finalmente a Casa!

di Cdegel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** finalmente a Casa! ***
Capitolo 2: *** ricostruire ***



Capitolo 1
*** finalmente a Casa! ***


I personaggi di Saint Seiya appartengono al loro autore, M. Kurumada. Il solo personaggio qui inventato è Elessar, già presente nelle mie ff. questa ff è scritta senza scopo di lucro.
Buona lettura!
Era mattina, probabilmente già mattina inoltrata, l’influenza lo aveva reso sonnacchioso. Così lo aveva definito lei, poche ore prima, alzandosi e rimboccandogli le coperte mentre lui la salutava con gli occhi socchiusi.
Era domenica? Era comunque fine settimana, di questo era certo. O era lunedì? Lo studio di Elessar era chiuso anche il lunedì. Lui con quel febbrone che gli era venuto, non avrebbe comunque potuto recarsi al Tempio, aveva avvisato Shion già da un paio di giorni.
Ma, se era lunedì, di chi era l’altra voce che sentiva?
Tese l’orecchio. Riconobbe la voce e sorrise tra sè, per un momento, poi aggrottò le sopracciglia, in quel gesto ormai così ovvio, che ci fa qui?
Nonostante le articolazioni doloranti, odiava l’influenza, non si era quasi mai ammalato prima della prigionia e non aveva mai smesso di subire i postumi dell'intossicazione, si alzò, gli cadde il ghiaccio che lei gli aveva posato sulla testa. Riesco a rinfrescarmi da solo, ricordava di averle detto, stai buono, gli aveva risposto, e il tono non aveva ammesso repliche.
Doveva ammettere che avere qualcuno che si prendeva cura di lui con tanto amore, non gli spiaceva affatto. Tuttavia abbandonò lì il ghiaccio. Alzandosi lo riprese, però, perché il mal di testa, era davvero fastidioso.
Si avviò in direzione del soggiorno, le voci arrivavano di lì.
“Bensvegliato” gli aveva sorriso lei.
Era ancora mezzo addormentato, era evidente, la maglia stropicciata dal continuo rigirarsi nel letto alla ricerca di un angolo fresco, voglio la Siberia, aveva mormorato la notte. Scoprendosi completamente, per poi lamentarsi del freddo, mentre lei lo ricopriva con delicatezza.
 I pantaloni a righe, adesso che se ne stava lì, in piedi, raggiungevano a stento i fianchi, lasciando scoperti parte dei boxer scuri che indossava e si ripiegavano al fondo delle gambe. Erano di una taglia più grande della sua. Ma amava stare comodo, la notte. Ma, la cosa che immediatamente risaltava, che non poteva passare inosservata perché lì dentro c’erano i piedi di Camus di Aquarius, l’uomo di ghiaccio, quello serio, freddo, impassibile eccetera, erano quelle improbabili grosse babbucce a forma di orso bianco. Due ammassi di pelo bianco, con occhi neri, con tanto di bocca spalancata e di aguzzi denti di lana. Le avrebbe mai indossate se non gliele avesse regalate lei? Si era chiesta, vedendolo entrare.
“ ’Giorno” aveva risposto premendosi la borsa del ghiaccio sulla fronte e strisciando letteralmente fino alla poltrona più vicina
“Non stai ancora bene?” gli aveva chiesto. Era da lui fare domande di cui già conosceva la risposta, lo aveva sempre fatto e non era mai riuscito a fargli cambiare questa abitudine. Eppure Milo lo vedeva di rado, da bambino. Mal’aveva presa da lui quella strana usanza. Questo era certo. Avevano due caratteri così simili, quei due. Due caratteracci. Li definiva, ben sapendo che i due definivano con le stesse parole il suo. Balle.
“Non molto” gli aveva risposto, gettandosi sulla poltrona. poggiando indietro la testa “ma tu… cosa fai qui?” aveva chiesto con gli occhi chiusi e la mano che premeva il ghiaccio sulla fronte
“Ecco. Mi serve. Un consiglio” a quelle parole si era svegliato. Gli occhi socchiusi, ancora assonnati si erano fatti immediatamente vigili. La borsa del ghiaccio era finita accanto a lui sulla poltrona. Probabilmente anche il mal di tresta, er apassato in secondo piano.
