Soul Mates di lady lina 77 (/viewuser.php?uid=18117)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo due ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre ***
Capitolo 4: *** Capitolo quattro ***
Capitolo 5: *** Capitolo cinque ***
Capitolo 6: *** Capitolo sei ***
Capitolo 7: *** Capitolo sette ***
Capitolo 8: *** Capitolo otto ***
Capitolo 9: *** Capitolo nove ***
Capitolo 10: *** Capitolo dieci ***
Capitolo 11: *** Capitolo undici ***
Capitolo 12: *** Capitolo dodici ***
Capitolo 13: *** Capitolo tredici ***
Capitolo 14: *** Capitolo quattordici ***
Capitolo 15: *** Capitolo quindici ***
Capitolo 16: *** Capitolo sedici ***
Capitolo 17: *** Capitolo diciassette ***
Capitolo 18: *** Capitolo diciotto ***
Capitolo 19: *** Capitolo diciannove ***
Capitolo 20: *** Capitolo venti ***
Capitolo 21: *** Capitolo ventuno ***
Capitolo 22: *** Capitolo ventidue ***
Capitolo 23: *** Capitolo ventitre ***
Capitolo 24: *** Capitolo ventiquattro ***
Capitolo 25: *** Capitolo venticinque ***
Capitolo 26: *** Capitolo ventisei ***
Capitolo 27: *** Capitolo ventisette ***
Capitolo 28: *** Capitolo ventotto ***
Capitolo 29: *** Capitolo ventinove ***
Capitolo 30: *** Capitolo trenta ***
Capitolo 31: *** Capitolo trentuno ***
Capitolo 32: *** Capitolo trentadue ***
Capitolo 33: *** Capitolo trentatre ***
Capitolo 34: *** Capitolo trentaquattro ***
Capitolo 35: *** Capitolo trentacinque ***
Capitolo 36: *** Capitolo trentasei ***
Capitolo 37: *** Capitolo trentasette ***
Capitolo 38: *** Capitolo trentotto ***
Capitolo 39: *** Capitolo trentanove ***
Capitolo 40: *** Capitolo quaranta ***
Capitolo 41: *** Capitolo quarantuno ***
Capitolo 42: *** Capitolo quarantadue ***
Capitolo 43: *** Capitolo quarantatre ***
Capitolo 44: *** Capitolo quarantaquattro ***
Capitolo 1 *** Capitolo uno ***
Aveva
vent'anni quando era partito per la guerra, spinto dal padre che
voleva toglierlo dai guai in cui spesso, lui che era una testa calda,
si cacciava. Vent'anni, un buon nome di famiglia rispettato ed
ammirato, un brillante futuro davanti e l'amore incrollabile per una
delle ragazze più desiderate ed ammirate della Cornovaglia,
Elizabeth Chynoweth.
C'era
poi molto altro, ovviamente. Tante sfide nelle miniere di famiglia da
affrontare, un gruppo di parenti più o meno uniti che lo
attorniavano come solo una famiglia sa fare, due cugini che avevano
più o meno la sua stessa età e con cui era
cresciuto, una casa
forse non elegante ma dignitosa, due servi che erano dei fannulloni
senza speranza ma che erano amici sinceri e lo avevano cresciuto, una
madre amatissima che aveva perso da bambino e un padre che con la
vedovanza si era invece un pò perso a sua volta e che per
sfuggire
al dolore della morte della sua amata Grace si era lanciato in mille
effimere storie di sesso e nella vita sregolata.
Quando
era partito, la sua vita stava in perfetto equilibrio fra gioie e
dolori ma nel cuore aveva mille speranze e tanti sogni. Tornare,
cercare di far risorgere le miniere di famiglia che suo padre Joshua
aveva lasciato abbandonate a loro stesse ed aiutare così le
tante
povere famiglie di minatori con cui era cresciuto e che considerava
amiche, vivere in maniera meno ribelle e soprattutto, finalmente,
sposare la sua Elizabeth. Lei, bellissima, eterea, che aveva rubato
il suo cuore e che in pegno gli aveva donato un anello da cui non si
separava mai, era stata il sogno in cui si era cullato durante i
momenti più duri di quei tre anni sui campi di battaglia che
gli
avevano donato, come ricordo, una lunga cicatrice sulla guancia che
ne accentuava i tratti duri del viso e gli dava un'espressione non
più da ragazzino ma da uomo vissuto. Ma questo non
importava, non
era nulla per Ross in confronto al desiderio di tornare,
riabbracciarla, baciarla e poi chiederla in moglie. Elizabeth
apparteneva ad una antica e nobile famiglia, aveva dei genitori
odiosi – soprattutto la madre che mal lo sopportava
– era forse
inarrivabile per un giovane di nobili origini come lui la cui
famiglia però era caduta un pò in miseria, ma
questo non gli
importava. Elizabeth lo amava, lo aspettava a braccia aperte e ogni
ostacolo si fosse frapposto fra loro e il matrimonio, insieme lo
avrebbero superato.
C'erano
molti sogni in lui, sulla via del ritorno dalla Virginia e uno su
tutti, rivedere lei, gli davano speranza in un futuro finalmente
roseo.
Ma
quei sogni si infransero subito, nel giro di una sola serata...
Tornò
e scoprì che durante la sua assenza, sei mesi prima, suo
padre era
morto. Un padre assente, distratto, ma che gli voleva bene e che
forse, in lui, aveva trovato l'unico appiglio che aveva per non
impazzire davanti alla perdita dell'unica donna della sua vita che
avesse amato davvero. Suo padre Joshua aveva trovato una luce in
Grace come lui l'aveva trovata in Elizabeth e forse, benché
Ross ne
condannasse molti comportamenti, da un altro punto di vista
comprendeva come la perdita di un amore potesse portare poi alla
perdita dell'anima in un uomo...
Ma
quel lutto non fu tutto. Solo, smarrito da quella notizia su suo
padre appresa da un pettegolezzo sulla carrozza che lo stava
riportando a casa, si era recato a Trenwith da suo zio Charles in
cerca di visi amici e famigliari. Trenwith, che confinava con
Nampara, le due proprietà di due fratelli uniti ma anche da
sempre
divisi da una eredità iniqua che vedeva il fratello
maggiore,
Charles, proprietario della terra più ricca e Joshua, il
minore, con
ciò che restava del patrimonio di famiglia, erano tutto
ciò che
restava della gloriosa storia della famiglia Poldark.
Ma
a Ross questo non era mai importato. Era cresciuto a Trenwith e
lì
aveva trovato una parvenza di famiglia con i suoi cugini, la dolce
Verity che lui adorava e Francis, l'erede di Charles, un ragazzo
invece poco dotato di carattere e autostima. Aveva voglia di
rivederli, quasi quanto di rivedere Elizabeth.
Giunto
in quella casa però, convinto di venire accolto come un
gradito
ritorno, dovette ricredersi. Visto come un fantasma il cui ritorno
sembrava poco gradito, eccetto per l'abbraccio di Verity, gli ci
volle poco per capire che era arrivato al momento sbagliato. Una
cena, la tovaglia migliore in tavola, calici pieni di vino, l'anziana
zia Agatha e zio Charles tirati a lucido, davano il senso di una
occasione importante per loro: il fidanzamento di Elizabeth, la SUA
Elizabeth, con suo cugino Francis.
Da
lì tutto era precipitato in un abisso di dolore e rabbia.
Tutto era
perduto, la fede nell'amore e la speranza di un futuro migliore.
Elizabeth
si era sposata, giurando di amare Francis e alludendo al fatto che
dopo tutto, fra loro, non c'erano promesse formali e che pensava che
fosse morto... L'amore per lei, il desiderio di lei si erano
trasformati in rabbia, dolore, rancore e desiderio di possesso che
mai avrebbe potuto soddisfare. C'era ancora tanto amore e ammirazione
per lei ma la cenere che li aveva ricoperti ne nascondeva anche gli
aspetti più nobili che da sempre avevano albergato nel cuore
di Ross
nei confronti dell'amata. Ed era altrettanto inaccettabile che
Francis, suo cugino, che pensava di non avere le capacità di
combinare granché nella vita, era riuscito dove lui aveva
fallito.
Era amore, il loro? Ross ne dubitava, Ross era convinto che niente e
nessuno avrebbe potuto competere con lui agli occhi di Elizabeth...
Eppure lei aveva sposato un altro... Li aveva dovuti vedere dirsi
sì,
aveva assistito alla nascita del loro primo figlio e non aveva potuto
essere che un ospite che guardava da lontano la vita degli altri...
Casa
sua, in rovina, era pian piano risorta grazie alla sua testardaggine
nel voler salvare almeno qualcosa, al duro lavoro, all'aiuto dei
suoi amici e al quasi aiuto dei suoi due servi fannulloni, Prudie e
Jud, l'unica eredità, assieme a terre incolte e infruttuose,
che gli
aveva lasciato suo padre.
Ma
Nampara, la sua casa, era vuota e fredda e nulla di quello che aveva
sognato in guerra si era avverato. Non c'era accanto a lui la donna
del suo cuore a ravvivargli la vita, ad attenderlo al ritorno dal
lavoro, a dargli amore e sostegno, a creare insieme una famiglia...
Al
ritorno la sera trovava cibo malcucinato in tavola, due servi
ubriachi, lettere da parte dei suoi creditori che gli ricordavano i
suoi debiti e null'altro... Si chiese se sarebbe sempre stato
così e
si rispondeva di sì, che sarebbe stato sempre
così perché senza
Elizabeth tutto sarebbe stato senza senso.
L'unica
cosa che lo teneva in vita e gli impediva di sprofondare nel baratro
della disperazione e di una vita sregolata e distruttiva come era
stata quella di suo padre, erano i suoi amici. I minatori, persone
temprate dalla vita dura che però per lui erano una famiglia
ancor
più vera di quella che aveva a Trenwith. Per loro aveva
accettato la
sfida di riaprire la vecchia miniera di suo padre, la Wheal Grace,
per loro aveva accettato di entrare in affari con Francis
perché gli
serviva il suo aiuto finanziario, per loro aveva implorato chi poteva
di prestargli capitale, per loro si era indebitato, aveva ipotecato
Nampara e forse sarebbe finito nella prigione dei debitori un giorno.
L'ingiustizia della vita, il fatto che esistessero persone ricche che
potevano permettersi tutto e poveri che non avevano nemmeno del pane
per sfamare i figli, era qualcosa che lui avrebbe combattuto sempre,
anche senza denaro e col cuore spezzato.
Francis,
desideroso di riallacciare i rapporti con lui che si erano logorati
dopo il matrimonio con Elizabeth, aveva accettato quell'azzardo e
aveva impegnato i pochi soldi che gli erano rimasti dopo la morte del
padre, avvenuta poco dopo la nascita di suo figlio Geoffrey Charles.
Francis, di temperamento debole, aveva perso al gioco infiniti
capitali e la miniera di famiglia, la Grambler, e solo grazie a Ross
aveva ritrovato uno scopo per vivere dopo che il suo matrimonio con
Elizabeth era entrato in crisi quasi subito a causa delle
ristrettezze economiche, delle sue scelte sbagliate e delle amanti
che ne avevano allietato molte notti e alleggerito il portafoglio. In
cuor suo Ross però continuava ad invidiarlo e non sapeva che
Francis
provava lo stesso sentimento per lui perché convinto che in
fondo
Elizabeth continuasse ad amarlo. Un muro invisibile li divideva ma
l'apertura della Wheal Grace, nonostante i tanti fallimenti e le
tante incognite che aveva portato con se, li aveva un pò
riavvicinati.
Anche
se le cose lasciate in sospeso, sospettava Ross, prima o poi
avrebbero richiesto il conto... Nessuna delle loro anome era cheta,
nessuna delle loro anime si era rasserenata e il passato di certo non
era stato superato.
...
Demelza
Carne era nata in una umile baracca ad Illugan, figlia primogenita di
un padre minatore e manesco e di una giovanissima donna che, dopo di
lei, aveva partorito uno dopo l'altro altri sei figli maschi ed era
morta di consunzione.
L'infanzia
di Demelza era stata segnata dalle botte, dalla fame e dalle mille
responsabilità che gravavano sulle sue piccole spalle che
dovevano
sorreggere i tanti fratellini più piccoli di lei.
Era
cresciuta senza regole, senza educazione, come una piccola bestiolina
scalpitante di conoscere il mondo ma senza i mezzi per farlo. Avrebbe
voluto imparare a leggere, a scrivere, scoprire cosa c'era oltre
Illugan e fuggire da quel padre che verso di lei non nutriva alcun
sentimento paterno e la guardava come si osserva una bestia da
lavoro.
A
quattordici anni però, era cambiato tutto. In un povero
cucciolo
solo e sporco come lei, che aveva chiamato Garrick, aveva trovato il
suo primo sincero amico e pochi giorni dopo quell'incontro, ne aveva
fatto un'altro, piuttosto singolare, alla fiera di Redruth dove era
scappata per sfuggire alle cinghiate del padre che voleva punirla per
non aver spolverato a dovere la baracca che lui chiamava casa.
Camminando
sul selciato, vestita di stracci e con Garrick al suo fianco, Demelza
aveva scorto un uomo non più giovane ma dall'aspetto
distinto che
era stato aggredito da un gruppo di monelli che avevano più
o meno
la sua età e che cercavano di derubarlo del suo denaro.
D'istinto,
un istinto ancora selvatico ma già votato a combattere le
ingiustizie, Demelza aveva raccolto dei sassi e li aveva lanciati
contro a quei ladruncoli mentre Garrick, ringhiando, li aveva messi
in fuga.
Fu
così che conobbe Lord Falmouth, che scoprì essere
uno degli uomini
più potenti non solo della Cornovaglia ma dell'intera
Inghilterra.
L'uomo,
accigliato ma seriamente colpito dall'aiuto della ragazzina, aveva
cercato di donarle delle monete per ringraziarla ma lei aveva
rifiutato, adducendo che non aveva fatto nulla e che non amava la
carità. E quell'uomo, colpito da quell'orgoglio e quel fuoco
che
sembrava divampare in lei non facendola arretrare davanti a nulla, le
aveva proposto di lavorare alla sua tenuta di campagna come
domestica, in modo da avere cibo, un tetto sulla testa e abiti
decenti.
Stordita,
incapace quasi di credere che questo stesse succedendo a LEI,
Demelza accettò, con la sola opzione di poter portare
Garrick con
se. Falmouth, accigliato, acconsentì e la ragazza
lasciò Illugan,
le cinghiate del padre e una vita miserabile che prima o poi
l'avrebbe portata a morire prematuramente come sua madre per iniziare
un'esistenza più dignitosa. Era solo una ragazzina ma era
consapevole che non avrebbe avuto altre occasioni così nella
sua
vita.
E
da lì tutto era cambiato. Entrare in quel mondo nuovo, avere
abiti
puliti, regole, visi amici attorno, una grande villa come dimora, un
parco dove passeggiare nelle ore libere, erano per lei un sogno.
Indossare per la prima volta una semplice divisa da cameriera,
l'abito più bello che avesse mai avuto, l'aveva fatta
sentire una
principessa e anche se doveva rassettare, occuparsi di cucinare e
tenere in ordine le tante stanze della casa, quel nuovo lavoro
sembrava un sogno rispetto alla vita di prima.
Pian
piano il suo aspetto selvaggio scoparve e ne mostrò le
fattezze di
una giovane ragazza bella, con occhi chiari e capelli rosso fuoco,
dallo sguardo attento e curioso e dotata di una mente aperta e
brillante.
Sbocciò,
facendo un lavoro che le signorine della buona società
giudicavano
umiliante. Ma a lei non importava, ne era fiera e sognava solo di
poter fare quel mestiere, in quella casa, per sempre.
Falmouth
si era dimostrato un uomo gentile anche se austero, giusto nel
rapporto con i suoi lavoratori, mai sopra le righe e sempre corretto
nel rapportarsi agli altri. Demelza non ricordava di avergli mai
sentito alzare la voce o essere villano e questo le fece capire che
al mondo esistevano uomini diversi da suo padre.
Aveva
una stanza tutta sua, piccola ma confortevole, che dava sul giardino
interno della proprietà, con un letto comodo, un armadio,
una
scrivania, un caminetto e una cassapanca dove mettere le sue cose. E
una cesta dove far dormire Garrick. Si sentiva la più ricca
del
mondo...
Poi,
dopo due anni dal suo arrivo nella dimora dei Boscawen, di ritorno da
Londra Lord Falmouth aveva portato con se un suo nipote, Hugh
Armitage, che in seguito a dei problemi di salute di incerta natura,
aveva dovuto abbandonare l'accademia militare e rinunciare al suo
sogno di entrare in marina.
Giovane,
di bell'aspetto, dai lineamenti gentili e dotato di un animo poetico
e sognatore, Hugh aveva da subito adocchiato Demelza, attratto dai
suoi capelli rosso fuoco, dai suoi occhi trasparenti e dalla
vitalità
che emanava ad ogni suo passo, ad ogni sua parola.
Erano
coetanei, era l'unica giovane che, in quella dimora elegante ma
spersa nella Cornovaglia, potesse condividere i suoi interessi e Hugh
si trovò a cercarla spesso in giardino, quando sapeva che
era nelle
sue ore di riposo. Era affascinato dalla sua fame di apprendere,
imparare, scoprire il mondo... Le insegnò a leggere, la
introdusse
nel mondo della letteratura e delle poesie di cui era appassionato,
si propose di insegnarle a suonare il pianoforte e la spinetta e
anche se Falmouth all'inizio era contrario alla loro amicizia, alla
fine li lasciò fare. Demelza sembrava una medicina per Hugh
e quando
c'era lei, lui pareva riprendere forza, vigore e vincere la malattia
subdola e ignota che pian piano gli toglieva la salute.
Demelza
guardava a quel giovane come a un principe azzurro. Nessuno era stato
gentile con lei quanto lo era stato Hugh e anche se sapeva di essere
una ragazzina inesperta in amore, non trovava che spiegazioni
romantiche a quella emozione che sentiva ogni volta che si
incontravano...
Aveva
quasi diciotto anni quando Hugh la chiese in moglie, lasciandola a
bocca aperta. Demelza sapeva che nessun ragazzo nobile sposa una
domestica e al massimo credeva di poterne diventare l'amante, le
sarebbe forse bastato questo per vivere il suo sogno d'amore. Ma Hugh
non l'aveva mai sfiorata, Hugh voleva amarla da marito e lei,
spaventata, aveva balbettato un sì stentato sapendo
già che
Falmouth avrebbe fatto fuoco e fiamme, che in fondo non aveva nemmeno
torto e che lei non aveva assolutamente idea di cosa volesse davvero,
di cosa fosse l'amore e soprattutto, cosa fosse un matrimonio.
Ma
disse sì, spinta dall'inesperienza e da quel sentimento vago
ma
piacevole che provava ogni volta che vedeva Hugh. Lui, tanto istruito
ed intelligente, sembrava non avere dubbi e quindi lei, che era
cresciuta nel nulla, doveva fidarsi. Era qualcosa di bello
ciò che
li univa e Demelza non sapeva se ci fosse altro, qualcosa di
più
bello che potesse legare due persone che si sposavano, ma decise di
non volerlo scoprire e che a lei bastava così. Certo, Hugh
la
viziava e la assecondava sempre e forse le sarebbe anche piaciuto
discuterci ogni tanto, litigare e far valere idee diverse dalle sue,
ma di fatto questo non era mai accaduto, Hugh non sembrava
interessato a contrariarla e la loro vita sarebbe scorsa placida e
senza scossoni. E forse era giusto così... Litigare dopo
tutto era
una brutta cosa, no?
Falmouth
fece ovviamente strenua opposizione ma Hugh, dimostrandosi di
carattere, insistette. Ricordò allo zio del giorno in cui
Demelza lo
aveva salvato senza chiedere nulla in cambio, di come fosse sempre
stata fedele a lui e al lavoro che gli aveva dato, di come fosse
sempre stata onesta e sincera e di come, soprattutto, avesse influito
positivamente sulla sua salute. Fece poi leva sul fatto che la sua
malattia non lo rendeva adatto a un matrimonio combinato con qualche
giovane nobile di Londra e nemmeno voleva nulla del genere e suo zio
sapeva bene tutto ciò. Voleva Demelza che come lui amava le
poesie e
il bello, che come lui amava leggere e che insieme a lui ogni tanto
suonava il pianoforte, tutto quì. E che gli rimanesse molto
da
vivere o più probabilmente poco, era con Demelza che Hugh
desiderava
trascorrere il suo tempo.
Fu
forse la parte che argomentava sulla sua salute malferma e su quanto
fosse migliorata con la presenza della ragazza, a convincere Falmouth
a dire sì. In fondo non aveva scelte migliori da proporre al
ragazzo
e di fatto, da sempre, lo aveva esaudito in ogni suo capriccio.
Ordinò
che la cerimonia fosse intima, per pochi famigliari e senza
pubblicità. Sapeva che i pettegolezzi che ne sarebbero
seguito
sarebbero stati feroci ma sapeva anche che era nella posizione di
zittire qualsiasi malelingua sul casato, col tempo. Era un uomo
potente, aveva controllo su molte persone che contavano e nessuno
avrebbe potuto parlar male di suo nipote senza scatenare in lui
biasimo e pericolose ire...
E
così si sposarono nella piccola cappella della tenuta...
E
quella notte Demelza scoprì l'amore fisico, qualcosa che la
incuriosiva ma anche spaventava... Nessuno le aveva mai detto come
affrontare quel passo e nonostante Hugh fosse dolce e paziente, di
quella prima notte ricordò a lungo il dolore e solo verso la
fine
del rapporto un vago piacere che però si mescolava con
sensazioni
fisiche ancora spiacevoli.
Le
ci volle un pò per abituarsi a quel passo e per lunghe
settimane
guardò con terrore all'ora di andare a letto. Hugh era
sempre il suo
principe azzurro, la riempiva di dolci parole ed attenzioni ma ad
entrambi ci vollero molti giorni per trovarsi anche
nell'intimità.
Pian
piano Demelza imparò come fare, come far capire a lui come
voleva
essere toccata e a sua volta a capire come volesse essere toccato
lui, iniziò ad abituarsi a quelle sensazioni nuove e alla
fine a
provare piacere.
Ma
qualcosa, le gridava il suo cuore, mancava...
Una
volta, quando era ancora domestica, aveva sentito il racconto di
un'altra cameriera che si era appena sposata e che parlava del sesso
come della fusione di corpo ed anima...
E
Demelza lo sapeva, c'era fusione di corpi fra lei e Hugh... Ma la
loro anima, anche nei momenti di massima passione, non era mai fusa
del tutto. Lei restava Demelza e lui restava Hugh. Non erano una cosa
sola e tutto continuava ad esistere attorno a quel letto, non
diventava sfumato o lontano durante l'atto d'amore, come dovrebbe
succedere a due amanti che non concepiscono che loro stessi in quel
momento mentre tutto il resto sparisce.
Ma
Hugh sembrava contento così e pian piano imparò
ad esserlo anche
lei. Forse l'amore era tutto quì, forse era sopravvalutato e
lei
sognava qualcosa che in realtà non esisteva. Forse il
concetto di
anime gemelle non era che una fiaba per bambini oppure esserlo
significava essere come lei e suo marito, sereni e tranquilli, senza
scossoni particolari né di giorno né di notte.
Hugh la adorava e
lei adorava lui, il resto era solo una strana utopia irrealizzabile.
Di questo imparò a convincersene anche perché non
aveva nessuno a
cui chiedere.
Era
la moglie di Hugh, era diventata una lady anche se non aveva mai
sognato di esserlo e ogni suo desiderio era un ordine per coloro che
fino a poco prima erano state cameriere sue pari.
Ma
non iniziò mai a sentirsi superiore e sempre, anche se
Falmouth
spesso la riprendeva per questo, le considerò le sue
migliori
amiche.
Ma
era anche consapevole di dover imparare a gestire il suo nuovo ruolo
e cercò di fare del suo meglio senza però
sacrificare se stessa. E
così imparò ancora una volta una nuova vita fatta
di tè, cene
galanti, pomeriggi passati a suonare il pianoforte con Garrick
appoggiato ai suoi piedi, abiti meravigliosi, giornate a cavallo e
notti fra le braccia di un uomo che la adorava e che forse un giorno
avrebbe sentito suo del tutto. E lei si sarebbe sentita a suo modo,
completamente sua...
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Capitolo 2 *** Capitolo due ***
La
carica di esplosivo e la successiva detonazione non avevano prodotto
chissà quali scoperte minerarie. La Wheal Grace si stava
dimostrando
un buco nell'acqua, un pozzo mangia-soldi che avrebbe condannato
chiunque aveva creduto in quell'impresa a una vita votata a pagare
debiti che non aveva i mezzi per estinguere.
Ross
si asciugò il sudore dalla fronte, guardandosi attorno.
Minatori
stanchi e scoraggiati osservavano la galleria che si era aperta e
anche i loro volti tradivano delusione. Non c'era denaro per altre
cariche di esplosivo, si doveva proseguire con il semplice lavoro
delle braccia e le possibilità di successo erano scarse.
Mentre
dalla scaletta saliva verso il suo ufficio e l'esterno, la mente di
Ross cercava disperatamente soluzioni, nomi a cui chiedere fondi,
amici da contattare per implorarli di entrare in società
anche se
senza garanzie di lucro e magari come ottenere nuove ipoteche su
Nampara... Non voleva il successo per se stesso, voleva che quella
miniera rimanesse aperta per quei minatori che, senza un lavoro,
sarebbero stati condannati con le loro famiglie alla fame. Lui era
giovane, poteva rialzarsi dalla polvere e al massimo vivere del
lavoro della sua terra, ma loro?
Henshawe,
che lo aspettava con sguardo truce fuori dalla miniera, lo
guardò
accigliato. "Era l'ultima carica, capitano".
"Già...
E lo sarà finché non troviamo nuovi fondi"
– rispose,
malinconico.
"Ne
vale la pena? Altri debiti? Quando potremo ripagarli?".
Ross
fissò l'uomo, grato per il suo aiuto e soprattutto per la
sua
amicizia saggia e sincera. "Forse mai o forse fra molti anni. Ma
a parte questa miniera, che abbiamo da offrire a queste persone?".
Henshawe
sospirò. "Nulla... Ma non abbiamo molte strade percorribili".
Ross
fece per rispondergli quando la voce di Francis, che giungeva a
cavallo, lo interruppe.
"Cugino!
Henshawe" – disse Francis, alzando il cilindro in forma di
saluto.
Ross
lo osservò serio, non sapeva nemmeno come iniziare con lui
il
discorso circa il loro ultimo fallimento. Francis non partecipava
quasi mai alle fasi più cruente del lavoro in miniera, non
ne aveva
le capacità e lo sapevano entrambi, ma da quando la Wheal
Grace era
stata riaperta si era dato da fare, aveva lavorato sui libri
contabili, aveva scavato col piccone quando era stato necessario,
aveva fatto tardi con lui a studiare mappe e soluzioni e soprattutto
aveva fornito con generosità il poco denaro che gli era
rimasto, ben
consapevole che avrebbe potuto andare perso. "Francis, mi spiace
spezzare il tuo buon umore ma devo comunicarti che l'ultima
esplosione non ha prodotto, al momento, nulla. Non abbiamo trovato
ancora nemmeno un filone".
Francis
sospirò, senza eccessivo rammarico. "E' la storia dei
Poldark,
la fortuna ci sorride sempre da lontano e si fa inseguire parecchio
prima di essere acciuffata".
Henshawe
sorrise, prendendo a fumare la sua pipa. L'ottimismo e la strana
filosofia di vita che aveva sviluppato Francis, di solito riuscivano
a metterlo di buon umore. E fischiettando si allontanò,
pronto a
tornare sotto terra per vedere se ci fosse stato qualche sviluppo.
Anche
Ross azzardò un timido sorriso. "Francis, vedo che la
disperazione non fa più parte del tuo essere. Vorrei
prendere in
prestito un pò della tua ironia, credo di averne bisogno".
Francis
osservò la miniera e il suo sguardo divenne serio. "Sai
cugino,
in fondo per come la vedo io, anche se al momento la Wheal Grace non
produce profitti, questa è la prima fase della mia vita
davvero
pulita dove faccio qualcosa di utile per me e per gli altri, dove non
cerco scappatoie e la sera, quando mi guardo allo specchio, non mi
sento un fallito...".
Ross
sussultò, colpito da quanto suo cugino fosse migliorato
nell'ultimo
anno. Il giovane ragazzo imbranato, di poco carattere, votato al
gioco d'azzardo e al fallimento per troppa ingenuità era
svanito,
lasciando spazio a un giovane uomo che forse non aveva la forza
fisica di molti dei suoi operai ma di certo possedeva una strana ma
profonda saggezza che sapeva mettere sul giusto piano anche i
fallimenti. "Mi fa piacere che tu ti senta così, ma non
abbiamo
più fondi per continuare".
Francis
alzò le spalle, speranzoso nonostante tutto. "Basta trovare
nuovi azionisti!".
"Fosse
facile!" - sbottò Ross, ridendo e mettendogli la mano sulla
spalla. "Vuoi venire a Nampara a bere un bicchiere di buon vino?
Non garantisco ce ne sia molto, ho due servi che tendono a berlo
più
volentieri dell'acqua quando non ci sono, ma qualche bottiglia dovrei
averla ancora da parte, nascosta".
Francis
si stiracchiò, osservando il sole morente del tramonto che
si stava
tuffando nel mare. "Ti ringrazio ma stasera voglio tornare a
casa presto e cenare con Elizabeth e Geoffrey Charles. L'ho promesso
al bambino stamane, quando sono uscito".
Fingendo
di non aver sentito il nome di Elizabeth e ignorando l'immagine della
famiglia apparentemente felice che lei aveva formato con Francis,
Ross cercò di cambiare discorso. "E allora che ci fai
quì? Ti
avrei aggiornato dell'esplosione domattina".
Francis
esibì un sorriso soddisfatto, tirando fuori dalla tasca una
lettera
spiegazzata. "Volevo mostrarti questa, cugino!".
"Che
cos'è?".
"La
soluzione a tutti i nostri problemi".
Ross
si accigliò, prendendo in mano la lettera ed osservandone
l'ottima
filigrana e lo stemma in ceralacca che la ornava. "Che
significa?".
Francis
allargò le braccia mentre con Ross si avviavano verso i
cavalli.
"Siamo stati invitati a una festa da Lord Falmouth".
Ross
si bloccò, squadrò il cugino e poi
appollottolò la lettera,
lanciandola verso lo strapiombo. "Francis!" - lo rimbeccò.
Santo cielo, da quella storia non ne sarebbero mai usciti! Falmouth,
uno degli uomini più potenti della zona, un lord di grande
importanza anche al Parlamento di Londra, lo stava tallonando da mesi
senza sosta per averlo come alleato alle elezioni. E lo stesso stava
facendo un altro lord, Basset, oppositore di Falmouth. Entrambi lo
volevano nei loro schieramenti, attirati dal nome antico del suo
casato e dalle sue gesta in guerra e non perdevano occasione per
cercare di avvicinarlo. Ma Ross non amava quel mondo fatto di
compromessi e dove per ottenere qualcosa, devi vendere la tua anima.
Non aveva mai voluto essere un politico o un magistrato, non voleva
che essere uno spirito libero e lottare a modo suo per le persone a
cui teneva. Senza compromessi, senza dover dire grazie a nessuno! Ed
inoltre il suo carattere fumantino lo rendeva decisamente inadatto a
Westminster dove, a parte lacché e damerini, non esisteva
null'altro. Falmouth e Basset avevano decisamente sbagliato cavallo
su cui puntare. "Non ci provare nemmeno! Lo sai bene come la
penso" – borbottò, accelerando il passo.
Ma
Francis, deciso a stargli dietro, non sembrò intenzionato a
desistere. "Cugino, è un ballo, non un invito a provare sul
tuo
collo la ghigliottina".
Ross
lo guardò storto. "Un ballo fatto per un DETERMINATO motivo
che
vuol portare Falmouth a un DETERMINATO risultato".
"Ballare
la gavotta?".
"No,
mettermi in gabbia in quell'inferno che è Londra".
Francis
sbuffò. "Ma che ti importa?! E' un ballo, ci vieni, ti
scegli
una dama, a fine serata saluti e poi te ne torni a casa. Sei
bravissimo a sfuggire agli agguati, no? Se non vorrai essere braccato
dalle proposte di Falmouth, un ballo e le sottane delle dame sono un
buon ambiente per nascondersi".
"Francis,
lo sai bene perché ci ha invitati al ballo".
"Sì,
perché avere fra i propri ospiti dei membri di una antica
famiglia
come quella dei Poldark, gli darà prestigio".
Ross
rise. "I Poldark saranno pure una famiglia antica ma al momento
le nostre finanze non sono molto diverse da quelle dei nostri
minatori".
"Ma
resta il nome e il nostro è antico e blasonato. E se
vogliamo che le
nostre finanze si risollevino, dobbiamo tenerci buoni coloro che
vogliono esserci amici" – gli fece notare Francis. "Falmouth
potrebbe finanziare i lavori in miniera per i prossimi mesi senza
problemi".
"In
cambio della mia anima" – lo interruppe Ross.
"In
cambio della tua amicizia e del tuo supporto" – lo corresse
Francis.
Ross
raggiunse il cavallo e ci montò sopra. "Se vuole un Poldark
a
concorrere con lui alle elezioni, ci sei tu".
Anche
Francis montò a cavallo. "Avanti, lo sai bene che non sono
adatto a quel ruolo. Ci vuole carisma e quello lo hai ereditato tutto
tu".
Ross
sospirò. "Francis, non sottovalutarti troppo e proponiti, se
pensi possa essere il caso. Elizabeth sarà contenta di
partecipare
al ballo e con lei, insieme, potreste fare un'ottima impressione a
Falmouth. Giocati questa carta e lasciami quì a capire come
far
fruttare questa miniera e come ottenere il denaro per altra
dinamite".
"Sei
testardo" – lo rimproverò Francis. "E di certo
Elizabeth
sarà felice di venire al ballo ma le farebbe piacere se
venissi
anche tu. Mi ha chiesto di insistere... Per Verity, ovviamente... Ha
detto che le dispiacerebbe se venisse sola".
Ross
osservò Francis e capì che nemmeno lui credeva a
questa motivazione
che spingeva Elizabeth a volerlo al ballo ma come il cugino, decise
di fare il finto tonto. Quella disputa aveva già creato
tanto dolore
fra loro, riaprire vecchie ferite non sarebbe servito a nulla ed
Elizabeth aveva scelto. Francis, non lui! Quindi tutto il resto non
erano che stupide chiacchiere e fantasie! "Verrà anche
Verity?".
"Sì.
Le farai da cavaliere?".
"Ne
troverà uno al ballo. Dille che la mia vecchia ferita di
guerra al
piede è tornata a darmi noia e che non sono in grado di
ballare".
"Ross!"
- lo rimbeccò Francis. "E' una festa, uno stupido ballo!
Poche
ore, che ti costerebbero?".
Ross
spronò il cavallo a partire al galoppo. "La mia anima! E mi
sembra un costo decisamente troppo alto! Cercherò altri modi
per
tenere viva la miniera".
Partì
al galoppo senza dare modo a Francis di controbattere. Sapeva che in
fondo suo cugino aveva ragione e che forse Falmouth poteva dare un
pò
di respiro alle loro finanze e una speranza alla miniera, ma non ce
la faceva nemmeno a concepire per se stesso quel tipo di vita. E poi
sentir parlare di Elizabeth... Ogni volta era difficile e ogni volta
gli veniva la voglia di scappare lontano per rintanarsi come un topo
a Nampara.
Arrivò
fino a casa e ancor prima di entrare, si accorse di avere un ospite.
Una
giovane donna dai tratti gentili e dal viso amico lo stava aspettando
seduta sulla staccionata mentre teneva le redini del suo cavallo.
Ross
le sorrise, togliendosi il tricorno dalla testa. Sapeva che era un
nuovo assalto alle sue intenzioni, ma rivedere sua cugina era da
sempre un piacere per lui. "Verity! E' stato Francis a mandarti
a rinforzo delle sue tesi?".
La
ragazza gli sorrise e lo salutò di rimando. E quando furono
uno
davanti all'altro lo abbracciò con calore. "Cugino, vedo che
ci
conosci bene! In effetti Francis mi ha chiesto di passare di
quì nel
tardo pomeriggio. Aveva una missione che credeva impossibile per lui
e quindi per sicurezza mi ha chiesto di aspettarti quì
perché, ha
detto, a lui non sai dire di sì ma a me non sai dire di no".
Ross
rise, abbracciandola nuovamente. Verity era la persona che
più
adorava della sua famiglia. Era dolce, gentile, sempre pronta a
confortare chiunque con la sua presenza e una parola buona ed era
l'anima sia di Trenwith che dei Poldark. La sua purezza teneva uniti
tutti loro e lo aveva fatto anche nei peggiori momenti di tempesta
quando Francis perdeva tutto al gioco e il padre era morto,
lasciandoli nei debiti e con una miniera in passivo. Era un'anima
dolce, candida, che metteva sempre da parte se stessa per il loro
bene e Ross la adorava come fosse una sorella. "Francis mi
conosce bene. Ma entrambi sapete quanto io sia ostinato...".
Verity
gli accarezzò delicatamente un braccio mentre lui le si
sedeva
accanto, sulla staccionata. "E' un ballo".
"Un
ballo nella tana del lupo".
"Hai
paura dei lupi?" - chiese lei, ridendo.
"No,
ma tendo a sopportarli poco".
Verity
lo guardò, fronteggiandolo. "Non ho un accompagnatore e per
una
volta che ricevo un invito, vorrei partecipare a una festa. Se non
vieni però, finirò per passare la serata a
sorreggere una parete,
ma con te vicino...".
"Verity"
– provò ad argomentare Ross, in
difficoltà.
"Ti
prego" – lo implorò lei. "Con te vicino, mi
sentirei a
mio agio. Sarà una festa con pochi e selezionati invitati. E
magari
fra loro, potresti trovare nuovi soci per la miniera. Solo Dio sa
quanto tu ne abbia bisogno e in tempi di crisi, non puoi permetterti
di essere schizzinoso o testardo".
"Vorresti
che io entrassi in politica?" - le chiese.
"Vorrei
solo che tu riesca nelle cose che ami. E che per una sera non viva in
questa casa sperduta, da recluso".
"Amo
Nampara" – la corresse lui.
"Lo
so! Ma a parte questa casa e la miniera... e Truro quando hai un
appuntamento coi tuoi soci, non vai da nessuna parte. Sei giovane,
hai una vita da vivere e la vivi a metà. Basto
già io in famiglia
per questo...".
Ross
le accarezzò dolcemente la guancia, pensando fortemente che
in quel
momento avrebbe solo voluto abbracciarla in silenzio e offrirle una
vita migliore di quella sacrificata che lei conduceva a Trenwith.
Verity non chiedeva mai niente per se stessa, erano gli altri a
chiedere e pretendere da lei – anche lui - e forse aveva
ragione,
non era che un ballo e nessuno avrebbe potuto costringerlo a fare
ciò
che non desiderava. Ma se era bravo e scaltro, magari ne poteva anche
uscire qualcosa di buono per la Wheal Grace e anche se in quel caso
avrebbe dovuto ammettere davanti a Francis che aveva avuto ragione
lui e questo lo irritava terribilmente... "Va bene" –
disse di getto sapendo che se ne sarebbe pentito subito, non troppo
convinto ma comunque consapevole che a lei, come diceva Francis, non
sapeva dire di no. "Ma non aspettarti che balli la gavotta".
"Ohhh,
non pretenderei tanto!". Verity rise, abbracciandolo con calore.
"Grazie, GRAZIE" – esclamò contenta, saltandogli
al
collo e baciandolo sulla guancia. "Sei il migliore cugino del
mondo!".
Ross
alzò gli occhi al cielo. Più che il migliore
cugino del mondo,
sperava di essere il miglior affarista sulla faccia della terra.
Aveva bisogno di portare a casa quanto più possibile senza
cedere
troppo sulle sue intenzioni e i suoi convincimenti. E forse questo
dannato ballo avrebbe portato qualcosa di buono nella sua vita.
Forse...
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Capitolo 3 *** Capitolo tre ***
Il
fatto di aver ceduto solo per amore di Verity, di certo non
servì a
migliorare l'umore di Ross.
Mentre
la carrozza procedeva diretta alla dimora dei Boscawen, su strade
sterrate e ormai buie, Ross osservò i suoi compagni di
avventura, se
così si potevano chiamare...
Francis,
vestito con un abito di velluto rosso e che sonnecchiava appoggiato
con la testa al finestrino, aveva scelto di compiere il tragitto con
la carrozza di famiglia migliore. Ci teneva a fare bella figura e
sperava che quella serata avrebbe portato buoni frutti a tutti loro.
Elizabeth,
seduta accanto a lui, bella ed eterea nel suo vestito color rosa
pallido, guardava distrattamente il paesaggio tentando di evitare il
suo sguardo forse troppo insistente ed indagatore, uno sguardo che
pareva non desiderare altro che carpire i segreti del suo cuore e
della sua anima. Quando c'era lei nei paraggi, per Ross diventava
come una calamita, una febbre da cui non riusciva a liberarsi. Ma era
una febbre che avrebbe portato a una guarigione, un giorno? O alla
dannazione eterna? Non smetteva di chiederselo, mai...
Accanto
a lui invece c'era Verity, vestita con un grazioso vestito color
panna, eccitata e contenta, che non faceva altro che chiacchierare e
raccontare dei giochi fatti col piccolo Geoffey Charles nel
pomeriggio, in giardino.
A
un certo punto Elizabeth decise che era stanca del suo mutismo e il
suo desiderio di essere al centro dell'attenzione al posto di Verity,
la spinse ad aprire finalmente bocca, facendo sussultare Francis.
"Sono curiosa".
"Di
cosa, mia cara?" - le chiese il marito con voce impastata,
strofinandosi gli occhi.
"Di
vedere l'aspetto della piccola cameriera".
Ross
la fissò senza capire. "E come mai sei interessata alla
servitù
di Falmouth?". Era abbastanza convinto di star facendo la figura
del fesso e che ci fosse qualcosa nell'aria che gli era sconosciuto a
causa della sua avversione ai pettegolezzi, ma la voglia di parlare
con Elizabeth fu più forte del suo desiderio di estraniarsi
davanti
a certe faccende.
Verity
cercò di spiegare. "Elizabeth non si riferisce ad una
domestica, in realtà".
"Lo
era!" - la corresse subito lei.
"Ma
non lo è più" – riprese Verity, con
dolcezza. "Elizabeth
si riferisce alla giovane moglie del nipote di Falmouth, Hugh
Armitage. Fu assunta come domestica in quella casa quando era una
ragazzina e col tempo ha stregato il cuore dell'erede del casato che
poi l'ha sposata. Una storia d'amore da favola".
Ross
alzò gli occhi al cielo. Si aspettava qualcosa di
eccezionale e
invece aveva dovuto mordersi la lingua per non sbottare davanti ad
Elizabeth con un poco elegante... 'E' tutto quì?'.
Elizabeth
dovette percepire i suoi pensieri e ne parve in qualche modo delusa.
"Favola d'amore? Avanti Verity, davvero ci credi? Le conosci
come sono, queste donne del popolo... Figlie di minatori, cresciute
senza valori e senza educazione, volgari, pronte a tutto ed
estremamente abili a letto. Quel povero giovane di buona famiglia
dev'essere stato sopraffatto da una donna del genere e lei deve aver
ricattato la famiglia per farsi sposare. Non ci sono altre
spiegazioni logiche".
Francis
intervenne, decisamente contrariato dal discorso della moglie. "La
giovane moglie di Armitage è, appunto, molto giovane e
dubito sia
stata tanto scaltra... Non potremmo credere, per una volta, alla
bontà dei sentimenti e dell'amore?".
Elizabeth
gli piantò gli occhi addosso e l'atmosfera si fece
incandescente.
"Certe donne, giovani o vecchie che siano, sanno bene come
ottenere tutto ciò che desiderano da un uomo. Guarda ad
esempio
Margareth Vosper...".
Lo
disse in tono sibillino e Francis avvampò. Fatti,
riferimenti e
parole non erano per nulla casuali ed Elizabeth si stava prendendo
una piccola rivincita sui suoi errori coniugali passati. "Non
puoi giudicare chi non conosci" – balbettò,
davanti alla
moglie.
Ross
intuì che la situazione, da sonnecchiosa, stava facendosi
pericolosa
per tutti loro. Le guerre e le divisioni passate potevano tornare in
un attimo ed era necessario, per il bene di tutti e della miniera,
che la pace continuasse ad albergare nel cuore di ogni Poldark
presente su quella carrozza. "Perché stiamo discutendo?" -
chiese. "Per una donna che non conosciamo e con cui non dovremo
avere a che fare?".
"Ma..."
- lo interruppe Elizabeth.
Ma
lui interruppe lei. "Ma nulla. Potrebbe essere un angelo o un
demonio, ma è la padrona di casa e se abbiamo dovuto
accettare
questo invito che io NON volevo accettare, cerchiamo di presentarci
con educazione e di fare buona figura. O le motivazioni e gli scopi
che ci siamo prefissati venendo quì, cadrebbero nel vuoto a
causa di
stupidi pregiudizi su qualcuno che nemmeno conosciamo. I pettegolezzi
lasciamoli ad altri".
Francis
annuì, Verity sventolò nervosamente il suo
ventaglio ed Elizabeth
si incupì, delusa che nessuno la pensasse come lei ma
putroppo
consapevole che Ross aveva ragione. "Ovviamente saremo educati.
Come dici tu, per qualche strano motivo sarà la padrona di
casa e la
onoreremo con l'educazione che ci hanno impartito le nostre
famiglie".
Ross
annuì, sprofondando nel divanetto. Fine della discussione,
discussione spiacevole fra l'altro... Nonostante fosse stata
intavolata da Elizabeth...
E
nella carrozza ripiombò il silenzio a cui anche Verity si
accodò. E
nessuna chiacchiera lo spezzò più fino all'arrivo
nella splendida
dimora dei Boscawen, incastonata in uno dei più belli scorci
della
brughiera di Cornovaglia, circondata da un fitto bosco e da infiniti
campi e pascoli.
Ross
scese dalla carrozza, osservò la dimora e rimase a bocca
aperta.
Tutto esprimeva potere e ricchezza, quella ricchezza che un
pò
sarebbe servita anche a lui e alla sua miniera. E anche se
riluttante, capì che aveva fatto bene a venire e che forse
da quella
serata ne sarebbe conseguito qualcosa di buono.
...
Stesa
sul letto a pancia ingiù, vestita solo con una semplice
sottoveste,
Demelza osservava suo marito vestirsi per la festa che sarebbe
iniziata di lì a poco. La sua mente era in fermento e in
realtà
quella sera avrebbe preferito essere tranquilla e sola con Hugh per
parlarle di una idea che le era balenata in mente nel pomeriggio,
mentre era a Truro a far compere con una domestica, ed era frustrata
davanti alla certezza di dover rimandare a causa dell'imminente
arrivo degli ospiti.
Hugh,
sentendosi osservato, le sorrise mentre con le mani litigava col
fiocco della sua camicia che proprio non riusciva a sistemare a
dovere. "Stai ridendo di me?" - le chiese.
Lei
si alzò dal letto per andare ad aiutarlo. "No, è
che stavo
pensando a una cosa che potrei... potremmo fare insieme...".
Beh, il tempo era poco ma non ce la faceva a rimandare.
Hugh
si fece aiutare a sistemare la camicia, senza toglierle gli occhi di
dosso. "Sai che non chiedo altro che compiacerti. Cosa
desideri?".
Finito
con la camicia, Demelza si risedette sul letto, dondolando le gambe
nel vuoto. "In realtà per me nulla... Ma mi piacerebbe che
mi
aiutassi a fare qualcosa per qualcun altro".
Hugh
la fissò, interdetto. "In che senso?".
Demelza
sospirò. "Non ti sembra che abbiamo troppo e tanta altra
gente,
troppo poco?".
L'uomo
le si avvicinò, accarezzandole la guancia. "Per te nulla
è mai
troppo, mia cara".
Era
un marito dolce Hugh, che la riempiva forse troppo di attenzioni e
vizi e questo le faceva piacere, certo. Ma la faceva anche sentire in
colpa verso... verso il mondo, ecco! E a volte era persino
soffocante... "Davvero faresti di tutto per compiacermi?".
"Certo.
Vuoi abiti nuovi? Gioielli? Una nuova casa a Londra?".
"No,
ciò che ho basta e avanza".
Hugh
rise, sedendosi accanto a lei sul materasso. "Non si direbbe!
Stiamo per dare una festa, sarai la padrona di casa e sei ancora in
sottoveste! Eppure dovresti avere un sacco di abiti nuovi
nell'armadio".
Demelza
sbuffò, sconfortata. Era vero, era la padrona di casa e
quando
doveva calarsi in questo ruolo le sembrava spaventoso dover parlare
alla pari con dame e gentiluomini a cui, fino a un paio d'anni prima,
aveva servito del vino nel ruolo di domestica. "Ci metterò
un
attimo a vestirmi, non è di questo che volevo parlare".
Lui
le prese la mano, baciandola. "Che cosa c'è, allora?".
Demelza
prese coraggio, preparandosi a una lunga disputa, prima con Hugh e
poi con Falmouth. "Oggi, a Truro, passeggiando ho notato un
vecchio caseggiato, di fianco alla locanda di Sir. Tohblack. E ho
pensato che in fondo sarebbe un peccato lasciarlo all'incuria e che
invece, sistemandolo, potrebbe essere utile".
Hugh
annuì, senza però capire il senso del suo
discorso. "E
allora?".
"E
allora c'erano attorno a me così tanti bambini scalzi,
affamati e
vestiti di stracci come ero io e ho pensato che in fondo non
c'è
nessuno che pensi a loro e gli dia gli strumenti per costruirsi una
vita migliore. Non ci sono scuole quì e noi potremmo farne
una se
sistemassimo quel caseggiato".
Hugh
spalancò gli occhi e in Demelza nacque la speranza che a un
amante
dell'arte e della letteratura come lui, sicuramente quell'idea
sarebbe piaciuta. Ma la speranza durò poco...
Lui
rise. "Amore mio, perché? A Truro vivono principalmente
figli
di minatori o contadini, che se ne farebbero di una scuola?".
Esasperata
e delusa, Demelza abbassò lo sguardo. "Imparerebbero a
leggere
e scrivere e sarebbe già molto per loro e il loro futuro.
Sarebbe
qualcosa di bello che ci renderebbe utili a qualcosa in questo mondo
tanto difficile".
Hugh
divenne serio, dopo la reazione un pò divertita di poco
prima di cui
si era già pentito. Le prese le mani nelle sue, le strinse e
le
accarezzò e poi tentò di spiegare il suo
pensiero. "Non volevo
prenderti in giro, scusa... E credo che il tuo cuore sia davvero
nobile in ciò che vuoi fare e desideri. Ma pensaci,
Demelza...
Quando eri piccola, se qualcuno avesse proposto a tuo padre di
mandarti a scuola invece che badare alla casa e ai tuoi fratelli, lui
cosa avrebbe risposto?".
"Di
no, ovviamente".
"E
così ti risponderebbero, tesoro, i padri dei bambini di
Truro. Hanno
bisogno di denaro e di figli che portino a casa qualche moneta per il
pane, non hanno certo la possibilità di permettersi di
lasciarli
seduti a un banco".
Demelza
si sentì stupida e in fondo sapeva anche che quanto stava
dicendo
Hugh aveva senso, forse molto più senso della sua idea.
Eppure,
sentiva che non doveva rinunciare... "Ma forse, qualcuno che non
la pensa come mio padre c'è... E non varrebbe la pena
tentare, anche
solo per una mezza dozzina di bambini?".
Hugh
rimase in silenzio per un pò, riflettendo.
"Perché vuoi farlo?
Come vorresti farlo?" - chiese, in tono stranamente indagatore.
"E' perché senti la mancanza di un figlio nostro?" -
domandò in tono grave, con gli occhi piantati nei suoi.
Quella
domanda, totalmente inaspettata, sembrò arrivarle addosso
come uno
schiaffo. Era un dolore sordo il suo, la mancanza di
possibilità di
essere madre a causa della malattia di Hugh sarebbe stata sempre un
dolore strisciante ma mai se n'era lamentata con lui, mai aveva
lasciato trasparire questo suo rimpanto, ma evidentemente Hugh doveva
averlo percepito. Ma su questo quanto meno poteva rassicurarlo, il
desiderio di un figlio non c'entrava con la scuola. "Non è
questo, ho scelto di sposarti ed ero consapevole di tutto. Non ne
sono pentita! Ma la scuola... Vorrei così tanto sentirmi
utile per
qualcuno, ora che ho così tanto da poter dividere...".
Hugh
la baciò sulla fronte, stringendola a se e sentendosi
rincuorato
dalle sue parole. "Tu sei utile, tantissimo! Già ora! A me,
a
questa casa, al nostro giardino...".
"Ma
non è abbastanza" – insistette lei, fra le sue
braccia, viso
a viso.
Hugh
annuì, prima di baciarla sulle labbra. "Come dicevo, farei
di
tutto per compiacerti. E se è quello che vuoi...".
Lo
bloccò. "No, non per me! Vorrei fare qualcosa con te per gli
altri".
Lui
la ribaciò. "Faremo sistemare quel fabbricato, se
è davvero
ciò che desideri. Ne parlerò domani con lo zio e
cercherò di
convincerlo che è una buona idea. Poi cercheremo una maestra
e
vedremo se questa idea produrrà qualcosa di buono.
Sicuramente
aumenterà il prestigio dei Boscawen, quanto meno... Sono
cose che,
sotto elezione, lo zio tiene molto in considerazione".
Demelza,
contenta, lo abbracciò. Hugh e Falmouth l'avrebbero
sostenuta,
quindi. Non per il bene dei bambini, certo, uno lo avrebbe fatto per
compiacerla e l'altro per accrescere il suo potere, ma il risultato
era quello che contava. "Potrei essere io, la maestra?! Non ho
mai nulla da fare, al mattino... Certo, non potrei insegnare un gran
ché, al massimo a leggere e scrivere. Potrei avere un aiuto
da una
persona più esperta, certo, che potrebbe insegnare ai bimbi
più
grandi la storia, la geografia e a far di conto. Ma mi piacerebbe,
nel mio piccolo, fare qualcosa anche io. Con te".
Hugh
parve sorpreso da quelle parole. Un conto era mettere i soldi per
un'opera pubblica, un conto era mettercisi a lavorare in prima
persona. Per un Boscawen questo concetto doveva essere difficilissimo
da capire e Demelza ne era consapevole. "Tu non puoi lavorare!
Non come maestra di certo! E nemmeno io".
Lei
insistette, certa che lui avrebbe capitolato a breve. "Solo
qualche ora al mattino, che sarebbe? E tu? Hai insegnato l'amore per
la letteratura a me, ti piacerebbe insegnarlo anche ad altri, ne sono
certa. Giovani menti che potrebbero trovare una strada nelle poesie e
nella scrittura... Sarebbe talmente gratificante per te esserne
l'artefice...".
"Mio
zio non lo accetterà MAI!" - rispose, laconico.
"Sì,
se gliela metteremo nei giusti termini".
Hugh
le diede un leggero buffetto sulla guancia. "Sei capricciosa
ora, lo sai?".
"Ma
tu volevi compiacermi, no?" - insistette lei, con un sorriso
biricchino sulle labbra.
Hugh
sospirò, alzandosi in piedi e porgendole la mano
perché facesse
altrettanto. Non sapeva dirle di no, ne era consapevole. Ma era
altrettanto consapevole che non poteva dirle di sì su tutto
e che
dovevano cercare una buona via di mezzo fra i suoi desideri e il
prestigio di famiglia. "Due giorni a settimana, Demelza. Non di
più! Credo sia il massimo che lo zio potrebbe concederti e
che io
possa concederti! Sei una Boscawen e nonostante tu sia mossa da buone
intenzioni, non puoi lavorare. Anche se in questo caso sarebbe una
cosa che ti piacerebbe fare".
Demelza
prese un profondo respiro, mordendosi la lingua. Non doveva e non
poteva insistere e sapeva che Hugh, da quel punto di vista, le aveva
già concesso fin troppo. Poteva dirsi soddisfatta,
più o meno! E
piuttosto felice! "Grazie!" - disse allegramente,
baciandolo sulle labbra.
Hugh
le diede un altro buffetto prima di scompigliarle i capelli con la
mano. "E ora su, decidi che abito metterti!".
"Lo
so già" – rispose lei, correndo allegra verso
l'armadio.
"Questo!".
Hugh
osservò l'abito rosso, il primo abito che le aveva comprato
quando
non erano che fidanzati. Un abito tutto sommato semplice ma che le
stava benissimo. E lei lo adorava... "Dovrai arrenderti a
comprare qualche abito nuovo prima o poi, lo sai?".
"Io
adoro questo".
Le
si avvicinò, stringendola a se. "Anche io, anche se lo hai
già
indossato diverse volte, si adatta ancora così bene al
colore dei
tuoi capelli e all'azzurro dei tuoi occhi... E i capelli?".
Demelza
alzò le spalle. "Li terrò sciolti, con un
semplice e piccolo
fiocco sulla nuca per tenerli a bada".
Hugh
sorrise, adorava vederla coi suoi lunghi capelli liberi di muoversi
sulla sua schiena. "Sarai meravigliosa e i nostri ospiti ti
adoreranno".
E
alla parola 'ospiti', Demelza ripiombò nell'ansia da padrona
di
casa. "Giuda, come odio avere ospiti. Ho come l'impressione che
tutti mi guardino e mi giudichino e non aspettino altro che commetta
un errore per ridere di me... La piccola ex-sguattera che vuole darsi
delle arie...".
Hugh
rise, divertito. "Nessuno oserà tanto e i nostri ospiti sono
tutti educati e rispettabili. Tranquilla, ti adoreranno".
Non
ne era così certa, ma con Hugh vicino si sentiva tranquilla.
"Tuo
zio sta impazzendo... Dice che in questa serata deve far abboccare
all'amo quel tizio... come si chiama? Ne parla sempre...".
Hugh
si avvicinò, aiutandola a sua volta a vestirsi. "Ross
Poldark?".
"Sì,
lui. Lo vuole assolutamente in Parlamento al suo fianco. Sai chi
è?".
Hugh
alzò le spalle. "No, lo conosco solo di fama. La sua
famiglia è
di antiche e nobili origini, anche se oggi decisamente decaduta. Un
tizio testardo e una testa calda, pare. Un mulo che preferisce stare
chiuso nelle sue miniere ad ammazzarsi di lavoro coi suoi minatori
invece che lottare per ricoprire le cariche pubbliche che gli
spettano di diritto".
"Oh...".
Demelza sbuffò, in fondo nemmeno Hugh era così
ligio ai propri
doveri e ai suoi diritti acquisiti per nascita. "Anche tu, in
teoria, dovresti sederti in Parlamento. E nemmeno tu vuoi quel
seggio".
"Vero!
Ma lo sai bene che non fa per me e che la mia salute mi rende
perfettamente inutile alla causa".
Demelza
lo fissò storto, scettica. "Sembrano scuse...".
"Sono
ottime motivazioni!" - la corresse lui, osservandola mentre
finiva di sistemarsi l'abito.
Demelza
si sedette alla toeletta per pettinarsi. "Forse sono ottime
motivazioni anche quelle del signor Poldark..." - lo provocò.
Hugh
rise ancora, avvicinandosi alla porta. "Sarà meglio che
scenda
ad accogliere i nostri ospiti. Ti aspetto giù, mia cara".
"Arriverò
presto" – rispose lei, mettendo a sistemarsi i capelli.
La
serata in fondo era iniziata bene, avrebbe avuto la sua scuola e per
questo il suo animo si sentiva leggero. Talmente leggero che in fondo
non le sembrava nemmeno così spaventoso dover presenziare
alla festa
che si sarebbe tenuta a casa sua di lì a poco.
E
con questo pensiero, finito di pettinarsi, uscì dalla stanza
e scese
le scale che portavano al salone dove un vociare allegro e un via vai
di camerieri indicava che qualche ospite era già arrivato.
Prese
coraggio, fece un profondo respiro e scese, facendo il suo ingresso.
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Capitolo 4 *** Capitolo quattro ***
Quando
giunse nel salone, Demelza trovò suo marito ad accoglierla
sotto le
scale, in compagnia di un uomo non più giovanissimo e dai
tratti del
viso piuttosto marcati e duri.
Demelza
si guardò attorno un pò smarrita notando che
ormai gli ospiti erano
arrivati tutti e avevano riempito il salone e poi lo salutò
con un
leggero inchino, mentre Hugh le prendeva la mano. "Capitano
Blamey, ho il piacere, finalmente, di presentarvi mia moglie Demelza.
Demelza, mia cara, questo è l'uomo che mi ha fatto da
mentore nella
mia breve vita di cadetto di marina, il mio mentore e buon amico,
capitano Andrew Blamey".
Demelza
sorrise all'uomo. "E' un piacere conoscervi, capitano Blamey.
Hugh mi ha parlato spesso di voi e vi ringrazio per esservi preso
cura di lui quando era più giovane".
"E
assolutamente inesperto" – aggiunse Hugh, ridendo.
Blamey,
impacciato e decisamente più a disagio di quanto non fosse
Demelza
nel trovarsi in quel genere di festa a cui evidentemente non era
abituato, sorrise di rimando. "Inesperto ma promettente. Mi
auguro che le tue condizioni, al più presto, possano
permetterti di
tornare fra noi, Hugh".
Demelza
tremò davanti a quelle parole. Sarebbe stato bello che Hugh
tornasse
talmente tanto in forze da rimettersi attivamente al servizio della
marina ma di contro era anche consapevole che qualora fosse successo,
sarebbe ricaduto interamente su di lei l'onere di rappresentare i
Boscawen nell'alta società. Desiderava ardentemente che le
forti
emicranie di Hugh e i problemi di vista cessassero, che tornasse sano
e forte, avrebbe dato un pezzo di cuore per lui se fosse servito, ma
ancora non si sentiva pronta a fare senza suo marito. Forse era
egoista e capricciosa ma avrebbe preferito avere entrambe le cose,
un marito in salute e accanto a lei. E la consapevolezza che questo
non avrebbe potuto accadere la lasciava sempre nello sconforto.
"Tutti noi ci auguriamo che Hugh si senta presto meglio" –
disse infine, prendendo un profondo respiro.
Blamey
le prese la mano, baciandola con galanteria. "Con una moglie
deliziosa come voi, sono sicuro che succederà presto"
–
disse, congedandosi.
Hugh
indicò all'uomo il tavolo dei vini e del buffet e poi prese
la
moglie sotto braccio. "E' un uomo dal passato difficile e
purtroppo sua moglie è morta durante un furente litigio con
lui"
– le disse mentre raggiungevano gli altri ospiti in sala
– "Ma
fu un tragico incidente, una fatalità per cui ha pagato e
ora
vorrebbe solo ricostruirsi una vita. E' un uomo onesto e spero che
possa avere una seconda possibilità".
Demelza
sentì venirle la pelle d'oca. Un uomo che aveva provocato la
morte
della moglie non poteva che essere stato un mostro, ma Blamey le era
sembrato gentile e per nulla pericoloso ed inoltre non poteva dire di
conoscere la dinamica di quanto successo. Forse era davvero stato uno
sfortunato incidente e sicuramente Blamey era una persona tormentata
per quanto successo... Ed inoltre non voleva giudicare chi si era
preso cura di Hugh e se suo marito lo aveva tenuto nella sua stretta
cerchia di amici fidati, lei non poteva che supportarlo.
Falmouth,
circondato da alcuni giovani, li raggiunse. "Nipote,
finalmente".
Hugh
la indicò. "Colpa di mia moglie, ci ha messo un sacco a
prepararsi".
Lord
Falmouth scoppiò in una fragorosa risata. "Le donne, sempre
uguali! Hugh, Demelza, vi presento alcuni dei nostri graditissimi
ospiti: Ruth Treneglos, Constanze Bodrugan e la parte femminile del
clan Poldark formata da Miss Verity e Miss Elizabeth, figlia e nuora
del compianto Charles Poldark".
Hugh
salutò con gentilezza mentre Demelza accennò un
lieve ma impacciato
inchino davanti agli sguardi non certo benevoli delle giovani dame
che Lord Falmouth le aveva presentato. Ruth Treneglos, dallo sguardo
da civetta incattivita, aveva esibito uno sguardo di biasimo verso
Hugh, lady Constanze sembrava principalmente annoiata mentre le due
Poldark beh... Una aveva un'espressione gentile e un pò
spersa come
lei ma l'altra, dalla bellezza eterea e perfetta, si era limitata a
riservarle uno sguardo glaciale pieno di altezzosa
superiorità. Ma
erano sue ospiti e doveva essere gentile nonostante tutto, per il
bene di Hugh, di Falmouth e di quel casato che l'aveva accolta a
braccia quasi-aperte. Non poteva sfigurare, non per amor loro, anche
se la sua indole più selvaggia le gridava che avrebbe fatto
bene a
prendere un vassoio pieno di calici ricolmi di vino per rovesciarlo
in testa a quelle oche ben agghindate che si ritenevano superiori a
lei e al mondo. Anzi, del brodo bollente da rovesciar loro in testa
sarebbe andato persino meglio, ma purtroppo non si poteva. Uno dei
limiti a cui una inferiore che si elevava di rango doveva
adattarsi... Una cosa, sopra tutte, le dava fastidio... Sicuramente
quelle erano donne più istruite ed educate di lei, erano
lady di
nascita e lei lo era diventata per caso e nemmeno le riusciva troppo
bene esserlo, ma in fondo era maleducato ostentare quella differenza
fra loro. Deglutì, cercando di far del suo meglio per essere
o
sembrare accomodante. "Spero vi troverete bene nella nostra
casa. Benvenute".
Elizabeth
Poldark abbozzò un sorriso tirato, puramente di cortesia.
"E'
un piacere essere quì, mia cara".
Era
gentile, una gentilezza finta che Demelza colse subito, ma
apprezzò
comunque l'impegno. "Il piacere è tutto mio".
Falmouth
e Hugh non colsero quelle sottigliezze e quelle battaglie silenziose
fra donne, come spesso succedeva agli uomini che di certo sapevano
essere esperti di tattiche belliche di sfondamento ma erano in
difetto su tattiche più... sottili.
Falmouth
rise, compiaciuto dal fatto di essere circondato da giovani donne e
di essere al centro dell'attenzione. "Bene, vado a dare il
benvenuto agli altri ospiti. Ho visto anche quella vecchia volpe di
Basset con sua moglie e benché mi siano indigesti come il
mal di
denti, suppongo di dover andare a salutarli. E nel mentre
potrò
cercare i vostri due adorabili accompagnatori che al momento sfuggono
alla mia vista" – disse con aria furba, rivolto alle due
donne
Poldark.
Elizabeth
sospirò, guardandosi attorno. "Mio marito è
laggiù, al tavolo
dei buffet" – osservò, sconsolata, indicandolo.
Demelza
e Hugh guardarono nella direzione indicata dalla donna. Un uomo dai
capelli chiari, dallo sguardo pulito e dal viso simpatico stava
gustando dei gamberetti mentre scambiava convenevoli con un altro
ospite. Aveva un modo di fare più gioviale di sua moglie,
pensò
Demelza, e di certo doveva essere più gentile ed affabile di
lei.
Non li conosceva ma a prima vista le sembrò la coppia
più
scombinata e mal assortita del mondo.
Falmouth
prese Elizabeth Poldark sotto braccio per avvicinarsi al marito di
lei e Constanze e Ruth si spostarono in un altro lato della sala,
desiderose di non darle troppa confidenza. Rimase solo Verity
Poldark, impacciata e incapace di fare alcunché, da sola.
Demelza
provò istintiva simpatia per lei. In fondo non dovevano
essere
troppo simili i loro sentimenti, in quel momento. Solo che lei aveva
accanto Hugh mentre Verity era sola e senza nessuno a cui
appoggiarsi. "Fa paura, vero?" - le chiese.
Verity
sussultò. "Cosa?".
"La
festa... Le feste in generale... Ci si sente sempre un pò
spersi".
Verity
arrossì. "Non sono abituata a partecipare a delle feste e
sì,
mi sento un pò il brutto anatroccolo della situazione".
Demelza
prese una coppa di vino che portava un servitore, porgendogliela.
"Questo aiuta, quando ci si sente dei brutti anatroccoli".
Verity
la osservò incuriosita. "Oh, dubito che voi possiate
sentirvi
così. Siete talmente bella".
Demelza
arrossì perché le parole di Verity erano di certo
più sincere e
vere di quelle di Elizabeth di poco prima. "Credo di sentirmi la
più inadatta padrona di casa del mondo. Ma poi la festa
finirà e
passerà".
Hugh
le cinse la vita. "Mia moglie è modesta e vi assicuro che
non
mente quando parla così. Le feste la terrorizzano,
è un dato di
fatto. Che non comprendo ma a cui mi adeguo...".
Verity
sorrise loro, sentendosi forse meno a disagio. "Siete davvero
due padroni di casa meravigliosi. Sapete come far mettere a proprio
agio un ospite e la casa e il party sono degni del vostro nome".
Demelza
fece per risponderle ma vedendo Blamey che si avvicinava, un pesce
fuor d'acqua quanto Verity, decise che forse forse... A suo marito
piaceva, sembravano entrambi spersi come pesciolini fuor d'acqua e
magari potevano farsi compagnia. Lanciò un'occhiata a Hugh
che però
il marito non captò. "Tesoro, che ne diresti di presentare
il
tuo amico a Miss Verity? Credo che potrebbero tenersi compagnia a
vicenda stasera".
Verity
avvampò ma non ebbe tempo di battere in ritirata.
Hugh,
completamente all'oscuro delle manovre della moglie, introdusse
l'amico. "Miss Verity, vi presento uno dei miei amici più
cari,
il capitano Andrew Blamey. Capitano, vi presento Miss Verity
Poldark".
L'uomo,
impacciato, si tolse il cappello. "E' un onore, signorina".
"E'
un onore mio".
"Posso
avere l'onore di offrirvi qualcosa da bere o siete impegnata?".
Verity
avvampò, impacciata e goffa, dimostrando di non essere molto
esperta
in questo genere di cose. "Ma no, nessun impegno. Mi farà
piacere la vostra compagnia".
Blamey
la prese sottobraccio, salutò e con lei si
avvicinò al tavolo dei
buffet dove già stava Falmouth che teneva banco in una lunga
e
filosofica discussione con Basset e Francis Poldark.
Gli
occhi di Demelza brillavano, aveva sistemato per la serata due anime
sperse e si sentiva davvero un pò meno impacciata come
padrona di
casa. Ma la sua gioia non durò a lungo. Falmouth, accanto a
Francis
Poldark, chiamò a se Hugh e lui, pur a malincuore, dovette
allontanarsi da lei e lasciarla sola.
Ed
ora arrivava la parte che più odiava dove era era lei a
sentirsi
spersa. Nella sua stessa casa! "Giuda..." - borbottò,
prendendo a sua volta una coppa di vino. Era arrivato il momento di
averne bisogno!
Si
guardò attorno e vide che tutti, più o meno,
conversavano e
brindavano tranquilli, in una atmosfera elegante ma rilassata ed
informale. E quindi poteva anche battere in ritirata sul grande
balcone che dava sul giardino per stare un pò in pace a
bersi il suo
vino e ritrovare in lui il coraggio per tornare dentro a fare la
padrona di casa.
Uscì
di soppiatto, temendo che Falmouth la vedesse e la richiamasse
dentro, e appena fuori una leggera e fresca brezza serale la fece
rabbrividire.
Si
avvicinò al davanzale, sorseggiò un pò
di vino e poi vi appoggiò
il bicchiere mezzo pieno.
E
mentre osservava il suo splendido giardino, di cui si prendeva
personalmente cura, mentre in quei fiori cercava di ritrovare pace e
coraggio, avvertì un movimento furtivo accanto a lei,
nell'oscurità.
Demelza
sussultò, imprecando fra se e se. Giuda, pensava di essere
sola!
Si
voltò lentamente, osservò meglio e
nell'oscurità, nell'angolo più
buio della balconata, notò un giovane uomo dai capelli scuri
e dal
fisico prestante che se ne stava rintanato come lei, lontano da tutto
e tutti. Era un tizio strano, ben vestito e dotato di uno strano e
selvaggio fascino, pensò, acuito dal buio che lo circondava.
Ma
soprattutto, fascino a parte, si chiese... "E voi chi diavolo
siete?" - domandò di getto, dimenticandosi per un attimo le
buone maniere, piccata di non poter godere nemmeno un attimo di
solitudine.
L'uomo
la osservò, stupito, come se si fosse accorto solo in quel
momento
della sua presenza. "Uno che è quì per caso,
contro la sua
volontà, dopo aver ricevuto un invito di cui avrebbe fatto
volentieri a meno".
Demelza
avvampò. Giuda, era un suo ospite! Aveva dimenticato che la
sua casa
ne era piena in quel momento!!! "Ohhh, scusate i miei modi... Mi
avete spaventata" – balbettò, rossa in viso come
un pomodoro
maturo.
Lui,
non muovendosi di un passo, si poggiò al muro. "Oh, non
sentitevi in imbarazzo! Potete tornare ai vostri pensieri e al vostro
vino, non ho intenzione né di disturbarvi né
altro. Sto solo
cercando una via di fuga a tutto questo, in attesa di poter tornare a
casa".
Lei
si sentì in un certo senso risentita. "La festa non
è di
vostro gradimento?".
"Nessuna
festa lo è".
Beh,
quanto meno avevano qualcosa in comune... "Posso sapere il
vostro nome?".
"Perché
volete saperlo?".
"Perché
sono Demelza Armitage, la padrona di casa, e questo è il mio
balcone". Al diavolo le buone maniere, quel tizio non sembrava
esserne particolarmente avvezzo e quindi non lo sarebbe stata nemmeno
lei.
L'uomo
spalancò gli occhi, come se non avesse nemmeno preso in
considerazione quella eventualità. "Oh... La moglie di...
Del
nipote di Falmouth?".
Lei
sorrise, sarcastica. "Sì, in persona. Scommetto che ora
direte
che avete sentito già parlare di me e immagino anche in
quali
termini".
L'uomo,
fino a quel momento sprezzante, sembrò in imbarazzo e
difficoltà.
"Ha importanza?".
"Suppongo
di no. Ma non mi avete ancora detto chi siete" – gli fece
notare lei.
L'uomo
sospirò, rendendosi conto che non poteva fare a meno di
presentarsi.
"Mi chiamo Ross Poldark e sono certo che anche voi avrete
sentito già parlare di me in termini poco lusinghieri".
Demelza
spalancò gli occhi, ecco chi era! E così era lui
l'uomo su cui
puntava il capofamiglia del Boscawen? Cosa si diceva...? Impossibile,
uno spirito ribelle ed indomabile, uno che non conosce le buone
maniere... Decisamente non erano solo voci, pensò
ironicamente ma in
fondo divertita da quello strano battibecco fra di loro. "Ha
importanza, come vi descrivono?" - chiese, ripetendo quanto da
lui detto poco prima.
Stranamente,
Ross Poldark parve sorridere davanti alla sua irriverenza.
"Assolutamente no!".
Demelza
gli si avvicinò di alcuni passi. "In effetti sì,
ho sentito
parlare di voi. In realtà è un pò una
moda pronunciare il vostro
nome in questa casa, di questi tempi. Siete l'ossessione politica di
Lord Falmouth".
Ross
alzò la testa al cielo, guardando distrattamente le stelle.
"Spero
che questa moda sia passeggera e che Falmouth volga presto altrove le
sue mire".
"Non
credo che lo farà. E' testardo".
Ross
allargò le braccia. "Io più di lui. Dicono che
sia furbo come
una volpe in politica, ma onestamente, scegliendo ME, sta
dimostrandosi folle".
Demelza
lo fissò, considerando che probabilmente aveva anche ragione
e
Falmouth doveva essere impazzito. Eppure qualcosa in lei le suggeriva
che quell'uomo tanto fuori dagli schemi era unico e che sotto
quell'apparenza di persona sgradevole e diretta, si nascondeva un
personaggio dall'intelligenza acuta e singolare. "Falmouth non
è
folle. Ed è una brava persona".
"Ma
io no!" - rispose lui, sicuro.
"Ne
sembrate compiaciuto...".
Ross
sorrise ancora. "Un pò".
Santo
cielo, come rispondere a uno così?! Era un uomo davvero
impossibile
questo Ross Poldark! "Siete alla sua festa e Falmouth vi
scoverà
comunque, non gli sfuggirete rifugiandovi su questa balconata".
Ross
le si avvicinò di alcuni passi, fino ad arrivare viso a
viso. E da
vicino, a Demelza sembrò ancora più selvaggio ed
affascinante,
tanto da sentirsi le guance andare a fuoco e lo stomaco gorgogliare.
"E
voi? Da cosa vi nascondete, mia signora?".
Deglutì,
santo cielo, improvvisamente sentì di andare a fuoco e il
tono caldo
della voce di quel tizio sembrò avere uno strano effetto su
di lei,
superiore persino a quello del vino. "Non sto scappando" –
rispose, risentita come se fosse stata una bambina beccata con le
mani nel barattolo di marmellata.
"Siete
la padrona di casa" – la rimbeccò lui –
"Il vostro
posto è la dentro e non qua fuori a bere vino".
Lei
riprese forza e coraggio, restituendogli lo strano sguardo di sfida
che lui le aveva lanciato. "Vi ha mai detto nessuno che siete
arrogante?".
"Mi
hanno detto di peggio".
"Lo
immagino" – ribadì lei, più divertita
che risentita, da
quella strana disputa.
Lui
sorrise, di nuovo, forse divertito quanto lei.
E
in quel momento la voce di Hugh raggiunse entrambi. "Tesoro,
finalmente ti ho trovata. E ho trovato anche...?" - chiese,
osservando il suo ospite.
Demelza
si affrettò a presentare il nuovo venuto, un pò
scossa dall'arrivo
di suo marito che, si rendeva conto, in un certo senso aveva spezzato
inopportunamente quella strana disputa che si stava divertendo a
portare avanti. "Ross Poldark! L'uomo su cui punta tuo zio.
Signor Poldark, vi presento mio marito Hugh Armitage".
Hugh,
felice e all'oscuro dei sentimenti della moglie, porse la mano al
nuovo arrivato. "Oh, finalmente ho il piacere di conoscervi.
L'uomo che mio zio vorrebbe al suo fianco in Parlamento dev'essere
una gran persona. Ero curioso di incontrarvi dopo aver tanto sentito
parlare delle vostre gesta".
Ross
le lanciò una breve occhiata che Demelza non seppe
interpretare, poi
tornò a parlare con Hugh. "L'uomo che Falmouth vorrebbe al
seggio che dovrebbe spettare a VOI" – disse, rimarcandolo
senza farsi problema. "L'uomo sbagliato, senza ombra di dubbio"
– concluse.
Hugh
rise. "Mio zio non sbaglia mai il cavallo su cui puntare. Io
valgo poco, non sono adatto a Westminster, ma voi mi sembrate
battagliero e promettente. E dicono grandi cose sulle vostre gesta".
Ross
alzò il sopracciglio, incuriosito. "Vediamo! Che dicono? Ho
rischiato il cappio più di una volta, fatto a botte e pugni
nelle
peggiori locande di Cornovaglia, sono pieno di debiti e pare di aver
avuto anche qualche guaio con la guardia costiera per dei problemi di
contrabbando" – concluse, ironicamente.
Hugh
spalancò gli occhi e Demelza dovette trattenersi
dall'esclamare un
'GIUDA' che avrebbero sentito fino a Illugan. Ma al contrario suo,
suo marito sembrò riprendersi più in fretta da
queste esternazioni.
"In realtà, pare che siate una brava persona e un amico
fidato
per i vostri minatori, con cui lavorate fianco a fianco
instancabilmente. Potreste fare grandi cose per loro a Londra".
Ross
gli batté irrispettosamente la mano sul braccio. "Non
conosco
le buone maniere per chiedere ed ottenere con educazione, il mio
problema è quello".
"Siete
un filantropo" – insistette Hugh. "Con qualche piccolo
accordo e della sana mediazione...".
Ross
lo interruppe. "Non so mediare e non intendo farlo. Mi tengo le
mie idee, i miei fallimenti e i miei eventuali successi".
Hugh,
deciso a combattere almeno quella battaglia per suo zio, insistette.
Osservò Demelza e poi Ross e poi ancora Demelza. E gli venne
un'idea. "Anche mia moglie ha un animo caritatevole quanto voi,
sapete?".
Demelza
sussultò e lo guardò come se fosse impazzito. Che
diavolo aveva in
mente? "Hugh...".
Ma
Hugh, fingendo di non sentirla, proseguì. "Sì,
proprio stasera
mi ha parlato di un progetto finalizzato ad aiutare i bimbi poveri di
Truro. Vorrebbe costruire una scuola in città e sono sicuro
che da
politico, potreste gettarvi con noi in questa impresa che di certo ai
vostri occhi, per la vostra gente, sarà gradita".
Ross
osservò di nuovo Demelza, stavolta con meno arroganza e con
più
curiosità. "Una scuola? Che farete, feste di beneficenza in
cui
raccogliere fondi? Una lady di solito fa così...".
Demelza
strinse i pugni, irritata da quella strana aria di
superiorità che
lui esternava e che svegliava in lei una forte voglia di competere
che mai le era appartenuta. "Non ho bisogno di feste di
beneficenza per raccogliere fondi, abbiamo abbastanza denaro per fare
da soli".
Ross
annuì. "Vero, e questo accrescerà la fama di
Falmouth verso i
suoi elettori. Siete scaltra, mia signora".
"Non
lo faccio per questo!" - sbottò lei, irritata, maledicendosi
per essere andata su quella balconata.
"Lo
fate perché siete annoiata?" - insistette ancora lui,
squadrandola come se non aspettasse altro che una sua risposta.
Lei
sospirò, intraprendere una guerra di nervi non era nelle sue
intenzioni e in fondo, che importava? Non doveva dimostrare nulla a
quel Ross Poldark e l'unica cosa importante era dare un futuro a
bambini che non lo avevano. "Lo faccio perché quei poveri
innocenti possano avere una vita meno disperata di quella dei loro
genitori. Se sapessero leggere e scrivere, forse potrebbero scegliere
altro nella vita, che non sia il duro lavoro in miniera".
Ross
rimase per un attimo in silenzio, poi annuì e per la prima
volta usò
un tono più gentile, come se nonostante tutto le avesse
creduto. "Vi
auguro che possiate riuscire in questo intento" – disse,
avviandosi vero l'ingresso in sala.
Hugh
lo richiamò. "La aiuterete?".
Ross
scosse la testa. "Come vi ho detto, ho la mia miniera a cui
pensare. E poi non vi siete accorto che vostra moglie è una
donna
che sa cavarsela da sola e che non ha bisogno di nessuno?" -
disse, guardando prima lui e poi, intensamente, lei.
Hugh
rimase senza parole e forse avrebbe voluto chiedere di più.
Ma era
Demelza che non si sentiva in grado di parlare e, si rese conto, si
sentiva anche un pò strana. C'era stata una strana energia
nell'aria, non del tutto piacevole a tratti, ma ora che tutto era
tornato calmo e Ross Poldark se n'era andato, si accorse che avrebbe
desiderato portare avanti quel battibecco ancora un pò.
"Vuoi
concedermi l'onore di un ballo?" - domandò al marito, per
chiudere ogni discorso e portare i suoi pensieri altrove.
Hugh
annuì e la accontentò, come sempre. Ma anche lui
aveva percepito
qualcosa di strano che, come sua moglie, non riuscì ad
identificare.
Entrarono
in sala, le cinse la vita e quando l'orchestra prese a suonare,
diedero il via alle danze.
...
Nella
carrozza che li riportava a Trenwith e Nampara, Verity chiacchierava
allegramente dell'esito della festa. "E' stato così
piacevole.
E la padrona di casa, Lady Boscawen, è la dimostrazione
vivente che
non si dovrebbe mai credere alle voci su qualcuno prima di averlo
conosciuto di persona. E' una ragazza talmente dolce e gentile...".
Elizabeth
sventolò il suo ventaglio, irritata, mentre Francis che ne
comprendeva gli umori, sbuffò.
"L'hanno
addestrata bene ma si vede che è una campagnola. Quella
pettinatura
e quel vestito tanto semplici non si addicono a una lady che
organizza in casa sua una festa del genere. Non trovate?".
Annoiato,
Francis sbuffò di nuovo. "Io Elizabeth a dire il vero, come
Verity, l'ho trovata deliziosa... Soprattutto in confronto a molte
delle altezzose dame presenti...".
Elizabeth,
a quelle allusioni, lo fulminò con lo sguardo e poi
cercò
l'attenzione di Ross. "E tu? Non dici nulla?".
Lui
sospirò, appoggiandosi con la testa al finestrino. "Sono
sfuggito agli agguati di Falmouth, giudico la serata un successo".
"Dipende
dai punti di vista..." - borbottò sardonico Francis.
"E
che ne dici del resto?" - insistette Elizabeth.
Il
resto... Ross sapeva bene a cosa lei si riferisse ma non
trovò le
parole per risponderle. Ripensò a quel viso pulito, a quella
strana
disputa avuta sul balcone, a come dopo molto si fosse sentito vivo
nel provocarla e nel provocare le sue reazioni, all'interesse che lei
aveva suscitato in lui e che non riusciva a spiegarsi. E soprattutto
pensò a quei lunghi, meravigliosi capelli rossi che sarebbe
stato un
delitto racchiudere in una qualche acconciatura ricercata. Non aveva
mai visto capelli rossi tanto belli... Ecco, se proprio avesse dovuto
dire qualcosa, quella era l'unica che gli veniva in mente.
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Capitolo 5 *** Capitolo cinque ***
Falmouth,
deluso dal fatto che la sua cena non avesse sortito gli effetti
sperati con Ross Poldark, era stato meditabondo e silenzioso per
giorni. Ombroso, cupo ma comunque deciso a non arrendersi nel
raggiungimento della sua meta visto che ancora le elezioni erano
relativamente lontane e di tempo per recuperare ne aveva a
sufficienza, si era aggirato a lungo per casa, giorno dopo giorno,
meditabondo e perso nei suoi pensieri.
Demelza
e Hugh gli avevano parlato del progetto della scuola di Truro il
giorno dopo il ballo, durante il pranzo, e Falmouth senza quasi stare
a sentirli aveva borbottato un sì su tutto, compreso
l'impiego di
Demelza come insegnante supportata da Hugh, e aveva ripreso a
mangiare senza fare obiezioni.
Poi
di notte doveva averci pensato e il mattino dopo erano giunte le
prime rimostranze. Nonostante approvasse il progetto che avrebbe
gettato sui Boscawen una buona luce, non era per niente d'accordo
sull'impiego diretto dei suoi eredi. Che avrebbe pensato la gente?
Che erano diventati improvvisamente poveri, tanto da aver bisogno di
lavorare come le persone del popolo?
No,
no e ancora no!
E
solo dopo lunghe discussioni Falmouth aveva abdicato, dettando
però
regole precise: Demelza poteva recarsi alla scuola, come
rappresentante dei Boscawen per controllare che tutto funzionasse al
meglio, solo due volte a settimana. Avrebbe potuto assistere alle
lezioni, rapportarsi ai bambini, anche dare una mano in piccole cose
ma il ruolo d'insegnante doveva essere ricoperto da qualcun altro. E
soprattutto il ruolo di Hugh nella scuola, a sostegno dell'opera
finanziata dai Boscawen, doveva essere ancora più marginale.
Una
visita ogni tanto, magari due parole sulla poesia coi bambini in
qualche lezione speciale, ma nulla più... Loro dovevano
rimanere i
padroni e controllori e altri dovevano, ufficialmente, svolgere il
lavoro.
Demelza
e Hugh dovettero accettare, la prima perché non aveva scelta
e
comunque avrebbe potuto partecipare attivamente alla vita della
scuola due volte a settimana e il secondo perché di fatto, a
parte
il desiderio di far felice sua moglie, non aveva una così
pressante
voglia di portare a termine quel progetto che continuava a ritenere
piuttosto inutile.
Nelle
settimane seguenti, sbrigate le incombenze burocratiche, erano stati
Demelza e Lord Falmouth a scegliere gli operai che avrebbero portato
a termine la ristrutturazione della scuola. Hugh, che era tornato
preda di violente emicrania, rimase più in disparte in
quella fase e
tutto ciò di cui veniva a conoscenza, era ciò che
gli raccontava
sua moglie.
Molto
spesso al mattino presto Demelza, dopo colazione, usciva a cavallo
con la scusa di controllare i lavori e si era anche spinta, ogni
tanto, a lavorare con martello e assi, indicando agli operai come
avrebbe voluto questo o quello. Era qualcosa che amava, il lavoro
manuale la faceva sentire viva e soprattutto utile e quando vedeva
qualcuno faticare, difficilmente riusciva a stare a guardare con le
mani in tasca. Era qualcosa che era costretta a fare a casa, ma a
Truro, quando ci si recava da sola, si sentiva più libera di
essere
se stessa e dentro al cantiere sarebbero stati pochi gli occhi
indiscreti che potevano osservarla e poi tradirla con voci poco
lusinghiere. Certo, c'erano gli operai, ma li aveva scelti lei e fra
loro vigeva un clima cameratesco di supporto e segreti reciproci. Non
poteva dire di lamentarsi della sua esitenza dopo il matrimonio, era
bella la sua nuova vita, comoda. Ma decisamente troppo statica per la
sua anima vivace e ogni tanto aveva bisogno di ricordare a se stessa
chi fosse veramente Demelza Carne.
Di
solito andava a dare un occhio al cantiere nel fine settimana, quando
impegni, ospiti ed obblighi calavano e la casa era più
tranquilla.
Le domestiche erano più libere di seguire Hugh se non si
sentiva
bene, anche in sua assenza a suo marito non sarebbe mancato nulla e
lei poteva recarsi a Truro senza fretta e in assoluta liberà.
Il
quarto sabato mattina dall'inizio del lavori, quando gli operai
avevano già carteggiato i muri, sistemato le assi dei
pavimenti e
iniziavano a lavorare con la calce e lo stucco, Lord Falmouth
insistette per recarsi insieme a lei a Truro per controllare lo stato
dell'opera e soprattutto perché aveva un appuntamento col
suo
banchiere.
Demelza,
costretta dalla presenza di Falmouth, quella mattina usò la
carrozza
e quando giunsero a Truro, poco prima delle dieci, diede
l'appuntamento al Lord direttamente al cantiere, una volta che avesse
terminato il suo incontro in banca.
Col
suo abito rosso, si diresse verso quella che sarebbe diventata una
scuola. E appena lì, dopo aver salutato gli operai che ormai
considerava amici, si nascose dietro a delle asssi, si tirò
su le
maniche e poi si legò i capelli in una coda di cavallo per
essere
comoda. Uno stile da campagnola più che da signora, ma
essere una
lady perfetta, se si dovevano compiere lavori manuali, era
decisamente scomodo.
Aiutò
a spostare alcune assi, controllò con gli operai i disegni,
pulì
alcune finestre e alla fine si divertì anche a passare della
calce
sulla parete. Lavorò un paio d'ore ma quando si accorse che
era
quasi mezzogiorno e Falmouth poteva arrivare da un momento all'altro,
dovette darsi una scrollata dalla polvere, una sistemata e poi corse
giù, sulla strada, sperando di non trovare già
lì il lord.
Ma
fu fortunata, la strada era ormai quasi deserta, tutti erano
rientrati per il pranzo e lei aveva tempo di prendere fiato. Si
appoggiò alla parete del fabbricato, lasciò che
l'aria fresca e il
sole le accarezzassero il viso e per un attimo provò pace e
soddisfazione per quanto stava costruendo, anche se le precarie
condizioni di Hugh nelle ultime settimane erano un'ombra che sempre
incombeva su di lei.
Improvvisamente
sentì avvicinarsi dei passi e lei si mise dritta, pensando
che
Falmouth ormai fosse arrivato.
Ma
non era lui...
Demelza
spalancò gli occhi quando vide di chi si trattava,
ricordando la
conversazione strana, sconvolgente ma anche divertente avuta con quel
tizio quasi due mesi prima. Non ci aveva più pensato, si era
imposta
di non farlo perché ogni volta che il pensiero le cadeva
lì, si
sentiva strana e questo non le piaceva affatto. Ma trovarselo davanti
così, a sorpresa, le fece ricordare ogni cosa si fossero
detti, come
si fosse sentita e le provocò un brivido lungo la schiena.
"Ross
Poldark?".
L'uomo,
vestito con abiti piuttosto vecchi ma comunque abbastanza eleganti,
la osservò come di solito, forse, si dovrebbe guardare
all'apparizione di un fantasma. Era palese che nemmeno lui si
aspettasse quell'incontro. "Lady Boscawen?". La squadrò
dalla testa ai piedi, osservò poi l'edificio in
ristrutturazione con
sguardo attento e poi tornò a guardare lei con un sorriso
beffardo
sul viso. "Lo state facendo davvero, allora?".
Lei
sostenne con sfida il suo sguardo altezzoso. "Ne dubitavate e
volevate accertarvi che non scherzassi?".
Ross
cercò con scarso successo di mascherare una risata. "Ah, non
datevi tutte queste arie lady Boscawen, in realtà ero certo
che i
lavori sarebbero stati portati avanti a tutti i costi da quel volpone
di Lord Falmouth che di certo non vorrà perdere questa
opportunità
di farsi vedere, in vista delle elezioni... Per quanto mi riguarda,
sono in città per incontrare dei creditori della mia
miniera, non
certo per voi e per interesse nei vostri progetti. Ma mi fa piacere
vedere che stanno procedendo, di certo sarà
un'opportunità in più
per i figli di coloro che ci crederanno e vorranno dargli la
possibilità di studiare".
Il
discorso fatto da Poldark era iniziato in modo irriverente ma il suo
tono, nel finale, si era fatto più serio e distaccato.
Demelza lo
colse subito... "Non ne avete molta fiducia, vero?".
Lui
scosse la testa. "Conoscete come ragionano i minatori e i
poveri, suppongo. La pagnotta in tavola viene prima di ogni altra
cosa. Non saranno molti i bambini che studieranno ma anche se saranno
pochi, credo che per quei pochi valga la pena terminare quest'opera".
"Spero
che abbia più successo di quanto ci aspettiamo" –
asserì
lei, pensierosa.
Ross
tornò a guardarla con fare beffardo. "E voi? Una lady non si
limita di solito a fornire denaro e a finanziare un'opera con feste
di beneficenza?".
Demelza
rise. "Beh faccio anche quello, ma oggi ho solo dato un'occhio
che tutto andasse bene".
Ross
le si avvicinò senza che lei potesse impedirle di farlo,
allungò
una mano e le sfiorò una guancia su cui era rimasto
incrostato un
filo di cemento. "E questo?" - chiese, levandoglielo con un
dito.
Demelza
avvampò e in un attimo pensò mille cose. Che era
un maleducato, che
era irrispettoso, che non conosceva affatto le buone maniere... Che
la sua mano era così calda a differenza di quella di Hugh...
Il suo
tocco talmente veloce e leggero parve darle una scossa talmente forte
da farla tremare dalla testa ai piedi e il suo cuore... Santo cielo,
le martellava nel petto e se quel tizio se ne fosse accorto, sarebbe
morta di vergogna. Di scatto indietreggiò. "Siete un
villano,
lo sapete?".
"Sì,
ne sono consapevole" – rispose lui, stranamente assorto,
guardandosi la mano con cui l'aveva sfiorata, apparentemente scosso
quanto lei per quanto aveva fatto. "Ma... Ma vi ho fatto un
favore, Falmouth avrebbe reagito in altro modo e vi ho salvata appena
in tempo" – disse, indicando il fondo della strada da dove il
lord, con passo veloce, stava infine giungendo.
Demelza
fu presa dal panico. "Giuda!". Istintivamente diede una
spinta a Ross verso il piccolo vicolo a fianco del cantiere, lo
oltrepassò e si nascose dietro di lui. "Non muovetevi!".
"Perché?"
- chiese Poldark, confuso. Ma poi capì...
Dietro
di lui, celata alla vista, Demelza si sistemò le maniche del
vestito, si scrollò di nuovo di dosso la polvere residua, si
toccò
il viso per controllare che non fosse ancora sporco e poi,
soprattutto, sciolse i suoi lunghi capelli, acconciandoseli poi alla
buona con le mani. La coda di cavallo era una cosa da bambine o da
contadine, Falmouth non avrebbe approvato se l'avesse trovata
così.
Ross
rise, osservandola con la coda dell'occhio. "Oh, tornate ad
essere donna?!".
"Che
volete dire?".
"Che
dimostravate si o no dodici anni, fino a due secondi fa".
Demelza
lo oltrepassò di nuovo, tornando sulla via principale.
Falmouth era
ormai a soli cento passi, forse anche meno. "E' un complimento o
cosa?".
"Nè
un complimento, né altro. Un semplice dato di fatto..." -
rispose lui, mettendosi a pensare però, contro la sua
volontà, che
con quella coda era quanto di più grazioso avesse visto
negli ultimi
tempi. Era una ragazza giovanissima, poteva avere al massimo
vent'anni ma aveva in sé sia la grinta di una giovinetta
quattordicenne, sia il fascino di una donna ormai fatta. Lo
confondeva e quando la vedeva, anche se non era successo che un paio
di volte, il suo stuzzicarla e provocarla non era che un modo goffo e
forse infantile per non farle percepire come si sentisse. In
realtà
nemmeno sapeva cosa lo incuriosisse tanto di lei, non era decisamente
il suo tipo, eppure era talmente unica nel suo genere che non
riusciva a non colpire chiunque lei incontrasse. E, insistentemente,
si chiese che ci facesse una persona così vitale come lei
con un
damerino come Hugh Armitage... "Comunque..." - le disse,
riprendendo possesso delle sue facoltà – "ora mi
dovete un
favore".
Lei
lo guardò storto. "Perché?".
Ross
tornò a guardarle i capelli mentre, come due scolaretti
sull'attenti, aspettavano Falmouth sul ciglio della strada. "La
coda di cavallo" – bisbigliò sotto voce.
Demelza
alzò gli occhi al cielo ma non rispose. Non fece in tempo...
Falmouth
giunse davanti a loro, stranamente contento ed eccitato e il motivo
non era certo la scuola. "Poldark! Che sorpresa! Non abbiamo
più
avuto vostre notizie dalla festa del mese scorso a casa mia...".
Ross
alzò le spalle. "Non credevo di dovervi dare notizie. Ma
come
vedete, sto bene!".
Falmouth,
col suo sguardo da volpe, si grattò il mento. "Lo vedo, lo
vedo... Che vi porta quì?".
"Affari".
"Avete
visto come viene su bene la nostra scuola?".
Ross
annuì, ridendo sotto i baffi. L'unica che sembrava tenerci
davvero
era Lady Boscawen, per Falmouth quella scuola non era che un
tentativo di accaparrarsi dei voti, ma decise di stare al gioco. "Lo
vedo e la trovo una cosa davvero utile. Complimenti per l'idea".
Falmouth,
tronfio d'orgoglio, osservò Demelza. "L'idea, devo
ammettere,
viene da questa graziosa lady".
"Mi
compiaccio" – rispose Ross, con un leggero inchino verso di
lei che Demelza colse, divertita, come molto beffardo verso Falmouth.
E
decise di contrattaccare. "Devo un favore al signor Poldark!"
- disse, fiera di aver trovato un modo per mettere Poldark al muro e
ricacciargli indietro il suo sarcasmo, ripagandolo con la stessa
moneta.
Falmouth
si accigliò. "Un favore?".
Demelza
sorrise, ammagliante. "Sì, diciamo che riguardo ai lavori
alla
scuola... mi ha evitato qualche guaio dandomi... una mano...".
Ross
la osservò senza capire, ma consapevole di essere forse in
trappola
senza saperne il motivo. "Oh nulla di che! Si sta facendo tardi
e credo di dover andare". Il suo istinto gridava che, se era
furbo, doveva correre subito via di lì.
Ma
Demelza finse di non sentirlo e fu più veloce. "Dovremmo
invitare il signor Poldark a un pranzo da noi. Una cosa tranquilla,
di famiglia, per ringraziarlo e magari per renderlo partecipe dei
lavori della scuola".
Ross
la fissò, pensando che in quel momento l'avrebbe volentieri
sculacciata come si fa con le bambine dispettose. "Ahhh, io non
ambisco a tanto e la scuola viene su benissimo solo con le vostre
forze...".
"Ma
io insisto, un debito di riconoscenza è un debito di
riconoscenza..." - rispose la donna, sbattendo civettuosamente
le palpebre.
Falmouth
prese la palla al balzo, rendendosi conto che in Demelza aveva
trovato un'ottima ed infallibile alleata. "Sono d'accordo, un
bel pranzo fra noi! Vi aspetto sabato prossimo a mezzogiorno!" -
disse con tono di ordine, col classico modo di fare di chi non
accetta repliche. "Farò cucinare del montone condito con
dell'ottimo miele! E patate al forno con pancetta! E per dolce, crema
di mele e limoni con biscotti di zenzero. E per l'occasione apriremo
una buona bottiglia di vino, annata 1784, anno d'oro per la
produzione vinicola!".
Ross
impallidì, preso alla sprovvista da quel fiume di parole.
"Ecco...".
"Sarete
puntuale, vero?".
"Lo
sarà" – rispose Demelza al suo posto, lanciando
uno sguardo
di sfida a Ross.
Lui
sospirò, vinto, rassegnato e vagamente desideroso di
sculacciarla,
di nuovo. Certo, se avesse voluto, con la sua migliore faccia tosta e
i suoi peggiori modi di fare, avrebbe potuto dire di no. Ma questo
sarebbe stato preso come una fuga da Lady Boscawen e lui non si
sarebbe sottratto alla sfida che quella impertinente ragazzina gli
aveva lanciato. "Puntualissimo!" - disse, sicuro, lanciando
figurativamente il guanto della sfida.
Falmouth,
tutto soddisfatto ed ignaro delle dinamiche fra i due,
indietreggiò.
"Ottimo, ottimo! Vado a chiamare il cocchiere e vengo a
prenderti quì con la carrozza, mia cara. Il sole
è troppo alto a
quest'ora e camminare potrebbe stancarti".
"Certo!"
- rispose lei, con finta innocenza.
"A
sabato prossimo, signor Poldark" – rispose infine Falmouth
prima di andarsene.
Quando
fu abbastanza lontano, Ross si voltò verso di lei,
indispettito.
"Voi siete pessima, lo sapete?".
"Sì,
ne sono consapevole. Ma vi dovevo un favore, no?".
Ross
le si avvicinò, fronteggiandola. "Ora me ne dovrete DUE!".
"Me
ne ricorderò".
"Farete
bene a farlo!".
Lei
rise, civettuola. "Oh, su! Un invito a pranzo non è una
condanna al patibolo!".
"Con
vostro zio che tenterà di portarmi senza sosta fra le maglie
della
politica?"
"Potete
sempre dire di no! O nascondervi sul balcone, come avete fatto al
ballo" – fece osservare lei, prendendolo in giro.
"Dubito
di riuscire a farlo, in un informale pranzo di famiglia con pochi
commensali".
Lei
esibì un sorriso furbo. "E allora, temo, dovrete sfoderare
tutte le buone maniere che avete appreso da piccolo. Per un paio
d'ore, dovreste riuscirci, no?".
Ross
stava per risponderle di sì, ma non ci riuscì.
Sarebbe stata una
palese balla! Nessuno era mai riuscito a farlo sembrare un damerino e
le buone maniere erano qualcosa di assolutamente lontano da lui per
la maggior parte del tempo. E quindi scoppiò a ridere. Di
buon
umore, come non gli succedeva da molto.
E
anche lei rise.
E
Ross, guardandola, si rese conto che quando rideva era ancora
più
bella di qualsiasi altro modo in cui l'avesse vista fino a quel
momento. Per un attimo osservò il suo sguardo pulito, la
risata
allegra, i modi di fare così anticonvenzionali ed in fondo
tanto
simili ai suoi, si trovò ad immaginare il lavoro manuale
fatto nel
cantiere poco prima e si rese conto di apprezzarla, in qualche
perverso modo. E che aveva voglia di pranzare con lei, contro ogni
logica.
Era
da quando era partito per l'America che non si sentiva tanto
leggero...
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Capitolo 6 *** Capitolo sei ***
La
mattina non era iniziata nel migliore dei modi e lo stato
d’animo
di Demelza era nervoso ed agitato.
Ma
il pensiero che fra poche ore sarebbe arrivato il loro ospite e che
quel pranzo per Lord Falmouth significava molto, la costrinse a
vestirsi, a sfoderare il suo migliore sorriso e ad affrontare la
giornata in maniera costruttiva anziché distruttiva.
Ma
rimaneva arrabbiata e mentre si vestiva, non erano infrequenti gli
sguardi torvi che di tanto in tanto le sfuggivano verso suo marito.
Difficilmente
lei e Hugh erano in disaccordo e ancor più rare erano state
le liti
fra loro, ma quella mattina qualcosa nell’atteggiamento di
suo
marito l’aveva indispettita oltre ogni misura. Da sempre Hugh
si
era dimostrato poco attratto dal lavoro di suo zio e il suo animo
poetico mai si era sottomesso ed adattato a questioni politiche e
finanziarie su cui basava la sua vita Lord Falmouth e che erano i
fondamenti del potere stesso del casato dei Boscawen.
Falmouth
aveva dovuto suo malgrado accettare il fatto che Hugh non avrebbe
seguito le sue orme e con l’arrivo della malattia, aveva
deposto
definitivamente ogni speranza su di lui. Tutto ciò che gli
chiedeva
era però una costante presenza, quanto meno, ai pranzi con i
suoi
illustri ospiti in modo da dare risalto all’unità
famigliare verso
l’esterno.
Ma
Hugh aveva sempre acconsentito mal volentieri a tutto questo e
l’aggravarsi dei suoi mal di testa l’avevano tenuto
isolato per
un po’, cosa che forse non gli era dispiaciuta troppo.
Questo
suo atteggiamento però aveva sempre indispettito Demelza che
di
certo diventava protettiva come una chioccia verso di lui quando
stava davvero male e si sentiva di concedergli qualsiasi cosa, ma mal
tollerava nei momenti di calma in cui suo marito le sembrava
spesso un bambino un po’ capriccioso. Era ben consapevole di
quanto
fossero fortunati, di quanto dovessero ringraziare Falmouth per il
benessere in cui vivevano, di quanto Hugh dovesse essere grato alle
ricchezze di famiglia per le ottime cure che riceveva e la irritava
questo suo volersi sottrarre ai pochi obblighi che gli erano
richiesti. Presenziare a un pranzo poco più che di famiglia
era poca
cosa, il minimo che potesse fare in un giorno in cui le sue
condizioni di salute non destavano preoccupazioni e il suo
atteggiamento di uomo che si avvia al patibolo avevano fatto
arrabbiare Demelza che quella mattina era sbottata, richiamandolo ai
suoi obblighi famigliari. Raramente succedeva e forse era la prima
volta che non si era trattenuta nei toni e da quel momento Hugh era
diventato taciturno e musone come un bambino.
Decise
di non farsi abbindolare ed intenerire, però.
Perché per quanto
fosse vero che Hugh la accontentava sempre in ogni richiesta, era
altrettanto vero che lo stesso faceva lei con lui. Ma qui non erano
lei o lui i protagonisti della scena, qui c’erano gli
interessi di
Lord Falmouth e l’attività di famiglia da tutelare
e visto quanto
ricevevano dallo zio senza dargli nulla in cambio e considerato che
suo marito stava bene, il minimo da fare era partecipare a un pranzo
– visto che comunque a mezzogiorno dovevano mangiare
– senza fare
troppe scene. E poi in fondo, da quel poco che conosceva Ross
Poldark, di certo non si sarebbe prolungato in cerimonie e in poco
tempo se ne sarebbe andato senza troppi fronzoli.
Finì
di vestirsi, legandosi in vita un abito verde non troppo ricercato ma
elegante il giusto per un pranzo informale. “Hai finito o hai
bisogno di aiuto con la camicia?” – chiese in tono
piatto al
marito, che stava finendo di vestirsi seduto sul bordo del letto.
“Posso
fare anche da solo”.
“Bene”.
Hugh
alzò lo sguardo su di lei. “Ti sei preparata in
fretta oggi,
sembri così eccitata per questo
pranzo…”.
Il
tono di voce vagamente accusatorio di Hugh non le piacque per niente
e servì ad irritarla ulteriormente. “Non mi pare
di essere
eccitata”.
Hugh
si alzò dal letto, oltrepassandola. “A me sembra
di sì! Mi
sarebbe piaciuto averti dalla mia parte, oggi. Ma evidentemente i
tuoi desideri migrano altrove”.
Demelza,
con un gesto stizzito, picchiò la spazzola sul ripiano della
toeletta. “Sono dalla tua parte, sempre! E dalla parte della
famiglia!”.
“Se
fossi stata dalla mia parte, non avresti organizzato questo pranzo
con Ross Poldark!”.
“Ho
colto la palla al balzo per tuo zio, quando ne ho avuto
l’occasione.
A tavola, a tu per tu, di certo avranno modo di parlare e
confrontarsi meglio che ad una festa piena di invitati”.
Hugh
aprì la porta, sbuffò e poi uscì,
sbattendola dietro di se.
“Certo, lo hai fatto per mio zio…”
– disse malignamente, con
la sua voce che evaporava come un soffio lungo il corridoio.
Demelza
scattò in piedi e la sua furia l’avrebbe di certo
spinta ad
inseguirlo nel corridoio per urlargli contro qualsiasi cosa gli
venisse in mente per quell’atteggiamento insensato, ma quanto
aveva
appreso negli anni sulle norme di comportamento che una buona lady
deve tenere, la frenarono il tempo necessario per riflettere e
pensare. Hugh era un visionario? Era semplicemente annoiato o geloso?
Oppure forse, davvero lei era particolarmente contenta per quel
pranzo, tanto da irritare suo marito? Certo, Ross Poldark era un tipo
anticonvenzionale con dei modi di fare talmente poco ortodossi da
divertirla ed attrarla, ma a parte questo, che cosa poteva esserci
d’altro? Decise che non c’era nulla, se non i
capricci senza
senso di Hugh che quel giorno aveva deciso di diventare
l’uomo più
antipatico di Cornovaglia.
…
Ross
Poldark arrivò puntuale, cosa che in un certo senso
stupì Demelza.
Non le sembrava un tipo così affidabile, ma a quanto
sembrava quel
sabato si era votato alle buone maniere a differenza di quanto
facesse Hugh.
La
giornata, piuttosto calda e soleggiata, spinse Lord Falmouth a far
apparecchiare la tavola che avevano in veranda in modo che potessero
pranzare all’aria aperta, circondati dal profumo del
rigoglioso
giardino della tenuta.
Demelza
si sedette accanto a Hugh, senza degnarlo di uno sguardo. Falmouth,
che doveva essersi accorto della tensione nell’aria ma non si
era
pronunciato, dal lato opposto del tavolo assieme a Ross.
Le
cameriere servirono le pietanze in un clima piuttosto rilassato
nonostante tutto, e Falmouth prese il discorso alla lontana,
chiedendo a Ross delle sue miniere e della sua famiglia.
Gustando
la carne, Ross sospirò. “La mia famiglia sta bene,
la mia miniera
un po’ meno ma continuo ad avere, con mio cugino, qualche
speranza
in un futuro colpo di fortuna”.
Falmouth
addentò un pezzo di montone. “Ci vuole fortuna e
ci vogliono anche
capitali e soci…”.
Demelza
trattenne una risatina per quella non troppo velata allusione di
Falmouth che Ross finse di ignorare.
“Per
ora, posso solo permettermi di sperare nella fortuna”
– rispose
infine Ross, sibillino.
“E
nella vostra testa dura” – asserì
Falmouth, vago.
Ross
decise di cambiare discorso per evitare di incamminarsi nel sentiero
voluto da Falmouth, rivolgendosi a Demelza fin lì
stranamente
silenziosa ed arrendevole. “Mia cugina Verity vi saluta. E vi
ringrazia, a quanto pare siete l’artefice della sua
felicità”.
Demelza
spalancò gli occhi. “Io?”.
