A ''Day Off'' To Repent di _Cthylla_ (/viewuser.php?uid=204454)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** A ''Day Off'' To Repent (A Little) ***
Capitolo 2: *** A ''Day Off'' To Repent (Definitely) ***
Capitolo 3: *** A ''Day Off'' To Repent (More Than Ever) ***
Capitolo 4: *** Another Day (not off) To Repent ***
Capitolo 5: *** Another Day (not off, Jumanji-like) To Repent ***
Capitolo 6: *** Another Day (yeah, another) To Repent ***
Capitolo 7: *** Neverending Days To Repent ***
Capitolo 8: *** The Last Day To Repent (Almost) ***
Capitolo 9: *** The Last Day To Repent (es wurde auch zeit!) ***
Capitolo 10: *** ''Kaon, you wretch!'' ***
Capitolo 1 *** A ''Day Off'' To Repent (A Little) ***
La one shot qui
sotto è legata, seppur non in modo
strettissimo, alle precedenti storie “Chasing Rainbows (Or
Maybe Bears)” e
“Where A Butterfly Can Lead You”.
Il contesto sarebbe più sul generale/vago ma... solito
discorso.
Altra cosa che non
serve sapere per comprendere quel che
c’è qui sotto: cronologicamente
parlando, si colloca un paio di giorni prima rispetto alla fine della
mia long
del 2013, “The Specter Bros’ ”.
Ringrazio Neferikare per varie cose, principalmente per avermi dato una
mano a trovare la variante del nome della ex-proprietaria di
Pettinathia xD
Passo e chiudo.
A
"Day Off" To Repent (A Little)
Nella città-Stato di Pettinathia, bolgia infernale di
tossici, spacciatori, produttori di infinite varietà di
droghe dall’infinita
varietà di effetti e di pazzi da ricovero lasciati
rigorosamente a piede libero, il
leader della Decepticon Justice Division riteneva che aver trovato quel
locale
dall’apparenza perfino decente, abbastanza tranquilla e
ideale per lui e la sua
minuta accompagnatrice, fosse qualcosa di estremamente simile a un
miracolo.
«Poteva essere peggio».
«Mh».
Si trovavano in pieno centro, all’ultimo piano di
un palazzo che ne contava sei, uno dei più alti in tutto il
territorio.
Gli
edifici di Pettinathia non erano famosi per la loro altezza,
né alla
proprietaria attuale né alla precedente era mai importato
particolarmente
cercare di far costruire una bella skyline; questo complice il fatto
che il vero
cuore della città-Stato pulsasse sotto la superficie.
Per quel che Tarn era venuto a sapere, il complesso sotterraneo
di Pettinathia era una città sotto la città,
estesa cento volte tanto, forse
anche di più, tanto in larghezza quanto in
profondità. Voci non confermate
suggerivano che la principale fonte energetica fosse il nucleo stesso
del
pianeta, la cui potenza era stata imbrigliata in modi sconosciuti.
Solo il cielo sapeva cosa ci fosse di preciso là sotto ma,
più probabilmente, anche le divinità di ogni
pantheon avevano preferito
strapparsi gli occhi dopo aver dato una breve occhiata.
Dopo un altro sorso al cubo di energon che stava bevendo,
Tarn fece un breve sospiro. «Nickel, non guardarmi in quel
modo. So che
Pettinathia non ti piace, io per primo non amo troppo l’idea
di trovarmi qui,
però è diventato un luogo
“utile” per più di una
ragione».
«Non mi piace questo posto, non mi piace che gli altri siano
in giro da soli» disse Nickel «E non mi piace aver
lasciato la Peaceful Tiranny
dove l’abbiamo lasciata. Se ne approfittassero per cercare di
entrarvi?»
«Se accadesse lo saprei e Stiria avrebbe di che pentirsi.
Abbiamo
un accordo con lei in quanto padrona di questo posto ed entrambi
abbiamo
interesse a rispettarlo. Lei a dire il vero ne ha un
po’più di noi» le ricordò
il Decepticon «La DJD ha tolto dalle scene alcuni Decepticon
in grado di
distruggere da soli interi battaglioni, non c’è
granché da temere da una
ragazzina col suo grosso parco giochi. Questo patto dà
T-Cogs e un’area sicura
a noi, shanix a volontà e la garanzia di essere lasciata in
pace a lei: onesto
direi. Non temere, so quello che faccio».
“Al di là del fatto che non sembrasse
particolarmente tesa
quando ci ha incontrati, mi dà da pensare già
solo il fatto che la paghi per i T-Cogs, Tarn”
pensò Nickel, scegliendo per una volta di non esternare le
proprie
considerazioni.
«Ne sono sicura ma spero comunque di non dover tornare qui
troppo
presto».
«Il rifornimento di T-Cogs durerà per un pezzo e,
in ogni
caso, per un po’ le nostre prossime visite saranno
più brevi» la rassicurò lui
«Un momento libero una volta ogni tanto migliora la
performance del gruppo,
troppi momenti liberi rischiano di deconcentrarli e impigrirli. Non
è quel che
desidero. Mh. Noto che a Vos e Kaon le ore già trascorse
potrebbero essere
bastate» aggiunse, vedendo i due all’ingresso
«E noto anche che Kaon sta ridendo
come un pazzo… e quell’imprecazione di Vos mi era
sconosciuta… spero per Kaon
che non abbia deciso di prendere qualche strana sostanza nonostante gli
ordini
contrari».
«Sempre che non gliel’abbiano fatta assumere di
straforo»
borbottò Nickel, alzando gli occhi al soffitto
«Questo è il centro di
Pettinathia, se non avessimo messo i filtri prima di uscire
dall’astronave a
quest’ora saremmo stati tutti strafatti. L’aria
è satura di chissà cosa, come
si fa a vivere in un posto del genere non lo so!»
«All’estremo confine della città va
meglio, non c’è bisogno
dei filtri» disse Tarn «Ma di stare in guardia dai
pazzi, sì» aggiunse poi,
ricordando il tuffo dell’ursanokor in piscina al quale aveva
assistito almeno
un mese e mezzo prima «Vos, Kaon, già di
ritorno?»
Vos si limitò ad annuire squadrando Kaon, ancora scosso
dalle risate, in un modo tale da far pensare che presto avrebbe assunto
la sua
forma da fucile d’assalto e avrebbe chiesto a Tarn di
uccidere così il compagno
di squadra.
«Mi sono andato a infilare in un posto assurdo»
raccontò il
cybertroniano dalle orbite vuote «Un locale ricavato nel
seminterrato di una
fabbrica attiva prima del cambio di gestione…»
Prima del cambio di gestione, ossia prima che Pettinathia
iniziasse a chiamarsi con tale nome e prima che Stiria ne prendesse il
controllo.
In precedenza era stata la socia della creatrice e
reggente di quel posto, tal “Dhambrexia”, la quale
disgraziatamente era morta
di overdose.
Quella era la versione ufficiale, anche se Tarn aveva
qualche dubbio sulla veridicità della questione. Non che lo
riguardasse: sapeva
certe cose solo perché fare affari con qualcuno senza
informarsi neppure un
minimo sarebbe stato stupido, e lui non era stupido.
«Non hai
idea di
quello che ho sentito e non hai idea di quello che ho
rimediato!» esclamò Kaon,
dando una pacca a un borsone che, quando il gruppo si era diviso,
decisamente
non aveva.
«Mi sembrava di essere stato chiaro a riguardo: non si
assumono, non si comprano e non si rubano stock di droghe».
«Infatti non è droga, Tarn! Ammira!» dal
borsone tirò un
bottiglione di vetro «Una delle ultimissime rimanenze della
famosissima “colla
di valvola” del periodo pre- Stiria!»
Nel processore di Tarn e Nickel per un attimo ci fu solo
silenzio, mentre osservavano il contenuto bianco-azzurrino un
po’ luminescente
del bottiglione.
«Kaon» disse lentamente Nickel «Tu lo sai
che la valvola è… è quella che noi
femme abbiamo sotto...
oh, che domande, certo che sai cos’è la valvola, e
quella roba non può essere
stata davvero prodotta anche con i fluidi di… no, aspetta,
in effetti qui tutto
è possibile, ma se fosse così che
schifo! Toglila di torno, in nome di Prion!»
«Il suo lavoro però lo fa, i pezzi del tizio che
me l’ha
data sono rimasti appiccicati al muro che era una meravigl-»
Non riuscì a finire la frase: Tarn gli strappò di
dosso il
bottiglione e il borsone, imbracciò Vos in forma di fucile
da assalto e, con un
solo colpo, vaporizzò entrambi gli oggetti insieme a tutto
il loro contenuto.
Non sapeva se fosse il nome “colla di valvola”
fosse da
prendere alla lettera e se parte dei suoi componenti venissero davvero
da lì, probabilmente no,
ma riteneva il
solo fatto di averne avuto il dubbio una valida ragione per averla
distrutta.
«Adesso capisco il motivo per cui imprecavi, Vos»
disse
Tarn.
«Ma perché? Era roba buona! Poi se proprio non la
volevate
avremmo potuto vender-»
«No. Anche
perché
chi mai la comprerebbe?»
«Devo contraddirti, pare che a quei tempi andasse a
ruba»
disse Kaon.
Incredulo, Tarn poggiò a terra Vos, scosse la testa, si
sedette e tornò a bere dal cubo di energon. «In
giro c’è molta gente pazza».
«E non hai ancora sentito la storia della valvola senziente
e parlante diventata così per colpa di un processo chimico
andato storto! La valvola si faceva chiamare Paco» disse Kaon
«Era quella della defunta Dhambrexia. Si è
emancipata dalla proprietaria ed è scappata a Kalis insieme
a Tatiana. Tatiana
era la pancia senziente e parlante dell’ex marito di
Dhambrexia, e a quanto
pare Tatiana e Paco hanno anche avuto dei figli a forma di mini valv-
ehm, va
bene, d’accordo, ho capito» alzò le mani
in segno di resa, sperando che Tarn
puntasse altrove il suo doppio cannone a fusione «E comunque,
che sia vero o
no…»
«Direi che non lo è, in caso contrario i miei
sogni
inizieranno a essere infestati dai figli di Paco e Tatiana che vogliono
giocare
con me» borbottò Nickel.
«Che sia vero o no, certe cose ormai non capitano
più»
concluse Kaon.
«E di questo siamo tutti grati» sospirò
Tarn, desideroso
solo di poter cancellare i ricordi di quella conversazione.
«Ad ogni modo, non sono venuto qui perché mi ero
annoiato. È
difficile annoiarsi da queste parti» aggiunse, in procinto di
ricominciare a
ridere «… Tatiana e Pa-»
«Kaon».
«Ehm, sì. Sono concentrato. Allora, ho avuto
notizie
riguardo il prossimo obiettivo nella Lista: non è poi
così lontano da noi, come
vedi» porgendo a Tarn un datapad «E la rotta
più breve per raggiungere il
pianeta su cui si trova passa accanto a-»
«Al pianeta dove si trova Lord Megatron in questo
momento»
completò Tarn «Quello che chiamano "Terra". Lo
vedo, Kaon, lo vedo chiaramente. Tu riesci a vedere, Nickel?
Posso abbassare il pad se serve».
«Vedo perfettamente, ti ringrazio!»
«Bene».
Tarn pensò che era da molto tempo che la sua strada e quella
del
transformer di cui conosceva a memoria gli scritti, le imprese e i
precetti, e
che venerava quasi come una divinità non
si incrociavano.
Principalmente era colpa del fatto che la missione sacra
della Decepticon Justice Division portasse la squadra a rimbalzare come
una
palla da un punto all’altro del cosmo, perché i
traditori cercavano sempre di
scappare più lontano possibile.
Mai abbastanza, in ogni caso.
«Prima di raggiungere la nostra destinazione potremmo
chiedere il permesso di fargli visita nella Nemesis per porgere i
nostri
omaggi, il contrario sarebbe definibile come minimo scortese e la
scortesia nei
confronti di Lord Megatron sarebbe imperdonabile»
continuò il Decepticon «Al
termine del momento libero partiremo immediatamente».
«Di questo sono felice» disse Nickel.
«Sissignore» Kaon si schiarì la voce
«Resomi conto della relativa
vicinanza della Nemesis mi sono preso la libertà di
verificare alcune delle
presenze cybertroniane in essa e sul pianeta. Sai che abbiamo libero
accesso al
database del nostro esercito e, grazie a Soundwave, alla copia di
quello
avversario. Due nomi e mezzo tra quelli presenti sono nella nostra
Lista, li ho
colorati in rosso».
«Due nomi e mezzo? Ah! Comprendo» disse dopo aver
letto il
primo «Airachnid è effettivamente nella Lista ma
è praticamente in fondo, sai
che noi seguiamo un ordine preciso, e… Kaon, potrei
considerare l’ “e mezzo”
che mi hai detto quasi come un colpo basso. Purtroppo Lord Megatron ha
voluto
che rimuovessimo Starscream dalla Lista» sospirò
«Non so quali siano i motivi
che lo spingono a desiderare che la Scintilla di quella ignobile feccia
rea di molteplici tradimenti
a Lui, alla causa e a qualsiasi cosa, continui a pulsare... ma le sue
decisioni
sono incontestabili».
Lesse l’ultimo nome.
«Tecnicamente anche questo nome è posizionato in
basso nella
nostra Lista» disse, quanto più possibile atono.
“Ma da tempo, da quando ho capito chi era il colpevole del rapimento,
è molto in alto nella mia”.
«Ritiro quanto ho detto in precedenza: il momento libero
finisce adesso. Kaon, invia tutto a Helex e Tesarus, così
che possano
aggiornarsi mentre tornano alla Peaceful Tiranny. Se entro tre minuti
non
avranno visualizzato il tutto li chiamerò
personalmente».
Vos, tornato alla propria forma originaria, disse qualche
frase nel proprio linguaggio arcaico.
«La signorina compiacente che intendeva soddisfarli tutti e
due assieme a quest’ora sarà ridotta in condizioni
indicibili, stando ai rumori che
hai sentito, anche se loro
non avessero voluto farlo apposta. Spesso uno solo di loro
è già troppo per molte delle femme
comuni. Però non posso darti tutti i torti: se vedendo la
loro stazza e le loro
facce si è offerta lo stesso, forse intendeva proprio morire
oggi».
Tutti insieme attesero tre minuti.
Nessun segno di vita o visualizzazione da parte di Tesarus e
Helex.
«Magari la tipa non è morta e si stanno ancora
dando da
fare» ipotizzò Kaon.
«Improbabile».
Tarn tentò di comunicare con loro tramite comm-link: chiusi.
«Forse la femme in questione è riuscita a drogarli
o che di
simile e ora sta vendendo le loro parti corporee ai trafficanti di
organi.
Prima ne ho beccati una decina per strada, uno ha cercato di vendermi
delle
ottiche color serenity» disse Kaon
«“Otticheee! Ottiche, ottiche, ottiche! Tu
signore vuoi le ottiche per una bella fanciulla? Ottiche?
Ottiche!”. È lì che
ho usato un altro bottiglione di colla. Poi c’era anche un
altro che vendeva
dildi e vibratori di varie dimensioni, sospetto ricavati da cavi veri.
Volevo
comprartene uno» aggiunse, rivolto a Nickel.
«Te l’avrei infilato in un occhio!» fu la
risposta del
medico di bordo, ormai inquieta. «Se fossimo in qualunque
altro posto troverei
l’idea ridicola, ma qui…»
«Io e Stiria abbiamo un accordo» ribatté
Tarn, tentando di videochiamare
Helex e Tesarus tramite datapad «La sicurezza della mia
squadra doveva essere
garantita, meglio per lei che non venga a scoprire il
contrario».
Squilli a vuoto.
«Faccio un ultimo tentativo. Se non rispondono, Vos, tu ci
porterai nel posto dove li hai lasciati con quella donna. Sistemata
questa
faccenda sistemeremo anche il resto con chi di dovere».
Altri squilli.
Impegnato ad attendere una risposta, non si rese conto che
nel frattempo i file che aveva inviato erano stati visualizzati.
«Va bene, andia-»
Appena prima di terminare la videochiamata, finalmente
qualcuno rispose.
– Ehilà!
Seppur a stento, Tarn riuscì a contenere l’istinto
di
trasalire. «Chi sei?»
Non erano stati Helex o Tesarus a rispondere, bensì una
femme a lui sconosciuta dalle ottiche arancioni e dei
“capelli” fatti di catene
color ruggine, che lo stava salutando tranquillamente con la mano.
– Forse dovresti
dirmelo tu, siùcar, sei
tu che hai
chiamato. Ehilà tu lì dietro!
– esclamò poi la femme, apparentemente
rivolta a Vos – Non sai che ti sei
perso!
–
«Cioè… la tizia è stata con
Helex e Tesarus insieme ed è
ancora viva e vitale?!» allibì Kaon, lasciandosi
quasi sfuggire un risolino.
Tarn lo ignorò. «Io ho contattato i miei uomini.
Sono stati
visti con te l’ultima volta e ora non rispondono. Cosa gli
hai fatto?»
– Puoi ripetere?
–
«Non sono in vena di giochetti».
– Cos- non ti sto- eh?
–
Ora Tarn vedeva l’immagine muoversi a scatti. Maledicendo le
infrastrutture e il poco campo che doveva esserci nell’area
in cui si trovava
quella femme, pensò di provare a rendere più
chiare le proprie parole facendo
scattare verso l’alto la parte di maschera che normalmente
gli copriva la
bocca.
«Le persone che cercavo non rispondono, tu hai il loro
datapad. Cos’hai fatto ai miei uomini?»
– Cos’ho fatto? Ti
posso accontentare ma bada che è un racconto un
po’lungo! Allora, per prima
cosa ho tolto loro l’armatura pelvica usando la bocca,
scoprendo che erano
belli che pronti alla connessione già solo con questo, poi- –
«Non è quel che volevo sapere. Ti consiglio di
rispondere
seriamente alla mia domanda, perché mi stai facendo perdere
del tempo prezioso»
disse Tarn, abbassando gradualmente la voce «Te lo
chiederò per l’ultima volta:
cos’hai fatto ai miei uomini?»
Nickel, Vos e Kaon non potevano evitare di pensare che non
avrebbero voluto trovarsi nei panni di quella femme.
Tarn non stava prendendo bene l’idea di un accordo infranto,
della possibile perdita di due membri del gruppo -e uccidere un membro
della
DJD equivaleva spesso a un posto nella Lista - e della perdita di tempo
in sé.
– Credo che dovrai
venire a prenderli, la connessione li ha stremati. Io
gliel’avevo detto che se
avessimo continuato a oltranza non avrebbero camminato bene per una
settimana
ma non mi hanno dato retta – la femme fece
spallucce – Comunque sia sono
soddisfatti e ora sono in ricarica. Vedi? –
Sullo schermo del datapad comparvero le immagini di Helex e
Tesarus, esausti e in ricarica con un sorriso beato nonostante
l’inguine
leggermente danneggiato e sfrigolante.
«COS-» allibì Nickel
«Com’è fisicamente possibile questa
cosa?!»
– Se ci incontriamo te
lo spiego, donna che non riesco a vedere! Ehi! Puoi girare un
po’il datapad?
Almeno vedo anche la tua amica… no? Occhei. Come vuoi.
Allora, come vedi non
c’è nulla di cui preoccuparsi, quindi che cosa mi
dici, siùcar?
–
«Ti dico che quello che hai fatto causerà un
rallentamento
non indifferente ai progetti che avevo fatto, e nei progetti che avevo
fatto
non intendevo perdere neanche un minuto di tempo».
Se l’occasione fosse stata un’altra probabilmente
avrebbe
agito in modo diverso.
Se non ci fosse stata di mezzo la fretta, forse avrebbe
fatto un lungo sospiro e ammonito entrambi i suoi uomini, incredulo
all’idea
che potessero essere stati ridotti così da una femme durante
una connessione;
ma c’erano delle persone che voleva incontrare, alcune che sperava di incontrare e certe vecchie
questioni da sistemare, e
l’idea di dover spostare due mech stremati più
grossi di lui, con tutto quel
che ne conseguiva in termini pratici, lo stava facendo innervosire.
Inoltre, in quel frangente in cui era già irritato di suo,
l’impressione di non essere preso troppo sul serio non
migliorava le cose.
«Ragione per cui, avendo manifestato il desiderio di
incontrarci, non ti dispiacerà venire
accontentata».
L’aveva detto abbassando gradualmente la voce e rallentando
il ritmo delle parole in modo da paralizzarla, ma tutto quel che vide
fu il
sorriso della femme diventare un po’ più
largo.
– Immagino che tu prima, vedendo che mi muovevo a scatti,
abbia pensato che qui
da me non ci fosse molto campo. È stato carino da parte tua
scoprirti la bocca,
quel che dicevi è diventato molto più chiaro,
talmente chiaro di non aver
bisogno dell’audio per capirlo, bastava il labiale! Ihihihih!
–
Li aveva giocati.
Anzi, lo aveva giocato.
– Non so se finirò o
meno nella vostra Lista, per quel che si sa non sono il tipo di persona
che
rientra nei parametri, alla fine io e i tuoi uomini ci siamo solo
divertiti. Se
però dovessi decidere altrimenti, il nome da scrivere
è “Hallow”. Eeeeee
comunque, che io finisca o meno nella Lista, tu con quei bei cingoli
sei
decisamente nella mia! Addio, siùcar.
–
La comunicazione venne terminata così da Hallow, dopo un
occhiolino, in un
miscuglio tra flirt e un certo grado di menefreghismo che -Tarn non
poteva
saperlo- l’accompagnava nel novantacinque per cento dei fatti
in cui si trovava
coinvolta.
Il cubo di energon in mano a Tarn si incrinò con un sottile
rumore per poi finire ridotto in frammenti che andarono a conficcarsi
nelle
giunture tra un dito e l’altro.
Nickel, Vos e Kaon si scambiarono un’occhiata vagamente
allarmata.
«Credo sia tempo di andare a recuperare Helex e
Tesarus»
disse Tarn, dopo qualche secondo, con la massima calma «A
quest’ora saranno già
rimasti soli. Nonostante l’uso di certe parole non credo che
quella donna avesse
una gran voglia di incontrarci di persona».
«Pensando alle facce dei ragazzi è quasi un pec-argh!» gemette Kaon, interrotto
da un calcio
di Nickel e una gomitata di Vos arrivati contemporaneamente.
Non che avesse reale diritto di lamentarsi: era stato sempre
meglio rispetto all’esasperare ulteriormente Tarn come aveva
rischiato di fare.
«Andiamo».
***
Di cosa ci fosse dietro il nome “Stiria”, Tarn si
era fatto
un’idea già prima di incontrarla.
La parola “Stiria” era, secondo la sua modesta
opinione,
molto vicino a un sostantivo usato nella città di Praxus:
“hastiria”, che
null’altro era se non il modo in cui gli abitanti di
Praxus chiamavano l’isterìa nel loro dialetto.
«BRUTTI MONGOFLETTICI
DELLA GRAMMATICA!»
Nulla di più appropriato dal momento che gli strilli di
Stiria avevano raggiunto un livello di potenza e di acutezza tale da
far
incrinare più d’una vetrata teoricamente
infrangibile del suo palazzo -nonché
principale punto d’accesso all’infinito complesso
sotterraneo di Pettinathia- e
fatto esplodere svariate lampade nel corridoio che stava percorrendo la
DJD.
«Quella femme non è solo un pugno in un occhio,
è anche un
inferno per l’udito!» sbottò Nickel.
Tarn immaginò che il “pugno in un
occhio” fosse riferito ai
colori di Stiria: un miscuglio di azzurro, giallo e lilla, con glitter
rosa
spiaccicati a caso sulle sue ali da seeker che, altrettanto spesso,
erano decorate
anche con fili di lucine rosa intermittenti. L’insieme era
quasi peggio del
corno glitterato perennemente impiantato sulla fronte. In teoria era
per
imitare un animale mitologico non meglio conosciuto a Tarn, in pratica,
secondo
lui, Stiria lo teneva lì per cercare di infilzare le persone
durante i momenti
come quello attuale.
«Posso provare a fonderla, Tarn?»
domandò Helex «Sarebbe per
una buona caus…»
Si interruppe notando lo sguardo poco incoraggiante.
Probabilmente era dovuto al fatto che Tarn, insieme a Vos e
Kaon -il cui contributo era quasi inesistente per ragioni di stazza-
stava
sorreggendo lui e Tesarus insieme per aiutarli a reggersi in piedi e
camminare
quasi normalmente. Essere un point one percenter e avere un corpo molto
più che
potenziato era una fortuna, quando c’era da tirar su due
mechs più alti e più
grossi di lui.
Helex riconosceva che fosse abbastanza imbarazzante ma,
quando lui e Tess avevano incontrato Hallow, tutto avevano pensato
eccetto che
li avrebbe ridotti in quel modo.
In buona parte per colpa loro che non erano stati in grado
di dire “basta” pur essendo lucidi e avendo la
bocca libera, doveva ammetterlo.
«“Igloo” si scrive con due
“o”, non con la “u” e tantomeno
con la “u” accentata! Lo sanno anche le protoforme,
porca servicebot!»
Tarn si trattenne dallo sbuffare nel sentire, dopo quelle
frasi seccate di Stiria, altri strilli che la femme rivolse ai propri
sottoposti - evidentemente un
po’sgrammaticati.
Anche lui non amava molto gli orrori grammaticali ma gli
sembrava incredibile poter fare una tale scenata per un simile motivo,
come gli
sembrava incredibile che qualcuno con un tale atteggiamento potesse
governare
senza problemi un posto come Pettinathia.
Probabilmente le droghe che saturavano l’aria aiutavano a
tenere bassa la voglia di rivolte.
«Miss Stiria, chiediamo perdono per la nostra ignoranza
grammaticale ma la preghiamo di ritrovare un po’di
calm-»
«Non ditemi…»
Non mancava molto per arrivare, ormai, e Tarn vide che i
danni ai vetri in prossimità di Stiria erano ancora
maggiori.
«Di stare…»
Non seppe dire se il presentimento che ebbe fosse dovuto a
qualcosa di più rispetto alla semplice esperienza tra guerra
e utilizzo di
abilità peculiari, perché le informazioni che
aveva raccolto non avevano
parlato di capacità potenzialmente pericolose, ma
ordinò un “Tutti a terra,
staccate gli audio!”.
«CALMA!»
Nessuno inizialmente capì cos’era successo, avendo
obbedito
all’ordine, ma quando si rialzarono a riattivarono l'audio
sentirono i rumori di molteplici allarmi, videro che i vetri non erano
più solo incrinati ma del tutto rotti e che le pareti erano
piene di crepe.
«Peggio di mia madre» fu tutto quel che
bofonchiò Tesarus.
Quando arrivarono nella stanza dove si trovava Stiria videro
che quei disgraziati dei suoi sottoposti, probabilmente avvezzi a certe
cose, si erano gettati a terra come avevano
fatto loro riuscendo a rimanere vivi, ma tutt’attorno a loro
c’era un
disastro di vetri rotti e pezzi di parete crollati a terra; in
particolare quella in
direzione opposta a Stiria, sulla quale si apriva un grosso squarcio.
Quando la giovane seeker notò che erano entrati li
indicò,
poi indicò i propri galoppini e…
«Perché sono circondata da imbecilli che non sanno
scrivere?
Perchééééé?!»
“E”, piagnucolando, andò a spiaccicare
la faccia sul petto
di Vos, il quale non seppe più che pesci pigliare.
Sensazione comune all’intera squadra, a dire il vero.
“Spero che le femme non diventino tutte così a
quest’età”
pensò Tarn, per più di un motivo.
«E comunque voi mech siete degli stronzi!»
sbottò poi Stiria,
puntando un indice contro il petto di Vos «Questo siete. Una
non può neanche
essere nervosa per fatti suoi ogni tanto che voi siete lì
pronti a farglielo
pesare invece di essere di supporto, vi dovreste solo vergognare, se
poi a noi
femme la giornata prende male non potete venire a darci la
colpa!»
«Siamo qui per la Peaceful Tiranny» disse Tarn, che
non
aveva la minima intenzione di sentire ulteriori dettagli dei drammi
amorosi
altrui, i quali sicuramente erano il vero motivo dietro
l’umore a dir poco
altalenante di quella femme entrata nell’età
adulta non da moltissimo tempo
«Dobbiamo partire subito».
Stiria strinse le ottiche azzurre in due fessure,
probabilmente contrariata perché inascoltata.
Per un attimo, Tarn prese in seria considerazione l’idea di
paralizzarla prima che ricominciasse a strillare. Non teneva
particolarmente a
fare la fine della parete.
«Parlare con voi tanto sarebbe inutile» disse
Stiria,
schioccando le dita mentre accendeva una sigaretta di energon
«Volete andare?
Andate. Tanto i T-Cog li avete avuti e a giudicare da quello che vedo
due di
voi si sono anche divertiti abbastanza» aggiunse, guardando
Helex e Tesarus.
«Tre, tre!» la corresse Kaon, salvo zittirsi subito
dopo
aver ricevuto un’occhiataccia da parte del resto del gruppo.
A pochi metri da loro il pavimento si aprì, così
come il
soffitto a volta, e la Peaceful Tiranny tornò fuori dai
meandri del mondo
sotterraneo di Pettinathia.
«Ci rivediamo un’altra volta, ciao
ciao, addio e- perché non avete ancora attivato il bagno di
energia per
riparare il palazzo, IDIOTI?!»
sbraitò
Stiria all’indirizzo dei suoi sottoposti.
“Se fa sempre così con la gente, mi chiedo come
faccia a
fare affari” pensò Nickel “A meno che
sia solo una giornataccia o deleghi più
che può!”
Esacerbato quasi quanto Stiria, Tarn decise di non perdere
ulteriore tempo e di salire nell’astronave per ripartire
assieme al resto della
squadra.
Di quella città-Stato di pazzi aveva avuto più
che
abbastanza e, dopo il decollo della Peaceful Tiranny, si
lasciò andare a un
breve sospiro di sollievo.
«Avrei bisogno di una vacanza… dalla
vacanza» fu la prima
cosa che disse Nickel.
«Possiamo prendere come tale quel che ci aspetta sulla
Terra, specie se Lord Megatron ci concederà di fargli visita
nella Nemesis»
replicò Tarn.
«A proposito… Tarn, tu sai che non
c’è la certezza di
trovare chi cerchi, vero? Al di là di Lord Megatron, al di
là dei due nomi e
mezzo della Lista».
Il Decepticon, forse perché sapeva che Nickel non aveva
tutti i torti -di rado li aveva- non le rispose. «Kaon,
imposta le coordinate:
rotta verso la Nemesis… e voi
due…»
Tesarus ed Helex si scambiarono un’occhiata vagamente
allarmata.
«Le mansioni di pulizia ora sono compito vostro e lo saranno
da questo momento fino alla morte del bersaglio di cui ci occuperemo dopo essere stati da Lord Megatron e sul
pianeta Terra. Chiaro?»
«Sissignore» borbottarono i due.
Sebbene la distanza non fosse poi così tanta, per loro due
sarebbe stato un lungo viaggio.
Nota dell'autrice -parte seconda:
Chiamatela Pink Diamond
Stiria, anche lei possiede "a voice that can crack the wall"
:'D (semicit. da Steven Universe).
Per la cronaca, Pink non mi è simpatica, ma in certe cose mi
ricorda la persona cui Stiria è ispirata :'D
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Capitolo 2 *** A ''Day Off'' To Repent (Definitely) ***
A
Day Off To Repent (Definitely)
“Déjà
vu: sensazione di aver
già vissuto in precedenza una
sensazione che si sta attualmente verificando”.
Un pensiero che
poteva sembrare quello di qualcuno intento a
divertirsi con un settimanale di enigmistica e che stesse riempiendo le
caselle di
un cruciverba, peccato non fosse così.
Tarn
però l’avrebbe preferito di gran
lunga, perché la
voglia di strappare via la testa a Kaon e l’assurda
sensazione di averla già
avuta tra le mani, di aver già visto parte della sua spina
ondeggiare e
gocciolare fluido vitale, non era piacevole.
Per quanto
certe volte fossero un po’ -o
abbastanza-
esasperanti, Tarn non si riteneva tipo da uccidere i propri uomini
senza un
vero e grave motivo… e, in fondo, la colpa della situazione
attuale non era
nemmeno direttamente imputabile a Kaon.
«Un
tizio sconosciuto, strafatto e in tenuta
sadomaso, Tarn!
Lo hanno messo al posto del cane!» si disperava suddetto
mech, con
un’espressione sul volto simile a un dipinto terrestre che
nessuno di loro
conosceva, alias “L’Urlo” di Munch
«Hanno preso il cane! Non possiamo lasciarlo
in quel posto assurdo!»
Sembrava
proprio che il destino si fosse messo di impegno
per far perdere loro altro tempo prezioso. Erano decollati ormai da
venti
minuti, tornare indietro avrebbe significato perderne altri venti, poi
chissà
quanto si sarebbe prolungata la faccenda!
Ma Tarn, che
pure rimase in silenzio qualche attimo, sapeva
già che avrebbe finito col tornare a Pettinathia. Non tanto
per il cane in sé
ma perché Stiria gli aveva garantito una cosa per poi fare
tutt’altro,
permettendosi addirittura di entrare nella Peaceful Tiranny, rapire la
loro
bestia e osando perfino cercare di sostituirla con un transformer a
caso
credendoli tanto imbecilli da non accorgersene.
“Perché
rapire il cane,
poi?!” si chiese Tarn “Che l’abbiano
pagata per farlo? Se sì, chi? Nessuno oltre a noi sa che
quella bestia prima
era qualcos’altro” ergo qualcun
altro
“Tutto ciò non ha alcun senso”.
«Risolveremo
la questione. Mettimi in contatto con
Stiria e
imposta la rotta per tornare a Pettinathia».