“Spara” aveva detto, aspettandosi qualunque tipo di problema, dal più semplice al più complesso, dal più assurdo al più banale. Isaac era così.
“Vuole che ci iscriviamo all’università” aveva esordito, corrucciato
“Chi?”
“Sage”
“Ha ragione” gli aveva risposto con tranquillità “l’istruzione è fondamentale, anche per un Saint” aveva cercato di mantenere quel contegno che gli aveva sempre permesso di parlare con autorità ai suoi allievi. Sebbene sapesse che il suo aspetto, in quel momento, era ben lontano dall’essere autoritario, in quelle condizioni. Cercò di nascondere i due grossi e caldi orsi che ricoprivano i suoi piedi dietro la sedia.
“No. Non ha ragione” disse subito secco
“Perché non avrebbe ragione?” gli chiese incuriosito. Non fare casino, per una cosa simile, dai.
“Proprio perché sono un Saint”
“Quindi dovresti solo saper menare le mani? Non stai dicendo questo, vero, Isaac?”
“No”
“E quindi, dov’è il problema?” è che non hai nessuna voglia di metterti ad aprire certi libri, ragazzo
Lei li aveva lasciati soli a discutere, era così bello vederli sereni, a discutere di cose così normali, anche se continuavano ad essere due Saints del Tempio.
“Ma, io ho vent’anni, non è tempo di iniziare quell’università”
“quando pensi di iniziarla? Verso i trenta? Hai bisogno di così tanto tempo per decidere la facoltà?”
“Ma no, non è questo”
“E allora?” si era rizzato sulla poltrona. La sua pazienza si stava già esaurendo. “dove sta il problema?!”
“E’ che” come dire al suo Maestro, così istruito, che non smetteva mai di essere assetato di nuova conoscenza, che lui di rimettersi a stare chino sui libri non aveva nessuna voglia?
“Tu non hai voglia” gli disse
“E’ così. Non ho voglia. Non di fare quello che ha deciso Sage per me” ammise miseramente
“Ma non puoi limitarti solo di quello che hai imparato in Siberia, Isaac. Durante l’addestramento, da me hai imparato a combattere, ma hai avuto solo poche nozioni fondamentali riguardo lo studio. Non puoi accontentarti. Non basta per una vita intera. Ha ragione Sage”
“Finora è stato più che sufficiente” disse contrariato
“Finora abbiamo combattuto. Ma. Adesso. Hai la possibilità di avere un futuro migliore. Hai la possibilità di guardare oltre le lotte.”
“E devo mettermi a studiare ingegneria!?”
“E’ questo che dovresti fare, secondo Sage?”
“Sì. Dice che sono stato molto bravo a far ricostruire il passaggio, così in breve, ti ricordi?”
Annuì. Sei stato più che molto bravo, Isaac, ci hai dato una via di scampo, senza te, Albafica, Minos ed io saremmo rimasti prigionieri. E non credo ne saremmo usciti vivi, quella volta.
“Dice che quel passaggio è tutt’ora molto sicuro. E ne è rimasto molto ben impressionato. Dice che ho le capacità per diventare un ingegnere. Un grande costruttore. Ma io. Non mi va. Non mi ci vedo.”
“Che altro vorresti fare?”
“Io. Vorrei una vita semplice. Non voglio diventare un ingegnere. Non progetterò ponti o nuovi templi. O gallerie o arene o palazzi o simili per il tempio”
“Che cosa vorresti TU?” gli chiese, con dolcezza, stavolta
“Coltivare. Vedere crescere quella natura che in Siberia non c’era. Viti e Ulivi.” alzò finalmente nei suoi, gli occhi verdi
Gli sorrise. “E perché non lo dici a Sage?”
“Io. Lo deluderei. E. Deluderei te”
“Non puoi deludermi” gli sorrise
Elessar rientrò in soggiorno con la colazione
“Glielo ha detto?” si rivolse ad Isaac
Scosse la testa
“C’è altro?” gli chiese Camus
Annuì. Ma abbassò lo sguardo sulle sue mani. Come fosse in imbarazzo. Camus si alzò, sedendo di fronte a lui al tavolo.
Isaac alzò lo sguardo sul suo maestro. Provò un moto di affetto verso di lui. Come un padre. Tornò ad abbassare lo sguardo.