Ross
annuì. “Dal giorno del ballo, frequenta Andrew
Blamey. E ne è
felice, anche se mio cugino Francis inizialmente, ha avuto da ridire
per via dei suoi trascorsi famigliari. Ma ora pare convinto anche
lui, anche se le fa mille raccomandazioni come se fosse il padre di
Verity e non il fratello”.
Torvo,
Hugh addentò della carne. “Blamey è una
brava persona e per voi,
viste le circostanze, sarebbe una fortuna averlo nel clan di
famiglia”.
Lo
disse in tono un po’ saccente, cosa non da lui, che Demelza
captò
subito. Santo cielo, era insopportabile! “Mio marito voleva
dire
che… Blamey è una persona sicuramente valida che
gode della sua
massima fiducia. E che sarà una piacevole compagnia per
Verity. Sono
felice per lei e ditele che ricambio i suoi saluti”.
Ross
si rese conto al volo del disagio di Demelza e di quanto fosse brava
a coprire tensioni o eventuali contrasti col marito. C’era
qualcosa
di strano nell’aria, che non capiva ma che turbava la ragazza
che
di certo sembrava meno sbarazzina rispetto alla settimana prima,
quando l’aveva incontrata al cantiere della scuola. Si chiese
cosa
la legasse davvero a suo marito, la natura del loro matrimonio e se
fosse felice in quella realtà artefatta e apparentemente
molto
lontana dal suo modo di essere. “Porterò i vostri
saluti a Verity”
– disse infine, cercando di darle una mano a gestire il
malumore
del marito più che evidente.
"Vi
ringrazio" – rispose Demelza, osservando di sbieco lo sguardo
sempre più cupo di Hugh.
Finirono
di mangiare piuttosto in fretta, con un Falmouth mattatore della
conversazione. Demelza rimase silenziosa, così come Hugh,
entrambi
nervosi e poco inclini ad essere di compagnia.
Dopo
il dolce Hugh chiese di andare a riposare, accusando un vago mal di
testa, Falmouth rapì Ross nel suo studio con la scusa di
mostrargli
alcune vecchie mappe sulle miniere recuperate a un mercato di Londra
e Demelza, forse felice di trovare nella solitudine un pò di
pace e
una cura al suo malumore, si rifugiò in giardino. Di solito
quando
Hugh stava male, lo seguiva in camera. Ma quel giorno non ne aveva
voglia, non credeva fino in fondo al suo malessere e per una volta
decise di essere egoista e di pensare a se stessa. Scese fra le sue
rose, al massimo della loro fioritura, ne inspirò il
profumo,
osservò le siepi e la magnolia, i fiorellini di campo
seminati nel
prato e si inginocchiò infine a controllare lo stato delle
sue
primule di campagna che stavano sbocciando in mille colori diversi.
Il
giardino, da sempre, le offriva svago e serenità e vi si
perdeva
per ore, senza rendersi conto del passare del tempo. Ma quel giorno
non riuscì a calmarla del tutto. Si chiese cosa indisponesse
tanto
Hugh, perché di colpo avesse trovato motivo di essere geloso
quando
non lo era mai stato e soprattutto, se ne aveva motivo... Lei e Ross
Poldark non si erano visti che due volte, di certo non lo aveva
incoraggiato a nulla e tutto ciò che le sembrava di sentire
era una
simpatia istintiva – o forse voglia di sfida –
verso una persona
particolare ma con un carattere simile al suo. Certo, non poteva dire
di trovare spiacevole la sua compagnia, nelle volte in cui si erano
confrontati da soli lo aveva trovato divertente e dotato di un
carisma non indifferente, ma a parte questo...? Il pranzo di quel
giorno era stata un'idea che le era balenata in mente il sabato
prima, in un incontro fortuito che l'aveva messa sulla strada giusta
per aiutare Falmouth. Lo aveva invitato per aiutare il capostipite
della famiglia, lo aveva fatto solo per questo! Giusto? Non era
così?
Non se lo era mai chiesta, era abbastanza certa delle sue intenzioni
o meglio, lo era stata fino a quel mattino davanti alle velate accuse
di Hugh che ci fosse altro. Forse c'era altro, una normale
simpatia... Chi non trova simpatico qualcuno oltre a suo marito, dopo
tutto?
Persa
il quei pensieri, raccolse dei fiori da mettere in un vaso nella sua
camera da letto, legandone i gambi con una fascina. Emanavano un
profumo intenso e avrebbero alleggerito l'aria pesante di casa sua in
quel giorno poco lieto.
Fece
per tornare poi verso casa, rendendosi conto che forse erano passate
due ore buone da quando era in giardino, quando vide Ross Poldark
scortato da una domestica verso il cancello. "Ve ne state
andando?" - gli chiese andandogli incontro, stranamente delusa
di essere stata così tanto da sola. Insomma, una buona
padrona di
casa non dovrebbe farlo...
"Mi
sono trattenuto fin troppo... Vostro zio mi ha illustrato prima delle
mappe, poi i libri con l'albero genealogico di famiglia e infine i
suoi piani politici per le prossime elezioni. Sapevo che ci sarebbe
arrivato, ero pronto a controbattere e me la sono cavata dicendo che
ci avrei pensato...".
Demelza
sorrise, immaginando la scena. Fece cenno alla domestica di rientrare
che avrebbe scortato lei l'ospite all'uscita e poi, una volta rimasti
soli, si incamminarono verso il cancello a piccoli passi. "E lo
farete?".
"Cosa?".
"Ci
penserete a un'alleanza con Falmouth?".
"Non
lo so! Ma dirlo mi sembrava una buona via di fuga!".
Demelza
alzò gli occhi al cielo. "Lui pretenderà una
risposta".
"Lo
immagino..." - rispose Ross, vago, guardandosi attorno. "E'
davvero un bellissimo giardino, questo" – esclamò,
cambiando
furbamente discorso.
Demelza
arrossì, orgogliosa di quel complimento. Quel giardino era
come un
figlio per lei. "Vi ringrazio. Lo curo personalmente".
"Beh,
complimenti".
"Voi
avete un giardino?".
Ross
scoppiò a ridere. "A Nampara? Una volta c'era, quando ero
piccolo lo curava mia madre ed era brava quanto voi. Ma ora
è
incolto e pieno di erbacce".
Demelza
si imbronciò. "Oh, è un peccato! Avreste dovuto
curarlo in
memoria di vostra madre".
Ross
fischiettò, rivolto al vento. "Sono solo, scapolo, pieno di
debiti e con una miniera da portare avanti. Vi sembra che possa
mettermi a fare giardinaggio?".
"Potreste
trovarvi una moglie che lo faccia. Alle donne piace" –
propose
lei, rendendosi conto che in effetti quello era un lavoro da donne.
Ross
si accigliò. "Me lo consigliate?" - chiese, ironicamente,
ripensando al clima pesante di poco prima a tavola.
Demelza
stentò a mascherare un sorriso sarcastico. "Chiedetemelo un
altro giorno...".
Ross
parve incuriosito. "Lo immaginavo... Vostro marito... Oggi
era...".
Lo
bloccò. "Ecco, non stava molto bene stamattina, mal di
testa"
– mentì.
"Ne
soffre spesso...".
Demelza
non rispose, Hugh non avrebbe gradito quel loro discorso su di lui e
in fondo non erano affari del signor Poldark. Giunsero al cancello e
finalmente lo fronteggiò, viso a viso. "Buon rientro, signor
Poldark. E pensate a quanto vi ha detto Falmouth".
"E
se non lo facessi? Verreste voi a prendermi per le orecchie?" -
le chiese, con quel tono di sfida che di tanto in tanto sembrava
amare usare con lei.
Demelza,
di nuovo, raccolse d'istinto la sfida. "Può darsi... Da
Truro a
Nampara, a cavallo, si fa veloce".
Ross
non le rispose. Ridacchiò, accennò un saluto con
la mano e poi
montò a cavallo. "A presto allora, Lady Boscawen".
Demelza
rimase ferma a guardarlo andare via. "A presto, Ross Poldark..."
- disse in un soffio.
Rimase
lì ferma, coi fiori in mano, come in tranche, alcuni minuti.
Che le
prendeva? Perché ogni volta le batteva così il
cuore? E Hugh? Era
di questo che Hugh aveva paura?
Quei
pensieri le fecero ricordare i suoi doveri, che aveva un marito, che
non poteva permettersi certe sensazioni e che doveva fare rientro in
casa.
A
passi veloci oltrepassò il giardino, salì al
primo piano dove
c'erano le stanze da letto ed entrò in camera. Hugh era
lì, seduto
alla scrivania invece che a letto, a scrivere e leggere alcune carte.
"Non
avevi mal di testa?" - chiese, sistemando i fiori nel vaso.
"Mi
è passato!" - rispose lui, stanco. "In realtà
volevo
scriverti una poesia per farmi perdonare per il mio comportamento di
oggi".
Lei
sospirò, andandogli vicino e mettendogli la mano sulla
spalla. "Non
ho bisogno di poesie ma di fiducia. Quella che sembri aver perso...".
"Ne
ho motivo?" - chiese lui, guardandola.
Demelza
strinse i pugni. "No".
Hugh
sospirò. "Eppure, sembri tenerci così tanto a
questa
collaborazione di mio zio con Poldark. E pure mio zio sembra non
pensare ad altro... Con me non avete insistito così".
Demelza
gli si sedette accanto, accarezzandogli la guancia e capendo forse in
parte il tormento che lo affliggeva. "Hugh, non ho mai
insistito perché ho sempre saputo che non era quello che
volevi. E
anche tuo zio".
"Se
mio zio mi avesse ritenuto valido, avrebbe insistito fino alla nausea
con me e tu lo sai. Invece ha deposto subito le armi e ha guardato e
cercato altrove".
Demelza
sospirò, cercando le parole adatte a tranquillizzarlo ma
anche
quelle giuste per fargli comprendere che il suo era un atteggiamento
sbagliato. "Da piccola, sai, c'erano tante cose che avrei
voluto. Una bambola, ad esempio... Per una bambina ricca, una bambola
è ben poca cosa ma per chi non ha quasi cibo è un
sogno
irrealizzabile. E così ho capito che non ci si
può permettere
tutto, che ognuno ha dei punti di forza e dei punti di debolezza e
che è segno di maturità accettarlo. Tu non sei
nato per la politica
e per gli affari, sei nato per essere un artista e un poeta. Lo sai
tu, lo so io e lo sa tuo zio. Ross Poldark forse ha la faccia tosta
adatta a spuntarla a Westminster ma tu hai altre dote che lui non ha.
Ognuno è ciò che è e non è
essendo gelosi degli altri che ci si
migliora. Io ad esempio non so essere una lady al pari delle altre
gran dame che incontriamo alle feste, ma cerco di far del mio meglio
in ciò che mi riesce e ne sono contenta".
Hugh
abbassò lo sguardo. "Mi fai sembrare infantile...".
"Non
lo sei. A parte oggi non lo sei mai stato" – rispose, in
maniera dolce ma comunque risoluta. Quel giorno Hugh non si era
comportato bene e non era giusto nasconderglielo.
L'uomo
sospirò, alzandosi e avvicinandosi alla finestra. "Se
n'è
andato?".
"Chi?".
"Poldark?".
"Sì,
poco fa. L'ho incrociato mentre ero in giardino".
"E
che vi siete detti?".
"Nulla
di che! Mi ha fatto i complimenti per piante e fiori. E io gli ho
consigliato di trovarsi una moglie che curasse il suo di giardino".
Hugh
scoppiò a ridere. "Sei sfacciata!".
Anche
lei rise. "Forse un pò...".
"E..."
- Hugh tentennò – "Ti farebbe piacere?".
"Cosa?".
"Che
si sposasse?".
Demelza
deglutì, presa alla sprovvista da quella domanda a cui non
aveva
pensato. Perché avrebbe dovuto dispiacergli? E
perché pensarci non
la lasciava del tutto indifferente? "No, perché dovrebbe?".
Hugh
sorrise, avvicinandosi e accarezzandole il viso. "Scusa, hai
ragione".
Lei
abbassò lo sguardo. Anche Ross Poldark l'aveva sfiorata
sulla
guancia allo stesso modo solo sette giorni prima e a differenza di
suo marito, la cui mano era spesso tiepida, aveva laciato una traccia
di fuoco sulla sua pelle. "Quindi, stasera andremo a letto non
arrabbiati, Hugh?".
"Spero
di sì. E per quanto riguarda Poldark, dubito che
seguirà il tuo
consiglio sul matrimonio" – asserì suo marito con
sicurezza.
"Perché?".
"Te
la ricordi Elizabeth, la lady sposata con suo cugino?".
Demelza
sentì un crampo allo stomaco nel ricordare quella sgradevole
donna.
"Sì, come scordarla?".
Hugh
si affrettò a spiegare. "Prima di partire per la guerra anni
fa, era la sposa promessa di Ross, dicono che lui vivesse per lei. Ma
quando tornò, scoprì che Elizabeth si era
fidanzata con Francis ed
erano promessi sposi. Da allora vive come un monaco, credo che non
abbia ancora superato lo scorno e la delusione".
Demelza
spalancò gli occhi, non se lo aspettava e di certo gli
sembravano
due persone talmente mal assortite da considerare un colpo di fortuna
per Ross non averla sposata. "Sì è innamorata di
suo cugino?"
- chiese, incredula. Francis era un uomo piacevole certo, ma Ross...
Come poteva una donna che poteva scegliere, scegliere Francis?
Hugh
sorrise, tornando alle sue carte. "Non credo si tratti d'amore,
mia cara".
"E
di cosa?".
"Lei
ha scelto il cugino con la terra più ricca e la casa
più lussuosa"
– spiegò, con semplicità.
E
Demelza, per la prima volta, pensando all'arroganza di Ross che forse
nascondeva un grande dolore, provò una stretta al cuore per
lui. Era
un mondo feroce e complicato quello in cui entrambi vivevano, un
mondo fatto di interessi ed apparenze che schiacciava chi era
ritenuto inferiore e meno meritevole. E lui di certo ne era stato
vittima, come lo era lei ogni volta che una dama come Elizabeth
Poldark la incontrava a un ballo e col solo sguardo le ricordava
quanto fosse inferiore a chiunque in quella stanza.
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Capitolo 7 *** Capitolo sette ***
Quando
Ross arrivò a Trenwith, fu Verity ad accoglierlo.
Zia
Agatha se ne stava in poltrona a fare i tarocchi, Elizabeth era
seduta su una poltrona a cucire e in casa c'era un silenzio
tranquillo.
"Scusate
il disturbo, cercavo Francis, devo mostrargli alcune bozze del nuovo
finanziamento chiesto a Pascoe e dobbiamo discutere insieme degli
interessi".
Verity
lo abbracciò. "Non disturbi affato, è molto che
non ti fai
vedere quì. Non ci incontriamo dal ballo dei Boscawen e sono
quasi
due mesi che è avvenuto".
Ross
le sorrise, dandole un buffetto sulla guancia. "Due mesi intensi
per te, da quanto si racconta in giro" – asserì
malizioso e
divertito. Era felice per lei e per la storia nascente col capitano
Blamey ma Verity restava sempre la sua cuginetta preferita, quella
che più stava agli scherzi e questo non sarebbe mai cambiato
fra
loro. Ed era così divertente farla arrossire...
Verity
rispose dandogli una leggera spinta. "Sia benedetto quel ballo e
tu che mi ci hai accompagnata. Anche se ti sei dato subito alla fuga
e mi hai lasciata sola... Per fortuna ci ha pensato Lady Boscawen a
me".
Ross
le baciò la mano. "A proposito, mi hanno invitato a pranzo
lo
scorso sabato e per una serie complicata di eventi... sono stato
costretto a presenziare. Lady Boscawen ti manda i suoi saluti".
Verity
sorrise. "Oh, è così adorabile quella ragazza".
Ross
pensò fra se e se che probabilmente aveva ragione, ma mai si
sarebbe
azzardato a dirlo ad alta voce. Però fu un pensiero veloce,
interrotto dall'arrivo di Elizabeth.
"Ovviamente
è stata educata e ammaestrata a dovere per esserlo".
Ross
la fissò storto ed Elizabeth fu costretta a cambiare tono,
avendo
già constatato quanto lui non amasse quel genere di discorsi.
"Voleva
essere un complimento, quella ragazza ha imparato in fretta il modo
corretto di comportarsi" – si corresse. "La ammiro per
questo. E comunque cugino, è un piacere che tu sia
quì" –
disse, col suo solito modo di fare mellifluo ed elegante, che spesso
sapeva incantare i suoi interlocutori.
Ross
si chinò a baciare anche la sua di mano, prima che la voce
di
Agatha, gracchiante, giungesse dal fondo della stanza a richiamarlo
ai suoi doveri. "Nipote, il fascino antico della tua vecchia zia
non ti attira più? Ti sei dimenticato di me? Da quanto non
vieni a
trovarmi? Se fossi un bambino, mi potrei accorgere di quanto cresci
fra una visita e l'altra".
Ross
sospirò, lanciò un'occhiata furtiva e d'intesa a
Verity e poi andò
da lei. "Ovviamente ti ho lasciata per ultima perché il
meglio
lo si deve lasciare alla fine. Mi spiace zia, ho avuto davvero poco
tempo per passare" – le sussurrò, mettendole
dolcemente una
mano sulla spalla.
Agatha
scosse la mano. "Sciocchezze, come può una miniera impegnare
tutto il tuo tempo?".
Ross
rise. "Oh, avrei un lungo elenco di cose che normalmente faccio,
per spiegartelo".
Elizabeth
si riavvicinò. "Francis, a proposito, è uscito.
Ha promesso a
Geoffrey Charles di portarlo a fare un giro in campagna in calesse e
credo che torneranno verso cena. Vuoi fermarti a mangiare con noi?".
Il
tono speranzoso della voce di Elizabeth lo tentò di
accettare, ma si
rese conto che forse questo avrebbe potuto dar fastidio a Francis. Il
matrimonio di suo cugino con Elizabeth era passato da acque agitate e
ora che sembrava navigare in un mare più tranquillo, non era
il caso
di rimescolare le carte. Era palese che lui trovasse piacevole la
compagnia di Elizabeth ed era altrettanto palese che Elizabeth
provasse lo stesso. C'era rimpianto nei loro sguardi, o almeno lui
sperava di vederne negli occhi di lei, e consapevolezza di aver perso
un amore importante e forse unico. "Devo arare il campo a sud
con Jud, stasera. Mi spiace ma non posso fermarmi, vedrò
Francis
domani alla miniera e gli parlerò lì".
"Vai
già?" - domandò Verity, delusa.
"Devo"
– rispose, mettendosi il tricorno in testa. "Ma prometto che
verrò più spesso" – concluse,
strizzando l'occhio a zia
Agatha che lo guardava torva.
"Ti
accompagno al cancello allora" – propose Elizabeth, a
sorpresa.
Una
sorpresa che Ross accolse con favore. "Ti ringrazio".
Salutò
sua zia e sua cugina e con Elizabeth raggiunse il giardino, godendo
del tepore di quel'assolato pomeriggio primaverile. "Francis
è
davvero cambiato" – disse, passeggiando nel vialetto con lei
a
fianco.
"Sì,
e questo è merito tuo".
"Mio?".
La
donna annuì. "Dargli fiducia e includerlo come socio nella
Wheal Grace è stato un grande gesto da parte tua, che ha
decretato
la rinascita di Francis come uomo e come padre".
Ross
si sentì lusingato, forse più per la gratitudine
dimostrata da
Elizabeth che per il cambiamento avvenuto in Francis. "Al
momento però, la Grace non è altro che un buco
nel terreno che
fagocita denaro".
"E
se trovassi nuovi investitori? Lord Falmouth sarebbe ben felice di
aprire il suo portafoglio per te" – tentò,
ripercorrendo i
desideri di Francis.
Ross
ridacchiò. "A un bel prezzo, però".
Lei
lo guardò civettuola ma con sguardo indagatore, come se
volesse
scoprire un qualcosa che la tormentava o quanto meno, incuriosiva.
"Eppure, pare piacerti andare in quella casa. Hai persino
accettato un invito a pranzo che di solito avresti evitato".
Ross
arrossì, senza volerlo, ripensando all'incontro con Lady
Boscawen.
"In quella famiglia, diciamo che... ci sono persone molto
persuasive".
"Lady
Boscawen?" - domandò Elizabeth, indovinando, con voce
nervosa e
ora più stizzita.
Ross
cambiò argomento, sorpreso da quanto l'intuito femminile
difficilmente sbagliasse. "Cosa importa? Per ora, da quel
fronte, non aspettarti nulla".
Anche
Elizabeth capì che era meglio cambiare argomento, anche se
quel modo
di fare di Ross, in qualche modo, confermò un suo sordo
sospetto che
la indispettiva contro ogni logica verso Demelza Armitage. "Beh...
Ma hai parlato di nuovi prestiti da parte di Pascoe, giusto?".
Ross
sospirò. "Sì, ma non saranno prestiti risolutivi.
Pascoe non
può esporsi ulteriormente e io non posso aumentare ancora i
miei
debiti. Farò un nuovo finanziamento, di scarsa portata
monetaria,
con Henshawe che ha accettato di farci da garante, ma se la fortuna
non gira, la Grace è destinata alla chiusura". Si
fermò
affranto e si voltò verso di lei, trovandola ancora una
volta
bellissima e perfetta. Non c'era creatura al mondo migliore di
Elizabeth ai suoi occhi e per tutta la vita si sarebbe chiesto
perché
e come l'avesse persa. Tutta la vita l'avrebbe rimpianta, anche con
rabbia forse, visto che Francis pareva non rendersi conto del valore
della donna che aveva accanto come moglie... "Mi dispiace. Se la
Grace fallisce, trascinerò anche te nel baratro. L'unica
cosa che mi
consola è che il tuo matrimonio ha tratto un qualche
beneficio da
questa fallimentare impresa".
Gli
occhi scuri di Elizabeth lo fissarono, a pochi centimetri dal suo
viso. In quel momento in lei c'era ben poco della lady dimessa e
arrendevole e Ross intravide una strana determinazione che forse non
aveva mai notato prima. "Davvero, ti consola, Ross?".
"Cosa?"
- chiese, con fiato corto, perso nel suo viso come un adolescente
alla prima cotta.
"Il
miglioramento del mio matrimonio" – specificò lei.
Ross
capì che non poteva mentire e che Elizabeth – e
forse chiunque per
quanto erano palesi – poteva leggergli senza problemi in
viso, la
vera natura dei suoi sentimenti. "E' ciò che dovrei provare"
– disse, in un soffio.
Lei
scosse il capo, in un modo studiato, sensuale ed elegante. Poi, con
un gesto inaspettato, gli sfiorò la mano. "Chi lo sa, noi
due,
cosa dovremmo provare?".
Ross
spalancò gli occhi. "Che vuoi dire?".
"Che
eravamo promessi ed è da imputare alla mia inesperienza e al
mio
scarso carattere, la fine del nostro legame".
Ross
divenne improvvisamente serio, ricordando fatti e discussioni con lei
che erano stati particolarmente dolorosi. "Hai sposato Francis
perché lo amavi. Me lo hai detto tu...".
Lei
deglutì. "Ero così giovane e così
innocente. Non sapevo
appieno, cosa stessi facendo. E l'influenza di mia madre che
insisteva che questo era il matrimonio giusto, hanno fatto il
resto... Ma se tornassi indietro...".
Ross,
col cuore che accelerava pericolosamente nel suo petto, le strinse il
polso in maniera compulsiva. "Se tornassi indietro?" -
chiese, mentre stupidamente la speranza tornava in lui anche se era
troppo tardi.
"Se
tornassi indietro, non farei quella scelta" – si risolse a
dire lei, occhi negli occhi con lui.
Ross
spalancò gli occhi mentre le gambe parevano cedergli.
"Perché
dici questo?".
Lei
alzò le spalle. "Non credere che sia facile questa mia
ammissione... Voglio bene a Francis ed ora il matrimonio con lui
è
piacevole e sereno. Ma non si vuole e pretende solo questo da un
matrimonio, vero? Tu avresti potuto darmi serenità ma anche
altro.
Quell'altro che da l'amore vero e che Francis non può
offrirmi. Una
parte del mio cuore sarà sempre tua, Ross. Ora lo so.
Così come so
che una parte del tuo apparterrà per sempre a me".
Ross
tremò, senza lasciare la presa sul suo polso. E
così, provava anche
lei ciò che provava lui? Doveva davvero crederle? Che stava
cercando
di dirgli, Elizabeth? E lui, ora che avrebbe dovuto fare? Sperare? O
reprimere sul nascere quei sentimenti che stavano prepotentemente
tornando, spinti dalla sapiente mano e dalle parole di Elizabeth.
"Che cosa dovrei dirti, ora?".
Lei
parve destarsi da quel momento di confidenza fra loro che poteva
avere conseguenze gravissime, tornando immediatamente a recitare la
parte della ragazza timida. Liberò la mano dalla sua stretta
e si
coprì il viso, come a voler celare un rossore che
però Ross non
aveva notato. "Oh, perdonami e dimentica ciò che ti ho
appena
detto".
"Come
potrei?" - le domandò. Sarebbe stato impossibile
dimenticare...
"Fallo
per me" – lo implorò lei.
Per
Elizabeth avrebbe scalato i monti più alti del mondo e le
avrebbe
regalato la luna, se lei glielo avesse chiesto. E quindi sì,
non
avrebbe dimenticato perché era impossibile, ma avrebbe finto
di
farlo. "Non ti negherei nulla, mia cara, non dopo quanto ci
siamo detti".
"Resterà
fra noi?" - chiese Elizabeth.
"Certo"
– rispose, baciandole la mano.
Poi
giunse al cancello dov'era legato il suo cavallo. Le lanciò
una
lunga occhiata, chiedendosi se Elizabeth si rendesse conto della
pericolosità delle sue ammissioni e domandandosi
perché avesse
fatto quelle confessioni proprio ora, ma non seppe darsi risposta.
Ora era solo quel viso e quella figura per lui perfetti, che
riempivano la sua mente e il suo cuore. Ciò che gli aveva
detto
poteva essere un invito alla speranza, ma Ross sapeva di non
potersela permettere e che non aveva nulla da offrirle. Elizabeth era
e sempre sarebbe rimasta la moglie di Francis e questo era un fatto
incontrovertibile. E questo lo riempiva di una strana amarezza e,
anche se non lo avrebbe mai ammesso nemmeno a se stesso, di rabbia
verso Elizabeth. Rabbia, sì, perché era riuscito
a riconquistare
un pò di pace nell'animo e lei sembrava averla voluta
deliberatamente distruggere. E non ne capiva il motivo...
Girò
il cavallo e con il cuore in tumulto, lasciò Trenwith a
spron
battuto, chiedendosi se quelle parole racchiudevano davvero in se il
bagliore pulito del vero amore o il gusto agro del fiele, che porta
buio e dolore...
...
Demelza
entrò nello studio di Falmouth con passo felpato. "Mi hanno
detto che volevate parlarmi" – disse.
L'uomo,
seduto alla sua scrivania, coperta da una pila di incartamenti,
annuì. "Hugh riposa? Sta meglio?".
"Sì,
si sta riprendendo. Il medico gli ha dato un forte calmante per la
sua emicrania e ora dorme profondamente. Stamattina è stato
davvero
male, ma ora sembra sereno".
"Bene,
bene... Allora puoi lasciarlo solo per un pò, puoi prendere
il tuo
cavallo ed uscire per fare una commissione per me" – rispose
l'uomo. "Penserò io a predisporre la servitù per
accudire
Hugh, mentre sei via".
Demelza
spalancò gli occhi. "Dove dovrei andare?".
Falmouth
si avvicinò, consegnandole una lettera. "A Nampara, a
consegnare questa. Sai dov'è?".
Demelza
osservò la busta nelle sue mani, chiusa con un elegante
sigillo in
ceralacca. Nampara? Dove aveva già sentito questo nome?
"Sì,
credo di saperlo pressapoco. Ma di cosa si tratta?".
"Di
una missiva importante e di vitale importanza per Ross Poldark.
Vorrei che gliela consegnassi tu".
Nampara,
Ross Poldark, certo! Demelza però, a parte aver compreso
cosa gli
ricordasse il nome di quella località, parve smarrita.
"Perché
io?" - chiese titubante, ricordando la discussione di pochi
giorni prima con Hugh.
Falmouth,
che non aveva mai amato troppo i giochi di parole, non girò
attorno
alla questione. "Perché pare che tu abbia un ascendente
migliore del mio su di lui e che sia più propenso a dire
sì a te
che a me".
Demelza
arrossì, senza capirne il motivo ma sentendosi comunque a
disagio e
stranamente in colpa. Falmouth non sembrava molto preoccupato della
cosa e anzi, da vecchia volpe quale lui era, avrebbe sfruttato la sua
persona fino in fondo se necessario, ma per lei non era
così. Era la
moglie di Hugh e trovare Ross Poldark una piacevole compagnia, era un
sentimento che sentiva di non potersi permettere. Così come
non
poteva permettersi di pensare di essere contenta di dover andare a
Nampara a portare quella lettera. Eppure lo era, sottilmente... "Non
credo che mi direbbe di sì su tutto" –
tentò di argomentare.
"Sarai
un'ottima messaggera. Ho già fatto sellare il tuo cavallo,
mettiti
il tuo vestito da cavallerizza, vai da lui e non tornare
finché non
ti dirà sì".
Demelza
prese la busta, agitandola davanti all'uomo. Nonostante tutto, c'era
un fattore comico in quella loro conversazione. "Dovrà dirmi
di
sì a cosa?".
Falmouth
tossicchiò, rendendosi conto che non le aveva spiegato la
cosa più
importante. "Lo vorrei al mio fianco alla prossima riunione
della Banca di Cornovaglia. Così potremo parlare di
elezioni, denaro
ed eventualmente, prestiti e sovvenzioni per la sua miniera...
Sìì
persuasiva come lo sei stata a Truro la scorsa settimana".
Lei
arrossì. "Ma...".
Falmouth
non le diede tempo di rispondere. La spinse fuori dalla porta e poi,
dopo un frettoloso saluto, si richiuse nel suo studio. "Sbrigati,
si sta facendo tardi e tu hai una missione importante da portare a
termine".
E
Demelza si trovò sola, nel corridoio, con una lettera in
mano, la
mente che le gridava che non poteva andarci e il cuore che invece le
suggeriva che non vedeva l'ora di prendere il cavallo.
Scelse
i suggerimenti del cuore, che combaciavano anche con gli interessi di
famiglia dopo tutto. E frettolosamente salì in camera a
cambiarsi.
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Capitolo 8 *** Capitolo otto ***
Il
vento le scompigliava i capelli e il fragore del mare che si
infrangeva contro gli scogli la riportava coi ricordi alla sua
infanzia.
Correre
sulla spiaggia a piedi nudi, cercare conchiglie o fare un bagno nelle
giornate più calde, erano gli unici piaceri di quando era
piccola,
minuscoli intramezzi spensierati in una esistenza fin da subito
durissima per lei.
Quelle
scogliere selvagge, quelle terre incolte, le ciminiere delle miniere,
erano in fondo il suo mondo, quel mondo che l'aveva vista nascere e
crescere. Conosceva il modo di ragionare delle povere persone che
vivevano in quelle terre, quanto fosse difficile sbarcare il lunario
e mettere in tavola qualcosa da mangiare, il rumore dei topi che
rosicchiano le assi delle povere case la notte impedendoti di
dormire, lo stomaco perennemente vuoto, la durezza degli uomini che
lavoravano in miniera e la vita grama delle loro mogli, sempre
incinte, sempre votate al sacrificio e con ben poche gioie da vivere.
Eppure
quel mondo, in un certo senso, le mancava...
Le
mancavano i sorrisi genuini di chi, pur avendo poco o nulla, sapeva
sempre farsi trovare pronto per dare una mano ai vicini di casa in
difficoltà, le amicizie vere e sincere tanto rare nel mondo
in cui
era entrata a far parte e soprattutto, la semplice sensazione di
essere al proprio posto, cosa che da quando era diventata una lady,
era una chimera. Non che non ringraziasse ogni giorno Dio per la
fortuna che aveva avuto incontrando Falmouth e Hugh, ma dentro di
lei, da dopo il matrimonio, sempre era convissuta una vocina che le
diceva che le cose non avrebbero dovuto andare così.
Ignorava quella
vocina, si impegnava giornalmente nell'adempiere al suo ruolo, eppure
sapeva che quella voce c'era e lì rimaneva, in attesa di un
suo
passo falso per farsi sentire.
Mentre
galoppava verso Nampara, superò alcune miniere e pure la
Wheal Grace
di Ross Poldark. Si fermò ad osservarla, nel via vai
sonnecchioso
degli ultimi minatori che la stavano lasciando dopo il turno
giornaliero di lavoro.
Era
una miniera piccola, ma molto promettente, diceva Falmouth. E
sicuramente Ross Poldark, per tenerla in vita, si stava dannando
l'anima. E al momento la fortuna non doveva essere dalla sua parte...
Demelza
sospirò, pensando a quale atteggiamento tenere con lui. Non
voleva
mancare di rispetto a Hugh, sapeva che avrebbe avuto da ridire per
quella visita fatta a Nampara a sua insaputa, e in fondo non era
nemmeno certa che lui avesse torto. Trovava piacevole avere a che
fare con quell'uomo ruvido, cresciuto con la stessa natura selvaggia
di quel mare e quelle coste nel sangue e trovava affascinanti tratti
del suo carattere che molti altri invece criticavano. Ma non poteva
far trasparire questi suoi sentimenti, capiva che non era corretto e
sapeva anche che il suo compito doveva essere semplicemente quello di
ambasciatrice. Ogni emozione doveva essere messa in un angolo e
possibilmente, mai tirata fuori.
Eppure,
quando lui la stuzzicava, era impossibile resistergli e non capiva il
perché...
Giuda,
giuda, in che pasticcio si stava cacciando?!
...
Quando
Ross aprì la porta, rimase stupito di trovarsi davanti la
giovane
moglie di Hugh Armitage. Lady Boscawen, coi suoi lunghi capelli
rossi, vestita con un elegante completo da equitazione verde, era
misteriosamente davanti a lui, alla porta di Nampara. Quel
pomeriggio, dopo aver visto Elizabeth e Francis e dopo quanto gli
aveva rivelato la donna che un tempo voleva in sposa, non aveva molta
voglia di visite e il suo animo era tornato cupo ed inquieto, ma
dovette ammettere a se stesso che in realtà che lei fosse
lì, non
gli dispiaceva affatto. Non l'aveva vista che qualche volta ma
l'aveva colpito ogni volta in modo diverso. Era una donna gentile,
semplice, per nulla civettuola e davvero diversa dalle voci non certo
lusinghiere che circolavano su di lei. Sembrava emanare una strana
luce ed una calda energia che non potevano attrarre, assieme al suo
sorriso e ai suoi modi di fare amichevoli e così poco
convenzionali,
chiunque lei incontrasse. “Signora, non mi aspettavo una
vostra
visita” - disse, impacciato e piuttosto a disagio. Lei era
perfetta
ed elegante, lui vestito con pantaloni da lavoro e una semplice
camicia bianca e logora.
Demelza
parve in imbarazzo quanto lui. “Scusate il disturbo, in
realtà
sono solo di passaggio e devo consegnarvi una lettera di Lord
Falmouth. Vi vorrebbe alla prossima riunione alla Banca di
Cornovaglia per discutere con voi delle prossime elezioni”.
Ross
alzò un sopracciglio. “Lord Falmouth non ha
servitori che gli
recapitino le missive?”.
Lei,
stranamente, arrossì. “In realtà
sì, ne ha molti. Ma in questo
caso ha detto che io sarei stata più persuasiva di lui a
convincervi. Gli ho detto che sbagliava e che sarei stata una pessima
messaggera, ma lui difficilmente ama ammettere un errore ed
è
assolutamente sempre convinto di essere nel giusto”.
“Davvero?”.
Ross parve divertito da questa strana convinzione su Demelza del
capostipite dei Boscawen. Falmouth doveva essere davvero impazzito se
pensava che bastasse una giovane e bella donna a fargli cambiare idea
sulla politica. Ma educatamente, le spalancò la porta e la
fece
entrare.
Demelza
oltrepassò l'uscio con passo incerto e in un attimo si
trovò nel
salotto di Nampara. Porse la lettera a Ross con un gesto gentile e
poi gli sorrise. “Ci andrete? Falmouth ci terrebbe
molto”.
Ross
la osservò curiosamente. “Non ci terrebbe di
più ad avere vostro
marito, mia signora?” - tentò di argomentare,
curioso per
l'esclusione di Hugh dai piani politici di suo zio. Non che quel
giovane gli ispirasse chissà quale fiducia e sembrava anche
piuttosto svogliato e dal carattere volubile come aveva dimostrato al
pranzo, ma restava comunque l'erede legittimo di Falmouth.
Lei
si rabbuiò. “Non si sente molto bene, ultimamente.
Come voi avete
visto, preferisce stare ai margini della vita politica che assorbe la
famiglia”.
“Oh,
mi dispiace per vostro marito”. Improvvisamente Ross si
sentì a
disagio, chiedendosi se non fosse stato troppo impudente ed
impiccione. Demelza aveva accennato, nei loro precedenti incontri, a
qualche malessere di suo marito, ma chiedere ulteriori informazioni
forse era sfacciato e lei non lo stava gradendo. “Spero nulla
di
grave”.
Lei
non rispose, si limitò a guardare la casa e poi
tornò a
concentrarsi sulla lettera. “Ci andrete?”.
“Ci
penserò”.
“Falmouth
non accetta i no”.
“E
io non accetto le imposizioni” - le rispose, fermo. Poi
decise che
in realtà lei non c'entrava nulla con i tumulti del suo
cuore a
causa di Elizabeth e le pressioni politiche che gravavano su di lui.
In realtà voleva solo vivere in pace, tranquillo, far
funzionare la
sua miniera e dare una vita decente ai suoi minatori, nulla di
più.
“Gradite del tè?” - chiese, preparandosi
a chiamare Prudie.
“No,
vi ringrazio. Come vi ho detto, sono solo di passaggio e ho
approfittato di questo viaggio per far ciò che amo di
più, da sola,
senza avere attorno valletti e servitori”.
Ross
la guardò incuriosito, ancora una volta catturato dallo
sguardo
vivace e birichino di quella donna su cui di certo gravavano molte
responsabilità ma che pareva aver mantenuto la freschezza di
una
ragazzina. “Cioè?”.
“Cavalcare
come un maschiaccio, libera, veloce, senza che nessuno tema che mi
spezzi qualche osso. In fondo sono e resto una monella della
Cornovaglia e di certo so che voi siete a conoscenza delle mie
origini. Ne parlano tutti...”.
Ross
si trovò ad arrossire, suo malgrado. Di lei si dicevano
molte cose,
persino Elizabeth gliel'aveva presentata, prima del ballo in cui si
erano conosciuti, come una arrampicatrice sociale scaltra e
calcolatrice che aveva sedotto un povero ed innocente giovane di
buona famiglia, ma di fatto mai, avendola davanti a se, gli era
apparsa sotto queste spoglie. “Beh, di cose ne dicono tante
le
persone. Anche di me e anche voi lo sapete benissimo”.
“Lo
so, infatti...” - rispose lei, divertita. “E da
quel poco che vi
conosco, alcune di quelle voci sono pure vere!”.
“Cosa
avete sentito di me?” - le chiese, curioso e anche divertito
dalla
sua faccia tosta. Quando era sola e lontana dai Boscawen, quando
poteva essere se stessa, era molto diversa dalla donna controllata da
rigide regole di etichetta. Ed era proprio quando poteva essere vera,
che diventava ancora più piacevole ed ammagliante per chi la
incontrava. Anche se, supponeva, lei ignorava del tutto questi suoi
pregi e sbagliando, cercava di migliorarsi per assomigliare a persone
che riteneva superiori. Se solo avesse capito quanto, quelle dame,
avevano da imparare da lei...
Demelza
non rispose, di nuovo, limitandosi a guardare la casa, forse
rendendosi conto che era stata piuttosto sfacciata. “E'
davvero
grazioso, quì”.
Ross
la fissò, divertito da quel suo tentativo di riportare la
conversazione su toni più formali. “In confronto a
casa vostra,
Nampara deve sembrarvi una topaia”.
“Sono
nata ad Illugan e per i primi quattordici anni della mia vita ho
vissuto con un padre ubriacone e sei fratelli, tutti in un'unica
stanza. Casa vostra in confronto è una reggia e di fatto non
sono
abituata a giudicare i muri di una casa quanto piuttosto chi ci vive
dentro”.
Ross
le sorrise, era una piacevole compagnia e avrebbe volentieri passato
delle ore a parlare con lei. Era strano ma in fondo non avevano
visioni della vita tanto diverse. “Se questa casa vi sembra
una
reggia, la vostra allora dovrà apparirvi come un
castello”.
Lei
sospirò, vaga. “I castelli a volte sono fin troppo
grandi quando
cerchi qualcosa o qualcuno. Si tende spesso a sentirsi soli”.
Ross
notò una nota di tristezza nei suoi occhi, solo un lampo di
un
attimo. Ma lo notò comunque. “Sono
d'accordo” - disse solo.
Demelza
fece un breve inchino. “Devo andare, si sta facendo tardi.
Posso
dire a Falmouth che accetterete?”.
Ross
osservò la lettera e poi lei. E capì che non
voleva che se ne
andasse e che quella visita finisse tanto presto. In una giornata
cupa, quella donna era stata l'unico raggio di sole. “A una
condizione”.
“Quale?”.
“Dovrete
battermi!”.
“Battervi?”
Ross
esibì la sua miglior faccia da canaglia. “Avete
detto che
cavalcate come un maschiaccio? Io faccio altrettanto... Voi avete il
vostro cavallo, io il mio. Se arriverete prima di me al faro, allora
accetterò l'invito di Falmouth. Sto andando contro tutti i
miei
principi donandovi questa opportunità che, se sarete furba,
coglierete al volo”. Voleva essere sfacciato per far sentire
libera
lei di esserlo altrettanto, senza timore. Era divertente sfidarla,
vederne le reazioni e godere della sua compagnia... Non se la sarebbe
lasciata sfuggire, decise. Anche a costo di finire a Westminster. Non
aveva idea del perché, probabilmente se ne sarebbe pentito
prima di
sera, però sentiva che non voleva che se ne andasse di
già.
Desiderava dimenticare Elizabeth e tutto ciò che gli aveva
detto e
che aveva riaperto vecchie ferite e Demelza pareva in grado di far
tutto questo con la sua semplice presenza.
All'oscuro
del suo flusso di pensieri, lei si mise le mani sui fianchi,
divertita e anche un po' stupita da quella proposta. “Siete
impudente, lo sapete vero?”.
“Sì!
E scommetto che è una delle voci che circolano su di
me”.
“E
se rifiutassi?” - gli chiese, con aria di sfida.
“Allora
Falmouth avrebbe scelto un pessimo messaggero”.
Demelza
lo fissò, con aria di sfida. “Come avete detto
prima, una persona
furba accetterebbe la vostra sfida... Prendete il vostro cavallo! Vi
aspetto fuori” - esclamò infine, risoluta.
Ross
ricambiò il suo sguardo. Uscì, seguito da lei,
prese dalla stalla
un magnifico cavallo nero e poi vi montò sopra mentre
Demelza faceva
lo stesso col suo. “Pronta? Credo di dover essere cavaliere e
di
dovervi concedere almeno un minuto di vantaggio” - disse,
sprezzante.
Lei
accettò la sfida. “Forse dovrei concedervelo io...
Sono
magnanima”.
Ross
le si avvicinò. “Cosa vi fa credere che potreste
vincere?”.
“Non
lo credo affatto. Ma se succedesse, voglio che sia senza l'aiuto di
alcun vantaggio”.
Ross
la ammirò per
questo. “E
allora, vediamo chi fra noi è il cavallerizzo
migliore”.
“Vediamo...”.
Ross
strinse le redini. Non le avrebbe lasciato spazio e di certo non
avrebbe frenato il suo cavallo. Lei voleva la guerra e una gara alla
pari e questo avrebbe avuto. La richiesta di Falmouth a questo punto
c'entrava poco, era la gara, era lei e il gusto della sfida ad
attrarlo. E se lo avesse battuto – cosa di cui dubitava
–
significava che avrebbe perso contro una grande avversaria e non
doveva crucciarsene. “Pronta?”.
“Pronta”.
E
partirono, al galoppo, alzando un mugolo di polvere sull'aia di
Nampara. Si lasciarono dietro zolle d'erba, la brughiera, le strade
sterrate fino a raggiungere le scogliere.
Alla
pari, senza che nessun cavallo riuscisse a prevalere sull'altro.
Ross
osservò la giovane donna accanto a lui, coi capelli rossi
ormai
sciolti e liberi nel vento. Santo
cielo, era una cavallerizza grandiosa! C'era
qualcosa di assolutamente selvaggio in lei, un fuoco che
difficilmente aveva scorto nelle altre donne. Il suo fisico minuto
sembrava perfetto in sella a un cavallo e il suo viso pulito, fresco
e senza un filo di trucco la rendeva ancora più giovane e
affascinante mentre cavalcava con la grazia di una giovane amazzone.
Era una bella donna, di una bellezza particolare. Una bellezza che,
finalmente capì, lo attraeva. Nessun uomo forse avrebbe
potuto
resistere a una donna che racchiudeva in se la grazia di una lady
quando era necessario, con la natura selvaggia e libera che sembrava
aver ereditato dalla terra in cui era nata. Che diavolo ci faceva una
creatura come Lady Boscawen, sposata con quel poeta amorfo di Hugh
Armitage? Come poteva minimamente un uomo così statico e
sognatore,
stare al passo di una donna così? Come poteva lei sentirsi
completa
con accanto un compagno del genere? Hugh Armitage poteva essere il
sogno di una qualsiasi giovinetta nobile di buona famiglia, cresciuta
con il solo
scopo di un buon matrimonio di società, ma non era affatto
adatto a
una donna come Demelza. Santo cielo, non avevano nulla in comune! E
perché ci stava pensando tanto? Non era la prima volta che
faceva
pensieri del genere su di lei ma ora ne capiva il motivo. Lo
attraeva... Era attratto
da lei, dal suo modo di fare schietto e ora che la osservava da
vicino, anche da quel corpo minuto e perfetto. Non avrebbe mai
pensato di sentire ancora qualcosa del genere per una donna che non
era Elizabeth...
Elizabeth...
Da quando Demelza aveva bussato alla sua porta, era
riuscita a cancellare in lui il ricordo di quanto si erano detti a
Trenwith poche ore prima. Che diavolo di potere aveva quella ragazza
conosciuta da poco, per caso?
Approfittando
dei suoi pensieri e della sua distrazione, la ragazza
accelerò,
staccandolo di netto nella loro gara.
“Hei!”.
Ross la osservò andare via, rendendosi conto che lo avrebbe
stracciato se non si metteva a galoppare come sapeva fare di solito.
Era decisamente
una bravissima amazzone Demelza e galoppare con lei, a ridosso della
scogliera, era qualcosa di inebriante ed eccitante. Forse
avrebbe perso quella sfida, forse avrebbe dovuto sorbirsi Falmouth a
una noiosa riunione alla banca di Cornovaglia, forse...
Beh,
Ross decise che non gli importava.
Ma
fu proprio in quel momento che Demelza, inaspettatamente e senza un
apparente motivo, si fermò di scatto vicino ad alcuni massi
proprio
ad alcuni metri dal traguardo che avevano fissato.
Impossibilitato
a fermare in tempo il suo cavallo, Ross la raggiunse e
superò,
finendo per vincere suo malgrado.
Ma
quello passò in secondo piano...
Preoccupato,
saltò giù
dal cavallo e corse verso Demelza
che aveva
fatto altrettanto e ora se ne stava rannicchiata tenendo in mano
qualcosa raccolto da terra. La raggiunse e si chinò davanti
a lei.
“Che cos'è successo?” - chiese
preoccupato.
Demelza
socchiuse le mani e ne mostrò il contenuto. “Ho
visto lui e ho
sentito che piangeva e non ho potuto proseguire. Aveva una zampetta
incastrata fra le rocce...”.
Ross
spalancò gli occhi. Accidenti a lei, gli era preso un colpo,
aveva
pensato che si fosse sentita male o si fosse ferita e invece si era
fermata per... un gatto! “Avreste potuto farvi del male e
cadere, a
fermare il cavallo in quel modo brusco!”.
Demelza
strinse il micino, un animaletto dal pelo rosso come i suoi capelli e
dagli occhi azzurri, che poteva avere forse un mese di vita per
quanto era minuscolo, sedendosi con la schiena contro le rocce.
“Sono
brava a non cadere da cavallo, non preoccupatevi. Lui aveva
più
bisogno di me”.
Ross
sospirò, sedendosi accanto a lei nel prato deserto, con il
mare alle
loro spalle. Era da quando era ragazzino e giocava nei prati con
Francis, che non si sedeva a ridosso delle scogliere. “Siete
davvero una donna folle”.
“Voi
non vi sareste fermato se lo aveste visto?”.
Ross
scosse la testa, le donne, le donne!!! Che creature strane!!!
“Ovviamente non lo avrei fatto! Soprattutto in una gara! Vi
avverto
che per colpa di quel gatto, avete perso una sfida che era
praticamente vostra!”.
“Non
importa. E' così piccolo e sembra solo. Chissà
dov'è sua madre? E'
magrissimo, credo sia da molto che non viene allattato e non
mangia”.
Ross
sfiorò la testolina del gatto. Era davvero magro e nel
visino
smunto, gli occhi azzurri donati dalla natura apparivano ancora di
più. Se la madre era morta o lo aveva abbandonato, non
avrebbe avuto
speranze. “Credo sia meglio non chiedersi della madre. E non
affezionarsi. Se è solo, tempo pochi giorni e
morirà”.
Demelza
lo strinse a se. “No! No se qualcuno se ne
prenderà cura”.
La
osservò e Ross capì subito dal suo sguardo cosa
volesse. Santo
cielo, la faccia tosta di quella donna non conosceva confini!
“NO!”.
“Vi
prego!”.
“No,
voi lo avete trovato e voi ve lo portate a casa, se ci tenete! Vivete
in una reggia!”.
“Ma
ho un cane, potrebbe non accettarlo”.
“E
allora lasciatelo qui dove l'avete trovato!”.
Demelza
lo guardò con sguardo supplicante e in quel momento gli
parve una
ragazzina sul punto di piangere. E forse lo avrebbe anche fatto, le
donne piangono e si commuovono sempre davanti ai cuccioli indifesi.
“No...” - disse, un po' meno convinto di prima.
“Vivete
solo, vi farebbe compagnia” - insistette lei.
“Sto
bene da solo, grazie”.
“Berrebbe
solo un po' di latte e forse da grande, vi terrebbe lontani i
topi”.
Ross
si sentì osservato anche dal gatto, in quel momento. Santo
cielo,
aveva fatto comunella con quella dannata ragazza dai capelli rossi?
“Se lo porto a casa, la mia serva lo fa finire in padella per
la
cena di stasera”.
“Sono
sicura che ci
starete attento” - disse Demelza, mettendogli il micino in
mano.
E
Ross si trovò con quell'esserino in braccio. Che
mossa sleale!!! Osservò il gattino e lo trovò in
fondo piccolo e
grazioso, uno di quegli esseri che fanno affezionare anche i duri
uomini delle miniere. Non
pesava nulla, ma aveva un viso vispo e vivace e sembrava scalpitante
di trovare in lui un padrone. “Lady Boscawen, vi ha mai detto
nessuno che siete una creatura pessima e capricciosa?”.
“No,
voi siete il primo...”.
“Mi
fa piacere...”.
“Lo
terrete?”.
Ross
sospirò, era una guerra persa e lo sapeva benissimo.
“Lo terrò!
Trovategli almeno un nome, vorrei sapere cosa dovrò urlare
quando
inizierà a distruggere piatti e servizi posati sulle
mensole”.
Lei
sorrise e Ross capì perché non poteva dirgli di
no. Era
meravigliosa quando era contenta, adorabile. “Sun”.
“Sun?”.
“Oggi
c'è un sole tanto bello! E' un nome perfetto per un gatto
trovato in
una giornata così” - spiegò lei.
“Sun...”.
“Gli
darete del latte?”.
Ross
sbuffò. “Certo, state tranquilla”.
Demelza
rise, contenta. “Grazie!”.
Ross
osservò il micino che si era accucciato fra le sue mani,
addormentandosi come consapevole di essere finalmente al sicuro.
“Aspettate a gioire troppo. Avete perso la nostra sfida, lo
avete
dimenticato?”.
Lei,
come ricordandosi improvvisamente il motivo per cui era lì,
impallidì. “Già, a quanto
pare...”.
Ross
si alzò in piedi, mettendosi il gatto nel taschino della sua
camicia. Poi le porse la mano, aiutandola a fare altrettanto.
Lei
si alzò di scatto e per questo inciampò, finendogli
addosso.
Arrossì, mentre le braccia di Ross, col micio fra loro, le
cingevano
la schiena. “Attenta”.
“Scusate!”
- sussurrò lei, col cuore in gola, sentendosi avvampare. Che
braccia
dannatamente forti aveva Ross Poldark... E tutti i suoi buoni
propositi di mantenere le distanze presi durante la strada verso
Nampara? Santo cielo, lui riusciva sempre a farli cadere e lei
capì
di essere nei guai. Era attratta da lui ed era stupido. Di certo Ross
Poldark non poteva trovare attraente una ragazza venuta dal popolo e
poi era sposata. C'era Hugh... E non aveva mai trovato Hugh attraente
come Ross e
questo era il guaio.
Era bello suo
marito, un giovane dal piacevole aspetto,
ma era più un sentimento pacato, Ross Poldark e la sua
figura
parevano invece catturarla in una spirale da cui non riusciva ad
uscire e che prendeva possesso di ogni fibra della sua
razionalità e
del suo corpo.
Ma
dovette far violenza su se stessa e ristabilire le distanze.
“Io...
Forse dovrei tornare a casa e dire a Falmouth che non
andrete”.
Ross,
turbato da quel contatto, da quel calore che sembrava dare ristoro al
suo cuore da troppo tempo arido, deglutì. Non voleva che
quel
pomeriggio finisse e ancora, si trovò a pensare che non
voleva che
lei se ne andasse. “No!”.
“No
cosa?” - chiese lei.
“Dite
a Falmouth che andrò alla riunione con lui”.
“Ma
ho perso la sfida”.
Ross
sorrise, dolcemente. “Per un buon motivo, no? Lo avete detto
voi”
- disse, indicando il gattino nel suo taschino.
“Ma
ho perso lo stesso”.
“Una
gara che però era vostra” - ribadì lui.
“Dite a Falmouth che si
è scelto una buona messaggera”. Lo
puntualizzò. Sperando che
questo spingesse in futuro Falmouth a mandare ancora Demelza da lui.
Era scorretto, verso Armitage e verso la stessa Demelza. Ma non
poteva farne a meno, voleva ancora avere a che fare con lei. Da soli,
lontano da tutto e tutti. Soprattutto da Hugh e, si rese conto, anche
da Elizabeth. Si stava mettendo nei guai...
Di
tutta risposta Demelza gli prese la mano, stringendogliela. Un gesto
istintivo che la fece arrossire e lui se ne accorse, subito. Ma fece
finta di nulla. “Grazie, signor Poldark”.
“Grazie
a voi! Oggi siete stata preziosa”.
“Io?”.
Ross
avrebbe potuto spiegargli di Elizabeth, di come poco prima lo avesse
fatto sprofondare nell'oscurità e di come lei invece lo
avesse
riportato alla luce, ma si rese conto che così si sarebbe
spinto
troppo oltre e non era il caso. Quindi indicò il gatto.
“Ho un
nuovo amico, grazie a voi, no?”.
Demelza
rise, accarezzando il gatto. “Sun! Gli darete il
latte?”.
“Gli
darò il latte”.
“E
non lo farete mettere in padella dalla vostra serva?”.
“Giurò
che non lo mangerò in spezzatino stasera”.
Demelza
rise, di gusto, salendo sul suo cavallo. “Allora posso andare
tranquilla”.
“Sì,
potete farlo” - rispose lui, osservando la sua figura resa
sfuocata
dal riflesso del sole alle sue spalle. “A presto, lady
Boscawen”.
“A
presto, Ross Poldark”.
Si
guardarono a lungo negli occhi, come se fossero incatenati. Poi
Demelza voltò il cavallo e corse via, velocemente.
Ross
rimase a fissarla andare via finché l'orizzonte non la
inghiottì.
Poi, con il suo cavallo e con Sun, tornò a casa sentendosi
in tranche e chiedendosi cosa volesse davvero fare, ora.
In realtà non
poteva fare niente ma si sentiva comunque di buon umore...
Quella
sera sentì Prudie borbottare, Jud dire che un gatto da
sfamare non
era giusto, corretto e gentile, diede il latte a Sun e poi lo mise in
una cesta con una coperta, accanto a lui nel letto.
E
col cuore più leggero e sereno di quanto ne avrebbe avuto se
avesse
incontrato solo Elizabeth quel giorno, si addormentò
sognando dei
lunghi capelli rossi che si muovevano selvaggi nel vento mentre la
loro proprietaria cavalcava a ridosso delle scogliere sul mare.
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Capitolo 9 *** Capitolo nove ***
Credeva
che si sarebbe annoiato ma in realtà l'incontro alla Banca
di
Cornovaglia con Falmouth, assieme ai maggiori azionisti e ai
personaggi più di spicco dell'economia e della politica
locale, era
stato interessante. Molte cose e molti atteggiamenti che aveva visto
e sentito non gli erano piaciuti, ma aveva anche apprezzato alcune
delle idee proposte per migliorare i servizi sul territorio. Certo,
dietro a quelle idee c'erano interessi personali fortissimi, ma Ross
non poteva non ammettere a se stesso che comunque, se portate a
termine, quelle proposte potevano davvero fare la differenza per
tante povere persone del distretto. Un accesso più facile ai
crediti, un maggiore controllo sugli interessi, la creazione di nuovi
posti di lavoro su cui investire nascondevano di certo fini politici
ed economici, ma una parte del guadagno sarebbe ricaduta anche su chi
ne aveva più bisogno. La parte minima, ma Ross sapeva che
poteva
comunque fare la differenza nelle vite di tante famiglie...
Forse
era questo l'equilibrio che doveva perseguire il bravo politico,
imparare a rimanere in bilico su una corda senza cadere e senza
sporgersi troppo o verso il lato del mero guadagno o verso il lato
troppo populista. Ci voleva saggezza, pazienza, capacità di
mediare
– ed erano tutte cose che lui non possedeva – ma
non poteva non
ammettere a se stesso che era un mondo che, ora che l'aveva toccato,
l'aveva affascinato.
Falmouth
aveva anche parlato della scuola e cercato investimenti per portarla
a termine il prima possibile. Puntava a qualcosa di impatto, a
qualcosa che gli avrebbe attirato voti e di certo non aveva a cuore
la sorte dei futuri studenti, ma quì Ross si
riallacciò al pensiero
di poco prima: non era importante il perché veniva fatta
un'opera ma
il risultato intrinseco. E se Falmouth avesse cercato investimenti e
fondi per migliorare il progetto, di certo ci avrebbe guadagnato in
prestigio e in forza politica. Ma quelli che ci avrebbero guadagnato
di più, alla fine del gioco dei grandi e potenti, sarebbero
stati i
bambini che l'avrebbero frequentata.
Mentre
tornavano verso la residenza di Falmouth in carrozza, la mente di
Ross era tormentata da tutti quei pensieri.
Falmouth
sembrava contento degli esiti dell'incontro che lo avevano visto
protagonista di molte trattative e Ross, osservandolo, si chiese se
dovesse imparare a rendersi umile per apprendere qualcosa da quella
vecchia volpe che di certo sapeva come condurre le proprie battaglie
e soprattutto, come vincerle.
Sentendosi
osservato, Falmouth gli sorrise. "Appena arrivati a casa mia, vi
mostrerò i progetti della scuola".
Ross
annuì. Quel mattino si era proposto di andare alla residenza
dei
Boscawen per prendere Lord Falmouth e dargli un passaggio fino alla
Banca e si era dichiarato interessato all'andamento dei lavori della
scuola. Era vero, quel progetto gli piaceva ma soprattutto gli
piaceva chi lo stava portando avanti. Aveva sperato di vedere Demelza
quando era arrivato, ma era stato sfortunato. Era troppo presto,
probabilmente lei ancora dormiva e la grande e lussuosa dimora dei
Boscawen era ancora immersa nel silenzio.
Da
quando avevano galoppato insieme, molte volte l'aveva pensata. Era
così allegra, piena di vita, intraprendente e assolutamente
imprevedibile nei suoi modi di fare... Ross non era un bambino e
sapeva bene cosa fosse l'attrazione per una donna e capiva benissimo
cosa provasse per lei e anche che in realtà non doveva
sentirsi
così. Demelza era una donna sposata e il suo animo pareva
leale e
sincero e di certo poco attratto da tradimenti o tresche ai danni del
marito. E nemmeno lui era tipo da cercare di infilarsi nel letto di
una donna sposata, soprattutto se provava ammirazione per lei... Ma
non riusciva a non chiedersi come fosse baciare una donna
così,
quanta passione ci fosse in lei e quanto bello fosse il suo corpo...
E
poi c'era Elizabeth... Che forse non era più il suo primo
pensiero
ma che di certo il suo cuore e la sua mente non avevano dimenticato,
soprattutto dopo il colloquio avuto a Trenwith giorni prima. Quanto
si erano detti era stato forte, aveva avuto l'effetto di un terremoto
su di lui ma l'arrivo di Demelza era stato capace di mitigare il
marasma che si era creato nella sua mente. E quell'effetto non era
ancora passato. E così aveva deciso che avrebbe cercato di
avere più
contatti con lei, nel massimo rispetto della sua posizione, e che
avrebbe cercato di trarne il meglio. Demelza lo faceva stare bene e
stare bene era l'unica cosa di cui aveva bisogno per andare avanti e
trovare uno scopo a tutto quello che faceva. Per questo aveva
accettato di visionare i disegni della scuola in costruzione con
Falmouth, impegnandosi a sponsorizzare con le famiglie dei suoi
minatori l'opera e la sua utilità, in modo che molti bambini
potessero studiare.
"Se
riuscirete ad attirare abbastanza studenti, potremmo allargare
l'opera" - continuò Falmouth.
"Sarebbe
grandioso se riuscissimo ad aprire delle piccole scuole anche nelle
comunità più sperdute della brughiera".
Falmouth
annuì, mentre la carrozza faceva ingresso nei grandi
giardini della
sua casa. "Non troppo sperdute, però! Ci vuole
visibilità per
dare credibilità a questo genere di investimenti".
Ross
sospirò. Dare-avere, era su questa logica che si muoveva
Falmouth e
lui doveva diventare un abile giocatore quanto lui, nelle trattative.
"Ci mancano gli investitori, però! Abbiamo sentito tante
belle
parole ma di denaro donato, io non ne ho visto".
Falmouth
sorrise, sornione. "Arriverà, so già come fare".
Ross
non fece in tempo a rispondere. La carrozza si fermò e un
valletto
corse ad aprire loro lo sportellino, facendoli scendere.
Un
cane bianco, dal pelo riccio e dall'aspetto poco regale, corse
incontro al lord saltandogli sulle gambe festoso.
"Hei!"
- si lamentò il lord, allontanandolo con una leggera spinta.
Ross
rise. "Un vostro cane da caccia?".
"No,
il cane della giovane Demelza. Selvaggio e assolutamente ineducato e
senza speranza di miglioramento".
Ross
osservò l'animale, ricordandosi che Demelza aveva detto di
non poter
tenere Sun a causa del suo cane che forse non sarebbe andato
d'accordo con un gatto. Beh, ora lo aveva conosciuto e se il detto
diceva 'Tale cane, tale padrone', in quel caso era assolutamente
azzeccato. Selvaggio e vivace, come lei. E affettuoso... come
probabilmente era Demelza...
Come
materializzandosi dai suoi pensieri, la donna comparve da uno dei
vialetti, chiamando l'animale che le corse incontro. Indossava un
meraviglioso abito azzurro da passeggio, i suoi capelli le ricadevano
ben pettinati sulle spalle ed era in compagnia del marito, che
camminava dietro di lei di alcuni passi.
"Garrick!"
- urlò la ragazza, bloccandosi poi stupita quando vide Ross
assieme
a Falmouth.
Lui
salutò, togliendosi educatamente il tricorno dalla testa.
"Lady
Boscawen, Lord Armitage, buona giornata".
Hugh
salutò educatamente, Demelza per un attimo
arrossì
impercettibilmente. Da quando era stata a casa sua, spesso si era
fermata a ripensare a quel bellissimo pomeriggio trascorso con lui a
cavallo, libera di galoppare con i capelli sciolti al vento, nella
natura selvaggia della Cornovaglia che si specchia nel mare con i
suoi prati, le sue scogliere e le sue spiagge. E soprattutto, si era
chiesta spesso cosa lui facesse, in quei giorni. Si era sentita in
colpa per questo, per quel battito accelerato del suo cuore ogni
volta che le veniva in mente Ross, per il rossore che compariva sul
suo viso e per quegli strani, vaghi ma forti sentimenti che era certa
di non aver mai provato per Hugh. Trovava Ross Poldark affascinante,
un pò rude, a volte esasperante nei modi di fare spicci ma
decisamente attraente. Forse non faceva nulla di male, essere sposati
non significava divenare ciechi verso il mondo e di certo tutte le
donne e gli uomini incontravano, nel corso della loro vita, persone
belle e piene di fascino. E se tutto si fermava all'ammirazione, non
c'era nulla di male forse. Ma questo non le impediva comunque di
sentirsi in colpa verso Hugh e si era ripromessa spessa di
comportarsi da brava moglie, fallendo però ogni volta che il
suo
cuore le suggeriva che avrebbe voluto passare ancora del tempo con
Ross Poldark. Forse sarebbe passata col tempo, dopo tutto era un uomo
affascinante ma dotato di modi di fare spesso scortesi e scontrosi,
probabilmente questa era una cosa passeggera normale e che capita a
chi, come lei, incontra poche persone nuove nel corso della sua vita,
forse Hugh sarebbe stato meglio e sarebbero ripartiti per Londra e
tutto sarebbe diventato un ricordo o forse, alla fine, la scuola
l'avrebbe distratta da tutti quei pensieri...
Tanti
forse che però le crollarono davanti, come tutti i suoi
buoni
propositi, appena lo vide. "Signor Poldark, che sorpresa" –
disse, tentando di mantenere un tono neutro.
Ross
le andò incontro, felice. Era lì per rivederla e
ci era riuscito!
Anche se erano decisamente meno soli della volta precedente.
"Buongiorno. Come state?".
"Bene!
E' un piacere avervi ancora come nostro ospite".
Falmouth
si mise fra loro, con un sorriso a trentadue denti. "Nipote,
Demelza, Poldark ha accettato di sponsorizzare coi suoi uomini e le
sue conoscenze, la nostra scuola. E di darmi supporto in qualche
altro mio piccolo progetto qua e la...".
Hugh
annuì, un pò a disagio. "E quindi mio zio
è riuscito a
persuadervi?" - più preoccupato che contento per questa
novità
che avrebbe portato più spesso di quanto avrebbe voluto
quell'uomo a
casa sua.
Ross
osservò Demelza, intensamente. Uno sguardo fugace, veloce,
solo loro
che sfuggì agli altri astanti. "Solo per i progetti
più
meritevoli" – disse infine, tornando a parlare col giovane
verso il quale, si rese conto, si sentì stranamente ostile.
Come se
essere il marito di quella giovane donna fosse una colpa... Santo
cielo, era davvero geloso di Hugh Armitage? Era impazzito?
Sì,
forse... Ma non poteva farci nulla!
Demelza
sorrise, dolcemente. "Davvero siete interessato al progetto
della scuola?".
"Assolutamente!
Ci ho pensato molto e per i figli dei miei minatori sarebbe
più di
una vaga speranza per il futuro".
"Vogliamo
ampliare il progetto anche ad altre aree, se le cose andranno bene!"
- aggiunse Falmouth, con ottimismo.
"Ma
ci vorranno investitori" – fece notare Hugh, scettico.
Ma
Falmouth lo stoppò, deciso. "Arriveranno! Ho deciso,
tornando
dalla banca, di indire in questa villa un grande ballo con tutte le
persone della zona che contano. Compresi i dirigenti della Banca di
Cornovaglia! Un ballo di beneficenza è il modo migliore da
sempre,
per trovare fondi!".
Demelza
alzò un sopracciglio. "Quì stiamo diventando
troppo festaioli
rispetto alle nostre tradizioni" – esclamò,
prendendo
bonariamente in giro quel lupo solitario del lord.
Falmouth
le posò una mano sulla spalla. "Volevi la scuola e avrai la
scuola! Preparati ad essere la reginetta della festa".
Hugh
guardò sua moglie con ammirazione e Ross ci scorse, in
quello
sguardo, quanto lui dipendesse da lei. Ne era indubbiamente
innamorato, forse più dell'aspetto esteriore e dell'idea che
della
persona in se, ma di certo teneva molto a sua moglie e faceva di
tutto per renderla felice. "Ne sarai all'altezza, mia cara".
Demelza,
decisamente meno ottimista, annuì un pò timorosa.
"Certo. Per
la scuola... Verrete anche voi?" - chiese infine a Ross, come a
voler trovare in lui un pò di coraggio per quel ballo che di
certo
doveva terrorizzarla come ogni altro evento mondano a cui doveva
partecipare.
Ross
fece finta di rammaricarsi ma in quel momento l'idea del ballo,
benché contraria al suo essere, gli piaceva e gli dava
l'opportunità
di rivederla ancora. "Sono sacrifici che devo fare, per una
buona causa. Anche se dovrò lasciare solo Sun per una sera"
–
concluse, strizzandole l'occhio.
A
quelle parole, lei avvampò. E Hugh osservò
entrambi, con Falmouth,
in modo perplesso. "Sun?" - chiese il giovane.
Ross
osservò Demelza e capì che forse l'aveva messa in
difficoltà. La
loro cavalcata solitaria, le risate, quel tempo strappato alle
esigenze del casato che aveva permesso loro di trovare il gattino, di
certo era qualcosa di inappropriato che non poteva essere raccontato
alla sua famiglia. "Sun... Sì, il mio gatto! Quando Lady
Boscawen è giunta a casa mia per portarmi il vostro invito,
lo ha
visto e se ne è innamorata".
Hugh
rise, decisamente sollevato. "Oh, un gatto! Animali
affascinanti".
Ross
continuò nella sua menzogna. "Soprattutto agli occhi di una
donna! Incredibile come le ragazze si emozionino e innamorino di quei
piccoli ammassi di peli e pulci, non trovate?".
Hugh
annuì. "Sì. Fa parte dell'animo romantico e
delicato di una
donna".
"Delicato,
sì..." - mormorò Ross con sarcasmo, lanciando
un'occhiata
divertita a Demelza. Quella donna era tante cose ma di certo non era
né delicata né bisognosa di essere vezzeggiata.
Amaramente, si
chiese quanto in realtà Hugh conoscesse sua moglie e si
trovò
dispiaciuto che non avesse davvero colto appieno le migliori
caratteristiche della donna che aveva sposato.
Sollevato
da quello scambio di battute, Hugh si rivolse allo zio. "Andiamo
a prendere i progetti, sono nel mio studio. Potremmo darci un occhio
col signor Poldark nel giardino".
"Ottima
idea!" - rispose Falmouth al nipote.
Hugh
sfiorò la mano di Demelza. "Mia cara, potresti far compagnia
al
signor Poldark per qualche minuto?".
"Certo"
– rispose lei, col cuore che nuovamente le martellava nel
petto.
A
Ross non parve vero! Certo, Hugh ignorava i suoi sentimenti e i
trascorsi con sua moglie, ma il suo primo pensiero fu che era un
grandissimo idiota! E lui ne avrebbe approfittato...
Appena
soli, più rilassati, Ross scoppiò a ridere.
"Salvati
all'ultimo, vero mia cara creatura delicata che ama i gattini?".
Lei
scosse la testa. "Non dovreste prendervi gioco di mio marito!".
"Oh,
non lo faccio affatto! Ma il nostro caro Sun ci stava mettendo nei
guai e solo la mia proverbiale capacità di inventare balle
sul
momento ci ha salvati da un momento problematico. Problematico
più
per voi che per me...".
Demelza
sospirò, rendendosi conto che aveva ragione. "Grazie".
"Sono
molti i favori che mi dovete ormai!" - rispose lui, divertito,
tornando a provocarla.
Lei
rise, mettendosi una mano sulla fronte. "Giuda, siete pessimo!"
- sbottò, chinandosi ad accarezzare il suo cane che era
venuto a
strisciare il viso contro la sua gonna. "Sun sta davvero bene?".
"Sì.
Le tende di casa mia invece no, ma ce ne faremo tutti una ragione".
"Beve
il latte?".
"Certo!".
"Gioca?".
"Sì".
"E
la notte lo tenete al caldo?".
"In
camera con me, in una cesta, avvolto da una coperta".
Demelza
gli fece uno di quei sorrisi che lui trovava splendidi. "Grazie
per prima. Mi avete davvero salvata da un momento che poteva
diventare complicato".
Ross
si sedette con lei, col cane appollaiato davanti ai loro piedi, su
una panchina. "Me ne rendo conto. Ma in fondo non l'ho fatto per
voi. Odio condividere le mie faccende con chi non c'entra affatto"
– disse, con noncuranza.
Lei
lo fissò incuriosta. "Che volete dire?".
"Che
Sun è qualcosa che riguarda voi e me, non vostro marito. Non
Falmouth! Quindi non è il caso di discuterne in loro
presenza".
Il
cuore di Demelza accelerò a quelle parole e parve donarle
uno strano
senso di piacere che non sapeva spiegarsi appieno. Sapeva solo che
avere un qualcosa in comune con lui, un qualcosa solo loro, le pareva
immensamente bello. Bello con Sun! "Già" – disse
solo,
trovandosi d'accordo con lui. "Ma forse..." - si bloccò,
come comprendendo che probabilmente anche avere un segreto con Ross
Poldark era sbagliato.
Ross
si accigliò. "Ma, cosa?".
Demelza
strinse le mani a pugno, capendo che per quanto piacevole, non
potevano spingersi oltre e che avere un segreto come Sun era bello,
ma tutto doveva fermarsi lì, senza ulteriori implicazioni.
"Forse
dovremmo... dovrei comportarmi meglio...".
"Che
volete dire?".
"Non
amo avere segreti con mio marito" – rispose, risoluta ma
tesa.
"E non credo di doverne avere con voi".
Ross
capì il suo turbamento e per un attimo temette che lo
volesse
allontanare. "E' solo un piccolo gatto e voi non fate nulla di
male".
Lei
lo fissò, intensamente. "E allora perché mi sento
come se non
è così?".
Non
seppe risponderle, anche lui sapeva che non era solo per il gatto e
che lei aveva ragione... Entrambi lo sapevano e forse era pure
sbagliato ignorarlo. "Io credo di non essermi mai comportato
meglio di così da... da molto...". Anche questo era vero e
di
certo non si sarebbe mosso con altrettanta premura verso un'altra
donna.
"Ne
siete certo?" - chiese lei.
"Sì.
E voi?".
"Io
non ne sono così sicura".
Ross
cercò di tranquillizzarla. "Io credo che l'idea della scuola
sia una cosa buona. Che salvare Sun sia stato una cosa buona. Che
accettare l'invito di Falmouth lo sia. E anche l'idea del ballo,
anche se non lo amo particolarmente".
Demelza
sussultò. "Verrete?".
"Non
posso farne a meno" – sussurrò, riferendosi a
tante altre
cose che non riguardavano la scuola. Ma questo se ne guardò
bene dal
dirlo per non turbarla ulteriormente.
"Nemmeno
io" – mormorò lei, vaga.
Ross
le fece un sorrisetto maligno, cercando di stemperare la tensione.
"Sarete la reginetta della festa! Immagino quanto siate
deliziata per questa cosa...".
Lei
rise. "Iniziate di nuovo a prendermi in giro?".
"Sì,
è incredibilmente divertente farlo!" - le rispose.
Demelza
decise di stare al gioco. "Voi sarete costretto a vestirvi da
damerino".
Ross
alzò le spalle. "Beh, saremo in due a soffrire, ci faremo
compagnia!".
Compagnia...
Beh, era una prospettiva in fondo non così catastrofica.
"Compagnia,
sì" – mormorò Demelza mentre Hugh e
Falmouth tornavano coi
progetti in mano, pronti a catturare Ross nel mondo dei Boscawen.
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Capitolo 10 *** Capitolo dieci ***
Falmouth
non aveva badato a spese per quel ballo di beneficenza. Aveva
ordinato pesce pregiato, carne di cervo, antipasti ricercati, ottimo
vino francese, dolci di cioccolato e frutta e assunto un'orchestra
che potesse allietare gli ospiti.
Le
settimane di preparazione all'evento, di solito vissute da Demelza
con paura e trepidazione, erano state diverse stavolta e
qualcos'altro aveva occupato i suoi pensieri. Mentre si preparava per
la serata, ripensandoci, si era data della stupida per averci creduto
e ancora non si capacitava di come, ogni volta, l'amarezza riuscisse
a sopraffarla.
Aveva
avuto un ritardo di una settimana e per un attimo aveva sperato...
Sapeva bene, i medici erano stati categorici in merito, che Hugh a
causa della sua malattia non avrebbe potuto avere figli e che lei
sarebbe stata condannata ad una vita senza le gioie della
maternità,
ma ogni volta che il ciclo non arrivava puntuale, la speranza nasceva
in lei con prepotenza, combattendo ragione e raziocinio. E poi, ogni
volta, la delusione era cocente e appena sola, si nascondeva da
qualche parte a piangere come una ragazzina sciocca e sognatrice. Ma
non poteva farci nulla e anche se da quel matrimonio aveva ricevuto
una famiglia, affetto, ricchezza e tranquillità, avrebbe
tanto
desiderato, più di tutte queste cose, un bambino...
Per
una settimana aveva mantenuto segreto e speranza, sognando che fosse
vero e di dare la notizia a Hugh. Ma poi la speranza si era infranta,
come sempre, e non c'era stato nulla da annunciare. Ma si era
ripromessa di essere comunque contenta: suo marito stava bene in quel
periodo, era sereno e non avrebbe detto nulla che potesse turbarlo...
In fondo non sapeva nemmeno se Hugh desiderasse dei figli, non ne
avevano mai parlato e sembrava appagato anche così della sua
vita. E
doveva quindi esserlo anche lei.
Osservò
l'abito, stupendo, che avrebbe indossato quella sera, un vestito
sbracciato con un corpetto stretto e una gonna che scendeva
allargandosi dolcemente, fatto di uno strano tessuto lucido che, ad
ogni movimento, pareva cambiare tonalità di colori. Un
momento
sembrava color avorio, l'altro dopo azzurro e l'altro dopo ancora,
verde smeraldo... Era splendido e di certo un abito che in molti
avrebbero ammirato. E conseguentemente, tutti avrebbero guardato lei.
La
domestica la aiutò ad indossarlo e poi, dopo averle legato
al collo
una collana di diamanti, le raccolse i capelli in una crocchia,
ornandola poi con una collana di rubini che la tenessero a bada come
se fossero stati un nastro.
Demelza
si guardò allo specchio, stentando a riconoscersi. Santo
cielo, era
davvero lei la donna riflessa? La donna truccata, elegante, coperta
di gioielli era proprio la stessa ragazza che fino a pochi anni prima
era stata una domestica in quella stessa casa?
"Signora,
posso andare?" - domandò la cameriera, proprio nell'istante
in
cui Hugh entrava nella stanza, già vestito e pronto per la
festa.
"Sì".
La
donna uscì e suo marito le si avvicinò,
mangiandola con gli occhi.
"Sei meravigliosa, mia cara! Avrai gli occhi di tutti su di te,
sarai la più ammirata".
"Che
gioia..." - rispose lei, sarcastica. Hugh doveva avere qualche
strano problema a capire che questo non le faceva affatto piacere...
Come
intuendo i suoi pensieri, lui cercò di rassicurarla. "E' il
sogno di ogni donna essere la più ammirata".
"Non
il mio" – gli rispose, a tono. "Io vorrei solo
mimetizzarmi con la tappezzeria".
Hugh
rise e le sfiorò la vita, attirandola a se. "Ma potresti
farti
bastare che a me fa piacere? Sono così orgoglioso di pensare
a come
mi invidieranno tutti per averti in moglie. E resta il fatto che
è
per una buona causa".
Demelza
annuì, ricordandosi della scuola e decidendo che valeva la
pena
quella serata di imbarazzo. "Non mi lascerai sola, vero?".
Hugh
la baciò lievemente sulle labbra. "Mai! Non ti
concederò a
nessuno, per nessun ballo!".
Demelza
rise. "Vuoi ballare? Tutta sera?".
"Certo!".
Le
faceva piacere quel suo buon umore, lui che di solito era solitario e
poco incline a balli e vita di società. E soprattutto, era
felice di
vederlo più attivo e desideroso di fare qualcosa. Era
cambiato da
qualche settimana a quella parte, sembrava come volerle dimostrare
che era degno di lei e Demelza spesso si era chiesta se questo non
fosse dovuto alla strana gelosia che aveva brevemente sentito verso
Ross Poldark. Beh, qualunque cosa fosse, ne era contenta. Vedere Hugh
così le scaldava il cuore e soprattutto faceva bene al suo
matrimonio, allontanando forse certi strani fantasmi che sembravano
minacciarlo e che si era ripromessa di tenere lontani. Anche se...
"Me
lo prometti? Ballerai con me tutta sera?".
"Certo,
amore mio. Ballerò con te, non avrò occhi che per
te e sarò tuo
appena rientreremo in questa stanza".
Demelza
deglutì. La passione non era mai stata il punto forte del
loro
matrimonio e spesso si era avvicinata all'intimità con Hugh
con una
strana apprensione e con scarso desiderio. Ma non si era mai
sottratta ai suoi doveri e vedere Hugh tanto energico, le rendeva
l'animo più leggero e la faceva sentire più
bendisposta. Sarebbero
state una bella sera e una bella notte, ne era certa... "Aspettami
giù, arrivo subito" – gli sussurrò,
contro le sue labbra.
"Certo,
amore mio".
Lo
guardò uscire e poi, di soppiatto, aprì il
cassetto della sua
toeletta, estraendone un piccolo nastro dorato con legato un
campanellino. Pensò a Sun, che Ross stava accudendo per lei.
Aveva
preparato quel campanellino dopo la delusione per la mancata
gravidanza e anche se non avrebbe avuto occhi che per Hugh quella
sera, lo avrebbe voluto dare a Ross come dono per il loro gattino.
Mise
il nastrino col campanello in tasca, prese un profondo respiro e
andò
alla festa.
Hugh
la aspettava all'imbocco delle scale, le prese la mano e scesero
insieme, in un salone già gremito di ospiti.
Tutti
si voltarono a guardarli e salutarli e lei lottò contro se
stessa
per non arrossire. Osservò quei volti conosciuti o
sconosciuti e vi
scorse Lord Coniston della Banca di Cornovaglia, Sir Bodrugan, Sir
Penvenen, il maggiore Bloscher, la famiglia Godolphin, i Warleggan e
i Poldark. E tanti altri a cui non sapeva dare un nome...
Rimase
un pò a scambiare convenevoli coi loro ospiti assieme a
Hugh,
sperando di vedere Ross per allontanarsi un attimo prima dei balli
per dargli il nastrino per Sun.
E
finalmente lo vide, in un angolo della sala, solitario come sempre,
con in mano un boccale di vino. Vicino a lui c'erano le sue cugine,
Elizabeth e Verity, il capitano Henshawe e più lontano,
alcuni della
famiglia Warleggan.
Lo
sguardo di Ross era cupo come sempre in quelle occasioni ma questo
ormai non la contrariava più; capiva benissimo come doveva
sentirsi
in gabbia in quel momento e supportava la sua voglia di fuggire,
magari a cavallo a ridosso della scogliera, proprio come desiderava
lei.
Si
chiese se andare da lui subito o aspettare che Hugh finisse di
parlare con un lord suo amico, notò gli sguardi che di tanto
in
tanto Ross lanciava verso Elizabeth e tentennò, ma poi si
fece
coraggio, si disse che era per la scuola e gli andò
incontro. "Vado
a salutare i Poldark! Mi raggiungi?" - chiese a Hugh, intento a
chiacchierare di poesie con un invitato.
Lui,
preso dal discorso, distrattamente annuì. Poi fece per
protestare,
ma vedendo che c'era Verity vicino a Ross, alla fine le fece cenno di
andare e che l'avrebbe raggiunta subito.
Demelza
si avviò nella sala, fra gli ospiti, e quando giunse dai
Poldark, si
sentì lo sguardo acido di Elizabeth addosso.
"Oh,
che abito splendido Lady Boscawen" – mormorò la
donna, con
una punta di invidia nel tono di voce.
Nonostante
tutto, Demelza arrossì. "Vi ringrazio. Anche il vostro
è
davvero bello".
Elizabeth
si morse il labbro. "E' stato riadattato per la serata ma è
un
vecchio modello. Come sapete, noi Poldark non navighiamo in buone
acque al momento e non possiamo permetterci il capriccio di un
vestito nuovo e diverso per ogni ballo".
Demelza
colse al volo la frecciatina, ma non seppe rispondere. Non era mai
pronta a rispondere a tono alle vere lady, quando le facevano
osservazioni. "Mi dispiace".
Verity
si intromise, notando l'imbarazzo di Demelza. "Mia cara, è
un
piacere rivederti".
Demelza
la abbracciò, Verity era così diversa da
Elizabeth e se un giorno
fosse riuscita a diventare una specie di nobildonna, voleva essere
come lei. "Anche il mio. Mi raccontano che le cose per te vadano
benissimo".
Verity
rise. "Sì e devo ringraziare unicamente te e tuo marito".
Demelza
le strizzò l'occhio. "Ho visto il capitano Blamey arrivare
poco
fa. Se andate dalle parti del buffet, lo troverete in vostra attesa".
"Ohhh".
Verity arrossì e poi si aggrappò al braccio di
Elizabeth. "Mia
cara, accompagnami. Sarebbe troppo audace se andassi da lui da sola".
Elizabeth
fece per replicare, decisamente poco desiderosa di lasciare la sua
posizione di guardia su Ross. Ma alla fine non trovò modo di
obiettare e andò con Verity, lasciando strada libera a
Demelza.
Ross,
che era rimasto in muto silenzio in disparte, la osservò col
bicchiere in mano. "Lady Boscawen..." - mormorò.
"Capitano
Ross Poldark..." - rispose lei, avvicinandosi di alcuni passi.
"Continuate ad essere un lupo solutario, vedo...".
"Ehhh,
non mi smentisco mai. E poi non conosco quasi nessuno e i pochi
presenti che conosco, non mi piacciono".
Che
faccia tosta! Demelza si mise le mani sui fianchi, ormai divertita
per come lui sfoggiava il suo caratteraccio. "Parlate anche di
me?".
Ross
sorrise, evitando di risponderle. Era bellissima, di una bellezza che
gli faceva quasi male ed era davvero, come era nei desideri di
Falmouth, la regina di quel ballo, la più ammirata e la
meglio
vestita. "Siete quasi irriconoscibile, stasera" – dovette
ammettere.
"Lo
devo prendere come un complimento?".
Ross
scosse la testa, ridacchiando. Poi bevve un sorso di vino. "Ah,
prendetelo per quello che è, un dato di fatto. Siete molto
bella ed
elegante, ma...".
"Ma?".
"Ma
se devo essere sincero, vi ho preferita quel giorno a casa mia, a
cavallo".
Demelza
sorrise. Avrebbe voluto dirgli che era d'accordo con lui, che quello
era stato un momento davvero piacevole e che lo preferiva a qualsiasi
ballo, ma ovviamente non poteva farlo. "Mi preferivate
spettinata e sporca di terra sul viso?".
Pensava
che Ross avrebbe risposto con una battuta, ma fu stupita di vederlo
farsi serio. "Sì" – disse solo.
E
Demelza arrossì, imbarazzata, rendendosi conto che ancora
una volta
lui la sapeva confondere. "Avevamo trovato Sun, quel giorno".
"Sì".
Gli
si avvicinò, prendendo dalla tasca il nastrino col
campanello,
imponendosi di ricordarsi del perché era andata da lui.
"Questo
l'ho fatto per il nostro micino. Glielo metterete al collo, quando
tornate a casa?".
Ross
osservò il nastrino, fatto con cura, con un grazioso fiocco
e con
quel campanello dorato che a Sun sarebbe stato benissimo. Era un
oggetto semplice ma fatto col cuore, ogni particolare sembrava
gridare a Ross quanto fosse gentile e semplice l'animo della donna
che aveva davanti. E quanto la desiderava... "Glielo
metterò!
Ma non aspettatevi che vi ringrazi! E nemmeno io, quando di notte si
metterà a far suonare questa campanella nel mio orecchio".
Demelza
rise immaginando la scena, rendendosi conto che era la prima volta
che si sentiva a suo agio in un ballo. E stranamente, non stava
avvenendo con Hugh...
Ma
poi si ricordò di suo marito, di quanto si erano promessi e
capì
che si era intrattenuta anche troppo. "Ora devo andare".
"Dove?"
- le chiese, con quella voce calda che sapeva farle venire i brividi
alla schiena. Dove, come se non ci fosse altro posto giusto per lei
se non quello...
Il
cuore di Demelza accelerò. "Da mio marito, desidera che
balli
con lui questa sera" – rispose, quasi a volersi giustificare.
Giuda, non voleva andare via, voleva star lì in sua
compagnia... Non
voleva che quel ballo riservasse ad entrambi solo quel momento
insieme, non voleva vederlo andarsene senza nessun battibecco e
nessuna frase scherzosa fra loro, non voleva tornare in camera e
lasciare che Hugh la facesse sua... Dov'erano i suoi buoni propositi
ora, ora che ne aveva bisogno?
Santo
cielo, era una donna orribile e stava diventando una moglie pessima!
Doveva fuggire, subito! "Devo davvero andare, ora. Mio marito si
starà chiedendo dove io sia".
"Capisco..."
- rispose lui, con gli occhi cupi e scuri specchiati nei suoi.
Rendendosi conto che, anche se odiava ballare, avrebbe volentieri
danzato con lei quella sera e ancora più volentieri,
l'avrebbe
voluta strappare a Hugh.
Demelza
lo fissò negli occhi e si rese conto che, anche se non ne
capiva
appieno i contenuti, quello sguardo fra loro pareva dirsi
più di
quanto lei volesse ammettere a se stessa, più di quanto lei
potesse
permettersi di pensare e provare. E che Ross capiva ogni cosa e col
suo sguardo riflesso, le rispondeva senza bisogno di aprire bocca.
Fece
un lieve inchino, gli voltò le spalle e andò dove
doveva essere:
fra le braccia di suo marito. Imponendosi di pensare solo a lui, di
fingere se necessario. E di non farsi sopraffare da quei sentimenti
che le facevano battere il cuore all'impazzata come non le era mai
successo...
...
La
fissò mentre ballava con suo marito, nel suo splendido abito
che,
come per magia, assumeva tonalità diverse ad ogni suo
movimento.
Aveva raccolto i suoi lunghi capelli rossi e li aveva ornati con una
collana di rubini che comparivano e sparivano fra la sua chioma e
Hugh, dai lineamenti delicati e giovani, era un perfetto principe
azzurro. Erano una bellissima e giovane coppia e a un tratto,
osservandoli, Ross si rese conto di nuovo di qualcosa che stavolta lo
turbò: era geloso. Di lei, che ballava con lui e di lui che
ballava
con lei. Lo avrebbe preso a pugni in quel momento... E gli era
già
capitato di provare una strana gelosia verso di lei ma mai con
quell'intensità, mai con quella ferocia che lo avrebbe
spinto a
scagliarsi contro il giovane rampollo dei Boscawen per staccarlo da
lei a suon di pugni.
Santo
cielo, stava decisamente impazzendo e il suo cervello stava
muovendosi contro ogni logica e contro la realtà.
Era
una follia ciò che provava. Demelza era la moglie di Hugh e
suo
marito la stava facendo ballare a un ricevimento e non c'era nulla di
sbagliato in questo, eccetto i suoi sentimenti. La osservò
ridere
con lui, cingergli le spalle con le braccia, guardarsi in un modo
complice che lui invece, forse, non aveva mai provato con nessuno e
si sentì solo. E rabbioso. E idiota perché non
aveva assolutamente
diritto di sentirsi così nei confronti di una giovane donna
vista
solo poche volte e di un giovane che nei suoi confronti si era sempre
dimostrato educato, gentile ed ospitale. Se Hugh avesse saputo che
pensieri si stavano affollando nella sua testa in quel momento, ne
sarebbe rimasto oltraggiato e colpito. E anche Demelza. Era sempre
stata gentile e fra loro si era instaurato un rapporto scherzoso e
cordiale ma di certo non lo aveva mai spinto a pensare che potessero
andare oltre e nemmeno si era mai mostrata interessata a far
sì che
accadesse... Era suo il problema, una sua fantasia che non sapeva
gestire e doveva imparare a farlo per il suo ruolo nella miniera,
nella società, nel rapporto coi Boscawen e soprattutto, per
lei...
Si rese conto che mai avrebbe voluto ferirla e questo suo
atteggiamento avrebbe potuto, in modo pesante.
Raggiunse
una balconata per prendere aria, ne aveva decisamente bisogno. E a un
tratto, mentre guardava nell'oscurità che dava sul giardino,
i passi
leggeri di Elizabeth lo raggiunsero alle spalle. Era strano, c'era
anche lei con Francis quella sera e lui per la prima volta non
l'aveva quasi notata.
“La
guardavi troppo insistentemente, Ross” - disse la donna,
senza
nemmeno salutarlo - “Lo hanno notato tutti e non è
una buona
cosa”.
“Di
che stai parlando?”.
“Della
piccola Boscawen. Ha stregato pure te oltre a quel giovane ed
inesperto – e ricco – poeta?
Come
ti ho detto, pare che le donne del popolo siano particolarmente abili
in certe cose e tu non dovresti lasciarti incantare”.
Ross
si trovò ad essere nuovamente irritato e non era la prima
volta, con
Elizabeth. Che voleva? Con che coraggio lei, proprio LEI, veniva a
fargli la morale? Era gelosa? O infastidita? O semplicemente irritata
perché non stava dando sfoggio delle buone maniere che un
Poldark
quale lei ormai era, doveva dimostrare? E se era gelosa e teneva a
lui, perché non aveva fatto altre scelte al suo ritorno
dall'America? Gli aveva fatto quella specie di confidenza che aveva
pericolosamente riportato a galla vecchi sentimenti e vecchie ferite
e col senno di poi, Ross aveva compreso che sarebbe stato meglio per
tutti che lei fosse stata zitta. Ma aveva parlato, senza che lui ne
capisse il fine e il motivo, era chiaro ad entrambi che non c'era via
d'uscita allo stato attuale delle cose e che lei non dovesse
pretendere nulla da lui. Giusto? Cosa voleva Elizabeth? Dedizione
eterna? Affetto? O semplice sincerità? Non sapeva darsi una
risposta
e forse nemmeno la voleva, dopo tutto... Tutto ciò che
desiderava
era osservare la giovane, bellissima Lady Boscawen che, con la sua
semplice presenza, sapeva rasserenare il suo animo inquieto e
riportare luce dove Elizabeth aveva seminato buio. “E'
un'ottima
danzatrice, tutto quì”.
“Da
quanto ti interessa la Gavotta?”.
“Da
stasera”.
Elizabeth
alzò le spalle. “L'hanno agghindata ed educata
bene ma il suo modo
di muoversi è ancora poco aggraziato, sia nella camminata
che nel
ballo. Una domestica è e rimarrà sempre una
domestica e non trovo
cosa ci sia di tanto speciale in lei”.
Ross
la fissò, storto. Per quanti sforzi faceva Elizabeth, quella
sera
non le riusciva proprio di essere diplomatica nei confronti di
Demelza verso la quale, era evidente, aveva provato da subito una
istintiva antipatia. E di certo lo splendido abito e la magnificenza
dei gioielli che indossava doverla averla ingelosita oltre misura.
Quando si comportava così, Ross non poteva non chiedersi
cosa ci
trovasse di tanto speciale e soprattutto dove fosse finita la dolce e
delicata fanciulla di cui si era innamorato prima di partire per
l'America. Era stato il matrimonio a cambiarla? Francis? Quella
situazione di povertà in cui si era ritrovata a vivere suo
malgrado,
piena di debiti e senza certezze per il futuro di suo figlio? A volte
le difficoltà cambiano le persone ma avrebbe voluto credere
che
questo non sarebbe mai potuto accadere a un'anima pura come
Elizabeth. “Una domestica? E' entrata nel casato dei
Boscawen,
Elizabeth... E ha un rango superiore al nostro...”. Avrebbe
voluto
aggiungere altro, cercare di rassicurarla, ma l'arrivo di Francis lo
fece desistere.
“Cugino,
la tua tattica di fuga dai balli è invidiabile” -
disse allegro,
prima di posare uno scialle sulle spalle della moglie.
Ross
sorrise amaramente. “In guerra si imparano molte
cose...”.
L'espressione
di Elizabeth si inclinò. “Trova affascinante
quella piccola
parvenue...” - disse, acida.
Francis
finse di non accorgersi dell'energia nell'aria. Baciò la
mano di sua
moglie, la attirò a se e la condusse nella sala.
“E io trovo
affascinante te, mia cara. E desidero un ballo”.
Ross
li guardò entrare e danzare. Francis ed Elizabeth, Hugh e
Demelza...
E tante altre coppie. Persino Verity aveva trovato in Blamey un
compagno di ballo... L'unico solo era lui. Ma forse non per molto.
Non ci sarebbe stata complicità, né risate
né sentimenti. Ma il
letto di Margareth Vosper lo avrebbe accolto come sempre, senza
problemi.
…
Il
ballo fu un successo e il
progetto della
scuola raccolse molte donazioni ma soprattutto, l'appoggio della
Banca di Cornovaglia che aveva deciso di supportarla con prestiti
agevolati.
Demelza
era felice, ma quella sera il suo animo era inquieto e per la prima
volta in vita sua, si sentì come se fosse stata nel posto
sbagliato
a vivere una vita sbagliata.
Hugh
era stato stupendo, il suo abito era il più bello, il cibo
ottimo e
la festa era andata benissimo.
Eppure,
qualcosa in lei stonava...
Ross
Poldark era sparito nel nulla a un certo punto, non sapeva quando
né
il perché ma se n'era andato senza nemmeno salutarla...
E
questo la feriva, assieme al rammarico per il poco tempo passato con
lui. Dov'era andato? E perché se lo chiedeva mentre Hugh le
toglieva
l'abito di dosso, la baciava, la accarezzava e la faceva adagiare
gentilmente sul letto.
Demelza
si accorse solo marginalmente dei suoi baci e delle sue carezze e gli
rispose in modo meccanico, col corpo. Ma la sua mente era lontana...
Hugh
le sfiorò dolcemente le ginocchia spingendola ad aprire le
gambe, si
stese su di lei e la fece sua.
Ma
Demelza non sentì molto, quasi nulla... Lo lasciò
fare, rispose
cercando di muoversi con lui ma nel suo cuore non c'era spazio che
per l'amarezza verso qualcosa che nemmeno lei capiva. In quel momento
il suo corpo adempiva al suo dovere di moglie ma la sua mente, il suo
cuore...
Santo
cielo, se Hugh avesse potuto leggerle dentro e vedere quanto erano
lontani...
|
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Capitolo 11 *** Capitolo undici ***
Era
stata una notte strana, insonne per tanti motivi e piena di strani
sentimenti che si mischiavano fra loro in uno strano connubio:
amarezza, nostalgia di qualcosa di indefinito, voglia di urlare non
si sa cosa e sensi di colpa. Quelli c'erano, sempre, da qualche mese
a quella parte...
Demelza
si alzò di soppiatto dal letto e ancora nuda, raggiunse
l'armadio
per vestirmi, attenta a non svegliare Hugh. Avrebbe potuto rimanere a
letto ed aspettare il suo risveglio, non aveva nulla da fare, ma era
una cosa che raramente aveva fatto perché a differenza del
marito,
non riusciva a stare a letto fino a metà mattino. E poi,
anche se
era assolutamente folle anche solo pensarlo, c'era qualcosa che
sentiva di dover fare. Qualcosa che NON DOVEVA fare, ma la
razionalità quella mattina sembrava averla abbandonata e
anche se
sapeva che poi si sarebbe sentita in colpa e uno schifo, sapeva di
dover andare lo stesso a Nampara. La strada la conosceva e anche se
non aveva motivo di andarci, anche se era consapevole che non aveva
il diritto di presentarsi a casa di Ross Poldark per pretendere una
spiegazione circa la sua sparizione della sera prima e anche se
questo avrebbe potuto portarle dei guai con suo marito se la cosa
fosse stata scoperta, si rese conto che come motivazioni, quelle non
avevano peso quella mattina.
Uscì
presto, prese il cavallo e nessuno se ne stupì,
né Hugh che si
sarebbe svegliato molte ore dopo ed era abituato a vederla poco al
mattino, né la servitù. Spesso usciva poco dopo
l'alba, al galoppo,
per godersi un pò di pace e solitudine prima di calarsi nei
doveri
quotidiani di Lady Boscawen e quindi a nessuno sembrò
così
strano.
Era irritata. Di Ross Poldark tutti dicevano che era una
testa calda, che non conosceva né le regole né le
buone maniere e
che era spesso brusco e scostante ma non aveva mai avuto modo di
scorgere nulla del genere in lui. Era ombroso, imprevedibile, a volte
cupo ma con lei era sempre stato tutto sommato gentile. Non capiva e
non comprendeva nemmeno perché le importasse tanto di un
perfetto
quasi-sconosciuto – perché in fondo tale era per
lei - la cui
unica motivazione di frequentazione era la fissazione sviluppata da
Falmouth nei suoi confronti e l'improvviso interesse per le sorti
della sua scuola...
Eppure stava andando da lui, a casa sua, per
la seconda volta, dopo una notte passata a fare l'amore con suo
marito. Senza avere la minima idea del perché lo stesse
facendo e di
cosa gli avrebbe detto, spinta ancora una volta da quegli strani e
ambigui sentimenti che lui risvegliava in lei, assieme a una miriade
di sensi di colpa a cui non sapeva far fronte.
Costeggiò la
costiera frastagliata e sferzata dal vento del mattino. Era una
giornata limpida e il mare pareva trasparente.
E improvvisamente
frenò, notando il suo cavallo legato a uno steccato,
completamente
solo a ridosso della scogliera.
Scese
con circospezione, legò a sua volta il cavallo e a carponi,
si
avvicinò per sbirciare.
Ross Poldark era di sotto, in una piccola
spiaggia, in acqua e completamente nudo. Solo, forse desideroso di
pace e silenzio come spesso accadeva a lei al mattino, nuotava
nell'acqua gelida. I suoi muscoli si muovevano sinuosi ad ogni
bracciata e il suo fisico sembrava scolpito come fosse una
statua.
Quasi fosse ipnotizzata, scese da cavallo e si nascose fra
gli arbusti ad osservarlo. Rapita dalla visione del suo corpo, dai
muscoli tesi della schiena mentre nuotava, dal movimento dei capelli
neri bagnati, si sentì arrossire mentre il suo respiro si
faceva più
accelerato. Stava facendo una cosa sbagliata per una donna sposata.
Anche per una donna non sposata, a dire il vero... E non riusciva a
staccarsi da quella visione, da quell'uomo il cui corpo sembrava
composto unicamente di muscoli, vitalità, forza... E
virilità, una
virilità sfacciata che sapeva incatenare il suo sguardo...
Ross
Poldark nuotò fino al largo ma ad un tratto si
voltò, tornò verso
la spiaggia, raggiunse la riva con alcune bracciate e poi, nudo come
mamma l'aveva fatto e incurante di nascondere qualsiasi parte di se,
uscì dall'acqua tirandosi indietro con le mani i capelli
fradici che
gli cadevano sul viso.
“GIUDA!!!”.
Demelza
avvampò e a dispetto del vento, ebbe ancora più
caldo. Si voltò di
scatto, si rannicchiò nell'erba a faccia in giù e
tentò di
nascondersi e soprattutto di calmarsi.
Che diavolo stava facendo?
E soprattutto, che diavolo stava provando? La vista del corpo di Ross
Poldark continuava a danzarle nella mente, ossessivamente. E non era
più una ragazzina per non capire la natura di quel
turbamento. Si
trovò a pensare che ne era attratta, che avrebbe voluto
avvicinarsi,
allungare la mano e toccarlo e che non era mai successo con quella
intensità nemmeno con Hugh...
Ne era attratta e lo era anche
quella mattina, quando aveva preso il suo cavallo ed era giunta fin
lì. Ne era attratta e non poteva sopportare che se ne fosse
andato
da casa sua senza dirle una parola...
Non poteva provare
sentimenti del genere, non lo voleva affatto e doveva opporvisi con
tutte le sue forze! Ora o mai più! E c'era solo un modo per
farlo,
aspettarlo a casa sua e nel ruolo di Lady Boscawen, fargli notare
quanto fosse stato scortese!!!
...
Ross
non era come suo padre che, dopo la morte di sua madre, si era
gettato in ogni letto di donna disponibile nelle vicinanze.
Si
sentiva sporco quella mattina, dopo la notte a pagamento con
Margareth. Il sesso, per lui, non doveva essere un solo esercizio
dettato dalla ricerca del piacere fisico quanto piuttosto, nei suoi
desideri, unione di corpo e anima di due persone che si amano. Ma a
lui non era stato dato quel privilegio vissuto, davanti ai suoi
occhi, da tutti coloro che lo circondavano e sembravano ricordargli
sempre quanto fosse solo.
Aveva nuotato a lungo nel mare, come
faceva ogni volta che voleva ripulirsi da qualcosa. E una notte con
una prostituta, per quanto abile, lo faceva sentire sporco.
Così
come l'aver lasciato poco elegantemente, come un ladro, la festa dai
Boscawen. Ma non era riuscito a restare; L'amore giovanile, ideale e
puro, era perso e mostrava spine che a una prima occhiata non aveva
notato, l'altra donna che aveva catturato la sua attenzione era
irraggiungibile e doveva lasciar perdere anche il più blando
tentativo di avvicinarla, non era per lui e lei non lo aveva mai
incoraggiato a sperare diversamente.
Si rivestì, imboccò il
sentiero che portava a Nampara e poi raggiunse la porta di casa.
E
a sorpresa, col suo cavallo e le redini fra le mani, lei riapparve
avanti ai suoi occhi. Spalancò gli occhi e per un attimo
temette di
dimostrarsi sorpreso e di dare un'impressione troppo interessata.
Deglutì, si avvicinò a piccoli passi e si
fermò solo quando i loro
cavalli furono muso a muso. “Lady Boscawen, a cosa devo
l'onore
della vostra visita?”.
Un
refolo di vento le scostò i capelli, lasciati sciolti quella
mattina. “Ero preoccupata” - sbottò lei,
nervosa ma con un tono
sarcastico. “Siete andato via alla chetichella senza
salutare, dopo
tutto...”.
La
porta si aprì improvvisamente, spalancata da Prudie che
doveva
averli sentiti. “Signore...”.
“Entra
dentro!” - le ordinò.
“Ma...”.
“Entra
dentro!”.
Prudie
sbuffò, borbottando come un pentolone di fagioli. E poi
ubbidì,
sbattendo la porta dietro di lei.
“Siete
scortese con la vostra servitù” -
osservò Demelza.
“Siete
venuta a farmi la morale? Avete fatto tutta questa strada solo per
questo?” - le domandò, acidamente. Non aveva
motivo di essere
arrabbiato con lei ma lo era. Quando l'aveva vista ballare con Hugh,
quando l'aveva vista con ogni attenzione rivolta a suo marito, era
stato geloso e si era sentito come se lo avesse privato di qualcosa
suo di diritto. Il giorno che avevano cavalcato insieme, lei aveva
avuto ogni attenzione per lui e in un certo senso Ross si rese conto,
aveva creduto, che ad ogni loro incontro sarebbe sempre stato
così.
Ma così non era, era logico che non lo fosse. Eppure anche
se
logico, questo lo irritava lo stesso. “La mia
servitù non è affar
vostro!”.
“Ma...”.
“Ma
non mi avete detto ancora perché vi trovate qui? Altra
missione di
Falmouth?”.
Demelza
arrossì. “No... Come vi ho detto, ho trovato
scortese... o
preoccupante... la vostra sparizione”.
Ross
alzò le spalle, desideroso di provocarla per vederne le
reazioni.
“Lo sapete cosa dicono di me? Inaffidabile, incurante delle
regole
e dell'etichetta, imprevedibile...”.
Lei
sostenne il suo sguardo. “E devo dire che le voci che
circolano su
di voi, vi si adattano benissimo”.
“E'
un complimento o una critica?” - chiese lui, ripetendole la
domanda
che lei gli aveva fatto solo poche ore prima al ballo.
Demelza
captò il riferimento e parve capire il suo tentativo di
provocarla.
Ma era difficile rispondere a dovere, non ci riusciva appieno e la
sua mente continuava a ricordare la sua figura nuda che emergeva
dall'acqua. Stava letteralmente morendo dall'imbarazzo e nasconderlo,
era quanto di più faticoso avesse mai fatto. “E'
un dato di fatto”
- rispose infine, imitando quanto dettole da Ross la sera prima.
A
quella risposta, Ross non riuscì a trattenere un sorriso.
“La
vostra faccia tosta è incredibile”.
“Non
sono io ad essermene andata senza salutare chi vi ha
invitato”.
Ross
si appoggiò al muro. “Mio cugino non vi ha
salutata quando si è
congedato?”.
“Beh,
si...”.
“E
allora i Poldark hanno adempiuto al loro dovere!”.
“Francis
Poldark lo ha fatto, non voi!”.
Ross
le si avvicinò, fino ad essere viso a viso. Era bellissima,
quella
bellezza semplice che l'aveva conquistato durante la galoppata di
poche settimane prima, non la bellezza artefatta del ballo...
“Che
importanza ha?”.
“Ne
ha!”.
“Perché?”.
Demelza
si morse il labbro, a corto di parole. “Un... Un gentiluomo
lo
avrebbe fatto...”.
“Non
mi sono mai ritenuto un gentiluomo!”.
Demelza
strinse i pugni, tesa. “E' una questione di
educazione”.
Ross
esibì un sorrisetto irriverente. “Educazione? Voi,
VOI venite a
fare la morale a me?”.
Demelza,
colta sul vivo, arrossì. Che diavolo intendeva dire?
“E quando mai
sarei stata maleducata con voi?”.
“Oh,
non maleducata! Ma poco rispettosa delle regole, come me...”.
“Quando
lo avrei fatto?”.
Ross
rise, mentre la tensione si stemperava in lui.
“Ora!”. Non sapeva
bene come, ma quel loro battibecco serio stava prendendo altre strade
ben più ironiche...
“Ora?”.
Ross
le si avvicinò di nuovo. “E' sfacciato per una
signora essere qui,
a casa mia, esigendo spiegazioni per un comportamento avuto da un
ospite al suo ballo. Sfacciato quanto il mio di comportamento, quando
me ne sono andato senza concedervi la grazia di un saluto. Mia cara
Lady Boscawen, temo che entrambi pecchiamo parecchio, in fatto di
educazione”.
Demelza
avvampò, rimase senza parole ma come lui, sentì
la tensione
stemperarsi in lei. E rise, di cuore, sentendosi stupida per essere
arrivata fin lì ma infinitamente più leggera.
“Siete davvero
pessimo!”.
“Lo
so! Amo esserlo”.
Demelza
cercò di riprendere possesso di un po' di contegno. Rise
ancora
qualche istante ma poi, dopo aver preso un profondo respiro,
cercò
di tornare seria. “Perché ve ne siete
andato?” - domandò
ancora, con meno enfasi, rendendosi conto che le interessava davvero.
“Perché
vi interessa tanto?”.
“Non
lo so” - ammise con sincerità.
Ross
sospirò, accarezzando il manto del suo cavallo.
Ripensò a come si
fosse sentito solo e fuori posto la sera prima, tradito, senza quegli
appigli e quella compagnia che invece sembravano aver trovato tutti.
