Aela

di Jiyuu
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** uno ***
Capitolo 2: *** due ***
Capitolo 3: *** tre ***



Capitolo 1
*** uno ***


Aela.

Un antico nome sussurrato come leggera brezza da labbra rosee, il suo significato sconosciuto ormai perso in una lingua non più utilizzata.
Una nuova bambina.
Mani in più per lavorare, donna da dare in moglie; poche erano le alternative in una società simile. Mezzi per procreare e alle volte oggetti sfruttati dai pescatori, alle donne non restava altro se non difendersi con ogni mezzo. Non si assicurava niente a nessuno, né un pasto caldo la sera, né protezione per i giusti e la punizione per i devianti.
La bambina fu data alla luce in autunno inoltrato, nei primi tempi del solstizio d'inverno; quando uno strato di ghiaccio andava formandosi nelle fredde e calme acque dei laghi, quando le prime spolverate di neve contribuivano a rendere il paesaggio un candido paradiso d'ovatta. Un paradiso certo, ma era solo una maschera, il bianco passaggio del gelo non portava solo neve con cui giocare e da fare sciogliere sulla lingua, portava soprattutto la fame e il freddo. L'inverno selezionava soltanto coloro che erano in grado di superarne le insidie. Uno spietato, a volte ingiusto, selezionatore di chi aveva il diritto alla vita e chi non era in grado di mantenerla.
Nacque in una delle tante case del villaggio, piccole costruzioni in legno che a stento trattenevano il calore del fuoco; il quale ardeva, divorava e consumava senza pietà le scorte di legname faticosamente ottenute durante i mesi più caldi; tanto bastava alle modeste famiglie abituate alle temperature rigide di quel luogo.

Il concepimento di Aela non fu voluto, né tantomeno ricercato, ma fu tenuto nascosto per il futuro della bambina; per l'orgoglio di chi l'aveva partorita.
La madre si chiamava Caesius, un nome comune in quelle fredde terre per una donna tutt’altro che comune. Capelli nero pece creavano un affascinante contrasto con l'incarnato pallido della giovane donna dalle labbra rosee; una bellissima dea della caccia che uccideva in modo efficace ed efficiente le sue prede, le attendeva, le seguiva e silenziosamente scoccava una freccia. Corpi inerti, senza vita, cadevano al suolo.
Poteva sentire il battito accelerato dei loro cuori quando si rendevano conto del pericolo imminente; poteva vedere lo spasmo dei muscoli contratti nel punto in cui il metallo e il legno trapassavano la carne; poteva avvertire l'odore del sangue caldo che imbrattava le preziose pellicce; poteva sentire i suoi stessi muscoli contratti per la presa ferrea sull'arco rilassarsi e il suo stesso respiro regolarizzarsi.
Consapevole del valore di ciò che prendeva il suo sguardo sembrava distante e luminoso come una gioia macabra che le pesava sul cuore.
Era una ragazza piuttosto bassa per la media ma soprattutto taciturna e riservata, pochi erano i sorrisi riusciti a scappare al broncio che dominava sul suo volto. Aveva passato l'adolescenza con la madre a preparare medicinali e ad impararne la composizione, era una ragazza sveglia, quegli insegnamenti non sarebbero andati perduti. La loro capanna era isolata e non era raro sentir parlare di loro come persone strane, studiose di una scienza ormai perduta e tramandata nella loro famiglia.
Il giorno del suo compleanno, al raggiungimento della maggiore età un’ombra si abbatté sulla sua vita.
Poche erano le festività per quella gente che non poteva contare mai su un pasto sicuro e abbondanza per la famiglia; quindi ogni piccolo cambiamento era una scusa per preparare un grande banchetto e ballare un po'; permettendosi di non pensare alle fatiche del lavoro fino al giorno seguente. La maggiore età veniva festeggiata in grande stile e questo era proprio l'anno di Caesius. Banchetti, danze, alcolici venivano consumati intorno al fuoco a cui era riunito praticamente tutto il villaggio.
Caesius venne trascinata nei balli, costretta dall'ancheggiare delle amiche a seguire il ritmo in quella notte che portava con sé i segni della primavera inoltrata ma anche dell'inverno appena passato; una danza dionisiaca che animava e guidava gli sfrenati balli nei giorni di lavoro. 

Uno sguardo incombeva su di lei come sentenza, il futuro segnato nell'istante stesso in cui gli occhi, quegli occhi color carbone si posarono sul suo corpo appena sbocciato.
La ragazza bevve non lo aveva mai fatto e presto iniziò a sentirne gli effetti, il sui movimenti si fecero più incerti ma non accennavano a cessare. L'uomo se ne era accorto benissimo.
Dopo il loro culmine, le danze si fecero meno frenetiche, le torce si spensero e gli animi si assopirono.

