui sono qui.”
“Ed hai organizzato… l’attacco dei Naga, il medaglione, la sciarada…”
“Tutto per farti arrivare qui, a parlare con me.” Confermò. “Andiamo, Thomas. Se ti avessi avvicinato dal nulla, non saresti forse corso a chiamare i grandi? Zio Harry Potter?” Assottigliò gli occhi. “L’avresti fatto… ed entrambi avremmo perso. Tu, le tue risposte… io…” Non finì, limitandosi ad appoggiarsi di nuovo allo schienale. “Conosci il gioco Scale e Serpenti?”
Il giovane Dursley si irrigidì: di nuovo quegli scherzi? Parole fuorvianti per confonderlo ancora di più? “Cosa c’entra con me? Con quello di cui stiamo parlando adesso?”

“C’entra. Per ogni cosa bisogna andare per gradi. Per caselle. E alla fine, si arriverà alla soluzione finale.”
“Di che diavolo stai parlando? Non è un gioco questo!”
È pazzo, cosa crede, di essere in un gioco a premi?
L’altro non rispose, limitandosi ad accendersi la sigaretta, che fino a quel momento gli era rimasta tra le dita. Trasse una lunga boccata di fumo. “Fin’ora abbiamo giocato assieme a Scale e Serpenti. Per gradi, sei arrivato fin qui. E adesso… hai di fronte a te una scala o un serpente.” Infilò ancora le mani in tasca, e fece ondeggiare davanti a lui il medaglione. “Questa è la scala.” Poi indicò con un cenno la porta dietro di lui. “L’uscita, anche se ti sembrerà un controsenso, è un serpente.”
Tom si voltò, prima di fissarlo nuovamente. “Sei pazzo.” Affermò con livore. “Cosa vuoi da me?”
Per caselle, Thomas.” Lo ammonì serio. “Adesso sei tu, a volere qualcosa da me. Ed io ti metto di fronte ad una scelta. Scegliendo il medaglione, continueremo la nostra chiacchierata la prossima volta. Lo indosserai, e quando si scalderà, saprai che sono disponibile a fare due chiacchiere con te.”
“Se decido invece di andarmene?”

Il ragazzo si strinse nelle spalle. “Varcata quella porta sarai obliviato, e verrai riportato ad Hogwarts sano e salvo. Non ricorderai nulla, e trascorrerai la vita nell’ignoranza.”
“Ovviamente immagino che questo sia un gioco tra me e te…”
Il ragazzo sorrise. “Vedo che hai capito il punto fondamentale.”  

Tom abbassò lo sguardo sul medaglione.
“Non mi fido di te.” Disse secco, piantandogli gli occhi nei suoi. “Dammi una prova che sai qualcosa del mio passato. Niente giochi. Una prova vera.”

 L’altro tirò una boccata dalla sua sigaretta. Parve meditabondo.
“Chi ti ha rapito credeva tu fossi la reincarnazione di Tom Riddle.”
Tom deglutì lentamente.

E chi diavolo è, Tom Riddle?”
A parte la soluzione della Sciarada.

“Beh, teoricamente il legittimo proprietario di questa casa.”
Tom serrò furiosamente le labbra, fino a sentirsele bruciare. Sentiva di nuovo quel fuoco, quel fuoco divampargli nel petto. La stessa rabbia che aveva provato durante l’attacco del naga.
“Che significa? Questa non è una prova!”
“Scala o Serpente, Thomas?” Replicò senza lasciarsi impressionare dalla bacchetta nuovamente puntata su di lui. “Tic tac. Il tempo scorre, o alla prossima puntata, o a mai più. Devi scegliere.”
Doveva scegliere.
C’era quella parte di lui che gli stava urlando di scappare, di andarsene, di avvertire Harry e di chiudere con quella storia sospetta e con quel ragazzo inquietante.
Ma come posso avvertirlo se verrò obliviato?
Il ragazzo biondo si alzò, facendogli dondolare davanti il medaglione.
“Verità o oblio?” Chiese. “E non pensare di fregarmi accettando e poi correndo da zio Harry a spifferare tutto. Lo saprei. E sparirei. Con tutte le tue domande irrisolte.” Inclinò leggermente la testa di lato, quasi curioso. “Quanta esitazione… Tom, mi deludi. Un prefetto serpeverde, il brillante Thomas Dursley dovrebbe sapere cosa vuole.”
“Sta’ zitto.” Sibilò. Chiuse gli occhi, e sentì la sua mano scattare ad afferrare il medaglione. Li riaprì per vedere l’espressione trionfante dell’altro.

Lo disgustò.
“Allora alla prossima volta. Ah, e se posso darti un piccolo compito per casa… ti consiglierei di documentarti su Riddle.”
Tom non rispose. Voleva andarsene, al più presto. Aprì il medaglione, e stavolta sentì il familiare strappo allo stomaco della smaterializzazione.

L’ultima cosa che vide furono gli occhi blu del ragazzo, che lo fissavano ridenti.
 
 
****
 
Poco fuori l’entrata della Sala Comune Serpeverde.
Ora di cena.
 
Al si chiuse la porta di camera alle spalle, controllando con un gesto veloce di avere la spilla appuntata sul maglione e la bacchetta in tasca. Michel e Loki l’avevano preceduto a tavola, il primo in compagnia della squadra di Quidditch, il secondo con loschi figuri in odore di contrabbando di liquori.
Aveva aspettato fino all’ora di cena che Tom tornasse. E non l’aveva fatto.
Dove diavolo sei finito?
Quasi l’avesse sentito, l’interpellato svoltò l’angolo. E si trovarono di fronte.
“Tom!”
Thomas sussultò. Parve sorpreso di trovarlo lì. A dirla tutta, parve quasi spaventato.
“Dove eri finito?” Gli chiese preoccupato.

“In biblioteca, a studiare. Ho perso la cognizione del tempo…” Mormorò, aggiustandosi in spalla la tracolla piena di libri.
Al serrò le labbra: mentiva.

Tom aveva i capelli arruffati per l’umidità, e le guance pallide leggermente congestionate dal freddo. Senza contare le scarpe. Gli bastò un’occhiata, anche nella penombra, per vedere che erano sporche di fango.
Non è da lui. Non è da lui farsi cogliere con le mani nel sacco.
“Non dire stronzate… eri fuori!” Sbottò. “Tom, che diavolo sta succedendo?”
L’altro fece una smorfia. “Ho solo fatto una passeggiata attorno al lago. Non mi risulta sia ancora scattato il coprifuoco, giusto?”

Al sentì la rabbia salire come una vampata. Stavolta non riuscì a controllarla.
Basta bugie, basta!
Lo afferrò per il maglione, approfittando dell’effetto sorpresa per sbatterlo contro il muro. Thomas infatti non oppose resistenza, guardandolo attonito.
“Smettila! Perché fai così?!” Sentiva le lacrime pungergli l’angolo degli occhi, ma si sforzò di non lasciarsi prendere dalla solita emotività. “Siamo amici, no? Amici. Che cazzo ti sta succedendo? Non sembri più tu!”
Sentì lo sguardo blu di Tom su di lui. In quel momento, percepì, anche se solo per un attimo, di averlo finalmente scosso.

“Al… scusa.” Gli disse. “Ho solo bisogno di stare da solo. Non ti sto mentendo.”
 
“Tom…”


Thomas sentì improvvisamente la fronte dell’amico sfiorargli il collo.
Era una supplica. Albus gli si era appoggiato addosso, respirandogli contro il collo.
Appiccicoso… - Pensò nebulosamente, mentre costringeva le mani a restare ferme al proprio posto, abbandonate lungo i fianchi. Era così che un amico maschio si sarebbe comportato.

“Ho ancora bisogno del mio migliore amico.” Gli sussurrò. La frase ebbe la forza di colpirlo come un pugno.
C’è una quantità di emozioni che un essere umano può sopportare, al giorno?
Se c’era, lui l’aveva ampiamente oltrepassata. Le braccia si rifiutarono di obbedirgli, stringendo Albus. Era incredibile come profumasse sempre di cioccolato e di inchiostro, come fosse pieno di spigoli, eppure morbido.
Perdonami, Al. Sono troppo avanti in questa storia, per poterti coinvolgere.
Quindi perdonami, per le bugie che continuerò a dirti.
“Io sono sempre qui. Non me ne vado.” Lo rassicurò. Sentì la presa di Al allentarsi, sulla stoffa del maglione. “Non me ne vado…” Ripeté, quasi a volerlo, al contrario, trattenere.  
Avrebbe voluto fare ben altro, che dargli un abbraccio e qualche parola gentile.
Avrebbe voluto dirgli tutto, avrebbe voluto stringerlo, fino a fargli male. E baciarlo, fino a rubargli il respiro.
Merlino, non sono normale.   
Ma poteva fingere di esserlo.
Al annuì. Si staccò, e Tom si violentò per non reagire.
“Scusa… mi spiace per lo sfogo. Io…” Cominciò a balbettare.

Il solito Al…
“Non fa niente. Ho sbagliato io.” Lo precedette, stupendosi del tono pacato che riuscì a simulare. “Vado a cambiarmi, sto congelando.”
“Ti aspetto qui?”
“No, va avanti. Mi faccio anche una doccia.” Gli fece un cenno, allontanandosi. “Ci vediamo a tavola.”
Il medaglione, al petto, pesava come un macigno.

 
Al, voltato l’angolo, si fermò per riprendere fiato. Non era facile pensare e respirare, talvolta.
Inspirò.

Michel aveva ragione. La sua risposta l’aveva già.
Era così semplice da sembrare ridicola.
Non c’era nessuna ragazza che gli facesse battere il cuore, perché c’era già qualcuno a farlo.
Non mi sentirei così male per nessun altro.
Solo per Tom.
 
****
 
Note:
1 – Snake & Ladders: Scale&Serpenti.
Popolare gioco da tavolo inglese, molto simile come regole al gioco dell’oca. Se si finisce in una casella con una scala, si può accedere al livello successivo, con il serpente, invece, si retrocede. Per chi vuole informazioni qui

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Capitolo 23
*** Capitolo XVIII ***


E siamo a quota oltre 100! Yay! XD Apparte i deliri, ringrazio davvero chi mi recensisce. Siete voi il carburante di questa storia!
@Altovoltaggio: Oddio, allora sono riuscita a convincere una non-slash-fan di due personaggi! XD Davvero, è una soddisfazione! La tua recensione è stata bellissima. Mi fa piacere che ti sia piaciuto il pezzo emotive trai due puccini. In effetti, doveva essere un punto di svolta nei loro sentimenti, quindi ho faticato un sacco per renderlo un minimo credibile. Mi fa piacere di esserci riuscita. Michel è il personaggio che più mi diverto a scrivere. Era iniziato solo come uno Zabini, ma poi si è trasformato in un personaggio vero e proprio. E vedrai che combinerà nei prossimi capitoli. Sarà la chiave di volta! XD Grazie per il tuo supporto!
@Hel_Selbstmord: Berlino stupenda? Dieci volte di più. È una città che vale OGNI singolo euro speso per lei. Purtroppo il clima è inclemente. XD Ti è piaciuto il face-to-face Biondino/Tom? Mi fai un immenso piacere perché ho sudato su quel pezzo. Mi sembrava così poco movimentato, tutto dialoghi, che non sapevo se vi sarebbe piaciuto. :( Michel in effetti ha cattive intenzioni verso il nostro puccino arruffato preferito. Poi vedrai. (risata sadica). Tesoro, se hai questi attacchi da fangirl non posso che RINGRAZIARTI. E’ bello vedere che la propria storia viene seguita così appassionatamente! : ))
Lovermusic: Ciao! Benvenuta! Il tuo nick mi piace molto! Grazie mille per la recensione. Insomma, se riesco a farti amare lo slash, allora non posso che essere felice e lusingata. :) Continua a seguirmi!
@SammyMalfoy: Ciao! Ebbene sì, finalmente Albie ha preso CONSAPEVOLEZZA. Era ora, mi stavo arrabbiando anch’io con ‘sto disgraziato! XD Spero che i tuoi problemi di collegamento si siano risolti. E per quanto riguarda Michel… puoi cruciarlo dopo che ho finito? :P Perché mi sa che vorrai farlo…
@Trixina: Ciao! Sì, beh Mike è una serpe, ma in fondo per certe persone riesce ad essere quasi un buon amico. Quasi, perché vedrai… *risata sadica*. Grazie per i complimenti!
@MissMAry: Lo sai, Al è un TONTO. Quindi non dobbiamo fare affidamento su di lui, ma sul nostro pacato gentleman di serpeverde (Sì, Tom, dico a te, inutile che cerchi di ignorarmi). Oh, non appena diventeranno una coppietta (perché lo diventeranno se mi danno retta) Harry dovrà vedersela con figlioccio e secondogenito felicemente innamorati. Si spera che reagirà meglio di quanto non farà Ron con la sua adorata rosellina. XD Il biondino malefico in effetti ha messo i bastoni tra le ruote tra Tom e Al. O forse no? Comunque sì, sia sempre lodato San Zabini. È diventato il patrono di questa ficcy. XD
@Ombra: Controllato addirittura tutti i giorni? Mi fai arrossire -//- Ebbene sì, Mike è un gran ragazzo, se ci si mette. In effetti se non fosse per lui Albie non si sarebbe mai scantato . U_U Vedrai tu adesso, leggendo, se sono stata buona con Jamie e Ted XD
 
 
****
 
Capitolo XVIII
 
 
 
 

Never took the chance, could've jump the fence

I was scared of my own two feet
Couldn't cross the line, it was black and white
No contrast to be seen
(I’m not over, Carolina Liar)


14 Settembre 2022
Dormitori maschili di Grifondoro.
Sette del mattino circa.
 
James aprì gli occhi. Era mattino, gli uccellini fuori non cinguettavano. Pioveva a dirotto.
Le gocce di pioggia si abbattevano cupamente contro i vetri delle finestre.
Strizzò gli occhi, abituandosi alla penombra e al fatto che fosse sveglio.

Sveglio poteva voler dire solo una cosa: riprendere coscienza di sé, e infuriarsi.
Nessuno gli aveva creduto. Né suo padre, né sua madre – che per giunta gli aveva mandato un strillettera che fortunatamente era riuscito ad aprire nei bagni al primo piano.
E soprattutto…
Serrò le labbra, alzandosi a sedere di scatto e, liberandosi delle coperte, si infilò in bagno, sbattendo la porta. Non si premurò neppure di controllare se gli amici fossero svegli.

Gli Scamandro gli avevano creduto. Bob Jordan gli aveva creduto.
La sua famiglia no.
Si disfece con una mossa rabbiosa della t-shirt e poi dei pantaloni che usava per dormire. Si buttò sotto il getto bollente della doccia, chiudendo gli occhi.
La sua famiglia non gli aveva creduto. Era questo a bruciargli.
Beh, se gridi sempre al lupo al lupo, come in quella favoletta babbana, è ovvio che quando il lupo arriva, nessuno ti crede… - gli fece notare la voce della sua coscienza, di solito flebile.
Che in fondo lo sapeva. Un po’ era colpa sua. Da quando era tornato non aveva fatto altro che combinare disastri in giro per il castello.
Prima era andato a curiosare nelle stanze di Ziel. Poi era andato a vedere il Naga.
Ed entrambe le volte era stato scoperto da…
Si morse le labbra, fino a sentire il sapore ferreo del sangue.
Teddy.

Era Teddy che lo mandava in bestia.
Bere. Certo, non sono astemio. Ma rischiare così, come un bamboccio. E gli ho detto la verità!
Gliel’ho detta, ma non mi ha creduto!
Rabbia, dolore, umiliazione lo investirono come un tifone. Di nuovo.
Tirò un pugno contro le piastrelle del bagno, serrando i denti per il dolore.
È per questo che non volevo svegliarmi… finché dormo, non ci penso.
Uno stupido ragazzino innamorato e ferito, ecco cos’era. Innamorato del suo vecchio amico d’infanzia, ora suo professore, che l’aveva pizzicato in flagranza di reato, e che non aveva creduto alle sue spiegazioni.
C’era di che riderne, effettivamente. Sembrava uno di quei fotoromanzi che sua nonna leggeva su Strega Oggi.
“Capo!” La voce tonante di Lorcan – lui li distingueva, e per questo si era meritato la loro imperitura devozione – lo riscosse. “Capo, è venti minuti che sei lì dentro!”
“Impara a contare, sono dieci. E comunque, non mi rompere i coglioni!” Sbottò, chiudendo il rubinetto dell’acqua. Uscì gocciolante, e, senza premurarsi di asciugarsi con un incantesimo, si piazzò di fronte allo specchio.

Era un bel ragazzo. Era un figo, dannazione. Spalle larghe, fisico sportivo, bel viso, sorriso strepitoso. I ragazzi lo invidiavano e ammiravano nella stessa misura, le donne lo adoravano. Addirittura un serpeverde come Zabini era capitolato tra le lenzuola, per lui.
Avrebbe dovuto fottersene della punizione, della delusione di Teddy e di tutto il resto.
Era un re.
Sospirò.
Un re coglione. Vorrei solo che il mio principe azzurro mi credesse…
 
Quando uscì dalla camera, in uniforme, mantello e cattivo umore incluso, James si scontrò quasi con Rose. Che era nel suo dormitorio. Maschile.
Si squadrarono per un attimo, entrambi perplessi. Fu lui, poi, a prendere la parola.
“Beh?” Chiese semplicemente. La ragazza arrossì, sbuffando.
“Cercavo giusto te. Neville ha detto che vuole vederti nel suo ufficio dopo aver fatto colazione. Per la punizione. Che ti sei meritato.” Aggiunse. Ci pensò. “Coglione.” Concluse.  

“Oh, grazie cuginetta. Molto supportiva.” Lanciò uno sguardo all’uniforme leggermente spiegazzata di lei. Il maglioncino aveva l’aria di esser finito tra le zampe di un doxie.
“Come mai qui?”
“Per cercare te?” Suggerì Rose con tono saccente.

Merlino, di mattina è particolarmente odiosa…
“Ti sei scordata dov’è la mia stanza?” James la indicò, dietro di sé.
Rose scrollò le spalle, ma James registrò un riflusso di rossore alle guance. “Sono venuta anche a svegliare Hugo.”
“Ah.” Disse, già disinteressato. “Beh, io vado a colazione. Grazie per la schifosa notizia.”
“Prego, non c’è di che.” Replicò Rose con un sorrisetto salace. James brontolò qualcosa, scendendo le scale a due a due. La sua sorpresa fu palese, quando, arrivato in Sala Comune, si trovò di fronte Hugo.   

“Ehi, ciao Jam.” Salutò, sbadigliando con il rischio di slogarsi la mascella. Come al solito, dalla punta dei capelli al risvolto della camicia, aveva tutto fuori posto. “Hai mica visto mia sorella?”
“… Non era con te?”
“E quando mai? Non la vedo da ieri sera a cena. Mi sento piuttosto trascurato.” Ironizzò il ragazzino, stiracchiandosi.  “Sarà a svernare al bagno, come tutte le femmine. Andiamo a mangiare?”

James annuì, lanciando un’occhiata verso la scalinata maschile.
E quello, cosa significava? 
 
Rose sospirò sollievo allo stato puro, quando vide la schiena del cugino allontanarsi.
Poco dopo, qualche secondo dopo a dirla tutta, sentì due mani posarlesi sui fianchi.
“No.” Disse, piena di contegno.
“Sì.” Rispose Scorpius, chinandosi a darle un bacio sul collo, che le spedì direttamente un brivido caldo al cervello.

Endorfine, credo si chiamino… chimica, babbana… - Pensò confusamente, mentre sentiva le ginocchia farsi volenterosamente gelatina.
Era ridicolo come la sua mente rimanesse lucida mentre il corpo era alla mercé di Malfoy in modo imbarazzante.
Con un rigurgito di orgoglio si staccò da quella piacevole tortura – la bocca di Scorpius era dannatamente morbida e calda – e si voltò, per fronteggiarlo.
Si arrese miseramente quando vide il suo sorriso disarmante.
Davvero, intere armate di femministe inferocite potrebbero capitolare davanti a questo sorriso… - Pensò, con enorme vergogna.
“Ti hanno fatto un corso speciale per sorridere così?” Mugugnò. “Seriamente, dovresti farne un mestiere.”
“C’è. È fare l’attore. Ma non fa per me. Sono timido su un palco.” Sogghignò Scorpius. “Sei stata carina, oggi, a venire a darmi il buongiorno.”
“Vorrei farti notare che sei stato tu a chiamarmi. Quel dannato areoplanino di carta mi ha quasi accecato stamattina.” Borbottò.

Scorpius inarcò le sopracciglia, salvo imbronciarsi. “Rosey-posey. Mi ferisci. L’ho scritto con amore.”
Trottolina Rosellina, si anela la tua presenza per svegliare ardente principe azzurro? Avrei dovuto ucciderti…” Replicò, cercando di frenare il sorriso. Scorpius invece rise, e le afferrò di nuovo il bordo del maglioncino con la punta delle dita.

Ma perché ce l’ha tanto con il mio povero maglione?
“Senti, dovremo parlare di questo tuo feticismo per gli indumenti...”
Scorpius sogghignò soave. “Mi piace il tuo maglioncino.”
“È uguale a quello di tutte le altre.” Gli fece notare, beandosi delle mani che le cinsero la vita con naturalezza. Era palese che Malfoy sapesse come comportarsi in un rapporto di coppia. Per lei invece era tutto nuovo.

Nel giro di appena ventiquattro ore da verginella sfigata sono stata promossa a ragazza del figo della scuola. C’è di che impazzirne.
“Non è uguale a tanti altri.” Puntualizzò Scorpius, ricatturando la sua attenzione. “È il maglioncino di Rosey-Posey, sai. Ha il tuo profumo…” Sussurrò, baciandole il naso. Rose fece una smorfia, facendolo ridacchiare.
“Scorpius…” Sospirò, facendosi seria. Dovevano tirare fuori quell’argomento prima o poi.

“Dimmi Rosie.” Replicò di rimando con aria seria, tradita da un lieve sorriso che gli incurvava l’angolo delle labbra.
“Serio.”
“Sono serissimo.”
“Bene, perché James mi ha vista qui. E mi ha chiesto spiegazioni.”
“E tu? Scommetto che quel laborioso cervellino Weasley ha elaborato una scusa geniale…”
“Non esattamente. Ho inventato sul momento. Gli ho detto che ero qui per Hugo, ma…”
“Non puoi salire tutti i giorni per darmi il buongiorno…” Mugugnò triste Scorpius. Per un attimo fu seriamente intenerita, prima di ricordare che quello era Scorpius Sono Viziato Da Fare Schifo Malfoy.
“Esattamente.” Rispose impietosa. “Mettiamo in chiaro un paio di cose. Ieri…”
“Ci siamo baciati tutto il tempo!”
Argh. Non mi rende le cose facili.

“Già. Ora… stiamo assieme.” Si schiarì la voce, mentre sentiva le guance prendere fuoco, sotto l’aria divertita del ragazzo. “Ma non è una cosa che possiamo dire… a tutti. Mio padre si farebbe venire un infarto.”
“Anche il mio.” Convenne Scorpius con un mezzo sospiro. “Quindi, cosa vuoi fare?”
“Tenercelo per noi. In fondo, sono affari nostri.” Gli passò le dita sullo stemma di Grifondoro cucito sul risvolto del mantello. Fu un gesto un po’ impacciato, ma non voleva che pensasse male. “Non voglio nasconderti. Non è così. Io…”
“Rose.” Sorrise Scorpius. “È okay. Non sei l’unica con una famiglia problematica, sai?”
“Allora… davanti agli altri, come sempre…”
“E da soli io e te.” Convenne, dandole un lieve bacetto a stampo. “Aye aye Capitano Weasley.”

“Rose.” Puntualizzò la ragazza. “Cosa abbiamo detto sui cognomi?”
Scorpius sorrise. “Che non ce ne frega assolutamente nulla.”
Sarà un impresa mastodontica nasconderci dai miei cugini. Da Lily…

Morgana, dammi la forza. E un po’ di fortuna, se non ti spiace.

****

Biblioteca, ore libere della mattina.

Un’ora dopo la ferra presa di posizione di Rose.
 
“Devo dirtelo.” Sbottò Rose, seria.
Al alzò lo sguardo dal foglio di pergamena che stava cercando di riempire per una ricerca di Storia della Magia.
“… Dirmi cosa?” Chiese cautamente.
Non sono pronto a nuove rivelazioni. Ho passato la notte a chiedermi come ho fatto a prendermi una cotta per Tom.

Che è una cotta. Maledizione. Sarò tonto, ma i sintomi ci sono proprio tutti.
“Di me e…” Rose deglutì, guardandosi attorno: la biblioteca a quell’ora del mattino era praticamente deserta. Loro due, togliendosi Divinazione (secondo i rispettivi genitori, una gran cretinata) avevano la possibilità di studiare-barra-oziare fino alle undici.  
Ma per tornare al punto…
“Di te, e?”
“Scorpius.”
“Oh, avete fatto pace?” Sorrise contento.
“No. Ci siamo messi assieme.” Scandì lentamente, guardandolo come se l’avesse messo sotto un microscopio babbano.
Al si chiese nebulosamente se fosse normale essere lui, quello ad dover essere giudicato.

Non dovrebbe essere il contrario?
“Tu e… Malfoy?”
Scorpius.” Lo corresse cominciando a parlare frettolosamente. “Davvero, Scorpius. So che ho sempre sostenuto che fosse un grosso imbecille pieno di sé. E per certi versi lo è… ma… Al…” Inspirò. “Siamo così uguali…” Arrossì, mentre sorrideva. Al non le aveva mai visto un sorriso così radioso sulle labbra. “È in gamba e … dolce. E… non lo so.” Mugugnò, prima di seppellire il viso tra le mani. “Lo so, sto facendo una cazzata di proporzioni epiche. Ma… non riesco a pentirmene.”
“Ti piace…” Mormorò il ragazzo, con un mezzo sorriso. “Ti piace davvero, eh?”
“Già… è assurdo, vero? Ma non è stato dal nulla. Io… penso di averlo sempre saputo in fondo. È solo… che ci ho messo davvero un bel po’ per capirlo. Sei anni, per Merlino…” Ridacchiò, passandosi le dita trai capelli.
Al non disse nulla.

Non sei l’unica Rosie… ma io ho ben poco da sorridere.
Come potrò dirlo ai miei? A Jamie? A Tom?
Come posso dire a voi che forse mi piacciono i ragazzi? E che mi piace Tom, di sicuro?

“Al?” Lo richiamò la ragazza. “Cioè… per te è un problema? So che ai miei verrà un infarto, e probabilmente anche Hugo mi disconoscerà come Weasley, ma…”
“No, no!” La precedette Albus, con un sorriso. “Sono felice per te! Malfoy è un bravo ragazzo. Lo penso davvero.” Gli morì il sorriso sulle labbra, di nuovo. “È solo che… Pensavo.”
“A cosa?”
“Non a te, anche se non voglio rovinarti il momento, quindi…”
“Oh, sta’ zitto. Che succede?” Chiese facendosi seria, e prendendogli una mano. Vide che il cugino si era praticamente masticato le unghie. “Al?”
“Ti ricordi… quel discorso… sul fatto… che non ero interessato alle ragazze?” Sussurrò pianissimo: doveva dirlo qualcuno. Doveva dirlo a Rose, o sarebbe scoppiato.
“Certo, sì. Me lo ricordo.”
“Tom.” Disse semplicemente. Aveva lo sguardo incollato al tavolo, e le orecchie paonazze. Si passò la mano libera trai capelli, arruffandoseli ossessivamente.
Rose inspirò lentamente, stringendogli la mano.

Oh, Al… povero Al.
No, aspetta. Povero cosa? Non è mica un malato terminale.

Sii supportiva. Supportiva.
“Al, va tutto bene. Io lo sapevo già.” Gli sorrise dolcemente. “Insomma, che…”
“Che…?” Sembrava quasi chiedergli conferma. “Che sono…”
“Che vuoi bene a Thomas. Molto bene. Come io … forse… ne voglio a Scorpius.” La prese alla larga, con tatto. Albus aveva gli occhi sgranati, spaventati.

Non poteva dargli torto: il mondo magico era genericamente più tollerante di quello babbano, ma comunque c’era il problema della loro famiglia.
“Pensa… è meglio avere una cotta per un ragazzo, o per un Malfoy?” Scherzò Rose gentilmente. “È una bella gara, non credi?” Cercò di rincuorarlo: Albus era un ragazzo sensibile. Troppo forse. E terrorizzato dalle conseguenze e dai giudizi della sua famiglia.
Non affronterebbe il mondo come farebbero James o Lily. Si nasconderebbe.

E forse lo farà. E non è giusto.
“Ehy, va tutto bene.” Ripeté sicura. “Sei un ragazzo meraviglioso, okay?”
Albus fece una smorfia. “Sì. Una meravigliosa checca…”
“Non dirlo neanche per scherzo.” Lo redarguì dura. “Non c’è assolutamente niente di male ad innamorarsi. Vale per te, come vale per me.” Sospirò. “Almeno tu sai di poterti fidare di Thomas. Io, di Scorpius, spero di poterlo fare.”
“Ma voi state assieme…” Soffiò, guardandosi attorno, comunque cauto. I muri della biblioteca avevano orecchie. E spesso non metaforicamente. “Insomma, siete una coppia. Normale.”
“Normale?” Rose sbuffò sonoramente “Merlino, Al… siamo diecimila anime in Inghilterra che fanno magie e usano bacchette. Nessuno di noi è normale!”

Al si umettò le labbra, senza dire niente. Le stringeva la mano così forte da farle quasi male. “Io voglio solo che tu sia felice.” Continuò Rose, rispondendo alla stretta. “Come penso che tu voglia che io sia felice. Al momento Scorpius mi fa sentire così. Non so se continuerà a farlo, ma sinceramente? Mi godo il momento.”
Carpe diem…” Mugugnò Al con un mezzo sorriso. “Detto babbano. Non avrei mai pensato che ti si addicesse, Rosie.”
“A chi lo dici…” Ridacchiò, dandogli una pacchetta sul braccio. “Così… Tom.”
“… Già.”

“Beh, bello è bello, anche se è un gran stronzo.”
Albus arrossì. “Non è stronzo. È solo…”
“Misantropo, egocentrico, scostante? Praticamente uno stronzo.”
Ridacchiarono entrambi, mentre la tensione scivolava via. Alla fine Al sospirò.
“Ultimamente si comporta in modo strano. Credo mi nasconda qualcosa. Michel dice…”
“Zabini?” Rose fece una smorfia. “Non mi fiderei se fossi in te.”
“Mike è mio amico. Se non lo fosse, non darei credito ad una parola, ma lo è. Dice che Tom ha un problema con me.”
“Beh, solitamente direi che ha un problema con il mondo intero, ma… in effetti…” Considerò Rose. Si fermò quando vide passare Madama Pince. Finsero entrambi di studiare attentamente le proprie pergamene. Quando la vecchia svoltò l’angolo, riprese. “In effetti da quando l’ha attaccato quel lucertolone è strano…”

“Già…” Convenne Al mordendosi un labbro. “Sparisce per ore intere, e quando torna è sempre distratto… distante. E ieri sera… è tornato con le scarpe sporche di fango. Era stato fuori.”
“Fuori? Ma se vive tra queste quattro mura per tutti i mesi scolastici, praticamente! È già un miracolo vederlo fuori per le tue partite!” 

“Mike dice che è… perché mi vuole evitare. Perché… è attratto da me.” La fermò con una mano. “Ma non credo sia questo.”
“Potrebbe però…”
Vedessi che sguardi ti lancia, in classe, quando non lo guardi. È quasi imbarazzante, per chi sa leggere tra le righe…

“Non lo so.” Ammise Al, ispirando appena. Scosse la testa, come a scacciare un pensiero molesto. “Ma non è questo il punto. Pensavo di essere l’unico ad aver notato che si comportava in modo strano. Ma poi me l’ha detto Lils, Mike, Loki… e adesso anche tu.”
Rose si fece attenta. Lo sguardo di Al, da sperso e confuso si era fatto stranamente lucido e riflessivo. Aveva per il momento accantonato le sue magagne sentimentali con l’amico per analizzare, l’amico.

Questo è molto serpeverde.
“Pensi che c’entri qualcosa il Naga?” Chiese guardandolo.
“Sicuramente. Tom ha cominciato a rintanarsi in biblioteca non appena è uscito dall’infermeria. Credo… anche se è solo un ipotesi… che cerchi informazioni su di lui. Che stia seguendo una pista…”
Rose annuì, passandosi la piuma tra le dita. “Beh, è normale. Dopo un attacco del genere, un tipo come Thomas vorrà sapere perché è successo.”

“Sì, in effetti lo pensavo anche io. Che volesse capire. Ma poi…” Albus esitò. “Deve aver trovato qualcosa… E sta cercando di nasconderla.”
“Una cosa?”
“O un indizio. Un’informazione. Non ne ho idea. Del resto, è solo una supposizione.” Scosse la testa, vinto. “Non ho prove. E poi, non sappiamo nulla su quei lucertoloni. Siamo solo studenti…”

Rose lo guardò. Non aveva dimenticato la scia verde, la ricognizione con Scorpius e la scoperta del cratere. Semplicemente le aveva accantonate, presa dai suoi drammi emozionali.
Vivere l’adolescenza è impegnativo qua dentro. Devi occuparti delle tue magagne sentimentali e allo stesso tempo di misteri a sfondo magico.
E poi c’era Tom: l’ultimo ad aver visto quel Naga vivo. L’ultimo ad averci interagito.
Tom, il cui atteggiamento si poteva riassumere in una sola parola: preoccupante.
Rose prese una decisione. E seppe in quel momento che non avrebbe più potuto tornare indietro.
“Al, è vero. Siamo studenti. Ma, sinceramente, questo ha mai fermato i nostri genitori?”
“In che senso?”
“Nel senso che scopriremo cosa nasconde Thomas.”

 
****
 
James quando aprì la porta dell’ufficio del magazzino dove era stata stipata la monumentale biblioteca di Ziel ringraziò un panteon di dei per aver avuto tutta la giornata per prepararsi a quell’incontro.
Zio Neville, o per meglio dire, il professor Paciock, gli aveva affibbiato come punizione la catalogazione della sterminata biblioteca del defunto professore.

Impacchettata e ordinata sarebbe stata spedita a Monaco, come dono alla biblioteca magica della città.
Non solo dovrò sgobbare tra la polvere e quintali di carta…
Ma dovrò farlo con Teddy, che si è offerto volontario.
Varcò la porta, trovandosi immediatamente nella confusione più completa, tra scatoloni, scaffali e libri impilati ovunque.
Certo che Vitious a dare il compito ad uno disordinato cronico come Teddy…
Lo vide appoggiato alla libreria. Non aveva la tunica da insegnante, ma un semplice maglione infeltrito dai troppi lavaggi e un paio di jeans. I capelli gli ricadevano sciolti sul viso. Erano castani, come al solito. Leggeva quella che sembrava una lista.
James deglutì lentamente, sentendo l’impellente bisogno di uscire di lì, piazzargli un pugno o baciarlo. Era dal giorno prima che non lo vedeva, ed era stato comunque a lezione.
Ted, ovvero il professor Lupin aveva fatto fare loro un test scritto. Non si erano neanche parlati quindi.
Si schiarì la voce, per segnalare la sua presenza.
Teddy alzò lo guardo, e fece un mezzo sorriso. “Jamie…”
Per un attimo sembrò che tutto fosse tornato come prima, come quando, a dodici anni, gli irrompeva in camera per proporgli una partita di Quidditch o di sparaschiocco.

Ovviamente non è così…
Teddy infatti smise di sorridere immediatamente, staccandosi dalla scansia.
“Abbiamo parecchio lavoro da fare.” Iniziò, lanciando uno sguardo ai suoi vestiti. “Sei ancora in uniforme? Avresti dovuto metterti più comodo…”
“Mi scoccia cambiarmi.” Spiegò brevemente. “Che devo fare?”

“Dunque, qui c’è una lista.” Gli passò la pergamena spiegazzata. “Si tratta di trovare questi libri e metterli nei corrispondenti scatoloni.”
“Sono almeno duecento titoli…” Emise atono James. “E non mi sembra un lavoro difficile. Perché non lo fanno gli elfi?”
“Perché a molti libri è stata trasfigurata la copertina. Suppongo per evitare che venissero rubati. Alcuni di questi valgono centinaia di galeoni.”
“Oh, grandioso. E come faccio a riportarli alla loro forma originaria?”
Librum reverto¹ credo andrà bene. Se non funziona vuol dire che c’è una protezione magica, quindi ci penserò io. Dovrai metterli in questo…” Si guardò attorno. Per un attimo sembrò spaesato. James dovette ricordarsi di essere furioso con lui, per evitare di ridere della sua espressione smarrita. “Ah, ecco qua. In questo scatolone.” Lo indicò, imbarazzato.

“C’è un gran casino.” Si lasciò sfuggire, un po’ con cattiveria. Teddy arrossì leggermente, facendo una smorfia.
“Lo so. Ma vedrai che ti abituerai presto. Forza, al lavoro.”  

James annuì. Non c’era altro da dire.
Lavorarono per quello che gli sembrò un’eternità in un silenzio denso di disagio.
James si sentiva furioso, ma più che altro, frustrato.
Aveva Teddy a pochi metri, erano da soli… e non riuscivano a spiegarsi.

Una volta sarebbe bastato frignare un po’ per avere il suo perdono…
Ma che perdono! Sono io quello che deve perdonare!
Serrò le labbra, afferrando un libro e mormorando l’incantesimo. La copertina cambiò, quasi sfaldandosi tra le sue mani.
“Attento! Alcuni sono molto vecchi!” Lo rimbeccò Teddy.
“Lo so.” Ringhiò di rimando. “Non ho intenzione di rovinare i tuoi preziosi libri!”
Seguì un silenzio imbarazzato.
“James…”
Potter, perché non mi chiami per cognome come gli altri studenti, professore?” Sputò rabbioso. Era un modo per sfogarsi vile, lo sapeva.
Non gliene fregava nulla.

“Sarebbe un po’ ridicolo…” Obbiettò pacatamente Teddy. “Ti conosco da quando siamo bambini. Volevo solo dirti che alcuni di questi libri sono molto fragili, per via…”
“Oh, lo so. Hai paura che Jamie il fratellino imbranato li disintegri.”
“James, ora stai diventando ridicolo.” Replicò aspro. “Non ti avrei dato questa punizione se non sapessi che sei perfettamente in grado di trasfigurare…”
“Smettila! Smettila di essere così fottutamente ragionevole!” Sbottò il ragazzo, afferrando un altro libro e aprendolo di malagrazia.

La cosa seguente che sentì fu uno spostamento d’aria. Crollò miseramente tra una selva di scatoloni, rovesciandosi il contenuto dolorosamente addosso.
Ahi… - pensò frastornato – Ci sono momenti in cui vorrei essere un babbano. Almeno i libri non cercherebbero di uccidermi.
“James!” Sentì esclamare Teddy, prima che corresse da lui, inciampando senza troppo ritegno tra la selva dei preziosi libri millenari. Nei percorsi ad ostacoli Teddy non era mai stato particolarmente agile.

Il giovane professore si chinò su di lui. “Merlino, Jamie, stai bene?”
James fece una smorfia. “A parte avere una costola di un libro conficcata nell’osso sacro...”

Poi se ne accorse. Teddy aveva i capelli castano scuro adesso, come i suoi.
Teddy cambiava raramente colore dei capelli in un colore umano, in modo involontario.
Solo con Vic… lo prendevo sempre in giro perché le prime volte che si baciavano diventava un biondino…

“Jamie?” Lo richiamò Teddy, che ovviamente non si era reso conto di nulla. “Stai bene?”
James serrò le labbra, annuendo.
Non vuol dire niente. Non vuol dire niente. Si è preoccupato, tutto lì.
Sapeva che la cosa non avrebbe dovuto dargli speranza, né false illusioni. Ma gli riscaldò comunque il petto.
“Mi dispiace… Mi era stato assicurato che al massimo gli incantesimi protettivi ti impedivano di aprire il libro.” Teddy gli tese la mano, con un sorriso colpevole. “Niente di rotto, spero…”
James esitò. Poi l’afferrò tirandosi su.

Non voglio essere l’unico coglione destabilizzato qua, sai?
“Teddy… io ti voglio bene, lo sai?” Gli disse, a bruciapelo, fissando gli occhi nei suoi. Vide il giovane uomo battere le palpebre sorpreso, e poi sorridere schivo, ma senza distogliere lo sguardo.

È per questo che ti amo Teddy. Dannazione, non rifiuti mai gli altri.
È per questo che ti detesto… perché vorrei che accettassi solo me. E quello che provo per te.
“Anch’io te ne voglio James.” Esitò appena. “Davvero. Anche se adesso sono tuo professore, e sono tenuto a metterti in punizione.”
“Lo so. Non è per quello che ti vorrei prendere a pugni.” Tanto valeva dirla tutta, la verità, giusto? “Io non ho bevuto. Mi devi credere. A dispetto di tutto, mi devi credere. Perché a te non mentirei mai. Non su una cosa così grave.”

Ted lo guardò a lungo. Aveva ancora la mano stretta a quella di James.
Non ricordavo avesse le mani così grandi…
Alla fine, sospirò.
“Ti credo.”

“… Davvero?”
Il tono di voce di James sembrava così sollevato, così felice.
Ted si sentì una carogna a non averglielo detto prima. Anche a discapito di tutto.

“Sì. Ma ci deve essere una spiegazione, su come può essere finito quell’alcohol sui tuoi vestiti…”
James scosse la testa. “Se avessi bevuto non sarei stato così stupido da andare in giro con il rischio di addormentarmi e congelare. È vero, non sono astemio. Ma non sono neanche un cretino.” Concluse sicuro.

Ora che Teddy gli credeva avrebbe anche potuto scriverci un verbale, su quella dannata notte.
“Hai detto che c’era qualcuno…”
“Sì. Ma non so chi, non me lo ricordo… è … vuoto completo, capisci? So che c’era, ma non so chi, quando e come mi ha steso e …”
“Aspetta.” Lo fermò Ted. “Vuoto completo?”
James annuì. “Sì. Come se mi mancasse un tassello.”

Oblivion…” Sussurrò l’uomo, guardandolo come se improvvisamente gli si fosse accesa una lampadina. “Capogiro, nausea, svenimento. Eri stordito… Merlino, Jamie. Potresti essere stato obliviato!”
James aggrottò le sopracciglia. “Obliviato? Credevo che gli oblivion facessero restare rincoglioniti per giorni.”
“Dipende da chi esegue l’incantesimo. Maghi particolarmente abili sono capaci di farti dimenticare senza sostanziali effetti collaterali. Gli obliviatori del Ministero sono capaci di farti scordare anche frammenti di memoria di pochi attimi.”

“E c’è un modo per scoprire se mi hanno obliviato?”
Ted rifletté. “Beh, la magia lascia sempre tracce. E per un incantesimo, tranne che per i malefici, c’è sempre un contro-incantesimo. Nel caso dell’oblivion…”
“C’è?”
“Esserci c’è, ma è un incantesimo molto complesso che può essere eseguito solo da un mago esperto. Io stesso non conosco la formula esatta.”
“Voglio farlo!” Esclamò il ragazzo. “Se c’è una possibilità di sapere che cavolo è successo ieri l’altro sera, voglio farlo!”

Ted annuì, pensieroso. “Chiederò al preside. Chi meglio di un ex-professore di incantesimi?”
James annuì, sorridendo di rimando. “Grazie Teddy.”
“Di cosa?”
“Che sei scemo?” Sbuffò. “Di avermi creduto. Finalmente.”

Teddy inspirò: era stato un idiota. Credere a James in cui frangenti non era facile, certo.
Ma avrei dovuto farlo comunque… Avrei dovuto fermarmi, riflettere. Mi sarebbe venuto in mente.
“Mi dispiace Jamie. Avrei dovuto farlo subito…” Inspirò. “Non è facile, sai… Intendo dire, non darti fiducia, ma…”
“Essere il mio professore.” Sorrise James, stupendolo. “Ehy. Lo so. Neanche per me è una passeggiata, essere tuo studente. Non perché tu non sia un gran professore. Sei grandioso. Ti adorano tutti. Ma… tu sei Teddy, lo sai.” Gli diede un leggero pugno sulla spalla.  

Teddy ridacchiò. Litigare con James era una delle cose più spiacevoli che gli fosse mai capitata.
Ormai litigo con un ragazzo. Un gran testone, per giunta.
“Mi sforzerò di essere più comprensivo.”
“Ed io mi sforzerò di non mettermi più nei guai. O attirarli.” Fece un sorriso irriverente. “Al limite, non mi farò scoprire.”
“James…”
“Ehy, scherzavo.” Gli sorrise. Quel sorrisetto sfrontato gli era mancato. Lo registrò con imbarazzo, e un pizzico di disagio.

Non è normale essere tanto legati ad un adolescente, per giunta neanche tecnicamente mio parente…
Quando si sentì abbracciare fu peggio. James ormai era alto quanto lui, e non era un abbraccio tra ragazzino capricciosamente appiccicoso e un paziente fratello maggiore.
Ah, si è tolto quel profumo orrendo…
“Piano…” Lo redarguì ironico, per dissimulare imbarazzo. Grazie a Merlino, in quello era un asso. “Sono un fragile topo di biblioteca.”
James si staccò, con un sorrisetto che sembrava… malizioso?
“Sai? A me non sembra che tu sia fragile…” Sogghignò. “Vic non ha niente di cui lamentarsi, davvero.”
Teddy deglutì. Per l’occasione non registrò neanche il nome della sua ex, quando di solito bastava ed avanzava per gettarlo in una cupa depressione.

Si schiarì la voce, mettendo due passi di distanza tra lui e James, ed essendo assolutamente consapevole di farlo. “Meglio che vada a parlare a Vitious. Voglio sapere se è in grado di fare qualcosa.”
“Ed io?”
“Porta fuori le due scatole piene. Poi, ritieniti libero. Tra poco è ora di cena.”
Uscì piuttosto velocemente dal magazzino-aula.
James guardò la porta chiusa dentro di sé. Quella giornata era cominciata malissimo, ma era finita in trionfo.
Non solo Teddy gli aveva creduto. Dopo che l’aveva abbracciato aveva avuto i capelli rosa, all’attaccatura, per tutto il dannato tempo.

Sorrise, e prese le due scatole, fischiettando.
In fondo, a volte, basta poco per essere contenti…
 
****

Note:
1- Librum Reverto: incantesimo di mia invenzione. Prendete pure, nel caso vi serva. ;) Il latino è approssimativo, lo saccio. Ma poco da fare. Il Classico mi è scivolato addosso come acqua fresca. U_U

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Capitolo 24
*** Capitolo XIX ***


Oggi postaggio anticipato: stasera il mio pc va dal tecnico per farsi rimuovere il maledetto malware. E non potevo lasciarvi senza capitolo, no?
Incrociate le dita per lui! >_<
@Hel_Selbstmord: il grande evento sarà… uhm, vediamo. Intendi per Jamie o il nostro piccino preferito? Perché si sa, trai due è più sveglio il primo. :P Lo sviluppo succoso tra Re/TeddyBear si avrà presto. Per PulcinoBagnato si dovrà aspettare un po’, purtroppo, perché lui è Mister Misantropia (ormai parlo per nomignoli, sono cretina) sono due tonti stratosferici. Però non è che non hanno gli ormoni :P Rose dopotutto è una Weasley, quindi, diciamocelo, si fa fregare dai Malfoy in modo vergognoso. XD Per quanto riguarda il concerto dei Porcupine Tree, sappi che ti detesto. (T_T Esaaami). Che ne pensi dei Dream Theather invece? Li conosci? Grazie per continuare a seguirmi, ti adoro!
@MissMary: Sei la prima che apprezza Jamie (e per favore non farlo troppo spesso che gli monti la testa XD) ed è vero, non preoccuparti, tra poco si romperà a passerà AI FATTI. Ho riferito il messaggio a Mister Slytherin, ma si è limitato a guardarmi male e tappare le orecchie ad Al. U_U E comunque CERTO che Tommy ha un lato hentai. Come tutti i ragazzi che sembrano educati e precisini. E chi non lo avrebbe, con Al? :P Voglio dire, già la Row in poche righe l’ha fatto iper-puccissimo. Io ho solo dato pieno risaltò alla sua tenerosità. XD
@Altovoltaggio: Grazie mille per i complimenti! Sapere che ho fatto un coming out un minimo sensato mi fa davvero piacere, specie se a dirmelo è una non-slash fan. In effetti, tra stare con un Malfoy e stare con un maschietto, non so la famiglia quale digerirà prima XD. Penso che Harry sarà il classico padre comprensivo. Voglio dire, ha preso a mazzate Remus per essere scappato da una Tonks incinta forse di un ‘lupetto’, e non ha mai avuto pregiudizi, quindi se non li hai per un mannaro… mah, chi vivrà vedra. ;) Secondo me, Ron è quello che la prenderà peggio, tutta la faccenda. Specie ad avere un genero biondo, pallido e allampanato. XD Il Magico Trio verrà riportato ai fasti, con una piccola correzione. ;) Leggi e dimmi poi se ti piace.
@Trixina: Non sai quanto rendi contenta me con i tuoi commenti! Eh, tra gli ‘innamorati’ di Rosie e Al, è una bella sfida.
@SammyMalfoy: Il classico porta al suicidio tutti, credimi. Io ci sono passata. :P Però poi puoi bullarti di averlo fatto ed essere sopravvissuta. XD Sono riuscita a farti amare Rose? Evviva! XD Forse perché io l’ho sempre vista come figlia di Ronnie, più che di Herm. Prendere il cervello non significa prendere anche il carattere. Almeno, io l’ho interpretata così. XD Al è un perfetto uketto da compagnia (e che nessuno gli spieghi che vuol dire :P ) James diciamo che è… sessualmente furbo. Per altri versi è un deficiente completo. Vedremo se la sua furbizia servirà… ;) Coraggio, il Classico passa! Faccio il tifo per te!
@Ombra: Essì, con Teddy e Jamie sono stata insolitamente buona. Anche merito vostro, che se era per me quelli non si riconciliavano fino ad un certo FATTACCIO. XD Al è vero, è proprio (ancora) come un uccellino caduto dal nido. Grazie per i complimenti su Scorpius. Non avevo voglia, in effetti, di avere un altro Draco in mezzo, ed ho interpretato la frase della Row ‘Sì, ma è diverso da suo padre’, a modo mio. Fa piacere sapere che sia stato apprezzata. Continua a seguirmi e grazie! ^^
E ora, godetevi il capitolo! ^^
 
****
Capitolo XIX
 

 
 

I nostri genitori hanno sempre fatto quello che è giusto per noi.

 Ma qua sotto è il nostro momento.
E finira' tutto nell' istante in cui salteremo dentro questo secchio.
(I Goonies)


 
Sala Grande.
Ora di cena.
 
Rose Weasley si era sempre ritenuta una fine stratega. Perché sapeva esattamente come passare inosservata alla tribù Potter-Weasley.
Aspettò che Hugo e James si fossero seduti al solito posto, ed aspettò che una delle tante ammiratrici del cugino le soffiasse il posto, per poi sedersi con naturalezza accanto a Scorpius.
Il quale, vedendola, quasi sobbalzò.
“Oh, Weasley!” Esclamò esageratamente. “Che sorpresa!” Sussultò di nuovo, e stavolta per un pizzicotto ben piazzato.
“Non fare lo scemo, e fa’ finta di niente.” Gli sibilò, per poi cominciare a servirsi.
“Sì, capitano.” Disse, assumendo un cipiglio militare che la fece quasi scoppiare a ridere. “A cosa devo la tua vicinanza rosellina?”
“So che sei estasiato dall’evolversi del nostro rapporto, trottolino…” Replicò, e vide lo sguardo del ragazzo accendersi di divertimento.

Adora se lo prendo per il culo di rimando.
… è adorabile.
“Lo sono, hai ragione.” Convenne con un sorrisetto che la fece sciogliere tutta. “Ma ho percepito un però nella tua frase.”
“Infatti c’è. Luce verde, cratere, mio padre che ci mette bastoni tra le ruote.” Snocciolò. “Ti ricorda qualcosa?”
Scorpius si fece improvvisamente serio. “Uhm.” Disse soltanto. “Hai più saputo niente?”

“Non da mio padre. Ho tentato di strappargli qualche indiscrezione sul caso, ma quando vuole sa essere dannatamente ostinato… Tuo padre invece? Gli hai chiesto se ci sono altri modi per viaggiare, a parte la polvere volante e la materializzazione?”
“Sì.” Annuì, infilandosi un pezzo di pasticcio in bocca. Masticò, prima di continuare. “Ha detto che si sarebbe documentato, e che mi avrebbe mandato un gufo. Per ora, nessun gufo.”
“Cavolo, tuo padre sì che è collaborativo…”
“Oh, è una cosa Malfoy viziare i propri figli in modo vergognoso…” Sogghignò il ragazzo, incassando con nonchalanche la successiva gomitata. “Comunque, ho fatto delle ricerche parallele, in biblioteca. Ed ho scoperto qualcosina.”

Rose quasi si strozzò col succo di zucca che stava bevendo. Si impose di non mettersi ad urlare: va bene che il chiacchiericcio della tavolata copriva il loro, però…
“Perché non me l’hai detto?” Sbottò, in un sussurro.
Scorpius si strinse nelle spalle. “Pensavo che non ti interessasse più. Insomma, io mi ero interessato soprattutto per far colpo su di te.”
Rose fu per un attimo indecisa se sentirsi lusingata o esasperata.
Alla fine, optò per entrambi.
“Sei un cretino! Certo che mi interessa! Questa è la nostra scuola, e se qualcosa di squamoso, mortale e misterioso vi si aggira vorrei sapere almeno come ci è arrivato e perché!”
Scorpius sorrise. “Quello che penso anche io. Non siamo perfetti assieme?”
“Oh’ sta zitto.” Si morse un labbro: ci aveva pensato tutto il pomeriggio, ed era giunta ad una conclusione.

Io e Al non possiamo farcela da soli. Né nel scoprire ciò che nasconde Tom, né tantomeno sul mistero dei Naga. Che tra l’altro, sono connessi.
“Hai presente Thomas?”
“Dursley? Tipo studioso e arrivista. Il serpeverde perfetto.” Ironizzò. “Perché?”
“Perché è stato attaccato da quel naga, se ben ricordi. E da allora si comporta in modo strano, a quanto dice Al…”
“Beh, in che senso? Io trovo che sia strano da sei anni.”

Rose scosse la testa. “Albus e lui sono molto legati. E dice che ultimamente il suo comportamento è cambiato. E poi hai notato che è sempre in giro?”
Scorpius ci rifletté brevemente. “L’ho visto spesso in biblioteca fino a tardi, ma direi che uno così la considera il suo habitat naturale…”
Rose sbuffò. “Sì, a parte quello. È stato l’ultimo a vedere il naga vivo.”
Scorpius le lanciò un’occhiata attenta. “Pensi che sappia qualcosa che gli auror non sanno?”
“Thomas…” Esitò. Non gli piaceva parlar male di lui, anche se non erano esattamente parenti, e quindi l’omertà Potter-Weasley non era dovuta. “Thomas ha sempre avuto la brutta abitudine di non parlare. E non intendo essere taciturno. Se ha un problema, non ne parla. A nessuno. Né a mio zio Harry, che è il suo padrino, né ad Al, che è il suo migliore amico. È un tipo…”
“Sfuggente.” Terminò per lei Scorpius. “Preferisce risolversi i propri problemi da solo.”
“Già. Il che okay, è lodevole. Ma secondo me… potrebbe arrivare a mentire, per poter continuare a risolverseli da solo. Non nel senso che c’entri qualcosa. Ma che nasconda qualcosa.” Spiegò frettolosamente Rose. Odiava lanciare accuse se non era perfettamente certa di poterlo fare. “Non lo so… credo che dovremo indagare sulla cosa.”
Indagare?” Scorpius fece un sorrisetto. “Intendi dire… scoprire cosa nasconde Dursley e se i naga sono ancora nei paraggi?”
“E se le cose sono collegate.” Ammise. Gli lanciò uno sguardo. “Te l’ho detto perché…”
“Perché vuoi coinvolgermi.” La precedette Scorpius. Annuì. “E mi sta benissimo.”
“… Davvero?”
“Ehy. Sono un grifondoro, no? Adoro ficcarmi nei guai.” Sogghignò. “Specie con una ragazza così carina…”

James serrò le labbra quando vide la cugina ridacchiare, seduta accanto a Scorpius Malfoy. Aveva dell’incredibile. Stavano interagendo.
L’ha odiato e demonizzato per sei anni, come me… e adesso?
Hugo lanciò un’occhiata nella stessa direzione. “Ah sì…” Commentò. “È la novità dell’anno. Ora mia sorella e Sgorbius vanno d’accordo.”
“E da quando?”
“Da un po’. Lily mi ha detto che hanno appianato i reciprochi contrasti.” Sbuffò. “Non riesco a togliermi dalla testa le urla di papà. È come una specie di eco continuo…”

James vide Rose tirare un pugno al braccio di Malfoy, che incassò con uno di quei suoi irritanti sorrisi zen. E seppe che non era solo un appianare, quello.
E improvvisamente capì il motivo della presenza di Rose nei dormitori maschili, quella mattina.
Sei nei guai Rosie. Sei davvero nei guai…
 
****
 
Sala Comune di Serpeverde.
Dopocena.
 
La sala comune di Serpeverde era un ottimo luogo dove appisolarsi.
L’illuminazione soffusa, di una tenue luce bluastra, le vecchie poltrone di pelle scura, il caminetto che mandava riverberi verdastri (il fuoco era incantato).
Albus si era sempre chiesto come Thomas e gli altri riuscissero a rimanere svegli, dopocena, per più di dieci minuti.

Sbadigliò e per pura forza di volontà non chiese a Michel di sospendere la partita a scacchi magici.
L’altro gli lanciò uno sguardo divertito. “Al, ti si stanno chiudendo gli occhi… perché non vai a dormire prima di franare sulla scacchiera? Si stanno addormentando persino i tuoi pedoni.”
“Ah, sto bene…” Borbottò. “Cavallo in C6.”
Il cavallo rimase fermo. Avvicinandosi, notò che stava ronfando della grossa. Michel ridacchiò sottovoce.
“Molto empatici i tuoi pezzi…”
“Ah-ah. Simpatico, davvero.” Replicò lanciando un’occhiata a Tom, seduto dall’altro lato della sala, con in mano un tomo che recitava ‘I maghi che hanno lasciato un segno nella Storia.

Sempre letture extra-curricolari ultimamente…
Emise un lieve sospiro: prima di accomiatarsi da Rose, la ragazza gli aveva fatto promettere di restare sveglio almeno fino a mezzanotte. Il motivo, lo ignorava. Del resto la cugina era scappata via prima che potesse chiedergli alcunché.
Voglio andare a letto…
Lanciò uno sguardo, di nuovo, verso Tom: era sdraiato sul divano, quello più vicino al fuoco. Lo considerava di sua proprietà dal primo anno.
C’è da dire che nessuno gliel’ha mai contestato…
Era fatto così Tom. Si era sempre imposto senza bisogno di grandi sforzi.
Ha un carisma eccezionale…
Si morse un labbro. Il gioco di luci della Sala lo immergeva nell’ombra dandogli un aspetto quasi onirico. E bello.
Dannazione, ho sempre pensato che fosse bello… ma solo adesso mi rendo conto che è probabilmente il più bel ragazzo del mondo…
Per me. Ecco.
“Signor Potter, vuole darmi attenzione? So che non sono bello come mastro Dursley ma…” Michel gli toccò il braccio, facendolo irrigidire. “Ti sei imbambolato?” Gli chiese con un sorrisetto divertito, ma non troppo crudele.
Al arrossì ovviamente, sbuffando. “Sì… cioè, no. Stavo solo pensando alla prossima mossa.”
Michel inarcò le sopracciglia. “I tuoi pezzi stanno dormendo, Al. Forse sarebbe meglio se prima li svegliassi…”

Al sbuffò, tirando un colpetto con un dito al suo cavallo, che saltellò guardandolo storto e borbottandogli contro maledizioni. Poi, si riaddormentò.
“Ehm, sembra che stasera non vogliano collaborare…” Mugugnò, facendo ridere di gusto l’amico.
Anche Michel era piuttosto bello. Aveva una bellezza esotica, particolare. Si diceva che gli Zabini avessero discendenze italo-francesi. Sicuramente sua madre francese lo era, come dimostrava il nome e il bilinguismo fluente del ragazzo.

Bello è bello… - Pensò lanciandogli un’occhiata – Però non è che mi fa sentire strano come Tom.
Michel ricambiò lo sguardo, e per un attimo Albus si sentì in imbarazzo. Merlino solo sapeva perché, visto che l’amico non stava facendo proprio un bel niente.
 “Cerca di non pensarci troppo. Intendo dire, a Tom.” Disse inaspettatamente. “A fine mese abbiamo la prima partita contro i grifondoro.”
“Ah, ma a quella ci penso sai…”
“Pensa anche al dopo-partita che faremo.” Lo incoraggiò con un sorrisetto. “Weasley Junior non sa reggersi su una scopa. La prima vittoria della stagione sarà nostra. Io e Messer Nott stiamo già pensando all’organizzazione della festa…”
Albus alzò gli occhi al cielo, fingendosi indignato. “Ecco perché Messer Nott ha piazzato in bagno tutte quelle strane casse ridotte…”
“Ottimo firewhiskey irlandese, in realtà.”
“Ecco perché ad Hogsmeade parlava con quello strano nanetto vestito di verde… ” Sospirò. “In ogni caso, non voglio saperne niente.”

“Bravo cucciolo…” Lo vezzeggiò Michel dandogli un buffetto. Al sbuffò, allontanando la mano: sentì uno sguardo sulla nuca e fece appena in tempo a voltarsi che Tom abbassò lo sguardo.
Ma che…
Non fece in tempo a farsi domande che dovette sussultare: Rose finalmente si era fatta sentire.
“Scusa Mike, mi dai un secondo?” Borbottò alzandosi in piedi e allontanandosi dall’amico.

Estrasse dalla tasca dei pantaloni uno specchio rotondo, piuttosto bollente al tatto.
Anni prima suo zio George aveva ottenuto il brevetto per produrre specchi magici comunicanti e aveva creato dei prototipi che aveva poi distribuito ai nipoti. Non era possibile vedere l’interlocutore, ma visualizzavano brevi messaggi.
Tom mi ha detto che assomigliano ai cellulari babbani…
Lo aprì, leggendo il messaggio che galleggiava brumoso sulla superficie di vetro.
‘Tra dieci minuti davanti all’arazzo di Barnaba il Babbeo. R.’
Inspirò.
Che le salta in mente? Il coprifuoco…
Sospirò: codice Potter-Weasley. Non prevedeva un rifiuto.
Intascò lo specchio, avvicinandosi a Michel.
“Ehm… Mike? Puoi farmi un favore?”
Michel alzò lo sguardo. Sorrise appena. “Mmh piccolo Potter, dipende. Ma tu dimmi.”
“Devo uscire. Puoi coprirmi?”
“Uscire? Adesso?” Sul viso gli si dipinse una smorfia deliziata.

No. Devo vedermi con mia cugina.” Chiarì subito.
“Se hai un tenero appuntamento puoi dirmelo… sarò il tuo più dolce confidente.”
“Mi dai i brividi…”
“Probabilmente perché penso a qualcosa di sconcio.” Replicò garrulo. Poi annuì, dandogli una pacchetta sul fianco. “Vai, vai… se qualcuno chiede di te, mi inventerò qualcosa di incredibilmente complicato atto a sviare la curiosità altrui.”
“Grazie.” Gli sorrise: la sensazione di imbarazzo era sempre lì, ma la attribuì alla sua epifania sessuale. Del resto Michel era bisessuale, e suo amico.

Dovrei chiedergli se anche lui ha avuto l’impulso di gettarsi da una scopa in corsa quando l’ha scoperto.
No.
Probabilmente ha subito pensato chi era il ragazzo più carino con cui provarci.
Passò di fronte al divano in cui Tom stava leggendo. Quello, finalmente, alzò lo sguardo.
“Dove vai?” Chiese, come al solito monocorde. Al, che non gli parlava dalla sera prima, deglutì, sentendo le guance scottare senza motivo.
“Da Rose.”
“A quest’ora?”
“Codice Potter-Weasley…” Spiegò. “Comunque non ci metterò torno.”
Tom inarcò le sopracciglia. “… torno?” Per un attimo un guizzo ilare gli illuminò il viso.
“Molto, volevo dire molto.” Balbettò sentendosi sudare. “Cioè, intendevo dire, non ci metterò molto, e poi torno.”
“Lo spero.” Si augurò ironico Tom. “Non farti scoprire dalla ronda.”
“Ci sono Mills e Dalkins. Sono due babbei.” Fece un sorrisetto, beandosi del sorriso complice dell’amico.

Merlino benedetto, sono davvero fuori di testa…
Era fuori di testa perché si rendeva conto, lentamente, che tutto quello non gli bastava.
Voleva tutta la complicità del mondo, con Tom. Voleva toccarlo.
Inspirò. “Beh, a dopo.”
Filò via.
Michel lo seguì con lo sguardo, ma poi intercettò lo sguardo di Tom.

Per un attimo, appena un attimo, sentì un brivido freddo ghiacciargli la schiena.
E per un attimo, solo un attimo, gli sembrò proprio di vedere dei riflessi rossi, negli occhi solitamente blu dell’amico.
Solitamente amico.
Quella sera avrebbe fatto bene ad andare a letto presto, decisamente.
 
****
 
Di fronte all’arazzo di Barnaba il babbeo bastonato dai troll.
Mezzanotte.
 
Al camminò avanti e indietro tre volte, di fronte al vecchio arazzo.
Si trovava di fronte alla Stanza delle Necessità, il luogo più frequentato da chi voleva avere privacy tra gli studenti di Grifondoro.
Visto l’affollamento di bisogni, all’epoca del primo anno di Ted, si era creata una sorta di lista di prenotazione ultra-segreta a cui si poteva accedere dal quinto anno in poi.
Stasera evidentemente l’ha prenotata Rosie…

La porta si rivelò. Albus la aprì entrando in quella che sembrava la fotocopia in scala ridotta della Sala Comune dei grifondoro.
Tre poltrone comode, un caminetto in cui ardeva un fuoco allegro, tre paia di tazze, una teiera fumigante e…
Al sgranò gli occhi, quando vide che seduto su una poltrona non c’era altri che…
“Malfoy…” Mormorò incredulo.
“Potter.” Salutò il ragazzo. “Un po’ di the?”
Rose, in piedi davanti al fuoco, fece un sorrisetto imbarazzato. “C’è anche lui...” 

Al annuì, guardingo: non considerava Malfoy una cattiva persona, ma avevano caratteri così inconciliabili da rendere loro impossibile andare oltre ai convenevoli.
“Avanti siediti, mica ti mangio…” Lo canzonò Scorpius, rimediandosi un’occhiataccia dalla ragazza. “Latte o limone?”
“Nessuno dei tue. E niente zucchero.” Recitò Al, riprendendosi dalla sorpresa, e accomodandosi su una delle poltroncine. Lì era uno scontro di volontà.

E non mi faccio fare fesso da un grifondoro…
Scorpius gli lanciò un’occhiata, poi sorrise. “Non ti piacciono le cose dolci?”
“No, solitamente mi piacciono amare.” Replicò urbanamente. Malfoy lo metteva in soggezione, ma era abituato ai caratteri forti come il suo.

Dopotutto sono cresciuto con Mike e Lo…
E anche Tom non scherza, quando è nelle sue giornate no.
Rose guardò dall’uno all’altro, sbuffando. “Oh, per Morgana! Finitela di fare i maschi!”
I maschi?” Scorpius aggrottò le sopracciglia. “Davvero, non so di cosa tu stia parlando…” “Stiamo solo prendendo il the.” Replicò infatti Al, con un sorriso che avrebbe reso il Cappello Parlante orgoglioso della sua capacità di scelta. “Tu lo prendi Rosie?”
“No, lascio che ci giochiate voi due…” Replicò la ragazza sedendosi sul bracciolo della sedia occupata dal giovane Malfoy. “Allora. Ho prenotato per un’oretta, prima che Judith Midgen irrompa con il suo elefantiaco ragazzo.”
“Yuch, sono contento che la stanza si trasformi ogni volta…” Commentò Al. “Posso sapere che ci fa Malfoy qui, però?” Si corrucciò appena, con arte. “Mi sfugge il motivo della sua presenza.”
Rose lo guardò esasperata: di solito Albus era un ragazzo adorabile. Dolcissimo e assolutamente privo di pregiudizi.

Però non appena vede Malfoy o un noto grifondoro, tira fuori tutto l’arsenale serpeverde. Non so se l’abbia sempre avuto, o gli sia venuto a forza di stare a contatto con quelle gran persone che sono Zabini e Nott…
Probabilmente entrambi.
“Sono qui perché sono curioso.” Scrollò le spalle Scorpius, passando un braccio attorno alla vita di un’imbarazzatissima Rose. “E perché adoro Weasley quando usa il cervello. La trovo piuttosto sexy.”
“Scorpius!” Abbaiò la ragazza, facendolo ridacchiare.
Al inarcò le sopracciglia. “Ah, beh.” Disse soltanto. Ma gli occhi erano attenti, e misuravano Malfoy. Rose si trovò a trattenere il respiro.

Poi Albus sorrise. In quel modo disarmante e allegro.
“Allora, vogliamo parlare di affari?” Esclamò ironico.
“Bene…” Iniziò Rose, schiarendosi la voce. “Prima di tutto, credo che ci serva uno schema. Non abbiamo molte informazioni in possesso, ma mettendole assieme e schematizzandole, potremmo magari vederle sotto una prospettiva diversa…”
Sul tavolo apparve per magia un grosso rotolo di pergamena, calamaio e inchiostro. Albus batté le palpebre.
“Wow, è proprio una stanza…”
“Delle necessità.” Concluse Scorpius, prendendo carta e penna. “Scrivo io.”

Dopo mezz’ora e qualche incongruenza, Scorpius rimirò la lista, con occhio critico.
“Appare una strana luce verde in cielo, il giorno prima dei Naga. Questa luce si perde nella foresta. Il giorno dopo arrivo dei Naga. Un naga attacca Thomas. Thomas viene salvato da Grop, e il naga viene ucciso. Al suo risveglio Thomas è strano e sembra nascondere qualcosa. Scorpius e Rose trovano un cratere in mezzo alla foresta, che sembra frutto di un atterraggio. Thomas continua nei suoi comportamenti strani. Dei naga si sono perse le tracce.” Finì di leggere ad alta voce.
Al sospirò. “Non è che abbia molto senso…”
“Non ce l’ha.” Ammise Rose con una smorfia. “Tom potrebbe comportarsi in modo strano per il trauma…”
“E i naga potrebbero essere arrivati in un altro modo…” Mugugnò sconfortato Al. “Magari è come dicono gli auror. Si sono persi.”
Scorpius scosse la testa. “Questo lo escludo. Da qui ad Edimburgo ci sono centinaia di chilometri. Voglio dire, certo, siamo in Scozia, e la città più vicina è Edimburgo. Ma Hogwarts è in mezzo al nulla, magicamente irrintracciabile. Proprio qui dovevano perdersi?” Batté un dito sulla pergamena. “Inoltre quel cratere c’entra.”

Rose e Albus si guardarono. Poi la ragazza si morse un labbro, pensosa.
“Quindi hai davvero scoperto come sono arrivati?”
Scorpius tirò fuori un pezzo di pergamena dalla tasca, accuratamente ripiegato. “Rosie, mi deludi. Non ti fidi del mio acume?” Fece un sorrisetto. “Ho passato quasi una settimana a spulciare libri di incantesimo locomotori. Advolo Celeriter¹. È l’incantesimo che hanno usato su quei bestioni.”
“Sarebbe?” Chiese Rose: assurdo, non conosceva nulla del genere.

“Un vecchio incantesimo.” Spiegò, aprendo il foglietto, leggendo. “È una specie di materializzazione. L’unica differenza è che chi compie l’incantesimo lo compie su un soggetto terzo, non su di sé. Si può usare anche per gruppi di persone. Non ti sposti da un luogo all’altro, da punto A fino a punto B. Ma percorri la retta AB.”
“E questo avrebbe eluso le barriere magiche di Hogwarts?” chiese Rose incredula.
“Beh, sono barriere contro certi tipi di incantesimi.” Intervenne Albus pensieroso. “Comunque non ho mai sentito parlare di qualcosa del genere…”
“Perché non funziona con gli esseri umani. A una velocità simile, alla quota a cui abbiamo visto quella luce, un mago ci rimarrebbe secco. Non è sfruttabile. L’unico ad averlo provato, rimettendoci la pelle, è stato l’ideatore. I naga invece hanno quella specie di corazza al posto della pelle.” Spiegò prontamente Scorpius. Pareva piuttosto soddisfatto del suo lavoro. Rose non se la sentì di ironizzare.

È stato bravo sul serio…
“Quindi doveva esserci qualcuno che li ha trasportati qui.” Al serrò le mani sulla tazza. “Per fare qualcosa… Non entri nella Foresta Proibita senza un motivo.”  
“O per cercare qualcuno.” Obbiettò Scorpius.
“Tom?” Mormorò Al. “Credete che l’abbia attaccato di proposito?”
“Lo abbiamo visto anche noi, Al… e a me… ha chiesto dove era lui. Lì per lì non ho capito, ma poi…”

“Papà ha detto che è stato un caso, che avrebbe potuto attaccare chiunque!” Protestò vivacemente. L’idea che Tom potesse essere preso di mira lo atterriva.
Thomas era sempre stato particolare: sia per la sua mancanza, sia per il modo in cui aveva cominciato a far parte dalla loro famiglia.  
Papà l’ha salvato. Era stato rapito da un mangiamorte…
“No, non è vero.” Disse Scorpius, versandosi una tazza di the. “Prima il lucertolone ha incontrato noi. O meglio, Rose…”
Rose inspirò appena. “Ci sono quasi andata a sbattere addosso, Al. Poi Scorpius mi ha tirato via, ma… non ci ha inseguiti.”

Al guardò Scorpius: una parte di sé lo supplicava di lasciare quella stanza, e soprattutto, di lasciare cugina e ragazzo a cuocere nelle loro congetture.
Questa storia non mi piace… è come se si prendesse di mira Tom.
In qualche modo gli sembrava di tradire la sua fiducia.
“Anche se il naga avesse voluto Tom…” Iniziò Al.
“Se avesse voluto Dursley, Dursley lo saprebbe.” Lo seccò Scorpius sorseggiando il the. “Voi lo conoscete meglio di me… ma non è un mistero il fatto che Dursley ami essere sempre al corrente di tutto.” Fece spallucce. “In ogni caso, solo lui sa cosa è successo nella Foresta Proibita.”

Rimasero in silenzio per un po’. Alla fine Rose sospirò.
“Non siamo granché come investigatori, eh?”
Scorpius scrollò le spalle. “È naturale. Non abbiamo niente in mano. Solo congetture, che non promettono nulla di buono, peraltro…”

“Beh…” Al deglutì lentamente: quello che stava per dire non era semplice. Aveva promesso a suo padre di non farne parola con nessuno. E quel nessuno contemplava decisamente anche Malfoy. 
Ma Tom potrebbe essere in pericolo…
“Quel naga… potrebbe aver cercato Tom perché è… particolare.” Borbottò. Rose inarcò le sopracciglia, e persino Scorpius distolse lo sguardo dal fuoco.
“Sarebbe a dire?” Chiese questi, guardingo.
“Sarebbe a dire che… non è davvero nostro parente. Insomma, lo sa anche Rosie… è stato adottato dal cugino di mio padre. È stato rapito da bambino, e la sua vera famiglia non è mai stata trovata.” Non aggiunse altro. Già così si sentiva una carogna.
“Wow.” Commentò Scorpius. “E chi l’ha rapito?”
“Un mangiamorte…” Sussurrò Al. “Il nome non me lo ricordo…”  

Scorpius serrò appena le labbra. Bevve un altro sorso di the, prima di parlare. “Allora significa che il passato di Dursley, o della sua famiglia, non è esattamente comune, né immacolato.”
Rose inspirò appena: era la prima volta che veniva a conoscenza dell’identità del rapitore.
Favoloso, un mangiamorte.          Questo rende ancora tutto più inquietante...
“Quindi qualcuno sta tentando di rapirlo di nuovo?” Chiese a nessuno in particolare.
“Impossibile, il rapitore è morto.” Obbiettò Al ragionevolmente. “Morto sul serio.”
“Sì, ma se fosse stata una commissione? Se chi gli ha commissionato il rapimento fosse ancora vivo?” Incalzò Scorpius.

“Sono passati diciassette anni! Perché metterci così tanto?” Ribatté Al, ma in difficoltà.
E se avesse ragione?
Ormai il tarlo era lì, e stava scavando.
“Diciassette anni, giusto.” Confermò Scorpius. “Ma ha cambiato cognome, no? E Dursley è un cognome babbano.”
Rose gli lanciò un’occhiataccia, aprendo bocca per protestare contro il tipico classismo da purosangue. Poi capì. “Ma certo! Tom è vissuto nel mondo babbano fino ad undici anni!” Esclamò. “È impossibile per un mago rintracciare un neonato con sangue magico, se gli viene cambiato cognome, e stato di nascita. Tom risulta come nato babbano!”

“Poi ha cominciato a frequentare Hogwarts… ma Hogwarts è il luogo magico più sicuro di Inghilterra. Se l’avessero rintracciato, rapirlo sarebbe impossibile qui. Per un mago.”
“Ma i naga non sono maghi…” Continuò Rose.
“Quindi hanno potuto arrivare fin qui usando incantesimi per non-umani, non rilevabili dalle difese della scuola.” Concluse Scorpius soddisfatto. 

Rose fece un sorrisetto. “Ha senso. Non credi che abbia senso, Al?”
Albus si morse un labbro: lo aveva? Forse.

Ma se lo aveva, Tom era nei guai. Fino al collo.
Ma la vera domanda è. Tom sa che qualcuno lo sta cercando?
“Ce l’ha…” Dovette ammettere il serpeverde. “Ma sono solo… supposizioni. Non ci crederebbe mai nessuno.”
Rose sospirò, scornata. “Non hai tutti i torti. Io e Scorpius abbiamo detto a papà del cratere, ma ci ha a malapena ascoltato.” Fece una smorfia. “E pensare che ci sono passati pure loro.”
“Direbbero che è diverso, che non c’è nessuna minaccia e che è tutto sotto controllo.” Replicò Albus con un sorrisetto disilluso. “Se vogliamo scoprire qualcosa dovremmo farlo da soli.”
“Sono d’accordo.” Annuì Scorpius. “Per prima cosa, ci serve sapere chi voleva rapire Dursley-bambino, e per quale motivo.”
“Vecchi articoli della Gazzetta del Profeta?” Suggerì Rose. “Forse lì c’è qualcosa. Potrei farmeli spedire via gufo. Credo rientri nel servizio arretrati.”

Scorpius le rivolse un sorriso sfavillante. “Beh, direi che abbiamo un piano d’azione!”
“Fantastico…” Mugugnò Albus.
“Ehy, non demoralizzare le truppe!” Scherzò l’altro ragazzo. Poi gli sorrise. “Senti Potter, so che Dursley è tuo amico. Ma stiamo lavorando anche per lui, in fondo.”
“Potremmo lasciar fare agli auror…”
“Sinceramente, con tutto il rispetto per tuo padre, credo che stiano seguendo piste totalmente sbagliate.” Sbuffò Scorpius. “Sono tutti presi a ritrovare quei lucertoloni e rimpatriarli. Non hanno collegato Dursley a loro. E se provassimo a far cambiar loro idea, non ci ascolterebbero. Siamo tre minorenni. Abbiamo autorità ad imporci zero.”

“E nel caso ci sbagliassimo, non faremo male a nessuno…” Lo rassicurò la cugina, prendendogli una mano, e stringendogliela. “Facciamo solo delle ricerche, in fondo.”
Al annuì. La sensazione spiacevole di fare qualcosa alle spalle di Tom non lo abbandonava.

Ma ce n’era anche un’altra, più sottile, quasi impercettibile.
Rivalsa.
Se lui avrebbe nascosto qualcosa a Tom… beh, Tom stava nascondendo qualcosa a lui.
E da ben più tempo.
“Va bene. Ci sto.”
Scorpius gli lanciò un’occhiata. “Non fare quella faccia, Potter.” Sogghignò. “Forse gli stai salvando il culo. Il che ti dovrebbe interessare, no?”
“… Come?”
“Scorpius! Avevo detto niente battute!” Ringhiò Rose, alzandosi per dargli uno scappellotto. Capì troppo tardi che il ragazzo l’aveva intenzionalmente fatta avvicinare. Si sentì tirare giù, e si trovò sulle sue ginocchia.

“Stai comoda, trottolina?”
“Malfoy! C’è mio cugino qui!” Sbraitò paonazza, di fronte all’espressione divertita di Al.

“Uhm, l’ho notato. Potter? Sei un terzo incomodo.”
Al fece un sorrisetto. “Beh, l’avevo notato, sì.” Disse gentilmente, cercando di non ridere dell’imbarazzo supremo della cugina.

“Scorpius, metti giù le zampe!” Sbottò la ragazza, cercando di tirarsi su. Ma la poltrona era stata progettata per essere comoda, e da quella posizione, era come essere sepolta.
“Come se ti dispiacesse, biscottino…”

 
“Come mai non sono stato invitato a questa bella riunione di famiglia?”

I tre ragazzi si voltarono di scatto verso la voce.
Al serrò bruscamente le labbra.

James era sullo stipite della porta, con uno dei suoi sogghigni peggiori.
 
****
 
Sala Comune Serpeverde.
Una di notte.
 
Tom si passò una mano sugli occhi: era stanco.
Erano tutti a dormire nelle proprie camere, dentro i propri letti.

O in quelli altrui, come nel caso di Nott…
… e Al non era ancora tornato. Non era quello il motivo per cui era sveglio naturalmente.
Aveva letto da cima a fondo tutto quel tomo, zeppo di nomi illustri.
Aveva già sentito il nome Tom Riddle. Sì, sentiva nettamente di doverlo ricordare, ma era come se qualcosa facesse muro tra il suo sé cosciente e la sua memoria, di solito eccellente.
Era frustrante.
E considerando che qualcuno l’aveva rapito perché lo credeva la reincarnazione di quel tipo…
Sempre che sia vero…
… era preoccupante. Ma sensato. Dopotutto, in quanti flashback notturni sentiva la voce del suo rapitore apostrofarlo con rispetto e terrore? Innumerevoli.
Terrore e rispetto per un neonato? Ridicolo. Terrore e rispetto se credi che il neonato che hai portato via potrà diventare, un giorno, qualcuno da rispettare e temere.
In ogni caso, aveva consultato tutto il libro, da cima a fondo. Nessun Tom Riddle.
Neanche un Tom… tutti nomi da maghi.
Poteva anche non essere un vero nome. Ma un giochetto di quel dannato finto-ragazzino biondo.
Serrò appena la mascella, furioso.
“Chi diavolo è Tom Riddle?” Sussurrò a se stesso. Guardò pigramente, con la coda dell’occhio, passare attraverso un muro il Barone Sanguinario, e scivolargli accanto, con i terribili occhi fissi su un’invisibile e efferato dolore.
Batté le palpebre.
Beh, poteva fare un tentativo.
“Signore…” Chiamò con tono cortese. “Signor Barone…”
Il fantasma si voltò, sentendosi chiamare. Lo guardò incolore. “Posso fare qualcosa per Voi, Signore?” Formulò manieroso, ma privo di qualsiasi intonazione.

“Sì, signore.” Si alzò in piedi, avvicinandosi. “Mi chiedevo… Lei è qui da molto tempo ormai. Ha conosciuto molti studenti di Hogwarts. Voi fantasmi avete una memoria eccellente, per quanto mi è dato sapere.” Lo blandì. 
“È così infatti.” Confermò: era il fantasma più inquietante del Castello, indubbiamente, con la gorgiera sporca di sangue argentato e lo sguardo vitreo.
Eppure Tom l’aveva sempre trovato il più affascinante.
Ha ucciso in preda ad una passione furibonda.
Il più romantico, senza dubbio. Chi dice che i Serpeverde sono dei freddi e meschini egoisti non vede oltre il proprio naso. Ambizione, astuzia, certo… ma a ben vedere siamo preda più di chiunque altro di passioni… Solo, non esplodiamo come ridicoli grifondoro.
Il fantasma attendeva la sua domanda, e Tom si schiarì la voce. “Mi chiedevo se per caso non avesse memoria di uno studente, forse appartenente a questa casa, di nome Tom Riddle…”
La reazione del fantasma fu quantomeno bizzarra. Gli puntò gli occhi, globi inespressivi addosso per un lungo momento. Poi disse.

“È così.” Semplicemente.
Tom sorrise trionfante. “Lo supponevo. Potrebbe forse darmi qualche informazione in più? Se non le è di disturbo, naturalmente.”
Il fantasma continuò a rimanere in silenzio, tanto che Tom cominciò a spazientirsi: i fantasmi avevano purtroppo una concezione del tempo totalmente stravolta rispetto a quella di un essere vivente.

Dev’essere orrendo vivere… sopravvivere così. A questo, preferirei la morte. Indubbiamente.
“C’è una sola cosa da sapere su Tom Riddle.” Disse infine. “Chi è stato poi.”
Tom deglutì: buffa reazione. Per un attimo aveva quasi pensato di andarsene, e non ascoltare la risposta.
Ridicolo. Sono arrivato fin qui. Non ho intenzione di tirarmi indietro proprio adesso.
“Chi era Tom Riddle?”
Il fantasma fece un sorriso sinistro, che gli gelò il sangue nelle vene.

“Lord Voldemort.”
 
****
 
Note:
1)Altro incantesimo inventato pasticciato da me.
Oh, lo so. Sono sadica.
Sto cominciando a raccogliere materiali per la tesi.
Lo sono per forza. 

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Capitolo 25
*** Capitolo XX ***


Buondì, o buonasera a seconda della visionatura.
Ragazzi, dai, vedo 170 visioni e 6 recensioni? Non rendete Al triste! *piazza Al e i suoi grandi occhioni*

@MiriamMalfoy: Lo so, so di essere sadica e mi metto in ginocchio sui ceci. XD Comunque spero di farmi (un po’) perdonare con questo capitolo. Tom è un coglione, ma pian piano si sta svegliando, quindi abbi fiducia. :P Grazie per i complimenti!
@MissMary: Allora alla fine Jamie ha riscosso qualche successo, dai, in fondo non è tanto male! ;) Al è un serpeverde, purtroppo spesso non lo dimostra, ma ti assicuro che in fondo c’è in lui qualcosa del serpentello. :P E non preoccuparti, quell’orrendo marrone presto sparira a favore di un bel blu elettrico, che gli si addice decisamente di più. ;) Merito di Jamie, puoi giurarci! Rose è una tonta totale, e Scorpius, diciamo che fa il suo gioco (e da quando uno come un Malfoy si nasconde? J ) Tom e occhi rossi, poteva forse mancare? Questa è colpa del fandom. I Tom, in HP DEVONO avere gli occhi rossi. XD
@Hel_Selbstmord: Pulcino Bagnato e Mister Misantropia in questo capitolo daranno il meglio di loro, promesso (ormai questi sono i nomi in codice. Per Jamie? Re Minchione XD) Al il tuo secondo personaggio preferito? Evviva, pure il mio! (ed ehm, io la scrivo ‘sta roba). In effetti volevo che il Cappello non fosse totalmente rincretinito a spedirlo lì. Se avrò tempo e c’entrerà, un bel flashback con lo Smistamento non ve lo toglie nessuno! OT: dei Dream Theather io adoro totalmente ‘image and words’ e penso che ‘take the time’ sia ufficialmente la mia canzone preferita. Però devo ammettere, che specie nei primi album, sono di una pesantezza unica, e infatti quelli che ho comprato li ho tutti rifilati a mio fratello, prog-metaller convinto. XD Grazie per esserci sempre! L’angolo musica è diventato un must delle recensioni!
XD
@Altovoltaggio: Grazie, grazie, grazie! E’ bello sapere di riuscire a dare un senso a questa storia, e di farla incastrare. Sudo sempre freddo all’idea di non essere in grado di farlo (è la mia prima fic così complessa. :P )
@Trixina: Ahaha, Tom lo so, nello scorso capitolo è stato messo un po’ in ombra. Geloso di Zabini? Nooo, assolutamente no! Che dici! *Tom la guarda malissimo, minaccioso* È solo una tua impressione, credimi! ;)
@Ron1111: Ciao! Grazie per la recensione. Allora, il motivo per cui Tom non è riconosciuto come predecessore di Voldemort, è perché a conti fatti, non gli somiglia molto. Mi spiego. È vero, ha i capelli neri, pelle pallida, ma gli occhi li ha azzurri (e non neri), oltre a questo è proprio diverso di aspetto fisico. ;) Solo accidentalmente ho dato a vedere che gli potesse somigliare. Di base, il mio modello è Tom Sturridge, che con il Riddle cinematografico c’entra poco o niente. Tom poi è un nome banalissimo in Inghilterra(e in effetti è un diminutivo, lui si chiama Thomas). Spero di averti tolto qualche dubbio.
Alla prossima spero!
@Bic: Ciao Bic! Ehm, sinceramente non ricordo se mi hai recensito, perdonami, sono un po’ rincoglionita. Ti ringrazio tantissimo per i complimenti, e beh… se ci si può affidare a Jamie e Al c’è sempre Lily. (Che vabbeh, potrebbe sempre decidere di affibbiare il proprio cognome ai figli. O forse no. ;P) Grazie, e spero alla prossima! ^^ Ah, ho commentato la tua ‘Goodluck my baby’. ;)
 
****
 
Capitolo XX
 
 

 


Lord, I've been waiting all my life but  I’m too late again

I know but I was scared
Can't you see, oh, I'm moving like a train - into some foreign land -
That you got on a ticket for this ride…
(Song for the lovers, Richard Ashcroft)
 
 
Stanza delle Necessità.
Una di notte.
 
James si avvicinò ai tre, al momento totalmente pietrificati.
Rose aveva paura persino di respirare.
Al deglutì. “Jamie…” Disse semplicemente.
Il ragazzo fece una smorfia. “Beh? Vediamo. Posso dare una mia interpretazione personale a questa bella riunione?”
Rose si alzò di scatto in piedi, con inaspettata agilità. “Non è come pensi!”
“No? E allora com’è? Oh, come sarà arrabbiato zio Ron. La sua adorata Rosie che se la fa con un Malfoy…” Sogghignò. C’era puro divertimento nelle iridi nocciola del cugino, e Rose capì che sarebbe corso a spifferare tutto ai quattro venti, se qualcuno non l’avesse fermato.

Non che James fosse cattivo. No. Era uno stronzo.
“Se dici qualcosa…” Iniziò bellicosa. James la fermò con una mano.
“Cosa fai? Neanche smentisci? Accidenti, allora è vero. Tu e Malfoy state assieme!” Esclamò divertito. “Diavolo Rosie. Sei davvero nei guai.”
“Non sono affari tuoi, Jam!” Sbottò Al, cercando di portare aiuto.

James smise di sorridere. Fece una smorfia. “Certo che lo sono. Se Rose si invischia con un Malfoy quanto credi che ci vorrà prima che avvenga una bella crisi familiare? Già Teddy e Vic si sono lasciati…”
“Cosa?!” Sbottò Rose esterrefatta, mentre Albus sgranava gli occhi. “Come si sono lasciati?”
James scrollò le spalle. “Oh, andiamo. Siete i due geni di famiglia. Se è qui da solo, e Vic non si è ancora fatta sentire, cosa pensiate voglia dire?” Si passò una mano trai capelli, staccandosi dallo stipite e avvicinandosi. “Comunque non è questo il punto. I due piccioncini facevano coming out davanti a te, fratellino?”
Al serrò le labbra, accantonando lo shock che la notizia gli aveva trasmesso: ora erano altre le priorità. “No. E comunque io sono felice per loro.”
“Oh, quanto sei pieno di buone intenzioni. Sei ridicolo come serpeverde.”
Al afferrò la bacchetta che teneva in tasca. “Ridillo.” Sillabò lentamente, con uno sguardo che fece scendere un brivido lungo la schiena di Rose.

Era raro che Al si infuriasse.
Ma è sempre James a fargli perdere la bussola, accidenti.
“Perché non cerchiamo di calmarci?” Esordì Scorpius, che fino a quel momento era rimasto seduto, in silenzio, ad osservare la situazione.
James gli rivolse un’occhiata bruciante. “Tu devi solo chiudere il becco, Malfoy.”
“Ah, vorrei tanto.” Annuì, con sguardo perso nel vuoto. “Il problema è che sono stato tirato in mezzo, e su più fronti. Punto primo, tu e mini-Potter state per venire alle mani, e in quanto tuo prefetto, dovrei evitare lo scontro con membri di altre Case. Punto secondo, non ci tengo che tu vada in giro a dire cose che potrebbero mettermi in difficoltà. Punto terzo, stai trattando male la mia ragazza.” Concluse, mentre Rose si sentì avvampare quasi per auto-combustione.  

James aggrottò le sopracciglia. “Mi stai prendendo per il culo?” Ringhiò, sentendosi decisamente preso in giro da quello sguardo irriverente.
Aveva sempre detestato Malfoy: sia per la sua brillante vita scolastica, inimitabile per qualsiasi maschio, sia per l’atteggiamento perennemente calmo e compassato.
Fottuto Lord del cazzo.
“No, affatto. Ti sto semplicemente esponendo i fatti.” Si voltò verso Al, che teneva ancora la bacchetta saldamente in pugno, sebbene ancora lungo il fianco. “Potter, non entrerei mai in una lite tra fratelli. Ma vorrei evitare il lancio di maledizioni.” Disse pacato. Al gli lanciò un’occhiata, ma poi intascò la bacchetta.
Rose inspirò sollievo: era divisa tra il terrore di essere sputtanata sulla pubblica piazza scolastica e l’essere orgogliosa del modo in cui il suo ragazzo stava gestendo la situazione.
Questo dimostra solo come James, ed io in buona parte, abbiamo sempre avuto torto.
Scorpius non è quello che sembra.
James sembrò invece furioso della piega che avevano preso gli eventi: non solo l’idiota osava mettersi con sua cugina, ma ora si permetteva anche di intromettersi tra lui e Albus!
Si avvicinò fino ad essergli a pochi passi. “Malfoy, ti ho detto di starne fuori. Non ci senti?”
Scorpius sorrise pieno di bonomia. “Ci sento. Ma te lo ripeto, non mi piace come stai trattando la mia ragazza.”
“Rose è mia cugina, non una delle tue amichette!” Ruggì James. Rimpianse di non aver preso la bacchetta con sé: quando aveva visto Rose uscire dal proprio dormitorio l’aveva seguita senza starci troppo a pensare.

Certo non si era aspettato di vedere quello.
Una bella chiacchierata inter-casa ed inter-famiglia.
Rose guardò Albus, che le lanciò uno sguardo esasperato.
Non verranno alle mani per me, vero? Merlino benedetto, stiamo parlando di cose ben più importanti della mia vita sentimentale!
Si frappose trai due. “Fatela finita! James, ho tutto il dannato diritto di frequentarmi con chi voglio. Compreso Malfoy.” Sbottò. “E tu non sei mio padre, quindi non ti devo spiegazioni!”
“E come pensi che reagirà zio Ron e la nostra famiglia a questa bella pensata? È un Malfoy, maledizione Rosie! È figlio di un mangiamorte! Un fottuto vigliacco che è passato…”
Non fece in tempo a finire la frase. Rose fu spostata a lato, e Malfoy gli piazzò un pugno in faccia, facendolo quasi cappottare su una poltrona.

“Tieni fuori la mia famiglia dai tuoi sproloqui, Potter.” Sibilò, con un ghigno che lo fece assomigliare in modo agghiacciante al padre. “Vuoi sfogare le tue frustrazioni da fallito? Fallo con me. Da uomo.”
“Scorpius, no!” Tentò Rose, ma la rissa scoppiò repentina. I due ragazzi si placcarono a vicenda, rotolando trai tappeti e i cocci del bricco che poco prima James aveva abbattuto con la sua caduta.
Al la afferrò prima che si lanciasse trai due litiganti. “Lascia Rosie. Lasciali sfogare.” Disse inspiegabilmente calmo.
“Ma si stanno ammazzando!”
“Sono senza bacchette. Uno scoppio di testosterone non ha mai ucciso nessuno.” Replicò, con un sorriso sottile. “Ho visto risse peggiori nel dopo-partita.” 

“Ma se prima sembravi tu, quello a voler iniziare la rissa!” Rimbeccò piccata, mentre di sottofondo i due si urlavano insulti irripetibili.
La situazione è surreale.
“Testosterone, appunto.” Sorrise soffice. “Fortuna che io ho anche un cervello.” Concluse facendola suo malgrado sorridere.
“Che facciamo allora?” chiese Rose, mordendosi un labbro: James avrebbe potuto, e probabilmente voluto, spifferare tutto alla famiglia. E sarebbe stato un disastro.
Morgana, che razza di situazione…
Al scosse la testa. “Parlare a Jamie. A volte riesce ad essere persino sensato.”
Lanciarono uno sguardo ai due che sembravano assolutamente presi dal compito di darsi quanti più pugni potevano: fortunatamente lo spazio ridotto impediva che molti colpi venissero messi a segno.
“Si stanno praticamente strappando i capelli…” Mormorò Rose esasperata. “Merlino, quanto sono infantili!”
“Ti ho mai detto quanto sono grato al Cappello?” Replicò Al con un sorrisetto, puntando la bacchetta contro i due. “Aguamenti.” Scandì e uno scroscio d’acqua investì i due litiganti, che lanciarono un urlo di indignata sorpresa, bloccandosi.

“Signori, ora di parlare.” Li riprese Al con un sogghignetto. “Andiamo.”
Scorpius, a cavalcioni del riottoso James, sbuffò. “Bell’incantesimo.” Concesse.
“Beh, l’elemento Serpeverde è l’acqua. Ho pensato che fosse un incantesimo adatto alle circostanze.” Replicò Al, tendendogli la mano, sotto lo sguardo irritato di James. Scorpius la prese di buon grado, tirandosi su.

“Grazie mini-Potter.”
“Preferirei Al, se non ti dispiace.”
Scorpius sogghignò. “Intesi, Al.”
James si alzò da solo, strizzandosi la felpa, con un grugnito. “’Fanculo Albie.”
“Lo stesso a te, fratellone.” Replicò Al, intascando la bacchetta. “Tu sei già maggiorenne, noi lo saremo tra poco. Vogliamo provare a dare un senso alla nostra età anagrafica?”
Se qualcuno non fa la persona matura moriremo tutti. Qui dentro. Uccisi da qualche maledizione volante… - Pensò il giovane Potter, pragmatico.

James scrollò le spalle. “Non vedo cosa ci sia da dire. Rosie ti ha presentato il suo fidanzatino scomodo, e tu l’hai accolto a fottute braccia aperte.”
“Non l’ho accolto.” Ribatté Al. “Ma penso che tu abbia più motivi per accettarlo di me. È un grifondoro, è il tuo Capitano e per giunta siete uguali.”
“Prego?” Dissero i due interpellati in coro. Scorpius inarcò le sopracciglia, mentre James sbuffò.

“Visto?” Replicò salace Al. “Avete in comune più di quanto non pensiate.”
Rose scosse la testa. “Sul serio… È ridicolo aggrapparci a questo odio generazionale. Sono trascorsi decenni da quando i nostri genitori si lanciavano maledizioni. È ora di crescere.”
“È un Malfoy!” Ribatté cocciuto James. “E crescere non significa andare a letto con lui!”
Rose avvampò di sdegno. “Brutto caprone! Ma pensi sempre a quello?!” Ringhiò.

“Potter…” Cominciò Scorpius, paziente. “Rose non è una delle mie amichette. Lei mi piace sul serio.” Concluse guardandolo dritto negli occhi.
James non distolse lo sguardo. “Ma proprio lui, Rosie?” Chiese.
Rose sospirò.“Non scegli di chi innamorarti, Jamie.”
James le lanciò un’occhiata indecifrabile. Poi sbuffò, vinto.

Rimase in silenzio per un attimo, prima che Al parlasse.
“Non eravamo qui per fare le presentazioni, Jam. Certo, siamo adolescenti, e ci dovremmo preoccupare della nostra vita scolastica e sentimentale. Però non eravamo qui né per l’una né per l’altra.”
Rose gli lanciò un’occhiata allarmata, ma Al le fece un lieve cenno con la mano.

Dobbiamo coinvolgerlo. James ormai è qui, e non se ne andrà senza un contentino.
Oltretutto è sempre in giro, sempre durante il coprifuoco. Magari sa qualcosa…
James lo squadrò attento. “Allora per cosa?”
“Lo sai.” Replicò Al. “Ultimamente stanno succedendo cose strane qui.”
James lo guardò a lungo: aveva sempre pensato che il fratello fosse un sostanziale cacasotto. Certo, gli voleva bene, ma questo non lo risparmiava dalle critiche.

Eppure in quel momento gli sembrò che Al fosse diverso. Che meritasse di essere ascoltato.
Non gli aveva mai sentito usare un tono così sicuro.
“Dipende da cosa intendi per strane.” Concesse.
“Intendo il naga. Intendo il modo in cui hanno insabbiato la faccenda. Hogwarts non è un posto normale, Jamie. È magico. Ma tra magico e sinistro corre un bel po’ di differenza.”
James sogghignò. “Cosa c’è? Ora credi davvero a quello che ho detto sul fatto che mi hanno attaccato ad Hogsmeade?”
Rose si intromise. “Io dico che dovremmo capire che sta succedendo. E mettere da parte i pregiudizi che abbiamo l’uno per l’altro. Lavorare assieme.”

“Gli adulti non sono collaborativi. Ma noi possiamo tentare.” Replicò Scorpius. “Una momentanea alleanza, Potter.”
“Cos’è, volete riesumare il magico trio?” Sbuffò James. “Andiamo. Non c’è nessun Voldemort da sconfiggere qui.”
“Ma qualcosa c’è.” Disse Albus. “Jamie, allora, che vuoi fare? Sei dei nostri?”
James lanciò un’occhiata complessiva ai tre. “Sapete? Sembra quasi uno scherzo. Ma beh, io adoro gli scherzi. Quindi, perché no?” Fece un finto inchino. “James Sirius Potter al vostro servizio. Non al tuo, Malfoy.” Rettificò all’ultimo momento.

“Non l’avrei mai pensato, Potter.” Replicò quello beffardo.  
Non mi sbagliavo… anche lui ha avvertito che c’è qualcosa di strano nell’aria.
James si buttò su una delle poltrone, stiracchiandosi.
“Allora signori. Aggiornatemi.”
 
****
Sgabuzzino, Hogwarts.
Mezzanotte.
 
Teddy si passò una mano trai capelli impregnati di polvere.
Lavorare a quell’ora aveva qualcosa di intimo, piacevole.
Era rimasto nello sgabuzzino dove era accatastata la biblioteca di Ziel tutta la sera.
Era un lavoro difficile, ma gli permetteva di spegnere il cervello.
Non era facile fingere che andasse tutto bene. Non solo per Vic, non solo per se stesso, ma anche per quello che stava accadendo ad Hogwarts.
Il pomeriggio aveva avuto un colloquio con il Preside che si era detto d’accordo nell’operare l’incantesimo di memoria su James.
L’aveva però avvertito che non era un incantesimo privo di controindicazioni, che andavano da una semplice emicrania fino alla perdita di memoria temporanea degli avvenimenti della giornata.
James era legalmente maggiorenne, e quindi era perfettamente regolare incantarlo, anche senza il permesso dei suoi genitori. Per sicurezza comunque aveva mandato un gufo a Harry e Ginny.
Harry aveva fissato un colloquio con la metropolvere da lì a mezz’ora.
Guardò l’orologio da taschino.
Devo sbrigarmi, o rischio di saltarlo.
Guardò le pile di libri dentro gli scatoloni: finalmente cominciavano ad avere un senso logico. Poi guardò il libro che aveva steso James con un incantesimo protettivo. Lo prese: se lo sarebbe portato dietro e ci avrebbe lavorato per il resto della sera, dopo il colloquio.
 
Quando si chiuse dietro la porta della camera, arredata sia per dormire sia da studio, tirò finalmente un sospiro di sollievo.
Erano giorni che pregava Merlino di non incrociare la professoressa Prynn. Dopo che avevano avuto quel colloquio negli ex-appartamenti di Ziel, la ragazza lo cercava per trascinarlo in un ‘the pomeridiano’.
Neville, bonario, aveva ventilato l’ipotesi che la procace americana avesse una cotta per lui, sostenuto dai gran ghigni di Hagrid.
“Sta’ attento che Vic s’arrabbia, eh!” gli aveva detto durante una cena l’ex-guardiacaccia.
Si era trattenuto dal dover dissentire.
Non è il mio genere di ragazza.
Ainsel non lo attraeva: certo, era molto bella, non si poteva negarlo. Ma troppo invasiva.
Ma quelli erano solo pensieri residuali. La sua maggior preoccupazione era James.
James che era stato aggredito e obliviato. James che quel pomeriggio aveva avuto un atteggiamento… stravagante?  
Teddy sospirò, sedendosi accanto al camino e aspettando che Harry facesse la sua comparsa.
Si sentiva a disagio, a pensare al modo in cui James gli aveva sorriso e l’aveva abbracciato, proprio mentre stava aspettando di parlare con suo padre.
Merlino, quant’è diverso dal ragazzino che ho lasciato anni fa…
Quel ragazzino che al momento dei saluti era scappato dietro il capanno degli attrezzi, senza dire nulla.
 
“Vic, faccio subito. È che…”
Ted, capelli cobalto, lunghi fin poco sotto le orecchie, come piacevano alla sua bella fidanzata, aveva sorriso impacciato. Erano davanti all’aia della Tana, con tutti i parenti schierati per gli ultimi saluti prima della partenza verso lidi provenzali.

Per i primi mesi avrebbero abitato da Bill e Fleur, poi chissà…
Vic aveva alzato gli occhi al cielo, aggiustandogli il bordo sgualcito della giacca.
“Vai cheri, saluta quel monello, ma sbrigati. Maman ci aspetta per cena.”
Ted l’aveva baciata, e poi con un sorrisetto complice ad Harry era sparito dietro il capanno. Del ragazzino nessuna traccia. Ma Teddy
sapeva.

Si era schiarito la voce. “Jamie? Guarda che me ne vado!”
Dal piano superiore del capanno era provenuto una specie di grugnito.

“Vattene al diavolo!” aveva sbottato. C’era persino stato il lancio di un oggetto, che schivandolo, aveva scoperto essere un cacciavite.
“Ehi, vuoi ammazzarmi?”
“Magari! Oppure voglio farti rinsavire. A volte con le botte in testa succede!”
Il ragazzino era saltato giù dal soppalco. Aveva gli occhi rossi, e per un breve ed inspiegabile momento Ted si era sentito in colpa.

“Jamie, io e Vic vogliamo vivere assieme…” Aveva cercato di spiegargli, gentile, mettendogli una mano sulla spalla magra e nervosa. James aveva scartato.
“È tutto una stronzata! Tu dovevi diventare auror, restare qui! Perché te ne vai in Francia?”
“Perché è quello che voglio. L’Accademia è stata una bella esperienza, ma non fa per me, Jamie. Vorrei insegnare. In Francia, a Beaux-Batons, hanno un gran bisogno di insegnanti e …”
“E Hogwarts? Anche Hogwarts è una scuola!” Aveva sbottato, mordendosi un labbro. “Ci lasci, te ne vai! Ci lasci, e sei un fottuto stronzo!”
“Jamie…”

“Mi lasci…” Aveva sussurrato rabbioso. Si guardava le scarpe. Teddy si era abbassato alla sua altezza, mettendogli le mani sulle spalle.
“Potremmo scriverci. Tutte le volte che vuoi.”
“Mi fa schifo scrivere.”
“Beh, allora sarà un buon incentivo per non metterci tutti quegli errori. Non potrò più correggerti i compiti…” Aveva scherzato. Si sentiva uno strano peso nel petto. Senso di colpa.

Vic gli diceva sempre come Jamie a volte sembrasse quasi geloso di lui.
Geloso del suo fratello maggiore, gli diceva ridendo, e baciandola. Vic sospirava, e non diceva nulla.
È solo un bambino…
James l’aveva abbracciato, seppellendo il viso contro la sua giacca. Quei suoi abbracci stretti, stritolanti, un po’ buffi. Poi l’aveva mollato di scatto.
“Sai una cosa? Non me ne frega niente se te ne vai. Se torni però portami un sacco di regali!” Aveva sbottato, con un sorriso strafottente. E forzato.
“Jamie…”
“Ciao!” Gli aveva tirato una spinta leggera. “Ciao, capito?” Si era voltato, risalendo velocemente la scala del soppalco.
Teddy aveva sospirato.
“Ciao Jamie.”

Era uscito dalla rimessa, e per giorni non si era chiesto se chiudendo la porta non l’avesse sentito piangere.
 
“Ted?”
Teddy si riscosse vedendo la testa del padrino spuntare tra le fiamme.

“Oh, Harry!” Esclamò, quasi saltando in aria.
A che diavolo sto pensando? Merlino benedetto, non traslare i tuoi problemi su Jamie!
“Tutto okay?” Anche tra le fiamme il sorriso del padrino era chiaramente divertito.
“Oh, sì, certo… Mi dispiace, ero… ehm. Sovrappensiero.”
“Succedeva spesso anche a tuo padre. Guardava il vuoto per ore. Tua madre usciva pazza.” Rise Harry. Teddy sorrise nervosamente.

Di male in peggio…
“Davvero? Beh… comunque. Jamie…”
“Dimmi tutto.”
“Sono sicuro che James sia stato obliviato. I sintomi di un oblivium sono simili a quelli di una sbronza. Per questo mi sono confuso. E di questo, credo debba chiedere scusa anche a te.”
“Non devi.” Lo corresse Harry con un sospiro. “Non credergli è stata una mancanza grossa da parte mia…”
“Diciamo che le contingenze hanno aiutato.” Sorrise Ted. “Comunque Vitious è convinto che un memento su di lui potrebbe avere buoni risultati. Non è passato molto tempo, e James è giovane, ha una mente fresca e reattiva. I rischi sono minimi.”
“Ma ci sono…” Disse Harry. Fece una smorfia. “In ogni caso Jamie è maggiorenne, ha il diritto di scegliere da solo.” Scosse la testa e fece un sorrisetto. “Lui è d’accordo, immagino.”
Ted ridacchiò. “Lo conosci. Non vede l’ora di farlo.”
“Allora c’è poco che possa fare per dissuaderlo, temo.” Sospirò l’uomo. Ma Ted notò che era quasi compiaciuto del coraggio (o sventatezza?) Del figlio. “Oltretutto, questo potrebbe portare ad un passo avanti nelle indagini. Qualsiasi anomalia attorno ad Hogwarts potrebbe essere un indizio.” Gli confidò. “Non che questo Gin lo sappia, si capisce…” Borbottò poi, cauto. “Mi staccherebbe la testa, credo.”

Ted sorrise complice. “Le madri si preoccupano sempre.”
“Quelle Weasley particolarmente.” Rise l’uomo. “Ho fiducia nel Preside, e nel tuo giudizio. Se credi che serva, Jamie deve farlo.”

Teddy annuì. “Ci sono ulteriori sviluppi nelle indagini?”
Harry scosse la testa. Sembrava frustrato, da come si passò furiosamente una mano trai capelli. “Tutte le nostre ricerche sono finite con un buco nell’acqua. Quei dannati lucertoloni si sono volatilizzati. E anche il loro referente non si trova. Si pensa che sia stato ucciso.”

“Probabile. Per quanto riguarda Thomas…”
Harry sembrò esitare, poi annuì. “Dimmi.”
“Mi hai chiesto di dargli un occhio, e per ora sembra comportarsi normalmente. A lezione è presente, e passa il resto del tempo a studiare e in compagnia di Al e gli amici.”
“Tutto nella norma, quindi?”
“Direi di sì. Comunque non ho molta possibilità di vederlo fuori dalle mie lezioni…”
Harry sospirò. “Lo so, era solo una sensazione. Ma quando l’ho visto aveva qualcosa di sfuggente… Tom.” Sospirò “Sembra fare di tutto per cacciare dal suo mondo personale praticamente chiunque.”

Ted annuì, poi esitò. “Sai… a ben vedere è buffo.”
“Cosa?”
“Il suo nome. È stato rapito da certe persone e creduto una certa persona. E i tuoi cugini l’hanno chiamato Tom.”
“Thomas.” Sbuffò Harry. “Robin è un’appassionata di un certo Thomas Mann.”
“La morte a Venezia¹…” Sospirò Ted. “Gran bel libro.”
“Chi?”
“Oh, no. Niente.” Si schiarì la voce, imbarazzato dall’agghiacciante associazione di idee tra James e il libro. “Vitious comunque è ad un convegno della Conferenza Internazionale Magica dei Presidi per due settimane. Ma si è detto a disposizione quando farà ritorno ad Hogwarts.”

“Perfetto. Allora dì a Jamie di non strapazzarsi in queste settimane.” Ci rifletté, e rise. “Impossibile, a fine mese ci sarà la prima partita della stagione.”
“Ci sarai?”
“Se riesco a liberarmi…” Borbottò l’uomo. “Anzi, sicuramente. Salutami i ragazzi.”

Ted salutò con un cenno il padrino, il cui volto scomparve gradualmente dalla fiamme. Alla fine rimasero solo lingue di fuoco e legna ardente.
Sospirò. Aveva bisogno di una tazza di the.
Uomo, animale razionale che a volte questa razionalità la manda dritta nel cesso.
Mentre il the sobbolliva pigramente prese in mano il libro. ‘Compendio di erbe magiche della Baviera’. Un titolo sicuramente poco interessante. Un titolo fasullo.
Prese la bacchetta e la batté due volte sulla copertina, concentrando le energie per spezzare la barriera magica. Il libro si aprì e le pagine sotto il suo sguardo cambiarono.
Batté le palpebre.
Di nuovo quel codice. Lo stesso codice che aveva rinvenuto sui quaderni-diario di Ziel, poi catalogati e archiviati dalla professoressa Prynn. Diari che poi non aveva avuto più modo di visionare.
Questo non è un libro. È un altro diario. E ben più occultato.
Procedura avrebbe voluto che andasse ad aggiungerlo agli effetti personali di Ziel.
Decise di non farlo. Decise che quello sarebbe stato un piccolo segreto tra lui e il professore.
Dopotutto sono io che ho avuto in custodia la sua biblioteca. E questo quaderno è stato trasfigurato per essere tenuto al sicuro.
Non che nutrisse sospetti verso la professoressa Prynn, però…
Il fischio del bollitore lo riportò alla realtà. Guardò il quaderno. Quel codice l’affascinava.
E l’avrebbe tradotto. Avrebbe scoperto cosa aveva da dire Immanuel Ziel e perché era così ossessionato dal volerlo nascondere.
 
****
 
Dormitorio Serpeverde.
Due di notte.

Al sospirò di sollievo quando si lasciò alle spalle l’arco di pietra dell’entrata della Sala Comune Serpeverde.

La ronda non l’aveva beccato. Non che pensasse di essere scoperto:Mills e Dalkins dovevano ancora imparare ad allacciarsi le scarpe quando lui sfuggiva alle retate di nonna Molly per bere la pozione contro il raffreddore invernale.
Quando gli occhi si abituarono alla penombra della Sala, Al batté le palpebre sorpreso. Il fuoco era acceso, e seduto alla sua poltrona preferita…
C’era ancora Tom.
Fissava le fiamme, tenacemente, senza distogliere lo sguardo. Non l’aveva neanche sentito entrare.
Al si avvicinò, schiarendosi la voce. “Tom…”
Il ragazzo si irrigidì. Gli lanciò un’occhiata.

“Bentornato.” Disse, incolore. Una formula di rito.
“… Stai bene?” Gli chiese. “Tom?”
Il ragazzo non rispose alla domanda. “Dove sei stato?”
“Con Rosie, te l’avevo detto…”
“Sì, è vero.”

Silenzio. Non di quello confortevole, che c’era tra di loro un tempo. Ma denso, cattivo.
“Non riesci a… dormire?” Chiese.
“Sì, qualcosa del genere.” Fece un mezzo sorriso. Era divertito, ma la piega della bocca era dura, nervosa. “Va’ a letto. Altrimenti domani non ti alzi.”
“Michel è in camera?” Chiese, tanto per chiedere. Non si sarebbe aspettato che Tom gli piantasse gli occhi addosso.

“Michel?” Chiese lentamente. “Se è in camera?”
Michel, Michel… un vero amico, il caro Michel.

Gli veniva quasi da ridere. Ma non lo fece. Del resto non si sentiva in vena.
Voldemort. Lo psicopatico che mi ha rapito mi credeva…
Un brivido freddo gli ghiacciò la nuca.
Una persona da temere e di cui aver terrore. Su questo, almeno, non c’è dubbio.
Avrebbe preso tutto come le convinzioni di uno squilibrato, se avesse avuto delle certezze.
Tipo, ho una famiglia. Tipo, sono del tutto umano.
Ma non le aveva. Neanche una.
“Tom?” Lo richiamò Al. “Davvero, ti senti bene?”
Sentirsi bene? Era talmente lontano dal concetto che dovette trattenersi dal ridere per l’ingenuità di Albus.

“Sto benissimo.” Mentì con facilità consumata. “Michel è in camera. Forse ti aspetta.”
“E per cosa?” Chiese candidamente, prima di capire il sottotesto e avvampare.

Cosa?!
“Tom, ma che…”
“Sai quando ti ho detto che Zabini nutre solo fraterna amicizia per te?” Gli chiese retoricamente, tornando a guardare il fuoco. “Beh, probabilmente mi sbagliavo.”
“… Ma di che stai parlando?”
Tom fece un ghignetto. “Oh, non fare l’ingenuo, Al. Lo sai benissimo. Ammetto che le intenzioni di Zabini non siano sempre limpide, ma credo che abbia sempre nutrito un certo trasporto verso di te. Ultimamente poi lo sta manifestando palesemente…” Continuò. “In un certo senso puoi sentirti lusingato. Michel ha standard molto…”
“Ti è dato di volta il cervello!?” Sbottò Al furioso. Finalmente Tom parve dar segno di averlo sentito davvero, perché si voltò.

“È solo un’impressione.” Replicò infatti. “Potrei sbagliarmi, naturalmente, ma non credo.”
Chissà se Voldemort si sarebbe preso ciò che sente suo di diritto.

Beh, Voldemort non conosceva l’amore, a detta di Harry. Io lo conosco.
E fa male.
“Anche se fosse così…” Al si morse un labbro. “Anche se fosse così…”
Stupido imbecille. Che vuoi che me ne freghi di Michel?

Ci sei solo tu. Ci sei sempre stato tu.
Tom si alzò, avvicinandosi. Al se lo trovò praticamente a pochi centimetri. Tom lo superava di ben più di una testa… ed era imbarazzante essere così basso.
Imbarazzante, e lo faceva sentire odiosamente indifeso.
“Se fosse così non ti importerebbe? Non ti sentiresti a disagio?” Gli chiese, con quel suo odiosissimo tono roco, e monocorde.
Lo odiava. Davvero.
… davvero?
“No.” Replicò Al, deglutendo, ma sforzandosi di non farsi tradire dalla voce. “Comunque non potrei ricambiarlo.”
Dillo. Dillo. Dillo stupido Al. Dannazione, diglielo!
“Non sarà mai lui… quello che voglio.” Sussurrò al petto di Tom. Stavolta era lui a non volerlo guardare in faccia.

Non posso dirglielo. Non posso. Manderei tutto a puttane. Ho paura. Non voglio perderlo.
Non voglio fargli schifo. No.
Erano talmente vicini che poteva vedere lo stemma serpeverde del suo maglione, ricamato fin nei minimi particolari. La testa ricurva del serpente, l’elmo stilizzato, le volute della cornice…
Sentì due dita sollevargli il mento, e si trovò a fissare Tom negli occhi.
Dannazione, come fa ad averli sempre così blu?
Albus pregò che in quel dannato silenzio non si sentisse il suo cuore battere come un tamburo.
Perché dannazione, magari era una sua folle impressione, ma le labbra di Tom, le sue meravigliose labbra erano vicine, così dannatamente vicine…
Uno schiocco violento fece sussultare entrambi. Un ciocco di legno umido era stato divorato dal fuoco.
Al si allontanò bruscamente, spaventato.
“Io… vado a letto. È… tardi.” Balbettò.
Tom non disse nulla. Si sedette soltanto, di nuovo.

“Ti raggiungo dopo.” Disse, con uno strano tono roco che non gli aveva mai sentito.
“Okay.” Abbandonò precipitosamente la stanza, sentendo che non c’era più nient’altro da fare.
Merlino, Tom… che ci sta succedendo?
 
Tom serrò le palpebre. Serrò le labbra. Contrasse i pugni, mentre una scarica di adrenalina e di eccitazione gli aggrediva impietosamente ogni singola parte del corpo.
Maledizione, controllati. Non sei un animale.
Aveva rischiato di rovinare tutto. Già la sua amicizia con Al rischiava di essere mandata a rotoli da quello che stava succedendo. Che gli stava succedendo.
Ma le sue labbra. Il suo profumo. Quegli occhi limpidi e fiduciosi. Tutto. Avrebbe voluto che tutto quello diventasse suo. Penetrarlo, possederlo.
Si prese la testa tra le mani.
Tutto questo non è normale. Non mi sono mai comportato così. Mai.
Adolescenza? No. Era qualcosa che gli scorreva sottopelle, e si mischiava a ciò che voleva, che avrebbe voluto da Albus.
Guardò le fiamme che divoravano il tronco, reo di aver interrotto il momento, o forse inaspettato salvatore.
Si sentiva come quel tronco. Divorato dalle fiamme.
Ho bisogno di parlare con quel ragazzo…
 
****
 
Note:
1- Morte a Venezia, Thomas Mann. Narra la vicenda di un uomo adulto che nutre una passione di natura cripto-sessuale estetica per un bellissimo ‘giovinetto’ polacco, sullo sfondo di Venezia. Ecco l’associazione mentale di Teddy. Non è tenero, così ingenuo?

2 – L’immagine a frontespizio del capitolo è stata presa da Deviantart e Kiss and Control di Clandestine Wishes. Non sono riuscita ad inserire il link, ma il mio spero di averlo fatto. 
 
Beh, le cose vanno avanti. Pian pianino. E ricordatevi che anche la vostra Dira ama gli happy-ending. E che nel prossimo capitolo ci sarà un bacio. SLASH. FINALMENTE.
Quale sarà la coppietta fortunata?
Ora però non cercate di ammazzarmi, dai. Altrimenti, niente happy-ending.
*Fugge*
 
 
 
 

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Capitolo 26
*** Capitolo XXI ***


Ringrazio un saccaccio chi mi ha lasciato le recensioni. Siete adorabili, e vi lovvo.
E so che ce ne sono altri, dai fatevi sentire. O vi spedisco la Prynn a casa! :P
@Altovoltaggio: non dovrai aspettare molto, stavolta è una promessa. Lo so, a volte so essere orribile ma ti assicuro che ne varrà la pena (spero uhm)! Grazie per continuare a seguirmi!

@Hel_Selbstmord: Fa piacere rallegrare la giornata con le proprie minchiate, anche solo per un attimo. ;) I doposbronza domenicali si possono curare solo con ‘Sunday Morning’ soffusa, dei Velvet Underground, a parere mio. (qui si danno consigli musicali come se piovesse XD) L’idiota del Re in questo capitolo ti piacerà, è una promessa. Guarda che bel giovinotto l’ho fatto diventare con Photoshop. ;P Ah, i giovini sessualmente confusi. Senza di loro non scriveremo. XD La Morte a Venezia è un bellissimo libro, che dovrei rileggere (la prima volta lo lessi che ero troppo piccola, dalla biblioteca di mio nonno, quindi devo riappropriarmene) OT: io non ho UN prog-metaller, ho UN prog-metaller (mio fratello) e UN prog-rocker (mio padre). Mia madre vorrebbe suicidarsi, visto che io sono una curiosa deriva di mio padre con aggiunta di indie-rock. A casa mia sembra di stare su Virgin Radio XD Grazie per esserci!
@Lilin: Ciao Lilin! Mi piace il tuo nick (il mio è orrendo, e naturalmente puoi chiamarmi Dira ;) ) Mi adori? Io adoro te dopo la bella recensione che mi hai lasciato! Comunque devo ammettere che Alpuccy è diventato la mascotte di questa storia. Sì, sono una cretina e devo ringraziare di avere un senso dell’umorismo condivisibile. Tom e Al si baceranno, right, ma dovrai aspettare… pochino, eh. Grazie mille per tutti i complimenti a me e alla banda. ;)
@Bic: Ti ho lasciata un’altra recensione. ;) Tom e Al sono due imbranati totali. Ma a sedici anni non ci si può aspettar di meglio, temo. Specie dal figlio di Potter. XD Grazie per continuare a recensirmi, alla prossima!
@Trixina: Okay, merito una strigliata, lo so. >_< Grazie per i complimenti, e addirittura il batticuore? Siamo in due! (vedi se devo esser così scema ad emozionarmi mentre scrivo, bah) comunque sia, sì Vic capì. Non si sa fino a che punto, ma forse, se avrò tempo, inserirò anche lei, in un cameo o in un flashback, vediamo. James aveva tredici anni. Ne aveva dodici all'epilogo della Row ed ho supposto che quando Vic finì Hogwarts e volle tornare in patria con il fidanzatino Jamie ne avesse tredici. ;) Grazie per esserci sempre!
@Nyappy: Ciao! Mi eri mancata! XD Grazie mille per i complimenti, e continua a supportare questa banda di scalcinati eroi, dai!
@Sammy Malfoy: So bene cosa provi, questi due IDIOTI stanno dando i nervi anche a me. Ma che ci vuoi fare, due amichetti del cuore sono più difficili da mettere assieme che un certo Re Minchione e il Consigliere di corte (XD ) Grazie per la recensione, era fantastica!
@Ron1111: Ciao! In effetti Tom è uno scemo, ma bisogna ammettere che i problemi ci sono eccome. XD Spesso non basta essere attratti l’uno dall’altro. C’è la famiglia, il non esserne sicuro, e se poi mi rifiuta… e poi sono due maschietti, il che complica tutto. L Ma presto combineranno anche loro. In effetti ci hai preso, Jamie e Sy mi ricordano molto Felpato il primo, e Ramoso il secondo (invertiti XD) E non è detto che comincino a starsi simpatici, tra una scazzottata e un insulto. :P Vediamo se hai indovinato sui pronostici tra le coppiette… ;)
@MissMary: Ammetto di essere una gran sadica, ma lo faccio per tenervi incollati allo schermo (oooh, lo ammetto xD ) e anche un po’ perché ‘sti rompipalle son difficilissimi da gestire. Hai centrato il punto comunque. Tom ha troppa paura di perdere Albus per fare la prima mossa, perché si sa, essere Serpeverde significa prima di tutto salvaguardare la propria tranquillità e la propria persona. S.Zabini protettore delle lenzuola e delle bende di seta! *muore* E’ fantastico, d’ora in poi si chiamerà così! Ma pazienta, arriverà la primavera anche per Mister Misantropia e Pulcino Bagnato Al. Grazie!

****

Capitolo XXI






Love hurts.....
But sometimes it's a good hurt/ And it feels like I'm alive
Love sings, when trascends the bad things
Have a heart and try me/ 'Cause without love I won't survive.
(Love Hurts, Incubus)


30 Settembre 2022

Sala Comune. Ora di colazione.

Al si sedette frettolosamente al tavolo della colazione. Buttò la borsa sul tavolo, quasi rischiando di centrare la tazza di Rose.
“Ehi, fa attenzione!” Lo rimbrottò, mentre Scorpius la toglieva dalla sua visuale .
“Ciao…” Borbottò per tutta risposta. “Scorpius, Rosie…”
“… e tuo fratello.” Aggiunse James addentando un muffin.

Erano uno strano quartetto. Lo pensava tutta la scuola. Vedere i due fratelli Potter in compagnia di Malfoy e della Weasley era qualcosa che andava al di là della capacità di comprensione di molti. Ed era, a conti fatti, una fortuna.
In quelle due settimane Rose aveva lavorato sodo, tempestando di gufi la Gazzetta per avere quei benedetti arretrati. Alla fine, dopo molte insistenze, era riuscita ad avere un’assicurazione quasi certa che i numeri da lei richiesti le sarebbero stati recapitati. Quella mattina.
James si stiracchiò. “Oggi, grande giorno. Memento-time. Lo sai che viene persino papà?” Disse al fratello, con una smorfia. “Come se avessi bisogno di conforto o qualcosa del genere...”
“Lo fa solo per far star tranquilla la mamma…” Lo rabbonì Albus.

Per quanto riguardava loro e Scorpius, invece, si erano limitati a tener d’occhio Thomas e fare, per quanto riguardava i due Potter, ripetute visite ad Hagrid per carpire qualche informazione sui sommovimenti della Foresta Proibita.
Non erano venuti a capo di molto, ma l’inserimento di James nella compagnia aveva portato a nuove informazioni: a quanto sembrava Tom aveva corrotto – anche se probabilmente non ce n’era stato bisogno – James per farsi accompagnare a vedere il Naga morto.
Un ulteriore comportamento inquietante di Tom… - Pensò Al con un sospiro.
Gli allenamenti, comunque, avevano tenuto impegnati tutti, eccetto Rose.
Scorpius sorseggiò la propria tazza di the. “Al, Michel mi ha fatto notare che non sta bene che tu sieda al nostro tavolo. Non senza carpirci qualche schema di gioco…” Motteggiò.
Al stranamente non sorrise della battuta, del tutto legittima a due giorni dalla partita, ma scrollò le spalle. “Posso sedermi dove voglio, e mi sto sedendo con la mia famiglia.”
“Molto carino considerarmene parte.” Scorpius si voltò verso Rose. “Sposiamoci.”
“Casca dalle scale in modo doloroso, Malfoy.” Replicò divertita, ignorando l’occhiataccia di James. Per loro due, come coppia, quelle due settimane erano state… favolose.

Specie le pause in biblioteca…
Scorpius le rifilò un sorrisetto allegro e si rivolse di nuovo ad Albus. “Seriamente, io non faccio testo in quanto a persone che frequento di solito…”
“Cioè torme di donne che ti vogliono strappare le mutande…” Replicò James con un grugnito.

“È tutta invidia, Potter. Comunque persino le mie… ragazze… mi ha fatto delle domande sulle nostri colazioni conviviali.”
“E tu che gli hai risposto?” Chiese Rose con sottile tono di minaccia. I due fratelli Potter si ritrassero impercettibilmente dalle loro sedie.

“Che ho maturato un improvviso desiderio di frequentare dei maschi. Ho lasciato a loro l’interpretazione.”
James non riuscì reprimere un sorrisetto, per quanto cercasse di dimostrarsi distaccato.
Con suo orrore, in quegli incontri forzosamente pacifici, aveva scoperto che Malfoy non era lo stronzo rivoltante che aveva sempre pensato.
Altrimenti avrei dovuto ucciderlo per aver messo le mani su mia cugina.
Non che gli fosse simpatico. Affatto. Però poteva conviverci… per il Bene Superiore.
Rose parve domata dalla risposta, perché sorrise. “Sei assolutamente stu…”
“Stupendo, lo so.” Sospirò Scorpius.
“Stupido.” Rimbeccò Rose. “Anche Lily e Hugo fanno domande però. La versione ufficiale è che dobbiamo svolgere un compito per la Prynn.” Spiegò a James, che la guardò perplesso.
“Ed io che c’entro? Sono un anno avanti a voi!”
“Tu supervisioni, e ne approfitti per prepararti ai M.A.G.O. Trasfigurazione è una materia importante.” Ingiunse con tono che la rese mostruosamente simile alla madre.

James storse il naso. “Lily non ci crederà mai.”
“Lei no, ma Hugo sì. E il pettegolo è lui. Lily si fa i fatti suoi.”
Perché io mi faccio i miei e copro i suoi flirt con Thomas e quell’assurdo tipo irlandese...

Finalmente arrivarono i Gufi. Rose sorrise soddisfatta, quando un voluminoso pacco di giornali le piombò davanti. Pagò il Gufo, che tentava di abbeverarsi dalla tazza di uno schifato Scorpius, e poi aprì l’involucro.
“Eccoli qua! Sono gli articoli dell’agosto 2005!”
Agosto?” Esclamò James. “Hai preso un mese di cronaca inglese?”
“Per stare sicura.” Replicò indispettita. “Tranquillo caprone, li controlleremo solo io e Scorpius.”

James li guardò male. “Tu e Scorpius… vedete di controllare dove posso vedervi.”
“Potter, questo attaccamento verso le femmine della tua famiglia è inquietante…”

James si sentì molto vicino a mandare all’aria la tregua, ma si sforzò, sotto gli occhi ammonitori di fratello e cugina, di dominarsi. “Perché devo proteggerle da Malfoy come te.”
“Sono l’unico della mia generazione. Diffidate dalle imitazioni.” Ribatté l’altro con un sogghignetto. James gli lanciò un’occhiataccia, ma accettò la diversione.

Rose sospirò di sollievo mentre apriva il primo quotidiano, ri-stampato di fresco: la diatriba Potter-Malfoy si era spostata su un piano verbale, e non potevano che gioirne tutti. Gli unici poco contenti sembravano gli Scamandro, che si aggiravano per il castello come anime in pena, prive della loro funesta guida.
James, dopo che gli ultimi rimasugli della sua ferale colazione furono abilmente spazzolati, si stiracchiò. “Bene, signorine! Io vado a farmi friggere il cervello da un incantesimo di memoria.” Proclamò tronfio. “Ci si vede.”
“Cerca di essere operativo per domani pomeriggio. O in quanto tuo capitano sarò costretto ad ucciderti.” Lo ammonì Scorpius.
James fece una smorfia. “Preoccupati piuttosto di restare in sella e non far segnare dalle ragazzine di Serpeverde, capitano. O dovremo uccidere te.”
Poco dopo che se James se ne fu andato, Rose richiamò l’attenzione dei due ragazzi rimasti. “Sentite qui. Ho trovato l’articolo che parla di Thomas. Beh, allora non si chiamava così naturalmente.” Cerchiò con la punta del dito un articolo che occupava due colonne scarse. “Harry Potter, il Salvatore…blablaba, la conosciamo la storia… ecco, con la sua squadra ha tratto in salvo un neonato dalle fiamme. Wow.” Alzò lo sguardo sui due ragazzi. “Tom è scampato ad un incendio. Al, tu lo sapevi?”
Il ragazzo scosse la testa. “No, papà non me l’ha raccontato.”
Ogni giorno che passa mi accorgo di quanto poco so di lui…

“Qui c’è scritto che nell’incendio è morto un certo Artemius Coleridge. Mangiamorte, ha fatto parte dei collaboratori più stretti di Voldermort. Ricercato dagli auror per anni, è perito nell’incendio causato da un fuoco incantato, si pensa l’ardemonio…” Rose deglutì, e persino Scorpius sembrò colpito.
Al aggrottò le sopracciglia. “Ardemonio. È un incantesimo potente, complesso.”
“E difficilmente controllabile per giunta.” Aggiunse Scorpius a voce bassa. “Un amico di mio padre, un certo Tiger, lo usò e ne rimase vittima… durante la Battaglia.”

Rose si schiarì la voce, dopo il breve silenzio che ne conseguì.
Non è mai facile ricordare come le nostre famiglie abbiano spesso militato dalla parte opposta.
Al sbuffò. “Un idiota… usarlo è un rischio troppo grosso. Meglio finire catturati che uccisi in quel modo.”
“Sì, in effetti è strano...” Considerò Rose perplessa. “Qui c’è scritto che era ricercato da anni, ed era un soggetto instabile e pericoloso… particolari sulla sua vita… capace di parlare oltre quattrocento idiomi, tra umani e non-umani ed era famoso per riuscire a distillare una pozione polisucco di lunga durata…”
“Aspetta, che hai detto?” La fermò Scorpius. “Capace di parlare quattrocento idiomi, tra umani e non umani?”
“Ehm, sì?”
“Il lucertolone, il Naga. Rose, ti ricordi come parlava? Sembrava facesse una gran fatica a spiccicare inglese.”

“Sì, ma non vedo come questo…”
Scorpius incrociò le braccia al petto. “Pensateci. Per comandare un bestione di quella stazza devi saper comunicare con lui. Quindi il nostro uomo, quello che ha portato qui i Naga e che ha obliviato Potter, deve per forza saper parlare la lingua di quei lucertoloni. Che è?”
“Un dialetto indiano. O qualcosa del genere. Ho letto nel Compendio Scamandro.” Rispose pronta Rose. “È difficile che qualcuno lo impari senza un motivo.”
“Sì, ma Coleridge è morto!” Obbiettò Al esasperato. “L’ha ucciso l’ardemonio. Quell’incantesimo è mortale. Non può essere tornato dalla tomba.”
“Sì, naturale. Ma questa storia del dialetto mi ha fatto pensare che ci sia un filo conduttore.” Spiegò Scorpius. “Prima rapiscono Dursley. Gli va male, il tipo si suicida con un incantesimo a prova di morte. Poi dei lucertoloni stranieri arrivano, portati da qualcuno. Gli va di nuovo male, il fratellino di Hagrid centrifuga il lucertolone che tentava di ammazzarlo. Forse. Nessuno lo sa, perché Dursley era da solo con quel coso. Battono in ritirata, ma Potter si becca un oblivium da qualcuno, proprio quando è fuori dalle mura protette di Hogwarts.”
“C’è…” convenne Rose. “Ma è esile.”
“La vera domanda è. Perché vogliono Dursley?” Scorpius inaspettatamente piantò gli occhi su Albus, che sembrò trovarsi immensamente sulle spine. “Cos’ha di particolare?”
“È stato rapito…” Sussurrò.

“Questa è la causa. Ma il motivo?”
Al deglutì. Doveva dirglielo. Stavano girando in tondo, e lui stava nascondendo loro qualcosa.

Fidarsi di Malfoy? Non era facile. Ma Rose si fidava, e lui da solo non sarebbe mai venuto a capo di quello che stava succedendo.
“Non ha l’ombelico…” Mormorò. Scorpius inarcò le sopracciglia, e così fece anche Rose, che a conti fatti, non ne sapeva nulla.
“L’ombelico. Stai scherzando, vero?” Chiese Scorpius allibito.
Al scosse la testa. “È nato senza. Quando ero piccolo l’ho visto e… mio padre mi ha detto di non dirlo a nessuno, ma adesso…” Non concluse la frase, preferendo masticarsi un’unghia.
Rose batté le palpebre. La notizia era talmente assurda da sembrare quasi comica.
Ma a ben rifletterci, non lo era.
“Ma come ha fatto allora ad alimentarsi durante la gravidanza? Il cordone ombelicale…” Rose esitò, guardando Al. “Come diavolo è nato?”
Scorpius fece una smorfia. “La vera domanda è un’altra. Perché la sua nascita l’ha portato ad un rapimento da parte di un mangiamorte e poi ad essere attaccato da una creatura oscura?”

“Perché è pericoloso per qualcuno?” Ipotizzò Al.
Scorpius scosse la testa. “Perché serve a qualcuno…”



****
Torre Est, Ufficio del Preside.

James squadrò truce i due gargoyles di pietra che sorvegliavano l’entrata dell’ufficio del Preside. Non voleva ammetterlo, ma si sentiva maledettamente nervoso.
Contrasse e decontrasse i pugni, inspirando.
Non fare la mammoletta. È solo un incantesimo.
Se la stava facendo sotto. A giudicare dall’ora suo padre doveva già essere là con Ted.
“Jamie?”
Si voltò di scatto, e un’ondata di sollievo lo investì tutto.
Teddy era dietro di lui, con un sorriso gentile e omnicomprensivo. Si frenò dal placcarlo in un abbraccio di pura gratitudine.

“Non eri già dentro?”
“Ero venuto a cercarti in Sala Grande…” Gli spiegò. “Come ti senti?”
James fece per rifilargli una delle sue spacconate, ma pensandoci…

“… Uno schifo. Stanno per scavarmi nel cervello. Non è molto esaltante.” Bofonchiò, giocherellando distrattamente con il bracciale che aveva al polso.
Teddy annuì e gli mise le mani sulle spalle.
“Andrà tutto bene.” Sorrise, e non c’era altro sorriso capace di essere così calmante. “Vitious è un mago esperto, e poi ci sarà tuo padre. Quando avrà finito andrai in infermeria e ti farai una bella dormita. Tutto qui.” Gli arruffò i capelli. “Una cosa tranquilla.”
James sbuffò. “Non trattarmi come un bambino. So come funziona.”

“Sbaglio o qualcuno mi ha appena detto di sentirsi da schifo?” Lo canzonò dolcemente.
Ted era l’unico uomo capace di essere dolce e non essere ridicolo.

Avrebbe voluto chiedergli di abbracciarlo, seriamente.
Sono io quello ridicolo, cazzo.

L’ufficio del preside era una stanza circolare, ingombra di oggetti, e soprattutto, con scaffali interi dedicati a spartiti musicali. Un vecchio grammofono magico era stato messo al posto del pensatoio di Silente. Era nota la passione di Vitious per la musica.
James fece una smorfia sorpresa quando vide che oltre al padre, che gli sorrideva incoraggiante, c’era anche la professoressa Prynn.
“Ecco qua il nostro eroe!” Trillò questa. “Come ci sentiamo?”
“Favolosamente. Ho sempre sognato di beccarmi un incantesimo in testa.” Replicò con una smorfia. Si chiese confusamente cosa ci facesse lì, ma la donna lo precedette.

“Sono qui per controllare il tuo stato di salute durante l’incantesimo. Mi occupavo dell’infermeria a Salem.”
“Oggi Poppy è indisposta. Ha una leggera influenza.” Aggiunse Ted.

La donna confermò con un sorriso. “Stavo giusto raccontando a tuo padre di quando sei straordinariamente dotato nella mia materia… Certo, non trasfigurasse i ragazzi di Serpeverde…”
Harry fece un sorrisetto. “James sa come la penso sulle sue bravate. Metto in conto.”
Strinse la mano al figlio, calorosamente, tenendola brevemente tra le sue. Non erano tipi da abbracci, e preferivano quel gesto a manifestazioni più affettuose.

Si sorrisero, mentre il preside si schiariva la voce.
“Bene Potter… Prima di tutto siediti, e sgombra la mente.”
“Sgombrare?” Borbottò il ragazzo, sedendosi sulla sedia precedentemente occupata dal padre.

“Non pensare a nulla …” Spiegò Teddy con un sorriso.
“Mica facile…” Commentò con una smorfia: aveva talmente tanti pensieri in testa tra la partita, le ricerche con Malfoy – Merlino, ancora non ci credeva - e per finire…
Proprio te, Teddy…
“Provaci. Non è strettamente necessario.” Lo rassicurò Ted. Fece il gesto di toccargli la spalla, ma poi ritrasse la mano. James lo guardò, ma parve il solo ad aver notato la cosa.
Al diavolo… non distrarti. Qui la cosa è seria.
Inspirò chiudendo gli occhi. Sentì la punta della bacchetta del Preside sfiorargli la nuca.
Un brivido gelido gli attraversò la spina dorsale, ma si impose di rimanere fermo.
Non sono un codardo.
Memento!
Fu come una scarica elettrica gli avesse trafitto la nuca. Un bianco accecante gli esplose sotto le palpebre chiuse e perse coscienza di sé.

Ted si frenò quasi con violenza quando vide James sgranare gli occhi e boccheggiare, come colpito da un dolore lancinante. Guardò Harry, in cerca di aiuto, ma anche l’uomo sembrava avere pensieri non dissimili.
Il corpo di James si tese, prima di abbandonarsi completamente contro lo schienale della sedia. Aveva gli occhi chiusi, e il respiro lento, regolare.
“James?” Lo chiamo il Preside. “Mi senti?”
“Sì…” Mormorò il ragazzo, con una voce calma, distante.

“È in trance…” Spiegò Ainsel, affascinata. “Perfetta esecuzione. Di solito per il soggetto colpito è molto più lungo e doloroso il processo.”
“Ma davvero?” Ted si stupì del tono nervoso e irritato che gli uscì. Ma non si stupì quando non sentì l’impulso di scusarsi.
Vitious li ammonì con un’occhiataccia. “James, ricordi la sera in cui sei uscito per recarti ad Hogsmeade?”
“Sì.”
“Cosa eri andato a fare, James?”
“Ero andato ad incontrare Fred. Dovevamo parlare. Avevo un appuntamento con lui.”

“Puoi dirmi quanto sei rimasto con Fred?””
“Era mezzanotte quando ci siamo salutati.” Una pausa. “Siamo stati assieme un’ora circa.” Il tono era monocorde. Così strano addosso a James che Ted sentì un brivido spiacevole.

Il memento non è molto dissimile dall’imperium, come tipologia di incantesimo. Si tratta di mandare qualcuno in uno stato di ipnosi, e fargli domande con difficoltà graduale, dal ricordo più nitido a quello che invece sembrava perso.
Guardò di nuovo il padrino, che gli sorrise comprensivo.
No Harry, non puoi capire… Sì, sei suo padre.
Ma non puoi capire lo stesso.
“Molto bene, James, stai andando molto bene.” Lo lodò il Preside. “Ora dimmi, dopo esserti salutato con Fred, cosa hai fatto?”
“Sono andato in piazza, davanti alla fontana. Il mio mondo era appena finito a testa in giù.”
Vitious guardò Harry, che scosse la testa confuso. “Che intendi dire James?
“Ted si è lasciato con Vic. Ed è tutto così strano…” Confessò con candore involontario.

Ted deglutì, sentendo ben tre paia di sguardi puntati addosso.
Fred, dannata pettegola. Sapevo che avrebbe finito per dire tutto a qualcuno!
Harry sembrava il più sconvolto, e ovviamente a buon ragione.
Fantastico. Le prossime settimane saranno un inferno di gufi.
“Meglio fargli domande più circostanziate.” Borbottò Ted, desiderando in quel momento potersi scavare una fossa in cui seppellirsi. Molto profondamente.
Vitious annuì, e continuò. “James, quando eri nella piazza cosa hai visto?”
“Delle persone. Prima un piccoletto, incappucciato. E poi…” Si fermò, mentre un brivido lo scosse tutto.
“È normale. È il ricordo.” Spiegò Ainsel con aria rassicurante, che non tranquillizzò Teddy neanche un po’.

“Poi cosa, James?” Chiese la donna, intromettendosi. “Cos’altro hai visto?”
“I… serpenti.” Sussurrò il ragazzo, mentre il tono si faceva turbato. “I serpenti… quei grandi serpenti… della Foresta.”
“I Naga, James? Ti riferisci ai Naga?” Incalzò Ainsel.

“Io…” Deglutì, mentre il respiro si faceva irregolare.
“Preside, il contro-incantesimo!” Scattò Ted, preoccupato. Il viso di James si era fatto incredibilmente pallido e il petto si alzava ed abbassava in respiri rotti.

“È normale che faccia così, vi dico! Sta ricordando, è parte del processo. Non è vero Preside?” Replicò infastidita la donna. Il mago, suo malgrado, annuì.
“Ted, lascia fare al preside il suo lavoro…” Aggiunse Harry, prendendolo per una spalla. La sentì contratta, e guardò il figlioccio in viso. Poi, guardò i capelli. Erano diventati di un viola cupo. “Ted, va tutto bene.” Lo rassicurò.
Non c’è niente che spaventi Teddy più di veder soffrire qualcuno a cui vuole bene… - Gli aveva detto una volta Andromeda.
Fare l’auror l’avrebbe ucciso.
Il preside si schiarì la voce, continuando. “Erano i Naga, James?”
“Sì… sì…” Sussurrò frettolosamente. “Io ho preso la bacchetta, e mi hanno visto. No. Non mi hanno visto. Ero nascosto. Mi hanno sentito. E poi, un lampo rosso…” Non continuò perché tentò di alzarsi in piedi, con un gemito strozzato.

Ted si liberò dalla stretta del padrino, comunque venuta meno, afferrando James prima che crollasse a terra. Prese la bacchetta. “Finitem incantatem!” Esclamò.
Il corpo di James si rilassò, accasciandosi contro di lui. Era svenuto.
“Stava andando bene!” Esclamò Ainsel, stizzita. “Era del tutto normale quella reazione.”
“Stava per collassare!” Sbottò ferocemente Ted, mentre i capelli dal viola viravano in un rosso violento. “Non stava affatto andando bene!”
Vitious si schiarì la voce. “Era al limite, Ainsel… Io stesso avrei sciolto l’incantesimo.”
La donna fece una smorfia, avvicinandosi al ragazzo. “Pensavo voleste delle informazioni, comunque lo accompagno in infer-“
Non lo toccare!” Ringhiò Ted, talmente furioso che i capelli sembravano un manto di fiamme. La donna indietreggiò, colta di sorpresa.
Harry si staccò dalla parete, dove si era costretto a rimanere per non intralciare i due professori. Aveva fatto violenza su se stesso, al pari del figlioccio, per non intervenire.

Non avrei pensato che Ted scattasse prima di me…
In questo assomiglia a Tonks. Si arrabbiava con la stessa irrazionalità. Grazie a Merlino.
“Ted… calmati.” Disse gentile. “Jamie è svenuto. Dobbiamo portarlo in infermeria.”
Ted gli lanciò un’occhiata, mentre i capelli gradualmente tornavano castani. Sembrò improvvisamente rendersi conto dello sfogo, perché gli lanciò un’occhiata colpevole.

“Mi dispiace. Ho reagito male. Scusami Ainsel…” Aggiunse imbarazzato. “Sono mortificato.”
Harry si passò un braccio del figlio sulle spalle, aiutando Ted a sorreggerlo.

“Forza, portiamolo in infermeria. Quando si risveglierà vorrà avere un’intera scatola di gelatine tuttigusti+1 a sua disposizione. Meglio far presto.” Ironizzò. “Ci pensiamo noi.” Disse rivolto agli altri due docenti, prima di scendere le scale.
Ted tentò un sorriso. “Abbiamo avuto le informazioni che cercavamo…” Sussurrò, cercando di mostrarsi professionale. Il sorriso con cui gli rispose Harry gli fece capire di non esserci riuscito. Ma anche che andava bene così.

****

Infermeria, Hogwarts.
Ora di cena.

Quando James si svegliò, lo fece con fatica, e una favolosa emicrania gli esplose immediatamente tra le sinapsi. Sapeva di essere in infermeria. Sentiva l’odore di lavanda delle lenzuola, e quello acuto di erba medica.
Fece per aprire gli occhi, ma poi sentì due voci parlare, accanto a lui.
“… Quando pensavi di dircelo Ted?”
“Lo so, Harry, ho sbagliato. Ma la situazione con Vic e la sua famiglia era delicata.”
Oh… informazioni. Non sui serpentoni, ma beh… va bene lo stesso, eh.

Continuò a tenere gli occhi chiusi, fingendo beatamente di dormire.
“Questo lo capisco, ma noi siamo la tua famiglia.”
Silenzio, poi sentì il sospiro di Ted. L’avrebbe riconosciuto tra milioni di altri. Come il suo profumo di vecchia lana e the all’arancia. Era vicinissimo, forse gli era seduto accanto.

Teddy…
“E il matrimonio? Non fraintendermi Teddy, penso sia un passo importantissimo, e che vada fatto solo se convinti pienamente. Ma lo sembravate.”
“Più che convinti, Harry, eravamo persuasi che fosse la cosa giusta da fare. Quando stai assieme da anni, e ti conosci dall’infanzia, pensi che sia quasi un percorso obbligato.”
“E non è così…”
“Per molti lo è. Per me e Victoire no. Eravamo arrivati ad un punto morto. Harry… non c’era più passione. Voglio bene a Vic, gliene voglio tutt’ora. Ma non potevo sposarmi con lei per affetto.”
Stavolta fu il turno di suo padre, di sospirare. Fu quasi certo di poterlo vedere passarsi una mano trai capelli, anche se non aprì gli occhi.

“È una brutta situazione. Bill e Fleur ti consideravano ormai come loro figlio. Ma capisco la tua scelta. Senza amore un matrimonio non può neanche iniziare, figuriamoci proseguire…”
“Mi dispiace Harry…”
“No, non devi scusarti! Sono dalla tua parte, Teddy, come sempre. Vedrai che la situazione si aggiusterà con un po’ di pazienza…” Suo padre rise brevemente. “Con molta pazienza. Pensavi di aspettare Natale, vero?”
“Sì. Ammetto che non sono stato molto coraggioso… È solo che…”
“Lo capisco, Teddy, credimi. Io amo Ginny, e l’ho sposata perché lo volevo. Ma ammetto che le pressioni matrimoniali Weasley sappiano essere terrificanti.”
Risero piano, probabilmente per non disturbarlo.

“Harry…” Ci fu una breve esitazione in Teddy, ma James capì che era stata decisamente sofferta. “Posso farti una domanda?”
“Naturalmente!”
“… I miei genitori. Si sposarono… per amore, o perché… Sai, la guerra esalta gli animi, crea situazioni sentimentali particolari. Estreme…”
“Teddy, ma come ti viene in mente!” Il tono del padre era sorpreso. Quasi rammaricato. “Tonks e Remus si amavano. Certo, non era un amore facile… per molti versi era un amore complicato. Ma si sposarono perché tua madre era follemente innamorata di Remus e…”
“E mio padre la amava?”
“… Teddy, sono domande strane, te ne rendi conto? È naturale che l’amava.”
Ancora silenzio.

“Tu sai di lui e Sirius, Harry?”
Il silenzio divenne denso, pesante. James si sforzò di dominare la curiosità e rimanere immobile, apparentemente dormiente e innocuo.

Sirius? Parla del padrino di papà? Sirius Black?
Poi, infine, il padre parlò. Il tono era incerto, quasi imbarazzato.
“Sì… lo sapevo. Ma Ted, questo non c’entra nulla con tua madre.”
“Lo so. Erano… è successo quando erano ragazzi. Non sto dicendo che mio padre abbia usato mia madre come…” Inspirò bruscamente. “Lo so.”
“Bene, perché non è stato assolutamente così. Remus amava Tonks.”

“Era solo… Scusa..” Una breve risatina. Secca, nervosa. “Dev’essere piuttosto imbarazzante questo discorso.”
“Ehm, un po’. Ma non fa nulla. Tu, come… l’hai scoperto?”
“Delle lettere. Si scrivevano, mio padre e Sirius. Quest’estate sono andato da mia nonna. A casa sua c’era un sacco di cose da sgombrare, una soffitta intera di ricordi. Credo che Sirius le avesse lasciato in consegna delle… cose. Loro si frequentavano ancora, anche se lei era stata diseredata dalla sua famiglia. E tra queste cose…”
“C’erano delle lettere di tuo padre.”
“Già…”
“Oh, Ted, mi dispiace… Scoprirlo così… avrei dovuto parlartene.”
“Perché? Non avrebbe avuto senso. È solo… strano, suppongo. Scoprire certe cose di mio padre.”
“… Spero che questo non c’entri nulla con Victoire.”
“Come? Oh, no. No. O forse sì… non lo so, Harry. Le ho lette. Si amavano davvero. Ed ho pensato… che per Vic non avevo mai provato niente di simile. Mai. E non c’entra, sai, che fossero due uomini.”
Il padre di Teddy e Sirius erano amanti?
La sorpresa ebbe il potere di renderlo davvero immobile sul letto. Il cuore gli batteva ribelle nel petto. Non che significasse nulla, certo. Però…

“È stata una spinta.” Ipotizzò il padre. “Ti ha fatto riflettere.”
“Già. È così. Poi… sono tornato in Francia. E … mi è sembrato che lasciarla fosse la cosa più sensata. Non doveva rimanere legata ad un uomo… che non la amava come meritava.”

Di nuovo un breve silenzio, poi il rumore di una sedia che si alzava.
“Hai fatto bene, Teddy. Questo è il mio parere.” James sentì il fruscio di un mantello. Era quello del padre. “Meglio che mi sbrighi. Vorrei rimanere, ma devo tornare in ufficio… Quello che abbia scoperto è ben più grave di quel che immaginassi. Significa che sono ancora nei paraggi.”
“E che qualcuno li sta controllando…”
Harry sospirò. “E domani l’altro ci sarà la partita. Di sospenderla non se ne parla. Ma dovrò prendere le dovute misure.”

“Naturalmente. Resto io con Jamie, non preoccuparti.”
“Perfetto… e Teddy?” Non aspettò risposta. “Mi piacevano i tuoi capelli azzurri. Che fine hanno fatto?”
Grande papà.
James dovette dominarsi per non sogghignare.

Sentì Ted ridacchiare. “Erano blu. Ma prendo nota.”
“… Non ci riesci vero? A cambiare colore, intendo.”
“No purtroppo. Non ancora. Ma mi passerà.”

Sentì i passi del padre allontanarsi. Decise di aspettare ancora. Teddy era lì dopotutto, e non se ne sarebbe andato.
Lo sentì accomodarsi sulla sponda del letto, e poi sentì la sua mano trai capelli. Strinse il lenzuolo tra le dita.

Teddy…
Non ce la fece più. Aprì gli occhi. Ted ritrasse la mano, imbarazzato.
“Oh, ti sei svegliato.”
James fece un sorrisetto. “Non mi dispiaceva, sai. Dico… la mano. Mi sento la testa scoppiare.”
Ted ridacchiò, arruffandogli delicatamente i capelli. “È un effetto collaterale. Passerà presto. Come ti senti, per il resto?”
“Piuttosto bene.” Corrugò le sopracciglia, fingendo innocenza che in realtà non aveva. Aveva ascoltato tutto, e adesso sapeva. “Avete scoperto qualcosa?”
“Sì. Sei stato davvero di aiuto.”
“E che ho detto?”
“Jamie…”
“Scherzo, lo so. Perché adesso ricordo.” Sogghignò. Però di fronte allo sguardo limpido di Teddy, così fiducioso, si sentì stranamente male. Forse era un effetto collaterale del memento, sentirsi in colpa per aver origliato. “Teddy…”
“Dimmi. Hai bisogno di qualcosa? Hai sete?”
Non ce la faccio più, Teddy. mi dispiace. Sei un mio professore, lo so. È sbagliato.

Ma a volte per seguire il proprio cuore uno deve fare la cosa sbagliata¹…
“Teddy, ero sveglio. Prima.”
“… Prima quando?”
“Quando parlavi con papà.” Gli prese la mano, vedendo che Ted stava per alzarsi velocemente in piedi. Probabilmente per mettere distanza tra di loro. Lo faceva, quando si sentiva a disagio. Distanza fisica uguale distanza emotiva. Lo dice sempre Lils…

“Teddy, non lo dirò a nessuno. Lo sai. Puoi fidarti.”
“James, è una cosa seria.” Disse serrando le labbra. “Lo capisci?”
James fece una smorfia stizzita. “Ovvio che lo capisco! E tra parentesi, sono affari di Remus e Sirius.” Calcò il tono sui due nomi. “Non andrei a spifferare una cosa del genere… voglio dire, sono delle specie di leggende per me. Mi sentirei malvagio.”
Teddy sorrise, sollevato. “Grazie…”
“Quando pensavi di dirci di Vic?”
Teddy inarcò un sopracciglio, con un lieve sorrisetto. “Quando pensavi di dirmi che tu lo sapevi?”
Fregato.

“Ehm… era una confidenza. Vedi come sono bravo a mantenerle?” Sorrise con aria angelica. Gli teneva ancora la mano, e Teddy non dava segno di fastidio. In quel momento si sentì invincibile.
“Sì, Jamie… sei bravo.” Sorrise appena Ted. “Non sei arrabbiato?” Gli chiese poi, con una strana sfumatura attenta. Sembrava davvero voler sapere cosa ne pensava lui.
Forse era perché in quel momento rappresentava la famiglia, ma James preferì interpretarla in modo più confacente ai suoi piani.
“Perché dovrei esserlo? A me Vic non è mai piaciuta.”
“Jamie, è tua cugina.”
“Sì, lo è. Ma ti ha portato via dall’Inghilterra.”
“Jamie…”
James ignorò platealmente la sua emicrania, alzandosi a sedere. Ted non indietreggiò. Sembrava che avesse difficoltà a interrompere il contatto visivo.

Sapeva che in quel momento Teddy era vulnerabile. Lo era terribilmente.
Ed era per questo che se ne sarebbe approfittato.
“Ti ha portato via da me.” Sussurrò, lasciando la presa sulla sua mano per passargliela sulla schiena. Lo sentì irrigidirsi, e agì in fretta. Si sporse, e posò le labbra sulle sue.
Le labbra di Teddy…
Le aveva sognate nelle notti d’estate, in quelle di inverno, dove accanto a lui c’era qualche ragazza, o Zabini con i suoi sogghigni irriverenti.
Le aveva sognate da una vita, ed erano esattamente della morbidezza che si sarebbe aspettato. La barba appena accennata gli pungeva il viso, e l’odore di Teddy era dovunque.
Per un folle, dolcissimo momento Teddy accettò.
Poi, finì. Teddy si scostò bruscamente guardandolo sconvolto.
“Cosa… Che stai facendo, James?” Mormorò.
James fece una smorfia. “Ti sto baciando, Teddy. Mi pare ovvio.”
“Devi… devi essere impazzito. Siamo…”
“Cosa? Fratelli? Non è vero e tu lo sai.” Disse calmo. Il cuore minacciava di sfondargli il petto, e la testa sembrava esplodergli in migliaia di schegge, ma non si era mai sentito così vivo. “A me piacciono anche i ragazzi. E soprattutto, mi piaci tu. Da sempre.”
“James, no… è stato quello che ho detto prima su mio padre e…” Sembrava stare per sentirsi male. Per un attimo James si sentì in colpa. Poi ricordò le notti da tredicenne passate a piangere, l’attesa estenuante delle sue lettere, il dolore di capire finalmente qual’era il problema.

“Remus e Sirius non c’entrano niente. Non c’entra neanche Vic. Io sono James, e tu sei Teddy. Anche io ti ho scritto delle lettere. Solo che tu non hai mai capito cosa c’era scritto davvero… Vuoi sapere che c’era scritto? Che ti amo.”
Ted non disse nulla. Lo sguardo di James se lo sentiva bruciare addosso, come lava.

Non si accorse neanche di essersi alzato, quando si ritrovò in piedi. Riuscì finalmente a rompere il contatto visivo. Finalmente.
Era un adulto, si sentiva tale. E James era un ragazzino. Ma riuscì soltanto a prendere il suo mantello ed andarsene, mentre il suo ragazzino ancora lo guardava.
Mentre percorreva i corridoi vuoti del piano terra, gli venne in mente una frase che suo padre aveva scritto a Sirius.

‘A volte è difficile guardarti Sirius. È come guardare un grande incendio. Ti viene da distogliere lo sguardo, no? E mi succede così. In fondo, a volte, sapersi amati fa paura.’


****

Note:
La faccenda delle lettere si ricollega alla fantastica fan-fiction sui Malandrini, quella definitiva, ovvero lo Shoebox Project di Jaida Jones. Io lo considero canon. Punto. Dai, per le Tom/Al shipper … pazientate. Vi lovvo :P

Per chi volesse vedere Jamie tredicenne imbronciato, ecco qui. L'ho trovato per sbaglio sul web e perchè non condividere? James tredicenne
1 – L’uomo Bicentenario, Isaac Asimov.