“Allora?” gli chiese di nuovo
“Beh. Io. Mi. Manca” ma non riuscì a continuare la frase
“Cosa, ti manca?”
“Quando. Quando. Mi manca. Casa” ammise “Mi manchi. Tu”
Anche tu mi manchi. Mi mancate entrambi. Ma ormai siete adulti e quel tempo non tornerà mai più. Anche se mi sarebbe piaciuto, vedervi ancora, cenare con voi, almeno ogni tanto. Come. Come. Come una famiglia. Con voi. Con Elessar. Tutto ciò che ho di più prezioso. E Milo, e Agasha, che vivono comunque qui vicino.
“Quello che ti dovrebbe dire, ma ha imparato bene da te a non trovare le parole, è che ci sarebbe la possibilità di stare insieme, come eravate un tempo” intervenne lei. Vedendo sul viso di entrambi uno slancio di gioia, di sorpresa “La casa è grande e al piano di sopra è vuota. Potrebbe venire a stare qui. E anche Hyoga, se vuole, se volete, se per voi va bene. Ne stavamo parlando prima che tu ti svegliassi”
I due si guardarono. E capirono immediatamente ciò che pensava l’altro
“Ma ti iscriverai all’università” gli disse puntandogli il dito contro, sporgendosi verso di lui sul tavolo
“Non ingegneria” disse Isaac incrociando le braccia, appoggiandosi allo schienale
“No. Sceglierai la facoltà adatta a ciò che vuoi fare tu, nella tua vita, ma ti ci impegnerai. Niente baldoria. Niente ragazze nuove ogni sera. Si esce solo nel fine settimana. Hai anche gli impegni al tempio, non te lo dimenticare” gli disse con fermezza, come aveva sempre fatto, fissandolo intensamente negli occhi
“Vedi? Fissa già i paletti” gli sorrise lei “Bentornato a casa, Isaac” scompigliandogli dolcemente i capelli
Poi si rivolse a lui “C’è bisogno di mobili”
Camus impallidì “Scommetto che adesso ci sarà l’urgenza di andare da IDEA”
“esatto” rise Elessar. Sapeva bene che per Camus, frequentare i luoghi affollati come quel mobilificio, in cui le code per ritirare la merce aerano interminabili e la ricerca di qualunque pezzo andava a perdersi nei meandri degli scaffali, era una vera tortura. Gli orsi non li aveva solo ai piedi, ma anche dentro. Un orso di peluche, si disse.
“Io ho l’influenza. Quanto sto male” disse riprendendo la borsa del ghiaccio, posandosela in testa e poggiando la testa al braccio, sul tavolo “andate voi”
“Va bene, andiamo noi due. E comprerò anche dei piatti, tazzine, bicchieri”
“Vengo anche io” disse alzandosi. L’influenza era passata, così, all’improvviso. Era bastato visualizzare il reparto stoviglie del negozio nella sua mente e le infinite possibilità di scelta che avrebbe avuto lei.
“la credenza trabocca di queste cose, Elessar” provò a dire
“ne prendo giusto un paio” gli sorrise abbracciandolo e stampandogli un bacio sulle labbra. Un paio. Solo un paio. Il fatto è che ogni volta, ne prendi un paio. Più paia. Per l’esattezza.
Lui la strinse. Finalmente la sua vita si stava ricomponendo. Tutto il male vissuto sembrava lasciare il posto ad un presente felice. Tutte le persone che amava, la sua famiglia, si stava riunendo. Strinse a sè l’allievo, che si era alzato, come se si sentisse di troppo, lo agguantò e lo strinse con lei tra le sue braccia. Averli entrambi vicini, era tutto ciò che desiderava.

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Capitolo 2
*** ricostruire ***


Lo sentì scendere le scale con solita foga, sembrava dovesse abbattere il muro, aprì l'ingresso ed entrò nel soggiorno portando tra le mani quella scatola, come avesse avuto un tesoro. 
Viveva con loro da qualche mese, ormai.
Sebbene Elessar, conscia del fatto che un ventenne desiderasse i propri spazi, avesse ricavato un piccolo appartamento al piano superiore, questo veniva utilizzato praticamente solo per dormire, mentre il tempo era trascorso per lo più insieme, come ora, cosa che era certo, rendeva felice lei quanto lui.