Era ormai giunta l'alba. Le prime luci riflettevano sule gelide acque e il canto degli uccelli si levava dagli alberi fino a raggiungere il cielo.
Occhi di ghiaccio liquido erano nascosti da palpebre appesantite dal sonno sotto quel cielo pallido; esse vibrarono leggermente, mani fredde e callose si posarono sulle sottili gambe. Quando quelle stesse mani iniziarono la risalita per il corpo della giovane donna essa non poté che svegliarsi di scatto liberando i ghiacci all'interno dei suoi occhi.
Occhi color della pece la squadravano spietati, analizzavano ogni sua parte, ogni movimento, e allo stesso tempo la incatenavano al terreno.
Petrolio nel Ghiaccio.

La gola era secca e doleva terribilmente alla giovane Caesius che non riuscì ad emettere nessun suono se non un rantolo disperato; non riusciva a muoversi, i suoi arti bloccati da pesi invisibili ed irremovibili, la paura e la sorpresa la opprimevano.
Dolore.
Sentiva quel corpo viscido muoversi sul Suo, le mani fredde violare la Sua carne, la sofferenza aumentare. Una danza volgare e oscena; solo questo si poteva vedere da fuori, solo questo la ragazza poteva percepire in totale apatia troppo scossa per reagire.

Lo riconobbe, si impresse nella mente quel volto per non poterlo dimenticare mai.
Un liquido appiccicoso bianco e rosso le imbrattava le cosce; gli occhi pieni di vita erano spenti, lattei, come se non potessero riconoscere nella in quel mondo pallido e sfocato di lacrime mal trattenute.
L'ultima stella spariva nel cielo ormai completamente celeste e la giovane cacciatrice riusciva a distinguere solo quel colore tra le foglie degli alberi scosse dal vento leggero.
La ragazza non vide l'uomo alzarsi e sistemarsi i calzoni, come non lo vide osservare il suo corpo ora ricoperto di lividi e addentrarsi tranquillamente nella foresta qualche minuto più tardi.
Il tempo passò, il vento si alzò portando da ovest nuvole scure; il corpo abbandonato sul muschio tremò, le membra pesanti attraversate da uno spasmo.
Non una lacrima, non un lamento si levarono dalla giovane.
Gli occhi prima liquidi si erano induriti nel più freddo e duro ghiaccio, inoltre sfidavano con strana aggressività il paesaggio, in netto contrasto con la fragilità che il corpo cosparso di lividi e abrasioni trasmetteva. 
Una fitta le partì dal bassoventre e le aggredì la mente, una consapevolezza si fece spazio con malsana irruenza in lei così che un dolore più profondo divampò senza pietà.
Aggressiva e determinata si alzò di fretta ma un capogiro la colse facendola ricadere sul muschio che ricopriva le rocce sulle quali era distesa. Si mise a osservare il bosco e a cercare un qualsiasi riferimento; si accorse di essere lontano dai festeggiamenti della sera prima e in un luogo piuttosto nascosto nella foresta.
Caesius si rialzò in piedi, stavolta più lentamente. Un conato causato dallo stomaco sotto sforzo la costrinse ad accasciarsi a terra mentre si liberava di cibo ed alcool consumati durante i festeggiamenti, tossì e faticò a respirare. La sua azione le scatenò un senso di disgusto verso il suo stesso corpo, verso quell'uomo il cui seme ancora imbrattava le pallide cosce. La smorfia di disgusto che deturpava il viso della giovane si appiattì, una consapevolezza si era fatta spazio in lei, una nuova determinazione; il ricordo di un volto.
Un volto che lei stessa conosceva, che credeva amico ma che si era rivelato essere ben altro.
Per un momento si poterono udire delle risa che parevano portate dal vento; la donna si pulì il ghigno dai residui di vomito con il dorso della mano e le risa si interruppero.
Conosceva il nome del suo aggressore, non doveva avere fretta. Un senso di umiliazione e di sporco si impossessarono di lei ma non del suo sguardo freddo, si incamminò verso il fiume ancora gelido dall'inverno appena trascorso.
Si tolse gli ultimi lembi del candido vestito che aveva scelto con cura e risparmiato tanto per possedere, li abbandonò sul manto erboso.
Un passo alla volta Caesius si immerse nelle fredde acque, si lavò il più possibile all'inizio quasi con foga arrossando la pelle e cercando di togliere ogni residuo di quell'atto.
l'acqua gelida le schiarii la mente, le avviluppò le gambe tremanti e lenì il dolore alle ferite; come un conforto, ma, migliore di qualsiasi parola e di qualsiasi aiuto. Chiuse gli occhi.
La cacciatrice poteva ancora udire il suono basso e vibrante dei tamburi, i movimenti delle ragazze che la circondavano, la sensazione della fredda terra sotto i piedi nudi e liberi dalle scomode calzature ornate, l'odore di fumo e carne che le riempiva le narici, il sapore dell'alcool in bocca, la testa leggera e le membra pesanti. Una miriade di colori e suoni occupavano quel ricordo con prepotenza fino al buio, il nero del sonno.
Quella sera la ragazza era troppo stanca e spossata per tornare a casa e si lasciò cadere sul muschio, prima suo rifugio e ora sua condanna.
Basta.
La vendetta non sarebbe tardata ad arrivare.
Il corpo nudo e volato uscì dal fiume e si rimise i vestiti della sera prima lavati velocemente e ora fradici, si addentrò nel bosco con passo calmo ma inarrestabile.
Poco dopo mani piccole e indurite, dalla caccia e dal freddo, si posarono sulla porta di un umile capanna aprendola e liberando il calore rinchiuso al suo interno.
Una donna anziana dai capelli bianchi raccolti in una treccia morbida, un grembiule nero e rosso, una giovane donna che cadeva a terra priva di sensi.
Da quella notte passarono mesi e oggi, questa dolce creatura, in una piccola culla malmessa non urla. Non si preoccupa del suo futuro, non sa che sfide dovrà affrontare e non si rende ancora conto della forza con cui dovrà affrontarle. E proprio nel suo non sapere non può fare altro se non far saettare gli occhi chiari da una parte all'altra della stanza, muovendo con loro le piccole e paffute manine. Di tanto in tanto la piccola si sofferma a guardare fuori dalla finestra, pare quasi rapita dai candidi e soffici fiocchi, di quella che avrebbe poi chiamato "neve", attecchire al suolo. Poi come ripresa da un sogno agita velocemente la testa e torna a far vagare lo sguardo all'interno della calda capanna. La neve ha presto imbiancato ogni cosa, ogni angolo di foresta, regalando uno spettacolo di bianca ovatta. Un paesaggio che può sembrare sicuro anche se freddo ma che in realtà, come ogni membro il villaggio sa, è pericoloso come non mai.