Il tecnico
obbedì immediatamente. «Se
scopro che Stiria gli
ha fatto qualcosa!...»
«Dunque
non ritieni più che quel luogo
sia tanto
divertente?»
Kaon tacque ma
la risposta era ovvia: no, non
c’era più
nulla da ridere.
In quel momento
la voce di Stiria, che in condizioni normali
-alias quando non strillava- suonava più bassa e
“adulta” di quanto
effettivamente fosse la proprietaria, si fece sentire
nell’astronave.
– Ma che volete
ancora, porca Solus?! –
«Delicatissima»
commentò Tarn
«Davvero ci chiedi cosa
vogliamo? Dovresti saperlo benissimo. Hai infranto il nostro accordo
entrando
nella nostra astronave e rapendo la nostra bestia. Quale credi
sarà il tuo
destino adesso?»
– Prima di tutto non
vi dovete assolutamente permettere di rivolgervi a me in questo modo
perché
altrimenti la prossima volta che vedo la vostra nave da lontano la
faccio
scoppiare con voi dentro, e questo sia chiaro. –
«Sono
parole grosse per una ragazzina col suo
piccolo parco
giochi».
– Ma al di là
di
questo, non potete venire a rompere le scatole a me per un errore
VOSTRO! –
Su uno degli
schermi accanto agli altoparlanti si
aprì una
leggerissima crepa.
«Errore
nostro un corno, sei tu che hai rapito il
mio cane!»
sbottò Kaon.
«Io
non credo che tu voglia che la nostra
conversazione prosegua
su questa via, Stiria» disse Tarn, abbassando la voce di
qualche semitono.
Dall’altra parte si sentì provenire il rumore di
statiche dovuto a un microfono
un po’danneggiato «Sappi che stiamo tornando
indietro a riprendere quel che ci
è stato sottratto».
– Buona fortuna, ma
non venire a chiedermi dov’è. È
scappato via dalla nave poco prima che io la
mandassi al piano di sotto e vi è venuto dietro, ho anche
dei filmati che lo
provano, ma che fine abbia fatto dopo non lo so e non sono cazzi miei.
Se
volevate che stesse nell’astronave avreste dovuto legarlo
meglio! –
«Hai
messo al suo posto uno sconosciuto in tenuta
sadomaso
col guinzaglio borchiato!» insistette Kaon, con voce quasi
stridula.
– Primo: non
è uno
sconosciuto, si chiama Sylves Mariner. Ha un collare con la targhetta,
non sai
nemmeno leggere?! Secondo: tecnicamente né io né
chiunque dei miei siamo
entrati nella… non ricordo quel nome brutto che ha la vostra
astronave… comunque,
non ci siamo mai entrati, quando siete tornati qui senza la vostra
bestia
abbiamo semplicemente transfasato
dentro un sostituto! –
“Dunque
possiedono anche la tecnologia per
alterare di fase
persone e oggetti” pensò il leader della DJD
“È più di quanto mi aspettassi.
Credevo di aver raccolto informazioni a sufficienza ma sbagliavo di
grosso, e
non mi piacciono certe sorprese”.
– Vi ho risarciti
anche se non ero per niente obbligata, che volete di più?!
–
Tarn stava per
rispondere a tono ma, prima di poter mettere
in fila anche solo due parole, una serie di grida femminili e di urla
inconsulte maschili attirò la sua attenzione.
Nickel
piombò nella stanza, cercando di staccarsi
di dosso
lo sconosciuto drogato in tenuta sadomaso -pardon, Sylves Mariner- a
suon di
colpi dati con un secchio di lamiera vuoto più grosso di
lei. «MOLLAMI BRUTTO FATTONE!...
io non so
neanche cosa sia questo “Final Fantasy”!»
«Final
Fantasy ti odia!» urlò
il tizio, sputacchiando in
ogni dove «Non ti parlerà mai! Non lo capisci e
non lo capirai, non ti
meriteresti neanche di guardarlo di sfuggita! Non l’hai
vissuto come doveva
essere vissuto, non puoi capire ciò che sta pensando lui di
te in questo
momento! Non puoi trattarlo come un mech… non
puoi… capisci che lo metti in
ridicolo?! Tu non colpirai mai il suo cuore… ti
guarderà sempre dall’alto in
basso, riderà di te e ti prenderà anche in giro!
Questo ti direbbe Final
Fantasy se potesse parlare ma non può farlo, io sono il suo
portavoc-»
I deliri del
“sottomesso” vennero
interrotti, con buona pace
di tutti, da un colpo del doppio cannone a fusione di Tarn.
«Credo di aver
appena ucciso il mech che hai mandato qui».
– Credo che allora
adesso
se ne stia finalmente in pace. Era sepolto qui sotto da quando
c’era ancora
Dhambrexia! –
Aveva sfruttato
la situazione per fare un po’di
pulizia in
casa.
Più
si andava in là, più
Tarn aveva voglia di sbattere la
testa contro il muro o sbattervi quella di Stiria.
«Dato
che hai sfruttato la situazione per
liberarti di
questo impiccio il minimo che tu possa fare è mettere a
disposizione i tuoi
agenti» affermò il Decepticon «E
aiutarci nella ricerca».
– Non vi ho detto io
di ucciderlo, quindi direi di no. –
«L’arroganza
è un tratto
tipico della gioventù, specie della
gioventù fortunata. Esserne consapevole è la
ragione per cui riesco a
comprendere e lasciar passare alcune cose» disse Tarn
«Questo però non
significa che io sia la persona giusta con cui tirare la corda, e credo
che tu
lo sappia. La cosa più vantaggiosa per tutti quanti
è cercare di trovare la
nostra bestia, o quel che ne resta, nel minor lasso di tempo possibile,
così
che il mio gruppo debba trattenersi poco e tu debba godere per poco
della
nostra presenza».
Al discorso di
Tarn seguì una pausa di silenzio
completo
abbastanza tesa.
– Va bene
– disse
Stiria – Ma ficcatevi in testa che
probabilmente qualcuno se l’è già
mangiato,
il vostro cane… –
«Non
dirlo neanche per
scherzo!»
sbraitò Kaon.
– Tra quanto arrivate?
–
«Meno
di venti minuti» disse Nickel
«E comunque sappi che la
tua città e tutti i suoi abitanti fanno schifo!»
– Dovresti farlo
notare al tuo comandante, non a me… sempre che riesca a
sentire quel che gli
dici da laggiù. –
«Senti
un-»
Stiria chiuse
la comunicazione.
Non
sentì mai la sequela di insulti di Nickel: un
peccato,
perché avrebbe potuto impararne svariati che non conosceva.
Dopo sedici
minuti precisi, la Peaceful Tiranny si immerse
nuovamente nel densissimo smog che colorava i cieli di Pettinathia di
un mix di
grigio sporco e blu.
«Tu e
Tesarus siete momentaneamente inabili,
Helex» “E devo
ricordarmi di chiedere loro come sia potuto accadere, una volta
ripartiti”
aggiunse mentalmente Tarn «Ma vi renderete utili da qui. Voi
farete in modo che
la Peaceful Tiranny resti stabile in aria. Mi rifiuto di vederla di
nuovo
inghiottita nei sotterranei di Pettinathia e non vorrei che tentassero
di
infilare qui dentro qualche altra sorpresa».
«Sissignore»
risposero i due Decepticon.
«Vos,
Nickel, Kaon, noi scenderemo tutti quanti a
terra. Se
finiremo a doverci dividere, Nickel, tu sarai con Vos e io con Kaon.
Non vorrei
trovarmi a distruggere altri bottiglioni di colla».
«La
colla è l’ultimo dei miei
pensieri, Tarn, te lo
assicuro. Spero che non se lo siano mangiato per
davvero…» borbottò il mech,
visibilmente preoccupato per la sorte del cane di bordo «E
spero per lei che ci
fornisca un numero di persone decente. Quella piccola strega!»
Nickel, intenta
a guardare fuori -precisamente il palazzo di
Stiria, diventato ben visibile man mano che l’astronave si
abbassava- fece un
cenno al resto del gruppo. «Un numero di persone
“decente” io lo vedo, purché
non sia per tentare di attaccarci».
«Se
non è stupida non lo
farà» replicò Tarn, dando a sua
volta un’occhiata all’esterno.
Vari plotoni di
quelli che sembravano soldati dai volti
celati con maschere lisce e bianche stavano marciando sotto lo sguardo
severo di
Stiria, che li osservava dall’alto circondata da un drappello
di agenti. Nulla
che Tarn non avesse visto e stravisto, maschere a parte, ma in quel
momento
ebbe quasi l’impressione di avere davanti qualcosa di serio
-e non perché lì in
basso c’erano parecchie persone.
“Ora
non fatico più a immaginarla
mentre ordina l’epurazione
di un quartiere”.
Tra le
informazioni che aveva raccolto c’era anche
quella.
Se una parte di Pettinathia diventava troppo problematica perfino per
gli
standard di quel luogo di completa follia, Stiria non si faceva
problemi a
ordinare di svuotarlo da tutti i suoi abitanti.
Pettinathia e
la sua giovane padrona erano un posto davvero
strano, un incomprensibile miscuglio tra due cose apparentemente
inconciliabili
quali lo stato brado e il pugno duro; come facesse a restare in piedi
era un
mistero ma, quale che fosse la tecnica, funzionava perfettamente.
Vide
l’immagine della loro bestia perduta
comparire su un
maxi schermo.
«Posso
prenderla come una conferma del fatto che
non
vogliano attaccarci» concluse il Decepticon
«Andiamo».
Ed ecco che,
come accade spesso, anche questa one shot si è
allungata :'D il prossimo capitolo comunque sarà l'ultimo,
non preoccupatevi.
Ringrazio di
nuovo Neferikare per varie cose,
stavolta in particolare
per aver riesumato chat antiche che hanno permesso di rendere certi
deliri qui presenti ancor più deliranti, in quanto tratti da
una storia vera :'D
Nel capitolo
precedente l'ho dimenticato, ma qui sotto vi lascio un mio disegno di
Stiria.
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Capitolo 3 *** A ''Day Off'' To Repent (More Than Ever) ***
A
"Day Off" To Repent (More
Than Ever)
«Finn…
non è che potresti ricordarmi perché siamo qui,
per
favore?»
Ember non era
particolarmente felice di trovarsi a
Pettinathia. Nessuna persona ragionevole sarebbe stata felice di
trovarsi in
quel posto, specie vicino al centro, dove era necessario utilizzare dei
filtri
per non farsi intossicare dai gas e vapori presenti
nell’aria; infatti lei, cui
la ragionevolezza sicuramente non mancava, camminava in quel vicolo
scuro
stando ben stretta al braccio destro di suo fratello.
Aveva la
sensazione che un solo passo sbagliato avrebbe
potuto farla finire nel bel mezzo di un disastro e, considerando il
luogo in
cui si trovava, non aveva neanche tutti i torti.
«Siamo
qui perché questo è un pomeriggio di shopping e a
Pettinathia esistono cose che non esistono» rispose il mech,
col sorriso più
tranquillo del creato «E poi al momento mamma vive
qua».
«Ai
confini estremi della città però
c’è un po’meno caos…
quando non sono lei e i suoi coinquilini a crearlo».
La giovane
seeker dalle ottiche aranciate, terribilmente
somigliante a sua madre Hallow nella
struttura fisica e nella colorazione -che differiva da quella materna
solo
negli inserti, arancio e rosa pastello nel suo caso, e nelle ali
rivolte verso
il basso- aveva trovato abbastanza preoccupante la situazione che aveva
visto
almeno un mese e mezzo prima.
Se Hallow da
sola tendeva già a far danni, come
nell’occasione in cui aveva distrutto buona parte
dell’abitazione del padre di
Finn per andare a fargli un saluto, la coppia di coinquilini che viveva
con lei
a quei tempi aveva peggiorato la situazione. Quando lei e Finn erano
andati a
trovarla avevano sentito parlare di guerriglia, orsi e cucine andate a
fuoco,
tutto ciò avvenuto solo il giorno precedente alla visita.
“Ed
è meglio non ricordare il momento in cui il coinquilino
di mia madre ha messo una mano sulla mia spalla e se
l’è trovata staccata dal
braccio” pensò Ember, con un leggero brivido.
Aveva capito
che quel tizio era poco raccomandabile, avendo
avuto una vita abbastanza dura Ember ne aveva visti e conosciuti vari
simili
lui, però una cosa del genere -e il successivo
“Tanto si riattacca!”- da parte
di sua madre le era sembrata, come dire, un po’…
eccessiva.
«Il
coinquilino»
la corresse Finn «Nostra madre e lui facevano casino ma
Spectra era molto
dolce».
“Nostra
madre”: Finn considerava Ember sua sorella a tutti
gli effetti, e viceversa, anche se di fatto avevano in comune solo un
genitore.
Se Ember aveva
preso moltissimo da Hallow nell’aspetto
fisico, Finn era invece più somigliante al padre nel volto
dalle ottiche
smeraldine e nella forma dell’elmo rosso sfumato di nero. Il
contributo materno
era comunque visibile nella corazza prevalentemente nera -con inserti
verdi e
rossi, abbinamento che pochi potevano permettersi- e nel fatto che
fosse un
volatore anch’egli.
«Vero»
convenne Ember «Mi era venuta quasi voglia di
portarla via, ci credi?»
Il seeker
annuì. «Ci credo ecc-»
«EHILAAAAAAAAAAà!»
Ember si
strinse di più al fratello nel vedere qualcosa di
indefinito precipitare davanti a loro dopo aver urlato, salvo collegare
in un
secondo momento l’ “ehilà” al
“qualcosa” che non poteva essere altri se non
Hallow.
«Sono
arrivata! In ritardo di qualche minuto…»
«Mezz’ora!»
la corresse Finn.
«Ma
sono arrivata comunque, quindi possiamo cominciare il
giro!»
Fu solo in
quel momento che Ember notò un particolare
fondamentale. «Ehm... hai adottato un animale
domestico?»
«Ah
già è vero! Ember, ti presento il tuo nuovo cane: si chiama
Strufolo!» esclamò la femme, sollevando
la bestia come se fosse stata un qualche trofeo.
«Il
mio?...»
La giovane
seeker non era troppo sicura che fosse una buona
idea prendere in mano quella bestia dagli occhi rossi, l’aria
poco
raccomandabile e, a giudicare da come si agitava e ringhiava, zero
voglia di
trovarsi lì.
«L’ho
trovato in giro tutto solo, col guinzaglio penzoloni e
in procinto di essere mangiato da una quarantina di tossici. Non so di
chi sia,
sul suo collare c’era scritto solo il suo nome, se
“The Pet” si può definire un
nome» dicitura al posto della quale ora campeggiava uno
“Strufolo” scritto col
pennarello indelebile «I suoi ex padroni non avevano
fantasia».
«Non
sembra molto contento» disse Finn, alludendo ai ringhi.
Hallow fece
voltare “Strufolo” verso di sé.
«O beh, allora
ti riporto da quelli che volevano mangiarti. Sono un
po’tantini anche per te».
Qualcosa nel
sorriso quasi onnipresente della donna dovette
far intuire al cane che non scherzava affatto, perché
iniziò a guaire, si
liberò dalla presa di Hallow e si appiccicò a
Ember.
«Come
ti dicevo, Ember, ecco il tuo nuovo cane!»
«Io…
grazie» disse la giovane, stringendo il guinzaglio.
Non sapeva
perché ma guardando quella bestia, che a dir le
verità le lasciava più di un dubbio su quale
fosse la sua vera razza, si
sentiva prudere la nuca. Una sensazione sgradevole quanto
l’inizio di un brutto
presentimento.
La famigliola
di seekers, più il nuovo animale domestico,
uscì fuori dal vicolo.
«Ehi!»
esclamò Finn, venendo trascinato via da una folla
urlante e spaventata che fino a poco prima non c’era
«Che succede?»
«Finn!...»
esclamò Ember «Finn, cos-»
Non
riuscì a finire la frase, perché la madre
trascinò lei e
le bestia nuovamente dentro il vicolo.
«Mi
sa che dobbiamo rimandare il pomeriggio di shopping e
cercare di spostarci altrove» disse Hallow «Ho
visto dei soldati di Stiria in
lontananza e ora li sento anche in aria» aggiunse, facendo
appiattire Ember
contro il muro «Non vorrei che abbia deciso di sgombrare
questa parte di
Pettinathia proprio oggi».
«“Sgombrare”?»
ripeté Ember.
«Dai
suoi abitanti, nighean
ùr.
Pettinathia è un casino ma, se in certi posti il casino
diventa troppo
anche per i gusti di Stiria, non ci mette molto a sterminare
tutti» spiegò la
femme «Non credevo che fosse il caso di questo settore
però» alzò lo sguardo e
diede un’occhiata al tetto del palazzo accanto al quale si
trovavano «Prendi
Strufolo, voliamo lassù adesso».
Ember
obbedì, pensando che Hallow dovesse aver calcolato il
momento giusto per farlo senza essere viste, e infatti così
fu.
«Qui
sei all’ombra e coperta da questa tettoia, è mezza
scassata ma è meglio di niente. Se resti qui dovresti essere
a posto, non conto
di stare via tanto» disse Hallow «Vado a cercare di
capire che succede, a
cercare una strada un po’più sicura e magari anche
a vedere che fine ha fatto
tuo fratello. Da tempo non c’è più
ragione di preoccuparsi davvero per lui…
però certe cose possono essere sempre poco carine»
aggiunse.
Ember si
rannicchiò sotto la tettoia. «Va bene,
però cercate
di tornare presto sul serio, sì? N-non mi sento molto
tranquilla quassù».
«Contaci»
sul volto di Hallow comparve un’espressione
vagamente dispiaciuta «Quando ci vediamo capita sempre
qualcosa. È anche per
questo che ultimamente sto cercando casa altrove».
«Credo
che sia una buona idea».
Rimasta sola
assieme a Strufolo, Ember non poté fare a meno
di pensare a come quella sensazione provata prima si fosse rivelata
esatta.
***
Nickel
riteneva che quella di Tarn di dividersi in coppie in
caso di necessità fosse stata una buona idea.
Benché non si reputasse
totalmente indifesa -possedeva anche un registratore nel quale Tarn
aveva inciso un messaggio vocale paralizzante- quella era Pettinathia,
e lei
trovava confortante la vista di Vos sui bassi tetti di quella via.
Così
come i soldati di Stiria cercavano il cane, o quel che
ne restava, sia a terra che in aria, loro stavano facendo una cosa
analoga in
strada e sui tetti. Quando prima aveva comunicato con Kaon aveva anche
saputo
che lui e Tarn avevano avuto un’idea analoga.
I palazzi
erano uno vicino all’altro, dunque per Vos fare un
saltello per procedere avanti era uno scherzetto, cosa che invece per
lei
sarebbe stata un po’ più difficoltosa, sia per la
statura, sia perché non amava
eccessivamente l’altezza. Non soffriva di vertigini
né aveva altri disturbi ma,
potendo, Nickel preferiva restare con le ruote ben piantate a terra;
probabilmente era un riflesso del suo carattere, anch’esso
poco tendente a
“voli” di qualunque genere, specie pindarici.
Sbuffò
quando vide arrivare un fiume in piena di gente
urlante. I soldati di Stiria avrebbero dovuto essere d’aiuto,
ma di fatto fino
a quel momento stavano risultando più d’impiccio
che altro: vedendone arrivare
tanti la gente del posto, quella che riusciva a reggersi in piedi,
pensava a uno sterminio di massa e iniziava sempre a
fuggire gridando. Un male, perché il caos non era positivo
in una missione di ricerca.
“In
compenso sembra che stiano riuscendo a direzionare
altrove la gente” pensò, guardando i soldati
coprirsi dietro scudi bianchi come
le loro maschere e cercare di disperdere il flusso di tossici.
Decise di
sedersi qualche attimo su quel che restava di una
panchina per dare più comodamente un’occhiata al
suo datapad. Avevano già
battuto buona parte dell’area loro assegnata senza ottenere
risultati, cosa di cui non poteva dirsi sorpresa. Probabilmente
l’animale era stato mangiato
davvero, purtroppo per Kaon.
“Se
ne farà una ragione, prima o poi” concluse,
rimesso il
pad al proprio posto “Ora riprend-”
Non
riuscì a completare il pensiero, perché si
sentì
afferrare da qualcuno che poi schizzò subito in volo verso
l’alto.
«Ma
sei una bambola bellissima! Chi è che ti ha lasciata in
giro?... sul serio, giocattoli ne ho tanti ma una fatta così
bene non l’avevo
mai vista».
Quando Nickel
iniziò a riprendersi dallo stupore vide che a
rapirla era stato un seeker dall’elmo rosso sfumato di nero e
le ottiche verdi,
a lei totalmente sconosciuto.
«Lasciami
subito! Non sono una bambola! Non sono una
cazzo di bambola! Mettimi giù!»
Il mech rise.
«Una bambola che dice le parolacce!
Bellissimo! Mia madre e mia sorella ti adoreranno… quando le
ritroverò.
Sicuramente stanno e staranno benissimo ma devo ancora capire cosa
combinino quei
soldati lì sotto. Il fatto che non mi stiano inseguendo
però può significare solo
che non mi hanno visto o che non hanno in programma uno
sterminio» disse tra sé
e sé.
«Stermineranno
te se non mi lasci immediatamenteeEEEH!»
gridò Nickel, precipitando dopo essere stata
lasciata cadere.
Salvo essere
riacchiappata tre secondi dopo.
«Non
ti avrei mai lasciata cadere giù davvero» disse lo
sconosciuto «Come non ti avrei lasciata in mezzo al casino
che c’è laggiù,
poteva capitarti di tutto. Sapevo che qui a Pettinathia esistono cose
che non
esistono, però una bambola con un’IA adattiva
così sviluppata mi ha sorpreso».
«Te
lo ripeto di nuovo: non sono una bambola, sono una
minicon!» insistette Nickel, cercando di far penetrare il
concetto in quella
testa dura. Sempre che non fosse entrato da un pezzo e lui stesse solo
fingendo
il contrario «Una minicon della colonia di Prion, e del
“casino” di cui parli
non ho paura, quindi riportami immediatamente
dov’ero!»
Avrebbe voluto
utilizzare il registratore datole da Tarn, ma
non sarebbe stato conveniente paralizzare il tizio, non ora che erano
in volo.
Tentò
di utilizzare il comm-link: niente. Sentiva solo una
serie di statiche.
Era sola con
un tossico di Pettinathia che l’aveva appena
rapita.
«Non
ho idea di cosa sia un minicon, è il nome del tuo tipo
di bambole? Mi piace. Per caso ti hanno dato anche un nome proprio? Io
mi
chiamo Finn. Tu?»
«Chi
se ne importa! Io voglio tornare a terra, non voglio
avere niente a che fare con un tossico di questa fogna di
città! Riportami! A! Terra!»
«Io
non vivo qui, sono solo in visita, e per il resto
l’unica droga per me è il Tyger. Hanno di tutto
là dentro. Tralasciando il
fatto che questa città sia un Tyger a cielo aperto per
drogati e gente in cerca
di ottiche e chissà che altro… sei mai stata in
un Tyger? Eh, Chiseneimporta?
Ci sei mai stata?»
Si stavano
allontanando dal centro a gran velocità, e quel
seeker malnato non accennava ancora a scendere.
«Tu
non mi hai appena chiamata “Chiseneimporta”. Mi
rifiuto
di crederlo» borbottò Nickel, visibilmente
esasperata «Fammi capire, sei un
cretino o ti stai divertendo a prendermi in giro?!»
«Può
darsi!»
«Può
darsi cosa?!»
«Decidi
tu, per me fa lo stesso» sorrise il mech.
«Tu
sei la persona più esasperante che conosca, e io ho a
che fare con persone che tornano da ognuna delle loro uscite con
cadaveri
maciullati e fluido craniale in bocca!» sbottò il
minicon.
«Ah,
ma allora sei proprio una bambola di Pettinathia.
Eppure avevo capito che non abitassi qui».
«Se
non torniamo a terra subito faccio schiantare entrambi,
sei avvisato!» lo minacciò Nickel, cercando di
tirare fuori il registratore…
Che le cadde
di mano.
Ovviamente.
«Attenta!»
esclamò Finn, riuscendo a recuperare l’oggetto
«Sarebbe stato un peccato perderlo anche se è
vecchiotto. Collezioni ciarpame
anche tu? O faccio meglio a non ascoltare quel che
c’è registrato sopra?»
«Perché
mi hai presa? Che vuoi da me, si può sapere?!... che
giornata!» sbuffò «Prima Helex e Tess si
fanno distruggere l’inguine da quella
donna, non
ho idea di come,
poi perdiamo
il cane, ora questo!»
«Per
caso il cane aveva un collare con scritto “The
Pet”?»
le chiese Finn, dopo un attimo di riflessione.
«C-cos…
sì!» allibì Nickel, incredula che quel
tipo potesse
avere qualche informazione utile «Esatto! È quella
la ragione per cui siamo
tornati qui, stiamo cercando lui! Dove l’hai visto? Chi lo
ha?!»
«Se
non l’ha portato via la folla com’è
successo a me, dovrebbero
averlo ancora mia sorella e mia madre. Non preoccuparti, sta bene,
anche se ora
si chiama “Strufolo”!»
«Chi
dà un nome del genere a un cane?!»
“E
poi cos’è uno strufolo?!” si chiese
Nickel.
«Beh,
mia madre. È…»
Il seeker non
finì la frase, fermandosi a mezz’aria.
«Senti,
se devi farti prendere un collasso perlomeno cerca
di atterrare, prima!» sbottò Nickel
«Cosa mi stai indicand…»
Era
l’insegna a led di un negozio di Tyger.
Il Tyger
più grosso che Nickel avesse mai visto.
«Andiamo
lì dentro subito!» esclamò il seeker,
atterrando in
fretta e furia davanti all’ingresso «Hanno
praticamente aperto un Tyger nel
Tyger, che bella cosa!»
Mentre
entravano nel grosso complesso -che notarono essere
pieno di guardie e dunque, forse, uno dei posti vagamente meno
rischiosi in
città- Nickel fece un sospiro nervoso. «Posso
capire il fatto che mi hai presa
per allontanarmi da quello che credevi fosse un pericolo, per quanto mi
sembri
tuttora assurdo, ma perché vuoi portarmi con te a fare
shopping?!»
«…e
poi questo, questo, oh quest’altro non ce l’ho
proprio,
poi questo, quello, e anche
questo!»
disse Finn, riempiendo man mano un carrello con oggetti strani, inutili
e
dall’uso misterioso senza dare mostra di ascoltarla
minimamente.
«Ehi!
Ascoltami due secondi!» esclamò la minicon,
puntando
l’indice in faccia a Finn «Portami da tua madre e
tua sorella se mai, così mi
riprendo il cane e la facciamo finit-»
Il suo dito
indice venne inglobato da un tentacolo di gomma
rosso.
Il solo desiderio di Nickel in quel momento fu infilarlo su
per il canale di espulsione di quello scriteriato.
«E
comunque non hai tutti i torti, fammele chiamare,
va’» disse
il seeker attivando il comm-link «Ehilà Ember!
Tutto ok?»
“Perché
il mio comm-link non funziona e il suo sì?!” si
domandò
Nickel.
– Sto bene. Io e
Strufolo siamo su un tetto, mamma ci ha fatti salire quassù,
ha detto che
sarebbe andata a cercare di capire cosa succede ma non è
ancora tornata e il
numero di soldati a terra e in aria sta aumentando! –
«La
buona notizia è che probabilmente Stiria non li ha
mandati lì a massacrare la gente, nessuno mi ha rotto le
scatole quando mi sono
alzato in volo, quindi credo che tu possa stare tranquilla. Hallow
tornerà
presto di sicuro».
“Ha
detto ‘Hallow’? Dunque quella femme è
sua madre?! Questo
in effetti spiega tante cose” pensò la minicon,
con una smorfia.
– Lo spero. Non mi
piace stare da sola, non qui. E sì che dovrei essere
abituata a certi
postacci! Tu dove sei? –
«Abbastanza
lontano dal centro ormai. Ho soccorso una
bambola che-»
«Per
l’ultima volta, io non sono una bambola, quello che
avete è il nostro cane e se i soldati di quel pugno in un
occhio di una seeker
sono in giro è perché stanno cercando lui!
Ecco!» sbottò Nickel, sperando che
la sorella di Finn l’avesse sentita «Quindi ora
lascia la bestia sul tetto, vai
dove ti pare e tu» indicò Finn
«Riportami subito dove mi hai trovata!»
Il mech
scoppiò a ridere. «Certo che potevi dirlo prima.
Tutto
questo caos dunque è per Strufolo?
Com’è che Stiria si è scomodata
tanto?»
«Quando
la Decepticon Justice Division chiede qualcosa di
solito viene accontentata» ribatté Nickel.
«Aaah,
ecco. O beh, se le cose stanno così allora è
tutto a
posto, Ember, molla Strufolo e raggiungici qui al Tyger».
Nickel avrebbe
avuto tante cose da dire sul fatto che il
figlio fosse peggio della madre, ma tutto quel che le sarebbe venuto
fuori
dalla bocca in quel momento sarebbe stato uno “Io
non”.
– Credo proprio che lo
far- oh cazz-
–
«Ember?
Ember, che succede?!»
Servì
qualche secondo perché dall’altra parte giungesse
risposta.
– Un tizio è
saltato
sul tetto, sto cercando di nascondermi e di chiamare Hallow ma non so-
Strufolo, ferm- –
– ECCOLO! ECCOLO! Ma
da dove sei sbucato?! Non scappare mai più!... TARN! Ho
trovato il cane! –
Per una volta
dal viso di Finn scomparve il sorriso. «La
buona notizia è che i tuoi amici hanno trovato il vostro
cane, la cattiva è che
dobbiamo salutarci» diede a Nickel due belle manciate di
shanix, le mise sulla
testa un fiore finto preso dallo scaffale accanto e fece il baciamano
alla mano
con l’indice “tentacolato” «Fai
shopping anche per me. Addio, Chiseneimporta!»
«Non
puoi mollarmi qui! EHI! Riportami
dove… niente, è andato»
allibì Nickel «Io non… io…
che senso ha tutto questo?!» sbottò, cercando
inutilmente di togliersi il
tentacolo dal dito.
.: Circa un minuto
prima, palazzo di Stiria :.
«Solo
perché abbiamo degli amici in comune non vuol dire che
tu possa spuntare all’improvviso quando ti pare! E te
l’avevo già detto una
volta! Porca Solus!»
Hallow,
comparsa dietro Stiria quasi di botto e per nulla
interessata al fatto che alcuni dei sottoposti di
quest’ultima fossero finiti KO a causa del suo strillo
spaventato, si limitò a sorridere come suo solito.
«Forse
in quel momento stavo ascoltando la musica e non ti
ho sentita. Volendo informazioni ho pensato di chiederle
direttamente alla fonte, per cui… io e i miei figli abbiamo
deciso di fare un
giro in centro in un giorno di massacro?»
«No.
La voglia ora ce l’ho, ma no» rispose Stiria con
uno
sbuffo «È tutta colpa di quei brutti idioti
cretini mongoflettici possano finire tutti
morti male a botte di
antimateria
della DJD. Hanno perso il cane e vengono a rompere la valvola a
me!»
«Considerando
che ai due più grossi ci ho già pensato io
poteva andarti peggio, tre dei quattro che rimangono sono piccoli e una
non ha
nemmeno il cavo».
«Non
in quel senso! E non gliela darei nemmeno con la valvola di
un’altra! Ma poi
fosse bello, quel cane» mostrò ad Hallow
l’immagine della bestia «Sembra quasi
la alt mode animale rovinata di un transformer lobotomizzato! A guardar
bene
potrebbe anche esserlo davvero.
“Domesticazione”… potrebbe diventare un
altro
business» disse tra sé e sé la
giovanissima seeker.
– A tutte le
unità: il
cane è stato trovato, ripeto, il cane è stato
trovato. Missione conclusa –
fu la trasmissione che giunse nel palazzo di Stiria – Rientrare
immediatamente alla base. –
Stiria
applaudì perfino. «Oh, perfetto, almeno si tolgono
dalle scatole! E puoi toglierti di torno anche tu, Hal-»
Si interruppe.
Accanto a lei
non c’era più nessuno.
«Vabbè»
concluse Stiria, con un’alzata di spalle.
***
«Esci
fuori… ti ho vista lì dietro!»
La vita di
Ember non era stata sempre rosa e fiori, in verità
c’era stato più di un momento un po’
“rischioso”, ma quello era indubbiamente
tra i peggiori.
Era sola, era
a Pettinathia e Strufolo era l’animale
domestico perduto della Decepticon Justice Division: avrebbe voluto
soltanto
che si trattasse di un incubo.
Se solo lei e
Finn fossero stati informati della cosa un
minuto prima, se solo Hallow fosse stata lì… ma
non era andata così.
“Dovrei
cercare di volare via, ma se mi sparasse? La
distanza è molto ravvicinata e questa è gente
abituata a colpire anche bersagli
in volo”.
Tutto vero,
però doveva tentare lo stesso. Magari poteva
cercare di raggiungere il limitare del tetto, scendere, allontanarsi un
po’ e poi volare via, riducendo
le possibilità
di essere avvistata e/o colpita.
Iniziò
a muoversi rapidamente, ma…
«Ehi!»
Un mech non
particolarmente robusto, con due antenne tesla
sulle spalle e le ottiche nere -“O sono del tutto
assenti?!”- riuscì comunque a
coglierla di sorpresa.
«Allora
il mio cane era con te. Di un po’, dove l’hai
trovato?»
«Io…»
si fece coraggio quanto bastava per rispondere, pur
continuando a indietreggiare «Stava per essere mangiato da un
gruppo di
persone, e-»
«Aspetta,
ma tu sei lei!