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Capitolo 27
*** Capitolo XXII ***


Visto che è il mio compleanno, postaggio lievemente anticipato ad un’ora notturna.
Continuo a lovvarvi con molto sentimento! Ripeto come al solito, e fino alla nausea. Il carburante di questa storia siete voi e i vostri commenti! J
@Lilin: La sorella di Tinkerbell?! XD Ma no, dai, il tuo nick è più carino. Scorpius sa un po’ di Sherlock? Ahaha, probabile, colpa della mia infanzia tirata su a colpi di Agatha Christie. Grazie mille per i complimenti sull’ultimo pezzo, devo ammettere che ero ispirata *James punta alla testa di Dira una bacchetta, minaccioso*… ergh, comunque. Dì come nomignolo mi piace troppo! XD Non ci avevo mai pensato! In questo capitolo ancora non vi godrete la partita, ma… ben altro. ;)
@MyriamMalfoy: Stiamo parlando di Teddy. Trai tassorosso non ci sono sicuramente dei cuor di leone nell’affrontare i propri sentimenti. Eheehe, Jamie si odia e si ama. Ammetto che non c’è rimasto benissimo, ma non è tipo che s’arrende! :P Il quartetto miracoli sta divertendo anche me. Ammetto che c’era bisogno di qualcosa più che un Herm che reggesse il gioco. Grazie per i complimenti!
@Altovoltaggio: Questo capitolo spero non ti deluderà.
J E ci sarà molto, molto Tommy.
@Franza: Ciao Franza! Sì, Teddy è un po’ un idiota, ma cerca di capirlo, è un tontissimo tassorosso figlio di Remus ‘nego di amare’ Lupin. Che c’era da aspettarsi, da uno così? :( James è vero, riesce a non trasformarsi in una testa di cavolo solo quando c’è Teddy. La forza dell’amore. XD Per Al/Tom… leggi, leggi. E grazie per la recensione, spero vorrai darmi un parere su questo capitolo, ci tengo molto. ;)
@Trixina: Non preoccuparti, non a tutti possono piacere la mia versione grafica dei pg. Tu puoi immaginartelo come vuoi! XD Lo so, aspettate tutti la Al/Tom, e infaaatti… Spero che non ti deluderà. ;) La mia versione della storia su Sirius-Remus-Tonks è la seguente; Sirius e Remus si sono innamorati e amati da ragazzi, ad Hogwarts, ma poi quando Sirius è tornato non era più chiaramente lo stesso, ed erano passati troppi anni, alla fine Remus si è innamorato di Tonks (che peraltro in molti aspetti caratteriali assomiglia a Sirius, anche secondo il canon). In fondo una persona può avere anche due grandi amori nella sua vita. ;)
@Nyappy: Grazie per i complimenti! ^^
@PudentillaMcMoany: Ma ti ringrazio tantissimo per essere passata! La tua fic è troppo divertente, e sono stata felicissima quando sei passata a recensirmi! Thomas… eh, lo so, è il bello e dannato che tutte noi ragazze infondo sognamo. Tormentato, cupo, bello, stronzo, calcolatore e ma con la persona che ama un gran imbranato romanticone. Grazie per i complimenti, e… quando aggiorni? ;)
@Ron1111: Sto davvero cominciando ad amare e attendere la tua storia, lo sai? Anche perché diciamocelo, di Harry/Tom ce ne sono così poche qui, e gente che ha scritto cose meravigliose come Lien e Mistress Lay hanno gettato la spugna (bastardeeeh T_T) Finito l’angolo sclero ti ringrazio per il commento, per i complimenti e aspetto un tuo aggiornamento, da fan-reader, a fan-reader! :);)
@MissyMary: Lo so, lo so. Teddy è un gran fifone. Ma che ci vuoi fare, è figlio di uno come Lupin e un TASSOROSSO. Era il minimo. Ci sarà presto un cambio-colore-capelli, anche se non so dirti in che direzione! ;) (o meglio, non voglio dirtelo, perché lo sai, sono una sadica bastarda :P) S.Zabini qui ti piacerà, anche se lui non si è piaciuto per niente. Lo sai com’è fatto… è Mister Serpeverde. Adoro le tue recensioni e mi fa piacerissimo che tu sia affezionata ai ragazzi, anche io a loro XD Spero che questo capitolo ti tiri un po’ su di morale. In fondo farvi divertire e divertirmi è lo scopo principale! ;)
@Hel_Selbstmord: Ciao Hel! Ebbene sì, in casa mia si respira musica. Continuamente. E menomale che io sono emigrata a Roma con venticinque giga di mp3 e tutti i miei cd, o mia madre sarebbe impazzita. XD La tua invece vedo che ha reagito meglio della mia (mia madre che si legge Camilleri mentre mio padre registra su CuBase. Delirante.) Quando torno a casa comunque recupero Morte a Venezia. Mi hai fatto incuriosire di nuovo. Passando alla storia (uh? Le nostre chiacchierate sono troppo OT ma le adoroXD ) Teddy ha usato la storia di suo padre per confondersi ancora di più. Per come la vedo io, il ragazzo è CONFUSO, e suo padre con Sirius gli ha dato il colpo di grazia. Se dopo sei anni non sei ancora sicuro, meglio mollare. Felice di averti strappato un sorriso in cupe serate di noia. ;) E prega per il meglio.
Ohi, Hel, spero che tu abbia nel tuo guardaroba vestiti colorati, perché stavolta si conclude!*parte un trenino capeggiato da Silente, il guru-lillà-gay*

****
Capitolo XXII




Pochi vengono per restare

Andrai? Non andrai? Sii il solo che conoscerò per sempre
Quando sto per perdere il controllo, la città mi gira intorno
Tu sei il solo che la sa rallentare
(Look After You, The Fray)

1 Ottobre 2022
Dormitorio Serpeverde, mattina.

Un serpente avvolgeva lentamente le spire attorno alle sue gambe, immobilizzandolo.
Il serpente ghignava. E il petto gli bruciava, come se gli venisse colata lava bollente.

Tom si svegliò di soprassalto, inghiottendo ampie boccate d’aria.
Poi si guardò attorno: letto, tende tirate. Il lenzuolo era attorcigliato attorno ai piedi, ed era stato quello a fargli sognare il serpente. Sentiva ancora la pressione disgustosa delle squame.
Se lo tolse con uno strattone, mentre si passava una mano sul petto: la maglietta era zuppa di sudore e aveva la pelle bagnata, bollente, ma il medaglione era freddo.
Il ragazzo biondo non si era più fatto sentire. Era scomparso e il medaglione rimaneva innaturalmente freddo contro il suo petto.
Era frustrante, era avvilente. Aveva voglia di urlare senza poterlo fare.
Inspirò lentamente prima di aprire le tende. L’alba stava sorgendo, lattiginosa, rischiarando le brumose finestre incantate.
Siamo in un sotterraneo. Non abbiamo luce del sole. È tutta finzione.
Quel pensiero ebbe il potere di farlo sentire ancora più spiacevolmente oppresso.
Si alzò e si diresse verso il bagno: una doccia l’avrebbe aiutato a scrollarsi di dosso quei rimasugli appiccicosi di sogno.
Lanciò uno sguardo al letto di Albus: solita montagna di cuscini, da cui spuntava una testa arruffata.
Avrebbe voluto sorridere. Avrebbe voluto fargli il solletico nell’incavo del gomito, fino a svegliarlo e farlo arrabbiare…
Devo tenermi lontano da lui. Devo tenermi lontano da tutti.

Al si svegliò con la consapevolezza che neanche quel giorno avrebbe visto Tom uscire dal letto.
Da due settimane si alzava tutti i giorni prima di loro, si lavava, si vestiva e passava il lasso di tempo che lo separava dalla colazione in biblioteca.
Era una tortura doverci passare del tempo senza avere che pochi e sporadici contatti, qualche frase di circostanza, legata alle lezioni o poco altro.
Non ne posso più…
Si guardò allo specchio del bagno: si sentiva come se un drago avesse passeggiato sul suo fondoschiena.
Domani… partita.
Nientemeno che con Grifondoro. Michel li aveva spremuti come limoni, impietosamente, in quei diciassette giorni. Perdere non era semplicemente concesso.
Uscì dal bagno infilandosi la camicia, e fu certo di vedere Michel, intento ad allacciarsi le scarpe, indugiare sulla porzione di schiena scoperta.
Ora che sa che forse sono … diciamo… inclinato verso gli uomini … mi guarda.
Sarò tonto, ma non completamente.
Michel sembrò volergli dire qualcosa, ma poi lasciò perdere, alzandosi in piedi. “La cravatta, Al…” Disse, prendendo i lembi di quella dell’amico. “È storta.”
Al deglutì, sentendosi a disagio. Non era una situazione nuova, certo. Ma non era quel disagio carico d’aspettativa che aveva con Tom.

Che avevo prima che mi allontanasse definitivamente…
Si sentiva solo a disagio. Michel era suo amico. Gli voleva bene, lo stimava, ma non si sentiva apposto a sentirsi le sue mani addosso.
Fece un paio di passi indietro. “Non fa niente. Tanto per la fine della giornata sarà tutta spiegazzata.” Abbozzò un sorriso che sperò essere convincente.
Michel annuì, e parve quasi deluso.

“Scendo a colazione.” Gli disse, prima di afferrare il mantello, la tracolla contente i libri per le lezioni della mattina e filare via, senza guardarsi indietro.

Michel lanciò un’occhiata frustrata alla porta della camera. Al aveva forse intuito?
Intuito cosa, poi?
Per la prima volta in vita sua si sentiva confuso in merito alle sue sensazioni.
E Tom?
Michel fece una smorfia irosa, infilandosi il mantello e chiudendo gli alamari.

Tom lo teneva appeso ad un filo crudele, fatto di rassicurazioni abbinate a terribili frustrate di freddezza.
Avrebbe apprezzato quell’atteggiamento, se non fosse che chi ne subiva le conseguenze era Al.
Ovvero il suo primo vero amico.
Gli Zabini erano una stirpe di avvelenatrici e di ambigui gentiluomini, che preferivano veleggiare sopra la plebaglia, senza mischiarvisi mai.
Al era stato il primo ragazzo che si fosse fidato di lui: neppure Loki e Scorpius, che considerava suo pari, concetto per lui assimilabile a quello di amici, gli avevano mai dato la stessa incondizionata fiducia che Albus nutriva per lui.
E ovviamente lui l’aveva tradita. Per desiderio, nient’altro.
Prima andando a letto con suo fratello, poi, tradendo il suo concetto di amicizia. Al stava soffrendo per il distacco da Tom, e lui non faceva nulla per aiutarlo. Anzi, aveva esacerbato la situazione, facendosi sempre trovare insieme a lui, quando Thomas lo cercava con lo sguardo.
Sentì la porta aprirsi, e poi chiudersi subito dopo. Era ovviamente Tom, con un paio di voluminosi tomi sottobraccio. Storia della Magia, seconda guerra magica, lesse.
Cose non da programma. Tenti di distrarti con lo studio, mio buon Dursley?
“Cerchi Al?” Gli chiese, sapendo benissimo che tentava di evitarlo in tutti i modi possibili.
“No.” Disse infatti. Il tono era distaccato, ma gli lanciò un’occhiata torva.
“Già, ultimamente non lo cerchi mai…” Prese i libri necessari per la lezione, avvicinandoglisi. Tom era un fascio di nervi, non era difficile da intuire anche senza doverlo toccare…
“Non so di cosa tu stia parlando.” Sillabò infatti.
… Ma non gli importava. Quell’atmosfera cupa l’aveva causata quell’idiota. A pochi giorni dalla partita, con i suoi cattivi pensieri e i suoi problemi esistenziali ammorbava tutti: Al, lui, persino Loki, che saltava da un letto all’altro pur di non dover dormire nel suo.
“Ehi Tom…” Gli sussurrò, chinandosi al suo orecchio. “Se non lo vuoi, me lo prendo io.”
Non gli lasciò il tempo per rispondere, lo sorpassò e si chiuse la porta alle spalle.
Datti una mossa imbecille, o lo faccio veramente.
E allora potrai solo leccarti le ferite…

****

Secondo Piano, vicino all’aula di Trasfigurazione.
Nove e mezzo circa.

L’aula di trasfigurazione si faceva sempre più vicina e Albus aveva sempre meno voglia di entrarci. Tom doveva essere già entrato, ma non era quello il punto. Stavolta.
Rallentò progressivamente il passo, fino a farsi sorpassare da Loki, che lo accompagnava.
Il ragazzo lo squadrò perplesso. “Stai rallentando?”
“Già. Aspetto mia cugina. Avevo un appuntamento fuori dall’aula, tu entra pure.” Gli sorrise con aria sicura. Aveva già visto Rose. All’imbocco del corridoio che ospitava l’entrata dell’ufficio del preside, pochi metri prima. E c’era ovviamente Scorpius con lei.

Devo chiedergli se Jamie ha ricordato qualcosa…
Quando l’amico si fu allontanato fece rapidamente marcia indietro. Si affacciò, scrutando con un sorrisetto dietro al gargoyle a guardia dell’ufficio del preside.
“Siete sicuri che non volete farvi beccare?” Celiò mentre Rose tirava uno spintone a Scorpius, reo di averla praticamente spinta contro il muro.
“È questo troll che mi ha afferrata e trascinata qui!” Sbraitò paonazza e con il maglioncino singolarmente stropicciato. “Io volevo andare a lezione!”
“Rose Weasley, l’incorruttibile…” Proferì Scorpius, raddrizzandosi la cravatta con un consumato colpetto delle dita. “Mi adori, lo so, mio pasticcino.”
“Crepa.” Sibilò facendo ridere Al. “Seriamente… ci ha visti nessuno?” Domandò preoccupata.
“No, soltanto io, ma perché ho visto… quella.” Indicò la borsa dei libri della ragazza, che al momento era al collo del gargoyle.

“Dannazione!” Sbottò Rose. “Come c’è finita?”
Scorpius sorrise soave e Al capì.

Se Rosie capisce che cerca di farli scoprire lo uccide. Forse dovrei farglielo notare.
Forse no. Non voglio entrarci. Proprio no.
“Avete visto Jamie? Ieri sera sono andato a trovarlo in infermeria, ma era già scappato…”
Rose si schiarì la voce. “Sì… stamattina l’ho incrociato in Sala Comune, prima che sparisse chissà dove.”
“Stava bene?”

“Beh, sembrava…” Rose si morse un labbro pensierosa. “Un tantino fuori di testa. Aveva due occhi…”
Invasati.” Si inserì Scorpius serissimo. “Davvero. Ho visto in quelle condizioni solo dei goblin di fronte ad un mucchio d’oro. Mi ha persino salutato. Un inedito.”

Al li squadrò preoccupato: certo, aveva una faida auto-generante con James, ma era pur sempre suo fratello. “Credete sia stato l’incantesimo?”
Rose fece spallucce. “Dubito. Tra gli effetti collaterali del memento, mi sono informata…”
“Ci siamo informati.” Gli fece eco Scorpius.

“Io mi sono informata, tu eri più occupato a infastidirmi.”
“A baciarti il collo, rosellina.”
Infastidirmi.” Ripeté strozzata. “Mi sono informata, non dà quegli effetti. È stato il preside ad eseguire l’incantesimo quindi è impossibile che sia andato male. Anche perché ha funzionato, si è ricordato.”

“Davvero?” Al deglutì, lanciando uno sguardo alle sue spalle. Aveva avuto l’impressione…
No. Impossibile. Non c’è nessuno.
“Già. Ci ha detto tutto. I Naga sono ancora qui. A quanto pare sono controllati da un tipo incappucciato, di piccola statura.” Spiegò Rose con tono professionale, scacciando con uno schiaffo la mano di Scorpius che tentava di cingerle la vita. “Hanno fiutato Jamie, che era nascosto. Anche se fiutare non è il termine esatto…”
“In realtà la percepiscono.” Proseguì Scorpius. “È come una specie di richiamo ferormonico. Più grande è la forza magica di un mago, più ne percepiscono la presenza. È una sorta di traccia.”

“Per questo hanno attaccato Tom? Lui è sicuramente più…”
“Stronzate.” Lo corresse Scorpius con una smorfia. “Dursley è un adolescente. A sedici anni, a meno di non essere un mago del calibro di Silente… o tuo padre, la tua forza magica è praticamente identica a quella dei tuoi coetanei.”
“Si può sviluppare con lo studio, la pratica e l’esperienza.” Continuò Rose. “Avevate la stessa probabilità, seguendo questo ragionamento, di essere attaccati dal Naga.”
“Sì, ma il Naga è andato dietro a lui!”
“E questo ci riporta all’ipotesi di ieri. Tom Dursley ha qualcosa di diverso da noi.”
Al rifletté velocemente. Non avevano molto tempo prima che iniziasse la lezione.

“Forse è… come mio padre.” Ipotizzò, senza esserne troppo convinto.
Scorpius fece una smorfia. Era più forte di lui, quando sentiva parlare del Salvatore provava una singolare sensazione di fastidio. Non che ce l’avesse personalmente con l’uomo, però…

Imprinting paterno… Poco da fare.
“Tuo padre, Potter, è un caso particolare. Si è beccato una maledizione senza perdono quando era un neonato, e l’ha sconfitta. Non puoi paragonarlo ad un mago qualunque.” Replicò. “Se paragoni Dursley a tuo padre automaticamente fai di lui un caso particolare.”
Al si passò una mano trai capelli. “Sì, però…”
“È nato senza ombelico.” Scorpius scrollò le spalle. “È stato rapito da un ex-mangiamorte ed adesso è ricercato da grossi lucertoloni che hanno una specie di radar magico. Ha scritto in faccia non sono normale.”

Al serrò la mascella. Scorpius aveva ragione, lo sapeva. Eppure il modo in cui gli stava sbattendo in faccia le sue supposizioni gli mandavano il sangue alla testa.
“Smettila…” Sussurrò. “Smettila di parlare così… di… di lui!”
“Così come?” Scorpius sbuffò. “Devi finirla di giustificarlo. O di nasconderci delle cose, come la storia dell’ombelico. Perché non sei d’aiuto. Né a noi, né a lui. Se avremo qualcosa in mano, di sensato, potremmo darlo agli auror e magari evitare che venga rapito di nuovo. O sei con noi,

o contro di noi…”
Scorpius!” Rose lanciò un’occhiata al cugino, che era impallidito. “Non…”
“No, Rosie. Ha ragione.” La interruppe Albus, mordendosi un labbro fino a quasi sentire il sapore del sangue. “Sì, hai ragione. Mi dispiace…” Indietreggiò. “Credo che sia il caso che vada in classe adesso… Scusate.” Praticamente scappò via.

“Maledetto muflone insensibile!” Sbottò Rose, inferocita, tirandogli una spinta, che tra l’altro non lo spostò di un millimetro. “C’era bisogno di essere così duro!? Per Al è difficile!”
“Me ne rendo conto.” Replicò insolitamente serio. Le lanciò un’occhiata, raccogliendo la propria borsa, appoggiata in un angolo. “Ma non ha importanza. Se vuole aiutarci deve farla finita… Quando scavi nel passato di qualcuno a cui tieni è normale che tu ti senta una carogna. Che se ne faccia una ragione.”
Rose sospirò. Capiva il punto di vista di Scorpius: a conti fatti era il più sensato.

Ma quando entrano in gioco i sentimenti diventa tutto un gran casino.
“Gli parlerò.” Tentò. Scorpius scosse la testa.
“Deve arrivarci da solo. O non diventerà mai un ometto.” Sogghignò, rubandole un bacio. “Meglio se ci separiamo qui, Rosey-Posey. Statuto di segretezza…” Le sussurrò sulle labbra.
Rose fece un mezzo sorriso. “Comincia quasi a piacermi questo nomignolo. È meno osceno di tanti altri…”
“Ne sono lieto…” Le strizzò l’occhio.
Rose lo guardò allontanarsi. Sospirò, guardando il gargoyle in pietra. Sempre uguale, da secoli sempre privo di espressione e sentimenti.

Tu te la passi meglio di noi, caro il mio brutto muso. Garantito.
Speriamo che domani regga, lo statuto di segretezza. Alla partita viene anche papà…

****

Aula di Trasfigurazione.

Al seguiva distrattamente la lezione della professoressa. Davanti a lui un bricco di caffè aspettava di trasformarsi in una colomba.
Le parole di Malfoy continuavano a ronzargli in testa, rendendogli impossibile compiere un doveroso feraverto. In ogni caso la professoressa era più occupata a spiegare ad un confuso grifondoro come rendere animale il proprio bricco, che a seguire lui.

Mi sto piangendo addosso…
Era questa la dura realtà. Malfoy non gliel’aveva sbattuta in faccia direttamente, ma gliel’aveva fatta capire.
È un mese che mi lamento perché Tom non mi dà attenzioni. Non devo pensare a questo.
Devo pensare a come proteggerlo.
Era difficile. Perché Thomas non rendeva le cose facili, ovviamente. Perché c’erano i suoi sentimenti in ballo, e gli sembrava di tradire la sua fiducia.
Ma non è questione di chi è stato il primo a tradirla. Non è direttamente questione di tradirla.
Tom si sta cacciando in un guaio. E non vuole coinvolgermi.
Come da bambino, quando di notte scappava alla ricerca di creature fatate o misteriose. Sapeva che era proibito ad entrambi allontanarsi dai confini del villaggio, e per questo ogni volta gli faceva giurare di non seguirlo.
Ma ogni volta ti seguivo, ti ricordi Tom? Avevo tanta paura. Tremavo tutto il tempo, e aspettavo soltanto il momento in cui mi avresti scoperto.

“Ti avevo detto di non seguirmi!”
Tom aveva sbuffato stizzito, e Al, nascosto dietro un cespuglio, si era sentito decisamente scemo. Un vento fresco batteva la brughiera mentre la luce della luna illuminava lattiginosa la strada sterrata di campagna. E anche un ciuffo di capelli castani, che si ergeva dritto ed arruffato tra il fogliame.

Al era uscito fuori incespicando. Tom l’aveva squadrato con quell’aria che Rosie trovava antipaticissima.
“Non ti sei neanche messo le scarpe…”
“Avevo paura di svegliare Jamie!” Aveva pigolato il bambino, tirando su con il naso e cercando di nascondere le pantofole impolverate. “Ho paura Tom, torniamo indietro!”
“Non ci penso neanche. Hai sentito che ha detto nonno Arthur, no? Vicino a Escot, nel bosco, hanno trovato un cerchio delle fate. Magari c’è una colonia di piskie¹…”
“Mi fanno paura quelli!” Era scattato il bambino trotterellandogli accanto. “Possono trasformarsi in Mollicci!”
“Queste sono le storie che ti rifila Jamie. I piskie sono folletti, i mollicci sono poltergeist.” Aveva spiegato compitamente. Di fronte all’espressione per niente convinta del cugino, aveva alzato gli occhi al cielo, spazientito. “Bene. Se hai paura torna indietro. La strada è illuminata, e non farai brutti incontri.” Aveva indicato la Tana, ancora visibile. “Non ti puoi perdere.”
“No!” Aveva strillato il bambino, pestando i piedi. “No, voglio venire con te Tom! Non ti lascio solo!”
Thomas aveva fatto una smorfia. “Non sono io quello ad aver paura.”

“Per favore, fammi venire con te!”
Tom gli aveva lanciato un’occhiata. Poi aveva sospirato.“Secondo me ci stanno già cercando…”

“No, sono stato bravo! Mi sono lasciato le pantofole, per non fare rumore!”
“Geniale. Così tra poco ti faranno male i piedi. Forza, torna a casa. Io starò bene.”
“Ma io no!” Aveva sentito il familiarissimo e stupidissimo groppo alla gola. Subito dopo due lucciconi gli erano apparsi all’angolo degli occhi. “Avrò paura per te tutto il tempo!”

Tom aveva fatto una smorfia, distogliendo lo sguardo. Al aveva sorriso, perché quando il cugino faceva così voleva dire che gli avrebbe detto di sì.
“Va bene, vieni. Però dammi la mano. Non voglio che ti perdi nel bosco…”

Te ne sei dimenticato, Tom?

Per quanto non lo volesse trai piedi, per quanto continuasse a percorrere quella strada buia da solo. Nonostante questo…
Io continuerò a venirti dietro. Avrò una paura fottuta, ma stringerò i denti. Perché ho più paura a lasciarti solo, che a venire con te.
“Potter? Albus?”
Al alzò lo sguardo per trovarsi di fronte le formi procaci della professoressa. Si accorse che Rose da mezz’ora tentava di attirare la sua attenzione, senza successo.

“Sì professoressa?”
La professoressa sorrise. Ovviamente. “Non capisci qualche passaggio?”
Al sorrise di rimando. Batté un colpo di bacchetta sul bricco. “Feraverto.” Scandì.
La sua colomba prese a becchettargli affettuosamente le dita.

“No professoressa. Tutto chiaro.” Continuò a sorridere. Non voleva dargliela vinta. “Mi stavo solo concentrando.”
La donna tradì, per un attimo, un lieve ed insofferente sconcerto.
“Molto bene, Potter… ben fatto.” Si spostò per controllare la colomba di Rose, che aveva ancora la coda a forma di manico, con grande irritazione della ragazza.

Al alzò lo sguardo e vide che Tom lo stava guardando. Gli sorrise. Tom distolse lo sguardo immediatamente, ma stavolta non ci rimase male. Non più.
Adesso sono grande, Tom. Adesso non ti prenderò la mano e avrò paura per te.
Perché adesso posso riportarti indietro.

****

Spogliatoi Serpeverde.
Sei del pomeriggio.

“Ci vediamo domani capitaine!”
Michel fece un mezzo sorriso ai saluti, agli incoraggiamenti auto-referenziali e alle velate minacce dei compagni di squadra, mentre si liberava dell’uniforme da allenamento.

Lanciò uno sguardo ad Al, che finito di vestirsi chiacchierava con Loki, venuto a curiosare negli spogliatoi e raccogliere quote per il proprio banco scommesse – ovviamente illegale.
Vide i due uscire, e dopo un breve sospiro si concentrò sullo slacciarsi i gambali.
Non avvertì la porta dello spogliatoio aprirsi. Quello che sentì fu un violento spostamento d’aria e poi si trovò a faccia in giù, sul pavimento sporco di fango. Tossì, voltandosi.
Tom era davanti a lui, con la bacchetta stretta in pugno.

“Che diavolo…” Sussurrò sbalordito.
“Prendi la bacchetta, Zabini.” Disse soltanto. Il tono era come pacato, quasi privo di inflessione.

Vista la situazione, gli mise i brividi.
“Ti è dato di volta il cervello?!” Sbottò, alzandosi in piedi e allontanandosi verso la porta.
Tom con un veloce movimento di bacchetta la richiuse violentemente. Un rumore di ferro gli fece capire che l’aveva anche chiusa a chiave.

“Prendi la bacchetta.” Ripeté.
Sta facendo sul serio…
La consapevolezza lo colpì con la forza di un bolide. Aprì il suo armadietto e la tirò fuori.
“Vuoi batterti?” Fece un sorriso nervoso. “E potrei sapere il motivo?”
“Lo conosci. Non sei forse tu, quello che tutto sa?” Lo apostrofò, restituendogli un sogghigno amaro. “Se non lo vuoi, lo prendo io. Cosa significa? Quello che penso, suppongo…”
Michel inspirò bruscamente.

Ma allora è per…
Avrebbe riso della situazione, se la faccia di Tom non fosse stata una maschera di gelida furia.
A certe persone la gelosia fa proprio un brutto effetto…
“Ci hai pensato tutto il giorno?” Gli chiese indietreggiando. Tom fece di rimando un passo avanti, senza rompere il contatto visivo.
“Sì.” Confermò. “Albus non è una delle tue conquiste…” Sibilò furibondo.
“Sai che non intendevo…”
So cosa intendevi!” Sbottò. La luce delle candele tremò violentemente, come per una forte raffica di vento. “Lo vedo come lo guardi. Come…” Fece una pausa e Michel vide che la presa sulla bacchetta si serrava, fino a fargli sbiancare le nocche. “Come lo tocchi.”
“E se anche fosse?” Replicò di rimando, seccato.

Proprio tu, ti permetti di giudicare me, considerando quanto lo stai facendo stare male?
Non si sarebbe fatto intimidire. Lui era uno Zabini. “Se anche fosse, perché dovrebbe preoccuparti? Avrei più riguardo io, per Al, di quanto ne abbia avuto tu in quest’ultimo mese.”
“Se anche fosse… Lui è mio.” Lo sguardo di Tom aveva decisamente qualcosa che non andava.
Aveva pensato ad una crisi di gelosia. Uno scoppio di testosterone in ritardo di un paio d’anni.
Ma non è solo questo…
C’era desiderio nel suo sguardo. Un desiderio talmente disperato da fargli istintivamente serrare la presa sulla bacchetta.
Okay. Rettifico. È ora di farsi intimidire da Dursley. Ha completamente perso la testa.
“Cerca di ragionare!” Gli intimò. “Sei un prefetto! Ed io sono il capitano della squadra di Quidditch. Se ci beccassero l’intera stagione sarebbe persa!”
Tom sogghignò. “Dovrebbe fregarmene qualcosa?”

Michel indietreggiò fino a sbattere contro una fila degli armadietti, accanto alla porta.
“Tom…”
Un lampo rosso gli saettò a pochi centimetri dalla tempia. Si riparò la testa con le braccia mentre l’armadietto esplodeva, facendo volare in aria il contenuto.

“Maledizione! Tom, fermati!” Urlò. “Non ho intenzione di sedurlo!”
“Strano. Stamattina hai detto il contrario…” Osservò “Quello era un avvertimento. In guardia. Ed è un consiglio, credimi.”

Michel non se lo fece dire due volte. Tom aveva la stramaledetta brutta abitudine di non minacciare senza conseguenze.
Vuole davvero schianta...
Everte Statim²!
Michel si sentì letteralmente scaraventato contro la porta. L’impatto gli tolse il fiato e lo fece crollare a terra.

“Vergogna sugli Zabini…” Commentò, con tono faceto. “Credo di aver letto da qualche parte che ai purosangue insegnano a duellare prima che a camminare. Ma forse mi sono sbaglia-…”
Stupeficium!
Tom ebbe appena il tempo di scansarsi, prima che un lampo rosso si abbattesse su una fila di armadietti, facendoli crollare miseramente l’uno sull’altro. Sogghignò, raddrizzandosi.
“Ottimi riflessi, ma pessima mira, Mike…”
“Tom, falla finita!” Sbottò, sentendo il sapore vischioso del sangue sulle labbra. Passandoci il dorso della mano scoprì che gli stava sanguinando il naso. “È semplicemente ridicolo questo… quello che stiamo facendo!”

Per tutta risposta la luce delle candele tremò violentemente, prima di stabilizzarsi di nuovo.
Non è ridicolo.”
Michel lanciò un’occhiata a Tom: di nuovo quello strano lampo rosso gli balenò negli occhi.
… Sono nei guai.
Poi uno schianto fece sussultare entrambi. La porta venne divelta e Albus e Loki irruppero nella stanza.
“Mike! Abbiamo sentito dei rumori e…” Al si interruppe. Lo sguardo gli si fermò su Tom, incredulo. “… Ma che sta succedendo?”
“Vi siete presi a pugni?” Esalò sbalordito Loki. “Per le sottane di Salazar! Vi stavate lanciando addosso incantesimi?!”

Al guardò dall’uno all’altro. “Tom…?” Chiese semplicemente
Il ragazzo non rispose: intascò la bacchetta e uscì velocemente dallo spogliatoio.
Tom!
“Vagli dietro.” Mormorò Michel, nel silenzio più completo. “Vai. Adesso.”
Al, dopo un attimo di sgomento, si riscosse, uscendo e sbattendosi la porta dietro.

“Michel…”
“Sta’ zitto.”
Il ragazzo crollò su una panca, attendendo che i livelli di adrenalina tornassero quantomeno accettabili, di modo che potesse uscire dagli spogliatoi con le sue gambe.

In quel momento intere generazioni di Zabini si sarebbero rivoltate nella tomba, vedendolo.
E buffo, ma non me ne importa proprio nulla…
Loki Nott però non era uno Zabini. Era suo amico. Gli si sedette accanto, con un sospiro omnicomprensivo.
“Sei un bravo diavolo, mastro Zabini…” Disse, con ridenti occhi bicolore.
“Quei due mi hanno veramente rotto le palle…” Sussurrò per tutta risposta. “Lo sai?”
Loki sorrise, passandogli un fazzoletto per asciugarsi il sangue.

“Davvero un gran bravo diavolo…”

Albus sapeva esattamente dove sarebbe andato a finire Tom. Le sue fughe spesso si risolvevano nell’allontanarsi pochi metri dal luogo del misfatto.
Il suo orgoglio non gli permetterebbe mai di scappare veramente...
Lo trovò infatti di fronte alla rimessa delle scope. Teneva ancora la bacchetta in pugno.
“Tom…”
“Smettila di dire il mio nome!” Sbottò, ma senza livore. Sembrava stanco.

Al inspirò, avvicinandosi di qualche passo. Quando vide che l’altro non dava segno di fastidio gli si affiancò. “Perché stavate litigando?” Chiese, piano. Poi ci ripensò. “No, non ha importanza.”
Tom gli lanciò un’occhiata stupita. Al ridacchiò. “È un mese che ti riempio di domande. E… credo che tu ne abbia abbastanza.”

Tom serrò le palpebre, brevemente. Era stanco, furioso ed era come se tutto gli premesse addosso, schiacciandolo.
Se solo questo peso diminuisse. Solo un po’.
“Sai… oggi, una persona mi ha fatto pensare ad una cosa.” Esordì Al dopo un lungo silenzio. “Ti ricordi di quando, da bambini, andavamo a caccia di fate? Te lo ricordi?”
Tom annuì passivamente: era stanco, abbattuto. Troppo stanco per allontanarlo o chiedersi dove volesse andare a parare.

“Io ero un gran fifone, e avevo paura.” Continuò Al con un mezzo sorriso. “Però ti venivo sempre dietro. Quello che voglio dire è… Lo so che c’è qualcosa che non va.”
“Al…”
“No, fammi finire.” Lo fermò. Si schiarì la voce. “Non è tra di noi. Vero? È qualcos’altro. E vuoi tenermene fuori.”
Tom lo guardò: Al era sempre stato il più sottovalutato dei fratelli Potter. Troppo timido, sensibile, considerato dai suoi detrattori come un gran fifone.

Solo gli imbecilli non si rendono conto di quanto sia dannatamente intuitivo…
Stavolta ho fatto la figura dell’imbecille.
“Non so cosa sia…” Continuò. “E anche se te lo chiedessi per giorni, tu rimarresti in quel tuo stupido silenzio cocciuto. Vero?”
Tom non disse niente. Averlo così vicino …

È una tortura…
“Lo sai che continuerò a seguirti, Tom… Perché non se ne parla, di restare a casa ad avere paura per te.” Gli tese la mano. “Giusto?”

Al ebbe improvvisamente paura. Un fottuto terrore di sbagliarsi, di farsi ridere addosso. Di farsi allontanare.
Gli occhi di Tom in quel momento erano fissi su di lui, immobili e assorti.
Aveva paura. Ma attese.
Poi Tom gli prese la mano. La strinse talmente forte da fargli male.
“Al…” Prese un respiro profondo. “Quando eravamo bambini io…” Sussurrò appena udibile.“…ti dicevo di non venirmi dietro, ma in realtà… volevo che lo facessi.”
Al sorrise. Si sentiva lo stomaco stretto in una morsa di panico puro. Era sbagliato, non lo era?

L’unica cosa che so è che se non te lo dico adesso finirò per andare in mille pezzi...
“Perché credi che ti seguissi, scemo?”

E accadde.

Tom non seppe mai se fu lui a tirarlo verso di sé, o Al a spingersi contro di lui. Fu una collisione. Fu un bacio.
Fu goffo, indubbiamente maldestro e caldissimo. Al gli aveva afferrato i bordi del mantello e sembrava volerlo tirare giù. Perse addirittura l’equilibrio, perché dovette passargli le braccia attorno alla vita per sorreggerlo.

Le labbra di Al erano calde e umide e soffici. Respiravano entrambi affannosamente, mentre le mani si aggrappavano, stringevano, cercavano.
Quando si staccarono Albus aveva gli occhi davvero molto brillanti. E sorrideva.
Gli era mancato vederlo sorridere. Gli occhi gli diventavano liquidi, quando lo faceva.
E adesso erano vicini, ancora abbracciati.
Oh, Merlino… Finalmente... – Pensò – Finalmente…
Non sapeva cosa dire: solo una manciata di minuti prima aveva una bacchetta in mano ed era pronto a fare la pelle a Zabini, e adesso…
Adesso…
“A me non piacciono le ragazze.” Esordì Al, mentre le guance arrostivano. Tom provò l’impulso di passarci le labbra. Di morderle.
Sono impazzito…
“Suppongo… neanche a me.” Stimò lentamente.
Era buffo. Era liberatorio. Sentiva come se il cervello gli riposasse nell’ovatta, mentre il suo corpo era letteralmente divorato dalle fiamme. Non era una sensazione spiacevole, alla fin fine.
Quella cosa che da settimane gli faceva ribollire il sangue nelle vene era come addormentata. Era meraviglioso.
Al alla sua risposta sembrò illuminarsi. Si appuntò di assicurargli in altre occasioni che non aveva il minimo interesse per il mondo femminile.
“A me non piacciono le ragazze …” Ripeté Al. “A me piaci tu.” Sembrava tentare le frasi, più che pronunciarle. Più che una confessione, erano domande senza punti interrogativi.
E Tom improvvisamente si trovò a conoscere tutte le risposte in anticipo.
“A me piaci solo tu.”
“Sì, lo so...” Sussurrò Al. Esitò.
E adesso? Che si fa?
Era tutto diverso. Sentiva il cuore rombare nelle orecchie, e l’espressione di Tom gli confermava che fosse lo stesso per lui.
Fu Tom a rompere l’imbarazzo. Gli passò lentamente il palmo delle mani sulle guance, con attenzione e Albus sentì quel familiare brivido scuoterlo tutto.
“Scotti…” Gli sussurrò.
Al gli mise le mani sopra le sue. Era un gesto intimo, un po’ tanto da ragazzina. Se ne fregò. Perché a Tom sembrava piacere quanto piaceva a lui. Quindi, tutto okay.
“Afflusso del sangue…” Sorrise. Tom stirò un sorrisetto.
“Lei è molto ben preparato, signor Potter…”
“La ringrazio.” Sporse appena il viso e fu di nuovo accontentato. Tom si chinò per premergli le labbra contro le sue. Gli baciò l’angolo della bocca ma fu comunque bellissimo.

“C’è qualcosa che vuoi dirmi?” Chiese poi. Aveva smesso di sorridere e il tono era serio.
Al esitò. Riflettè. “Domani vieni alla partita?”
Tom lo guardò confuso. Era palese che non si aspettasse quella domanda.
Sono forse colpevole se non voglio rovinare tutto adesso? Sono settimane che voglio questo.
Tutto quanto. E Rose e i ragazzi mi perdoneranno se non lo userò per estorcerti una confessione…
Poi gli sorrise, palesemente sollevato. Annuì. “Penso di sì. Se non altro, potrò ammirare James disarcionato da uno dei nostri battitori. Me lo perderei mai?”
Ridacchiò. “Credo sarai in prima fila.”

Tom lanciò un’occhiata verso il Castello. “Dobbiamo andare a cena… È quasi buio.”
“Adesso?”
Tom fece un mezzo sogghigno, mandandogli di nuovo il cervello in pappa.
“No.”
Per favore… solo per questa volta, fammi avere quello che voglio…


****

Ufficio della professoressa Prynn. Dopocena.

“Ero certa che quei quaderni fossero il suo diario…”
“Ma non lo erano.”
La voce che scoppiettava nel fuoco, a differenza delle fiamme che illuminavano il bel profilo di Ainsel Prynn era gelida. Furiosa.

La donna fece una smorfia. “Non può averlo buttato. Cinque anni di ricerca, di studio sul ragazzo e sui meccanismi difensivi della tomba… No, semplicemente non può essersene disfatto.”
“Non pensi che abbia preferito distruggere quello che aveva scoperto per non farlo cadere nelle nostre mani?” La voce dell’uomo, non visibile attraverso le fiamme, era salace.

“Non essere ridicolo. Stiamo parlando del suo grimorio³. Per un mago è come un pezzo di sé. Voldemort nel suo vi aveva nascosto un horcrux. Uno dei più importanti. Quello che gli aveva quasi permesso di tornare in vita.” Obbiettò.
“Quell’uomo… se tale si poteva chiamare… era pazzo.”
“Ma un mago. E ragionava come tale.” Replicò la donna. “Ziel non ha distrutto le informazioni. Quei quaderni erano uno specchietto per le allodole. Il grimorio, quello vero, lo ha nascosto.”
“Non c’era trai suoi effetti personali.”
“Naturalmente, ho controllato allontanando Lupin… Ma c’è un altro posto dove devo dare un’occhiata...” Bevve un sorso da una fiaschetta che teneva abilmente occultata sotto l’abito di buona fattura. “La biblioteca personale di quel vecchio imbecille…”

****

Note:

Finalmente ci siamo arrivati. Tutti assieme, e con vaghe e varie minacce. E no, non pensate che sia finita qui. *risata sadica*
Apparte gli scherzi, ho sudato sette camice per scrivere questo pezzo. Ditemi se ha avuto un senso oppure vi ha profondamente deluso.

Qui il link della canzone all’inizio. Leggete il testo. È perfetto. *Dira in fissa con i The Fray*
1 – Piskie: o pixie. Si trovano in Cornovaglia (Ottery St. Catchpole è nel Devon, Cornovaglia)
Sono folletti dal colore verde, che si divertono a far dispetti agli umani, come far perdere loro la strada o rubare il raccolto. Però se blanditi sono dei gran lavoratori. A volte si trasformano in ricci (urchin).
2 - Everte Statim: incantesimo usato da Draco Malfoy nel secondo libro. Sostanzialmente crea un grosso spostamento d’aria che scaraventa a terra l’avversario.
3 – Il grimorio è propriamente un libro di magia. Il proprietario, una strega o mago, vi appunta le formule, riti magici, oltre che istruzioni su come preparare pozioni. In senso traslato è considerato anche il suo diario personale.

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Capitolo 28
*** Capitolo XXIII ***


Un salve grato e tutti quelli che hanno commentato e mi hanno fatto gli auguri (grazie!)
Siete adorabili, e anche Al vi ringrazia *piazza Al che ringrazia*
@MyriamMalfoy: Grazie mille! ^^ Sì, Zabini, non volendo è riuscito. Le conseguenze inintenzionali!
XD La professoressa sotto polisucco? Chissà. Forse. Ma anche no. Boh. XD
@MissyMary: Ahahaah, grazie davvero per il trasporto emotivo! XD Zabini… beh, vedremo prossimamente cosa prova per Pulcino. Chissà, chissà. *Dira bastarda*essì, hanno battuto Re Minchione e Teddybear, il che è tutto dire visto quanto è lanciato il Re. XD se ti ho addirittura risvegliato la vena romantica me ne felicito. :P So che spesso è impossibile, ma ehi, sanno essere convincenti quando ci si mettono, ‘sti due bei fanciullini! James è molto spiritato, quindi sì, direi che l’opzione manicomio sarà presto reale, se non si sbriga! Ahaah, mi fa troppo piacere che apprezzi i casini causati dagli ormoni. Io mi diverto troppo! :P Grazie per la recensione e non preoccuparti le adoro quando sono così lunghe! ;)
@Trixina: Piaciuti i Fray? Io li adoro, sono un gruppo PERFETTO per accompagnare certi capitoli. E fa piacere averti fatto scoprire questa canzone. Adoro quando qualcuno si appassiona ad un gruppo grazie a me *Dira si pavoneggia* Mike, beh, povero lui, ma ho grandi progetti per il bel Zabini. Bisogna vedere se Tommy sarà d’accordo. *Dira sadica* Grazie mille per i complimenti, e credo che ‘sto capitolo mi farà definitivamente assurgere a stronza ciclopica. Dimmi tu, poi. ;)
@Lilin: Ciao! Grazie mille per gli auguri! ^^ Sì, beh, i silenzi di Tom sono sempre pericolosi, anche perché precedono sempre qualche casino. ;) Grazie per i complimenti al Pulcino, è Serpeverde ma è anche un Potter, quindi non totalmente stronzo. Felice di ispirarti ;) Ci sentiamo!
@Shiratori-chan: Mi unisco anche io al comitato! Grazie mille per i complimenti, mi fa piacere aver saputo gestire la tensione tra ‘sti due in modo credibile. ^^ Abbi fede, e poi sì, Ron Weasley qui è presente. :P
@MartyMcGonnagal: Ciao! Quanto tempo! XD Fa piacere rivederti in questi lidi! Grazie per i complimenti, fa piacere come una non-fan dello slash apprezza questa storia. Cerco di farla NON SOLTANTO slash anche per renderla il più simile alla realtà tra adolescenti, che non sono solo un branco di bei fanciulli che se la fanno tra di loro. XD Grazie per gli auguri!
@Ron1111: Ciao! Grazie mille per i complimenti e insomma, mi ha fatto davvero piacere che tu abbia notato la crescita psicologica di Albus, cosa che poi è quasi importante quanto la paranoia discendente di Tom. Appena ho un momento libero commento la tua fic. Abbiamo creato due bei Tom, io e te! XD
@Nyappy: Ciao! Grazie per gli auguri e i complimenti! ^//^ Mi fai arrossire così. Fa piacere avvicinare i novizi al genere *_* (che poi è HP o lo slash? XD)
@Hel_Selbstmord: Heeeel! Ma lo sai che ormai ci manca solo da scambiarci il contatto msn? XD Io, che Università faccio? Scienze politiche e relazioni internazionali. Ebbene sì, sono una probabile futura funzionaria della Farnesina. XD (almeno oh, io ci spero). Era la mia prima scelta, la seconda invece era Lettere Moderne. ;) Fine OT, dai. Per il resto, cavolo, mi fa super-piacere vedere come hai apprezzato questo capitolo, che ho rimaneggiato milioni di volte, preoccupata che non fosse all’altezza delle vostre aspettative. Se non le ho deluse, ne sono felicissima! Mike è stato assunto a Santo protettore di questa fic. Come ha detto un’altra commentatrice. S. Zabini, protettore delle bende e delle lenzuola di seta. XD Questo capitolo avrà dello slash. ;) Potrei mai deludervi?
@altovoltaggio: La fiaschetta ha confuso tutti *Dira sghignazza* Bene, bene. Come si dice, niente è ciò che sembra! Mi fa piacere che tu abbia apprezzato la parte di confronto rispetto al bacio, perché in effetti era più importante quella. ;) Il bacio era solo un corollario maldestro! Tom farà del suo meglio, e Rose/Sy… eh, ‘sti due. *sospiro esasperato*
@Ombra: Ciao Ombra! Bentornata! XD Mike è stato ormai santificato, ma non so quanto questo a quel viziosetto faccia piacere! :P Mi sa che si ribellerà… Dira? Veramente l’ho preso da Oceano Mare di Baricco, era la bambina-albergatrice del racconto, però può darsi che l’autore abbia ripreso proprio dalle Dire.
Chissà. A me piaceva, quindi l’ho adottato! XD Grazie mille per I complimenti e in bocca a lupo per lo studio!
 
****
   
 Capitolo XXIII
 
 
 
I never thought that I was so blind/ I can finally see the truth/ It’s me for you
 But can you hear me say?/ Don’t throw me away
And there’s no way out/ I gotta hold you somehow
(I Wanna, The All American Rejects)


 
2 Ottobre 2022
Dormitori Serpeverde. Domenica mattina.
 
Quella mattina Albus si svegliò. Come al solito svegliarsi per lui era un termine del tutto relativo, visto che galleggiava nell’incoscienza prima di rendersi conto che, purtroppo, era mattina e già doveva esistere. Appena ebbe preso coscienza di sé, cercò con lo sguardo il letto di Tom.
Era vuoto.
La delusione lo investì come un tifone, mentre sentiva rabbia e…
“Cosa stai guardando?”
Al sobbalzò, voltandosi di scatto verso la voce. Di Tom.

Che seduto sul ciglio del suo letto, lo guardava con un sorrisetto divertito.
Che gran…
“Sei un gran bastardo!” Gli uscì di getto, prima di prendere un’aria imbarazzata. “Cioè…”
“Non scusarti, è vero.” Lanciò un’occhiata verso il suo, di letto, già rifatto. “È ancora presto…” Osservò in tono leggero. Effettivamente, notò Al, era ancora in pigiama, ovvero un paio di pantaloni di una tuta e una maglietta di un gruppo musicale babbano. Joy Division¹, lesse.

Ascolta certa roba…
“Loki e…”
Tom rispose piuttosto prontamente, per la sua solita indolenza mattutina. “Loki non ha dormito qui. E Michel…” Stavolta esitò. “Non lo so… quando mi sono svegliato già non c’era.”
Al si tirò a sedere, con un sospiro. “Non è per ieri, sai. Il giorno della partita si sveglia sempre prestissimo. Va’ al campo, controlla le condizioni atmosferiche e roba del genere.”

Tom annuì. Era strano vederlo con quel lieve sorrisetto all’angolo della labbra.
Era da un mese che non sorrideva, quasi…
Si trovò ad arrossire, quando capì che Tom stava continuando a fissarlo.
“Sai, devi scusarti con lui…” Borbottò, incerto. Tom fece una smorfia.
“Lo so.” Rispose. “Per alcune cose non mi sento minimamente in colpa. Ma per altre, sì.”
“Quali cose?”
Tom scrollò le spalle. “Alcune.”

“Ma perché avete litigato, poi?”
Assunse un’aria infastidita. In realtà Al sapeva benissimo che era la sua versione di sentirsi tremendamente imbarazzato. “Non avevi detto che non me l’avresti chiesto?”
“Beh. Ieri.” Obbiettò stiracchiandosi. “Non ho dato assicurazioni per oggi.”
Tom per un attimo parve quasi divertito dal ragionamento, poi si ricordò che lo stava infinocchiando e sbuffò. “Non vorresti parlare d’altro?” Gli suggerì.

Non che ci voglia un genio per capire il sottotesto. Ieri sera per poco non ci siamo fatti beccare da Hagrid. E non ho mai odiato tanto il fatto che la Sala Comune fosse piena, dopocena…
Abbiamo dei discorsi in sospeso…
Al arrossì, ma scosse la testa. “Oggi io ci devo fare una partita, con Mike. Lo chiedo a lui?”
“Non vuoi che Serpeverde perda.”
“Veramente credo che se la prenderebbe con te. Sarai sugli spalti, vero?”
Tom inspirò. Per un folle momento Al fu quasi certo di vederlo arrossire.

“Io… credevo… che lui…” Si schiarì la voce.
Merlino, sta davvero arrossendo!
“Stai davvero arrossendo?” Chiese impietoso.

Tom gli lanciò un’occhiata linciante. “No. Mi aveva dato ad intendere che volesse provarci con te.”
Al batté le palpebre stupito. Poi represse una risata. Non troppo bene.

Non è divertente.” Sibilò Tom di rimando. “Non hai idea di quanto mi abbia fatto infuriare.”
“Tecnicamente, si chiama gelosia.” Ridacchiò. Era una mattinata perfetta.

È qui ed è per giunta geloso di Mike… E lo sta ammettendo. Apertamente.
“Tecnicamente, Zabini è un idiota.” Rimbeccò. Gli rubò un cuscino da sotto la schiena e si dilettò a stritolarlo tra le mani.
“Due che si lanciano incantesimi in uno spogliatoio non sono esattamente persone che definirei intelligenti…” Lo prese in giro. Tom fece un’altra smorfia, rimanendo in silenzio.
“Ehi. Mike non mi piace. È un buon amico, ma … tutto lì. Anche perché…”  Fece spallucce, imbarazzato. “Non so neppure io bene cosa mi piaccia. A parte te.”
Tom annuì, pensieroso. “Quest’estate… ho baciato una ragazza.”
“Non è il genere di confidenza di cui vorrei essere messo a parte, sai?”
Tom lo guardò allarmato, prima di capire che lo stava di nuovo prendendo in giro.

Al non è un serpeverde? Branco di imbecilli. Quello straccio ci prende ancora dannatamente bene. E con una lungimiranza spaventosa, peraltro.
“È stato come leccare un posacenere.” Affermò sincero, facendolo scoppiare a ridere. Albus aveva una delle risate più belle che avesse mai sentito. Un sacco di gente rideva in modo ridicolo, o imbarazzante. Al era come uno scoppio di gioia.
“Beh, dev’essere stato piuttosto disgustoso…” Osservò, lanciandogli un’occhiata valutativa.
“Lo è stato.” Assentì. “Volevo provare, ma non mi è piaciuto. Con te sì.”
Al arrossì. “Beh, per me… insomma. Prima volta e tutto il resto. Però… è stato. Wow.” Terminò sentendosi un imbecille. Tom sorrise, e togliendo un paio di cuscini di mezzo, gli si sedette accanto. Parve riflettere per lunghe manciate di secondi, prima di chinarsi a baciarlo.

Al non ci pensò due volte prima di rispondere. Anatomicamente sapeva benissimo che le labbra di un ragazzo non differivano in nulla da quelle di una ragazza. Tutto uguale.
Però bacia così bene… E sa di dentifricio.
Tom poi si scostò leggermente. “Tu cosa pensi che siamo, adesso?” Chiese.
Il fatto che non gli avesse imposto un suo parere, lasciò Al interdetto.

Stava chiedendo un parere? Succedeva, ma era molto raro.
“Non lo so.” Decise di essere sincero. “Ma non credo che i migliori amici facciano queste cose.”
E non credo che dovrei aver voglia di infilarti le mani sotto la maglietta.  

“Già.” Confermò. Attese.
Da quando sei così pigro a ragionare, Tom?
Al sospirò, abbozzando un sorriso. “Siamo noi. No? Voglio dire, io ti ho sempre trovato fantastico. Non trovo nessuno fantastico come te. E ti trovo anche piuttosto bello.”
… per favore riprendi a ragionare prima che cominci a sparare cretinate peggiori.

Tom fece un sogghignetto. “Piuttosto bello, eh?”
“Senti, lo sai di esserlo. Quindi falla finita.” Borbottò. “Sei praticamente il sogno erotico di tutta la popolazione femminile dei sotterranei. E suppongo, a conti fatti, anche di qualche ragazzo.”

Tom inarcò le sopracciglia. “Sogno erotico…” Ripeté.  
Questo prima di afferrarlo e schiacciarlo trai cuscini, e baciarlo. Di nuovo. Molto a lungo stavolta. Quando si staccarono erano entrambi senza fiato e Tom non sembrava avere più voglia di prenderlo in giro.
“Non è come leccare un posacenere…” Sussurrò.
“No, per niente...” Gli assicurò, beandosi del peso di Tom su di sé. Gli piaceva, sentire quel contatto. Gli era sempre piaciuto il contatto umano, ma quello con Tom era speciale.  
“Allora… cosa siamo?” Ritorse la domanda. Tom lo guardò.
 
Visto quello che gli stava succedendo non avrebbe neanche dovuto avvicinarsi ad Albus. Neanche da lontano. E si era ripromesso di non farlo. Ma poi, la sera prima…
Era successo, semplicemente. Come se un elastico, teso fino allo spasimo, li avesse fatti ritornare indietro e cozzare l’uno con l’altro.
Non aveva più avuto cuore di allontanarsi. Al gli mancava. Voleva Al.
E il ragazzo biondo non si era più fatto sentire. Il medaglione era un pezzo di metallo freddo.
Allora aveva pensato che forse, dopotutto, magari quel ragazzo aveva deciso che non voleva più collaborare con lui. Aveva pensato che quella storia agghiacciante di Voldemort fosse uno scherzo crudele di quel bastardo.
Dopotutto Voldemort è stato sconfitto otto anni prima che io nascessi. Non uno. Otto.
Forse adesso doveva solo concentrarsi ad essere un ragazzo normale. Più o meno.
E lo pensava ancora, mentre Albus lo guardava con quei suoi assurdi occhi verdi. Era quasi ridicolo come riuscissero sempre a brillare. Anche nella penombra umida di un sotterraneo.
“Al…” Mormorò. “Stiamo assieme.” Disse, con quel sottile tono di comando che gli aveva sempre dato un sacco di problemi nelle relazioni umane.
Non con Al. Che gli aveva sorriso radioso.  
Si baciarono. Non poteva credere che la bocca di un’altra persona sulla sua potesse dargli una sensazione così completa. Gli sfiorò con le dita il bordo della maglietta, e la pelle tiepida dei fianchi. Era morbido anche lì. Lo sentì respirare appena contro la sua guancia, quando si staccò dal bacio. Lo sentì trattenere il respiro mentre gli passava i polpastrelli sulla linea delle costole. Lo sentì ridere quando gli sfiorò lo stomaco.
“Soffro il solletico, lo sai…” Mugugnò. Tom sentì un brivido piacevole all’inguine, e si impose di darsi una calmata. Non era semplicemente il caso. Forse.
“Smetto?” Indagò. Vide Al mordersi un labbro, e poi scuotere la testa.
Non poté impedirsi di sogghignare. Ovviamente gli piaceva. Doveva piacergli, perché sarebbe piaciuto anche a lui.
E c’era una cosa che voleva fare da settimane
Gli sollevò la maglietta, con cautela. Non aveva la più pallida idea di come avrebbe reagito realmente Al. Nelle sue fantasie si limitava ad essere un cucciolo gemente, e sì, sapeva di non rendergli giustizia.
Ma sono fantasie, appunto…
Al era platealmente imbarazzato però se ne stava zitto, e quindi era un silenzio assenso.
Lo è.
Gli fece un sorrisetto prima di chinarsi e soffiargli delicatamente sullo stomaco. Al ridacchiò, divincolandosi leggermente.
“Niente solletico, accidenti a te!” Sussurrò, rilassandosi. Sgranò gli occhioni, Merlino in quel momento aveva occhi grandi come un piattino, quando passò la lingua sulla stessa porzione di pelle.
“Tom…” E quello era un gemito, non c’era alcun dubbio. Lo sentì irrigidirsi, ma non cercò di scappare. Non voleva scappare, Thomas lo capì al volo. Tracciò con le dita il bordo dell’ombelico, come aveva fatto settimane prima, secoli prima, con un Al dormiente.
In molti sensi…
Al sbuffò, non troppo convincente. “Sei un pervertito…”
Tom ghignò con piena cognizione di causa. “Senti chi parla. Non dirmi che non ti piace…”
“Io non ti ho leccato la pancia!” Ritorse.
“Non hai risposto alla mia domanda.” Per un attimo esitò. “Non ti piace?”
Al si morse l’interno della guancia. Non piacergli? Si era letteralmente inghiottito una supplica. A continuare.

Lo afferrò per i lembi di quella stupida maglietta, su cui tra l’altro c’era scritto ‘l’amore ci farà a pezzi’ – era così da Tom– e lo tirò contro di sé.
 
****
 
“È tutto pronto?”
“Sì, arriveranno proprio nel mezzo della partita. Ho già pensato ad incantare gli accessi principali al campo di Quidditch.”
“Eccellente. Il ragazzo?”
“Per il momento lo lascio tranquillo. Bisogna occuparsi di una cosa per volta, non è vero?”
“Smettila di scherzare, e renditi operativo.”
Il ragazzo aveva chiuso la comunicazione. Era terribile dover comunicare tramite cellulare in quel posto. Hogwarts distava almeno due miglia in linea d’aria, e la ricezione riusciva comunque ad essere orrenda.

Schiacciò la sigaretta con il tacco dello stivale, prima di bersi un breve sorso di Ogden, dalla fiaschetta che portava sempre con sé.
Il whiskey magico è qualcosa di favoloso…
I Naga si stavano preparando nella radura accanto, e poteva sentire da lì i loro disgustosi sibili.
È un miracolo che riescano a parlare qualcosa di diverso dal serpentese…
Sbuffò, guardando il cielo. La giornata si prospettava di una chiarezza abbacinante.
Sogghignò.
Oh, sì. Sarebbe stata davvero divertente.
 
 
****
 
Ufficio del professor Lupin. Mattina.
 
L’acuto fischio del bollitore strappò Ted Lupin dalla consultazione di una pasticciata pergamena di trenta centimetri sulla classificazione delle fate del Galles.
Erano da poco le otto del mattino, e Ted non aveva chiuso occhio. Da due giorni.
Sospirò, mentre si alzava e andava a versarsi una generosa dose di the agli agrumi – miscela mattutina – nella sua tazza preferita che mostrava tre manine di diversi colori e sotto con un traballante alfabeto: Albus, Lily e…
Guardò in ponderato silenzio il Jemes che gli strappava sempre un sorriso.
Non quella volta però, considerando che chi aveva commesso un tenero ed infantile errore di grammatica era attualmente un adolescente che…
Che ti ha baciato... Ah, giusto. Non solo. Ti si è anche dichiarato.
Aveva trangugiato un sorso bollente di the, scottandosi.
Era ufficiale: dall’alto dei suoi ventiquattro anni di vita non sapeva come comportarsi.
Si fosse trattato di un suo studente, uno qualunque, avrebbe saputo immediatamente cosa fare. Sorridere e dissuaderlo. Con tono gentile e distaccato. Fine.
Ma era Jamie.
Si buttò sulla sedia della scrivania, trascinandosi dietro un paio di pergamene. Non si premurò di raccoglierle.
Era certo di non aver fatto nulla per alimentare la cotta.
Merlino, non sapevo neanche gli piacessero i ragazzi!
La realtà è che non sapeva granché di James. Non del James attuale. Quei sei anni in Francia erano bastati per fargli perdere ogni pretesa di conoscere i meccanismi che regolavano quella testa arruffata.
È ridicolo. Non posso essere terrorizzato dai sentimenti di un diciassettenne.
Per farla breve, non sapeva cosa fare. Come arginarlo. Perché doveva fare qualcosa.
Un ticchettio lo fece voltare verso la finestra. Vide un gufo becchettare prepotentemente sul vetro. Gli si gelò il sangue nelle vene. Era il gufo reale di James.
Si alzò e, aprendo la finestra, il grosso volatile planò maestosamente nella stanza, appollaiandosi sulla scrivania. Stringeva una lettera nel becco.
La prese, e come in trance la aprì. Ovviamente era da parte di James, la ceralacca era colata tutta storta e c’era un grosso sbaffo di inchiostro a lato.
Vieni alla partita. Voglio che tu venga.
E poi, una domanda. Ma tu, cosa provi per me?
J.
Teddy deglutì, sentendosi la gola riarsa come una duna del Sahara.
La domanda era come uno sparo nel silenzio più completo. In quei due giorni non aveva fatto altro che analizzare la cosa dal lato di James. Ovvero: come comportarsi di fronte ad un adolescente che ti giura amore.
E ora, quella domanda. Che non si era affatto posto in quelle quarantotto ore.
Era ovvio, cosa provasse. Affetto. Gli voleva un gran bene. Era parte di una famiglia che l’aveva sempre accolto con amore. Anche se non era questo il punto.
Si trattava di identificare un sentimento, e dargli un nome.
Il punto è… che… facendomi un esame di coscienza…
Non ci riusciva.
Era sbagliato, profondamente sbagliato. Ma il naufragio del rapporto con Victoire, le lettere di suo padre e poi… il fatto che i sentimenti di James per lui erano comunque importanti…
Rendevano difficile dare una risposta precisa alla domanda ‘cosa provi per me?’
James non era un fratello, non era un amico e non era una ragazza. Ma allora, cos’era?
Era un maschio, un ragazzino, era figlio di Harry e per giunta pure un suo studente.
E poi?
Due rintocchi secchi contro la porta lo fecero completamente sobbalzare. Rovesciò the, il resto delle pergamene e fece volare via il gufo. Quando Harry e, subito dietro di lui, Ron entrarono lo trovarono in mezzo a chili di carta, con the sparso ovunque sulle scrivania.
… Che figuraccia. Merlino benedetto, almeno sono Harry e Ron. Se fosse stato un mio studente… o un genitore.
“Disturbiamo?” Chiese premuroso il padrino: indossava il mantello regolamentare da auror, e quindi probabilmente era lì in veste ufficiale.
Naturale. Partita di Quidditch. Sorveglianza. Pattuglie auror. Giusto.
Morgana, non ci sto con la testa…
“No… Io…”
“Hai i capelli rosa, Teddy.” Ridacchiò Ron. “Che c’è, ti abbiamo interrotto mentre leggevi una lettera di Vic?”
“Come… cosa?” Sussurrò sfiancato. Harry indicò pietosamente la sua mano. Si rese conto di avere ancora la lettera di James in pugno. Se la ficcò in tasca. “Oh, no… è… da parte… del preside.” Borbottò.

Harry gli lanciò un’occhiata inquisitoria, mentre Ron sghignazzava ignaro.
Oh, Morgana… fa che non sia davvero un legimante come speculano su alcune biografie non autorizzate. Ti prego.
“Eravamo venuti per ragguagliarti sulla partita di oggi.”
“La… partita?”  

“Oggi c’è la prima partita della stagione.” Lo informò pazientemente Ron. “Grifondoro contro Serpeverde. Abbiamo dislocato due pattuglie auror attorno al campo di gioco, più noi due, che saremo sugli spalti. Sai, considerando che i naga sono ancora a piede libero…”
“… In quanto professore di Difesa dovrai essere presente. Sei diplomato all’Accademia, una mano in più è sempre d’aiuto.” Gli spiegò Harry.  

“Sì, va bene.” Confermò, cercando un po’ di dignità. “Pensavo già di andarci, comunque.”
“Ottimo. Allora ci vediamo… dopo? Non scendi a colazione?”
“L’ho già fatta.” Disse, lanciando uno sguardo sulla scrivania gocciolante. “La rifaccio.” Rettificò, mentre Ron reprimeva una risatina con un grugnito.

“Ci vediamo alla partita, Teddy. Oggi è una splendida giornata di sole…” Harry gli diede una paterna pacca sulla spalla, che lo fece sentire un autentico schifo, e se ne andò con Ron, che si chiuse la porta alle spalle, erompendo finalmente in una risata.
Tirò fuori la lettera, posandola sulla porzione di scrivania ancora asciutta, mentre si dava un’occhiata allo specchio appeso accanto agli schedari.
Aveva i capelli rosa. Completamente rosa.
A quel punto si sentì legittimato ad emettere un lamento sconfortato.
 
****
 
Campo di Quidditch.
 
La carica di prefetto non era tutta rose e fiori. Anzi, spesso era una gigantesca scocciatura.
Rose lo pensava con fervore, davanti al cancello del campo da Quidditch, in uniforme e con spilla bene in vista, momentanea hostess per gli ospiti che avrebbero assistito alla partita.

Con lei c’erano altri tre prefetti, uno per Casa. Non li conosceva, quindi si stava annoiando ad aspettare che qualche genitore facoltoso le chiedesse il posto assegnatogli.
Era dalla mattina, cioè da quando il professor Paciock l’aveva istruita sui suoi compiti, che pregava di non dover accompagnare nessuno di scomodo.
Che di persone scomode, per Rose Weasley, ce n’erano eccome.
Sospirò, lanciando un’occhiata verso gli spalti, dove cominciavano ad accomodarsi studenti di tutte le case, con sciarpe colorate e striscioni.
Non capirò mai il Quidditch…
Era preoccupata. Non aveva sensazioni piacevoli per quella giornata.
Era preoccupata per Hugo, in ansia da prestazione, per James, che da due giorni si aggirava per la torre di Grifondoro con sguardo spiritato, per Al, che non vedeva addirittura dalla mattina prima… e poi era preoccupata per il suo ragazzo.
Si sentì dare una pacchetta sulla spalla e si trovò davanti Lily. Aveva le guance rosse per il freddo e la sciarpa rosso-oro drappeggiata per farla sembrare l’innocenza in persona. Sembrare, appunto.
“Ciao cuginetta! Ti hanno messo ai lavori forzati, vedo…” Cinguettò, affiancandolesi. “Potrai vedere la partita?”
“Sì, anche se non è che la cosa mi entusiasmi. Ma tu perché sei qui? Il Quidditch non ti piace.”
“Ma i giocatori sì.” Scrollò le spalle. “Malfoy in uniforme è intollerabilmente sexy. E devo ammettere che anche Zabini ha un suo perché.”

Rose cercò di dissimulare il vago travaso di bile che l’aveva colta, con un sorriso.
Già, devo ricordarmelo. L’idiota ha un fan-club.
“Proprio non capisco cosa ci troviate in Malfoy. È così… slavato.” Commentò. Lily le sorrise indulgente, facendole capire che no, non c’era cascata.
“Sai, quando è a cavallo di una scopa prende un’aria così eroica…”
“Lily, perché sei qui?”
“Per i giocatori, te l’ho detto!” Sogghignò, e per un momento parve un’imitazione perfetta del gatto del Chesire. “Tu resti per vedere giocare Scorpius? Cosa c’è tra di voi?” Chiese con una brutalità da convenzione dei diritto umani.

Rose boccheggiò. “Assolutamente niente! Malfoy è un cretino, un totale montato!”
“Rosie…”
“Sto dicendo sul serio!” Blaterò agitata. “Neanche se fosse l’ultimo uomo del pianeta lo prenderei in considerazione come essere senziente!”
“Rose…” Ripeté Lily, con un’espressione tra lo sconforto e l’ilarità. Stava guardando oltre le sue spalle.
Oddio…

Rose si voltò a rallentatore, con un orribile presentimento nel cuore.
Che si avverò quando si vide davanti, decisamente sdegnato, Draco Malfoy.  
Ho insultato suo figlio davanti a lui!
Aveva avuto occasione di vedere Draco Malfoy poche volte in vita sua. Forse era per i capelli platino che gli davano un’espressione crudele, o era il fatto che avesse sempre quella smorfia di mirabolante disgusto stampata in faccia, ma l’aveva sempre messa un tantino a disagio. Soprattutto in quel momento.
“Err…” Emise, mentre alle sua spalle Lily, ne era certa, stava trattenendo le risate.  
“È confortante sapere che gli Weasley hanno tramandato di padre in figlia la loro naturale predisposizione a fare figuracce…” Commentò leggero.  
Rose arrossì miseramente. “Signor Malfoy… sono mortificata. Non intendevo…”
“Strano, avrei detto il contrario.” La squadrò da capo a piedi, e Rose sentì che la stava soppesando. E che la trovava insufficiente.

“La accompagno al suo posto …” Bofonchiò, lanciando uno sguardo a Lily che le sorrise con aria vagamente materna.
Fantastico. Faccio pena alla mia cuginetta quattordicenne e il padre del mio ragazzo mi considera più o meno uno schiopodo. Può andare peggio di così?
“Rosie! Ehi, eccoti qui!”
Dal crinale stavano scendendo nientemeno che suo zio Harry e… suo padre.
… Come non detto.
Accanto a sé Malfoy Senior prese un’aria ancora più irritata, come se gli fosse stato scaricato a fianco un sacco di letame e non sapesse come liberarsene.
Appena suo padre registrò la presenza dell’uomo assunse la stessa espressione.
Meraviglioso…
Lanciò uno sguardo disperato allo zio. Non si stupì di vederlo visibilmente imbarazzato.
“Malfoy…” Sputò Ron. “Non posso dire che sia un piacere rivederti.”
L’uomo storse la faccia, che a dire il vero aveva molti più spigoli di quella di Scorpius, in un sogghignetto di sufficienza. “Io invece sono sorpreso.” Fece una pausa significativa, in cui le orecchie di suo padre divennero pericolosamente rosse. “È addirittura venuto il grande capo in persona…”
“Finiscila Malfoy!” Sbottò Ron. “Siamo qui anche per assicurare l’incolumità di tuo figlio!”
“Ne sono sollevato. Mi chiedevo quanto ci avreste messo.”
“Draco…” Harry lo chiamò per nome, e questo ebbe l’effetto di smontare un po’ l’uomo. Almeno fu questa l’impressione che ebbe Rose. “So che sei preoccupato per Scorpius, ma ti posso assicurare che stiamo facendo tutto il possibile per proteggere gli studenti.”

“Lo spero.” Replicò aspro. “Degli uomini-serpente si aggirano per i terreni di Hogwarts da un mese, e voi ancora non siete venuti a capo di nulla. Non sono l’unico genitore preoccupato, Potter. Chiediti il perché di quest’affluenza alla partita…”
Harry si tolse gli occhiali, massaggiandosi la sella del naso. Con un’occhiata tacitò Ron, pronto a replicare. “Anche io sono qui in veste di genitore preoccupato, Draco. Ho tre figli che studiano qui e…”
“Risparmiami l’empatia, Potter. Tu sei il capo dell’ufficio auror, e mi aspetto, come si aspettano tutti i genitori, che tu prenda quei lucertoloni. Fine della storia.”

Harry non si scompose. Sembrava che gli attacchi di Malfoy non avessero il potere di scalfirlo. Per un momento, Rose si trovò ad invidiare Lily.
Se non altro non deve preoccuparsi che suo padre affatturi il padre del suo ragazzo…
Si sentì incredibilmente meschina non appena lo ebbe pensato. Adorava suo padre.
Ma adoro anche Scorpius…
“È quello che ho intenzione di fare, Draco.” Disse poi suo zio. E Rose capì perché la gente si fidava di lui; aveva qualcosa, nello sguardo, che ti faceva credere che tutto quello che diceva aveva un peso, un senso. 
Draco fece una smorfia. “Lo spero, Potter. Lo spero per la tua carriera.”
Stavolta Harry neanche ci provò a frenare Ron. “Malfoy, se questa è una minaccia…”
“Signor Malfoy, la accompagno al suo posto!” Si inserì Lily, con un sorriso disarmante. “La partita sta per cominciare, signore!”
Draco le lanciò un’occhiata e parve etichettarla come ‘progenia Potter’. La onorò quindi di una smorfia, ma annuì. Si accomiatò con un leggero cenno della testa, più per abitudine che per reale intenzione di salutare. Soprattutto suo padre, probabilmente.

Ron, quando si fu allontanato, sbuffò. “Quel pallone gonfiato… non perde occasione per sputarci addosso. Lo faceva a scuola, e lo fa adesso…”
“Cerca di portare pazienza …” Sorrise Harry, ma sembrava piuttosto irritato. “È un genitore ed è preoccupato per suo figlio. Certo, poi c’è il fatto che è un Malfoy, quindi è geneticamente insopportabile e pieno di sé…”
Ron stirò un sorrisetto. “Già.” Rivolse poi un sorriso affettuoso alla figlia. “Non è che t’ha detto qualcosa, eh Rosie?”
“Oh, no. Per niente.” Replicò prontamente. “È stato cortese invece.”

Nel trattarmi come un idiota…
Ma non era il caso di gettare altra benzina sul fuoco.
“Malfoy… non esiste nessuno che mi stia sull’anima come lui.” Borbottò l’uomo, riprendendo poi a sorridere. “Guardati… la mia piccola Rosie. Assomigli tutta a tua madre, tu…”
“Eh…” Sorrise appena. “Vi accompagno ai vostri posti?” Suggerì.

Sui libri non dicono mai che non è affatto divertente essere Giulietta…
 
****
 
Ted si affrettò quando vide che la folla di studenti e genitori stava acclamando concitata per la prossima uscita delle due squadre. Si arrampicò sugli spalti, scusandosi per aver pestato una moltitudine di piedi e finalmente si accomodò accanto a Neville, che esibiva una logora sciarpa rosso-oro, con tanto di coccarda. Non vide la professoressa Prynn, e se ne stupì brevemente.
Avrei detto che una come lei sarebbe stata entusiasta di seguire un evento del genere…
“Oh, Teddy! Sei arrivato appena in tempo, stanno per iniziare!”
Ted sorrise nervosamente, scrutando verso la tribuna d’onore, in una delle torri più altre, dove riconobbe sia il padrino che Ron.
Non era riuscito a declinare. Un po’ perché sarebbe sembrato sospetto: praticamente giocava metà del clan Potter-Weasley. Un po’ perché…
Non sarebbe riuscito a non presenziare alla prima partita di James.

Una parte di sé sapeva che boicottare la cosa sarebbe stato un messaggio giusto da dare a James. Non doveva sembrare che lo assecondasse.
Ma c’è di più in ballo… Non posso non vederlo giocare. Semplicemente non posso.
“Tutto bene Teddy?” Chiese premuroso Neville. Il buon professor Paciock. Aveva sempre avuto un buon rapporto con lui. Era una persona gentile, affidabile. Molte volte durante i suoi anni ad Hogwarts aveva fatto le veci del padrino, consigliandolo e spronandolo a non scoraggiarsi per le piccole difficoltà scolastiche in cui si imbatteva ogni adolescente.
Per un momento fu tentato di dirgli la verità. Che no, non andava affatto bene.
Di fronte al viso quieto e intelligente del suo vecchio professore però rinunciò.
Che dovrei dirgli? Non so come gestire James? Devo saperlo fare. Devo, ma non ci riesco. Non posso semplicemente prendere le distanze. Gli farei male, e non voglio.
“Ted?” Lo richiamò. “Sai che se c’è qualcosa che non va, se hai qualche dubbio, puoi parlarmene…”
Sorrise. “Sì, Neville… lo so. Grazie, ma va tutto bene.”

Neville lo guardò assorto. Chiaro come il sole che non gli credesse. Fortunatamente un il boato della folla li distrasse. Le due squadre entrarono sfrecciando nell’arena, in sella alle loro scope. Un lampo rosso, subito seguito da uno verde gli balenò di fronte allo sguardo. Si alzò, applaudendo insieme agli altri.
I giocatori si posizionarono, mentre la Bumb saliva in sella alla sua scopa.
Sorrise quando vide il piccolo Hugo. Era terrorizzato, ma tentò una risata quando James si chinò per dirgli qualcosa all’orecchio.
James…
Era la prima volta che lo vedeva in divisa da Quidditch, ed era chiaro fosse orgoglioso di indossarla. Non aveva mai visto nessuno indossare la casacca dei Grifondoro in modo così…
Tronfio, in effetti.
Sorrise affettuosamente. E lo fece proprio nel momento in cui il ragazzo si voltò nella sua direzione: certo, poteva essersi semplicemente voltato verso gli spalti, ma Ted ebbe l’impressione che stesse guardando lui. Specie quando gli soffiò un bacio.
Distolse velocemente lo sguardo.
“Abbiamo la vittoria in pugno anche quest’anno.” Commentò intanto Neville, ignaro. “Malfoy è un ottimo capitano. Certo anche Serpeverde è molto forte… Albus è un cercatore straordinario. In effetti, spero che Hugo si tranquillizzi un po’…”
“Ah… sì.” Cercò di replicare in modo convincente. “James in che ruolo gioca?”
“Cacciatore. Pensavo lo sapessi!”
Il fischio della Bumb fu quasi salvifico. La partita iniziò e fu subito ressa. Era rinomato che i Serpeverde non giocassero esattamente pulito. I due battitori, dal fenotipo elefantiaco, impugnarono subito le mazze e quasi disarcionarono James. Ebbero però vita breve. I due gemelli Scamandro presero prontamente controllo dei bolidi, spedendo uno dei due a terra.

Si sentì un boato di gioia e Ted fu certo di vedere Harry esultare con le braccia alzate.
Rise, imponendosi di godersi la partita.
 
Albus dall’alto lanciò un’occhiata verso il gioco, che infuriava parecchi metri più sotto.
E Sean Coote passa la pluffa a Mortisia Robbins ed DIECI PUNTI per Grifondoro, gente!” Commentava esaltato lo speaker, Robert Jordan. Era un amico di suo fratello e rosso-oro nell’anima. Del tutto ovvio per chi parteggiasse.
E purtroppo aveva ragione: Grifondoro stava vincendo per settanta a trenta.
Per quanto detestasse profondamente la boria con cui James e compari sellavano le scope, doveva ammettere che la squadra capitanata da Malfoy era una cannonata.
Strinse le labbra quando vide il fratello afferrare la pluffa al volo, per tirarla contro i loro anelli, centrando il più grande.
Lanciò uno sguardo verso Hugo, che sorvolava il perimetro di gioco febbrilmente.
Ancora venti punti e comincerò a cercare il boccino…
Non poté impedirsi un sogghignetto quando vide Zabini afferrare la mazza di uno dei battitori per spedire un bolide contro James, costringendolo ad una virata brusca che quasi lo disarcionò.
E ora Daniels cerca di segnare, schiva un bolide lanciato dai valorosi Scamandro e… Capitan Malfoy para! Ci avete provato, ragazzi!
Al sospirò deluso.
Improvvisamente Hugo accelerò verso il lato opposto dello stadio. Vicino agli anelli della sua squadra intravide un balenio d’oro.
Maledizione!
Spinse al massimo la sua Firebolt e quando affiancò il cugino si premurò di chiedergli silenziosamente scusa prima di tirargli una violenta spallata. Hugo perse quasi l’equilibrio, e con esso anche il boccino.
“Ehi!” Sbraitò furioso.
“Nessun rancore, Hugo. È una questione di Quidditch!” Sorrise prima virare per controllare la situazione. Il boccino era sparito.
Perfetto.
Lanciò uno sguardo di intesa con Michel: sapeva di dovergli delle scuse, anche se non era esattamente certo del motivo per cui doveva farlo.
Di certo gliele deve Tom…
A quel punto non poté fare a meno di lanciare uno sguardo verso gli spalti di serpeverde. E non poté impedirsi di perdere attenzione per il gioco quando vide il cappotto dal taglio classico di Tom e la sua espressione annoiata. Non aveva neanche la sciarpa.
Ridacchiò tra sé e sé prima di vedere, di nuovo, Hugo dirigersi come un pazzo verso l’alto.
L’ha visto di nuovo!
Forse non doveva sottovalutare il cugino.
Considerando ciò che lo speaker aveva appena annunciato, cioè che Grifondoro era in vantaggio, era il caso di mettere fine alla partita prima che il divario fosse incolmabile anche con la presa del boccino.
Hugo quando sale di quota tende a spaventarsi e cercare di rallentare…
Infatti lo raggiunse, e vide come lui un barbaglio d’oro a poche decine di metri da loro.
Ma vide anche un’altra cosa.
Una puntino verde, nell’insolito cielo terso. Un puntino verde che si stava avvicinando, diventando una sfera, sempre più grande e sempre più in collisione con…
… Loro.
“Hugo spostati!” Urlò.
“Va’ al diavolo! Non ci casco nei vostri trucchetti!” Sbraitò il ragazzino, mentre teneva gli occhi fissi sul boccino, testardo ed esaltato.
“Hugo, guarda davanti a te! Spostati!
Hugo chiuse la mano attorno al boccino. “L’ho preso! L’ho preso!” Gridò trionfante.
HUGO!” Finalmente il cugino alzò lo sguardo.

“Oh, miseriaccia…” Mormorò.
La collisione sarebbe avvenuta in pochi secondi. Al si impose di spegnere il cervello. Tirò un calcio alla scopa del cugino, spedendolo a lato ma piazzandosi così sulla traiettoria del globo infuocato. Con la forza della disperazione virò bruscamente di lato.
Sentì la scopa vibrare con violenza e improvvisamente tutto il mondo fu a testa in giù.
 
“Oh, Dio…” Sussurrò Neville, alzando lo sguardo al cielo. “… Cos’è quello?”
Un globo di fuoco verde si stava dirigendo a tutta velocità verso il campo da Quidditch.
Per un folle momento, non fu l’unico a pensare che si trattava di un meteorite.
Ted mise mano alla bacchetta, istintivamente.
 
E poi esplose.
 
“Merda…” Sussurrò quando vide qualcosa di enorme e verde nella sua visuale. Una dannatissima palla di fuoco.
Sentì tutti i sensi tesi al massimo, e l’adrenalina invaderlo quando il fragore dell’esplosione fagocitò tutti i rumori attorno a sé.
Quando l’enorme nuvola di polvere lo investì pensò solo a ripararsi.
 
Advolo Celeriter…”
Lily si voltò verso Rose, confusa.
“Ti pare il momento di ripassare incantesimi?!”
Rose non rispose. Sfoderò la bacchetta.

“Siamo in grossi guai, Lily… Grossi, giganteschi, spaventosi, guai.”
 
Tom si era alzato in piedi di scatto quando aveva visto Al piazzarsi sulla traiettoria dell’enorme globo infuocato. Era riuscito a schivarlo, ma la scopa aveva perso assetto, facendolo precipitare a rotta di collo. Aveva estratto la bacchetta, in un inutile riflesso condizionato.
Da quella distanza non avrebbe certo potuto fare niente.
Poi quella cosa era precipitata, sollevando una nuvola di polvere che aveva oscurato l’intero campo.
Socchiuse gli occhi cercando di vedere, frenandosi dallo scendere. Se l’avesse fatto si sarebbe trovato in mezzo ad una partita di mosca cieca.
Il medaglione scottò di colpo. Violentemente, lasciandolo quasi senza fiato per il dolore.
E allora capì. Capì prima di vedere.
 
Harry sfoderò la bacchetta, e con lui Ron. Pochi spalti più sotto, vide Malfoy fare lo stesso, e con lui parecchi genitori. Non si stupì di riconoscere tra di loro vecchi compagni di scuola.
C’era una cosa che i sopravvissuti di una guerra sapevano riconoscere all’istante, senza dubbi di sorta, con assoluto e agghiacciante chiarore.
Il pericolo.
“Harry…” Sussurrò Ron, indicando davanti a sé.
Una coda serpentina frustava dalla foschia causata dalla collisione.
 
****
 
Note:
So che mi odiate. Ma ricordatevi che vi lovvo.

1- Sì, Thomas è un fan dei Joy Division. Non è difficile immaginare questa tipologia di personaggio appassionato alla new-wave inglese, come i The Cure o Ian Curtis. La maglietta è questa ed io la amo.

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Capitolo 29
*** Capitolo XXIV ***


Ciao a tutti! Questa volta un po’ meno recensioni, sigh, spero che questo capitolo vi sia più gradito! Ringrazio chi mi ha recensito ^^
@MyriamMalfoy: Vero, sono dolci e carucci, dietro le seppie mentali. Teddy è un tonto quindi aspettati che si comporti come tale ancora per un pochetto (poco però, dai) Tom invece non riacquisterà il cervello tanto facilmente. Lo sai qual è il problema coi Tom. Sono troppo ossessionati dalla conoscenza. U_U Grazie per la recensione, alla prossima!
@MissyMary: Ebbene sì, i nostri serpentelli hanno perso, ma c’è da dire per una sfortunata concausa di eventi. Altrimenti Al, ci tiene a farlo sapere, li avrebbe stracciati, quei tronfi e arroganti bastardi. Unisciti nel lutto a Michel, quindi, prego, da quella parte per la sua cam… ehi! Michel, non ci si consola così! Apparte gli scherzi. :P E sì, Tom è un piccolo pervertito. Lo maschera bene, ma Al l’ha già scoperto. XD Jamie ci tiene a darti ragione, in sei anni si è molto evoluto sotto le lenzuola. Scusa, ho dei personaggi maniaci. XD Grazie per la recensione, alla prox!
@Trixina: Sì, ammetto di essere una stronza, ma prometto di farmi perdonare. Credo. Poi. Ehm. *suda freddo* Lily ebbene sì, è l’unica DAVVERO sveglia in questa storia. Del resto, ci deve pur essere qualcuno di non tragicomicamente tonto qui, no? Apparte Scorpius, si capisce. Teddy è un diciassettenne innamorato. Anche perché di esperienze amorose ha avuto… aehm, Victoire. Credo. La Row non è chiara ma a me piace pensarla così. ;P Spero che questo capitolo non mi causi morte precoce. Alla prossima!
@Altovoltaggio: latente erotismo? Wow! Allora ci sono riuscita a scrivere qualcosa di vagamente erotico. Pensavo di essere completamente negata! XD Grazie per i complimenti, non so se sia il capitolo meglio scritto, ma credo sia stato uno di quelli che più mi ha divertito scrivere. Grazie per i complimenti! XD
@Ron1111: Grazie per i complimenti! Essì, sono proprio dei cuccioli, almeno, per quanto riguarda la loro sessualità. Thomas fa tanto il vissuto ma in realtà ha al suo attivo solo un bacio, e per giunta schifoso. XD Al… beh, non ne parliamo. XD Anche l’incontro tra gli ex-alunni… beh, diciamo che Draco è preoccupato per suo figlio (se non altro di buono questo hanno i Malfoy: sono padri amorevoli e parziali) e poi si parta pur sempre di San Potter. Anzi, è stato fin troppo civile con lui! Harry mi piace, non fraintendermi, ma temo che Draco non lo chiamerà mai ‘amico mio’. Gli ha salvato la vita, e in questo capitolo si capirà che la cosa ha ancora un valore per lui. Ah. Quando aggiorni? *Dira in fissa per la tua fic*
@MadWorld: Ciao, benvenuta! Grazie mille per essere passata, allora ci conto su una tua recensione, eh? XD Grazie per i complimenti! Ah, io ADORO i papiri, quindi vai tranquilla! ;)
@Hel_Selbstmord: Ciao Hel! Non preoccuparti, la scuola/uni prende tempo a tutti! Dovrebbe prendere anche a me… però, ehm. *Sguardo vago* Ah, la versione di quei truci ragassuoli l’ho sentita, è molto… lugubre. XD Però mi piaciucchia! Anche se i miei Joy Division non me li batte nessuno. :P Sì, Tom è appassionato di new-wave britannica, e ancor peggio del ramo gothic-rock. Non difficile da capire visto l’indole depresso/romantico/arrovellata che ha. Niente capelli cotonati, tranquilla! Lui è più un tipo da apprezzare il look di Ian Curtis. XD Se sono riuscita a farti piacere lo slash, wow, me ne prendo tutto il merito! XD La scena con Teddy-e-adulti è stata piuttosto divertente pure scriverla. James è il mio mito personale, e no, la Row ha dato una data di nascita solo a Teddy. ma sì, mi piace immaginare anche a me Jamie caprone. Mi hai dato una buona idea. l’oroscopo gli si adatta alla perfezione! Se il finale dello scorso capitolo ti ha dato istinti omicidi, beh, vediamo questo. :P OT: Essì, studio per la diplomazia, e spero di essere vagamente diplomatica pure io, un giorno. Non preoccuparti per msn. Io sono sul prodotto del vecchio Bill Gates ma sclera pure a me. Microsoft del piffero. Un giorno la abbandono, se non amassi profondamente Microsoft Word e Windows live. Alla prossima!
 
****
 
Capitolo XXIV
 





Ora, questa è la legge della giungla – vecchia e vera come il cielo.

(J.R. Kipling)
 
 
Campo di Quidditch.
 
James tossì convulsamente quando l’enorme nuvola di polvere lo investì in pieno, mentre cercava di capire cosa cazzo stesse succedendo.
Un momento prima aveva la pluffa in mano, pronto a prendere a calci in culo quell’idiota del portiere di Serpeverde. Poi un boato assordante. E il momento dopo erano spariti anelli e portiere e c’era solo quella polvere merdosa.
Non vide arrivare il bolide e non ci fu nessun Scamandro ad evitare che lo prendesse in pieno. Sentì un dolore lancinante alla spalla e fu sbalzato via dalla scopa.
Il caso, o la fortuna, volle che si trovasse a pochi metri da terra quando aveva recuperato la pluffa.
Cercò di tirarsi in piedi, ma una scarica di dolore puro alla gamba destra lo costrinse a restare a terra. Non aveva un bell’aspetto. Ci era caduto sopra e non riusciva a muoverla.
Sentiva delle urla, ma non erano di incitamento. Affatto. Erano di paura. Sentì il sibilo del manico di una Nimbus 3000 sfrecciargli sopra la testa. Era la scopa della Robbins. Cercò di chiamarla, ma non lo sentì.
Poi sentì qualcos’altro, un altro sibilo, ma di tutt’altra natura. Si sentì afferrare per il retro del mantello e tirare su come una bambola di pezza. Cercò di divincolarsi, ma quando si trovò a faccia a faccia con due paia di zanne e un volto serpentino, gli morirono le parole in gola.
 
****
 
Ted Remus Lupin conosceva la dinamica di una folla nel panico. Era terribile, pericolosa e soprattutto imprevedibile.
Dopo che il meteorite, anche se tale non era, era precipitato, si era alzato un denso nuvolone di polvere che aveva oscurato l’intero perimetro del campo da Quidditch.
Era accaduto tutto nel giro di una manciata di secondi, e la maggior parte delle persone non aveva visto l’enorme palla di fuoco verde precipitare, troppo occupata a seguire la partita. C’era stato un lieve deelay nella percezione della cosa, in effetti.
Poi, il panico era esploso.
Tutti avevano cominciato ad urlare, spintonandosi per uscire. I giocatori erano scomparsi dalla visuale e intere famiglie si chiamavano l’un l’altra.
Ted si sentì afferrare il braccio da qualcuno. In quella foschia terrosa non vedeva al di là del suo naso.
“Teddy!” Neville quasi si resse a lui, causa spintone da una grossa signora ululante. Ted lo afferrò per entrambe le braccia.
“Usciamo di qui! Cerchiamo di uscire senza farci calpestare!”  
Ted annuì,. Cercò di trovare tra quei volti spaventati il viso rassicurante del padrino o di Ron, ma erano probabilmente rimasti indietro, avendo un posto su una delle torrette di legno. Molti adulti avevano estratto la bacchetta, e chiamavano i propri figli.
Dove diavolo sono gli auror?
Non vedeva nessuna mantello scarlatto, e questo lo preoccupava.
Non c’erano due squadre fuori dallo stadio?
Probabilmente erano rimaste bloccate fuori dalla massa di gente che si riversava verso le uscite, pensò. Tra studenti e genitori dovevano essere almeno cinquecento individui atterriti.
“Dove diamine sono gli auror?!” Gli fece eco Neville.
“Non lo so!” Prese una decisione. “Vado verso la torretta di Grifondoro! Vado a cercare Harry!”
“Teddy, no! Dobbiamo uscire di qui!” Tentò Neville, bloccato dal fiume di gente.

“Vado a cercare Harry!” Ripeté, schivando un paio di persone e risalendo letteralmente la corrente. Non vedeva nulla. Neanche un lumos sarebbe servito a qualcosa là in mezzo. In poco tempo perse di vista anche Neville.
Allontanandosi dall’uscita la folla si diradava. Quasi inciampò su un cappotto abbandonato, ma riuscì ad arrivare alla base della torretta sostanzialmente incolume.
Provò a chiamare il nome del padrino un paio di volte, ma senza ottenere risposta.
Forse è già sceso… Meglio tornare indietro.
Si era istaurato uno strano silenzio nello stadio, di solito sempre pieno di grida e incitamenti.
Poi, lo sentì. Un urlo.
E riconobbe anche la voce, dato che gli si gelò il sangue nelle vene.
Era James.
 
****
 
Al, quando riprese i sensi, capì di essere caduto. E di essere ancora vivo.
E forse aveva preso una botta tale da diventare semi-cieco. Il campo, gli spalti, il cielo erano immersi in una nebbiolina giallastra. Si sentiva la testa scoppiare. Si alzò in piedi cercando di capire cosa stesse succedendo. Si guardò la manica dell’uniforme, passandoci un dito.
È polvere… no, terra. Questa è terra. Certo. Quella cosa è precipitata ed ha sollevato un polverone… come la teoria dell’estinzione dei dinosauri. Un gigantesco meteorite… il cielo oscurato per giorni…
Lo pensò piuttosto incoerentemente. Era stordito per la botta e si sentiva la testa girare.
Fece qualche passo incerto. Sentiva delle urla, gente che si chiamava l’un l’altro, ma era tutto ovattato e piuttosto distante. Capì di trovarsi lontano dalle uscite quando sbatté contro gli anelli della sua squadra.
Mi sa che abbiamo perso…
Si trovava nel bel mezzo del campo, forse a pochi metri dal cratere generato dalla caduta di quella cosa, visto lo stato pietoso dell’erba sotto i suoi piedi.
Non era una bella situazione.
Poi si sentì afferrare per un braccio. Fece per gridare, ma qualcuno gli tappò la bocca.
“Al, sono io!”
Era Tom. Sgranò gli occhi, mentre la tensione che fino a quel momento l’aveva tenuto in piedi scivolò via di colpo. Praticamente gli franò addosso.

Tom lo afferrò prontamente, quasi se lo fosse aspettato.  
“Stai bene?” Gli chiese. Poi fece una smorfia. “Domanda idiota…”
“Dipende. Ho preso una botta così grossa?” Scherzò, ma scoprì di riuscire a parlare giusto con un filo di voce. Tom fece un sorriso tirato.
“Sei precipitato da almeno venti metri...” Sussurrò. Aveva la bacchetta stretta in pugno, la sentiva contro la sua schiena. “Sei stato un idiota. Metterti sulla traiettoria di quella…”
“Hugo non si sarebbe spostato in tempo…” Spiegò semplicemente. Ed era vero. Lo sapevano entrambi. “Ho cercato di tenermi in sella più che ho potuto… ma credo che lo scarto finale non l’avrebbe retto neanche un cowboy texano.”
Tom stirò un sorrisetto, poi si fece serio. “Dobbiamo uscire di qui. Ce la fai a camminare?”
“Penso di sì. Piuttosto, come hai fatto a trovarmi?” Chiese. In quella foschia era praticamente impossibile vedere al di là di un paio di metri. Figuriamoci identificare un giocatore a terra.

Tom scrollò le spalle. “Te l’ho detto. Ti ho visto cadere.”
Capì che non gli avrebbe tirato fuori nient’altro. Sospirò, e lo seguì.

 
Tom era furioso. Ma non con Albus, naturalmente.
A che diavolo di gioco stai giocando, bastardo?
Era il biondino che aveva mandato i Naga. Li aveva mandati lì… per lui?
Lo escludeva. Poteva chiamarlo col medaglione, perché mandare i suoi scagnozzi a prelevarlo? Sapevano entrambi che sarebbe venuto.
Serrò le labbra, guardando Albus: si sentì in colpa ad averlo pensato. Ma sapeva che era vero.
Improvvisamente Al spalancò la bocca, soffocando una frase. Conosceva quella mimica: faceva sempre così quando giungeva ad una soluzione o gli tornava in mente qualcosa.
La versione Albus di Eureka
Ad…” Iniziò, per poi zittirsi.
Advolo celeriter. È quell’incantesimo di cui ci ha parlato Malfoy!
… Oh, merda.
“Cosa?”
“Niente…” Mugugnò Al. E si fece più pallido. “Dobbiamo uscire di qui.”
Lo sa. Sa che ci sono i Naga. Ma come diavolo l’ha capito?

“Ci sono i Naga.” Soffiò infatti.
Tom non disse nulla. Non subito almeno. “Sì.” Si risolse a dire, alla fine. “Ma tu come lo sai?”
“Vuoi chiedermelo adesso?” Ritorse. “Proprio adesso?”

E tu come lo sai Tom?
Tom rifletté. Scosse la testa. “No. Andiamo.”
Poi lo sentirono. Un urlo, poco distante da loro, forse una ventina di metri.
“È Jamie!” Esclamò Albus. “Tom, è Ja…”
“Sì, l’ho sentito.” Sbottò irritato.

Ci mancava solo l’idiota che si fa beccare. Naturale, con l’indole che ha sarà una luminaria di Natale per loro…
“Dobbiamo…” Iniziò Al.
Devo.” Lo fermò. “Tu probabilmente hai una commozione cerebrale e sei senza bacchetta. Cosa credi di fare?”
“Cosa credi di fare tu?” Ribatté altrettanto duramente, lasciandolo senza parole. “Uno di quei cosi ti ha quasi ammazzato, e la bacchetta ce l’avevi, no?”
Non trovò valide obiezioni.

“Lo sa anche un bambino che in queste situazioni non bisogna dividersi!” Continuò Al. “Ed io non sono in grado di difendermi. Attraverseremo il campo assieme.” Concluse, soddisfatto della sua piccola vittoria personale.
Tom sospirò, vinto. Per una volta, a dirla tutta, fu contento che la logica non fosse dalla sua parte.   
 
****
 
Fuori dal campo di Quidditch.
 
Harry non aveva potuto fare quasi niente. Era stato impossibile non farsi trascinare dalla folla, appena scesi dalla torretta. I genitori erano corsi a cercare i propri figli, ad assicurarsi stessero bene, ed ognuno aveva pensato sostanzialmente a sé. Aveva cercato di individuare il proprietario della coda serpentina che Ron gli aveva indicato, ma in mezzo a tutte quelle persone che rischiavano di venir calpestate, aveva dovuto darsi delle priorità.
Aveva quindi ordinato all’amico di aiutare le persone ad uscire, e poi, dopo essersi assicurato che non ci fosse più nessuno dentro lo stadio, era uscito anche lui.
Merlino, spero che non ci sia nessuno… non si vedeva ad un palmo dal naso. Ho dovuto affidarmi soltanto ai rumori.
Appena uscito dall’ingresso si precipitò verso le due squadre auror.
“Perché diavolo non siete entrati?” Sbottò. “Mi pare di avervi dato degli ordini piuttosto chiari!”
Artemisia Stump, una dei due capo-squadra assieme a Ron, inspirò. Harry notò che avevano tutti un’aria sbalordita, perplessa.
“Non siamo riusciti ad entrare, signore…” Disse. “C’è una barriera magica.”
“Di che diavolo state parlando? E tutta questa gente qua fuori? Come pensate sia uscita?”

Artemisia esitò. Poi scosse la testa. “Credo, signore… che si possa uscire, ma non entrare.”
“Di che diavolo…” Non terminò la frase, perché vide entrare nella sua visuale una chioma bionda e vesti da mago. Soffocò un’imprecazione, e ringraziò che Ron fosse in giro ad assicurarsi che non ci fossero feriti. “Mettete in sicurezza le uscite. Art, ti passo il comando.” Ordinò brevemente, prima che Draco Malfoy gli si parasse davanti. Infuriato.

“Cosa diavolo sta succedendo, Potter?” Sibilò.
“Stiamo cercando di capire, Draco…” Replicò fermo. Non aveva intenzione di farsi intimidire dagli isterismi di un padre preoccupato. Anche se membro del Wizengamot.
“Mi pare che i tuoi uomini piuttosto si aggirino tra la gente come tante galline dalla testa mozzata.” Sputò sarcastico. “Un gigantesco meteorite è precipitato nel campo di Quidditch dove giocava mio figlio. È troppo sperare in delle delucidazioni?”
“Stiamo cercando di capire.” Calcò l’ultima parola, dominandosi dall’alto dei suoi quarantadue anni di vita. “Se ci lasciassi fare il nostro lavoro, naturalmente.”
Draco stirò le labbra in una smorfia. “Mio figlio non è qua in mezzo.” Sillabò. Per un attimo Harry fu certo di vedere sincero panico negli occhi del vecchio rivale. Questo gli impedì di spaccargli la testa o ordinare un arresto lampo.

“Ci sono almeno centocinquanta persone qua attorno. Salterà fuori.” Prima che potesse ribattere, aggiunse. “Neppure io so dove sono i miei figli.”
Papà!” Fu un sollievo quando un’altra testa Malfoy spuntò tra la folla. Fu sollievo anche perché con lui c’erano Rose e sua figlia Lily. “Papà, sono qua!”
Draco tradì un’aria sollevata, quando il figlio lo raggiunse tutto intero. “Scorpius… stai bene?”
“Un po’ impolverato.” Sorrise il ragazzo. Harry lo squadrò: erano anni che non aveva occasione di vederlo. Indubbiamente era un Malfoy, ma aveva qualcosa di inaspettatamente simpatico nel modo in cui sorrideva e rassicurava suo padre.

Per un folle momento, ad Harry ricordò Sirius.
… beh, in parte è un Black.
Rose e Lily gli si avvicinarono. Tutte e due impolverate, tutte e due mediamente spaventate. Lily gli afferrò il bordo del mantello. “Papà… cosa diavolo è successo?”
Harry aprì la bocca per confezionare una bugia rassicurante, ma Rose lo precedette.
“Ci sono i Naga. I serpentoni indiani, te li ricordi Lily? Sono qui. O meglio lì dentro.”
“Rose…” Tentò, sperando che Malfoy non fosse a portata d’orecchio.

Lo era, ovviamente, dalla faccia che fece. “Di che diavolo sta parlando tua nipote, Potter?
Appunto.
“Rosie, spiegati meglio…” Dopotutto era figlia di Hermione, pensò Harry esasperato. Ed era sempre stata tremendamente attratta dalla possibilità di chiarire qualcosa ad un adulto.
Forza Harry, dalle una possibilità. Forse Ron non ti ucciderà per aver tirato in mezzo la sua preziosa bambina…
“Sono arrivati qui… con quella palla di fuoco.” Gesticolò la ragazza . “È un incantesimo!”
“Un… incantesimo?”
Fu ancora più sbalordito quando il piccolo Malfoy si avvicinò. “Si chiama advolo celeriter, signore.” Esordì rispettoso, ma neppure tanto, vista l’espressione. Malandrina, avrebbe detto, se non gli avesse ricordato altre inquietanti somiglianze con il padrino. “Si tratta di una sorta di ibrido tra la materializzazione e una passaporta. Quei cosi viaggiano in quel modo.”

“Per questo mi hai fatto tutte quelle domande sugli incantesimi locomotori?” Chiese Draco, sbalordito. “Stavate indagando sui Naga? Tu e…” Guardò Rose incredulo. “… Weasley?”
Scorpius annuì, con assoluta serenità zen. “Sì. Io e Rose siamo…” Pausa in cui la ragazza divenne curiosamente paonazza. “… soci.”

“Soci…” Cinguettò Lily di rimando, e ad Harry sembrò stranamente deliziata.
“Soprassiederò sul fatto che siete due studenti non autorizzati a ficcare il naso in un’indagine dell’ufficio auror.” Esordì Harry, frenando ogni eventuale sfogo Malfoy. Draco sembrava, in effetti, aver ingoiato un limone “… Cos’altro sapete?”
“Non molto, in realtà.” Rispose Rose. “Sappiamo che qualcuno li controlla. Quell’incantesimo può essere manovrato solo dall’esterno, deve essere un altro a farlo su di te. E comunque funziona solo con i non-umani.”
“Per i maghi è un po’, come dire… letale.” Soggiunse Scorpius, dandosi vigorose manate sul maglione impolverato. “E comunque il motivo per cui quegli amabili lucertoloni sono qui è perché…”
“Scorpius!” Sbottò Rose.

“Rose?” Indagò il ragazzo. Si lanciarono uno sguardo muto. “Oh, okay. Sicuro. Beh, abbiamo delle supposizioni, ma non vogliamo certo tediare il capo del dipartimento auror…” Sorrise amabile, e Harry capì che lo stava prendendo in giro.
Ma bisogna ammettere che ha più stile di suo padre. È inattaccabile, con quell’aria amichevole.
I Malfoy si sono indubbiamente evoluti, con questa generazione…
“Mi interessa invece.” Replicò. “Anzi, sono ansioso di sentire dove vi hanno portato le vostre indagini…”
Scorpius tradì un attimo di incertezza. Era un ragazzino, dopotutto, e l’idea di poter esporre al capo delle forze di difesa magiche dell’intera Inghilterra le sue supposizioni era…

… piuttosto esaltante. – Pensò, umettandosi le labbra.
Certo, potrebbe non darmi minimante retta se ventilassi l’ipotesi che suo nipote, al secolo Thomas Dursley, è in qualche modo infilato fino al collo in questa storia…
“Scorpius, parla.” Lo incitò Draco.
Il ragazzo sospirò. “Beh… Abbiamo motivo di credere che il motivo per cui i Naga sono qui è…”
Ron decise in quel momento di fare la sua comparsa. “Harry!” Stranamente non degnò di uno sguardo i due Malfoy, guardando invece con sollievo la figlia e la nipote. “Ah, almeno voi siete qui…” Mormorò. Era piuttosto pallido dietro le lentiggini.

“Che significa almeno voi?” chiese Harry, con un brutto presentimento.
“Albus, James, Thomas e … beh, anche Teddy. Non si trovano. Ho visto Neville. Ha detto che Teddy è tornato indietro a cercarci.”
“Ma noi siamo qui!”
“Lo so, ma in quel casino non si capiva niente. Ho chiesto in giro, anche ai loro compagni di squadra. Non li hanno visti… Ci sono tutti, genitori, alunni. Ma…”
Harry lanciò uno sguardo angosciato all’entrata. “Loro no…” Cercò di riflettere senza farsi prendere dal panico. Dentro quello stadio, ora messo in sicurezza dalle due pattuglie…

Ci sono i miei ragazzi?
“Al e Jamie avevano le scope.” Disse sicuro “Devono essere volati fuori…”
Ron sembrava ancora più pallido quando fu costretto a contraddirlo. “Hugo… era vicino ad Al quando quel meteorite è precipitato. Al ha tirato un calcio alla scopa di Hugo, per… spostarlo. Pare che gli stesse arrivando addosso.”
Rose soffocò un’esclamazione, mentre il sorriso sulle labbra di Lily si spense di colpo.

Harry si dominò anche se per un momento fu tentato di gettarsi semplicemente dentro lo stadio. “Era nella traiettoria?”
“No, si è spostato. Hugo quando è tornato in assetto ha appena avuto il tempo di vederlo precipitare. Poi, quel polverone… Harry, Al ha buoni riflessi.” Cercò di rassicurarlo.
“James?”
“Nessuno l’ha visto uscire.” Ron esitò, poi concluse. “E Tom era alla partita.”
“Era alla partita?” Esclamò Rose. “Ma non gliene importa nulla del Quidditch!”
“Ci viene sempre per Al. L’avrà visto cadere.” Mormorò Lily. Guardò il padre, come in cerca di una smentita. Quando non la ebbe si morse un labbro. “Papà… Tom non sarebbe mai uscito dallo stadio senza Al. Mai.

Harry annuì. Si poteva dire tutto del suo figlioccio, ma non che non avesse una lealtà assoluta verso Albus.
Se l’ha visto precipitare sarà andato a cercarlo. Quindi è rimasto dentro.
Come Teddy. E James, forse. Maledizione.
“Ron, va’ da Stump. Digli che ci sono probabilmente tre studenti e un professore dentro lo stadio. E forse due di loro…” Inspirò. “… sono feriti. Fa’ entrare una squadra per recuperarli.”
“Harry…” Ron sembrava non capacitarsi della cosa. “Credo sia meglio tu venga a vedere.”
“Vedere cosa?”

Ron gli fece cenno di seguirlo. Arrivarono di fronte al cancello: l’area era stata messa in sicurezza da un cordolo di agenti, trai quali Stump, che si avvicinò.
“Signore… non riusciamo ad entrare. C’è una barriera.” Spiegò. “È da un lato solo. Permette di uscire, ma non di entrare. È… potente. Ho chiamato la squadra di spezza-incantesimi del Ministero. Saranno sul posto tra un’ora.”
Un’ora?” Si frenò dall’imprecare. “Ci sono quattro persone in pericolo!” Sbottò furioso.
La donna inspirò. “Lo so signore, ho fatto presente a Coven, ma ha detto che il tempo di organizzare la squadra è quello che è. Le procedure…”
“Si fottano le procedure!” Esplose Harry. Ron parve pensarla allo stesso modo, ma tentò di non gettare benzina sul fuoco. “Se quell’idiota rispondesse a me…”
“Avremmo un altro incapace sotto il tuo comando.” Si inserì Draco pigramente. “Potter, conosco Coven. Quando ho dovuto rimuovere le barriere che lui e la sua squadra avevano istallato nel castello della mia famiglia durante il sequestro. Beh…” Si guardò le unghie. “Probabilmente impiegherei più tempo a illustrarti la sua incapacità adesso, che a liberarmi dei suoi patetici sigilli allora.”  

“Tu sai come rompere una barriera magica?” Ruggì Harry. Era ad un passo da un tracollo nervoso, se lo sentiva. Una cosa era rassicurare frotte di genitori ansiosi… una cosa era essere lui, il genitore ansioso.
“Diciamo che posso provarci.” Commentò asciutto l’uomo, tirando fuori la bacchetta.
Harry fece cenno ai suoi uomini di lasciarlo passare.

Draco, dopo un paio di minuti, si voltò verso Harry. “C’è qualcuno che la alimenta.”
“Come?”
“Potter, è una barriera potente. E barriere magiche di questo tipo hanno bisogno di qualcuno che le tenga attive. Trovate il mago, è sicuramente qua attorno. Per operare l’incantesimo non deve essere molto lontano.”
Harry non se lo fece dire due volte. “Art, Ron… cercate il bastardo. Trovatelo. E toglietegli la bacchetta.”

 
Scorpius e Rose, a pochi metri dagli uomini, occultati dietro una sporgenza rocciosa, si guardarono. Non servirono parole. Si allontanarono assieme con in testa lo stesso compito.
 
****
 
Ted aveva saltato la barriera di legno che circondava gli spalti, senza preoccuparsi di un’eventuale brutta caduta. Fortuna voleva che i geni di suo padre, oltre ad un discutibile gusto per i vestiti, gli dessero anche una certa resistenza agli urti. 
Riesumando l’addestramento auror tese la bacchetta davanti a sé, guardandosi attorno.
L’istinto gli diceva che non era il caso di abbassare la guardia.
“James!” Chiamò. “James, dove sei!?”
Teddy!” Lo sentì urlare spaventato. E c’erano pochissime cose che spaventavano il primogenito di Harry Potter. E un po’ di polvere o una brutta caduta non erano tra queste.
 
James, quando il Naga estrasse un coltello da quella che sembrava una corazza capì di essere nei guai.
Che diavolo vuole fare?!
Con la forza della disperazione tirò un calcio dritto al petto della creatura. Lo colpì, anche se non sembro minimamente scalfirlo.
È come colpire una roccia!
Il Naga, con un sibilo infastidito, lasciò la presa su suo mantello, facendolo cadere rovinosamente a terra. James urlò di dolore. Era come se la sua gamba sinistra fosse trafitta da migliaia di aghi.
Poi sentì Teddy chiamarlo. Rispose, senza sapere se fosse un’allucinazione uditiva o meno.
Lì tutto era strano. Il colore del cielo, quella foschia, quella bestia…
Per la prima volta in vita sua James sentì di avere paura. No, meglio. Di essere terrorizzato.
Incendio!
Una lingua di fiamme investì il Naga, che con un sibilo ferino si ritirò, fuggendo. Teddy uscì dalla foschia brandendo la bacchetta, e a James, ironia a parte, sembrò un fottuto eroe.
“Jamie!” Si chinò su di lui. “Stai bene?”
Il ragazzo fece una smorfia. “No. Credo di avere la gamba rotta. Un bolide mi ha disarcionato. Non l’ho visto arrivare con questa cazzo di nebbia…” Si tirò su con i gomiti, fino ad essere perlomeno a sedere. “Come diavolo hai fatto a farlo fuggire?”
“I Naga sono un popolo primitivo, il fuoco li spaventa.” Spiegò con un sorriso. “Psicologia spicciola.” Si chinò e con un colpo di bacchetta gli steccò la gamba. “Così dovrebbe andare bene… ma è provvisoria. Madama Chips farà il resto.”

James inspirò: si sentiva un ragazzino spaventato e Merlino, odiava quella sensazione. Ma era disarmato, e con una gamba fuori uso. Quindi era giustificato. “Credi che tornerà?” Chiese.
Ted inspirò. “Non ho intenzione di scoprirlo. Forza, appoggiati a me…”
James si aggrappò a lui e soffocò un gemito di dolore quando si tirò in piedi.

“Mi dispiace…” Sussurrò Ted, contrito. “Troppo brusco?”
“No, è che non è una passeggiata avere un osso rotto. La tua medicazione aiuta però.” Sorrise.

Soltanto Teddy in una situazione del genere si potrebbe scusare per essersi dato una mossa…
Si fece passare un braccio attorno alle sue spalle. “Pensavo se la fossero data a gambe tutti… non sentivo nessuno…” Borbottò. Teddy sorrise.
“Stavo per farlo anche io. Poi ti ho sentito.”
James, nonostante la situazione orrenda, non poté fare a meno di sentirsi soddisfatto.
“Sempre a tirarmi fuori dai guai, eh Teddy?” Scherzò.
Ted gli lanciò un’occhiata, ma appurato che James era troppo dolorante per essere pericoloso, sorrise. “È la storia della mia vita, no?”
Fecero un paio di metri in silenzio. La tensione si poteva tagliare con un coltello. James si chiese dove diavolo fosse suo padre con le sue squadre. Non era normale.
C’è qualcosa che non va… avrebbero dovuto già accorgersi che manca un cacciatore all’appello. Dannazione, spero che Malfoy non abbia fatto scherzi!
E poi i Naga… erano venuti in quel modo pazzesco, schiantandosi al suolo.
È stato praticamente un attentato. Ad Hogwarts. Alla nostra Hogwarts.  
“Ce n’è… più di uno.” Sussurrò. Ted gli lanciò un’occhiata valutativa. “Di Naga, dico.”
“Quanti?”
“Almeno cinque.”
“Merda.” Era la prima volta che lo sentiva imprecare. In tutta la sua vita. La cosa gli fece capire quanto la situazione fosse grave.

“… Siamo proprio nei guai, eh Teddy?”
Abbastanza. Anzi, decisamente. – Pensò Ted, ma non era il caso di farglielo notare.  
Devo essere supportivo.
“… Lo saremo tutti se non la smettere di urlare.” Disse una voce che si sarebbe potuta definire inespressiva. Teddy la riconobbe subito. E così James.
“Albie, Tom?!” Sbottò quest’ultimo, vedendoseli comparire davanti. Fottuto pulviscolo.  
“È Al.” Replicò Albus in automatico. Sembrava stare bene, considerò Ted, a parte un taglio sul sopracciglio, poco profondo.
“Professor Lupin, James…” Aggiunse Tom. “È stato un bolide, Jamie?
“Va’ a farti fottere, Tommy.” Ribatté sarcastico. “Che ci fate qui?”
“Ci siamo persi…” Ironizzò Tom.
“C’erano altri con voi?” Chiese Ted, prendendo in mano la situazione.

Al scosse la testa. “No, siamo soli. Teddy, ci sono…”
“Lo sa già fratellino, gliel’ho detto io.” Lo fermò James. “Dei serpentoni, dico…”


“Ted! Mi senti? Sono Harry!”


I quattro si voltarono in direzione della voce che si stagliava tersa oltre il pulviscolo. Harry aveva usato il sonorus, per questo erano in grado di sentirlo.
“Papà…?” Mormorò James. Sorrise sollevato. “È papà!”
Ted, ripresosi dallo stupore, fece per rispondere, ma poi parve cambiare idea, perché si fermò.

“Che fai? Rispondigli!” Incalzò James. “O penserà che non siamo qui!”
“Se gli rispondo i Naga sapranno dove siamo.” Replicò. “Non posso.”
“Dannazione…”  

“Lo sa anche Harry.” Intervenne Tom. “Che non possiamo farci localizzare.”


“Stiamo venendo a prendervi! Cercate un posto sicuro. C’è una barriera magica che ci impedisce di entrare, ma ci stiamo lavorando. Ripeto, mettetevi al sicuro!”

“Barriera magica?” Mormorò Al. “Di che sta parlando?”
Tom fece una smorfia. “Mi pare evidente… qualcuno ci ha chiuso qua dentro, come gladiatori in un’arena. Ha fatto uscire il pubblico, e ci ha lasciato con le bestie…” Sputò sarcastico.

“Credi che abbia voluto rinchiuderci volontariamente?” Al lo guardò preoccupato. “Ma chi?”
“… Questo non lo so.” Mentì sapendo di mentire. E lo sapeva fare dannatamente bene.

Quel viscido bastardo… Ti bastavo io. Perché prendere loro?  
“Va bene. Non ha importanza chi ha fatto tutto questo. Non adesso.” Intervenne Ted con aria risoluta. “Harry ha ragione, dobbiamo trovare un posto sicuro e nasconder…”
Tom sbuffò derisorio. “Professore, i Naga sono guerrieri. E sono in grado di fiutarci. Fiutare la nostra aura magica. Non possiamo nasconderci.”
Ted serrò le labbra: aveva sempre detestato l’arroganza di Thomas. In quel momento non tentava neppure di dissimularla con la solita patina di fredda cortesia. “Allora cosa proponi?”
“Dico solo che nasconderci da qualche parte ci metterà con le spalle al muro. In ogni caso, ci hanno già accerchiato… Non li sente?”

Ted lo guardò confuso, e James sbuffò. “Di che cazzo stai parlando?”
Tom aggrottò le sopracciglia. “Non li sentite?”  

Era da almeno una decina di minuti che quelle bestie dialogavano tra di loro. Percepiva echi di parole, frasi mozzate in una lingua straniera, lontane eppure percettibili.
Erano inquietanti.
Quando si vide restituire tre paia di sguardi perplessi, capì che era l’unico a sentirli.
“Io non sento niente, Tom…” Disse infatti Al, incerto.  
Come possono non sentirli?  
“Ti sei bevuto il cervello Tommy.” Sogghignò James, ma senza troppo sarcasmo. Sembrava intimorito. “Sei sempre stato strano, bello, ma adesso ti stai superando…”
“James, non è il momento.” Lo seccò Ted. “Cosa senti?”
Tom fece una smorfia. “Parlano. Nella loro lingua, credo, perché non riesco a capire cosa si dicono. Sono attorno a noi.”
Ted lo guardava assorto. E non gli piaceva per niente la faccia che stava facendo. “Va bene.” Disse. “Se ci hanno circondati appena ci muoveremo cercheranno di fermarci. Giusto?”
“Probabile.” Aveva voglia di urlare. Seriamente. Al e i due idioti lo guardavano come se fosse improvvisamente impazzito. “Cosa cazzo avete da guardare?” Sbottò all’improvviso, quasi senza volerlo. Non era da lui imprecare. Si sentì soffocare. Stringeva la bacchetta così forte da sentire i muscoli dell’avambraccio tremare.

Perché non li sentite?!
Al gli mise una mano sul braccio. La presa era forte, salda e lo fece sentire un po’ meglio. “Tom…” Disse soltanto. “Calmati, per favore…”
Inspirò. Avere un crollo paranoico sarebbe stato sconveniente, vista la situazione.  

“Forse è il vento…” Mormorò. “Forse è solo il vento.”
Non è il vento. Sento le loro voci. Maledizione, io le sento. Perché voi no?
Cosa c’è che non va in me?
“Non ci sposteremo.” Concluse Ted. “Rimarremo qui. Mettiamoci schiena contro schiena. Non dobbiamo lasciare nessun angolo cieco nel caso decidessero di attaccare.”
Parve la soluzione migliore, perché nessuno protestò.

 
****
 
“Dannazione, non vedo nessun tipo losco!” Sbottò Rose, affiancando Scorpius, dopo estenuanti minuti di ricerca. “Non è che tuo padre si è sbagliato?”
“Mio padre non sbaglia mai.” Replicò disinvolto. “Non crederai di vederlo con il cappuccio calato a borbottare incantesimi incomprensibili con la bacchetta puntata verso lo stadio, vero?”

“Beh, no…” Mugugnò poco convinta, strappandogli una risata. “Come fai ad essere così tranquillo, maledizione?!” Sbottò poi, irritata dal suo aplomb.
Scorpius si strinse nelle spalle. “Dare di matto non mi renderà più concentrato. Voi Weasley non sapete reggere la tensione… come i Potter, pare.”

“Che diavolo intendi dire?” Si inalberò.
“Quello che ho detto. Basta che qualcosa vada storto, un inghippo, un conflitto interiore e perdete completamente la testa. Vi servirebbe un po’ di occlumanzia.”
“Perché, tu cosa ne sai dell’occlumanzia?”  

“Abbastanza. La famiglia Malfoy la pratica da generazioni. A me l’ha insegnata mio padre.” Spiegò, continuando a guardarsi attorno. “È piuttosto utile.”
“Cosa, reprimere i propri sentimenti?”
Scorpius scosse la testa. “No. Li metto da parte. Sai, come in un cassetto.” Fece il gesto di chiuderlo. “È difficile da spiegare, ma ti dà una straordinaria chiarezza mentale.”
Adesso capisco perché così difficile offenderlo veramente. Non è che sembra che le offese gli scivolino addosso. Non lo scalfiscono veramente.

Più lo conosco, più capisco di non averlo mai capito.
Rose esitò. “Lo fai anche… quando siamo assieme?”
Il ragazzo sbuffò divertito. “Certo che no! Sono ancora un principiante… con te non riesco a reprimere proprio un bel nulla. E, a dirla tutta, neanche voglio.” Disse con un sorriso talmente dolce da farla avvampare in modo imbarazzante.

“Scorpius… non adesso.” Borbottò.  
“Sei tu che me l’hai chiesto, pasticcino.” Rise, poi guardò alle sue spalle. “Ehi, guarda quel tipo laggiù…”
Rose si voltò. Appoggiato al tronco di un albero c’era un mago. Era tarchiatello, di mezza età e dalla carnagione scura. Di primo acchito Rose l’avrebbe scambiato per un genitore. Aveva un visto gentile e sembrava in età da figli. Anche le vesti che indossava erano ben tenute, segno di un modesto ma dignitoso tenore di vita. Ma era solo, e guardava verso lo stadio. Ossessivamente verso lo stadio.

“Ma non ha la bacchetta…” Obbiettò confusa. Scorpius scosse la testa.
“Guarda.” Imitò la posa, incrociando le braccia al petto. “La tiene sotto le braccia.”
“Chiamiamo gli auror…” Fece per voltarsi, ma Scorpius la afferrò per un polso. “Ehi!”
“Io lo distraggo, tu li chiami…”
“Scorpius, aspetta, che cavolo vuoi…” Non riuscì a trattenerlo, si diresse verso l’uomo. Questi lo notò, ma vedendo l’uniforme da Quidditch non tentò subito la fuga.

“Signore!” Esclamò e sotto lo sguardo orripilato di Rose si frappose tra lui e lo stadio. “Lei è il padre di Patil?”
“No, io…” Borbottò sulla difensiva. “No.”
“No? Eppure mi era proprio sembrato. Sa, Patil è indiana… Lei è indiano?”

Rose si riscosse. Malfoy era un idiota, ma adesso toccava a lei. Si voltò e corse. Fece pochi metri prima di trovare tre mantelli scarlatti. Uno era quello di suo padre.
Meno male. Almeno dovrò risparmiarmi la fatica di farmi credere.
“Papà! C’è un tipo sospetto laggiù!” Esclamò. “Forse è il mago di cui parlava il Signor Malfoy!”
L’uomo si voltò immediatamente verso di lei. “Dove Rosie?”
“Laggiù!” Indicò. “Quel pazzo di Malfoy lo sta trattenendo!”

Ron la guardò incredulo, prima di imprecare. “Razza di incosciente!” Tuonò.
Parole sante, papà…
Seguì il padre e i suoi uomini mentre, bacchette alla mano, si dirigevano verso la direzione da lei indicata.
Quando l’uomo vide gli auror tentò ovviamente la fuga. La bacchetta di Ron però fu più svelta.
Stupeficium!
L’uomo, colpito in pieno dall’incantesimo cadde a terra. I due auror gli furono subito addosso, disarmandolo. Ron si avvicinò per guardarlo in faccia.

“Parva Duil…” Mormorò incredulo. Questa al Ministero non sarebbe piaciuta: quell’uomo era l’interprete che era stato assegnato alla tribù di Naga. Ed era inglese.
Oh, no, questo non piacerà affatto a nessuno di noi…
 
****
 
Tom guardava davanti a sé. Non aveva il coraggio di guardare Albus o gli altri negli occhi e leggerci diffidenza, o peggio, un’accusa: è pazzo.  
Non sono pazzo. Queste voci… le sento, e non è immaginazione.
“Speriamo che papà si sbrighi…” Sussurrò James all’improvviso. “Sto cominciando a congelare. Fa un freddo cane. E la gamba mi sta facendo impazzire.”
Al sospirò. “Smettila di lamentarti…” Lui si sentiva la testa esplodere, e le vertigini erano tornate impietose. Ma non si lamentava.

“Vuoi il mio cappotto?” Chiese Ted, con quella sua premura intramontabile.
“Non sono un bambino, Teddy, cavolo!” Sbuffò James burbero. “Ho il mantello…”
Al represse una risatina. Nonostante la situazione, c’erano cose che non potevano cambiare. Lanciò uno sguardo a Tom, per renderlo partecipe e cercare di smorzare la tensione, ma lo vide guardare davanti a sé, assorto. Non stava bene, questo era sicuro.
Dopotutto sente le voci… - Insinuò la sua coscienza.
Tom non è pazzo!
“Ehi…” Mormorò gentile. Tom non gli rispose. Invece gli tirò una spinta. Finì a terra, senza capire perché. Non subito almeno. Poi vide sbucare dalla nebbia una coda serpentina, che ghermì dove prima c’era lui. E adesso c’era Tom.
Tom sparì.
Poi ci fu uno schianto violento. Sentì la voce di suo padre.
E nient’altro, perché perse i sensi.
 
****
 
Note:
Questo capitolo tutta azione m’è costato sudore, lacrime e sangue, essendo la prima volta che mi cimento in una scena d’azione così lunga. Ditemi che ne pensate, please. *occhioni*
Ah, altra cosuccia. MyBlindedEyes, la mia attuale eroina, sotto mia supplicante richiesta, mi ha regalato una cover. Eccovela qui, in tutta la sua magnificenza.

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Capitolo 30
*** Capitolo XXV ***


Ciao a tutti! Spero abbiato passato buone feste. Io ho subito un’invasione di parenti, e con questo ho detto tutto. :/
@MadWorld: Grazie per i complimenti ^^ Beh, sì, è la mia prima scena d’azione veramente corale, quindi uff, che sollievo sapere di non aver fatto un pastrocchio! ;) Per Sy, beh… diciamo che mi viene naturale come personaggio. Mi piace, e quindi mi riesce semplice caratterizzarlo. Ho preso spunto dalla Row, che ha detto a chiare lettere che Scorpius sarebbe stato meglio del padre. Beh, io l’ho fatto completamente diverso ;D
@Rorothejoy: Ciao, grazie per i complimenti! Lo so, è una grossa rottura dover aspettare, ma mi permette di lavorarci al meglio e darvi una lettura piacevole, senza intoppi. Detesto trovare un’errore o un incongruenza quando vado a rileggere, quindi preferisco farlo ottanta volte… e a volte continuo a trovarci errori! Dai, porta paziente, almeno, bene o male, son sempre puntuale. :P
@ElseW: Grazie! XD Beh, mi fa piacere sapere che la aspetti XD, anzi, superpiacere. Tom non preoccuparti, in qualche modo se la cava sempre. In che modo, poi… beh, questo è tutto da vedere. Leggi un po’, va’… XD Per Sy, beh, ricorda MOLTO Sirius, tranne che per il fatto che è un biondino Malfoy, e quindi molto meno rompipalle e impulsivo. Forse, paradossalmente, è Jamie quello controllato ‘alla Sirius’, cioè per niente. XD Alla prossima!

@SammyMalfoy: Bentornata! Grazie per i complimenti e non preoccuparti. So che la RL succhia un sacco di tempo! Beh, Jamie si sta dando da fare, ma bisogna vedere se Teddy riuscirà a tenere il passo. Scorpius beh… lui è un pazzo furioso, dietro quell’aria da signorotto in vacanza. XD Su Zabini invece, beh… aspettati colpi di coda, mia cara, perché è pur sempre il serpeverde, autoproclamato. Al/Tom ormai sono diventati il pairing ufficiale di questa storia, evviva, non me l’aspettavo visto che uno è pure un pg originale XD Beh, che dire… sono la coppia perfetta, cioè quella assolutamente incasinata e preoccupante. XD Papà Harry se lo scoprirà? Sicuro. Ma dagli tempo, si sa che Harry su certe cose è sempre stato un po’ tardo, e questi sono pure due maschietti. ;) Grazie per la recensione! Adoro che siate prolisse!
@Altovoltaggio: Addirittura sublime?! Aaargh, non farmi arrosire come una scolaretta, non mi merito di certo i complimenti XD Sono solo brava ad infilare due cavolate in croce.
@MissyMary: Ahaha, che scena epica sarebbe un confronto Teddy-Michel. Sai che ci potrei sul serio pensare? :P Per quanto riguarda Hugo dai, povero… ti assicuro che è simpatico se non tenta di prendere il boccino ad Al. Che poi Al, sotto sotto, è il vero stronzetto della situazione. Se non ci fosse stato il megameteorite l’avrebbe disarcionato, stacci sicura. ;) Teddy per il momento non riscuote il mio favore, perché fa il ritroso. Cretino. Dannati pg che si emancipano. ;) Ma abbi fiducia, lo farò ragionare. *agita una roncola in direzione del poveretto* Grazie per le recensioni! ;)
@Trixina: So di meritarmi il titolo di ‘stronza imperiale’ ma che ci vuoi fare, succede se devi infilare vagonate di suspance per dare un senso al rating. :D La cover non è mia, ma della fantastica MyBlindedEyes, che ha avuto la pazienza di darmi retta anche quando rompevo le balle. Mettila pure sul diario, anzi, mi fa piacerissimo! Son sempre due bei giovini, Al e Tom. Per risp alla tua domanda su Ted, sì, ha avuto solo Vic. Non perché non sia un bonazzo (a dire il vero, è più bello persino di Tom, nel senso canonico) solo che è sempre stato troppo timido, pacato, gentile e insomma… NOIOSO per qualsiasi ragazza con gli ormoni al posto giusto. E poi, beh, diciamo che Vic è l’unica ragazza che l’abbia mai interessato. Capisci a me. ;) Per la cover sorry, non posso stressare quella povera donna, e dovrai accontentarti dei miei pasticci con photoshop. T_T
@Ron1111: Ciao! Ho lasciato un messaggino promozionale sulla tua fanfic sulla guferia di NA, spero non ti spiaccia. Pubblicità per una storia che merita davvero! XD Comunque, no, per quanto riguarda Albus, James e Teddy non era voluto che restassero intrappolati. Al è caduto dalla scopa, e così James, che avendo un’aura magica più o meno come un rubinetto aperto è stato subito beccato. Teddy è rimasto per fare l’eroe della situazione. ;) Sulla famiglia Malfoy sono d’accordo con te. Moralmente sono da prendere a calci, ma sono legatissimi l’uno all’altro, quindi non è difficile che anche Draco abbia viziato suo figlio schifosamente, sebbene Sy, per fortuna, abbia un carattere un TANTINO più solare (merito della madre?) Parlerò ancora della famiglia Malfoy, puoi giurarci! Grazie per la recensione! A presto!
@Hel_Selbstmord: Beh, grazie per i complimenti! Non preoccuparti, so che la RL succhia via un sacco di tempo! XD (o forse è internet che lo succhia? Mi confondo sempre…) Rose beh, diciamo che è il personaggio più normale, tra tutti. Quindi ispira immediatamente simpatia, perché è goffa, adolescente, carina ma non di una bellezza eccezionale o ammaliante (Vedesi:Lily, Tom o Zabini). Insomma, una di noi. XD Tom è un rock della new-wave convinto. Non che lo faccia vedere troppo in giro, ma insomma… :D Quando esce alla babbana è indistinguibile da un dark-stile-sobrio. Tanti auguri anche a te, e buone festeee!
@Ombra: Sono stata brava, visto? Aggiornamento quasi puntuale! Dai, dai, coraggio, un giorno tutto questo finirà. E spero non mi odierete. Sono per gli happy-ending, giuro! 

 
 
****
 
Capitolo XXV


 
 


Through it all, I made my mistakes

I stumble and fall, but I mean these words
I want you to know
With everything I won't let this go, these words are my heart and soul
'Cause I'd bleed my heart out to show/ And I won't let go
(With me, Sum 41)
 
Infermeria. Poco prima di cena.
 
Albus aprì lentamente gli occhi. Mise a fuoco, sempre molto lentamente, il soffitto a volta dell’infermeria.  
“Al, tesoro, come stai?”
Una voce femminile, che avrebbe riconosciuto tra mille: capelli rossi, occhi castani e lineamenti gentili, così simili ai suoi da far immediatamente pensare, ad un ignaro passante, che era ovvio, la donna seduta al suo capezzale era sua madre.

“Mamma…” Mormorò. Si sentiva la testa scoppiare. Cercò di fare il punto della situazione: aveva perso i sensi, di questo era certo.
I Naga… una barriera magica… e poi…
Si alzò a sedere di scatto. “Mamma! Dov’è Tom?” Chiese con urgenza, guardandosi attorno. Scoprì che le tende del letto erano state tirate, impedendogli di guardare fuori.
Tom… Tom è stato preso dai Naga!
Ginny gli sorrise, posandogli una mano sulla spalla, quasi se lo fosse aspettato. “Thomas sta bene.” Disse semplicemente.  “Non è qui perché aveva solo qualche graffio e Madama Chips l’ha mandato via.”
“Non gli hanno… non gli hanno fatto niente?”
Ginny scosse la testa, rincuorante. “Niente. Tuo padre e gli auror sono arrivati in tempo, ringraziando Merlino…”

“Jamie? Teddy?” Chiese, lo sguardo fisso sulla tenda che gli impediva di vedere il resto dell’infermeria. Ginny con un sospiro si alzò, tirandola. Il marito l’aveva chiamata mentre stavano correggendo le bozze che sarebbero andate in stampa quella sera. Inutile dire che aveva lasciato tutto per volare al capezzale dei figli.
“James è laggiù.” Indicò una fila di letti all’entrata. “Ha una gamba rotta, ma nulla che una mezza giornata di degenza non possa sistemare sistemare. Teddy sta bene.”
“Cos’è successo?” Chiese incerto. “Ho sentito la voce di papà e poi ho perso i sensi, credo …”
Ginny annuì, sedendosi sul bordo del letto. “Tuo padre è riuscito a rompere la barriera magica che impediva alle squadre auror di entrare…” Con l’inaspettato aiuto di Malfoy. Da non credersi, veramente. “… a quel punto vi hanno subito individuato.” Continuò a raccontare. “È andato tutto bene. Poteva andare molto peggio…” Sussurrò, tradendo un’espressione preoccupata.

Al non riusciva a capacitarsi: sua madre aveva ragione. Avrebbe potuto, anzi, avrebbe dovuto andare molto peggio.   
“Stanno tutti bene quindi?”
“Abbastanza per non dare un motivo ai genitori di lamentarsi troppo con tuo padre o la scuola.” Gli strizzò l’occhio, complice, facendolo sorridere.

“Dov’è papà?”
“Oh, tuo padre…” Ginny sbuffò. “È occupato fino al collo in questo momento. Probabilmente ti manderà un gufo, in serata, per accertarsi che tu non sia morto.”

“Mamma, dai…” Sorrise conciliante. “Papà è un pezzo grosso…” La fece ridacchiare. “Senti, ma… hai detto che non ci sarebbero stati problemi per lui. Allora perché è occupato?”
“Prima di tutto hanno dovuto catturare i Naga e spedirli all’ufficio regolazione e controllo delle creature magiche… e non è stato affar semplice.”

Al annuì, avido di informazioni. “E poi?”
“E poi ha arrestato chi ha creato quella barriera e obliviato James …”

Al tese le orecchie. “Chi?”
Ginny scosse la testa. “Mi spiace tesoro, ma queste sono informazioni riservate. Non so nulla.”
“Ma tu sei una giornalista!” Protestò abbastanza vivacemente.
“Sportiva, ricordatelo.” Replicò divertita. “Comunque conosci tuo padre… Se potrà dirtelo, sarà il primo a farlo. Ma perché ti interessa così tanto?” Indagò. Al distolse prontamente lo sguardo.

“Beh, curiosità…” Borbottò. Non era particolarmente bravo a mentire ai genitori. Tutta colpa di un’educazione basata sulla trasparenza, ironizzava spesso Tom.
Tom…
Era preoccupato, naturalmente. Certo, si fidava delle parole della madre, ma era sempre meglio avere un riscontro visivo.
E poi… non sembrava stare tanto bene.
Ginny gli lanciò un’occhiata, poi sospirò. “È stata una fortuna che sia finita così, Al. Non rompertici troppo la testa.”
Al annuì, apparentemente soddisfatto. “Quando credi che sarò dimesso?”
Aveva molto da fare. Doveva cercare Tom, ma prima di tutto doveva cercare Rose e metterla al corrente di quello che sapeva.

E magari sentire se sa qualcosa in più…
Ginny sbuffò divertita. “Al, non credi sia il caso di riposare?”
“Ma sto bene adesso!” Mentì. “Voglio solo tornare in camera mia e farmi una doccia. Mi sento uno schifo…” Mugugnò, guardandola con occhi da cucciolo. Sapeva che funzionavano. Era una vita che li usava impunemente.

Ginny si morse un labbro, come sempre faceva quando era indecisa. “Al, Poppy mi staccherà la testa… questo è il suo regno, e qui neppure io ho giurisdizione. E sono tua madre.” 
Al sospirò. Lì urgeva andare d’astuzia.
“Okay…” Sospirò. “Almeno puoi chiamarmi Rosie? Devo parlarle…”
“Va bene. Ne approfitto per andare a vedere come sta tua sorella.”

Rose arrivò poco dopo. Si era cambiata, indossando abiti babbani e probabilmente si era anche fatta una doccia, visto l’aria riposata. La invidiò profondamente.
“Al!” Esclamò, prima di gettargli le braccia al collo con trasporto. Al serrò le palpebre, ignorando la fitta di emicrania che lo aggredì feroce.
“Rosie…” Uggiolò, facendole così mollare la presa.
“Oddio, scusa! Male?”
“No, è solo la testa. Mi sembra che sia un cocomero.” Le sorrise. “Sto bene, davvero. Piuttosto… hai visto Tom?”
La ragazza esitò, poi scosse la testa. “Sono fuori dall’infermeria da un po’. Non l’ho visto, quindi credo sia uscito quasi subito.”
Al sospirò: tipico di Thomas. Non sopportava essere costretto in un posto, anche se era per il suo bene. In un certo senso era confortante che si fosse comportato da irragionevole come suo solito. “Non fa niente. Senti, sai dirmi che diavolo è successo? Io sono svenuto sul più bello…”  

Rose si sedette sul ciglio del letto, cospiratrice. “C’era una barriera, alimentata da un mago, il colpevole, che impediva agli auror di entrare.”
“Ma la gente usciva…” Obbiettò.
“Era una barriera magica a senso unico. Lasciava uscire, ma non faceva entrare.”  

“Strano.” Commentò pensieroso. “Beh, e il mago?”
“Si nascondeva tra la folla. Quando l’hanno preso, hanno detto a noi prefetti di accompagnare tutti nelle rispettive Sale Comuni, genitori compresi. Sono rimasta lì finché non hanno levato le tende.”
“Voci di corridoio?”
“Niente di importante. Si sa che è quel mago è stato subito portato via e così i serpentoni. Che per inciso, sono arrivati con l’advolo celeriter.” 

Al esitò, poi sospirò appena. “Sì, lo so.” Al sospirò. Niente di nuovo. “Scorpius dov’è?”
Rose parve indispettita. “Malfoy…” Si limitò a sibilare.

“… Avete litigato?”
Di nuovo?
“Ma no!” Sbuffò di nuovo. “Parlavo di suo padre, Draco. È venuto con noi, ovviamente, ma non appena è entrato in Sala Comune si è subito gettato su Scorpius e l’ha trascinato via. Che uomo odioso.” Concluse.
Al si trattenne stoicamente dal ridacchiare. “Problemi coi genitori, vedo…”
Rose arrossì. “Lasciamo perdere. In ogni caso non lo vedo da ore, quindi non so dirti se sappia qualcosa che io non so. A proposito, forse Jamie sa qualcosa.”

Al sospirò. “Jamie? Ti posso ricordare che è tendenzialmente un deficiente?”
Rose fece una smorfia. “Era sveglio quando l’hanno portato qui…”
“A differenza del sottoscritto. Va bene, se proprio dobbiamo …” Borbottò tirandosi in piedi.

Rose gli diede una mano ad alzarsi, prendendolo a braccetto con disinvoltura. Poppy era occupata con un paio di genitori eccessivamente ansiosi, e dava loro le spalle. Si diressero verso il lettino di James. “Siete stati fantastici, lo sai? A tenere a bada i Naga e tutto il resto, dico.” Gli sorrise. “Non si parla d’altro.”
Albus sbuffò. “Io non ho fatto niente. Ero pure senza bacchetta.”
A dirla tutta, nessuno di noi ha fatto granché. Non è che ci siamo difesi, visto che non ci hanno neanche attaccato.

Tutto questo è così assurdo…
Ehilà, Albie!” Li accolse James, non appena furono a portata d’orecchio. “Lo sai? Pare che la partita l’abbiamo vinta noi, Hugo ha preso il boccino!”
Rose sbuffò. “Oh, sta’ zitto Jam! Come se fosse questo l’importante…”
James, la cui gamba era retta da un complesso meccanismo di tiranti e leve, sogghignò senza ribattere. Sul comodino facevano bella mostra di sé una pila di cioccorane e una confezione gigante di piume di zucchero. “I gemelli mi hanno portato qualcosa per festeggiare la vittoria.” Chiocciò gongolante. “Volete favorire?”
“Magari dopo. Magari ti ci strozzo.” Ipotizzò Al con un sorriso urbano. Rose alzò gli occhi al cielo, facendolo sedere sulla sedia libera accanto al letto.

“Senti…” Tagliò corto Rose, onde evitare stragi fraterne. “Sai dirci che diavolo è successo dopo che…”
“… Al è svenuto come una femminuccia?”

“Attento Jamie, hai una gamba fratturata a portata.” Sibilò il ragazzo.
James sbuffò. “Scherzavo, dai… con la botta che hai preso è un miracolo che tu stia parlando. In ogni caso la spinta che ti ha tirato Tom non ha aiutato.” Offrì conciliante.
Rose lo guardò sbalordita. “Ti ha tirato una spinta?”
Al si affrettò a spiegare, fulminando il fratello con lo sguardo. “L’ha fatto solo per togliermi dalla traiettoria della coda di un Naga. Ha preso il mio posto…”  
“Che riflessi…” Commentò colpita.  
“Macché riflessi! Tommy li ha sentiti chiacchierare. L’avrà sentito avvicinarsi, quindi…”  
James!” Albus si frenò dallo spaccargli la testa.
Rose corrugò le sopracciglia. “Parlavano? I Naga?”
“Non saprei. Li ha sentiti solo lui.” Spiegò James, ignorando l’occhiata linciante del fratello. “È vero Al, ha completamente sbroccato là dentro!”
“Era solo teso… lo eravamo tutti.”  

Rose prese un’aria assorta. “I Naga… sono serpenti.” Rifletté. “Se avessero parlato un dialetto indiano, umano, non li avreste capiti, sicuro, ma li avreste sentiti.”
Al inspirò; non gli piaceva dove il discorso stava andando a parare.

“Sì, fin qui ci sto.” Concesse James, incrociando le braccia al petto. “E quindi? Si ritorna al solito punto. Tommy è mezzo matto.”
“No, Jam.” Lo fermò Rose. “Tom non è matto. Ma forse è un rettilofono.”

Al inspirò, premurandosi di mantenere una facciata di quieta incredulità.
“Come?” Sbottò James. Fece una risata. “Rosie, i rettilofoni si sono estinti! L’ultimo era papà ed ha smesso di esserlo quando Voldemort è morto!”
“Sei davvero un idiota.” Sbuffò Rose. “Gli eredi di Salazar Serpeverde non erano gli unici rettilofoni al mondo. E poi, pensaci, avrebbe senso. Solo i rettilofoni possono capire il serpentese. E cosa credi che parlino tra di loro degli uomini-serpente?”
James assunse un’aria assorta. “Okay.” Ammise. “Ma rimane il fatto che essere un rettilofono non è una cosa bella.”
“Sempre che lo sia.” Obbiettò Al. “Forse semplicemente ha sentito qualcosa che credeva fossero sussurri.”
“Certo, tipico di Tommy dare di matto per un po’ di vento, vero?” Replicò James beffardo.

Rose lanciò uno sguardo ad Albus: notò l’espressione. “È solo una supposizione…” Cambiò subito rotta. “Voglio dire, parlare il serpentese è una cosa estremamente rara.”
“Anche non avere l’ombelico lo è.” Rimbeccò James.
“Sono due cose diverse.” Gli tenne testa Rose. “Comunque sai qualcosa? Dico, sul colpevole?”
James fece una smorfia. “No, niente. Anzi, aggiornami un po’…”

Al non disse nulla, ascoltandoli distratto: le sue priorità adesso erano cambiate.
… Devo trovare Tom.   
“Io vado.” Disse alzandosi. “Ho bisogno di farmi una doccia e cambiarmi.”
“Poppy non ti ha ancora dimesso.” Obbiettò Rose. “Non ti farà mai uscire…”
“Solo se mi vedrà. James, dai il meglio di te. Piano B.” Disse al fratello, che annuì, lieto all’idea di poter combattere, anche da degente, l’autorità costituita.

Uscì indisturbato, non appena James cominciò ad urlare ad alta voce di avere orride visioni di orchi volanti a causa della pozione corroborante.
A volte paga, avere un fratello deficiente.
E ora, Tom.
 
****
 
Torre di Astronomia, ora di cena.
 
Tom aveva sempre pensato di essere una persona razionale.
Quando si era al dunque però, spesso si era reso conto di non saper gestire i propri impulsi. Quello di spingere Albus non era stato propriamente funzionale alla sua auto-conservazione, per esempio.
Fortuna aveva voluto che gli auror fossero entrati proprio in quel momento e uno di loro, che sapeva essere una vecchia collega del padrino, aveva neutralizzato il suo Naga con un incarceramus che l’aveva fatto vergognare del suo patetico tentativo di difendersi nella Foresta.
Adesso era sulla Torre di Astronomia, lontano da domande inopportune e, soprattutto, da occhi indiscreti; era riuscito a eludere parenti e amici, perché sapeva che doveva farlo.
Le spiegazioni le chiederanno a Ted o James. Sono sicuro saranno felicissimi di sbrodolarsi addosso complimenti l’un l’altro…
Si appoggiò al parapetto, tirando fuori il medaglione, che teneva sotto la maglietta.
Aspettava. Aspettava perché sapeva che lui l’avrebbe chiamato.
Dop un’estenuante attesa il medaglione divenne tiepido. Poi caldo. Poi bollente.

Lo aprì e il familiare e spiacevole strappo all’ombelico fu quasi un trionfo personale.
La sensazione si protrasse per poco però; impattò duramente con il pavimento della stanza in cui era stato portato. Si rialzò in piedi, stordito.
Il ragazzo era seduto nella stessa poltrona dell’ultima volta. Stavolta il fuoco era spento.
“Bentornato Thomas.” Sorrise. “Brutto atterraggio, eh?”
Tom si passò il dorso della mano sotto il naso. Era sporco di sangue. Non gli puntò addosso la bacchetta, sebbene la tentazione fosse forte. Non era il momento di dare in escandescenze.

“Ti rendi conto di cosa hai fatto?” Si limitò a ringhiare. “Hai rischiato di farci ammazzare da quei mostri…”
L’altro ragazzo ridacchiò. “Non esagerare adesso. Piuttosto, hai sentito? È stato arrestato il colpevole… un certo Parva Duil.” Scosse la testa, con un’aria desolata. “Pare che non avesse mai accettato di essere stato espulso da Hogwarts. Lo sapevi? E' stato espulso per aver praticato magia sulla propria fidanzata babbana, anni fa. Messa sotto imperium, davvero una brutta storia…” Si accese una sigaretta, con un movimento consumato, inadatto al goffo adolescente che impersonava. “Oh, probabilmente ancora non lo sai. Ma verrà scoperto presto.”
“Hai organizzato tutto tu…” Non era una domanda. Era una costatazione.

Il ragazzo annuì. “I nostri comuni amici con le squame erano diventati un po’ troppo ingombranti… Quel James Potter, pessima idea obliarlo.” Sospirò. “Pessima idea, in effetti.”
“Sei stato tu ad obliviarlo?”
“Naturalmente. Peccato che ci fosse un contro-incantesimo.” Gli fece cenno di sedersi.

Tom lo ignorò. “Il memento…”   
Quindi lo sapeva…
Teoricamente era un’informazione di dominio strettamente riservato. Ma come sempre ad Hogwarts  era difficile tenere un segreto, specie se riguardava James Sirius Potter. Si narrava da giorni di come avesse affrontato – davvero ridicolo – i Naga e di come avesse visto in faccia il colpevole e per questo fosse stato obliviato.
Non era difficile immaginare che anche il ragazzo ne fosse venuto a conoscenza.
“E se ti avesse visto in faccia?” Chiese, spiando le sue reazioni.  
L’altro si limitò a scrollare le spalle. “Non l’ha fatto. Non ha visto questa faccia, più che altro…”
“Eri tu o no?”
Il ragazzo fece un sorrisetto divertito. “Ti vedo bello deciso oggi, eh?”
“Rispondi.”
“Diciamo che ero camuffato…” Ribatté placido. Probabilmente, dal suo punto di vista, quella giornata orribile era stata calcolata al minimo dettaglio. “… da colpevole.”

“Da Parva Duil.” Concluse per lui. “Ha preso il tuo posto, praticamente. L’hai incastrato.”
Incastrato?” Rise brevemente. “Oh, no! Chi pensi che mi abbia portato i Naga? È stato lui. Per venti galeoni. Neppure Giuda tradì per così poco…” Sghignazzò. Sembrava trovarlo molto divertente.
Gli mise i brividi.
“Ciò non toglie che tu l’abbia fatto.”
“Sei dispiaciuto per lui Thomas, davvero?” Lo guardò con curiosità. “Ti dispiace?”
Tom ci rifletté: no, non gli dispiaceva. Non riusciva a provare pietà per un uomo che si era fatto corrompere da una manciata di galeoni, facendo così rischiare la vita a lui e ad altri studenti. Forse avrebbe dovuto, ma non provava la minima empatia.

Se vendi te stesso per così poco, vuol dire una cosa sola. Che non vali niente.
“Non riesco a dispiacermi per i deboli.” Spiegò.
Il ragazzo sorrise. Sembrava soddisfatto dalla risposta. “Già. Lo sospettavo… Beh, comunque non devi preoccuparti di lui.”

“Dipende…” Replicò salace. “Non hai pensato all’eventualità che ti denunci? Per salvarsi da Azkaban. Sai, con la prospettiva della prigione molte persone tendono a scaricare la colpa ad altri… e nel suo caso, l’altro c’è.” Concluse, scrutandolo attentamente.
Il ragazzo non parve particolarmente impressionato. “Vero.” Rispose, con un’irritante alzata di spalle. “Te l’ho detto. È tutto sistemato. Il caso verrà archiviato, i nostri amici rispediti in patria e il colpevole verrà crocifisso per il bene della nazione. Questa storia non è stata una bella pubblicità per il primo ministro e il favoloso Harry Potter…” Osservò distrattamente. “Non devi preoccuparti per me, Thomas. Ho le spalle coperte.”
Tom fece un breve cenno d’assenso.

Le spalle coperte… significa che non agisce da solo. Non si può essere così tranquilli, ad agire in solitaria. A meno di non essere totalmente avulsi dalla realtà.
Possibilità che non escludo… Questa storia della sciarada, degli uomini-serpente e del gioco dell’oca è da folli…
“Parlo il serpentese.” Disse a bruciapelo. L’altro ragazzo rimase in silenzio, poi assentì.
“Certo, lo parli. Ma non ti servo io per una conferma, no?”
“Perché lo parlo?”
“Beh, dei del cielo… perché ne sei in grado!” Rise.

Tom tirò fuori la bacchetta dalla tasca della giacca. Gliela puntò contro. Non si premurò neanche di vedere se l’altro era armato. “Perché?” Chiese di nuovo. 
Il ragazzo alzò le mani, quasi volesse fargli intendere che era disarmato. Non ci credette neppure per un secondo. “Ti sei documentato su Tom Riddle?” Gli chiese invece.
Tom fece una smorfia: non avrebbe smesso con i suoi giochetti mentali neanche sotto minaccia di una bacchetta, era evidente. “Sì. Tom Riddle era Lord Voldemort prima che diventasse un mago oscuro…” Rispose atono.
“Esattamente. Non lo sapevi?”
“Lo conoscevo solo con il suo pseudonimo.” Ribatté. Sentiva la rabbia crescere, montare lentamente, ad ondate. Era una cosa a livello profondo. Quel ragazzo riusciva sempre a farlo sentire estremamente vicino a perdere il controllo, come nella Foresta, con quel Naga. “Cosa c’entra questo con me?”
“Tom Riddle era un rettilofono.”

Tom fece una risata secca, sgradevole persino alle sue orecchie. “E con questo, dove vuoi arrivare? Non vorrai farmi credere che ho a che fare con lui…”
“Coleridge lo credeva. È questo il motivo per cui ti rapì. Pensava di crescerti come un novello Signore Oscuro. Non è divertente?” Sorrise. Tom si sentì soffocare. La stanza era grande e spoglia, ma lui si sentiva oppresso come in uno sgabuzzino buio e polveroso.

Si impose di restare dov’era: non gliel’avrebbe data vinta.
“Non lo è affatto…” Sibilò. “Cosa credeva, che fossi il suo erede?”
“Era pazzo, su questo non c’è alcun dubbio. Ma bisogna ammettere che hai parecchio in comune con uno dei maghi più geniali e terribili di tutti i tempi…” Indicò attorno a sé con un cenno esplicativo. “Sei brillante, intelligente, incredibilmente dotato. Nel tuo caso l’espressione la magia gli scorre nelle vene è perfettamente calzante. Già a sei anni sapevi controllare la magia accidentale in modo ammirevole, considerando che, appunto, è accidentale. Sai che anche Tom Riddle ne era capace?”

Tom si sentì qualcosa di spiacevole all’altezza della nuca. Come uno stiletto gelido.
“Come fai a saperlo…?”
“Di Riddle? C’è scritto in qualsiasi libro di Storia della Magia… Certo, alla voce Voldemort.”
“No.” Ringhiò. “Di me.”
Il ragazzo scrollò le spalle con orribile noncuranza. “Te l’ho detto. So molte cose di te.”  
Tom gli lanciò un’occhiata feroce. Alla rabbia adesso si mischiava l’angoscia.

Ridicolo. Cerca di mettermi dubbi che neppure sussistono. Non ho nulla a che fare con Voldemort. Nulla.
“Voldemort è morto anni prima che io nascessi. Il mio rapitore era un pazzo mitomane. A chi mi ha rapito? Da dove vengo?”
“Una cosa per volta, Thomas. Ricordati chi conduce il gioco qui…”
Tom emise un ringhio frustrato. Non gli avrebbe mai risposto direttamente. Ebbe l’impulso di afferrare la bacchetta e…

Inspirò lentamente.
E cosa? Vuoi torturarlo? Estorcergli informazioni?
Oh, avrebbe voluto. In quel momento si rese conto che avrebbe fatto di tutto per essere in possesso di quelle risposte.
Il ragazzo sorrise, quasi avesse indovinato i suoi pensieri.
Tom non ce la fece più. Il suo autocontrollo aveva un limite.
Sentì di nuovo quel fuoco, un fuoco liquido, scorrergli nelle vene. Era la sua rabbia. Si alzò in piedi, di scatto, puntandogli la bacchetta contro.
Non fece in tempo a capire cosa stesse succedendo che si trovò a terra, senza fiato.
Senza riuscire a respirare.
Cercò di incamerare aria, ma non ci riuscì. Era come se qualcosa impedisse ai polmoni di farlo.
Il ragazzo aveva la bacchetta puntata contro di lui. Quando l’aveva tirata fuori?
Poi se ne accorse: il ragazzo non era più tale. Era un uomo adulto, dai capelli dello stesso biondo sporco, solo rasati. Aveva il fisico alto, ben piazzato. L’uniforme che indossava era tesa fino allo spasmo e le cuciture in più punti erano grossolanamente strappate.
“Non farlo mai più…” Sillabò con gentilezza terrificante. “Non sei ancora in grado di tenermi testa, bambino…” Lo guardò con palese scherno, poi agitò la bacchetta.
Thomas sentì l’aria riempirgli i polmoni. Tossì un paio di volte, mettendosi a sedere. Ci vollero un paio di minuti perché riuscisse di nuovo a parlare.
Un incantesimo non verbale… Non è un mago comune.
“Questo… è il tuo vero aspetto?” Chiese lentamente. Si sentiva il respiro ancora spiacevolmente compresso.
L’uomo fece un sorrisetto. “Bingo. Se il tuo scatto d’ira era tutto un artificio per smascherarmi, tanto di cappello. Quando decidi di giocare, giochi pesante …” Assunse di nuovo il suo aspetto adolescenziale, con aria divertita. “Su, alzati.”

Tom si tirò in piedi, appoggiandosi alla sedia. Ne ebbe necessità, per quanto fosse umiliante. “Voglio un altro indizio…” Sussurrò. “Dammi un altro indizio.”  
Ormai era chiaro. Quell’uomo aveva il coltello dalla parte del manico. Le regole le dettava lui e finché non avesse capito come aggirarle, come metterlo sotto scacco, era costretto a rispettarle.
Quello sorrise. “Un indizio… Va bene. Ti consiglio di seguire le lezioni di Trasfigurazione. È una materia profondamente fraintesa in Inghilterra.”
“Trasfigurazione?” Si morse l’interno della guancia. “Perché?”
“Perché è grazie ad essa che sei nato. Dovrebbe interessarti, no?”

 
****
 
Nei pressi della Torre di Astronomia.
Dopocena.
 
Albus aveva perlustrato l’intera scuola. Beh, non proprio tutta naturalmente, ma buona parte.
Aveva letteralmente setacciato tutti i posti in cui pensava potesse essere Thomas.
Dal dormitorio, dove aveva incontrato Loki che con un cinismo impressionante si stava organizzando per vendere i barili di whiskey ai Grifondoro, fino alla biblioteca.
La giornata stava volgendo al termine e le prime stelle apparivano sul soffitto meteoropatico della Sala Grande. I genitori se n’erano andati. Gli studenti avevano cenato, lui compreso, e il portone della scuola era stato chiuso. Lentamente Hogwarts riprendeva i suoi ritmi; tutto faceva presagire una notte tranquilla.
La cosiddetta quiete dopo la tempesta…
E Thomas, naturalmente, era introvabile.
Si fermò di fronte alla Torre di Astronomia. Era l’ultima opzione, pensò con un sospiro.  
Salì la ripida scala a chiocciola, ben attento che nessuno lo vedesse: tra poco sarebbe scattato il suo coprifuoco e senza la sua spilla da prefetto rischiava un rapporto disciplinare.
Arrivò all’ultimo piano, battuto da una brezza gelida perché aperto. Si strinse le braccia attorno al petto, sbuffando insofferente.
Era una notte serena. La luce della luna illuminava lattiginosa la stanza.
Appoggiato al parapetto c’era Tom.
Sospirò di sollievo, avvicinandosi. Vide che teneva sul braccio il proprio famiglio, il corvo Kafka.
“Tom?”
Il ragazzo si voltò. Aveva un’espressione indecifrabile. Indossava ancora il cappotto di quel pomeriggio e aveva i capelli arruffati, ma tutto sommato sembrava stare bene.

“Al…” Rispose. “Non dovresti essere in infermeria?”
Il ragazzo sorrise. “Scappato.”