Hola, soy una povera sfigata. Questa è la seconda volta che pubblico questa storia (non chiedete perchè l'abbia cancellata perché proprio non mi ricordo), ho apportato diverse modifiche e spero piaccia. Commenti di incoraggiamento e di correzione di eventuali errori sono più che graditi.  :)

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Capitolo 2
*** due ***


La giovane donna crebbe e con lei anche il suo grembo, partorì nei mesi freddi di fine anno tra urla strazianti e lunghe ore. Nessuno all’interno del villaggio era a conoscenza delle condizioni di Caesius, non usciva di casa da mesi per nascondere il ventre ormai troppo gonfio e pieno per poter essere nascosto dalle morbide vesti e poi dalle pesanti pellicce.

Caesius non si rese subito conto della gravidanza, inizialmente era troppo scossa dalle ferite riportate e dal suo orgoglio calpestato, per poter considerare in modo concreto tale eventualità.

Tolta alla donna ferita la possibilità di cacciare per via delle ferite subite, l’unica entrata di denaro e cibo per la famiglia era l’attività della madre di Caesius. Cognitio, il cui nome era antico come le origini del villaggio: la sua famiglia, e in particolare le figlie femmine di quella discendenza, erano portatrici delle antiche tradizioni, degli antichi rimedi, degli antichi credi; di scienze sconosciute a tutto il resto del popolo e  anche dell’antica cultura. Cognitio vendeva medicinali e consigli, vecchie parole per augurare buon auspicio, rimedi per il mal di schiena o il mal di testa ma mai maledizioni che erano vietate secondo le antiche regole; anche se persino la donna che tanto consigliava e predicava il perdono fu tentata di lanciarne alcune verso colui che aveva violato la figlia, ma sapeva bene, così come gli dei avevano annunciato nei suoi riti che il destino dell’uomo che aveva sporcato la figlia sarebbe stato così nefasto da non necessitare di ulteriori malocchi.

Caesius non aveva mai smesso di pensare a quel giorno, ogni contatto fisico le scatenava un’ondata di inarrestabile panico, non riusciva ad appisolarsi neppure nella sicurezza del suo stesso letto, il pensiero di vendetta si fece largo nel suo cuore, la ossessionava costantemente, non le permetteva di pensare lucidamente, al contrario, trapelava nella sua mente sotto forma di fantasie macabre di morte ed uccisioni.

Appena si accorse di strani e sospetti cambiamenti del suo fisico: dell’accenno di gonfiore sul ventre, della costante stanchezza e nausea, delle voglie che la ossessionavano, una tremenda consapevolezza la investì. Corse da sua madre, urlò di volersene liberare, non mangiò per giorni e per giorni non diede retta a nessuno fino a che non fu consapevole dell’unica cosa che poteva farle accettare quella disgrazia: la vendetta.

Si arrese e decise di tenere il bambino, di crescerlo anche senza un padre.

Nacque una bambina e l'unico nome che riuscì a darle fu Alea. Non riuscì ad odiarla. Durante la gravidanza pensava spesso a cosa rappresentasse a che simbolo di vergogna fosse per il resto del villaggio e si, pensò più e più volte di liberarsene. Attacchi d'ira la invasero, desiderò cancellare dal suo corpo ogni prova di quello che era successo; la realtà era però diversa, non era stato compromesso il suo corpo quanto la sua mente, per questo sapeva che quella creatura non ne aveva colpe, non poté sacrificarla.

