The broken spell- A Hogwarts Mystery Adventure

di Viola Banner
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX ***
Capitolo 10: *** Capitolo X ***
Capitolo 11: *** Capitolo XI ***
Capitolo 12: *** Capitolo XII ***
Capitolo 13: *** Capitolo XIII ***
Capitolo 14: *** Capitolo XIV ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


CAPITOLO PRIMO
«Julia Lee».

Due mani si aggrapparono al mio braccio e mi scossero con energia strappandomi al sogno ad occhi aperti, se così si poteva chiamare, in cui mi stavo letteralmente immergendo minuto dopo minuto. Una sorta di dissociazione mente-corpo nel bel mezzo dello Smistamento in una delle scuole migliori del mondo della magia. Chi come me non avrebbe fatto i salti di gioia udendo il suo nome e raggiungendo con ansia il Cappello Parlante che lo avrebbe finalmente smistato in una delle Quattro Case storiche? Risposta: qualcuno che non ero io. Avevo sentito dire da mia madre qualcosa a proposito di giovani figli di maghi che però non erano stati ammessi alla scuola per qualche ragione legata alla discendenza. Ad ogni modo, stavo per andare incontro al mio destino, un destino che si prospettava ricco di opportunità, e avevo l’entusiasmo di un lombrico.

«JULIA LEE!».

«Vai!». Mi sibilò la ragazza del treno, la stessa che mi aveva strattonato e che mi ero trascinata dietro per tutta Diagon Alley. R qualcosa si chiamava. Vedendo che non mi muovevo mi assestò una gomitata nelle costole e barcollai da un lato per la sorpresa, urtando contro una ragazza dai capelli biondi. Rischiando di inciampare andai verso la donna che si era presentata come la vicepreside un istante prima che varcassimo la soglia di quella gigantesca stanza. Minerva Mc…Mc…Il suo sguardo si posò su di me e una ruga sottile comparve tra le sopracciglia sottili. Avevo sentito dire che non era di una simpatia disarmante eppure c’era qualcosa di rassicurante nei suoi modi. Rigidi ma mirati. Almeno non avrebbe piazzato brutti voti senza motivo. Mi fece cenno di sedermi con un movimento secco della testa. Mi accomodai sullo sgabello rendendomi conto di quanto effettivamente fossi alta. Dovevo distendere le gambe per rimanere seduta e la cosa mi trasmise una punta di preoccupazione. Quanto ancora sarei cresciuta in sette anni? R mi superava in altezza ed era molto magra. Forse avrebbero preso di mira prima lei di me.

Contrassi le dita in attesa del verdetto. Avvertii su di me decine di sguardi, una gamma di emozioni che andava dalla sorpresa alla noia. Cercai di sorridere sebbene mi sentissi i denti calcificati.
Poi, finalmente, il cappello gridò.

«Serpeverde!».

Dal tavolo con lo stemma verde argento si levarono applausi, tuttavia fui accolta con meno entusiasmo rispetto a chi mi aveva preceduta.. Mi accomodai tra di loro, inseguita da un incessante brusio. Il preside, il professor Silente, mi seguì con lo sguardo e quando incrociai il suo ammiccò. Vennero smistate altre dieci persone tra cui la ragazza del treno, R, che raggiunse il nostro tavolo saltellando e si accomodò con un movimento fluido accanto a me.

«Siamo Serpeverde!». Esclamò neanche ci trovassimo alla fine dell’anno, in attesa di ricevere la Coppa delle Case. Non sapevo cosa dire, Jacob non mi aveva munita di un riassunto esaustivo sulle Quattro Case e quello che sapevo non era sufficiente a farmi un’idea o lo avevo dimenticato.
La vicepreside portò via il Cappello Parlante e Silente finalmente fece il suo discorso che durò un’eternità. Quando fu certo che ci fossero abbastanza stomaci sofferenti battè le mani e i tavoli si riempirono di leccornie. Io ed R ci fiondammo su una faraona alla griglia dimenticandoci dell’estenuante viaggio e del fatto che avessimo fatto fuori tre quarti della scorta di dolci disponibili a bordo del treno.
Ad ogni boccone mi chiedevo se tutto ciò era vero, se veramente mi trovavo lì e non nella mia stanza a fissare la campagna. Avrei scritto a mia madre quanto prima. L’avrei resa entusiasta almeno per un po’.

Dopo la cena ci fu detto di seguire il Prefetto della nostra Casa che ci avrebbe scortati nel nostro Dormitorio. L’idea non era male; crollavo dal sonno e mi era venuta una leggera nausea. Ciondolai fuori dalla Sala Grande e incrociai per caso lo sguardo della ragazza bionda che avevo urtato mentre raggiungevo il Cappello. Mi sorrideva. Era molto graziosa.

La voce di R mi entrò fastidiosamente nelle orecchie.
«Il nostro fondatore è Salazar Serpeverde, si narrano parecchie storie brutte su di lui ma io sono sicura che in fondo era molto più determinato degli altri».
«Ah sì?». Risposi mentre cercavo con lo sguardo un punto in cui sgattaiolare per raggiungere il resto del gruppo che ci stava rapidamente distanziando.
«Oh, non credo fosse così crudele. Sapeva parlare con i serpenti e non andava molto d’accordo coi suoi compagni. E, ma questo è un parere personale, penso che fosse un gran bell’uomo».
Oh cielo, ci credeva veramente? Però almeno lei sapeva qualcosa sulla storia della nostra scuola. Io…

R smise immediatamente di cianciare non appena le luci attorno a noi, quelle calde e accoglienti del castello, diminuirono lasciando spazio a lievi bagliori smeraldini. Anche le voci dei miei compagni diminuirono di volume. Ci stavamo avvicinando al nostro dormitorio e io avevo lasciato il mio golfino nella valigia.
Il Prefetto, un ragazzo che mi ricordava un Chihuahua stizzito, si fermò poco dopo una stretta curva scavata direttamente nella roccia. Scorsi un quadro. Una donna impomatata che reggeva una specie di brocca su sfondo nero. Sperai di non doverci mai intrattenere una conversazione.

«Buonasera Felix». Salutò in tono mieloso.
R accanto a me sussultò e applaudì con energia. Le pestai un piede.
«Buonasera Isolda». Rispose lui.
«Non direi proprio. Parola d’ordine».
«Ingiustizia».

Isolda piegò le labbra in un sorrisetto deluso e si fece da parte rivelando un passaggio oltre il quadro.
Con mia sorpresa nessuno gridò o si entusiasmò come aveva fatto R, tutti entrarono rivolgendo sommessi saluti a Isolda.
Spinsi R in avanti e le andai dietro mentre il Prefetto si soffiava il naso nella divisa.
«Tu».
Mi fermai un istante, certa che Isolda volesse sgridare il Prefetto ma con sorpresa la vidi guardare nella mia direzione. O meglio, rivolgermi quel tipo di occhiata che avevo visto sul volto di mia madre una sola volta ed era in circostanze tutt’altro che piacevoli.
«So chi sei». Disse Isolda in tono lapidario.
«E io, so chi sei tu!». Non mi ero accorta che R era tornata indietro di proposito ed ora fissava il quadro con ammirazione infantile.
Mi schiarii la gola ricorrendo al tono di voce gentile che di solito usavo quando non volevo che mamma mi sentisse arrabbiarmi con Jacob.
«Ehm…».
«Tu sei Isolda Caracciolo, figlia di Seymour Caracciolo e di Christine LaBeouf!». Gli occhi di R per poco non uscivano da dietro le lenti degli spessi occhiali da vista.
Se non fosse perché si trovava dentro a un quadro Isolda sarebbe arrossita di piacere.
«Vedo che la fama mi precede, giovane studentessa».
«Ho letto tutta la storia della tua famiglia. Tuo padre era un pittore eccezionale. Nella mia tenuta ho cinque quadri autografati da lui! Oh che emozione!».
«Mente acuta in un corpicino tanto gracile, povera stella ti aspetta un destino molto arduo qui dentro, per non dire ignobile». Rispose Isolda arricciando le labbra.
«Oh so di essere solo una magra e timida undicenne ma ti prometto che…».
«Sì va bene, va bene, però adesso andiamo eh? Ho sonno».

Spinsi R davanti a me e feci per seguirla ma Isolda mi richiamò.
«Non ho ancora finito con te!».
«Isolda, questa sera sei più simpatica del solito. Sir Cadogan ha ancora parlato male delle discendenze di tua nonna?». Domandò Felix affiancandola.
Ma Isolda per qualche strana ragione aveva occhi solo per me.
«Quella ragazza». Abbaiò indicandomi. «Come si chiama?».
Gli occhi di Felix si posarono su di me per la prima volta. Non era esteticamente il tipo di ragazzo capace di farti sentire a tuo agio con la sua semplice presenza. Non che mi piacessero i tipi come lui. A dire il vero il solo pensiero di innamorami mi dava il voltastomaco.
«Julia Lee».
Chissà perché mi tornò in mente che lui era stato tra quelli che non aveva applaudito quando ero stata sorteggiata.
«Ecco dove l’avevo vista!». Esclamò Isolda trionfante.
«Sei la sorella di Jacob Lee». Le parole di Felix suonarono come più una sentenza accusatoria che come una semplice constatazione. Ma che gli avevo fatto di male?

Ma certo. Come potevo non averci pensato prima? Loro vedevano lui, non me.

«Non gli somigli molto, però». Proseguì Isolda, studiandomi.
«Ma qualcosa mi dice che ce la troveremo tra i piedi nel momento sbagliato e non una volta sola. Spero solo che il professor Piton le dia una strigliata quanto prima».
E quello avrebbe dovuto essere il mio Prefetto? Colui a cui avrei riferito ogni problematica, con cui mi sarei confidata e che avrei dovuto sostenere durante quegli anni a scuola?
E poi, chi diamine era il professor Piton?

Poi, così come era iniziata, la discussione finì. Felix e la donna del quadro ripresero a chiacchierare come due vecchi amici ed io ne approfittai per svignarmela nel mio dormitorio.
Era una sensazione piacevole e fastidiosa, l’essere la sorella di qualcuno. Specialmente se quel qualcuno tutti avevano in mente chi era a parte me. Chissà cosa aveva toccato Jacob quando andava a scuola. E chissà con chi aveva parlato, com’erano i suo voti e chi erano i suoi amici. Sebbene fossero passati anni lo spettro di mio fratello maggiore aleggiava sopra le nostre teste.

 
Ignorai R nelle vesti di esperta di quadri nella Sala Comune e finalmente raggiunsi il dormitorio femminile. Un’accogliente stufa diffondeva un piacevole tepore nella stanza circolare. Ero l’unica lì dentro ma la cosa non mi dispiaceva per niente. Aprii la valigia ed estrassi il pigiama. Il mio letto si trovava nella zona più in ombra e cullata dal silenzio più totale mi addormentai.
*
Venni svegliata da R, incapace di rimanere a letto tanta era la gioia che le scorreva dentro.
«La nostra prima lezione ad Hogwarts! Non ho fatto che rigirarmi nel letto!».
«Va’al diavolo».
Mi rigirai da un lato ma la mia intrepida compagna mi strappò le lenzuola di dosso. Rabbrividii. La stufa era spenta ma nessuno a parte me sembrava preoccupato. Di colpo l’idea di farmi un giro al caldo non parve così brutta.
Mezzo addormentata e stordita dalle grida di gioia della mia compagna-ombra scesi in sala di ritrovo.
Non c’era nessuno a parte un fantasma conciato nella maniera più inquietante che avessi mai visto. Nonostante fosse incorporeo aveva macchie di sangue sparse sugli abiti. La sua parrucca in stile Luigi XIV ondeggiò sinistramente quando ci vide arrivare. Non ci disse nulla ma mi augurai di non trovarlo lì al mio ritorno.
Mi venne in mente di usare R come distrazione nel caso Isolda avesse intenzione di iniziare un’altra piacevole chiacchierata, e la cosa funzionò.

Nella Sala Grande si respirava aria soporifera. Prendemmo posto a metà del lunghissimo tavolo. Non avevo fame. Odiavo mangiare appena sveglia. R invece ingurgitò di tutto salutando chiunque le passasse accanto come se fossero amici da una vita. Poco ci mancò che mi facesse un bagno col caffèlatte alla vista di una sagoma vestita di nero che scivolava verso il tavolo degli insegnanti.
«Oh oh!».
«Che c’è? Che vuoi?».
R indicò la sagoma che si rivelò essere un uomo dai lunghi capelli neri e il naso adunco.
«E quindi?». Dissi infastidita.
R aveva di nuovo gli occhi fuori dalle orbite.
«Non sai chi è quello?». Disse, scandendo ogni parola con enfasi.
Scrollai le spalle.
«Un docente? Ora ti siedi per piacere? Mi dai sui nervi».
«Quello è Severus Piton!».
«Un amico di famiglia? Si può sapere che ti prende?».
R si sedette continuando a guardare quell’uomo come se fosse una divinità. Mi chiesi se quel suo atteggiamento incostante avrebbe potuto recarmi problemi seri in futuro.
«Lui è il capo della nostra Casa. La professoressa McGranitt è la vicepreside e capa di Grifondoro, la Spite di Tassorosso e Vitious di Corvonero».
«E…?».
R fece schioccare la lingua impaziente.
«Lui insegna Pozioni. È un docente incredibile anche se ho sentito dire che è piuttosto severo».
«Uhm…». Affondai il cucchiaio nello yoghurt cercando con lo sguardo la simpatica ragazza dai capelli biondi. Della nostra Casa eravamo in cinque seduti a tavola. Se solo avessi dormito un altro po’…
«Oh eccovi qui!».
Felix procedeva verso di noi e non aveva perso nemmeno l’ombra del suo sguardo stizzito. Lasciò cadere davanti a noi le pergamene con su scritti gli orari delle lezioni e proseguì.
R guardò il suo orario come se il nostro Prefetto le avesse consegnato la chiave di accesso alla sua camera blindata nella Gringott.
«Programma interessante, molto interessante!».
«Sto crollando dal sonno…».
«Oh alla prima ora abbiamo incantesimi! Dobbiamo prendere i posti migliori, forza muoviti!».
R mi afferrò per un braccio e per poco non finii a terra.

Ci imbattemmo nella ragazza dai capelli biondi che faceva il suo ingresso in Sala Grande proprio in quel momento, insieme a una tizia dai capelli rosa e un’altra grassottella.
Mi rivolse un sorriso smagliante.
«Ehi, ci incontriamo di nuovo! Io sono Penny Haywood. Carino il tuo taglio di capelli».
«Grazie. Mi chiamo Julia e…eeehi piano!».
R non mi lasciò nemmeno il tempo di finire che mi trovai catapultata per i corridoi attaccata al suo braccio e con la testa che girava.

La spina nel fianco in carne ed ossa si fermò finalmente davanti a una porta molto alta che si trovava all’inizio di un lungo corridoio. La spinse trascinando dentro anche me.
Dentro l’aula non c’erano sedie ma lunghe panche dietro ad alti banchi tutti uniti e disposti in scala, due file da una parte e due dall’altra. C’era anche un caminetto. In testa a tutti, in piedi su una pila di libri c’era un ometto dai capelli corti e un buffo paio di occhiali.
«Quello è il professor…».
«Sì ho visto, andiamoci a sedere».
Riuscii a spingere R in una delle file accanto al professore.
Eravamo assieme ai Grifondoro.
«Psst!».
Un dito mi toccò la spalla. Apparteneva a un ragazzo biondo dall’aria sorniona che sembrava incapace di stare seduto. Non faceva che armeggiare con la bacchetta passandosela da una mano all’altra e batteva i piedi per terra ripetutamente.
«Tu come te la cavi con gli incantesimi?». Mi domandò con apprensione.
Ma faceva sul serio?
«Scusa, non ho capito, in che senso come me la cavo?».
Lui non ebbe il tempo di rispondere, lui, perché R si intromise di nuovo ed io ne approfittai per aprire il mio libro. Non avevamo molti tomi scolastici ma qualcosa mi diceva che quella sarebbe stata una materia piuttosto impegnativa.

Il primo incantesimo che ci fu chiesto di praticare fu Lumos, l’incantesimo di accensione. Il professor Vitious era un uomo di poche parole e per fortuna non ci furono discorsi estenuanti ad anticipare l’esercitazione. Avremmo semplicemente dovuto accendere una luce sulla sommità della nostra bacchetta. Come si fa con una candela o con un interruttore. Mi chiesi quando avremmo iniziato a schiantarci a vicenda da una parte all’altra dell’aula.
Il movimento del polso per evocare l’incantesimo era abbastanza facile da memorizzare ma dopo due o tre volte che provai ne avevo abbastanza.
«Lumos!». Sulla sommità della bacchetta di Vitious comparve un tenue bagliore che andò via via ingrandendosi.
Dai banchi si levarono ovazioni. Il biondo dietro di me singhiozzò.
«Forza ragazzi, ora provate voi. Mi raccomando, movimenti secchi e brevi. E su con la voce, orgoglio voi del Grifondoro! Copper, quella bacchetta non si muove da sola, servono i muscoli. Oh, ottimo signorina Khanna, davvero ottimo! Vi prego di ammirare la vostra compagna che in meno di cinque minuti ha saputo riprodurre perfettamente il nostro Lumos!».
Mi unii al mesto applauso che accolse l’entusiasmante esibizione di R. Se non altro ci guadagnammo 10 punti. Quando terminammo di agitare le bacchette non attesi R che era rimasta a parlottare con alcune ragazze di Grifondoro e imboccai l’uscita.
«Signorina Lee?».
Vitious era sceso dalla pila di libri e stava riordinando alcuni volumi su uno stretto scaffale. Mi rivolse un sorriso amichevole.
«Come sono andata?». Chiesi.
«Oltre ogni mia previsione. Ma non avevo dubbi, del resto Jacob era molto portato nella mia materia».
Mi chiesi quanto sarebbe ancora durato il paragone tra me e mio fratello ma capii che Vitious non aveva parlato per ferirmi o per crearmi disagio. Pensai che fosse gentile da parte sua come gesto ma ancora non me la sentivo di concedergli tanta fiducia.
«Grazie». Risposi.
Vitious si pulì gli occhiali in un gesto lento e li inforcò con decisione.
«Alcuni miei colleghi erano restii ad ammetterla in questo castello. Per quanto riguarda me lei può rimanere nella mia aula ed esercitarsi quanto vuole, purchè rispetti le regole. Non sono ammesse rock star in questa scuola, tantomeno nella mia aula. Perciò confido nel suo giudizio e nella sua intelligenza».
«Non creerò alcun problema a meno che qualcuno non ne crei a me». Risposi.
Lui annuì e mi rivolse un sorrisetto.
«Non avevo dubbi. Sagace sotto tutti i punti di vista. Serpeverde fino al midollo, eh?».

La lezione successiva era Pozioni.
Fortunatamente l’aula non si trovava molto lontano dal nostro dormitorio. Iniziavo ad avere un certo mal di testa e una sensazione sgradevole. Non avevo mangiato a sufficienza a colazione e le energie stavano scemando con rapidità. Se non altro, avrei avuto una valida scusa per non parlare con R a pranzo.
«Che mi prenda un colpo!».
Mi fermai a metà del corridoio e adocchiai un fantasma appena uscito da dietro una parete. Trovavo alquanto fuori luogo quella dichiarazione e lì per lì non mi fu chiaro il perché l’avesse pronunciata. Ma fu solo quando mi ebbe superato che notai la figura distante qualche metro da me, appoggiata a una colonna. Una ragazza dai capelli corti e gli occhi appesantiti dal kajal. A differenza delle altre allieve alla sua divisa aveva apportato alcune modifiche. Al posto dei calzettoni indossava un paio di calze a rete sottili e pesanti stivali neri da motociclista.
«Ti senti male? Vuoi che ti accompagni in infermeria?». Le chiesi. Continuava a fissarmi con insistenza e la cosa non mi piacque.
«Mi chiedevo quando avremmo avuto modo di parlare io e te». Disse lei.
«Se è per stamattina ti chiedo scusa, R…la mia compagna di banco, ha dei modi molto strani di porsi. Spero non ti abbia svegliato».
Lei venne verso di me. Sebbene sorridesse i suoi occhi mandavano lampi.
«Tu». Mi puntò il dito contro il petto sollevandosi appena sulle punte per arrivare alla mia altezza.
«Mi. Hai. Rovinato. L’esistenza!».
La sua voce aumentava di un paio di decibel ad ogni parola fino a diventare rauca ma lei non parve farci caso.
«Io cos…?».
«Ero quasi convinta di aver ottenuto la gioia più grande della mia vita, una soddisfazione che nemmeno puoi immaginare e poi sei arrivata tu! Ti ho vista, sai? Con quell’aria da innocentella! Per tutta la serata non si è parlato che di te!».
Aumentai la distanza tra di noi ed istintivamente portai la mano alla bacchetta nella tasca. Non sapevo evocare ancora niente di offensivo ma tutto ciò che sapevo era che la rabbia e la paura erano emozioni capaci di partorire gli incantesimi più tremendi. Bastava solo volerlo.
«E tu saresti?».
Lei si aggiustò il mantello e alzò il mento.
«Merula Snyde».
«Beh, Merula Snyde, deduco che tu abbia avuto una brutta giornata. Perché non vai a riposarti? Dico io al professor Piton che non ti senti bene…».
Le guance di Merula divennero color porpora. Buttò fuori l’aria dalla bocca e sulle labbra le si disegnò di nuovo un sorrisetto.
«Mi rendo conto che mi sono lasciata un po’ andare alle maniere…hem…poco diplomatiche e siccome tu ed io siamo nella stessa Casa non sarebbe molto…hem…giusto non andare d’accordo».
«Continua».
Il sorriso di Merula si allargò maggiormente.
«Perciò che ne dici di rimanere vicine durante la lezione di Pozioni?».
La domanda in sé non aveva nulla di sospetto, se non per il fatto che chi me l’aveva posta era esplosa in una sfilza di insulti gratuiti e immotivati pochi secondi prima. Ma non c’erano problemi, del resto a Pozioni si imparava a lavorare anche con estratti di piante e magari qualche goccia di valeriana avrebbe reso Merula più mansueta. Avevo sentito dire che quell’erba faceva miracoli.

Entrai nell’aula, che aula non era. Era ricavata in un sotterraneo e comprendeva tre grandi aree munite di tavoli e scaffali colmi di boccette più una dispensa. Su ogni tavolo c’erano almeno tre o quattro calderoni di peltro.
Occupai quello meno in vista e Merula si sedette accanto a me con un entusiasmo che mi fece venire la pelle d’oca. Poco dopo ci raggiunse anche R.
«Oh, eccola qui, la nostra sveglia personale!». Esclamò Merula riservandole un sorrisetto acido.
«Non vedo l’ora di cominciare, voi che pensate si imparerà oggi?». R si sporse verso di noi rivolgendoci un sorriso a trentadue denti.
«Un decotto contro l’ansia?». Azzardai.
Merula accanto a me si irrigidii e io fui invasa nuovamente dalla sgradevole sensazione di poco prima. Era entrato il professor Piton. Vidi dipingersi sulle facce di alcuni miei compagni il terrore.
Grifondoro. Di nuovo.
«Mi scuserete se non vi accolgo a braccia aperte ma ho mal di schiena». Esordì Piton degnandoci rapidamente di uno sguardo tutt’altro che rassicurante.
«Prendete i libri e non fate quelle facce perché se solo sapeste cos’ha in serbo per voi questo programma mi bacereste i piedi e ballereste dalla gioia come degli orrendi troll. Al lavoro!».
Ubbidimmo senza farcelo ripetere due volte.

«Dati gli ultimi sviluppi ho chiesto a Madama Chips di tirare fuori delle pomate contro le ustioni che quelli del primo anno hanno imparato ad adorare. Cercate di non cospargervi di piaghe, non avete idea di quanto siano costosi certi infusi e quanto sia difficile procurarseli. Ora raggiungetemi attorno a quel calderone e smettetela di guardarmi in quel modo. Vi faccio vedere come si prepara una Pozione Curabolle. Dopo non voglio domande di alcun tipo, è già molto che vi abbia messo in guardia da certi rischi».
Credevo che preparare una pozione fosse un po’ come mi aveva mostrato mamma: schiaccia, trita, bolli. A casa usavamo molte erbe. A Hogwarts mi resi conto che avrei dovuto dimenticare ciò che sapevo, o che credevo di sapere. Denti di bestie sconosciute, artigli di uccelli, budella di qua e di là. R sembrava ottimista ma nemmeno lei riusciva a cavarsela benissimo con tutta quella roba. La sua pozione fu appena migliore della mia.
«Levati quel sorrisetto dalle labbra Khanna perché è solo grazie a Snyde che non tolgo punti alla mia Casa. Oh, cos’abbiamo qui…».
Avvertii il suo sguardo su di me ma tenni gli occhi sul calderone. La mia pozione aveva una consistenza abbastanza liquida e sulla superficie erano comparse delle bollicine.
«Non dovrebbe bollire in quel modo, giusto?». R aprì il suo manuale e lo sfogliò con energia per poi guardare nel mio calderone.
«E non dovrebbe nemmeno avere quel colore».
«La tua è verde come la mia». Le feci notare.
Lei assottigliò le palpebre e di colpo spalancò gli occhi.
«Oh no! Oh no no no no no no no!».

PAF!

Un getto di liquido verde colpì il soffitto a volta e ricadde sul tavolo schizzando da tutte le parti. Mi scansai all’indietro mentre le macchie di pozione sulla mia divisa sfrigolavano.
«Una bellissima esibizione, Lee. Credevo che le capacità di tuo fratello rasentassero l’impossibile».
«Non ho idea di cosa sia successo e in tal caso non è colpa mia».
Piton storse la bocca.
«Davvero non capisco come tu sia finita in questa Casa. Dipendesse da me una risposta del genere sarebbe il tuo biglietto di ritorno a casa ma purtroppo…». E si rivolse al resto della classe. «Siccome io sono il professore cattivo niente di ciò che vi infliggerò vi costerà l’espulsione. Più o meno. Ma non accetto che nella mia classe ci si prenda gioco di me. Dieci punti in meno a Serpeverde».
Ero incredula. Dieci punti in meno? Per che cosa?
Ignorai R che scuoteva la testa come per suggerirmi di tacere e mi alzai in piedi.
«Professor Piton, chiedo scusa se non ho intenzione di prendermi la colpa per errori che non ho commesso. Mentre preparavamo la pozione la signorina Snyde qui presente mi ha passato questa…». E gli mostrai la boccetta colma di una polvere rossastra. «Sono l’unica a cui è esploso il calderone».
«Che cosa stai insinuando, Lee?». Si difese Merula ma senza troppa convinzione.
Lo sguardo di Piton andò da lei a me. Stava riflettendo, me lo sentivo. Stava per arrivare qualcosa di grosso.
«Tuo fratello era molto furbo, Lee e aveva l’assurda capacità di tacere quando conveniva. Tu non ti fai scrupoli ad incolpare una compagna senza motivazione alcuna. Se non vuoi che ti tolga altri punti ti suggerisco di chiudere quella bocca e di lasciare quest’aula senza fare storie».
«Suo fratello era un folle, ho sentito dire. Si comincia così, con le voci, le allucinazioni e poi puf! Al San Mungo».
Ignorai il commento di Merula e mi concentrai su Piton che aveva perso interesse per me ed era andato a tormentare qualcun altro.
«Andiamo. Non è colpa tua». Disse R poggiando una mano sulla mia spalla.

Non era colpa mia, certo. E non ero nemmeno così certa che Jacob avrebbe tenuto la bocca chiusa in quelle circostanze. Non avevo intenzione di scatenare liti al mio primo giorno di scuola e pensai che senza ombra di dubbio Merula aveva qualche problema di autostima. E se Piton l’appoggiava non era più cretino di lei. Ma non mi sarei lasciata coinvolgere da sciocchezze e distrazioni superflue. Ero lì per capire cos’aveva portato mio fratello ad uscire dalla porta di casa e non tornare più. L’immagine di lui, borsa alla mano e un sorriso sulle labbra, tormentava i miei pensieri ogni volta che mi distraevo. Dovevo cancellarla e sostituirla con un’immagine più nitida. Io, lui e mamma. Ero certa che qualcuno mi avrebbe aiutato oppure avrei trovato le risposte da sola. E allora Jacob Lee sarebbe stato solo un ragazzo che era tornato a casa dopo un colpo di testa.

Io ed R avevamo appena messo piede fuori dall’aula che una ragazza dai capelli castani riccissimi e un paio di grandi occhiali rotondi ci venne incontro.
«Julia Lee? Il nostro Prefetto Felix mi ha mandata a cercarti. Vuole vederti immediatamente».
 

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


CAPITOLO SECONDO

«Dieci punti. Sapevo io, che saresti stata una spina nel fianco fin da subito. Hai battuto ogni record».

Il Prefetto Felix accavallò le gambe e scosse la testa visibilmente disgustato.
«Non è stata colpa sua». Si intromise R che era rimasta dietro di me tutto il tempo. Gli occhi di Felix saettarono su di lei.
«Rowan Khanna, non ricordo di aver chiesto di te a Elizabeth poco prima. Mi spieghi cosa fai ancora qui?».
Non intervenni.
Rowan si schiarì la gola, pronta a sfoderare un’altra filippica sulle buone intenzioni di cui in quel momento né io né Felix necessitavamo. Forse fu chiaro anche a lei dato che rinunciò a parlare e si allontanò con una scusa.
«Stavamo dicendo? Ah sì, il tuo comportamento sconsiderato durante l’ora di Pozioni. Accusare una compagna di manomissione di una pozione! Vuoi davvero trascorrere il resto della tua vita qui dentro ad attirare attenzioni immeritate?».
Felix stava praticamente urlando ma non mi importava. Le mie idee erano sempre le stesse: Merula era stata sgarbata con me fin dall’inizio e non avevo ben chiaro il perché di quell’avversione. Ma spiegarlo al Prefetto sarebbe stato come cercare di calmare un troll con una ninnananna perciò rimasi zitta mentre il responsabile del mio dormitorio si lasciava andare a una sfilza di rimproveri, insulti e speculazioni secondo cui io avrei contribuito ad affondare ancora di più la reputazione della Casa di Serpeverde, in precario equilibrio già dai tempi di mio fratello.

Il suo sproloquio ebbe fine nell’istante in cui la ragazza dai capelli ricci che avevo incrociato fuori dall’aula di Pozioni (Elizabeth, credo si chiamasse) si avvicinò al Prefetto sussurrandogli qualcosa all’orecchio e lasciandogli cadere in grembo una lettera. La seguii con lo sguardo mentre lasciava la sala, il fazzoletto verde che ondeggiava sulla sua schiena.
«Il tuo giorno fortunato,Lee». Disse Felix in tono canzonatorio. Mentre leggeva la lettera le sue sopracciglia si corrugarono. Un Chihuahua alle prese con un dilemma più grande di lui.
Alla fine emise un sospiro pesante e tornò a guardarmi con quell’aria insofferente molto simile a quella che ostentava Elizabeth anche se la sua virava verso l’apatia.
«Puoi andare». Disse, cercando di mascherare il disappunto ma con scarsi risultati. «Il professor Piton ha appena detto che la tua teoria potrebbe…avere…potrebbero esserci…diciamo…».
Stentai a credere ai miei occhi. Pur di non ammettere che ero innocente Felix si stava arrampicando sugli specchi.
«Posso andare ora?». Non avevo più intenzione di starlo a sentire né di dovermi subire le sue occhiate e le sue parole cariche di veleno.
«Il professor Piton vuole però che gli consegni una barattolo di lumache sottaceto che troverai nel suo ripostiglio e in cambio farà riguadagnare punti alla nostra Casa».
Se per Felix quella era l’occasione di vedermi fallire per non rappresentava nulla. Volevano davvero perdere tempo a giocare alla ricerca del colpevole? Per una pozione?
«D’accordo. Dammi la lettera, vediamo se ci sono delle istruzioni».
Felix contrasse la mascella mentre mi consegnava la lettera.
«Vedi di non fare altri danni, Lee. Se anche questa volta andrà male…».
«Buon pranzo, Felix. Ora scusami ma ho da fare».