Tom ricambiò appena il sorriso, lasciandolo avvicinare. Al si appoggiò al parapetto, guardando verso il lago nero. Era una notte limpidissima. Era incredibile pensare che solo poche ore prima avevano rischiato la vita.
“Che stavi facendo?” Chiese. Tom passò due dita sul dorso del corvo che gliele becchettò affettuosamente.
“Alicia mi ha mandato una lettera… o meglio, ha risposto a quella che ho mandato a casa tre settimane fa.” Spiegò.
Al annuì. Solo Alicia mostrava curiosità verso il mondo del fratello, ed era l’unica a mantenere la corrispondenza durante il periodo scolastico.  
Tom aveva un rapporto strano con i suoi: non ne parlava mai, a tal punto che un giorno Nott gli aveva chiesto se non fosse orfano. Eppure, quando al terzo anno Michel si era lasciato sfuggire un’offesa contro i babbani, Tom gli aveva spedito una fattura che l’aveva costretto a girare per due settimane con due gigantesche orecchie d’asino.
C’erano voluti sei mesi prima che Michel gli rivolgesse nuovamente la parola.
Ma da allora era stato chiaro a tutti che, sebbene Tom non parlasse mai della sua vita coi babbani, ciò non significava che li trovasse stupidi o, come aveva detto Michel, primitivi.
Tom vuole bene alla sua famiglia… ma essere a Serpeverde, che ha un’affluenza di purosangue quasi imbarazzante, ti spinge ad evitare di far sapere in giro che hai un cellulare e sei appassionato di rock babbano.
“Come sta Alicia?” Sentiva che non era il caso di parlare quel pomeriggio. Non subito almeno. Tom aveva lo sguardo fisso su Kafka e non l’aveva guardato in faccia neanche una volta.
“Bene direi…” Fece un sorrisetto. “Si è trovata il ragazzo.”
“Come suo fratello…” Scherzò, cauto. Si rilassò quando vide Tom sorridergli e lanciargli un’occhiata, breve ma abbastanza rincuorante.

“La situazione è un po’ diversa.” Commentò, tendendo il braccio al di là del parapetto. La cornacchia spiccò il volo, sparendo tra la fitta boscaglia della Foresta Proibita.
Al sospirò: sentiva che qualcosa non andava con Tom. Di nuovo. Era frustrante ammetterlo, ma sembrava si fosse chiuso in se stesso. Ancora.
“Non proprio…” Obbiettò. “Anche noi stiamo assieme.”
“Alicia può portare a casa il suo ragazzo. Io porto a casa mio cugino.” Ribatté, appoggiandosi accanto a lui. “Come vedi, è diverso.”
“Non siamo davvero cugini.” Replicò, quieto, anche se si sentiva un nodo alla gola. “Vuoi rimangiarti quello che è successo stamattina?”
Tom si irrigidì e poi con suo grandissimo sollievo, scosse la testa. “No.”
“Bene, perché ti avrei buttato di sotto.” Scherzò. “Stai bene?” Chiese poi. Non ce l’aveva fatta. Aveva bisogno di sapere come stava.

Tom esitò. Sembrava in preda ad un grosso conflitto interiore, da come si morse un labbro.
“Sto bene.”
“Risposta sbagliata. Ti sei guardato allo specchio? Anzi, sei passato in bagno a darti una sistemata?”
“No.” Adesso sembrava infastidito. Decise di fregarsene.

Se non avessi deciso di fregarmene la sera in cui ha fatto rissa con Michel, stamattina mi sarei svegliato di nuovo in una stanza vuota.
“Avresti dovuto.” Lo riprese. “Senti… quello che ci è successo avrebbe mandato in crisi persino un auror. Abbiamo rischiato la vita…”
Tom serrò le labbra in una linea sottile. “No.” Disse. Fissava un punto indefinito della foresta con ferocia. “Non ci avrebbero ucciso.”
“Come fai a saperlo?”


Tom non si riteneva un idiota. Sapeva che Al stava cercando di capire cosa stesse combinando. E lo conosceva abbastanza per sapere che non si sarebbe fermato davanti ad un semplice ‘sto bene’. Albus Severus era uno dei tipi più determinati che conoscesse, quando c’era qualcosa che stuzzicava la sua attenzione.
E lui era un argomento sufficientemente interessante, se ne rendeva conto.
Specie alla luce dei nuovi avvenimenti nella sua storia personale.
Trasfigurazione… il modo in cui sono nato.
Ridicolo. Cosa c’entra la trasfigurazione con la nascita di un essere vivente?
Potrei capire pozioni, esistono pozioni per favorire il parto, o per guidare una gravidanza.
Ma trasfigurazione…
Ancora domande. Maledizione.
 
“Tom?”
Si accorse che Al lo stava guardando. Si concentrò per servirgli una spiegazione convincente. Non era semplice: alla fine si risolse a dirgli una mezza verità.
“Non volevano ucciderci, altrimenti l’avrebbero fatto. E… li ho sentiti parlare.” Si sentì disgustosamente ansioso, all’idea che Al potesse reagire male. Ma continuò. “Non serve che ti spieghi cosa significa, vero?”
Al si morse l’interno della guancia. Sembrava pensieroso, ma non disgustato. La cosa gli diede un sollievo enorme, con suo grande imbarazzo. “Sei… un rettilofono?” Chiese.
Si limitò ad assentire. 

“Da quanto lo sai?”
“Da oggi?” Replicò ironico. “È la prima volta che avevo a che fare con dei rettili. Abito nel Surrey, non nella foresta amazzonica. E odio gli zoo. Fai i tuoi calcoli.”
Al assunse di nuovo quell’aria pensosa. Rifletteva molto, per avere fenotipo Potter marchiato nelle vene. “Devi dirlo a papà.” Decretò infine.

Tom fece una smorfia, cercando di non mostrarsi troppo insofferente. “Non credo sarebbe una buona idea…”
Non è neppure riuscito a sapere da chi sono nato. Ho dovuto fare un patto con un uomo equivoco, e presumibilmente pericoloso per avere la possibilità di capirci qualcosa.
“Perché no? Potrebbe fare delle ricerche. Forse ha a che fare con la tua nascita…” Suggerì. “Forse… anche uno dei tuoi genitori era rettilofono. Si passa per discendenza, no?”
“Sì, ma questo non c’entra niente. I rettilofoni non hanno l’obbligo di registrarsi al Ministero, quindi potrebbe cercare ben poco.” Lo scoraggiò da ulteriori speculazioni. In quella storia Albus non doveva entrare. Affatto.

E se devo coinvolgere zio Harry per tenerlo buono, lo farò…
A modo mio, naturalmente.  
“Devi parlarne con papà…” Ripeté Al. “Davvero, devi farlo. Essere un rettilofono non è una cosa così terribile. È solo… beh, rara.” Cercò di incoraggiarlo, intuendo che forse era quello uno dei problemi che lo angosciavano maggiormente.
Tom non rispose. “Gli spedirò un gufo…” Promise invece.
Poi lasciò parlare la sua voglia di non pensare a nulla. Lo afferrò, tirandoselo contro.
Al non oppose resistenza, anzi rispose all’abbraccio senza esitazioni, seppellendogli il viso contro la stoffa spessa del cappotto.
Dopo un po’ però, tirò un lieve sospiro. “Non per fare il guastafeste Tom… ma tu hai il cappotto, io no. Sto morendo di freddo.”
Tom sbuffò. “Allora muori…” Decretò.

Al, esasperato, cercò di tirargli un pizzicotto sul fianco, che lui però intercettò subito, afferrandogli la mano. Non ci pensò neppure troppo, prima di intrecciare le dita alle sue. Albus rispose alla stretta, forte.
“Sai, basta chiedere.” Disse, alzando la testa con un sorrisetto inquietantemente saputo. “Al, voglio rimanere ancora abbracciato a te…” Cantilenò.
Tom sentì curiosamente le guance scaldarsi. Non replicò, del resto ci aveva preso in pieno.
Era ridicolo come in lui si agitassero sentimenti tanto contraddittori, riflettè mentre lo stringeva meglio: se da una parte desiderava allontanare Al e occuparsi solo di sé stesso, dall’altra desiderava Al, solo per sé stesso. Perché quei momenti con lui erano assolutamente perfetti.
Momenti in cui le preoccupazioni, i sensi di colpa, tutto, semplicemente spariva.
Come quando da bambini si spingevano lontanissimi da casa, attraverso sentieri a malapena battuti. Erano completamente soli e il mondo era ai loro piedi.
Momenti perfetti. E adesso erano tornati, sebbene sotto una forma diversa.
Tutto cambia. A volte in peggio. A volte, in meglio.
“Tom…” Lo richiamò.
“Mhh. Che c’è adesso?”

“Devi promettermi che se fossi nei guai…” Inspirò. “Devi promettermi che se le cose andassero veramente male, mi chiederai aiuto.”
“Chiederti… aiuto?” Cercò di non fare una faccia troppo sbalordita. I Potter erano dei gran permalosi. Persino Al, che era il più controllato.
Al infatti sbuffò. “Invece dovresti farci un pensierino. Sono ben ammanicato dopotutto. Sai, sarei tipo il figlio del Salvatore del mondo magico…” Ridacchiò.   

Tom lo guardò, cercando di capire se avesse intuito qualcosa. I suoi occhi scintillavano di una luce maledettamente seria.
“Non sono nei guai…” Sondò il terreno. “I Naga sono stati presi e il colpevole arrestato. È tutto finito.”  
“Lo so, lo so. Ma tu prometti.”
Tom esitò, poi si limitò ad un semplice cenno di assenso.
Al decise di farselo bastare. Per il momento.
 
Vorrei che questo momento non finisse mai,
dove tutto è niente, senza di te.
 
 
****
 
Note:
Questa è una piccola raccolta di drabble che ho fatto per Natale. È una raccolta di missing-moments che proprio non riesco a far entrare nel continuum della storia. Dateci un’occhiata, se vi va.
 

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Capitolo 31
*** Capitolo XXVI ***


Poche recensioni a questo giro, come mai? :-( Non rendete Al triste, dai!
Ringrazio tutti quelli che hanno commentato la ‘10 songs Challenge’, vi rispondo qui per comodità.
XD
@Ron1111: Grazie per il commento alle drabble. Per Tom non ti posso dare spoiler, ma posso dire… fuochino. ;P Grifondoro c’è da dire, che avrebbe vinto anche se, purtroppo, non fossero arrivati i Serpentoni. Al è bravo, ma il resto della squadra stava clamorosamente perdendo. L Per la pubblicità… la tua fic la merita tutta! Non vedo l’ora che quei teneri virgulti diventino adolescenti saturi di ormoni. *_* (E poi, porca miseria, che razza di Gellert e Al mi hai messo, sono da trauma ormonale *_*)
@Ombra: Grazie per i complimenti! In effetti più che una sfida-drabble io l’ho presa come una raccolta di spin-off :P L’ho sfruttata così insomma. Ti piacciono i FOB? Anche a me ^^
@Rorothejoy: Infatti, la raccolta l’ho usata un po’ come spin-off, non è escluso che lo faccia ancora. Devo ancora piazzare un paio di flash-back che non so dove mettere. Quindi, mi  sa, alla prossima sfida! XD
@MyBlindedEyes: non so se mi leggerai qui, ma comunque sono io contenta e felicissima che tu abbia fatto quel lavoro grafico per me. Tra l’altro non apprezzato solo da me, ma anche dalle altre ragazze che mi seguono, quindi il merito qua va tutto a te ^^ Mi fa piacere che ti sia piaciuta Lily, probabilmente in seguito avrà più spazio, se le cose vanno come voglio!
@Altovoltaggio: grazie per i complimenti a Lily! Mi fa piacere che tu l’abbia rivalutata, visto che era proprio l’effetto che volevo dare. Se riesco a far andare in porto questa fic, nella seconda parte Lily avrà un ruolo più importante. Quindi non potevo cominciare a darle un po’ di luce ;) Mi fa piacere che anche Loki abbia riscosso successo; è un personaggio indubbiamente secondario, ma questo non significa che non sia dotato di una personalità. Dopotutto è il miglior amico di Mike e persino Tom-Misantropo lo rispetta. Ebbene sì, a proposito di Sy, è stata la prima cotta di Mike (cosa che lui ovviamente non sa). Poi gli interessi del bel Zabini si sono spostati verso lidi più pulcinosi… xD Tommy ruleggia comunque. Lo so, l’ho disegnato così, che ci vuoi fare XD (Senza Riddle altro che Tom però…) Qui niente scene Tom/Al, ma in compenso ci sarà uno svoltone. Fammi sapere poi cosa ne pensi. Ci tengo, visto che sei sempre sincera nei tuoi giudizi.
@Trixina: Le canzoni meritano tutte, quindi se ti capita, o hai voglia, scaricatele perché sono davvero carine, al di là dell’uso che io ne ho fatto ;P Ti sei ritrovata in Lily? Bene, allora ti piacerà come pg. Se tutto va come deve andare avrà più risalto in un secondo momento.
MissyMary: Auguri di buon anno nuovo! ^^ Tom e Voldy… beh, un legame c’è, questo posso assicurartelo. Ma di che natura, beh, si scoprirà… per quanto riguarda la Trasfigurazione, in questo capitolo verrà scoperto qualcosa. ;) In questo capitolo TeddyBear non ti piacerà… sigh, ti preavverto. Non arrabbiarti. :P Non è detto che su Jamie/Mike e farsi-beccare-da-Teddy non ci lavorerò su. C’è una festa di Halloween in arrivo e fiumi di alcool… basta, ho già spoilerato troppo, argh! XD Grazie per aver recensito!
 
 
****
 
Capitolo XXVI

 


Sometimes what you say/ confuses what you mean

A mouth of strangled words/ Come spinning out your mouth
Nothing’s like the dream¹
(There down this houses, Skin)


3 Ottobre 2022

Isola di Heligoland, Azkaban.
 
“Aprire i cancelli!”
Il rumore dei giganteschi cancelli di Azkaban, mostri di acciaio e pietra era quasi insopportabile. Il secondino, alla guardiola, si scusò con un sorriso con il vecchio che attendeva, paziente, l’apertura.
“Troppo grossi per oliarli tutti, eh secondino?” Scherzò, facendolo ridacchiare.
“Sissignore, può dirlo forte. Lei è un pastore?” Spiò curioso le vesti talari del mago.
“Oh, sì, figliolo. Proprio così. Anche i criminali peggiori hanno bisogno di un po’ di fede.” Sorrise. “La pace sia con te, figliolo.”

Quando i cancelli si furono richiusi alle sue spalle, il parroco sogghignò.
E tornò biondo.
 
Ministro della Magia, Dipartimento Applicazione della Legge sulla Magia.
Ufficio Auror. Mattina.
 
Harry Potter, anche conosciuto come il Salvatore, si passò le mani trai capelli.
In quel momento avrebbe voluto che qualcuno salvasse lui.
Era seduto alla scrivania del suo ufficio dalle sei di quella mattina. Ed erano già arrivate qualcosa come centottanta lettere, tra promemoria inter-ufficio e Gufi privati.
Sentì bussare alla porta. Fu seriamente tentato di darsi morto. “Avanti…” Proferì funereo.
Ron entrò con un sorriso simpatetico stampato in faccia. “Giornataccia, eh?”
“Puoi dirlo forte.” Mugolò, grato che fosse lì per disperarsi con lui.  

“Ho notato.” Se ne tolse uno dai capelli, porgendoglielo. Harry lo lesse con una smorfia.
“Viene dall’Ufficio Controllo Delle Creature Magiche.” Sospirò. “Uther non ha preso bene il fatto che gli abbiamo pestato i piedi.” All’espressione confusa del rosso, spiegò. “Vuole parlarmi. Sai, una cosa tipo ognuno deve stare al suo posto anche se hai salvato il collettivo culo della comunità magica…”
“Ma di che si lamenta?” Sbuffò Ron, buttandosi sulla sedia davanti alla scrivania. “Voglio dire, gli abbiamo portato quei lucertoloni già impacchettati!”
“Lo so, ma l’indagine avrebbe dovuto essere sua. Si trattava pur sempre di serpentoni giganti.”

“Quei cosi erano controllati da un mago!” Obbiettò con forza Ron. “Da un mago terrorista!”
Harry si tolse gli occhiali, massaggiandosi la sella del naso: con l’età quel gesto era diventato abituale come l’arruffarsi i capelli. “Parva Duil non è un Mangiamorte, né è risultato implicato nelle Arti Oscure. Quindi aprire un indagine su di lui non rientrava nelle nostre competenze, se vogliamo andare a guardare il pelo nell’uovo. La storia che pianificasse un attentato ad Hogwarts era un po’ tirata per i capelli, bisogna ammetterlo…”
“Ma ha davvero fatto un attentato! Come lo chiami quello di ieri?”
Harry scrollò le spalle. “L’unico motivo per cui il Wizengamot non è venuto a tirarci le orecchie. Eravamo al posto giusto nel momento giusto. Se Jam non avesse ricordato, non saremo stati lì. Semplice.”

Ron lo guardò riflessivo, incrociando le braccia al petto. Dopo un lungo momento, sbuffò. “Okay… Ci è andata di lusso. Ma non avremo grattacapi dal Ministero, vero?”
“Le solite lettere di reclamo per la mia gestione discrezionale.” Fece un cenno evasivo. “Finirà tutto all’Ufficio Reclami e fine della storia. No, il problema è che il Ministero ha fatto pressioni.”
Ron aggrottò le sopracciglia. “E per cosa?”
“Perché il caso venga chiuso in fretta. Un dipendente ha rapito dei semi-umani per attaccare una scuola… Puoi solo immaginarti quanto sia scomodo per il prestigio internazionale del Ministero.”

Ron lo guardò confuso. “E dove sarebbe il problema? Lo stiamo chiudendo.” Lo scrutò. “No?”
Harry esitò. Era dalla sera prima che aveva un pensiero che gli girava per la testa.
Questa storia… è finita in modo troppo prevedibile. Un insperato colpo di fortuna.
Se l’avesse detto a Ron l’avrebbe tacitato di essere paranoico.
Sì, peccato che le mie paranoie di solito siano piuttosto fondate…
“Harry?” Lo richiamò l’amico. “È finito tutto bene. Qual è il problema?”
Annuì con aria distratta. “È solo…” Sospirò, lanciandogli un’occhiata. “Ti sto parlando da Harry a Ron, non da Auror ad Auror, sia chiaro.”
Ron annuì, restituendogli uno sguardo attento. “Ricevuto. Spara.”
“Questa faccenda… è andata troppo liscia. Capisci? Un giorno i Naga sembravano spariti nel nulla, quello dopo si sono letteralmente schiantati nel perimetro della scuola. E diciamocelo, era tutto fuorché un piano brillante.”

Ron scrollò le spalle. “Beh, quel tipo, quando l’abbiamo preso mi è sembrato tutto fuorché un genio del crimine…”
“Appunto. Com’è possibile che abbia potuto nascondere attorno ad Hogwarts cinque uomini-serpente per un mese intero e senza farsi scoprire, ma poi abbia pensato ad un piano così…” Esitò, cercando la parola. “… raffazzonato? Sembra quasi che volesse farsi arrestare.”
“Magari l’abbiamo messo alle strette. C’erano tre pattuglie attorno ad Hogwarts e due all’interno. Senza contare le tre ad Hogsmeade. Aveva i giorni contatti ed avrà agito senza impulsivamente. Dai, è chiaro!”

Era una spiegazione logica. Così logica che probabilmente era l’unica possibile. Eppure Harry aveva guardato negli occhi quell’uomo, prima che lo portassero via, e non vi aveva visto nulla che facesse pensare ad un criminale geniale, capace di convincere sei guerrieri indiani a seguirlo e a chiudersi in un mutismo ostile alle domande degli Auror.
E poi c’era un’altra cosa che gli dava da pensare: chi era stato coinvolto.
Per quanto riguardava i figli e Ted si era trattata solo di una sfortunata coincidenza.
Ma Thomas? Due attacchi ed entrambe le volte era presente…
Harry non aveva mai creduto nelle coincidenze.  
Ed era quasi certo che la sera prima Tom non si fosse fatto volutamente trovare, quando era andato a cercarlo.
“Ehi, c’è nessuno in casa?” Ron interruppe il suo flusso di pensieri. “Se ti chiamo un’altra volta e non mi rispondi penserò a demenza senile precoce, amico!”
Harry gli sorrise impacciato. “Scusa. Stavo solo pensando…”
“Lo vedo.” Fece un mezzo sorriso comprensivo. “Andiamo, non complicarti la vita! La faccenda è chiusa. Parva Duil verrà condannato e nessuno dovrà più preoccuparsi di quel fuoriditesta.”  

Harry annuì, ma per quanto ci provasse, non riusciva a togliersi dalla testa quella spiacevole sensazione di incompiutezza.
“Sai…” Esordì, per cambiare discorso. “L’aiuto di Malfoy non me lo sarei mai aspettato.”
“Già…” Grugnì Ron, rabbuiandosi al ricordo dell’alterco con l’attuale Lord. “Manco io.”
“Ammettilo. Avergli salvato la vita ventiquattro anni fa non è stata un’idea cattiva, in fondo.” Per quanto lo riguardava, considerava Draco Malfoy nient’altro che un essere umano. Capace di sbagliare, in modo tremendo e quasi irreversibile, ma anche di risollevare le sorti della propria famiglia ed essere un padre affettuoso.

E se Scorpius è stato smistato a Grifondoro, non deve averlo tirato su così male…
Ron fece una smorfia, come se inghiottisse pus di bubotubero. “Malfoy è rimasto lo stesso furetto odioso di vent’anni fa… Ma è pur vero che senza di lui avremmo dovuto aspettare quell’idiota di Coven. E per i nostri ragazzi sarebbe potuta finire molto peggio.” Concesse.
“Hai centrato il punto. Come ti è sembrato suo figlio?” Chiese, spiando le reazioni.  

Spero solo che Rosie lo faccia sedere prima di dirgli che è diventata amica del piccolo Malfoy …
Ron emise uno sbuffo esasperato. “È un idiota, come suo padre! Pensa che è andato a chiacchierare con Duil, prima che arrivassimo noi.”
“Per fermarlo, no?” Harry ci rifletté. “Terribilmente stupido… ma direi che il Cappello ci ha preso anche stavolta. Quel ragazzo è un grifondoro.”
“Bella roba.” Commentò salace. “L’unica cosa che mi consola è immaginare la faccia di Malfuretto quando ha scoperto che il frutto dei suoi lombi è finito a giocare per la nostra squadra…” Imitò la presunta faccia orripilata, facendolo ridere.

Si sentì bussare di nuovo alla porta. Harry sbuffò esasperato. “Avanti…” Ripeté meccanicamente. Ron lo guardò con fraterno sguardo suppportivo. Gli fu grato, sebbene fosse più o meno utile come un appendiabiti.
Entrò un hit wizard² che Harry riconobbe come il figlio maggiore di Liam Flannery, un vecchio compagno di squadra. Gli sorrise, facendo cenno di entrare. “Dimmi pure, Fearghal.”
Il ragazzo sembrò andare letteralmente in visibilio all’idea che conoscesse il suo nome. Per un momento parve anche aver dimenticato la consegna. Poi si sbloccò. “Signore, mi spiace disturbarla, ma vengo da Azkaban.”  

Harry si scambiò un’occhiata con Ron. “Che succede, problemi con Duil?”
“Beh, in un certo senso signore… Si è suicidato.”  

 
****
 
Aula di Difesa Contro le Arti Oscure.
Ora di pranzo.
 
Tom aveva infine scovato la professoressa Prynn.
Non era stato facile: quella donna aveva il dono di scomparire a lezione finita, e pareva non usare mai il proprio ufficio, come non frequentare la Sala Professori.   
Fu una fortuna quindi trovarla al primo piano, intenta, sembrava, a cercare qualcosa.
Si avvicinò. “Posso esserle utile?”
“Oh, no Thomas, grazie caro. Stavo solo ammazzando il tempo.”

“Le posso rubare un momento, allora?”
Ainsel sembrò infastidita. Gli sorrise però. “Certo. Facciamo nel mio ufficio?”
Tom annuì, seguendola. Si sentiva impaziente.  

Trasfigurazione… può davvero influenzare la nascita di una persona?
La donna lo fece entrare nell’ufficio che una volta era stato della McGrannit. Al momento era piuttosto spoglio, fatta eccezione per una libreria, la scrivania e un paio di stampe dai colori iridescenti che riflettevano la luce filtrata dalle finestre. Tom ne rimase sorpreso: Ainsel Prynn era una personalità forte, che gridava a chiare lettere la sua presenza nel Castello. Si sarebbe aspettato una stanza ingombra di oggetti.
Ainsel si sedette dietro la scrivania, facendogli cenno di prendere posto davanti a sé.
“Dimmi, in cosa posso aiutare uno studente brillante come te?”
Tom si sedette con un sorriso educato. Sapeva come guadagnarsi le simpatie dei professori. Ci aveva messo anni per costruirsi una fama di studente sostanzialmente perfetto. E ne andava fiero. “C’è una cosa che non ho capito, e speravo che lei potesse aiutarmi…”
Ainsel gli lanciò un’occhiata apparentemente stupefatta. “Possibile? Sentiamo.”
“Si tratta della lezione introduttiva alla materia.” Spiegò. “Ha parlato della Trasfigurazione accomunandola, per certi versi, alla fisica babbana, citando Lavoisier. È insolito… nessun professore usa un babbano per spiegare la magia.”
Nulla si crea, niente si distrugge, tutto si trasforma.” Recitò la donna. Lo squadrò, valutativa. “Ad Hogwarts purtroppo vi abituano a pensare che basti pronunciare la formula e concentrarsi sul movimento della bacchetta. Sbagliando. Sei nato-babbano, non è vero?”
Tom si limitò ad assentire.

“Allora posso farti un esempio. È come usare un computer senza capirne il funzionamento. Magari sapete mandare e-mail. Ma non avete idea di come sia possibile scrivere messaggi e mandarli in rete. Mi segui?”
“Credo di sì. Infatti mi chiedevo perché poi non avesse approfondito… la spiegazione.” Prese un’aria interrogativa. “Se posso chiedere… Il consiglio scolastico le ha imposto di attenersi al programma?”
Ainsel ridacchiò. “Già. A quanto pare i miei metodi yankee non piacciono al vostro Preside…”
Tom non poté fare a meno di sentirsi irritato.  

Vecchio idiota.
Oltreoceano il progresso va avanti e noi restiamo fermi a trasformare tazzine in volatili?
Ainsel parve intuire ciò che pensava, perché fece un sorriso indulgente. “Non posso insegnarvi nulla che non si attenga al programma, ma tu, Thomas, puoi farmi delle domande, se ne hai. Non vedo nessuna circolare che mi proibisce di rispondere. Quindi forza, fammi la tua vera domanda…” 
“Mi chiedevo…” Usò un tono quietamente curioso, domando la soddisfazione selvaggia che gli scorreva nelle vene. “Si può usare la Trasfigurazione su una persona che non è ancora tale? Intendo dire… su un bambino non ancora nato. Magari per alterare il suo aspetto fisico, o le sue capacità magiche.”
È quello che sono? Un esperimento di Trasfigurazione?
È per questo che sono nato senza un pezzo? È per questo che sono un rettilofono?
È per questo che ho sempre saputo smaterializzarmi?
Dimmelo. Devo saperlo.
Ainsel scosse la testa. “La Trasfigurazione può essere compiuta solo su un soggetto già formato.” Spiegò. “Non puoi calcolare gli effetti di una trasformazione su un feto nell’utero materno. Sarebbe rischioso perché non se ne conoscerebbero gli esiti. Per quanto riguarda alterare le capacità magiche di una persona…” Il tono si fece grave. “… Ne abbiamo un chiaro esempio in un uomo che conosci bene, credo.”
“Harry Potter.” Mormorò Tom. “Voldemort riversò alcune sue capacità in lui, quando tentò di ucciderlo.”

Perché ogni cosa che scopro su di me è in qualche modo legata al mio padrino?
“Esattamente. Ma lì si trattò di pura magia, antica e primordiale. E comunque il Salvatore era già nato. Quello che tu mi stai chiedendo, mi pare di capire, è se si può guidare la nascita di una persona con la magia per dargli determinate caratteristiche magiche.”
Tom assentì, sentendosi la bocca secca. “Si può fare?”
“Non con la Trasfigurazione.”
Serrò le nocche contro la stoffa dei pantaloni, cercando di dominare la cocente delusione che lo investì. “Capisco…” Si scollò dal palato.  
Ainsel lo guardò per un attimo, poi si alzò. “Sai, Thomas… Trasfigurazione, come Pozioni, è solo un ramo.”
Tom alzò lo sguardo. “E l’albero sarebbe?”

“L’Alchimia.” La donna si alzò, andando alla propria libreria. “Nel Regno Unito viene studiata in modo superficiale e qui ad Hogwarts incorporata…” Fece una smorfia divertita. “… nel programma di Pozioni Avanzate. Inoltre gli alchimisti inglesi devono dichiarare le proprie ricerche al Ministero. In un clima così oscurantista è chiaro che la materia langua…”
“Nicolas Flamel era inglese. In Inghilterra è stata creata la Pietra Filosofale.” Si risentì Tom.  

“Quanto, trent’anni fa?” Rimbeccò Ainsel. “Un risultato notevole e fin’ora imbattuto, te lo concedo mio giovane mago inglese…” Prese un libro, molto simile ad un voluminoso libro di testo babbano. La copertina recitava, in lettere dorate, ‘Introduzione Ai Principi Alchemici’. “Ma da allora? Ci sono stati altri alchimisti noti?”
“Non che io sappia.” Dovette ammettere. “In America ci sono alchimisti?”
“Naturalmente, sebbene i migliori siano in Germania.” Glielo porse. “La Trasfigurazione non può influenzare la nascita di un essere umano, ma…”

Tom prese il libro.  “…l’Alchimia può farlo?”
Ainsel sorrise. “L’Alchimia può fare molto di più, credimi.”  

E tu Tom, è proprio il caso di dirlo, ne sei l’esempio vivente.
 
****
 
Hogwarts, Infermeria.
Pomeriggio.

 
James si stava annoiando.
‘So benissimo, ragazzaccio, che appena messo piede a terra andresti a scapicollarti da qualche parte! La gamba è debole, oltre al femore rotto hai danneggiato anche i nervi. Rimarrai qui fino all’ora di cena.’
Vecchia megera… - Pensò con convinzione. Non che la noia fosse il vero problema.
Erano venuti a trovarlo tutti. Dai fratelli, ai cugini, ai compagni di squadra, per finire prevedibilmente con gli Scamandro e Bob Jordan, cacciati immediatamente per aver tentato di introdurre una cassa di Burrobirre. Era passato persino Malfoy.
Insomma, proprio tutti. Tranne Teddy.
Si mosse sul letto, tentando di rendere più comoda la sua posizione. Sospirò pesantemente. Lanciò in aria un paio di riviste di Quidditch. Sbadigliò sonoramente.  
La Chips lo fulminò con un’occhiataccia.
“Mi annoio!” Si giustificò. “Davvero!”
“La cosa non mi riguarda, ragazzo.”  Con un colpo di bacchetta rifece un letto, e fece apparire un vaso profumato di fiori sul comodino. “Sta’ buono.”

“Dai Poppy, vammi a prendere un numero della Gazzetta. Voglio sapere qualcosa su chi mi ha spezzato il femore!”
“Non ci penso neanche. Sono un’infermiera, non un gufo. E comunque, si tratta di un disgraziato criminale, un ex-alunno di Hogwarts invischiato in una brutta storia di magia accidentale. È stato espulso ed ha voluto vendicarsi.” Riassunse brutalmente concisa.
“Wow…” Commentò colpito.
Non ci avevamo capito un cazzo, io e i tre piccoli geni…
Tommy-boy non c’entrava un benedetto accidente.  
Rimase un po’ in silenzio. Poi ovviamente la domanda venne fuori. “Posso chiamare il professor Lupin?”
“Non vedo perché dovresti, visto che sta facendo lezione.”
“E dopo che ha finito?”
“Potter, se non la smetti giuro che ti faccio ingoiare una pozione soporifera!” Lo minacciò. “Sta’ un po’ tranquillo!”
“Ma mi annoio!” Belò con convinzione. La donna lo ignorò.

James ventilò a lungo l’idea di prendere la bacchetta sul comodino e schiantarla, per poi andarsene nel parco.
Per fortuna prima che traducesse quel sogno disperato in realtà, arrivò Teddy.
“Ce ne hai messo di tempo!” Sbottò, ignorando lo stupido batticuore da checca che l’aveva assalito. Teddy gli sorrise. Aveva un paio di riviste di Quidditch in mano e una stecca di cioccolato di Mielandia.
Quello fu il momento in cui fu assolutamente certo di amarlo.
“Sono un professore, Jamie. Ho dei doveri.” Spiegò paziente, posando riviste e cioccolata sul comodino. “Come stai?”
“Annoiato a morte.” Brontolò, incrociando le braccia al petto. “Senti, dici a Cerbero di darmi un po’ di respiro?”
“Signor Potter!”
“James… sii più educato con Madama Chips. Ricordati che è grazie a lei se sarai di nuovo in piedi entro stasera.” Lo rimproverò con gentilezza. James sbuffò.

“Scusa Poppy…” Borbottò. “Grazie per avermi rimesso in piedi.”
“Non male.” Lo lodò ironico. “Ora può andare…” Disse alla donna. “Rimango io con lui.”
L’infermiera sembrò poco convinta, ma non poté protestare. “Non lo faccia uscire. La pozione rimpolpaossa deve ancora finire di fare effetto.” Disse prima di andarsene.
James lo invidiò: riusciva sempre ad instillare una fiducia sconfinata nelle persone. Persino in quella strega arcigna. Il che era tutto dire.

“Allora…” Ted si sedette. James notò che era a disagio. “Come stai?”
“Me l’hai già chiesto.” Prese la tavoletta di Mielandia, addentandola. “Tu come stai?”

“Bene, bene…” Si schiarì la voce. Per un momento James fu quasi tentato di lasciar perdere. Poi cambiò idea. Voleva delle risposte. E Teddy era lì di sua spontanea volontà, no?
“Credo che quest’anno frantumerò il record di ricoveri.” Commentò, lanciandogli un’occhiata di sottecchi. “Oggi, e poi due settimane fa, per il memento…”
Ted non disse nulla, ma sembrò ancora più a disagio.
“Jamie, so dove vuoi andare a parare.” Disse infine, cauto. “Ma non mi sembra il momento.”
“E quando lo sarà?” Ribatté irritato. “Mi stai evitando!”
“Non mi sembra, ci vediamo tutti i giorni.”
“A lezione!” Sbottò. Si sentiva lo stomaco rivoltato, ed era furioso. Decisamente furioso. C’erano milioni di motivi per amare Teddy. Ma uno solo per prenderlo a calci nel sedere: la sua passività emotiva. Teddy era uno straordinario cacasotto, se si trattava di prendere una posizione in merito ai suoi sentimenti.

Tu mi stai evitando. È chiaro.” Decretò impietoso. “E non hai neanche risposto al mio gufo di ieri mattina. Merlino, Teddy… è tanto difficile?”
Per lui quelle due settimane erano state un inferno. Era stato come dover aspettare il risultato di un esame che avrebbe cambiato il corso della sua vita.
“Non so cosa dire…” James sentì l’impulso di spaccargli la faccia. “Lo sai che non è possibile.”
“Non è possibile cosa? Che io possa essere innamorato di te? È perché sono un maschio? Pensi che ti sto prendendo in giro!?” Lo aggredì infuriato.

“No, non lo penso!” Esclamò. “Davvero, sono lusingato, ma…”
Lusingato? Vaffanculo, Teddy!” Avrebbe voluto alzarsi in piedi, prenderlo per il bavero del mantello e scuoterlo, finché non gli avesse dato una risposta decente. Ma non poteva, era immobilizzato. “Non mi serve il contentino! Non sono uno studentello innamorato del suo professore! Ti conosco da quando ho cominciato a pensare, porca puttana! Non mi merito questo!” Concluse ferito. Cercò di ignorare il groppo che gli aveva serrato la gola.

Scoprì che non era facile.
Ted inspirò bruscamente. “James, lo so che non te lo meriti…”
Ma cosa vuoi sapere da me? Cosa posso dire per non ferirti? -  Se lo chiese confuso. Quando si trattava di sentimenti si sentiva sempre un ragazzino troppo stupido per apprendere un concetto che a tutti sembrava semplice, istintivo.

“Io ti amo, Teddy.” Disse, con semplicità. “Non me ne frega nulla se sei un uomo, un mio professore o se hai otto anni più di me. Me ne fotto. Ti sto dicendo che ti amo. E tu scappi. Tu… sai, fai così.” Fece una smorfia amara. “Scappi. Non è che lo fai con cattiveria, son sicuro, ma cazzo, lo fai. Abbandoni la gente…”
“Io non abbandono nessuno!” Si difese, ferito. Poi capì, e non ebbe la forza di ribattere.

“No?” Chiese infatti, con una serietà tremenda, così strana sul volto solitamente solcato da una vena di irriverente fanciullezza. “Hai abbandonato me e poi hai abbandonato Vic. E adesso…  Non hai voluto rispondere ad una semplicissima domanda, proprio roba che offende la tua intelligenza. Tu cosa provi per me?
Ted non rispose. A quel punto James decise di forzare la situazione. Non ce la faceva più.
Lo afferrò per il mantello, tirandoselo contro. Ted non fece resistenza, forse preso di sorpresa, forse sbilanciato: ma quando vide il viso di James troppo vicino al suo, quando sentì il sapore del cioccolato di Mielandia delle sue labbra, si tirò indietro di scatto.
“No, Jamie…” Sussurrò, afferrandogli i polsi e staccandolo da sé. “No.”
“Perché no?” James aveva uno sguardo bruciante, serio, intenso. Spaventoso.
Si tirò indietro del tutto. “James, per me sei come un fratello. Non c’è nient’altro…” Lo recitò senza neppure occuparsi di misurare le parole.  Poi lo guardò.
Ted non aveva mai creduto che l’espressione ‘spezzare il cuore’ potesse avere un riscontro reale. Fino a quel momento.
“Jamie…”
“Vattene via…” Sussurrò. Lo guardò angosciato. Aveva completamente perso espressione. Persino la voce si era ridotta ad un sussurro atono.

Si sarebbe aspettato urla, rabbia, persino odio. Ma non quell’espressione vuota.
“Mi dispia…”
James serrò la mascella. Le dita si chiusero attorno al cotone delle lenzuola. “Non azzardarti a dirlo.” Sibilò. “Non azzardarti a dispiacerti per me.”
Teddy sentì in bocca uno spiacevole retrogusto amaro. Deglutì. “Vuoi che me ne vada?”
James fece una risata rauca, triste. “Non ci arrivi da solo?”

Ted si alzò in piedi: quando aveva lasciato Victoire non si era sentito così ignobile.
Neanche lontanamente.
Beh, il perché è semplice. È a Jamie che hai spezzato il cuore.
Se ne andò e per quanto razionalmente sapesse di aver fatto la cosa giusta…
… non gli sembrò mai irrazionalmente così sbagliata. 
 
You can run away, while I protect the way I am…
 
 
****
 
Di fronte al Lago Nero.
Pomeriggio.
 
Rose avrebbe dovuto semplicemente godersela. Davvero, a volte avrebbe voluto essere un’anima semplice. Godersi la giornata tersa e insolitamente poco fredda per ottobre, l’erba soffice sotto il suo mantello e la compagnia del suo ragazzo e del suo migliore amico.
Ma ovviamente c’era qualcosa che non le tornava.
Questi due mi stanno rifilando un sacco di palle… - Pensò.
Scorpius la sera prima era stato portato via per cena dal padre. Era tornato alla torre immusonito e poco comunicativo. E sosteneva che andasse tutto bene. Prima palla.
Al sembrava fare di tutto per evitare l’argomento Thomas, quando fino a due giorni prima pareva che fosse tutto quello a cui riusciva a pensare. Seconda palla.
“Andiamo, ammettilo Mini-Potter! In fondo ti piace che tutte le fanciulle finalmente ti guardino come un vero uomo.”
“Ma proprio per niente. Non ho bisogno, come te, di una schiera di ragazze adoranti per sentirmi tale.” Brontolò Al. Sembrava aver intuito che il sarcasmo di Scorpius non era maligno, e aveva cominciato a rispondergli a tono, con gran divertimento dell’altro.   

“Finitela di beccarvi, bambini.” Si intromise Rose. “Piuttosto, qualcuno è passato a trovare Jamie oggi?”
“Io gli sono salito sulla gamba.” Disse subito Scorpius. “Stamattina. Poppy mi ha cacciato. Brandendo un pitale. Quella donna è una squilibrata.”

“Avrei voluto esserci…” Sogghignò Al. “Anch’io ci sono andato comunque. Jam stava alla grande. Mi ha sfottuto per mezz’ora…” Lanciò un’occhiataccia a Scorpius. “A proposito, avete vinto solo perché ho salvato la vita a Hugo.”
“Brucia la sconfitta, eh?” Chiocciò querulo Scorpius.

Al prese un’espressione remota, così veniva chiamato in famiglia il fenomeno per cui si astraeva per evitare di schiantarti. Intercettò poi con lo sguardo Michel e Loki, che risalivano pigramente la collina. “Ci si vede Rosie…” Prese la borsa con le sue cose e trotterellando dietro ai due serpeverde che si erano fermati per aspettarlo.
Rose sbuffò. “C’era bisogno di farglielo notare? Ci sono coccarde rosso-oro ovunque!”
Scorpius indicò quella appuntata sul suo mantello. “Tipo questa?”
“Merlino…” Seguì con lo sguardo il cugino e gli amici dirigersi verso il Castello. “Non riesco a capire come possa essere loro amico…”
“Oh, non sono così male.” Replicò Scorpius, pescando da un sacchetto un calderone di cioccolato. “E poi entrambi stravedono per lui.”

“Non sembra da come lo prendono sempre in giro.” Borbottò Rose, protettiva.
Scorpius ridacchiò. “Hanno un concetto di amicizia particolare.”
Rose fece una smorfia. “Come te?”
Scorpius si stese sull’erba. “Non proprio…” Intrecciò le mani dietro la nuca, in una posa rilassata. “A me piace essere salutato per i corridoi.”
Rose non disse nulla, ma si sentì stringere il cuore. “Tuo padre come ha preso il fatto che ci frequentiamo?” Gli chiese, cambiando argomento.

“Ha detto che tanto ormai il danno è fatto. Ma fuori da Hogwarts dovrò essere pronto a… come ha detto? Scremare.” Deglutì il cioccolatino, schioccando la lingua soddisfatto.  
“Quindi…” Sentì una fitta spiacevole allo stomaco. “Scremerai?”
“Non ci penso neanche…” Sorrise monello, tirandole il maglioncino. “Non l’hai capito, Rosey-Posey? Io faccio sempre solo quello che mi va.”
Rose sorrise, a metà tra l’esasperato e il divertito. “Viziato…”

“Terribilmente. I miei genitori mi amano, che posso farci?” Seguì con lo sguardo qualcosa alle sue spalle. “Ehi, credo che ci siano nerborute visite per te.”
Rose si voltò, vedendo i due gemelli Scamandro trotterellare nella loro direzione. Venivano dal castello. Era incredibile come riuscissero a camminare perfettamente appaiati.

“Wow, credo di vederci doppio…” Disse infatti Scorpius alzandosi a sedere.
Lorcan e Lysander li raggiunsero. Stranamente non sembravano in vena di scherzi. Erano piuttosto pallidi. “Rosie, hai visto Lilù?” Chiese uno dei due, riferendosi a Lily.
“No, credo che sia a studiare con Roxie da qualche parte…”
Ovvero a flirtrare con Jordan Thomas o Sean Coote. O entrambi assieme.
“Allora… potresti venire tu?” Chiese di nuovo, forse Lysander. “Si tratta del Capo.”
Rose sbuffò. “Che ha fatto stavolta? Si è messo di nuovo nei guai con Gazza?”

Lys deglutì, mentre l’altro scuoteva la testa. “Sta facendo a pezzi camera nostra.”
“… Cosa?”
Scorpius inarcò le sopracciglia. “E perché?” Si intromise pacato, come se gli avessero appena detto che James stava cogliendo margheritine al limitar della Foresta.

Lysander lo squadrò: sembrò indeciso se rispondere o meno. Alla fine, forse per disperazione, parlò. “Non lo sappiamo. È tornato dall’infermeria ed ha cominciato a fare tutto a pezzi.”
“Quel cretino!” Rose scattò in piedi, prendendo la sua roba alla rinfusa. “Vuole davvero finire a pulire i cessi di tutta Hogwarts con uno spazzolino? Dovrebbero confiscargli la bacchetta fuori dalle lezioni!”
“Non sta usando la bacchetta.” Sussurrò Lysander. “È questo il punto…”
Rose si guardò con Scorpius.

Magia senza bacchetta…
Non era la prima volta che James dava di matto, spaccando qualcosa in preda ad uno scatto d’ira. Lo scarso controllo e la magia accidentale anche in tarda età erano tratti che Harry aveva  passato di peso al primogenito.
Ma al massimo ha spaccato un bicchiere… Non una stanza intera.
Quanto diavolo deve essere fuori di sé?
“Andiamo.” Disse sbrigativa Scorpius. “Fate strada.”
Fecero in un battibaleno il tragitto dal Lago alla torre di Grifondoro. La Signora Grassa li fece passare al grido brutale di ‘Pasticcio d’Oca’, dopo aver come al solito lanciato un risolino deliziato nei confronti dell’erede Malfoy.
Trovarono Bobby Jordan che piantonava l’ingresso della stanza, con aria vagamente atterrita. Rose notò che aveva la bacchetta in mano.
Mica scemo…
“James è qui?” Chiese. Un terribile schianto ligneo anticipò la risposta del ragazzo.
“Dov’è Lily?” Chiese quello, poco convinto.
“Non c’è. Ci sono io, fatevelo bastare.” Disse sbrigativa. “O chiamo il professor Paciock?”
I due gemelli trasalirono. Lysander scosse vigorosamente la testa. Scorpius le lanciò un’occhiata silenziosa, facendogli intuire che sarebbe intervenuto se glielo avesse chiesto.
Rose gli sorrise, un po’ rinfrancata: non aveva paura di James, naturalmente. Il problema non era quello.
Il problema è che non è mai stato bravo a controllarsi… e non voglio prendermi un’anta di armadio in fronte.
Aprì la porta della camera, infilandosi dentro. E soffocò un’imprecazione.
In quella stanza sembrava esserci esploso un calderone. I materassi erano stati tolti dalle reti, le tende dei baldacchini nel migliore dei casi erano attorcigliate attorno alle colonne di legno. I bauli erano stati divelti, e vestiti, calzini, pacchi di biscotti e oggetti personali erano sparsi ovunque. James era in mezzo a quel casino, immobile e con il respiro corto.
“James…” Mormorò piano. “Jamie?”
Il ragazzo alzò la testa, lanciandole un’occhiata bruciante. “Levati dai piedi.” Ringhiò gutturale.

“Che diavolo hai…”
T’ho detto di levarti dai piedi!” Ruggì, e ci fu uno schianto. Rose si riparò la testa tra le mani, quando lo specchio accanto alla porta si spaccò esattamente in due.

Poi sentì la porta aprirsi dietro di sé.
“Potter, siamo nervosetti oggi…”
Rose si voltò: Scorpius si guardava attorno come se si trovasse in un ameno salottino e non nell’anticamera dell’Apocalisse. Invidiò ferocemente i suoi nervi saldi.

Forse un po’ di occlumanzia dovrei farmela insegnare sul serio… 
James sembrò sul punto di lanciarsi contro di lui, ma usare tutta quella magia doveva averlo sfiancato. Quindi si limitò a fare una smorfia irosa. “Malfoy… Mi stai un po’ troppo trai piedi ultimamente… E adesso che la tregua è finita non so se ho voglia di essere carino con te.”
“Tu non sei carino, Potter.” Replicò con una scrollata di spalle. “Ti va’ di fare due passi?”
“Con te?”  

“Credo che gli altri siano troppo preoccupati dall’eventualità che tu gli faccia esplodere qualche arto. E poi, hai bisogno di prendere un po’ d’aria.” Disse con tono definitivo.
James aggrottò le sopracciglia. Poi, a sorpresa, fece un cenno affermativo, calpestando le macerie e raggiungendolo.

Rose era sbalordita: li guardò andare via, assieme.
Questa davvero le batte tutte. Maschi…
Poi si accorse di essere sola, in quella stanza. E che sarebbe toccato a lei doverla mettere in ordine, per evitare che il Capocasa vedesse il macello e desse di matto. Gli Scamandro e Jordan si erano volatilizzati.
“Dannazione!”
 
James sapeva di aver fatto un casino.
Seguì Malfoy, senza neppure chiedersi dove lo stesse portando. Non gliene fregava nulla.
Si fermarono dopo aver passato rampe di scale, corridoi e persino quello che sembrava un camminatoio all’aperto. Con sorpresa, si accorse di essere sulla torre di Corvonero, sulle merlature. “Perché siamo qui?” Chiese guardingo.
Scorpius si stiracchiò. “Perché c’è una vista mozzafiato ed è poco frequentato. È raro che i corvonero si avventurino al di fuori della loro Sala Comune… Non che li biasimi, è di gran lunga la più bella del castello.”
“E tu come fai a sapere questa roba?” Nonostante tutto la curiosità travalicava anche il dolore sordo e bruciante che gli pulsava nelle vene.

Scorpius sorrise. “Mia madre. Era a Corvonero³. Veniva qui quando aveva voglia di starsene per i fatti suoi.”
James non rispose, limitandosi ad appoggiarsi ai bastioni: Malfoy aveva ragione, c’era una vista pazzesca, da lì si dominava l’intera vallata. L’aria fresca gli accarezzava il viso, facendolo sentire un po’ meglio. Forse gli doveva un favore.
“Non pensare che adesso siamo amici, Malfoy.” Borbottò però.
“Non c’è pericolo.” Ironizzò l’altro. “Fammi indovinare Potty. Problemi di cuore?”
James serrò i denti “Sei un legimante, Rosie me l’ha detto…” Sibilò. “Rifallo e ti ammazzo.”
Scorpius sbuffò. “Non ti ho letto nella mente. Che poi non è quello che un legimante fa. Semplicemente, ti si legge in faccia.”

“… Comunque non mi confiderò con te, Malfoy.”
“Te lo sto chiedendo?”
“Allora perché cazzo mi hai portato qui?” Sbottò confuso.

Scorpius si strinse nelle spalle. “Perché ne avevi bisogno.”  
James rimase in silenzio.  
“Vuoi veramente che ti apra il mio cuore, Malfoy?” Sputò infine con un sogghigno meccanico.
Non riusciva a non essere odioso, anche se remotamente capiva che Scorpius, per qualche sua strana ragione, si stava comportando da amico. Gli faceva troppo male. Tutto.
Anche respirare.
Scorpius, di controcanto, prese un’aria esasperata. “No. Ma potresti farlo con i tuoi amici, invece che fare a pezzi la loro roba…”
Tu che ne hai. Tipico dei Potter. Non vi accorgete neanche, di quanto siete maledettamente fortunati. Fate un sorriso e tutti vi cascano ai piedi.
“Non posso dirglielo…” Confessò James, mentre sentiva come se una mano gli artigliasse le viscere, al ricordo di Teddy. “Non capirebbero.”
“Cosa?”
James lo guardò valutativo: aveva bisogno di parlarne a qualcuno. Solo che nessuno, né della sua famiglia, né dei suoi amici andava bene. E Malfoy, paradossalmente, era lì.

Gli venne quasi da ridere.
“Sono innamorato di una persona…” Sussurrò. “… Da anni. Gliel’ho detto e mi ha respinto.”
“E chi è la sfortunata?”
“Vaffanculo.”
“Bel nome.” Celiò. “Potter, taglia corto. Hai bisogno di sfogarti. Non ci tengo a farmi soffiare la Coppa delle Case da Zabini solo perché non sai gestire i problemi di cuore come una persona normale, facendoci così perdere un sacco di punti.”
James fu indeciso se sentirsi infuriato per le offese o colpito dal fatto che si stesse sul serio offrendo di ascoltarlo. Alla fine ispirò. “Si tratta di… Teddy. Ted. Il professor Lupin.”  

Dire quel nome era tremendo, ma dirlo finalmente a qualcuno era come acqua fresca su una bruciatura. Non la curava, ma alleviava il dolore.
Scorpius inarcò le sopracciglia. “Cazzo.” E non disse altro.
Lo apprezzò moltissimo.
“E ti arrendi?” Chiese poi inaspettatamente.
James lo squadrò confuso. “E che altro dovrei fare?” Mormorò. “Ho sempre saputo che non c’era storia. Ma ci ho voluto provare lo stesso. Ed ho fatto la figura del coglione.”
“Tu fai continuamente la figura del coglione, Potter, ma arrenderti non mi sembra da te.”
“… In che senso?”
Scorpius fece spallucce. “Ti prendo tutti gli anni in squadra non perché hai dei bei capelli o fai Potter di cognome. Ma perché quando prendi la pluffa non la molli più, neanche dovessero ammazzarti. Capisci che intendo?”
James capiva. Ed era sbalordito. Lo stava incoraggiando. Malfoy.

“… Perché non stai ridendo?”
Per le sottane di Merlino, ti ho detto che mi piacciono i maschietti e che ho una cotta per un professore come uno ragazzina cretina!
Scorpius  per tutta risposta lo guardò come se fosse deficiente. “E perché dovrei ridere di una persona innamorata?”
James per la prima volta in vita sua rimase a corto di parole. Una sensazione quasi buona.
Perché, per quanto fosse assurdo, la reazione pacata di Malfoy, che aveva sempre considerato uno dei suoi detrattori… era…
Non so… Mi fa stare meglio.
Non riuscì a trattenere un sorriso spontaneo. “Non fai così schifo, sai?”  
“Neppure tu, Potter.” Fece una pausa, e sogghignò. “Ma non innamorarti di me.”
James scosse la testa e malgrado tutto sentì una risata pizzicargli la gola. “Non sei proprio il mio tipo…”

Poi gli tese la mano. Non era bravo con le parole, ma con i gesti sapeva di essere imbattibile.
Infatti Scorpius gliela strinse, con un sorriso.

 
 
****
 
 
Note:
Ok, ok. So che volete farmi a pezzi, ma una cosa per volta. E se non altro, Jamie ha cominciato a maturare. Teddy invece deve solo sbrinarsi il cervello. *Lo minaccia con un grattaghiaccio*
1) Qui il video. Cantante sottostimata, secondo me. J Tutte le frasi in inglese sono della canzone.
2) Hit Wizard: in italiano vengono tradotti ‘auror tiratori scelti’ (sbagliando). Sostanzialmente Sono l’equivalente della polizia: si occupano di chi infrange la legge magica e di catturare criminali pericolosi. Gli Auror, a loro differenza, si occupa di mangiamorte e maghi oscuri (dark wizard) e di chi minaccia la sicurezza nazionale. Gli Auror sono l’equivalente dei servizi segreti inglesi! XD Per maggior informazioni qui
3)Astoria (Asteria?) Greengrass. Si sa pochissimo su questa benedetta donna, se non che è purosangue. Ho letto alcune fic in cui veniva smistata a Corvonero. A me non è dispiaciuto pensarla lì. Se non altro Sy avrebbe un genitore che non è immerso fino ai gomiti nell’orgoglio serpeverde. ;-P

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Capitolo 32
*** Capitolo XXVII ***


Postaggio anticipato per augurarvi Buona Befana! ;) Sì, beh, dopotutto è una festa che sento davvero, essendo una befana io stessa. Spero anche di poter aggiornare domenica, cause esami *finger crossed*
@ElseW: No, mai scagliare un pc attraverso la stanza! Non rimbalza XD Grazie per il supporto emotivo però! :P Sì, sono d’accordo sul fatto che Rosie abbia una fortuna sfacciata, ma che ci vuoi fare, almeno nelle fic mettiamoceli ‘sti uomini quasi perfetti! Che poi, ad eccezione di Rosie, Sy si comporta come uno stronzetto con il resto del creato femminile. Ah, l’amour… Teddy è un coglione, ma dopotutto dai, è un caro ragazzo un po’ (tanto) confuso. XD No, Duil non si è suicidato. E per la Prynn… non giudicare un libro dalla sua copertina! Grazie per la recensione! Davvero!
@Ron1111: Beh, se mi dici che sono IC personaggi tu, che sei riuscita a mischiare generazioni facendo sembrare tutti PERFETTI, lo prendo come un super-complimento! Purtroppo non si può lasciar stare Tom, altrimenti che gusto ci sarebbe (Tommy non concorda). Sy assomiglia a Sirius, ma in una certa misura no. Dopotutto Sirius era un arrogante cazzoncello, molto più simile a Jamie che al buon Sy. Ho pensato che Scorpius, con il fardello di un genitore e dei nonni così, sia dovuto crescere per forza arrivando a compromessi, e quindi non ha le stesse deliranti e razzistoidi convinzioni che aveva Draco, e in buona misura, pure Sirius (che odiava tutta la sua famiglia e chiunque fosse implicato nelle Arti Oscure) Teddy lo so, non si sta comportando bene, ma dopotutto è un appena ventiquattrenne, confuso e con geni che lo portano inevitabilmente a scappare se le cose si fanno troppo dolorose (guarda Remus). Vedrai che riuscirò a fartelo rivalutare… oh, beh, almeno spero! X)
@Trixina: Davvero? ^^ Mi fa piacere che questo capitolo ti abbia preso tanto, e vedrai I prossimi! Jamie e Sy in effetti potrebbero diventare buoni amici, perché, come ha detto Al, sono più simili di quanto non sembri, dietro i loro cognomi. E mi piaceva l’idea che diventassero loro amici, invece che il classico sodalizio Al-Scorpius, anche se certo, il nuovo trio ufficiale è Al-Rose-Scorpius XD La storia dell’alchimia mi è venuta in mente beh… perché era l’unico modo di inserire anche Tom! Senza alchimia Tommy non sarebbe mai potuto esistere! XD
@Altovoltaggio: Ottimo! Allora avevo letto la cosa di Astoria a Corvonero anche su Wikipedia evidentemente, anche se su HP Wiki non c’è niente. Comunque. La storia del religioso… sempre su wikipedia, ho scoperto che in realtà nel Potteverse la religione c’è, i maghi possono essere credenti, solo che la cosa non salta fuori nei libri. C’è liberta totale di culto. Per quanto riguarda la religione di Parva Duil… è inglese, ma di origini indiane (come le gemelle Patil, se ricordi) e quindi non è difficile pensare che possa essere protestante o persino cattolico. Non tutti gli indiani sono di religione induista, se le loro radici si limitano a nome e cognome. ;) La storia non è proprio a metà, diciamo che è ad un tre quarti, salvo inghippi narrativi. L’ho allungata così soprattutto per dare più risalto alla vicenda romantica. XP
@MissyMary: Ahaahah, evangelizzare i macachi! XD Mitica! Teddy è attualmente il personaggio con la minima classifica di gradimento, mentre Jamie, a sorpresa, è risalito (bella forza, è l’eroe tragico del capitolo! XD) Mi sa che userò un espediente narrativo simile, alla festa di Halloween. Perché, sinceramente potevo farmi mancare una festa? XD S.Zabini colpirà!
@Lilin: Ciao! XD Quanto tempo, è un piacere rivederti! Tommy-boy è un gran bravo ragazzo, con ottimi gusti musicali e la tendenza ad essere un eroe tragico. Come si può non adorarlo? XD Apparte gli scherzi, e gli auto-incensamenti (che poi, non mi ritengo questa gran scrittrice, semplicemente adoro una certa tipologia di personaggi e cerco di renderli al meglio, sotto l’egida di Mamma Row) Teddy ormai è diventato l’odiato della fic, e spero davvero che ri-guadagni punti, perché altrimenti dovrò farlo tornare con Vic *Ted scuote forsennatamente la testa*… ecco, bravo. Loki e Mike purtroppo sono personaggi secondari, ma avranno un pochino più di spazio nei prossimi capitoli, specie Mike. ;) Grazie per i super complimenti… e guarda di che tratta questo capitolo? ;) Manco ci fossimo messe d’accordo!
 
****
 
Capitolo XXVII
 


 

I'm not crazy, I'm just a little unwell /
I know, right now you can't tell
But stay awhile and maybe then you'll see / A different side of me
(Unwell, Matchbox 20)
 
 
30 Ottobre 2022
Hogwarts, Sotterranei di Serpeverde, Dormitorio Maschile.
Prima mattina.

 
L’eco di umidi baci si sommava a respiri mozzati, mentre passava i polpastrelli sulla pelle bollente e leggermente sudata della schiena di Albus.
Lo sentiva gemere contro il suo orecchio, una specie di mugolio indistinto, privo di verbo, ma solo di intenzione. Sentiva un calore cocente al basso ventre, incredibilmente teso.
Al era sotto di lui, lo sentiva, lo percepiva. Si era staccato per poterlo guardare. Gli occhi, liquide pozze verdi in cui sarebbe annegato. Sempre. Per sempre.
Gli aveva passato le dita sul collo, percependo il battito del cuore.
Poi la scena era cambiata.
Un pavimento di pietra, freddo, duro, impietoso. Erano in una caverna.   
Le mani attorno al collo, gli occhi di Al, quegli occhi meravigliosi, aperti in un feroce spavento.

Il respiro simile ad un rantolo.
E sangue. Sangue ovunque.
 
Tom si svegliò, soffocando un urlo tra le labbra, stringendolo trai denti ed infine, inghiottendolo.
Si rese conto che era stato un incubo non appena focalizzò il letto, le coperte attorcigliate attorno ai piedi e la luce del candelabro che pendeva al centro della stanza.
Era in camera sua, era un sabato mattina ed era ad Hogwarts.
Inspirò lentamente, riprendendo fiato. Sentendo lo scroscio dell’acqua e vedendo il letto vuoto di Michel capì che si stava facendo la doccia.  
Al…
Si liberò delle coperte con un gesto rabbioso, e si diresse verso il letto del ragazzo.
Albus dormiva, ovviamente. La pendola accanto alla porta segnava a malapena la sette del mattino. Senza indugio scostò le tende e si inginocchiò sul letto. La fortezza di cuscini si ergeva maestosa ma, sapeva, penetrabile.
Ne tolse alcuni, svelando Al, che dormiva abbracciato ad uno piuttosto grosso, a forma di boccino, dono dei fratelli qualche anno prima. Non se ne separava neppure in vacanza.
Tom sorrise, mentre il sollievo gli si scioglieva letteralmente nelle vene: una sensazione stupida, perché era stato solo un incubo. Terrificante, che gli stava tutt’ora serrando la bocca dello stomaco. Ma solo un incubo.
Non era il primo che faceva con protagonista Albus. Tutto iniziava da una situazione decisamente piacevole, e poi…
Serrò la mascella, furioso con sé stesso e con il suo subconscio.
Era già il quarto dall’inizio del mese.
Si distese accanto ad Al ed ascoltò il ritmo quieto del suo respiro, finché non si fu tranquillizzato.
Hogwarts aveva ripreso i suoi ritmi, lasciandosi alle spalle il mese di paura che aveva patito. I professori erano entrati in pieno regime, assegnando loro chili di compiti.
Thomas ne era felice, perché tra quelli e il libro della Professoressa Prynn aveva poco tempo per pensare. E non voleva pensare.
Il ragazzo biondo, o meglio, il finto-ragazzo biondo, aveva di nuovo tranciato le comunicazioni e lui si sentiva sempre più confuso e angosciato. E arrabbiato. Incessantemente arrabbiato.
Continuava ad indossare il medaglione però. Non si fidava, comunque, a lasciarlo in giro.
Ci sono troppi curiosi ultimamente…
Al si voltò istintivamente verso di lui, incastrando il braccio sotto il suo e appiccicandoglisi addosso.
Tom sogghignò. Per quanto riguardava il loro rapporto… non c’era molto da dire. Era l’unica cosa bella di quel periodo.
C’era una parte di sé che sapeva, intuiva, che il suo bisogno non derivava solo da uno scoppio ormonale tardivo, quanto piuttosto un tentativo, spesso maldestro, di cancellare tutti i pensieri cupi che gli affollavano la mente.
Maldestro perché, appunto, poi arrivavano gli incubi.
Io non ti farei mai del male… mai.
Si chinò su di lui strofinandogli le labbra contro l’orecchio. Aveva scoperto che lì, Al, era dannatamente sensibile. Infatti lo sentì scattare leggermente, mentre rabbrividiva tutto.
“…Joey…”
…Joey?
Sentì Al sogghignare contro la sua maglietta. “Ci sei cascato…” Sussurrò, con il tono ancora impastato dal sonno. “Non puoi svegliarmi come le persone normali?”

Si limitò a scostarsi con un gesto brusco, raddrizzarsi a sedere. “Chi è Joey?
Al batté le palpebre, stropicciandosi un occhio. Gli squadernò davanti il cuscino a forma di boccino. “Lui. Si chiama come Joey Jenkis, il famoso battitore dei Canons.”

Tom lo graziò di un’occhiata che premeditava omicidio. “Ti pare il caso di scherzare?”
“Sì, se mi svegli leccandomi un orecchio. Ringrazia che non ti ho buttato giù dal letto.” Replicò sbadigliando e puntellandosi su un gomito per guardarlo.

Tom non aveva una bella cera. Di nuovo.
“… Hai fatto un incubo?” Chiese, tornando serio. Tom fece una smorfia, senza rispondere.
Albus sapeva dei suoi incubi. Non che fosse difficile: due delle quattro volte aveva urlato tanto forte da svegliarlo. Entrambe le volte Al gli si era infilato nel letto ignorando le proteste, e gli aveva tenuto la mano finché non si era riaddormentato.
“Perché non ne parli con papà? Degli incubi, intendo…”
Tom si frenò dal rispondergli male. Erano giorni che insisteva con quella storia.

“Non voglio farlo preoccupare. Li ho sempre avuti.” Tagliò corto. “Cosa potrebbe fare poi? Consolarmi?”
“Per quello basto io.” Replicò Al, pacatamente. “Ma ne hai molti di più ultimamente…”
“È per la storia dei Naga, lo sai.” Mentì sbrigativo. Ormai era diventato un autentico asso.

Al ogni volta gli lanciava uno sguardo strano. Per un attimo sembrava volergli dire qualcosa, ma poi rinunciava. Tom spesso si chiedeva fino a che punto intuisse che gli stava mentendo.
Non certo al punto di sapere quello che faccio veramente…
“Che ore sono?”  
“Quasi le sette.”
“Pensavo peggio… Mike ha di nuovo colonizzato il bagno?” Chiese, nascondendo uno sbadiglio nella mano. Tom si limitò ad assentire.

Non aveva mandato un gufo al padrino, né aveva parlato con Mike.
Non stava attendendo a nessuna delle promesse che aveva fatto ad Al…
 
Albus gli lanciò un’occhiata. Ormai aveva rinunciato a mettere bocca nella faida tra lui e Michel.
Non posso preoccuparmi anche di questo… Alla fine fanno sempre pace. Succederà anche stavolta.
Tom intanto sembrava intento a schiacciare il più possibile il suo cuscino a forma di boccino.
“Non maltrattare Joey.” Lo redarguì. “Lo stropicci tutto.”
Tom emise un grugnito poco comunicativo, ignorandolo; era dimagrito in quel periodo. Non che fosse mai stato un tipo florido, ma le guance gli si erano leggermente incavate, così come i capelli più lunghi contribuivano a dargli un’aria ancor più emaciata.

Nonna Molly avrebbe gridato alla consunzione, ma bisognava ammettere che quell’aspetto gli donava. Terribilmente. Le sue fan ormai avevano raggiunto anche lidi Grifondoro, di solito intoccati dal fascino tenebroso di Serpeverde.
Cosa piuttosto seccante… Lily si fa certe risate…
“Tom? Perché non stropicci qualcos’altro, eh?” Gli tolse il cuscino dalle mani, non senza qualche difficoltà.
“Per esempio?” Indagò quello, lanciandogli un’occhiata che riassumeva perfettamente le sue intenzioni.
Al si sentì arrossire come una scolaretta: era quasi passato un mese e ancora si sentiva stupido quando stavano per baciarsi. Aveva ancora paura di tirargli una nasata.
Probabilmente non mi passerà mai…
“Per esempio non Joey.” Borbottò evasivo. “Guarda l’ala destra… Non farebbe neanche dieci me…”
Non riuscì a finire, prevedibilmente, visto che Tom lo baciò. C’erano due tipi di baci nel loro rapporto: uno lento, gentile e languido, persino un po’ impacciato a volte. Erano quelli iniziali, o quelli che Tom gli rubava quando non c’era nessuno in Sala Comune. E poi c’erano gli altri. Quelli che gli lasciavano la mascella indolenzita, le labbra secche e la testa piena d’ovatta. Quello era uno della seconda specie.

Si sentì schiacciare contro il materasso. Era un peso piacevole, Tom, non gli si buttava mai addosso, ma si puntellava sui gomiti. Gli lasciava spazio per aggrapparsi a lui, in modo persino un po’ disperato.
Adorava quei baci: gli facevano sentire lo stomaco contratto e un piacevole languore al basso ventre.
A volte doveva trattenersi per non strillare al povero Mike di levarsi dai piedi, quando la mattina Tom scattava via dal suo letto non appena sentiva la chiave girare nella toppa del bagno.
Statuto di segretezza…
Nessuno sapeva ancora niente.  Si sentiva un po’ in colpa, per via di Rose.
Sono un pessimo amicoForse oggi… forse oggi glielo dirò. - Pensò nebulosamente, mentre sentiva le labbra di Tom scendergli lungo la gola.
Gemette senza il minimo ritegno, facendolo ridacchiare. Sentiva le labbra vibrargli contro la pelle e Merlino, era terribilmente imbarazzante, ma…
Oddio.
“Smettila di ridere!”
Devo prendere la cosa sul ridere…” Borbottò Tom, infilandogli, au contraire, le mani sotto la stoffa del pigiama. “Hai idea di quanto tu sia…” Pausa. “… eccitante?”

Al sentì il calore esplodergli tra collo e guance. “Devo smettere?” Si informò.
Tom fece una smorfia, incredibilmente simile ad un ringhio. “Non ti azzardare.”

Poi si irrigidì. E si voltò verso il bagno, con espressione indecifrabile. Comunque, non allegra.
Si voltò anche lui.
Che idioti, ci siamo dimenticati di Mike!

Michel infatti li stava fissando. Sembrava sbalordito. Per un attimo sembrò anche… arrabbiato?
Oh, per tutte le sottane viola di Merlino…è perché non gliel’ho detto?
Alla fine, per fortuna, sogghignò. Uno dei suoi rassicuranti ghigni da pervertito.
“Ma guarda che abbiamo qui…” Cinguettò. “Bel modo di iniziare la giornata!”
Al sentì le guance diventare roventi, mentre tirava uno spintone a Tom, che si spostò senza opporre resistenza. Lanciandogli un’occhiata vide che sembrava imbarazzato quanto lui.
“Non… noi… Stavamo… solo…” Balbettò miseramente. Tom, ovviamente, si era chiuso in uno dei suoi silenzi sociopatici. “… lottando.” Pigolò, sentendosi profondamente demente.
Michel lo guardò con aria divertita. “Al, sei delizioso, ma sappi che sei un po’ ridicolo quando neghi l’evidenza.”
“Grazie.”
“Di niente, pulcino.” Soffiò, assottigliando gli occhi. “Sei stato cattivo con il tuo Michel… mi avevi promesso che mi avresti raccontato la tua prima, timida, volta. Sto ancora aspettando.”
“Non l’abbiamo fatto!” Uggiolò, lanciando un’occhiata disperata a Tom, che finalmente sembrò riscuotersi.

“Fatti gli affari tuoi, Zabini.” Disse gelido. Al trattenne il respiro, maledicendolo.
Mike sta solo facendo lo scemo! Perché non cerca di essere più gentile?
Così non farete mai pace! Non voglio dividermi tra voi due!

Il sorriso di Michel infatti si spense, e venne sostituito da una smorfia, elaborata ma altrettanto gelida. “Non stavo parlando con te, Dursley.”
“Ragazzi…” Certe volte avrebbe voluto che Loki non fosse un salta-letti impenitente, ma un amico supportivo. O uno stato cuscinetto.

Tom non disse nulla. Si alzò, limitandosi a sbattersi la porta del bagno dietro.
Michel tirò un lieve sospiro. In qualche modo, sembrava ferito.
Al si sentì in dovere di alzarsi dal letto e avvicinarglisi. “Mi dispiace… lo sai com’è fatto.”
“Fin troppo bene.” Replicò con un mezzo sorriso. “La sua isteria mattutina è un classico che apprezzo sempre.”
Al ricambiò il sorriso. “Io…” Iniziò incerto. Non aveva paura di un giudizio. Ma era pur sempre la prima persona che sapeva.  

“State assieme?” Lo aiutò Michel.
Non poté far altro che annuire. “Tu lo sapevi, vero?” Gli chiese poi, curioso.
Michel fece spallucce. “Era una possibilità. E lo sai che mi piace scommettere.”
Al ridacchiò. “Ed hai vinto?”
Michel sorrise, ma non rispose.


Tom inspirò profondamente, posando le mani sul ripiano di marmo del lavabo.
Sentiva il sangue rombargli nelle orecchie. Si sentiva ridicolo.
Michel aveva guardato Al, confermandogli che tutte quelle battutine e quei sogghigni non erano che una farsa. E si era trattenuto dall’afferrare la bacchetta e…
Chiuse gli occhi, inspirando lentamente.  
Mike era interessato ad Al, su questo ormai non c’era dubbio. Prima delle partita non aveva dato fiato alla bocca con il nobile intento di farli riavvicinare.
Mio caro Michel… non sei bravo a fingere che non ti interessi mangiare nel mio piatto…
Si guardò allo specchio. Sembrava un invasato. Avrebbe dovuto tagliarsi i capelli, mangiare di più e smetterla di pensare.
Per il lampo rosso che gli era apparso negli occhi, invece, temeva di non poter far niente…
 
 
****
 
Hogwarts, Cortile.
Dopopranzo, verso Hogsmeade.

 
Rose guardava incredula davanti a sé, ben imbacuccata nel proprio giubbotto, attendendo che la piccola comitiva si muovesse verso Hogsmeade per la prima gita della stagione.
Nel cortile c’erano già parecchie persone: lei, Lily, Hugo, e poco distante l’oggetto del suo stupore. La coppietta del mese. Scorpius Hyperion Malfoy e James Sirius Potter. Cioè il suo ragazzo e suo cugino.
Erano diventati la notizia di quelle tre settimane. La loro amicizia, improvvisa ma platealmente ostentata, aveva sconvolto più di una persona in una scuola dove i cognomi facevano ancora la differenza.
Le loro fans erano nel caos, i gemelli Scamandro li studiavano guardinghi e persino Bobby Jordan non riusciva a farsene una ragione, sebbene fosse sovente inserito nelle loro conversazioni.
Deve essere successo qualcosa di grave. Un trauma cranico congiunto, forse. Si sono schiantati a vicenda e questo è il risultato…
In quel quasi - mese, tra l’altro, il comportamento di James era cambiato; Gazza aveva notato una sospensione di tiri mancini al suo indirizzo e Pix, per motivi misteriosi, aveva cominciato a girare con una fascia nera al braccio.
Che stia maturando finalmente?
Rose non sapeva se fosse un bene o un male però. James in quel momento chiacchierava tranquillo con Scorpius, le mani indolentemente infilate nelle tasche del giubbotto di pelle, ma c’era qualcosa nella sua postura, nel modo in cui curvava le spalle…
… Che puzza di depressione.
Si morse un labbro: Scorpius non aveva voluto dirle nulla della loro chiacchierata, né del motivo per cui il cugino aveva distrutto un’intera stanza. Sapeva qualcosa, ma non si lasciava sfuggire nulla.
Che diavolo sarà successo tra quei due?
Si sentì battere la spalla. Si voltò: Al le stava davanti, con uno di quei suoi sorrisi soffici e una sciarpa troppo lunga. Fu contenta di vederlo solo.
Ho proprio bisogno di due chiacchiere con un maschio non fallocrate.
“Ciao Rosie…” Lanciò uno sguardo verso la coppietta. “Merlino, sono quasi inquietanti.”
“E tu li vedi solo ogni tanto. Io ce li ho davanti tutti i giorni, e credimi, ancora faccio fatica ad abituarmi.”
Albus sorrise. “Jamie finalmente ha tirato fuori la testa dal sedere e si è accorto che un cognome non dice nulla sulla simpatia di una persona? Sono fiero di lui.” Sorrise, facendola suo malgrado ridacchiare.

Albus è forse l’unico essere sulla terra capace di sputare veleno con un sorriso dolcissimo…
“I tuoi amici non vengono ad Hogsmeade?”
Il ragazzo scosse la testa. “Mike sta aspettando un Gufo dal padre.” Fece una smorfia divertita. “Loki credo stia aspettando dozzine di gufi invece… ma sono certo che non vuoi sapere per quale motivo.”
“In veste di prefetto, no.” Si affrettò ad assicurargli. Gli lanciò un’occhiata attenta. “E Thomas?” Chiese volutamente noncurante.

Sapeva. Sapeva che Al le stava nascondendo qualcosa sul cugino. E qualcosa di grosso.
Al fece un sorriso impacciato, sistemandosi con cura la sciarpa grigio-verde al collo. “Voleva venire, ma ha dovuto tornare in Dormitorio a prendere un libro per la Pince. L’ha bloccato all’ingresso sbraitando di ritardi di consegna… Verrà dopo, con i ragazzini del Terzo.”
Rose fece un vago cenno di assenso, calamitata dalla risata di Scorpius, che si stava avviando con James e gli altri Grifondoro verso il sentiero sterrato che conduceva ad Hogsmeade.
Scorpius rideva di una risata bellissima, e non stava ridendo con lei.
Al le lanciò uno sguardo curioso, prima di prenderla sottobraccio. “Penso che sia una bella cosa che Malfoy abbia fatto amicizia con il nostro Jamie. Non deve avere molti amici…” Lasciò cadere.   
“Non sono gelosa.” Bofonchiò.  
“Certo.” La assecondò infatti, gentile, rischiando seriamente un calcio negli stinchi.
Rimasero in silenzio per un po’, passando davanti al campo di zucche di Hagrid.  
Quando passarono i cancelli della scuola, Rose piegò il sorriso in un sogghignetto. Lui poteva prenderla in giro per la sua ridicola gelosia? Benissimo. Lei aveva frecce migliori al suo arco. “A proposito di amicizia virile… che sta succedendo tra te e Tom?”
Al la guardò incerto. Di fronte ad una domanda diretta non riusciva mai a mentire. “Niente… Il solito, direi.”
“Un paio di palle. Ha smesso di ignorarti, e ti ronza sempre attorno. Molto più di prima.”

Al boccheggiò. Sembrava decisamente in difficoltà, come preso tra due moniti interiori.
“È successo qualcosa di grave?” Si informò guardinga.  
Al scosse la testa. “Ma no! In effetti però… c’è una cosa che devo dirti.” Si morse un labbro. “Sai che lui mi piace. E non come amico. Come… come una ragazza.” Sussurrò appena udibile.
“È difficile immaginarlo ragazza, ma sì.” Lo fece ridacchiare. “Sì, lo so.”
Al sembrò quasi scomparire sotto la pesante sciarpa di serpeverde. “Stiamo assieme. Come te e Malfoy.”
Rose rifletté a lungo su come reagire. Alla fine disse semplicemente. “Oh.”
“… Già.” Commentò Al, passandosi ferocemente una mano trai capelli. “Da un mese, quasi.” Aggiunse.

“Da prima della partita?”
“Dal giorno prima.”
“Miseriaccia.” Riuscì soltanto a dire. Era… stordita. Ormai aveva digerito l’idea che Al prima o poi avrebbe avuto un ragazzo. Ma vedere quell’idea concretizzarsi era comunque un po’ strano.

Specialmente se l’idea si concretizza con Thomas
“È… okay?” Si informò cauto. “Per te è…”
“Ma certo!” Si affrettò a rassicurarlo “Solo… è Tom, sai. Non la situazione. Cioè, sì, anche. Però… tu sei felice?” In fondo era quello che contava.

Merlino, è questo che importa vero?
Al fece un mezzo sorriso. “Credo… credo di sì.” Il sorriso prese una sfumatura sognante, che l’avrebbe fatta ridere in altre situazioni. “Io… sì. Credo di essere felice.”
“Con Thomas.” Non riuscì a non tradire incredulit e Al se ne accorse.

“Sì.” Fece una pausa, mentre le lasciava il braccio. “È di lui che sono innamorato.”
Rose inspirò. “Al, i misteri su di lui restano, non è che spariscono solo perché quei Naga erano comandati da uno psicopatico che si è pure suicidato.”
Al la guardò freddamente. “Sì, ma non ci riguardano.”
“E prima non ci riguardavano?” Incalzò, parimenti dura.

Non gli avrà fatto il lavaggio del cervello? Lo capirebbe anche un idiota che Thomas ha qualcosa che non va. Si aggira per la scuola con aria tetra, spaventando a morte i primini e facendo sospirare quelle cerebrolese delle amiche della Haggins! E non è divertente come sembra!
Al scosse la testa. “Prima c’era qualcosa che minacciava la scuola e credevamo che le cose fossero connesse. Ma adesso non credo sia giusto ficcare il naso. Non lo era neanche prima, a dirla tutta.”
Rose inspirò: il ragionamento era giusto. Eppure non riusciva a togliersi dalla testa che Tom fosse in qualche modo invischiato in qualcosa di pericoloso.

Forse sono solo prevenuta… del resto non mi è mai piaciuto.
“Tom non mi piace. Tanto per mettere in chiaro le cose.” Disse, guardandolo seria. Al ricambiò lo sguardo, poi annuì con un sospiro rassegnato.
“Lo so. Non ti obbligo a fartelo piacere. Ma credimi… ha dei lati buoni.”
“Con te.” Chiarificò spassionata. “Con il resto del mondo è uno stronzo, e in questo periodo non fa nulla per nasconderlo.” Fermò il suo tentativo di obiezione con una mano. “Ma… se ti rende felice, io sarò felice per te. È questo che fanno gli amici. I cugini poi, sono praticamente obbligati.”
Al le strinse la mano. “Grazie. È… molto importante per me.” Mormorò.
Rose gli sorrise. “Sappi che se ti farà soffrire mi prenoto per affatturarlo in modo grave.”

Al ridacchiò. “Glielo farò presente…”
Camminarono a braccetto, per la High Street del Villaggio, guardando le vetrine, sempre in silenzio.
“Quest’anno, oltre al banchetto di Halloween¹ quel folle di Malfoy, assieme  a Jamie e gli Scamandro ha chiesto di organizzare un Ballo…” Rose cambiò discorso, perché sentiva che entrambi ne avevano bisogno. “Verrà tenuto in Sala Grande. Già stamattina stavano sistemando le decorazioni… Tu ci vai?”
Al annuì. “Certo. Anche solo per controllare che Jamie non combini pasticci e che Lils non cerchi di imbucarsi… sono pur sempre un Prefetto.”
Rose ridacchiò, dandogli una pacchetta sulla mano. “Bravo il mio ragazzo. Lo sai che è in maschera?”
La guardò compassionevole. “Rosie, sto in camera con i due ragazzi più pettegoli di Hogwarts. Oltretutto Nott è stato coinvolto ai massimi livelli, facendo entrare l’alcohol…”

Rose sbuffò. “Non è divertente annunciarti le cose, Lily ha ragione. Tom verrà?”
Al fece un sogghignetto. “Naturale. Anche se ancora non lo sa.”

 
 
****
 
Hogsmeade, ai Tre Manici di Scopa. Ora di pranzo.
 
“Non andrò a quel ridicolo Ballo.”
“Perché?”
“Perché è ridicolo.”
“Scusa patetica. Ci vanno tutti. E poi sarà divertente. Cos’hai contro le cose divertenti?”

 
Teddy Lupin ascoltava l’alterco tra Albus e Thomas, seduto ad un angolo dei Tre Manici di Scopa. Non avrebbe dovuto, ma Al si era infervorato, e con le guance rosse dal freddo e dall’irritazione spiegava le sue ragioni facendosi sentire da mezzo locale.
 
 “… Va bene. Verrò. Ma non indosserò nessuna stupida maschera.”
“Questo lo vedremo.”

Ted soffocò una risata e si impose di concentrarsi su ciò che stava facendo prima che i due ragazzi entrassero nel locale.

Davanti a lui c’era il diario, o meglio come aveva scoperto, il Grimorio del defunto Ziel, che lui, non tanto legalmente, si era tenuto per sé.
Idea migliore non poteva aver avuto, dato che in quel mese quel libricino consunto l’aveva tenuto impegnato, senza peraltro farlo giungere a nessuna soluzione.
Il codice in cui era scritto era praticamente intraducibile. Aveva provato tutti gli incantesimi di rivelamento che conosceva, ma senza risultati.  
Ma Teddy era felice così. Anche perché impegnarsi in quel rompicapo lo distoglieva dal Problema James.
Alla fine aveva deciso di identificarlo così, visto che di problema in effetti si trattava.
I loro rapporti erano peggiorati fino all’inverosimile. James veniva alle sue lezioni, svolgeva i compiti e non dava fastidio, ma sembrava percepirlo più o meno come il professor Rüf: qualcosa che apriva bocca e cominciava a parlare, ma con cui di certo non ci si poteva rapportare.
Teddy capiva che si trattava di una difesa, e rispettava le distanze. Eppure non riusciva a togliersi dalla testa l’espressione di James, quel pomeriggio in infermeria.
Era quasi diventata, anzi, era un’ossessione. Passava i pochi momenti in cui lasciava vagare la mente a pensare a come avrebbe potuto farsi perdonare. Era stupido, ma si sentiva come se avesse sbagliato tutto facendo la cosa giusta. Stava impazzendo.
Oltretutto, bisognava esser ciechi per non essersi accorti che James si comportava in modo anomalo: non combinava più disastri, era rispettoso con i professori, non si infilava in aule vuote con le ragazze e per finire dava retta all’autorità costituita. Ed era diventato grande amico di Malfoy.
In sé erano tutti cambiamenti positivi, certo. Ma se Ted pensava al motivo scatenante, non riusciva ad essere del tutto tranquillo.
Devo essere cretino. Dovrei essere contento.
Invece non ricordava di essersi mai sentito così angosciato.
Si passò una mano trai capelli, e dalle risatine di un gruppo di tassorosso dietro di lui capì che avevano cambiato colore. Si portò una ciocca davanti agli occhi: Grigio topo.
Era quasi un mese che la cromatura dei suoi capelli oscillava tra un castano spento e quel grigio desolante. Neville si era dimostrato particolarmente preoccupato, anche se non aveva capito perché.
Mi ha chiesto non so quante volte se avevo problemi con Vic… 
Sentì una sedia spostarsi davanti a lui, e, quasi l’avesse chiamato, Neville entrò nella sua visuale.  
“Problemi con Victoire?” Gli chiese premuroso. Per circa l’ottantesima volta.

Ted si sentì un po’ stupido, e un po’ stufo. “Nev, mi sono lasciato con Vic. Tre mesi fa.” Confessò, con una certa calma. Ormai non faceva più così male.
Il buon’uomo lo guardò leggermente sconvolto per una manciata di attimi. “Oh.” Disse. “Allora sai di lei e Jean-Luc, quel pittore francese…”
Ted incassò la notizia con stupefacente calma. Si stupì lui stesso di non volersi affogare nella pinta di idromele. “Sì.” Mentì. “E tu come lo sai?” Si informò però.

“Hannah. Hanno delle amiche in comune…” Spiegò con un gesto vago. “Mi dispiace Teddy…”
“Sto bene.” Sorrise, ed era vero. Non era per Vic che si sentiva come uno straccio.  

Lei è storia passata… - Gli suggeriva una vocina nella sua testa, particolarmente presente in quel periodo.
Neville lo guardò incerto. “Allora cosa c’è che non va? Perché Ted, tu assomigli a tua madre. O perlomeno, il tuoi poteri da metamorfomago sono identici ai suoi. Sai, anche lei ha avuto i capelli di questo colore.”
“Davvero?” Sua nonna non gliel’aveva mai raccontato. “E quando?”
“Quando era innamorata di tuo padre e credeva di non essere corrisposta…”

Teddy sentì il sangue nelle guance defluire in un punto imprecisato del corpo, prima di tornare, prepotente. “Ah… ma io… la cosa di Vic l’ho superata. Più o meno. Sono felice per lei, davvero.”
“Okay.” Lo rassicurò Neville. “Okay…”

Teddy bevve un lungo sorso di idromele. I capelli non mentivano. Mai.
Certo, era l’unico metamorfomago in circolazione, e non era del tutto certo della sua teoria. Ma era raro che il colore dei suoi capelli riflettesse un’emozione sbagliata.
Neville sembrò indovinare il suo imbarazzo, perché cambiò subito discorso. “Hai presente il Ballo di Halloween? Sono quasi certo che Nott troverà il modo per introdurre dell’alcool e sono un po’ preoccupato.”
Ted sorrise, grato di poter di nuovo indossare i panni del professore. “Puoi giurarci che lo farà. Dopo la storia dei Naga gli studenti hanno bisogno di divertirsi e rilassarsi, personalmente capisco perché il Preside abbia detto di sì.”
“E poi Vitious adora le feste quanto i ragazzi…” Sorrise divertito Neville. “Un Ballo è l’ideale… Anche se qualcuno dovrà monitorare la situazione. Qualcuno che non sia uno studente, ma che sia giovane.”
Teddy si sentì improvvisamente molto stretto, in quel rassicurante angolo di locale.

“Devo andare alla festa?” Sussurrò. Non che le feste non gli piacessero, ma a quanto gli era stato dato di capire la presenza dei professori sarebbe stata limitata ad incursioni sporadiche.
Neville gli fece uno dei suoi densi sorrisi rassicuranti. “Non preoccuparti. Sei una specie di idolo a scuola, non se se l’hai notato… Sei stato ufficialmente invitato.”
“Ah…” Malgrado tutto, la situazione era comica. Da adolescente non era mai stato un idolo. Anzi, semmai il contrario. “Ma… perché io? Anche la professoressa Prynn è giovane, ha solo qualche anno più di me e sono certo che si divertirebbe moltissimo.”
“Infatti si è offerta di accompagnarti.” Il sorriso prese una sfumatura di complicità maschile che lo atterrì.

“Non è il mio tipo.” Borbottò precipitoso. “Davvero, non…”
“Pensavo ti piacessero le bionde.” Il sogghigno di Neville era qualcosa di spaventoso. “Ma comunque… devi solo andarci in veste di professore. È più un pro-forma che altro.”

Teddy annuì, annientato. Non aveva voglia di andare a quella festa. Non era decisamente in vena.
“Spesso ti dimentichi che hai solo ventiquattro anni, Ted…” Gli sorrise Neville, sempre più vicino a leggergli nel pensiero. “È una festa e tu sei un ragazzo. Ti divertirai.”
“Devo andare in bagno.” Bofonchiò per tutta risposta, alzandosi.
Mentre si lavava le mani si guardò allo specchio. Neville aveva ragione: spesso dimenticava che ventiquattro anni erano più vicini ai venti, che ai trenta.
Certo, aveva passato metà della sua esistenza rintanato trai libri a bersi litri di the come un vecchietto, e sembrava che da professore riscuotesse più successo che da studente…però…  
Però non sono davvero un vecchietto. Forse dovrei semplicemente prenderla come un’occasione per rilassarmi un po’.
Guardò i propri capelli, flosci e grigi. Chiuse gli occhi e si concentrò. Quando li riaprì, perlomeno erano castano cenere. Sospirò.
Rilassarti un po’ ad una festa dove Jamie farà il re? Illuso.
Aprì la porta del bagno. E, come nella peggiore delle sit-com babbane, si trovò davanti James.
Indossava una giacca di pelle e aveva un’ombra di barba. Serio e assorto nei suoi pensieri, riflettè Ted, sembrava più adulto. Si squadrarono, prima che il ragazzo facesse una smorfia, evitando di guardarlo. “Scusi professore, dovrei andare in bagno.” Sussurrò, con cortesia terrificante.
Ted si spostò, quel tanto che bastava per farlo passare, sentendo un peso in fondo allo stomaco.
Poteva aver letto tutti i libri della biblioteca di suo padre e avere una cultura da ottantenne, ma davanti ai rapporti interpersonali si era sempre sentito un bambino idiota. E probabilmente lo era.
Visti i risultati…
James gli passò affianco, senza una parola. Poi, a sorpresa, gli afferrò il polso con forza, dopo un mese di distanza forzata. “Vieni alla festa?” Si informò lentamente. “Ci vieni?”
“Sì…” Non potè fare a meno di rispondere, colto completamente di sorpresa. “Sì, ci vengo.”

James si limitò ad assentire, per poi entrare in bagno.
Teddy tornò al proprio posto e alle chiacchiere con Neville avendo l’impressione che fosse molto, molto sbagliato, professionalmente parlando, sentirsi così felice.
 
****
 
“Tassorosso. Che ti dicevo?” Sghignazzò allegramente Scorpius, seduto su una panchina davanti alla fontana, sorseggiando burrobirra bollente. “L’effetto sorpresa li rende inermi!”
James fece una smorfia, accendendosi una sigaretta. “Ha solo detto che verrà.”

“Sì, ma ha sussultato e sussurrato.” Batté le ciglia con aria sognante. “Te l’avevo detto, Potty-Poo, che il mio piano avrebbe funzionato. L’hai ignorato per quasi un mese e…”
“… E non chiamarmi in quel modo ridicolo.” Brontolò, quasi addentando il filtro della sigaretta.
Scorpius non diede segno di averlo sentito. “Dicevo, l’hai ignorato e poi hai sferrato il tuo attacco. E lui c’è cascato con tutte le scarpe. Ergo, ha funzionato.”

“E c’era bisogno di organizzare un Ballo?”
“Perché, Potty, non ti piacciono le feste?” Inarcò un sopracciglio. “Che ragazzo triste…”
“Certo che mi piacciono!” Si inalberò. Poi tirò un sospiro, guardando verso la locanda. “Tu sei pazzo.”

“Sì, deve essere il sangue Black…” Scrollò le spalle, noncurante. “Senti, non hai mai visto un telefilm babbano? Il Ballo scolastico è sempre l’evento clou!”
James gli scoccò un’occhiataccia, passandosi una mano sulla gola leggermente ispida. “Già, ma solitamente i protagonisti non sono un professore e un suo studente, coglione di un Malfuretto.”
“Dettagli. Fidati, Lupin è ancora un tardo-adolescente. Cripto-gay.”
James sbuffò: Malfoy, per quanto potesse sembrare assurdo a tutti, lui compreso, era davvero un amico. In quel mese non l’aveva lasciato a crogiolarsi nel dolore neppure per un attimo, architettando quel piano folle.  Era certo che non avrebbe funzionato, ma se non altro ignorare Ted era molto più semplice che dovercisi rapportare.

“Come fai a sapere con certezza che Tedd-… il professor Lupin è gay?” Indagò.
“Lo so e basta.” Bevve un altro sorso di burrobirra. “Ah, e poi me l’ha confermato Zabini.”
James dovette trattenere un sogghigno. “Ah sì? E Zabini ci prende?”

Con me ci ha preso alla grande. Ed io me lo sono preso, alla grande…
“Di solito sì. E comunque … capelli lunghi, viso pulito, mette le copertine ai libri di testo ed è stato cresciuto da una figura matriarcarle? Deve essere gay.”
James fece uno sghignazzo, che ingoiò quando vide Rose incedere verso di loro, carica di sacchetti e dall’aria minacciosa. Scorpius, da bravo squilibrato qual’era, si illuminò.
“Zucchettina!” Cinguettò eroico.
“Va’ a farti divorare da un Thestral, Malfoy.” Sibilò, piantando le mani sui fianchi. “Avevamo un appuntamento mezz’ora fa da Scrivenshaft². E, curioso, ti trovo qui a tracannare alcolici in compagnia di quel suino di mio cugino.”
“Ehi!” Si inalberò James. “Lascialo frequentare dei veri maschi! Guardalo, poveretto, ne ha bisogno!”
“Se il maschio sei tu, Jamie, ci tengo a tenertelo lontano. E fatti la barba, per amor di Morgana. Sembri uno straccione.”
Scorpius li guardò con aria deliziata.  “Zucchettina…” Cominciò, dopo un momento denso di elettricità statica. “Scusa per il ritardo. Stavamo chiacchierando.”
“Lo vedo. Continuate pure, io vado all’Ufficio Postale.” Ringhiò, voltando loro le spalle e allontanandosi a passo di marcia.

“Mia cugina è un troll…” Sospirò James. Scorpius gli sorrise, e gli strappò la sigaretta di mano, buttandola a terra. “Ehi!
“Non offenderla mai più davanti a me.” Disse, perdendo il sorriso. Lo riacquisò immediatamente, neanche se lo fosse spalmato addosso. “Ci si vede in giro, Potty-Poo!” Si voltò e le trotterellò dietro.

James sospirò: Malfoy era uno spostato, e sua cugina un’isterica.
Ha ragione mamma, l’adolescenza è un carrozzone di folli.
 
 
****
 
“Lo sapevo.”
Al guardò con cipiglio cupo la vetrina di Zonko che esibiva un cartello in viola con scritto ‘maschere per halloween, esaurite’.  
Tom ebbe il buonsenso di non gongolare. “Era prevedibile. Probabile che Nott le abbia comprate tutte stamattina, per poi rivenderle ad Hogwarts a prezzo maggiorato. Sarebbe nel suo stile…”
“Tutti quei gufi …” Mormorò, colto da un’intuizione. “Venivano da Hogsmeade!”
Tom annuì, compunto. “Così pare.”

Al fece una smorfia. “Loki è uno strozzino. Se solo l’avessi saputo avrei chiesto a zio George di lasciarmene da parte qualcuna.” Borbottò scornato. Il negozio era infatti una filiale dei Tiri Vispi Weasley.
“Temo che non si sarebbe fatto commuovere dai tuoi occhi dolci.” Fece un mezzo sorriso. “Sta’ tranquillo, Loki probabilmente ti farò uno sconto.”
Al gli tirò una gomitata nelle costole. “Sei contento, ammettilo!” Poi fece un sogghignetto. “Ma sappi che andrai comunque alla festa.”
“È obbligatoria la maschera. E temo, anche un costume.” Gli fece notare, osservandosi le unghie.
“Troveremo entrambi.” Annunciò deciso. Si incamminò per la High Street, rimuginando. Era felice però. Non era stato certo fino all’ultimo, di poterlo convincere a venire alla festa.
A quanto pare però ci sono riuscito… Su di te gli occhi dolci fanno effetto, eh Tom? – Non potè fare a meno di pensare, compiaciuto.

 
“Ci andiamo assieme?” Chiese, mentre rovistavano in un negozio di vestiti usati, alla ricerca di qualcosa di vagamente simile ad un costume di Halloween. “Al Ballo, dico.”
Tom inarcò le sopracciglia, prima di capire cosa davvero intendesse. “Come coppia?”
Al si morse un labbro, spiando la sua reazione. “Credo di sì. È quello che siamo, no?”
“Quindi intendi dirlo a tutti?” Fece una pausa calibrata. “Perché se ci andremo come coppia lo sapranno tutti. Fuori e dentro Hogwarts.”
“Non proprio tutti. La festa è solo per quelli dal Quinto in su…”
Tom fece un sorrisetto sarcastico. “Pensi davvero che tuo fratello non scriverebbe un Gufo a tutta la famiglia? Per non parlare di Rose.”
“Non dobbiamo mica mettere i manifesti.” Obbiettò ragionevole. “E poi Rosie lo sa.” Buttò fuori, seppellendo la testa tra una fila di polverose vestaglie da notte. Non era sicuro che la cosa avrebbe fatto piacere a Tom. Ci fu un lungo silenzio, infatti.  

“Ero… certo… che ne sarebbe venuta a conoscenza in tempi brevi.” Stimò l’altro, lentamente. Sembrava assorto nella contemplazione di una fila di mantelli logori.
“Sei arrabbiato?” Spiò, raddrizzandosi. “Perché sul serio, non dovresti. Rose è la mia migliore amica, non solo mia cugina. Non potevo non dirglielo. E poi, non voglio nascondermi.”
“Stai dicendo che ti obbligo al segreto?” Strinse le labbra in una linea sottile. Ultimamente era facilissimo indisporlo. A volte ad Al sembrava di camminare su gusci d’uovo.

“No.” Disse, piantandogli gli occhi nei suoi. Di solito bastava per quietarlo. “Voglio solo sapere se ci vieni con me. Tutto qui.”
 
Tom rifletté. Avrebbe voluto dire di sì, a dirla tutta. Era una persona riservata, ma andare con Al al ballo avrebbe significato far capire a tutti che il giovane Potter non era più un trofeo ambito. Per nessuno e specialmente per Michel.
Ma vorrebbe anche dire finire sotto le luci del gossip scolastico. Al non c’è abituato, dato che c’è sempre stato James a prendersi tutta la fama. E poi, la cosa arriverebbe sicuramente alle orecchie di Harry.
E va bene che non è mai stato molto… acuto… in certe cose, ma comunque…  
Fece per rispondere, ma poi lo vide. Era lui: il ragazzo biondo, fuori dalla vetrina. Stava mangiando una manciata di castagne da un cartoccio, camminando tra la gente, come se nulla fosse.  
“Tom…?” Sentì a malapena la voce di Al chiamarlo, perplessa.
“Mi sono dimenticato di fare una cosa. Ci vediamo dopo.” Doveva seguirlo. Seguirlo e capire cosa diavolo ci faceva ad Hogsmeade. In mezzo agli studenti. Vicino ad Al.

“Tom!” Lo richiamò quasi urlando. Voltò lo sguardo per vedere Al, che lo guardava preoccupato. “Che succede?”
“Niente, te l’ho detto. Ho dimenticato di comprare delle cose…”

Non si fermò neanche a guardare se Albus ci fosse cascato o meno. In quel momento non gli interessava.
Uscì, prima di perderlo di vista.
 
Al rimase fermo giusto il tempo di capire che doveva inseguirlo. Si gettò letteralmente fuori dal negozio, ma quando si guardò attorno, Tom era già scomparso.
 
 
****
 
Note:
1-Cena di Halloween: ad Hogwarts ogni anno si tiene un banchetto, dove sopra la volta della Sala Grande volteggiano le zucche giganti di Hagrid. Non c’è nessun ballo, anche se non è esclusa qualche forma di intrattenimento.  Halloween nel Mondo Magico è una festa molto sentita.
2-Scrivenshaft: Cartoleria magica ad Hogsmeade. Si vende tutto il necessario per la scuola.
Qualcuno mi aveva chiesto Halloween? XD Apparte gli scherzi, la storia ha fatto un saltino di un mese per esigenze di trama, come spesso ha fatto la Row. Spero di essere riuscita a non creare una gran confusione. ;)

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Capitolo 33
*** Capitolo XXVIII ***


Buoonasera. O buongiorno, a seconda di come la vedete. Alla fine sono riuscita a farvi avere il capitolo per Domenica! Putroppo a questo giro non potrò rispondere alle vostre meravigliose recensioni. Sappiate che vi adoro, che siete il motore di questa storia e che vi abbraccio forte. Senza di voi e i ragazzini di Doppelgaenger questo periodo di studio sarebbe un inferno. ;)
PerFarmiPerdonareUnPochino: Questa è un’opera perfetta Al/Tom che mi ha gentilmente donato Flayu, una TALENTUOSISSIMA disegnatrice giapponese che ho conosciuto su DeviantArt. Ragazze… se lo aprite vi giuro che sbaverete per giorni. Io ce l’ho tutt’ora come sfondo del mio pc. E non riesco a smettere di guardarlo. PS: mi piace pensare che quello nella ciotola sia ribes… *ç*
Date un’occhiata anche alla sua Gallery. È una shipper Harry/Tom e credetemi, sa quello che fa.
 
 
 
****
 
 
Capitolo XXVIII
 
 

 



Ti avverto, chiunque tu sia.

Oh Uomo, conosci te stesso e conoscerai l’Universo e gli Dei.
(Oracolo di Delfi)
 
 
 
Dintorni di Hogsmeade, Stamberga Strillante.
Quattro del pomeriggio.
 
“Zucchettina, dai, rallenta!”
“Col cavolo!”
Rose incedeva impietosa per la salita sterrata che portava alla Stamberga Strillante. I ragazzini del Terzo a quell’ora l’avevano già ampiamente visitata, con tanto di prove di coraggio. E nessuno tornava in quel posto lugubre per una seconda volta. Di solito quindi era un posto tranquillo, dotato di una serie di massi dalla forma comoda, su cui sedersi e far vagare lo sguardo sulla campagna circostante.

Di solito.
Rose si sedette pesantemente, con buste e sacchetti sul suo sasso preferito, mentre Scorpius si accomodava accanto a lei.
“Sei ancora arrabbiata con me?” Chiese, forse per la settantesima volta.
“No Malfoy, è solo una tua impressione…” Celiò. “Se ti piace tanto Jamie, perché non sei con lui?”
Scorpius si strinse nelle spalle. “Ovvio. Perché mi piaci più tu.”

Rose gli lanciò un’occhiata boccheggiante. “Non… Non è questo il punto!”
“Ah no? Mi era sembrato, scusa…” Sogghignò. “Dai, Rosie. Non sarai gelosa?”
“No!”
“Okay.” Rimase un po’ in silenzio, prima di prendere una foglia caduta a terra e cominciare a giocherellarci con le dita. “Mi dispiace per aver perso l’appuntamento. Ma Potter aveva bisogno di una spalla su cui versare fiumi di lacrime virili…”
“C’entra qualcosa il fatto che non si fa la barba da settimane?” Si informò, suo malgrado curiosa.
“Anche…” Rispose vago. “C’è una certa cosa in ballo, e quell’idiota non riesce a organizzare nulla senza una mente superiore che coordini il tutto. Cioè, io.”
“Gli stai facendo da infermierina?” Borbottò, suo malgrado divertita. Scorpius fece una smorfia, afferrandole la sciarpa e tirandola leggermente verso di sé, dispettoso. “Malfoy, quando sei imbarazzato lo sai che cominci a diventare molesto?”
“I try to discover a little something to make me sweeter. Oh baby refrain from breaking my heart¹…” Cominciò a canticchiare, finché non la fece scoppiare a ridere. Si baciarono con le guance straordinariamente fredde.
Oh, Merlino. Sono pazza di lui… Bel casino.
“Scorpius… non possiamo andare al Ballo assieme.” Mugugnò, quando fu seduta accanto a lui.
“Lo so.” Sorrise inscalfibile. “Non fa niente.”
“Davvero?” Si accorse che qualunque cosa gli avesse risposto, lei non avrebbe potuto capire se quella era la verità. Occlumanzia o meno, Scorpius Malfoy era bravissimo a non far capire che diavolo pensava.  

“Davvero.” Disse infatti, baciandole il naso. “Penso che però potresti concedermi un ballo. Sai, con le maschere, la festa già avviata e l’alcool del buon Nott… Non credo faranno caso a noi.”
“Okay.” Sorrise, scostandogli una ciocca di capelli, sottili come se li era sempre immaginata anche quando lo guardava da lontano. “Ma non sono molto brava a ballare… e ah, non ho il costume.”
“Possiamo rimediare ad entrambe. Balleremo un lento, e quelli li sanno ballare anche i troll.”
“Oh, Scorpius, tu sì che sai come affascinare una donna.”
Il ragazzo rise. “E per il costume…” Lasciò cadere la frase, rubandole un altro bacio.

Rose fece mente locale. Si staccò. “Non ti azzardare a regalarmene uno! Posso permettermelo. È solo che è troppo tardi per mandare Gufi in giro… Mi inventerò qualcosa. Lily è brava a trasfigurare vecchi abiti smessi.” Blaterò molto velocemente.
“Okay.” Le assicurò, sempre con quel sorriso zen. “Promesso.”
“Bene.” Poi sentirono entrambi un rumore di passi. Rose si alzò velocemente dalle braccia di Scorpius, guardando verso la salita. “Sta arrivando qualcuno!”
“Lo sento.” Scorpius la prese per un braccio. “Vieni…”
Si ripararono dietro il fitto fogliame dei cespugli. Rose si sentì un po’ stupida.

Se solo non fossimo chi siamo non dovremo nasconderci …
Lanciò uno sguardo a Scorpius. In quel momento non credeva probabilmente di essere osservato, perché non stava sorridendo. Aveva un’aria seccata, e assorta.
Forse a lui dà fastidio mentire e incontrarci di nascosto…
Rose si morse un labbro.  Non che a lei facesse piacere.
Ma se già suo padre è irritato perché crede che siamo amici… come reagirebbe all’idea che stiamo assieme? Per non parlare della mia famiglia. Papà e nonno Arthur mi disconoscerebbero se sapessero che sto con un Malfoy.  
Sentì una spiacevole oppressione al petto. Era ingiusto. Era dannatamente ingiusto.
Gli cercò la mano e la intrecciò alla sua. Scorpius abbassò lo sguardo. Le fece un mezzo sorriso, e Rose pensò con precisione chirurgica che probabilmente lo amava.
E lui?
Scorpius era un tesoro, nel senso vero della parola. Difficile da scovare, ma assolutamente stupefacente quando finalmente raggiunto.
Ma lui che cavolo ci trova in me?
“Scorpius…” Iniziò, a bassa voce. Il ragazzo la guardò, salvo poi per riportare lo sguardo verso la Stamberga Strillante.
“Rosie… ma quello non è Dursley?”
Guardò anche lei. Era decisamente Thomas. E davanti a lui, a pochi metri, c’era un ragazzo biondo, che in quel momento stava scavalcando la recinzione del vecchio tugurio.
 
****
 
Tom sfiorò con le dita la tasca del cappotto, quella interna, dove teneva la bacchetta. Non gli piaceva mostrarla in giro, ma non se ne separava mai.
Il fango secco suonava polveroso contro la suola delle scarpe mentre seguiva il ragazzo oltre la recinzione che delimitava la Stamberga Strillante.
La casa più infestata di spettri della Gran Bretagna… - Pensò sarcasticamente, guardando la casupola che sembrava reggersi in piedi per magia più che per una mera legge fisica.
In realtà sapeva benissimo, come tutto il clan Potter-Weasley, che quel tugurio era stato edificato negli anni settanta del vecchio secolo per ospitare il padre di Teddy durante le sue trasformazioni in licantropo. In seguito era stato teatro della morte di Severus Piton, e ultima dimora di Voldemort.
Non c’è da stupirsi se, anche chi sa, preferisce tenersene alla larga. Se non è stata infestata prima, chissà che non lo sia adesso, con tutto il sangue che hanno visto quelle pareti…
Sapeva benissimo che il ragazzo era andato lì solo per attirarlo. Quando fu davanti alla porta, infatti, si voltò, con un sorriso. Gli offrì il cartoccio. “Castagne?”
Tom lo ignorò. “Che ci fai qui?”

Il ragazzo fece spallucce. “Gita di piacere… Non avevo mai visto Hogsmeade di giorno. Villaggio grazioso, non trovi?”
“Taglia corto.” Sbottò, guardandosi attorno. Non sembrava che nessun ragazzino avesse voglia di osservare la casa da lontano, quel giorno. Un’autentica fortuna. “Cosa vuoi?”
“Te l’ho detto. Cosa pensi, che passi tutto il mio tempo in quella villa fatiscente a ordire orribili piani contro Hogwarts?” Fece un cenno divertito. Indossava il mantello e sotto un maglione celeste. Sembrava davvero un adolescente.

“Non ti credo.” Sputò.
“Libero di non farlo. Ora, perché non abbassi la bacchetta e mi dici cosa ti turba, Thomas?”
Tom lo guardò confuso, prima di abbassare lo sguardo. Stringeva la bacchetta in pugno, e non si era neanche accorto di averla tirata fuori.
Dannazione.
“Hai i nervi tesi come una corda di violino, mmh?” Indagò retoricamente l’altro. “Rilassati, domani andrai ad una festa in maschera. Hai già deciso come vestirti?”
“Non sono affari tuoi. E devi stare lontano da…”
“Da chi? Dai tuoi amici?” Sbuffò. “Come se mi interessassero. Oh, Thomas… non sono il classico cattivo della storia. Non ho certo intenzione di attentare alla vita degli studenti di Hogwarts o fare del male ai tuoi affetti. Sono un uomo d’affari, non uno psicopatico.”

“Uccidere Duil faceva parte dei tuoi affari?” Chiese, intascando però la bacchetta: quando aveva letto la notizia sulla Gazzetta aveva avuto la spiacevole sensazione di sentirsi in trappola. Con quell’indiano morto la sua situazione in merito a quella vicenda non migliorava.
“Se avesse parlato ci saremo trovati entrambi nei guai, non credi? Ho solo preso delle precauzioni. Non dirmi che ti senti in colpa… Perché sai, non ti crederei.” Obbiettò, masticando con voluttà l’ultima castagna. Gettò la carta a terra, appoggiandosi alla porta della Stamberga.
Tom deglutì forzosamente un grumo di saliva e rabbia. Per quanto in quel momento desiderasse solo mettere mano alla bacchetta e non ascoltarlo, si rendeva conto che aveva ragione. Non riusciva a sentirsi in colpa. Non ci riusciva.
Questo faceva di lui un colpevole?
Quel ridicolo ometto meritava di morire. Si è fatto coinvolgere per avidità, ha fatto rischiare la vita a gente innocente ed è stato così idiota da farsi mettere sotto imperius e farsi poi ammazzare come un ratto. Non si può sentire la mancanza di gente così debole.
“Non ho fatto niente.” Mormorò, con un distacco che stupì lui stesso.
Il ragazzo biondo non rispose. Si limitò ad un sorrisetto, come se avesse indovinato cosa gli passava per la mente. Sentì quella cosa urlare e ribollire nel petto e si frenò con tutte le forze per non darle retta.
Non che parlasse. Ma suggeriva. Oh, se lo faceva.
Io sono meglio di te. Non provare pietà non significa essere un assassino.
“Allora, hai parlato con la professoressa di Trasfigurazione?”
“Sì. Non era la Trasfigurazione, era l’Alchimia. Grazie per l’informazione sbagliata.”
“Beh, ma alla risposta sei arrivato comunque, no?”

Fece una smorfia. “Ancora non riesco a capire come la mia nascita possa essere stata influenzata…”
“Ah, vedi. E qui ti voglio. Non si tratta di influenza. Tu sei nato, grazie all’Alchimia.”
Tom serrò le labbra in una linea sottile. Una spiacevole sensazione di freddo gli attanagliò la nuca, nonostante il vento fosse caduto da un bel pezzo. “In che modo?”
“Ogni cosa a suo tempo.” Si accese una sigaretta, scrutando il cielo con particolare attenzione.

A Tom venne quasi da ridere. Era inutile, quel gioco sarebbe finito solo quando  l’avrebbe voluto l’altro.
“Su, non fare quella faccia. Puoi scoprilo anche da solo… ti ho dato abbastanza indizi, del resto. Allora, ho sentito dire che i costumi di Halloween sono esauriti… Come conti di andarci?”
“Cosa vuoi da me?” Sibilò  frustrato. “Non so neanche il tuo nome… mi fai questi ridicoli indovinelli e sembri aver organizzato tutto questo… per niente. Per darmi il tormento.”
Se solo avesse potuto prendere la bacchetta e…

Chiuse gli occhi, brevemente. Li sentiva bruciare come lava sotto le palpebre.
“John Doe. Puoi chiamarmi Doe.” Disse l’altro, tirando una boccata ad una sigaretta.  
“È il tuo vero nome?”
“No, naturalmente. Ma che importa. In quanto al motivo per cui io e te siamo in affari… beh. Gli Antichi Greci dicevano Gnothi Seautón. Conosci te stesso. Alla fine, la nostra intere esistenza, Thomas, si dipana attorno a questa domanda…”
Tom fece una smorfia sarcastica. “Filosofia…”
“Oh, se fossi in te non la denigrerei così. In fondo, cosa ci differenzia dalle bestie, se la capacità di pensare?” Si girò tra le dita la sigaretta accesa, pensieroso. “Se sono qui è per cercare qualcosa, naturalmente. Hogwarts ha una cosa che interessa alle persone per cui lavoro. E tu mi puoi aiutare. Do ut des. Io ti darò le risposte e tu aiuterai me a prendere la cosa che mi interessa. Devi avere pazienza, però… non è facile organizzare la cosa.”

Tom sapeva che tutta quella situazione era pericolosa. E che più andava avanti e più il suo coinvolgimento si faceva maggiore.
È tutta la vita che voglio sapere. E se lui può darmi delle risposte, non mi importa quanto dovrò pagare.
“Cosa devo aiutarti a prendere?” Chiese incolore.
“Una cosa che al momento non ho neppure idea di dove si trovi.” Fece un cenno evasivo, con una breve risata priva di calore. “Ma non preoccuparti. Da parte nostra, vogliamo creare il minimo scompiglio possibile in questo delizioso microcosmo magico.”
“Non sei solo allora…” Ipotizzò. Doe gli dava indizi simili a scatole cinesi. E in quel modo, se ne rendeva conto, lo teneva completamente nelle sue mani.

“No, non sono solo. Mi sembrava piuttosto ovvio.” Gettò la sigaretta a terra. “Ti consiglio un costume semplice, comunque. Non sembri il tipo da fronzoli.” Si staccò dalla parete, con un sorrisetto. “Magari nero. Dovrebbe donarti…”
Tom si lasciò sorpassare, in silenzio.
“Faccio degli incubi.” Buttò fuori. Doveva dirlo a qualcuno o sarebbe impazzito.
Non Harry… non zio Harry. Lo insospettirei, e l’ultima cosa che devo fare adesso è attirare l’attenzione su di me. E poi che dovrei dirgli? Sogno di ammazzare tuo figlio?
Doe si voltò. “Tutti ne facciamo. Ti posso assicurare che non dormo una notte tranquilla da anni. Cosa ti turba?”
Tom serrò i pugni. Ogni fibra del suo corpo gli urlava di restare in silenzio, che confidare una cosa simile, una cosa da deboli, a quell’uomo era una sciocchezza, un’idiozia.

Ma forse lui sa… lui sa che mi sta succedendo…
“Uccido… sto uccidendo una persona… in quel sogno.”
Il ragazzo lo guardò. “E alla fine muore?” Si informò pacatamente.
Tom aveva la nausea, ma si impose di rispondere. “No. Mi sveglio prima.”
“Allora non credo tu debba preoccuparti.” Scrollò le spalle. “Forse, però, devi chiederti cosa rappresenta questa persona per te. Un pericolo, forse?”

“No. Assolutamente.” Ringhiò. Albus… Al non sarebbe mai stato un pericolo per lui.
Anche se, a dirla tutta, non vede l’ora che tu abbassi la guardia per ficcare il naso… - La voce dentro la sua testa a volte sembrava presentarsi autonomamente. E non era certo fosse la sua coscienza.
Doe guardò verso il villaggio. “Ora è meglio se vai… potrebbe arrivare qualcuno, e credo che tu non voglia farti vedere in mia compagnia. Mi sbaglio?”
Tom fece una smorfia, ma girò i tacchi e se ne andò.  

Doveva fingere che andasse tutto bene. E aspettare. E apprendere.
 
Rose seguì con lo sguardo Tom, che si allontanava lungo il sentiero.
“Che diavolo stava facendo?” Mormorò confusa. La cosa non le piaceva. Non sapeva chi fosse quel ragazzo biondo: sembrava uno studente, ma non ricordava di averlo mai visto a scuola. Avevano parlato a lungo, inoltre, e Tom era sempre sembrato sul punto di estrarre la bacchetta. Ma a quella distanza né lei né Scorpius erano riusciti a capire il perché di quell’alterco.
“Lo seguiamo per chiederglielo?” Si offrì Scorpius.
“Figurati se ce lo direbbe. Andiamo a chiederlo a quel tipo piuttosto.” Disse decisa.
Avevo ragione a non fidarmi… 
Scorpius si passò una mano trai capelli, guardando verso il tugurio. “Temo che non sia possibile…”
“E perché?”
Il ragazzo sospirò, spostandosi e svelandole la visuale. “Perché si è appena smaterializzato.”
 
 
****
 
Ministero della Magia.
Secondo piano, Dipartimento Applicazione della Legge sulla Magia.
Ufficio Auror.

 
“È semplicemente ridicolo.”
“Harry, dai amico…”
“No, davvero Ron! È ridicolo. A cosa serve essere a capo dell’Ufficio Auror se poi non riesco neppure a farmi dare una risposta da Azkaban in tre settimane? Metà di quelle celle le abbiamo riempite noi! Stupida burocrazia magica…”

Harry marciava avanti e indietro, davanti alla sua scrivania. In quel mese aveva passato molto tempo a ripararsi dalle critiche della stampa, cosa ormai comune per Capo degli Auror, e il restante a cercare di capire cosa diavolo fosse realmente accaduto a Parva Duil.
Gli era stato immediatamente chiaro che l’uomo non si era suicidato. Ad Azkaban i detenuti erano tenuti sotto stretta sorveglianza; non si poteva certo definire un posto ridente, o che spingesse al buon’umore, era pur sempre una prigione, ma certo non era un luogo dove un sospetto poteva ammazzarsi in tutta tranquillità.
Ron lo guardò con uno sbuffo, seduto sulla sua poltrona, mentre giocherellava con un boccino che solitamente troneggiava sul tavolo assieme a portafotografie di ogni taglia e dimensione.
“Dovresti lasciar perdere. Ci hanno tolto ogni potestà sul caso… Noi abbiamo acciuffato il colpevole. Il resto è nelle mani del Wizengamot.”
“Come posso lasciar perdere se questa storia non è finita?” Obbiettò, togliendosi gli occhiali e pulendoseli sommariamente sul bordo della camicia.

“Il colpevole si è ucciso?” Suggerì Ron, paziente. “Andiamo amico, la prendi sul personale perché sono stati coinvolti i nostri ragazzi. Credimi, lo capisco… ma stai un po’ esagerando.”
“Non sono stati i tuoi figli a finire tra le grinfie di guerrieri Naga, Ron.” Sbottò. “Jamie si è rotto una gamba e Al quasi la testa. Per non parlare di Thomas e Teddy…”
“I tuoi quattro bambini…” Borbottò Ron, con un mezzo sorriso. “Li tratti come se avessero ancora cinque anni a testa. Senti. Abbiamo indagato, abbiamo arrestato il colpevole… e stop. Non c’è nient’altro su cui scavare. Quel tipo avrà pensato alla bella prospettiva del carcere a vita e…” Scrollò le spalle.

“E cosa? È questo il punto, Ron. Non sappiamo cosa è realmente accaduto nella cella, perché ci hanno letteralmente strappato il caso dalle mani. Parva Duil non poteva assolutamente essere un Mago Oscuro. E sai perché?”
“Uhm… aveva una faccia da fesso?”
“Perché era un funzionario del Ministero. Lo capisci? Ai piani alti si stanno parando il culo.” Si infervorò, strofinandosi inconsciamente le dita sulla cicatrice. Oramai era poco più che un lieve solco sulla fronte, ma nei momenti di maggiore tensione tendeva a ricadere nelle vecchie abitudini.

 
“Ai piani alti lo stanno parando a te, Harry…”

La voce era inconfondibile per i due vecchi amici. Femminile, autoritaria, didattica.

Hermione Jane Granger, chiusa elegantemente in un tailleur dalla foggia babbana, reggeva una pila di cartelle dall’aria pesante come se fossero volantini. Al braccio destro aveva l’inseparabile borsa di pelle che l’aveva sempre accompagnata in quegli anni di brillante carriera nel settore legale del DALM².
Ron per la sorpresa si fece scappare il Boccino, che prese a svolazzare per la stanza. Harry lo afferrò di scatto prima che puntasse la permanente della donna.
Hermione li guardò con aria palesemente seccata.
“Ehi Herm…” Sorrise angelico Harry, intascando il boccino con noncuranza. “Pranziamo assieme?”
“Non appena mi sarò ricordata perché non devo affatturarvi entrambi.” Fece finta di pensarci. “Ah, giusto. perché avrei dovuto farlo trent’anni fa.” Scaricò la pila di cartelle sulla scrivania, squadrandoli. “Lo sapete cosa si dice al secondo piano?”
“Cioè questo piano?” Suggerì Harry.
“Il tuo ufficio è un’isola felice, esule da ogni regola che per noi, poveri maghi comuni, invece vale.” Replicò aggrottando le sopracciglia. “Si dice che Harry Potter scavalchi ordini, procedure, competenze. Harry, sono stata la prima ad appoggiarti quando hai deciso di prendere l’indagine, benché non ci fossero gli estremi perché …”
“Lo sappiamo, Herm!” Sbuffò Ron. “Sappiamo che non c’era sospetto di Maghi Oscuri e che l’indagine avrebbe dovuto essere passata alla Divisione Bestie, ma per la barba di Merlino! Sei qui per farci la predica con un mese di ritardo?”

Hermione sospirò. Si strinse la radice del naso tra le dita. “No. Sono qui perché Harry mi ha chiesto una mano con il caso Duil. E a quanto pare, non te ne ha messo a parte.”
“Hai chiesto una mano…” Ron si voltò verso l’amico, che assunse un’aria imbarazzata. “Hermione è un avvocato, cosa…”
“Hermione conosce bene il personale di Azkaban, e anche quello del San Mungo.” Obbiettò ragionevole, portandosi con naturalezza lontano dal raggio d’azione del vecchio amico. “Così le ho chiesto se poteva fare qualche domanda, chiedere qualche informazione… cartella… cartella sull’autopsia.” 

Ron prese un’aria indignata. Le orecchie gli diventarono color aragosta, e serrò i pugni. “Hermione non doveva essere coinvolta nei tuoi dubbi deliranti!”
“I miei dubbi hanno salvato il culo al Mondo Magico.” Replicò duro. In quegli anni non aveva mai perso un grammo di fiducia nell’intelligenza di Hermione o nel pragmatismo di Ron.

Ma non sono diventato capo dell’Ufficio Auror solo perché ho una vecchia cicatrice e qualche gloria notevole. Ma perché non c’è cosa che sappia fare meglio che seguire il mio istinto.
Ron ispirò lentamente. Guardò la moglie, che gli rivolse un sorriso comprensivo.
“Ron, va tutto bene. Non mi ha certo obbligato. E poi, a dirla tutta, trovo anche io che la morte di quell’uomo sia sospetta…” Harry allargò le braccia, con un sorriso soddisfatto. “Ciò non toglie che Harry stia camminando in equilibrio su un filo.”
Harry le sorrise bonario. “La storia della mia vita.”
“Sai a quante persone hai pestato i piedi?”
“Dici da quando avevo undici anni? O da quanto ne avevo uno?”

Hermione alzò gli occhi al cielo, nascondendo un sorriso, mentre apriva la borsa per estrarne un plico anonimo. “Sono i referti dell’autopsia sul corpo di Parva Duil, direttamente dal San Mungo.  Ho promesso che li avrei riportati entro stasera, visto che non è possibile avere una copia. Sono magicamente vincolati. Ho un udienza e tornerò tra due ore. Li voglio trovare in ordine, su questo tavolo.” Picchiettò sulla superficie, piantando gli occhi in quelli dell’ex Golden Boy.
Harry annuì, facendo serio. “Puoi contarci ‘Mione. Grazie. Davvero.”
La donna fece un mezzo sorriso, riprendendosi i chili di scartoffie con leggerezza ammirabile. “Non perderai mai l’abitudine di infrangere le regole, eh Harry?”
“Aggirarle, ‘Mione.” Sorrise, prendendo il fascicolo, mentre Ron ridacchiava. “Solo aggirarle.”

 
Quando la donna se ne fu andata, Ron si alzò di scatto dalla sedia, andando subito alle spalle dell’amico per leggere con lui il referto. “Allora, che dice?”
“Non molto. Quelli di Azkaban si sono limitati ad impacchettarlo e spedirlo al San Mungo…” Fece una smorfia. “Meglio saltare e andare direttamente all’autopsia.” Sfogliò qualche pagina. “Decesso per attacco di cuore… Flessione del nervo vago… Bradicardia.”
“Nervo che?”
“Per farla breve quando ti passi un cappio attorno al collo oltre che soffocare puoi anche avere un infarto.” Tagliò corto, assottigliando gli occhi. “Non è morto soffocato.”
“Eh, l’hai detto.” Gli fece notare Ron confuso. “Infarto invece che soffocamento. Morte orrenda. C’è altro?”
“No…” Stiracchiò, andando alle foto del corpo. Erano magiche, naturalmente, ma a differenza di quelle amatoriali sembravano immobili. Potevano però essere zommate su particolari infinitesimali, e mosse con un lieve colpo di bacchetta sulla superficie. “Aspetta… ingrandisci sul collo.” La foto mostrò la porzione, dove faceva ben mostra di sé un ecchimosi violacea. Harry sospirò.
“Che pensavi di trovare?” Ron si grattò la folta capigliatura rossa. “Miseriaccia Harry, questo s’è impiccato con un lenzuolo, niente di più!”
“Zomma appena sotto all’orecchio.” Intimò Harry, ignorandolo. “Schiarisci di due toni.”
La foto obbedì. Harry sogghignò amaro quando entrambi videro quello che non andava. C’era un piccolo foro circolare sulla pelle della vittima, ignorato dal Medimago perché fatto con qualcosa che non era né pozione, né bacchetta.

“Che roba è?”
“La traccia di una siringa Ron. Servono ai babbani per iniettare cose nelle vene delle persone. Parva Duil non si è suicidato. È stato ucciso. Probabilmente è stato drogato, e poi strangolato. L’omicida poi ha inscenato il suicidio. Parva Duil non aveva famiglie, ed era reo confesso. Una cosa pulita.”

Ron boccheggiò, poi deglutì l’incertezza, deciso. “Chi è stato l’ultimo ad avere contatti con il detenuto?”
Harry scorse la lista, presente nella prima pagina. “Un prete.”
“Un prete?” Ron ne aveva visti ben pochi in vita sua, e tutti babbani, anche se sapeva che c’erano maghi che andavano in chiesa. “Duil era credente?”

“Questo non lo so. Ma di certo quella visita gli è stata fatale.” Prese il mantello, aprendo la porta dell’ufficio. “Tempo di andare a fare una visitina ad Azkaban …”
Ron esitò, anche se si infilò il proprio mantello. “Non abbiamo più potestà di indagine, lo sai?”
Harry fece un sorriso che avrebbe fatto accapponare la pelle a più di un Mago Oscuro. Ron sospirò, ma non potè trattenere un sorriso. “Miseriaccia, Harry… Facciamolo e basta.”
Harry rise. “Questo è parlare.”  


 
****
 
Hogwarts, Biblioteca. Quasi ora di cena.
 
Tom si scostò quando un gruppo di ragazze ridacchianti gli sfilò affianco, lanciando occhiate dense di sottointesi. Erano di Serpeverde e naturalmente speravano tutte di essere invitate al Ballo entro sera.
Serrò i denti in una smorfia: quel ridicolo Ballo stava mettendo in subbuglio tutta la scuola, e persino un posto tranquillo come la Biblioteca diventava un forno di risatine e sussurri.
Sfogliò una pagina del libro della Prynn, ignorando forzosamente i bisbigli alle sue spalle.
In quel momento avrebbe voluto avere il suo lettore mp3, ma, ovviamente, il campo magico della scuola glielo avrebbe fritto.
L’Alchimia…
Era una materia affascinante, e l’approccio che veniva dato in America era molto diverso da quello inglese. Si pensava più alla speculazione, alla ricerca, che al mero masticare leggi ormai conosciute.
C’erano ampie porzioni di libro dedicate alle pietra filosofale, e ai procedimenti alchemici per crearla.
Ovviamente una cosa erano le formule, un’altra l’effettiva realizzazione.  
Si massaggiò una tempia, guardando fuori dalla finestra: tutto quello era interessante. Ma non gli serviva. Non c’era nulla che accennasse all’influenza dell’Alchimia sulla nascita di un essere umano.
Poi, fu come se una lampadina gli si fosse accesa in testa.
Doe non mi ha detto che influenza ha detto che l’Alchimia può crearlo.
Creare un essere umano…
Non si può creare un essere umano, neppure con la Magia più oscura e avanzata. Non che io sappia.
Neppure Voldemort, l’unico Mago capace di risorgere, è risorto dal nulla. Aveva un corpo, debole ma pur sempre un corpo fisico.
A meno che…
Andò alle note in fondo pagina. E lo trovò.
Homunculus. L’unico esempio di essere vivente creato con l’Alchimia è l’homunculus.
… e qui se ne parla.   
L’inchiostro risultava nero su bianco nella pagina. Sfogliò fino al paragrafo indicato, che aveva letto senza considerarlo, preso a cercare altro.
 
[…] L’homunculus è una leggendaria forma di vita creata attraverso l'Alchimia. Il primo a parlarne fu il celebre Alchimista Paracelso (1493-1541), famoso per le sue scoperte nel campo della medimagia. Fu un seguace dell’alchimia islamica, e fervente ammiratore del lavoro di jabir ibn hayyan. È tutt’ora l’unico Alchimista Europeo conosciuto ad aver tentato  di creare la vita umana. l’impresa pero’ gli costo’ la radiazione dall’albo degli alchimisti. […] la creazione di un homunculus e’ stata bandita dalla Conferenza internazionale dei maghi nel 1550. (vd. Statuto di restrizione sulla creazione di mostri alchemici).
Letture suggerite: Libro delle Pietre, di Jabir Ibn Hayyan.’³
 
Erano poche righe, ma erano più di quanto avesse ottenuto in quei due mesi. Si alzò in piedi di scatto, facendo così voltare un gruppo di Corvonero sedute vicino a lui. Non si accorse neppure della loro espressione confusa e un po’ spaventata.
Alchimia… allora esiste un modo per pilotare la vita umana. Esiste un modo per crearla.
Anche se proibito. 
Non era certo che quella fosse la pista giusta, ma era l’unica che aveva. E più si addentrava, più ogni fibra del suo corpo si tendeva, spasimava, per sapere di più.
Anche se…
Anche se c’era una piccola parte di sé che lo pregava di mettere fine a quelle domande.
Vuoi davvero sapere come sei nato? Vuoi davvero sapere se gli squilibri di un’Alchimista pazzo c’entrano qualcosa con te?
Strinse i denti, e ignorò quella voce.
Si avvicinò al bancone della bibliotecaria. In quel momento la Pince era da qualche parte a terrorizzare matricole. Al bancone c’era una ragazza, dell’ultimo anno di Corvonero, che conosceva di vista.
“Scusami, posso chiedere a te?”
La ragazza alzò lo sguardo dal proprio libro, sorridendogli. Vide immediatamente una scintilla di interesse accenderle lo sguardo.
Non era stupido. Si era accorto di come le ragazze lo guardavano e l’avevano sempre guardato.
Perché non approfittarne, quindi?
“Ciao… sì, certo. Tu devi essere Tom, non è vero?” Chiese, chiudendo il libro.
“Non sapevo di essere famoso…” Piegò le labbra in un mezzo sorriso. “Di solito ho amici più famosi di me.”
“Oh, è difficile non conoscere lo studente più brillante che Hogwarts abbia avuto dopo la Guerra Magica. Thomas Oltre Ogni Previsione…” Chiocciò.  

Tom si chinò leggermente sul bancone, avendo chiara la percezione che le donne non gli sarebbero mai piaciute. “Senti… sto facendo una ricerca per Trasfigurazione, e avrei bisogno di sapere se un libro è in catalogo.”
La ragazza si riscosse dalla contemplazione delle sue labbra o chissà che e annuì, recuperando professionalità. “Certo. Hai il titolo, autore, anno di pubblicazione?”
“Libro delle pietre(4), di Ibn Hayyan.” Snocciolò, lanciandosi un’occhiata intorno. Sembrava che nessun membro del Clan Potter-Weasley fosse presente. Meglio.

La ragazza si alzò. “Te lo cerco subito, Tom.” Sparì tra gli schedari.
“Thomas…” Corresse a bassa voce, rivolto più che altro a sé stesso. Albus a quell’ora doveva essere già tornato.
L’ho piantato a cercare i costumi… Sarà furioso.
La ragazza tornò pochi minuti dopo. Notò che si era ripassata il trucco. “Mi dispiace, ma fa parte della Sezione Proibita.”
“Non è un problema, tornerò con un permesso.” Non sarebbe stato difficile convincere la Prynn a darglielo.

La ragazza prese un’espressione dispiaciuta. “È nella collezione privata della scuola. Non è un testo che può essere preso in prestito da uno studente, mi dispiace.”
Tom contenne la scarica di rabbia che si sentì esplodere nelle vene. “Ah.” Disse. Rifletté, molto velocemente, perché la ragazza sembrava aver tutta l’intenzione di chiedergli se andava al Ballo. “Mi chiedevo… Dov’è esattamente la collezione privata?”
“L’ubicazione?” Chiese la ragazza, un po’ a disagio. “… Perché vuoi saperlo?”
“Pura curiosità. Che tipo di libri ci sono?”  

La ragazza fece un sorriso da bibliofila, che per un attimo gliela rese quasi simpatica. “Libri di Magia avanzata. E, credo, una sezione intera dedicata all’Alchimia. Il reparto si trova dietro la terza fila di scaffali. C’è una porta, che dà su una saletta interna, ma è protetta da una parola d’ordine.”
“Capisco… da quanto lavori qui?” Guardò il cartellino con il nome. “Kathleen?”
Le guance della ragazza si colorarono di un rosa tenue. “Due anni.”
“Difficile lavorare con la Pince, immagino. Non ti lascerà neppure una chiave.”
“Oh, ha cominciato a fidarsi.” Dichiarò, con una smorfietta orgogliosa. “E poi tra poco se ne andrà in pensione, finalmente.”
“Probabilmente ti assumeranno al posto della Pince, non appena ti sarai diplomata.” Ridacchiò. “Grazie a Merlino, il suo regime di terrore sarà sgominato.”
La ragazza rise, deliziata di aver stabilito un contatto. “Oh, è tremenda, vero?”
“Già… Hai la parola d’ordine anche della collezione privata?” La guardò negli occhi, senza darle possibilità di ritrarsi. La ragazza diventò paonazza. Vide che con il linguaggio del corpo cercava di mettere le distanze tra di loro. Non doveva accadere.

La prese delicatamente per un polso. La ragazza trasalì, sorpresa. Ma non si liberò.  
“Non preoccuparti, non voglio metterti nei guai.” Le assicurò. “Ce l’hai?”
“Sì, ma… cambia ogni fine del mese, comunque non posso…”
“Siamo al trenta. Significa che domani a mezzanotte verrà cambiata.” Non si era mai accorto di quanto fosse facile convincere le persone a fare ciò che voleva. Era esaltante. “Mi sbaglio?”
“No…” Deglutì, fissando le dita magre del ragazzo attorno al suo polso. Merlino, metà delle sue amiche avrebbero pagato per essere nella sua situazione. “Perché vuoi saperla?”

Tom sorrise meccanicamente.
Corvonero. Purtroppo non sono mai dei completi cretini…
“È per una scommessa, in realtà. Ma non voglio metterti nei guai, Kathleen. È solo una scommessa tra amici…”
“Vuoi entrare nella stanza della collezione privata?”
“Già. E se tu potessi darmi la parola d’ordine potrei entrare, uscire e a mezzanotte sarebbe tutto finito. Io non avrei la nuova parola, quindi…”

La ragazza sembrava combattuta. Tom capì che sarebbe bastata una lieve spinta. “Hai già un accompagnatore per il Ballo? Da cosa ti vesti?”
“Fata Morgana… cioè, è la parola d’ordine, Fata Morgana. Io… ancora non so. E no… non ce l’ho un accompagnatore.” Sorrise nervosa. “Tu ci vai con qualcuno?”
Tom prese la borsa che aveva posato sulla scrivania, mettendosela a tracolla. “Sai tenero un segreto?”

“Oh… beh, certo.”
Tom le sorrise. “Anch’io, per tua fortuna. Grazie per l’aiuto e buona serata.” Si abbeverò dello sguardo sconvolto della ragazza, prima di voltarsi ed uscire dalla sala.
 
 
****
 
Hogsmeade, Tre Manici di Scopa. Ora di cena.

John Doe, come era conosciuto attualmente in Inghilterra, stava finendo la propria pinta di sidro. Sorrise alla Madama dei Tre Manici di Scopa. “Cena eccellete, cara Hannah!”
La signora Paciock gli sorrise con calore. “Le posso portare qualcos’altro, John?”
“No, grazie, sto bene così.” Si passò una mano sulla tasca interna della giacca. A quanto sembrava ad Hogsmeade i cellulari prendevano.

Bella scoperta… se l’avessi saputo prima non sarei certo andato ad imboscarmi in quella foresta fetida, a gelarmi le ossa tra centauri e tribù di acromantule.
Uscì dalla locanda.
“Buonasera… Sì, mi trovo ad Hogsmeade al momento. La cucina del posto è deliziosa, se mai le capiterà di venire in Scozia dovrebbe proprio provarla…” Sorrise. “Naturalmente, tutto sta procedendo secondo i piani. L’influenza del medaglione si fa già sentire sul ragazzo… oh, sì. Incubi.” Si accese una sigaretta. “Per il Grimorio? Nessun problema, Signore. Domani ci sarà una festa, sì, di Halloween…” Si guardò riflesso ad una vetrina, passandosi una mano trai capelli color grano, che diventarono color carbone.

“… Ed io ho già il mio costume.”
 
****
 
Ufficio del Professore di Trasfigurazione. Dopocena.
 
Ainsel Prynn si ravviò la chioma, con uno sbuffo stizzito, mentre si sedeva davanti al fuoco. Gettò una manciata di polvere volante tra le fiamme, attendendo il collegamento.
“Ainsel, hai tardato…”
“Ho dovuto fare la professoressa, Signore.” Sorrise. Ma era contrariata. Thomas gli stava dimostrando che si erano già mossi, e lei? Non era riuscita ad entrare nell’ufficio di Lupin neanche quel giorno.

Sarà stato via al massimo un paio d’ore… Perché diavolo ha messo un incantesimo di protezione sulla porta del suo ufficio? Dannati inglesi paranoici.
“Ci sono novità?”
“Conto di trovare il Grimorio di Ziel al più presto, Signore.” Disse con aria sicura. Non si sentiva più tale, però. Hogwarts si era dimostrata una miniera di informazioni più labirintica del previsto.

“Quel Grimorio non deve finire nelle loro mani, Ainsel. Se così fosse, sarebbe la fine.”
“Non possiamo chiedere la collaborazione del DALM inglese?” Tentò, sfacciata. Sapeva la risposta, ma tanto valeva tentare. Di certo, con gli inglesi a conoscenza della cosa le indagini sarebbero state meno farraginose.

“Il Ministero Inglese non deve venire a conoscenza della nostra indagine. È una questione sovra-nazionale. Trova quel Grimorio. È il motivo per cui sei lì, non dimenticarlo.”


****
 
 
Note:
1.Little Respect, Erased. È una canzone dance anni ’80 trash, ma una specie di tormentone conosciutissimo in Gran Bretagna. Lol
2. DALM: Acronimo per Dipartimento Applicazione della Legge sulla Magia.
3.Homunculus: ho pasticciato un po’ con la definizione data da wikipedia. No FFA non c’entra niente stavolta. Le frasi sono estrapolate e rielaborate da qui
4.Libro delle Pietre: esiste veramente, come esiste il suo autore anche se ovviamente non ho idea di che cosa parli esattamente. Qui maggiori informazioni. (anche se solo in inglese)   

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Capitolo 34
*** Capitolo XXIX ***


Grazie mille per essere sempre così adorabilmente disponibili. Voi e questa fic mi state rendendo gli esami meno faticosi. ^^ Ah… richiestina. Rendete felice una povera scrittrice. Ce la facciamo ad arrivare a duecento? *piazza di nuovo Al, con un fiocco in testa con scritto 200*
@Altovoltaggio: Ciao! Argh, non mi infilare la Meyer e i Cullen nel Potterverse! Sento che ne potrei morire. XD Apparte gli scherzi, grazie per i complimenti. E poi, dai, vuoi mettere Pattinson contro Tom Sturridge? ;P
@MadWorld: Grazie! ^^ Come faccio a scrivere così? Tante seppie mentali! :P
@LyhyEllesmere: Ciao, benvenuta! :D Che nick complesso! Mi piace molto! Grazie per i complimenti, mi fa piacere che questa bagatella possa emozionare qualcuno. ^^James, oh! Finalmente abbiamo trovato qualcuna che apprezza Jamie. Purtroppo in questi lidi è chiamato il Re Minchione, quindi ti lascio immaginare. XD L’Alchimia è roba complessa, non a caso è una disciplina esoterica… quindi darò il meglio di me per capirla e renderla così comprensibile anche a voi. Pubblico regolarmente anche grazie a voi, e al tempo libero che mi rimane, considerando che sono chiusa in casa a studiare. :P

@Ron1111: Sei l’unica che ha notato la fan-art T_T Grazie, grazie, grazie. Vero che è bravissima? E’ l’unica che fa Harry/Tom davvero convincenti, ed io la adoro. Il medaglione… mmh, è simile a quello di Salazar, ammetto di aver ripreso l’idea. Ma ricordati perché influenzava così le persone, perché conteneva un pezzo di anima di Voldemort, quindi estremamente malvagia. Ti dico solo che questo, se lo indossasse Al, sarebbe solo un pezzo di metallo. Eeeh, spoiler! Comunque, quando aggiorni Alternative Universe? (ormai la chiamo così) Mi manca il tuo Tom! T_T
@Hel_Selbstmord: Heeel! Non preoccuparti, alla luce del lutto che ti ha colpita ti abbraccio telematicamente, e ti capisco! T_T Dev’essere stato orribile. Vero, Scorpius/James è un pairing (non slash!) mai esplorato, ma credo che fosse carino che invece di fare la scontatissima ‘facciamo fare amicizia agli eredi di Draco e Harry’ riorganizzare i Malandrini. Peccato che Jamie sia un anno avanti e che stia per finire! XD Crepi per la sessione ed è bello riaverti qui, davvero!
@Pnin: Ciao! Grazie mille per aver lasciato una recensione. È molto importante per me conoscere le vostre opinioni, e lo ammetto, parecchio gratificante. ^^ Sì, sono d’accordo con te sulla deriva di banalità che sta investendo il fandom slash di HP. Tutte queste Harry/Draco mi danno un po’ la nausea, anche se inizialmente adoravo la coppia. Comunque sì, totalmente Logan Lerman è un uketto! XD E anche Tom Sturridge. Ha fatto un film, like minds, in cui si è confermato l’uomo con le labbra più oscene della terra!
@Trixina: Ne ho date troppe? Eeeh, lo sapevo, ma vi lamentavate sempre che ero misteriosa! :P Beh, sull’Alchimia ci ho messo un po’ di fatica, ma diciamo che wikipedia, in tutte le sue forme, ha aiutato parecchio. Ah, dove sarei senza il genio wiki! XD La canzone che canta Sy è un tormentone al pari di ‘com’è bello far l’amore da Trieste in giù’ in Inghilterra, quindi Sy ha un’animaccia trash. Oppure è solo scemo. XD Tommy-boy è un dannato manipolatore. Ma ci piace così, no? XD
@MissyMary: Ciao! Beh, Tommy è il protagonista, ma purtroppo, per tener fede al Rowling-verse, non c’è NIENTE su cui ha controllo, almeno, fino ad ora. Dopotutto ha solo sedici anni. :P Tom un homunculus? Forse che sì, forse che no. Ricorda che per ora ha solo trovato una pista. ;) Per il fatto che è così bello, invece, deve ringraziare i geni. *ehehe, risata sadica*. La povera Prynn, mi sa, ti starà ancora più antipatica in questo capitolo! Alla prossima! XD
@Ombra: Spinoza eh? Condoglianze, la filosofia è un osso duro, e sinceramente, ti stringo la mano per non aver dato fuoco a tutti i libri. XD Apparte gli scherzi, grazie per i complimenti al match Tom-ragazzadellabiblioteca. Tanto per ribadire il fatto che al nostro piacciono i maschietti con grandi occhioni verdi. XD Sy dovrà tirare fuori la testa dalla sabbia, perché alla fine è un Malfoy, e si interessa solo di ciò che gli piace o lo diverte. Ragazzaccio. Tom se finirà il sogno… beh. Diciamo solo che i sogni possono essere o non essere rivelatori. ;) Non sono che un brandello nel nostro subconscio dopotutto. In bocca al lupo per Spinoza, e grazie per il commento!


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Capitolo XXIX



La gente mi spaventa, specialmente alle feste.
(Factotum, Charles Bukowski)



31 Ottobre 2022
Hogwarts, Corridoi. Primo pomeriggio.

Hogwarts era immersa nel caso. No, non caos, proprio caso.
Teddy si guardò attorno, mentre frotte di pubescenti urlanti si gridavano ordini e suppliche da un lato all’altro delle scale mobili. L’argomento di conversazione principale erano i rispettivi costumi e maschere di Halloween o la possibilità di farsi incantare il viso per assomigliare ad un mostro o ad una splendida fata. A seconda.
Teddy si tirò indietro appena in tempo, prima che Pix, pazzo di gioia, scaricasse nel corridoio gavettoni contenenti zuppa di pesce.
Quando ero studente io, Halloween non era così folle.
Cercò di approcciare la cosa da un punto di vista pedagogico: dopo lo spavento causato dai Naga i ragazzi volevano rilassarsi, divertirsi.
Vandalizzare?
Entrò velocemente dentro la propria classe. Solo quando fu seduto sulla poltrona, davanti al fuoco, con una tazza di the, si sentì un po’ meglio.
Le feste gli piacevano, era l’isteria di massa che le precedeva ad atterrirlo.
Oltretutto, era braccato dalla professoressa Prynn, che aveva insistito fin dalla mattina per farsi aiutare nell’allestire la Sala Grande per il party. Teddy era convinto che il risultato fosse fantastico, ma lo sarebbe stato anche senza di lui, tramortito da quasi cinque ore di chiacchiere a senso unico.
Oltretutto, era nervoso.
Si passò una mano trai capelli, fissando il fuoco.
Aveva il costume, Neville gentilmente glielo aveva fatto trovare al tavolo dei professori quella mattina, con un bigliettino che l’aveva quasi sciolto in lacrime di pura gratitudine.
Il problema era il Problema James.
Quante storie, ragazzino… - Gli sembrava di sentire la voce di sua nonna – Jamie passerà la sera a ballare e rimorchiare ragazze. È un adolescente. Non ti considererà se ha di meglio da fare.
Eppure…
Coprì il polso con una mano, il polso che James gli aveva afferrato, irruento come sempre.
Qual è il problema, ragazzino? Non ti starai per caso mettendo in testa che ti piacerebbe che James ti desse attenzione?
Per chiarire!
… Stava cominciando a sentire le voci. Era un segno preoccupante.
Reclinò la testa sullo schienale, chiudendo gli occhi. Ventotto anni prima forse suo padre aveva fatto lo stesso gesto.
Non per lo stesso motivo, comunque.
Sospirò, alzandosi in piedi e versandosi la generosa dose di teina della giornata.
Tu che avresti fatto al mio posto, papà? Che avresti fatto se Sirius fosse stato più o meno minorenne e figlio del tuo padrino?

Aveva appena paragonato Jamie al Primo Amore di suo padre?
Trangugiò la tazza di the senza premurarsi dell’ustione di secondo grado che ne derivò.
Era solo… suggestionato dalla situazione. E poi c’era la festa. E James triste, composto, come un dannato ragazzo con il cuore spezzato.
Sentire battere un gufo alla finestra fu un sollievo senza pari.
Tolse la pergamena che portava un sigillo anonimo. Non veniva dalla scuola, né da sua nonna che colava la ceralacca con una precisione chirurgica. E non c’era nessun altro che avesse motivo per scrivergli. James, poi, il più delle volte chiudeva la busta con dello scotch magico.
La lettera veniva dal padrino.

Teddy,
Ho motivo di credere che Parva Duil sia stato assassinato,e che dietro la faccenda dei Naga ci fosse più che i deliri di uno psicopatico. Non avvertire nessuno. Solo, tieni gli occhi aperti. Mi farò vivo io.
PS: Divertiti alla festa e non fare da tappezzeria come io facevo all’epoca. Rendi fiera tua madre. Era una gran casinista.
Un abbraccio,
Zio Harry.

Teddy serrò le labbra. Si sedette sulla poltrona, rileggendo le poche frasi, mentre sorseggiava il the: la lettera non era certamente chiarificatrice. E non portava il sigillo del Ministero.
Questo significa solo una cosa… zio Harry non sta indagando ufficialmente.
Sospirò. Avendo fatto tre anni di Accademia Auror sapeva benissimo quanto fossero rigide le procedure di indagine dell’Ufficio. Se Harry le stava ignorando voleva dire che c’era un ottimo motivo. E dei sospetti.
Ci mancava solo questa…
Altri pensieri. Con un movimento irritato appoggiò la tazza sul tavolino accanto al fuoco. Naturalmente, come ogni volta che faceva qualcosa senza pensare, il dna di sua madre pensava bene di manifestarsi; il tavolino si rovesciò, spedendo nel fuoco tutto quello che conteneva. Compreso il diario di Ziel.
“Dannazione!”
Prese le molle, cercando di recuperare velocemente il quaderno. Lo fissò attonito quando si accorse che non stava bruciando. Si riscosse velocemente, afferrandolo e traendolo in salvo sul tappeto.

Per la barba di Merlino… Un incantesimo freddafiamma?
Prese il diario, freddo al tatto come se fosse stato sul davanzale della finestra. Lo aprì. E si accorse che il codice non era più tale. Adesso era scritto in caratteri latini.
Un codice che si decifra attraverso il fuoco? Questa è magia avanzata…
Lo sfogliò, meravigliato. Tanta era la sorpresa che fece persino fatica a concentrarsi e cogliere parole.
Vi lesse appunti. In tedesco. E lui non conosceva il tedesco.
Sospirò rassegnato: era naturale. La lingua madre di Immanuel Ziel era il tedesco.
Un particolare attirò la sua attenzione. Una parola. Era ripetuta continuamente.
Elderstab.

Corrugò le sopracciglia. Non conosceva il tedesco, ma quella parola gli era familiare.
Poi un nome gli balzò davanti agli occhi, in mezzo alle righe.
Thomas Dursley.
Tom? Perché Tom, uno studente, è citato nel diario personale di Ziel?
Sentì uno schianto alla porta. Sobbalzò, tirandosi in piedi.
“Oh, Ted, eccoti qua!” Sbottò Ainsel, il corpo californiano fasciato in un provocante vestito da … gatto? Anche gli occhi, solitamente azzurri, erano sfumati in un giallo-oro e in qualche modo la loro forma sembrava più tondeggiante.

Trasfigurazione umana…
“… Sei un gatto?” Sussurrò sfiancato.
“No, cat-woman. È un personaggio immaginario babbano. Ho risparmiato la fatica di cercarmi una maschera!” Sorrise. “Cielo, Lupin, non sai proprio come fare i complimenti ad una donna, mh?”
Ted sentì i propri capelli schiarire crudelmente verso il rosa imbarazzo. “No… io. Ehm. Mi cercavi?”

“Già.” Sogghignò. “Ho davvero bisogno di una mano laggiù. Voi inglesi non avete esattamente chiaro come vada festeggiato Halloween.”
“Beh, è una festa. La vecchia Samhain…”
Una festa Ted, hai detto bene. Solo i ragazzi la prendono con lo spirito giusto! Devi assolutamente darmi una mano con gli ultimi ritocchi.” Lo afferrò per un braccio. “Forza. Prendi il costume con te. Ti cambierai dopo. Siamo già in spaventoso ritardo con la tabella di marcia, e il party inizia tra tre ore esatte.” Lo guardò negli occhi, con serietà. “Sei l’unico che può aiutarmi, cucciolo.”
Cucciolo?

“Ah… va bene. Allora prendo il costume e ti raggiungo.” Si schiarì la voce. “Arrivo subito.”
Per un attimo l’espressione della donna parve contrariata. “Ti aspetto qua fuori!” Trillò però.
Fu solo un’impressione, ma a Ted sembrò che avesse notato il Grimorio.



****


Hogwarts, Torre di Grifondoro, Dormitorio delle ragazze.
Sette e mezzo circa.



She says she's no good with words but I'm worse
Tonight it's "It can't get much worse" vs. "No one should ever feel like…"¹


“Per tutte le sottane di pizzo di Morgana Benedetta! Sono nella merda!”
Rose non era particolarmente brava a tenersi dentro i suoi problemi, pensò Lily suggendo con grazia da lolita il suo lecca-lecca, seduta sul letto della cugina, mentre quest’ultima compiva ampi cerchi minacciosi attorno allo specchio.

La camera delle studentesse del Sesto Anno era immersa nel caos. Una radio suonava da qualche parte, mentre tonnellate di vestiti, calze e reggiseni erano sparsi ovunque.
Le altre compagne si erano già dirette in Sala Comune, per spettegolare, criticare i propri vestiti, ridacchiare, adocchiare gli ultimi cavalieri liberi ed aspettare l’inizio del party.
Rose era immobile, di fronte allo specchio, vestita con un’improbabile veste color arancia disidratata, che faceva a pugni con il castano miele dei suoi capelli.
“Te l’avevo detto che mandare un Gufo a nonna Molly chiedendole un suo vecchio abito da cerimonia era una pessima idea…” Sospirò. “Voglio dire, come ti è venuto in mente?”
Rose mugolò, mettendosi le mani trai capelli. “Non lo so! Non avevo uno straccio di vestito, e tutte non facevano che puntarsi la bacchetta in faccia e provare occhi bistrati per i loro costumi da fata Morgana o da Cacciatrice, ed io volevo essere originale…”
Non volevo che Scorpius mi confondesse in mezzo ad un trilione di fate Morgana e Dame del Lago!
“E hai pensato di vestirti da Prozia Muriel?” Aggrottò le sopracciglia. “Beh, è sicuramente originale.”
“No!” Belò, tirando la manica ornata di pizzi tendenti al verde. “Pensavo che la nonna avrebbe tirato fuori qualcosa di non so… retrò?”
“Merlino, Rosie… sai almeno cosa vuol dire?”
“… Non è questo il punto!”

“Assolutamente.” Lily si alzò dal letto, girandole attorno. “Il punto è che questo costume fa schifo.”
“Non puoi fare qualcosa? Sei così brava ad accorciarti la minigonna…” Borbottò sarcastica. “Non puoi trasfigurarlo in modo che non mi faccia ridere dietro per i prossimi cento anni?”
“Tesoro, faccio magie, non miracoli.” Sorrise Lily dispiaciuta. “Pensavo di lasciarti nei guai perché sono mostruosamente invidiosa del fatto che non andrò alla festa più in dell’anno… ma sai, anche volendoti aiutare, questo va’ oltre le mie possibilità.”

“Okay. Vado ad uccidermi.”
“… Rosie? Che hai addosso?”
La voce gentile, e un po’ spaventata a dirla tutta, di Al rischiò quasi di farla scoppiare a piangere.

Albus, dolce cugino…
Si voltò verso la porta, grata per il suo sicuro supporto. Al sgranò gli occhi. E scoppiò a ridere senza ritegno.
“Piantala! Smettila subito!” Ringhiò. Poteva andare peggio?
Certo. Malfoy mi vede, comincia a sbellicarsi come l’imbecille che è, mi pianta e va a tastare le tette trasfigurate della Haggins.

Al deglutì una risata, togliendosi la semplice maschera nera e asciugandosi il bordo degli occhi.
Attimo…
Indossava… la divisa? E aveva una cicatrice a forma di saetta in fronte?
… ma che cavolo…
Lily batté le mani, deliziata. “Oh, che carino! Ti sei vestito da papà!”
Al sorrise quieto. “Già. È auto-ironico.” Specificò, con una scrollata di spalle che quasi spinse Rose ad accopparlo con un tacco.

“Molto furbo…” Cinguettò compiaciuta Lily, aggiustandogli con amore fraterno la cravatta rosso-oro.
“Certo che sono furbo, sono un serpeverde.” Ironizzò. “Allora Rosie, intendi andare al Ballo… con quello?”
“A meno di non andarci senza vestiti…”
“Audace.” Sogghignò Lily. “Mi piace.”
“Chiudi il becco, flagello della mia esistenza.” Borbottò. “Al, mi devi aiutare. Sei un genio della Trasfigurazione… Non puoi aggiustarlo?”
Al la guardò confuso. “E come? Cioè… credo, insomma, credo sia oltre le possibilità di chiunque.”
“Fantastico. Ammazzami. Ora.” Si buttò seduta sul letto, prendendosi il viso tra le mani. “La festa inizia tra mezz’ora ed io dovrò andarci così…” Si bloccò. “Forse posso non andarci.”
“Non credo proprio.” La corresse serio. “Ci andiamo assieme, come gruppo. Vuoi davvero farmi sorbire Jamie e Malfoy assieme? Adesso sono tutti battute e virili pacche sulla schiena. Mi vuoi vedere morto entro la fine della serata?”

“Ma scusa… i tuoi amici?” Lo guardò, incerta.
E Tom?
Non si era dimenticato l’episodio del giorno prima. Ma non era certo facile introdurre il discorso.
Sai che Tom parla in posti sperduti con biondini sconosciuti?
Al fece spallucce. “Tendiamo a non starci troppo trai piedi. Mike vuole avere territorio di caccia libero e Loki non lo vedo da ieri e credo che non lo vedrò, se non a fine serata, tra due ragazze con pochi vestiti addosso. E Tom…” Si rabbuiò, e non aggiunse altro.
“Non viene?” Chiese Lily confusa. “Aveva detto che sarebbe venuto!”
“L’aveva detto, ma è dall’ora di cena che non lo vedo.” Disse anodino. Si passò una mano trai capelli, arruffandoli ancora di più. “Per quel vestito… davvero, Rosie. Non è così male a guardarlo bene. E se magari ti metti la maschera… forse la gente non ti riconoscerà?”
“Grazie Al, mi sei davvero d’aiuto.” Replicò sconfortata. Gli lanciò un’altra occhiata: Albus sorrideva come sempre, ma era chiaro che c’era qualcosa che lo turbasse.

Ovvio, Tom. È sempre Tom. Gli caverò il cuore con la bacchetta se oserà bidonarlo.
“Verrà.” Mormorò, sfiorandogli il polso.
Albus fece un mezzo sorriso. Gli occhi però erano tempestosi. “Lo spero per lui.”
Lily guardò dall’uno all’altro. “C’è qualcosa che non so?”
No!” Risposero in coro, prima che un ritmico picchiettare distogliesse l’attenzione di tutti e tre.
“Lils, abbassa un po’ la radio…” Ruppe il silenzio Al, andando ad aprire la finesta. Vi trovò un enorme falco, dal piumaggio bianco-nero.
“Wow.” Mormorò. “Di chi è?”
“Nessuna delle ragazze ha un falco.” Replicò Rose, incuriosita, avvicinandosi. “Sembra il genere di famiglio che può avere un ragazzo.”
“Oh!” Esclamò Lily, facendosi spazio trai due. “È un Girfalco! Sono molto costosi!”
Rose ebbe un brutto presentimento. Che si chiarificò quando il volatile entrò nella stanza, trascinandosi dietro un enorme pacco rosso e atterrando dolcemente sul suo comò.
Lily lanciò un gridolino entusiasta. “Sembra un regalo! Ed è per te, Rosie!”
“Fantastico…” Mugugnò, avendo benissimo in mente chi poteva essere il padrone di quel dannato pennuto, che sembrava fissarla beffardo.
“C’è un biglietto.” Sorrise Al, slegandola dalla zampa del volatile. “Lo leggi?”
Rose la afferrò immediatamente, strappando la ceralacca.


Alla mia Rosey-Posey
È in affitto, quindi non è tecnicamente un regalo.
Un ammiratore super-segreto.

Aprendo il pacco, ne uscì un fiume di morbida stoffa blu. Le due ragazze stesero il vestito sul letto. Sembrava uscito da una fiaba. C’era anche una maschera, cesellata in volute d’oro, che si intonavano con l’oltremare del vestito da strega medievale.
Lily le lanciò un’occhiata di affettuosa malizia. “Così, Rosey, hai un ammiratore segreto… e con un ottimo gusto in fatto di costumi.”
Rose scosse la testa, mentre un sorriso le affiorava involontariamente alle labbra.



****

Biblioteca, Otto di sera.

“Fata Morgana.”
Tom aspettò che la porta, in pesante legno di cedro, si aprisse con un leggero cigolio.
Fece un mezzo sorriso, guardando distrattamente l’orologio da polso.
Aveva ancora mezz’ora per poter fare il lavoro, tornare in Dormitorio, cambiarsi e raggiungere Al.