Un parto travagliato ma andato a buon fine, madre e bambino erano salvi e in forze.

Una volta ripresasi dalle complicanze della gravidanza, riprese a correre sempre più lontano, gli allenamenti furono ripresi; qualsiasi cosa perché la giovane madre potesse aiutare la famiglia.

Non voleva denunciare l'abuso subito ma il ricordo era vivido nella sua mente e ogni notte la passava affilando i coltelli.

Era ormai pieno inverno, cercare le impronte era difficile e portare a casa una preda lo era ancora di più. 

Caesius uscì di casa presto quel giorno, senza dire neanche una parola, silenziosa e pericolosa. Poteva sentire il vento gelido graffiarle il viso rimasto scoperto mentre le ruvide e pesanti pelli le sfregavano sul corpo scaldandola ma rendendo goffi i suoi movimenti per i boschi. La neve che cadeva lenta e inarrestabile ricoprendo tutto il paesaggio circostante, le pozze d'acqua che si ghiacciavano e la selvaggina sempre più rara.

La piccola e infreddolita madre fermò la sua corsa di fronte a una vecchia e trasandata casetta di legno a sud est del villaggio.

Conosceva l'uomo che le aveva rovinato la vita, un cacciatore delle terre più a sud, non si era mai imbattuto nelle giovani cacciatrici dei boschi a nord; non poteva sapere quanto alto fosse il pericolo.

Lo vide uscire di casa, lo vide assicurarsi la faretra dietro la schiena e legare con cura i lacci di lavorato cuoio delle protezioni sui polsi; vide la giovane moglie castana uscire con un dolce bambino di pochi anni in braccio, il marito prese un arco testandone la durezza delle corde per poi baciare con tenerezza la consorte e il piccolo.

Disgusto.

Un sapore metallico le pervase la bocca mentre il dolore alla lingua fece in modo che  Caesius uscisse dallo stato catatonico in cui era caduta; rivedere quell'uomo l'aveva terrorizzata ma nulla era in confronto al disgusto che la investì quando lo vide con la sua famiglia.

Non ora.

Prese a correre intralciata e nascosta dalla neve, silenziosa e letale; le pesanti pelli le nascondeva la figura minuta ma forte e celavano coltelli e oggetti per la caccia.

Sentì un rumore; tutto si fermò.

Lo vide di nuovo. Si buttò a terra tra la neve, la goffa figura nascosta da un masso ricoperto di muschio; lo sguardo serio lasciò trasparire un lampo di gioia. Erano soli e Caesius era in vantaggio, non si era ancora accorto di lei.

Ottimo.

Sentì l'arco nella sua mano sinistra farsi più pesante e la mano destra fremere dal desiderio di ottenere una freccia da incoccare, chiuse i pugni, le nocche bianche per la tensione, il desiderio di vendetta troppo grande per poterlo reprimere. 

Cautamente la ragazza guardò oltre il masso, l'uomo accovacciato a controllare chissà quale trappola per piccole bestie, un ghigno le deturpò i tratti.

Patetico.

L'uomo si alzò lentamente, l'inverno aveva reso la selvaggina ancora più rara, le trappole erano vuote e si preoccupò per la sua famiglia; un rumore lo fece voltare con ancora il coltello stretto nella mano destra, un cervo mosse un cespuglio. Carni e pelli rappresentavano la salvezza per la sua famiglia e cercando di cogliere l'occasione che gli si era materializzata davanti appoggiò a terra il prezioso pugnale, afferrò l'arco e una freccia, mirò e la scagliò letale contro l'animale.

La freccia era ancora sospesa in aria che volteggiava aggressiva, le corde dell'arco si rilassarono dopo il colpo e lo sguardo del cacciatore trasudava gioia quando una pressione sul collo ribaltò la situazione. Il colpo sordo della freccia che si conficcava nella tenera carne riecheggiò per la fredda foresta.

Ora l'uomo era diventato preda e colei che gli premeva la lama affilata di un’altra freccia slanciata sulla gola, e che con uno sgambetto scaltro lo fece cadere al suolo scivoloso per la neve e il ghiaccio era il cacciatore.

Un lieve lamento riecheggiò nei boschi mentre la lama premuta sul collo del giovane lasciava una bruciante striscia rossa sulla pelle abbronzata da cui uscivano gocce di scarlatto rubino.

Una pressione sul busto lo incatenava al terreno quando entrambe le mani gli furono bloccate da qualcosa di pesante; gli occhi, chiusi istintivamente per la caduta, si riaprirono velocemente, impregnati di paura e curiosità.

Riconobbe il volto della donna, anche se, i capelli umidi su cui erano incastonati piccoli e brillanti fiocchi di neve, in parte le nascondevano i tratti. Un profumo forte di muschio ed erbe proveniente dalla donna conquistò l'olfatto dell'uomo, e il peso che lo sovrastava si fece più concreto.