Nera lo sei, le ottiche arancio le hai e hai anche le catenelle sulla
testa,
sì, sei proprio lei. Ah!» applaudì. Ora
che aveva recuperato la sua bestia e
teneva stretto in mano il suo guinzaglio era tornato di ottimo umore
«Avevo
sperato di incontrarti, dovevo assolutamente chiederti due cose: la
prima è il
tuo contatto privato, la seconda come hai fatto a ridurre in quel modo
Helex e
Tess insieme, non avevo mai visto una cosa del genere!» rise
«Se poi volessi
mostrarmelo…»
«Non
ho idea di cosa tu stia parlando, mi stai scambiando
per qualcun’altra» ed Ember aveva anche
un’idea piuttosto precisa di chi
potesse essere «Sono contenta per te e il tuo animale, ora se
vuoi scusarmi…»
«Via
datapad avevi tutto un altro atteggiamento, sai?»
L’indietreggiare
di Ember finì quando sentì le proprie ali
andare a sbattere contro qualcuno.
«Ha
un altro atteggiamento perché non è lei,
Kaon» disse
Tarn «Anche se la somiglianza è impressionante, te
lo conce-»
Solo i
riflessi ottimamente allenati permisero a Tarn di
intercettare con entrambe le mani la cisterna vuota, sradicata dal
tetto di un
palazzo vicino, che gli arrivò addosso con la forza di un
proiettile.
La potenza del
lancio fu tale da farlo finire oltre il
limitare del tetto, al quale riuscì comunque a restare
attaccato con una mano,
mentre Kaon ed Ember guardavano la scena con aria confusa o basita.
«Ember!
Vai!»
esclamò Hallow scagliandosi
addosso a Kaon, il quale cadde a terra «E non
voltarti».
Per vari
motivi la giovane femme e sua madre non si
conoscevano da moltissimo tempo, ma c’era una cosa che Ember
aveva imparato
subito: se Hallow diceva di scappare, era il caso di darle retta
più alla
svelta possibile.
Anche se
significava sentirsi un po’in colpa.
Anche se, pur
conoscendo sua madre come un tipo che sapeva
cavarsela, un minimo di dubbio restava sempre.
Decollò
più in fretta di quanto avesse mai fatto in vita sua
e, obbedendo alla sua creatrice, non si voltò indietro.
«Immagino
che tu non sia qui per una conness- ah!»
esclamò il Decepticon privo di
ottiche, evitando per un soffio di trovarsi la spada di Hallow infilata
nel
cranio «Direi di no».
Detto
ciò, rassicurato anche nel vedere Tarn avvicinarsi
rapidamente, colpì la femme una potente scarica elettrica.
«Peccato
che debba finire così… proprio un
peccato» disse
poi, aumentando ulteriormente il voltaggio e riconoscendo subito il
familiare
rumore di un T-Cog andato in pezzi «Tarn! Che ne
facciamo?»
«Non
ci sono molti dubbi su questo punto, ormai» fu la
risposta del Decepticon.
Fu allora che
Hallow scattò e, col suo solito sorriso e una
mano di Kaon tenuta ben stretta, estrasse la spada dal terreno
conficcandola
dritta nell’addome metallico del comandante della DJD, che si
trovò infilzato e
vittima di una scarica elettrica che per chiunque altro sarebbe stata
devastante.
«Cos-
NO!»
gridò
Kaon, interrompendo subito l’azione «Tarn! N-non
volevo, giuro!»
L’azione
aveva colto di sorpresa entrambi i Decepticon, Kaon
in particolare che tutto si sarebbe aspettato meno che di essere
utilizzato per
folgorare il proprio capo, e Hallow ne approfittò per
cercare di
andarsene, abbandonando la spada dove l’aveva infilata.
I danni subiti tuttavia l’avevano rallentata.
«Tu
non vai da nessuna parte» disse Tarn, che si era
già ripreso dalla scarica, in un ringhio
cupo.
L'avevano
rallentata troppo.
Il
colpo del doppio cannone a fusione di Tarn raggiunse la
schiena di Hallow e la trapassò, lasciando nel busto della
femme un foro grande
quasi quanto il busto stesso; dopo ciò, la seeker cadde come
corpo morto cade.
Per qualche
istante né i due mech né la bestia emisero alcun
suono.
Kaon fu il
primo a spezzare il silenzio. «Non volevo colpire
te, non ho fatto apposta, lo giuro, credevo che lei stessa non potesse
muoversi
mentre una scarica del genere la-»
Tarn lo
interruppe con un cenno. «Se quella femme non aveva
preso il Nuke» alias un composto molto raro in grado di
potenziare le
prestazioni come nient’altro «Doveva comunque aver
messo le mani su qualcosa di
molto simile. Tu però non potevi prevederlo»
continuò il Decepticon, sfilando
la spada di Hallow dall’addome con un gesto secco e
porgendola a Kaon «Come non
potevo farlo io stesso».
«Hai
bisogno di cure, quella ferita è profonda,
dobbiamo tornare alla Peaceful Tiranny e… Tarn? Mi stai
ascoltando?»
Tarn, tenendo
una mano premuta sulla ferita che perdeva
energon, si avvicinò al cadavere di Hallow e lo
sollevò con un singolo braccio.
«Qui sotto ho visto un inceneritore».
Tutti e tre
-cane incluso- scesero dal tetto e raggiunsero
uno degli inceneritori che a Pettinathia, spesso, sostituivano i
cassonetti.
«Getta
dentro la spada» disse Tarn.
Kaon,
eseguì l’ordine
appena il suo capo ebbe posto nell’inceneritore anche i resti
di Hallow.
«Fatto. È finita? Possiamo veramente dire che la
nostra permanenza a
Pettinathia è finita?»
«Decisamente,
Kaon».
«Devo
dire a Helex e Tess di portare qui l’astronave? Meno
ti muovi meglio è».
Tarn
annuì. «Sì, e comunica a Vos e Nickel
le coordinate».
Kaon
obbedì, parlando prima con Tesarus e Helex, poi con
Vos.
La faccia che
fece dopo aver parlato con quest’ultimo fece
venire a Tarn il prurito sulla nuca che, lui non poteva saperlo, era
venuto a
Ember in precedenza.
«Kaon».
«Mmmh?»
«Non
ci sono altri problemi, vero? Vos e Nickel sono a
posto, giusto?»
«Ecco»
esitò Kaon «In verità… da
quello che dice Vos, pare
che Nickel sia dispersa da un po’…»
Lunga pausa di
silenzio da parte di Tarn.
A poca
distanza, un mech sconosciuto urlò un bestemmione
perfetto per esprimere lo stato d’animo di entrambi i
Decepticon in quel
momento.
«Kaon».
«Sì?»
«Se
ora confessi di star scherzando sono disposto a
perdonarti. Basta che tu dica “No, Nickel non è
dispersa, non abbiamo ritrovato
un componente del gruppo e perso un altro”. Sono disposto a
lasciar correre»
fece un sospiro e si passò una mano sul volto coperto
«Davvero, lo giuro su
“Towards Peace”».
Lui in quanto
fervente Decepticon non aveva altre fedi, se
mai combatteva quelle altrui, ma in quel momento ebbe il sospetto di
essere
morto e di trovarsi in quello coloro che credevano
nell’Afterspark, Primus, Mortilus e tutto il resto chiamavano
“Inferno”.
Pettinathia in
fin dei conti sarebbe stata benissimo in
quella parte.
«Purtroppo
non sto scherzando, ma pensiamo a una cosa per
volta» Kaon indicò la Peaceful Tiranny, ora
visibile in lontananza «La
ritroveremo, ritroveremo tutti, sono sicuro!»
“Non
ne usciremo mai” pensò Tarn “Se anche
ritroveremo
Nickel in futuro sarà solo questione di tempo prima che un
altro di noi
sparisca. Probabilmente sparirò io. Non ce ne andremo mai da
Pettinathia”.
Proprio in
quel momento Kaon ricevette un altro contatto.
– Kaon! Kaon, qui
Nickel, mi ricevi? –
«Nickel!»
esclamò il mech «Dove sei?! Vos ci aveva appena
comunicato di averti persa da un pezzo!»
– Sono in un Tyger, ti
sto inviando le coordinate. Vi avrei contattati prima ma il mio
comm-link non
funzionava, ho qualche sospetto che non fosse casuale... –
«In
un Tyger?» ripeté Tarn, esterrefatto
«Non ho capito
bene: sei sparita nel mezzo di una missione di ricerca per andare a
fare
shopping?!»
– Mi hanno rapita. Mi
ci hanno portata. Ho un tentacolo di gomma incastrato su un indice. –
Tarn
iniziò a sospettare che, se per loro il tutto era stato
esasperante, a Nickel non dovesse essere andata molto meglio.
Nonostante il
Tyger.
Le spiegazioni
sarebbero state dovute, una volta recuperata.
– Venitemi a prendere.
Venitemi a prendere, andiamo via da questa città di pazzi,
andiamo via subito! –
«Arriviamo»
concluse Tarn.
***
Quello dei due
fratelli seeker, Finn ed Ember, da incontro
che doveva essere rischiò di trasformarsi in uno scontro a
mezz’aria a causa di
velocità e disattenzione.
«Che-
Ember!» esclamò il mech, stringendo la sorella tra
le
braccia abbastanza robuste per essere quelle di un seeker
«Ember, stai bene?
Sei ferita? Cos’è successo?!»
«I-io
sto bene. Sto bene» riuscì a dire la giovane,
ancora
spaventata «Ma nostra madre… Hallow mi ha detto di
scappare, mi ha detto di
volare via e non guardare indietro, io-»
«Se
ha detto così hai fatto bene a darle ascolto. Non ha
parlato in questo modo senza ragione» la rassicurò
Finn.
Tentò
di contattare Hallow tramite comm-link: nulla.
A dirla tutta
il comm-link non era solo chiuso, risultava
proprio inesistente.
«Non
risponde?» si allarmò Ember.
Sapeva che
restando lì non avrebbe potuto fare molto per
aiutarla, sapeva che avrebbe finito solo con l’essere
d’intralcio o a fare la
brutta fine che Hallow aveva voluto evitarle, ma quella preoccupazione
mista a
senso di colpa era un sentimento piuttosto comprensibile e
“umano”.
Finn scosse il
capo. «No. Possiamo far passare del tempo e
andare a dare un’occhiata in seguito, ritengo che sia la cosa
migliore. In ogni
caso non credo ci sia di che preoccuparsi, rispunterà
sicuramente fuori tra un
po’ col suo “Ehilà!”.
Tranquilla».
«Sei
sicuro di quello che dici?»
Finnan
annuì. «Assolutamente».
***
Quando Nickel
venne recuperata da Vos -anch’egli assegnato
alle pulizie come Helex e Tesarus, per aver perso la compagna di
squadra- e
riportata nella Peaceful Tiranny, le facce del resto della Decepticon
Justice
Division divennero da assoluto primo piano.
«Nickel…
tu sei proprio sicura di essere stata rapita?»
domandò
Helex.
Questo
perché il loro medico di bordo, con un’espressione
esasperata come non l’avevano mai vista, si trovava seduta in
un carrello pieno
di roba alla quale molti di loro non avrebbero saputo dare un uso,
aveva
effettivamente un indice incastrato in un tentacolo di gomma e aveva un
fiore
finto sulla testa.
Sembrava che
avesse seguito il consiglio di Finn di “fare
shopping anche per lui”, con gli shanix che Finn stesso le
aveva lasciato; un
giusto risarcimento, dopotutto.
«Guardami
in faccia. Guardami»
disse la minicon, indicandosi il volto con il tentacolo «Ho
conosciuto qualcuno
che è più esasperante di tutti voi messi insieme,
e credetemi se vi dico che
non pensavo fosse possibile! In nome di Prion, il figlio è
più fuori di testa
della madre!»
«Non
ti seguo» disse Tarn.
Stavano
lasciando Pettinathia.
Stavano
decollando.
Finalmente.
«A
rapirmi è stato il figlio di quella che ha ridotto
così
voi due» indicò Helex e Tesarus «Il
figlio di quella Hallow, o come si
chiamava. Non chiedetemi perché l’abbia fatto o
che senso abbia tutto questo
perché non ne ho la minima idea e, come vi accennavo prima,
inizio a sospettare
che c’entrasse lui coi malfunzionamenti del mio comm-link.
Non so come»
aggiunse «E in tutto ciò si è preso
anche il mio registratore, Tarn, quello che
tu mi avevi… oh» si stupì, trovandolo
in uno scomparto «Quand’è che
l’ha
rimesso a posto?!»
«Quindi
di figli senza madre ne sono rimasti due» commentò
Kaon.
«L’avete
uccisa?» si stupì Nickel, notando solo in quel
momento un particolare fondamentale «Tarn! Hai una ferita e non
mi dici
nulla?! Sarebbe stata la prima cosa da dirmi, altro che chiedere di me!
Andiamo
immediatamente in infermeria, e niente storie!»
Tesarus, che
stava guardando l’esterno della nave, parve
notare qualcosa fuori posto. «Kaon, sei sicuro?»
«Di
cosa?»
«Di
aver ucciso quella femme. Sei sicuro?»
«L’ho
uccisa io stesso e in seguito l’abbiamo gettata in un
inceneritore» disse Tarn «Perché lo
domandi?»
«Perché
è in piedi sulla prua dell’astronave e ci sta
salutando».
L’intera
squadra corse verso il vetro, e quel che tutti
videro non lasciava margine di errore: Hallow, con la sua corazza nera
e color
ruggine, con le sue catenelle come “capelli” e il
suo largo sorriso vagamente
inquietante, li stava salutando con la mano sillabando un
“Ehilà!”.
«L’avevamo
uccisa! L’avevamo ammazzata, dico sul serio,
aveva preso una scarica elettrica, il T-Cog si era rotto, aveva un buco
sul
petto grosso come la mia testa, l’abbiamo gettata davvero in
un inceneritore!»
disse Kaon, concitato e leggermente stridulo «Diglielo, Tarn!
Diglielo!»
«Lo
avevamo fatto, senza alcun dubbio».
A un certo
punto, quando fu certa di essere stata vista da
tutti, la videro fare un salto all’indietro piuttosto
teatrale e sparire così,
precipitando nel vuoto.
Ciò
causò l’ennesima pausa di silenzio in quella
giornata
assurda.
«La
prossima volta» esordì Tarn «Pagheremo
via telematica, caricheremo
i T-Cogs senza atterrare neanche per un minuto e andremo via da
Pettinathia
immediatamente».
Il resto della
squadra rispose con un brusio di assenso.
«E
ora, con buona pace di tutti, rotta verso il pianeta
Terra!» ordinò poi.
«E
tu rotta verso l’infermeria!» gli
ricordò Nickel.
Tarn
obbedì.
Non aveva idea
di cosa l’avrebbe atteso sulla Terra, non aveva
idea se sarebbe riuscito o meno a far visita a Lord Megatron, a
sistemare
quella vecchia questione e a riportare a casa -a casa, nella sua
astronave- chi
desiderava riportare a casa, ma una cosa era certa: qualunque cosa,
qualunque,
sarebbe stata meglio di quel giorno libero di cui pentirsi.
Eeee anche questa mini long è finita! :D
Vorrei dire qualcosa di più, ma Hallow non mi permette di
tradurre le sue parole strane neanche stavolta.
Così come non mi permette di dire nulla di più su
certi fatti
di cui avete appena letto :’D
Una cosa però posso e devo dirla: (Eve) Hallow(s) e Finn(an)
sono interamente miei, mentre Ember è un’OC creata
da vermissen_stern,
qui declinata
in forma robotica :)
Ringrazio tutti coloro che hanno letto fin qui e vi lascio
un disegno della famigliola (Finn, Hallow, Ember) ;)
|
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Capitolo 4 *** Another Day (not off) To Repent ***
Lo
scriveranno sulla mia tomba: doveva essere una oneshot, e invece.
Oppure,
doveva essere un solo capitolo bonus... e invece :'D more to
coming.
Another Day
(not off) To Repent
Quello di “periodo
sfortunato” era concetto abbastanza
familiare per Tarn.
Quando aveva un altro nome, un altro
volto e un’altra
identità, aveva dovuto fare i conti proprio con
“periodi sfortunati” che l’avevano
portato a diventare ciò che era in quel momento: questo
pensò.
Ricordò come in passato ne
avesse sofferto e come invece,
nel presente, tendesse a considerarli ostacoli che l’avevano
portato a essere
la possibile miglior versione di se stesso, un se stesso forte, deciso,
potente, rispettato.
Un se stesso liberato di un corpo
incapace di sostenere
tutto il suo vero potenziale, perché prima, quando si faceva
ancora chiamare
Glitch, l’utilizzo delle sue abilità - ai tempi ancora poco
sviluppate
- gli
causava conseguenze a livello fisico;
Liberato da pensieri e regole morali
che gli avevano
impedito di raggiungere il proprio massimo, un livello che non sarebbe
neanche
stato in grado di immaginare quando era ancora un povero stupido
monocolo dalla
testa arancione che non aveva imboccato la strada giusta per lui, alias
quella della
filosofia Decepticon e del suo ruolo di cacciatore, punitore,
esecutore;
Liberato dall’idea di
doversi nascondere proprio a causa di
quell’abilità dapprima solo un
po’pericolosa, poi diventata devastante e
mortale, con la quale era nato e per la quale ormai era conosciuto e
temuto da
chiunque avesse sentito nominare la DJD, cosa che solitamente gli
andava
benissimo. Era passato dall’avere paura al fare paura.
Naturalmente ne valeva la pena, non
poteva essere
altrimenti.
Essere quel che era adesso non era
forse qualcosa per cui
valeva la pena trovarsi, a volte, a guardare stranito il proprio
riflesso visto
di sfuggita prima di ricordarsi che quello lì, con quel
corpo viola e quei
cingoli, era lui stesso?
Non era qualcosa per cui valeva la
pena passare alcune notti
insonni perché tormentato da pensieri e dubbi sulla propria
missione sacra,
alias cose che non avrebbe dovuto avere e delle quali, una volta
passate, si
vergognava perché sintomo di debolezza?
Non era qualcosa per cui valeva la
pena avere dubbi
sull’essere una bestia che si fingeva persona o il contrario?
O, ancora, trovarsi sotto attacco
quando diceva a qualcuno
di voler fare una chiacchierata, senza necessariamente avere brutte
intenzioni?
Resosi conto che i suoi pensieri
avevano divagato fin
troppo, Tarn fece un lievissimo sbuffo e tornò a occuparsi
di questioni più
pratiche, alias quelle che l’avevano indotto a concludere di
trovarsi in un
periodo sfortunato.
«Non si può
proprio riparare? Quel componente va
necessariamente sostituito?» domandò a Kaon
«Non ne abbiamo uno di riserva?»
«Purtroppo era già
quello di riserva che avevamo nella nave» lo
informò il tecnico «Quindi le
risposte alle tue domande sono rispettivamente no, no e no. Se non
altro ora è
chiaro il motivo per cui non riuscivamo a utilizzare il modulo per
l’iperspazio
e, a quattro giorni dalla partenza da Pettinathia, siamo ancora a sud
della
costellazione dello Scorpionokor. Di questo passo verremo lasciati a
piedi arriveremo
sul pianeta Terra all’incircaaaa… l’anno
del mai».
Se Tarn fosse stato un mech credente
e leggermente meno di
classe, avrebbe demolito l’astronave a suon di imprecazioni e
bestemmie;
tuttavia molte cose si potevano dire di lui, eccetto che gli mancasse
lo stile.
Ragion per cui rimase qualche attimo
in silenzio ragionando
sul da farsi.
«Quanta autonomia ci
resta?»
«Potremmo andare avanti
altri quattro giorni, forse meno. Ignoro
a che ritmo. Più il componente si deteriora peggio
è, credo che tu lo
immaginassi già» disse Kaon.
In quel momento sopraggiunse Nickel.
«Allora? Si può fare
qualcosa per quel componente?»
Tarn scosse la testa.
«Abbiamo quattro giorni di autonomia,
forse, certo non di più».
«Cosa vi avevo detto prima
di partire da Messatine? Cosa vi
avevo detto?» li rimproverò, battagliera, la
minicon «Controllare tutto
accuratamente e portare via più di una riserva di ogni parte
vitale
dell’astronave! Ma voi no! “Non è
necessario, non essere paranoica”, dicevate,
e guardate che in che situazione siamo adesso! Per avere quel pezzo ci
toccherà
tornare a Pettinathia!»
«Giammai!»
la
interruppe Tarn «Non c’è bisogno.
Troveremo un pianeta abitato, una
colonia o un avamposto militare di
chicchessia e provvederemo a cercare lì il componente che
serve. Oppure
possiamo tornare a nord».
«Sarebbe una buona idea se
non fosse che a nord c’erano solo
piccole colonie minerarie e fabbriche, non credo proprio che potremmo
trovare
ciò che serve a un incrociatore come il nostro»
disse Kaon.
«E qui a sud finora non
abbiamo visto alcun pianeta abitato
o abitabile, grande o minuscolo che fosse, neppure dove secondo le
mappe
avremmo dovuto trovarne» gli ricordò Nickel
«Abbiamo trovato solo stelle, una
dopo l’altra».
Quel particolare in effetti gli aveva
dato di che pensare
per qualche attimo, prima di concludere semplicemente che le mappe
dovessero
essere sbagliate. I pianeti non potevano certo scomparire senza
lasciare
traccia, anche quando venivano distrutti dai Decepticon ne restava
sempre il “corpo”
morto o dei detriti: nessun detrito significava nessun pianeta, era la
conclusione più logica.
«Quindi che si fa,
Tarn?» domandò Kaon, in attesa di
istruzioni «Non vedo molte alternative a
Pettinathia».
Tarn ricordò
cos’aveva pensato quattro giorni prima: “Non ce
ne andremo mai da Pettinathia”.
Cominciava a temere che quella frase
fosse stata un incrocio
tra una profezia e un anatema.
Il resto della squadra
entrò nella sala, ma lui fece a
stento caso al fatto che Nickel e Kaon li stessero ragguagliando sugli
ultimi
avvenimenti, preso dalla ricerca di una qualsiasi opzione che non
comprendesse
tornare in quella città-Stato maledetta che gli causava
perfino flashback non
voluti, come Kaon che parlava della colla di valvola, di Nickel col
tentacolo
sul dito, delle crepe sui muri causati dagli strilli di Stiria, del
murale che
aveva visto poco lontano dall’ingresso del palazzo una volta
entrato, di Sylves
Mariner da lui sollevato dalle proprie miserie, di…
Un momento.
“Murale?”
Diede tutta la sua attenzione a
quella particolare memoria.
Ricordò di aver posato gli
occhi solo per qualche attimo su
quel disegno abbastanza grossolano, evidentemente la sua attenzione era
stata
catturata da altro, ma cercando di focalizzarsi sui particolari del
murale avrebbe
potuto giurare che fossero presenti Stiria, altre due persone e la
costellazione Scorpionokor in cui si trovavano.
Pettinathia era nella parte nord e
Tarn non aveva visto
altri che Stiria al potere, ma magari a sud…
«Kaon, mettimi in contatto
con Pettinathia. Ci sono delle
informazioni che voglio ottenere».
Vos, decisamente poco entusiasta,
domandò a Tarn se
sarebbero tornati lì.
«È precisamente
quel che sto cercando di evitare» replicò il
Decepticon «Ho ricordato un particolare che potrebbe esserci
utile, però
necessito di una conferma».
Poco dopo riuscirono ad avere il
desiderato contatto con
Stiria, anche se lei per un minuto intero parve non accorgersene
affatto.
Sembrava intenta a discutere con, o
di, qualcuno “imbecille”
che le aveva fatto… non riuscirono a capire cosa, parlava
troppo alla svelta e
il fatto che ogni tanto battesse anche i piedi per
l’irritazione non aiutava.
«Se fosse stata mia figlia
le avrei tirato quattro ceffoni»
commentò Nickel.
– Non
ci saresti
riuscita nemmeno se io fossi stata tua figlia per davvero,
perché sei una nana
e alla mia faccia non ci arrivi neanche saltando –
si fece sentire Stiria,
mostrando di essere consapevole di averli in attesa.
«Il fatto che io sia della
taglia di un cubo di energon non
significa che non potrei rimetterti in riga, sei solo una ragazzina e
mi
basterebbero dieci minuti, se non meno!» ribatté
Nickel.
– Seh,
credici. Che
volete dalla mia viiiiiitaaaa?... ah, ma siete a sud?
–
«Passare di qui avrebbe
dovuto essere la via più breve. Un
pezzo della nostra nave necessita di essere sostituito e non
è qualcosa che si
possa reperire facilmente» disse Tarn «Quel che
voglio sapere è se vicino a noi
c’è una città o un qualunque posto in
cui possano occuparsi di un’astronave
come la nostra».
– Perché
lo chiedi a
me? –
«Credo che tu conosca
qualcuno con un minimo di autorità da
queste parti. Le persone raffigurate insieme a te in quel murale
presente nel
tuo palazzo, per esempio».
– Mmmh…
–
A nessuno della DJD piacque
granché il tono di Stiria, anche
a coloro che di solito facevano meno caso a simili particolari. Helex e
Tesarus
poi, nonostante le riparazioni, erano ancora piuttosto indolenziti in
zona
inguine.
– Se
continuate lungo
la rotta che state seguendo al momento, tra un’ora e mezza
dovreste vedere sui
radar un pianeta molto piccolo attorno al quale orbitano tre satelliti
ancora
più piccoli. È un pianetucolo tutto blu, un
po’per le coltivazioni e un po’per
l’acqua – disse Stiria – Lì c’è un
paesino abbastanza particolare che va da un promontorio affacciato su
un lago
fino alla costa. Può essere che lì che troviate
quel che vi serve, oltre ai
cybertroniani mannari. –
«A quelli ho smesso di
crederci quando ero una protoforma»
borbottò Tesarus.
– Mi
raccomando, prima
o dopo essere stati lì andate a fare visita alle mie sorelle
maggiori, vivono
in un palazzo a qualche chilometro di distanza da lì.
Adorano ricevere ospiti
imprevisti quando è ora di cena ed è giorno di
enerpizza! –
«Un’enerpizza
giusto mi andrebbe» sospirò Kaon, con aria
sognante «Da quant’è che non ne mangiamo
una?»
“Il fatto che ci abbia
detto di andare dalle sue sorelle
maggiori è un ottimo motivo per non avvicinarsi a quel
palazzo” concluse Tarn.
«Niente enerpizza, siamo in missione».
– Eeee
se dopo
l’atterraggio vedrete dei grossi volatili tecnorganici
nutrirsi delle
coltivazioni, fatene fuori più che potete, le mie sorelle
non riescono a
liberarsene. Anche gli abitanti del paesino, se ne faceste fuori
qualcuno
fareste loro solo un favore. –
“Evitare di avvicinarsi al
palazzo, di toccare i volatili e,
ove possibile, di uccidere gli abitanti del paesino in
questione” segnò
mentalmente il comandante della DJD, determinato a fare tutto il
contrario di
quel che Stiria gli stava dicendo.
«Caccia ai volatili? In un
altro momento mi ci sarei messo
volentieri» disse Helex, col pensiero rivolto al proprio pube
indolenzito.
«C’è
altro?» lo ignorò Tarn, ripromettendosi di dare a
tutti
direttive precise appena terminata la comunicazione.
– No,
sono solo
sorpresa che la vostra astronave sia arrivata fin là. La
parte sud di questa
costellazione è impregnata dalla magia a livelli tali da
cambiare le leggi di
matematica e fisica per far sì che quindici più
diciotto faccia trentasei e
vincere una partita a carte – disse Stiria
– Macchine e/o tecnorganici possono
reagire male o in modo strano quando
vengono in contatto con la magia, ma lo saprai meglio di me, ormai hai
una
certa età. Ciao ciao! –
«“Ciao
ciao” un cazzo» sbottò Nickel, purtroppo
un attimo
dopo che Stiria aveva chiuso la comunicazione.
«Immagino che dovrei
ammonirti per il linguaggio troppo
scurrile ma per stavolta ti considererò portavoce dei
pensieri di tutti quanti»
concesse Tarn «Incluso il sottoscritto».
«Dunque andremo veramente
in quel posto?» domandò Tesarus.
Non sembrava entusiasta
all’idea. Nessuno di loro lo era.
«Io detesto la
magia» aggiunse il colosso.
«E io ti comprendo. Credo
che i tuoi sentimenti verso la
magia siano condivisi da tutti noi, nonché da ogni
Decepticon degno di tale
nome. La magia è qualcosa che tende a essere dannosa per
macchine e
tecnorganici, come ha detto bene quella giovane quanto delicatissima
femme»
disse Tarn, con una certa dose di sarcasmo «La natura della
nostra razza e della
nostra tecnologia è conosciuta per essere in netta
contrapposizione con quella
di magia e incantesimi, salvo eccezioni più o meno rilevanti
che hanno comunque
pagato prezzi altissimi per riuscire a imbrigliare anche solo una
briciola di
un “qualcosa” per loro contro natura.
Ciò è quel che si sa finora. Per non
parlare del fatto che la magia, specie a livelli alti come quelli di
cui Stiria
ha parlato, è qualcosa che perlopiù si rivela
incontrollabile da chiunque. Lord
Megatron stesso non ha mai ritenuto opportuno cercare di immischiarsi
con
simili forze, auspicando invece di eradicarle dal cosmo in favore della
scienza
e discipline più
“misurabili”».
Nessuno dei membri della Decepticon
Justice Division avrebbe
avuto bisogno di quella lezioncina ma, allo stesso modo, nessuno si
sentì di
dirglielo.
Vos, che si faceva sentire di rado ma
quando lo faceva non
diceva cose stupide, pose un quesito.
«Le opzioni sono due, Vos:
o le sorelle di Stiria hanno
trovato un modo a noi sconosciuto per proteggersi, riuscendo
così a stabilirsi
qui permanentemente senza riportare danni, o…»
Nel ricordare il murale che aveva
visto nacque un sospetto
poco gradevole.
«O una delle due
è la fonte di ciò che permea lo
Scorpionokor del sud» concluse «Ma io, in
virtù di quanto ho detto prima e
delle informazioni che possediamo sulla magia, rifiuto di
crederlo».
Passarono la successiva ora e mezza a
decidere chi sarebbe
sceso dalla nave -tutti, tranne il cane- cosa si sarebbero portati
dietro, come
muoversi all’interno del paesino in questione e imparare le
direttive di Tarn:
“no palazzo, no volatili, no uccidere abitanti eccetto in
caso di emergenza”.
Tesarus sentendo ciò
sbuffò più volte, immaginando che
sarebbe stato tutto molto noioso, prendendosi di conseguenza ben due
ammonimenti.
Al termine di quel lasso di tempo,
Kaon indicò un pianeta
minuscolo segnalato dai radar. «Ci siamo».
Visualizzato su schermo risultava
effettivamente essere un
piccolo pianeta blu con tre satelliti a ruotargli attorno. Giunti
nell’orbita,
grazie a telescopi vari, riuscirono anche ad avvistare facilmente
quello che
sicuramente era il palazzo delle sorelle di Stiria: un ammasso di
roccia nera
le cui torri rilucevano di un vago chiarore vedastro, incastonato tra
campi
sterminati di coltivazioni color blu cobalto. A qualche chilometro di
distanza,
come aveva detto Stiria, riuscirono a trovare anche il lago, il
promontorio e
il paesello.
«Visto da qui tutto sommato
non sembra nulla di che» osservò
Helex «Può darsi che quella ci abbia presi in
giro».
«Meglio non essere
precipitosi nel giudicare» disse Tarn.
Decisero di atterrare poco lontani
dalla riva del lago, su
un campo di quello che una volta scesi si rivelò essere un
insieme di piante
dal fusto molto sottile, flessibile, con una struttura terribilmente
somigliante a quella del cereale che sul pianeta Terra sarebbe stato
chiamato
“grano”, solo in versione blu.
Non che loro, di questa somiglianza,
potessero sapere
qualcosa.
Tesarus sfiorò le spighe
con una delle sue mani gigantesche.
«Qualcuno capisce che roba sia?»
Vos, dall’alto del suo
essere stato uno scienziato prima di
unirsi al gruppo, disse che secondo lui era “un miscuglio tra
tecnorganica e
magia”.
Un aborto, così lo
definì.
«Ehi! Quelli devono essere
i volatili. Sono alti quanto me»
osservò Kaon, indicando un gruppo di uccelli che si stava
avvicinando a gran
velocità «Qualcuno di voi ha mai visto roba del
genere?»
«Su Prion c’era
qualcosa del genere. Si chiamavano
“henn”»
disse Nickel «Erano proprio in quel modo, con quel cumulo di
piume di vetro
sulla testa che sembravano quasi una capigliatura e facevano delle uova
commestibili, ma non erano assolutamente così grandi, erano
più piccole di me
e… non sputavano fuoco!»
esclamò,
vedendo che le henn avevano iniziato e sputare larghe fiammate dai loro
becchi.
Helex si sfregò le mani.
«Facciamole fuori tutte!»
«Ho dato ordini
diversi» gli ricordò Tarn «Raggiungiamo
il
paesino, piuttosto».
«Ho capito: se sono
coinvolti Stiria e i suoi parenti non c’è
possibilità che si tratti di un posto decente!» si
innervosì Nickel.
L’intero gruppo corse via
in direzione del paese, inseguito
da quelle bestiacce sputafuoco che riuscirono perfino a colpire Kaon di
striscio un paio di volte.
In teoria avrebbe dovuto essere
più veloce nella corsa di
quanto fossero Helex e Tesarus, in pratica non lo era perché
l’idea delle henn
giganti sputafuoco lo faceva ridere, nonostante la situazione, e lo
rallentava
di molto.
«Vai! Vai! Non
cincischiare, per l’amor di Lord Megatron!»
sbuffò Helex, vedendolo soffiarsi su un’antenna
tesla leggermente bruciacchiata
«Devo trascinarti?!»