Poteva fare tutto. Poteva crearsi un alibi e continuare con le sue ricerche. Poteva allearsi con John Doe e restare nell’ombra. Poteva proteggere Albus e reclamarlo per sé.
Doveva solo rimanere lucido.
Sfiorò con le dita le copertine lungo gli scaffali ordinati. Poi, lo trovò. Libro delle pietre, Ayyan.
Lo sfilò dallo scaffale, sfogliandone le pagine, come a verificarne la consistenza.
Non poteva portarlo via dalla sala: la ragazza non glielo aveva detto, ma era intuibile che oltre la parola d’ordine ci fossero altre protezioni. Quel luogo era stato incantato; non solo all’entrata, ma anche l’interno. Era una strana sensazione, ma riusciva a percepirlo.
La magia lascia tracce ovunque…
E oltre a quello, c’era sempre la sua razionalità a confermarglielo.
Estrasse un quaderno che aveva comprato il giorno prima da Zonko: era spesso, dalla copertina rigida e con un incantesimo di protezione già attivato. Un diario segreto, in poche parole.
Si avvicinò all’unico tavolo della sala, allineando il libro e il quaderno. Puntò la bacchetta contro il quaderno. “Trascribo.” Scandì.
Il libro si aprì con uno scatto secco mentre la penna magica che si era premurato di posare sul diario cominciava a copiare diligentemente sui fogli bianchi.
Non riuscì a non sorridere, mentre il trionfo gli scorreva placido nelle vene.


****

Sala Grande. Nove e mezzo.


Well, I woke up tonight and said I
I'm gonna make somebody love me
And now I know, I know that it's you
You're lucky, lucky, you're so lucky!²

La Sala Grande era completamente trasformata. Trasfigurata, era il termine giusto, pensò Ted entrando: doveva ammettere che Ainsel aveva fatto un lavoro stupefacente.
La Sala Grande raffigurava in quel momento un interno gotico, illuminato soltanto dalla luce di centinaia di candele nere. I tavoli erano stati eliminati e, davanti al piano rialzato dove si accomodavano i professori, erano state posizionate una pletora di casse che amplificavano la musica.
Tutto faceva pensare ad uno di quei giganteschi lave party babbani a cui Victoire lo trascinava sempre.
I ragazzi, con vestiti e trucchi iridescenti si muovevano a ritmo, bevendo e ridendo.
Era una festa molto americana. Ma a quanto sembrava gli studenti ne erano assolutamente entusiasti.
Teddy si diresse immediatamente verso il tavolo delle bevande, dove grossi recipienti ospitavano succo di zucca ghiacciato, burrobirra bollente e punch che Teddy sospettava non fosse analcolico.
Almeno non nelle intenzioni di Nott, che vestito da Lepricauno, fumava una lunga pipa vicino ad un barile di quella che forse non era burrobirra. Gli fece un gran sorriso, quando si avvicinò. “Professore… Festa brillante, non trova?” Esclamò. “Bel costume!”
Teddy sorrise, versandosi una dose di punch e sorseggiandola. “Grazie. Nott, è una mia impressione o questo punch è lievemente corretto?”
“Non so di cosa stia parlando, professore. Questi Scamandro sono marci dentro e alcolizzati, glielo dico io.” Sogghignò, prima di toccarsi la falda del cappello e allontanarsi.

Teddy ridacchiò e lasciò perdere. Poi il suo sguardo inevitabilmente cominciò a vagare per la stanza, in cerca di una persona che a sua differenza, godeva ad essere il centro dell’attenzione.
Non fu difficile trovarlo: James era assieme agli Scamandro e a Malfoy al centro della pista. Bevevano da calici colorati e ballavano in modo folle, come solo un adolescente può fare senza sembrare ridicolo.
James era vestito da vampiro, mentre Malfoy sembrava un cavaliere alla corte di Re Artù. Gli Scamandro erano avviluppati in chilometri di carta igenica, probabili mummie.
Ted, rassicurato, bevve un sorso dal proprio drink: perfetto, era whiskey incendiario al punch.
Poi vide che James l’aveva notato. Pochi istanti dopo, infatti, gli era accanto. “Professor Lupin, è lei? Con tutte queste maschere non si capisce chi è cosa.” Sorrise. Aveva le iridi bianche e il volto innaturalmente pallido. Aveva un’aria indubbiamente lugubre ma, oggettivamente parlando, affascinante.
Un costume ben riuscito… i vampiri devono essere affascinanti.
“Me in persona. Ciao Jamie…” Sorrise di rimando. “Ne sai qualcosa di questo punch?”
James sogghignò. “No comment.”
“Sì, lo supponevo.” Sospirò, felice di quella breve tregua. “Vi state divertendo? La professoressa Prynn mi ha sfiancato, ma credo ne sia valsa la pena…”

James scrollò le spalle. “Mi conosci, ci dovrebbe essere più alcool, meno ragazzine di quindici anni e un mucchio di ninfe norvegesi. Ma è okay.” Lo vide mordersi un labbro con un canino vampiresco. “Tu da cosa sei vestito? Hai una specie di spada…” Osservò, sfiorandogli l’impugnatura del fioretto che portava al fianco. Teddy si sentì improvvisamente piuttosto a disagio.
“Moschettiere, è un costume babbano. Neville l’ha preso per me. Non sapevo che conoscesse il romanzo di Dumas…” Sorrise nervoso, guardandosi attorno. Si rilassò quando vide che nessuno sembrava aver notato che James era ad un passo da lui, in linea d’aria. In effetti, tra le luci crepuscolari e la musica assordante tutto fluttuava in una calca rossastra e rumoreggiante.
“Ti sta bene.” Borbottò James, vuotando il proprio bicchiere in un sorso. Poi lo guardò, come pregandolo di riempirsi di nuovo da solo. Ovviamente, non accadde. “Beh, allora buona serata. Ciao.” Disse, prima di voltarsi e andarsene.
Teddy lo guardò andare via sbigottito. E sapeva davvero che non doveva, forse…
Ma si sentì lo stesso un po’ sconfortato.

Scorpius lo accolse con una risata malvagia. “Sei un cretino, Potty!”
James serrò i denti, afferrandogli il bicchiere e trangugiandone il contenuto. “Oh, certo. Non lo vedevi com’era a disagio? Sembrava aver paura che gli stessi per chiedere di ballare!”
“Capisco. Non sei ancora abbastanza ubriaco per farlo davvero.” Obbiettò ragionevole , dandogli una pacca sulla spalla. “Altra dose?”

“Dio, sì.” Grugnì, lanciando un’occhiata nella direzione in cui era Teddy. “Cristo, è meraviglioso… No? Guarda quella camicia. È meraviglioso.”
“Un po’ troppo inconsistente per i miei gusti. E poi è mio biscugino o qualcosa del genere.” Replicò passandogli un bicchiere pieno. “Dulcis in fundo, mi piacciono le tette.”
“Anche a me, Malfuretto. Ma lui travalica ogni categoria…” Sussurrò, più a se stesso che ad altri. Inspirò lentamente, prima di dare due sorsi al bicchiere. “Dovevo rimanere.”
“Già. E giurargli la tua imperitura devozione. E magari chiedergli di danzare. Com’è che non ha funzionato?”
“È pieno di gente, dannazione. Te ne sei reso conto?”
Scorpius si guardò attorno. “Mmmh, vagamente. Lascia che ti ricordi il piano. Il piano era attirarlo in un luogo che avrebbe stordito la sua indole da pensionato, mentre l’alcool allentava i suoi freni inibitori. Sembra un tipo che va giù con due dita di sidro. E poi, complice le tue straordinarie doti fisiche lo avresti sedotto.”
“La fai semplice tu!” Brontolò, sentendosi le orecchie scottare in maniere piuttosto Weasley. “Non posso semplicemente provarci!”
Scorpius sorrise bonario, per quanto il ghigno Malfoy glielo permettesse. “Hai stabilito un contatto, intanto. Credo sia proficuo.” Si guardò attorno. “Ora… Dov’è la mia splendida principessa?”
“Stiamo parlando di Rosie? Perché se è così, hai il cervello fradicio di whiskey.”
“Lei è una principessa. La mia.” Decretò con sicurezza, battendo le nocche sulla cotta di maglia. Poi si illuminò, quando la intravide all’ingresso, seguita da quello che sembrava un paggio, ma che in realtà era solo Albus con una maschera.

James spalancò la bocca in una ‘o’ quasi perfetta. “È davvero lei?”
“Rose!” Cinguettò Scorpius, facendo ampi cenni con la mano. Rose fece un mezzo sorriso impacciato, dietro la maschera, in un corpetto blu oltremare con una gonna assolutamente perfetta.

“Sembra quasi una femmina.” Riassunse James, scoccandogli un’occhiataccia. “Tu c’entri qualcosa?”
“Naturalmente.” Sorrise sereno. “Oh, guarda il mini - Potter. Che cosa graziosa. Fa’ vostro padre.”
“Idiota…” Sbuffò James, sorridendo storto ai due quando si avvicinarono; sentiva la lingua intorpidita dall’alcool e cominciava a sentirsi allegro. “Ehilà, cuginetti meraviglia…” Strascicò.
Al lo squadrò da capo a piedi. “Hai i canini e sei ubriaco.” Stimò con un sospiro.
“Accoppiata vincente.” Annuì con vigore Scorpius, lanciando un sorriso beato a Rose, che si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, ricambiando impacciata. “Buonasera misteriosa principessa…”
“Sei un idiota.” Sussurrò, ma le brillavano gli occhi. “Non era necessario.”
“Certo che sì. Adesso siamo Ginevra e Lancillotto.” Le prese la mano e se la portò alle labbra. “Allora, il mio ballo?”
“Ehm. Sto ancora cercando di abituarmi al corpetto, Lily l’ha stretto troppo…” Mugugnò, lanciandogli un’occhiata di avvertimento; James sembrava pronto ad opporsi fisicamente all’eventualità di vederli abbracciati assieme in sua presenza.
“La dolce Lilian? Credo di averla vista imboscata con Coote da qualche parte, vestita da coniglietta sexy.” Cinguettò Scorpius e, prima che i due Potter potessero scongelarsi dall’orrore, la trascinò in mezzo alla calca danzante.

“Scorpius, non è vero!” Rise, tirandogli una botta sulla spalla. “Che bastardo!”
“In verità, non credo di essere una gran brava persona.” Sogghignò, chinandosi su di lei. “Ti sta benissimo… dico, il vestito.” Aggiunse.
“Non voglio sapere come hai saputo le mie misure, davvero, mi limiterò a ringraziarti.” Sospirò, cercando di capire come ballare senza farsi pestare i piedi dalla folla. Si sentiva stupidamente leggera, sobria e felice. “Scorpius, è stupendo. Grazie. Anche la maschera… è. Grazie.” Ripetè, arrossendo.
“Lo so, sono il cavaliere perfetto. Ho pensato anche a come poter ballare assieme senza farci scoprire. Festa in maschera, chi è cosa, con chi diavolo sto ballando etc, etc…” Spiegò, prendendola fluidamente tra le braccia. “Ah, questo è un lento.”
Rose ridacchiò. “Ma non mi dire… Comunque. Sei davvero vestito da cavaliere babbano?”

“Non credi sia profondamente ironico? In ogni caso ci sono voci che sospettano una sua discendenza magica, quindi forse mio padre non mi diserederà.”
“James è già ubriaco…Sei sicuro di non esserlo anche tu?” Sbuffò fingendo casualmente di parlargli all’orecchio per poterglisi avvicinare. Profumava di bucato appena steso, anche in mezzo ad una calca sudata. “Ti prego, dimmi che non lo spingerai a fare cavolate.”
“Impossibile. Sono il diavoletto sulla sua spalla.” Sussurrò divertito. “E anche della tua.”

Rose gli sorrise: per quanto riusciva a capire, non capiva. Era tutto maledettamente perfetto. Persino se era stretta in un bustino. Persino se James era già ubriaco e non erano nemmeno le nove. Persino se le altre coppie gli lanciavano occhiate incuriosite.
Si sentiva sciocca e felice. Era una sensazione nuova, e avrebbe voluto provarla per sempre.
Scorpius le sorrise. “Allora… Posso prenotarti per tutti i balli della serata?”
Rose ricambiò. “Assolutamente sì.”


If you're lost, You can look
And you will find me, time after time… ³


Al lanciava occhiate alla Sala, ma non si era mosso di un millimetro da quando la coppia si era allontanata: James non andava lasciato solo, dalla costanza con cui si riempiva il bicchiere. Avrebbe voluto essere lì solo per controllare il deficiente, farsi due risate con gli amici e sorridere supportivo a Rose… ma in realtà si sentiva come le ragazze che, sole e imbronciate, sedevano all’angolo della Sala, aspettando un cavaliere che non sarebbe mai arrivato.
Inspirò, afferrando il bicchiere del fratello e dandone un lungo sorso. Tossì mentre l’altro, stupito, rideva.
“Che c’è Al? La tua dama ti ha dato buca?” Sghignazzò, dandogli una pacca sulla spalla. “Andiamo… Se hai il cuore spezzato ci faremo compagnia a vicenda.”
“Perché, tu hai un cuore?” Replicò, sentendosi lacrimare gli occhi, ma non lasciò il bicchiere. Ne bevve un altro sorso, e fu meno mortifero.

James non disse nulla, strinse semplicemente le labbra. E Al capì che c’era qualcosa che non andava. Non che non l’avesse già intuito da un mese, ma lui e James non parlavano mai dei propri sentimenti. Probabilmente, considerò, perché nessuno dei due avrebbe mai voluto essere il primo a farlo.
“Stai bene?” Chiese però, appiattendosi una ciocca ribelle sulla fronte.
James fece un sogghigno agro, scuotendo la testa. “Sicuro pivello… siamo ad una festa.”
“Hai litigato con Teddy?” Sparò a bruciapelo. Era un azzardo. James aveva un intero mondo interiore che proteggeva a colpi di spacconate e arroganza. Ma quando lo vide stringere il calice con forza, capì che stavolta non avrebbe reagito. “È così, vero?”
“Con Teddy non si può litigare, Albie. Dovresti averlo già capito da anni… lui si scusa, e tu ti senti un idiota. Ecco come vanno le cose.” Masticò amaro. “Ora, perché non tiri fuori le palle e chiedi a qualche ragazza di ballare? Come il tuo favoloso fratello, devi solo pescare dal mucchio. Sfrutta il fatto di essere il figlio di un eroe una volta tanto.”
Al fece un mezzo sorriso. Il ghigno di James era fragile. “Forse sto aspettando una persona…” Mormorò.

“Se stai aspettando Tommy sei proprio una checca.” Brontolò James, rivolgendogli un sorriso ispido.
Al scosse la testa, finendo il bicchiere. “Tu stai aspettando una persona, piuttosto?”
“Da tutta la vita…” Rispose, duro. Al non fece in tempo a decifrare l’espressione, perché la sua attenzione fu spostata al centro della pista. Teddy stava ballando con la professoressa Prynn e sembrava assolutamente in difficoltà, a giudicare dai capelli che oscillavano tra il rosa imbarazzo e il bianco disagio. Al ridacchiò. “Hai visto la faccia di Teddy?”

“Vado a fare rifornimento.” Si scollò dal palato, distogliendo lo sguardo. “Non sono abbastanza ubriaco.” Lo lasciò senza un’altra parola. Al rimase del tutto sconcertato quando lo vide praticamente correre in direzione di Michel, che se ne stava appoggiato ad una parete, in una posa estremamente languida e solitaria. Lo vide afferrarlo per un braccio. Per un attimo pensò che l’avrebbe picchiato in preda ad un raptus di razzismo tra Case, ma poi gli parlò all’orecchio.
Michel sorrise, chinando la testa verso le labbra di James e Al, con precisione drammatica, capì chi era il suo misterioso amante, che a Settembre gli aveva lasciato tanti dubbi in testa.
Oh, Dio. James è… Oh. Dio.
Boccheggiò, guardandosi intorno alla ricerca disperata di qualcuno su cui sfogarsi, perché bisognava essere idioti per non capire come stavano le cose, ma non c’era nessuno, ovviamente, nessuno a cui avrebbe potuto dirlo. Tranne…
Sentì una mano appoggiarglisi sulla spalla. Un gesto banale, se non fosse che le dita gli sfiorarono il collo, dolcemente.
“Ti sei vestito da zio Harry?”
Tom.

Al si voltò, dimentico della rabbia e di volergli tirare un calcio. “James va a letto con Michel!” Sbottò, sgranando gli occhi.
Tom inarcò le sopracciglia. Indossava una camicia bianca da mago e pantaloni neri. Aveva la maschera, una banalissima, bianca, ma tagliata a metà, così da nascondergli parzialmente il viso. Il mantello era indolentemente buttato sulle spalle.
Chissà da cosa si è vestito… Comunque, sta benissimo.
Si riscosse immediatamente però. “Mi hai sentito?!” Quasi urlò. “Jamie è…”
“Ho sentito.” Replicò pacatamente. “E lo supponevo da un po’.”
“Perché non me l’hai detto?”

Tom inarcò un sopracciglio. “Mi avresti creduto? Fino a due mese fa pensavi che Zabini fosse solo uno snob.”
Al deglutì, ispirando una grossa boccata d’aria. “Credo di aver appena avuto un trauma. L’ultimo di una lunga serie…” Sussurrò. “E comunque non è perché va a letto coi ragazzi… Cioè, certo, anche. Ma perché… lo sai. Mike.
Tom sorrise, nascondendo la soddisfazione che gli aveva procurato quella notizia, passandogli un pollice sulla cicatrice. “Lo so. Molto ben eseguita. Trasfigurazione su persona, vero?”
“No, l’ho fatta con una forchetta arrugginita.” Ironizzò, ricordandosi il motivo per cui fino a cinque minuti prima lo odiava. “Dove eri finito?”
“A confezionare il mio costume.” Spiegò quieto. “La divisa da Grifondoro non ti dona affatto.”
Al fece una smorfia. “Curioso, tutti pensano il contrario.”
“Perché sono degli idioti.” Replicò. Aveva l’aria stanca e il viso tirato. Si chiese se gli stesse di nuovo mentendo, ma poi non ebbe la forza di darsi una risposta. Non in quel momento.

Perché non posso avere un anno tranquillo?
Ah, giusto. Ho giurato a me stesso che sarebbe stato un anno grandioso.
Attento a quel che desideri…
“Ti va qualcosa da bere?”
“Solo se Nott non ci ha rovesciato due barili di whiskey dentro.” Gli fece un mezzo sorriso. “La maschera però ti dona…” Si chinò su di lui, sfiorandogli la tempia con le labbra, un gesto innocuo se visto da lontano. “Mi viene voglia di togliertela.”
Al sbuffò, fallendo nel tentativo di non arrossire. “Non pensare di corrompermi con dei complimenti. Non hanno mai funzionato. E non funzioneranno adesso.”
Tom fece una smorfia infastidita, quasi fosse stato colto sul fatto e non avesse voglia di ammettere la cosa. “Sono qui, no?”
“E ci rimarrai per tutta la sera.” Lo guardò negli occhi. “Così ti stancherai a morte, ascolterai delle musica, berrai e dormirai come un angioletto.”
Tom ghignò. “Non sono mai stato un angioletto.”
“Mh, strano. Da piccolo mi ricordo che tua madre ti definiva proprio…”
Al.” Lo minacciò. Poi sospirò. “Tutta la sera, va bene.”
“Vorrei vedere. Devi aiutarmi a superare il trauma di avere un fratello bisessuale.” Inspirò, mordendosi un labbro. “Povero papà. Credo dovrà tener conto di Lily, per la prosecuzione delle specie…”
“Sono sicuro che James metterà nei guai qualcuna entro i vent’anni e risolverà il problema.” Sogghignò Tom, facendolo ridere.

“Sappi che non ti lascerò scappare, stasera.” Gli comunicò. Esitò, poi lo prese per mano, intrecciando le dita, con forza. “Okay?”
Sapeva di essere un codardo. Che avrebbe dovuto pretendere chiarezza, risposte da Thomas. Ma c’era una parte di lui che sapeva che, se l’avesse fatto, l’avrebbe perso. E aveva paura; a volte si svegliava nel cuore della notte con il cuore che gli martellava nel petto. Si voltava e lui, per fortuna, era lì.

Va tutto bene.
Tom gli sorrise. Un sorriso piccolo, ma solo suo. “Okay.”
E non gli lasciò la mano.

Tonight the music seems so loud,
I wish that we could lose this crowd.
Maybe it's better this way,
We'd hurt each other with the things we want to say⁴


Teddy aveva da un po’ il sospetto che Ainsel Prynn ci stesse provando con lui.
E quando lo trascinò sulla pista da ballo, premendogli i seni sulla camicia, capì che stavolta non aveva preso un abbaglio.
“Ti piace questa canzone, Ted?” Chiese vellutata.
Era bella, Ainsel. Con grandi occhi azzurri, ora dorati, il viso perfetto e un corpo da favola. I capelli biondi rilucevano bronzo alla luce delle candele. Era davvero bella.
Ma era tutto lì. E improvvisamente si rese conto di quanto Victoire e Ainsel in fondo si somigliassero. Erano entrambe belle, di quella bellezza che ti fa sospirare, erano entrambe vivaci con quella grazia che ti rapiva. Ed entrambe non erano ciò che voleva.
“Sì… non è male.” Convenne. “Ora però dovremmo controllare i ragazzi… e le bevande.”
Ainsel rise. “Ted, i ragazzi si controllano da soli. Siamo qui per divertirci, come loro. Siamo giovani, e non credo che ci sia altro divertimento disponibile nel raggio di miglia. Perché non riesci a godertelo?”
Perché. Bella domanda.

Perché Jamie non era in giro, e lui aveva paura che fosse finito da qualche parte a…
Imboscarsi con qualche ragazza? Del tutto normale e rincuorante, data la tua posizione.
Non si sentiva affatto rincuorato.
“Siamo professori…” Sussurò, cercando di divincolarsi con leggerezza. Ovviamente sembrò una papera zoppa. Ainsel se ne accorse, ridendo e afferrandolo per le braccia.
“Sai, prendilo come un complimento senza mezzi termini, ma sei davvero affascinante, mio bel moschiettere.” Disse franca, con sguardo assorto. “Potresti quindi farmi godere un po’ della tua bellezza senza rovinare tutto cercando di scappare. Sono tanto brutta?” Replicò divertita, ma la presa era ferra.
“No, certo che no. È solo… ho in mente un’altra persona.” Confessò. E in un certo senso era la verità. Doveva vedere Jamie. E spiegarsi, una volta per tutte.
“Hai una ragazza?” Si informò stupita Ainsel.
“No, ci siamo lasciati. Ma… soffro ancora molto.” Mentì, premurandosi di avere una faccia contrita, pregando lo spirito dei Malandrini. Che ovviamente pensarono bene di ridersela dall’alto dei Cieli.
“Beh, ma non è qui, giusto?” Gli passò le dita sul collo, facendogli drizzare i peli della nuca. E non di piacere. Si sentiva solo molto imbarazzato. E non osava sapere di che colore erano i suoi capelli.
Quelli non si potevano mascherare.
“Invece sento la sua presenza!” Sbottò, praticamente liberandosi con uno scrollone. “Mi dispiace… ho bisogno di prendere una boccata d’aria.” E fuggì, lasciandola a fissarlo come se fosse pazzo.
Probabilmente lo sono… Ora. Dov’è Jamie?
In mezzo a quella calca di mascherati esseri antropomorfi, fate e vampiri non riusciva a vederlo. Alla fine, dopo aver lanciato un’occhiata attonita a Rose che ballava tra le braccia di Malfoy, trovò Albus, seduto vicino a Tom, a quanto sembrava vestito da fantasma dell’Opera.
Registrò a malapena che si tenevano per mano. A quella festa stavano succedendo cose incredibili.
“Al, hai visto Jamie?”
Al lo guardò confuso. “Sì… beh, fino a poco fa era qui. Poi…” Si zittì, lanciando uno sguardo a Thomas, che per tutta risposta si esibì in uno di quei sogghigni urticanti.

“È fuori, nel corridoio.” Gli spiegò. “Quello vicino all’entrata delle cucine.”
Al boccheggiò, ma non disse nulla, perché Tom lo tirò subito in piedi. “Andiamo a prendere da bere, Al.”
Al sembrò combattuto, ma alla fine sospirò. “Sì… ci vediamo dopo, Teddy.”

Ted non si soffermò troppo a pensare a quei due. Del resto non si sentiva in grado di giudicare nessuno in quel momento. Aveva bevuto un po’ troppo. Cioè un bicchiere di punch.
Così imparo a bere solo the.
Uscì dalla Sala, e si diresse verso la direzione indicata da Thomas. Scansò con imbarazzo le coppiette imboscate, e sperò di non aver riconosciuto Lily vestita da coniglietta allacciata a Jordan Thomas.
Di James non c’era traccia.
Proseguì lungo il corridoio, sempre più imbarazzato. Poi, dietro una grossa armatura imponente, lo vide. Anzi, li vide.
James era con qualcuno e quel qualcuno era Michel Zabini. E entrambi sembravano aver perso la decenza e nel caso di James anche la parte superiore dei vestiti.
Si sentì un autentico idiota.
Perché James si stava solo comportando da adolescente e invece lui non si era mai sentito tanto furioso.
Non gli importò dell’irrazionalità della cosa. Non gli importò che non poteva paragonare la fedeltà di Victoire a quella di James, quando James non era la sua ragazza perché, Dio mio, era James.
Ovviamente non era una buona idea restare lì. Perché Zabini alla fine si accorse di lui.
“Professor Lupin?” Chiese stupito e, giustamente, infastidito.

James si voltò di scatto, come se avesse preso uno schiantesimo in pieno petto. Lo guardò attonito, incapace di dire alcunché.
Capiva il problema.
“Ragazzi… credo sia il caso che vi rivestiate.” Disse piano, riuscendo persino a suonare credibile. “Tornate alla festa. La professoressa Prynn ci ha messo impegno ad organizzarla… è un peccato abbandonarla così presto.”
Zabini sembrava aver voglia di fargli notare che non erano affari suoi, ma si trattenne perché era davanti all’autorità costituita. James invece non sembrò dello stesso avviso. “Va’ a farti fottere!” Ringhiò.

Zabini ebbe il buon gusto di trasalire.
Ted inspirò. “James, non credo tu sia nella posizione…”
“Non lo sei manco tu!” Sbottò, afferrando la camicia da terra, e infilandosela. I movimenti erano goffi, rallentati, come di chi aveva decisamente bevuto troppo. “Non lo sei! Tornaci tu, a quella fottuta festa! Lasciami in pace!”

Ted non ce la fece più. Si rese conto che davvero, ventiquattro anni erano vicini ai venti, ai diciassette, in modo ridicolo. Perché aveva voglia di urlargli addosso nello stesso identico modo.
“Venti punti in meno sia a Grifondoro che a Serpeverde.” Scandì, atono. “E ora rivestitevi. Non fatemelo ripetere per cortesia.”
Poi girò le spalle, andandosene. Da quel corridoio e dalla festa, dove al momento risuonava una canzone decisamente crudele.

This is the hardest story that I’ve ever told
No hope, or love, or glory
Happy endings gone forever more⁵


****

Note:
Qui la playlist.

1.Dance, Dance (Fallout Boy) 2.Do you want to (Franz Ferdinand)
3.Time after Time (Quietdrive) 4.Careless Whisper (The Seether) 5.Happy Ending (Mika)
Questo è il costume di Rose.

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Capitolo 35
*** Capitolo XXX ***


Ormai riesco a scrivere solo capitoli super-farciti. Troppe cose, troppo poco tempo! *con tono da Bianconiglio* E siamo a quota 202! Gente, vi lovvo con tanto sentimento!
@Pnin: Avevi ragione! Infatti ho subito modificato il nome dei due amanti, non appena ho potuto. Thanks per la dritta! :D
@Ron1111: Hai assolutamente ragione. Tommy-boy vuole tutto, ma prima o poi dovrà scegliere. E lo farà, oh, se lo farà! Purtroppo Scorpius è il frutto dei miei viaggi mentali, ma ammetto che ho conosciuto un paio di ragazzi abbastanza sul genere, solo, di solito, sono fidanzatissimi, e non con te! XD Ted è un rincoglionito cronico, ormai ce ne siamo accorte tutte. È colpa dei geni Lupin, sostiene Tonks qui. Era lei, del resto, a reggere la baracca. XD
@Altovoltaggio: Thanks per i complimenti ai costumi. Io adoro i balli in maschera! Il personaggio del fantasma dell’Opera era perfetto per Tom. Potevo non usarlo? XD Loki è il nostro uomo e poi, voglio dire, non azzecca la maschera ‘l’uomo delle maschere’! XD Mi spiace, ma Twilight non riesco a strozzarlo. Ammetto che ci siano ottime fan-fic scritte anche su questo fandom, e l’idea in sé, è geniale. Ma non sopporto come scrive la Meyer >-< Ah, ho guardato la foto, secondo me come Al è piuttosto perfetto! Anche se io, spiacente, me lo immagino più dolciotto! XD
@SammyMalfoy: Ciao Sammy! Essì, Scorpius, ormai, è considerato l’uomo perfetto. :D Divertente, considerando che è un Malfoy e mediamente i Malfoy sono personcine odiose. E sì, probabilmente l’harem di Sy indagherà. Ma pensando al loro ‘sceltissimo’ quoziente intellettivo dubito andranno molto lontano! Comunque sì, alla fine le rispettive famiglie lo scopriranno, e saranno fuochi d’artificio! Ted è un rincoglionito, e James è un adolescente. Vedrai che troveranno il loro punto d’accordo. Mike, beh… lui se la spassa, non crede che faccia il donzello tradito. Non è nel suo stile. XD
@LyhyEllesmere: Ebbene sì, Ted è un drogato di the, per questo motivo è sempre così lento e rincoglionito! XD Scherzo, in effetti ha bisogno di una svegliata, ma le cose con calma, che tutto e subito fa troppo fyccina. Ed io odio le fyccine. ;) Ancora grazie per i commenti e sì, la Prynn sottovaluta un bel po’ il nostro TeddyBear, o lo sopravvaluta, chissà. Ciao!
@Lilin: Te li regalerei, sai Al e Sy però… *Guarda Tom e Rose che la fissano minacciosi, bacchette alla mano. Rose fa il lento gesto di passarsi un dito sulla gola*… forse è meglio di no, ecco. XD Teddy ormai è arrivato ai minimi storici di gradimento. Lo capisco, se lo merita, ma via… cercate di capirlo. Come il padre, vuole sempre fare la cosa giusta e finisce inevitabilmente per fare quella sbagliata. Un genio. Ma umano. :P Sì, Teddy è un tributo a Remus, in un certo senso. Non provare pietà per Mike, lo offenderesti. ;D Vero che le fan-art sono grandiose? Io adoro quella ragazze, e sul suo sito ce ne sono di ancora più porcellose! XD
@Trixina: Grazie! ^^ Sì, la Prynn deve compiere il suo dovere, ma c’è anche da dire che una ripassatina a TeddyBear non le dispiacerebbe. È un po’ coglione, ma è un bel figliuolo. :D Al è profondamente autoironico, e anche tanto paziente con Tom. ma c’è da dire che il bello e il cattivo tempo, Tommy-Boy l’ha sempre fatto, da quando boicottava le estati alla tana in poi. Quindi diciamo che Al c’è abituato. XD
@Hel_Selbstmord: Essì, hai reso l’idea, come al solito. La combo Prynn-gatta-Mike/Jamie l’ha steso, ma continua a farsi gran pippate mentali. Guarda, sul costume di Tom ci ho pensato parecchio (per dire, i livelli di demenza). Per un attimo volevo vestirlo come Il Corvo, ma poi ho pensato che quella tutina attillata non gli donava granchè. Poi sono arrivata ad Alisteir Crowley e alla fine a Erik. Erik è indubbiamente meglio. xD Il Triangolo no, non l’avevo… argh, scusa. Comunque. Il triangolo… beh, il triangolo c’è già, visto che Al ama Tom, Tom ama Al e Michel ama Al. In realtà è un triangolo un po’ scaleno, ma pazienza. Si vedrà prossimamente. ;D È bello riaverti qui! Ma tu di dove sei?
@Ombra:  Ted è tonto. Ancora non si era capito? XD Mike non c’è problema, adora essere usato da uno col corpo di Jamie. Mica scemo! ;D Non mi sono scordata di dirvi cosa ha scoperto. Tom non ha avuto materialmente il tempo di guardarlo. E poi, come fai a fabbricarti un alibi, se non sei ad una festa con centinaia di invitati? ;) Tommy-boy pensa a tutto. Doe non preoccuparti, tornerà. Adesso. *_*
 
 
****
 
Capitolo XXX



 
 
Perché quando succede qualcosa ci siete sempre di mezzo voi tre?
(Harry Potter e il Principe Mezzosangue, J.K. Rowling)


 

Londra, Notturn Alley. Esterno notte.
 
“Harry, amico, non per fare il guastafeste, ma avremo bisogno di un piano.”
L’Auror Ron Weasley, con sedici anni di onorato servizio alle spalle, guardava il migliore amico, il fratello, il completamente pazzo Harry Potter che senza colpo ferire scivolava dentro Notturn Alley.

“Ce lo abbiamo.” Gli assicurò con un sorriso bonario. L’aveva sviluppato a partire dai trent’anni, ed era dannatamente inquietante. Assomigliava a quello di Silente.
Ron sospirò, seguendolo. Erano in borghese. Il distintivo lo tenevano in tasca, e non appuntato al petto. Si sentiva incredibilmente esposto.
Notturn Alley era nato come un quartiere squallido e sinistro, e probabilmente ci sarebbe morto, stimò guardando disgustato un paio di loschi individui che non sembravano del tutto umani infrattarsi nell’ombra. “Ricordami, perché siamo qui?”
Harry sospirò. “Perché qui è dove viveva Parva Duil…”
“Posticino ridente.” Borbottò trai denti. “La sua paga non gli permetteva qualcosa di meglio?”
“Mmh, direi di no.” Scrollò le spalle, del tutto a suo agio. “Visto e considerato che la visita ad Azkaban non ha dato i suoi frutti, forse perquisendo la casa di Duil troveremo qualcosa.”
“Non è già stata perquisita dai nostri ragazzi?”
“A Settembre, per la scomparsa. Non cercavano la cosa giusta.” Si fermò di fronte ad un vecchio palazzo, stranamente piuttosto ben tenuto, visto il luogo. La porta era nuova, e la cassetta delle lettere era verniciata di fresco. “Qui.” Disse semplicemente.
“Beh, pensavo peggio…”
“Notturn Alley non è un bel posto, ma non ci vivono solo criminali e disperati. È solo… L’East End¹ della Londra Magica.” Sorrise Harry, dando un colpetto alla porta con la bacchetta. Si aprì con un soffio ben oliato. “Entriamo, avanti.”

“Non voglio fare la voce della tua coscienza, amico, non sono Herm, e non mi riesce neanche bene… Però non siamo autorizzati a…”
“Sono il Capo dell’Ufficio Auror?”
“Sì?”
“Bene, allora eccola qua l’autorizzazione.” Scrollò le spalle. “Ascolta Ron. Sto seguendo un’impressione. So che non è regolare, so che stiamo infrangendo le procedure. Ma se al Ministero vogliono insabbiare tutto… beh, io non ci sto. E non possiamo certo andare a piangere da Shacklebolt. Ha cose più importanti da fare che dare un permesso ad un Capo-ufficio. Coraggio, fidati di me.”  

“Come se non avessi fatto altro per tutta la vita…” Brontolò l’uomo, aprendo la porta.
La casa era piccola: pensata, arredata e vissuta da un uomo solo.
“Mi viene la depressione solo a guardarci dentro.” Sbuffò Ron, facendo qualche passo incerto. Si guardò attorno. “Cosa stiamo cercando esattamente?”
“Indizi.” Tagliò corto Harry, intascando la bacchetta e sfregandosi le mani, gelate dal clima impietoso che filtrava dalle pareti. “Parva Duil aveva la responsabilità di sei Naga. Qualcuno l’ha saputo, e l’ha contattato. Aveva un tenore di vita medio-basso, non navigava certo nei galeoni. E l’unico modo per assicurarsi i suoi servizi era il modo più antico ed efficace del mondo. La corruzione.”
“Quindi l’ha corrotto con una grossa somma di denaro e poi… magari allo scambio… si è preso i Naga e ha rapito anche lui?” Ipotizzò Ron.
“Molto probabile. L’avrà messo sotto imperio per impedirgli di scappare, e poi se n’è liberato quando non gli è più servito. Per evitare che ci accorgessimo della maledizione e la rimuovessimo facendogli dire la verità, è entrato ad Azkaban vestito da parroco e lo ha ucciso.” Fece una smorfia. “Denota organizzazione. Non siamo certo davanti ad un sociopatico che odia il potere costituito.”
“Va bene, ha senso.” Ammise Ron. “Ma perché fare tutto questo? Voglio dire, rapire dei Naga, sguinzagliarli. Poi ritirarli e poi mettere in scena tutto il teatrino della vendetta di Duil?”
Harry spostò un paio di tomi dalla biblioteca, esigua, dell’uomo. Uno tra questi risultava leggermente più scostato dagli altri. Lo aprì. Era vuoto all’interno, ma pieno di galeoni sonanti. “Ecco i soldi.”
“L’ha pagato prima?”
“Per guadagnarsi la sua fiducia… probabilmente questi sono solo una parte della cifra pattuita.” Harry chiuse il libro, mettendolo sulla tavola da  pranzo. “Credo… che fosse tutto un diversivo.”
Ron lo guardò confuso. “Cioè?
“Creare il panico ad Hogwarts, istituire una caccia alle bestie, mettere in pericolo le vite degli studenti… Sembra tutto senza senso alla luce di come sono finite le cose… a meno che non fosse un diversivo. Fare tanto chiasso per coprire un’altra operazione.”
“E quale?”

“È quello che ho intenzione di scoprire.” Mormorò a denti stretti Harry. “Duil è morto e i morti, vecchio adagio, non parlano.”
“Già.” Convenne Ron, certo che finalmente l’amico avrebbe capitolato di fronte all’evidenza. “E lui era l’unico testimone.”
“Non l’unico.” Ribatté, con quello sguardo. Quell’aria decisa, Grifondoro, Potter. Assolutamente portatrice di guai. Gliel’aveva vista la prima volta quando aveva deciso di affrontare Fuffi.

Avrei dovuto capire a cosa avrebbe portato e darmela a gambe.
Oh, al diavolo. Non l’avrei fatto per niente al mondo.
Inspirò. “Che intendi dire?”
“Intendo dire che Duil non è l’unico ad aver interagito con il suo assassino.”

Ron lo squadrò confuso, prima di capire. “Oh, no… Harry, no! Non pensarci neanche!”
Harry gli fece un mezzo sorriso, colmo di comprensione. “Ron. Dobbiamo farlo.”
Ron si sfregò le mani sul viso, scornato. “No. No, no, no. Assolutamente. Harry, sei il mio uomo, ti giuro, ma stavolta non…”
“Dobbiamo parlare con quei Naga.”
Ron emise un lamento sconfortato. “Sento che invecchierò di dieci anni, finita questa storia. Lo sento.”
Harry fece una breve risata, stringendogli una mano sulla spalla.  

“Hai già un’idea di chi potrebbe essere?” Così folle da imbarcarsi in questa indagine fuori dalla giurisdizione di Dio e degli uomini?
“Beh, ci serve un mago che sappia trattare con le creature.” Non ci mise molto a trovare il nome adatto, perché si illuminò come un bambino il giorno di Natale. “Domani andremo a casa Scamandro.”


****
 
Hogwarts, da qualche parte nel corridoio del piano terra. Dieci e mezzo di sera.
 
Albus Severus Potter non si era mai imboscato.
Timidezza o nessuna occasione, non aveva mai provato l’ebbrezza di essere trascinato, o di trascinare, in un corridoio vuoto qualcuno e baciarlo con la fretta e l’urgenza di chi ha paura di essere scoperto.
I baci erano qualcosa che lo faceva letteralmente impazzire, aveva scoperto.  Adorava. Baciare. Tom.
Anche se, ad onor del vero, fino a due mesi prima non avrebbe mai pensato che si sarebbe imboscato con il suo migliore amico. Ora, attualmente, suo ragazzo.
Comunque imboscarsi era una cosa che proprio non riusciva a trovare eccitante.
E poi era scomodo, pensò, mentre il muro umido del primo piano gli faceva da materasso, e faceva freddo. Preferiva stare sul proprio letto, rifletté, mentre si lasciava comunque sfuggire un sospiro deliziato, sentendo le labbra di Tom succhiargli la sensibilissima porzione di pelle appena sotto l’orecchio.
Ma era scomodo. E lui odiava le cose scomode.
Passò quindi le dita trai capelli di Tom, sottili e foltissimi, così neri da amalgamarsi con la penombra del castello. “Tom, mi fa male la schiena.” Disse, dispiaciuto.
Dopo un breve attimo di sconcerto, lo sentì sospirare.
“A me il collo.” Ammise, raddrizzandosi. “Non capisco come James basi la sua attività sessuale su posizioni verticali come questa.”
Al dovette trattenere una risata, per non rivelare la loro posizione. “Abitudine, immagino. E poi è sempre stato un tipo adattabile.” Esitò. Doveva proprio dirlo, perché prima non gli era andata giù. “A proposito di Jamie… Non capisco perché hai detto a Ted dov’era… Voglio dire. Volevi farlo beccare con Mike?”
Tom fece una smorfia insofferente. “Lupin me l’ha chiesto, io gli ho indicato dove presumibilmente si erano imboscati quei due. Qual è il problema?”
“La punizione che probabilmente Mike e Jamie si beccheranno?”

“E allora?”  
Al fece una smorfia, senza dire niente: non gli piaceva come Tom si stava comportando ultimamente con gli altri. Sembrava quasi che provasse divertimento a…
Ferire le persone. Basta vedere come risponde a Mike. E Mike gli piaceva.
“Hai parlato con Michel?”
“No.” Scrollò le spalle. “Ma lo farò.”
“Non è vero.” Lo seccò, mentre la musica dalla Sala Grande filtrava prepotente attraverso le pareti. “Non è vero che gli parlerai. Sembra che non ti importi di far pace con lui!”
“Forse è così.” Replicò monocorde. Era stanco di doversi preoccupare degli umori altrui. Non era Lupin. Non gli importava niente della benevolenza della gente.

Ma ad Albus importava degli altri. Da sempre. 
“Sai, ti dovrei dare un pugno per schiarirti il cervello!” Sbottò infatti. “Ti stai comportando come uno stronzo, più del solito. Falla finita.”
Tom serrò le labbra in una linea sottile.

Ti comanda a bacchetta… Ti dà ordini, quando ha paura della sua stessa ombra.
Si sentì immediatamente uno schifo ad aver formulato quel pensiero. Esitò, poi tirò un profondo sospiro.
“Io… non credo di aver voglia di far pace con Michel.” Ammise alla fine.
“Perché?”
“Perché lui ti vuole.” Confessò di malavoglia, trattenendo la collera. “Ti vuole, per un suo capriccio o per aumentare la sua collezione di Potter, non lo so. Non mi interessa. Ma mi dà ai nervi.”
Al rifletté. Il suo primo impulso sarebbe stato sentirsi insultato e difendere la buonafede di Michel anche se, a dirla tutta, neppure lui la trovava così buona.

Ma non posso… Anche se non penso che Mike ci proverebbe mai, non ha importanza. Lo crede lui.
“Anche se fosse così, non avrebbe la minima speranza.” Spiegò pacato. Gli fece un mezzo sorriso. Si alzò leggermente, maledicendo silenziosamente la sua altezza, e gli premette le labbra all’angolo della bocca. “Tom, io sono tuo.” Gli sussurrò, pianissimo.
Era un rischio. Era una frase pure un po’ scema. Insomma, era un vero suicidio. Tom era palesemente indispettito per il mezzo litigio, ed erano in un posto dove il rumore distorceva le parole.

Ma era un rischio che dovevo correre… Credo.
Sentì Tom irrigidirsi contro di lui. Poi gli afferrò un braccio, stringendo.  “Davvero?” Sussurrò.  
Al tirò un profondo sospiro: sentiva l’alcool nel respiro dell’altro, quindi evitò di fargli notare che gli stava facendo male. “Certo. È così.” Attestò. “Da sempre. Mi lasci il braccio adesso?”
Tom abbassò lo sguardo. “Sì…” Inspirò, lasciando la presa, come se solo in quel momento si fosse accorto di cosa stesse facendo. “Credo di aver bevuto un po’ troppo.” Stimò, assottigliando gli occhi, ed evitando di guardarlo. “Scusa.”  
“Chiunque qua dentro ha bevuto un po’ troppo. Merito di Loki, che adora gli ubriachi.” Scherzò. “Basta bere, okay?”
Tom annuì. “… La festa non è male. Vuoi tornare dentro?”
“Disse l’antisociale.”

“Non sono antisociale.” Brontolò. Qualsiasi brutto pensiero o rush di cattivo umore, Al era capace di annientarlo o stemperarlo con una battuta. Ed era suo.
Non era sano. A guardarlo da un punto di vista razionale sapeva di pensare cose inquietanti.
Ma non riconoscere che provava un’assuefazione così forte sarebbe stato semplicemente stupido.
Era sempre stato assuefatto da Albus: solo che prima era una cosa nascosta, sottopelle, qualcosa che viveva come lui respirava.
“Non sono antisociale, è che non sopporto le persone¹.” Cantilenò Al, facendolo sorridere.
“Direi che mi hai ritratto perfettamente.” Mormorò. Gli lanciò un’occhiata. Con quella divisa da Grifondoro e le labbra rosse sembrava assolutamente corruttibile.
“Vuoi rientrare e cercare Rose?” Gli chiese, chinandosi a parlargli a pochi centimetri dalle labbra.
Al deglutì. Si riprese subito, probabilmente per evitare di dargliela vinta così facilmente. “Punto primo, Rosie non vorrà essere cercata. È con Malfoy. Punto secondo, non prendermi in giro. Punto terzo… sei un pervertito.”  Gli tirò una lieve spinta, a cui l’altro si sottopose docilmente.

Tom sogghignò. “Quindi… suppongo che ce ne andiamo?”
“Punto quarto. Cosa stiamo aspettando?”
 
****
 
Corridoio Secondo Piano. Undici circa.
 
Ted non si era mai sentito così stanco, furioso e ridicolo.
In fondo mi sono comportato in modo corretto. Ho beccato due studenti in atteggiamenti non consoni e li ho puniti sottraendo loro dei punti. Tutto perfettamente regolare.

Era quello che provava a non essere regolare; non riusciva a togliersi dalla testa quella scena. James che baciava e accarezzava quel ragazzo, la schiena nuda di James che…
Aprì la porta della propria aula, camminando attraverso i banchi vuoti.
L’unico atteggiamento da adottare, a quel punto, era l’indifferenza. Era la cosa migliore, per entrambi.
Quando sei ridicolo…
Socchiuse gli occhi, inspirando.
Sei furioso. Non hai sopportato di vederlo con un altro ragazzo. Ti ha spergiurato amore e poi, come ogni bravo adolescente, è andato a divertirsi con un suo coetaneo.
Si morse un labbro.
Se non fosse così, però? Hai visto la sua faccia?
Era confuso.
Devo parlarne a qualcuno, o impazzirò. E continuerò a fare del male a Jamie. 
Aprì la porta del proprio ufficio, con un sospiro. Tirò fuori la bacchetta, pronto ad accendere le candele.
 
Expelliarmus.”

La bacchetta volò via lontano. Ci fu un lieve deelay nella sua percezione. Sapeva che qualcuno l’aveva disarmato, ma non riusciva a capire chi e dove fosse.

Lo capì una frazione di secondo dopo ma, come gli avevano insegnato anni prima all’Accademia, l’incertezza gli fu fatale.
Sentì ogni singolo muscolo irrigidirsi e crollò bocconi contro la scrivania, rovesciando una pila di compiti che era riuscito faticosamente ad impilare quella mattina. Era stato affatturato.
Si sentì  afferrare per i capelli, e l’aggressore gli parlò addosso. “Ho come l’impressione che avrebbe dovuto accendere subito la luce, professore.” Sussurrò la voce. Era quella di un ragazzo. “Le persone si possono nascondere, nell’ombra.”
Ted cercò di liberarsi dall’incantesimo, ma senza bacchetta poteva solo affidarsi agli incantesimi non-verbali. Cercò di concentrarsi e spezzare l’incantesimo. Era un incantesimo semplice, poteva…
Smise di respirare.
Sentì come se i polmoni fossero schiacciati da una pressa invisibile. Cercò di aprire la bocca, ma i denti sembravano incollati tra di loro.
Pensò nebulosamente che quello non era un petrificus totalus comune.
Pensò nebulosamente che stava soffocando.
Sentiva l’alito del ragazzo addosso, e ebbe paura.
Non era un adolescente ubriaco, pizzicato a rubare nella stanza dell’insegnante, quello. Sapeva ciò che stava facendo. Era perfettamente conscio del fatto che lo stava uccidendo.
“Gli studenti saranno devastati. Il loro professore preferito…” Il ragazzo continuava a parlargli all’orecchio, con gentilezza terrificante. “Cerchi di capire, mi è stato detto di non lasciare testimoni. Come preferisce morire, professore? Infarto? No, troppo giovane. Oh, ci sono. Ubriaco, si è seduto un attimo alla scrivania e si è addormentato. Una candela, ahimè, si è rovesciata, dando fuoco alla stanza. Bruciato vivo, che fine tremenda.”
Sentì la pressione del corpo del ragazzo allentarsi. Si era alzato in piedi, e stava cercando qualcosa.
Gli entrò nella visuale, brevemente. Era magro, alto e con i capelli neri. Sembrò sorridergli.
“Buonanotte professore.”
Tutto divenne buio e perse i sensi.
 
****
 
James si accese una sigaretta, passando verso la porta di ingresso e infilandosi dentro il giardino.
Dalla Sala Grande si udivano scoppi e risate e urla moderatamente spaventate: qualche coglione aveva scaricato sul pavimento un intero arsenale di Tiri Vispi Weasley. Una scherzo grossolano. Da dilettanti.
Se sono stati Lys e Lor li disconosco come discepoli.
Si riabbottonò distrattamente il gilet che completava il costume da vampiro. Un paio di ragazze gli lanciarono occhiate che pregavano perché si fermasse. Tirò dritto.
Se ne fotteva di quella festa. Se ne fotteva di tutti.
Aveva mollato Zabini a riverstirsi, senza una parola. Non che ce ne fossero mai state tra di loro.
A dirla tutta sembrava più contento lui di liberarsi di me, che viceversa.
Raggiungendo il giardino si trovò di fronte ad una fontana in pietra, che era quasi sicuro non ci fosse mai stata, e si sedette su una panchina, in mezzo a cespugli di rose che non avrebbero dovuto fiorire in quel periodo.
La professoressa Prynn… trasfigurazione.
Improvvisamente desiderò bruciare quel giardino lezioso, fatto per coppiette che si volevano appartare.
Sentì un gran trambusto alle sue spalle. Una risata e poi un ‘Gesù Cristo, Malfoy!’
Sospirò, quando vide Scorpius accomodarsi alla sua destra. Rose si sedette alla sua sinistra, guardandolo male. “Ciao angioletti custodi.” Emise piatto, soffiando una voluta di fumo verso il cielo stellato. “Ho interrotto il vostro rituale di accoppiamento?”
“La tua aria depressa mi ammoscia.” Confermò Scorpius, la cui cotta di maglia si era persa da qualche parte trai cespugli.

“Siete entrambi disgustosi.” Decretò Rose, togliendosi qualche rametto dai capelli arruffati.  
“Di cosa ti lamenti? Non sto denunciando la vostra piccola tresca. Considerati fortunata.” Replicò assente. Era così disperato che quasi gli faceva piacere averli attorno.
Sto proprio grattando il fondo del barile…
“Allora, che è successo Potter?” Chiese Malfoy. “Il piano?”
“A puttane.” Masticò lentamente. Lanciò un’occhiata a Rose, che li fissò confusa, ma avida di informazioni. “Perché non vai a farti un giro, Rosie?”
“Perché invece non sparisci, così posso stare con il mio ragazzo?” Ribatté, sarcastica.  

“Non mi va. Prestamelo.”
“Muori.”
“Su, su! Nel mio cuore c’è posto per entrambi.” Assicurò Scorpius, compiaciuto. “Rosie. È una cosa tra maschi virili. Saresti così deliziosa da lasciarci cinque minuti per conferire?”
“Un giorno ti sveglierai solo, nel tuo letto freddo, nel tuo gigantesco maniero e capirai che hai sprecato la vita dietro un egocentrico, ridicolo, James Potter.” Sibilò, alzandosi in piedi di scatto e reggendosi la gonna con insospettata femminilità. Li squadrò. “Maschi.” Sillabò, prima di marciare via.

Scorpius la guardò, assorto. Si tolse un petalo di rosa dai capelli. “Sai Poo… Credo che potrei amarla.”
“Condoglianze.” Borbottò funereo. Ci pensò su. “Dici sul serio?”
Scorpius sorrise, senza rispondere. “Allora… Che è successo con Lupin?”

“Quando precisamente? Quando ballava con la Prynn ancorata addosso come una gatta in calore o quando ha beccato me ed un amichetto che ci davamo da fare nei corridoi?”
Scorpius fece una smorfia. “Così male?”
James scrollò la cenere della sigaretta con tanta forza da spezzarla a metà. La gettò via, frustrato. “Non ho speranze. Non ho mai avuto speranze.  Non sono che un moccioso e lui non è che un pensionato etero del cazzo. E ah, abbiamo venti punti in meno.”
Scorpius inspirò. Sembrò riflettere molto velocemente. Poi si alzò in piedi. “Non va bene tutta questa negatività. Battiamoci.”
James, ancora seduto, inarcò le sopracciglia. “Che?”
“Picchiamoci. Affrontiamoci. Pugniamo. Trovalo tu il sostantivo che ti piace. Sei troppo passivo, persino per essere un mezzo-finocchio. Ti serve una scarica di adrenalina. Apri tu le danze?”
“… Sei uscito fuori di testa definitivamente Malfoy? Mi stai chiedendo di fare a botte?”
Scorpius si scrocchiò una spalla. “Immagino si possa riassumere così. Vocabolario povero, eh?”

James serrò le labbra, già inferocito. “Non fare lo stronzo… non attacco briga senza motivo.”  
“Davvero? Allora mi sono fatto tua sorella.”
James sentì un interruttore spegnersi nel cervello. Un bel problema, considerò la sua coscienza, mentre placcava Scorpius e lo gettava nel roseto.

Il bastardo Malfoy picchiava forte. A quanto sembrava non aveva ereditato i pugni da femminuccia del padre. Glielo fece notare. Quello replicò con una testata al plesso solare.
Continuarono a picchiarsi finché una cascata di acqua gelida non li investì violentemente.
Si congelarono, nel senso autentico della parola.
Scorpius sputacchiò acqua. “Brutale zucchettina… ma efficace, devo ammetterlo.”
“Cosa cavolo stavate facendo?” Ruggì imperiosa Rose, con la bacchetta puntata verso la fontana. “Vi lascio soli cinque minuti e vi fate a pezzi?”
“In gergo maschile si chiama comunicare costruttivamente.” Spiegò Scorpius. “Meglio, Potter?”
James lo guardò: era zuppo, gelato e si sentiva furioso. Ma sogghignò. “Sì.” Prese la mano che l’altro gli offrì e si rimise in piedi.  

“Merlino… Voi due…” Alzò le mani al cielo, incredula. “Avete dei grossi problemi di comunicazione!”
Scorpius sorrise dolcemente. “Probabile, pasticcino. Siamo maschi.”
James si arruffò i capelli fradici. Poi fece un lento sogghigno malvagio. “Se ti sei fatto mia sorella però ti ammazzo sul serio, Malfuretto.”
Cosa?!” Urlò Rose, voltandosi inferocita,  e focalizzando il target sotto lo sguardo deliziato del cugino.
Scorpius emise un pallido sorriso, pensando che forse suo padre non aveva avuto tutti i torti ad aver imprecato Odino quando aveva saputo dello Smistamento.

Coraggio, cavalleria e avventatezza. Sono catene che ti trascinano verso una sventurata fine…
“Era solo per farlo infuriare, non ho mai sfiorato la dolce Lilian!”
“Lily non è dolce, è perversa.” Ringhiò Rose, afferrandolo per il colletto. “E tu…”
“Ed io sono completamente pazzo di te.” Disse precipitoso. Avventatezza. Brutta, orribile dote Grifondoro.

“Oh…”
… che però funziona, con le Grifondoro.

James emise una smorfia assolutamente nauseata, allontanandosi.
Scorpius inspirò appena, allentando delicatamente le dita di Rose dal suo collo. “Rosie… Era solo per far scattare Potter. Ne aveva bisogno.”
Rose serrò le labbra: Scorpius era perfetto. Era dannatamente troppo perfetto e troppo sbagliato assieme. Il suo cognome era sbagliato, la storia della sua famiglia era sbagliata, ma ogni singola cosa che faceva per lei, o per James, era la cosa giusta.

Ma come fa?
“Cosa ne sai tu, di cosa noi abbiamo bisogno?” Sbottò.
Scorpius perse il sorriso. Distolse lo sguardo verso il castello. “È perché vi osservo.” Mormorò.

 “… Scusa?”
“Osservo voi, la vostra famiglia.” Il tono era basso. Parlava con calma controllata, ma si rifiutava di guardarla. E Rose sapeva che era perché si sentiva in imbarazzo. “Voi siete… insomma, siete uniti.  Siete rumorosi, vitali… siete divertenti. Vi aiutate, vi state vicini, avete i vostri codici segreti. È… bello.”

Rose realizzò improvvisamente. Era tutto così ovvio. Le loro schermaglie, le risse con suo cugino, la competizione. “Tu in realtà… hai sempre voluto essere amico di James, vero?”
Scorpius scrollò le spalle, senza rispondere. Non che servisse.

“Ed io?” Sussurrò Rose, sentendo un magone premere all’altezza del petto, mentre una paura, sottile, ma sempre presente usciva finalmente alla luce. “Io sono solo un mezzo per raggiungere James e gli altri?”
Scorpius la guardò, incredulo. Poi fece un mezzo sorriso, scuotendo la testa. “Che cervello che hai, Rose Weasley… Un mezzo, tu?” Le prese il viso tra le mani, quasi osservandola. “Proprio no.”  

Rose sentì il cuore accelerare in modo imbarazzante. Pregò che fosse la sola ad avvertirlo, mentre tentava di sfondarle il petto. Pregò che non la prendesse in giro. “No?”
Scorpius sorrise. “No.”    

“Sì ma… perché ti piaccio?” Doveva sapere. “Insomma… so di avere delle uscite imbarazzanti a volte. Impreco. Non so truccarmi. Probabilmente ho un principio di scoliosi perché mi porto in giro chili di libri al giorno… E poi…”
Scorpius, giustamente, le tappò la bocca con un bacio.

Si staccarono, e Scorpius scrollò le spalle. “Ehi. Ho sedici anni! Mi piaci da morire e basta. Per la profondità spirituale rivolgiti a tuo cugino laggiù.” Indicò James, che si era acceso l’ennesima sigaretta scontrosa
Rose sospirò. “Buffone.”
“E tu sei troppo seria.” Non avrebbe tirato fuori altro, da quel bislacco Malfoy.

“Un giorno mi spiegherai perché non sei mai triste?” Gli chiese però.
Scorpius, dopo una breve esitazione, annuì. “Sì.” Disse semplicemente. Le sorrise. “A te sì.”
Rose ricambiò. Per il momento, decise, andava bene così.

“Sai… domani comincerà a girare la voce di Malfoy e della sua dama misteriosa.”
Scorpius sogghignò. “Ha funzionato la cosa della maschera, eh?”
“Già… Ma ci saranno domande.” Fece una smorfia. “Molte domande.”
“A cui risponderò. Non preoccuparti, caramellina. La nostra relazione è al sicuro, nelle mie mani di esperto occlumante.”
“Ora sì che dormirò sonni tranquilli.” Lanciò uno sguardo verso James. “Raggiungiamolo. Non vuoi dirmi cos’ha?”
“Cose da maschi.”
Rose sospirò. “Ovvio…”

Lo raggiunsero. James si stava accendendo forse la decima sigaretta della serata. Guardava cupo verso il castello, verso nessun punto in particolare. “Sai, con questa faccia stai rendendo giustizia alla tua aria transilvana…” Tentò di consolarlo Rose. “Stai bene?”
James fece una smorfia, senza rispondere, prima di far scattare gli occhi verso un punto preciso delle finestre del secondo piano. Quelle dell’ufficio di Ted, considerò pensierosa. Prima di accorgersi che la luce dell’ufficio era accesa. Ed era arancione. E barbagliava.
Da quando ha una luce così forte nel suo ufficio?
Poi vide la faccia di James. Il cugino era sempre stato un animaletto piuttosto intuitivo. E in quel momento aveva perso completamente colore. “Fuoco…” Mormorò.
“Cos-…” Rose non fece in tempo a finire che il ragazzo gettò la sigaretta, precipitandosi dentro. “Jamie!
Si guardò con Scorpius, che serrò la mascella. “Rose, va’ ad avvertire i professori.” Disse, con calma allarmante. “C’è un incendio nelle stanze del Professor Lupin.” Soggiunse, prima di corrergli dietro.
Rose li guardò allontanarsi, sentendosi la testa vuota e confusa. Questo prima di capire.
Poi, corse anche lei.
 
****
 
“Potter! Rallenta,  per Salazar, rallenta razza di idiota o ti spedisco una fattura tarantallegra!” Urlò Scorpius. James testardamente finse di non ascoltarlo. Era fuoco, quello. Non poteva sbagliarsi.
Una volta aveva visto bruciare il granaio dei vicini, a casa dei nonni. Le fiamme avevano quel colore, quel modo di tremare. Non c’era nessuna candela che fosse in grado di fare tutta quella luce.
Si sentì afferrare per una spalle e si voltò, inferocito. “Mollami!
Scorpius lo fissò brevemente negli occhi. “Tira fuori la bacchetta, cazzone avariato. Lo vuoi spegnere il fuoco o ci vuoi morire dentro?”
James, dopo un breve scambio di sguardi alla Sergio Leone, tirò fuori la bacchetta e insieme percorsero a rotta di collo le scale che in quel momento, forse empatiche, rinunciarono a lasciarli in balia dei loro cambiamenti.

La porta della classe di Difesa era chiusa, ma c’era odore di fumo.
“Merda!” Sibilò Scorpius, tentando di aprire la porta. “È bloccata!”
James lo afferrò senza troppe cerimonie per la collottola, scansandolo come se fosse un gatto molesto.
Aveva in faccia un’espressione tremenda.  Poi alzò la bacchetta. “Reducto!
La porta venne letteralmente disintegrata. Scorpius, saggiamente, si riparò la testa con le mani. James neanche ci pensò, semplicemente si infilò dentro la massa di fumo filamentoso che filtrava dalla voragine di pietra e schegge di legno. “Potter!” Urlò Scorpius, inutilmente.
Papà ha ragione. Orribili Grifondoro. Orribili.

Si lanciò all’inseguimento dell’idiota, ricordandosi che, dopotutto, se l’era cercata.
Se muoio insieme a Potter papà mi farà diseredare.
Salirono la stretta scala a chiocciola di pietra che portava all’ufficio di Lupin, tossendo e cercando di ripararsi naso e bocca con i lembi delle camicie.
Redu…” James si bloccò, guardando la porta da cui spirava fumo orribile e denso. Là dietro c’era Ted.
Niente magia.
Intascò la bacchetta e poi caricò la porta con una spallata che lo fece urlare interiormente di dolore. Sicuramente se l’era lussata. Non gli importò.
Si precipitò dentro la stanza in fiamme. Ted era lì. Riverso a terra, in una posa innaturale.
Come se…
“No!” Urlò, inginocchiandosi. “Ted! Teddy!”
Scorpius tossì, guardandosi attorno. “Potter! Dobbiamo spegnere l’incendio prima che vada a fuoco il Castello! Tira fuori la bacchetta, dannazione!”
James si riscosse, obbedendo e dopo un paio di imperiosi aguamenti le fiamme sembrarono ridursi a qualche debole focolare umidiccio.
Scorpius aprì la finestra, lasciando circolare l’aria fresca della sera, mentre James si precipitò su Ted, che era riverso a terra, con il volto nascosto tra le braccia. Lo tirò su, scostandogli una ciocca semi-bruciata di capelli. Era pallido. Cereo. Non respirava.

“Teddy… non respira!” Sussurrò sentendo il panico strisciargli lungo le vene. “Non respira!”
Scorpius si voltò, guardando agghiacciato. “Il fumo… il fumo gli ha fatto perdere i sensi. Forse. Prova con un innerva!”
“C’ho già provato! Non funziona!”

“Vado… vado a chiamare la Chips. Dove diavolo è Rose?” Ringhiò Scorpius, sconvolto. Non poteva morire. I professori non morivano. Gli adulti non potevano morire. Non ad Hogwarts.
James lanciò un’occhiata all’amico, poi si liberò della bacchetta. Malfoy era nel panico. Non muoveva un muscolo e li fissava. Rose non stava arrivando. Non stava arrivando nessuno. E Teddy non respirava.
Devo fare qualcosa. Io.
Si chinò su Teddy, mettendogli una mano sulla fronte e spingendo il viso all’indietro. Gli aprì la bocca e cercò di ricordare quello che aveva imparato ad uno stupidissimo corso di nuoto babbano.
Soffia aria nei polmoni, comprimi la cassa toracica. Maledizione, avevo otto anni!
Gli strappò la camicia dal petto. Stupidamente, pensò che avesse un fisico perfetto anche bevendo litri di the e mangiando solo cioccolata e pudding.
“Che… che stai facendo?” Sussurrò Scorpius, confuso.
“Roba babbana.” Borbottò, pregando di stare facendo la cosa giusta.

“I babbani sono dei barbari, uccidono i pazienti nei loro ospedali!”
“Sta’ zitto Malfoy, non mi serve un attacco di razzismo purosangue proprio adesso!” Ringhiò. Poi lo fece.

Compressione, soffia aria nei polmoni, compressione, soffia aria nei polmoni.
Le labbra di Ted erano fredde sulle sue e pregava, pregava, soltanto pregava.
Respira Teddy… ti prego, stupido idiota di un pensionato. Respira. Non lasciarci. Non lasciarmi.
Ti amo, stupido coglione. Respira.
Poi Ted tossì. Si irrigidì, tossì. Respirò.
“Merlino…” Mormorò Scorpius, appoggiandosi ad uno scaffale carbonizzato. “Merlino…” Ripeté, lentamente. “Ha funzionato. È vivo.”
“Certo che è vivo.” Ringhiò James, sentendo che stava per mettersi a piangere senza ritegno.

Teddy si voltò verso di loro, probabilmente sentendo le voci. Li guardò, confuso e sporco fuliggine. “Ragazzi…” Esalò. Li guardò attentamente. “Siete bagnati e fa freddo.”
James fu indeciso se picchiarlo o scoppiare a piangere sul suo petto. Scorpius invece si mise a ridere, una risatina isterica, mentre si passava una mano sulla faccia.

“Professor Lupin… lei è davvero un brav’uomo.” Singhiozzò. James pensò che qualcuno avrebbe dovuto picchiarlo per farlo smettere di ridere in quel modo imbecille.
Poi si sentirono dei passi, delle voci, e arrivarono i professori.
Come in una specie di sogno acquoso, James si sentì tirare in piedi e allontanare da Teddy. Qualcuno gli mise un mantello sulle spalle, e in quel momento si accorse di avere freddo e di stare battendo i denti. Sentì anche, come in fondo ad un pozzo, il Preside che si complimentava con lui. Per cosa, poi?
Quando tentarono di portarlo via però, sentì ogni singola cellula del corpo infiammarsi. “No!” Urlò, sentendo la voce rompersi sulla seconda lettera. “No! Fatemi restare!”
Tutti lo fissarono in modo strano. Aveva detto qualcosa di strano?

“Preside…” Fu Teddy a parlare, con un filo di voce. Era tenuto in piedi dalle braccia di Neville e di Finch-Fletchley, il professore di Aritmazia. “Fatelo venire con me in infermeria. Per favore.”
Il tono era gentile, ma persino James si rese conto che non era una richiesta.

Il Preside guardò Madama Chips. Quella annuì. “Posto ce n’è. E credo che il signor Potter abbia una spalla lussata.”
“Ha divelto una porta con quella spalla.” Assicurò Scorpius prontamente. “Senza magia.”

James si sentì arrossire, mentre Teddy lo fissava attento. Stupido Malfoy. Ma si premurò di fargli un sorriso, quando gli passò accanto.
 
 
****
 
Infermeria. Una di notte.
 
Il primo istinto di Ted, quando erano arrivati i professori, era stato di raccontare tutto.
Poi, racimolando coerenza, aveva capito che la scuola non poteva permettersi una nuova ondata di panico. Poteva sembrare un atteggiamento incauto, lesivo per la sicurezza degli studenti, ma l’aggressore non aveva cercato di aggredire uno studente. Aveva aggredito lui perché era lì.
Stava cercando qualcosa, ma cosa? Se solo avessi visto cos’ha preso, prima di svenire…
Avrebbe voluto tornare nel proprio ufficio, e fare un inventario.
Ma sentiva i polmoni bruciare e le ossa ridotte a schegge di cristallo. Rimandò.
Si lasciò deporre sul letto e medicare dalla Chips, ringraziando silenziosamente il tatto dei propri colleghi, che preferirono lasciarlo alle cure dell’infermiera che coinvolgerlo in un interrogatorio.
Ted, appena fu lasciato solo con la Chips, guardò verso il letto in cui James era stato fatto sedere. Il ragazzo era pallido, con la camicia appiccicata al torace e fissava un punto imprecisato della stanza.
Indovinando il suo sguardo, la donna sbuffò. “Il signor Potter sta benissimo. Ha una contusione alla spalla, ma non è lussata.” Esitò, poi scrollò le spalle. “Ha bisogno di…” Gli lanciò un’occhiata “Di smaltire.”
“Già…” Lasciò che la donna finisse di medicarlo e li lasciasse soli, per chiamarlo. “Jamie, vieni…”
James obbedì. Notò che stava facendo di tutto per non guardarlo in faccia, e aveva la mascella serrata.

“Credo di doverti ringraziare. Mi hai salvato la vita. Sei stato fantastico.”
“Prego.”

“James, davvero. Se non fossi arrivato tu non so se sarei qui adesso.”
“Lo so.”
Ci fu una pausa, molto lunga e silenziosa. Ted però stavolta sapeva cosa dire.
James poteva essere cambiato, poteva star attraversando da una vena di sturm und drang adolescenziale. Ma era sempre Jamie.

Quello che agiva in preda all’adrenalina e crollava poi.  E se non c’era nessuno a prenderlo, rischiava di farsi piuttosto male.
Gli passò le dita trai capelli, facendogli alzare la testa. “Ehi. È finita.”
James serrò le labbra in una linea, cercando di scostarsi. “Sto bene, sto…”
“Lo so, vieni qui.” Lo costrinse a restare seduto, e sopportò l’abbraccio stritolante che ne conseguì. Gli abbracci di James erano delle trappole mortali, si scherzava in famiglia, ma Ted pensava che fossero piuttosto teneri; James si aggrappava alle persone. Non era qualche mancanza affettiva, tutt’altro.  Quello era il suo modo di dimostrare amore.

“Cristo.” Sussultò, affondandogli il viso nella curva del collo. “Cristo, sembravi morto.”
“Mi dispiace, Jamie…”
Lo sentì ridacchiare. “Cazzo, Teddy. Sei l’unica persona al mondo che si scusa per aver rischiato di morire.”
“Dici?” Sospirò. “Forse…”
“Teddy…” Non sembrava avere nessuna voglia di spostarsi, ma Ted non se ne preoccupò poi molto. La realtà era che a quell’attimo di tregua non avrebbe rinunciato per niente al mondo. “Teddy, con Zabini…”
Ted inspirò appena. “Ti ho fatto arrabbiare.” James rimase in silenzio. Probabilmente era stupito. “James, l’avevo capito. Non so cosa ti abbia fatto arrabbiare, ma… Non sei tanto bravo a fingere. Giusto?”
Grugnì un assenso. “La Prynn. Ci ballavi e io… Ti piace quella lì?”
“La professoressa Prynn.” Lo corresse in automatico. Si sentiva profondamente in imbarazzo, ma era appena scampato da una morte orribile, quindi non aveva troppo tempo per pensare alla cosa didatticamente giusta da dire. “No, non mi piace. A dirla tutta, credo che assomigli a Vic.”
“E tu non vuoi un’altra Vic.” Ted non riuscì a capire se fosse una domanda o un ordine. Comunque, scosse la testa.
“Credo sarebbe un po’ patetico lasciare una ragazza per mettersi con una sua fotocopia…”
James ridacchiò di nuovo. Gli faceva il solletico con il respiro, causandogli lunghi e scomodi brividi lungo la schiena.

Molto sbagliato. Estremamente sbagliato. Al diavolo. Sono troppo stanco.
“Ascolta…” Iniziò. Si sentiva la gola in fiamme e davvero, era stanco, ma doveva approfittare di quella tregua. Dovevano parlare.
James però si scostò immediatamente. “No, ascolta tu. So tutto. Lasciami solo starti vicino.”
Ted inspirò. “James…”
“Senti, mi fa schifo questa situazione. So che non puoi cambiare per me.” Deglutì. “Ma mi dispiace, neanche io posso cambiare quello che provo per te.”
“Non te lo sto chiedendo.” Disse, immediatamente. “Merlino, James, non mi sognerei mai…”
James sbuffò. “Lo so. Ed è uno dei motivi per cui sono innamorato di te.” Lo guardò. E c’era una serietà così matura nel suo sguardo che Ted pensò proprio che trai due, il bambino in quel momento fosse lui. “Lascia che io ti stia vicino. Solo… come amico. Eh? Lo so che sei il mio professore, ma tanto non ci riesci a farlo, il professore, con me.”
Dovette convenire silenziosamente.

“Voglio solo… che torniamo come prima.” Mormorò James. “Ci possiamo provare?”
Non era quello che voleva veramente. Ma dopotutto, si disse, stargli vicino era un passo in più che guardarlo struggente da lontano, come un eroe rincoglionito di romanzi d’amore.
“Sì…” Sorrise Teddy. “Sì, possiamo.”
Sembrava così sereno e sollevato che James fu indeciso se tirargli un pugno o baciarlo. Decise di restarsene buono. Per il momento.
“Adesso devi dormire.” Gli ordinò. “Sarai un gran figlio di lupo mannaro, ma non sei mica invincibile. Sai.”
“E tu dovresti tornare alla Torre.”
“Sì, ma non lo farò.” Decretò, sorridendogli furbescamente. “Resterò qui.”
“Qui…? Intendi dire…” Lo vide impallidire, ma tanto sapeva che avrebbe già capitolato. Anche prima di aprire bocca. “Nel mio letto?”
Sogghignò. “Ne vedi altri?”
“Jamie, non so se…”

“Tiro le tende, e sto qui finché non ti addormenti. Dai.” Si alzò, tirandole e gli diede un colpetto per farsi spazio, poi una gomitata vera e propria. Teddy, vinto, si spostò.
Dieci minuti dopo James gli dormiva sulla spalla.
Ted ridacchiò; era ovvio che sarebbe stato il primo a crollare.

Dopo aver salvato il mondo, è caratteristica dei Potter crollare sulla prima superficie orizzontale.
Ma andava bene così, si disse mentre appoggiava la guancia contro la fronte tiepida di James.
Solo litigandoci si era accorto di quanto gli fosse mancato averlo trai piedi.
Poi si prese una ciocca di capelli tra le dita.
Erano blu.
Sorrise.
 
 
****


Note:
Succede un po’ di tutto. :D La domanda è. Si sono messi assieme?
No. Ma abbiate fiducia nel nostro Re Minchione. Comincerà a minchioneggiare quanto prima.

Tom e Al? Prossimamente scintille. Ad ognuno il suo. ;D
1.East End: zona di Londra famigerata per essere povera e con alto tasso di criminalità.

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Capitolo 36
*** Capitolo XXXI ***


Buongiorno! La sessione impazza ed io sto morendo! Ma non posso esimermi dallo scrivere di questi ragazzacci. Rendete la giornata di Dira felice. Dite ciao con una recensione! ;)
@Altovoltaggio: ahaha, grazie per i complimenti! Alla fine sono riuscita a farteli piacere un po’! Evviva, non sai che soddisfazione mi dai! :D Lo so, Tommy ultimamente non si sta comportando bene. Ma è in piena sturm und drang adolescenziale. Abbi fiducia in me!
@Pinuccia2605: Ciao! Grazie per I complimenti! Spero di farti cambiare idea su Al/Tom. ma credo tu sia una delle prime shipper James/Ted. Diffondiamo il verbo! ;)
@LihyEllesmere: Grazie mille per i complimenti! Vero, Jamie è dolce dolce. Solo, che di solito, non dà il meglio di sé per dimostrarlo. Ma si sa, quando un ragazzo è innamorato…
@Ron1111: Ciao! ^^ Accidenti, paragonarmi alla Row! Non devi, poi mi monto la testa. ;P Accidenti, sai che il paragone Laurie-Scorpius è azzeccato? In effetti, i sentimenti sono più o meno gli stessi. Sy è vissuto in un ambiente austero, sin da bambino. Per questo il caos colorato del Clan Potter-Weasley gli piace moltissimo. XD Teddy si comporterà meglio. Ha promesso. ;P I pensieri di Tom… diciamo che lui è inclinato sicuramente verso il lato oscuro. Ma la vita, eheeh, è fatta di scelte! *sventola davanti a Tom la foto del pulcino*
@Mikyvale: Ciao! Benvenuta! Mi fa piacerissimo che tu abbia lasciato una recensione! Lily, beh, Lily avrà sicuramente un ruolo di primo piano, ma in seguito. Del resto, i miei personaggi preferiti della nuova generazione sono proprio Al e Lily! E promuovi la ship Ted/James! Io la adoro!
@MadWorld: Con questa recensione ti sei fatta ampiamente perdonare, accidenti! *_* Mi riempi di orgoglio se mi dici che il mio Tom è credibile. Voglio dire, io adoro Tom Riddle (e si sarà capito in tutte le salse) ma Thomas non è Tom. se fosse lui, sarebbe già perduto, perché brutto a dirsi, ma Riddle era un psicopatico già da bambino. Io mi ritengo una scrittrice, nel mio piccolo, di originali. Per questo ho preso la nuova generazione. Era un buon compromesso. ;P Se dici poi che questa fic è un seguito del libro, mi riempi di gioia. Davvero, grazie grazie! ^^ Ted… beh, sono felice che ti piaccia, nonostante tutti i suoi difetti. Ho cercato di fare in modo che si capisse, quanto fosse difficile per un ragazzo etero da anni venire a patti con l’attrazione per un ragazzo più giovane, a cui per altro è legato da un sentimento di affetto fortissimo, ma anche fraterno. Non è semplice, rendersene conto e lavorarci su. Che dire, grazie per avermi dato la tua fiducia, e per apprezzare questa storia. Non è solo mia, è anche vostra. ^^
@Pnin: Ciao! Ho letto le tue critiche, e immagazzinate. ;) Mi fa piacere riceverle, non quanto i commenti positivi, certo, sarei un’ipocrita se dicessi così, ma mi aiutano a capire se ci sono cose che non girano bene. Sono ottimi consigli! Per Rose, forse è vero, è ripresa un po’ da Hermione e Ginny, ma diversamente da loro, non è così eroina. Cercherò di darle un po’ di profondità. ^^ James darà di matto già da questo capitolo. Maturato sì, anche perché prima era insopportabile, ma di certo adulto no! XD Al invece beh… mi fa piacere essere riuscita a crearlo come un personaggio con uno spessore. XD
@Hel_Selbstmord: Ehi Hel! Ebbene sì, d’ora in poi Teddy e Jamie avranno la situazione un pochino più facile. Purtroppo così non sarà per l’altra coppietta. :( Ho creato una slasher! Oddiomio! Che onore! XD OT: Sì, ci hai preso, sono toscana, ma naturalizzata romana. ;) La sessione… non ne parliamo. Piango lacrime di sangue. Ma dimmi, mi è parso di aver evinto che sei una metaller. Vero o no? Io sono nata rocker e penso che ormai ci morirò. ;P (con qualche deriva indie-rock)
@Ombra: Ebbene sì, Ted è di nuovo un ragazzo blu. XD Per quanto riguarda Harry e Ron… ceeerto, che si divertono! Quei due sono due bambinoni!
 
****
 
Capitolo XXXI



 

It waits for the day I will let it out. To give it a r
eason, to give it its might.
I fear who I am becoming, I feel that I’m losing the struggle within.
(It’s the fear, Within Temptation)
 
 
1 Novembre 2022
Dormitorio Serpeverde. Domenica mattina.

Tom la mattina dopo fu risvegliato da un gomito di Albus ficcato nello stomaco.

Non era stato uno dei suoi risvegli migliori.
Sbuffò, scostandosi dalla coltre aggrovigliata di lenzuola e cuscini in cui Albus, persino nel suo letto, era riuscito a infilarsi.
Avevano dormito assieme. E  basta. Compagni vacanti o meno, ad un certo punto della notte, Loki era tornato prima di venir cacciato perché in compagnia di due ridacchianti ragazze.
Odio la vita in comune…
Ma Al si era comunque rifiutato di tornare nel suo letto. Con un sorriso che gli era valso la perdita della maglietta, gli aveva fatto notare che dormire abbracciato ad un'altra persona era un ottimo modo per conservare calore, in quei gelidi sotterranei. 
Non era riuscita a prendersela visto che, con lui tra le braccia e parecchio whiskey incendiario nelle vene, aveva dormito benissimo.
Non aveva dimenticato neppure per un secondo il quaderno di appunti che lo aspettava in camera, però.
Lanciò un’occhiata al proprio baule, dove lo aveva nascosto. Dando uno sguardo alla pendola vide che erano solo le sei e mezzo di mattina. Difficilmente la Sala Comune si sarebbe riempita prima delle nove.
Lanciò anche uno sguardo ad Al, che si mosse tra le coperte, rannicchiandosi beatamente contro il suo cuscino, che ovviamente durante la notte aveva pensato bene di rubargli.
Si vestì e, prendendo la bacchetta dal comodino, aprì le serrature del suo baule.
Quando prese in mano il quaderno non poté evitare di fare un mezzo sorriso.
Esecuzione perfetta…
Non sapeva quanto quegli appunti sull’alchimia islamica gli sarebbero serviti. Dubitava che ci fosse altro se non formule astruse in un linguaggio arcaico.
Ma è sempre meglio di niente.
Si diresse verso la Sala Comune, scegliendo la sua poltrona preferita. Aprì il quaderno, cominciando a leggere.
 
[…] Geber è la forma latinizzata con cui era chiamato Jabir Ibn Hayyan, chiamato anche il ‘Padre dell’Alchimia’. Fu il primo alchimista che si allontanò dalla via della pura speculazione per mettere in pratica ciò che aveva studiato per anni. Alchimisti come Nicholas Flamel e Paracelso devono pagare lui tributo, per aver inventato il sistema elementare usato nell’Alchimia medievale. Il sistema consisteva in sette elementi, quattro derivanti dai famosi Cinque Elementi integrati con altri due elementi il metallo e lo Zolfo[…]
 
Stava leggendo l’introduzione. La saltò: non gli interessava la vita di quell’uomo, ma ciò che aveva fatto.
Sfogliò l’indice. Il libro delle Pietre, per sua fortuna, era stato tradotto in inglese, e il linguaggio era stato dovutamente modernizzato.
Era un testo speculativo, non diceva un granché, come sospettava. Poi, qualcosa attirò la sua attenzione.
 
Takwin. Fu questo l’obbiettivo di tutta la mia vita. È la creazione della vita in laboratorio, inclusa quella umana. Per anni ho cercato di trovare la ricetta perfetta per poter creare l’essere umano. Poi, ci sono riuscito. Tremano le mie mani mentre affido le mie memorie all’erosione del tempo. L’essere che ho creato non può essere definito umano. L’essere che ho creato, a cui ho dato questo nome, scioccamente, macchiandomi di peccato d’arroganza, volendomi sostituire ad Allah il Misericordioso: Adam. Come il primo uomo che Allah mise in terra. Troppo tardi mi sono accorto che dando lui l’anima gli ho dato la possibilità di ribellarsi. E lui l’ha fatto.
 
Tom chiuse il quaderno di scatto, sentendosi la bocca secca e il sangue rombare nelle orecchie.
Allora qualcuno è riuscito a dar loro un’anima.
Una nota a piè di pagina rubricava quel breve paragrafo come ‘considerazioni incerte’, nel senso che era state trovate nella pergamena, ma non si era certi fossero davvero state scritte dalla mano di Geber. O se quella mano fosse stata lucida. La nota continuava, asserendo che non si era mai trovata traccia dell’essere di cui Geber parlava.
Homunculi con anima… e capaci di vivere.
Allora io…
La sua attenzione fu distolta da qualcuno che entrò dentro la Sala Comune.
Era Terrance Montague, il loro Caposcuola. Un tipo piuttosto sgradevole, che riassumeva perfettamente le caratteristiche negative di Serpeverde: cattiveria gratuita, stupidità e una certa dose di auto-compiacimento del tutto ingiustificato.

“Dursley, che diavolo ci fai qui a quest’ora?” Lo apostrofò infatti. “Scrivi le tue memorie?”  
“Montague… non ritengo siano affari tuoi.” Replicò quieto. L’aveva sempre disprezzato, ma da lontano, con una certa discrezione.
Solo che quello non era  il momento per infastidirlo con battute idiote.
Il ragazzo gli lanciò un’occhiata indispettita. “Chi ti dà il diritto di parlarmi così, eh? Il mio sangue è di certo più pulito del tuo…” Evidentemente non si era accorto che aveva in mano la bacchetta, o non lo riteneva un dettaglio importante. “Purtroppo ormai non vale niente.”
“Come non darti ragione…” Mormorò, alzandosi in piedi. Montague lo squadrò sospettoso.  
Di solito avrebbe lasciato correre; Tom sapeva, in ogni caso, di essergli superiore.
Però, pensò con voluttà, perché non dimostrarglielo, per una volta?
“Sai, Terrance, ci fu un altro mago, nato da un babbano, che fece letteralmente leccare la suola delle scarpe ai purosangue come te. Scommetto che papà il suo nome te l’ha detto.”
Terrance sembrò improvvisamente molto nervoso.  

“Tom?”
La voce sorprese entrambi. Albus se ne stava sulla porta della Sala a fissarli, semi-assonnato con uno di quegli orribili maglioni Weasley. Aveva un serpente stilizzato sopra, ed era verde.
“Eri qua… ti ho cercato ovunque. Che ci fai alzato?”Borbottò, stropicciandosi un occhio. “È scandalosamente presto.”

Montague ne approfittò per fare qualche passo indietro, mentre Tom nascondeva la bacchetta nella tasca posteriore dei jeans. “Niente.” Esordì pacatamente. “Sono venuto a leggere qui. Non volevo accendere le candele e svegliarti.”  
Al corrugò le sopracciglia. Guardò dall’uno all’altro. Parve intuire l’atmosfera perché divenne lucido di colpo. “Buongiorno Terrance.” Disse con un sorriso tutto gentilezza. “Sveglio anche tu? È successo qualcosa, che sei già in divisa?”
“Mi ha chiamato il professor Lumacorno. Ieri sera c’è stato un incendio nell’ufficio di un professore, e pare che sia stato di origine dolosa.” Spiegò, insolitamente collaborativo. Lanciò un’occhiata a Tom, poi scrollò le spalle. “Hanno interrogato tutti i Caposcuola.”
Al si morse un labbro. “Quale professore? Cioè, l’ufficio di quale professore?”
“Quell’ibrido di Lupin…” Montague probabilmente non era stato smistato a Serpeverde per la furbizia, rifletté Tom, mentre vide il sorriso di Al gelarsi. “Ma i suoi geni da bestia gli hanno salvato la pelle.”
“Oh, capisco.” Annuì Al pensieroso. “I geni di tuo padre invece ti hanno fatto ereditare una certa dose di idiozia, eh Terrance? Del resto non è che ci si possa aspettare molto, dal figlio di uno che è inciampato dentro un armadio svanitore e ci è rimasto per giorni interi.”
Montague si fece paonazzo. “Ce lo spinsero i tuoi parenti, Potter!”
“Sì?” Si fece meditabondo. “Allora chiedo scusa. Perché non riesco a sentirmi in colpa.”
Terrance divenne letteralmente viola, estraendo la bacchetta. Ultimo rifugio degli imbecilli, pensò Al.

Quello che non si aspettava però è che anche Thomas tirasse fuori la sua e la puntasse alla gola di Montague.
“Levagli la bacchetta di dosso.” Sibilò, e il Caposcuola non fu l’unico a sentire un lungo brivido lungo la schiena. “Non darmi motivo per esercitarmi al tiro al bersaglio.”
Tom!” Gli afferrò il braccio, d’istinto. Montague era pallido come un cencio. Non che Tom avesse la fama di un violento, ma proprio perché non l’aveva era ancora più sconvolgente il suo scoppio d’ira. “Lascia perdere, non ne vale la pena!”
Tom gli lanciò un’occhiata, poi abbassò la bacchetta. “Suppongo il professor Lupin sia in infermeria…”

Il ragazzo annuì, lentamente, guardando la mano che ancora reggeva la bacchetta. “Questa… questa te la farò pagare, Dursley! Un lurido nato-babbano…”
“Sta’ zitto Montague.” Lo interruppe Albus. “Il razzismo magico non va più di moda da vent’anni. Questi discorsi falli con gli amici di tuo padre, se non vuoi passare dei guai. Andiamo Tom. Andiamo da Ted.”
Quando furono fuori, Thomas sapeva già cosa aspettarsi. Attese, in silenzio, mentre il muro dietro di loro si richiudeva.

“Sei impazzito? Si può sapere che ti è preso?!” Sbottò infatti Albus, appena passato l’arco di pietra che fungeva da ingresso per la loro Sala Comune. “Perché poi? Terrance è odioso dal primo anno! L’hai sempre ignorato!”
“Ti ha puntato la bacchetta addosso, se non l’avessi notato…” Disse, cercando di calmare la furia che l’aveva assalito. “Probabilmente, vista la sua scarsa attitudine al controllo, l’avrebbe anche usata.”
Perché Al era sempre così maledettamente… debole?
Certe zecche vanno schiacciate. Per fargli capire chi comanda. Se avessi dato una lezione a Montague, la prossima volta non avrebbe osato levare la bacchetta né contro di me, né contro di te.

Fu disgustato lui stesso della piega dei suoi pensieri. Da quando erano così violenti?
“Non è questo il punto.” Continuò Al. “Tu l’avresti usata?”
“Se lui avesse reagito.” Confermò, guardandolo. “Se pensi che là fuori siano tutti come te, Al, ti sbagli di grosso.”
“Già, e se fossero tutti come lui passeremo il giorno a scannarci.” Replicò aspro. “Che diavolo ti sta succedendo, Tom? Non ti sei mai comportato così!”
“Mi aveva infastidito.” Replicò, e suonò inquietante anche a lui. Si morse un labbro, mentre Al lo fissava senza dire niente.

“Devo requisirti la bacchetta?” Gli chiese atono.
“Cosa? Non essere ridicolo…”
“Non lo sono! Perché se vai in giro a minacciare chi ti infastidisce forse davvero, dovrei farlo. La bacchetta serve ad imparare qua dentro, non a minacciare le persone. Mike ci ha provato con me, Montague ti ha infastidito… Quanto ci vorrà prima che…”
“Sta’ zitto!” Sbottò, esasperato. “Non ho tempo per queste idiozie!”
Al si morse un labbro. Tom capì di aver detto, tanto per cambiare, la cosa sbagliata.

Non era vero che le cose si erano risolte tra di loro. L’unica cosa che si era risolta era la tensione sessuale ed emotiva. Lui continuava a mentirgli, e Al continuava ad accorgersene.
E continuo a ferirlo…
“Al…”
“Stai praticamente dicendo che non hai tempo per me.” Gli comunicò. Scartò, quando tento di afferrarlo per un braccio. “Ma l’avevo notato da solo, grazie.”
“Al, non è vero.” Sussurrò, afferrandolo per le spalle, mentre la collera lasciava spazio al panico. “Per favore… Scusa.” Gli impedì di divincolarsi, spingendolo contro il muro. Aveva il terrore che se non l’avesse fatto, gli sarebbe scivolato tra le dita. “Albus, scusami. Non lo faccio più.” Gli sussurrò contro l’orecchio, affrettato. Doveva perdonarlo. Doveva.

Se tu non mi perdoni, io cosa faccio?
Alla fine, lo sentì arrendersi contro di lui. Al non avrebbe mai lottato per allontanarlo. Lo sapeva.  
“Tom… Mi fai preoccupare, lo sai?” Sentì le dita di Al passargli consolatorie lungo la schiena. Aveva le mani calde. Lo tirò giù, per baciarlo, e Tom lo baciò, aggrappandosi come un naufrago ad una scialuppa di salvataggio. Si staccarono, con il fiato corto, per necessità, non per voglia. “Razza di stupido caprone. Smettila di fare il pazzo…”
Non sono pazzo. È che quando ti ha puntato la bacchetta addosso ho pensato che nessuno doveva sfiorarti. Ferirti.

Nessuno.
Tirò un lieve sospiro.
Tranne me.
 
****
 
Hogwarts, Infermeria.
Sei e mezzo di mattina.

 
James si passò una mano sul viso, sbadigliando con molta lena, mentre ritornava nel mondo dei vivi.
Svegliarsi con le ciglia impiastricciate di trucco del giorno prima non era esattamente un risveglio perfetto. Adesso capiva perché le ragazze svernavano in bagno per levarsi quella roba dalla faccia.

Svegliarsi con il viso addormentato di Teddy davanti però era quasi il paradiso.
I capelli erano proprio blu. Quel blu elettrico che conosceva da che aveva memoria. Forse da bambino erano turchesi, ma comunque, blu.
Il mio TeddyBlu.
Da bambino lo chiamava così. Come un grosso orsacchiotto speciale, anche se in realtà Teddy era stato una mezzapippa per anni.
Chissà perché però i muscoli dell’Accademia li ha mantenuti tutti…
Pensò voluttuoso, disegnandogli il profilo della mascella con un dito. Teddy fece un lieve sospiro, ma sembrò gradire il gesto. James ridacchiò.
Devo andarmene prima che arrivi Madama Arpia e ci becchi a farci le coccole come due checche.
Si alzò in piedi e indossò le scarpe, mentre Teddy si muoveva nel letto, con un grugnito ben poco angelico, abbracciando il cuscino ed espandendosi.
James Sirius Potter non aveva rinunciato. Oh, no. Neanche per sogno. Semplicemente…
Ti ho fregato.
Avrebbe aspettato. Paziente, come un… un cobra?
Nah. Serpente. Che orrore. Come un paziente tassorosso, Teddy.
Malfoy aveva ragione. Teddy era solo… lento. Duro di comprendonio. Tardo. Represso.
Lo avrebbe sistemato lui.
Certo, una loro storia era una cosa molto, molto nebulosa nella sua testa. Si immaginava solo di mettergli le mani addosso, sesso a letto e colazioni romantiche in modo francamente imbarazzante. Anche lunghe chiacchierate. Adorava parlare con Teddy. E poi tanto sesso bollente.
Dicono che i mannari su quel lato siano proprio… Beh, lui è un figlio di mannaro, e Vic non si sarebbe tenuto un noioso come lui se non fosse stato in grado di soddisfare le sue voglie francesi.
Sorrise, afferrando un foglio di carta dal bloc-notes che Poppy aveva lasciato sul comodino. Scrisse una breve frase e firmò con uno svolazzo.
Lo guardò dormire. Teddy era bello. Non c’era nessuno bello come quello stupido, per lui. Non solo per i lineamenti regolari e dolci, che aveva ereditato dalla madre (aveva sbirciato le foto) o quei grandi occhi da cagnolino triste … Teddy era bello tutto.
Si chinò, baciandogli le labbra. Teddy sorrise nel sonno.
“Tu aspetta Teddy…” Sogghignò James, prima di raddrizzarsi e uscire, canticchiando. “Aspetta.”

 
****
 
Teddy si svegliò con un braccio addormentato, ossimoro niente male, e un biglietto appiccicato in faccia.
Risveglio curioso, commentò tra sé e sé, staccandolo e leggendo.

Buongiorno Teddy!
Hai i capelli blu!
Baci.
J.
Sorrise, ricordando la sera prima. A dire il vero, non aveva molto da sorridere, considerando che era quasi scampato ad una morte atroce per mano di un aggressore misterioso. Ma per il momento, decise, preferiva risvegliarsi senza pensare alla morte.
James non c’era. Ma era giusto che fosse così. Ignorò una vocetta interiore che esprimeva dissenso e scontento.
Si passò una mano trai capelli colorati, e fu felice per una volta di poter far semplicemente scomparire la barba, invece che doversi rasare. Si affettava sempre come un macellaio.
I miei poteri sono tornati.
La realtà tornò a bussare crudelmente alla sua porta nella persona del Preside e…
… Ovviamente Harry Potter.

Era ovvio che Vitious, dopo un’attenta analisi delle contingenze, avesse preferito chiamare il suo padrino, piuttosto che sua nonna, anziana e sicuramente non d’aiuto in eventuali indagini.
Maledisse la tempra Corvonero del Preside.
“Ciao Teddy.” Lo salutò Harry, con l’aria di essere appena stato tirato giù dal letto e forzato ad una materializzazione. “Come stai?”
“Meglio.” Sorrise, stringendogli la mano. “Davvero, sto bene.”

“Il Preside mi ha raccontato tutto.” Disse, tagliando i convenevoli. “Scusami se sono un po’ brusco, ma…” Esitò, lanciando un’impercettibile occhiata verso Vitious.
“Oh, oh… beh!” Disse l’ometto, capendo al volo. “Vi lascio soli. Sono sicuro che Teddy adesso è in buone mani. Vogliamo tutti che questo episodio venga risolto al più presto.” Soggiunse, facendogli chiaramente capire che qualsiasi cosa fosse uscita da quella conversazione, sarebbe stata la versione definitiva da dare alla scuola.

“Signor Preside, il mio ufficio?” Lo fermò il ragazzo. “Come… è rimasto qualcosa?”
“Non molto, figliolo. Il Signor Malfoy e il Signor Potter hanno domato l’incendio in modo eccellente, ma purtroppo…”
Teddy sentì lo stomaco annodato, pensando a tutti i libri del padre, ai suoi oggetti, divorati dal fuoco. Tutto distrutto.

La rabbia tinse di carminio cupo i suoi capelli. Li mise a tacitare velocemente, forzandosi. “Capisco. Non si è salvato niente…”
Il Grimorio! Quello deve essere ancora integro. Era sotto un incantesimo freddafiamma!
“Mi dispiace davvero Ted...” Scosse la testa il Preside. “Useremo il fondo comune della scuola per ricomprare il necessario.”
“La ringrazio, ma posso pensarci da solo.” Replicò, leggermente indignato.

Certo, tranne i libri di mio padre, i bestiari medioevali
Solo a pensarci gli veniva da rannicchiarsi e piangere. Glissò, con l’abilità di un consumato ventiquattrenne. Quando il Preside li lasciò soli, Harry tirò le tende con un colpo di bacchetta. Sospirò.
“Mi dispiace per i tuoi libri Teddy. So che erano di Remus, e so quanto ci tenessi.”
“Li so a memoria.” Scrollò le spalle, con un sorriso. “E poi… meglio loro, che me.” Disse, con pragmatismo che non sposava affatto.

“Non sono del tutto convinto che tu mi dica la verità, ma…” Sorrise. “Davvero Teddy, stai bene?”
“Ho passato momenti migliori.” Dovette ammettere. “Ma sono vivo.”
“Certo…” Annuì l’uomo. “Naturalmente. Stamattina quando uno dei gufi della scuola mi ha tirato giù dal letto credo di aver perso un paio d’anni di vita. Vitious non è molto bravo a dare notizie di questo genere. Io e Gin abbiamo pensato addirittura che fossi in fin di vita…”
“Mi dispiace!” Mugugnò, sentendosi colpevole a prescindere. “Avrei dovuto mandarvi un gufo io stesso.”
“Merlino, Teddy!” Rise l’uomo. “Sei l’unica persona al mondo che si scusa di essere moribondo!”

Era la stessa cosa che James gli aveva detto la sera prima. Sorrise.
Harry si sedette, incrociando le braccia al petto. “Bene. Sembra che dovrò essere io a farti l’interrogatorio.” Ghignò malandrino. “A quanto pare tutti fraintendono la natura della mia carica. Non che mi spiaccia, si capisce. Amo l’azione.”
Teddy ridacchiò, poi tornò serio. “Harry, qualcuno ieri sera mi ha aggredito.”
L’uomo accolse la notizia senza vacillare. Era chiaro che avesse già ipotizzato una cosa simile. “Riesci a ricordare qualcosa?”

“Non… non del tutto.” Dovette ammettere, sentendosi piuttosto stupido. Era ridicolo il modo in cui si era fatto neutralizzare. “Mi ha preso alle spalle, ed ha utilizzato un incantesimo che mi ha immobilizzato.”
Ed io avrei dovuto essere un auror… Molto meglio come professore, pare.
“Il Petrificus Totalus? La Pastoia Total-Body?” Elencò Harry, un po’ sorpreso. Un allievo Auror era capace di neutralizzare quei semplici incantesimi.
Teddy si sentì arrossire. “Nessuno dei due. Era come se… tutti i muscoli del mio corpo si fossero fatti… di pietra. E mi sentivo schiacciare i polmoni.” Esitò. “È stato come se fosse il peso del mio corpo a schiacciarli.”
“Mai sentito nulla del genere.” Esordì Harry, correggendosi subito dopo. “Con questo non intendo dire che non sia possibile un incantesimo del genere. Solo, non è nel nostro arsenale.”
“Già… in ogni caso, sono riuscito solo a vedere che aveva i capelli neri. Piuttosto alto. Non molto muscoloso, quasi magro direi. Ed era giovane. Un adolescente, credo.”

Harry si morse un labbro, meditabondo. “Adolescente… credi sia stato uno studente quindi?”
“No.” Negò immediatamente. “E non lo dico solo perché sono i miei studenti, ma perché era troppo calmo. Sembrava fingesse di essere un ragazzo. Il modo in cui mi ha parlato, come mi ha aggredito. Ho a che fare con adolescenti tutti i giorni, Harry… e non sono così controllati.” Sospirò. 

“Un camuffamento?”
“Forse.”
“Sai perché era lì?”

Teddy rifletté. “Non lo so. Non era lì per me, comunque. Non si aspettava che tornassi dalla festa, me l’ha… detto. Era piuttosto propenso alle chiacchiere.” Fece una smorfia, al ricordo di quella voce canzonatoria all’orecchio. Se la sarebbe sentita nel sonno a lungo, temeva. “Stava cercando qualcosa. Prima di svenire l’ho visto frugare tra le mie cose. Ma non so cos’ha portato via, o se l’ha fatto.”
Harry annuì, guardando assorto davanti a sé. Sembrava perso in pensieri tutti suoi, ma Teddy sapeva che stava cercando di mettere assieme i pezzi. “Avevi qualcosa di valore? Un libro, uno strumento…”
“Niente che non si possa reperire a Diagon Alley.” Scosse la testa. “I libri, ma non tutti… avevano un valore affettivo, più che altro. Niente che potesse giustificare un furto, veramente.”
“Pensi che possa averlo fatto per spregio allora? Contro di te, magari…”

Ted serrò le labbra: diversamente dal padre non aveva mai avuto problemi di discriminazione. Ma a volte c’era ancora qualcuno che si ricordava che nel suo certificato di nascita c’era appuntato ‘ibrido’. 
“No, lo escludo assolutamente.” Disse però. “Cercava qualcosa Harry. E voleva uccidermi, bruciarmi…” Inspirò lentamente. “… vivo, per evitare che raccontassi a qualcuno di averlo visto lì. Voleva farlo sembrare un incidente. Ero un ostacolo, non un obbiettivo.”
Harry sorrise appena. “Un vero peccato che tu non abbia fatto l’auror, Teddy. Ci servirebbe qualcuno con la tua capacità d’analisi.”
Teddy ricambiò con una smorfia ironica. “Dietro una scrivania forse. Non sono fatto per l’azione. Mi sono fatto fregare come un idiota. James invece… beh, Jamie mi ha salvato la vita.”
“Il Preside me l’ha detto.” Harry stava evidentemente scoppiando di orgoglio. “Se si ricordasse che servono ottimi MAGO per entrare, sarebbe già uno dei miei ragazzi.”
Teddy ridacchiò. “Penserò io a ricordarglielo, non ti preoccupare.” Si sentì appena in colpa, ricordando di cosa con James parlasse ultimamente. Ma fu un attimo. Del resto, al momento, c’era ben altro a cui pensare. “Harry… c’è una cosa.” Doveva dirgli del Grimorio. “Forse so cosa cercava l’aggressore.” Gli fu fatto cenno di andare avanti. “Io… quando è morto Ziel ho fatto l’inventario della sua biblioteca. Ma non ho consegnato tutto al Ministero Tedesco.” Borbottò, sentendosi come un bambino con le mani nella marmellata. “C’era… c’era una cosa che non ho consegnato.”
Harry fece un mezzo sorriso, quasi divertito. “Un libro? Teddy…”
“No, un diario. Cioè. All’inizio sembrava un libro, era trasfigurato. Ho usato il librum reverto ed è diventato un diario. Per la precisione, un grimorio.”

“Ne ho sentito parlare… non sono diari dove i maghi appuntano i propri incantesimi, che poi proteggono con formule o codici?” Aggrottò le sopracciglia: l’unico che avesse mai visto, ad eccezione del libro di ricette culinarie di Molly, era quello di Tom Riddle. Ah, e quello di Piton. Davvero non bei termini di paragone.
“Ziel ne teneva uno, criptato con un codice.” Si morse un labbro. “Non sono riuscito a vincere la curiosità, e l’ho portato nel mio ufficio per lavorarci. Era solo…” I capelli si colorarono di un tenue rosa. “Solo un divertimento innocente. Mi affascinava il codice… Non avevo mai visto niente del genere, e poi non credevo che nessuno avrebbe mai reclamato un diario personale.”
“Curiosità intellettuale, ho capito. Credimi, ci ho convissuto per anni. Hermione.” Spiegò divertito. “Lo sai, mi conosci, non capisco, ma ehm…”
“Accetti.” Sorrise Ted. “In ogni caso, non era un codice. La scrittura era soltanto occultata da un incantesimo freddafiamma.” Davanti all’espressione confusa dell’uomo, si affrettò a spiegare. “Il codice era finto. Non erano che… scarabocchi, non corrispondevano a niente. Ma gettato nel fuoco, le pagine rivelavano ciò che c’era scritto sotto. Ed era in tedesco.”
“Suona complicato.” Ammise Harry, passandosi una mano trai capelli. “Ma è ovvio, Ziel era tedesco, quindi scriveva in tedesco.”
“Esatto. Questa scoperta l’ho fatta ieri sera, poco prima di andare alla festa. Non sono riuscito a leggere molto. Ma c’era il nome di Tom, nel diario.”
“Tom? Il nostro Tom?” Harry sembrò improvvisamente incupirsi. Teddy lo capiva: Tom non era il genere di ragazzo di cui ti preoccupava l’incolumità. Almeno, non solo.

Ma le eventuali implicazioni nella faccenda…
“Thomas Dursley.” Confermò. “Non sono riuscito a leggere altro, perché la professoressa Prynn è venuta a prendermi e…” Fece un gesto stanco. “E poi quando sono tornato…”
“Ti hanno aggredito. Ora il grimorio dov’è?”

Ted scosse la testa. “Deve essersi salvato dall’incendio. Quindi suppongo sia ancora nel mio ufficio.”
“Ma secondo te non c’è, perché l’aggressore cercava quello.”
Teddy annuì, con un lieve sospiro, scrutandolo. Harry aveva solo undici anni quando aveva scoperto che Hogwarts ospitava la Pietra Filosofale. Era abituato sin da bambino a ipotizzare congetture e scoprire connessioni. In quel momento però, gli sembrava confuso quanto lui.

Milly, l’assistente della Chips, si avvicinò a loro con circospezione. Lanciò un’occhiata adorante ad Harry, che si aggiustò gli occhiali, a disagio. “Mi dispiace disturbarvi… ma ci sono visite per lei, professor Lupin.”
“Può dir loro di aspettare?” Chiese Harry, un po’ urtato. Certo, anche lui era un visitatore, ma Morgana Benedetta, non serviva a niente aver sconfitto Voldemort?

“Si tratta di suo figlio e di Dursley, signore. Li ho beccati che gironzolavano attorno all’infermeria.”
“James?” Si bloccò Teddy, schiarendosi poi la voce. “No. Immagino sia Al… Può chiamarli?”
“Saranno quelli mandati in esplorazione.” Rise Harry, mentre l’infermiera tornava indietro.

Poco dopo Al corse dentro. “Teddy!” Esclamò, con occhi grandi di preoccupazione.
Tom arrivò poco dopo. Sembrava assolutamente annoiato da quella faccenda: teneva le braccia incrociate al petto, e se ne stava a minimo due metri di distanza da loro. Teddy si prese la briga di osservarlo, alla luce delle nuove scoperte.

Lo vide guardare Al, insistentemente. Non apertamente, quello no, ma Ted aveva imparato a spiare gli umori altrui, e trarne conclusioni, sin da bambino.
È venuto qui per via di Albus. Non voleva venire qui.
Non gli toglieva gli occhi di dosso. Praticamente non aveva degnato di uno sguardo né lui, né il padrino.
Lo sta sorvegliando. Merlino, perché?
Harry si alzò, stiracchiandosi. “Tom? Ti va di accompagnarmi a fare due passi?”
Il ragazzo si riscosse, quasi sussultò. Per un attimo sembrò che volesse rifiutare. Poi lo vide annuire. “Certo. Ci vediamo a colazione, Al.”
Il ragazzo si voltò, con un mezzo sorriso. “Sicuro. A dopo!”

Quando furono andati via, Al tirò un lieve sospiro, come se si fosse tolto un peso. Almeno, questo sembrò a Ted.
In realtà, Al non si sentiva tranquillo. Tom era nervoso, e non era in grado di sopportare nessuno al momento. Si accorse subito di quanto quel discorso fosse strano.
Non è una specie di psicopatico che va tenuto tranquillo…
Anche se quella mattina aveva avuto degli scatti che, in un certo senso, erano stati preoccupanti.
Parlare con papà gli farà bene. Gli ha sempre fatto bene. Del resto è l’unico che è sempre riuscito a prenderlo per il verso giusto.
Perché allora aveva l’impressione che quella volta non sarebbe stato così?
 
****
 
Il freddo vento ottobrino scompigliava i capelli di entrambi mentre scendevano il crinale, diretti verso la mole lucida e immobile del Lago Nero.
Tom era dimagrito troppo, pensò Harry, guardando il profilo scarno del ragazzo. La camicia che indossava gli stava deplorevolmente larga e le guance scavate avevano un pallore malato.
Era preoccupato: conosceva Thomas da quando era nato. Per anni aveva lottato contro i suoi silenzi e la sua sostanziale incapacità di comunicare disagio.

Da bambini, quando i suoi figli erano scontenti, tristi o semplicemente insoddisfatti, piangevano. Tom si rifugiava in un silenzio ostile, rubando i giocattoli ai fratelli e stringendoseli al petto se tentavano di portarglieli via.
Da ragazzini i suoi figli si imbronciavano o piagnucolavano. Tom spariva da qualche parte, finché, con tanta pazienza da parte sua e di Dudley, non si riusciva a trovarlo.
I suoi figli, adesso, quando non stavano bene, avevano reazioni diverse: Al aveva gli occhi rossi, ma non piangeva. James si infuriava e poi scoppiava in lacrime dentro il proprio cuscino. Lily si scherniva con una battuta e poi crollava in singhiozzi tra le braccia di Ginny.
E in quel momento, Harry sapeva che Tom non stava bene. Lo indovinava dalla piega delle labbra, dal mondo in cui aveva messo distanza tra di loro, mentre camminavano. Dal fatto che non fosse davvero lì con la testa, mentre si sedevano su una panchina, da cui si godeva un’ottima vista della Foresta e della tomba di Silente, che si stagliava candida e immota, nel paesaggio, eterno memento.

“Come va?” Iniziò, piuttosto classicamente.
Tom si strinse nelle spalle. “Bene.” Ci pensò, assottigliando gli occhi. “È stato un periodo movimentato. Lo è stato per tutti.” Concluse.
Harry voleva bene a quel ragazzo magro e silenzioso. E aveva sempre cercato, con la sua goffa emotività da orfano, di dimostrarglielo. Non sapeva se ci fosse riuscito completamente, però.
“Lo è stato per te.” Rispose, togliendosi gli occhiali e pulendoseli distrattamente con il fazzoletto. “Avrei dovuto essere più presente con voi ragazzi, me ne rendo conto. Ma…”
“Ma hai un lavoro, e delle responsabilità.” Tom stirò un sorrisetto. “Non preoccuparti, Harry. Non hai nessuna mancanza per quanto mi riguarda. So cavarmela da solo.”
“Non vuoi parlarmene?” Chiese, gentile, inforcando gli occhiali. Spesso, quando c’era di mezzo Thomas,  pensava, e un po’ se ne vergognava - Cosa avrebbe fatto Silente?

Silente era stato un politico, non certo una figura pedagogica a cui aspirare. Eppure era l’unica figura da cui attingere nel caso di Thomas.  
“Di cosa?” Chiese, lanciandogli un’occhiata valutativa. Calcolatrice. “Di cosa dovrei parlarti Harry?”
“Non saprei. Sembri pensieroso.”
Tom fece un breve sorriso. “Penso, quindi sono.” Parve trovarla una frase piuttosto divertente, perché strinse trai denti una risatina.  

“Risparmiami i giochi di parole, Tom.” Disse, più brusco di quanto non volesse. “So di essere un po’ troppo grande per farti da confidente, e comunque, per questo  c’è Al…”
Tom stavolta ebbe una strana reazione. Il sorriso sembrava divertito, ma l’interno corpo era in tensione.

No, decise Harry, Tom aveva qualcosa che non andava.
“Sto bene.” Sembrò riflettere brevemente. “Credo di aver scoperto molte cose di me, in questo periodo. Credo di capirmi meglio.”
Harry non trovava Thomas illuminato dalla luce della consapevolezza interiore. Sembrava, a dirla tutta, piuttosto nervoso. Qualcosa nella piega della bocca era instabile. “Sono contento per te. Ma credo avresti bisogno di riposarti.” Suggerì pacato. “Come ho detto, è stato un periodo di forte stress per tutti. Credo che quest’anno dovresti prendere in considerazione l’idea di non tornare subito al Castello, dopo le feste. Resta un po’ con la tua famiglia.” 
Sta lontano da Hogwarts mentre cerco di capire com’è che tu sei sempre nel posto sbagliato al momento sbagliato… e perché in ogni cosa che è successa c’è il tuo nome, Tom.
La reazione del ragazzo fu inaspettata. Si alzò di scatto dalla panchina, fulminando con lo sguardo. “Tipico di te, zio Harry. È un consiglio o un ordine?”
Harry batté le palpebre, sorpreso. Era diventato aggressivo di colpo, e certo, non se lo aspettava. Ma era un adolescente, si disse.

Alla sua età l’instabilità emotiva faceva da cornice alle mie giornate…
“Non è un ordine, non sei certo uno dei miei auror!” Sorrise, cercando di suonare comprensivo. “Solo un consiglio. Ehi,  puoi tornare quando vuoi  al castello. Pensavo solo che ai tuoi avrebbe fatto piacere averti a casa.” Cercò il suo sguardo, volutamente. “Mi preoccupo per te. Sono il tuo padrino.”  
Tom non rispose subito. Lo vide contrarre e decontrarre i pugni, come in un riflesso nervoso, mentre probabilmente decideva se parlare.
“Mi sento…” Scollò dal palato alla fine. E sembrava pesare ogni singola parola come un macigno. “Mi sento sempre così arrabbiato...” Sussurrò, senza guardarlo. “Continuamente.” 
Harry sentì prepotente la sensazione di flashback assalirlo. Aveva quindici anni quando aveva detto una cosa simile a Sirius, a Grimmauld Place. Tom aveva il suo stesso sguardo nudo, spaventato.
Fu un attimo però. Tom richiuse violentemente lo spiraglio che aveva aperto. Serrò la mascella, raddrizzandosi. “Ma credo seguirò il tuo suggerimento, Harry.” Disse, pacato. “Rimarrò un po’ di più a casa, quest’anno.”
Lo vide allontanarsi. Non tanto fisicamente, aveva solo fatto qualche passo verso il Castello, ma emotivamente. Stava prendendo le distanze. Harry si alzò, prendendolo per un braccio.
“Tom… sono qui per te.” Una volta sarebbe bastato a frenarlo, calmarlo. 
Si sentì invece fissato con uno sguardo incolore. “Non è vero. Sei qui per Ted. Per l’incendio.”
Harry non riuscì a ribattere. Avrebbe dovuto, ma Harry non era solo Harry. Era anche Harry Potter, purtroppo. “Ti devo chiedere se…”
“Se c’entro qualcosa?” Lo bloccò. Fece un sorriso sottile. “Con l’incendio all’ufficio di Lupin?”
“Merlino, no! Volevo solo sapere se avevi visto qualcosa, se…”
Tom sembrava furioso. E anche, orribile a dirsi, trionfante. Come se avesse avuto la conferma di qualcosa che sospettava già da tempo.

“Sono stato tutta la sera con Al, chiedilo a lui.” Diede uno strattone al braccio, liberandosi. “Mi dispiace, ma devo andare a colazione.”
“Aspetta!” Non era mai stato bravo con gli slanci fisici, si disse. Perché avrebbe dovuto capire che un adolescente infuriato non andava toccato.
Tom gli tirò letteralmente una spinta. “Non toccarmi. Non sono tuo figlio.” Ringhiò. Il suono fu quello. Un basso suono di gola, orribilmente simile a quello di un lupo preso in trappola. Harry pensò che avrebbe potuto persino attaccarlo, se avesse continuato.

Lo guardò risalire per la collina. Pensosamente, si sfregò la cicatrice.
 
 
****
 
Little Hangleton, interno mattina.
 
“Sì signore, ho con me il Grimorio. Certo, Signore, è andato tutto liscio…”
Tranne per qualche trascurabile particolare. Possibile che ci sia sempre qualche discendente dei Potter a mettere i bastoni tra le ruote? La cosa ha francamente del ridicolo.

“Sì, signore. Adesso è in mio possesso. Naturale… sì, naturale signore. Il piano va avanti. Sì, Signore. Adesso inizia la seconda parte del piano.”
 
****
 
Note:
Capitolo di passaggio lo so, non succede granché. Chiedo venia, ma non tutti possono essere farciti di avvenimenti campali. :P
Harry è Rob Lowe. Non sempre, naturalmente. Ma guardate l’immagine. È il mio Harry, perlomeno. ;)

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Capitolo 37
*** Capitolo XXXII ***


Ringrazio per le recensioni, perchè siete meravigliosi e vi lovvo (con sentimento). Ci sarà mai una giornata di de-lurking day dove avrò la possibilità di conoscere tutti i miei ghost-reader? :D
@Ron1111: Corrette le sviste che mi avevi segnalato. Sei ineffabile, grazie mille. ^^ Al è un Serpeverde, come ho detto il Cappello SA. Sa come verranno fuori pigolanti adolescenti. A ben pensarci, anche Neville non doveva sembrare un gran grifondoro, ma poi… il Cappello SA.
XD
@Trixina: Assolutamente nessun problema! Non è una cosa a scadenza, anche se certo, ormai con voi commentatori assidui ho quasi un appuntamento :P Non sai quanto vi adoro. Coomunque. Sì, ci godo da morire a farvi imprecare davanti allo schermo. Mai detto che sono una sadica? XD Comunque grazie per i complimenti al Trio. Sì, alcune frasi di Tommy sono un chiaro rimando alla Row. Del resto, è grazie a lei che questa storia esiste! XD
@MikyVale: Sono i miei preferiti perché io me li immagino come degli Evans, non come dei Potter. ;P Infatti vedrai che ti combino. XD
@Ombra: Grazie! Essì, l’adolescenza è davvero una brutta bestia.
@Altovoltaggio: Ero così rincoglionita da una serata tra metal e disco (Strana accoppiata lo so) che ho finito per sballare giorno e aggiornare prima T_T si può essere più dementi? XD Il rapporto tra Al e Thomas in qualche modo è malsano, ora come ora. Tom ha bisogno di Albus per non precipitare nella china di rimorsi, sensi di colpa, follia e paura in cui sta comunque scivolando, e Al lo ama troppo per lasciarlo andare. Le cose non miglioreranno in tempi brevi, ma miglioreranno. Questa è una promessa. ;)
@Lally88: Ciao e benvenuta! Grazie mille per i complimenti, mi fa piacerissimo che tu apprezzi questa bagatella senza pretese. Mentirei se dicessi che non ci ho studiato parecchio, ma fa sempre piacere vedere che un personaggio originale, tuo, viene apprezzato anche in un fandom, purtroppo ahimè hai ragione, abusato. Spero continuerai a seguirmi! ^^ A presto!
@Pnin: Accidenti, i tuoi commenti vanno dritti al punto eh? Ma anche se mi pungolano un po’, mi danno dà riflettere e di questo ti ringrazio. Questi capitoli saranno un po’ di stasi, la famosa ‘quiete prima della tempesta’. Se ci fosse sempre tensione, mistero e quant’altro sarebbe un po’ forzato, perché dopotutto anche nei romanzi della Row ci sono momenti di calma piatta. Ed io, lo ammetto, mi diverto a descriverli infilandoci un po’ di roba sentimentale. In effetti, c’è anche la dicitura ‘romantico’ assieme a ‘mistero’ e ‘azione’ ;D Per quanto riguarda Jamie… c’ho riflettuto, e un po’ hai ragione. L’ho ammorbidito, ma solo perché beh, il ragazzo che ama ha rischiato di morire. Ucciso. In un certo senso questo ha portato a più miti consigli James, anche se tranquilla, niente casti baci sotto la pioggia, non voglio mica snaturare un personaggio che mi diverto troppo a scrivere come scemo e impulsivo! XD Spero non abbandonerai questa storia, ma se lo farai, beh, grazie comunque per avermi seguito fin qui! ^^
 
 
****
 
Capitolo XXXII
 
 






You feel like you're going where you've been bef
ore
You'll tell anyone who will listen but you feel ignored
Nothing's really making any sense at all
Let's talk…
(Talk, Coldplay)
 
 
1 Novembre 2022. Nove del mattino.
Hogwarts, Sala Grande.
 
Quella mattina Rose scese a colazione con la sinistra impressione che tutti la stessero fissando.
Si lisciò con noncuranza l’orlo della gonna, quasi scarnificandosi una gamba quando le unghie si impigliarono nelle calze, ma fece finta di nulla, afferrò più stretta la propria borsa uscendo dal ritratto della Signora Grassa.
Era solo un’impressione. Sicuramente.
Ma come non ricordare che la sera prima aveva volteggiato tra le braccia dello Scapolo D’Oro di Hogwarts?   
Che non è più scapolo. Cioè, sì. Non siamo sposati. Però. È il mio ragazzo. Stronze.
Poi, come se fosse questa la notizia del giorno…
Aveva atteso tutta la notte notizie su Teddy. Verso le tre, la Caposcuola l’aveva trovata addormentata su una poltrona accanto al fuoco. L’aveva svegliata e l’aveva informata di tutto, prima di spedirla su nei dormitori.
Entro in Sala Grande: tolti gli incantesimi della sera prima era tornata al suo aspetto originario dal lavoro indefesso di decine di elfi. Si guardò attorno, cercando visi amici.
Ma i guai non vengono mai da soli…
Il gruppetto della Haggins era seduto in formazione accanto alla ragazza, accomodata in un tavolo vicino all’entrata. Vide Lily, seduta ad un tavolo con Hugo. La ragazzina le fece cenno veloce di unirsi a loro.
Non fu abbastanza svelta. Fu intercettata dalla Haggins dopo due soli passi.
“Weasley.” Iniziò con un orribile sorriso cordiale. Aveva delle gengive veramente enormi. “Ieri sera non ti abbiamo visto alla festa.”
“Sì… ehm.” Esordì, molto acutamente. Lanciò uno sguardo disperato verso Lily, che scosse la testa con rassegnazione, lasciandola in balia degli eventi.

Grazie Lily. Argh.
“Infatti non… non c’ero. Sono rimasta in dormitorio.” Annuì, sentendosi sempre più umiliata, mentre il sorriso di Clara si faceva trionfante. “Dovevo studiare.”
“Ma studi sempre, Rose! Ieri sera è stata una festa meravigliosa!”

Una delle ragazze, Fiona Finnigan, le lanciò un’occhiata poco convinta. “Non eri alla festa, Rose?” Chiese infatti. Clara la fulminò con lo sguardo.
“Fifì, l’ha appena detto. Non era alla festa.”
Sì che c’ero, grossa vacca. E stavo ballando con il mio ragazzo. Non il tuo. Il mio.
Non lo disse, limitandosi a cercare di svicolare. Clara le sbarrò di nuovo il passo.
La situazione stava diventando ridicola.
“Clara, vorrei andare a mangiare.” Borbottò, lanciandole un’occhiataccia. Non ebbe effetto. Non l’aveva mai. “Se c’è qualcosa che vuoi dirmi…”
“Eri al ballo con Cory, ieri sera?”
Rose batté le palpebre. “Chi?” Prima di accorpare il nome.

“Che soprannome idiota.” Disse, senza riflettere. Clara divenne leggermente colorata sulle guance. Considerando tutto il trucco che si applicava la mattina doveva essere paonazza.
“Ci sei andata con lui?” Ripeté. “Perché se ci sei andata, sappi che per lui sei solo…”
Rosie.” Esclamò Al, prendendola sottobraccio, con disinvoltura, mentre spuntava dal nulla, provvidenziale come un angelo. “Oh, salve Clarabella!” Sorrise gentile, facendola sgonfiare come un palloncino. “Andiamo a tavola?” Si rivolse nuovamente a Rose, che l’avrebbe sposato, se non fossero stati consanguinei e interessati allo stesso sesso.

Sorpassarono il gruppetto mentre gli stringeva il braccio, stritolandoglielo. Al non fece una piega, portandola al tavolo Potter-Weasley.
Doveva ammetterlo. In quel periodo Al sembrava… più maturo. Non che fosse alzato di dieci centimetri o avesse sviluppato dei pettorali virili, era sempre il solito ragazzo magrolino e con lo sguardo di un bimbo, ma c’era qualcosa nel suo atteggiamento che era più saldo, sicuro. Le penne continuavano ad esplodergli in mano e riempirlo di inchiostro, ma sembrava avere una sorta di sicurezza gentile che prima non aveva.
A differenza di Thomas. Uno comincia a perdere la brocca, l’altro diventa più affidabile.
Le cose sono connesse?
Lily si scostò dalla panca, per farli sedere. “Devi imparare a rispondere a tono a quelle oche, Rosie. Ne va della tua dignità.” Proferì quieta.
“Non ci riesco.” Ringhiò di rimando, sentendosi gli occhi pizzicare. “Penso solo alla voglia che ho di ficcargli la bacchetta in un occhio e a come trattenermi per non farlo.”
Al la liberò della borsa, sedendosi accanto a lei. “Non ne vale la pena. Sono solo invidiose.”
“Già, ma hanno capito che sono andata al Ballo con Scorpius.” Prese un muffin, addentandolo. Si ricordò troppo tardi che Lily non sapeva, e neanche Hugo, che cominciò a sputacchiare latte e cereali tutto attorno. Al le lanciò uno sguardo rassegnato.

Merda.
Lily fece un’inquietante sogghigno, ma si limitò a mescolare il miele nel suo the.  
“Oh Santa Nimue! Papà ti ucciderà! No, ucciderà lui e poi…” Iniziò Hugo frettoloso. Ci pensò. “Oh cacchio. Sei stata disonorata.”
A quel punto Lily cominciò a ridere come una matta.
“Hugo, falla finita!” Sbottò, arrossendo. “Sono solo andata con lui al Ballo, non gli ho promesso la mia mano o cose del genere!” Brontolò, mentre Al le versava del caffè, aggiungendo due dita di panna.

Sentì di amarlo con la forza di mille armate.
“Hugo, ballare con qualcuno non significa legarsi a lui per la vita con un incanto fidelio.” Le diede manforte. “Scorpius è, certo, un Malfoy…” Lo precedette, dato che stava formando la parola con le labbra. “… ma penso che sia piuttosto in gamba. Non assomiglia a suo padre.  Noi siamo amici di Malfoy.”
Hugo boccheggiò. Aggrottò le sopracciglia. “Siamo amici di Malfoy?”
“Sì.” Confermò Al. “Proprio così.” 
Hugo sembrò riflettere sull’eventualità. Molto lentamente. Tendenzialmente era un ragazzino semplice, e aveva sempre subito l’influenza di Albus e James, praticamente fratelli maggiori.
Senza contare che era ufficialmente il paggio di Lily.
Emise un lungo sospiro. “Ricevuto. Non dirò un cavolo a papà. Ma se lo scopre succederà un casino.”
Rose non disse nulla, già ampiamente consapevole della situazione. Tutto quel parlare di Scorpius la infastidiva. E poi era altro che voleva sapere.
Dov’è? Dov’è Jamie? Stanno bene?
“Avete visto Jamie stamattina?”  
“Oggi hanno dato giornata libera sia lui che a Malfoy.” Spiegò Lily. “Non sai di ieri sera?”
“Ero con loro, quindi sì. Teddy come sta?” Si informò. Neanche lui era al tavolo degli insegnanti.

“Dovrebbero averlo già dimesso. Aveva solo un’intossicazione da fumo.” Spiegò Al, prendendo un’aria assorta. Nessuno gli chiese di Thomas. Ma ormai era la norma, pensò Rose. Tom non faceva più colazione con loro, o non la faceva direttamente.
Devo dirgli del ragazzo biondo con cui io e Scorpius l’abbiamo visto parlare alla Stamberga…
Inspirò. L’avrebbe fatto, ma non davanti ai loro fratelli.
“Se non altro, la notizia dell’incendio, per quanto sia stata orribile, ha distolto tutta l’attenzione dai fatti della festa.” Osservò Lily con leggerezza. “Perché onestamente, Rosie, sareste stati sulla bocca di tutti. Persino un imbecille avrebbe capito che eri tu dietro la maschera.”
“Infatti la Haggins non mi è mai sembrata particolarmente brillante.” Replicò infastidita. “Non capisco davvero cosa ci sia da stupirsi tanto. Sono una ragazza. Lui è un ragazzo. Sono passati vent’anni dalla guerra e dai reciprochi contrasti familiari.”
Lily la guardò con tragica consapevolezza. “Rosie, non per rovinarti la giornata, ma ti ricordo che nonno Arthur chiama i Malfoy sporchi maghi oscuri. Zio Ron odia il signor Malfoy e…”
“Lils…” La fermò Al, posandole una mano sul braccio. “Lo sa.” Disse soltanto. Fece un cenno verso Rose, che sembrava ad un passo dalle lacrime.

E c’era davvero. La sola idea di dare un dolore al nonno, e di sentire suo padre darle della donna scarlatta l’atterriva.
Lily ne fu turbata. “Scusa Rosie… A me non importa! Non importa neanche a Hughie. Siamo amici di Malfoy.” Concluse, dando di gomito al ragazzino, che annuì, terrorizzato dall’eventualità che la sorella si mettesse a piangere davanti a lui.
“Solidarietà Potter-Weasley sempre!” Assicurò. “Dai sorellina, Malfoy è…” Rifletté disperatamente. “Ehm. Un buon portiere?”
Rose ridacchiò, deglutendo il groppo di lacrime e preoccupazioni. Era facile non pensare ai mille problemi che lei e Scorpius avrebbero affrontato con le rispettive famiglie, quando era con lui. Aveva il potere di far sembrare tutto semplice, come una bella commedia degli equivoci. Ma da sola si rendeva conto di quanto sarebbe stato difficile stare assieme fuori dalle mura protettive di Hogwarts.

Già qui dentro è un bel problema…
Più si affezionava a quel bislacco biondino, più capiva quanto sarebbe stata dura.
Chi dice che le cotte adolescenziali sono libere da problemi dovrà scontare la mia furia.
Lily raccolse le sue cose, mettendole ordinatamente nella sua borsa, che passò con naturalezza ad Hugo, che accettò la routine con una smorfia rassegnata. “Allora suppongo che in quanto amico di famiglia…” Iniziò la ragazzina. “… verrà alla festa di Cedric?”
Rose corrugò le sopracciglia. Certo, la festa dei tre anni del figlio di Neville e Hannah. Sarebbe stata quella domenica. L’aveva dimenticata. Guardò Albus, che fece un mezzo sorriso meditabondo.

“Beh, non dovrebbero esserci i nostri genitori. Sarà una cena tra noi ragazzi, Nev, Hannah e Teddy… Non si dovrebbe correre rischi.”
“E lui è il tuo ragazzo. Sarebbe la prima festa di famiglia a cui lo porteresti.” Incalzò Lily. “Anche se lo presenteremo come amico comune.”
“Non è proprio famiglia.” Corresse Rose, imbarazzata. Ma Neville era il padrino di metà di loro e in ogni caso, poteva essere uno pseudo banco di prova. “… ma glielo chiederò.”

Questa relazione dovrà uscire da Hogwarts, prima o poi. E da qualche parte si dovrà pur iniziare.
 
****
 
Aula di Difesa Contro le Arti Oscure. Pomeriggio.
 
“Molto bene ragazzi. Mi raccomando, ricordatevi i trenta centimetri sulle chimere per venerdì. Buona giornata a tutti.”
Ted Remus Lupin sapeva esattamente come tenere una classe. Se lo disse un po’ compiaciuto, salutando gli studenti che sciamavano ordinati fuori dalla sua classe.

Fare il professore gli usciva naturale. Non si riteneva dotato di particolare carisma, semplicemente, adorava Difesa Contro le Arti Oscure e sapeva come interessare un uditorio di studenti. La materia aiutava. I lunghi pomeriggi passati a far ripassare James, Al e poi Lily, anche.
Riordinò la cattedra, notando con una fitta al cuore come mancassero i libri del padre, pieni delle sue annotazioni.  Fece un lieve sospiro.
“Teddy, allora era vero. Dovresti riposare!” Neville era sulla porta della classe, e lo guardava con un sorriso gentilmente esasperato.
“Nev…” Fece un cenno. “Tra due settimane i ragazzi del Settimo hanno una verifica e non potevo lasciarli in balia di loro stessi.” Sorrise, scrollando le spalle. “Comunque sto bene.”
“Ciò non toglie che ieri sera hai rischiato la vita. Avresti bisogno di riposo.”
“Non avrei molto da leggere.” Si schernì.   
Neville fece un sorriso empatico, posandogli una mano sulla spalla. “Serve una mano a riordinare?”

Teddy esitò. Aveva fatto lui stesso richiesta, la sera prima, ancora in balia dell’adrenalina, di non lasciare che gli elfi pulissero tutto. Una parte del suo cervello non aveva realizzato che probabilmente non c’era nulla che gli elfi avrebbe rischiato di buttare.
Non era ancora riuscito a salire la scala di pietra.
“Non mi dispiacerebbe.” Ammise.  
Quando aprì la porta del proprio ufficio si sentì attorcigliare le viscere.
Non si era salvato niente. La scrivania di mogano era completamente carbonizzata, e così gli scaffali, le scansie. Il tappeto era annerito e zuppo d’acqua e mandava un odore terribile di bruciato e bagnato assieme. Fogli mangiati dal fuoco, pergamene di cui era rimasto solo il rotolo d’osso giacevano sparsi ovunque.
Mi dispiace papà. Mi dispiace.
“Ehi… tutto a posto?” Sussurrò Neville, sempre tenendogli una mano sulla spalla.
Ted vide con la coda dell’occhio i suoi capelli color viola spento. 

“Sì.” Mormorò. “Sì, è tutto a posto.” Si scostò gentilmente, chinandosi a prendere quello che restava di un compendio sulle creature oscure della Scozia.
Basta così. Basta.
Chiuse gli occhi e quando li riaprì i suoi capelli erano di nuovo del colore che dovevano essere, e lui era positivamente infuriato. Il grimorio non era da nessuna parte, sposando la tesi secondo cui il suo aggressore fosse venuto lì per quello.
La pagherai. Chiunque tu sia. La pagherai.
“A quanto pare non mi resta che chiamare gli elfi. Ti va una tazza di the?” Chiese, stupendosi del tono controllato che gli uscì.   
Neville capì, e sorrise. “Certo, volentieri. Ne avevo giusto voglia.”
Salirono negli appartamenti del ragazzo. C’era puzza di fumo, ma il fuoco fortunatamente non si era propagato, limitandosi a lambire la porta di ingresso. Mentre metteva il bollitore sul fuoco, Ted ne approfittò per scrivere un Gufo veloce al padrino, mentre Neville era occupato a vezzeggiare la sua piantina da appartamento.
Harry era tornato da lui, dopo che aveva parlato con Thomas e gli aveva raccomandato di non fare parola a nessuno delle loro supposizioni.
Non avrebbe parlato di quello con Neville. C’erano tanti argomenti tra cui scegliere, dopotutto.
Si sedettero, sorseggiando the bollente.
“Jamie è stato davvero un eroe.” Osservò Neville. “Harry era raggiante.”
“Lo è stato davvero. Sarà un ottimo auror.” Sorrise Ted, dietro la sua tazza. In quel momento le chiacchiere roboanti di James avrebbero aiutato, pensò.  
Ed era sbagliato. Ma dopo aver rischiato la vita, si sentiva un po’ meno pronto a giudicarsi.
“Non lo metto in dubbio!” Rispose l’uomo allegramente. Ignaro. “Se solo non fosse a volte così impulsivo… Ma in questo caso…”
“In questo caso mi ha salvato la vita.” Concluse Ted. Il the era bollente, e lui aveva un disperato bisogno di qualcuno con cui parlare di quello. “Neville… sai, quando ero studente tu eri la mia figura di riferimento.” Esordì, prendendola alla larga.

Il viso tondo dell’uomo si aprì in un sorriso sincero, anche se un po’ confuso dal repentino cambio di argomento. “Davvero? Mi fa piacere sentirlo, Ted.”
“Io… non sono il genere di persona che si fa molti amici.” Continuò. “Non è che mi ritenga un misantropo. È solo che non mi apro molto con le persone. E… penso di essere un po’ noioso per i miei coetanei.”

Neville ridacchiò. “Non sei affatto noioso, Teddy. Sei solo maturo.”
“Appunto.” Quella chiacchierata aveva il tono di una confessione, rifletté Neville, e si aggiustò sulla sedia, attendendo. “Vedi… io… non ho nessuno con cui parlare. Cioè, ho la nonna e zio Harry. Sono persone fantastiche, mi hanno cresciuto… ma non ho qualcuno con cui parlare davvero.”

“Di cose un po’… personali?” Indovinò al volo Neville. Non che fosse difficile. I capelli di Teddy si stavano schiarendo di rosa sulle punte.
Si tratterà di Victoire?
Ted si limitò ad annuire, lasciandogli uno sguardo grato. Non si era sbagliato. Neville forse era l’unico di cui poteva parlare del Problema James.
Senza citare James, ovviamente.
“Sono lusingato che tu abbia chiesto a me.” Esordì l’uomo, dopo un breve silenzio. “Avanti, dimmi tutto.”
“Nev… è che non so come iniziare.” Ammise, sentendosi piuttosto stupido. “Voglio dire… ho un problema. Non grave. Non di salute o… altro. È un problema che riguarda… la mia sfera emotiva.” Si rifugiò dietro il proprio ampio vocabolario, perché davvero, non sapeva dove andare a parare. “Sai… non sono mai stato molto bravo con le ragazze.”
“Siamo in due.” Scherzò Neville. “Ragazze, un mondo alieno. Prima di Hannah credevo non sarei mai riuscito a parlare con una che non fossero Hermione o Ginny.”
“Già… Vedi.” Almeno tu non avevi minorenni che ti molestavano. “Per anni sono stato innamorato di Vic. Poi mi sono messo con Vic. Non ho ricordi di altre ragazze che mi siano piaciute, a parte… Vic.”
Neville lo guardò comprensivo. “Sei ancora innamorato di lei, non è vero?”
A Teddy crollò discretamente il mondo addosso. “No… Nev. Tra me e lei… ehm, è finita. Completamente. Davvero. Le voglio bene, ma… più o meno come ne vorrei ad una sorella.”

Una sorella che non mi parlerà mai più.
“Oh.” Corrugò le sopracciglia. “C’è qualcun’altra allora?”
A Teddy venne voglia di sprofondare il viso tra le mani. Non lo fece, per pura forza di volontà.
È ovvio che non capisca. Non capisci neanche tu!
“Non proprio. Io… mi sono chiesto.” Prese una lunga boccata d’aria. “Sei mai stato attratto da… persone del tuo stesso sesso?” Vedendo l’espressione sbigottita dell’altro si affrettò a spiegare. “In via del tutto ipotetica, considerando che insomma… non ci sono mai state molte donne ad attirare la tua attenzione, non hai mai pensato che magari non fossero le donne. Ad attrarti?” Concluse, sentendosi il fiatone.
“No.”
Stavolta a Teddy venne da piangere.

Neville vedendo l’espressione sinceramente disperata di uno dei suoi studenti migliori, cercò di porre rimedio. “No, però… vedi, alla tua età… credo sia normale, ehm.”
Ci fu un lungo silenzio denso di disagio.
“Ted, sei gay?”
“Oh, Merlino.” Soffocò il ragazzo. “No, io… oh, Dio. No, senti Nev… lascia perdere.” Sussurrò visibilmente nel panico. “Era solo…”
“Teddy!” Lo fermò, prima che per la foga spaccasse la tazza che serrava tra le mani. “Teddy, calmati.” Gli afferrò i polsi, togliendogliela dalle mani, e posandola sul tavolino. “Scusami. Sono stato indelicato. Perdonami, è uno dei difetti più grossi dei Grifondoro non avere molto dialogo tra bocca e cervello…” Gli sorrise.
“Okay…” Sussurrò. “Okay, io…”
“Parliamone con calma.” Gli propose, posandogli una mano sul braccio. “Con calma.” Ripeté lentamente.

Povero ragazzo… Ventiquattro anni e scopre di non avere nessuna certezza.
Se non si ha certezze sul tuo orientamento… Merlino Benedetto. Su cosa diavolo le hai?
Teddy annuì, ispirando. “Mi dispiace, non intendevo… cioè. Non ho idea di cosa pensare. È solo che… sono successe delle cose per cui ho… pensato, che forse…”
“Potresti essere interessato agli uomini?”

Ted esitò, senza confermare né negare. Confermare… non ne era certo. Ma negare…
La sua infanzia era stata piuttosto solitaria. Lui e sua nonna erano vissuti in Cornovaglia, in un grazioso cottage immerso nel nulla. Andromeda ci si era trasferita poco dopo la guerra, con lui neonato.
Non era stata una nonna egoista. Aveva capito da subito il suo bisogno di amichetti e gli aveva fatto frequentare così Villa Conchiglia. Quindi solo Victoire.
James e gli altri bambini erano venuti dopo, e comunque prima di poter essere in qualche modo umanamente interessanti erano dovuti passare anni.
Questo significava che i primi coetanei li aveva conosciuti alla bellezza di undici anni. E si era trovato completamente impreparato.
Tutto il suo sviluppo emotivo era stato così ritardato di parecchi anni. Fino a sedici anni era stato praticamente asessuato, perso tra libri, tazze di the e risultati scolastici.
A diciassette anni aveva realizzato di essere innamorato di Victoire, quando un suo compagno di stanza gli aveva fatto notare che le stava sempre trai piedi. A diciannove aveva preso coraggio e l’aveva baciata. A venti aveva avuto la sua prima volta. A ventiquattro si erano lasciati.
E poi c’era James.
Non poteva negare che il suo corpo avesse reagito più di una volta agli stimoli che il ragazzo gli aveva letteralmente scaricato addosso. Poteva ignorarlo a livello cosciente, ma dentro di sé sapeva.
Era successo dopo il bacio, come un’epifania. Da allora, come Jamie gli era vicino, il suo corpo vibrava come una corda tesa in mezzo ad una raffica di vento.   
Sospirò. “Credo che Vic sia stata l’unica ragazza ad interessarmi. Pensavo che fosse molto romantico. Ma adesso… penso che sia semplicemente perché era l’unica ragazza che conoscevo. Non dico che non l’ho amata. L’ho fatto, ma…”
“Non sei sicuro di amare tutte le donne.” Concluse Neville. Ted fu contento di aver chiesto a lui. Sembrava aver il raro dono di capire al volo cosa intendeva dire. Non era certo che con Harry sarebbe stato così semplice; probabilmente ci sarebbero state lunghe pause imbarazzate e molti ‘ehm’.
“Pensavo che avrei finito per sposarmi con Vic … ma poi mi sono accorto che non provavo più le stesse cose che provavo… all’inizio.”
“Capita in un rapporto, Teddy, ma non per questo si è gay.”
“Lo so.” Borbottò. “Ma adesso Vic non c’è più. Ed io non sento il bisogno di trovarmi un’altra ragazza. Di frequentarla… sposarla, averci una famiglia.”
Neville si sfregò una tempia con le dita, pensieroso. “Devi darti tempo per questo, Teddy. Tu e Victoire siete stati assieme sei anni, e poi, sei ancora giovane.”
“Non è questo.” Replicò Ted, con una smorfia. “A volte, non vedevo Vic, ma vedevo solo quello che lei avrebbe potuto darmi. Una famiglia. Era orribile. Ho dovuto lasciarla… Non era giusto.”

“Teddy…”
“No, lasciami finire…” Inspirò. Ora che aveva cominciato a parlare, non riusciva a smettere. Era come se, ordinando i pensieri, questi fluissero spontaneamente, trovando una loro collocazione.

Adesso capisco perché i babbani spendono tutti quei soldi con gli psicologi.
“Sono arrivato qui e sono successe delle cose per cui tutto quello in cui credevo è stato letteralmente rivoluzionato. Anche prima di arrivare qui, ma… soprattutto venendo qui.” Si passò una mano trai capelli. “E ho cominciato a farmi delle domande. E… sono arrivato a questo punto.”
Neville annuì. “Un punto complicato.” Osservò con un mezzo sorriso.

Ted ridacchiò. “Merlino, sì… E non so proprio come uscirne.”
Non posso sotterrare il problema. Potrei farlo se non ci fosse di mezzo James.

Ma James sarà sempre di mezzo. James è parte della mia vita. A lui devo rendere conto.
E a dirla tutta, devo rendere conto anche a me stesso.
Neville tamburellò le dita sul bordo della tazza. “Non so come aiutarti.” Confessò apertamente. “Davvero Teddy, vorrei, ma credo che qualsiasi cosa ti dica non sarà comunque supportata da nessuna esperienza. Posso dirti ben poco delle donne…” Fece un sorrisetto un po’ impacciato. “Ma sugli uomini? Ancora meno.”
Fantastico…

Neville era stato sincero, e di quello gli era grato. Non avrebbe accettato consigli di circostanza.
Ma non ho comunque concluso niente…
“Va bene Nev, non fa niente. Anche solo parlare con te mi ha fatto stare meglio.” Sorrise appena.
“Però…” Lo interruppe l’uomo. Sembrò incerto se continuare o meno, alla fine però optò per un sì. “Però conosco delle persone.”
“Merlino, Nev, no! Non ho bisogno di gruppi di sostegno! Non sono un alcolista o dipendente da pozioni…”

Neville ridacchiò. “Morgana, Teddy!” Lo prese un po’ in giro, imitando il suo tono indignato. “Ma per chi mi hai preso?” Sembrò davvero divertito dalla cosa. Poi tornò serio. “Uno dei migliori amici di mia moglie è gay. Ernie MacMillan, te ne ho mai parlato?”
“Credo che… giochi a… Quidditch?” Mormorò confuso Teddy. Di Quidditch non ne capiva granché, tralasciando le poche informazioni che James gli aveva pestato nella zucca fin dalla sua infanzia.

Neville annuì. “Esatto. Ora allena i Montrose Magpies. È una brava persona e un tassorosso, come  te.”
“… Stai cercando di organizzarmi un appuntamento?” Sussurrò terrificato.
Neville batté le palpebre. Poi fece una mezza risatina. “No, no… Ernie ha già un compagno. E poi, sinceramente credo sia un po’ troppo vecchio per te.” Sorrise.
La differenza d’età per me non è un problema, pare… - Pensò Teddy sconfortato. “Allora?”
“Allora penso che parlare con lui, potrebbe esserti utile… per fugare i tuoi dubbi, intendo. Che ne pensi?”
Ci rifletté. In ogni caso, non aveva molte possibilità di avere delle risposte, non ad Hogwarts, non in quel periodo, quindi non in tempi brevi. Annuì. “Va bene. Mi… mi farebbe piacere parlargli.”
“Organizzerò la cosa.” Neville gli fece un sorriso incoraggiante. “Coraggio. Tieni duro.”
Teddy evitò di fargli notare che non era questione di vita o di morte, ma solo una risposta sui suoi dubbi sessuali. Era tipico dei grifondoro trasformare tutto in una battaglia epica, contro gli altri o contro sé stessi. Teddy, da bravo tassorosso, sarebbe vissuto anche nell’ignoranza.

Ma c’è di mezzo un certo grifondoro.
Per capire come posso comportarmi con Jamie, devo capire prima di tutto cosa provo io.
 
****
 
Torre Grifondoro, Pomeriggio.
 
“Sai, la vostra Sala Comune è sempre così… caotica.” Stimò Albus guardandosi curiosamente attorno, mentre saltava una pila di cuscini sistemata a terra vicino ad una confezione vuota di piume di zucchero.
“E la vostra invece? Mette i brividi.” Replicò Rose con un sorrisetto, prendendo i cuscini e buttandoli sul divano, in quanto suo dovere di Prefetto.
Al sorrise. “Si tratta di design raffinato… Non mi aspetto che una grifondoro capisca.”
“Intendi i teschi come decorazione?”
Fratello, ricordati che devi morire.¹” Ironizzò Al: a dire il vero da bambino la prima impressione che aveva avuto della sua Sala era stata di orrore. Per poco non si era messo a piangere quando il Prefetto di allora, nientemeno che Montague, li aveva scortati dentro. Tom per evitare uno scoppio di lacrime in diretta l’aveva tranquillizzato dicendogli che i teschi erano lì come protezione dai mostri.

Funziona apotropaica. Solo Tom poteva già sapere una cosa del genere a undici anni…
“Cosa stiamo cercando precisamente?” Interloquì, salendo le scale del dormitorio maschile.
“Scorpius.” Tagliò corto Rose, mordendosi un labbro. “È tutto il giorno che non lo vedo. Non c’era a pranzo.”
“Lui e Jamie saranno andati ad Hogsmeade con il Mantello, c’è da scommetterci.”
“Dubito… credo che Jam aspetterà ancora un po’ prima di introdurlo ai segreti della famiglia Potter.” Sbuffò Rose, con aria divertita. “Però è vero che sono diventati amici.”

“Te l’avevo detto, io, che erano identici. Si sono odiati, e ora si adorano.” Ridacchiò. “Ma James, ora che mi ci fai pensare, a pranzo è venuto. Era con i gemelli e Jordan.”
“Appunto.”

Al seguì Rose lungo le ripide scale a chiocciola della torre. Il paesaggio, da quell’altezza, era stupendo.
Mi sono sempre chiesto come sarebbe stato essere a Grifondoro… Respirare un po’ di aria pura e non odore di cripta, una volta tanto.
Ci riflettè anche quella volta. Sorrise.
No. Il mio cuore è quello di un bieco serpeverde. E poi questo posto sembra una voliera. 
Rose si fermò davanti alla porta dei ragazzi del Sesto. Bussò un paio di volte. Tre. Quattro.
Nessun segno di vita.

“Forse non c’è. Sarà andato a farsi una passeggiata?” Suggerì Albus.
La ragazza scosse la testa: c’era qualcosa che non le tornava. Scorpius non era tipo da scomparire per i fatti suoi, non con una ragazza e con un giorno libero per tormentarla  a disposizione.
Avrebbe dovuto sbucare dai corridoi o dalle armature come un idiota, sostenendo che si annoiava. Lo faceva quando ancora non stavamo assieme. Perché non ora?
“Beh, comunque non vuole aprire. Che facciamo?”
“Ti va una partita a scacchi?” Propose Rose, vinta.

Al sorrise. “Volentieri! Ma ti ricordo che sono secondo a Thomas, nel torneo familiare. Tu, terza.”
“Oh, smettila con questa rivalità, serpe!” Ridacchiò. Poi esitò. “Senti…a proposito di Tom…”
Al inarcò le sopracciglia. Ma lo sguardo si era fatto un po’ troppo attento per essere semplicemente curioso come voleva far credere. “Sì?”
“Io e Scorpius eravamo ad Hogsmeade sabato… e l’abbiamo visto parlare con qualcuno. Alla Stamberga. Con un ragazzo biondo. Litigavano, più che altro.”

“… Sai chi era?” Lo sguardo di Al non era mutato. Ma Rose ebbe comunque l’impressione che avrebbe fatto meglio a stare zitta.
“No, io… non lo so. Sembrava uno studente, ma non l’ho mai visto a scuola. Stavano litigando e poi… Tom se n’è andato, e quel tipo si è smaterializzato.”
Al non disse nulla. Solo, fece una lieve smorfia. “Ho capito. Grazie per l’informazione.”

“Non credo avessero un appuntamento o roba del genere…” Si affrettò ad assicurargli. “Insomma, non sembravano in buoni termini, ecco.”
Al scosse la testa. Fece uno strano sorriso rassegnato. “Lo so che non era un appuntamento, Rosie…”

La ragazza fece per aprire bocca, ma…
“Ehi, che ci fa qui questo stronzo di Serpeverde?” Esclamò una voce alle loro spalle, fin troppo nota ad entrambi.
Al sospirò, voltandosi. “Ciao Jam.” Aveva recuperato subito la sua aria di pacifica esasperazione.
Rose sospirò.
Al sarebbe stato un grifondoro orribile. Sa fingere troppo bene.
“Tradimento!” Sbottò James. “Prefetto Weasley, come hai potuto introdurre il nemico nel nostro Quartier Generale?” Era stato fuori, a giudicare dal giubbotto e la sciarpa rosso oro annodata al collo. Stranamente una delle maniche del giubbotto non era infilata, ma lasciata penzolare sulla spalla.
Al e Rose sapevano bene come niente fosse lasciato al caso con James Sirius Potter.
“Che hai fatto al braccio?” Chiese guardinga la ragazza.
“Mi sono tatuato!” Chiocciò querulo, soddisfattissimo.
Cosa?!
Al tirò un lungo sospiro. “Non ci posso credere. Cioè, sapevo che sei un idiota, ma così idiota da farti inchiostrare permanentemente il braccio…”
“È un memento.” Proferì James indispettito.

Al sentì un malditesta diffonderglisi alla base delle tempie. “Sei un idiota. Mamma ti ucciderà.”
“Mamma non lo saprà prima dell’estate, quando mi metterò in maniche corte.” Ghignò beato. “Sono qui per farlo vedere a Scorpius, comunque, non a voi secchioni.” Batté la porta con sicurezza.

“Guarda che non c’è…” Gli fece notare Al. Davvero, gli stava venendo il malditesta.
È un effetto collaterale alle demenza di mio fratello maggiore, dottore. C’è cura?
James sbuffò. “Sicuro che c’è. Stamattina per Hogsmeade mi ha dato buca. Sarà in camera a poltrire, come il piccolo nobile del cazzo che è. Malfuretto!” Sbottò, tirando un calcio al legno della porta.
“Ti ha dato buca?” Chiese subito Rose, attenta. “E perché?”
“Che ne so? Ha detto che non aveva voglia. Ehi, Rosie. Siamo maschi. Intesi? Non è che ci psicanalizziamo. Ci… diamo una pacca sulla spalla².”

“Non ho mai sentito niente di così cretino.” Sbuffò Rose. “Quando hai sfasciato camera tua non mi pare vi siate presi a pacche sulle spalle.”
James si rabbuiò appena al ricordo della strillettera che ne era ovviamente conseguita. “Prima di tutto, la situazione era diversa. Io ero fuori di testa. Malfoy sta benissimo.” Altro calcio alla porta. “In secondo luogo… siamo ragazzi. Non parliamo dei nostri sentimenti.” Concluse.
Rose guardò verso Al, che sbirciava da una delle feritoie dello stretto corridoio circolare. “È vero?” Le sembrava idiota, ma in effetti l’universo dei maschi era idiota.
“No.” Le assicurò, con un mezzo sorriso. “Ma certo, dipende…”
Per esempio io e Thomas non parliamo. Né dei nostri sentimenti, né del resto.

“Certo che no. Lui e Tommy sono amici del cuore.” Scimmiottò James.
“Va’ all’inferno, Jamie.”   
Finalmente, dopo il quinto calcio, la porta si aprì. Ne emerse uno Scorpius moderatamente arruffato. “Potter, sai che ti amo incondizionatamente…” Esordì, sbadigliando. “Ma se mi prendi a calci la porta ancora una volta potrei ucciderti.”
“Mi sono fatto un tatuaggio!” Latrò il Potter per tutta risposta. Svelò la spalla, che non era bendata, ma arrossata, dove campeggiava un leone in campo rosso e oro, stemma palese dei Grifondoro, con sotto una pergamena. Tutti la lessero, rassegnati.

 
Giuro solennemente di non avere buone intenzioni
 
Al emise una risatina disperata, mentre Rose alzava gli occhi al cielo.
Solo lui si poteva tatuare un motto appartenuto a quattro goliardi dementi.
“Buon Merlino, Potter!” Rise Scorpius, stropicciandosi un occhio. “Cattive intenzioni verso chi?”
James sogghignò. “Oh, è una cosa mia… Non è favoloso?.” Chiese sogghignando. Scorpius fece un sorrisetto. Poi lanciò uno sguardo agli altri due.  

“Buongiorno biscottina… buongiorno mini-Potter.” Recitò. “A cosa devo l’onore di questa visita?”
Al fece spallucce. “Tempo libero. E Rosie voleva sapere se stavi bene.”
“Sto benissimo.” Confermò con un sorriso quieto. “Davvero.”

Ma proprio per niente… – Pensò Rose notando i capelli schiacciati da un lato e l’aria di chi era appena stato tirato giù dal letto.
Ed è pomeriggio…
“Non ti va di uscire a fare quattro passi?” Chiese, spostando quasi James di peso, per potersi mettere davanti alla porta. “Si sta bene fuori. Anche se manca poco al tramonto.”
Il biondo sorrise. Sembrava distratto. “Molto romantico, Rosey-Posey, ma no…”
“Nessun problema.” Confermò con una sicurezza che in realtà non provava, mentre lo spingeva dentro la camera, chiudendo la porta sui due sbalorditi fratelli Potter.

Scorpius inarcò le sopracciglia, una volta soli. “Sei entrata nella camera di un ragazzo. Molto scandaloso…”   
Rose non si fece distrarre dal suo sorriso irriverente. “Stai bene?” Insisté.

“Rosie…” Tentennò. “Non mi va di…”
“Lo so che non ti va. Ma a me non va di darti una pacca sulla spalla.”
“Come scusa?” La guardò confuso.

Rose arrossì, scrollando le spalle. “Niente. Te lo sto chiedendo sul serio. Ieri sera hai domato un incendio, salvando il professor Lupin. Non sono cose che si fanno tutti i giorni…”
“Non ho salvato proprio nessuno.” Ribatté, mentre il sorriso faceva posto ad una smorfia. Si buttò a sedere sul letto, passandosi le dita trai capelli schiacciati. “È stato James. Ha cominciato a premergli le mani sul petto e soffiargli in bocca. Una cosa strana, ma…”
Rose gli si sedette accanto. “Ha usato la BSL? Non credevo se la ricordasse… ce l’hanno insegnata in piscina almeno dieci anni fa.”

“Non so che roba fosse, ma ha funzionato. Lupin ha ripreso a respirare. Sembrava…” Deglutì, fissando un punto impreciso della stanza. “Sembrava morto.”
Rose, dopo una breve esitazione gli prese una mano tra le sue, lisciandogli il palmo, con attenzione. Quando era bambina vedeva sempre sua madre farlo con suo padre. Di solito funzionava.  Scorpius non si ribellò, ma rimase rigido. Aveva le mani fredde. “Me ne stavo lì, a fissarli come un idiota, mentre Potter gli salvava la vita.” Si scollò dal palato. “Non ho fatto niente.”
“Che avresti potuto fare?” Lo guardò sorpresa. “Voglio dire…”
“Potter qualcosa ha fatto.” Sibilò trai denti. “Si è ricordato una cazzo di manovra babbana, ma se ci fossi stato solo io… Lupin sarebbe morto.”  

“Scorpius… Non siamo medimaghi, non siamo auror!” Obbiettò, cercando di suonare ragionevole. “In una situazione di crisi non sappiamo come comportarci, nessuno ce l’ha insegnato.”
“Potter però…”
“Jamie è un cretino i tre quarti del tempo, ma sa mantenere il sangue freddo. Senti…” Gli accarezzò una spalla, contratta. “Quando eravamo piccoli Hugo cadde da un albero e si spaccò letteralmente la testa. Tutti cominciammo a piangere e urlare. James invece cominciò a sbraitare di non toccarlo, ordinò ad Al di fare in modo che nessuno si avvicinasse e corse come un pazzo verso casa.”
“Affascinante…” Scollò dal palato il ragazzo. “Diventerà un ottimo auror.”
“Già, e si beccherà milioni di sanzioni disciplinari. Scorpius… non potevi comportarti altrimenti.”
“Vero.” Il ragazzo la scostò delicatamente. “Io sono il genere di persona che quando qualcuno le sta morendo davanti spera che sia tutto un brutto sogno.”

Rose inspirò.  
Suo nonno… Oh, Merlino. Ha assistito alla morte di suo nonno. E ieri sera Ted…  
Deve essere stato come un flashback orribile.
Scorpius non parlava di ciò che gli faceva paura. Era sempre allegro, spigliato, ma c’era qualcosa, a volte, che gli scorreva sotto pelle, come un’inquietudine sotterranea, e in quel momento era uscita fuori completamente.
Scorpius aveva gli occhi di un bambino spaventato. E Rose si maledì per non essere venuta a cercarlo prima. Perché era il suo ragazzo. Non avrebbe più permesso a nessuno, né licantropi né amici scavezzacollo, di fargli del male.
“Scorpius…” Gli strinse forte la mano. “Eri solo un bambino.”
Scorpius la guardò; per un attimo sembrò indeciso se liberare la mano, Rose la sentì contrarsi tra le sue. Poi decise di fidarsi.
“Avrei potuto gridare.” Sussurrò. “Usare la magia innata e materializzarmi a casa di mio padre e avvertirlo. Cose del genere i bambini le fanno. Invece… invece non feci niente.” Ringhiò, serrando la mano libera sulle lenzuola, fino a farsi sbiancare le nocche. “Rimasi a guardare. Come ieri sera. Grifondoro…” Fece una risata amara. “Sai, credo che qualcuno dovrebbe riorganizzare lo Smist…”
“Non dire stronzate!” Sbottò. Scorpius la guardò, attonito per lo sfogo.