Le ginocchia di Caesius gli gravavano sugli avambracci e il peso sul suo stomaco gli bloccava il busto a terra, una delle sottili mani callose della donna si avvicinò al volto dell'uomo fino a chiudersi con violenza sulla gola indifesa; in una posa aggressiva e violenta.

La consapevolezza si fece largo nel volto dell'uomo: terrore e rimorso dilagarono nel suo sguardo.

Lo stesso terrore che meno di un anno prima attanagliava lo sguardo dell'attuale predatore, della stessa donna che ora stava per infliggere altrettanto dolore a un marito, a un padre.

Caesius ripensò alla famiglia di quell'uomo alla bella considerazione che il villaggio aveva di lui, alla figlia dai capelli d'oro...

La donna era già macchiata di un crimine non suo, provò pietà per il mostro peccatore che l'aveva violata.

Pietà?

La stessa pietà che quell’uomo le aveva negato? Una pietà per un verme che la aveva violentata nel sonno, mentre era senza difese?

Nonostante il ricordo vivido dell’abominio, del sangue e umori che le imbrattavano i vestiti di festa, non riuscì a vincere l’immagine di un bambino con la madre mentre gioca.

la presa della giovane si fece più debole sul corpo pietrificato dalla paura del cacciatore; ella si rialzò e si allontanò di qualche passo, il ghiaccio che ardeva nei suoi occhi si acquietò in un mare calmo colmo di disgusto; disgusto per il gesto che stava per compiere e per la creatura che aveva di fronte e i ricordi che faceva rinvenire in lei.

Caesius si ritrovò a provare disgusto, ribrezzo per il peccato di cui i suoi pensieri di vendetta stavano per farla macchiare.

Gli occhi dell'uomo si fecero allora sorpresi e spaesati, mentre come ripreso dalla pietrificazione la sua mano destra si massaggiò il collo prima stretto con tanta forza.

La donna si fermò ad osservarlo, quasi soppesando la sua stessa decisione di rinuncia fino a quando non si voltò, la freccia ancora stretta con forza venne riposta nella faretra piena; il rumore di un sospiro e una nebbia leggera contornarono la figura della donna mentre con uno scatto si alzò, per poi voltarsi lentamente e ricominciare la sua corsa nella neve. 

L'uomo ancora faticava a mettere in ordine i pensieri, l'unica cosa certa era la terra dura e fredda sotto di lui e la neve che imbiancava i suoi vestiti da caccia e i brividi di terrore che ancora non gli permettevano il movimento. 

 

Rancor, il suo nome. Non credeva che lei lo avesse riconosciuto, ma sapeva che si sarebbe vendicata nel preciso istante in cui, quella sera, si fermò da quell’atto orrendo e si rese conto delle sue azioni. Si sorprese piuttosto che per mesi la donna non si era fatta viva nei dintorni del villaggio e nelle zone di caccia che, preso dalla curiosità di tale sparizione, si era messo a osservare e controllare. Non sospettava di essere aggredito in pieno inverno per la scomodità agli spostamenti dovuta alla fredda ovatta che rallentava ogni movimento. Non credeva di poter provare rimorso o dispiacere verso di lei, la odiava profondamente per antichi motivi e mai poteva immaginare che da quella unione forzata potesse nascere qualcosa di buono, decisamente non un figlio.  Ma nonostante la terribile azione da lui attuata non riusciva a credere di essere stato risparmiato, che lei avesse avuto pena di lui.

RICORDO

Erano quasi amici, o almeno questo era quello che l'uomo desiderava. Avevano quasi la stessa età due ragazzi che stavano sempre insieme nel boschi, e fin dall'adolescenza, al villaggio o quando la osservava vicino al gelido mare lui non poteva fare a meno di desiderarla come moglie.

Venivano considerati inseparabili, lei divertita dal modo protettivo che lui aveva di proteggerla da chiunque in modo persino troppo maniacale e lui innamorato perso della furia e indipendenza che una ragazza tanto più piccola di lui potesse dimostrare.

Cacciavano spesso insieme ai margini del villaggio, le loro abitazioni erano decisamente opposte, e fino a che non avessero iniziato a cacciare nei territori aperti e più esterni si limitavano ad allenarsi insieme in terreni scarsi di selvaggina e quindi di pericoli al limitare del villaggio. Lei era una maestra fin da piccola nell’uso dell’arco, il padre le aveva insegnato tutto quello che conosceva, le aveva tramandato tutte le sue doti prima di lasciare quel mondo e godersi un lungo riposo tra gli Dei. Lui era cresciuto praticamente da solo, figlio di un commerciante, al crollo degli affari del padre iniziò ad ingegnarsi, posizionava trappole e faceva tutto il possibile per sopravvivere e tirare avanti insieme alla madre, divenne davvero bravo a catturare la selvaggina, dal più piccolo animale fino alla bestia più temuta. 