Si incuriosì, ma subito non disse nulla. Non sia mai che potesse sembrare curioso davvero. 
Continuò a leggere il nuovo trattato sui buchi neri che aveva appena acquistato. Una nuova argomentazione molto interessante. Seguì le sue mosse pur senza farsi notare. Credeva di averlo fatto, almeno.
All'improvviso lui piombò sul divano sedendosi dalla parte opposta.
Non te la darò vinta. Sorrise tra sé. Continuò imperterrito a leggere
"Lo so che ti stai chiedendo cosa è questo" lo provocò
"..." Non gli rispose
"Smettila di fare finta di leggere" continuò "ti stai chiedendo cosa è" insistette ridendo, stavolta.
"E che cosa sarebbe?" Chiese continuando a fissare ostinatamente il libro
"Guarda!" Rispose trionfante, felice che i suoi occhi finalmente posassero su quell'oggetto impolverato
"Te lo ricordi?" Annuì, e Isaac lesse lo stupore e un chiaro lampo di gioia nei suoi occhi
"Questo fu un regalo di Milo, Mu e Shura. Per noi, perché avevo detto loro che... avrei voluto costruire qualcosa con voi"
"E noi non abbiamo mai voluto farlo..." ammise Isaac. Credevo fosse noioso e anche che fosse inutile per un futuro Saint dedicare del tempo a questo. Credevo che avremmo avuto tempo per farlo una volta terminato l’addestramento. Continuò "L'ho portato con me. Quando Milo venne a riprendermi all'isba. Dove mi avevi riportato tu. Era ancora dove l'avevamo posata... Quel giorno... Io... Mi mancava così tanto. Casa. Volevo qualcosa. Di noi. Di. Ciò. Che. ERAVAMO"
Lui fissava ancora quella scatola, assorto, forse lo aveva rattristato, gli aveva ricordato qualcosa che ancora gli faceva male?
"Camus? Stai bene?" gli chiese il ragazzo, con un poco di esitazione
"Certo che sto bene. Adesso sto bene davvero. E. Isaac. Noi. SIAMO." gli rispose guardandolo finalmente negli occhi.
Sorrise felice Isaac "Stavolta lo facciamo! Ti va Camus?" Gli chiese con entusiasmo
"Sei sicuro?" Lui lo guardò un po' perplesso
"Certo che sono sicuro!" rispose Isaac con convinzione
"Sono sempre 9000 pezzi, come allora" incrociò le braccia
"Si sono ancora 9000, credo, spero, ma adesso... Adesso possiamo provarci. Se TU vuoi"
Annuì. "Sì"
Si alzarono entrambi. Il libro restò lì, sul bracciolo del divano. Avrebbe potuto attendere.
Isaac posò la scatola sul tavolo, passando una mano sul coperchio coperto di polvere per poter rivedere l'immagine del loro tesoro
"Avresti potuto spolverarla" lo riprese
"Anche la polvere ha il suo perché" rispose. Si avrei potuto spolverarla ma non sarebbe stato lo stesso. Questa polvere ha ricoperto quello che eravamo e io lo rivoglio indietro. Il tempo con la mia famiglia. Quel passato mi manca ancora. Non mi basta essere qui. Voglio il presente, il futuro. Ma anche il passato. Il nostro.
"Questo era il ... Giardino delle bellezze" azzardò. Sicuro che Camus avrebbe puntualizzato, se si fosse sbagliato. Non avrò mai la tua conoscenza, e ho ancora bisogno della tua guida. Ho bisogno di te.
"Il Giardino delle Delizie Terrestri, Isaac. È un'opera di Bosch" puntualizzo Camus
"Quanto è grande una volta finito?" Chiese sorvolando, ben sapendo che poche ore dopo lo avrebbe già dimenticato, il titolo dell'opera
"Parecchio, ma non ricordo quanto" rispose Camus e prese la scatola, passando la mano sopra alla polvere lui stesso per cercare le dimensioni "240 x 136" constatò.
"E dove avresti voluto metterlo all'isba un quadro simile?!" Chiese stupito il ragazzo
"All'isba lo avremmo soltanto iniziato. O finito e lasciato a pezzi. Per poi ricomporlo... Se..." disse Camus, aprendo la scatola con attenzione
"Se?"