Mentre mi avviavo fuori dalla Sala Comune fui raggiunta da un rumore di passi svelti e non mi meravigliai affatto quando Rowan mi tagliò la strada tutta affannata e visibilmente preoccupata.
«Allora? Ti hanno espulsa? Quando parti? Mi manderai una lettera, vero?».
Mi trattenni dall’alzare gli occhi al cielo.
«Rowan non mi hanno espulsa. Devo svolgere una commissione per conto di Piton. Niente di tragico».
La vidi tirare un sospiro di sollievo e in quel momento mi venne un’idea.
«Anzi, perché non vieni con me? Se siamo in due magari ci daranno dieci punti a testa. E poi tu ne sai sicuramente più di me in fatto di Pozioni».
Avvolsi un braccio attorno alle sue spalle e, come immaginavo, la vidi arrossire.
«Oh…beh…non tantissimo in realtà ma sarò ben felice di aiutarti. Avrei dovuto impedire a Merula di manomettere la tua pozione».
Scrollai le spalle.
«Oh il passato è passato. Abbiamo una seconda possibilità, perciò non sprechiamola».
Rowan fu ben felice di farmi da guida verso il deposito di pozioni. Era irritante quanto bastava ma aveva come lato positivo il fatto che si prestava a svolgere qualsiasi incarico richiedesse prestazioni e lunghi discorsi. Dopo aver salutato un paio di quadri (donne in abiti da contadine) si era messa a raccontarmi vita, morte e miracoli del pittore e del secolo in cui era stato dipinta l’opera.
«Ecco, questo dovrebbe essere il deposito».
La porta era socchiusa. Mi accorsi in quel momento che io e Rowan eravamo le uniche in quel corridoio. Tutti gli altri dovevano essere a pranzo.
«Non dovrebbero tenere il ripostiglio in una zona più umida? So che alcune specie di funghi prediligono i luoghi bui come gli scantinati». Disse Rowan. Non me la sentivo di darle ragione anche perché non sapevo niente di funghi e tutto quello che volevo era scendere in Sala Grande e godermi il pomeriggio.
Perciò spinsi la porta ed entrai. C’era un buio pesto dentro e un odore particolare, come quello che aleggia nelle serre.
«Non si vede niente». Gemette Rowan.
«Forse abbiamo sbagliato. Fa’ una cosa, va’ a cercare qualcuno e chiedigli di aiutarci.».
Sentii Rowan spostarsi e successivamente un rumore che mi fece accapponare la pelle.
«Rowan?».
«La porta è chiusa, non riesco ad aprirla».
«Ma com’è possibile? Era socchiusa!».
La voce di Rowan era carica di nervosismo.
«Non so…conosco un incantesimo per…diciamo…aprire le porte ma rischierei di tirare giù mezzo corridoio se lo faccio. Ehi, aspetta, faccio un po’ di luce».
Il bagliore proveniente dalla bacchetta di Rowan bastò a ridurre l’isteria che mi stava salendo lungo la gola. Arretrai di un passo e finalmente capii il perché di quell’odore.
«Ma è…enorme».

Una gigantesca pianta aggrovigliata su sé stessa occupava quasi tutta la stanza e sembrava essere sbucata dal nulla. Aveva grossi tentacoli che si agitavano come serpenti. E sembrava…viva. Come se respirasse.
«Che diamine è quella roba?». La mia voce risuonò quasi stridula come quella di una bambina.
Guardai verso Rowan che aveva la bocca aperta e gli occhi spalancati. Sperai che dicesse qualcosa. Qualunque cosa purchè ci fosse utile per uscire da lì.
«Quella è una pianta mortale, sensibile alla luce e facilissima da coltivare. Si chiama Tranello del Diavolo».
La voce proveniva da fuori ed apparteneva all’ultima persona che mi sarei sognata di incontrare da quelle parti.
«Ma questa è Merula Snyde!». Esclamò Rowan. Si precipitò alla porta riempiendola di pugni e gridando di farci uscire. Rispose solo la risata rauca di Merula.
«Lo devo ammettere, sono stata troppo buona con quella pozione Curabolle. In fondo nessuno è mai stato espulso per aver fatto esplodere un calderone al primo anno. Ma questo…questo è esattamente ciò che mi serviva per movimentare la giornata! Sei sveglia, Lee, molto sveglia e caparbia. Ma se c’è una cosa che Severus Piton non farebbe mai è mandarti una lettera di scuse».
«Non mi ha mandato una lettera di scuse!». Esclamai. «E poi tu come fai a saperlo?».
Elizabeth era entrata in Sala Comune dicendo di avere una lettera da parte di Piton. Quanto poteva essere effettiva la sua lealtà?
«Se almeno avessi un briciolo di ambizione non saresti caduta nel mio tranello, Lee! Ma non temere, questa pianta sa fare abbastanza danni da regalarti una lunga permanenza al San Mungo».
«Rowan chiama aiuto!».
Rowan riprese a battere i pugni contro la porta sovrastando le risate di Merula.
Se solo ci avessero sentiti…
Qualcosa di viscido mi sfiorò una caviglia. Aprii la bocca per gridare ma un grosso tentacolo mi afferrò per la vita e mi sollevò come se non pesassi niente. Dal nulla sbucarono almeno altri tre tentacoli che mi si avvinghiarono attorno alle braccia a e al petto, mozzandomi il respiro. Tentai di dimenarmi ma non feci che peggiorare le cose. I tentacoli non avevano alcuna intenzione di cedere e più mi agitavo e più quelli aumentavano la stretta. Si chiamava Tranello del Diavolo proprio come quello che aveva teso Merula Snyde. Se solo fossi riuscita a prendere la mia bacchetta…
«Rowan!». Rantolai. La mia compagna di dormitorio smise di menare pugni e mi guardò, pallida in volto. Le indicai con un dito la mia tasca cercando di articolare la parola “bacchetta” mentre un altro tentacolo mi si avvinghiava attorno alla gola.

La vista mi si annebbiò e sentii in bocca il sapore della bile. Mi meritavo quello stupido scherzo. Merula aveva ragione. Non valeva la pena che rimanessi lì se le mie abilità si sarebbero limitate a sfuggire ai suoi scherzi.
Mi parve di udire Rowan urlare. Aprii a fatica gli occhi e vidi un’ombra stagliarsi sulla soglia della porta. Merula era riuscita ad entrare e darmi il colpo di grazia. Oppure Silente. O Piton. Che bell’applauso si sarebbero fatti vedendomi. E Jacob? Oh meno male che non era lì!
Mi sentii sollevare nuovamente e pensai che il Tranello del Diavolo stesse per finirmi. Poi udii la voce di Rowan.
«Si sta riprendendo. Ecco, mettila giù!».
Tossii violentemente e cercai di inglobare quanta più aria possibile nei miei polmoni dato che mi sentivo come se mi fossi dovuta immergere nelle profondità del Lago Nero.
Battei le palpebre e vidi che ci trovavamo nel corridoio illuminato del terzo piano. E avevo compagnia. Con noi c’era il custode della scuola, Rubeus Hagrid, colui che ci aveva scortati fino alla scuola dalla stazione di Hogsmeade dopo il nostro arrivo. Fece un certo effetto trovarlo lì e mi chiesi come diamine ci avesse trovate.
«Julia stai bene?». Rowan mi posò una mano sulla spalla fissandomi preoccupatissima.
Annuii.
«Oh grazie al cielo! Ho temuto tantissimo che…».
Un brusco colpo di tosse costrinse sia me che Rowan a guardare in direzione di Hagrid.
«Grazie». Dissi.
«Ma che cosa facevate lì dentro?». Abbaiò lui.
«Siamo state rinchiuse». Precisò Rowan. «Da una ragazza del primo anno,una della nostra Casa. Merula Snyde».
Hagrid guardò verso di me con esitazione. «Veramente è andata così?».
Annuii.
«Ci ha tratte in inganno con una lettera falsa! Questi atti meriterebbero l’espulsione immediata!».
«Rowan calmati, per piacere. So parlare per me, non è necessario che ti intrometti ogni volta».
Rowan contrasse le labbra ed avvampò ma non disse altro e si sedette per terra rivolgendo lo sguardo sulle torce mentre Hagrid si chinava su di me.
«Se è andata così che cosa farai?».
Avrei scommesso tutto ciò che avevo che Silente era già al corrente dell’accaduto e andarglielo a dire sarebbe stato da stupidi. Piton si sarebbe trasformato in una belva se gli avessi detto della lettera e di Merula. Non mi rimaneva che Felix. Sospirai.
«Lo dirò al Prefetto del mio dormitorio». Dissi.
Rowan alzò di scatto la testa.
«Cosa? Dopo quello che ti ha detto poco fa?».
«Felix non è più simpatico di Merula, Rowan, ma ha delle responsabilità che non può ignorare. È solo grazie ad Hagrid se sono viva. Se Felix vuole avere un futuro è giusto che impari a gestire faccende di questo tipo».
Avrei fatto capire a Merula che era tenuta sott’occhio. Felix non poteva difenderla o sarebbe finito nei guai pure lui. Eravamo collegati da un filo sottilissimo. Se si fosse spezzato saremmo crollati a terra tutti e tre.
Quel pensiero bastò a darmi un po’ più di positività.
Vidi che Hagrid stava riflettendo.
«Mmmm, non so se è la scelta giusta». Disse infine scrollando le spalle e facendo ondeggiare la spessa barba irsuta.
«Ma certo che lo è!». Esclamò Rowan.
«E se poi finisci nei guai? Hai delle prove che provano che è stata Merula a combinare tutto quanto?».
Se prima mi ero sentita leggermente meglio in quel momento avrei voluto gettarmi di nuovo tra i tentacoli del Tranello del Diavolo.
La lettera non contava nulla e siccome il corridoio era vuoto nessuno poteva dire di averci visto entrare nel ripostiglio. Merula avrebbe fatto finta di niente comunque.
Rowan si schiarì la gola attirando l’attenzione di Hagrid.
«Forse…ma dico forse…si potrebbe parlare comunque con Felix di questi atti di bullismo. E poi…». Indicò il mio mantello e solo in quel momento realizzai quanto fosse conciato male. «Quello come lo spieghi?».
«Io dico che dovete pensarci tutte e due. Siete solo al primo giorno di scuola e già volete avere problemi?».
Hagrid non aveva tutti i torti.
«Torniamo nella nostra Sala Comune, Julia. Se faranno domande diremo che abbiamo litigato e che io ti ho spinta dalle scale».
«Molto rassicurante, Rowan». Borbottai.
*
Qualcuno aveva avuto la bella idea di fare dei disastri in Sala Comune ed era stata cambiata a mia insaputa la parola d’ordine. Perciò fu inevitabile lo scontro con Felix. Arrivò come sempre scortato dalla silenziosa Elzabeth a cui mi promisi avrei fatto qualche domanda riguardo le sue amicizie.
«Che cos’hai fatto al mantello, Julia Lee?». Abbaiò Felix. Io alzai le spalle.
«Niente».
«Non dire bugie, che sei andata a fare?».
«Mi sono rovesciata addosso un barattolo di spine di porcospino. Succede,no?»­.
Felix ci precedette oltre il dipinto ma non rinunciò a tallonarci con insistenza facendo fallire la bella missione di non attirare l’attenzione.
«Sono passato in Sala Grande e non c’era nessun punto. Clessidra vuota. Mi spieghi che è successo?».
«Te l’ho già detto». Risposi.
Lui fece un passo verso di me e sentii Rowan sussultare.
«Lo sai che posso togliere punti alla mia stessa Casa se serve? Allora, rispondi! Perché Piton non ha messo alcun punto?».
«Si sarà dimenticato».
«Eppure l’ho visto a pranzo. Si è diretto verso le serre con la professoressa Sprite dopo aver mangiato e quando l’ho rivisto era in infermeria».
«Che cosa vuoi insinuare Felix?»­. Iniziavo ad averne abbastanza.
«Mi stai mentendo».
«Non è vero».
«Scusatemi».
Tutti e due ci voltammo verso Elizabeth, in piedi davanti al camino. Guardò verso di me. Mi irritava un po’ quella sua mancanza totale di interesse verso le vicende che accadevano attorno a lei. Per un breve istante mi chiesi se anche io apparissi così agli occhi dei miei compagni.
«Ho visto te e Rowan scendere dalla scala del terzo piano quando in realtà il deposito di Piton si trova nel sotterraneo».
Giusto. Come avevamo potuto tralasciare un dettaglio così importante?
«Ah, è andata così?».
Felix distolse lo sguardo da Elizabeth e lo posò su di me. Non sembrava affatto intenzionato a proseguire oltre.
Gli raccontai dell’accaduto ma senza però mettere in mezzo Hagrid.
Felix incrociò le braccia sul petto ed annuì.
«Vi è andata bene, molto bene. Ma sapete una cosa? Non vi credo».
Per quanto mi aspettassi una risposta del genere fu comunque spiacevole sentirselo dire dal Prefetto.
«Felix non è uno scherzo. Non diremmo mai una cosa del genere per creare conflitti». Rowan mi indicò. «Julia è veramente stata attaccata da quella cosa!».
Felix strizzò le palpebre.
«Mi fate perdere tempo, solo tempo! Prima la pozione e poi il Tranello del Diavolo!».
«La lettera. Quella che ti ha dato Elizabeth…». Rowan indicò Elizabeth che non si era mossa. «Quella lettera è falsa. L’ha scritta Merula Snyde per incastrarci».
«Un’allieva del primo anno che falsifica una lettera. Mai sentito! Ora, se non vi dispiace, io ho da sbrigare alcune faccende. Voi due preparatevi per la vostra prima lezione di volo. Elizabeth vi accompagnerà al campo. E…Lee?».
Sfoderai il mio miglior sorriso mentre mi affettavo a seguire Rowan verso il dormitorio.
Felix mi indicò e se fosse stato più vicino ero quasi certa che mi avrebbe infilato quel dito nelle costole.

«Se ti sento ancora una volta gettare accuse su Merula Snyde prenderò seri provvedimenti! E sistemati quella divisa o a Madama Bumb verrà un accidente!».

Rowan si offrì di recuperarmi una divisa nuova avvalendosi della collaborazione di alcune nuove amicizie di Corvonero. A quanto pareva in quella Casa c’era un ragazzo che ci sapeva fare con la moda e che confezionava su richiesta abiti niente male.
Elizabeth ci scortò fuori dal castello in silenzio religioso limitandosi a rivolgere sorrisi educati a tutti quelli che la incrociavano.
«Ehm…scusa se ti ho tirato in ballo prima». Rowan mi superò quel tanto che bastava per affiancare Elizabeth mentre attraversavamo il parco. C’era un pallido sole ad illuminare i tetti della scuola. Mi dissi che avrei trascorso più tempo all’aperto, almeno lì Merula non sarebbe venuta a cercarmi.
«Non fa niente». Disse Elizabeth.
«Da quanto conosci Felix?». Continuò Rowan.
«Da quando lo conosci tu, cioè da ieri».
«Oh, sembrate molto…amici».
«Cosa vuoi insinuare?». Elizabeth si fermò e per la prima volta la vidi assottigliare le palpebre come se fosse leggermente infastidita. Non la biasimavo. Rowan riusciva a farti uscire dai gangheri ben bene.
«Oh non è come pensi tu, solo…beh non ci conosci nemmeno eppure hai molta confidenza con lui. Mi piacerebbe molto diventare amica tua».
Elizabeth rimase a fissarla per lunghi istanti senza dire nulla.
«Come preferisci». Disse infine scrollando le spalle e proseguendo.
Presi Rowan per un braccio impedendole di peggiorare ancora di più la situazione. Per quanto ne sapevamo Elizabeth poteva anche fare il doppio gioco con Merula.
«Chiudi quella bocca una buona volta. Siamo state graziate per davvero poco e non serve che tu peggiori le cose andando ad infastidire l’amica numero uno di Felix».
«Dai Julia, sto facendo amicizia! Dovresti provare a fare così anche tu». Disse Rowan liberandosi della mia presa sul suo braccio.
«Io…ho cose più importanti da fare qui. Devo…».
«Devi?».
Sospirai.
«Mio fratello. Devo riuscire a capire cosa lo abbia spinto ad andarsene da casa. In questa scuola ci sono i suoi ultimi ricordi e se riuscissi a risolvere questo mistero smetterei di sentirmi fuori luogo. Quando ho ricevuto la lettera per Hogwarts non ho potuto fare a meno di pensare che qualcuno mi avesse tirato un brutto scherzo. Che cosa ci faccio qui? Perché sono nella stessa Casa di Jacob quando non ho nemmeno la metà della sua determinazione?».

Rowan si sistemò gli occhiali sul naso in un gesto che mi ricordò Vitious nell’aula di Incantesimi.
«Se vuoi un consiglio smetterei di pensare troppo a questa faccenda. Voglio dire, sei ad Hogwarts, una delle scuole migliori del mondo magico e stai per imparare cose che molti si sognerebbero. Tuo fratello avrà avuto le sue ragioni per andarsene da casa e con ciò non voglio dire che sia giusto quello che ha fatto. Non lo conosco perciò non potrei giudicare. Ma se fossi in te cercherei quantomeno di rendere questa esperienza quanto più piacevole possibile. Altrimenti finirai per tirarti addosso ciò che non meriti. Rimarrai sola e Merula vedrà in te un continuo passatempo contro la noia. Guardati attorno. Hai me, hai…tanta gente con cui socializzare. E poi siamo solo al primo anno, se tuo fratello fosse finito in guai seri come penseresti di aiutarlo se ancora non sai difenderti come si deve?».

Quelle parole avevano colpito nel segno. Rowan era stata gentile ma diretta quel tanto che bastava per farmi riflettere. Nel giro di poche ore dal mio arrivo in quella scuola ero finita per ben due volte nei tranelli di Merula e non me n’era importato niente, anzi, l’idea di lamentarmi con Felix mi parve di colpo insensata, un capriccio più che una vera denuncia. Dovevo tirare fuori le unghie e ritagliarmi il mio posto nella scuola. Jacob poteva aver creato un po’ di trambusto durante i suoi anni a scuola ma io non ero lui ed era ora che tutti lo imparassero. La consapevolezza di ciò che ero e di ciò che avrei potuto effettivamente fare mi trasmise una potente scarica di energia.
Quando guardai di nuovo Rowan la vidi sorridermi come se avesse intuito ciò che mi passava per la testa.
«Grazie. Vedi? Non sono nemmeno capace di fare autocritica».
«A questo servono gli amici, giusto?».

Amici. Com’era bella quella parola.
Prima di Jacob non ero mai riuscita ad avere delle amicizie. Credevo che lui mi bastasse, lo avevo reso il custode della mia felicità. Ma ora dovevo ricominciare da zero. Nuove conoscenze. Non sapevo nemmeno cosa mi piacesse fare nel tempo libero. Jacob riusciva chissà come a trascinarti nel suo mondo caotico e singolare facendoti dimenticare di avere delle esigenze. Con Rowan avevo una possibilità imperdibile e stavo rischiando di gettarla al vento per colpa…di che cosa?

La lezione di volo si teneva all’interno di un cortile, riconobbi la finestra dell’aula di Incantesimi.
Madama Bumb era una donna dai modi sbrigativi nonché arbitro di Quidditch.
«Mettetevi in linea, per favore. Oggi imparerete a sollevare una scopa. Oh, c’è poco da sorridere, il volo richiede tecniche precise e molta concentrazione. Avanti, avanti. Guardate bene cosa faccio io».
Quando avevo circa sei anni Jacob mi fece montare sulla sua scopa dicendomi che era una delle cose più facili che esistevano. Poi non so come, mamma lo venne a sapere e la cosa finì lì.
Ritrovarmi di nuovo con una scopa davanti mi regalò una fitta piacevole allo stomaco. Perciò non mi sorpresi di riuscire a richiamarla con estrema facilità.
«Ottimo, signorina Lee! Cinque punti a Serpeverde». Madama Bumb applaudì brevemente e vidi Rowan farmi l’occhiolino.
«Ehm…scusa?».
A parlare era stato un ragazzo dai capelli color paglia e il viso allungato. Fissava me e la scopa con un misto di terrore ed ammirazione negli occhi. Aveva un che di familiare ma non ricordavo dove potessi averlo visto.
«Puoi…puoi aiutarmi?». Pigolò tentando di farsi sempre più piccolo. Mi porse la sua scopa e quando la presi in mano fece un salto all’indietro come se scottasse.
«Che ti serve? Non riesci a sollevarla?».
Lui annuì con esitazione.
«Beh non è difficile. Basta darle del tempo, ma forse il problema è un altro».
«Sì. Cioè no. Oppure…».
Mi dovetti mordere l’interno della guancia per non mettermi a ridere. Visto così era parecchio buffo. Strano però. Era della Casa Grifondoro e fino a quel momento mi erano parsi tutti molto sicuri di sé. Del resto però, io ero Serpeverde e fino a quel momento non ero stata di certo un bell’esempio da seguire.
«Come ti chiami?». Chiesi.
Lui impallidì e temetti che stesse per svenire.
«Ben». Pigolò. «Ben Copper».
«Ciao Ben, io sono Julia».
«Sì…lo so».
«Ti piace questa scuola, Ben?».
Ben sussultò e gli ci volle un po’ per rispondere. Era come se temesse che da un momento all’altro qualcosa di mostruoso sbucasse da sotto il terreno e lo mangiasse.
«Sì. È molto bella. Ma io…io non so cosa ci faccio qui».
Mi sembrò che i suoi occhi fossero diventati lucidi. Feci un passo verso di lui e come previsto arretrò.
«Oh, come vuoi. Nemmeno io mi sento molto a mio agio qui. Sembrano tutti sapere cosa fare delle loro vite, non sembra anche a te, Ben?».
Lui annuì.
«Che si divertano. Noi andiamo al nostro ritmo».
«S…sì».
«Sei un Grifondoro perciò deduco che tu sia anche un po’ coraggioso».
Ben fu scosso da un fremito.
«No. No per niente».
«Sei venuto ad Hogwarts di tua volontà. È un bel gesto».
«Ho paura. Ho paura di tutto qui dentro. Sono rimasto mezz’ora nel bagno degli insegnanti perché Peeves non la piantava di ridermi dietro». Piagnucolò Ben.
«E chi sarebbe questo Peeves?».
«Il…il…». Il mento di Ben tremò. «Il fantasma. Il poltergeist. No…non lo conosci?».
«No, ma sicuramente non avrà niente di meglio da fare. Allora, Ben, vieni vicino a me così ti mostro come si richiama una scopa. Inizieremo con lo svuotare la mente e poi tutto sarà più facile». Protesi una mano verso Ben e lo vidi fissarla come se fosse qualcosa di affascinante e pericoloso.
«Mi…mi…aiuterai?».
«Ti sembro di tutt’altro avviso?».
«No, è solo che…tu sei Serpeverde e io Grifondoro».
Dovetti mordermi di nuovo l’interno della guancia per non ridere.
«Che vuol dire, scusa? Avanti, vieni vicino a me».
Ben ubbidì e io gli mostrai alla bell’e meglio come richiamare la scopa. Mi ispirava una certa simpatia, quel ragazzo. Potevo considerarlo un po’ come l’estremizzazione del mio stato emotivo. Ben si chiudeva mentre io rimanevo ferma. Se ci fossimo aperti l’un l’altro a vicenda forse avremmo potuto ricavare qualcosa.

Dopo il termine della lezione Madama Bumb si complimentò con me nonostante non avessi fatto niente di speciale.
«Apprezzo e ammiro gli allievi che si aiutano a vicenda. Perciò dieci punti a Serpeverde».
Mi aspettai che facesse un commento ad hoc su mio fratello ma per fortuna non fu così.
«Grazie, Julia». Disse Ben incrociando appena il mio sguardo.
«Figurati. Se ti può far piacere possiamo fare i compiti insieme qualche volta».
Le sue guance divennero di fuoco e temetti di nuovo che stesse per svenire.
«Co…compiti? Io e te? Sarebbe molto bello».
«Io e Rowan non saremo granchè come accoppiata ma con noi sei al sicuro, Ben».

Qualcosa di simile ad un sorriso piegò le sue labbra carnose. Non era un ragazzo particolarmente bello ma avrebbe potuto essere un valido alleato in futuro. Ammesso che smettesse con l’autocommiserazione.
Mentre ci dirigevamo verso il castello il suo umore migliorò notevolmente.
«Avete già provato le Gobbiglie?».
«Che cosa sono?».
«Oh un gioco interessante. Se vuoi posso mostrartelo».
«Oh volentieri! Sai, purtroppo mio fratello non mi ha istruito granchè su queste cose. Hogwarts è una bella novità». Dissi.
«Io sono figlio di Babbani. Ho ignorato la lettera per giorni prima di decidermi ad uscire di casa. Temevo che fosse una sciagura o qualcosa di simile. Però sono felice di essere qui, più o meno. E non pensavo che avrei parlato con te».
«E perché?». Chiesi.
Mi parve di scorgere un’increspatura attorno alle labbra di Ben che strategicamente guardò altrove.
«Perché sei una tipa…ganza. E i ganzi di solito non stanno con me».
Di colpo si fermò e vidi che gli tremavano le spalle. Ma quando si girò al posto del suo solito muso c’era un sorriso trattenuto a stento che si trasformò in una risata. Mi unii a lui, un po’ per liberarmi della tensione accumulata e un po’ perché quelle supposizioni erano assurde. Prima ancora che aprissi bocca tutti si erano messi in testa che Julia Lee fosse una disadattata, una pazza o una a cui stare alla larga. Ma ganza non me lo aveva mai detto nessuno.
Quella mattina mi ero svegliata di malumore e nel giro di poche ore avevo rischiato la vita. Ora mi trovavo a ridere assieme a un ragazzino terrorizzato dalla sua stessa ombra. Giurai a me stessa che avrei guardato la vita con meno aspettative godendomi ogni momento. Sette anni sarebbero passati in un baleno, non volevo vivere piena di rimpianti. Quando feci ritorno nella mia Sala Comune vidi Felix acquattato sul divanetto. Mi gettò un’occhiata malevola ma la ignorai senza alcuno sforzo. Mi sentivo la ragazza più felice della Terra.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


CAPITOLO TERZO
 
Prima di cena proposi a Rowan di giocare al misterioso gioco delle Gobbiglie lei accettò con grande piacere.
«Credevo fossi più una da tattiche, strategie, libri…».
Lei alzò le spalle e si ravvivò la chioma con energia.
«Ah è così che mi reputi? Cavoli, quanta stima!».
Alzai gli occhi al cielo.
«Dicevo per scherzare…». Certe volte quella ragazza prendeva le cose troppo seriamente.
«No, non c’è problema. Anzi…dai, coraggio. Fammi vedere cosa sai fare».

Ci sedemmo nel cortile di pietra, quello che dava sul deposito delle barche e ancora illuminato dai raggi del fuggiasco sole pomeridiano. L’aria iniziava a rinfrescarsi e il cielo ad assumere una sfumatura violacea.
Rowan mi spiegò dettagliatamente come si giocava a Gobbiglie. Non sembrava un gioco così complicato ma c’era il rischio di beccarsi uno spruzzo in faccia se si effettuava una mossa sbagliata. Qualunque cosa fosse mi disse che puzzava da fare schifo.
«Come primo giorno non è andato affatto male, sai? Anzi, mi sono piuttosto divertita. Essendo cresciuta in una piantagione non avevo mai niente di interessante da fare. Qui invece sto facendo un sacco di scoperte sensazionali!». Rowan estrasse la bacchetta per far muovere il suo boccino in avanti mentre io osservavo le biglie più piccole, indecisa su che mossa compiere.
«Sì ma non prenderci l’abitudine. Oggi ci è andata bene per fortuna ma non dobbiamo farci trovare impreparate».
«Che intendi?».
Alzai le spalle.
«Beh, Merula è fuori di testa. Non diamole alcun motivo per offenderci e farci perdere tempo».
«Ti dirò che un po’ mi dispiace per lei». Rowan segnò un punto ed io mi scansai appena in tempo per evitare uno spruzzo verdognolo diretto verso la mia spalla.
«Davvero? Vuoi andare a raccontare anche a lei come sarebbe bello se si facesse degli amici?».
«Mmm…non credo che le servano. Trovo però interessante la tenacia con cui si è accanita su di te».
«È un modo carino per dirmi che il fatto che stessi per finire stritolata da una pianta gigantesca ha del romantico?».
Rowan scosse la testa. Quando faceva certe constatazioni non riuscivo a starle dietro. Mi ero detta di non avere alcun pregiudizio su Merula Snyde ma lei non si era fatta alcuno scrupolo a farmi del male.
Rowan alzò le spalle ed io schivai un altro spruzzo.
«Trovo che sia molto sola. Dalle tempo. Come tu ti sei incaponita sulla faccenda di tuo fratello anche lei avrà sicuramente qualche ricordo scomodo da portarsi dietro. Siamo solo al primo giorno. Ne rideremo tutte e tre tra qualche anno, stanne certa».
Non ero così certa che sarebbe accaduto ma era anche vero che non potevo pensare a Merula Snyde tutto il tempo. Se ne sarebbe fatta una ragione. Se aveva tempo da perdere per crearmi problemi ne aveva altrettanto per riflettere sui suoi gesti.
La partita si concluse con la vittoria di Rowan.

Nell’aria risuonarono i rintocchi dell’orologio in fondo al cortile e uno stormo di corvi oscurò il cielo per alcuni istanti. Mi scrollai alcune foglie secche dalla divisa e sbadigliai. Iniziavo ad avere fame. Molta fame.
«Che dici, doccia veloce e poi a divorare la qualunque in Sala Grande?». Domandai rivolta a Rowan.
«È bello vedere che hai ancora molta energia, Lee. Lo prendo come un incentivo a migliorare le mie tecniche».
Guardai Rowan e la vidi trattenere un sorrisetto. Non serviva che ci voltassimo per vedere chi stava arrivando. Quella volta avrei fatto finta di nulla. Merula aveva avuto attenzioni tutto il giorno.
Feci cenno a Rowan di seguirmi ma Merula prese il mio gesto come un invito ad unirsi alla chiacchierata e ci sbarrò la strada. Mi accorsi che eravamo rimaste solo noi tre nel cortile. Di nuovo.
«Quanta fretta che avete! Ho visto il nostro Prefetto è parecchio arrabbiato e qualcosa mi dice che c’entrate voi due». Incalzò Merula cercando il mio sguardo. Lo sostenni solo per farle capire che non avrebbe dovuto aspettarsi nulla che semplice indifferenza da parte mia.
«Se conosci già la risposta perché ne parli con noi come se non sapessi niente?».
E feci un altro passo in avanti, stavolta più bruscamente, trascinando Rowan con me.
«Sai, in fondo non posso biasimarti, Lee. Con gli esempi che hai ricevuto è davvero un miracolo che tu sia riuscita ad entrare in questa scuola. Non sei poi così speciale come dai a vedere».