Un tiepido tramonto d'estate all’ingresso del l’adolescenza per lei e al compimento della maggiore età per lui Caesius e Rancor erano insieme a contemplare il profilo elegante di un freddo mare tranquillo. Il giovane uomo, però, portava un peso nel petto: un’idea che rallegrava i suoi pomeriggi e alleviava la pesantezza del duro lavoro. Rancor aveva occhi solo per Caesius, anche in quel momento: invece che osservare il tripudio di colori e la meravigliosa armonia del tramonto, riusciva solo a sbirciare i morbidi e sottili capelli di lei mossi dal vento, il suo sguardo di ghiaccio in contemplazione, il suo corpo ancora acerbo e gracile che emanava tenerezza e desiderio di essere protetto. Durante quel crepuscolo d'estate Rancor chiese la mano di Caesius in un goffo e tenero tentativo di avvicinarla e magari strapparle un bacio. Ella evitò con disgusto l'avvicinarsi di quel ragazzo già cresciuto e diventato adulto. Infine la giovane rifiutò scappando in uno svolazzante abito lilla. Non condivisero più il crepuscolo mentre la rabbia e il sentimento di inadeguatezza del giovane cresceva; si trovò una donna che lo rispettava ed ebbe un figlio con lei, le voleva bene, anche se il rancore verso il rifiuto e il disprezzo ricevuti lo divorava dall'interno.

Passarono anni, l'aveva ignorata e Caesius crebbe lontano da quello sguardo pieno di antica ammirazione. La vide, era la sua festa per la maggiore età, era cresciuta, era bellissima.

Come trovò quei capelli corvini tra le giovani donne vestite di leggero candore Rancor si mise a bere per sopprimere la tristezza e la rabbia del rifiuto, lui bevve e la vide bere. Un pensiero maligno e osceno si fece largo nella sua mente.

FINE RICORDO

 

Gli occhi del cacciatore divennero lucidi, nacque un familiare dolore nel petto: il pentimento per l'errore commesso e la consapevolezza di essere stato risparmiato per pietà; il rimorso lo attanagliava da mesi, gli appesantiva il petto, gli infettava la mente, il peccato gli aveva corroso l'animo fino alle fondamenta.

Si udì un rantolo per le montagne innevate, rumori di lacrime amare e dolore riecheggiavano per la foresta mentre la neve continuava la sua inarrestabile pioggia e una giovane ragazza correva veloce sulla neve.

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Capitolo 3
*** tre ***


Caesius corse, scavava solchi profondi nella neve mentre avanzava con passo pesante, stremato sulla fredda neve. Tiepide lacrime le sfuggivano mentre prendeva la via che l’avrebbe riportata a casa dalla sua bambina. Sentiva ancora l’adrenalina, che poco prima alimentava la sua rabbia e la sua voglia di uccidere, bruciarle nelle vene come argento liquido, mentre il pensiero di aver risparmiato quel uomo la faceva soffrire più di quanto prima bramasse vendetta per la sua umiliazione.

Il tragitto verso casa la costrinse a passare nuovamente di fronte alla casa del cacciatore. Vide un piccolo bambino dai capelli corvini che urlava e scalciava sulla neve rincorso dalla madre. Caesius non poteva diventare un mostro, non poteva rovinare un’altra famiglia.

 

Quella notte fu custodita come un segreto dalla madre, non ne fece mai parola con nessuno, eppure non era passata inosservata per una piccola bimba.Nonostante il tempo trascorso, infatti, persino un Aela ormai adulta non riusciva a dimenticare un particolare  giorno di inverno, durante una nevicata. In realtà non riusciva a capire se fosse un ricordo o un sogno, credeva che se lo avesse vissuto quello sarebbe stato sicuramente l’evento più antico che le fosse mai emerso dalla sua memoria. Era un giorno decisamente inusuale poiché spezzava la quiete e la routine a cui tanto era abituata, o almeno, così credeva. Vide la donna che la accudiva per la maggior parte del tempo rientrare in casa verso sera inoltrata, ricoperta da un sottile velo di neve; era arrabbiata sua madre, aveva la furia negli occhi appena varcata la soglia di casa e la bambina la percepiva quasi fosse sua. Aela riposava pigramente con gli occhi semichiusi in una culla vicino al camino, appena la madre la vide il suo sguardo si acquietò e la guardò con tenerezza per minuti che sembravano ore, poi entrò nella sua modesta stanza, si tolse stivali, le pesanti pellicce, e infine dormì con la porta spalancata. Piccoli occhi di ghiaccio la osservavano curiosi, fino a quel momento la donna non le aveva mai mostrato rabbia o nervosismo e tanto meno tanta tenerezza, la bambina pensava che in suo sguardo asettico e pensieroso fosse la normalità, per questo a quella piccola novità la bimba mostrò un piccolo sorriso sdentato mentre agitava le paffute manine.