Sorrise. Fissando il sacchetto ancora legato con quel pezzo di tessuto logoro "Se avessimo mai avuto un luogo da chiamare casa. In cui... Stare bene. Bene davvero. Senza gli affanni delle lotte” abbassò lo sguardo, e anche il tono della voce divenne un sussurro “Senza dover temere di perdere chi amo" ammise con un filo di voce. Probabilmente non stava parlando con lui, ora ma con sé stesso. Finalmente. Sei riuscito a tirarlo fuori. Ad ammetterlo. Quanto ti pesava. Il timore di vedere le persone a cui tieni rischiare la vita. Proprio tu, che hai sofferto più di tutti noi. Eppure non ti sei mai arreso. Hai dato tutto te stesso, fino in fondo. Io ti ammiro Camus. Vorrei essere come te.
"Qui. Ora. È CASA?" Gli chiese Isaac
"SI" rispose Camus alzando di nuovo nei suoi, gli occhi blu "Allora? Lo costruiamo?" Gli chiese di rimando
"Si. Stavolta si" convenne Isaac "Poi dove lo appenderemo? È enorme"
"Troveremo una parete libera... Forse, o ne libereremo una” rispose lui, aprendo il sacchetto per la prima volta dopo tanti, troppi anni.
"Da dove cominciamo?" Isaac si appoggiò coi gomiti sul tavolo, divaricando le gambe piantandosi bene al suolo, come faceva quando doveva iniziare qualcosa di importante
"Ognuno ha la sua teoria..." Iniziò Camus
"Dalla cornice!" Rispose Hyoga entrando, quasi in punta di piedi.
"Cosa aspettavi ad entrare tu?" Gli chiese Camus, da un po' si era accorto della sua presenza, ma non aveva voluto insistere perché entrasse. Era ancora fragile il loro rapporto, se ne rendevano conto entrambi, nonostante gli sforzi di Elessar e di Isaac.
"Beh.. non sapevo se avresti voluto… farlo..." Ammise
"L'ha tirato fuori lui, ma non sapeva se proporti di costruirlo..." Disse Isaac a Camus 
"Sì è ora di costruirlo" sorrise con calore Camus a Hyoga. Di ricostruire noi. Riprendere ciò che eravamo e farlo diventare ciò che siamo. Siete la mia famiglia. Anche tu.
"Allora iniziamo dalla cornice?" Chiese Hyoga, come quando era bambino
"Si fanno dei pezzi indipendenti... Così si deve fare!" disse Isaac con impeto
"Prima dobbiamo trovare un posto in cui costruirlo in modo da non doverlo continuamente spostare" concluse invece Camus
"Quel tavolo? Non lo usiamo mai" Hyoga indicò il grosso tavolo massiccio in un angolo del soggiorno. 
"Quello della nonna di Elessar?" Chiese Camus
Annuì.
Camus si sorprese di come, anche in piccole cose come queste, in qualche modo, un qualcosa di lei fungesse da sostegno a loro tre, in un modo del tutto silenzioso. 
"Ok" Isaac si stava già dirigendo al tavolo con il sacchetto aperto
"Se perdi i pezzi... Cominciamo bene" Gli corse dietro Hyoga raccogliendoli
Ci saranno davvero ancora tutti? Si chiese Camus, quasi certo di averlo richiuso, un tempo, prima che i due ragazzi, ne facessero uno scempio.
Li raggiunse, mentre erano già intenti a litigare. Come un tempo. Come ora. Come sempre.  
"Finitela o ve lo fate da soli" intimò loro ridendo. Sperare che non litigassero su tutto, era un'utopia. Forse era il loro modo di ricostruirsi dopo quella frattura che li aveva spezzati. Che aveva spezzato anche lui e Hyoga e che entrambi faticavano a risanare. Nonostante lo volessero.
Litigavano per sciocchezze. Spesso. Isaac e Hyoga. 
La sera precedente li aveva sentiti discutere, al piano di sopra
"Che diavolo hanno?" Aveva chiesto ad Elessar
"June... Che neanche li considera..."
"Mh... allora lasciamoli litigare" aveva detto lui baciandole le labbra "Saranno troppo intenti a farlo e non baderanno ad altri rumori". Le aveva detto, a fior di labbra, chiudendo la porta della camera da letto.

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