E anche se non era molto signorile dirlo, si sentì di essere
sincero... A che scopo, non lo sapeva... Ma ancora una volta, voleva
vedere la reazione di Demelza. “Diciamo che un uomo solo, a
volte
necessita di un certo tipo di compagnia...”.
Demelza
si accigliò. “Compagnia? Non ne avevate a casa
mia?”.
“Non
QUEL TIPO di compagnia...” - mormorò lui, con
sguardo eloquente.
E
Demelza avvampò di nuovo mentre di nuovo le tornava in mente
il
fisico nudo e statuario di quel grandissimo insolente.
“Siete...
Siete orribile!” - esclamò, comprendendo infine a
cosa lui si
riferisse.
“Ma
sincero!!!”.
“Troppo
sincero...”.
Ross
allargò le braccia. “Ora capite? Non potevo
trovare quel tipo di
compagnia a casa vostra...”. Era vero, lo disse
scherzosamente ma
con una strana amarezza.
Ancora
rossa in viso, Demelza volse lo sguardo altrove. “Sono una
signora,
vi ricordo”.
“Una
signora, sì! Sfacciata! E quando una donna lo è,
deve accettare
qualsiasi tipo di risposta! E in fondo, lady Boscawen, direi che non
siete proprio il tipo da svenire per discorsi simili!”.
Demelza
abbassò lo sguardo, indecisa se essere arrabbiata o meno per
la sua
sfacciataggine. Ross Poldark aveva passato la notte con una donna,
così come lei l'aveva passata fra le braccia di suo marito.
Tutto
regolare, tutto normale, nulla da spiegare... Entrambi avevano
passato quella notte nello stesso modo dopo tutto e nessuno doveva
una spiegazione all'altro. Eppure c'era una strana amarezza in lei e
tante, tantissime domande. Com'era Ross Poldark con una donna?
Perché
si sentiva di invidiare la prostituta che lo aveva accolto nel suo
letto? Cosa si provava a toccare e sentire su di se quel corpo
perfetto uscito dall'acqua? Giuda, era sposata ed era con Hugh, per
sempre, che sarebbe stata. Mai aveva avuto un genere di pensieri
così
per un uomo e ora Ross Poldark, con la sua arroganza, la stava
trasformando in una donna diversa che non le piaceva affatto.
Un
leggero miagolio fece sussultare entrambi.
Il
piccolo Sun, sgattaiolato fuori da una finestra lasciata aperta,
corse fuori, lanciandosi contro Demelza.
Felice
di vederlo, la donna si chinò e dolcemente, lo prese fra le
mani.
Era un po' cresciuto, più in carne e assolutamente felice e
vivace.
“Lo trattate bene, vedo...”.
“Se
prendo un impegno, poi lo porto a termine” - rispose Ross,
rovistandosi nelle tasche dei pantaloni. Ne tirò fuori il
nastrino
col campanello che aveva fatto Demelza, lo osservò
rendendosi conto
che al mondo esistevano cose più belle e pulite di Margareth
Vosper
e infine si avvicinò alla donna. “Visto che siete
qui, potete
metterglielo voi” - propose gentilmente, la discussione fra
loro
ormai superata.
Ma
Demelza scosse la testa. “Fatelo voi, ormai Sun è
vostro”.
“Nostro!
Non sfuggite alle vostre responsabilità” - la
rimbeccò lui.
E
lei sorrise, rendendosi conto che, ancora una volta, lui era riuscito
a calmare la tensione fra loro. Si chinò,
accarezzò la testolina di
Sun e gli mise il nastrino. “Ora sei ancora più
grazioso” -
sussurrò al gattino che, in tutta risposta, con la zampina
tentava
di sfiorare il campanello.
Ross
si chinò accanto a lei. “Ora non
dormirò davvero più, la notte.
Lo farà suonare in continuazione”.
Beh,
se Ross era stato sfacciato, poteva esserlo anche lei, no?
“Dopo
tutto, pare che la notte non amiate così tanto dormire,
giusto?”.
E
questa volta fu il trionfo per lei, perché fu Ross ad
arrossire,
preso in contropiede. “Siete una Lady, vi ricordo!”.
“A
cui avete appena raccontato la vostra notte in un bordello!”
- gli
fece notare.
Si
guardarono e poi scoppiarono a ridere, di gusto. Come due vecchi
commilitoni, o amici, o compagni d'arme che si trovano davanti a un
fuoco dopo una notte di bagordi.
Ross
la osservò e capì che davvero la preferiva
così, semplice, senza
orpelli, libera di esprimersi e scherzare come meglio le veniva. La
guardò e si rese conto di avere l'onore di avere davanti la
vera
Demelza, non quella artefatta esibita dai Boscawen. E che riusciva ad
essere così solo lontana da suo marito. Era affascinante,
bellissima
e selvaggia. E lo stava decisamente stregando senza rendersene conto.
“Sapete, sto pensando...”.
“A
cosa?”.
“Che
era divertente litigare con voi, poco fa! Dev'essere un'esperienza
grandiosa una vera lite con voi!”.
Demelza
rise di nuovo, indecisa se la stesse prendendo in giro o meno.
“Giuda, sperate di non scoprirlo mai! Potrei essere peggio di
come
immaginate”.
“Oh,
non faccio fatica a crederlo!”.
Demelza
lasciò andare Sun perché giocasse nell'aia,
mettendosi in piedi.
Era rimasta fin troppo e sarebbe rimasta ancora, ma si stava facendo
tardi e lei non avrebbe dovuto essere lì, con lui, a
scherzare e a
pensarlo con quel desiderio e quell'intensità
incontrollabili.
“Credo di dover andare, ora”.
“Non
vi fermate un attimo? Posso dire alla mia domestica di prepararvi del
tè”.
“No,
è tardi e io non sarei dovuta venire, ne sono consapevole e
vi
chiedo scusa” - sussurrò, cercando di riacquistare
dignità e
padronanza di se.
A
quelle parole, anche Ross tornò serio. “Sono io a
dovervi chiedere
scusa”.
“Per
cosa?”.
“Per
ieri sera...”.
Demelza
abbassò lo sguardo. “Avevate altri programmi,
no?”.
No,
in realtà non ne aveva, non finché l'aveva vista
e desiderata con
tanta intensità da restarne turbato. Ma aveva senso dirlo?
No... “In
realtà, non fino a un certo punto della serata”.
Lo
sguardo intenso di lui la fece sobbalzare e fu costretta ad
indietreggiare. C'era qualcosa che i suoi occhi cercavano di dirle,
qualcosa che avrebbe sconvolto il loro mondo, un qualcosa che li
univa e accomunava nelle loro sensazioni ma entrambi sapevano che non
potevano, che non avrebbero mai potuto... “Avrei voluto
salutarvi,
almeno...” - ammise però.
“Mi
dispiace, non credevo che vi sareste accorta della mia
assenza”.
“Ma
invece l'ho notata subito”.
“Eravate
felice e contenta con vostro marito, come avete fatto?”.
Lei
gli sfiorò la mano, un gesto istintivo di cui
però non si pentì.
Le loro dita si strinsero. “L'ho notato subito,
invece”.
Si
guardarono negli occhi, a lungo, come non riuscendo a distaccarsi
l'uno dall'altra. Lei era lì per lui e a Ross questo
scaldava il
cuore. Lui era stato rabbioso ma ora era tornato gentile e questo
scaldava il cuore in subbuglio di lei...
“Ora
devo andare” - sussurrò Demelza.
Ross
annuì, anche se c'era qualcosa che voleva chiederle, prima
di
lasciarla tornare a casa sua. Ma lei lo precedette, esprimendo lo
stesso pensiero. “Ross?”.
“Cosa?”.
“Considerarvi
un semplice conoscente è... complicato... Lo
sarà, da stamattina”.
“Ne
convengo”.
“Posso
considerarvi un amico? Sarebbe più facile”.
Ross
sentì il suo cuore scaldarsi. “Certo, se vi fa
piacere”.
“Mi
fa piacere”.
Lui
osservò la sua mano, che teneva ancora stretta quella di
lei, come
se non volesse lasciarla. Quanto calore sapeva dargli quella semplice
stretta. “Anche a me”.
Non
si dissero altro e a fatica, Demelza sfilò la mano dalla
sua. Prese
il suo cavallo, ci montò e rossa in viso, partì
al galoppo.
Ross
restò ad osservarla mentre, aggraziata, spariva col suo
cavallo. E
quando tornò a casa, fu lo sguardo truce di Prudie a
sostituire
quello bellissimo di Demelza. “Che hai da guardarmi a quel
modo?”.
“Non
mi piace, non è gentile, non è corretto e non
è appropriato!” -
sbottò la donna.
“Cosa?”.
“Che
vi mettiate nei guai! Guai grossi come una botte di birra!”.
“Quali
guai?”.
La
donna, che lo conosceva fin da quando era piccolo, lo guardò
storto.
“Guai dai lunghi capelli rossi...”.
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Capitolo 12 *** Capitolo dodici ***
Erano
stati giorni strani per Demelza, quelli trascorsi dopo la sua visita
a Nampara.
Se
n'era andata da quella casa col cuore leggero, semplicemente contenta
senza volerne capire appieno il motivo, di quella promessa di
amicizia che si erano scambiati, ma una volta tornata nella sua
dimora, nelle sue stanze, da suo marito, il peso delle sue azioni di
quella mattina si era schiantato su di lei e sulla sua coscienza. Che
aveva fatto? Come aveva potuto lei, una donna sposata, andare a casa
di un quasi-sconosciuto per chiedere i motivi del suo allontanamento
da una festa? Con che coraggio gli aveva fatto la morale e si era
arrabbiata con lui? Come aveva potuto parlare con tanta leggerezza
della sua notte trascorsa in un bordello, come se fossero amici e
complici da una vita? Cosa voleva, cosa pretendeva da Ross Poldark?
Cos'era quella confidenza che gli aveva permesso? Come poteva farlo
avvicinare tanto ed esserne poi sconvolta? Come aveva potuto
osservarlo nudo, senza distogliere lo sguardo? Come aveva potuto...
desiderarlo?
Da
quel giorno aveva lottato come una leonessa contro se stessa, per
mettere a tacere quei sentimenti. Non si era nemmeno più
recata a
Truro per controllare i lavori della scuola per il timore di
incontrarlo...
Santo
cielo, doveva tornare ad essere la fiera e contenta moglie di Hugh
Armitage, doveva farlo, doveva! Suo marito non si meritava tutto
questo, aveva scelto di sposarlo e un matrimonio è per
sempre! Aveva
giurato di amarlo e onorarlo e avrebbe voluto continuare a farlo,
finché morte non l'avesse separata fra lui. Aveva promesso
fedeltà
e aveva un anello al dito che glielo ricordava incessantemente e
quindi basta, doveva chiudere, doveva allontanarsi da Ross Poldark e
da ciò che scatenava in lei quanto prima, non
perché avesse fatto
qualcosa di male ma perché avrebbe potuto farlo e se ne
rendeva
pienamente conto.
Da
quel giorno si era messa a letto, adducendo un leggero malessere. Che
in fondo aveva e le avvelenava il sangue e la mente, rendendola
nervosa ed irascibile. Spesso era sbottata con Hugh quasi senza
motivo e poi si era sentita in colpa. Era una situazione tanto
strana, stava lottando contro se stessa sentendosi come privata di
qualcosa di vitale e lo stava facendo per salvare il matrimonio con
un uomo che certe volte non riusciva nemmeno a guardare in viso...
Voleva
desiderare Hugh con la forza con cui sentiva di desiderare Ross
Poldark e non ci riusciva! E questo la faceva impazzire! Voleva
qualcosa, un miracolo o un dono dal cielo che la riportasse con mente
e cuore solo da Hugh ma non sapeva cosa potesse essere e nemmeno come
potesse accadere.
Quel
pomeriggio, l'ennesimo passato fra le coperte, dopo una mattina in
compagnia di Lord Falmouth che insisteva per chiamare un medico che
la visitasse, si era chiusa in camera chiedendo di non essere
disturbata.
Garrick
l'aveva seguita e solo lui, il suo fedele amico, era stato ammesso al
suo fianco, nel letto. Il suo cane era forse il meno bello del
distretto, il meno nobile, il meno di razza, ma era un amico fedele
come pochi potevano essere...
Stesa,
con il cane stretto a se, pensò alla sua infanzia difficile
e priva
di ogni cosa, all'incontro con Falmouth e poi con Hugh... Hugh, la
sua gentilezza, la sua dolcezza, le sue poesie, il suo
corteggiamento...
Era
tanto giovane allora, e talmente inesperta da essere confusa da tante
attenzioni. Che le facevano piacere, la facevano star bene e la
lusingavano, ma forse...
Demelza
si rigirò nel letto, rendendosi conto che Ross Poldark le
aveva
insegnato qualcosa: frivolezze, corteggiamento e amor cortese erano
importanti ma il rapporto fra uomo e donna era molto di più,
quel
molto di più che lei da ragazzina non conosceva e che stava
scoprendo adesso, a causa di un uomo scostante e dai modi a volte
rudi ma che sapeva farle venire la pelle d'oca solo con uno sguardo.
Era Ross Poldark, suo malgrado, ad averle insegnato cosa significhi
il desiderio per un uomo, non Hugh... L'intimità con Hugh le
aveva
sempre lasciato addosso un senso di insoddisfazione che l'aveva
portata a sottovalutare il sesso e a ritenerlo un semplice obbligo
matrimoniale, ma guardando Ross nudo in acqua, quel suo fisico
così
perfetto e muscoloso, le aveva fatto comprendere quanto fosse
importante il desiderio, la comunione fra i corpi oltre che fra
l'animo di due amanti e quanto ancora ci fosse in una unione, che lei
non aveva ancora conosciuto.
E
quindi?
Doveva
sforzarsi di trovare con Hugh quel qualcosa che mancava e Ross le
aveva mostrato? Oppure non era possibile perché con Hugh
c'era
qualcosa che li rendeva poco affini da quel punto di vista? Doveva
rassegnarsi? O lottare per ravvivare il suo matrimonio?
Non
che avesse molta scelta, era e rimaneva la moglie di Hugh e se con
lui non poteva vivere certe emozioni e sensazioni, questo non la
autorizzava a cercarle altrove. Forse la chiave era la rassegnazione
e cercare il bello che poteva offrirle il suo matrimonio, senza
ambire all'impossibile. Ross Poldark non era di certo un uomo
perfetto dopo tutto e forse peccava in lati del carattere dove invece
Hugh eccelleva... La perfezione non esiste, lo sapeva benissimo,
ma...
"E
se nella sua imperfezione, Ross Poldark fosse stato l'uomo giusto per
me? Quello che non mi avrebbe fatto rimpiangere i lati negativi del
suo carattere sopperendo con quelli positivi?... E se anche le sue
imperfezioni mi attirassero?".
Questo
si chiese, rigirandosi per l'ennesima volta fra le coperte con
Garrick stretto a se.
Improvvisamente
la porta si aprì e non fece in tempo a protestare, che suo
marito
era già in camera. "Hugh".
Suo
marito, piuttosto pallido in volto, entrò e le si sedette
accanto.
"Stai meglio?".
Si
sentì irritata e sapeva di non poterselo permettere anche
perché
quella era la stanza sua di suo marito e Hugh aveva ogni diritto di
entrarci quando voleva. "Sì, meglio" – rispose
poco
convinta, sforzandosi di nascondere il suo disappunto.
Hugh
le studiò attentamente il viso, le accarezzò una
guancia e si fece
più vicino. "Che ti sta succedendo, amore mio? Inizio ad
essere
preoccupato".
"Sono
solo stanca" – tagliò corto.
"Non
è da te esserlo!".
"Sono
umana e come tutti, ho i miei periodi negativi. Passerà,
come tutto
passa" – mormorò, riferendosi a ben altro che al
suo
malessere. Odiava essere tanto brusca con Hugh ma tutto ciò
che
stava facendo era tentare di proteggere il suo matrimonio con lui e
per farlo stava combattendo una tempesta dentro di se che le lasciava
poche forze e decisamente poco buon umore.
"Eppure
non è da te abbandonare un tuo progetto, soprattutto quello
della
scuola a cui tenevi tanto".
Demelza
abbassò lo sguardo, per un attimo incerta su come
rispondergli. La
faccenda della scuola era un altro tarlo che la metteva di cattivo
umore perché se era pur vero che non stava andando a Truro
per paura
di incontrare Ross Poldark, era altrettanto palese che qualcosa si
era inclinato in lei, da quando nel progetto era subentrata la Banca
di Cornovaglia. Aveva desiderato costruire una piccola e semplice
scuola dove stare a contatto lei stessa coi bambini più
bisognosi ma
ora quel suo sogno stava diventando una gara fra azionisti in cerca
di visibilità per fini politici e il progetto iniziale,
piccolo,
senza pretese ma fatto col cuore, era stato accantonato. Non era
più
la sua scuola, il suo sogno... Era diventato il progetto di altri e
lei ben poco aveva da metterci il becco. "La scuola è ormai
piena di ingegneri ed esperti, che ci dovrei andare a fare, io?".
Hugh
sussultò davanti al suo tono secco, rendendosi conto appieno
di
quanto fosse di cattivo umore. La conosceva in fondo e sapeva bene
che avrebbe desiderato ben altro per quella scuola. "Sapevi bene
che se mio zio fosse subentrato nel progetto, sarebbe andata a finire
così. Ma la cosa importante non è la scuola? Che
importanza ha come
verrà costruita, con quali soldi e con che progetto? La cosa
importante è che dei bambini potranno studiare ed apprendere
in un
luogo a loro dedicato".
"Ne
ha di importanza, per me! Diventerà una scuola per ragazzini
ricchi
o della classe media e i più bisognosi ne verranno esclusi!
Falmouth
mi ha detto che uno degli azionisti parlava di rette... Giuda, come
potranno pagare delle rette le famiglie dei minatori?" -
sbottò.
"Serviranno
per coprire in parte i costi e il salario degli insegnanti".
"Io
avrei voluto andarci gratis, a insegnare quel poco che so! Avrebbero
imparato a leggere e scrivere, quanto meno, senza bisogno di sborsare
denaro che molti non hanno".
"Demelza,
ti stai agitando e questo potrebbe farti male".
Lo
fissò, con la voglia di picchiarlo! Ed era la prima volta
che le
accadeva da quando lo conosceva e quel suo tagliare il discorso, ora
che era giunto a un punto per lei di vitale importanza, la irritava
ancora di più. Non era una stupida bambolina sempre in
procinto di
svenire, non era una ragazzetta da proteggere da ogni cosa o da
guidare, era una donna intelligente e capace di pensare a se stessa!
E in grado di combinare qualcosa di buono anche con le sue mani! E
tutti sembravano volerglielo impedire!
Si
gettò sul letto, comprendosi il viso col cuscino per non
urlare
mente Garrick, col musino, tentava di attirare la sua attenzione
dandole dei colpetti. "Voglio dormire!" - disse infine,
sperando di spingere Hugh ad andare altrove almeno per un
pò. "Ti
prometto che stasera scenderò per la cena".
Hugh
non parve sollevato. "Demelza, guardami!" - le ordinò,
spostando il cuscino dal suo viso.
"Che
c'è?".
"Dimmi
cosa c'è che ti tormenta e risolviamo la cosa! Non
è solo per la
scuola che sei tanto turbata e nervosa e non è da noi essere
arrabbiati. Tu da alcuni mesi sei cambiata e io ho paura che...".
Hugh
si bloccò, i suoi occhi divennero lucidi e Demelza si
sentì morire.
Odiava farlo star male, lui non lo meritava e lei si stava
comportando in modo orribile anche se il fine era combattere per lui,
per loro e per ciò in cui lei credeva e gli era precluso. E
in quel
momento si riaccese in lei quel senso di protezione che da sempre
aveva provato per lui ogni volta che lo aveva visto debole o
smarrito. Si sedette, tranquillizzò con una carezza Garrick
e poi
prese le mani di suo marito. "Hugh, tu non hai niente da temere"
– disse, tentando di apparire rassicurante anche se capiva
che
forse, quella da rassicurare era lei.
"E
io invece penso di sì".
Demelza
impallidì perché sapeva che Hugh aveva ragione e
che non era giusto
trattarlo da stupido. "Un matrimonio non è sempre facile. Ma
per quanto mi riguarda, è per sempre".
"Davvero?
Cuore e anima?".
Demelza
prese un profondo respiro. Sarebbe stato così, lo sarebbe
dovuto
essere per forza. "Lo sarà, cuore e anima...".
Hugh
abbassò il viso, stringendole le mani ancora più
forte. "Eppure,
come potrebbe essere? In questi mesi, da quando...". Scosse la
testa, come se dire quella frase, un nome, gli costasse una infinita
fatica... E alla fine decise di non pronunciarlo, quel nome. "Ecco,
una volta eri contenta di me. Ora sembra che tu desideri altro,
sembri delusa e io non mi sento più abbastanza ai tuoi
occhi. E
forse non lo sono, non ho la prestanza fisica di altri uomini, il
loro ardore, la loro forza di combattere, il loro slancio...". E
ancora una volta, il riferimento ai sentimenti confusi della moglie
per un altro era più che palese...
Era
una conversazione difficile, molto. Demelza si rendeva perfettamente
conto dei limiti di Hugh, li aveva colti e accettati quando aveva
deciso di sposarlo, non gli erano mai pesati e di certo non
pretendeva che lui diventasse ciò che non era, ma allo
stesso tempo
era complicato spiegare quanto lei stesse cambiando in quei mesi. La
ragazzina che arrossiva per le poesie di suo marito era sparita forse
per sempre e al suo posto c'era una giovane donna che si chiedeva
cosa volesse, quale fosse il suo posto nel mondo e soprattutto, se
stesse vivendo una esistenza adatta a lei. Non chiedeva molto, solo
di essere libera di galoppare coi capelli al vento, di correre scalza
sulla riva del mare, di fare una passeggiata senza guardie del corpo,
di ridere forte se era contenta e di condividere tutto questo con
qualcuno che la pensava come lei. Senza regole o almeno senza averne
troppe, vivendo anche alla giornata senza sapere con esattezza cosa
aspettarsi dal nuovo giorno, lottare per ottenere qualcosa con le
proprie forze, senza aiuti... Chiedeva troppo? Forse sì,
forse
questo era troppo nel suo matrimonio perché sapeva di non
poter
condividere tutto questo con Hugh. Forse non si era mai nemmeno resa
conto lei stessa di cosa desiderasse, fino all'incontro con Ross
Poldark. Non era solo l'uomo che l'aveva colpita ma tutto
ciò che
lui rappresentava, quel mondo pieno di problemi, dove nulla era
semplice e da dare per scontato, ma pieno di persone volenterose e
soprattutto libere di agire senza etichette o preconcetti, capaci con
le loro sole mani di costruirsi un futuro. "Hugh, non so che
dirti. Io penso che ognuno debba essere sempre ciò che
è e non
cercare mai di imitare gli altri. Tu sei tu, ti ho sposato
così e
così mi sei piaciuto".
"Ma
non sono più abbastanza, ora".
Ora...
Intendeva – e Demelza lo aveva capito senza che Hugh lo
nominasse –
che si stava riferendo a ora che c'era Ross. E in fondo aveva
ragione, Ross le aveva in un certo senso fatto vedere cosa c'era al
di la del cancello della loro grande villa e del suo matrimonio e
questo la attraeva. Ma era una donna sposata, aveva dei doveri e
tutta l'intenzione di adempiervi senza deroghe. Aveva fatto una
scelta, si era sposata e aveva fatto delle promesse ben precise,
quando aveva detto sì. E indietro non si poteva tornare.
Lo
accarezzò sulla guancia, lo baciò lievemente
sulle labbra e poi gli
sorrise. "Hugh, nella vita forse un giorno sarai tu ad essere
scontento di me o di noi per qualche motivo ma anche allora, spero
che mi amerai lo stesso. Questo è il matrimonio, lottare
insieme
anche quando le cose non sono del tutto rosee. Tu sei quì
per me,
ora, anche se sono di umore pessimo. E io farò lo stesso
sempre, per
te, anche quando l'umore nero sarà il tuo. Tutto passa,
anche i
momenti bui, se li si affronta insieme".
"E
tu?" - le chiese lui, abbandonandosi al calore della sua mano
ancora sul suo viso.
"E
io, cosa?".
"Ciò
che senti adesso, che ti fa stare così? Anche questo credi
che
passerà?".
Ancora
una volta Hugh non aveva nominato Ross ma Demelza sapeva che era il
perno nascosto di quel discorso. "Passerà, tutto passa".
"Sicura?".
"Sicura".
Lui
le sorrise. "Eppure, vorrei esserne in qualche modo
responsabile. Del cambiamento, intendo... Non voglio solo che ti
passi, voglio che tu sia fiera di me".
Demelza
spalancò gli occhi. "Hugh, io sono fiera di te e di
ciò che
sei: gentile, dolce, delicato e sempre attento".
"Ma
non basta in un matrimonio, vero?".
"A
noi è bastato, fin ora" – gli fece notare,
tentennando però
un pò.
E
lo stesso Hugh non ne era più convinto. "Voglio fare di
più,
voglio fare qualcosa anche io! Da Boscawen, da uomo degno di questo
nome! Per te, per mio zio...".
Demelza
si accigliò. "Che vuoi dire?".
Hugh
si staccò da lei, alzandosi dal letto. "Che non mi sono mai
interessato di politica ed economia e forse dovrei farlo, visto che
da questo dipende la nostra famiglia e il nostro benessere. Mio zio
dovrà partire per Londra fra due mesi, a settembre. Con
l'autunno,
saranno molti gli impegni a Westminster e nella finanza a cui
dovrà
partecipare e per la prima volta voglio capirci di più,
seguirlo ed
imparare. Magari potrebbe anche piacermi e magari lui potrà
vedere
in me un degno erede, senza che debba cercarlo altrove".
Demelza
sospirò, era molto scettica da quel punto di vista.
Conosceva Hugh e
sapeva che nulla di quello che avrebbe trovato a Londra lo avrebbe
interessato e non voleva che facesse qualcosa per forza, non glielo
avrebbe mai chiesto e non lo avrebbe mai preteso da lui. Ed inoltre
ormai Falmouth aveva fatto la sua scelta e difficilmente avrebbe
cambiato idea. "Hugh, tuo zio non si aspetta questo da te. E sai
che vorrebbe...".
"Ross
Poldark!?".
Demelza
sussultò, quando Hugh finalmente pronunciò quel
nome. Si rabbuiò,
rendendosi conto che ora la conversazione si sarebbe indirizzata su
strade pericolose. "Sai bene che quando si incaponisce...".
"Ma
Ross Poldark non è interessato a LUI" –
sbottò Hugh, come
punto sul vivo, nervoso e sulla difensiva. No, Ross non era
interessato a suo zio, Ross era interessato a sua moglie...
Lei
sussultò, rendendosi perfettamente conto di cosa gli stesse
passando
per la testa e consapevole di non poterlo tranquillizzare ancora fino
in fondo, da quel punto di vista. Ma Demelza non poteva nemmeno non
obiettare perché consapevole che Falmouth non avrebbe
comunque
rinunciato ai suoi progetti sui Poldark e Hugh non doveva farsi
illusioni in proposito. "Hugh, io e tuo zio ti amiamo, non devi
dimostrarci nulla".
"Voglio
dimostrare qualcosa a me stesso!".
Demelza
si alzò dal letto, avvicinandosi a lui di alcuni passi. Gli
cinse la
vita, lo abbracciò e poi lo guardò negli occhi.
"Se lo vuoi
DAVVERO fare per te, allora sarò al tuo fianco".
"Davvero?".
"Davvero...
Sono tua moglie e ti appoggerò sempre". Era vero, non aveva
dubbi in proposito. Era difficile soffocare i sentimenti risvegliati
in lei da Ross Poldark ma era la moglie di Hugh Armitage e se doveva
scegliere, avrebbe scelto e appoggiato suo marito. In tutto, anche in
questa strana lotta di Hugh per annebbiare la figura di Ross agli
occhi Falmouth, del casato dei Boscawen. E ai suoi occhi... Questo
risvegliava in lei tenerezza e affetto per suo marito, era stupendo
che volesse lottare per lei ma non era certa che Hugh sarebbe
riuscito nel suo intento, non era certa che avrebbe portato a termine
i suoi propositi e nemmeno che Falmouth avrebbe cambiato idea. Hugh
poteva andare incontro a una grande delusione soprattutto verso se
stesso, ma se aveva scelto era comunque sbagliato volerlo difendere
da ciò e dalle conseguenze. E lei era sua moglie, voleva
esserlo al
meglio e in quanto tale, doveva appoggiare suo marito.
Hugh
parve rasserenarsi dalle sue parole. "Questo mi rende felice".
"Dubitavi
del mio appoggio?".
"Credevo
che forse ti sarebbe spiaciuto per... per il fatto che...".
Incespicò
e Demelza tentò subito di rassicurarlo. "Temevi che mi
spiacesse per Ross Poldark?".
"Sì"
– ammise lui.
"Ross
Poldark non vuole entrare in politica con tuo zio. Non credo di
dispiacermi per lui, per Poldark il tuo gesto potrebbe essere una
liberazione". In fondo non aveva dubbi sul fatto che fosse
così...
Hugh
le sorrise, poi la baciò sulle labbra. "Ce la
farò?".
"Non
lo so" – gli rispose, sincera – "Ma quando uno
tenta
con tutte le sue forze di fare qualcosa, indipendentemente dal
risultato deve essere orgoglioso di se stesso".
"E
tu, tu sei orgogliosa di me? Lo sarai?".
Demelza
sorrise, dolcemente, notando con quanta trepidazione attendesse una
sua risposta e il suo favore. In fondo era sempre stata orgogliosa di
Hugh, aveva sempre provato per lui una infinita tenerezza e il suo
sbandamento per Ross Poldark, più che colpa di suo marito,
era da
imputare a se stessa e su questo poteva tranquillizzarlo. "Lo
sono sempre stata e sempre lo sarò".
Hugh
la strinse a se, forte, come se non avesse bisogno che di lei. Poi
osservò il letto. "Posso mettermi quì un
pò con te e Garrick
a riposare?".
"Se
ti va...".
Hugh
si avvicinò al letto, portandola con se mano nella mano. "E'
che stamattina sono stato poco bene e anche se ora sto meglio, magari
distendermi un pò...".
Demelza
entrò subito in allarme. Giuda, era stata a letto a fare la
bella
addormentata mentre suo marito non stava bene?! E di nuovo si
sentì
in colpa e decisa a porre fine a ogni sentimento che la allontanava
dal suo matrimonio e dai suoi doveri che forse, in quei giorni, aveva
dimenticato in virtù di altri pensieri... "Cosa hai avuto?
Ancora mal di testa?".
"In
realtà, sono svenuto".
Le
mancò il fiato. "Cosa?".
Vedendola
andare in panico e desideroso di non fare altrettanto, Hugh decise di
minimizzare. "In realtà è stata una cosa da poco,
qualche
istante. Forse non sono nemmeno svenuto, forse sono semplicemente
inciampato e mi sono ritrovato a terra. A volte, con un libro in
mano, quando cammino non bado a dove metto i piedi e...".
Ma
Demelza, nonostante le sue parole, era già in allarme e in
lei erano
già ritornati prepotentemente quei sentimenti di protezione
e tutela
che da sempre nutriva per lui e che erano stati offuscati da Ross
Poldark. Non poteva permettere che questo succedesse ancora! Mai
più!
"Voglio sentire un medico" – sentenziò.
"Non
è necessario!".
"Lo
è, invece!".
Hugh
la strinse a se, facendola sedere sulle sue gambe. "Starò
bene.
In questi mesi caldi mi riposerò, mi prenderò
cura di me stesso,
seguirò le indicazioni mediche che già ho e per
settembre, per
Londra, sarò come nuovo".
Londra...
Ora, se avesse obiettato dicendo che era meglio non andarci per via
della sua salute malferma, Demelza sapeva che Hugh l'avrebbe presa
nel modo sbagliato e che questo avrebbe riportato il fantasma di Ross
fra loro. Ma di contro, non si sentiva tranquilla; Hugh non era mai
svenuto, era molto pallido e ultimamente aveva il fiato notevolmente
corto, senza contare le emicrania molto forti di cui era soggetto
sempre più spesso. Il suo sesto senso le diceva che qualcosa
non
andava e che doveva stare allerta. "A Londra, ci penseremo a
settembre. Sicuramente starai bene, ma in caso contrario, per il tuo
bene, preferirei che restassimo quì".
"No,
voglio andarci!" - disse lui, con un tono deciso di voce che
raramente lei gli aveva sentito usare.
"Hugh,
la tua salute...".
Lui
la baciò sulle labbra per zittirla. "Sono solo inciampato,
giuro".
Non
ne era certa e di sicuro, quando mentiva, lei se ne accorgeva. Non
stava bene ma a settembre mancavano due mesi e tutto sarebbe stato in
divenire, nel bene o nel male. Avrebbero avuto modo di riparlarne, ma
farlo ora era assolutamente inutile. Tutto quello che poteva fare era
essere una buona moglie, prendersi cura di suo marito, stargli
accanto e sostenerlo nelle sue scelte. E soprattutto, tenere Ross
Poldark lontano dalla sua mente, dal suo cuore e dal suo matrimonio.
La
scelta era fatta e non sarebbe tornata indietro! E tutto ciò
che
aveva provato per Ross Poldark sarebbe stato dimenticato, accantonato
e mai più portato alla luce. Non lo avrebbe più
cercato, non lo
avrebbe più visto e le sarebbe passata... E sarebbe tornata
ad
essere la buona moglie che Hugh Armitage meritava di avere.
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Capitolo 13 *** Capitolo tredici ***
Sprofondato
sul comodo sedile della sua carrozza che lo stava portando a Nampara,
Lord Falmouth osservava di tanto in tanto il paesaggio brullo che
scorreva davanti al suo finestrino. Immense distese di campi, qualche
sparuto e povero villaggio, le ciminiere delle miniere che
rappresentavano vita e speranza per la gente del posto, strade
sterrate e soprattutto, nelle narici, il profumo di salsedine del
mare le cui onde, in lontananza, si schiantavano contro le rocce con
grossi tonfi udibili persino da lì.
Era
una giornata ventosa e poco serena, quella. L'estate era stata
clemente, aveva regalato giornate calde e poco ventose, serene e
senza umidità ma ora l'avvicinarsi dell'autunno pareva voler
ricordare a tutti quanto inclemente fosse il clima di quelle terre.
Il tempo si era fatto nuvoloso, spesso la notte era piovuto e il
freddo sembrava avanzare precocemente quell'anno, tanto che Falmouth
aveva ordinato ai domestici già in più di una
occasione, la sera,
di accendere il camino in camera sua e nel salone principale.
Erano
stati mesi strani quelli, per lui. La salute di suo nipote Hugh, da
inizio luglio, era peggiorata sensibilmente e spesso era stato
costretto a letto a causa di forti emicrania, febbri improvvise e
strani tremori nervosi a cui i medici che lo avevano visitato, non
avevano saputo dare né cura né risposta. Eppure,
era iniziato
proprio dal suo peggioramento il cambiamento di Hugh...
Due
mesi prima lo aveva pregato di portarlo con se a Londra, di
mostrargli il mondo della politica e della finanza, di insegnargli
tutto ciò che sapeva. Falmouth non aveva idea del
perché di quel
cambiamento e conosceva anche abbastanza bene suo nipote per sapere
che non avrebbe combinato nulla di buono perché di fatto,
Londra e
il suo mondo non era qualcosa di adatto a lui. Sarebbe stato un
bravo poeta o letterato oppure anche un pittore, ma un uomo d'affari
e a capo del potere dei Boscawen, mai. Però gli aveva fatto
piacere,
dopo una vita passata a disinteressarsi delle tradizioni di famiglia,
questo suo voler tentare e Falmouth aveva deciso di lasciarglielo
fare. In fondo un viaggio a Londra, dove farlo visitare da qualche
altro medico, non avrebbe fatto male a nessuno. Avrebbero dimorato
nella loro grande dimora di città, lui sarebbe stato vicino
al
potere e Hugh avrebbe potuto scoprire quel mondo e realizzare una
volta per tutte che non faceva per lui... Insomma, tutto calcolato e
tutti d'accordo, eccetto...
Falmouth
si accigliò, mentre la carrozza sobbalzava sui sassi.
Pensò a
Demelza, la giovane ed intraprendente moglie di Hugh e di come, da
brava moglie, lo avesse pregato di dare a Hugh
quell'opportunità.
Per poi però, nelle ultime settimane, tirarsi indietro quasi
spaventata dall'idea di quel viaggio e di ciò che avrebbe
potuto
comportare alla salute di suo marito. Ma Falmouth, pur preoccupato
per la salute di suo nipote, era stato irremovibile e aveva
sentenziato che il trasferimento ci sarebbe stato, per tutti. Hugh
era un uomo e un uomo va alla guerra anche se ferito o menomato,
così
aveva detto a Demelza, col tono di ordine a cui non si poteva
controbattere. Lei lo aveva implorato di convincere suo marito a
cambiare idea, lo aveva pregato di fare altrettano per il bene di
Hugh ma era stato irremovibile. Suo nipote per la prima volta in vita
sua voleva comportarsi da uomo responsabile, non era disposto a
tirarsi indietro e lui, anche se non capiva il perché, di
certo
glielo avrebbe permesso. Era suo nipote dopo tutto e non poteva
negargli quell'opportunità che di certo non era pericolosa,
a conti
fatti. A Hugh non si chiedeva tanto dopo tutto, si chiedeva solo un
viaggio di un paio di giorni per spostarsi da una dimora di campagna
a una di città e anche se Falmouth sapeva che di certo a
Londra non
avrebbe combinato un gran che, voleva per una volta dargli fiducia,
non trattarlo da ragazzino e vedere di che pasta era fatto...
Questo
lo stuzzicava e soprattutto, lo incuriosiva...
Una
sfida, a tu per tu con l'altro candidato al ruolo agognato da Hugh:
Ross Poldark. Nonostante i desideri di Hugh, Falmouth non era
disposto a rinunciare a lui. Di certo non avrebbe detto a Poldark,
testa calda e soprattutto orgogliosa, che sarebbe stata una specie di
gara ai suoi occhi per vedere chi meritava di più di
lavorare al suo
fianco, Falmouth conosceva dopo tutto la risposta, ma voleva vedere
quanto suo nipote valesse a confronto con lui.
Con
questi pensieri stava andando a Nampara, dopo che per mesi e
sicuramente per tutta l'estate, non si erano più avute
notizie di
lui. La prima volta, mesi prima, aveva mandato Demelza come
ambasciatrice ma ora la posta in gioco era troppo grossa e doveva
mettersi in gioco di persona per convincerlo. La partenza per Londra
era vicina, c'era poco tempo e doveva trovare il modo di ingolosirlo
dell'idea di andare nella capitale. Falmouth aveva però
già
elaborato un piano: si era informato delle sorti della Wheal Grace in
quei mesi, aveva scoperto che navigava sempre più in cattive
acque e
che presto, per mancanza di fondi, avrebbe rischiato la chiusura con
conseguente caduta sul lastrico di tutti coloro che ci avevano
lavorato e investito. Falmouth conosceva il modo di pensare di Ross e
sapeva bene quanto ci tenesse a quella miniera, non tanto per lui
quanto per i suoi lavoranti. Che incentivo migliore poteva esserci di
un prestito a tasso quasi nullo alla Banca di Londra, con un Boscawen
a fare da garante? I debiti della Wheal Grance erano poca cosa per
Falmouth ma saldarli era tutto ciò che Poldark desiderava.
Gli
avrebbe offerto la soluzione su un piatto d'argento, doveva solo
accettare di fare un viaggetto a Londra con lui e la sua famiglia.
Una volta la, sarebbe stato facile introdurlo nei suoi circoli e
scatenarne la voglia di farne parte.
E
con questi pensieri e un innato ottimismo, Falmouth tornò
con
impazienza a guardare dal finestrino della carrozza che lo stava
portando a Nampara. Non c'era tempo da perdere, non avrebbe accettato
alcun no e non sarebbe tornato indietro deluso. Di questo era certo e
avrebbe sfruttato ogni risorsa in suo possesso per un sì.
...
Quella,
fu una domenica pomeriggio molto noiosa per Ross. La Wheal Grace, si
era deciso ormai da settimane, rimaneva chiusa il sabato e la
domenica un pò per mancanza di denaro e carbone, un
pò per far
tirare il fiato ai minatori che vi lavoravano senza sosta e
soprattutto, senza risultati. I soldi scarseggiavano ormai e la beffa
finale era giunta nel momento in cui era stato trovato qualcosa che
assomigliava a un ricco filone di stagno di qualità e non
c'era più
denaro per andare avanti negli scavi. Fallire a un passo da un
traguardo ambito per causa di soldi, era la maledizione che da secoli
affliggeva i membri della famiglia...
Seduto
sul divano davanti al camino, in quel giorno che di estivo aveva ben
poco, Ross si scaldava davanti al fuoco appena acceso da Jud. Quel
calore era piacevole e pareva dare sollievo anche ai mille pensieri e
alle mille preoccupazioni che attanagliavano il suo animo. Accanto a
lui, Sun giocava con un gomitolo di lana bianca, rotolandosi nel vano
tentativo di afferrarlo fra le zampette. Era cresciuto molto in quei
mesi e aveva sviluppato un lungo pelo rosso tanto inusuale per i
gatti randagi di quelle parti. Sembrava un piccolo leoncino
più che
un gatto e le fiamme del fuoco, riflesse sul suo pelo, gli
conferivano un aspetto ancor più regale. Non aveva mai
prestato
molta attenzione alla bellezza degli animali ma doveva ammettere che
Sun era davvero un esemplare di rara bellezza e spesso si era chiesto
da dove venisse e cosa l'avesse portato fino alle scogliere a ridosso
di Nampara. Inoltre spesso non era riuscito a non pensare al fatto
che il suo aspetto rispecchiava terribilmente la persona che lo aveva
trovato, sembravano fatti apposta per incontrarsi, quei due...
Sovrappensiero,
Ross ripensò a Demelza. Erano più di due mesi che
non la vedeva,
dal giorno in cui era venuta a casa sua per rimproverarlo della sua
fuga dal ballo a casa sua. Quel giorno si erano allontanati con una
vaga promessa di amicizia e si aspettava, stupidamente, che si
sarebbero visti spesso. Ma da allora la giovane moglie del tenente
Armitage era come scomparsa dalla circolazione e di lei non aveva
più
visto l'ombra, né a Nampara, né a Truro. Gli
sembrava strano che
non avesse più partecipato ai lavori della scuola ma forse,
credeva,
l'aveva sopravvalutata. Le donne si lanciano spesso in cose che poi
le stancano e le annoiano dopo poco e Demelza Armitage doveva essere
una di quelle. Aveva ideato sicuramente con eccitazione e voglia di
fare la scuola ma poi, come ogni donna capricciosa dell'alta
società,
doveva aver trovato altre cose con cui svagarsi e aveva abbandonato
il progetto, lasciandolo ad altri. Forse aveva avuto cose
più
importanti da fare, apparteneva al casato dei Boscawen dopo tutto,
forse era stata impegnata col marito, forse semplicemente era partita
per una vacanza estiva da qualche parte...
Forse,
forse...
Ross
si trovava spesso a pensare a lei, con acidità e con la
testardaggine di volerle trovare difetti atti a criticarla. E in
fondo non ne trovava molti, falliva sempre e i difetti doveva
crearseli nella sua mente delusa dal fatto che non si fosse
più
fatta vedere da lui. E da Sun, ovviamente...
Non
era sciocco, sapeva che quei pensieri così apparentemente
ostili
nascondevano in realtà una gran voglia di vederla e godere
della sua
presenza, ma sapeva anche che ogni tipo di incontro fra loro sarebbe
stato inappropriato. Come un'amicizia, del resto... Lo aveva capito
lui e doveva averlo capito anche lei...
Allungò
la mano ad accarezzare Sun che si era accoccolato sulle sue gambe e
in quel momento Prudie fece irruzione nel salotto. "Signore,
avete visite" – esclamò, decisamente poco felice
della cosa.
"Visite?".
Era stupito, non aspettava nessuno e aveva declinato l'invito di
Zachy di andare a pescare.
Prudie
non fece in tempo a rispondere che la figura delicata ed elegante di
Elizabeth comparve dietro di lei. Indossava un completo di
equitazione blu, aveva i capelli raccolti in una curata treccia e le
sue guance erano arrossate a causa della galoppata. "Disturbo?"
- chiese.
Ross
si alzò di scatto dal divano, facendo balzare a terra anche
il
povero Sun. Ogni volta che la vedeva si eccitava come un ragazzetto e
averla a Nampara, cosa piuttosto rara, era ancora considerato un
privilegio da lui. "Certo che no" – balbettò,
facendo
segno a Prudie di andare a preparare del tè e dei biscotti
per la
loro ospite.
"Scusa
l'irruzione ma ero a casa sola, mi annoiavo e ho deciso di uscire per
una cavalcata. E il cavallo mi ha portata quì".
Ross
le sorrise, indicandole il divano perché si mettesse comoda.
"Non
devi giustificarti, mi fa sempre piacere averti quì. Come
stai? Come
mai eri sola?".
Elizabeth
si sedette elegantemente. "Francis ha portato Geoffrey Charles a
raccogliere il grano coi nostri fittavoli, Verity è a Bodmin
con il
capitano Blamey, zia Agatha dorme e borbotta nel suo letto e io...".
Prudie
arrivò col tè e, con espressione scocciata, lo
diede alla sua
ospite. "Serve altro?".
"No,
grazie Prudie" – la fulminò Ross, esasperato dai
suoi modi
così poco accoglienti.
La
donna uscì dalla stanza e lo sguardo di Elizabeth cadde su
Sun che,
col suo gomitolo, si era accocolato di nuovo ai piedi di Ross. "Da
quando hai un gatto?".
"Da
qualche mese".
Elizabeth
ridacchiò. "Non ti facevo il tipo da tenere un animale
domestico".
Ross
osservò Sun, ricordando il modo fortuito in cui era stato
trovato e
il perché... per chi... avesse scelto di
tenerlo. Ma non si
sentiva propenso a raccontare tutto questo ad Elizabeth. "E'
utile coi topi".
Elizabeth
impallidì. "Ci sono topi a Nampara?" - chiese,
osservandosi attorno guardinga.
"In
una fattoria capita che ce ne siano, di tanto in tanto".
"Ma
non hai paura che quel gatto, con tutto quel pelo, abbia delle
pulci?".
Come
sentendosi chiamato in causa, Sun soffiò verso l'ospite,
dimostrandosi ancora più ostile di Prudie.
"I
gatti, Elizabeth, sono gli animali più puliti che esistano".
"Ma
quel pelo così rosso, così lungo... Che gatto
strano che ti sei
trovato, Ross!".
Sospirò,
deciso a cambiare argomento, forse anche irritato da quei commenti su
Sun, che considerava bellissimo. "Cosa ti porta quì? A parte
la
noia, intendo...".
Elizabeth
si rigirò fra le mani la tazza di tè fumante,
come indecisa se
parlare o meno e soprattutto, su come dire ciò che la
tormentava.
"Tu sai che il denaro per me non è questione primaria,
ma...".
Certo
che lo sapeva, mai avrebbe potuto pensare a lei come a una donna
veniale e non c'era nemmeno bisogno che Elizabeth lo specificasse.
"Dimmi cosa ti tormenta".
Lei
lo guardò negli occhi, profondamente. "Cosa mi tormenta?
Tante
cose, Ross. Ho un figlio e ovviamente il suo futuro mi preoccupa.
Cosa avrà in eredità? Potrò
permettermi di iscriverlo alle
migliori scuole?".
Ross
annuì, erano tutte preoccupazioni legittime per una madre
amorevole
come lei e non poterla confortare su questo, lo destabilizzava
terribilmente. "Ti capisco e ti garantisco che nel mio piccolo,
sarò sempre al fianco di tuo figlio per aiutarlo. Sono tempi
duri
per tutti e non se ne vede soluzione, ma se non ci diamo una mano fra
noi, saranno ancora più duri".
Lei
scosse la testa, esasperata. "La notte non ci dormo, Ross.
Intendo, per la Wheal Grace...".
Ross
sussultò, sentendosi mortalmente in colpa anche per quello.
Francis
aveva investito in quella miniera i suoi ultimi risparmi e questo
aveva pesato enormemente sulla condizione economica della famiglia,
soprattutto su una persona delicata come Elizabeth e sul piccolo
Geoffrey Charles. La loro situazione, già enormemente
compromessa a
causa dei debiti di gioco e finanziari di Francis coi Warleggan , era
ulteriormente peggiorata ed era consapevole che Elizabeth fosse
terrorizzata di trovarsi senza nulla e senza nemmeno una casa nel
caso questa fosse stata confiscata. Ross dubitava che sarebbe
successo, sapeva quanto George Warleggan la adorasse e fosse
perennemente pronto a vezzeggiarla, ma i problemi comunque rimanevano
e di certo prima o poi avrebbero chiesto il conto.
Osservò
Elizabeth ancora tanto bella e perfetta ai suoi occhi, quella donna
che desiderava da quando aveva vent'anni e che aveva perso in modo
forse superficiale e stupido, senza lottare appieno per lei.
L'orgoglio, le ferite nell'animo che la guerra gli aveva lasciato
come brucianti cicatrici, la sua situazione finanziaria disperata,
gli avevano impedito di lottare per quella donna a cui, se avesse
potuto, avrebbe dato anche la luna. Anche ora, per sempre! Anche se
era la moglie di Francis, mai avrebbe smesso di lottare per il suo
benessere e i fallimenti della Wheal Grace diventavano ancora
più
brucianti davanti a quanto erano costati a Elizabeth. Santo cielo,
come poteva consolarla? Come poteva darle speranza? Come poteva
trovare fondi sufficienti per andare avanti ancora un pò
alla Wheal
Grace? Il filone trovato da Henshawe sembrava così
promettente e
forse forse, se si fosse continuato a scavare, ciò che c'era
in quel
cunicolo avrebbe potuto cambiare le vite di tutti.
Non
voleva la ricchezza per se, Ross. La voleva per lei perché
una vita
piena di agi era tutto ciò che Elizabeth meritava. Ma dove
trovare
nuovi fondi? La piccola banca di Pascoe si era già esposta
fin
troppo, condedendogli prestiti che fino a quel momento erano stati a
fondo perduto, dei Warleggan non voleva nemmeno sentir parlare e
Henshawe aveva già impegnato fin troppo denaro per
chiedergliene
ancora. E lui non aveva sul suo conto da Pascoe che venti ghinee, il
minimo necessario per comprare cibo per se e i suoi servi. Ipotecare
nuovamente Nampara? Lo aveva già fatto... "Vorrei poterti
dare
buone notizie ma al momento...". Si bloccò, con la voce
tremante, cercando per lei una qualche consolazione che al momento
non esisteva. "Quando la Wheal Grace chiuderà, dalla vendita
dei macchinari ricaveremo un pò di denaro che ti
darà respiro".
Si odiava, santo cielo! Come aveva potuto permettere che Francis
impegnasse tutto il denaro che gli rimaneva?
Elizabeth,
pallida e amareggiata, abbassò il capo. Era evidente che non
erano
quelle le parole che aveva sperato di sentire da lui... "In
fondo c'è chi sta peggio, no?".
"Sì,
sicuramente...". Ross strinse i pugni, in preda alla
frustrazione. "Ti sarai davvero pentita di aver sposato un
Poldark".
La
sua in fondo voleva essere una battuta amara a cui Elizabeth, si
aspettava, avrebbe risposto con una nuova battuta. Ma la donna rimase
in silenzio, osservando la sua tazza da tè. Un silenzio
pieno di
domande, per Ross. A cosa stava pensando? Stava davvero maledicendo
il giorno in cui la sua strada aveva incrociato quella dei Poldark?
La
donna si alzò dal divano, poggiando la tazza sul tavolo. "Si
sta facendo tardi, forse dovrei rincasare. Il tempo sta peggiorando,
a breve temo che pioverà e Geoffrey Charles e Francis
saranno di
ritorno fra poco e voglio che mi trovino a Trenwith al loro rientro".
"Certo".
Fece per accompagnarla alla porta quando Prudie comparve di nuovo.
"Signore!".
"Che
c'è ancora?".
"Avete
un'altra visita" – sbottò nuovamente Prudie.
Ross
spalancò gli occhi. E ora chi era? Ma non fece in tempo a
formulare
nessuna ipotesi che Lord Falmouth, elegante ed altero come sempre,
comparve davanti a lui ed Elizabeth.
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Capitolo 14 *** Capitolo quattordici ***
Falmouth
non era una persona abituata ai convenevoli e Ross lo sapeva bene. Se
era giunto di persona fino a Nampara, non era di certo per una visita
di cortesia e anche se per tutta l'estate non si era fatto
né vedere
né sentire, era indubbio che non avesse distolto lo sguardo
e le sue
mira su di lui.
Ross
prese un profondo respiro, osservò Elizabeth e decise che
doveva
cercare di dar sfoggio a tutte le sue buone maniere per non metterla
in imbarazzo davanti a un ospite tanto importante. "Lord
Falmouth, vi vedo in ottima forma e mi fa piacere vedervi. Volete
accomodarvi?" - propose, indicandogli i divanetti davanti al
camino.
Elizabeth
abbozzò un sorriso ma Falmouth scosse la testa. "Non ho
molto
tempo per fermarmi, ero solo di passaggio e ho deciso di deviare
quì".
"Perché
mai?" - domandò Ross.
Falmouth
fece un sorriso furbo, osservò distrattamente alcune mappe
della
Wheal Grace lasciate aperte sul tavolo e poi decise di giocare al
gatto col topo proprio toccando le corde più care a Ross.
"Diciamo
che, usando termini a voi molto conosciuti... Se il rame non va dal
minatore, il minatore va a cercare il rame dritto dritto nella tana
dove si nasconde".
Ross
incrociò le braccia, stupito da quel paragone e anche
piuttosto
divertito dal fatto che Falmouth lo avesse usato. Sano umorismo
inglese, avrebbe detto suo padre... E quel Lord ne era certamente in
possesso. "Bel paragone, complimenti. Scusate se non sono
passato a salutarvi in questi mesi, ma sono stato molto occupato.
Stavo giusto parlando con mia cugina delle sorti della miniera".
Falmouth
fece un inchino ad Elizabeth, da perfetto gentiluomo. "Signora
Poldark, è sempre un piacere vedervi. La vostra presenza ha
illuminato i balli a casa mia e spero che sarete presto, di nuovo,
nostra gradita ospite".
Ross
capì subito l'intento di Falmouth di adularla per portarla
dalla sua
parte, ma Elizabeth no e si limitò ad arrossire
garbatamente. "Siete
fin troppo gentile con me".
Falmouth
le si avvicinò, prendendole la mano e baciandola. "La
gentilezza non è mai troppa quando si ha davanti una giovane
e
affascinante dama come voi".
Santo
cielo, Falmouth cascamorto! Lo stava talmente stupendo il suo
comportamento di quel pomeriggio, che Ross gli avrebbe volentieri
accordato qualcuna delle richieste che sicuramente era venuto a fare.
Ma prima di questo, il punto della questione era non scoppiare a
ridergli in faccia, mettendo in imbarazzo Elizabeth che di certo era
nata per essere adulata e trovava piacere nei complimenti.
Complimenti che meritava, sempre!
E
quindi Ross tossicchiò, cercando di mantenersi serio. "E
allora, cosa vi porta quì a casa mia?".
"Affari,
affari! Cos'altro mi spingerebbe a venire fino a un luogo
così
remoto?".
Ross
ridacchiò. "Gli affari si fanno con chi ha la
capacità e le
risorse di far girare denaro, non coi proprietari di una miniera
quasi fallita che non ha quasi più denaro per finanziare la
sua
attività".
Falmouth
sorrise sotto i baffi, era lì che voleva arrivare e Ross gli
stava
spianando la strada senza nemmeno accorgersene. "Sono a
conoscenza delle difficoltà della vostra miniera e me ne
rammarico".
Si voltò verso Elizabeth con aria grave. "Ovviamente
immagino
che anche per voi, mia signora, tutta la situazione deve essere fonte
di grande preoccupazione".
Elizabeth
annuì. "Lo è, infatti. Non per me, non
particolarmente almeno.
Ma il futuro così incerto di mio figlio...".
Falmouth
annuì. Sapeva bene quanto una lady come Elizabeth fosse
incapace di
vivere in ristrettezze, ne aveva viste tante di damine ben educate
nella sua vita disperarsi per semplici motivi veniali e sapeva anche
quanto Ross Poldark le fosse affezionato, i loro trascorsi e quanto
fosse disposto a far di tutto per lei, se le circostanze lo avessero
reso necessario. Si era informato bene, sapeva che in passato erano
stati promessi sposi e quanto ancora lui ne fosse affascinato e
proprio per questo Elizabeth Poldark poteva diventare il suo asso
nella manica per portare a compimento i suoi piani. "Il futuro
dei figli è ciò che sempre angustia ogni madre.
In certe
situazioni, poi..." - mormorò, occhieggiando Ross che
abbassò
lo sguardo. "Vorrei rendermi utile, solo Dio sa quanto affetto
abbia sviluppato verso vostro cugino e la sua grandissima faccia
tosta".
Elizabeth
sorrise garbatamente. "La vostra amicizia è preziosa per
noi".
Ross
sospirò, deciso a tagliare corto. Cosa voleva Falmouth era
chiaro da
molto e quanto detto da Elizabeth poco prima e il peso dei debiti lo
avrebbero potuto spingere verso il bordo di un precipizio dal quale
difficilmente salvarsi. Non voleva ciò che Falmouth aveva da
offrirgli ma allo stesso tempo ciò che lui aveva era l'unica
speranza che poteva donare al cuore in tumulto di Elizabeth. "Volete
trascinarmi di nuovo a una lunga discussione alla banca di
Cornovaglia? Sarei un pessimo creditore per loro. Sarei un debito e
difficilmente porterei ricchezza".
"No,
no!". Falmouth scosse la testa. "La Banca di Cornovaglia è
piccola, piena di gente dalla mentalità campagnola e
ristretta e di
fatto, rispecchia la mentalità di queste terre. Ho bisogno
della
frizzante aria di città, di rumore, di strade caotiche e
piene di
carrozze e di persone con cui stringere affari veri!".
Ross
spalancò gli occhi, seguito da Elizabeth. "Oh, state
partendo?".
Falmouth
annuì. "Londra! Santo cielo, come mi è mancata
quella città!
Oro, potere, re, Parlamento! La campagna di Cornovaglia è
affascinante ma i miei occhi si sono stancati di vedere camini di
miniere fumare e greggi di pecore che pascolano. Santo cielo, avete
notato quanta erba cresce da queste parti, Poldark?! Sono un uomo
d'affari, non un contadino cornish!".
"E
allora, vi auguro un buon viaggio di ritorno nella capitale"
–
disse Elizabeth, con una nota di invidia nel tono di voce.
Falmouth,
a quelle parole, adocchiò Ross. "Spero possiate augurare la
stessa cosa anche a vostro cugino".
"Ma
io non sto partendo" – fece notare Ross, guardingo. Ahia, il
gioco si stava facendo pericoloso e il lord lo stava guidando con
maestria. Che voleva dire?
Senza
scomporsi, Falmouth alzò le spalle. "In realtà
è per questo
che sono venuto quì, per chiedervi di partire invece. Con me
e la
mia famiglia".
Ross
sussultò. La sua famiglia... Demelza e Hugh... Demelza...
Per
un attimo quell'opportunità gli parve quasi un dolce invito
ma poi
guardò Elizabeth e si sentì come di tradirla. E
poi ripensò a
Demelza, scomparsa nel nulla in un attimo, sia dalla sua vita che dal
progetto della scuola. Era davvero meritevole del suo desiderio di
rivederla? "Non ho motivo di partire" – disse, non
così
convinto ed odiandosi per questo.
"Forse
ne avete uno" – rispose Falmouth, occhieggiando Elizabeth.
"Quale?"
- chiese la donna, incuriosita ma anche speranzosa che quella
amicizia si traducesse in qualcosa di positivo per tutti loro.
Falmouth
prese un profondo respiro. "So bene in quali difficoltà
finanziarie vi trovate e so anche che mai come ora avreste bisogno di
nuovi investitori che vi possano aiutare a far andare avanti la
miniera. Pare siate a un passo dall'ottenere buoni risultati
finalmente e sarebbe un peccato e una vera beffa chiudere ora, per
mancanza di fondi. La Cornovaglia non è così
competitiva a livello
economico, le sue banche sono piccole e gli investitori non
così
ricchi da rischiare più volte in una impresa spesso
fallimentare.
Londra è diversa, le banche della capitale sono grandi e
potenti e
sicuramente non farebbero molte storie a concedervi un prestito che
per loro è sicuramente poca cosa rispetto al giro di affari
che
conducono giornalmente".
Ross
sapeva dove voleva arrivare Falmouth e anche se di certo il suo
discorso corrispondeva al vero, accettare quel viaggio con lui lo
avrebbe esposto ad altre tentazioni che quella vecchia volpe di certo
gli avrebbe mostrato. Non voleva essere coinvolto nelle sue
macchinazioni e non voleva diventare un lacché dei
Boscawen... "Non
vedo perché una banca, seppur potente, dovrebbe prestare
denaro a un
perfetto sconosciuto di provincia che non darebbe loro alcuna
garanzia di ritorno del prestito. Resto comunque un soggetto a forte
rischio di fallimento".
"E'
vero! A meno che non troviate qualcuno che garantisca per voi".
Ross
sorrise, freddamente. "Tipo un Boscawen?".
Falmouth
annuì. "Per esempio ecco, noi Boscawen, io... ho molte
amicizie
nelle banche di Londra. Nessuno oserebbe negare un prestito a un mio
protetto. Garantirei per voi senza indugio e la mia parola e il mio
nome varrebbero più che mille ipoteche e mille cambiali che
voi
giurereste di firmare e pagare entro i termini".
"E
se la mia miniera fallisse? Che ne sarebbe del vostro impegno a mio
nome?" - chiese Ross, con aria di sfida.
Falmouth
lo fissò serio, negli occhi. "Se anche fallisse, per me il
denaro che a voi serve è poca cosa. E comunque non
fallirete".
"Come
fate a saperlo?".
"Ho
fiuto per gli affari! E non mi ha mai tradito".
Ross
ridacchiò. "Siete un serpente tentatore che sa muoversi bene
nel giardino dell'Eden, Lord Falmouth. Ma io so bene che tutto
ciò
che voi così gentilmente mi offrite, avrà un
prezzo. Un prezzo che
non intendo pagare e mi pare di essere stato chiaro in merito!".
Falmouth
non arretrò. "Sembrate spaventato da una collaborazione con
me
e non vi facevo codardo".
Punto
sul vivo, Ross si morse il labbro. "Non sono codardo, so
semplicemente fiutare i pericoli, anche quando sono nascosti da
gentilezza apparentemente disinteressata".
"Non
potete dire che ciò che vi offro non vi piacerà,
se non lo avete
prima provato!".
"Lo
so e basta, che non mi piacerà!".
Falmouth
sospirò, osservando il suo asso della manica, Elizabeth.
"Diteglielo
anche voi, signora! Con la testa dura non si va da nessuna parte e un
viaggio a Londra e un impegno politico più pressante da
parte sua
potrà aiutare non solo la miniera e la gente che vi lavora
ma anche
l'economia delle vostre terre e soprattutto, della vostra famiglia".
"Ross"
– lo implorò Elizabeth.
Ma
Ross tentò di tenere duro. "Elizabeth, mia cara,
è una
questione di principio. E non posso perdere me stesso e tutto
ciò in
cui credo per del denaro".
Falmouth
lo rimproverò con lo sguardo. "Non è un patto di
sangue, è
aprirsi a nuove opportunità! Mandereste sul lastrico tante
famiglie,
compresa la vostra, per una questione di puntiglio?".
Ross
impallidì, Falmouth sapeva come portare avanti una
trattativa
mettendo con le spalle al muro il suo interlocutore e di certo
avrebbe avuto molto da imparare da lui, se solo avesse desiderato
farlo. "Ovviamente no".
"E
allora partite!".
"E
cosa dovrei fare in cambio? Il vostro lacché nei circoli
buoni di
Londra?".
Falmouth
scosse nuovamente il capo. "No, mai avuto bisogno di lacché
che
mi scodinzolassero attorno come farebbe un cane. Ma di un buon
collaboratore sì!".
"Un
collaboratore con idee diverse dalle vostre! Voi ed io siamo
incompatibili, Lord Falmouth! C'è chi mi definisce
'giacobino' e non
ho mai avuto animo di contraddire questo nomigonolo!".
Falmout
sorrise, da volpe astuta quel'era. "Io non voglio con me chi la
pensa come me! Se volessi questo, me stesso mi basterebbe. Io voglio
il contradditorio, voglio discutere ed eventualmente cambiare idea su
qualcosa a cui magari guardo in maniera sbagliata. O convincere un
altro a fare altrettanto. Mettermi in gioco sempre, è il
risvolto
della vita che più amo. E sono proprio le persone come voi
che più
stuzzicano il mio interesse".
Ross
sorrise, in fondo non poteva dire di non apprezzarne il pensiero. "E
questo vi fa onore".
"Partirete?
Avete solo da guadagnarci".
"Ross..."
- intervenne ancora Elizabeth, giungendo le mani come in preghiera.
La
guardò, tanto bella, fragile, regale. Un tempo le avrebbe
regalato
la luna e anche ora, se ne avesse avuto l'opportunità.
Un'opportunità che in effetti adesso aveva, dopo tutto. Non
gli
importava di fama e glora e tanto meno di banche e politica, voleva
solo sentirsi a posto con la coscienza e sapere al sicuro, serena e
senza preoccupazioni Elizabeth.
Vedendolo
indugiare sulla figura della donna, Falmouth intervenne ancora per
completare la sua opera di persuasione. "So che la sorte della
vostra famglia e di questa donna vi è particolarmente a
cuore e
sarebbe davvero un peccato gettare voi e lei sul lastrico, a un passo
dal successo, per una questione di principio. Non siete d'accordo,
Poldark? Avete il futuro di vostra cugina e vostro nipote nelle
vostre mani...".
Ross
la osservò e capì che non poteva che chinare la
testa. Per lei,
solo per lei. Non era giusto provare certi sentimenti, soprattutto
verso la stessa Elizabeth e Francis, ma era quello che sentiva. E
sentiva anche la voglia di rivedere quell'altra donna, la donna che
era entrata all'improvviso nella sua mente e stranamente non voleva
sparire dai suoi pensieri. Quasi avesse sentito quei pensieri sulla
sua salvatrice, Sun si avvicinò strisciando contro la sua
gamba in
cerca di un attimo di attenzione e una carezza. Ross distolse lo
sguardo da Elizabeth, si chinò e lo prese in braccio,
accarezzandolo
sulla testolina. "E sia, partirò!" - disse infine,
risoluto ma incerto nei suoi ultimi pensieri: chi lo motivava di
più
a partire? Elizabeth? O colei che aveva salvato quel gatto che,
richiamando la sua attenzione, lo aveva costretto a distogliere lo
sguardo da lei?
Con
aria trionfante, Falmouth si rimise il cilindro sul capo.
Osservò
Elizabeth gongolante e poi il suo pupillo. "Ottima scelta!
Preparate quanto prima le valigie, voglio essere nella capitale prima
che il tempo si guasti del tutto e renda il viaggio un inferno!".
Ross
annuì, rendendosi conto che accettare era comunque l'unica
opzione
che avesse. "Non voglio mancare comunque troppo a lungo da
casa".
Falmouth
sorrise. "Per il gatto? Non vi facevo tipo da avere un gatto!"
- scherzò.
Ross
sospirò, stringendo il micio. "E' una cosa che oggi mi hanno
fatto notare spesso" – borbottò rivolgendosi ad
Elizabeth.
"Ma a conti fatti, sono felice di avere Sun con me e mi
mancherà. E' un'ottima compagnia, parla poco e non fa
proposte
inappropriate" – concluse, lanciando quella frecciatina al
Lord senza mezzi termini.
Falmouth
rise, per nulla turbato o offeso. "Sun? Santo cielo, un nome del
genere?! Sembra scelto dall'animo gentile di una donna più
che da un
rude uomo di miniera".
Ross
non rispose. In effetti era così ma non era il caso di
dirlo...
Falmouth
si accomiatò, assieme ad Elizabeth che lasciò
Nampara nello stesso
momento. Ognuno aveva in fondo ottenuto qualcosa da quello strano
pomeriggio: Falmouth il suo pupillo, Elizabeth una speranza e
Ross...?
Con
Sun vicino, si rimise sul divano accanto al camino. Era ormai quasi
buio e il suo animo era in tumulto come il cielo fuori dalla
finestra, che annunciava pioggia. Avrebbe forse salvato la miniera e
il destino di tanti uomini, aveva tranquillizzato Elizabeth sul
futuro e forse gli affari sarebbero stati finalmente profiqui. E lui?
Era davvero felice? Non seppe darsi una risposta e di certo mai come
in quel momento i suoi sentimenti gli parevano confusi ed
incoerenti...
...
Era
stanca, esausta da quell'estate difficile e pesante che aveva
vissuto. Non era tanto la stanchezza fisica a tormentarla, quanto
quella mentale. Non c'era mai stato riposo per la sua mente e anche
quando era riuscita a dormire tutta la notte, i suoi sonni erano
stati tormentati da incubi e preoccupazioni. Hugh era stato molto
male e gli attacchi, sempre più frequenti, avevano scandito
quei
caldi mesi estivi, togliendole forza, vitalità e
serenità. E ora
che la partenza per Londra si avvicinava, era difficile non avere
paura delle conseguenze che quel viaggio avrebbe avuto sul fisico
provato del suo giovane marito. Avrebbe voluto rimanere in
Cornovaglia, tenere Hugh al sicuro e tranquillo nella loro villa di
campagna dove si sentiva abbastanza forte per proteggerlo anche dalla
malattia, ma rimanere non era un'opzione che era nelle sue
possibilità. Soprattutto Hugh non aveva voluto prenderla in
considerazione. Falmouth non aveva mai insistito nelle ultime
settimane e aveva lasciato la facoltà di scelta al nipote,
limitandosi ad osservarlo con preoccupazione ma non prendendo mai le
parti di Demelza nel volerlo convincere a desistere. Aveva scelto di
trattare Hugh da adulto, con rispetto, mostrandosi aperto a ogni sua
decisione. E anche se Demelza era felice che Falmouth avesse
accordato quella fiducia a suo marito, era terrorizzata dalle
conseguenze.
Era
ormai quasi ora di cena e quella sera a tavola ci sarebbero stati
solo lei e Falmouth. Hugh aveva ancora un forte mal di testa ed era a
letto e lei, stancamente, osservò che la domestica avesse
apparecchiato al meglio la tavola.
Il
tempo era plumbeo, stava iniziando a piovere e Falmouth, uscito alla
chetichella a cavallo senza dire dove andasse, sarebbe rientrato a
breve.
Con
fare stanco sistemò una piega della tovaglia, quando il lord
arrivò
alle sue spalle. "Tempo infame, dannata pioggia!" - sbottò
l'uomo, togliendosi di dosso il mantello umido.
Demelza
gli sorrise. "Volete scaldarvi un pò davanti al camino prima
di
cena?".
L'uomo
si avvicinò al camino, annuendo. "Vorrei il sole, non il
camino! Serve il sole quando un uomo raggiunge in una sola giornata i
suoi più alti scopi!".
Demelza
parve incuriosita. "Che volete dire?".
"Sai
dove sono stato?".
"No,
non ne avete fatto parola!".
"A
Nampara, da Poldark!".
Demelza
impallidì. Era da così tante settimane che la
vita e le
preoccupazioni le avevano impedito di pensare a lui. E anche se era
ciò che voleva, risentire quel nome fece sussultare il suo
cuore.
"Cosa? Perché?" - chiese, con foga.
Falmouth
sorrise con fare furbo. "Beh, ti risparmio i dettagli! Ma sappi
che partirà con noi per Londra".
Demelza
spalancò gli occhi e le sue mani tremarono. Già
di suo sarebbe
stato un viaggio complicato, ma così... "C... Cosa?". Con
noi? Che intendeva Falmouth? Sulla stessa carrozza? Lei, Hugh e Ross?
Falmouth
scoppiò in una grossa risata. "Affari, mia cara!".
"Come
avete fatto a convincerlo?".
L'uomo
si grattò il mento. "Usando la motivazione migliore che si
possa trovare! Da sempre, dagli albori della storia!".
"Quale?".
"L'amore,
mia cara... Davanti a questo sentimento, qualsiasi uomo cederebbe
anche a un serpente nel giardino dell'Eden".
Demelza
impallidì. Amore? Di che parlava? Sentì una
strana fitta al cuore e
capì che ciò di cui Falmouth parlava non le stava
piacendo affatto.
"Amore? Che intendete?".
"Elizabeth
Poldark!" - rispose Falmouth con ovvietà, senza dare
ulteriori
spiegazioni.
Ma
a Demelza non servivano. Per chi altri se non per lei, che tutti
dicevano avesse amato più di ogni altra cosa e ancora
rimpiangeva,
avrebbe potuto accettare la proposta di Falmouth? C'era bisogno di
altro per dimenticarlo? No e forse era meglio così! Sarebbe
stata
una motivazione perfetta per vivere il viaggio col miglior spirito
possibile ed Elizabeth Poldark, per cui provava scarsa simpatia,
finalmente le tornava utile per qualcosa. Doveva gioirne...
Eppure
il suo cuore pareva farle male, in quel momento al pensiero di quanto
Ross Poldark fosse disposto a fare per Elizabeth... E al dubbio su un
altro aspetto che la riguardava più direttimanete: cosa
pensava Ross
Poldark di lei, dopo che senza spiegazioni era sparita dalla sua vita
dopo una promessa di amicizia a cui non era stata fedele?
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Capitolo 15 *** Capitolo quindici ***
Non
era stata contenta di lasciare la Cornovaglia e partire.
Quella
notte Hugh era stato di nuovo male, si era lamentato per ore per il
fortissimo mal di testa e da qualche settimana anche la sua vista
sembrava calare e peggiorare sempre più. Pallido, stanco,
febbricitante, Hugh avrebbe dovuto rimanere a letto al caldo, a
riposo, e non mettersi in viaggio verso Londra.
Ma
lui era stato irremovibile e in questo suo atteggiamento tanto fiero
e testardo, Demelza rivide il giovane di qualche anno prima che
contro tutto e tutti, guidato solo da una gran testardaggine che si
attivava per ciò che desiderava veramente, aveva combattuto
per
corteggiarla, amarla e sposarla. Hugh era solitamente una persona
pacata, di poco carattere. Ma quando si metteva davvero in testa
qualcosa, sarebbe andato a sbattere anche contro a una montagna pur
di ottenerla.
Questo
la inteneriva, ma la preoccupava a dismisura. Non era un medico ma
era evidente a tutti quanto Hugh stesse deperendo e quanto incerto
fosse il suo futuro. Un argomento toccato da pochi, nessuno aveva mai
osato dirlo ad alta voce ma chiunque in quella villa aveva
più di
qualche perplessità circa un futuro lungo e radioso per
l'erede del
casato.
Si
erano dovuti alzare presto, in una mattinata fredda, grigia e
piovosa.
Demelza
aveva finito di preparare i bagagli e poi, con Garrick, aveva vagato
nei saloni della casa, osservandone tutti i particolari a lei cari.
Gli affreschi, i vasi di fiori che aveva colto e con cui aveva
abbellito tavoli e davanzali, il suo pianoforte, il suo amato
giardino. Amava anche la loro casa di Londra, certo, più
grande ed
austera, ma il suo cuore rimaneva lì, nella casa di campagna
dei
Boscawen, nella terra dove era nata e cresciuta. Lasciarla, ogni
volta, era un dolore per lei...
Lord
Falmouth a un certo punto la chiamò, comparendo dal fondo di
uno dei
corridoi che portavano al salone principale e da lì al
portone che
dava sul giardino e sul grande viale principale. "Demelza, Ross
Poldark è arrivato. Se hai finito di preparare le tue cose,
siamo
già tutti in carrozza ad aspettarti".
Demelza
deglutì, il momento tanto atteso era arrivato e non sarebbe
stato
affatto semplice. Improvvisamente si sentì stanca,
spaventata e
assolutamente non pronta ad affrontare anche questo, anche lui...
Si
guardò a uno degli specchi, prese un profondo respiro e si
accorse
di essere pallida e smunta. Non aveva la forza di fare nulla eppure
doveva sforzarsi di essere forte. Per se stessa, per Hugh, per il suo
matrimonio...
Sarebbe
bastato stare in silenzio, concentrarsi su suo marito... Tutto il
resto non doveva avere importanza! E così sarebbe andato
tutto bene,
ne era certa! Dopo tutto, mesi prima, aveva scelto di mettere le
giuste distanze fra lei e quell'impertinente di Ross Poldark, ci era
riuscita, non aveva pensato a lui per mesi e ora non si sarebbe fatta
trovare impreparata alla sua presenza. A costo di mentire, di far del
male a se stessa, avrebbe reso chiaro a Ross Poldar, col suo
atteggiamento, quale fosse il suo posto. Aveva sbagliato ad
avvicinarsi a lui, a prendersi quella confidenza che non le spettava
di diritto, a cercare amicizia e... a cercarlo... Non avrebbe
sbagliato più!
A
quei pensieri sospirò, si mise il mantello e il cappello,
entrambi
di colore blu scuro come il suo umore che mai come in quel momento
era stato fosco e cupo, accarezzò la testolina di Garrick e
con lui
affianco come un fedele cavalier servente, si affrettò ad
uscire.
...
Le
parve infinitamente diversa da come la ricordava, quando la vide
salire sulla carrozza.
Quella
mattina Ross si era alzato presto, quando era ancora buio, aveva dato
da mangiare a Sun e poi, dopo averlo affidato alle cure di Jud e
Prudie, si era diretto a cavallo verso la residenza dei Boscawen dove
era atteso per la partenza.
Aveva
portato con se solo poche cose, qualche abito di cambio e una
spazzola, il tutto chiuso in una piccola borsa da viaggio che nulla
era in confronto alla mole di bagagli legati alla carrozza che
avrebbero portato con loro i Boscawen.
Con
fare assente, quasi pentito della scelta di partire ma ormai
consapevole di non potersi tirare indietro, Ross era salito sulla
carrozza dove Lord Falmouth e Hugh Armitage lo aspettavano
già e
solo dieci minuti dopo era giunta Lady Boscawen, in compagnia del suo
cane che avrebbe viaggiato con tutti loro. Quando erano insieme lei e
quel piccolo randagio sembravano inseparabili.
Ross
si accorse subito dell'atmosfera tesa nella carrozza e non se ne
stupì affatto. Anche lui era nervoso per tanti motivi e solo
Lord
Falmouth pareva contento di partire e desideroso di chiacchierare
mentre suo nipote e sua moglie, entrambi tesi e pallidi, parevano due
statue per quanto erano immobili e silenziosi.
In
realtà quell'atteggiamento in Hugh Armitage non lo stupiva
molto,
non aveva grande considerazione di lui e considerandolo di poco
carattere e scarso livore, non si aspettava molto altro da lui. Ma
era lei, lei a cui aveva pensato in modo altalenante nel bene e nel
male, ossessivmente, per mesi, che lo destabilizzava. La ricordava
con le guance rosse, il sorriso fiero, i capelli ribelli e liberi al
vento, col sorriso sulle labbra allegro e genuino. Ora invece gli
pareva un'estranea e l'impressione che gli fece non fu piacevole come
al loro primo incontro. Sembrava dimagrita, era pallida e pareva
infinitamente stanca. Il suo volto, fresco e giovane, pareva segnato
da profonde preoccupazioni e di colpo invecchiato, incupito, senza la
luminosità che contraddistingueva i suoi occhi. Si chiese se
stesse
male, che problemi la agitassero, che cosa stesse vivendo e se ci
fosse qualche grave problema ad angustiarla. Era troppo diversa da
come la ricordava e anche il suo modo di fare era cambiato. Appena lo
aveva visto non aveva sorriso come suo solito ma si era limitata a un
perfetto e formale inchino, aveva preso in braccio il suo cane e poi
si era accomodata con lui in carrozza, accanto a Hugh. E poi non
aveva detto più niente e aveva evitato di alzare lo sguardo
su di
lui, come se guardarlo in viso fosse stato il più grave
peccato che
avesse potuto commettere.
Eppure,
mesi prima, non era stata proprio lei a proporre un rapporto di
amicizia? Non era stata lei a venire a casa sua per chiedergli
spiegazioni circa il suo comportamento alla sua festa? Non era stata
lei a scherzare con lui circa la notte trascorsa in un bordello, come
se fossero stati amici di vecchia data?
Ross
la osservò e mentre Falmouth borbottava del maltempo e dei
sobbalzi
della carrozza e Hugh sonnecchiava senza aver aperto bocca, si
sentì
irritato. Certo, qualcosa angustiava di sicuro quella donna e
ovviamente aveva avuto ben altro da fare che venire a Nampara a tener
fede ai suoi propositi, però era irritato lo stesso. "Non vi
ho
più vista a Truro!" - disse infine, quasi come fosse una
critica e non un commento.
Demelza,
presa alla sprovvista, sussultò e alzò gli occhi
su di lui. "Non
avevo motivo di andarci" – rispose, in tono freddo e
distante,
dopo qualche secondo in cui pareva aver ponderato la risposta da
dargli.
Falmouth
si intromise nel discorso. "Non aveva motivo di andarci e aveva
faccende più urgenti da sbrigare a casa".
"E
la scuola?" - chiese Ross guardandola negli occhi e ignorando
completamente Falmouth, come se su quella carrozza ci fossero solo
loro due. Sentiva i suoi occhi andare a fuoco mentre la guardava,
come se desiderasse che lei si sentisse sotto esame e rimproverata.
Per la scuola, per essere sparita, per tutto...
Ma
Demelza lo liquidò in pochi istanti. "Come ha detto Lord
Falmouth, non c'era motivo di andare a Truro per me. Ormai la
costruzione della scuola e la sua gestione sono in mano a persone
molto più abili e competenti di quanto potrò mai
essere io".
"E
il vostro progetto?" - insistette Ross – "Vi ha
già
stancata e annoiata?".
"Può
darsi" – rispose Demelza, sbrigativamente, rispondendo con
occhi fiammanti alle sue occhiate cupe ed accusatorie.
Ross
si sentì irritato, tanto da desiderare ferirla. Non tanto
per quello
che aveva risposto, la scuola di Truro e la vita di quella donna dopo
tutto non erano affar suo, ma perché lei sembrava aver
eretto
barriere inespugnabili in cui lui non riusciva a fare breccia. E
questo era frustrante!!! Era davvero una donna diversa da quella che
ricordava e in quel momento si accorse che non gli piaceva per niente
questa nuova, fredda ed eterea Lady Boscawen. "Beh, in fondo voi
grandi lady siete famose per questo".
"Per
cosa?" - chiese lei.
"Per
annoiarvi subito di ogni cosa e passare ad altro, lasciando dietro di
voi vuoto e macerie". Glielo disse e si chiese subito
perché.
Di certo le cose per la scuola non stavano affatto così e il
progetto sarebbe stato completato a breve e non era certo Demelza ad
aver lasciato dietro di se rovine e macerie nella sua vita. No,
quella era stata Elizabeth dopo tutto. La stessa Elizabeth per cui
stava compiendo quel viaggio, la stessa Elizabeth che ancora sembrava
volergli promettere tanto sapendo di non poter dargli nulla, la
stessa Elizabeth che ancora riusciva a ferire il suo cuore. Eppure
ora era con Demelza che se la stava prendendo e anche se sapeva che
non era giusto, non poteva farne a meno. Perché?
Perché anche lei
aveva ammiccato a promesse irrealizzabili? O perché lui
aveva voluto
credere a qualcosa di inesistente? E se era così,
perché non essere
arrabbiato solamente con se stesso?
Demelza
parve per un attimo ferita da quel suo commento acido, ma non
replicò. Fu suo marito, fino a quel momento addormentato e
silenzioso, a rispondere per lei. "Demelza ha avuto molto da
fare a casa, con me. Mi ritengo responsabile del suo allontanamento
dal progetto e ne faccio ammenda" – concluse con tono
leggero,
prendendo la mano di sua moglie.
Demelza
rispose alla stretta e lui si appoggiò alla sua spalla,
tornando a
sonnecchiare mentre la pioggia, sempre più violenta, si
abbatteva
sui finestrini irritando ancora di più Falmouth.
Viaggiarono
nel più assoluto silenzio tutto il giorno, fermandosi solo
per brevi
pause per esigenze fisiche, arrivando all'ora di cena a poche decina
di miglia da Londra.
Era
ormai buio ma né Ross né Falmouth sembravano
intenzionati a
fermarsi per la notte. Erano troppo ansiosi di arrivare nella
capitale, ognuno per motivi diversi ma ai loro occhi ugualmente
urgenti: l'uomo più anziano voleva gettarsi nell'alta
società e
attorniarsi di suoi pari, convinto di avere ormai quasi in pugno Ross
Poldark, quest'ultimo invece non vedeva l'ora di parlare col
direttore della banca di Londra per ottenere un prestito per salvare
la Wheal Grace che ormai sembrava destinata a chiusura e necessitava
di fondi per poter esplorare, almeno ancora qualche mese, il nuovo e
apparentemente ricco filone di stagno che era appena stato trovato.
Mollare ora, per mancanza di fondi, sarebbe stato folle e anche per
questo, oltre che per Elizabeth, aveva accettato quel viaggio,
facendo buon viso a cattivo gioco. Forse sarebbe stato un buco
nell'acqua ma poteva anche essere il primo passo che dimostrava ai
Poldark che la fortuna stava iniziando a girare dalla loro parte. Lo
doveva fare per i suoi minatori, per la sua famiglia e anche per il
bene di di Geoffrey Charles, di Verity e zia Agatha che vivevano in
ristrettezze a cui non erano adatte e preparate. Ross sapeva che
Falmouth poteva fargli ottenere quel prestito, sapeva quanto fosse
ritenuto potente dai vertici politici e finanziari della capitale e
aveva dovuto, suo malgrado, inghiottire il suo orgoglio e dimostrarsi
docile circa le mire politiche del lord. L'arte del compromesso,
aveva dovuto imparare ed accettare, faceva parte del gioco e nessuno
poteva sottrarsi a questa regola universale. Questo non avrebbe
significato abbassare il capo ma quanto meno avrebbe dato a Falmouth
il contentino di andare a sentirlo in qualche suo incontro politico.
Era certo che glielo avrebbe chiesto in quei giorni nella capitale e
il viso segnato dalla preoccupazione di Elizabeth lo avevano spinto
ad accettare anche questo supplizio senza eccessivi ripensamenti. E
poi c'era qualcosa, qualcuno che era curioso di rincontrare, dopo
quei mesi di silenzio e lontananza...
Osservò
di nuovo la giovane coppia seduta davanti a lui sulla carrozza, dopo
che per ore, dopo la breve conversazione con Demelza, aveva cercato
di ignorarli. Ma se ignorare Hugh era anche abbastanza semplice, lo
stesso non poteva dirsi per Demelza la cui presenza, insistentemente,
gli tormentava l'anima. Avrebbe voluto essere da solo con lei,
lasciar da parte formalità e buone maniere e chiederle,
urlarle
perché? Perché del suo comportamento?
Perché tanta freddezza e
distanza? Perché lei e suo marito erano partiti assieme a
loro?
Falmouth, senza dilungarsi troppo in spiegazioni, gli aveva
anticipato che anche Hugh e Demelza avrebbero fatto parte del
viaggio, gli aveva annunciato l'improvviso desiderio del nipote di
far parte del mondo della politica e della finanza e del suo
desiderio di 'studiarlo' per verificare se ne avesse effettivamente
le capacità e soprattutto la voglia. Era palese che Falmouth
pensasse che all'origine di questo ci fosse un capriccio del suo
viziato nipote ed era altrettanto chiaro che non avesse molta fiducia
in lui in questioni di quel genere, ma era comunque giusto che desse
a Hugh quella possibilità in quanto suo erede. Non che gli
andasse
una competizione o sentirsi sotto esame, ma se Hugh si fosse
dimostrato migliore di quello che sembrava, lui avrebbe avuto solo da
guadagnarci: Falmouth lo avrebbe lasciato in pace, non avrebbe
più
cercato di coinvolgerlo nella politica e lui ne avrebbe solo
sfruttato le conoscenze alla Banca Centrale di Londra per ottenere il
prestito che gli serviva, a interessi bassi. Ma Ross aveva grossi
dubbi in merito a un eventuale successo di Hugh Armitage... Sembrava
pallido, piuttosto delicato di salute, per nulla vigoroso e di certo
non era interessato né da Westminster né
dall'economia.
Hugh
era stato silenzioso per buona parte del viaggio, così come
Demelza
che invece di solito aveva imparato a conoscere come allegra, solare
e loquace. Certo, dopo la spiacevole conversazione di poco prima
sulla scuola immaginava che lei non avesse piacere di chiacchierare
con lui e sicuramente il ghiaccio fra di loro non sarebbe stato
scalfito con tranquillità, però...
Però accidenti, era bellissima
come sempre, anche avvolta in quel mantello scuro che ne avvolgeva
completamente la figura sinuosa, era bellissima anche così
tesa e
stanca. E anche distante, come suo marito del resto. Nemmeno loro si
erano scambiati chissà quali parole e se non fosse stato per
Falmouth che cercava di introdurlo ai suoi discorsi su lord, politica
e affari, quel viaggio si sarebbe svolto nel più assoluto
silenzio.
Rimpiangeva di non essere solo con Demelza perché era
assolutamente
certo che senza i Boscawen accanto, avrebbe ritrovato la vivace
ragazza che aveva cavalcato con lui a ridosso delle scogliere, coi
capelli al vento e il sorriso sulle labbra... E i loro discorsi
sarebbero stati ben diversi di quello avuto quella mattina.
“Mi
fa male la testa” - disse improvvisamente Hugh, rompendo il
silenzio. “Non potremmo fermarci in qualche locanda per la
notte?”.
“Se
non ci fermiamo, saremo a Londra per dopo mezzanotte” - lo
rimbeccò
Falmouth con lo stesso tono che di solito si usa con i bambini
capricciosi. E Ross si trovò d'accordo con lui! Che razza di
uomo
adulto si sarebbe fatto fermare da una banale emicrania? Che razza di
senza-spina-dorsale! Come poteva una donna vitale come Demelza
essersi innamorata di uno così? Se lo chiese, con
insistenza, con
troppa insistenza forse, osservandola per carpire in lei uno stesso
flusso di pensieri come spesso era successo da quando si erano
conosciuti. Nemmeno Lady Boscawen di certo apprezzava i 'capricci'
del suo viziato marito...
Ma
Demelza lo stupì. Il volto della donna, già teso
di suo, divenne
quasi rabbioso. “Dovremmo fermarci!” -
intimò a Falmouth, non
degnando lui di uno sguardo, con un tono che non ammetteva repliche.
Ross
spalancò gli occhi, questo da lei non se lo sarebbe
aspettato.
Credeva che ci avrebbe scherzato su, che avrebbe esortato con
dolcezza il marito a tenere duro, che avrebbe cercato di mediare fra
zio e nipote. E invece... Ma in fondo, di che si stupiva? Non era
forse normale che una donna supportasse il marito? Non era forse
così
che faceva sempre Elizabeth con Francis?
Falmouth
la osservò con aria di sfida. “Fermarci per poche
ore di strada
che ci distanziano dalla meta, sarebbe sciocco! Proseguiamo”.
Demelza
cinse le spalle del marito con le braccia, stringendolo a se con fare
protettivo e facendogli poggiare la testa sulla sua spalla. Hugh
sembrava davvero sofferente... “Noi ci fermiamo! Voi
proseguite
pure”.
“Ma...”
- obiettò Falmouth.
“Ma
nulla” - rispose la donna, dimostrando un coraggio e una
combattività che al marito mancavano - “Noi ci
fermiamo!”. E con
questo chiuse ogni discorso.
...
Hugh
era stato male di stomaco appena messo piede in camera e a fatica era
riuscita ad aiutarlo a cambiarsi e a metterlo a letto al caldo. Gli
aveva preparato un calmante per aiutarlo con stomaco ed emicrania e
poi, dopo che lui si era addormentato, aveva riposto i bagagli su una
scrivania, aveva tirato le tende, acceso una candela per fare un
pò
di luce e aveva deciso di scendere nelle cucine della locanda per
chiedere una tisana calda per calmarle i nervi.
Era
sfinita, stanca, spossata e priva di ogni forza. Anche il
più
leggero alito di vento avrebbe potuto farla cadere e attorno a lei si
muovevano emozioni e sentimenti forti come uragani.
Per
fortuna Falmouth aveva ceduto e si erano fermati tutti alla prima
locanda incontrata sulla strada, nulla di elegante, un posto per
viandanti e viaggiatori occasionali, ma non potevano permettersi di
essere schizzinosi. Tutti loro erano stanchi e Hugh non poteva
proseguire oltre. Il suo fisico, già debilitato, stava
pagando un
conto fin troppo alto per quel viaggio fuori dalle sue
capacità
fisiche. E lei... lei anche non ce la faceva più, aveva
bisogno di
respirare, di un attimo di pace e di solitudine. Persino Garrick, che
aveva cercato di seguirla fino alle cucine, era di troppo ed era
stato lasciato a vegliare in camera su Hugh.
Era
ormai molto tardi, la locanda era deserta e la cameriera si era
offerta di portarle la tisana in camera, ma Demelza le aveva detto
che l'avrebbe aspettata nel corridoio. Non voleva nessuno in camera,
non voleva che qualcuno, entrando, svegliasse Hugh. E non aveva
voglia di rientrare così presto...
Si
era sciolta i capelli e con fare assente, in attesa, si era messa ad
osservare la campagna fuori dalla locanda, avvolta nel silenzio e nel
buio della notte. Non era stato un viaggio facile, la notte
difficilmente avrebbe riposato con Hugh in quelle condizioni e tante,
troppe cose l'avevano ferita quel giorno. Si sentiva una brutta
persona, Ross Poldark era riuscito appieno a farla sentire tale,
viziata e veniale, e in fondo aveva anche ragione. Per questioni
sciocche, stupide e personali aveva lasciato il suo progetto della
scuola ad altri e aveva permesso che l'idea originale venisse
stravolta. Tutto per non vedere quell'uomo che invece il destino
aveva rimesso per ore sulla sua carrozza e con cui avrebbe diviso lo
spazio nella loro grande dimora londinese. Certo, Ross Poldark
avrebbe dimorato negli alloggi riservati a Falmouth, ma di certo si
sarebbero incontrati spesso e nonostante i suoi mille buoni
propositi, era impossibile non provare quei sentimenti forti,
inebrianti e complicati che sentiva da sempre per lui. Certo,
sicuramente Poldark non aveva una buona opinione di lei, ma questo
non la aiutava, non più. Faceva male vedere il biasimo nei
suoi
occhi e leggervi quel muto rimprovero sulle sue tante mancanze.
Avrebbe voluto ridere con lui, cavalcare con lui, chiedergli di Sun,
scherzare e sì, anche essergli amica. Solo Dio sapeva quanto
ne
avesse bisogno ed invece... Ed invece aveva dovuto essere Lady
Boscawen! Ora e per sempre!
Sentì
gli occhi pungerle ma dovette fermare le lacrime quando
sentì dei
passi dietro di lei. Si voltò pensando fosse la cameriera e
impallidì quando vide che non si trattava affatto di lei, ma
di...
Ross
Poldark, vestito ancora con gli abiti da viaggio, era salito dalle
scale che portavano al salone sottostante e all'uscita. I suoi
capelli neri e selvaggi erano bagnati e pareva essere stato fuori,
sotto la pioggia, a fare una passeggiata notturna.
Calò
un attimo di silenzio pesante e sorpreso fra loro ed entrambi
capirono che ora, a tu per tu e soli, era tutto diverso dal viaggio
in carrozza. Erano solo loro, come a Nampara, come quando avevano
trovato Sun.
"Non
riuscite a dormire?" - chiese lei, consapevole che non poteva
evitare di rivoglergli la parola.
Lui,
ancora teso per la sorpresa di quell'incontro inaspettato a
quell'ora, alzò le spalle. "Amo passeggiare sotto la
pioggia,
aiuta a pensare. E voi?".
"Sto
aspettando che la domestica mi porti una tisana".
"Vostro
marito? Dorme?".
"Sì".
Ross
sorrise, sarcastico. "Come un bravo bambino messo a nanna presto
per un pò di malessere passeggero?".
Era
palese che Ross stesse cercando di irritarla e provocarla, ma su Hugh
Demelza aveva ben poca voglia di scherzare. Era terrorizzata dalla
sua malattia e sgomenta davanti alla possibilità di
perderlo. "La
salute di mio marito non è affar vostro".
Ross
si irrigidì. "Un uomo non dovrebbe farsi fermare da un
banale
mal di testa, soprattutto quando si viaggia in gruppo".
Colta
sul vivo ed irritata, lei mise subito in chiaro le cose. "Non
è
un banale mal di testa e voi eravate liberissimo di proseguire con
Falmouth verso Londra".
Ross
fece per risponderle ancora a tono, ma poi si bloccò. In
quel
momento Demelza gli parve tanto fragile che ebbe paura che si
spezzasse e capì che forse c'erano cose che lui non sapeva e
che era
meglio cercare mezze misure più che attaccarla
ingiustamente. "Beh,
ormai siamo quì, giusto?" - disse infine, cambiando discorso.
Lei
si voltò verso la finestra, incapace di guardarlo troppo a
lungo e
incapace di ammettere a se stessa che gli era mancata la sua voce.
"Non avrei mai creduto che sareste partito e avreste accettato
la proposta di Falmouth".
Ross
sospirò. "Non ho molte altre opzioni per la mia miniera".
"E'
per la miniera che siete partito? Falmouth ritiene che c'entrino i
begli occhi di vostra cugina Elizabeth".
Ross
parve sorpreso da quel discorso e dalla faccia tosta di Demelza nel
dire quelle parole. Certo, era un lato del suo carattere che
già
conosceva, ma non credeva che lo avrebbe sfoderato in quel frangente,
con quel gelo invalicabile fra loro. "Beh, una motivazione non
esclude l'altra. E a mio avviso entrambe ne valgono lo sforzo".
Anche
lei sentì il bisogno di rimproverarlo, come lui aveva fatto
in
carrozza per la scuola. "Elizabeth Poldark è sposata con
vostro
cugino, mi pare... E la ragione avrebbe dovuto suggerirvi che...".
La
bloccò, prima che dicesse qualcosa che non voleva sentire.
"A
volte cuore e ragione agiscono e camminano su strade differenti.
Ciò
che la mente dice, il cuore non vuole accettare. E viceversa...
Capite che intendo?". Glielo chiese, guardandola negli occhi e
domandandosi se stesse davvero parlando di Elizabeth...
Demelza
parve tremare a quelle parole, come se lei stessa fosse sotto esame,
come se quella frase cozzasse con forza sulla sua coscienza
così
provata. Distolse lo sguardo da lui, strinse i pugni e si
appoggiò
al muro senza forza. "E chi ha ragione, di solito? Cuore o
mente?".
"Non
lo so" – rispose Ross, con sincerità.
"E
nel dubbio, voi che strada scegliereste?".
Ross
sorrise, amaramente. "Difficile capire cosa sia giusto fare.
Perché spesso seguire la nostra mente e la nostra coscienza
ci rende
brave persone. Ma seguire il cuore è ciò che ci
fa sentire vivi".
Lei
restò in silenzio per un pò davanti a quelle
parole e al loro
significato. Era vero, in fondo poteva dire di non essere d'accordo?
Non era forse questo che non la faceva sentire viva e in pace con se
stessa? Non aveva chiuso a chiave il suo cuore per seguire la
ragione? Non che avesse molte scelte e forse nemmeno desiderava
averne, ma era tanto, troppo che non si sentiva pienamente,
completamente felice. Si schiarì la voce, mentre le lacrime
sembravano voler di nuovo far capolino a rigarle il viso. "Come
sta Sun?" - chiese, cambiando argomento. Il loro gattino,
chissà
quanto era diventato grande...
Ross
sorrise, in modo più gentile stavolta, trovando nel suo tono
la
dolcezza che aveva conosciuto tanti mesi prima. "Bene, è
molto
cresciuto".
"Lo
avete lasciato coi vostri domestici? Siete sicuro che non
finirà in
pentola?".
Ross
rise, stavolta di gusto. "Sicurissimo! O al mio ritorno saranno
loro due a finire nel mio brodo e nel mio menù".
In
quel momento arrivò la cameriera con la tisana e Demelza,
dopo
averla ringraziata e congedata, ne bevve un sorso. "Devo andare,
ora" – sussurrò, quando furono rimasti soli.
Ross
annuì, ma non era ancora pronto a lasciarla. "Scusate"
–
disse, quasi sotto voce.
"Per
cosa?".
"Per
prima, in carrozza. Non ho il diritto di giudicare nessuno".
Lei
abbassò il capo. "No, infatti... Ma vedete, la mia vita non
è
così semplice come pensate e io... io...".
"Non
dovete giustificarvi".
Gli
occhi di lei divennero lucidi, ancora, e anche se sapeva di non
doversi giustificare, voleva farlo lo stesso per riabilitarsi ai suoi
occhi. "Avrei voluto seguire di più la scuola, davvero. Ma
non
ho potuto farlo e in questi mesi niente è stato facile per
me".
"Posso
aiutarvi?".
Demelza
scosse la testa. Avrebbe voluto raccontargli cosa sentiva, piangere
fra le sue braccia e farsi consolare da lui. Avrebbe voluto essere
l'amica che quel giorno aveva promesso di essere, a Nampara. Avrebbe
voluto sfogarsi, urlare, prendere a pugni il muro e cadere esausta
dopo aver versato tutte le sue lacrime. Ma non poteva, non poteva
davvero, non con lui. "No, non potete" – disse, in un
soffio.
"State
male?" - le chiese, ormai preoccupato dalle sue reazioni che
dovevano nascondere qualcosa di grande.
"No,
sto bene".
"Vostro
marito vi tratta male?".
"Mio
marito è il più gentile degli uomini".
"E
allora?" - insistette, come se saperlo fosse tutto ciò che
desiderava – "Cosa vi rende così...?".
Demelza
sospirò, rabbrividì e poi si avviò
verso la sua stanza. Non poteva
star lì e non poteva dire oltre. O avrebbe detto qualcosa su
di lui,
su ciò che sentiva, su come il suo cuore tremasse ogni volta
che lo
aveva vicino. "Sono solo un pò stanca, domani
starò meglio".
Ma
Ross non parve crederci. "Perché ho come l'impressione che
stiate mentendo?".
"Devo
andare" – insistette lei, senza forze, ignorando la sua
domanda.
Ross
le si avvicinò, arrivando a fronteggiarla. Entrambi col
cuore in
gola, si guardarono senza riuscire a distogliere lo sguardo l'uno
dall'altra. "Non dovevamo essere amici?" - le chiese, quasi
disperato dal non poterla sfiorare, toccare, afferrare...
Lei
parve triste a quella domanda. "Non possiamo, non del tutto...".
"Perché?"
- insistette Ross.
Demelza
scosse la testa. "Non possiamo e il perché lo sapete anche
voi".
E
poi scomparve nel corridoio, senza dargli nemmeno la buona notte o la
possibilità di fermarla ancora.
Non
possiamo...
Che
voleva dire? Che la buona società non avrebbe accettato quel
genere
di rapporto? Che non lo avrebbe accettato suo marito? O che erano i
loro cuori a non poter... saper... gestire un sentimento del genere?
C'era
tanto di non detto in quelle poche parole che Demelza gli aveva
rivolto, congedandosi. E per la prima volta da quando la conosceva,
Ross Poldark ebbe la sicurezza che anche lei, come lui, avvertiva
qualcosa di forte e devastante quando, per un motivo o l'altro, si
trovavano assieme. E che gestirlo sarebbe stato complicato, troppo. E
che Demelza non poteva seguire il cuore come spesso faceva lui e
aveva scelto la strada della mente, più comoda,
più tutelante. Ma
era la strada giusta? Era quella che la faceva stare meglio? A
giudicare dalla tristezza che traspariva da ogni sua parola o gesto,
Ross ne aveva seri dubbi...
Eppure
sapeva anche che non poteva fare altro...
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Capitolo 16 *** Capitolo sedici ***
Hugh
stava male, male, malissimo. Come Demelza aveva immaginato, sarebbe
stato meglio rimanere tranquilli in Cornovaglia invece che
avventurarsi in un viaggio che aveva tolto al giovane le poche forze
residue che gli rimanevano e come aveva immaginato, questi ne erano i
tristi risultati.
A
Londra, Hugh non si era mai alzato dal letto, preda di febbri
altissime, di dolori alla testa e di un calo sempre più
repentino
della vista. A volte anche fare pochi passi in camera era un'impresa
per lui, che finiva spesso per rovinare a terra dopo che le gambe
avevano smesso di sorreggerlo stabilmente.
Demelza
era esausta, il suo umore era nero e anche Falmouth pareva molto
preoccupato e aveva mandato i migliori medici per farlo visitare, pur
senza ottenere risultati.
Demelza
e Hugh si erano ritirati nell'ala della casa dove si trovavano i loro
appartamenti privati mentre Falmouth, con Ross Poldark, si era
ritirato nei suoi dove ospitava il suo giovane pupillo nella migliore
camera che aveva a disposizione.
Viste
le precarie condizioni di Hugh, si era scelto di cenare ognuno nella
propria ala del grande palazzo, lasciando da parte lunghi pranzi e
cene nel salone comune che sarebbero durati troppo, togliendo tempo
prezioso a tutti: Demelza doveva occuparsi di Hugh, Falmouth aveva
mille impegni politici e di rappresentanza e Ross Poldark si era
trovato suo malgrado a dovervi prendere parte, a volte.
Demelza
sapeva che Ross era stato introdotto al direttore della Banca Cenrale
di Londra e che Falmouth aveva garantito con lui affinché
ricevesse
un prestito vantaggioso ma non aveva idea di come fosse andata a
finire la questione e di certo non si sognava di chiedere. Si era
già
avvicinata troppo a lui durante il viaggio, in quello strano sfogo
che si era lasciata sfuggire alla locanda, e ora non poteva
più
permettersi di sbagliare o apparire debole davanti ai suoi occhi. E
di certo anche Falmouth l'avrebbe guardata con sospetto se si fosse
dimostrata troppo interessata.
Di
certo il non vederlo praticamente mai la aiutava a tenerlo lontano
anche se di fatto vivevano nella stessa casa. Ma per sua fortuna la
dimora londinese dei Boscawen era uno dei più ampi palazzi
della
città ed ognuno alloggiava nei propri appartamenti privati,
rendendo
minimo il pericolo di vedersi. Questo le dava modo di riprendere
fiato e occuparsi di Hugh amorevolmente, di parlare coi medici, di
essere la brava moglie che da sempre desiderava diventare...
Dopo
due settimane dal loro arrivo a Londra, Hugh non era migliorato molto
e ogni suo proposito di seguire Falmouth nei suoi spostamenti era
caduto. Costretto a letto senza forze, per lo meno grazie a un medico
di prestigio che gli aveva prescritto degli oppiacei, riusciva a
riposare. Dormiva quasi sempre e anche nei momenti di veglia,
sembrava assente e poco lucido. Ma per Demelza vederlo senza dolori
era già una gran cosa e quindi teneva duro e non si
lamentava. Se
Hugh riusciva a dormire, significava che aveva trovato il suo angolo
di pace e se non poteva sperare nella guarigione di suo marito, tutto
ciò che chiedeva era che almeno non soffrisse.
Quando
Hugh dormiva, poteva affidarlo alle cure di qualche domestica fidata
e cercava di distrarsi e ritrovare entusiasmo e forza in qualcosa che
la facesse sentire viva. Poteva essere semplicemente starsene davanti
al camino con Garrick, curare i fiori del davanzale, gestire le
domestiche che si occupavano delle compere e dei pasti. E poi, uscire
per prendere una breve boccata d'aria.
Da
quando era arrivata a Londra, non si era ancora avventurata fuori dal
palazzo e a causa di Hugh e del maltempo, il massimo che si era
concessa era qualche breve passeggiata in giardino. Ma quel
pomeriggio decise che poteva andare oltre. Anche se il cielo era
plumbeo non pioveva e Hugh era curato e accudito al meglio, quindi...
Facendo
attenzione a non far rumore, si mise un cappotto verde, si
sistemò i
capelli in una treccia e poi preparò dei pacchetti pieni di
vestitini cuciti nei mesi passati in Cornovaglia. Li prese fra le
braccia e si concesse un sorriso...
C'era
un posto a Londra, un orfanotrofio vicino a casa loro, che andava
spesso a visitare per portare viveri e generi di conforto ai suoi
piccoli sfortunati ospiti. Demelza adorava i bambini e anche se non
poteva averne, questo non l'aveva incattivita con la vita e guardava
a loro sempre con un sorriso. E i piccoli, quando la vedevano, la
accoglievano a braccia aperte, felici per la sua visita e curiosi dei
doni che avrebbe portato loro. Erano piccoli senza nulla, come lo era
stata lei un tempo, bambini che anche davanti a un piccolo dono
insignificante sapevano gioire come se fossero stati incoronati re e
regine d'Inghilterra... Li adorava, si divertiva con loro e spesso,
quando si sentiva giù, era stato proprio quel posto
difficile e
dimenticato, dove regnava la povertà, a donarle un attimo di
vera
gioia e spensieratezza. Quel giorno, finalmente, poteva tornare a far
loro visita. Con due borse piene di abitini e un'altra contenente
biscotti allo zenzero, uscì per recarsi in quel luogo pieno
di
povertà ma anche di vita, dove sicuramente sarebbe stata
accolta a
braccia aperte. Hugh era accudito e al sicuro, Falmouth era chiuso
nel suo studio a stilare un discorso per Westminster e tutto in casa
pareva placido e tranquillo. Poteva uscire, almeno per un'oretta o
due.
Percorse
il sentiero che dal giardino portava alla strada, faticando un
pò a
portare quelle borse ma comunque a passo spedito. E al cancello per
poco non si scontrò con Ross Poldark che, a sorpresa, stava
rientrando con un giornale in mano.
Erano
almeno tre giorni che non si inconcrociavano e quando era successo,
era sempre stato presente Falmouth. Ora, per la prima volta dalla
locanda, erano soli.
Demelza
deglutì, maledicendo il caso che lo aveva fatto rientrare
proprio in
quel momento o aveva fatto uscire lei nel medesimo istante in cui lui
varcava il cancello. Beh, indipendentemente da come stavano le cose,
si sentì davvero vittima del fato, del destino e della
sfortuna...
Ross
la osservò brevemente, poi senza dire nulla le prese le
borse di
mano. "Avete bisogno di aiuto?".
"I...
Io no, grazie".
Ross
sorrise. "Dove state andando con tutti questi pacchetti?".
Demelza
sospirò, aveva fretta e aveva imparato fin troppo presto che
non era
facile liberarsi di Ross Poldark, fisicamente e mentalmente. E quindi
ora sarebbe stato un grosso problema uscire in fretta e sfuggire al
suo sguardo indagatore. "Sto portando dei vestiti nuovi e dei
dolcetti ai bambini di un orfanotrofio quì vicino che aiuto
quando
sono a Londra".
Ross
osservò le borse, piene di abitini infantili, nastri,
berretti,
calze... Demelza doveva amare molto i bambini, come gli aveva
ampiamente dimostrato anche in Cornovaglia con la scelta di aprire
una scuola. "Volete che vi dia una mano a portare questi
pacchetti a destinazione?".
Era
gentile, pensò. Ma non era il caso... "No, no non
preoccupatevi. Ce la faccio da sola e voi avete il vostro giornale da
leggere. E fra poco pioverà e...".
Ross
si accorse di quanto fosse impacciata e nervosa e in fondo, anche se
bravo a dissimularlo, lo era anche lui un pò. Solo un
pò però, non
abbastanza per andare per la sua strada e lasciare che lei facesse lo
stesso. "Tutte ottime ragioni per darvi una mano! Sono un
gentiluomo, no?".
Demelza
lo guardò in viso, chiedendosi se stesse prendendola in giro
come
faceva spesso. E poi, rise. Santo cielo, da quanto non rideva
così,
d'istinto, senza riuscire a frenarsi? "Da quando?".