“Sto dicendo stronzate, Weasley?”
“Oh, Merlino. Sì! Tu sei un Grifondoro. Sei coraggioso, sei impulsivo… sei maledettamente stupido.” Gli afferrò l’altra mano, forzandolo a stringere la sua. “Hai seguito Jamie in mezzo ad un incendio. E non hai pensato che potevi rimanere ferito. Semplicemente hai pensato… oh, Merlino! Quell’imbecille si farà ammazzare se qualcuno non gli va dietro. Vero?”
Scorpius sembrava troppo sorpreso per reagire. “Beh. Sì?”

“Bene. Questo è essere un Grifondoro con un cervello. Ed io sono fiera di te. Si può sempre imparare a salvare la vita a qualcuno. E lo imparerai. Diventerai un essere umano fantastico, Scorpius Malfoy.” Concluse. Si sentiva un po’ sulle spine, perché la stava guardando come se improvvisamente le fossero spuntate due corna da alce.
In effetti, invece di incoraggiarlo l’ho sgridato…
Poi le sorrise. Gli fece quel sorriso assolutamente luminoso e allegro, che probabilmente l’aveva definitivamente fatta innamorare di lui. “Rose Weasley, sei la mia dea.” Decretò.
“Mi accontento di averti fatto tornare il sorriso.” Disse con semplicità. Ed era vero. Scorpius senza il sorriso era…
Oddio, non sto davvero pensando come un giorno senza sole? Che banalità.
Ma quando le prese il viso tra le mani, quelle mani sempre un po’ fredde, ma tanto dolci,  e la baciò, penso che in quel caso quella banalità ci stava tutta.
Improvvisamente si trovò stesa sul letto, mentre i baci moltiplicavano, e sentiva il peso appena accennato del ragazzo sopra di lei.
Ow. Sono sul suo letto. Questo non è…
Le trasmissioni al suo cervello si offuscarono, mentre Scorpius si staccava dalle sue labbra per posargliele sul collo. Un brivido piacevole, come il solletico avrebbe detto, ma molto meno fastidioso le si diramò lungo tutto il collo.
Scorpius era indubbiamente bravo, in quel genere di cose.
“Scorpius, non è il…”
“Sei tu che ti sei chiusa in camera mia, rosellina.” Sogghignò beato. “Non dirmi che non ti avevo avvertito…”

Rose ci riflettè. “L’hai fatto.” Dovette ammettere.
Scorpius annuì, accarezzandole i fianchi e insinuando le dita sotto il maglioncino. “Credo che la mia relazione con il tuo maglioncino, Rosie, sia destinata a finire. Devo ammettere di aver sviluppato una passione segreta per la tua camicetta.”
Rose represse una risata, tirandogli una botta sul petto. “Che ragazzo crudele.”

“Il maglioncino se ne farà una ragione.” Obbiettò pensieroso. “Ma forse dovrei mandargli dei fiori…”
“Che scemo…” Sbuffò, tirandoselo contro. Si sentiva esplodere dall’imbarazzo, perché le mani di Scorpius ormai le avevano raggiunto i fianchi nudi. Ed era il primo tutto.

Però… il punto è che mi fido di lui. E che lo adoro.
Quindi… sì? No? Almeno qualcosina?
Scorpius le accarezzò i capelli con la punta delle dita. “Rose?” Era raro che la chiamasse per nome. “Rose, mi sa che sono davvero innamorato di te. Ti sta bene?”
Rose sentì l’ansia sgonfiarsi come un palloncino. Quell’ansia stupida che si portava dietro dal loro primo bacio. Bastava così poco?
Oh, sì. Dopotutto ho solo sedici anni… - Pensò confusamente, prima di sporgersi a baciarlo, di sua spontanea volontà, e davvero fuori c’era un tramonto stupendo, e Scorpius era complicato in modo irritante e perfetto e…
 
“Guardate che siamo ancora qua fuori!”
 
Era James.
Si dovettero staccare, l’atmosfera rovinata.
Scorpius per un attimo sembrò avere seriamente l’intenzione di prendere la bacchetta e eliminare il suo primo vero amico. Fece una smorfia, assai Malfoy.
“Giusto per sapere, biscottino, quanti cugini sacrificabili hai?”
Scorpius!

Risero tutti e due, mentre il ragazzo si toglieva da lei. “Potter! La sto onorando!” Assicurò.
“Non ci credo, bastardo di un Malfoy! Falla uscire!” Fu la risposta. Rose fu quasi certa di sentire la risata di Al. “Adesso.”
Scorpius sbuffò. “Miss… È richiesta da cugini possessivi, pare.”
“Aspetta, una cosa.” Lo fermò, mentre si aggiustava la gonna con un movimento imbarazzato. Si assicurò di essere in ordine per evitare battutacce da caserma del cugino. “Questa domenica c’è il compleanno del figlio di Neville…”
“Del professor Paciock? Affascinante.” Celiò, guardandola perplesso. “Quindi?”
“Quindi sono invitata per una cena a casa sua. Mi… farebbe… piacere… se…” Staccò lentamente, spiando ogni singola reazione del volto del proprio ragazzo. Era portare la loro relazione fuori da Hogwarts, anche sotto mentite spoglie. Era fare una cosa da coppia, come andare ad Hogsmeade o al Ballo.

Solo che stavolta non possiamo imboscarci dietro nessun cespuglio…
Scorpius finse di pensarci. Lo vide chiaramente che la risposta era già pronta. “Sì.” Rispose dopo un’attesa inesistente. “Verrò molto volentieri.”
“Penso che ti pentirai di quanto appena detto.” Lo stuzzicò.
Scorpius fece uno dei suoi sorrisi migliori. “Oh, bambina. La mia vita è tutto un rimpianto dopo aver agito. Sono un Grifondoro.”
Rose pensò che dopotutto, era meraviglioso avere sedici anni.
 
****
 
Note:
Continuiamo con i capitoli high-school. Siamo in attesa del botto finale, sì.   
1-Motto dei frati trappisti. Piuttosto deprimente, sì. Però fanno un ottima birra. :D
2-Dall’Era Glaciale 3.

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Capitolo 38
*** Capitolo XXXIII ***


A questo giro non ho avuto tempo per le recensioni. Siete tutti fantastici, e vi adoro, davvero, rendete più piacevoli le giornate farcite di studio. T_T Perdonare, please, sono accollata di esami, e me ne mancano pochi alla laurea. Grazie.
 
****
 
 
Capitolo XXXIII
 


 




L’eroe vero è sempre un eroe per sbaglio.

Il suo sogno sarebbe di essere un onesto vigliacco come tutti.
(Umberto Eco)
 
4 Novembre 2022
Dormitorio Serpeverde, Mattina.
 
Tom si svegliò in un bagno di sudore, inghiottendo ampie boccate d’aria.
Di nuovo.
Emise un ringhio frustrato, senza preoccuparsi di chi avrebbe potuto sentirlo.
Era così da quattro giorni. Da quattro lunghi giorni il suo sonno era orribile, frastagliato da incubi spaventosi, da morti improvvise e da sangue. Mentre prima riusciva, comunque a stancarsi sufficientemente con lo studio per dormire un sonno piatto, adesso gli incubi si arrampicavano oltre la sua stanchezza mentale e si palesavano. Sempre.
Si passò una mano sul viso, mentre il medaglione sul petto gli dava un insolito senso di pesantezza.
Poteva toglierlo. Ma come sempre, decise di non farlo. Doe poteva contattarlo.
John Doe… la mia miniera di indizi.

Homunculus. Sono esistiti esseri umani artificiali, creati con la magia. Magia oscura.
Io c’entro qualcosa con loro?
Una parte di sé si rifiutava di continuare quel ragionamento. Una parte di sé sperava che ci fosse una spiegazione migliore di quella. Una parte di sé non voleva saperla.
E intanto attendeva. Logorandosi.
I rimasugli del sonno erano ancora impigliati agli angoli della sua mente, quando si alzò per dirigersi in bagno. Sapeva che era un giorno di scuola e che era ancora presto. Sentiva il ritmo regolare di almeno due respiri.
Doveva gettarsi acqua fresca sul viso, riprendere il controllo e ricominciare un’altra giornata.
Poteva farcela. Doveva farcela.
Il medaglione continuava a rimanere freddo. Doe stava organizzando qualcosa, ne era certo.
Come era certo che fosse stato lui ad aggredire Ted. Era una certezza sottile, strisciante.
John Doe aveva aggredito Lupin, lo sapeva. E non poteva dirlo.
Dirlo significa che io ero a conoscenza della sua identità, che sapevo tutto e fin’ora ho mentito.
Dirlo mi trascinerà davanti al Wizengamot. Ed Harry…
Sentì la bocca storcersi in un sorriso che gli fece male.
Harry già sospetta di me. È un auror. Un auror che ha ucciso per la prima volta a diciassette anni per salvare il Mondo Magico.
Gli eroi non perdonano.
Aprì la porta del bagno di scatto. Acqua fredda, una doccia magari. Era quello che ci voleva.
Quello che non si aspettava quel giorno è che fossero presenti tutti gli inquilini della loro stanza.
Perché Michel e Loki dormivano nei loro letti, ma Albus si stava facendo la doccia.
Istintivamente, sentendosi ridicolo e a disagio, distolse lo sguardo dal corpo nudo del suo ragazzo.

Perché era il suo ragazzo. Era suo.
Scosse la testa, passandosi una mano sul viso per cancellare quei rimasugli di sonno che gli ottundevano le capacità di ragionamento.
Saltargli addosso e schiacciarlo contro il muro, con l’acqua tiepida che scorreva trai loro corpi non era una buona idea.
Maledizione. 
“Oh, Tom!” Esclamò Al, colto di sorpresa. “Mi sono avvantaggiato sulla doccia, visto che per una volta dormivi anche tu…” Gli fece un sorriso, uscendo dal vano e infilandosi l’accappatoio.
“Sì, hai fatto bene.”

Al gli lanciò un’occhiata. Se aveva dormito di più, quella mattina, sul suo viso non ce n’era traccia.
Era fradicio di sudore.
Si morse un labbro per impedirsi di farglielo notare. Per impedirsi di preoccuparsi, intimargli di mandare un gufo al padre o farsi visitare.
Dopo la festa gliel’aveva fatto notare più volte, ma l’unica cosa che aveva ottenuto era stata silenzio oppure scatti di irritazione.
Non sembra più lui…
Era la verità. Thomas era sempre stato chiuso e incline al malumore, ma adesso era…
Gli sta cambiando il carattere. È nervoso, irascibile. Risponde male, e senza motivo, se risponde.
Aveva cercato di ignorare gli sguardi preoccupati di Loki. Aveva cercato di evitare un confronto con Mike, che sembrava sempre più convinto che Tom fosse pericoloso.
Tom non è pericoloso, non farebbe male a nessuno.
Anche se con Montague si era rischiato lo scontro.
Persino Rose l’aveva avvicinato per parlargli di quel ragazzo biondo. Non c’era nessun ragazzo biondo, del loro anno o che Tom conoscesse, che avrebbe potuto parlare con lui.
Che sta succedendo?
Tom intanto aprì il rubinetto, gettandosi sul viso manciate di acqua fredda, a giudicare dalla smorfia sofferente che fece. Avvicinandosi vide che gli tremavano le mani.
Merlino… un altro incubo.

Si sentiva frustrato, impotente. Tom passava molto più tempo con lui che con il resto del genere umano, ma anche quando si baciavano o quando lo lasciava dormire nel suo letto era distante, come su un pianeta diverso.
Di impulso, gli afferrò una mano. Era gelata. Tom si irrigidì, e gli lanciò un’occhiata d’avvertimento.
“Che cos’hai? Stai male?” Lo ignorò, stringendola forte. Tom non lo scacciò, ma non lo neppure guardò in faccia. “Tom.”
“Sto bene. È solo… ho avuto un altro incubo. Ho bisogno di una doccia.” Cercò di svicolare. Normalmente l’avrebbe lasciato fare. Ma vederlo in quello stato, sempre impercettibilmente peggio ogni giorno, era una tortura. Stavolta non ce la fece.

“No.” Disse, vincendo l’imbarazzo.  
Lo spinse contro il muro, approfittandosi dell’effetto sorpresa. Ce lo spinse e si impossessò della sua bocca. Tom cercò di fare resistenza. Al sentì i suoi muscoli tendersi, in modo repentino, quasi vi scorresse dentro la rabbia. Ma poi, come ogni volta li sentì sciogliersi contro di lui, mentre Tom rispondeva al bacio.
Si staccarono, con il respiro corto. Tom gli stringeva le dita sulla spugna dell’accappatoio, in corrispondenza dei fianchi.
“Meglio?”
“Sì…” Ammise, riuscendo persino a sorridere. “Sì.” Cercò le sue labbra ancora una volta, ma Al lo fermò, tirandosi indietro.

“Senti… ti ho promesso che non ti avrei chiesto niente, ma questo prima che tu cominciassi a stare male sul serio. Perché stai male, Tom.” Scandì lentamente. Gli arpionò le dita sulla maglietta umida di sudore, sentendolo ansimare leggermente al tocco. “Non sono il solo ad essermene accorto. Cosa c’è? Che sta succedendo?”
“Niente.” Tom si ritrasse bruscamente. La linea della mascella era tesa, dura. Il tono esasperato. “Te l’ho detto milioni di volte. Niente.”
“E milioni di volte mi hai mentito!” Sbottò di rimando. Il grido rimbalzò tra le pareti di pietra del bagno creando un’eco spiacevole. “Ti sta succedendo qualcosa. Non sembri più tu!” Inspirò, cercando lo sguardo del ragazzo. Non lo trovò. Thomas guardava oltre di lui, con i pugni serrati. Avrebbe voluto andarsene, si vedeva lontano un miglio, ma gli sbarrava il passo. “Hai incubi, quasi tutte le sere. Te ne stai per conto tuo, rispondi male alle persone, eviti gli amici.”

Non gli parlò del ragazzo biondo. Non era quello che gli interessava, dopotutto. Tom poteva parlare con milioni di ragazzi biondi. L’unica cosa che doveva fare, era parlare anche con lui.
“Non evito te.” Il tono vibrava accusa. Lo sguardo che gli rivolse era quasi tradito. “Non sto evitando te.”
“Pensi che questo basti? Ti stai allontanando da tutti. Mike sembra quasi che non sia mai stato tuo amico, non rivolgi la parola a Loki da quanto? Giorni? Per non parlare della nostra famiglia…”
“Non è la nostra famiglia.” Sibilò. Il tono fu sferzante.

Al si chiese, guardandolo, cosa sapesse da non fargliela più considerare tale.
Perché c’è qualcosa che ha scoperto… sono sicuro che ci sia qualcosa che lo faccia comportare così.
“Tu sei la mia famiglia.” Decretò con sicurezza. Poteva farlo perché lo conosceva. Poteva farlo perché aveva passato anni con Tom, e sapeva che dietro la scontrosità c’era un ragazzo gentile, che lo prendeva per mano di notte perché non avesse paura e smontava i suoi fantasmi con logica inoppugnabile. “Guardami…”
Tom spostò lo sguardo verso di lui. Era indecifrabile. Sentiva che stava respirando sempre più lentamente, come se tentasse di trattenere qualcosa.
“Tom, cosa c’è?” Ripeté lentamente. “Dimmelo. Ti voglio aiutare.”
Per un attimo, solo per un momento, lo sguardo di Tom fu messo a nudo.

Vi lesse una paura infinita.
 
Aiutarlo. Poteva. Al? Poteva?
Sentiva il sangue rombargli nelle orecchie e gli veniva da vomitare.

Certo, poteva dire tutto.
Confessare del Naga, del medaglione, di John Doe e del patto. Del libro, degli homunculus, dei suoi sospetti.
Albus era il suo migliore amico. Al era il suo ragazzo. Al era il suo.
Chi meglio di lui?
Per un attimo si cullò nell’idea di liberarsi di quel peso. Del peso della morte di Duil, dei segreti che doveva sopportare da Settembre, del peso di sapere di stare aiutando un uomo che voleva nuocere ad Hogwarts.
Sempre che accetti quello che gli stai dicendo… che hai mentito, che hai aiutato un assassino…
Che forse non sei… umano?
Guardò gli occhi limpidi di Al. Si diceva che fossero gli occhi di una donna morta per amore. Non che a lui importasse.
Lui amava gli occhi di Al. Amava Al.
Era una certezza che si portava dietro quietamente, da anni, che scorreva come un fiume sotterraneo, costante e immutabile.
Non avrebbe permesso che lo odiasse, che lo giudicasse. Mentire, era di gran lunga migliore di dire la verità.
“Niente. Non ho niente.” Recitò.
Sentì la presa delle sue dita calde allentarsi. Vide la delusione sul suo viso. Non era davvero capace di fingere un’emozione, o nasconderla.
“Bene. Come ti pare.” Sussurrò Albus, prima di aprire la porta e sbattersela dietro.

Tom fissò la porta chiusa.
Gli eroi non perdonano. Mai.
Si sedette sul bordo della vasca e si prese il viso tra le mani. E pianse.
 
****
 
Devon, vicino a Ottery St. Catchpole.
Casa Scamandro.
 
Casa Scamandro si ergeva su una collina, declinante come il ventre materno.
Era un cottage bianco, con il tetto nero di ardesia, e dai davanzali coperti di fiori. In un certo senso un’abitazione piuttosto classica, se si ignoravano le centinaia di specchietti che erano appesi ovunque, sul rododendro a pochi metri dall’ingresso o alle finestre dipinte di rosso.

“Se non ci stai attento, in una giornata di sole rischi di accecarti…” Bofonchiò Ron dopo un atterraggio da passaporta che gli aveva striato il mantello di fango.
Harry fece un sorriso. “Lo so. Direi che le si addice perfettamente, no?”
Avevano penato un paio di giorni, prima di riuscire a trovare Rolf Scamandro in casa: un naturalista della sua fama era difficilmente reperibile. Luna li aveva informati la sera prima che il suo Rolf aveva giusto un paio d’ore da dedicare loro quel giorno, prima di partire alla volta della Foresta Amazzonica.
Salirono il viottolo acciottolato, finendo per picchiare sul battente di Casa Scamandro. Aprì loro Luna. In quegli anni, aveva mantenuto sempre gli stessi capelli impalpabili color del lino, gli occhi grandi e azzurri spalancati su una visione del mondo un tantino particolare e la corporatura esile, da fata.
Luna non sarebbe mai cambiata, stimò Harry con un sorriso affettuoso.
“Oh, Harry, Ronald. Harry, hai i capelli pieni di nargilli, come al solito…” Sospirò con un sorriso, alzandosi sulla punta dei piedi per spazzolargli via le creaturine invisibili.

L’uomo si chinò di buon grado, lasciandola fare. “Ciao Luna. Rolf è in casa?”
“Naturalmente…” Fece un sorriso vago a Ron che si controllò con una manata i capelli, sorridendole incerto. “È nel suo studio. Vi posso offrire qualcosa? Ho appena messo in forno degli zuccotti.”
“Oh, volentie…” Ad un’occhiata di Harry, Ron sospirò. “No, grazie Luna. Siamo in servizio.”

“Come volete… Prego.” Fece un gesto vago, che poteva indicare il soffitto o la cantina. Li condusse attraverso due rampe di scale prima che, in un solaio arioso, venisse loro aperta la porta.
Rolf Scamandro era un uomo magro, quasi segaligno, con le rughe scavate dal sole e brillanti occhi neri. Vantava origini italiane e una predisposizione ad essere un tipo concreto, a differenza della moglie.

Però, come Luna, aveva la tendenza a non tener troppo conto del potere costituito. Se volevano farsi dare una mano, non doveva esibire il distintivo.
“Vai pure tesoro, dobbiamo parlare.” Disse spiccio. Luna gli fece un sorriso leggero, congedandosi in odore di zuccotti flagranti.
Si sedettero su soffici poltrone di pelle, mentre l’uomo si apprestava a caricare la pipa.
“Luna mi ha accennato che avevate bisogno del mio aiuto per un caso.” Lanciò loro un’occhiata. “Delle creature magiche non si occupa la Divisione Bestie?”
Ron si mosse a disagio sulla sedia, lanciando un’occhiata ad Harry, che sorrise.
“Solitamente, Rolf. Ma si tratta dei Naga che sono stati catturati ad Hogwarts. Saprai della vicenda.”
“Sì, naturalmente. I ragazzi mi hanno tenuto informato, anche se un mese fa mi trovavo in Nepal.” Pulì la pipa con un gesto allenato. “Grandi guerrieri, i Naga. Creature permalose, con un senso dell’onore facilmente suscettibile. Trovo piuttosto strano che si siano fatti manovrare da un mago.”
“Anche noi.” Convenne Harry. “Per questo siamo qui.”
“Bene. Dite pure.”

Harry distese un sorriso. Cominciava lo show.


“Pensi che riuscirà a contattare quella tribù?”
Ron si spazzolò via le briciole di zuccotto dal mantello, guardandosi ad uno degli specchietti affissi alla porta di casa Scamandro.

Harry sospirò, guardando il cielo plumbeo, gravido di pioggia. “Ci ha dato la sua parola che farà tutto il possibile per rintracciare i Naga che sono stati rimpatriati… ma non sarà facile poterli contattare, specie alla luce di quello che è accaduto.”
“Un bel disastro diplomatico.” Convenne Ron. “Seriamente però Harry… anche se riuscisse a trovarli e riuscisse a farci parlare con loro… Cosa credi che otterresti? Voglio dire, sono grossi serpenti. Non puoi prenderci il the o cose simili.”
“Umanoidi, Ron.” Lo corresse, scendendo per il viottolo. Le prime gocce di pioggia fredda lambivano i loro mantelli. “Se sono riusciti a farsi convincere ad attaccare una scuola di giovani maghi, probabilmente sono molto meno primitivi di quanto non si pensi.”
“Pensi il nostro uomo li abbia pagati?”
“Non con la moneta corrente, se è questo che intendi, ma sicuramente ha dato loro un compenso.”

Ron si tirò su il bavero del mantello, infastidito dalla pioggerellina che cominciava a cadere, facendo assumere alla collina un aspetto brumoso. “Beh, allora che si fa?”
“Aspettiamo. Non c’è molto che possiamo fare, al momento. Non con il fiato del Dipartimento sul collo.” Aveva già ricevuto un paio di reclami ufficiosi. Se fossero passati alle vie ufficiali avrebbe dovuto probabilmente lasciar perdere tutto.

“Come stava Teddy? Sei andato a trovarlo ieri, no? Si è ripreso?” Chiese Ron, mentre si dirigevano verso la passaporta che li avrebbe portati al Ministero: era questo il bello di lavorare per un capo che era anche il tuo migliore amico.
Gli orari flessibili non sono un problema…
“Bene, considerando tutto.” Assottigliò gli occhi, cercando tra le zolle erbose lo stivale che aveva lasciato poco prima. “Anche se… lo sai, la sua aggressione era mirata.”
“Il grimorio di Immanuel Ziel, me l’hai detto, sì. Credi che questo possa essere connesso ai Naga?” Ron sembrava sinceramente spazientito quella volta. Sbatté le braccia lungo i fianchi, infatti, in una posa esasperata.“Perché secondo me invece, si è trattato di un furto per motivi pecuniari. Lo sanno tutti, ad Hogwarts, che Ted aveva una piccola fortuna nella sua biblioteca. Non può essere che semplicemente il ladro sia stato sorpreso, abbia preso la prima cosa che ha trovato sottomano e…”
“Ed abbia dato fuoco a quello che stava cercando di rubare per fuggire? Ron, non ha senso.” Trovò finalmente lo stivale, lucido di pioggia. Controllò l’orologio al polso. Ancora dieci minuti. “L’aggressore di Teddy cercava proprio il grimorio. E l’ha trovato.”

“Va bene. Ammettiamo, e dico… ipoteticamente ammettiamo che l’aggressore fosse lì solo per rubare il grimorio, e quando si è visto scoperto ha tentato di mettere a tacere Ted. Come può, questo, essere collegato ai Naga? Amico, a cosa pensi la notte prima di dormire?”
“Ultimamente? A questo caso.” Confessò con assoluta tranquillità. “E c’è un collegamento…” Fece una pausa. Ce n’era uno solo, purtroppo. “Tom.”
“Tom?” Ron batté le palpebre più volte, assicurandosi di aver capito bene. Dalla faccia del compagno capì però di averci sentito benissimo. “Thomas?
“Era presente ad ogni apparizione dei Naga. È stato aggredito due volte da loro. E il suo nome era sul grimorio. Ted l’ha visto.” Non riusciva a togliersi dalla mente la loro breve e penosa conversazione. Gli occhi di Tom, carichi di risentimento e le sue parole dure e sferzanti.

Thomas in quel momento, ne era certo, l’aveva odiato. Aveva riconosciuto nel suo sguardo quello di un adolescente tradito. Lo stesso sguardo che aveva avuto lui per Silente.
Io non sono come Silente. Io voglio bene a Tom, non lo coinvolgerei mai in nessun piano suicida…
Non sto facendo gli sbagli di Silente.
Solo che, mentre lui, da ragazzo, non era mai riuscito a nascondere nulla a Silente, Tom gli stava evidentemente nascondendo qualcosa.
Un coinvolgimento, una scoperta? Un ricatto da parte di qualcuno? Non sapeva dirlo.
Ma l’avrebbe scoperto.  
Ron si morse un labbro, pensieroso. “È una pista poco rilevante…” Rifletté ancora. “Credi che Tom…”
“Sappia di essere coinvolto? No, io non credo.” Mentì.

 
‘Adesso credo di capirmi meglio…’
 
“È un ragazzo strano, sai…” Commentò Ron, dopo un’esitazione. “È sempre stato strano.”
“Non è strano.” Lo precedette Harry, duro. “Ha un passato particolare, ma è cresciuto con i nostri figli, Ron. Fa parte della famiglia.”

L’uomo sbuffò, in imbarazzo. “Sicuro. Sto solo dicendo… che ci sono tante cose nel suo passato che non tornano. L’ombelico, la sua nascita… Coleridge, quello che ha detto prima di morire, te lo ricordi?”
Lui risorgerà.” Sussurrò Harry con una smorfia. “Era pazzo, Ron. Un mitomane. Tom non è certo implicato con Voldemort.”  

Ron scrollò le spalle. “È ovvio. Voldemort era già ossa quando è nato. Ma… sto solo dicendo che se dobbiamo guardare il pelo nell’uovo, Tom ha molti più motivi di un adolescente normale di essere invischiato in qualche storia strana.”
Harry sospirò. “Sì… Vorrei parlargli, ma… non ha risposto al mio Gufo, e due giorni fa non ci siamo lasciati bene. A questo punto, se tentassi di parlargli di nuovo, peggiorerei solo le cose.”
“Uh, amico, lo sai che con gli adolescenti i discorsi seri vanno presi con le pinze. Specie se sono permalosi come lui.” Scherzò.

Harry sorrise, ma non rispose. Aveva una brutta sensazione, e Merlino, avrebbe voluta cancellarla con tutte le sue forze. Ma non poteva. Sospirò, guardando di nuovo l’orologio. Era ora.
“Aggrappati Ron. Si va al lavoro.”
Ron alzò gli occhi al cielo. “Agli ordini, capo.”

 
****
 
 
Hogwarts, pomeriggio.
Nei pressi del Lago Nero.
 
Albus non voleva piangere.
Davvero, la trovata una cosa stupida, considerando che ormai aveva sedici anni ed era un ragazzo.
Non voleva, ma aveva marinato le lezioni della mattina per potersi sedere in riva al lago, ben imbacuccato nel mantello, a gelarsi il sedere. Per restare solo.
E ora gli veniva da piangere.
Non riusciva a sopportare quella situazione. Ci aveva provato, e per due mesi era andato piuttosto bene.
Ma era arrivato al limite.
Così si sforzava di non piangere, quando in realtà voleva solo lasciarsi andare ad un pianto liberatorio e profondamente cretino.
Tom non era cattivo con lui. Tom lo baciava e nonostante tutto cercava di essere gentile.
Era quel nonostante tutto ad avvelenarli, però.
C’era qualcosa che non voleva dirgli, qualcosa che c’entrava con il suo umore bizzarro, o quel biondino, con le sue sparizioni e il deperimento fisico.
Per un paio di giorni aveva addirittura ventilato l’ipotesi di una maledizione, prima di rendersi conto che, se fosse stato così, i professori se ne sarebbero accorti.
Ma nessuno, a parte lui e Rose, sembrava trovare preoccupante il comportamento di Thomas.
Strano sì, ma non preoccupante.
Come se tutti si aspettassero da sempre che un giorno o l’altro avrebbe sbroccato…
Tirò su con il naso, perché spirava un vento gelido e davvero, sciarpa e mantello o meno, faceva dannatamente freddo.
Avrebbe dovuto tornare al castello, mangiare un boccone e poi seguire le lezioni del pomeriggio.
Ma non ne aveva voglia.
Che senso aveva, la sua routine scolastica, se non poteva aiutare Tom?
Gli sembrava di essere incredibilmente stupido, e … inutile.
Forse aveva ragione James. Il gene da eroe passa in linea maschile, in famiglia.
Ed io che pensavo di esserne immune…
Solo che aiutarlo non era come combattere un drago, un troll o sconfiggere un mago oscuro.
Aiutare Tom era dieci volte più difficile. Non era certo una battaglia di cappa e spada.
Specie perché non so contro quale nemico sto combattendo…
Sentì un lieve movimento dietro di sé, come di erba calpestata. Trattenne il respiro, ma poi cercò di non mostrarsi troppo deluso quando Michel gli si sedette accanto.
“Al…” Esordì con un sorriso vago, incrociando le braccia al petto e rabbrividendo infastidito. “Non credi sia una temperatura decisamente poco piacevole per indugiare nei propri pensieri?”
“Ho il mantello.” Fece spallucce: si sentiva a disagio. Tre giorni prima aveva scoperto che lui e James…

Inspirò. Non doveva dare giudizi.
Del resto, proprio io?
“Come mi hai trovato?” Chiese invece.
“Ho notato che non eri a lezione. A dire il vero, l’hanno notato tutti. Ho detto che eri in infermeria per un leggero raffreddore. Domani confermerai il mio alibi, a giudicare dallo stato del tuo naso…” Ironizzò lanciandogli un’occhiata. “E per rispondere alla tua domanda, questo è il tuo posto preferito.”

Al sorrise: nonostante tutto, poteva sempre contare su Zabini. Non era il genere di amico che un grifondoro avrebbe voluto, ma sapeva essere leale.
“Grazie. Sì, sono stato qui un po’ troppo, ma ormai il freddo non lo sento più.”
“Mmmh…” Replicò l’altro. “Tu e Tom avete litigato?”
Possibile che sia chiaro per tutti quando litighiamo?

“… Una specie. Per litigare, si dovrebbe gridare credo. E non l’abbiamo fatto.”
“Non vi vedo ad urlarvi addosso, sinceramente.” Gli sorrise, dandogli una pacca sulla spalla. “Avanti, piccolo Al… sono qui per ascoltarti. Ma sappi che se il mio nobile naso francese verrà raffreddato, mi sarai debitore di molto più che una confidenza.”
Al scosse la testa. “Nulla di grave, Mike. È solo… Tom sta male, ma non vuole confidarsi.”
Michel prese un’aria assorta. “Sì, è chiaro che qualcosa lo tormenta. Non ti ha accennato nulla?”
“No…”
“Senti…” Sembrava incerto. “Siamo amici, non è vero?” Disse lentamente, quasi a provare come suonava la parola.

Al esitò: conosceva abbastanza Michel per sapere che, se era serio, era davvero qualcosa di importante quella che doveva dirgli. Almeno, nelle sue intenzioni.
“Certo che lo siamo!” Confermò, con piglio sicuro. “Mike, tu sei uno dei miei più cari amici!”
Il ragazzo gli concesse un sorriso stiracchiato. “Bene. Quindi, se ti do un parere, un consiglio, tu lo prenderai come quello di un amico, non è vero? Di qualcuno che si preoccupa per te…” Gli appoggiò una mano sul polso. Le mani di Michel erano sempre tiepideQuelle di Tom erano sempre fredde. “Perché io mi preoccupo per te, Al.”
“Lo so… certo. Dimmi.”

“Credo che Dursley sia un buon amico… con tutti i suoi difetti. Ma… non credo che sia giusto per te. Come tuo ragazzo.” Mormorò a bassa voce. “E ti prego… Al, ascoltami.” Lo fermò, vedendo che voleva protestare. “Non te lo sto dicendo perché siamo ai ferri corti. Tom con te non ha litigato, ed effettivamente sei l’unico con cui è gentile. Ma… ti meriti di meglio.”
Al serrò le labbra. Improvvisamente aveva voglia di alzarsi, andarsene. Mandarlo al diavolo.

Sapeva che le intenzioni di Michel erano buone, ma in ogni caso non riusciva a vederle come tali.
“Perché pensi che non sia giusto per me?” Chiese comunque, trattenendo l’irritazione.
“Non è evidente? Guardati, Al. Sei qui, da solo, al freddo, perché avete litigato. Ed hai un’espressione così triste…”
“Triste?” Fece una smorfia. “Io non sono triste.”
“Ma sei preoccupato. Non è così che dovrebbe essere una storia di due ragazzi di sedici anni. Dovrebbe essere divertente, senza impegno, non una specie di… missione.”
“Divertente e senza impegno? Come quella tra te e mio fratello?” Gli uscì di getto, con voluta cattiveria. Vedendo l’espressione sbalordita dell’amico, per un momento si sentì straordinariamente soddisfatto. “So di voi due… vi ho visti ad Halloween.”

“Al, non è come…”
“Non mi interessa, Mike.” Lo precedette. Fece una smorfia. “Certo, ci sono rimasto un po’ male, tu sei il mio migliore amico e lui è mio fratello. Mi sarebbe piaciuto essere a conoscenza del vero orientamento di Jamie, ma scommetto che ti ha obbligato a tenere il segreto, e non ti biasimo per questo.”

“Mi dispiace Al, non intendevo…” Michel per la prima volta in vita sua sembrò assolutamente sincero. Era una strana espressione la sua, quasi ansiosa. “Non è una storia che significa nulla, per nessuno dei due. Ti posso assicurare che non sto ingannando tuo fratello, o altro…”
L’avevo capito, Mike. Non lo chiami neanche per nome. E neanche lui lo fa, scommetto.

“Lo so… ma è questa la storia che dici che dovrei avere?” Fece un mezzo sorriso. “Perché mi sembra tanto squallida.”
Michel questa volta non rispose. Voltò lo sguardo verso la superficie gelida del lago, mordendosi un labbro. “Forse hai ragione…” Ammise. “Ma Al, non sono così. Non giudicarmi solo per quello che io e tuo fratello abbiamo fatto. Mi conosci, posso essere migliore di così.”

Al aggrottò le sopracciglia. “Mi pare ovvio.”
“No, non lo è. Potrei esserlo.” Fece una pausa, voltandosi per guardarlo. “Potrei esserlo per te, se tu volessi.”
Al rimase in silenzio. Era chiaro che fosse stato totalmente preso in contropiede, che non se l’aspettasse.
Arrossì, prevedibilmente, facendoglielo volere ancora di più. Poteva capire perché Dursley fosse così violento nel suo desiderio: Al era intelligente, scaltro, non privo talvolta di una certa malizia, ma era innocente. Essere il primo, per lui, doveva essere una sensazione meravigliosa.
“Mike… io…” Corrugò le sopracciglia, mordendosi un labbro. “Ti voglio bene e sei mio amico, ma…”
“Tom è il ragazzo che vuoi.” Concluse per lui, stendendo le labbra in una smorfia amara. “Non sono uno stupido, Albus. È chiaro a tutti. Tuttavia non lo dico per tirare acqua al mio mulino… Lui ti sta facendo male.”

“E tu mi faresti del bene, invece?” Obbiettò pacatamente, stupendolo. Lì per lì, non fu certo su che risposta dare.
Fece un sorrisetto. “Naturalmente. Io ti tratterei bene.” Decise per la verità, con una pennellata di fascino Zabini.
Fu ricompensato con un sorriso dolce, che gli pesò però come un macigno.
“Ascolta… Conosco Tom da una vita. Fa parte della mia storia. Capisci? Non riesco ad immaginarmi la mia vita senza di lui.” Lo disse con semplicità, perché in fondo era semplice.  “Non posso lasciarlo. È una cosa per me inconcepibile. Se lo facessi…” Scrollò le spalle. “… continuerei a cercare in ogni ragazzo lui. E lui soltanto.”
Michel pensò che non era mai stato rifiutato in modo così gentile e allo stesso tempo umiliante.
“È un no?”
“Penso proprio di sì, Mike.” Esitò. “Mi… dispiace.”
“È okay. Ti offrivo solo una possibilità.” Fece un mezzo sorriso sottile. “A me dispiace per te, mon cheri.”

Al stese le labbra in un sorriso più sicuro. In un certo senso, il rifiuto non avrebbe rovinato la loro amicizia. Pareva incredibile persino a lui, ma avrebbe continuato a voler bene a quel Potter incredibile.
E in ogni caso, era a conoscenza dei suoi sentimenti, se le cose con Dursley fossero andate male.
Rimasero in silenzio a guarda il lago. Michel dopo un po’ si stiracchiò. “Che dici? Rientriamo?”
“Vai tu. Vengo tra poco.” Gli assicurò. “Davvero, vengo. Dammi solo dieci minuti.”


Al quando lo vide andare via si sentì un po’ solo. Non era abituato a stare tanto tempo con i suoi pensieri.
E l’aveva appena rifiutato, a conti fatti.
Si sentiva, a conti fatti, triste – perché aveva mentito, era triste – e piuttosto scombussolato.
Il cielo si era schiarito, dopo la pioggia mattutina. Erano le tre e già il sole cominciava la sua lenta discesa verso l’orizzonte.
Sta arrivando l’inverno…
Considerazioni banali o meno, quello che vide in cielo fu tutt’altro che banale; all’inizio pensò ad un falco. Ne giravano molti attorno al castello, per ovvi motivi. Ma era troppo grosso, dai colori troppo violenti.
Batté le palpebre, cercando di mettere a fuoco. Il piumaggio era rosso e aveva già visto quella coda lunga e affusolata.  
Gli si bloccò il respiro in gola quando si accorse che stava guardando una fenice.
Rarissime, le fenici. L’ultima conosciuta in suolo inglese era stata Fanny,  fida compagna del preside Silente, scomparsa dopo la sua morte.
Si alzò in piedi, seguendo la traiettoria del suo volo. Stava sorvolando il lago, con ampi e lenti giri. Poi mutò assetto e planò dolcemente verso la Foresta Proibita.
Senza rendersene conto, si trovò a correre nella direzione in cui l’aveva vista sparire.

Vedere una fenice dal vivo, e non in figura, era un’occasione più unica che rara. Non era un volatile qualsiasi. Era una creatura leggendaria.
Sorpassò il capanno del guardiacaccia ed entrò nel fitto della boscaglia.
Deluso, si accorse di non vederla da nessuna parte.
Forse non è atterrata…
Sospirò, ficcandosi le mani gelate nelle tasche del mantello, apprestandosene ad andarsene.
Un fischio acuto lo fece però voltare di scatto: la fenice era lì, appollaiata su un tronco caduto.
Non c’era prima!
Incerto su come comportarsi, si limitò ad osservarla da lontano. Era piuttosto giovane, a giudicare dal piumaggio lucido e molto più grande del gufo reale di suo zio Percy.
La fenice emise un nuovo trillo. Aveva una voce melodiosa, assolutamente diversa dai richiami dei normali volatili.
‘Il suo canto infonde coraggio nei buoni e porta terrore nel cuore dei malvagi…’¹
Ricordava bene il passo del libro di Newton Scamandro.
Istintivamente fece un passo in avanti, sperando che non volasse via. Non lo fece, e non diede segni di nervosismo neppure quando le fu praticamente accanto.

Nervosismo? È un uccello millenario, figurati se si fa spaventare da uno come te…
Aveva occhi nerissimi, ma nonostante avesse artigli e becco piuttosto imponenti, aveva un’aria… mite.
Esitò, poi stese la mano. Quando la accarezzò sul dorso, quella fece un nuovo trillo.
“Ciao…” Sussurrò. “Sei Fanny?”
Non era stata più avvistata, dopo la morte di Silente.

‘Dopo la morte del padrone le fenici tornano libere…’
Certo, poteva trattarsi benissimo di un’altra fenice…
… ma viene qui ad Hogwarts e sorvola la sua tomba…
Il piumaggio sotto le sue dita era morbidissimo, come toccare talco. Si trovò a sorridere senza neanche sapere perché.
La fenice restò un altro po’ a bearsi delle sue carezze, prima di spiegare le ali, in un tacito gesto. Al si allontanò di due passi e la vide prendere il volo, maestosamente. La seguì con lo sguardo finché non diventò un puntino oltre il fitto della boscaglia.
Sentiva ancora sulle dita la sensazione tiepida di quelle piume. Si sentiva molto meglio dopo quell’incredibile incontro. Davvero.
Era come se un calore si stesse espandendo dalla mano fino al centro del petto.
Qualsiasi cosa fosse, era sicuro fosse merito di Fanny…  
Scrollò le spalle, incamminandosi verso il castello; non avrebbe detto a nessuno di quell’incontro.
Sentì che era una cosa che apparteneva solo a lui.
 
****
 
Note:
La fenice non è una nota di colore. ;) 
1 – Tratto da “Creature Fantastiche, Come Trovarle” di Newton Scamandro.

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Capitolo 39
*** Capitolo XXXIV ***


Sono riuscita a malapena a finire il capitolo per domenica. Sono mortificata per le recensioni. Vorrei rispondere a ciascuna di voi, e spero davvero che mi perdoniate. Scrivere la tesi assorbe praticamente tutto il mio tempo. Ma questa storia va avanti e vedrà la fine. Presto, a giudicare da come si mettono le cose. ;D Ringrazio chi mi sostiene con le sue recensioni. Siete il motore di questa storia, non dimenticatelo.
Un ringraziamento quindi a  Ron1111, Rorothejoy, MadWorld, Trixina ed Altovoltaggio. T_T
 
****
 
Capitolo XXXIV
 



Un cuore che fa male, è un cuore che funziona.
(Bright Lights, Placebo)
 
4 Novembre 2022
Hogwarts, pomeriggio.
 
Un nugolo di primini sciamava chiassosamente dalla classe del professor Ted Remus Lupin.
E il giovane, attraente, affascinante, autoproclamatosi tale James Sirius Potter attendeva che il branco di pulcini sciamasse per farlo passare. Non si beava troppo delle occhiate di pura adorazione che gli rivolgevano i maschi o le guance rosse delle ragazzine.
Del resto lui era una rockstar lì dentro. C’era abituato. Nel bene o nel male.
Sì, poteva dire definitivamente di essere se stesso. Più o meno. Con le dovute correzioni.
Scivolò dentro con abilità consumata, maniche della camicia arrotolate e umore alle stelle.

Aveva un regalo per Teddy. E faceva tutto parte della strategia.
‘Vai e stendilo, tigre’ era stato il monito di Malfoy. Doveva chiedergli quando aveva avuto l’occasione di guardarsi Spiderman.
Probabilmente è molto più ferrato sui babbani del suoi amabili parenti…
Ted stava ordinando i libri sulla cattedra, non suoi visto che erano i libri di testo della scuola. I capelli blu elettrico come sempre che facevano a pugni con il maglione un po’ infeltrito e i pantaloni a coste di velluto.
Aveva un gusto in fatto di vestiti agghiacciante, ma lui lo amava lo stesso.
“Teddy!” Esordì con un largo sorriso, convinto. Doveva esserlo.
Adesso erano tornati amici.
“Oh, Jamie…” Sorrise, alzando la testa. Aveva un’ombra di barba castana appena accennata, e James sfoderò il suo ghigno migliore per evitare di saltargli addosso.
Il suo problema, l’aveva sempre saputo, era la troppa sicurezza in se stesso. Spesso lo portava ad uno stato di esaltazione dove tutto era permesso.
Compreso baciare Teddy.
“Ciao!” Si avvicinò fino ad essere di fronte alla cattedra. Teneva dietro la schiena il regalo e doveva ricordarsi che c’era un piano.
Troppa confidenza in me stesso. Cattiva confidenza in me stesso.
“Ciao.” Confermò Teddy divertito. “Cosa c’è?”
“Ci vai alla festa di Cedric?”
“Certo. A proposito…” Ebbe una lieve esitazione, poi continuò in tono più sicuro. “Suppongo tu non abbia ancora il regalo…”
“No, in effetti, ma ci pensa Lils. È brava coi marmocchi.” Scrollò le spalle. Ted lo guardava perplesso, con un’ombra di sorriso sulle labbra. Era sempre stato bravo a capire quando aveva combinato qualche marachella, da bambino.

“Che hai fatto, Jamie?” Chiese infatti con un sospiro paziente.
 
Era sicuro che James avesse combinato qualche guaio.
Aveva quello sguardo, quel modo di tendere le labbra in un sorriso da monello. Dai tre ai quasi diciotto anni quel sorriso era rimasto immutato. Lo stesso sorriso che finiva sempre, inevitabilmente, per farlo capitolare.
Certo, a tre anni poteva prenderlo per un orecchio e scrollarlo fino a farlo morire dalle risate, una sorta di punizione blanda per le sue alzate di ingegno.
Ora, trovandoselo davanti praticamente alla stessa altezza e con il maglione dell’uniforme teso su due spalle da atleta…
No, non poteva più scrollarlo.
La sua mente si rifiutò di formulare associazioni di pensiero di qualsivoglia natura.
“In realtà…” Iniziò James inspirando soddisfazione. “Ho preso delle cose per te.”
“… Cose?” Prese il pacco che il ragazzo gli porgeva. Aveva le dimensioni di un quaderno o un blocco per gli appunti babbano. “Cioè?”
“Apri!” Gli intimò gioiosamente e Ted pensò che il sorriso di James fosse davvero… avrebbe detto carino fino ai dodici anni. Ora si accorse di come, anche se manteneva una traccia infantile, fosse attraente.

James in realtà era attraente. E non solo in toni generali, purtroppo.
Oh, Merlino…
Strappò la carta velocemente, ansioso di trovare altri argomenti di cui discutere.
Rimase senza parole.
 
James fece un mezzo sorriso quando vide gli occhi sgranati di Teddy. Ci aveva preso.
Era stata un’idea semplice, eppure solo lui ci aveva pensato.
“Ho pensato… che visto che i libri con le note di tuo padre sono andati persi… Beh, tuo padre ha fatto il professore qui per un anno. Ho mandato un paio di Gufi… e sono riuscito a recuperare tutto il programma, dal Primo al Settimo. Non è stato facilissimo, ma per fortuna zia Hermione conosceva un sacco di ragazzi dell’ES, anche del primo anno, che teneva ancora gli appunti di Remus come reliquie.” Si avvicinò. L’espressione di Ted era di stupore puro. Sfiorava con le dita la copertina del quaderno, piuttosto voluminoso.
“Ci sono tutti, eh. Incantesimo trascribo. Zia Herm ne conosce sempre una più di Salazar…” Lo scrutò. Gi era piaciuto? Non si capiva dall’espressione. “Senti, lo so che non è come riavere i libri di tuo padre, ma se non altro, almeno hai i suoi appunti.”
Ted lo fermò con una mano. “James… Io…” Si bloccò. “Grazie.” Sussurrò. Era evidente che non sapesse che pesci prendere, dal colore dei capelli che era cambiato un paio di volte, prima che li facesse tornare blu.
“Ehi, ci tenevi! Non dirlo neanche.” Disse tranquillo, mentre in realtà voleva solo chiedergli se quello gli poteva valere un bacio.
Ted per un attimo, sembrò quasi spaventato. Sua impressione, probabilmente, perché poi gli sorrise. “Vieni qui…” Era il segnale, quando erano ragazzini, che poteva finalmente stritolarlo in un abbraccio.
E lo fece, ovviamente. Ted profumava di the.
È incredibile, probabilmente se lo rovescia addosso…
Oppure era la sua pelle ad esserne impregnata a forza di berne litri. Era un odore dolcissimo, e serrando la presa e strofinando il naso sulla spalla gli poteva quasi sembrare di esserci riuscito, di averlo finalmente tutto per sé.
Ted ricambiava a malapena l’abbraccio, come sempre. Stavolta però era più rigido del solito.
Curioso…
Lo spiò, senza lasciare la presa. “Ti è piaciuto il regalo, Teddy?” Ebbe cura di sussurrare, con un tono di voce basso. Con le ragazzine di solito funzionava. Zabini gli rideva in faccia.
Ted arrossì. No, non nei capelli. Gli vide arrossire la pelle e capì di aver fatto centro.
Dieci punti e pluffa a Potter!
Ted non era indifferente. La cosa gli diede una potente scossa di autostima, e dovette tacitarla a badilate mentali per non infilargli le mani sotto la cintura.
“Sì, mi è… piaciuto molto.” Si scollò evidentemente dal palato. “Ti ringrazio, davvero.” Si scostò dall’abbraccio, ispirando. Sembrava sulle spine, e forse era quello il momento giusto per…
No. Frena. Non è il momento giusto. Hogwarts. Territorio scolastico.

“Allora vado…” Disse gioviale nonostante qualcosa urlasse dentro di lui di rimanere lì, perché Teddy sarebbe capitolato tra le sue possenti braccia di cercatore.  Gli lanciò un’occhiata, ma confermò solo la sua risoluzione. Ted aveva un’aria scombussolata, ma teneva le braccia incrociate al petto.
Non ci siamo ancora…
“Sì, certo. Ci vediamo domani, per… andare al compleanno.”
“Con gli altri.” Confermò rassicurante, dandogli una pacca sulla spalla. “Buona giornata Teddy.”
“Anche a te…” Sussurrò.

James raccolse la sua  borsa, facendogli un sorriso davvero innocuo, prima di sgattaiolare via, mordendosi un labbro.
‘Fanculo. Lo voglio.
 
Ted inspirò bruscamente, quando sentì la porta dell’aula sbattere.
Quella volta il suo corpo aveva reagito entusiasticamente alla presenza di James, probabilmente anche alla luce delle scoperte emotive di pochi giorni prima.
Si era frenato dal non abbracciarlo di rimando. Certo, era solo un abbraccio.
Ma credo che fossi molto vicino a qualcosa di simile ad un punto di non ritorno…
Era… elettrico. Sentiva come una sorta di energia scorrergli sulla pelle e crepitare.
E non era solo per James.
… Oh, Merlino.
Che giorno è oggi?
Corse dentro il suo ufficio, ora spoglio, ma privo di resti carbonizzati e brutti ricordi. Gli elfi avevano fatto un lavoro impeccabile. Scorse il calendario lunare sopra la sua nuova scrivania.

Si sentì la bocca secca, e gli venne da ridere.
Il giorno dopo sarebbe stato plenilunio.
Niente pelliccia per lui, naturalmente. Il problema era un altro: il suo umore durante quel periodo del mese diventava… instabile.
Finché aveva avuto Vic, il problema non si era posto: Vic adorava il suo umore lunatico perché portava ad una certa intraprendenza sotto le lenzuola. 
Ma adesso era single. Da troppo tempo. E c’era il Problema James. E il giorno dopo sarebbe stato fuori dalle mura protettive del castello.
Durante la Luna Piena.
 
****
 
Nei pressi della Foresta Proibita. Pomeriggio inoltrato
 
Tom aveva pensato che tornare avrebbe potuto aiutarlo. Tornare dove il Naga l’aveva aggredito. Dove tutto era cominciato.
Sul luogo del… - aveva fatto un sorriso amaro quando ci aveva pensato -… delitto.
Non era certo del perché avesse formulato un’idea del genere, sapeva solo di essersi messo addosso il mantello e di essere uscito, avendo cura di non essere notato.
Era sabato e non aveva dovuto confondersi con gli altri studenti per le lezioni giornaliere. Era rimasto, sostanzialmente tutto il giorno chiuso in biblioteca.
Nessuno l’aveva infastidito. Probabilmente per via della sua espressione. Non che gli dispiacesse, beninteso; dopo quella mattina nulla gli era sembrato più dolce che farsi ignorare e concentrarsi unicamente su se stesso.
Aveva deluso Albus. Il senso di bruciante desolazione che lo opprimeva si era allontanato solo quando anche lui l’aveva fatto. Mentre scendeva il crinale su cui si posava il castello si era sentito man mano più leggero.
Piuttosto ironico. Una volta le mura del castello erano il suo rifugio preferito. Adesso lo soffocavano.
Inspirò, varcando la soglia frondosa della Foresta Proibita. Camminò per una decina di minuti, un passo dopo l’altro, calpestando foglie e rami secchi.
Cos’era, lui?
Tutte le sue ricerche portavano lungo una china di orribili conclusioni.

Si sentiva stanco, una sorta di tensione opprimente gli ottundeva le capacità di ragionamento.
La sentiva scorrere sotterranea, come se da un momento all’altro potesse accadere qualcosa.
John Doe stava preparando qualcosa.  E lui non aveva il potere di fermarlo.
Il bosco era avvolto nella penombra cupa di quel pomeriggio senza sole. Ormai l’inverno stava giungendo alle porte e il freddo continentale gli penetrava nelle ossa, anche sotto al mantello invernale.
Pensare ad Albus gli faceva male.
Avrebbe affrontato una tribù di Naga intera in quel momento, piuttosto che dover di nuovo affrontare gli occhi puliti di Al e mentirgli.  
Non trovava via di uscita.
Niente male Tom… piangerti addosso è decisamente da Serpeverde.
Le foglie secche crepitavano sotto i suoi piedi, mentre si dirigeva verso il centro della foresta: una volta avrebbe fatto attenzione ad ogni minimo movimento. La foresta pullulava di creature ben poco amichevoli, persino con i giovani maghi della scuola. Più volte Hagrid e l’attuale guardiacaccia, Tremayne, avevano insistito sulla necessità di non spingersi troppo in là.
Adesso non gli importava. Sentiva che quello che doveva temere non era qualche aracnide gigante o un centauro di pessimo umore.
“Ehi Dursley!”
La voce era sorpresa, forse divertita. Il tono cantilenante lo identificò come Loki.
Stava a pochi passi da lui, con una sacca a tracolla e l’aria perplessa, che forse si rispecchiava nella sua.

Che ci fa qui?
“Ho sentito un rumore di passi, avevo paura fosse Tremayne.” Interloquì con un sogghignetto. “Che ci fai qui? Lo sai che siamo nel territorio dei centauri?”
“No.” Ammise. Lo scrutò. Da come era fornito di sacca e bacchetta spianata, era chiaro ne stesse pensando una delle sue. “Ma potrei farti la stessa domanda.”
Loki sembrò riflettere sull’eventualità di mentirgli o meno. Strano ragazzo, Nott. Era un buon compagno di stanza, discreto e assente. Anche un calcolatore con pochi scrupoli.

Sostanzialmente, gli piaceva.
“Diciamo che sono qui per affari.” Spiegò, scrollando le spalle. “Sto cercando il loro cimitero. Se non fossi certo che sono privi di magia penserei che l’hanno disilluso.”
“Il cimitero dei centauri…” Ripeté lentamente. Gli stava mentendo?
L’ha mandato qui Zabini? Al?
Improbabile, dovette ammettere. Loki non era tipo da favori, e generalmente nelle questioni interpersonali assumeva il ruolo di spettatore.  
“Già. Ci dovrebbero essere un sacco di frecce conficcate a terra. Sono quelle che cerco.” Mimò uno spazio circoscritto con le mani. “Mi dai una mano?” Propose. Prima che potesse aprire bocca gli lanciò la sacca, che fu costretto a prendere al volo per non farsela franare addosso. 
“Ho da fare.” Ribatté infastidito.
“Cosa?”
Non poteva rispondere, ovviamente. E Loki, dal sorrisetto che gli fece, lo sapeva benissimo.

“Avanti.” Schioccò la lingua, come a spronarlo. “Mai stare soli nella foresta. Non ti ricordi le parole del mezzo-gigante?”
Tom per un attimo fu tentato di  intimargli di lasciarlo in pace, e proseguire per la sua strada. Ma c’era sempre l’eventualità che Nott lo seguisse e si facesse domande. No, era troppo rischioso.

Doveva assecondarlo.
“Non c’è nessun’altro con te?” Chiese, raggiungendolo.
“Ovvio che no, mio buon Dursley. Così non devo dividere i guadagni!”
Naturale…
Si affiancarono, cominciando a camminare. La presenza di Loki lo infastidiva, ma molto meno di quanto avrebbe dovuto. In fondo la ricerca del luogo del delito era stata solo una scusa che si era dato per allontanarsi dalla scuola e da Al.
“Perché cerchi il cimitero dei centauri?” Gli chiese infine.  
“Le frecce. Le usano per accompagnare il morto nel loro Oltretomba. Sono cerimoniali, e le punte sono fatte in Pietra Serena. A Notturn Alley la mettono dieci galeoni al grammo.” Spiegò placidamente.
Tom non poté fare a meno di sorridere: solo Nott poteva inventarsi un modo del genere per fare soldi.
“Non hai pensato che potrebbero scoprirti?”
“Improbabile. I loro cimiteri sono lontani dai loro accampamenti. Di solito, qualche miglio. E in questo silenzio il rumore di zoccoli si sente da lontano, non credi?”

“Ti farò sapere quando mi troverò una freccia a pochi millimetri dalla nuca…” Replicò con una smorfia.
Loki rise brevemente. “La tua ironia, Dursley. Non so se sia tipica dei nati-babbani, ma seriamente. È esilarante.”
Tom non rispose, limitandosi a guardarsi intorno. Gli ripassò la sacca e Loki la riprese di buon grado. “Da cosa si riconosce un cimitero di centauri? Solo le frecce?”
“Di solito usano radure naturali.” Fece un cenno vago. “Mi sono documentato, ma sai… Quando due gemelle ti placcano nei bagni sostenendo che devono averti subito… Certi obblighi passano in secondo piano.”
Tom si trovò ad alzare gli occhi al cielo: era singolare, ma in quel momento, solo per quel momento, gli sembrava di essere tornato all’anno prima. Un deja-vu.   

Era una sensazione buona.
Alla fine trovarono la radura.
“Le lanciano tipo pioggia mortale. Mai visto tanto spreco in vita mia.” Sogghignò Loki, aprendo la sacca e cominciando a strapparle dal terreno. “Beninteso, se qualcuno ti fa domande... Acqua in bocca.”
Tom si sedette su un tronco malinconicamente divelto. “Avrei motivo di farlo?”

“Vero. Sei un tipo silenzioso, Dursley.” Ammise con un sorriso storto. “Ultimamente, più del solito. Pessima giornata?” Ci pensò. “Una lunga serie di pessime giornate?”
Tom serrò le labbra. “Cosa ti fa pensare che mi confiderei?”
Con Nott poteva essere onesto. Non doveva salvare nessun rapporto, non temeva di deluderlo o ferirlo. Non avevano abbastanza confidenza per quello. E a Nott, in fondo, non importava veramente.

“Nulla. Solo, se cammini da solo per la foresta, qualche domanda me la faccio…” Controllò la punta di una freccia, sfiorandola con la punta delle dita. “E poi, detto tra noi, camera nostra è diventata un avamposto tra schiere nemiche.”
“… Cosa intendi?”
“Oh, lo sai benissimo. Quando litighi con Michel, quando litighi con il piccolo Potters. Insomma, sei un ragazzo piuttosto problematico.”

Tom non rispose. Sentiva l’emicrania esplodergli tra le sinapsi. “Non sono affari tuoi, Nott…” Replicò.
“Ecco qua. Ti stai piangendo addosso.”
Prego?

Nott non alzò neppure lo sguardo, continuando nella sua opera di raccolta. “Dursley, ti stai piangendo addosso.” Ripeté quieto. “Giri per la scuola con un’aria da patibolo, evitando tutti e finendo per attirare l’attenzione di metà scuola. Capisco litigare con Michel… sa essere piuttosto metifico, a volte. Ma Potters… litigare con Al è come tirare un calcio ad un cagnolino.”
Tom non riuscì a replicare.  
“Non so se te lo ricordi, Dursley, ma apparteniamo alla stessa Casa.” Loki continuava a sorridere, come le statue greche dei documentari babbani, ma era evidente che fosse serio.  
Tom replicò con una smorfia sarcastica. “Stai cercando di dirmi che sei qui per ascoltarmi?”
“No, sono qui per le frecce. Sto cercando di dirti che hai rotto le palle.” Spiegò con franchezza sgomentante. “Tutti abbiamo problemi. Ma nessuno riesce a rovinare l’umore a tutti quelli che gli stanno attorno come ci riesci tu.”
Tom serrò la mascella, frenandosi dall’alzarsi e rispondere. “Non puoi capire.” Si limitò a dire, sentendosi, a dire il vero, piuttosto ridicolo.

Loki gli lanciò una nuova occhiata, chiudendo la sacca. “Non so cosa si prova? Senti. Qualsiasi cosa ti stia succedendo, e davvero, non mi interessa… Hai ucciso qualcuno?”
“… No.”
“Fantastico allora. Perché quello davvero è un problema a cui non c’è soluzione. Perlomeno, così dice il mio vecchio.” Fece spallucce. “Per tutto il resto, c’è sempre modo per tirarsi fuori dai guai.”
Tom non disse nulla. Era… strano.

Si sentiva preso in giro, ed era irritato. Ma non era davvero arrabbiato. Forse perché Loki non lo stava giudicando. E non lo avrebbe mai fatto perché non gli interessava farlo.
E se fosse… Se ci fosse un modo per tirarsi davvero fuori?
Si trovò ad aver voglia di confidarsi.
 “Credo…” Misurò le parole. “Credo di aver fatto delle scelte… sbagliate.” Concluse.   
Loki si mise lo zaino a tracolla. Sembrò riflettere seriamente. “Allora torna indietro.” Disse.
“Non posso.” Sussurrò sentendo l’aria comprimersi nei polmoni.  

“Perché no?”
“Se tornassi indietro dovrei confessare. Confessare delle cose… che potrebbero distruggermi.”
“Insomma, se vai avanti o indietro, rischi comunque qualcosa.”
Tom fece una smorfia. “Un riassunto magistrale.”
Tornare indietro, e rischiare il giudizio di Albus, di Harry e di tutte le persone a cui teneva. La prigione, forse. Tornare indietro e perdere le sue risposte, che agognava da quando aveva capito di essere diverso.

Andare avanti, continuare a mentire e peggiorare la sua soluzione.
In ogni caso, potrei perdere.  
Loki sospirò. “Beh, è un bel problema. Forza, Dursley. Torniamo al castello. Si fa sera e non è sicuro restare qui.”
Tom si alzò, spazzolandosi il mantello. Aveva la testa confusa: fino a quel momento, non aveva veramente considerato la possibilità di tornare indietro. Di confessare tutto.
Ma dirla ad alta voce l’aveva resa reale, concreta, quella possibilità.
Inspirò.
La verità è che aveva paura.
Non era la rabbia che lo atterriva, non era l’orgoglio che l’attanagliava e neppure il bisogno di conoscenza che l’avevano portato fino a quel punto. Quelli erano solo sintomi.
Era la paura, la sua malattia.
Di essere diverso, e non nel modo in cui gli sarebbe piaciuto. Di non meritare, in fondo, che Harry l’avesse salvato da quel pazzo.
Si affiancò al compagno di stanza. “Tu cosa faresti?”
“Io?” Loki parve riflettere brevemente, di nuovo. “Otterrei il massimo del guadagno.”
“Spiega.”
“Se devo prendere una scelta tra due alternative, scelgo quella che sarà migliore per me.” Esplicò in tono pratico. “Il fattore rischio? Quello c’è sempre.”

“Tu quindi torneresti indietro.”
Loki fece spallucce. “Che ne so… Dipende. Non conosco la tua situazione. Devi vedere dove c’è più perdita. Se a confessare tutto, o continuare a fare quello che stai facendo. Dov’è la perdita?”
Tom non rispose.

Dove…
Sì, sapeva dove.
 
 
****
 
Londra, Piccadilly Circus.
Pomeriggio.
 
Ainsel Prynn era sempre stata una donna sicura di sé.
Quando era uscita dall’Accademia di Salem con voti strabilianti era stata immediatamente chiamata dal Ministero della Magia americano. Aveva scalato i dedali della burocrazia senza mai guardarsi indietro.
Per arrivare esattamente dove voleva, ovvio. Cioè al Dipartimento di Polizia Magica di Washington.
Aveva sempre messo l’ambizione prima di tutto, della famiglia, degli amici, dell’amore. E quando, finalmente gli era stata affidata una missione di spionaggio e recupero soggetto…
Aveva fallito.
Il diario era stato trafugato, il ragazzo era in pericolo, e la sua presenza ad Hogwarts a quel punto era superflua.
C’erano cose più grandi di lei in ballo, aveva spiegato il suo capo, intimandole di fare le valige al più presto. La cattura di John Doe era preminente adesso e se lei era stata incapace di fermarlo, si sarebbero usati mezzi diversi.
Tutto sotto il naso degli inglesi…
Era difficile capire le manovre delle alte sfere, rifletté mentre guardava fuori dalla vetrata dello Starbuck’s in cui era entrata. Supponeva che la decisione di non informare il Ministero inglese fosse dovuta alla natura dell’organizzazione che aveva assoldato John Doe. Chi lo aveva assoldato e pagato per tutte quelle piccole scatole cinesi ingegnose, i Naga, l’attacco… aveva in mente un solo obbiettivo ed era stato disposto a pagare profumatamente per raggiungerlo.
E c’erano ormai molto vicini.
L’Organizzazione era un obbiettivo internazionale, ma considerando che il padrino del soggetto era a capo della polizia magica britannica…
Il suo capo aveva definito quella situazione ‘spinosa’. Non aveva avuto tutti i torti.
Nel dossier che le era stato dato prima di partire alla volta della Scozia non c’era molto su questa sull’Organizzazione. Aveva radici ovunque, anche se la sua sede centrale si supponeva fosse a Monaco, in Germania.
Erano stati loro ad uccidere Immanuel Ziel. Era uno dei buoni, Ainsel l’aveva persino conosciuto, che a lungo aveva osservato, sotto copertura, la crescita magica di Thomas Dursley.
Aveva raccolto informazioni per cinque anni, prima che Doe lo uccidesse e cercasse di trafugarne i diari. Non c’era riuscito la prima volta, ma l’aveva fatto la seconda.
L’Organizzazione cercava di riprendersi Thomas. Era a loro che era stato rubato, dopotutto. Ma non era il fine ultimo. Tom era il mezzo con cui avrebbero ottenuto ciò che cercavano.
Thomas Dursley…
Oggettivamente provava pena per quel ragazzo.
Poi si rendeva conto che effettivamente… c’erano cose più grandi di lei.
Ainsel Prynn era sempre stata una donna sicura di sé, e di ciò che voleva. Ma quando aveva ottenuto il posto di agente al Ministero, si era resa conto come in fondo non fosse veramente arrivata da nessuna parte. C’era sempre qualcuno sopra di lei. C’era sempre qualcuno che le dava ordini per cui non le era concesso fare domande.
Solo uno strumento, come il povero Thomas Dursley.
Non era mai stata tipa da piangersi addosso. Così aveva agito.
Non era stato poi molto difficile.
Sentì la sedia spostarsi di fronte a lei.
“Ciao mia bella Ainsel…” Disse l’uomo. “Posso offrirti qualcosa? Questi babbani hanno delle invenzioni meravigliose. Come i frappuccini o i cellulari.”

Ainsel Prynn era una donna sicura di sé e di ciò che voleva. Infatti sorrise.
“Perché no, Doe. Scegli tu per me.”

 
 
****
 
Casa Potter, Devon.
Dopocena.
 
Harry Potter non aveva mai scelto di fare l’eroe. Semplicemente, era capitato.  
E gli eroi dovevano sventare i piani dei cattivi. Lo diceva il ruolo.
Solo, adesso, chi erano i cattivi che avrebbe dovuto combattere?
Seduto sulla poltrona del suo salotto, nella sua casa, a soli dieci minuti dalla Tana, beveva il the serale in compagnia della moglie, che ascoltava pigramente la radio mentre correggeva la bozza di un articolo.
E pensava.
Si soffermò ad osservare le dita sottili e sporche di inchiostro di Ginny danzare sulla pergamena. Le sorrise distratto.
Non aveva mai cercato la fama. Avrebbe preferito di gran lunga essere un campione di Quidditch con i genitori vivi, che un eroe del mondo magico con una schiera di morti alle spalle.
Per questo aveva cresciuto i propri figli con un solo monito: diventare degli esseri umani onesti e gentili. Non degli eroi.
I suoi figli…
Amava James, Albus, Lily… ma anche Teddy. E Tom.
Spesso si era chiesto se avesse fatto bene ad affidarlo ai Dursley. C’erano stati pessimi precedenti, ma Dudley era diverso.  
Almeno ci ha provato.
La verità era che aveva scelto il cugino non per le sue doti paterne, ma per non doversi separare dal bambino. Kingsley aveva avuto ragione, come sempre. In Thomas vedeva se stesso bambino. Per questo non era riuscito ad abbandonarlo al suo destino.
Si ricordava ancora con nitore la sera in cui aveva bussato alla porta di casa Dursley.
 
Dudley aveva aperto con un’espressione confusa sul faccione tondo. Non era sembrato spiaciuto della visita, ma piuttosto sconcertato.  
“Mi dispiace Dudley… Disturbo?”
Harry non aveva ancora trent’anni e non aveva imparato bene a mediare. La sua non era una domanda, era una richiesta. Il cugino sembrava averlo intuito, perché aveva sbuffato.

“Anche se fosse, ormai sei qui. Dai, entra, o ti prenderai un malanno.” Quando si era richiuso la porta alle spalle l’aveva squadrato. “Dio, Harry… ma ti pettini mai i capelli?”
Harry aveva riso. “Ci provo da quando ho sei anni. Mi hai mai visto riuscirci?”
“Pensavo lo facessi apposta…” Confessò con un certo imbarazzo. “Vuoi fermarti a cena? Robin sta mettendo in tavola.”

“No, grazie. Gin mi aspetta… So che non è il momento giusto, ma ultimamente il lavoro mi sta uccidendo e non ho un momento libero.”
“Cosa vuoi Harry?” Aveva chiesto sbrigativo. Doveva ammettere che quel tono spiccio non gli dispiaceva. Avrebbe evitato inutili giri di parole.

“Ho bisogno che tu adotti un bambino.” No, decisamente non era ancora in grado di mediare. E sarebbero passati anni prima che ne fosse stato capace.
“… Cosa?”
“Ieri ne abbiamo salvato uno, durante… un’operazione di … ehm, polizia. Ha bisogno di una famiglia, ma mentre gliene cerchiamo una potrebbero passare anni. E intanto dovrebbe stare in una casa famiglia.”
Dudley l’aveva guardato con l’espressione stolida di un tempo. Doveva ammettere che in quel caso era perfettamente giustificata. “Mi stai chiedendo di adottare uno… uno di voi?”
“Non è detto che lo sia. È ancora troppo piccolo per sapere se sarà un mago.”
O un magonò – Aveva pensato. Ma escludeva quell’ipotesi. Se lo sentiva.
Dudley era diventato rosso tutto ad un tratto, assomigliando davvero al defunto e – non troppo compianto – padre. “Cosa… Sei impazzito? Come puoi venire qui, in casa mia, e chiedermi…”
“Non te lo sto chiedendo a dire il vero.” Replicò. “La tua famiglia è viva grazie a me e all’Ordine della Fenice. Grazie a noi maghi, Dudley. E tu sei vivo grazie a me. Sono qui per riscuotere il mio debito.”
“Tu ne hai uno ben più grande con la mia famiglia!” Sbottò aggressivo. Ma lesse incertezza nei suoi occhi, e decise di caricare la posta.

“Dici? Devo ringraziare i tuoi genitori di avermi fatto sopravvivere? Dudley, non sono qui per lanciare accuse, ma sai bene che i tuoi non mi hanno mai amato. Se sono qui adesso, è perché ti reputo una persona migliore di loro. Ti sto chiedendo aiuto. Quel bambino non ha nessuno al mondo.  Ha bisogno di una casa.”
“E non gliela puoi dare tu?”
“Come pensi che crescerebbe se non fosse un mago, in mezzo a dei maghi?” Ritorse.  

Dudley aveva serrato le labbra pallide in una linea sottile. Era palesemente combattuto. Se intimargli di andarsene, o dargli una possibilità.  
“Dagli una possibilità. Non ti chiedo di darmi una risposta definitiva, ti chiedo di tenerlo in affidamento per un periodo. Finché non gli avrò trovato una famiglia adatta. Ma potrebbe volerci del tempo.”
“Io…”
“Dud, che succede?” Robin era apparsa sulla porta. Harry sapeva come la moglie e il cugino stessero tentando di avere dei figli da mesi. E di come ancora non ci fossero riusciti. Lo sapeva, perché Ginny aveva parlato con lei.

Si sentiva sleale, ma non gli importava.
Il fine, in quel caso, giustificava i mezzi.
Quando aveva messo Tom tra le braccia di Robin, era stata lei a convincere il marito a portarlo a casa, a dar lui un nome e renderlo un Dursley.
 
Le donne… quando sono madri dimostrano una forza incredibile.
Lanciò uno sguardo affettuoso alla moglie, che gli sorrise di rimando.
“Ti vedo pensieroso… Cosa c’è?” Chiese posando la penna.

“Pensavo a Tom. Pensi che abbia fatto bene a farlo crescere trai babbani?” Domandò. Ginny era sempre stata una donna acuta, e incredibilmente sincera. “In fondo sapevamo che sarebbe stato un mago.”
“Beh, non c’era certezza, e comunque sì.” Ci rifletté brevemente. “Hai fatto la scelta giusta. La società magica è molto chiusa. Credo che i ragazzi come Tom abbiano bisogno di staccare ogni tanto. È troppo… ossessionato dalla magia.”
Harry batté le palpebre, perplesso. “In che senso?”
“Vedi…” Ginny esitò, poi posò carta e penna, intrecciando le mani in grembo. “Tom ha vissuto con tuo cugino e la sua famiglia, ma ha sempre avuto chiaro il mondo a cui voleva appartenere.” Fece un mezzo sorriso distratto. “È cresciuto con i babbani, ma ha sempre saputo di essere speciale. Come noi. Come te.”
Harry sospirò. Il fuoco del camino gli scaldava piacevolmente i piedi e davvero, avrebbe voluto non avere tutte quelle preoccupazioni.

“Anche se fosse così Gin, ormai non mi dà più retta.”
“Oh, Harry… l’adolescenza arriva per tutti! Guarda Jamie. Non mi fa dormire, dai pensieri che mi dà…”

“I tipi di pensieri che mi dà Tom sono molto più preoccupanti, credimi.” Confessò scoraggiato.
Aspettare una risposta da Rolf era quanto di peggio ci potesse essere. Era un uomo d’azione. Non era fatto per le lunghe attese.
Ginny gli appoggiò una mano sul braccio, meditabonda. “Cos’ha fatto?”
Harry esitò. Poi non resse più. Non era moralmente corretto, ma del resto quella non era un’indagine di ufficio. Poteva permettersi fughe di informazioni con sua moglie.

Alla fine del suo lungo monologo, Ginny aveva smesso di sorridere e aveva quell’espressione dura che gli aveva visto molte volte. Purtroppo tutte durante la guerra.
Non è un buon segno.
“Tom è finito in qualcosa più grande di lui.” Stimò con tono definitivo. “Mi pare evidente che è tormentato da qualcosa. Forse l’assassino di Duil lo ha contattato. Forse lo sta ricattando.”
“Per ricattarlo dovrebbe essere in qualche modo in contatto con lui. Hogwarts è sicura, Ginny… La gente non può entrare e uscire a suo piacimento.”
“Harry, i tempi di Silente sono finiti.” Replicò quella. “E non era poi troppo sicura neanche allora. Ti ricordo che Sirius riuscì ad entrare. E il falso Malocchio? E Raptor?”

“Quindi pensi che … potrebbe essere dentro Hogwarts?”  
“Questo non lo so. C’è stato qualche ricambio di personale?”
“Sì, la professoressa di Trasfigurazione, una certa Ainsel Prynn. Ma Vitious ha controllato personalmente le sue credenziali. Confermate dal Ministero della Magia americano stesso. Non è lei.”

“Allora può averlo incontrato fuori… Ogni fine del mese c’è l’uscita ad Hogsmeade. Hogwarts non è il luogo protetto che pensi. Non lo è mai stato…” Mormorò guardandosi le mani. Harry gliene prese una tra le sue. Come non ricordare che al suo primo anno era stata quasi uccisa da un diario maledetto, contenente un Riddle sedicenne?
In effetti… Forse ho sempre avuto un’immagine di Hogwarts un po’ falsata.
“Sono solo supposizioni Harry… ma… Non è da escludere la tua ipotesi che tutto questo trambusto serva a coprire qualcosa. Perché non l’introdursi dell’assassino ad Hogwarts? O il furto del diario? C’era il nome di Tom sopra. È chiaro sia implicato.”
“E lo era anche Ziel… Forse è il motivo per cui è morto. Come Duil, giusto? Non può essere solo una coincidenza. La morte di Ziel e quella di Duil potrebbero essere dovute a quel diario.”
“E Tom pensi che lo sappia?”
“Forse. Per questo è stato così ostile con te.” Sospirò all’espressione confusa del marito. “Quando Riddle mi plagiò, ad un certo punto mi resi conto di cosa stavo facendo… ma era troppo tardi. Avevo paura che confessando tutto sarei finita ad Azkaban. Mi credevo colpevole, anche se non lo ero. Se sa qualcosa, se l’assassino l’ha coinvolto, Tom avrà paura di parlare. Sei il suo padrino, ma sei anche un auror. Non può dirlo a te. Capisci cosa intendo?”
“No. Sono il suo padrino, non lo giudicherei come… un sospetto, maledizione!”
“Tu sei un eroe, Harry. Non puoi capire…” Rifletté con un mezzo sorriso ad aleggiarle sulle labbra. “Thomas ha paura di non poter essere perdonato. Una persona è morta, c’è stato un furto e quei Naga hanno terrorizzato gli studenti e i suoi amici per un mese…” 

“Merlino, Ginny! Ha solo sedici anni e… lo conosco, maledizione. Non è un cattivo ragazzo. Se l’hanno coinvolto, l’avranno costretto.”
“Costretto…” Ginny si mordicchiò l’angolo del labbro. “Non credo. È difficile che qualcuno possa costringerlo a fare qualcosa.”
Harry inspirò. Sua moglie non aveva tutti i torti. Tom non si sarebbe mai fatto intimidire da qualche minaccia.

Ma allora…
“Allora cosa può averlo spinto a coprire quella persona?”
“Il bastone e la carota. Se non è il bastone… Forse hanno qualcosa che Tom vuole.”
“… Non capisco.”
“Harry, non ragionare come se Thomas fosse un ragazzo con un passato normale. Non sa da dove viene, chi erano i suoi genitori. Chi è lui. Non È tutta la vita che vuole delle risposte sul suo passato. E se gliele avessero promesse? Se gli avessero detto che sanno qualcosa su di lui. Cosa credi che avrebbe fatto?”

Harry sentì uno spiacevole retrogusto in fondo alla bocca. Come se il the da dolce e zuccherato che era si fosse fatto improvvisamente amaro per le sue papille gustative.
 
 
****
 
 

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Capitolo 40
*** Capitolo XXXV ***


Sono tornata! Non sapete la gioia di poter finalmente rimettere le zampe sul mio pc, che non sia per scrivere qualche riga della Schifosissima Tesi (sì, amo scrivere solo per diletto ahimè).

La buona notizia è che adesso sono libera come l’aria ed ho preparato questo capitolo in tre-quattro giorni.

Ora dovrei essere in grado di rientrare in carreggiata. Yay!

Perdonate i refusi, ed ecco la risposta alle recensioni, dei prodi che hanno continuato a seguirmi. Ah, e grazie per aver apprezzato il Loki-Tommy moment XD Speravo davvero che piacesse. Ho in serbo grandi cose per questi due! *_*

@Altovoltaggio: Ciao! Spero che tu sia ancora su questi canali. Comunque prometto per Rosie e Sy un approfondimento maggiore. Prossimamente. Giuro! :D

@LyhyEllesmere: Ciao! Mi fa piacere che Jamie sia dolce, nonostante il suo terribile muro di autostima! XD Grazie mille!

@Trixina: Sì, dopotutto a me Ginny piace. Certo, il problema maggiore è che Mamma Row l’ha un bel po’ Sueizzata, rendendola odiosa ai molti! XD A me piace l’idea che sia una donna pratica, intelligente e coi piedi per terra. Come siamo poi noi donne! :P Solo perché questa è una storia basilarmente slash, non signfiica che le donne debbano essere messe da parte! Anzi! XD

@Ombra: Ciao! Ebbene sì, Jamie sta un bel po’ crescendo, e spero che il lupacchiotto lo ripaghi! ^^ Loki e Tom… mi piacerebbe che fossero amici in un futuro. Del resto Al rimane pur sempre il suo Amore, e quindi…

@Ron1111: Solo una cosa. Grazie e… dov’è il tuo aggiornamento?! :/  

 

 

 

 

Capitolo XXXV 

 

 

 

 

Come glielo dici, ad un uomo così, che adesso sono io che voglio insegnargli una cosa?

 (Oceano Mare, Baricco)

 

 

 

5 Novembre 2022

Tre Manici di Scopa, pomeriggio.

 

Ted fissò con malcelata insistenza l’ingresso dei Tre Manici di Scopa.
Si sentiva… nervoso.

Se era quello il termine esatto per raffigurare emotivamente un sentimento non meglio definito di aspettativa.

Aveva acconsentito all’idea di Neville di fargli conoscere MacMillan per… disperazione, si poteva definire. Sì.

Si passò una mano trai capelli, aprendo la porta di legno pesante del locale.

Avrebbe preso qualcosa da bere, avrebbe parlato e…

Beh, in fondo erano solo due chiacchiere, no?

Sì, sulla tua sessualità. E non ne hai mai fatte. In vita tua.

Ora che ci pensava, le chiacchiere da ‘uomo’ non avevano fatto parte dei momenti simil-paterni che aveva condiviso con Harry. Sua nonna a dieci anni si era presa la briga di spiegargli i fatti della vita, probabilmente come aveva fatto con sua madre. Tutto lì.

Dopo si era chiesto a lungo se il carattere strambo della sua genitrice poteva risalire a quella chiacchierata, per lui assolutamente traumatica.

Non sapeva cosa aspettarsi da Ernie. Non sapeva neanche che faccia avesse, a dirla tutta.

Di sicuro Jamie lo saprebbe… è un giocatore di Quidditch. Ha una specie di enciclopedia sportiva stampata in testa…

Lo riconobbe subito però, non appena entrato; era seduto ad uno dei tavoli più appartati della sala, di questo gliene fu grato, e stava chiacchierando amichevolmente con Hannah.

Teddy gli fece un sorriso timido, quando fu individuato e salutato.

Cosa diavolo ci faccio qui? – Si chiese, mentre lo raggiungeva e gli stringeva la mano.

Sicuramente dimostrava molti anni in meno di Harry, anche se era suo coetaneo. Aveva un viso morbido, piacevole e capelli ricci color sabbia. Era un bell’uomo.

Oggettivamente.

“Ciao Ted.” Disse diretto, con un sorriso che gli ricordò perché trai dettami Tassorosso c’era la schiettezza. “Prego, siediti!”
Obbedì per poi ordinare meccanicamente una pinta di sidro ad Hannah, che gli lanciò uno sguardo affettuoso.

Sperò che non sapesse.

“Nev mi ha parlato parecchio di te.” Esordì l’uomo scrutandolo. “Sei stato il suo pupillo per sette anni. Si è sempre rammaricato che tu non fossi finito a Grifondoro. Ma ehi… So riconoscere un tassorosso quando ne vedo uno. E a te si legge in faccia.”
Ted si sentì immediatamente un po’ meno teso: era chiaro che l’uomo cercasse di metterlo a suo agio. Ed era una di quelle rare persone capace di riuscirci.

“Me l’hanno sempre detto. Il Cappello non è stato granché indeciso…” Celiò. Non poté fare a meno di osservarlo. Si accorse che aveva un fisico piuttosto simile a quello di James. Spalle larghe, alto e dalle mani forti e callose.

Forse è un cacciatore? Mi sembra di ricordare che ciascun ruolo, a Quidditch, preveda una diversa forma fisica…

E aveva un anello al dito.

Anello al dito? Ma è sposato?

Probabilmente Ernie si accorse del suo sgomento e seguì lo sguardo. “Oh…” Si rimirò la mano, ridendo. “Sì, mi sono sposato l’anno scorso. Gran bella cerimonia. Babbana.”

Non è gay allora? Ma quindi…

“Sua moglie è babbana?” Chiese, cercando di nascondere lo sconcerto. Fu sorpreso quando Ernie si mostrò offeso dalla domanda.
“Beh, in realtà pensavo si sapesse. Mi sono sposato con un uomo. Sono gay.” Lo disse con estrema calma, come se fosse abituato a dover spiegare abitualmente i suoi gusti sessuali, e a non provare imbarazzo per questo.

Aspetta…

L’aveva detto come se si aspettasse che lui non fosse a conoscenza della cosa.

Ma Neville che gli ha detto per farlo venire a parlare con me?

La breve pausa in cui Hannah portò le loro ordinazioni servì a Teddy per farlo riflettere.  

“Mi scusi…” Esordì. “E che non ho mai conosciuto due maghi sposati tra di loro…” Spiegò, in questo sincero.

Ernie si rasserenò immediatamente, facendo un mezzo sorriso. “Scusami tu, sono stato un po' brusco, ma spesso le reazioni di chi non sa del mio orientamento sono seccanti.”

Teddy annuì. Quindi Neville non gli aveva detto il motivo per cui aveva bisogno di parlargli.

Che diavolo si è inventato allora?
Fu Ernie a rispondergli, dopo una bevuta consistente di sidro. “Nev mi ha detto che sei il nuovo direttore di Tassorosso. Una bella responsabilità. Ti servono dei consigli su come disciplinare gli studenti mi ha anche detto. Sono il tipo giusto, ho allenato per anni le riserve dei Magpies.” Lo squadrò, con aria critica. “Beh, non sei granché adulto e questo probabilmente è il problema principale.”

Ted fu indeciso se disperarsi o mettersi a ridere: Neville si era inventato una scusa per farli incontrare e per non metterlo in imbarazzo. Paradossalmente però, l’argomento della scusa era drammaticamente vicino al suo bisogno reale.

Cioè a come domare un adolescente con gli ormoni impazziti. Che fa impazzire anche i miei.

“Probabilmente…” Convenne umile, dando un sorso al suo sidro. “Ho ventiquattro anni.”

“Pochi.” Sbuffò l’uomo. “Si vede che sei un ragazzo intelligente, o non saresti diventato professore ordinario alla tua età. Ma non basta l’intelligenza per domare un branco di ormoni impazziti.”
Parole sante…

Ted si limitò ad un sorriso di urbana empatia.

“Vedi, allenando un branco teste calde… e ti sto parlando sia di maschi che di femmine … mi sono reso conto che quello che ci vuole è… Tu diresti.” Batté un leggero pugno sul tavolo. “Disciplina, giusto?”
“Sì?” Si azzardò.
“Anche. Non solo. Ci vuole fermezza.” Fece un mezzo sorriso che fece pensare a Teddy che avesse proprio una bella mimica facciale.

Mimica facciale? Pensi a lui in questi termini solo perché sai che è gay.

Cercò di non arrossire, ma probabilmente Ernie sapeva ben poco dei metamorfomaghi, perché non lanciò che un’occhiata distratta ai suoi capelli. “Fermezza, proprio così.” Ripetè. “Vedi… è quella l’età in cui cominciano a sviluppare il carattere. La fascia d’età, dico. E devono sfidare l’autorità. Vedere quanto e come possono tirare la corda. È un esercizio sano. Se ci sono ragazzini che non lo fanno, che subiscono tutto passivamente, beh… quelli non verranno su bene. Ci puoi giurare.”

“Forse sono solo disciplinati.” Suggerì poco contento, sentendosi far parte della categoria.

“Ah, ma non ti parlo di rispetto, qui… ti parlo di passività. L’atteggiamento da tenere è di fermezza. Non contraddirsi, mai. Perché a quell’età, se trovano una falla, sei finito. Ti metteranno in ridicolo. Forse non apertamente, ma lo fanno tutti.” Soggiunse. “Si tratta in fondo di far capire loro chi comanda. Ci sono parecchi modi. Naturalmente a Quidditch devi urlare. Fa parte dello sport, credo.”
“E come insegnante?”

Come faccio a tenere James a distanza di sicurezza mentre capisco come comportarmi?

Quella chiacchierata si stava dimostrando molto più utile di un confronto sulla sua sessualità.

E sicuramente meno spiacevole…

Ernie si appoggiò alla sedia, scrollando le spalle. “Ti posso parlare dell’atteggiamento in generale… Non bisogna esitare e non bisogna soprattutto contraddirsi. Qualunque decisione si prenda. Altrimenti, beh… ti possono mangiare vivo.”

Ted fece un lungo sospiro. “Sì, ho avuto quest’esperienza…”
Non con i suoi adorabili studenti. Inspiegabilmente non aveva avuto problemi come educatore, quanto come persona. Con una persona.

“Gli adolescenti non sono facili… Mi sembri un ragazzo tranquillo, di sicuro tu non eri di quelli che davano grane ai professori.” Sogghignò Ernie. “Ma scommetto che ci sono un paio di soggetti che adesso ti danno filo da torcere.”
“Uno in particolare, in realtà…”

“Beh, allora devi fargli capire che sei tu quello che tiene il coltello dalla parte del manico.” Lo scrutò. “Neville è sempre stato il tipo di professore che preferisce mantenere un atteggiamento morbido con i suoi alunni. Lo aiuta l’esperienza, e il fatto che è un eroe di guerra. Diciamo che la sua fama gli ha dato un retroterra non indifferente.”  

“Ha carisma…” Ammise Ted con un sospiro. “Forse è quello che a me manca. Questo… ragazzo… non dico mi dia il tormento, ma non mi dà retta. Minimamente.”
Bevve un altro sorso di sidro, ignorando il pizzicore che gli era salito al naso. Non si sarebbe mai abituato a sorseggiare alcolici con nonchalance.

Oltre a questo, sentiva una continua inquietudine scorrergli sottopelle. Era la luna, lo sapeva.

La luna…

“Dà retta a me. Devi definire i ruoli. Fatto questo, ti darà retta. Puoi giurarci.” Gli assicurò, e davvero, Ted avrebbe voluto crederci.

In ogni caso, su una cosa Ernie aveva ragione: doveva definire i ruoli, o James sarebbe finito per franargli addosso emotivamente, di nuovo. Avrebbe finito per fargli una nuova dichiarazione, o tentare qualcosa che…

Inevitabilmente mi porterà a scappare.

“Grazie Ernie. È stato molto… istruttivo.” Gli sorrise, sinceramente grato. 

Ernie scrollò le spalle. “Figurati. Per così poco… E poi tra tassorosso ci si aiuta. È uno dei dettami della nostra Casa, essere leali l’un l’altro.” Finì la sua pinta di sidro. “Nev è un brav’uomo, ma c’è da dire che i ragazzi sono sempre stati rispettosi con lui. Come hai detto tu, è una questione sia di carisma che di storia.” Rise. “Non può capire…”
“Già…”
Veramente è un’altra cosa che non può capire.

“… Spero che tu non la prenda a male se ti dico una cosa.” Continuò Ernie, riportandolo al discorso. “Sai, sono un tipo fin troppo franco, mi dicono. Ma io dico, ehy, l’onesta paga sempre.” Sorrise Ernie e dal tono allegro che gli uscì, addizionato al fatto che la pinta davanti a sé non sembrava fosse la prima, Ted capì che probabilmente stava per dirgli qualcosa che l’avrebbe imbarazzato a morte.

Sorrise comunque, cortesemente. “Dimmi pure.”
“Justin… Finch-Fletchley, conosci?”
“Certo, è il professore di Aritmazia. Di vista.” Sapeva che amava il Quidditch e leggeva quegli orribili romanzi allegati con Strega Oggi. Era un uomo gentile, però.

“Beh…” La sfumatura del suo sorriso si fece sorniona, inquietandolo. “Mi aveva detto che eri davvero un bel ragazzo. Sinceramente, ricordandomi tuo padre, pensavo che avesse un po’ esagerato, ma… ho dovuto ricredermi oggi, Morgana mi sia testimone.”
Teddy sentì un brivido di puro panico strisciargli lungo la nuca. Era un avance quella?
Ernie, dimostrando una prontezza di spirito piuttosto notevole, scoppiò a ridere. “Merlino, ragazzino! Non ci sto provando con te, non fare quella faccia!”
“No, io…”
Sapeva che sarebbe arrivato un momento di orribile imbarazzo. Lo sapeva.

“Tranquillo, Ted. Sono sposato ed amo il mio compagno.” Lo rassicurò, con un sorriso divertito. “Ciò non toglie, sempre se mi permetti di essere un po’ impiccione, che Justin ti abbia trovato decisamente carino. Sai, è un mio vecchio amico e noi tassorosso tendiamo ad impicciarci delle faccende di cuore dei cari amici.”
“Io… non sono gay.” Pigolò, più per autentico orrore che altro. Quell’uomo poteva essere suo padre!

Patrigno. Ha l’età di Harry, per l’amor di Nimue!

Ernie fece una faccia stupita, che rese ancora più traumatica la frase che ne seguì. “Sul serio? Merlino, che figuraccia. Pensavo proprio che tu lo fossi.”
“E lo pensa anche il professor Finch-Fletchley?” Mormorò sfiancato.

“Beh. Sì.” Fece una smorfia spiaciuta. “Ted, sono mortificato. A volte mi capita di saltare troppo in fretta a delle conclusioni.”
Ted strinse tra le dita il bicchiere, stringendo le labbra. “In realtà… Diciamo… che sono confuso.” Ammise. Ammetterlo di fronte ad un’altra persona per la seconda volta fu meno atroce e più liberatorio della prima. “Al momento.” Concluse.

Ernie annuì, con un sorriso che divenne immediatamente comprensivo. “Capisco.”
“So che è un po’ tardi…”
“Non c’è certo un periodo fisso. Io l’ho scoperto a diciotto anni, prima ho sempre frequentato ragazze. Anche se certo… mancava quel… qualcosa.” Scrollò le spalle, con una serenità che Ted gli invidiò ferocemente. “Intendo dire, ho voluto bene alle mie ragazze. Ma poi ho capito che il mio non essere coinvolto… non derivava dal fatto che fossi distaccato. Non è stato facile.”

“Ma poi l’hai capito.”
“Beh, fare chiarezza dentro di sé significa anche crescere.”
Rimasero in silenzio per un lungo, spiacevole momento. Teddy si sentiva sulle spine, ed avrebbe voluto chiedergli molte cose.

Non riusciva a formulare neppure una domanda però.

“C’è un modo per capirlo?” Chiese infine.
A parte frasi retoriche?

Ernie ci rifletté brevemente. “Io ho baciato il mio migliore amico.”

Ted finse un sorriso di circostanza mentre sentì che decisamente, da lassù, qualcuno ce l’aveva con lui.

 

****

 

 

“Perché sei così nervosa? Non è come se lo presentassi a zio Ron…”

Rose si lisciò l’orlo del cappotto blumarine, nervosamente, guardando l’ingresso del Castello, aspettando che il suo ragazzo e suo cugino spuntassero, per raggiungere il punto di ritrovo in cui Neville li avrebbe prelevati per portarti ad Hogsmeade.

Lanciò un’occhiata a Lily, fasciata in un cappotto verde assolutamente perfetto. Il suo era un po’ liso sui polsini – era il suo preferito – e era quasi certa di stare perdendo un bottone.

“Lo so.” Ribatté secca, mordicchiandosi l’angolo delle labbra. “Ciò non toglie che…”
“Tu stia platealmente esagerando?” Le suggerì. “Malfoy ha ricevuto un’educazione da piccolo Lord. Sarà perfetto e tutti ci innamoreremo perdutamente di lui. Jamie già lo è.” Commentò con  un sorrisetto ascrivibile a quello di un gatto magico di una favola babbana.

Stregatto? Ero quasi certa si chiamasse così…

“Dì la verità. Stai godendo delle mie nevrosi?” Borbottò cupa, squadrandola.
Lily stiracchiò un sorriso, soffiandosi sulle mani per scaldarle dalla tramontava invernale che batteva il cortile. “Certo!”
“Flagello della mia esistenza.”
“Grazie.”

Sentirono dei passi concitati e poi un inciampare soffocato. Si voltarono entrambe con un sorriso di puro e incontrastato affetto. Era arrivato Albus.

Lily inarcò le sopracciglia. “Fratellino. Intravedo qualcosa di … rosa sotto il tuo mantello?”
Al sorrise impacciato, stringendosi le braccia attorno al petto. “È la camicia.”

“Hai una camicia rosa?” Chiese Rose perplessa, mentre Lily reprimeva una risatina.

Al arrossì. “Veramente è glicine. Comunque è una storia lunga. C’entra la nonna.”

“Se hai addosso qualcosa di imbarazzante c’entra sempre la nonna.” Commentò Lily beccandosi un’occhiataccia dal fratello.

“Che c’è? Ha davvero un gusto terribile in fatto di vestiti! Anche mamma non scherza… è un miracolo che io abbia un minimo senso del gusto.” Replicò la ragazzina con sussiego.

“È una bella camicia. Perlomeno, a me piace.” Ribattè Al con tono definitivo.  
Rose gli lanciò un’occhiata. Niente Tom. Né in vista né in arrivo probabilmente.

E dobbiamo tutti far finta di non notarne l’assenza…

Lily parve pensarla allo stesso modo, perché non lamentò la sua assenza a gran voce, come avrebbe fatto fino a qualche mese prima, ma si limitò a controllare il colore della sua cravatta e a lodarlo per essere riuscito a coordinare due capi in una volta sola.

C’era qualcosa di strano e conclamato nell’aria. Come un’atmosfera d’attesa.

Sua madre, quando era piccola, le  aveva raccontato di come Hogwarts a volte riuscisse a sublimare lo stato d’animo dei maghi al suo interno.

C’era quella sensazione nell’aria, ed era certa di non essere l’unica a percepirla.

Ne aveva parlato con Scorpius e anche lui le aveva confermato di provare la stessa sensazione.

Qualcosa di strano sta accadendo… Non è forse il motto della nostra scuola?

Guardando Al che sopportava i vani tentavi della sorella di rendergli i capelli un po’ meno ‘scialbi’ sperò che davvero non c’entrasse Thomas in quella storia.

Fu poi distratta dall’arrivo di Scorpius e James, accoppiati come al solito, impegnati in una discussione che culminò in uno sghignazzo finale.

James squadrò il fratello. “Che ti sei messo addosso? Hai una camicia rosa?”
“È glicine.” Ripetè pazientemente. “È di classe. Perché ce l’avete tutti con la mia camicia?”
“Perché è rosa.” Ripeté James irriverente. Si guardò attorno. “Ehi, non c’è T-…”
Rose lanciò uno sguardo di avvertimento al cugino, che lo ignorò. Per fortuna fu Scorpius ad intercettarlo, e si premurò di interrompere con disinvoltura. “Ted? Il professor Lupin? Secondo me ha un problema cronico nell’essere in orario. Qui come a lezione.”

“Non fa così ritardo!”
“Solo perché tu probabilmente sei mediamente più in ritardo di lui, Poo.”
“T’ho detto di non chiamarmi in quel modo!”
Rose lanciò un’occhiata ad Al, che si era ovviamente rabbuiato.

Ovvio. Basta l’iniziale, specie se il nome è breve come Tom.

“Non gliel’ho neanche ricordato, e lui non me l’ha chiesto.” Disse semplicemente, ricambiando con un sorriso il suo sguardo preoccupato. “Gli sono passato davanti in Sala Comune e stava leggendo. O fingendo, non so.”

“Al…”

“Sto bene.” La prese a braccetto. “Pensi davvero che la mia camicia sia rosa?”

Rose serrò la presa attorno al suo braccio. “No, Al. A me sembra proprio glicine.”

 

****

 

 

Se ne stavano andando. Probabilmente alla cena di compleanno del piccolo Cedric di cui Al gli aveva accennato qualche settimana prima.

Tom li guardò dalle merlature della allontanarsi verso Hogsmeade, capeggiata da Neville.

Era quasi certo che Al si fosse messo quella terribile camicia lillà, dono di Molly.

“Mani appoggiate casualmente sul parapetto, vento che ti soffia trai capelli e cappotto scuro. Dursley, sul serio. Ti metti in posa per fare il bello e dannato?”
Tom serrò appena le labbra.

“Potrei pensare che mi stai pedinando, Nott.”
“Devo deluderti allora.” Il ragazzo, quando si fu voltato, gli mostrò un gufo appollaiato saldamente al suo braccio. “Devo recapitare un pacco ad un cliente. Sai, incidentalmente hai deciso di struggerti in un luogo piuttosto frequentato.”

“Non mi sto struggendo.” Sibilò, irritato. “Stavo solo prendendo una boccata d’aria.”

“Come non darti torto. A volte i sotterranei sanno essere opprimenti.” Sogghignò, assicurando un pacchetto alla zampa destra del volatile.

“Nott, perché i tuoi gufi hanno sempre un’aria atterrita?” Interloquì distratto, guardando la piccola fila compatta scomparire oltre il crinale che costeggiava il campo da Quidditch.

Sapeva di dover essere con loro. Annoiato, sicuramente. Scocciato, perché no?

Ma dovrei essere lì. Non qui.  

La realtà era che, per quanto si sforzasse di dimostrare il contrario, quella era la sua famiglia. E gli mancava, anche solo essere infastidito dalla metà di loro.

“I miei gufi dici? Sarà per la natura volatile delle sostanze che consegno. Vai, bello…” Stese il braccio e il gufo spiccò il volo.  

Tom si voltò di nuovo verso il parapetto. “Riguardo alla nostra chiacchierata di ieri…”
“Hai preso una decisione?”
“… voglio essere sicuro che nessuno ne venga a conoscenza.” Terminò, ignorandolo.
Loki sorrise divertito. “Pensi che sprecherei una confessione simile, il primo momento di debolezza di Thomas Dursley, con il primo venuto? No, la riserverò per occasioni più propizie.”

Tom distese un mezzo sorriso. “Ti ho sempre sottovalutato, Nott.”
“Capita spesso. Di solito, è meglio essere nelle mie grazie quando ciò accade.” Chiosò il ragazzo, accendendosi la pipa, che continuava ad usare da Halloween. Ne tirò un paio di boccate. “Ma tu lo sei, mio buon Dursley. Penso che un giorno troverai il modo per ripagarmi del mio silenzio.”

Tom si staccò dal muro, spolverandosi le maniche del cappotto. “Hai uno strano modo di apprezzare le persone, Nott.”

Loki sorrise. “Anche tu. Allora? Hai preso una decisione?”
Tom guardò in direzione di Hogsmeade. Oltre la foresta, oltre Hogwarts e i suoi problemi.

“Sì.”

 

****

 

Hogsmeade, Tre Manici di Scopa.

Sala privata. Ora di cena.

 

Rose era sinceramente fiera del suo ragazzo. E sinceramente infuriata con lui, di pari misura.

Le contraddizioni dell’adolescenza, avrebbe detto qualcuno.

Fino a qualche ora prima avrebbe giurato che la presenza di Scorpius alla tavola dei Paciock sarebbe stato un fiasco totale. Zio Neville non era tipo da portare rancore trans-generazionale come suo padre, ma comunque un Malfoy restava un Malfoy.

Aveva sinceramente temuto quando Hannah li aveva accolti con un’espressione esterrefatta, facendo scendere un momento di gelo a dir poco imbarazzante.

Poi Scorpius aveva sfoderato uno dei suoi meravigliosi sorrisi da paginone centrale di StregaOggi e aveva porto il regalo al piccolo Cedric, augurandogli buon compleanno.
Il risultato era stato che Cedric l’aveva adorato all’istante e Hannah al momento rideva di una sua battuta. Persino Neville sembrava gradirlo.

Tutti erano innamorati di Scorpius in quella sala. E lei si sentiva decisamente gelosa.

Al le toccò il braccio, con la scusa di passarle la salsa per l’arrosto che galleggiava placido nel suo piatto. “Tutto bene?” Le chiese.

Rose fece una lieve smorfia.

Sì, tutto meravigliosamente se non fosse che sono in preda ad un’acuta quanto ridicola crisi di gelosia perché Scorpius non mi considera da almeno due ore.

“Certo, se non fosse che temo non riuscirò ad uscire da questo vestito, dopo il dolce.”
Al ridacchiò. “Sono felice di essere un ragazzo.”
“Ti odio. Sappilo.”

Al le rispose con una di quelle sue adorabili espressioni di sorpresa. Era certa che sapesse sbattere le ciglia intenzionalmente. “Cosa c’è che non va? Sembri infastidita.”
Rose esitò. Si guardò attorno: si sentiva piuttosto stupida e voleva evitare con tutte le forze di farsi ascoltare dalla Malvagia Lily o da quello stronzetto pettegolo di Jam.

Beh.

A dirla tutta, entrambi erano presi da altro. James parlava allegramente con Teddy, che aveva stranamente i capelli castani – ed era sicura che li tenesse tali volontariamente, dall’espressione concentrata che aveva – e Lily…

… stava parlando fitto fitto con il suo ragazzo.

“Sappi che ucciderò Lily a fine serata.” Sussurrò dando una forchettate feroce all’arrosto.

Al lanciò un’occhiata alla sorella. “Lo sai com’è fatta. Sta giocando.”
“Da chi avrà preso in famiglia…”
“Temo da zio George. O forse da mio nonno. Dicevano che fosse incredibilmente… giocoso.” Assottigliò gli occhi, pesando l’affermazione. “O tendenzialmente un bullo egocentrico.”
“Mai nome fu più azzeccato di James Sirius Potter, allora.” Stimò, facendoli ridacchiare. Esitò, poi dovette dirlo. La sua mancanza si sentiva acutamente, specie perché si rifletteva negli occhi di Al. “Tu e Tom avete litigato?”

Ancora? Tanto per cambiare?

Merlino, quanto vorrei piantargli un paletto di frassino nel cuore.  

Al fece una lieve smorfia. “Non proprio. Ho cercato di tirargli fuori la verità… su cosa abbia, sai. Il risultato è stato che ho capito che non me la dirà mai.”

Rose si mordicchiò l’interno della guancia: era terribile vedere il suo migliore amico, suo cugino, stare male per un idiota che probabilmente era in preda solo della sua personalissima tempesta ormonale.

Forse… è questo il problema. Forse.

“È … frustrante.” Stimò lentamente Al, giocherellando distratto con la forchetta. Teneva bassa la voce, ma a giudicare da come tutti stessero lodando il piccolo Cedric in sella alla sua scopa-giocattolo, nessuno li avrebbe ascoltati. “È frustrante voler bene ad una persona, vederlo stare male e non poter far niente per lui. Perché lui non vuole che tu entri nel problema.”
“Tom è fatto così…”
“Già, ed è fatto da schifo.” Serrò le labbra. “Ho paura per lui, Rosie. Sinceramente, ho paura che si sia cacciato in qualche guaio.”
“Ma non c’è niente che… voglio dire. Adesso è tutto a posto. Non ci sono strani misteri o strane creature in giro per la scuola.”
“Non è quel che c’è, è quello che sta succedendo a Tom. E sinceramente sono stanco di abbracciarlo e dirgli che va tutto bene. Perché non va tutto bene.” Gettò la forchetta al lato del piatto, con un lieve tintinnare.

“Potresti parlarne con zio Harry…” Suggerì.

“Ha litigato anche con lui, da quanto ho capito.”
“Fantastico…” Commentò, con una smorfia. Avrebbe voluto aggiungere altro, cancellare quell’espressione amara dal viso di Al. Ma c’era solo una cosa che poteva dire. “Perché non… prendi le distanze da lui?”
Perché non lo lasci non funzionerebbe altrettanto bene, credo… con il tipo di rapporto che hanno.

Al le lanciò un’occhiata. “Prendere le distanze? Non sei la prima che me lo dice…” Osservò apparentemente distratto.

“Beh, forse perché è quello che dovresti fare.”
“Rosie, mi conosci. Pensi che davvero potrei farlo?” Fece un mezzo sorriso, riuscendo a sembrare divertito. “Io ho deciso di andare a Serpeverde anche per lui. Lo sai.”
“Non dire cavolate. Pensi che una scelta così importante sia stata dettata unicamente da questo?”
Al ci rifletté, lanciando uno sguardo assorto a Cedric che sfrecciava tra i mobili del salotto di casa Paciock con la nuova scopa giocattolo. “No. Non ho detto questo… ma penso che in ogni mia scelta, Tom avrà sempre un posto primario tra gli elementi che me l’hanno fatta prendere. E so che per lui è lo stesso.”

“Al…” Prese coraggio. “Io non penso che sia così.”
“Forse. Ma voglio dargli ancora il beneficio del dubbio.” Sussurrò. “Tu con Scorpius non lo faresti?”
Rose dopo avergli lanciato un’occhiata, capitolò. Rispose con un sospiro. “Probabile. È un po’ il motivo per cui non l’ho ancora ucciso per aver sorriso troppo a Lily.”

Risero entrambi, prima che Scorpius scivolasse tra di loro, toccando la spalla di Rose. “Posso rubartela un minuto, mini - Potter?”
“Prego. Stavamo giusto parlando di quanto vorrebbe strangolarti.” Sorrise soffice, facendo avvampare Rose, e inarcare un biondo sopracciglio.

“Al, sei morto.”
“Oh, il dolce.” Stornò amabilmente, alzandosi per aiutare Hannah a servire le porzioni.

Scorpius si accomodò al suo posto. “Come mai vuoi strangolarmi, zuccherino?” Chiese urbanamente.

“Nessun motivo particolare, in realtà. È un impulso che mi viene ogni tanto…” Borbottò, cercando di sembrare disinvolta. Perché non riusciva a sbattere le ciglia come Lily?

“Ne sono deliziato. Sai che sto facendo tutto questo per te, vero?” Soggiunse, pizzicandole il dorso della mano, con leggerezza dispettosa. “Lo sai, spero.”
“Per me?”
Scorpius la guardò come se fosse scema. Gli riusciva dannatamente bene, visto la fossetta snob che aveva sul mento. “Perché, pensi che mi piaccia inserirmi a caso in feste di decenni, comprar loro un regalo e fingere che ami sostenere una conversazione con i loro genitori?”

Rose dovette ammettere che era piuttosto improbabile.

“Sono così amabile con i Paciock perché spero che parlino bene di me ai tuoi genitori quando arriverà il giorno in cui tutti gli altarini verranno scoperti. Strategia elementare, zuccottino.” Le tirò un secondo pizzicotto alla mano, obbligandola a stringere la sua per farlo smettere. “Dividi et impera¹.”
“Cos’è, il motto araldico della tua famiglia?” Sbuffò per non fargli vedere che si era commossa.
“Uhm, no. Il mio è qualcosa sul raggirare e tradire…” Sogghignò. “Però ora usciamo, perché voglio fare l’adolescente che si imbosca scandalosamente.”
Rose trattenne una risata, lanciando un’occhiata a Lily che le servì un sogghigno. Alzando i pollici in segno di vittoria.

“Hai parlato tutta la sera con Lily…”
“Sì, ed è una ragazzina molto perversa. Mi piace, ma manca della tua goffa e adorabile innocenza, biscottina.”

“Alzati e andiamo, buffone.” Non poté fare a meno di ridere e lasciarsi trascinare via di fronte all’occhiata un po’ scandalizzata dei coniugi Paciock.

 

Al represse una risata quando vide la cugina sparire con Scorpius, presi da un’urgenza alquanto divertente. Rose aveva le guance rosse, ma sembrava felice.

No, era felice. Ne era certo.

Malfoy è il ragazzo giusto per lei.

Al di là delle considerazioni altruistiche, si sentiva depresso. La sensazione che gli aveva lasciato l’incontro con la fenice del giorno prima era ormai svanita da un pezzo.

E l’incontro con Tom, quando stava uscendo per raggiungere cugini e fratelli, era stato il colpo finale.
Tom non l’aveva neanche guardato. E lo sapeva che l’aveva fatto volutamente.

Si sentiva intrappolato in una situazione in cui, come aveva detto a Rose, non poteva fare niente se non aspettare una mossa dall’altro.

Era come una partita a scacchi. Senza la mossa dell’avversario, poteva solo aspettare.

E non c’è una volta in cui ho vinto, con Tom.

Beh, tranne quando…  

Sentì una sedia spostarsi violentemente. Quella di fronte a sé, dove c’era Lily, registrò distratto, guardando il proprio piatto, con la porzione di pasticcio fumante.

“Tom!” La sentì esclamare.

Si impedì sul serio di saltare in piedi, limitandosi ad alzare lo sguardo, di scatto.

Tom era lì, in effetti. In giacca e cravatta monocolore, e pettinato. E aveva persino un pacco.

“Scusate il ritardo… Ho avuto dei problemi a reperire il regalo.” Disse, dopo il breve silenzio che scaturì dalla sua entrata. “Buon compleanno, Cedric.” Aggiunse con un mezzo sorriso, mentre il bambino spiava curioso da dietro il divano.

“È un regalo per me?” Chiese, rompendo il silenzio. “Grazie!”
Questo bastò a tutti per riscuotersi. Hannah gli prese il cappotto e Neville gli strinse la mano, accogliendolo con pacato calore, subito seguito da Teddy. Lily gli si aggrappò ad un braccio, intimandogli di sedersi accanto a lei.
James sbuffò. “Sei parecchio in ritardo. Qua stiamo già tutti mangiando.”
“Lo so.” Replicò per tutta risposta. “Mi dispiace.”
James non replicò. Sembrò troppo sorpreso dalla mancanza di ironia mordace nella risposta dell’altro.

Al rimase in silenzio tombale fino a che Tom non gli si sedette con naturalezza accanto, dopo aver ringraziato Hannah per avergli riempito il piatto.

“Sei venuto…” Riuscì solo a mormorare, indeciso se prenderlo a calci o baciarlo in pubblica piazza.

“Già.” Commentò, e il tono perse la sua fissità per un istante, facendo sembrare Tom eccezionalmente intimidito. “Mi dispiace per tutto questo. E… hai vinto tu.” Disse semplicemente, dopo una lieve esitazione.

“… In che senso?”
“Ti racconterò tutto.” Fissò il piatto di fronte a sé. Aveva un’espressione certa. Determinata. Come quelle di un tempo. Fu bello ritrovargliela addosso. “Niente più segreti.”
Al sentì che probabilmente avrebbe finito davvero per baciarlo: in fondo avevano sedici anni, e non se la sentiva di mostrarsi composto e risentito come avrebbe dovuto.

Era lì.

Non ho mai vinto con Tom. Non nel modo canonico.

Ma ho sempre fatto in modo da farmi regalare uno scacco matto.

 

****

 

Cancelli di Hogwarts.

Ora di cena.

 

“Non avevo mai visto i cancelli di Hogwarts. Devo ammetterlo, hanno difese magiche notevoli. Sono percepibili anche da questa distanza.”
Ainsel fece un mezzo sorriso. “Così è la prima volta che calca il suolo di Hogwarts, Signor Doe?” 
L’uomo fece un mezzo sorriso. “Sì. Si può dire così.”
Ainsel levò la bacchetta e picchiò due volte sul metallo rugginoso del cancello. Quello si aprì con un lieve cigolio, ogni difesa abbassata.

“Come docente, ho libertà di muovermi entro e dentro i confini della scuola.” Spiegò.

“Naturale.” L’uomo fece per entrare, ma Ainsel lo fermò.

“Lasci che le ricordi il nostro accordo ancora una volta. Avrete il ragazzo. Ma io avrò ciò che ho chiesto. Due milioni di taler², convertibili in valuta babbana. Dollari, possibilmente. E per quanto riguarda quel posto nell’ufficio del procuratore…”
“Naturalmente, mia bella Ainsel. Avrà tutto ciò che chiede. Come le ho già detto, i miei capi sanno essere riconoscenti con chi dà loro diciamo… una mano.”

Ainsel non rispose, se non per un breve lampo cupido negli occhi. “Ho una domanda.”
“Se posso risponderle, sarò lieto di farlo.”
“Perché volete rapire il ragazzo? Perchè adesso? Gli auror non hanno ancora mollato la presa, questo lo sapete anche voi, immagino.”
“Certo. Ma abbiamo la certezza che la sua volontà stia… vacillando… dal lato sbagliato.”

“Non capisco.”
Doe sorrise. “Ainsel, Ainsel… lei mi capisce eccome. Ogni mago sa che la forza magica va’ di pari passo con la sua essenza vitale stessa. Quando si è malati, forse i nostri poteri non si affievoliscono? Quando si impazzisce, non vanno forse fuori controllo?”

“Se pensate di tirarlo dalla vostra parte convincendolo o minacciandolo, posso assicurarvi che non servirà. Thomas Dursley ha una volontà d’acciaio. Piegata dai vostri giochi, lo ammetto. Ma quel ragazzo non passerà al lato oscuro, se mi passa la parola, così facilmente.”
Doe inarcò le sopracciglia. “Mi permetta di correggerle un verbo. Non passerà. Ma sarà fatto passare.”

 

****

 

Note:

1 – Dividi et impera: locuzione latina che significa letteralmente “dividi e domina”.

2 – Taler : moneta magica americana secondo la mia immaginazione. Dollaro deriva da Taler, tallero. ;)  



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Capitolo 41
*** Capitolo XXXVI ***


Ciao a tutti! Accidenti, così poche recensioni e così tante visite? Possibile che vi siate dimenticati di me e di quanto *agogno* le recensioni? *piange*
@LyhyEllesmere: Ciao! ^^ Grazie per il tuo affetto al pulci… err, ad Al.
Ricambia! XD Davvero puoi aspettare con James? Allora accidenti, questo capitolo forse non fa per te visto l’alto tasso di chiarimento tra quei due! XD Lo so, con Ainsel vi ho messo una gran confusione in testa, ma don’t worry lo deve fare. ;) Si capirà presto chi è davvero Ainsel.
@Trixina: Ciao Trix! Ehehe, sì, sono andato a vederlo, e l’ho adorato! Tim Burton è un genio, punto. Lily avrà una bella quota di maggioranza nella seconda parte di questa storia (Detto anche continuo) di cui ho già scritto l’introduzione. ;) Però prima si finisce questa!
@Ombra: Felice di averti fatto dimenticare per qualche attimo l’odiosa matematica! :D Ted avrà i capelli MOLTO blu, t’assicuro! ;)
@Altovoltaggio: Ehi ciao! Piacere rivederti su questi lidi! Non preoccuparti, recensisci quando puoi, capisco benissimo il poco tempo:D Rose e Scorp per il momento sono un attimo accantonati, ma avranno un ruolo di rilievo dal prossimo capitolo in poi. Del resto vuoi che lasci da parte la mia adorabile coppietta da Bisbetica domata? ;D
 
 
 
 
Capitolo XXXVI
 
  
 




In starlit nights I saw you/ so cruelly you kissed me

Your lips a magic world
Your sky all hung with jewels
The killing moon/ will come too soon¹
(The Killing Moon, Echo & The Bunnymen)
 
 
Hogsmeade, dieci di sera.
 
James, davvero, non capiva.
Davvero, ce l’aveva messa tutta per comprendere le dinamiche intercorse in quella serata.
Era iniziata in modo assurdo, con Malfoy che gli si era installato in camera, criticando impietosamente tutti i suoi vestiti, finché non l’aveva quasi molestato per fargli indossare una camicia nera con la sua amabile giacca di pelle.
E lui odiava le camice.
Poi Albus si era presentato con una camicia, anche lui, ma rosa.
Era certo che quella fosse stata una dichiarazione di intenti sessuali piuttosto esplicita.
Poi quasi alla fine della cena si era presentato Misantropia, come aveva ribattezzato il cugino adottivo, che aveva esibito una grandissima faccia di culo e si era accomodato accanto ad Albus, che aveva preso a scodinzolare come un cucciolo di retrivier decisamente poco sveglio.
E poi Teddy.
Ah, il pezzo grosso.
L’aveva deliberatamente ignorato tutta la sera. Ma non platealmente.
Oh, no. È stato un gran bastardo sottile…
Avevano parlato, e anche parecchio.
Solo Teddy aveva passato tutta la sera a fissare un punto imprecisato di fronte a sé, rifiutandosi di guardarlo. Per tutta la sera.
Ad un certo punto si era rotto le palle – se si voleva essere prosaici – e gli si era spalmato addosso. Aveva caricato tutto il peso su una spalla, e l’aveva quasi schiacciato tra se è il muro, continuando a parlargli dei seminari estivi dell’Accademia Auror che avrebbe voluto seguire.
Aveva sentito Teddy tendersi tremendamente e doveva ammetterlo, un po’ ci si era anche divertito. Prima che il tonto si alzasse in piedi e scappasse dalla sala, con la scusa di dover prendere una boccata d’aria.
Era da mezz’ora che mancava.
Ed ora James fissava cupo il suo bicchiere di distillato di more, chiedendosi se fosse giusto perdere la testa per un imbecille del genere.
Che okay, voglio bene e Teddy… ma è davvero un imbecille.
Non posso essere più esplicito di così! A parte urlare ‘prendimi’, forse.
… Dovrei farlo?
 
“… finito Teddy?”
“Credo sia andato a prendere una boccata d’aria, zio Nev.”
“Sì, questo lo so, ma non è ancora tornato.”
“Zio? Lo sai no, che giorno è oggi?”
“… oh! Giusto, che sciocco! È plenilunio.”

 
James ascoltò il breve frammento di conversazione tra Neville e la sorellina, trai rimasugli della cena ormai conclusa.
Comprese. E si diede dell’idiota.
La luna piena!
Non che Teddy si coprisse di pelliccia e ululasse alla luna… però…
Si ricordava da bambino come ci fossero dei giorni in cui Teddy non andava infastidito.
Non che diventasse violento. Ma era capacissimo di innervosirsi per una cavolata, uscire dalla porta e tornare a notte fonda e inzaccherato di fango.
Non sapeva se fosse l’istinto del lupo. Forse, una parte del ‘piccolo problema peloso’ di Remus era arrivata a Ted. La parte che lo rendeva bucolico, o semplicemente la parte che lo portava a diventare lunatico.
In ogni caso, dargli il tormento e appiccicarti a lui per tutta la sera deve averlo mandato ai pazzi… complimenti Jamie! Oltre ogni previsione!
Sbuffò, guardando scornato verso Al e la sua stupida camicia rosa. Stava chiacchierando con Rose e Scorpius, mentre Thomas li osservava con quel suo idiotico cipiglio tormentato.
Hannah e Neville si erano assentati per mettere a letto Cedric ed era quasi certo, terribilmente certo, che Lily fosse scesa nel locale per farsi offrire da bere.
Se devi andare, cerca di svignartela adesso… - Gli suggerì la sua cattiva coscienza.
Poteva non ascoltarla?
In un batter d’occhio si trovò sullo spiazzo sterrato di fronte alla locanda, passando indisturbato dalle scale di servizio; la luna piena si stagliava perfetta e beffarda nel cielo nuvoloso. Aveva trovato uno spiraglio e da esso gettava una luce bluastra.  

Si guardò attorno, accendendosi una sigaretta: era il modo più sicuro per segnalare la sua presenza a Teddy, se era nei paraggi.
Verrà subito ad intimarmi di spegnerla…
Quando ciò non accadde, dopo un paio di ampie boccate, si sentì deluso.
Lo cercò con lo sguardo: non poteva essere difficile trovare quel gran figlio di lupo mannaro. Non che fosse piccolo, né tantomeno era un tipo poco appariscente.
A vista d’occhio, però, non c’era.
Decise di fregarsene del fatto di non avere la giacca, anche se faceva freddo, e cominciò a cercarlo.
Dopo aver percorso metà High Road lo trovò. Era nella piazzetta, seduto su una della panchine di pietra: se ne stava con il naso all’insù, perso in contemplazione della luna.
Si sentì vagamente preso per il culo.  
“Teddy!” Lo chiamò, brutale e senza mezze misure.
Sobbalzò, a sentirlo, e gli lanciò uno sguardo… si sarebbe detto sfibrato.
… forse stasera ho un po’ esagerato.
Alzò le mani, in un implicito segno di resa. “Sono venuto qui in pace. Davvero. Posso farti compagnia?”
“Se prima spegni la sigaretta.” Rispose, dopo un piccolissimo sospiro. “Non devi fumare Jamie. Ti fa male.”
“Non mi dici niente di nuovo.” Ribatté, ma premurandosi di buttarla e schiacciarla sotto il tacco della scarpa. Doveva giocare in ribasso. Doveva farsi perdonare.

Si sedette accanto a lui, mettendosi umilmente a guardare la luna.
“È bella…” Si sentì in dovere di dire dopo un po’. “È bella quando è piena.”
Ted finalmente gli sorrise. “Sì, è vero. Starei a guardarla tutta la notte. Chissà, forse è per via del mio essere un mezzo-lupo, che dici?”
James gli sorrise di rimando. “Come lupo non sei tanto credibile, Teddy. Non saresti spaventoso neanche in una favola per bambini.”
Lo sentì ridere, e davvero, pensò che non era giusto non poterlo amare con la stessa semplicità con cui avrebbe potuto innamorarsi di una sua compagna di scuola.   

“Sono stato piuttosto asfissiante, vero?” Ci rifletté. A dirla tutta, non si sentiva poi così in colpa. “Io e te siamo amici?” Gli chiese a bruciapelo. “Così, secondo te… Lo siamo?”
Teddy sembrò prima preso in contropiede, poi a disagio. “Sono un tuo professore, tecnicamente.” Tentò.
“Sì, sì. Già sentita. Ma diciamo… ecco. Facciamo finta che mi sono diplomato da poche ore. Non sei più un mio professore. Potremo essere amici?”
Ted non rispose. James non poté dire, in seguito, di non esserselo aspettato.

“No, vero?” Fece una smorfia. “La verità è che non siamo mai stati amici… voglio dire. Prima ero troppo piccolo per essere nient’altro che un fratellino rompipalle. Ti dirò, mi è anche piaciuto quel ruolo… per un sacco di tempo.” Gli sorrise, cercando di farglielo capire, perché doveva capire. “Ma adesso non possiamo essere amici per un altro motivo. E lo sai.”
Ted continuava a rimanere in silenzio. Le ombre che gettava la luna sul suo viso non gli lasciavano capire cosa effettivamente stesse pensando.

In un certo senso è meglio così…
“Ci ho pensato…” E l’aveva fatto. In quelle ore poi, aveva dato fondo a tutte le sue capacità di ragionamento. Era stato piuttosto spossante. “E vorrei poterti dire che ti aspetterò per sempre, Teddy. È romantico. Un sacco. Però è anche da idioti, se tu non provi assolutamente niente per me.”
Quella strategia non gliel’aveva consigliata Scorpius, ed ovviamente era un suicidio.

Ted era un cacasotto, e se avesse avuto una via di uscita da quella situazione, probabilmente l’avrebbe usata.
E dicendogli che non lo aspetterò gliela sto appena fornendo…
Si alzò in piedi, perché non riusciva a stare seduto in quel momento. Nonostante avesse bevuto idromele, sidro e persino un bicchiere di distillato si sentiva la bocca riarsa e i palmi delle mani sudate.
Fece un paio di passi, avanti e indietro dalla panchina. Era quasi certo che Teddy lo stesse seguendo con lo sguardo, ma non alzò la testa per controllare.
“Senti, ci provo un’ultima volta. Io… lo so cosa vuoi, Teddy. Sei l’unico ragazzo che a tredici anni invece di raccontarmi di mostri mi raccontavi di Lancillotto e Ginevra quando ti chiedevo una storia. Ed io ero l’unico bambino che non ti avrebbe mai mandato al diavolo anche se, fattelo dire, mi annoiavo a morte. Sono ancora quel bambino… e tu, io lo so, sei ancora quel ragazzino.”
“James…”
Si era preparato il discorso, prima della cena. Doveva iniziare più o meno in quel modo. E fino a quel momento era andato piuttosto bene. Ora però, che Teddy l’aveva chiamato, aveva fatto la stronzata di guardarlo in faccia.  
E si era sentito mancare il coraggio.
Proprio io. Il Grande James Sirius Potter. Il Re.
Perché Ted lo stava guardando, e ascoltando. Sul serio.
È la tua occasione, bello…
“Non so…” Continuò, intimandosi di non frignare o distogliere lo sguardo. “Qual è la dichiarazione d’amore giusta, che funzioni, con te. Se devono scendere angeli dal cielo, arcobaleni e tramonti. Ma io sono qui… e tutto quello che posso dirti è che non c’è nessuno al mondo che ti ama come ti amo io. Quindi lasciamelo fare.”
Concluse, e aspettò.
In un certo senso, era certo che anche l’altro lo sapesse, era l’ultima battuta di tutta quella storia.
 
Ted non era mai stato bravo con le tempistiche.
Sin da bambino faceva sempre la cosa giusta al momento sbagliato o viceversa.
Il suo problema principale, sua nonna glielo diceva sempre, erano i tempi di reazione.
Era una questione di testa. Perché quando James l’aveva raggiunto, il suo corpo aveva cominciato a reagire, molto prima che la ragione si rendesse conto della sua presenza.
Aveva sentito un nodo allo stomaco prima di tutto, e poi agitazione scorrergli lungo le vene.
Quando aveva cominciato a parlare, i suoi muscoli si erano contratti, pregandolo di alzarsi. Alzarsi, raggiungerlo e toccarlo.
Perché James era l’unico, e questo anche la sua stupida testa lo sapeva, che era sempre tornato.  
Harry aveva i suoi problemi, sua nonna gli aveva intimato di cavarsela da solo, Victoire aveva sempre preteso di essere cercata, ma il suo ragazzino non aveva mai cercato di abbandonarlo.
Sei tu che l’hai abbandonato.
E adesso, che era sceso il silenzio, ovviamente non riusciva a rispondergli.
Pensava ai milioni di motivi per cui non avrebbe dovuto farlo. Li pensava passivamente, senza riuscire a smettere di farlo.
Vide così susseguirsi sul viso di James più emozioni: imbarazzo, aspettativa, speranza. E poi, dopo il silenzio… delusione.
Non rispondere, effettivamente, poteva dar adito solo ad un ipotesi.
“… Vaffanculo Ted. Potresti almeno avere le palle di rifiutarmi.” Sibilò, serrando la mascella.
Adesso sapeva cosa sarebbe successo. James se ne sarebbe andato. Era tutto cuore, niente testa. Un impulsivo. Se ne sarebbe andato perché era una reazione istintiva.
La luna gli dava, oltre alle nevrosi, anche uno straordinario campo sensoriale. Fu quasi certo di poter vedere, in poche frazioni di secondo, l’intenzione di James di andarsene, da come spostò il peso da un piede all’altro.
 
E allora gli afferrò il braccio.
 
No, non fu una cosa che aveva pensato di fare.
Perché aveva smesso di pensare. Finalmente.
Seppe solo che lo voleva. Voleva James e voleva essere amato.
Per questo se lo tirò contro, senza preoccuparsi di essere gentile. L’effetto sorpresa glielo fece avere addosso in un modo che gli fece capire il vero motivo per cui aveva sempre evitato il contatto fisico con lui.
Adesso sarebbe stato davvero difficile lasciarlo andare.
 
“Teddy…” James corrugò le sopracciglia, per un attimo senza capire. Fu quasi tentato di tirargli una spinta, per levarselo di dosso e potersene andare.
Fu un momento però.
Ted gli aveva afferrato il braccio così forte da fargli male e lo guardava in quel modo.
Non era un ingenuo, per fortuna di entrambi.
Quindi gli prese il viso tra le mani e gli premette le labbra sulle sue: non fu un bacio delicato, fu piuttosto violento a dirla tutta, e sentì i denti premergli contro la lingua. Poi Ted lo lasciò fare, e finalmente si baciarono.
A posteriori, James ricordò quello come il bacio più confuso che avesse mai dato. Morse il labbro a Ted, prima di riuscire a capire l’andamento della cosa, cioè chi dei due conduceva i giochi.
Ted.
E fu molto più piacevole quando lo capì. Forse era la luna, ma di sicuro in quel momento Teddy non era il solito imbranato. Lo spinse via dalla panchina e il momento dopo si sentì impattare contro il muro di una casa.
James si sentì passare la mani dell’altro lungo i fianchi, a sollevargli la camicia che improvvisamente gli sembrò un indumento inutile, anche se un momento prima era il suo unico baluardo contro il freddo.
Ted si staccò dalle sue labbra, chinandosi a baciargli il collo, a premergli i denti lungo la pelle sensibile poco sotto l’orecchio.
L’effetto fu quello di spedirgli una scarica di eccitazione al cervello, che lo portò a gemere come una ragazzina.
“Merlino…” Si sentì pigolare. Questo servì a riportarlo con i piedi per terra. Non poteva fare la figura della ragazzina. Ne andava del suo orgoglio.
Forse.
Ad ogni buon conto premette le mani sul petto dell’altro, staccandolo. Teddy alzò lo sguardo, assolutamente confuso e…
Merlino.
Furioso.
Certo, togli il guinzaglio ad un represso, ed ecco cosa succede.
James, James… l’esperienza non ti ha insegnato niente?

Evidentemente no, considerando che Teddy sembrava avere l’aria di uno a cui era stato tolto l’ossigeno.
Doveva evitare di fargli prendere coscienza del fatto che stava comunque respirando.
“Cosa…” Iniziò infatti, cominciando a riprendere lucidità.
No!
Lo riafferrò per la giacca e lo baciò di nuovo. Miracolosamente, da come Teddy gli afferrò i fianchi, sembrò bastare.
Così non ti piacciono i ragazzi, eh Teddy? – Non poté fare a meno di pensare, trionfante, mentre sentiva le mani dell’altro risalire la sua schiena, sotto la stoffa della camicia.
Non era la temperatura ideale per denudarsi, ma a James non importò. In quel momento avrebbe potuto avere un igloo sotto le chiappe e se ne sarebbe fregato.
Si staccò quanto bastava per sfilare le asole dai bottoni, offrendosi spudoratamente.
Perché .
 
Teddy sentì una pressione sul cavallo dei suoi pantaloni. Ci mise un attimo prima di capire che erano dita. E che erano maledettamente piacevoli.
Soffocò un ansito, serrandolo tra le labbra per non lasciarselo sfuggire. Sapeva cosa stava per succedere, conosceva la dinamica, ma il suo cervello galleggiava in un beato stupore.
Non male.
Fu quasi certo di sentire James sogghignare contro la sua guancia, mentre – oh Merlino – gliela lappava. “Piace?” Gli sussurrò grondando malizia, mentre con dita inquietantemente abili gli slacciava i primi bottoni. “Perché può andare tanto meglio.”
“… Quanto?” Articolò, senza preoccuparsi di sembrare un cretino.
James si leccò un labbro – fu certo che lo fece con deliberata attenzione.
“Tanto così.”
Ed affondò letteralmente la mano nei suoi boxer.
Ted riuscì solo a pensare un capitale ‘SI’ mentre la pelle finalmente toccava pelle. La schiena di James era liscia contro le sue dita, e poteva sentire tutti i muscoli in rilievo.
È così diversa da quella di Vic… -  Lo pensò confusamente, mentre registrava il lieve alterarsi del respiro dell’altro.
Si rese anche conto, che erano due adolescenti in quel preciso momento. Il suo cervello, il suo raziocinio era andato allegramente all’inferno e c’erano solo respiri rotti e quel tepore umido che fino a qualche giorno prima avrebbe associato ad un letto, a una serie imposta di preliminari e all’attenzione: con Vic doveva stare attento. Mai un gesto di troppo, mai uno di meno. Non che pretendesse chissà cosa, era solo che…

Non doveva deluderla.
Era complicato. Con James invece era istintivo, naturale. E andava bene così.
“Teddy…” Mormorò James sulla sua bocca, prima di baciarlo.
Poi, sinceramente, smise di pensare.

 
“Io…” Disse molto acutamente Teddy, dopo essersi ripuliti e più o meno rivestiti.  
A James venne da ridere. Si sentiva svuotato – eh, beh – e placido. Se non fosse stato per il ritrovato freddo pungente, si sarebbe messo a sonnecchiare. Intascò la bacchetta nei jeans, sorridendo.

Comportiamoci come se non ci fossimo appena infilati le mani nelle mutande a vicenda, dai…
Glielo devo.
“Torniamo dentro?” Chiese con naturalezza. “Sai, comincio a sentire freddo e non sono così resistente. Almeno, per quanto riguarda le basse temperature.”
Ted per un attimo parve deluso, poi si morse l’angolo di un labbro. Aveva capito, anche se non era l’aquila dei doppi sensi. “Jamie, io…”
“Teddy. È tutto okay.” Lo rassicurò, spiccio. Dopotutto dare retta ai proprio bassi istinti poteva essere traumatico se ti chiamavi Teddy ‘Ragione e Sentimento’ Lupin.

“Lo sai che in questo periodo, io… in queste serate non sono molto… lucido.” Continuò, lanciando uno sguardo veloce alla luna.
“Intendi rimangiarti tutto?” Chiese, fingendo delusione e dolore.
Ted lo guardò spaurito. “No! No, per Nimue, no… solo che…”
James batté le palpebre, riflettendo. “Hai paura di esserti approfittato di me?” Ghignò. “Perché sono io che mi sono approfittato di te, razza di tonto.”
Teddy corrugò le sopracciglia, e riuscì persino a sorridere stavolta. “Probabile.”

“A me basta che non cambi idea.” Disse precipitoso. Si sentì quasi mancare l’aria quando terminò la frase e vide l’espressione seria di Teddy.
No, eh!
Si erano baciati, si erano toccati ed era stato quanto di più confuso, doloroso e intenso avesse mai sperimentato.   
Se avesse cominciato a piagnucolare pentimento l’avrebbe ucciso con una maledizione senza perdono.
Probabilmente se spiegassi le mie ragioni al Wizengamot la scamperei pure…
 
Non avrebbe cambiato idea.
Fu una certezza che gli si piantò nella testa come una tavola di pietra scolpita.
Neanche se avesse voluto.
Ormai non posso più tornare indietro.
La cosa invece di atterrirlo lo rasserenò: del resto, ormai, era andata.
E per tutto il tempo non aveva pensato quanto era sbagliato ciò che stava facendo, ma quanto l’aveva voluto.
Aveva dell’incredibile.
Le labbra di James, alla luce della luna, erano rosse e invitanti. Ci passò un pollice, stupendosi del gesto quanto l’altro, che trattenne il respiro.
“Merlino, Jamie… dovrei.” Fece una pausa. “Ma non voglio.”
James gli fece un sorriso ferocemente radioso, prima di placcarlo in un abbraccio da molestia sessuale, visto che finì per premere proprio dove non doveva.
Di nuovo.
“Lo sento cosa vuoi…” Gli disse infatti, con la bocca attaccata alla sua guancia, umida e caldissima. “Povero Teddy.”
“James.” Ringhiò, certo che i suoi capelli fossero diventati color aragosta; il giusto mezzo tra la rabbia e l’accecante imbarazzo.

“Scusa.” Si affrettò a dire, ma neppure tanto, da come si rifiutò di mollarlo. “Giusto per informazione, da quant’è che non fai…”
James!” Si sentì strozzare l’aria nei polmoni. “Giuro che se non la pianti ti sculaccio!”

Gli uscì naturale, reminescenza di anni passati a minacciare rappresaglie.
La frase in quel momento assunse tutt’altra connotazione però.
James si staccò per guardarlo sbigottito. “Potrebbe anche piacermi.” Stimò pensierosamente. Poi scoppiò a ridere, e Ted non riuscì a non seguirlo nell’ilarità.
Quando le risate si spensero, James sospirò appena. “Posso essere il tuo ragazzo?” Gli chiese, con una certa arroganza. Ma era teso come una corda di violino, Ted lo sentiva, avendocelo addosso.
“Sono ancora un tuo professore. E questa volta non è una scusa, lo sai. Al di là della famiglia, penso che nessuno accetterebbe di vederci… insieme. Adesso.”
James sospirò, ma lo sentì annuire contro la sua spalla. Su e giù contro la stoffa della sua giacca. Represse un brivido.

“Però ti piaccio.” Stimò.
Ted sorrise. “Sì, mi piaci.” Dopo una breve esitazione continuò. “E se mai ti dicessi il contrario, sei autorizzato a schiantarmi.”
Lo sentì ridacchiare. “Mi inviti a nozze, Teddy!” Si staccò, provocando ad entrambi uno spiacevole brivido di freddo. “Allora…” Iniziò. “Posso aspettare. Per la denominazione ufficiale, intendo. Per tutto il resto… poco. Quasi niente”

Ted sorrise, quando vide il broncio – che tale era, poco da fare – disegnarsi sul viso del suo ragazzino. Avrebbe dovuto sentirsi a disagio, imbarazzato, ma era più forte altro.
Alla fine, forse, li aveva davvero ventiquattro anni.
“Jamie, non sono così tonto, credimi.” Gli passò le dita trai capelli arruffati. “Ma non in pubblico… Mi piace insegnare, vorrei evitare di essere allontanato per…”
“… essere stato corrotto da uno studente?” Gli suggerì impertinente, mentre gli brillavano gli occhi, come di fronte ad un grosso giocattolo.

“Tecnicamente, per averlo corrotto…”
“Per favore Teddy, tu corrompere me? Non sapresti neanche da dove iniziare!” Sbuffò, alzando gli occhi al cielo, mentre gli saltava di nuovo addosso, infreddolito come non mai.

E felice.  
 
 
****
 
Casa Weasley-Granger
Ottery St. Catchpole, Devon.

Notte.
 
Ron Weasley era la tipologia di uomo che quando dormiva, dormiva senza soluzioni di continuità.
Piombava in un coma inattaccabile, e si narrava che la moglie, in preda alle doglie del suo primo parto, avesse dovuto svegliarlo rovesciandogli addosso una brocca d’acqua.
Quindi, naturalmente, quando Harry Potter era piombato nel camino di casa Weasley-Granger l’unica a svegliarsi era stata Hermione.
Che al momento se ne stava a braccia conserte, in vestaglia di flanella, in mezzo al salotto, a scrutarlo con il consueto cipiglio di disapprovazione.
Harry si scrollò la cenere dal mantello. “Ehi. Scusa per l’improvvisata.”
Hermione sospirò. “Figurati. Amo essere svegliata nel cuore della notte alla vigilia di un'udienza. Posso offrirti un the?” Chiese urbanamente.

Harry si pulì gli occhiali, scuotendo la testa. “No, no. Sono di fretta. Ron dorme?”
“Comatosamente.”
“Grandioso.” Fece una smorfia. “E… lo sveglieresti?”
“Dipende. Perché?”
Harry si morse l’interno della guancia, riuscendo comunque a trovare la forza di impostare un tono professionale. “Lavoro.”
“Harry, sei a capo dell'Ufficio Auror. E Ron è un capo-squadra. Ora, a meno che non vi abbiano entrambi declassati non c’è motivo per cui tu ti scomodi a chiamarlo personalmente.”
“Err.” Ammise, schiarendosi la voce. Non si poteva mentire ad Hermione. Nemmeno a quarant’anni suonati. Era semplicemente impossibile. “Okay. È per la questione dei…”
“Naga? Morgana benedetta.” Sussurrò la donna, stringendosi tra pollice e indice la radice del naso. “Morgana benedetta…” Ripeté. “Dimmi soltanto… sarà pericoloso? Contro le direttive del Ministero?”
“Andremo in India. Adesso. Il fusorario…”
Harry.”
“Scusa.” Inspirò. “È importante. Sento che è importante, Herm. Thomas è nei guai e non sono guai inerenti a pessimi voti.” Riassunse conciso, lanciando un’occhiata rapida dove sapeva si trovasse la camera da letto.

“Naturalmente.” Hermione strinse le labbra. “Tom è il migliore del suo anno, se non dell’intera scuola.”
Harry annuì: sapeva che l’amica nutriva una predilezione per il suo figlioccio, tra tutti i nipoti più o meno acquisiti. Avevano la stessa intelligenza curiosa e vorace, con una pennellata di supponenza che li rendeva spesso antipatici alle masse. Tom era l’unico che fosse realmente felice di immergersi in una conversazione con lei, tra tutti i suoi figli.

“Credi che c’entrino i Naga?” Gli chiese poi, scettica.
“Non so dirtelo con esattezza. Ma credo comunque che sia in pericolo. Credo che qualcuno lo cerchi, anche se non ho idea del perché. Devo parlare con i Naga che sono venuti qui. Sono stati rimpatriati e ricondotti al villaggio d’origine, ma sono gli unici, vivi, che sanno il motivo per cui erano ad Hogwarts.”

“Ehi, che succede?” Li interruppe un assonnato Ron, spuntando alle spalle della moglie. “Harry, amico, che diavolo ci fai qui?”
“Scamandro è riuscito a parlare con il capotribù Naga. Ci ha fissato un colloquio con lui tra mezz’ora.”
Ron corrugò le sopracciglia. “Dove, al Ministero?”
“No, in India. Ho chiesto un favore ad un amico nei Trasporti Magici, e mi ha creato una passaporta che ci condurrà direttamente al villaggio. Ma dobbiamo sbrigarci. Vestiti.”
Ron emise un grugnito sconfortato, lanciando poi uno sguardo attento alla moglie.

Hermione, dalle labbra ancora strette in una fessura, sbuffò leggermente. “Vai Ron… Di certo non possiamo mandarlo da solo.”
Ron fece un mezzo sorriso, non troppo convinto vista l’ora antelucana, ma sparì in corridoio.

“Spero che non ti sbagli, Harry…” Esordì l’amica. “Spero che la pista che segui sia giusta, o ti posso assicurare che tutto questo avrà delle conseguenze pesanti sulla tua carriera e, collateralmente…” Pesò la parola facendogli capire che era tutto il contrario. “… su quella di Ron. Non c’è una sola cosa legale in quel che stai facendo.”
“Lo so.” Aggrottò le sopracciglia. “Tu non faresti lo stesso per Rosie o Hugo?”
“Tom non è tuo figlio, Harry.”
La risposta di Harry fu quanto di più immediato e naturale ci potesse essere, e in effetti Hermione non poté non ammettere di non essersela aspettata.

“Non dire sciocchezze. È come se lo fosse”


 
****
 
Note:
1 - Qui la canzone.
 

 

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Capitolo 42
*** Capitolo XXXVII ***


Prima di tutto (credo) Buona Pasqua!
Oookay, siamo arrivati ufficialmente alla chiave di volta. Dal prossimo capitolo basta seppie mentali.
Quindi godetevi questo, che è l’ultimo capitolo di calma apparente. ;)
Ah, sì. Ci ho riprovato con la lemon. Non è che sia andata un granchè. Un grazie comunque a Narcissa63 e Chu per il supporto (sopporto) umano. Questo capitolo è dedicato a voi due, girls ;)

@LyhyEllesmere: Eheeh, sì, la relazione si evolverà, puoi scommetterci!
@Trixina: Mi fa piacere che il capitolo non ti abbia deluso! ^^Continua a seguirmi!
 
 
 
****
 
 
 
Capitolo XXXVII





 
 
Consequence is waiting for you/ Can you feel it up inside?
You show how much your father's part of you
Thinking, it makes no sense
Would it really make you turn away?/ Would it really change your life?
(World Outside, Palo Alto)


 
 
 
Inghilterra, Scozia. Cancelli di Hogwarts.
Undici e mezzo di sera.

 
 
La cena era finita, ed era tempo di chiarimenti.
Albus se l’era ripetuto da quando Ted e James erano tornati, e il giovane professore aveva esordito dicendo che ormai era tardi, e che era ora di tornare al castello.
Si erano così tutti alzati, saluti di rito, mentre James andava a recuperare Lily, improvvisato premio in palio in una gare di bevute tra un gruppo di giovani auror in licenza.
Adesso stava camminando a fianco di Tom che, con le mani affondate nelle tasche del cappotto, cercava di difendersi dalla gelida tramontana che spirava lungo il sentiero che li stava riportando ad Hogwarts.
Non era il momento, quello, di parlare. Solo a pochi passi avevano Scorpius e Rose.
In ogni caso, sentiva lo stomaco serrato da una morsa. L’espressione di Tom, accanto a lui, era indecifrabile, a causa della penombra della boscaglia che costeggiavano.
Se solo potessimo parlare adesso…
Nei libri i chiarimenti avvenivano subito, alla svelta, non appena si decideva di averli.
Ovviamente nella vita reale le cose erano più difficili.
Inciampò su una radice – seriamente, a volte pensava di avere gravi problemi di equilibrio, almeno sulla terra ferma – incespicando.
Tom lo afferrò al volo per un braccio, tirandolo in piedi: nell’azione ovviamente Al gli finì addosso, quasi soffocandosi contro la stoffa del suo cappotto.

“Sei sempre il solito…” Sospirò, tirandolo dritto. Anche nella penombra lo vide sorridere.
Volle baciarlo. Anche se non si erano ancora chiariti.

“Al, stai bene?” Si informò subito Rose, raggiungendoli e costringendo Tom a fare un paio di non voluti passi indietro.
“Sì, sì. Sono solo inciampato. Tom mi ha preso al volo.” Sorrise, cercando di non essere infastidito dalla premura della cugina. Non era colpa sua…
Ma voglio restare solo con Tom. Adesso. Ora.
“Non si vede niente… dovrebbero mettere uno straccio di illuminazione, almeno sulla strada d’accesso.” Commentò la ragazza. Al sentì Tom muoversi al suo fianco, e capì che si stava innervosendo.
Del resto ha passato tutta la serata in silenzio, ad aspettare che finisse…
“Già…” Commentò, quieto. Lanciò uno sguardo a Scorpius che, come al solito, capì al volo.
Lo ammirava: probabilmente era abituato ad esprimersi tramite sguardi muti. La famiglia Malfoy non sembrava una famiglia di emotivi chiacchieroni come la sua.
“Rosie, devo assolutamente parlare con Poo o morirò. Andiamo.”
Scorpius!” Esclamò, quando si sentì trascinare via, parecchi metri più avanti in direzione James. “Per tutte le sottane di Merlino, lasciami!” Tentò, senza riuscirci.

Al li guardò sparire oltre la curva: stranamente Teddy quella sera non si era messo a fare il cane da pastore, come aveva ironizzato Lily, ma si era limitato a mettersi in testa al gruppo.
Quindi, adesso, lui e Thomas erano soli.
“Scorpius è un ragazzo in gamba…” Cominciò, per rompere il ghiaccio.
Tom fece spallucce. “Sprecato per Rose.”
“Rosie è meravigliosa!” Replicò sbalordito. “Sono perfetti l’uno per l’altro!”
“Se lo dici tu…” Vedendo la sua espressione bellicosa, smorzò i toni. “Sai che Rose non è trai miei preferiti, in questa famiglia.”

“E quali sarebbero i tuoi preferiti?” Interloquì. Non se la sentiva di iniziare quel discorso. Non brutalmente, almeno. Non con una domanda diretta come ‘Che succede?’.
“Vediamo. Lily… quando non cerca di imbarazzarmi. Zia Hermione, una delle donne più intelligenti che conosca… e naturalmente tu.” Gli tirò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, facendolo rabbrividire. Lo lasciò persino fare quando gli passò le dita trai capelli, serrando leggermente la presa contro la nuca.

La gestualità di Tom non era mai troppo affettuosa. Era sempre qualcosa a metà tra il dispetto e la dolcezza che lui, personalmente, avrebbe riservato ad un gattino.
Non lo faceva sentire molto mascolino, ma gli piaceva. Tanto.
“E papà?” Gli chiese poi, con una disinvoltura che non provava, approfittandosi del fatto che Tom sembrava aver abbassato la guardia.
Si era sbagliato, perché Tom si irrigidì all’istante. Lo vide chiaramente, o meglio lo percepì dalla curva che prese le sue labbra. Sottile e quanto di più simile ad una smorfia.
“Diciamo che al momento siamo in rotta.” Scollò dal palato.
Erano iniziati i chiarimenti. Al inspirò.
“Perché?” Chiese.
“Mi ha deluso.” Il tono era secco, come brusco fu il gesto con cui tolse la mano dai suoi capelli. “Sì, ma perché? Che ti ha fatto?”
Tom rimase a lungo in silenzio. Avevano rallentato le loro andature per poter rimanere soli. In effetti gli altri quattro erano poco più che figure distanti lungo il crinale su cui si inerpicava il castello.

“A dire la verità… non mi ha fatto niente.” Dovette ammettere. “Sono io… che ho sbagliato.”
“Cosa…” Inspirò. Si sentiva la bocca secca. “Cosa hai sbagliato, Tom?”

Lo guardo che gli rivolse lo costrinse a fermarsi e a farlo fermare. Tom sembrava…
Non aveva mai visto Tom piangere in vita sua, neppure quando era caduto dalla prima e unica scopa che aveva mai sellato, a sette anni. Ed era stata una caduta tremenda, che avrebbe ridotto in lacrime persino James.
Adesso sembrava che stesse per piangere. L’espressione era quella, perlomeno.
Disperata e spaventata.
“Tutto, Al. Ho sbagliato tutto.”  
Al prese un respiro profondo. Aveva paura, era inutile negarlo. Se Tom era in quelle condizioni, la situazione non poteva essere semplicemente ingigantita dal loro essere adolescenti e in preda a piccoli drammi quotidiani.
“Allora raccontami tutto.”


 
****
 
India, regione di Nagaland.
Prima mattina (fusorario).

 
Il fusorario li aveva quasi uccisi.
Sette ore concentrate in una smaterializzazione veloce e immediata non erano un buon modo per viaggiare.
Erano atterrati su un gruppo di arbusti, con un grosso e orribile rumore di cose rotte.

Fortunatamente, dopo un veloce check-up, scoprirono si trattasse dei rami e non delle loro ossa.
Ron si tirò su, dando una mano all’amico, che si aggiustò gli occhiali finiti di traverso.

“I babbani ci metteranno più tempo a viaggiare, ma indubbiamente lo fanno con più classe.” Sospirò Harry, scrocchiandosi una spalla. “E senza rischiare fratture.”
Ron si guardò attorno, spaesato.
“Amico, ma… Siamo finiti in Amazzonia?”
Harry lanciò uno sguardo perplesso alle fronde verdi che circondavano la radura erbosa in cui erano dolorosamente impattati. Un uccello dal becco imponente, e che Harry trovò formidabilmente a forma di banana, sfrecciò tra il fogliame con un grido acuto.

Era una vegetazione tropicale quella, niente da eccepire.
“Beh. Suppongo che l’India sia un grande continente, e non sia tutto… arido.” Tentò. “La passaporta ci ha portato nel posto giusto.” Fece una pausa “Deve averci portato nel posto giusto.”
“Non è che quel cretino di Field ha sbagliato ad incantare quel guanto, vero?” Si informò Ron incupendosi, mentre si spostava i capelli già fradici di umidità dalla fronte. “Perché se è così, giuro che lo trasfiguro in una talpa appena torniamo.” 

“Non credo, no…” Considerò distratto Harry, facendo qualche passo incerto. “Rolf dovrebbe venire a prenderci al punto di arrivo, comunque.”
“Sa qual è il punto d’arrivo?”
“Dovrebbe.”
Ron emise un ringhio sconfortato. “Dovrebbe? Harry, miseriaccia, mi hai tirato giù dal letto nel cuore della notte per…”
“Erano solo le undici.”
“Qualcuno lavora di pattuglia, domani. Anzi, considerando che qua è già giorno oggi.” Sbottò, lanciandogli un’occhiataccia che ai tempi della loro adolescenza sarebbe in seguito sfociata in una litigata furiosa. Fortuna che erano entrambi maturi.

“Ti ricordo che mi hai seguito di tua spontanea volontà.”
“Se chiami spontanea piombarmi in casa. È effrazione!”
… Forse.
Harry alzò gli occhi al cielo, inghiottendo un moto di stizza che sicuramente avrebbe fatto montare su tutte le furie l’amico. Ron non aveva tutti i torti, lo sapeva.
Ma lì c’era in ballo la sicurezza dei suoi figli.

L’incertezza non era permessa.
“Senti Ron…” Iniziò, pieno di buone intenzioni. Si fermò, quando sentì un rumore.
Un ramo spezzato. Si guardò tutto intorno, estraendo con un movimento ormai naturale la bacchetta e spianandola di fronte a sé. Ron fece lo stesso.
“Che succede?” Sillabò, pianissimo.
“Non lo so. Hai sentito quel rumore?”
L’altro annuì, scrutando attorno alla fitta giungla attorno a loro.
La risposta si palesò pochi attimi dopo. Fu come un orribile deja-vu. Anche se in quel momento non erano in Inghilterra e, soprattutto, non erano ad Hogwarts.
Dalle fronde uscirono una decina di Naga: armati di tutto punto, con arco e frecce, ben tese in direzione dei loro punti vitali.

Ron aprì e chiuse la bocca un paio di volte, prima di riuscire ad articolare La domanda.
“Dove diavolo è Rolf?”
Harry sorrise nervosamente.
“Beh. Mettila così Ron… Siamo sicuramente nel posto giusto.”



****


Erano tornati nella propria Sala Comune per poter parlare in pace.
Avevano parlato. E adesso Tom non riusciva ad alzare lo sguardo da terra.
Neppure se avesse voluto, e non voleva.
Aveva detto tutto. Vuotato il sacco, avrebbe detto, se l’argomento fosse stato più leggero.

La realtà era che, mettendo in fila tutto ciò che aveva commesso, si era reso conto di come fosse stato stupido a credere a John Doe.
Era umiliante.  
Non si era mai sentito così spaventato in vita sua. Dalle conseguenze e dal giudizio di Al e di Harry.
Albus, intanto, non parlava. E lui non riusciva ad alzare lo sguardo.

Persino dai sotterranei si sentiva un cupo rumore di tuoni. Si erano bagnati, rientrando al Castello ed erano rimasti bagnati. L’urgenza li aveva semplicemente spinti più vicini al fuoco.  
Sentì Al fare un passo. Verso di lui o lontano da lui, non seppe stimarlo.
Quello che seppe fu che il momento dopo sentì un dolore lancinante al viso e fu sbattuto contro una poltrona, quasi crollando a terra. Si puntellò appena in tempo.
Al gli aveva tirato un pugno.
Alzò lo sguardo, sentendo il sapore del sangue sulle labbra. La sorpresa era stata tale che non era neppure riuscito a difendersi o a parare il colpo.  
Ma cosa diavolo…
Al era di fronte a lui, con i pugni serrati e il viso contratto dalla rabbia.
Confusamente pensò che non era quella la reazione che si aspettava.
Disgusto, delusione, disperazione. Quelle sì.  Ma non rabbia.
“Idiota…” Gli sibilò, facendo un evidente sforzo per dirglielo. “Come hai potuto essere così idiota!?”
Non riuscì a ribattere.

“Quell’uomo, quel John Doe ti ha preso in giro fin dall’inizio! E tu ci sei cascato, hai fatto quel che ti diceva di fare! Ed hai continuato a dire che andava tutto bene mentre quel pazzo si aggirava per la nostra scuola e sguinzagliava lucertoloni assetati di sangue!”
“Ti ho detto che mi aveva promesso…”
“Ti ha mentito! Ti ha detto solo una cosa concreta in tutto questo tempo!?”
Tom si umettò le labbra per rispondere. “Mi ha dato degli indizi. Mi ha… fatto capire chi potrei essere!” Ringhiò, alzandosi in piedi. Era incredulo, furioso.

Non riusciva a capire però se con Al o con sé stesso.
“E se ti avesse mentito? Non ci hai mai pensato?!”
“Certo che ci ho pensato! Ma è l’unico che mi abbia dato la speranza di sapere da dove vengo!” Urlò. Lo fece senza pensare che non era il caso, che non era dignitoso, che qualcuno poteva sentirli.

Sentiva una compressione spiacevole allo stomaco e non riusciva a fermarsi. “Tu non sai… non sai cosa significa non sapere chi si è. Tu sei Al Potter! Tu sai chi sei. Io no. Io sono solo chi mi Harry mi ha fatto essere, facendomi adottare da suo cugino!”
Ed era quello, il punto.

Sapere chi era, era stato più importante di tutto quanto.
Della sua famiglia, della sua tranquillità, di tutto. 
Al rimase in silenzio, mentre entrambi inspiravano ed espiravano lunghe boccate d’aria.

Erano spaventati. Avevano urlato perché entrambi erano spaventati a morte.
Al si morse l’angolo del labbro. Lo faceva sempre quando era nervoso.
“… Io, questo… Hai ragione, questo non lo posso capire.” Ammise. Tom notò che contraeva e decontraeva la mano sinistra. Era quella con cui l’aveva colpito. Aveva le nocche arrossate.
Ci siamo fatti male entrambi…
È sempre così.
“… Ma avresti dovuto… avresti dovuto dirmelo. Io neanche sapevo che per te era così importante sapere da dove vieni.” Sussurrò. “Pensavo che fossi felice così.”
“Lo sono.” Ribatté, e quando lo disse realizzò che era  vero. Era felice come Thomas Dursley.

Poteva lamentarsi quanto voleva della piccola cittadina in cui viveva, della sua famiglia a volte inadatta alle sue aspirazioni o alla confusione del clan Potter-Weasley in cui spesso veniva forzatamente inserito. Ma era felice.
Anche se non bastava. Non era mai bastato.
Deglutì, sforzandosi di mantenere la voce ferma. “Lo sono, Al. Lo sono stato, ma… volevo delle risposte. E John Doe sembrava… e sembra tutt’ora risposto a darmele.”
“E le vuoi ancora?” Chiese Al, strizzando gli occhi quando una goccia d’acqua gli cadde sul naso, stillando dai capelli fradici. “Vuoi ancora quelle risposte?”
“Non lo so. Questa storia… mi fa paura.” Ammise. Era dura. Sentiva una sensazione spiacevole alla bocca dello stomaco, ad ammettere che gli era tutto sfuggito di mano. “È andata troppo avanti. Delle persone sono morte… e quell’uomo vuole qualcosa da me. Qualcosa che non capisco.”

Odiava sentirsi impotente, spaventato e … ragazzino.
Ma in effetti, lo era.
“Se volesse te?”
Tom non rispose.
Se volesse me…
Rimasero ancora in silenzio. Al si passò le dita trai capelli, per evitare che gli finissero sugli occhi. “Adesso cosa facciamo?” Chiese.
Il plurale, benché la situazione fosse orribile e Al fosse chiaramente ancora furioso con lui, gli fece sentire uno strano calore allo stomaco.
Non l’aveva abbandonato. Non del tutto, almeno.
“Devo parlare con zio Harry. E costituirmi, suppongo.”
“Ma non hai fatto niente!” Scattò Al. “Non hai ucciso tu quelle persone, e non sapevi che i Naga sarebbero entrati nel campo di Quidditch!”
“Ma l’ho saputo poi. E avrei dovuto cercare Harry… perché stanno preparando qualcosa. Doe e la sua Organizzazione intendo, chiunque essi siano.” Esitò, poi tirò un profondo sospiro e continuò. “Mi ha detto che si sarebbe messo in contatto con me. Presto.”
“Con il… medaglione?”

Tom annuì. Pensare a come fermare Doe lo faceva sentire se non meglio, almeno utile.
Era quella la sua priorità in quel momento.
Fermarlo, qualunque cosa avesse in mente.
“Adesso non ce l’ho con me. Me lo sono tolto.” Glissò sulla difficoltà con cui era riuscito a separarsene. Forse era davvero incantato in modo che sentisse il bisogno fisico di averlo con sé.  Ora che però non l’aveva al collo si sentiva i pensieri più lineari, la mente più sgombra.
“Pensi che possano controllarti con quello?” 
“Non posso escluderlo…”
“Maledizione.” Sussurrò Al. “È come se avessero pianificato tutto, anche le casualità, fino al minimo dettaglio.”
“Le casualità nella magia non esistono, Al. È stata la prima lezione del professor Vitious.” Mormorò.