Mi fermai, a pochi metri dal portone e mi girai verso Merula. Una voce dentro la mia testa continuava a gridarmi di tacere, di andare oltre e lasciarmi lei e la giornataccia alle spalle. Ma il tono che aveva usato mi sorprese. Non c’era malizia, solo…solo?
«Quando parli di esempi che intendi?». Domandai rimanendo sul vago.
Merula battè le palpebre.
«Di tuo fratello. Sai, non sono così terribile come credi quando mi relaziono con le persone. E qui del resto basta poco per ottenere informazioni sufficienti».
«Di che stai parlando?». Sentii come una piccola crepa aprirsi dentro il mio petto. Deglutii. Sentire Merula parlare di Jacob come se stesse parlando di una persona qualsiasi sembrava uno spettacolino grottesco a cui non intendevo partecipare ma che in qualche modo mi attirava.
«Di quello che ha fatto. Delle Sale Maledette. Oppure era un’invenzione? Non gli ci è voluto molto per trovarle, aveva dei mezzi molto persuasivi e ammetto di essere un po’ invidiosa di lui. Come Voldemort anche tuo fratello è riuscito a prendersi gioco delle migliori menti giocando la carta dell’insospettabile, dello studente modello. Un po’ come te. Anzi, ora che ci penso…».
La crepa si aprì ancora un po’. Sentii Rowan trattenere il fiato.
«Hai nominato il nome di…».
Merula alzò un sopracciglio.
«Ti disturba forse?».
«Non devi! È vietato!».
«Beh me ne frego, va bene? Per essere chiari Lee, non so che gioco tu voglia giocare ma se sei venuta qui per finire il lavoro di tuo fratello sappi che ti terrò d’occhio. Non ti lascerò mettere in pericolo la scuola e farla franca. Hogwarts è un luogo sicuro, non un istituto per sciroccati!».
Avevo forti dubbi che Merula fosse intenzionata a fare ciò che aveva appena detto senza aspettarsi grandi benefici in cambio. Capii che voleva trasformare tutto in una faccenda personale senza nemmeno sapere che strade prendere.
«Julia stai bene?». Rowan mi poggiò una mano sulla schiena e le fui grata perché avevo la sensazione di stare precipitando. Chi aveva detto quelle cose a Merula? Chi, nella scuola, era a conoscenza di simili fandonie? Jacob era scappato di casa e da Hogwarts perché non si sentiva a suo agio, difeso e protetto. Ma cosa c’era là fuori che lo aveva tentato in maniera irresistibile? Possibile che io, sua sorella, avessi fallito nel rimanergli vicino portandolo a cercare soddisfazioni altrove? Conosceva davvero Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato?
«Qualcosa non va, Lee?». La voce di Merula suonò distorta, simile allo stridio di un’arpia. Rowan fece un passo in avanti, sempre sorreggendomi e la guardò dritto negli occhi.
«Oh non va più di una cosa. Hai aggredito Julia più di una volta e senza motivo e ora te ne vieni fuori con teorie assurde su suo fratello. Che hai, voglia di farti notare? Hai paura che Julia ti rubi il tuo maestoso trono? Tienitelo. Meglio restare umili che elevarsi a padrone del nulla campando sulle sofferenze altrui».
Mi aspettai che Merulascoppiasse a ridere, tempestandoci con le sue frecciatine che, stavolta ne ero certa, avrebbero fatto centro. Rimase invece in silenzio a fissarci quasi fossimo il risultato di un esperimento. Che ne avrebbe fatto di noi?
«Perché non lasci la scuola e ti fai una vita altrove, Lee? Non sarebbe meglio per tutti, te compresa? Che ha questo mondo da offrirti?». Merula allargò le braccia. «Rimarrai a piangere tuo fratello per il resto della tua vita e tutti si dimenticheranno di te. Non volevi nemmeno venire qui e ora che tutti sapranno che la tua famiglia ha dei contatti coi Mangiamorte quei pochi che tifavano per te si troveranno costretti a lasciar perdere».
«Non darle retta, Julia».
«Rowan io…».
«E di te invece? Che vogliamo dire? Sì perché se Julia se ne deve andare da qui allora è meglio che prepari le valige pure tu, signorina».
Gli occhi di Merula si spalancarono per la sorpresa. Mi chiesi che avesse in mente di fare Rowan ma non ebbi la forza di fare o dire nulla.
«Cosa vuoi insinuare?».
«So che i tuoi genitori sono finiti ad Azkaban per alto tradimento. Erano, guarda un po’, sostenitori di Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato, o almeno è quello che mi ha raccontato un uccellino». Aggiunse Rowan con un malizioso battito di ciglia.
Guardai Merula che di colpo era sbiancata e mi chiesi da dove avesse preso Rowan quelle informazioni.
«Come…ma è vero?».
«Oh sì. Facciamo un patto, Merula Snyde». Incalzò Rowan aggiustandosi gli occhiali sul naso. «Tu lasci in pace Julia e noi non andremo a spifferare quello che sappiamo sulla tua famiglia».

I pugni di Merula si contrassero e lei prese a tremare, visibilmente combattuta. Vista così faceva quasi pietà. Mi chiesi come dovesse essere cercare di riempire un vuoto interiore con qualsiasi cosa pur di avere un po’ di pace, qualche attimo di tregua in mezzo al caos continuo.
«Io non faccio accordi con quelli come te». Disse a denti stretti, le parole che uscivano a fatica e simili a ringhi animaleschi.
La presa di Rowan sulla mia spalla si allentò un poco.
«Temo non ti rimangano molte altre opzioni».
«Io sono una Serpeverde, l’unica vera Serpeverde qui dentro. Pensi che mi inginocchierò chiedendoti perdono? No! No! No! Mai!».
E Merula sfoderò la bacchetta, gli occhi spalancati e le labbra tremanti, combattuta da forze invisibili che la stavano lentamente facendo a pezzi.
«Flipendo!».
La mano di Rowan scivolò dalla mia spalla e vidi il mondo allontanarsi rapidamente. Sbattei contro il portone alle mie spalle e tutto prese a girare.
«Julia! Julia stai bene?». Rowan si precipitò da me ignorando Merula e le probabilità che potesse farle del male.
«Sì, sto bene. Diamine, non me l’aspettavo!».
Da dietro di lei mi giunse la voce di Merula, velata di una nota amara.
«Anche se fosse che avresti potuto fare? Vedi, non hai nessuna carta in tavola per rimanere qui, Lee. Di questo passo non arriverai alla fine dell’anno».
Ci passò accanto e si chiuse il portone alle spalle.

«Andiamo, Julia. Dovremmo…».
«No, noi non dobbiamo fare niente!». La crepa si era ridotta un altro po’ ma mi il dolore era rimasto. Le parole di Merula urtavano contro le pareti della mia testa, distorte, quasi urlate.
«Ma…».
«Basta così! Non ha senso continuare, l’hai sentita anche tu, no? È la terza volta che si approfitta di me e ancora una volta non ho saputo difendermi!».
«Non ti ha fatto niente di serio, avrebbe potuto…».
«Cosa, farmi a pezzi e portare i miei resti in infermeria dicendo che era stato un incidente? Ma perché non tieni la bocca chiusa quando serve? Dovevi tirare in ballo la sua famiglia proprio ora! Se Merula è fuori di testa tu vai a braccetto con lei!».
Spinsi da parte Rowan ed entrai nel castello ignorando i suoi richiami.
Non volevo andare in Sala Grande né nel dormitorio sapendo che Rowan mi avrebbe seguita. Dove potevo andare? Il castello era enorme e avrei finito col perdermi.
«Oh attenta!».
Mi accorsi di avere la vista appannata a causa delle lacrime e di aver preso contro a una persona. Penny. Il suo sorriso genuino si dissolse vedendo la mia faccia. Non dovevo avere un aspetto rassicurante.
«Scusa».
La crepa dentro di me si trasformò in un mattone.
«Ti senti bene?». Le mani di Penny mi sfiorarono le spalle.
«No. No no no».
Mi strinsi a lei perché se avessi mosso un altro passo sarei crollata. Il suo profumo di investì e mi lasciai cullare da quella fragranza. L’adrenalina che avevo accumulato era sparita ed ora mi sentivo maledettamente vuota. Inutile. Troppo fragile.
«Sssh, va tutto bene. Va tutto bene». Mi sussurrò Penny carezzandomi la testa.
«Voglio tornare a casa. Perché sono qui? Perché non mi lasciano in pace?».
Sollevai la testa e vidi che Penny sorrideva, un sorriso morbido che metteva in risalto i suoi occhi. Così bella e perdeva tempo dietro una come me.
«Non tutte le cose vengono per nuocere. Io dico sempre che ogni esperienza porta con sé un insegnamento. Se hai bisogno di un aiuto io ci sono, qualunque sia il motivo».
Tirai su col naso. Iniziavo a sentirmi meglio.
«Grazie».
Penny allargò il sorriso.
«Perché non vieni a sederti al nostro tavolo? Non credo che agli insegnanti diranno qualcosa. Ho fatto amicizia con persone molto gentili che non vedono l’ora di conoscerti».
Mi venne quasi da ridere. Avrei davvero trascorso la serata in camera da letto?
Ricambiai il sorriso di Penny.
«Ma certo. Ah, spero non sia un problema se rimandiamo a dopo la cena le presentazioni. Ho una fame che mangerei anche il tavolo».
 

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


CAPITOLO QUARTO

L’indomani mi svegliai con un forte mal di testa che non accennò a diminuire nel corso della giornata. Fortunatamente Piton si tenne alla larga da me e Merula si limitò a gettarmi occhiate torve quando ci trovavamo in presenza di altre persone. Quantomeno la minaccia di Rowan doveva averla, per il momento, fatta desistere per una buona causa. Quanto a Rowan…mi dissi che ci avrei provato a riappacificarmi e sapevo che lei era disposta a perdonarmi ma per un giorno volevo sentirmi me stessa. Volevo essere Julia, la stessa Julia che aveva preso il treno senza alcuna prospettiva di futuro e che si era chiesta durante tutto il viaggio se avesse fatto la scelta giusta. Dovevo iniziare a ricavarmi i miei spazi.

Siccome Pozioni iniziava a diventare una materia abbastanza impegnativa decisi di recarmi in biblioteca per trovare qualche libro utile alla mia causa. Ad ogni lezione Piton iniziava un nuovo argomento e non perdeva l’occasione di interrogare qualcuno dei suoi alunni sul precedente, ovviamente aggiungendo domande a trabocchetto o richiedendo lunghi discorsi che finivano col creare ancora più confusione. Ero quasi arrivata a destinazione quando incrociai di nuovo Elizabeth e la su aria assente. Finsi di non vederla mentre speravo che cambiasse direzione.
«Julia Lee».
«Che c’è?». Non ce l’avevo personalmente con Elizabeth ma i suoi modi di fare non mi piacevano.
«Il nostro Prefetto. Vuole parlare con te».
«E perché non viene lui a chiedermelo?». Ribattei. In tutta risposta lei alzò le spalle come se la faccenda non la riguardasse.
Mi venne il dubbio che forse Rowan aveva parlato con lui.
«Dov’è ora?». Domandai.
Elizabeth mi condusse al campo di allenamento, quello dove si tenevano le lezioni di volo. Felix mi attendeva nell’androne che dava sul corridoio ovest e sembrava sorprendentemente rilassato.
Elizatbeth se la squagliò non appena ebbe portato a termine il suo compito.
«Volevi vedermi, Felix?». Dissi muovendo al contempo un passo avanti. Il Prefetto annuì.
«Sì, volevo vederti. Come stai?».
Il suo tono così tranquillo mi preoccupò e non potei fare a meno di chiedermi quale sfuriata fosse in arrivo.
«Bene. Grazie».
Felix annuì di nuovo e rimase in silenzio per qualche secondo.
«Volevi sapere questo o hai un’altra ramanzina da farmi? Perché ho da studiare, Felix». Gli feci notare.
Lui si staccò dal muro e venne verso di me. Quando parlò teneva il capo leggermente chino come se stesse riflettendo ma io avevo il sentore che lo facesse per nascondere l’imbarazzo.
«Ti chiedo scusa, innanzitutto, per come mi sono comportato fin dal tuo arrivo. Non so perché ho agito in quel modo ma non ce l’avevo con te». Esordì.
In qualche modo credetti alle sue parole. Del resto non ci conoscevamo prima del mio arrivo nel castello e dunque Felix non avrebbe avuto alcun motivo di avercela con me a differenza di Merula. Ma perché sprecare energia in una messinscena anziché comportarsi civilmente? Che ci fosse dietro lo zampino di Piton?
«Scuse accettate». Dissi e in quel momento fu come se il peso nel mio petto si fosse alleggerito notevolmente. Non era un mio nemico. Non era più un problema.
«E secondo…». Felix si passò una mano tra i capelli e sospirò pesantemente. Levò lo sguardo su di me arricciando ritmicamente le labbra. «Vorrei aiutarti per quanto riguarda gli incantesimi di difesa».
Un piacevole calore si irradiò nel mio petto espandendosi rapidamente ma lasciando dietro di sé una sensazione di amarezza man mano che iniziavo a capire l’origine di quel meccanismo.
Felix non si trovava lì di sua volontà. Felix si trovava lì perché era stata Rowan a chiedergli di parlarmi. Chi altri poteva sapere del mio scontro con Merula altrimenti?
«Com’è che di colpo ti sei affezionato a me, Felix?». Domandai col solo scopo di punzecchiarlo per vedere la sua reazione. Come previsto si adombrò ma quando parlò non vi era traccia né di collera né di stizza nella sua voce.
«Sei una brava persona, Julia. Sei entrata in questa scuola e ti sei creata subito delle inimicizie, involontariamente s’intende. Qui le voci circolano e i fantasmi non sono proprio discreti. Sei brava con le parole e questo lato del tuo carattere mi piace. Ma non basterà. Tu più di tutti attirerai malelingue e personaggi privi di scrupoli. Per la tua sicurezza è meglio se impari a difenderti e ad intervenire in situazioni di pericolo. Merula Snyde ti tormenterà non poco nei mesi a venire e conoscere qualche incantesimo ti aiuterà a levare qualche sassolino dalle scarpe».
Mi piacque quel suo approccio, anche se non veniva dalla sua mente quell’idea sembrava veramente intenzionato ad aiutarmi. Mi disse anche che conosceva un paio di ragazzi del terzo anno che avrebbero potuto aiutarmi e che gli avrebbe parlato di me.
«Sono sicuro che sarebbero felici di lavorare con te. Nel frattempo, se vai in biblioteca, fai qualche ricerca sui duelli. Avrai un mio gufo prima di stasera». Mi disse. Poi ci salutammo ed io mi avviai verso il castello.

Fuori dalla biblioteca mi incrociai con Penny, proveniente dall’aula di Trasfigurazione.
«Sei di buon umore oggi, è bello vederti così». Mi disse regalandomi uno dei suoi dolci sorrisi.
«Diciamo che le cose stanno iniziando ad andare meglio». E le parlai della proposta di Felix.
Lei spalancò gli occhi per la sorpresa. «Wow. Interessante. Dovresti approfittarne!».
«Dici?».
«Ma certo! Poi tu specialmente dovresti imparare più di tutti a difenderti».
Le avrei voluto chiedere se avrebbe detto le stesse cose anche se non fossi stata io ma mi trattenni. Sperai che non si diffondesse la voce che Julia Lee cercava aiuto per imparare a difendersi essendo la sorella di un pazzo che magari, chissà, avrebbe fatto cucù e si sarebbe messo a mietere vittime per il semplice gusto di farlo.
Io e Penny ci dividemmo e finalmente raggiunsi la biblioteca. La bibliotecaria, Madama Pince, era una donna alta e magra vestita con abiti color melanzana che si aggirava tra gli scaffali e i banchi rivolgendo occhiatacce a chiunque osasse fiatare. Quando le chiesi dove potessi trovare libri sui duelli mi guardò con circospezione.
«Perché?». Domandò e la sua voce leggermente nasale mi ricordò quella di Isolda.
«Una ricerca». Risposi.
«Quale ricerca?».
«Una normale ricerca, come qualsiasi altro studente qui in questa scuola!».
Vidi Madama Pince strizzare gli occhi, non mi ero accorta di aver alzato la voce.
«Dovrei buttarti fuori, lo sai?». Sibilò.
«Oh so dove trovare l’uscita, non serve essere così accomodanti». Replicai.
Rossa in volto Madama Pince mi guidò nella sezione dedicata agli incantesimi e finalmente ebbi un po’ di pace sebbene la sentissi aggirarsi e sbirciare nella mia direzione di tanto in tanto.
Stavo iniziando ad appisolarmi (la poca luce ed il brusio di sottofondo non favorivano la concentrazione) quando qualcuno mi toccò una spalla. Pensando immediatamente che fosse Merula mi tirai su di colpo ed estrassi la bacchetta.
Ma si trattava di Rowan. Sussultò rumorosamente per via della mia reazione. Ci fissammo per qualche istante, poi io rinfoderarla bacchetta e lei riprese a respirare regolarmente.
«Ho seriamente pensato che volessi fare sul serio». Disse lasciandosi cadere sulla sedia accanto alla mia. Evitai di dirle che non ci sarebbero state esitazioni di alcun tipo da parte mia in quel caso.
«Cosa vuoi, Rowan? Perché avrei da fare…».
«Oh…oh anche io». Rowan pescò qualcosa dalla tasca della sua divisa e lo poggiò sul tavolo. Era una lettera da parte di Felix. Diceva che ancora stava cercando qualcuno disposto a insegnarci come duellare e che nel frattempo dovevamo cercare un libro specifico sui vecchi incantesimi da difesa. Rowan non aveva idea di dove fosse e io non avevo alcuna intenzione di fare domande a Madama Pince.
«Ho sentito dire che il professor Vitious è un ex campione di duelli. Se chiedessimo a lui di insegnarci?». Propose Rowan. L’idea non era male anche se rivolgerci a un insegnante non era proprio quello che speravo di fare.
«Scusa ma non capisco perché tu voglia imparare a duellare». Dissi.
«Beh perché sono tua amica e nel caso non te ne fossi accorta chi colpisce te finisce anche per colpire me. Un paio di occhi in più non fa male, che dici?».
No, non faceva male affatto. Solo che Rowan non era la candidata ideale per cose del genere vista la sua sbadataggine e la sua totale mancanza di principio. Mi avrebbe fatto perdere tempo, lo sapevo.
Sospirai.
«E va bene. Sei tu quella brava con i discorsi, perché non vai da Vitious a chiederglielo?».
Lasciai a Rowan l’arduo compito di parlare col professore e io invece cercai il libro sui duelli di cui parlava Felix. Incontrai anche Ben, di ritorno dall’aula ti Erbologia. Il viso cavallino si allungò quando mi vide.
«Ehi, tutto a posto campione?».
Lui annuì, sempre con quell’espressione terrorizzata.
«Abbiamo studiato il Tranello del Diavolo. Mi auguro di non averci più a che fare». Disse rabbrividendo ed io non potei che dargli ragione.
Poi gli parlai dell’idea di Felix e gli chiesi se fosse interessato a partecipare a qualche lezione speciale. Come previsto lui avvampò e temetti seriamente che scoppiasse in lacrime.
«No no, io…io…io no! No no no!».
«Va bene Ben, nessuno ti costringerà. Sappi che se ti interessa sai dove trovarmi. Ehi, anzi…sai mica dove potrei trovare un libro vecchio vecchio sugli incantesimi di difesa?».
Non lo avrei mai detto ma Ben mi tornò utilissimo in quella situazione. A quanto pareva, a furia di nascondersi dagli altri, aveva scoperto una serie di stanze ed anfratti alquanto interessanti. Tra questi vi era la Stanza dei Manufatti, in apparenza un ripostiglio ma zeppo di oggetti misteriosi, vecchi libri e manufatti magici.
«Qui dentro ci sono dei libri e cose che non vorrei mai aprire». Disse Ben rimanendo da parte mentre io esploravo.
«Sei stato bravo, Ben. Questo posto mi darà tante soddisfazioni, me lo sento». E mi guardai attorno soddisfatta.
«Vedessi lo studio di Gazza…».
Corrugai la fronte.
«Gazza? Il custode bisbetico con la gatta?».
Non avevo ancora avuto modo di interagirci con quel tipo e sperai che il momento fatidico fosse il più lontano possibile. Da quello che avevo avuto modo di capire e sentire Gazza odiava gli studenti e utilizzava la sua gatta come detector degli allievi a zonzo nei corridoi.
«Ho…ho sentito dire che tiene delle manette nel suo studio». Ben rabbrividì suscitandomi una risata.
«Mettiamoci a cercare questo libro, Ben. Prima iniziamo e prima finiamo».
Non fu facile mettersi a cercare. Dovunque c’erano scatoloni ammassati e pieni di polvere per non parlare degli spazi ristretti e della scarsa luminosità. Ben ci mise tutto sé stesso per aiutarmi e fu proprio lui a trovare il libro in un anfratto a cui avevo smesso di dedicare attenzione dopo poco tempo.
«Finalmente!». Mi passai una mano sulla fronte lasciandovi una scia polverosa. Ben mi sorrise raggiante e mi porse il libro. Era parecchio grosso ma dalle pagine incredibilmente sottili.
«Leggere non ha mai fatto del male a nessuno, giusto? Magari potrei leggere anche io qualcosina». Disse Ben, sebbene fosse titubante sembrava molto incuriosito dal libro di incantesimi.
«Ma certo! Anzi perché non ci aiuti a preparare le lezioni? Sono certa che Rowan sarebbe molto…».

Fu come addormentarsi di colpo, senza nemmeno sentire la stoffa del cuscino sotto la testa. Una sorta di sonno indotto ed io che precipitavo in una nebbiolina che avvolgeva ogni cosa. C’ero solo io e mi stavo allontanando sempre di più.
«Julia! Julia che hai? Julia!».
Spalancai gli occhi e vidi Ben fissarmi terrorizzato. Mi afferrò per le spalle e mi scosse con energia senza smettere di gridare il mio nome.
«Sto bene! Sto…».
Ben fece un passo indietro.
«Vuoi che vada a chiamare qualcuno?».
«No, non serve. Sto bene». Mi massaggiai la testa e fui colta da una forte emicrania.
«Avevi uno strano sguardo. Sembravi in trance». Pigolò Ben.
«Ascoltami, credo di aver avuto una visione. Ho delle immagini confuse ma c’era un’armatura che camminava e la scuola avvolta dalle fiamme. E del ghiaccio. Sì, c’era tanto ghiaccio».
Fu come se un’entità nascosta stesse parlando attraverso di me. Fui colta da un brivido e vidi Ben impallidire ancora di più.
«Ghiaccio? Julia ti senti bene?».
«Sì ti ho detto!». Sbottai, quella sua preoccupazione eccessiva iniziava a darmi sui nervi. Non potei però fare a meno di chiedermi come sembrassi ai suoi occhi. Mi vedeva come una pazza? Sarebbe stato capace di mantenere il segreto?

Improvvisamente non avevo più voglia di stare in quella stanza.
Ben si offrì di accompagnarmi nei sotterranei e lì ci dividemmo. Avevo bisogno di riposare un po’ ma quella visione mi aveva preoccupato. Ciò che non avevo detto a Ben era che avevo udito una voce. Una sorta di nenia che recitava una frase dal significato che ancora non comprendevo: “Allo sciogliersi del ghiaccio la sala si aprirà”. Perché c’era tutto quel ghiaccio attorno a me? E di quale sala parlava la voce? Che si riferisse a Jacob? Mi dovetti fermare perché mi girava la testa e avevo una forte nausea.
Jacob. Che diamine aveva combinato? Che la voce si riferisse a una delle Sale Maledette che avevano condotto mio fratello lontano da me? Cosa diamine significava?

Mi chiusi nel mio dormitorio fin quando Rowan non venne a chiamarmi. Vitious ci avrebbe dato volentieri lezioni private e ne avremmo parlato dopo la lezione del pomeriggio.
Come previsto, alla fine della lezione Vitious mi chiamò.
«Signorina Lee, la sua amica Rowan mi ha fatto un discorso che non mi è molto chiaro perciò preferirei sapere direttamente da lei cosa aveva intenzione di chiedermi». Disse.
«Uh…sì. Lei è campione di duelli, giusto?».
Vitious inspirò profondamente e gonfiò il petto con orgoglio.
«Ebbene sì. In gioventù. Sono pieno di trofei». Aggiunse gongolando.
«Mi chiedevo se lei avrebbe voglia di insegnarmi qualche tecnica di difesa».
Lui corrugò la fronte e mi guardò perplesso.
«Esistono un sacco di manuali in questa scuola che parlano di duelli magici. O in tal caso puoi chiedere al preside Silente, il suo duello con Gellert Grindelwald è passato alla storia».
Mi sentivo sudare le mani  e temetti che Vitious se ne accorgesse così le infilai in tasca.
«Ma io pensavo che lei mi avrebbe insegnato qualcosa, professore. Ha un notevole carisma e le sue spiegazioni sono davvero esaustive». Accennai un sorriso ma dentro di me non vedevo l’ora di uscire da quell’aula. Le immagini della mia visione si susseguivano come flash ogni volta che abbassavo la soglia di attenzione. Se riguardavano Jacob dovevo assolutamente scoprire dove si trovava la Sala Maledetta di cui parlava la voce. E non potevo farlo senza essere in grado di difendermi.
Vitious tossicchiò e parte della sua goliardia svanì mentre si appoggiava a uno dei banchi come per raccogliere le idee.
«Perché tutto questo interesse per i duelli, signorina Lee?».
«Che strega sarei se non sapessi difendermi?».
«Questo è vero ma non credere che i duelli siano così piacevoli come sembrano. Servono tante componenti per riuscire a tener testa all’avversario». Disse Vitious.
«Io credo che serva anche la fortuna».
Vitious assottigliò le palpebre ed inclinò la testa da un lato. Forse gli era parso strano quel mio atteggiamento ma onestamente non mi importava. C’era in ballo la vita di mio fratello e con o senza Vitious avrei trovato un modo per imparare a duellare.
«Facciamo così, signorina Lee…». Vitious si allontanò dalla scrivania e venne davanti a me. «Io le insegnerò alcuni incantesimi di difesa del tutto legali e praticamente innocui. Voglio però la sua garanzia che non andrà a commettere atti sconsiderati in giro per la scuola o da qualunque altra parte. Non dimentichi chi è, signorina Lee».
Di nuovo vedevano Jacob e non me. Temevano che potessi essere instabile? Beh avevano ragione, se era una questione di scelte non avrei guardato in faccia nessuno. Jacob veniva prima di tutto.
Mi diede appuntamento quella sera nel cortile dell’orologio ed io uscii dall’aula più nervosa di prima.

Durante il pranzo Rowan mi tempestò di domande ma io non volli parlare. Sbocconcellai qualcosa e me ne tornai in biblioteca sperando che non mi seguisse. Di tanto in tanto sperai che la visione tornasse a farmi visita ma non fu così. Ero come in attesa di qualcosa che non conoscevo e che avrebbe potuto colpirmi alle spalle da qualsiasi momento.
Finalmente arrivò la sera e con essa l’appuntamento con Vitious in cortile. Rowan si era radunata con altri ragazzi in Sala Comune perciò non le ricordai dell’appuntamento e sgattaiolai fuori dal dormitorio.
Vitious mi attendeva vestito di tutto punto e quando mi vide arrivare fece un breve inchino.
«Pronta?». Domandò allegramente.
«Nervosa, direi».
«Allora scaldiamoci. Ti insegnerò un incantesimo mooolto semplice ma che ti fornirà già un notevole vantaggio, sto parlando dell’incantesimo Expelliarmus».
Non mi suonava alquanto nuovo quel nome: lo aveva usato Merula contro di me il giorno prima.

Ci mettemmo all’opera e fu immediatamente chiaro quanto Vitious fosse sprecato per fare l’insegnante. La sua abilità nel gesticolare e nel muovere la bacchetta erano invidiabili. L’entusiasmo e l’energia che ci metteva non erano nemmeno la metà di ciò che vedevo in classe.
Quando terminammo avevo il polso dolorante ma lui era fresco come una rosa.
«Bene, signorina Lee. Mostrami cos’ha imparato. Disarmami».
Spalancai gli occhi mentre Vitious si metteva davanti a me praticamente tranquillo.
«Io…disarmare lei?».
«Più di tanto non potrà fare, no?».
Soppesai la bacchetta. Il mio primo incantesimo di difesa. La impugnai e guardai Vitious immaginando che fosse Merula. Riempii i polmoni d’aria e mi sbilanciai in avanti.
«Expelliarmus!».
Vitious ebbe un leggero sussulto e la bacchetta gli volò dalle mani finendo dieci metri più indietro.
«Uh…uh…interessante. Dovremo lavorare un po’ sul temperamento ma siamo su un’ottima strada, signorina Lee».
«Dice davvero?». Domandai.
Lui recuperò la bacchetta e si pulì gli occhiali prima di rispondermi.
«Non sprecherei tanto fiato per niente. E visto che siamo in tema di talenti ti posso suggerire di allenarti con il signor Copper, fa tanto il timido ma ha molta abilità con gli incantesimi».
«E invece Rowan?».
Vitious alzò le spalle.
«La signorina Khanna è molto portata a seguire ciò che c’è scritto su un libro ma gli incantesimi da duello richiedono tante competenze tra cui un certo temperamento e nervi saldi».
Provai un grande sollievo nel sapere che non avrei avuto Rowan a lezione con me. Certo, poi però bisognava dirglielo.
«Grazie per l’allenamento, professore». Dissi, pronta a tornare nel dormitorio. Avevo le ossa a pezzi.
«Grazie a te per l’interessamento. E in merito a ciò…».
Mi fermai.
«Sì?».
«Signorina Lee io sono un mago molto franco e vorrei che fosse anche lei così anche se mi pare di capire che non le servono raccomandazioni. Ma…è mio dovere sapere se lei ha intenzione di attenersi alle regole che ho prestabilito. Non andrà in cerca di guai solo per sperimentare le sue abilità nel duello, giusto?».
«Professor Vitious dal momento che lei sa chi sono sa anche a cosa potrei andare incontro. Perciò non serve che le dica quale sarà la mia risposta».
Lo vidi guardarmi per qualche istante, serio.
«Capisco. Buonanotte, signorina Lee».
Mi passò accanto sospirando pesantemente ed entrò nel castello. Non sapevo se la mia risposta lo avesse allietato o contrariato ma non potevo farci nulla. C’era la vita mia in ballo oltre a quella di Jacob ed ero certa che in qualche modo avrebbe capito.