«Le henn sputaf-»
«Devo
trascinarti» concluse l’altro colosso della DJD,
agguantando per un braccio il compagno di squadra e trascinandolo via
come se
fosse stato una bambola di pezza.
In ciò il fuoco di un paio
di henn colpì anche lui, però essendo
più grosso di Kaon e meno soggetto a danni non ci fece
granché caso.
L’intero gruppo, con Nickel
in testa che essendo piccola e
leggera era anche la più svelta, si catapultò
fuori dalle spighe di grano blu.
«Sbrighiamoci a…
ehi, ma non ci inseguono più?» si stupì
il
medico di bordo, notando che i versi striduli di pochi secondi prima
erano
diventati quelli di henn al pascolo perfettamente tranquille.
Voltandosi trovarono conferma delle
sue parole: gli animali
avevano perso ogni interesse verso di loro appena erano usciti dal
campo ed
erano tornati a becchettare le spighe.
«Uccelli
bipolari» brontolò Tesarus.
«O semplicemente non ci
volevano in mezzo al proprio cibo»
disse Tarn «Andiamo».
A precedere di pochi metri la parte
del paesello situata
sulla costa del lago, videro quella che sembrava la rovina di un arco
di pietra
abbastanza antico.
Quelli del gruppo che si curavano di
certi particolari
tendevano a preferire edifici e decori in metallo, però
trovavano che anche la
pietra fosse più che accettabile.
«Sembrerebbe quasi fungere
da ingresso» commentò Tarn «Forse
in tempi meno recenti le costruzioni arrivavano fin qui».
Vos fece notare un particolare al
quale fino ad allora
nessuno aveva dato voce.
«Sembra disabitato,
è vero, però invito te e tutti quanti a
ricordare dove ci troviamo. Direi quindi che sia opportuno utilizzare
un
briciolo di cautel- Kaon!»
Fin troppo curioso, il tecnico si era
fatto avanti e si era
sporto attraverso l’arco con la parte superiore del
corpo… che ai suoi compagni
di squadra non risultò più visibile.
«Ma che dia…
è come se fosse un portale invisibile!»
esclamò
Helex, cui quella situazione piaceva sempre meno.
«Non “come se
fosse”, credo che si tratti proprio di quel
che dici tu. E io avevo detto di utilizzare cautela!» Tarn,
seccato, tirò
bruscamente indietro Kaon «Kaon, cosa-»
Con un’aria totalmente
smarrita sul volto chiaro dalle
ottiche vuote, dopo qualche attimo di immobilità Kaon si
accasciò a terra e
rimettere buona parte dell’energon assunto in precedenza.
«Kaon! Che hai?!»
si fece avanti Nickel, sollevandogli il
volto e dandogli una veloce occhiata. La diagnosi giunse pochi secondi
dopo «Un
sovraccarico del processore?! Sul serio?!»
«Cosa si fa in certi
casi?» domandò Tarn, sperando che fosse
una condizione risolvibile e, possibilmente, risolvibile in tempi
brevi.
La minicon diede a Kaon tre potenti
sberle in rapida
successione. «Questo!»
Parve funzionare perché,
dopo aver chiuso e aperto la bocca
un paio di volte, Kaon parve riprendersi. «Oooh…
m-ma che- ahio!»
«Almeno impari.
Cretino!» lo rimproverò Nickel dopo avergli
dato la quarta sberla.
Tarn aiutò Kaon a
rialzarsi. «Cos’hai visto lì dentro?
Nessuno di noi è particolarmente impressionabile».
Kaon guardò
l’arco, tornò a guardare Tarn e scosse la testa.
«Un trip assurdo».
Il murale di cui si parla nel capitolo :)
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Capitolo 5 *** Another Day (not off, Jumanji-like) To Repent ***
Another
Day (not off,
Jumanji-like) To Repent
«Potresti essere più specifico, Kaon?
“Un trip assurdo” non
mi è molto di aiuto nel comprendere cosa ci troveremo
davanti».
Tarn non riusciva a capire né immaginare cosa potesse
esserci al di là di quell’arco, ma di una cosa era
sicuro: se fossero riusciti
ad andarsene dalla costellazione dello Scorpionokor -anzi, quando. Rifiutava l’idea del
contrario- avrebbe acconsentito a
rimettervi piede solo nel caso in cui Lord Megatron in persona
gliel’avesse
ordinato direttamente.
«Hai ragione, è solo che… è
solo che è…» Kaon sembrava
incapace di trovare le parole adatte, nonostante si stesse visibilmente
impegnando «Dall’altra parte
c’è…»
Vedendolo preda di tic nervosi che lo spingevano ad aprire e
chiudere le mani a ripetizione, oltre a farlo impappinare in ogni
tentativo di
spiegazione, Tarn iniziò a pensare che per venirne a capo
sarebbe stato
costretto a dare un’occhiata personalmente.
«Dubito che quel che c’è di
là sia tanto spaventoso» disse
Tesarus rivolto al tecnico «Non è che sei
diventato un po’troppo delicatino?»
«N-no, non è “spaventoso”, non
è come invece sarebbe
trovarsi davanti a, che ne so, un Lord Megatron infuriato che trasuda
antimateria e vuole farci secchi tutti quanti, è solo
che… ve l’ho detto che è
un trip assurdo!» tornò a guardare
l’arco, con un’espressione tale da far quasi
pensare che avesse voglia di infilare nuovamente la testa lì
dentro «In un
certo senso è anche interessante, ma…»
Vos, borbottando qualche improperio riguardo la gente
impressionabile nel suo vernacolo arcaico, si fece avanti. In quanto ex
scienziato, dunque di mentalità più cinica e
razionale di altri, riteneva di
poter essere il più adatto a osservare e dare una
definizione a quel che c’era
oltre l’arco. Dopo aver detto ciò a Tarn, chiese e
ottenne il permesso di fare
un tentativo, chiedendo di essere tirato indietro dopo cinque secondi
esatti.
Imitando Kaon, attraversò l’arco con la parte
superiore del
corpo.
«Pronti a tirarlo fuori in quattro, tre-»
Tarn non riuscì neanche a finire il conto alla rovescia: Vos
tornò fuori da solo e iniziò a sbattere
ripetutamente la testa contro l’arco
come un invasato.
«Ehi! Vacci piano! Se ti spacchi la faccia poi non potrai
più infilarla alle altre persone!» lo trattenne
Helex «Si può sapere che c’è
là
dentro?!»
«Nulla che abbia un
cazzo di senso! NULLA!»
«Momento- momento- momento: Vos ha appena parlato in
neocybex?!» si stupì Nickel.
«Probabilmente il suo processore da scienziato è
stato tanto
sconvolto da fargli dimenticare di essere un purista del vernacolo
arcaico e non conoscere la nuova lingua» le
disse Kaon, cercando di reprimere una risata.
«Mi sono scocciato» annunciò Tesarus e,
prima che chiunque
potesse fermarlo, la sua testa scomparve oltre l’arco.
Ci fu un attimo di silenzio dovuto all’idea di avere a che
fare con un simile bestione -il più grosso
all’interno del gruppo dal momento
che superava di poco Helex- in versione pazza furiosa.
Tarn da solo avrebbe potuto facilmente occuparsene, era
vero, e non essendo da solo avrebbe faticato ancor meno, vero anche
quello,
però potendo avrebbero tutti evitato volentieri, specie
perché Vos si stava ancora
agitando urlando che quel che aveva visto “Non aveva
senso”.
Tesarus tirò fuori la testa.
«Concordo con Vos, quel che c’è
lì dentro non ha senso, però
nessuno ha la faccia da venditore di colla di valvola. Sempre che
quelle che ho
visto siano facce, non sono sicuro».
«Lieto di vedere che il tuo processore è a posto,
Tesarus»
disse Tarn, completamente onesto.
Il Decepticon, dopo aver grattato via un piccolo cumulo di
sporcizia dal grosso foro pieno di lame all’altezza del
petto,
fece spallucce.
A volte avere una mente semplice era una benedizione,
sebbene nel suo caso “semplice” non fosse
sinonimo di “stupido”, già
solo perché aveva buona memoria e la tendenza
a non sottovalutare i suoi avversari in alcun caso.
Helex intanto teneva ancora fermo Vos. «Nickel, non puoi
prendere a schiaffi anche lui?»
«No, il suo è più un caso da miscela
calmante» diagnosticò
la minicon «O semplice attesa, ma così potrebbe
impiegare anche un’ora intera».
«Da quando abbiamo la miscela calmante nella Peaceful
Tiranny?» domandò Kaon.
«Da… mai» sospirò Nickel.
«Io però non posso restare qui a tenerlo fermo per
un’or-
Tess, che fai?» si interruppe Helex, vedendo il compagno di
squadra tirare
fuori una lunga e robusta catena color ruggine da uno scomparto.
«Risolvo il problema» replicò il
Decepticon, iniziando a
legare Vos come un salame.
«Ma quella non è una delle catene che Hallow ha
usat…» avviò
a dire Helex, salvo decidere di non terminare la frase dopo aver dato
un’occhiata a Tarn.
Era dell’idea che il suo capo fosse già venuto a
conoscenza
di troppi dettagli quando aveva trovato lui e Tesarus in ricarica e col
bacino
mezzo rotto, dunque pensandoci bene si era reso conto di non essere
particolarmente desideroso di aggiungere altro; Tarn, dal canto suo, la
pensava
allo stesso modo sul non voler sapere di più.
«Eh! Se ne avete qualcun’altra possiamo usare le
catene per
legarci uno all’altro quando saremo lì
dentro!» esclamò Kaon.
«A tal proposito, credo sia tempo che io dia
un’occhiata
oltre quell’arco» disse Tarn, rassicurato dalla
(non) reazione di Tesarus.
Nickel gli diede una breve occhiata. «Cerca di non andare
fuori di cervello, per favore, altrimenti l’astronave rotta
sarà l’ultimo dei
nostri problemi».
Tarn, sapendo che Nickel aveva ragione, non ribatté.
“Togliamoci il pensiero”.
Aggrappato saldamente a una colonna, infilò la testa oltre
l’arco.
Non ci furono accecanti luci bianche nel passaggio, non ci
furono attimi di buio né altre cose del genere: un attimo
prima era in un luogo
rurale ma sensato, mentre quel che aveva davanti ai sensori ottici in
quel
momento non era sensato agli occhi qualsivoglia legge della fisica, non
era
sensato agli occhi di niente.
Quando aveva un altro nome e un’altra identità,
Tarn aveva
frequentato la Jhiaxian Academy of Advanced Technology, un istituto il cui nome
derivava da quello di
un famoso scienziato e che aveva sfornato buone menti, in certi casi
perfino
eccellenti.
Era passato del tempo, ma non abbastanza perché Tarn potesse
dimenticare le nozioni apprese ed essere graziato
dall’ignoranza ora che si
trovava di fronte a un cumulo di paradossi caotico e disturbante come
mai
avrebbe potuto immaginare.
Capiva la reazione di Vos, eccome se la capiva.
Era come annegare in un incubo -magari derivato da un trip
di chissà quali sostanze blasfeme provenienti da quella
bolgia che era
Pettinathia- di un gruppo di studiosi specializzati in architettura e
discipline geometriche, anzi, era come se il cervello di suddetti
studiosi
avesse fatto indigestione d’informazioni per poi vomitarle
tutte quante in una
brodaglia di caos primordiale.
Strade, edifici, cielo e terra si intrecciavano tra loro
come se qualcuno avesse svuotato centinaia di cybertroniani di tutte le
loro
componenti interne e ne avesse fatto un gigantesco gomitolo.
Rampe di scale provenienti dal nulla portavano ovunque e in
nessun posto, a
volte fondendosi tra di
loro in un saliscendi inconcepibile, e gli abitanti -sempre se davvero
si
trattava di loro- correvano su di esse mutando nell’aspetto
gradualmente fino a
diventare decorazioni di forma incomprensibile, senza che queste
aumentassero
di numero né la processione di corridori avesse mai fine;
piccole piazze che
sembravano cambiare a ogni occhiata in forma e dimensione erano
circondate di
edifici dalla geometria inspiegabile e contorta; acquedotti
aggrovigliati tra
di loro trasportavano acqua di lago che non tendeva a scendere,
bensì a
fluttuare in aria ribollendo fino a unirsi
all’acquedotto
stesso, pietrificandosi e divenendone parte.
I sensori ottici di Tarn e il suo processore non
comprendevano dove tutto avesse inizio e avesse fine, né di
quali colori fosse
tutta quella follia, così come il Decepticon non comprendeva
se ai suoi
recettori uditivi stesse giungendo una cacofonia insopportabile o un
silenzio
come mai ne aveva uditi.
Sotto il peso del tutto e del suo contrario, di tutto ciò
che non avrebbe potuto e dovuto esistere
e invece era lì davanti a lui, il suo processore cedette per
qualche attimo.
Non vide più nulla se non una miriade di luci, per un tempo
indefinibile gli parve quasi di volare tra galassie infinite di
infiniti multiversi,
poi iniziarono a giungere scene più o meno chiare che
avevano come protagonista
lui stesso -o forse certe sue versioni alternative.
In una si vide annientato, assieme alla sua squadra, da una
versione di Lord Megatron diversa nell'aspetto da quella che lui
conosceva; in
un’altra vide
un se stesso vivo e vegeto, nervoso per colpa delle mani di una seeker
sconosciuta del
colore del fuoco -sentì quel se stesso lì
sbottare un “KORNELIA!”-
incollate in senso letterale al suo posteriore; in
un’altra ancora stava facendo dei movimenti inconsulti, forse
una sottospecie
di danza, di fronte a un’altra femme sconosciuta, allibita,
con l’occhio destro
coperto da una benda. A un certo punto sentì quel se stesso
chiamarla “Bloody”.
Dell’ultima scena non vide le immagini, sentì solo
l’audio,
ma sembrava intento a rimproverare l’undicesimo dei propri
dodici figli. Tra
tutte era l’alternativa più assurda dato che non
aveva mai pensato di averne,
tantomeno di averne dodici, né
aveva una
donna con cui farne.
All’improvviso ci fu un forte impatto e tutto
finì.
Tarn rotolò di lato, aprì lentamente i sensori
ottici e comprese
tre cose…
“La prima è che mi sono ripreso, e questo
è un bene. La seconda
è che sono precipitato con tutto il corpo
all’interno di
quest’assurdità” pensò
“E la terza è che…”
«Ho la nausea. Questo posto mi disturba, mi disturba e mi disturba» affermò
Nickel, per poi
zittirsi e portarsi una mano davanti alla bocca nel tentativo di non
rimettere.
«Come siete finiti qui?!»
«Quando hai infilato la testa qui dentro abbiamo messo in
pratica l’idea di Kaon, quella di legarci uno
all’altro con le catene» spiegò
Helex a Tarn «Pessima scelta. Caduto tu, siamo caduti tutti!
O forse siamo
stati risucchiati, la stazza mia e di Tesarus difficilmente avrebbe
consentito
che “cadessimo” giù» si
guardò attorno «Perlomeno gli edifici di
Pettinathia
avevano un capo e una coda… e ho qualche dubbio sul fatto
che qui troveremo il
componente che serve».
Nickel si guardò attorno. «Io voglio solo uscire
da qui,
anzi lo pretendo, e subito! Da dov’è che siamo
entrati?!»
Kaon si guardò attorno a sua volta. «Io non vedo
né entrate
né uscite. Non vorrei dirvelo ma mi sa che siamo in
trappola, anche se- un
momento! Vos non è qui! Quando si riprenderà
magari troverà il modo di tirarci
fuori, se riuscirà a slegarsi!»
«Troppi “se” e
“magari”» fu l’unico commento
di Tesarus.
Un rumore distinto rispetto agli altri, per
la precisione rumore
di batter d’ali, li spinse tutti a
voltarsi verso destra.
Scoprirono che
si
trattava di una henn come quelle che avevano visto prima, vestita
però come un “postino”
della cybertron dei tempi che furono, e proprio come uno di essi stava
porgendo
a Tarn un messaggio ripiegato su se stesso.
Kaon avrebbe voluto esclamare “henn postina”,
però non
riusciva ad andare oltre un “henn post-IHIHIH”.
La henn volò via appena Tarn prese il messaggio.
Notò che
era stato vergato a mano -scelta molto bizzarra e anacronistica secondo
lui- su
un materiale nero, setoso e flessibile di fibre tecnorganiche. Le frasi
impresse su di esso rilucevano dello stesso chiarore verde brillante
che
illuminava anche il palazzo delle sorelle di Stiria, lasciandogli
dunque pochi
dubbi sulle mittenti.
«“Stranieri, siate i benvenuti a Berg des
Sees”» lesse Tarn
«“La vostra perspicacia nel non venire a romperci
le scatole a casa durante l’ora
di cena-”»
«L’hanno scritto seriamente?»
sbuffò Nickel.
Tarn annuì, poi si schiarì la voce.
«“La vostra perspicacia
nel non venire a romperci le scatole a casa durante l’ora di
cena ci ha
dissuase dal seguire la nostra idea iniziale, che qui non esponiamo, in
favore
di un’altra più divertente. Un
gioco”».
«Quale gioco?!» allibì Helex.
«“Entrare a Berg des Sees è semplice,
uscire lo è un po’meno.
Il paesino è diventato bizzarro da quando il campanile non
può più far suonare la
propria campana, caduta in fondo al lago e trattenuta in un palazzo
subacqueo da
creature poco intenzionate a restituirla. Il vostro scopo nel gioco
sarà trovare
le tre chiavi che servono ad entrare nel palazzo, recuperare la campana
e
rimetterla al suo posto”».
«Io rifiuto di fare da fattorino per delle streghe»
dichiarò
Tesarus.
«“Se riuscirete nell’impresa potrete
uscire da Berg des Sees
e andare dove vi pare. Nel caso in cui rifiutiate di giocare, cerchiate
di
distruggere il paese o non riusciate a vincere, diventerete abitanti di
Berg
des Sees perdendo progressivamente la memoria e le vostre
caratteristiche
fisiche. Molti ci ringrazierebbero per un simile epilogo ma, visto che
a noi
dei ‘molti’ non frega una mazza, non è
una partita persa in partenza. Questa lettera
si trasformerà in una mappa appena finirete di leggere. In
bocca al luponoide
per la nostra primissima edizione di Shaulmanji!”. Pare
che
questo gioco sia stato organizzato appositamente per noi,
signori» fu il
commento atono di Tarn mentre la lettera si ingrandiva e si trasformava
in una
mappa.
Odiava la magia.
Non gli era mai piaciuta neppure quando si chiamava ancora
“Damus”
o “Glitch” ma adesso che lui e la sua squadra erano
in balia dei capricci di
una strega e della sua gemella, oltretutto sorelle maggiori della
piccola stronza
che aveva detto loro di recarsi lì, la odiava con ogni fibra
del
proprio essere in maniera
onesta e profonda.
«E questa mappa è vuota per la maggior
parte» aggiunse poi «Al
momento non saprei neppure dire come arrivare fino al lago, e dire che
prima di
entrare eravamo praticamente sulla costa!»
«Spesso in questo tipo di giochi funziona così,
capo, la
mappa si rivela un po’per volta» disse Kaon,
avvicinandosi per dare un’occhiata
«Man mano che uno avanza di livello. Ci sono vari giochi
online simili ma
solitamente sono meno, eeeh, immersivi».
«Sembri più divertito di quanto dovresti,
Kaon».
«No, no! Assolutamente» negò
spudoratamente il tecnico, per
poi notare un particolare che lo indusse a distanziare la mappa
«Visto, Nickel?
Tu hai sempre da ridire sul fatto che i giochi come questo sono per le
protoforme, ma avrei voluto vedere se tu al posto mio avresti notato
l’indizio!»
«Non so di che parli» ribatté Nickel,
avvicinatasi a Kaon e
Tarn assieme ai due colossi.
«Mappare questo disastro sarebbe impossibile» disse
Kaon,
indicando con un cenno l’ambiente circostante
«Quindi è rappresentato come il
groviglio che è. Ma nel groviglio sono stati inseriti dei
“punti fermi”,
probabilmente in modo approssimativo, che secondo me ricordano un
po’troppo la
costellazione in cui ci troviamo, posizionata al
contrario...»
«Come nel murale che ho visto a Pettinathia. Forse non hai
torto» riconobbe Tarn, costretto ad ammettere a se stesso che
lui, in quella
situazione, non sapeva come muoversi. Non ritenendo i giochi online un
passatempo “serio” non li aveva mai provati.
«Io sono dell’idea che dovremmo andare
quaggiù» disse Kaon, indicando
un punto sulla mappa che ne precedeva altri tre, distanziati tra loro
in senso
orizzontale «Alias dove ci troviamo noi. Il pianeta su cui
siamo atterrati si
trova nei dintorni della stella A’ntares e, guarda caso, dopo
A’ntares ci sono
questi punti» rispettivamente le stelle che per un terrestre
si sarebbero
chiamate “Graffias”, “Dschubba”,
e “Vrischika” «Che
sono tre, come
le chiavi che dobbiamo trovare! Sono un cazzo di genio!»
«Non montarti la testa, non sappiamo nemmeno se sia
l’interpretazione
giusta!» lo rimproverò Nickel.
«È anche la sola che abbiamo»
sospirò Helex.
«A me basta uscire di qui, mi sono già
stufato» disse
Tesarus «Cosa si fa, Tarn?»
«Faremo come ha detto Kaon, tra noi è quello che
capisce di
più certe cose» decise, anche perché
come Helex aveva giustamente osservato non
avevano altre piste «Stringiamo meglio le catene e viaggiamo
in formazione
compatta, niente distrazioni. Destinazione
“A’ntares”».
Fecero come Tarn aveva detto, cercando di orientarsi in quel
guazzabuglio di paradossi senza lasciare che lo sguardo vi indugiasse
ossessivamente. Tarn e Nickel in particolar non avevano voglia di trovarsi di
nuovo ad
avere le visioni o la nausea.
Nel corso del viaggio notarono che effettivamente, in quel
paese, degli abitanti c’erano sul serio.
Alcuni erano proprio quelli che Tarn aveva visto correre e
diventare decori, altri sembravano un miscuglio tra robot e creature
organiche
acquatiche, altri ancora avevano un aspetto quasi normale e, incuranti
di
tutto, leggevano libri poco euclidei seduti su pavimenti e panchine
dallo schema
prospettico indefinibile.
A un certo punto ebbero l’impressione di aver incrociato un
bug, perché svoltando in un vicolo si erano ritrovati in un
incubo frattale nel
quale c’erano infinite femme -sempre la stessa- che,
trattenute da altre
infinite femme, urlavano contro infiniti cybergatti di colore bianco
intenti a
guardare del cibo con aria confusa.
Nickel, nuovamente vittima di un principio di nausea, fu
costretta a chiudere gli occhi. Per fortuna Tesarus la stava facendo
stare nel
grosso foro che aveva sul petto, quindi poteva permetterselo senza
rischiare di
fare qualche passo falso. La sola cosa buona era che in teoria ormai
non
mancava molto ad “A’ntares”.
«Questo è solo un incubo, sì? Mi
risveglierò tranquilla
nella mia cuccetta, sì?»
«No» disse Tesarus.
«Lo so» sospirò Nickel «Lo
so».
Helex le diede un’occhiata. «Questo posto fa venire
qualche
giramento di testa, è vero, però nonostante
l’assurdità e la sensazione di star
salendo e scendendo scale a vuoto poteva essere molto peg-»
«NON DIRLO!»
gridò
Kaon, interrompendolo «Non si dicono mai certe cose in questi
giochi! Se lo fai
poi succede sempre che-»
Un rullo di tamburi ritmico, lungo una manciata di secondi,
coprì qualsiasi cosa Kaon avesse cercato di dire; tuttavia,
quando la danza
svelta e ubriaca di strade, scale, edifici e cielo divenne il moto di
una folla
spaventata e arrabbiata -arrabbiata proprio con loro, per la
precisione- Tarn
intuì cos’avrebbe voluto intendere.
“Succede sempre che il tutto si complica per colpa di
qualche ostacolo improvviso”.
Fatta sparire la mappa in uno scomparto, Tarn e il resto del
gruppo iniziarono a correre come dei forsennati, saltando da un punto
all’altro
di quel groviglio peggiore delle budella di Mortilus, gridando
imprecazioni e
maledizioni -Nickel in particolare- e cercando sia di non perdersi, sia
di non
intralciare gli altri ai quali erano legati con le catene.
«Il ponte!» gridò Tarn indicando un
ponte ricurvo a poca
distanza da loro «Vedo qualcosa di fermo
oltre il ponte!»
«Hai ragione!» esclamò Kaon,
raggiungendo il suddetto come tutti
gli altri e correndo sopra di esso «Cerchiamo di-»
Ancora una volta non gli fu concesso finire la frase: una
serie di colonne lo colpì con tanta violenza da rompere la
catena e farlo
precipitare in una spirale di scale che si attorcigliavano tra loro
come amanti
focosi.
«KAON!»
urlò Helex
«È precipitato!»
«Faremo una fine analoga se non ci muoviamo» disse
Tarn,
duro, sebbene avesse un po’la morte nel cuore -ergo,
Scintilla- e stesse
maledicendo con ancor più vigore tutta la famiglia di Stiria
«Non possiamo fare
niente per lui».
«I Decepticon non abbandonano i loro
compagni…» ribatté
Tesarus.
«Non dire mai, mai a ME»
a lui, che dopo Megatron si riteneva il più Decepticon tra i
Decepticon, senza
eccezione «Cosa i Decepticon fanno e non fanno. Hai compreso?
E ora muoviamoci».
Il tono di Tarn fu tale che nessuno proferì altro verbo.
A lui per primo non era piaciuto essere stato costretto a
una scena simile, ma se la scelta era perdere un membro della squadra o
rischiare di perderne di più nel tentativo di salvare
qualcuno che era caduto
in un groviglio di scale semoventi, o per la troppa lentezza, la scelta
diventava difficile quanto ovvia. Essere leader significava anche
questo.
Il ponte iniziò a rompersi sotto i loro piedi ma ormai erano
quasi arrivati e, adesso che erano vicini, poteva vedere un arco simile
a
quello che avevano attraversato quando erano entrati in
quell’inferno.
«Saltate… ORA!»
Sì, ho visto Jumanji l'altro ieri.
No, non mi pento di niente.
Nel caso ve lo siate chiesti, sì: nelle visioni di
Tarn vengono citati personaggi non miei (Kornelia e "Bloody")
appartenenti rispettivamente a MilesRedwing e Neferikare :D
Volevo dire altro ma non mi ricordo, quindi vi saluto!
_Cthylla_
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Capitolo 6 *** Another Day (yeah, another) To Repent ***
Another
Day (yeah,
another) To Repent
«Nel
corso dei prossimi due o tre milioni di anni, che
nessuno di voi osi proporre di andare in cerca di mobilio nuovo per la
Peaceful
Tiranny. Spero di essermi spiegato».
«Sta’
tranquillo, Tarn, non c’è rischio» disse
Tesarus.
«Che
incubo» borbottò Nickel.
«Essendo
una femme credevo che saresti stata contenta di
fare un giro all’Ikea» la prese in giro Helex.
«Vaffanculo».
«Nickel…»
avviò a rimproverarla Tarn, per poi sospirare.
Cos’avrebbe
dovuto dirle? Lui stesso, ad aver avuto un
po’meno autocontrollo, si sarebbe messo a mandare a quel
paese tutto e tutti
nell’Universo.
“Rimpiango
di non essere rimasto nel campo” pensò,
addentrandosi nell’ennesimo corridoio di scaffali.
Dopo essersi
salvati da quella follia aggrovigliata priva di
senso saltando oltre il portale, si erano ritrovati in un tranquillo
campo di
grano blu. In mezzo a esso c’era un grande albero
tecnorganico che, come
avevano scoperto poi, dava frutti di cubi di energon. Né lui
né Nickel né Tesarus
si sarebbero azzardati ad assaggiarli, tuttavia Helex era affamato,
dunque aveva
preceduto qualunque loro avvertimento e ne aveva trangugiati quattro
uno dopo
l’altro.
Non
c’erano stati effetti negativi, quindi dopo un po’
avevano concluso di potersi riposare e rifocillare un po’
finché ne avessero
avuto occasione: evitare di farlo non avrebbe cambiato la loro
situazione,
sarebbero sempre stati in balia della strega e della sua gemella,
balocchi
nuovi per la gioia di quelle “bambine” che ormai,
essendo più vecchie di
Stiria, non erano più protoforme da un pezzo.
Era stato solo
in seguito che avevano notato i tre archi
oltre l’albero, uno per ogni livello da affrontare con lo
scopo di recuperare
le chiavi per arrivare a quella benedetta campana.
Era una
conclusione cui erano riusciti a giungere anche
senza l’aiuto di Kaon che -nessuno avrebbe tolto quel
pensiero dalla testa di
Tarn- era stato tolto dal gioco perché si stava rendendo un
po’troppo utile.
“Vorrei
poterti vendicare adeguatamente, tutti lo vorremmo”
pensò Tarn, continuando a lasciar correre le memorie.
Ricordò
che avevano verificato subito come l’unico arco
attivo fosse il primo dei tre partendo da sinistra e, fatto
ciò, erano entrati
dentro.
Tutto quel che
avevano trovato erano state una chiave e una
porta in una stanza bianca altrimenti vuota, cosa che aveva fatto loro
intuire
di dover aprire la porta in questione e affrontare qualunque cosa fosse
stata
presente al di là di essa.
Tutto avrebbero
pensato meno che di trovarsi dispersi nel
negozio Ikea -azienda colosso dell’arredamento con filiali
aperte in ogni
pianeta abitato del cosmo o quasi- più grande che avessero
mai visto o anche
solo immaginato, scoprendo oltretutto che lì dentro non
erano da soli.
Loro malgrado,
avevano incontrato gli “abitanti” di
quell’inferno di arredamenti quando…
“Hiu iu iu iu iu iu
Când
vii, bade, pe la
noi
Să
nu vii fără cimpoi.
Da
pe cimpoi, da pe
cimpoi
Joacă
fetele la noi,
Da
numa' așe, da numa'
așe!”
Un altro
altoparlante.
Uno che non
aveva ancora distrutto.
«Tarn,
NO. No.
Evita» disse Nickel «Abbiamo trovato tante uscite
ma della chiave o dell’indizio
che avrebbe dovuto condurci a essa non c’è
traccia, l’entrata non c’è
più, e un’altra
lotta contro i cybertroniani mannari non ci serve affatto. Ne abbiamo
avute già
quindici da quando siamo entrati qui dentro! Se rompi o disattivi uno
di quegli
altoparlanti arrivano a frotte!»
“Hiu iu iu iu iu iu
Când
vii, bade, pe la
noi
Să
nu vii fără
cimpoi!”
Tarn si
considerava un ottimo conoscitore e amante della
buona musica, in particolar modo quella definibile
“classica” era una delizia
per i suoi recettori uditivi. Sarebbe stato capace di passare ore e ore
ad
ascoltarla o, se ne fosse stato in grado, suonarla egli stesso; di
conseguenza
essere costretto ad ascoltare in loop quell’obbrobrio di note
ripetitive e di
voci che berciavano in un idioma sconosciuto, perché secondo
la sua opinione
“Pe Cimpoi” era questo, era una tortura terribile
per lui.
«Nickel,
se fossi costretto ad ascoltare un’altra strofa di
questa “canzone” inizierei comunque a distruggere
scaffale dopo scaffale fino
all’arrivo di quelle bestie, inevitabilmente attratte dal
rumore. Quindi, tanto
vale!» sentenziò.
«Le
lotte contro i mannari se non altro movimentano la
situazione» disse Tesarus, tutt’altro che
preoccupato all’idea di una lotta «Mi
sembra di essere tornato ai tempi in cui stavo con la mia ultima
fidanzata.
Voleva sempre venire all’Ikea».
Helex divenne
pensieroso. «È quella che hai triturato per
poi fare una lampada, una cornice per uno specchio e un sonaglio al
vento coi
suoi pezzi?»
«Le
piacevano i complementi d’arredamento» fu la sola
risposta di Tesarus, serissimo.
«La
tua creatività ormai è conosciuta e apprezzata
all’interno della squadra» disse Tarn, puntando il
doppio cannone a fusione
verso l’altoparlante «Cybertroniani mannari siano.
Tanto purtroppo quelle
bestie si rigenerano, quindi non ne mancheranno per la prossima volta,
o quella
dopo ancora… da quant’è che siamo qui
dentro?»
«Il
mio orologio interno è sfasato come il tuo» disse
Nickel.
«Idem»
aggiunse Helex, guardando Tarn sparare «Non riesco a
capire se siano poche ore o una settimana, se non
più».
L’altoparlante
venne distrutto e Tarn, pur sapendo cosa li
aspettava, non riuscì a trattenere un sospiro di sollievo.
«Ora
va meglio».
I ruggiti e il
fracasso degli scaffali buttati giù dai
cybertroniani mannari era già udibile.
«Non
per molto» borbottò Nickel.
«Come
ha detto bene Tesarus, movimentano un po’ la
situazione» disse Helex «Vuoi che ti metta dove
sciolgo la gente? Lì saresti
protetta».
«Grazie
ma, no, grazie» rispose la minicon «Non ricordo
quando ti ho aiutato a pulire l’ultima volta, quindi sei
sicuramente sporco da
fare schifo».
«Beh,
sì, abbastanza» riconobbe il colosso, riuscendo
appena
in tempo a cogliere il movimento di un gruppo di cybertroniani mannari
che
stava piombando su di loro con un ululato.
Sentendo Tarn
cominciare a sparare e le lame di Tesarus
muoversi a tutta velocità, Nickel decise saggiamente di
allontanarsi un po’ e
lasciare che si divertissero, o sfogassero la propria frustrazione. Il
risultato non cambiava: gli strani abitanti di quell’Ikea
infinito dall’orrenda
colonna sonora finivano sempre male.