No, non c’erano state causalità.
Dal suo incontro con il Naga, al desiderio di possedere il medaglione.
John Doe aveva orchestrato tutto perché cadesse in una trappola, credesse ad un patto quando in realtà era solo un modo per controllarlo in attesa…
Di cosa? È questo il punto. Di cosa?
“Dobbiamo avvertire papà. Tramite metropolvere.” Suggerì, stringendosi le braccia al petto. Tom notò che aveva le labbra livide.
“Sì.” Convenne. “Hai freddo.” Osservò, piano.

Non aveva ancora capito come Al avesse realmente reagito a tutto quello, a parte il pugno.
Gli credeva, e questo era molto.
Ma si fidava?
Al fece una smorfia. “Sono bagnato fradicio, è naturale che abbia freddo.”
Tom non riuscì a reprimere un mezzo sorriso, quando glielo sentì dire con il suo solito tono imbronciato. “Al…”
“Sono furioso con te.” Lo anticipò. “Non hai idea di quanto mi hai fatto e mi stai facendo incazzare. Ma…” Fece un respiro profondo. “… ti conosco. Se fossi stato lucido non avresti creduto per un secondo a tutta questa storia. Ha preso un tuo punto debole, e ha spinto su quello. È… stato furbo. È un adulto, ci sa fare.”
Tom non rispose, ma sentì qualcosa dentro di lui sciogliersi.  

Al si inginocchiò di fronte al grosso camino intarsiato, gettando una manciata di metropolvere, sempre a disposizione degli studenti in un comoda anfora a lato, e aspettò.
Tom lo vide rabbrividire un paio di volte. L’umidità dei sotterranei non giovava certo alla loro condizione.
Alla fine le braci ebbero un guizzo, e Tom sentì lo stomaco rivoltarsi in una morsa spiacevole.
“Albus?” La voce crepitante però, era indubbiamente femminile. Ginny.
“Mamma! Dov’è papà? Non mi sono collegato con il camino del suo studio?”
“Sì tesoro, ma è tardi. Tuo padre non è qui.”
“Pensavo facesse straordinari come al solito…” Si scusò con un sorriso tirato. “Puoi chiamarlo? Devo parlargli, è importante.”
“Non puoi aspettare domattina?” Chiese la donna, sbadigliando trai tizzoni ardenti.

“No.” La voce di Al fu stranamente asciutta, anche alle orecchie di Tom. “Devo parlargli adesso, mamma. Per favore.” Aggiunse però.
Ci fu una breve pausa in cui il volto di Ginny sembrò scandagliare la zona adiacente al focolare. Tom si sentì fissato, ma non distolse lo sguardo.
“Tuo padre in questo momento non è in casa.” Spiegò, con calma. “Non è neppure in Inghilterra. È andato in India con tuo zio Ron. Per delle indagini.”
Tom sentì la morsa decontrarsi per poi acuirsi di nuovo. Harry non era in Inghilterra. Hogwarts rimaneva la sua unica protezione. E considerando che Doe si era già infiltrato, non era poi così sicura.
Al sembrò pensarla nello stesso modo, dall’espressione spaventata che fece, o meglio, che cercò di non tradire, senza riuscirci.
Fu Ginny a richiamarli all’ordine.
“Non so cosa tu gli debba dire, Al. Ma voglio che sia chiara una cosa. Non fate di testa vostra. Nessuno dei due. Aspettate che tuo padre ritorni… dovrebbe tornare domani mattina, in ogni caso. Lo avvertirò io. Adesso andate a letto, è tardi.”
Al sorrise alla madre, anche se non fu certo che potesse notare la sfumatura, tra le braci.

“Ha piovuto tesoro?” Chiese Ginny, poco prima che chiudesse il collegamento.
“Sì… ehm, perché?”
“Lo vedo, sei bagnato come un pulcino. Va’ a farti una doccia prima di andare a letto.”
“Mamma…” Tentò.
“Non farmelo ripetere.” Insistette. In un certo senso gliene fu grato; se sua madre si prendeva la briga di ricordargli un dovere così stupido, benché fosse evidente che sapesse qualcosa su Thomas, significava che quella storia sarebbe potuta finire bene.

“Va bene.” Acconsentì. “Buonanotte mamma.”
Quando si voltò verso Tom, lo vide fissarsi le mani, serrate strette l’una contro l’altra. Alzò lo sguardo, serrando appena le labbra. “Ginny ha ragione. Stai tremando. Devi farti un bagno caldo, se non vuoi ammalarti.” Gli disse atono.
“Devi farlo anche tu.” Ribatté, alzandosi in piedi. “Non sei stato miracolato dalla pioggia.”
“Dobbiamo farcelo entrambi.” Convenne stancamente. “Ti lascio libera la doccia, lo farò dopo. Resto qui nel frattempo, c’è il fuoco.”
“Non scalda affatto, e lo sai. E comunque non voglio tornare in camera.” Disse, e lo fece di getto, ma pensandolo sinceramente.

L’idea di poter svegliare Michel o Loki non lo allettava affatto. Avrebbero dovuto dar loro spiegazioni delle loro condizioni, del labbro gonfio di Tom o delle sue nocche spellate.
No, grazie. Ho già troppo a cui pensare.
Tom gli lanciò un’occhiata confusa. “Allora dove pensi di fartela?”
“Siamo prefetti, no?” Scrollò le spalle, afferrandolo per una mano e tirandolo su. Tom non oppose resistenza. Non poteva, e lo sapevano entrambi.

In quel momento, per quanto la sensazione non fosse poi così piacevole, il più forte dei due era lui.
“E con ciò?”
“Bagno dei prefetti.”
“Non ci va mai nessuno, Al. È al quinto piano.”
“Appunto perché non ci va mai nessuno è perfetto. C’è acqua calda e… dicono sia fantastico. Un buon posto per farsi un bagno.”
“Non mi sembra il caso. Non adesso.”

“Invece proprio adesso.” Si impuntò. “Papà non tornerà prima di domattina, ed in ogni caso è solo con lui che possiamo parlare per risolvere questa cosa. Ed abbiamo bisogno entrambi di scaldarci e … tranquillizzarci. Okay? Sei ad Hogwarts, Tom. Sei al sicuro.” Gli sorrise. “Comunque ci porteremo dietro le bacchette.”
Tom non ricambiò la stretta, prendendo un’aria assorta.  “Va bene.” Disse però. “In effetti non avevo voglia di dare spiegazioni a Nott e Zabini.”

“Neppure io… Dovrei dire che ti ho picchiato, e la tua reputazione di duro potrebbe precipitare nel baratro.” Scherzò: Tom non sorrideva dall’inizio della serata. Non ne aveva motivo, certo, ma era terribile vedergli quell’aria tesa e spaventata addosso.
Tom intuì il suo tentativo, e fece un mezzo sorriso. “Non mi hai fatto così male.”
“No, infatti non hai un labbro tumefatto.”
“Al, tu non riesci a chiudere la mano sinistra.”
Al sbuffò, facendolo sorridere stavolta, sul serio.  

 
****
 
 
Torre di Grifondoro.
 
James tornò assonnato, ma trionfante nella sua Casa. Salutò Lily con un bacio sulla guancia e la coppietta con un cenno della testa.
Scorpius sogghignò. “Domani mi racconti tutto, Poo.”
“Non c’è mica niente da raccontare.” Brontolò.  

Poi si ricordò che era un legimante.
Dannato Malfoy. Dannato pettegolo.
“Ti odio.”
“Buonanotte anche a te, Potter.” Ghignò, rubando un bacio ad una perplessa Rose, prima di sorpassarlo e sparire nelle scale dei Dormitori maschili.

James salì le scale con calma. Non c’era certo motivo di affrettarsi. Non aveva neppure sonno.
Quando aprì la porta della propria camera trovò gli amici già profondamente addormentati.
Strano… da quando vanno a letto come un gruppo di ragazzine tassorosso?
Ma c’era qualcos’altro. Una sensazione spiacevole. Ci mise un po’ ad identificarla.
La stanza era come al solito immersa nel caos causato da quattro adolescenti nel pieno della pubertà, e quindi vestiti e libri, come dischi e sacchi di dolciumi di Mielandia, campeggiavano ovunque.
Ma James sentiva che c’era qualcosa che non era al suo posto. Poi capì.
Era il suo baule, quello in fondo a letto, in cui stipava le cose a cui teneva di più, come il kit di manutenzione della propria scopa e la sua pila di riviste di Quidditch che nessuno doveva toccare oltre a lui.
Non era al suo posto. O meglio, c’era. Ma era stato spostato; le assi di legno davanti erano pulite, senza un grammo di polvere o un paio di calzini sporchi.

Lo spalancò, gettandosi ai piedi del letto con un rumore tale che svegliò Bobby Jordan, il più vicino a lui.
“Jam, cosa cacchio…”
“Avete toccato la mia roba?” Chiese frettoloso, contando le sue riviste, la sua scorta personalissima di dolci e l’astuccio di cuoio rosso contenente il kit. Sembrava esserci tutto.

“No, per Merlino, nessuno di noi vuole morire giovane…” Bofonchiò stropicciandosi un occhio. Sembrava un po’ troppo intontito, per essere andato a letto solo mezz’ora prima.
“Ma com’è che siete già tutti a letto?” Interloquì.   
Bobby corrugò le sopracciglia, facendo spallucce. “Boh. Sonno?”
James scrollò le spalle, facendo per chiude il baule.

Poi sentì qualcosa ghiacciargli la nuca.
Non era tutto al suo posto.
Lo riaprì di scatto, frugando ferocemente, buttando persino fuori il kit e le riviste.
No, no, no. Merda. Merda. Merda!
“Ehi… ma che fai?” Bobby lo guardò attonito. “Cosa diavolo cerchi?”
James alzò lo sguardo, furioso e incredulo. “È sparito il mantello di mio padre. Il mantello dell’invisibilità.”

 
****
 
La parola d’ordine era Pino Silvestre. Si raccontava che fosse sempre la stessa da secoli.
Al dubitava fosse vero.
Forse, semplicemente, cambia a rotazione.
Spinse con una mano la pesante porta di legno dei bagni del quinto piano, facendo cenno a Tom di seguirlo. L’altro non disse nulla, ma teneva la bacchetta così forte in pugno che dovette  prenderlo per un braccio per portarlo dentro.
È tanto volere un momento di quiete?
Il bagno era grande e spazioso. Da un lato c’era una serie di docce, pulite ed efficienti. Morbidi asciugamani erano impilati in nicchie di pietra e al loro ingresso si erano accese una ventina di torce che gettavano una luce forte ma piacevole. L’ambiente era interamente in pietra, ma vi aleggiava un piacevole tepore, sicuramente di fonte magica.
“Wow. Mi chiedo perché non ci siamo andati prima!” Commentò.
Tom fece un lieve sospiro. “Perché è al quinto piano, quindi piuttosto distante dai sotterranei… e, probabilmente, è molto spesso occupato.” Spiegò pratico.
“Ma ora non c’è nessuno!”
“Perché non deve esserci nessuno. È coprifuoco.” Tom intascò la bacchetta, dopo aver lanciato una lunga occhiata tutto attorno.

Era paranoico.
E dopo quello che gli aveva raccontato, Al non se la sentiva di criticarlo.
Soffocò uno starnuto dentro la mano. I vestiti gli si erano spiacevolmente appiccicati addosso e l’aria umida del castello non aveva neanche tentato di asciugarli.

Tom gli lanciò un’occhiata, disfacendosi del mantello che appoggiò ordinatamente in una nicchia. “Infilati subito sotto l’acqua calda.” Era un ordine, ma lo ascoltò solo per metà.
Si avvicinò invece alla vasca vuota, circondata da tanti rubinetti diversi. La conosceva, suo padre gliene aveva parlato.
“Hai visto?” Si voltò, con gioia infantile dipinta in viso, forse un po’ forzata, ma serviva alla causa. “Voglio usarla!”
Tom esitò, lanciando uno sguardo da lui alla vasca. “Fa’ pure.” La cosa, stranamente, sembrò metterlo a disagio, visto che si voltò per cominciare a spogliarsi.

L’elevato senso del pudore di Tom era leggendario, pensò Al con un sorriso, guardandolo spogliarsi: i primi tempi c’erano state battaglie feroci tra lui e Michel, sempre abituato a prendere in giro gli altri per il proprio aspetto fisico.
Certo, Tom ha anche un problema… Gli manca un pezzo.
Gli lanciò un’occhiata di sottecchi, combattendo distratto con i primi bottoni della sua camicia color glicine.
La schiena di Tom era bianca, del colore dell’avorio con cui erano intarsiate alcune colonne della loro Sala Comune. Non era particolarmente muscolosa, non come quella di Mike o di Jamie. Era liscia e le vertebre sporgevano leggermente, accentuate dal fatto che Tom fosse diventato davvero magro.
Al la trovava una schiena bellissima.
Deglutì, distogliendo a sua volta lo sguardo.
Non era forse quello il momento adatto per certi pensieri. Ma li stava facendo, e non poteva fermarli.
I baci non erano più un problema. Ma a letto spesso diventava tutto confuso, e si trovava eccitato quanto imbarazzato. Forse era la mancanza di esperienza di entrambi a fermarli, ma neppure Tom, che pure a volte si mostrava un discreto pervertito, riusciva a superare la barriera dei vestiti. Per toccarlo o per toccarsi.

C’è da dire che non abbiamo mai molto tempo per noi, dividendo la camera con altri due ragazzi.
C’è sempre il rischio che entri qualcuno … E non è che possiamo chiudere le tende e confidare nella discrezione di Lo e Mike…
Ora però…
Si sentì deglutire rumorosamente. Il suono fu orribilmente riverberato tra le colonne.
Fu certo che anche Tom lo sentì, anche se non si voltò a controllare.
Zampettò pateticamente a piedi nudi fino ai rubinetti, aprendoli frettolosamente.
Non aveva mai pensato al sesso, almeno finché non si era sentito attratto da Tom.
Certo, aveva sedici anni e questo significava che da almeno tre anni aveva imbarazzanti erezioni mattutine che l’avevano terrificato per mesi, prima che James impietosito, in una conversazione umiliante, si premurasse di spiegargli che era una ‘roba assolutamente normale, cretinetto’.
Ma la prima volta che aveva associato il desiderio ad una persona vera, era stato con Tom.
Era con Tom. In quel momento.
La vasca  intanto si era già riempita di una schiuma multicolore e profumatissima.
Tom a quel punto si voltò, storcendo il naso. “Quanti rubinetti hai aperto? Sembra di stare dentro ad una torta.”
Al ridacchiò, facendo spallucce. “Tutti?”
“Merlino…” Sospirò. “Io vado a farmi una doccia.”
“Fai il bagno con me.”
Lo disse di getto, desiderando morire un momento dopo. Ma sapeva che l’avrebbe potuto chiedere solo così.
Tom gli lanciò uno sguardo… si sarebbe detto assorto. Forse lo era sul serio.

O forse semplicemente stava decidendo se ridergli in faccia o meno.
“Non abbiamo più sei anni.” Disse, voltandosi completamente. Teneva casualmente la camicia premuta sullo stomaco, come se se la fosse dimenticata lì. Era un genio nel fingere noncuranza.
Al spostò il peso da un piede all’altro. Si sentiva le guance scottare, ma decise che non era un dettaglio rilevante. “Lo so.” Rispose. “Ma voglio comunque fare il bagno con te.”

Si voltò, perché altri dieci secondi a fissarsi non li avrebbe retti e si liberò dei pantaloni e dei boxer. Se avesse potuto si sarebbe gettato in acqua, ma onde evitare traumi cranici, si accontentò di scivolarci dentro.
La sensazione di benessere che gli provocò l’acqua bollente gli fece dimenticare per un attimo di avere lo sguardo di Tom fisso sulla nuca. Emise persino un suono soddisfatto.
(Un gemito, gli avrebbe fatto notare Tom dopo.)
A quel punto sentì dei passi dietro di sé e poi sentì il fruscio dei vestiti.
Dentro l’acqua, scoprì, si sentiva meno imbarazzato. Arrischiò un’altra occhiata, e fu rasserenato, imbarazzato ed intrigato – tutto assieme, notevole – dal constatare che anche Tom non era indifferente al contesto.
“C’è un odore disgustoso.” Si premurò comunque di fargli notare.
“A me piace.” Protestò, evitando di ridere al rossore che si diffuse sulle guance dell’altro. Tom e il calore non andavano troppo d’accordo: avendo la pelle sottile, quasi trasparente in certi punti, era normale  che i cambiamenti di temperatura  repentini lo facessero avvampare.

“Non dubitavo…” Considerò, lanciandogli un’occhiata. Più di un’occhiata. “Perché vuoi che faccia il bagno con te?” Gli chiese a bruciapelo.  
C’è una risposta? Ma gliela devo dire sul serio?
“Perché le docce sono scomode.” Mentì, avvicinandosi pericolosamente. E non solo. Non gli importò di sentirlo sussultare quando gli passò le braccia attorno al collo.
Non aveva la minima idea di cosa stesse facendo, naturalmente.
Ma in quel momento non aveva poi molta importanza.
“Albus…”
“È Al.” Lo corresse in automatico. “Possibile che neanche un bagno caldo riesca a rilassarti? Sei un pezzo di legno.”
“Perché pensi che lo sia?” Sibilò e fu certo che non fosse rosso per il caldo. “Quello che sta succedendo…”

“Lo so, Tom.” Sussurrò. “Sta’ zitto però.”

Era eccitato. Poche volte si era sentito così eccitato in vita sua, e quella era la più feroce di tutte.

Detestava il caldo. Non solo perché il suo fisico sembrava mal sopportarlo, ma perché lo rendeva… languido.
E nel momento attuale, con Al stupidamente ancorato addosso, con un ginocchio tra le sue gambe, lo rendeva paurosamente vicino a perdere il controllo.
Era come se la paura per ciò che stava accadendo cercasse di mantenerlo lucido, in un perenne senso d’allerta, mentre tutto il suo fisico pregava perché si lasciasse andare e spegnesse il cervello.  
Per riassumere, non riusciva a toccarlo anche se ogni singola cellula del corpo gli urlava di farlo.
Cercò di allontanarlo. Di far prevalere la ragione.
“Lo so.” Fu la risposta di Al. “Sta’ zitto però.”
Poi gli franò letteralmente addosso. Quando lo sentì venire a contatto contro di lui, completamente, qualcosa dentro di lui si sciolse.

Forse il suo controllo. Non che se lo chiese.  
Afferrò con due dita il mento di Al, chinandosi a baciarlo. Fu uno di quei baci, di quelli che li lasciavano senza fiato, mentre sentiva una scarica di adrenalina e eccitazione cancellare con un colpo di scopa l’angoscia.
Al gli puntellò le mani sulle spalle, salvo poi attirarlo di nuovo a sé quando scoprì che una certa frizione era ben più piacevole dell’acqua calda.
Appoggiò la fronte alla sua, con un sorriso stupito. Teneva gli occhi chiusi e aveva il viso rosso e lucido, come una mela.
Tom sentì l’impulso di leccarglielo.

Merlino benedetto…
E infatti, lo fece. Passò le labbra lungo la guancia umida di schiuma, lambendogli con la punta della lingua lo zigomo, per poi finire a baciargli la tempia. Lo sentì ridacchiare.
“Morgana…” Mormorò. Socchiuse gli occhi e nella penombra luminosa della vasca gli brillarono di un verde accecante. “Ancora?”
“Naturalmente.” La sua educazione pro-forma si manifestava soprattutto in momenti come quello. Al gli sogghignò irriverente, e capì che stava pensando la stessa cosa.
“Ti voglio…” Aggiunse però. “Ti voglio mio.”
“Non è grammaticalmente corretta come frase, Tom.”
“Al diavolo.” Ringhiò, facendolo ridere di nuovo. “Ridi di me?”
Al scosse la testa passandogli i palmi bagnati sulle guance, e sui capelli. Quell’odore dolciastro, di miele e spezie, cominciava a piacergli. Era in un certo senso stordente. “A volte, ma non adesso… Anche perché… cioè.” Per un attimo torno al consueto borbottio imbarazzato. “Anche io.”
“Vuoi?” Gli parlò con le labbra appoggiate alla gola.
“Nh.” Confermò. Gli lanciò un’occhiata. La schiuma, pensarono entrambi, aiutava: non che non si fossero mai visti nudi, certo…

Ma una cosa è avere sei anni, una cosa è avere un corpo pronto all’uso… - Pensò Al, sentendosi un deficiente.
Poi decise di dirlo, perché qualcuno, lì, doveva farlo.
“Non so da dove iniziare…” Confessò, in un piccolo sussurro nervoso. Stava comodo, con le braccia di Tom che lo tenevano stretto e le gambe allacciate alla sua vita. Gli si era seduto addosso, e anche se alla lunga la posizione sarebbe potuta essere scomoda, in quel momento era perfetta.
Tom fece un mezzo sorriso. “Pensi che per me sia diverso?”
“Penso che prima… stessimo andando bene, no?”
Tom, non rispose, tracciandogli una linea immaginaria attorno al petto. Probabilmente lo sentirono entrambi che il cuore tentava gioiosamente di sfondargli la cassa toracica. Poi gli prese la mano e se la portò addosso.
“Sì.” Sussurrò. “Senti…”
Il cuore di Tom correva impazzito quanto il suo.
Al sorrise, chinandosi a toccargli le labbra con le dita, poi con la bocca. Baciarlo.
Il mondo si fece improvvisamente silenzioso. Sul serio, ebbero la distinta percezione che tutto si fosse calmato. Persino la pioggia fuori aveva smesso di frustare i vetri del bovindo, in cui la sirena della vetrata giaceva addormentata.
E poi, a posteriori, entrambi lo ricordarono così. Caldo. L’acqua rimase tiepida, ma fu caldo.

Bollente, con gemiti – erano gemiti – e baci continui, quasi nessuno dei due sentisse il bisogno di respirare. O forse solo così potevano farlo.
Fuori il mondo, dentro loro.
 
****



Note:
Qui la canzone.

Fa da traccia a tutto il capitolo, quindi… beh, ascoltatela. ;-P

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Capitolo 43
*** Capitolo XXXVIII ***


Ringrazio chi mi ha recensito, e per quelli che non l’hanno fatto, beh… ragazzi, ci sono le visite, dai, lasciatemi un commento. Non riesco a capire se la direzione presa vi piaccia o meno!
Dedico questo capitolo ad Ernil, perché ha fatto un lavoro recensitorio FOLLE questa sera, rendendomi una slasher molto felice. XD
@Trixina: Eeheh, mi fa piacere che ti sia piaciuta la scena Al/Tom! ^^ Sì, in effetti è stata molto dolciosa, ma era voluta. Un po’ di quiete prima della tempesta! E Al è adorabile, lo so. ;P (auto-pimping? No, è che io me lo immagino così XD) Beh, sì Harry e Ron li ha fatti un po’ come me li ricordavo… c’è poco da fare, per me saranno sempre dei bambinoni troppo cresciuti. XD Grazie per i complimenti… anche io sono dispiaciuta dalla defezione dei soliti commentatori, ma voi mi date la forza di mandare avanti la baracca, quindi davvero Trixina, GRAZIE.
@Altovoltaggio: non importa, l’importante è che alla fine mi fai sapere che ne pensi! Le recensioni sono importanti per il morale dell’autore e diciamocelo, anche un po’ per goduria personale ^^ Grazie mille per i complimenti, specialmente quelli ad Albus-è-Al!
@Simomart: Ciao, benarrivata! Grazie della SPLENDIDA recensione, articolata e precisa che mi hai lasciato! Davvero è la tua prima storia slash! Allora è un onore! ^^ Anche tu già conoscevi Taylor Kirsch? Vero che è stupendo! XD Per quanto riguarda Rose e Scorpius avranno un peso nei prossimi capitoli, ma purtroppo dovendo gestire tante coppie devo fare delle scelte. Allora, per le info… Posto ogni domenica, verso mezzanotte, o altrimenti in mattinata tardi. Dipende da quando torno dai bagordi e quanto tardi mi alzo XD Per quanto riguarda la durata, penso di finire con il 50 capitolo massimo, ma ci sarà una seconda parte, salvo imprevisti, tra l’altro, un po’ più het. ;)
@Mikyvale: Non preoccuparti Miky! L’importante è rivederti su questi schermi ^^ Il mantello scoprirai a cosa serve, e chi l’ha preso. Grazie mille per continuare a seguirmi! Stay tuned!
 
 
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Capitolo XXXVIII
 
 
 
 
 
 
Help me, help me
You know me better than I knew myself
Getting nothing done/ I'm getting nothing done
Failing all my friends/ And I'm failing everyone¹
(Mayday [M’aidez], People in Planes)
 
6 Novembre 2022
India, Regione di Nagaland. Mattina.
 
La situazione non era delle migliori.
Si trovavano in una radura, spersi nel nulla della penisola indiana, circondati da una dozzina di indigeni guerrieri con zanne lunghe come avambracci di un bambino. Armati.
Ron teneva la bacchetta tesa di fronte a sé. “Harry…” Sussurrò a denti stretti.
“Lo so.” Si schiarì la voce. “Siamo qui per incontrare un nostro amico…” Iniziò scandendo lentamente ogni parola. “Rolf Scamandro.”
I Naga non si mossero. Poi, quello con l’arco più grosso e con più collane e piume addosso, emise un sibilo. Harry suppose che stesse parlando.

È serpentese. Oh, dannazione.
Da quando Voldemort aveva smesso di esistere, i poteri a lui collegati si erano andati via via affievolendo, pari passo con la scomparsa della cicatrice.
Il che significava che a quarantadue anni suonati non percepiva che qualche parola, e per giunta incomprensibile, nella lingua dei rettili.
Forse era l’unica cosa utile che mi avrebbe potuto lasciare in eredità…
“Sta parlando in serpentese, vero?” Sussurrò Ron. “Ti prego, dimmi che lo capisci.” Alla sua espressione inspirò bruscamente. “Okay, dobbiamo combattere? Perché devo sapere se potrei morire lontano migliaia di miglia da casa mia. Così saprò se Hermione onorerà la mia tomba o ballerà sul mio cadavere.”
I Naga a quello scambio di parole, forse irritati dal non capirci assolutamente niente, si fecero più vicini e minacciosi.
Harry prese una decisione, velocemente. “Abbassa la bacchetta, Ron.”
Cosa?
“Abbassala.” Ripeté, chinandosi a metterla a terra, con un movimento attento.

“Harry, che diavolo stai…”
“Ascolta. Se avessero voluto ucciderci l’avrebbero già fatto. Credo che vogliano catturarci.”
“Adesso sì che mi sento meglio! Per diventare il loro pranzo? Scordatelo!”
Harry lanciò un’occhiata di ferro – sviluppata durante gli anni passati come caposquadra – e gli fece cenno di abbassarla. “Fa’ come ti dico, Ron. Fidati.”
“Ricordami che ti devo un pugno sul naso.” Sibilò, ma obbedì. Subito due guerrieri gli furono addosso, legandoli saldamente con le mani dietro la schiena. Quello che sembrava il capo prese le bacchette che uno dei due gli porse, studiandole.
“Spero non voglia usarle come stuzzicadenti” Borbottò Ron.
Il Naga, con gran sollievo di entrambi, si limitò a tenerle in mano mentre ordinò qualcosa ai suoi guerrieri.

La piccola carovana si mosse. Harry ebbe la percezione di camminare a lungo, ma forse era la stanchezza della materializzazione, addizionata al caldo umido che gli fiaccava le ossa.
Dopo un tempo imprecisato, e un borbottio pressoché ininterrotto da parte di Ron, arrivarono a quello che sembrava a tutti gli effetti un villaggio.
Harry lo studiò con attenzione: era recintato da un alto steccato di legno, e sorvegliato da tre postazioni diverse. All’ingresso stava una capanna rettangolare, la più grande di tutte. Al centro c’era una radura, con quella che sembrava la dimora del capo, a giudicare dai colori accesi del legno in cui era dipinta. Davanti c’era un enorme Naga – molto più grosso del capo della piccola spedizione e accanto a lui…
“Rolf!”
L’uomo, praticamente un bambino accanto al grosso uomo-serpente, si tolse la pipa dalle labbra, rivolgendo loro un cenno. “Harry, Ronald… Benvenuti nella tribù Zhamai.” Poi si rivolse al capotribù, parlandogli in quello che ad Harry sembrò indiano. Non serpentese, comunque.

Il grosso essere sferzò la coda e rivolse qualche parola al gruppo di guerrieri. I due che li tenevano si affrettarono a liberarli dei legacci.
Ron si massaggiò i polsi. “Rivoglio la mia bacchetta.” Disse subito.
“Le terranno loro finché la visita non sarà conclusa.” Chiarificò Rolf, dopo aver tirato uno sbuffo di pipa. “Misure precauzionali. L’hanno presa anche a me.”
Ron sembrò innervosirsi, ma non disse nulla. Negli anni aveva imparato a mordersi la lingua più di quanto volesse veramente. Harry gliene fu grato.
“Rolf, pensavamo saresti venuto a prenderci tu…” Azzardò, con calma ammirevole, considerando che erano circondati da imponenti montagne di scaglie e zanne.
“Sono dovuto rimanere qui come garanzia.” Spiegò. “Gli Zhamai sono una tribù estremamente diffidente verso i maghi. Sono stato presentato ufficialmente da un altro capotribù non più di tre giorni fa e nonostante abbiano accettato… beh, non si fidano neppure di me.” Concluse con semplicità, mentre Ron lanciava uno sguardo sconfortato all’amico.
“Adesso capisco perché Luna l’ha sposato.” Sussurrò, scrutando cupo l’aria rilassata del naturalista. “Sono sciroccati tutti e due.”
Harry represse un mezzo sorriso, e si schiarì la voce. “Hanno accettato di sottoporsi ad un interrogatorio?”
“Ne stavamo giusto parlando. Lootra, il capotribù, mi ha spiegato che ha perso uno dei suoi guerrieri migliori, mentre cinque sono tornati in condizioni terribili, perché portati via da un uomo che … l’espressione corretta è, suppongo, ha stimolato loro il demone della cupidigia.”
“Pensavo fossero stati portati in Inghilterra dal Ministero Indiano.”
“È così infatti.” Rolf scambiò qualche altra parola con il Naga, che li fissava in modo così truce che Harry si meravigliò che non li avessero ancora riempiti di frecce. “Pare che il funzionario che è venuto qui abbia promesso loro la fama. A quanto ho capito sarebbero stati ospiti di una serie di convegni sulle creature magiche ad Edimburgo. Molti dei giovani di qui sono attratti dal mondo al di fuori del villaggio. Persino le tribù più isolate come questa hanno avuto contatti con i maghi.”  
Harry annuì. “Chiedigli se è disposto farci parlare con i suoi guerrieri.”
“Già fatto.” Lo precedette Rolf. “Ha detto che non è disposto a farveli incontrare, ma che parlerà lui con voi. Inoltre vuole avere l’assicurazione che la sua tribù non venga coinvolta in faccende tra maghi.”
“L’avrà. Digli però che ho davvero bisogno di parlare con uno dei suoi guerrieri. Potrebbe essere testimone in un indagine auror.” Soggiunse.

Rolf si rivolse verso l’essere, e dopo un paio di scambi di battute, il Naga fece un cenno, rientrando nella capanna di legno e paglia.
“Ha detto di seguirlo.” Tradusse Rolf. “Ma Ronald dovrà rimanere fuori.”
“Eh? E perché?” Si adombrò l’uomo. “Qual è il problema?”
“Accetta solo di parlare con il capo. In questo caso, Harry.”
Harry fece un sorriso di scuse all’amico. “Resta qui. Sorveglia la situazione.”
“Certo, senza bacchetta.” Ribatté l’altro innervosito. “Non metterci troppo. Vorrei tornare a casa prima di colazione, fusorario permettendo.”
Harry gli fece un cenno, entrando dentro la capanna. Fu stupito dal vedere come fosse estremamente simile a quella che poteva immaginare per un indigeno umano. Il Naga si acciambellò tra un groviglio di pelli, facendo cenno loro di sedersi.
Harry obbedì, sperando ardentemente che non gli fosse offerto niente di ciò che bolliva in un angolo della capanna. Aveva un odore nauseabondo.

Rolf si accomodò perfettamente a suo agio accanto all’essere. “Ha detto che vuole sapere il motivo per cui hai bisogno di parlare con uno dei guerrieri.”
“Spiegagli che potrebbe essere un testimone, e qualsiasi cosa dica o ricordi, anche la più sciocca, potrebbe esserci molto utile.” Ripeté pazientemente.

Rolf tradusse diligentemente e il Naga sferzò di nuovo la coda, palesemente infastidito.
“Dice che non si fida dei maghi, e non vuole che uno dei suoi giovani sia accusato di cose che non ha commesso.” Concluse con un sospiro. “Harry, se vuoi un consiglio, accetta la sua proposta. Siamo suoi ospiti, ma il concetto di ospitalità Naga è estremamente variabile.”
Harry esitò. Era venuto lì per avere delle risposte, ma come si aspettava, la cosa non stava funzionando. Capiva il capotribù. Ma il capotribù era piuttosto palese che non si sforzasse di capire lui.

“Quindi il punto principale è che non si fida di me, è esatto?”
“Grossomodo.” Assentì Rolf. “Non prenderlo come un punto personale. Noi maghi spesso veniamo visti come sfruttatori, e considerando che sei dei suoi guerrieri sono stati effettivamente sfruttati da un mago…” Fece un cenno vago. “Oltre a questo, il governo magico indiano non rispetta le loro tradizioni, il più delle volte li vede come selvaggi pericolosi. Capisci bene che con queste premesse, e già tanto che accetti di dirti ciò che sa lui.”
Harry sospirò. “Chiedigli cosa sa.”
Rolf tradusse e il Naga si premurò di fare un breve e conciso discorso, prima di piantargli le pupille oblique addosso.

“Ha detto che un funzionario del ministero è venuto a parlare qui a Luglio, credo, se ben ricordo il calendario Naga. Sei dei suoi guerrieri hanno acconsentito a partire per Londra, per…”
“Questa è la parte che so già, Rolf. Quello che voglio sapere è cosa gli hanno detto dopo che sono tornati.”
Rolf ripeté la domanda, ma la risposta fu desolante come Harry si aspettava. “Dice che arrivati lì sono stati affidati ad un mago inglese, e poi ad un altro mago che ha operato su di loro un’ oscura magia. Li ha costretti ad obbedire.” Fece una pausa. “Imperio?” Chiese.

“Probabile.” Fece una smorfia l’uomo. “Non c’è altro?”
“È tutto quello che sa.”

Harry serrò le labbra: poco o niente, come immaginava.
Devo guadagnarmi la sua fiducia…
L’unico modo era mostrargli che c’era qualcosa che un mago poteva avere in comune con una creatura oscura. Doveva stabilire un contatto.
Devo parlargli in serpentese…
Si concentrò, guardandolo. Da ragazzo per lui era normale come parlare inglese. E se la cicatrice ancora c’era, forse…
Parlo… serpentese.” Sussurrò a fatica, come ricordando una lingua straniera che aveva parlato anni prima. Ed era così.
Dalla faccia che fece Rolf e dall’espressione sbigottita del Naga, capì che qualcosa aveva detto.

Lo parli, sì.” Convenne Lootra. “Non sapevo che i maghi potessero parlare la lingua degli avi.”
Non tutti.” Fece una pausa. “So che noi maghi non godiamo della vostra fiducia. Ma ci sono maghi buoni, e maghi malvagi. Chi ha rapito i vostri guerrieri è un malvagio. E lo stiamo cercando. Devo parlare con uno dei vostri guerrieri perché un giovane mago, un mago innocente, è in pericolo. Non siamo diversi, anche io sto cercando di proteggere qualcuno.
Il Naga lo squadrò a lungo, dandogli la spiacevole sensazione che tentasse di leggergli i pensieri. Poco probabile, ma chissà che la legimanzia non funzionasse anche per le creature oscure.  

E sia.” Concesse. Subito dopo sibilò un ordine ad una delle sentinelle poste davanti alla capanna.
“Pensavo non ne fossi più capace… intendo, di parlare il serpentese.” Interloquì Rolf impressionato.

“Lo pensavo anche io. C’è da dire che non ho più avuto molti modi per esercitarmi. E neanche motivi.” Aggiunse con un mezzo sorriso. Tacquero quando entrò un altro naga dentro la capanna. Era più piccolo rispetto al capotribù, ma in compenso aveva un aspetto ben più feroce.
Questo è mio figlio Lotha.” Spiegò Lootra. “Faceva parte dei cinque che sono tornati.
Harry improvvisamente si sentì molto più nervoso, e allo stesso tempo più comprensivo. Fece un cenno verso la creatura, che replicò, guardinga.
Lotha, ho bisogno che tu ricordi a chi sei stato affidato con i tuoi compagni. Non Duil, l’altro.
Il guerriero sferzò la coda. Lanciò un’occhiata al padre, poi rispose. “Il guerriero. Non era come l’altro mago. Non aveva paura di noi. Non ci temeva. Era grande e potente.”
Perché dici che era potente? Vi ha minacciato?”
Noi Naga percepiamo la forza di voi maghi.” Replicò sferzante il giovane. “Percepiamo il campo magico di cose e umani. Lui era potente. E ci ha fatto un incantesimo, come li chiamate voi. Da quel momento, siamo stati tutti in suo potere.”
“Imperio…” Sussurrò Harry distrattamente. “Potresti descrivermelo?

Il Naga rimase in silenzio, così a lungo che Harry pensò che non avesse capito la domanda. Poi riprese. “Era alto, due teste più di te. Indossava vesti strane. Diverse dalle vostre. Non ricordo altro.”
Vestiti babbani… Fantastico. Significa che può nascondersi anche trai babbani.

Ricordi cosa vi ha chiesto di fare? Magari se era da solo?
Era da solo.” Confermò. “E ricordo cosa ci ha chiesto di fare. Ci ha chiesto di cercare una pietra in una Foresta. Ha dato a Selik la pietra e gli ha detto di trovare un ragazzo. Selik è morto.” Soggiunse con un sibilo che ricordava gesso su una lavagna. Harry fece una smorfia, ma la sua mente lavorava febbrile.

Una pietra nella Foresta…
Hai visto quella pietra? Sapresti descrivermela?
Sì, l’ho trovata io. Era piccola, scura e dal grande potere.” 

Harry sentì il sangue gelarsi nelle vene. Non c’era ombra di dubbio, di cosa si potesse trattare, considerando che lui stesso aveva gettato quella pietra nella Foresta Proibita, più di vent’anni prima. Stava parlando della Pietra della Resurrezione. Uno dei Doni della Morte.
Vi ha chiesto di recuperare… altro?”
No.” Negò il guerriero. “Ci ha tenuto per giorni in una grotta, dentro la Foresta. Con noi c’era il mago che avevamo incontrato all’inizio, quello che ci aveva consegnato a lui. Era sotto il nostro stesso incantesimo. Poi ci ha fatto un incantesimo e ci siamo ritrovati dentro un campo recintato. Ci hanno detto di cercare quel ragazzo, lo stesso che avrebbe dovuto trovare Selik. Poi siete arrivati voi.”
Harry cercò di non far trapelare lo sgomento e l’angoscia che montavano dentro di lui.
Aveva cercato e trovato un Dono della Morte. La Pietra. Forse era quello meno pericoloso o utile, ma proprio per questo non poteva essere la sola cosa che cercavano.

E il ragazzo…
Si schiarì la voce. “Sai chi è il ragazzo? Vi ha dato un nome?
Il naga sferzò la coda, forse un segno di diniego. “Ci ha detto che era alto e magro. Ci ha detto che il suo campo magico era diverso da quello degli altri giovani maghi. Ed era vero.”  

Tom… Si tratta di Tom, Merlino Benedetto.
Sai perché vuole il ragazzo?” Si sentiva la bocca secca, ma controllò perfettamente la voce. Non aveva passato quasi vent’anni all’Ufficio Auror senza saper controllare le proprie emozioni. Piton, considerò amaro, si sarebbe stupito dell’autocontrollo che era sopravvenuto con la sua maturità.
No. Ma so che lo vuole.”
Il capotribù a quel punto decise di intervenire. “Il ragazzo è in pericolo, mago. Se non l’abbiamo preso noi, è certo che lo prenderà lui.”

 
****
 
 
Hogwarts, Corridoio del quinto piano.
Notte.

 
Il bagno caldo li aveva rilassati in molti modi.
Dopo aver asciugato i vestiti con un incantesimo se li erano rimessi, il tutto nel più perfetto silenzio.
Ma andava meglio, pensò Al, una volta che la porta del bagno dei Prefetti si fu richiusa alle loro spalle, lasciandoli nel corridoio buio. Poteva andare meglio, certo, ma stava andando un po’ meglio.

Più di quanto ci si possa aspettare vista la situazione…
Lanciò un’occhiata a Thomas, mormorando un lumos per rischiarare il pavimento a pochi passi da loro. L’altro ragazzo distolse lo sguardo, abbacinato dal fiotto di luce troppo vicino al suo viso.
“Al, fa’ attenzione.” Sussurrò con una smorfia.
“Scusa. Ma è già tanto se non ti ho ficcato la bacchetta nell’occhio. Non capisco perché non lasciano le torce accese anche dopo il coprifuoco.”
“Probabilmente perché si aspettano che nessuno vada in giro per i corridoi.” Suggerì ironico. “Usiamo solo la tua bacchetta. Meglio non dare nell’occhio. Credo che Gazza avrebbe qualcosa da ridire sulla nostra presenza qui.”
“E da quando questo ha costituito un problema?” Ribatté facendolo sorridere.
“Forza, andiamo. Voglio evitare di aggiungere carico alle accuse che già ho.” Disse, volendo suonare ironico. Al pensò che avrebbe dovuto rivedere il suo concetto di ‘battuta di spirito’.

“Non è divertente, Tom.”
L’altro serrò appena le labbra. “Lo so.”
“Ti ho già detto che sei un idiota?”
“Circa un centinaio di volte.” Fece una pausa. “Non che tu abbia torto.”
“Cosa credi che succederà?”
Tom rimase il silenzio mentre svoltavano il corridoio. Poi fece un breve sospiro. “Non ne ho idea. Suppongo di poter essere accusato di favoreggiamento e di intralcio alla giustizia. Dopotutto ho coperto quell’uomo.”
“Non andrai ad Azkaban.” Disse, mentre una spiacevole morsa gli serrava lo stomaco. “Non ci andrai.”
“Al…” Gli lanciò un’occhiata tra l’esasperato e l’amaramente divertito. Piuttosto complessa, ma perfettamente intellegibile. “Se stai cercando di tirarmi su il morale, non funziona.”
“Scusa.” Si morse l’angolo di un labbro. “Merlino, sei un tale…”
Al sapeva che era esattamente un tale. Avrebbe voluto prenderlo a calci, schiantarlo e appenderlo per un piede alla torre di Astronomia. Non necessariamente in quell’ordine.

Alla fine Tom aveva parlato, certo. Aveva confessato, a dirla tutta e lui aveva capito. Seriamente, capiva perché l’aveva fatto, ed era per questo che l’aveva trascinato in quel bagno.
Per quanto suonasse ridicolo e poco consono alla situazione, aveva voluto ritagliare un momento solo per loro, prima che il maglio della realtà si abbattesse su entrambi.
Papà risolverà tutto. Papà metterà a posto le cose.
Se lo ripeteva da ore, e per quanto ci credesse, seriamente, che suo padre fosse una specie di supereroe…
Ho paura.
Si sentì afferrare la mano, stritolarla a dirla tutta. L’espressione di Tom rifletteva la sua.
“So che ho sbagliato.” Disse soltanto. “Ma non pensavo di poter tornare indietro.”
“Che vuoi dire?”
Tom distolse lo sguardo. “Intendo dire… che ho scoperto delle cose. Non so se si tratta di cose che mi riguardino direttamente, o sia stata solo una falsa pista per spingermi in una trappola.”
“E cos’hai scoperto?”
“Sai cos’è un homunculus?”
Al cercò di ricordare se aveva mai sentito quel termine. Scosse la testa. “No. Sembra una parola latina.”
“Credo lo sia. È una creatura alchemica. Artificiale, si potrebbe dire.”

“Se sapessi che vuol dire artificiale…”
“È un termine babbano.” Fece una smorfia. “In sintesi significa creato dall’uomo. È qualcosa… o qualcuno, non saprei dirlo, creato in laboratorio. Non naturalmente.”
“Un uomo creato in laboratorio?” Corrugò le sopracciglia. “Si può fare una cosa del genere?”
“Ci hanno provato sia i babbani sia i maghi, in tempi e modi diversi. Per quanto riguarda i babbani, hanno usato una scienza chiamata genetica … Per quanto riguarda i maghi, hanno provato con l’alchimia, tramite un processo chiamato Takwin. È un termine arabo.” Soggiunse alla sua espressione confusa.
“E ci sono riusciti?”
“I babbani non ancora, i maghi sì. Almeno, un alchimista, un arabo, dice di esserci riuscito, secoli fa.” Fece una pausa. “Ed è morto, per questo.”
Al lo guardò. Non che fosse facile veder impallidire Tom, considerando che già era pallido di suo, ma in quel momento gli sembrò terreo. “E questo cosa c’entra con te e la tua nascita?”
“… Non essere stupido, Al.” Disse soltanto.

Albus dapprima non capì. Poi quando comprese, ebbe l’accortezza di voltarsi con la bacchetta abbassata, di scatto. “Aspetta un secondo. Stai dicendo che tu credi di essere nato così?”
“Non è questione di credere. La realtà oggettiva dei fatti è che non ho genitori. Che non esisto prima del ritrovamento di Harry. In nessun registro, in nessuno ospedale del mondo magico o babbano. Che non mi è stato mai tagliato il cordone ombelicale perché non l’ho mai avuto.” La voce stava salendo di volume, tanto che Al temette che qualcuno potesse sentirlo. “Questo a cosa porta?”
“Porta al fatto che sei un idiota, Tom.” Tagliò corto, cercando di mantenere un tono di voce deciso. “Come puoi credere a quel tipo?”
“Ti sto dicendo che non è questione di credere a John Doe. Ma quello che ho letto personalmente… a quello credo.” Serrò la mascella in una smorfia disgustata. “Potrei non essere neppure umano…”
Tom!” Sbottò, stavolta senza curarsi del tono di voce. Lo strattonò per un braccio, facendolo voltare. “Sei completamente idiota?”
“… Smettila di insultarmi.”
“No. Per Merlino… sei stato allattato da una donna, sei cresciuto ed hai sviluppato poteri come un normalissimo bambino del mondo magico! Hai due paia di occhi, di gambe e di braccia. E per giunta fai delle contorsioni mentali da pazzi.” Lo costrinse a guardarlo. “Sei il mio migliore amico, sei il mio ragazzo e sei più umano di certi troll che vagano per i sotterranei con la nostra stessa spilla. Oltre al fatto che non puoi credere che piova solo perché qualcuno ti ha indicato una nuvola.” Lo scrollò per un braccio, come a suggellare il discorso.
L’altro si liberò con uno strattone, ma senza violenza. Arrivarono alle scale mobili, in quel momento insolitamente quiete.
“… Ma se lo fossi, mi vorresti comunque?” Sussurrò così piano che non fu del tutto certo di averlo sentito.

E seppe che la risposta, vera o meno che fosse, avrebbe condizionato tutto.
Per lui il problema non si poneva. Forse peccava di leggerezza, forse era insensibile o superficiale.
Ma se sei troppo profondo, poi ti cacci in situazioni del genere…

Ha ragione Lily. A volte paga essere scemi, piuttosto che il contrario. 
“Mi pare ovvio.” Sbuffò, calandosi nella parte del sicuro di sé. Gli andava stretta, ma fece del suo meglio. “Senza di me moriresti affogato nella tua asocialità.”
Tom batté le palpebre, guardandolo per un attimo assolutamente indecifrabile. Poi gli prese il viso tra le mani e gli diede un bacio. Uno di quei baci.
Quando si staccarono fu perché erano a corto d’aria. Al si sentiva le gambe più o meno ridotte come quando era dentro la vasca.

È grave dottore?
“Non farlo mai più quando siamo sulle scale e mi separa dal vuoto solo una balaustra.” Brontolò, facendolo sogghignare appena.
Tom fece per rispondere qualcosa, quando dal corridoio dietro di loro spuntò la luce azzurrina di un lumos. Al vide Tom serrare istintivamente la presa sulla bacchetta.

“Ragazzi, grazie al cielo siete qui!” Era Ainsel Prynn.
Al aggrottò le sopracciglia, confuso. “Professoressa? Cosa…”
“Vi stavo cercando. Il professor Lupin mi aveva detto che eravate tornati nei sotterranei, ma quando sono andata a cercavi non vi ho trovati. Per fortuna mi sono ricordata che siete entrambi prefetti e…”
“Cosa sta succedendo?” Tagliò corto Tom, ogni emozione, brutta o buona che fosse, sparita dal viso. Ad Al fece una bruttissima impressione.
“Un estraneo si è introdotto dentro Hogwarts e tutti gli studenti sono stati accompagnati nelle loro Case. Come ho detto, non siete al sicuro.”
“Torniamo subito al dormitorio.” Ribatté Al, inquietato. Tom aveva una faccia tremenda.

Che si tratti di John Doe?

Che stupido. Chi altri potrebbe essere?

“Tu, Potter. Dursley ho bisogno che mi segua.”
“Perché?” Che suo padre fosse già stato informato? Che avessero informato i professori?
Impossibile, come ha fatto se non ho detto nulla neanche a mamma?

Come hanno fatto a risalire a Tom?
“Potter, non credo sia questo il momento per discutere.” Tagliò corto la donna. “Non dovreste essere neppure qui. Vista la situazione chiuderò un occhio sulla questione dei punti, ma devi subito ritornare ai sotterranei, e senza esitazioni. Abbiamo motivo di credere che l’intruso sia pericoloso.”
“Ma…”
“Al, vai.” Lo seccò Tom, senza guardarlo. “Non hai sentito la professoressa?”
Cosa?
“Ma vorrei solo sapere cosa sta succedendo, e perché avete bisogno di lui!” Insisté, sentendosi il cuore in gola. Non aveva il minimo senso.

Era come se tutti loro avessero una determinata quantità di informazioni a disposizione.
Naturalmente Tom le aveva tutte, o comunque la maggior parte. Suo padre e gli auror pochissime, per quanto ne sapeva. Il master player era quel John Doe, ed era lui che dirigeva i giochi.
Ma adesso… chi sa cosa, e quanto?

Che sta succedendo? E perché è venuta la professoressa Prynn?
“Potter, sei uno studente. Non un auror, né un piccolo investigatore. Va’ a letto. Dursley è in buone mani.”
Doveva obbedire. Strinse la bacchetta tra le dita, sentendosi la bocca secca. Tutto il suo essere urlava di non farlo, di non lasciare Tom da solo, benché fosse con una professoressa, la loro professoressa di Trasfigurazione.

Ma lei non ti è mai piaciuta…
“Al, vai.” Ripeté Tom, e fu come una sferzata. Sembrava furioso con lui.
Non gli restò che obbedire.

 
****



Dormitorio femminile.
Stanza del sesto anno.  

 
Rose fu svegliata da un corpo morto che gli piombò sulla spalla. Dopo un breve attimo di smarrimento si accorse che si trattava della zampa del cugino. Detta anche mano.
“Cosa… che?” Bofonchiò sconvolta, afferrando il lume sul comodino ed accendendolo con un movimento ormai allenato. “Jam?
“Hai visto il mio mantello?”
James era pallido alla luce della lampada ad olio e ancora vestito. Doveva essere passata la mezzanotte.

Non dovrebbe essere a letto a russare come un troll?
“Che diavolo ci fai qui?” Sbottò, tirandosi a sedere e tirando su le coperte, automaticamente, anche se indossava una maglietta assolutamente coprente. La sua preferita, quella dei Chudley. “E soprattutto, come diavolo ci sei arrivato?”
“Grazie a me.” Disse un’altra voce, mentre una figura alta si avvicinò al letto. “Buonasera, Rosey-Posey.”
“Per le mutande di Merlino! Scorpius!” Esclamò con un sussurro terrificato. “Se qualcuno vi trova qui verrete appesi per le mutande alla torre di astronomia!”
E non voglio sapere come sono riusciti ad eludere le scale a scivolo dei dormitori…

No, non credo di volerlo sapere. Davvero.
“Il dettaglio pare sia ininfluente, visto che Poo ha smarrito il suo Mantello Leggendario.”
“Non l’ho perso! Me l’hanno rubato!” Sbottò il ragazzo. Rose gli tirò una botta sul braccio, indicando con un cenno le compagne addormentate.
“Volete finirla di urlare? Se le svegliate…”
“Quella in fondo non è la Finnigan?”
“Detta anche Rana Dalla Bocca Larga, sì. Volete levarvi dai piedi così mi vesto? Sala Comune.”
“Il  mio mantello…” Cominciò James.
“Scorpius, liberami di lui.” Pronunciò brutale. Il ragazzo si illuminò in un sorriso gioioso, afferrando peso James e trascinandolo via. Dopo che i borbottii furono cessati, Rose ebbe il tempo di buttarsi addosso una vestaglia e prendere la bacchetta. Quando finalmente ritrovò le scarpe, sepolte sotto il letto, riuscì a scendere.
James era accanto al fuoco, e aveva una faccia orribile.

Rose deglutì, e capì che nel dormiveglia aveva sottovalutato il problema. Fu contenta anche di non essersi fermata allo specchio attaccato alla porta a controllare lo stato dei suoi capelli, perché probabilmente la vanità femminile in quel momento sarebbe morta fulminata.
Comunque odiò Scorpius per il suo pigiama coordinato e la perfetta piega dei capelli.

“Che succede?”
“Hai visto il mio mantello?” Sbottò James, finalmente libero da costrizioni. “Restituiscimelo, se ce l’hai tu. Basta scherzi del cazzo!”
“Ho cercato di dirgli che io e te non c’entriamo niente, anche in qualità di Prefetti sfiancati dalle sue infrazioni. Non mi ha dato retta.” Spiegò l’altro, seduto sul bracciolo della poltrona.

“James, non siamo stati noi.” Prese un respiro vedendo l’espressione riottosa del cugino. “Posso giurartelo su ciò che vuoi. Io quel mantello poi non lo vorrei toccare neanche con la punta della bacchetta. Non so se te lo ricordi, ma è un dono della Morte…”
Scorpius inarcò le sopracciglia. “Wow. Allora era vero. Questo batte le reliquie maledette e le segrete infestate del mio castello.”
“È il mantello di mio nonno.” Ribatté l’altro. “E qualcuno l’ha rubato.”

Rose si massaggiò la sella del naso, cercando di riflettere.
Ci mancava solo questa… A volte rimpiango che Al sia finito nei sotterranei.
Sono circondata da monumenti al testosterone.

“Chi sapeva dove lo tenevi?”
“Gli Scamandro, Bobby… e voi.” Scrollò le spalle.
“Sei completamente idiota? Quel mantello ha un valore inestimabile e lo dici a metà Grifondoro?!” Sbottò incredula Rose. “Pensavo lo tenessi per te!”
James fece una smorfia. “Anche se l’avessi fatto, Rosie, qualcuno avrebbe notato la mia insolita capacità di sparire nel nulla, no? Specie Lys e Lor, che sono con me dal primo anno. Finché non sono diventati due giganti di montagna li facevo nascondere con me. E Bobby è un tipo fidato. Non sono stati loro.”

“Quindi rimaniamo noi?” Suggerì Scorpius, in tono irritato. “Io non sapevo neanche cosa avessi di preciso, Potter.”
“Non sto dicendo che siete stati voi.” Replicò duro, rimpallandogli un’occhiata offesa. Per James non c’era niente di insultante come essere accusato di tradire la fiducia dei propri amici. “Sto solo dicendo che è sparito.”

“Non vi mettete a litigare.” Sospirò Rose. “La cosa sensata da fare, adesso, è aspettare domattina e andare a cercare il Direttore della casa per denunciare il furto.”
“Dal manuale del perfetto grifondoro…” La prese in giro James, aspro. “Col cazzo. Io voglio prendere il colpevole adesso e riempirlo di mazzate.” Ringhiò, e a Rose sembrò che gonfiasse quasi i muscoli.

Stupido troll.
“Allora cosa conti di fare, eh? Girare per la scuola finché non hai trovato l’uomo invisibile?”
“No. Ma non ho intenzione di mettermi a letto ed aspettare che il colpevole l’abbia nascosto tra le sue cose.”
“Il professor Paciock non c’è, stanotte dorme alla locanda…” Osservò Scorpius.

“Non stavo parlando di andare da zio Nev, infatti. Voglio andare da Teddy.”
“Ted? Oh, per l’amor di Nimue… lo lasci riposare in pace?” Esclamò Rose esasperata, mentre Scorpius faceva un sogghignetto. “Spiegami cosa potrebbe fare lui adesso!”
“Dire a tutti di frugare nei loro cazzo di bauli e tirare fuori il mio mantello!” Non aspettò risposta. Si diresse a passo di marcia verso il ritratto della Signora Grassa, e la svegliò brutalmente per farlo passare.
“Lascialo stare, Rosie. È obnubilato dal testosterone…” Mormorò dolcemente Scorpius, con un’aria divertita. “Che facciamo, lo seguiamo?”
Rose sospirò: aveva passato tutta la sua vita a stare dietro, come spalla tragicamente consapevole, alle follie dei fratelli Potter. Probabilmente era Dna, attitudine o destino, ma non avrebbe mai potuto sottrarsi, esattamente come Hugo non poteva evitare di fare da valletto a Lily.
Aveva scelto Al come Potter di Fiducia perché probabilmente era il più normale dei tre. Fissazione per oscuri personaggi familiari a parte.

Guardò Scorpius e seppe che se non altro, adesso erano in due.
“Sai, tu non ti rendi pienamente conto di cosa significa stare dietro ad un Potter.”
“Dici? Probabile. Ma ho sempre amato il brivido.” Si scostò cavallerescamente. “Prima tu, rosellina.”


Raggiunsero James con fatica, visto che il ragazzo sembrava macinare metri con un’implacabilità da bulldozer. Dovettero scendere la torre e passare le scale mobili prima di avvistare la luce fioca della sua bacchetta.
“Ah, siete qui.” Disse quando si vide raggiunto.
“Sai, credo che un giorno ti soffocherò nel sonno.” Replicò Rose con una smorfia, mentre faceva luce con la bacchetta. “È strano…” Soggiunse.
“Cosa?” chiese James, distratto dall’evitare di sbattere contro le armature, preso a guardare la Mappa dei Malandrini.  

“C’è troppo silenzio.” Mormorò. “Voglio dire, è vero, è notte e in giro non dovrebbe esserci nessuno, ma…”
“In effetti non vedo la gatta malefica da nessuna parte. Avrebbe già dovuto venire a rompere le scatole…”
Si fermò. “Come non detto gente… È dietro l’angolo.” Sussurrò allarmato. Rose afferrò un confuso Scorpius e si nascosero in una nicchia rientrate nel muro.
“Potter, sei peggio di James Bond… e quella mappa?”
“Mentre i tuoi tramavano nell’ombra i miei progenitori si dilettavano in malefatte utili ai posteri.” Replicò James, facendogli poi cenno di restare in silenzio.

Passarono alcuni attimi in cui il puntino rappresentante il gatto sentinella rimase immobile.
“Beh?” Mormorò Rose. “Perché non si muove?”
Scorpius lanciò un’occhiata al puntino. “Strano. È difficile che quella bestia si fermi a farsi una toeletta.”
James non disse nulla. Si staccò dalla nicchia e si allontanò, proprio in direzione del Nemico.
James!” Sussurrò Rose, sbalordita. Nessuna risposta.

James tornò dopo qualche attimo. “Venite.” Disse soltanto.
“Jamie, la gatta…”
“Venite vi ho detto.” Ripeté e alla luce bluastra delle bacchette notò che aveva un’espressione strana. Confusa, avrebbe detto Rose. Forse anche spaventata.

Quando si avvicinarono, scoprirono che il gatto c’era. Ma era morto.
“Cosa diavolo…” Sussurrò Rose. “Cosa…”
“Per questo non si muoveva sulla mappa.” Disse, illuminando il corpo esanime dell’animale. “Sembra stata seccata da una magia. Non c’è sangue. È solo… morta.”
“Una… maledizione?” Rose deglutì. “Andiamo, magari è morta per cause naturali!”
“Con quell’espressione? Guardagli il muso.” Rispose James.

Rose e Scorpius si avvicinarono. La gatta non era morta naturalmente. Aveva gli occhi vitrei spalancati nel vuoto e la bocca protesa, come se cercasse aria.
“Morgana benedetta…” Rose si tirò su di scatto, distogliendo lo sguardo. “È morta soffocata.”
“Già. Ed essendo una delle sentinelle più efficaci della scuola, cominciò a pensare che…” James si fermò, scrutando di nuovo la mappa. Soffocò un’imprecazione tra le labbra. “Ci mancava solo questa.”
“Che succede?” Chiese Scorpius, rimasto zitto fino a quel momento. Aveva smesso di sorridere però, notò Rose. “Che succede adesso?”
“Albie. È qui in giro.”
“Al? Stai scherzando!” Rose non ci capiva più niente.

Era chiaro che non si trattasse più solo del furto del mantello.
Che ci fa Al in giro?
La risposta arrivò quando il ragazzo svoltò l’angolo, e aggiunse ulteriore luce alla porzione in cui stazionavano i tre. “Ragazzi! Che ci fate qui?”
“La stessa domanda potremo farla a te, fratellino. Passeggiatina notturna?” Chiese James, ma privo della solita verve sarcastica. Sembrava nervoso.
Lo erano tutti, stimò Rose, notando l’aria tesa e pallida dell’altro cugino.

“C’è… qualcuno nel castello. Un intruso.” Spiegò il serpeverde. “Pensavo che avessero consegnato tutti nei dormitori.”
Rose lo guardò confusa. “Che storia è questa? Nessuno ci ha detto di far niente!”

“Come…” Disse. “Un intruso…”
“Non ne sappiano niente, Potter. Nessuno ci ha detto di rimanere nei nostri dormitori. Siamo usciti perché qualcuno ha rubato il Mantello dell’Invisibilità a tuo fratello. Stavamo andando dal professor Lupin…” Scorpius illuminò la porzione di pavimento accanto a sé e il corpo del gatto. “Ed abbiamo trovato questo.”
Rose vide Al guardare il gatto, senza riuscire a spiccicare parola. La domanda aleggiava attorno a loro, pesante come un macigno.

Che diavolo sta succedendo?
James si umettò le labbra. “C’è un intruso, sicuramente. Ma l’abbiamo scoperto adesso, da te.”

E Albus capì.

Il panico e consapevolezza lo investirono con la violenza di un uragano, lasciandolo senza fiato.
La professoressa Prynn gli aveva mentito. La professoressa Prynn non aveva avvertito nessuno.
L’aveva mandato via. L’aveva separato da Tom.
L’aveva fatto apposta.
Oh … Dio.
Non è dalla nostra parte! Non è dalla nostra parte!
 
Rose ebbe paura che Albus sarebbe svenuto. Lo vide perdere completamente il poco colore che aveva e boccheggiare come se gli mancasse l’aria nei polmoni e terreno sotto ai piedi.
Poi lo sentì soffocare un lamento.
“L’ho lasciato andare via…” Sussurrò coprendosi la bocca con una mano. “L’ho lasciato andare via.”
“Chi? Di chi parli, Al?” Lo prese per le spalle, cercando di farsi guardare. Ma Al non la notò neanche, scartò violentemente, cercando di correre nella direzione da cui era venuto.
James lo afferrò al volo, bloccandogli le braccia. “Al! Che cazzo sta succedendo!?”
Lasciami!” Urlò. “Lasciami, gliel’ho lasciato prendere! Gliel’ho lasciato portare via!”

James ignorò i suoi tentativi di divincolarsi. Rose pensò che la differenza di peso e altezza in quel momento era plateale. James lo teneva stretto contro di sé, bloccato, ma senza violenza, con fermezza.
E il fratello, per quanto si divincolasse, non riusciva a farci niente.
“Chi, Al?” Ripeté di nuovo James. “Dimmi chi, e ti lascio andare!”
“Tom…” Al si fermò, il corpo teso fino allo spasimo e il respiro affrettato. “Ha preso Tom. La professoressa Prynn è l’intruso! È lei!”
“Ma che cavolo…” James non mollò la presa, ma lanciò un’occhiata sbalordita ai compagni. La distrazione però gli fu fatidica. Al se ne accorse e si liberò un braccio, violentemente. “Everte Statim.” Disse soltanto, con sicurezza terrificante.

James sentì un colpo tremendo, come se qualcuno l’avesse spintonato con la forza di cinque giganti. Fu sbattuto contro il muro, mentre Al si liberò, correndo via.
Al!” Rose fece per corrergli dietro, ma James le si parò davanti.
“Basta fughe del cazzo!” Sbraitò, rialzandosi con fatica, ignorando lo stordimento e il dolore. “Io vado dietro a quell’idiota, voi andate ad avvertire Teddy. Subito!”


 
****
 
 
Note:
Mi odiate? Siii. Lo so. Me lo merito. Tenete duro.

1 - La canzone qui . Questo gruppo merita davvero. Penso che sarà il mio fornitore ufficiale di canzoni per questa storia. ;P

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Capitolo 44
*** Capitolo XXXIX ***


Grazie a tutti per l’incremento delle recensioni! Ragazzi, siete il motore di questa storia, non dimenticatevelo! Comunque siamo alle battute finali J
@Trixina: Mi fa piacere che la musica ti sia piaciuta e sì, Tommy è nella merda. Ma confida in loro! ^^ Essì, Albie, Jamie Sy e Rosie sono il nuovo ES, assolutamente XD! No, no, niente Voldie resuscitato, ricordati che Voldie era solo qualcuno che ‘aspirava a’ grazie ai tre doni della morte. Lui c’entra e NON  c’entra. Spero ti sia più chiaro nei prossimi capitoli!

@Mad World: Adesso mi odierai eh? XD
@Altovoltaggio: Ah, vorrei sapere anche io che fatina dell’ispirazione mi sussurra all’orecchio. Gli chiederei di essere più celere! XD Mi rendi felice se dici che ha senso il progredire degli eventi, perché ho sempre paura di tirarla troppo per le lunghe o ingarbugliarmi! Mi fa tantissimo piacere che ti siano piaciuti i People In Planes. Li ho conosciuti di recente, e li ho adorati! E grazie per aver citato la frase! ^^ Non sai che piacere mi hai fatto!

@Simomart: Ciao! Grazie ^^ I cliffhanger sono una delle poche cose che in effetti mi diverto e trovo facile a scrivere! Chissà perché poi :/ E GRAZIE per aver capito la sottotrama! Accidenti, credevo di aver fatto un casino e che nessuno ci capisse niente! Infatti è proprio questo il compito di Doe! In ogni caso mi fa piacere di essere la tua ‘prima’ slash XD Sono d’accordo con te. Io leggo di tutto, basta che sia scritto bene secondo me! J Gli altri avranno parti a loro dedicate. Purtroppo se potessi dare a tutti lo stesso spazio mi toccherebbe fare una specie di tomo da cento capitoli. Non che mi spiacerebbe, ma poi mi mandereste al diavolo per la pappardella xD Comunque, siccome conto di fare un seguito, sicuramente Sy e Rosie avranno ulteriore spazio, e anche gli altri due disgraziati. Stay tuned ;)
@Mikyvale: Sarò cattivella nei prossimi capitoli, ma ti prometto che miglioreranno (Sseeeh xD) La Prynn avrà la giusta punizione. Giuro. XD
@Ombra: Non preoccuparti, l’importante è che ogni tanto passi a fare un saluto XD A parte gli scherzi, sono consapevole di essere una donna crudele. Giuro che rimedierò. xD Tom… beh, Tom ricordati che è un adolescente, e come tale, se si vuole un minimo di realismo, non è spesso così forte e maturo per capire in cosa esttamente si sta cacciando. Oltre a questo, era preoccupato per Al. Stupido Tom. T_T Ron è ufficialmente lucertolofobico, mi fa comunicare. XD Alla prossima!
 
 
****
 
 
 
Capitolo XXXIX
 

 



How can I decide what’s right
When you’re clouding up my mind?¹
(Decode, Paramore)
 
 
 
Hogwarts, Ufficio di Ainsel Prynn.
Primo piano.
 
La schiena di Ainsel Prynn era l’unica cosa che riusciva a focalizzare, di fronte a sé.
C’erano ottimi motivi per lasciarsi travolgere dal panico.
Ma altrettanti per continuare a seguirla.
Thomas sapeva che la professoressa non lo stava conducendo ad un consesso di docenti preoccupati.
Semplicemente, lo sapeva.

Per questo aveva allontanato Al: non doveva essere invischiato in quella situazione. L’aveva capito, aveva visto come la donna aveva cercato di separarli, e per questo l’aveva assecondata.
Era una maga adulta, e loro due ragazzini. Se c’era qualcosa che tutta quella storia gli aveva insegnato era che non bastava avere un buon potenziale magico ed una bacchetta. Solo l’esperienza poteva salvarti la pelle da un gioco più grande di te. E loro non ne avevano abbastanza.
Io non ne ho abbastanza.
Serrò appena le labbra.
La donna camminava di fronte a lui, ma era certo che sapesse esattamente la sua posizione, anche senza voltare lo sguardo.
Ricordava di come avesse parlato loro dell’alchimia. Di come gli avesse regalato uno dei suoi libri, e l’avesse aiutato, sbucando dal nulla, con quel suo sorriso piacevole.

Il sorriso è un attributo umano. Si tende ad associare ad un’emozione positiva. Ma è fallace.
È scoprire i denti. È dimostrare controllo su una situazione.
Lo aveva letto da qualche parte, o forse lo aveva pensato.
Era stato un ingenuo.
Ainsel si fermò di fronte al suo ufficio, e lo aprì, inserendo la chiave nella toppa.
“Prego Thomas.” Gli fece cenno di entrare. “Non aver paura. Sei preoccupato?”
“L’ha detto lei. Un intruso è penetrato nel castello. Non dovrei esserlo?” 

Ainsel gli posò una mano sulla schiena, sospingendolo dolcemente all’interno della stanza.
“No, non dovresti.” Ribatté, chiudendosi la porta dietro. Tom sentì la serratura scattare, con un movimento secco. La sentì rimbombare per tutta la testa. “Andrà tutto bene. È venuto qui per te…”
Tom si voltò verso. Sorrideva, ovviamente.
La trovò spaventosa. Frugò lo stanza con lo sguardo. Appena si fu abituato alla penombra, scorse una figura seduta dietro una scrivania.

Era il ragazzo biondo.
Era John Doe.
Una parte del suo cervello, quella non congelata dalla paura, trovò il modo per suonare persino ironica.
Non è come se non te lo aspettassi, no?
“Ciao Tom.” Disse quello. “È tempo dei chiarimenti. Non sei contento?”
Tom non disse nulla: si sentiva il cervello inceppato, come se un ingranaggio si fosse bloccato in una posizione innaturale, compromettendo tutto il resto.
Persino la bacchetta, che stringeva tra le dita – perché non gliel’avevano ancora tolta? – la percepiva come un corpo estraneo.
“Che faccia…” Considerò il ragazzo, alzandosi in piedi. “No, davvero. Non te lo aspettavi?”
Continuò a rimanere in silenzio.
Una parte di sé sapeva che doveva cercare di uscire di lì. Ma oggettivamente, non era cosa facile.
La Prynn era accanto alla porta, e quest’ultima era chiusa. Se avesse aperto bocca per pronunciare un incantesimo, probabilmente l’avrebbe disarmato. Erano in due.

Dannazione.
“Come sei riuscito ad entrare?” Disse, prendendo tempo. Qualcuno doveva essersi accorto dell’intrusione. Dubitava che la Prynn, a quel punto palese alleata di Doe, avesse dato l’allarme.
Ma qualcuno doveva essersene accorto. Il castello era pieno di barriere magiche.
… E la professoressa ha avuto mesi per studiarle… E neutralizzarle.
Con terrore chirurgico capì che non sarebbe venuto nessuno.
“È stata Ainsel a farmi entrare.” Fece un sorrisetto indulgente, appoggiandosi alla scrivania. “Non che sia stato facile, ma l’importante è il risultato. Sono qui.” Con un cenno della bacchetta accese le lampade ad olio disposte strategicamente per la stanza.
Tom ci mise poco a riabituarsi alla luce. Lo sguardo gli cadde sulla scrivania.
Vi erano appoggiati il Mantello dell’Invisibilità e il suo medaglione.

“Oh, giusto. Ecco, queste erano le cose che dovevo procurarmi. Devo ammetterlo, senza la preziosa collaborazione della professoressa Prynn avrei faticato molto di più.”
“Chi siete… Chi siete voi?” Ripetè, sforzandosi di dominare il tono. Non gli importava più di mantenere un certo contegno. Era spaventato perché non sapeva.
L’ignoranza è il peggiore dei terrori…
“Noi? Non siamo, in realtà, un’entità unica.” Spiegò il ragazzo, giocherellando con la bacchetta. “Per quanto mi riguarda, faccio parte di un’organizzazione, diciamo così, privata. Qualcuno la chiamerebbe setta, ma credo che sia molto più di questo… In ogni caso, sono pagato per questo lavoro.” Abbozzò un sorriso, che Tom trovò sgradevole.

Sorridono. Sorridono tutti.
“Invece la bella Ainsel… ah, lei la possiamo considerare un franco tiratore. In realtà, Thomas, era qui per proteggerti. Agente Ainsel Prynn, direttamente dal governo americano…”
“Non c’è bisogno di informarlo.” Ribatté seccamente la donna. “Non ne vedo l’utilità.”
“Io sì, invece. L’ho davvero trattato male in questi mesi, gli ho nascosto tante cose. Glielo devo, capisci?”
Tom inspirò. “Governo americano…”
“Proprio così. Sei piuttosto famoso Thomas. Soprattutto in ambito alchemico. Ainsel è venuta qui per evitare che io entrassi in contatto con te e che ti rapissi. Ironico, considerando che senza il suo prezioso aiuto stasera non sarei qui, né avrei questi oggetti con me…” Indicò il medaglione e il mantello.
“Perché…?” Sussurrò. La testa minacciava di scoppiargli e le tempie gli lanciavano fitte incredibili. “Perché sono importante?”
“Non mi pare il caso di fare adesso discorsi del genere.” Tagliò corto la donna. “Dobbiamo andarcene, prima che qualcuno ci scopra. Specialmente che Potter scopra il furto del mantello.”

Doe scrollò le spalle. “Non hai tutti i torti, in effetti.”
“Porta via il ragazzo, e assicurati che non siate seguiti. Per quanto riguarda il mio compenso, mi aspetto di trovarlo entro ventiquattro ore, come pattuito.”
“Al deposito bagagli di King’s Cross, armadietto 230, certo.” Recitò Doe, annoiato. “I patti sono patti, mia bella Ainsel.”
“E gradirei che fossero rispettati.” Soggiunse nervosa quella. “Come gradirei che tu non dessi troppe informazioni al ragazzo.”

“Sì, sì. Questo l’hai già detto.” Fece un cenno vago con la mano. “In ogni caso, hai ragione. È meglio sbrigarsi…”  
“Io non verrò.” Scollò Tom dal palato. I due lo guardarono brevemente.
Ainsel fece una smorfia sarcastica. “Lavoro di convincimento, eh Doe? Vedo che ha funzionato.”
“Mmh.”  Si limitò a rispondere il ragazzo. “Non verrai Thomas? Il nostro patto non è più valido?”
“Non lo è mai stato. Mi hai ingannato.” Sibilò. “Ed io non voglio essere invischiato in questa storia. Non più.”
“Lo sai che ti considereranno, molto probabilmente, mio complice?” Suggerì con leggerezza Doe. “Sai che probabilmente per aver favorito la trafugazione di questi oggetti verrai processato come un mago adulto? Quanti anni hai, Thomas? Sedici? La maggiore età è vicina, e credo che il Wizengamot…”
“Non mi interessa.” Ringhiò, sentendosi la bocca riarsa. “Non sono un assassino né un ladro. E non sono un vigliacco. Non ti aiuterò nei tuoi deliranti piani di conquista.”
Doe inarcò le sopracciglia. “Ammirevole.” Considerò. “Ma temo che tu non abbia frainteso. La tua ridicola idea di poter scegliere è del tutto errata. Tu non puoi scegliere.”
Ainsel si spostò verso di lui, con la bacchetta sguainata. 

Tom sentì l’istinto urlargli di agire. In quel preciso momento. Poteva giocare su un unico fattore sorpresa.
Nox.” Gridò, puntando la bacchetta contro una delle lanterne. Tutte quelle della stanza si spensero di colpo. Ainsel tentò di afferrarlo goffamente, ma riuscì a divincolarsi, precipitandosi verso la porta.
Accio bacchetta.” Tom si sentì scivolare violentemente la bacchetta dalle dita. “Sapevo che l’avresti fatto, Thomas. Ma è stata una buona diversione, devo ammetterlo.” Persino in quel momento Doe si sentiva in dovere di chiacchierare. Fu quasi certo di sentirlo ridere nell’ombra, mentre la professoressa – Dio, si sentiva in dovere di chiamarla ancora così – lo afferrava bruscamente per le braccia, portandogli la bacchetta alla gola.
“Avresti dovuto togliergliela subito!” Ringhiò la donna. “Perché mi hai chiesto di non farlo?!”
“Semplice, perché altrimenti non avrei potuto fare questo. Avada Kedavra.”
E un lampo verde illuminò la stanza.
Tom un attimo dopo si accorse di essere ancora vivo. E sentì un tonfo sordo.
Guardò il corpo della Prynn riverso a terra, senza riuscire a respirare.
Doe aveva la sua bacchetta sguainata ancora in direzione della donna. La sua bacchetta.
“Cosa…”
Doe non lo fece finire, levò l’altra bacchetta. “Imperio.”
Tom sentì le tempie comprimersi e poi fu vuoto.

 
****
 
 
Hogwarts, corridoio del terzo piano.
 
Rose e Scorpius si fermarono di fronte alla porta degli appartamenti di Teddy.  
Scorpius afferrò il battente.
“E se l’intruso si nascondesse qui?” Lo fermò la ragazza.
Il ragazzo ci rifletté. “E perché dovrebbe? Non è noi che cerca.”
“Pensi davvero che si tratti della professoressa Prynn?”
Scorpius schioccò appena la lingua: poteva capire la perplessità di Rose. Anche lui, per un attimo, era rimasto sconvolto dalla rivelazione e aveva pensato che mini-Potter si fosse bevuto il cervello.

Batte il portone dell’aula, con forza, due volte. Poi, aspettarono.
“Guardiamo i fatti.” Iniziò. “È l’ultima arrivata, ed è venuta a sostituire un professore morto in circostanze poco chiare. Oltre a questo, considera Dursley il suo cocco. Se ne sono accorti tutti che con lui aveva un atteggiamento smaccatamente diverso.”
“Ma questo è perché Thomas è uno degli studenti migliori della scuola!” Sbuffò Rose, sentendosi chiamata in causa. Odiava il suo ruolo di eterna seconda nella gerarchia di famiglia.
“Va bene. Ma non era mai rintracciabile quando sono avvenuti gli incidenti. Alla partita, per esempio, non c’era.”
“Ma non era ancora in Scozia quando siamo stati aggrediti dai Naga!”
Scorpius si strinse nelle spalle. “Allora forse ha un complice. In ogni caso, non ti sembra strano che inventi una balla ad Al, per portare via Dursley?”
A questo Rose non seppe ribattere.
“Quindi l’intruso è una falsa pista secondo te?”
“Non lo so. Ma l’ipotesi del complice non è campata in aria. Di certo quel gatto non si è ammazzato da solo. E perché ucciderlo? Il sacco di pelo non era addestrato per avvertire Gazza qualora vedesse passeggiare un professore, anche dopo il coprifuoco. Chi l’ha ucciso aveva paura di essere scoperto.”

“Merlino.” Disse soltanto Rose, riflettendo su quella matassa ingarbugliata. “È tutto così…”
Assurdo. Qualcuno vuole Dursley. Avevamo ragione.” Fece una smorfia. “Ci siamo lasciati fuorviare. Imbarazzante… i miei sogni di entrare all’Accademia Auror hanno subito una battuta di arresto.”

Rose lo squadrò incredula. “Vuoi fare l’auror?”
“Sarei molto sexy, in divisa. Anche se dovrebbero cambiare colore. Il verde oliva mi sbatte.”
Videro una luce schiarire il pavimento sotto la porta dell’ufficio di Teddy. Si aprì, e rivelò il giovane professore, in vestaglia da notte, con un candelabro in mano. E la bacchetta spianata.

Qua tutti hanno i nervi tesi… mi chiedo quanto sappiano i professori di questa storia, o se siamo solo noi a giocare ai detective… - Pensò Scorpius.
“Malfoy? Rosie? Che ci fate qui?”
Rose lanciò uno sguardo al proprio ragazzo, e lo anticipò prima che potesse cominciare con un fiume di ironia e spiegazioni sommarie. “C’è un intruso nel castello, Teddy. Cioè, pensiamo che ci sia un intruso, ma Miss Purr è stata uccisa e forse Thomas è stato rapito. Ed hanno rubato il Mantello dell’invisibilità di Jamie. Cioè, di zio Harry.” Fece una smorfia, rendendosi conto che era lei quella che aveva vomitato parole prive di nesso logico.
“… Come?”
Scorpius alzò gli occhi al cielo.

Tassorosso e Grifondoro.
Ah, giusto. Mi sono contato.
“Professor Lupin, Hogwarts è sotto attacco.” Riassunse con piglio drammatico, mentre Rose cercava di non sbattersi una mano in faccia, per non guastare l’adrenalina del momento. “Sul serio, abbiamo motivo di credere che ci sia stata un’intrusione nel castello, aiutata dalla professoressa Prynn.”
Ted rimase in silenzio per una frazione di secondo. “State accusando la professoressa Prynn di aver introdotto un intruso nel castello per rapire Thomas?” Collegò con razionalità invidiabile vista l’ora tarda e l’aria insonnolita.
“Già. Ci è arrivato subito!” Commentò ammirato Scorpius, mentre Rose gli rifilava una gomitata nel costato. “Proprio così, comunque.”

Ted si fece più serio, lanciandogli un lungo sguardo indagatore. “E che prove avete?”
“Un gatto-sentinella morto soffocato e un mantello che rende invisibili trafugato. Oltre a questo, Tom è andato via con qualcuno che ha parlato di un intrusione, quando in realtà sembra non risultare a nessuno.” Replicò Scorpius. “Basta così?”

“… Soffocato.” Teddy lo ripeté e Rose capì che dovevano aver detto la parola chiave. “Maledizione.” Disse infatti. “Sbrigatevi, entrate.”
Quando lo raggiunsero Teddy rientrò nel proprio ufficio. Si diresse verso la scrivania e frugò in uno dei cassetti interni. Ne estrasse una bottiglia di liquore alle erbe e un bicchiere.
“Le pare il momento di bere?” Chiese incredulo Scorpius.
“Malfoy, è il modo di chiamare lo spirito del Frate Grasso.” Sbuffò Rose.
Teddy annuì brevemente. “Non posso correre da un luogo e l’altro del castello ad allertare tutti, non sarei certo veloce quanto vorrei. Un fantasma attraversa i muri invece.”
Che in effetti è ciò che fece il Frate Grasso, apparendo dal muro interno dell’ufficio. “Qualcuno si sta facendo un buon bicchierino, vedo!” Esclamò, con un sorriso compiaciuto. “Oh, il giovane Lupin…”
“Buonasera.” Non poté fare a meno di dire Ted, prima di mandare al diavolo i convenevoli e arrivare dritto al punto. “C’è un intrusione nel castello. Deve avvertire gli altri fantasmi, che chiamino i rispettivi Direttori di Casa.”
Il fantasma lo guardò con quella che sembrava un’aria preoccupata. “Un’intrusione? Chi?”
“Ancora non lo sappiamo, ma è importante che tutti i professori siano avvertiti al più presto. Dica al preside che serve sbarrare il portone di entrata, e che Tremayne metta in sicurezza i cancelli ovest.”
Il fantasma annuì, sparendo in una nuvola di fumo.

Scorpius si passò una mano nei capelli. “C’è un’altra cosa…” Aggiunse, lanciando uno sguardo a Rose che si mordicchiò l’angolo del labbro.
“Teddy…” Non perse tempo a correggersi. “Albus era con Tom quando la professoressa Prynn l’ha portato via. E… quando l’abbia trovato stava tornando ai sotterranei. È stato lui a capire che la Prynn li aveva ingannati. Non siamo riusciti a fermarlo, è scappato a cercarli. Jamie l’ha seguito.”
“Maledizione!” Sbottò l’uomo, con una smorfia. “Va bene. Ci penso io. Voi dovete tornare alla torre. Non fermatevi, non perdete tempo.”
“Teddy! Non puoi chiederci una cosa del genere! Si tratta di Al e Jamie e…”
“Posso e lo faccio, Rose.” Replicò serio. “Avete fatto la cosa giusta a venire da me. Ma dovete assolutamente tornare al vostro dormitorio. È pericoloso e non posso preoccuparmi anche per voi.”

Scorpius le posò una mano sulla spalla. “Andiamo Rosie.” Disse piano. “Ha ragione.”
Rose si morse l’interno della guancia: si agitava in lei un conflitto non da poco. Da una parte, si trattava dei suoi cugini, del suo migliore amico… e per quanto Thomas poco le piacesse, era famiglia ed era nei guai.

D’altro canto era letteralmente gelata dalla paura all’idea di incontrare la Prynn, o l’intruso o entrambi incarnati in un solo temibile mago.
Papà e mamma avrebbero fatto di tutto per aiutare zio Harry…
Rose.” La richiamò Scorpius. “No.” Disse, e fu certa che avesse indovinato i suoi pensieri.

O forse è la legimanzia…
Si lasciò portare via in silenzio. Alla porta, Teddy li fermò. Sembrò indeciso, poi fece un mezzo sorriso.
“Malfoy, mi raccomando, te l’affido.”
Rose lanciò uno sguardo al proprio ragazzo. Dire che era stupito era dire poco. Poi ricompose la sua solita maschera beffarda, e chinò ironicamente la testa.
“Non si preoccupi professore. È nel mio codice d’onore. Grifondoro, s’intende.”


Rose si lasciò portare via, sebbene dentro ribollisse di un magma di sentimenti contrastanti.
“Si può sapere perché gli hai dato manforte?” Sbottò, dopo un paio di metri. “Si tratta dei nostri amici!”
“Lo so. Ma qui la posta in gioco è troppo alta.” Replicò il ragazzo, serio. “Hai visto come hanno ridotto Miss Purr, no? Chi ti dice che non potrebbero fare lo stesso con me o con te?”
Rose si morse un labbro. Si sentiva frustrata, impotente. E aveva paura.

“Non possiamo fare gli eroi…” Continuò Scorpius, dopo un breve sospiro, accarezzandole la guancia. “Primo, perché non lo siamo. Secondo, perché neanche gli eroi sono immuni agli incantesimi. Lasciamo fare gli adulti.”
Rose gli lanciò un’occhiata. “Questa prudenza…”
“Non è prudenza. Mai avuta.” Replicò, con una lieve smorfia. “È che mio padre alla mia età era dalla parte dei cattivi, come ben sai. E gli incantesimi posso uccidere, da qualunque parte tu stia. Questa è una lezione che mi è sempre  stata piuttosto chiara.”
Rose a questo non trovò le parole per ribattere: era stata cresciuta in una dicotomia, abituata alla distinzione certa tra bianco e nero, buoni e cattivi. Il Bene trionfava, e il male veniva ricacciato negli abissi. Era un concetto semplice, e nella sua testa il Male era sempre assolutamente riconoscibile, etichettabile. Certo.
E non mutava mai.

Ma poi aveva conosciuto Scorpius, l’aveva conosciuto davvero. E aveva capito che spesso, le cose non erano semplici come gli avevano insegnato.  
Gli prese la mano, stringendola.
“Ma alla fine i buoni vincono, no?” Gli sussurrò. “In qualche modo…”
Scorpius sorrise, rispondendo alla sua stretta.

“Spero proprio di sì, zucchettina.”  
 

****
 
 
Londra, Ministero della magia.
Notte (fusorario)

 
Harry e Ron si materializzarono con uno schiocco secco, e lo stomaco rivoltato nella piazza centrale del gigantesco Ministero della Magia, di fronte alla fontana.
Ron si massaggiò lo stomaco. “Credo di aver fatto bene a non fare colazione.”
Harry non rispose. Dopo il colloquio con il Naga il suo unico obbiettivo era stato tornare in tempi brevi in Inghilterra. Aveva ringraziato Rolf e la tribù, e poi era corso verso la passaporta, ignorando le rimostranze di Ron sul non averci capito nulla.

“Mi vuoi dire che ti prende?” Interloquì Ron, comunque ben contento di tornare a casa con argo anticipo. Dal suo sguardo assonnato era ben chiaro fosse già in dirittura del proprio soffice talamo.
“I Naga… hanno detto che chiunque li abbia ingaggiati, cercava Thomas. Mi hanno dato la conferma.”
“… Oh, miseriaccia.” Soffiò il rosso, seguendolo nell’incedere verso gli ascensori. I corridoi erano ancora vuoti, considerando che il fusorario li aveva riportati in orario ancora considerabile come notturno.

“E adesso che si fa?” Chiese Ron, infilandosi nell’ascensore, mentre l’addetto al turno di notte chiudeva docilmente le porte.
“Dobbiamo andare ad Hogwarts. I gufi ci metterebbero troppo e dobbiamo essere sul posto. Dobbiamo portare via Tom.”
“Lo porteremo via?” Borbottò Ron, perplesso. “Ma Harry, sei sicuro?”
“È in pericolo, Ron. E viste le ultime intrusioni nel castello non mi sento sicuro a lasciarlo lì. Certo, ci sono professori addestrati, e Teddy tiene gli occhi aperti, ma…”
“E come giustificheremo il suo prelievo… ehm, coatto? Non credo proprio che Tom acconsentirà a venir via. Voglio dire, lo conosci. Si farebbe strappare un braccio piuttosto.”
Harry serrò le labbra in una linea sottile. “Non ha importanza ciò che vuole. Ad Hogwarts non è al sicuro.”
Senza contare, rifletté cupamente, che sembrava che Tom non fosse del tutto estraneo alla vicenda.

Era un ragazzo intelligente, calcolato osservatore della realtà attorno a lui: non poteva non essersi reso conto che le intrusioni e l’aggressione erano un attacco mirato alla sua persona. 
Adesso capiva la sua aria tormentata, il suo essere sfuggente e le parole che gli aveva rivolto il giorno della loro lite.
Ginny aveva ragione, Tom sapeva. Era entrato in contatto con il suo rapitore, e probabilmente quest’ultimo aveva fatto in modo di fargli credere di essere dalla sua parte.
Merlino …
Entrarono nell’ufficio Auror, praticamente deserto, ad eccezion fatta per un paio di auror nottambuli, immersi nella redazione delle proprie rapporti. Fece loro un cenno distratto, quando intercettò le occhiate perplesse.
Ron gli si affiancò di nuovo. “Harry, amico, rifletti. Non possiamo portare via uno studente senza una buona ragione!”
“Sono il suo padrino, Ron.” Si massaggiò la radice del naso. “Ma scriverò un gufo di spiegazioni al preside. Dovrebbe riceverlo domattina.”
“Allora aspettiamo domattina. Starà dormendo e i sotterranei sono protetti da una parola d’ordine. Il suo rapitore non potrà entrare senza quella.” Fece una pausa, afferrandogli il braccio. “Calmati, dannazione!”
Il tono secco di Ron ebbe il potere di mettere uno stop al flusso di angoscia che lo attanagliava. Sapeva che portandolo via avrebbe sollevato un polverone. Probabilmente non ne aveva neppure l’autorità, visto che la patria potestà spettava a Dudley, non a lui.
Senza contare che, e Ron su questo ci aveva preso in pieno, Tom avrebbe opposto resistenza.
“Va bene, fammi andare in ufficio però. Spedirò la lettera da lì.” Replicò, cercando di suonare ragionevole. Dallo sguardo scettico che l’amico gli lanciò, capì di esserci riuscito piuttosto malamente.

“Ron, si tratta di Tom. Quei Naga non mentivano. Sono stati rapiti e messi sotto imperio da un mago, dallo stesso mago che ha ucciso Duil dopo averlo corrotto per incontrarli e dallo stesso mago che probabilmente ha aggredito Teddy. Ti rendi conto con chi abbiamo a che fare? Non è un mangiamorte sbandato, né un fanatico di qualche setta delirante. Questo tizio è stato capace di ingannarci per mesi. E di penetrare le difese di Hogwarts per tre volte.”
“Lo so amico. Non credere che stia sottovalutando la situazione, perché non è così.” Ribatté serio. “Ma arrivare di gran carriera, spalancando il portone e portare via Tom non è una buona soluzione. La sai che il Dipartimento ci sta con il fiato sul collo e che queste indagini non sono autorizzate. Come se non bastasse, il caso è stato insabbiato.” Sbuffò. “Insomma, da qualunque parte la guardi, tutto urla abuso di potere.”
“Pensi che i cavilli burocratici fermeranno un rapimento?”
“No. Penso che possiamo aspettare fino a domattina ed evitare di attirare ancor più l’attenzione. E poi, c’è una domanda che continua ad assillarmi… da quando mi hai trascinato in questa storia.”
“Quale.”
“Perché vogliono rapire Tom? Voglio dire, cos’ha che quell’uomo vuole?”
Harry inspirò appena, guardando il camino del proprio ufficio, dove le braci, alimentate magicamente, rilucevano di un rosso rubino. “Non ne ho idea.” Ammise. “Per quanto ci pensi anche io, non riesco a capire chi Tom…”
Sia.” Concluse Ron. “Dico sul serio, Harry. È la seconda volta che tentano di rapirlo.”
“Non lo so, io…”
Sentirono un forte battito d’ali e poi un gufo, dall’aria stremata, planò violentemente dentro l’ufficio, finendo per crollare sulla scrivania.
“Consegna notturna?” Esclamò Ron, sinceramente perplesso.
“Beh, se non sono celeri i gufi di notte…” Ironizzò Harry slegando la lettera dalla zampa del volatile, prostrato da quello che sembrava un volo fatto al massimo delle sue capacità.
“Da dove viene?”
Harry guardò il timbro elaborato sulla ceralacca. “Da Hogwarts…” Mormorò, strappandola con un gesto secco. Ron gli si affiancò.

La lettera portava poche righe, scritte di fretta. Erano di Teddy.
 
‘Le barriere di Hogwarts sono state violate. Un intruso è entrato nella scuola.’
 
Merda.” Ruggì Ron, e fu lui a afferrarlo per un braccio, brutalmente, scuotendolo dall’iniziale intorpidimento che la notizia gli aveva causato. “Andiamo Harry. Useremo il camino nell’ufficio del Preside. Spiegherò poi io a Herm e Ginny perché ci hanno licenziato in tronco.”
 
 
****
 
Hogwarts, corridoio del primo piano, in direzione dell’ufficio di Ainsel Prynn.
 
James voleva bene ad Albus.
Seriamente, benché si scontrassero praticamente su tutto, da argomenti più futili come il Quidditch tra Case, a argomenti più complessi, come le sostanziali incompatibilità dei loro caratteri, nutriva per lui la sincera lealtà dei consanguinei.
Ma bisognava ammettere che fino a quell’anno, non l’aveva stimato un granché.
Lo considerava intelligente, ma debole. Sempre preso a scusare le mancanze altrui, sempre convinto che il giusto mezzo o il guardare da lontano fosse l’atteggiamento giusto per risolvere un problema.
Adesso però le cose erano cambiate: in quei mesi si era reso conto che la debolezza di carattere di Al era solo sintomo di riflessività. Al aspettava, non irrompeva. Ed aveva molto più sangue freddo di lui.
Adesso però era uscito completamente di testa.

I geni Potter non si possono combattere all’infinito…
James, dopo una corsa pazzesca, in cui aveva maledetto l’assurda disposizione del castello, in cui per raggiungere un piano bisognava scalare affidarsi alla clemenza delle scale magiche, era riuscito quasi ad afferrarlo.
Accidenti a lui, non è inciampato neanche una volta!
Chi dice che i cercatori sono agili solo in aria è un idiota!
“Al, fermati! Fermati, maledizione è pericoloso!”
Niente. L’altro correva testardamente, con la bacchetta stupidamente in pugno. Se fosse caduto l’avrebbe rotta in mille pezzi.
Decise che ne aveva abbastanza. Con una falcata lo raggiunse, senza preoccuparsi di bilanciarsi. In parole povere, lo placcò senza pietà, mandandolo a sbattere contro un muro.

Sperò di non avergli rotto il naso.
La bacchetta rotolò distante, e James pensò che fosse una fortuna, perché probabilmente se il fratello l’avesse avuta, gli avrebbe lanciato una maledizione coi fiocchi.
Lasciami!” Ringhiò, intrappolato tra di lui e il muro. “Lasciami andare!”
“No! Cosa pensi di fare?! Se la Prynn è d’accordo con l’intruso, se ha portato via Tom, cosa credi che farà quando ti vedrà arrivare? Sei solo un maghetto del sesto anno, ti rivolterà come un calzino a forza di maledizioni!” Gli tirò uno schiaffo sulla testa, cercando di imprimergli il concetto in testa.
Al non replicò, ma il respiro rotto indicava che se avesse avuto la possibilità, se gli avesse lasciato un margine di azione, lo avrebbe persino picchiato.

Lo voltò bruscamente, sempre ben attento a mantenere la presa in modo che non avesse un solo arto libero a disposizione per colpirlo. “Scorpius e Rosie sono andati ad avvertire Teddy. Tra poco arriveranno i professori e il preside. Loro possono fermare due maghi adulti e due assassini. Non tu, non io.”
“Tom potrebbe essere già stato portato via!”
James gli afferrò la faccia, voltandolo a forza in modo che lo guardasse. “Al. Maledizione, vuoi farti ammazzare?” Sibilò, e non aveva importanza se il fratellino aveva ingoiato un gemito di dolore. Un paio di lividi sulla faccia non avevano mai ucciso nessuno. Una bacchetta in mano ad un mago, sì. “Schiarisciti il cervello. Adesso.”
Al emise un debole singhiozzo, ma sembrò aver capito l’antifona. James ringraziò che solo lui, dei suoi fratelli, aveva ereditato una certa attitudine ad aprire come un rubinetto la propria forza magica.

O col cazzo che sarei riuscito a farlo ragionare senza rompermi qualche osso…
“La prenderanno. Li prenderanno.” Cercò di rassicurarlo. Ma lui stesso non ci credeva.
Se qualcuno è entrato, quel qualcuno può anche uscire.
Abbiamo un bel dire… ma non siamo eroi come i nostri genitori.
O forse, non abbiamo il loro culo sconfinato.
Poi, fu un attimo.
Un lampo verde filtrò violentemente dalla porta dell’ufficio della professoressa a solo pochi, terribili metri da loro. Fu subito seguito da un cupo rumore di vento, come quello che mugghiava salendo dalla brughiera, nelle notti di inverno.
James sentì un’onda di panico spazzargli via ogni capacità di reazione.
Avadra Kedavra. L’Anatema Che Uccide.
Al fu più svelto di lui a reagire – aiutato probabilmente dagli spaventosi livelli di adrenalina che aveva addosso.
Gli tirò uno spintone, e lo sentì recitare un ‘accio bacchetta’, prima di correre verso la porta, con intenti suicidi forse non ben chiari neppure a lui
No!” Gridò correndogli dietro. Lo afferrò, ma Al fu più veloce. Si voltò, con la velocità di un serpente – ironia a parte – e gli tirò uno spintone violento.

James non ci capì più niente. Sapeva solo che doveva fermarlo, a qualsiasi costo. Volarono anche degli incantesimi che fortunatamente mancarono entrambi il proprio bersaglio.
Quello di Al si abbatté con violenza sulla porta, aprendola e facendola sbattere violentemente contro il muro.
Si voltarono entrambi, staccandosi velocemente, bacchette alla mano.

“… Cosa cazzo…” Sussurrò James.
C’era la Prynn a terra, davanti a loro, subito dietro la porta. Con una smorfia di stupore congelata in volto. Morta.
Al indietreggiò bruscamente, portandosi una mano alla bocca; fu certo che il fratellino si stesse trattenendo per non vomitare. Non poteva dargli torto.

James, dopo una breve ma tenace lotta contro l’impulso di scappare, vinse e si avvicinò al corpo della donna. Aveva ancora la bacchetta in pugno. Pensò, nebulosamente, che da morta aveva perso molto della sua bellezza.
“Stai indietro.” Intimò ad Albus, ma capì che l’ordine non aveva molto senso. Non c’era nessuno in quella stanza.
Come diavolo è riuscito a scappare l’assassino?
Si guardò intorno, poi capì, quando vide il camino dove dardeggiavano fiamme verdognole: portava ancora le tracce dell’uso della polvere volante.
“Maledizione, ha usato il camino per scappare!” Sbottò.
“Jamie…” Sentì la voce di Al dietro di sé, ridotta ad un sussurro. Si voltò, preoccupato.
Al guardava un punto del tappeto, vicino al corpo della ex-professoressa.

In quella stanza c’era una strega morta e due bacchette.
E la seconda la conoscevano entrambi. Tredici pollici e mezzo, di agrifoglio e piuma di fenice, rigida.

Era la bacchetta di Tom.


 

****
 
Note:
Mi dispiace. Coraggio. >_< Comunque penso di finire la storia entro il capitolo 50.
Per quanto riguarda i ragazzi, che salgono su e giù per piani, manco fosse un labirinto, posso capire che susciti qualche perplessità. Quindi copio preventivamente quello che ho trovato su Hp Wiki.
“The castle's architecture is always changing, a feature contributed by Hogwarts founder Rowena Ravenclaw.”
L’articolo qui
1-Visto che ormai è diventata un abitudine. La canzone qui . Non mi fanno impazzire, ma questa canzone ha l’atmosfera perfetta. U.U

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Capitolo 45
*** Capitolo XL ***


Grazie ancora a chi mi ha recensito. Per rispondere alle domande di alcuni, la fic finirà entro, probabilmente se non prima, il capitolo 50 secondo la mia numerazione, il che significa tra circa una decina di capitoli. ^^
@Rorothejoy: Grazie ^^ Sì, c’è già in mente un sequel di questa boiatella, anzi, già scritto l’introduzione e deciso il titolo. Sarà un po’ più het, ma non mancherà lo slash, sovrano! XD
@altovoltaggio: certo che ha a che fare con la tua recensione! Istintivamente hai usato la parola giusta. E poi c’è da dire che uno dei passatempi preferiti di Tom Lo Stratega sono proprio gli scacchi, ergo… XD Hai capito esattamente il motivo per cui quel furbone di Doe ha usato la bacchetta di Tom. ;) La questione del flusso magico è semplice: Jamie è l’unico ad aver ereditato la simpatica caratterisca che, quando si arrabbia, perde il controllo dei propri poteri e fa esplodere roba, come il papà. ^^

@Trixina: Grazie XD Per la bacchetta di Tom… errore mio. In realtà è simile a quella di Harry (e quindi sì, di Voldemort) ma non avrei dovuto metterci la piuma di fenice, come mi ha fatto notare un’altra ragazza, considerando che raramente le fenici concedono le proprie piume. C’è solo un’analogia, sensata, ma solo quella comunque. ;) Grazie per i complimenti!
@Simomart: Grazie per i complimenti! Devo ammettere che le scene d’azione mi riescono meglio delle altre, e sì, il parallelismo è un po’ voluto. Del resto, i figli spesso somigliano ai genitori, pur non essendo delle loro copie. Per quanto riguarda Doe, sì, è un mercenario. Come ha fatto spesso notare fa quel che fa perché è pagato (e sì, anche perché è un sociopatico pazzo che si diverte nel suo lavoro xD) e Tom c’entra con i Doni della morte, ma NON è uno dei doni della morte che sono tre e rimarranno tre. XD Doe comunque sì, non ha tenuto conto del fatto che Tommy avrebbe spifferato tutto ad Al. Hai notato i tanti piccoli indizi che ho lasciato, quindi GRAZIE. A volte penso di essere proprio negata nel thriller. T_T
@NickyIron: Ciao! Grazie per la segnalazione, è stata una mia leggerezza, in effetti non è possibile che abbia una piuma di fenice. Provvedo a correggere. ;) La fenice non è un caso, no, tornerà e sarà importante. Grazie per seguirmi!

 
 
****
 
 
Capitolo XL






I've got this feeling that there's something that I missed

Every second, dripping off my fingertips
A clock is ticking, but it's hidden far away
(Somewhere a clock is ticking, Snow Patrol)¹




Hogwarts, due del mattino.
Corridoio.

 
Teddy si era assicurato che effettivamente Rose e Scorpius fossero tornati alla propria Casa.
Poi era corso, bacchetta alla mano, verso l’ufficio della Prynn.
Non poteva crederci. Di essere stato così ingenuo. Di non aver capito chi si nascondesse dietro il sorriso di quella donna. I ragazzi non potevano aver mentito. Ed era questo che lo sconvolgeva.
Avevano avuto il responsabile, o a questo punto considerando i fatti, uno dei responsabili di tutto ciò che era successo in quei tre mesi, sotto il naso. E nessuno di loro, nessuno, se ne era reso conto.
Quando arrivò al piano dove era locato l’ex ufficio della McGrannit ingoiò un sussulto e serrò la presa sulla bacchetta. La pesante porta di noce dell’ufficio era spalancata.
Si avvicinò di soppiatto, ascoltando i suoni che provenivano all’interno. C’era qualcuno.

Mise le spalle al muro della porta e poi con un movimento fluido - non pensava di ricordare così bene l’addestramento auror - spianò la bacchetta di fronte a sé.
Se ne trovò un’altra davanti e il viso pallido e spaventato…
Di James.
James!” Abbassò la bacchetta. Il ragazzo non fece lo stesso. Tale era l’adrenalina che lo guardava con gli occhi sgranati dalla paura e il respiro affrettato. “James, fermo, sono io!”
Il ragazzo sussultò di colpo, facendo un passo indietro. “Teddy…” Articolò.

Dietro di lui, un corpo a terra.
La Prynn, morta e accanto Albus, appoggiato ad una delle scansie, che lo guardava con sguardo gemello di paura e confusione.
“Ragazzi, cosa diavolo ci fate qui? Cosa… che è successo?”
Al aprì la bocca per rispondere ma non ne uscì alcun suono. Scosse la testa un paio di volte.

“L’abbiamo trovata così.” Rispose per lui James, abbassando il braccio. “L’abbiamo trovata così e…”
Rumori sopra e alle spalle di Teddy lo avvertirono che i fantasmi avevano fatto il loro lavoro. Il castello si era svegliato.

“Dovete andarvene. Subito.” Decise in fretta. “Non dovreste essere qui…”
“La bacchetta…” Mormorò Al, guardando il cadavere della donna. “Tom…” Singhiozzò, senza lacrime.

“L’hanno rapito. Ci sono riusciti.” Ringhiò James. “L’hanno portato via attraverso il camino.”
“Il camino?” Teddy ricordava che l’unico collegamento con la polvere volante in tutto il castello era quello nell’ufficio del preside.

L’ha riattivato. Mio Dio. Nessuno, nessuno di noi si è accorto di nulla.
“Sì, il camino. Quando siamo entrati lei era già morta e il camino… Era… era stato appena usato.” James sembrò scollare le parole dal palato. Raggiunse il fratello, tirandolo via dall’angusto spazio in cui si era rifugiato. Al non oppose resistenza, ma Teddy, seguendo il suo sguardo vide qualcosa che non avrebbe mai voluto vedere.
C’era una bacchetta a terra. Non la riconobbe, non subito. Poi lanciò uno sguardo a James, come a chiedere spiegazioni. E capì.
“È di Tom…” Sussurrò il ragazzo, stringendo la presa sul braccio del fratello. Teddy ricordò come era raro che si toccassero quei due, se non per punzecchiarsi o azzuffarsi. In quel momento James sembrava fare di tutto per tenerselo vicino.
“Va bene.” Disse, sperando di suonare convincente. “Va bene, ora tornate ai vostri…” Esitò, cambiando idea. “Jamie, porta Al con te alla Torre. Non restate soli, per nessun motivo. Io resterò qui ad aspettare gli altri professori.”
“Perché?” Sussurrò Al. “Se n’è già andato… l’intruso.” 

“Non ha importanza. Non voglio comunque che restiate separati. In ogni caso, non potete restare qui.”
James non replicò, limitandosi a tirare Al. In quel momento sembrava avere tutta l’intenzione di andarsene il più in fretta possibile. Poteva capirlo. Avrebbe voluto farlo anche lui.
“John Doe.” Mormorò Al, inchiodandosi di fronte alla porta. “È stato John Doe. Il rapitore, quello che ha portato via Tom.”
“Al…” Lo strattonò James. “Che cazzo stai dicendo? Andiamo.”
“Tom non c’entra niente. È stato lui, è stato John Doe!” Il tono della voce di Al era un crescendo. Ad un certo punto parve persino spezzarsi. Inspirò. “Non c’entra niente, non voleva!” La cosa che più inquietò Teddy fu vedere gli occhi del minore dei Potter completamente asciutti, privi di qualsiasi emozione che non fosse una genuina e completa angoscia. “Teddy, lui non voleva!”
“Va bene Al…” Gli sorrise appena: farli rimanere lì non era una buona idea. Albus non avrebbe retto una raffica di domande e forse anche recriminazioni. Era così pallido che sembrava stesse per svenire da un momento all’altro.

Merlino, sta per avere un crollo nervoso
 “Va bene, ho capito. Lo troveremo, sta’ tranquillo.” Fece un cenno a James, che lo tirò via, sebbene con una certa goffa premura.
Quando se ne furono andati, e sperò davvero che non incontrassero nessuno sulla loro strada, Teddy guardò il volto di pietra di Ainsel, congelato in uno spasimo di sorpresa.
Si sentì la bocca secca.
Avada Kedavra.
Un morto, una bacchetta a terra e uno studente, Tom, sparito. E solo un nome.
John Doe. Come dire Signor Nessuno.
Sentì dei passi dietro di sé, e si voltò. Il preside guardava incredulo il corpo della Prynn e dietro di lui, con i mantelli lucidi di pioggia, con ore di sonno arretrato e i visi stanchi e tirati, Harry e Ron.
Ted non disse nulla, aspettò che Harry abbracciasse con lo sguardo l’intera scena.
“Siamo arrivati troppo tardi.” Sussurrò l’uomo, passandosi una mano sulla fronte.

“C’è dell’altro…” Disse a quel punto il giovane. “Harry, James ha detto che il Mantello è sparito. Il mantello dell’invisibilità.”
 

****
 
 
Hogwarts, due del mattino.
Torre Grifondoro, Sala Comune.
 
 
Rose fissò per circa la ventesima volta le lancette del grosso orologio sopra il camino.
Era enorme e per certi versi piuttosto di cattivo gusto, dipinto con lacche rosso e oro.
Scandiva il tempo con le panciute lancette di ottone, lentamente.
Erano passate da poco le due. Del mattino.

Scorpius stava accanto a lei, con un braccio attorno alle sue spalle. La seta della sua vestaglia era incredibilmente calda, e sapeva di pulito.
Era felice che fosse lì.
James fissava le fiamme del camino, ostinatamente, cercando di non guardare l’orologio, e finendo inevitabilmente per lanciargli uno sguardo ogni dieci secondi circa. Rose l’aveva cronometrato.
E Al…
Serrò appena le labbra, lanciando uno sguardo al cugino. Era seduto sul davanzale di una delle finestre, e non aveva aperto bocca da quando James l’aveva letteralmente spinto attraverso il buco del ritratto.
Fissava fuori dalla finestra, e sembrava piccolo e incredibilmente indifeso dentro i vestiti spiegazzati. Era quasi certa che avesse un labbro gonfio per chissà quale colpo. James non aveva detto niente, e lei non aveva chiesto. Ma tra le occhiate all’orologio, ne aveva anche intercettata una, colpevole, rivolta al fratello.
Era fuori di sé quando è scappato. Non mi stupisce che Jamie abbia dovuto fermarlo con la forza. Quando vuole è testardo come una mandria di muli.
Erano passati solo dieci minuti da quando James e Al erano entrati, eppure sembravano ore.
La faccia dei fratelli Potter era stata una doccia fredda. Rose non aveva mai visto James con un’espressione del genere addosso.
Né lei né Scorpius avevano ancora trovato il coraggio di aprire bocca.
Tirò un sospiro; sopra di loro i compagni stava dormendo il sonno dei giusti, ignari di cosa si stesse scatenando fuori dalle mura protettive della torre. Lily e Hugo, la mattina dopo si sarebbero svegliati, vestiti e diretti verso la Sala Grande, con pensieri oscillanti tra la fame e la noia delle lezioni.
Rose in quel momento avrebbe dato tutto per far parte della schiera di ignoranti e strisciare sotto le coperte calde della sua stanza.
Sentì i capelli di Scorpius sfiorargli la guancia. Si voltò, e vide che la fissava.
“Chiediglielo.” Disse soltanto, premendole le labbra contro la tempia. Era quasi irreale, in quel momento, quel contatto. Servì però a Rose per riscuotersi dalla sua apatia.

Si alzò in piedi, sciogliendosi dall’abbraccio del ragazzo. Albus non si era spostato di un millimetro. Gli si sedette accanto.
“Al.” Gli posò una mano sul ginocchio. Era freddo e rigido. Accanto alla finestra faceva piuttosto freddo. “Che è successo?”
Il ragazzo non rispose. Continuò a fissare la finestra, ma era chiaro che non stesse guardando proprio un bel niente. Se Rose non l’avesse conosciuto bene, avrebbe detto che era sotto-shock.

Invece stava solo pensando. Al, sebbene a volte soffrisse di un’orribile forma di impulsività, repentina come il morso di un serpente, poi finiva inevitabilmente per pensare. Rielaborare.
Era il suo modo per gestire lo stress, aveva commentato una volta sua madre; estraniarsi dal mondo e macinare meccanismi mentali.
“L’hanno… rapito, vero?” Lanciò uno sguardo a James, che annuì, impercettibilmente.
“C’era la sua bacchetta.” Disse finalmente il serpeverde. Gli tremava la voce, ma era più ferma di quanto avesse pensato, considerata la situazione. “Chi l’ha rapito ha ucciso la professoressa Prynn e l’ha disarmato.”
Rose sentì di nuovo quella strana sensazione di irrealtà. Stava davvero succedendo a loro?
“Perché l’hanno rapito?”
“Non lo so.”
“Ma…”
“So quello che mi ha detto Tom so che la Prynn aveva un complice, John Doe. E so che lo sapeva, quando la Prynn l’ha portato via. L’aveva capito, che la professoressa… e mi ha allontanato. Ed io…” A questo la voce gli si ruppe. “Io gliel’ho lasciato fare.”  
“Ha cercato di salvarti il culo, idiota!” Sbottò James. “Forse l’unico che si è comportato in modo sensato è stato proprio lui!”
“Devi dirci cos’è successo.” Esordì Scorpius. Si alzò dal divano, infilandosi indolentemente le mani nelle tasche della vestaglia. “Apriranno un’indagine per scomparsa di mago minorenne. E per come mi sembra di aver capito che stiano le cose, non credo che Dursley si trovi in una bella posizione.”
“Che intendi dire?” Mormorò confusa Rose. Era chiaro che Tom fosse una vittima. Cos’altro poteva essere?

Al invece si morse un labbro, lanciando uno sguardo di sottecchi a Scorpius. “Sarà sicuramente mio padre ad occuparsi delle indagini. Tom non sarà indagato.”
“Tuo padre? E dimmi, Potter, tuo padre di cosa è capo? Ricordamelo.”
“Dell’Ufficio Auror, che domande idiote!” Sbuffò James. “La pianti con questa retorica da due soldi e arrivi al punto?”

Scorpius sospirò, lanciando loro un’occhiata esasperata. “L’ufficio auror si occupa della cattura dei maghi oscuri. Maghi oscuri. Non rapitori di maghi minorenni. Non è una delle loro competenze. Non ci arrivate? Il vostro eroico padre non è autorizzato a condurre nessun tipo di indagine.” Si massaggiò il retro della nuca, come se sentisse una fitta all’idea che potessero essere stati tanto ingenui. “Non da quando si è scoperto che il pazzo che ha liberato i Naga non era un mago oscuro. E già lì era palese abuso di potere, secondo mio padre. Pare che abbiano chiuso un occhio perché si trattava di Harry Potter.” Scandì con uno sbuffo. “Ma non stavolta. Il Ministero non permetterà altri conflitti di interessi. Incaricheranno un altro ufficio di indagare sulla sparizione. Quindi, per riassumere, ad Al conviene condividere quello che sa con noi… Pare che più testimoni possibili alla difesa aiutino.”
“Ma di che stai parlando?!” Sbottò James confuso. “Tommy sarà pure antipatico come avere un dorsorugoso su per il culo, ma è stato rapito.”
“A rigor di logica, l’ha detto Al, la Prynn l’ha portato via con sé, e lui non ha opposto resistenza. E parliamo del Mantello dell’invisibilità. Quanti sapevano che ce l’avevi tu?”
James non replicò a questo. Lanciò invece uno sguardo al fratello, che era impallidito e sfuggiva allo sguardo degli altri. “Albie? Che cazzo vuol dire? Malfuretto ha ragione?”

Albus si passò una mano trai capelli, lanciando uno sguardo ai tre: aveva sperato che non giungessero a troppe conclusioni; pretesa ridicola considerando che sia Rose che Scorpius erano peggio di quella coppia di investigatori babbani, Sherlock e Holmes.  
Non ha opposto resistenza. Non c’erano segni di lotta. La sua bacchetta era abbandonata a terra, e Tom non l’avrebbe mai lasciata, si sarebbe fatto amputare un braccio piuttosto…
Non è stato Tom. Maledizione. È stato incastrato.
Lanciò uno sguardo alle espressioni confuse e di attesa dei tre.
 “Al.” Lo riscosse Rose. “Tom quant’è coinvolto in questa storia?”
Ma come faccio a spiegarvelo e farvelo accettare come io l’ho accettato?
 
 
 
****
 
 
Hogwarts, due e mezzo del mattino.
Ufficio della professoressa Prynn.
 
“Non ci sono segni di lotta, Harry.” Esordì Ron, dopo aver lanciato un lungo sguardo valutativo alla stanza. “L’omicidio della Prynn è stato veloce, e premeditato. Lei non se lo aspettava, il suo omicida invece aveva programmato di farlo.” Indicò il viso della donna. “È stata sorpresa.”
“Sì…” Harry si tolse gli occhiali, per massaggiarsi la sella del naso. Era stanco, furioso. Erano anni che non provava quella sensazione di accecante impotenza. Dalla sua adolescenza, per la precisione.

E non è decisamente una bella sensazione.
“È terribile…” Sussurrò il Preside. “Terribile, uno studente rapito. Sotto i nostri occhi. Organizzato per mesi… come abbiamo potuto non accorgerci di nulla? Come ho potuto far entrare questa donna qui, e lasciargli studiare le sue abitudini, fare in modo che si guadagnasse la fiducia di tutti noi?”
“Nessun poteva sospettare nulla, preside.” Cercò di consolarlo Ted. “Ainsel era… al di là di ogni sospetto.” Lanciò uno sguardo ai due auror. “Ha aiutato ad organizzare la festa di Halloween. Gli studenti la adoravano e avevamo tutti molta considerazione per lei, come docente.”
“La festa di Halloween, cioè quando sei stato aggredito.” Harry fece una smorfia. “Durante le feste c’è un continua via-vai di persone da Hogsmeade, per cibo, attrezzatura, costumi. Brillante, innegabile. John Doe sarebbe potuto entrare indisturbato in qualsiasi momento della giornata.”

Il preside si passò le mani sul viso. “Come abbiamo potuto essere così ciechi?”
“Non si dia colpe che non ha, professore.” Sospirò Harry. “Se potessimo leggere le intenzioni delle persone, la nostra vita sarebbe più semplice. Purtroppo neanche la legimanzia ci riesce, e sì che è quanto più simile alla lettura del pensiero che esista.”
Se mi fossi mai preso la briga di impararla da ragazzo, con Piton, forse adesso avrei capito cosa passava per la mente di Thomas… Cosa lo tormentava, invece di fare sciocche congetture.

Vere a questo punto, ma non sufficientemente supportate da fatti per farmi muovere.  
“Adesso?” Si informò Teddy.
“Dirameremo un ordine di cattura per questo John Doe. Certo, aiuterebbe se qualcuno l’avesse visto in faccia. O che non avesse un mantello dell’invisibilità per nascondere se stesso e Tom.” Commentò con un lieve sospiro. Ron gli lanciò un’occhiata attenta.

Lo so, amico mio…
Ron era il metro del suo giudizio. Per quanto da ragazzo avesse più o meno coscientemente fatto della sua bandiera l’infrangere le regole, nell’età era diventato un monumento alle procedure. Le conosceva tutte, e fungeva da grillo parlante quando lui dimenticava – o fingeva di dimenticarne una.
Che poi fosse ascoltato o meno, come commentava sempre, era un altro discorso.
Harry sapeva cosa diceva lo sguardo dell’amico: non erano autorizzati a fare un bel niente. Quel caso si presentava come sparizione di minore.
Nulla, quindi, che possa interessare l’ufficio Auror.
“Qual è il problema, Harry?” Lo riscosse dai suoi pensieri il figlioccio. Gli sorrise.
Teddy ha un empatia straordinaria.

“Il problema è…”
 
“Il problema è che il Signor Potter non è autorizzato a condurre questa indagine.”


La voce fredda e formale suonò come uno sparo dentro la stanza.
Harry si voltò per trovarsi di fronte ad una delle tante facce della sua adolescenza. Una delle più antipatiche, per giunta.
Zacharias Smith. Aveva saputo anni prima di come fosse stato promosso sergente nei Tiratori Scelti, la seconda forza magica del Ministero, assimilabile per certi versi allo Scotland Yard²

del mondo babbano. Avrebbe riconosciuto quel naso schiacciato ovunque. Sfortunatamente le calvizie aveva del tutto eliminato la famosa zazzera bionda per cui era tanto celebre da ragazzo.
Accanto a lui c’era il professore di Aritmazia, Finch-Fletchley, e altri due Tirati Scelti, in borghese. Il professore sembrava confuso quanto il Preside. “Ha detto che il caso di rapimento di Dursley è stato assegnato a lui…” Mormorò, guardando in direzione di Harry e Ron.
Ed ha tutte le ragioni per dirlo… – Pensò Harry, fingendo un sorriso. “Zacharias, è un peccato rincontrarci in queste circostanze, dopo tanti anni…”
“Taglia corto, Potter.” Lo interruppe spiccio. “Devo chiederti di lasciare la scena del delitto e portare via i tuoi… sottoposti.” Soggiunse con evidente sarcasmo, lanciando uno sguardo sia a Ron che a Teddy.

“Il professor Lupin è un testimone, mi risulta. Oltretutto, lavora qui come docente.” Gli fece notare con pacatezza, nonostante dentro ribollisse all’idea che neppure gli anni avevano scalfito la pomposità di quel pallone gonfiato. 
“Come se non sapessi che ti ha mandato a chiamare lui. Sbaglio o è il tuo figlioccio? Uno dei tuoi, praticamente.” Replicò l’uomo, con un sorrisetto di sufficienza. “In ogni caso lo interrogherò, non preoccuparti. Ora, se non ti spiace, devo rinnovarvi l’invito a lasciare il castello.”
“Si tratta del nipote di Harry, Smith.” Sbottò Ron, lanciandogli un’occhiataccia. “Non potresti avere un po’ di tatto, per la miseria?”
L’uomo lo guardò irritato. “Lo sto avendo, Weasley. Non l’ho arrestato, per esempio, per abuso di ufficio e delle proprie competenze. Il Ministero sa che stavi continuando ad indagare sulla faccenda dei Naga, Potter. È già stato inoltrato un procedimento disciplinare. Quindi fatemi il favore. Levatevi dai piedi e lasciatemi fare il mio lavoro.” Sorrise sottile. “Voi avete i vostri pericolosi maghi oscuri a cui badare, o mi sbaglio?”
Harry afferrò un braccio di Ron, di scatto, vedendo le orecchie dell’amico virare pericolosamente al rosso. “Figlio di…!”
“Andiamo, Ron. L’agente Smith ha ragione.” Gli costava enormemente lasciare tutto nelle mani di quell’imbecille, che ancora conservava livore per gli anni scolastici. Non era tranquillo a lasciare la salvezza di Thomas nelle sue mani. Ricordava di come fosse stato visto scappare via, durante la battaglia di Hogwarts, spintonando via primini. 

Per reduci come lui e Ron, quello era sufficiente per non lasciargli neppure in mano un caso di lite tra vicini.
Ma non spetta a noi decidere…  E non possiamo restare neppure qui. Questo è l’ultimo chiaro richiamo di Kingsley.
Andandosene strinse appena la spalla di Teddy con una mano. Il ragazzo gli lanciò uno sguardo. E capì.
Sorrise leggermente e Harry vide in quell’espressione gli occhi di Remus quando gli aveva detto che sì, lasciava casualmente la mappa del Malandrino sulla scrivania.

Hai ragione, Zacharias. Teddy è uno dei miei ragazzi.
Ed io non lascio i miei ragazzi nei guai.
 
 
 
****
 
 
L’imperio non era un incantesimo totalizzante.
Per certi versi, dipendeva da chi e da come veniva eseguito. I principianti, riuscivano solo a strapparti un breve stordimento e qualche ordine mal digerito. Un mago dotato di una forza di volontà nella media riusciva ben presto a liberarsi.
I più abili, invece, ti lasciavano chiuso nelle pareti della tua mente, in uno spazio bianco infinito, in cui il senso del tempo si annullava e la tua coscienza vagava priva di punti di riferimento.
Chi l’aveva subito una volta, subito davvero, lo ricordava per il resto della sua vita come un sogno orribile, perché neutro e senza fine.
Tom, quando si risvegliò, capì che non era più sotto imperio perché si rese conto di essere in un dove, una stanza umida e fredda e in un quando, la luce dalla feritoia di una finestra sprangata era pallida, lattiginosa. Era la luna.
Ha smesso di piovere…
Si rese conto di avere le mani legate dietro la schiena. La corda era spessa, robusta e umida e gli serrava i polsi in una morsa bruciante.
Gli occhi ci misero un po’ a mettere a fuoco l’intero arredamento della stanza. Dopo una manciata di attimi, ricordò tutto.

Al, la confessione, il bagno, la Prynn… con Doe. L’ha uccisa.
Sentì un sapore disgustoso alla bocca dello stomaco. Gli occhi gli dolevano e facevano fatica a mettere a fuoco. Sembrava trovarsi nella stanza in cui si era incontrato per la prima volta con Doe. Il camino all’angolo, morto e freddo. La sagoma delle due poltrone, del tavolino…
Eppure c’era qualcosa che non andava. Era come se fosse tutto immerso in una nebbia filamentosa.
E il pavimento, che avrebbe dovuto essere di legno, aveva l’odore della terriccio bagnato.
Dove sono?
Sentì un rumore di passi alla sua destra e poi una luce accecante, che risultò essere quella di una candela. Distolse lo sguardo, abbacinato.
“Oh, ti sei svegliato. Pensavo avresti dormito tutta la notte. Beh, meglio così. Risparmiamo tempo.”
Doe.

I lineamenti del suo viso, ora riconoscibili alla luce della candela, erano di una tranquillità agghiacciante.
In quel momento capì quanto fosse terrificante la banalità del viso di John Doe.
Chiunque può uccidere. La banalità del male.³
Doe tirò un lieve sospiro e Tom sentì l’odore acre del fumo riempirgli le narici; si era acceso una sigaretta.
“Quella Prynn. Non sono misogino Thomas, non fraintendermi, ma le donne non sono proprio tagliate per la strategia. Voglio dire, pensava davvero di aver fatto un accordo!” Fece una breve risata. “È divertente, in un certo senso. Dove possa arrivare l’essere umano per ambizione.”

Non disse nulla. Doveva esserci un modo per liberarsi e fuggire da lì.
Qui dove poi? Sono nel villaggio in cui sono stato materializzato la prima volta? No. C’è qualcosa di strano. Questo posto ha l’odore…
Lo conosceva, quell’odore. Chiuse gli occhi. Sì. Era lo stesso odore che per anni aveva sentito, tutte le estati, quando passava i pomeriggi a giocare a nascondino con Albus.

Una grotta. È l’odore dell’interno di una grotta.
“Dove siamo?” Chiese. “Questa non è la casa.”
Doe inarcò le sopracciglia. Era seduto accanto a lui, alla sua altezza. “Beh, a quanto pare l’incantesimo sta perdendo il suo effetto.” Fece una pausa. “No, non è la casa.”
“Dove siamo?”
“Lo sai dove siamo. Sei un ragazzo intelligente, Thomas.”
“In una grotta.” Strattonò leggermente le corde, inghiottendo un gemito quando sentì la pelle tendersi dolorosamente. “Perché mi hai tolto dall’imperio?”
“Perché devo mostrarti delle cose. E sotto imperio non capiresti più di un bambino di pochi mesi.” Sospirò, alzandosi in piedi. “Un lavoraccio, il mio. Fortunatamente, ben pagato.”
“Perché mi hai rapito?”

“Perché sono pagato. Sono un mercenario, Thomas.” Scrollò le spalle. “Per certi lavori bisogna avere un certo distacco emotivo. Chi mi ha chiesto di recuperarti è… piuttosto coinvolto nella tua storia personale. E poi non parlerei di rapimento. Io ti sto solo recuperando. Sei stato rapito quando eri un neonato.”
“Da Artemius Coleridge.”
“Esatto. Era un mitomane. Ti credeva la reincarnazione di Voldemort e credeva che portandoti via dall’Organizzazione ti avrebbe liberato.” Fece una pausa. “Una seria di coincidenze ti ha portato a farti salvare nientemeno che dal Salvatore. Piuttosto ironico, come vedrai. C’è voluto molto per ritrovarti. Ti avevano dato un nome babbano…” Fece una lieve smorfia. “Capisci, essendo iscritto nei registri anagrafici babbani eri praticamente irrintracciabile. Ma poi sei arrivato ad Hogwarts.”
“Ho ancora il mio cognome babbano.” Gli fece notare. Non c’erano uscite, per quanto potesse vedere. Il buio rendeva la stanza, o la grotta, del tutto uniforme.

Ma ci devono essere… mi deve aver portato qui in qualche modo…
“Certo, ma sei un mago.” Continuò Doe, ignaro dei suoi pensieri. “ Credimi, Tom, non sei un tipo che passa inosservato. Ora, non starò a dilungarmi, ma sapevamo quanti anni avevi. Sapevamo che eri sicuramente un mago. E sapevamo che eri in Inghilterra. Quanti bambini, nel mondo magico, sono nati nel tuo anno Thomas? Escludendo chi ha deciso di studiare a scuole magiche estere, non più di una ventina… E così, eccoti qui.”
“E la Prynn? Che significa che era del governo americano?”
“Lo era, sì. Diciamo che l’Organizzazione per cui lavoro è ricercata internazionalmente. E tu sei parte dell’Organizzazione in un certo senso. Un pezzo importante. Ainsel era venuta in Inghilterra per proteggerti, ma… beh, ormai conosci la storia.”
“Che diavolo significa?” Ringhiò: era un miracolo riuscisse a mantenere la calma. In realtà, lui stesso si stupiva di non essere ancora stato inghiottito dalla paura.

Era stato rapito, era senza bacchetta, legato e alla mercé di un mago che avrebbe potuto lanciargli in ogni momento una maledizione, e ordinargli anche di uccidersi, se avesse voluto.
Dubitava fosse quello, comunque, il suo piano. Gli serviva vivo, era evidente, o non si sarebbe preso tutto il disturbo di organizzare quel teatrino solo per cercare di portarlo via con sé di sua spontanea volontà.
Doe sorrise, strappandolo dai suoi pensieri. “Bene. È arrivato il momento delle spiegazioni, credo.” Si alzò, sfilandosi la sigaretta dalle labbra. Si diresse verso il punto più buio di tutta la stanza, e tornò con quella che sembrava una bacinella di zinco, portandola davanti a lui. Teneva tra le dita due fialette, contenenti un liquido argenteo.
Tom istintivamente si ritrasse contro la parete.

Doe stese le labbra in un sorrisetto sgradevole. “Non fare quella faccia. Non ho intenzione di storditi con delle pozioni. Non mi serve. Comunque, mi stupisce che tu non abbia riconosciuto queste due fialette.” Le fece tintinnare tra di loro, davanti ai suoi occhi. Produssero un suono limpido, come campanelli d’argento.
“… Ricordi.” Sussurrò. “Sono ricordi imbottigliati.”
E la bacinella era evidentemente un pensatoio rudimentale.

“Molto bene, Signor Dursley.” Confermò l’uomo. “Ricordi. Non sono miei, naturalmente, ma del mio datore di lavoro. Voleva che li vedessi. Voleva che tu sapessi. Ma solo quando saresti stato pronto.” Gli lanciò un’occhiata. “Adesso credo che tu lo sia.”
Tom lo vide indugiare sul suo viso, sicuramente pallido, i capelli umidi e appiccicosi e la posizione innaturale in cui era bloccato. Alla sua mercé.

Sentì la rabbia strisciargli attraverso le vene, ma si impose di dominarsi.
Non c’era molto, del resto, che potesse fare. Non era Harry Potter, lui. Nessun arcano potere l’avrebbe soccorso. Certo, aveva atterrato quel Naga. Ma non ricordava come l’avesse fatto.
Doe inoltre non era un ominide privo di discernimento: anche se ostentava una posa rilassata lo stava tenendo d’occhio, e la bacchetta era a portata di mano, spuntando dalla tasca della giacca che portava sotto il mantello.
Doe versò il contenuto di una delle fialette dentro la bacinella. Il liquido filamentoso si trasformò in bruma azzurrina. Glielo posizionò immediatamente davanti.
Nonostante tutto, nonostante la paura, Tom non poté fare a meno di sentirsi la bocca secca per l’aspettativa.
“L’attesa è il peggiore dei veleni, non è vero?” Mormorò Doe, con tono confidenziale. “Avanti, dacci un’occhiata. Scoprirai chi sei. Da dove vieni. E soprattutto perché sei nato. Quante persona al mondo possono avere una simile possibilità?”
“Perché, ho possibilità di rifiutare?”
Doe sogghignò. “Thomas, Thomas. Come se volessi.” Poi non gli lasciò il tempo di rispondere. Gli afferrò bruscamente la testa e lo spinse contro la superficie della bacinella.
Tutto divenne della consistenza della nebbia e Thomas precipitò nel ricordo.

 
 
****
 
 
 
Note:
*Scappa evitando la folla inferocita, con pale e forconi, dissennatori e quant’altro*
Ve l’avevo detto che avreste rimpianto i capitoli di stasi! *piagnucola*
1. Qui la canzone.

2. Scotland Yard, o lo Yard è la sede fisica della polizia metropolitana dell’area di Londra. Per informazioni qui.
Come ho già detto, leggendo su Hp Lexicon ho evinto, da quel poco che la Row ha lasciato sull’argomento, che gli hit wizard (tradotti a culo con ‘auror tiratori scelti’, quando non sono auror) si occupano di crimini comuni, mentre per quanto riguarda gli auror, loro si occupano di maghi oscuri, sette e quant’altro. Maggiori informazioni qui
3. Espressione coniata dalla filosofa e storica Hannah Arendt.
 

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Capitolo 46
*** Capitolo XLI ***


Ecco qui. Scusate per il ritardo ma la RL mi ha uccisa.  Capitolone questo. Tutte le spiegazioni su Tommy-boy qui.
@Trixina: Harry è assolutamente una mamma chioccia, e come sai, questa storia è un tributo anche a Remus e tutti quelli che non hanno visto la nuova generazione. Jamie alla fine è un bravo fratellone, solo che a volte se ne scorda! XD
@Nickyiron: Vero, lo scorso capitolo era un po’ di stallo, ma si preparava a questo, che penso sia piuttosto decisivo. Spero che ti piaccia e di non averti deluso!
@Sophie: Ciao! Cavolo grazie per la bellissima recensione! Mi riempe di gioia sapere che anche Tom, che è un personaggio originale, quindi un po’ più a rischio sia così apprezzato! Ed hai ragione, Ted è proprio bello. La classica bellezza. XD Non preoccuparti, io questa recensione l’ho trovata davvero un balsamo per il mio piccolo ego scrittorio! XD
@altovoltaggio: beh, anche io sono in ritardo, quindi pari e patta! XD La fenice sarà importante, ma al momento no. XD Poi vedrai! Rose e Scorpius l’hanno visto e grazie per avermelo ricordato, lo userò! (Che tremenda che sono, non mi ricordo IO tutti i particolari della storia! T_T)
@Aga: Ciao! Benvenuta! XD Grazie, grazie per i complimenti a Sy e Tommy! :D
 
 
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Capitolo XLI
 

 
 
 
 
Qualsiasi cosa si possa credere è immagine di verità.
(William Blake, Proverbi Infernali)
 
La verità è sempre disumana.
(Alessandro Baricco, Oceano Mare)
 
 
 
La bruma cominciò a diventare via via sempre più consistente.
Tom non si era mai trovato all’interno di un ricordo, ma capì che quella nebbia azzurra avrebbe formato il luogo in cui esso si era svolto.
Con velocità impressionante diventò densa, compatta  e di un grigio cupo. Quando Tom riuscì a focalizzare dove si trovava capì di essere in un corridoio.
Pietra ovunque, a terra fredda e grigia e alle pareti, dove torce illuminavano fiocamente l’ambiente circostante.
Era il corridoio di un castello, ma non era Hogwarts. L’architettura era diversa, lo stemma che decorava le torce non gli diceva nulla e le dimensioni del corridoio stesso non avevano nulla di familiare.
Passò una mano sul muro, e non si stupì di non trovare consistenza.
Idiota.
Di Doe nessuna traccia. Naturale: i ricordi di un pensatoio potevano essere consultati massimo da una persona alla volta.
Eppure non capiva.
Cosa significava quel corridoio vuoto?
C’era odore di salmastro; lo stesso odore che aveva sentito quando da bambino aveva passato alcuni giorni a Portsmouth con la famiglia.
Siamo vicini al mare…
Mosse qualche passo, guardandosi attorno. Non c’era luce a filtrare dalle pareti, quindi probabilmente quell’ala del palazzo era disabitata.
Sentì poi dei passi concitati provenire da dietro le sue spalle.
Si spaventò, addossandosi al muro, ma poi la logica gli fece tirare un sospiro di sollievo.

Quello era un ricordo e lui lì non esisteva; non era che uno spettatore passivo. Infatti un uomo, in livrea nera e viola, gli passò accanto senza notarlo.
Aveva una faccia anonima, niente che potesse ricordargli qualcuno o qualcosa. Probabilmente, considerando i vestiti, era un servo.
Strano. Di solito la nobiltà magica usa gli elfi domestici…
Considerando anche che era l’unico essere vivente dentro quella memoria, prese l’ovvia decisione di seguirlo. Il passo era affrettato, ed era chiaro che stesse andando a fare qualcosa o ad incontrare qualcuno. Osservandolo vide che portava, reggendolo con una sola mano, un pesante catino fumante e panni di lino.
Tom relegò la paura in un angolo della mente: almeno lì dentro niente poteva fargli del male. Né vederlo, né toccarlo. In quel momento doveva solo guardare. E capire.
Anche se conoscendo Doe non sarà affatto risolutivo ciò che vedrò.
Il servo passò un paio di rampe in scale, in cupo legno di noce. Aveva un candelabro in mano, che reggeva per farsi luce. Anche la mancanza di una bacchetta lo fece pensare.
Che si tratti di un magonò?
Lanciando uno sguardo alle pareti notò degli arazzi. Rappresentavano scene marittime, nature morte, persino scene di guerra, con draghi e cavalieri. Erano tutti magici: i draghi agitavano le ali, mentre le vele delle navi beccheggiavano al vento.
Era una memoria molto precisa, quasi inquietante per certi versi. Chiunque ne fosse il proprietario aveva memorizzato alla perfezione ogni singolo dettaglio di quel castello.
L’uomo svoltò un angolo, sparendo. Tom soffocò un’imprecazione, inseguendolo.
Il corridoio svoltava in un altro ma quello, diversamente dagli altri, sembrava avere delle porte; una di esse era socchiusa e l’uomo ci entrò senza chiudersela dietro.
Tom fu così introdotto in un salotto lussuoso: i mobili erano di lucido legno scuro e i tendaggi erano di diverse gradazioni di viola.

La stanza era comunque immersa nella penombra, eccezion fatta per lo spazio vicino al camino. C’erano due poltrone, e una di quelle era occupata.
L’occupante, all’arrivo del servo, si alzò.
Tom sentì la gola serrarsi in una morsa, quando lo vide. Non lo conosceva, ma c’era qualcosa in lui che lo inquietò.
Era alto, con capelli castani tagliati corti e una veste da mago. Ma la cosa che più lo sconvolse furono gli occhi. Erano i suoi: lo stesso taglio e lo stesso profondo blu cupo.
Parlò brevemente con il servo, a bassa voce, dandogli forse ordini. Quello poi sparì dietro una porta, da cui si sentivano voci e rumori. Forse una stanza da letto, a giudicare dalla disposizione del salotto, che a ben guardare aveva un tocco quasi femminile.  
Sono le stanze di una donna… La moglie?
Un urlo, femminile, squarciò improvvisamente il silenzio che si era creato nella stanza. L’uomo si alzò di nuovo, e si avvicinò alla porta.
Fu fermato da una donna, di mezza età. A Tom ricordò una delle medimaghe del San Mungo. I vestiti erano diversi, ma l’impressione era quella.
“Non può entrare padrone, la prego…” Disse quella, con tono ansioso.
“Si tratta di mio figlio.” Replicò l’uomo. Il tono di voce era freddo, tagliente. Si addiceva perfettamente alla figura austera che impersonava, anche se meno a quella di un padre apprensivo. Tom si avvicinò alla coppia. Più lo guardava, più la sensazione di deja-vu si faceva prepotente. Era come guardarsi in uno specchio, sebbene deformato. Quell’uomo non gli assomigliava in senso classico, no. Era troppo robusto, con un accenno di pancia che tendeva la veste sfarzosa, mentre lui era magro. Le labbra erano sottili e la barba era rossiccia, mentre lui aveva i capelli neri e il minimo accenno di barba. Eppure gli occhi erano gli stessi. E anche il tono sferzante, sarebbe potuto essere il suo con dieci anni di più.
“Lo so, padrone, ma in questo momento…”
“Mio figlio. È vivo?” Continuò, con lo stesso tono imperioso.

“Padrone…” Supplicò la levatrice. L’uomo la scostò, entrando dentro la stanza. Tom lo seguì.
C’era buio, troppo. Persino per i suoi occhi, ormai abituati alla perenne semioscurità di quel luogo. Un enorme letto a baldacchino, coperto da pesanti tendaggi occupava l’intera stanza. Una sola candela illuminava il profilo di una donna, dietro le tende. Lo intravedeva, ma non riusciva a capire se fosse giovane o vecchia. O se avesse in comune con lui qualcosa, come l’uomo. Si voltò verso le finestre socchiuse: era notte e si sentiva l’impetuoso sciabordio delle onde.

Non mi ero sbagliato, siamo vicini al mare.
Un nuovo urlo squarciò la stanza, facendogli accapponare la pelle.
Mentre era occupato a guardare fuori dalla finestra l’uomo si era avvicinato al letto, e aveva  preso qualcosa alla donna. O meglio, qualcuno.

Con un certo malessere, si accorse che lì dentro doveva esserci un bambino. E dall’assenza di vagiti, come dalle urla strazianti della donna, urla in una lingua che non conosceva, capì cosa stava accadendo.
È morto. Il bambino è nato morto.
Si avvicinò all’uomo. Stringeva tra le braccia l’involucro di coperte. Teneva le labbra serrate e ignorava i lamenti della donna che avrebbe dovuto essere sua moglie. Tom capì immediatamente che non era dolore quello che vedeva riflesso negli occhi, così simili ai suoi. Era rabbia, e impotenza.
Conosceva bene quella sensazione.
L’uomo lasciò la stanza, e Tom fece lo stesso. Non lanciò più che un’occhiata alla figura gemente adagiata trai cuscini. La tentazione fu forte, ma le risposte che voleva non le avrebbe avute da un atto di pietà.
“Mio Signore…” Sussurrò il servo, appena rientrò nel salotto. Lo aveva atteso, confortando, sembrava, la levatrice. “Lo dia a me. Ce ne occuperemo noi, faremo in modo che abbia una sepoltura…”
“No.” La voce dell’uomo non vacillò neppure per un attimo. “Mio figlio vivrà.”
Il servo sembrò sgomento. Comprensibile. “Mio Signore… Vostro figlio…”
“So chi può aiutarmi.”
Il servo sembrò tremare. Tom lo vide sgranare gli occhi e deglutire bruscamente. “Padrone, so che ha fiducia in loro, ma questo va oltre le vostre possibilità. Non si può riportare in vita ciò che ormai non lo è più. Neppure la magia più avanzata…”
“Sciocco magonò.” Ringhiò l’uomo. “Cosa ne sai tu di magia, Etzel? Cosa? La magia non potrà ridarmi mio figlio, ma l’Alchimia mi darà la possibilità di crescerne uno.”

Il servo a quell’affermazione sembrò scosso da un brivido profondo. “La scongiuro, padrone, questa è una follia. Non vorrà davvero offrire il corpo di vostro figlio per gli esperimenti di quegli scellerati…”
Silenzio!” Tuonò l’uomo, mentre trafiggeva con lo sguardo l’altro. “Etzel, ho tollerato abbastanza la tua sfacciataggine. La Thule mi ridarà un figlio, ed io darò loro un corpo in cui farlo rinascere. Manda il mio sparviero ad avvertirli che offrirò il mio primogenito.”
“Padrone…” Si alzò la nutrice. Sembrava pallida, e scossa anche lei. “Vostra moglie, il parto l’ha profondamente debilitata…”
L’uomo a quella notizia non sembrò turbato. Tom però capì che in quel momento, per lui, non c’era spazio per altri pensieri che non fosse quello di dare suo figlio a quegli scellerati. Gli occhi brillavano di una luce folle, spaventosa.

Il dolore si poteva manifestare in molti modi, gli aveva detto una volta Harry. 
“Fate il possibile per lei, Sieglinde. Fate il possibile.” Ripeté, mentre la voce si sfilacciava, si faceva più distante.
Tom vide l’ambiente diventare sempre più chiaro, sempre più brumoso.
Sentì uno strappò alla nuca, e un attimo dopo lo investì una luce accecante.
Chiuse gli occhi, accorgendosi di non potersi riparare il viso con le mani. Era legato.

Era di nuovo nella grotta. Con Doe.
“Bentornato Thomas.” Disse quello. Ormai la magia che aveva reso quell’antro simile ad una stanza era scomparsa, e l’uomo era seduto su un rozzo sgabello, davanti a lui. In un angolo era alimentato un fuoco magico che rischiarava appena la stanza ma non la rendeva certo più calda.
Tom non disse nulla, limitandosi ad aspettare che continuasse. Era chiaro che avrebbe continuato.
Di certo non è un tipo di poche parole…
“Allora, come hai trovato il ricordo?”
“Buio.” Commentò quieto. Era frastornato. Ancora aveva nelle narici l’odore della salsedine, e nelle orecchie la voce pacata e disumana dell’uomo con i suoi stessi occhi.

E le grida… le grida di quella donna…
Doe rise appena. “Stringato come sempre, vedo.” Si tamburellò le dita sulla guancia, pensieroso. “Immagino che tu abbia capito chi erano quei due. Non intendo il servo o la nutrice… figure di contorno, quelle.”
Tom sentì uno strano nodo allo stomaco. Non era tristezza, non era angoscia.

Non era niente.
Aveva capito subito che quella coppia tetra era legata a lui, pur non avendo visto in faccia la donna. Eppure non provava niente.
Perché non significano niente per me.
È stata Robin ad allattarmi da bambino. È stato Dudley a farmi da padre. I miei fratelli si chiamano Alice e Vernon. Mi chiamo Thomas Dursley, e la mia famiglia comprende un clan di maghi che vivono in mezzo alla campagna… la mia famiglia comprende i Potter.
“I miei genitori, suppongo.” Disse infine, atono. Doe sembrò sorpreso dalla reazione.
“Ma come? Pensavo che fosse quello che volevi sapere. Chi eri, da dove venivi.”
“Mi hai fatto credere di essere chi non ero, perdonami se ho qualche riserva.” Tese le labbra in un mezzo sorriso, amaro. “Se non altro, adesso so di essere umano.”
“Non proprio.” Lo interruppe Doe. “Quelli erano i genitori del bambino morto. Che hai capito, no, che è morto durante il parto? Persino la magia non può nulla verso certe tragedie. Un problema congenito ai polmoni. Irrimediabile. Molto triste….”
“Cosa diavolo…” Sussurrò. “Cosa significa questo? Hai detto che erano i miei genitori. L’hai detto tu. Adesso.” Sibilò, inghiottendo l’ansia.

Non doveva crollare. Se fosse crollato, se avesse lasciato a Doe campo libero con la sua mente, avrebbe perso il poco controllo che gli rimaneva e a cui doveva aggrapparsi con i denti.
Doe ridacchiò. “Sì, sì… e in un certo senso lo sono. Lui è un mago purosangue, come lei del resto. L’avrai sentita parlare in una lingua che non capivi. Era russo, credo. Sì, mi sembra…” Mormorò meditabondo. “Abbiamo tradotto il ricordo a tuo beneficio, ma a quanto pare neppure il padrone del ricordo conosceva il russo… Curioso, visto che quella era sua moglie.”
“Il padrone suppongo sia…”
“Tuo padre, l’uomo del ricordo. Alberich Von Hohenheim, discendente in linea più o meno diretta con il primo alchimista della storia, Philippus Theophrastus von Hohenheim, meglio conosciuto come Paracelso.” Fece un cenno vago. “Questi nobili… un sacco di nomi. Non so come si chiamasse tua madre però. Spiacente.”  

“Hai detto che non erano i miei genitori.” Insisté, serrando la mascella in una morsa dolorosa.
“Ci sto arrivando.” Sbuffò l’altro. “Sei impaziente, Thomas. Lo capisco… ma non è affatto semplice spiegartelo, sai?”
Era grottesco. Era grottesco come quell’uomo, a poche ore dall’aver assassinato una donna, giocasse con lui ad indovinelli.

Gli venne da vomitare, a pensare che per un periodo aveva pensato che in fondo fossero simili, in quanto complici.
Poteva odiare le persone, poteva considerare buona parte del genere umano, babbano e magico, geneticamente portato all’idiozia…
Ma non sono come lui…
La cosa avrebbe dovuto in qualche modo rassicurarlo della sua umanità.
Ma considerando che sono nelle sue mani…
Inspirò. “Allora spiegami. Non mi sembra che stia cercando di scappare.”
Doe fece un mezzo sogghigno. “Ironico sempre e comunque. È questo che mi piace di te, ragazzino… Bene. Le spiegazioni con il secondo ricordo.” Agitò la fialetta ancora piena di fronte a sé. L’altra l’aveva fatta sparire dentro le tasche del mantello. “Ti senti pronto? Vuoi fare una pausa?”
“Ho scelta?” 

“In realtà no, siamo un po’ stretti con i tempi.” Sogghignò. “Chiedevo pro-forma.”  
Il rito si ripeté un'altra volta. Tom stavolta non aspettò che Doe gli premesse una mano sulla nuca. Si chinò di sua spontanea volontà.
 
 
 
****
 
 
 
“… Come ha fatto ad essere così stupido?”
Rose fu la prima ad articolare una frase di senso compiuto, che non fosse un’esclamazione soffocata, quando Albus finì di parlare.
James era terreo e aveva la mascella serrata. Fissava il fratello come se stesse valutando se prendersela con lui o meno. Scorpius invece aveva stampata in faccia un’espressione indecifrabile, ma Al era certo che non avesse nessuna voglia di sorridere in quel momento.

Se l’era aspettato. Lui stesso aveva reagito mollando un pugno a Tom.
Inspirò. “Non si tratta di essere stupidi. Tom… ha sempre voluto sapere la verità sulla sua nascita. Su di sé. Quando vuoi una cosa da tutta una vita… sei disposto a tutto per ottenerla.”
Cazzate.” Ringhiò James, immediatamente. “Ha collaborato con un cazzo di psicopatico assassino. E l’ha fatto per due mesi, prima che fosse preso dai rimorsi di coscienza e corresse a piangere da te!”

“Non è corso…”
“Oh, come no!” Lo fermò. “È venuto in mezzo ad una festa, dopo mesi che non ci calcolava neanche come esseri viventi, e ti ha vomitato addosso le stronzate che ha fatto, sperando che perorassi la sua causa.” Si alzò di scatto, dalla sua poltrona accanto al fuoco. “Non te ne rendi ancora conto Al? È tutta una vita che quel bastardo ti abbindola con i suoi discorsi e ti porta dalla sua parte, come quando ti ha trascinato a Serpeverde!”
Al serrò le labbra. “Non mi ha trascinato da nessuna parte. Il Cappello…”
“Il Cappello ti ha messo nella casa che tu hai scelto, come no!” James fece un sogghigno storto. “Anche adesso… ti stai facendo manipolare. Tommy si è cacciato nella merda e ci si è cacciato volontariamente, mettendo a rischio tutti quanti. È questa la verità, pura e semplice.”

Al si alzò in piedi. Sentiva il freddo ghiacciargli la schiena. Probabile fosse la posizione accanto alla finestra ad avergli acuito quella sensazione. Ma sentiva freddo da quando Tom era andato via con la Prynn. Freddo gelido, fin dentro le ossa.
“Non hai capito niente.” Sibilò, sentendo montare una collera sorda. Premeva in mezzo al petto e faceva male, tremendamente male. “Tom ha avuto paura. Ma tu non lo capisci, vero? Il Grande James Sirius, l’eroe senza macchia…”
Rose si fece avanti, forse intuendo il suo stato d’animo. Le parole infatti gli uscivano fuori meccanicamente, con un retrogusto metallico. Quiete. “Al…” Mormorò, tentando di frapporsi tra lui e James. James non fu così attento. La scansò, parandoglisi davanti. 
“’Fanculo Albie. Se quel John Doe si fosse avvicinato a me, avrei immediatamente chiamato papà, o chi di competenza. Lui l’ha fatto? No. Quindi ha collaborato. Anche se l’ha fatto senza cattive intenzioni, il risultato resta.”

Non capisci… lo sapevo che non avresti capito.
Quando hai una colpa, si fa presto a trovare un colpevole. Gli eroi non perdonano.
Io non voglio essere un eroe. Non mi importa di trovare un colpevole.
Rivoglio Tom.
Sentì la bolla di collera esplodergli nel petto, e non si accorse di aver afferrato James per la stoffa della camicia. Non finché non cominciò a strattonarlo.
“Ehi Al, mollami! Mi stai strappando la camicia!” Protestò l’altro.
A malapena captò la voce del fratello. Aveva parlato tanto, aveva spiegato, aveva raccontato. Tutto, meno i dubbi di Tom sul suo essere umano.

Quelli no. Quelli no, non glieli posso dire. Guarda le reazioni solo a quello che mi hai detto sul tuo rapporto con John Doe.
Dio, Tom, dove sei?
Lo vedi? Ti stanno incolpando. Rosie non parla, James lancia accuse. 
Lo vedi?
Non ce la faccio a farglielo capire.

La bolla non era esplosa. Era rimasta incastrata in fondo alla gola, e sentiva il battito furioso del cuore pompargli nelle orecchie.
“Al…” Si sentì afferrare per i gomiti da James. “Al, che hai?”
Avrebbe voluto dirglielo. Ma quando aprì la bocca per parlare si accorse di non poterlo più fare. Sentì la bolla comprimergli il petto, e capì di non riuscire a respirare.
 
Scorpius ne sapeva qualcosa di crisi di panico. Da piccolo, dopo che aveva assistito al massacro di suo nonno ne aveva avute di deliziose per anni, prima che sua madre, dopo aver mandato sagacemente a quel paese fior di medimaghi venuti dagli angoli più remoti dell’Europa, decidesse di rivolgersi alla medicina alternativa.
Cioè quella babbana.
Suo padre l’aveva perdonata solo quando aveva smesso di piangere e tremare ogni sera prima di andare a dormire.

“Sta avendo un attacco di panico.” Osservò pratico, quando sentì Al tirare i primi respiri spezzati, alla ricerca dell’aria che la sua mente si rifiutava di fargli assimilare.
“Un cosa?” Sbottò James tenendo per le braccia il fratello. “Al!”
“Attacco di panico. È sotto stress. Ti dice niente? Roba babbana.” Sospirò. “Spostati, Potter.”
James lanciò un’occhiata ad Al, che gli si era ancorato addosso e non respirava. Lo tenne stretto. “’Fanculo. Non mi sposto, finchè…”
“Jamie, se non la pianti ti schianto.” Sbottò Rose guardando Al, pallida quanto lui. “Non lo vedi che sta male? Lascia fare Scorpius, se ne sa più di noi!”
Scorpius le rivolse un’occhiata grata, afferrando per un polso il più giovane dei Potter: aveva le pulsazioni accelerate ed era freddo come un ghiacciolo.

Favoloso. Probabilmente è già da un’ora che sta così…
“Potter, fa’ dei respiri profondi.” Gli afferrò il mento e lo costrinse a guardarlo. Si specchiò in due enormi pozze di smeraldo confuse e piene di lacrime. Fu sgomentante.
Adesso capisco che intende Mike quando dice che gli occhi di mini-Potter sono delle maledizioni senza perdono…
“Guardami, Albus.” Disse, cercando di suonare gentile. “Non è nulla. Il tuo corpo sta reagendo così perché sei spaventato. Fidati, io lo so. Pensa a fare dei respiri profondi.” Lanciò uno sguardo di traverso a James, che aveva tirato fuori la bacchetta. “La magia non funziona.”
“E se usassimo un confundus?” Tentò Rose, preoccupata. “Non respira, Scorpius.”
“Certo che respira. Deve solo continuare a farlo.” Le assicurò con un sorriso. “Potter, dov’è finita la tua forza di volontà? Vuoi dirmi che i serpeverde sono solo bravi a scappare dai problemi?” Lo accusò, ma premurandosi di mantenere un tono da civile conversazione. “Non farmi difendere la casata di mio padre. Mi sento a disagio, visto che sono un Grifondoro.”

Al gli lanciò uno sguardo vagamente consapevole. Gli occhi, da vitrei che erano per la crisi, tornarono lucidi. Tiro qualche respiro sincopato, prima di riuscire a stabilizzarsi su un ritmo più o meno normale.
Scorpius gli rivolse un sorrisetto di lode. “Bravo Potter.” Fece un cenno a James. “Ehi, aiutami a distenderlo. Pesa.”
Rose, quando lo fecero sdraiare, si premurò di aggiustargli i cuscini sotto la testa. “Al…” Sussurrò, scostandogli una ciocca di capelli dalla fronte: si era coperto di sudore in pochi attimi, fino a macchiarsi la camicia. “Che gli è successo?”
“Stress. È crollato tutto di un colpo.” Considerò il biondo, guardandolo. “C’era da aspettarselo. Ha mantenuto il controllo fin’ora, ma quando si è sentito attaccato… sapete, la famosa goccia che fa traboccare il vaso.”

“Vuoi dire che è colpa mia?” Scattò James.
“Non ho detto questo. Non funziona così.” Scrollò le spalle.

“Adesso che facciamo?” Mormorò James, guardando il fratello: aveva ancora gli occhi chiusi e sembrava non sentire neanche le carezze di Rose. “Intendo dire… cosa facciamo con quel che ci ha detto? Ci faranno delle domande. Bene o male eravamo tutti fuori quando la Prynn è stata ammazzata. Dovremo dire la verità.”
Rose si morse l’interno della guancia. Al sembrava stremato ma era certa che li stesse ascoltando. “La cosa che più mi preoccupa è che non sarà zio Harry a condurre l’indagine.”
“Già. Ma a chi dovrebbe essere assegnata?” Chiese Scorpius, guardandoli. “Non sono perfettamente a conoscenza dell’organigramma delle forze magiche.” Spiegò poi.
Rose ci rifletté brevemente. “Si tratta di un caso di omicidio e di un rapimento. Credo ai Tiratori Scelti… Però c’è anche da considerare che c’è un mago minorenne rapito.” Si staccò una cuticola dell’unghia, ansiosa. “… È brutto da dirsi, ma ormai la Prynn è morta e non c’è più niente che si possa fare per lei. Il rapimento sarà la priorità, quindi.”
“Caso di scomparsa. Dovrebbe toccare a quelli della sezione ‘scomparsi’.” Ventilò James, facendo schioccare la lingua. “Almeno credo.”
“Tiratori scelti e auror…” Mugugnò Rose. “Secondo mia madre non si possono vedere. È una rivalità che risale alla Prima Guerra Magica. Solo gli auror erano autorizzati all’utilizzo delle maledizioni senza perdono. Questo significava che i tiratori scelti erano molto più a rischio nella cattura di maghi oscuri. Avevano funzioni simili, eppure c’era un differente protocollo… ora si sono specializzati, ma la rivalità e una certa acredine è rimasta a livello dell’organico.”
“La nostra enciclopedia di storia della magia personale…” Ironizzò James. Si passò una mano trai capelli. Al non aveva ancora aperto gli occhi. Era certo che non fosse svenuto, ma non lo scrollò come suo solito, per spingerlo a reagire.

Lo so. Ho fatto una delle mie stronzate. Tom è il suo migliore amico. Posso pensare che sia un vigliacco bastardo, che ha scaricato tutto il peso delle sue colpe su Al, lasciandogli l’onore di giustificarlo…
Ma come reagirei io se un mio amico fosse nei guai?
Guardò Scorpius: ironicamente si era affezionato a Malfoy, alle sue stramberie e all’invidiabile capacità  di essere l’uomo della situazione, senza sforzo.
No. È diverso. Non posso paragonare il rapporto che ho con Malfuretto, o con qualunque dei miei amici, a quello di Albie e Tom.
Per quanto la cosa lo mettesse a disagio, il loro rapporto era oltre.
Assomiglia molto più a quello tra due innamorati.
Si riscosse, quando vide che il fratello stava riaprendo gli occhi. “Ehi, Al… come ti senti?”
“Male.” Rispose sincero. “Dobbiamo concordare una versione.” Sussurrò poi.

“Eh?” Lo guardò stranito, lanciando un’occhiata alla cugina e a Malfoy.
Rose si schiarì la voce. “Come Al?”
“Una versione. Di quello che vi ho raccontato. Deve essere uguale per tutti… Non possiamo evitare di dire la verità.” Si alzò a sedere sul divano. Era pallido e sudato, ma lo sguardo era di nuovo lucido e acuto. “Ma ci sono molti modi per raccontarla.”

Scorpius fece un mezzo sogghigno. Sembrava divertito dalla proposta. “Interessante scelta dei termini, Potter. Direi quasi che hai fregato la frase a mio nonno.”
“Può essere.” Sorrise appena. “È una frase che gira spesso nei sotterranei. Magari l’ha coniata proprio lui.”

“Non lo escluderei.” Replicò. “Vediamo se ho capito… Dobbiamo dare una versione che non ci contraddica a vicenda e che magari metta in luce la buonafede di Dursley.”
“Non avrei potuto riassumerla meglio…” Convenne Al.