Feci ritorno nel dormitorio e non appena entrai nella stanza Rowan mi aggredì.
«Allora? Che ti ha detto Vitious?».
Era così fuori di sé dalla gioia che faticai a trovare una scusa per toglierle il sorriso dalla faccia.
«Uh…ha detto che in questo periodo è impegnato e che può permettersi di prendere non più di uno studente alla volta». Dissi.
«Oh. Quindi non possiamo allenarci?».
«Io sì».
«Ah».
«Buonanotte Rowan».
Mi infilai sotto le coperte. Nonostante fossi stanca non riuscivo a non pensare alla visione e a quanto tempo mi rimanesse per trovare Jacob. Le lezioni con Vitious non mi bastavano per imparare tutto ciò di cui avrei avuto bisogno perciò avrei dovuto studiare per conto mio. Magari assieme a Ben nella Stanza dei Manufatti.
Hogwarts mi stava aprendo pian piano le sue porte segrete mostrandomi strade che non conoscevo e segreti che era meglio non divulgare. Quale sarebbe stata la sua prossima mossa?
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


CAPITOLO QUINTO

L’indomani il Prefetto Felix ci raggiunse nella Sala Comune. Era sorprendentemente di buon umore a differenza mia che avevo dormito pochissimo.
Ci disse che ci aspettava nel cortile, poi se ne andò senza dire nient’altro.
«Chissà che vorrà fare». Disse Rowan.
Non impiegammo molto a scoprirlo. Felix ci attendeva seduto accanto alla fontana, intento a leggere qualcosa che mise via non appena ci vide arrivare. Sentivo la colazione saltellare nel mio stomaco; avevo ingoiato tutto in fretta e furia senza nemmeno sapere perché, mentre Rowan si era gustata il suo porridge in tutta calma. Quanto sapeva essere infame il destino a volte…
«Buongiorno. Sono qui per vedere se effettivamente Julia Lee è in grado di duellare». Esordì Felix.
«Voci di corridoio mi hanno detto che stai prendendo lezioni private. So che impari in fretta e che sei anche abbastanza audace e transigente da osare. Dunque…ti sfiderai con Rowan».
Io e Rowan ci guardammo.
«Ehm…sei sicuro?». Domandò lei. Non mi piaceva il modo in cui parlò. Sembrava turbata. O forse temeva che fossi troppo debole per lei?
Felix fece un cenno col capo.
«Non dubito mai delle mie scelte. Coraggio, a breve avremo lezione e non voglio arrivare in ritardo».
Ci fece cenno di muoverci. Io mossi un passo in avanti mentre la mia compagna rimaneva ferma dov’era. Sollevai la bacchetta.
«Aspetta, aspetta! Non saremmo in svantaggio?». Disse Rowan ad un tratto.
«Ma che stai dicendo?».
Lei si schiarì la gola e seppi che era in arrivo uno dei suoi amabili discorsi.
«Julia si è esercitata senza di me ma io ho fatto ricerche e ho imparato diversi incantesimi che voglio provare mentre lei…lei beh…ho dei dubbi che ne sappia abbastanza».

Guardai Felix che sembrava tranquillissimo mentre io sarei scappata via per non prendere la mia compagna di dormitorio per la collottola. Cosa voleva insinuare? Sapevamo entrambe che negli incantesimi non eccelleva, perché ora giocava la carta della studentessa modello solo per mettermi in una posizione scomoda?
«Vuoi forse dire che hai paura di duellare, Rowan?». Infilai la bacchetta in tasca e, come previsto, un muscolo si tese sul suo viso.
«No, dico solo che la pratica non è tutto. Quanti incantesimi hai imparato con Vitious, Julia? Uno? Due? quali incantesimi di difesa o attacco conosci?».
«Si può sapere che ti prende?». Domandai.
«Penso che non dovresti duellare conoscendo così pochi incantesimi». Rispose Rowan con una tranquillità che mi dava sui nervi.
«Oh non mi basta sapere tutto il libro, grazie. Mi basta un po’ di cattiveria, tu mi sembri invece animata da parecchia indecisione».
Le labbra di Rowan tremolarono, riprese la sua posizione da duello e io la imitai.
«Di solito si cominciano i duelli con un inchino, ci si avvicina e quando si comincia è sempre quello di destra a prendere in mano la sit…».
«Scusa Rowan ma non sono dell’umore giusto oggi…Rictusempra!».
Quell’incantesimo si materializzò nei miei ricordi come un lampo. Non ricordavo se Vitious lo avesse pronunciato in aula o lo avessi letto da qualche parte. Vidi gli occhi di Rowan spalancarsi e l’onda d’urto mandarla a gambe all’aria. Cadde qualche metro più indietro e gli occhiali le scivolarono sul naso. Felix fece uno scatto in avanti come se volesse accertarsi che lei stesse bene, poi intravidi un mezzo sorriso che celò con un colpo di tosse e tornò al suo posto dopo aver constato che Rowan stesse bene.
«Questo come lo conoscevi?». Mi domandò.
«L’ho…ricordato».
Rowan si pulì una manica della divisa e mi indicò.
«Buono, sì. Ma avresti dovuto prima avvertirmi, avrei trovato un controincantesimo che avrebbe…».
«Possiamo andare ora?». Mi voltai verso Felix che annuì compiaciuto.

Mi precedette verso il portone e io lo seguii. Proprio all’ultimo mi parve di udire dei passi veloci e una voce familiare gridare.
«Lasciami! Vattene via!».
Ben Copper aveva fatto irruzione nel cortile seguito nientepopodimeno che da Merula. Sembravano aver corso e qualcosa mi diceva che era meglio tenermi alla larga.
Guardai Rowan che ricambiò il mio sguardo e scosse la testa come per suggerirmi di evitare di intromettermi. Ma se non ci avessi pensato io chi avrebbe badato a Ben. Le sue grida avevano attirato diverse persone, se non intervenivo sapevo che avrei rivisto quella scena migliaia di volte accompagnata da uno sgradevole senso di colpa.
«Sei piuttosto scarso a correre, Copper. Ti ho raggiunto in un battibaleno». Stava dicendo Merula ad alta voce. Ben avrebbe potuto tranquillamente tagliare la corda ma era come impietrito e tremava. Inoltre, nessuno dei presenti che assistevano sembrava voler finire in mezzo a quella conversazione.
«Vattene via! Non ti ho mai fatto nulla, sono sempre stato gentile e rispettoso, non so che cosa voglia da me». Disse Ben.
«Beh semplice: che tu te ne vada».
Si sollevò un mormorio.
«Di che sta parlando?». Chiesi a Rowan.
Lei fece spallucce.
«Dai, Ben ha in parte origini Babbane. L’hai già scordato?».
«Il sistema di questa scuola fa acqua da tutte le parti. Non bastava Julia Lee, ora pure te. Voi due siete delle aberrazioni, siete qualcosa che non dovrebbe esistere e che è giusto eliminare da questo posto».
«Come te ad esempio?».

Tutti si voltarono nella mia direzione e pure Merula fu sorpresa di vedermi. Ben impallidì.
«Lee fuori dai piedi, oggi hai la fortuna che ho altro per la testa, approfittane». Disse Merula sprezzante.
«Certo. Perché per te che si tratti di Ben o che si tratti di me è uguale. Sempre aberrazioni siamo. Sempre esseri inferiori siamo. E che dire dei figli dei Mangiamorte? Non molto tempo fa si è combattuta una battaglia contro Tu-Sai-Chi. Tu sei nella sua stessa Casa, Merula. Non ti rende onore».
«Stai zitta, hai capito? Zitta!».
Fu proprio come speravo: la diceria che Merula aveva genitori Mangiamorte si sarebbe diffusa in fretta e la mia giovane compagna avrebbe dovuto fuggire anche da un nuovo tipo di tormento.
«Pare che in questa scuola ci sia posto solo per una persona degna di valore. Vediamo dunque di chi si tratta!».
Merula sfoderò la bacchetta ma io fui più rapida. L’adrenalina scorreva dentro di me come fuoco, faticai quasi ad impugnare la bacchetta mentre nella mia mente si dipinse di nuovo quel segno, quella runa rosso fuoco che richiamava l’incantesimo Rictusempra. La scintilla rossa che schizzò dalla mia bacchetta saettò verso Merula che la evitò all’ultimo istante mandandola a schiantarsi contro la colonna alle sue spalle. Si levarono grida di stupore da parte degli spettatori. Pure io ne rimasi sorpresa.
«Flipendo!». Gridò agitando la sua bacchetta. Stavolta andò a segno. Non fece male come mi aspettavo ma regalai alla mia divisa un delicatissimo atterraggio sul selciato. Merula scoppiò a ridere ma nessuno la imitò. Ben guardava ora lei e ora me, sempre tremante. Sembrava voler dire qualcosa. Ero quasi certa che volesse intervenire.
Mi rialzai.
«Non pensi sia il caso di lasciare stare, Merula?».
«Sì hai ragione. Per questo tu e Copper dovete andarvene».
Quella faccenda non sarebbe mai finita. Merula mi avrebbe dato il tormento per molti altri anni e la cosa non mi allettava molto, specialmente perché nel frattempo dovevo trovare Jacob.
«Mi dispiace per te ma ho ancora un paio di cose da sistemare prima di fare i bagagli e se non ti dispiace…Expelliarmus!».
L’incantesimo colpì Merula proprio dove volevo io e lei, come previsto, non se lo aspettò. La bacchetta le cadde dalle mani e quell’esito suscitò risatine da parte dei presenti. Pure Ben si unì e ciò mi riempì di orgoglio. Merula Snyde campava sulla silenziosa collaborazione di altri studenti ma non aveva alcun senso della lealtà.
«Ho altre cose a cui pensare, Merula».
«Tu non puoi permetterti di trattarmi così!». Merula mi guardò con odio. Tremava incessantemente ed era rossa in volto. Umiliazioni del genere non dovevano essere all’ordine del giorno per lei. Io d’altro canto, essendo cresciuta con un fratello, sapevo bene come affrontare i conflitti e le ingiustizie.
«Eccome se posso. Mi hai stufato, tu e le tue offese gratuite, ancora non capisco perché nessuno in questa scuola prenda provvedimenti verso gesti simili».
«Me lo chiedo anche io».

Vidi i volti dei presenti sbiancare. Merula sussultò e Ben parve sul punto di piangere. Piton e Vitious erano arrivati alle nostre spalle e da come ci guardavano sapevo che non erano in arrivo buone notizie.
«Professor Piton posso spiegare!». Esclamò Merula, già pronta a difendersi inutilmente.
«Sì, brava. Spiega pure…Lee».
Fu il mio turno di sussultare. Piton guardava me, era uno sguardo che gli avevo visto una sola volta in faccia e che speravo non avrebbe mai rivolto a me. Mi sentii la testa improvvisamente pesante e venni colta da una vertigine. Non era la prima volta che mi capitava ma non mi aspettavo che si verificassero quei sintomi in quel preciso momento. Jacob diceva che era la mia anima che faceva disastri.
«Perché quando sento parlare di guai mi viene in mente sempre il tuo nome?». Proseguì Piton.
Vitious si schiarì la gola e provai una stretta allo stomaco vedendolo così…deluso. Doveva sentirsi tradito dal mio gesto. Mi accorsi solo in quel momento di quanto lo avessi esposto a rischi. Nessun allievo del primo anno scagliava incantesimi come quelli che avevo lanciato io. Era abbastanza facile arrivare al responsabile.
«Lee, dimmi una cosa, per piacere…hai scagliato tu per prima l’incantesimo?».
Riflettei. Se avessi risposto di sì era la volta buona che veniva espulso, se avessi risposto di no scommettevo cento Galeoni che Piton avrebbe trovato comunque il modo di farmi finire nei guai.
Mi schiarii la gola.
«Io ho solo alzato la bacchetta per difendermi ma non ho scagliato alcun incantesimo, almeno non prima che Merula mi colpisse».
Non era vero e penso che anche Piton lo sapesse. Fu colta di nuovo dalle vertigini e dall’emicrania.
«Che incantesimo hai usato?». Domandò Piton.
«Rictusempra».
Era quello che si aspettava. Lo vidi sorridere trionfante e i suoi occhi andarono al collega al suo fianco.
«E dove lo hai imparato, Lee?».
«In Biblioteca».
«Ah». Disse Piton in tono mellifluo. «Quindi Madama Pince ha lasciato a un’allieva del primo anno un volume di magia avanzata che si studia a partire dal terzo anno. Interessante».
«So essere convincente». Risposi.
«Sai essere una pessima bugiarda, Lee. Vitious, hai niente da dire?».
Piton tornò a guardare il collega che alzò le spalle come se non sapesse di cosa stava parlando.
«Non so, Severus. Forse, come dici tu, la nostra allieva ha abusato un po’ della sua fama per ottenere favori».
Quella risposta fu come un calcio nella schiena. Sapevo che Piton sapeva e anche Vitious sapeva ma nel profondo sapevo di averlo deluso.
«Mmh, sarà…ad ogni modo, come responsabile del tuo dormitorio ho il dovere di far rispettare le regole. Per cui ti manderò un gufo non appena la tua punizione sarà pronta».
I due se ne andarono ed io mi voltai prima ancora che Merula potesse riprendersi e contrattaccare. Mi ero sfogata a dovere ma facendolo avevo messo in pericolo l’intera Casa. Feci segno a Rowan di tacere mentre la precedevo dentro il castello. Forse non era del tutto sbagliato quello che diceva Merula: magari non ero un pericolo per la scuola ma dovevo trovare al più presto un equilibrio o qualcuno si sarebbe fatto seriamente male per colpa mia.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


CAPITOLO SESTO

Lungo la strada verso l’aula di incantesimi incrociai Penny.
«Ehi, Julia, vai di fretta?». Mi domandò.
Non riuscii a restare zitta davanti al suo buon cuore e le raccontai ciò che era accaduto in cortile, tralasciando le lezioni con Vitious.
«Mmmh, ho sentito qualcosa a proposito ma volevo sapere anche da te cosa ne pensassi». Disse infine.
Sospirai.
«Stavolta ho passato il limite».
«Lo pensi davvero?».
Non avrei più potuto guardare il mio professore di Incantesimi negli occhi d’ora in poi. Vi avrei sempre colto una punta di rammarico e disapprovazione. Per non parlare della punizione di Piton e di ciò che presto o tardi tutti avrebbero pensato di me: che ero una piantagrane nonché figura da cui tenersi saggiamente alla larga se non si volevano perdere punti o finire in punizione a vita.
«Merula mette a dura prova i miei nervi, onestamente». Ammisi.
Penny annuì lentamente, pensosa.
«Beh c’è un ragazzo della mia Casa che conosce degli esercizi per rilassare la mente durante i duelli, forse può esserti di aiuto».
«Penny non cerco uno che mi aiuti a duellare ma…».
«Ma cosa? Sembra che ogni volta che vedi Merula tu ti senta in colpa di non aver fatto qualcosa. È perché continua ad insultarti per tuo fratello?».
«Per tante cose». Dissi.
«Senti, Julia, se vuoi posso aiutarti a sfogarti quando serve ma se posso darti un consiglio spassionato eviterei di fare troppa attenzione a Merula Snyde. È una ragazza sola e litigandoci non farete che ferirvi l’un l’altra inutilmente».
Penny aveva ragione. C’era da dire che da quando ero arrivata i guai non facevano che inseguirmi. Dovevo prendere in considerazione l’idea di Rowan e godermi gli anni che avevo davanti senza logorarmi i nervi.
«Hai ragione. Grazie per essere sempre così comprensiva, Penny». Dissi.
Il suo sorriso mi sciolse ed io avvertii un forte calore all’altezza dello stomaco. Prima di buttarmi in un parapiglia con Merula avrei pensato a lei e forse questo mi avrebbe aiutato a desistere dal commettere scelleratezze.
«Figurati Julia. Oh salve professor Piton!».
Mi voltai. Piton stava venendo verso di noi, non sapevo come avesse fatto a trovarmi e non me lo chiesi. La sua espressione parlava da sola.
«Lee seguimi».

Penny alzò un pollice come per incoraggiarmi ed io non potei fare a meno di chiedermi se l’avrei rivista. Seguii Piton lungo il corridoio e poi su per un paio di rampe per poi giungere nel lato ovest del castello. Con mia sorpresa ad attenderci c’era anche Merula.
«Perché lei è qui?». Domandai incautamente.
«La signorina Snyde doveva immediatamente venire nel mio ufficio anziché unirsi alla rissa». Disse Piton. Mi aspettai che aggiungesse altro, magari qualcosa su di me, ma così non fu.
«Dobbiamo discutere della vostra punizione». Mentre parlava i suoi occhi scivolarono su di me. «Anche se l’espulsione mi sembra l’opzione più ovvia».
«Professor Piton perché non se la prende con Lee? Sappiamo tutti che è stata lei a lanciare l’incantesimo!». Protestò Merula con veemenza. Per un attimo temetti che Piton le avrebbe urlato addosso. Ma lei era la sua preferita, come il resto dei miei compagni di dormitorio. Io avrei sempre accusato il colpo peggiore.
«E tu hai risposto più di una volta, Snyde, non sei meno colpevole. Tuttavia, ciò non giustifica quello a cui ho assistito poco fa». Disse Piton.
Sentii che era in arrivo qualcosa di ben peggiore.
«Signorina Lee, da quando sei entrata in questo castello hai messo a dura prova ogni milligrammo della mia pazienza, se così possiamo dire. Hai infranto un numero considerevole di regole, messo in pericolo la vita dei tuoi compagni, umiliato insegnanti, danneggiato beni della scuola, rubato… e potrei continuare per ore ma so che ti darei solo troppa importanza e non ne meriti».
Sostenni lo sguardo di Piton,  non  tanto per irritarlo ma perché entrambi sapevamo che quello che avevo fatto si limitava a molto meno di ciò che aveva detto lui. Voleva forse farsi grande davanti a Merula nel tentativo di vederla strapparsi i capelli e gridare dall’emozione che quelle strigliate le suscitavano? Come mi facevano ridere quei due, entrambi figli unici. Entrambi non abituati a dover mentire davanti a un genitore per coprire le marachelle del fratello o a fare a botte per pareggiare i conti.
«Probabilmente i danni compiuti da suo fratello le sembravano troppo antiquati, serviva un po’ di rinnovo». Sogghignò Merula. Tacque immediatamente quando Piton le rivolse un’occhiataccia.
«Tu fratello, Lee, ha già contribuito in passato a mettere a ferro e fuoco la scuola». Proseguì Piton. Altra menzogna considerato che nemmeno insegnava ad Hogwarts ai tempi di mio fratello.
«Perciò dimmi, Lee…che cosa dovrei farti per inculcarti la disciplina? Espellerti sarebbe troppo facile e punirti gioverebbe solo a me…».
Difendere Ben era un motivo per venire punita? Non dovevo dargli spiegazioni, non ne aveva bisogno. Probabilmente nella sua vita Piton aveva solo ed esclusivamente salvato il suo deretano perciò perché far finta di niente o sciorinargli la storiella dell’amicizia eterna?
«In tutta onestà, professore, penso che dovrebbe porsi lei questa domanda dato che, se avesse buonsenso, si sarebbe limitato ad ascoltare entrambe le parti anziché parlare di punizioni quando sia io che lei sappiamo che non hanno motivo di esistere in questi casi».
Sentii Merula trattenere il fiato e mi resi conto di aver tirato fuori una delle frasi tipiche di mio fratello quando mamma doveva punire uno dei due per un disastro combinato.
Un angolo della mascella di Piton si tese.
«Sapevo che avresti risposto così. Venti punti in meno a Serpeverde. Riguardo all’espulsione, non è mio compito in quanto non sono il preside. Ma nel caso siate ancora protagoniste di un duello, posso scommetterci tutto ciò che alberga in questa scuola, mi occuperò personalmente della vostra immediata dipartita».
Non ci fu bisogno di un interprete per capire che la predestinata sarei sempre e comunque stata io e non Merula.

Fummo interrotti da un rumore di passi e da un fischio acuto che annunciarono l’arrivo di Argus Gazza, il custode. Lì per lì pensai che la sua fosse un entrata ad effetto, solo per completare il discorso di Piton, ma rimasi sorpresa di vederlo alquanto scosso.
«Professore deve venire con me, subito». Gazza ci lanciò un’occhiata incerta e si fece più vicino a Piton ma io udii chiaramente la parola “Sale” e mi si gelò il sangue.
«Beh, diciamo che per ora le nostre amabili conversazioni terminano qui. Tornatevene in Sala Comune in attesa di nuove da parte mia». Disse Piton. Ci regalò una rapida occhiata prima di sparire dietro Gazza.
Non mi restava che sbarazzarmi di Merula e tornare lì per avere più informazioni.
Mi girai per tornare alla scalinata e fingere che non fosse accaduto nulla ma Merula mi anticipò sbarrandomi la strada.
«Dove credi di andare?».
«Nel dormitorio a prendere i libri». Risposi. Ogni parola mi uscì con fatica dato che l’immagine di Jacob aveva letteralmente preso possesso dei miei pensieri.
Merula piegò le labbra in un sorriso.
«Oh, beh. Ti facevo meno arrendevole, Lee. Nomino tuo fratello e scatti come una molla». Indicò il corridoio in cui si erano appena dileguati Piton e Gazza. «Ma non fai una piega quando si parla delle Sale Maledette?».
La bocca mi si seccò.
«Non so di che parli».
«Lee…sembra che tu abbia visto un fantasma. Le orecchie le ho pure io per sentire e quello che dicevano quei due…».
«Non sono affari tuoi, Merula. Ogni volta che ci troviamo insieme succedono cose spiacevoli. Abbiamo evitato l’espulsione per un pelo. Sinceramente non voglio dare motivi in più a Piton di divertirsi».
La spinsi da una parte e la oltrepassai. Se pensava che avrei fatto anche una semplice passeggiata in sua compagnia si sbagliava. Ne avevo abbastanza. Di tutto. Di tutti.
«Ehi, Lee!». Mi chiamò Merula.
Mi fermai.
«Senti, questa faccenda ormai riguarda entrambe, non puoi fare finta che non m’importi». Disse.
Raccolsi tutto il mio autocontrollo e mi voltai a guardarla un’ultima volta.
«Adesso ascoltami e molto bene. Da quando mi trovo in questa scuola per me hai solo rappresentato problemi. Ora ti comporti come se la storia di mio fratello fosse un argomento di conversazione all’ora del the ma mi duole dirti che non è così. Vuoi fare la spia per Piton? Prego, accomodati. Ma è di mio fratello che si parla e non mi fermerò né davanti a te né davanti a quel babbeo di Piton. Potete farmi tutto ciò che volete ma se Jacob è in pericolo è mio compito salvarlo. Perciò torna ad autocommiserarti in un angolo, non voglio avere più niente a che vedere con te, Merula».
E le voltai le spalle.

Al diavolo la lezione di incantesimi, dovunque stessero andando Piton e Gazza mi sarei unita anche io. E sapevo anche come arrivare a loro.
Trovai ciò che mi serviva senza troppi giri. Mrs Purr, la gatta di Gazza, gironzolava al secondo piano. Mi rivolse un’occhiata minacciosa e mostrò i denti.
«Non ho tempo da perdere ora, palla di pelo. Portami dal tuo padrone».
Sapevo che si sarebbe volentieri ricongiunta a Gazza anziché rimanere in balìa degli studenti e così fu. La tallonai fin quando non arrivammo nel corridoio ovest del palazzo, vicino alla Stanza dei Manufatti e dove sapevo che agli studenti non era permesso avventurarsi. Vi si accedeva tramite un portone molto alto e robusto. Il corridoio era poco illuminato e faceva freddo.
Gazza e Piton stavano parlottando, convinti di non essere visti. Mi chiusi a fatica il portone alle spalle e li osservai.
Dovevo avvicinarmi un altro po’ per sentire. Mi appoggiai al muro cercando di rimanere nella zona in ombra. Qualcosa mi afferrò un polso e poco ci mancò che protestassi per lo spavento rivelando così la mia posizione agli altri due.
Merula era dietro di me, con un dito davanti alle labbra.
«Che ci fai qui?».
«Quello che fai tu, Lee, solo meglio». Rispose lei a bassa voce.
«Ti avevo detto di restarne fuori!».
«Ho capito che tra di noi imporci di fare o non fare qualcosa non funziona». Merula alzò le spalle con aria innocente. «Perciò che ne dici se ci alleiamo?».
Piuttosto mi sarei gettata nel Lago Nero.
«Perché mai dovrei farlo?». Risposi quando in realtà le avrei assestato un pugno in faccia.
«Tu vuoi tuo fratello indietro e io voglio che te ne vai da questa scuola. Se uniamo le forze riusciamo entrambe ad ottenere buoni risultati».
Se quello era un modo per togliermi di torno Merula Snyde avrei accettato. Tanto l’illusa era lei.
«E ora, taci. Voglio sentire».
Tesi le orecchie e mi concentrai sulla voce di Piton. Parlava molto rapidamente e il discorso mi parve un po’ sconnesso. Qualcuno era a conoscenza di qualcosa nella Sala. Ghiaccio, udii chiaramente. Ghiaccio in una stanza? Piton fece il mio nome.
«È vero quello che si dice professore? Che la Sala è piena di manufatti antichi e beni preziosissimi?». Gli occhi di Gazza brillavano.
«Non mi baserei molto su dicerie infondate. Del resto non sappiamo quello che Lee ha trovato, a suo tempo. Ad ogni modo, non farne parola con nessuno, Gazza, e assicurati che niente o nessuno entri o esca da qui». Piton fece cenno al custode di andarsene assieme a lui. Trattenni il fiato quando passarono molto vicino a dove io e Merula eravamo nascoste.
Tirai un sospiro di sollievo.
«Mi chiedo di che cosa stesse parlando Gazza». Dissi.
Merula mi guardò in tralice.
«Davvero ti importano le farneticazioni di un Magonò?». Disse esasperata.
«Beh se riguardano mio fratello…».
«Ciò che importa è cosa ci sia davvero in quelle Sale Maledette e io ho l’impressione che Piton sappia qualcosa».
Non credevo alle mie orecchie.
«Così adesso ti importa delle Sale? Dopo avermi chiamata pazza da quando sono arrivata qui?».
Mi sarei messa a ridere se non fosse che ero rimasta alquanto innervosita da quella conversazione poco proficua.
Merula alzò gli occhi al cielo.
«Non sono autorizzata a condividere con te ciò che passa per la mia testa. Fatti bastare il fatto che per ora potrei essere incuriosita, un po’ come lo si è con le leggende».
Se ne andò sparendo oltre il portone. Rimasi a fissare il punto in cui Gazza e Piton avevano conversato e cercai di dare un senso a ciò che avevo sentito.

Non avevo ancora capito come entrare nella Sala Maledetta ma avevo già un indizio: ghiaccio. Forse si apriva su una montagna? O esistevano creature ed incantesimi del tutto sconosciuti persino ad abili maghi? Come potevo documentarmi senza destare troppe attenzioni?
Madama Pince mi avrebbe lanciato maledizioni su maledizioni se mi avesse vista entrare nuovamente in biblioteca. Perciò dovevo avvalermi di una figura che mai avrebbe destato sospetti anche se avesse agito contro le regole. Penny era troppo intelligente per quel compito e mi avrebbe senza alcun dubbio fermato, ma Rowan, Rowan che mi seguiva ciecamente come un cagnolino, lei era la candidata perfetta. Inoltre avevamo una nemica in comune e ciò significava che la cara Merula Snyde avrebbe dovuto fare fatica doppia per avere un solo straccio di informazioni. Ero in netto vantaggio, davanti a me si erano aperte migliaia di scorciatoie che potevo usare per raggiungere la Sala Maledetta. I protagonisti erano pochi, il tempo molto risicato. Avrei trovato mio fratello e levato le tende prima ancora che potessero avere anche il minimo sospetto.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 7
*** Capitolo VII ***


CAPITOLO SETTIMO

Le settimane che seguirono furono le più intense da quando avevo messo piede ad Hogwarts. Da quando avevo origliato quella conversazione tra Piton e Gazza non riuscivo a chiudere occhio la notte. I miei sogni erano popolati da corridoi in fiamme e gente coperta di ghiaccio che si scioglieva davanti ai miei occhi senza che io potessi fare nulla per evitar loro quel triste destino. E una voce. Una risata cupa che risuonava nella mia testa facendomi rabbrividire. Riuscivo a svegliarmi quasi sempre prima di Rowan e a sgattaiolare fuori dal dormitorio prima che sia lei sia Merula potessero svegliarsi. Quando non dormivo, o meglio, tentavo di dormire, ero impegnata a ricoprire il ruolo di studentessa modello che, strano a dirsi, mi risultò alquanto facile. Le lezioni di incantesimi inizialmente furono difficili da affrontare, considerando che ora Vitious a malapena mi rivolgeva la parola. Durante le sue lezioni alzavo la mano e intervenivo se richiesto, per tutto il resto rimanevo zitta a prendere appunti o ad aiutare il mio compagno dai capelli biondi e il temperamento instabile.