Ross
alzò le spalle. "Da mai, ma ogni tanto so fingere di
esserlo.
Su, fatemi strada".
Demelza,
con le lacrime agli occhi dalle risate, si rese conto di quanto lui
fosse riuscito a stemperare la tensione con poche e semplici parole.
Lo apprezzò e si chiese come sapesse farlo con tanta
facilità, la
stessa facilità con cui spesso, con quello sguardo profondo
e quegli
occhi scuri, riusciva a farle battere il cuore come fosse
impazzito... "Seguitemi allora" – disse sommessamente,
preda di mille interrogativi, tornando a camminare a passo spedito.
Non aveva voluto vederlo per mesi ma ora si rese conto che l'idea di
una passeggiata con lui, anche se non a cavallo come in Cornovaglia,
era qualcosa che di nascosto aveva sempre desiderato rifare e che in
fondo non aveva voluto impedirgli di seguirla fin dal primo istante
in cui l'aveva scorto al cancello. Certo, doveva apparire austera e
stare sulle sue, ma in quel momento si sentì un
pò felice dopo
tanti giorni in cui era stata solo la tristezza la compagna delle sue
giornate.
Ross
parve soddisfatto del risultato. Mise il giornale nella tasca del suo
mantello e poi la seguì, accondandosi senza problemi alla
sua
camminata.
"Vi
pensavo in studio con Falmouth" – disse Demelza, senza
apparente voglia di iniziare una discussione, ma consapevole che non
sarebbe comunque riuscita a stare in silenzio.
"Oh,
conosco ogni mensola e ogni libro del suo studio, ormai! Sapete che
ordina i volumi sulle mensole per colore di copertina?".
Demelza
rise ancora. "No, non me ne sono mai accorta".
Ross
proseguì. "Comunque oggi ha delle faccende da sbrigare da
solo
e per ora, a parte la Banca di Londra, è riuscito solo a
scarrozzarmi in un paio di riunioni politiche a Westminster".
Incuriosita,
Demelza si decise di chiedere come stessero andando le cose. "La
Banca vi concederà il prestito?".
Ross
sospirò. "Pare di sì, Lord Falmouth è
stato convincente.
Voleva che mi concedessero un prestito di 5.000 ghinee ma ho detto
che me ne bastano 2.000, per saldare i debiti e provare ad andare
avanti ancora qualche mese con il carbone. Il tempo necessario per
capire se la Wheal Grace sarà vincente oppure no. Non voglio
indebitarmi oltre misura ed esporre Falmouth, che ha garantito per
me, a rischi o problemi con la banca".
Demelza
gli sorrise. "Vi auguro che vada tutto bene".
Ross
la studiò in viso, osservando ancora una volta il suo
pallore, anche
se di umore sembrava decisamente migliorata rispetto al viaggio. "E
voi? Falmouth fa tutto il misterioso, non dice nulla ma ho sentito
comunque che vostro marito sta ancora male".
Demelza
abbassò il capo, stringendo i pugni. "Mio marito
è molto
delicato e questo viaggio è stato davvero troppo per lui".
Ross
si accorse di non sapere molto ma per come giudicava Hugh, iniziava a
sospettare che esagerasse un pò per avere tutte le
attenzioni su di
se. Ovviamente poteva sbagliarsi, ma lo irritava il modo in cui
pesava su sua moglie. Certo, non poteva dire nulla e poco si
intendeva di matrimoni, ma marito e moglie non dovevano dividersi
gioie e fardelli della vita? "Io credo... Credo che vostro
marito sia giovane, nel pieno della vita e delle forze e che dovreste
cercare di spronarlo ad usarle, quelle forze".
Demelza
si oscurò in viso, un pò irritata per la saccenza
di
quell'affermazione. "Voi non potete sapere...".
Ross
la bloccò, rendendosi conto di averla innervosita e di
essere andato
oltre il lecito a lui consentito. "Scusate, non voleto sembrare
invadente e ovviamente non conosco vostro marito così bene
dal
giudicare. Spero si rimetta presto".
La
donna sospirò, capendo appieno il suo tentativo di
rimediare. E poi
la stava aiutando in un modo così gentile che non se la
sentì di
porre fine subito alla leggerezza del suo umore riacquistata grazie a
lui... "Lo spero anche io".
Accelerarono
il passo, mentre il tempo prometteva sempre più
minacciosamente
pioggia. E alla fine si trovarono a correre come due sciocchi
ragazzini, per evitare di inzupparsi sotto lo scroscio che, a pochi
isolati dall'orfanotrofio, li aveva colti di sorpresa.
Quando
giunsero, erano bagnati come pulcini, infreddoliti e piuttosto
divertiti. Ross era riuscito a salvare i biscotti dalla pioggia
nascondendoli sotto il suo mantello, ma i vestitini erano
completamente inzuppati e quindi i piccoli a cui erano destinati,
avrebbero dovuto aspettare un pò per indossarli.
La
direttrice dell'istituto, un'anziana suora dal viso paffuto e
gentile, accolse Demelza con un ampio sorriso. L'ultimo attimo di
pace prima di essere investiti da un branco di monelli che, come un
gregge impazzito, si accalcarono festosi attorno a Demelza,
chiedendole doni e attenzione.
Bambini
di ogni età, scalzi, vestiti di stracci, magri, piccoli
senza nulla
ma capaci di essere comunque contenti del poco che la vita offriva
loro. Ross li osservò e capì che Demelza doveva
davvero apparire
come una piccola fata magica agli abitanti di quel posto... E lei
sembrava trovarsi perfettamente a suo agio fra quel branco di vivaci
monelli, come se si trovasse nel suo elemento naturale. Si
sentì
stranamente leggero e sereno in quell'orfanotrofio dove riusciva a
sentirsi utile a qualcosa, un sentimento mai conosciuto dal suo
arrivo a Londra.
Strizzò
l'occhio a Demelza, rendendosi conto che era piacevole fare questo
con lei. E l'aiutò a distribuire biscotti e abiti ai
bambini,
riconoscendo in loro le stesse espressioni buffe, a volte dure, a
volte smarrite, a volte gioiose che vedeva nei figli dei suoi
minatori. E guardando la giovane donna accanto a lui, gli venne
un'idea folle, forse irrealizzabile ma che forse...
...
Fu
un pomeriggio estenuante e tornando verso la grande dimora dei
Boscawen, Ross si accorse di essere più stanco di una
giornata
passata a picconare in miniera. Santo cielo, quei bambini erano
scatenati e Demelza lo aveva coinvolto in un sacco di giochi con
loro. Non poteva dire di non essersi divertito, ma di certo non ci
era abituato. Lavorava sempre, non era persona da lasciarsi andare a
giochi sfrenati coi piccoli, viveva cercando di risolvere i mille
problemi della sua vita e l'unico bambino con cui aveva a che fare
era il piccolo e tranquillo Geoffrey Charles.
Che
pomeriggio strano, stentava quasi a riconoscersi nell'uomo che aveva
giocato con quei bambini.
Coi
capelli e la treccia ormai disordinati, mentre camminavano nelle vie
di Londra deserte a causa della pioggia, Ross la osservò.
Quando
erano partiti dalla Cornovaglia, l'aveva trovata stanca, spenta,
triste. E così era stata in quelle prime settimane,
distante,
assente e fredda nei modi di fare. Cortese, ma decisamente diversa
dalla spumeggiante giovane donna che aveva conosciuto in Cornovaglia.
Ma quel pomeriggio aveva decisamente ritrovato la vivace e
impertinente monella con cui, in un pomeriggio di primavera, aveva
trovato Sun e questo lo rendeva felice.
Sentendosi
osservata, lei ricambiò lo sguardo. Le sue guance erano
rosse e
sembrava finalmente serena e contenta. "I bambini vi avranno
sfinito, vero? Scommetto che non ci siete abituato".
Ross
annuì. "Decisamente no! Infatti stavo giusto pensando che la
miniera è un luogo più riposante. Voi invece
sembrate fresca come
una rosa, come se i bambini fossero il vosto mondo".
Lei
sorrise dolcemente. "Mi piacciono molto".
Ross
si accigliò e prima di riuscire a frenare la lingua, porse
una
domanda che di certo, se fosse stato meno irruento e più
riflessivo,
avrebbe evitato. Perché una domanda del genere andrebbe
SEMPRE
evitata, soprattutto quando si parla con una donna. "Eppure, non
ne avete. Di figli, intendo. Da quanto siete sposata?".
Davanti
a quella domanda così personale, il viso di Demelza si
incupì come
se quelle parole la avessero ferita nel profondo. E l'allegria
scomparve dal suo viso in un istante, era il più grande
rimpianto
della sua vita, quello che Ross aveva appena toccato con le sue
parole. "Da quasi tre anni".
Ross,
sentendosi improvvisamente idiota ma consapevole di non poter tornare
indietro, prese un profondo respiro. Peggiorando le cose, invece che
migliorarle... "Tre anni e nessun bambino? Di solito...".
Demelza
strinse i pugni, alzò lo sguardo su di lui e Ross si accorse
che le
labbra le tremavano. "Non sempre si può avere ciò
che si
desidera" - disse, tagliando nettamente il discorso.
Ross
abbassò il viso, sentendosi in colpa per averla ferita. Che
diavolo
gli era saltato in mente di farle una domanda tanto personale? Che
grandissimo ed insensibile idiota!!! E ora, cosa poteva fare per
farsi perdonare? "Scusate, non volevo essere invadente.
Comunque, se può consolarvi, in un certo senso, questo vi da
la
possibilità di avere tempo per regalare un sorriso a tanti
bambini
che di sorridere, han ben pochi motivi. C'è sempre un
perché alle
cose, penso...".
"Che
volete dire?".
Ross
si voltò nella direzione dell'orfanotrofio. "Quei bambini...
La
scuola di Truro. Idee vostre e vedendovi oggi, ora capisco finalmente
cosa vi ha spinta a lanciarvi in quell'impresa".
Demelza
sospirò. "La scuola di Truro doveva essere piccola, modesta,
un
qualcosa senza pretese dove chiunque, quando voleva e se poteva,
trovava la porta aperta e poteva venire ad imparare qualcosa. Con
l'intervento degli azionisti della banca di Cornovaglia, è
diventata
qualcosa di troppo serioso ed esclusivo. Ha ben poco da offrire ai
piccoli più poveri. Sapete, avrei voluto aiutare ad
insegnare, ma mi
è stato vietato".
Ross
spalancò gli occhi. "Perché?".
"Perché
una lady non può, dicono... Non volevo fare
chissà che, anche
perché so davvero poco, ma mi sarebbe piaciuto aiutare quei
piccoli
almeno a leggere e scrivere. Questo almeno so farlo".
"Ne
sono certo! Comunque...". Si interruppe un attimo, riflettendo
sull'idea che gli era venuta poco prima. "Comunque, se vi
va...". Voleva riabilitarsi ai suoi occhi per la triste uscita
sui figli e sapeva che quello che aveva da proporle, benché
inattuabile, l'avrebbe fatta felice.
"Cosa?".
"Se
davvero poteste, mi piacerebbe che insegnaste alla mia miniera, ai
figli dei miei minatori. Posso darvi il mio ufficio, potete farlo
fuori, sul prato. Ogni tanto, quando vi va e se avete tempo. Volevate
una scuola semplice e alla Wheal Grace sarebbe qualcosa di
assolutamente semplice e primitivo. Ma apprezzato. Scommetto che
molti dei bambini che lavorano per me in superficie, sarebbero
studenti migliori di quello che sono stato io".
Gli
occhi di Demelza brillarono, sarebbe stato così bello
poterlo fare.
Aiutare davvero chi ne aveva bisogno era tutto ciò che
voleva e
quella proposta era così allettante per la sua mente sempre
pronta a
fare, rendersi utile, imparare e scoprire. Anche se... "Mi
piacerebbe... Ma come immaginate...".
Ross
sospirò. "Lo so, non si può. Ma in futuro,
chissà che non si
riesca ad organizzare qualcosa...".
"Chissà...
Anche se come insegnante, sarei pessima! Non vado oltre alla lettura
e alla scrittura!". Era bello chiacchierare, parlare, sognare...
Ross
rise. "Beh, immagino che Falmouth, quando Hugh ha deciso di
sposarvi, abbia davvero insistito su questo punto del leggere e
scrivere".
Il
volto di Demelza si addolcì, ripensando ai primi bei
momenti, pieni
di dolcezza e aspettative, con suo marito. "In realtà quando
mi
sono sposata, sapevo già leggere e scrivere. Fu Hugh a
insegnarmi,
quando ci siamo conosciuti".
Ross
si stupì che lei, di solito restia a parlare di se stessa,
si stesse
aprendo a quella conversazione. Forse non era nulla di che, non
stavano parlando di segreti scabrosi ma di cose piuttosto banali, ma
in tutto questo Ross scorse in Demelza una gran voglia di parlare,
aprirsi, raccontarsi con qualcuno. La osservò e gli
sembrò così
sola nonostante il suo matrimonio... Come lui, come lui dannazione!
Anche lui si sentiva così molto spesso da quando era tornato
dalla
guerra. "Davvero? E' piuttosto inusuale che un giovane rampollo
di buona famiglia si adoperi ad insegnare a una domestica".
Demelza
non si offese per quel commento, detto in tono leggero. Si sentiva
stranamente bene in quel momento e parlare con Ross, PARLARE con
qualcuno, era così dolce e la faceva sentire così
bene, che non
riuscì a frenare la lingua... "Hugh non è un
damerino come
pensate voi. A quattordici anni Falmouth lo mandò due anni
in marina
e si distinse con onore, da quel che raccontano. Lo incontrai al suo
ritorno e quando ero in giardino a sistemare le aiuole, lo vedevo
sempre seduto su una panchina, intento a leggere. Mi chiedevo spesso
come fosse leggere qualcosa e lui deve averlo percepito. Iniziammo a
parlare e lui si offrì di insegnarmi a leggere e scrivere
quando
avevo del tempo libero. Fu così che iniziammo a conoscerci e
l'anno
dopo mi chiese in moglie".
Ross
avrebbe voluto chiederle mille cose ancora, ma capiva che non poteva
andare oltre. Era già tanto che lei si fosse aperta
così e anche se
voleva sapere il perché di quel matrimonio, come si
sentisse,
com'era stato e tante altre cose, rimase zitto. Perché di
fatto non
era mai stato impiccione e non voleva iniziare ora ad esserlo e
perché... Si rese conto che non riusciva a capirsi.
Perché lei gli
interessava tanto? Perché la prima domanda che voleva porle
era se
fosse stato un matrimonio d'amore? Era impazzito? Sospirò,
decidendo
che doveva accontentarsi...
E
lei parve apprezzarlo. Stupita per aver raccontato a un uomo che le
suscitava tante emozioni qualcosa di Hugh, la fece sentire a suo
agio, una buona moglie e una buona... amica. Aveva reso giustizia ai
pregi di Hugh, era stata onesta ma senza passare il limite ed era
riuscita anche a passare un bel pomeriggio spensierato con Ross
senza esserne turbata ma sentendosi a suo agio. E serena. E utile a
tanti bambini, come dolcemente le aveva fatto notare lui... Lo
guardò
meglio e in quell'uomo ombroso e a voltre scontroso, non vide
più
solo il carattere arrogante e il fisico scolpito ed attraente che
faceva il bagno nel mare... Vide un uomo onesto, buono di cuore,
anche gentile nonostante la vita l'amesse messo a dura prova tante
volte. Il suo cuore a quei pensieri prese a battere più
forte ma era
un batticuore diverso, non più impetuoso ma dolce, delicato,
che
sapeva scaldarle il cuore. "E' stato un bel pomeriggio" –
disse infine, con sincerità.
"Anche
per me" – rispose lui, col sorriso sulle labbra. "E' un
segreto anche questo? Come Sun, intendo".
Demelza
rise, divertita. "Giuda, mi state rendendo una pessima persona!
Ma forse avete ragione, è una cosa fra...".
"Amici!"
- la interruppe Ross. "Gli amici hanno i loro segreti che non
condividono col mondo, giusto?".
Amici...
Era stata lei a proporlo e ora non le sembrava così
inattuabile
esserlo. E ne era felice. "Sono d'accordo".
Giunsero
a casa che ricominciava a piovere e ormai si stava facendo buio. Ross
accompagnò Demelza al cancello e con grande sorpresa, vi
trovarono
Falmouth che, a passo svelto, stava rientrando da chissà
dove.
L'anziano
Lord li incrociò e si stupì di trovarli insieme.
"Oh, buona
sera. Poldark, non sapevo foste uscito" –
commentò,
guardingo.
Ross
indicò all'uomo il giornale ancora nella sua tasca,
spiegazzato e
bagnato. "Ero uscito per prendere un quotidiano e ho incontrato
Lady Boscawen che usciva per un evento di beneficenza. L'ho aiutata a
portarlo a termine e ora stavamo rientrando per la cena".
Demelza
dovette mettersi una mano davanti alle labbra per non ridere. 'Evento
di beneficenza'... Santo cielo come era bravo a intortare le persone
usando parole strane e ben congeniate! E che prontezza di spirito,
lei non era altrettanto brava a trovare giustificazioni a questo o a
quello, quando veniva colta in fallo a fare qualcosa. "Sono
stata all'orfanotrofio" – aggiunse, quasi a volersi
giustificare.
Falmouth
alzò gli occhi al cielo. "Demelza, ancora? Devi organizzare
feste di beneficenza se lo desideri, molte donne quì le
fanno e
adorano esserne le protagoniste, ma non ti si chiede di sporcarti le
mani in quei posti malsani!".
"Preferisco
controllare di persona che gli aiuti vadano a buon fine" –
rispose lei, a tono.
Falmouth
la osservò col suo sguardo da volpe, poi osservò
Ross e decise che
poteva prendere due piccioni con una fava e uscirne vincitore.
Alzò
la mano, indicando Demelza con l'indice. "Festa di beneficenza,
sì! Lady Austwell ne organizza una per sabato prossimo! Io
sono
troppo anziano per andare a una festa organizzata fino a sera tardi
ma tu no e devi rappresentarci!".
Demelza
impallidì. "Ma io... Hugh sta male, non posso andarci da
sola!".
Falmouth
sorrise. "Oh, non andrai sola! Poldark verrà con te".
Entrambi
i giovani spalancarono gli occhi e lo fissarono come fosse impazzito.
"COSA?".
"Avete
capito benissimo" – ribatté Falmouth –
"Tu sei il mio
pupillo e tu sei sposata con un mio erede ora impossibilitato alla
vita di società. Rappresenterete la famiglia, tu Demelza
mostrerai
la generosità dei Boscawen in eventi di questa portata e tu
Ross
potrai fraternizzare con alcuni dei pezzi grossi della banca di
Londra che saranno presenti, giusto per ottenere ancora di
più la
loro fiducia".
Ross
avrebbe voluto dire di no, quei no secchi che lui sapeva pronunciare
piuttosto bene e con convinzione. Era logico che Falmouth volesse
lanciarlo nella mischia e farlo invischiare nella vita politica di
Londra ed era altrettanto logico che stesse usando le passioni di
Demelza per arrivare al suo scopo. Questo di solito non gli sarebbe
piaciuto affatto ma a quell'uomo doveva molto e questo lo sapeva... E
inoltre... Osservò Demelza... Erano amici, no? E non
avrebbero
saputo divertirsi anche a un evento barboso come una festa di
beneficenza? Santo cielo, stava tanto bene con lei, perché
rifiutare
quell'offerta? Se proprio doveva sorbirsi l'alta società,
tanto
valeva farlo con lei invece che con Falmouth...
Demelza
lo guardò in silenzio, come implorandolo di rifiutare. Ma
non poteva
farlo, nemmeno davanti a quel visino perfetto e limpido. SOPRATTUTTO
per quel visino perfetto e limpido! Erano amici, ma Ross sapeva che
non era perfettamente vero, dal suo punto di vista. C'era altro in
lui, verso di lei. E sapeva anche che lo stesso era per Demelza. E se
lei cercava di sfuggire a quel 'qualcosa', lui invece, testardamente,
ci si voleva gettare a capofitto. "Accetto!" - disse
infine, rendendo felice Falmouth ed estremamente disperata Demelza.
Era
fatta e ora nessuno poteva più tornare indietro,
né lui né lei!
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Capitolo 17 *** Capitolo diciassette ***
Era
stato una carogna ad accettare, senza battere ciglio, di accompagnare
lady Boscawen al ballo. Di fatto non aveva motivo di andarci e il
debito di riconoscenza verso Falmouth di certo non lo avrebbe spinto
a piegare il capo ma quando gli si era proposta quell'occasione,
l'istinto lo aveva spinto ad accettare subito quella proposta che di
solito avrebbe declinato senza mezze misure. Odiava ballare, odiava i
nobili pomposi e ancora, odiava le cerimonie e lo sfarzo della
capitale. E in quel ballo c'era tutto questo e di più,
eppure...
Oh,
era un dannato egoista ed era consapevole di esserlo! E Lady Boscawen
avrebbe di certo gradito un'altra risposta a Falmouth da parte sua,
era consapevole anche di questo fattore e lei glielo aveva rimarcato
spesso da quel giorno, non a parole ma con sguardi di fuoco che gli
aveva rivolto ogni volta che si erano incontrati. Certo, sapeva bene
che lei voleva essere una brava moglie e capiva appieno quanto
dovesse sentirsi a disagio dal dover andare a un ballo con lui e
anche se Ross non capiva perché non riuscisse a frenare i
suoi
sentimenti verso quella strana ed inafferrabile ragazza, aveva capito
già da un pò quanto vederla e godere della sua
compagnia fosse un
balsamo per un cuore e una mente come i suoi, perennemente in
subbuglio e mai in pace.
Ma
ormai era fatta e in fondo Lady Boscawen lo aveva incastrato
già una
volta appioppandogli Sun, quindi era inutile che facesse il broncio,
ora toccava a lui dettare le regole del gioco. Inoltre era la
rappresentante di un casato importante e se suo marito era fuori
gioco a causa di una salute precaria, toccava a lei sostituirlo. Ora
che ci pensava, doveva ringraziarlo, quella sua stramba amica! Le
stava risparmiando di andare a quel ballo da sola, gli sarebbe stato
di compagnia e insieme avevano anche già dimostrato di
essere una
coppia di buoni amici. Sì, pensò mentre si
sistemava il colletto
della camicia, Lady Boscawen non aveva motivo di essere adirata con
lui e al contrario, avrebbe dovuto ringraziarlo per il suo buon
cuore.
Osservandosi
allo specchio, Ross ripensò a lei e a quelle ultime
settimane a
Londra. Era partito portandosi dietro il ricordo ossessivo di
Elizabeth ma da quando era arrivato, era come stato catturato dal
vortice della frenetica vita londinese, dai lord che Falmouth gli
aveva presentato, dalla politica, dalla banca che gli avrebbe
elargito un prestito e poi da lei, da Demelza. Lei più di
tutto,
lontana, irraggiungibile e in fondo quasi sconosciuta, era riuscita a
scalzare meglio di tutto il resto il pensiero di Elizabeth. Non ci
era riuscito Francis che l'aveva sposata, non ci erano riusciti i
mille problemi finanziari che lo affliggevano da tanto e ci era
riuscita una semplice donna che per caso si era trovata a fare la
lady, una donna come tante forse... O forse no, non era una donna
banale ma anzi, piuttosto unica nel suo genere, con un sorriso caldo,
modi gentili e dei meravigliosi capelli rossi. Una lady che sapeva
calcare come un maschio e non si vergognava di farlo, che voleva
costruire una scuola per far felici dei bambini e non per mostrare al
mondo la sua benevolenza e il potere del suo denaro, una donna che
giocava seduta per terra con degli orfani in un sudicio orfanotrofio
dove mancava tutto, una donna che aveva notato un gattino ferito e si
era fermata per salvarlo, incurante del fatto che stavano facendo una
gara e così facendo, avrebbe perso. Una donna all'apparenza
fortunata e che sembrava avere tutto ma che nascondeva nello sguardo
un velo di inspiegabile tristezza. Una donna piena di vita, sposata a
un uomo che sembrava non averne affatto...
Deglutì.
Era affascinato da lei, non poteva negarlo. Non dalla lady elegante
che avrebbe incontrato di lì a poco ma dalla ragazza dai
capelli
scompigliati che galoppava nel vento della Cornovaglia e si sentiva a
suo agio fra gli orfani o le piante del suo giardino.
Era
strano, era affascinante eppure pareva non capirlo ed anzi, sembrava
vergognarsi durante le occasioni pubbliche dove doveva presenziare.
Forse a causa delle sue origini o del suo animo semplice, sembrava
non rendersi conto di quanta nobiltà d'animo avesse e di
quanto
questa gli fosse invidiata dalle altre donne. Elizabeth compresa...
Improvvisamente,
qualcuno bussò alla sua porta e quando aprì, a
sorpresa comparve
Lord Falmouth. L'uomo, in vestaglia da casa e pronto per passare
l'ennesima serata davanti al camino con un libro in mano,
studiò
attentamente il suo abbigliamento. "Elegante il giusto, non
pomposo ma di spicco. Ottimo, ottimo..." - commentò.
A
Ross venne quasi da ridere, che Falmouth si intendesse di moda era
l'ultima cosa che avrebbe immaginato. "Non amo apparire ma non
amo nemmeno non essere abbigliato adeguatamente ad ogni situazione".
Falmouth
annuì, passeggiò un pò per la stanza
con fare assorto e poi si
fermò, tornando a poggiare lo sguardo su di lui, indagatore.
Era
come se volesse dire qualcosa ma non riuscisse a trovare le parole
adeguate per iniziare il discorso... Tossicchiò, come
imbarazzato, e
poi parlò e tirò fuori quello che aveva sulla
punta della lingua.
"So che è superfluo, ma devo ricordarvi che state andando a
una
festa con la moglie di mio nipote. Una Boscawen, anche se acquisita.
Vorrei essere persuaso che non lo dimenticherete e che la tratterete
con rispetto, come si deve a una vera signora. E che interpreterete
al meglio il vostro ruolo di accompagnatore, senza andare oltre".
Ross
si irrigidì. Era una paternale? Aveva intuito quanto fosse
interessato a Demelza? O erano semplici raccomandazioni di rito? Di
certo la cosa lo irritò, non era un ragazzino e non era
sotto la
tutela di Falmouth. E Demelza era una donna adulta, degna di fiducia
e piuttosto ligia al suo dovere. In realtà era pure stupito
dalle
osservazioni di Falmouth. Pareva un uomo assorto completamente da
politica e finanza ma evidentemente osservava tutto e aveva notato
l'interesse reciproco che spesso traspariva dal suo rapporto con
Demelza. Ross non ci vedeva nulla di male, per scelta erano diventati
amici e anche se spesso si sentiva turbato dalla vicinanza di quella
donna - anche oltre il lecito probabilmente consentito - mai si era
posto la domanda se fosse giusto o sbagliato nei confronti dei
Boscawen e di Hugh, questo trasporto verso di lei. Non che si fosse
mai posto dubbi sulla moralità, nella sua vita aveva sempre
seguito
il suo istinto senza farsi troppe domande, però le
osservazioni di
Falmouth gli davano da pensare. "Se non siete certo del mio
operato, potete sempre mandare vostro nipote Hugh al ballo" –
disse, sibillino e un pò innervosito.
Falmouth
scosse la testa. "Mio nipote non è fisicamente in grado e io
non ho l'età per fare da accompagnatore a Demelza. Mi
aspetto molto
da voi Ross Poldark, così come molte delle persone presenti
al
ballo. Ci saranno i dirigenti della Banca di Londra che sono
lì lì
per firmare il vostro prestito, non dimenticatelo. Date buona
impressione di voi e avrete quella firma nel giro di pochi giorni. E
potrete tornare alla vostra miniera".
Ross
si accigliò. "E io e voi? Non vorrete dirmi che non volete
nulla in cambio per il vostro aiuto...? Mi rimanderete a casa
così,
con una stretta di mano?". Chiaro, diretto, non aveva mai amato
i giri di parole e questo era il succo del discorso del suo viaggio a
Londra. O no?
Falmouth
sorrise lievemente. "Oh, vi ho mostrato i palazzi di potere e le
bellezze di Westminster e dell'economia. Ora sembrerà che
tutto
questo non vi piaccia, ma sono certo che quando tornerete in
Cornovaglia penserete a tutto questo con nostalgia e che sarete di
idee decisamente più aperte al nostro prossimo incontro".
Sembrava
sicuro di se Falmouth, e Ross si accorse che in questo erano uguali,
chiari, diretti e spregiudicati allo stesso modo. "Ne sembrate
certo. Mai nessuno vi ha stupito facendo l'opposto di quello che vi
aspettavate?".
Falmouth,
mani dietro la schiena, si voltò verso la porta. "No, mai"
– sussurrò, sparendo nel corridoio con passo
leggero, da gatto.
...
L'abito
blu, elegante, dalla gonna larga e dal corpetto stretto, impreziosito
con una collana di perle, le stava d'incanto. Ma come sempre, non
riusciva né ad essere eccitata per il ballo, né
ad essere contenta
di quella serata. Si era sempre nascosta dietro a Hugh in quelle
occasioni e la sua presenza l'aveva sempre fortificata e rassicurata,
ma stasera sarebbe stata sola, avrebbe lasciato a casa un marito
gravemente malato che desiderava accudire e sarebbe stata sola con
Ross Poldark. Già, Poldark... Erano amici, ma di un tipo di
amicizia
pericolosamente vicina al limite con qualcos'altro che lei non poteva
permettersi ed entrambi ne erano consapevoli. Era un miscuglio di
sentimenti strani, Demelza: da un lato la paura, dall'altro i sensi
di colpa, dall'altro ancora l'eccitazione di passare ancora del tempo
con quell'uomo che sapeva regarle emozioni e gioia di vivere. Aveva
tentato di allontanarlo dal suo cuore ma aveva fallito miseramente e
si era arresa a quei sentimenti più forti di lei,
incanalandoli in
un rapporto di amicizia. Dannato, dannato Ross Poldark!!!
E
con questo pensiero, uscì di casa dopo aver dato un bacio a
Hugh,
dopo averlo rassicurato che sarebbe tornata presto e che andare a
quel ballo con Ross Poldark non era nei suoi piani ma opera di suo
zio.
Hugh
sembrava poco convinto ma ormai troppo debole e spossato per
combattere e starle accanto, si era limitato ad annuire prima di
sprofondare nuovamente nel sonno indotto dai medicinali.
Lo
aveva affidato a una infermiera e poi era uscita, aveva percorso il
vialetto di casa ed era salita sulla carrozza dove Ross Poldark
l'aspettava già.
Lui
l'accolse assolutamente privo di ogni imbarazzo, col suo peggiore
sguardo da canaglia. "Buona sera, lady Boscawen".
Buona
sera un corno! Stizzita, si sedette sul sedile di fronte a lui,
incrociando le braccia al petto. "Sembrate fiero di questo
risultato".
Ross
annuì, per nulla intimorito dalle sue occhiatacce. "Oh, non
fatela lunga! Ci ho pensato e in fondo dovreste ringraziarmi e non
tenermi il muso".
Demelza
spalancò gli occhi. "Ringraziarvi? Vi avrei ringraziato se
aveste declinato l'invito di Falmouth!".
"E
sareste andata a quel ballo da sola? Mi pare che questo genere di
cose vi intimorisca, abbiamo stabilito di essere amici e un buon
amico non abbandona in un momento di difficoltà... Quindi
soffrirò
accanto a voi, senza lasciarvi incustodita in quel covo di vipere
spocchiose... Come dicevo prima, ringraziatemi senza troppi giri di
parole".
Demelza
sospirò, incredula davanti alla sua faccia tosta. Santo
cielo, era
un uomo impossibile, impossibile persino per sostenere una vera lite.
Odiava e... apprezzava questo lato del suo carattere, la sua
irriverenza, il suo mancato rispetto per ogni regola morale e
accidenti, era proprio questo il guaio. Le piaceva qualcosa che
doveva disprezzare e Ross Poldark, con la sua presenza, glielo
ricordava ad ogni loro incontro. "Siete esasperante!"-
sbottò.
"Ne
sono consapevole".
"Non
aspettatevi che balli con voi!".
"Non
avevo intenzione di chiedervelo, odio il ballo".
Bene,
ottimo, perfetto! Quanto meno su qualcosa erano d'accordo. Anche se
la sua mente le diceva che in fondo le sarebbe anche piaciuto un
ballo con lui. Ma poi si pentì di quel desiderio, come di
molti
altri. E il ricordo di Hugh, esanime su un letto che aspettava il suo
ritorno senza possibilità di alzarsi e starle accanto, la
riportò
alla realtà, la SUA realtà. Era una moglie e
voleva esserlo nel
migliore dei modi. Hugh aveva fatto tanto per lei e forse la sua
figura non era totalizzante e spiazzante come quella di Ross Poldark
ma restava il fatto che era l'uomo che aveva scelto di sposare, che
l'aveva sempre trattata con rispetto, dolcezza e fiducia e lei non
avrebbe ricambiato tutto questo facendo la svenevole con un uomo
arrogante e troppo sicuro di se stesso, senza peli sulla lingua e
spesso fuori dalle righe e dagli schemi. Se fosse stata libera di
scegliere, libera da legami, Ross Poldark l'avrebbe attratta come
un'ape è attratta dal miele. Ma non lo era e tutto doveva
finire lì.
Si erano fatti una promessa d'amicizia e i momenti trascorsi insieme
erano stati belli, pieni di risate, liberi da ogni costringimento o
regola. Ma questo era tutto quello che si sarebbe concessa e le
sarebbe dovuto bastare. Per sempre! "Perché?" - chiese
solo.
Lui
alzò gli occhi su di lei. "Perché, cosa?".
"Perché
avete accettato di venire a questo ballo?".
Lui
per un attimo rimase in silenzio, quasi in difficoltà, come
a voler
ponderare la risposta. "Ecco, credo che sia per affari... Vi
parteciperanno i boss della banca di Londra che mi concederanno il
prestito ed è il caso che mi faccia vedere in giro e faccia
buona
figura, no?".
Non
ne sembrava molto convinto e Demelza se ne accorse subito che quella
non era completamente la verità. Era strano, in fondo non
poteva
dire di conoscerlo bene ma in un certo senso sapeva leggergli
pensieri ed anima. E capire quando era sincero o quando bleffava...
"Solo per questo?".
"Solo
per questo".
"Perché
non vi credo?".
Ross
allargò le braccia. "Che ne so? E' un problema vostro".
Lei
lo fissò dritto negli occhi, il modo migliore per far
vacillare i
bugiardi. "Avrei potuto benissimo andarci da sola, al ballo. Mi
intimoriscono queste cose ma in un modo o nell'altro ce l'avrei
fatta. E voi avreste ottenuto comunque il prestito, anche senza
presenziare. Lo so io, lo sapete voi e lo sa anche Falmouth che
è
uno dei massimi azionisti della Banca di Londra".
Ross
fece per risponderle ma il suo sguardo fisso su di lui parve metterlo
in soggezione, tanto da costringerlo a voltare il viso per fissare
distrattamente il finestrino. "E' così orribile per voi
venire
a un ballo con me?".
Demelza
sussultò, quella domanda non se l'aspettava. Credeva che
avrebbe
bleffato o se ne sarebbe uscito con qualche frase ad effetto e
canzonatoria, ma così... "No, non lo è. Ma
capite, avrei
dovuto andarci con mio marito. E da quel che si dice di voi...".
Ross
tornò a guardarla, incuriosito. "Cosa si dice di me?".
"Che
a un ballo ci andreste volentieri con vostra cugina Elizabeth. Ci
troviamo su questa carrozza insieme e avremmo dovuto essere su due
carrozze distinte, accanto ad altre persone. Non vi sembra...
stonato?".
Ross
socchiuse brevemente gli occhi, ancora una volta colpito dalla
mancanza di filtri in Demelza. Quando voleva andare al nocciolo di un
discorso, non era una donna da girarci troppo attorno ma arrivava
subito al punto. Anche lui era così ma di solito non trovava
ostacoli dalla parte opposta e le persone restavano semplicemente
basite e silenziose davanti ai suoi modi di fare e dire diretti e
poco ortodossi. Ora era lui ad essere in difficoltà e
dall'altra
parte della barricata, con una donna che gli sapeva tenere testa e
sapeva metterlo davanti a dei sentimenti che mai aveva avuto il
coraggio di affrontare. Era vero, tante volte aveva sognato di vivere
esperienze con Elizabeth, solo con Elizabeth! Ed era partito per lei,
anche questo era innegabile. Eppure in quei giorni londinesi poche
volte si era fermato a pensare a lei e di certo non era nei suoi
pensieri quella sera, in quella carrozza, mentre osservava la
semplice ma abbagliante bellezza di quella giovane donna dai lunghi
capelli rossi. "Onestamente, mi sono sempre curato poco delle
cose che si dicono di me e della mia vita privata. E' vero, spesso ho
desiderato avere accanto una donna che non potrà
più essere mia e a
volte rimpiango scelte passate che si sono rivelate sbagliate e me
l'hanno fatta perdere. Ma non stasera, non ora, non con voi".
Davanti
a quelle parole, sincere quanto lo era stata lei, Demelza
arrossì
lievemente, trovandosi a sua volta in imbarazzo e a corto di parole.
Il tono della sua voce, il timbro caldo e il modo in cui aveva
pronunciato l'ultima parte del discorso, le avevano fatto
attorcigliare le viscere. Santo cielo, come ci riusciva a farla
sentire così? E che cosa intendeva con quelle parole?
Avrebbe voluto
chiederlo ma era anche certa che se lo avesse fatto, si sarebbero
entrambi incamminati su un terreno viscido e scivoloso dal quale
sarebbe stato difficile tornare indietro. "Non so cosa dire...
Non so se sentirmi lusingata o meno. Riuscite a confondermi".
Ross
sospirò. "Avete un difetto strano in una donna: vi sentite
in
colpa per cose inesistenti".
"Non
mi sembrano così inesistenti" – obiettò
lei. Ross Poldark
aveva davvero un concetto strano e aperto dei doveri matrimoniali...
Captando
il suo sconcerto e forse timoroso che volesse tornare indietro, Ross
cercò di tranquillizzarla e di apparire meno spregiudicato,
rendendosi conto che era andato troppo oltre e non era stata sua
intenzione farlo. Di solito non era così chiaro
nell'esprimere ciò
che provava e ciò che aveva detto era davvero troppo da
sentire, per
una donna sposata... Falmouth non avrebbe amato certi discorsi usciti
in quella carrozza e anche se di certo non lo faceva per compiacerlo,
si sentì in dovere di tranquillizzare Demelza che
sicuramente si
trovava in una situazione ben diversa dalla sua. Aveva ragione, era
una donna sposata che stava per andare a un ballo elegante di Londra
con un uomo che non era suo marito ed era logico che questo la
confondesse e agitasse e di fatto entrambi erano consapevoli della
strana energia che si scatenava quando erano vicini. "Prendetela
come una missione di guerra!" - disse allora, in tono leggero,
cercando di stemperare la tensione.
Demelza
spalancò gli occhi. "Cosa?".
Lui
le sorrise. "Sì, in fondo è così,
entrambi stiamo
partecipando a una missione per conto di Lord Falmouth: voi dovete
rappresentare il vostro casato e io devo dare prova di essere un
creditore affidabile e meritevole delle raccomandazioni del vostro
illustre capo famiglia".
Anche
Demelza sorrise, messa così suonava decisamente meglio. E
anche se
sapeva che non era tutta la verità, apprezzò
ancora una volta la
capacità di Ross Poldark di salvare all'ultimo la
situazione. "Mi
piace! Ma vi avverto che sarò una compagna di missione
imbranata ed
impacciata. Odio i balli!".
"Anche
io! Propongo di posizionarci vicino al buffet e di non muoverci da
lì".
Demelza
annuì, divertita dal tono giocoso della voce di lui. "Mi
pare
un'ottima idea. Ma se si avvicinasse qualcuno per fare
conversazione?".
Ross
stette al gioco. "Dipende! Se è qualcuno su cui devo far
colpo,
cercheremo di dire qualcosa di intelligente. Chiunque altro...".
"Chiunque
altro?".
"Beh,
quelli ininfluenti alla nostra causa sono inutili. Fingete uno
svenimento, sarò ben felice di portarvi fuori dalla sala".
Demelza
scoppiò definitivamente a ridere. Santo cielo, era
completamente
folle quell'uomo! Ma aveva una follia che le piaceva, che la
inebriava e attraeva. E anche se cercava di combattere tutto questo,
alla fine aveva capito che nella sua vita aveva anche bisogno di
momenti così, che Hugh non poteva regalarle. Ross forse non
era
romantico come suo marito, ma aveva un modo di vivere la vita fuori
dagli schemi, libero e sempre nuovo che, da quando lo aveva
conosciuto, aveva scoperto uguale al suo. E questo faceva paura
perché risvegliava in lei desideri che non avrebbe potuto
inseguire
e realizzare. Ma con Ross Poldark si sentiva viva, viva come non si
era mai sentita con Hugh. Completa... Quando si era sposata era
troppo giovane per capire appieno a cosa il suo cuore anelasse e
quale fosse la sua vera indole, ma ora Ross Poldark glielo stava
mostrando, appieno. Forse non avrebbe potuto realizzare i suoi sogni
ma in un certo senso doveva ringraziare quel suo strano compagno di
missione perché attraverso lui, aveva imparato a conoscere
meglio se
stessa.
E
con quel pensiero, la carrozza si fermò. Erano arrivati a
destinazione.
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Capitolo 18 *** Capitolo diciotto ***
Quando
entrarono nell'elegante palazzo dove si sarebbe dovuta tenere la
festa, Ross si pentì di aver accettato. Ovunque, ogni angolo
di
quella casa voleva esprimere ricchezza, opulenza, potere,
sontuosità... Tutte cose che lui detestava, esibite senza
pudore in
un mondo dove i più non avevano nemmeno un tozzo di pane da
mettere
sul tavolo...
Lady
Austwell e suo marito erano persone ben in vista a Londra, amici
intimi di alcuni rappresentanti della famiglia reale, persone potenti
e immensamente ricche a capo di diverse province a nord del paese e
proprietari di diversi antichi castelli. Vantavano avi di tutto
rispetto, eroi che avevano servito nei secoli la corona e si diceva
di loro che ogni cosa che toccassero, diventava d'oro. Non avevano
avuto figli e Lady Austwell si era gettata nell'organizzazione di
sontuose feste di beneficenza che in cuor suo erano atte,
più che
alla carità, a farle dimenticare l'assenza di un erede e
soprattutto
le continue e rinomate scappatelle del marito nei letti di duchesse o
contesse annoiate e spesso lasciate sole da mariti disattenti.
Percorrendo
il lungo corridoio arricchito da un tappeto rosso di ottima fattura
persiana, circondati da altri ospiti elegantissimi, Ross si chiese
perché si continuassero ad organizzare feste tanto costose e
sontuose col pretesto della beneficenza. Sarebbe bastato vendere uno
solo dei quadri o un pezzo dell'elegante servizio di piatti e tazze
che arredavano il tavolo per sfamare un'intera via di Londra. Ma ai
ricchi e viziati piaceva così, farsi vedere compassionevoli
e allo
stesso tempo, con questo pretesto, mostrare la loro ricchezza e
potenza ai propri pari. Si irrigidì, rendendosi conto che,
anche se
non conosceva quasi nessuno personalmente, li detestava tutti.
Palloni gonfiati, tronfi, ingordi, viziati e pomposi nobili arredati
con pizzi, seta, monili e gioielli che dovevano servire a celare il
nulla della loro anima e del loro cuore.
Osservò
Demelza accanto a lui, bellissima nel suo abito blu. L'acconciatura,
coi capelli raccolti, le conferiva un'aria più adulta ed
austera e
il suo cipiglio esprimeva quanto si sentisse a disagio. Come lui del
resto. "Che dite? Dobbiamo salutare o si fa finta di nulla?".
Demelza
prese un profondo respiro a quella domanda. "Vorrei già da
ora
fingere uno svenimento e andarmene via...".
Ross
mascherò un sorriso, adorava la strana ironia che a volte
lei usava
senza quasi accorgersene. Entrarono nel salone, immenso, pieno di
candelabri che fungevano da lampadari, allietato da una orchestra e
pieno di marmi, tavole imbandite ed ospiti elegantissimi che
danzavano o chiacchieravano in sparuti gruppetti. "Sì,
potreste
fingere lo sveniment anche ora e io sarei più che felice di
accompagnarvi fuori. Ma Falmouth non ne sarebbe altrettanto contento,
temo...".
"Al
diavolo! Giuda, poteva venirci lui se ci teneva tanto!".
Sbottò,
da perfetta monella quale un tempo era stata e che avrebbe voluto
conoscere, senza peli sulla lingua. In mezzo alla festa più
elegante
di Londra. Era più indomita di lui, in certi momenti, quando
perdeva
il controllo da perfetta lady che era dovuta diventare per forza e
per amore di un matrimonio che ancora Ross non aveva ben
identificato.
Ross
si coprì la bocca con la mano per non scoppiare a ridere. In
fondo,
poteva dire di non divertirsi? In fondo non era venuto con lei per
momenti del genere? "Non avete risposto alla mia domanda...".
"Quale?".
"Dobbiamo
salutare? Come funziona fra voi ricconi?".
"La
vostra non è per caso un'antica famiglia di 'ricconi'?
Dovreste
conoscere il galateo".
Ross
scosse la testa, divertito, camminando fianco a fianco con lei. "Il
galateo... Forse, quando lo hanno spiegato a scuola, ero assente per
qualche motivo" – rispose, ridacchiando.
Demelza
sospirò, esasperata e forse arresa al fatto che con lui non
avrebbe
potuto sostenere alcuna conversazione seria. "Se qualcuno vi
saluta, voi rispondete. Se non vi rivolgono la parola, non fatelo per
primo. Molti degli invitati a questa festa sono di rango molto
elevato e coloro che appartengono a famiglie minori non possono
rivolgere la parola per primi".
Ross
ridacchiò ancora. "Oh che mondo e che regole difficili!
Comunque meglio così, vi assicuro che non sto affatto
morendo dalla
voglia di parlare con queste persone".
"Nemmeno
io, detesto questo genere di feste! Di solito ci andavo con Hugh, ma
non molto spesso per fortuna... E in genere mi nascondevo dietro di
lui e cercavo di passare inosservata...".
Un
cameriere li raggiunse, con un vassoio pieno di calici ricolmi di
ottimo vino bianco. Ross ne prese due, servendo poi galantemente
Demelza. "Ho una buona schiena larga, potete nascondervi dietro
di me se vi va. Oppure possiamo nasconderci entrambi sotto il tavolo,
le tovaglie sono lunghe fino al pavimento, se saremo scaltri nessuno
se ne accorgerà".
Demelza
lo guardò storto. "State scherzando?".
"No
affatto! Da piccolo lo facevo e funzionava sempre, quando mi trovavo
in questo genere di situazioni".
Demelza
sospirò, poi strinse i pugni e si guardò attorno
come decisa a
spezzare quel momento di tensione. Alcune persone che passavano la
salutarono e lei rispose garbatamente, poi gli fece cenno di seguirla
in un angolo della sala più appartato, dietro ai tavoli del
buffet.
"Quì possiamo guardare meglio!" - gli disse.
"Guardare
cosa?" - chiese Ross.
"Gli
ospiti, quelli importanti! Per voi, intendo... Non possiamo fare
scena muta ma quanto meno possiamo limitarci a parlare con chi serve
alla nostra causa".
Ross
si accigliò. "Nostra?".
Come
resasi conto dell'errore lessicale che la avvicinava a condividere
qualcosa con lui, Demelza si corresse subito. "Intendevo...
che... in fondo..." - balbettò.
Ross,
divertito, le si fece più vicino. "Cosa?".
E
lei arrossì. "Beh, abbiamo in un certo senso un obiettivo
comune: io devo rappresentare la famiglia Boscawen coi più
potenti e
voi dovete impressionare favorevolmente gente potente che guida la
banca di Londra. Come vedete, in un colpo solo, soddisferemmo le
esigenze di tutti".
Ross
si guardò attorno, deciso a non darle tregua, divertito dal
rossore
comparso sul suo viso. "E duchi e contesse? E principesse varie?
Non dovreste parlare anche con loro?".
Demelza
abbassò lo sguardo, in evidente imbarazzo e
difficoltà. "Non
stasera" – disse infine, per tagliare quel discorso che aveva
portato Ross così pericolosamente vicino a lei.
"Perché?"
- insistette Ross, avvicinando ulteriormente il suo viso a quello di
lei.
Il
cuore di Demelza batteva all'impazzata, come sempre succedeva quando
lui era vicino. Era dannatamente attraente e la sua voce calda, quel
suo 'perché' detto così vicino alle sue labbra...
Santo cielo, che
poteva pensare la gente che li vedeva? E lei, lei perché non
si
spostava e sembrava paralizzata dalla presenza di Ross?
Deglutì,
stringendo i pugni, imponendosi di riprendere possesso della
situazione. "Avete chiesto un prestito alla principessa
Margareth?".
Preso
alla sprovvista, Ross spalancò gli occhi. "No!".
"Al
principe Edward?".
"No".
"Alla
Banca di Londra?".
"Sì".
Demelza
allargò le braccia. "Vi siete risposto da solo".
Ross
avrebbe voluto replicare ma alla fine sorrise. Era scaltra,
intelligente e sapeva uscire da ogni situazione se voleva. Dimostrava
una forza di volontà notevole, una buona dialettica e sapeva
essere
pungente ed ironica quanto e più di lui. "D'accordo, avete
vinto! Quindi sono nelle vostre mani, che si fa?".
Demelza
prese un profondo respiro e coraggio e poi indicò due uomini
elegantemente vestiti che, seduti su un divanetto, parlavano fra loro
disinteressandosi di tutto quello che li circondava. "Mister
Smith e Mister Tornton della Banca di Londra, giusto? Li ho visti
spesso in visita da Lord Falmouth".
Ross
si voltò ad osservare i due uomini e immediatamente li
riconobbe.
Era con loro che aveva parlato, quando Falmouth lo aveva introdotto
alla Banca di Londra e di certo erano persone che possedevano immense
ricchezze da utilizzare a loro piacimento. Pensò alla Wheal
Grace,
ai suoi minatori, alle povere famiglie del distretto, a Francis,
Geoffrey Charles, zia Agatha... Ed Elizabeth... Santo cielo, odiava
dover chiedere a persone del genere un aiuto ma non poteva fare altro
e il suo solo orgoglio non avrebbe né ripagato i debiti
né fatto
sopravvivere la sua miniera. Guardò Demelza e in quel
momento si
sentì di avere accanto un grosso aiuto, quasi fossero per
davvero
una squadra. E la cosa strana era che non gli era accaduto quando si
era recato alla banca di Londra con Falmouth che di certo era ben
più
potente della splendida donna che aveva accanto. "Andiamo a
salutare, allora".
Demelza
annuì e poi, silenziosamente, lo seguì.
Raggiunsero
i due uomini e Ross cercò di esibire il suo miglior sorriso.
"Buona
sera signori. E' un piacere rivedervi, anche se di certo non vi
ricorderete di me".
I
due uomini, interrotti nel loro discorso, alzarono gli occhi su di
lui, quattro occhietti piccoli e sospettosi.
Per
un attimo cadde un silenzio imabarazzato ma fu Demelza a spezzarlo,
ormai decisa a portare a termine quella missione speciale. "E'
un piacere vedere volti amici come voi, in assenza di mio marito mi
sentivo un pò spersa ma scorgervi fra tutti, mi ha
rincuorato".
I
due, a differenza di quanto fatto con Ross, la riconobbero subito e
si affrettarono ad alzarsi ed esibirsi in un inchino. "Lady
Boscawen, buona serata a voi".
Demelza
indicò Ross che, dallo sguardo, stava decisamente
spazientendosi e
questo non avrebbe portato a nulla di buono. "Credo che
conosciate già il nostro amico di famiglia Ross Poldark.
Lord
Falmouth deve avervelo presentato alcune settimane fa".
Finalmente,
i due parvero destarsi dall'amnesia. "Oh, ma certo! Perdonateci
Poldark ma davvero, vediamo troppe persone e la nostra mente non sta
al passo col ricordare i volti. E' un piacere vedervi a questa festa,
state cercando di entrare nella vita dell'alta società?".
Ross
fece per rispondere con tagliente ironia ma Demelza, riconosciuto il
luccichio del suoi occhi che anticipava guai e parole poco consone
alla situazione, lo fulminò con lo sguardo. E Ross
cambiò rotta.
"Non proprio, sono un tipo solitario. Ma ho accettato con
piacere di accompagnare Lady Boscawen visto che suo marito non
può
presenziare alla serata".
Demelza
sospirò, più rilassata. "Mio marito non sta molto
bene e
Falmouth...".
Mister
Smith rise. "Oh, lo conosciamo quella canaglia! Odia tutto
ciò
che è vita sociale e divertimento".
"Già"
– ammise Demelza – "Ma ultimamente sta migliorando".
Mister
Tornton guardò Ross con interesse. "Dobbiamo ancora
rispondere
alla vostra domanda di prestito. Ci avete ben impressionato,
sapete?".
"Davvero?"
- chiese Ross, sospettoso.
Tornton
annuì. "Sì, con l'influenza di Falmouth avreste
potuto
ottenere molto più denaro, lui come garante è una
certezza. Eppure
vi siete accontentato di chiedere una somma piccola, un nulla
rispetto a quello che potevamo offrirvi...".
Ross
allargò le braccia. "Non amo indebitarmi più di
quanto sia
necessario. Ho chiesto solo il denaro che mi serve per mandare avanti
alcuni mesi la mia miniera e vedere se vale la pena tenerla in
funzione".
Smith
annuì. "Ah già, siete della Cornovaglia, terra di
minatori".
Lo
disse con una punta di disprezzo e altezzosità che a Ross
non
sfuggì. E nemmeno a Demelza. La donna captò
nuovamente in Ross la
sua parte ribelle e senza freni pronta ad esplodere e con un gesto
gentile e nascosto gli sfiorò il braccio per indurlo a non
cadere in
nessuna provocazione. E parlò ancora, al suo posto. "La
Cornovaglia dona minerale che rende vivibile la vita di molti
inglesi" – disse, quasi a voler dare giustizia a quel mondo
da
cui proveniva anche lei, un mondo di cui mai si sarebbe vergognata.
Smith
annuì. "Certo, certo! Nulla in contrario con questa
affermazione! Ma è un mondo complicato e voi siete di
famiglia
antica e nobile, signor Poldark. Perché non abbracciare la
vita di
Londra e lasciarsi alle spalle la miniera? Con Falmouth come
sostenitore, le porte di Westminster si spalancherebbero per voi".
Ross
osservò Demelza come a voler trovare in lei la pace
necessaria a
rispondere a tono ma senza essere offensivo. Già due volte
lo aveva
salvato dal mostrare il peggio del suo carattere e in quel momento si
rese davvero conto che era bello essere nella stessa squadra con lei
che sapeva bilanciare senza fatica i lati più complicati del
suo
carattere. Odiava quei due palloni gonfiati ma aveva bisogno di loro
ed inoltre non poteva mostrarsi scortese o avrebbe gettato fango sui
Boscawen che comunque lo stavano aiutando. E avrebbe fatto morire di
imbarazzo Demelza. E alla fine decise di essere franco, schietto ma
educato. "Amo la mia terra e le sue tradizioni. E la gente con
cui sono cresciuto. Se fare politica porta a migliorare la vita delle
persone, io nel mio piccolo cerco di farlo con la mia miniera. Mio
padre diceva che noi Poldark abbiamo il rame nel sangue e fin ora non
posso smentirlo".
Smith
rise, sguaiatamente, offrendo a Ross un bicchiere di vino portato da
un servitore. "Rame nel sangue! E siete accompagnato a una donna
che ha il colore del rame nei capelli! Bella casualità
davvero!".
Ross
e Demelza sussultarono, guardandosi negli occhi. La guardò,
notando
quel particolare a cui forse non aveva mai pensato e si accorse che
era vero, aveva il rame, il colore della Cornovaglia nei capelli.
Quei capelli bellissimi che si muovevano nel vento mentre galoppava,
quei capelli che lo avevano stregato fin dal loro primo incontro.
Sorrise, stavolta dolcemente, a lei e poi a loro, con l'animo
stranamente più leggero. "Come vedete anche voi allora, non
ho
davvero scelta".
Tornton
annuì. "Il vostro prestito è pronto e firmato
sulle nostre
scrivanie. Lunedì mattina avremmo voluto avvertire di questo
Falmouth, ma fintanto che siete quì, ve lo diciamo
direttamente.
Prendete quei soldi, fateli fruttare e tornate alla vostra
Cornovaglia, se è questo che desiderate! E ci auguriamo di
rivedervi
ancora da queste parti, oltre che per saldare il debito, anche per
aprire un conto alla nostra banca coi soldi che la miniera vi
frutterà, quando sarà attiva".
Ross
sentì le gambe tremargli. Era vero, era una piccola cifra ma
per lui
significata tutto. Speranza, vita, un respiro dalla crisi... "Grazie"
– disse solo, con riconoscenza. Anche se non sopportava quel
mondo,
quel mondo era l'unico a potergli tendere la mano e ormai lo aveva
capito perfettamente. "Non lo dimenticherò".
I
due uomini annuirono tronfi di soddisfazione, come se avessero appena
compiuto un atto di carità verso un deleritto ma Ross
lasciò
perdere. In fondo era davvero senza speranza prima di quel viaggio e
offendersi perché qualcuno glielo faceva notare non sarebbe
stato
intelligente. E di questo pensiero raggiunto a fatica, doveva
ringraziare Demelza. Se non fosse stato per lei, avrebbe risposto
sgarbatamente e a tono a quei due, li avrebbe presi a sberleffi,
avrebbe mostrato il suo carattere arrogante e attaccabrighe e sarebbe
tornato a casa con una condanna a morte scritta per la Wheal Grace.
Era stata la sua spalla, un sostegno, un aiuto disinteressato e una
presenza costante e vera che lo aveva fatto sentire parte di qualcosa
e non più solo, a combattere coi demoni del mondo.
Demelza
gli sorrise dolcemente. "Avete ottenuto il prestito e non li
avete presi a pugni. E' un successo, no?".
Le
sfiorò la mano, delicatamente, come desideroso solo di un
contatto
con lei. "Già".
Demelza
rispose alla stretta. "E allora, presto tornerete a casa?"
- chiese, con una punta di tristezza nella voce.
Quel
pensiero spezzò il suo momento di gioia. Tornare a casa,
sì, da
lunedì avrebbe potuto farlo senza indugi. Lo aspettavano in
tanti in
Cornovaglia e tutti dipendevano da lui. Eppure ora che era
lì, con
lei, non voleva partire. Chissà quando l'avrebbe rivista...
Chissà
SE l'avrebbe rivista... "Non ora, non stasera" – le
rispose, mentre il ballo e le persone attorno a loro perdevano
consistenza e lui con Demelza, finivano in un mondo alternativo. Dove
non c'era nessuno, solo loro due, coi loro occhi incatenati l'uno
nell'altra. E anche se odiava ballare, d'istinto la prese per la
vita, la avvicinò a lui e le sue narici furono inebriate del
profumo
della sua pelle liscia sotto le sue mani. "Ballate". Lo
disse come fosse un ordine, non chiese, non ce n'era bisogno.
Lei
tremò a quella stretta ma non si sottrasse, non
cercò di scappare e
neppure abbassò lo sguardo per l'imbarazzo. Anche per lei
era
impossibile smettere di guardarlo negli occhi e una forza, una forza
irresistibile la spinse ad avvicinarsi ulteriormente a lui.
In
quel momento per entrambi non esisteva nulla. Non Hugh, non
Elizabeth, non i debiti, non Falmouth, non la Grace, non quella
festa... C'erano solo loro a vivere un momento che entrambi nel cuore
avevano desiderato silenziosamente a lungo, quasi con paura, cercando
di sfuggire a quell'attrazione che, avevano capito, non potevano
sconfiggere.
"Avevate
detto di odiare il ballo" – sussurrò lei, col viso
vicino a
quello di lui.
"Lo
odio, infatti...".
"E
ora...?".
"Stasera
è diverso" – le rispose, con voce calda. "E avete
il
rame nei capelli e trovo che davanti a questo non possa sottrarmi ai
miei doveri e desideri".
"Non
dovremmo" – sussurrò lei, sempre meno convinta,
sempre meno
propensa a tenerlo lontano. Desiderio... Santo cielo, cos'era se non
quello? Che mai avrebbero potuto soddisfare ma che non potevano non
provare...
Lui
sorrise. "E' tutta la vita che faccio cose che non dovrei fare.
E non mi sono mai pentito di nulla".
"Partirete?".
Ross
annuì, mentre arrivavano al centro della sala da ballo,
tenendola
stretta a se. "Devo".
"Vi
rivedrò?".
"Lo
desiderate?" - chiese, sussurrando nel suo orecchio.
"Credo
di sì".
La
presa di Ross sulla sua vita si fece più forte. "E allora
succederà".
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Capitolo 19 *** Capitolo diciannove ***
I
due giorni seguenti al ballo erano stati come sospesi, per Demelza.
Ogni
attimo di quella serata continuava a scorrerle nella mente e negli
occhi e niente riusciva a distrarla dai suoi pensieri e da tante
domande che si affollavano dentro di lei senza trovare risposta.
Domande che non avrebbe voluto farsi ma che era impossibile non fare
affacciare ai propri pensieri... Cosa sarebbe successo se avesse
conosciuto Ross Poldark prima di Lord Falmouth? Cosa sarebbe successo
se non fosse stata sposata con Hugh? Come sarebbe andata a finire la
serata, se fosse stata una donna libera?
Era
stato bello, era stato strano... Eppure, nella stranezza, si era
sentita al suo posto, al sicuro in un luogo che di solito le incuteva
timore, aveva parlato con persone che di solito la terrorizzavano
senza problemi e con spigliatezza ed era stata il viatico al successo
di Ross con la Banca di Londra. Aveva danzato con lui e aveva sentito
i loro corpi vicini, tanto vicini... E non le era sembrato
abbastanza... Aveva guardato nei suoi occhi scuri e vi si era persa
ma senza paura, aveva sentito le sue mani stringerle la vita e non se
ne vergognava, aveva danzato con un uomo che non era suo marito e in
quegli istanti aveva solo desiderato che quell'orchestra non
smettesse mai di suonare per loro. Mai si era sentita così,
non ad
Illugan e poi, anche se la sua vita era diventata comoda, nemmeno
dopo il suo incontro coi Boscawen. Incontrare Ross Poldark,
conoscerlo, era stato come trovare quel vuoto che sentiva in se
stessa e nella sua vita e che mai era riuscita pienamente a colmare
nemmeno dopo il matrimonio con Hugh.
Ora
ne era pienamente consapevole, era attratta da lui, tutto di
quell'uomo sembrava avere l'effetto di una calamita su di lei: i suoi
occhi, le sue mani, le sue labbra, il suo viso, il suo sguardo, il
fisico asciutto e muscoloso...
Era
una donna, conosceva se stessa e sapeva anche che esistevano tipi di
sentimento simili anche se fino all'anno prima aveva creduto non
facessero parte di lei. Ma ora che li provava, era così
difficile
rinunciarvi...
Eppure
doveva! Non voleva diventare una di quelle donne che rimangono
sposate per convenienza riempiendosi l'esistenza di amanti, non
desiderava nulla del genere! Voleva solo essere una brava moglie,
fedele, attenta, affettuosa. Forse Hugh non era l'uomo della sua
vita, la sua perfetta anima gemella, ma era colui che aveva deciso di
sposare e per quanto la riguardava, un matrimonio è per
sempre.
Eppure,
quanto era stato difficile non rivedere Ross dopo il ballo?
Per
i due giorni successivi si era rintanata nella sua casa, accanto a
Hugh. Suo marito stava fin troppo male per accorgersi appieno dei
suoi turbamenti e lei aveva potuto prendersi cura di lui mentre
dentro se stessa combatteva la più dura delle battaglie fra
cuore e
ragione...
Lei
e Ross avevano danzato insieme in una specie di bolla magica ma
finito il ballo, in preda a sentimenti tanto forti e sconvolgenti per
entrambi, avevano capito che stavano andando troppo oltre e che ad un
certo punto non sarebbero riusciti a fermarsi... Dopo aver ballato,
era calato uno strano silenzio fra loro e nessuno dei due era
riuscito a spezzarlo nemmeno con una battuta. In fondo forse nemmeno
volevano interromperlo quel silenzio, l'unica barriera che avessero a
difenderli dai sentimenti reciproci. Neanche Ross, di solito
bravissimo in queste cose, era riuscito a smorzare la tensione fra
loro e anche lui si era fatto silenzioso e cupo e in quei momenti
Demelza si accorse che sapeva diventare un uomo davvero
imperscrutabile, quando voleva.
L'aveva
accompagnata a casa e nemmeno nel tragitto si erano scambiati
chissà
quali parole e lei aveva avuto così modo di rintanarsi nei
suoi
pensieri, chiedendosi al contempo cosa pensasse lui. Mentre ballavano
si erano guardati con desiderio, passione, si era sentita bruciare e
il pensiero le era corso a quel giorno in cui l'aveva visto nuotare
completamente nudo nel mare. L'immagine di quel corpo perfetto le era
tornata nitidamente negli occhi e non aveva potuto non chiedersi come
fosse essere toccata da quel corpo, amata, come lui prendesse una
donna, con che passione l'amasse...
Si
era vergognata di quei pensieri ma li aveva anche accettati
perché
facevano ormai parte di lei. Li avrebbe tenuti a bada e un giorno
sarebbe passato tutto ma in quei giorni poteva solo sentirsi
fallibilmente umana, fatta di carne e sangue vivo...
Stava
albeggiando e Demelza si avvicinò alla finestra,
completamente
vestita. Non si era cambiata dalla cena ed era rimasta a vegliare su
Hugh che aveva la febbre alta ma non sarebbe riuscita a dormire
comunque.
La
sera prima aveva incrociato Falmouth con Ross che chiacchieravano in
giardino e gli avevano comunicato che il giovane sarebbe partito
all'alba, all'indomani. Ross si era dimostrato cortese, gentile,
l'aveva salutata usando tutte le buone maniere che Falmouth adorava,
ma i suoi occhi profondi fissi su di lei sembravano volerle dire
molto di più.
Era
una partenza difficile quella, per lei... Sapere che lui sarebbe
partito e che non si sarebbero rivisti per chissà quanto, la
esasperava terribilmente. Sapeva che sarebbe stato meglio
così, che
la lontananza le avrebbe facilitato ogni cosa, ma il suo cuore
sanguinava all'idea che non sarebbero più stati nella stessa
città
e che tante miglia li avrebbero divisi...
Davanti
a Falmouth aveva salutato cortesemente, ma avrebbe voluto un momento
solo con lui prima della partenza. Voleva ringraziarlo per quanto
aveva fatto per lei durante il ballo e all'orfanotrofio, per le
risate che le aveva fatto fare nonostante i tanti problemi che la
affliggevano e rinnovare la promessa di rivedersi presto. Non sapeva
perché, non gli doveva nulla ma il suo cuore le suggeriva
che invece
gli doveva molto. Forse non avrebbe potuto avere mai nemmeno un
attimo solo con lui ma di certo Ross Poldark le aveva insegnato
più
di chiunque altro qualcosa su se stessa.
Mentre
osservava fuori dalla finestra, con Londra ancora immersa nel buio
della notte, sentì Hugh lamentarsi nel letto e
tornò alla sua
realtà.
Si
avvicinò lentamente a lui, dolcemente gli sfiorò
il viso con una
carezza e lui aprì gli occhi. "Per colpa mia stai passando
la
notte in bianco" – mormorò, con voce gentile ma
impastata
dalle medicine e dalla malattia.
Era
così pallido e sofferente e ogni volta che lo guardava, a
Demelza si
stringeva il cuore. Era giovane, aveva una vita davanti, era
nell'età
del massimo vigore fisico e tutto questo gli era precluso. Amava
Hugh, di un amore tenero e gentile, lo avrebbe amato sempre anche se
in quel momento si sentiva divisa e confusa e mai lo avrebbe
abbandonato. Sapeva qual'era il suo posto... "Quando starai di
nuovo bene e sarò malata io, mi restituirai il favore"
– gli
sussurrò tentando di apparire ottimista, baciandolo sulla
guancia
con affetto.
Hugh
la guardò come se si sforzasse di volerle credere e poi le
strinse
la mano. "Io non voglio che tu sia malata. Mai!".
Lo
abbracciò. "Farò del mio meglio, allora".
Lui
tossì, forte, contorcendosi come se questo gli provocasse
dolori
intensi. Demelza gli diede un pò d'acqua, gli
sistemò il cuscino e
poi gli sfiorò la fronte. "Prendi un pò di
medicina, starai
meglio".
"Mi
fa sempre dormire, è come essere morto prima di esserlo per
davvero"
– si lamentò lui.
Demelza
deglutì. Sapeva che in effetti lui aveva ragione e che la
morfina
gli toglieva, assieme al dolore, quel poco di energia che ancora
aveva, ma era anche consapevole che era meglio vederlo dormire
piuttosto che guardarlo impotente a contorcersi dal male. Un male
sconosciuto, incurabile all'apparenza, che sembrava inghiottire pezzo
per pezzo il suo corpo. "Prendine solo un pò,
così potrai
riposare".
Hugh
tossì di nuovo e poi alla fine, sfinito, cedette. Bevve un
pò della
medicina che Demelza gli aveva preparato e poi si accasciò
sul
cuscino, sprofondando nuovamente in un pesante sonno.
Demelza
rimase ferma ad osservarlo, pensando a tutto quello che l'aveva unita
a lui da quando si erano conosciuti. Era diventata donna e moglie con
lui, una lady, Hugh le aveva dato più di qualunque altra
persona.
Forse non quello che lei desiderava davvero, quello che la faceva
sentire completa, ma l'aveva riempita di affetto, attenzioni, le
aveva dato una casa e una famiglia e una posizione in
società
probabilmente troppo pesante per lei ma che le dava una sicurezza che
poche donne potevano permettersi.
Quando
fu addormentato, tornò alla finestra a guardare fuori, persa
in quei
pensieri sulla sua vita che solo in quegli attimi di silenzi e
solitudine poteva permettersi.
Iniziò
a piovere, lentamente, in un cielo che albeggiava ma che diventava
via via più grigio. E in quel momento vide il maggiordomo
uscire
dall'ingresso principale, con in mano un baule da viaggio. E dietro
di lui, coperto da un pesante mantello, Ross Poldark.
Il
cuore di Demelza prese a battere forte, di nuovo, nel vederlo di
schiena allontanarsi e avvicinarsi al cancello. Osservò Hugh
e capì
che doveva andare a salutarlo per essere in pace con se stessa oppure
il ricordo di quel ballo e di quanto non si erano riusciti a dire
dopo, l'avrebbe tormentata allontanandola ancora di più da
suo
marito.
Si
avvicinò al letto, diede un leggero bacio sulle labbra a
Hugh e poi,
dopo essersi messa una mantella sulle spalle, uscì dalla
stanza e
scese verso la porta d'ingresso che portava ai giardini.
Percorse
i vialetti minori per non essere vista, si appostò dietro
una pianta
per non incrociare il maggiordomo che rientrava dopo aver caricato
sulla carrozza il bagaglio di Ross e poi, una volta che lo ebbe visto
rientrare, corse fuori.
La
pioggia era diventata battente, Londra era ancora deserta e il buio
avrebbe celato ai pochi eventuali curiosi la sua identità.
Il
cocchiere stava ancora sistemando le imbragature dei cavalli, Ross
doveva essere il primo cliente della giornata e nessun altro sembrava
presente alla scena. E quindi si avvicinò al portellino
ancora
aperto e Ross era lì, sprofondanto nelle poltrone,
rannicchiato
sotto al suo mantello.
Appena
la vide, per un attimo lui parve stupito. Ma fu solo un attimo... Non
le disse nulla, allungò solo la mano prendendo la sua e la
aiutò a
salire dentro, all'asciutto come se fosse la cosa più
naturale del
mondo. Non chiese niente, né perché fosse
lì, né cosa volesse
fare. Era come se Ross Poldark sapesse che sarebbe arrivata e lo
giudicasse normale...
E
questo, per Demelza, era qualcosa che faceva paura. Come si
comprendessero, come sapessero leggersi nella mente, come si
capissero con un solo sguardo. Avrebbe dovuto essere così
con Hugh
ma stava succedendo con uno sconosciuto incontrato per caso a un
ballo... "Non mi chiedete perché sono quì?" -
domandò,
sapendo quanto fosse pericoloso chiedere...
Lui
sorrise. "Sarebbe stato più strano non vedervi" –
le
rispose, con voce calma, gentile, ma che nascondeva comunque una
solida faccia tosta e tanta sicurezza in se stesso.
"Sembrate
molto sicuro di voi..." - ribatté, con voce tremante, persa
ancora in quello sguardo che pareva studiare ogni tratto del suo
volto.
Ross
annuì. "D'accordo, se davvero ci tenete... perché
siete quì?".
Demelza
arrossì, accidenti a lui! Non lo sapeva nemmeno lei ma
sapeva che
doveva esserci. "Volevo... salutarvi...".
"Lo
avete già fatto ieri".
"Non
come avrei voluto..." - ammise lei.
"Nemmeno
io" – ammise lui a sua volta.
Demelza
si torse le mani, seduta a tu per tu davanti a lui. Era nervosa,
spaventata dai suoi stessi sentimenti ma consapevole di non poterli
più ignorare. "E' stato bello il ballo... con voi... Non ero
ancora riuscita a dirvelo e volevo farlo... DOVEVO farlo prima che
partiste".
"Non
era necessario...".
"Lo
era per me! E' stato grazie a voi che mi sono sentita sicura e
coraggiosa in una di quelle serate che in genere mi terrorizzano e
volevo dirvelo, volevo ringraziarvi, volevo...".
Ross
la interruppe, notando quanto fosse in difficoltà
nell'esprimere i
suoi pensieri. "Voi non avete bisogno di me, avete solo bisogno
di ammettere a voi stessa che siete in gamba e perfettamente in grado
di cavarvela da sola. Non avete certo necessità, come molte
damine,
di una guardia del corpo o un protettore. Non ho fatto davvero nulla
di eccezionale, non dovete ringraziarmi".
Lei
sorrise. "Non credo di essere forte come dite voi ma anche se lo
fossi, è stato piacevole avervi al mio fianco".
"E
per me è lo stesso e devo ammettere che senza di voi avrei
combinato
qualche disastro coi tizi della banca, vanificando tutto quello che
Falmouth aveva fatto per me. Sono io a dovervi ringraziare, se la mia
miniera potrà vivere qualche altro mese è grazie
a voi e a come mi
avete supportato. Io avrei preso a pugni quei due, se devo essere
sincero".
Demelza
ridacchiò, non faticava a credere che sarebbe finita
così, Ross
Poldark era un tizio fin troppo istintivo per pensare che sarebbe
stato un cagnolino fedele e ubbidiente ai dettami di Falmouth. Ma
anche se lo aveva guidato alla ragione per aiutarlo, non poteva dire
di non essere affascinata da quel lato selvaggio di lui. "Nemmeno
voi dovete ringraziarmi. E' stato un successo, siamo una buona
squadra e alla fine ne abbiamo avuto la dimostrazione".
Ross
annuì. "Dovremmo rifarlo, potremmo conquistare il mondo".
Le
sarebbe piaciuto rifarlo, quelle erano parole che desiderava sentirsi
dire e lui sembrava averlo capito, nel pronunciarle... "Io non
dovrei essere quì, ora" – mormorò, con
voce spezzata,
comprendendo quanto fossero troppo vicini.
"Ma
ci siete e per vostra volontà" - rispose lui, con gli occhi
scuri fissi su di lei.
"Non
potevo farne a meno" – ammise Demelza – "Volevo
salutarvi come si deve perché ieri, con Falmouth,
è stato come
salutare un normale conoscente e da quel ballo non lo siete
più".
Ross
ci mise un attimo a rispondere, capendo che quanto provato da
entrambi era stato troppo forte per essere ignorato. Erano stati una
cosa sola durante quel ballo, qualcosa di forte, potente, qualcosa di
passionale e unico. Rispetto, desiderio, bellezza e passione si erano
fusi durante quella danza e i loro sguardi avevano lasciato
trasparire più di quanto avrebbero mai permesso alla loro
voce di
dire. "No, immagino che sia complicato essere solo conoscenti.
Ma in fondo abbiamo scelto di essere amici, no?".
"Sì...".
La
mano di Ross si alzò lentamente, si poggiò sulla
guancia di lei e
in un gesto istintivo, prese ad accarezzarla piano, lasciando sul
viso di Demelza una scia di fuoco. "Ci rivedremo?" -
domandò, anche lui incerto, anche lui in fondo impaurito da
quell'imminente distacco.
"Sarà
complicato...".
"Ma
troveremo il modo?".
Demelza
annuì, spaventata e allo stesso tempo catturata dal suo
sguardo, dal
calore della sua mano poggiata sul suo viso, dalla sua presenza
così
totalizzante. "Lo troveremo, certo..." - sussurrò,
poggiando la mano contro quella di Ross e incrociando le dita alle
sue.
Rimasero
così, per lunghi istanti che avrebbero voluto infiniti.
Fu
il cocchiere a spezzare quel silenzio così carico di
tensione ed
emozioni e fu meglio così o Ross sentiva che in uno dei suoi
gesti
istintivi l'avrebbe baciata e che forse lei non lo avrebbe respinto.
"Possiamo
partire, signore! I cavalli sono pronti e i suoi bagagli sono
sistemati".
Le
loro mani si separarono immediatamente e, come due ragazzini beccati
con le mani nella marmellata, si allontanarono con un balzo.
Ross
si schiarì la voce e poi si rivolse al cocchiere.
"Sì,
partiamo!".
L'uomo
annuì, lanciò una breve occhiata indagatrice a
Demelza e poi, col
cappello celato sul viso, andò al suo posto di guida.
Demelza
sorrise a Ross, ne osservò il viso per imprimersi ogni
particolare
nella mente e poi, come se fosse la cosa più difficile fatta
nella
sua vita, si costrinse ad andare.
"Demelza!"
- la chiamò Ross mentre stava scendendo dalla carrozza.
"Sì?".
La
guardò ancora con quello sguardo intenso che le faceva
tremare le
gambe. "Avete promesso, ricordatelo".
"Non
lo dimenticherò" – rispose lei, decisa a tener
fede a quella
promessa.
Scese
dalla carrozza, chiuse il portellino e rimase ferma sulla strada a
guardarlo andare via.
In
cuor suo avrebbe tenuto fede a quella promessa e anche se non poteva
dargli più di qualche istante insieme per cavalcare, ridere,
scherzare, non avrebbe mancato a quell'impegno. Ne aveva bisogno, di
lui e di come la faceva sentire...
Demelza
ancora non lo sapeva e nemmeno Ross. Ma il destino aveva in serbo per
loro dure prove di lì a breve, prove che forse avrebbero
costretto
entrambi ad accantonare per un pò la realizzazione di quella
promessa.
...
Fu
un viaggio estenuante di due giorni, sotto la pioggia battente e
diviso per lunghi tratti con compagni di viaggio decisamente poco
simpatici: fuori Londra si era aggiunta sulla carrozza una vecchia
vedova petulante che non stava zitta nemmeno un secondo, a una
fermata intermedia era arrivata un'altra giovane donna con un bambino
viziatissimo e capriccioso al suo seguito e infine, a completare il
quadretto, era giunto anche un anziano prelato dallo sguardo severo e
con l'inarrestabile voglia di fare sermoni.
Ross
era giunto a Nampara stremato, confuso nei sentimenti, col
raffreddore a causa dell'umidità della pioggia e della
carrozza e
con le tasche abbastanza piene di denaro per far andare avanti la
Wheal Grace ancora qualche mese.
In
fondo poteva dirsi contento, per il denaro e anche per aver potuto
conoscere meglio Demelza... L'immagine e la voce di quella donna
erano stati, nei suoi ricordi, dei piacevoli compagni di viaggio e da
solo, a se stesso, aveva dovuto ammettere quanto stare in sua
compagnia lo migliorasse e lo facesse stare bene. In modo diverso da
Elizabeth... Ora che era tornato, il suo primo amore, assieme alle
immagini delle miniere che si stagliavano all'orizzonte, tornava a
farsi ossessivo, sovrapponendosi all'immagine della bellissima donna
dai capelli rossi lasciata a Londra.
L'indomani
sarebbe andato a Trenwith per informare Francis del prestito e dei
piani per la miniera e l'avrebbe rivista... Santo cielo, come poteva
pensare a due donne tanto diverse fra loro con
quell'intensità?
Erano sentimenti differenti quelli che provava, per l'una o l'altra.
Elizabeth era il sogno infranto dell'adolescenza, perfetto, pulito,
intoccabile, l'amore da fiaba e senza macchia che ognuno sogna di
vivere. Demelza era il caso, l'imprevisto capitato per un capriccio
del destino, era passione, desiderio e anche... cameratismo... Il
tutto, unito a uno strano senso di completezza che non riusciva a
spiegarsi, quando era con lei...
Aprì
la porta, era quasi sera e in cuor suo pregò che Prudie
avesse
cucinato qualcosa, era affamato.
Quando
entrò però, non c'era nulla di pronto.
Trovò solo i suoi due servi
seduti al tavolo, completamente spoglio, senza nemmeno del rhum ad
allietarli, con una faccia da funerale che lo impietrì.
I
due, appena lo videro, sussultarono. "Signor Ross, siete
quì?".
Si
tolse il mantello, lanciandolo sulla sedia. "E' casa mia, mi
pare...".
"Sì..."
- balbettò Jud.
Ross
sbuffò, esasperato. Che avevano quei due??? "E allora,
cos'è
questa faccia da funerale che avete? Che sarei tornato e che i vostri
giorni da soli, senza fare nulla, sarebbero finiti, lo sapevate,
no?".
Jud
scosse la testa. "Non è giusto, non è corretto,
non è
gentile...".
"COSA?"
- sbottò Ross.
Prudie
gli si avvicinò timorosa, con gli occhi che sembravano
stranamente
lucidi. "E' successa una cosa mentre eravate via, signor Ross.
Dovete andare a Trenwith".
Ross
si accigliò. "Cosa?".
"Un
incidente" – rispose la donna.
Impallidì.
"Che genere di incidente?".
Prudie
deglutì, abbassò lo sguardo e prese a giocare
nervosamente col suo
grembiule sgualcito. "Alla miniera...".
"E?".
Jud
intervenne con sguardo grave. "Il signor Francis è morto".
E
Ross si sentì sprofodare nelle tenebre...
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Capitolo 20 *** Capitolo venti ***
Appena
saputo da Jud e Prudie della morte di Francis, senza chiedere nulla
in più e nonostante la stanchezza del viaggio, Ross era
uscito come
un pazzo da Nampara, era montato in sella e aveva galoppato
disperatamente, col cuore a pezzi e la mente svuotata a causa dello
shock fino alla casa del Capitano Henshawe. Doveva andare subito a
Trenwith, sapeva anche questo, ma prima aveva bisogno di sapere dal
suo uomo di massima fiducia cosa fosse successo, affrontare il dolore
di Elizabeth completamente all'oscuro dei fatti era un'impresa troppo
titanica persino per lui.
Mentre
galoppava, mille pensieri incoerenti e tante domande cercavano di
farsi strada nella sua testa: Cosa era successo? Che diavolo aveva
combinato Francis? Perché era partito quando avrebbe potuto
rimanere
ed evitare quell'incubo? Perché la Wheal Grace sembrava
maledetta e
perché incaponirsi così tanto per tenerla aperta,
al costo di
mischiarsi persino coi signorotti di Londra? Perché sui
Poldark
sembrava regnare una maledizione? Perché Elizabeth e
Geoffrey
Charles dovevano vivere un lutto tanto devastante quando la vita
della loro famiglia stava finalmente navigando in acque meno agitate?
E lui, poteva evitare la tragedia? E gli altri, avrebbero potuto
farlo?
Pensò
a Francis e ai suoi ricchioli d'oro di quando era bambino, zia Agatha
lo definiva un bambolotto e nel suo modo di essere non era un
complimento quanto invece un rimarcare quanto quel nipote, nei modi e
nell'aspetto, somigliasse a un giocattolo senza carattere
più che
all'erede di un antico casato.
Ross
sapeva che non era così e che Francis, all'apparenza
delicato e di
scarso livore, nascondeva una intelligenza vivace e una strana ironia
che sapeva venir fuori anche nei momenti apparentemente più
drammatici... Erano stati legatissimi da piccoli e a lui e Verity
erano collegati i ricordi più belli e calorosi della sua,
per certi
versi solitaria, infanzia... Trenwith era stata una casa, aveva
rappresentato l'unità famigliare che a Nampara mancava dopo
la morte
di sua madre, ed ora... Ora pezzo dopo pezzo, quel mondo pieno di
certezze e calore sembrava sgretolarsi davanti ai suoi occhi... Era
stato arrabbiato con Francis, aveva tentato di odiarlo quando aveva
appreso del fidanzamento con Elizabeth mentre lui era in guerra ma
mai era riuscito davvero a detestare suo cugino. Avevano saputo
ritrovarsi dopo lunghi momenti di tensione, ricostruire una impresa
insieme, riaprire una miniera e ora che forse avevano i mezzi per
andare avanti almeno un pò ed alimentare la speranza, ecco
che il
destino esigeva il suo conto...
Henshawe
lo accolse mentre era fuori casa, seduto su una panca da solo, a
fumare la sua pipa. L'uomo era lì, col viso teso e terreo,
come ad
attenderlo...
Ross
quasi lo travolse con la sua foga e Henshawe non poté che
allargare
le braccia e frenarlo. "Non sapevo quando saresti tornato, ma
sapevo che saresti venuto subito quì".
Ross
sembrò per un attimo appoggiarsi a quell'uomo, uno dei suoi
migliori
amici, una persona saggia, giusta, una specie di fratello maggiore
che mai aveva abbandonato il suo fianco anche nei momenti
più
difficili... "Che è successo?" - chiese con affanno,
appoggiando il capo contro la spalla dell'uomo. "Jud e Prudie mi
hanno raccontato di Francis e non ho capito nulla, sono uscito di
corsa e sono venuto quì senza nemmeno accorgermene. Dimmi
che ho
capito male...".
Henshawe
scosse la testa e con poche pacate parole, gli raccontò
senza
dettagli che aggiungessero dolore al dolore, che Francis qualche
giorno prima, dopo il ritrovamento del pomeriggio di tracce di rame
in alcune rocce portate in superficie da alcuni minatori, era tornato
in miniera nel tardo pomeriggio, quando la maggior parte degli uomini
stava andando a casa, per dare un'occhiata da solo. Era troppo
emozionato da quel ritrovamento per andare a casa e troppo desideroso
di far trovare a Ross, al suo ritorno da Londra, qualcosa di
finalmente promettente.
Si
era avventurato ai livelli inferiori da solo, senza avvertire
nessuno, ed era scivolato al trentesimo livello, in un profondo
ristagno d'acqua.
Ross
strinse i pugni. "Non era mai riuscito ad imparare a
nuotare...". Il cuore gli si strinse al pensiero di quella morte
terribile, solitaria, alla paura che doveva aver provato Francis e
alla sua disperazione quando doveva aver capito di non avere
scampo... Che morte assurda, insensata, folle! Non lo meritava, anche
se aveva commesso degli errori in passato, non meritava affatto di
finire così...
Henshawe
scosse la testa. "Da Trenwith mandarono a casa mia un servitore
quando si fece buio, chiedendo notizie... Tornai in miniera con Zachy
e altri due uomini, trovammo il suo cappotto nello studio e scendemmo
sotto. Quando lo abbiamo trovato, era morto da un'ora abbondante...
Mi dispiace, non sarebbe dovuto succedere".
Ross
osservò Henshawe, provato, tremante, con gli occhi lucidi.
Sapeva
che avrebbe fatto tutto ciò che era in suo potere per
evitare quella
tragedia e sapeva anche che non avrebbe potuto affidare la sua
miniera, in sua assenza, in mani migliori. Non era colpa sua, non lo
giudicava copevole e voleva che lo sapesse senza se o ma. "Non
devi scusarti di nulla, nessun uomo ha il potere di sconfiggere un
fato nemico e tu lei il miglior uomo che potessi mettere a capo della
società in mia assenza. La verità è
che la Grace si è dimostrata
piena di promesse mal mantenute, un progetto stupito, dispendioso e
disgraziato. Mi chiedo perché mi sia venuto in mente di
aprirla
quando persino mio padre, che aveva più esperienza di me,
aveva
rinunciato...".
Henshawe
azzardò un sorriso consolatorio. "Volevi dare una speranza a
questa gente".
"E
che speranza ho dato? Lavoro che non produce ricchezza, delusioni,
morte... La Grace è un'impresa maledetta e io ora...".
"Capitano,
non dovete perdere la speranza".
Ross
lo fissò, scettico. "Possiamo permetterci di averne ancora?
Quel rame trovato che ha spinto Francis a scendere in miniera, era
effettivamente rame? C'è qualcosa per cui vale la pena
tentare e
rischiare altre vite?".
Henshawe
abbassò lo sguardo. "No, alla fine mi si stringe il cuore a
pensare che quanto trovato era semplice roccia ossidata...".
Ross
alzò lo sguardo al cielo, maledicendolo per la misera vita
che molti
conducevano sotto di lui. La dolcezza e le emozioni vissute a Londra
diventavano ormai un pallido ricordo e la quotidianità della
sua
povera vita in una terra senza prospettive dove lui e tanti altri
cercavano di vivere al meglio, ricomparve nella sua grigezza ai suoi
occhi. Era Ross Poldark, proprietario fallito di una miniera
maledetta, non un giovane e aspirante politico che avrebbe potuto
cambiare il mondo e che si divideva fra i salotti del potere ed
eleganti serate passate in feste prestigiose accanto a una donna
nobile che apprezzava ma che non apparteneva certo a lui e al suo
mondo. Era tutto inutile, tutto sarebbe sempre stato inutile e ogni
suo sforzo sarebbe finito in tragedia...
Henshawe
gli poggiò la mano sul gomito, in un gesto affettuoso.
"Coraggio,
ora vediamo tutto nero ma c'è sempre speranza".
Ross
scosse la testa. "Non nel mio caso, io non credo di avere
più
alcuna speranza in nulla. Ho ottenuto un prestito a Londra, un
prestito modesto che ci avrebbe permesso di continuare ancora un
pò.
Ma ora quel denaro voglio usarlo per risarcire Elizabeth della somma
versata da Francis per aprire la Grace e il resto darlo a te e agli
altri azionisti che hanno creduto a questa follia. Dopo di che, col
mio lavoro in campagna, se riuscirò restituirò
tutto alla Banca di
Londra o partirò come soldato da qualche parte e
salderò i miei
debiti con un onesto stipendio".
Henshawe
gli strinse ancora più forte il braccio. "Non essere
frettoloso. Sei sconvolto, lo siamo tutti... Ma hai ancora una
famiglia che tiene a te e ora più che mai a Trenwith hanno
bisogno
che tu ci sia. Sei il capofamiglia, adesso".
"Che
dovrei fare?" - chiese Ross, smarrito.
"Trovo
giusto che tu aiuti Miss Elizabeth dandole indietro quanto Francis
impegnò nella Grace. Il resto del denaro tienilo tu, nessuno
di noi
che abbiamo creduto in quella miniera lo rivuole indietro e nessuno
di noi vuole rinunciare a quello che era e resta un sogno. E il tuo
futuro".
Ross
sospirò. "Non riesco a pensare a nessun futuro...".
"Ma
lo hai, lo hai ancora anche se ora ti sembra impossibile crederci".
Ross
osservò il suo amico, un vero amico, uno di quelli rari che
se
incontri, allora sei un uomo fortunato. Non che si sentisse tale
quella sera, ma guardando Henshawe per un attimo si sentì
rinfrancato dalla sua presenza e dalle sue parole. "Ti
ringrazio, sei un amico".
Henshawe
gli strinse la mano. "E tu altrettanto! Ma ora, credo che tu
abbia fretta di andare, giusto...?".
Ross
annuì, c'era Trenwith ed Henshawe aveva ragione, adesso era
l'uomo
di famiglia e non poteva che correre da loro per salvare il poco
rimasto. "Ci vediamo presto".
Henshawe
annuì e poi, dopo averlo salutato, rimase ad osservarlo
mentre a
cavallo spariva nel buio della sera. Sarebbe stata una notte
difficile per tutti...
Ross
galoppò ancora come un folle e quando giunse a Trenwith
ricominciava a piovere. Bussò come un forsennato e fu Verity
in
persona, vestita a lutto, ad aprirgli la porta. "Oh mio caro,
sei tornato!" - mormorò, stringendosi a lui in un abbraccio
che
Ross corrispose senza esitazione. Povera piccola Verity, sempre
gentile, affettuosa e presente per tutti... Lei, che ora iniziava ad
assaggiare la vera felicità dell'amore, doveva di nuovo
farsi da
parte per rendere meno dura la quotidianità degli altri e
sopperire
all'assenza di Francis. Non poteva accettare che si immolasse per
tutti, non toccava a lei farlo.
"Sono
quì, sono quì" – le sussurrò
stringendosi a lei in cerca di
conforto.
Il
piccolo Geoffrey Charles comparve dietro alla zia, coi suoi capelli
biondi perfettamente pettinati. "Zio Ross" – disse
disperatamente, aggrappandosi a lui come spesso aveva fatto con suo
padre.
Ross
lo prese in braccio, stringendolo a se. "Sono quì,
tranquillo,
sono tornato!" - gli sussurrò, ricordandosi che anche lui
era
stato un bambino che aveva perso un genitore e si era sentito sperso,
spaventato e solo come sicuramente si sentiva anche Geoffrey Charles
in quel momento.
"Ross!".
L'uomo
mise in terra il bambino e guardò oltre. Elizabeth, provata,
pallida, dimagrita e vestita di nero era comparsa dal corridoio con
il passo felpato di un fantasma. Il suo cuore accelerò.
"Elizabeth...". Lei, il suo sogno, il suo perfetto ed
ideale amore era lì, con la morte nel cuore, straziata dal
lutto,
pallida, col viso spento e senza appigli a parte lui. La
guardò e
desiderò solo proteggerla da quel mondo che, con le sue
insidie e
tragedie, non avrebbe risparmiato una donna delicata e gentile come
lei... Ora, come aveva detto Henshawe, era lui l'uomo di casa, l'uomo
che avrebbe dovuto prendersi cura di tutti loro.
La
strinse a se con forza e lei lo lasciò fare, come se non
avesse
bisogno d'altro. Ross affondò il viso fra i suoi capelli e
la sentì
singhiozzare, ma poi la donna si riprese e ritrovò subito il
suo
consueto contegno, mettendosi dritta e guardando suo figlio. Non
poteva lasciarsi andare davanti a lui.
"Mamma,
piangi?" - chiese Geoffrey Charles.
Lei
scosse la testa. "No, no tranquillo, ero solo contenta di vedere
che almeno lo zio Ross è tornato a casa sano e salvo".
Ross
diede un buffetto sulla testa al bambino e poi lo affidò a
Verity
che lo portò in camera per tranquillizzarlo e leggergli una
favola.
Rimasto
solo con Elizabeth, Ross andò con lei nel salotto principale
dove
Agatha, seduta su una sedia a dondolo, sonnecchiava con le carte in
mano. Anche lei sembrava provata e improvvisamente ulteriormente
invecchiata...
Elizabeth
le si avvicinò, posandole una coperta sulle gambe. "La morte
di
Francis è stata un duro colpo anche per lei, ha passato gli
ultimi
giorni a non aprire bocca e solo oggi ha accennato qualche parola a
Geoffrey Charles. Ora si è addormentata, ne aveva davvero
bisogno e
credo che nulla riuscirà a svegliarla fino a domattina. Ed
è meglio
così".
Ross
allungò la mano ad accarezzare la guancia della sua vecchia
zia. "Ci
ha visti nascere tutti e ne ha visti morire molti... Venuti dopo di
lei, andati via prima di lei... Deve essere straziante".
La
voce di Elizabeth tremò. "E' stato un inferno per tutti e
vederti... vederti Ross... Oh, non sai che sollievo sia, sapere che
almeno tu sei quì".
Ross
la riaccolse fra le braccia, non aspettava altro e forse pure lei.
"Siamo una famiglia, ne abbiamo passate tante, sopravviveremo
anche a questo... Henshawe mi ha raccontato come è successo
e io mi
sento responsabile. Potrai mai perdonarmi, Elizabeth?".
Lei
alzò il viso, stupita. "Tu? Perdonarti di cosa? Eri a
Londra,
come potresti essere responsabile?".
Ross
sentì gli occhi pungere, ma si sforzo di mantenere la sua
fermezza.
"Se io non avessi avuto la testa dura di riaprire una miniera
morta, Francis non mi avrebbe seguito in questa follia e sarebbe
ancora quì con sua moglie e suo figlio. E invece l'ho
coinvolto e
adesso noi siamo quì. E lui no".
Elizabeth
si asciugò il viso. "Ross, tu hai ridato a Francis speranza
e
fiducia in se stesso e sono sicura che mai si è pentito
della scelta
fatta...".
"Ma
quella scelta gli è costata la vita e ora tu sei sola e
Geoffrey
Charles crescerà senza un padre!".
Lei
deglutì. "Spero di non essere proprio sola e di poter
contare
su di te".
Le
sfiorò la guancia. "Sempre e lo sai" – le
sussurrò,
ricordandosi quanto si erano detti prima della partenza e dei
sentimenti che ancora li legavano. Ora più che mai...
Elizabeth
sorrise lievemente. "Per me e Geoffrey Charles, per Agatha, per
Verity, tu sei l'unico appiglio".
"Sono
l'uomo della famiglia, l'unico adulto rimasto. E mi
dedicherò a voi
come potrò, da uomo, mettendo da parte stupidi sogni e
stupide
follie costate fin troppo a tante persone".
"Che
vuoi dire?".
Ross
allargò le braccia in segno di resa. "Che sono stanco di
combattere e di incaponirmi dietro a sogni impossibili. Che non posso
cambiare il mondo e ora l'ho capito... Che posso solo cercare di
rendere migliore la vita delle persone a me più vicine e da
oggi
solo questo sarà il mio obiettivo".
Elizabeth
si accigliò. "Cosa hai intenzione di fare?".
Le
sorrise, tristemente. "Che col prestito ottenuto a Londra, ti
ripagherò di quanto Francis investì nella Grace".
Elizabeth
spalancò gli occhi. "Ross, ma quel denaro non serviva...?".
La
bloccò. "Ciò per cui serviva, non ha
più importanza. Se mi
serviva una lezione per capire che devo smettere e che il mondo non
va come voglio io, la morte di mio cugino lo è senz'altro.
Non
permetterò che la Grace si porti via altre vite e altro
denaro e
quei soldi servono a voi più che a me. Comprerò
le quote che furono
di Francis, sarò l'unico perseguibile per il fallimento
dell'impresa, ti ridarò il denaro che ti serve e poi col
resto,
tenterò di ripagare qualche debito e gli investitori... E
lavorerò
la mia terra per ripagare il prestito...".
Elizabeth
rimase senza parole, esterefatta. Poi gli si avvicinò,
sfiorandogli
il braccio. "Ross, era il tuo sogno".
"Era,
hai detto bene".
"Non
esistono altre strade? Francis non vorrebbe".
"Francis
vorrebbe essere quì, con te e suo figlio, vorrebbe che io
smettessi
di fare l'idiota, vorrebbe saperti al sicuro e tranquilla, almeno
economicamente... Seicento ghinee non sono un gran patrimonio, ma
sono certo che per te in questo momento fanno la differenza, no?".
Elizabeth
chinò il capo. "Onestamente, sì, ne fanno eccome".
"E
allora li avrai, senza fare storie... Il capitale investito
tornerà
nelle tue mani, gli oneri della Grace, con la vendita delle quote a
me non saranno più un tuo problema e potrai respirare,
riprenderti e
avere meno preoccupazioni per la testa. Stai già passando
l'inferno
e sono sicuro di voler almeno alleviare la tua sofferenza".
Elizabeth
per un attimo tentennò e il suo volto si riempì
di sensi di colpa
difficilmente gestibili ma che Ross non riuscì ad
interpretare. Lei
non doveva sentirsi in colpa, era una vittima delle sue scelte
scellerate e tutto quello che poteva fare, in virtù della
parentela
acquisita e dei sentimenti che li legavano, era accettare. Desiderava
aiutarla, prendersi cura di lei e ora era l'unico che poteva farlo.
L'unico, come avrebbe voluto essere da anni... Ed era ironico e
orribile che per esserlo, fosse dovuto morire un uomo...
Osservò
quella donna così bella, fragile, indifesa... E
ricordò tutto
quello che lo aveva fatto innamorare di lei. Perfetta, pura, dolce,
aggraziata. Era povero, non era all'altezza di una donna come
Elizabeth ma avrebbe sputato sangue per prendersi cura di lei. Forse
non come avrebbe voluto un tempo ma in modo diverso e forse
più
completo e profondo.
"Cosa
devo dire?" - chiese Elizabeth, titubante.
"Solo
di sì, che accetti".
"Devo
farlo, soprattutto per mio figlio..." - cercò di
giustificarsi
lei.
"Per
lui e per tutto quello che serve a te".
Elizabeth
annuì, con una strana determinazione negli occhi. "Accetto".
"Brava".
Ross la abbracciò, accarezzandole la schiena, perdendosi nel
dolore
comune che era di entrambi. Tutto sarebbe cambiato con la morte di
Francis e a Ross non sembrava ancora vero che mai più lo
avrebbe
rivisto e che tutti i sogni, le speranze, i progetti, erano persi per
sempre... Erano cresciuti insieme e Francis era sempre stato un passo
indietro... Ora era andato avanti, in un modo crudele che lasciava
chi rimasto senza fiato...
E
con quel pensiero, ma col cuore più leggero per avere fra le
mani i
mezzi per fare qualcosa per Elizabeth, lasciò Trenwith e i
suoi
abitanti e nella notte si allontanò a spron battuto,
cercando di
trovare pace in quella galoppata solitaria fra le tenebre e la
pioggia. Galoppò nella brughiera, a ridosso delle scogliere
e quando
raggiunse il cimitero di Sawle e la tomba appena posata di suo
cugino, sprofondò nel terreno e finalmente urlò e
pianse il suo
dolore per un uomo che non avrebbe visto crescere suo figlio e non
avrebbe visto realizzarsi nessuno dei suoi sogni. Un uomo diverso da
lui, forse meno forte di carattere ma di certo più
saggiò, più
ironico nel suo modo di affrontare la vita e sicuramente più
profondo nell'analizzare fatti e persone. Erano nati e cresciuti
insieme e ora anche lui, come tanti altri, lo aveva lasciato solo,
con un enorme fardello sulle spalle e mille sensi di colpa che mai
avrebbero trovato davvero pace.
E
poi, dopo aver urlato al cielo e contro il fato, preso a pugni la
lapide e la terra, si rialzò e tonrò a casa. Non
c'era più nulla
da fare se non quello...
Nulla
avrebbe potuto alleviare il suo dolore e trovò un minimo di
pace
solo al suo ritorno a Nampara, quando sul letto in camera vide Sun
che dormiva tranquillamente fra le coperte.
Sun,
sole... Sembrava calato per sempre sulla sua vita ma guardandolo,
sentì come una carezza di calore accarezzargli la pelle. La
prima
sensazione non negativa di quella serata terribile... Il viso di
Demelza gli danzò negli occhi e se ne stupì. In
un momento del
genere, come poteva pensare a lei quando invece a Londra non era
riuscito a pensare affatto ad Elizabeth? Eppure Demelza era
lì, come
reale, accanto a lui, col suo sorriso gentile, il suo viso pulito e
la sua energia. Ne avrebbe avuto bisogno un pò, in
prestito...
Accarezzò
il loro gatto, il loro segreto. Si chiese se sarebbe stata delusa
dalla sua scelta di chiudere la Grace e di dare i soldi ottenuti col
prestito a un membro della sua famiglia ma poi si decise che in fondo
non erano affari di Lady Boscawen...
Eppure...
Eppure
non riusciva a non pensare a lei e a come avrebbe preferito, in quel
momento, essere a Londra a un altro ballo con lei. Un ballo, qualcosa
che odiava profondamente ma che lei aveva reso piacevole. Sicuramente
più delle tenebre che parevano aver inghiottito la sua vita,
la sua
miniera, la sua famiglia in Cornovaglia...
...
Dopo
aver controllato che Geoffrey Charles dormisse, Elizabeth
tornò
nella sua stanza con in mente la voce di Ross, il calore del suo
abbraccio, le sue parole e la sua proposta.
Seicento
ghinee... Santo cielo, in quel momento non aveva denaro e riavere
quei soldi sarebbe stato un grosso sollievo. Non aveva più
soldi per
mandare avanti la casa, per abiti nuovi, per suo figlio, per pagare
la servitù, oltre al lutto aveva dovuto attendere ad
incombenze
domestiche che nemmeno conosceva e ora Ross le stava dando sollievo.
Almeno per un pò... Seicento ghinee sarebbero finite presto
e di
certo non avrebbero risolto ogni problema, ma era sempre meglio che
il nulla che la aveva inghiottita, senza possibilità di
speranza.
Ross non poteva fare molto per lei, non ne aveva i mezzi, ma quel
poco che faceva e la sua devozione erano qualcosa che lei desiderava
e non vi avrebbe rinunciato.
Anche
se...
Odiò
se stessa per un attimo, ma poi il suo istinto di sopravvivenza e la
consapevolezza di non essere in grado di farcela da sola, la spinsero
a 'perdonarsi' per aver accettato la missiva e l'invito giunto nel
pomeriggio con essa. Era forse scorretto nei confronti di Ross, ma
che doveva fare?
Aprì
la scrivania della sua toeletta e ne estrasse la busta ricevuta poche
ore prima.
"Mia
cara Elizabeth, in questo momento di difficoltà e dolore,
sappiate
che potete sempre contare su di me. Aiutare voi e la vostra famiglia
è quanto più desidero, come sapete anche voi da
sempre mi considero
un vostro caro e speciale amico e gli amici si vedono nel momento del
bisogno. Non esitate a chiedermi, non aspetto che un vostro cenno...
Nel
frattempo, se vi è gradito, sarei felice di avervi come
ospite per
un tè domenica pomeriggio. Nulla di particolare, solo un
pomeriggio
in compagnia per cercare di pensare ad altro e al futuro che di certo
tornerà ad essere roseo.
Attendo
la conferma al mio invito e caldamente vi saluto.
George
Warleggan".
Elizabeth
prese un profondo
respiro. Sapeva che George e Ross erano nemici, che lui aveva fatto
di tutto per ferire e distruggere anche Francis e che era un uomo
pericoloso, ma con lei era sempre stato gentile e affettuoso e in
quel momento aveva bisogno di tutti, di sapere Ross vicino e tutto
per lei e dell'influenza e dei mezzi economici di George Warleggan.
Ross
avrebbe capito...
Prese
penna, calamaio e
inchiostro. E scrisse che avrebbe accettato l'invito...
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Capitolo 21 *** Capitolo ventuno ***
"Come
sta?".
La
voce di Falmouth la raggiunse mentre con aria assorta guardava fuori
da una delle finestre del lungo corrodoio al primo piano, il suo
giardino a cui l'inverno aveva spento i colori e che sembrava voler
sparire sotto la leggera coltre di neve caduta nella notte. Mancava
ancora un mese al Natale e nelle strade di Londra si iniziava a
respirare l'atmosfera festosa e d'attesa che da sempre allietava quel
freddo periodo dell'anno, una ricorrenza che lei amava e che sapeva
di calore, famiglia, affetto, ma che quell'anno aveva un sapore
particolarmente amaro.
Per
Demelza c'era ben poco da festeggiare in quel momento e il suo cuore
si era fatto opaco e spento, come il suo giardino. "Vorrei poter
dire che sta meglio ma non è così".
Gli
occhi di Falmouth si fecero lucidi. "Il mio maggiordomo
personale mi ha informato della crisi di questa notte. Vorrei poter
cercare un altro medico, sentire pareri diversi, tentare altre cure
che magari...".
Demelza
lo bloccò. Era troppo stanca e provata per avere la forza di
consolarlo e dargli speranza e non se la sentiva di mentire circa le
condizioni di Hugh, tanto chiare a tutti eccetto che a suo zio che
sembrava rifiutare la triste verità. Hugh stava deperendo, i
momenti
di veglia erano ormai rari, non si alimentava più, il suo
respiro si
stava facendo via via più affannoso e lei sapeva... Lei
sapeva che
nessuno al mondo avrebbe più potuto fare qualcosa per
salvarlo. La
malattia di suo marito, tenuta a bada per anni, era riesplosa con
violenza ed avanzava inarrestabile verso il suo prevedibile epilogo.
E lei era spezzata, devastata e si sentiva impotente davanti alla
sofferenza dell'uomo che l'aveva sposata, amata, riempita di
attenzioni e le aveva donato un futuro. Sarebbe rimasta sola, in una
grande e potente famiglia, senza la protezione gentile che Hugh le
aveva accordato sempre, proteggendola dalle situazioni che le
facevano tremare le gambe... Era un poeta, un uomo gentile e colto ed
era giovane. E la vita gli veniva strappata dal corpo da un male
oscuro che non conosceva pietà.
"Credo...
Credo che sia inutile chiamare altri medici. Quelli che lo seguono
sono i migliori di Londra".
Falmouth
picchiò il pugno contro il muro e il suono
riecheggiò nel
corridoio. "I migliori saprebbero curarlo! Non si limiterebbero
a scuotere la testa".
"A
volte anche i migliori devono arrendersi" – rispose, con voce
spezzata.
L'uomo
fece per replicare ma poi si bloccò. Era troppo intelligente
per
fingere di non comprendere quanto fosse grave la situazione e quanto
fosse inutile vedere realtà inesistenti... "E allora, che si
fa?".
Demelza
scosse la testa. "Si aspetta... E non lo si lascia solo, mai!
Tutto quello che voglio fare, è essere al suo fianco". Era
spaventoso per lei vederlo soffrire, vederlo avere crisi come quella
avuta nella notte, vederlo sbiancare, tremare preda di convulsioni,
urlare dal dolore e non poter fare niente. Niente!!!
Falmouth
poggiò le mani sul davanzale della finestra, guardando fuori
la neve
che aveva ripreso a scendere. "Questo sarà un inverno
tremendamente freddo e duro..." - sussurrò.
Demelza
si voltò verso di lui accigliata, stranita da
quell'affermazione. Ma
poi capì... Conosceva quell'uomo da abbastanza tempo per
capire che
quando per lui il dolore diventava troppo lancinante, preferiva
cambiare discorso e distaccarsi dai problemi che lo affliggevano.
"Già... E' iniziato a nevicare presto e normalmente, questo
mi
farebbe piacere. Amo la neve e le serate passate davanti al camino
assieme alle persone che amo".
"C'è
abbastanza legna in camera? Il domestico ne ha portata a sufficenza?"
- chiese Falmouth, ancora rintanato nella gestione delle faccende
ordinarie per evitare i tumulti del cuore.
"Sì,
abbastanza. Viene ogni giono a controllare che la cesta sia piena di
ciocchi".
"Dovremmo
assumere qualche infermiere per curare Hugh. Per te è tutto
troppo
pesante e hai bisogno di aiuto, anche se ti ostini a dire che ce la
fai a fare tutto".
La
donna sospirò, preparandosi a quell'ennesimo match. Falmouth
era
tornato alla realtà di Hugh e di nuovo aveva tirato fuori
quella
storia. Gli era grata per tutte le premure e preoccupazioni verso di
lei, per l'aiuto che voleva darle, per la presenza anche se discreta,
per il suo voler esserci anche se non era un uomo preparato a gestire
di persona un malato. Ma lei era nata ad Illugan e lì ci si
prendeva
cura di persona delle persone malate, era la famiglia a fare cerchio
attorno a un moribondo e non si assumevano estranei per farlo al
proprio posto. Voleva prendersi cura di suo marito, fargli sentire la
sua presenza e dargli le sue cure che un infermiere, per quanto
bravo, non poteva assicurare. Era l'amore e l'affetto a fare la
differenza e questo non poteva appartenere a un estraneo...