Riuscì
a notare che a Tarn era caduta la chiave con cui
erano entrati e, velocemente, andò a raccoglierla prima di
acquattarsi tra i
detriti di uno scaffale già crollato.
“Non
che serva a qualcosa” pensò.
Da
lì poteva osservare bene i cybertroniani mannari. Anche
prima di finire con quei disgraziati di Tarn, Vos, Helex, Tesarus e
Kaon -le
mancavano le sue battute cretine. Chi l’avrebbe mai detto?-
lei era stata un
medico con una carriera ben avviata nella colonia di Prion, dunque le
era
capitato di vedere più di un caso clinico a dir poco
bizzarro, ma non dei
cybertroniani o minicon ridotti in quel modo: erano bestie ferali ma
erano
diverse dai mostri come gli Sparkeater, così
com’erano ben diversi da
transformers che, come il “cane” di bordo, avevano
subito la domesticazione.
Guardando quei
mostri massicci, oltre ad avere l’impressione
di trovarsi di fronte una fusione tra cybertroniano e luponoide, Nickel
provava
anche una sensazione di “disturbo” simile a quella
avvertita nel paesino.
“Magia.
Ecco cos’è che mi disturba”
pensò, facendo una
smorfia “Odio da morire tutto ques…”
Un’occhiata
a Helex interruppe i suoi pensieri, per una
ragione molto semplice: non ricordava che sulla corazza del colosso
fossero
presenti escrescenze di alcun tipo, oltre a quelle che sembravano quasi
delle
squame.
Guardò
Tesarus.
“Quegli
spuntoni sulla schiena non li ricordavo” pensò
“E se
non li ricordavo è perché non li aveva
affatto!”
Guardò
Tarn, intento a strappare la testa di un
cybertroniano mannaro che stava quasi per morderlo, e vide che almeno
lui
sembrava a posto. A un rapido esame sembrava esserlo anche lei stessa,
però il
problema restava: dovevano sbrigarsi a trovare le chiavi, a trovare la
maledetta campana e poi… sperare in bene.
“Nessuno
garantisce che la strega manterrà la parola”
pensò
amaramente “Se non per quel che le pare: aveva detto che il
nostro aspetto
fisico sarebbe cambiato col tempo, e infatti sta già
succedendo! Se solo
avessimo trovato almeno la prima chiave, invece che solo
questa… chiave…”
I cybertroniani
mannari, seppur si rigenerassero, erano per
la maggior parte scappati via; ragion per cui Nickel si
sentì abbastanza
tranquilla all’idea di uscire fuori dal suo nascondiglio,
dirigersi verso
un’uscita a poche decine di metri da loro e verificare
l’orrido sospetto che le
era sovvenuto.
Arrivò
alla porta, le sue ottiche azzurre e il suo corpicino
vennero illuminate dal neon rosso della scritta
“Exit”, così come la chiave che
sollevò e cercò di infilare nella serratura.
L’
ultimo colpo del cannone di Tarn raggiunse il solo
cybertroniano mannaro rimasto, e il silenzio che venne subito dopo
permise a
lui e gli altri di sentire distintamente la pesantissima bestemmia
urlata a
gran voce da Nickel.
«Nickel,
cos… come hai fatto ad aprire quella porta?!» si
stupì Tarn, avvicinandosi insieme agli altri quasi di corsa
«Hai trovato la
chiave? Era veramente sotto quel cumulo di detriti?!»
“E se
è così, perché sembra
furiosa?” si chiese il
Decepticon.
Poi
guardò meglio la chiave che Nickel, dopo averla sfilata
dalla toppa, teneva in mano.
Per qualche
istante il suo cervello rifiutò di processare
quel che stava vedendo.
«Non
era sotto il cumulo di detriti. L’abbiamo sempre avuta
con noi per tutto il tempo» disse Nickel «Quando
abbiamo attraversato l’arco
eravamo già
all’interno del “livello”
che dovevamo affrontare. Il nostro errore, quando abbiamo trovato la
chiave e
la porta in quella stanza vuota, è stato pensare che di
chiavi dovesse
essercene un’altra e che fosse qui dentro!»
«Come
potevamo pensare diversamente?! Non c’erano indizi in
quella stanza lì!» esclamò Helex,
allibito quanto nervoso.
«Appunto,
Helex, non
c’erano indizi sul fatto che dovessimo proprio entrare qui,
l’abbiamo dato per
scontato. Sbagliando!»
«Come
ragionano quella strega e sua sorella?!»
«Come
le bastarde che sono» sentenziò Tesarus, chiaro e
conciso «Forse Kaon ci sarebbe arrivato. Per questo
l’hanno tolto di mezzo».
Solo allora si
resero conto che Tarn non aveva più detto una
parola.
La sua
espressione -il poco che se ne vedeva, dato che la
maschera lasciava visibili solo gli occhi- era tale che Nickel, Tesarus
ed
Helex decisero di allontanarsi rapidamente uscendo dall’Ikea
e tornando… nella
stanza vuota. Ovvio: in quel luogo in cui spazio e tempo non avevano
senso, ci
stava che ogni uscita portasse lì, esattamente
dov’erano entrati.
La porta rimase
comunque aperta.
«Mi
state dicendo che abbiamo girato a vuoto? Che abbiamo
passato non so quanto tempo a vagare in un Ikea infestato dai
cybertroniani
mannari, con quell’oscenità musicale come
sottofondo costante, senza che ce ne
fosse reale bisogno?»
«Vorrei
che ci fosse un altro modo per dirlo ma, sì, è
così»
trovò il coraggio di dire Nickel.
Altra pausa di
silenzio, a seguito della quale Tarn si
limitò a raggiungerli fuori dall’Ikea, chiudendosi
la porta alle spalle.
«Usciamo».
Benché
il suo istinto stesse suggerendo tutt’altro -alias
restare dentro un altro po’per spaccare tutto sia col
cannone, sia urlando come
un ossesso- mai e poi mai avrebbe dato alle sorelle di Stiria la
soddisfazione
di vederlo perdere il controllo a tal punto, in uno sfogo
d’ira del tutto fine
a se stesso.
L’intera
squadra attraversò l’arco, ed ecco che tornarono
nel tranquillo campo di grano blu.
Helex
indicò un punto distante da loro, oltre l’albero
con i
cubi di energon. «Mi pare di vedere qualcosa
lì».
Aveva ragione:
al di là di una foschia alla quale prima non
avevano fatto caso, adesso si intravedevano le vaghe sagome scure di
quelli che
sembravano essere due edifici. Provarono ad avvicinarsi ma non
ottennero
risultati, perché per quanti passi facessero nessuna delle
due sagome diventava
più grande e distinguibile.
«Valeva
la pena provarci» disse Tarn «Sempre meglio che
affrontare altri due livelli per poi scoprire che non era
necessario».
Nel tornare
indietro, preceduti da Tesarus e Helex, lui e
Nickel si scambiarono un’occhiata. Anche Tarn aveva notato i
cambiamenti alle
armature dei due colossi e la cosa non lo lasciava indifferente,
inducendolo a
chiedersi se davvero sarebbero riusciti a uscire da quella situazione
e, se sì,
in quali condizioni.
Era da tanto
che non si sentiva così inerme, indifeso e
debole come una piccola e stupida astronave in balia della peggior
tempesta
solare che si fosse mai vista o della forza attrattiva di un buco nero.
Ebbe quasi
l’impressione di essere tornato indietro nel
tempo, al punto di guardarsi le mani per verificare di averle ancora e
di non
avere le “pinze” che gli avevano installato
forzatamente quando aveva un altro
nome.
«COS-»
Per qualche
attimo, al posto delle sue mani viola vide
veramente delle “pinze” color arancio.
«Cos’hai?»
gli domandò Nickel, allarmata.
«Io…»
Tornò
a guardarsi le mani. Erano viola e perfettamente
normali.
«Nulla»
disse, cercando di mostrare tranquillità nonostante
quell’allucinazione -se lo era davvero stata: al momento era
a posto ma forse,
un attimo prima, non lo era!- lo
avesse scosso abbastanza «Ho già detto che odio la
magia?»
«Un
numero impressionante di volte… ma non sarà mai
troppo»
disse Nickel «Dritti al secondo livello?»
«Cinque
minuti per rifocillarci e poi sì, dritti al secondo
livello».
“Sperando
che non contenga altri inghippi che dovremo
intuire pur non essendo esperti di giochi”.
La mancanza di
Kaon in quel frangente si faceva sentire
forte, talmente forte che Tarn -la cui abilità particolare
faceva sì che avesse
un rapporto peculiare con le frequenze- aveva quasi
l’impressione di star
captando in lontananza la sua risata, dovuta a un “Kaon,
vieni a giocare con
noi? Per sempre?” detto da due voci femminili identiche.
“Se
anche fosse vivo non si metterebbe certo a giocare e
cercare di fare amicizia con le sorelle di Stiria” concluse
una volta giunto
fino all’albero.
Imitando
Tesarus e Helex, dopo aver colto un paio di cubi di
energon si sedette a terra, arrivando a poggiare la schiena contro il
tronco
della pianta.
I rumori della
fauna minuscola e innocua presente tra la
vegetazione, la brezza leggera che muoveva le spighe blu facendole
sembrare
delicate onde marine -oltre ai mari d’olio c’erano
anche quelli d’acqua, lui ne
aveva visti vari- e il tepore che avvertiva sul metallo generato dai
raggi
dell’astro più vicino sarebbero stati perfino
fonte di un sentimento di “pace”
per lui, se la situazione fosse stata diversa.
“Chi
ce l’ha fatto fare di venire qui?” pensò
bevendo
rapidamente entrambi i cubi, salvo rispondersi poco dopo
“Stiria, ecco chi.
Meriterebbe di finire nella Lista per questo, lei e tutta la sua
famiglia. Se
penso che magari a quest’ora saremmo quasi arrivati sulla
Terra o che avrei
potuto già essere davanti a Lord Megatron nella Nemesis, se
penso che forse
sulla Terra in questo momento c’è-”
Si
alzò in piedi prima ancora di terminare il pensiero.
«Pronti?»
«Sissignore»
risposero in coro gli altri, alzandosi in piedi
a loro volta.
«Rivuoi
la chiave?» domandò Nickel a Tarn.
«Sì.
Farò in modo di non perderla per strada stavolta».
Presa la chiave
e senza rimuginare troppo, la DJD -la parte
che ne era rimasta- raggiunse l’arco del secondo livello e lo
attraversò.
“Novantanove scimmie
Saltavano
sul letto
Una
cadde in terra e
si ruppe il cervelletto!
Novantotto
scimmie
Saltavano
sul letto
Una
cadde in terra e
si ruppe il cervelletto!
Novantasette
scimmie
Saltavano
sul letto
Una
cadde in terra e
si ruppe il cervelletto!”
Tesarus, che
complice il fatto di avere una “X” a coprire
buona parte del volto risultava spesso essere abbastanza inespressivo,
ebbe un
solo commento da fare.
«Perché?»
«Mi
stupisce che tu ti faccia ancora domande» fu la risposta
di Tarn.
In quel livello
si riuscivano a vedere sia la chiave, sia
l’uscita: quest’ultima era dalla parte opposta
rispetto a dov’erano sbucati
loro, e aveva la classica forma di arco semidiroccato.
Quanto alla
chiave…
“Novantasette
scimmie
Saltavano
sul letto
Una
cadde in terra e
si ruppe il cervelletto!”
La chiave era
in alto, sospesa in una teca di forma rotonda;
sotto di essa c’erano enormi cuccette volanti a diversi
livelli che si
muovevano in cerchio, sopra le quali novantanove cyberscimmie
elettriche
-novantacinque. Novantaquattro…- per
ognuna saltavano come forsennate, e alla fine di ogni strofa ce
n’era una che
cadeva nel lago di magma posto sotto di loro.
Sembrava quasi
che stessero adorando la chiave con quello
strano rituale, come se fosse stata un artefatto di qualche
divinità.
«Solo
a me le cyberscimmie, avendo quell’antenna tesla sulla
testa, ricordano Kaon?» domandò Nickel.
No,
naturalmente non era stata la sola cui l’avevano
ricordato, anche gli altri avevano avuto lo stesso pensiero. Tuttavia
quel che
premeva loro maggiormente in quel momento era capire come arrivare alla
chiave
e poi dall’altra parte.
«L’unico
modo di muoversi senza finire nella lava è farlo
saltando da una cuccetta all’altra, sperando che le scimmie
non reagiscano
troppo male. Sono abbastanza vicine perché possano farcela
anche quelli più
piccoli o più pesanti di noi, così mi
pare» osservò Tarn «Un
momento… Nickel,
il tuo jet pack funziona?»
La minicon
scosse la testa. «Ovvio che no. Però alla chiave
posso pensare io lo stesso, cercherò di salire velocemente a
prenderla. Voi
magari potreste cercare di coprirmi in caso di
necessità».
«Sicura?
So che senza jet pack tu non ami molto l’altezza».
«Al
momento non importa cosa io ami o non ami, Tarn,
l’importante è uscire da questa situazione al
più presto».
Gli altri non
poterono far altro che concordare con lei,
ragion per cui passarono all’azione e saltarono tutti insieme
sulla prima
cuccetta che capitò loro davanti.
“Ottantasei
scimmie
Saltavano
sul letto
Una
cadde in terra e
si ruppe il cervelletto!”
Gli animali non
ebbero reazione alcuna, limitandosi a
continuare i loro salti sfrenati.
“Dubito
che questa calma durerà molto” pensò
Tarn.
«Ti
lancio più in alto che posso» disse a Nickel
«Così ti
sarà più facile raggiungere la teca».
La minicon
annuì e, quando venne lanciata, finì tra le gambe
di una scimmia. Tarn aveva calcolato bene la velocità di
rotazione delle
cuccette, quindi fin lì era stato facile.
Dopo aver dato
una breve occhiata ai suoi compagni e al suo
comandante, che stavano provando a raggiungere l’uscita
-Helex e Tesarus con la
loro poca agilità e il loro peso erano più
“in” pericolo che “un”
pericolo, in
quella situazione- iniziò a salire, saltando da una cuccetta
all’altra.
Com’era
accaduto prima e stava accadendo diversi livelli più
in basso, le scimmie parvero non vederla mentre si avvicinava sempre di
più
alla teca.
“Questo
stage sembra perfino facile” osò pensare Nickel
“Nonostante la lava. In realtà lo sarebbe stato
anche l’altro, cybertroniani
mannari o meno, non era qualcosa che non potessimo affrontare
facilmente. Il
peggiore era il paesino da nausea. Forse sono bastarde ma non hanno
fantasia, o
forse dall’alto della loro magia ci stanno
sottovalutando”.
All’ultima
opzione, alias che le sorelle di Stiria stessero
lasciando il meglio per la fine, preferì non pensare affatto.
Non
impiegò molto a raggiungere la teca, mancava solo un
ultimo salto. Abbassando lo sguardo notò che Tarn e gli
altri erano arrivati a
oltre metà strada.
“Forse
faccio meglio ad aspettare ancora” pensò Nickel
“Finora non ci hanno notati ed è probabile che
sarà così fino a quando la
chiave resterà dov’è.
Aspetterò che siano quasi arrivati, poi prenderò
la
chiave e mi butterò giù”.
Un rullo di
tamburi ritmico e prolungato, lo stesso che
avevano sentito prima che il paesino “impazzisse” e
si portasse via Kaon,
risuonò nell’ambiente con un fastidioso doppio eco.
Le cyberscimmie
elettriche si fermarono. Pur non essendo
esperti di giochi tutti quanti riuscirono a capire che non era un buon
segno e
stava per succedere il finimondo, ragion per cui Tarn, Helex e Tesarus
accelerarono ulteriormente il passo.
«Come
non detto, niente “aspettare”» concluse
la minicon,
saltando verso la teca, rompendola con un pugno e afferrando la chiave.
Le scimmie
emisero tutte quante un orrendo urlo stridulo e
infuriato e, accortesi degli intrusi, si scagliarono tutte quante su di
loro
con cattiveria inaudita, snudando fauci e artigli affilati come le lame
nel
buco di Tesarus.
«Non
prendetevela con me brutte bestiacce, prendetevela con
la strega che vi ha messe qui!» sbottò Nickel,
cercando di sgusciare tra le
scimmie che le furono addosso dopo aver messo la chiave in uno
scomparto.
Evitò
per poco una serie di scariche elettriche, a ulteriore
prova del fatto che l’antenna tesla presente sulle scimmie
fosse lì per un
motivo preciso, e si lanciò giù dalla cuccetta,
atterrando rovinosamente
diversi livelli più sotto su un’altra semivuota.
Le scimmie che
l’avevano occupata e altre, tante altre,
erano addosso a Helex, che cercava di strapparsele di dosso usando
tutte e
quattro le braccia -le due grosse e le due sottili che aveva vicino
allo
scioglitutto sul petto- e ringhiava di dolore a ogni scarica elettrica
ricevuta. Quelle bestie non si stavano risparmiando e, alla fine, a
Nickel parve
di sentire il rumore del T-Cog del colosso che andava in pezzi.
«Helex!»
gridò, vedendolo traballare
e cadere giù dalla cuccetta.
Sarebbe finito
nella lava -ironico contrappasso- se Tarn non
si fosse accorto dell’accaduto e non fosse riuscito a
raggiungerlo con uno
scatto, afferrandogli un polso quasi per miracolo. Per non cadere a sua
volta
nella lava era costretto ad aggrapparsi al bordo della cuccetta, senza
dunque
potersi liberare delle scimmie che stavano attaccando anche lui.
«Toglietevi
di dosso» sibilò, paralizzando le scimmie e
facendole cadere nella lava. Fatto ciò, riuscì a
issare Helex sopra la
cuccetta.
«Grazie»
fu la prima cosa che disse il Decepticon,
schiacciando tra le mani le teste di due scimmie.
«Ringraziami
cercando di non cadere giù un’altra volta, non
intendo perdere un altro membro della squadra»
ribatté Tarn, uccidendo con una
cannonata due gruppi di scimmie che stavano per assaltare Tesarus.
Nell’avvicinarsi
ulteriormente all’uscita cercò Nickel con
lo sguardo e la trovò diversi livelli più in
alto, appena prima che tre scimmie
la assalissero alle spalle. Le uccise tutte con un colpo del doppio
cannone a
fusione e poi vide Nickel che, zoppicando, si preparava a saltare
giù verso
Tesarus.
«Tesarus,
Nickel a ore nove!» esclamò.
Il colosso si
liberò della mezza scimmia che aveva
parzialmente triturato e stese le braccia giusto in tempo per
accogliere la
piccola compagna di squadra.
«Hai
una gamba malandata» disse, raggiungendo l’arco per
primo.
«Davvero?
Non mi ero accorta» ribatté lei, ironica.
Helex,
barcollando leggermente, raggiunse l’arco a sua
volta. «Andiamo via…»
«Tu
stai messo peggio di lei» osservò Tesarus.
«Il
mio T-Cog è andato» replicò Helex.
«Te
ne trapianteremo uno una volta tornati nella Peaceful
Tiranny, non devi preoccuparti di questo» disse Tarn,
lanciando una scimmia
contro l’ultimo gruppo che cercava di impedire loro di uscire.
«Sempre
se riusc-»
«Niente
dubbi, vi proibisco di averne» lo interruppe Tarn
«Fuori di qui!»
Non se lo
fecero ripetere due volte, si lanciarono oltre
l’arco trovandosi così a rotolare nel campo di
grano blu.
«Niente
più scimmie. Niente più scimmie»
ripeté Nickel,
stringendo la chiave «Io da oggi in poi odierò le
cyberscimmie, elettriche o
meno, quasi quanto odio gli organici».
«Siamo
in due» concordò Helex.
«Tre»
aggiunse Tesarus «A me non piacevano neanche prima. Mi
ricordano la penultima fidanzata che ho avuto».
«Era
così brutta?» domandò Helex.
«No,
voleva sempre andare allo zoo. Le piacevano le
cyberscimmie e gli alloygator, quindi alla fine l’ho lanciata
nel loro lago…
poi mi sono accorto che avevo ancora in mano la sua borsetta, quindi ho
lanciato agli alloygator anche quella. Odiavo quella
borsetta».
«Io
mi stupisco del fatto che tu abbia avuto delle
fidanzate» disse Nickel, fin troppo onesta come suo solito.
Tesarus fece
spallucce. «Qualche disgraziato o disgraziata
si trova sempre. Forse riusciresti a trovarne uno anche tu».
«Senti
un po’-»
«Nickel,
riparati la gamba e poi provvedi a valutare quanto
riposo può servirci prima di affrontare il prossimo
livello» disse Tarn
«Sperando che sia il meno possibile».
«Tarn…
non so come dirtelo ma…»
«Cominciano
a spuntarmi delle piume sulle braccia. Sì. Lo
so».
Avrebbe dovuto
immaginarlo, se era successo a Tesarus e
Helex era inevitabile che prima o poi anche lui iniziasse a cambiare.
Helex
indicò un punto oltre l’albero. «Sbaglio
o le sagome
di edifici al di là della foschia si sono fatte
più definite?»
Non sbagliava.
Se prima non era possibile farlo, attualmente
erano perfettamente distinguibili un edificio rurale in pietra e
metallo -sembrava
una casa, alla DJD parve perfino di distinguere un orticello- e un
altro, tutto
in pietra, sul quale svettava un campanile.
«Il
nostro obiettivo si avvicina» disse Tarn «Dobbiamo
resistere fino ad allora ma ce la faremo. Ce
la faremo».
Credits:
La canzone
“Pe Cimpoi” è di Sandru Ciorba, la
trovate su YT;
Sempre su YT,
parlando di Ikea, trovate una serie chiamata
“Confinement”.
Non ricordo come si chiami l’autore ma ve la consiglio;
Le scimmie
vengono dall’ultimo Jumanji uscito nelle sale,
anche se lì erano un po’meno elettriche, mentre
“99 scimmie” viene da “Le
follie dell’Imperatore”;
Nel prossimo
capitolo dovrebbe
concludersi tutto.
Grazie a quelli
che stanno leggendo il delirio qui presente
e alla prossima,
_Cthylla_
|
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Capitolo 7 *** Neverending Days To Repent ***
Neverending
Days To
Repent
Il calmo
specchio d’acqua che accolse i quattro poveri
disgraziati -alias Tarn, Nickel, Helex e Tesarus- riuscì
inizialmente a
sorprenderli quasi in positivo. Era un miglioramento rispetto agli
scaffali
infiniti e polverosi dell’Ikea e, sicuramente, era un
miglioramento anche
rispetto ai salti frenetici e fatali delle cyberscimmie elettriche che
avevano
affrontato nel livello precedente.
«Non
durerà molto» fu il commento di Nickel.
«Cerchiamo
di essere sollevati del fatto che non sia
iniziato subito con qualche follia come il livello di prima»
replicò Tarn.
Se il lago non
fosse stato infinito come invece era, il
Decepticon avrebbe avuto quasi l’impressione di essere uscito
dal gioco della
strega e di essere tornato fuori dall’arco diroccato
principale. Era un altro
luogo idillico che, come il campo di grano blu col singolo albero al
centro,
come la casa che erano riusciti a intravedere oltre la foschia, come
Berg Des
Sees stesso prima di attraversare l’arco e finire in
quell’incubo distorto, in
un’altra situazione avrebbe trasmesso tutto tranne
inquietudine.
Cercare di
conoscere il nemico per poterlo battere era
qualcosa che tendeva a fare sempre da che era diventato un Decepticon.
Lord
Megatron stesso nelle sue sacre scritture sottolineava
l’importanza di
quell’azione, di conseguenza non era strano che almeno a
livello inconscio,
anche in tutto quel delirio, Tarn avesse tentato di capire chi si
trovava di
fronte.
“Di
fronte” in senso figurato, ovviamente.
Il paesino era
un caso particolare, paradossale e
inquietante allo stesso tempo, ma l’assurdità
presente nei vari livelli gli
sembrava qualcosa messo lì apposta per far dare di matto lui
e gli altri,
l’espressione vagamente bambinesca di un potere caotico che
era al di là di
ogni possibile misura, mentre nei luoghi più pacifici era
riuscito a percepire
qualcosa di molto più personale. A voler azzardare qualche
ipotesi, pensò
mentre sfiorava l’acqua resa blu-verdino dal riflesso del
cielo, forse era un tentativo
della strega di ricreare luoghi in cui
si era sentita serena e sicura, e che ormai per una ragione o
l’altra non
c’erano più, luoghi in cui gli estranei non erano
ben accetti.
Se Stiria
aveva un parco giochi tossico aperto a ogni tipo
di visitatori e accadimento, le sue sorelle maggiori avevano una casa
di
bambole nella quale tutto doveva restare esattamente com’era,
eccetto quel che
a loro andava bene fosse caotico, come il paesello. Era sicuro che la
strega
avrebbe potuto riportarlo alla normalità se solo avesse
voluto e che la campana
rubata c’entrasse poco, o proprio nulla.
«Tarn!»
Tesarus stava
indicando qualcosa al largo e, quando lui alzò
gli occhi, vide quella che sembrava in tutto e per tutto una barca di
media
grandezza con un ampio ponte e una cabina di pilotaggio. Era
un’ imbarcazione
come quelle di certe specie organiche, del tipo che non volavano ed
erano usate
solo per viaggiare sull’acqua, ed era fatta di un materiale
anch’esso
fastidiosamente organico conosciuto col nome di
“legno”.
Per quel che
riusciva a ricordare, solitamente quei mezzi di
locomozione primitivi sfruttavano l’olio di gomito, il vento
-tramite vele- o
la potenza di un motore per muoversi. Nel loro caso sembrava essere
valida
l’ultima opzione.
«Immagino
dovremo salirci su e cercare di farla muovere»
disse Tarn, saltando sopra l’imbarcazione senza usare la
scaletta.
«Hai
idea di come funzioni? È roba troppo primitiva, io non
credo di capirci qualcosa» ammise Helex, raggiungendolo
assieme a Tesarus «Non
so neppure come si accende».
«Non
serve. Ci stiamo già allontanando dalla riva» fece
notare Nickel, cupa «Il motore si è acceso da solo
appena ho messo piede qui».
«Abbiamo
un minimo di controllo su questa nave? Quello
somiglia a un timone» disse Tesarus, indicando… il
timone, appunto.
«Lo
è» confermò Tarn, avvicinandosi al
timone e tentando una
virata a sinistra.
La manovra
ebbe successo, ragion per cui il gruppo concluse
di avere almeno il “minimo” di controllo auspicato
da Tesarus. Avrebbero
preferito altro, come per esempio non trovarsi lì e basta,
ma era sempre meglio
di niente.
«La
parte buona è che non dobbiamo perdere tempo a capire
dove dobbiamo andare, perché la barca va da sé.
La parte cattiva invece è
che... beh, per l’appunto la barca va da sé e
vattelappesca dove ci porterà»
sbuffò Nickel, stringendosi nelle piccole spalle
«Se non altro abbiamo potuto
riparare un po’di danni prima di entrare qui».
Helex
poggiò una delle sue mani immense sulla schiena della
minicon. «Usciremo da questa cosa».
«Con
quante code, considerando che ne ho già una?»
«Ti
sei accorta allora. Almeno è prensile?» le
domandò
Tesarus.
«Mi
è spuntata una coda e secondo te me ne sto a pensare se
sia prensile o meno?!» sbottò lei.
«In
questa situazione non puoi fare altro» le fece notare il
Decepticon «È prensile o no?»
Nickel
provò a muovere la sua nuova coda sottile da cyber
scimmia, riuscendo ad avvolgerla attorno al polso destro.
«Pare di sì».
Il viaggio
procedette liscio per… una decina di minuti?
Qualche ora? Nessuno di loro avrebbe saputo dirlo, anche in quel
momento il
loro orologio interno era del tutto sfasato.
Tarn dopo un
po’ decise di lasciare il timone a Nickel,
avvicinandosi alla prua per cercare di scorgere qualcosa a distanza.
Avrebbe
potuto farlo fare proprio a Nickel, che con la sua nuova appendice
avrebbe
avuto ancor meno difficoltà di lui a mantenere
l’equilibrio sulla prua
beccheggiante, però lui era più alto.
«Intravedo
qualcosa» disse, socchiudendo i sensori ottici
«Sembra una striscia di terra ma è ancora lontana
e…»
Il rullo
ritmico dei tamburi, ormai diventato familiare, lo
interruppe.
«Ed
è finita la pace» concluse «Prepariamoci
a-»
«Tarn!
Tornado a ore una» lo avvisò Tesarus.
«Due
tornado a ore undici!» esclamò Helex.
«E
ora ce ne sono quattro anche davanti a noi» aggiunse
Nickel «E… ragazzi, non so se avete notato
ma…»
Sollevò
le braccia: su entrambe ora era installata una
motosega, discorso che valeva anche per tutti gli altri.
«Cos…»
Helex si guardò «Che me ne faccio di queste contro
dei tornado?!»
«Che
te ne fai di qualunque
cosa,
contro dei tornado?!» ribatté Nickel.
«Non
contente di aver abusato del mio tempo, della mia
pazienza e dei miei nervi, si sono permesse di sostituire il mio doppio
cannone
a fusione con una motosega».
Per qualche
secondo, dopo aver sentito Tarn parlare così,
nessuno proferì parola.
Il cannone a
fusione non era solo un’arma, era un simbolo,
un omaggio a quello di Lord Megatron con tutto il significato che
c’era dietro
-“la mia arma è il mio fardello”- e alla
filosofia Decepticon stessa;
rimuoverlo senza permesso forse era stata la goccia che aveva fatto
traboccare
un vaso già ricolmo per tutto ciò che avevano
passato fino a quel momento.
I tornado si
fecero un po’più vicini, e fu allora che Nickel
notò un particolare. «C’è qualcosa in
quei tornado!»
«Hai
ragione! Sembrano…» Helex, dando
un’ulteriore occhiata,
allibì «Ma è possibile?»
«Mi
stupisco del tuo stupore» disse Tesarus «Sharknoidi
che
vivono nei tornado. Non peggio delle cyberscimmie».
Precisamente:
all’interno dei tornado c’erano degli
sharknoidi vivi e in salute che aprivano e chiudevano le fauci a
ripetizione
nel farsi trasportare da quel vento furioso.
«Il
fatto che siano dei tornado con degli sharknoidi dentro
ne fa degli sharknado, secondo
te?» tornò
a domandare Helex.
«Chi
se ne importa di come si chiamano, pensiamo a come fare
per evitarli o per combatterli piuttosto, ce ne sono sette in
arrivo!» esclamò
Nickel, muovendo nervosamente la sua nuova coda e agguantando il timone.
Il rumore di
due motoseghe messe in moto fecero sì che tutti
smettessero di guardare i tornado e si concentrassero sul ponte, o
meglio, su
Tarn che aveva fatto svariati passi indietro come a voler prendere la
rincorsa.
«Vogliono
giocare?» disse il Decepticon, con i sensori
ottici puntati sugli sharknado in arrivo a ore dodici «Sia!
Giochiamo!»
Prima che
chiunque potesse dire qualsiasi cosa, il
comandante della Decepticon Justice Division corse lungo il ponte, fece
uno dei
salti più lunghi della propria esistenza e venne risucchiato
dentro uno dei tre
sharknado… il che era precisamente quel che voleva.
«Credo
si sia rotto le scatole» commentò Helex.
Aveva ragione:
Tarn si era rotto le scatole e il livello di
voglia di sangue, pardon, energon, era arrivato ai livelli dei tempi in
cui
prendeva ancora il nucleon per potenziare le prestazioni.
Per fortuna
Nickel era riuscita da qualche tempo a fargli
accantonare almeno la dipendenza da quella roba, con un po’di
fatica -com’era
ovvio- ma non perché avesse dovuto insistere troppo. Aveva
immaginato che Tarn
avesse trovato qualche buon motivo per voler rimanere un
po’più lucido.
«Magari
ce ne lascerà qualcuno» disse Tesarus.
«Ce
ne sono quanti volete per ora! Voi due proteggete la
barca! Arrivano!»
esclamò Nickel,
rivolta a Helex e Tesarus cercando di virare per non andare a finire
dritta in
mezzo a uno sharknado, mentre una pioggia di bestie vive -portata dallo
sharknado a ore undici- si abbatteva su di loro.
Ormai
l’imbarcazione era in balia di onde piuttosto alte, e
Nickel riuscì ad abbassarsi e alzare il braccio
motosega-munito appena in tempo
per sventrare uno sharknoide che altrimenti le avrebbe staccato la
testa di
netto.
“Shark!
Shark!”
In quel
disastro generale, con Helex e Tesarus che comunque
sembravano aver iniziato a divertirsi un po’più
del dovuto nel fare a pezzi gli
sharknoidi -non che ci fosse di che stupirsi, visti i tipi- Nickel
riuscì
comunque a trasalire sentendo l’inizio di una canzone venire
pompato fuori da
casse audio della cui presenza non si era nemmeno accorta.
“Shark!
Shark!”
«Come
se ci fosse bisogno di ripeterlo!» sbraitò,
virando a
destra con tutte le proprie forze nel tentativo di evitare un
cavallone.
Ancora una
volta sentì la mancanza di Kaon: magari nel
pilotare quella barca se la sarebbe cavata bene come nel pilotare la
Peaceful
Tiranny.
“Go,
go, go, go, go,
go, go
Run away from the
sharknado
It's your
greatest
foe, foe, foe
Don't wanna get
eaten
by the sharknado
By air, by land,
by
sea
I see that
sharknado
coming for me
I can't run, I
can't
hide
I just don't
wanna die
Sharknadooooooo!”
Evitò
per miracolo un pezzo di coda di uno sharknoide che
altrimenti le sarebbe caduto addosso, seguito da una pioggia di altri
pezzi
sempre provenienti dall’alto. Tarn si stava dando da fare,
lassù.