Frequentare Pozioni era diventato improvvisamente più piacevole. Ora che sapevo ciò di cui era a conoscenza Piton dovevo provare a far sì che si fidasse di me, o quantomeno che la smettesse di vedermi come una minaccia. La mancanza di sonno mi aveva resa più attiva. Riuscivo a preparare le pozioni semplicemente stando accanto a Rowan e muovendomi esattamente come lei sebbene non ci dicessimo nulla durante la lezione. Piton smise ben presto di guardarmi male e addirittura un paio di volte mi chiese di aiutare qualche compagno.
Quanto alla faccenda della Sala Maledetta avevo bisogno di capire se Rowan si sarebbe rivelata una valida alleata in quella sfida. Sapevo che Merula mi teneva d’occhio ma senza di me non avrebbe combinato nulla e il fatto di tenerla in pugno mi dava una certa sicurezza nonchè un notevole vantaggio. Se mi fosse accaduto qualcosa Merula avrebbe detto addio al suo grande sogno di vedermi fuori dalla scuola e quindi in un certo senso era come se ci proteggessimo a vicenda e involontariamente.
Quando mi fui accertata che le voci di corridoio sulla mia probabile espulsione e gli sguardi sospettosi di Merula fossero spariti o diminuiti decisi di fare un tentativo con Rowan. Era sprovveduta ma non stupida e se avessi fatto troppe domande si sarebbe incuriosita e io sarei stata costretta a cambiare strategia, cosa che in quel periodo non potevo permettermi.
«Ti vedo strana Julia, stasera sei insolitamente taciturna». Mi disse Rowan una sera, a cena. Mi ero sistemata apposta lontano da Merula e avevo sperato che la mia espressione esprimesse quanta più confusione possibile.
«Oh scusami Rowan, sono solo stanca». Risposi.
Lei annuì con apprensione.
«È da un po’ che ti vedo affaticata, so riconoscere una vittima dello studio quando la vedo, sai?».
Alzai lo sguardo dal mio piatto.
«Vittima dello studio?».
«Beh sì. Lo studio è stressante e Incantesimi ultimamente rientra nella categoria di materie inaffrontabili». Proseguì Rowan.
«Magari fosse solo quello. Cioè…lo studio mi preoccupa sì ma…ho come la sensazione di essere maledetta».
Osservai la reazione di Rowan e fu esattamente come me l’ero aspettata.
«Maledetta? In che senso?».
Spinsi il piatto da parte e mi avvicinai di più a lei.
«Non faccio che chiedermi quale sia il mio posto qui dentro. Insomma, per tutta la faccenda di Jacob. Non so dove sia eppure lo sento vicino. Ogni giorno mi aspetto di svegliarmi a casa e di trovarlo in cucina a fare disastri, di seguirlo e di lasciarmi trascinare dalla sua esuberanza. E invece…».
Rowan mi posò una mano sulla spalla.
«Io non ho vissuto quello che hai vissuto tu però…forse è un po’ tanto definirsi maledetta, non trovi?».
«Rowan sento che Jacob è qui da qualche parte e che c’è qualcosa che ci tiene separati, che mi impedisce di avvicinarmi a lui. Sai quanto me che questa scuola non è mai come sembra. Chissà quanti segreti ci sono che nemmeno sappiamo. Qualcuno o qualcosa potrebbe avermi lanciato un incantesimo per impedirmi di trovare mio fratello. Ha messo Merula Snyde contro di me, Piton, tutta la scuola…vogliono che desista e che me ne vada senza Jacob».
«Julia non dire così!». Esclamò Rowan. Si guardò intorno allarmata per alcuni istanti, poi si girò di nuovo verso di me.
«Io non sono contro di te. Qualunque cosa ti accada…cercherò di aiutarti, davvero».
Mi sforzai di sorriderle.
«Anche se si dovesse trattare di maledizioni?».
Rowan sembrò riflettere.
«Beh per le maledizioni esistono tanti incantesimi protettivi, bisogna solo trovare quello giusto adatto alla situazione. Ma lascia che ti dica che la tua è solo preoccupazione. Ci troviamo da sole in una scuola enorme e con possibilità illimitate. È normale sentirsi spaesati. Ma non pensare nemmeno per scherzo di essere maledetta. Nessuno guadagnerebbe qualcosa a lanciarti una maledizione».
«Maledizioni? Qualcuno ha lanciato una maledizione sulla scuola?».
Sia io che Rowan ci voltammo in direzione di Ben Copper che chissà come era arrivato alle mie spalle.
«Avete dei sandwich con la carne? Al mio tavolo sono rimasti solo quelli coi cetriolini».
Ben fece per sedersi ma io mi alzai e indicai l’uscita.
«Ehm…Ben ti ricordi quella faccenda di cui ci aveva parlato Madame Hooch? Credo che dovremmo parlarne».
Lui mi guardò senza capire ma io non gli detti il tempo di parlare e lo trascinai fuori ignorando le domande di Rowan.
«Non ho mangiato niente!».
«Ben chi se ne frega. Ho una cosa da dirti».
Gli raccontai di ciò che avevo origliato nel corridoio dell’ala Ovest.
Ben mi guardò a occhi spalancati.
«Quindi è vero? C’è una maledizione sulla scuola!».
Scossi la testa.
«Non sulla scuola, ma su di me, almeno credo. E temo di averlo sempre saputo».
«Non capisco».
«Ti ricordi la nostra incursione nella Stanza dei Manufatti?».
«S…sì?».
Sospirai.
«Ho avuto una visione. Ho visto più o meno quello che ora popola i miei sogni. Fuoco, ghiaccio e desolazione».
«Julia è terribile. Non me lo hai mai detto, perché?». Chiese Ben.
«Beh te lo sto dicendo ora. Nel caso dovesse succedermi qualcosa, sai…».
«Allora speriamo non sia così». Ben indicò il portone di quercia alle sue spalle.
«Torno a mangiare, se non ti dispiace. Se verrò maledetto almeno vorrei avere la pancia piena».
«Che voleva da te Ben Copper?». Mi domandò Rowan quando feci ritorno.
«Oh niente di importante, riguarda la lezione di volo».
Lei mi guardò per qualche istante, poi annuì.
«Come vuoi…».
«Ti da fastidio che parli con un Grifondoro?». Domandai.
«Perché dovrebbe?».
«Non so». Ammisi. «Lo guardi in modo strano».
Rowan addentò un toast e soffocò una mezza risata.
«Sai, per un attimo ho pensato che volessi architettare qualcosa alle mie spalle con Ben Copper. Buffo, vero?».
«Buffo e insensato». Dissi io unendomi alla sua risata.

Dopo cena cercai Ben tra gli studenti che si sparpagliarono nell’atrio diretti verso i rispettivi dormitori ma non lo vidi.
Seguii Rowan nella Sala Comune ma non avevo voglia di chiacchierare, così feci finta di ascoltare le sue conversazioni con alcune ragazze del terzo anno e quando non ne potei più andai a dormire. Ormai avevo anche imparato a conoscere gli spostamenti di Merula e ogni volta che lei si coricava facevo in modo di non essere da sola nel dormitorio così da non doverci per forza parlare.
Sapevo che non avrei dormito nemmeno quella notte e di rimanere tra quelle quattro mura ad aspettare che sorgesse il sole iniziava a non far più parte delle mie abitudini. Attesi che tutte le mie compagne si fossero addormentate e poi scesi dal letto, recuperai vestiti e bacchetta e uscii.

Hogwarts di notte faceva sempre un certo effetto. Era come se una nuova vita nascesse dentro la scuola, si muovesse indomita e tornasse a dormire al sorgere del sole. I corridoi sembravano più grandi al buio e i dipinti animati nel quadri erano quasi una compagnia.
La mia meta però era diversa e in quel caso la unica compagnia a mia disposizione ero io. Il portone del corridoio Ovest mi si palesò davanti alla fine della scalinata principale. Ero decisa a scoprire cosa si nascondeva in quel luogo.
Il freddo oltre il portone mi dette il suo aggressivo benvenuto. Quell’ala sembrava la più antica di tutto il castello.
«Lumos».
La punta della mia bacchetta si accese illuminando parte del corridoio. Vidi la porta che avevo intravisto durante la conversazione tra Piton e Gazza e fui attraversata da un brivido. Ero quasi certa che oltre di essa avrei trovato l’accesso alla Sala Maledetta. Dovevo solo capire come aprirla.

«Ah così è questo che fai per scacciare le maledizioni?».
Per poco non mi cadde la bacchetta di mano dalla sorpresa. Mi girai di scatto e vidi Rowan in piedi a pochi centimetri da me, le braccia conserte e un’espressione…strana sul viso.
Le parole non volevano uscirmi dalla bocca. Rantolai fin quando finalmente non trovai le parole giuste.
«Tu che ci fai qui?». Domandai.
«Ti faccio la stessa domanda». Rispose Rowan.
«Rowan è meglio se te ne vai, non è roba per te».
La vidi cercare qualcosa nell’ombra.
«Dov’è il tuo amico Copper? È di questo che stavi parlando con lui, giusto?».
«Rowan per piacere…vattene a letto».
«Dovevo immaginarlo. Ma ancora mi chiedo perché tu abbia scelto quello smidollato anziché me. Davvero, Julia, che caduta di stile».
Iniziavo ad averne abbastanza.
«Senti sto svolgendo una missione per conto mio e non voglio avere niente a che vedere con te per il momento. Come hai fatto a venire fin qui? Stavi dormendo quando sono uscita…è stata Merula?».
Rowan inclinò la testa da un lato e in quel momento mi resi conto di aver messo la mia alleata segreta in una posizione alquanto scomoda.
«Cosa c’entra Merula? Cosa stai facendo con Merula Snyde, Julia? Ultimamente l’ho vista fin troppo…docile. Che state combinando?».
«Rowan per piacere vattene da qui!».
«Oramai ci sono, perciò mi dovrai spiegare che stai combinando».
«Altirmenti? Lo andrai a dire a qualcuno? Finiresti in punizione pure tu».
Rowan fu sul punto di ribattere ma tacque.
«E va bene. Ma voglio vedere cosa fai. Non dirmi che stai cercando di combattere contro qualche maledizione da sola».
«No, sto…sto cercando indizi». Dissi.
«Indizi per cosa?».
Mi morsi un labbro. Rowan non sapeva essere discreta come Ben e sicuramente avrebbe tartassato Merula cercando di avere altre informazioni. Dovevo ricordarmi di chiedere a Penny una Pozione Soporifera da mettere nel calice di Rowan durante la cena.
«Ho una pista, d’accordo? Penso che in questa scuola si trovi una Sala Maledetta, o almeno l’accesso». Dissi.
Rowan spalancò gli occhi.
«Una Sala Maledetta? Come le Sale Maledette di tuo fratello?».
Annuii.
«Julia mi avevi detto che…».
«Non importa cosa ti ho detto, di certo non immaginavo che il nostro caro custode facesse la guardia a questo posto durante il giorno. L’indizio è qui perciò voglio scoprire di cosa si tratta».
«E cosa farai se…?».
«Rowan. Sta’. Zitta».
Andai verso la porta. Era chiusa.
«Apriti». Sussurrai.
Niente.
«Hem…non credi che a quest’ora chiunque sarebbe entrato nella Sala chiedendo semplicemente alla porta di aprirsi?». Disse Rowan.
«Allora perché non cerchi tu qualcosa qui intorno mentre io penso a un modo per aprire questa dannata porta?».
Udii Rowan allontanarsi e mi concentrai sulla porta. Un modo doveva esserci. E se la chiave fosse il collegamento tra me e Jacob? Come potevo creare un incantesimo tanto forte da portarmi da lui attraverso la scuola? Mi veniva quasi da piangere sapendo di essere a tanto così dal riabbracciare mio fratello e non poter fare nulla.
«Julia».
«Dimmi, Rowan».
«Non ho trovato nulla».
Come pensavo.
Rowan mi posò una mano sulla spalla.
«Senti, so che sei confusa e vuoi risposte ma forse…».
«Forse cosa?».
«Forse non è così che deve andare? Forse quella porta è fuori dalla tua portata. Sei al primo anno di scuola, Julia. Chissà quanta abilità servirebbe per entrare nella Sala. Forse solo Silente ci riuscirebbe».
Mi scrollai di dosso la mano di Rowan e poggiai la testa contro la porta. Niente. Non sentivo nulla.
«Non aspetterò che sia Silente a trovare mio fratello. Qualcosa mi dice che rimango l’unica che può…».
Rowan sussultò e io con lei. Un chiaro rumore di passi in avvicinamento seguiti dal cigolio dell’apertura del portone annunciarono l’arrivo di un terzo individuo. Spensi la bacchetta e trascinai Rowan lontano dalla porta giusto in tempo per vedere una sagoma minuta entrare nel corridoio.
«Ma quella è la gatta del custode, cosa ci fa qui?». Disse Rowan sorpresa.
«Beh io non intendo rimanere qui e aspettare di saperlo».
Attesi che Mrs Purr fosse fuori dalla nostra portata e trascinai Rowan con me.
Fortunatamente Isolda non faceva la guardia nel suo quadro e così potemmo entrare senza problemi.
Mi infilai sotto le lenzuola e udii Merula muoversi nel suo letto.
«Dove siete state?». Domandò con la voce assonnata.
«In bagno, per colpa dei cetriolini». Risposi girandomi su un fianco.
*
L’indomani Elizabeth mi svegliò senza troppe cerimonie dicendomi che Felix voleva vedermi.
Lo trovai ad attendermi sul divanetto davanti al camino.
«Ho dormito tre ore stanotte, dimmi che hai qualcosa di serio da dirmi o me ne torno a letto». Dissi a mo’ di buongiorno.
«Immagina io quanto ho dormito dopo aver saputo che per causa tua ora saremo lo zimbello della scuola». Rispose lui, come sempre punto sul vivo.
«Felix una Scopalinda sarebbe più veloce di te ad elaborare le informazioni. Me ne parli solo ora?».
«Solo ora sono stato in grado di parlarti. Come Prefetto ho molti compiti…».
«Sì va bene, che vuoi?».
Felix mi guardò.
«Secondo te?».
Sospirai.
«Recupererò tutti i Punti, d’accordo».
«E come intendi farlo?».
«A modo mio?».
Felix si alzò in piedi e fece il giro del divanetto per raggiungermi.
«Ti ricordo che a fine anno esiste la premiazione delle Case, giusto?».
«E quindi? Per quel giorno sarà tutto risolto». Risposi.
Felix contrasse i pugni e sul suo viso comparve un’espressione collerica.
«Lo spero per te. Mi informerò personalmente sul tuo rendimento scolastico e se ci sarà anche solo una nota fuori posto…».
 «Che fai, mandi via Silente dal suo studio e ti metti a fare il preside?».
«Julia non provocarmi». Replicò Felix a denti stretti.
«E tu non sottovalutarmi».
Felix non avrebbe avuto alcun sospetto poiché il mio piano sarebbe andato avanti senza interruzioni. Dovevo imparare quante più cose sulle maledizioni e sulle magie antiche al più presto o non avrei mai aperto la Sala Maledetta.

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Capitolo 8
*** Capitolo VIII ***


CAPITOLO OTTAVO

Recuperare punti per la mia Casa ebbe risvolti positivi e negativi: avrei fatto più felice Piton e Merula e mi sarei tenuta lontana da Rowan che sembrava voler attaccare bottone ogni volta che mi vedeva, che fossimo a lezione o per i corridoi. Il lato negativo era rappresentato dalla stanchezza che mi impediva di formulare il benché minimo pensiero ogni volta che si arrivava a sera. Rischiavo di addormentarmi durante la cena e non appena la mia testa toccava il cuscino partivo per il mondo dei sogni.
Una sera, dopo la lezione di Incantesimi non riuscii ad evitare Rowan che sembrava essere rimasta davanti alla porta in attesa del mio arrivo.

«Complimenti per la lezione di questa mattina!». Mi accolse.
Quel giorno avevamo avuto lezione di volo con Madama Bumb e io avevo rischiato di addormentarmi sulla scopa mentre eseguivamo uno zig zag. Non so come fatto ad ottenere dieci Punti.
«Grazie. Che c’è per cena? Ti prego non i sandwich al tonno…».
Io e Rowan prendemmo posto al nostro tavolo e io sbirciai tra i vassoi. Nelle ultime settimane, se il sonno non mi era amico lo era quantomeno il cibo.
«Sai, stamattina stavo pensando a come potremmo entrare nella Sala e mi sono venute alcune idee interessanti». Disse Rowan.
Continuò a parlare ma il mio unico interesse era di finire la cena e di andarmene a letto.
«Uova e formaggio, meglio di niente». Addentai un tramezzino concentrandomi sulla differenza di sapore dei singoli ingredienti mentre la mia compagna di dormitorio continuava imperterrita la sua filippica.
«Quello che ci serve è un piano diretto, senza distrazioni e senza coinvolgimenti». Dissi dopo che lei tornò a parlare della terza volta di come le era sembrato geniale chiedere la complicità dei quadri nella nostra futura fuga notturna.
Rowan finalmente si interruppe e mi guardò da dietro il suo calice come se non capisse.
«Tipo?».
«Addormentare la gatta come prima cosa, poi Alohmora per aprire l a porta e Flipendo nel caso ci fosse qualcuno dall’altra parte».
«I due incantesimi che hai citato li abbiamo imparati di recente. Resta solo la Pozione Soporifera. Se la chiedi a Piton sicuramente si insospettirà». Convenne Rowan.
«Ma infatti non lo chiederò a Piton. C’è una ragazza molto esperta in Pozioni che sono certa non farà storie». Dissi.
«Ti riferisci a Penny Haywood? Non è quella snob che era vicino a noi durante lo Smistamento?».
A me non importava niente delle opinioni di Rowan su Penny. Avevo appena aggiunto un altro membro alla nostra missione e la cosa sentivo mi sarebbe potuta sfuggire di mano in poco tempo. Qualcuno avrebbe potuto parlare.
«Inoltre ho bisogno di una terza persona che spii i movimenti di Gazza. Mi farò venire in mente qualcosa per lui ma non posso tallonarlo per i corridoi, serve un personaggio abbastanza invisibile».
«Merula Snyde ti ha già dato troppi problemi, non serve coinvolgerla». Suggerì Rowan, di nuovo in errore.
Di colpo il sonno che mi aveva rincorso per tutta la giornata svanì.

«Pensavo a Ben Copper».
Per poco Rowan non si strozzò con l’acqua. Tossì e sputacchiò per alcuni istanti prima di riprendere fiato.
«Quella specie di…?».
«Ben ha del potenziale, lo sento». Dissi.
Rowan scosse la testa.
«Ben Copper è uno smidollato, un pappamolla, un…».
«Uno che conosce i nascondigli del castello e che sa come pedinare Gazza senza destare sospetti». Completai la frase.
«Perché non chiedi a Penny Haywood?».
Penny era una brava ragazza ma non potevo caricarla di così tante responsabilità. Anche Ben doveva fare la sua parte ora che sapeva. Volevo però assicurarmi che riuscisse a tenere i nervi saldi e fosse in grado di gestire la tensione nel caso qualcosa fosse andato storto.

L’indomani dopo colazione ebbi la fortuna di incrociarlo mentre usciva dal castello.
«Mi fa piacere vederti così felice, Julia. Non sai quanto ti invidio».
Sapevo che per Ben volare era il massimo della pena ma non avrebbe potuto essere così per sempre. Ero certa che fosse un ragazzo molto più coraggioso di quanto desse a vedere.
«So che avete lezione di volo oggi, noi tra un paio di ore. Che ne pensi se durante il pranzo facessimo un po’ di allenamento? Rowan non vuole saperne e io non ho certo intenzione di andare in giro a chiedere a chiunque di montare una scopa in compagnia».
Vidi Ben rallentare, i suoi occhi quasi spalancati per la sorpresa. si voltòa  guardarmi come se fosse in attesa di vedermi ridere per dirgli che era uno scherzo.
«Uh…non lo so. Non credo sia una buona idea».
«Ben ci sono io, sono abbastanza brava a volare e ripasseremo solo le cose semplici». Dissi.
«Ti ho già messo nei guai con Merula, non voglio essere la causa della tua espulsione». Rispose Ben.
Gli posai una mano sulla spalla e lo sentii sussultare.
«Oh scusa, ad ogni modo fammi sapere se ti interessa, a me piacerebbe molto». Gli mostrai il pollice e feci dietrofront per tornare al castello.
«Perché proprio io?». Mi gridò dietro Ben.
«Una cosa alla volta, Ben!».
Ero certa che non avrebbe detto di no.

Poco prima dell’ora di pranzo venni avvicinata da una ragazza di Grifondoro con la spilla da Prefetto appuntata sulla divisa.
«Ben Copper mi ha mandato a dirti che dopo pranzo si allenerà nel cortile dove si tengono le lezioni di volo. Ti informo che sarò presente anche io in quanto Prefetto della sua casa. Non ho nulla contro di te ma ritengo opportuno  garantire la sicurezza dei miei compagni di dormitorio specialmente col fatto che il personale degli insegnanti ti tiene sott’occhio».
Ben si fece trovare puntuale come un orologio nel cortile e ci mettemmo all’opera immediatamente. Il suo talento sulla scopa necessitava di miglioramenti, inoltre c’era bisogno che creasse il tanto acclamato legame spirituale con la scopa o non avrebbe ottenuto alcun risultato soddisfacente se avesse continuato a tenere gli occhi chiusi mentre svolazzava. Ciònonostante non volle saperne di mollare fin quando non ebbe fatto qualche piccolo passo in avanti.
Angelina, il Prefetto, sembrava alquanto sorpresa.
«Sarò lieta di comunicarlo a Madama Bumb, i tuoi sforzi verranno ripagati. Se non vi dispiace io vado a vedere se è rimasto un po’ di tortino alle patate. Ben, mi aspetto di trovarti alla lezione di Pozioni tra qualche minuto». E se ne andò.
«Mi piace lei come Prefetto anche se a volte è molto puntigliosa». Disse Ben, pareva sollevato ed era anche sorridente.
«Anche il mio alla fine non è male». Dissi.
«Chissà, magari un giorno anche noi potremmo diventarlo…».
Non ci avrei giurato affatto. Una volta trovato Jacob avrei detto addio a quel posto. Ma se per Ben era importante glielo augurai con tutta me stessa.
«Ehm…abbiamo ancora qualche minuto prima della fine del pranzo, che ne diresti di esercitarci un po’ con quell’incantesimo su cui Vitious sembrava essersi fossilizzato?».
Subito Ben cambiò espressione, passando dal sereno al guardingo.
«Oggi sei piena di sorprese Julia, non è che mi stai nascondendo qualcosa?». Domandò.
«Ben te lo direi se ci fosse qualcosa di nuovo. Diciamo che cerco di aiutarti, così ti piace di più?».
Vidi Ben mordicchiarsi l’interno della guancia.
«Possiamo provare, sono un po’ stanco e non ho mangiato molto».
Estrassi la bacchetta e lo vidi arretrare, allarmato.
«Non ci metteremo molto. Mi serve giusto per fare un ripasso».
*
Il resto della giornata lo trascorsi in balia di un’ansia crescente. Mi ero data appuntamento con Penny dopo pranzo al termine della sua ora di Pozioni.
«Non ho capito molto bene cos’è che vorresti fare, Julia, oggi ho la testa un po’ tra le nubi». Disse, accogliendomi con quel suo sorriso gentile che mi scatenava emozioni contrastanti.
«Uhm…mi serve una Pozione Soporifera».
Penny non parve affatto sorpresa.
«Finalmente qualcuno che mi parla senza riempirmi di imbarazzanti complimenti o che mi chieda pettegolezzi di cui non so niente». Disse.
Non potei fare a meno di pensare a quanto a volte i Tassorosso potessero sembrare frivoli. Una come Penny  era come un pesce fuor d’acqua in mezzo a tanti chiacchieroni affamati di novità.
«Non ti verrei mai a chiedere stupidaggini, Penny». Mi affrettai a rispondere.
Lei annuì, sollevata.
«Meno male. Un’ultima cosa…a che ti serve la pozione? Fatichi a dormire a causa dello studio?».
Avevo l’opportunità di tenere fuori Penny da quella faccenda e tenere in campo solo Ben.
«Sì, sì è proprio così». Dissi infine, sperando che il mio sorriso risultasse convincente.
«Ti capisco, vieni, mettiamoci all’opera».

Penny mi mostrò dettagliatamente come preparare la Pozione Soporifera e l’esecuzione fu abbastanza semplice grazie ai suoi consigli.
«Non avrei saputo fare di meglio, Julia. Sicura che le pozioni non siano il tuo forte?».
Dubitavo che Penny fosse veramente convinta di ciò ma mi lasciai coinvolgere dal suo entusiasmo.
Lasciai il sotterraneo con il morale alle stelle. Una parte del piano era andata, ora bisognava solo convincere Ben a fare la sua parte. Durante l’allenamento aveva dimostrato di essere comunque in grado di cavarsela e gli incantesimi gli riuscivano senza particolari esitazioni. Aveva stoffa da vendere il ragazzo, che la sua timidezza fosse in realtà una sorta di maschera? Ad ogni modo non avevo tempo di indugiare: il piano doveva compiersi il più presto possibile.
A cena lasciai Rowan ai suoi sproloqui sui fantasmi e presi posto  al tavolo dei Grifondoro accanto a Ben rimasto a distanza di sicurezza dai compagni.
«Ti serve qualcos’altro? Ti ho fatto male oggi?». Saltò su non appena mi avvicinai.
«No, sono fiera di te, Ben. E…sì, mi serve qualcosa».
Ben fece un mezzo sorriso tra sé e sé.
«Vorrei imparare da te il modo in cui riesci a portare le persone dalla tua parte senza quasi che se ne accorgano».
Gli raccontai accuratamente il piano che avevo escogitato e ribadii più volte che il suo sarebbe stato un compito piuttosto semplice. Se rimase deluso non dette a vederlo.
«Beh considerando che di solito sono io a scappare da Gazza non dovrebbe essere molto difficile fare il contrario».
«Questo è lo spirito di…un Grifondoro! Ti lascio un po’ di tempo per pensarci ma penso che tu abbia preso la tua decisione. Sappi che una volta finito tutto questo sarai libero di tornare alla tua vita ma con qualcosa in più».
Gli detti una pacca sulla spalla e mi alzai.
«Ah, Julia?».
«Sì Ben?».
Mi girai. Si stava tormentando le nocche con le unghie e negli occhi lessi indecisione e qualcosa che non seppi come chiamare. Sembrava stesse lottando contro qualcosa dentro di lui.
«Accetto». Disse guardandomi dritto negli occhi.
«Accetti?».
«Sì».
«Molto bene». Dissi. «Avrai mie nuove quanto presto».

«Di che stavate parlando tu e Copper?» Mi chiese Rowan quando mi sedetti accanto a lei.
«Della missione, di che altro sennò?».
Rowan masticò a lungo prima di rispondere e quando lo fece aveva quel tono insopportabile che usava quando doveva fare le paternali.
«Sai, non posso fare a meno di chiedermi se tu sia completamente pazza o troppo determinata. Stai chiedendo a un fifone patologico di partecipare a una missione che spetterebbe a un Auror». Disse.
«Hai un’idea migliore?».
«Spero tu sappia cosa stia facendo, Julia. Ho paura che tu ti stia concentrando troppo sul risultato e non sui mezzi che ci vogliono per raggiungerlo. Siamo ragazzini, studenti per la precisione. E non dovremmo nemmeno sapere delle Sale Maledette. Dovremmo lasciar fare agli insegnanti o…».
«O lasciare che mio fratello rimanga chissà dove? No, sai, ho capito cosa intendi, Rowan. L’ho capito benissimo. Se non vuoi farlo non farlo, troverò altri alleati o lo farò da sola.

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Capitolo 9
*** Capitolo IX ***


CAPITOLO NONO

Il piano prese vita nel bel mezzo del caos quotidiano che ormai caratterizzava la vita di ogni studente di Hogwarts. Ormai ero talmente assillata da compiti e lezioni che ormai non avevo quasi più il tempo di respirare. Un giorno, mentre ero di ritorno dall’aula di Difesa contro le Arti Oscure incrociai Gazza, o meglio, lui venne verso di me emettendo quel fastidioso fischio come quando quando voleva annunciare la sua presenza. Considerando che Difesa contro le Arti Oscure scatenava effetti molto simili a quelli della Pozione Soporifera decisi di fermarmi e scrollarmi un po’ delle tracce di sonno che la lezione appena conclusa mi aveva lasciato scambiando qualche chiacchiera con il custode, giusto per perdere tempo.
«Studenti a zonzo, quanto li odio». Disse Gazza a mo’ di buongiorno.
«Chi le ha detto che sono a zonzo?» Risposi.
Gazza assottigliò le palpebre studiandomi con il suo solito sguardo pregno di rabbia repressa.
«Ti ho già visto. Sei la sorella di quello là?» Abbaiò.
«Vuole un autografo?»
«Tuo fratello è stato una spina nel fianco per molti qui ad Hogwarts. Quando l’hanno espulso mi sono sentito così depresso…». Proseguì Gazza con voce carica di risentimento.
«Mio fratello sa essere molto coinvolgente, la sua assenza fa quell’effetto». Dissi.
Gazza mi indirizzò un’occhiata malevola.
«Mi riferivo al fatto che assegnargli una punizione corporale era il mio più grande desiderio e ora…».
Pensai che avrebbe fatto prima a diventare concime per fiori che riuscire ad acchiappare mio fratello per rinchiuderlo in uno stanzino.
Lui sembrò riscuotersi come mosso da altri pensieri.
«Ad ogni modo tu sei la candidata ideale per le punizioni che io personalmente ho creato. Hai già fatto abbastanza casini in questa scuola e non vedo l’ora di tirare fuori da te qualche parolina che spieghi il perché abbia visto i tuoi amichetti nei pressi di una zona vietata agli studenti».
Quelle parole ebbero l’effetto di un secchio d’acqua gelata gettatomi addosso durante il sonno. Forse Gazza si stava sbagliando o forse no. Restava il fatto che i miei complici avevano deciso di agire di loro iniziativa mettendo a rischio l’intera operazione. Sarei stata costretta a cambiare il piano e dire addio all’opportunità che non avrei mai più avuto visti i sospetti di Gazza.
 «Non so di che parla». Mi limitai a rispondere e al contempo pensavo a qualcosa da dire a Rowan perché ero certa che l’idea di agire disinteressatamente era sua.  Gazza dovette aver intuito ciò che mi passava per la testa perché sorrise come se avesse trovato un bottino particolarmente interessante.
«Mrs Purr li ha visti». Cantilenò.
«La sua gatta può parlare?»
Provai una punta di orgoglio vedendolo avvampare.
«Non prendermi in giro. Che stavi combinando laggiù? Ci sei tu a capo di tutto, vero?»
«Non so di che parla, come le ho già detto».
La faccia di Gazza era diventata pericolosamente color papavero con tanto di vene sulle tempie in rilievo. Mi puntò il dito contro tutto tremante di rabbia.
«C’erano due persone nei pressi del corridoio Ovest o te lo sei già dimenticato?»
In quel momento mi venne un’idea.
«Oh, oh! Ora capisco, ma sì, mi aveva detto Rowan che ultimamente Pix sta facendo il diavolo a quattro e lei e Penny stavano cercando di fermarlo prima che…».
Gazza cadde nella mia trappola con una semplicità disarmante.
«Prima che? Che cosa sta facendo quel poltergeist?»
«Credo voglia danneggiare il suo ufficio. Rowan era molto preoccupata. Pix si vanta nei corridoi di avere un grande piano e non so, magari potrebbe appendere la sua gatta ai rami del Platano Picchiatore…».
«Basta! Dimmi dov’è, dov’è!» Sbraitò Gazza.
«Provi a controllare il suo ufficio, può essere che Pix stia recuperando tutti i suoi strumenti di tortura per far secchi Mrs Purr e un paio di studenti».
Un ringhio uscì dalle labbra dl bisbetico custode.
«Giuro su quanto ho di più caro che se è una menzogna pagherai per tutte le punizioni che non ho inflitto agli studenti da quando lavoro qui». Sibilò.
«Resto qui ad aspettarla». Risposi.
Gazza mi lanciò un’ultima occhiata furente e si allontanò in tutta fretta. Non sapevo quanto ci avrebbe messo prima di scoprire l’inganno ed era il caso che io scambiassi qualche parola con i miei carissimi amici che a quanto pareva si erano messi nell’ordine di idee di mettere in atto il piano senza consultarsi con me.