"C'è
già Miss Mipple ad aiutarmi".
"E'
solo una domestica di cucina!".
"Ma
mi è accanto ogni volta che ne ho bisogno e mi basta
così".
Falmouth
sbuffò. "Sei proprio una testarda donna della Cornovaglia,
orgogliosa e incapace di stare ferma anche quando potresti avere
tutto l'aiuto del mondo".
A
dispetto di tutto, Demelza sorrise. "Beh, lo prendo come un
complimento".
Falmouth
la occhieggiò con aria di bonario rimprovero per quella
battuta. "A
proposito di Cornovaglia...".
"Sì?".
"Ho
visto Lord Basset l'altro ieri, a Westminster. Mi ha portato delle
notizie davvero tragiche da quei luoghi, tragiche, inaspettate e che
mi costringeranno a modificare i miei piani e a rivedere le mie
certezze...".
Demelza
cercò di comprendere cosa intendesse dire ma alla fine si
arrese.
"Che è successo?".
Falmouth
scostò leggermente la tenda, fissando un punto imprecisato
del
giardino innevato. "Questo è davvero un inverno duro e
maledetto non solo per noi".
"Cosa
volete dire?" - chiese. Ora iniziava davvero ad allarmarsi...
Falmouth
sospirò. "Ti ricordi dei Poldark?".
Demelza
sussultò. Da quando Ross era partito, nonostante il grande
turbamento generato in lei dalla sua presenza, non era riuscita a
pensare troppo spesso a lui. La malattia di Hugh aveva assorbito
tutti i suoi pensieri e le sue energie e forse essere cuore e mente
solo di suo marito era l'unico risvolto positivo alla malattia che
glielo stava portando via. Non vedeva Ross da mesi, da quando era
tornato a casa con il prestito ottenuto alla Banca di Londra e dopo
non aveva osato chiedere di lui. Ma ora? Era successo qualcosa di
grave? "Ross Poldark?" - azzardò – "Gli
è successo
qualcosa?". Lo chiese col cuore in gola e col terrore che
qualche evento irreparabile gli fosse occorso dopo il suo rientro in
Cornovaglia.
L'uomo
scosse la testa. "No, non a lui personalmente. Ma in un certo
senso, quanto accaduto lo tocca direttamente e rimette in discussione
ogni sua scelta futura".
"Cosa
è successo?" - chiese ancora, con voce rotta.
"Suo
cugino Francis, lo ricordi?".
"Sì,
era venuto ad alcuni dei balli che abbiamo tenuto a casa nostra in
Cornovaglia. Assieme a sua sorella Verity e a sua moglie. Un uomo
particolare, intelligente, ironico ma con occhi a volte velati di
tristezza e malinconia".
Falmouth
sorrise amaramente. "Sai osservare bene le persone... Di lui han
sempre detto che era la pecora nera di casa, che non aveva carattere,
che era un inetto, che avrebbe portato alla rovina la sua
attività e
la sua famiglia... Un confronto impietoso con il vigore di Ross
Poldark".
Demelza
deglutì. "Perché parlate al passato?".
Falmouth
chinò il capo. "Ha avuto un incidente alla Wheal Grace
mentre
Ross Poldark era quì a Londra. Lo hanno trovato morto in un
pozzo
sotterraneo nel quale era scivolato. Non era mai riuscito ad imparare
a nuotare".
"Giuda!!!"
- urlò quasi, mettendosi le mani sul viso.
Falmouth
la guardò storto. "Demelza, contegno!".
Lei
arrossì, ma era troppo sconvolta per chiedere scusa e per
pensare
all'etichetta. Era incredibile pensare che la morte fosse arrivata
così, a tradimento, e che avesse strappato alla vita un uomo
che
aveva ancora molto da dire e fare per dimostrare al mondo quanto
valeva. Aveva visto Francis Poldark poche volte, non poteva dire di
conoscerlo eppure lo aveva apprezzato e lo aveva trovato una persona
squisita... A differenza di sua moglie, forse la causa della
tristezza che a volte gli trafiggeva il viso"E... E ora?".
"E
ora la Wheal Grace è chiusa, per quanto nessuno
può dirlo. Basset
mi ha detto che Poldark ha risarcito la vedova di Francis del denaro
impegnato nell'apertura della miniera, ha acquistato le azioni del
cugino defunto con parte dei soldi ottenuti quì e per il
resto sta
ripagando i suoi debiti con gli azionisti della zona. Credo abbia
perso la volontà di continuare".
Demelza
entrò in allarme. "E il prestito? Come farà a
restituirlo?".
Falmouth
sospirò. "Se sarà nei guai, interverrò
in sua vece. E' il mio
pupillo, garantirò per lui e farò in modo che non
si cacci nei
pasticci o che finisca nella prigione dei debitori. Ho ancora molte
speranze su di lui".
"Non
si farà comprare" – obiettò Demelza con
sicurezza. Non
poteva dire di conoscere bene Francis ma in cuor suo sentiva di
conoscere piuttosto bene l'animo di Ross Poldark.
Falmouth
la guardò con aria stupita per la sicurezza nel suo tono di
voce.
Fece per chiedere qualcosa ma poi parve volersi imporre il silenzio e
quindi voltò il capo con fare pensieroso, tornando a
guardare il
giardino. "Ha un carattere che colpisce quell'uomo, vero?".
Demelza
ci pensò alcuni istanti prima di rispondere. Non aveva fatto
nulla
di male fino a quel momento ma i suoi pensieri spesso erano andati
oltre il lecito e aveva paura, vergogna per questa sua debolezza che
di certo sarebbe stata poco tollerata dai Boscawen. "Ha un
carattere forte e sembra uno che non accetta regole né
costrizioni".
"Nemmeno
dell'amichevole aiuto?" - la punzecchiò il lord.
"Non
si tratta di amichevole aiuto, si tratta di aiutare aspettandosi
qualcosa in cambio. Questo non è sbagliato, non negli
affari. Ma è
un aspetto della vita che Ross Poldark sembra odiare sopra ogni cosa
e se è così che intendete avvicinarlo, siete
destinato a fallire".
Falmouth
parve nuovamente sorpreso per quanto appena udito e per la sua
sicurezza. Demelza aveva già dimostrato di saperci fare con
Ross
Poldark e anche se la cosa in un certo senso lo indispettiva per
molti motivi che non voleva nemmeno elencare a se stesso, dall'altro
non poteva che fargli comodo questo feeling che si era creato fra i
due. Certo, non era stupido, sapeva che un uomo come Ross Poldark
poteva risultare estremamente attraente agli occhi di una giovane
ragazza che da sempre aveva dovuto lottare con mille problemi, ma era
altrettanto sicuro che Demelza fosse una persona onesta e che il
matrimonio con Hugh non fosse assolutamente messo in discussione.
"Che consigli di fare?".
Demelza
scosse il capo, assorta, tornando a pensare alla insensata morte di
Francis. "Un'amicizia discreta, un telegramma di condoglianze,
nulla più. Lo apprezzerebbe più di qualsiasi
altra cosa".
"Ha
bisogno di denaro e fiducia nella sua impresa e nelle sue
capacità,
non di una amicizia discreta!" - sbottò l'uomo.
Demelza
strinse i pugni, frustrata che non capisse. Che non VOLESSE capire...
Perché sapeva che Falmouth non voleva pensare al lutto degli
altri e
a quanto fosse devastante viverlo perché pensarci,
significava
ammettere che presto sarebbe capitato anche a lui e tutto avrebbe
perso senso. "Sta piangendo suo cugino, dubito che il resto
possa interessargli".
Si
voltò a guardarlo e a Falmouth mancarono le parole per
ribattere.
E
in quel momento, trafelata, arrivò la domestica che era
stata
lasciata al capezzale di Hugh. "Signore, signora".
Falmouth
le si avvicinò. "Cos'hai, cos'è questa foga?".
La
ragazza guardò con rammarico Demelza e poi, quasi intimorita
nel
dirlo, abbassò il viso mentre si decideva a parlare. "Il
tenente Armitage sta avendo un'altra crisi e chiede della signora".
Il
cuore di Demelza parve prima fermarsi e poi accelerare di colpo.
Senza chiedere ulteriori spiegazioni corse verso le scale, a
perdifiato, salì al piano di sopra maledicendosi per aver
lasciato
solo suo marito per mezz'ora e poi piombò nella stanza.
Hugh,
sprofondanto sotto una pesante coperta, si dimenava dal dolore,
tossiva sangue e sembrava percorso da un male oscuro che lo prendeva
a morsi. Gli apparve ancora più delicato e fragile di quanto
non
fosse mai stato, tutta la loro vita insieme le scorse davanti agli
occhi e capì che erano davvero alla fine. Nessuno lo aveva
mai detto
ad alta voce ma tutti sapevano, in cuor loro, che quel momento
sarebbe arrivato.
Dietro
di lei, sentì la presenza di Falmouth che l'aveva seguita.
L'uomo,
pallido e improvvisamente con sguardo smarrito e senza speranza,
stava forse pensando alle stesse cose. La guardò e
capì che era
spaventata quanto lui e con un gesto affettuoso le diede una leggera
spinta verso il letto.
Demelza
annuì, capì che Hugh aveva bisogno di lei e che
doveva essere forte
e coraggiosa. Si avvicinò, si sedette accanto a lui e gli
prese la
mano. "Hugh...".
Lui,
smettendo di agitarsi, aprì gli occhi a fatica. "Amore mio,
dov'eri?".
Gli
occhi di Demelza si inumidirono. "Mi sono allontanata un attimo
perché avevo bisogno di fare un bagno e mi sono fermata a
guardare
il giardino mentre tornavo in camera".
Lui
tentò di sedersi ma fallì, risprofondando fra i
cuscini. "Ti
aspettavo...".
"Perdonami,
non mi allontanerò più. Dove hai male?".
"Alla
testa... E la tosse, mi spacca i polmoni, non riesco a smettere".
"E
le gambe e le braccia? Ti fanno ancora male anche loro?".
Hugh
scosse la testa mentre anche Falmouth si avvicinava al letto. "No,
non le sento nemmeno".
Demelza
e Falmouth si guardarono negli occhi, spaventati. Era un bene? O un
male? "Vuoi un pò di medicina?" - chiese la donna.
Ma
Hugh, con un grande sforzo, si rifiutò con fermezza. "Basta,
non voglio più quella droga! Se devo dormire, allora
avrò tempo da
morto per farlo! Ma finché respiro, voglio vederti!".
Demelza
sentì gli occhi pungerle ma si impose di essere forte. In
fondo lo
sapeva anche lei, quelle medicine erano inutili... E quel poco tempo
che restava loro, era quanto di più prezioso avessero e non
andava
sprecato. "Come vuoi".
"Almeno
qualche goccia di cordiale" – suggerì Falmouth,
cercando di
mantenere ferma la voce.
"Zio,
no" – rispose Hugh, con fermezza ma anche gentilezza. C'era
sempre stato grande affetto verso suo zio, era stato un padre per lui
e sapeva quanto soffrisse in quel momento e avrebbe fatto di tutto
per dargli conforto. Ma sapeva che non era in suo potere farlo...
"E
sia" – si arrese Falmouth.
Hugh
sorrise, poi tornò a guardare Demelza. "Fa freddo, vero?".
"Sì,
è inverno ormai. Fuori c'è la neve".
Gli
occhi di Hugh parvero perdersi in ricordi lontani. Li chiuse e per un
attimo parve persino smettere di respirare, ma poi li
riaprì. "Amo
la neve. Terrai le mie poesie? Ne ho scritte molte sulla neve".
"Le
conserveremo insieme a quelle che scriverai quando starai meglio"
– rispose lei, con voce rotta.
"Sì,
certo".
Hugh
guardò suo zio, cercando di riprendere un fiato sempre
più flebile.
"Mi sarebbe piaciuto che fossi più contento di me".
Falmouth
gli sfiorò la mano. "Sono sempre stato contento di te".
"E
la politica? Non mi è mai piaciuta e questo non è
piaciuto a te".
Falmouth
si sforzò di sorridere. "Ah, hai un animo troppo buono e
gentile per i demoni che affollano Westminster. Meglio così,
che te
ne sia rimasto lontano. Sei rimasto umano, in questo modo...".
Hugh
parve essergli grato per quelle parole che in un certo senso
rimettevano pace nel suo animo tormentato dall'estate precedente in
cui aveva cercato di diventare simile a Ross Poldark per piacere di
più a lui e a sua moglie. "Grazie zio... Ti prenderai cura
della mia Demelza?".
"E'
mio dovere prendermi cura di tutti voi e continuerò a farlo".
Demelza
intervenne. "Hugh, non ti sforzare" – gli intimò,
incapace di ascoltare certi discorsi.
Lui
parve non volerla sentire. Tossì di nuovo e il fiato
tardò a
tornare... Prese ad ansimare e ad agitarsi di nuovo come in cerca
d'aria e Demelza gli tenne la mano, stretta. "Hugh, sono
quì,
tranquillo".
Lui
la guardò ancora una volta, intensamente, con lo sguardo di
qualcuno
che guarda ciò che c'è di più bello al
mondo. "Mi ami?".
Lei
gli sorrise, baciandolo lievemente. "Certo, lo sai". Lo
aveva sempre amato, di un amore tenero e gentile e questo sentimento
lo avrebbe portato dentro di lei per sempre.
Hugh
rispose alla stretta alla sua mano, lievemente, comprendendo la
sincerità dei suoi sentimenti. "Sì, lo so...".
E
poi chiuse gli occhi, reclinò il capo di lato e in un
attimo, senza
quasi che i presenti se ne accorgessero, smise di respirare.
In
pace col mondo e con chi aveva più amato, Hugh Armitage
lasciò la
sua vita mortale in un freddo giorno di neve...
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Capitolo 22 *** Capitolo ventidue ***
Nonostante
la sua natura fosse votata all'ottimismo e alla perseveranza anche
davanti alle più grosse difficoltà, Demelza
pianse, pianse a lungo
senza che nessuno riuscisse a fermare le sue lacrime, pianse il
giovane che l'aveva resa donna e le aveva dato una famiglia, pianse
il marito tenero e gentile che Hugh era stato, pianse per una vita
che poteva ancora essere lunga ed intensa e che invece era stata
recisa nel fiore degli anni, pianse per quella neve che lui amava e
non avrebbe più visto, per i Natali che non avrebbe
più
festeggiato, per i disegni e le poesie che non avrebbe più
composto,
per i pranzi che non avrebbe più gustato, per quella
sensazione
piacevole che da l'aria fresca sul viso che non avrebbe più
assaporato...
Furono
mesi difficili per lei dove anche mangiare era un'impresa e si doveva
costringere a farlo. Passò a letto lunghi giorni e lunghe
notti a
bagnare il cuscino con le sue lacrime, senza vedere nulla davanti a
se e senza comprendere cosa ne sarebbe stato della sua vita, come se
la morte di Hugh avesse tolto anche a lei ogni velleità e
fiducia
nel futuro.
Per
Natale però si impose di mettere qualche addobbo nel salotto
principale, non perché avesse voglia di festeggiare ma
perché
sapeva che Hugh lo avrebbe apprezzato. Amava il Natale...
Falmouth
invece si era rimesso al lavoro subito. Instancabilmente, giorno e
notte, come se quella fosse la sua unica via di fuga da quel dolore
che non voleva affrontare fino in fondo.
Si
erano visti poco dopo la morte di Hugh, lei chiusa nel suo dolore,
lui alla ricerca di una via di fuga per sfuggirgli. La
servitù,
mandata da Falmouth per accertarsi che lei stesse bene e mangiasse,
non smetteva di fare capolino nei suoi appartamenti per chiedere di
cosa avesse bisogno, ma lei non aveva bisogno di niente. Tutto
ciò
che voleva era vedere Hugh in salute in giro per quelle stanze e un
futuro ancora da scrivere per lui e lei, mentre ora si sentiva sola,
in balia degli eventi, chiusa in una famiglia che certo, era la sua,
ma in realtà era la famiglia di Hugh a cui non aveva nemmeno
dato un
erede. Falmouth le voleva bene, il matrimonio l'aveva legittimata ad
entrare fra i Boscawen ma Demelza si chiedeva che senso avesse ora la
sua presenza lì, per tutta la vita. Non era che una ragazza
venuta
dal nulla di Illugan, che se ne faceva adesso Falmouth di lei?
Aveva
paura, non tanto per l'incertezza economica del suo futuro... Aveva
iniziato a lavorare fin da quando era piccola e lo avrebbe fatto
ancora senza problemi se necessario, non era questo a terrorizzarla
quanto piuttosto l'allontanamento emotivo da lei delle persone che
aveva imparato ad amare e considerare una famiglia... Ora che Hugh
era morto, l'avrebbero ancora voluta fra loro o si sarebbe ritrovata
completamente sola al mondo?
In
fondo Falmouth con la morte di Hugh, spinto dal dolore si era
allontanato da tutto e tutti e lei si sentiva spersa in quella casa
in cui ufficialmente era una padrona ma dove di fatto iniziava a
sentirsi ospite.
Ma
il vero problema era un altro. Demelza sapeva, aveva sempre saputo
che quello non era il mondo adatto a lei e che tutto ciò che
l'aveva
legata ai Boscawen era il matrimonio con Hugh. Ma ora, aveva ancora
senso rimanere lì per sempre? Vegetando, usufruendo di
ricchezze di
una famiglia di cui faceva parte solo per acquisizione... Lei e Hugh
non avevano avuto figli, non c'erano eredi da crescere e quindi, che
senso aveva? Che senso AVREBBE AVUTO la sua vita? Avrebbe fatto la
mantenuta usando il patrimonio di Hugh? Avrebbe pesato sulle
–
seppur floride – finanze dei Boscawen come un peso morto? Non
voleva questo, non voleva affatto approfittare della gentilezza di
una famiglia che l'aveva accolta nonostante le sue umili origini...
Amava e rispettava troppo Lord Falmouth per scegliere la strada
più
facile.
Ma
se si guardava attorno, ogni altra via le pareva sfumata,
inconsistente, priva di sbocchi... Era spersa, senza il supporto di
Hugh, senza nessuno a poterla sorreggere nel suo dolore e nel suo
lutto. E nelle scelte che avrebbe dovuto fare...
E
allora piangeva, si chiudeva in camera e la sua mente annullava tutto
il resto finché, singhiozzando, non finiva per addormentarsi
sfinita.
E
fu così, per tutto quel lungo e freddissimo inverno. Tutto
ciò che
lei sapeva era che c'era un tempo per tutto: il tempo delle lacrime,
quello del lutto, quello del dolore sordo e infine, dopo questo lungo
percorso, uno spiraglio per ricominciare a guardare il mondo con
occhi nuovi. E lei era all'inizio di questa lunga strada.
...
La
Wheal Grace era stata chiusa per tutto l'inverno e la stagione,
freddissima e ventosa quell'anno, era stata durissima per tutti gli
abitanti del distretto. Poco denaro, poco cibo, poche speranze per un
futuro migliore, epidemie di febbre, vento, pioggia e neve incessanti
e un cielo perennemente plumbeo che non aiutava a risollevare gli
animi.
Il
mare era stato furioso per mesi, infrangendosi fragorosamente contro
le coste per lunghe giornate e nottate e il fragore delle onde che si
disintegravano sulle rocce, di notte, faceva sobbalzare chi viveva
più vicino alla spiaggia.
Ross
aveva trascorso quei mesi per lo più chiuso in casa,
metitabondo nel
suo studio. Henshawe e Zacky erano andati spesso a fargli visita e
insieme avevano discusso di miniere, di nuove aperture, di un nuovo
tentativo di usare i fondi ottenuti a Londra per cercare di salvare
il salvabile e magari trovare qualche filone promettente ma Ross,
nonostante il dolore per Francis fosse diventato da violento a sordo
e strisciante, non si era mai convinto del tutto a voler riprovare.
Era tutto così assurdo e senza senso, ora... Come poteva
alimentare
la sua speranza quando Francis non avrebbe più potuto farlo?
Certo,
di notte e da solo, quando non riusciva a dormire, gli era capitato
di sgattaiolare fino allo studio per guardare mappe di cunicoli e
gallerie alla ricerca di qualche miracolosa idea che potesse
risollevarlo da quel momento buio, ma alla fine si rimetteva a letto
senza trovare la forza e il coraggio di ritentare.
Il
maltempo lo aveva reso ancora più solitario ed eccetto
Prudie e Jud
e i suoi migliori amici, difficilmente usciva di casa per vedere
altre persone.
Eccetto
per un motivo, andare a Trenwith...
Lì
c'era la sua famiglia, c'era zia Agatha, c'era Verity e poi anche
Geoffrey Charles... Ed Elizabeth... Andare da loro, rendersi utile
per loro, per LEI, ritrovare un senso di calore e famiglia erano un
balsamo per il suo animo annebbiato e solitario.
Il
capitano Blamey, ormai fidanzato ufficialmente con Verity, dopo la
morte di Francis si era recato spesso a Trenwith per aiutare dove
poteva, quando era a terra e non per mare, in lavori 'da uomo'. Dava
una mano nella gestione del giardino e della servitù,
controllava i
libri paga dei camerieri, teneva pulite le canne fumarie del camino e
con Ross si preoccupava di portare legna da bruciare per scaldarsi
dai rigori dell'inverno. Agatha continuava a borbottare davanti alle
sue carte, Geoffrey Charles lo aspettava sempre con impazienza ed
Elizabeth... Oh, era così piacevole vedere il suo sollievo
quando lo
vedeva arrivare. Gli sorrideva in modo amabile, lo trattava come se
fosse il suo salvatore e questo lo rendeva ancora fiero di se stesso
e attenuava i sensi di colpa per la fine di Francis. Forse non era un
buono a nulla e lei ogni volta sembrava volerglielo ricordare.
Averle
restituito il denaro investito da Francis nella Wheal Grace aveva
dato alla donna un attimo di respiro e una tranquillità
economica
che di certo non sarebbe durata per sempre e non le avrebbe permesso
di nuotare nell'oro, ma quanto meno non avrebbe patito la
povertà.
Non era nata per questo e Ross era convinto che non meritasse nulla
del genere.
La
guardava di sottecchi e ogni volta, sempre più, le sembrava
rimasta
immutata. Era come allora, come l'angelo sedicenne che aveva
conosciuto anni prima. Bella come allora e lui le era devoto, come
allora... E questo sentimento, giorno dopo giorno, visita dopo
visita, si accresceva sempre più...
In
giro c'erano voci su di lei, Henshawe gli aveva raccontato di aver
sentito, a Truro, pettegolezzi circa un suo avvicinamento a George
Warleggan. Ma Ross non ci credeva, non ci avrebbe mai creduto!
Elizabeth era troppo leale e giusta per una cosa del genere, non si
sarebbe mai avvicinata a qualcuno che lo aveva quasi messo su una
forca e che da anni cercava di distruggere i Poldark e inoltre... si
sarebbe confidata con lui. Avevano parlato spesso in quei mesi e ogni
volta l'aveva sentita più vicina. Non gli avrebbe taciuto
una cosa
simile!!! Lei non lo avrebbe fatto e lui non l'avrebbe offesa
chiedendoglielo direttamente. Sarebbe stato come un atto di sfiducia
verso di lei e Ross non aveva la benché minima intenzione di
arrecarle un'offesa del genere. Tutto ciò che voleva era
starle
vicino, in qualsiasi modo lei avesse voluto... E man mano che
passavano i giorni si illudeva e pensava che quanto da sempre,
segretamente, aveva desiderato assieme a lei, stesse nuovamente
diventando un sogno comune... E forse questo, assieme a poche altre
cose, avrebbe potuto fargli riconsiderare di riaprire la miniera:
dare speranza ai minatori, certo, i suoi più cari amici...
Ma anche
cercare un modo per sopravvivere e prendersi cura della sua famiglia.
O di quella che avrebbe potuto esserlo...
Solo
questo contava, solo questi pensieri lo spingevano ad alzarsi al
mattino e tutto il resto sembrò cessare di esistere nei suoi
pensieri in quell'inverno lungo e difficile.
Fu
solo a febbraio che casualmente, durante una sua visita a Trenwith,
Elizabeth lo riportò a una realtà alternativa che
aveva accantonato
nella sua mente fin dal ritorno da Londra.
Seduta
davanti al camino nella speranza di scaldarsi le mani in un giorno
freddo e ventoso Elizabeth, osservando il quadro commemorativo di
Francis, si era fatta pensierosa. "Sai, ieri è venuta mia
madre".
Ross,
seduto nella sedia accanto a lei, non era riuscito ad evitare un
ghigno irriverente. Il suo astio per la madre di Elizabeth non era
mai stato un segreto e non riusciva a dissimulare nemmeno davanti
alla donna. "Oh, per fortuna allora sono venuto oggi!".
Elizabeth
sospirò. "Ross, sai che mia madre ha sempre agito per il mio
bene e che non ha mai cercato di danneggiarti per antipatia".
"Mi
stai dicendo che è stato il destino ad imporle di mantenere
con me
quel suo atteggiamento di... distacco e alterigia?".
Elizabeth
voltò il viso verso il fuoco, evitando di rispondergli. In
realtà
sua madre era venuta spesso a Trewith per perorare un suo
avvicinamento ai Warleggan e sapeva anche che altrettanto spesso si
vedeva con George, ma questo era meglio che Ross non lo sapesse. Non
avrebbe reagito bene ad un suo avvicinamento al suo acerrimo nemico e
avrebbe reagito ancor peggio sapendo che dopo Natale, George le aveva
chiesto, con un lungo giro di parole, di considerare un matrimonio
con lui. E Ross non avrebbe digerito la sua risposta non negativa...
Aveva solo chiesto tempo per pensare, per soppesare, per superare il
lutto. Così aveva detto per prendere tempo perché
in realtà non
era ancora pronta a scegliere. O meglio, sapeva bene cosa voleva ma
non era ancora pronta a quel passo... George le avrebbe garantito un
futuro ricco e agiato, a lei e a suo figlio ma Ross era il suo sogno
da ragazza e amava essere adulata da lui, vezzeggiata, coccolata. Se
avesse detto subito sì a George, questo sarebbe finito, Ross
non
l'avrebbe presa bene e tutto sarebbe cessato fra loro. E la sua
ammirazione si sarebbe trasformata in dispezzo ed Elizabeth questo
non poteva sopportarlo... Ross non era l'uomo per lei, lo sapeva, non
era qualcuno che potesse garantirle lo stile di vita per il quale era
nata e lei non era disposta a vivere alla giornata nell'indigenza,
ma... Ma era affascinante come George non sarebbe mai stato, era
forte, bello, sfrontato... E questo le piaceva e lo voleva ancora per
se. Tutto per se!
Ross,
osservando quanto fosse pensierosa, azzardò una battuta.
"Quando
si parla di tua madre, finisce sempre con un clima gelido. Per il
nostro bene, dovrebbe essere un argomento tabù, non trovi?".
Come
destatasi dai suoi pensieri, Elizabeth annuì. "In
realtà non
volevo parlarti di lei ma delle notizie che mi ha portato".
"Quali
notizie?".
"Del
tuo benefattore, Lord Falmouth".
Ross
spalancò gli occhi rendendosi conto che per tutti quei
lunghi mesi
Falmouth, Londra, la politica e tutto quello che lo avevano catturato
erano come stati rimossi da ogni suo pensiero come se al mondo, per
lui, non esistesse che Trenwith. "Oh... Sta bene?".
"Non
lo hai più sentito via lettera?" - gli chiese Elizabeth,
stupita.
"No
e sono pessimo, lo ammetto! Devo rendere conto del prestito per cui
ha intercesso per me a Londra e da quando ho saputo di Francis...".
Elizabeth
deglutì, pensando al suo defunto marito e a quanto stava per
succedere con George. Poi scosse la testa, accantonando per un altro
momento quei pensieri. "Mia madre mi ha detto che l'altro ieri,
mentre era a prendere il tè dalla baronessa Linley, ha
sentito del
lutto che lo ha colpito".
Ross
sussultò mentre il pensiero di lunghi capelli rossi troppo a
lungo
dimenticati, improvvisamente tornava a tormentarlo. "Lutto?
Chi..." - chiese, con terrore.
"Suo
nipote Hugh. Lo ricordi? Lo abbiamo conosciuto al ballo che si era
tenuto la scorsa primavera a casa loro".
Ross
spalancò gli occhi. Hugh? Il marito di Demelza? Che non
stesse bene
di salute lo aveva capito, ma aveva sempre ipotizzato che si
trattasse di malesseri ingigantiti dalla tempra debole e dal
carattere viziato di un giovane cresciuto nella bambagia. E invece, a
quanto sembrava... Ora capiva l'apprensione che spesso aveva visto
negli occhi di Demelza e il modo in cui lei spesso sembrava volerlo
proteggere... Si sentì meschino ad aver pensato male di lui
e provò
dolore nel pensare a lei e a quanto stesse soffrendo... Per mesi non
aveva più pensato a Demelza e ora Elizabeth, quasi come un
gioco del
destino, l'aveva riportata, reale, nella sua mente. "Di cosa
è
morto?".
"Non
si sa, pare che fosse malato da tempo e che le sue condizioni si
siano aggravate dopo il viaggio a Londra con te lo scorso autunno".
Ross
rimase attonito, in silenzio, ancora una volta stupito dalla
crudeltà
della vita che a volte da ma più spesso prende senza nemmeno
chiedere...
Elizabeth
si accigliò. "Sembri annientato! Non sapevo fossi diventato
suo
amico".
Ross
scosse la testa. "In realtà no, eravamo troppo diversi di
carattere per esserlo. Sto pensando a Falmouth e a sua moglie,
immagino che per loro sia una tragedia immane".
Elizabeth
alzò le spalle, stringendosi nello scialle. "Per Falmouth
sicuramente, era il suo unico erede e aveva alte aspettative su di
lui, anche se so che Hugh le ha disattese tutte. Per lei...".
La
voce di Elizabeth si fece acida e Ross ricordò che Demelza
non le
era mai piaciuta e non riusciva a capire il perché. "Lei?".
La
donna si alzò dalla sedia, avvicinandosi a lui. "Ross, sei
davvero buono e ingenuo. Lei era una sguattera e ora si trova ad
ereditare la fortuna del marito. Dubito che abbia pianto di dolore,
se non forse per salvare le apparenze... Si trova fra le mani una
fortuna che non dividerà con nessuno, nemmeno con dei figli
che non
è riuscita a partorire. Unica erede... E' una donna furba,
ha
giocato bene le sue carte e le è andata bene".
Ross
si trovò ad essere irritato da quelle parole che, se non
fosse stata
Elizabeth a pronunciarle, avrebbe giurato dettate da una insana
invidia. "Dubito che le cose stiano così, LEI non
è così.
Capisco che tu possa giudicarla a questo modo visto da dove arriva e
il suo passato, ma Lady Boscawen è una delle persone
più gentili e
generose che io abbia conosciuto".
Elizabeth
si accigliò, indispettita. "Ross, non volevo offenderla ma
solo
essere realista. Comprendo che tu possa aver trovato piacevole la sua
compagnia, è una donna che ha già dimostrato con
Hugh Armitage di
saper essere più che gradevole, ma vedi, non devi
affezionarti
troppo a persone così. E' nata nella miseria ed è
normale che
cerchi di sgomitare e di accaparrarsi tutto il possibile stringendo
le amicizie giuste...".
"Non
è così!" - ribadì lui. Anche se era
Elizabeth a dirlo, non ci
avrebbe mai creduto. La ricordò mentre rideva felice mentre
cavalcava libera coi suoi lunghi capelli al vento, mentre aiutava gli
operai nella costruzione della scuola di Truro, mentre giocava coi
bambini dell'orfanotrofio a Londra e tutto ciò che sentiva
era che
era esattamente l'opposto di quanto Elizabeth pensava.
La
donna si morse il labbro, decisamente scocciata da
quell'atteggiamento protettivo di Ross verso una donna che non era
lei. Poi decise di sfoderare la sua arma migliore, la gentilezza e la
femminilità con cui da sempre sapeva ammaliarlo per
riportarlo dalla
sua parte. Gli accarezzò il viso, gentilmente, sorridendo.
"Sai,
come per mia madre, dovremmo evitare di parlare di lei per finire col
discutere".
Ross
la fissò di rimando, stavolta incapace di sorridere. "Sono
d'accordo".
"Sei
troppo buono" – insistette lei – "E questo a volte
ti
spinge a fare considerazioni sbagliate sulle persone. Non è
un
difetto, è un pregio essere buoni ma rende più
esposti".
"Non
sono stupido" – la ammonì. Quel discorso lo stava
decisamente
innervosendo.
"Non
l'ho mai pensato! So solo che hai un gran cuore e io lo voglio
proteggere".
Ross
si alzò in piedi, stranito da tante, troppe cose: lo strano
miscuglio di sentimenti che risvegliava in lui Elizabeth, quanto
appreso da lei su Hugh, il pensiero di Demelza... "Devo andare!"
- disse, desideroso solo di prendere aria.
"Non
resti a cena?" - chiese lei, comprendendo che stavolta le sue
moine non stavano funzionando del tutto e che forse lo aveva irritato
più del necessario...
"No,
sta per piovere e preferisco arrivare a Nampara prima che questo
succeda!".
"Capisco"
– rispose lei, suonando un campanellino affinché
il maggiordomo
arrivasse per scortare Ross fuori da Trenwith.
Lui
la guardò, la salutò gentilmente come sempre ma
poi,
frettolosamente, irritato non sapeva nemmeno lui da cosa, si
congedò.
Elizabeth
rimase alla finestra ad osservarlo andare via a cavallo, cavalcando
furiosamente. Avrebbe preferito che rimanesse a cena per riuscire a
farsi 'perdonare' per i dicorsi circa Lady Boscawen che lo avevano
irritato tanto, ma in fondo, forse, era meglio così. Ross
avrebbe
meditato e sarebbe arrivato a prendere le distanze da quella piccola
arrampicatrice sociale, avrebbe avuto occhi ancora per lei e tutto
sarebbe stato dimenticato in fretta. Non era ancora pronta a
diventare la seconda, ai suoi occhi...
Anche
se presto forse sarebbe successo, se non giocava bene le sue carte...
Tornò
alla sua camera e si avvicinò al letto sopra il quale era
posata una
grande scatola di cartone. La aprì, fermandosi ad osservare
il
meraviglioso vestito color ghiaccio che conteneva, di seta, che
George Warleggan le aveva fatto recapitare quella mattina. Sarebbe
stata bellissima al ballo della Contessa Densten e lei e George,
lì,
sarebbero stati ammirati da tutti. E lei adorava essere ammirata, era
nata per questo e in virtù di ciò non si sentiva
in colpa ad agire
come stava agendo!
Ross
la adorava e avrebbe capito... E tutto sarebbe andato bene.
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Capitolo 23 *** Capitolo ventitre ***
Quello
che era seguito alla morte di Hugh, era stato un anno di 'non vita'
per Demelza. Per lunghi mesi aveva vissuto sulla sua pelle un dolore
sordo ma bruciante, aveva pianto ogni lacrima che avesse in corpo e
raramente era uscita di casa, se non quando strettamente necessario o
per far visita alla tomba del marito.
Certe
volte le sembrava ancora impossibile che lui non ci fosse
più e che
ogni sua passione, ogni suo sogno, ogni sua speranza fosse morta con
lui. Non avrebbe più scritto poesie o fatto disegni, non
avrebbe più
rivisto il mare che amava, non avrebbe più respirato accanto
a lei
nel letto, ogni notte, faendola sentire al sicuro dentro quel mondo
che sentiva spesso tanto estraneo rispetto a lei.
Dopo
un inverno freddo fuori e dentro il suo cuore, con Falmouth votato
anima e corpo al lavoro e lei sempre più sola in una grande
casa di
cui era padrona senza sentirsi realmente tale, era giunta una
primavera dapprima piovosa e poi, di colpo, precocemente calda.
E
lì, a quel punto, con Garrick al suo fianco, aveva ripreso
ad uscire
non tanto per vezzo quanto perché cominciava ad odiare quel
suo
improduttivo immobilismo.
Per
tutta l'estate, assieme al suo cagnolino, si era recata giornalmente
all'orfanotrofio che seguiva quando si trovava nella capitale e
giocando coi bambini, condividendo il loro mondo, rendendosi utile
nel cucire loro vestiti e intagliare piccoli giocattoli in legno,
aveva ripreso timidamente a sorridere e soprattutto a sentirsi utile
a qualcosa. Garrick era sempre stato con lei ed ormai, dai piccoli,
era considerato una star e un ospite gradito quanto la sua padrona.
Con
quei bambini era un pò rinata e nonostante il dolore per la
perdita
di suo marito fosse ancora lacerante, aveva raggiunto l'obiettivo di
non piangere più ogni volta che si coricava e di guardare
ancora
alla vita con ottimismo perché pur nel dolore per chi se
n'era
andato, era una sua certezza che chi era rimasto aveva il dovere di
vivere.
A
fine agosto, Falmouth aveva annunciato il loro ritorno in
Cornovaglia.
Per
tutto quell'anno, stranamente, Demelza non aveva sentito nostalgia
per la sua casa di campagna di laggiù, nei pressi di Truro.
Ed era
un qualcosa di insolito per lei perché quella era la sua
terra e la
tenuta che avevano i Boscawen in quei luoghi non era così
spaventosamente altera, elegante e sontuosa come quella di Londra,
eppure... Eppure tornare laggiù senza Hugh, nei luoghi dove
si erano
conosciuti, era un passo che aveva continuato a rimandare. Sarebbe
stato l'ufficiale inizio di una nuova fase della sua vita e non era
ancora certa di essere pronta a incontrare le sue origini e a fare
scelte che magari, con Hugh in vita, non avrebbe considerato...
Aveva
mille possibilità davanti ed era l'unica detentrice del suo
destino:
poteva tornare ad Illugan e col denaro ricevuto in eredità,
migliorare le condizioni del suo villaggio natale. Avrebbe potuto
comprarsi una casa a Truro dove essere vicina ma comunque
indipendente da Falmouth, avrebbe potuto fare mille cose che magari
non le venivano ancora in mente ma una cosa su tutte avrebbe dovuto
fare per prima: partecipare all'inaugurazione della scuola che aveva
voluto aprire, quasi due anni prima, con l'aiuto di Hugh.
Era
per questo che rientravano in Cornovaglia e Falmouth pareva
scalpitante all'idea dell'inaugurazione di quella scuola che, si era
scelto, era stata dedicata alla memoria di Hugh Armitage.
Demelza
non aveva mosso obiezioni a quella scelta, le faceva piacere che il
nome di suo marito, amante di arte e cultura, fosse associato a una
scuola, l'unica nota stonata era che il progetto iniziale scelto
insieme era stato stravolto con l'arrivo degli azionisti e di quanto
sognato da lei e Hugh era rimasto ben poco.
Erano
partiti da Londra in una giornata tiepida di fine agosto ed erano
giunti in Cornovaglia, dopo una serie infinita di soste a causa del
mal di schiena di Falmouth, dopo tre giorni.
I
domestici avevano fatto trovare la casa in ordine, linda e pulita, il
giardino era rigoglioso e curato e i vialetti erano stati puliti da
foglie e petali che vi erano caduti.
Per
Demelza, nonostante la paura e il timore iniziali di tornare, varcare
quel cancello era stata una boccata d'aria fresca. Il suo mondo, il
suo adorato giardino, la sua terra, i domestici con in bocca
quell'accento cornish che a Londra le era mancato tanto, tutto
lì le
ricordava Hugh ma non in maniera angosciante. Era dolce pensarlo, in
Cornovaglia. Lì si erano conosciuti, lì lui era
stato felice e lì
era stato bene, non c'erano ricordi negativi a ricondurla a lui come
succedeva a Londra, lì si celebrava la bellezza di una vita,
non il
triste cammino verso la morte.
L'inaugurazione
si era tenuta la seconda domenica di settembre, a pochi giorni
dall'inizio della scuola che, inizialmente, avrebbe ospitato quindici
studenti paganti e in un'aula a parte, cinque non paganti.
La
giornata era stata ventosa ma serena e Demelza, per la prima volta in
pubblico dopo la morte di Hugh, aveva scelto di indossare un abito
blu scuro che non risultasse troppo frivolo. A casa indossava ancora
il nero del lutto e anche a Londra, quando usciva, aveva fatto
altrettanto ma in Cornovaglia, per quell'occasione, Falmouth le aveva
imposto un colore diverso. Aveva scelto comunque un colore scuro, non
se la sentiva ancora di mettere colori sbarazzini come era stato un
tempo e le sembrava di mancare di rispetto a Hugh se lo avesse fatto.
L'inaugurazione
era andata bene e vi aveva assistito una piccola folla di curiosi,
alcuni bambini e ovviamente, le autorità cittadine che si
erano
profuse in pomposi discorsi sull'istruzione e sulla grandezza
dell'opera.
Demelza
aveva ascoltato in silenzio e a lei era stato dato l'onore di
tagliare il nastro che inaugurava ufficialmente la scuola che avrebbe
portato il nome di Hugh. Dopo di che era stata condotta, con
Falmouth, all'interno dell'edificio per dare un'occhiata agli
ambienti e agli arredamenti.
L'aula
per gli studenti paganti era la più grande, i banchi erano
stati
costruiti con legno pregiato e levigato, gli spazi per ogni alunno
erano agevoli, alle pareti c'erano appendiabiti e la cattedra
dell'insegnate era grande e austera, esattamente come la lavagna.
L'aula per i bambini non paganti era più piccola, arredata
con un
grande tavolo di seconda mano attorno al quale si sarebbero seduti
gli studenti, al posto della cattedra l'insegnante si sarebbe seduto
a capo-tavola e non c'erano né appendini né
lavagna, a differenza
dell'altra classe. Demelza, osservando la differenza fra i due
ambienti, sospirò scoraggiata ma poi si consolò
col pensiero che
un'aula anche piccola, spoglia e senza pretese, con un bravo
insegnate avrebbe potuto comunque dare tanto ai suoi piccoli allievi
e di certo era ben più di quanto offerto a lei da piccola.
Sul
retro era stato allestito un cortile ornato da grosse piante sotto le
quali, all'ombra, avrebbero potuto riposarsi e giocare i bambini e in
fondo anche se era ben lontana dall'idea originale, a Demelza la
scuola piacque.
Dopo
il giro, un breve banchetto fu offerto agli invitati e Demelza ebbe
modo di conoscere le due maestre che si sarebbero occupate dei
bambini, due giovani ragazze dallo spiccato accento cornish, dai
lineamenti gentili e dai modi affabili che di certo avrebbero saputo
rapportarsi al meglio ai loro piccoli allievi.
"Ho
scelto io stesso le maestre" – le disse Falmouth mentre
sorseggivano del Porto durante il ricevimento.
"Davvero?".
"Sì!
I soci volevano assumere due anziani maestri dall'aspetto burbero e
austero e fedeli all'uso della bacchetta ma ho messo l'ultima parola
e ho scelto dei maestri col gusto con cui le avresti scelte tu. In
fondo questa scuola è una idea tua e mi pare giusto che
almeno in
qualcosa, visto che poi il progetto è stato stravolto, tu
abbia
l'ultima parola. Anche Hugh avrebbe approvato".
Dopo
molto che non succedeva, Demelza sorrise di gusto. E se non fosse
stato disdicevole, lo avrebbe anche abbracciato. "Grazie. Anche
a nome dei bambini che non assaggeranno la bacchetta sulle mani".
Falmouth
annuì soddisfatto e il banchetto proseguì in modo
piacevole fino al
primo pomeriggio.
All'ora
di andare a casa, Demelza chiese di restare a Truro per una
passeggiata e dopo aver rassicurato Falmouth che sarebbe volentieri
rincasata a casa a piedi con una passeggiata, aveva fatto un giro per
le bancarelle del mercato, sempre animate da gente e rumori di ogni
genere.
Aveva
voglia di fare qualche passo all'aperto, di sentire il profumo nel
mare nelle narici, l'odore della campagna e di viversi la sua terra,
la Cornovaglia. Era strano ma in quell'anno di lutto a Londra, non si
era resa conto di quanto le fosse mancata...
Col
sole che le baciava il viso, si avvicinò incuriosita a un
negozio di
stoffe e quasi si scontrò con una cliente che usciva. "Oh,
scusate".
La
donna, elegantemente vestita con un abito di seta azzurro pastello e
con le mani piene di pacchi e pacchettini, la squadrò dalla
testa ai
piedi con aria di supponenza. "Lady Boscawen?".
Demelza,
stupita, la osservò meglio e si rese conto subito di averla
già
vista qualche volta. Lunghi capelli neri perfettamente pettinati,
sguardo austero, figura elegante e movenze aggraziate, la perfezione
di una statua di ghiaccio... "Elizabeth Poldark?".
La
donna si esibì in un perfetto inchino. "E' un piacere
incontrarvi dopo tanto, non sapevo foste tornata".
Demelza
si voltò verso la scuola. "Siamo rientrati da Londra solo da
pochi giorni per l'inaugurazione della scuola" – rispose,
osservandola meglio e non trovandola affatto deperita per il lutto
che l'aveva colpita. Anzi, sembrava radiosa... "Come state?"
- chiese gentilmente, cercando di apparire cortese nonostante non le
fosse mai piaciuta, fin dal primo sguardo che si erano scambiate
quasi due anni prima. Era una bellissima e raffinata persona eppure
Demelza, da sempre, aveva avuto l'impressione che tanta artefatta
perfezione nascondesse un animo profondamente diverso, freddo e
sprezzante di chi non ritenuto alla propria altezza.
"Bene,
e voi?" - rispose Elizabeth. "Ho saputo del vostro lutto e
me ne sono davvero dispiaciuta, Hugh Armitage era così una
brava e
promettente persona".
"E'
vero".
"Le
mie condoglianze, Lady Boscawen. Anche se in ritardo...".
Demelza
annuì, ringraziandola. "Anche io ho sentito del vostro lutto
e
ne sono rimasta sconvolta. Francis era davvero una persona piena di
vita, di inventiva e dal carattere socievole e gentile, per quel poco
che l'ho conosciuto. Dev'essere stata davvero una perdita terribile
per voi e vostro figlio, mi dispiace così tanto...".
Elizabeth
si morse il labbro, come irritata da quelle parole. "Avete detto
giusto, lo conoscevate poco e non era sempre così perfetto
come
sembrava. Ma sì, è stato una grave perdita"
– concluse,
tornando a recitare la parte della vedova affranta.
Demelza
rimase basita da quella risposta e ancora una volta si chiese
perché
lei la vedesse tanto imperfetta quando il resto del mondo la
considerava la grazia fatta persona. Era la donna amata da Ross
Poldark, ora che ci pensava... Era da molto che lui non bussava nei
suoi pensieri ma Elizabeth gliel'aveva fatto tornare in mente in modo
prepotente. Ora era libera, chissà in che rapporti erano
quei
due...?
Per
un attimo cadde un silenzio imabrazzato fra le due e fu Elizabeth a
spezzarlo. "E voi, com'è la vita senza vostro marito?".
"Non
felice" – rispose, con sincerità.
Elizabeth
sorrise freddamente, tornando a guardarla con aria di
superiorità.
"Immagino però che una donna con le vostre risorse, abbia
trovato già una qualche sorta di consolazione".
A
Demelza non sfuggì, dietro a quel tono mellifluo e gentile,
un
velato tentativo di ridicolizzarla e giudicare il suo vissuto.
Sicuramente ad Elizabeth una donna come lei, che veniva dal nulla e
che si era sposata con un ricco ereditiero, non piaceva e la
considerava una furba procacciatrice di dote, ma non aveva intenzione
di cadere nel suo tranello. "E' difficile trovare consolazione
alla morte un marito" – disse solo, pensando a quanto le
mancasse Hugh. "E voi? Avete trovato una qualche consolazione?".
Proprio
in quel momento, come si trattasse di un capriccioso gioco del
destino, un uomo uscì dal negozio assieme a un bambino
biondo e si
mise a fianco di Elizabeth con in mano altri pacchetti. "Geoffrey
Charles ha chiesto in dono un nuovo tricorno e ovviamente non ho
potuto negare tale dono al mio figlioccio. Assieme ad altri doni per
voi, mia cara...".
Elizabeth
si irrigidì, come sentendosi in imbarazzo. Guardò
Demelza, poi
l'uomo al suo fianco e poi il bambino e infine ancora Demelza. A
disagio, evitando di guardarla negli occhi, infine le
presentò il
suo accompagnatore. "Lady Boscawen, vi presento George
Warleggan, un caro amico di famiglia e padrino di mio figlio Geoffrey
Charles".
Demelza
si accigliò e poi, incuriosita, osservò
quell'uomo dal viso dalla
forma aguzza ma di fatto ordinario, con un cipiglio arrogante sul
volto e i lineamenti solo apparentemente delicati ma che parevano
esprimere una certa durezza. Per un attimo si mise a pensare dove
avesse già sentito quel nome e poi si ricordò che
a volte Falmouth
aveva parlato, come di popolani miracolosamente arricchiti e ormai
potenti e senza scrupoli, della famiglia Warleggan. Discendevano da
un fabbro e nel giro di poche generazioni avevano messo da parte
un'immensa ricchezza che famiglie antiche e ben più
blasonate
potevano solo sognarsi, diventando un'autorità in campo
minerario. A
Falmouth i Warleggan non piacevano, diceva che erano persone prive di
morale e che avevano portato con calcolo alla rovina illustri
gentiluomini e vedendolo di persona, nemmeno a Demelza quell'uomo
suscitava buone impressioni. Come Elizabeth, del resto, che pareva
piuttosto vicina a quell'uomo dalle indubbie risorse e ricchezze,
vestito pacchianamente e in modo pomposo, che la guardava con una
malcelata supponenza pur senza conoscerla ma di certo, giudicandola.
Il bambino invece era molto grazioso, un piccolo principe dai capelli
lisci e biondi e dagli occhi chiari che a Demelza ricordava Francis.
Gli sorrise, chinandosi per essere alla sua altezza. "Ciao
piccolo, è un piacere conoscerti" – gli disse,
prima di
rivolgersi agli adulti. "Ed è un piacere conoscere anche
voi,
signor Warleggan".
L'uomo
guardò Elizabeth e poi lei. "Lady Boscawen... Oh, la giovane
moglie del compianto tenente Armitage. In passato si è
parlato molto
di voi e di come siate riuscita a sposare uno dei più ambiti
rampolli della zona. Mi congratulo per la vostra proficua
intraprendenza".
Demelza
sorrise di rimando all'uomo, ancora una volta intenzionata a non
darla vinta a nessuno. Erano uguali lui ed Elizabeth, osservandoli le
sembrava di vedere le due metà di uno stesso specchio e di
certo
parevano perfettamente accoppiati. Giuda, non ne era certa ma
vedendoli parevano piuttosto intimi ed intenti a giocare alla
famigliola felice... "Non ne dubito... La gente spesso ha vite
talmente tristi a cui pensare, che preferisce interessarsi degli
affari degli altri. Mi auguro che il pensarmi sia stata una piacevole
compagnia per loro".
L'uomo
serrò la mascella a quella battuta ed Elizabeth divenne di
ghiaccio
e come punta sul vivo, arrossì facendo ridere suo figlio.
Tossicchiò
per rimettere al suo posto il bambino, poi riprese padronanza di se.
"Lady Boscawen mi stava appunto raccontando del suo lutto e le
stavo chiedendo se avesse già trovato una qualche
consolazione".
E
lì, Demelza la gelò su due piedi, con poche
semplici parole che
esprimevano appieno quanto avesse inquadrato bene la situazione.
"Purtroppo per me e il mio lutto, non ho trovato consolazione. A
differenza di voi, signora".
E
di nuovo, a quelle parole, Elizabeth divenne rosso fuoco, George
serrò ancora di più la mascella e il bambino
osservò i due
incuriosito, senza capire cosa stesse succedendo. Una strana guerra
di nervi, silenziosa, si stava combattendo fra gli adulti al suo
cospetto e Geoffrey Charles, pur avvertendola nell'aria, non ne
poteva comprendere le motivazioni.
E
a quel punto Demelza, forse per la prima volta da quando aveva
sposato Hugh, non si sentì inferiore a nessuno e
provò orgoglio per
se stessa e per il coraggio e la forza che sembrava aver acquisito
negli anni anche davanti a persone ben più facoltose di lei.
Fece un
breve, beffardo inchino, salutò con finta benevolenza e poi
si
allontanò prendendo la strada che portava fuori Truro, verso
la
campagna e poi il mare, sentendo sulla schiena gli occhi dei due.
Li
lasciò inebetiti in mezzo alla via, con la faccia di due
stolti che
da carnefici si erano trovati nel ruolo di vittime.
E
mentre si allontanava, Demelza sorrise al sole. Non aveva nulla di
cui vergognarsi ma di certo la situazione la incuriosiva. Elizabeth
Poldark di quanto si era avvicinata a George Warleggan? E questo a
che guerra avrebbe portato? Non era stato forse Falmouth a dire
quanta inimicizia corresse fra le due famiglie? E Ross Poldark, che
non vedeva da un anno, come vedeva tutto questo?
Tante
domande, forse un pò frivole, dopo un anno passato a
piangere,
tinsero di rosa la sua giornata per la prima volta dopo molto tempo.
Non voleva essere pettegola e di certo non le interessava la figura
di Elizabeth Poldark né la sua vita... Se non l'avesse
importunata
con la sua supponenza, se ne sarebbe stata alla larga ma invece aveva
punzecchiato una forza sopita in lei di cui nemmeno sapeva
l'esistenza e aveva ricevuto in mezzo alla strada una risposta data
con la medesima moneta usata dalla stessa Elizabeth: colpire con
mezze frasi solo apparentemente cortesi ma in realtà
sibilline e
striscianti come un serpente...
Si
sentì vincitrice e solo un triste pensiero la
sfiorò, mentre
raggiungeva le scogliere che diradavano sul mare. "Povero
Francis..." - sussurrò con sinerità, mentre la
sua voce si
perdeva nel vento.
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Capitolo 24 *** Capitolo ventiquattro ***
"C'è
una lettera per voi".
Ross
aprì gli occhi, si girò nel letto ancora mezzo
assonnato e si trovò
davanti il faccione imbronciato di Prudie. "Lettera? - chiese,
senza entusiasmo, pensando si trattasse dell'ennesimo creditore che
gli ricordava i suoi debiti.
Prudie
sbuffò e gliela mise fra le mani. "Chiunque sia, dite a
questa
persona di mandare a un'ora più consona del mattino, la sua
missiva!
Non sono nemmeno le otto, non è giusto, non è
corretto, non è
gentile andare a casa di un cristiano così presto!" -
concluse,
ciabattando rumorosamente fino alla porta.
Ross
sospirò, chiedendosi cosa ci trovasse suo padre di tanto
speciale in
Jud e Prudie, poi aprì la lettera incuriosito.
Riconobbe
subito la calligrafia elegante e sussultò ricordandosi
quanto, in
quell'anno, avesse disatteso a molte promesse e molti impegni che si
era impegnato a portare a termine. In fondo, dentro di lui, non si
aspettava forse una missiva simile? Pensò a Londra, ai
desideri di
Falmouth su di lui, al prestito ottenuto che non aveva fatto fruttare
e a quanto fosse incerta e fallimentare la sua esistenza in quel
momento. Aveva lasciato la capitale dodici mesi prima pieno di
aspettative e si ritrovava senza denaro, senza miniera e pieno di
debiti che non sapeva come ripagare.
"Gentile
Ross Poldark,
dopo
un anno di silenzio da parte di entrambi per dei gravi lutti che
hanno colpito la mia e la vostra famiglia, mi ritrovo a farmi vivo
per comunicarvi il mio ritorno in Cornovaglia per l'inaugurazione
della scuola di Truro voluta da mio nipote e sua moglie. Ho
intenzione di fermarmi a lungo stavolta, anche perché le
elezioni
per i nuovi membri del Parlamento si avvicinano e sono sempre alla
ricerca di un promettente candidato che rappresenti la Cornovaglia a
Westminster.
Molti
accadimenti sono avvenuti nelle vite di entrambi e sicuramente questo
ci ha spinto ad accantonare faccende più terrene ma
è ora di
riprendere in mano la situazione. So che la vostra miniera è
chiusa
e che al momento non avete prospettive per il futuro e per questo
vorrei incontrarvi per un confronto. Le mie conoscenze alla Banca di
Londra mi spingono a rassicurarvi sul vostro debito e sul fatto che
nessuna imminente pressione verrà fatta alla vostra persona,
tuttavia vorrei sapere cosa avete in mente per il futuro, per la
vostra attività e per la carriera politica che potrebbe
risolvere
molti dei vostri problemi economici, se deciderete di abbracciarla.
Vi
aspetto per un brandy e una chiacchierata nella mia dimora domani,
nel primo pomeriggio, attorno alle ore 15. Spero non abbiate altri
impegni ma nel qual caso, fatemi sapere tramite un messaggero quando
potrò avervi come gradito ospite a casa mia.
In
attesa di una vostra risposta che spero affermativa, vi saluto
cordialmente.
Lord
Falmouth".
Ross
lesse e rilesse diverse volte la lettera, cercando qualche scusa per
declinare l'invito. Ma alla fine non ne trovò e si rese
conto che
non andare, equivaleva ad una fuga davanti alle sue
responsabilità
verso un uomo che aveva creduto in lui e che molto lo aveva aiutato,
in termini monetari. Non poteva farlo, non poteva e non voleva
dimostrarsi un codardo e quindi sarebbe andato da lui, gli avrebbe
detto la pura e semplice verità: che non sapeva cosa fare
con la
Wheal Grace, che non aveva più denaro, che non sapeva come
ripagare
i debiti e infine avrebbe ascoltato le sue proposte e forse cercato
in lui qualche soluzione. Odiava farsi guidare dagli altri e ancor
più essere influenzato dalle idee altrui, ma con Falmouth
era
diverso. Quell'uomo credeva davvero in lui e i suoi consigli
sarebbero stati dati nel più assoluto e disinteressato modo.
E in
fondo la carriera politica, forse, avrebbe potuto aiutare chi attorno
a lui era in difficoltà, se l'avesse fatta nel giusto modo...
Nel
suo cesto, Sun si stiracchiò, miagolando e facendo le fusa.
Poi
saltò sul letto, col suo lungo e fluente pelo rosso che coi
raggi
del sole che entravano dalle finestre, assumeva tonalità
dorate.
Ross lo accarezzò, ricordandosi del giorno in cui l'aveva...
l'avevano trovato.
Santo
cielo, da quanto non pensava all'artefice dell'arrivo di quel gatto?
Per quanto non aveva pensato ad altro che alle sue disgrazie? E
improvvisamente il pensiero di Demelza gli fece prendere
definitivamente una decisione circa la risposta da dare a
quell'invito.
...
Ross
arrivò alla residenza dei Boscawen in anticipo, dopo una
nottata
insonne e una mattina passata a Trenwith in compagnia di zia Agatha e
Geoffrey Charles. Elizabeth era uscita per una passeggiata a cavallo
e Ross sospettava fortemente che George si fosse unito a lei.
Circolavano molte voci in proposito alla strana vicinanza fra i due e
Ross sapeva che lui si era fatto vicino ed insistente con lei, alla
disperata ricerca di attenzioni che da sempre desiderava ricevere da
Elizabeth e, anche se a malincuore, l'unica volta che avevano
affrontato l'argomento, le aveva detto che George poteva essere un
buon amico e che inimicarselo sarebbe stato stupido. Era detentore di
un'ipoteca su Trenwith e di certo non avrebbe avanzato pretese
finché
avesse avuto il favore dell'amicizia di Elizabeth e Ross, che lo
conosceva bene, questo lo sapeva perfettamente. Inoltre George era
ricco, poteva alleviare con dei doni la condizione di ristrettezza in
cui versavano Elizabeth e Geoffrey Charles e di certo lei, con
grazia, aveva diritto di accettare dei regali ed era più che
abile a
far capire che più di questo non poteva concedere. La morte
di
Francis, crudele ed inaspettata, aveva cambiato di molto le abitudini
di Elizabeth e l'avevano gravata di tante responsabilità e
quindi
Ross pensava che non ci fosse nulla di male se attraverso George,
poteva permettersi qualche piccolo sfizio. D'altronde lui
più che
vicinanza e affetto non poteva darle e la chiusura della Wheal Grace
e l'impiego di parte del capitale ottenuto a Londra per saldare dei
debiti, lo rendevano il meno generoso degli amici. Che doveva fare?
Rischiare e riaprire la miniera come a volte mente, cuore e sangue
che gli scorreva nelle vene sembravano gridargli? Oppure chinare la
testa ai desideri di Falmouth e mettersi in politica in modo da avere
uno stipendio fisso e assicurato? Forse a Londra avrebbe potuto fare
qualcosa di buono per tutti coloro che, in Cornovaglia, sarebbero
rimasti senza lavoro a causa della chiusura della miniera,
pensò
senza convinzione...
La
domestica lo introdusse nella casa, indicandogli la strada verso il
salone principale dove avrebbe potuto attendere il Lord con in mano
un bicchiere di buon vino.
Furono
le note di un pianoforte e la voce melodiosa di una donna ad
accoglierlo, al suo ingresso.
Di
Falmouth non c'era l'ombra ma al pianoforte, vestita ancora a lutto
per la perdita del marito, c'era lady Boscawen. Il suo cuore si
fermò
per un attimo vedendola... Era un anno che non la incontrava, un anno
dove erano successe tantissime cose ad entrambi che li avevano resi
persone diverse e anche se una volta erano stati un qualche tipo di
amici, di certo ora erano di nuovo praticamente estranei.
Difficilmente, in quel difficile anno, aveva pensato a lei e le mille
preoccupazioni che avevano gravato sul suo capo lo avevano
allontanato da ogni sensazione che quella donna aveva saputo
risvegliare in lui... Eppure, ora, vedendola, le parve bellissima
tanto da accelerargli i battiti del cuore. I suoi capelli erano
raccolti in una treccia e quella pettinatura le dava un'aria ancora
più giovane, nonostante il suo viso fosse segnato da
stanchezza e
tristezza. Concentrata, suonava una armoniosa melodia al pianoforte,
pensierosa, assorta come se il mondo circostante non esistesse per
lei in quel momento. E canticchiava, sotto voce, una melodia
incomprensibile al suo orecchio troppo distante che però ne
colse
l'intonazione di voce, l'armonia e la bellezza del suono.
Rimase
a guardarla in silenzio, assorto, rapito dalla visione di lei. Si
chiese dove avesse imparato a suonare tanto bene, a cantare e se
avesse scelto di prendere lezioni per compiacere suo marito. In
fondo, anche a Ross avrebbe fatto piacere avere una moglie che
cantava in quel modo, si accorse a pensare, mentre la ascoltava.
Quando
la donna finì, avanzò verso di lei e Demelza
sussultò, come
destata da un sogno. E quando si accorse della sua presenza,
arrossì
come una bambina beccata con le mani nel barattolo di marmellata.
“Da
quanto tempo siete qui?” - chiese, quasi incredula che lui,
dopo
tanto tempo, fosse lì.
Ross
le sorrise un po' impacciato. “Il tempo necessario... Siete
molto
brava al pianoforte”.
Lei
arrossì ulteriormente, rendendosi conto che aveva davanti
una
persona che le aveva fatto vivere forti emozioni, una persona che
però gli eventi della vita le avevano fatto in un certo
senso
dimenticare e che quell'anno di lontananza e le persone nuove che
entrambi erano forse diventati, avevano messo un velo sullo strano
cameratismo e amicizia costruiti insieme in più occasioni.
“Oh, lo
strimpello e nulla più...”.
“E
avete una bellissima voce” - aggiunse lui, come se non
l'avesse
sentita.
Demelza
non rispose, imbarazzata. Poi si alzò dallo sgabello, pronta
a fare
la padrona di casa. “Cosa vi porta qui? La domestica vi ha
già
offerto qualcosa?” - chiese, in un modo molto formale che non
le
apparteneva. Non aveva mai ripensato a Ross e a un loro ipotetico
nuovo incontro dopo la morte di Hugh e anche se c'era stata una
promessa in tal senso, apparteneva a un'altra era. Ed ora si trovava
ad essere impacciata nel rapportarsi a lui, chiedendosi
silenziosamente quale fosse il miglior atteggiamento da utilizzare.
“Sono
qui per Falmouth, mi ha scritto, vuole vedermi e vista la mia
situazione non posso essere troppo cocciuto nel rifiutare l'invito di
chi mi ha molto aiutato. E per quanto riguarda la vostra domestica,
mi ha accolto nel migliore dei modi”.
Lei
sorrise impercettibilmente, anche se le sembrava strano che Falmouth
non fosse a casa dopo aver invitato un ospite. “Bene...
Però lui
non è qui e non è da Falmouth fare aspettare un
ospite”.
“In
realtà sono un po' in anticipo”.
“Oh...”
- rispose lei, a corto di parole e imbarazzata di trovarsi in quella
situazione.
Ross
se ne accorse e percepì a pelle il sottile ghiaccio fra
loro. “E'
molto che non ci vediamo...” - le disse, ricordandosi di
quella
promessa fatta a Londra di tornare a trovarlo a Nampara. Certo, non
si aspettava che lo facesse e di certo dopo la morte di Hugh aveva
avuto ben altri pensieri, ma in un certo senso gli avrebbe fatto
piacere se lo avesse fatto. Ma questo si guardò bene dal
dirlo.
Demelza
annuì, triste. “E' vero, è molto e sono
successe tante cose da
allora. Ho saputo di vostro cugino quando ero a Londra. Mi è
dispiaciuto così tanto per lui, era una brava persona,
sembravate
legati e avevate costruito un'attività insieme”.
E
stavolta fu Ross a trovarsi in imbarazzo, come spesso gli accadeva
quando qualcuno cercava di accarezzare i suoi sentimenti.
“Destino,
tragedia, chi può dirlo? Chi se ne va, ora riposa. Chi resta
deve
sopravvivere alla perdita e cercare nuove strade” -
tagliò corto.
La
donna capì quanto fosse restio a parlare dei suoi
sentimenti.
“Falmouth potrebbe indicarvi qualcuna di queste strade,
sarebbe
molto lieto di farlo”.
Ross
scosse la testa, rendendosi conto di essere ormai alla deriva e di
non poter permettersi di fare lo schizzinoso. “Lo
spero”.
“E'
uscito stamattina presto per la caccia alla volpe ma tornerà
quanto
prima. Non è sua abitudine far aspettare i suoi
ospiti”.
Si
sedettero l'uno davanti all'altra davanti al camino, su due comodi
divanetti in velluto. Ross la osservò e notò che
era dimagrita e
che la sua vitalità sembrava un po' sminuita dal lutto
appena
sofferto. “Come state?” - le chiese, cercando di
spezzare il
sottile muro che si era formato fra loro.
“Come
voi, suppongo... Si sopravvive a chi non c'è più
e si cercano nuove
strade per vivere nel ricordo di coloro che se ne sono
andati”.
Ross
scosse la testa, ricordando i suoi pensieri spesso severi e critici
verso il marito di Demelza. “Sapete, inizialmente non avevo
minimamente sospettato quanto Hugh fosse malato e lo ritenevo solo un
ragazzino viziato. E forse, in merito a questo, ho giudicato con
troppa severità anche voi”.
“Lo
immagino” - rispose lei, giocando con le mani col tessuto
della sua
gonna. Poi, forse a disagio e decisa a cambiare argomento,
sollevò
lo sguardo su di lui. “Cosa farete con la miniera?”.
“E'
stata chiusa dopo la morte di Francis”.
“La
riaprirete, prima o poi?”.
“Credo
di no... Non lo so...”.
“E
i vostri minatori?”.
Lui
sospirò, sentendo ancora su di se il peso del fallimento.
“E' ciò
che non mi fa dormire la notte. Potrei accettare l'invito di
Falmouth, andare a Londra e lottare perché abbiano una vita
migliore. Ma questo costerebbe anni di lavoro alla camera e chi ha
fame e non ha lavoro, non può aspettare tanto. Oppure forse
chiederò
un nuovo prestito e cercherò di rimettere in piedi la Wheal
Grace,
se non avrò altre soluzioni attuabili per rendere meno nero
il mio
futuro, visto che la miniera iniziava a fruttare”.
Demelza
rimase in silenzio un po', pensierosa. Poi parlò e Ross,
sentendola,
si trovò a pensare a quanto gli sarebbe piaciuto avere
accanto una
persona come lei, un supporto così e tanta pacata saggezza
che a lui
mancava il più delle volte, soprattutto quando vedeva tutto
nero.
Solo in quel momento si rese conto che in fondo, silenziosamente, le
era mancata. “Se faceste entrambe le cose?”.
“In
che senso?”.
“Politica
a Londra e la miniera in Cornovaglia. Se accettaste l'invito di
Falmouth di entrare in politica, lui sarebbe ben lieto di aiutarvi a
rimettere in piedi la Wheal Grace e di farvi un nuovo
prestito”.
Ross
sul momento ridacchiò. “E mentre sono a Londra?
Chi baderebbe alla
miniera?”.
“Non
avete uomini di fiducia?”.
Si
bloccò, pensieroso, ricordandosi di quanto Zachy e Henshawe
fossero
fidati e saggi nella gestione delle miniere, forse più di
quanto lui
sarebbe stato. “Sì... Ma resta il fatto che odio
chiedere favori”.
“Quando
si ha l'acqua alla gola, non si può essere
schizzinosi” - rispose
lei. “E poi, non fareste di tutto per il bene delle famiglie
del
vostri minatori? Sono la figlia di un minatore, ricordate? So cosa
vuol dire avere fame e vedere la propria famiglia vivere di
stenti...”.
“E'
vero...”.
Demelza
sorrise, un sorriso caldo che le illuminò il viso.
“Siete una
brava persona, Ross Poldark”.
“E
voi una brava pianista dotata di una splendida voce”.
E
Demelza rise, divertita dalla sua insistenza su quell'argomento.
“Vi
intendete di musica?”.
“Vi
sembro il tipo?”.
“No”
- le rispose divertito, rendendosi conto che pian piano stavano
prendendo di nuovo confidenza fra loro.
E
in virtù di questo Ross si alzò dal divanetto,
avvicinandosi e
prendendole la mano, calda e liscia, nella sua. La baciò con
galanteria, inspirò il suo profumo e capì che
stranamente, quella
donna in fondo poco conosciuta aveva ancora un forte ascendente su di
lui. Perché era innegabile, quel benessere che provava ogni
volta
che era con lei era davvero difficile da ignorare. “Facciamo
un
patto!”.
“Quale?”
- chiese lei, arrossendo.
Ross
esibì la sua migliore faccia da canaglia, rendendosi conto
che
averla incontrata aveva ancora una volta portato luce in quei momenti
tanto bui. E anche lei sembrava divertita e meno pallida di quanto
fosse stata poco prima e anzi, gli sembrava di scorgere un certo
rossore sulle sue guance. “Io accetterò di
candidarmi alle
elezioni e di vendere la mia anima al diavolo, SE voi...”.
Demelza
deglutì. “Se io?”.
“Se
voi mi promettete che prima o poi suonerete e canterete qualcosa per
me. Solo per me”. Non amava la musica ma sentì di
desiderarlo
ardentemente.
Demelza
rise e in quel momento gli sembrò la stessa vivace ragazza
di
sempre, non toccata dal lutto e dalle preoccupazioni. “Va
bene, lo
farò”.
La
osservò ancora e si rese conto che valeva la pena vendere
l'anima al
diavolo pur di sentirla cantare, anche solo per una volta, per lui.
E
fu proprio mentre la sua mente formulava quel pensiero, che Falmouth
arrivò nel salone.
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Capitolo 25 *** Capitolo venticinque ***
Col
suo completo da caccia, accaldato e rosso in viso, Lord Falmouth fece
il suo ingresso nel salotto, esibendosi in un caldo sorriso verso
Ross. "Oh, il mio gradito ospite finalmente si è palesato.
Iniziavo a pensare di avervi solo immaginato".
Ross
si alzò in piedi, stringendogli la mano. "E' stato un anno
complicato per tutti e mi scuso per non essermi più fatto
vivo dopo
l'aiuto che mi avete gentilmente concesso. Come state Lord Falmouth?
E' un piacere rivedervi".
Falmouth
rispose al saluto con una vigorosa stretta di mano. "Come sto?
Stanco, a volte meditabondo ma ancora desideroso di far sentire la
mia voce al mondo tramite il Parlamento e i posti di potere locali.
La vita è stata dura e spietata con la mia famiglia ma di
certo il
fato avverso non sarà in grado di abbattermi". Poi
guardò
Demelza, sorridendogli affabilmente. "Comunque vogliate scusarmi
per il ritardo, spero che la mia gentile nipote acquisita vi abbia
accolto nel migliore dei modi".
Ross
guardò Demelza e poi annuì. "Sono stato accolto
splendidamente".
"Ottimo".
Falmouth osservò silenziosamente Demelza, pensieroso,
ricordandosi
di quanto il suo ascendente avesse fatto presa su Ross in passato e
desideroso di sfruttarlo di nuovo per riprendere in mano i discorsi
intavolati con il giovane Poldark un anno prima e lasciati in sospeso
a causa di cause di forza maggiore.
Demelza
fece per alzarsi dal divanetto per lasciarli soli quando Falmouth la
fermò. "No cara, resta. E' un incontro informale e non
c'è
nulla di male se rimani quì con noi".
Sorpresa,
Demelza spalancò gli occhi. Falmouth si era sempre
dimostrato molto
affettuoso con lei ma non aveva mai ritenuto necessario che una donna
partecipasse alla sua attività politica e agli incontri
d'affari con
i suoi soci e se ora le chiedeva di restare, doveva esserci qualcosa
sotto, lo conosceva troppo bene per pensare che volesse la sua
compagnia in un momento del genere. "Cosa?".
Anche
Ross ne parve sorpreso ma in fondo non poteva dire di esserne
dispiaciuto.
Demelza
si accigliò. "Io, ecco...".
Falmouth
la invitò a risedersi con un gesto della mano a cui lei
ubbidì
parecchio perplessa e poi fece altrettanto con Ross, accomodandosi
infine a sua volta su una poltrona. L'uomo accavallò le
gambe,
chiamò la cameriera perché portasse del brandy e
poi sorrise
sornione. "Ebbene, lasciamo da parte le formalità, non fanno
per noi! Arriviamo al sodo Poldark! Credo immaginiate perché
ho
desiderato incontrarvi, vero?".
Ross
annuì, sapendo bene di trovarsi in una posizione molto
scomoda che
non gli permetteva di agire liberamente. "Sì, suppongo
vogliate
parlare del prestito che mi avevate aiutato ad ottenere alla Banca di
Londra. So che ho disatteso molte... tutte... le promesse che vi
avevo fatto, ma...".
Demelza
osservò Ross, sentendo a pelle la sua frustrazione e
desiderosa di
aiutarlo, anche se non sapeva come... E non sapeva nemmeno se avesse
facoltà di parola in quell'incontro d'affari.
Falmouth,
ignorando le occhiate della ragazza verso il loro ospite, scosse la
testa. "Voglio parlare di questo sì e no... Un piccolo
prestito
certo, che avete ottenuto grazie a me ma su cui posso mettere io
stesso una toppa se mi mostrerete di avere interessanti prospettive
per il futuro che mi spingeranno ad investire ancora su di voi".
Ross
lo guardò incerto, senza capire cosa volesse dire. Decise di
essere
sincero, sorridendo amaramente... "Prospettive future, io? Dallo
scorso anno a Londra, sono cambiate molte cose Lord Falmouth. I
continui fallimenti della Wheal Grace e la morte di mio cugino
Francis hanno distrutto ogni mia speranza in quel progetto e ora ho
un nerissimo futuro davanti a me, difficilmente colmabile con dei
successi. Ho investito ogni speranza sulla Wheal Grace e cosa ho
ottenuto? Un progetto maledetto che ha risucchiato denaro e vite
preziose, in cui mi sono incaponito anche quando in molti mi
sconsigliavano di farlo... Avevo promesso di usare quel denaro per
sondare i cunicoli che sembravano promettenti ma dopo la morte di
Francis ho gettato la spugna... Non credo nel fato e nel destino
avverso ma in un certo senso è come se quell'incidente mi
avesse
sbattuto in faccia la realtà di quanto io sia stato folle a
riaprire
una miniera che il mio stesso padre chiuse perché senza
speranze. La
morte di Francis è stata la goccia che ha fatto traboccare
il
vaso... Sapete bene cosa si prova quando si perde una persona cara,
il senso di impotenza che ti uccide, lo smarrimento di ogni
speranza... Vostro nipote è morto di malattia, Francis
è morto a
causa mia e della mia supponenza di voler fare sempre a modo mio...
Restituirò quel denaro alla Banca di Londra Lord Falmouth,
appena
avrò sistemato alcuni debiti col prestito ottenuto grazie a
voi
entrerò nell'esercito e con lo stipendio da soldato,
cercherò di
saldare ogni contro sospeso con voi".
Falmouth
si accigliò, poi scoppiò a sorpresa in una
fragorosa risata.
"Esercito? Con il clima bellicoso che si respira in Europa,
fareste davvero un gran brutto affare ad entrarci adesso, finireste
in prima linea, orizzontale, in qualche terra nemica e addio
pagamento dei debiti! Non siate sciocco e non siate infantile, avete
una miniera che prometteva bene e anche se è capitata una
disgrazia,
non può che essere stato un caso! Un singolo fallimento non
deve
gettare un uomo nello sconforto o quell'uomo non è un uomo!
Riaprite
la Grace, la finanzierò io stesso saldando il debito alla
Banca al
vostro posto e poi vediamo come va! Riacquisite notorietà
nella zona
e poi cercate di sfruttare la vostra posizione al mio fianco, nei
posti di potere che contano, dove un uomo come voi potrà
fare la
differenza! Anche per quelle tematiche sociali che vi stanno tanto a
cuore e che difficilmente potreste seguire su un campo di battaglia"
– concluse, ironicamente.
A
quelle parole, Ross si sentì improvvisamente infantile.
Falmouth era
un uomo pratico a dispetto delle sue nobili origini, non era tipo da
rimuginare e compiangersi e di certo non sopportava avere attorno
gente che invece amasse farlo. E nemmeno a lui piaceva
l'autocommiserazione ma si rese conto che in quell'anno era stata la
sua unica compagna di vita. Però per quanto riguardava la
Wheal
Grace... "La miniera è senza speranza, quanto denaro ci
dovrei
buttare ancora dentro per ottenere pietre su pietre senza valore?
Come posso pagare gli uomini che vi lavorano se non ottengo utili?
Come posso chiedere a quei minatori di rischiare la propria vita
scavando in una miniera in cui non ho potuto permettermi nemmeno di
mettere delle assi che ne garantiscano la sicurezza da crolli? E'
già
morta una persona, non voglio altre vittime sulla coscienza".
Falmouth
non si fece scoraggiare. "Cominciate a riaprirla, al dopo ci
penseremo in seguito. Pensate che i vostri minatori, affamati di
lavoro, stiano a sottilizzare sulle norme di sicurezza?".
Ross
alzò le spalle. "Forse no, loro lavorerebbero a prescindere".
Falmouth
lo incalzò. "Perché hanno fiducia in voi!".
"Ma
questo non cambia le cose, la mia miniera è un posto
pericoloso!
Persino George Warleggan ha messo in sicurezza i cunicoli delle sue
miniere ed è uno degli uomini più spregevoli che
abbia mai
conosciuto".
Falmouth
sbuffò, alzandosi in piedi con il bicchiere di brandy in
mano,
passeggiando avanti e indietro pensieroso. Poi osservò
Demelza e
trovò improvvisamente il modo di girare la questione a suo
favore,
maledicendosi per non averci pensato prima. "Bisogna guardare il
bicchiere mezzo pieno, Poldark! Come ha fatto Demelza che voleva un
certo tipo di scuola a Truro, ne ha ottenuto un altro ma ha comunque
sorriso alla bontà dell'opera finale. Non avete denaro per
rendere
la miniera efficente e sicura da subito ma potete riaprirla e finire
le ricerche iniziate un anno fa da vostro cugino stesso! Vi ho dato
quel denaro perché eravate convinto che la miniera
nascondesse
grandi ricchezze e ora che siete vicino a toccare con mano se ci
siano davvero o no, che fate? Vi ritirate dalla partita
perché
qualcosa è girato storto? La vita è un rischio e
il giocatore
esperto sa che a volte va bene e a volte va male ma è
consapevole
che è il risultato finale che conta, non la strada per
arrivarci. Se
il vostro intuito sulla Grace si rivelerà esatto,
sarà la vostra
fortuna e la renderete pian piano il tipo di miniera che avete in
mente, sicura ed efficente! Potrete farla amministrare da un uomo di
fiducia, darvi alla politica, cercare di trovare soluzioni a problemi
più grandi di quelli che vi affliggono ora e rendervi utile
al
paese".
Ross
sorrise amaramente, di nuovo. "Sono delle parole molto belle
Lord Falmouth e ne condivido il concetto di fondo, ma... Ma davvero
non trovo un motivo valido, una utilità ad indebitarmi
ancora con
voi e riaprire la miniera. Non porterà nulla di buono...".
Falmouth
osservò di nuovo Demelza, il suo asso nella manica. "Io
credo
di sì, se aveste nel pacchetto anche un piccolo
incentivo...".
Ross
si accigliò e Demelza, sentendosi osservata da Falmouth, si
irrigidì
ed entrò in allarme. Che aveva in mente?
Falmouth
sorrise. "Scuola...".
"Scuola?"
- chiese Ross.
"E
Demelza" – concluse il lord.
La
ragazza quasi saltò sul divano, divenne rossa in viso e
guardò
Falmouth come se fosse impazzito. "Cosa???".
Anche
Ross, pur non essendo portato per natura a stupirsi troppo
facilmente, guardò l'uomo come se fosse un folle. "Vi
sentite
bene?" - gli chiese con voce spezzata, osservando la ragazza
accanto a lui e percependone l'imbarazzo.
Falmouth,
tronfio in viso come uno che aveva scoperto l'acqua calda,
passeggiò
brevemente avanti e indietro davanti a loro. "Oh, mi sento
benissimo e so che dopo che vi avrò spiegato, vi sentirete
benissimo
anche voi e vi sparirà dal viso quell'espressione stupida
che avete
in questo momento".
"Io
non credo di voler sentire!" - borbottò Demelza, alzandosi
in
piedi stizzita. Non voleva sentire e non voleva nemmeno cercare di
capire, qualsiasi cosa fosse, non le sarebbe piaciuta affatto...
Aveva presenziato a quell'incontro suo malgrado ma non avrebbe fatto
parte attiva della trattativa come una merce di scambio.
"Seduta!"
- le ordinò Falmouth – "E rispondi a questa
domanda".
Demelza
si morse il labbro, sapendo di non poter disubbidire ma troppo
arrabbiata per essere arrendevole. "Quale domanda?".
"Ti
piace la scuola di Truro?".
"E'
una scuola, farà ciò che ci si aspetta da una
scuola...".
"Ti
ho chiesto un'altra cosa e ti voglio sincera nella rispsota! Era la
scuola che volevi tu?".
Demelza
strinse i pugni per il nervoso. "No, non proprio..." - fu
costretta ad ammettere.
"Cosa
volevi?".
Lei
sospirò. "Una stanza, un tavolo, dei bambini a cui nessuno
ha
mai pensato di insegnar nulla, qualche foglio di carta,
dell'inchiostro, dei biscotti con cui fare insieme merenda...".
Falmouth
annuì. "Lo avrai".
"Cosa?".
E
a quel punto il lord si voltò verso Ross che, ancora
più confuso,
aveva assistito in silenzio al dibattito fra i due. "Lo
avrà...
Alla Wheal Grace".
Demelza
spalancò gli occhi e Ross fece lo stesso. "Cosa avete
detto?".
Falmouth
annuì. "Volevate una buona motivazione per riaprire la
miniera?
Eccovela, ve la sto fornendo. Darete lavoro ai padri e alle madri e
in superficie ai bambini più grandi e qualche giorno alla
settimana
darete a quei marmocchi anche una maestra che possa insegnare loro
qualcosa. Verrà Demelza e anche se non è
un'insegnante, quanto meno
potrà insegnare a quei marmocchi a leggere e scrivere che
è molto
più di quello che potrebbero mai sperare".
"Io
non...". Demelza provò a bloccarlo, provò a
reagire ma quella
proposta di Falmouth era talmente inaspettata e folle che si
trovò
solo a balbettare una timida protesta.
Ross
la fissò intensamente e poi tornò con
serietà a guardare Falmouth.
"Perché tutto questo?".
Falmouth
annuì. "Perché io devo guadagnare voti e unire il
mio nome a
una attività che accresca la mia popolarità e
quale modo migliore
di una miniera che però fornisca anche un contributo sociale
alla
popolazione locale? Voi avrete modo di fare del bene ad intere
famiglie senza dover impegnare denaro, penserò io al debito
con la
Banca di Londra e vi fornirò il capitale necessario per
completare
gli scavi dove questi si erano dimostrati promettenti. Se avrete
successo, accrescerete la vostra già grande
popolarità e una volta
ottenuto ciò, avrete una miniera che frutta con cui ripagare
i
debiti e un nome rispettabile da unire al mio alle prossime
elezioni".
"Voi
siete pazzo..." - rispose semplicemente, Ross.
"No,
so guardare lontano e curare i miei interessi. Imparate a farlo anche
voi, il tempo del lutto è finito ed è ora che
tutti ci rimbocchiamo
le maniche e torniamo in attività. Demelza!" -
tuonò il lord.
Lei,
ancora annichilita, lo fissò senza facoltà di
rispondere.
Falmouth
annuì. "Togliti quel nero, è passato un anno ed
è ora di
tornare attivi e forti nel mondo. Ai marmocchi il nero intristisce,
rimettiti abiti colorati e preparati a portare a termine quel
progetto che tanto volevi".
"E
se io non fossi d'accordo?" - chiese lei, raccogliendo tutto il
suo coraggio. Un conto era fare presenza con Hugh alla scuola di
Truro, suo marito era colto ed istruito dopo tutto, ma da sola...? E
poi come poteva Falmouth uscirsene così, con una proposta
simile,
senza averne discusso con lei?
Anche
Ross si intromise, dicendo la sua. No, Falmouth giocava sporco,
sapeva bene come ottenere ciò che desiderava dalle persone,
ma nel
suo caso quel che chiedeva era follia. "La Wheal Grace è
morta!
Non ha speranza, getterete il vostro denaro e io sarò ancora
più in
debito con voi! E non ho mai detto di voler accettare il vostro
invito ad entrare in politica".
Il
lord alzò le spalle. "Oh, lo farete, sapete che è
quella la
vostra strada! E per il denaro... Va bene, correrò il
rischio di
gettare qualche moneta, capita di fare investimenti sbagliati"
–
disse, con noncuranza.
"E
non ho posto per una scuola, a prescindere".
Falmouth
sorrise. "Avete un ufficio?".
"Sì,
piccolo, angusto e spoglio".
"Ci
state tutto il giorno?".
"No,
di solito io scendo di persona a lavorare nei cunicoli".
"Bene,
allora abbiamo risolto, durante l'ora di lavoro Demelza
insegnerà lì
due volte a settimana ai bambini dei vostri minatori, che in quelle
giornate verranno dispensati dai lavori in superficie. E quando ci
sarà il sole, potranno fare lezione all'aperto, nel prato,
che è la
più semplice e pura idea di scuola desiderata da Demelza".
"Voi
siete folle" – disse Ross, di nuovo...
Falmouth
però non si fece scoraggiare. "Volete fare qualcosa per la
vostra gente? Volete smettere di compangervi? Volete ridar lustro
alla vostra famiglia, compresi quelli che risiedono a Trenwith?
Volete dimostrare ciò che valete? Volete dare una speranza
ai
bambini della vostra contea?".
"Ovvio
che voglio, ma...".
Falmouth
sorrise. "Ma nulla, tornate a casa, ritirate fuori le mappe
della Wheal Grace, richiamate i vostri uomini più fidati e
riaprite
quella miniera quanto prima. Il resto verrà da se dopo che
mi avrete
accuratamente aggiornato sullo stato dei lavori di apertura".
Ross
guardò Demelza, pallida in viso, fragile e sicuramente
indispettita
da quella situazione assurda. Però in fondo,
pensò, Falmouth non
aveva ragione? Tutti avrebbero ottenuto qualcosa, anche lei...
Falmouth
non attese un'altra risposta, annuì in segno di saluto e poi
si
avviò alla porta, lasciando il suo ospite alle cure di
Demelza. "Ho
bisogno di un bagno caldo dopo la battuta di caccia di stamattina.
Scusate se mi congedo di già ma la mia età mi
costringe ad andare a
lavarmi e mettermi abiti meno umidi e ho già detto tutto
quello che
dovevo dire, quindi la mia presenza è superflua. Mia nipote
acquisita e vostra futura socia farà le mie veci. Nel
frattempo
aspetterò con impazienza i vostri prospetti". E
così dicendo
si congedò, lasciando i due da soli, imbarazzati ed
increduli. Era
il suo modo di fare, non chiedeva, metteva la gente all'angolo,
comandava e nessuno poteva o riusciva a dirgli di no.
Ross
osservò ancora Demelza, pallida, chiedendosi cosa avrebbe
dovuto
dirle. In realtà il modo di fare di Falmouth lo faceva
sentire
spaesato, ubriaco ma in fondo... finalmente... con una speranza? "Non
siete obbligata...".
"Lo
dite voi" – rispose lei, piccata.
"Potete
dire di no, anche io posso farlo e non potrebbe obbligarci".
Lei
si sedette, prendendo un lungo respiro. "Ancora non lo avete
conosciuto bene? Io non posso dirgli di no e sicuramente
troverà il
modo di mettere voi nella medesima situazione".
Ross
si risedette davanti a lei. "Sarebbe una cosa tanto terribile
per voi?".
Lei
gli sorrise, dolcemente. "No, certo. Mi farebbe piacere aiutare
dei bambini che non hanno nulla, come non avevo nulla io... Ma non
sono una maestra e non ho idea di come si faccia a diventarlo".
Ross
le sorrise. "Siete brava coi bambini, mi ricordo di voi a Londra
coi piccoli orfani di quel collegio... In fondo dovreste solo
insegnare loro a scrivere il proprio nome e scribacchiare qualche
frase e vi giudico più che abile per questo".
Lei
lo osservò attentamente. "Quindi riaprirete la Wheal Grace?".
"Non
ho molte altre prospettive nella vita e Falmouth ha ragione, il tempo
del lutto e dell'autocommiserazione deve finire. E quella malandata
miniera al momento è tutto quel che ho".
"Siamo
poco più che estranei signor Poldark. Come potremmo dividere
lo
stesso spazio nella vostra miniera senza che io vi dia fastidio?".
Ross
le sorrise. "Non eravamo quasi amici, un anno fa?".
"Un
anno fa è molto tempo fa e io sono diversa da allora e lo
è anche
la mia vita... Non possiamo dire di conoscerci".
Ross
annuì, capendo appieno cosa volesse dire. In effetti era
vero, non
si conoscevano quasi per niente eppure qualcosa di lei era entrato in
lui e anche se per un anno era come evaporata dalla sua mente,
dubitava fortemente che il suo cuore l'avesse dimenticata. Ed era
certo che anche per Demelza fosse così. "Sarebbe grave
conoscerci meglio? Quanto meno quando fallirò,
avrò una spalla
amica che mi sorreggerà".
A
dispetto di tutto, Demelza rise e Ross la trovò bellissima.
"Se
dovete riaprire la vostra miniera, vi conviene pensare in positivo.
E' un buon modo per iniziare".
Ross
annuì. "Sì, avete ragione...".
Demelza
si alzò in piedi, porgedogli la mano per invitarlo a fare
altrettanto. "Come sta Sun?" - chiese, aprendo quella
questione che gli stava tanto a cuore.
Ross
si stupì che se ne ricordasse ancora e questo gli diede
un'ulteriore
prova di quanto l'animo di quella donna fosse sensibile e buono. "Oh,
non l'avete dimenticato".
"Certo
che no!".
"Sta
bene, è cresciuto ed è un buon rimedio per i
topi. Un cacciatore
nato...".
"Potrò
rivederlo?".
"Se
sarete la maestra della Wheal Grace...".
Demelza
rise, divertita. "Questa è una buona argomentazione per
spingermi ad accettare".
Ross
la osservò, quasi rapito dalla figura di lei. "Anche per
me..."
- sussurrò sotto voce, rendendosi conto che era una buona
argomentazione per ricominciare anche per lui.
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Capitolo 26 *** Capitolo ventisei ***
"Cosa
avete in mente?".
Infuriata,
decisa a far valere il suo fiero carattere selvaggio più che
le
buone maniere, Demelza piombò nello studio di Lord Falmouth
che,
dopo il suo bagno caldo, si era accomodato in poltrona con una pipa e
un giornale in mano.
L'anziano
lord alzò gli occhi su di lei, ne studiò
l'espressione furente e
poi con calma e senza scomporsi, richiuse sulle sue gambe il
giornale. "Una signora non urla e non sbraita" – le fece
notare.
"Sono
nata e cresciuta ad Illugan e per quanto io possa impegnarmi, non
sarò mai una vera signora! Soprattutto nei momenti in cui
sono
arrabbiata!".
Falmouth
sollevò un sopracciglio. "E perché di grazia,
saresti
arrabbiata?".
Per
un attimo Demelza si sentì presa in giro ma poi ci
ragionò su e
comprese che forse lui non capiva davvero e non stava scherzando.
Avevano caratteri e modi di vedere la vita differenti e soprattutto
il modo di pensare era agli antipodi. "Non... Non mi avevate mai
parlato di un'altra scuola alla Wheal Grace!".
"Non
ci ho mai pensato, l'idea mi è venuta durante la discussione
con
Ross Poldark, quando ho capito che poteva essere la proposta a cui
entrambi non avreste saputo dire di no!".
Demelza
strinse i pugni della mano, imponendosi di essere accorta e
ragionevole o come sempre, l'avrebbe avuta vinta lui. Era un uomo
furbo e lo stava ampiamente dimostrando... "Avremmo dovuto
parlarne, non ho mai detto di desiderare una cosa simile e non
è
detto che accetti".
Falmouth
si accigliò. "Era ciò che volevi fare due anni
fa, quando mi
hai proposto l'apertura della scuola di Truro, andarci ogni tanto per
fare qualche lezione di lettura ai bambini".
Demelza
sospirò. Era passato così' tanto tempo da allora
e molto era
cambiato nella sua vita... "Con Hugh, avrei voluto farlo con lui
accanto che di certo era in grado di insegnare qualcosa. Ma non da
sola".
Falmouth
si alzò dalla poltrona, si avvicinò alla finestra
e mise le mani
sopra il davanzale che dava sul cortile e sul giardino. "Hugh
è
morto, non può più farlo. Tu sì".
"Non
ne sono in grado".
"Sai
leggere e scrivere più che bene".
Demelza
gli si avvicinò, con foga. "Non potete! Non potete disporre
così, senza chiedere, della vita delle persone. Ross Poldark
non
voleva riaprire quella miniera e io non sono un'insegnante e giocare
con le parole, giocare coi fatti e far vedere prospettive spesso
irrealizzabili per costringere qualcuno a...".
Falmouth
si voltò verso di lei terreo, la osservò e poi le
si avvicinò
fermando sul nascere le sue proteste. "Ciò che vedo io sono
due
persone giovani che dovrebbero avere la forza di spaccare il mondo e
invece passano il loro tempo a compiangersi".
"Io
non mi compiango, io piango mio marito ed è diverso!".
"E'
morto da un anno e Hugh non si aspettava di certo che portassi per
sempre il lutto".
Demelza
scosse il capo. "Non me la sento...". Aveva detto a Ross
Poldark, a caldo, che forse era una buona idea ma ora, ripensandoci,
mille insicurezze e paure tornavano a galla. Non era in grado di
insegnare, era stata un'analfabeta fino a pochi anni prima, GIUDA!!!
Falmouth
però non si fece intenerire. "Questi sono capricci".
"Non
sono una bambina!".
"E
allora dimmi, Demelza, cos'hai di meglio da fare? E Ross Poldark?
Cos'ha di meglio da fare? Vuol giocare al soldatino? Vuol stare a
piangere attaccato alle sottane della vedova di suo cugino? O magari
sarebbe meglio che si rimboccasse le maniche e tentasse di far
funzionare l'azienda di famiglia?".
Demelza
rimase senza parole per quel che aveva appena sentito e ancora una
volta si rese conto che Falmouth sapeva, aveva la capacità,
di far
sentire tutti loro dei bambini capricciosi. "Ross Poldark non
è
uno che ama girarsi i pollici e ciò che lo ha bloccato
è un motivo
grave e valido".
"Non
sufficiente per chiudere!".
"Sufficiente
per lui"
"E
tu? Hai deciso di non far più nulla della tua vita?" -
chiese
Falmouth.
"No
e lo sapete".
L'uomo
allargò le braccia. "E allora non c'è problema e
noi stiamo
discutendo per niente! La mia è una buona idea in cui
nessuno avrà
nulla da perdere, giusto? Quindi rischiamo e se andrà bene,
avremo
tutti da festeggiare".
Stanca,
esausta per quella trattativa in cui sapeva dall'inizio di essere
perdente, Demelza si sedette su una sedia. "Perché ci tenete
tanto?".
"Perché
ho bisogno di uomini fidati come Ross Poldark per la mia campagna
politica. Abbiamo idee diverse ma lui è una persona pulita,
ha
carisma e a modo suo non guarda in faccia a niente e nessuno. Come
me! Ha capacità che nemmeno immagina e una volta che lo
avrà
compreso, avrà... avrò... la strada spianata in
molte delle cose
che mi sono prefissato di fare e ottenere".
Demelza
sorrise amaramente, comprendendo ciò che lui voleva dire e
trovandosi anche d'accordo, se non che... "Ross Poldark non
vuole entrare in politica. E non ama quel genere di potere".
"Ne
è attratto ma non lo sa, il comando è dentro di
lui. Ha messo in
piedi dal nulla una miniera che pur con mille difficoltà,
tentennando, funzionava. Dal nulla, con sudore, tanta faccia tosta e
coraggio. Io ho bisogno di gente come lui e tu hai un forte
ascendente su quell'uomo che sarebbe stupido che io non sfruttassi".
"Non
voglio essere usata. E' una cosa... fastidiosa..." -
balbettò
lei, imbarazzata per quel commento. "E poi io e Ross Poldark
siamo quasi sconosciuti, non abbiamo nulla in comune e dubito che
dividere il poco spazio alla sua miniera gioverebbe ai buoni rapporti
con questa famiglia".
Lo
sguardo di Falmouth si addolcì e per un attimo divenne quasi
paterno. Le si avvicinò e le parlò come si parla
a una figlia...
"Demelza, tu sei sola e un giorno ti potresti trovare ad
amministrare tutto questo. E sei in gamba certo, ma non puoi farcela
senza aiuto e io vorrei saperti prima o poi vicina a qualcuno di
onesto che possa supportarti in tutto questo".
Demelza
spalancò gli occhi, per un attimo tremò e le fu
troppo chiaro ciò
che velatamente lui stava cercando di dirle. E la rabbia
montò in
lei non tanto perché Ross Poldark fosse una cattiva persona
ma
piuttosto per quell'interferenza nella sua vita, nelle sue scelte e
nel suo futuro. Era una donna libera di scegliere, decidere,
combattere... Ed era indipendente e mai, MAI avrebbe permesso a
qualcuno di scegliere qualcosa di così importante al posto
suo. Se
era per il patrimonio dei Boscawen che Falmouth era preoccupato, beh,
glielo avrebbe lasciato volentieri intatto in cambio della sua
libertà. Ma mai avrebbe accettato di essere venduta a un
uomo e se
qualcuno fosse arrivato, sarebbe stata lei a scegliere se aprirgli o
meno la porta del suo cuore. Era consapevole che Falmouth si muoveva
per il suo bene ma evidentemente non la conosceva ancora bene come
pensava. "Questo genere di cose è di mia competenza e non
vostra!" - disse, freddamente. "Sono grande abbastanza da
poter scegliere da sola se e quando mi sentirò pronta ad
avere
qualcuno nella mia vita e anche se tramite il matrimonio con Hugh
sono diventata una Boscawen, io resto sempre e comunque Demelza Carne
di Illugan".
Falmouth
sbuffò, aspettandosi quella reazione e pronto a
fronteggiarla. "Non
sto parlando di qualcosa di definitivo, di qualcosa... per sempre...
che sia solo di scelta mia".
"Perfetto,
anche perché non lo permetterei" –
ribadì fermamente
Demelza, mettendo definitivamente in chiaro la cosa in modo che in
futuro non ci fossero più fraintendimenti.
L'uomo
le sorrise di nuovo. "Lo so... tutto ciò che desidero al
momento, è avere amici fidati. Che li abbiamo entrambi... E
Ross
Poldark è un uomo fidato su cui contare, in caso di
necessità. Io
sono forte, so difendermi da solo, ma tu...".
Demelza
rispose al sorriso, rendendosi conto che in Falmouth forse, anche se
non ne condivideva i modi, stava ritrovando tutte quelle premure che
le erano mancate dal suo vero padre. "So difendermi quanto voi
ma apprezzo la vostra preoccupazione nei miei confronti".
Falmouth
annuì. "Sarai una buona insegnante e Poldark un buon
proprietario di miniera e un buon politico".
"Speriamo"
– rispose Demelza, prendendo un lungo respiro. Era
consapevole di
non poter rifiutare e che aveva già dato la sua parola a
Ross
Poldark e questo le faceva un pò paura, ma di contro era
contenta di
aver trovato il coraggio di affrontare Falmouth e parlargli
apertamente, in modo che fra loro non ci fossero più
fraintendimenti
o omissioni.
...
Non
sapeva bene perché ma quella notte non era riuscita a
dormire ed
aveva finito per alzarsi molto presto. Aveva aperto l'armadio per
prendere un abito nero ma poi si era fermata e la sua mano ne aveva
afferrato uno di colore verde che non metteva da... Beh, difficile
ricordare da quanto avesse indossato colori non scuri, pensò
malinconicamente. Poi si era vestita, era scesa a fare colazione e
infine, come non succedeva da tanto, era uscita a cavallo per godersi
appieno quella mattinata autunnale insolitamente serena e tiepida.
Si
sentiva talmente strana per quanto successo il giorno prima, che le
pareva come di essersi risvegliata dopo un lungo periodo di
torpore... Da tanto non aveva un obiettivo davanti ma quanto
concordato il giorno prima con Falmouth assieme a Ross Poldark, le
faceva paura. Così come le parole che il lord le aveva
rivolto
quando erano rimasti soli, circa il suo futuro e su chi sarebbe stato
meglio avere vicino...
Il
futuro... Da quando era morto Hugh era diventato per lei un concetto
quasi astratto, quasi che non la riguardasse più e di fatto
aveva
vegetato ma non vissuto. Non era stata utile a se stessa e a nessun
altro in quell'anno ed eccetto che l'impegno per i bambini
dell'orfanotrofio, non aveva fatto nulla. Niente di niente se non
piangere e languire nella sua stanza. Falmouth in fondo aveva
ragione, era ora di tornare attiva e anche se la proposta fatta di
lavorare fianco a fianco di Ross Poldark la confondeva in un modo
strano, non poteva dire di trovare malvagia quell'idea. Forse sarebbe
stata la maestra peggiore del mondo e ben poco avrebbe potuto
insegnare, ma lo avrebbe fatto col cuore e quel poco che poteva dare,
lo avrebbe donato a bambini che ne avevano davvero bisogno.
Se
fosse andata bene, la Wheal Grace sarebbe diventata a suo modo una
miniera 'preziosa' per tanti motivi e forse anche Ross Poldark
avrebbe ritrovato speranza nel futuro.
Sapere
di averlo a fianco la impensieriva perché ricordava bene
quanto, suo
malgrado, ne fosse stata attratta alcuni anni prima. Rivederlo era
stato strano, non poteva dire di aver provato subito i vecchi
turbamenti perché certe sensazioni erano state assopite dal
dolore
della perdita di Hugh, però si era ritrovata contenta che
fosse
successo. Il loro incontro l'aveva colta di sorpresa, non aveva
più
pensato a lui da quando era partito da Londra eppure era strano, ma
quel ghiaccio che si era creato fra loro si era sciolto quasi subito
e aveva ritrovato in quell'uomo, già dopo poche parole,
quella
specie di strano cameratismo che glielo faceva apparire
pericolosamente vicino ed affine. Le parole di Falmouth le danzarono
in testa ma decise di ignorare certi pensieri. Non voleva, non
cercava nulla del genere e voleva solo che quell'avventura si
concretizzasse in qualcosa di positivo che desse speranza a tante
persone, compresa lei. E ce l'avrebbe messa tutta!
Cullata
da quei pensieri, quasi senza rendersene conto, giunse davanti alla
Wheal Grace. Aveva galoppato a lungo costeggiando le scogliere con il
vento fresco del primo mattino a sferzarle il viso ed era stato
tonificante e piacevole. Si avvicinò allo strapiombo ed
osservò il
mare che si infrangeva contro gli scogli con forza, ammirandone il
profondo colore blu. Il mare della Cornovaglia era il più
bello del
mondo, secondo lei e nessuno le avrebbe mai fatto cambiare idea...
Osservò
il panorama chiedendosi cosa ci facesse lì e cosa cercasse e
alla
fine optò per avvicinarsi alla miniera per dare un'occhiata.
In
fondo non stava facendo nulla di male, sarebbe stato un luogo di
lavoro per lei e dare una sbirciatina non era certo peccato... Certo,
qualcuno avrebbe potuto farle notare che era una cosa che le signore
non facevano e che ficcare il naso nella proprietà altrui
era quanto
meno sconveniente, ma chi mai avrebbe potuto vederla?
Era
mattina presto, nessuno se ne sarebbe accorto o l'avrebbe saputo...
Scese
da cavallo, legò l'animale a una staccionata e poi con passi
circospetti si mise a gironzolare fra le varie baracche. Tutto era
stato lasciato andare all'usura, si vedeva chiaramente che nessuno
metteva più piede in quel posto da molto tempo e che
ragnatele e
topi la facevano da padroni, ma non ne ebbe paura. Era cresciuta in
posti simili e per certi versi li considerava più famigliari
della
sua attuale casa. Anche se le assi scricchiolavano al suo passaggio e
tutto sembrava lì lì per cadere, sorrise pensando
a quanto si
sentisse a suo agio lì.
Talmente
a suo agio che non si accorse del cavallo che era arrivato alle sue
spalle e del cavaliere che lo aveva condotto fin lì...
"Che
ci fate quì?" - chiese la voce calda e in un certo senso
conosciuta, di un uomo.
Demelza
arrossì fino alla punta dei capelli, si voltò e
poi restò di
stucco, vergognandosi come una bambina beccata con le mani nella
marmellata. Ross Poldark era lì, davanati a lei e di certo
ora
avrebbe voluto qualche spiegazione circa la sua presenza lì.
"Ecco...".
Ross
la squadrò per un attimo e ci mise qualche secondo a capire
che era
lei, in lontananza. Ma quando la riconobbe, spalancò gli
occhi
sorpreso. "Lady Boscawen?".
Lei
si morse il labbro, imbarazzata. "Mi... Mi sono svegliata presto
e sono uscita a cavallo ed ero curiosa di vedere dove
lavorerò...
cioè...". Arrossì ulteriormente, sentendosi
sciocca ed
impacciata come una poppante. "Non sono una persona che di
solito ama curiosare, ma ero, ecco...". Tentò di
giustificarsi
e alla fine si sentì ancora più ridicola e le
parole le morirono
fra le labbra. Ok, aveva fatto qualcosa di stupido ed era giusto che
ora ne affrontasse le conseguenze.
Ross
si accorse del suo imbarazzo e alla fine invece di prenderla in giro
come sempre faceva e come gli sarebbe stato facile fare in quella
particolare occasione, le sorrise in modo gentile. "Non dovete
darmi spiegazioni, questa terra è di tutti. Ma promettetemi
di stare
attenta quando venite da sola in posti del genere, le miniere sono
posti insidiosi e pericolosi" – concluse, avvicinandosi a lei.
Demelza
tirò un sospiro di sollievo per quelle parole gentili che
spezzavano
il suo imbarazzo. "Mio padre era un minatore, so come muovermi
in ambienti del genere. E comunque, scusate l'intrusione".
Ross
osservò la miniera. "Beh, quanto meno non sarò
solo a riaprire
la porta di questo posto maledetto. Visto che Lord Falmouth ci ha
incastrati in questa cosa, ho pensato di tirarmi su le maniche e
vedere il disgraziato stato in cui versa questo posto e da dove
ricominciare".
"Beh,
quindi in fondo Falmouth vi ha spinto a fare qualcosa che in fondo
non vedevate l'ora di fare".
"Che
volete dire?".
Demelza
ridacchiò. "Siete mattiniero, che ci fareste quì
a quest'ora
se questa avventura non vi interessasse?".
Ross
parve arrossire e si abbassò il tricorno sul viso,
coprendosi
parzialmente gli occhi. Colpito ed affondato... "Quello che ci
fate voi suppongo, osservo questo posto e cerco di capire come possa
esserci un futuro in quello che stiamo osservando. E chissà
che non
abbiate ragione... Io, voi, tutta la gente di questo posto ha la
miniera nel sangue e la lontananza da essa è sempre qualcosa
di
doloroso".
Demelza
annuì, trovandosi d'accordo su quella ammissione. "Quindi
è
come un ritorno a casa?".
"Potrebbe
essere un doloroso ritorno, se le cose non andranno come pensa Lord
Falmouth".
"Dovreste
guardare alla cosa con più ottimismo" – lo
rimbeccò.
"L'ottimismo
non mi ha mai reso né ricco né fortunato".
"Neanche
il piangersi addosso" – osservò Demelza,
rispondendogli a
tono.
Ross
rise, a quelle parole. "A volte a parole, siete inquietantemente
simile a Falmouth".
Demelza
sbuffò. "Lo prenderò come un complimento".
Ross
sorrise ancora, osservandola e notando che non vestiva di nero. E che
il verde le stava d'incanto e si accompagnava benissimo ai suoi
lunghi e bellissimi capelli rossi. "Mi fate compagnia?" -
le chiese, avvicinandosi alla porta d'ingresso con un paio di chiavi
in mano.
"Che
volete fare?".
"Far
prendere un pò d'aria a questi ambienti, dare una sistemata,
osservare mappe e piantine e decidere da dove ricominciare a
rovinarmi la vita di nuovo".
Demelza
sorrise. "Vi farò compagnia con piacere".
Ross
aprì la porta che cigolò nell'aprirsi. Una nuvola
di polvere li
investì ma si diradò subito, lasciando ai loro
occhi un ambiente
modesto, spoglio, piccolo ma a suo modo confortevole. "Questo
è
il mio ufficio e a quanto pare, un paio di giorni a settimana,
sarà
il vostro regno".
Demelza
si guardò attorno, osservò ogni particolare della
stanza che era
arredata con un grosso tavolaccio di legno, una piccola scrivania in
un angolo, un armadio con riposte penne, calamai e oggetti di uso
comune della miniera e null'altro. Era un luogo angusto ma a suo modo
lo trovò confortevole ed accogliente. "Non voglio recarvi
disturbo e quando il tempo sarà bello come oggi, credo che
resterò
fuori coi bambini, nel prato. Che è il luogo che i piccoli
preferiscono".
"In
Cornovaglia i giorni di sole sono rari" – osservò
lui.
"E
io li sfrutterò tutti!" - rispose, sistemando alcuni fogli
spaiati su una mensola.
Ross
la osservò e poi, dopo aver preso alcune mappe che erano
rimaste
arrotolate ed impolverate sul tavolo, le aprì osservandole
attentamente. "Ammiro la vostra forza di volontà e il vostro
entusiasmo".
Lei
si avvicinò al tavolo, osservando le mappe accanto a lui.
"Abbiamo
altra scelta se non quella di essere ottimisti? Tenere il muso costa
infinita fatica".
Ross
annuì. "Anche riaprire una miniera".
Incuriosita,
Demelza guardò quei disegni di cunicoli e gallerie e anche
se da
molto non aveva fra le mani qualcosa del genere, si ricordò
di aver
già visto da piccola dei disegni simili, sul loro misero
tavolo ad
Illugan. "Riaprirete tutti i piani della galleria".
"No,
non posso permettermelo e non voglio indebitarmi più di
quanto io
già non lo sia, con Falmouth. Aprirò solo quelli
che sembravano
promettenti quando Francis è morto e in questo modo, se
qualcosa da
trovare c'è, lo si raggiungerà col minimo costo e
con pochi uomini.