“Insomma, ci stai chiedendo di mentire.” Rimbeccò James, ma senza acredine. Sembrava che lo stato del fratello lo rendesse più mite.
Al esitò, passandosi una mano trai capelli. Si sentiva spossato, e avrebbe voluto così tanto dormire. Ma l’adrenalina lo teneva dolorosamente vigile. “No. Tom è nei guai, mentire servirebbe solo a depistare le ricerche… Vi sto chiedendo di essere preparati. Di dire la verità, ma dirla bene.”
Scorpius fece una mezza risata. “Hai mai pensato alla politica, Potter? Hai il mio appoggio, comunque. Raggirare gli idioti del Ministero ha un sapore così dolce…”
“Scorpius!” Sbuffò Rose. “Un’altra delle orazioni di tuo padre?”
“Ovvio. Mio padre detiene la verità per quanto mi riguarda, e questo non è negoziabile.”

Rose sospirò, ma poi prese un’aria determinata, quella che la rendeva inquietante durante i compiti in classe. “Bene. Abbiamo tutta la notte per costruire una versione che renda Tom più vittima che complice. Direi di metterci al lavoro, non ci rimangono molte ore…”
Prima che arrivi il mattino, si svegli la scuola e scoprano tutti che Thomas è sparito e che la professoressa è morta… - Pensò, ma non lo disse.
“Dovrete vedere cosa rimarrà di lui quando avrò finito di prenderlo a calci, dopo che l’avranno ritrovato.” Brontolò James, incrociando le braccia al petto. “Qualcuno ha una barretta di Mielandia? Se dobbiamo stare qui tutta la notte ho bisogno di zuccheri.”

Al inspirò, mentre si sentiva meno infreddolito e un po’ più caldo. Sentiva ancora le mani gelate, e il cuore battergli scosso nel petto. Ma il fuoco del camino dei Grifondoro, anche se bruciava la legna in modo vorace e caotico, riscaldava.
Doveva farcela. Aveva la sua famiglia, i suoi amici. E una missione.
Non è come salvare il mondo, ma chissà, forse questo è il mio lato grifondoro.
Sorrise appena.
Hai visto Tom? Da qualche parte ce l’avevo anche io.
 
 
****
 
 
 
Il secondo ricordo era più definito del precedente.
Tom aprì gli occhi su una sala. Uno spazio circolare, con il pavimento in terra battuta, circondato da un colonnato dall’aria austera, interamente di pietra. Sembrava un sotterraneo, dall’aria umida e stantia che si sentiva filtrare alle spalle. Ovunque, sempre, quell’odore salmastro.
L’ambiente era illuminato da torce, che gettavano una luce bluastra, indefinibile, inquietante.
Al centro c’era un gigantesco calderone, simile a quelli che usavano nell’aula di pozioni: l’unica differenza era una stemma scavato nel peltro.
Non poteva avvicinarsi. Quel particolare ricordo non gli dava la possibilità di spaziare. Si accorse infatti di essere bloccato accanto ad una delle colonne; le persone davanti a lui gli davano le spalle, in cerchio, coperte da mantelli neri, inquietantemente simili a quelli dei mangiamorte.

Ma non sono mangiamorte…
Le maschere, per prima cosa, erano assenti. Il viso era coperto dalle ombre, ma concentrandosi riusciva a vedere particolari, come barbe o menti.    
Si concentrò allora sullo stemma del calderone, che sobbolliva di un vapore sulfureo, giallastro. Quattro bracci uncinati, che potevano ricordare il movimento di una ruota, incrociavano una spada corta, forse un gladio.
Era un simbolo.
Il simbolo dell’organizzazione di cui Doe mi ha parlato?
Gli ricordava qualcosa, ma non rammentava dove l’avesse già visto. Non in qualche libro di Storia della Magia, questo era sicuro.
Gli uomini, era presente anche qualche donna, lo evinceva dalle forme esili e formose sotto qualche mantello, sembravano aspettare qualcuno.
Quel qualcuno arrivò, passandogli accanto. Reggeva tra le braccia qualcosa, con estrema cura.
Era Alberich Von Hohenheim. Suo padre.
Il mormorio che fino a poco prima aveva animato i presenti a quel punto tacque. Aspettavano tutti le parole dell’uomo, era evidente.
È il capo? Avrebbe senso. Doe mi ha sempre parlato del suo capo…
Alberich si tolse il cappuccio, con la mano libera. “Fratelli, sorelle. Sono qui per offrire il mio primogenito alla gloria del nostro progetto. Questa sera è speciale, quindi rompete gli indugi e mostrate i vostri volti. Gloria alla Thule.”
Gloria alla Thule.” Recitarono questi. I cappucci vennero calati. Tom cercò con lo sguardo un viso familiare, ma trovò solo tratti stranieri, visi dagli zigomi alti, scavati nel freddo delle terre del Nord. Le parole risultavano addirittura fuori sincrono. Doe non gli aveva mentito; il ricordo era stato tradotto in inglese a suo beneficio.

Riconobbe, o meglio intuì, un viso come quello di un suo compatriota. Non fu difficile, perché era l’unico a sembrare fuoriposto, in quel consesso di ariani. Era più basso di molte di quelle figure, e tarchiato, con muscoli gallesi. Quando abbassò lo sguardo sulle maniche della tunica, tirate fino ai gomiti, ne ebbe la certezza. Aveva il Marchio. Quello era un mangiamorte.
Hohenheim si rivolse proprio a lui. “Coleridge, hai portato il necessario per il rito?”
Artemius Coleridge. L’uomo che mi ha rapito.
“Hohenheim.” Replicò quello, sferzante. Si guardava attorno, con aria disgustata. Era chiaro come non sentisse affatto di appartenere a quel luogo. “Non credo tutt’ora nella riuscita dei tuoi deliri.”
“Lo deciderai quando ne vedrai i risultati, mangiamorte.” Replicò. “Ti ho promesso la rinascita del tuo signore. Ciò avverrà. Riavrai un padrone.”
“Io ho avuto un solo padrone, il grande Lord Oscuro, ed è morto per mano di Harry Potter, il diavolo si prenda la sua anima.” Sputò l’uomo, ma negli occhi gli passò un lampo di aspettativa. “Non servirò tuo figlio, più di quanto non sto servendo te. E comunque, chi dovrei servire? Un cadavere?” Concluse sarcastico, lanciando un’occhiata  al fagotto tra le braccia dell’altro.
Due uomini si mossero per protestare, ma Hohenheim li tacitò con un gesto della mano. “Capisco le tue riserve, inglese. Ma la mia domanda necessita di una risposta. Hai con te le spoglie mortali del tuo signore?”

Coleridge tese le labbra in una smorfia ferina. Sembrava paura mista a rabbia. Tolse da sotto il mantello un involto, della grandezza di un libro ma dalla superficie irregolare. “Erano sorvegliate giorno e notte dagli auror. Non è stato facile…”
“Lo sappiamo. Per questo verrai ricompensato, non preoccuparti.”

“L’unica ricompensa che voglio è che le ossa del mio Signore non siano disonorate.” Replicò, poi passò l’involucro ad uno degli uomini. La sua espressione mutò di nuovo. Adesso c’era un barlume di speranza, mentre il pacchetto veniva scartato con mani attente.
Tom represse un brivido di disgusto quando vide estrarre dalla stoffa delle ossa; erano umane.

Le ossa di Voldemort…
Non riusciva a pensare, ad elaborare una spiegazione a ciò che stava succedendo. Era come uno spettatore passivo, privo di pensieri, che assorbiva senza elaborare.
Era l’unico modo per non impazzire.
Le ossa vennero buttate nel calderone ribollente, che emanò un potente sbuffo dal colore smeraldo.
Le ossa del padre…” Mormorò Coleridge.

Hohenheim fece una smorfia sdegnata. “Niente abracadabra oscuro, mangiamorte. Questa è alchimia. Uno scambio equivalente. Ma per compiere il processo, serve dare qualcosa in cambio. Il peso dell’anima del tuo signore è esile, avendola frammentata ben sei volte. Il sacrificio sarà quindi minore.”
“Quanto minore?” Chiese l’uomo, circospetto.
Il sorriso di Hohenheim fu un sogghigno. “Basterà un piccolo contributo.”
Coleridge evidentemente non si era accorto degli uomini che gli erano arrivati alle spalle. Fu bloccato, e la bacchetta gli fu tolta e consegnata al nobile in pochi attimi. Furono rapidi ed efficienti.

A Tom ricordarono John Doe.
“Che diavolo state facendo?!” Sbottò il mangiamorte. “Volete uccidermi?!”
“Non esagerate adesso, inglese. Dobbiamo richiamare sulla terra l’anima del tuo padrone. Dobbiamo dargli una traccia da seguire, se non vogliamo che altre povere anime si impossessino del corpo di mio figlio. E l’unico che ha una connessione con lui in questa sala sei tu.” Spiegò, mentre si avvicinava al calderone.

Tom in quel momento si accorse che c’era un tavolo, poco distante, con oggetti metallici l’uno vicino all’altro, ordinatamente. Non avrebbero sfigurato in un ospedale. Hohenheim prese uno dei coltelli, testando la lama con la punta delle dita. “Consideralo un atto di fedeltà al tuo Lord Oscuro.”
Tom vide l’uomo tentare resistenza, ma soccombere miseramente. Gli tennero fermo il braccio, il destro, dove c’era il Marchio, mentre la lama incideva la carne. Le urla dell’uomo squarciarono il silenzio della sala, costringendolo a distogliere lo sguardo mentre sentiva un conato di vomito risalirgli lungo la gola.
L’arto venne preso e gettato dentro il calderone.
“Basta…” Sussurrò, anche se nessuno poteva sentirlo. “Basta, ho capito. Basta!
Non voleva continuare a vedere. Ma il ricordo non svanì, e lui non riuscì a scappare.

Vide così Hohenheim, con sguardo freddo e trionfante lasciar cadere il corpo di suo figlio nel calderone. Vide la luce e vide la smorfia di feroce gioia, di totale follia deformare il volto di Coleridge, il suo primo rapitore.
Gli parve quasi di scorgere l’esatto attimo in cui maturò l’idea di portarlo via, quando sentì i vagiti, i suoi vagiti tremare nell’aria.
Chiuse gli occhi, sentendo quelle stesse tenebre ottenebrargli la mente.
 
“Sveglia, principino.”
La voce di Doe. Di nuovo.

Non voleva aprire gli occhi. Non voleva svegliarsi.
Sentì uno dolore sordo alla nuca e si sentì strattonare. Doe l’aveva tirato a sedere. Le giunture di gomiti e ginocchia urlavano. Quanto era stato rannicchiato?
Il volto dell’uomo di fronte a sé era una maschera indecifrabile. Come quelle che aveva visto al museo egizio di Londra, quando era bambino.

Il sorriso della Sfinge…
“Avanti, avanti. Adesso sai tutto. Hai avuto la tua verità.”
“Non è vero…” Le parole gli uscivano come se avesse la lingua impastata di sabbia.
“Ah, non mi credi?” Sogghignò. “Eppure sai che tutto torna. Ti ho mai mentito? Ammettilo, Thomas. Ti ho mai mentito veramente?” Lo teneva stretto per un braccio, costringendolo tra sé e la parete di pietra. Il suo fiato sapeva di whiskey. “Mi dispiace, ragazzo mio. È tutto vero. Tu sei nato così. Sei un contenitore per un’anima monca. Bella definizione, eh? Non è mia.”

“Io non sono Voldemort!” Urlò, o almeno tentò di farlo. Quello che gli uscì fu un sibilo arrochito. “Non sono…”
“No che non lo sei. Voldemort… Un mago forse pazzo, ma grande. Tu sei poco più di un serpentello senza veleno…” Gli afferrò il mento tra le dita, costringendolo ad alzare il viso. “Non c’è niente della sua grandezza in te. Sei solo un mezzo per un fine.”
“… Che fine?”
“Ancora non ci sei arrivato?” Fece schioccare la lingua, apparentemente contrariato. “Il motivo per cui la bella Ainsel avrebbe dovuto proteggerti. Per cui sei stato tenuto al sicuro dietro un’identità anonima. Il motivo per cui Hohenheim ti ha dato proprio l’anima di Voldemort…” Fece un sorrisetto. “Ironica la tua identità. Così vicina a lui…”
“Lui chi…?”
Ma lo sapeva. Lo sapeva e aveva voglia di vomitare, urlare.

“Il vero padrone della morte, Harry Potter.” Gli passò le dita trai capelli, come se fosse davvero qualcosa da usare. Sembravano serpenti che strisciavano lungo la sua testa. O forse stava impazzendo.
“Harry…”
Zio Harry.” Motteggiò feroce Doe. “Possiede i doni della morte. È quelli che noi vogliamo. Ne abbiamo già due. Il Mantello e la pietra della resurrezione, nascosta nel medaglione che ti ho fatto trovare addosso a quel Naga. Ho usato quei lucertoloni per trovarla. Percepiscono il campo magico degli oggetti.” Sorrise, trionfante come un bambino crudele. “Hai sentito subito una connessione con lui, non è vero? Quella pietra è appartenuta a Voldemort per lungo tempo, e mantiene ancora la sua traccia… e poi Thomas?” Lo interrogò, stringendo le dita attorno al suo cranio. “E poi? Cosa manca all’appello?”

“Manca…”
Le parole gli uscirono senza che potesse fermarle. Doe lo aveva in suo potere, e non c’era niente, più  niente che potesse fare. Era solo. Solo al mondo, adesso.

“… La bacchetta. La bacchetta di sambuco.”
 
 
****



Note:
Allora, ecco i chiarimenti.  

Spero di aver dato una spiegazione sensata a tutti gli interrogativi che ho dipanato lungo questi quaranta capitoli.
Alcuni approfondimenti.

La società Thule: è esistita davvero, anche se io di questa utilizzo solo simbolo e nome. È stata un’organizzazione simile ad una setta segreta, che si dice abbia fondato la base del movimento nazista. È stata citata in giochi, libri e quant’altro e persino in Full Metal Alchemist. Qui per maggiori informazioni.  Qui per il simbolo.
Hohenheim: È il vero cognome (o parte del suddetto) di Paracelso. Qui la fonte.

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Capitolo 47
*** Capitolo XLII ***


Capitolo bello farcito questo, causa scarsa connessione e una voglia pazza di stare comunque a scrivere.
Molto angst, un pizzico di dolcezza alla fine. Godetevelo. ;)
@NickyIron: Sì, ammetto che il trhiller confonda. xD Colpa mia, evidentemente che non ho saputo spiegarmi bene! Tom è stato creato non proprio per avvicinarsi a Harry e diventarne il figlioccio, quello è stato un effetto non voluto. Il rapimento da parte di Coleridge non era previsto, ma chissà forse l’ex-mangiamorte è tornato a Diagon Alley proprio per farlo capitare trai piedi proprio a chi la Thule non avrebbe mai pensato che l’avrebbe fatto trovare. La bacchetta di sambuco è di proprietà di Harry, ma non ce l’ha lui. Sta nella tomba di Silente, lui ha la sua vecchia, lo dice la Row nell’ultimo capitolo del Settimo. Altrimenti sarebbe stato proprio tonto, no? ;)
@Aga: Beh, no… capirai in seguito cos’è davvero Thomas, apparte un ragazzo con l’anima di Voldemort. Ricordati, chi è stato l’unico vero avversario di Harry? Voldemort. Chi è che ora ha la bacchetta di sambuco, l’ultimo donno della morte? Harry. ;) Accidenti… proprio sono una frana con gli indovinelli, dovrei darmi alle fic romantiche punto e basta T_T

@Trixina: Ahaah, no, niente fine del mondo magico, anche se effettivamente, ad avere Tre Doni del genere in mani sbagliate c’è un po’ da preoccuparsi. ;P Mi è venuto in mente tutto questo… cazzeggiando invece che studiare! XD Avrei dovuto darmi alle sceneggiature invece che al diritto, tsé! XD Per il resto, mi piace fare le cose davvero per bene e odio le imprecisioni. Infatti su Firefox ho aperta perennemente qualche scheda di Wikipedia o di HPWiki. XD
@Sophie: Sì, so che vi ho fatto penare un sacco… I dubbi saranno risolti alla fine, promesso! (Spero, argh) Beh, Tom non è Voldie, ma… *Risata sadica* Grazie per i complimenti!
 
 
****
 
 
Capitolo XLII
 
 
 



You found yourself a new sensation/ But baby, it's a jungle out t
here
The ones you counted on are all but gone
Baby, it's a jungle out there
(Last man standing, People in Planes) ¹
 
 
 
 
 
6 Novembre 2022, Hogwarts, Sala Grande.
La mattina dopo.
 
 
Hogwarts era la più famosa, nonché unica, scuola di magia di Inghilterra.
Era conosciuta in Europa per la qualità del suo corpo insegnanti, per aver forgiato maghi di grande valore, nonché notabili giocatori di Quidditch.
Ma era una scuola. Piena di adolescenti, con gli ormoni in subbuglio, desiderosi di distrazioni.
E quelle convenzionali erano ben poche, considerando che la scuola era cinta da un lago e dalla impervie montagne delle highlands.

Dunque la scomparsa di Thomas Dursley quella mattina era sulla bocca di tutti. Non si sapeva da chi fosse partita la voce, ma quando Rose e Albus varcarono la soglia della Sala Grande i brusii si intensificarono, mentre occhiate incuriosite investirono la giovane Weasley con la forza di uno tsunami.
Non erano però dirette a lei, ma bensì alla persona a suo fianco, che aveva dormito in una Casa non sua quella notte.
Per farla breve… Al.
Non era un mistero che fosse il migliore amico dello scomparso. Doveva sapere.
Rose gli lanciò un’occhiata: il viso di Al non lasciava trasparire nulla. Contemplava un punto di fronte a sé, con espressione neutra.
Come diavolo fa a nascondere così bene ciò che prova?
Sospirò appena.
Non è questo il punto. Il punto è che lo nasconde così bene che poi si sente addirittura male…
“Al…” Mormorò preoccupata toccandogli il braccio. Lo sentì irrigidirsi. Era ancora vestito come la sera prima, e l’assenza di uniforme era ulteriore motivo di curiosità. “Forse non era il caso di scendere oggi…”
“Avremo solo rimandato l’inevitabile.” Mormorò scrollando le spalle. “E comunque dobbiamo parlare con Lily ed Hugo.” Fece un cenno verso i due ragazzini: Lily era pallida e non partecipava a nessuno dei conciaboli, cosa piuttosto straniante visto che era sempre circondata da fiumi di pettegolezzi. Non si alzò in piedi quando li vide, ma lanciò loro un’occhiata inequivocabile. Hugo invece smise di mangiare.

Si sedettero accanto ai rispettivi fratelli.
“È vero…?” Mormorò Lily tormentandosi una ciocca di capelli con le dita. “Tom è…”
“Sì. È stato rapito.” Concluse Al, servendosi una dose di caffè. Ridicola, notò Rose. Aveva appena bagnato il fondo della tazza. “E la professoressa Prynn era coinvolta. Ora è morta.”  

“Per tutte le palle di drago…” Farfugliò Hugo, e nessuno se la sentì di riprenderlo per aver sputacchiato tutto attorno. “Ma perché?”
“Vorrei saperlo anch’io.”

Rose capì che stava rispondendo solo per dovere. E che non avrebbe dovuto assecondarlo, ma spingerlo ad andare in cucina e farsi servire la colazione dagli elfi domestici.
Ma ormai…
“Com’è che sembrano saperlo tutti?” Chiese, per sviare l’attenzione dal cugino.
Lily fece una smorfia, lanciando un’occhiata attorno a sé. “A me stamattina l’ha detto Fiona Finnigan. Quella cretina ha piagnucolato la scomparsa di uno dei belli di Hogwarts. Gli avrei spedito una fattura, se zio Nev non fosse stato nei paraggi e non fossi stata così sconvolta.” Inspirò appena. “Lo sapete come sono queste cose. Tom ha il suo ridicolo fan club, benché non se ne sia mai accorto. Avranno notato la sua scomparsa e i Tiratori Scelti fuori dalla scuola. Qualcuna avrà chiesto a qualche professore e…”
Al alzò il viso. “Ci sono già i Tiratori Scelti?”
“Perché non è papà a seguire l’indagine?” Chiese invece Lily. “Dovrebbe essere lui!”
“Non è nelle sue competenze.”
“No, aspetta. Era nelle sue competenze sconfiggere un potentissimo mago oscuro e non lo è ritrovare Tom?!” Lily corrugò le sopracciglia. “Si può sapere cosa diavolo…”
“Procedure.” Li interruppe Rose, con un sospiro. “Non siamo più in tempo di guerra, Lils. Le eccezioni esistono solo lì.”

“Che stronzata.” Brontolò Hugo, riassumendo magistralmente il pensiero di tutti.
Lily guardò la porzione di caffè intoccata del fratello. A quel punto gli prese la mano, attraverso il tavolo, stringendogliela forte. “Lo ritroveranno. Chiunque sia il bastardo che vuole fargli del male lo ritroveranno e lo sbatteranno ad Azkaban.”
Al sorrise appena, per tranquillizzarla. Si sentiva gli occhi di tutti puntati addosso, e davvero, capiva il perché. Ma aveva solo voglia di alzarsi e mandare tutti al diavolo.

Non è quello che devi fare. Le voci triplicheranno.
Inoltre, se gli agenti dei Tiratori Scelti erano già arrivati, significava solo una cosa; presto sarebbero cominciati gli interrogatori.
Non sapeva molto delle procedure di indagine del Ministero e si sentiva in ansia: quel poco di cui era a conoscenza glielo aveva raccontato suo padre, ma in tono leggero, discorsivo. Era James quello appassionato ad ogni singola frase che contenesse la parola ‘auror’ e ‘proteggere&servire’.
Io non voglio certo finire a fare un lavoro che mi fa rischiare di perdere pezzi per catturare anti-sociali.
Al terzo anno aveva infatti scelto un curriculum di studio più improntato al settore curativo della magia. Lumacorno stesso gli aveva detto che sarebbe stato un fantastico medimago.
Esagerando come sempre…
Gli venne da sorridere.
In un modo o nell’altro, Tom, avevi ragione. Noi Potter ce l’abbiamo tutti la sindrome da ‘salva-il-tuo-prossimo’.
Era patetico rivolgersi a Tom come se fosse seduto accanto a lui, lo sapeva. Ma aiutava.
Lanciò uno sguardo alla tavola a cui abitualmente sedevano Michel e Loki. C’erano, e Michel gli lanciò una lunga occhiata. Poi gli fece un breve cenno, riprendendo a mangiare. Loki si limitò ad uno sguardo disinteressato.
E poi mi chiedono perché amo la mia Casa…
Il menefreghismo non era necessariamente un difetto. Non essere sezionato con lo sguardo almeno da loro era un sollievo.
“Dove sono Jamie e Scorpius?” Chiese Lily, strappandolo dai suoi pensieri. Adorava la sorellina con tutto se stesso, ma in quel momento avrebbe davvero voluto che lo lasciasse in pace.
“James si stava ancora preparando quando siamo usciti. Malfoy non ne ho idea.” Rispose Rose per lui.
“Capisco.” Annuì Lily. La squadrò meditabonda. “Come fai a chiamare il tuo ragazzo per cognome?”
Rose arrossì, deglutendo a disagio un pezzo di muffin. “Beh, cerco di mantenere un certo distacco quando non ce l’ho spalmato contro.”
“… Sei davvero una ragazza fredda.”
“Oh, va’ all’inferno Lils!” Sbuffò, facendola ridacchiare. Hugo alzò gli occhi al cielo, e poi fece la domanda che tutti stavano più o meno consapevolmente evitando.

“Ci interrogheranno su Tom?”
Scese un breve silenzio.
“Probabilmente.” Lo ruppe Albus, con estrema calma. Era quello a rendere surreale il tutto, rifletté Rose. Il modo in cui Al stava affrontando la vicenda. Se non l’avesse visto la sera prima, aggrappato a James alla ricerca di aria, avrebbe pensato ad una sostituzione con Salazar Serpeverde in persona. “Dite quello che sapete, non preoccupatevi. In ogni caso non siete coinvolti nella vicenda.”
“In quale vicenda?” Spiò Lily corrugando le sopracciglia. “Albie, che sta succedendo? Sapete qualcosa che noi non sappiamo?”
Rose si morse l’interno della guancia: aveva sempre sostenuto che la cuginetta non fosse così svampita come si ostinava a mostrare. E lo dimostrava nei momenti meno opportuni.

Albus sorrise appena. Era un sorriso pallido, con le labbra serrate. A Rose sembrò tanto simile a quei sorrisi che vedeva sui volti dei membri patinati del Ministero.
Falsi.
“Non sono affari tuoi, Lily.” Mormorò gentilmente, prima di alzarsi e lasciare il tavolo seguito da una scia di occhiate.
“Ma che…” Lily diventò dapprima rossa, poi sinceramente sconvolta. “Mi ha praticamente mandato a quel paese!” Era la prima volta che succedeva.
Hugo borbottò qualcosa, e rifilò ad Albus quello che sembrava un solidale sguardo di ispido assenso.
Rose si schiarì la voce. “Lils, cerca di capirlo. Tutti questi occhi addosso lo hanno innervosito. E chi non lo sarebbe? Io ho voglia di uccidere qualcuno, magari pescando nel mucchio.”
“Non è per le occhiate!” Sbottò la ragazzina, un po’ ferita. “Ci siamo abituati, andiamo! Siamo i figli del Salvatore dei Mondi…” Lisciò con aria critica il proprio tovagliolo. “È per Tom, non è vero? Al non ragiona se succede qualcosa a Tom…”
Rose non poté controbattere. Era preoccupata anche lei.

Si sarebbe aspettata lacrime, preoccupazione, dolore e rabbia. Stadi normali di chi rimaneva ad aspettare notizie.
Al, a parte la crisi, era rimasto freddo come un ghiacciolo tutto il tempo.
E ora ci sarà anche l’interrogatorio… E non vorrei che quello scemo si mettesse nei guai per coprire Tom. Ne sarebbe capace. Ci ha fatto elaborare una risposta comune.
Lily le toccò un braccio. Era tornata seria. Doveva ammettere che quando non assumeva quell’aria a gatto sornione assomigliava mostruosamente ad Al. “Cosa possiamo fare per loro Rosie? Dico davvero.”
Rose sospirò guardando la schiena, ancora fasciata di glicine, del cugino mentre si allontanava.
“Niente. È questa la fregatura di essere adolescenti. Proprio un bel niente.”
 
Quando Rose lasciò la Sala Grande, e lo fece con un certo sollievo – occhiate o meno a cui era abituata, quelle le odiava – fu intercettata da Scorpius, che masticava placido una tortina al limone, con un giornale sotto braccio come un rilassato lord babbano.
“Ciao orsetto del cuore!” La salutò, fresco e riposato come una rosa.
“Questo nomignolo è intollerabile. Dimenticatelo immediatamente.” Rimbeccò. “E comunque odio il tuo viso riposato.”
“Ti adoro anche io.” Sorrise l’altro. “Stai andando a lezione?”
“Teoricamente è il motivo per cui sono iscritta qui…” Sospirò, avvicinandosi per farsi passare un braccio attorno alle spalle e portare in un corridoio isolato. Si beò brevemente delle sue labbra che sapevano di limone e zucchero, prima di farsi lasciar andare.

Malfoy – sì, lo chiamava per cognome quanto gli pareva – doveva avere una specie di scia di ferormoni per cui attraeva o tranquillizzava.
Magari qualcosa che c’entra con i suoi geni purosangue impazziti da centinaia di unioni tra cugini…
“L’iscrizione è assicurata compiuti gli undici anni. Non ti crucciare troppo se salti qualche ora di lezione, vista la situazione.” Ribatté. “Mini-Potter dov’è?”
Rose fece una smorfia. “Spero a lezione. Altrimenti dovrò correre a cercarlo. Sono preoccupata…”
“Se la caverà.” Scrollò le spalle, tirandole una ciocca di capelli. “È un piccolo e promettente serpeverde.”
“Detta così sembra una cosa brutta.”
Scorpius sbuffò. “Non lo è affatto. Per me è un complimento di grande valore. Comunque… parlando seriamente tuo cugino è più forte di quanto non si creda. Se ti fosse accaduto qualcosa io sarei a piagnucolare in cima alla torre di Corvonero.”

Rose fece brevemente mente locale. “Perché tutti sanno che Tom e Al sono una coppia? Non l’hanno detto a nessuno!”
“Oh, per Godric.” Alzò gli occhi al cielo, passandole le braccia attorno alla vita, e tirandosela contro. “È talmente palese che solo voi tonti Potter-Weasley non ve ne siete accorti alla prima occhiata. Ad Halloween si sono tenuti per mano una serata intera. Oltre al fatto che a quei due piacciono le femmine come a te piace farti camminare un ragno addosso.”

“Non esagerare adesso.” Borbottò esasperata, dandogli uno schiaffetto sulla mano, ma senza fargli lasciare la presa. “È solo strano che nessuno ci abbia fatto dei pettegolezzi sopra.”
“Psicologia spicciola, Rosey-Posey. Dursley è talmente inquietante che non noti la sua propensione per i maschietti, ma il suo magnetico sguardo tenebroso. Oltre a questo, Albus passa inosservato alla maggior parte del creato, avendo due fratelli vistosi come Poo e Lilian.”

Rose fece un mezzo sorriso. Sapeva che quelle chiacchiere erano un modo gentile per alleggerirle i pensieri. Quello che faceva Scorpius non era mai lasciato al caso.
È un calcolatore nato…
“Quella è la Gazzetta del Profeta?” Chiese, lanciando un’occhiata al plico di carta sotto il braccio del ragazzo.
Scorpius sospirò appena. “Sì, ho intercettato il tuo gufo stamattina.”
“E come scusa?”
“Il mio falco lo ha… Ehm.” Si fermò, prima di sorridergli sfavillante. “Starà bene in un paio di giorni. Circa.
“… Cosa c’è scritto?” Preferì ignorare la sorte del povero gufo di famiglia. Aveva delle priorità in quel momento. “C’è qualche notizia su Thomas?”
“Non c’è molto.” Esitò, con una smorfia. “Ma leggi.” Le mostrò la seconda pagina.

 
 
Rapimento di giovane mago ad Hogwarts. Omicidio di una professoressa. Le indagini affidate al sergente Smith, Tiratori scelti.
“Le indagini sono subito partite, con una ricerca a tappeto nella zona. Lo troveremo.”
“Le pista da seguire non e’ chiara.” Aggiunge l’agente Smith. “La nostra priorita’ Rimane comunque trovare il ragazzo. Ci sono molte domande a cui deve rispondere.”
 
 
“È pazzo?” Sbottò Rose, incredula e furiosa: poteva non avere un rapporto idilliaco con Thomas, ma il cugino rimaneva comunque una vittima, anche se del suo ego gigantesco. “Ha praticamente già detto che Tom non è in una bella posizione!”
Scorpius fece una smorfia, annuendo. “Infatti non mi stupirei se mini-Potter lo prendesse a calci nel culo, durante l’interrogatorio che ne conseguirà. Mio padre conosce Smith. Dice che non merita neanche di essere definito un cretino.”
“Favoloso. Le speranze di Tom sono nelle mani di un idiota?” 

Scorpius schioccò la lingua. “Spera solo che tuo zio si impicci come suo solito. Speralo davvero, Rosie.”
 
 
****
 
Devon, Ottery St. Catchpole.
Casa Potter-Weasley. Mattina.

 
“Harry, calmati.”
Ginny, seduta al tavolo della propria cucina, rimestava con cura il proprio the mattutino mentre il fratello e Hermione cercavano di riportare alla ragione il suo uomo.

Fosse facile…
Conosceva Harry da quando aveva nove anni ed era una ragazzina con le codine, innamorata di un nome e di una cicatrice. Conosceva suo marito da così tanto tempo che sapeva quando era impossibile farlo ragionare.
Per questo guardò con muto sostegno Hermione, impeccabilmente già vestita alle otto di mattina. Ma non fiatò.
Ho più buonsenso di così. 
Calmarmi Hermione? Sono così lontano dalla calma che dovrei prendere la metropolvere per raggiungerla!” Sbottò l’uomo, lanciandole un’occhiata livorosa. Hermione inspirò appena, lanciando un’occhiata alla lettera bollata che campeggiava sul tavolo.
Un’ingiunzione del Ministero. Lui e Ron erano stati sospesi dalle indagini per il caso Thomas Dursley, oltre che caldamente invitati a non ficcare ulteriormente il naso nella faccenda.
C’è sempre qualcuno sopra di te. Il problema è che Harry, abituato com’è ad essere sempre il solo che si erge a paladino contro il Male, non c’è abituato. E non lo sarà mai. – Pensò, con un lungo sospiro interiore.
Ron, con una mano appoggiata sulla guancia e lo sguardo torvo fisso sulla missiva gemella tra le sue mani, scosse la testa. “Burocrati imbecilli.” Si scollò dal palato.
Hermione serrò appena le labbra. “È la procedura, Ronald. Cosa ti aspettavi? Che avrebbero continuato a lasciarvi indagare indisturbati?”
“Non stavamo indagando. Stavamo facendo domande in giro!” Replicò il rosso, a disagio. “E comunque, affidare il caso a Smith! Se avremmo fortuna ritroveremo le ossa di Tom tra una decina d’an-…” Non terminò la frase che il breve bagliore di una fiamma illuminò la stanza.
Harry aveva dato fuoco alla lettera, gettandone poi i resti nel lavabo.
Ginny si limitò ad un sospiro ed ad un lungo sorso del proprio the.
Harry! Cosa credi di aver risolto adesso?” Lo bacchettò invece Hermione.
“Nulla, ma mi ha fatto sentire meglio.” Ribatté quietamente. “Senza offesa Herm. Non dormo da due giorni, il mio figlioccio è stato rapito e un imbecille livoroso è tutto ciò che gli ha dato in dotazione il Ministero per salvarsi. Permettimi di essere un po’ urtato dalla situazione.”
“E c’è pure un omicidio di mezzo.” Aggiunse Ron, fissando la sua lettera, indeciso se fargli fare la stessa catartica fine.

“Non pensarci neanche.” Lo anticipò la moglie. “Harry, capisco come ti senti, credimi. Ma…”
“No, non capisci.” La fermò, serrando la mascella. “Non lo sai. Non sei stata tu, stamattina, a buttare giù dal letto Dudley per comunicargli che suo figlio è stato rapito da non-si-sa chi per non-si-sa-quale motivo, ma ehi, sicuramente c’entra con la magia. Ma non preoccuparti, lo ritroveremo, anche se non ho idea di come.” Prese un respiro, che servì solo a carburare la sua rabbia. “Hai idea di come sia penoso dover comunicare ad un uomo che odia il tuo mondo, che quello stesso mondo gli ha rapito il figlio?!”

Era stata la conversazione più orribile di tutta la sua vita; Dudley poteva non essere il padre più affettuoso ed espansivo della storia con Thomas. Ma lo considerava suo figlio e gli voleva bene.   
 
“Te l’ho affidato! Ti ho affidato mio figlio, l’ho fatto andare alla vostra scuola di strambi! E adesso tu mi dici che è stato rapito da un pazzo maniaco, in una scuola che tu hai definito la più sicura del mondo!”
 
Si era sentito inutile, impotente e soprattutto colpevole. Non che Dudley fosse stato comprensivo: aveva urlato, aveva accusato e aveva minacciato, prima che la moglie gli strappasse la cornetta dalle mani e facesse finalmente delle domande a cui poteva rispondere.
Conclusa la telefonata si era sentito svuotato e persino le rassicurazioni che aveva dato a Robin, le stesse che dava ai parenti dei casi che seguiva, gli erano sembrate ridicole, vuote.
Il fatto è che Dudley ha ragione. Ho fallito.
Thomas aveva dato segni di problemi da due mesi, e lui aveva preferito lambiccarsi in congetture, senza mai arrivare alla vera soluzione, piuttosto che fare l’unica cosa sensata.
Parlagli. E portarlo via da Hogwarts. Tenerlo al sicuro.
“Harry…” Disse Ginny, strappandolo ai suoi foschi pensieri. “Basta colpevolizzarti.” Soggiunse, mentre si alzava e gettava quel che restava del the nel lavabo. “Non ha senso.”
“No? Sono il suo padrino, Ginny. L’ho salvato io dalle fiamme ed io ho fatto carte false, scomodando persino Kingsley per farlo affidare ad una famiglia di mia scelta. Mi sono sempre preoccupato per lui, e quando aveva bisogno di me… ecco che non me ne accorgo!” Sbottò. “E adesso, neanche con tutta l’autorità che il governo inglese mi ha affibbiato riesco a fare niente. Dannazione, mi sembra di essere tornato ad avere diciassette anni con Silente che gioca a dadi con la mia vita!”
“Ma non è così.” Obbiettò tranquilla, prendendogli una mano tra le sue. “Sei un uomo adulto e sei un auror. Tom ti ha mentito, e su questo non avevi controllo. Non puoi pensare di leggere nel pensiero di un adolescente confuso e furioso con il mondo.” Fece una pausa. “Vi hanno escluso dalle indagini, è vero. Era una conseguenza inevitabile, perché voi queste indagini non avreste dovuto neanche farle.”

“Questo ormai è appurato…” Mormorò astioso. Non ce l’aveva con la moglie ed era grato per ciò che stava cercando di fare, ma Thomas era là fuori e lui era bandito dai territori di Hogwarts.
Avrebbe tutto mandato al diavolo, persino il suo posto al Ministero, per cercarlo senza impicci. Ma non poteva.
Non aveva più diciassette anni, ne aveva quarantadue e i colpi di testa erano stati fin troppi. E la verità era che, per quanto disprezzasse Smith, non aveva certo più possibilità di lui di trovarlo al momento attuale.
“Sì, è appurato.” Concesse la donna. “Ma hai ricavato delle informazioni dalle tue… diciamo chiacchierate. Hai comunque seguito delle piste…”
“Che non mi sono servite a niente.”
“Che però possono servire adesso a capire chi sia il rapitore e dove possa averlo portato. Merlino, Harry, sono una giornalista sportiva… conosco il metodo di indagine, ma non pensavo di doverlo spiegare a te!” Inspirò. “Devi dire quello che sai a Smith. Dovete collaborare.”
Ron emise un grugnito sonoro. “E pensi che ci darà retta?”

Ginny inarcò le sopracciglia, come se stesse cercando di capire se il fratello maggiore fosse scemo o meno. “Ricordo come fosse un imbecille pieno di sé. Ma non credo che voglia la morte di un ragazzo sulla coscienza. Dall’intervista che ha rilasciato stamattina al Profeta è chiaro che brancoli nel buio. Adesso la gatta da pelare, ovvero genitori terrorizzati e inferociti, ce l’ha lui. Una mano la apprezzerà sicuramente, se potrà salvargli testa e carriera.”
“Smith punta a diventare capo del suo ufficio.” Intervenne pronta Hermione. “È un arrivista, una macchia come un caso non risolto potrebbe dargli problemi.”

“Che idiota…” Brontolò Ron. “Sarebbe dovuto morire sotto qualche maceria o per qualche maledizione durante la battaglia. Non avrei pianto la sua scomparsa.”
“… Gli scriverò un gufo.” Concesse Harry, dopo un lungo sospiro. “Gli chiederò un incontro. E mi fornirò di bevanda della pace. In quantità massicce.” Soggiunse cupo, mentre posava una mano su quella della moglie, che gli aveva accarezzato la spalla, comprensiva.

“Io sarò con te, amico. Al massimo, possiamo schiantarlo se diventa troppo sgradevole.” Sogghignò Ron, facendolo sorridere.  
Un picchiettare alla finestra della cucina fece voltare tutti. Un gufo di piccola taglia, screziato di marrone e grigio, agitava le ali in una muta richiesta di entrata.

“È il gufo di Ted quello?” Chiese Ron perplesso.
“Tristan, sì.” Annuì Harry, andando ad aprire e sciogliendo la lettera dalla zampa del volatile.
“Perché ho come l’impressione che tu abbia chiesto a Teddy di essere le tue orecchie?” Ventilò Ginny, mentre un’ombra di sorriso gli aleggiava sulle labbra, in piena approvazione.

“Probabilmente perché hai ragione tesoro.” Sorrise l’uomo, scollando la ceralacca. La lesse brevemente, mentre un lampo cupo gli passava negli occhi. “Hanno già cominciato gli interrogatori. La buona notizia è che adesso hanno una descrizione del rapitore.”
“Beh, ottimo, no?” Spiò Ginny perplessa. “Dov’è il problema?”

“Hanno chiamato Teddy, James, Rosie, Lily, Hugo, Malfoy e i due compagni di stanza di Tom.” Elencò, accartocciando la lettera con irritazione.
“Quindi?” Chiese confusa. “Mi sembra che stia solo seguendo la procedura. Interroghi prima le persone più vicine.”

“Appunto. Non ha ancora chiamato Al. Albus è il migliore amico di Tom, Ginny. E Smith deve saperlo per forza a questo punto.”
Hermione esitò, poi si portò una mano alla guancia, pensierosa. “Pensi che si sia già fatto un’idea della dinamica dei fatti? Che stia seguendo una strategia?”
“Penso che stia prendendo tempo con Albus per metterlo sotto pressione. È una tecnica che abbiamo usato spesso anche noi.” Diede un’occhiata a Ron, che annuì. “La persona più vicina al soggetto sa di più, probabilmente si è confessato con lei, o si è lasciato comunque sfuggire qualcosa. Ha delle informazioni, sa di averle. Facendola aspettare la porti ad innervosirsi…”
“Ne stai parlando come se Thomas fosse un sospetto!” Sbottò Ginny incredula. “E nostro figlio suo complice!”
Harry si incupì. “Perché ho paura che sia questa l’idea che Smith si sia fatto.”



****
 
Scozia, Hogwarts.  Aula di Difesa contro le Arti Oscure.
Undici e mezzo di mattina.

 
“Mi dispiace interrompere la lezione, professore, ma Albus Severus Potter deve uscire…”
Teddy alzò lo sguardo dal proiettore, dove stava caricando alcune diapositive sulla classificazione dei troll di montagna. Lanciò un’occhiata al giovane Tiratore Scelto che aveva aperto la porta senza premurarsi di bussare. Impettito e dall’aria efficiente.

Non che pensasse male dei tiratori, ma sicuramente preferiva i mantelli foderati di rosso degli auror.
Più familiari…
Lanciò un’occhiata anche ad Al, seduto in prima fila con Rose. Il ragazzo si era già alzato, e aveva preso la sua roba. “Eccomi.” Disse semplicemente. Vide che giocherellava nervosamente con la cinghia con cui aveva stretto i libri.
“Puoi andare Al, ti farò avere gli appunti della lezione.”
Il ragazzo sorrise appena, facendo un cenno a Rose, che si era sporta a guardarlo.

Erano tutti dannatamente nervosi.
Come  non biasimarli…
Ted aveva detestato il suo interrogatorio. Era stato il primo, e questo se l’era aspettato. Smith era stato arrogante e subdolo. Ma bravo e questo non se l’era aspettato.
A quanto pare sa fare il suo lavoro…
L’uscita di Al fu seguita da una ventina di occhiate. Teddy si schiarì la voce.
“Riprendiamo la lezione ragazzi.”

 
Al si sentiva quasi marcare stretto dal giovane agente: gli stava appiccicato neanche avesse paura che saltasse fuori da una finestra.
Non disse niente però. Non era il caso.
Sapeva che non era normale che l’avessero chiamato per ultimo. Ci doveva essere qualcosa dietro.
Perché non sono stato il primo?
Aspettare, tutte quelle ore, l’aveva messo in un profondo stato d’agitazione.
Il tiratore si fermò davanti ad una porta, la aprì, facendogli cenno di entrare. “Prego.”
Zacharias Smith si era preso un ufficio al piano terra, quello che era stato una volta del primo professore di Difesa Oscura di suo padre, il professor Raptor. Era un’aula in disuso, ma in quel momento era stata approntata per essere una specie di sala interrogatori. Quando l’agente aprì la porta, Al si trovò di fronte ad una stanza vuota, eccezion fatta per una cattedra e una sedia davanti. Smith era seduto dietro e stava sfogliando quello che sembrava un plico di fogli.
Deglutì, nascondendo suo malgrado un sorrisetto di scherno.
È un modo grossolano per intimidire qualcuno, vero Tom?
“Agente…” Formulò cortesemente, stampandosi in faccia un sorriso educato. L’uomo alzò gli occhi e Al capì immediatamente che sospettava di lui. Non sapeva di cosa, però.
“Prego, si sieda Signor Potter.”
Al obbedì, posandosi i libri sulle ginocchia.
“Mi dispiace averla tolta alle sue lezioni, ma il tempo stringe. Penso che capirà.”
Al annuì, non trovando di meglio da fare o dire.

“Bene…” Gli lanciò un’occhiata. “Lei è molto amico di Thomas Dursley, è così? Siete cugini…”
“Adottivi. Tom è stato adottato dal cugino di mio padre.” Chiarificò automaticamente.

L’uomo fece un cenno distratto. “Sì, questo già lo sappiamo. Risponda alla domanda per favore…”
Cosa diavolo è, un esame?

“Sì, è il mio migliore amico. Lo conosco da quando siamo bambini.”
“Siete della stessa casa… Serpeverde.” Si staccò dal palato, lentamente. Al trattenne una smorfia irritata. C’era ancora molta gente che accomunava il verde-argento automaticamente a doppiezza e sospetto.

Se si è troppo stupidi per non vedervi dietro astuzia e intelligenza…
“Compagni di dormitorio, di Casa. Passate molto tempo assieme…”
“Quando non è dai suoi nel Surrey, sempre.” Confermò. Erano domande innocue quelle, chiarificatrici. Inutili. Perché gliele stava facendo?

Maledizione, se avessi ascoltato papà, quando Jam lo riempiva di domande…
“Non è di molte parole, Signor Potter…” Notò l’uomo, stirando le labbra sottili in un sorriso. Se voleva essere un gesto distensivo, Al non lo apprezzò per niente. Anzi, sentiva l’irritazione crescere. Avrebbe dovuto essere fuori a cercare Tom, non a fargli domande inutili sul suo carattere.
“Sono un po’ nervoso…” Mormorò, abbassando lo sguardo. Lo era, ma non nel senso che stava cercando di servire all’altro. Era irritato. Furioso. Spaventato.
“Non c’è nulla di cui debba preoccuparsi. Sono domande di routine… lei… tu… Posso darti del tu?”
No.

“Certo…”
“Bene, Albus…”
“È Al.” Recitò in automatico, prima di deglutire a disagio. L’uomo sembrò sconcertato da quella precisazione, ma non disse nulla.

“Al… che tipo di rapporti hai con Thomas?”
Inspirò appena. Non intendeva nulla. In ogni caso, non era quello il luogo dove doveva spiegare i suoi rapporti con il suo ragazzo.
“Amicizia. Siamo migliori amici, l’ho già detto.”
“No, non hai capito…” Picchietto la piuma sulle labbra, pensieroso. Era un atteggiamento artificioso, era chiaro che stesse facendo una specie di scenetta per impressionarlo.

Esistono davvero adulti così ridicoli?
“Intendo dire, sono sempre stati buoni i rapporti tra di voi? Avete mai litigato? Avuto qualche scontro?”
“Come tutti gli amici, ma poi facevamo pace. Nessuno di noi due ha un carattere facile, ma ci compensiamo…” Replicò sostenuto. Smith sentiva che era ostile, e non gli importò di sembrarlo.

Al diavolo.
“E in quest’ultimo periodo? Litigavate?”
“Come al solito…” Mormorò evasivo. Lanciò un’occhiata al viso dell’uomo. Era rilassato in un’aria amichevole e la cosa non gli piacque per niente. James prima della lezione lo aveva avvicinato, o meglio, lo aveva tirato per un braccio finché non erano stati fuori vista.

 
“Sta’ attento a quello stronzo. Fa’ il simpatico, ma è una serpe. Io ho tenuto duro e gli ho spiattellato la nostra versione. Probabilmente pensa che sia un coglione. Non so però se c’è cascato.”

Nel gergo da primate di James significava che non doveva prenderlo affatto sottogamba.

Incoraggiante…
“Intendi dire che litigavate spesso?” Lo riscosse dai suoi pensieri il poliziotto.
“No.” Serrò le labbra. “Tom non aveva un carattere facile, tutto qui.” Si sentì del sudore gelido scendere lungo la nuca. Aveva l’impressione di stare sbagliando tutto.

Com’è possibile che Jamie e Rosie hanno tenuto duro ed io sto crollando alle prime domande?
“Capisco…” Disse per tutta risposta. “Ultimamente Thomas ti è sembrato strano?”
“Nervoso. Era… nervoso. È stato aggredito all’inizio della scuola ed ha trascorso qualche giorno in infermeria. All’inizio ho pensato che fosse per quello che era sempre di cattivo umore…”
“E poi?”
“Poi ho capito che c’era qualcosa che lo spaventava.” Quella era la parte su cui doveva insistere. Era la verità, dopotutto. “Non sapevo cosa e non riuscivo a farmelo dire, per quanto insistessi… Alla fine me l’ha detto, ieri… ieri sera stesso.” Inspirò bruscamente, mentre sentiva una morsa allo stomaco.

Se solo non l’avessi lasciato andare via con la Prynn… a quest’ora sarebbe ancora qui. Sarebbe al sicuro.
Sarebbe qui.
Smith annuì di nuovo, impercettibilmente. “E tu poi hai detto tutto ai tuoi amici e a tua cugina.”
“Erano preoccupati anche loro. Dopo che io e James siamo tornati alla Torre dei Grifondoro erano con noi. Gli ho raccontato cosa era successo… e quello che avevamo visto nell’ufficio della professoressa.”
“Sì, a questo proposito… Sai che abbiamo ritrovato la bacchetta di Tom?” L’uomo inarcò le sopracciglia, attendendo una risposta. Continuava a passarsi tra le dita quella maledetta piuma.

Al desiderò ardentemente ficcargliela in un occhio.
Perché non sei fuori a cercare Tom?
“Sì, lo so. L’ho vista a terra, vicino alla…” Inspirò, ricordando quegli occhi vitrei, quella smorfia congelata sul viso di una donna che poche manciate di minuti prima era viva. “… alla professoressa.”
“Sai cos’è un Prior Incantato, Al?” Gli chiese inaspettatamente, piantandogli gli occhi nei suoi. Ebbe la sgradevole sensazione che tentasse di scavargli dentro. Cercò di non deglutire o dare qualsiasi segno di disagio.

“Serve per rintracciare l’ultimo incantesimo eseguito con una bacchetta.”
“Molto bene.” Confermò. “L’abbiamo fatto sulla bacchetta di Thomas. Ed è venuto fuori che l’Avada Kedavra è stato lanciato da lì.”
Al sentì una fitta attraversagli la nuca. Per un attimo fu certo di non aver capito bene.

Con la bacchetta di Tom…?
Tom?
No.

Inspirò bruscamente, sentendo una fitta allo stomaco. “Non è stato Tom. L’avrà usata il suo aggressore. Gliel’avrà presa e l’avrà usata per uccidere la professoressa.”
“Certo, questo John Doe…” Aprì uno dei fascicoli sulla cattedra. Probabile contenessero le dichiarazione degli altri. “Il misterioso John Doe.” Schioccò le labbra. “La signorina Weasley ci ha fornito una sua descrizione. Lo ha descritto, cito ‘come un ragazzo biondo, di media corporatura, vostro coetaneo’. Un ragazzo… Forse uno studente?”
“No, no… Non credo.” Balbettò frastornato. Rose non gliene aveva parlato. Cosa diavolo stava succedendo? Quando l’aveva visto?
Poi capì.

Il ragazzo biondo che Rose ha visto parlare con Tom alla Stamberga Strillante.
Era lui!
“La Signorina Weasley non te ne ha parlato?” Spiò, usando un tono odiosamente incredulo. “Faccio fatica a crederci. Pare che tra di voi vi diciate tutto…”
“Non capisco cosa…” Cercò di dominarsi. Sentiva il sudore gelido bagnargli la schiena. Perché non stava andando come aveva pianificato? A quale diavolo di gioco stava giocando quell’agente?

Smith si alzò dalla sedia, scendendo dalla sua posizione rialzata. A vederlo alla sua altezza non sembrava molto alto, e di certo assolutamente poco imponente. Eppure ebbe la sgradevolissima sensazione di essere un insetto sotto la lente di ingrandimento.
“Adesso Al, ti dico cosa penso io di questa faccenda…” Si inginocchiò alla sua altezza. “Penso che John Doe non esista. Penso che Thomas abbia usato l’aggressione dei Naga, nient’altro che il tentativo folle di un mago radiato dall’ordine di vendicarsi, per far credere a tutti di essere ricattato, quando in realtà è lui che ha orchestrato tutto… con l’aiuto della professoressa Prynn, sua complice. In giro si diceva che la bella professoressa fosse invaghita di Thomas, lo sapevi? Che avessero una relazione.”
Cosa…?
Non riuscì a rispondere. Il cervello gli era andato completamente in panne, ma non dalla paura.

Dalla collera.
Quest’uomo è un imbecille.
“Penso anche che abbiano ideato tutto questo per rubare oggetti di valore come la biblioteca del professor Lupin o il Mantello dell’invisibilità di tuo fratello James. Sapeva dov’erano e come prenderli. Al mercato nero valgono centinaia di migliaia di galeoni… e ad un nato-babbano come Dursley la valuta dei maghi può far gola.”
A Tom? La sua famiglia è benestante anche per i canoni magici, idiota!
“E sai anche cosa penso? Penso che ti abbia mentito, inventando un sacco di balle che tu stai supportando, non solo dicendole a me adesso, ma facendole imparare a memoria anche ai tuoi amici e familiari.” Si rialzò, lanciandogli uno sguardo quasi impietosito. “Ragazzino, non credevi mi sarei accorto che avete dato tutti la stessa identica versione? Siete stati insieme una notte intera, per tua stessa ammissione. Avete avuto tutto il tempo.”
Al serrò i pugni: non si era mai sentito così furioso in vita sua, talmente furioso che non riusciva neanche a parlare. In quel momento sentiva la bacchetta nella tasca del mantello pesare come un macigno, urlando per essere liberata e per essere usata per tappare la bocca a quell’incompetente.

“Lei non ha capito niente.” Sibilò sentendo le parole bruciare in gola come acido. “Tom è stato rapito… Tom non ha ucciso nessuno! È stato…”
“John Doe? Un ragazzo misterioso di cui non si ha traccia né notizia, tranne una descrizione sommaria di una ragazza che è stata palesemente plagiata dal migliore amico del soggetto!” Sbottò l’uomo, in uno scoppio di aggressività che lo fece sussultare. “Ragazzino, i fatti parlano chiaro. La bacchetta che ha ucciso era di Thomas Dursley, chi ha aggredito il professor Lupin corrispondeva alla descrizione di Thomas Dursley e tu stai coprendo un…”
Stia zitto!” Urlò saltando in piedi. Sentiva il respiro spezzarsi e prese ampie boccate d’aria per poter continuare. “Tom non è un assassino!”

L’uomo avvampò in volto, palesemente indisposto da quello scoppio di rabbia. “Si sieda, Signor Potter.”
Ma non poteva dargli retta. Sentiva la rabbia offuscargli lo sguardo.
Non sta capendo niente! Tom è là fuori, e loro cercano di incolparlo invece che salvarlo!

Sta perdendo tempo! Sta perdendo tempo prezioso!
“A lei serve un colpevole! È così?!” Lo interrogò senza più timore di fissarlo negli occhi. Gli adulti erano orribili. Perché avrebbe dovuto portar loro rispetto? “A lei non importa niente di ritrovare Tom, a lei importa solo di trovare un assassino!”

Dovrebbero proteggerci. Non dovrebbero ingannarci, uccidere e portarci via!
L’accusa sembrò andare a fondo, da come l’uomo storse il viso in una smorfia. Lo vide sfuggirgli per un attimo lo sguardo. “Si sieda immediatamente!”
“Cosa vuole sapere da me? Se ho chiesto ai miei amici di dire la verità in modo che Tom non venisse messo in una brutta posizione? Sì, l’ho fatto.” Sbottò, mentre sentiva il sudore colargli lungo la fronte. Si stava di nuovo sentendo male, ma non gli importava. Non gli importava neanche di stare aggredendo un membro delle forze di difesa magiche. “Ho detto loro di raccontare come era spaventato, confuso e terrorizzato da qualcuno che lo teneva continuamente in scacco con giochetti mentali! John Doe esiste, e gli ha imbottito la testa di stronzate, per fargli credere di non avere più un amico al mondo, di poter avere la verità sul suo passato e di poterla avere ad un prezzo che non gli ha mai detto… Mai. Questa è l’unica versione che sentirà dalle mie labbra… questa è la verità.” Finì, passandosi una mano sul viso.
Si sentiva fitte continue alla nuca, e gli veniva da vomitare. Chiuse gli occhi, crollando di nuovo sulla sedia.
Non gli importava più niente. Non gli importava se quell’imbecille lo avrebbe sbattuto in cella, non gli importava se l’avrebbe considerato un ragazzino fuori di testa, o un plagiatore, un complice.
“Bene.” Sentì dire dalla voce di nuovo controllata dell’agente Smith. “Credo che possa bastare. Può andare.”
Al aprì gli occhi. Cercò una qualche emozione nel volto dell’uomo, ma non ne trovò nessuna. Non era neppure in grado di cercarle al momento. Si alzò, abbandonando l’aula senza neanche degnare di uno sguardo il Tiratore che avrebbe dovuto scortarlo di nuovo a lezione.

Al!” Sentì urlare alle sue spalle. Era quasi certo fosse la voce di James. Tirò dritto. Qualcosa gli impediva di fermarsi. Anzi, no. Era certo che se si sarebbe fermato sarebbe morto. Uscì dal portone di ingresso, superando il cortile di pietra, tirando persino un colpo ad un gruppo di primini che si scansarono sbalorditi.
“Al, fermati cazzo!”
Era sicuramente James.  

La sua ridicola corsa verso il nulla durò poco però. L’adrenalina che aveva in corpo lo mollò nei pressi della capanna di Hagrid. O forse fu James a placcarlo, non ne fu mai completamente certo.
Si sentì voltare bruscamente. Ah, era proprio James. Notò che non aveva il maglione, ma era in maniche di camicia.

Che idiota… con il freddo che fa va sempre in giro a pavoneggiarsi dei suoi muscoli…
“Al, che è successo? Ho sentito urlare, ero nascosto dietro le armature. Che ti ha fatto quel bastardo di Smith!?” Lo prese per le spalle, tenendolo stretto. Aveva le mani bollenti suo fratello. Si accorse improvvisamente di essere di nuovo freddo come un ghiacciolo.
“Dimmelo!” Lo incalzò. “Se ti ha fatto qualcosa, se ti ha messo versato qualche pozione o fatto qualche fattura per farti confessare qualche puttanata io lo ammazzo!”
“Non ha… capito niente…” Mormorò soltanto, sentendo la voce uscire come un sussurro. Curioso, visto che fino a poco prima aveva urlato. “Non ha capito niente… di Tom. Lo ha… accusato.”

James inspirò. “Ehi, guardami Al.” Disse serio. “Quel figlio di puttana io con questo caso cerca la promozione. Vuole chiudere in fretta le cose… ma l’ha capito che Tom non c’entra. E questo gli rode. Gli abbiamo tutti detto la stessa cosa, e con te voleva giocare l’ultima carta. Voleva farti contraddire… trovare un appiglio, un movente per cui avrebbe dovuto far secca la Prynn e sparire nel nulla. Così invece di cercare un ragazzo rapito avrebbe cercato un assassino. Sai quant’è più facile? Una persona in meno. Ma non ha niente in mano per accusarlo. Niente.
Al assorbì tutto quel discorso come un assetato beveva acqua da una fonte gelata. Sì, aveva un senso.

Se non altro i ragazzi hanno tenuto duro e ti hanno difeso, hai visto Tom?
E poi si rese conto di quanto fosse effettivamente ridicolo parlare con lui. Perché non c’era.
Non c’è…
Improvvisamente quel globo solido di paura, rabbia e dolore, che gli aveva impedito per ore di piangere, manifestare emozioni, si ruppe.
Voglio Tom…
 
James non era mai stato una persona empatica con Albus. A dire il vero di solito era sensibile come una delle padelle a doppio fondo di sua nonna Molly.
E gli stava benissimo.  Era una legge di natura. Erano fratelli maschi.
Quindi non riusciva davvero a capire cosa significava quell’espressione stranissima sulla faccia del fratellino. Gli tremavano tremendamente le labbra però.
Poi si sentì placcare. O meglio, a posteriori capì che era un abbraccio disperato.
Al gli crollò letteralmente tra le braccia. Le gambe gli cedettero e fu costretto a sedersi con lui a terra, per non doverlo reggere a peso morto.
“Al… cosa diavolo…” Essere abbracciato, a terra, in mezzo al campo di zucche di Hagrid con suo fratello era una cosa che non avrebbe pensato di fare neanche quando aveva sei anni.
Figuriamoci a diciassette…
Poi lo sentì piangere. Al gli aveva schiacciato la faccia contro il petto – aveva già detto che gli era franato addosso? – e singhiozzava. Senza ritegno, come lui avrebbe fatto solo in rarissimi casi, da solo, probabilmente a chilometri da qualsiasi presenza umana.
Mormorava qualcosa. Si chinò, goffamente, per cercare di capire e quando decifrò i singhiozzi si sentì serrare il cuore in una morsa.
Chiamava Tom.
E si sentì davvero orribile, per quanto fosse assurdo, a non riuscire a darglielo.
 
****
 
 
Torre di Grifondoro. Pomeriggio.
 
Ted aveva finito le lezioni una decina di minuti prima quel giorno. Aveva congedato i suoi studenti perché non riusciva a concentrarsi a sufficienza. Ed era suo monito interiore dare sempre il massimo durante le lezioni.
Adesso si trovava seduto su una delle soffici poltrone della Sala Comune di Grifondoro, a fissare il fuoco.
L’interrogatorio di Albus si era concluso con Al di nuovo alla Torre, chiuso in camera di James.
Maledizione, che situazione orribile…
Si sentiva impotente. Un ragazzino.
Cosa avrebbe fatto Harry nei miei panni?
Ci rifletté brevemente e stirò un mezzo sorriso.
Probabilmente si sarebbe fatto espellere per aver affatturato Smith… 
Sentì qualcuno scendere le scale. Fu felice si trattasse di James. Era stato lui a riacchiappare Al dopo che era letteralmente scappato da Smith, come lo aveva informato il giovane Tiratore Scelto che si era scusato per non averglielo riportato in classe.
“Come sta?”
James fece una smorfia. “Meglio… Ha pianto come una ragazzina di dieci per un’oretta e poi si è addormentato. Adesso ci sono Rosie e Lils con lui.” Stirò un mezzo sogghigno. “È tornato in sé. Avevo paura, dopo ieri sera, di dover chiamare un esorcista.” Tornò serio, incrociando le braccia al petto. “Smith comunque è un figlio di puttana.”

“Smith ha esagerato.” Convenne con un sospiro, passandosi le dita trai capelli. “Ma sta cercando…”
“Un colpevole. E sperava con tutto il cuore che fosse Tom. Così si sarebbe risparmiato di dover capire chi diavolo era John Doe.” James in quel momento sembrava incredibilmente stanco. Lo erano tutti, ma sembrava decisamente sfibrato.  

“Ti va un the?” Gli uscì di getto sentendosi leggermente inappropriato e ridicolo. Ma tutta quella situazione era inappropriata e ridicola, perciò…
James sorrise, e fu il primo sorriso sincero che gli avesse visto fare da quarantotto ore.
L’ultima volta eravamo ad Hogsmeade e…
Deglutì interiormente.
“Sicuro! Ho proprio bisogno di invecchiettirmi un po’.”
“Oh, falla finita.” Sbuffò, senza riuscire ad essere autoritario: la realtà era che in quella situazione si sentiva ragazzino quanto lui. “Avanti, andiamo. E mettiti qualcosa sopra. Non hai freddo?”
“Io ho sempre caldo.” Replicò afferrandogli una mano e stringendola. Era effettivamente piuttosto bollente. “Senti? Che mi metto a fare uno di quei maglioncini orribili? Mi fanno sentire un idiota.”
Ted represse una leggera risata, infilando la mano in tasca con nonchalance, per evitare che qualcuno degli studenti entrasse e li beccasse mano nella mano.

Inappropriato.
“Non ti facevo così vanitoso, Jamie…”
“Certo che lo sono. Sono un figo, fa parte della dotazione esserlo.” Ghignò irriverente. “Prima tu, Teddy.” Indicò il passaggio con un cenno galante. Ted alzò gli occhi al cielo, e si apprestò a passare per primo.

 
Cinque minuti dopo erano seduti sulle poltrone del suo salottino privato, mentre James guardava con occhi pigro e rilassato il the che sobbolliva nel bricco.
Era una scena… di una certa intimità familiare, doveva ammetterlo.
“Grazie.” Mormorò James, rompendo il silenzio che li aveva accompagnati fino a quel momento. “Ne avevo davvero bisogno. Voglio dire… consolare fratellini emotivi, elaborare piani e tutto il resto… è stancante.”
“Lo immagino.” Gli sorrise. Era in piedi davanti al fuoco, e lo stava attizzando da circa cinque minuti. Ne erano bastati due per far riprendere le braci. Ma aveva bisogno di tenere qualcosa in mano, e di non guardare troppo in direzione dell’altro ragazzo.

Che si era allungato sulla poltrona, facendo salire casualmente la camicia fin poco sopra l’ombelico. E davvero, non voleva notare come i pantaloni gli stessero mollemente appoggiati a qualche impercettibile e  -oh, Merlino benedetto – erotico millimetro sotto la linea del bacino.
Dovrebbero essere casti pantaloni dell’uniforme! Gli ha fatto qualcosa, lo so!
“… Che stai guardando Teddy?” Anche senza alzare lo sguardo lo sentì sogghignare. Sperò di non essere arrossito. E non in faccia.
“Mi chiedevo perché quei pantaloni sembrano avere un taglio diverso dal quello regolamentare.” Spiegò neutro, tornando a guardare il fuoco che scoppiettava allegro – maledetto.
“Perché ci ho lavorato su.” Replicò in tono soddisfatto. “O meglio, ci ha lavorato Lily. Nella versione normale mi stanno in modo atroce… Sembra abbia un pannolone. Non sto bene con le uniformi.”

“Che sciocchezza…” Si schiarì la voce, controllando lo stato del the. Gettò una manciata di foglie a caso, senza rendersi conto che era la miscela mattutina.
“In effetti rendo meglio nudo. Vuoi vedere?”
James!
Lo sentì ridere, e non riuscì ad avercela con lui per essere una carognetta inopportuna. Non trovò nulla da ridire neppure quando si alzò, raggiungendolo. Due nano-secondi dopo si sentì abbracciare da dietro.

A quel punto si irrigidì.
Inopportuno. Inopportuno. Inopportuno.
Specie il modo assolutamente perfetto con cui il corpo di James combaciava con il suo.

“Scusa, scusa…” Lo sentì mormorare contro la sua spalla. “Volevo prenderti un po’ in giro… Mi fa bene, mi fa sembrare che sia tutto normale.”
Teddy sospirò e levò la mano, accarezzandogli una guancia. Era liscia, ma ispida in certi punti. James aveva la barba. Questa cosa stranamente lo intenerì.
“Vedrai che le cose si sistemeranno. Troveranno Tom.”
“Lo spero… o Al.” Esitò. “Al ne morirà…”
“Sono molto amici, è stato un duro colpo per lui.”
“Teddy, sono due innamorati.” Sospirò, con l’aria di chi sputasse fuori qualcosa perché era inevitabile.

“… Scusa?”
Oh, Merlino, Harry ha due…

Beh, c’è sempre Lily.
“Al e Tom giocano a maritino e moglie, più chiaro così?” Ironizzò, ignaro dei suoi retropensieri, come del fatto che avesse dato per scontato che sarebbe rimasto gay e appiccicato a lui per il resto della vita.
Sei un po’ patetico, Ted, vecchio mio.
“Ne sei sicuro?” Si schiarì la voce, togliendo il bricco fischiante dal fuoco. Si stava quasi abituando al peso di James sulla schiena. E alle sue mani sulla vita.
“No, ovviamente… Se non fosse che Albie si sta comportando come una donzelletta abbandonata.” Grugnì una risatina, poi tornò serio. “Questa situazione fa schifo.”
“Migliorerà.” Assicurò.

James fece uno sbuffo, che fu un soffio d’aria calda contro il suo collo. Rabbrividì.
Oh, Ted, è ufficiale. Ti piacciono i maschietti… - Recitò una vocetta odiosa, in fondo alla sua testa.
“Da quando fai l’ottimista Teddy?”
“Cerco solo di dire la cosa giusta…” Guardò con attenzione le due tazze fumiganti che aveva appena riempito fino all’orlo. Non si azzardò però a prenderne una in mano. Era certo che se la sarebbe rovesciata addosso.

“Teddy hai i capelli… Uhm. Direi di un curioso miscuglio di rosso e rosa. Che vuol dire?” Indagò James, con la voce improvvisamente vicinissima al suo orecchio. “Eh?”
“…” Esplicò intelligentemente, sentendosi improvvisamente i jeans tesi all’altezza del cavallo.

Oh. Merlino. Benedetto. Sto tornando un quattordicenne in fregola! 
… Come se lo fossi mai stato. Sto diventando un quattordicenne in fregola.
“Fammi indovinare.” Sentì le mani di James insinuarsi sotto il suo maglione, oltre la sua camicia, direttamente sulla sua pelle nuda. “Ti sto facendo effetto? No, perché un po’ ci speravo…”
“Jamie…” Tentò. Davvero, tentò.
Poi James lo voltò e lo baciò. C’era qualcosa di fondamentalmente diverso nei baci di James, rispetto a quelli di Vic. Non c’era arrendevolezza. Nessuna. Gli si offriva, ma sembrava sfidarlo a prendersi qualcosa.
La qual cosa gli piaceva da morire.
Gli bloccò i polsi, togliendoli dai suoi fianchi, mentre faceva forza per spingerlo lontano dal tavolo.
James rise nel bacio – oh, sentì la sua risata vibrargli sulle labbra – e si fece allontanare, solo il tempo per passargli le braccia attorno al collo e stringersi a lui. Sentiva ogni suo singolo muscolo irradiare calore attraverso la camicia.
In fondo non era così male che avesse sempre caldo, rifletté mentre faceva qualche goffo passo in avanti per poggiarlo su una superficie qualsiasi, per imprigionarlo e per impedirgli di scappare.
Non scappare Jamie…

Rovesciarono nell’ordine metà libreria, un piccolo poggia-piedi, una pila di riviste su uno sgabello, prima che James crollasse sul divano, tirandoselo dietro. Si staccò dal bacio, erompendo finalmente in una risata.
“Cavolo, Teddy, se eri represso!” Ghignò beato. Gli brillavano gli occhi, e vicino al fuoco sembravano cioccolata fondente.
“Sì, lo ero. Tantissimo.” Convenne, mentre cercava di non ridere. Gli passò le mani sulle guance, con attenzione. L’effetto che gli faceva James era stupefacente.
Si sentiva libero. Ed era inebriante come respirare ad alta quota.
“Tantissimo…” Lo imitò. “Ma non preoccuparti, mio povero Teddy. Ti stappo io.” Disse con aria furba, mentre gli afferrava i lembi del maglione e tirava. Si trovò assolutamente d’accordo nel toglierselo.
Del resto fa piuttosto caldo.
“Come funziona questa cosa dello stappare?” Si informò, sentendosi la bocca secca quando, riemergendo dal maglione, trovo improvvisamente James senza camicia.
Come ha fatto a togliersela così velocemente?!
Comunque non era quello il punto. Il punto era che gli piaceva ciò che vedeva. Deglutì, senza sapere che pesci prendere. Piuttosto ridicolo, ne conveniva.
“Teddy, Teddy…” Soffiò James, e Merlino, era la cosa più fottutamente – Merlino, aveva detto fottutamente? – provocante che avesse mai visto. Non era questione di essere uomo o donna.
James era bello. Punto.
“Funziona…” James aveva la bacchetta tra le dita e gli toccò leggermente la maglietta. Un momento dopo era sparita. L’aveva fatta evanescere. “… che stavolta ti insegno io.” Concluse, prima di tirarlo giù.
Le labbra di James erano decisamente da abolire se si voleva mantenere un minimo di dignità.

Perché si trovo a sussultare quando se le trovò ad altezza cuore, impegnate in attività che lo spinsero poi a gemere come mai aveva fatto.
James poi gli diede una spinta, neanche troppo gentile che lo fece ricadere seduto sul maltrattato divano, con la schiena appoggiata ai cuscini. Lo squadrò poi critico, con un sogghigno mefistofelico.

“Così va meglio. È la posizione giusta.”
“… Per cosa?” Non che gli importasse veramente saperlo, ora che James si era liberato dei pantaloni. 

Si sentiva imbarazzato – quello purtroppo faceva parte del suo essere – ma anche incredibilmente eccitato. Forse era la situazione, fuori la furia del mondo, dentro solo loro due, a renderlo meno pensante
Ma lo voleva. Voleva James.
In fondo era talmente semplice…
“Indovina?” Lo riscosse James, sedendoglisi a cavalcioni con una naturalezza invidiabile. Teddy inspirò bruscamente. Il contatto con un’altra eccitazione maschile, per la prima volta, era…
Fantastico.
E mi si perdoni la carenza di aggettivi.
“Niente male, eh?” Sogghignò, incapace a quanto pare di starsene zitto. Teddy sbuffò, tirandogli un pizzicotto sul fianco. Lo sentì ridere sorpreso, mentre gli affondava il viso nei capelli.
“Ora sono arancioni, Teddy…” Mormorò mentre l’ultima barriera di stoffa scompariva, facendogli sentire la morbidezza di quelle natiche sode tra le dita. “… che vuol dire?”
“Indovina…”

 
James, poi, gli sorrise, chinandosi a baciarlo di nuovo, mentre si accomodava tra le sue braccia, sul divano. Ce n’erano stai tanti, di baci, prima, durante e dopo. Non era riuscito a smettere di baciarlo neanche un secondo.
O forse era stato James? Non che avesse importanza.
Gli accarezzò la schiena, stringendoselo addosso, mentre si beava del calore della pelle nuda.
Aveva fatto sesso con un ragazzo. Un maschio. Aveva fatto sesso con James e si sentiva benissimo. È
“Assolutamente inappropriato…” Mormorò tra sé e sé, mentre gli veniva da ridere. Forse era la follia della situazione o qualche gene malandrino riportato a nuova vita.
Chissà…
James si scostò leggermente per guardarlo: probabile che l’avesse sentito.
Fu uno sguardo assorto. Conservava comunque un’ombra di compiacimento, come quando da bambino sbucava fuori da qualche angolo urlandogli ‘te l’ho fatta Teddy!’
Eh sì… me l’hai proprio fatta.
“È stata una lezione molto istruttiva.” Si sentì in dovere di chiarificargli. “Anche se non ho capito bene cosa c’entrasse lo stappare.”
James sbuffò divertito. “È gergo giovanile, Teddy. Non mi aspetto che tu lo sappia, tranquillo.”
“Spiritoso…” Gli tirò un ricciolo arruffato sulla nuca. “Guarda che ho ventiquattro anni.”
“Oh, finalmente! Te ne sei accorto pure tu!”  

Poi sentì che James gli infilava la testa nell’incavo del collo. Gli passò un braccio dietro la nuca, facilitandogli il compito.
Aspettò. Voleva dirgli qualcosa, lo sapeva.
“Ce ne hai messo di tempo…” Sussurrò alla fine. “Ma sei arrivato.”
Da me.
Teddy capì che intendeva proprio quello. Lo sapeva, semplicemente. Con la stessa magica sicurezza con cui quella volta, prima di partire per la Francia, aveva saputo trovarlo trai suoi centinaia di nascondigli preferiti.
Lo strinse a sé, baciandogli la testa.
“Scusami se ci ho messo tanto… Adesso sono qui.”

E non ho intenzione di andarmene. 
 
 
Se è tardi a trovarmi insisti.
Se non ci sono in un posto cerca in un altro,
perché io son fermo da qualche parte ad aspettare te.
(Canto di me stesso, Walt Whitman)
 
 
 
****
 
Note:
1- Qui la canzone. Avevo detto che li avrei riusati? L’ho fatto. XD  

 
Okay, questa aggiunta finale era puro fan-service. Ecco la mancanza di una connessione cosa fa! T_T  
Alla fine ormai si contano pochi capitoli! Tenete duro, gente! ;D

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Capitolo 48
*** Capitolo XLIII ***


Ehi, gente, 100 tra le seguite e 70 trai preferiti e duecento e passa tra le visite… Dai, lasciatemi un segno della vostra presenza, siamo quasi alla fine! :D
@Nicky_Iron: Hai ragione, non ci avevo mai pensato! In effetti la Row non si è resa conto, mi sa, che facendo fare l’auror a Harry avrebbe finito per fargli rischiare lo spossessamento ad ogni missione. Però c’è da dire che la bacchetta non l’ha mai con sé, ma è al sicuro nella tomba di Silente, quindi, qualora dovessero spossessarlo dovrebbero comunque poi andarsela a prendere. Boh, in effetti ora che mi ci fai pensare non è stata tanto furba! XD Comunque mi dispiace per i capitoli di stallo, presto ci sarà la fine ;)
Non preoccuparti per l’epilogo. Questa è solo la prima parte della storia. Ce n’è una seconda, in cui vedremo i nostri pg finalmente (o quasi) sereni. ;)

@Aga: Grazie! Sì, avevo paura di esagerare con l’angst di Albus ma a quanto pare è stato apprezzato!
@Trixina: Ciao! Sempre puntuale, lo sai che ti adoro? Figurati se non puoi usare tutte le frasi che vuoi sul tuo fb… basta che mi crediti! XD Aahah, Lily ti piace quindi? Avrà più spazio te lo prometto, non appena sarà finita questa prima parte. Ha molto potenziale, e poi… mi è utile *risata sadica* Ahaah, per quanto riguarda Al gli faccio presente il vostro affetto, ma povero tesoro… è tutto raggomitolato sul letto che pigola ‘Tom’. Ah, ‘sto benedetto ragazzo! Per quanto riguarda la scena Teddy/James… credimi, io ci ho messo secoli per cominciare a scrivere lemon, e ancora come vedi i risultati sono più che altro… limonata. :P Un consiglio può essere di scriverla solo per te stessa. Nel senso, non pensare che la posti, o ti verrà la timidezza la paura ‘ma sto scrivendo roba ridicola?’ Scrivila come se non dovessi pubblicarla… e poi pubblicala! XD
@Pheeny: Ciao! Benvenuta! Sì, anche io sono sempre un po’ perplessa sulle storie con pairing non dichiarato, ma purtroppo trattandosi della new generation non c’era modo per metterlo, se non strombazzarlo nell’introduzione, e non mi piaceva. :P Le rivelazioni padre-figli verranno fatte, non preoccuparti! XD E grazie per i complimenti, non preoccuparti, la recensione era perfetta! :D
@SimoMart:  Wow, hai fatto un lavoraccio fantastico! Una recensione per ogni capitolo… troppo buona! *_* Davvero, sì, sono una scrittrice senza Dio, però ti adoro! Devo ammette che hai centrato molti punti che ho voluto sottolineare senza spiegarli bene, e sono felice che tu abbia letto così attentamente la mia storia! Sì, anche io ho preferito la  scena Teddy/James… diciamo perché l’ho scritta più facilmente. XD Del resto è più semplice di scrivere di pg con qualche esperienza, che pg alle prime armi nel campo del sesso… XD Qui ci sarà un piccolo momento Rose/Scorpius ma purtroppo per il fluff dovrai aspettare. ^^ Spero di non deluderti comunque, e grazie, grazie, grazie davvero!
 
****
 
Capitolo XLIII
 
 




"Uno si aspetta che siano altre cose a salvare la gente:

il dovere, l'onestà, essere buoni, essere giusti.
No. Sono i desideri che salvano. Sono l'unica cosa vera."
(Oceano Mare, Baricco)
 
 
 
9 Novembre 2022
Surrey, Little Whinging, Privet Drive.
Pomeriggio.
 
Harry seguiva con lo sguardo il corso mutevole delle nuvole nel cielo di Privet Drive.
Quante volte l’aveva fatto durante la sua infanzia?
Tornare lì ogni volta gli dava sensazioni contrastanti: se da una parte c’era la rabbia per come i Dursley lo avevano trattato, castrandolo e mortificandolo fin da piccolo, dall’altra provava comunque nostalgia.

Fece un mezzo sorriso: dopotutto Silente aveva avuto le sue ragioni a lasciarlo lì, anche contro la sua volontà.
Avevi ragione, vecchio manipolatore… questo è un posto che ho potuto chiamare casa.
C’era poi il fattore tempo. Ormai l’amarezza che aveva patito da ragazzo si era stemperata, anche a causa della guerra. Durante gli ultimi mesi, in cui i mangiamorte spadroneggiavano, i Dursley erano stati costretti a nascondersi, proprio perché suoi parenti. Aveva saputo poi che si erano ritirati nella vecchia casa degli Evans, morti anni prima: erano stati loro infatti a morire in un incidente stradale.
(Aveva sempre pensato che sua zia non fosse granché fantasiosa. Aveva trasferito una causa di morte da una coppia di coniugi all’altra.)
Petunia era ancora là, a Cokeworth¹, a curare ortensie nel giardino della sua infanzia. Dudley invece era tornato a Privet Drive quando si era sposato, dopo un breve periodo passato a tentar fortuna – e forse ad accumulare porte in faccia – a Londra.
Era lì che aveva conosciuto Robin, la sua futura moglie.

Harry era stato invitato al loro matrimonio, e ricordava ancora nitidamente lo sconcerto provato quando la donna gli era stata presentata. Robin era bella, intelligente, fisicamente simile a zia Petunia, ma decisamente più simpatica. Con suo sommo stupore la ragazza non solo era sembrata sinceramente entusiasta di conoscere lui e Ginny, ma dopo un paio di giri di brandy gli aveva confidato di avere un cugino mago, che in famiglia era tenuto in gran considerazione.
Aveva ricominciato a rivalutare Dudley da quel momento.
Aveva pensato ai novelli Dursley come genitori per Tom non solo perché Dud era suo cugino. Ma anche perché non erano i Dursley, non quelli con cui era cresciuto lui almeno.
E non aveva sbagliato. Tom era cresciuto in una famiglia che gli voleva bene. Per anni era stato attento al minimo segno di odio o insofferenza da parte loro, ma non ne aveva mai visto uno.
Lo prova il fatto che ha saputo di essere stato adottato solo quando si è reso conto che la sua intera famiglia era troppo babbana per poter aver dato alla luce un mago…
Il rombo di una macchina lo distolse dai suoi pensieri: la familiare di Dudley stava imboccando il vialetto di ingresso. Sapeva che quel giorno l’avrebbe trovato solo. Robin, che gestiva un piccolo caffè artistico in centro, lo avrebbe tenuto aperto fino a tardi. E Alice e Vernon dovevano essere ai rispettivi collegi fuori città.
Si alzò dall’altalena, sistemandosi gli occhiali sul naso, attendendo.
A proposito di attendere…
Aveva mandato quella mattina un gufo a Smith, ma naturalmente non aveva ancora avuto risposta. Restare a casa era fuori discussione: aspettare era qualcosa che aveva fatto per tutta la sua infanzia. E l’aveva sempre odiato.
Dudley, infagottato nel proprio impermeabile, stava risalendo il vialetto lastricato, la ventiquattro ore sotto il braccio. Non ci mise molto a notarlo.
“Che diavolo ci fai in casa mia?” Sbottò, aprendo il piccolo cancello del giardino ed entrando dentro. “Chi ti ha fatto entrare?”
“Dudley, il cancello non ha la chiave.” Obbiettò ragionevole. Ed io ho una bacchetta – ma questo non lo disse. “Devo parlarti.”

“Io no. Non vedo di cosa dovremo parlare. Finché non ho il mio ragazzo a casa, qui tu non sei benvenuto!”
“Ho bisogno anche del tuo aiuto per riportarcelo.”
Ed ho bisogno che tu mi perdoni per non averlo saputo proteggere… - Questo era un pensiero umiliante, ma vero. La Sindrome dell’Eroe aveva dei risvolti emotivi piuttosto preoccupanti.

Dudley gli lanciò un lungo sguardo che riassumeva perfettamente gli anni di diffidenza che li avevano separati, e che tutt’ora li tenevano distanti. “La vostra magia…” Sputò. “I vostri abracadabra… oh, notevoli, senza dubbio! Mi hanno quasi ammazzato un paio di volte. E adesso mi portano via un figlio. Come dovrei comportarmi, eh Harry? Dimmelo tu. Cosa dovrei pensare del tuo mondo magico?”
Harry inspirò. Solo con gli anni era riuscito a vedere le cose dal punto di vista dei babbani. Dudley era spaventato.

E ciò che ti spaventa si odia.
Era un equazione semplice, ma ci aveva messo quasi vent’anni per capirla.
“Ti assicuro che il mio mondo non è poi così diverso dal tuo, tranne che per il fatto che invece della tecnologia usiamo la magia.” Spiegò pacato. “Le persone vengono rapite in entrambi i mondi… e senza informazioni le indagini non vanno avanti in…”
“Ho capito. Puoi finirla con le tue arringhe da salvatore.” Replicò brusco. “Ne sento e ascolto tutti i giorni in tribunale. Farò il possibile per ritrovare il ragazzo, mi pare ovvio. Anche se non so quanto potrò esserti di aiuto… Thomas con me è un’ostrica.” Brontolò adombrandosi.

“Sì, non si confida facilmente…”
Facilmente?” Lo guardò come se pensasse che fosse un idiota. Una sensazione curiosa, se associata a Dudley. “È così da quando è capace di parola, e t’assicuro che lo è stato piuttosto presto.” Si sedette pesantemente su una delle tre panchine strategicamente disposte nel giardinetto. Prese il pacchetto di sigarette e se ne accese una. La osservò per un po’. “Del resto io non mi sono mai fatto in quattro per cavargli fuori niente…”

Sembrava sfinito. E preoccupato. Harry pensò che probabilmente era il solo a poterlo capire.
“Tu sei un buon padre, Dudley.”
“Per Vernon e Alicia, forse.” Ribatté. “Perché li capisco. Posso capire quando Vern mi chiama per parlarmi di ragazze, o so come sgridarlo quando prende un brutto voto a scuola. Persino Alicia, che è una femmina… Ma Thomas… è un mago.” Ammise alla fine.  

“È un adolescente più che altro.” Sospirò, sedendosi accanto a lui. Dudley non diede cenno di insofferenza. Lo considerò un passo avanti. “Neanche io so come prendere i miei figli il più delle volte…”
“Oh, fammi il favore. Ti adorano come se fossi fatto d’oro.” Grugnì, prendendo un tiro di sigaretta. “Sei il loro eroe. Per Thomas io sono il babbano che l’ha cresciuto…” Lo fermò con una mano prima che potesse ribattere. “Ma non sono qui per piangermi addosso. Come posso aiutarti?”
Harry guardò l’altalena. Ricordava ancora la conversazione con Thomas undicenne. Gli sembrava pochi anni prima, invece ormai Tom era quasi un mago maggiorenne…

Sto invecchiando…
“Prima che tornasse a scuola hai notato qualche comportamento strano in lui?”
Dudley ci rifletté. “Non più del solito. È un lupo solitario quando è qui. Non ha amici e sta tutto il giorno rintanato in camera con il naso nei libri e la musica a livello a malapena sopportabile. Ogni tanto Robin lo obbliga ad uscire con la scusa di pulirgliela… ma se ne va al parchetto a fare le stesse cose.” Concluse con una smorfia. “Quest’estate non è stata diversa.”

“Non ha conosciuto nessuno quindi, che tu sappia?”
“No, nessuno. Ci saremo accorti se avesse avuto un nuovo amico. Sarà uscito dieci volte in due mesi, e sempre da solo…”
I contatti con Doe allora risalgono alla scuola, non prima…

Non so se considerarlo un male o un bene. Che sia riuscito a plagiarlo in pochi mesi la dice lunga sulla bravura di quel tipo…
Harry si aggiustò la montatura degli occhiali, decidendo poi di toglierseli per pulirli. Il freddo pungente gli diede la forza di formulare la richiesta per cui era venuto lì. “Devo vedere la sua stanza, Dud.”
“La sua stanza?” Gli lanciò un’occhiata in tralice. “E perché? Tutta la sua roba magica se la porta via quando torna a scuola. Non c’è niente che possa interessarti…”
“Non si sa mai. Tu ci entri spesso?”
Dudley accusò il colpo. “Non io. Solo Robin, per pulirla. Ma deve stare attenta a non spostare niente o Thomas se ne accorge e pianta una grana infinita.” Sbuffò, alzandosi. “Comunque va bene.”
Lo portò dentro. Era tanto che non gli capitava di percorrere i corridoi di quella casa. Non era cambiata molto, tranne che per qualche oggetto e la sovrabbondanza di quadri a soggetto fotografico. Robin aveva studiato fotografia al College, e ne aveva fatto il suo lavoro.

La camera di Thomas, neppure a farlo apposta, era la sua vecchia camera.
“Mi sono sempre chiesto se sia stato un caso che gli abbiate dato la mia…” Osservò, mentre l’uomo stringeva la mano grassoccia sul pomello.
Dudley stirò le labbra in un sorriso sarcastico. “A dire il vero, fino ai cinque anni ha avuto la mia vecchia stanza. Era il primogenito, gli spettava di diritto. È stato lui a voler cambiare quando ha saputo che avevi vissuto qui.”
Harry non disse nulla, ma accusò malamente il colpo.

Ti stimava… E l’hai tradito. Bell’eroe. Davvero un ottimo lavoro, Harry Potter.
Dudley lo fece entrare. Harry si rese conto che era forse la prima volta che metteva piede nella stanza del figlioccio: quando veniva a prenderlo per portarlo alla Tana, Tom lo aspettava sempre all’ingresso.
Ebbe un fortissimo senso di deja-vu. Ricordava il soffitto spiovente, la finestrella da cui ogni notte rientrava Edvige, la carta da parati consumata e persino l’asse traballante del pavimento sotto cui nascondeva i compiti per l’estate.
La stanza era comunque diversa per molti, fondamentali, aspetti. Non fu sorpreso nel vederla millimetricamente ordinata, era una cosa da Thomas. Ma fu sorpreso nello scoprirne il contenuto.
C’erano dei poster alle pareti, di gruppi rock babbani. C’era una grossa libreria in un angolo, piena di libri e riviste. Persino un computer. Due scansie sopra la scrivania erano infine zeppe di cd.
Era una stanza vissuta. Vissuta da un ragazzo che aveva ben chiaro cosa e come fosse il mondo babbano.
Fu umiliante scoprirlo così, invadendo la sua privacy: l’aveva sempre visto come totalmente innamorato del mondo magico e non aveva mai pensato che probabilmente amava e si trovava bene anche in quello babbano.
Quello della sua famiglia…
“Li colleziona.” Spiegò Dudley quando lo vide guardare i cd. “Non che gli serva, ha tutto sul pc. Comunque credo che alcuni siano di Alicia.” 
Harry annuì. Lanciò uno sguardo riassuntivo alla stanza. Non c’era traccia di magia lì dentro, Dudley non gli aveva mentito. Lo sguardo poi gli cadde su un quadro: non era molto grande, e conteneva una fotografia, forse scattata da Robin.
Si avvicinò. La fotografia campeggiava proprio sul letto, ed era curioso perché appeso sopra non c’era nient’altro. Ritraeva una laguna salmastra, forse all’alba. In primo piano c’era l’acqua, da cui spuntavano ciottoli biancastri e sullo sfondo si intravedeva una scogliera calcarea.

“È Dover?” Si informò.
Dudley lo guardò perplesso, poi si avvicinò alla foto. “Le scogliere di Dover? No, credo sia da qualche parte in Germania. Robin ci andò parecchi anni fa per scattare foto per una rivista, se mi ricordo bene…”

“L’ha appesa Tom?”
Dudley scrollò le grosse spalle. “Ovvio. Qui dentro noi possiamo entrare solo se invitati, figuriamoci cambiargli l’arredamento…” Ironizzò. “A parte gli scherzi, mi ricordo che gli piacque molto e chiese a Robin di stampargliela. Perché, è importante?”
Harry scrollò le spalle. “Ho solo notato che era l’unica cosa appesa sopra al suo letto. Il resto del muro è vuoto.”

Dudley fece un cenno d’assenso. “Sì, è vero.” Ci rifletté. “Vuol dire qualcosa?”
“Non lo so, non credo.” Sospirò: venire lì non era servito a molto, ma gli aveva comunque aperto gli occhi su alcuni degli aspetti di Tom che meno conosceva.

O forse che non mi sono mai preso la briga di conoscere.
Ho sempre pensato che tollerasse il mondo babbano. Come me. Ma è evidente che non sia proprio così…
“A Tom piace stare qui…” Osservò.
Dudley gli lanciò un’occhiataccia. “È ovvio. È casa sua.”

“Hai ragione.” Ribatté mitemente. “Ma questa è una buona cosa… La persona che l’ha rapito l’ha attirato a sé promettendogli di dirgli la verità sulla sua famiglia. Ma è chiaro che Tom consideri voi, i suoi veri genitori.”
“Ciò non toglie che abbia sempre voluto sapere.” Replicò Dudley gravemente. “Da quando ha scoperto di non essere un Dursley non ha più avuto pace… Ha sempre voluto sapere da dove veniva. Ed ha sempre avuto la percezione di essere diverso. Sai… per via di quella maledizione che gli ha portato via…” Fece un cenno distratto allo stomaco.  

“Te ne ha parlato?” Chiese stupito.
Dudley sbuffò. “Certo che no. L’ho capito da solo.”
Harry gli lanciò un’occhiata: non avrebbe mai immaginato che il cugino, certo non famoso per il suo acume, avesse capito tanto di Thomas. Se ne vergognava un po’, ma non si era mai preso la briga di indagare a fondo i rapporti tra di loro.
“Senti Harry…” Dudley si passò una mano trai capelli radi, corrugando le sopracciglia, come se tentasse di ordinare i pensieri. “Se cerchi delle risposte da me, temo di non poterti aiutare. Io e Thomas non abbiamo mai parlato molto. Dopo che ha scoperto di essere stato adottato… anche meno. Ha preso le distanze. E lo conosci, quando si mette in testa qualcosa… Non avrebbe mai confidato nulla, né a me né ai suoi fratelli.”
“Me ne rendo conto…” Sospirò. “Ma dovevo fare almeno un tentativo. Io…” Esitò, poi si forzò a continuare. “Io credo di aver fatto degli errori con lui. Avevo capito che c’era qualcosa che lo tormentava ultimamente. Ma ho preferito aspettare… pensavo che ad Hogwarts fosse al sicuro, e mi sono sbagliato.”
Dudley rimase in silenzio a lungo. Fece per prendere un’altra sigaretta, ma lasciò perdere, infilandosi le mani nelle tasche sformate del completo. “Mi ricordo di quando gliel’ho detto… quando gli ho detto la verità sulla sua nascita.” Lo sguardo gli andò alla finestra, assorto. “Quando tornò per l’estate, avemmo una conversazione… Credo sia stata la prima e unica volta in cui si sia mai aperto con me. Non me la dimenticherò facilmente.”

 
“Questo maledetto corvo deve fare tutto questo baccano?” Aveva protestato Dudley, mentre cercava di caricare la gabbia del famiglio del figlio senza farsi amputare le dita.
Tom era appoggiato al cofano della macchina, nel parcheggio della stazione di King’s Cross e lo fissava con un sorrisetto appena accennato.

Dudley se l’era guardato bene, quando era sceso dal treno e gli era andato incontro.
Aveva i capelli troppo lunghi – forse era una stupida moda magica – ma tutto sommato sembrava in salute e … senza stranezze visibili.
“Ti stai divertendo, mmh?” L’aveva apostrofato, sentendosi osservato dai passanti.
“Un po’.” Aveva ammesso. “Te l’avevo detto che i posti stretti non gli piacciono. Se la liberassimo…”
“Nessun uccello entrerà volando in casa mia, Thomas!”
Tom aveva fatto spallucce. “Va bene.”
Quando si era finalmente deciso a dargli una mano erano riusciti a caricare il baule e la gabbia in pochi attimi. Dudley aveva sospettato che avesse usato qualche ‘trucco’, ma aveva preferito glissare.
Tom poi si era seduto accanto al posto di guida. Indossava di nuovo i suoi abiti che adesso definiva ‘babbani’. Dudley ricordò che avevano avuto una discussione anche su quello.

“Com’è rimettersi dei jeans, eh ragazzo?”
Tom aveva fatto spallucce. “Li ho messi anche a scuola, in realtà. Non indossavamo sempre la divisa.”
Dopo questo breve scambio di battute era sceso il silenzio nell’abitacolo. Dudley aveva guidato fuori dal parcheggio e si era premurato di accendere la radio su un talk-show. 

Il tragitto da Londra a Little Whinging durava un paio d’ore. Certo, Dudley era abituato al fatto che il primogenito non fosse un chiacchierone: ma doveva averne di cose da dire, dopo un anno di lontananza.
“Beh… Com’è andata?” Crollò per primo, schiarendosi la voce.
Tom si era riscosso dalla contemplazione di un tir fuori dal finestrino. “Bene.”
Era troppo silenzioso anche per i suoi soliti standard.

“So che vi assegnano a delle… case. Dove sei finito tu?” Aveva insistito.
L’undicenne gli aveva lanciato un’occhiata di sottecchi. “Serpeverde…” Aveva detto.
“Mmh. Ed è una buona casa?”
“È quella adatta a me.” Ci aveva pensato. “È quella degli astuti e degli ambiziosi.”

Dudley aveva represso un sorriso. Il figlio non era riuscito, aggiungendo quella seconda frase, a nascondere la palese soddisfazione. “Proprio adatta a te, ragazzo… Chi è venuto con te dei tuoi cugini?”
“Al, naturalmente.” Aveva staccato un filo di stoffa dalla cintura di sicurezza, avvolgendoselo attorno al dito. “È la casa giusta per entrambi.”
“Capisco…”
Il talk-show era finito alla radio e Tom ne aveva approfittato per impadronirsene, sintonizzandola su un canale di musica decisamente rumorosa.

“Tra due settimane partiamo per Portsmouth. Tuo fratello ha bisogno di un po’ di mare, con l’asma che si ritrova…” Aveva rotto di nuovo il silenzio dopo una canzone particolarmente urlata. “Abbiamo preso un cottage sulla spiaggia.”
Tom non aveva risposto subito. Aveva continuato a giocherellare con quel benedetto filo finché non l’aveva spezzato.

“Perché, vengo anche io?”
La domanda era stata posta in tono tranquillo. Dudley si era voltato per squadrare il ragazzino, in quel momento impegnato nel guardare il susseguirsi di mattoni grigi della periferia londinese.  

“Ovvio che vieni anche tu. Che razza di domanda è?”
Tom aveva soffiato via dalle mani il filo spezzato. “Pensavo… Che visto quello che sono… era meglio se stavo da zio Harry quest’estate.”

“Sei cosa? Un mago? L’abbiamo sempre saputo, che razza di sciocchezze…”
“No. Non mago.” Aveva staccato un altro filo dalla cintura. “Ma non sono tuo figlio.” Aveva alzato lo sguardo, lanciandogli un’occhiata.
Dudley non era mai stato un cinesteta. Non aveva idea di cosa significasse quello sguardo.

Sembrava aspettare, o forse sfidarlo.
“Tu sei mio figlio, Thomas.” Aveva replicato, perché era l’unica cosa da dire.  
“No, non è vero. Sono stato adottato.”
“Pensi che questo significhi qualcosa per me e tua madre? Per i tuoi fratelli? Io e la mamma lo sapevamo già. Ha mai fatto qualche differenza?”
“Non lo so…” Sembrava sincero. “Perché mi hai adottato se sapevi che ero un mago? O che venivo dal mondo dei maghi? A te noi non piacciamo.”
Dudley aveva sbuffato. Sapeva che quel discorso sarebbe arrivato, prima o poi. Sperava quando sarebbe stato più grande. E più ragionevole.

“Io e la mamma volevamo un bambino e tu avevi bisogno di due genitori. Le cose sono andate piuttosto bene fin’ora, mi sembra.”
“Sì, ma il mondo dei maghi…”
“Non mi piace. E va bene… su questo hai ragione.” Aveva continuato a guidare, fissando la strada. Non era un tipo che sapeva gestire situazioni del genere. Non lo era mai stato. Aveva sempre dato per scontato di essere amato e apprezzato, quando era bambino. Si era accorto come poi, l’amore ce lo si dovesse meritare.

Quello di Robin se l’era addirittura dovuto sudare.  E con Thomas valeva lo stesso discorso.
“I maghi non mi piacciono. Ma mi piaci tu. Ci piaci tu. A me, la mamma, Alicia e Vern. Non ho mai pensato quando eri malato o cadevi, o sparivi, se eri un mago o meno. Ma se stavi bene.” Aveva spento la radio in cui qualche idiota capellone stava ululando. “Capisci cosa intendo Thomas?”
L’aveva sentito muoversi sul edile. Aveva controllato e aveva notato che aveva rivolto il viso verso il finestrino.
“Sì, credo di sì…” Aveva detto, dopo un po’. Dudley era certo che fosse l’unico undicenne che aspettasse a parlare per non mostrare che stava piangendo.

Avrebbe voluto fargli una carezza: ma sapeva che era un gesto per cui nessuno dei due era particolarmente portato. Sia a dare, che a ricevere.  
“Bene. Non voglio più tornare su questa storia.” Aveva borbottato, sintonizzando di nuovo la radio su quella musica orrenda che sembrava piacergli tanto. “Sei un Dursley. E verrai a Portsmouth con noi.”
“Bene.” Aveva ripetuto. Poi gli aveva lanciato un’occhiata in tralice. “Mi piace il mare.”  
 
Harry sospirò: si sentiva ancora colpevole per aver in qualche modo resa più difficile la situazione tra Tom e la sua famiglia, portandolo via dopo che Dudley gli aveva rivelato l’adozione.
E quell’aneddoto non faceva che rafforzargli quella convinzione.
Ma Dudley era un buon padre. E Thomas sapeva qual’erano le cose importanti.
“Mi hanno estromesso dalle indagini, Dud.” Disse. “Ma non sarà questo a fermarmi.”
“La vostra concezione di legge è molto elastica, allora…” Replicò l’altro con una smorfia. Poi si fece serio. “Trovalo, Harry. Chiunque l’abbia rapito, che sia la sua famiglia o meno, non vuole di certo il suo bene.”

Harry annuì. Poi si tastò la tasca del giubbotto. Se la sentiva innaturalmente tiepida. Estrasse uno degli specchi comunicanti brevettati da George: l’altro gemello ce l’aveva sua moglie, Ginny.
“Che roba è?” Si informò Dudley un po’ inquietato.
“La versione magica di un cerca-persone.” Spiegò con un sorriso, aprendolo.
 
‘È arrivato il gufo di risposta da Smith’
 
 
Harry inspirò bruscamente, infilandoselo in tasca. “Devo andare Dud. Ci sono degli sviluppi.”
“Che genere di sviluppi?” Si allarmò l’uomo. “Buoni o cattivi?”
“Forse riesco a convincere chi segue il caso a farmi collaborare.” Gli diede una pacca sulla spalla. Nonostante gli anni ‘Big D’ continuava ad essere grosso almeno il doppio di lui. “Grazie per…”
“Trova mio figlio.” Lo anticipò. “I ringraziamenti li accetterò dopo.”


 
****
 
 
Potevano essere passate ore come giorni. Come settimane.
Tom non aveva idea di quanto tempo fosse passato. La percezione della realtà era sfalsata nelle viscere della terra.

Doe l’aveva lasciato legato per tutto il tempo. Persino per fare i suoi bisogni lo aveva sorvegliato a bacchetta spianata.
Tese le labbra in un sogghigno amaro: non era stupido. Temeva una sua fuga…
Fuga verso dove?
Non sapeva cosa stesse succedendo fuori. Di certo a quell’ora avevano già scoperto il corpo della Prynn. Qualcuno doveva aver persino trovato la sua bacchetta.
Erano sicuramente state fatte congetture.
Chissà se era Harry ad occuparsi delle indagini.
Sperava di no. Harry doveva starne fuori. Tutti dovevano starne fuori.
Si sentiva la gola riarsa, aveva sete. Si rifiutava di prendere cibo o acqua da quel bastardo, temendo che potessero essere pieni zeppi di qualche pozione che gli avrebbe minato la lucidità.
Lucidità poi… immerso in quelle tenebre senza spazio né tempo sentiva che mano a mano perdeva la percezione di sè… Doe aveva spento il fuoco giorni, ore, mesi prima?
Fece una risatina, che gli raschiò la gola come carta vetrata.
Non sapeva dove fosse ora, il suo carceriere. Aveva parlato di tempi brevi in cui agire, ma sembrava prendersela comoda.
Quando se n’era andato, dopo avergli fatto vedere i due ricordi, aveva tentato di organizzare le idee.
Per un ridicolo momento si era imposto di non lasciarsi sopraffare dal terrore e dal peso di quelle rivelazioni e aveva tentato di organizzare un piano di fuga.
Non era durato molto, questo suo anelito.
Aveva tentato di usare incantesimi senza bacchetta, e persino quelli non verbali anche se li aveva tentati poche volte in vita sua.
Non aveva funzionato niente.
Allora aveva urlato, aveva gridato, senza dignità, con rabbia. L’aveva maledetto.
Aveva smesso quando la gola aveva cominciato a fargli male.
Sentì la porta cigolare: sì, perché c’era una porta. Chissà a cosa era servita quella grotta. Forse un magazzino, forse un rifugio. Ricordava che Hagrid aveva raccontato a lui e Albus di come, quando era ragazzo lui, la Foresta Proibita fosse spesso visitata da bracconieri, alla ricerca di…
… Di cosa?
Merlino, sembravano passati mille anni.
Da quanto era lì?
La luce della bacchetta di Doe gli abbacinò gli occhi. Distolse lo sguardo.
“Buongiorno. O buonasera. Secondo te in che periodo del giorno siamo?” Lo apostrofò beffardo. “Ora di mangiare comunque. Oggi vuoi farmi il favore di mettere in bocca qualcosa?”
Non rispose. Ormai non si sentiva quasi più le mani. Se tentava di muoverle, bloccate dalle corde, sentiva un dolore accecante.
“No, eh? E va bene… non si può dire che non abbia tentato di farti collaborare.” Vide la luce della bacchetta avvicinarsi, così tanto che pensò che gli avrebbe accecato un occhio. Poi sentì la presa ferra dell’uomo sui capelli. Lo sentì mormorare qualcosa a fior di labbra, e sentì i muscoli della mascella cedere come gomma scaldata. Doe gli inserì a forza una poltiglia dolciastra in bocca.
“Mastica, o potresti soffocare.”
Preferirei.
Ma obbedì, quando sentì che l’aria stentava ad arrivare ai polmoni. In fondo era serpeverde anche in questo.

L’istinto di conservazione prima di tutto…
“Bravo bambino.” Lo vezzeggiò. Questo prima che gli sputasse in faccia i suoi sforzi culinari.
Tom sentì una soddisfazione divertita invaderlo, ma durò poco. Sentì un dolore sordo alle costole e venne sbattuto contro la parete.
“Piccolo figlio di puttana!” Sbottò, cercando di pulirsi da quella poltiglia, che a giudicare dalla smorfia schifata che fece non doveva aver assaggiato.
A Tom venne da ridere. Probabilmente non c’era niente di comico. Ma probabile stesse persino impazzendo, al buio e al freddo.

“Sono tre giorni che non mangi e bevi, moccioso.” Sibilò l’uomo, ripulendosi sommariamente con un fazzoletto. La bacchetta la usava per far luce. Posò a terra quella che sembrava una ciotola, ricolma di quella sbobba nauseante e una brocca d’acqua. “Ma sono buono. Te la lascio qui, casomai cambiassi idea.”
“… Niente più giochetti?” Sussurrò a stento. Aveva notato come il volto di Doe fosse innaturalmente teso.

Forse qualcosa stava andando storto. Forse la realizzazione del suo piano stava subendo dei ritardi.
Doe fece una smorfia. “Ti mancano?”
Tom si raddrizzò, tossendo. Da un po’ (settimane, ore?) aveva una fastidiosa tosse secca: l’umidità non stava giovando granché al suo fisico.

In fondo almeno il mio corpo è umano, no?
“Volete che uccida Harry… non è vero?”
L’aveva capito subito. Harry era il possessore della Bacchetta. Se l’avesse sconfitto sarebbe diventata sua e automaticamente di chiunque avesse ucciso lui. O disarmato.

Temeva però che il verbo ‘disarmare’ non fosse nei vocaboli di Doe. O della Thule.
Doe inarcò le sopracciglia. “Beh, mi stupisci Thomas. Non perdi un colpo.”
“… non lo farò mai. Non lo ucciderò.”
“Oh, credimi. Lo farai. Sotto imperio uccideresti anche il tuo migliore amico.”

Tom sentì un dolore allo sterno.
No. Non ci doveva pensare.
Ad Al.
Pensarci faceva troppo male. Pensare ad Albus significava avere la consapevolezza che non l’avrebbe mai più rivisto. Che forse sarebbe morto. Che nel migliore dei casi, se fossero riusciti a salvarlo, sarebbe stato incriminato da una giuria di maghi terrorizzati da un probabile attentatore alla salvezza del Salvatore in persona.

Chi avrebbe mai creduto alla sua innocenza?
Lui stesso non ci avrebbe creduto.
Quanto siamo stati ingenui, Al…
Lo sai? Mi capita di pensare che la mia posizione è per certi versi simile a quella spia, quella di cui porti il nome… Severus Piton.

Solo che per me non c’è nessun Silente a garantire.
“E poi… dopo che l’avrò ucciso… vi libererete anche di me?”
Doe attizzò il fuoco con un lieve cenno della bacchetta: non fu un gesto umano. Probabilmente era lui ad avere freddo. “Dipende. Se ti riconcilierai a tuo padre non credo sarà necessario. Al padrone serve un figlio dopotutto.”
“Piuttosto mi faccio ammazzare.” Sputò.

“Non fare l’adolescente riottoso, Thomas.” Sospirò l’uomo, giocherellando con la bacchetta. “Ho persino dovuto mettere delle barriere per impedirti di scappare… Andiamo, siamo sinceri. Qui sei sprecato. Cresceresti all’ombra dei Potter. Saresti sempre un nato-babbano, brillante, non lo nego, ma uno dei tanti nomi che affollano il Ministero. La Thule ti permetterebbe di essere grande. Sei il figlio di uno dei capi.” Si avvicinò, chinandosi alla sua altezza. “Pensa a quante cose grandiose potresti fare…”  
“Come esperimento del tuo padrone?” Ghignò sarcastico. “O come suo figlio?”
Un contenitore per un’anima lacerata…
Gli sembrava quasi di sentire la voce ironica di Loki.
Questo ti costerà un bel po’ di psicanalisi, eh Dursley? Diciamo un migliaio di galeoni?
“Ha importanza?” Replicò Doe. “Per il Padrone sei…”
“Non mi interessa. Se per lui sono un figlio, un mezzo, non me ne importa nulla… Né di lui, né della vostra associazione…”

L’unica cosa che vorrei è trovarmelo davanti e riavere la mia bacchetta.
Per poterlo ammazzare.
Abbastanza catartico, psicologicamente parlando. 
“Oh, fammi il favore. Ti interessa. Se non altro per poterti vendicare, non è così?” Non aspettò risposta. Quasi sapesse che aveva ragione.
E ne ha…
“Sei così pieno di ambizione che spesso ti sopravvaluti … Dev’essere un problema del precedente modello. Aveva intenzione di assoggettare il mondo intero e spazzare via i babbani. Sì, sto parlando di Voldemort.” Sembrò riflettere. “ A te piacciono i babbani Thomas?”
Tom inspirò bruscamente, sentendo una fitta allo stomaco. “Sta’ zitto.”
“La tua famiglia, quella che ti ha adottato è babbana…” Considerò meditabondo. “Una tranquilla famiglia medio-borghese… Loro ti piacciono? O cerchi di farteli piacere, quando in realtà un po’ ti fanno schifo?”
“Non osare nominarli.” Ringhiò serrando i muscoli contro le corde. Li sentì gemere, protestando per la forzata immobilità. “Non osare…”
Doe lo afferrò per il bavero della camicia. “Cosa? Sei nella posizione di minacciarmi? Oh, no… Non credo proprio.” Lo lasciò andare. “Se ti piace tanto la tua vecchia vita, Tom, dimmi… perché mi hai lasciato fare tutto questo?”

“Io amo la mia vecchia vita.” Sbottò. “Amo…”
Amo Al, amo la mia famiglia…

“Tu non ami, ragazzino. La tua anima non ne è mai stata capace. Era piuttosto famosa per questo.” Rise l’uomo. “Ti faccio un indovinello. Il pappagallo che impara a parlare, pensi che sappia cosa dice, o si limiti ad imitare?” Si alzò in piedi, spazzolandosi il mantello. “Bene, basta chiacchiere. Devo tornare alle mie letture…” Passò accanto alla brocca e al suo povero pasto. E gli tirò un calcio.
Poi sorrise. “Sai, pensandoci bene mi servi debole… Il primo assassinio è sempre il più difficile.”
Con un gesto della bacchetta lo fece di nuovo precipitare nelle tenebre.
 


****
 
 
Hogwarts, Sala Grande.
Pomeriggio.

 
Rose era immersa fino ai gomiti nella redazione di venticinque centimetri di pergamena sulla successione della prima casata regnante dei goblin, anno domini duecentoventicinque. Non alzava il naso da almeno un’ora, scartabellando libri e prendendo appunti a lato.
E stava proprio bene, grazie tante.
Non c’era niente di meglio dello studio matto e disperatissimo per distrarsi.
Accanto a lei Hugo si stava esaminando l’interno di un orecchio con la punta di una piuma. Se la ficcò evidentemente troppo a fondo, perché lanciò un’imprecazione che la distrasse.
Lily a quel punto sbadigliò annoiata, grata dell’interruzione. “Hughie, rischi la perdita parziale, se non totale dell’udito… Sempre che ti interessi.”
Il ragazzino sbuffò. “Oh, sta zitta. Perché invece non mi fai copiare?”

“Perché mi diverto troppo a vederti annaspare sul conteggio delle parole. A proposito, hai scritto due righe e si dice speculum, non specho.”
“Quando fai così sei una stronza…”
“Mi lusinghi.”
“Perché non fate silenzio entrambi?” Li redarguì aspra, lanciando un’occhiata verso il posto vacante davanti a sé. Albus non era sceso a fare i compiti con loro. Non era salito per meglio dire, considerando che i suoi dormitori si estendevano per buona parte sotto la superfice del lago.

Era comprensibile. Ma comunque era preoccupata. E la cosa più irritante è che sembrava essere la sola.
James come al solito era in giro a tramare beffardamente nell’ombra o ad infastidire Tiratori Scelti. Scorpius…
È sparito.
Era frustrante non conoscere mai l’ubicazione esatta del suo ragazzo.
Dovevi aspettartelo, conoscendolo. Non è granché abituato a stare troppo tempo in compagnia di una ragazza sola - Le suggerì una voce che aveva l’intercalare grondante malizia e malvagità di Lily.
La guardò male.
“Che c’è?” Sbuffò quella. “Ti stanno per venire?”
Hugo soffocò uno sghignazzo, prima che gli rifilasse un calcio nello stinco, diabolicamente mirato.

Era assurdo. La Prynn era stata uccisa, Thomas era sparito da soli quattro giorni e tutti sembravano aver accettato la cosa.
La vita scorreva di nuovo normalmente, i compiti, le lezioni… Gli unici cambiamenti che increspavano la superficie immota della rinnovata routine, erano le due pattuglie di Tiratori dislocate attorno al perimetro della scuola.  
E ah, certo… la mancanza delle ore di trasfigurazione… Ma credo che qualcuno lo trovi persino un miglioramento…
“Non c’è niente che possiamo fare, no?”
Le aveva risposto Hugo, quando aveva espresso la sua perplessità. “È tutto nelle mani del Ministero. Lo ritroveranno. Sono gente in gamba, Rosie.”
In effetti il discorso di suo fratello non faceva una piega. Erano adolescenti ed erano finiti i tempi dell’ES, degli eroici maghi minorenni e del Magico Trio.
Lei non era sua madre, James non era suo padre e Scorpius…
Grazie a Nimue non assomiglia a nessuno dei suoi, o dovrei controllargli il braccio.
Poi c’era Albus. Dal giorno in cui Smith l’aveva interrogato si aggirava per i corridoi, frequentando le lezioni per puro dovere. Aveva tentato di parlargli, ma si era trovata contro un muro inespugnabile di sorrisi. Non aiutavano neppure i suoi compagni di casa, il bieco Nott e quel ambiguo Zabini. Erano sempre nei paraggi pronti a trascinarlo via.
Come se fossi un disturbo per lui!
Lily alzò lo sguardo dal suo tomo di pozioni, che aveva scarabocchiato da cima a fondo. Era un’abitudine dei Potter la grafomania su quel libro. Anche quello di Al era zeppo di annotazioni.
Anche se quasi sicuramente quelle di Lily sono classifiche sui più papabili della scuola…
“Stai pensando a Tommy, eh?” Le chiese.
Rose si riscosse, sbuffando. “Merlino, Lily, ho un ragazzo!”
Lily alzò gli occhi al cielo. “Per una volta non stavo parlando di ragazzi in quel senso.” Appoggiò una mano sulla guancia. “Secondo te lo troveranno?”   
Rose scrollò le spalle, recitando la sua oliata parte del copione. “Sono agenti addestrati per questo genere di situazione…”
“No, non hai capito Rosie. Ti sto chiedendo se lo troveranno. Davvero.”
Rose battè le palpebre, alzando di nuovo lo sguardo dal suo compito: forse si era sbagliata. Forse non era vero che gli altri avevano deciso di ignorare il problema in attesa di sviluppi.

Lo sguardo della cugina era attento, preoccupato, ansioso.
“Che si dice in giro?” Le chiese allora.
Lily scrollò le spalle, tamburellando le dita sulla propria pergamena. “Non molto. Ci sono centinaia di congetture sul motivo per cui Tom è stato rapito e per cui la Prynn è stata uccisa… alcuni vedono il tutto come una lite tra amanti finita male. Il marito della Prynn, presumibilmente segreto, ha rapito Tom per fare giustizia…”
Cosa?
“Questa è la teoria della Haggins. Non ha molto seguito.” La rassicurò con un sorriso indulgente.

“Perché io non ne so niente di queste storie?”
“Semplice.” Intervenne Hugo, ficcandosi in bocca una manciata di scarafaggi alla liquirizia. “Perché Jamie ha riempito di botte o minacciato chiunque volesse fare a te, o ad Albie, delle domande. Ha messo in giro la voce che dovevate essere lasciati in pace, ecco.”
“Ah.”
Allora non fa il cretino in giro…

“Tu sai un sacco di cose su questa storia… ormai lo so.” Stimò Lily corrugando le sopracciglia. “Come sono andate davvero le cose? Lo ritroveranno?”
Rose si morse un labbro: avrebbe voluto dirle la verità.
Vorrei ma… A chi gioverebbe?
Fortunatamente fu salvata in corner dall’apparizione di Scorpius che, scopa sulla spalla, fischiettava in direzione dell’uscita. Lo vide sfilare, ignorando il tepore della Sala Grande in favore delle intemperie esterne.
“Che cacchio ci fa con una scopa?” Borbottò Hugo. “Gli allenamenti sono sospesi per inagibilità del campo! Sapete, meteorite pieno di serpentoni…”
Ne sta pensando un’altra delle sue!
Rose non poté non sentirsi rincuorata, mentre raccoglieva le sue cose e lo seguiva senza degnare di risposta gli altri due.
“Malfoy!”
Scorpius si voltò, esibendo un sorriso smagliante e la sua divisa da Quidditch. La cosa davvero stupefacente era che nessuno sembrava trovare particolarmente strana la sua mise, del tutto inadatta visti gli sviluppi del campionato.

“Ciao, mio girasole di campo!”
“Stai peggiorando. Per i nomignoli.” Lo informò, poi sospirò. “Perché questa scopa?”
“Non è ovvio? Ho intenzione di prendere una boccata d’aria. Stare dentro al Castello senza far nulla mi uccide.” Scrollò le spalle. “Vuoi farmi compagnia?”
“Scorpius, ci sono due gradi fuori… E piove.”
Scorpius le rivolse un sorriso quieto. “Lo so. Ti porto nel mio posto speciale, avanti. Potrai vedermi volteggiare con maestria da lì.” Le tese la mano.
Rose si guardò attorno. Non c’era nessun altro studente in vista.

Perché non posso semplicemente prendere quella mano, invece che guardarmi attorno ogni volta?
Era una di quelle domande di cui conosceva la risposta, ma evitava ogni volta di ripetersela.
Perché siete come Romeo e Giulietta, ma con parenti ancora più psicopatici…
“Mano.” Si corrucciò Scorpius. “O mi metto a piangere.”
Rose ridacchiò, afferrandogliela e strillò di fastidio, sollievo e divertimento quando Scorpius la tirò in mezzo alla pioggia, urlandole di correre.

 
Quando cinque minuti dopo si trovò di fronte ad una specie di casa sull’albero, costruita e ben occultata trai rami di uno dei primi alberi della macchia della Foresta Proibita, si pentì di aver ascoltato il proprio ragazzo.
“Questa cosa…”
“È una capanna sull’albero!” Trillò gioviale. “Non è bellissima?”
“Questa cosa…” Ripetè. “È legale?”
Scorpius si pizzicò il mento, meditabondo. “Beh. La Foresta Proibita non fa parte dei terreni di Hogwarts. Non è accatastata come tale, visto che si estende oltre le mura della scuola. Quindi…”
“Quanti punti potrebbero toglierci Prefetto Malfoy?” Lo incalzò, con cipiglio.

Scorpius sorrise nervosamente. “Circa un milione?”
Scorpius!
“Andiamo, la disilludo ogni volta che me ne vado!” Si giustificò immediatamente. “È il mio rifugio segreto! L’ho costruita al primo anno fregando la legna a Tremayne, sai, quando ha costruito quella staccionata per quelle orride capre di quell’orrido tizio di quell’orrido bar…”

Rose si massaggiò la sella del naso: di certo, era sicura di non annoiarsi mai con il suo ragazzo.
C’è sempre qualcosa per cui devo urlare…
“E dimmi, quante delle tue amiche ci hai portato facendo loro rischiare la vita, a giudicare dall’instabilità di questa roba?” Borbottò, squadrando l’agglomerato di assi cinque metri più in su, incuneato tra due grossi rami: il tutto sembrava retto da una buona dose di colla magica e preghiere.
Scorpius Malfoy, il figlio di papà che si dà al bricolage…
Scorpius fece spallucce, prendendo la bacchetta. Recitò un ‘accio corda’ che fece cadere una spessa scala di corda, umidiccia per via della pioggia.
Rose alzò gli occhi al cielo, sentendo la familiare fitta di gelosia ed inesperienza trapassarla da parte a parte. “Dieci, quindici? Non farmi tirare ad indovinare… odio azzeccarci.”

“Nessuna.” Sospirò il ragazzo, lanciandole un’occhiata in tralice. “Ora vuoi salire?”
“… scusa?”
Scorpius afferrò la corda, tirandola verso di sé come per saggiarne la resistenza. “Ho detto nessuna. Nessuno sa del mio rifugio.” Corrugò le sopracciglia. “Devo essere più chiaro, Weasley? Tu sei la prima.”
Rose sentì le guance scottare e una specie di trionfo ululante esploderle nel petto.

Sorrise.
“No, sei stato piuttosto chiaro.” Lanciò un’occhiata alla scala. “Sicuro che regga?”
“Se regge me… No, davvero.” Sbuffò. “Regge. E dentro neanche ci piove, a dirla tut-...”

Era divertente interromperlo, pensò Rose, mentre posava le labbra su quelle di Scorpius. Non aveva mai interrotto nessuno in quel modo ed era piuttosto certa che per un bel po’ avrebbe interrotto solo lui così.
Sentì le braccia del ragazzo cingerle la vita, mentre sul cappuccio del mantello picchiettavano infinite goccioline di pioggia. Le stesse che erano intrappolate trai capelli sottili di Scorpius, facendoli brillare alla luce opalescente del pomeriggio.  

Non era bello, il suo Malfoy personale. Oggettivamente aveva il viso spigoloso della sua famiglia, e le sopracciglia troppo sottili e troppo bionde.
Era tutto nel sorriso, la sua magia.
Però a me, buffo, ma piace tutto… spigoli e sopracciglia inesistenti.
“Hai il naso freddo…” Lo informò, facendolo ridacchiare.
“Pessima circolazione. È un problema di tutti i Malfoy. Credo c’entri con il pallore…”
“Non c’entra affatto.”
“Amo anche quando mi riprendi, Rose. È piuttosto grave, vero?” Sorrise, dandole un bacio umido e caldo sul suo, di naso.

“Non grave quanto affidarmi alla tua parola e salire su questa trappola mortale.” Lo prese in giro, aspirando l’odore di erba e lana vecchia del suo maglione da allenamento. Era bagnato, ma la cosa buffa era che al momento a Rose non importava.
Non poté fare a meno però di lanciare uno sguardo verso il fitto della boscaglia. Era buia, e non si vedeva oltre la seconda fila di alberi.
La Foresta nasconde molti segreti², Rosie…
Lì dentro, da qualche parte, era nascosto il rapitore di Tom. Con Tom.
Anche con il mantello pesante, impermeabile, sentì il freddo penetrarle nelle ossa a quell’idea. Represse un brivido.
Scorpius la strinse a sé. “Tutto a posto?”
“Tom è lì dentro secondo te?” Sussurrò guardandolo. “Secondo te è…”
Scorpius tese le labbra in una smorfia sottile. “Secondo me? Sì. Di certo non possono essere scappati dalle vie principali… e la Foresta si estende per miglia. Potresti camminare per giorni senza vedere altro che alberi. Un posto ideale per perdersi, un posto ideale per nascondersi.”

Rose annuì. Non aveva mai riflettuto veramente su quanto spesso fossero vicini ai pericoli. La Foresta Proibita, il Lago Nero. Persino Hogwarts riusciva ad essere ostile, a volte; non dimenticava come sua zia Ginny era quasi morta in una delle innumerevoli camere segrete e di come suo zio ci avesse trovato dentro un basilisco.
Il draco dorme finchè non viene svegliato. Non è forse questo, il motto della nostra scuola?
Era non era forse ciò che era successo a Thomas? Fino a tre mesi prima non era che il suo insopportabile cugino acquisito, adesso era invischiato in una storia di alchimia, furti, identità segrete e… morte.
“Rose?” La riscosse Scorpius, dandole un buffetto sotto il mento. “Vuoi rientrare? Cominci ad inquietare pure me con quest’aria seria.”
Rose scosse la testa, con un mezzo sorriso. “No. Voglio vederti volare. Prendi la tua scopa Malfoy, io sarò quella che prega di non schiantarsi a terra.”  

E solo quando fu all’asciutto, dentro la capanna incredibilmente tiepida di Scorpius a guardarlo eseguire acrobazie in aria, che si permise di tirare un lungo sospiro di sollievo.
Si appoggiò alla finestrella sbilenca, salutandolo con una mano.
Pensò alla domanda di Lily. A come l’aveva guardata.  
No, non ritroveranno Tom. Non con questo ridicolo dispiegamento di forze… solo due pattuglie di tiratori! Andiamo!
Si morse un labbro. Provava frustrazione, ed impotenza. Merlino solo sapeva cosa poteva provare suo padre o suo zio. E Al. Al che si era rinchiuso nei sotterranei.
Sopra il bosco volava basso un falco. Lo guardò ipnotizzata per un momento. Curioso: sembrava molto più grosso del normale e molto più colorato.
La foresta nasconde molti segreti, Rosie…
 
 
****
 
 
 
Note:
1-Mill Town: Nei libri non si capisce quale sia la città natale degli Evans e dei Piton. Però nella sceneggiatura del sesto film la cittadina è chiamata appunto ‘Mill Town’. Fonte tratta da qui.

2- Frase pronunciata in “Harry Potter e la Pietra Filosofale”
 
Poi alcune fantastiche fan-art che mi hanno regalato, questa volta ben due autrici! *_*
Quelle di Elezar81

1.     Bagno dei Prefetti [Tom/Al]
2.     Firs Kiss [Tom/Al]
3.     Scusami [Teddy/James]
Una super-deformed assolutamente adorabile da Iksia: Daddy’s Dilemma
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 49
*** Capitolo XLIV ***


Grazie per le splendide recensioni.
@Pheeny: Grazie mille!
@MadWorld: sì, mi sono divertita a scriverla anche io! Grazie!
@Nicky_Iron: Ahaha, beh qui spero di averti fatta divertire un po’ di più. Questi capitoli purtroppo sono un po’ noiosetti perché devo tirare le fila dei 40 capitoli prima. ;) Grazie per i complimenti comunque e per continuare a seguirmi!
@Altovoltaggio: Ehi, bentornata! ;D Rose e Sy sono stati un po’ eclissati dalle vicissitudini dei fratelli Potter, ma prometto che nella seconda parte avranno più spazio, adolescenzialmente parlando. Gli alchimisti (o meglio la Thule) pensano che per ‘sconfiggere’ e ‘impossessarsi della bacchetta’ si debba ucciderne il posessore. Un errore che del resto ha fatto anche Voldemort, facendo fuori sia Silente (per mano di Piton) sia Piton stesso e ancor prima Grindenwald. Un errore tipico da megalomani. Pochi infatti sanno che basta ‘disarmare’ l’avversario, anche non con quella bacchetta.
@Aga: Ahaha, grazie per i complimenti, e sì, la nuova famiglia Dursley piace anche a me. ^^
@Simomart: Grazie, grazie, grazie! Le tue recensioni sono sempre dettagliate, belle e puntuali. Mi fa piacere anche che piano piano anche i lettori imparino ad amare i personaggi come li amo io. In realtà, siete un po’ i loro padroni onorari, perché vivono anche grazie a voi^^ Dudley è un personaggio che ha cominciato ad interessarmi quando la Row gli ha fatto avere un cambiamento di rotta. Adoro quando un personaggio evolve e matura, lo trovo da parte di un’autrice un tocco in più alla sua storia. E sì, penso che crescendo Big D abbia capito che essere amati non è così scontato, se non si tratta dei tuoi genitori. Il rapporto di Tom e Dudley aspettavo un bel po’ a farlo, e mi fa piacere che sia stato apprezzato. Del resto il vero padre di Tom è Dudley, non Harry. Purtroppo per Rosie e Sy, non ho tempo… ma avranno più spazio nella seconda parte ^^
@Trixina: Ho recapitato i tuoi complimenti alle fan-artist! E sì, l’avete notato tutti, Harry ha spesso frainteso Thomas, vedendolo come un suo clone per molti versi, quando in realtà Tom è diverso da lui, sia per esperienze che per altro. Anche se in effetti i punti di contatto ci sono. ^^ Grazie mille per la recensione! E Lily avrà il ruolo di ‘quasi’ protagonista nella prossima parte. Vedrai!
 
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Capitolo XLIV




 
 
 
 
Let’s grow old together/ And die at the same time.
(To lose my life, White Lies)



10 Novembre 2022
Hogsmeade, Tre Manici di scopa.
Mattina.
 
Harry varcò la soglia dei Tre Manici di scopa senza neanche controllare di essersi asciugato le scarpe dal fango che infestava la strada principale – nonché l’unica - di Hogsmeade.
“Harry!” Lo accolse Hannah Paciock, con un sorriso che gli riscaldò le ossa infreddolite. “Che tempaccio, eh? Si preannuncia un inverno tremendo, neve sicura per Natale. Forza, forza… dammi il tuo mantello, lo metto nel guardaroba!”
“Grazie Hannah.” Le sorrise, guardandosi attorno. Aveva un appuntamento con Zacharias Smith e a giudicare dal locale privo della sua presenza, l’uomo era in ritardo.

“Cosa ti porto?”
“Whiskey incendiario. Niente ghiaccio.” Recitò distratto. “Scusami …”
Aveva avvistato Smith. Se ne stava ad uno dei due bovindi della locanda, sorseggiando quello che sembrava proprio whiskey incendiario Ogden stravecchio.

Beh, almeno abbiamo un punto comune.
Si avvicinò, sedendosi davanti a lui.
“Potter.” Recitò l’uomo, alzando a malapena lo sguardo dalla propria Gazzetta. “Sai che riescono a citarti anche quando l’indagine non è tua?”
“Prova a dirmi qualcosa di nuovo, Smith.” Replicò irritato. “Non ho opposto resistenza, mi sembra, al passaggio di mano.”
“Come avresti potuto? Il Ministero si sarebbe trovato in una posizione sfavorevole, a doverti sbattere in cella per ostacolo ad un’indagine.”
Ostacolo?” Serrò le labbra. Si impose di calmarsi. “Se hai risposto, significa che sei disposto a parlare civilmente, suppongo.” Cambiò discorso.
Smith alzò gli occhi dal giornale, finalmente. Lo squadrò diffidente. “Diciamo di sì.” Bevve un sorso dal proprio bicchiere, schioccando la lingua. Harry notò che aveva la pelle tirata, grosse occhiaie attorno agli occhi e la barba non perfettamente rasata.

Incantesimo di rasatura riuscito male…  
A quanto pare aveva ragione Herm. Questa gatta da pelare è troppo grassa per lui.
“Diciamo che mi dici ciò che sai.” Aggiunse.
“È tutto nel rapporto che l’agente Weasley ti ha fatto recapitare…”
Stronzate.” Sputò Smith. Si schiarì la voce quando vide che Hannah, si era avvicinata con l’ordinazione. “C’è scritto il minimo indispensabile, non prendermi per il culo.”
“Il resto del lavoro l’abbiamo svolto come privati cittadini, Zacharias.” Obbiettò pacatamente, e con una certa soddisfazione. “Posso essere arrestato per aver fatto visita ad un amico in India?”

“In India?” Serrò le labbra. “Certo, i Naga… Ancora con quella teoria secondo cui l’aggressione di Duil è collegata al rapimento del ragazzo?”
“Non una teoria. È la realtà dei fatti.” Replicò, facendo un lieve sorriso ad Hannah, prendendo il bicchiere. Quando la vide allontanarsi continuò. “Ho incontrato il capotrib … ho incontrato uno dei guerrieri della delegazione. Ci ho parlato.”
“Perché, parlano?” Sbuffò sospettoso.

“Nella loro lingua sì. Ho avuto… un traduttore.”
Una cicatrice traduttrice.

“E cos’hanno detto?”
“Che sono stati venduti da Duil ad un altro mago, che li ha messi sotto la maledizione imperio, facendogli compiere quello che sai.”
“Facile a dirsi. Ti ricordo che quei… cosi… erano piuttosto resistenti agli incantesimi.”
“Ti ricordo che qui stiamo parlando di una maledizione senza perdono, non di uno stupeficium, Zacharias.” Obbiettò, bevendo un sorso del proprio drink per evitare di aggiungere ‘immenso cretino incompetente’. Ma almeno lo stava ascoltando.

Più di quanto mi aspettassi… Se è arrivato a considerare le mie deliranti teorie vuol dire che è decisamente disperato. 
Smith fece un cenno distratto con la mano. “Questo può anche essere vero, ma dimmi, pensi che avrebbero detto la verità a te?”
“Penso che in ogni caso non avrebbero avuto molto da perdere. Ero un mago inglese in suolo straniero, e secondo la loro mentalità nel loro territorio. Potevano sbattermi fuori, e non l’hanno fatto. Mi hanno detto la verità.”

“Quindi questo mago li ha messi sotto imperio… perché?”
“Per creare un diversivo. Farci credere che agissero sotto gli ordini di Duil, che voleva vendicarsi di Hogwarts, quando in realtà li aveva usati per trovare degli oggetti. Percepiscono il campo magico degli oggetti.”
“Che oggetto?”
“La Pietra della Risurrezione, uno dei Doni della Morte.”
L’uomo ebbe il buonsenso di deglutire. Vide il pomo di Adamo fare su e giù in quella gola detestabile e capì di avere finalmente la sua attenzione.

La storia dei Doni della Morte era trapelata dopo la sconfitta di Voldemort e delle sue armate. Più che trapelata, era irrotta nei principali quotidiani nazionali, e aveva tenuto campo a lungo.
Fortunatamente era riuscito a frenare le interviste, e tutt’ora nessuno era a conoscenza di quali fossero esattamente i Doni e dove si trovassero.
“È questo quello a cui puntava? E cosa c’entra il ragazzo?”
Harry inspirò. “Questo non lo so… Thomas è stato adottato, ma della sua famiglia non si sa nulla. È stato rapito da bambino da un mangiamorte, Artemius Coleridge.”
“Voldemort…” Era il collegamento conseguente, ma Harry si sentì comunque a disagio.

“Sì, ci ho pensato anche io all’epoca. Ma Thomas non può avere nulla a che fare con lui. Cronologicamente è impossibile, è nato quasi dieci anni dopo.”
“Un Dono… quanti sono?”
“Tre.”
“E quanti ne ha in suo possesso?”
Harry si passò una mano sulla guancia, trattenendo appena il respiro.
Ci siamo fatti ingannare come cretini… Pensavo che nessuno fosse a conoscenza del fatto che uno dei mantelli invernali di Jamie era Il Mantello, e invece…

“Due su tre.”
Smith serrò la presa attorno al bicchiere. Ebbe la presenza di spirito di inghiottire un’imprecazione. Salvo poi lasciarla uscire comunque. “Merda.”
“L’ultimo Dono è al sicuro.” Lo precedette Harry. “In ogni caso, anche se tentassero di riunirli, non funzionerebbero a dovere. L’unico modo per possederli è sconfiggere il precedente possessore.”
“Cioè Harry Potter.” Ironizzò l’uomo. “In ogni caso, si torna sempre a te.”
Harry fece una smorfia. “Per quanto i miei detrattori pensino il contrario, non mi piace essere al centro dell’attenzione di squilibrati assetati di potere.”

Smith tese le labbra in un sorriso sgradevole: non gli credeva, e non si piacevano. Ma dovevano collaborare. Si guardarono negli occhi, forse per la prima volta in quella manciata di lunghi minuti.
A Harry ricordò il genere di sguardo che vedeva in quei film babbani, con i cowboys e le pistole, che tanto piacevano al defunto Vernon Dursley.
“Per quanto mi costi ammetterlo… Le indagini non stanno procedendo.” Ammise dopo un breve silenzio l’ex tassorosso. “Ma ho un’altra domanda. Se questo John Doe vuole i Doni… perché rapire quel ragazzo? Non avrebbe avuto più senso rapire uno dei tuoi figli?”
“Thomas è come un figlio per me, ma non è questo il punto.” Replicò, sentendo un brivido freddo scendergli lungo la nuca. Solo la certezza che Ted e Neville stavano vegliando sulla sicurezza dei suoi ragazzi gli dava la possibilità di non andarli a prendere  e nasconderli in un luogo sicuro. “Il punto è che in qualche modo credo sia implicato in questa faccenda.”
“Certo, è venuto a patti con quell’uomo.”
“L’ha ingannato.” Calcò la parola, finendo in un sorso il whisky. Gli bruciava nelle vene, effetto magico, ma non spiacevole: gli permetteva di mantenere la lucidità e la calma. “Tom ha solo sedici anni, Zacharias. Non è ancora abbastanza maturo per non essere influenzabile.”
“Avresti detto lo stesso di te, alla sua età?”
“La situazione era diversa. I ruoli nella nostra guerra erano definiti. Non avevamo scelta. Quell’uomo l’ha illuso, gli ha promesso di dargli delle risposte sul suo passato, sulla sua famiglia. Promesse che per Tom avevano un peso inestimabile… e tendenzialmente, non si è dimostrato chi era se non alla fine, uccidendo la professoressa Prynn.”

Zacharias non replicò, muovendo il ghiaccio, ormai quasi sciolto, all’interno del proprio bicchiere. “A questo proposito…” Ebbe una lieve esitazione, poi storse la bocca e continuò. “Ho fatto ricerche su quella donna. Per capire chi fosse e quanto fosse implicata in questa storia.”
E?” Non aveva pensato alla Prynn. Harry se ne rese conto in quel momento: erano tanti i fronti aperti, su cui esaurire energie, sonno e pensieri. E non aveva pensato a trovare risposte sulla professoressa di Trasfigurazione. Vitious tempo prima, quando c’era stato il problema dei Naga, gli aveva assicurato che le sue referenze fossero ineccepibili.

Non aveva approfondito.
“Ho fatto un buco nell’acqua. Quella donna sembra non essere mai esistita. Le referenze che ha dato al preside erano false.”
“Ma Vitious…”
“Il preside ha chiesto all’Accademia, ma io ho fatto un controllo incrociato. Ho un amico che manda suo figlio a Salem. Non c’è mai stata un’insegnante di trasfigurazione all’Accademia Magica di Salem di nome Ainsel Prynn.”
“Come?”
“Quello che ho detto.” Si passò una mano trai capelli radi, serrando la presa sul bicchiere. “Inoltre ho trovato solo porte chiuse quando ho chiesto al Ministero Americano. Non ho avuto un solo gufo di risposta.”

“Non ha senso… era solo un insegnante.”
“Solo…”
“Non era un insegnante?” Spiò Harry.

Smith si strinse nelle spalle, nervosamente. “Un insegnante è una civile. Informazioni ce ne sono. Ce ne dovrebbero essere, e dovrebbero essere fruibili. E se non ce ne sono…”
“Il Governo non vuole fornirle.” Concluse per lui Harry, sentendo un dolore sordo dietro la nuca. Era sfinito, frustrato. “Che diavolo significa?”
“Che ci siamo infilati in qualcosa di estremamente grosso e internazionale, auror.” Ribatté il Tiratore, schioccando la lingua. “Quella donna è morta e si è portata i suoi segreti nella tomba. Ma di certo, non era ad Hogwarts per insegnare… Dursley è stato visto spesso in sua compagnia. Si diceva che avessero persino un affaire…”
Harry lo guardò incredulo. “Con Tom?”
“Inizialmente ho pensato che fosse un delitto passionale.” Sbuffò, notando la sua faccia esterrefatta. “Non guardarmi come un idiota, stavo solo seguendo delle piste, e c’era ben poco su cui lavorare, se non il rapporto pieno di falle del tuo braccio-destro. Ma poi… c’erano troppi punti oscuri, troppe lacune. È come se qualcuno stesse tirando le fila e non dal nostro lato.”
“Hai interrogato…”
“Ho interrogato il corpo insegnante. Desolante, sembra che lì dentro nessuno sappia un accidenti di quello che gli succede sotto il naso. I tempi di Silente sono finiti da un pezzo…” Ironizzò. In uno strano modo, Harry sentì che poteva dargli ragione. “Poi ho interrogato gli amici del ragazzo… i tuoi figli. Davvero niente male… si erano preparati una versione piuttosto avvincente e convincente di quello che era successo secondo loro.”
“Non ne sono a conoscenza Smith.”
L’uomo lo squadrò diffidente poi scrollò le spalle. “Sostanzialmente, hanno detto le stesse cose che hai detto tu. Che Dursley era stato ingannato, che quell’uomo si era mosso all’interno di Hogwarts occultando i suoi reali intenti fino all’ultimo. Che aveva orchestrato l’attacco dei Naga e l’aggressione a Lupin. Tutto si riduce, alla fine, a due sole domande. Chi è John Doe, e per chi lavora.”
“Forse gli stessi della professoressa Prynn.” Suggerì. Era come un maledetto gioco di scatole cinesi. Ognuno aveva un informazione, ma non c’era possibilità di metterle assieme per avere un quadro completo. Era una strategia sottile, e c’era un solo master-plan ad orchestrare il tutto, solo una persona che sapeva tutto e aveva messo le persone le une contro le altre.

John Doe. Chi sei?
“In ogni caso, la priorità al momento è ritrovare il ragazzo.” Lo riscosse Smith. “Anche se sembra svanito nel nulla… e poi c’è la questione della bacchetta.”
“La bacchetta di Tom, certo. Non la ha con sé, è stata ritrovata vicino al corpo della…” Non finì la frase, perché realizzò l’implicazione. Serrò le labbra. “Non crederete…”
“La bacchetta di Dursley ha lanciato la maledizione, Potter.” Sbottò l’uomo. “Su questo non c’è dubbio. Ora, pensavo che fosse stato il ragazzo, ma ci sono dubbi anche su questo…”
“Tom non userebbe mai quella maledizione. Ne conosce le implicazioni, le conosce bene.” Eruppe con forza, sentendosi la cicatrice formicolare lievemente, quasi ricordasse come era nata. “È solo un ragazzo… Può essere stato disarmato. Può essere un ennesima diversione di John Doe.”
“Può essere, come può non essere.” Replicò Smith, senza lasciarsi intimidire. “Potter, sto solo facendo il mio lavoro. Devo prendere in considerazione tutte le opzioni.”
Harry si tolse gli occhiali, in un gesto nervoso, salvo rimetterseli. “E qual è quella che ritieni più plausibile?”
“Mio malgrado…” Prese tempo, cosa che Harry giudicò piuttosto odiosa. “Mio malgrado neppure io penso che sia stato lui. È un incantesimo potente, difficile da eseguire. Basta una lieve esitazione e non sprizzi che una manciata di scintille verdi. Ho provato a capire se il  ragazzo avesse quel genere di determinazione… e ammetto di aver giocato sporco con tuo figlio minore.”
“Albus?” Si dominò a stento. L’istinto di protezione a volte era una brutta bestia. “Perché l’hai messo sotto pressione? Cosa speravi di ottenere?”
Smith storse la bocca, irritato. “Per chi mi hai preso? Puoi non piacermi, e sinceramente penso che tu sia un arrogante pezzo di idiota.”
Reciproco – Pensò Harry.
“… ma voglio chiudere questo caso quanto te. Non provo piacere a torchiare minorenni spaventati…” Tese le labbra in un sorrisetto divertito. “Comunque sarai felice di sapere che ha tenuto fede al vostro cognome. Mi ha urlato addosso piuttosto arrogantemente…”
“Al?” Ripeté confuso. Conosceva il suo ragazzo, e sapeva quanto fosse raro che alzasse la voce, e per giunta davanti all’autorità costituita. Un exploit se lo sarebbe aspettato da James, non da lui.

Smith si passò una mano dietro il collo. “Ho dislocato cinque pattuglie tra Hogsmeade, i cancelli di Hogwarts e la scuola. Ho battuto palmo a palmo la Foresta, per quanto ci è stato possibile prima di incappare nei centauri… Dursley non è ad Hogwarts.”
“Ne sei certo?” Smith serrò le labbra, ma Harry lo precedette. “Zacharias, non sto mettendo in dubbio i tuoi metodi di indagine, ma questo è più di un semplice caso di rapimento. Ormai te ne sarai reso conto.”
“Ma rimane un rapimento, e seguirà l’iter.” Replicò. “Il rapitore ti contatterà. Del resto, se cerca i Doni… è di te che avrà bisogno.”

Harry tirò un lungo sospiro.
I Doni della Morte…

Non ci pensava da quasi vent’anni. Per quanto lo riguardavano erano qualcosa a cui Voldemort aveva aspirato, senza mai capirne la vera natura. Non erano oggetti fatti per accrescere il potere di un mago. Non erano neppure così potenti, sebbene fossero indubbiamente straordinari.
Erano un monito.
Un monito a non temere la morte, ma accettarla come inevitabile e parte di te stesso.
Solo chi non la teme, può esserne il vero padrone.

E Thomas, in tutto quello, che ruolo ricopriva?
Chi sei davvero, Tom?
Hannah si avvicinò ai due, titubante, quasi temendo di disturbare il loro silenzio.
“Zacharias… è arrivato un Gufo dal Ministero.” Gli tese la lettera, umida di pioggia.
L’uomo la prese, facendole un cenno distratto, e aprì la ceralacca, grattandone via la superficie con l’unghia.
Harry si sporse leggermente per guardare. “Viene dal Dipartimento?”
Riconosceva lo stemma che campeggiava a lato del foglio.
Smith serrò le labbra in una linea sottile. “Viene dall’ufficio del Direttore.”
Harry corrugò le sopracciglia: il Direttore, nel gergo ufficioso del Dipartimento di Applicazione della Legge Magica era il Direttore del Dipartimento intero.  

Non ebbe bisogno di chiedere, fu Smith stesso a continuare. “… Sono convocato. Anzi, siamo convocati.” Schioccò le labbra, senza nascondere l’insoddisfazione. “Pare che sappiano che sei qui con me, Potter.”
Harry non rispose. “E cosa vogliono?”
Smith si alzò, richiamando con un cenno Hannah. “Non ne ho idea. Ma vogliono che andiamo adesso.”

 
 
****
 
Hogwarts, Sotterranei. Aula di Pozioni.
Mattina inoltrata.

 
Albus era stufo.
Questo per eufemizzare. Non era mai stato tipo da riversare la propria frustrazione sull’altrui persona. Anzi, tendenzialmente cercava in ogni modo di tenersi le cose per sé, e al massimo esporle pacatamente in privata sede.

Certo aveva trascorso sedici anni di vita lisci, piatti, senza la minima asperità. Il figlio di mezzo di Harry Potter il Salvatore, quello meno appariscente, anzi, quello meno notato perché finito in una casa che l’aveva inglobato a sé per non dargli troppo spazio.
A Serpeverde l’ambizione e l’arrivismo si concentravano in una sorta di egoismo auto-generante, per cui nessuno ti idolatrava, sempre che tu non ti fossi auto-eletto Signore Del Globo Terraqueo, schiacciando possibili rivali.
E non era il suo caso.
Ciò però l’aveva inevitabilmente portato a non sopportare le occhiate piene di compassione della sua famiglia, né tantomeno a tollerare le occhiate curiose di chi non sapeva, ma gli sarebbe piaciuto, non è che per caso…
“Al, come stai?” Gli ripeté per forse la milionesima volta Rose, quando la lezione di Pozioni fu finalmente conclusa.
Voleva bene alla cugina, nutriva per lei un affetto incondizionato e totale.

Ma in quei quattro giorni aveva avuto più volte la tentazione di morderla con il sarcasmo che sentiva raschiargli il fondo della gola.
‘Come vuoi che stia Rose? Adoro essere compatito’ – Avrebbe voluto dirle, e per un attimo immaginò la soddisfazione di vederla finalmente chiudere la bocca.
Poi naturalmente si sentì malissimo. Ma neanche poi molto.
“Sto bene.” Ripeté, come un disco rotto di Celestina Wackbeck. Infilò il proprio manuale di Pozioni dentro la tracolla, stringendo le cinghie fino a quasi farle gemere. Non che Rose se ne accorse. Era troppo occupata a preoccuparsi.
Lanciò uno sguardo a Michel, un muto sguardo, che fu immediatamente ricambiato.
Apprezzava la compagnia di ben poche persone adesso. Mike era una di quelle: non gli aveva fatto domande, non gli aveva sciorinato un ‘però te l’avevo detto che era schizzato’… Niente.
Semplicemente lo tirava via e lo allietava con silenzi studiosi o al massimo con qualche pettegolezzo.
Michel si spostò accanto a lui. “Andiamo Al, ci aspetta il nostro gruppo di studio.” Disse anodino, con un lieve sorrisetto di superiorità a decorargli le labbra.
Rose assottigliò le proprie in una linea indignata. “Stavo parlando con mio cugino, Zabini. Se non l’avessi notato…”

“Certo che l’ho notato, Weasley. E la cosa non mi disturba, non dartene cruccio.” Replicò passandogli un braccio attorno alle spalle. “Andiamo Al. Loki ci sta aspettando…”
Al si lasciò portare via, ignorando anche la presa non desiderata sulla sua spalla. Se Michel si stava approfittando della situazione, non gli importava.

In fondo, egoisticamente, non gli importava fintantoché si dimostrava amichevole e gli teneva lontane le domande altrui.
Anche se…
Da una parte non si stava piacendo affatto. Perdeva il controllo con l’autorità costituita come un matto, scappava da Rose e ignorava la sua famiglia. Non aveva neanche risposto al Gufo di sua madre.
L’unica che sembrava solidale, o se non altro capiva era Lily. Lo aveva solo abbracciato, dopo che aveva avuto quell’orribile interrogatorio, sussurrandogli ‘noi siamo i buoni’.
Sì, ma non mi sto comportando da buono, Lils…
O semplicemente, non sto avendo una reazione grifondoro al rapimento del ragazzo che amo.

Sottili differenze…
Michel gli diede un colpetto sulla nuca, sciogliendolo dalla presa. “Tua cugina finirà per rapirti, cheri. Crede che ti stia allontanando dal vostro clan di peldicarota.”
“Stai parlando della mia famiglia…” Mormorò, con un lieve sospiro. “Rosie è solo preoccupata per me. E lo apprezzo, veramente. Se non mi guardasse come se dovessi scoppiare a piangere da un momento all’altro.”
“Ma non ha tutti i torti. Hai un faccino così…”
“Mike! Ho sedici anni, per Nimue. E sono un ragazzo.”
“Un ragazzo delizioso.”
Al, suo malgrado, fece un mezzo sorriso. “Potrei prenderla come una molestia sessuale, lo sai?”
“Beh, era intesa in effetti.” Lo stuzzicò arruffandogli i capelli.

Al se li riaggiustò con una risatina, mentre svoltavano l’ennesimo corridoio di pietra umida dei sotterranei. Non avevano certo bisogno di affidarsi alla clemenza della memoria, loro.  
Michel si fermò davanti al muro che nascondeva l’ingresso del loro dormitorio. “Veni, vidi et vici.” Recitò prima di lanciargli un’occhiata. “Come stanno andando le indagini?”
Al serrò appena le labbra. “Non ne ho idea. Sai, c’è il fatto che sono un mago minorenne e semplicemente uno di famiglia. Credo che mio padre ne sappia più di me, ma non risponde ai miei Gufi. C’è da dire che ne riceve così tanti al giorno che non sempre nota le mie lettere…”

“Perché non hai detto a Smith che Tom era il tuo ragazzo?”
“Per rafforzargli la convinzione che siamo una sorta di setta incestuosa, dedita a coprirci l’un l’altro? No grazie.” Scrollò le spalle. Poi vide qualcosa che attirò la sua attenzione, poco prima che il muro si aprisse lasciando intravedere la Sala Comune.
Era uno Tiratore. Sembrava sinceramente spaesato e si aggirava per il corridoio con una scatola in mano.
Al dimenticò il suo proposito di chiudersi nella nuova stanza che gli era stata assegnata – visto che la loro vecchia stanza aveva i sigilli dell’indagine in corso – e lo avvicinò.

“Salve. Posso esserti utile?” Chiese, pieno di gentilezza.
Il Tiratore lo guardò confuso, prima di rispondere al sorriso. “Ehm… Sì. Mi chiedevo… Dove si trova l’ufficio del Direttore?”
“Il professor Lumacorno?”
“Sì, esatto. Devo consegnargli gli effetti personali di Thomas Dursley, ma…” Esitò, in imbarazzo.

“Non preoccuparti, questo posto è un autentico labirinto per chi non ci passa nove mesi l’anno…” Scherzò fingendo empatia, mentre lo sguardo automaticamente andò alla scatola.
Lì dentro c’erano le cose di Tom. E se il primo Lumacorno era stato un gentiluomo serpeverde, unicamente attaccato al cibo, il nipote, attuale Direttore di Serpeverde, aveva una curiosa propensione alla cleptomania.
“Quindi, dove si trova?” Chiese l’agente, lanciando un’occhiata curiosa alla loro Sala Comune alle loro spalle. Michel si frappose con naturalezza, sbarrandogli la vista.
“Puoi darla a noi.” Disse Al, scrollando le spalle. “Gliela recapiterò io.”
Il ragazzo lanciò uno sguardo alla sua spilla.
“Prefetto Potter.” Lo rassicurò, indicandola. “Sta’ tranquillo. Ti accompagnerei all’ufficio, ma ci devo andare dopo e sono già in ritardo per il mio gruppo di studio.”
Sei un tassorosso. Dimmi che sei un fiducioso tassorosso, avanti.
Aveva l’aria di un tassorosso, ma evidentemente aveva anche delle direttive ben precise da seguire. “No, credo sia meglio se mi indicata la strada.”  

“Oh, certo. Lo vedi quel corridoio?” Indicò alle sue spalle. Il tassorosso –oh, se lo era – si voltò. E Al ebbe tutto il tempo di prendere la bacchetta.
Confundus.” Recitò mentre il poveretto ondeggiò spaventosamente, come colto da un capogiro improvviso. Gli prese la scatola tra le mani rilassate e la rimpicciolì per poi farsela sparire nelle tasche del mantello. 

Il giovane si riprese velocemente, scuotendo la testa. “Cosa…?” Si guardò le mani. “La scatola…”
“L’hai già consegnata.” Sorrise, sentendosi l’adrenalina scorrere a mille. “Non ti ricordi? Ci hai chiesto informazioni su come raggiungere l’ufficio del Direttore.”
Il Tassorosso batté le palpebre un paio di volte. “Oh. Quindi l’ho consegnata?”
“Beh, se non ce l’hai in mano…” Suggerì, sentendosi i palmi delle mani spiacevolmente sudati.

Andiamo. Sei un tassorosso. Fidati. Lasciami in pace.
Quello sospirò. “Ah… beh. Allora… grazie.” Borbottò confuso, prima di voltar loro le spalle ed andarsene.
Quando ebbe svoltato il corridoio Al si sentì molto simile all’essere invincibile. Adesso capiva come si sentiva James ogni qual volta faceva qualcosa di potenzialmente capitale per la sua carriera scolastica. Entrò nella Sala Comune, con dietro l’amico, che era rimasto silenzioso per tutta la durata dell’operazione.
“Spero che ne sia valsa la pena almeno…” Osservò neutro.
“Sono le cose di Tom.” Replicò. Ed era tutto lì in fondo. Si tolse di tasca la scatola, riportandola alla forma originaria. “Le devo tenere io.”
La appoggiò su uno dei tavolini di mogano nero disseminati per la stanza, aprendola con un colpo di bacchetta. Non si era sbagliato: c’erano un paio di libri personali, l’agenda babbana dove appuntava le sue scalette di studio e il suo orologio digitale, regalo di suo padre per i suoi dieci anni. Con un mezzo sorriso notò come ci fosse anche la sua sciarpa verde-grigia. Non la usava mai.
Tirò fuori anche il suo preziosissimo, quanto inutile in quei terreni, lettore mp3.
“E se c’è qualche indizio?” Spiò Michel guardando indecifrabile gli oggetti. Al era certo che di alcuni non ne capisse neanche la funzione.
“Le hanno già esaminate. Se c’era qualcosa, non è di sicuro qui.”
L’altro fece una smorfia. “Lo sai che quando si tratta di Dursley perdi il senno?”
Al sentì un nodo spiacevole allo stomaco: era vero, aveva fatto qualcosa di immensamente stupido, e se il Tiratore si fosse accorto di essere stato confuso, avrebbe passato dei guai. Enormi.

Ma sono le cose di Tom.
“Non sono impazzito.” Ribatté, infilandosi il lettore in tasca. “Non capisco perché debba tenerle Lumacorno. A Tom darebbe fastidio. E metti che prendeva qualcosa? Tom…”
“Tom potrebbe non tornare.”
La frase fu come uno scoppio di incantesimo nella sala deserta.
Michel non aspettò la sua risposta, continuò. “Potrebbe essere anche fuori dalla Scozia, o dal Regno Unito per quanto ne sai. Al…” Lo afferrò per le spalle. “So che ci tieni a lui, mi è dolorosamente chiaro… Dici che fa parte del tuo passato… ma non credi che in realtà sia un elemento estraneo? Non avrebbe dovuto essere tuo cugino e non avrebbe dovuto crescere con te. Tuo padre l’ha salvato, ma non sapeva neppure chi era, o da dove venisse.”

Al sentì un sapore acido in fondo alla gola. Era il suo sarcasmo che urlava per uscire, ne era certo, anche se non c’era niente su cui ironizzare. “Stai dicendo… che anche secondo te Tom era d’accordo con il suo rapitore?”
Michel si morse un labbro, intuendo forse di aver esagerato. Rientrò subito in carreggiata, sorridendo appena. “Non fraintendermi. Sto solo dicendo che forse il suo rapitore non ha cattive intenzioni. Se avesse voluto ucciderlo avrebbe potuto farlo con i Naga, come mi hai detto tu…”
“Ha ucciso una persona e la gatta del custode, Mike!”
“Sto solo dicendo che chi l’ha rapito… potrebbe essere stato incaricato dalla sua vera famiglia. Pensaci. Molte famiglie magiche non vanno troppo per il sottile quando si tratta di riavere indietro i propri figli. Tom è un mago molto dotato, forse proviene addirittura da una famiglia purosangue…”
“Non mi interessano le tue teorie sul razzismo magico, Mike.” Sbottò. “Tom è un Dursley. Tom è parte della mia famiglia. E non mi importa chi lo vuole. Io so cosa vuole lui. E lui vuole noi, questa vita. Vuole me.”

Michel non rispose a questo. Lasciò la presa sulle sue spalle, guardandolo attentamente. Al registrò che non l’aveva mai visto così serio.
“Spero davvero che tutta questa fiducia sia ben riposta, Albus.”
Al inspirò. “Lo è.” Fece un passo indietro. La Sala Comune gli sembrava improvvisamente troppo stretta. Dai finestroni che si aprivano sulla vista bluastra del Lago Nero vide passare una sirena. In quel momento si sentì più vicino a quella creatura marina, che al suo amico.
Abbiamo qualche problemino di incomprensione…
Perché nessuno, nessuno, capisce che posso fidarmi di Tom? Che so che non sarebbe mai andato via di sua spontanea volontà?
È così difficile?
“Dove vai?” Gli chiese.
Al fece spallucce. “A farmi un giro.” Prese un respiro e non gli importò di lasciarlo uscire stavolta, il suo sarcasmo. “E per la precisione, sei tu l’elemento estraneo. Un modo elegante per dire di farti gli affari tuoi, vero?”
 
****
 
 
Londra, Ministero della Magia.
Dipartimento di Applicazione della Legge Magica, Secondo piano.

Ufficio del Direttore.
 
 
Harry fu fatto entrare nell’ufficio del Direttore del Dipartimento da una giovane ed efficiente segretaria che rispondeva – forse – al nome di Ella.
Zacharias lo seguiva a pochi passi di distanza: sembrava che la convocazione l’avesse intimidito, e per tutto il tragitto fino a lì non aveva aperto bocca.

Non che Harry se ne fosse lamentato: non gli dispiaceva poter rimanere solo con i propri pensieri. 
“Direttrice, ci sono l’agente Potter e l’agente Smith.”
“Falli entrare.”
La direttrice… Harry la conosceva bene. Quasi vent’anni prima gli era letteralmente piombata in casa con l’Ordine, per prelevarlo una volta compiuti i fatidici diciassette anni.

Hestia Jones ora era una donna sulla sessantina, dall’aria severa, stemperata però dalle guance perennemente rosee e gli occhi brillanti.
Prima che la carica fosse assegnata a lei, Harry aveva avuto parecchi problemi a relazionarsi con l’allora direttore, un ex-auror dal temperamento collerico. Quando si era insediata, l’aveva mandato a chiamare e aveva settato i suoi parametri. Harry ci si era sempre trovato piuttosto bene, almeno fino a quel momento.
 
“Lei è così abituato ad avere il mondo sulle sue spalle, Harry, che non mi stupisco che voglia risolvere tutti i guai dell’umanità. Ma qui ci aspettiamo solo due cose da lei. Che non si faccia uccidere e che  risolva i casi.”
“E i richiami disciplinari? Il mio temperamento sovversivo?”
“Impari ad essere discreto.”