Mi scapicollai giù per le scale e trovai Penny, Ben e Rowan fuori dal portone del corridoio Ovest.
«Gazza vi stava cercando, si può sapere che vi salta in mente?»
«Oh veramente è stata tutta opera sua!». Saltò su Rowan indicando Penny. Mi fermai non appena la vidi. Cosa ci faceva lei lì? Fui assalita da un dubbio che trovò la sua risoluzione una volta che la mia amica di Tassorosso parlò.
«Rowan mi ha raccontato tutto, Julia».
«Beh in realtà ci si è appiccicata addosso come una gomma da masticare, non pensavo fossi così ficcanaso». Replicò Rowan prendendo le distanze e guardandola con diffidenza.
Quindi ora anche Penny sapeva. Non era il male maggiore dato che presto o tardi sarebbe venuto fuori tutto anche con lei, solo non speravo così presto.
 Penny ridacchiò.
«Io ficcanaso? Semmai sei tu, Rowan, che te ne vai in giro con l’aria  da colpevole attirando l’attenzione».
«Va bene, basta così. Sentite, quando vi passa per la mente di fare qualcosa di eroico aspettate che ci sia anche io, d’accordo? E tu perché non eri vicino a Gazza?»Aggiunsi rivolta a Ben che arretrò di un passo quasi lo avessi schiaffeggiato.
«Io lo stavo seguendo, ti giuro. Infatti…».
«Ben ora non mi va di sentire le tue storie, davvero. Oggi non è giornata. Penny ascoltami, mi dispiace averti tenuto tutto nascosto ma l’ho fatto per un motivo. Hai con te la Pozione Soporifera?»
Penny sembrò sul punto dire qualcosa ma poi rinunciò e si limitò ad annuire. Tirò fuori dalla tasca due boccette piene di un liquido colorato che nascosi nella mia tasca velocemente.
«Ne ho fatta anche un’altra un po’ urticante che mi auguro non userai. Spero tu sappia quello che fai, Julia». Mi disse.
Sospirai. Ora ce l’avevo contro.
«Sicura che non parlerà con nessuno?» Domandò Rowan quando Penny se ne fu andata.
«Penny è discreta. Sentite, oggi ci sono gli allenamenti di Quidditch e per un po’ non ci sarà gente in giro. Dato che Gazza vi ha visti dove non dovreste essere  è meglio non dargli un’occasione di tallonarci ancora. Entreremo oggi stesso».
Ben deglutì mentre Rowan si limitò ad annuire.
Spinsi il portone ed entrammo nel corridoio Ovest.
«Fa freddo». Sussurrò Ben stringendosi nella divisa.
«Puoi sempre fare dietrofront». Gli suggerì Rowan.
«State zitti!».
«Guardate è Mrs Purr».
Rowan indicò la gatta di Gazza che se ne stava sotto il cono di luce che entrava dalla vetrata colorata sull’altro lato del corridoio.
«Gazza tra poco scoprirà l’inganno e magari andrà a cercare Piton che verrà qui. Meglio muoversi». Dissi. Ben avrebbe fatto la guardia, Rowan avrebbe steso la gatta e io sarei entrata nella Sala. Sarebbe stato tutto molto veloce e simultaneo.
«Scusa se te lo chiedo ma come faremo a dare la pozione a Mrs Purr?». Domandò Rowan.
Alzai le spalle.
«Penny ci ha aggiunto un goccio di latte, la berrà senza problemi».
«Ma il latte ai gatti adulti fa male!»
«Beh vorrà dire che renderà più veritiero l’effetto della pozione». Risposi.
Rowan andò a far bere la pozione alla gatta che in pochi secondi cadde addormentata.
«Quanta furbizia, non mi meraviglio che l’abbiano affidata a Gazza». Disse Ben.
Ci guardammo e chissà perchè iniziammo a ridacchiare.
«Vorrei ridere anche io se non rischiassi l’espulsione». Si intromise Rowan offesa.
«La gatta è a nanna, ora dedichiamoci a qualcosa di serio». Dissi dopo essermi soffermata su Mrs Purr alcuni istanti.
Andai verso la porta.
«D’accordo Julia, una cosa per volta. Apri la porta, vedi cosa c’è dentro ed esci. Semplice no?».
Estrassi la bacchetta accorgendomi e presi un profondo respiro.
«Aloh…».
«Flipendo!»

Con la coda dell’occhio vidi Ben finire all’indietro contro la parete e scivolare da un lato, stordito. Ruotai su me stessa e trovai Merula Snyde alle mie spalle con la bacchetta in mano e l’aria insolitamente tranquilla.
«Ma che stai facendo?» Esclamai.
Merula non rispose e spedì a terra anche Rowan.
«Ti ha dato di volta il cervello?» Sollevai la bacchetta ma lei fu più veloce e mi colpì spedendomi qualche metro più in là, vicino a Mrs Purr.
«Ecco un altro motivo per cui Serpeverde non potrebbe mai essere la tua casa, Lee. Prendere con te il re dei babbei e una sapientona incapace per un piano del genere! Mi hai sorpresa. Credevo fossi molto più sveglia».
«Come mi hai trovato?» Domandai.
«Altra cosa su cui devi lavorare, Lee. Quando ti muovi assicurati di avere sempre qualcuno che ti copra le spalle nel caso  dovessero starti col fiato sul collo. I tuoi amichetti vanno in giro da almeno tre giorni con la scritta “colpevole” sopra la testa».
Merula rimase ad osservarmi mentre mi alzavo e le puntavo la bacchetta contro. Non avrei esitato un’altra volta. Avevo una seconda pozione in tasca e la tremenda voglia di usarla contro di lei.
«Vattene da qui Merula, non troverai niente per te».
In tutta risposta lei alzò le spalle.
«Ci sono dentro insieme a te o lo hai dimenticato? Voglio che questa faccenda finisca al più presto così da non dover più vedere la tua faccia in giro, Lee».
Merula puntò la bacchetta in direzione della porta e vi entrò senza che potessi fare nulla per fermarla.
«Ma è impazzita?» Esclamò Rowan.
Ben guardò prima la porta e poi me.
«Non possiamo lasciarla andare, giusto?»
No, assolutamente non potevamo.
Se a Merula fosse accaduto qualcosa saremmo stati espulsi tutti insieme senza “se” e senza “ma”, Penny compresa, e questo non potevo farglielo.
«Andiamo, così si ammazzerà!»
Spinsi la porta ed entrai, seguita a ruota dagli altri due.

Mi aspettavo un buio pesto e con mia sorpresa notai una luce fortissima oltre la soglia. Mi chiesi se non ci trovassimo qualche metro sotto terra. Non vi erano torce e capii che il bagliore proveniva dal ghiaccio che ricopriva le pareti della stanza grande poco più di uno sgabuzzino. Merula era al centro di essa, bloccata in quella che pareva una colonna di ghiaccio che le arrivava fino alle ginocchia.
«M-mi ha preso. N-non riesco a toglierlo». Merula levò su di noi uno sguardo disperato e provai una stretta allo stomaco.
«È il ghiaccio di cui parlava Piton». Dissi.
«Osservazione davvero essenziale, Lee. Tiratemi fuori prima che qui si congeli tutto e rimaniamo bloccati a vita!»
La visione di Merula intrappolata nel ghiaccio sarebbe stata protagonista dei miei peggiori incubi ma non importava. Dovevo tirarla fuori prima che le accadesse qualcosa di serio.
Non ebbi nemmeno il tempo di formulare il benché minimo pensiero che uno scricchiolio alle mie spalle mi fece accapponare la pelle. Ben accanto a me sussultò rumorosamente e Rowan lanciò uno strillo acuto. Mi voltai in tempo per vedere una spessa lama di ghiaccio arrampicarsi su per la parete e per la porta da cui eravamo entrati a una velocità incredibile.
«Ma che sta succedendo?»
Stavolta toccò a Ben urlare. Il ghiaccio era vivo. Si muoveva e sembrava avere una predilezione per tutto ciò che possedesse energia vitale. Come era accaduto con il Tranello del Diavolo ben preso i miei compagni si trovarono intrappolati nel ghiaccio come Merula.
«Julia fa’ qualcosa!» Strillò Ben agitando la parte superiore del corpo.
Puntai la bacchetta verso i suoi piedi.
«F-f…è l’unico incantesimo che conosco!»
«Julia sbrigati!»
Mi tremavano le mani e avevo la vista appannata. La bacchetta sembrava essere diventata di colpo pesantissima. Chiusi gli occhi.
«F-Flipendo. Flipendo!»
«Serve che sia un po’ più convincente!»
La voce di Rowan mi rimbalzava contro i timpani.
«Flipendo!»
Il ghiaccio si sgretolò sotto al mio incantesimo e i piedi di Rowan furono di nuovo liberi. Ci girammo verso Ben.
«Io…Rowan non…non so se ci riesco, mi tremano le mani».
Rowan liberò Ben ed insieme liberammo Merula.
«Non voglio rimanere un minuto di più!» Dissi.
Lanciai Flipendo contro la porta col risultato di riuscire a scalfire solo una parte della muraglia di ghiaccio.
«Dobbiamo metterci più forza!» Esclamò Merula. Lanciò Flipendo seguita a ruota da Rowan. Finalmente la frattura si ingrandì. Eravamo ormai alla serratura. Mancava solo un ultimo colpo.
«Ben forza!»
Capii in quel momento l’azzardo di aver preso Ben con noi. Non potei dargli torto del resto, avevo messo tutti in un grosso pericolo e ora tutta la tensione era gravata su di lui.
«Io…non posso». Sussurrò Ben.
«Ascoltami Ben, so che puoi farcela».
«Non capisci? Rimarremo qui, staremo qui per tutta la vita».
«Sei un buon a nulla!» Merula afferrò Ben per le spalle.
«Schifoso Sanguemarcio, moriremo per colpa tua! Idiota!»
«Merula basta!» Rowan afferrò Merula per il mantello e la trascinò indietro prima che potesse fare del male a Ben.
«Ben ce la puoi fare, è solo un incantesimo e poi saremo fuori di qui. Non pensi a come sarebbe bello tornare a respirare aria pulita e stare sotto al sole? Svegliarsi con un bel banchetto ad attenderti? Fallo per noi, Ben».
Iniziavo a non sentirmi più le gambe e Merula aveva il naso viola.
Vidi Ben trattenere le lacrime mentre alzava la bacchetta.
«Flipendo».
La crepa si sgretolò e fummo investiti da una sottile pioggia ghiacciata. Mi portai le mani davanti gli occhi aspettando con angoscia che i secondi passassero. Quando non avvertii più nulla alzai finalmente la testa.
«State bene?»
Rowan agitò una mano e sollevò la testa imitata da Merula.
«Ben stai bene?» Mi avvicinai al mio compagno che sembrava illeso.
«Ho…ho fatto…».
«Sì ce l’hai fatta, ora usciamo, Rowan?»
«Ehi, e quello cos’è?»
Seguii lo sguardo di Rowan e vidi qualcosa sul muro accanto alla porta. Una scritta sulla frazione di parete liberata dalla morsa del ghiaccio che ora luccicava con insistenza.
Mi avvicinai.
«Sembra un codice».
«Cosa dice?» Domandò Rowan.
«Vorrei saperlo, peccato non poter avere qualcosa con cui scrivere». Dissi.
«Te lo detto quando saremo di sopra, ora andiamocene».
Aprii la porta e fummo di nuovo fuori, nel corridoio. Vivi e vegeti.
«Non ci credo, non ci voglio nemmeno provare a crederlo». Disse Rowan che si era fermata per prendere fiato.
«Quel che invece io credo è che sia stato tutto una perdita di tempo grazie a voi idioti! Quando avrai voglia di fare sul serio e cercare le vere Sale Maledette fammi un fischio, Lee». Merula spazzò via gli ultimi residui di ghiaccio dalla divisa e si allontanò in tutta fretta. Non potevo biasimarla.
«Dici che dovremmo seguirla?» Domandò Rowan. Dubitai che con tutto quello a cui avevo assistito Merula avrebbe avuto il coraggio di farne parola, se non altro per evitare di venire presa in giro dai suoi compagni.
«No, starà bene». Dissi.
Rowan mi guardò.
«A che pensi?»
Sospirai.
«Penso che forse non era una Sala Maledetta, quella. Merula ha ragione».
«Però il ghiaccio era maledetto. Forse sono collegati».
Ci voltammo verso Ben che era rimasto in silenzio.
«Stai bene?» Domandò Rowan senza ottenere risposta.
«Non credo, come dargli torto». Dissi.
«Ad ogni modo,se è vero che hai avuto una visione e visto cose del genere forse tutto ciò ha un significato. Magari hai previsto qualcosa ma ne dubito».
«Io invece dubito di riuscire a trattenermi ancora per molto, mi sta venendo da vomitare». Gemette Ben.
Indicai il portone con un cenno del capo.
«La gatta si sta per svegliare, andiamocene prima che Piton ci trovi».

Ci lasciammo alle spalle il corridoio proprio in tempo per vedere i tifosi di ritorno dagli allenamenti. Il loro chiacchiericcio ci inseguì per le scale, io e Rowan venimmo spintonate e abbracciate da chiunque ci capitasse davanti in preda alla gioia per qualche vittoria a noi sconosciuta. Pensai alla scritta sul muro. Chi ne era l’artefice? C’era già stato qualcuno lì dentro? Avevo come la sensazione che Jacob fosse vicino a me, tanto vicino da poterlo toccare eppure continuava a restare invisibile ai miei occhi.
 

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Capitolo 10
*** Capitolo X ***


CAPITOLO DECIMO

Nei giorni seguenti vissi come all’interno di una bolla d’aria. Dormivo regolarmente la notte ma durante il giorno rimanevo distaccata dal resto del mondo. Il mio cervello era come suddiviso in due entità distinte che lavoravano in simbiosi fornendosi a vicenda sostentamento o privandosi di qualcosa a seconda della situazione in cui mi trovavo. Non sapevo dire se fosse perché ormai avevo superato ogni limite e un’espulsione non mi avrebbe fatto né caldo e né freddo o perché fossi terrorizzata a morte e il mio subconscio stesse cercando in qualche modo di proteggermi da ulteriori traumi.
«Splendida giornata, non è così?» Mi parve di udire uscire dalla bocca del Prefetto Felix durante la colazione. Il cielo sopra di noi era nuvoloso e si prospettava una mattinata soporifera nella serra di Erbologia.
Mescolai i miei cereali nel latte, la bolla in cui vivevo attutiva ogni rumore rendendo ancora più difficile lottare contro il sonno. Mi lasciai andare a uno sbadiglio plateale, maledicendomi per essermi svegliata prima della sveglia e privandomi di qualche minuto in più di sonno prezioso. Quando riportai nuovamente lo sguardo sulla mia ciotola la colazione era sparita. Mi ritrovai addosso gli occhi da serpe del Prefetto che mi fissava in attesa di una mia qualche reazione. Litigare di prima mattina non era nella mia lista perciò decisi di alzarmi ma lui fu più veloce e mi afferrò per un braccio suggerendomi con un cenno del capo di tornare a sedermi.
«Fino a mezzo secondo fa sì». Risposi scrollandomi di dosso la sua mano e mettendo un po’ di distanza da lui. Le labbra di Felix si piegarono in un sorrisetto.
«Non sarà così splendida se oggi io andassi dal preside a riferire tutto ciò che tu hai fatto pochi giorni fa in compagnia della tua combriccola. Ma sicuramente Silente ne è al corrente perciò è solo questione di tempo, immagino». Disse.
«Non so di che parli».
Felix annuì lentamente come se stesse riflettendo su qualcosa. In altre situazioni mi sarei messa le mani nei capelli per l’agitazione e la paura ma tutto ciò che avvertii fu un leggero pizzicore allo stomaco e niente più. Indicai la mia ciotola posta tra noi.
«Finisci tu, io vado verso la serra».
«Non ho ancora finito!» Esclamò il Prefetto facendomi sussultare. Un paio di Tassorosso di passaggio si girarono allarmati.
«D’accordo, ti ascolto, pazzo che non sei altro». Sibilai a denti stretti assecondando Felix il cui volto era diventato di una tonalità pericolosamente vicina a quella della zuppa di pomodoro davanti a me.
«So che tu, Khanna, Copper, Snyde e Haywood avete organizzato una gita nel corridoio proibito la settimana scorsa» Proseguì il Prefetto Felix.
«Non è colpa mia se hanno messo i bagni troppo lontani dai dormitori». Dissi.
Felix annuì nuovamente tra sé e sé.
«Eppure non ti ho mai visto cercare un bagno con così tanto interesse».
Alzai le spalle.
«Siamo in inverno. Il freddo favorisce la diuresi».
«Battute sarcastiche non ti aiuteranno ad evitare l’espulsione, Julia Lee». Disse Felix.
Mi sporsi leggermente verso di lui piantando il mio sguardo nel suo.
«Sto dicendo la verità. Cercavo un bagno e mi sono persa. Direi che è del tutto normale considerando che la scuola è praticamente un cimitero di notte e che sono un tantino presa dal cercare mio fratello».
Felix sembrò sul punto di dire qualcosa ma in quel momento un grosso gufo reale irruppe nella Sala Grande planando dolcemente verso di noi. Lasciò atterrare una lettera davanti a me e se ne andò.
Felix accanto a me scoppiò in una risata eccitata. Come me, aveva riconosciuto la calligrafia sottile e precisa del professor Silente.
«Immagino voglia avere delle risposte». Disse il Prefetto.
«Vuole incontrarmi, ma sappiamo entrambi che non può cacciarmi, dico bene?» Risposi infilandomi la lettera in tasca. Mi alzai.
«Non ci giurerei così tanto, Julia Lee!» Mi gridò dietro Felix mentre mi dirigevo verso l’uscita.

Quasi mi avesse atteso fuori dalla Sala Grande per tutto il tempo Rowan si materializzò davanti a me non appena ebbi varcato il portone di quercia.
«Era uno dei gufi di Silente quello appena andato via!»
Sbadigliai.
«Ci tenevo a parlarti prima di doverti dire addio per sempre, Julia». Disse Rowan.
«Tranquilla, ce lo diremo quando entrambe avremo messo piede sul treno di ritorno ».
«Quando vuole vederti Silente?» Domandò Rowan.
«Stasera».
La mia compagna di stanza sospirò sollevata.
«Beh quindi abbiamo ancora tempo».
«Tempo per cosa?» Chiesi.
Una luce maniacale illuminò il volto di Rowan per un istante.
«Ricordi il messaggio nella stanza del ghiaccio maledetto? Beh, ti ho detto che lo avrei trascritto».
«Ci sei riuscita?»
Rowan annuì.
«Ho trovato un libro sui messaggi in codice e…».
«Rowan non mi interessa quanto fosse appassionante il libro voglio sapere…».
«Il Cavaliere di Ghiaccio fa la guardia dopo le Scale Scomparse».
«Aspetta…che?»
Rowan mi lanciò un’occhiata circospetta.
«Il messaggio parla di un Cavaliere di Ghiaccio». Disse come se fosse la cosa più ovvia e comprensibile del mondo.
La mia testa era sul punto di scoppiare.
«Un attimo…quel Cavaliere?»
«Sai qualcosa?»
«La visione del ghiaccio maledetto, c’era anche una sorta di… armatura vagante tra le fiamme». Dissi. Sussultai quando Rowan mi afferrò per le spalle con energia.
«Forse andava verso una Sala Maledetta!»
«Non possiamo saperlo». Dissi io.
L’entusiasmo svanì di colpo dal volto di Rowan che con mia immensa gioia, allontanò le mani da me.
«Ora che c’è?» Domandai esasperata.
«Ho pensato che se ci espellono non avremo più ricerche da fare a proposito».
«Rowan non smetterei di cercare le Sale Maledette nemmeno  se Silente seppellisse Hogwarts in fondo al Lago Nero». Risposi.
La mia compagna di stanza abbozzò un sorriso.
«Sei ottimista vedo».
«Rowan si tratta di mio fratello. Se Jacob o io moriamo Silente verrà sottoposto a un’inchiesta e saranno guai per lui». Dissi.
Rowan scosse la testa.
«Perché dovrebbe passare dei guai a causa di quello che stai facendo?»
«Perché nessuno sa delle Sale Maledette, almeno per ora. Se mi dovesse accadere qualcosa voglio fare in modo che tutto il Wizengamot sappia quanto Hogwarts ami tenere i suoi segreti al sicuro anche a rischio di lasciar morire degli innocenti. Mio fratello era un allievo di Silente e se ne è andato».
Rowan si rabbuiò.
«Pensi davvero che Silente si esporrebbe così tanto per te?»
«Non avrebbe scelta». Risposi.
«Eccome invece».
«No. Queste Sale Maledette perché esistono? Chi le ha inventate? Perché Silente ha lasciato che Jacob se ne andasse? Rowan, è un mago potentissimo, non penso che avrebbe difficoltà a intercettare chiunque sia dietro questa storia e dargli il benservito».
«Magari è più forte di lui». Azzardò la mia compagna di stanza.
Ma io non volevo più discutere oltre. Se Rowan preferiva salvarsi la pelle ne aveva tutto il diritto. A me non restava che indagare e se Silente non mi espelleva avrei fatto in modo di arrivare anche solo vicino alla più misera verità nascosta.

Attesi tutto il giorno e finalmente venne sera. L’incontro con Silente si teneva nel cortile di pietra e io vi arrivai poco dopo l’ora di cena.
Trovai il preside ad attendermi con lo sguardo perso nel cielo.
«Ti intendi di costellazioni signorina Lee?» Mi domandò non appena fui abbastanza vicina.
«No. Quando ero piccola Jacob voleva provare a insegnarmi come riconoscerle ma non ho mai avuto pazienza». Risposi.
«La professoressa Sinistra è un’ottima insegnante per queste cose. Peccato che una materia del genere la si impari solo al sesto anno, non trovi?» Sentii addosso lo sguardo del preside e mi chiesi se quel riferimento non avesse a che fare con il fatto che probabilmente non avrei avuto mai occasione di imparare a riconoscere le costellazioni una volta fuori da Hogwarts.
«Ad ogni modo, guardare ciò che ci circonda e di cui non sappiamo niente è affascinante, sei d’accordo? Rilassa».
Levai anche io lo sguardo verso il cielo, solo per assecondare Silente nelle sue farneticazioni.
«Sì». Buttai lì.
«Guardare le stelle aiuta. Ci mette in contatto con il nostro lato istintivo, quello che vogliamo combattere ogni volta che prendiamo una decisione importante che richiederebbe diplomazia». Proseguì Silente.
«La diplomazia non è esattamente il mio forte, professore». Dissi.
«E come risolveresti certi conflitti, signorina Lee?»
Riflettei. Se quello era un modo per testarmi era meglio essere sinceri.
«Farei la cosa giusta».
«Ossia?»
«Andrei fino in fondo per scoprire la verità e poi farei ciò che va fatto».
«Senso di giustizia». Osservò Silente.
«Non ho detto che tutto ciò che farei è giusto». Dissi.
«Ma lo faresti ugualmente. Per sentirti meglio. Per non avere conti in sospeso».
Mi girai verso Silente. Quella conversazione stava diventando ridicola.
«Preside perché non mi dice il motivo per cui siamo qui?»
Finalmente il preside decise che era arrivato il momento di fare i seri e distolse del tutto l’attenzione dal cielo concentrandola su di me.
«Dimmelo tu. Ho potuto osservare che sei un’allieva intelligente ma mossa da un’evidente irrequietezza».
Alzai le spalle.
«Credo sia legittimo».
Silente annuì.
«Allora…cosa ti tormenta?»
Feci un sospiro e gli raccontai della visione avuta nella Stanza dei Manufatti e durante alcune notti. Descrissi tutto nei minimi dettagli e mi resi conto che non mi faceva più paura. Piuttosto…mi infondeva malinconia. Perché era toccato a me e non a un’altra persona? Chi si sarebbe fatto male nel tentativo di aiutarmi a completare quella missione che si stava ormai rivelando molto più ricca di imprevisti di quanto pensassi?

Quando terminai il racconto Silente impiegò molto prima di rispondere.
«Quando guardi un dipinto, signorina Lee, immagineresti mai tutto il lavoro che c’è dietro?» Domandò.
Di nuovo. Ma perché non rispondeva e basta?
«No, non mi intendo di quadri, signore». Dissi cautamente.
«Un pittore per realizzare un quadro parte da uno schema. Un abbozzo, uno schizzo, almeno questo è quello che so che fanno i pittori Babbani. Parte da uno schizzo e poi aggiunge elementi che prima non considerava e che vanno a completare l’opera. E alla fine…». Silente allargò di poco le braccia in un gesto plateale. «Il lavoro è completo».
«Ma io non sono un pittore, signor preside». Gli feci notare.
In tutta risposta lui sorrise.
«No, non lo sei. Non ancora. Ora, tu vedi la tua visione come qualcosa di poco definito, come uno schizzo. Ma lascia passare del tempo e chissà, tra qualche anno, mi mostrerai un ottimo dipinto».
Tra qualche anno. Voleva dire…
«Non intende espellermi?»
«Per quanto il tuo insano amore per la giustizia privata sia discutibile, Julia, non posso non considerare che in futuro questa caratteristica potrà esserti utile. Non saresti una Serpeverde, senza ambizioni».
Risposi al sorriso di Silente.
«Perciò, per spronarti a migliorare, voglio dare cento Punti a Serpeverde». Disse.
«Grazie infinite preside».
«Ma voglio che tu rifletta sulle tue azioni in futuro. Spesso le “cose giuste” sono quello che ci aspetteremmo dagli altri, ma noi non siamo loro e non dobbiamo farci offuscare dal giudizio o dai torti subìti».
«Signor preside, possiamo tornare a parlare della maledizione del ghiaccio? Se la scuola è in pericolo è bene che lei e gli insegnanti…».
Silente alzò una mano interrompendo il mio sproloquio.
«Parleremo di tutto quello che vuoi, signorina Lee. Ma non ora. Avremo tempo per tornare sull’argomento e tu devi metterti in pari con molte cose tra cui la disciplina. Ora, se non ti dispiace, io vado a schiacciare un pisolino. Nei mesi a venire voglio vederti più produttiva, signorina Lee. Niente più sotterfugi, fughe sotto il mio naso o atteggiamenti discutibili. Sfrutta il tempo che ti rimane per conoscere Hogwarts e per impegnarti a realizzare il tuo futuro. Un giorno capirai quanto ho detto e probabilmente ci faremo una bella chiacchierata ai Tre Manici di Scopa. Buonanotte, Julia».
«Buonanotte, professor Silente».
«Allora che ha detto?» Fu la prima cosa che mi domandò Rowan non appena misi piede nel dormitorio. Controllai che Merula stesse dormendo e mi arrampicai sul mio letto lasciandomi cadere sul cuscino e fissando il baldacchino.
«Potremo dormire sonni tranquilli».
«Cioè? Non ci espelle?» Incalzò Rowan.
«No. almeno non quest’anno».
Rowan lanciò un’occhiata allarmata al letto di Merula e poi proruppe in un grido silenzioso.
«Te lo dicevo! Io diventerò un’insegnante e tu…e tu…».
«Io mi farò una bella dormita, Rowan. Molto lunga. E non mi svegliare come fai di solito». Mi girai da un lato contenta di potermi godere l’abbraccio profumato del mio letto ancora per un po’.
Avvertii un fruscio e non riuscii ad alzare gli occhi al cielo quando sentii il peso di Rowan mentre si arrampicava sul mio letto.
«Che c’è?»
«Come faremo con la missione?» Sussurrò Rowan.
*
Mi sembrò impossibile arrivare alla fine dell’anno dopo quanto accaduto. E invece ci riuscii. Lasciai da parte tutto ciò che riguardava le Sale e mi dedicai al mio percorso formativo. E mi aiutò. Anziché dovermi nascondere da Gazza per elaborare piani assurdi con Rowan e Ben passeggiavo nel parco del castello in compagnia di un buon libro mentre ripassavo mentalmente gli incantesimi o mi godevo il sole. Rowan mi sembrò molto più rilassata e contenta del fatto che non dovessimo più correre in giro per il castello a cacciarci nei guai e, riguardo a Penny, il nostro rapporto migliorò seppure di poco. Ma ci sarebbe stato tempo per rimarginare le ferite. Quanto a Merula, dopo l’esperienza terrificante nella Stanza del Ghiaccio divenne leggermente più sopportabile anche se non perdeva occasione di lanciarmi frecciatine. Ma tanto sapevo che sarebbe servito a poco; anche lei come me e Rowan era legata a un segreto e la sua natura egocentrica le avrebbe impedito di farsi cattiva pubblicità. Un anno passò in un lampo. Silente aveva ragione, e anche Rowan. Ero in una delle scuole più importanti del mondo magico e per settimane mi ero lasciata corrodere dalla curiosità e dalla sete di giustizia per una faccenda più grande di me senza considerare che avevo solo undici anni e che avrei rimpianto i giorni felici a scuola se non me li fossi goduti.
 Come ogni anno, l’ultima sera ad Hogwarts si teneva la cerimonia della Coppa delle Case, la premiazione finale che avrebbe eletto la Casa con il punteggio più alto.
«Non sono mai stata così nervosa nemmeno durante un esame». Disse Rowan sfregando con energia le mani l’una contro l’altra. Sollevai il pollice in segno di saluto all’indirizzo di Ben, due tavoli più in là.
Quando il professor Silente si alzò da tavola nella Sala Grande cadde il silenzio.
«Siamo giunti alla fine di un altro anno. Ognuno ha messo in gioco tutto sé stesso e i risultati sono stati eccelsi. Mi congratulo per tutti voi. Voi avete imparato da me e io da voi. Siete stati fenomenali».
Tutti noi studenti esplodemmo in un unico applauso che durò fin quando Silente non prese di nuovo la parola.
«Ma siccome nessuno di voi ha voglia di stare a sentire un vecchio babbione tediarvi coi suoi discorsi passiamo alle cose più importanti…».
Silente si girò verso le quattro clessidre colme di pietre preziose colorate che contraddistinguevano le quattro Case di Hogwarts. Un brivido mi attraversò la schiena. Le clessidre di Tassorosso e Serpeverde erano praticamente allo stesso livello.
«All’ultimo posto Corvonero con 668 Punti». Annunciò Silente.
Dal tavolo accanto al nostro si levarono mesti borbottii e qualche fischio.
«Al terzo posto Grifondoro con 672 Punti».
Applaudii all’indirizzo del tavolo di Ben che aveva avuto una reazione leggermente più animata di quella dei Corvonero.
«Al secondo posto, Tassorosso con 679 Punti».
Sentii le unghie di Rowan affondarmi nel braccio della divisa e provai l’impulso di scrollarmela con veemenza.
«E al primo posto, con 797 Punti…SERPEVERDE!»
L’intera Sala si riempì delle urla dei miei compagni e le bandiere sospese sopra le nostre teste assunsero i toni della nostra Casa, verde e argento. Rowan mi gettò le braccia al collo e con la coda dell’occhio vidi Felix sgattaiolare furtivamente verso una ragazza grassottella con la divisa e il distintivo di Prefetto della casa di Tassorosso. Vederlo in atteggiamenti vagamente affettuosi mi lasciò stupita.
«Julia Lee?»
Mi ritrovai davanti Elizabeth Tuttle stranamente sorridente.
Mi porse la mano.
«Congratulazioni. So che ti sei impegnata molto quest’anno. Felix mi ha riferito che è contento per te». Disse.
Le strinsi la mano, anche se mi sarebbe piaciuto ricevere complimenti direttamente da Felix ma non importava. Avevamo vinto.
«Ora, godetevi il banchetto e le vacanze estive. Ci rivediamo a Settembre». Silente tornò al suo tavolo e io provai un forte senso di leggerezza al petto.
Non era finita però, e tutti noi lo sapevamo. La missione di salvataggio di Jacob era solo stata rimandata e avrei fatto tesoro di tutto ciò che era in serbo per me per diventare una strega degna di tale nome. Non mi sarei lasciata intimidire e avrei accettato anche qualche sconfitta e avrei sempre e comunque lottato per ciò che ritenevo giusto. Del resto era ciò che mi aveva insegnato mia madre e questo glielo dovevo. La mia tenacia avrebbe riportato Jacob a casa. Ma per il momento mi sarei goduta le meritate vacanze.