Darei volentieri lavoro ad ogni uomo di questo distretto ma non posso
e questa miniera non da alcuna garanzia". E dicendo questo, Ross
si tirò su le maniche e si tolse il gilet. "Per cominciare
comunque, devo andare di sotto a dare un'occhiata. In questi cunicoli
non ci viene nessuno da mesi e solo Dio sa se in questo tempo non ci
sono stati crolli o altro. Voi che volete fare? Tornerete a casa?".
No,
non voleva tornare, non ancora. Era da tanto con non si sentiva tanto
viva ed eccitata e quel posto era come se fosse il suo ambiente
naturale... "Posso venire giù con voi?".
Ross
la guardò come se fosse impazzita. "Sotto, nella miniera?".
"Sì".
"Credo
non sia il caso".
"Posso
farlo!".
"Non
credo!".
Piccata
per il suo scetticismo, Demelza si mise le mani sui fianchi e lo
sfidò con lo sguardo. "Posso farlo davvero, senza problemi".
Ross
scosse la testa. "Siete una lady, le lady non scendono nelle
miniere".
"Sono
nata e cresciuta ad Illugan, fra le miniere. E quei cunicoli erano il
luogo dove mi rifugiavo da piccola quando volevo stare sola o quando
volevo giocare a nascondermi".
Ross
la guardò storto. "E' pericoloso e pieno di polvere! E per
quanto ne diciate, non siete più una bambinetta di Illugan
ma
l'erede di un nobile casato. Lady Boscawen, siate ragionevole".
Ad
diavolo, gli avrebbe dimostrato che si sbagliava e siccome aveva
già
avuto abbastanza faccia tosta per quel giorno ad arrivare a sbirciare
nella miniera, avrebbe dimostrato a Ross che poteva essere ancora
più
sfrontata di così. Molto spesso lui in passato l'aveva presa
in giro
e sfidata, ora lo avrebbe ripagato con la stessa moneta. Non aveva
voglia di essere ragionevole, per niente! "Da dove si scende?".
"Da
quella botola" – disse Ross avvicinandosi a lei per impedirle
di fare qualsiasi passo. "E voi ve ne starete ben alla larg...".
Ahhh,
pessimo errore, Ross parlava troppo ed agiva troppo lentamente. Con
un gesto veloce, Demelza sgusciò via da lui, si
avvicinò alla
botola, la aprì e agile come un gatto prese le scale.
Imprecando
e pensando ad ogni parolaccia che conosceva, Ross prese una lanterna
e le corse dietro, chiedendosi cosa avesse fatto di male nella sua
vita. Scese le scale, cercò di raggiungerla e quando le fu
abbastanza vicino, la fulminò con lo sguardo
nell'oscurità.
"Demelza!!!".
Nel
sentirsi chiamare a quel modo, lei si fermò ed
alzò gli occhi su di
lui, in bilico sulla scala. "Come mi avete chiamato?".
"Col
vostro nome".
"E
da quando vi rivolgete a me in modo così confidenziale?".
Ross
alzò gli occhi al cielo, indeciso se afferrarla per i
capelli o
prenderla a sculacciate come si fa con i bambini disubbidienti.
"Scusate se non ricordo tutti i vostri titoli mentre mi affanno
ad impedirvi di sfracellarvi al suolo, LADY BOSCAWEN".
"Non
cadrò!" - sbottò lei testardamente, riprendendo a
scendere per
arrivare ad una galleria del primo livello.
Ross
la seguì, imprecando silenziosamente dentro se e quando la
raggiunse, la fissò con aria di sfida e rimprovero. "Siete
esasperante".
"Ma
integra! Visto, non mi sono fatta nulla".
"Certo,
per fortuna MIA! Siete davvero una donna testarda".
"Lo
diceva anche mio marito".
Ross
ci pensò su e per la prima volta provò simpatia e
comprensione per
Hugh Armitage. "Che cercavate quaggiù? A parte rocce e
polvere,
non c'è nulla".
Nella
semi-oscurità, lei gli sorrise. "Me stessa, ciò
che ero.
Appartengo a questo mondo molto più di quanto sia mai
appartenuta al
casato Boscawen ed essere quì è come aver
ritrovato una casa e uno
scopo".
Lui
sospirò, comprendendola e forse sentendola particolarmente
affine a
lui. "La miniera nel sangue, giusto?".
"Sì.
Suppongo sia così per chiunque nasca vicino a queste
scogliere".
Ross
annuì anche se il suo sguardo esprimeva amarezza. "La
miniera
ha spesso portato malattia, lacrime, sangue e fallimenti".
Demelza
gli si avvicinò fino a fronteggiarlo. "Ma niente e nessuno
dice
che anche per voi, stavolta, debba essere così".
"Ma
nessuno mi garantisce il contrario".
"Non
lo saprete mai finché non ci provate. Nemmeno io sono
così convinta
di saper fare l'insegnante e di certo mi sono arrabbiata con Falmouth
per questa sua trovata ma in fondo, perché no? Abbiamo
alternative
migliori? Non credo... Tentiamo, falliremo magari, ma almeno non
avremo rimpianti".
Ross
le sorrise, adorava il suo ottimismo e come riuscisse a trasmettergli
serenità con semplici parole. E con un gesto gentile la
prese per
mano. Era calda, affusolata, liscia...
Lei
parve stranita da quel gesto e lo guardò con sguardo
interrogativo.
Lui
fugò subito ogni dubbio. "Se volete davvero dare un'occhiata
quaggiù, statemi vicino e non allontanatevi. Faremo un breve
giro
insieme e io non rischierò di perdervi".
Demelza
rispose alla stretta calda e forte di quella mano, sentendosi al
sicuro. "Va bene".
"Vi
avverto, vi riempirete di polvere".
"Farò
un bagno nel mare e tornerò a casa completamente pulita"
–
rispose con noncuranza, ricordandosi improvvisamente di quando aveva
visto Ross Poldark nudo che nuotava nell'oceano. Arrossì a
quel
pensiero e ringraziò l'oscurità che non rendeva
visibile il colore
delle sue guance. Che diavolo pensava? Lo osservò e al buio
sembrava
ancora più affascinante e forte, vigoroso... E
sentì lo stomaco
rivoltarsi dentro di lei che da tanto, troppo non era stata fra le
braccia di qualcuno. Dannazione a Falmouth, pensò! Lui e
tutti i
suoi discorsi la stavano rendendo una pessima persona con pessimi
pensieri!
All'oscuro
di tutto, Ross rise. "Davvero lo fareste?".
"Cosa?".
"Un
bagno nel mare".
Demelza
rise con lui. "Sì, perché no?".
A
quel sorriso, Ross sentì le viscere rivoltarsi dentro di lui
e si
rese conto che avrebbe volentieri fatto un bagno insieme a lei. O
che, più maliziosamente, avrebbe amato osservarla di
nascosto mentre
lo faceva. Doveva avere un corpo meraviglioso da guardare...
Anche
lui arrossì e anche lui ringraziò
l'oscurità che gli celava il
viso. Si schiarì a voce, strinse la presa sulla mano di lei
e
insieme si avviarono fra i cunicoli che per entrambi rappresentavano
davvero l'inizio di un nuovo futuro.
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Capitolo 27 *** Capitolo ventisette ***
La
Wheal Grace riaprì ufficialmente il 10 ottobre, in una
giornata
ventosa e piuttosto fredda, ma serena. Una piccola e raccolta
cerimonia a cui pareticaprono anche i due rappresentanti della
famiglia Boscawen si tenne quel giorno, e poi tutto riprese
lì, da
dove si era fermato.
Come
desiderato e concordato Ross si mise al lavoro solo con pochi, fidati
uomini e si concentrò essenzialmente ai livelli che prima
della
chiusura si erano dimostrati più promettenti. Con lui
c'erano Zachy
Martin, il capitano Henshawe e pochi altri fedelissimi. Per il
momento non voleva fare di più ma in molti speravano che
quell'avventura avesse successo, che la Grace si dimostrasse un
azzardo vincente e potesse poi offrire lavoro alle tante disperate
famiglie della zona.
I
giorni precedenti all'apertura furono carichi di tensione per Ross,
mille ripensamenti, mille pensieri, mille "se" e mille "ma"
tormentarono ogni istante della sua vita. A volte si sentiva folle, a
volte si sentiva euforico, a volte sentiva di avere paura, altre
volte gli sembrava di star per compiere il primo passo per riprendere
in mano la sua vita, altre volte ancora si malediceva per aver dato
retta a Falmouth...
Ma
tutto si risolse appena si ritrovò fra quei cunicoli e
quelle rocce
che facevano parte di lui e dei fidati amici che si era portato
dietro in quella che considerava comunque, ancora, una folle
avventura. La miniera, il rame e l'oscurità facevano parte
di loro,
gli scorrevano nel sangue esattamente come il furore del mare e del
vento di quelle terre che sapevano forgiare il carattere di ogni uomo
che vi nasceva sopra. E se ne accorse – lo ricordò
- quando
riprese in mano il piccone e si rese conto di essere felice. Anche se
non aveva trovato nulla e forse nulla ne sarebbe scaturito di buono,
era felice... E quel posto gli era mancato. Santo cielo, non aveva
mai osato nemmeno ammetterlo a se stesso!!!
L'apertura
della Wheal Grace era stata poco pubblicizzata e solo sparuti
fidatissimi amici sapevano che era rientrata in attività.
Tutto
questo silenzio era stato espressamente voluto da Ross che non voleva
illudere la gente del posto che sperava di trovare lavoro
perché in
cuor suo sapeva che era estremamente probabile che tempo un mese, la
miniera sarebbe stata richiusa. Persino con i suoi parenti di
Trenwith era stato molto evasivo, alludendo semplicemente a
un'esplorazione solitaria di qualche settimana coi suoi uomini
migliori. Verity gli aveva fatto qualche vaga domanda, zia Agatha lo
aveva studiato silenziosamente in viso a lungo senza chiedere nulla,
Elizabeth non era sembrata particolarmente colpita dalla cosa e
questo gli aveva decisamente facilitato le cose. Nessuno, soprattutto
chi amava, doveva illudersi per quello che sicuramente sarebbe stato
l'ennesimo fallimento e quindi andava bene così, che
sapessero poco
e nulla.
Demelza
aveva iniziato la settimana successiva all'apertura alla Wheal Grace
a lavorarvi come insegnante, ogni martedì e
venerdì. Si alzava
presto, si faceva aiutare dalle domestiche a fare torte, biscotti e
focacce da portare ai bambini e ai lavoratori e poi a cavallo
raggiungeva la miniera.
Sapeva
che i minatori, gente poverissima che non è quasi mai in
grado di
imbandire una tavola, era refrattaria a mandare i propri figli a
scuola anziché lavorare e quindi dubitava che
quell'iniziativa
sarebbe stata un successo, ma non le importava... Anche con un solo
bambino, per quel bambino la scuola avrebbe potuto rappresentare una
grande opportunità, anche se solo con la più
improvvisata delle
maestre.
I
suoi timori si rivelarono fondati... Inizialmente furono pochissimi i
bambini presenti alle sue lezioni: tre dei bambini di Zachy Martin,
il fratellino di Rosina Hoblyn e il figlio e la figlia del capitano
Henshawe che frequentavano già la scuola di Truro ma che non
disdegnavano quelle lezioni campestri sicuramente più
divertenti di
quelle fatte nelle loro austere aule.
Quando
il tempo era bello, Demelza si sedeva con loro nel prato ed insegnava
a leggere e scrivere usando i sassi, i fili d'erba, aiutandoli con
quei rurali mezzi a comporre segni, lettere, parole... Erano bambini
adorabili, che poco avevano avuto dalla vita e che tanto le
ricordavano la se stessa di pochi anni prima, gentili, educati,
magri, denutriti e vestiti di stracci e... chiassosi. Come tutti i
bambini del mondo erano vivaci e per questo preferiva, se il tempo
era bello, passarlo all'aria aperta. Ross Poldark le aveva detto che
poteva usare il suo studio ma preferiva non disturbarlo con
schiamazzi e risate quando risaliva dalla miniera, stanco ed
impolverato, per esaminare mappe e libri contabili.
Lui
era sempre gentile con lei e nonostante le sue ritrosie iniziali,
sembrava conento di aver riaperto la miniera. Non poteva dire di
conoscerlo bene ma le pareva di scorgere una strana gioia nei suoi
occhi, quando parlava del lavoro che aveva svolto nella giornata.
Ross Poldark aveva la miniera nel sangue e si vedeva chiaramente...
Anche
le altre persone che lavoravano con lui erano gentili. Alcuni erano
impacciati e rudi nell'avere a che fare con lei, altri avevano modi
garbati e a loro modo eleganti e Demelza si stupì di vedere
persone
tanto deliziose nel mondo duro dei minatori. Ricordava suo padre,
spesso ubriaco, violento, ignorante e dedito al bere e ricordava
anche come da piccola avesse immaginato che tutti gli uomini fossero
come lui, che fossero la fatica, il sudore e l'oscurità ad
inquinare
l'animo di quegli uomini e che per nessuno di loro ci sarebbe stata
redenzione... Ora aveva scoperto che non era così, che non
tutti
erano come suo padre e che anche fra i minatori esistevano brave
persone e amici fidati. Ed era la più felice delle scoperte
per
lei...
Le
piacevano tutti, soprattutto Zachy Martin. Era un uomo gentile, dai
modi di fare semplici ma allo stesso tempo fini, le parlava con la
pacatezza di un padre e Demelza si era trovata spesso a pensare a
come sarebbe stata diversa la sua infanzia se fosse stata sua
figlia...
Spesso
si fermavano a chiacchierare prima che lei tornasse a casa e a volte
si erano uniti a loro il capitano Poldark e il capitano Henshawe,
anche se era raro vederli star fermi mentre lavoravano.
Dopo
due settimane di lavoro furono trovati interessanti giacimenti di
stagno e una piccola ma promettente vena di rame che aveva dato una
spinta di ottimismo a tutti e soprattutto, aveva permesso a Ross di
assumere altri uomini per esplorare nuovi livelli fin lì
lasciati
chiusi. Erano buone notizie e di certo avevano contribuito a
migliorare l'umore di tutti, anche se di contro il desiderio di Ross
di tenere segreta la riapertura della Grace naufragò e la
notizia
iniziò pian piano a passare con speranza di bocca in bocca...
Non
passò che una settimana infatti, che una visitatrice
inattesa
arrivasse alla miniera, elegante ed altera, sul suo cavallo nero.
Demelza
stava chiacchierando con Zachy prima di andare a casa e il vento le
scompigliava continuamente i capelli. I suoi pochi allievi correvano
ovunque facendo baccano e in una atmosfera allegra di fine giornata,
tutti sembravano propensi all'ottimismo. Anche Ross, che si
unì alla
loro chiacchierata.
"Allora,
potremmo sperare che qualcuno raggiunga l'università?" -
chiese
Zachy ridendo, osservando i suoi figli che si azzuffavano nell'erba.
Sapeva bene che nessuno poteva permettersi niente di più che
quelle
semplici lezioni nel prato, ma in fondo sognare ed essere ottimisti
era un qualcosa che non costava denaro e faceva bene all'animo.
Demelza
ci pensò su. "Sarebbe bello se succedesse... Forse...".
"Forse?"
- chiese Ross.
"Forse
potrei chiedere a Lord Falmouth di istituire una borsa di studio per
lo studente più meritevole, in modo da assicurargli dei veri
studi
superiori. Se qualcuno di loro ne ha le capacità, sarebbe
davvero
una grande opportunità e a Falmouth non costerebbe nulla".
Ross
le sorrise, apprezzando come sapesse utilizzare con saggezza e senza
supponenza per il bene degli altri, le grandi ricchezze di cui
disponeva. Demelza aveva portato una ventata di allegria alla miniera
e la sua presenza rendeva l'atmosfera meno pesante e più
rilassata
ed inoltre il cibo che portava era una grande manna per quei bambini
spesso malnutriti e per gli operai. Anche se fosse stato un
fallimento riaprire la miniera, Ross era contento di aver dato,
almeno per un pò, tutto questo alle famiglie dei suoi
minatori. "Lo
fareste davvero?".
"Lo
farei, certo! Sarebbe davvero un peccato non dare a uno studente
dotato, la possibilità di esprimere il suo talento".
Zachy
annuì. "Sarebbe grandioso" – sussurrò
assorto,
continuando a guardare i suoi figli.
Gli
occhi di Demelza brillarono. "Sì può fare...
Volendo, se il
signor Poldark accettasse la candidatura alle prossime elezioni,
Falmouth potrebbe concederne anche due o tre di borse di studio...".
Ross
rise. "Questo è un ricatto e voi siete diabolica".
"Per
una buona causa..." - rispose lei civettuola, guardandolo negli
occhi e sorridendo.
Fu
in quel momento che un rumore di zoccoli di cavallo interruppe
quell'allegra compagnia...
Elizabeth
Poldark si avvicinò loro, nel suo elegante completo da
amazzone,
coi capelli raccolti in una ordinata treccia, bellissima ed altera
come sempre.
E
Ross, che fino a quel momento era stato catturato dalla figura di
Demelza, di colpo si trovò catapultato con tutta la sua
attenzione
su di lei. Era splendida e il suo cuore, santo cielo il suo cuore
accelerava sempre i suoi battiti quando gli compariva davanti... Era
il suo sogno, lo sarebbe sempre stato, un sogno perfetto come lo era
lei. Lasciò Zachy e Demelza dietro di se, le si
avvicinò e la aiutò
a smontare da cavallo. "Elizabeth, che cosa ci fai quì?".
Lei,
senza degnare nessuno di uno sguardo, lo salutò con un cenno
del
capo. "Ero curiosa, si sentono in giro voci strane sulla Wheal
Grace e sembra proprio che la tua impresa non sia un semplice
esplorare i cunicoli coi tuoi amici...".
Ross
abbassò il viso, dispiaciuto di averle mentito ma comunque
consapevole di averlo fatto per il suo bene. "Volevo evitarti
inutili speranze".
La
donna sorrise freddamente, lanciando un'occhiata ostile a Demelza e
Zachy. Ma non disse nulla, li ignorò e con la sua consueta
grazia,
chiese a Ross di portarla nel suo ufficio per darle qualche
spiegazione in più. Lui ovviamente acconsentì e
come un cagnolino
ubbidiente, la scortò dentro il suo ufficio.
Rimasti
soli, Zachy fece un lungo sospiro. "Ahhh, voi donne e il vostro
misterioso potere...".
"Quale
potere?" - chiese Demelza, in un certo senso ferita per
l'allontanamento di Ross dal loro discorso. Era stupido esserlo, non
erano che soci in affari ed Elizabeth era una cugina e la donna che
amava, eppure era ferita lo stesso che se ne fosse andato in quel
modo, senza nemmeno un saluto...
Zachy
ridacchiò. "Il potere che vi rende capaci di trasformarci in
perfetti idioti con un semplice battito di ciglia".
Demelza
sorrise amaramente. "Non ho questo potere".
"Oh,
lo avete, il capitano Poldark si trasforma quando siete quì.
Sembrate dargli... luce...".
Imbarazzata,
Demelza scosse il capo. "Oh, dubito di avere tale potere. Ce
l'ha la donna che è appena arrivata però, lei lo
ha di certo".
"Sì,
il capitano Poldark quando c'è lei diventa un cagnolino
scodinzolante. Bisogna capirlo, visti i trascorsi... Eppure a volte
gli darei una legnata in testa per levargli l'espressione da ebete
che veste quando lei compare all'orizzonte".
Demelza
si accigliò. Il commento di Zachy era sicuramente amichevole
eppure
vi scorse una sorta di risentimento verso Elizabeth e Demelza di
certo ne comprendeva il motivo, visto l'atteggiamento supponente di
Elizabeth verso il mondo dei minatori. "Era innamorato di lei,
dicono, prima di partire per la guerra".
"Cose
da giovani, che si dovrebbero superare. Lei ha fatto altre
scelte...".
"Scelte
che ora hanno perso consistenza" – fece notare Demelza,
pensando con tristezza alla fine ingiusta di Francis.
Zachy
si mise la giacca sulle spalle, preparandosi a tornare a casa. "Ma
il passato non si cancella e le scelte fatte da quella donna
dovrebbero far riflettere il nostro capitano prima che si metta nei
guai. Si dice che la vedova sia pericolosamente vicina a George
Warleggan e Ross è troppo cieco per capire la situazione.
Oppure la
ignora volutamente perché non vuole vedere, fa spesso
così quando
una situazione non gli è congeniale".
Demelza
sussultò a quelle parole, ricordando quando aveva incontrato
George
Warleggan ed Elizabeth insieme, il giorno dell'inaugurazione della
scuola di Truro. Gli erano sembrati molto intimi, in effetti... Ma
non erano affari suoi e non era persona che amava i pettegolezzi e
quindi decise che per rispetto a Ross Poldark, era giusto chiudere il
discorso. "Non credo che siano cose di nostro interesse".
Zachy
annuì. "Voglio bene a Ross, lo conosco fin da quando era
ragazzo... Vorrei che evitasse di farsi del male".
Demelza
annuì, avvicinandosi al suo cavallo e montandovi in sella.
"E'
adulto abbastanza per sapersela cavare. Sono certa che saprà
fare le
scelte giuste".
"Ve
ne andate già? Senza salutarlo?" - chiese l'uomo.
"Non
si ne accorgerà nemmeno che sono tornata a casa" –
gli
rispose, con una strana nota di amarezza nel tono di voce. Poi
salutò
Zachy e poi, con il vento ancora forte fra i capelli,
galoppò verso
casa. Aveva cercato di apparire distaccata con Zachy ma in un certo
senso capì di sentirsi ferita per come Ross l'avesse
'dimenticata'
appena Elizabeth era comparsa al suo cospetto. Non che ci fosse
qualcosa di male in questo, sapeva bene cosa aveva unito i due e
sapeva altrettanto bene che lui non l'aveva dimenticata e che invece
lei non era che un'estranea che era momentaneamente al suo fianco per
una questione di affari. Era un uomo complicato Ross Poldark,
affascinante, indomito, intelligente e dall'animo romantico.
Elizabeth invece... Dubitava che nutrisse verso di lui sentimenti
altrettanto disinteressati e pieni di passione e in effetti non
vedeva in lei che una donna disperatamente alla ricerca di un posto
in società che di certo Ross non poteva darle... Eppure
continuava a
gravitargli attorno, alla ricerca del suo sguardo pieno di passione e
venerazione, come se avesse bisogno, per brillare, di essere
ammirata... O forse era semplicemente gelosa e in lei vedeva un male
che non esisteva, chi poteva dirlo?
In
cuor suo si augurò che Zachy gli rimanesse accanto in caso
di
bisogno. E che Ross fosse davvero un uomo avveduto e capace di
evitare i guai e di capire quando un abbaglio non era che... un
abbaglio...
...
Elizabeth
si sedette sulla sedia davanti alla scrivania, dopo averne scrollato
la polvere che vi si era accumulata e Ross si accomodò
davanti a
lei. "E allora, a cosa devo l'onore della tua visita?".
Elizabeth,
imbronciata e del tutto decisa a fargli capire il suo risentimento
nell'essere stata tenuta all'oscuro della riapertura della Wheal
Grace, picchiettò nervosamente col piede in terra.
"Perché
volevo chiederti due cose".
"Quali?".
"Perché
non ti fidi di me! E perché non mi hai parlato dell'apertura
della
miniera".
Il
tono di Elizabeth era duro e Ross se ne sentì ferito
perché sentire
dalla sua voce dei sospetti sul suo affetto e sulla fiducia che
nutriva verso di lei, era un grave smacco per lui che da sempre
cercava di prodigarsi in suo favore con ogni mezzo possibile. Sorrise
amaramente, sperando che Elizabeth capisse il perché delle
sue
azioni. "Sei la persona di cui mi fido di più al mondo,
credimi... E mi ferisce sapere che non ne sei convinta".
"Come
posso esserne convinta? Mi hai nascosto una cosa così
importante..."
- si stizzì lei.
"Te
lo avrei detto, a tempo debito, se fosse stato necessario. Non
c'è
nulla di definitivo nella riapertura della Grace, semplicemente Lord
Falmouth ci ha dato i fondi necessari per terminare le esplorazioni
dove era stato trovato lo stagno quando Francis era vivo, ma non
c'è
nulla di certo e non è detto che a breve la miniera
richiuda. Fra un
mese, potrebbe essere tutto terminato nell'ennesimo buco nell'acqua e
io non volevo turbarti con false speranze. Non volevo turbare nessuno
di voi, né te, né zia Agatha, né
Verity...".
Forse
quella spiegazione avrebbe potuto bastarle, ma Elizabeth si rese
conto che non era così e che era comunque arrabbiata con
lui. "E
le cose come vanno?".
Ross
alzò le spalle. "Stiamo trovando qualcosa di interessante ma
è
presto per brindare".
"E
lei? Lei che ci fa quì?" - chiese Elizabeth in tono freddo,
indicando l'uscio.
"Lei
chi?".
"La
vedova Boscawen. Il denaro di Falmouth ti lega in qualche modo a
Demelza? L'ha mandata Falmouth per controllarti? E tu come hai potuto
accettare una cosa simile? Non è da te diventare il
cagnolino di
qualcuno...".
C'era
gelosia nel tono di voce di Elizabeth e Ross la scorse subito. Ma non
seppe dire se gli facesse piacere o meno... Però a quel
punto,
chiarirsi era fondamentale. Le raccontò dell'incontro con
Falmouth,
delle sue proposte, dell'idea di dare una scuola ai figli dei
minatori e del ruolo di Demelza in questo. Non c'era nulla di male e
desiderava che Elizabeth lo sapesse e non se ne sentisse turbata.
La
donna ascoltò in silenzio, attentamente, mantenendo il suo
atteggiamento ostile. La rabbia verso Ross in fondo era un
pò
scemata ma odiava che Lady Boscawen gli gravitasse attorno
perché
era indubbio che Ross la ammirasse e non voleva dividere il suo
piedistallo con qualcun'altra, soprattutto con la figlia arricchita e
furba di un minatore. Inoltre Demelza l'aveva vista assieme a George
in una passeggiata 'intima' a Truro e se si fosse lasciata scappare
la cosa con Ross, lei sarebbe finita nei guai e ne sarebbe scoppiato
un pandemonio. Era troppo presto per rendere ufficiale il suo legame
con il ricco banchiere e doveva ancora capire come far digerire la
cosa a Ross e quindi Demelza non poteva mettersi nel mezzo di quella
situazione esplosiva. Avrebbe potuto negare, certo, ma il tarlo del
dubbio si sarebbe insinuato in Ross ed estirparlo sarebbe diventato
poi impossibile. Non si sentiva in colpa, era sempre stata una donna
leale e dopo tutto anche lui aveva tenuto il segreto della riapertura
della Grace con lei, quindi non c'era niente di male
affinché pure
lei avesse dei segreti suoi...
"Una
scuola? Servirebbe davvero a questi bambini?" - chiese, cercando
di fargli apparire quell'idea stupida.
Ma
Ross annuì. "Sì, potrebbe essere qualcosa di
inutile. Oppure
la prima ed unica opportunità che questi bambini avranno per
una
vita migliore. E i Boscawen potrebbero avere i mezzi per garantire
agli studenti più meritevoli dei buoni studi superiori".
Elizabeth
per un attimo pensò a come rispondere senza apparire
capricciosa o
malfidente, poi optò per uno sfoggio caritatevole delle sue
buone
maniere. "E' sicuramente un'idea lodevole, ma Lady Boscawen
è a
sua volta la figlia di un minatore e non ha frequentato scuole che la
rendano idonea ad insegnare".
"Sa
leggere e scrivere e questo basta, ai bambini" – le fece
notare Ross – "E suo marito era un letterato e un poeta e le
ha insegnato molto durante il loro matrimonio".
Elizabeth
scosse la testa. "Ross, era una domestica fino a qualche anno
fa".
Ross
sbuffò, decisamente a disagio. "Vorresti farlo tu al suo
posto?".
Elizabeth
avvampò a quella proposta che non capiva se fatta per una
questione
di fiducia o per provocazione. "Cosa?".
Anche
Ross non capì il perché di quella richiesta ma
continuò
ostinatamente su quel discorso. "Vieni tu e insegna ciò che
sai
a questi bambini... Tu hai studiato dai migliori maestri della zona,
no?". Era fiducia in lei? Le stava offrendo un posto al suo
fianco? O la stava provocando? Non capiva davvero perché
stesse
dicendo tutto questo che, sapeva, essere oltremodo inappropriato nei
confronti di una nobildonna come Elizabeth.
Lei,
tesa, strinse la stoffa della sua gonna fra le mani. Come osava
chiederle di abbassarsi così? E lei, in virtù di
tanta arroganza da
parte sua, che remore si faceva a preoccuparsi della sua reazione
alla relazione con George? Ross pareva soggiogato da Lady Boscawen,
lei sembrava averlo cambiato e c'era un modo, uno solo, per
distoglierlo da ciò. E quel modo l'avrebbe usato presto e
lui
avrebbe ricordato chi era l'unica donna a cui doveva rispetto,
ammirazione e fedeltà... "Ho molto da fare a Trenwith e lo
sai... E devo seguire Geoffrey Charles negli studi" –
rispose,
stizzita.
"E
allora la questione è chiusa" – disse Ross,
concludendo
quella spiacevole diatriba che lo vedeva fra due fuochi, senza sapere
per chi parteggiare.
La
aiutò a rialzarsi, baciandole con dolcezza la mano.
"Elizabeth,
sai che tutto quello che faccio è per il bene di tutti voi e
che se
qualcosa di buono uscirà da questa impresa, sarà
a te che andrà".
"Dici
davvero?" - chiese avvicinandosi, cercando di rendere calda la
sua voce e avvicinando il viso al suo.
Ross
per un attimo parve confuso da quella vicinanza di lei così
inaspettata e da quel modo di fare suadente, si sentì
avvampare e si
rese conto di essere vittima di un desiderio fin troppo a lungo
represso. "Davvero... E lo sai".
Le
labbra di Elizabeth si avvicinarono alle sue, un solo assaggio di
lei, anche piccolo, lo avrebbe fatto cadere ai suoi piedi e lei
avrebbe potuto chiedergli tutto. Ma Zachy Martin li interruppe,
entrando nello studio per prendere la sua giacca.
"Vado
a casa capitano, è ora di cena".
Elizabeth
si allontanò di scatto da Ross, rossa in viso, maledicendo
silenziosante quel dannato minatore bifolco. Ross invece, come
destato da uno stato di tranche, si schiarì la voce,
cercando di
calmare il suo cuore e il suo corpo che parevano non rispondere
più
alla sua mente. "C... Certo, ci vediamo domani" – disse,
impacciato.
Elizabeth
gli lanciò una lunga e ammiccante occhiata e decidendo di
non
concedergli altro per quel giorno, si congedò e poi
sparì dietro la
porta, riprendendo il suo cavallo e sparendo dietro l'orizzonte. Ross
rimase a guardarla andare via, in silenzio, confuso da quanto stava
per succedere e spaventato dall'idea delle conseguenze di tutto
questo. Spaventato da cosa, poi? Non era la donna che desiderava da
sempre? E ora che Francis era morto, non toccava forse a lui
prendersene cura con amore?
Ancora
una volta, Zachy lo interruppe. "Venite anche voi?".
"Non
c'è più nessuno?" - chiese Ross.
"No,
sono andati tutti via".
Come
ricordandosene solo in quel momento e sentendosi in colpa per questo,
Ross si guardò in giro. "E lady Boscawen?".
"Se
n'è andata da un bel pò".
"Non
l'ho nemmeno salutata".
"Avevate
da fare" – borbottò Zachy, con tono di rimprovero.
L'uomo
se ne andò e Ross rimase solo, con una strana sensazione di
amarezza
nel cuore mentre l'immagine di due donne, diversissime fra loro, lo
costringevano a pensare seriamente a cosa davvero volesse dalla vita.
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Capitolo 28 *** Capitolo ventotto ***
Decise
di portare con se Sun, il giorno in cui Demelza sarebbe tornata alla
miniera per la sua lezione. Ross sapeva che le avrebbe fatto piacere
e in cuor suo sperava che questo avrebbe un pò sminuito il
suo
comportamento di pochi giorni prima quando, poco galantemente, era
stato catturato dalla figura di Elizabeth ed era sparito senza
nemmeno salutarla. Non che fosse una cosa grave, capitava spesso che
emergenze o questioni di lavoro gli impedissero di congedarsi da
coloro che lavoravano per lui, ma stavolta sapeva di aver sbagliato e
forse tramite Sun, sperava di fare ammenda.
La
giornata era soleggiata anche se fredda, i venti invernali soffiavano
dal mare e sembravano voler congelare ogni cosa e Ross al suo arrivo
alla Wheal Grace si stupì di sapere da Henshawe che Demelza
era già
arrivata e che, nonostante tutto, aveva deciso di portare i bambini
in spiaggia per fare una lezione in riva al mare. Non che non fossero
bambini temprati dalle intemperie e di certo Demelza non era una
svenevole donnetta, ma decise comunque di andare a dare un occhio.
Lasciò la miniera e scese da una stradina verso il mare,
notando in
lontananza delle minacciose nubi che sembravano far rotta verso di
loro. Il tempo sarebbe cambiato anche fin troppo in fretta ricordando
a tutti che era quasi inverno, pensò...
Quando
arrivò, trovò i bambini seduti in cerchio attorno
a Demelza, ognuno
con un legnetto in mano che veniva usato per scrivere le lettere
nella sabbia. Aveva strani metodi di insegnamento, i bambini erano
spinti ad apprendere col gioco e anche se professori e insegnanti
più
blasonati di lei avrebbero storto il naso, sembrava piuttosto
funzionante.
Sun
miagolò e Demelza e i bambini si voltarono verso di lui,
stupiti di
trovarlo lì. Lei, con indosso un caldo cappotto blu e uno
scialle di
lana sulle spalle, gli sorrise. "Signor Poldark, buongiorno".
Ross,
impacciato, intimamente la ringraziò per non avergli messo
il muso
al primo sguardo, facendolo sentire in colpa. Era comunque una lady,
lo sapeva che le buone maniere le avrebbero impedito di mostrargli il
suo disappunto per quanto successo pochi giorni prima e magari
nemmeno ci pensava più, però Demelza era anche
una donna nata nel
popolo e molto spontanea nelle sue reazioni e non era così
scontato
che non fosse arrabbiata. "Buongiorno".
Demelza
fece per dire qualcosa ma quando vide Sun, tutta la sua attenzione fu
catturata da lui e dal suo fluente pelo rosso. Si alzò di
scatto e
come una bambina eccitata corse da lui, prendendolo in braccio e
stringendolo a se. "Giuda... Sei così cresciuto e bello!"
- esclamò, tenendolo saldamente fra le sue braccia. Poi,
anche se
Ross non lo meritava, lo guardò con gratitudine. "Grazie,
è
una sorpresa così bella... Non lo vedevo da...".
"Da
quando lo abbiamo trovato" – la interruppe lui mentre i
bambini le correvano attorno per accarezzarlo. Santo cielo,
pensò, è
così bello che esistano donne che sanno essere davvero
felici per un
semplice gatto.
"Posso
prenderlo in braccio?" - chiese uno dei bimbi. "Io ho
accarezzato solo i topini che corrono in casa nostra, mai un gatto!".
Demelza,
gentilmente, si chinò per essere alla sua altezza e il
piccolo,
imitato poi dagli altri bambini, accarezzò la testolina di
Sun che
dapprima un pò intimorito, poi si stiracchiò
godendosi quell'attimo
di pace.
Demelza
sorrise lasciando che i bambini più grandi lo prendessero in
braccio
e poi si avvicinò a Ross che, rimasto in disparte, era stato
ad
osservarli sorridendo. "A cosa devo questa sorpresa?".
Ross,
con tutta la sincerità di cui era capace, alzò le
spalle e la
guardò negli occhi. "Sapevo che vi avrebbe fatto piacere e
poi... temo di avere qualche cosa da farmi perdonare".
Lei
abbassò lo sguardo, in imbarazzo e consapevole di cosa
volesse dire,
ma decisa a non fargli pesare nulla. "E volete comprare il mio
perdono usando Sun?" - chiese, scherzosamente ma con una punta
di divertita malizia.
E
questo lo fece arrossire e non gli capitava mai, accidenti a lei! "Ci
spero, sì".
A
quella risposta tanto tipica di lui, Demelza rise. "Molto
furbo...".
"Molto
comodo, in effetti" – fu costretto ad ammettere.
Lei
tornò seria mentre attorno a loro gli schiamazzi dei bambini
rendevano frizzante l'atmosfera. "Non avete nulla da farvi
perdonare".
Anche
Ross divenne serio. "Io credo di sì. Mi spiace non avervi
salutato, l'altro giorno...".
"Avevate
da fare".
"Ma
non avrei comunque dovuto comportarmi così".
Demelza
sospirò, guarando distrattamente i bambini e il mare. "Lei
è
importante, per voi e questa miniera. E' la vedova di vostro cugino e
suppongo abbia la priorità su tutto e tutti noi. Dico
davvero, non
avete obblighi e io avevo fretta di tornare a casa prima che facesse
buio. Nemmeno io vi ho salutato e sono colpevole quanto voi".
Ross
le fu sinceramente grato per quel modo di fare che di certo gli
rendeva le cose semplici, ma qualcosa in lei gli suggeriva che
comunque ci era rimasta male. "Penserete che sono un pessimo
datore di lavoro...".
"Non
mi permetterei mai...".
"Oh,
basta fare la signora educata! Lo avete pensato, ammettetelo!".
Demelza
ci pensò su, giocando distrattamente col piede nella sabbia.
"Penso
che non siano affari miei!".
Lui
le si avvicinò, cautamente, un pò in
difficoltà per il muro eretto
dalla donna che di certo si stava imponendo di non lasciarsi andare.
"Oh, ciò che faccio sono affari vostri! Vi ho fatto vedere
luoghi nascosti che non mostro a chiunque...".
Lei
rise. "Cosa?".
"La
mia miniera! Vi ho permesso di esplorarla con me, non è una
concessione che do molto spesso!" - le rispose, come se
mostrandole la Grace le avesse fatto un immenso dono che al
confronto, una collana di perle impallidiva... Aveva una gran faccia
tosta, doveva ammetterlo! Ma Demelza non era un soggetto facile.
Demelza
raccolse la sfida. "Oh, avanti! Avete solo mostrato a una
collaboratrice il suo luogo di lavoro".
"I
cunicoli?".
Demelza
rise ancora. Era stata una bella esperienza essere la sotto, lontani
dal mondo, lui e lei soli... Un mondo oscuro e forse spaventoso ma
che faceva parte di loro e del loro essere. "E' una miniera, il
posto di lavoro di chi ci lavora sono i cunicoli" – gli fece
notare, con aria di sfida. "Non lo sapete?".
"Certo
che lo so!".
"E
allora è tutto a posto!" - tagliò corto lei,
divertita.
Ross,
col suo miglior sorriso da canaglia, contrattaccò. "Siete
davvero una pessima collaboratrice".
"Potete
permettervi di meglio?" – rispose lei, facendogli la
linguaccia.
"E
voi?" - chiese Ross, avvicinandosi ancora di un passo e
facendola avvampare per quella strana intimità giocosa che
si stava
insinuando fra loro.
"Io
cosa?".
"Voi
potete permettervi di meglio?".
Demelza
si mise le mani sui fianchi, decisa ad avere l'ultima parola.
"Ovviamente no, dovremo quindi sopportarci! E se davvero volete
saperlo...".
"Dite!".
Questa
volta fu lei ad avvicinarsi. "In effetti, visto che ci tenete
tanto a saperlo, siete un pessimo datore di lavoro".
Ross
scoppiò a ridere, felice di aver rotto il ghiaccio e
divertito per
quella sua impertinenza che la faceva sembrare adorabile. Gli era
mancato quel lato del suo carattere che sembrava andato perso con la
morte di Hugh, si trovò a pensare... "Pessimo, forse
sì.
Eppure sono quì".
"Per
far cosa?".
"Per
accertarmi che voi e i vostri allievi non moriate di freddo".
"Siamo
gente temprata al vento della Cornovaglia" – gli fece notare
Demelza.
"Ma..."
- Ross indicò il mare sul cui orrizzonte iniziavano ad
addensarsi
fosche nubi sempre più vicine e nere – "Temo che a
breve
pioverà e che quì fuori sarà troppo
freddo anche per gente
d'acciaio come i marmocchi di Cornovaglia".
"Marmocchi
di Cornovaglia?" - sbottò Demelza. "E anche io apparterrei
a questa categoria?".
"Certamente,
non è quello che eravate fino a qualche anno fa? Una
marmocchia...".
"E'
un modo contorto per dirmi che sono molto giovane?".
Ross
le strizzò l'occhio. "Siete giovanissima, mi sembra".
"Ho
ventidue anni".
"Una
signora non dovrebbe mai dire la sua vera età" –
la rimbeccò
Ross.
"A
che servirebbe nasconderla? Diventerei più giovane?".
Ross
si stiracchiò, osservando i bambini che tormetavano il
povero Sun
che sicuramente stava rimpiangendo i comodi cuscini e il camino di
Nampara. "Non ne ho idea, a voi donne piace fare le misteriose
su questa faccenda di quanto siete vecchie...".
Demelza
rise di nuovo, andando a riprendere Sun per salvarlo dai bambini.
"Sono una strana donna, lo avete detto voi stesso. E poi
ventidue anni sono ancora pochi ma forse fra qualche anno
inizierò
pure io a diventare misteriosa su questa faccenda".
"Ne
dubito" – le disse, insolitamente con gentilezza. Non ne
aveva
alcun dubbio, nemmeno con gli anni sarebbe diventata qualcosa di
diverso dalla ragazza solare, aperta e sincera che era ora. "Comunque
con me non avrete problemi, abbiamo esattamente dieci anni di
differenza, sarò sempre un bel pezzo più vecchio
di voi".
"Buono
a sapersi" – gli rispose, stringendo Sun.
Decisamente
di buon umore, Ross si avvicinò ai bambini. "E allora,
piccoli
scansafatiche, che state imparando?".
La
piccola Sally Henshawe gli si avvicinò con un lungo legnetto
in
mano. "Lady Boscawen ci sta insegnando a scrivere i nostri nomi
nella sabbia! E' divertente, sapete capitano? Invece delle penne e
dell'inchiostro che costano tanto, coi legnetti si scrive lo stesso!
Dove la sabbia è bagnata poi, si scrive ancora meglio".
"Oh,
non ne dubito" – le rispose Ross, inginocchiandosi davanti a
lei. "Sapreste scrivere nella sabbia il nome del mio gatto?".
"Come
si chiama?" - chiese un altro bambino.
"Sun.
Siete davvero fortunati, gli ho dato un nome corto, non farete
fatica".
Demelza
si inginocchiò e i bambini le si avvicinarono, con
l'attenzione
focalizzata su di lei. La donna, usando l'indice della mano destra,
tracciò nella sabbia le lettere per scrivere il nome del
gatto, ne
spiegò il significato di ognuna ai bambini e poi li
mandò in riva
al mare per fare altrettanto.
Quando
i piccoli si furono allontanati, rimase con Ross ad osservarli da
debita distanza.
Lui
la fissò, ammirato. Non si credeva una brava insegnante ma
da quel
poco che aveva visto, lo era eccome. E i bambini la adoravano ed
ottenere il rispetto da quei piccoli monelli di strada non era poca
cosa. "Siete davvero una stramba maestra. Ma in gamba...".
Demelza
sussultò a quelle parole. Non c'era traccia di scherno in
lui e il
suo tono di voce sembrava quasi... dolce. "Vi ringrazio".
"Avreste
un futuro come insegnante".
Demelza
sospirò, stringendosi nello scialle. "Oh, non posso che
insegnar loro poche cose, non ho mai frequentato scuole e poi, lo
sapete pure voi, questa è una concessione che mi fa Lord
Falmouth
perché ha fini personali che persegue e che vi vedono
protagonista,
ma come vedova di Hugh e appartenente alla famiglia Boscawen, non
posso lavorare".
"E
vi dispiace?" - le chiese, notando il rammarico nel suo tono di
voce.
Lo
sguardo di Demelza si perse nel vuoto e la conversazione fra loro, da
giocosa, divenne improvvisamente seria. "A volte sì... A
volte
mi sembra di essere la persona sbagliata nel posto sbagliato".
Ross
annuì, capiva cosa volesse dire. "Vi comprendo".
Demelza
lo osservò attentamente, notando nei suoi occhi una grande
malinconia. Spesso si era persa ad osservare quegli occhi scuri,
enigmatici, che poco facevano trasparire i veri sentimenti del loro
possessore, chiedendosi quali demoni lo tormentassero e cosa lo
spingesse sempre a lottare e a cercare uno scopo da perseguire, senza
riposo, senza risparmiarsi, pagando in prima persona un prezzo a
volte spropositato. "Non fraintendetemi, capitano Poldark, ho
sposato Hugh per scelta, senza essere forzata... E la mia vita
è
cambiata in meglio e tanto devo a lui e a Lord Falmouth. Eppure, a
volte, mi pare di non essere diventata ciò che volevo, che
la vita
che avrei desiderato...". Si bloccò, ridendo forse di se
stessa. "Giuda, non so nemmeno se da piccola avevo qualche tipo
di aspettativa ma...".
Demelza
si bloccò, non trovando le parole. Fu Ross a concludere la
frase per
lei, aiutandola a dire quel che non riusciva. "Ma sentite che vi
manca qualcosa. Come manca a me".
Lei
annuì, baciando la testolina di Sun che si era accoccolato
sotto al
suo scialle. "Beh, ciò che manca a voi forse non
è così
irraggiungibile... Ci vuole solo il coraggio per prenderlo".
Ross
spalancò gli occhi, incapace di comprendere a cosa
alludesse.
"Cosa?".
Lei
prese un profondo respiro, cercando il coraggio di concludere quel
discorso che incautamente aveva iniziato. "La vedova di vostro
cugino... Lo dicono in molti che averla persa è stato il
vostro
tormento in questi anni. Ora non potreste lottare per riaverla?".
Lo disse e sapeva che era sbagliato e che non era né
elegante né
affar suo, ma fu incapace di stare zitta. Lo disse perché
aveva
visto quella donna assieme a un uomo che Ross Poldark detestava e se
da quel legame di Elizabeth con George Warleggan fosse nato qualcosa
di serio ed ufficiale, lui ne avrebbe sofferto infinitamente. E
sentiva che non lo meritava.
Lui
si incupì. "Sono cose di cui non amo parlare".
"Sicuramente
non con me, certo".
"Ma
avete intavolato voi questo discorso, lady Boscawen..." - le
fece notare, mentre una leggera pioggerellina iniziava a cadere sulle
loro teste. Ma non se ne accorsero quasi, così come i
bambini che
sulla riva giocavano incuranti di bagnarsi quei pochi e e logori
vestiti che indossavano.
"Non
avrei dovuto, scusate" – si giustificò Demelza.
Ross
osservò il cielo e si trovò a pensare a cosa la
gente dicesse di
lui e a come si ergessero a giudici della sua vita, credendosi in
grado di conoscerlo meglio di quanto lui conoscesse se stesso.
Nemmeno lui sapeva cosa voleva esattamente e si rendeva conto che i
sentimenti provati quando era giovane erano cambiati. Adorava
Elizabeth, era la perfezione assoluta ai suoi occhi... Eppure, ora
che si guardava attorno, vedeva altrettante cose belle che valeva la
pena sfiorare, conoscere, avere. E non era poi così certo di
cosa
mancasse alla sua vita, cosa mancasse davvero. Il suo sogno
giovanile, se lo avesse posseduto, avrebbe colmato quel vuoto che
sentiva dentro di se? Oppure, appunto, era solo il sogno di un uomo
che non voleva lasciar andare del tutto il ragazzo che era stato? "La
verità, Lady Boscawen, è che non è
tutto facile come dite voi".
"Cosa
volete dire?".
"Che
non sono così certo di cosa desidero".
Demelza
sospirò. "E allora siamo simili...".
Ross
le sorrise. "Forse per più cose di quelle che immaginiamo".
"Cioè?".
Ross
le indicò la miniera. "In fondo, entrambi, stiamo cercando
di
farla funzionare".
"E'
vero".
"E
non abbiamo timore di un pò di vento e pioggia".
"Vero
anche questo".
"E
abbiamo il rame del sangue".
Demelza
osservò i bambini. "Ognuno di noi lo ha...".
"Ed
è una maledizione?" - chiese Ross.
"A
volte, non sempre".
"Andiamo
a vedere che hanno combinato i bambini?" - le propose.
Demelza
accettò l'invito e insieme si avvicinarono ai piccoli,
osservando
quanto avevano scritto. Ross li prese in giro per i tratti ancora
stentati e tremolanti, ma tutti erano riusciti a portare a termine il
compito a loro assegnato.
Demelza
si congratulò con loro, gli diede delle caramelle che si era
portata
come premio da casa e poi si riavviò con Ross verso la
miniera. Fu
quando erano a metà della salita che dalla spiaggia portava
alla
Wheal Grace che la terra tremò e un rumore sordo ed
insidioso invase
la costa.
Demelza
tremò e guardò con terrore Ross. Conosceva quel
tipo di tremore,
quel rumore... Tutti lo conoscevano, in Cornovaglia."Capitano
Poldark".
Ross,
d'istinto, lanciò uno sguardo verso la Grace e si accorse
che fumo,
urla e un concitato via vai avevano preso il posto della sonnecchiosa
tranquillità del mattino. E ancora d'istinto prese Demelza
per mano
e corse verso la miniera, coi bimbi alle loro calcagna.
Coperto
di fumo e fango, Zachy Martin gli andò incontro, col terrore
negli
occhi. "Capitano! Capitanoooo".
Ross
lo prese per le spalle, strattonandolo. "Che è successo?".
"C'è
stato un crollo nella miniera al terzo livello, tre uomini sono
ancora la sotto".
Un
tuono sordo ma potente fece sussultare tutti quanti, come ricordando
ad ognuno di loro che l'inferno poteva arrivare in terra anche senza
preavviso. La pioggia prese a cadere forte e Ross si maledì
per
averci creduto e per aver spinto altri uomini a scendere in quei
cunicoli che già si erano risucchiati la vita di Francis. Ma
non era
il momento di piangersi addosso, forse questa volta l'esito poteva
essere diverso. Con Zachy corse verso la miniera, togliendosi di
dosso il cappotto e lanciandolo per terra strada facendo.
Demelza
gli corse dietro, raccogliendolo, poi prima che lui entrasse, lo
raggiunse. "State attento" – lo implorò.
Con
la disperazione negli occhi, Ross la spinse indietro. "State
lontana, è pericoloso".
"Non
me ne vado" – disse, decisa.
Lui
annuì, grato. "Prendetevi cura dei bambini e teneteli
lontani
dai guai. Lì sotto ci sono i loro padri, vado a recuperarli.
Voi
cercate di confortarli e farli stare calmi".
"Lo
farò".
Ross
la guardò negli occhi, mentre la pioggia li bagnava entrambi
senza
pietà ma senza essere avvertita. "Lo so... Mi fido di voi".
E
poi, detto questo, fu inghiottito con Zachy dall'oscurità di
quei
cunicoli fonte di tante speranze ma fautori di altrettante tragedie.
E
Demelza ripensò a quanto si erano detti poco prima e a
quanto
costasse a tutti loro quella strana maledizione di avere il rame nel
sangue, croce e delizia di tutti coloro che nascevano in quell'angolo
remoto di Inghilterra. E pregò che Ross non dovesse pagare
ancora
una volta un prezzo troppo altro per il suo buon cuore.
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Capitolo 29 *** Capitolo ventinove ***
Era
strano come a volte la pioggia fosse la compagna prediletta dei
momenti peggiori della vita di un uomo. Raccontata nei romanzi come
portatrice di sventura, la pioggia difficilmente era legata a momenti
felici dell'esistenza, nell'immaginario comune...
Ed
era ancor più strano che fosse a questo che Ross pensasse,
mentre
scendeva disperatamente in quei cunicoli bui e pieni di polvere, alla
ricerca degli uomini che vi erano rimasti intrappolati. Non era uomo
da pensare alla filosofia, ma si trovò a pensare a quanto
fosse
strana la mente umana nei suoi percorsi nei momenti più
disperati.
Pensò alla pioggia, a suo padre che aveva aperto la Grace e
le aveva
dato il nome di sua madre, alle tante disgrazie della sua vita, alla
sua infanzia per certi versi solitaria, alla speranza di rinascere
assieme ad Elizabeth, alla disillusione, a Francis e alla sua morte,
a come volesse lasciar perdere tutto e a come Falmouth gli avesse
fatto cambiare idea. Ne era valsa la pensa? Rischiare, morire o
trionfare valevano davvero la vita dei suoi minatori e la sua? Eppure
quella terra e le sue miniere spesso sembravano emanare un'energia
che attirava chi vi era nato ed era difficile rimanere lucidi e dire
di no. E allora il pericolo diventava parte del gioco, un azzardo che
si poteva tentare e ci si ributtava sotto, nel buio e
nell'oscurità,
consapevoli che era più facile fallire che trionfare e che
qualcuno
avrebbe potuto non rivedere più la luce del sole. Ma si
scendeva lo
stesso, ancora e ancora... Anche dopo aver detto di no si continuava
a farlo ed era questa la maledizione degli abitanti di quelle
terre... Aveva avuto senso accettare di riaprire, si chiese ancora
Ross...? Non lo sapeva e sperava di non doverlo scoprire nuovamente a
un prezzo troppo alto. Aveva paura ma si rendeva conto che non era il
momento... Ora doveva scendere, scavare a mani nude, trovare i suoi
uomini e riportarli su, dalle loro famiglie.
Zachy
e Ned lo raggiunsero, sporchi di fango e acqua come lui, con la paura
negli occhi e la determinazione nel cuore di salvare i tre dispersi.
"Capitano".
Ross
annuì, era tempo di agire senza rimuginare. Affrettarono il
passo
con il rischio di cadere, scesero scalette infide e scivolose, si
addentrarono nell'oscurità più nera in un'aria
sempre più
irrespirabile e sfidarono la sorte, la miniera e quella roccia che
poteva franare da un momento all'altro sulle loro teste.
Arrivarono
fin dove l'acqua gelida arrivava alla loro vita o anche al collo,
nuotarono sperando di battere il gelo legati l'uno all'altro da delle
corde e infine, dopo vari calcinacci franati sulle loro teste,
attenti a non far rumore per non creare nuovi crolli, li trovarono.
Feriti, coperti di macerie e rocce ma vivi. I loro lamenti dolorosi
erano il suono migliore che Ross avesse mai sentito.
Con
la forza della disperazione li estrassero dai calcinacci, se li
caricarono sulle spalle e iniziarono la loro salita infernale. Un
nuovo crollo li colse alle spalle, spingendoli ad allungare il passo,
facendo sentire su di loro il proprio alito di morte, nuove rocce
franarono sulle loro teste e risalire la scala viscida con quegli
uomini sulle spalle fu disumano.
Ma
finalmente furono fuori, coperti di macerie e sangue. Vivi...
Appena
Ross sentì la pioggia sferzante che gli bagnava il viso, si
sentì
quasi rinato nonostante i grandi sensi di colpa che provava per aver
messo i suoi uomini in quella situazione di pericolo. Era colpa sua e
non avrebbe cercato attenuanti a questo. Cosa dovevano aver provato
quei giovani uomini mentre si trovavano la sotto, coperti di rocce?
Quanta paura avevano sentito? Era la stessa paura provata da Francis
prima di morire? Qualcuno era morto, qualcuno ci era andato vicino
per colpa sua. E non poteva trovare scuse e il fatto che ce l'avesse
messa tutta per rendere la Grace qualcosa di promettente, non
alleggeriva le sue responsabilità. Aveva la miniera nel
sangue,
tutti quegli uomini erano colpiti dalla medesima maledizione ma il
proprietario della Grace era lui e a lui solo spettava il compito di
mandare a lavorare i suoi minatori in un posto sicuro. Cosa che, per
mancanza di denaro da investire in travi che sorreggessero il
soffitto dei cunicoli più traballanti, non era stata fatta.
Dwight
Enys, un giovane medico che lo aiutava a curare quei poveri disperati
senza chiedere alcunché, corse accanto a lui e ai feriti.
Era stato
Henshawe a chiamarlo correndo a casa sua mentre loro si trovavano di
sotto e il giovane non aveva esitato a correre in soccorso di Ross,
che aveva conosciuto anni prima durante la guerra in America e a cui
lo legavano un profondo rispetto e una sincera amicizia.
Sam
Clittford e Joe Jughes si ripresero quasi subito, terminando la loro
brutta avventura con dei colpi di tosse secca e qualche ammaccatura
qua e la. Adrian Keller invece aveva la gamba rotta e i polmoni pieni
d'acqua e Dwight dovette dannarsi per salvarlo.
Ross,
inginocchiato accanto a lui sotto la pioggia battente, con gli altri
uomini attorno, osservò il volto bianco di quel giovane
ragazzo che
aveva solo diciott'anni e lavorava per mantenere la sua famiglia e
sentì la morte su di lui, intenta a strapparlo da
un'esistenza che
forse poteva essere felice.
Dwight
gli praticò il massaggio cardiaco e in quel momento
arrivò anche
Demelza, che aveva messo al riparo i bambini in ufficio, a dargli
manforte.
Incurante
della pioggia che le aveva completamente infradiciato i capelli e i
vestiti, la ragazza si inginocchiò accanto al medico e senza
che
nessuno le dicesse nulla, prese il polso di Adrian fra le mani, alla
ricerca di un battito.
"Respira?"
- le chiese Dwight, che nemmeno la conosceva ma che a istinto sentiva
di potersi fidare.
Demelza
scosse la testa. Non sapeva molto di medicina ma da piccola era lei
che si occupava dei malanni dei suoi fratelli e sapeva che il cuore
poteva far sentire il suo battito anche nel polso. "No".
Ross
la osservò, ammirato. Sembrava non sentire il freddo,
l'umidità e
la pioggia su di se... Ed era una lady abituata ad ogni
comodità
ormai da qualche anno eppure pareva aver mantenuto in se il fiero
temperamento di monella nata all'ombra di una miniera. La
guardò con
insistenza e si sentì improvvisamente meno sperso con lei
accanto...
E silenziosamente ringraziò Dio, a cui non si rivolgeva
quasi mai,
per i suoi amici, per Dwight e per aver incontrato sulla sua strada
Lady Boscawen.
Dwight
riprese il massaggio cardiaco con vigore, alternandolo alla
respirazione bocca a bocca. Aveva in se la passione per la medicina e
sentiva fosse una sua missione aiutare con tutte le sue forze
chiunque ne avesse bisogno. Non era interessato al denaro e alla
ricchezza, non sarebbe mai diventato ricco, ma di certo sarebbe stato
un medico molto amato da chiunque avesse incrociato la sua strada.
Improvvisamente
Adrian emise un singhiozzo strozzato e poi prese a tossire acqua
mista a sangue. Dwight tirò un sospiro di sollievo, Ross si
sentì
rinascere e baciato dalla fortuna nonostante tutto, Zachy
aiutò il
ragazzo a voltarsi di lato affinché potesse espellere tutta
l'acqua
che aveva nei polmoni e Demelza, incurante del freddo e della
pioggia, si tolse il cappotto e lo mise addosso al ragazzo.
Adrian,
ancora inebetito e confuso, ci si strinse dentro, alla ricerca di
calore. Il cappotto era bagnato all'esterno ma era di ottima fattura
e all'interno era caldo e morbido. Una dolce culla per le ossa
congelate del ragazzo. "Che è successo?".
Henshawe
sorrise mentre i bambini si affacciarono alla finestra dello studio
incuriositi. "Succede che hai portato a casa la pellaccia,
ragazzo".
Ross
si inginocchiò, meno propenso a scherzare rispetto a
Henshawe. "C'è
stato un incidente e ne sei rimasto coinvolto. Un crollo... Ti
farò
accompagnare a casa e ti pagherò i giorni che ci metterai a
riprenderti come se avessi lavorato. Mi dispiace, la colpa è
mia.
Spettava a me mettere delle travi nei cunicoli per rendere sicura la
miniera".
Il
ragazzo, nonostante tutto, scosse la testa. "Capitano, il costo
di quelle travi avrebbe tolto risorse per assumere qualcuno di noi.
Sappiamo i pericoli che corriamo quando scendiamo la sotto ma siamo
disposti a correrli, abbiamo bisogno di lavorare e in fondo un giorno
saremo tutti morti, è così importante il modo in
cui questo
avviene? Siete un ottimo padrone, mille volte migliore di un
Warleggan e delle sue ottime travi".
Ross
non rispose e anche se le parole di Adrian erano un balsamo per il
suo animo tormentato, di certo non affievolivano le sue
responsabilità.
Dwight
gli tastò la fronte. "Sono d'accordo, ma ora basta parlare.
Devi riposare...". Si alzò in piedi ed occhieggiò
Zachy.
"Accompagnalo a casa, dite alla famiglia di metterlo a letto e
di dargli del brodo caldo. E poi riposo, a oltranza, finché
non si
sarà ripreso del tutto".
Zachy
annuì e aiutato da Ned, sollevò il ragazzo.
"Sarà fatto".
E mestamente, anche se grati a Dio che nessuno ci avesse rimesso la
vita, lo portarono via.
Ross
rimase ad osservarli pensieroso. Era andata bene ma il prezzo da
pagare poteva essere altissimo e non sapeva cosa fosse più
opportuno: il sollievo per non aver perso nessuno o il rammarico per
aver giocato d'azzardo, ancora una volta, con la vita dei suoi
uomini?
...
Per
quel giorno nessuno più lavorò. C'erano da
decidere i passi
successivi, fare delle perizie sulla natura del crollo, ci si doveva
riprendere dallo spavento, cercare soluzioni e soprattutto serviva
tempo perché gli animi di tutti ritrovassero la
tranquillità
necessaria per prendere decisioni importanti.
Continuò
a piovere tutto il giorno e nel pomeriggio i bambini tornarono a
casa. Anche Dwight, appurato che tutti stessero bene, se ne
andò e
così pure i pochi minatori rimasti che, dopo aver tolto un
pò di
macerie dai livelli superiori, avevano guadagnato la strada verso
casa.
Solo
Demelza rimase, incerta sul da farsi. Ross, cupo e taciturno, si era
messo seduto sulla veranda fuori dall'ufficio ad osservare il vuoto,
incurante della pioggia. La ragazza lo osservò preoccupata e
nel
frattempo rimase in ufficio a sistemare i fogli con gli scritti dei
bambini e alcune carte lasciate in disordine da Ross. Lo tenne
d'occhio, da lontano, rendendosi conto che i suoi migliori amici se
n'erano andati lasciandolo solo e che lo conoscevano meglio di lei e
avevano capito che era di questo che aveva bisogno... Forse avrebbe
dovuto farlo anche lei ma non se la sentì.
Quando
ormai era buio e la pioggia sembrava ancora più battente,
spense la
candela dell'ufficio e uscì da lui, sulla veranda. "Capitano
Poldark, vi prenderete una polmonite se continuate a rimanere
quì".
Ross,
coi capelli neri appiccicati al viso e fradici, la osservò
senza
vederla realmente, rendendosi conto solo in quel momento che era
rimasta. "Che importerebbe?".
Demelza
capì che si sentiva in colpa ma non voleva che fosse
così. Come
Dwight Enys, Ross non era mai stato interessato al profitto ma era da
sempre spinto dal desiderio di aiutare chi gli era più caro.
"A
tanta gente che crede in voi, signore".
"Se
vi riferite alle parole di Adrian, era confuso, straparlava! Come
potrei essere un buon padrone dopo quanto è successo?".
"Io
non credo che Adrian straparlasse e anzi, sono certa che il suo
pensiero fosse il pensiero di tutti quelli che oggi erano
quì. Per
la maggior parte dei proprietari di miniera, i minatori non sono che
carne da macello da sacrificare in nome del profitto. Ma non per
voi... Sono vostri amici, lavorate al loro fianco e dividete la
vostra vita con loro... Hanno ragione, il rischio vale la candela.
Meglio con voi, in questa piccola miniera che da poche garanzie, che
schiavi di un uomo come George Warleggan. Potete fidarvi
dell'opinione della figlia di un minatore di Illugan?".
Ross
le sorrise, trovando pace in quelle parole. "Ve l'ha mai detto
nessuno che avreste potuto diventare un buon avvocato? Sareste capace
di difendere egregiamente pure il demonio".
Lei
rise. "E' un complimento?".
"E'
un dato di fatto, Lady Boscawen" – le rispose. E solo in quel
momento si accorse che era rimasta senza cappotto, che i suoi capelli
erano ancora umidi e che era tardi ed era rimasta lì, al suo
fianco.
Sentì il bisogno di proteggerla e scaldarla, sebbene sapesse
che non
ne aveva bisogno... E una grande ammirazione per lei. "Quella
che si prenderà una polmonite sarete voi, siete rimasta
senza
cappotto".
Lei
si guardò, come ricordandosi solo in quel momento di quel
particolare. "Oh, non sono così delicata".
Ross
si alzò in piedi, entrò in ufficio e ne
uscì con una vecchia
coperta di lana che teneva per le emergenze in un piccolo baule.
Gliela poggiò sulle spalle e poi le sorrise gentilmente.
"Non
voglio di certo avere anche la vostra salute sulla mia coscienza. E
nemmeno sentire i rimproveri di Falmouth nel caso vi venisse un
raffreddore".
"Che
il cielo ci aiuti, in quel caso!" – rise lei, dimostrando la
sua simpatica ironia.
C'era
qualcosa di speciale in lei, qualcosa che riusciva a rasserenare pure
una giornata drammatica come quella appena vissuta. Lady Boscawen
sapeva portare il sole anche nei giorni di pioggia ed era
straordinario che non se ne rendesse conto e non se ne vantasse come
ogni altra donna avrebbe fatto... E fu allora che pose la
più
indelicata delle domande, la più sfrontata... Ma non se ne
pentì
mai, né in quel momento né lo avrebbe fatto in
futuro. "Come
avete fatto a sposare un uomo come Hugh Armitage?".
Lei
smise di ridere di colpo a quella domanda e lo guardò
confusa, senza
forse capire appieno il vero significato nascosto di quanto le aveva
appena chiesto. "Volete dire... come ha fatto Hugh a voler
sposare una donna come me?".
Ross
scosse la testa. Era la più logica delle domande forse,
quella che
lei aveva formulato, la domanda che forse la maggior parte della
gente si era fatta, ricamandoci su storie fantasiose e infiniti
pettegolezzi... Ma non lui. "No, intendo proprio ciò che vi
ho
chiesto! Come può una donna solare e vivace come voi, aver
sposato
un uomo pacato e passivo sognatore come Hugh Armitage?".
Improvvisamente
l'aria si fece pesante fra loro e Demelza comprese bene, dallo
sguardo, che Ross era terribilmente serio stavolta. Avrebbe potuto
offendersi, ricordargli che non erano affari suoi o chiedere
perché
gli interessasse ed invece si trovò a pensare a come
rispondere... A
lui e forse a se stessa e a quei dubbi sul suo matrimonio che mai
aveva permesso di venire alla luce. "Ero una ragazzina
inesperta. E lui un bravo ragazzo che mi adorava...".
"E
voi lo adoravate?".
Demelza
si strinse nella coperta. "Mi piaceva, sì... Per la prima
volta
qualcuno mi trovava bella e teneva a me e questo era così
straordinario...".
"Non
avete risposto alla mia domanda, però" – le fece
notare Ross,
con una strana insistenza.
Lei
si accigliò, forse un pò irritata da quel
pressing di domande che
la mettevano in difficoltà. Avrebbe potuto sottrarsi
facilmente a
quella conversazione ma stranamente non lo fece, non del tutto
almeno. "Hugh non vi è mai piaciuto, vero?".
"Penso
che vivesse una vita vuota, priva di emozioni e aspettative. Aveva
tutto, nulla per cui lottare e ogni cosa a portata di mano. Era
viziato, forse, come lo sono tutti quelli appartenenti al suo rango.
Non fraintendetemi, so bene che era una brava persona ma voi... voi
non avete apparentemente nulla in comune con un uomo così e
davvero,
a guardarvi da fuori, mi sono spesso chiesto cosa vi abbia spinto a
sposarlo".
Lo
sguardo di Demelza si indurì. "Pensate che lo abbia fatto
per i
soldi?".
"No,
di questo ne sono certo e non oserei mai nemmeno pensarlo". Non
voleva che pensasse una cosa simile e sicuramente non voleva
offenderla o che ci fossero fraintendimenti su una cosa che per lui
era certezza.
La
donna sospirò, appoggiandosi al muro. Sun, che era rimasto
al caldo
nello studio, la raggiunse e le fece delle fusa e lei lo prese in
braccio, perdendosi in pensieri talmente potenti che le fecero quasi
paura. Era la prima volta che qualcuno chiedeva così
sfrontatamente
di lei e Hugh e questo metteva a nudo i suoi pensieri più
intimi ed
era così strano che stesse succedendo con un uomo che
– e ne era
consapevole – la attraeva tanto. "Come vi dicevo, ero
giovane.
E quando l'ho conosciuto, ho voluto credere alle fiabe
perché lui
sembrava un principe e io non avrei mai potuto immaginare, da
bambina, di potermi sentire una principessa. E Hugh un principe lo
è
stato in un certo senso, sempre gentile, attento, premuroso, non mi
ha mai fatto mancare nulla".
Ross
la bloccò, perché era evidente che..."Ma?".
Perché le
frasi che comprendevano un 'ma' si potevano avvertire a parecchie
leghe di distanza.
Demelza
fece un sorriso stanco ma consapevole di quanto il suo matrimonio
fosse stato piacevole ma allo stesso tempo imperfetto, imprimendosi
nella mente le cose belle di Hugh ma ammettendo anche che qualcosa di
importante mancava al loro rapporto. "Non so, a volte ho pensato
che tutto quello che si dice dell'amore, siano concetti
sopravvalutati".
"Che
volete dire?".
Scosse
la testa. "Paragonano l'amore al fuoco, alla passione, a
qualcosa di totalizzante e unico. Io non ho mai sentito nulla del
genere ma solo un piacevole modo di vivere la quotidianità".
Avrebbe potuto allargare il discorso al mondo intimo del matrimonio
ma non era di certo il caso. Eppure anche lì, per lei,
valeva lo
stesso discorso. Faceva l'amore con Hugh perché era
ciò che una
moglie doveva fare, perché nonostante all'inizio sentisse
dolore poi
aveva imparato anche a provare piacere, ma non era...non era come lo
raccontavano, non era nulla di tutto questo. A volte aveva pensato di
essere sbagliata o che lo fosse Hugh o che semplicemente, gli altri
mentivano.
Incurante
dei suoi pensieri così confusi e disordinati Ross la
guardò
assorto, rendendosi conto che non era d'accordo con lei. "Quindi,
pensate che l'amore sia una favoletta per bambini?".
"Sì,
in fin dei conti".
"Non
la penso così".
Demelza
strinse forte Sun. "Non ne dubito, per voi è diverso e avete
amato intensamente, a quanto dicono...".
Ross
sospirò. "Ed è andata male e ne ho sofferto
proprio perché è
un qualcosa di totalizzante... Ma non parlavo di me, parlavo in
generale. L'amore è quella cosa inebriante di cui tutti
parlano ed
esiste, bisogna solo trovare la persona giusta. O almeno credo...".
In quel momento si sentì un pò idiota ad
affermare con tanta
certezza quei concetti, soprattutto davanti a una donna che era stata
sposata alcuni anni e benché più giovane, di
certo aveva più
esperienza di lui. Ma in fondo non era forse vero che era dotato di
una grande faccia tosta?
"Come
fosse facile" – borbottò lei.
Ross
la guardò intensamente, chiedendosi cosa dirle per farle
cambiare
idea. "Non avete mai pensato di aver semplicemente sposato
l'uomo sbagliato?". Era la seconda cosa sfacciata che le diceva
in quella giornata, ma non se ne pentì nemmeno questa volta.
L'aveva
sulla punta della lingua almeno da due anni...
Demelza
impallidì. Nessuno le aveva mai detto la verità
– e lei sapeva
che era tale – con tanta brutalità. Aveva voluto
bene a Hugh,
tantissimo. Ma negli anni aveva capito che l'amore era altro ed era
un sentimento che per quanto la riguardava, non apparteneva al suo
matrimonio. "Può darsi, ma il passato non si può
cancellare".
"Ma
il futuro è tutto da costruire" – le disse.
"Anche
il vostro, capitano Poldark".
Ross
assunse un'espressione amara, rendendosi conto che si era atteggiato
da maestro per quanto riguardava Demelza ma che non aveva certezza
alcuna su di lui. Guardò quella miniera foriera di debiti e
tragedie
e la sua realtà, che per qualche istante aveva dimenticato,
improvvisamente lo colpì con violenza. Il viso cianotico di
Adrian e
il ricordo di quanto vicino fosse andato alla morte, lo fecero
sussultare. "Io ogni volta che ci provo, fallisco".
"Non
è vero e lo sapete".
"E
quello che è successo oggi, come lo definireste?".
Demelza
lo vide tremare, i pugni stretti, il viso contratto e il dolore negli
occhi. Se fino a poco prima era stato sfacciato e quasi arrogante,
ora pareva smarrito e preda di grandi sensi di colpa. "Una
disgrazia accaduta mentre tante persone di buona volontà
cercavano
di fare del loro meglio col poco che avevano a disposizione. E quando
si cerca di fare del proprio meglio, non ci si deve mai pentire di
nulla".
Ross
alzò lo sguardo, disperato. Le si avvicinò e con
un gesto veloce le
prese le mani, costringendo Sun a saltare a terra. "E Adrian?
Non dovrei essere pentito per quanto gli è successo?".
Demelza
rispose alla sua stretta. "Adrian scenderebbe ancora anche
domani, in quei cunicoli".
"Questo
non alleggerisce le mie responsabilità".
Demelza
gli sorrise e poi, con un gesto gentile, liberò dalla
stretta di
Ross la sua mano destra per accarezzargli la guancia. "Ma
dovrebbe... Come vi hanno detto i vostri amici, non vorrebbero
lavorare per nessun altro che non siate voi. E quindi, o loro sono
folli oppure voi vi sottovalutate".
Ross
sentì sul viso il calore di quella mano e provò
l'istinto, tenuto a
malapena a bada, di baciarla. Disperazione, stanchezza, paura e
spossatezza non chiedevano altro che di disperdersi nel calore che
emanava da quella strana ragazza. Non la baciò, non avrebbe
potuto
permettersi di fare nulla del genere ma per un attimo crollò
contro
di lei, facendola arretrare fino alla parete, affondò il
viso nel
suo collo, fra la coperta che le aveva dato, e poi rimasero
lì,
fermi, immobili, con in sottofondo il battito veloce dei loro cuori e
il rumore della pioggia battente che non smetteva di cadere.
Demelza
lo strinse a se, accarezzando i suoi ricci scuri, cercando di
rincuorarlo con la stessa tenerezza usata spesso per calmare Hugh nei
momenti peggiori. Ma Ross era diverso, non era come Hugh e viveva
tutto più intensamente, sia le vittore, sia le sconfitte.
Aveva un
animo sempre in guerra contro se stesso e sentiva sulle sue spalle il
peso del mondo ed era affascinante il suo modo di vivere, ma allo
stesso tempo doveva essere così logorante per lui...
Ross
rimase immobile per lunghi minuti, quasi in tranche, chiedendosi se
mai nella vita si fosse trovato meglio di così. Poi si rese
conto
che non poteva approfittarne, che poteva apparire infantile e che si
stava prendendo confidenze che non gli erano concesse. "Perdonatemi"
– le disse, fra i capelli.
"Non
avete nulla di cui chiedere scusa" – rispose lei che, al suo
pari, si sentiva bene ad averlo così vicino. Ne era
attratta, da
tanto, di quell'uomo tanto sfrontato ma affascinante, del suo corpo
statuario, del suo fisico asciutto e muscoloso che aveva visto di
nascosto quasi due anni prima, scrutandolo mentre nuotava nel mare.
Ma ora c'era altro, in lei, per lui... Era la sua anima tormentata e
generosa ad attrarla, oltre a tutto il resto, le sue battaglie, il
suo dolore da lenire, la sua passione in tutto ciò che
faceva. Come
avrebbe potuto gestire tutto questo?
Ross
si tirò su, fronteggiandola viso a viso. "E' così
tardi e fa
freddo e voi dovreste essere a casa da un bel pò"
– le
sussurrò, sfiorandole una ciocca bagnata e rendendosi conto
solo in
quel momento che era ormai buio pesto.
"Sì,
forse dovrei. Ma stare con Sun è stato così
piacevole" –
scherzò lei, per stemperare la tensione creatasi fra loro.
"Lo
immagino".
Demelza
si accovacciò ad accarezzare il gatto. "Domani
sorgerà di
nuovo il sole e tutto quello che ora vi appare cupo, lo vedrete sotto
una luce nuova".
Ross
osservò lei e poi la Grace. "Forse, grazie a voi, mi sembra
meno cupo già ora, rispetto a quello che dovrebbe. Ho molto
per cui
ringraziarvi, stasera".
"Forse
anche io" – gli rispose, rendendosi conto che le aveva dato
un
posto da insegnante, bambini a cui fare da maestra e soprattutto che,
forse inconsapevolmente o forse volutamente, l'aveva costretta a
parlare di cose talmente dolorose e private che mai aveva avuto il
coraggio di esternare. E che questo le aveva fatto bene...
Ross
le tese la mano. "Vi accompagno a casa".
Ma
lei scosse la testa in segno di diniego. "No, ho davvero voglia
di galoppare da sola, in silenzio".
"Insisto".
"No,
per favore". Quasi lo implorò ma dopo quanto si erano detti,
aveva tante cose a cui pensare e una vita intera da ricostruire dopo
aver preso atto forse per la prima volta degli errori commessi in
passato. Non era pentita di aver sposato Hugh, era stato a suo modo
un matrimonio felice e per suo marito una ragione di vita, ma capiva
che non era la strada che avrebbe dovuto intraprendere. Ma era stato
giusto così perché ora aveva raggiunto una
consapevolezza di se
stessa che difficilmente avrebbe raggiunto se avesse fatto scelte
differenti.
Ross
parve capire il suo desiderio di intimità e solitudine e
quindi,
dopo averla condotta al cavallo e averla vista dare un bacio a Sun e
montare in sella, la lasciò andare per la sua strada. Era
una donna
cornish forte, una galoppata notturna e un pò di pioggia non
l'avrebbero scalfita e forse per lei era meglio così...
Dopo
un'ultima occhiata alla sua maledetta miniera, mestamente
tornò a
casa, consapevole che la sorte e la vita lo avevano ancora messo alla
prova col crollo di quella giornata e meno sicuro sul continuare o
meno, ma consapevole che Lady Boscawen aveva ragione e che dopo una
notte tanto orribile, al mattino con la luce tutto avrebbe assunto
altre forme meno spaventose. Aveva solo bisogno di un bagno caldo, di
una cena, di una buona dormita e di non pensare a nulla... O al
massimo, di pensare a cosa avesse di tanto magico in se quella strana
ragazza dai lunghi capelli rossi.
Prese
Sun, montò sul suo cavallo e mestamente fece ritorno a
Nampara.
Ma
quando arrivò a casa, Prudie lo accolse con una lettera che
lo
avrebbe sconvolto più di quanto potesse sopportare in una
giornata
del genere.
"Chi
la manda?" - chiese Ross, aprendo la busta.
"Arriva
da Trenwith" – rispose la donna, quasi intimorita, mentre Jud
spariva dietro a una porta borbottando.
Come
rendendosi conto di una tempesta in arrivo, Sun anche Sun corse via
su per le scale, rifugiandosi in camera.
Ross
invece andò nel suo studio, si sedette sul divano e lesse.
"Caro
Ross, non trovo e non troverò le parole più
adatte per dirtelo, ma a questo punto devo e spero che capirai la mia
scelta e non mi
biasimerai.
Ho
acconsentito a sposarmi con George Warleggan".
Ross non
riuscì nemmeno a
finire la lettera che con la sua grafia elegante, Elizabeth gli aveva
inviato. Tutto divenne cupo, nero attorno a lui. E i sentimenti buoni
e puliti respirati con Lady Boscawen sparirono, lasciando il posto a
qualcosa di indefinito, rabbioso, cattivo ed incontrollabile... La
miniera lo aveva tradito, di nuovo! E anche Elizabeth!
Con un
balzo si alzò, superò
Prudie che lo rincorse e si diresse verso le stalle, sotto la pioggia
battente.
"Signore,
dove andate?".
"A
Trenwith!" - le
rispose, scomparendo come spinto dalla più folle delle
pazzie, nella
notte.
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Capitolo 30 *** Capitolo trenta ***
Il
buio nella sua anima e la totale assenza di sentimenti eccezzion
fatta per la rabbia, faceva un tutt'uno con l'oscurità di
quella
notte tempestosa.
Ross
galoppò come impazzito verso Trenwith, spingendo il suo
cavallo a
una corsa al limite delle sue capacità, chiedendosi con il
poco
raziocinio che gli era rimasto, in cosa avesse sbagliato. A fidarsi
di lei? A sperare, ancora, nonostante già una volta si fosse
scottato con la medesima acqua bollente? O era rabbia verso se stesso
e quanto era stato cieco? Oppere era rabbia verso Elizabeth o verso
l'amicizia che la univa a George o che altro ancora?
Difficilmente
la furia che aveva in corpo gli avrebbe fornito le risposte di cui
necessitava e nemmeno sarebbe riuscito a capire il perchè di
quella
galoppata furiosa. Perché andava a Trenwith? A urlare e
strepitare?
Per cercare di capire? O per reclamare ciò che pensava fosse
suo?
Era
stata una giornata orribile in cui la morte aveva sfiorato di nuovo
la sua miniera, in cui le poche certezze a cui si era aggrappato
erano cadute di nuovo, con il solo calore delle parole amiche di una
strana ragazza dai capelli rossi... E ora di nuovo, l'incubo
dell'oscurità e delle promesse tradite lo colpivano, ancora
e poi
ancora. E la colpa era sua o della donna in cui aveva riposto ogni
speranza?
Quando
arrivò a Trenwith, tutto era ovviamente buio. La casa
sembrava
avvolta dal tepore del sonno e la pioggia che vi batteva contro
incessantemente non sembrava scalpirne il silenzio opprimente.
Sceso
da cavallo Ross si avventò sulla porta, batté con
forza i palmi ma
quando vide che nessuno arrivava ad aprire, corse sul retro della
casa e si arrampicò sull'albero i cui rami poggiavano sul
davanzale
che dava sul corridoio del primo piano dove si trovavano le stanze da
letto. Si stava comportando come un ladro ma la furia in lui gli
impediva di fermarsi.
E
così bagnato, infreddolito, furente, saltò sul
davanzale, ruppe il
vetro, introdusse la mano e aprì la finestra. E in un attimo
fu
dentro casa, alla ricerca di chissà che...
Quando
fece per arrivare alla porta di Elizabeth per aprirla, buttarla
giù
a calci o chissà che, fu la donna ad anticiparlo, comparendo
da
dietro l'uscio in camicia da notte, coperta unicamente da una
vestaglia di seta verde. Lo guardò ammutolita,
osservò con orrore
il vetro della finestra rotta e poi, come se non capisse il
perché,
porse la più ovvia delle domande. "Ross... Cosa ci fai
quì?".
Furente
le si avvicinò, si mise la mano in tasca e ne estrasse la
lettera
che gli aveva fatto recapitare a Nampara. Stropicciata, bagnata,
strappata, era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso e
Ross questa volta non aveva intenzione di assistere all'ennesima
disfatta della sua vita in modo inerme. "Cosa ci faccio quì?
Con che coraggio me lo chiedi, dopo questa?".
Elizabeth
deglutì. "Ross, forse dovresti tornare domani e
così potremo
parlarne con calma davanti a una tazza di tè".
"Al
diavolo il tè, ne parliamo ora, non domani, non dopodomani.
ORA!"
- disse, categorico, spingendola con forza dentro la camera e
chiudendosi l'uscio alle loro spalle.
Elizabeth
arretrò. "Ross, non dovresti essere quì".
Finse
di non sentirla o forse non la sentì affatto. Al diavolo le
buone
maniere, al diavolo il cavallierato, al diavolo tutto. "Che
significa questo?".
"Ne
più ne meno ciò che vi è scritto.
Francis è morto e tutto è
ricaduto pesantemente sulle mie spalle. Sono sola, piena di debiti,
con una madre da assistere, un figlio ancora piccolo e una grande
casa da mandare avanti senza l'aiuto di nessuno. Non sono
così forte
da fare tutto da sola e ho bisogno della protezione di un uomo. E che
qualcuno assieme a me pensi al futuro di mio figlio, rimasto senza
nulla a causa dei debiti contratti da suo padre. Non capisci, col
futuro di Jeoffrey Charles così incerto e la mia
incapacità ad
affrontare una vita da vedova solitaria...".
Ross
la bloccò, furente, incapace di stare a sentire quella
carrellata di
ovvietà e bugie. "Io sono quì, io ci sono e ci
sarei stato per
ogni bisogno! Così come Verity e zia Agatha. Tu e il bambino
non
siete mai stati soli!".
Elizabeth
scosse la testa tentando di apparire provata e poter stemperare la
rabbia furiosa che vedeva in Ross. "Lo so e te ne sarò
eternamente grata. Ma un marito è qualcosa di diverso,
è una spalla
costante su cui poggiarsi".
"George?
Parli di George Warleggan? Il George Warleggan che ha tentato di
farmi impiccare, che non sogna che di vedermi fallire e che ha
rovinato la vita di Francis? Sarebbe LUI la spalla su cui vuoi
poggiarti?".
"E'
gentile con me" – si schernì Elizabeth.
Ross
rise, isterico. "Gentile? George?".
"Sì!
E si è preso cura di me da quando è morto
Francis".
"Pura
filantropia, suppongo! O sei tu che vuoi crederci e farmelo
credere!".
"Mi
ha riempita di attenzioni e premure, è l'uomo giusto che una
donna
nella mia situazione dovrebbe sposare...".
"Vuoi
dire che il suo denaro si è preso cura di te". Oh, era
meschino
dirlo, ma non più del gioco fatto da Elizabeth alle sue
spalle.
Elizabeth
avvampò, furente a quell'affermazione. Come osava? "Ora mi
stai
offendendo!".
"Perché
la cosa ti offende?".
"Perché
non vuoi capire la mia posizione di donna e madre".
"Ti
stai vendendo a lui!!!" - urlò Ross, avventandosi su di lei
e
prendendola per le braccia. "Da quando è iniziata? Da quanto
mi
menti sui rapporti con lui?".
"Lasciami,
sei un bruto!" - tentò di divincolarsi lei.
"Rispondi!".
"Non
ti ho mentito, non volevo turbarti!".
Ross
rise di nuovo, fuori di se dalla rabbia. Santo cielo, l'aveva
così
amata e ora sentiva come di odiarla, come se nessun tradimento fosse
mai stato così grande come il suo... L'aveva aspettata per
anni,
adorata... E lei non lo aveva mai preso in considerazione
perché non
poteva offrirle ciò che voleva. Non amore ma denaro e
prestigio...
"Turbarmi? Elizabeth, dimmi la verità, dimmi cosa vuoi e
smettila di giocare a fare quella che si preoccupa per me. Cosa vuoi?
COSA VUOI?!".
"Una
famiglia e sicurezza".
"Denaro?".
"Mi
offendi ancora! Non mi svendo per soldi, non sono una prostituta".
"Ma
il tuo comportamento tradisce tali affermazioni, mia cara!".
Punta
sul vivo, inorridita che qualcuno, che LUI osasse dire qualcosa del
genere, Elizabeth alzò la mano e lo schiaffeggiò
sulla guancia.
"Sei orribile".
Ross,
ancora più furioso, la spinse fino al bordo del letto.
"Dimmi
allora che lo ami".
"Lo
amo, moltissimo".
"Non
ti credo! Non ti credo perché dicesti la stessa cosa di
Francis e
poi ti sei rimangiata tutto, lo ricordi?".
Elizabeth,
con le spalle al muro e spaventata per la piega che stavano prendendo
le cose, cercò di riportarlo alla calma. "Voglio il tuo bene
Ross, davvero. E forse questo matrimonio potrà sanare i tuoi
contrasti con George".
Lui
rise, divertito o forse ancora più furioso per come stava
cercando
di prenderlo in giro. "Dimmi che lo ami!" - le intimò, di
nuovo, spingendola sul letto e stendendosi su di lei, viso a viso.
Lei
si divincolò. "Vattene!".
"Dimmelo!!!"
- urlò.
Ma
lei tacque. E per Ross fu troppo. Si avventò su di lei, la
baciò
con passione sulle labbra, con quella passione rabbiosa ma inebriante
che un amante sa riservare solo alla donna da sempre desiderata. Ma
non c'era amore in lui, non c'era nulla di tutto questo ed
improvvisamente davanti ai suoi occhi scomparve per sempre l'immagine
della Elizabeth dolce ed angelica che aveva cullato nella sua mente,
fino ad idealizzarla, per lunghi anni. Questa fu la consapevolezza
definitiva mentre la costringeva ad accoglierlo fra le braccia. Non
tenerezza, non dolcezza, non frasi d'amore e nessun futuro da
costruire. Nei suoi gesti c'erano tante promesse infrante,
un'adorazione andata in frantumi, un vuoto che ben poche cose
avrebbero potuto colmare.
Elizabeth
tentò ancora di divincolarsi dalla sua stretta ma Ross la
baciò di
nuovo e lei, forse capendo che non poteva fermarlo o forse inebriata
da quel furore che mai aveva conosciuto e che in un uomo come lui
poteva sembrare eccitante, rispose al bacio, con la stessa irosa
passione. Un istante solo con un uomo di fuoco e acciaio prima di
diventare la facoltosa moglie di George Warleggan. Sentiva di
meritarselo, dopo tutto... E avrebbe fatto in modo che nessuno mai
potesse sapre...
Ross
la sentì gemere mentre le tirava su la camicia da notte e si
insinuava fra le sue gambe e la sentì rispondere con
passione ai
suoi movimenti contro di lei. Senza troppe cerimonie le tolse la
biancheria intima, si slacciò i pantaloni e senza alcun
gesto di
tenerezza la fece sua. E mentre il buio più profondo calava
nel suo
cuore e nella sua anima, si compì il destino infame di due
amanti
che poco e nulla si erano capiti nella vita e la cui corda che teneva
legati i loro destini si era spezzata inesorabilmente.
...
L'alba,
fredda ma serena dopo una giornata e una notte di pioggia,
arrivò in
fretta.
Ross,
nella penombra della casa, con Elizabeth completamete nuda che
dormiva accanto a lui placidamente, osservò come ipnotizzato
l'opacità dei vetri completamente appannati. Non si poteva
vedere
nulla oltre ad essi e in un certo senso era così che si
sentiva
anche lui, disperso nella nebbia, dubbioso, incapace di comprendere
le sue azioni e di capire cosa avrebbe dovuto fare adesso.
Si
voltò ed osservò Elizabeth. Era sempre bella,
ancor di più coi
capelli sciolti e le gote arrossate e nel sonno pareva quasi
angelica. Ma la patina che la ricopriva rendendola dorata ai suoi
occhi era definitivamente caduta e ora, soprattutto ora, comprendeva
che aveva sbagliato sempre tutto e che forse andava bene
così, che
Elizabeth sposasse George perché adatto a lei e che lui la
lasciasse
fare perché inadatta a lui. C'era stata passione quella
notte,
piacere fisico, ma tutto era finito in fretta, mestamente, lasciando
solo freddezza e solitudine in lui. Qualsiasi cosa avesse sognato di
trovare in Elizabeth, non l'aveva trovata. Cosa gli aveva lasciato
dentro quella notte di lussuria e furore? Nulla, se non sensazioni di
sporco... Si era comportato da animale, aveva lasciato agire i suoi
più bassi istinti e ora non voleva che andarsene, voltare
pagina,
ricominciare in qualunque altro luogo che non fosse quello dove si
trovava in quel momento.
Si
alzò dal letto, con movimenti meccanici si
rivestì e infine, prima
di andarsene, con un gesto gentile e di addio che probabilmente le
doveva dopo il modo in cui l'aveva presa, accarezzò la testa
di
Elizabeth. "Mi dispiace..." - sussurrò solo.
Si
avvicinò alla porta, la aprì e solo in
quell'istante la voce di
Elizabeth lo raggiunse, assonnata. "Dove vai?".
Sussultò,
mordendosi nervosamente il labbro. "Via...".
"Perché?
E noi...? Io...?".
"Tu
hai fatto le tue scelte, io le mie" – disse, senza quasi
voltarsi, rendendosi conto che anche lui aveva scelto per davvero,
quella notte. "E non dovrei essere quì, non avrei mai dovuto
venire".
"Ma
lo hai fatto" – gli fece notare lei, forse incapace di capire
cosa fare adesso. Ciò che era successo rimetteva
pericolosamente in
gioco tutte le carte ed Elizabeth si trovò incerta sui suoi
reali
desideri. Mente, cuore e passione indicavano ognuna una via
differente...
Ma
Ross dissolse ogni suo dubbio. "Sì l'ho fatto, sono venuto
quì
e non avrei dovuto. Soprattutto non in questo modo. Mi dispiace... Ma
una cosa l'ho capita, sai? Non posso contrastare l'inevitabile e non
posso impedirti di portare a termine una tua buona decisione".
Elizabeth
spalancò gli occhi. "George?".
Lui
si voltò verso di lei, spossato, confuso ma deciso
finalmente a
voltare pagina. "Sarete felici, è una buona scelta dopo
tutto e
ora l'ho capito...".
"E
stanotte? Noi?".
Ross
annuì, prese un profondo respiro e cercò di
cancellare ogni ricordo
delle ultime ore. "Dimenticala, non è successo nulla che
valga
la pena ricordare. Io farò lo stesso". E così
dicendo, uscì
dalla camera da letto e la lasciò indietro. Nella stanza...
Dalla
sua vita...
Scese
le scale, uscì dalla porta di servizio e riprese il suo
povero
cavallo che lasciato incustodito nel parco di Trenwith. Lo
spornò a
partire al galoppo e lo lasciò andare dove voleva, incapace
di
prendere una direzione. Non desiderava tornare a casa, non voleva
andare alla miniera, era completamente sperso e privo di ogni
appiglio. Voleva solo galoppare e sentire il vento freddo della
Cornovaglia sul viso, nella speranza di svegliarsi e scoprire che si
era trattato solo di un grande incubo.
Eppure,
senza quasi rendersene conto, le sue mani sulle redini del cavallo
presero il possesso dell'animale a un certo punto, guidandolo
lontano, attraverso campi pieni di rugiada e pioggia.
E
si fermò solo quando vide comparire la tenuta dei Boscawen
davanti a
se.
Cosa
ci faceva lì? Perché aveva guidato il suo cavallo
fino a quel
luogo?
Le
ultime ventiquattro ore scorsero davanti ai suoi occhi e si rese
conto dell'unica luce che in quel lasso di tempo aveva illuminato la
sua giornata: Demelza...
Pensò
alle confidenze che si erano fatti, al suo sorriso, alle sue parole
che avevano fatto apparire meno buio quanto successo in miniera e si
rese conto che lei era capace di fare qualcosa di unico, sapeva
risvegliare sentimenti positivi in lui, scacciando il nero che troppo
spesso albergava nella sua mente. Se Elizabeth aveva risvegliato il
peggio in lui, Demelza sapeva fare l'opposto e renderlo una persona
migliore.
Fu
in quel momento che la vide uscire di casa, a cavallo, vestita con un
elegante completo da amazzone blu. Si ricordò che lei amava
uscire
spesso a cavallo da sola di mattina presto e realizzò che
era lì
davanti a casa sua senza un motivo preciso, di prima mattina. E che
questo poteva apparire molto sconveniente e farlo sembrare pazzo,
viste le condizioni in cui si trovava.
E
infatti, Demelza lo notò subito, c'era silenzio e non
c'erano che
loro, sullo sterrato. Interdetta si avvicinò a cavallo, lo
scrutò
preoccupata e capì subito che era disperato e fuori di se,
anche se
non ne conosceva il motivo. "Capitano Poldark...".
Viso
a viso, guardandola da vicino, si accorse che di prima mattina era
ancora più bella e che il suo fascino era tutto
lì, nella
semplicità delle sue forme e del suo viso. E in quegli
splendidi
capelli rossi che in quel momento teneva legati in una lunga treccia.
"Ecco..." - balbettò, a corto di parole.
"E'
successo qualcosa ai bambini? Alla miniera?" - gli domandò
preoccupata, entrando in allarme.
"No"
– rispose, a monosillabi.
Confusa
dalla sua presenzalì, lei tentennò. "Oggi non
dovevamo
vederci... Non dovevo venire in miniera...".
"Lo
so. Ma non avete mantenuto una promessa" – disse, rendendosi
conto che era completamente fuori di testa, confuso, che doveva
sembrare ubriaco e che non aveva la minima idea di che diavolo stesse
dicendo.
La
serietà del suo volto la fece preoccupare. Demelza scese da
cavallo,
gli si avvicinò e con dolcezza mise le sue mani sopra quelle
di lui,
come a volergli infondere tranquillità. "Quale promessa?"
- chiese in tono gentile, come se stesse parlando con uno dei suoi
piccoli allievi.
"A
Londra, lo scorso anno... Mi avete promesso una galoppata insieme...
E che sareste venuta a trovare Sun a casa mia...". Santo cielo,
che stava dicendo? Lady Boscawen probabilmente in quel momento doveva
pensare che fosse ammattito e rincretinito del tutto.
Era
fuori di se e Demelza lo capì. Non sapeva cosa fosse
successo ma
sentì che doveva proteggerlo e stargli vicino. "Avete
ragione,
mi dispiace di non essere mai più tornata a Nampara.
Stamattina non
posso venire a casa vostra ma vorrei tanto avervi come compagno
mentre sono a cavallo".
"Davvero?".
Demelza
sorrise e in lei non trovò tracce di menzogna o doppio
gioco.
"Davvero, a volte è così noioso andare a cavallo
senza alcuna
compagnia al mio fianco...". Montò a cavallo, gli si
affiancò
e annuì. "Sono una cavallerizza veloce al mattino, saprete
starmi dietro?".
"Non
vi perderò di vista" – le rispose, prima di
partire con lei
al galoppo, fianco a fianco.
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Capitolo 31 *** Capitolo trentuno ***
"Questo
è il posto dove sono nata".
Da
un promontorio, fianco a fianco entrambi sul loro cavallo, Demelza e
Ross osservarono la desolazione di Illugan, uno dei villaggi
più
poveri e disgraziati del distretto. Miseria e fame la facevano da
padrone e vi si nasceva e moriva senza aver coltivato alcuna speranza
per un futuro migliore.
Demelza
non sapeva perché avesse galoppato fin lì dove
non aveva mai volto
tornare eppure, dopo aver visto comparire Ross davanti a casa sua in
uno stato confusionale, rendendosi conto che qualcosa di grande era
successo in lui e che qualunque cosa fosse, non sarebbe potuto
tornare indietro, d'istinto aveva sentito il bisogno di guardare da
lontano la sua porta semi-aperta sul passato. Forse per vedere dove
era arrivata o forse perché aveva bisogno di chiuderla per
sempre
dietro di se. Erano simili in questo, lei e Ross in quel momento? O
ognuno combatteva nella propria anima demoni differenti? Non lo
sapeva eppure qualcosa in lei le suggeriva che in quel momento erano
straordinariamente affini e che averlo come compagnia in quella
galoppata solitamente solitaria le avrebbe fatto fare chiarezza su
tante cose che in lei rimanevano irrisolte.
Dopo
essere partiti a cavallo dalla dimora Boscawen, era stata Demelza a
decidere il tragitto da percorrere e Ross l'aveva lasciata fare,
senza dire nulla. C'era furore in lui e le lunghe occhiaie e i
capelli spettinati gli conferivano un aspetto trasandato ma allo
stesso tempo attraente. Era come se da lui, in lui, fuoriuscisse
un'energia inarrestabile che non poteva che attrarla.
Fermo
sul promontorio, Ross osservò quella donna vestita con
quell'elegante abito da amazzone e poi le povere strade di Illugan.
"Siete fra i pochi che hanno potuto mandare al diavolo questo
posto dimenticato da Dio".
"Già..."
- rispose lei, pensierosa.
"Dovreste
essere fiera di voi stessa, per ciò che siete ora".
"Perché?".
Ross
si stupì di quella domanda. Era stato taciturno fino a quel
momento
e durante la cavalcata aveva potuto ritrovare la calma per ragionare
su se stesso e quanto era successo poche ore prima a Trenwith, ma non
poteva giurare di essere ancora del tutto lucido per comprendere gli
altri. "Come potete chiedermelo?".
Demelza
scosse la testa. "Ciò che sono, non è avvenuto
per merito mio.
E' stata solo fortuna... Ho incontrato Lord Falmouth nel momento
giusto e poi Hugh... E tutto è successo così,
senza che io potessi
far qualcosa per cambiare lo stato delle cose. Non ho meriti in
questo, non mi sono impegnata, è successo e basta".
Ross
non si trovò d'accordo. "Siete in gamba e Falmouth vi ha
apprezzata da subito. E dopo di lui, suo nipote. Una sciocca e
volgare paesana in cerca di un matrimonio conveniente non avrebbe
sortito il medesimo effetto su di loro. Siete nel posto che vi
compete perché coloro che ora sono la vostra famiglia hanno
capito
che era giusto che fosse così".
Lo
sguardo di Demelza si fece amaro. "Non riesco a trovarmi
d'accordo con voi e non credo di essere così diversa dalle
altre. Se
non avessi incontrato Falmouth...".
"Sì?".
Demelza
ripensò alla sua infanzia e ai pochi ricordi che aveva
conservato di
sua madre. "Mio padre era sempre ubriaco e io ero la prima di
tanti figli. Mia madre morì che ero piccola, lasciandomi una
marea
di fratellini ancor più piccoli di me di cui prendermi cura.
La
ricordo a malapena, so solo che era sempre stanca e incinta. Un
bambino dopo l'altro, tutti gli anni, non credo di aver alcun ricordo
di lei senza un pancione. Tanti bambini, pochi soldi, poco cibo e un
marito sempre ubriaco. La mia casa era così, la sua vita era
così e
morì presto. Morì giovane come tante donne
muoiono da queste parti,
mettendo al mondo miriadi di bambini o per semplici malattie che
però
non hanno i soldi per curare. Io avrei fatto la sua vita e la sua
fine se non avessi incontrato Falmouth. Dite che sono in gamba ma
senza di lui non mi sarei mossa da Illugan e ora sarei la copia di
mia madre...".
Ross
si sentì stringere il cuore, rendendosi conto che dietro a
quella
donna così forte, particolare, intraprendente e in gamba si
nascondevano un passato difficile e tante lotte per la sopravvivenza
che aveva dovuto iniziare a combattere appena emesso il primo vagito.
E lui? Lui cos'era in confronto a lei se non un ragazzino viziato che
si era perso anni di vita dietro a un sogno romantico senza
fondamento? Aveva dieci anni in più eppure si sentiva
piccolo in
confronto a lei che di fatto era poco più che una ragazzina.
"Mi
sarebbe piaciuto incontrarvi prima di Falmouth. Avrei forse potuto
aiutarvi in qualche modo anche io".
A
quelle parole, Demelza rise. "Cosa?".
Ross
abbassò lo sguardo, impacciato, rendendosi conto che avrebbe
amato
sentirsi utile nell'aiutarla. "Oh, non avrei potuto offrirvi
molto ma pace e un tetto sulla testa, sì".
"Siete
una persona gentile che aiuta molte persone in difficoltà e
di certo
sarei stata contenta di essere al vostro servizio".
Ross
sorrise amaramente, non si sentiva affatto una buona persona e di
certo non in quella mattinata. Aveva agito come un folle, era entrato
come un ladro nella sua casa di famiglia, aveva preso una donna con
rudezza, contro la sua volontà ed era scappato subito dopo,
senza
alcun gesto di tenerezza verso di lei o promesse per il futuro. Era
il peggior partito che un padre potesse desiderare per una figlia e
Demelza si sbagliava a pensare tanto bene di lui. "Oh, non sono
affatto così".
"In
molti vi vedono così".
Ross
tornò a guardarla, chiedendosi cosa pensasse di lui e dello
strano
comportamento di quella mattina. "Non vi siete chiesta cosa mi
abbia spinto all'alba a casa vostra? E perché ho questo
aspetto
orribile?".
Demelza
tentennò prima di rispondere. "Non credo siano affari miei".
"Ma
ve lo siete chiesto?".
Lei
arrossì. "Forse, ma non ve lo chiederò".
"In
realtà se lo faceste, non sarei nemmeno così
sicuro di sapervi
rispondere. Eppure sarebbe vostro diritto, visto che sono comparso
come un ladro davanti a casa vostra senza motivo".
Tentennò
di nuovo, poi gli sorrise. "Mi sono preoccupata per voi,
sembravate sconvolto... Ma non vi chiederei mai nulla di personale".
"Non
siete curiosa?".
"No,
credo sia saggio non esserlo".
Ross
sospirò, rendendosi conto che aveva bisogno di parlarne in
qualche
modo e di avere un sostegno o parole amiche che lo aiutassero a
comprendersi meglio. E lady Boscawen si era dimostrata brava in
più
di un'occasione in questo... "Stanotte ho fatto una cosa
orribile" – disse di getto, come se non desiderasse altro che
di alleggerirsi la coscienza.
Lei
non lo fermò e in silenzio, aspettò che lui
parlasse. Senza
chiedere, senza giudicare, senza aprire bocca, comprendendo quanto
lui sentisse il bisogno di confidarsi con qualcuno.
Ross
proseguì. "Ho fatto una cosa orribile a qualcuno a cui
tenevo
molto. E ho capito di aver inseguito per anni delle fantasie che
esistevano solo nella mia testa e ora non so perdonarmi per la mia
stupidità. E per quanto accaduto...".
Demelza
lo scrutò attentamente, rendendosi conto forse di quale
fosse il
fulcro del problema ma incapace di aiutarlo fattivamente. "Tutti
sbagliamo, capitano Poldark. Quasi tutti non lo ammettono ma voi
sì
e questo fa di voi una brava persona".
"Una
brava persona non si comporta come ho fatto io questa notte"
–
le rispose, amaramente.
"E'
qualcosa di irreparabile?" - gli domandò.
"Forse
no, da un certo punto di vista. Ma ho intrapreso una strada senza
ritorno e nulla sarà più come prima".
Demelza
sorrise. "Forse sarà meglio di prima".
Sussultò
a quelle parole, cercando in esse un appiglio per ricominciare. Non
aveva mai guardato alla faccenda da quella prospettiva... "Non
mi chiedete cosa ho fatto di preciso?". Se lei poteva aiutarlo
davvero, lei doveva sapere...
Demelza
però scosse la testa. "Non voglio saperlo, in tutta
onestà...".
"Perché?".
"Perché
non è necessario".
Ross
la guardò negli occhi, rendendosi conto che lei sapeva...
Sapeva
forse ancor meglio di come avrebbe capito se gli avesse raccontato
per filo e per segno quella folle notte. E che erano inutili i giri
di parole con lei perché Demelza aveva lo strano potere di
leggergli
nella mente senza che lui avesse bisogno di aprire bocca. Ma doveva
parlarle con franchezza comunque e ora che aveva iniziato a farlo,
sentiva di non potersi fermare. "Elizabeth si sposerà con
George Warleggan e ieri sera, dopo quanto successo in miniera, appena
l'ho saputo, ho perso la testa".
Demelza
strinse le redini, in difficoltà. Aveva capito che Elizabeth
c'entrava in tutto quello e sapeva anche che quella donna strava
stringendo un rapporto intenso col nemico dei Poldark, ma aveva
scelto da tempo di rimanerne fuori e ora che Ross gliene parlava, si
trovava a un bivio...
Il
suo silenzio fece comprendere a Ross che lei sapeva e che forse era
l'unico idiota della Cornovaglia a non aver capito. O a non aver
voluto vedere... "Lo sapevate? Del matrimonio, intendo...".
"Lo
sospettavo... Si sono visti spesso in giro insieme e la gente ne ha
chiacchierato molto".
"Credete
che sia un idiota?".
Demelza
sorrise, dolcemente. "No, credo semplicemente che a volte si
preferisca non vedere la verità...".
Ross
osservò l'orizzonte e poi Illugan, che nella sua miseria
continuava
a mostrargli quanta strada aveva fatto quella ragazza e quanta ne
avrebbe dovuta fare lui. "Forse ieri mattina avevate ragione,
l'amore è qualcosa di decisamente sopravvalutato".
Demelza
lo interruppe. "Ma mi avevate detto che sbagliavo a pensarla
così".
"Ora
ho decisamente cambiato idea, lady Boscawen".
"Cosa?
In un solo giorno?".
Ross
ridacchiò sentendosi idiota, ma poi cercò di
spiegarsi meglio.
"L'ho amata così intensamente tanto che pensavo che fosse il
sentimento più forte che avrei mai potuto provare ed invece
si è
rivelato una chimera. Nulla... Tante fantasie basate su un nulla a
cui credevo solo io".
Demelza
avvicinò il suo cavallo e una volta che gli fu fianco a
fianco, gli
sfiorò la mano con tenerezza. "Ieri avete detto una cosa
molto
saggia: è solo questione di trovare la persona giusta. Ed
Elizabeth
forse non lo era. Non è colpa dell'amore, a volte
è semplicemente
colpa delle persone".
Ross
osservò la sua mano, coperta da quella delicata e gentile di
quella
donna. Una mano piccola ma che sembrava donargli infinito calore in
una mattinata di gelo. Non aveva parlato molto eppure quelle poche
frasi gli avevano ridato speranza e calore. "Siete saggia".
"Come
lo siete stato voi ieri".
Ross
scosse la testa. "Spesso sono tutt'altro che saggio, spesso sono
irruento e nella vita finisco per mettermi in guai enormi. Sono un
pessimo soggetto, sapete?".
"Non
la penso così e ve l'ho detto prima".
"Eppure,
se mi conosceste meglio...".
"Vi
conosco quanto basta!" - gli rispose, sicura.
Era
una donna decisa, una di quelle che non si perdono dietro a mille
moine ma arrivano dirette al punto. "Prima mi avete raccontato
di vostra madre...".
"Sì".
"Sapete,
nemmeno io ricordo molto della mia. So solo che mio padre la amava
molto, viveva per lei. E quando morì, io rimasi orfano e lui
un
vedovo inconsolabile. Si allontanò da tutto e io fui
cresciuto dai
miei due servi, cercando in mio padre tracce d'amore per me. Ma lui
non c'era mai e io fui arrabbiato per molto tempo perché lo
giudicavo irrispettoso e crudele... Ebbe molte donne dopo mia madre,
una dopo l'altra... Nessuna gonnella era al sicuro quando lui era nei
paraggi e io lo odiavo per questo. Non aveva freni, voleva solo
portare a letto qualunque persona di sesso femminile incrociasse il
suo cammino. Lo odiavo e pensavo a quanto questo facesse soffrire mia
madre e fosse di offesa alla sua memoria. Pensavo che non l'avesse
mai amata e che non avesse contato nulla per lui. Poi ho capito che
lo faceva per riempire un vuoto. Cercava disperatamente ciò
che
aveva di prezioso con mia madre, cercava qualcosa che aveva perso e
che mai avrebbe riavuto indietro. Quel qualcosa lo ha cercato per
tutto il resto della sua vita senza mai ritrovarlo e così ho
capito
che era amore, quel suo comportamento. E disperazione per non avere
più accanto colei che per lui era vita. E crescendo solo,
sperai di
trovare quell'amore che lui ha cercato fino al letto di morte, un
amore come quello che lo aveva unito a mia madre. Credevo di averlo
trovato in Elizabeth e invece attraverso di lei, ho compreso che
ancora non ho capito nulla".