Uno sconosciuto quella notte era ancora sdraiato nella foresta a osservare le stelle mentre il freddo gli avviluppava il tremante corpo; poco lontano il sangue caldo di un animale abbattuto molto tempo prima, l’odore ferroso avrebbe sicuramente attratto diversi animali che se ne sarebbero cibati molto volentieri data la carenza di selvaggina di cui tutti soffrivano nei mesi freddi. Rancor si sollevò sui gomiti al pensiero della moglie e il figlio piccolo a casa da soli e si sentì girare la testa, un sapore acido gli salì su dallo stomaco fino al palato, una lacrima gli rigava il volto fino al mento per poi cadere sulla neve.

 

I mesi passavano da quel ricordo e costringevano l’inverno a lasciare la sua fredda morsa di ghiaccio sul villaggio, sugli infreddoliti alberi e sui sentieri.

Quasi un anno era passato da quella terribile notte di primavera quando a una ragazza fu rubata tutta la sua giovinezza, a crescere una figlia frutto di tanto male e dolore.

Per Caesius fu difficile, era convinta di non amare Aela di non riuscire ad accettarla del tutto. Non riusciva a rivedersi in un ruolo che le era stato imposto, in un ruolo tanto importante come quello di madre; eppure certe volte guardava la figlia e un senso di affetto e desiderio di proteggerla le scaldava il cuore così come facevano i suoi caldi sorrisi che si allargavano sulle guance paffute. Per i primi anni di vita di Aela sua madre e sua nonna non volevano che uscisse di casa, in paese nessuno era a conoscenza della sua esistenza, anche se era stato difficile nascondere le condizioni della madre per così tanto tempo.

La piccola Aela cresceva giorno dopo giorno e passava minuti e ore a guardare il cielo, in principio nella sua morbida e accogliente culla, poi nei momenti di quiete nel bosco o dalla finestra di quell’assurda casa; quello stesso cielo che come un palcoscenico ospitava il passaggio di nuvole enormi, talvolta candide e pacifiche, altre grigie e aggressive sospinte dal vento gelido. Il suo momento preferito era quando nevicava, in quei casi guardava pacificamente e con ammirazione i fiocchi di neve scendere e ricoprire di bianco le punte degli alberi fino al terreno. 

Aela non aveva mai avuto modo di rimirare il suo aspetto se non nel suo riflesso sull’acqua, e nemmeno se ne era mai interessata più di tanto, eppure poteva essere considerata bellissima: sottili capelli biondi si sposavano perfettamente con gli occhi blu come le fredde acque del mare, così simile a sua madre, era una bambina coraggiosa e vivace.

Amava giocare e imparare; qualcosa dentro di li le diceva di apprendere tutto ciò che la madre avesse da offrirle, ma a volte, nell’ombra rassicurante degli alberi nella foresta, il suo volto si intristiva come perso tra mille pensieri e si allontanava. Pensava spesso alla madre, a volte amorevole e gentile, altre volte dura e severa, perdendosi a sentire il vento che sapeva di mare spostare furiosamente le foglie e il pungente odore degli aghi di pino. Luoghi di gioco per la piccola bimba dai capelli di grano erano sicuramente la montagna e la foresta del nord, lei desiderava tantissimo osservare il mare; ma come non le fu mai permesso di entrare in paese o di allontanarsi troppo dalla loro piccola e modesta casa nel bosco, non le fu mai permesso di avventurarsi da sola su quelle ripide scogliere.

Quando chiedeva spiegazioni su tutti i divieti a cui doveva sottostare e le motivazioni per cui non potesse nemmeno giocare con altri bambini le veniva semplicemente detto che le altre persone erano cattive ed egoiste e che la malvagità degli uomini l’avrebbe infettata fino a portarla ad essere una persona cattiva. 

Aela amava la madre, per nulla al mondo la avrebbe mai delusa, proprio per questo, rassegnata, continuava i suoi semplici e solitari giochi senza che le importasse più di tanto, non le sarebbe dicerto mancato qualcosa che non aveva mai avuto.

Il mattino era obbligata ad andare con la madre a caccia; Caesius con l’arco era temibile e decise di insegnare quell’arte anche alla figlia: mentre la donna cacciava lasciava la figlia a esercitarsi sul tiro con un piccolo arco creato con il legno dei forti alberi che circondavano la casa e la nascondevano nel bosco. Subito dopo pranzo veniva insegnato alla piccola a posizionare trappole per i piccoli animali. Al mattino la nonna vendeva medicinali e riceveva pazienti nella stanza dove preparava e curava le ricette per quegli “intrugli” come li chiamavano pochi ignoranti diffidenti al villaggio, e proprio per questo motivo tenevano lontana la bambina in quei momenti, così che nessuno potesse sapere.

La sera Aela riceveva lezioni sulle scienze, il funzionamento del corpo, tutte le ricette e le motivazioni di certe terapie create e tramandate dalla nonna. La madre non partecipava, aveva rinunciato a quelle arti, preferiva la caccia e porre fine alla vita di un essere per sopravvivere piuttosto che morire di fame con le scarse ricchezze che gli abitanti di quelle povere terre potevano offrire in cambio di cure. 