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Capitolo 11
*** Capitolo XI ***


CAPITOLO UNDICESIMO

«Sei pronta?»
Dalla finestra della mia camera potevo osservare il vialetto che dal retro della casa passava in mezzo alla vecchia casetta di legno che utilizzavamo come ripostiglio fino allo steccato che delimitava il perimetro della nostra proprietà. Era pressoché impossibile non notare il mozzicone che sbucava dall’erba, appena prima dello steccato e che sembrava guardare verso l’alto con nostalgia. Quasi quattro estati addietro mia madre aveva fatto abbattere l’albero di mele e bruciato la casetta di assi che io e Jacob usavamo come nascondiglio durante l’estate. Di quel bellissimo albero non rimaneva che il mozzicone del tronco e dubitavo persino che mia madre anche solo ricordasse la sua presenza. Ma io sì. Era come un monito, tutte le mattine da quando ne avevo memoria. Mi svegliavo e lui era lì, a guardarmi illuminato dalla luce del sole. Per quello, con l’approssimarsi della mia partenza, avvertivo un senso di leggerezza al pensiero che i mesi successivi li avrei trascorsi vedendo un panorama totalmente diverso fuori dalla finestra.
Annuii distrattamente in risposta a mia madre che aveva cacciato la testa dentro la mia stanza, come suo solito ormai, senza nemmeno aspettarsi una risposta.
Chiusi la porta alle mie spalle e scesi i brevi scalini che si interrompevano bruscamente davanti alla cucina. Quel giorno il silenzio sembrava opprimente. Era ancora mattino presto ma mia madre correva a destra e a manca da un’ora come se fossimo a pomeriggio inoltrato o stessimo aspettando qualcuno per cena, evento più unico che raro. Era il modo di mia madre di metabolizzare un evento o di ascoltare i suoi pensieri e in quei giorni ne aveva avuti parecchi dopo la visita del giornalista della Gazzetta del Profeta, pochi giorni fa su richiesta di mia madre.
«Prenderemo la Metropolvere, l’ultima volta che ho percorso quella collina sono arrivata a King’s Cross con le calze rotte e i capelli tutti sporchi». Mia madre prese il mio bagaglio e recuperò il vasetto contenente la Polvere Volante, tutto mentre ancora parlava. Poi mi scrutò con una delle sue occhiate interrogative con tanto di capo inclinato e mento in fuori.
«Si può sapere che hai, signorina?»
Alzai le spalle.
«Niente».
Come previsto mia madre sospirò pesantemente e dondolò il capo con impazienza.
«Niente. Qui nessuno ha mai niente e quella che immagina tutto sono io».
«Non ho detto questo». Risposi.
«Se non fossi tua madre direi che sei un’ottima bugiarda».
«Che vuoi che ti dica? Tanto trovi sempre il modo di far andare le cose come piace a te». Mi difesi. Il fatto che ci trovassimo in cucina, uno spazio stretto, e che avessimo tirato fuori proprio quella conversazione era ciò con cui speravo di cominciare la giornata.
Vidi che mia madre mi guardava di sottecchi.
«Ancora arrabbiata per l'intervista?» Domandò nello stesso tono con cui si sarebbe potuta rivolgere a un bambino che aveva fatto di nuovo la pipì nel letto.
«Mamma non sono arrabbiata. Tu stai attirando l’attenzione e questo non ci fa bene. Al Ministero non importa niente di un ragazzo scomparso sette anni fa e con quel colloquio non necessario tu hai solo…».
Mi interruppi poiché mi parve di aver udito mia madre dire qualcosa. Stava di nuovo sussurrando e provai una punta di rimorso. Dimenticavo spesso quanto ultimamente fosse emotiva. Quanto le costava dovermi accompagnare a Hogwarts dopo Jacob?
«Fatto cosa?» Esordì con voce rotta mentre cercava di mantenere la calma giocherellando con la manica dell’abito da passeggio. Guardava fuori dalla finestra, oltre me. Verso il mozzicone che chissà se veramente vedeva. «Chiesto un po’ di collaborazione? In tutti questi anni mi sono illusa che mio figlio potesse tornare a casa da un giorno all’altro ma ancora non è successo. Quale madre potrebbe fare finta di niente? Questo posto…». E compì un gesto vago con una mano. «È come una coltellata ogni giorno che mi alzo dal letto. Sento un rumore? È Jacob che torna, magari con le uova rubate nascoste nelle tasche della giacca e convinto che io non me ne sia accorta. O magari prima di andare a letto lo troverò qui a fissare il camino, con quella sua aria da buon manigoldo che mi dirà “Ehi” e io gli dirò “Non fare tardi, d’accordo?”. Non posso più andare avanti così, Julia».
«Mamma». Mossi un passo verso di lei facendo attenzione a non toccarla perché sapevo che avrebbe pianto o si sarebbe chiusa in uno dei suoi lunghissimi silenzi. «Non ce ne andremo da qui». La mia voce non ne voleva sapere di rimanere neutra e continuavo a balbettare come una stupida.
La luce negli occhi di mia madre mi lasciò intendere che ero, ancora una volta, arrivata troppo tardi per valutare i suoi progetti. Che lei aveva già deciso e niente le avrebbe fatto cambiare idea.
«Ce ne andremo, eccome. Questa casa è solo una marea di brutti ricordi. E adesso andiamo, per piacere».
Annuii quasi automaticamente e mi feci da parte indicando il camino.
«Vai tu».
Mia madre mi superò, entrò nel camino reggendo il mio baule, ravvivò i capelli, così diversi dai miei e maledettamente perfetti, prese una manciata di polvere e pronunciò la destinazione. Poi fu inghiottita dalle fiamme verdi.
Ed eccomi di nuovo sola, in cucina, come sette anni prima, con l’eco dei pianti di mia madre che risuonava tra le pareti del piano di sopra e il sole che tramontava alle da dietro il frutteto. Mi guardai attorno un’ultima volta passando in rassegna ogni angolo di quella stanza a cui indelebilmente era legato un ricordo, poi entrai nel camino.
La destinazione scelta da mia madre era ubicata presso un vecchio appartamento di proprietà di un suo conoscente che le aveva concesso di usufruirne secondo accordi di cui ero all’oscuro.
«Quando ci saremo trasferite a Londra tutto questo non sarà più necessario». Disse mia madre non appena atterrai dall’altra parte, nel camino polveroso di quella stanza semibuia. Mi levai di dosso le tracce di fuliggine e tossii.
«Vuoi…trasferirti a…a Londra?»
Ma certo. Che domande. Magari avevo già un letto nella nuova casa.
Mia madre fece finta di non aver sentito e quando si fu accertata che fossi tutta intera imboccò una direzione sconosciuta fuori dalla stanza, lungo un corridoio e finalmente fuori, in uno stretto cortile che dava su un viale affollato. Ci incamminammo lungo un paio di strade che non conoscevo ma che dovevano trovarsi nei pressi della stazione a giudicare dai numerosi passanti muniti di bagagli che controllavano ripetutamente l’orologio da polso. Man mano che ci avvicinavamo e l’odore di olio da motore si faceva più intenso notai alcuni passanti lanciare occhiate strane a mia madre. Lì per lì pensai che fosse per il suo abbigliamento vistoso, eredità di una vecchia zia che aveva conosciuto Napoleone Bonaparte in persona, poi mi resi conto che erano maghi come noi e che probabilmente l’articolo su mia madre doveva aver provocato non pochi malcontenti.

Entrammo in King’s Cross e affrettai il passo mentre ci dirigevamo verso piattaforma nove e tre quarti, un muro interposto tra i binari nove e dieci.
Mancavano poco più di cinque minuti alla partenza del treno. Mi preparai ad attraversare il muro dopo essermi accertata che nessuno mi stesse guardando, e mi sentii tirare per la manica.
«Julia».
«Che c’è mamma?»
Le concessi di salutarmi sperando quantomeno in un saluto, un saluto normalissimo da parte di una normalissima madre premurosa.
Lei si chinò su di me e poggiò la fronte sulla mia.
«Voglio che tu faccia il possibile per trovare tuo fratello». Mi disse fissandomi. «Non voglio passare il resto della mia vita a guardare dentro a una stanza vuota».
«Mamma, lo sai che non dipende da me e poi non voglio guai a scuola, lo sai benissimo». Risposi.
Mia madre spalancò gli occhi e contrasse la mascella.
«Io voglio riavere mio figlio, Julia. Sei intelligente e se parlerai con il preside…».
«Mamma non chiederò a Silente di mettersi a cercare Jacob dopo che tu hai detti pubblicamente che lui e Caramell sono degli incapaci!»
Feci un brusco passo indietro nel tentativo di allontanarmi ma mia madre mi posò una mano dietro la nuca con insistenza. Sentivo il suo respiro affannoso graffiarmi il viso. Chiusi gli occhi. Nessuno vedendoci avrebbe pensato che fossimo imparentate. Non avevamo niente in comune nell’aspetto fisico ma Jacob le assomigliava molto, forse era per quello che non sapeva darsi pace. Guardare me le dava come un senso di smarrimento, aveva bisogno della sua metà. Io ero un’altra metà legata a chissà chi dato che non conoscevo nemmeno mio padre. Sapevo solo che era  morto in battaglia, non si sa dove né quando. Non sapevo nemmeno se fosse un mago.
«Non sei nella posizione di fare come ti pare, Julia. Se c’è anche la sola possibilità che mio figlio sia da qualche parte è compito tuo, soprattutto tuo, trovarlo. Voi due siete legati».
Ecco, quella frase che giustificava tutto e niente. Voi due siete legati. La panacea ai sensi di colpa.

Quando finalmente raggiunsi l’Espresso per Hogwarts tutto ciò che avvertivo era un senso di pesantezza e una gran voglia di urlare e di liberarmi di qualunque cosa si fosse annidata nel mio stomaco e che mi stava togliendo il respiro passo dopo passo.
«Ehilà!»
Avevo appena messo piede a bordo del treno che due mani mi afferrarono e mi ritrovai catapultata dentro a uno scompartimento e Rowan davanti a me con un sorriso a trentadue denti.
«Buon inizio anno! Buon inizio anno!» Mi strillò nelle orecchie. Poi mi fece spazio e lasciammo il mio baule accanto all’entrata.
«Posso avvalermi della facoltà di stare alla larga da te fino a quando non arriviamo?» Dissi. Rowan non mi dette ascolto e rovistò nella sua borsa fino a tirare fuori qualcosa. Capii immediatamente dove voleva andare a parare e d’istinto mi portai verso la porta scorrevole sperando che capisse le mie intenzioni: o restavo e non ne parlavamo o ne avrebbe parlato ma per conto suo. Dopo aver amabilmente conversato con mia madre l’ultima cosa che volevo era un terzo grado da parte di Rowan.
«Rowan non è il momento, davvero…».
Rowan mi ignorò ancora una volta e aprì, quasi si trattasse di qualcosa di molto interessante, una pagina della Gazzetta del Profeta risalente a qualche settimana prima. Sulla pagina si agitavano le immagini di un uomo con indosso un abito scuro e la faccia da ecclesiastico che sedeva sul divanetto di un’accogliente casa di campagna in compagnia di una donna di mezz’età, con i capelli color cioccolato che indossava una mantella nera sopra a un abito del medesimo colore. L’abito giusto per l’occasione giusta. Mi si rivoltò lo stomaco.
«Così questa è tua madre? Non me ne avevi mai parlato. A dire la verità non ti ho mai detto nemmeno io granchè sulla mia». Disse Rowan.
«Non che mi interessi particolarmente…». Chiusi gli occhi per richiamare a me la pazienza e mi girai a guardarla di nuovo. «Sì. è mia madre comunque».
«Cavoli, è una bella donna. Anche se… Junie è più un nome da anziana depressa».
Mi tornai a sedere, non avevo più forze.
«Grazie Rowan».
«Pensi che il Ministero ti lasci andare a scuola dopo tua madre?»
Fui sopraffatta da uno sbadiglio a cui seguì un forte bisogno di dormire.
«Perché non dovrebbe? Una casalinga che va fuori di testa per il figlio scomparso in circostanze strane mentre frequentava Hogwarts è la notizia più interessante che sentono dalla caduta di Tu-Sai-Chi».
Rowan annuì tra sé e sè. Per un po’ non parlammo e io ebbi modo di rilassarmi guardando il paesaggio correre fuori dal finestrino.
«Non avercela con lei». Disse ad un tratto Rowan. Siccome stavo per appisolarmi mi stropicciai la faccia e mi concessi un lungo sbadiglio prima di rivolgerle la parola.
«Lei chi?»
«Tua madre». Rowan picchiettò con un dito sul giornale. «Ha un figlio smarrito chissà dove e una figlia che va a studiare nella sua stessa scuola. Quale madre non avrebbe un po’ di timore? Sette anni sono tanti, c’è chi impazzisce dopo poche settimane. Il mio vicino ha dato di matto quando il figlio non è più tornato a casa, una sera. Eppure era nascosto nel fienile. È ricomparso dopo un mese».
Dubitavo che il paragone con il vicino di Rowan potesse giustificare la mancanza di giudizio di mia madre. Per tanti anni era rimasta nel silenzio più totale e poi all’improvviso faceva scenate assurde. Se Jacob lo fosse venuto a sapere, dovunque si trovasse, non mi sarei meravigliata se avesse preferito rimanerci alla larga ancora un po’.
*
A Hogwarts Silente tenne il suo discorso di inizio anno. Faveca uno strano effetto sedere al tavolo dei Serpeverde a osservare ragazzini che si avviavano impauriti verso lo sgabello del Cappello Parlante. Solo pochi mesi prima io ero lì, al loro posto.
Quando il cibo comparve sui tavoli non esitai un istante e mangiai con foga. Il banchetto di Hogwarts sapeva infondere il buon umore e per un po’ i pensieri negativi vennero accantonati.
«Vado a salutare Penny prima che vada nel suo dormitorio». Dissi a Rowan.
«Qual buon vento Julia. Passato una buona estate?» I sorrisi di Penny erano qualcosa di quanto più vicino ai raggi del sole, belli, luminosi e genuini. Ed ero felice del fatto che, a discapito dell’anno passato, le nostre divergenze sembravano essersi appianate.
«Sì. Più o meno». Dissi sforzandomi di mantenere un atteggiamento positivo.
«Io sono stata in Cornovaglia dai miei zii. Uff! Casa grande ma c’era così tanto lavoro ogni giorno!» Il modo in cui Penny si lamentava era buffo e privo di malizia, da vera signora inglese. Non tirò in ballo mia madre e di questo nei fui grata.
«Hai visto Ben? Io e Rowan volevamo dargli un saluto prima di tornare in camera».
Penny si sporse verso il tavolo dei Grifondoro.
«Io non lo vedo. A dire il vero non l’ho visto da quando siamo scesi dal treno. Proverò a sentire dalla vicepreside». Disse.
Mentre iniziavamo a muoverci verso i rispettivi dormitori fui raggiunta dall’ultima persona che di cui avevo bisogno per finire in bellezza la giornata: Merula Snyde.
«Ho sentito che cerchi il tuo amico Sanguemarcio». Disse passandomi accanto.
Le rimasi dietro mentre ci allontanavamo dalla Sala Grande e facendo attenzione a non perderla di vista.
«So che muori dalla voglia di dirmi qualcosa, Snyde, perciò spara».
«Il tuo amico è molto strano, sai? Sarà a ficcarsi nei guai da qualche parte». Proseguì Merula.
Mi resi conto con rammarico di non aver più chiesto niente a Ben dall’incursione nella Stanza di Ghiaccio. Lo avevo coinvolto in una missione rischiosa pur sapendo che non avrebbe retto come me o Rowan. Però avrebbe dovuto quantomeno sapere a ciò a cui andava incontro, specialmente con un carattere remissivo come il suo.
«Ben non lo farebbe mai». Ribattei. Vidi che finalmente eravamo giunti nel sotterraneo e in vista del quadro di Isolda. Afferrai Merula per un polso e la trascinai indietro spingendola contro la parete.
«Parla. Snyde».
Mi aspettai che Merula sorridesse o facesse una battutaccia ma quando parlò il suo tono era quanto più fermo possibile, come se stesse rispondendo alla domanda fatta da un insegnante.
«Cos’è che ti preoccupa tanto, Lee? Hai paura che Copper finisca come tuo fratello? È per questo che si venuta a scuola? Ti senti in qualche modo responsabile in tutta questa faccenda, ecco perché sei tornata. Non riesci a sopportare il senso di colpa e hai bisogno di qualcuno da salvare a tutti i costi, da aiutare disperatamente per alleviare l’oppressione in quel tuo tenero cuoricino. Mi devo aspettare un altro articolo sulla Gazzetta in cui implori il Ministero di trovare quello sfigato? Ma sai…sai che non puoi, in fondo. Perché lui sa quello che tu ed io sappiamo e tirarlo in ballo significherebbe dover raccontare tutto quanto quello che abbiamo fatto l’anno scorso a Piton, a Felix o davanti a un giudice. Perciò, qualunque cosa tu abbia in mente di fare, d’ora in avanti pensa a quanti danni potrebbe causare il tuo piccolo segreto se finisse nelle mani sbagliate».
Merula mi sistemò il colletto della camicia e dopo avermi rivolto un sorriso amichevole si allontanò fischiettando. Se a cena mi ero sentita sollevata, dopo le parole di Merula avrei desiderato sparire sotto il pavimento, inghiottita dalle acque sotterranee. Perché purtroppo tutto ciò che la mia simpaticissima compagna aveva detto era vero. Se Ben era scomparso poteva trovarsi da qualche parte a testare il suo coraggio solo perché non ne aveva avuto a sufficienza nella Stanza del Ghiaccio. Chissà che cosa gli era capitato durante l’estate che lo aveva fatto scattare. Poteva anche non essere collegato alla faccenda delle Sale Maledette ma sicuramente Ben non era mai stato così avventato prima del nostro incontro. Qualcun altro era destinato a sparire a Hogwarts? E se non fosse una casualità che chi mi veniva vicino finisse nei guai?
Mi tornarono in mente le parole di Silente al banchetto.
“Qualcosa mi dice che quest’anno ci riserverà ancora più sorprese del solito”.
E quel qualcosa diceva a me che non sarebbero state delle migliori.

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Capitolo 12
*** Capitolo XII ***


CAPITOLO DODICESIMO

Il mio primo giorno di scuola a Hogwarts non fu tanto meglio dell’amaro assaggio che avevo avuto la sera precedente dopo il nostro arrivo. Non riuscivo a pensare che in una scuola potessero accadere eventi che mi avrebbero portato a  riflettere sulla mia presa di posizione. Intervenire per aiutare Ben era inevitabile e forse mi avrebbe consentito di riscattarmi dal mio attuale ruolo di ultima ruota del carro tra i miei compagni. Dall’altro lato, espormi ancora una volta avrebbe tradito la fiducia di Silente e attirato su di me altre malelingue, specialmente per via di quello che aveva combinato mia madre.
La lezione di Trasfigurazione la trascorsi nell’apatia più totale e con grande insoddisfazione da parte della professoressa McGranitt che fu costretta a richiamare la mia attenzione più di una volta. Al termine della lezione lei mi raggiunse mentre cercavo di stipare i libri dentro la borsa che già pesava come un macigno. Ed ero solo al primo giorno.
«Ho saputo dalla signorina Haywood che stai cercando il tuo amico Ben Copper» esordì.
Smisi immediatamente di rimestare e spostai l’attenzione su di lei cercando il più possibile di non lasciar trapelare tutta l’ansia che quella sola frase aveva provocato in me. Mi schiarii la voce.
«Ne sa qualcosa?»
Lei rispose, come al solito evasiva.
«Lo hai visto sul treno?»
«No, ma la mia amica Penny sì. E…».
«Il signor Copper si comporta in modo strano da almeno la fine dell’anno scorso. Ne sai qualcosa, Lee?»
Mi fu sorprendentemente facile mentire soprattutto perché nemmeno io, per quanto avessi teorie in merito, ne sapevo niente.
«Ben è un ragazzo molto…sensibile. Spero che non gli sia accaduto niente» dissi e aggiunsi anche il sorriso più convincente che mi riuscisse.
La McGranitt si limitò ad annuire. Non sapevo se fosse a conoscenza della faccenda della Stanza di Ghiaccio (anche se Silente doveva sicuramente essersi lasciato sfuggire qualcosa) ma non ne fece parola e gliene fui grata.
«Voglio mettere in chiaro una cosa, signorina Lee. Quello che stai passando per la faccenda di tuo fratello mi rammarica molto. E spero che quest’anno tu abbia voglia di cominciare con il piede giusto. Ci saranno maggiori restrizioni da parte degli insegnanti, pertanto, alla luce di alcune incomprensioni voglio che tu prenda molto seriamente la tua posizione di studentessa. Niente Sale Maledette o ciò che ne riguarda. Ho notato con piacere che ti sei fatta degli amici e spero tu abbia sufficiente buonsenso da non coinvolgerli in uno qualsiasi dei tuoi piani».
Scossi la testa.
«Niente di tutto ciò, professoressa. Ho imparato la lezione».
La McGranitt annuì e si allontanò per prepararsi per la lezione successiva mentre io uscii dall’aula.
Un gruppo di Grifondoro mi passò accanto chiacchierando mentre si dirigevano verso il cortile. Ben era ancora ad Hogwarts e io non sapevo nulla delle sue abitudini quando non era con m. Doveva importarmi? Avrei dovuto lasciarlo solo?

Fu mentre mi dirigevo verso l’aula di Arti Oscure che ebbi un’illuminazione. Mi tornò in mente una delle prime conversazioni avute con Ben riguardo ai suoi nascondigli. Mi detti della stupida per non averci pensato nemmeno per un istante. Avevo ancora una volta sottovalutato quel timido ma astuto ragazzino. Purtroppo però il mio rimuginare fu interrotto ancora una volta dal tempismo di Rowan, stavolta accompagnata dall’impassibile Elizabeth Tuttle.
«Julia eccoti, dov’eri finita?» domandò lei accelerando il passo per raggiungermi.
«Oh mi ero trattenuta con la McGranitt, voi andate a prendere i posti, io…ho una cosa da fare».
Rowan battè le palpebre un paio di volte come se non capisse.
«Non avrai delle lezioni da recuperare, spero. Partire con un’insufficienza sarebbe il colmo».
Mi trattenni dal levare gli occhi al cielo.
«No, per ora nessun voto negativo» mi limitai a rispondere sperando che per una volta Rowan si accontentasse della mia risposta e mi lasciasse in pace.
Ebbi fortuna, se ne andarono e Rowan disse che mi avrebbe tenuto il posto a lezione. Dunque mi avviai verso la Stanza dei Manufatti.
Fece uno strano effetto tornarci, specialmente per via dei ricordi collegati alle visioni disastrose che avevano dato inizio all’assidua ricerca della verità a cui avevo dedicato buona parte del primo quadrimestre. Ben poteva aver lasciato lì dentro degli indizi anche se ne dubitavo. C’era una tale confusione lì dentro che con ogni buona intenzione chiunque avrebbe rinunciato all’idea trovare un angolo in cui nascondere qualcosa.
“Pensa come penserebbe Ben” mi dissi. Dove un ragazzino pauroso come non mai avrebbe potuto nascondere qualcosa non alla portata di chiunque? Capii che mi ci sarebbe voluto ben più di una manciata di minuti per una ricerca approfondita ma al tempo stesso rimanere lì a lungo avrebbe aumentato le probabilità di ritrovarmi Gazza tra i piedi e finire in punizione il primo giorno di scuola non era ciò a cui aspiravo. Se non fossi riuscita a trovare nulla sarei tornata altre volte. Ben doveva delle spiegazioni a me e Rowan perciò era meglio che lo trovassi prima che a scuola si diffondessero dicerie pericolose.
Decisi così di partire dall’armadio voluminoso alle mie spalle e che sarebbe stato più veloce da ispezionare. Aveva un aspetto massiccio e mi chiesi quante cianfrusaglie Gazza e gli studenti avrebbero potuto nasconderci. Ciascuno degli scomparti era chiuso con un piccolo lucchetto.
 «Oh Ben, spero che tu sia vivo e vegeto così che io possa sgozzarti amabilmente».
Puntai la bacchetta verso lo scomparto davanti a me e usai Alohmora per aprirla. Si aprì con uno scatto. Mi ci vollero almeno sei tentativi prima che trovassi ciò che cercavo. Ammesso che così fosse. L’ultimo scomparto era sgombro ad eccezione di un foglio di pergamena arrotolato.
«Oh, grandioso!»
Il messaggio riportato sul foglio era pressoché uguale a quello trovato nella Stanza del Ghiaccio. E questo significava che avrei dovuto chiamare in ballo Rowan. Proprio quello che non avevo intenzione di fare.
“Stai andando alla grande Julia, potresti lasciarti tutto questo alle spalle e continuare con la tua vita di studentessa, che cambierebbe?”
 Ben era un Grifondoro, io una Serpeverde. Per quanto mi riguardava poteva anche venire risucchiato da una piovra gigante senza che io muovessi un dito. Magari mi sarebbe bastato per ottenere un po’ di ammirazione da parte dei miei compagni. Però…c’era qualcosa, un tarlo, che continuava imperterrito a rosicchiarmi le meningi. E se a Ben fosse capitato lo stesso destino che era capitato a mio fratello? Come avrei potuto guardare negli i suoi compagni di classe e i suoi genitori sapendo che Ben avrebbe potuto essere salvato ma non lo avevo fatto?
“Julia Lee sei una vergogna per i Serpeverde”.
Non mi restava che tirare in ballo Rowan per l’ennesima volta e mandare a monte ogni buon proposito di uscire da quell’intrigo con le mie forze prima di tornare ad occuparmi di compiti e fatture.

Come previsto, la mia compagna di stanza non la prese molto bene.
«Sapevo che mi nascondevi qualcosa!» Esordì quando riuscii finalmente a parlarle durante il pranzo. Lanciai automaticamente un’occhiata al nostro prefetto, Felix, che stava tranquillamente conversando con alcuni suoi compagni.
«Vuoi farmene una colpa? Tu che avresti fatto al posto mio?» risposi.
Rowan avvampò e si ficcò in bocca la coda di un gambero precedentemente affogata nella maionese. Mi lasciai sfuggire una smorfia e concentrai lo sguardo sul mio tacchino a vapore.
«Non lo so, mi sarei fatta gli affari miei? A chi importa di quel Copper?» proseguì Rowan con fervore.
Alzai le spalle.
«Importa a me. Almeno…».
Rowan proruppe in una risatina scimmiesca che fece voltare quelli seduti vicino a noi. Gli rivolsi un mezzo sorriso e loro fecero altrettanto sebbene molto perplessi.
«Non è nemmeno della nostra stessa Casa. Dopo tutto quello che abbiamo passato vuoi ancora fare l’investigatrice?»
«Non voglio fare l’investigatrice, Rowan.» risposi a denti stretti. «Voglio solo…sentirmi meglio sapendo di avere fatto qualcosa di utile per qualcuno».
«Ma se non fosse stato per il messaggio nell’armadio nemmeno mi avresti chiamato!»
Era vero.
Spinsi via il mio piatto mentre la mia amica continuava ad ingozzarsi con nervosismo.
«Quindi che vogliamo fare?»
 «Sei ancora in tempo per tirarti indietro. Io in questa faccenda non ci voglio finire». rispose Rowan.
Mi sporsi verso di lei facendo attenzione a non venire colpita dagli schizzi di maionese con cui lei sembrava volesse ritingere il tavolo.
«Vuoi essere un’insegnante modello, giusto, Rowan? Cosa pensi che direbbero i tuoi futuri colleghi sapendo che hai impedito che un allievo del secondo anno venisse catturato o sparisse sotto al tuo naso?»
«Io non voglio…ehi ma mi stai forse ricattando?» esclamò Rowan. Di nuovo occhiate su di noi, stavolta anche da parte di Felix.
«Può darsi» risposi. «Ma ricordati che se finissi nei guai ci finiresti pure tu. Silente sa cosa stiamo facendo perciò è inutile che tenti di salvarti».
Finalmente Rowan smise di mangiare e si decise ad alzarsi.
«Ti do un aiuto, uno e poi basta. Ma non coinvolgermi più in questa situazione, Julia» disse mentre ci avviavamo verso il portone di quercia.
Per decifrare il messaggio ci rifugiammo nel dormitorio che era ancora vuoto. Lasciai a Rowan un po’ di tempo mentre ripensavo alle parole di mia madre. Che avrebbe detto vedendomi in quella situazione?
Passò un po’ prima che Rowan mi chiamasse e quando tornai da lei era visibilmente turbata.
«Credevo di aver sbagliato a tradurre, ci ho riguardato più volte ma il senso era sempre lo stesso» levò su di me uno sguardo confuso.
Sospirai.
«Dimmi cosa dice e leviamoci il pensiero».
«”Le tue prossime istruzioni sono state trasfigurate in una penna nera e sono nascoste nella Sala Comune di Grifondoro. Il mancato rispetto delle istruzioni risulterà in una severa punizione. R”» lesse Rowan dal foglio di pergamena.
«Un momento, chi sarebbe questo R?» domandai.
Rowan ripiegò il foglio e mi guardò.
«Non ne ho idea. Ben è Grifondoro ma è disperso da qualche altra parte perciò rimaniamo noi che abbiamo trovato il messaggio e il che significa che dovremo prendere il testimone. Ma perché introdurci nella Sala Comune di Ben quando potrebbe farlo lui?»
«Forse questo R è uno che vuole farci perdere punti inutilmente». Azzardai.
Rowan si picchiettò il mento con il dito indice.
«Le uniche persone che mi vengono in mente che hanno la R nel loro nome sono Felix e Hagrid» mormorò.
«Ma Hagrid non è invisibile e lo noterebbero subito se cercasse di fare qualcosa di strano mentre Felix non avrebbe ragione di fare una cosa simile anche se l’anno scorso gli abbiamo fatto vedere i sorci verdi». Le feci notare.
 Rowan fece una smorfia e si alzò dal letto.
«Ben non sembra  un tipo che tratterebbe con gente del genere». Dissi.
Rowan ridacchiò nervosamente.
«E che ne sai? Cosa sappiamo di lui, Julia? Potrebbe essere chiunque, magari con la storia della Stanza del Ghiaccio si è messo in testa che siamo due povere sprovvedute e magari…».
«Rowan stai dicendo solo fesserie».
La vidi fermarsi accanto alla stufa, le braccia conserte e la fronte corrugata. Mi guardò.
«Che facciamo? Immagino che dirti di lasciar perdere sarebbe come tentare di negoziare con il Platano Picchiatore».
Scossi la testa.
«Hai detto bene».
La mia amica proruppe in un sospiro melodrammatico.
«Non rimane che assecondare questo R pazzo furioso e cercare Ben su e giù per il castello. E io che credevo che mi sarei annoiata un sacco quest’anno!»


 

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Capitolo 13
*** Capitolo XIII ***


CAPITOLO TREDICESIMO

Nel frattempo a Howgarts iniziavano a girare voci su Ben Copper. Chi diceva che si era ritirato, chi diceva di averlo visto intrufolarsi nella Stamberga Strillante e chi addirittura era convinto che fosse stato portato via da una scopa volante imbizzarrita. Io avevo iniziato a studiare attentamente i Grifondoro. Rowan si era fatta alcuni amici tra di loro e dopo pranzo anche io mi univo alle sue combriccole per chiacchierare nonostante i loro pregiudizi verso la nostra Casa.
Fu molto più facile del previsto farsi un’idea generale della faccenda. Ben era uno studente molto apprezzato tra i suoi compagni a differenza di quanto pensassi. Erano perlopiù i Corvonero e i Serpeverde a trovarlo pressochè inutile. L’occasione per un blando piano di intrusione nella Sala Comune di Grifondoro si presentò in occasione della partita di Quidditch che si sarebbe tenuta di lì a un paio di giorni durante la quale Grifondoro e Serpeverde si scontravano. Angelica, il Prefetto di Grifondoro, era molto attaccata a Ben e sperava che in qualche modo il suo compagno di Casa potesse rifarsi vivo in qualche modo.