Le
mani di Demelza si strinsero nelle sue, le loro dita si intrecciarono
e lei lo guardò negli occhi. "Non è
così. Siete stato
sfortunato ma avete avuto un grande insegnamento dai vostri genitori
e grazie a loro sapete come dev'essere il vero amore. Dovete solo
cercarlo e non smettere finché non troverete colei che
saprà
riempire il vuoto che sentite. Colei che sarà ragione di
vita come
lo fu vostra madre per vostro padre. Colei senza la quale
impazzireste. Non siete impazzito dopo essere tornato dalla guerra e
aver perso Elizabeth perché promessa sposa a vostro cugino,
quindi
questo vi sia d'insegnamento. Se fosse stato vero amore, avreste
mosso mari e monti per riaverla e lei con voi. Non è
successo e
quindi doveva andare così...".
"Siete
saggia" – le ripeté. "Decisamente troppo per la
vostra
giovane età".
"So
semplicemente ascoltare" – rispose Demelza.
"E'
una grande dote, dicono. E io devo sembrarvi davvero patetico,
stamattina".
Demelza
rise. "No, non patetico. Spaesato, forse...".
"Vi
siete mai sentita spaesata?".
Demelza
sospirò. "Spesso, durante tutta la mia vita".
"E
ora?".
"Ora
sono quì, con voi, con un futuro davanti che non so bene
come
riempire. Credevo non ci sarebbe stato nulla dopo Hugh ma mi avete
dato una scuola, dei bambini a cui insegnare, della buona compagnia
nella mia cavalcata mattutina e la vostra fiducia... In fondo
c'è
sempre un futuro, quando il cuore batte".
Ross
le sorrise, trovando pace nel guardarla e nell'ascoltarla. "Avete
una buona filosofia di vita".
"Beh,
dovreste averla anche voi! Anche il vostro cuore batte ancora e avete
tanto per cui vivere! E una miniera da far funzionare!".
Ross
strinse le redini, con vigore. "E una sfida a cavallo da
vincere!" - esclamò, improvvisamente entusiasta per quel
nuovo
giorno che stava iniziando.
"Una
sfida?" - chiese lei, scostandosi una ciocca di capelli dalla
fronte.
"Con
voi! Vediamo se riuscite ad arrivare a Nampara prima di me!".
"Cosa?".
"Sarete
mia ospite per colazione! Avete ancora quella promessa da mantenere e
Sun vi aspetta!".
Demelza
rise, di gusto. "Ma non dovevo venire, oggi!".
Ma
Ross non la ascoltava già più e dopo aver
spronato il cavallo, era
già lontano. E Demelza comprese che non aveva altro da fare
che
seguirlo. E che la cosa non le dispiaceva affatto.
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Capitolo 32 *** Capitolo trentadue ***
Demelza
fece scivolare le dita sui tasti del pianoforte, cercando di
migliorarsi nel riprodurre suoni che somigliassero anche solo
vagamente a una melodia. Era stato Hugh a mostrarle le bellezze della
musica e a spronarla ad imparare e anche se lui diceva che vedeva in
lei molto talento, in realtà si sentiva una strimpellatrice
orribile
che sicuramente rompeva i timpani dei poveri servi di casa sua. Ma
suonare le dava pace e quindi lo faceva nei momenti in cui era sola e
senza nulla da fare o quando fuori il tempo era troppo brutto per
uscire.E da qualche settimana a quella parte, la pioggia e il vento
l'avevano fatta da padroni, in quell'angolo di Cornovaglia.
L'ultimo
giorno di sole che ricordava era stato strano ed era cominciato in
un'alba lucente, quando aveva visto Ross Poldark, sconvolto e
smarrito, vagare fuori casa sua in sella al suo cavallo nero, come in
cerca di qualcosa, qualcuno da cui rifugiarsi, in fuga dai suoi
demoni. Avevano parlato di cose difficili senza entrare nei
particolari ma capendosi appieno, aveva intuito che qualcosa di grave
era accaduto con la giovane vedona di Francis e che questo aveva dato
una svolta alla vita del capitano e che ora lui cercava un nuovo se
stesso e un futuro da costruire attorno alla sua persona. Demelza si
era imposta di non interferire e di non dare giudizi e così
quel
giorno aveva ascoltato lo sfogo di un uomo ferito e smarrito, senza
appigli, aveva cercato di fargli vedere quanto di bello la vita
potesse ancora offrirgli, aveva omesso di dar voce ai suoi pensieri
circa Elizabeth e poi erano stati di nuovo fianco a fianco in una
lunga ed inebriante cavalcata che l'aveva riportata quasi due anni
dopo a Nampara. Era stata una bella mattina, baciata dal sole e resa
piacevole dalla reciproca compagnia, un modo come un altro per
rendersi conto, assieme a lui, che il bello spesso spunta fuori
all'improvviso senza che uno se lo aspetti.
Non
avevano più parlato di quella giornata in cui forse erano
entrati
troppo in confidenza per i loro ruoli ma la loro strana amicizia si
era saldata ancora di più e spesso avevano cercato la
reciproca
compagnia quando lei era stata in miniera per le lezioni ai bambini.
Lui aveva un modo di guardare alla vita strano ma affascinante, cupo
ma votato a combattere le ingiustizie, disincantato ma allo stesso
tempo sognatore... Ne era affascinata...
Successivamente
era venuta a sapere del matrimonio di Elizabeth con George, a lungo
la coppia era stata la protagonista di chiacchiere di paese per lo
sfarzo della cerimonia e poi come ogni cosa, era stata accantonata.
Il capitano Poldark non aveva mai commentato il fatto e anche il suo
carattere, di natura cupo, non era poi così cambiato e lei
non aveva
sollevato il discorso. Qualunque cosa fosse successa in quella notte
fra lui ed Elizabeth, era rimasta fra loro due ed era stata in
qualche modo risolta. Forse dolorosamente, ma forse necessariamente
doveva andare così.
Finì
di suonare una ballata medievale di cui adorava il ritmo e si
apprestò a prendere un altro spartito per iniziare una nuova
melodia
quando Falmouth entrò come un forsennato nel salone, con la
faccia
più torva e scura del cielo che fuori dalla finestra, era
buio e
foriero di pioggia e tempesta.
"Dannazione!"
- sbraitò l'uomo, lanciando le carte che teneva in mano sul
tavolo.
Demelza
si voltò e dallo sgabellino lo fissò accigliata.
"Che
succede?" - domandò, stupita di vedere Falmouth che perdeva
il
controllo.
Falmouth
riprese le carte che aveva lanciato, le appallottolò nella
mano e le
strinse. "Quell'idiota di James Finjieng!".
"Oh,
il vostro collaboratore di massima fiducia!".
Falmouth
divenne rosso dalla rabbia. "Un vecchio ubriacone che ha bisogno
persino di sua moglie che gli allacci i lacci delle scarpe
perché
non sa farlo da solo!".
Demelza
si grattò la guancia, confusa. Sir James era un lord
intelligente,
acuto e anche se non più giovane, uno dei più
fidati collaboratori
di Falmouth. Spesso a Londra, con la moglie, era stato ospite da loro
e per Falmouth era quasi un fratello. "Posso sapere cosa è
successo?".
Falmouth
sbuffò, sprofondando nella poltrona. "Ha ritardato di un
giorno
una importante notifica che gli avevo affidato e ora questo mi
procurerà un sacco di guai con dei creditori che vantano
diritti di
proprietà su un terreno a cui sono interessato. Un
disastro!".
Demelza
tacque qualche istante, rendendosi conto che di affari non se ne
inendeva molto e che mezza parola sbagliata avrebbe potuto far
esplodere Falmouth come un vulcano. "E' grave? Può essere
risolta questa... cosa?".
Il
lord sbuffò. "Dovrò strisciare e implorare di
soprassedere. E
io ODIO chiedere!".
"Oh,
quindi si può sistemare?" - cercò di
tranquillizzarlo.
"Certo,
ma dovrò partire per Londra domani stesso!" -
sbottò l'uomo.
Demelza
guardò fuori dalla finestra e si sentì
preoccupata. Falmouth era
appena uscito da una brutta influenza e un viaggio con quel tempo
infausto non era molto consigliabile per un uomo ormai non
più
giovane. "Non può risolvero Sir James, questo guaio? Lo ha
provocato lui, dopo tutto...".
"E'
un idiota!".
"E'
e resta un vostro amico. E un errore non può
pregiudicare...".
Falmouth
la bloccò, sapendo già cosa volesse dire e
capendo che forse aveva
anche ragione. E appunto per questo, non voleva sentire fino a che
non avesse finito di maledire James con tutte le imprecazioni che
conosceva. Poi sarebbe tornato suo amico, ma per ora era giusto che
un uomo d'affari come lui maledicesse da lì all'infinito un
collaboratore che era stato poco collaborativo... "Dice che era
a letto malato! Si può? Uno per due linee di febbre, mi fa
saltare
un affare importante!".
Era
in un certo senso comico e teatrale quel suo modo di fare e a Demelza
venne da ridere, anche se si trattenne. "E' autunno, Sir James
è
anziano e in fondo molta gente resta a letto influenzata, in questa
stagione".
"In
quarant'anno che lo conosco, James non è MAI stato a letto
quando
c'è odore di affari e tu sei troppo buona a giustificarlo!"
-
la ammonì Falmouth – "E resta il fatto che per
colpa sua
dovrò correre a Londra e non ne ho voglia!".
Demelza
si strinse nelle spalle, faceva freddo nonostante il camino acceso.
"E' quasi dicembre, sarete indietro per Natale?".
Falmouth
si incupì. "In realtà no. Se parto,
resterò lì fino a
gennaio. Su una cosa hai ragione, mia cara... Sono anziano e
continuare a fare questi lunghi viaggi al freddo non mi fa bene... So
che è triste lasciarti da sola a Natale ma come ben sai,
dalla morte
di Hugh non amo festeggiare nulla. E so che sei dello stesso
avviso... Spero che la cosa non ti turbi e non ti intristisca...
Ovviamente se riceverai inviti da qualcuno, sentiti libera di
accettare, sei giovane e meriti svago e forse senza di me avrai
più
possibilità di uscita...".
Demelza
si alzò dallo sgabello, sentendosi triste per la partenza di
quello
che era di fatto l'ultimo famigliare rimasto ma comprendendo appieno
le sue ragioni. Da quando Hugh era morto, non si era più
festeggiato
nulla in quella casa e lei non ne aveva mai avuto voglia. Certo, un
buon pranzo di Natale con Falmouth e la servitù sarebbe
stato
piacevole, ma comprendeva appieno che le circostanze lo impedivano...
"Starò bene, state tranquillo. E fate pace con James"
–
disse dolcemente.
L'uomo
le sorrise. "Vedi? Ho davvero bisogno di un nuovo e giovane
braccio destro... Capisci perché ho messo gli occhi su
Poldark?
James mi cade a pezzi, è evidente...".
Demelza
sussultò e si sentì in imbarazzo nel sentirlo
pronunciare il nome
del capitano Poldark, anche se non ne capiva il perché.
"Sì,
capisco...".
Falmouth
fissò su di lei i suoi occhi indagatori. "Come vanno le cose
alla miniera?".
"Si
scava e si è trovato del buon quarzo".
"E
lui? Si sta ammorbidendo circa la mia proposta? Le elezioni al
distretto di Truro si avvicinano...".
Demelza
gli strinse la mano, cercando di tranquillizzarlo. "Io credo che
potrebbe fare molto per voi e per i suoi elettori. Credo che al
vostro fianco litighereste come cane e gatto ma che fareste grandi
cose... E credo che lui abbia una gran testa dura ma anche tanta
intelligenza e coi suoi tempi, capirà che è
giusto seguirvi in
questa avventura".
Falmouth,
serio, annuì. "Fedi di fare in modo di affrettarli, i suoi
tempi...".
"Non
posso impormi a lui".
Falmouth
la osservò e poi fissò il fuoco, assorto in
profondi pensieri. "Io
credo di sì".
"Cosa?".
"Nulla,
nulla... Volevo solo...".
"Cosa?".
"Suona
per me, Demelza. Ho bisogno di rilassarmi...".
E
capendo che forse era meglio non indagare circa quanto lui le aveva
appena detto, lo accontentò.
...
“E
allora, oggi com'è andata? Il numero di allievi è
aumentato”. Era
adorabile coi bambini, paziente, materna, confortante e ferma nello
spronarli ad imparare perché avessero un futuro migliore. E
nonostante la ritrosia iniziale, sempre più minatori avevano
permesso ai loro figli di avvicinarsi a lei e alla scuola, nonostante
la considerassero una perdita di tempo. Era una vittoria di per se e
anche se la Grace non avesse fruttato nulla, era comunque valsa la
pena riaprirla. Per tanti motivi... L'arrivo di Lady Boscawen aveva
arricchito la vita di quei bambini, dato nuovo smalto alla miniera,
portato una ventata d'aria fresca e lui in un certo senso aveva
trovato in lei, nella sua compagnia e nelle sue parole del conforto a
uno dei periodo più bui della sua vita dove aveva sbagliato
tanto,
dove era arrivato ad odiarsi e aveva smarrito tutte le sue certezze e
i suoi princìpi. Lei era lì, c'era stata per lui
senza giudicare e
senza chiedere mai nulla e anche se non avevano più parlato
di
quella lunga chiacchierata dopo la notte passata a Trenwith e quella
galoppata liberatoria fianco a fianco, entrambi sapevano che da quel
giorno il loro legame si era fatto più intimo, profondo e
forte.
Avevano
galoppato fino a Nampara liberi nel vento, avevano fatto colazione
insieme accompagnati dalle occhiatacce di Jud e dai borbotii di
Prudie e poi si erano salutati, dopo che lei aveva giocato a dovere
con Sun nel salotto. Era stato strano vederla andare via e Ross per
un attimo, guardandola accovacciata col gatto nel salotto, aveva
provato la strana sensazione che lei appartenesse a quel posto e
fosse un delitto che andasse via. Un attimo, un pensiero stupido
probabilmente, ma talmente intenso da averlo lasciato stordito.
Da
allora, tutto era continuato come sempre, settimana dopo settimana.
Elizabeth si era sposata con George alla fine, senza che lui si
strappasse i capelli per questo ma anzi, ringraziando quel matrimonio
che lo toglieva d'impaccio dalle conseguenze di quanto aveva fatto,
si era trasferita nella elegante casa di Truro di proprietà
dei
Warleggan con Geoffrey Charles e lui aveva potuto andare a far visita
più spesso a zia Agatha e Verity senza l'incubo di
incontrare lo
sguardo corrucciato ed arrabbiato del suo primo amore che gli avrebbe
ricordato per sempre quanto era stato pessimo in quella notte folle
ma soprattutto infantile in quella sciocca illusione e venerazione
per lei che lo aveva accompagnato negli anni. Le avrebbe voluto
sempre bene come se ne vuole ad una amica, per lei nel bisogno ci
sarebbe sempre stato ma in cuor suo sperava che col matrimonio con
George, Elizabeth avrebbe trovato il suo posto tranquillo in quel
mondo elegante dove si trovava bene e non era afflitta da nessun
problema.
Lady
Boscawen invece non aveva mai più chiesto nulla e come se
niente
fosse, aveva continuato il suo lavoro coi bambini nonostante ormai la
stagione fosse fredda. Avevano concordato due giorni alla settimana e
lei non era mai mancata, nemmeno pioggia, freddo e vento l'avevano
fermata e quando il tempo era bello, aveva continuato ad organizzare
lezioni all'aperto per evitare di invadere il suo studio.
Demelza
si stiracchiò quando lo sentì arrivare.
“Bene, sono così
contenta che ci siano più bambini coinvolti in questa strana
avventura... Come dicevo a voi e a Hugh quando era vivo, io non posso
che insegnar loro a leggere e scrivere, non ho avuto una vera
formazione eccetto ciò che mi ha insegnato mio marito, ma
trovo così
stimolante stare coi bambini che in fin dei conti credo che siano
loro ad insegnare qualcosa a me”.
Ross
le sorrise, sedendosi accanto a lei nell'erba. “Insegnar loro
a
leggere e scrivere è già una gran cosa e
sicuramente offrirà loro
l'opportunità di una vita più dignitosa di quella
che può offrire
una miniera. Per il resto, al diavolo matematica e filosofia o
materie troppo complicate, quelle non danno da mangiare!”.
Anche
Demelza rise. “Credo che siate stato un pessimo studente! E
la
matematica serve a far di conto se si ha una miniera” - lo
rimbeccò.
Ross
si stiracchiò, ricordando le sue 'imprese' scolastiche di
ragazzino.
“Sì, ero pessimo sul serio. Ma come vedete sono
sopravvissuto e in
fondo non me la cavo tanto male. E i conti li faccio fare a
Zachy”.
Demelza
lo fissò sorridendo, persa dal movimento dei suoi riccioli
scuri che
si muovevano nel vento. Avrebbe voluto chiedergli mille cose dopo
quella galoppata insieme ma aveva scelto di non toccare più
l'argomento e che a lei bastava l'idea che si era fatta del capitano
Poldark. Fallibile, intraprendente, forse scapestrato ma di certo dal
cuore d'oro... C'era in fondo altro da sapere di lui? “Mi
piace
venire quì” - si solo.
“E
a me piace che lo facciate. Solo una cosa non capisco, Lady
Boscawen”.
“Cosa?”.
“Perché
continuiamo a darci del voi?”. Era tornato ad essere
sfrontato di
tanto in tanto, come in quel momento, ma era troppo curioso di
sentire la sua risposta ed era tanto che voleva chiederglielo. Ed
in fondo era meglio così perché lo aveva capito
anche lui che un
atteggiamento troppo serioso avrebbe esposto entrambi a qualcosa che
forse non doveva venire alla luce per il bene di tutti.
Lei
rimase per un secondo ferma, attonita, colta di sorpresa da quella
domanda che sicuramente non si aspettava. Poi però fece un
sorriso
malizioso e sfrontato quanto lo era stato lui.
“Perché esistono le
buone maniere?”.
“Non
mi sono mai piaciute le buone maniere, lady Boscawen” - la
bloccò
divertito.
“Perché
siete un gentiluomo?”.
“Non
lo sono”.
“Perché
Lord Falmouth non apprezzerebbe?”.
“Non
mi importa troppo del suo parere. Ma del vostro sì! Voi lo
apprezzereste?”.
Demelza
rise, si alzò, si scosse la gonna piena di fili d'erba e
guardò il
cielo azzurro. Cercava di apparire rilassata ma Ross sapeva che ci
stava pensando seriamente e che le tante cose che si erano detti e
avevano condiviso durante una notte terribile, li avevano avvicinati
più di quanto non fossero pronti ad ammettere.
“E
allora? Non mi avete risposto”.
“Non
so cosa dirvi” - disse, civettuola.
“Ditemi
di sì e tagliamo la testa al toro”.
Lo
fronteggiò. “Dare del tu a una persona sfrontata,
potrebbe
rivelarsi pericoloso”.
Ross
sorrise, da canaglia, alzandosi in piedi per fronteggiarla viso a
viso. “Lo so... Ma le cose pericolose non sono le
più
divertenti?”.
Demelza
si allontanò di alcuni passi, divertita. “Credo
che ci penserò. E
che vi farò sapere!”.
“Avete
tempi di pensiero lunghi?”.
“E
voi, capitano?”.
“Io?”.
Demelza,
ricordando quanto detto da Falmouth prima della partenza, prese la
palla al balzo e si fece intraprendente. “Avete detto che vi
piacciono le cose pericolose... Quanto giudicate pericolosa la vostra
presenza per Westminster?”.
Ross
sorrise, accettando quella sfida che lei gli aveva lanciato.
“Oh,
molto pericolosa... Per Westminster, intendo, la mia presenza sarebbe
deleteria. Non credo sopravviverebbe al mio passaggio ed è
un
peccato per un posto tanto antico”.
“Westminster
ha ospitato molte persone complicate. Potrebbe sopravvivere anche a
voi...”.
“E
io? Potrei sopravvivere al suo fascino?”.
“Avete
detto che amate le cose complicate e pericolose, mi pare...”.
Ross
rise, capendo dove stava il nocciolo della questione ma divertito per
quel loro strano battibecco. “Falmouth è tornato
alla carica e vi
ha mandato in missione di nuovo?”.
Demelza
sospirò, ripensando con tristezza a quel Natale che avrebbe
trascorso da sola in quella grande casa. Da quando Hugh era morto,
non c'era mai stata voglia di festeggiamenti in lei ma la prospettiva
di un Natale in solitaria la spaventava, in un certo senso...
“E'
dovuto partire appunto per Londra e tornerà solo a
gennaio”.
“Oh,
come mai?” - chiese Ross, accigliandosi.
“Alcuni
suoi collaboratori hanno sbagliato ad apporre alcune firme su dei
documenti importanti ed è dovuto ripartire di fretta e
furia.
Tornerà solo dopo Natale, alla sua età non
può affaticarsi troppo
sottoponendosi di continuo a lunghi viaggi in carrozza. Gli
servirebbe qualcuno al suo fianco come voi, capitano Poldark. Si fida
e avere la sua fiducia è un onore che non dovete
sottovalutare, la
dona a ben poche persone”.
Ross
tornò serio e fece un lungo sospiro. “Non la
sottovaluto e ne vado
fiero. Ma continuo a non sentirmi adatto a quel ruolo che lui ha in
mente per me”.
“Non
potreste almeno provarci?” - azzardò lei.
“Dovrei
candidarmi alle elezioni del distretto al suo fianco e sperare di
vincerle. Non è che le porte di Westminster si spalancano a
chiunque
con un semplice schiocco delle dita. E' un posto ambito e per
raggiungerlo la lotta è serrata. Anche in questo angolo
remoto di
Inghilterra”.
Demelza
sorrise, sentendosi nella posizione giusta per incoraggiarlo, notando
quanto fosse vicino a cadere. “Provateci, almeno. Cosa avete
da
perdere?”.
Ross
osservò quella donna e i suoi lunghi capelli rossi che si
muovevano
nel vento. La trovò bellissima e in un certo senso
desiderò
accontentarla anche se forse se ne sarebbe pentito più che
presto.
Sì, forse poteva anche provare a varcare le porte del
Parlamento ma
lo avrebbe fatto a modo suo. “A due condizioni”.
Demelza
si accigliò. “Quali?”.
Le
sorrise, da canaglia come sempre faceva quando trattava con lei.
“Che
considererete sul serio di darmi del tu e non più del voi.
Non sono
vecchio!”.
Demelza
alzò gli occhi al cielo. “E sia, giuro che ci
penserò”.
Ross
proseguì, piantando i suoi occhi scuri in quelli verdi di
lei,
decisamente più serio in volto. Ora si giocava davvero tutta
la
partita. “E poi...”.
“Poi?”.
“Che
verrete a pranzare a casa mia a Natale”.
Demelza
per poco carambolò in terra a quella proposta inaspettata,
folle e
impertinente. Come lui, del resto. “Cosa?”.
Ross
proseguì, sicuro nel suo discorso. Sarebbe stata a casa da
sola a
Natale e anche lui forse. Ma quest'anno non ne aveva voglia e in
fondo una festa a Nampara, con quanti rimasti a Trenwith della sua
famiglia e lei, che tanto aveva fatto per aiutare Verity con Blamey,
sarebbe stata una cosa piacevole. Archiviata la folle notte con
Elizabeth e il suo matrimonio con George, archiviata la nebbia che
aveva covato a lungo nell'anima, ora Ross sentiva di aver voglia di
vivere. “Sarete sola e in fondo credo sia triste non
festeggiare il
Natale”.
Demelza
tremò a quelle parole che nascondevano tante
verità. Eppure non
poteva accettare, non così, non lei...
“Dimenticate che forse non
si ha voglia di festeggiare se si è appena perso un
marito”.
Ross
deglutì, a volte dimenticava che era esistito Hugh Armitage
e che
lei era stata la sua sposa. “E' passato più di un
anno e avete
pianto la sua perdita più che abbastanza. Entrambi abbiamo
dovuto
lasciarci alle spalle una parte importante del nostro passato e in
fondo una piccola festa per festeggiare il Natale e il futuro ce la
meritiamo tutti. Niente di lussuoso o impegnativo, solo un pranzo a
casa mia assieme a mia zia Agatha, Verity col capitano Blamey e i
miei servi. Non sareste contenta di rivedere Verity?”.
Demelza
sorrise, sì le sarebbe piaciuto rincontrarla, da subito si
erano
piaciute e sapere che ci sarebbe stata anche lei cambiava un po' le
carte in tavola e la rendeva meno ansiosa in merito a quella
proposta. “Non sarebbe inappropriata la mia
presenza?”.
“Solo
se voi la considerate tale. Per me non lo è”.
“Devo
pensarci” - gli rispose, sinceramente tentata.
“Vi
do tre secondi per farlo!” - le rispose, deciso a non darle
tregua.
“La mia candidatura dipende da voi e Falmouth vi
adorerà per
questo”.
Demelza
sentì il vento scompigliarle i capelli e guardandosi attorno
si
accorse di quanto fosse bello quell'angolo di brughiera e di come
avesse imparato a sentirlo suo, assieme alla gente che le era
diventata famigliare e che lavorava in miniera. In fondo che male
c'era? Doveva rimanere sola per sempre, senza regalarsi attimi di
spensieratezza? Perché rifiutare un invito tanto gentile?
Ross le
stava tendendo una mano come forse aveva fatto lei quando era lui a
brancolare nel buio e a parte Falmouth, c'era molto che la spingeva
ad accettare. “Va bene, verrò”- disse,
rendendosi conto che
anche questo significava vivere nel ricordo di Hugh ma oltre a lui,
pienamente padrona della sua vita. Faceva paura e forse non avrebbe
dovuto accettare per mille ottimi motivi, ma decise che lo voleva e
che poteva scegliere da sola senza sentirsi in colpa.
Ross
sorrise. “Vi ringrazio, lady Boscawen”.
“Mi
chiamo Demelza”.
“Lo
so... E io Ross, lo sapete?”.
Lei
sorrise. “Sì Ross, lo so”. Aveva ceduto,
su tutta la linea. E
non le dispiaceva affatto.
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Capitolo 33 *** Capitolo trentatre ***
Per
quella festa di Natale aveva scelto di indossare un abito verde
stretto in vita da un nastro blu e con una gonna larga. Liscio,
elegante ma senza fronzoli, l'ideale per una festa 'di famiglia' a
Nampara.
Era
stata nervosa all'idea di quell'invito, per molto si era chiesta cosa
indossare, come comportarsi, come considerarsi all'interno di quella
casa ma alla fine era stato Ross stesso a sciogliere ogni dubbio,
dicendo che era una amica di famiglia e che come tale doveva
sentirsi...
Pochi
giorni prima della Vigilia aveva ricevuto la visita di Verity che
appena saputo della sua presenza a Nampara l'aveva invitata a
trascorrere, dopo la festa, la notte di Natale a Trenwith, rimasta
tristemente vuota ormai, in modo da non dover affrontare un lungo
viaggio notturno di rientro fino a casa. Aveva accettato e la
dolcezza di Verity, le chiacchiere con lei e il suo entusiasmo ad
averla a Nampara la notte di Natale l'avevano davvero fatta sentire
una di famiglia... Non si erano viste molto in quegli anni ma era
come se la loro amicizia si fosse cementata lo stesso ed era stata
felice di sentire dalla voce di Verity di quanto il suo rapporto con
Blamey fosse cresciuto e quanto vicini fossero al grande passo. Era
felice per lei, Verity era sicuramente una delle persone più
buone
che avesse mai conosciuto e le augurava ogni bene...
Il
pomeriggio della Vigilia di Natale si fece accompagnare a Nampara da
un servitore, in carrozza, con il minimo indispensabile per passare
la notte lontana da casa. Era una giornata fredda e nuvolosa e
sembrava quasi voler annunciare neve e tempesta. Percorse il tragitto
stretta in un caldo scialle di lana cercando ristoro nel coprimano e
nel cappello che aveva addosso ma fu solo il camino acceso di Nampara
che riuscì a darle calore. Quando arrivò
trovò la tavola già
apparecchiata e gli altri ospiti già arrivati.
Verity
fu la prima che le andò incontro, abbracciandola.
“Mia cara,
benarrivata! E' un tale evento una festa a Nampara che, nonostante
gli anni difficili appena trascorsi, sono emozionata come una
bambina”.
Demelza
le sorrise e lasciò che anche Blamey la salutasse con un
baciamano.
“Lady Boscawen, è un piacere rivedervi. Vi trovo
splendidamente”.
“Vi
ringrazio. Anche per me è un piacere rivedervi”.
Ricordava quando
l'aveva conosciuto. Era stato uno dei migliori amici di Hugh e
insieme lo avevano introdotto a Verity in quella festa di
più di due
anni prima a casa loro. Sembrava trascorso un secolo e tutto era
cambiato, da allora...
Anche
Ross comparve dalla cucina coi suoi due servi rimessi a nuovo con
abiti puliti e capelli pettinati per l'occasione. La guardò
e le
strizzò l'occhio in un gesto di complicità che
sfuggì a tutti gli
altri e lei annuì. Avevano deciso, nonostante fra loro si
dessero
ormai del 'tu' in privato, che davanti agli altri sarebbe stato
meglio mantenere un tono formale per evitare domande alle quali
entrambi non avrebbero saputo rispondere e quindi tutti e due si
calarono nella rispettosa parte del Capitano Poldark e Lady Boscawen.
“Benarrivata, signora” - le disse solo, quasi
scoppiando a ridere
per quella strana recita che erano costretti a recitare. In fondo
dell'amicizia non c'era da vergognarsi ma entrambi erano ben
consapevoli di quanto sarebbe stata malvista e non capita da molti.
Demelza
si esibì in un inchino. “Vi ringrazio del vostro
invito,
capitano”.
Ross
per un attimo, in quel gesto, scorse qualcosa di talmente attraente
che provò l'istinto di avvicinarsi e baciarla. C'era molto
che aveva
capito su se stesso in quei giorni e una cosa su tutte ormai gli era
chiara: desiderava quella donna e difficilmente avrebbe potuto tenere
a bada quel sentimento così istintivo troppo a lungo. Era
bella,
solare, sembrava portargli luce e scaldarlo con la sua sola presenza
e quella sera, con i lunghi capelli rossi lasciati liberi sulla
schiena e quell'abito dalle tonalità lucide, era quanto di
più
desiderabile esistesse al mondo. A volte, fugacemente, si era chiesto
se lei provasse gli stessi sentimenti per lui ma la realtà
era che
spesso, guidato dal suo ego, era più su se stesso che si
concentrava. Eppure avrebbe voluto carpirle qualcosa di più
personale, indagare, sondare e magari tentare di esserle più
vicino... Era giovane e ormai sola da molto, come avrebbe voluto
continuare la sua vita? Con un matrimonio imposto da Falmouth? No,
lei non lo avrebbe permesso... O da sola, come lo spirito libero che
era? O vivere ancora l'amore per qualcuno? Certo, lui non era Hugh
Armitage e ovviamente mai si sarebbe abbassato a un corteggiamento
cortese come lei era stata abituata ed era anche consapevole di
poterle offrire ben poco rispetto ai Boscawen ma la desiderava lo
stesso, cocciutamente e disperatamente. Se fosse un bisogno fisico o
del cuore o di entrambi non lo sapeva, ma ne era attratto e
pienamente consapevole. Molto più di quanto fosse stato
consapevole
del suo antico desiderio per Elizabeth...
Zia
Agatha, col suo bastone, comparve dal divano, annaspando e tossendo
rumorosamente. “Chi è questa creatura?
Com'è che non vengo mai
presentata a nessuno?” - borbottò.
Demelza
osservò Ross e lui si sbrigò a fare le dovute
presentazioni. “Lady
Boscawen, è con piacere che vi presento mia zia, decana dei
Poldark,
la signorina Agatha. Zia Agatha, vi presento Lady Boscawen”.
Agatha
studiò la ragazza e col suo sguardo avvizzito
sembrò cercare di
carpirne ogni segreto. “Bella creatura, bella creatura... Da
quando
siamo in amicizia coi Boscawen, nipote?”.
“Da
quando finanziano la mia miniera...” - rispose Ross, in tono
leggero e sarcastico. “E Lady Boscawen è una
splendida
rappresentante del casato”.
Poco
convinta, la donna continuò. “E il
marito?”.
“E'
morto da più di un anno, signora...” - rispose
Demelza, togliendo
gli altri dall'imbarazzo. Era una strana signora questa Agatha,
diretta e senza peli sulla lingua, una perfetta capostipite della
famiglia che dall'alto dei suoi molti anni si sentiva in diritto di
dire ciò che voleva senza frenarsi. Non sapeva se
apprezzarne o meno
i modi ma di certo trovava affascinante la conversazione con lei. Una
volta ne sarebbe stata intimorita ma adesso sentiva di essere
diventata più forte e impermeabile ai giudizi altrui.
“Oh,
vedova...” - sbottò Agatha. “Uomini! Ti
complicano la vita da
vivi e poi anche da morti...”. Poi guardò Ross con
sguardo
malizioso. “E' una Boscawen ed è vedova. Hai
capito, nipote?”.
Ross
si sentì in imbarazzo, cosa che gli capitava di rado e
solitamente
quando era in compagnia di Agatha. “Ne sono consapevole, la
conosco
da molto...”.
Verity
tossicchiò. “Sediamoci a tavola, sarà
più comodo chiacchierare
lì” - propose, sperando di spezzare quel momento
imbarazzante.
Agatha
annuì ma non si staccò da Demelza e si sedette
accanto a lei,
sempre più incuriosita. “Sai ragazza, qui mi si
nasconde sempre
tutto. Dicono che sono sorda, questa è la scusa! Ma io noto
tutto e
con le mie carte vedo tutto... Ti hanno mai letto le carte,
ragazza?”.
“No”
- rise Demelza.
“Vuoi
che lo faccia?”.
“Forse
preferirei di no... Mi piace scoprire il mio futuro giorno per
giorno”.
Agatha
sospirò, affranta, mentre Blamey e Verity ridacchiavano.
“Ragazza,
dimmi, ti sembra giusto che venga tenuta all'oscuro sempre di tutto?
Verity si sposa e l'ho scoperto solo tre giorni fa, quando provava
l'abito...”.
“Zia,
non è vero!” - sbottò Verity -
“Ti è stato detto sei mesi
fa!”.
Ma
Agatha non sentì o finse di non farlo. “E mio
nipote? Come va il
suo buco nella terra, porta rame? In famiglia va tutto male da anni,
servirebbe un po' di fortuna... Tu porti fortuna? Porti rame? Sai che
sono morti tutti, TUTTI i Poldark e Ross è l'ultimo... A
parte
Geoffrey Charles che ormai, povero piccolo, vive nella tana del lupo
Warleggan. Tu sai che Ross è la nostra unica speranza?
Elizabeth è
andata via e ha spezzato cuori, ma ora mio nipote sa che deve andare
avanti?”.
Il
riferimento ad Elizabeth fece calare il gelo nella stanza e Demelza
osservò Ross che la guardava, forse desideroso di porre fine
a
quella conversazione o forse curioso di vedere come lei se la sarebbe
cavata. Prese un profondo respiro e alla fine si decise a parlare e a
dire qualcosa che allontanasse da Ross i pensieri foschi. Non voleva
che fosse cupo e capì che vederlo allegro la rendeva felice.
“Il
buco nella terra di vostro nipote arriverà a dare i suoi
frutti, da
Boscawen ne sono sicura, dicono che abbiamo fiuto negli affari. E se
la Grace sarà fortunata, lo sarà anche la vostra
famiglia. E...
nevica!” - esclamò tagliando ogni altro discorso,
alzandosi dal
tavolo e avvicinandosi alla finestra, lontana da tutti e soprattutto
da quei discorsi sconclusionati ma pericolosi di una vecchia signora.
Elizabeth era ormai lontana e sì, aveva infranto molti
cuori. Ma
quello era il passato e sapeva che Ross voleva lasciarselo alle
spalle per guardare al futuro. E nevicava ed era bellissimo che lo
stesse facendo alla Vigilia e nessuno doveva perdersi quello
spettacolo.
Verity
le andò vicino, osservando i grandi fiocchi che venivano
giù,
danzando, che coloravano di bianco la campagna. La neve puliva sempre
tutto, anche le conversazioni spinose... “Oh, è
davvero un Natale
magico. Che sia bello per tutti noi e che sia l'inizio di una grande
tradizione insieme, da ripetere per tutti noi ogni anno”.
Demelza
la abbracciò, apprezzando ancora una volta la dolcezza di
Verity.
“Che sia di buon auspicio per tutti”.
“A
noi, allora. Che sia un grande anno...” - disse Blamey,
alzando il
calice con Ross.
Agatha
si calmò e Prudie iniziò a servire la cena.
Crostone di manzo
ripieno, patate, mostarda, uova di quaglia e pudding, il tutto
condito da ottimo Porto. Ross si accorse che era piacevole avere
accanto le persone che amava, che lì c'erano tutti quelli a
cui
teneva e che non sentiva la mancanza di nessuno... Il passato era
davvero alle spalle e guardando Demelza ma anche Verity con Blamey,
capì che erano già tutti proiettati al futuro.
Parlarono dei
pettegolezzi di Truro, delle avventure giovanili di Ross, Demelza
raccontò delle strane usanze delle lady londinesi, Agatha si
lamentò
che per la prima volta in cent'anni non passava le feste a Trenwith e
Sun passò la serata a farsi coccolare da tutte le signore
presenti.
A un certo punto Jud, ormai ubriaco, si mise a cantare una canzone da
osteria che fece arrossire Verity e ridere di cuore Demelza che con
quei servi, ricordava i vecchi tempi e le stradine dove era
cresciuta.
A
mezzanotte un gruppetto di bambini della classe di Demelza
arrivò
alla porta a portare dei doni a lei e a Ross e poi si esibirono in un
canto natalizio per loro. Fu un momento magico e uno dei migliori
natali per tutti. L'unico intoppo fu la neve, forte, incessante,
gelida... Le strade divennero impraticabili nel giro di poche ore e
anche tornare a Trenwith per passare la notte divenne un'utopia. La
neve era magica ma rendeva difficili molte cose.
Ross
a quel punto si guardò attorno e anche se la sua casa era
piccola,
decise che passare lì tutti insieme la notte, anche
baraccati,
sarebbe stato piacevole. Destinò la sua stanza da letto ad
Agatha e
Verity, fece sistemare due brandine per lui e Blamey nello studio e
chiese a Prudie di preparare il letto a Demelza in quella che era
stata la sua camera da ragazzo.
Demelza
si sentì in imbarazzo ma fu ancora una volta Verity a
tranquillizzarla. “Sarà perfetto svegliarci qui
ancora tutti
insieme e continuare a festeggiare domani!” - disse, mentre
il
tepore e la luce delle candele donava magia al salotto.
Demelza
annuì, in fondo era d'accordo e capì che non
voleva andare via.
Verity si ritirò con l'anziana Agatha, Blamey
aiutò Jud con le
brandine e Demelza, mentre Prudie le preparava il letto, si propose
di dare una mano a Ross a sistemare la tavola. Lui parve esserne
divertito. “Lady Boscawen, dubito che sarebbe vostro compito
farlo!” - disse ossequioso, continuando a tenere
scherzosamente un
dialogo formale con lei anche se ormai erano rimasti soli.
“L'alternativa
sarebbe farmi il letto e lo trovo più faticoso che
sparecchiare” -
gli rispose, da impertinente.
Lui
la fissò divertito, provando ancora più forte
l'attrazione per lei,
perfetta come una lady e dolce e gentile come un fiore di primavera
non ancora sbocciato. “Come vuoi...” - disse,
dandole finalmente
del tu e mettendosi a sparecchiare con lei.
…
Mezz'ora
dopo la casa era sprofondata nel silenzio e anche il salotto e la
tavola erano stati perfettamente rimessi in ordine. Ciabattando,
Prudie era andata a letto con Jud e dalle altre stanze non proveniva
alcun rumore. Era ormai tardi, molto tardi e tutti probabilmente
stavano dormendo...
Fu
Ross a spezzare il tranquillo silenzio che si era creato. “E
i tuoi
servi? Saranno preoccupati per questa tua assenza? Ne
approfitteranno? Sono in pratica i padroni incontrastati della tua
tenuta, per una notte e un giorno intero”.
Demelza
si rese conto che le suonava ancora decisamente strano il fatto che
lui le desse del ‘tu’ dopo una serata dove si erano
dati del voi
per salvare le apparenze ed evitare domande. Ma ora? Erano soli, la
festa era finita e tutti dormivano, bloccati in quella casa da
un’improvvisa nevicata che aveva impedito a lei e alle donne
Poldark di raggiungere Trenwith per la notte, dove in teoria avrebbe
dovuto essere ospitata. Si sentì nervosa, imbarazzata e
incapace di
fare o dire qualcosa che non risultasse sbagliato. Quando era con
Ross spesso aveva temuto di sbagliare ed era una paura che mai
l'aveva abbandonata del tutto. Anche adesso, soprattutto adesso! Lei
e Ross Poldark avevano condiviso molte confidenze e forse
più del
lecito consentito ed ora era in casa sua come ospite e temeva di
oltrepassare il normale limite della loro amicizia se non fosse stata
attenta. Durante la festa era stato facile chiacchierare e ridere
insieme ma quando loro erano soli a un certo punto subentrava sempre
una strana tensione che spezzava la goliardia e accendeva altri
sentimenti forse troppo prepotenti per essere tenuti a bada.
“I
miei servi sono persone affidabili”.
Ross
rise. “Ne sei sicura?”.
“Ovviamente...
Perché ne dubiti?”.
Ross
le si fece più vicino, facendola avvampare. Quella sera era
particolarmente affascinante e il suo buon umore, tanto inusuale per
lui, ne aveva fatto una particolare e brillante compagnia. Santo
cielo, se non fosse che si sentiva tanto attratta da lui, sarebbe
stato tutto molto più facile. Ma così non era e
se ne sentiva
stregata. Dal suo sguardo, dal suo magnetismo, da quegli occhi scuri
tanto penetranti, dal suo fascino ribelle e selvaggio... Forse
percependone i pensieri e proprio per questo, Ross si
avvicinò
ulteriormente. “Perché… Hai notato come
sono Jud e Prudie? Loro
non sono mai stati affidabili e da soli per due giorni, finirebbero
per prosciugare la mia riserva di porto e di rum”.
Anche
Demelza rise nonostante tutto, perché in effetti i due
strambi servi
di Ross Poldark non sembravano particolarmente affidabili anche se,
in cuor suo, sentiva che erano due brave persone molto affezionate a
lui. “Beh, credo che sappiano che se lo facessero, i miei
servi
avrebbero a che fare con l’ira di Falmouth che è
meno magnanimo di
te”.
Ross
si sedette sul davanzale della finestra dove Demelza ancora osservava
la neve. “A proposito, come vanno i suoi affari a
Londra?” -
chiese, per smorzare la tensione.
“Bene,
mi ha scritto che è tutto sistemato! Ed è
energico e felice per
quanto ha appreso dalla mia lettera!”.
“Che
gli hai scritto?”.
“Che
accetti la candidatura al seggio di Truro ovviamente!”.
Ross
spalancò gli occhi, rendendosi conto di quanto lei sapesse
essere
sfrontata e lasciarlo senza parole, all’occorrenza.
“Cosa? Lo hai
fatto davvero? Hai osato...?”.
Demelza
assunse un’aria impertinente. “Ho osato,
sì!”.
“Come
hai potuto farlo?”.
“Avevamo
accordi che io ho rispettato!”.
“Sei
comunque una donna impertinente!”.
“Ma
in sostanza arrivo a concludere prima di voi maschi che tergiversate
e rimuginate troppo sul da farsi!”.
Sì,
era una donna impertinente e decisamente affascinante proprio per
questo. Se lei avesse voluto, avrebbe potuto vendere ghiaccio al nord
del mondo… “Falmouth troverebbe in te
un’ottima alleata!
Otterresti TUTTO in Parlamento!”.
Demelza
sorrise, divertita. “Ma alle donne è proibito fare
politica.
Quindi dovrete sacrificarvi alla causa voi uomini”.
Ross
sospirò, fingendosi affranto per la cosa. Anche se iniziava
a
considerare interessante quella sfida. In fondo amava lanciarsi in
missioni disperate e incerte e cosa c’era di più
incerto e infido
di Westminster e delle serpi che lo popolavano? In realtà
poco
sapeva di come si muove un politico e di certo lo avrebbero ritenuto
un rivoluzionario poco credibile e affidabile fra quelle mura, ma non
era anche questo uno dei lati divertenti della situazione?
“Resta
comunque una piccola faccenda fra noi, una promessa che non hai
ancora onorato”.
Sun,
mentre il suo padrone parlava offrendo a Demelza l’ennesima
sfida
fra loro, saltò sul davanzale accanto al suo padrone.
Demelza
lo accarezzò, catturata dalla bellezza del suo pelo. Era
stato il re
della serata e per tutta la cena se lo era contesa con Verity e zia
Agatha che in quel pelo rosso vedeva presagi importanti per il
futuro. “Quale grave mancanza avrei commesso?”
– chiese, con
impertinenza e divertimento.
Ross
le indicò la spinetta. “Se non ricordo male avevi
promesso di
suonare qualcosa per me, un po’ di tempo fa”.
Demelza
sussultò, ricordando quando avvenne. Non rivedeva Ross da
oltre un
anno, Hugh era morto ed era il loro primo incontro da quel lutto
devastante. Arrivò alla tenuta su invito di Falmouth e lei,
quando
giunse nel salone, stava suonando… “I miei servi
potrebbero
spiegarti più che bene che per la salute delle tue orecchie,
sarebbe
consigliabile che io non lo facessi”.
“Non
mi sembrava che suonassi tanto male” – rispose lui,
a tono e con
fermezza ma comunque in modo caldo e dolce.
Gli
occhi di Ross divennero fuoco specchiati nei suoi ed improvvisamente
tutto divenne serio e l’aria elettrica. Succedeva sempre,
quando
parlavano di loro e del loro rapporto. Il momento degli scherzi e dei
convenevoli era finito, lo sapeva lei, lo sapeva lui...
“Ora?” –
domandò lei, avvampando e sentendo in quella vicinanza a lui
motivo
di tensione a fior di pelle.
“Ora,
sì” – rispose ancora lui, avvicinandosi
ulteriormente fino a
sfiorarle la vita. Resisterle sembrava sempre più difficile
e Ross
si accorse che tutto attorno a loro aveva smesso di esistere. La
voleva... Baciarla, portarla in un posto solo loro, spogliarla e fare
l'amore con lei. Santo cielo, finalmente la sua mente lo aveva
ammesso! Con quell'abito verde era splendida, senza lo era
sicuramente di più!
Demelza
non si sottrasse a quel contatto e a quella mano calda come il fuoco.
Desideravano le stesse cose, senza avere il coraggio di
dirselo.“Sveglieremo tutti”.
“I
miei servi sono ubriachi, la casa potrebbe andare a fuoco e non se ne
accorgerebbero”.
“Zia
Agatha?”.
“E’
decisamente sorda da qualche anno in qua”.
“E
Verity? E Blamey?”
Ross
sospirò, in effetti loro avrebbero potuto sentire e non
voleva. Se
lei avesse suonato per lui, doveva essere solo per LUI. “Se
non
ora, quando?”.
Il
viso di Ross si avvicinò al suo e Demelza sentì
che le veniva la
pelle d’oca. Aveva labbra carnose visto da vicino e in quel
momento
il suo viso esprimeva una sensualità che fino a quel momento
era
stato bravo a celare. Perché si stava facendo tanto vicino?
Ne era
consapevole? E lei, cosa voleva che lui facesse?
“Ross…”.
“Quando?”.
“Presto…
Verrò presto, quando saremo soli, a suonare per
te” – gli
rispose, in un soffio.
“Cosa
mi dai in pegno per questo genere di promessa?”.
Stava
diventando tutto troppo caldo e lui era troppo vicino. Dallo scherzo
erano scivolati, quasi senza accorgersene, in una specie di gioco di
seduzione che forse nemmeno era stato preparato e a cui entrambi non
erano abituati. Hugh non era stato così e Demelza si chiese
cosa
fare… Riportare tutto allo scherzo? Ma lo voleva davvero?
“Una
stretta di mano basterebbe?” – chiese.
“A
te basterebbe?” – rispose lui.
Demelza
sospirò e non seppe nemmeno lei perché rispose a
quel modo. “Per
ora… PER ORA sì…”.
Ross
capì che non poteva andare oltre e che forse lo desiderava
ma era
presto. Si allontanò lievemente da lei e le porse la mano.
“PER
ORA andrà bene anche per me” – disse
stringendo la mano di lei,
suggellando un patto che andava ben oltre una melodia suonata alla
spinetta.
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Capitolo 34 *** Capitolo trentaquattro ***
Erano
state delle festività natalizie serene e felici, diverse dal
solito
e cariche di emozioni forti che rendevano Demelza piena di domande e
forse, anche aspettative. C’era molto turbamento in lei, un
sentirsi mille cose indefinite senza capire bene quale strada
intraprendere.
Era
la vedova di Hugh Armitage, il ricordo del giovane marito morto e il
dolore per la sua perdita avrebbero sempre fatto parte di lei eppure
ora voleva tornare anche a vivere, ad emozionarsi, ad essere toccata
ed essere amata di nuovo. Avere uno scopo, un compagno, una famiglia,
tutte cose che credeva non avrebbero più fatto parte di lei,
ora
tornavano ad essere un desiderio prepotente… Dalle feste di
fine
anno molto era cambiato in lei e tanti sentimenti prima indefiniti
erano diventati improvvisamente certezze non più celabili.
Aveva
desiderato essere baciata in una sera di Natale passata in maniera
diversa con persone che aveva sentito quasi di famiglia, si era
sentita una donna nuova e ora non sapeva se seguire il suo istinto e
lasciarsi andare oppure se sentirsi in colpa verso Hugh…
Se
Ross Poldark si fosse avvicinato troppo quando erano rimasti soli, se
avesse tentato di baciarla come lei aveva desiderato, lo avrebbe
lasciato fare? O lo avrebbe respinto per mantenere le distanze?
Oppure, avrebbe potuto baciarlo lei per prima? Per un attimo era
stata tentata ma poi aveva frenato questo istinto ritenendolo
sconveniente e forse nemmeno ben accetto…
Viveva
nella casa di Hugh, con la famiglia del suo defunto marito e
stava iniziando a pensare a un altro uomo
e desiderando di essere
altrove… C’era
fin troppo di cui sentirsi in colpa ma non poteva farne a meno di
provare tutto questo.
Era
bello andare alla Wheal Grace ad insegnare ai bambini ed era bello
incontrare Ross e tutti coloro che gravitavano attorno a quella
miniera. E quando doveva rientrare la sera, si sentiva come se
abbandonasse un luogo a cui lei apparteneva…
Anche
salutare Ross Poldark diventava difficile...
Era
così, era sempre così, ogni giorno un
pò di più…
Gennaio
era stato un mese pessimo e freddo, violente tempeste di vento
avevano flagellato la costa, neve e pioggia si erano susseguite
incessantemente e anche Falmouth aveva dovuto posticipare
il suo rientro
da Londra. Era arrivato l’ultimo giorno di gennaio
borbottando come
un avventore di osteria, maledicendo il tempo e il cocchiere e
qualsiasi cosa abbia avuto a che fare con lui durante il tragitto e
dopo un bagno caldo e una cena frugale si era chiuso in camera
ordinando un pediluvio bollente e un camino acceso per scaldarsi.
Per due giorni era rimasto intrattabile e solo al terzo era tornato
umano e in grado di tenere un comportamento quasi
piacevole verso tutti gli occupanti della casa.
Demelza,
che lo conosceva bene e ormai sapeva come prenderlo, si era tenuta
distante e aveva aspettato che lui sbollisse il nervoso accumulato
nelle settimane a Londra e durante il tortuoso viaggio di ritorno.
Sapeva come fargli tornare il buon umore ma sapeva anche che le buone
notizie dovevano essere affrontate al momento giusto con lui. Ross
Poldark si sarebbe candidato, le elezioni erano vicine e quando si
trattava di giocare in politica e in affari, Falmouth diventava
felice come un bambino a cui regalavano dei dolcetti.
Quando
il suo umore iniziò a migliorare, Falmouth iniziò
a chiedere della
miniera, di Poldark, di cosa-come-quando avesse accennato
all’entrata
in Parlamento, se avesse fatto menzione a qualche proposta politica e
mille altre domande a cui Demelza non seppe rispondere. Le
chiese anche come avesse fatto a convincerlo ma tacque su molte cose
e forse lo fece anche perché non sapeva esattamente il
motivo che lo
avesse spinto a cambiare idea. Trovava molto improbabile che lo
avesse fatto per uno scambio di battute e un gioco a rimpiattino fra
loro e forse non aveva mai chiesto seriamente a Ross il
perché, lo
aveva semplicemente accettato perché lo riteneva giusto e
anche lui
di certo era arrivato alle medesime conclusioni. Per quanto
riguardava il resto,
ben poco immaginava delle idee politiche di Ross ma poteva immaginare
che, pur senza aver ideato una vera e propria strategia, avrebbe
lottato per aiutare gli ultimi fra gli ultimi, come dopo tutto faceva
con la sua
miniera.
A
breve Falmouth iniziò a scalpitare per
incontrarlo ma
il freddo, il cattivo tempo e il reumatismo che in inverno non gli
dava tregua, lo tennero a malincuore nella sua dimora in
attesa di tempi migliori.
A causa delle pioggie incessanti, anche Demelza dovette rallentare in
quei primi mesi dell’anno, nel suo lavoro. Il freddo, il
vento e la
pioggia rendevano pericoloso per la salute uscire, soprattutto per i
suoi piccoli allievi che non disponevano, come lei, di abiti caldi e
carrozze accoglienti per andare e venire dalla miniera.
Le
spiaceva non potersi muovere e anche se dopo la morte di Hugh era
stata inerte e ferma a lungo, ora che aveva iniziato a vivere e a
sentirsi di nuovo utile, si sentiva come
una
tigre in gabbia che aspetta con ansia l’arrivo della
primavera per
seguire il suo istinto il libertà.
Fu
in un pomeriggio freddo di inizio febbraio, con un nevischio che
ghiacciava le finestre, che Ross Poldark comparve improvvisamente
alla porta della dimora dei Boscawen. Demelza non lo vedeva da dieci
giorni, Falmouth non si aspettava una sua visita ed entrambi erano in
salotto a tentare di far passare il tempo, l’uno leggendo i
suoi
giornali e l’altra giocando con Garrick, quando lui
arrivò
annunciato da una domestica.
In
vestaglia da casa, davanti al camino, Falmouth spalancò gli
occhi
con sorpresa e anche Demelza, vestita con un semplice ma fine abito
da casa color lavanda, fece altrettanto. “Ross?!”
- esclamò senza riuscire a frenarsi dall’usare
quell’atteggiamento
confidenziale noto solo a loro due che di certo avrebbe generato
curiosità in Falmouth.
Il
lord infatti la osservò accigliato ma poi fece finta di
nulla.
Congedò la domestica, si alzò dalla sua poltrona
e mentre Garrick
si avvicinava al nuovo arrivato per annusarlo, lui fece altrettanto.
“Poldark?! Che Dio vi fulmini, che ci fate quì con
questo tempo
infame? Se lo avessi saputo, vi avrei accolto in ben altro
modo!”.
Ross
si tolse il mantello, fradicio e congelato, consegnandolo al
maggiordomo che era corso a porgli i suoi servigi. “Già,
il tempo è pessimo, la neve non vuole smettere e io
desideravo
vedervi quanto prima”. Poi si fermò, sorridendo a
Demelza. “Lady
Boscawen, è molto che non ci si vede e alla miniera in molti
sentono
la vostra mancanza”. Lo disse in tono ossequioso, cercando di
essere formale… Ma a Demelza non sfuggì il
luccichio nei suoi
occhi al termine della frase. Avvampò ma fece in modo che
non fosse
notato o
tutti i tentativi di Ross di apparire formale sarebbero stati vani.
Falmouth
parve incuriosito. “Come mai volevate vedermi?”.
“Perché
quando decido di imbarcarmi in qualcosa, voglio farlo al
meglio” –
rispose Ross, sicuro. “Ci sono molte cose di cui dobbiamo parlare
e visto che sono stato così folle da piegarmi al vostro
altrettanto
folle progetto, vediamo di mettere giù un piano di
battaglia”.
Falmouth
sorrise sotto i baffi. “Sarei
venuto di persona da voi, appena il tempo fosse migliorato”.
“Non
amo aspettare e sono giovane, un pò di neve non mi fa
male”.
Demelza
sorrise, contenta. Per Falmouth era una vittoria, per Ross
l’inizio
di una avventura che lo avrebbe portato lontano.
“Bene,
bene” – disse Falmouth tornando alla sua poltrona
davanti al
camino, facendo segno a Ross di fare altrettanto –
“Mi piace
l’entusiasmo e l’intraprendenza. Adoro cacciare le
mie prede ma
amo anche vederle arrivare da me attirate dal mio carisma”.
Il
lord scoppiò a ridere e Ross e Demelza si guardarono per un
istante,
in uno sguardo d’intesa che non aveva bisogno di parole. Era
vero,
era venuto per parlare con Falmouth perché una volta presa
una
decisione era un uomo che amava andare fino in fondo, ma era venuto
anche per lei perché in quei dieci giorni senza vederla, non
aveva
potuto non ammettere a se stesso quanto le mancasse. Si era anche
chiesto se per caso si stesse innamorando di lei e ancora non era
riuscito a darsi una risposta. Ma sapeva che pian piano quella
combattente e fiera ragazza dai capelli rossi si era insinuata in
ogni fibra del suo essere ed aveva saputo arrivare a
profondità del
suo cuore e della sua anima che Elizabeth probabilmente non aveva mai
nemmeno accarezzato. Erano simili eppure diversi, due specie di
opposti che però insieme e vicini, si attraevano
inesorabilmente.
Sapeva di desiderarla e che ormai questo non era più solo un
bisogno
fisico, era averla attorno che arricchiva la sua vita e le sue
giornate e il piacere della sua compagnia era un qualcosa a cui non
avrebbe voluto rinunciare mai. Accettò l'invito di sedersi e
si
accomodò in poltrona, godendo del tepore del camino acceso.
“Io
frenerei l’entusiasmo, Lord Falmouth. Vi siete accaparrato il
più
ribelle dei soci, uno che non accetta compromessi e ama
particolarmente dire di no. Uno che se crede in qualcosa, ci si butta
a capofitto senza fermarsi fino a che non ha raggiunto l'obiettivo".
Falmouth
si accarezzò i baffi, per nulla intimorito. "Perfetto, direi
che siamo quasi gemelli".
Demelza
prese fra le braccia Garrick, rendendosi conto che era ora di
lasciarli soli. "Vado a chiedere a Dorothy di preparavi del
brandy, sarà più piacevole azzuffarvi befendo del
buon liquore".
Falmouth
ridacchiò a quella battuta impertinente e lo stesso fece
Ross. Si
rese conto che gli avrebbe fatto piacere che lei rimanesse, ma capiva
anche che ora era il dovere che doveva affrontare. Al piacere avrebbe
pensato più tardi...
...
Parlarono
due ore, fitto fitto, di politica ed economia. Ross si trovò
a
pensare, ascoltando Falmouth, che non avevano nulla in comune, che
lui non avrebbe mai raggiunto il cinismo di quel lord e che
probabilmente quella quella
avventura sarebbe
stata la più folle
della sua vita.
Però c'era una cosa che lo colpiva ed attirava ed era la
capacità
di Falmouth, con cui era in disaccordo su tutto, di raggirarlo con le
parole, con lunghi discorsi e astuzia per portarlo a dargli ragione
anche se non era affatto d'accordo con le sue idee. In
questo era decisamente fenomenale, nessuno ci era mai riuscito!
Esperienza,
probabilmente. Ma anche grande acume e conoscenza del mondo e
dell'animo umano... Non aveva davanti una persona in
là
con l'età e manovrabile ma un uomo intelligente ed astuto.
Di
tanto in tanto nella stanza giungevano le risate di Demelza che
giocava col suo cane nel suo
salottino
privato
e
a quel punto smetteva di ascoltare Falmouth per concentrarsi su di
lei,
sperando che il lord non se ne accorgesse.
A
fine colloquio e dopo aver più o meno trovato accordi sulle
strategie elettorali e sulle alleanze che Falmouth avrebbe stretto
per ottenere voti
e
quando dopo tre bicchieri di Brandy erano entrambi un pò
brilli,
Falmouth prima di congedarlo lo guardò con occhio lucido ed
indagatore. "Come ha fatto a convincervi?".
Ross
sussultò, ormai quasi annoiato. "Cosa? Chi?".
"Demelza.
Come è riuscita dove io ho fallito?".
Impudentemente,
forse anche divertito dalla cosa e desideroso di stuzzicarlo come
Falmouth aveva fatto con lui, Ross rispose senza giri di parole.
"Fascino femminile, che a voi manca...".
Falmouth
però non si scandalizzò affatto e
scoppiò a ridere. "E' vero,
è deliziosa. Mio nipote la adorava e anche io le sono molto
affezionato. L'ho conosciuta che era una bambina e mi è
cresciuta
davanti agli occhi... Mi fido di Demelza e so che ha agito in mio
nome nel massimo rispetto della famiglia".
"Lo
ha fatto. E ha svolto un ottimo lavoro coi bambini della miniera".
"E
vi ha convinto a lanciarvi in politica...".
Ross
annuì. "In un certo senso, avete un'ottima alleata".
Falmouth
sospirò, tornando serio. "E' giovane e in gamba. Ha una vita
davanti
e
vorrei che la vivesse con persone alla sua altezza. Potrei anche
darvi il permesso di corteggiarla, sapete?"
- disse, sibillino.
Fu
Ross, ancora una volta, ad essere preso in contropiede. Cosa che a
lui non era riuscita con Falmouth poco prima... Tornò serio,
come il
suo interlocutore, rendendosi conto che per quanto lo ammirasse e
conoscesse la sua influenza sulla vita di Demelza, per lui questo
ultimo fattore non era ben accetto. E lo avrebbe messo in chiaro
senza compromessi come in politica, subito. "Con tutto rispetto
signore... Non ho bisogno del vostro permesso. E nemmeno Lady
Boscawen".
Chiaro,
limpido diretto. E a Falmouth piacque. "Ottimo... Quindi mi
auguro, se ne avete l'intenzione, che non dormiate sugli allori... A
volte le buone occasioni vanno afferrate senza pensarci troppo o ci
verranno rubate da qualcun altro più veloce e furbo".
Ross
per un attimo si chiese se si stesse riferendo alla sua antica
passione per Elizabeth, alle voci che circolavano in giro e a quanto
avesse lasciato correre per orgoglio appena tornato dalla guerra. Ma
ora era un uomo diverso, più adulto, ancora testa calda ma
deciso a
farsi guidare anche dalla ragione e non solo dall'istinto. E
determinato a non farsi fare la paternale da un lord anziano e
decisamente scapolo. "So come funziona, grazie..." -
commentò, laconico.
Calò
un silenzio pesante per qualche attimo, poi Falmouth guardò
fuori
dalla finestra. Aveva ricominciato a nevicare fitto e ormai stava
diventando buio. "Vi fermate per cena?" - chiese, cambiando
del tutto argomento come desiderato da Ross.
"No,
fa freddo e a breve sarà buio pesto. Devo passare dalla
miniera
sulla via del ritorno per controllare alcuni incartamenti e poi non
desidero che andare a casa e fare un bagno caldo".
Falmouth
allora si alzò dalla poltrona, stringendogli la mano.
Stavano
stringendo un patto politico azzardato, erano due persone
profondamente diverse e si sarebbero azzuffate come cane e gatto ma
di certo erano uniti da un particolare sostegno e rispetto reciproci.
"Inizierò da domani a lavorare alle
mie alleanze elettorali, in modo da portare ad entrambi il
più alto
numero di voti. Avrete
molti amici a cui dire grazie, non dimenticatelo e lavorate al
meglio. Per il resto, vi
farò sapere...".
Ross
prese un profondo respiro, ormai era in gioco e bisognava giocare
anche con regole che non facevano per lui.
"Lavorare
al meglio è quanto desidero, anche se su quel 'al meglio'
abbiamo
visioni diverse. Aspetterò
le vostre lettere, allora...".
Falmouth
ridacchiò e poi prese un campanellino dal tavolo, facendolo
suonare.
Una domestica arrivò subito e l'uomo ordinò di
chiamare Demelza.
"Sono in vestaglia, mi perdonerete se non vi accompagno alla
porta. Vi farò scortare dalla mia valente emissaria".
Ross
mascherò un sorriso, quell'uomo era l'incarnazione delle
macchinazioni. "Vi ringrazio del gentil pensiero".
Demelza
arrivò pochi minuti dopo seguita da Garrick e Ross, dopo
aver
salutato Falmouth, si incamminò con lei verso l'uscita
principale
della dimora. Nella casa tutto era silenzio e l'atmosfera era
ovattata e calda grazie alle candele accese e ai camini scoppiettanti
che donavano tepore e luce agli ambienti, rendendoli confortevoli.
"Dove sono tutti i domestici?" - chiese Ross.
"Le
cuoche a quest'ora sono in cucina a preparare la cena, le domestiche
hanno per lo più il pomeriggio di riposo e il maggiordomo
è in
giardino a sellarvi il cavallo e aprirvi il cancello. E' la mia ora
del giorno preferita, adoro questo silenzio e questa pace".
"La
vita di campagna..." - osservò Ross.
"Ce
l'avete fatta a trovare un accordo?" - chiese Demelza, ormai
dimentica dell'etichetta ora che erano soli.
Ross
sbuffò. "Sì, in un certo modo - e non ho capito
come - a
parole quel dannato Falmouth mi ha fatto dire sì anche dove
volevo
dire no. Sentiti responsabile".
"Della
tua futura e brillante carriera?" - scherzò lei.
Ross
ci pensò su, la osservò e gli vennero in mente
gli attimi vissuti
insieme a Natale e le parole di poco prima di Falmouth. Era bella,
intelligente, brillante e libera. E molti uomini avrebbero potuto
volerla... "Sai, Demelza...".
"Cosa?".
"Potrei
diventare uno scapolo molto ambito con questa faccenda della
politica...".
"Dalle
dame di Londra?".
Ross
la fissò negli occhi intensamente, soggiogato dai suoi occhi
verde
smeraldo. "O da quelle di Cornovaglia..." - sussurrò,
sibillino.
Demelza
arrossì e lui le si fece più vicino. Erano in
casa Boscawen,
qualcuno avrebbe potuto passare e vederli ma a Ross non interessava.
Le sfiorò la vita e la attirò a se e poi, serio,
le parlò. "Hai
mai pensato a una vita nuova? Che quella vecchia non ti basta
più?".
Demelza
si guardò attorno... "Ross...".
"Rispondi".
Lei
tentennò. "A volte... molto spesso. Soprattutto
ultimamente...".
Lui
non si allontanò. "Non mi hai mai chiesto perché
ho accettato
questa cosa che non volevo assolutamente... Parlo della scelta di
entrare in politica naturalmente".
"Non
credo siano cose che mi riguardino".
Ross
scosse la testa. "Ti riguardano più di quanto vuoi
ammettere.
Niente succede per caso, Demelza, né un incontro,
né determinate
parole, né determinate scelte".
Demelza
abbassò lo sguardo, col cuore che le martellava in petto e
le dita
di Ross sulla sua vita che attraverso il vestito parevano trasmettere
un calore infernale sulla sua pelle. "Lo credo anche io".
Ross
sorrise. "Non sono un poeta, non amo intromissioni e non sono
uno che ama girare attorno alle cose. Ma credo di sapere cosa
voglio... E tu?".
"E'
più complicato per me".
Lui
la guardò ancora negli occhi e decise che le avrebbe dato un
pò di
tempo ancora... Poco tempo, però. Poi non sarebbe stato
più capace
di aspettare. La voleva e presto non si sarebbe più frenato
dal
dimostrarglielo. Ma per quel momento si limitò a poggiare le
labbra
sulla sua fronte in un dolce bacio, il primo e casto bacio fra loro,
e poi si allontanò. "Ricordi Natale?".
Lei,
stupita da quel gesto, impietrita, incapace di muoversi e desiderosa
che restasse, che non se ne andasse, che fossero altrove,
annuì.
"Sì..." - disse, sentendo la sua fronte bruciare dove si
erano poggiate le labbra di lui.
Ross
aprì la porta. "Beh Demelza, quel 'per adesso' inizia a non
bastarmi più". Poi uscì, chiuse la porta dietro
di se e si
tuffò nel freddo della neve e della sera. Andava a fuoco,
come lei.
Ma per lei avrebbe potuto aspettare ancora un pò. Solo un
pò...
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Capitolo 35 *** Capitolo trentacinque ***
Da
quando era stato a trovare Lord Falmouth a casa sua, tutto era
diventato frenetico per Ross. La fitta corrispondenza col lord e una
inaspettata buona sorte che aveva strizzato l'occhio alla Wheal Grace
facendo intravedere l'inizio di una buona vena di rame, occupavano
ogni momento della sua giornata.
I
lavoratori alla sua miniera erano ancora pochi, i suoi fedelissimi,
ma se le cose fossero continuate a girare per il verso giusto, presto
avrebbe potuto aprire nuovi livelli ed assumere altro personale.
Certo, avrebbe dovuto partire per Londra con Falmouth in caso di
vittoria alle elezioni, ma si fidava ciecamente sia di Henshawe che
di Zachy e a loro avrebbe lasciato in mano tutta la gestione in sua
assenza. Conoscevano quella miniera come e meglio di lui e aveva
piena fiducia in loro.
In
quelle settimane di passaggio fra inverno e primi scampoli di
primavera, la pioggia e il freddo avevano continuato a farla da
padroni ma Demelza si era ripromessa di tornare con
puntualità alla
miniera, nonostante tutto. I bambini, a causa del freddo, del
maltempo e dei malanni di stagione, erano calati ma lei aveva
continuato a tenere anche per i pochi presenti le sue lezioni. E in
mancanza di studenti, era diventata anche una presenza fissa
nell'ufficio di Ross. Spesso finivano per trovarsi soli, quando il
buio della sera avanzava, a sistemare carte e libri contabili e anche
se a volte i motivi di conversazione erano pochi, erano i silenzi e
gli sguardi fra loro a conversare al posto delle parole.
Demelza
aveva pian piano
sistemato i vecchi
libri contabili, aveva archiviato
in ordine cronologico le vecchie mappe disegnate da suo padre Joshua,
lo aveva aiutato a tenere aggiornato il libro degli stipendi e la
corrispondenza con la Banca di Pascoe e in poche settimane aveva
donato a quell'ufficio angusto uno degli aspetti più
ordinati che
avesse avuto.
Inoltre,
nelle discussioni sull'amministrazione della miniera, Demelza spesso
era intervenuta offrendo idee e spunti interessanti che ne denotavano
una grande intelligenza e un'ottima capacità di analisi.
Henshawe
era affascinato da lei e anche lui ormai non poteva non chiedersi se
si stesse irrimediabilmente innamorando di quella ragazza capace di
portar luce in ogni angolo buio del suo mondo. Era bella,
intelligente, dinamica, gentile, dolce, simpatica. Non aveva difetti
ai suoi occhi e forse sì, probabilmente ne aveva come tutti
e
qualche volta aveva dimostrato una impertinenza e un carattere
combattivo fuori dal comune, ma non poteva non
ammettere a se stesso che adorava anche questi lati del suo
carattere. Sarebbe stata un'ottima amministratrice della Wheal Grace
al pari di Zachy o Henshawe e di fatto probabilmente già lo
era in
quanto il denaro per tenere tutto aperto arrivava dalla sua famiglia.
Ma questo Demelza non lo faceva mai pesare, sembrava non pensarci
affatto e in quella miniera, accanto a lui, si comportava come una
qualunque dei suoi dipendenti, dando consigli se richiesti o se ne
sentiva la necessità ma mai ordini, cosa che nella sua
posizione
avrebbe potuto fare senza problemi.
"Dovresti
diventare socia a tutti gli effetti" - le disse in un tardo
pomeriggio nuvoloso, mentre si stavano preparando per andare a casa.
Demelza,
seduta sull'unica panca
della stanza, alzò lo sguardo. Aveva già
indossato il mantello e vi
si stava stringendo dentro per scaldarsi. Fuori rabbuiava e tutti
erano già andati a casa, solo lei e Ross erano rimasti in
superficie
mentre Henshawe stava finendo, al
primo livello, di
controllare i progressi della giornata. "Potrei, sì... Ma
poi
dovrei comandarti a bacchetta e mi piace di più
così, ficcanasare e
sistemare il tuo disordine
sentendosi borbottare perché tocco le tue cose".
Ross
rise, ancora una volta divertito dalla sua insolenza. "Mi trovi
disordinato?".
"Credo
che tu sia l'uomo più disordinato del mondo".
Ross
rise ancora, di gusto. "Lo dice anche Pascoe".
"Pascoe
è un uomo saggio".
"E
tu una ragazza impertinente".
Demelza
ridacchiò fissandolo
civettuola e poi si
stiracchiò e infine,
dopo aver riposto un libro contabile nel cassetto, si
avvicinò alla
finestra. "Sta diventando buio".
Ross
le si avvicinò. "Dovresti iniziare ad avviarti verso casa,
fra
poco non si vedrà nulla".
Lei
alzò le spalle. "E' il bello della sera".
"E'
pericoloso. Forse dovrei accompagnarti".
Lo
fronteggiò. "Giuda, non sono una bambina!".
"Beh,
e io sono un galantuomo".
"Posso
tornare da sola".
"Ma
io ti accompagnerò lo stesso".
Demelza
sbuffò, fingendosi dispiaciuta anche se non lo era affatto. Adorava
stare con lui e trovava dolce quel suo modo del tutto particolare di
prendersi cura di lei e proteggerla... Ma decisa a reggere la parte,
stizzita tornò allo
sgabello, sedendosi ed accavallando le gambe. Lo fissò con
aria di
sfida, incrociò le braccia ed attese.
Ross,
sempre più divertito, le si parò davanti. "E
allora?".
"Se
devo avere una balia, allora aspetterò Henshawe prima di
andare a
casa. Non mi sembra bello andarmene senza salutarlo".
Le
si sedette accanto, mettendosi a sua volta il mantello. "A
minuti sarà quì. Mi chiedo perché ci
metta tanto".
Demelza
osservò la botola dalla quale sarebbe a breve riemerso il
capitano
Hehshawe. "Ned prima ha detto che hanno trovato una quantità
di
stagno notevole che sembra nasconderne un secondo giacimento ancora
più grande. Dove c'è molto stagno, poi
c'è il rame! E forse
Henshawe sta verificando se tutto questo sia vero o l'ennesima falsa
speranza".
Con
un gesto gentile ma scherzoso, Ross alzò la mano a
scompigliarle i
capelli. Era vero, lei
aveva ragione e in quella giornata più volte era arrivato
vicino,
quasi da toccarla, alla speranza che finalmente il traguardo fosse
vicino. "Che
piccolo minatore esperto che sei".
Demelza,
arrossendo come sempre succedeva quando lui la sfiorava, con un gesto
secco gli allontanò la mano. "Hei!".
"Che
si mangia per cena a casa tua?" - le chiese improvvisamente
Ross, cambiando argomento per farla ammattire.
"Che
ti importa?".
"Ti
accompagnerò a casa e sono affamato. Probabilissimo che
Falmouth mi
rapisca con la scusa della cena e dell'orario tardo, per parlare
ancora di politica ed elezioni. Ho bisogno di sapere cosa prevede il
menù per decidere se rimanere o se trovare una scusa mentre
andiamo
a casa tua".
Demelza
sospirò, sistemandosi il ciuffo di capelli che lui aveva
toccato.
"Brodo di cappone, cappone con patate e sformato di mele".
"Ottimo,
mangerò volentieri con voi allora".
Demelza
rise, era davvero irrecuperabile. "Tu e le buone maniere non
andrete mai d'accordo, temo".
"Sono
affamato e le buone maniere non riempiono il mio stomaco" - le
fece notare.
Si
guardarono in faccia e risero, come spesso facevano anche senza un
valido motivo. E in quel momento Henshawe spalancò la porta
della
botola e sbucò in superficie, coperto di polvere. "Ross,
devi
scendere a vedere".
Ross
balzò in piedi. "Cosa?".
"Al
primo livello! Scendi, Ned aveva ragione. Il primo filone si
è
spaccato e ne ha lasciato
scoperto uno immenso
subito dietro. Non è un'illusione stavolta, Ross!!!".
Spalancando
gli occhi, Ross si sentì tremare. Se questo era vero... se
fosse
stato vero... tutto avrebbe avuto un senso: la morte di Francis non
sarebbe stata vana, il sogno di successo di suo padre che sperava in
una miniera che portava il nome dell'amata moglie si sarebbe
avverato, lui avrebbe potuto ripagare i suoi debiti, dare lavoro,
speranza, progettare un futuro, prendersi cura di zia Agatha e
Trenwith e... Guardò Demelza... La speranza ora era a
portata di
mano e con questa forse, avrebbe avuto qualcosa da offrire a chi
voleva vicino. "Sei sicuro?".
Henshawe
salì dalla botola, picchiettandosi la camicia per togliersi
la
polvere di dosso. "Santo cielo, sì! Stanotte io non torno a
casa, questa cosa non mi farebbe dormire! Corro al villaggio a
chiamare gli altri, verranno in un baleno! Stanotte si piccona, amico
mio! E all'alba si brinda!
Credo che smetterò di essere astemio prima dell'alba"
- disse, ridendo come fosse già ubriaco.
Trattenendo
il fiato, Ross annuì senza quasi riuscire a parlare. "Corri,
vai a chiamare tutti! C'è da lavorare, non c'è
tempo per dormire!".
Henshawe
annuì, salutò con un cenno del capo Demelza e poi
di corsa sparì
dalla porta.
Ross,
ancora tramortito dalla notizia, fissò Demelza che, come
lui, si
sentiva tremare dall'emozione. Poi le prese il polso,
l'attirò a se
perché non avrebbe voluto condividere
quel momento con nessun altro e d'istinto la spinse verso la botola.
"Vieni, andiamo!".
Come
fosse la cosa più naturale del mondo che un uomo invitasse
una lady
in un cunicolo di una miniera, Demelza annuì. "Certo".
Non c'era più tempo per scherzare ed ora era semplicemente
felice ed
emozionata per lui. Se lo meritava, nessuno al mondo meritava quel
successo più di Ross. Si fece guidare e scese con lui dalla
scaletta.
Scesero
dalle scale, ognuno con una lanterna in mano. Presto Henshawe sarebbe
tornato con gli altri uomini e prima di allora, Ross voleva
verificare con i suoi occhi che non si trattasse dell'ennesima
illusione.
Camminarono
per alcuni minuti in uno stretto cunicolo, ormai dimentichi sia della
sera incombente, sia della cena. Ross, che precedeva Demelza, si
voltò per accertarsi che stesse bene. Non aveva mai lasciato
la sua
mano ma ora, con più lucidità, comprendeva che
potesse trovarsi in
difficoltà in un ambiente del genere. "Stai bene? Hai
paura?".
Lei
sorrise. "Sono perfettamente a mio agio".
Ross
sorrise di rimando, era davvero diversa da tutte le altre donne del
mondo. "Se Henshawe ha ragione, entro domani potrei non solo
ripagare Falmouth dei soldi che mi ha prestato ma sarei persino quasi
ricco".
"E
potrai vincere le elezioni con cuore più sereno" - rispose
lei.
Ross
si fermò a quelle parole, voltandosi verso la
ragazza illuminandola
con la lanterna. Strane ombre si muovevano sul viso di entrambi al
suo chiarore ed era impossibile capire i sentimenti che li agitavano
in quel momento. "Sei stata un'ottima consigliera per la
miniera, in questi mesi. Saresti disposta ad esserlo anche in campo
politico?".
La
donna arrossì perché in quel momento lui era
incredibilmente serio
e non c'era traccia di scherno nel suo tono di voce. "Credo che
in quel campo, il migliore sia Falmouth".
Ross
le si avvicinò. "Credo che tu abbia più buon
senso di lui. Ed
è a te che lo sto chiedendo".
Demelza
prese un profondo respiro. "Non so molto di politica, solo le
cose che sento in casa quando Falmouth ha ospiti. Come te, non credo
che Westminster sia
un mondo disinteressato e volto unicamente al bene comune ma che ci
siano sotto tanti interessi spesso inconciliabili con la vera
missione che dovrebbe avere un politico. E quindi posso solo dirti
questo... Se e quando vincerai... se vorrai davvero essere d'aiuto
alle persone, ricordati che non potrai aiutare tutti. A volte vanno
fatte delle scelte e la migliore che tu possa fare è rendere
un
posto migliore il tuo piccolo angolo di mondo. In qualche modo, se
riuscirai a far questo, sarai fra i migliori che siederanno in
Parlamento".
Colpito
dalle sue parole che ancora una volta esprimevano una saggezza
insolita per una ragazza tanto giovane, le sfiorò la
guancia, una
cosa che ultimamente faceva spesso quando erano soli. "Falmouth
approverebbe questo consiglio?".
"Non
credo. Ma hai chiesto il mio di parere, non il suo".
"E
il tuo parere a mio vedere, è l'unico a cui mi
affiderò. Litigherò
con lui tutto il tempo a causa di questo".
Demelza
rise a quella battuta, immaginandosi già la scena. Poi
guardò
avanti nel buio del cunicolo e tornò seria. "Su, andiamo a
vedere cosa ha trovato Henshawe. Non sei curioso?".
"Hai
ragione, andiamo!".
Ripresero
a camminare e dopo una ventina di metri svoltarono a destra in una
diramazione sotterranea. Ross sapeva che era quella la direzione da
prendere perché dal lato sinistro non erano ancora riusciti
a
scalfire la dura roccia. Ma se il giacimento sulla destra si fosse
dimostrato ricco come sembrava, lo avrebbero potuto raggiungere da
lì
senza fatica, sfruttando gli scavi dei minerali raccolti.
Quando
giunsero alla fine del cunicolo che partiva dalla biforcazione,
giunsero in un ambiente più grande. In lontananza si sentiva
lo
scorrere dell'acqua di un qualche ruscello sotterraneo e il freddo e
l'umidità erano pungenti. Demelza si strinse nel mantello e
Ross,
sentendola tremare, le si avvicinò e per la prima volta la
strinse a
se, fra le sue braccia. "Hai ragione, quì si gela. Scusa se
ti
ho portata in questo
posto tanto lugubre".
Lei,
senza quasi pensare ma solo spinta dalla bella sensazione di sentirlo
vicino, si rannicchiò appoggiando la testa alla sua spalla.
"E'
un onore essere quì".
Ross
le accarezzò la schiena per scaldarla e poi alzò
la lanterna per
controllare le pareti. E rimase a bocca aperta...
Immense
colate di rame e stagno di ottima qualità sbucavano da una
infinità
di punti della parete, rendendo palese l'immensità delle
ricchezze
nascoste fra quelle rocce. C'era tanto rame e tanto stagno da non
poterlo nemmeno immaginare nel più roseo dei sogni.
"Demelza,
santo cielo..." - mormorò Ross, sentendosi tremare le gambe.
Il
suo sogno, il sogno di suo padre nato sotto il nome della donna
amata, era finalmente realtà. Era vero, finalmente era tutto
VERO!!!
Demelza
scosse la testa, sbalordita. Non aveva mai visto nulla del genere.
"Ce l'hai fatta" - mormorò solamente, senza riuscire a
dire altro.
"Ce
l'abbiamo fatta" - rispose lui, quasi incredulo. Era davvero a
lui che stava succedendo? Dopo tante tragedie, tanti fallimenti,
lacrime e perdite di vite, davvero stava succedendo a lui? Lui che
era stato a un passo dal lasciar perdere tutto? Improvvisamente si
sentì come se fosse ubriaco, come se avesse bevuto dieci
barili di
rum e avesse una sbronza allegra. Iniziò a ridere come
impazzito e
Demelza, contagiata, fece lo stesso. E poi fu un attimo e ogni
reticenza, ogni barriera, ogni tentativo di mantenere le distanze
fallì nell'euforia del momento.
Si
rese conto che erano soli e smise
di ridere, la strinse per la vita e la attirò a se. In un
attimo
sembrò che tutto sparisse... Il freddo, il buio,
l'umidità della
miniera, il loro passato e tutti quelli che vi erano gravitati
attorno. La guardò in quegli occhi verdi e trasparenti,
osservò
ogni particolare del suo viso e la morbidezza delle sue labbra che
anche senza trucco e rossetto, sembravano essere state create solo
perché lui le baciasse. Si fissarono, improvvisamente troppo
vicini
per riacquistare padronanza di loro stessi e in un attimo tutto
quello che era stato faticosamente tenuto celato nei loro sentimenti
più profondi venne alla luce. Si chinò su di lei,
in un bacio non
più casto ma disperato, appassionato, quasi furioso
sulle sue labbra. Per
un istante, prima di capire che era arrivato in Paradiso,
pensò che
lei lo avrebbe schiaffeggiato, ma non accadde. La sentì
tremare e
allora le sfiorò il viso in una carezza che voleva anche
essere una
presa su di lei. E
continuò a baciarla
sulle labbra, in un bacio talmente lungo e passionale da far mancare
il fiato ad entrambi. Spinto dalla passione, la fece indietreggiare
fino alla parete perché non potesse sfuggire e lei si arrese
a
qualcosa che in fondo non aveva fatto altro che desiderare a lungo.
Sapevano che dopo quel bacio tutto sarebbe cambiato e che quei
sentimenti che entrambi avevano nascosto anche a loro stessi
avrebbero dovuto essere affrontati,
ma per il momento non
era questo l'importante, l'importante era che entrambi in passato
avevano pensato di aver amato e in quel bacio stavano scoprendo che
invece del vero amore, quello totalizzante e unico, non sapevano
nulla. Non fino a quel momento, almeno... Ed
ora sapevano con certezza che
tutto quello che era sempre stato certo e sicuro prima, ora non
esisteva più.
Quando
le loro labbra si staccarono per riprendere fiato, Ross
appoggiò la
fronte su quella di lei, accarezzandole la guancia. "Tu non hai
idea di quanto io abbia desiderato questo, da quanto...".
Tremando
ancora per le sensazioni del bacio, per quella passione di Ross e per
quella con cui aveva risposto e che mai avrebbe pensato di possedere,
Demelza si rannicchiò contro di lui in cerca di sicurezza.
"Forse
non avremmo dovuto...".
Ma
Ross scosse la testa. "Non avremmo dovuto fingere tanto a lungo
di non desiderarlo... Io non lo farò più".
Già,
lui aveva ragione e tornare indetro ora sarebbe stato impossibile.
Perché dopo quel primo bacio, non sarebbe mai più
riuscita a non
desiderarne altri. "Nemmeno io" - disse, prendendo lei
questa volta l'iniziativa
di baciarlo. L'amore, i
baci, l'intimità erano qualcosa che con Hugh aveva sempre
trovato un
dovere. Ora invece un
semplice bacio con Ross la faceva sentire una donna nuova che per la
prima volta scopre come amore e desiderio siamo complementari e
indissolubilmente legati, in un vero rapporto.
Si
baciarono a lungo, in una oscurità che ora non era
più soffocante.
Ross sentì di desiderarla talmente tanto che anche
lì, subito,
avrebbe potuto chiederle di fare l'amore. Ed era abbastanza certo che
non avrebbe avuto rifiuti...
Ma non era giusto, non era il modo, non era l'ambiente adatto...
Improvvisamente
sentirono delle voci scendere dalla scaletta e rossi in viso, si
allontanarono.
Zachy
sbucò per primo, seguito da Henshawe, Ned, dai fratelli
Deniels e
dagli altri fedelissimi. "Capitano!".
Ross
osservò Demelza, impacciato per la situazione in cui si
trovavano.
"Scusate se vi ho fatti svegliare, ma...".
Zachy
si mise a ridere. "Ho tutta l'eternità per dormire in una
bara,
capitano! Ma stanotte si scava, il rame non merita di aspettare
quando ha così voglia di gettarsi fra le nostre braccia".
Quella
battuta fece sorridere Ross. Il rame, la
sua colorazione
rossa...
Ne era attorniato e aveva appena baciato una donna che ne portava il
colore nei suoi capelli. Era davvero nel suo destino.
Demelza
salutò i minatori,
gentilmente, celando il suo imbarazzo.
"Volevo scendere a dare un occhio col capitano Poldark ma ora
dovrete lavorare e credo di essere di troppo. E' tardi, forse
è ora
che torni a casa".
Henshawe
annuì, calandosi il cappello dalla testa. "Buona serata,
lady
Boscawen".
"Buona
serata a tutti".
Ross
le si avvicinò. "E' buio, l'accompagno a casa e poi torno da
voi". Non poteva lasciarla andare, non così...
Ned
ridacchiò ma non fece commenti, Henshawe e Zachy si
scambiarono
un'occhiata maliziosa
e poi li salutarono, prendendo in mano i picconi per mettersi
all'opera.
Ross
e Demelza risalirono dalla scaletta e in silenzio, ora incapaci di
parlarsi, raggiunsero i loro cavalli. Ma quando lei fece per montare
in sella del
suo, Ross la fermò. "No".
"No,
cosa?".
"Ti
porto sul mio di cavallo. Non abbiamo mai galoppato insieme".
Non
era una richiesta, era quasi un ordine e lei fu felice di eseguirlo.
Era strano ora, la fuori, sembravano quasi impacciati e incapaci di
parlare e proseguire quanto iniziato sotto terra ma desideravano non
spezzare il contatto fisico. Nessuno dei due...
Demelza
montò in sella al nero cavallo di Ross e lui si sedette
dietro di
lei, prendendo poi fra le mani le redini del destriero di Demelza.
Ross le cinse la vita con la mano e lei prese le redini per condurre
il cavallo verso casa.
Non
parlarono durante il tragitto, godendosi la bellezza della sera e del
silenzio. E dei loro
corpi così vicini che parevano emanare un calore quasi
innaturale.
Ross si sentiva andare
a fuoco per il desiderio di lei e per la voglia di averla vicina
costantemente, senza doverla riportare in una casa diversa dalla sua,
Demelza pensava più o meno lo stesso e ricordava quando lo
aveva
visto nuotare nudo più di due anni prima, al desiderio istantaneo
che quella vista aveva generato in lei
e al fuoco che aveva provato dentro di se mentre la baciava, alla
forza della stretta delle sue mani, al suo tocco... Lo desiderava, si
desideravano...
Quando
arrivarono a pochi metri dal cancello dei Boscawen, saltarono
giù da
cavallo e a quel punto Ross la fermò, la attirò a
se e la baciò
con passione di nuovo. "Voglio fare l'amore con te...". Lo
disse, senza giri di parole, cosa che non aveva mai amato fare.
Essere chiari e diretti era quanto di più naturale esistesse
per lui
e quel desiderio non era un qualcosa di malato come quello che lo
aveva spinto verso Elizabeth ma un qualcosa di diverso. Aveva trovato
una casa in lei, sentimenti veri, forti e unici, uno scopo, una
amica, la vera passione e ora non voleva altro che fondersi in lei ed
essere una cosa unica. Non
era tanto il desiderio del piacere fisico a guidarlo, non solo.
Desiderava sentirsi completo e sapeva che con lei, solo con lei
poteva essere tale. Voleva
amarla, con passione, assaporare ogni istante con lei e poi amarla
ancora... Per sempre, probabilmente.
Lei
non lo respinse ma sorrise, desiderando la stessa cosa. "Credo
che per questa notte tu abbia già fin troppo da fare".
"Quando
ti rivedrò?" - le chiese.
"Presto,
presto...".
"Fa
che sia così... Ti desidero davvero, forse da quando ti ho
vista per
la prima volta sul balcone di questa casa".
Demelza
tremò ancora e per un attimo si chiese come sarebbe stato,
che
amanti potessero essere, se sarebbe rimasto deluso da lei, se...
se... Faceva paura, era un salto nel buio ma era consapevole di
volerlo fare e di non poter sfuggire al desiderio e al bisogno di
stare insieme. "Quando... Quando manderai i tuoi domestici al
mercato di Truro per compere?".
"Giovedì,
fra due giorni".
"Quindi,
non ci sarà nessuno a Nampara?".
"Solo
Sun...".
Demelza
sorrise, Sun non era un problema. "E allora giovedì
avremo un posto dove fare l'amore,
Ross...". Santo
cielo, era incredibile che lo avesse detto senza vergognarsi o
arrossire ma venne così naturale darsi quell'appuntamento
che alla
fine non se ne stupì. Era una donna nuova, che Ross aveva
aiutato a
sbocciare fin dal loro primo incontro. Gli
si avvicinò ancora e lo baciò, poi con un sospiro
voltò le spalle
e corse col suo cavallo verso l'ingresso della casa.
Giovedì sarebbe arrivato presto.
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Capitolo 36 *** Capitolo trentasei ***
Erano
stati due giorni strani quelli, sia per Ross che per Demelza. La
gioia per la miniera li aveva spinti a lasciarsi andare a sentimenti
repressi fin troppo a lungo ed era sfociata in baci appassionati e
pieni di desiderio…
Era
stato bello per entrambi scoprire che l’altro non aveva
desiderio
di respingerlo e che ciò che sentivano era corrisposto e non
vedeva
l’ora di venire alla luce. Si desiderano, trovavano
meraviglioso lo
stare insieme e condividere le cose importanti della loro vita e si
erano arricchiti a vicenda, si erano trovati in un mondo spesso avaro
di incontri e cose belle e ora non vedevano l’ora di stare di
nuovo
insieme, totalmente…
Si
erano dati appuntamento per il giovedì, per un incontro
carico di
aspettative, emozioni e promesse. Ma in quei due giorni di attesa, a
mente fredda, erano subentrate tante domande, tante ansie, tante
normali paure che li riempivano di quesiti: Come sarebbe stato? Si
sarebbero delusi a vicenda? Stavano correndo troppo? Erano davvero
consapevoli delle ripercussioni di quel passo tanto importante? Come
avrebbe travolto tutto questo il loro mondo e le persone a loro
vicine?
A
tutto questo pensava Demelza, mentre si avviava a cavallo a Nampara.
Poteva dire senza ombra di dubbio di essere felice ma anche
spaventata. Ross era una persona passionale, sapeva essere il
più
tenero degli uomini ma era anche decisamente imprevedibile. E se non
gli fosse piaciuta? Era spaventata da questo aspetto, lei che mai si
era sentita bella e all’altezza delle gran dame che aveva
incontrato e conosciuto negli anni. Tutte raffinate, tutte sempre
linde e austere, tutte istruite, meravigliose e piene di grazia
mentre lei poteva essere anche diventata una gran lady ma restava pur
sempre la figlia di un minatore di Illugan.
Percorrendo
strade alternative lontane dalla Wheal Grace per non essere vista,
Demelza giunse a Nampara poco prima delle dieci del mattino. Era una
giornata umida, nuvolosa ma stranamente non molto ventosa e
l’erba
nei prati iniziava ad assumere una tonalità verde
più accesa tipica
della primavera.
A
Nampara il camino fumava e questo in un certo senso la
tranquillizzò.
Bussò alla porta col cuore in gola e quando
l’uscio si aprì,
assieme a Ross comparve anche il piccolo Sun che, dopo aver fatto le
fusa contro la sua gonna, scappò felice nell’aia.
Appena
furono faccia a faccia si guardarono per un istante imbarazzati,
senza capire bene cosa dire. Ross, con indosso dei pantaloni neri e
una camicia bianca sbottonata sul collo e che lasciava intravedere il
petto villoso, quella mattina sembrava ancora più attraente
con la
fine barba sul mento e sul viso lasciata crescere in quei due giorni.
Anche
Ross rimase a fissarla, rapito dalla sua figura. Era seducente e
bella persino nascosta dal mantello blu… I suoi capelli,
rossi e
selvaggi, erano sciolti e liberi di muoversi alla brezza del vento e
i suoi occhi parevano ancora più limpidi e verdi del solito.
Le
sorrise impacciato, cosa strana per lui.
“Benarrivata”.
“Grazie”.
Demelza prima di entrare si voltò a vedere dove fosse finito
Sun, ma
il gatto pareva sparito.
Ross
captò la sua preoccupazione e le prese la mano conducendola
in casa.
“Tranquilla, adora rincorrere le galline nel pollaio,
è il suo
gioco preferito. Quando sarà stanco tornerà in
casa passando dalla
finestra del mio studio che lascio sempre socchiusa per lui”.
Demelza
annuì. “Quindi saremo davvero soli?”.
“Sì,
ho spedito al mercato Jud e Prudie e ho pagato loro una stanza in una
locanda dicendo che avevo bisogno che fossero lì anche
domattina per
la fiera del bestiame per comprarmi una decina di polli”.
“Astuto”
– rise lei, cercando di mascherare le sue paure.
“Ma io non credo
che potrò fermarmi oltre oggi… Ho lasciato detto
che sarei stata
fuori tutto il giorno a cavallo ma se questa sera non rientro,
Falmouth invierà l’esercito a cercami”.
Ross
sospirò, era vero, era tutto parecchio difficile. Cercarsi,
darsi
appuntamento, trovarsi, amarsi e poi doverla salutare…
Odiò quella
situazione, non era uno che amava le mezze misure e la voleva. Ora,
sempre, tutta per se. Chiuse la porta, la spinse delicatamente contro
l'uscio e la baciò... Santo cielo, era quasi impazzito in
quei due
giorni di attesa in cui non aveva potuto farlo...
Demelza
si arrese subito a lui, spinta dal bisogno fisico di sentirlo vicino.
Era come una droga, era come se lui rappresentasse una calamita
contro la quale nulla poteva, per resistere. "Ross..." -
sussurrò, fra un bacio e l'altro.
"Sì?".
"Che
hai detto alla miniera?".
Lui
la baciò di nuovo, non molto attento al discorso. "In
merito?".
"Alla
tua assenza di oggi".
Lasciò
le sue labbra e le baciò dolcemente la punta del naso. "La
miniera e gli scavi vanno alla grande, non hanno bisogno di me. Sono
il capo, non devo giustificare la mia assenza".
Demelza
poggiò la fronte contro quella di lui, confusa dalla sua
presenza e
dalle sue calde attenzioni. "Odio mentire, soprattutto alle
persone che amo, e io invece ho dovuto farlo per venire quì".
"E
allora non farlo!" - rispose lui, certo di quel che diceva.
"Come
posso? Come potrebbe la gente capire...".
Le
sfiorò la guancia con la sua mano calda e la condusse fino
ad uno
dei divani accanto al camino. "Demelza, non devi nessuna
spiegazione a nessuno".
Lei
parve sorpresa. "Non deve rimanere un segreto?".
Ross
alzò le spalle. "No, non ne vedo il motivo. Sono affari
nostri,
siamo due persone adulte e libere e non dobbiamo giustificare niente
a nessuno. Puoi benissimo dire che vieni quì e il
perché ci
vediamo, per quanto mi riguarda non ho alcun problema in proposito".
"E
cosa penserebbero le persone a noi vicine? Non hai paura di uno
scandalo?".
Ross
rise. "Onestamente non mi è mai importato nulla dei giudizi
degli altri. E non dovrebbe importare nemmeno a te".
Demelza
sorrise timidamente, adorava quel suo essere sempre fuori dalle
regole e in effetti la vedeva allo stesso modo, ma non erano soli,
non vivevano in un mondo isolato e di certo la gente avrebbe
giudicato, condannato e non perdonato un qualcosa di bello ma poco
comprensibile al pensar comune. "Non mi importa ma una relazione
clandestina fra noi potrebbe creare problemi a chi sta attorno a
noi".
Ross
la ribaciò, sul collo. "E allora non rendiamola clandestina
ma
facciamo che il mondo sappia, ne parli un pò e poi si
stanchi di
noi". Le si avvicinò, cincendole la vita e attirandola a se
per
baciarla ancora. Scoppiava di desiderio eppure captava in lei un
tentennamento forse giustificato ma che non sapeva come scardinare.
Demelza
lasciò che la baciasse ancora, perdendosi nella dolcezza
delle sue
labbra, cercando in lui il coraggio per dimenticare tutto il resto e
lasciarsi andare. Ma Ross captò la sua titubanza e per un
attimo
rallentò la presa. C'era tanto di quel desiderio in lui che
lì,
subito, avrebbe potuto possederla con passione ma si rendeva conto
che forse stava correndo e che se lei non era del tutto pronta,
avrebbero bruciato in parte qualcosa di estremamente bello.
"Demelza...".
Lei
sospirò, sconfitta, rannicchiandosi fra le sue labbra.
"Forse
ci sarebbero ancora tante cose di cui parlare e forse dovremmo usare
oggi per fare questo. E lo so, mi odierai e sarai deluso, ma...".
Le
accarezzò i capelli, dolcemente, cercando di tranquillizzarla.
"Faremo l'amore quando lo desidererai senza paura con la mia
stessa intensità. Oggi, domani, fra un mese... Hai ragione,
forse
stiamo correndo e questo non può che farci male e rischiamo
di
rovinare quanto di bello è iniziato due sere fa nella
miniera".
"Dici
sul serio?" - chiese lei, stupita.
Ross
annuì, si alzò e andò in cucina,
tornando pochi minuti dopo con
due tavolette di cioccolata. "Le ho comprate per i bambini della
scuola ma in fondo mangiarle noi, davanti al camino, non
sarà così
grave nei loro confronti".
Lei
prese la cioccolata, confusa. "Ross, desidero davvero fare
l'amore con te, ma... E' tutto così veloce e fino a tre
giorni fa
non avrei immaginato nemmeno lontanamente che sarei stata
quì, oggi,
pronta a concedermi a te. Giuda, quasi non ci conosciamo".
"Non
è vero, ci conosciamo da quasi tre anni" - la corresse lui.
"E
per quanto mi riguarda, sei fra le persone che meglio mi capiscono al
mondo".
"Questo
mi fa un pò paura, Ross...".
La
strinse a se, dolcemente. "Ricordi? La prima prima volta che sei
venuta quì avevi addosso uno stupendo abito da equitazione e
credo
di aver pensato dentro di me che eri straordinariamente attraente".
Demelza
arrossì,
stupita, ricordando quanto lei stessa, spiandolo, aveva trovato
attraente Ross nudo che nuotava in mare. "Davvero? Eppure a quei
tempi i tuoi pensieri erano per un'altra donna". Già... E
lei a
quei tempi era decisamente sposata.
Ross
si accorse del suo imbarazzo
e le sorrise. "Fu il giorno in cui trovammo Sun".
"E
promisi che sarei tornata quì. Ho mantenuto la mia promessa".
Ross
le indicò la spinetta. "Manca ancora una promessa da
mantenere".
Demelza
si stiracchiò, sentendosi rilassata da quella loro
amichevole
conversazione. "Potrei anche farlo più tardi. Ma ancora non
capisco perché ci tieni tanto".
"Perché
vorrei avere qualcosa da te che sia solo mio" - le rispose,
senza traccia di scherzo nella voce che uscì incredibilmente
calda.
Demelza
lo guardò negli occhi. "Sono quì, per te. E
ancora non capisco
come tu possa essere interessato a me...".
Ross
pensò per un istante a come rispondere a quella domanda e si
rese
conto che tante cose non
gliele aveva dette, che in fondo pur entrando molto in confidenza,
mai avevano parlato apertamente dei loro sentimenti e di quello che
provavano l'uno per l'altra. E forse era questo che ancora mancava,
una tappa necessaria per andare oltre. "Perché non dovresti
piacermi?".
Demelza
prese un profondo respiro, affrontando quella che forse era una sua
paura sopita da sempre, da quando l'aveva conosciuto. "Come
può
un uomo che ha amato una donna perfetta come Elizabeth...
Warleggan... essere interessato alla figlia di un minatore? Non ho la
grazia e la leggiadria di Elizabeth, non conosco le buone maniere
quanto lei e non ho nemmeno la sua istruzione".
"Credi
che queste siano cose che mi interessano? O che abbiano valore ai
miei occhi? Eppure, mi pareva che tu mi avessi conosciuto a
sufficienza in questi anni...".
Lei
sospirò, cercando di apparire quanto più sincera
senza arrivare a
dire qualcosa di sbagliato che potesse offenderlo. "Tu sei
diverso dagli altri uomini Ross, ma se ti innamori di qualcosa di
perfetto, potrai mai accontentarti
poi
di una seconda scelta?".
Le
prese le mani nelle sue, stringendole, rendendosi conto che era una
conversazione estremamente difficile e che lui nel fare grandi
discorsi non era un granché. Ma ci avrebbe provato... "Tu
non sei una seconda scelta e mai ho pensato che lo saresti stata!
Elizabeth
è forse apparentemente perfetta e sicuramente una donna
bella e
ammirabile. Avevo una opinione di lei alta e sicuramente ancora oggi
provo affetto nei suoi confronti e spero possa essere felice di
vivere la scelta che ha fatto,
ma il punto è che... non era perfetta per me. E io non lo
ero per
lei. La perfezione Demelza non esiste, esistono però uomini
e donne
affini che se hanno la fortuna di trovarsi, allora sanno dare un
senso vero e pieno alle loro vite. Non dovresti ritenerti peggiore o
migliore di altri, sei semplicemente tu e a me piaci. Sei
intelligente, forte, ironica, hai una lingua spesso tagliente che
adoro, sai rispondermi a tono e non è cosa da tutti e sei
bella, hai
una bellezza particolare che ho visto in ben poche donne. E non devo
essere l'unico che la pensa così, hai avuto un marito che ti
adorava, giusto?".
Il
cuore di Demelza, che con quelle parole aveva preso a martellare
furiosamente nel petto, si riempì di gioia. Eppure era
difficile
credergli del tutto. "Hugh non aveva una buona vista ed era un
sognatore che sapeva trovare il bello anche dove era difficile
scorgerlo".
Ross
sbuffò. "Sai, non è che lui mi stesse
così simpatico,
fondamentalmente fingevo di farmelo andare bene quando lo avevo
davanti...".
"Che
ti aveva fatto di male?" - gli chiese, stupita ma anche
divertita per la faccia tosta dimostrata con quell'affermazione.
Ross
sorrise da canaglia. "Ti aveva e io no. E la trovavo una grande
ingiustizia".
"Era
mio marito".
"Ma
lo trovavo ingiusto lo stesso. Però il punto è un
altro, aveva
posato gli occhi su di te come ho fatto poi io. E quindi per questo
non lo ritengo uno stupido. Non ti diceva mai che eri bella?".
Demelza
sorrise dolcemente, ricordando il romanticismo di Hugh. "Lo
faceva, spesso... Mi scriveva poesie,
ballate, bigliettini...".
Ross
la bloccò. "Beh, io non sono altrettanto romantico e dubito
che
riceverai da me qualcosa di simile
e spero che tu non te lo aspetti perché rimarresti delusa.
Sono solo un proprietario di miniera pieno di debiti, poco avvezzo a
mostrare i propri sentimenti e amo vivere decisamente fuori dalle
regole. Ti chiedi cosa possa piacermi di te e io di dico, tutto
e non mancherò di dimostrartelo con tutta la passione che
possiedo,
è l'unico modo che conosco.
Ma
è anche per questo che
allo stesso tempo mi chiedo cosa possa piacere a TE di me...
Sei abituata a ben altro".
Fu
lei a bloccarlo, stavolta, con un bacio. Non poté farne a
meno
perché era vero, Ross non era un uomo da discorsi romantici
o da
sentimentalismi e per lui doveva essere estremamente difficile
aprirsi e raccontarsi a quel modo, eppure lo stava facendo
e senza accorgersene, era estremamente romantico a modo suo.
Non poteva non baciarlo, desiderarlo, amarlo... "Tutto, anche a
me piace tutto di te
e non cambierei nulla di ciò che sei"
- disse, contro le sue labbra.
Ross
ricambiò il bacio, stringendola a se. "Non posso offrirti
quello che ti ha dato Hugh. Non sarai una lady, non ho una reggia da
darti come casa e spesso sarai costretta a contare il denaro per
arrivare a fine mese e razionare le spese".
"Credi
che a me importi?".
Ross
le accarezzò il viso. "No, come a me non importa da dove
arrivi
e quali sono le tue origini... Mi importa solo che sei quì e
se è
il confronto con Elizabeth che ti spaventa, lei fa parte del passato.
E non la rimpiango ma ringrazio il cielo di aver capito, anche se in
modi estremi, che era e sarebbe stata il mio più grande
errore. E se
l'ho capito, è stato grazie anche a te".
Demelza
spalancò gli occhi. "Me?".
Annuì.
"Mi hai insegnato che esiste altro, che l'amore è altro...
Complicato, forse più terreno e di certo soggetto
alla capacità di sapersi pian piano adattare un
pò l'uno all'altro,
amalgamando le rispettive diversità".
Il
cuore di Demelza accelerò di nuovo. "E' la prima volta che
usi
la parola amore con me".
Ross
ridacchiò. "Sì, forse avrei dovuto pronunciarla
prima di
chiederti di venire quì a fare l'amore con me. Ma come ben
sai, odio
l'etichetta e a volte faccio confusione con le buone maniere".
Risero,
insieme, poi si baciarono ancora prima che Ross, prendendole il viso
fra le mani, diventasse estremamente serio. "Demelza,
vincerò
le elezioni e il seggio a Westminster" - disse, improvvisamente.
Demelza
sussultò. "Perché pensi a questo, ADESSO?".
"Perché
voglio che tu stia quì, sempre! E per averti devo imparare a
rispettare alcune regole. Non tutte ma almeno quelle che ti
permetterebbero di avere meno problemi col resto del mondo".
Demelza
sorrise dolcemente. "Ross, io non ho bisogno che tu sia un
parlamentare per stare con te".
Lui
sospirò, stringendola a se e accarezzandole la schiena. "Ma
ne
ho bisogno io".
"Perché?".
"Perché
voglio avere qualcosa di buono da offrirti oltre a una miniera che ha
iniziato ora a dare qualche speranza. Perché esiste Lord
Falmouth e
tu lo ami e se voglio che acconsenta alla nostra unione, devo avere
qualcosa di solido da presentargli perché si fidi ad
affidarti a
me".
Lei
ridacchiò. "Credo che Falmouth sponsorizzi la nostra unione
da
tempi non sospetti".
Ross
scosse la testa. "Ma non ha importanza, non per me... Sono io
che devo sentirmi pronto ad accoglierti del tutto nella mia vita, con
quello che ne conseguirà. Oggi sei quì e fra un
pò dovrai
andartene e io non voglio che questo succeda troppo a lungo. Voglio
che tu venga quì e che resti e che faccia di questa casa la
tua, la
nostra casa. E se voglio chiederti questo, quando sarà...
voglio
essere un uomo degno del ruolo che voglio ricoprire con te".
Si
baciarono, dolcemente e lentamente. "Cosa stai cercando di
dirmi, Ross?".
"Che
voglio sposarti e che voglio farlo presto, avendo fra le mani la
certezza di potermi prendere cura di te".
"Ti
sposerei anche se perdessi le elezioni e Falmouth dicesse di no alla
nostra unione".
"Lo
so, ma so anche che allontanarti da lui ti farebbe soffrire. Per te
è
come un padre e io voglio che continui a far parte della tua vita. E
se vincerò le elezioni, allora saremo una squadra. Che forse
si
scontrerà su politica ed economia ma sarà una
famiglia, comunque".
Demelza
si alzò dal divano, si avvicinò al camino e con
naturalezza mise
dentro un ciocco di legno. "La mia casa... Nampara... La
riempirei di fiori! Giuda Ross, è così tetra
senza un pò di
colore!" - disse, contenta
e finalmente allegra.
Ross
scoppiò a ridere, alzandosi per darle una mano con la legna.
"Ci
vivono solo uomini quì, fin'ora!".
"E
Prudie?" - sbottò Demelza, notando che lui aveva dimenticato
la
domestica.
Ross
alzò le spalle. "Lei è più maschio di
tutti!".
Risero
ancora, di gusto, finché Sun sbucò dallo studio,
col pelo tutto
arruffato. Si avvicinò loro, li guardò
chiedendosi forse perché
stavano facendo tanto baccano per nulla, si strusciò contro
le sedie
e poi si accomodò davanti al camino.
Demelza
lo prese in braccio, stringendolo a se. "Andrà d'accordo con
Garrick?".