Lo studio della nonna era particolare, sicuramente ad un esterno poteva sembrare strano e pervaso da un aria soprannaturale, ma la piccola bambina iniziava a capire perché certe piante fossero appese in determinate posizioni, il motivo di tanti barattoli di vetro con polveri e grane diverse di colori sgargianti, ma soprattutto i significati che determinate formule o appunti potessero avere. Le pareti erano scure, annerite dal fumo di un piccolo e spartano caminetto con appesa sopra una grande pentola piena zeppa di acqua. Sopra il piccolo caminetto, appesi alla parete tramite dei piccoli ganci di getto vi erano mestoli di varie grandezze e diversi stracci macchiati. A illuminare la stanza, oltre al piccolo camino, vi erano diverse candele accuratamente posizionate lontano dalle erbe essiccate, solo una piccolissima finestra posta in una posizione troppo alta perché potesse essere aperta con facilità, e per questo motivo sotto di essa era appoggiato un lungo gancio arrugginito che doveva aiutare con l’operazione.

Un tavolo enorme e vuoto era posizionato al centro della stanza, strane incisioni ricorrevano su di esso, segni di tagli e sfregi; segno del tempo in cui era utilizzato.

Lo vide solamente una volta il mare.

Cognitio non era solita avventurarsi troppo lontano dalla casa da quando sua figlia aveva iniziato a seguirla nel bosco, troppo annoiata dalla vita chiusa in casa a imparare nomi di spezie e procedimenti medici. Eppure anche la madre di quella peste bionda era attratta da quella enorme fonte d’acqua e decise che come primo giorno in sua compagnia la piccola la avrebbe accompagnata in un allegra gita madre-figlia sugli scogli. Aela era stata convinta dalla madre alla sola descrizione di quella distesa cristallina e non stava più nella pelle dall’attesa, tutta agitata rincorreva la madre per il bosco con un enorme sorriso ad abbellirle ancora di più i tratti infantili.

Una sera, mentre Aela era impegnata a miscelare con cura le preziose spezie e le profumate erbe nello studio della nonna si sentì un suono martellante, insistente e sordo sul duro legno della porta di ingresso. Cognitio sbiancò e ordinò alla bambina di appena otto anni di correre in camera sua, la madre Caesius la aveva istruita su quella eventualità e quando comprese l’ordine di nascondersi la bambina corse su per le scale verso la sua piccola cameretta piena di fiori, bambole e libri ma prima si fermò sul ultimo gradino delle scale in legno osservando incuriosita la scena che le urla e le preghiere di aiuto precedevano.

Cognitio aprì la porta. Un uomo anziano veniva sorretto e trascinato malamente da una giovane ragazza con uno sguardo disperato che le deturpava i gentili tratti del volto.

Una piccola manina tremante sbucava tra le pieghe della morbida e celeste gonna della giovane donna; la manina di un bambino dai grandi occhi scuri, dello stesso colore dei capelli corvini. Alla vista di quel bambino poco più grande della figlia, Caesius si pietrifico`; riconobbe quegli occhi, che nella sua mente appartenevano ad una persona più adulta e terribile, ne ebbe paura, ma decise di non correre a conclusioni affrettate riconoscendo la possibilità che si potesse trattare di una coincidenza. La corvina aiuto` la giovane dal viso stanco e dai capelli castani a trasportare il vecchio nella sala di intrugli ed esperimenti, dove sua madre riceveva i pazienti al mattino.

Il paziente venne sottoposto alla tradizionale analisi di base, mentre la pesante porta che separava quella sala riservata alle urgenze dal resto della casa veniva chiusa con forza.

La madre della bimba rannicchiata sopra le scale con le guance paffute tra le mani, fu l’ultima ad entrare in quella stanza che la piccola stessa considerava magica; aveva uno strano sguardo Caesius, la bambina non aveva mai visto quell’ansia negli occhi della madre sempre fiera e sicura di sé. Per questo si preoccupò e decise di rimanere lì, nel suo piccolo e improvvisato nascondiglio sopra le scale in attesa. Subito riusciva a distingue solo le note acute della voce della sconosciuta dal vestito del colore del cielo estivo, in seguito man mano che i minuti passavano riuscì a distinguere bisbiglii più pacati, segno che l’ansia della sconosciuta stava via via svanendo; si stava per assopire la piccola Aela, lì rannicchiata sulle scale, cullata dai dolci suoni del chiacchiericcio in sottofondo.

Un rumore sordo la riscosse, la maniglia venne abbassata e con uno scricchiolio la porta si aprì, il bambino che poco prima aveva notato con occhi spaesati aggrappato all’abito della donna era appena uscito dalla stanza. Alzò lo sguardo, il piccolo bimbo, notò una esile figura sulle scale. 

Di nuovo, petrolio nel ghiaccio.

Gli occhi di lei sorpresi dalla profondità di quelli del bambino che sembrava poco più grande di lei; gli occhi di lui, velati dal sonno ma pieni di timore. 

 

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