«Ho un’idea». Esordì Rowan durante la colazione, il mattino seguente. Io le rivolsi un’occhiata interrogativa e rimasi in ascolto del suo folle piano sull’utilizzo di un paio di incantesimi, Ingorgio e Reducio, che avevamo imparato con Vitious, che mi avrebbero permesso di entrare e uscire indisturbata dalla Sala Comune di Grifondoro per recuperare la penna nera di “R”. Quanto potesse essere attendibile quella manovra lo sapeva solo lei, io ci vedevo solo continui buchi nell’acqua che molto probabilmente avrebbero portato alla nostra espulsione.
«Ottima idea». Riuscii a dire a bocca piena.
«Nel frattempo cercherò qualche incantesimo utile per accertarmi che nessuno raggiunga la Sala Grande mentre tu sei dentro». Proseguì Rowan.
«Perché non lasci fare a me?» proposi. «Se qualcuno entrasse potrei stordirlo e non se ne accorgerebbe, mentre vedere una Serpeverde a zonzo nei pressi della Torre di Grifondoro potrebbe destare dei sospetti, specialmente se non hai ragione per essere lì». Aggiunsi.
Rowan finì il suo the e si alzò dal tavolo.
«Ad ogni modo…ora vado velocemente in biblioteca, tu tienimi il posto a lezione e se Vitious fa domande inventati qualcosa, sei brava in questo».  E si allontanò a passo veloce dalla Sala Grande.
Non ebbi modo di parlarle fino all’ora di cena e non mi sfuggì la sua aria provata.
«Che hai scoperto?» le chiesi.
Rowan non mi rispose e si riempì il bicchiere di acqua che mandò giù tutto d’un colpo.
«Tutto a posto?»
«Tutto a posto? Da quando in questa scuola è tutto a posto, Julia?» rispose Rowan con una nota stridula nella voce. Afferrò il vassoio di panini e se ne prese alcuni iniziando a mangiare con foga. Capii subito che qualcosa la turbava.
«Dai dimmi, non abbiamo tutta la sera».
Finalmente la mia compagna si decise a svuotare il sacco.
Rowan si pulì la bocca con il tovagliolo e attesi che si calmasse.
«Il nostro piano. Ci sono probabilità che funzioni».
«Ma…?»
«Ma non so se ne valga la pena». Disse Rowan con un sospiro. Prese un altro panino e ne addentò metà con rabbia quasi volesse punirlo.
Come previsto.
«Hai ancora dei dubbi su Ben?»
«Non sarebbe meglio se lasciassimo le cose come stanno? Chi ti dice che si trovi qui a scuola? Magari è…».
«Rowan Ben sta bene». Dissi io. Non mi piaceva il modo in cui ne parlava specialmente dopo avermi detto non meno di dodici ore prima che mi avrebbe aiutato a cercarlo. Possibile che ancora non capisse?
«Non sappiamo nemmeno in che guaio si è cacciato». Proseguì Rowan ignara di ciò che mi frullava in testa.
«E ti sembra una scusa per tirarti indietro?» incalzai, stavolta sentendo montare dentro di me qualcosa di molto simile alla rabbia.
Rowan sostenne il mio sguardo.
«Julia ricordati che non sei sola a fare queste cose. Sto mettendo a rischio tutto per te». Disse.
«Nessuno te lo ha fatto fare». Fu la mia risposta.
Rowan sembrò sul punto di volersene andare, compì uno scatto brusco e poi tornò a sedersi con un sospiro.
«Odio essere alla mercè degli altri». Bofonchiò.
«A te non è mai piaciuto, giusto?» Domandai.
La mia compagna di stanza chiuse gli occhi come se volesse riflettere e poggiò le mani sul tavolo.
«Io non so cosa pensare di Ben Copper». Disse. «Mi è sempre sembrato un ragazzo un po’ borderline. Per questo ho intenzione di capirci qualcosa. Insomma uno studente non sparisce così dal nulla».
Le detti ragione.
«Non sarei capace di tenermi un segreto del genere dentro». Dissi.
Perché ormai era certo che Ben ci nascondesse qualcosa, magari lo aveva sempre fatto e noi gli avevamo dato fiducia guardando oltre le nostre Case, oltre i nostri pregiudizi. Ci eravamo fidate. L’avremmo pagata?
«Ad ogni modo dovremo aspettare la partita. Tu vedi di non dare troppo nell’occhio, ricordati che Felix è sempre molto sospettoso». Disse Rowan. Aggiunse che l’indomani ci saremmo organizzate su come procedere con il piano mentre tutti erano fuori a godersi la partita.

Inutile dire che quella notte non dormii. Con quel piano io e Rowan saremmo passate al livello successivo della delinquenza. Effrazione. Quella parola aveva un qualcosa di ambiguo e stimolante. Aveva il sapore di giustizia.
L’indomani io e Rowan ci scambiammo solo un’occhiata a colazione. Tutto il castello era in preda all’euforia. Evitai di incrociare lo sguardo di Felix o di qualsiasi altro Prefetto perché sentivo che mi sarei tradita da sola.
Dopo colazione ci sarebbe stato un po’ di trambusto per via dei fanatici che lottavano per i posti migliori in tribuna. Io e Rowan ne approfittammo per sgattaiolare nei Sotterranei, con la scusa di andare a prepararci per la partita. Dopo che Rowan mi dette il via libera uscimmo dalla Sala Comune e ci direigemmo su per le scale. Non fu facile. Spesso rischiammo di venire scoperte e fu solo quando arrivammo ai piedi della Torre di Grifondoro che realizzai di aver trattenuto il fiato fino a quel momento.
«Allora, il piano te lo ricordi, sì?» Domandò Rowan.
Annuii.
«Sì, mi ricordo».
«Appena qualcosa non va…».
«Li stendo io, ci vediamo Rowan».
Estrassi la bacchetta e presi un profondo respiro.
Non mi azzardai a pensare alle conseguenze che avrei potuto avere se fossi rimasta miniaturizzata per sempre.
«Reducio».
Le pareti attorno a me parvero allargarsi sempre di più fino a inglobare del tutto il mio campo visivo. Udii la voce di Rowan che mi suggeriva di muovermi. Iniziai a correre. Scoprii di essere maledettamente veloce.
Scivolai oltre la porta che si stava chiudendo ed entrai nella Sala Comune di Grifondoro.
L’interno era abbastanza ampio e illuminato dalla luce che entrava attraverso delle frandi finestre. Il camino era acceso e un fuoco invitante bruciava i ciocchi di legno. Le pareti erano ricoperte di arazzi e quadri ritraenti cavalieri in armatura o dame tra i fiori.
Estrassi di nuovo la bacchetta ed evocai l’incantesimo di ingozzamento ritornando alle mie dimensioni normali. Ce l’avevo fatta.
Non fu particolarmente difficile trovare la penna nera. I Grifondoro non avevano un minimo di riserbo verso eventuali intrusi, erano forse sprovveduti quanto i Tassorosso. Intascai la penna e uscii rapidamente da lì.
«Ce l’hai fatta?» Mi domandò Rowan non appena fui di nuovo da lei. Annuii.
«Leviamoci da qui».

Facemmo tutta la strada di ritorno di corsa, col cuore in gola e le gambe che tremavano dall’emozione. Eravamo quasi arrivate nella nostra Sala Comune quando incrociammo Piton e Felix provenire dal corridoio di rimpetto. Avrei potuto pensare che fosse una casualità se non avessi notato le espressioni sui loro volti.
«Penso ci siano proprio loro professor Piton!» Esclamò Felix indicandoci.
«Ma di che sta parlando?» Domandò Rowan.
«Qualcuno mi ha riferito di aver sentito due studenti di Serpeverde confabulare qualcosa  a proposito di incantesimi di Confusione o addirittura imbrogli». Proseguì Felix.
«Ehi ma fai sul serio?»
«Rowan sta’ zitta».
Avevo realizzato quanto potesse essere delicata la situazione. Felix ci aveva viste arrivare dal corridoio principale senza però sapere cosa stessimo facendo. Avevamo un vantaggio magari.
«Signorina Khanna e signorina Lee posso sapere cosa fate nel castello mentre tutti sono a godersi la partita?» Domandò Piton.
«Ci stavamo andando. Solo che…Julia ha dimenticato la sua sciarpa e la stavamo andando a recuperare».
Mi voltai verso Rowan e successivamente guardai Piton. La sua scusa avrebbe retto?
«Oh è così?» Piton mi guardò dritto negli occhi ed ebbi nuovamente quella specie di mancamento che Jacob associava alla mia personalità ribelle.
Non riuscendo a proferir parola mi limitai ad annuire.
«E perché ho come la sensazione che tu stia mentendo?»
«Professor Piton è la verità»
«Khanna taci, non ti ho detto di parlare».
Rowan ammutolì all’istante.
«Lee cosa mi stai nascondendo?»
«Professor Piton le sto dicendo la verità». Biascicai, sentendomi sempre più intontita. Mi ritrovai a pensare alla penna nera, alla Sala Comune di Grifondoro e alla lettera indirizzata a Ben senza una ragione precisa, come una sorta di ricordo desideroso di venire a galla.
«La partita è iniziata da venti minuti abbondanti». Disse il Prefetto Felix. «E inoltre, so che già l’anno scorso vi siete intrufolate dove non dovevate e sempre durante una partita di Quidditch».
Di colpo tornai a pensare lucidamente come se mi fossi svegliata da un sogno particolarmente vivido. Vidi Piton fissarmi con un’espressione che non gli avevo mai visto e capii che eravamo in guai seri.
«Lee, potresti vuotare le tasche per piacere?» Domandò e il tono in cui lo disse era sorprendentemente gentile. Anche troppo.
Sentii Rowan trattenere il fiato.
Infilai una mano nella tasca della divisa e ne estrassi la penna nera.
«Cos’è?» Domandò Felix visibilmente confuso.
Da quello che avevo sentito dire Piton era sempre stato un amante delle Arti Oscure e non lo aveva mai negato. Perciò poteva saperne sicuramente più di noi riguardo a “R”. Se qualche pazzoide era interessato a fare del male a Ben forse lui, Piton, ne sapeva qualcosa.
Gli dissi tutto e quando ebbi finito sia lui che Felix rimasero in silenzio.
«Professor Piton non mi sembra una motivazione valida. Queste allieve meritano una punizione». Disse il Prefetto.
«E tu meriti di tacere. Non ho ancora deciso cosa fare». Disse Piton.
Quindi si rivolse a noi.
«Non ho intenzione di sapere in che guaio vi siate cacciate ma vi dico soltanto che se ci riprovate allora il signor Gazza sarà ben felice di ricorrere ai suoi amati metodi di tortura».
«Certamente, professor Piton». Rispose Rowan.
«Ora levatevi dai piedi, devo discuterne con il Preside».

Non ce lo facemmo ripetere due volte.
Ci chiudemmo nella nostra Sala Comune e rimanemmo per un po’ a fissare il camino spento.
«Abbiamo avuto fortuna». Disse Rowan.
«Aspetta a dirlo». Mi sedetti sul divanetto. Ero esausta.
Rowan si sedette accanto a me. Aveva una strana espressione.
«Che c’è?»
«Julia c’è una cosa che non ti ho detto. Stamattina ho incrociato Angelica, il Prefetto di Grifondoro. Ovviamente non vedeva l’ora di rinfacciarmi quanto fosse felice di appartenere a una così grande squadra ecc…Così ho pensato di dirle, per divertirmi, che sicuramente qualcuno avrebbe tentato di sabotare la partita come di solito accade. Lei ha voluto sapere e così ho inventato di sana pianta di aver visto due Serpeverde confabulare vicino alla biblioteca. Non pensavo che mi prendesse in parola!»
«Rowan ci stavi condannando. Hai idea di quanto tu possa essere stata stupida?»
«Lo so. Scusami. Ma non pensavo che lo avrebbe detto a Felix». Proseguì Rowan evitando il mio sguardo.
«Rowan Felix è il nostro Prefetto, a chi avrebbe dovuto dirlo, a Penny?»
Rinunciai a discutere ulteriormente. Non ne avevo la forza.
Estrassi la penna nera dalla tasca.
«Vediamo cosa dice».
«Strano che Piton ce l’abbia lasciata». Disse Rowan.
«Avrà pensato che siamo pazze».
Puntai la bacchetta verso la penna ed evocai l’incantesimo Reparifarge.
La penna si trasformò in un rotolo di pergamena.
“Prosegui fino al corridoio più lontano nell’estremità est del quinto piano. Trasfigura nuovamente questa pergamena in una penna nera e riportala nella Sala Comune di Grifondoro”diceva. Seguiva la minaccia di un’ulteriore punizione in caso di trasgressione. Tutto quanto firmato da “R”.
«Sai, inizio a pensare che questo “R” sia uno studente e che tutto questo sia una scusa per farci espellere». Disse Rowan dando voce ai miei pensieri.
«Che cosa c’è in quel corridoio?» le chiesi.
Rowan alzò le spalle.
«Non saprei».
«Credo che a questo punto “R” sia un Grifondoro». Dissi.
«Un Grifondoro particolarmente sadico e astuto». Aggiunse Rowan.
«Ma non credo voglia farci espellere. Forse segue gli ordini di qualcuno, ha occhi ovunque. Forse sono più di uno».
«Non so, Julia, abbiamo rischiato. Se ci beccano di nuovo in giro “R” non avrà più nessuno da tormentare e Ben rimarrà disperso». Disse Rowan.
«Hai ragione. Infatti manderò Penny a controllare. Di lei non sospetterà nessuno».
Mi sentivo un po’ in colpa a tirare in ballo Penny di nuovo per una missione pericolosa ma non avevo molte altre scelte. Le mandai un gufo e dopo poco mi rispose che ci saremmo visti quella sera stessa per cercare Ben. Ovviamente tralasciai la faccenda di “R” e le dissi solo che avevo bisogno del suo aiuto.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 14
*** Capitolo XIV ***


CAPITOLO QUATTORDICESIMO

Penny accettò di incontrarmi e io nuovamente dovetti lottare contro il senso di colpa che mi coglieva ogni volta che mi rivolgevo a lei per parare le chiappe a me e a Rowan. Penny mi disse inoltre di avere una pista su dove avremmo potuto trovare Ben e io preferii non chiederle informazioni.
Ci incontrammo nel corridoio del terzo piano, apparentemente deserto e ci scambiammo una rapida occhiata poco prima di entrare. Non appena misi piede oltre la porta mi resi conto di quanto potesse essere importante il tempismo in certi momenti. Piton e la McGranitt ci davano le spalle ed erano dinnanzi a ciò che avrei potuto descrivere come una scultura di ghiaccio. Buona parte del corridoio era coperta da stalagmiti di ghiaccio.
«Guarda» Penny mi afferrò il braccio con forza e vidi che stava tremando. Indicò qualcosa e quando seguii il suo sguardo per poco non mi misi a gridare.

Ben era incastrato in mezzo alla scultura di ghiaccio, come se essa si fosse sviluppata attorno a lui. Tremava ed era pallido come un lenzuolo. Dalle sue labbra uscivano parole sconnesse, doveva trovarsi lì da parecchie ore, se non giorni. Il pensiero di averlo avuto così vicino e di non essermi preoccupata di controllare quel posto mi colpì come una coltellata. Costrinsi me stessa a spostarmi verso una delle stalagmiti più vicine e origliare la conversazione che sapevo sarebbe stata significativa.
La professoressa McGranitt lanciò un paio di incantesimi che ero certa avrebbero fatto crollare la scultura di ghiaccio ma ciò non accadde. Perché? C’era forse una protezione attorno a Ben che gli impediva di liberarsi?
«…e lanciare Incendio sarebbe troppo pericoloso, potrebbe ucciderlo» udii dire la McGranitt. Per la prima volta la vedevo a disagio. Piton ,al contrario, sembrava starsi divertendo.
«Non ho mai preso in considerazione l’idea che avremmo potuto tirarlo fuori vivo da qui» disse.
«Questo Ghiaccio Maledetto si sta espandendo ed è arrivato fin qui, nel castello. Qualcuno deve avere aperto una Sala Maledetta».
Sussultai dietro alla mia stalagmite. Cosa c’entravano le Sale Maledette? Chi aveva aperto una Sala Maledetta mentre gli allievi erano a scuola? Fui colta da un attacco di nausea e fu solo grazie all’intervento tempestivo di Penny se non crollai a terra.
«Beh, ad ogni modo non c’è niente che possiamo fare senza l’autorizzazione del preside» proseguì Piton con una nota di disappunto nella voce.
La McGranitt fece schioccare la lingua.
«Per questo incarico possiamo farcela anche noi due. Coraggio,proviamo a lanciare Incendio ma facciamo attenzione» disse. Estrasse quindi la bacchetta e fece cenno al collega di imitarla.
Rimasi con il fiato sospeso durante tutta l’operazione che durò meno del previsto. Quando Ben fu liberato la McGranitt evocò una barella su cui caricò Ben che venne condotto fuori dal corridoio. Mi accorsi di aver tenuto il fiato sospeso tutto quel tempo e buttai fuori l’aria.
«Julia dobbiamo andare» Penny mi toccò una spalla e mi indicò l’uscita.
Quando fummo abbastanza lontane vi rivolsi a Penny.
«Non appena Ben riprenderà coscienza andrò a fargli delle domande» dissi.
Lei sembrò incupirsi.
«E se non ricordasse?»
«Perché non dovrebbe?»
Lei si strinse nelle spalle.
«Hai visto com’era conciato. Potrebbe aver cancellato tutto per via del trauma».
Ne ero consapevole ma non potevo perdere l’occasione di parlare con lui. Ben presto la notizia si sarebbe diffusa e tutti avrebbero voluto avere una spiegazione. Ben sarebbe stato sottoposto a ulteriore stress e io dovevo approfittarne finchè la sua mente era ancora sgombra da preoccupazioni.
Presi delicatamente le mani di Penny tra le mie.
«Vedrai, andrà bene» la rassicurai.
«Julia sei sempre così sicura di te, mi chiedo dove tutto ciò ti porterà» rispose lei.
«Mi dispiace di averti di nuovo coinvolta in tutto ciò».
«Tranquilla. Del resto sono qui per questo, giusto?»
Forse era una mia impressione ma mi parve di cogliere una nota di accusa nella voce di Penny.
Allontanai le mie mani dalle sue e mi schiarii la voce.
«Ora vado da Rowan, le ho detto che l’avrei aggiornata sulla faccenda» dissi.
Penny annuì.
«Ti farò avere notizie non appena si sveglierà».
Quando riferii tutto a Rowan lei parve visibilmente sollevata ma anche confusa.
«Come potevano non sapere che fosse lì? Silente sa ogni cosa che accade in questo castello, possibile che non abbia chiesto ai suoi dipendenti di dare una controllatina nei corridoi?»
Alzai le spalle.
«Non so che dire, Rowan. So solo che ora Ben sta meglio e che qualcuno sta sguinzagliando una maledizione per la scuola. Mi chiedo chi sarà il prossimo».
Rowan si lasciò cadere sul letto a baldacchino con un sospiro. Ultimamente la camera da letto era l’unico posto in cui potessimo rimanere alla larga da orecchie indiscrete.
«Penso che potrebbe esserci R dietro tutto questo» disse Rowan alla fine. Cercò il mio sguardo ma non avevo più molte idee sulla faccenda. Chiunque fosse era ancora presto per chiamarlo amico o nemico.
«Domani andrò da Ben. Questa storia non mi sta piacendo e sapere che Silente è la fuori a fare chissà che non mi fa stare tranquilla». Mi stesi sul letto ripensando a ciò che avevo visto poco prima e a ciò che avrei potuto dire a Ben ma il sonno mi colse dopo pochi minuti.
*
L’indomani mi svegliai molto presto per scendere in infermeria a trovare Ben. Madama Chips era già all’opera intenta a preparare rimedi alle ustioni di alcuni studenti.
«È stabile, ho visto pazienti in condizioni peggiori nella mia carriera» mi disse quando le chiesi delle condizioni di Ben.
«Ha detto qualcosa di particolare?» domandai.
Madama Chips girò un istante lo sguardo verso Ben mentre armeggiava con dei barattoli dentro a un armadietto.
«Qualcosa, tante cose, nessuna che abbia un senso. Ma ha fatto il tuo nome, più volte» emise un sospiro soddisfatto quando recuperò ciò che serviva e lo versò in una ciotola di legno.
«Posso vederlo?»
«Sì ma per poco va bene? Ieri ho dovuto tenere l’infermeria chiusa per tenere lontani i curiosi».
Raggiunsi Ben che era sveglio e pallido ma sembrava cosciente e si guardava intorno con la solita espressione di smarrimento.
«Ehi Ben» salutai.
«Ehilà, Julia».
«Come stai?»
Ben rispose con una smorfia.
«Fa’ tu una diagnosi».
«Vuoi che ti porti qualcosa?»
Ben scosse la testa debolmente.
«Mi sono svegliato stanotte e ho dormito fino a poco fa. Mi sembra tutto così confuso, non sono nemmeno sicuro di trovarmi nel castello».
Controllai Madama Chips prima di avvicinarmi a Ben in modo che solo lui potesse udirmi.
«Ascolta Ben, ho bisogno che tu risponda ad alcune domande di vitale importanza. Cosa ci facevi nel corridoio proibito?»
Un’espressione sofferente comparve sul suo viso.
«Ricordo del ghiaccio ma non saprei dire. È tutto confuso e mi sembra di avere un muro che mi impedisce di ricordare» gemette.

Grandioso.
Gli raccontai brevemente delle lettere trasfigurate e degli strani giri che io e Rowan avevamo dovuto compiere per trovarlo.
«Da come ne parli sembra una sorta di complotto o un’impresa di salvataggio ma credimi se ti dico che non ricordo nulla» disse Ben lasciando ricadere la testa sul cuscino.
«Ma qualcosa che ricordi ci sarà, voglio dire…».
«Basta così signorina Lee, le visite sono finite» disse Madama Chips arrivandomi alle spalle.
Mi allontanai in tutta fretta dall’infermeria. Era probabile che Ben non fosse a conoscenza di ciò che quel misterioso R aveva fatto fare a me e a Rowan e mi resi conto che a mente fredda non era stato che un modo sinistro per farci ritrovare Ben ma senza causare danni considerevoli. Penny era meglio che rimanesse fuori da quella faccenda, perciò rimanevamo solo io e Rowan a capo di quel mistero.
Ebbi la fortuna di incrociare la mia compagna di stanza a metà strada e subito dopo ci dirigemmo verso il corridoio proibito alla ricerca di ulteriori prove che potessero aiutarci a capire qualcosa su quanto accaduto a Ben.
«Comunque continuo a pesare che qualcuno abbia voluto che Ben rimanesse in quelle condizioni così da avere il tempo per fare chissà cosa chissà dove» esordì Rowan.
«Sono solo supposizioni Rowan, e lasciano il tempo che trovano» le feci notare sperando che risparmiasse almeno quel momento da elucubrazioni infondate.
La grossa scultura di ghiaccio che aveva intrappolato Ben era per metà crollata ma il ghiaccio risplendeva con ostentazione quasi a volerci sfidare di scioglierlo con ogni mezzo.
«La McGranitt ha detto che questo ghiaccio è maledetto, giusto? E se fosse proprio questo ad aver impedito a Ben di ricordare? Se fossero arrivati un po’ più tardi…».
«Rowan dacci un taglio» la interruppi non potendo però fare a meno di pormi la stessa domanda.
Ci guardammo attorno, il corridoio era deserto ma qualcuno sarebbe potuto arrivare di lì a poco. Inoltre, era probabile che quel ghiaccio fosse collegato a qualcosa di molto più potente e pericoloso e se era vero che altre persone ci si erano imbattute io e Rowan avremmo fatto anche a meno di finire sulla lista.
«Sembra che non si siano fatti scrupoli a lasciare tutto com’era. Confidano negli studenti» dissi osservando una delle stalagmiti.
«Tutto questo è strano» proseguì Rowan «Come fa uno studente ad imbattersi per caso in una stanza piena di ghiaccio e a non porsi alcuna domanda? Come faceva Ben a sapere di questo posto?»
«Magari non ha avuto scelta. Magari cercava di nascondersi. Forse ce lo hanno mandato» risposi. Non sapevo più cosa dire, Rowan era inesauribile.
«Eppure è strano. Nessun altro ha menzionato cose del genere e all’improvviso lui scende dal treno, finisce qui e io non devo credere che ci sia qualcosa sotto?»
«Rowan puoi pensare quello che vuoi, va bene?» mi sistemai la divisa che si era stropicciata sotto ai miei movimenti poco elastici nel tentativo di non toccare nemmeno un millimetro di quello strano ghiaccio. Ero esausta.
«Andiamocene, qui non troveremo nulla di importante».
Mi voltai verso Rowan che fino a poco prima era dietro di me e la vidi guardare qualcosa in corrispondenza della parete.
«Che c’è?»
Vedendo che non mi rispondeva mi avvicinai.
«C’è qualcosa» disse Rowan.
«Io non vedo niente».
«Si sente come uno spiffero proveniente da questa parte del muro».
Rowan sembrava attratta come un topo dal formaggio e io non ne capivo il motivo. Mi avvicinai alla parete e chiusi gli occhi. Mi parve, per un istante, di avvertire qualcosa di freddo sulla mia pelle.
«Sembra proprio uno spiffero. Vuol dire che c’è qualcosa dall’altra parte» dissi e quella consapevolezza mi fece rabbrividire.
Rowan fece un passo indietro, seria in volto.
«Bisognerebbe lanciare un incantesimo per scoprirlo. Reparifarge non è sufficiente poiché trasfigura le cose. Conosco un incantesimo, Revelio, che può fare a caso nostro».
«Lo hai mai usato?» domandai.
In tutta risposta lei alzò le spalle.
«No, ma non credo che sarebbe saggio fare un tentativo in un corridoio. Potremmo farlo crollare».
«Va bene, va bene, chiederemo a qualcuno» buttai lì. Ciò avrebbe significato altro tempo perso ma almeno Ben era vivo e la missione poteva anche procedere più lentamente.
«Oggi pomeriggio abbiamo lezione con la McGranitt, potrei parlarle di una ricerca che sto facendo e menzionarle l’incantesimo per vedere come reagisce» propose Rowan.
«Sì, buona idea».

Piton ci tolse immediatamente cinque punti a testa per il ritardo e al termine della lezione ci fece riordinare la sua dispensa. Mi chiesi se fosse andato a fare visita a Ben in infermeria ma poi pensai che sarebbe stata una delusione troppo forte da sostenere per uno come lui.
Alla lezione di volo tutti non facevano che parlare di Ben. Io e Rowan ci tenemmo a debita distanza da eventuali chiacchiere e sguardi indiscreti.
Quando finalmente giunse la lezione di Trasfigurazione avevo i nervi a fior di pelle. Lasciai che Rowan parlasse con la professoressa McGranitt e attesi fuori dall’aula.
Quando tornò da me sembrava turbata.
«Dimmi che non mi ha scoperto» dissi.
Rowan scosse la testa e mi indicò il corridoio facendomi cenno di proseguire.
«No, almeno non ne ha fatto parola. Ha detto che Madama Chips le ha riferito di averti vista stamattina in infermeria ma non è sembrata sospettosa. E per quanto riguarda l’incantesimo Revelio mi sa che non sarà veloce come cosa».
«Perché?» domandai. Ci fermammo entrambe.
«Ha detto che per il nostro livello è ancora troppo presto ma che è disposta a dare lezioni private se dovessero esserci problemi con il programma» disse Rowan.
Era leggermente meglio di quanto mi aspettassi. La McGranitt era una persona che amava avere a che fare con persone intelligenti e capaci. Sarebbe bastato andare a tutte le sue lezioni e prendere ottimi voti ai suoi test per farle cambiare visione su di noi.  Certo, non sarebbe stata una faccenda risolvibile in poco tempo.
«Non è male, dai» mi rassicurò Rowan.
Sospirai.
«Non fin quando qualcuno verrà ritrovato come Ben intrappolato nel ghiaccio» dissi.
«Pensi che riguarderà altre persone? Julia Ben Copper è…un po’ svitato. Sono certa che uno studente assennato saprà riconoscere un pericolo come quello e si farà aiutare o semplicemente ne starà alla larga».
Sapevo che Rowan aveva ragione ma quante probabilità ci fossero che altri studenti, ignari della faccenda delle Sale Maledette, si imbattessero nel ghiaccio maledetto?
In quel momento una ragazza Grifondoro passò accanto a noi richiamando l’attenzione di Rowan. Dissi loro che ci saremmo riviste a cena e imboccai la direzione per la biblioteca. Avevo bisogno di informazioni quanto più inerenti a malefici e a Incantesimi di Disillusione.
Stavo per entrare quando la porta si aprì e mi ritrovai di fronte Merula.
«Oh toh guarda!» Esclamò.
«Ciao, Merula».
Merula indicò la biblioteca alle sue spalle.
«Anche tu ti prepari per il compito di Vitious?»
«Non esattamente. Scusa ma ora ho da fare» cercai di oltrepassarla ma lei mi bloccò quasi immediatamente.
«Come sta Ben Copper? Ho sentito dire che stamattina sei andata a trovarlo» proseguì Merula.
«Sì e quindi?»
«Dicono che lo hanno trovato privo di sensi in un corridoio e la cosa mi sembra alquanto strana. Tu cosa ne pensi, Lee?»
Sostenni lo sguardo di Merula, certa che fosse alla ricerca di un cedimento da parte mia.
«Penso che non sono nessuno per insinuare a differenza tua. Ora se non ti dispiace…».
«Aspetta aspetta!» Merula fece un altro balzo in avanti impedendomi di entrare in biblioteca. Qualcuno si era fermato ad osservarci e lei in tutta risposta liquidò i curiosi con un cenno del capo.
«Se non ricordo male io e te avevamo un patto, Lee».
«Non so di che parli, Merula» dissi.
Lei sospirò nuovamente.
«Tu che te ne vai il più in fretta possibile da qui e io che mi godo il titolo di strega più potente di Hogwarts».
«Vagamente» risposi.
«È ancora valido. Perciò se dovessero esserci complicazioni è il caso che io e te collaboriamo da brave sorelle e non facendoci la guerra» proseguì Merula.
«Io non sto facendo la guerra a nessuno a differenza tua».
«Ma so che sai qualcosa riguardo alla faccenda di Copper e se ti venisse in mente di tenermi all’oscuro sappi che è molto meglio tenersi vicino i nemici degli amici».
«E tu in quale categoria rientri, non ho capito bene» replicai.
Merula storse la bocca in una smorfia.
«Ci siamo capite, Lee. Ricordati che posso sapere tutto quando voglio, sono meglio del Preside a volte»  disse prima di dileguarsi lungo il corridoio.
Minacciare a vuoto era una delle attività preferite di Merula perciò non mi fece alcun effetto quella frase da lei pronunciata con così tanta determinazione. E sapevo anche che senza di me non sarebbe potuta andare avanti senza rischiare di ficcarsi nei guai. Per un breve istante mi chiesi se dietro quelle lettere misteriose ci fosse lei ma scartai l’idea.
C’era qualcosa in tutto quello che era accaduto che mi aveva lasciato con uno strano presentimento. Una sorta di interrogativo enorme che mi avrebbe risucchiato da un momento all’altro e io potevo percepirlo, sentirlo avvicinarsi e rimanere inerme.

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