“Sbaglio
o lo sharknado dov’è lui sta diminuendo di
intensità?!” notò Nickel
“Allora magari la potenza è legata alla
quantità di
bestie vive che ci sono dentro!”
La sua teoria
venne confermata quando vide Tarn, che aveva finito
di massacrare ogni essere vivente presente, saltare nello sharknado
più vicino
sfruttando la potenza residua del tornado, che poi scomparve del tutto.
“SharknadOOOo!
Break and twist
and
you will shout
Those fish are
gonna
take you out
It's got teeth,
it's
got speed
Destruction is
all it
needs!”
Sì,
riconobbe Tarn sentendo le parole di quella canzone, la
distruzione e la violenza senza freni da sfogare tutta su quegli
stramaledettissimi sharknoidi negli sharknado era esattamente quello di
cui
aveva bisogno in quel momento. Sentire le motoseghe affondare in loro,
sentire
il loro energon caldo sul corpo e sulla faccia, vedere le fauci di
quelle
bestie disarticolarsi ed essere strappate via: una goduria infinita che
non
avrebbe potuto generargli sensi di colpa neppure più tardi,
neppure per
sbaglio.
Non
l’avrebbe mai ammesso ma, mentre sbudellava uno
sharknoide a mani nude per poi gettarsi nel tornado numero tre, in quel
momento
stava quasi provando qualcosa di simile al… divertimento.
Forse.
“No,
no, no, no, no,
no, no
Run away from the
sharknado
Blood is gonna
flow,
flow, flow
So warn that guy
in
the sharknado
Sharknadooooooo! (sharknado!)
Sharknadooooooo!
(sharknado!)”
E non era il
solo: gli sembrava di star sentendo in
lontananza le voci di due femmes che si sbellicavano dalle risate.
Probabilmente
il suo processore gli stava giocando un altro
brutto tiro, perché difficilmente le sorelle di Stiria si
sarebbero divertite
vedendoli superare gli ostacoli da loro ideati.
Giusto?
«Questa
pioggia di pezzi di sharknoidi e il fatto che tu ne
stia bollendo uno mi ricorda la mia quartultima fidanzata»
disse Tesarus mentre
riduceva in poltiglia una delle bestie pressandola nel buco del proprio
petto.
«Qual
era?» gli domandò Helex, tranciando a
metà due
sharknoidi «Quella che voleva portare la luce nei tuoi occhi
spenti?»
«No.
Quella era Laminga, la tizia che dopo dieci ore mi ha
piantato per un mech con gli occhi ancora più spenti ed
è sparita, e non era la
quartultima, era la octaultima… di dice
octaultima?»
«No,
non si dice!» gridò Tarn dall’interno
dello sharknado.
Di nuovo, Tarn
non poté evitare di pensare a Kaon e al fatto
che a lui sarebbe piaciuto friggere quelle bestie mentre ascoltava le
storie
strampalate di Tesarus e i suoi fidanzamenti disgraziati.
Forse fu
proprio perché pensava a Kaon che gli parve di sentirlo
chiedere, ridendo, “Ma chi è questa
tizia?” a due voci di femmes pressoché
identiche che sentendo nominare Laminga avevano detto in coro uno
stupito “Ma che cazzo stai a
diiiii’?”.
«Allora
la quartultima qual era?» tornò a chiedere Helex
«Tarn! Tutto bene lassù?!... sì, direi
che vada tutto bene» concluse,
acchiappando al volo una testa di sharknoide.
«Era
quella fanatica del sushi di energon in chicchi avvolto
nell’alluminio e del rame-N» rispose Tess.
«Ora
ricordo! Il rame-N che mi avevi fatto col suo fluido
craniale lo sogno ancora, quella roba era troppo buona. Se usciamo da
qui me ne
devi fare un altro po’».
«Non
ho fidanzate al momento» replicò il Decepticon
«Nickel.
Ti hanno mangiata?»
«No
e non ti conviene che accada, non avresti più chi ti
affila le lame!» esclamò la minicon, le mani salde
attorno al timone «Gli
sharknado stanno diminuendo d’intensità ormai,
continuate a ucciderli tutti!»
Helex
aprì la camera di scioglimento che aveva sul petto,
espellendo il poco che restava dello sharknoide che aveva messo dentro.
«Non
c’è bisogno di chiederlo».
Continuarono
così per un pezzo, massacrando tutto quel che
si trovavano davanti come nella miglior tradizione, e infine dei sette
sharknado che c'erano non restò alcuna traccia se non i
pezzi di cadaveri galleggianti
degli sharknoidi che li avevano abitati.
Nickel, con un
sospiro di sollievo, si lasciò scivolare a
terra appoggiando la schiena al timone. «Per fortuna
è finita…»
«Per
ora sì» disse Tarn, tornato a bordo «Hai
fatto un buon
lavoro nel cercare di governare la barca. Quelle onde non lo rendevano
facile».
«Era
la cosa più utile che potessi fare, le motoseghe sulle
mie braccia sono più piccole delle vostre.
Quindi… hai per caso trovato una
chiave nel ventre di qualche squalonoide?»
Il Decepticon
scosse la testa. «Purtroppo no. Però sono
convinto che non manchi molto alla fine del livello, e dopo questo
dovremo solo
andare a prendere la benedetta campana e riportarla a posto,
così da porre fine
a questa faccenda».
«Sempre
che la strega non decida di tenerci qui perché si
sta divertendo troppo per lasciarci andare» sbottò
Nickel, in un momento di
sconforto, battendo il pugno contro il legno «Aveva detto che
l’avrebbe fatto se
avessimo messo a posto la campana, peccato che poco dopo abbia ucciso
Kaon solo
perché ha cercato di spiegarci come funziona questo tipo di
giochi. Quanto ti
sembra affidabile qualcuno che fa così? Ci terranno qui
dentro mettendoci
davanti un delirio dopo l’altro finché non si
stuferanno, sempre che prima non
diventiamo delle bestiacce senza memoria come sta già
accadendo!»
«Nickel-»
«Sono
diventata una Decepticon e ne sono fiera, così come
conosco i rischi che comporta, ma essere Decepticon non può
voler dire finire
col diventare decorazioni di un paesino caotico… o delle
sottospecie di
cyberscimmie. Lo sopporteresti, Tarn? Lo sopporteresti
davvero?!»
«Io
credo che tu conosca la risposta» disse Tarn «Ma ne
usciremo. Se c’è qualcuno che può
riuscirci siamo noi».
«E
credo che ormai ci siamo» s’intromise Helex.
Erano
finalmente giunti fino alla striscia di terra che Tarn
aveva visto. Ciò che Tarn invece non
aveva visto era il ghiaccio di cui era ricoperta, così come
non aveva visto le
montagne di roccia scurissima che ora non solo apparivano chiare ai
suoi
sensori ottici e quelli di tutti, ma apparivano anche…
immense.
“Nulla
di strano” si sarebbe potuto dire, c’erano montagne
gigantesche su svariati pianeti nell’Universo, ma quelle
avevano un “che” di
diverso, distorto e profondamente sbagliato sia nella dimensione, sia
nella
forma. A guardarle si aveva l’impressione di trovarsi davanti
a qualcosa che,
com’era per il paesello, non sarebbe potuto e dovuto esistere
affatto.
Il fatto che
la barca avesse imboccato da sola un largo
fiume che scorreva tra quei monti non fece altro che acuire quella
sensazione,
e non solo perché l’acqua scorreva in senso
opposto a quello normale. C’era un
silenzio assoluto, un buio che non era totale solo grazie alle luci
verdastre
di cui era provvista la barca, e le pareti di roccia scura risultavano
così
opprimenti da dare la sensazione che si sarebbero chiuse su di loro da
un
momento all’altro.
Non aiutava
neppure provare a guardare in alto: tutto quel
che si riusciva a scorgere era un solo filo di luce continuo,
più sottile di un
cordoncino di rame.
Se loro si
trovavano in fondo alla gola e quella che
vedevano era la cima, quanto erano alte quelle montagne?
Dopo essersi
avvicinata a una parete, l’imbarcazione
rallentò e le luci aumentarono di potenza.
All’inizio nessuno di loro capì il
motivo, finché…
«Mi
sembra di vedere un… cadavere con un braccio teso?
Sbaglio? E ha qualcosa in mano» disse Nickel.
«Non
sbagli» confermò Helex «E quel che ha in
mano, anche se
quella non è propriamente una mano, mi sembra una chiave
identica alle altre
due. Giusto, Tarn?»
Tarn non
rispose: era troppo impegnato a guardare se stesso.
Nonostante
l’illuminazione fosse scarsa e verde, guardando
il cadavere non c’era possibilità di errore.
Nessun altro se n’era reso conto
perché nessun altro sapeva, ma quello
era lui, o meglio, era Glitch.
Glitch, col
suo unico occhio azzurro, col suo corpo color
arancio parzialmente devastato dalla ruggine e avvolto da alghe e muffa
tecnorganiche; Glitch, con le sue mani che non erano mani ma patetiche
pinze
che, ricordava, rendevano goffo ogni movimento; Glitch, un passato che
si era
lasciato alle spalle e ora gli veniva violentemente sbattuto in faccia
all’improvviso, nel momento e luogo più
inaspettato.
«Tarn?»
tornò a interpellarlo Helex «Allora?»
«…sì.
Sì. È la chiave che stavamo cercando»
disse Tarn,
cercando di riscuotersi «Prendila, così da poter
proseguire».
Il gigantesco
mech tese la mano ma, quando cercò di toccare
la chiave, le sue dita riuscirono solo a passare attraverso di essa.
Helex fece una
smorfia infastidita. «È uno scherzo o cosa?
Tess, prova tu!»
Tesarus
obbedì ma non ottenne nulla, esattamente come non
aveva ottenuto nulla l’altro Decepticon. Stesso discorso
valse per Nickel che,
sollevata da Tesarus, fece un tentativo infruttuoso.
“Vogliono
che lo faccia io. Stanno cercando di colpire me
perché sono il leader della squadra, se cado io cadiamo
tutti quanti” comprese
Tarn, con lo sguardo puntato nel sensore ottico spento e morto del suo
doppio, quel
fantasma di tempi ai quali cercava di pensare il meno possibile.
Per qualche
attimo pensò di dover modificare alcune cose che
aveva pensato di aver capito riguardo la strega, il suo stile e la sua
natura; poi
ricordò una cosa fondamentale, ossia che la strega in
questione aveva una
sorella da far partecipare alla creazione del gioco.
Se nel paesino
c’era una sua “nota” vagamente
inquietante,
in quel posto la nota era diventata un’intera melodia,
composta in parte dal
ricordo riaffiorato prepotente nel suo processore dei singhiozzi e
delle
suppliche notturne a ogni divinità conosciuta
perché lo salvasse da ciò che
l’avrebbe atteso il giorno dopo: quelle pinze al posto delle
mani, quella testa
inespressiva al posto della sua, una vita da scarto.
Nessuna
supplica era servita ed era anche per quello che
ormai, da tanto tempo, non credeva più in alcuna
divinità.
Allungò
la mano appena il resto della squadra lo lasciò
passare e, come aveva immaginato, riuscì a stringere la
chiave nel proprio
pugno.
Fu allora che
Tarn sentì il cadavere di Glitch, dall’occhio
azzurro ora vivo e luminoso, stringere il suo polso con le pinze di
entrambe le
braccia e attirarlo a sé con un violento strattone.
«Puoi cambiare
aspetto, ma non puoi nasconderti da quel che siamo!» furono
le parole del
“redivivo”, sputate nel suo recettore audio col un
sussurro gorgogliante di una
voce rovinata ma ancora orrendamente uguale alla sua «
Deboli. Insicuri.
Ossessivi. Dipendenti! Questo siamo! Questo sei! Questo sarai sempre!»
La risata
malata che seguì fu udibile a tutti, l’eco si
propagò per tutta la gola; poi, preda di un miscuglio di
sentimenti e
sensazioni alle quali non avrebbe voluto né saputo dare una
definizione più
accurata, Tarn afferrò la testa del suo
“fantasma” e la schiacciò brutalmente
contro la parete rocciosa, più volte, fino a quando la
risata divenne prima un
suono inconsulto e stridente, e poi silenzio.
Il comandante
della Decepticon Justice Division, pochi
istanti dopo che l’imbarcazione aveva ripreso il proprio
corso, mise al sicuro
la chiave e si voltò a guardare ciò che restava
della propria squadra.
«Morti
che parlano. Nulla di nuovo, ne abbiamo già una
Lista» fu tutto quel che disse, cercando con successo di
mantenere la voce
ferma.
«Parole
sante» annuì Helex.
Lui, come
Tesarus, non avendo sentito le parole del cadavere
non aveva notato nulla di strano, Nickel invece, pur non avendo sentito
nulla a
sua volta, non aveva impiegato molto a vedere che Tarn non era rimasto
indifferente come avrebbe voluto far credere. In ogni caso non avrebbe
mai
chiesto al Decepticon chi fosse quel tizio e cosa gli avesse detto,
anche
perché sapeva che lui non gliel’avrebbe confidato.
«Pare
che ora siamo a posto, abbiamo tutte e tre le chiavi»
disse Tarn «Bisogna solo trovare l’uscita da questo
livello, o la porta da
aprire, e-»
Come molte
altre volte era accauto nel corso di quella
missione, non fece in tempo a finire la frase: la barca prese
improvvisamente
velocità e andò a schiantarsi contro un ammasso
di roccia tagliente, finendo
distrutta in mille pezzi. Il motore esplose, tutti e quattro caddero
nell’acqua
e vennero trascinati via da una corrente di potenza devastante che li
mandò a
sbattere contro ogni scoglio possibile e immaginabile.
Cercarono di
aggrapparsi alle rocce o gli uni agli altri,
cercarono di lottare, tutto senza risultato. Vennero spinti
all’interno di una
grotta e, pochi istanti dopo, risucchiati da un vortice ruggente che li
trascinò in un mondo fatto di acqua scura, pressione
insopportabile e buio.
***
«Nickel?...»
«Nickel,
svegliati!»
Nickel sentiva
che qualcuno la stava scuotendo, anzi,
shakerando come se fosse stata un mixer per i cocktail di energon.
Avrebbe
voluto sbraitare contro il cretino in questione, chiunque fosse,
però aveva
appena iniziato a riprendere conoscenza.
«Basta.
Tesarus, so che sei più esperto nel distruggere le
cose che ad aggiustarle ma anche tu dovresti capire che così
facendo rischi di
aggravare la situazione!»
Lo scuotimento
finì e fu appoggiata a terra. Nickel di
questo ringraziò il cielo.
«Spesso
con i pezzi della Peaceful Tiranny funziona» si
giustificò il colosso.
«Peccato
che Nickel non sia un “pezzo”».
La minicon
schiuse leggermente i sensori ottici.
«Tarn…»
«Si
è ripresa!» esclamò Helex, con un
sospiro di sollievo
«Per fortuna».
Erano tutti e
tre chini su di lei, Tarn, Helex e Tesarus.
Chiunque altro, o quasi, al posto suo se la sarebbe fatta sotto e
avrebbe
preferito non risvegliarsi affatto, forse sarebbe svenuto di nuovo o la
Scintilla sarebbe collassata da sola per la paura, ma per lei quei tre
volti
-due volti e una maschera- significavano da tempo protezione,
stabilità.
Significavano
“famiglia”, a volerla dire tutta, non avendo
più nessuno al mondo da quando Prion era stata ingiustamente
distrutta.
«Tutto
ok?» le domandò Tesarus.
«Tess…»
«Mh?»
«Prova
a scuotermi in quel modo un’altra volta e ti ficco un
cacciavite nelle ottiche che non hai».
«Sì,
è tutto ok» concluse Helex.
«Sei
rimasta incosciente per dieci minuti in più rispetto a
noi» disse Tarn «Credo. Sai come funziona il tempo
in questo posto».
«Come
“non” funziona, vuoi dire»
replicò Nickel, cercando di
mettersi almeno a sedere «E a proposito, dove
siamo… finiti?...»
Lo sguardo
azzurro della minicon iniziò a percorrere tutto
l’ambiente circostante, e quel che vide non la
rassicurò.
Si trovavano
all’interno di una stanza enorme, disturbante
per le sue dimensioni esattamente com’erano state disturbanti
le montagne e, di
nuovo, con la stessa sensazione di “sbagliato”.
L’architettura attorno a loro
mostrava il lavoro e la mano di esseri senzienti, archi e ponti erano
gli
elementi che ricorrevano più spesso, ma con stili e forme
diverse da qualunque
cosa tutti loro avessero mai conosciuto. Si trovò a
chiedersi se anche quello
fosse frutto della mente delle sorelle di Stiria o se, piuttosto,
avevano
inserito scorci di aberrazioni che la strega era riuscita a vedere
squarciando
il velo della loro realtà in favore di… non
avrebbe saputo dire cosa.
In alto
riuscì a intravedere delle vetrate, decorate con
disegni dal significato oscuro, che “lacrimavano”
costantemente gocce d’acqua.
Se voleva una prova del fatto che si trovassero in fondo al lago,
l’aveva
avuta.
«Il
vortice ci ha portati qui. Quella da cui siamo sbucati
fuori è una specie di… fontana? Sì,
direi che sia così» disse Tarn, indicando
un punto alle spalle di Nickel.
Lei si
voltò a osservare. «La fontana stessa sembra un
lago.
Mi sento come se…» esitò
«Sento che noi non dovremmo essere qui».
Tutti quanti,
udite quelle parole, non poterono far altro
che concordare.
«Questa
è una buona ragione per iniziare a muoversi e
cercare quello per cui siamo stati trascinati qui» disse
Tarn.
«Tarn…»
«Niente
commenti. Non è il momento» la bloccò
il Decepticon,
immaginando che Nickel volesse riferirsi al cumulo di piume che era
spuntato
sulla sua testa. Aveva l’impressione che
presto o tardi sarebbe diventato una henn o qualcosa di molto simile
ma, se non
altro, aveva riavuto indietro il suo doppio cannone a fusione.
«Sull’iniziare
a muoversi hai ragione ma… hai qualche idea
riguardo la direzione?» domandò Helex
«Perché io non-»
«Mappa»
sentirono dire Tesarus.
«Non
l’abbiamo più, Kaon… no, aspetta, lui
l’ha letta ma ero
io ad averla!» esclamò Tarn, tirando fuori la
mappa dallo scomparto dove
l’aveva messa.
«Io
mi riferivo a quella, ma se l’altra è
d’aiuto va bene lo
stesso» disse il colosso, indicando una parete.
Alzando lo
sguardo riuscirono a vedere la mappa del palazzo
dove si trovavano, ma non era molto d’aiuto: oltre a essere
immensa non c’erano
indicazioni su dove potesse trovarsi la campana, c’era solo
un punto verde
brillante che probabilmente indicava la loro posizione attuale.
In compenso a
Tarn, memore di quel che Kaon aveva notato
l’altra volta, saltò subito all’ottica
un particolare.
«La
costellazione dello Scorpionokor, di nuovo. A quanto
pare alle sorelle di Stiria piace proprio»
commentò, una volta notata la
presenza delle stelle nella mappa.
«Sicuramente
non è lì per caso» disse Nickel
«Solo… quale
dobbiamo raggiungere stavolta? La tua, di mappa, non dice
nulla?»
Tarn
dispiegò la mappa, scoprendo che non era più
tale. Al
posto delle possibili strade c’era solo un messaggio.
“Siete
arrivati fin
qui, niente male.
Ho, anzi abbiamo, solo complimenti da farvi.
Avete messo su
Un bello spettacolo.
La campana non è distante, ormai.
Auguri”.
Nickel fece
un’espressione infastidita. «Grazie
tante».
«Molto
utile, anzi, per niente» disse Helex, sarcastico.
«Forse
c’è un messaggio nascosto in tutto
questo» rifletté
Nickel «Un indovinello? Un qualche gioco di parole?
C’è un teatro qui da
qualche parte in cui si potrebbe mettere su il “bello
spettacolo”, magari?»
«Non
vedo cosa c’entrerebbero le stelle»
ribatté Tesarus.
Tarn lesse e
rilesse più volte il messaggio. «Non credo di
poter dare torto a chiunque di voi, per quanto mi sforzi non riesco a
distinguere particolari enigmi o giochi di parole o indizi in queste
frasi.
L’ipotesi di Nickel non era sciocca, tuttavia anche Tesarus
ha ragione nel far
notare che non c’entrerebbe nulla con le stelle dello
Scorpionokor. Io però ho
l’impressione di avere sotto gli occhi qualcosa che cerca di
sfuggirmi».
Tutto il
gruppo lesse ancora il messaggio, anche con diverse
intonazioni, senza cavare un ragno dal buco.
«Eppure
ci dev’essere qualcosa, soprattutto nel punto dove
il messaggio va a capo senza motivo» insistette Tarn,
allontanando da sé il
foglio «Ci dev’ess…»
“Siete
arrivati fin
qui, niente male.
Ho, anzi abbiamo, solo complimenti da farvi.
Avete messo su
Un bello spettacolo.
La campana non è distante, ormai.
Auguri”.
Le maiuscole.
S- H- A- U-
L-A: Shaula.
Shaula non era
forse una stella dello Scorpionokor?
«Era
talmente semplice che non ci ho pensato. Le maiuscole
formano la parola “Shaula”, è
lì che dobbiamo andare» concluse Tarn, indicando
la mappa incisa nel muro «A
“Shaula”».
«Quindi
abbiamo una direzione! Ottimo» esultò Helex.
«Nickel,
vuoi che ti
porti io?» si offrì Tarn «Puoi sederti
sulle mie spalle. Ci sono anche i
cannoni cui aggrapparsi, se mai fosse necessario».
Combattuta tra
una risposta negativa dettata dall’orgoglio e
la stanchezza dovuta allo svenimento che ancora non le era scivolata
via di
dosso, oltre alla consapevolezza di avere le gambe molto più
corte delle loro,
Nickel concluse che fosse meglio accettare.
Dopo aver
studiato attentamente la mappa si incamminarono
verso “Shaula”, sperando di aver interpretato
correttamente il messaggio. Ogni
stanza e ogni corridoio percorso li faceva sentire sempre
più piccoli e
insignificanti, però andavano avanti lo stesso, lasciando
orme sul tappeto di
polveri sottili che ricopriva il pavimento. I cybertroniani erano
esseri di
incredibile longevità, molto più di quanto
potesse vantare la maggioranza delle
specie presenti nel cosmo, tuttavia la sensazione di
“antico” -un’ antichità
decadente e inclassificabile- di quel posto riusciva a farli sentire
giovani
come protoforme e anche indifese come tali, sebbene non ci fossero
minacce
visibili in giro.
Da un certo
momento in poi persero il senso del tempo più di
quanto avessero già fatto, il che era tutto dire. Ore?
Giorni? Settimane? Mesi?
Avevano l’impressione di star camminando da
un’infinità di tempo verso
“Shaula”,
senza sosta alcuna, spinti dal desiderio febbrile di trovare la campana
e
chiudere quella faccenda.
«Tarn»
lo richiamò Nickel a un certo punto, rabbrividendo
«Non
senti anche tu questa corrente di aria ghiacciata?»
Proprio il
freddo era stato ciò che aveva fatto rabbrividire
Nickel, pur essendo abituata alle nevi di Messatine.
Tarn, dal
canto suo, fece caso a quello strano fenomeno solo
allora. «Hai ragione. Se non avessimo visto di tutto e di
più, ti direi che è
molto strano. Siamo in un palazzo in fondo a un lago, non dovrebbero
esserci
correnti».
Ai recettori
uditivi di tutti giunse un suono, anzi, una
moltitudine di suoni tutti identici uno all’altro:
“Tekeli-li! Tekeli-li!”. Con
esso aumentarono anche le correnti fredde, tali che Helex e Tesarus
notarono le
pareti iniziare a riempirsi di brina.
«Problemi
in arrivo» affermò Tesarus.
Come se fosse
stato necessario.
Ringrazio con
tutto il cuore l’esistenza di Sharknado e dei
racconti di Lovecraft.
La canzone
presente nel capitolo è “The Ballad of
Sharknado”,
la trovate su YouTube come… praticamente tutto,
cos’è che non si trova sul
Tubo, ormai? :’D
Grazie a tutti
coloro che stanno resistendo insieme alla
DJD. Forse la prossima volta riuscirò a concludere la storia
per davvero :’D
_Cthylla_
|
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Capitolo 8 *** The Last Day To Repent (Almost) ***
The Last
Day To
Repent (Almost)
Il rumore assurdo era sempre più vicino, i recettori uditivi
di tutti quanti potevano udirlo chiaramente.
«Problemi in arrivo, sì» disse Tarn,
preparandosi a sparare.
Né lui né gli altri avevano idea di quale orrore
cosmico si
sarebbe potuto trattare, nei database di nessuno di loro era
classificato un
qualcosa che emettesse quel “tekeli- li! Tekeli-
li!” e che potesse congelare
l’ambiente con la sua sola presenza, ma ben presto le loro
domande avrebbero
avuto una risposta: stavano arrivando e, a giudicare dai rumori,
sembravano
tanti.
Tanti.
«Formazione compatta e prepariamoci a fare fuoco»
ordinò
Tarn, schiena a schiena con Helex e Tesarus «Arrivano da
dietro di noi!»
«Anche dai due corridoi a sinistra» aggiunse Nickel
«Mi
sembra di sentirli!»
«E hai ragione» confermò Tesarus.
La brina che ricopriva le pareti divenne una sottile lastra
di ghiaccio, e i Decepticon iniziarono a intravedere le ombre confuse e
deformi
di coloro che a breve li avrebbero attaccati.
Tekeli- li! Tekeli-
li!
Tekeli- li! Tekeli-
li!
«ARRIVANO!»
urlò
Helex, preparandosi a fare fuoco come Tarn aveva ordinato.
Quando però le creature svoltarono l’angolo ci fu
un attimo
in cui si irrigidì perfino, con le ottiche e la bocca semi
spalancati.
Non era facile impressionarlo in condizioni normali: era un
membro della DJD col comune amore per la violenza, sadico,
pressoché cannibale
e nel corso della sua vita aveva visto tante cose che avrebbero
sconvolto un
processore più sensibile del suo, ma quelle creature
riuscivano ad andare al di
là di… qualunque cosa.
«Cosa CAZZO sono?!»
gridò Nickel, dando voce al pensiero comune.
Mostri enormi -in linea con l’ambiente immenso in cui si
trovavano- dall’aspetto grumoso, catramoso, senza una forma
indefinita, con
globi in continuo movimento che se fossero stati comuni esseri organici
si
sarebbero potuti definire “occhi” e arti su arti in
costante mutamento dal
quali colava una sostanza dal colore indefinito che, giunta a terra,
sembrava
annichilire tutto ciò che toccava.
Gli studi di Tarn alla Jhiaxian Academy gli suggerirono qualcosa.
Tekeli- li! Tekeli-
li!
Tekeli- li! Tekeli-
li!
«Antimateria» disse Tarn, tirandosi istintivamente
indietro.
«Cosa?!» esclamò Tesarus, visibilmente
incredulo per la
prima volta da quand’era iniziata quella faccenda.
«Quei cosi hanno-» avviò a dire Helex,
venendo però
bruscamente interrotto dal suo comandante.
«RITIRATA!»
Quell’unico grido di Tarn bastò e
avanzò per spingere i due
colossi a iniziare a correre veloci come mai nella loro esistenza,
rischiando
di scivolare più volte sul pavimento coperto di brina senza
che questo, per
fortuna, accadesse mai; Tarn dal canto suo fece lo stesso, gettando
continue
occhiate dietro di sé e sparando un colpo di cannone a
fusione dopo l’altro
contro quei mostri.
Tekeli- li! Tekeli-
li!
Tekeli- li! Tekeli-
li!
Azione completamente inutile dato che ogni suo colpo veniva
assorbito come se non fosse stato sparato affatto o letteralmente
annichilito
da spruzzi di antimateria sputati fuori dalle infinite bocche che si
aprivano e
chiudevano di continuo sui corpi di quelle bestie.
«No! Non di qua! A destra, a destra!»
urlò
Nickel, vedendo che nel tentativo di fuggire stavano sbagliando
direzione.
Benedicendo la presenza della minicon e i suoi nervi saldi,
i tre Decepticon svoltarono a destra. La velocità
dell’azione tuttavia causò un
rovinoso impatto tra Helex e Tesarus, il quale andò a
sbattere contro una parte
di lastra di ghiaccio tanto dura e tagliente da infilzare profondamente
la sua
gamba sinistra, facendolo crollare a terra.
«Tess!» esclamò Helex «Alzati,
forza! Che razza di ghiaccio
è questo?!»
«Non è normale, niente è normale in
questo dannato posto»
rispose il Decepticon, digrignando i denti per il dolore.
Era riuscito ad alzarsi ma non avrebbe mai potuto correre,
ne era consapevole.
Tekeli- li! Tekeli-
li!
Tekeli- li! Tekeli-
li!
«Lasciatemi qui» disse.
«Cosa?! Non dire idiozie, Tesarus, corri!»
«Non posso, Helex. Lasciatemi q-»
Si sentì sollevare di peso: Tarn e Helex, dopo essersi
scambiati una brevissima occhiata, avevano avuto la stessa idea.
«Per Kaon non c’era speranza, qui è
diverso» sentenziò Tarn,
che ora stava portando Tesarus a spalla insieme a Helex «Come
hai detto tu, i
Decepticon non abbandonano gli altri Decepticon!»
«Vedo le ombre, corriamo via! Dritto davanti a
noi!» strillò
Nickel, che nel frattempo era salita sulla testa piumata di Tarn.
Obbedirono, e il disperato desiderio di sopravvivere anche a
quell’incubo fece addirittura sì che portare
Tesarus non li rallentasse quanto
avrebbe potuto.
«Ora a sinistra!» li guidò la minicon
«Non manca molto a
“Shaula” ormai!»
«Se usciamo da questa cosa voglio una vacanza!»
esclamò
Helex «Una vacanza in un posto assolato!»
«Magari con la tizia che ci ha massacrato
l’inguine»
aggiunse Tesarus.
«Sì, cazzo!»
Anche in quella situazione, Nickel riuscì a trovare la forza
di alzare gli occhi al soffitto e rimproverarli. «Ma vi pare
il momento di
pensare a-»
Gridò.
Il suo braccio sinistro era stato afferrato da una sottile
appendice schizzata fuori dal corpo protoplasmatico di uno dei loro
inseguitori, e solo grazie alla coda prensile riuscì ad
aggrapparsi a uno dei
cannoni di Tarn e non essere trascinata subito indietro, destinata a
finire
divorata dalle molteplici fauci mostruose o direttamente annientata
dall’antimateria.
Tarn si accorse solo allora di quanto era accaduto,
sentendosi tirare indietro. «Nickel!...»
Tekeli- li! Tekeli-
li!
Tekeli- li! Tekeli-
li!
La minicon cercò freneticamente di sganciarsi dalla presa,
senza ottenere risultati, cercò di tagliare
l’appendice con una delle piccole
lame che aveva nelle braccia e di nuovo non ottenne nulla. Tutto
successe in
pochi brevissimi istanti, nessun altro avrebbe avuto tempo e modo di
fare
alcunché, ma furono abbastanza per farle capire di non avere
scelta: stringendo
i denti, recise il braccio sinistro all’altezza della spalla
con una serie
velocissima di disperati e profondi colpi di lama.
«Vai, vai, VAI!»
urlò a Tarn una volta che si fu liberata, tornando ad
aggrapparsi alla sua
testa e assistendo al terrificante spettacolo del suo piccolo braccio
che
veniva risucchiato nel corpo del mostro.
Tarn sentì l’energon caldo della minicon colare
sulla
propria testa, poi
sulla maschera. Non
aveva modo di verificare i danni, non aveva neanche il tempo, nessuno
di loro
lo aveva.
«Nickel-»
«Era solo un braccio» lo interruppe lei, brusca,
con un vago
tremolio nella voce solo all’inizio della frase
«Poteva essere peggio. Svolta a
destra, ci siamo quasi!»
Il Decepticon non replicò a parole, ma il modo in cui
sollevò la mano sinistra per stringere brevemente e con
fermezza una gamba di
Nickel, per poi riabbassarla e contrarre il pugno fino a conficcare le
dita nel
palmo e ferirsi, poteva lasciar intuire quale fosse il suo stato
d’animo.
La corsa continuò folle più di prima, tanto che
Helex iniziò
a sentire un vago odore di bruciato all’altezza delle
giunture delle gambe. Il
suo corpo non era fatto per le corse frenetiche, tantomeno per corse
frenetiche
fatte portando del peso, ma non si lamentò lo stesso.
Fu allora che si accorsero dell’acqua che, se prima
lacrimava dalla serie infinita di vetrate, adesso penetrava e
gocciolava da
crepe che si allargavano ogni istante di più.
«Qui crollerà tutto!»
esclamò, allarmato.
«Basta riuscire ad andarsene prima»
replicò Tarn, cercando
di mostrarsi fiducioso com’era suo dovere «Nickel!
Quanto manca?!»
«Ora dovremmo… ci siamo! Ci siamo, siamo a
“Shaula”!»
esclamò Nickel, mentre sbucavano in una stanza enorme e
allagata che al centro
recava un grosso forziere «La campana è
sicuramente lì dentro, ci siamo, Tarn,
ci siamo!»
«E quei cosi ci sono ancora alle calcagna,
sbrighiamoci!»
aggiunse Helex, per poi dare un’occhiata al soffitto
«Qui le crepe sono peggio
che nei corridoi, Tarn-»
Non fu necessario che Helex aggiungesse altro: Tarn mise giù
Tesarus e, più velocemente che poteva, raggiunse il
forziere. Notò subito che
recava tre serrature, ma dopo aver tirato fuori le chiavi dallo
scomparto ove
le aveva riposte vide che era facile stabilire quali servivano,
ciò grazie alla
forma diversa di ognuna.