 
Un suo collega di origini babbani una volta gli aveva detto, scherzando, che la Direttrice sembrava la fotocopia magica di M, il famoso capo di James Bond.
Gli era capitato di vedere i film. Lui ne era certo.
“Harry, Agente Smith.” Sorrise loro brevemente. “Prego, accomodatevi.”
Harry notò che davanti alla scrivania era seduto un altro mago. Sulla quarantina, con ordinati capelli ricci e un fisico sportivo. Non gli ricordava nessuno e non riconosceva la foggia del mantello: era blu scuro, bordato di rosso e bianco. Lo guardò meglio, quando si voltò e si alzò in piedi per salutarli.
“Vi presento Ethan Scott, agente del Dipartimento di Giustizia Magica americano.”
L’uomo si produsse in un sorriso affabile, che lo qualificò immediatamente come proveniente da quella terra. Gli tese la mano. “Abbiamo sentito parlare parecchio di Harry Potter. È un onore poterlo incontrare di persona. È anche nei nostri libri di storia, lo sa?”
Harry gli strinse la mano, lanciando un’occhiata confusa al proprio direttore. “Ehm… Ne sono lusingato.”
“Dovrebbe! In America non ci occupiamo granché degli affari del Vecchio Continente.” Rispose, beccandosi un’occhiataccia da Smith, che Harry in fondo si sentì di sposare appieno.

Chi diavolo è questo tizio?   
La Direttrice si schiarì leggermente la voce. “L’agente Scott è qui per il caso di rapimento del giovane Dursley. Ha informazioni che potrebbero essere d’aiuto nell’indagine.”
Smith a quel punto si sentì legittimato a farsi avanti. “Riguardo ad Ainsel Prynn?” Chiese spiccio.
Harry rimase in silenzio: era la stessa domanda che avrebbe voluto fargli lui.  

“Selina Hardcastle. Era questo il suo vero nome.” Replico l’americano senza scomporsi. “Era una nostra agente, lavorava sotto-copertura.”
“E come mai non ne siamo stati informati?” Intervenne Harry, ignorando l’occhiata di fuoco che gli scoccò Smith. “Per quanto ne sapevamo noi, era un insegnante di trasfigurazione.”

Se era una dei buoni… Perché ha spinto Tom nelle braccia di John Doe?
“Era un operazione sotto-copertura, Mister Potter.” Spiegò pacato, ignaro delle sue riflessioni. “C’erano dei protocolli da seguire, primo trai quali la segretezza assoluta. Era troppo rischioso informare il corpo insegnante. In ogni caso erano agenti qualificati, in grado di integrarsi nel tessuto scolastico senza…”
Erano? Quanti dei vostri agenti sono ad Hogwarts?” Lanciò uno sguardo alla Direttrice, che rimase imperscrutabile. Ma dalla piega appena accennata della bocca capì che neanche la donna era a conoscenza della situazione.

E che la cosa non le piaceva per nulla.
Sento odore di incidente diplomatico in arrivo…
“Erano.” Lo corresse Scott. “Immanuel Ziel e Ainsel Prynn. Ziel… era Primus Zimmermann, uno dei nostri migliori agenti della Sezione Terrorismo Internazionale. Quando è morto abbiamo dovuto rimpiazzarlo. E qui entra in scena l’agente Hardcastle nella quale, mi duole ammetterlo, riponevamo la massima fiducia. Mal riposta, evidentemente… Considerando che si è venduta a quel gran bastardo…” Fece un sorrisetto di scuse all’imprecazione. “… del camaleonte.”
Harry fece una breve capriola mentale per ricollegare nome a nome.

“Intende John Doe?”
L’americano fece un breve cenno affermativo. “È uno dei tanti pseudonomi dietro cui si nasconde, sì. Noi l’abbiamo chiamato Camaleonte perchè, beh… Diciamo che è estremamente bravo a far perdere le tracce. È un metamorfomago.”  

“Perché non avete condiviso prima queste informazioni con noi?” Sbottò Smith. “Ho passato quattro giorni a brancolare nel buio con i miei uomini!”
“Non è una situazione facile.” Ribattè gravemente l’uomo. “Io stesso ho trovato delle resistenze da parte del mio governo per venire qui, a parlare con voi. Come ho già detto, era un’operazione sottocopertura.”
“Che tipo di operazione?” Spiò Harry. Sentiva una grande confusione in testa. Era come se improvvisamente si fosse rotta letteralmente una diga di informazioni.

E noi siamo sotto…
“L’agente Zimmelmann come l’agente Hardcastle erano incaricati della sorveglianza di Thomas Dursley.”
“Perché sorveglianza? È solo un ragazzo…” Harry era incredulo. I nodi stavano venendo al pettine, ma non avrebbe mai pensato che sarebbero stati  grossi.
L’agente Scott fece un lieve cenno. Avvicinò con la mano un fascicolo che aveva appoggiato sulla scrivania della Direttrice. Lo aprì, girandolo verso di loro.

Harry si avvicinò. La foto magica che campeggiava nella prima pagina lo fece ispirare bruscamente.
L’uomo ritratto avrebbe potuto essere tranquillamente Tom con trent’anni in più sul viso. Le labbra, la forma degli occhi… erano le stesse. Solo il colore dei capelli differiva.
L’uomo guardava dritto nell’obbiettivo, con uno sguardo terribilmente penetrante.

Non c’è dubbio… quest’uomo è un suo parente.
“… È suo padre?” Chiese atono.
L’agente Scott lo guardò sorpreso. “Ottimo spirito di osservazione.” Picchiettò l’indice sulla foto. “Alberich Von Hohenheim, nato in Germania, attualmente a capo della Thule. I suoi adepti sono ricercati per aver ucciso e praticato magia nera sia in Germania che negli Stati uniti, subito dopo la seconda guerra mondiale babbana. Stiamo parlando di sacrifici umani e amenità simili…”
Smith fece una smorfia disgustata. “Non ne abbiamo mai sentito parlare…”
L’americano scrollò le spalle. “Non ne dubito. Qui in Inghilterra nei suoi anni di maggiore attività era oscurata da una minaccia ben più grande…”
“Voldemort.” Rispose in automatico Harry.
“Esattamente.” Confermò. “Diciassette anni fa la Thule ha apparentemente cessato ogni attività e Hohenheim è scomparso nel nulla. Ma sapevamo che era solo uno specchietto per le allodole. Sapevamo che suo figlio era in Inghilterra, che era un mago, un purosangue. Abbiamo mandato un nostro agente ad Hogwarts, per cercarlo e raccogliere informazioni su di lui. Sapevamo che prima o poi Hoheneim l’avrebbe cercato…  e infatti sei mesi fa John Doe è riapparso. È uno degli uomini a servizio di Hohenheim, il più fidato, il più pericoloso. Crediamo sia stato lui a rapire il giovane Thomas.”

“Sapete già dei Naga…” Iniziò Harry, ma fu immediatamente fermato. Sembrava che l’agente Scott avesse fretta di spiegare tutto.
“Sappiamo tutto. L’agente Prynn prima di… cambiare squadra, diciamo pure così, ci forniva rapporti settimanali.”

Harry si passò una mano trai capelli, stordito. Dovette pulirsi gli occhiali un paio di volte, prima di riuscire a formulare una domanda che gli sembrava sufficientemente sensata. “Quest’uomo… rivuole quindi Thomas ed ha incaricato Doe di recuperarlo?”
“Non si tratta solo di nostalgia paterna, purtroppo.” Replicò Scott. “Ora… non avremo mai messo il ragazzo sotto sorveglianza, alle vostre spalle, se non fosse che la Thule ha un solo scopo fondativo. Ottenere l’immortalità dell’essere umano.”
“… e cosa c’entra Thomas con questo?”
“Beh, il ragazzo è nato morto. E adesso è vivo.” Scott fece una pausa sgradevole. “È la chiave.”

 
 
****
 
 
Hogwarts, Dintorni del Lago Nero.
Ora di pranzo.

 
Era buffo.
Thomas aveva passato sei anni a cercare un angolo dove far funzionare il suo lettore mp3, scandagliando il parco pezzo per pezzo, tentando di trovare un punto dove l’aura magica del Castello si smorzasse.
E ironia, funzionava solo nel suo punto preferito, che di solito Tom evitava perché troppo ventoso.
Al giocherellò con il cursore. Liste e liste di gruppi che gli erano perlopiù sconosciuti gli scorrevano davanti agli occhi. Il vento gli schiaffeggiava il viso, facendogli lacrimare gli occhi.

E andava benissimo così.
Premette un tasto a caso. Non aveva mai capito bene come funzionava quell’affare, lui era un tipo da Radio, non da collezione di pezzi prestabiliti. Gli piacevano le sorprese.

Si sentì piuttosto soddisfatto quando riuscì a trovare il menù di riproduzione casuale.
Quando sentì le prime note della canzone scelta, sentì una mano stritolargli le viscere. Serrò appena le labbra.

 
He said to lose my life or lose my love,
That’s the nightmare I’ve been running from.
So let me hold you in my arms a while,
I was always careless as a child.

 
Quella canzone non era una sorpresa poi così gradita.
Se la ricordava. Un anno prima Tom l’aveva costretto ad ascoltarla per tappargli la bocca, dopo che per un intero pomeriggio gli aveva parlato dell’ultimo campionato di Quidditch.

Gli aveva concesso l’auricolare sinistro, intimandogli di chiudere la bocca almeno per quei pochi minuti.


“Perché cavolo ascolti sempre canzoni che parlano di roba deprimente, accidenti a te! Questa parla di due tizi che si piantano.”
Un sospiro. Un colpetto sulla testa. “Sei superficiale. Parla della difficoltà di essere amati e di amare, Albus. La difficoltà di riuscire a stare assieme nonostante tutto. E ascolto questa roba perché
le cose tristi, solitamente, tendono anche ad essere profonde.”


 
Si strofinò la guancia, per evitare che il vento freddo gli bruciasse la faccia con le proprie lacrime.
Poi la vide. Di nuovo, come apparsa dal nulla, dalle nuvole bituminose gonfie di pioggia.
La fenice, Fanny.
Compiva dei larghi giri attorno al Lago Nero.
Si alzò in piedi di scatto. “Fanny!” La chiamò. 
Spense il lettore, infilandoselo in tasca. La fenice, quasi lo avesse sentito, planò dolcemente nella sua direzione, prima di fare un altro giro e infilarsi direttamente dentro la Foresta.
Poi, la sentì cantare.

Era un canto dolcissimo, lieve e per un attimo si chiese se non fosse tutto uno scherzo della sua immaginazione. Non passò molto tempo a chiederselo. La seguì, come l’altra volta.
Quando superò la prima fila di alberi girò a largo di Odino, il cane di Hagrid che gli abbaiò contro festoso, forse cercando coccole. Lo ignorò, tirando dritto.
La Fenice era appollaiata su un ramo e cantava. Non se l’era immaginato.
Ansimò leggermente, riempiendosi le orecchie di quella strana sensazione di pace, e sentì qualcosa di caldo inondargli il petto, facendolo sentire meglio, scacciando il freddo che gli gelava continuamente le ossa.

Improvvisamente la paura, l’angoscia, si erano di nuovo dissolte come neve al sole.
Sorrise appena. “Com’è che appari quando sto quasi per crollare?” Sussurrò appena. Gli occhi della fenice, ossidiana pura, sembravano fissarlo e capirlo.
“Vorrei trovare Tom… sai? Più di ogni altra cosa. Non mi importa di quello che dice la gente, io so che lui non ci avrebbe mai abbandonato… Vorrei trovarlo, e riportarlo a casa.” Le confessò.
Come se mi potesse capire poi, che idiota…
La fenice a quel punto spiccò di nuovo il volo.
“Ehi!”
Ma non fece molta strada. Si posò su un altro ramo, un centinaio di metri più in là. E riprese a cantare.
Al rimase indeciso sul da farsi. Il sole in quel periodo dell’anno tramontava presto. Mancava poche ore prima che la luce del sole venisse meno.

Ma hai la bacchetta… e lei ti sta aspettando.
Era vero. La fenice sembrava aspettare lui. Fece una prova e la raggiunse. Appena arrivato ci mise poco prima di spiccare di nuovo il volo.
Vuole che la segua…
Normalmente non si sarebbe fidato delle creature del bosco. A parte i centauri sapevano essere piuttosto infide. Ma quella era una fenice. Anzi, era Fanny, la leggendaria fenice di Silente.
“Tu…” Aspirò una boccata d’aria, gelida e piena di speranza. “… Tu sai dov’è Tom?”
Le Fenici, secondo un Bestiario che aveva consultato in biblioteca, erano animali molto intelligenti.
Forse ha visto qualcosa… forse ha visto dove Doe l’ha portato…
Sapeva che sarebbe dovuto tornare al Castello e allertare i Tiratori. Che una bacchetta non faceva di lui un mago potenzialmente abile a tirare fuori Tom da quella situazione.

Ma se quando torno se n’è andata?  
Ma la domanda era un’altra.
Ho scelta?
La Fenice spiccò di nuovo il volo, e Al smise di pensare. E la seguì.
 
 
****
 
 
Sentì un freddo improvviso. Gelido, come uno schiaffo bagnato.
Qualcuno gli aveva gettato dell’acqua addosso.
Tom si svegliò, tossendo e inghiottendo ampie boccate di aria gelida. Si sentiva debole, affamato e il freddo gli era penetrato nelle ossa fino a rendergliele vetro gelato.
Gli occhi gli bruciavano, persino alla luce debole di un fuoco appena riacceso.
“Ben svegliato Thomas. Lasciatelo dire, amico… non hai una bella cera.”
Doe era da qualche parte nella penombra. Lo sentì avvicinarsi, e istintivamente sentì la magia ribollirgli nelle vene.

Almeno quella, era l’unica cosa che non lo aveva ancora abbandonato.
Doe fece una risatina. “Notevole… avresti ancora la forza di schiantarmi. Certo, se avessi una bacchetta e se non avessi fatto in modo che qua dentro non si possano fare incantesimi più innocui di un lumos.”
“Come… hai…” Le parole gli raschiavano il fondo della gola, dolorosamente. Doe si chinò e gli appoggiò del vetro gelido contro la guancia. Un bicchiere. Spostò il viso e bevve avidamente. Era acqua tiepida, leggermente zuccherata.

Non poté farne a meno, stavolta.
“Bravo bambino. Meglio adesso, vero?” Gli chiese, posando il bicchiere vicino a lui. Era accovacciato a pochi passi di distanza. “La sete è la prima cosa che ti frega, quando sei prigioniero… Poi arriva la fame, e se il posto non è granché confortevole, e tu magari eri già bagnato fradicio…” Schioccò la lingua. “Credo tu abbia la febbre alta, Thomas. Ma non preoccuparti. Questo non frustra le tue capacità magiche.”  
Non rispose nulla. Anche se avesse avuto qualcosa da dire, non credeva sarebbe riuscito a mettere tre parole di senso compiuto in fila. Il suo cervello continuava a lavorare incessantemente, ma si era accorto da un po’ di tempo (mesi, anni?) che non c’era più un filo logico nei suoi pensieri. Solo un urlo continuo.
Fatelo finire.
“L’essere umano quando è costretto in situazioni estreme… oh, si comporta in modo singolare. Annulla tutti i desideri, le speranze, i codici morali… per un solo, semplice bisogno. Sopravvivere.” Doe continuava a parlare, ma lo sentiva, lo capiva solo a tratti. “Credimi, non mi diverto a tenerti legato così, in questo posto buio e freddo. Se avessi fatto il bravo e ti fossi arreso subito all’inevitabile, invece di mettere su quel teatrino… beh, non saremo arrivati a questo punto.” Fece un sospiro. “Ci siamo, Thomas. È ora… sono riuscito a decifrare il diario di quel ridicolo ometto… Ci prenderemo la bacchetta, dopo che tu avrei ucciso Harry Potter.”
“Io non…” Tentò. Un conato di vomito lo assalì violentemente. Un brivido gelido lo scosse.

Che diavolo ci aveva messo nell’acqua?
“Non ho messo nulla nell’acqua…” Sembrò quasi leggergli nel pensiero. “Stai male, Tom, è tutto qui. Sei a ridosso dell’ipotermia, hai la febbre alta e il tuo fisico è indebolito dalla mancanza di nutrimento. Un terreno fertile per l’imperio.” Si sentì scivolare qualcosa contro il collo. Sembrava una collana.

Poi capì.
Era la pietra.
“Non vogliamo lasciare niente di intentato, vero?” Sussurrò Doe. “Lo so che non ti piace tenerla addosso, ma sono sicuro che ad una parte di te è mancata…”
Voldemort… era un horcrux stregato da Voldemort…

Tom capì che quelli sarebbero stati i suoi ultimi attimi da innocente. Che avrebbe ucciso Harry, o Harry sarebbe stato costretto ad ucciderlo. Che in quelle condizioni non sarebbe neppure riuscito a contrastarlo. Che non avrebbe più rivisto la sua famiglia, i suoi amici… e Al.
“Che fai Thomas, piangi?” Sogghignò.  
Serrò le labbra e lo guardò negli occhi. Se doveva morire o uccidere, gli ultimi attimi da uomo libero non li avrebbe passati ad avere paura. Era ridicolo. 

La cosa davvero ironica è che non hanno capito che Harry è un eroe. Non esiterà con me, se può salvare tutti…
 
Imperio.”
 
****
 
 
Note:
Secondo i miei –sic! – calcoli ancora due capitoli. ;)
Non mi odiate. Andrà tutto bene.

… Anche se penso di avere la capacità persuasiva di un pilota di un boeing in fiamme.
1. Qui la canzone.
 
Altre fan-art, perché sono una ragazza fortunata e ADORO queste ragazze.
La prima è di Elezar81 impagabile come al solito. La adoro.
Questa GUARDATELA e
la conseguente reazione sono di Iksia bravissima disegnatrice indonesiana, su cui riverso tutto il mio pessimo inglese. È così carina da interessarsi a quel che ho da dire sulla Next Generation. Ed ha capito Tom e Al senza leggere una riga! *_*

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Capitolo 50
*** Capitolo XLV ***


Vi ringrazio tantissimo per le visite, e sopratutto per i commenti. Andiamo ragazzi, trecento? *sguardo avido come Gollum* Questo è un capitolone! *Speranzosa*
(Ormai Dira non ha più dignità)

@NickyIron: Spero di aver dato delle spiegazioni sensate con quest’ultimo capitolo! T_T Dimmi di sì!
@Pheeny: Tranquilla, la fine di questa parte è vicina. Penso proprio che ce ne sarà una seconda ;) Zabini hai ragione, in fondo è un bravo diavolo, ma… aspetta e vedrai! ;)

@Altovoltaggio: Eeehi, ehi, io non lascio mai nulla al caso! (*faccia da paracula*) Tom che fa tenerezza è un ossimoro, ma è vero, fa tenerezza! XD In effetti alla fin fine è un adolescente spaventato. Per l’imperio… ehm, sinceramente non saprei. So, da fonti certe, che con una grossa forza di volontà si possa scioglierlo. Mi spiego: se vuoi veramente scioglierlo, puoi riuscirci e combatterlo. Ma Tom ha anche il medaglione impregnato di magia nera di Voldemort… quindi diciamo che non sarà una passeggiata per lui. ;) Grazie grazie per i complimenti ad Al e Tom! Grazie! Davvero!
@Simomart: Ciao! Essì, ormai siamo alle battute finali! Mi mancherà! (Se non fosse che sì’, ci sarà una seconda parte) Per le due osservazioni, ecco qui: in effetti quella cosa delle parentesi è un po’ ridondante, e in questo capitolo l’ho tolta. Per quanto riguarda Al… in effetti sì, suona un po’ strano che riesca a far fesso un Tiratore. Ma ti ricordo che è un allievo e un tassorosso (almeno, preso per tale). E poi Harry ha fatto fessi gente peggiore! XD Tipo Lucius… però è vero, ho notato anche io che era un po’ esageratina come scena. Grazie per l’appunto, lo seguirò in futuro! Grazie per i complimenti sullo “spiegone” … ammetto che mi faceva paura, e non me ne sono ancora tirata fuori. Dimmi tu se sono stata efficace (a me in fondo Zacharias sta simpatico XD) Grazie anche per i complimenti, e sì, devo ammettere che i sogni di Tom fossero in qualche modo… premonitori. :P
@Trixina: Trixina! Tu sei una recensitrice di lunga data! Quindi capisci come me quante nostalgia provi a finire questa storia. MA, c’è un ma. A quanto pare avrò bisogno della seconda parte per spiegare tutto… quindi per un po’ non vi libererete di me e dei miei pg. XD Mi fa piacerissimo che tu abbia apprezzato questa storia e persino la musica (ti adoro!) che vi ho legato!
Grazie, grazie, grazie! Sono d’accordo con te sulla cosa dell’eroe. Non puoi piacere a tutti… e la Row questo lo ha fatto capire bene in quasi tutti i suoi libri. E per il resto… aspetta e vedrai! ;)
@Aga: Ciao! Eheheeh, grazie mille e sono FELICISSIMA che tu abbia capito la trama, avevo tanta paura che ci potessero essere dei punti oscuri. Comunque… no, Harry non sarà il solito eroe della situazione. ;)
 
 
****
 
Capitolo XLV
 

 
 
 
Look to the stars/ let hope burn in your eyes
And we'll love/ and we'll hope/ and we'll die/all to no avail…
(Stockholm Syndrome, Muse)¹
 
 
Appartamenti del professore di difesa contro le arti oscure.
Prima di cena.
 
James si passò le dita trai capelli, guardandosi critico allo specchio del bagno.
Non suo.
Era tutto iniziato da una legittimissima richiesta di chiarimento su una lezione. Davvero, i MAGO si avvicinavano, e lui aveva bisogno di voti piuttosto consistenti nel suo curriculum scolastico. E sapeva che Teddy non gli avrebbe mai regalato niente.
Quindi, richiesta di chiarimento. C’era stata, molto esaustiva. L’aveva assimilata… e poi la successiva cosa che ricordava dopo ‘grazie Teddy, andrò a farmi una lunga doccia bollente adesso’ era stato l’impatto della sua schiena contro la scrivania.
Teddy si era stappato, e i risultati gli piacevano tantissimo.
In quella situazione di stasi tremenda, con Tiratori del Ministero ovunque, con Tom scomparso… era bello poter trovare un’oasi di pace.
Fece un sorrisetto prima che gli occhi gli cadessero su una colonia dall’aria costosa.
La prese in mano. Aveva un nome francese.
Fece una smorfia.
Probabile fosse uno dei regali da cento galeoni di Victoire, che Teddy si sentiva sempre in disagio ad usare o indossare.  

Soppesò il profumo. Ci rifletté: beh, nessuno avrebbe sentito la mancanza di un odoraccio francese.
“… Jamie, che stai facendo?”
James, colto con la boccia di profumo svitata, in bilico sulle acque del gabinetto, ebbene la prontezza di spirito di… nasconderlo dietro una mano.

Veramente geniale, amico. Veramente geniale. – Lo rimproverò la sua Scorpius-coscienza. L’aveva ribattezzata così da quando il cretino Malfoy si era personalmente incaricato dell’onore.
“Provo a spruzzarmelo?” Tentò, tirando fuori la sua migliore faccia da schiaffi.
“A me sembra che tu stia per svuotarlo e tirare l’acqua, veramente.” Sospirò, raggiungendolo e prendendogliela di mano. “È un regalo.”
Serrò appena le labbra, tirandogli un colpo con la mano aperta sul petto nudo. Sogghignò quando vide l’altro sussultare per il dolore. “Lo so che è un regalo, tonto. È di Vitr… di Victoire?”
Teddy gli lanciò uno sguardo indecifrabile. Questo, prima di mettersi a ridere sinceramente.
Si sentì lievemente preso per il culo. “Che cacchio c’è da ridere?”

L’altro scosse appena la testa, sorridendogli paziente. Oh, quell’espressione la conosceva bene. Sapeva che c’era un margine di possibilità di evitare una punizione adesso!
No. Momento. Fece mente locale. 
Quale punizione? Stai semplicemente segnando il tuo territorio, uomo!
Lo guardò con sguardo cupo, senza sapere di risultare tremendamente imbronciato. “Che cazzo c’è? Non dovresti tenere i regali della tua ex!” Gli tirò un pugno sulla spalla. Stavolta sentì le nocche gemere. Il dannato Lupin aveva dei bicipiti d’acciaio.

Com’è possibile se l’unico sport che fa è il sollevamento delle tazze di the?!
Teddy stavolta reagì. Lo bloccò tra le sue braccia. James lo sentì sussultare appena, visto che aveva la faccia spiaccicata contro il suo collo. Stava ancora ridendo.
“Ma sei scemo?” Sbottò, cercando di divincolarsi. Si accorse, con suo sommo sgomento, che l’altro conosceva una presa praticamente ineludibile.
Stupida Accademia Auror! Io non ci sono ancora andato!
“Jamie, la smetti di tentare di lasciarmi lividi permanenti? Guarda che mi fai male…” Disse, con quel pedante tono paziente. Se solo non avesse avuto quel tono di voce dolce avrebbe dovuto ucciderlo.
“Sì, vedo. Tu e i tuoi inspiegabili bicipiti.” Borbottò, sentendosi piuttosto imbarazzato nel constatare che quella presa si stava trasformando in un abbraccio piacevole. Non era abituato a quel genere di post.
Di solito schizzava via dal letto il più velocemente possibile, dopo. Magari evitava anche la doccia, per risparmiare tempo. Con Teddy non poteva essere così, naturalmente.

“James?” Teddy lo richiamò. Si accorse di essere accoccolato in modo ignobile addosso a lui. Se avesse fatto le fusa non sarebbe stato così strano. Infatti Teddy gli fece un grattino scherzoso sulla nuca.
“Stronzo.” Lo gratificò. “Perché tieni i regali della tua ex?”
“Come stavo cercando di dirti prima che tentassi di rompermi un osso, non è un regalo di Vic. Ma di Fleur.”
“Di sua madre.” Fece una pausa. “Ne sei affascinato?”
“Beh, è una mezza-veela. Se non lo fossi, sarebbe strano…”
“Pensi che sarebbe strano se ti perforassi la carotide coi denti?” Chiese, sentendo la collera montare. Era ridicolo, se ne rendeva nebulosamente conto. Ma era geloso.

Ma non è poi così ridicolo visto che nell’ultima settimana ti sei svegliato tutte le mattine ringraziando un pantheon di entità spiritiche di vario genere perché Teddy ti considera finalmente come un essere degno di interesse sessuale.
Teddy gli diede un colpetto leggero sulla nuca, sciogliendolo dall’abbraccio. “Non capirò mai tutta questa tua animosità verso Vic e il lato francese della tua famiglia. Sono bravissime persone… Certo, Fleur è un po’ egocentrica, ma…”
Teddy.” Sospirò paziente. Con quei suoi grandi occhi dorati Teddy a volte sembrava il ritratto dell’innocenza. O del perfetto coglione. “Non è che li odio perché sono francesi, benché mi facciano schifo dei tizi che mangiano lumache. Ma perché ti hanno rubato.”
Teddy inarcò le sopracciglia. “Rubato?”
James sbuffò, recuperando un minimo di dignità mentre si infilava i pantaloni della divisa. “Victoire. Ha cominciato a piagnucolare appena finita la scuola che voleva tornarsene in Francia. E tu l’hai seguita. Sei stato sei anni in Francia, a farle da valletto.”
“Ero il suo fidanzato.” Replicò, suonando improvvisamente irritato.
James sentì una sensazione spiacevole alla bocca dello stomaco. Ma non ribatté: Teddy aveva passato anni con Victoire, e per quanto potesse pestare i piedi, quel fatto non poteva cambiare.

Ci rifletté.  
Era una svolta niente male: capire che non poteva avere sempre ragione.  
Decise di sfruttare quel suo momento di maturità.
“Scusa. Hai ragione. Però… Cerca di capirmi.” Rettificò subito. “È che funziona così nei rapporti. La persona con cui stai, odia quella con cui stavi prima.”
James soddisfatto constatò come il suo momento maturo era andato a segno, visto che l’altro si sciolse in un sorriso.

“Sì, immagino di sì. Non ho mai avuto molte esperienze.” Ammise. Assunse un’espressione meditabonda. “Non te l’ho mai chiesto, ma…” Prese un’aria imbarazzata.
James capì subito. E sogghignò. “Quante? Io?”
“Immagino che dovrei saperlo…” Mormorò. Evitò il suo sguardo e capì che aveva una voglia matta di saperlo.
“Beh.” Concesse. “È un discorso lungo e complicato. E adesso dobbiamo andare  a cena, professore.”
Teddy corrugò le sopracciglia. Sembrò riflettere molto velocemente. “Sì, lo… No. Aspetta. Quante?”
James rise, avvicinandosi e afferrandogli il mento con una mano. Si specchiò in due iridi avide di risposte. Ora, quello gli piaceva. Gli stampò un bacio sulle labbra. Teddy lo ricambiò immediatamente, e forse fu solo una sua impressione, ma ci sentì il sapore del possesso in quel bacio.

“Senti…” Brontolò, staccandosi. “Non voglio essere, ma…”
“Non significavano nulla.” Lo anticipò, sfregandogli il naso contro la guancia liscia. Sospettava che con i suoi poteri evitasse di farsi crescere la barba. “Tu significhi.”
Teddy sospirò, sfregandogli il palmo della mano sulla testa, dove i riccioli erano ricresciuti e si arruffavano. “James…”
“Sì?”
“Sarà difficile. Lo sai?” Mormorò, staccandosi per guardarlo. “Questa cosa, dico.”

James scrollò le spalle. “Lo so. L’ho sempre saputo. Da prima di te. Ma so anche… che combatterò. Per noi due, intendo.” Borbottò, sentendosi decisamente esposto. “Se dovessi farlo.”
“Non è una guerra.”
“Lo sai che intendo.” 
Teddy sorrise, passandogli un braccio attorno alla vita. “A volte credo tu sia più maturo di me, Jamie…”
James sogghignò, passandogli le braccia attorno al collo. “Ci sei arrivato, eh?”

Per quanto ci provasse, non sarebbe mai diventato alto quanto lui.
Oh, non che gli importasse alla fine.
 
 
****
 
 
Dentro la Foresta Proibita.
Ora di cena.
 
Al si asciugò il sudore che gli si era condensato gelido sulla fronte.
Correva ed inciampava da almeno un paio d’ore. Se avesse trovato una superficie su cui lanciare un incantesimo orario, avrebbe anche potuto capire da quanto era dentro la Foresta.

Il sole era tramontato da un bel pezzo, comunque.
“Fanny…” Inspirò, guardando la fenice posarsi su un ramo. “Fanny, sono stanco. Aspetta…”
La fenice lanciò un verso acuto, quasi lo rimproverasse. Aveva smesso di cantare da un po’. Forse era stanca anche lei.

Faceva freddo: i rami coprivano la poca luce del sole invernale, e con il calare della notte aveva cominciato a spirare un vento che parlava di pioggia e di neve.
Si strinse il mantello addosso, riempiendosi i polmoni di aria gelata.

La fenice spiccò il volo, ma stavolta verso di lui. Fece un passo indietro, non aspettandoselo. Se la ritrovò a pochi centimetri dal viso, mentre si assestava su una delle radici secolari degli alberi, che intricate formavano dislivelli dove era facile inciampare.
Al esitò, poi levò la mano. La fenice non si ritrasse neppure quella volta, facendosi accarezzare le piume morbide. Era calda.

Certo, muore sublimandosi in una gigantesca fiamma…
Non era certo che Fanny sapesse dove si trovava Tom. L’aveva seguita… perché si fidava. O forse perché voleva fidarsi. Voleva trovare Tom, a qualunque costo.
Sapeva che suo padre era stato escluso dalle indagini. Sapeva che gli era stato proibito di entrare ad Hogwarts, e sapeva che adesso aveva le mani legate.

Non aveva neppure risposto alla sua lettera.
Serrò appena le labbra: aveva fiducia di lui, era naturale. Era Tom l’idiota che aveva nascosto tutto a tutti. Ma Harry Potter non era lì. Non era venuto a parlare con lui, aveva lasciato che Smith lo trattasse come un colpevole e…
Sentì un colpetto sulla tempia. Era il becco di Fanny. La guardò: sembrava davvero capire come si sentisse o addirittura cosa pensasse.
Le fenici sono animali leggendari… e si legano difficilmente ad un mago.
“Jamie morirebbe di invidia se ti portassi al Castello…” Ridacchiò.
Alzò lo sguardo. La luna si stava già levando, ne poteva intravedere il chiarore dalle fronde, e probabilmente in Sala Comune era già stata portata la cena.
Chissà se qualcuno si era accorto della sua scomparsa. Ne dubitava.
Hai passato gli ultimi giorni rintanato in camera, se non eri a lezione… direi che hai un buon margine per muoverti…
Non che la cosa gli desse coraggio, né tantomeno tranquillità. Anzi.
Non era un eroe, lui. Stava morendo di freddo, aveva fame ed era spaventato a morte. Solo la presenza di Fanny gli impediva di fare retro-front.
Sentì un rumore improvviso, come qualcosa che fosse stato calpestato violentemente. Legno.
Sobbalzò. La fenice lanciò un grido acuto e con un poderoso colpo d’ali si alzò in volo.
“Fanny!” Gridò, rendendosi conto, con orrore, che non poteva perderla di vista. Era in mezzo alla Foresta e non ricordava assolutamente la strada del ritorno. Le corse dietro mentre la fenice si intravedeva tra il fogliame umbratile. Era buio, troppo buio.
Lumos maxima!” La luce della bacchetta rischiarava una decina di metri oltre i suoi passi, ma per il momento gli bastava per poter vedere il volo della fenice.
Il panico cancellò via tutta la stanchezza, con un colpo di spugna. Si sentiva il respiro bruciare e i polmoni gelati dall’aria che inghiottiva. Ma non importava.
Non doveva perderla di vista.
“Fanny! Fermati!” Urlò sentendosi mancare il fiato. Era troppo stanco per poter correre a lungo. A Quidditch almeno era a cavallo di una scopa, non era goffo, non inciampava sui suoi stessi piedi. James lo prendeva spesso in giro, dicendo che i cercatori in aria erano delle aquile, ma a terra delle papere.
Quando sentì un ostacolo intralciargli i piedi, forse una radice, forse un sasso, pensò stupidamente che James aveva ragione.
Crollò a terra e si sentì trascinare verso il basso, a causa della maledetta forza di gravità.

Era inciampato al limitare di una scarpata.
Sentì il mondo capovolgersi un paio di volte e dei colpi tremendi alla schiena e ai gomiti, prima che la sua rovinosa caduta si fermasse.
Rimase per un attimo a terra, cercando di respirare. Sentiva dolore ovunque, ma era piuttosto certo di avere ancora la testa attaccata al collo.
Non male…  
Con sollievo ritrovò la bacchetta ai suoi piedi, sana.
Si guardò attorno: sembrava finito dentro quello che sembrava il greto secco di un torrente. Doveva essere prosciugato da anni, a giudicare dalla vegetazione che vi cresceva rigogliosa.

Guardò lo spicchio di luna che aveva fatto capolino dalle fronde degli alberi: rischiarava l’ambiente circostante, mostrandogli dolorosamente quanto si fosse addentrato nel bosco.
Di Fanny nessuna traccia.
Si rialzò cautamente: sentiva un dolore lieve alla caviglia, ma una storta non l’avrebbe ucciso.
Doveva mantenere la calma. Se avesse cominciato a piagnucolare e farsi prendere dal panico non sarebbe mai uscito da là dentro.
E non aveva tempo per darsi dello stupido, ad avere seguito un volatile.
Okay… sono dentro una foresta che pullula di creature mortifere. Ma ci sono anche creature buone… i Centauri. Quando non li indisponi. Gli unicorni. I Thestral.
Che probabilmente erano molto prima del punto in cui si trovava.
Deglutì, stringendo con forza la bacchetta tra le dita. Gli mancava un anno alla fine della sua formazione magica. Non era un primino sprovveduto.
Papà ha avuto a che fare con Voldemort e le acromantule qua dentro… Ed era più giovane di me!
Stese un sorrisetto nervoso.
E aveva molta più fortuna di quanto ne abbia tu, Al…
Doveva capire dove si trovava esattamente. Si guardò attorno, e poi vide qualcosa che attirò la sua attenzione. Pochi metri sopra il greto si trovava un accumulo di rocce, in parte franate… e l’entrata.
L’entrata di una grotta.
In sé non era nulla di notevole, le Highlands e quella particolare zona della Scozia ne erano piene. In una di esse si era nascosto per mesi il padrino di suo padre, Sirius Black.
Quello che lo attirò fu il fatto che proveniva luce, da quella grotta. Come se ci fosse qualcuno dentro.
Non un centauro… è troppo stretta. E di certo non qualche bestia come un acromantula, non sanno accendersi un fuoco o usare una bacchetta.  
Risalì il greto, aggrappandosi alle radici che sporgevano, con la bacchetta stretta trai denti. Non l’avrebbe persa mai più.
L’entrata della grotta era stretta, ma grande a sufficienza per farsi passare un essere umano.
Notò anche che era stata scavata: non era naturale. Qualcuno l’aveva allargata, forse con un incantesimo, forse con un piccone.
Era un posto perfetto per nascondersi. O per nascondere qualcuno.
Tese la bacchetta di fronte a sé, entrando. C’era odore di gelo, di terra bagnata… e di fumo.

Qualcuno aveva acceso un fuoco. La luce debole  che vedeva era quella di un falò.
La grotta, all’interno, era molto più grande di quanto non sembrasse: si snodava come l’intestino di una grossa bestia per metri, centinaia di metri. Chilometri, forse. Quando si trovò di fronte ad un bivio, completamente al buio, seppe che non ne sarebbe uscito se non avesse lasciato delle tracce.
Signum.” Mormorò, mentre la bacchetta sputava una macchia di colore opalescente sulla pietra umida. Brillava anche al buio e gli avrebbe indicato la via di ritorno.

Doveva solo seguire l’odore di fumo adesso.
Non aveva tempo per avere paura, per pentirsi. C’era qualcuno lì dentro, e chiunque fosse, era umano. Lo capì quando vide gli stessi segni che aveva lasciato lui, poco dopo aver svoltato l’ennesimo angolo. I segni provenivano da un altro cunicolo.

Forse ci sono più entrate…
L’odore del fumo si fece più penetrante, come la luce. All’ennesimo angolo svoltato, vide improvvisamente la luce filtrare attraverso quella… che sembrava proprio una porta.
Di legno, vecchia, con le assi spaccate in più punti. Ma una porta fatta da mani umane, babbane o meno che fossero.
La tastò con la punta delle dita. Era Era tenuta chiusa da una pesante catena rugginosa. Non c’erano serrature o chiavistelli.
Sembra la porta di un magazzino…
Recido.” Sussurrò a bassa voce. La catena cadde ai suoi piedi, tagliata come se fosse burro. Spinse la porta con una mano, tenendo la bacchetta di fronte a sé.
La stanza era ricavata da un anfratto naturale. Un fuoco, pallido e giallognolo, di sicura fattura magica brillava in un angolo…
E poi lo vide.
Sentì i polmoni comprimersi, e paura, gioia e terrore condensarglisi in una bolla bollente nel petto.
Era Tom.
Era seduto a terra, con la schiena contro la pietra e il viso chinato in avanti. Sembrava addormentato.
“Tom…” Sussurrò, sentendo la voce uscirgli soffocata. “Tom.” Lo chiamò di nuovo.
Non gli rispose. Dormiva o…
Percorse i pochi metri che li separavano, buttandosi in ginocchio di fronte a lui. Gli prese il viso tra le mani.

Era lui. Dimagrito, sporco… aveva il viso gelato. Le ciocche di capelli erano appiccicose, sudate.
“Tom!” Lo chiamò di nuovo.
Ti prego, svegliati. Svegliati…
Lo sentì irrigidirsi sotto le sue dita. Lo sentì respirare.
Merlino… Grazie, Grazie…
Per un attimo la vista gli fu offuscata da un improvviso fiotto di lacrime. Se lo pulì maldestramente, mentre Tom alzava il viso, socchiudendo gli occhi. Erano liquidi, la pupilla si fondeva con l’iride.
Lo guardava senza vederlo.
Gli scostò le ciocche di capelli dal viso, chinandosi su di lui. “Tom… sono io. Sono io, sono Al!”
Premette le labbra contro le sue, piano. Erano ruvide e fredde.

Il bacio funzionò.
“Al…” Disse finalmente, contro la sua bocca. La voce era poco più di un sussurro, come due sassi sfregati l’uno contro l’altro. “Al.” Quando lo ripeté sembrò capire. Gli occhi persero quella patina spenta e lo vide scostarsi per guardarlo. “Al, no… Cosa… che ci fai qui?”
“Ti ho trovato. Sono venuto, per te. Merlino, sei gelato!” Si tolse il mantello, slacciandoselo per metterglielo sulle spalle. “Sta’ tranquillo, ora ti porto via da qui.”
Anche se non aveva idea di come: Tom sembrava stare male. Dopo il sollievo che l’aveva investito come un treno si era subito reso conto delle sue condizioni: era pallido e l’angolo delle labbra era tumefatto, come colpito. Oltre a questo tirava respiri secchi, bassi, come se l’aria facesse fatica ad entrargli nei polmoni.

“Riesci ad alzarti?” Gli chiese. “Devi, dobbiamo uscire di qui…”
Tom lo guardò. C’era qualcosa che non andava in quella situazione. Sembrava troppo… calmo.

“Tom! Mi ascolti?”
“Devi andare… via.” Sussurrò. I suoi occhi sembravano enormi, terrorizzati. Lo realizzò. Era spaventato a morte. Da Doe?
In qualche modo capì che non era Doe il problema. Era spaventato da lui.

Da me? Ma perché?
“Non senza di te!”
“Sono io…” Tossì, e fu come se dovesse spezzarsi in due.

Merda.
“Sei tu cosa?” Gli prese di nuovo il viso tra le mani, accarezzandoglielo. Era come accarezzare una statua di marmo, realizzò. Ma Tom era vivo, lo guardava, respirava. Ce l’avrebbero fatta. “Guardami. Non sono arrivato fin qui per arrendermi. Non ti devi arrendere. È chiaro?”
 
L’imperio…
Non era un incantesimo che dava un unico effetto.
La prima volta aveva perso completamente il controllo del proprio corpo. Riusciva a vedere cosa stava succedendo, ma non riusciva a connettersi sufficientemente alla realtà per capirlo davvero.
Adesso era diverso. Adesso aveva pieno possesso dei suoi sensi.
Aveva sentito la porta aprirsi.
Aveva pensato che fosse Doe, per questo non si era mosso: in ogni caso, se gli avesse ordinato di alzarsi, l’avrebbe fatto anche a costo di sputare sangue dai polmoni.

Sì, l’imperio funzionava in tanti modi.
Poi aveva sentito la sua voce. Per un attimo aveva pensato ad un allucinazione: poteva essere… non era la prima volta che sogno e realtà si confondevano, in quei momenti.
Poi aveva sentito le sue mani sul viso, il fruscio del mantello. Le sue labbra erano caldissime.
Era buffo come certi particolari fossero stampati a fuoco nella sua mente senza che se ne fosse mai reso conto.
E allora aveva capito che era reale. Che Albus era lì.
Il suo Al…
Avrebbe voluto toccarlo, stringerlo. Sentire ancora il calore che sembrava emanare, come fuoco vivo, caldo, bellissimo.

Al che lo stava toccando, che lo stava chiamando.
E non c’era imperio più potente di quello. Aveva dovuto svegliarsi.
Per un attimo aveva sperato. Davvero. Che fosse tutto finito.
Ma poi si era ricordato.
Che idiota…
C’era un solo imperio. E lui era sotto di esso.
 
Al si sentì spinto via. Fu poco più che un tocco al centro del petto, Tom era troppo debole per spingerlo veramente.
“Va’ via.” Ringhiò, sordo come una bestia ferita. “Vattene.”
“Che stai dicendo?” Sussurrò incredulo. “Dobbiamo andare via assieme!”
“Questa situazione… è colpa mia. È troppo tardi. Vattene. Scappa. Sono sotto…”
Al serrò le labbra. “Certo che è colpa tua!” Sbottò. Tom batté le palpebre, per un attimo preso in contropiede. Ne doveva approfittare. “È assolutamente colpa tua, e appena ti sarai rimesso ti prenderò a calci nel culo! Anzi, ti pianto.” Inspirò, afferrandogli un braccio. “… No, non è vero, non lo farei mai.” Rettificò subito. “Ma faremo questo discorso dopo. Doe potrebbe tornare e io non sono in grado di difenderti… Quindi muoviti! Alzati!” Lo spronò, tirandolo.
Tom a quel punto si mosse. Fece una lieve smorfia e un lamento tristemente simile ad un guaito, ma si tirò in piedi.
“Ti fa male da qualche parte?” Si informò preoccupato. “Dove?”
“Ovunque…” Sussurrò, con un sorrisetto storto, che lo fece sussultare quando la ferita vicino alla bocca si tese dolorosamente. “Le ossa…”
“Hai la febbre.” Inspirò. “Non fa niente, Madama Chips ti metterà a posto in un batter d’occhio. Usciremo di qui.” Lo rassicurò, si rassicurò. Non sapeva come portarlo fuori senza essere scoperto. Perché Doe non poteva non aver messo qualche allarme all’imbocco della caverna. “Usciremo di qui e andrà tutto bene.”

Tom gli fece un mezzo sorriso. Gli sfiorò la guancia con le dita. “Sei caldo…” Disse. E poi. “Grazie.”
Al serrò appena le labbra, poi gli restituì il sorriso, cercando di non far tremare la voce. “Se vuoi baciarmi ti avviso che non mi fa una gran voglia… Hai un aspetto orribile.”
Lo vide fare una smorfia appena indispettita, che gli riscaldò il cuore, prima che sgranasse gli occhi. Guardando oltre le sue spalle.

 
“Guarda guarda. Si è intrufolato un topolino…”
 
Al si voltò di scatto.
John Doe stava sullo stipite della porta, con una lanterna in una mano e la bacchetta nell’altra.

Era la prima volta che lo vedeva.
Era il ragazzo biondo descrittogli da Rose. Eppure sapeva che non era un ragazzo. C’era qualcosa in lui di troppo storto, per rientrare nell’adolescenza.
Sogghignò. “Pensavi davvero che saresti riuscito a portarlo fuori di qui?”
“Mi basta liberarmi di te, no?” Ribatté, sentendo la paura strisciargli lungo la schiena.

“In questa stanza non si possono lanciare incantesimi.” Lo avvertì. Sembrava divertito. Sorrideva. “Puoi provarci, eh… Ma sarebbe fiato sprecato.”
“Allora non puoi lanciarli neanche tu.” Inspirò. Non doveva tremargli la mano.

John Doe inarcò le sopracciglia. “Beh. In effetti no. Ma non che mi serva.” Fece un cenno. Solo pochi secondi dopo capì che era rivolto a Tom. “Prendigli la bacchetta. Immobilizzalo.”
Al fu certo di non capire.  Poi sentì la mano gelata di Tom chiudersi attorno al suo polso e strattonare violentemente.
Si sentì afferrato, bloccato, immobilizzato. Perse la presa sulla bacchetta per il dolore e se la sentì sfilare dalle dita.
Cercò di voltarsi. E volle non averlo fatto.
Il viso di Tom era privo di espressione. Come una statua di marmo, immobile.

Imperio…” Mormorò, sentendosi quella parola, orribile, serrargli la gola.
Cercò di divincolarsi, ma la presa di Tom era innaturalmente forte. Aveva paura di fargli male, se avesse cercato di liberarsi.
“Già.” Confermò Doe. “Ma non te ne sei accorto? Ah, scusa… Probabilmente perché gli ho ordinato di tenere il segreto. Sai, giusto in caso.”
Si avvicinò e la luce della lanterna rischiarò i loro volti. Al si voltò verso Tom.
“Tom… ti prego…” Sussurrò. Sapeva che non c’era speranza, che Tom non poteva, semplicemente.

Doe fece una smorfia. “Che ne facciamo di questo topolino, mmh, Tom?” Lo squadrò. “Portalo fuori, intanto… siamo già in ritardo.”
Al si sentì strattonato violentemente. Cercò di pensare a qualche incantesimo non-verbale. Prima di ricordarsi che già normalmente gli riuscivano male…
E poi potresti fare male a Tom. È lui che ti immobilizza.

Guardò con odio Doe, quando fu fuori dall’ambiente a malapena riscaldato della caverna.
Doe piegò le labbra in un sorriso sgradevole, pizzicandosi il mento, come meditabondo. “Che ci faccio con te, topolino? Potrei farti uccidere da Thomas… Ma non ho la minima voglia di aggiungere cadaveri a quest’operazione. E poi puoi tornarmi utile. Perché no?”

“Mio padre ti fermerà!” Sputò, pensando, sperandolo.
Papà. Dove sei? Maledizione!
Doe sogghignò. “Oh, lo spero proprio. Ma intanto vediamo di chiuderti la bocca. Stupeficium.
 
 
****
 
 
Hogwarts, Sala Grande.


James entrò in Sala Grande sentendo lo stomaco brontolare vivacemente. Fece un cenno ai gemelli Scamandro e a Bobby Jordan, ma non si fermò. Doveva monitorare la situazione del clan Potter-Weasley.
Si avvicinò al tavolo dove di solito Rose e Lily sedevano; la cugina sembrava come al solito concentrata in un’arringa contro qualcosa, o qualcuno. Malfoy l’ascoltava paziente. Doveva essere iniziata da poco, perché non era già scattato a risolverle il problema.
È incredibile vedere come l’adora. Ma che ci troverà in lei?
Si sedette accanto alla sorella, persa nella contemplazione della propria manicure.
“Dici che il rosso ciliegia mi dona?” Gli chiese con aria corrucciata.
“Merlino, Lils, non ne ho idea.” Sbuffò esasperato. “Mi vedi girare con le unghie dipinte?”
“Ti donerebbero.” Replicò prima di tornare a sorseggiare il proprio succo di zucca. Prima però gli fece scivolare lo sguardo addosso. E sogghignò.

Lily era… la sua adoratissima sorellina, ma spesso si chiedeva quanto fosse davvero adorabile: a volte era  inquietante.
Sembra sempre leggermi nei pensieri… Quando ne faccio di turpi però.
“Qual è il problema di Rosie?” Chiese, per stornare l’attenzione da lui. “Che ha da protestare?”
Lily perse il sorriso, scrollando le spalle. “Si tratta di Al. Non è venuto a cena, neanche stasera.”

James fece una smorfia: Al… era rimasto ligio a ciò che ci si aspettava da un bravo bambino come lui, rimanendosene in disparte ad attendere gli sviluppi.
Ma persino un idiota si sarebbe accorto che aveva in faccia uno sguardo tremendo.
Solo bravo chi capisce a che diavolo pensa…
Si rivolse a Rose, che in quel momento sacramentava sull’ubicazione del suddetto. “Se volete sapere dove sta, perché non lo chiedete ai suoi amici serpeverde?” Indicò con un cenno della testa Zabini e Nott, ai propri posti mentre consumavano la cena.
Rose serrò le labbra, esitando. “Beh…”
“Potter ha ragione.” Replicò Scorpius, lanciandogli un’occhiata grata. “Loro lo sanno di sicuro.”
James lanciò un’occhiata a Rose. Sembrava stanca. Era una brava ragazza, rifletté, e anche se era certo che non reputasse Thomas innocente come un agnellino, era angosciata per come stava reagendo Al.

Non avrebbe retto una diatriba con dei serpeverde carognosi, no.
“Ci vado io a chiederglielo.” Si offrì, alzandosi in piedi. “E se non mi rispondono li sbatto come tappeti.”
Jamie!
“Vado io con lui.” La rassicurò Scorpius. “Torneremo vincitori, pantofolina.”

Quando giunsero di fronte ai due serpeverde, James ebbe la spiacevole sensazione che non gli avrebbero detto un bel niente. Zabini sembrava aver ingoiato un limone marcito, da come lo guardò.
Non mi guardavi così quando ti scopavo però, eh?
Suppose dovesse essere la faccia da utilizzare nelle occasioni pubbliche. O forse era ancora un po’ irritato per essere stato scaricato senza diritto di replica.
Forse.
“Salve ragazzi.” Sorrise amabile Scorpius. “Ci chiedevamo se potevate darci una mano.”
Loki alzò lo sguardo dal proprio piatto, dove divorava voracemente – ma con un certo bon-ton – una coscia di agnello arrosto. “Quanto?” Chiese con un sogghigno sgradevolissimo.

E Albie è amico di questi due imbecilli?
“Si tratta di Al.” Replicò Malfoy, senza scomporre il proprio sorriso.
James sentì a pelle che ci fu un mutamento nell’atmosfera. Impercettibile, certo, ma ci fu: da ostili divennero ancora più ostili e protettivi.
“E allora?” Chiese Zabini, tamponandosi le labbra con il tovagliolo. “Non ditemi che non riuscite a parlarci… pare che sia una condizione comune ai membri della sua famiglia.” Ironizzò.
Ehi, coglioni, è mio fratello!
Fece per scattare, ma Scorpius lo fermò con una mano, senza neanche guardarlo.
Possibile che tutti sappiano quando ho intenzione di strapazzare un idiota?!
“Siamo tutti preoccupati per la stessa persona mi sembra. Che senso ha farci la guerra?” Obbiettò ragionevole.
“Chiedilo a Potter.” Ribatté Zabini, scoccandogli uno sguardo disgustato. Non l’aveva mai guardato così.

Ha il dente avvelenato o cosa?
“Voglio solo sapere se mio fratello sta bene.” Sbottò, ingoiando l’impulso di tirare una testata a quel cretino. Che avessero fatto sesso per quasi tre mesi non era rilevante. Non gli piaceva neanche quando se lo portava a letto, dopotutto.
Zabini capitolò, finalmente. “È nella nostra Casa. Ma non vi daremo la parola d’ordine. Chiamatele misure di sicurezza. O semplice buonsenso.” Soggiunse, scoccando un sorriso lievemente meno ostile a Scorpius, che ricambiò.
“Non è là.”
La voce di Nott, notò James, era perennemente velata da una sorta di monotonia. Solo la sua espressione, furba e calcolatrice, stemperava il fatto che non fosse granché espressivo.

Stavolta però non sorrideva. Gli occhi bicolori, così inquietanti, trafissero Zabini.
“Che vuol dire che non è là? E dove dovrebbe essere?” Chiese l’altro serpeverde, perdendo per un attimo l’aria di aristocratica noia che lo contraddistingueva.
“Non ne ho idea. Ci sono passato prima, per prendere delle cose, e non era nella nostra stanza. Né in Sala Comune.”

“Che cazzo significa?” Sbottò James guardandoli. “Allora dov’è?”
Scorpius serrò le labbra, guardando oltre il grosso finestrone dietro il tavolo dei professori.
“È meglio chiamare i professori, Potter. Credo che il tuo fratellino si sia appena cacciato nei guai.”
 
****
 
Londra, Ministero della Magia.
Dipartimento di Applicazione della Legge sulla Magia.
Secondo piano.
 
 
“Beh, il ragazzo è nato morto. E adesso è vivo.” Scott fece una pausa sgradevole. “È la chiave.”
 
 
Harry batté più volte le palpebre, cercando di ricollegare quella frase a qualcosa di sensato.
Smith, accanto a lui, si mosse a disagio sulla sedia. “Che diavolo significa che è la chiave? Vogliono rubare i Doni della Morte, fin qui ci siamo arrivati… Si vogliono servire del ragazzo? E per quale motivo?”
Ethan Scott schioccò la lingua. “Thomas è stato usato come cavia… La Thule faceva esperimenti su esseri umani. Alchimia avanzata, Magia Oscura, molto potente… Thomas è nato morto, secondo le nostre informazioni, ma…”
“Ma adesso è vivo. Come hanno fatto a riportarlo in vita? Non si può, è una legge di natura.” Obbiettò con forza Harry: Era una delle poche certezze che aveva nella vita. I suoi genitori, i suoi amici, per quanto avesse avuto tra le mani oggetti potentissimi e fosse stato la nemesi di un uomo che aveva cercato l’immortalità, non potevano tornare dalla morte.

L’agente Scott esitò. Sembrava seriamente combattuto. “Quello che sto per dirvi sono informazioni confidenziali. Non dovranno uscire da questo ufficio.”
Smith fece una smorfia, ma fu tacitato da un’occhiata imperiosa della propria Direttrice.

“Parli, Scott.” Gli intimò.
L’agente incrociò le braccia al petto. “L’essere umano è composto da corpo e anima. È un assioma che persino i babbani riconoscono. Riportare in vita un’anima significa dare vita, respiro ad un corpo. Non a caso anima significa soffio, respiro, in latino.”
“Taglia corto.” Sbottò Smith nervoso. Lanciò un’occhiata ad Harry.
Per un attimo Harry pensò di essere salito nella sua scala di simpatia. Tra lui e quell’agente americano, sicuramente il Tiratore preferiva lui.

“Il ragazzo che chiamate Thomas Dursley è stato usato come cavia per una metempsicosi forzata. Una trasmigrazione dell’anima, se così si può dire.”
“Reincarnazione.” Spiegò la Direttrice. “Forzata? Nel senso che l’anima di qualcuno è stata fatta entrare nel corpo del ragazzo?.”
“Il corpo del figlio di Hohenheim.” Obbiettò l’americano. “Alla nascita il legame tra anima e corpo è labile. Il corpo è innocente, puro. I neonati infatti sono spesso usati come…”
“Non voglio saperlo.” Sbottò Smith. “Chi è l’anima che ha posseduto quel corpo?”
“Sappiamo da fonti certe che si tratta di…”
“Voldemort.” Lo anticipò Harry, mentre si sentiva in bocca un sapore ferroso, amaro. Aveva voglia di alzarsi e piantarla con quella teatrale chiacchierata.

Scott gli lanciò uno sguardo attento. Poi, semplicemente, annuì.
Merlino, Tom…

In fondo l’aveva sempre saputo. Da quando Coleridge, prima di essere divorato dalle fiamme dell’ardemonio gli aveva detto che sarebbe risorto. Da quando si era reso conto di come Tom fosse troppo spesso simile al ricordo che aveva scorto nel pensatoio di Silente.
Eppure non era Voldemort.
Non era Voldemort il bambino con cui aveva giocato, che aveva portato in moto con sé. Non era Voldemort il ragazzino che gli aveva confessato a mezza voce quanto avesse bisogno di conoscere il suo passato. Non era Voldemort il ragazzo che aveva sofferto mostruosamente in quei mesi perché lui non era stato capace di capirlo.
“Possedere l’anima di Voldemort non fa di lui Voldemort.” Sbottò dopo che la notizia aveva lasciato un silenzio sgomento nell’uditorio.
Scott scrollò le spalle. “Naturalmente… Non è Voldemort. Ma ha un legame con lei, Signor Potter.”
“La parte dell’anima di Voldemort che era dentro di me è morta.” Replicò. Eppure come controbattere? Lui stesso, da quando l’aveva salvato, da quando l’aveva preso in braccio aveva percepito un legame tra di loro.

Era quel legame il motivo per cui non l’aveva lasciato alle cure impersonali del Mondo Magico.
Ma non era più il motivo per cui lo amava come un figlio. Thomas, Tom… era semplicemente Tom. Il suo figlioccio.
Questo era certo.

L’americano scosse la testa. “Signor Potter, l’anima non può morire. È immortale, per sua stessa definizione. Può essere lacerata, frammentata… minata. Ma non può semplicemente scomparire. Rimane sempre una traccia, ovunque essa abbia abitato, forzatamente o meno.” Lanciò un’occhiata alla sua cicatrice, esile, eppure ancora visibile. “La sua cicatrice non è mai scomparsa completamente, non è vero?” E vi gettò un’occhiata.
Harry non rispose. Non doveva certo spiegazioni su un fenomeno che lui stesso non aveva mai compreso a pieno. Pose invece una domanda. “Per questo motivo hanno usato Tom come…”
“Come contenitore, sì.” Scott lo fermò con un cenno della mano. “Può non piacerle la definizione, ma a conti fatti è ciò che è stato. Era la scelta perfetta. Appena nato, con una potente forza magica dovuta alla sua Casata.”
“Quindi lei mi sta dicendo che vogliono usarlo per battermi e possedere i Doni della Morte?”
“Ne hanno già due.” Serrò la mascella Zacharias. “Il Mantello e la Pietra. Manca solo…”
“La bacchetta.” Sembrava che a Scott piacesse interromperli. O forse, a giudicare dalle spalle contratte e l’espressione tesa, sperava di poter concludere velocemente la conversazione. “Possedere i Doni della Morte. È questo ciò pensiamo voglia Hohenheim. E la Bacchetta di Sambuco sarà la sua ultima conquista se non lo fermiamo.”
“Allora non ha capito il suo vero utilizzo. È una bacchetta potente, ma maledetta.” Serrò le labbra Harry. “Io stesso non la uso. Ha portato solo morte. Il suo possessore non è affatto invincibile. Anzi.”
Evitò di dire che sarebbe bastato disarmarlo per poterla avere. Era molto più semplice far credere alla gente che avrebbero dovuto ucciderlo.

Uccidere e disarmare sono due cose completamente diverse.
‘Si deve avere tutt’altro tipo di coraggio per porre fine alla vita di una persona. Meglio che il segreto della Bacchetta rimanga tale…’ 
Era stata un’idea di Hermione, a suo tempo. E lui l’aveva sempre sposata in pieno.
“È ininfluente. I Doni sono ciò che vogliono la Thule e Hohenheim.”
“Potranno avere i primi due doni, ma il luogo in cui è custodita la bacchetta è sicuro.”
“C’è un entrata?” Chiese Scott. “Esiste un’entrata alla tomba di Albus Silente?”
Cadde un silenzio pesante. Smith serrò le labbra, guardando la Direttrice, mentre quella guardò Harry.

Scott sembrò capire al volo quel gioco di sguardi, perché si rivolse direttamente a lui. “Sappiamo dov’è nascosta… L’agente Zimmermann ne aveva scoperto l’ubicazione. È nascosta nel Mausoleo di Albus Silente. Quello che ci chiediamo… c’è un entrata?”
“Se sapete che è lì…” Mormorò Harry. “Non sapete che c’è un entrata?”
E poi capì. Ricollegò improvvisamente un elemento che fino a quel momento era rimasto fuori dall’equazione di John Doe. Il Grimorio. Ziel, o Zimmermann che fosse aveva scoperto dove e come era custodita la Bacchetta. E l’aveva scritto nel suo grimorio.

Che Doe ha rubato… che ha Doe.
Si alzò di scatto e afferrò l’agente americano per il bavero del mantello.
Potter!” Esclamò la direttrice Jones, alzandosi in piedi. “Cosa diavolo…” Si lasciò sfuggire.
“Avete scritto dove abbiamo nascosto la Bacchetta?” Sibilò a pochi centimetri dalla faccia sgomenta dell’uomo. “Il vostro agente ha lasciato una traccia scritta!?”
“Il Grimorio era al sicuro, l’agente Hardcastle doveva recuperarlo!” Scott sembrò improvvisamente a disagio. Era un errore tremendo, plateale, che evidentemente fino a quel momento aveva cercato di tenere nascosto. “Sappiamo che è stata una leggerezza…”
Leggerezza?” Sbottò Smith, saltando in piedi incredulo. “L’intero mondo magico britannico ha protetto questo segreto per anni! Ed arrivate voi americani e lo scrivete su un pezzo di carta?” 

“Su un grimorio. Che è stato rubato.” Continuò Harry con la mascella serrata. “Il furto nell’ufficio del Professor Lupin… Cercavano quello. Non era per la sua biblioteca.”
“Dannazione.” Sbottò Smith. “Dannazione!”

“Doe sta andando là?” Chiese Harry. “Voi lo sapevate e stiamo qui a chiacchierare?”
“Non siamo certi che conosca il modo per entrare!” Esitò Scott. “Che sappia dov’è l’entrata…”
La Direttrice a quel punto si schiarì la voce. “Smith. Allerti i suoi agenti. Circondi il perimetro dell’entrata. Chi è a conoscenza della sua ubicazione?”
“Il Preside. Io. Gente fidata.” Mormorò Harry. “Ma nessuno oltre a noi doveva sapere che la bacchetta era nella tomba!” Ringhiò, lasciando di colpo Scott, che si aggiustò il mantello, tirandosi in piedi piuttosto scombussolato.

“Voglio mettervi a disposizione i miei uomini.” Trovò la forza di dire. “Possiamo esservi utili.”
“Oppure volete prendervi il merito dell’eventuale cattura di John Doe.” Replicò il Tiratore, sarcastico.

“Il caso è sotto…” Iniziò l’americano.
“Il caso da questo momento è sotto la giurisdizione del Ministero della Magia inglese.” Lo interruppe la Direttrice, con un tono che ad Harry ricordò la McGrannit. “Stiamo parlando del rapimento di un mago minorenne inglese, su suolo inglese.  L’indagine appartiene al mio Dipartimento.” Fece una pausa, solo per sbattere una mano sulla scrivania, con violenza. Harry ricordò come quasi trent’anni prima fosse stata sensibile alla sua giovane età e al modo in cui era stato trattato dai Dursley. “Voi americani avete già fatto troppi danni e per colpa vostra un ragazzo sta rischiando la vita. Smith, vada. Adesso.” Ripeté. Poi trafisse con lo sguardo l’agente americano, che ancora esitava. “Ha bisogno che le indichi l’uscita, agente Scott?”
Quello serrò le labbra in una smorfia, ma sembrò capire l’antifona. “Avrete notizie dal mio governo.” disse semplicemente, prima di fare un leggero inchino e andarsene.
Harry non poté fare a meno di lanciarle uno sguardo ammirato. 

Smith intanto uscì senza obbiettare, ben felice di poter troncare i discorsi e tornare ad essere operativo.
Fece per seguirlo, quando la donna lo richiamò. “Potter. Dove crede di andare?”
La guardò attonito, serrando la mascella e sforzandosi di usare un tono cortese. “Con Smith, mi pare ovvio.”
“Crede che sia opportuno, considerando che l’agente Scott ha appena detto che il bersaglio di Doe è lei?”
“Si tratta del mio figliastro, Hestia.” Ribatté, contraendo e decontraendo i pugni. Doveva calmarsi, non aveva senso fare una scenata, rischiando, oltre che una sanzione disciplinare, di essere sbattuto nelle celle del Ministero. “Devo essere lì.”
La donna lo guardò quietamente. “Harry… come le ho già detto una volta, lei è convinto che il mondo intero sia sulle sue spalle. Non solo, che possa essere l’unico uomo della situazione. Ma non è così. Zacharias Smith è un ottimo agente. Uno dei migliori Tiratori. Può non piacerle, ma ha a cuore la salute del giovane Dursley quanto lei.”
“Questo ne dubito.”
“Non è un mio problema.” Replicò dura. “Lei resterà qui. È il bersaglio e la situazione è già abbastanza critica senza che lei si faccia uccidere.” Fece una pausa, inchiodando gli occhi nei suoi. “Questo è un ordine, agente Potter.”
Harry inspirò bruscamente, ma capitolò. Per quanto il suo intero essere si ribellasse all’idea di non essere lì, per prendere quel maledetto bastardo e fargli sputare l’anima a furia di cruciatus, sapeva bene, in fondo, che la donna aveva ragione.

Se venissi disarmato la Bacchetta non sarebbe più mia. Si scatenerebbe una nuova infernale spirale di omicidi… Gregorovich, Grindenwald, Silente, Piton…
Troppi hanno pagato. Troppi.
Non Tom. Non anche lui.
“Sissignora.” Si scollò dal palato, chinando la testa.
La donna fece un secco cenno di approvazione. “Adesso devo chiederle di andarsene. Torni all’ufficio auror e resti lì. In attesa di ordini.” Fece scivolare lo sguardo alla vetrata, da cui si vedeva la piazza principale del Ministero e la gigantesca fontana. “Io devo mandare alcuni Gufi. Questa situazione è stata gestita in modo intollerabile. Il ministro dovrà sapere.”

Harry fece un cenno di commiato, uscendo. Doveva esserle grato per avergli dato la possibilità di assistere a quella conversazione.  
Essere il Salvatore dà ancora i suoi frutti…
Quando le porte meccaniche dell’ascensore lo risputarono nella piazza principale, il desiderio di prendere uno dei camini e arrivare ad Hogwarts fu talmente forte che dovette metterlo a tacere con violenza.
Tom…
Era colpa sua se il ragazzo era in quella situazione. Per lui, per batterlo e prendere i Doni avevano…
Serrò le labbra.

Lo hanno creato.
Era orribile pensare che Tom era tornato in vita per soddisfare il bisogno di onnipotenza di suo padre. Che era stato rapito da un pazzo che non aveva salvato lui, ma il ricordo del suo signore, di Voldemort.
Fece una smorfia amara.
Che ironia… senza saperlo Robin gli ha dato il suo stesso nome.
Ma era diverso. Non c’era nulla, tranne qualche inclinazione caratteriale o qualche tratto somatico ad accomunare Tom Riddle con Thomas Dursley.
Se la sua anima era parte di quella cosa che aveva visto alla stazione di King’s Cross… no, decise che non gli importava.
Si diresse verso l’ufficio, notando con la coda dell’occhio come le persone gli facessero largo naturalmente. Doveva avere una faccia tremenda.
Quando fece per infilarsi nel corridoio che l’avrebbe portato al suo ufficio, si sentì afferrare un braccio al volo. Si violentò per non scattare; sentiva i nervi a fior di pelle.
“Harry!” Esclamò Ron. Aveva il viso stravolto e inghiottiva aria ad ampie boccate. Accanto a lui, c’era Hermione. Erano entrambi in abiti di casa: Ron era in borghese e Hermione era priva di uno dei suoi tailleur. “Finalmente ti abbiamo trovato! Ti abbiamo cercato per tutto il Dipartimento, credo persino di stare per avere un infarto!”
“Sono appena andato via dall’ufficio della Direttrice.” Spiegò, corrugando le sopracciglia confuso: l’espressione di Ron era stravolta. Troppo, persino per i suoi canoni. Hermione invece aveva un’aria angosciata, tormentata.

Maledizione. Cosa adesso?
“Che succede?”
Hermione inspirò, porgendogli una lettera spiegazzata. Non portava nessun sigillo, e sembrava contenere qualcosa.
“Harry, io…” Non fece in tempo a finire la frase, che l’uomo gliela strappò dalle mani, rovesciandola per guardarne il contenuto. Era una ciocca di capelli.
Sentì un brivido gelido ghiacciargli la nuca.
Era una ciocca di capelli castano scuro. Piuttosto lunghi, non rasati come quelli di James…
Merlino, no. No. No.
 
 
Ho i tuoi bambini, Padrone della Morte.
Facciamo uno scambio?
 
 
“Harry, non prendere iniziative avventate. Ti hanno detto di starne fuori, vero?” Hermione gli afferrò un braccio, stringendolo. “Harry, ti prego.”
Harry non scollò gli occhi da quella frase, scritta in una grafia quasi elegante.
“… Non è un bluff, non è così? Non mi stai dicendo che potrebbe essere un bluff, Hermione.”
La donna guardò il marito, come a cercare aiuto. Ron si morse un labbro.

“È arrivata una lettera di Teddy in ufficio, Harry. Me l’ha portata Stump. Albus… Albus è sparito. Non è più al castello.”
Benché l’atrio centrale del Ministero fosse pieno di gente, voci e suoni, attorno a loro sembrò formarsi una cappa di silenzio.
“Lasciami Hermione.” Sussurrò, mentre sentiva che ormai non c’era più niente, né carriera né ordini che potessero fermarlo. “Ha mio figlio.”
“Harry, non puoi…”
Adesso.” Ringhiò, piantandole gli occhi nei suoi. La donna lasciò immediatamente la presa, indietreggiando istintivamente verso il marito. Ron le prese delicatamente le spalle.

“Non ti fermeremo.” Disse serio. “Lascia solo che venga con te, mentre Hermione va da Gin. Non puoi andare da solo.”
“Lui vuole me.”
“Anche Voldemort. Sei mai rimasto solo?” Chiese il rosso, serio. “Verrò con te. Nessuna storia, amico. Stiamo parlando anche della mia famiglia.”

Harry non rispose. Voltò loro le spalle, incamminandosi verso uno dei camini. Sentì i passi di Ron dietro di sé, e come sempre, anche dopo tanti anni, fu il solo suono che gli impedì di impazzire.
 
 
****
 
Note:
Conto alla rovescia!
Prometto che i capitoli angosciosi finiranno con il prossimo. O al massimo quello dopo. Dipende se volete un capitolo risolutivo di cinquanta pagine o due comodi capitolini. ;)
Fidatevi di me, di Harry e del piccolo Albie.

*Scappa dalla finestra*
 
1. Qui la canzone.
 
Anche a questo capitolo sono stata onorata di meravigliose fan-art. Le amo profondamente tutte quante, quindi dateci un occhio. ;)
Family Portrait di Elezar81.
Our Moment (Scorpius/Rose)
Teddy Lupin
The Potter Kids di Iksia.

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Capitolo 51
*** Capitolo XLVI ***


Un grazie speciale alle ragazze che mi hanno recensito! Siete state fa-vo-lo-se!
@Chiara96: Grazie mille! ^^ Non preoccuparti se non mi hai lasciato una recensione, l’hai fatto adesso! XD Wow, addirittura 50 capitoli interi, ti devo un sacco! Appena ho un momento giuro che leggo anche la tua!

@Nicky_Iron: Sì, so di fare ritardo, ma sai… gli esami :/ Ehehe, sì, devo ammettere che devo molto a voi recensori. Mi fare capire le varie incongruenze della storia, e vi sono davvero grata per questo! Non preoccuparti, ci sarà una seconda parte!
@Aga: Grazie mille! Eh, beh, vedrai come risolverà la situazione Albie… incasinandola XD Mi dispiace, ma purtroppo causa studio non ce l’ho fatta a scrivere tutto qui. Buone vacanze!
ElseW: Grazie mille! E bentornata! Ahaha, ma davvero? Beh, grazie, Tom essendo un personaggio originale se riesce a far diventare Al monogamo… Wow! XD Vero, sono d’accordo. Jamie è perfetto per gli amori proibiti! XD Grazie per i complimenti alla Scorpius/Rose, mi fa piacere vedere che sono riuscita a rendere qualcosa di originale. Grazie grazie! ^^
@Aliena: Ciao! Vero, Harry senza Ron… XD Remus è molto Teddy e viceversa. Beh, padre e figlio!
@Pheeny: Grazie! Coraggio, continua a seguirmi, vedrai che ci sarà un happy end!
@Trixina: Wow,che mega recensione! Grazie mille per i complimenti, li riferirò alle fan-artist! ;) Anche io adoro i manga, vengo da lì come formazione! XD Sì, ci sarà un seguito! ;) I flash sui capitoli, quelli tranquilli, mi servono per staccare. Ne ho bisogno anche io. Sul rapporto Ted  e Victoire ho intenzione di fare qualcosa nella seconda parte. Sulla seconda parte sì, forse è un po’ semplicistico, ma ho usato la classica soluzione alla Rowling. Forse non è un granchè, ma ehm… ^^’’ Spero di essere un po migliorata qui. Harry io lo adoro, e grazie quindi per i complimenti!
@Simomart: Wow, grazie per la mega recensione! Sì, volevo un Harry più maturo, e mi fa piacere che tu l’abbia notato ;) Grazie mille… c’ho pensato molto per la Thule e sapere che la trovi ‘azzeccata’ come scelta non può che farmi piacerissimo! E’ anche bellissima la tua riflessione sull’immortalità e l’amore. Grazie, grazie. Sì, penso che la seconda parte comincerà poco dopo, esami permettendo.
@Altovoltaggio: Mi fa piacere che ora trovi più credibile la Ted/James. Ci ho messo molto per svilluparli, quindi mi fa davvero piacere. Vero, tutti omosessuali torna poco, ma di base questa è una fic slash :P Sul rapporto Rose/Scorpius invece dovrò svillupparlo di più, lo so. E grazie per avermelo fatto notare, era una cosa che avevo notato anche io. Ci sarà spazio anche per loro nella seconda parte. Sono stati un po’ messi da parte qui per esigenze di trama. ;/ Oh, e io adoro i Muse! L’8 giugno sarò in prima fila! XD E la canzone secondo me era perfetta. xD
@Sophie: Mi fa molto piacere che tu abbia sottolineato il fatto che tra Ted e James è una cosa graduale. Perché è nata così XD Perfetto quindi! Davvero ti piace Doe? Allora forse lo farò vivere, dai xD
Harry l’ho fatto cresciuto, e mi fa piacere vedere che si nota.
Grazie. Ron e Harry sono amici di lunga data. Gliela dovevo. ;) Grazie mille per la recensione!
 
****
 
 
Capitolo XLVI


 
 
 
 
I've got to, that's the whole thing.
("High Noon", 1952)
 
 
Hogsmeade. Dopocena.
 
“La volete fare finita di agitarti? Mi stai facendo venire il torcicollo!”
Rose cercò di spingere via la mole muscolosa del cugino, spiaccicata contro la sua schiena.

Erano nascosti dietro i Tre Manici di Scopa, impilati praticamente l’uno sull’altro dietro la rimessa delle scope.
Il motivo per cui erano lì, e non nella loro Sala Comune ad aspettare notizie, era perché James aveva visto Teddy uscire dal Castello, diretto verso Hogsmeade.

C’era di mezzo Albus, persino un tonto come lui l’aveva capito subito.
Così si era precipitato per seguirlo, ed era stato intercettato da Scorpius. Dopo qualche tentennamento, il maggiore dei Potter aveva confessato le sue intenzioni, esaltando anche l’altro: Rose a volte si chiedeva come fosse possibile che si fossero odiati tutto quel tempo quando era evidente che si adoravano follemente a vicenda.  
Forse perché sono troppo simili…
Teddy aveva usato il passaggio della Strega Orba, probabilmente per fare prima, e James e Scorpius l’avevano seguito a distanza di pochi minuti. Lei era andata loro dietro.
“Ehi, non vedi che la mia signora sta scomoda?” Scorpius tirò un colpetto a James per farlo spostare. Poi una spinta. “Scomoda!”
James le franò sulla spalla, soffocando un’imprecazione. “Malfoy, giuro che ti affatturo!” Sbottò indispettito.
“Io giuro che schianto entrambi se non la fate finita di ballare la quadriglia!” Li redarguì, allungando il collo. 

“Io lo facevo per te, fiorellino.” Si adombrò Scorpius. “Comunque… Vedi qualcosa?”
“A parte un ubriaco steso sul selciato… no. Non sta uscendo nessuno dal pub.”
La visuale era ottima, rifletté Rose. Peccato che, a parte Teddy, non sapessero chi diavolo c’era dentro la locanda.
Lo scampanellio allegro della porta la fece sobbalzare. “Tutti indietro!”
A dispetto dell’allegro motivetto appena suonato, chi uscì aveva l’aria tutt’altro che allegra. Era suo zio Harry, Ted… e suo padre.

Miseriaccia. La cavalleria… Allora Al è stato davvero…
Inspirò, deglutendo una boccata d’aria fredda. Il cielo si era sgombrato dalle nubi e uno spicchio di luna giallognola illuminava esattamente l’entrata e le tre figure.
Ted aveva i capelli color verde elettrico, un pugno nell’occhio anche a quella distanza.

Ansia?
Guardò James, in una muta domanda.
“Si è appena preso una partaccia, mi sa…” Borbottò il ragazzo.
Ted si passò una mano trai capelli, continuando un discorso evidentemente già iniziato dentro la locanda.  “L’entrata per la tomba di Silente… pensavo non ci fosse modo per entrare.”
“Dopo che Tu-Sai…” Ron sospirò. “Dopo che Voldemort ha profanato il corpo di Silente la prima volta si è pensato di mettere la tomba in un luogo più sicuro. La bacchetta è nascosta lì.” Lanciò uno sguardo ad Harry che era rimasto in silenzio. “È sotto il lago nero, in una grotta sotterranea… ma per portarci le spoglie di Silente… beh, bisognava prima arrivarci. L’entrata è stata creata allora. Ci sono delle barriere protettive.” Si grattò una guancia, con una smorfia. “Ma le barriere possono essere disattivate. E quel bastardo sembra essere in possesso di informazioni di questo genere…”

“E come le ha avute?” Il tono di Ted era sgomento. “… la professoressa Prynn?”
“No. Il grimorio.” Ron lanciò uno sguardo all’interno della locanda. Poi abbassò la voce. Li sentirono comunque. “Il grimorio che ti è stato rubato.”
Ted serrò le labbra, senza replicare. L’espressione parlava da sola. “Credete che Doe sia andato là? Alla tomba?”
È andato là.” Tagliò corto Harry. “Ted, dovevi occuparti dei ragazzi… Ma soprattutto dovevi sorvegliare Al.”
“Harry… Mi dispiace.” La faccia del giovane Lupin la diceva lunga su quanto si stesse tormentando per quello. Harry e suo padre dovevano essere arrivati da poco, rifletté Rose: avevano ancora i segni della metropolvere addosso. “Pensavamo fosse nei suoi dormitori.”
“Pensare non è avere la certezza, Ted.” Anche da quella distanza Rose notò come suo zio sembrasse a dir poco furioso. Si sentì dispiaciuta per Ted, e in colpa.

Se solo fossi andata a vedere come stava invece di farmi cacciare via dai suoi compagni…
Se solo non l’avessi asfissiato chiedendogli continuamente come stava e avessi fatto invece qualcosa per farlo confidare…
Si morse le labbra: si proclamava sua migliore amica, ma non era riuscita a rendersi conto che Al aveva davvero intenzione di andare a cercare Thomas.
Lanciò poi uno sguardo a James. Era livido e non era certa che fosse per il freddo.

Oddio, non vorrà prendere le difese di Teddy! No, eh!
Lo afferrò per un braccio. “Dove credi di andare?!” Gli sibilò.
“Non è colpa di Teddy!” Sbottò a bassa voce. “L’ho tenuto impegnato io!”
Scorpius assunse un’espressione ilare, reprimendo una risatina con un grugnito.
Rose inspirò. Persino in certi frangenti quei due riuscivano ad essere due idioti chiassosi.

“Se ci scoprono finiremo in punizione per un milione di anni!” Gli diede una botta sul petto. “Che senso avrebbe?” 
 
“Ragazzi?”

Rose inspirò, chiudendo gli occhi, quando sentì la voce sconcertata di suo padre alle spalle.

Ovvio, aveva urlato per richiamare all’ordine il cugino.
Si voltò, sentendosi rossa, imbarazzata e stupida.
James si schiarì la voce.

Harry lanciò loro uno sguardo complessivo. Non sembrava contento, ma neppure particolarmente sorpreso di trovarli lì.
Scorpius si passò una mano sulla nuca, restando – Rose non lo ringraziò mai abbastanza – in silenzio per una volta.
Teddy impallidì ancora di più se possibile. Rose fu certa di vedergli a lettere cubitali ‘Sono un Professore Fallito’ stampato in fronte.
No, siamo noi che siamo degli studenti infernali, Ted…
“Non è colpa di Ted!” Sbottò James, minimamente preoccupato dall’essere fuori dalle mura di Hogwarts e probabilmente in dirittura di una punizione colossale. “È un professore, non la balia di Al!”
“Jamie…” Tentò Ted, sembrando incredibilmente sulle spine. “Va tutto bene, non…”
“Se pensavi che Al avesse intenzione di fare una cazzata, perché non gli hai parlato tu papà?” Lo accusò apertamente. “Al ha deciso da solo di andare a cercare Tom! Non è colpa di nessuno! Non capisci che non siamo più mocciosi? Che le scelte che facciamo, le prendiamo da soli?”
Compresa la scelta di fare una stronzata colossale, sapendolo.

Albie è quello intelligente di noi. Lo sapeva. E l’ha fatto comunque.
Cazzo, Al. Sei un idiota.
Harry sostenne lo sguardo del figlio per un lungo momento. Sembrò quasi capire quello che stava pensando. Fece un sospiro. “Hai ragione James. Credo di aver esagerato stavolta.”
James batté le palpebre, sbigottito. “Sì… ehm.” Mugugnò, non aspettandosi di dover tacitare così presto la sua vena protettiva. “Già.” Concluse.
Harry sorrise appena. “Dovevo immaginarlo che sareste venuti qui…”
“Signore… Albus è stato rapito? Come Dursley?” Chiese Scorpius, ogni traccia di ilarità scomparsa dal volto.

Harry annuì. “Ma sappiamo dove si sta dirigendo il suo rapitore. I Tiratori Scelti sono già in zona.”
“Zabini ci ha detto che non lo vede da questo pomeriggio, da poco prima di cena.” Intervenne Rose, incerta. Le sembrava tutto un orribile incubo: prima Thomas, poi Al. “Zio, manca da ore…” Sussurrò, sentendo la voce gonfiarsi di pianto.
Non era giusto. Non era giusto che succedesse una cosa del genere a loro. Ad Al, che non aveva mai fatto male ad una mosca…
Si sentiva piccola, stupida e maledettamente indifesa. Umiliata. Sua madre non avrebbe reagito così alla sua età. Avrebbe proposto una soluzione, avrebbe evitato che Al compiesse una stupidaggine simile.
Invece io cos’ho fatto? Niente. Un accidenti di niente.
Sentì la mano di Scorpius posarlesi sulla spalla. Ignorando lo sguardo indagatore di Ron si chinò al suo orecchio. “Non siamo auror. Non siamo professori e non siamo preparati a questo genere di cose. Non rompertici la testa.” Mormorò.
La stessa cosa che gli aveva detto lei quando James aveva salvato la vita a Ted.
Fece un mezzo sorriso, un po’ rincuorata.

“Andrà tutto bene ragazzi.” Li rassicurò Ron, lottando evidentemente contro l’impulso di dire qualcosa sulla mano di un Malfoy addosso alla sue progenie. “Ma voi dovete tornare al Castello. Teddy vi accompagnerà e…”
“… e non se ne parla!” Sbottò James. “Si tratta di Al! Possiamo esservi utili!”

“Scordatevelo!” Sbottò Ron esasperato. “Cosa pensate di fare?”
“Esservi utili!” Ripeté incupendosi. “Smettetela di trattarci come bambini! Al e Tom sono famiglia, ce l’avete insegnato voi che la famiglia si protegge!”
“E l’avete fatto.” Replicò Harry, fermandolo. Gli mise una mano sulla spalla. “Ci siete stati utili. Siete stati voi a capire come i Naga erano arrivati, e voi a metterci molte pulci nell’orecchio… Senza contare che Smith ha creduto all’innocenza di Thomas grazie alle vostre testimonianze. Siamo potuti arrivare a Doe anche grazie a voi.”
James fece una smorfia. “Insomma, lasciate fare gli adulti…”
Harry abbozzò un sorriso, stringendo la presa sulla spalla del figlio maggiore. “Per ora. Arriverà anche il vostro momento. Non affrettare i tempi, Jamie. Credimi. Non farlo.”
James si mordicchiò l’angolo di un labbro, poi lanciò uno sguardo agli altri due.

Rose inspirò appena. “Riporteceli zio Harry… riporta Al e Tom a casa.”
 
****
 
Foresta Probita.
 
Camminare nei boschi della Foresta Proibita era tetro, cupo… e affatto sicuro.
Harry incedeva per sentieri laterali, con dietro Ron che ansimava leggermente. La luce della luna illuminava fiocamente i loro passi, e tutto attorno a loro c’era il vento che batteva gli arbusti, agitando le cime dei faggi contorti.
“Miseriaccia, tu ti ricordi dov’è l’entrata?” Mormorò, deglutendo e cercando allo stesso tempo di respirare.
“Più o meno.” Tagliò corto. Estrasse la bacchetta, mormorando un ‘guidami’. I punti cardinali apparvero iridescenti davanti a lui. “Ad Est.”
Ron spostò con una mano una macchia particolarmente tenace di rododendro, disvelando un accumulo roccioso.
Fu un attimo. Il sibilo di un incantesimo scoppiò a pochi centimetri da lui. Riuscì a tirarsi indietro appena in tempo, ma una ciocca dei suoi capelli venne sacrificata nell’operazione. La vide, rossiccia e malinconica ai suoi piedi.

“Fermi! Siamo auror!” Gridò Harry, accanto a lui, accovacciato dietro l’arbusto.
“… Potter?!” Proruppe una voce, che Harry riconobbe come quella di Smith. “Maledizione, abbassate le bacchette!”

Ron borbottò un’imprecazione, tirandosi in piedi e spazzolandosi energicamente il mantello. “Che diavolo credevate di fare? Ci avete quasi schiantati!”
Il sergente Tiratore apparve da dietro il cumulo di rocce, seguito dai suoi uomini: aveva il volto contratto dall’ira, paonazzo quasi al pari di Ron. “Razza di idioti! Come potevamo pensare che foste auror?!”
“Calmiamoci tutti.” Intervenne Harry guardandosi attorno: c’erano una mezza dozzina di Tiratori, con le bacchette abbassate, ma le espressioni nervose. La Foresta non metteva certo in uno stato d’animo sereno, rifletté.  “Non avevamo modo per avvertirvi, Zacharias. E sarebbe stato pericoloso se Doe è nei paraggi.”
“Non è nei paraggi.” Negò l’uomo, passandosi una mano dietro al collo. “È già dentro.”
“Cosa?!” Sbottò Ron. “E perché diavolo non siete già entrati?”
“C’è una barriera.”
“Avrete chiesto l’incantesimo per scioglierla, no?”

“Non è uno degli incantesimi protettivi. Quelli sono stati violati. È nuova. Puzza di magia nera. È stato quel Doe.” Ribatté quello con un’espressione innervosita nello sguardo. “Potter, non ti era stato ordinato di startene buono?”
“Mio figlio Albus è stato rapito.” Ribatté, poi esitò. “… anche lui.”
“Merlino Benedetto, ma i tuoi bambini non riescono a starsene lontano dai guai? Cos’è, genetico?” Sbottò esasperato. “Bene. Così adesso abbiamo due ostaggi.” 

Ron si frappose tra lui ed Harry, in un impeto protettivo. “Falla finita, Smith! Non riesci ad avere un po’ di tatto?”
“Me l’hai già fatta questa domanda, Weasley. Si tratta di due adolescenti in mano ad un pazzo che vuole profanare ad una tomba. Non mi sembra momento di averne.” Sbottò. “Se avete una soluzione siete pregati di comunicarcela, altrimenti comportatevi come parenti e levatevi dai piedi.”

“Tu …”
Ron.” Lo richiamò Harry, mettendogli una mano sul braccio. “Ha ragione.” Si schiarì la voce, e continuò. “Zacharias, ho bisogno di vedere l’entrata. La barriera. Dì ai tuoi uomini di lasciarmi passare.”
L’uomo guardò dietro di sé, poi fece un cenno affermativo, scostandosi.

Harry pensò che, dopotutto, persino i suoi detrattori erano ben felici di lasciargli la patata bollente.
L’entrata normalmente era nascosta, trasfigurata in un anonimo ammasso roccioso. Adesso invece era stata svelata : un arco di pietra.

Non era un entrata. Era un Velo.
Non quello dell’ufficio Misteri, naturalmente. Ma una semplice passaporta comunicante. In realtà più simile agli Armadi Svanitori, tralasciando la forma.
Era stata un’idea di Hermione, che Harry aveva faticato a lungo ad accettare. Il Velo dell’ufficio Misteri gli aveva portato via Sirius.
Ma Hermione, come sempre, aveva avuto ragione. Era stato di gran lunga il miglior sistema difensivo in quegli anni. Trasfigurato in una roccia era rimasto quasi vent’anni come parte del paesaggio della Foresta. L’avevano reso comunicante con la grotta e solo ri-trasfigurandolo con un complicato incantesimo si riusciva ad attivarlo.
“È stato attivato?” Chiese.

Smith annuì. “Già. Non si vede?”
“Perché allora non siete già scesi?”
Smith prese un ciottolo da terra e lo tirò contro la pietra. Con uno schiocco fortissimo fu disintegrato e ridotto in polvere a pochi metri dall’entrata.

“Eccolo qua il perché.” Fece cenno l’uomo, beffardo.
Ron gli si accostò. “È una barriera potente, dovremo chiamare Vitious”
“Non c’è tempo.” E aveva un presentimento.

È me che vuole. Se vuole avere la bacchetta, deve prima sconfiggere me.
Sperò solo che non fosse la sua Sindrome da Eroe a parlare.
Guardò Ron, che gli lanciò uno sguardo preoccupato. Come se sapesse già cosa stava per fare.
“Harry, non…” Tentò infatti.
“So cosa faccio.” Lo fermò. Inspirò, guardando verso l’entrata. “Occupati tu del resto.”
Ed entrò.
Sentì i respiri trattenuti degli uomini dietro di sé, inspirare e attendere. Sentì l’esclamazione di Ron e l’imprecazione di Smith.
Sentì, quindi la barriera non aveva funzionato con lui. Non l’aveva fulminato sul posto. Aveva avuto ragione a fidarsi del suo istinto. Era ancora vivo.
Aprì gli occhi, e si trovò dentro l’ingresso della grotta. Fuori, coperti dalla patina brumosa del Velo, riusciva ad intravedere Ron e i Tiratori.

“Harry!” Lo chiamò l’amico. “Harry, tutto bene?” Lo sentì dire, la voce attutita come se gli parlasse da un’altra stanza.
“Sì, tutto bene!” Sguainò la bacchetta. “Vado avanti.”
“Dannazione Potter, è proprio quello che vuole!” Sbottò Smith, premurandosi comunque di stare a distanza di sicurezza. “Aspettiamo la squadra di spezza - incantesimi! Dobbiamo entrare tutti assieme!”
“È solo un uomo, Zacharias. E non abbiamo tempo. Dobbiamo stare alle sue regole.” Lanciò uno sguardo alle sue spalle: dietro di sé si apriva la scalinata…  e per quanto cercasse di sondare quel buio denso con lo sguardo non riuscì a vedere che a pochi passi da sé.

A tentoni cercò una torcia. Sapeva come fossero disposte ordinatamente lungo tutto il percorso; del resto lui stesso aveva contribuito, dopo la guerra, quando si era pensato alla ricostruzione del Castello, a creare quel rifugio per la tomba di Silente. Si sentiva furioso all’idea che uno sporco ladruncolo, al soldo di un alchimista straniero la profanasse… coinvolgendo peraltro la sua famiglia.
La pagherai, John Doe.
La trovò finalmente e sussurrò un ignis, toccandone la base. L’incantesimo divampò, accendendo quella e tutte le altre in sequenza. Sorrise appena. 
Molto meglio.
Smith sembrò sputare a terra, in un attacco di collera impotente. “Maledizione! Potter, se succede qualcosa a quei ragazzi o perdi il possesso di tu-sai-cosa giuro che vado personalmente a raccontare tutto alla Gazzetta! Ti butterò giù dal tuo piedistallo da eroe a calci nel culo!”
Harry suo malgrado sorrise. “È difficile, Zacharias. Ormai ci sto piuttosto comodo.”
“Oh, va’ all’inferno!” Sbottò, sparendo dalla sua visuale. Probabilmente per andare ad imprecare senza sentirsi ribattere contro.  

Ron lo guardò serio invece. Si avvicinò al limitare del Velo. Era pallido, dietro le sempiterne lentiggini. “Amico, sta’ attento laggiù. Noi qui cercheremo di rompere la barriera.”
“Sta’ tranquillo.” Lo rassicurò. “Andrà tutto bene.”
Si voltò, inspirando. Poi sparì nelle tenebre.

 
****
 
Era ironico.
Harry lo pensò quando fu arrivata alla base della scivolosa scalinata che si addentrava nelle viscere stesse delle highlands.
Era ironico che fosse proprio una grotta l’ultima dimora di Silente, quando era stata una grotta che gli aveva portato via la poca vita che gli restava.

L’aveva pensato in quel momento, e doveva ammettere che il parallelo era leggermente macabro.
Fece qualche passo sul terreno ghiaioso. Doveva ammettere eppure, che a differenza della grotta di Voldemort, sulle cupe scogliere di Moher¹, la grotta che si estendeva sotto il Lago Nero era… stupenda.
Per questo l’aveva scelta.
Era un luogo fatato. Un particolare tipo di muschio magico, che cresceva solo in particolari condizioni e temperature, gli aveva spiegato Neville, tappezzava l’intero luogo, donandogli una luminescenza bluastra.
Sporgenze rocciose, come guglie di un duomo barocco, si inerpicavano per tutta la sua lunghezza.

Era una sala circolare e in fondo, proprio di fronte alla macchia più luminosa, c’era il mausoleo di Silente.
Una gigantesca fenice di pietra abbracciava la tomba bianca, che persino da lì, a parecchie centinaia di metri, riluceva del suo tenue lucore.
Lo spettacolo in sé quasi ti spingeva a distogliere lo sguardo. La Mcgrannit, a lavoro finito, aveva ironizzato fosse decisamente una cosa vistosa.
Avevano convenuto a tutti che a Silente sarebbe piaciuta.
Inspirò appena, quando un refolo d’aria gelida gli lambì la nuca, quasi a ricordargli che non era lì per rendere omaggio al suo mentore, ma bensì per trovare John Doe e liberare Thomas e Al.

Stese la bacchetta di fronte a sé. Sembrava non esserci nessuno.
I rumori nella grotta erano assenti. Si poteva sentire il silenzio, interrotto saltuariamente da qualche goccia d’acqua, che rimbombava però con la forza di una tempesta.
Non sapeva cosa doveva aspettarsi. Sapeva solo che John Doe lo aspettava, nell’ombra.
Poi lo vide. E gli si gelò il sangue nelle vene, prima di infiammarsi di fuoco, rabbia e terrore.

C’era Al disteso davanti alla tomba. Era a terra, esanime, senza mantello, con la sola divisa.
Sembrava incredibilmente piccolo, da laggiù.
Al!” Gridò, chiamandolo. Corse verso di lui, con i sensi tesi al massimo e il cuore che minacciava di spaccarglisi nel petto.

No. No. No. Non il mio bambino, Merlino, ti prego… non lui.
Non lui. Non ancora.
Lo raggiunse, inginocchiandosi di fronte a lui, prendendolo tra le le braccia. Era leggero, e freddo.
“Al! Albus, rispondimi… Ehi…” Lo scosse leggermente. Sentiva il sudore gelido ghiacciarglisi lungo la schiena, e quasi credette di morire e rinascere un paio di volte quando vide che ancora respirava, che era pallido sì, ma c’era ancora colore sul suo viso.

 
“È solo svenuto.”

Anche quella voce ebbe il potere di ghiacciargli il cuore. Perché la riconosceva.
Era pacata, ferma, bassa, perennemente venata da una cortesia innata.
Era la voce di Thomas.
Si voltò, trovandoselo davanti. Paradossalmente, fu Tom a sembrargli in condizioni peggiori. Era in piedi e vigile ma aveva il viso così bianco da sembrare cera, i capelli appiccicati sulle tempie, e qualche ciocca ribelle lungo le guance smunte. Sembrava dimagrito ancora, la camicia dell’uniforme disegnava ombre strane sul torace magro.

Come se sotto non ci fosse niente…
Ma furono i suoi occhi che lo portarono a sciogliere il figlio dall’abbraccio, e posarlo delicatamente a terra.
Erano completamente assenti.
E conosceva bene quell’ espressione. Durante la sua carriera di auror l’aveva vista più volte.
Mio Dio, no. È sotto imperio.
“Tom.” Mormorò, alzandosi. “Lo vedo, sì… Tu stai bene?”
Il ragazzo fece un mezzo sorriso, che si tese dolorosamente sulle labbra livide. Sembrava pura meccanica, Harry capì che non stava sorridendo davvero. “Non mi posso lamentare, Harry. Grazie.”
“Tom… Dov’è lui?” Chiese, serrando la presa sulla sua bacchetta. Tom era armato. La bacchetta non era sua, l’avrebbe riconosciuta al volo, era quella di Al.

Dannazione.  
Al e Tom avevano passato cinque anni a fare magie assieme, ed erano legati da ricordi, sentimenti, esperienze e soprattutto dallo stessa gradualità di apprendimento magico: questo, per una bacchetta, contava quasi più del sangue. Tom sarebbe stato in grado di usarla come se fosse sua.
“Lui chi Harry?” Chiese. Il tono era monocorde. Sembrava rispondesse solo per stimolo.
“John Doe, Tom. Dov’è? È qui non è vero? Devi dirmi dov’è.”
“No. Non posso.” Inarcò le sopracciglia. “Non posso.” Ripeté più lentamente, quasi a sé stesso.

“Ascoltami Tom…” Si avvicinò, di un solo passo. Il ragazzo entrò subito in tensione, notò da come irrigidì le spalle. Quello non era l’imperio.
Era istinto.
Maledizione, è spaventato a morte. Se lo attaccassi mi attaccherebbe per difesa.
L’imperio spesso veniva definita la meno pericolosa della maledizioni senza perdono. Sicuramente la meno dolorosa. Ma era il ragionamento di fondo ad essere sbagliato: non era il grado di dolore, inesistente a dire il vero, a renderla pericolosa.
Non è solo mettere un mago sotto il tuo potere. È inibirgli la sua coscienza. Si può farlo agire come se fosse vigile, farlo parlare, comportare normalmente. Ma è la sua coscienza ad essere soggiogata.
Non riconosce chi ha davanti. Azzera il suo giudizio, la sua etica, tutto.
Diventa solo una macchina, senza sentimenti. Esegue gli ordini.
L’unica cosa che l’imperio non poteva controllare era l’istinto.
E nel caso di una battaglia, non è qualcosa su cui comunque puoi contare…
Ad ogni azione corrisponde una reazione. Se levi la bacchetta contro un maledetto, quello ti ucciderà. 
Ricordava ancora con chiarezza straordinaria le lezioni di Malocchio Moody.
“Tom, guardami. Puoi combatterla.” Disse fermo. “Non è irreversibile. Lo so che mi stai sentendo. Devi combatterla. Devi combatterla e dirmi dove si sta nascondendo quell’uomo…”
Era lì, lo sapeva. Lo sentiva. Non si stava mostrando, semplicemente. Poteva rimanere rintanato nelle ombre della grotta, ed aspettare.

Maledetto figlio di puttana…
Sapeva che non sarebbe mai stato semplice per lui combattere contro Tom.
“Combatterla?” Chiese il ragazzo, distogliendolo dai suoi pensieri. “No, Harry. Non posso.” Ripeté. Suonava come la cantilena di un alunno annoiato.
“Certo che puoi.” Ribatté con forza. “Tom, tu sei molto più forte di una stupida maledizione della volontà. Devi combatterla, devi dirmi dov’è Doe… e dobbiamo portare Al via di qui. Albus.” Ripeté, scostandosi per farglielo vedere. “È svenuto, forse sta male. Al è il tuo migliore amico, Tom. Te lo ricordi, sì? Certo che te lo ricordi…”
Con orrore si rese conto che neanche quello funzionò. Lo sguardo del ragazzo passò senza emozioni sul corpo esanime dell’altro. Come se neanche lo vedesse.

Harry realizzò che Tom era troppo debilitato per poter combattere. E che l’unica speranza era farlo parlare, e intanto cercare da solo l’ubicazione di quel bastardo.
Come se fosse semplice. Qui dentro ci sono centinaia di posti in cui nascondersi…
Poi Tom si mise una mano dentro la camicia, e ne tirò fuori qualcosa. Era un medaglione. Harry non l’aveva mai visto prima, sebbene avesse un’aria familiare.
“Sai cos’è questo?” Chiese il ragazzo. “È cominciato tutto da questo, sai.”

“È un medaglione, Tom. Dove l’hai preso?” John Doe doveva essere là attorno. Abbastanza vicino da potersi godere lo spettacolo. Ne era sicuro.
Il sorriso di Tom divenne improvvisamente sgradevole. Non avrebbe mai creduto di poterlo dire, ma Dio, era identico a quello del giovane Riddle. “Nella Foresta, Harry.”
Riportò gli occhi sul medaglione. E capì.

È la Pietra. 
La cicatrice prese a formicolargli. Non aveva niente a che vedere con il dolore accecante che aveva patito da ragazzo, solo un’ombra. Ma ricordò le parole di Ethan Scott.
Un’anima lascia sempre una traccia, ovunque alberghi, anche se solo per poco.  
Erano l’anima di Tom e quella maledetta pietra ad essere in sintonia.
“Vedo che l’hai riconosciuta subito, anche se trasfigurata.” Mormorò il ragazzo. “Lo sai? Mi appartiene di diritto. Apparteneva a quello che rimane di Voldemort e… io sono quello che rimane di Voldemort.”
“No, Tom. Non lo sei.” Replicò furioso. “Qualsiasi cosa ti abbiano fatto, come ti abbiano fatto nascere… tu sei un’altra persona. La reincarnazione. È quello che è successo a te, tutto qui. Pilotata o meno, tu non sei lui. Sei un’altra cosa.”
“E cosa?” Replicò il ragazzo. Sentì la rabbia tremargli sulle labbra, e faticare ad uscire a causa della maledizione. “Un contenitore?”
Harry riportò gli occhi su di lui. “Sei Thomas. Ti prego, dimmi dov’è.”
“No.” Questa volta la voce era venata chiaramente da qualcosa. Ma Harry capì che non era uno sviluppo in positivo. Era rabbia.

L’istinto… Tom è spaventato, infuriato. Il medaglione, contiene la pietra, dove l’anima malvagia di Riddle ha soggiornato. È come se amplificasse la sua rabbia…
No. Peggio. È come se gli desse un bersaglio.
Me.
“Bacchetta alla mano, zio Harry.” Disse il ragazzo. “L’etichetta, prima di tutto.” Recitò beffardo.
“Thomas, no.” Lo redarguì, saettando con lo sguardo per l’enorme sala di pietra. Poteva essere dovunque. “Non leverò la bacchetta contro di te.”
“Allora morirai.” Harry sentì la sua mano mettersi in posizione prima che volesse davvero farlo. “Avada
Protego horribilis!” Scattò e il lampo verde del ragazzo scoppiò migliaia di scintille verdi. Era un’amara consolazione, ma la maledizione, come pensava, non era stato abbastanza efficace. Era bastato uno scudo di difesa di medio livello a vanificarla.

È solo un ragazzino… e non ha mai scagliato l’anatema che uccide.
Non che non avrebbe potuto farlo. Tom era brillante. Se ci avesse provato di nuovo…
Maledizione, fottuto bastardo. Vuoi farmi combattere con lui fino a che il cuore non gli cede?
Thomas respirava male. Se n’era accorto da un po’. Sebbene il volto mostrasse una calma soprannaturale, i respiri che tirava erano secchi, irregolari. Solo lanciargli un incantesimo l’aveva spossato.
Doveva mettere fine a tutto quello.
Stupefi-
Protego!
Il ragazzo sorrise di trionfò quando la sua presa rimase salda sulla bacchetta e lo vide indietreggiare di qualche passo.
“Hai visto zio Harry? Imparo in fretta.” Sibilò. “Non cercare Doe. Credo sia meglio che tu dia attenzione a me… Perché sono io il tuo avversario adesso.”

 
 
****
 



L’avevano svegliato dei forti scoppi.
Nel dormiveglia aveva pensato, stupidamente, al rumore dei fuochi d’artificio dei Tiri Vispi quando li scoppiavano ogni estate per il Solstizio.
Poi aveva aperto gli occhi. E davvero, avrebbe voluto non farlo.
Vide la schiena di suo padre, a parecchi metri davanti a sé. Suo padre, che combatteva.
C’erano lampi di luce ovunque che gli ferivano gli occhi. Un rumore tremendo.

Ma non era l’uomo biondo il suo avversario. Quando si diradò il fumo dovuto ad una leggera frana vicino a loro, vide Tom.
Era Tom a combattere con suo padre. Sotto imperio.
Maledizione!
Non badavano a lui, e come avrebbero potuto?
Quello non era un duello scherzoso, come  ogni tanto suo padre faceva con loro.
Non stavano facendo finta. Si lanciavano incantesimi per uccidersi.
Un lampo verde fischiò poco sopra la sua testa. Si riparò con le mani, ma poi lo vide precipitare dall’altro lato, rimbalzando su un incantesimo scudo di suo padre e schiantarsi contro la parete di roccia parecchie centinaia di metri più in là provocando un crollo.
Sentì suo padre imprecare, anche in tutto quel rumore. Aguzzò la vista e vide che sembrava aver colpito un arco di pietra.
Tentò di alzarsi in piedi. Doveva fermarli.
Non sapeva come, ma doveva farlo. Suo padre stava cercando di difendersi, non di attaccare, ma Tom…
Lo saprà che è sotto imperio? Lo saprà?
Perché se non l’avesse saputo, forse…
Lo sguardo di suo padre, riusciva a vederlo per l’innaturale lucore della grotta, era feroce. Concentrato.

Come se Tom fosse un nemico…
Sentì la bocca secca e lo stomaco serrato nella morsa del panico.
Doveva farli smettere.
Devo, prima che…
Inspirò, lanciando uno sguardo lungo la grotta. Doe non c’era. Non c’era modo per lui di trovarlo, lì dentro, ed obbligarlo a sciogliere la maledizione. O se c’era, non ne era in grado.
Non senza una bacchetta, comunque…
Si rialzò, sentendo la ghiaia in cui era stato buttato conficcarglisi nelle ginocchia e nei palmi delle mani. Probabilmente aveva persino qualche livido sulle ginocchia. Il fastidio servì a renderlo lucido.
Doveva trovare una bacchetta.
Gli venne quasi da ridere, all’assurdità della sua richiesta, ma poi si voltò.
Era la tomba di Silente quella.
Un’enorme fenice di pietra racchiudeva la famosa tomba bianca. La gigantesca scultura era appollaiata, con il suo prezioso contenuto su un agglomerato calcareo, molto simile ad una leggera collina.
L’idea lo trafisse da parte a parte, come una folgorazione.
La Bacchetta di Silente! Silente è stato sepolto con la sua bacchetta!
Certo, risalire quel pendio avrebbe significato essere una specie di bersaglio inconsapevole per gli incantesimi del padre e di Thomas, ma…
Lo risalì comunque. Nessuno badava a lui. Doveva fare presto. Doveva avere una bacchetta.
Avrebbe disarmato Tom, e sarebbe tutto finito.
 Non c’era tempo per avere paura. Doveva avere una bacchetta.
La tomba era così bianca che gli ferì quasi gli occhi, quando si insinuò tra le gigantesche ali della fenice.
Bianca e sigillata.
Si morse un labbro. Profanare una tomba era un atto terribile. Specialmente quella tomba.
Gli sudavano le mani, aveva paura. No. Era terrorizzato.
Ma gli scoppi sotto di lui, la polvere calcarea che gli cadeva trai capelli, facendogli capire che la grotta era squassata dalla magia, non gli davano scelta.
Devo. Solo… come?
La tomba sembrava un’unica lastra di marmo, di uno spessore sufficiente per contenere le spoglie di un uomo, ma… Non sembrava avere aperture.
È stata sigillata con la magia…
Si morse un labbro, passandoci una mano, angosciato.
Come la apro? Come dannazione la prendo la bacchetta?
Sentì un fruscio d’ali, un vento leggero che smosse l’aria immobile della grotta. Si voltò di scatto.
“Fanny!” Sussurrò sconvolto: come diavolo era entrata lì?
La fenice si appollaiò sul suo braccio. Era molto più grossa di un falco, eppure non pesava nulla.

“Come… come hai fatto…”
Non che mi debba stupire. È una creatura leggendaria. Ed è definitivamente la fenice di Silente.
La fenice gli becchettò leggermente la guancia, prima di staccarsi dal suo braccio e posarsi sulle tomba.
“Devo prendere la bacchetta Fanny… Ti prego, aiutami.” Sussurrò.
La fenice dispiegò le ali e Al fu accecato da un’improvvisa vampata d’oro e fiamme.

 
****
 
 
Non ci riusciva.
Erano passati solo dieci minuti, o forse una mezz’ora. non riusciva a capirlo, ancora.
Per quanto cercasse di disarmarlo, Tom respingeva ogni suo attacco.
Era l’imperio.
L’imperio lo teneva vigile. Probabile che quel bastardo gli avesse ordinato di non riposarsi, di non arretrare mai.

Gli ha ordinato di uccidermi…
E c’era una grossa differenza tra chi tentava di difendersi e chi voleva uccidere.
Il primo non aveva chance contro il secondo.
E c’era anche da considerare il fatto che Tom si stava violentando, fisico e mente, per combattere al suo livello.
“Tom, smettila!” Tentò nuovamente, vanificando uno stupeficium. Tom non poteva sconfiggerlo naturalmente, ma non si stancava neppure e non riusciva a togliergli la bacchetta o schiantarlo.

È intuitivo, veloce… e conosce il mio arsenale di incantesimi…
Lui stesso aveva duellato per anni con lui e i suoi figli d’estate. Aveva insegnato loro come difendersi, come evitare gli incantesimi e quali usare per rispondere efficacemente.
E quelle informazioni erano tutte chiuse nella memoria di Tom, pronte per essere usate. Senza filtri, senza indecisioni o incertezze.
Tom tossì, ansimando. Aveva il viso coperto di sudore e un taglio lungo la fronte gli aveva lasciato una lunga macchia di sangue appiccicoso fino alla guancia.
“Tom, ti prego, devi-…”
Crucio!
Harry sentì un dolore tremendo impadronirsi di lui. Cadde in ginocchio, a bocconi. Non era come quello di Bellatrix, non era neanche lontanamente come quello di Voldemort.

Ma era un crucio.
E il suo istinto scattò prima della ragione. In un scoppio di adrenalina riuscì a levare la bacchetta.
Everte Statim!” Gridò.

Il ragazzo non si aspettava, evidentemente, che riuscisse a combattere gli effetti della maledizione, perché non fece in tempo a farsi scudo e fu scagliato contro una roccia con forza.
Harry, sentendo il dolore sparire di colpo scattò in piedi, raggiungendolo.
Era ancora cosciente, neppure il colpo l’aveva fatto svenire. E gli occhi…
Merlino. Gli occhi.

Erano rossi.
Non si era accorto fino a quel momento del loro colore, a causa dell’illuminazione evanescente della sala.
Ansimava Tom… ed era così simile a lui.
A Voldemort.
Lo guardava, con quelle iridi rosse, che aveva visto nei suoi sogni, nei suoi incubi.
Per un attimo, Harry si sentì trasportato a vent’anni prima, a quella fatidica notte.
La bacchetta non gli tremò nelle mani mentre la levò verso Tom.

 
Expelliarmus!

Harry sentì uno strappo violento e la sua bacchetta volò in aria. Sentì il rumore del legno contro la roccia, secco, come uno sparo. Si voltò, incredulo. Perché la voce l’aveva riconosciuta.

Era Albus.
Pallido, tremendamente pallido, con gli occhi verdi spalancati dalla paura.
E con la Bacchetta di Sambuco in mano.
“Al…” Sussurrò. “Al, cosa hai fatto?”
“Tu… tu volevi ucciderlo!” Sbottò il ragazzo. “È a terra!”
“Al, no! Merlino, tu…-“


Si sentì un applauso schioccare sinistramente dentro la caverna.
Uscì John Doe, come apparso dal nulla.
“… Tu sei il nuovo padrone della Bacchetta, ragazzino. Neppure io potevo pensare ad una soluzione migliore, lo ammetto. Harry Potter senza bacchetta, e suo figlio con. Avanti le nuove generazioni quindi.  Tom?” Fece una pausa. “Uccidilo e prendigli la bacchetta.”



****
 
 
Note:
Ci manca un ultimo capitolo.

Dai. Ve l’aspettavate? :D
1 Le Scogliere di Moher sono dove, nella versione filmica, sono state girate le scene della grotta dell’horcrux. Piccola licenza poetica.
La canzone traccia di questo capitolo è Qui .

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Capitolo 52
*** Capitolo XLVII ***


Eccoci all’ultimo capitolo. Spero davvero di non deludere nessuno. Come ho detto precedentemente, ci sarà una seconda parte. Questo, quindi, lo considero un capitolo aperto, ma risolutivo.
Enjoy.
@Chiara96: Ciao! Grazie mille per la recensione e grazie per aver apprezzato la scena dell’armadio. Era uno spezzatensione in effetti!
@NickyIron: No, Harry non si era accorto di Fanny. Penso fosse troppo, troppo preso ad evitare di non farsi ammazzare da Tom. xD Grazie mille! Spero che le tue congetture non ti abbiano deluso!
@ElseW: Troppi complimenti! Grazie mille! °_* Li adoro sì! XD vediamo se combattere contro Al gli ha giovato! XD
@RoroTheJoy: Davvero? Non ci avevo fatto caso! Anche io adoro i WT! Dimmi se ti piace la canzone per questo capitolo. Ti consiglio di metterla alla fine però, che si riferisce a quella! Ciao!
@Altovoltaggio: Addirittura paragonata a mamma Row! Ma grazie! :D Il concerto è stato favoloso! Certo, anche se ho preferito quello del 2006, c’era meno gente e faceva meno arena di Vasco. Però è stato fantastico, ero proprio sotto il palco! Sotto Dom! T_T Me-ra-vi-glio-so! Purtroppo il coro di Bday non si è sentito! :/
@Sophie: No, non preoccuparti! Fidati di Tommy! XD Non ancora nel senso che Harry ha visto morire molta gente, e questo l’ha traumatizzato. Questo è l’ultimo capitolo! ;) Seconda parte però.

@Pheeny: Grazie mille per i complimenti… eh sì, Jamie/Sy/Rosie sono il nuovo trio XD
@Aga: Grazie per i complimenti! Sì, l’ambientazione era un po’ tanto voluta, mi fa piacere che tu l’abbia notato ^^ Il trio grifondoro è sì ubbidiente in effetti, ma devi ammettere che hanno dei genitori che sanno tenerli per la collottola. XD Comunque prevedo più azione anche per loro.
@Trixina: Ciao! Tu più di tutti mi premeva rispondere, perché mi hai seguito fin dall’inizio. Sì, ci saranno dei momenti Teddy/Vic e si riferiranno al passato, ma anche lei scenderà in campo. Vedremo. Al avrà un bel ruolo, e ringrazia per essere adorato. XD Grazie di tutto Trixina, davvero.
@Ombra: Ciao! Essì, i nostri ragazzacci rimangono gli stessi! XD Grazie per i complimenti e sì, Fanny crea casini, ma del resto empatizza con il suo nuovo padroncino. E Albie fa dei casini! XD
@Mikyvale: Ciao! Ci sarà una seconda parte, dove spero che anche i personaggi secondari avranno più risalto… almeno queste sono le intenzioni. Lily ne avrà, ASSOLUTAMENTE. Spero di non averti deluso con questo capitolo! E grazie per i complimenti e per aver capito i paralleli!
@Andriw9214: Wow! Che letturona ti sei fatta! Mi sento onorata! Anche di averti fatto cambiare idea sulla next generation! Grazie grazie! Non preoccuparti, non ci sono brutte o belle recensioni, e la tua andava più che bene!
 
 
 
****
 
 
Capitolo XLVII


 
 
 
 
La scelta ultima di un uomo quando è portato a trascendere se stesso
è creare o distruggere, amare o odiare.
(Erich Fromm)
 
 
 
Tomba di Silente.
 
Tom aveva gli occhi rossi.
Al se ne rese conto immediatamente, mentre sentiva la presa sulla bacchetta farsi bollente. Quasi fosse la bacchetta stessa ad emanare calore.

Certo, il modo in cui Fanny ha aperto la tomba…
Eppure la sentiva pulsare, contro il suo palmo sudato, mentre Tom lo guardava.
Cercò lo sguardo del padre, spaventato, solo allora capendo quello che aveva fatto.
Ho la bacchetta di Sambuco.
Ed è quella che Doe vuole.
Tom lo guardava per la prima volta dopo ore. Aveva quegli occhi, quello sguardo vitreo, quello dell’imperio.
… cosa ho fatto…
Harry però non lo guardò. Stese la mano e pronunciò un chiaro ‘accio’ mentre la sua bacchetta, la sua unica bacchetta gli ritornava in mano.
“Al, scappa!” Gli gridò. Come in una scena a rallentatore vide il padre cercare di frapporsi tra lui e Thomas, cercando di tornare ad essere il suo avversario.

Ma adesso c’era John Doe.
“Oh, non credo proprio, Salvatore!” La voce del sicario era come carta vetrata contro le sue orecchie. Faceva male, mentre lo scoppio di un incantesimo vicinissimo a lui – vicino a suo padre in realtà – lo accecò brevemente.
Fece qualche passo indietro, coprendosi il viso.
Albus!” Era ancora suo padre ad urlare. Aprì gli occhi e si trovò Tom a pochi passi da lui. “Al, vattene via, scappa! Lascia la bacchetta e scappa!”

Lasciare la bacchetta? No!
Era l’unica cosa che poteva, Dio, difenderlo.
“Scappa!”
A quel punto finalmente riuscì a farsi obbedire dalle proprie gambe. Anche se il suo intero essere si ribellava a quell’idea, e qualcosa dentro di lui tremava e piangeva… Non poteva semplicemente fermarsi.

L’istinto di sopravvivenza azzerò la paura e incespicò sbattendo contro un pinnacolo di roccia prima di correre via.
Doveva uscire di lì.
Sicuramente suo padre era venuto con la sua squadra, con suo zio Ron.
Sicuramente fuori, all’entrata, c’era qualcuno. Qualcuno che avrebbe fermato Thomas, qualcuno che avrebbe sciolto la maledizione. Qualcuno che avrebbe fatto finire quell’incubo.
La bacchetta era rovente e non aveva la minima idea di dove stesse andando. Il lucore tenue della tomba di Silente, dopo che Fanny l’aveva aperta, si era affievolito fino a diventare poco più che un vago luccichio latteo.
La luce azzurrina che proveniva dai muschi abbarbicati alle rocce era malsana e dava un’ombra sfalsata alle cose.
Sbatté con un gomito contro uno spuntone di roccia, sentendo un dolore accecante.

Aveva nelle orecchie il rumore del suo respiro, forte e sincopato come il cuore che gli sbatteva violentemente nel petto.
Aveva paura. Non voleva. Non era giusto.
Non si fermò. Non si stava neppure guardando indietro per vedere se Tom lo stava seguendo.
Lo sapeva, semplicemente.
Quando passi tanto tempo con una persona la percepisci la sua presenza. Acutamente.
Chissà se per i babbani è così o è questione di aura magica…
Sentì uno scoppio e un bagliore rossastro vicinissimo al suo orecchio. La polvere che ne scaturì, aveva colpito a terra, lo fece tossire.
“Tom, smettila!” Urlò, voltandosi indietro.
Era dietro di lui. A parecchi metri, ma camminava.

Sentì il panico serrargli lo stomaco.
Camminava.
Come se non ci fosse bisogno neanche di rincorrermi…
L’entrata era vicina. Non doveva preoccuparsi, solo… arrivarci.
Era sempre più vicina. Doveva essere vicina. Perché non la vedeva?
Poi lo capì: l’entrata era franata, dopo uno dei tanti incantesimi di Tom deviati da suo padre. L’arco di pietra era crollato su se stesso, lasciando un semicerchio poco più alto di una persona. Si apriva sul…
Si fermò di colpo, ansimando.
Si apriva sul vuoto.

Dannazione. È una passaporta. È una maledetta passaporta, non c’è nessun passaggio scavato nella roccia. L’ha rotta!
Non c’era via di uscita. Erano bloccati lì dentro almeno finché qualcuno non ne avesse aperta un’altra da fuori.
Ma non stava arrivando nessuno. Nessuno.
Si voltò sentendo il respiro spezzarsi e il sangue rombargli nelle orecchie.
Tom era a pochi passi da lui. Vicinissimo. Gli occhi vuoti, vitrei come quelli di una bambola non riflettevano nulla. Neanche lui.

E gli stava puntando la bacchetta addosso.
Stupef-
Al sentì il sangue bollirgli impazzito nelle vene e il suo braccio scattò prima che avesse tempo di pensare.

Expelliarmus!
Tom parò il suo incantesimo senza neanche parlare. Un dannato scudo non-verbale, persino di basso livello.
Pareggio.
Non sarebbe durato a lungo. Tom non aveva usato una maledizione, ma…
Non ancora almeno.
Doe gli aveva ordinato di ucciderlo.
E a lui tremavano le mani. Così forte che doveva obbligarsi a tenere la presa sulla bacchetta. Questo la diceva lunga su quanto fosse in grado effettivamente di batterlo. Nei duelli con i fratelli era sempre stato patetico, ricordò con terrore. Il club dei duellanti era una cosa a cui era girato alla larga sin dal primo anno. E la bacchetta gli cadeva in continuazione.
Tom invece era brillante. E aveva l’imperio: rodeva via la sua stanchezza per farlo diventare uno strumento.
Lo sentì muoversi, cercarlo.
Ma a quel punto si era già tuffato tra un colonnato di rocce, scomparendo alla sua vista.
Doveva sopravvivere.
A tutti i costi.
Se fosse morto… se fosse morto Thomas non avrebbe più avuto scampo. Sarebbero stati condannati, entrambi.
Non è giusto. Non è giusto. Non doveva capitare a noi.
A me, che non so difendermi.
A lui, che non sa fermarsi.
Da lontano sentiva gli scoppi degli incantesimi, orribili lampi di luce all’angolo della sua visuale che gli ferivano gli occhi.
Suo padre non poteva aiutarlo, non in quel momento: Doe non gli lasciava scampo.
Nascondi. Nasconditi finché non arriva papà.
Sentì il respiro spezzarsi e ingoiò un sussulto. Era stanco e spaventato. Tutta l’adrenalina l’aveva persa dopo che si era reso conto dell’errore tremendo che aveva commesso.

Nasconditi. Nasconditi.
Serrò le labbra. I passi di Tom erano vicini, ma non riusciva a trovarlo.
Sentiva il suo respiro, simile ad un sibilo riempirgli le orecchie.
No.

Serrò le labbra.
Non è giusto.
Oltre la paura sentiva un grumo di… rabbia. Cristo, era rabbia quella che sentiva rimbombargli nel petto.
Non era giusto che lui e Tom dovessero affrontarsi. Non era giusto che Tom dovesse ucciderlo per ordine di un pazzo psicopatico. Era tutto completamente sbagliato.
Non voglio morire. E lui non deve uccidermi.
L’equazione era semplice, terribile, ma maledettamente semplice: doveva salvarlo.
Infilò la bacchetta dentro la tasca dei pantaloni e si arrampicò lungo la parete di roccia che fino a quel momento l’aveva nascosto. Se fosse riuscito arrivare alla sommità avrebbe potuto vedere Tom senza essere visto. Avrebbe potuto capire dov’era.

Un vantaggio.
I palmi delle mani gli bruciavano, sfregando contro la ghiaia e fu un paio di volte sul punto di scivolare a causa delle scarpe dell’uniforme, ma riuscì ad arrivare fino in cima della grossa stalagmite.
Si affacciò e tirò un brusco respiro che gli si ficcò a fondo nella gola, bruciandola.
Tom era sotto di lui, esattamente a pochi metri in linea d’aria. Si aggirava tra la foresta di stalagmiti, con la bacchetta tesa davanti a sé ad illuminare le porzioni umbratili, dove il muschio fluorescente non cresceva.

Lo cercava.
Com’è possibile che l’imperio gli faccia fare questo… Com’è possibile che lo obblighi ad uccidermi?
In una situazione diversa avrebbe urlato, avrebbe pianto. Ora doveva capire come annullarlo.

Pensa, Al. Pensa.
L’imperius. È la maledizione della volontà. La annienta. Ma una forte volontà può combatterla. Papà l’ha combattuta.
Tom non mi farebbe mai del male.
Mai. Si è quasi fatto ammazzare per salvarmi dai Naga, mi ha nascosto che sapeva chi era la Prynn per mettermi al sicuro…
Poi lo intravide. Un bagliore, un riverbero dovuto ad un’angolazione della luce riflessa dalla bacchetta.
Era un luccichio, ed era attorno al collo. Come una collana, come…
Ha il medaglione! È quello!
Non era solo quello, lo sapeva. Ma era quello che confondeva Tom, che gli aveva fatto avere quegli sbalzi di umore tremendi per quasi tre mesi. Si trattava di fare due più due.
Ora sapeva cosa fare.
Tom doveva solo arrivare sotto di lui. Era un azzardo, avrebbe rischiato di far male ad entrambi, ma a quel punto qualche osso rotto non era certo un problema. Doveva prenderlo di sorpresa e a giudicare da come lo stava cercando in basso, era certo che non avesse capito che era lì.
Non avrebbe mai pensato che il Quidditch gli sarebbe servito fuori dal campo ovale.
Uno schiocco violento, come uno sparo  rimbombò per le pareti, distraendo Tom: adesso aveva la guardia abbassata.

Si lasciò andare e gli piombò addosso. Sentì un rumore soffocato provenire dalle bocca di Tom, e crollarono entrambi a terra. Sentì un dolore tremendo alla spalla, che quasi lo lasciò senza fiato. Non c’era tempo. Infilò la mano dentro la camicia di Tom e trovò la cordicella del medaglione. Gli diede uno strattone violento e quella si spezzò.
Sì!
Lanciò il medaglione oltre le sue spalle, ma a quel punto Tom si era già reso conto della situazione, e si era ripreso dalla sorpresa di sentirsi piombare qualcuno addosso. Lo spinse via da sé e con un colpo violento alle reni Albus si trovò schiacciato contro la roccia, a terra, con Tom sopra, la sua bacchetta premuta sulla carne tenera della gola.

Sgranò gli occhi, mentre il respiro gli si incastrava in gola. Tom aveva il volto vicinissimo al suo e respirava forte, furioso.
Furioso. È un emozione.
Aveva gli occhi di nuovo del suo colore, poteva intravederlo perché erano sopra ad una macchia di licheni che si diramava lungo le stalattiti che formavano il soffitto.
“Tom… Sono io.” Sussurrò. Non riusciva a gridare, la bacchetta sembrava volergli perforare la trachea. “Ti prego. Combatti, dannazione, combattila…”
C’erano solo loro due adesso. Niente medaglione. Solo loro due e la maledizione.
Tom si passò la lingua tra le labbra secche. C’erano di nuovo delle emozioni nei suoi occhi, poteva vederle agitarglisi dentro e fargli fremere i lineamenti. Come una tempesta cupa e violenta sulle scogliere di Dover. Era un immagine assolutamente idiota viste le contingenze, ma ad Al sembrò azzeccata.

Ma era ancora confuso. L’imperio continuava a ottundergli le capacità di ragionamento e l’ordine era ancora valido.
“Falla… finita.” Sussurrò spaventato. Doveva funzionare. “Stupido caprone egocentrico. Se sei tanto brillante, dimostralo. Combatti l’imperio e schiarisciti il cervello. Tu non vuoi uccidermi!” Riuscì a levare le mani, passandogliele lungo le braccia. Aveva i tendini tirati fino alla soglia del dolore, ne era certo. Premette le dita sui bicipiti. Riuscì ad alzarsi, di qualche centimetro necessario per raggiungere la sua bocca. “Se mi ammazzi…” Ormai doveva tentare tutto, e sperava che le favolette della sua infanzia sull’amore salvassero il culo ad entrambi. “Se mi ammazzi, giuro che ti uccido.”
E lo baciò.
 
Un impulso nervoso.
Nella sua vita Tom aveva imparato a classificare tutto, anche le emozioni. Era facile classificarle e dare loro nome e collocazione.
Ma quando si trattava di provarle, ovvio, non c’era logica.
C’era nebbia adesso, dentro la sua testa. Tanta.
Nebbia, rossa, rabbia, dolore e paura.
C’era qualcosa che doveva fare, e doveva farlo. Nessuno scampo. Come respirare.
Se non respiri, muori.
Non riusciva a capire cosa succedeva, agiva.
Aveva visto Harry, aveva combattuto con Harry. Si era reso conto di come il padrino non combattesse neanche alla metà della sua effettiva forza magica. Di come stesse cercando trattenersi, di salvarlo.
Ma lui non poteva fare lo stesso.
E poi c’era stato Albus.
Quell’idiota di Al aveva preso la bacchetta ed era cambiato il comando: l’aveva dovuto cercare.
Era diventato di nuovo tutto confuso.

Gli era piombato addosso e improvvisamente era diventato tutto più chiaro… ma era confuso, era stanco e c’era ancora il comando.
Uccidilo e prendigli la bacchetta. Uccidilo.
Ma era un impulso nervoso che l’aveva spinto a capire che lo stava baciando. Certo, tolto il suo significato, toccare la bocca con la propria era un gesto privo di senso.
L’aveva sempre pensato.
Ma c’era Al, e con quel bacio tutta la sua magia gli era entrata dentro, vibrandogli con una potenza spaventosa, come il vento che saliva dalla brughiera del Devonshire, lo stesso vento che faceva sbattere le finestre della Tana, che frustrava i capelli di Al quando d’estate si librava in alto con la sua scopa, nel cielo, fino a diventare un puntino lontanissimo, che brillava contro il sole.
Al era vento. Secco, pulito, che gli aveva riempito i polmoni…
… E finalmente aveva respirato.
 
Lo sentì staccarsi bruscamente, come scottato, ispirando come dopo una lunga apnea nell’acqua gelata.
Si scostò e tirò via la bacchetta. Lo fece con tale violenza che sbatté contro la parete opposta di roccia, tra le due stalagmiti in cui erano caduti.

Tom!” La gola gli pulsava dolorosamente ma significava che la circolazione nel punto in cui aveva premuto la bacchetta stava ritornando.
Tom lo guardò.

“Ehi… ehi, mi senti?” Gli balbettò, incerto sul muoversi e eliminare la distanza tra di loro. Era finita? Era davvero finita?
“Certo che ti sento…” Sussurrò. Ma parlò, Dio. Era la sua voce sfibrata dalla stanchezza, ma monotona, annoiata. Non avrebbe mai pensato che gli sarebbe mancato essere trattato come un idiota. “Sono a mezzo metro da te e mi stai urlando addosso.”

Probabilmente era solo gioia mischiata al desiderio di rompergli la testa con una pietra. Lo placcò, facendolo sbuffare, afferrandogli la camicia tra le dita, quasi strappandogliela. Non gli importava di essere goffo, né tantomeno di fargli male al momento. Gli morse le labbra, o lo baciò non gli fu ben chiaro e non gli importava finché lo ricambiava con la stessa sollevata disperazione, tenendogli il viso tra le mani.
“Va’ al diavolo!” Gli sbraitò contro. Probabilmente dopo avrebbe pianto per ore, ma al momento aveva solo il bisogno di strattonarlo, picchiarlo e toccarlo. “Stupido imbecille!”

Sentì le sue braccia, magre, piene di angoli e fredde stringerlo, così stretto da far mancare il fiato ad entrambi.  
“Al…” Lo sentì mormorare contro la sua tempia. “Mi hai sentito.”
“Sì… ed hai un modo schifoso per chiedere aiuto.”
Tom sorrise, Al sentì le sue labbra piegarsi contro i suoi capelli in una carezza morbida. “Non può muovermi obiezioni chi ha combinato la cretinata del secolo.”
“… È la Bacchetta di sambuco, vero? Sono diventato il nuovo padrone.”
“Pare di sì.” Sospirò appena. Lo sentiva tremare. Ma andava bene. Poppy lo avrebbe rimesto in sesto, l’avrebbe sgridato fino alla brutalità da convenzione di salvaguardia dei diritti dei maghi, ma sarebbe andato tutto bene.

Tom gli passò le dita trai capelli. “Non è finita.” Mormorò. “C’è ancora John Doe.”  
Fu come una doccia fredda doversi staccare da lui, per alzare il viso, e rendersi conto che suo padre stava ancora combattendo. I lampi si stavano avvicinando, come i rumori.
“Sta venendo a controllare…” Aggiunse, afferrandogli un braccio. “Si sarà reso conto che non c’è stato nessun lampo verde, o rosso. Che non ti ho ucciso. Che non ho il possesso della Bacchetta.”
Al deglutì, sfilandosi la bacchetta dai passanti della cintura. “Tutto per un pezzo di legno…”

Tom inarcò le sopracciglia, sembrando per un attimo assolutamente allibito. Poi stirò un sorrisetto, vicino a rompersi una risata: doloroso proprio perché non c’era niente da sorridere.
Non ancora.
Gli tirò una ciocca di capelli dietro la nuca: non aveva mai avuto bisogno di spiegare che detestava le pacche sulla testa. “Solo tu puoi definire la bacchetta più potente del mondo magico un legnetto Al.
“È quello che è! Almeno… in mano a me.” Si umettò le labbra. “Adesso cosa facciamo?”
Tom non rispose subito: sembrava sul punto di addormentarsi, o di svenire. Era così debole che quando Al si alzò in piedi non esitò neppure tanto prima di tendergli la mano per farsi aiutare.
Però lo sapevano entrambi, dovevano trovare una soluzione.

Tom raccolse la bacchetta, e se la rigirò tra le dita. Era la sua, quella che gli aveva strappato nella grotta, ma non gliela chiese indietro. C’era una luce fioca nei suoi occhi, molto simile a quella di una persona allo stremo. Non glielo fece notare. Non era il momento, gli strinse solo il polso.
Tom gli afferrò la mano, stringendola. Poi parlò.

“Ho un’idea.”



****
 

Harry parò l’ennesimo incantesimo, che gli sfrecciò al lato della testa con un lampo violentissimo.

John Doe sogghignò. “Mi sembri stanco, salvatore…”
“Va’ al diavolo.” Ringhiò, mentre un rivolo di sudore gli scendeva in mezzo agli occhi, fastidioso.
John Doe non era un pesce piccolo. O se lo era, era maledettamente ben addestrato al duello magico.

Era veloce, potente, spietato.
Ed io sono anni che non combatto seriamente con qualcuno…
La scrivania l’aveva intorpidito, i riflessi non erano più quelli di un ragazzo che aveva appesa sopra la propria testa una spada di Damocle.
Erano quelli di un uomo di ufficio e la magia, non utilizzata, si fiaccava.
Comunque, nonostante tutto l’aveva  messo in difficoltà. Il sicario aveva il fiatone come lui, e la potenza mortifera delle sue maledizioni era molto diminuita dall’inizio.
E poi c’era un altro particolare che era un palese segnale di quanto Doe fosse sfinito. I suoi lineamenti si erano infiacchiti, fatti più segnati. Invecchiati.
Quando l’aveva visto per la prima volta gli era sembrato un trentenne. Ora sembrava averne una cinquantina.
“Stanco? Non credo. Se non altro non sono invecchiato.” Motteggiò.
Doe fece una smorfia, passandosi una mano sul viso. Ghignò.
“Che imbarazzo. Credo che dopo avermi visto in queste condizioni dovrò ucciderti, Harry Potter. Ti dirò, sono un po’ nervoso all’idea. In fondo è la prima volta che ammazzo un eroe.”
“Non  ho ancora smesso di respirare, mi sembra.”
“Oh, questione di momenti.”
Il flusso dei rispettivi incantesimi si incontro di nuovo producendo una luminescenza arancione, accecante. Harry strinse i denti, ma quando con uno scoppio i flussi magici si interruppero, Doe aveva ancora la sua bacchetta in mano.

Dannazione.
Era una situazione di stallo.
Per quanto cercasse di disarmarlo, l’altro si difendeva. Per quanto cercasse di colpirlo, ergeva scudi. Alcuni incantesimi neppure li conosceva e solo i riflessi e l’arsenale che ricordava a memoria da quando ormai aveva diciassette anni gli aveva evitato di soccombere.
Lanciò un’occhiata verso il fondo della grotta, verso l’entrata.
E poi c’erano Albus e Tom. Non si sentivano rumori, non c’erano lampi di luce. Non si stavano scontrando.

Questo era un bene? Albus era riuscito a fuggire?
Era un male?
No, non voleva neanche pensare all’eventualità…

Vide nella sua visuale un raggio viola. Fece appena in tempo a deviarlo con un Sortilegio Scudo.
Doe sbuffò. “Ma come? Neppure mi presti attenzione? Mai abbassare la guardia. Mai.” Inarcò le sopracciglia. “Oh, perdonami. Sarai preoccupato per i bambini. Che dici, chi dei due ha ammazzato l’altro?”
“Figlio di puttana!” Ruggì furioso. “Stupeficium!”
“Devi fare meglio di così, Salvatore!” Rise l’uomo, vanificandolo con una robusta diversione della bacchetta che lo fece scoppiare in migliaia di scintille rosse. “Che ne dici di una bella maledizione? Al Ministero non saranno tanto contenti, ma ehi… il mezzo giustifica il fine. O hai paura di perdere la tua immagine da brav’uomo?”
Harry serrò la mascella. Usare le Maledizioni Senza Perdono.
Oh, in quel momento aveva sufficiente forza di volontà per uccidere una decina di John Doe.

Ma non poteva.
Le Maledizioni Senza Perdono erano qualcosa che apparteneva ai cattivi della sua storia personale, di quella dell’Inghilterra magica. Solo una volta l’aveva scagliata, contro Bellatrix Lestrange, fuori di sé dalla rabbia. Ma non aveva funzionato.
 
‘Ma devi volerlo, Harry…Devi voler uccidere.’

Sentiva la voce strisciante di Voldemort risalirgli lungo la china dei ricordi, fare il nido nelle sue orecchie, balenargli davanti agli occhi.
Tom…

Il suo bambino silenzioso, quello che si addormentava tutto rigido sulla moto per non raggomitolarglisi contro come ogni bambino normale, perché si vergognava.
Thomas, con quegli occhi rossi.

Oh, se lo voleva uccidere.
Ma non poteva.
Si aggiustò gli occhiali, sentendoli pesanti come macigni. “Io non sono un assassino.”
“Ah no?” Interloquì Doe con un sorriso sgradevole quando i suoi lineamenti indeboliti dalla fatica. “La tua fama non riposa sui cadaveri dei tuoi nemici?”

“Ho fatto ciò che dovevo.” Sillabò aspro. “E non devo giustificarmi con te, né con nessun altro.”
È così che ha messo in crisi Thomas? Con le domande, con piccole esche…
Maledizione, capisco perché ci sia caduto. Alla sua età avrei fatto lo stesso, se non avessi avuto Silente e Sirius…
 
“Tu non sei una persona cattiva Harry, sei una persona buonissima a cui sono successe cose cattive. Tutti portiamo luce ed ombra dentro di noi. Ciò che conta è da che parte scegliamo di agire. Questo è ciò che siamo.”¹
 
Sirius poteva aver avuti tanti colpi di testa, tanti difetti, primo trai quali averlo considerato la copia di suo padre.
Ma quel discorso non l’aveva mai dimenticato e l’aveva fatto suo.

Avrebbe dovuto dirlo a Thomas, quando c’era ancora tempo.
“Pensi che sia un ragazzino influenzabile? Ti avverto che già altri ci hanno provato prima di te.” Fece un sorriso quieto. “E ti assicuro che non ha funzionato. Sono ancora qui.”
Doe tese le labbra in una smorfia, poi guardò qualcosa oltre le sue spalle. E ghignò.

Era un largo, orribile ghigno felice. Possibile che i cattivi sorridessero tutti nella stessa melliflua maniera?
“Non sto bluffando. Voltati, salvatore di mondi.” Fece una pausa. “Ciao Thomas.”


“Doe.”


Si voltò di scatto, con il cuore in gola e un orribile senso di smarrimento. Per un attimo, solo per un attimo, desiderò poter tornare ragazzo ed avere di nuovo qualcuno a coprirgli le spalle, e dire cosa fare.
Tom era da solo, e stringeva in mano… la Bacchetta.
Doe non abbassò la sua, non era così stupido, ma gli occhi gli brillavano di soddisfazione. Una gioia selvaggia. “Bravo il mio ragazzo. Avanti, vieni qui. Fai vedere ad Harry la tua nuova bacchetta.”
Tom mosse qualche passo.  

Al? Dov’è Al?
“Tom, dov’è Al?” Sussurrò sentendo la voce graffiargli la gola. Merlino, non poteva essere.
Il ragazzo non gli rispose, ma si voltò verso di lui.
L’espressione di gioia di Doe era troppa, perché si accorgesse dei dettagli.

Harry non capì subito. Era stanco, sfibrato e Tom davvero, sembrava…
Poi lo notò.
Tom non aveva gli occhi rossi. Li aveva blu. Di quel blu straordinario, che a volte, quando era in penombra sembrava ossidiana. Il colore del mare profondo.
I suoi occhi.
“Vieni Thomas… Harry non ti farà del male.” Fece un ghigno sarcastico. “Sai, lui è un eroe.” Tese la mano. “Dammi la bacchetta.”
Tom si avvicinò, tendendogliela dalla parte del manico.
Tom, no!” Gli gridò, disperato. Non voleva schiantarlo. Non poteva farlo, quando era evidente che qualsiasi incantesimo l’avesse colpito avrebbe rischiato di ucciderlo. Si reggeva a malapena in piedi. E lui stesso non era certo di poter calibrare uno schiantesimo in modo tale da farlo semplicemente svenire.
Il ragazzo non si voltò, raggiunse Doe.
“Tuo padre sarebbe fiero di te, ragazzo.” Lo apostrofò l’uomo, facendo per afferrare la bacchetta. Non c’era brama nel suo sguardo, solo la soddisfazione di aver concluso la missione. Harry era certo che a John Doe non interessava quella bacchetta.
Tom a quel punto si fermò. Inarcò le sopracciglia.
“Mio padre dice sempre che non bisogna fidarsi dei chiacchieroni. Devo ammetterlo, per essere un babbano aveva ragione.” Ritirò il braccio di scatto facendo afferrare all’uomo soltanto l’aria. “Tu parli troppo.” Si scostò dalla traiettoria, dalla traiettoria di qualcuno che Harry vide muoversi alle sue spalle.
Era Al, con di nuovo la sua bacchetta in mano.
Petrificus Totalus!
Doe non se l’aspettava era evidente. La sorpresa gli si dipinse in volto, pura e sgomenta prima di crollare a terra come un sacco, immobile come una statua di cera.
Harry ricordò di colpo come per Al fosse sempre stato difficile scandire precisamente gli incantesimi in situazioni di stress. In quel momento l’espressione del figlio riflesse quella di Ginny. Era dura, brillante.

“Albus!” Tenne d’occhio Doe, ma corsa da lui. “Al, stai bene?”
Il ragazzo inspirò, guardando la propria bacchetta. “Ora che ho la mia bacchetta sì…” Mormorò, con un’ombra di sorriso. “Ora sì. Mi… mi dispiace papà. Ho fatto un casino.”

Harry gli passò un braccio attorno alle spalle, tirandoselo contro. Al ricambiò l’abbraccio, stringendolo come quando da bambino lo vedeva materializzarsi dopo una lunga missione.
“Non dire sciocchezze.” Gli sussurrò trai capelli, cercando di frenare il groppo alla gola. Suo figlio non aveva bisogno certo di un genitore scosso in quel momento. “Sei stato grandioso.”
“Preferisco rimanere me stesso, grazie.” Mugugnò, facendolo ridere.
Tom intanto si avvicinò a Doe, calciandogli via la bacchetta dalla mano. Harry capì subito che non andavano lasciati da soli. Per nessun dannatissimo motivo, e ne ebbe la conferma quando vide l’espressione di Tom.

Il ragazzo teneva la bacchetta contro l’uomo che lo fissava sgomento, per la prima volta con un’espressione di terrore dipinta in viso.
“Cosa dici, Doe, anche se non sono il padrone, funzionerà per ucciderti?”
“Tom!” Gridò Al, staccandosi dal suo abbraccio. “No! Sei impazzito?!”
“Thomas, non ne vale la pena.” Lo richiamò Harry. Conosceva quell’espressione. L’aveva vista sin troppe volte in guerra addosso a lui o ai suoi amici. Vendetta. Il ragazzo era teso come una corda, la mascella serrata.  

“Non me ne importa nulla. Neppure io la valgo.” Gli lanciò un’occhiata bruciante. “Tu sai. Non è così?”
Harry non rispose subito. Fece solo un paio di passi, facendo cenno a Al di restare fermo. Era quello il momento cruciale: il figlioccio era in sé, ma lo shock di quei giorni di prigionia, la rabbia e la paura lo rendevano molto più pericoloso che sotto imperio.

Troppi giovani assassini erano nati così, durante la guerra.
“Sì. So tutto. E non mi importa.” Disse piano. “Tu sarai sempre il mio figlioccio. Sei…”
“Sono Voldemort.” Lo trafisse con lo sguardo, quasi sfidandolo a contraddirlo. “Sono la sua anima.”
“Voldemort era la mia nemesi, l’uomo che ha ucciso la mia famiglia e distrutto la mia infanzia.” Un altro passo e gli fu accanto. “Non possiamo decidere come nascere, o da chi. Ma possiamo decidere chi essere. Una volta una persona mi disse che siamo le nostre scelte. Puoi mettere fine alla sua vita. Credimi, lo capirei. Ti ha fatto del male, ti ha ingannato e ti ha quasi costretto ad uccidere Albus facendoti diventare un assassino.”
Tom non lo guardava. Fissava la smorfia scomposta dell’uomo sotto di lui, immobile e incapace.
Non faceva più paura adesso.  

Sembra solo un patetico ometto…
“Oppure?” Chiese. “L’altra opzione, Harry.”
Il tono era indifferente, ma Harry sentì la disperazione. La percepì nello sguardo, nella postura, nel modo in cui lo guardava di sottecchi.
Lo stava sfidando a dargli la risposta giusta.
“Oppure puoi scegliere di dispiacerti per lui. Sei tu che hai la sua vita nelle tue mani adesso. La pietà è uno dei sentimenti più difficili da provare al mondo. Voldemort non l’ha mai provata in vita sua.”
“Non mi sento particolarmente pietoso…” Sussurrò, ma abbassò la Bacchetta chiudendo gli occhi. Non lo guardò mentre gliela consegnava. 

Al dietro di lui respirò di sollievo. Deglutì, guardandosi attorno nervosamente.
“Possiamo andarcene adesso?” Chiese spezzando il silenzio. “Questo posto mi dà i brividi.”
Harry annuì  e con un cenno leggero del polso tirò in piedi Doe, pronunciando a mezza voce un incarcerarmus per legarlo.
Tom raggiunse Al. Harry lo vide tirargli un leggero colpo contro la spalla con la propria. Poi non si scostò, rimase lì, accanto al figlio. Al gli sorrise.
C’era un linguaggio segreto tra quei due, Harry l’aveva sempre saputo: probabilmente era quello che li aveva salvati.  
“Ho ancora voglia di ucciderlo.” Mormorò quando Harry si fu assicurato di tenere di fronte a sé Doe, con la bacchetta premuta sulla schiena. Incedevano per la grotta lentamente, stanchi. Al aveva il braccio di Tom attorno alle spalle. Lo sosteneva; era palese che con l’azione di prima doveva aver esaurito tutte le forze.

“Comprensibile.” Gli sorrise appena. “Sei umano.”  
Tom non rispose.
Arrivarono all’entrata. Al si morse un labbro, guardando il padre che soffocò un’imprecazione.
“Sapevo di averla colpita…” Disse tra sé e sé. “Dovremo aspettare che riattivino il passaggio dall’esterno. Ora come ora la passaporta è inutilizzabile.”
Al spiò l’arco di pietra semi-franato: prima non aveva avuto il coraggio di passarci in mezzo, ed evidentemente aveva fatto bene a dar retta al suo elevato istinto di conservazione.

Serpeverde per la vita.
“Perché? C’è ancora il passaggio…” Chiese comunque.
“Sì, ma non è più collegato magicamente all’esterno.” Gli spiegò il padre, con un sospiro.
“Come comunichiamo con l’esterno?” Al si rabbuiò. “C’è un modo?”
“Temo di no… Ma credo si siano accorti che il passaggio è stato compromesso anche da fuori. Verranno a prenderci, sta’ tranquillo.”

“Potresti chiedere alla tua fenice.” Esordì Tom nel silenzio.
Fenice?” Harry batté le palpebre, attonito. “Quale fenice?”
Tom inarcò appena le sopracciglia. “Quella che c’era prima. Ero sotto imperio Harry, e l’ho notata persino io. Volteggiava sopra la tomba di Silente, e poi è scomparsa in una gigantesca fiammata. Ma ti dava le spalle, in effetti.”
Al arrossì, sotto lo sguardo sbalordito di suo padre. “È… l’ho trovata nel bosco un paio di settimane fa. Mi ha seguito e mi ha portato qui. L’ho chiamata Fanny. Anche se non so se sia quella Fanny.” Si schiarì la voce, chiamandola. Se Tom non avesse detto che anche lui l’aveva vista, avrebbe pensato ad un’allucinazione. Dopo avergli aperto la tomba infatti era scomparsa.
Si sentì un canto, che Harry ricordò come se non fossero passati vent’anni da quando l’aveva vista l’ultima volta. Certo, poteva non essere quella fenice…
Ma di certo le somigliava mentre planava dolcemente sul braccio di suo figlio.

“È straordinario…” Sussurrò rapito, guardandola. Era un esemplare giovane, e le dita di Al le carezzavano con naturalezza le piume. “Al, credo che ti abbia scelto come padrone… Ed è una cosa che succede raramente.”
“Siamo solo amici.” Rispose con un mezzo sorriso, facendosi beccare affettuosamente il lobo dell’orecchio. “E poi ho già Anacleto.”
Harry abbozzò un sorriso, nascondendo una risata. “Merlino Al! Non so se ti rendi conto, ma…”
Certo che me ne rendo conto.” Lo fermò serio. “E non me ne importa nulla. Io voglio diventare un medimago. Non sono un nuovo Silente. Mi basta avere il suo nome. Davvero.”
Harry lo guardo incredulo, prima di ridacchiare. Era così da Al un ragionamento del genere, così umile ed insieme cocciuto che si sentì un idiota ad aver pensato che avrebbe avuto problemi con la questione della Bacchetta, che potesse esserne attratto: suo figlio aveva le idee chiare. Non era interessati alle luci della ribalta, né tantomeno ad entrarci, anche se perfettamente legittimato a questo punto.

“Diventerai un gran mago, Albie.”
Il ragazzo, prevedibilmente, sbuffò. “È Al, papà.”  Poi diede un colpetto con le dita, gentile all’ala destra della fenice. “Avverti le persone qua sopra, Fanny. Avverti che siamo qui ed abbiamo bisogno di aiuto per uscire.” Guardò il padre, come a cercare conferma. Harry gli sorrise ed annuì. Al stese il braccio e lasciò che Fanny volasse via.

Era finita adesso, giusto?
 
Accadde tutto all’improvviso.
Era così che succedeva nella realtà: le cose orribili non accadevano mai a rallentatore, ma in una semplice, ridicola, frazione di secondo.
 
Tom si era subito accorto che sia Al che Harry non stavano affatto badando a John Doe.
La sorpresa di trovarsi una fenice tra le mani aveva distratto entrambi. Comprensibile, ma lui conosceva bene quell’uomo.
E persino legato e stordito era un pericolo.
Lo era.
Perché lo vide di nuovo sorridere.
Mormorò qualcosa a fior di labbra, mentre Harry e Albus seguivano il volo colorato della fenice, una macchia di fuoco in mezzo a tutto quel celeste opalescente.

Un incantesimo non-verbale.
Se era rimasto in silenzio tutto quel tempo non era perché era stato vinto.
Ma perché stava cercando di rompere l’incarcerarmus.
Le corde gli caddero di dosso, come serpenti morti. E Tom seppe con calcolata precisione che era ad Al che mirava, al nuovo possessore della Bacchetta.  
John Doe voleva ancora finire il suo compito.
Se non sono io, sarà lui.
Tirò fuori dalla tasca della giacca un’altra bacchetta – come potevano essere stati così stupidi a non supporre che un sicario ne avesse una di ricambio? – e gliela puntò contro.
Tom vide gli occhi del ragazzo fissarsi su Doe e sgranarsi, grandi, enormi, spaventati.

Harry si voltò di scatto, ma non avrebbe mai fatto in tempo: aveva la bacchetta abbassata.
Tom allora capì cosa doveva fare.
Era semplice.
Si liberò dalla presa di Al e spinse, con tutte le forze Doe fuori dalla traiettoria di tiro, afferrandogli un braccio. Sentì il suo corpo urlare di dolore per il movimento brusco e il ringhio rabbioso dell’uomo.
Non c’era stato altro tempo, se non per fare quello, ma la spinta li sbilanciò facendoli cadere dentro l’arco della passaporta.
L’ultima cosa che sentì fu Albus urlare il suo nome.  

Scusa Al.
E poi fu inghiottito dal buio.
 
****
 
 
Poteva succedere qualcosa del genere. Poteva, sì, certo. Era plausibilissimo.
Ma non avrebbe dovuto.
 
Rose sentiva il fiato corto mentre affrontava l’ultima rampa di scale della Torre di Astronomia.
James era tornato neanche cinque minuti prima ai dormitori, di nuovo con il Mantello e con un’espressione scombussolata.
Come se non potesse crederci.
E chi ci poteva credere? Pensò sentendo i passi di Scorpius e James dietro di sé, distanziati, perché probabilmente per la prima volta nella sua bibliofila vita stava correndo più di due atleti.
Perché sì, era tutto finito.
Al era salvo, i Doni della Morte erano di nuovo al sicuro e suo zio e suo padre si stavano occupando di tutto, assieme al sergente Smith.
Ma Tom…
Salì gli ultimi gradini della scala a chiocciola.
Sapeva che avrebbe trovato lì Albus, come sapeva che non sarebbe rimasto in infermeria ad attendere zia Ginny per essere portato via.

Al dava le spalle all’entrata, con le mani appoggiate sulla ringhiera.
Volle chiamarlo, ma non ci riuscì. Non subito almeno.

Che senso aveva poi, visto che non sapeva cosa dirgli?
Scorpius la raggiunse, sbuffando, mentre le metteva una mano sulla spalla. “Da quando corri così veloce?”
“Istinto del Clan Potter-Weasley.” Mormorò senza riuscire a sorridere.

Thomas era caduto dentro la passaporta rotta. Ed era scomparso.  
Teddy, arrivato poco dopo James, aveva loro spiegato che era il primo caso di smaterializzazione di quel genere. Che erano stati chiamati degli esperti dal Ministero, che avrebbero fatto delle ricerche, perché sfortunatamente – Teddy aveva solo riportato le parole di  Smith o era certa che avrebbe dovuto ucciderlo - non esistevano incantesimi per far riapparire qualcuno.
Non in quel modo.
Teddy aveva anche detto che c’erano buone possibilità che la passaporta l’avesse trasferito in un luogo fisico.
Ma non era dato sapere quale.
James si schiarì la voce. La luna in cielo si stagliava, esile, un quarto di luna. “Va’ da lui.” Mormorò. “Noi… beh, siamo maschi. Non è proprio il caso, ecco.” Aggiunse.
Rose deglutì, ma non fece obiezioni. Era il suo Potter, quello, anche se in quel momento non le era mai sembrato così distante.
Si avvicinò, appoggiandosi alla ringhiera accanto a lui.

Albus aveva un grosso cerotto sulla guancia e il mantello di Harry addosso. I capelli arruffati gli cadevano sugli occhi, nascondendogli l’espressione.
“Il coprifuoco?” Le chiese piano.
“Al diavolo il coprifuoco.” Rispose. “Stai bene?”
“Sono vivo. E non avrei dovuto esserlo.” Si scostò una ciocca di capelli. “Tom mi ha salvato.”
“… Lo so.” Esitò. “Al, io…”
“Tornerà.” La interruppe, guardando un punto imprecisato, che Rose non riuscì ad individuare. Era oltre la macchia degli alberi della Foresta Proibita. Forse addirittura oltre le montagne.

Lo stai cercando, Al?
“Certo…” Dio, che avrebbe dovuto dirgli? Che forse gli era successa la stessa cosa accaduta a Sirius Black, come aveva ipotizzato Teddy? Che forse era svanito nel nulla?
“No. Lo so che non mi credi.” Al scosse la testa. Non piangeva. Non era pallido. Non era sconvolto. Era tranquillo, realizzò Rose stupita. Non ci credeva a quello che diceva, ne era certo. “Tom è vivo e tornerà.”
Rose inspirò, sentendosi orribile quando lo disse. Ma non poteva non dirlo.

Non era sempre facile essere amica di qualcuno.
Anzi, a volte è un fottuto schifo.
“Al… non sanno se la passaporta, in quelle condizioni, si sia attivata o se invece… lo abbia…”
Al la guardò. Era uno sguardo pulito come il vetro e penetrante nello stesso modo.

“Tu che probabilità sceglieresti, Rosie?” Le chiese. “Sapendo che il ragazzo che ami ti ha salvato la vita con la sua?”
Rose si voltò verso Scorpius. Aveva ascoltato, come James. Erano rimasti in disparte, ma c’erano.
Lo sapeva anche Al, si capiva dalla postura delle spalle. Sapeva di averle coperte, adesso.
“Sceglierei…” Esitò, poi continuò più sicura. “… Sceglierei quella in cui faremo i MAGO dell’ultimo anno assieme e lo batterò miseramente.”  

Al abbassò lo sguardo e finalmente si lasciò stringere in un abbraccio.
“Lo odio…” Sussurrò contro la sua spalla. “È un vero idiota.”
Rose inghiottì il groppo di lacrime che avrebbe rovinato tutto. “Certo che lo è. Ma non penso lo sia al punto da non saper tornare indietro, no?”
Al rise appena. Un suono tenero e fragile come una piuma di zucchero. Lo strinse forte, perché era giusto così e perché era quello che avrebbe fatto finché Tom non sarebbe tornato.

“Tornerà da te, Al. Perché prima o poi si torna sempre a casa.”
 
 
****
 
 
 
Le onde frustavano dolcemente la risacca, lasciando una spuma soffice e del colore del latte.
Dopo ogni tempesta, arrivava sempre il sereno per le bianche scogliere calcaree che tanti pittori avevano dipinto e tanti poeti avevano decantato.
E quando la tempesta lasciava la costa, quando l’acqua tornava ad incresparsi dolcemente, c’era sempre qualcosa che lasciava in regalo, quasi a volersi scusare di aver maltrattato gli isolani. 
 
Oma! Oma guarda! C’è un ragazzo sulla spiaggia!”
“Meike, vieni qui! Un ragazzo? Non fare la sciocca!”
“Ma no, è vero ti dico! Vieni a vedere, guarda!”
“Oh, per l’inferno di Nurmengard…”
“Ti dicevo la verità, hai visto? Com’è bello… Sembra un principe addormentato! Viene dal mare, oma? Dici che viene dal mare, come la Sirenetta?”

“No, bambina mia… Non viene dal mare.” Aveva spostato con le dita una ciocca di capelli fradici dal viso del ragazzo. Erano color dell’ala di un corvo. Sua nipote aveva ragione, dall’alto dei suoi pochi anni di vita. Aveva la bellezza di un principe. E la tristezza di un naufrago.
“Allora da dove viene?”
“Non lo so, tesoro mio. Ma credo che abbia perso la strada di casa.”
 
 


One of these days the sky's gonna break and everything will escape and I'll know

One of these days the mountains are gonna fall into the sea and they'll know
That you and I were made for this
But until that day I'll find a way to let everybody know that you're coming back,
you're coming back for me²


 
 
 
 
****


 
Note:
Finita!

Eddai, lo sapete (ormai l’ho detto a chiunque) ci sarà una seconda parte.
Fatemi organizzare, fidatemi di me, che anche se adoro i finali aperti adoro più gli happy-endings.
Sul serio.
Per farmi perdonare, ecco l’ultimo capolavoro di Iksia. Non potete odiarlo, è Tom Quindi per favore, non odiate me. *occhioni brillosi*
 
1 – Da “Harry Potter e l’Ordine della Fenice”
2 - Qui la canzone. Ascoltatela, perché giuro che l’ho scelta la prima volta che l’ho sentita. Ho saputo subito che era la canzone finale della prima parte.

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