Nickel, ancora aggrappata alla sua testa, infilò la chiave
nella prima serratura e la fece scattare. «Presto! Tu hai due
braccia, apri le
altre due insieme!»
Lo avrebbe fatto anche se Nickel non gliel’avesse detto, ma
l’accenno al braccio perso fu quasi una stilettata.
Obbedì, le serrature scattarono entrambe e, finalmente,
poté
mettere le mani sulla tanto agognata campana: non aveva nulla di
particolare, era
grossa, liscia e nera.
«L’abbiamo presa!» esultò
Nickel «L’abbiamo-»
Tekeli- li! Tekeli-
li!
Tekeli- li! Tekeli-
li!
L’esultanza durò poco, perché i mostri
entrarono anch’essi
nella stanza con tanta veemenza da distruggere l’ingresso,
colando antimateria
come dalle ferite infette di un essere organico avrebbe potuto colare
del pus.
«Dov’è l’uscita?!»
urlò Tesarus «Hai la campana,
dov’è
l’uscita?!»
Non c’era.
Niente arco semi diroccato a offrire loro la salvezza, non
stavolta.
«Perché non c’è?
Perché non compare?!»
Nickel aveva ragione, pensò Tarn, in quel momento di
sconforto mentre erano tutti sulla barca l’aveva detta
giusta: anche se avevano
preso la campana, le sorelle di Stiria non avevano intenzione di
lasciarli
andare e non l’avevano mai avuta. Le loro erano state tutte
fatiche inutili,
erano servite solo a divertire due sorelle annoiate.
Non sarebbero mai dovuti atterrare sul loro piccolo pianeta,
non avrebbero mai dovuto ascoltare Stiria, non avrebbero mai dovuto
esporsi a
un simile pericolo. Anzi: lui in
quanto comandante non avrebbe mai dovuto esporre la sua squadra e se
stesso a
un simile pericolo. Essendo il leader, la responsabilità
delle decisioni, delle
conseguenze e della salute del gruppo era sua soltanto.
«Io…»
Tekeli- li! Tekeli-
li!
Tekeli- li! Tekeli-
li!
«Ho condannato a morte tutti noi».
“E questo perché sei uno dei peggiori fallimenti
dell’Universo e lo sarai sempre, anche con tutte le tue
abilità, col tuo essere
point one percenter, con tutta la tua forza e tutti gli upgrade che hai
fatto.
Non si sfugge alla propria natura. Eri uno scarto anche quando ti
chiamavi
Damus”.
Quelle parole impietose risuonarono nel suo processore con
una voce che era un miscuglio tra la sua e una molto più
femminile, che aveva
già udito ridere e parlare in precedenza, in quelle che
aveva creduto fossero
una sorta di allucinazioni uditive. Tarn però era troppo
impegnato a pensare
alla morte imminente e al suo fallimento per curarsi veramente
di un simile particolare.
Fu allora, proprio quando le creature stavano per divorarli,
che le pareti si ruppero definitivamente e la stanza venne riempita di
acqua.
Nessuno vide più niente, nessuno riuscì ad
afferrare l’altro, proprio com’era
accaduto quando erano stati risucchiati dal vortice.
Tutto quel che Tarn riuscì a fare fu tenere stretta la
campana e, di nuovo, venire inghiottito dal buio.
***
Colpi ritmici in testa la cui forza aumentava gradualmente.
Un peso sul petto.
Altri colpi ritmici in testa, raddoppiati.
Mugugnando parole incomprensibili, Tarn socchiuse
leggermente i sensori ottici.
“Sono morto e questo è l’Afterspark al
quale io, in realtà,
non credo” fu il suo primo pensiero compiuto.
Non si sentiva stanco, solo intontito.
Non aveva ancora avviato bene il processore, si disse,
quando le sue ottiche ora semiaperte incontrarono lo sguardo seccato di
due
henn giganti, una seduta sul suo petto, l’altra che incombeva
su di lui e
continuava a riempirgli la testa di beccate.
“Un momento: henn?!”
Si rizzò bruscamente a sedere causando così
l’irritazione
dei volatili, i quali comunque si limitarono a protestare con versi
striduli e
batter d’ali invece di sputare fiamme come avrebbero potuto.
All’inizio realizzò di trovarsi nel giardino della
casa che
prima di allora aveva solo intravisto, quella munita di orto; poi
realizzò di
essere circondato di henn munite di caschi e pettorine -alcune li
avevano blu,
altri gialli- che lo stavano guardando male per aver interrotto la loro
partita
di…
“Henn giganti sputafuoco che giocano a Cube” alias
la
variante cybertroniana di quello che i terrestri avrebbero chiamato
rugby “Dopo
tutto quello che ho visto, mi sembra perfettamente sensato”.
Solo allora notò altre due cose fondamentali: la prima era
che la campana nera era ancora stretta tra le sue mani, la
seconda…
«Testa pesante» borbottò Tesarus,
mettendosi lentamente a
sedere.
«Sono tutto
pesante» mugugnò Helex, sdraiandosi in posizione
supina.
Qualche metro più lontano, anche Nickel aprì le
ottiche.
«D-dove… ma siamo vivi?»
Sì, lo erano: l’avevano scampata, erano
lì tutti quanti,
vivi e vegeti. Tarn vide che Tesarus era ancora ferito, il T-Cog di
Helex era
ancora rotto e Nickel -povera Nickel!- era priva di un braccio, ma ce
l’avevano
fatta.
In principio non comprese cosa fosse lo strano rumore che
stava sentendo né da dove provenisse, poi, con suo sommo
stupore, capì che quel
suono era una risata baritonale, di cuore -ergo Scintilla- e che la
fonte di
tale suono era lui stesso.
Era una vita che non rideva così, anzi, probabilmente non
l’aveva
mai fatto prima di allora, non in quel modo, non
“perché sì”, senza neanche
sforzarsi di capire cosa lo stesse spingendo a ridere, ridere e ridere
ancora.
Forse era dovuto all’essere impazzito definitivamente, forse
era per
l’assurdità della situazione, forse era
perché tutti l’avevano scampata e ne
era felice: quale che fosse la ragione, non gli importava
alcunché.
«Ehi!»
Quella voce.
«Ragazzi!»
Una voce maschile che in altri contesti avrebbe trovato un
po’più divertita del dovuto.
Una voce molto familiare.
Tarn e il resto del gruppo si voltarono quasi
contemporaneamente verso la porta d’ingresso di quella casa
di campagna, dalla
quale si era affacciato un Kaon vivo, tranquillo e in salute che li
stava
salutando con un sorriso che, in qualche modo, riusciva ad arrivare
fino alle
sue ottiche vuote.
«Muovetevi a entrare, ci sono i muffin!»
Kaon vive, vive! :'D
Ho voluto dividere il capitolo per ragioni di lunghezza ma stavolta
posso annunciare con assoluta certezza che il prossimo, che
verrà pubblicato di pomeriggio o sera, sarà
l'ultimo.
Per davvero.
Alla prossima!
_Cthylla_
|
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Capitolo 9 *** The Last Day To Repent (es wurde auch zeit!) ***
The Last
Day To
Repent (es wurde auch zeit!)
Increduli,
barcollanti, sollevati, i quattro poveri
disgraziati che tanto avevano patito si alzarono e raggiunsero il loro
compagno
di squadra quasi di corsa -eccetto Tess, che per forza di cose non
poteva che
andare piano.
Non riuscivano
a credere alle loro ottiche, com’era possibile
che fosse lì? C’era davvero o era uno scherzo
crudele delle sorelle di Stiria?
«Tu…
sei vivo per davvero?» chiese Nickel a Kaon, tastando e
pizzicando ogni punto cui riuscisse ad arrivare «O siamo
morti tutti invece?»
«Nah!
Siamo tutti vivi e- aspetta che ti è successo al
braccio?!» si stupì il transformer «E,
Tess… la gamba…»
Tarn si fece
avanti, allargando le braccia. «Vieni qui,
Kaon».
Altrove, in
un’altra realtà, quel gesto poi divenuto un
abbraccio avrebbe preceduto un brutale omicidio. Kaon, reo di aver
mostrato
compassione -leggasi, reo di aver avuto una reazione un
po’troppo “umana”
davanti a un Tarn completamente impazzito- si sarebbe trovato senza
testa, e
Nickel sarebbe stata la sola ad avere il coraggio di dire a Tarn
“Cos’hai
fatto?!”.
Ma quello era
“altrove”, appunto: nella realtà
presente ci
fu solo una “riunione di famiglia” e, in fin dei
conti, era giusto così.
«M-ma
voi avevate pensato davvero che fossi morto?»
domandò
loro Kaon, con l’espressione di chi si sentiva in colpa, una
volta che il breve
abbraccio ebbe termine.
«Ovvio,
sei caduto giù dal ponte e sei finito in mezzo a
scale che si muovevano!» rispose Helex
«Cos’avremmo dovuto pensare?!»
«Sì,
beh, in effetti avete ragione. In verità però non
sono
morto, sono stato tolto di torno perché mi intendo un
po’troppo di questi
giochi qui. Credo. Penso» aggiunse velocemente il tecnico
«È solo un’ipotesi,
non è che abbia avuto modo di chiederlo a Eribe e
Vliegen».
«Eribe
e Vliegen» ripeté Tarn.
«Le
sorelle di Stiria, si chiamano così! Eribe è la
strega».
«E
tu questo, di preciso, come sei venuto a saperlo?»
Dopo una
minuscola esitazione Kaon aprì la bocca per
rispondere, ma…
«KAON! I muffin di
alluminio non si guarniscono di energon da soli!»
La voce di una
femme avanti con l’età, ma alta ed energica
come quella di un caporale maggiore, indusse Kaon a rientrare
rapidamente in
casa dopo un altrettanto rapido “arrivo subito”.
Tarn e gli
altri si scambiarono un’occhiata, poi decisero di
entrare in casa a loro volta.
Lo stile degli
interni rispecchiava quello dell’esterno, una
dimora di campagna semplice, un po’rustica ma perfettamente
pulita, senza
particolari fronzoli e con un delizioso odore di cibo proveniente dalla
cucina.
Nel processore
di Nickel tornarono a galla alcuni ricordi
d’infanzia, memorie di quando era ancora una protoforma e i
suoi genitori la
portavano a far visita alle sue nonne.
Ricordò
i momenti in cui lei e il suo stuolo di cugini
avevano giocato ad acchiapparella o a carte; ricordò le
volte in cui si erano
arrampicati su alberi tecnorganici non troppo dissimili da quello
singolo al
centro del campo di grano blu; ricordò i pasti in famiglia,
con lunghe tavolate
piene di cibo e di gente allegra, tutte cose che erano proseguite anche
quando
era diventata adulta.
Ricordò
la festa che le avevano fatto una volta terminati
gli studi da medico e il raduno che c'era stato in un'altra occasione, ossia quando aveva
presentato alla
propria famiglia il suo fidanzato. Si chiamava Bustin ed era stato un
colpo di
fulmine reciproco. Ne era stata innamorata al punto che, fosse stato
per lei e fosse stata meno razionale,
l’avrebbe preso come compagno di vita e avrebbe generato dei
figli con lui già
dopo due mesi di conoscenza.
Il ritorno
alla realtà fu brutale: nulla di tutto quel che
aveva ricordato c’era più, Prion era stata
distrutta e lei, Tarn, Kaon e gli
altri erano ancora in balia di una strega.
«Tu
per sveltirti avresti dovuto lavorare al Poggio come ho
fatto io da giovane! Lì non c’era tempo nemmeno
per dire “a”, dovevi essere
rapido, rapido!»
In un altro
momento Tarn, Nickel, Helex e Tesarus si
sarebbero fatti parecchie domande sul perché stessero
guardando un Kaon intento
a guarnire i muffin di alluminio. Ormai però avevano capito
che non valeva la
pena farsene e limitarsi a pensare che forse Kaon si meritava proprio
di essere
“schiavizzato” da quell’attempata femme
-l’alt mode sembrava essere
un’automobile- color rame e verde militare scuro.
“Mi
sembra un po’troppo vecchia per essere una delle sorelle
di Stiria. Sarà un’abitante del paesino, una di
quelli messi meglio” pensò
Nickel.
«Ma
io non ho mai cucinato in vita mia, gliel’ho già
detto!
Noi della DJD siamo esecutori, mica cuochi» sbuffò
Kaon, aggiungendo col
movimento delle labbra un “È un NPC, lascia
fare!” appena la femme si fu
voltata.
“Peccato
che io non sappia cosa sia un ‘NPC’. Probabilmente
è un altro elemento del gioco” pensò
Tarn, cui il concetto di personaggio non
giocabile era estraneo “Immagino di dover stare a vedere cosa
succede”.
«Oh.
Vedo che avete ritrovato la campana» disse la femme.
Quelle parole
fecero sì che ottenesse tutta l’attenzione del
gruppo.
«Dopo
aver mangiato i muffin dovete andare là»
indicò
l’edificio non troppo distante dal punto in cui si trovavano
al momento, quello
col campanile «Davanti al campanile c’è
un percorso fatto da tredici sassi.
Tredici sassi, tredici passi, poi potrete mettere a posto la
campana».
«Tarn,
questa cosa dei tredici passi non mi piace» disse
Helex.
“Nemmeno
a me, però non abbiamo scelta… e comunque manca
poco. Tredici passi sono una bazzecola, di qualunque cosa si
tratti” concluse
Tarn.
«Cosa
vogliono fare ancora quelle due stronze? Non gli è
bastato il resto?!» sbottò Nickel.
«Dopo
aver mangiato i muffin dovete andare là»
ripeté la
femme attempata «Davanti al campanile
c’è un percorso fatto da tredici sassi. Tredici
sassi, tredici passi, poi potrete mettere a posto la
campana».
«Lo
hai già detto prima» borbottò Tesarus,
mangiando cinque
muffin che Kaon gli aveva porto.
Con suo sommo
stupore, quando li ebbe inghiottiti la ferita
alla gamba scomparve.
«Oggetti
guaritori. Nei giochi online prima o poi spuntano
sempre» spiegò Kaon.
Il colosso si
affrettò a svuotare il vassoio con una manata,
poi aprì la bocca di Helex e lanciò dentro
quattro muffin. Tentò di fare la
stessa cosa con Nickel -per la quale ne aveva conservati dieci- ma la
minicon
lo bloccò sibilando un “Provaci e ti stacco le
dita a morsi, sono in grado di
mangiare da sola!”.
«Davanti
al campanile c’è un percorso fatto da tredici
sassi. Tredici sassi, tredici passi, poi potrete mettere a posto la
campana»
ripeté per la terza volta la femme attempata.
«Sì,
abbiamo capito, ce l’hai già detto!»
esclamò Helex, un
po’esasperato.
Più
si andava avanti, più Tarn sentiva la voglia di uscire
al più presto da quella casa. Per un attimo gli era perfino
sembrato di veder
glitchare, nel senso grafico del termine, il volto della femme.
Lui come
Nickel aveva creduto che fosse una abitante di quel
bizzarro mondo, ma iniziava a pensare che invece fosse qualcosa di
diverso.
L’atteggiamento, la voce, i dettagli di quella femme e di
quella casa erano
troppo curati per non essere ispirati
a qualcosa di reale, ma forse non erano reali. Forse erano solo
l’eco di
ricordi passati.
La sua
attenzione venne attirata da una mensola ricolma di
piccoli datapad che mostravano fotografie statiche in bianco e nero.
Alcune
raffiguravano un luogo somigliante -somigliante. Non uguale- a Berg Des
Sees
visto da fuori, ma più… vivo.
Tutto il resto
delle fotografie invece raffiguravano delle
persone.
“Senza
le facce” notò Tarn “Tutte le persone in
queste
fotografie hanno uno spazio bianco al posto del volto,
eccetto…”
Solo una
fotografia faceva eccezione: quella di tre femmes,
due delle quali erano giovani e una era bambina. Le due più
grandi non erano
minimamente familiari al Decepticon ma, avendola vista più
d’una volta, riuscì
a riconoscere la più piccola.
“Stiria.
È lei” allungò una mano a sfiorare la
fotografia “E
allora le altre due-”
Appena le dita
sfiorarono la fotografia le sue ottiche
furono invase dall’immagine di un’esplosione
terribile di fuoco verde e di
transformers disciolti e carbonizzati in pochi attimi, i suoi recettori
audio
vennero invasi dalle grida, il suo processore da una paura e un dolore
profondo
che non gli appartenevano.
“Per primo venne il
fuoco. Il sangue per secondo”.
Ritrasse le
dita.
Era ancora
nella casa della femme attempata, il resto del
gruppo era con lui ed era tutto normale.
Per quanto
“normali” potessero essere le cose lì
dentro,
s’intende.
«Abbiamo
una campana da rimettere a posto, signori, quindi
se siete pronti direi di andare e… mi fa piacere vedere che
lesioni e braccia
ora sono a posto» disse Tarn, vedendo guarite ferite e
mutilazioni altrui.
«È
l’unica cosa buona che abbia fatto la magia in tutto
questo» replicò Nickel, muovendo le dita del nuovo
braccio ricresciuto grazie
ai muffin «Andiamo».
Senza perdere
altro tempo, la DJD quasi al completo uscì
dalla casa della femme attempata e corse in direzione del campanile.
Avere gli
occhi puntati sull’obiettivo non impedì loro di
scorgere all’arrivo i tredici sassi di cui avevano sentito
parlare, l’ultimo
ostacolo prima della loro teorica liberazione.
«Ed
eccoci qua» disse Helex.
«Sì.
Ci siamo» annuì Tarn «Qualunque cosa ci
attenda, non
sarà peggio di quel che c’è
già stato».
Kaon
indicò un tempietto posto appena prima del percorso di
sassi. «Qui intanto c’è un
indizio».
Non era
nascosto e l’avrebbero notato anche senza l’aiuto
di
Kaon, però tutti quanti furono più che felici di
riaverlo lì a cogliere gli
indizi per primo… o di riaverlo lì e basta.
All’interno
dell’edicola non c’erano oggetti, c’era
solo una
filastrocca incisa nella pietra. Tarn pensò che, a livello
di struttura,
sembrasse quasi una cantilena per bambini vagamente inquietante.
Peccato che i
primi due versi ricalcassero perfettamente
quel che si era trovato nel processore toccando la foto di Stiria con
le sue
sorelle.
“Per
primo venne il
fuoco,
Il sangue per
secondo,
Terza la tempesta
Che al quattro
annegò
il mondo.
Il cinque
è per la
rabbia,
Al sei
l’odio
abissale,
Settima la paura,
Ottavo il
più gran
male.
Al nove la
tristezza,
Al dieci il
dolore.
All’undici
la morte,
Poi il dodici,
l’amore.
Tredici passi per
la
libertà,
Chi è
entrato qui,
come ne uscirà?”
«Come
ho detto, non è peggio di quel che abbiamo già
visto»
tornò a ripetere Tarn «Tredici passi. E poi
basta».
I sassi
infilati nell’erba bluastra erano abbastanza larghi
da permettere ai membri del gruppo di stare uno di fianco
all’altro e fare il
primo passo tutti insieme. Scelsero proprio quell’opzione,
accordando
tacitamente di affrontare uniti quell’ultimo ostacolo.
«E
poi basta» ripeté Nickel facendo eco a Tarn
mentre,
contemporaneamente agli altri, muoveva il primo passo.
E venne
l’inferno.
Improvvisamente
i suoi compagni di squadra non c’erano più,
era sola.
Sola in un
luogo completamente in fiamme, un luogo che era
familiare, un luogo che era…
«Prion»
mormorò.
Le ottiche
azzurre sgranate di Nickel riflettevano le fiamme
intente a divorare ogni edificio, ogni strada, ogni dettaglio della sua
piccola
colonia, del suo mondo, della sua vita.
Avevano
iniziato a divorare anche lei, sentiva l’odore della
gomma bruciata e il dolore causato dalle gocce del suo stesso metallo
fuso che
le cadevano addosso ma in quel momento non le importava. Aveva perso il
contatto con la realtà, le sembrava di essere veramente
tornata a quel giorno,
il giorno maledetto in cui aveva perso tutto. I suoi sensi le urlavano
questo e
riviverlo era più doloroso delle fiamme che la stavano
consumando.
«Per
primo venne il fuoco…»
Ricordò.
Era ancora
intrappolata nel gioco della strega, aveva
iniziato i suoi tredici passi e quello era solo il primo: non era a
Prion,
niente di tutto quel che vedeva era reale… in teoria. Chi le
garantiva che il
potere di Eribe, fino a quel momento mostratosi sconfinato, non
l’avesse
riportata indietro nel tempo e nello spazio? Nessuno. Forse era tutta
un’illusione ma forse non lo era affatto e, se anche lo fosse
stata, poteva
farle del male. Gliene stava già facendo e di sicuro lo
stava facendo anche a
Tarn, a Kaon e agli altri, ognuno intrappolato nei propri momenti
peggiori.
Fece un altro
passo.
“Per
primo venne il
fuoco, il sangue per secondo.”
Il suo corpo,
se mai era stato ferito e semi disciolto dalle
fiamme, era tornato sano.
Quel che non
era sano per nulla invece erano tutti i minicon
davanti a lei, riversi nelle strade devastate ad agonizzare nelle pozze
del
loro stesso energon.
«N-no…»
Li conosceva.
Era in grado di attribuire il nome giusto a
ognuno di quei volti contorti dal dolore, le cui bocche spalancate
tentavano di
produrre grida d’aiuto risultanti mute, i cui occhi fissavano
solo e soltanto
lei supplicandola di aiutarli, di curarli. Non era forse un medico?
«Non
posso, lo vorrei tanto» strinse la testa tra le piccole
mani, tanto forte da conficcare le dita nel metallo, e si morse il
labbro
inferiore fino a far fuoriuscire dell’energon «Non
sapete quanto avrei voluto…
quanto vorrei, ma… non posso. Non posso».
Un altro
passo.
“Terza la
tempesta…”
Alzò
le ottiche e le vide. Le immense astronavi della Black
Block Consortia volavano pigramente sul cielo di Prion, lasciando
cadere una
pioggia di nuove bombe incendiarie per spazzare via i resti di quella
che era
stata una colonia pacifica.
“…Che al quattro
annegò il mondo”.
La pioggia di
bombe divenne tanto fitta che Nickel venne
accecata dal bagliore prodotto, sentendosi annegare nel calore, nel
fumo,
nell’urlo collettivo che non c’era mai stato nella
realtà ma risuonava crudele
e prepotente nel suo processore.
Tremando, fece
un altro passo.
“Il
cinque è per la
rabbia”.
Il bagliore
sparì, Nickel trovò davanti ai sensori ottici
nient’altro che detriti di quella che era stata la sua casa,
e fu allora che
giunse la rabbia. Le era familiare, era la stessa che provava ogni
volta che
pensava all’accaduto, a quanto fosse stato ingiusto.
I minicon di
Prion non avevano mai fatto del male a nessuno,
erano del tutto autosufficienti e avevano sempre vissuto per conto
proprio
senza prendere mai parte alla guerra civile. Nickel provava rabbia per
l’ingiustizia, rabbia per tutte quelle morti, rabbia verso i
Decepticon per
aver dato inizio la rivolta che aveva portato alla guerra, rabbia verso
gli
Autobots che si erano opposti, rabbia perché il tutto era
durato tanto a lungo
da attirare l’attenzione di alcune tra le più alte
autorità galattiche
organiche, cosa che poi aveva generato il sentimento anti-mecha e tutto
quel
che ne era conseguito.
E provava
rabbia verso se stessa, soprattutto, per essere
sopravvissuta e poterlo raccontare.
C’erano
stati minicon meritevoli di vivere quanto e più di
lei: loro erano morti tutti, lei no.
«Non
merito il diritto e la possibilità di arrabbiarmi»
disse Nickel, amara, mentre faceva il sesto passo.
“Al sei
l’odio
abissale”.
Non meritava
il diritto e la possibilità di arrabbiarsi,
diceva, ma quello di odiare sì, e fu proprio
l’odio a invaderla.
Anche quello
era già successo, ed era stata la molla che
l’aveva spinta a unirsi alla Decepticon Justice Division.
L’avevano trovata
illesa, sepolta in una profonda cantina che per chissà quale
miracolo era
scampata alle bombe, le avevano detto chi erano e cosa facevano e le
avevano
chiesto cosa sapesse fare. Tarn le aveva offerto una causa in cui
credere e una
casa in cui vivere, e lei aveva accettato. Odiava gli organici quanto e
più di
tutto il resto della DJD: le loro motivazioni erano “di
dottrina”, la sua era
personale… e, come loro, odiava anche i traditori.
«I
traditori… come me!»
sputò fuori, col volto bagnato di lacrime.
Essere
sopravissuta al resto della sua razza era stato un
tradimento. Si sentiva una traditrice pensando a cos’era
successo, per quanto
irrazionale potesse essere.
Odiandosi
quanto odiava la Black Block Consortia se non di
più, mosse il suo settimo passo.
“Settima
è la paura”.
Si
ritrovò in una cantina, anzi, “la”
cantina, quella che
aveva trovato per pura fortuna in un edificio abbandonato poco
all’esterno
della frazione dove viveva e nella quale si era rifugiata appena aveva
visto le
navi della Black Block Consortia far cadere le prime bombe.
Nickel nel
presente era una persona tra le più coraggiose
che potessero esistere, ma non era sempre stata così.
C’era stato un tempo in
cui era stata più giovane e più codarda, in cui
aveva visto la sua colonia
essere attaccata e tutto quello che aveva fatto era stato cercare un
riparo,
preda del panico più assoluto, senza pensare a nessun altro.
Non agli amici,
non ai parenti che aveva creduto di amare tanto, neppure al fidanzato
con cui
avrebbe voluto generare dei figli. Era uscita dalla colonia proprio per
cercarlo, era scomparso qualche ora prima del disastro e lei si era
preoccupata… prima delle bombe. Dopo quelle, si era solo
nascosta da buona
vigliacca sperando che non la colpissero e senza rendersi conto che
invece
sarebbe stato meno doloroso morire in quel momento.
“E
ho paura anche adesso, pensando a cosa potrei incontrare
dopo” pensò.
Poi si disse
che non poteva permetterselo: doveva muoversi,
per il bene della squadra, per il proprio, per dimostrare a se stessa
di essere
cambiata davvero da allora.
“Ottavo
il più gran
male”.
Prima di
potersi chiedere quale potesse essere il più gran
male, lo vide materializzato davanti ai propri occhi nella forma di
molti dei
minicon che aveva conosciuto. La guardavano con aria accusatoria e le
urlavano
contro quel che già sapeva: avrebbe dovuto togliersi la vita
a sua volta, se
fosse stata una persona più “degna”
avrebbe già provveduto da tempo, era la
giusta punizione per essersi nascosta e basta. Iniziò a
sentire dolore alla
Scintilla e si chiese se quella fosse la sensazione provata da coloro
che
venivano uccisi dalla voce di Tarn. Anche a lei sembrava di starsi
spegnendo
poco a poco.
«Tarn…»
Tarn. Vos.
Helex. Tesarus. Kaon.
Loro sapevano
com’era andata ma non l’avevano mai accusata
di alcunché. Cos’avrebbe potuto fare contro delle
astronavi munite di bombe,
oltre a nascondersi e sperare di restare in vita? Se anche fosse corsa
dai suoi
amici e familiari non li avrebbe salvati, così le aveva
detto Tarn. Lei sarebbe
morta e loro non avrebbero incontrato un componente tanto valido per la
squadra. Era sicura che non l’avesse detto solo per
rincuorarla, Tarn chiamava
“valido” solo chi e cosa riteneva davvero tale, e i
suoi standard erano molto
alti.
Pensando a lui
e al resto della DJD fece un altro passo,
sotto gli sguardi accusatori dei fantasmi del suo passato.
“Al
nove la
tristezza”.
I suoi sensori
ottici si riempirono di lacrime più di quanto
avessero fatto fino a quel momento. Stava piangendo tanto da non
riuscire a
vedere nulla, tanto che iniziò perfino a farle male. Avrebbe
voluto solo
strapparsi via le ottiche, sarebbe stato più sopportabile.
Riteneva di aver già
pianto abbastanza per una vita intera, lo aveva fatto tutto il tempo
che era
stata in quella cantina e particolarmente nel momento in cui aveva
iniziato a
pensare che, se anche avesse voluto raggiungere gli altri, sarebbe
stato troppo
tardi.
Andò
avanti, come cercava di fare metaforicamente già da
tempo.
“Al
dieci il dolore”.
Il dolore che
aveva avvertito alla Scintilla tornò, stavolta
più forte di prima. Per un attimo la fece perfino crollare
sulle ginocchia,
convinta che fosse arrivato il suo momento, poi però
ricordò una cosa: lei
viveva già nel dolore. Il dolore
fisico non era nulla rispetto a quello che aveva provato, che provava
tuttora
pensando a Prion.
Fare
l’undicesimo passo fu quasi facile.
“All’undici
la morte…”
Nella casa di
quella femme attempata, aveva pensato alla
propria famiglia e al suo fidanzato Bustin, mentre poco prima aveva
pensato al
fatto che sarebbe stato meno doloroso morire quel giorno di quanto lo
fosse stato
continuare a vivere oltre: davanti a sé aveva il perfetto
connubio di quelle
due cose.
I suoi
familiari e Bustin erano involucri senza vita, ma con
le ottiche chiuse sembrava quasi che stessero dormendo serenamente, che
stessero vivendo in un delicato ed eterno sogno
nell’Afterspark, lontani da
ingiustizia, violenza, brutture. C’era un posto vuoto tra sua
madre e Bustin,
perfetto per essere occupato da lei. Sembrava quasi un invito a
stendersi lì e
addormentarsi, lasciare che la propria Scintilla si spegnesse e
raggiungerli.
C’erano
stati dei momenti in cui aveva effettivamente
pensato di porre rimedio all’errore compiuto dalla sorte il
giorno del
genocidio e terminarsi con le proprie mani, salvo evitare di farlo ogni
volta,
consapevole di non meritare tutta quella pace.
«Non
la merito nemmeno adesso. Non posso raggiungervi, come
non vi ho raggiunti allora» disse, facendo un passo in
avanti.
Sentì
un movimento dietro di sé.
«Nicky.
Sei ancora bellissima, lo sai?»
Nickel si
irrigidì, il volto nuovamente rigato di lacrime.
Non era
possibile.
«Non
mi guardi nemmeno? Non mi vuoi vedere, Nickel?»
La minicon si
voltò di scatto, le sue gambe si mossero da
sole, ed ecco che si ritrovò stretta in un abbraccio
dolorosamente familiare.
«Bustin!...»
esclamò, affondando il volto piangente nel
petto bianco del suo fidanzato.
«Irruenta
come tuo solito. Mi hai fatto cadere in più
occasioni nel saltarmi addosso così tutte le volte in cui
stavamo lontani per
più di mezza giornata, te lo ricordi?»
Ricordava
eccome, ricordava tutto, e proprio per quella
ragione non riusciva a pensare lucidamente. Non le importava
più della strega, del
gioco, non le importava di nulla: i passi precedenti erano stati uno
più duro
dell’altro, la gioia di rivedere Bustin era troppo
grande… e l’influenza del
potere della strega sul suo processore, soprattutto
quella,
lo era altrettanto.
Si
beò del calore del suo abbraccio, si inebriò
dell’odore
del lucidante che Bustin aveva sempre usato per la sua armatura, si
lasciò
cullare da quelle braccia nere che l’avevano stretta tante
volte.
«Ti
sono mancat- ahio! Sì, sei proprio la solita» rise
Bustin, ricevuto un pugno contro la spalla turchese.
«Ero
uscita dalla colonia per cercarti, dov’eri
finito?!»
Lui fece
spallucce. «Ormai quello non conta più
granché.
Conta più dove mi trovo ora, direi!»
Giusta
osservazione. «Dove ci troviamo precisamente? Per
quanto ne so io siamo nella trappola di una strega…
già: come posso sapere che
sei reale?!»
«Mi
era sembrato che fossi molto convinta del mio essere
reale quando mi hai abbracciato, Nicky. Mi sento abbastanza solido, non
so tu!»
«Bustin,
sei reale o non lo sei?! Come… come stanno le cose?
Sei veramente vivo? È davvero possibile che tu lo
sia?!»
Il minicon
sorrise. «Il confine tra quello che reale e
quello che non lo è, qui, è molto sottile.
Inesistente direi. Non valgono le
regole che conosci tu, dovresti averlo visto bene».
Nickel
riconobbe che non aveva torto. «Dunque quali regole
valgono?»
«Valgono
la volontà della strega, quella di sua sorella e
anche la tua».
«La
mia?»
Bustin
annuì. «Io sono morto, la tua famiglia anche e se
tu
andassi avanti non ci sarebbe possibilità di rimediare, ma
non dev’essere così
per forza» tese una mano verso di lei «Prendi la
mia mano e scegli: puoi
restare a Berg Des Sees insieme a me e alla tua famiglia, se vuoi, o
puoi
tornare indietro nel tempo e cercare di far evacuare Prion prima del
disastro.
Per Eribe e Vliegen una cosa vale l’altra».
«Loro…
lei… potrebbe davvero?!...»
Per un attimo
Nickel osò perfino sognarlo, immaginare come
sarebbe stata la sua vita se avesse preso la mano di Bustin e avesse
scelto una
delle alternative che le aveva proposto. Il dolore e i sensi di colpa
che aveva
provato, l’odio e la rabbia verso se stessa, tutto cancellato
con un colpo di
spugna. Avrebbe potuto riavere tutto quel che aveva perso, le sarebbe
bastato
dire di sì.
«Bustin,
io…»
Un momento.
Il resto della
DJD, i suoi compagni, la sua famiglia, erano
anch’essi tutti in gioco. Se lei avesse accettato, che fine
avrebbero fatto?
«La
DJD…»
«Prego?»
«Loro
che fine faranno? Mi hanno accolta, mi hanno aiutata a
risollevarmi, sono diventati la mia famiglia, se ora dicessi di
sì cosa ne
sarebbe di loro?»
«Parli
delle stesse persone che tornano da ogni missione con
pezzi di cadaveri addosso e fluido craniale in bocca, citando il libro
di
Megatron come se fosse un testo sacro? Non è il gruppo
più savio del cosmo»
Bustin rise «Non so, immagino che anche loro al momento
stiano facendo le
proprie scelte. Non sei la sola con un passato e/o che ha perso di
vista delle
persone importanti, in un tempo remoto o abbastanza recente che sia.
Non pensare
a loro, Nicky, pensa a te. Pensa a noi, a come potrebbe essere se ora
prendessi
la mia mano. Non lasciarmi qui, Nickel» la pregò
«Non lasciarci qui, non sei
costretta a farlo».
Silenzio.
Dopo aver
abbassato brevemente lo sguardo, Nickel tornò a
sollevarlo, puntandolo dritto in quello di Bustin.
«No.
Io non posso» disse, con voce spezzata dalla
disperazione e dal rimorso «Vorrei quel che mi hai offerto
più di ogni altra
cosa, però se c’è una cosa che so
è che certi miracoli hanno sempre un prezzo.
Non posso cambiare quello che è successo e rischiare di
mettere in mezzo chi
non c’entra nulla e mi ha aiutata» alias la DJD
«Non sono ancora una persona
orribile fino a questo punto. Mi dispiace, non hai idea di quanto, ma
la mia
risposta è no. Cercherò di andare avanti, Bustin,
come ho sempre fatto da dopo
il disastro fino a qui. Addio».
E finalmente
fece l’ultimo passo.
«Ah!...»
esclamò, evitando miracolosamente di perdere
l’equilibrio.
Era arrivata
al campanile, ce l’aveva fatta.
«Nickel!»
Sollevò
lo sguardo e vide che Helex e Tesarus erano già
lì.
«Ragazzi…»
Vide anche che
sembravano piuttosto scossi.
Helex e Tesarus. Scossi!
Non che la
stupisse: se avevano passato qualcosa di analogo
a quel che aveva passato lei, era più che normale.
Probabilmente lei aveva
l’aria più sconvolta della loro, avendo il
processore che ancora si ostinava a
pensare a “come sarebbe potuto essere
se…”.
Contava sul
fatto che le passasse ma probabilmente ne
avrebbe avuto per qualche giorno, e anche quello era più che
normale.
Pochi secondi
dopo anche Kaon li raggiunse. Nessuno di loro
l’aveva mai visto tanto cupo, nemmeno in situazioni in cui
aveva rischiato la
morte.
«Non
una parola» disse, in un mormorio assente.
Comprendendo
fin troppo bene il suo stato d’animo, loro lo
accontentarono.
Passò
del tempo. Tarn mancava all’appello e Nickel, come
tutti gli altri, iniziava a preoccuparsi.
«Spunterà
tra poco» disse Kaon «Non è tipo da
farsi piegare
da alcunché, se ne siamo venuti fuori
noi…»
«Di
questo non dubito» concordò Helex «Ma
non vorrei che
quelle due maledette abbiano studiato qualcosa di particolarmente duro
o
abbiano deciso di ucciderlo e basta. Anche perché ad avere
la campana è lui,
senza quella siamo fregati».
La tensione
salì ancora ma, prima che qualcun altro esponesse
la sua preoccupazione in merito, anche Tarn completò il suo
percorso.
La maschera
che indossava era efficace nel nascondere quel
che provava, ma secondo Nickel non erano incoraggianti né il
suo totale
silenzio, né il fatto che anche gli occhi fossero coperti.
Era una copertura di
vetro rosso traslucido che a una breve occhiata dava l’idea
di star vedendo i
suoi sensori ottici senza filtri, e infatti era molto probabile che al
resto
del gruppo fosse sfuggito, ma non a lei.
Senza dire
loro alcunché e senza rivolgere loro neanche
un’occhiata, tanto da far venire il dubbio che non li stesse
vedendo affatto,
Tarn aprì la porta del campanile, trovandosi davanti un
gancio al quale infilò
la campana senza pensarci due volte.
Il gancio
salì verso l’alto e, poco dopo, il suono
cristallino della campana nera riempì l’aria per
tre volte.
Il paesaggio
attorno a loro cambiò e, trovandosi di fronte
l’arco diroccato e il paesino disabitato, capirono di essere
finalmente, veramente
fuori
da Berg Des Sees. Anche i
loro corpi erano tornati normali, privi di piume, squame e code.
Era finita.
Rimasero
immobili per qualche attimo, come temendo che un
singolo movimento avrebbe potuto spezzare quella loro
libertà ritrovata e far
scoprire loro che era tutta un’illusione,
l’ennesimo tranello. Come dar loro
torto, dopo quello che avevano passato?
A rompere la
tensione assoluta di quell’atmosfera fu Vos,
tra imprecazioni in vernacolare e rumori di catene dovuti al fatto che
stesse
cercando di divincolarsi e liberarsi da solo, ovviamente senza
successo.
«Cos-
sì, sì, ora ti liberiamo, hai ragione»
esclamò Kaon,
avvinandosi rapidamente a lui per sciogliere i molteplici nodi di
quelle catene
color ruggine «Ecco. Ehm, perché mi guardi
così? Ossia, male?» bisbigliò ai
suoi recettori audio.
Il biasimo
nelle ottiche rosse di Vos era enorme, tuttavia
non disse una parola al compagno di squadra limitandosi, una volta
liberato, a
sgranchirsi le giunture e massaggiare gli arti rimasti immobili
per… già, per
quanto?
«Purtroppo
siamo stati costretti a legarti, Vos» disse Tarn,
la cui pochissima voglia di parlare era percepibile, ma era conscio di
avere
doveri di leader da compiere «Il tuo processore non ha retto
alla vista di quel
che c’era oltre l’arco» fece una pausa
«Sei stato fortunato».
Il solo fatto
di aver detto una cosa del genere lasciava
intendere molto bene come lui, ma anche gli altri, fossero usciti da
quell’esperienza.
Vos, resosi
conto di ciò, disse che non avrebbe mai pensato
di doversi ritenere fortunato ad aver passato quindici giorni incatenato -dunque
impossibilitato a muoversi- e a
essere nutrito da henn mandate lì apposta. Aveva creduto
davvero che loro
quattro se la stessero passando meglio di lui oltre
quell’arco, per folle che
fosse.
«Intendi
dire noi cinque» lo corresse Helex, un po’perplesso
«Eravamo in cinque di là».
«Quindici
giorni» ripeté lentamente Nickel, portandosi una
mano al volto «Abbiamo perso quindici
giorni…»
Era
un’infinità di tempo durante la quale poteva
essere
successo di tutto e di più su quel pianeta abitato da
organici chiamato
“Terra”, quella che sarebbe dovuta essere ed era
tuttora la loro destinazione
finale, e in tutto ciò non avevano neppure ottenuto il
componente per cui
avevano avuto la pessima idea di dare retta a Stiria e atterrare su
quel
pianeta.
Era stata una
decisione avventata ma non avrebbero mai
creduto che quella mezza costellazione vuota e quel pianetucolo
sperduto
potessero essere dimora di qualcuno con un tale livello di potere.
Prima di
allora non avrebbero mai creduto che una cosa del genere potesse anche
solo
esistere.
«Come
ci muoviamo ora?» domandò Tesarus
«Tarn?»
Tarn, con lo
sguardo rivolto in direzione del palazzo delle
sorelle di Stiria -non visibile da lì- e tanto immobile da
far sorgere il
dubbio che si stesse forzando a rimanere fermo, parve non averlo
sentito
affatto.
Nessuno di
loro insistette, decidendo di concedergli qualche
attimo. Immaginavano cosa gli stesse passando per il processore il quel
momento, quanto dovesse essere grande la voglia di marciare verso il
palazzo di
Eribe e Vliegen e distruggerlo, catturare le proprietarie e ucciderle
dopo
lunghe, orrende torture. Peccato che non potessero fare nulla del
genere, non
quella volta, per ragioni ovvie.
«Torniamo
alla Peaceful Tiranny. Abbiamo perso tempo a
sufficienza».
Se non altro
dicendo così diede dimostrazione di aver
sentito la domanda.
Niente e
nessuno diede loro problemi di sorta nel tornare
fino all’astronave, anche le henn che li avevano attaccati
poco dopo il loro
arrivo si comportarono come se non li vedessero affatto. Probabilmente
ormai li
consideravano di casa, il che non era consolante.
«Riusciremo
davvero ad andarcene? La nave si era danneggiata
in poco tempo per il solo fatto di aver viaggiato in questa parte dello
Scorpionokor» ricordò a tutti Helex «E
ora sono quindici giorni che è ferm…»
La Peaceful
Tiranny non era mai stata né così sana
né così
splendente. Sembrava nuova, fresca di fabbrica in ogni sua minima
parte, lucida
come uno specchio.
«Avevano
detto che se avessimo vinto saremmo stati liberi di
andarcene dove volevamo. Ci hanno dato modo di farlo»
commentò Kaon.
«Non
le ringrazierò per questo» replicò,
duro, Tesarus.
Aprirono il
portello e, appena lo fecero, il cane uscì fuori
correndo per raggiungere Kaon. Il mech sorrise, un sorriso molto
più mesto dei
soliti, chinandosi per salutarlo.
«Ciao,
bello».
«Sembra
in forma» osservò Helex «Considerando
che è stato
chiuso qui per quindici giorni senza nessuno a nutrirlo».
Kaon fece
spallucce. «Beh… se è stato nutrito
Vos!...»
L’ex
scienziato lo fissò nuovamente con biasimo, però
nessuno parve farci caso.
Una volta
entrati nell’astronave e chiuso il portello non ci
fu neanche bisogno che Tarn desse ordini precisi, tutti quanti corsero
ai
propri posti per dare inizio alla manovra di decollo, che avvenne in
fretta e
senza alcun problema, segno che le riparazioni non erano state solo
cosmetiche:
la Peaceful Tiranny era tornata a posto anche nel componente che si era
rotto.
«Considerando
la posizione in cui siamo, facciamo prima a
proseguire lungo la rotta stabilita che a cambiarla» disse
Kaon «Non servirà
molto per uscire fuori da questa parte della costellazione.
Tarn?»
«Mi
basta raggiungere il pianeta Terra senza altri
problemi».
Non ci fu
bisogno di dire altro e, vedendo che il gruppo era
tornato alle proprie mansioni e nessuno sembrava avere la minima voglia
di
discutere, Tarn si ritirò nei propri quartieri. Nickel
però non aveva la minima
intenzione di lasciarlo andare via in quel modo: secondo la sua modesta
opinione non era un buon segno, nulla di ciò che aveva visto
da dopo i tredici
passi lo era stato.
Passato un
breve momento di esitazione decise di
raggiungerlo, stupendosi nel trovare la porta principale socchiusa,
come se
fosse stata un invito a entrare.
Capì
che era proprio così nel momento in cui vide Tarn
seduto a un lato del tavolo, con un cubo di energon di buona
qualità davanti sé
-non extra forte, per fortuna- e un cubo posto all’altro lato
del tavolo, con
tanto di cannuccia, ad aspettarla.
«Mi
aspettavi».
«Ho
visto come mi guardavi, Nickel».
La minicon si
avvicinò al tavolo, si sedette, prese il cubo
di energon e bevve. Per un po’nessuno dei due
proferì parola.
«Io
mi chiedo quanto fossero reali le cose che ho visto»
disse piano lei «E le persone».
Tarn rimase in
silenzio, fissando il proprio cubo di energon
con aria all’apparenza assente.
«Non
voglio chiederti cos’hai visto, solo… ho visto
persone
morte da molto tempo. Ho preso la decisione di lasciarle
indietro» proseguì
Nickel «Ma non posso fare a meno di chiedermi se le ho
lasciate lì veramente o
se nulla di quel che ho visto era reale e, di conseguenza, non ho
lasciato lì
nessuno a… non so, presumo a morire di nuovo».
«Ho
dei motivi per credere che la strega non possa riportare
in vita i morti, non sul serio» rispose Tarn, pensando alle
vecchie fotografie
di persone prive di volto «Forse quel che hai visto tu non
era reale. Invece portare
lì dentro una persona viva
prelevandola da un qualunque altro punto dell’Universo
dev’essere una bazzecola
per lei».
«Se
quel che ho visto io non era reale, non lo era neppure
quel che hai visto tu» “Forse. Mi auguro”
aggiunse mentalmente Nickel «Neanche
tu hai lasciato indietro qualcuno. Nel tuo caso potremmo anche avere
modo di
verificare presto, immagino?...»
Se anche Tarn
avesse voluto risponderle, non ne avrebbe
avuto il tempo: Kaon lo contattò tramite comm-link per una
chiamata in arrivo
da Pettinathia.
«Fammi
capire, dopo quel che ha fatto si azzarda anche a
chiamare?!» sbottò Nickel, ora preda di
un’incazzatura da manuale, mentre lei e
Tarn si dirigevano verso la sala comandi «Quella piccola
stronza! Se la rivedo
le salto addosso, le cavo i sensori ottici e glieli ficco su per il
canale di
espulsione, poi prendo quelle stramaledette lucine rosa che ha attorno
alle ali
e gliele faccio mangiare! Dopo averle buttato giù i
denti!»
Sentimenti
condivisi da tutti, però la chiamata venne
accettata ugualmente.
– L’avete poi
trovato
quel componente?
–
«STRONZA!»
gridò
Nickel.
– Oh. Questo sì che
ferisce i miei sentimenti. –
«Spero
che tu sia consapevole di meritare un posto nella
Lista. Anzi, in altre circostanze saresti già un lontano
ricordo» disse Tarn
freddamente.
– Hai preso tu la decisione
di atterrare lì, non è
un mio problema, e comunque avete avuto quel che volevate –
replicò Stiria.
«Non
che avessimo alternative rispetto a quello o tornare in
quella tua fogna di città» ribatté
Nickel.
– Sareste potuti
tornare un
po’più a nord, fuori dall’influenza
della magia, e ordinare il componente che vi serviva tramite il sito
internet
di Pettinathia
– ribatté la giovanissima seeker – Pagando qualche shanix
in più avreste anche avuto la consegna in un
giorno, avreste installato il componente, avreste cambiato rotta e a
quest’ora
sareste arrivati ovunque volevate andare, senza andare dalle mie
sorelle e
senza perdere quindici giorni di tempo. Non era difficile. In futuro
magari
tenetelo a mente, sì? –
I membri della
DJD si guardarono.
La
quantità di bestemmie e insulti rivolti a se stessi, alla
vita, a Stiria, all’Universo e tutto quanto furono tanti e
tali da rischiare di
far collassare la Peaceful Tiranny su se stessa creando un buoco nero
-metaforicamente.
«E,
di grazia» le luci dell’astronave, alle parole di
Tarn,
iniziarono a tremolare «Perché non hai proposto
questo quindici giorni fa?»
– Il più
giovane di
voi ha come minimo il doppio della mia età. Se avevate
bisogno di me per
pensare a una soluzione così ovvia, finire da Bibi e
Vlì era quello che
meritavate! Ciao cia- –
«“Ciao
ciao” un cazzo!» la interruppe bruscamente Tarn,
chiudendo la chiamata.
Dopo pochi
secondi di silenzio, il resto dei presenti iniziò
ad applaudire vigorosamente.
«Ammonimento!
Ammonimento a me stesso!» sentenziò Tarn
«Apprezzo
il vostro sostegno ma non c’è di che applaudire.
Lo faremo una volta giunti a
destinazione. Rotta verso il pianeta Terra… e cerchiamo di
non finire in casa
di altri parenti di Stiria, questa volta!»
È
finita, per davvero.
Ringrazio
tutti coloro che hanno avuto la pazienza di
leggere fino a qui e ringrazio l’ autore di
“Tredici passi alla porta del
diavolo” per aver scritto il libro in questione, dal quale
deriva la
filastrocca che avete trovato :D
Oltre a questo, per chi se lo fosse chiesto, il (sotto)titolo di questo
capitolo proviene dall'ultimo film di Sharknado. Quella strana frase in
tedesco, in lingua italiana si traduce con qualcosa tipo "Era ora"
(appropriato direi).
Una
menzione
speciale stavolta va a MilesRedwing, che
ringrazio per il suo costante sostegno :)
Arrivederci,
_Cthylla_
|
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Capitolo 10 *** ''Kaon, you wretch!'' ***
“Kaon, you
wretch!”
C’erano momenti in cui Nickel non si sentiva tanto parte di
una squadra di esecutori Decepticon, quanto piuttosto la madre un
gruppo di protoforme
la cui altezza era cresciuta, ma non la capacità di tenere
in ordine se stessi e
i propri oggetti.
Vos faceva eccezione, essere stato uno scienziato aveva
fatto sì che mantenesse un metodo tutto personale ma
ordinato di disporre e
gestire le proprie cose, però il resto della DJD meritava
solo rimproveri: Helex
e Tesarus erano un completo disastro ed era meglio non ricordare
cos’aveva
trovato l’ultima volta che aveva messo piede dove si
ricaricavano, Kaon era
tanto preciso nel gestire la Lista quanto terribilmente distratto per
tutto il
resto e Tarn, secondo lei, era il più
“strano” di tutti. Nei suoi quartieri non
esistevano vie di mezzo, c’erano parti ordinate con cura
maniacale e altre
parti, perlopiù seminascoste, in cui regnava un caos
completo. Faceva il paio
con la maniera in cui gestiva se stesso, mantenendosi sempre
più che funzionale
e, allo stesso tempo, tendendo a ignorare graffi, tagli e
quant’altro. Bastava
pensare alla sua maschera costantemente rovinata o al volto ancora in
parte
sfigurato da una cicatrice -dovuta a una lotta- che sembrava non aver
intenzione di farsi togliere.
«Possibile mai… guarda un po’ che mi
tocca fare, stare
dietro a quelle grosse macchine assassine per certe cose, ma dico
io!» borbottò
Nickel.
Dopo averlo cercato per un paio di giorni senza risultati,
Kaon le aveva chiesto se lei avrebbe potuto aiutarlo nella ricerca del
suo
datapad personale. Stando a quanto le aveva detto, l’ultima
volta che ricordava
di averlo avuto in mano era stata quando lei aveva esaminato tutti in
infermeria uno dopo l’altro, ma pur avendo dato
un’occhiata in giro non era
riuscito a trovarlo.
«Lasciano
le loro
cose in disordine, poi non riescono a trovarle e allora
“Niiiickeeeel, sai
dov’è la smerigliatrice? Niiiiiickel, sai
dov’è il mio panno blu, quello
morbido con cui lucido la scioglitutto? Niiiiiickel,
dov’è il mio datapad?”. E
poi, anche quando rispondo “prova a guardare nel tal
posto”, non riescono mai a
trovare quel che cercano nonostante lo
abbiano davanti alle ottiche!... proprio come in questo
caso!» sbuffò la
minicon, notando il datapad perduto di Kaon su un ripiano abbastanza in
alto. Si
sentiva giustificata per non averlo notato: come avrebbe potuto pensare
che
lassù si nascondesse un pad che lei non ci aveva messo?
Non aveva il jet pack sulle spalle né aveva voglia di
indossarlo, avendo concluso di poter raggiungere il ripiano con un
saltello, e
così fece; la presa sul datapad tuttavia si
rivelò poco salda, ragion per cui
il dispositivo le scivolò tra le dita e cadde a terra.
“Spero di non averlo rotto” pensò
Nickel, un po’dispiaciuta
“Forse avrei dovuto davvero usare il jet pack… oh,
per fortuna non sembra avere
danni, si è solo sbloccato”.
Dopo un sospiro di sollievo poggiò un dito sul pulsante per
bloccare lo schermo, salvo cambiare idea una volta che i suoi sensori
ottici si
posarono per puro caso sull’anteprima di uno dei messaggi che
Kaon aveva
ricevuto da un mittente non registrato tra i contatti.
C’erano parecchie foto e
qualche video, ricevuti tutti nell’arco di tempo in cui lui
aveva perso il
datapad.
Dopo un breve momento d’immobilità in cui
rifletté se fosse
più grave la violazione della privacy del tecnico o quel che
stava vedendo
nell’anteprima -o pensava di star vedendo: essendo
un’anteprima in piccolo
c’era ancora un vago margine di dubbio- decise che della
privacy di Kaon non le
importava alcunché.
:: Circa venti minuti
dopo ::
«Ehi Nickel» esordì Kaon, entrando con
tranquillità in
infermeria «In merito a quel che ti ho chiesto prima, hai poi
trovato il mio-»
«Zitto».
Inizialmente Kaon non capì nemmeno cosa Nickel gli stesse
mostrando, né perché fosse così
palesemente infuriata, poi i suoi sensori
ottici assenti si soffermarono sul datapad.
«Allora era qui davvero!» sorrise «Sono
contento che tu…»
Il sorriso scomparve appena il suo sguardo finì sullo
schermo e sulla fotografia mostrata.
«Spiega» gli
intimò Nickel
«E vedi di farlo alla
svelta, e soprattutto in modo efficace, perché al momento ho
solo voglia di
legarti lì» indicò il
“lettino” da medico «E prenderti a
frustate con… non so
nemmeno io con cosa, ma qualcosa lo trovo
senz’altro!»
«Alcuni dei porno della collezione di Tesarus iniziano
più o
meno così» disse Kaon, il cui processore era
troppo impegnato a pensare “Oh
cazzo-” per avere controllo sulla lingua.
«KAON-»
«Non so nulla di quella foto, ok?! Non sapevo di averla! Non
so dove sia stata scattata» farfugliò il
Decepticon, con visioni fin troppo
chiare e tremende sia di punizioni che non teneva proprio a ricevere,
sia della
propria testa staccata dal collo «Non so chi sia quel tizio
nudo intento a bere
energon extra forte accanto a una henn sputafuoco e NON
so chi siano quelle due femmes gemelle intente a bere a loro
volta, ma di sicuro NON sono Eribe
e
Vliegen, assolutamente no, eh!»
«Io non ho parole!» esclamò la minicon,
ritraendo la mano
col datapad quando Kaon tentò di prenderlo «T u
sei sempre stato fuori dal
gioco dal momento in cui sei stato buttato giù dal ponte,
vero?! Sei stato per
tutto il tempo insieme a quella strega bastarda e alla sua gemella che
è ancora
più bastarda di lei! Disgraziato! Non ho parole!»
«E-ehm, allora visto che “non hai parole”
puoi essere così
gentile da non parlare a Tarn o a chiunque altro di questo piccolo
particolare?
Per favore. Ti prego- ti prego» la implorò Kaon,
arrivando perfino a
inginocchiarsi «In fin dei conti non avevo scelta, ero solo
un povero infelice
in balia di una strega, proprio come voi!»
«Ah sì guarda, proprio un povero infelice,
dev’essere stato
terribile essere costretto a festeggiare e bere mentre noi eravamo
dispersi in
un IKEA infestato dai cybertroniani mannari!»
gridò Nickel, più infuriata di
prima.
Kaon le fece cenno di abbassare la voce. «Non vorrei finire
offline oggi, ecco-»
«Non è di Tarn che devi avere paura, non
riuscirebbe a
metterti le mani addosso, io arriverei prima! Magari ci guardavi anche,
mentre
eri insieme a loro, vero?! Ci hai guardati nell’IKEA, ci hai
guardati mentre
tribolavamo con le scimmie elettriche che in effetti ti somigliavano un
po’troppo-»
«Eribe ha preso ispirazione dal mio aspetto, sì,
ma io non
approv-»
«…e ci hai guardati anche mentre affrontavamo gli
skarknado,
vero?!»
«Lì ve la siete spassata, dai, avete fatto un
massacro!»
«Gli altri! IO NO!»
sbraitò la minicon, del tutto fuor dai gangheri.
«Va bene, va bene, capisco che tu sia un
po’arrabbiata col
sottoscritto» disse Kaon, alzando le mani in segno di resa
«Però sappi che io
in realtà non mi sono divertito neanche un
momento!»
Sentito ciò, Nickel fece scorrere i video nella galleria, ne
scelse uno e premette play.
Sullo schermo del datapad comparvero Eribe intenta a far
fluttuare in aria uno strumento musicale somigliante a quello che certi
organici avrebbero chiamato tromba, Vliegen accanto allo sportello di
un forno
semiaperto e Kaon con due grossi coperchi di metallo tenuti uno per
mano.
– E uno! E due! E un,
due, tre!
La tromba iniziò a suonare da sola, e in seguito Kaon e
Vliegen si unirono sbattendo a tempo i coperchi di metallo e lo
sportello del
forno.
Delle luci da discoteca e il suono di un sintetizzatore resero
la scena ancor più assurda una manciata di secondi dopo.
Se Kaon fosse stato organico avrebbe iniziato a sudare
freddo . «Questa… potrebbe essere stata
un’eccezione, magari, te lo concedo,
ma-»
«Un’eccezione, eh? Allora che mi dici di questa
foto di te
che giochi a carte contro la henn vestita da postina?!»
«Ah, qui è quando stavo imparando a giocare a
valtti» alias
un gioco terribilmente simile alla “briscola” cui
giocavano certe specie
organiche «Non hai idea delle batoste che quella henn mi ha
dato durante le varie
partit-ehm, volevo dire, sono stato costretto, sai bene anche tu che
oppormi
era impossibile, sono treme-»
«Vuoi dire “tremende”? Immagino che lo
pensassi anche qui»
fece partire un altro video «Mentre tu e il cane volavate in
groppa alle henn
giganti! Ti rendi conto?! Ti hanno perfino lasciato uscire dal
palazzo!»
«Ero impotente, non avrei potuto scappare e aiutare nessuno
in alcun caso quindi, anche se avrebbero potuto, non avevano motivo di
tenermi imprigionato
o legato da qualche parte» cercò di spiegarle il
mech.
«E a
proposito di “legato”,
hai anche lasciato Vos incatenato per quindici giorni! Ora ho capito
perché ti
guardava male, e io che credevo fosse stata solo una mia impressione!
Ecco
perché ha detto che eravamo in quattro
dentro a Berg des Sees e non in cinque!»
«Non avevo il permesso di slegarlo, però avrei
voluto, credimi»
disse Kaon, con l’aria di chi si sentiva un po’in
colpa, grattandosi la nuca
metallica «Non so come abbia fatto Vos a capire che ero
fuori, di sicuro non mi
ha visto. Ho pensato che potesse avermi sentito le volte in cui sono
andato dal
cane, in fin dei conti la Peaceful Tiranny non era troppo lontana
dall’arco e
tutt’attorno c’è solo silenzio,
però non aveva prove fisiche della cosa, per
cui non ha dett-»
«Sta di fatto che tu sei stato a lì a bere, a
divertiti, a guardare
vecchie serie televisive, a strafogarti di
enerpizza…»
«Nickel-»
«… e a scoparti la cazzo di strega insieme alla
sua cazzo di
gemella!» strillò Nickel, la voce più
alta di un’ottava rispetto al solito.
«Che?! No, questo non l’ho fatto!»
negò con fermezza il
Decepticon «Non ho portato nella cuccetta né una
né l’altra, te lo posso
giurare su Towards Peace».
«I giuramenti su Towards Peace valgono solo se sei Tarn, e
tu non sei Tarn, tu sei solo un cretino! Come puoi pretendere che ti
creda?!
Qui avevi il cavo al vento!» ribatté Nickel,
sbattendogli in faccia la prima
fotografia «E anche in altri video e in altre fotografie! Mi
prendi per
scema?!»
«Nickel, se fosse per me io starei col cavo al vento anche
qui! Mi aiuta a stare concentrato» si giustificò
il mech «Se avessi potuto
farlo anche qui magari non avrei nemmeno perso il datapad. È
che una sera in
cui ero piuttosto ubriaco mi sono tolto la protezione inguinale, le
gemelle
hanno detto che non avevano problemi a riguardo e quindi da
lì in poi- ehi!»
esclamò, bloccando la mano destra di Nickel appena prima che
raggiungesse la
sua faccia.
«E in tutto questo io, Tarn, Helex e Tesarus passavamo
l’inferno!»
«Non fare così! Non potevo oppormi!»
«Non potevi opporti, è vero, infatti il problema
è che tu te la sei goduta!
DISGRAZIATO!»
Kaon ormai conosceva Nickel abbastanza bene da sapere che
aveva un certo caratterino, tuttavia nella situazione attuale gli
sembrava un
po’diversa dal solito. Era normale che fosse arrabbiata dopo
aver trovato
quelle foto e quei video, però in condizioni normali non era
così, come
definirla? “Isterica”? Forse non era proprio quello
ma poco ci mancava.
«Hai dei motivi validi per essere infuriata ma ricorda che i
tredici passi non li hanno risparmiati nemmeno a me» disse
Kaon, bloccando
anche l’altra mano di Nickel «E non so cosa pensi
tu ma io, considerando quel
che ho visto, sono piuttosto convinto che siano stati il peggio di
tutto! Avrei
preferito mille volte non subire quelli ed essere stato con voi per
tutto il
tempo, inclusa la parte nel palazzo sott’acqua…
cheee io non ho visto perché da
dopo gli sharknado ero stato spedito a fare e guarnire muffin, ma
questo è un
dettaglio».
Nickel cercò senza particolare successo di liberare i polsi
dalla presa di Kaon. «Non mi parlare dei tredici passi, non
me ne parlare
affatto! Ormai sono passati quattro giorni, pensavo che mi sarebbe
passata,
pensavo-»
«Perché, tu credi che il resto di noi stia meglio?
Non abbiamo
parlato della cosa tra noi ma ora che lo stiamo facendo lo dico: a me
non è
ancora passata» affermò Kaon «E secondo
me nemmeno agli altri. Tesarus parla
ancor meno del solito e non si lamenta perché si annoia, ho
trovato più volte
Helex che si aggirava nei paraggi della cucina all’ora in cui
teoricamente
dovremmo andare in ricarica perché ha difficoltà
a prendere sonno, e Tarn… non
so, avendo sempre la maschera non si capisce molto, a lui magari
è passata, ma
d’altra parte se è il leader
c’è più di un motivo».
Nickel avrebbe avuto diversi dubbi da esprimere riguardo come
stesse Tarn, in verità era piuttosto convinta che non gli
sarebbe passata per
davvero fino a quando avesse verificato se nei tredici passi aveva
lasciato o
meno indietro qualcuno -e la
minicon
sperava di no- ma,
per rispetto verso di
lui, li tenne per sé.
«Sì, su questo hai ragione».
Vedendola meno desiderosa di staccargli il naso a suon di
schiaffi, Kaon la lasciò andare. «Non voglio
chiederti cos’hai visto né ho
voglia di parlare di cos’ho visto io» disse
«Ma sono convinto che a breve
tornerà tutto normal- ahio!»
esclamò,
massaggiandosi la nuca appena colpita.
«Questo te lo meritavi in ogni caso per aver quasi fatto
amicizia col nemico!» dichiarò Nickel.
«E… intendi dirlo a Tarn?»
La minicon sbuffò. «No. Al momento ho bisogno di
un aiutante
per pulire a fondo l’infermeria, lucidare i miei attrezzi e
disporli in ordine
di grandezza e frequenza d’uso. Oh, e i miei turni di pulizia
te li cederei
volentieri. Sono sicura che non vedi l’ora di metterti al
lavoro, giusto?»
«Almeno i turni di pulizia potrei evitar…
d’accordo, va
bene, come non detto» sospirò Kaon, conscio di
essersela cavata con poco.
«Ecco, bravo».
Ci fu una breve pausa di silenzio durante la quale a Nickel venne
in mente più d’una domanda. Era restia a farle,
avrebbe significato mostrare
interesse verso persone che avevano fatto passare l’inferno a
tutto il gruppo
ma alla fine, come suo solito, non poté evitare di dire quel
che le passava per
la testa.
«Come hai fatto ad andare d’accordo con quelle
due?! Se
somigliano a Stiria-»
«Pfff! No. Nessuna delle due le somiglia granché,
Eribe
ancor meno di Vliegen, che delle due gemelle è la
più stronza e non ha problemi
a riconoscerlo. Voglio dire, riesci a immaginare Stiria che gioca a
carte con le
henn a Pettinathia?»
«Direi di no».
«EH! A proposito
di Pettinathia, dato che ormai sei venuta a conoscenza del resto tutto
posso
dirti quel ho saputo dalle sorelle di Stiria!»
esclamò Kaon, tornato a
sorridere come suo solito al pensiero «Ricordi quando ci
siamo stati e ho
raccontato a te e Tarn di Dhambrexia? La ex proprietaria di
Pettinathia, quella
morta di overdose, quella della colla di valvola e di Paco e
Ta-»
«Mi ricordo, mi ricordo, basta così, non
aggiungere altro!»
lo interruppe Nickel «Cos’hai saputo?»
«Dhambrexia non si è sempre chiamata
così. Prima si chiamava
Laminga» le
rivelò Kaon, cercando di
restare serio «Ti dice nulla questo nome? L’hai
sentito di recente!»
«Effettivamente mi suona familiare ma non saprei-»
«Laminga e Tesarus».
Nickel sgranò gli occhi. «Tesarus ha nominato
quella tizia
durante la battaglia con gli sharknado, ora ricordo! Quindi lui sarebbe
stato
con…»
Kaon annuì. «Dhambrexia, sì! E non ne
ha la minima idea!»
Nickel si coprì il volto con le mani. «Siete uno
più
disgraziato dell’altro, ragion per cui» mise in
mano a Kaon un panno e del
lucidante «Inizia a rimediare! Al lavoro!»
Un po’per raggiungere una cifra tonda, un
po’per rispondere a certe domande che
potevano nascere nel precedente capitolo, ho scritto questo bonus.
Spero lo
abbiate gradito :)
Alla prossima,
_Cthylla_
In allegato eccovi la fotografia che Nickel ha mostrato per prima xD
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