"Credo
di sì" - rispose Ross, accarezzando il gatto. Poi
osservò
Demelza, notando che ora era più rilassata e a suo agio
rispetto al
suo arrivo. Era bella e quella giornata solo per loro andava bene
anche così ed ora erano molto più vicini di
quanto non sarebbero
stati dopo un semplice momento di passione. Per quello ci sarebbe
stato tempo e lui le aveva chiesto di sposarla senza nemmeno averlo
preventivato e preparato per tempo... Santo cielo, che effetto
esplosivo che aveva su di lui Demelza! E ne era felice, appieno! E
non era per nulla pentito di quanto detto, delle promesse che si
erano fatti e di quanto si erano confidati. Lei sarebbe stata la sua
compagna, la sua migliore amica, sua moglie, la sua amante e
soprattutto la custode della sua coscienza. E sapeva di essere in
ottime mani con lei accanto... "Beh, direi che per i nostri
piani di oggi... potremmo aspettare e goderci semplicemente il calore
del camino, la cioccolata e qualche sana chiacchiera da soli... Che
ne dici, amore mio?".
Amore
mio... Era un suono così dolce detto dalla voce di Ross...
Demelza
si strinse a lui, gustando la dolcezza di quella proposta. "Direi
che è la cosa giusta anche se spero che per il resto, non
dovremo
aspettare molto".
"Le
elezioni sono vicine!".
"Già".
Ross
mise una coperta rossa per terra, assieme ad alcuni cuscini. Vi si
sedettero sopra, si rannicchiarono l'uno fra le braccia dell'altro e
con Sun che dormicchiava al loro fianco, si lasciarono andare a una
calda giornata di coccole e progetti per il futuro.
"Suonerai
per me?" - chiese lui, col viso affondato fra i suoi capelli.
"Sì,
lo farò quando sarai un parlamentare e io potrò
restare quì, con
te, senza dover andare via. Lo farò il giorno in cui faremo
l'amore,
prima di fare l'amore...".
Ross
chiuse gli occhi, gustandosi la dolcezza di quella promessa. "Non
vedo l'ora, amore mio...".
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Capitolo 37 *** Capitolo trentasette ***
Era
proprio nei momenti in cui non era con lui, quando era a casa sua
nella dimora dei Boscawen, che Demelza sentiva ancora più
forte di
essere innamorata di Ross... Gli mancava tutto, il suono della sua
voce, il suo sguardo profondo che pareva esprimere un'animo tanto
tormentato e ribelle quanto gentile e buono, il profumo della sua
pelle, la morbidezza delle sue labbra...
Capitava
spesso, mentre era sola in camera, di ritrovarsi quasi a soffrire
fisicamente per la sua assenza e si rendeva conto che non voleva
più
vivere così troppo a lungo. Abbracciava Garrick alla ricerca
di
calore, sprofondava il viso fra i cuscini e sognava di quando
avrebbero potuto stare insieme per sempre in quella che sarebbe stata
la loro
casa. Per molto aveva avuto paura di lasciare ciò che la
legava al
passato ma adesso si sentiva pronta ad affrontare il futuro e sapeva
che non poteva essere lì, dove era vissuta fino a quel
momento.
Era
incredibile che Ross le avesse chiesto di sposarlo così, con
foga e
senza pensarci troppo ma in fondo, si rendeva conto, anche questo
faceva parte del suo carattere spigoloso, sfuggente e poco avvezzo a
girare attorno alle cose. Sarebbe stata di nuovo sposa e il suo nuovo
marito era un uomo che risvegliava in lei sentimenti ed emozioni
uniche, che di certo sapeva di non aver provato con Hugh. Non c'era
risentimento o amarezza nel ricordare il suo primo matrimonio fatto
di tenerezze e sicuramente di molta inesperienza e
ingenuità,
Demelza sapeva che Hugh aveva fatto del suo meglio con lei e lei con
lui, ma ora sapeva anche che non erano destinati a una vita lunga e
felice insieme. Ross era diverso, era fuoco sulla sua pelle, nel suo
cuore, catturava ogni fibra del suo essere con la sola presenza e
Hugh non era mai stato nulla di tutto questo ma semplicemente una
calda, rassicurante e gentile figura al suo fianco...
Se
Falmouth avesse capito quanto stava succedendo fra loro, di certo non
lo dava a vedere. Demelza sapeva che era un uomo furbo a cui non
sfuggiva nulla e sapeva anche che era riservato su molte cose che
affrontava solo nel momento giusto e di necessità.
Sicuramente aveva
capito più di quanto desse a vedere e di certo, prima o poi,
avrebbe
detto la sua.
In
questo clima di strana sospensione delle cose, il giorno delle
elezioni giunse veloce. Ross e Falmouth si erano visti spesso per
concordare - e litigare - alla ricerca di una strategia comune e il
lord aveva ottenuto di essere lui stesso a presentarlo come nuovo
candidato alla platea di elettori del seggio. La cosa che aveva
più
sorpreso entrambi era stata la candidatura, a sua volta, di George
Warleggan che mai aveva nascosto le sue ambizioni ad una scalata
sociale e di certo non si sarebbe lasciato sfuggire
l'opportunità di
gareggiare con lui e, nei suoi migliori sogni, di batterlo.
La
figura di George in quella
strana
singolar tenzone fra i due, incuriosiva
Ross circa l'esito delle elezioni. George era potente ben
più di lui
e di certo era temuto da chi, volente o nolente, si
era trovato ad avere
debiti o affari in sospeso con la banca Warleggan. Molti voti gli
sarebbero piovuti, più per obbligo che per effettiva fiducia
e Ross sapeva che il
suo avversario avrebbe
potuto vincere proprio grazie a questo. George non era un uomo a cui
interessava il benessere altrui e proprio per questo non era
assolutamente adatto a Westminster e alla politica. Ma era potente e
più punti in alto, più questo ha un peso. Non
c'era nulla di puro e
semplice nel fare politica, non c'erano sentimenti genuini volti a
migliorare le cose per la collettività, c'erano solo biechi
interessi e una folle corsa al potere
e
George incarnava tutto
questo perfettamente.
E tutto ciò
era invece quello
che aveva sempre tenuto lontano Ross da politica e finanza... Ma ora
ci si sarebbe dovuto scontrare, contando sull'appoggio di un uomo
potente più di George, Lord Falmouth, che dalla sua aveva un
nome
aristocratico ed antico, l'esperienza di un politico formato, mille
agganci atti ad ottenere voti e una spregiudicatezza unita ad
intelligenza che a George mancava.
L'esito
di quelle elezioni era quanto di più incerto potesse
esistere.
Dal
canto suo Demelza si era preparata per quell'evento cercando di
carpire da Falmouth qualche nozione politica, materia che forse
l'aveva sempre incuriosita pur senza che lei cercasse di imparare
qualcosa. Era una donna, sapeva che quel mondo le era precluso ma era
sempre stata dotata di una grande voglia di imparare ed ora che Ross
si stava avvicinando a quell'avventura,
voleva farne parte in qualche modo. Ross le aveva detto che guardava
alla loro unione come alla formazione di una squadra e le piaceva
quell'idea... Ma se voleva davvero essere utile, qualcosa doveva pur
imparare... A cena certe volte sollevava domande con Falmouth su come
si decidessero le cose in Parlamento, quali fossero gli argomenti
più
importanti, come lui scegliesse le cause in cui battersi e certe
volte si era trovata in disaccordo con lui e la cena si era risolta
in vivaci battibecchi. Eppure Falmouth non era irritato dalla sua
curiosità ma anzi, ne sembrava divertito e l'idea di esserle
da
mentore non pareva dispiacergli troppo. In realtà si vedeva
come
maestro di vita anche di Ross ma
Demelza
dubitava che il suo giovane pupillo guardasse a lui in quei termini.
Ma questo,
lei
si guardava bene dal dirlo...
Il
giorno delle elezioni pretese di essere presente alla votazione.
Picchiò i piedi, cosa inusuale per lei, insistette, disse
che era
una cosa di famiglia e voleva esserci e alla fine ottenne da Falmouth
il permesso di andare a Truro con lui e Ross. Demelza non avrebbe mai
voluto mancare a quell'appuntamento e sebbene nemmeno Ross fosse
entusiasta della sua presenza perché odiava l'idea che lei
lo
vedesse perdere malamente, lei sentiva di dovergli essere vicino.
Era
una giornata primaverile serena ma ventosa, quella. Vestiti di tutto
punto, sulla carrozza, i due uomini erano chiusi in un insolito
silenzio e Demelza, nel suo vestito verde, li osservava incuriosita,
domandandosi quali fossero i loro pensieri. Ross sembrava il
più
teso e forse era normale che lo fosse, era la prima volta che si
trovava in una situazione del genere e avrebbe preferito fossero soli
per potergli stare accanto e alleggerire la situazione come solo loro
sapevano fare, ma la presenza di Falmouth rendeva chiaro che questo
non era possibile. Per il lord ogni elezione rappresentava un solenne
momento di sfoggio del proprio potere e per lui non c'era spazio per
altro che non fossero le votazioni. "Sarà divertente,
forse!"
- esclamò, improvvisamente stanca di quel silenzio.
Falmouth
la occhieggiò con sguardo di rimprovero. "Cosa?".
Lei
alzò le spalle. "Vedere perdere quel George Warleggan! Non
sembra uno che prende troppo alla leggera le sconfitte".
Ross
le sorrise, lanciandole uno sguardo di intesa e affetto. Voleva
vincere, per lei e per sentirsi degno della sua mano ed era tutto
ciò
che lo aveva spinto ad aderire a quel folle progetto. "In
effetti lui non prende bene nemmeno le vittorie, non prende bene
nulla!" - scherzò.
Falmouth
sbuffò, incapace di stare al gioco. "Vediamo di vincere e di
non stare a guardare i nostri avversari".
Quando
arrivarono al palazzo dove si sarebbero svolte le votazioni, era
tutto un via vai di uomini elegantemente vestiti e incipriati, di
donne altere e maestose al loro seguito
e di una folla di curiosi venuta
a dare un occhio a chi, in teoria, avrebbe portato avanti i loro
diritti.
"Non
sono l'unica donna, allora" - osservò Demelza.
Falmouth
si guardò attorno, riconoscendo lady Dunsey, Lady Bodrugan e
la
moglie di Lord Basset. "Molti uomini di potere amano esibire le
proprie dame a questi eventi. La considero una pratica sciocca e per
questo non avrei voluto che venissi... E' un luogo noioso questo, per
te e per tutte loro. E un grande uomo politico non deve cercare di
ottenere favori esibendo la propria graziosa consorte".
Demelza
guardò Ross e poi di nuovo Falmouth. "Non sono d'accordo"
- osò rispondere, rendendosi conto che era diventata
terribilmente
coraggiosa ultimamente e che stare zitta quando non ra d'accordo su
qualcosa, era diventato incredibilmente difficile. Fino a due anni
prima, MAI avrebbe osato rispondere così a Lord Falmouth ma
ora era
diversa e sentiva di avere il diritto di far sentire la sua voce.
Il
lord infatti ne parve stupito. "Cosa?".
Lei
annuì, fiera di mantenere la sua posizione e spiegare il suo
pensiero. "Forse quelle donne non sono quì per essere
esibite
ma perché interessate all'evento e alla vita dei loro cari.
Abbiamo... Sappiamo avere un'opinione anche noi circa i fatti della
vita".
Ross
sorrise ancora, sempre più affascinato da lei e dalla sua
sfacciataggine.
Falmouth
invece sospirò, prendendola sottobraccio. "Tu sei
interessata
perché sei un'anima vivace ed intelligente. Cosa che non
possiamo
dire di quelle altre lady...".
Salvato
all'ultimo in modo furbo e un pò scorretto verso il genere
femminile, pensò Demelza... Falmouth era un maestro ad
uscirne bene
dalle conversazioni difficili e ancora una volta ne aveva dato
dimostrazione.
Stava
per rispondere quando una voce sgradevole giunse alle loro spalle.
"Ross
Poldark! Allora è vero, saremo avversari!".
Tutti
e tre si voltarono, trovandosi davanti il viso compiaciuto e sicuro
di George Warleggan, a braccetto con la sua affascinante moglie
Elizabeth, vestita con un elegante abito rosso e nero pieno di pizzi
e merletti.
Ross
si irrigidì e Demelza fece altrettanto. Mai, MAI si erano
trovati
faccia a faccia da quando... da quando era successo quel che era
successo, con tutto quello che ne era conseguito.
La
giovane moglie di Warleggan, non si scompose e con sguardo austero,
si esibì in un perfetto inchino. "Buona giornata" -
sussurrò freddamente, guardando Ross quasi con odio.
Demelza
captò subito il suo astio e anche se non sapeva fino in
fondo cosa
fosse successo fra loro, si sentì gelare in preda ad una
strana
ansia.
Ross
divenne ancora più cupo e con un saluto frettoloso,
cercò di
avviarsi verso l'ingresso della sala.
La
voce di George lo raggiunse alle spalle. "Fuggite già?".
Ross
si voltò, osservandolo con aria di sfida. "Odio i
convenevoli
che voi invece sembrate amare tanto".
Si
allontanò e Falmouth e Demelza gli andarono dietro dopo un
altro
frettoloso saluto. Falmouth apprezzava il modo di fare tenuto da Ross
che non aveva dato spazio a provocazioni infantili e Demelza era
stata grata di essersi lasciata entrambi i Warleggan alle spalle.
Entrarono
nel salone, faceva un caldo assurdo ed era già gremito di
uomini e
donne che confabulavano da loro. Demelza deglutì, sentendo
su di se
il peso di quanto stava per accadere. "Vinceremo?".
Falmouth
sbuffò. "Mi hai mai visto perdere?".
Si
misero sulla sinistra del salone dove molti dei supporter di Falmouth
lo aspettavano già. Demelza riconobbe alcuni dei lord
perché in
passato visti a casa per delle cene di lavoro e Ross riconobbe fra
quei volti quello del suo amico e banchiere Pascoe. In fondo non era
così spaventoso essere lì, giusto?
Anche
i Warleggan entrarono nel salone, mettendosi sulla destra assieme a
un gruppo di sostenitori. E dopo di loro, entrò il giudice
che
avrebbe presieduto alle votazioni. Si sedette al centro della sala,
prese in mano il suo martelletto e lo picchiò sul seggio.
Le votazioni potevano avere inizio.
"Come
funziona?" - chiese Demelza.
"Credo
che sia giunto il momento che io e il rappresenante del seggio di
Warleggan presentiamo ai votanti i nostri pupilli" - disse
Falmouth, aggiustandosi il colletto della camicia ed avvicinandosi
al seggio.
L'uomo
si allontanò e Demelza e Ross lo videro salire sullo
scranno, pronto
all'ennesimo e convincente discorso.
Era un maestro in questo.
Demelza
si avvicinò a Ross e finalmente, apparentemente soli, gli
sfiorò la
mano per dargli coraggio e lui la strinse. Il gioco ora si faceva
duro...
"Demelza,
da oggi cambierà tutto" - le sussurrò Ross.
"Diventerai
un temibilissimo parlamentare".
Ross
lanciò un'occhiata al suo passato, alla impassibile
Elizabeth a
pochi metri da lui, intenta a supportare suo marito da brava moglie
e poi
a
Demelza, il suo futuro, la scelta adulta e consapevole. Anche se non
si trattava proprio di scelta ma della bellissima
opportunità che la
vita gli aveva donato facendogliela incontrare. Il passato era stato
torbido e pieno di errori, il futuro con lei poteva essere roseo e
tutto da costruire... "Non parlavo di questo, parlavo di noi. Se
vinco, potrò chiederti in moglie senza dare l'impressione di
essere
un idiota squattrinato che punta alla mano di una vera lady".
Demelza
ridacchiò, la tensione generata dalla presenza di Elizabeth
ormai
lontana. "Vera lady? La monella di Illugan?".
Ross,
grato di averla vicina,
le strinse ancora più forte la mano e la voce di Falmouth li
costrinse al silenzio. Iniziava la vera battaglia.
...
Il
discorso di Falmouth non fu molto lungo, non è che Ross
vantasse un
curriculum tanto esorbitante da sperticarsi in lodi sul suo passato e
quindi si limitò a parlare della sua grande voglia di fare e
lavorare, dell'affetto della gente che aveva a che fare con lui e
delle nobili origini della famiglia Poldark che di certo erano un
valore aggiunto alla sua persona. Omettendo i passati di giocatore
d'azzardo di Ross, le risse, la bancarottta, i debiti e il carattere
non sempre allineato al timor della legge, forse poteva spuntare
qualche voto in più.
Il
discorso di Cary Warleggan sul nipote George invece fu forbito e
ricco di particolari circa la grande visione degli affari del
giovane, il suo fiuto per le imprese vincenti, la fine intelligenza e
la capacità di tutelare gli interessi di tutti i votanti.
Ross,
ascoltandolo, sbuffò divertito. Sembrava quasi convincente
il caro
Cary e se avesse dovuto votare lui stesso, in un momento di follia
avrebbe potuto credergli e dare il suo voto a George...
Finite
le rispettive presentazioni, i votanti iniziarono a sfilare davanti a
loro, uno ad uno, scandendo
ad alta voce il nome del loro prescelto.
Il
primo voto fu per Ross ma poi ne vennero cinque, tutti di seguito,
per George Warleggan. E Demelza tremò... Poi votò
Falmouth,
scandendo bene il nome del suo pupillo mentre lanciava occhiatacce
eloquenti ai presenti in sala. Demelza conosceva bene quello sguardo
che senza parole ma in maniera eloquente, ordinava a qualcuno di
assecondare i suoi desideri. Era così che a casa comandava a
bacchetta la servitù senza mai alzare la voce, bastava lo
sguardo
giusto e tutti capivano i suoi bisogni senza che lui avesse bisogno
di formularli.
E
dopo quello sguardo, arrivò un voto a Ross, poi un altro e
poi un
altro ancora. Poi ne giunse uno per George e poi uno
ancora per Ross. E in perfetto pareggio, ora aspettavano l'ultimo
elettore nelle cui mani dipendeva il destino dei due uomini e del
distretto.
Sir
Donald Reegen sospiro, si guardò attorno smarrito e poi dopo
essersi
accorto che mille occhi erano puntati su di lui, si chinò a
scrivere
il nome: Ross Poldark.
Falmouth,
che ovviamente se lo aspettava e non aveva in previsione un risultato
diverso, sorrise sornione senza scomporsi troppo ma Ross, forse per
la prima volta in vita sua, si sentì le gambe di gelatina e
rischiò
di rovinare al suolo. Santo cielo, per una sicura follia era appena
diventato Parlamentare di Westmister e quegli uomini dovevano essere
pazzi da legare!
Demelza
lo guardò senza fiato, felice per lui, per loro, per la
Cornovaglia
che con Ross avrebbe potuto davvero presentare nei luoghi di potere i
propri problemi e forse anche proporre soluzioni.
E incurante di tutto e tutti, di ogni segreto celato, di ogni
sentimento taciuto, gettò le braccia alle sue spalle e lo
abbracciò
con forza così, in mezzo
a una folla che non aveva occhi che per loro e che sicuramente da
quel gesto avrebbe avuto molto di cui parlare nei giorni a venire. Ma
non le importava, non più...
E
lui la ricambiò, stringendola a se e rendendosi conto che
non gliene
importava nulla di essere stato eletto ma era felice per ciò
che
questo avrebbe comportato. E che tutti gli occhi fissi su di lui,
compresi quelli stupiti di Elizabeth e quelli rosso fuoco di George,
non gli erano di nessun interesse. Che pensassero quel che volevano!
Strinse a se la donna che amava, la donna con
cui si sentiva pronto a condividere nel bene e nel male la sua vita.
Ora avrebbe potuto offrirle una vita degna con un marito degno...
Avrebbe fatto del suo meglio per lei e per tutti quelli che avevano
dimostrato di avere fiducia in lui... In quell'abbraccio, strinse il
suo futuro. "Amore mio..." - sussurrò appena, al suo
orecchio.
"Hai
vinto!".
"Così
pare". Ross la lasciò andare e si guardò attorno,
smarrito,
spaesato, rendendosi conto forse solo in quel momento che quegli
uomini, da lui, si aspettavano qualcosa per la fiducia riposta.
"Poldark,
dovresti dire qualcosa... tipo un discorso..." - gli suggerì
Falmouth.
Ross
si schiarì la voce sentendosi in impaccio e vagamente idiota
come
quando, da piccolo, zia Agatha lo metteva in piedi sulla sedia
accanto a Francis e Verity per la recita della poesia di Natale
davanti a tutti i parenti.
George
Warleggan decise di non volerlo sentire e con passo spedito
uscì
dalla sala con un'espressione che prometteva fuoco e fiamme.
Elizabeth, dietro di lui, lo seguì e prima di andarsene,
osservò
con disappunto Ross, il SUO Ross che un tempo la venerava, che
stringeva fra le braccia la figlia arricchita di un minatore di
Illugan. Ma non disse nulla e fece quello che il dovere le imponeva:
essere una buona moglie.
Sparì
dietro al portone al seguito di George e Ross, guardandosi in giro e
rendendosi conto che non poteva sfuggire a quel passaggio obbligato,
pronunciò il suo primo, impacciato discorso. "Beh signori,
non
posso che ringraziarvi per la fiducia che mi avete accordato. Forse
scegliermi è stata una mosse folle e sicuramente coraggiosa
da parte
vostra e questo dovevo dirvelo, so davvero poco di politica e ancor
meno di Westminster, ma Lord Falmouth ha fiducia in me e se per
qualche strano motivo pensa che io possa fare bene, allora il mondo
è
il luogo più strano dell'universo e io rappresento appieno
questa
sua stranezza".
Demelza
si mise una mano sulla bocca per non ridere. Giuda, era il discorso
politico più astruso che avesse mai sentito e probabilmente
a
Falmouth, nell'udirlo, era spuntato un nuovo capello bianco. Ma
questo era Ross, lui era così e la cosa bella era proprio
quanto
fosse imprevedibile.
Lord
Falmouth, tossicchiando, si avvicinò per bloccarlo prima che
dicesse
altre sciocchezze. "Vi ringrazio per la fiducia, miei lords! Non
sarà mal riposta, ve lo assicuro" - tagliò corto.
Pascoe
e gli altri, sorrisero bonariamente. Ross era giovane, pieno di
energia e di idee e tutti erano convinti che avrebbe fatto bene e che
sarebbe andato sempre a fondo delle cose.
Ross
si voltò verso Falmouth, stringendogli la mano. "Suppongo
che
ora si debba festeggiare, giusto? Funziona così?".
"Credo
che ora sia il momento di studiare come si fa un discorso!" - lo
rimbeccò Falmouth. "Un bambino della scuola di Demelza
avrebbe
saputo fare di meglio, ne sono certo".
Ross
sorrise, da canaglia. "Beh, potrò studiare la lezione dopo
un
buon bicchiere di vino!".
Ma
il Lord scosse la testa. "Oh, io ho da mettere giù un lungo
programma politico da portare a Londra, non ho tempo per certe
frivolezze. Ma tu fa pure, PER OGGI! Festeggia con Demelza, in fondo
mi pare di capire che sia l'unica compagnia che ti aggrada, giusto?".
Demelza
arrossì, era ormai decisamente evidente per negare... Ross
colse la
palla al balzo, prendendola per mano prima che Falmouth cambiasse
idea. "Ve la riporto dopo cena".
Falmouth
lo occhieggiò. "Ricorda che è una Lady e che al
momento non è
ancora la signora Poldark! Intesi?".
Ross
e Demelza si guardarono in viso e poi scoppiarono a ridere. In
effetti, temevano, a breve molto si sarebbe avuto da discutere con
lui e Falmouth non avrebbe lasciato cadere così il discorso.
"La
porterò a cena in un ristorante di Truro e poi subito a
casa. Sono
un gentiluomo".
A
Demelza questo aspetto faceva sorridere e anche se Ross ne stava
uscendo da signore davanti a Falmouth, in effetti nessuno dei due
aveva voglia di rispettare l'etichetta troppo a lungo. Ma per quella
sera sarebbe andato bene un ristorante, tante chiacchiere, tanti
discorsi, tanti progetti sul futuro. Il resto avevano scelto di
viverlo senza fretta e andava bene così... Anche se Falmouth
questo
non lo sapeva.
Il
lord se ne andò e una volta rimasti soli, Demelza prese Ross
sotto
braccio. "E allora, mio caro parlamentare, mi porti a mangiare
qualcosa? Ho una fame da lupi".
"Agli
ordini, mia lady" - le rispose, pieno di insolito entusiasmo.
...
Fu
una serata piacevole fatta di buon cibo, tante parole, tanta
complicità, tanti baci dati quando la lasciò
davanti casa da bravo
cavaliere.
Demelza
si sentiva emozionata, presto sarebbero stati sempre insieme e nulla
avrebbe potuto dividerli.
Entrò
in casa che ormai era tutto buio e tutti dormivano e quando raggiunse
la sua stanza, trovò una lettera indirizzata a lei sul
letto. Doveva
essere stata recapitata nel pomeriggio o in serata e una domestica
l'aveva portata lì perché la vedesse.
Accigliata,
Demelza prese la busta, la aprì e ne lesse il contenuto.
"Devo
parlarti di cose personali e importanti che riguardano Ross Poldark
che ritengo tu debba sapere. Ti aspetto al negozio di Miss Tappert a
Truro venerdì mattina alle dieci.
Elizabeth
Warleggan".
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Capitolo 38 *** Capitolo trentotto ***
Demelza
era stata a lungo indecisa sul fatto di accettare o meno lo strano
invito giunto per lettera da Elizabeth Warleggan. Che doveva dirle,
in fondo? Non erano mai state
né amiche né conoscenti occasionali, se non in un
paio di cene, non
aveva mai dimostrato particolare simpatia per lei ma
tutt'alpiù un
malcelato disprezzo e quindi ora... Ora cosa diavolo voleva da lei
quella donna ricca e così altolocata che un tempo era stata
nel
cuore di Ross?
Per
giorni aveva rimuginato silenziosamente sul da farsi, mentre Falmouth
preparava il programma politico da portare a Londra, Ross si divideva
fra Miniera, Nampara e la loro dimora per discutere con lui e vedere
lei e a scuola continuava ad impegnare il suo tempo.
Cosa
poteva dirle Elizabeth, circa Ross? Perché si sentiva in
diritto o
dovere di farle sapere qualcosa? Ross pareva essersela lasciata
dolorosamente alle spalle, lei era sposata a un uomo ricco e potente
e di certo poco incline a farle pensare ad altri uomini e Demelza...
beh, che poteva entrarci Demelza in tutto questo?
Dopo
lunghe elucubrazioni, anche se di certo non le doveva nulla e non
aveva doveri verso di lei, Demelza decise però di accettare.
Sarebbe
andata, l'avrebbe ascoltata e se quello che aveva da dirle non le
piaceva o interessava, avrebbe girato i tacchi e sarebbe tornata a
casa senza pentimento alcuno. Non aveva voglia di farlo e il suo
istinto le diceva di lasciar perdere ma era una Boscawen e non poteva
rifiutare un invito senza motivo. E poi qualcosa dentro di lei le
gridava che doveva perché sentiva di dover in qualche modo
difendere
Ross da qualcosa e... da lei. Dietro a quell'invito non poteva
esserci nulla di buono.
Il
venerdì mattina, assolato e quasi caldo tanto da voler
sembrar
gridare al mondo che la primavera era esplosa, arrivò in
fretta.
Uscì a cavallo per la sua solita passeggiata mattutina
dicendo che
sarebbe tornata più tardi del solito e senza dire dove
andasse, si
recò a Truro, dove era attesa.
Quando
arrivò, Elizabeth Warleggan era già
lì. Vestita con un elegante
completo da amazzone color porpora, coi capelli raccolti in una
perfetta treccia e il viso finemente truccato, la donna la aspettava
davanti al negozio di Miss Tappert col suo cavallo, fingendo di
guardare le vetrine della sarta.
Quando
la vide arrivare, le andò incontro sfoderando uno strano
quanto
falso sorriso. "Lady Boscawen, mi fa piacere che abbiate voluto
venire".
Demelza
si morse il labbro, rendendosi conto ancora una volta che nulla le
piaceva di quella donna e che ogni suo gesto, ogni sua frase, ogni
sua parola apparentemente gentile pareva nascondere una totale
freddezza ed assenza di sentimenti. Ma educatamente, rispose al
saluto. "Non avevo motivo per rifutare il vosto gentile invito".
Elizabeth
strinse le redini del cavallo, osservandola come si osserva un
insetto. La donna accanto a Ross alle elezioni, la donna che lo aveva
abbracciato, la donna che LUI aveva abbracciato... Una piccola
ex-stracciona di Illugan, figlia di un minatore ubriacone, senza
cultura ed educazione... Ed ora aveva un titolo nobiliare che lei
poteva solo sognarsi, una famiglia antica e potente alle spalle che
lei, nonostante il matrimonio con George, non avrebbe mai avuto,
dimore facoltose a suo nome, denaro, potere e soprattutto
l'ammirazione e la dedizione dell'uomo che una volta aveva promesso
il mondo a lei, l'uomo che l'aveva venerata a lungo come una dea,
l'uomo che l'aveva presa intimamente con forza e poi era sparito come
si fa con una banale sgualtrina. Era arrabbiata, con quella piccola
arrampicatrice sociale e con lui. E avrebbe oscurato quella loro
felicità che aveva intravisto il giorno delle elezioni. Se
lei era
votata all'infelicità e a tanti compromessi, allora quei due
dovevano seguire il suo destino... Fece cenno a Demelza di
allontanarsi dal paese e incamminarsi verso la campagna in una zona
più tranquilla e la ragazza la accontentò, senza
battere ciglio.
Giunte quasi in campagna, davanti alle ultime povere case di
periferia, circondate da campi e piccoli gruppi di pecore che
pascolavano, Elizabeth le rivolse finalmente di nuovo la parola.
"Sapete, ho sentito di dovervi dire qualcosa... Che dobbiate
sapere qualcosa".
Demelza
rimase sulle sue. "In merito a cosa?".
"Ross
Poldark" - rispose Elizabeth, scandendo quasi con odio quel
nome. "Vi ho visti molto... affiatati e in particolare...
amicizia... alle elezioni... E mi sento in dovere per questo, per
pura solidarietà femminile, di dirvi qualcosa sul suo conto
che
forse non sapete".
Demelza
sospirò, sentiva che la aspettava qualcosa di spiacevole ed
era
abbastanza sicura che fosse arrivato il momento di affrontarla. "So
quanto mi serve sapere sul signor Poldark. E' un brav'uomo,
sarà un
grande politico ed è un instancabile lavoratore che da
quando è
stato eletto non ha quasi mai riposo e fa avanti indietro dalla
miniera a casa mia e di Lord Falmouth per sistemare il loro programma
politico". Era vero, per quanto Ross fosse stato titubante
all'inizio, ora pareva volentoroso solo di voler far bene a Londra e
a Westminster.
Gli
occhi di Elizabeth si assottigliarono. "Siete sicura di sapere
tutto?".
"Come
vi ho detto, so tutto ciò che mi interessa sapere. Il resto
non
credo sia qualcosa che mi riguardi e che vi deve riguardare".
"Non
volete ascoltare ciò che ho da dire?" - insistette Elizabeth.
"Non
ne sono sicura".
"Eppure
io credo che dovreste... Da donna a donna, mi sento in dovere di
farvi sapere qualcosa che sicuramente ignorate e di mettervi in
guardia sui pericoli che correte".
Demelza
sorrise nervosamente. Avrebbe voluto imprecare ma non poteva,
Falmouth e Hugh le avevano insegnato che non era signorile, avrebbe
voluto mandarla al diavolo ma nemmeno questo era un comportamento da
signora e quindi non le restava che dire no in modo aggraziato. "Non
corro alcun rischio e di fatto non capisco perché vogliate
parlarmi
del signor Poldark".
Elizabeth
si incupì e parve diventare nervosa. "Vi ho visti... molto
vicini...".
Demelza
alzò le spalle, decisa a non negare. Poteva forse essere un
buon
modo per liberarsi di lei. "Forse perché lo siamo".
La
giovane Warleggan sussultò davanti a tanta faccia tosta.
"Sapete
che una volta Ross Poldark era innamorato di me?" - rispose
allora, decisa a giocare a carte scoperte come lei.
Sì,
lo sapeva ma non aveva voglia di parlarne. "Non credo siano cose
di cui dovremmo discutere noi due. Riguardano la vita di Ross Poldark
e la vostra e come avete detto, succedeva una volta... Mi piace
pensare al futuro, non al passato e visto che ora siete sposata con
George Warleggan, dovreste farlo anche voi".
"E'
proprio per garantire il vostro futuro che sono quì, per
aiutarvi"
- rispose Elizabeth, risentita ma convinta a continuare il suo piano
senza ripensamenti. In fondo non voleva mentirle ma dirle solo la
verità su che uomo fosse Ross Poldark.
Ma
Demelza non sembrava della stessa idea. "Credo di dover andare,
ho degli impegni e non voglio fare tardi".
Le
voltò le spalle ma la voce di Elizabeth le giuse lo stesso.
"Partì
per tre anni senza farmi avere una lettera. Partì
promettendomi un
futuro insieme, amore eterno e una vita lunga
e felice...
E poi sparì pensando di tornare e di trovarmi alla finestra
ad
aspettarlo quando non si era degnato di farmi recapitare un messaggio
nemmeno con un piccione".
Demelza
si voltò lentamente verso di lei, decidendo di adempiere
alla sua
missione, difendere l'immagine del suo uomo. "Era giovane ed era
in guerra, non stava giocando e forse non aveva la
possibilità di
scrivervi".
"Difendete
un comportamento simile?".
"Lo
capisco e non lo giudico...".
Elizabeth
le si avvicinò, cupa in viso. "Ho sposato Francis, ho dovuto
dargli il mio cuore e il mio affetto... Ed è stato un
matrimonio
infelice! E Ross era lì, a supportarmi ed adorarmi e dopo
che sono
rimasta vedova, credevo che la vita ci avesse donato una seconda
opportunità. Ross è così bravo a fare
promesse che poi non
mantiene".
"Forse
lo avete semplicemente frainteso" - rispose laconica, Demelza.
Elizabeth
le si avvicinò ancora. "Ero
piena di debiti, disperata e ho dovuto fare delle scelte per il bene
mio e di mio figlio, quando ho avvertito che Ross si stava nuovamente
staccando da me. Ma nemmeno questo andava bene, anche se le sue
mancanze erano infinite! Ross si
è introdotto in casa mia di notte, senza essere invitato,
dopo che
ha saputo del mio matrimonio con George Warleggan. E con violenza mi
ha spinta sul letto e mi ha presa. Sembrava un animale che dispone a
suo piacimento della sua vittima... Mi ha presa contro il mio volere
quando ero
ormai promessa ad un altro, mi ha presa con foga come si prendono le
cortigiane delle locande e poi dopo aver fatto i suoi comodi
è
sparito, senza possibilità di appello, senza chiedere scusa,
senza
promesse, senza darmi possibilità alcuna di rispondere al
torto
subito".
Una
lieve brezza tiepida fece oscillare i lunghi capelli di Demelza e lei
rabbrividì anche se non faceva freddo. Spalancò
gli occhi e per
qualche istante non riuscì a dire nulla. Mille pensieri si
affollarono disordinatamente nella sua mente... Ross, i suoi baci
gentili ed appassionati, il suo sguardo a volte pieno di passione e
sfuggente e a volte tenero e dolce, i suoi abbracci, i loro progetti
per il futuro, la loro amicizia diventata amore... Come poteva un
uomo dai così forti intenti morali aver fatto qualcosa di
simile?
Elizabeth non era una donna che le piaceva e forse stava
deliberatamete cercando di allontanare da lei l'uomo che un tempo
l'aveva venerata, ma poteva davvero mentire su qualcosa di
così
intimo e doloroso? E Ross, Ross davvero aveva fatto qualcosa del
genere? Ricordò l'alba in cui lo aveva trovato davanti a
casa sua,
sconvolto, perso, in cerca di un sostegno per ritrovare una strada
che pareva aver smarrito e quel
giorno
aveva capito che qualcosa di grave fosse successo nelle ore
precedenti e
che in qualche modo vi era coinvolta Elizabeth ma
mai, MAI avrebbe creduto a qualcosa di simile.
Un
altro pensiero si affacciò alla sua mente, più
antico e bruciante
nei suoi ricordi e sulla sua pelle... Anche suo padre, pur in maniera
diversa, era stato un uomo violento che la picchiava con la cinghia
sulla schiena per qualsiasi motivo ritenesse opportuno farlo...
Sentì
ancora più freddo perché da quella situazione era
sfuggita, era
riuscita a lasciarsela alle spalle e a crescere, dai Boscawen aveva
trovato una famiglia e la pace e ora con Ross, se quello che diceva
Elizabeth era vero, non avrebbe rischiato di ritrovarsi in una
situazione del genere?
"Perché mi dici questo?" - riuscì infine a
chiedere, con
un filo di voce.
Elizabeth,
freddamente, alzò le spalle. "Solidarietà
femminile, mi
sentivo in dovere di metterti in guardia" - le rispose,
gongolando nel vederla finalmente smarrita e meno sicura di se
stessa.
Demelza
rispose al suo sguardo, cercando di ritrovare fermezza. "Come
posso credervi? Come posso condannare Ross senza aver sentito quanto
ha da dire in merito? In fondo voi mi state raccontando qualcosa a
cui lui in questo momento non può ribattere".
Elizabeth
sbuffò. "Giustificate la violenza su una donna?".
"Ovviamente
no! Ma non posso condannare una persona a cui tengo,
semplicemente
per dei pettegolezzi o per sentito dire".
Elizabeth
si avvicinò al suo cavallo. "La vita è vostra,
dopo tutto...
Ma vi invito a riflettere su quanto vi ho detto".
"Perché?
Perché Ross avrebbe fatto qualcosa del genere a una donna a
cui
teneva tanto?" - la bloccò Demelza, prima che montasse in
sella.
Elizabeth
si voltò. "Perché è un uomo diverso da
quello che sembra, ha
un'anima cupa e ama agire al di fuori delle regole e del civil
vivere. Finché non lo si conosce bene, questo fa parte del
suo
fascino. Ma una volta che lo hai vicino e lo tocchi con mano, quel
fuoco che lui pare emanare finisce con lo scottarti".
Demelza
prese un profondo respiro e non trovò parole per ribattere
perché
in fondo era vero, il fascino di Ross derivava anche da quel suo lato
ribelle e selvaggio che esibiva senza farsene problemi, ma mai si era
dimostrato aggressivo o violento. Però era altrettanto vero
che non
poteva dire di conoscerlo del tutto e che fra loro non c'era mai
stata una vera e propria intimità.
Elizabeth
montò a cavallo, la salutò con un cenno del capo
e poi partì al
galoppo
lasciandola sola coi suoi pensieri.
"Ho già detto troppo, più di quello che mi potrei
permettere.
Mi auguro che il nostro colloquio resti privato fra noi, fra donna e
donna".
Demelza
annuì, sicuramente non ne avrebbe fatto motivo di
pettegolezzo.
"State tranquilla".
La
guardò andar via a cavallo, veloce, sparendo dietro
all'orizzonte
infuocato del sole. Ma Demelza avvertiva
in se
il gelo e ancora una volta, come dopo la morte di Hugh, si
sentì
smarrita e spersa e senza una strada da seguire. Crederle? Tagliare i
rapporti con Ross? Rischiare? O affrontarlo?
Una
lacrima le scivolò sulla guancia, non tanto per Elizabeth ma
per
l'idea romantica che si era fatta di Ross... Forse quell'idea
esisteva solo nella sua testa e non sarebbe mai corrisposta a
realtà?
Oppure doveva dare una possibilità a Ross, chiedere, esigere
una
spiegazione e per quanto doloroso, poi decidere se voleva rischiare o
meno di iniziare una vita con lui?
Con
un sospiro, montò a cavallo. I giorni successivi sarebbero
stati
pieni di pensieri e profonde meditazioni e non avrebbe voluto vedere
nessuno. Nemmeno Ross, nemmeno i bambini, nemmeno la scuola... Per un
pò aveva bisogno di estraniarsi dal mondo, pensare e poi da
sola
trovare la via giusta da seguire. Forse stava dando troppa importanza
a una donna che di fatto non apprezzava, ma quanto le aveva detto era
grave e di certo non andava sottovalutato con leggerezza.
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Capitolo 39 *** Capitolo trentanove ***
Aveva
detto di essere indisposta e per i giorni successivi era rimasta in
camera sua a rimuginare sulle sue scelte, su Ross, su quanto dar
credito ad Elizabeth, sul da farsi… Aveva mandato un
messaggero
alla Wheal Grace per avvertire della sua assenza a scuola, si era
fatta servire pranzo e cena in camera e anche quando Ross era venuto
per vedere Falmouth ed incontrarla, aveva preferito non uscire dalla
stanza facendo finta di dormire.
In
realtà a volte si sentiva sciocca, si stava comportando come
una
bambina che scappa dai problemi, ma finché non trovava il
coraggio
per affrontarli, preferiva rimanere rintanata in casa a cercare il
coraggio di scoprire la verità. Era questo che temeva
più di tutto,
era scoprire di aver coltivato un sogno e che questo non era che una
stupida illusione…
Dopo
tre giorni però, stanca di quel suo stesso comportamento, si
alzò
dal letto, si vestì ed uscì. Le mancava
l’aria, le mancava
passeggiare in giardino con Garrick che, fedelmente, le era rimasto
accanto senza protestare in quei giorni di profonde meditazioni, le
mancava vedere la vita della casa, le chiacchiere di Falmouth, il
calore del sole sul viso e sì… le mancava di
vedere Ross. Lui le
mancava, infinitamente. Era come vivere a metà senza vederlo
e si
era allontanata senza dargli il beneficio del dubbio, colpita solo
dalle parole di una donna di cui non si fidava e che pareva spinta da
motivazioni tutt’altro che amichevoli. In fondo, quando mai
Elizabeth aveva voluto essere sua amica e confidente? Quando mai lei
e George Warleggan avevano avuto una buona impressione di una ex
sguattera? Perché stava credendo a lei senza sentire il
parere di
Ross?
Si
mise un leggero mantello rosso sulle spalle, montò a cavallo
e in un
caldo pomeriggio primaverile partì verso la Wheal Grace. A
dispetto
di tutto si era comportata male verso Ross, era sparita senza dargli
apparenti spiegazioni e anche verso i suoi bimbi alla miniera che la
aspettavano con trepidazione, era stata scorretta.
Galoppando,
col riflesso del sole calante in mare che donava strane colorazioni
ai suoi lunghi capelli rossi, Demelza giunse alla Wheal Grace dove
incontrò Henshawe che stava spiegando ad alcuni minatori il
da farsi
per l’indomani.
Appena
la vide, il capitano le andò incontro con un ampio sorriso.
“Lady
Boscawen, mi fa piacere vedervi e sono felice di vedervi in forma. Ci
siete mancata”.
Demelza
gli sorrise, era sempre così piacevole parlare con lui.
“E’ un
piacere anche per me. Mi è mancato questo posto”
– rispose,
mentre un bimbetto che stava sistemando in esterno delle pietre
correva ad abbracciarla.
“Maestra,
sei guarita!” – esclamò entusiasta il
piccolo.
Lo
accarezzò sulla testolina. “In forma e pronta a
farti studiare!
Come va, Jeremy? Hai imparato a scrivere il tuo nome?”.
“Sì!
E’ un bel nome il mio!”.
Si
inginocchiò davanti a lui. “Lo so, se avessi un
figlio mi
piacerebbe chiamarlo come te!”.
Il
bimbo parve emozionarsi davanti a quella prospettiva che lo faceva
sentire importante. “Sì, sì!”
– saltellò tutto felice prima
di andare via di corsa verso i suoi amichetti.
Demelza
si tirò su, tornado a parlare con Henshawe. “Ross
è qui?”.
“No.
E’ stato qui fino a mezz’ora fa, poi è
andato alla sua spiaggia
ad Hendrawna per sistemare qualcosa nella sua barca con cui esce a
pesca. Credo sia ancora lì”.
“Grazie!”.
Col cuore in gola, lasciata la Wheal Grace Demelza si avviò
verso
Nampara e verso quella spiaggia dove lei e Ross, conosciuti da poco,
avevano galoppato insieme per la prima volta e vi avevano trovato il
piccolo Sun. Sembravano passati secoli da allora… Lei era
cambiata,
era cambiata la sua vita ma Ross? Ross era lo stesso irriverente,
affascinante ma gentile uomo di allora? O aveva lasciato che il buio
pervadesse la sua anima?
Faceva
caldo quel giorno di due anni e mezzo prima, proprio come in quel
momento…
Lasciò
il cavallo sulla scogliera a pascolare, quando giunse in
prossimità
di Nampara, poi discese la via che portava alla spiaggia, che
sembrava conoscere come se non avesse fatto altro che percorrere
quella strada da sempre, come se fosse sua, come se quello fosse il
posto a cui era destinata…
Si
tolse le scarpe quando i suoi piedi affondarono nella sabbia morbida
e fresca e poi si guardò attorno, camminando lentamente sul
bagnasciuga godendo dei tiepidi raggi del sole e del panorama. Il
mare era calmo, la spiaggia silenziosa e deserta, era
proprietà
privata di Ross e nessuno ci si avventurava, se non invitato.
Camminò
fino alle vicinanze della grotta dove sapeva che Ross teneva la sua
barca, sapeva che adorava pescare e navigare lungo la costa ed era
certa di trovarlo lì.
Quando
lo vide, a petto nudo, coi pantaloni sollevati fino alle ginocchia, a
riva che armeggiava con la barca, il suo cuore accelerò e si
rese
conto che le era mancato. I suoi riccioli neri si muovevano alla
brezza marina, il suo fisico asciutto pareva scolpito e perfetto come
nel giorno in cui l’aveva sbirciato nuotare e il suo viso era
cupo,
assorto e seducente come sempre…
Lo
guardò e in lui vide il furore di un uomo che non si fermava
nella
lotta per i suoi ideali e nulla di quello che gli aveva detto
Elizabeth gli parve vero. Si sentì stupida per aver
dubitato, per
non aver chiarito subito e per essersi allontanata per qualcosa di
probabilmente futile.
Sentendosi
osservato, Ross alzò lo sguardo e appena la vide rimase
immobile,
perplesso, quasi stupito. Solitamente la salutava con un sorriso e
appena soli con un bacio e un abbraccio, ma non fece nulla del
genere. Demelza lo conosceva abbastanza da capire che il suo
comportamento lo aveva irritato e che aveva capito che lei stava
sfuggendo da lui e da qualcosa e sicuramente per un carattere come
quello di Ross, questo fuggire senza affrontare un problema doveva
apparire insopportabile. Non era un uomo da mezze misure, era una
persona tanto complicata quanto affascinante e Demelza sapeva che con
lui sarebbe stata una vita a volte sul filo del rasoio, felice,
appagante, piena, ma anche complicata e ricca di compromessi.
Dopo
un lungo istante di silenzio, rimanendo fermo sul bagnasciuga con
l'acqua che gli arrivava alle ginocchia, Ross si decise a parlare.
"Sai, sei diventata talmente sfuggente che stavo iniziando a
considerare l'idea di intrufolarmi in camera
tua passando dalla finestra".
Era
una battuta forse scherzosa atta a smorzare la tensione, ma Demelza
rabbrividì collegandola alle parole di Elizabeth. "Lo fai
spesso? Entrare nelle stanze di una signora dalla finestra?".
Serio,
Ross la osservò in viso cercando di carpirne l'umore. "Solo
se
è necessario e ne vale la pena". Le si avvicinò
di qualche
passo, tirando la barca a riva perché non prendesse il
largo. "Sei
sparita e ti sei negata per giorni e non sapevo se stessi davvero
male o se stessi cercando di evitarmi, anche se non ne comprendo il
motivo".
La
donna osservò il mare e poi si sistemò i capelli
dopo che un refolo
di vento glieli aveva scombinati. "Forse entrambe le cose,
Ross...".
Vinto
dalla voglia di sentirla vicina, nonostante avvertisse sulla pelle
che c'era qualcosa che non andava, le si avvicinò e le
accarezzò il
viso. "Demelza, cosa c'è? E' successo qualcosa? Stai bene?".
Alzò
gli occhi su di lui e sul suo viso lesse perplessità ma
soprattutto
preoccupazione. Si sentì in colpa perché
benché Elizabeth l'avesse
sopraffatta generando in lei mille pensieri, avrebbe dovuto subito
parlarne con Ross invece che fuggire e chiudersi in camera come una
ragazzina. "In realtà, non so nemmeno cosa dire, come
iniziare,
come spiegarmi...".
Lui
le prese la mano, la costrinse a seguirlo e a ridosso delle rocce
vicino all'imbocco della grotta, la invitò a sedersi nella
sabbia
accanto a lui. "Cosa c'è da spiegarmi? Demelza, tu mi fai
impazzire in mille modi, alcuni piacevoli, in questi ultimi giorni
meno piacevoli... Che è successo?".
Demelza
prese un profondo respiro, cercò il coraggio di parlare e
capì che
non poteva evitarlo ora che era arrivata sin lì. "Chi sei
davvero, Ross?".
Lui
spalancò gli occhi. "Cosa?".
"Chi
sei?" - ripeté la donna, stringendo i pugni delle mani. "Sei
l'uomo gentile che combatte per i più deboli? Sei lo
scavezzacollo
che da giovane ha dovuto andare in guerra per evitare la forca? Sei
un uomo romantico
che ama l'amore o che lo pretende
a
qualunque costo?".
Ross
rimase inebetito da quel discorso che non capiva, non appieno. Era
vero, forse lui e Demelza ancora non si conoscevano del tutto ma
credeva che lei si fidasse di lui, che lo amasse per com'era e che
non serbasse dubbi sul suo conto. Invece non era così,
almeno non
più... "Sono tante cose, credo, la somma di tutto quello che
ho
affrontato nella vita fin quì. Non so dirti se sono o meno
una brava
persona, se sono affidabile fino in fondo e se passerò la
vita ad
evitare i guai come dovrebbe fare un bravo cittadino. Non so tenere
la lingua a freno e a volte per questo mi caccio nei guai, non
arretro nemmeno se la situazione diventa pericolosa se credo in
ciò
per cui lotto e spesso sono piuttosto incurante delle conseguenze...
E in amore... Lo voglio, totalizzante, completo! Lo pretendo,
sì,
per me stesso pretendo un amore vero e non un amore convenzionale
come succede spesso in tanti matrimoni combinati... Non voglio essere
agli occhi del mondo una bella coppia assieme alla mia compagna,
voglio esserlo in casa mia, con te".
Demelza
lo guardò negli occhi, colpita da quelle parole e dal suo
mettersi a
nudo ma indecisa su come proseguire per affrontare la parte
più
difficile del discorso.
Ross era così sensuale, romantico ed attraente, era bello
sentirlo
parlare dell'amore... Ma allo stesso tempo era anche deciso ed
esigente nel rapporto con una donna.
"E in questa tua idea dell'amore, tutto questo lo pretendi come
una costrizione
da parte di chi ami?".
"Da
te?".
"Da
me o da chiunque altra".
Ross
scosse la testa. "Non
per costrizione, certo che no, vorrei che nascesse dal cuore di
entrambi e che sia un desiderio condiviso.
Tutto
questo lo vorrei costruire con te accanto, vorrei venisse naturale
a te come a me.
Ma
non lo
posso pretendere perché nel momento che lo facessi, allora
tutto
cadrebbe miseramente e non ci sarebbe più niente di bello e
naturale
fra noi".
Demelza
si morse il labbro, arrabbiata verso se stessa e verso le parole di
Elizabeth. Doveva scegliere se credere a Ross o a lei e in quel
momento si sentiva spersa in mezzo a un oceano in tempesta. Le parole
di Ross erano bellissime ma ancora non era arrivata al punto del
problema, a quel suo passato che forse era stato meno limpido di
quello che aveva pensato fino a quel momento. "Quella notte,
quando sconvolto ti ho trovato a casa mia... La ricordi? Abbiamo
galoppato a lungo insieme e tu mi hai detto che da quel momento avevi
bisogno di un nuovo inizio".
Ross
impallidì, ricordando bene quel giorno e quanto successo
nelle ore
precedenti. Una notte buia, follia, rabbia, desideri repressi esplosi
nella maniera sbagliata e Demelza, lei, la luce in mezzo alle
tenebre. "Sì, ricordo".
"Cosa
ti sconvolgeva tanto? Qualcosa che era successo o qualcosa di te
stesso?".
Ross
si accigliò e per un attimo sentì un sordo
terrore impossessarsi di
lui. "Demelza, che è successo?" - chiese di nuovo,
chiedendosi perché rivangasse proprio in quel momento quella
giornata di cui non avevano più avuto bisogno di parlare.
Lei
prese un profondo respiro e tutto il suo coraggio. "Ho visto
Elizabeth e mi ha raccontato qualcosa che non avrei voluto sentire o
conoscere".
Ross
si fece cupo. "Cosa?".
Demelza
alzò lo sguardo e Ross vide i suoi lunghi capelli muoversi
al vento
velandole gli occhi lucidi. "Cosa? Dimmelo tu...".
Lui
abbassò lo sguardo, stringendo fra le mani un pugno di
sabbia. Si
chiese cosa avesse detto Elizabeth a Demelza, perché, il suo
scopo,
il senso di tutto questo e non trovò alcuna risposta. "Cosa
vuoi sapere?" - chiese infine, con voce metallica.
"Solo
questo, Ross... Faresti mai del male a una donna?".
Si
sentì irritato, arrabbiato. Verso Demelza che
però poteva aver
tutte le ragioni per avere dubbi e soprattutto verso Elizabeth verso
cui aveva avuto un comportamento deprecabile ma che era stato il
risultato di un lungo percorso pieno di promesse mancate,
ammiccamenti e nervi perennemente tesi che era sfociato in una notte
di lussuria che però avevano vissuto entrambi attivamente.
"No.
E se hai parlato con Elizabeth, vorrei che mi dicessi cosa ti ha
detto".
Demelza
scosse la testa. "Elizabeth ora non è importante, non
è di lei
che mi preoccupo".
"Come
posso spiegare qualcosa che non conosco appieno?".
"Puoi
solo dirmi la verità su cosa è successo quella
notte che poi al
mattino ti ha portato, sconvolto, davanti a casa mia".
Ross
sospirò, guardando il mare, il cielo e chiedendosi cosa fare
e cosa
dire. "Sai, credo sia sbagliato a prescindere che ti spieghi
cosa mi ha legato a un'altra donna. Posso solo dirti che odio il
comportamento che ho tenuto quella notte, odio aver permesso alla mia
rabbia di aver avuto il sopravvento e odio il fatto di non aver
compreso prima quanto fosse sbagliato il sogno di ragazzo a cui
ancora credevo. Posso dirti che mi sono comportato da folle, in modo
deprecabile in cui non mi riconosco... E posso dirti con altrettanta
certezza che quanto è successo è stato il
risultato di fatti,
parole, cose dette e non dette sia da me che da Elizabeth
che hanno esasperato la situazione fra noi.
Posso anche dirti che nulla di quanto accaduto in quella stanza non
era
stato
desiderato da entrambi, bramato... Era qualcosa che ci mancava e di
cui eravamo stati privati e anche se ho forzato le cose inizialmente,
ti assicuro che quanto accaduto, è successo per volere di
entrambi.
E posso anche dirti che dopo non mi sono sentito come con te, sereno
e a posto col mondo come mi sento ogni volta che ti bacio, mi sono
sentito vuoto, fuori posto e privo di ogni appiglio o desiderio di
restare. Ho compreso che c'è sempre stato un motivo per cui
non ho
inseguito Elizabeth fino in fondo impedendole di sposare prima
Francis e poi George e che il mio animo aveva compreso fin
dall'inizio che quella non era la strada giusta per me. La mia strada
è quella che mi ha portato a casa tua quella mattina, in
cerca di
luce dopo che avevo toccato con mano il buio. Elizabeth può
essere
arrabbiata con me per mille motivi e non le do torto, ma di certo sa
benissimo cosa è successo fra noi e in che
modalità. Ma su una cosa
hai ragione, quì lei non c'entra e per me è una
faccenda
archiviata, siamo noi due a doverci confrontare". Le prese la
mano, la strinse e intrecciò le dita con le sue. "Se mi
chiedi
se ti farei mai
del male, ti risponderei di no, mai! Ma ne farei a chiunque tentasse
di fartene...". Poi la lasciò, si alzò in piedi e
fece qualche
passo verso il mare, evitando di guardarla. "Ma queste sono solo
parole, promesse e hai tutto il diritto di non credermi e di credere
a quanto ti ha detto Elizabeth... L'amore in fondo è tutto
quì, una
questione di fiducia...
O ce l'hai o non ce l'hai. Se ti fidi di me, allora tutto
avrà
senso, anche il nostro futuro. Se non ti fidi, forse anche tutta
questa inutile conversazione non è che una sciocca perdita
di
tempo".
Demelza,
senza fiato, rimase inebetita e ferma, seduta fra la sabbia.
Osservò
Ross, ripercorse mentalmente le sue parole e capì
che in
effetti tutto aveva senso, soprattutto l'ultima parte del suo
discorso. Il fulcro stava tutto lì, nella fiducia, il
collante vero
di ogni rapporto. Doveva scegliere se fidarsi o non fidarsi di lui ma
anche quì si rese conto che 'scegliere' sarebbe
stato
sbagliato. Non era una scelta, non doveva esserlo, la fiducia in lui
doveva sentirla nel cuore e non era qualcosa che doveva imporsi
perché se no davvero tutto sarebbe stato falso e forzato.
Osservò
la schiena di Ross, i suoi capelli neri che si muovevano alla brezza
e si rese conto che non avrebbe implorato, non avrebbe forzato ma
avrebbe lasciato a lei la facoltà di decidere. Si chiese
come
sarebbe stato tornare a vivere senza di lui, senza averlo vicino,
senza i sogni comuni di un futuro insieme e alla fine capì
che non
voleva privarsi di niente di tutto questo. Si era fidata
istintivamente di Ross dall'inizio e anche se non era un Santo e di
certo aveva commesso, come tutti, molti errori, mai era stato
scorretto o poco sincero con lei. Anche in quel momento...
Si
alzò quindi dalla sabbia, capendo che la scelta di cosa fare
le
apparteneva già da tanto e che non c'era bisogno di
ulteriori
ripensamenti. O ti fidi o non ti fidi e lei si fidava e gli avrebbe
affidato la sua vita a occhi chiusi, lo avrebbe accettato nella buona
e nella cattiva sorte coi suoi pregi e i suoi difetti e lui avrebbe
fatto altrettanto...
Lo
raggiunse, gli cinse la vita con le braccia e poggiò il viso
contro
la sua schiena nuda. Non disse nulla ma la mano di Ross che copriva
le sue, poggiate sul suo petto, raccontava che aveva capito
già la
sua scelta... "Vuoi fare un giro in barca?" - le propose
solo, osservando il mare placido.
"No"
- rispose lei.
Lui
si voltò e rapidamente la riprese fra le braccia, coprendole
il viso
e le labbra di baci. "Mi sei mancata" - sussurrò contro il
suo viso.
Demelza
rispose ai suoi baci in modo lento, passionale, cingendogli le spalle
con le braccia. Crollarono nella sabbia, in quella spiaggia solo loro
dove nessuno li avrebbe disturbati. "Ci sarà tempo per un
giro
in barca, ma non adesso" - sussurrò, sentendo forte
l'esigenza
di averlo, di sentirsi sua, di essere amata.
Ross
le sciolse il nodo che le teneva legato il mantello rosso, lo fece
cadere sulla sabbia e poi, senza smettere di baciarla,
armeggiò col
suo vestito per toglierglielo. Lei lo aiutò, sentendosi
avvolgere da
un fuoco mai provato e dal desiderio di essere amata da lui. Subito,
senza aspettare un minuto di più. Non c'erano più
dubbi, non
c'erano più tentennamenti, non c'era più paura e
nessuna necessità
di aspettare.
Si
stesero nella sabbia, con passione e delicatezza si accarezzarono
togliendosi di dosso gli ultimi ingombranti vestiti che furono
abbandonati fra la sabbia e capirono
che era arrivato il momento di spezzare
anche l'ultima barriera fra loro.
"Sei
bellissima" - sussurrò Ross baciandole il seno, accarezzando
ogni centimetro della sua pelle, sfiorando con le labbra ogni angolo
del suo corpo.
Demelza
chiuse gli occhi, rendendosi conto che davvero non conosceva nulla
dell'amore, quello vero che, le raccontavano, ti fa dimenticare tutto
il resto del mondo quando sei col tuo uomo. Rispose a Ross con
passione, una passione che con Hugh pensava di non possedere e
lasciò
che lui la possedesse. Con passione, vigore, ma con la dolcezza del
più tenero degli amanti. E per lunghi istanti dimenticarono
il mondo
e il mondo poté dimenticarsi di loro.
...
Il
sole infuocato si stava gettando ormai nel mare, quando furono di
nuovo in grado di parlare e di dire qualcosa di coerente. Una
piacevole sensazione di calore ancora invadeva ogni fibra dei loro
corpi e lì, abbracciati e nudi, coperti solo dal mantello
rosso di
Demelza, se ne stavano rannicchiati ad ascoltare il rumore del mare e
il gracchiare dei gabbiani.
Ross
le accarezzò la testa e i capelli che riposavano sul suo
petto.
"Stai bene?".
Demelza
sorrise, ripensando a quei momenti di piacere sublime che aveva
vissuto con lui fino a poco prima. "Mai stata meglio...".
"Già,
anche io". Ross si guardò attorno, notando forse per la
prima
volta la bellezza di quella spiaggia che conosceva come le sue tasche
fin da bambino ma che in quel momento gli appariva sotto una luce
nuova. "Sai, credo che sarebbe bello...".
"Cosa?".
"Raccontare
un giorno, ai nostri figli, che mamma e papà si sono amati
per la
prima volta su questa spiaggia".
Demelza
alzò la testa di scatto, lo guardò cercando di
capire se fosse
serio e poi scoppiò a ridere. "Giuda, credo che se tu lo
facessi, poi sarei costretta a picchiarti!".
Anche
Ross rise. "Non sarebbe un racconto romantico?".
"Non
pensarci nemmeno!" - lo ammonì lei.
Il
sole stava iniziando a sparire e Ross si rese conto che si stava
facendo tardi. "Devi... devi davvero tornare a casa?".
Tutto avrebbe potuto sopportare ma non di separarsi da lei. Voleva
solo tenerla stretta e amarla di nuovo finché avesse avuto
forza.
Demelza
sorrise dolcemente, prendendo una decisione definitiva. "Si,
dovremmo. Torniamo a casa, casa nostra".
Ross
spalancò gli occhi. "Intendi... Nampara?".
"Sì".
Le
scompigliò i capelli, ammirato dal suo coraggio e
decisamente
d'accordo con lei. "Che penserà Falmouth? E la gente? Che
dirà
quando si saprà che Lady Boscawen è andata a
vivere a casa di un
giovane scapolo?".
Demelza
ci pensò su, ma di tutto questo decise che non le importava,
non
più. In fondo odiava le convenzioni, proprio come Ross. "In
effetti... Lady Boscawen a casa tua sarebbe inopportuno. Ma Demelza
Carne ha tutto il diritto di scegliere per se stessa e io ho scelto.
Torniamo a casa, Ross" - sussurrò, baciandolo di nuovo con
passione.
"Sì,
torniamo a casa, amore mio" - le rispose, sapendo già che da
quel momento, lei non se ne sarebbe andata mai più.
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Capitolo 40 *** Capitolo quaranta ***
Il
mattino successivo si svegliarono in quella che, da quella notte in
poi, sarebbe stata la loro camera da letto per il resto delle loro
vite. Era una giornata uggiosa, grigia e ventosa ma il camino acceso,
il calore del corpo nudo di Ross accanto a lei e le coperte che la
riparavano dall'umidità fecero sentire Demelza al caldo e al
sicuro.
Fu
la prima a svegliarsi e attenta a non disturbare Ross che ancora
dormiva accanto a lei, si stiracchiò osservando ogni
particolare di
quella stanza. Rispetto a quella che aveva diviso con Hugh era
più
semplice, spartana, ma aveva qualcosa di caldo e accogliente che la
rendeva unica. Appena ci aveva messo piede aveva capito di essere al
suo posto e che da lì non avrebbe voluto più
andarsene.
Erano
state così strane
ed incredibili
le ultime ventiquatt'ore, pensò... Aveva fatto per la prima
volta
l'amore con Ross sulla spiaggia, sperimentando qualcosa che
non aveva mai provato prima
ed ora si chiedeva perché avesse avuto tanta paura e la
necessità
di aspettare...
Era
stato grandioso, come se i loro corpi si conoscessero e
appartenessero da sempre. La
passione irrefrenabile che li aveva spinti ad amarsi senza reticenze o
imbarazzi,
così inusuale per essere la
prima volta, un piacere fisico intenso che non credeva nemmeno
esistesse e il desiderio che accadesse ancora e ancora, cosa che le
era sconosciuta con Hugh dove viveva l'amore fisico come un obbligo,
come un atto dovuto dal contratto di matrimonio ma senza una reale
voglia di essere posseduta da lui.
E invece, con Ross
era stato tutto diverso, unico e si sentiva come se fosse stato lui a
farla diventare donna e non Hugh, la prima notte del loro matrimonio.
Erano
rientrati a Nampara quando ormai era buio, dopo ore passate a
coccolarsi sulla spiaggia, a parlare, a baciarsi ed accarezzarsi. I
due strambi domestici di Nampara l'avevano guardata con sospetto,
avevano borbottato fra loro - non troppo a bassa voce - che era
sbagliato, ma lei e Ross ne avevano riso, avevano finto di non
sentirli e Prudie poi aveva cambiato umore quando si era proposta di
aiutarla a cucinare e a sistemare. Poi erano andati a letto e anche
se Demelza si sentiva quasi in obbligo di spiegare qualcosa ai due
domestici circa la sua presenza lì, Ross le aveva detto che
non
doveva dire nulla e che Jud e Prudie dovevano prendere la cosa come
un fatto inevitabile e semplicemente da accettare. E una volta soli
in camera, erano di nuovo finiti l'uno fra le braccia dell'altra e
avevano fatto l'amore ancora e poi ancora, addormentandosi sfiniti a
un'ora molto tarda. Non aveva idea di come avrebbe potuto spiegare al
mondo e a Falmouth tutto questo, ma non aveva voglia di pensarci.
Come del resto Ross che pareva non porsi affatto il problema.
Sembrava sereno, felice... E ogni nube occorsa fra loro era volata
lontano...
Rigirandosi
nel letto, si accorse di essere nuda. In effetti non aveva alcuna
biancheria con se a parte gli abiti indossati il giorno prima, ma
nonostante fosse inevitabile, si sentì stupidamente in
imbarazzo.
Non aveva mai considerato troppo bello il suo corpo e anche durante
il suo matrimonio, dopo aver fatto l'amore, si era sempre rivestita
subito, ma con Ross era stato diverso e si era addormentata senza
porsi il problema. Ma ora, nonostante la giornata fosse uggiosa, la
luce del giorno rendeva il suo corpo fin troppo visibile per i suoi
gusti... "Giuda" - borbottò, osservando il soffitto.
Ross
aprì un occhio, osservandola con sguardo divertito. La sua
espressione era di assoluta serenità e pace col mondo intero
e si
sentiva di buon umore come non succedeva da... sempre? "Buongiorno
mio leggiadro tesoro" - disse, scherzosamente.
Demelza
avvampò, tirandosi su la coperta fino alle spalle. "Non ho
una
camicia da notte!" - disse solo, sbrigativamente.
"Lo
so..." - rispose lui, ancora più divertito e decisamente
meno
turbato di lei.
Demelza
lo fulminò con lo sguardo. "Mi presti una tua camicia?".
Le
indicò l'armadio. "Va a prenderla...".
"Sono
nuda!!!".
"Lo
so..." - ripeté lui di nuovo, con un sorriso ancora
più ampio.
"Ti
prego, Ross!".
Lui
si rigirò nelle coperte, mettendosi su un fianco con una
mano sotto
la guancia. "Perché dovrei andare a prendere una cosa che
non
ti serve?".
"Mi
serve!".
"Non
sono d'accordo!".
Demelza
sospirò, esasperata. "Ross, alla luce del giorno una donna
non
è bella da vedere, nuda".
"Non
sono d'accordo nemmeno su questo e lo ribadisco".
"Quindi
non ci andrai?".
Ross
scoppiò a ridere, prendendola fra le braccia. "Amore mio, ho
fatto l'amore con te in spiaggia e diverse volte su questo letto. Mi
spieghi cosa c'è di te che non ho visto nelle ultime ore?".
Demelza
arrossì ancora di più davanti a quelle parole
piuttosto spudorate
benché piene di una certa dose di verità. "Non
è una buona
cosa, di giorno".
Lui
di tutta risposta la baciò sulle labbra, tirandola con se
sul
cuscino. "Togliti di testa questa stupida idea".
"Ross!"
- lo implorò.
La
guardò negli occhi. "Stai bene? Solo questo conta!".
Ci
pensò su e sì, stava bene e forse la camicia di
Ross dopo tutto non
le serviva. Stava bene come non era mai stata, realizzò...
Per un
attimo chiuse gli occhi e sulla sua pelle sentì ancora il
calore del
tocco e dei baci di Ross che le avevano infiammato la notte e
desiderò solo unirsi nuovamente a lui. "Sì, mai
stata meglio"
- ammise. Poggiò la fronte contro quella di Ross e
sospirò. "Oh,
vorrei non dovermene mai andare da quì".
"Non
dovrai farlo" - la rincuorò.
Lei
sospirò. "Ci sono persone a cui dobbiamo spiegazioni".
"Lo
faremo, ma non adesso. Ora voglio stare quì, godermi il
momento,
cercare di capire perché abbiamo aspettato tanto e poi,
magari...".
Si chinò su di lei, baciandola ancora avidamente.
"Magari...".
"Cosa?".
La
spinse delicatamente sul materasso, stendendosi su di lei. "Magari
potremmo fare l'amore un'altra volta prima di fare colazione".
Demelza
rise. "La trovo un'ottima idea".
Ross
non se lo fece ripetere, il
suo corpo nudo aderì a quello
di lei e come se non desiderasse altro, iniziò di nuovo a
baciarla e
toccarla.
"Sei
felice?" - chiese lei, contro le sue labbra, riuscendo a stento
a controllare la sua voce e le sue emozioni.
Ross
si bloccò per un attimo, quasi stupito. "Che domanda
strana...".
"Cosa
c'è di strano?".
"Che
non me l'ha mai chiesto nessuno, Demelza...".
"Beh,
non
è una domanda poi così difficile".
Ross
riprese a baciarla, muovendosi sopra di lei. "Sì, sono
felice"
- sussurrò prima di zittire ogni discorso per farla
nuovamente sua.
...
Un'ora
dopo se ne stavano mollemente una fra le braccia dell'altro,
mollemente rannicchiati sotto le coperte. I lunghi capelli rossi di
Demelza si fondevano coi ricci scuri di Ross formando strane
tonalità
sul cuscino e l'unico rumore della stanza era quello dell'orologio a
pendolo che scandiva il passare del tempo.
"Dovremmo
sposarci tipo presto... Tipo domani".
A
quelle parole Demelza tirò su la testa di scatto,
guardandolo in
viso per vedere se fosse serio o meno. "Dubito che potremmo...".
"Ma
dovremmo" - insistette lui - "Non sono molto bravo, temo,
ad evitare eventi che fra nove mesi potrebbero dare adito a
pettegolezzi".
Capendo
a cosa alludeva e stupendosi di non averci pensato, Demelza sorrise
dolcemente. Se con Hugh quella paura e quella speranza erano andate
perse, in effetti ora tutto era diverso e dopo la notte passata non
era così sicura che i timori di Ross fossero infondati. "Me
ne
sono accorta...".
"Di
cosa?".
"Che
non sai stare attento a QUELLO!".
"E
non sei preoccupata?".
Demelza
ci pensò su e decise... "No, succeda quel che succeda, credo
che siano affari nostri".
Ross
stava per rispondere quando un energico bussare alla porta fece
sobbalzare entrambi. "Signore, SIGNOREEEE!!!".
Il
vocione di Prudie invase la stanza e Ross d'istinto prese un cuscino,
lanciandolo contro la porta da cui proveniva quel richiamo molesto.
"Sei impazzita!? Chi ti da il permesso di venire a
disturbarmi?".
Da
dietro la porta, quasi spaventata, Prudie starnazzò.
"C'è...
c'è... E' arrivato...".
"Chi?"
- le urlò Ross, con accanto una Demelza divertita,
nonostante tutto.
"Il
re... il president... il capo... il lord... Il padre o zio... della
ragazza!".
Demelza
sbiancò di colpo, si tirò ritta a sedere
lasciando cadere le
lenzuola che le celavano il corpo nudo e nel panico, come una bambina
beccata con le mani nella marmellata, guardò Ross.
"Giuda...".
"Giuda..."
- ripeté lui - "Falmouth è nel nostro salotto!".
Demelza
lo spinse giù dal letto, facendo poi altrettanto. Non si
dissero
nulla ma con movimenti goffi si rivestirono, si pettinarono,
indossarono le loro scarpe e in un attimo riacquistarono la
dignità
per presentarsi a lui.
"Ross...".
Lui
si voltò, le prese il viso e prima di aprire la porta per
scendere,
la baciò avidamente sulle labbra. "Siamo adulti,
ricordatelo!".
"Sarà
furioso!".
"Gli
passerà! In fondo ieri sera abbiamo mandato tramite Jud un
messaggio
per avvertirlo che saresti rimasta quì e che ti avrei
ospitato per
la notte".
Demelza
gli lanciò una occhiata scettica, poi con un sospiro si
accodò a
lui, scendendo le scale assieme. Avrebbe voluto condividere il suo
ottimismo ma non ce la faceva, non ce la faceva proprio...
Quando
giunsero in salotto trovarono Jud che borbottava, Prudie bianca come
un cencio e Falmouth, vestito di tutto punto, seduto sul divanetto
davanti al camino acceso, con in mano il suo bastone da passeggio.
Il
lord squadrò i due, rimase in silenzio un istante e poi
parlò.
"Ebbene...".
Ross,
da perfetta canaglia, prese dalla credenza una bottiglia di Porto.
"Gradite del vino?".
Falmouth
lo occhieggiò. "Gradirei delle spiegazioni e spiegarvi cosa
si
dovrebbe fare in questi casi".
Demelza
prese coraggio, si avvicinò e pregò che non fosse
deluso da lei.
Amava Falmouth come un padre e si rendeva conto che per quanto
desiderasse Ross vicino, gli aveva mancato di rispetto e non era
giusto. "Mi dispiace, spesso mi trovo a seguire il mio istinto e
ieri sera non avevo voglia di tornare a casa. Trovo la compagnia di
Ross Poldark...".
Falmouth
alzò la mano, bloccandola. "Demelza, non devi spiegarmi
nulla
che io già non abbia capito e non sappia. Sei giovane, lo
è lui e
insieme vi siete trovati bene da subito e come ben sai non disapprovo
affatto un vostro rapporto. Ma non viviamo in un'isola deserta e io
sono un parlamentare, come anche Ross ora, del resto. Ci sono regole
da rispettare!".
Ross
strinse i pugni, rendendosi conto che quell'uomo che di certo adorava
Demelza, si stava intromettendo però in qualcosa di molto
privato e
lui per carattere questo non lo gradiva affatto. "Io e Demelza
siamo adulti, liberi e so che è stata la moglie di vostro
nipote ma
lui è morto da molto e non credo che lei debba vivere
perennemente
nel lutto".
Falmouth
lo stupì. "Sono d'accordo!".
"Cosa?"
- chiese Ross, sbattendo le palpebre.
Il
lord si alzò dal divano. "Sono d'accordo e Demelza ha pianto
a
sufficienza Hugh e gli ha dato tutte le attenzioni che meritava
quando lui era in vita. E' vero, è giovane e deve vivere e
mi auguro
che lo
farà
seguendo, almeno un pò, le regole del civil senso del
pudore. Voglio
bene a Demelza come una figlia, voglio il meglio per lei e se ritiene
che il suo meglio siate voi, io accetto questa sua scelta vigilando
però su di lei come un uomo saggio di una certa
età dovrebbe fare.
Ci ho pensato molto al da farsi, sapete? Il
fatto che lei sia quì possiamo giustificarlo in un modo che
ho già
ideato e che spenga quasi tutti i pettegolezzi, ma voi Ross dovrete
andare a chiedere una licenza matrimoniale speciale e sposarvi
subito!".
Demelza
e Ross si guardarono in viso, forse troppo stupiti che tutto stesse
andando così bene. "Come?".
Falmouth
sbuffò. "Mettiamola così, non sono nato ieri e so
bene come
succede fra due giovani che si trovano ad essere attratti l'uno
dall'altra. E diciamo anche che, ipoteticamente fra nove mesi,
giustificare una nascita anticipata di pochi giorni può
essere
semplice, di un mese o due più complicato. Mi comprendete?".
Ross
e Demelza arrossirono fino alla punta dei capelli ma il messaggio era
chiaro e Falmouth era stato fin troppo esplicito. E d'altronde quel
che diceva poteva benissimo essere vero.
Ross
prese la palla al balzo. "Licenza speciale?".
Il
lord annuì. "In pochi giorni sarete sposi, senza tutti
quegli
orpelli delle normali pubblicazioni di matrimonio. Dite al Reverendo
che la chiedete col mio benestare".
Ross
guardò Demelza e lei sorrise. In fondo se era desiderio di
tutti,
perché aspettare? "Sapete che forse è la prima
volta che mi
trovo perfettamente d'accordo con voi?".
Falmouth
lo occhieggiò. "Aspettate, non ho finito".
"Che
c'è?" - chiese Demelza, che era certa che tutto non potesse
andare così bene...
Falmouth
si risedette. "Ci vorrà comunque qualche giorno e se
vogliamo
giustificare la presenza di Demelza quì, mi ci
fermerò pure io per
salvare le apparenze".
Ross
entrò in panico. "Cosa?".
"Semplice!
Dirò che io e la mia giovane nipote acquisita saremo vostri
ospiti
per organizzare il matrimonio e il nostro piano politico da portare a
Londra e che condivideremo la casa per lavorare meglio".
Prudie
impallidì ancora di più. "Santissimo cielo
maledetto...".
Falmouth
la guardò, sbuffò e senza aspettare il benestare
di Ross che per
lui era del tutto ininfluente e scontato, iniziò ad
impartirle
ordini. "Mi prepari una buona stanza, mi fermerò un
pò".
Poi guardò Ross. "Che si mangia per pranzo?".
Quasi
senza parole per la faccia tosta ancora maggiore della sua, Ross si
schiarì la voce. "Polpettone e patate, credo...".
"Ottimo!"
- rispose Falmouth. "E ora ho proprio bisogno di quel bicchiere
di Porto".
...
Nel
pomeriggio, mentre Ross era fuori per parlare con il Reverendo della
Chiesetta di Sawle, Demelza si sedette accanto a Falmouth davanti al
camino. Il pranzo era stato ottimo e il lord aveva parlato come
sempre di politica, senza tornare più sul discorso di quanto
successo e sul suo legame con Ross. Ma voleva essere chiara e sincera
con lui e chiarire ogni eventuale malinteso perché di fatto
ancora
non avevano parlato e non si erano chiariti e la chiarezza era sempre
stata una parte molto importante del loro rapporto. "Siete
deluso da me?" - chiese, quasi con paura.
Falmouth,
che stava leggendo un giornale, sospirò e dopo averlo
ripiegato
sulle sue gambe, le poggiò la mano sul braccio. "Dovrei
esserlo?".
"Non
lo so, forse sì".
Falmouth
prese un profondo respiro. Erano soli, Jud era stato spedito alla
dimora dei Boscawen per prendere gli abiti di Falmouth e Garrick,
Prudie riposava, Ross non c'era e solo il piccolo Sun girava
sonnecchioso per il salotto. "Vogliamo essere davvero sinceri,
Demelza?".
"Sì".
Falmouth
osservò il fuoco nel camino, assorto in profondi pensieri e
riflessioni. "L'ho sempre saputo che Hugh non era l'uomo giusto
per te. Ti conosco fin da quando eri una ragazzina e mio nipote ti
adorava, per questo gli ho permesso di sposarti, avrei fatto di tutto
per accontentarlo e rendergli meno gravosa la sua malattia. Ma non
eravate adatti a stare insieme, eravate due anime troppo diverse per
trovare pieno appagamento dal vostro matrimonio e so che lo hai
capito benissimo pure tu. Ma sei stata un'ottima moglie per lui e hai
reso felici i suoi ultimi anni di vita come io non sarei riuscito a
fare e per questo ti ringrazio e ti ringrazierò sempre. Ma
ora devi
vivere come desideri e con l'uomo che davvero è giusto per
te e che
hai scelto... So che non deve essere stato facile per un animo fedele
e onesto come il tuo e che hai lottato col ricordo di mio nipote per
non cedere all'amore per Poldark, ma Hugh vorrebbe che tu fossi
felice e lo voglio anche io. Quindi no, non sono deluso ma sollevato.
Hai scelto la tua strada, un uomo che stimo e so per certo che
è la
strada giusta...".
Commossa
per quelle parole e il loro significato, Demelza lo
abbracciò come
una figlia abbraccerebbe un padre. Perché in fondo Falmouth
era
l'unico vero padre che avesse mai avuto... "Io però voglio
sempre che facciamo parte della stessa famiglia".
Falmouth
sorrise, cercando di non far apparire la sua voce rotta dall'emozione
e dalla commozione. "Abbiamo stretto un'alleanza politica e ora
anche matrimoniale, coi Poldark! Una mossa da maestro degna dell'arte
della mediazione dei Boscawen! Siamo e saremo ancora una famiglia,
solo un pò più grande!".
"E
se avrò dei figli, gli farete l'onore di essere il loro
zio?".
Falmouth
annuì. "Ovviamente! Qualcuno con un pò di sale in
zucca dovrà
pur esserci, nella vita di quelle povere creature!".
Demelza
rise. "Credo di sì".
"E
così sarà!" - rispose Falmouth, cingendole la
vita con il
braccio.
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Capitolo 41 *** Capitolo quarantuno ***
"Oh
Verity, non so davvero come ringraziarti per essere quì!".
Vestita
con l'abito da sposa, a pochi minuti dalla cerimonia che l'avrebbe
resa 'Miss Poldark', Demelza si torse le mani con nervosismo. Era
felice ma si sentiva un pò ubriaca dallo scorrere veloce
degli
eventi dell'ultima settimana. Si era trasferita a Nampara, aveva
fatto l'amore con Ross, Falmouth aveva preteso un matrimonio
immediato e il suo futuro marito, dotato di notevole faccia tosta,
era riuscito ad ottenere una licenza speciale che annullasse i
canonici giorni delle pubblicazioni. Falmouth aveva poi sequestrato
una povera sarta costringendola a cucirle in due giorni un abito da
sposa, Verity e il capitano Blamey sarebbero stati i loro testimoni,
Garrick e Sun avevano trovato un pacifico accordo di convivenza e
adesso... E adesso non rimaneva che dire quel sì che
desiderava con
tutto il cuore, il cui momento di pronunciarlo stava avvicinandosi
sempre più.
Verity
finì di sistemarle la gonna e poi la guardò
ammirata. Era un abito
semplice, bianco e senza troppi fronzoli, merletti o fiocchetti
pacchiani, un vestito fine, elegante, stretto in vita da un nastro
verde che rifletteva il colore degli occhi della sposa. "Oh, non
pensarci nemmeno a ringraziarmi! Sono io che devo ringraziare te per
aver ridato una vita a mio cugino! Era come morto dentro e tu lo hai
fatto rinascere".
"E
lui ha fatto rinascere me" - ammise Demelza, con un sorriso
dolce sul viso.
"Grazie
a te, la famiglia Poldark ha di nuovo un futuro, Demelza, che
credevamo di aver perso con la morte di Francis e il matrimonio di
Elizabeth con George Warleggan che ha portato il piccolo Geoffrey
Charles lontano da casa".
Demelza
non commentò. In realtà non voleva più
sentir parlare di Elizabeth
e per quanto la riguardava, il fatto che ormai fosse lontana
e non avesse accettato l'invito per le nozze mandato più per
dovere
che per piacere,
non poteva che essere un bene per tutti. Ma comprendeva il pensiero
di Verity e l'angoscia di saper suo nipote cresciuto lontano da
Trenwith, da un uomo senza scrupoli come George Warleggan. Sapeva che
anche Ross era in pena per Geoffrey Charles ma Elizabeth aveva fatto
le sue scelte e tutti loro avevano dovuto sia subirle che accettarle.
Ognuno avrebbe condotto la vita che si era scelto e nel giusto ordine
delle cose, doveva andare così. Ma ora non voleva pensarci,
ora
voleva solo sposarsi e guardare al futuro, dimenticando il passato.
Sarebbe stata una piccola cerimonia a cui sarebbe seguito un
banchetto a Trenwith, come aveva insistito di fare zia Agatha, troppo
anziana per muoversi e venire a festeggiare a Nampara. Ci sarebbero
stati solo Falmouth, Jud e Prudie, Zachy, Henshawe, Dwight e i
più
fidati minatori e amici di Ross. E poi i servitori che le erano stati
più vicini durante la sua vita a casa Boscawen, gente
gentile che si
era sempre presa cura di lei negli anni.
Verity
finì di sistemarle l'abito. "Ross sarà
estasiato!".
Demelza
rise. "Ross odia le cerimonie!".
Anche
Verity ridacchiò. "Per oggi sarà meglio che metta
da parte il
suo carattere da orso! Inoltre sarà meglio che ci faccia
l'abitudine, ben presto dovrà presenziare a un'altra
cerimonia!".
Demelza
si accigliò ma dopo una breve meditazione, il suo viso si
illuminò
di gioia. Abbracciò Verity, forte, come avrebbe fatto con
una
sorella. "Tu e il capitano Blamey?".
Verity
arrossì. "Sì, noi siamo andati più
lentamente di voi ma
vorremmo sposarci in prossimità del Natale, il prossimo
inverno,
fra circa sei mesi.
E ti voglio al mio fianco come testimone e lo stesso vale per mio
cugino! Da oggi saremo parenti e tu sei anche la più cara
amica che
ho!".
Gli
occhi di Demelza divennero lucidi dalla commozione e dalla gioia per
lei. Verity era fra le persone più buone che avesse mai
conosciuto e
se c'era qualcuno a cui augurava tanta gioia, di certo era lei. "Sono
felice per te e sì, ci saremo,
contaci!".
Verity
si sedette sul letto. "Sai, continueremo ad essere vicini! Io ed
Andrew non lasceremo Trenwith, abbiamo scelto di vivere lì
con zia
Agatha. Dopo tutto è la
casa dei Poldark e io sono l'unica erede rimasta, è mio
compito
portare avanti tutto ciò che i nostri antenati ci hanno
lasciato.
Andrew è d'accordo e si sente più sicuro a
sapermi lì con la mia
famiglia vicino, quando sarà per mare.
E grazie alla Grace che sta facendo fortuna e a Ross, i debiti
lasciati da Francis sono stati saldati e ora possiamo guardare al
futuro con ottimismo".
Demelza
annuì,
tante cose si erano sistemate in quei giorni frenetici.
"Credo che sia una scelta perfetta per tutti! Sarai padrona
della tua casa e noi saremo vicini per darti una mano!".
Verity
arrossì. "Le nostre famiglie cresceranno insieme. Come
successe
a me e Francis con Ross quando eravamo bambini".
Un
forte bussare alla porta interruppe le due. "DEMELZAAA!".
La
voce tonante di Falmouth oltrepassò la barriera e Demelza
sobbalzò.
"Giuda...".
"Sei
pronta? Far aspettare lo sposo va bene, ma non esageriamo!" - la
rimbrottò l'uomo.
Verity
rise. "Impaziente come tutti gli uomini!".
Demelza
annuì, divertita. "E' terrorizzato da un ritardo che possa
eventualmente metterlo in imbarazzo fra meno di nove mesi...".
Verity
per un attimo la guardò senza capire ma quando comprese,
divenne
rossa come un peperone, abbassando lo sguardo imbarazzata. "Oh,
sono certa che i suoi timori sono infondati e che tu e Ross siate
stati fidanzati virtuosi".
Demelza
si schiarì la voce. "Vorrei avere le tue certezze...".
"Potrebbe
essere che...?" - chiese Verity, allarmata.
"Potrebbe
essere, sì. Questo ti farebbe cambiare opinione su di me?" -
chiese Demelza, improvvisamente spaventata dal perdere il consenso
della cugina di Ross.
Verity,
dopo alcuni istanti di silenzio, la abbracciò.
"Assolutamente
no, mia cara. Se ne sei contenta tu, allora va bene anche a me. E
inoltre... conosco il carattere impetuoso ed impaziente di mio
cugino".
"Beh,
per fare certe cose si deve essere in due".
Verity
le aggiustò di nuovo l'abito, con gesti un pò
imbarazzati. "Ne
saresti contenta? Perché alla fine è questo che
conta, non le
chiacchiere della gente".
"Sì"
- rispose Demelza, con estrema sincerità. "E' il mio sogno
più
grande e spero che possa diventare realtà".
"Succederà,
mia cara. O forse è anche già successo,
chissà!". Verity la
prese gentilmente sotto braccio, aprendo la porta prima che Falmouth
la gettasse giù a calci. "E allora andiamo, hai da sposarti
quanto prima".
...
Falmouth,
che la teneva a braccetto come un padre, sembrava a suo modo commosso
quando la portò all'altare dove Ross la aspettava
già.
Demelza
era radiosa, felice, si sentiva nel posto giusto in quella Chiesetta
di Sawle, fra volti amici che ognuno a modo suo, erano e sarebbero
stati parte della famiglia che avrebbe formato con Ross. Era
così
diverso dal sentimento di tensione e paura provato quando
si era sposata
con Hugh... Era una ragazzina allora, che si trovava in una
situazione più grande di lei che non capiva appieno
e che forse le era sfuggita di mano mentre
ora era una donna, aveva scelto con cognizione di causa col cuore
prima che con la mente e stava sposando un uomo che, come dicevano le
storie romantiche, era di certo la sua anima gemella nel mondo. Non
poteva che essere così! Ross
Poldark le era entrato nel cuore e in ogni fibra del suo essere fin
dal loro primo burrascoso incontro e la sua figura non era mai
evaporata
dalla sua mente per tutto quel tempo, nemmeno
nei momenti più duri che l'avevano accompagnata in quegli
ultimi
anni, fino
al coronamento del loro amore. Era stata una corsa a tappe lunga,
piena di dolore ma anche di tenerezza e adesso era lì,
davanti a
Dio, a giurargli eterno amore. Non sarebbe più stata lady
Boscawen e
nemmeno Demelza Carne. Da quel momento in poi sarebbe stata Demelza
Poldark, la signora Poldark... E già sentiva di adorare il
suo nuovo
nome.
Vestito
con
un elegante abito blu, coi capelli pettinati ed impettito,
Ross davanti all'altare
sembrava il più teso fra i due.
Demelza
lo raggiunse, Falmouth la lasciò a lui e lei gli sorrise.
"Ross,
non dovresti dimenticarti di respirare" - gli bisbigliò
divertita nel vederlo tanto teso, cosa inusuale per lui.
Lui
sorrise, nervoso,
riflettendo
sul fatto
che la
sua futura moglie non
perdeva la sua lingua lunga nemmeno a un passo dall'altare. Adorava
la sua faccia tosta tanto inusuale in una donna, ne era da sempre
affascinato e ancora una volta lei lo stava ammaliando coi suoi modi
di fare. Era
bellissima ed era sua... Per tutta la vita aveva sognato di sposare
un'altra donna e ora scopriva che non voleva che ciò che
possedeva
in quel momento. Lei, con la sua sfacciataggine, la sua bellezza, la
sua forza, la sua dolcezza, i suoi occhi verdi e i lunghi capelli
rossi che lo stregavano come la prima volta che li aveva visti. "Me
ne ricorderò, grazie mia cara" - disse, usando la medesima
ironia.
Il
prete richiamò la loro attenzione e dopo averla ottenuta,
diede il
via alla cerimonia. In sottofondo sentirono i singhiozzi di Verity,
Zachy che continuava a soffiarsi il naso e Falmouth che nervosamente
picchiettava il piede e ogni tanto si schiariva la voce come se
avesse un raspino in gola che non voleva andarsene.
La
cerimonia fu breve, a suo modo abbastanza banale ma Demelza si sentì
la principessa di una favola. E quando il Reverendo Halse li
dichiarò
marito e moglie, momento che Ross aspettava con impazienza per
fuggire da lì con lei, lui si chinò e la
baciò con passione e
sollievo, a lungo, finché sia Falmouth che il prete,
tossicchiando,
lo riportarono all'ordine.
"Non
avevo ancora detto che potevate baciare la sposa..." -
mormorò
Halse, indispettito.
Ross,
finalmente più rilassato per la fine della cerimonia,
ridacchiò.
"E' lo stesso, è lo stesso...".
Halse
sospirò, rassegnato. "La comunità da il benvenuto
alla nuova
famiglia Poldark formata da Ross e dalla sua giovane moglie Demelza.
Lunga vita agli sposi".
"Lunga
vita agli sposi!" - replicarono gli astanti, dalle loro panche,
pronti a festeggiare. E a loro si unirono, fuori dalla Chiesa, i
bambini dei minatori a cui Demelza aveva fatto da maestra che, in un
moto di gioia, lanciarono sulla sposa una infinità di fiori
di ogni
colore.
...
Verity
e zia Agatha nel grande salone di Trenwith avevano allestito un
grande banchetto degno di un re perché come aveva detto la
quasi
centenaria decana di famiglia, a Trenwith i festeggiamenti o si
facevano in grande o non si dovevano fare affatto.
Sulla
tavola c'erano ogni tipo di pietanza, di verdura, di carne o di pesce
immaginabili. E i dolci abbondavano come il miele che scende dagli
alveari in piena estate.
Falmouth,
benché Demelza avesse desiderato una festa in piccolo, fece
arrivare
un'orchestra e alla fine ne venne fuori un matrimonio in grande stile
che fece protrarre fino a sera tarda i festeggiamenti.
Zia
Agatha aveva studiato tutto il giorno in silenzio la sposa e alla
fine era giunta alla conclusione che, come il capitano Blamey, fosse
ABBASTANZA all'altezza dei Poldark... Demelza e Andrew ne avevano
riso, aveva modi di fare bizzarri ma che poteva permettersi, vista la
sua età e l'affetto per lei che nutriva Ross.
Quando
fu buio, Ross e Demelza chiesero di poter andare a casa da soli, a
cavallo invece che in carrozza. Avevano goduto della compagnia di chi
amavano ma ora volevano stare soli e anche un cocchiere sarebbe stato
di troppo.
Falmouth
aveva protestato ma poi, arresosi all'evidenza che non poteva imporre
il suo volere, li aveva lasciati andare ricordando però a
Ross i
suoi impegni e l'imminente partenza per Londra. "Godetevi le
nozze e al contempo lavorate sodo" - aveva intimato, prima che
gli sposini montassero a cavallo. "Demelza, mi auguro che tu gli
ricordi i suoi doveri".
"Certo,
lo farò".
Quando
furono abbastanza lontani, a ridosso delle scogliere che portavano
verso Nampara, nel buio della notte si abbracciarono e scoppiarono a
ridere. Era andata, il peggio era passato ed ora, quasi rendendosene
conto solo in quell'istante, potevano godersi le nozze. Erano
sposati!
"Da
oggi in poi ti sentirai chiamare Signora Poldark! Credi di riuscire a
farci l'abitudine?".
Demelza
appoggiò la schiena contro il petto del marito, poi prese le
redini
del cavallo. "Credo che potrei, sì...".
"Hai
perso il tuo status di lady, oggi...".
Demelza
sorrise nell'oscurità. "Oh sì! E anche
l'assicurazione a una
vita tranquilla che, con un marito come te, dubito avrò
mai!".
Lo
disse scherzando, felice. E Ross la strinse a se. "Già,
avresti
potuto sposarti con un uomo sensato come Henshawe e invece...".
"E'
già sposato e sua moglie è deliziosa! Restavi
solo tu sul
mercato!".
Ross
rise ancora, cosa così insolita per lui. "Sei felice?" -
chiese solo, alla fine.
Demelza
si rannicchiò contro di lui. "Sì, decisamente
felice!".
"Pentita?".
"Mai,
mai Ross...".
Lui
la baciò sulla nuca. "Nemmeno io, mai!".
Arrivarono
a Nampara che era tutto buio. Jud e Prudie erano stati lasciati a
bivaccare a Trenwith e di certo non avrebbero abbandonato tanto
presto le bottiglie di brandy e quindi avevano tutta la casa per
loro.
Ross
le prese la mano e la condusse in camera loro dove entrambi trovarono
la pace tanto desiderata. Lei si sedette sul letto e lui
armeggiò
alcuni minuti con la legna per accendere il camino. "E' stata
una giornata intensa".
"Sì,
succede sempre così quando ti sposi".
Ross
sorrise vagamente. "Già, tu sei più esperta".
Lei
alzò le spalle. "Sì e no! Il matrimonio con Hugh
fu diverso,
molto intimo. Ricordo solo che ero tesa e mi sentivo come... come se
fossi finita in una cascata e l'acqua mi sballottasse ovunque".
"Eri
poco più che una bambina".
Demelza
annuì. "Avevo paura, sai? Non credo di essere stata molto
consapevole di cosa significasse essere una moglie. Ricordo quella
notte come qualcosa di strano, doloroso e necessario. Ma non bello,
non come dovrebbe essere".
"Eri
una bambina..." - ripeté lui che per un attimo
trovò uno
strano sentimento di protezione verso la ragazzina che era stata e il
mondo in cui si era trovata catapultata. "Ora hai paura?".
Demelza
scosse la testa. "Ora sono a casa, mi sento a casa!".
Ross
lasciò il camino e si avvicinò a lei. Dolcemente
le prese il viso
fra le mani, la baciò e la costrinse ad alzarsi in piedi.
"Questo
abito è decisamente bello e ti sta bene ma è da
quando eravamo in
Chiesa che desidero togliertelo".
Demelza
rise. "Buono a sapersi".
"Credo
di aver intenzione di far l'amore con te tutta notte e di non farti
dormire".
"Ottima
idea! Ma ricordati che ogni tanto dovrai lavorare o Falmouth ti
chiuderà in una cantina per riportarti ai tuoi doveri! E io
ho i
miei... Potrò continuare ad insegnare a scuola, vero?".
Ross
le accarezzò i capelli. "Potrai fare ciò che
vorrai anche se
mi auguro che non ti ammazzi di lavoro al posto di Prudie. Tu sei la
signora e lei la serva!".
"Ma
io adoro cucinare".
"E
io non ti impedirò di farlo! Ma non voglio che ti stanchi,
soprattutto quando...". Le sfiorò il grembo, così
liscio e
piatto da sembrare ancora quello di una bimba... "Se e quando
succederà, voglio che pensi soprattutto a nostro figlio".
"Lo
farò... Ma perché arrivi, credo che sia un'ottima
idea quella che
hai avuto circa questa notte" - gli rispose, maliziosa e
divertita.
"Mi
fa piacere che tu la prenda così" - sussurrò,
baciandola sul
collo e prendendola in parola subito.
"Non
sei emozionato, Ross?".
Lui
alzò brevemente lo sguardo. "Non è la prima volta
che facciamo
l'amore" - le fece notare.
"Ma
è la prima volta da sposati. Non dovrebbe essere diverso?".
Ross
sorrise e poi tornò a baciarla sulle labbra. "Sì,
in fondo è
diverso" - mormorò prima di sciogliere il nastro che le
stringeva la vita, spogliarla e adagiarla sul letto per farla ancora
sua.
...
Nell'elegante
dimora dei Warleggan a Truro, George raggiunse Elizabeth in camera.
Era stata di cattivo umore e taciturna tutto il giorno ma si
rifiutava di credere che fosse a causa del matrimonio di Poldark. Non
poteva essere, ora Elizabeth era sua moglie e lui non avrebbe gradito
alcun pensiero in proposito e questo lei lo sapeva.
"Alla
fine la piccola figlia di minatori ha calato le sue pretese e si
è
sposata uno squattrinato!" - disse, cercando di sondare il
terreno mentre si metteva a letto accanto a lei. "Dopo tutto i
Boscawen non erano famiglia per quella donna".
Elizabeth,
fingendo di non capire e attenta a non cadere in alcun tranello,
trattenne a stento il nervosismo. "Di chi parli?".
"Di
Ross Poldark e della sguattera! Il matrimonio era oggi... Certo, i
Poldark sono una famiglia antica ma in rovina, ma per la fanciulla si
tratta comunque di un matrimonio ancora una volta conveniente anche
se meno del primo".
"La
Grace pare essere in attivo e fonte di guadagni" - fece notare
Elizabeth con astio, sapendo di toccare un nervo scoperto per George.
Lui
si stizzì. "Guadagni temporanei, non credere che
durerà. Ma
lei ha finalmente perso il suo status di lady quanto meno e il mondo
inizia di nuovo a girare con un senso. Sei d'accordo, mia cara?".
Elizabeth
aspettò prima di rispondere perché mezza parola
falsa le sarebbe
costata una lunga discussione con George e per esperienza, sapeva che
sarebbe stato meglio evitare. Era arrabbiata, sì! Con Ross e
con
Demelza perché alla fine avevano raggiunto qualcosa che lei
non
avrebbe mai avuto... Era stata usata, Ross le aveva imposto
qualcosa di compromettente e poi non si era preso alcuna
responsabilità e ora, ora... Ora era la moglie di George
però e con
lui doveva andare d'accordo e vivere serenamente la vita che si era
scelta. "Sì, sono d'accordo" - rispose quindi, chiudendo
ogni discussione con lui.
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Capitolo 42 *** Capitolo quarantadue ***
I
primi mesi di matrimonio furono appassionati, felici, frenetici. Dopo
tre settimane dal loro sì, da signore
e signora
Poldark erano partiti per Londra con Lord Falmouth per partecipare
alle sessioni estive del Parlamento dove Ross aveva scoperto, con
piacevole sorpresa, che amava discutere, portare avanti le sue idee e
cercare di abbattere le opposizioni che cercavano di opporsi al suo
pensiero. Non
l'avrebbe mai detto ma litigare a Westminster era qualcosa di
decisamente elettrizzante e per nulla noioso per un carattere
indomito come il suo.
Lui
e Demelza avevano declinato l'invito di Falmouth di alloggiare alla
dimora dei Boscawen e avevano scelto di andare a vivere in un piccolo
alloggio in affitto in centro, a pochi passi da Westminster, un
appartamento modesto ma elegante e decoroso e soprattutto, solo loro.
Demelza voleva vivere il suo matrimonio senza ombre del passato ed
era stata soprattutto lei a desiderare quell'alloggio al posto della
comoda dimora dei Boscawen che però sarebbe stata il fulcro
di tanti
ricordi vissuti nel matrimonio con Hugh. Non era giusta,
non sarebbe stato giusta
né nei confronti di Hugh né nei confronti di Ross
quella scelta e
Falmouth alla fine aveva capito le sue motivazioni e le aveva
accettate senza fare storie.
Demelza
trovava divertente come Ross cercasse di minimizzare il suo ruolo in
Parlamento e il divertimento che sperimentava nelle varie sedute e
ora capiva perché Falmouth lo avesse voluto al suo fianco.
Suo
marito era appassionato, indomabile, mai arrendevole e la passione
che metteva in tutto ciò che faceva di certo gli avrebbe
fruttato
qualche nemico a Westminster ma sicuramente anche parecchi amici
attratti dal suo indiscutibile carisma.
La
domenica pranzavano da Falmouth e dopo, nel pomeriggio, passavano ore
a cavallo nella campagna fuori dalla capitale oppure passeggiavano in
centro dove Demelza mostrava a Ross le bellezze di Londra che aveva
imparato a conoscere negli anni.
Erano
felici, entrambi... Il futuro sembrava finalmente roseo, il passato
cancellato e accantonato ed ora potevano godere di nuove sfide a
Londra e di una miniera attiva e florida in Cornovaglia.
A
fine settembre tornarono a Nampara per delle incombenze burocratiche
relative alla Wheal Grace, con la promessa di Falmouth di
raggiungerli in tempo per il matrimonio di Verity e del Capitano
Blamey e del Natale, per poi ripartire insieme verso Londra a
gennaio.
Tornati
a casa trovarono Nampara lucida e splendente, cosa che Ross non aveva
dato affatto per scontata visto che era stata lasciata in mano a Jud
e Prudie. Ma i servi si erano affezionati alla loro nuova padrona che
era gentile e spesso lavorava al loro fianco e
con Demelza
avevano trovato una nuova dimensione in quella famiglia appena
formata. E anche Ross, ora decisamente più sereno, era
diventato un
padrone più gestibile da servire, per due pigri come loro.
A
casa Ross riprese come se niente fosse il suo lavoro in miniera, con
la sola differenza che al mattino vi si recava più tardi e
preferiva
attardarsi a letto con sua moglie che poi lo raggiungeva per pranzo e
quando faceva lezioni ai suoi piccoli allievi.
Fu
verso la metà di ottobre che Demelza iniziò a
sentirsi strana. Al
mattino si svegliava con una leggera nausea che spariva solo
mangiando del pane secco e in alcune occasioni aveva avvertito forti
vertigini che l'avevano costretta ad appoggiarsi alla parete per non
cadere a terra. Inizialmente preoccupata per quel malessere che mai
aveva avvertito, fu solo dopo una settimana che realizzò che
qualcosa che credeva le fosse negato, in realtà stava
avvenendo...
Quando
lo realizzò stava strigliando il suo cavallo e nel
rendersene conto
rimase senza fiato, con la mano sul ventre per lunghi minuti, seduta
a terra nella paglia della stalla con accanto Garrick accovacciato
sui suoi piedi...
Un
bambino... Lei,
proprio lei? Una
speranza che con Hugh le era stata preclusa ma che con Ross stava
diventando una realtà, con un pizzico di fortuna. Era
sposata con un
uomo che amava, da cui era unita da una passione bruciante che li
spingeva ad amarsi notte dopo notte senza essere mai sazi l'uno
dell'altra e quello stato di cose era la naturale conseguenza,
eppure ancora non riusciva a crederci che forse stava accadendo per
davvero.
Sapeva che sarebbe potuto succedere ma aveva avuto da sempre il
terrore di sperarci, di crederci... "Giuda, Garrick... " -
sussurrò al cane che era stato suo compagno di giochi da
bambina e
che l'aveva vista crescere. Anche Sun sbucò dal fieno e
forse
rendendosi conto della sua agitazione, le andò vicino
strofinandosi
sulle sue gambe.
Calde
lacrime di gioia e d'emozione presero a rigarle le guance e in breve
si trovò a piangere come una bambina
fra la paglia, abbracciata ai suoi animali.
Ma non erano lacrime di disperazione, erano lacrime di gioia...
Rimase
sola coi suoi cuccioli
per un paio d'ore mentre in casa Jud e Prudie dormicchiavano sul
tavolo e Ross era indaffarato in miniera. Alla fine, infreddolita
ma rimessasi in sesto dall'agitazione,
rientrò in cucina e con Garrick e Sun si mise davanti al
camino
acceso. L'inverno incalzava e iniziava a fare seriamente freddo...
La
sua mente frenetica iniziò a pensare al da farsi. Era
ottobre e il bambino, presumibilmente sarebbe nato a maggio. E lei e
Ross sarebbero dovuti ripartire per Londra a gennaio ma a quel punto
la sua gravidanza sarebbe stata avanzata e un viaggio lungo in
carrozza sarebbe stato pericoloso nel suo stato. E Ross? Lui sarebbe
stato felicissimo di quel figlio, già immaginava la sua
faccia
quando lo avrebbe saputo ma proprio per questo... E se avesse scelto
di non partire più? E se avesse scelto di lasciare la
politica
per rimanere?
E se avesse scelto di rescindere la sua alleanza con Falmouth?
Demelza
scosse la testa, non voleva nulla di tutto questo perché
Ross era
fatto per la politica, amava quell'ambiente e lo trovava stimolante
ed inoltre... chi meglio di lui avrebbe potuto far del bene per le
nuove generazioni che stavano venendo al mondo? E lei, lei come
doveva fare per convincerlo a partire, nonostante tutto? Sapeva di
volerlo accanto in
quel momento tanto speciale ma
sapeva anche che certe cose andavano fatte a prescindere ed era
pronta a stare anche da sola per un pò per un bene
superiore. Ma
come convincere Ross della stessa cosa?
Sospirando,
accarezzò il mantello di Garrick e decise di rimuginarci
sopra
ancora qualche giorno per trovare le parole giuste da dire al
marito... Da queste, dipendeva il futuro di Ross e della loro
famiglia e il rapporto con Falmouth. "Sarà un nostro
segreto,
d'accordo?" - sussurrò al suo cane e al suo gatto che,
sonnecchiosi, di certo non potevano capire a fondo le sue
preoccupazioni. Si accarezzò il ventre, ancora, in quel
momento. In
fondo la cosa più importante era che lui o lei stesse bene e
di
questo era certa. Sarebbe stato tutto perfetto.
...
Nei
giorni successivi Demelza rimase sulle sue, facendo finta di nulla.
Ross era distratto ma entusiasta dalla scoperta di un nuovo filone di
rame piuttosto ricco, i bambini della scuola venivano a fare lezione
a Nampara ora che faceva freddo, Jud e Prudie sembravano più
operosi
del solito e Garrick e Sun continuavano ad andare quasi d'accordo...
Di
tanto in tanto, da sola, Demelza si accarezzava il ventre ancora
piatto e rimuginava su come dare la notizia a Ros e cercava di
immaginare come sarebbe stato quel bambino, le sue somiglianze, il
nome, tutto... La nausea però non le dava tregua e a volte
era
davvero difficile far finta di niente, soprattutto con Prudie che
aveva preso a guardarla con sguardo interrogativo.
Una
mattina, mentre erano sole in cucina ad impastare il pane e Jud era
stato spedito al mercato, la serva la osservò di sottecchi,
le tolse
l'impasto dalle mani e lo picchiò con forza sul tavolo. "E
allora ragazza, quando lo dirai?".
"Cosa?"
- chiese Demelza, stupita da quella strana interruzione. Prudie era
una domestica bizzarra e fannullona ma in quei primi mesi di
matrimonio si era accorta di quanto tenesse a Ross, del suo ruolo in
quella casa e di come conoscesse bene tutto ciò che vi
avveniva. Lei
e Jud erano lì fin da quando Ross era bambino, lo avevano
cresciuto
dopo che sua madre era morta e suo padre si era perso nel suo ricordo
inseguendo amanti ed amori effimeri e anche se era pigra, poco
istruita e di certo fuori dai comuni canoni in cui si doveva
riflettere la figura di una brava domestica, amava quella casa e i
suoi abitanti.
Prudie
sbuffò. "Del marmocchio... E non negarlo, son nata ben prima
di
te!".
Demelza,
presa in contropiede, entrò in allarme. Come aveva fatto a
capirlo?
Come diavolo ci era riuscita? Sembrava ubriaca la maggior parte del
giorno, lei non si era fatta scappare nulla e invece... "Come lo
hai capito?".
"Sei
bianca come un cencio, al mattino non mangi, a volte stai male di
stomaco. O sei malata o sei incinta... E visto che sei sposata col
signor Ross e lui è un tipo piuttosto focoso, propendo per
la
seconda ipotesi...".
Arresasi
all'evidenza, Demelza si sedette sulla sedia. "Non dire nulla,
per ora".
"Perché?".
"Perché
Ross ha molti impegni e non vorrei che questo... lo frenasse...".
Prudie
scoppiò a ridere. "Ragazza, gli uomini si accorgono di poche
cose a meno che non gliele sbatti sotto il naso ma ti assicuro che il
signor Ross un pancione a un certo punto lo noterebbe. Persino Jud se
ne accorgerebbe".
Demelza
sospirò, sentendosi forse un pò ridicola. "Lo so,
sto solo
cercando il modo giusto per dirglielo senza che per questo debba
rinunciare ai suoi impegni".
Prudie
si sedette accanto a lei. "Non sei contenta?".
"Certo
che lo sono, è sempre stato il mio sogno".
La
domestica si guardò attorno, osservando le pareti, i mobili,
le
stoviglie e il mazzo di fiori che ornava il tavolo, meditando sul
passato e riflettendo sul futuro di quella casa e di quella famiglia.
"Sai, quando il signor Ross tornò dalla guerra, la casa era
un
disastro. Certo, era impensabile che io e Jud senza una guida
portassimo avanti tutto il lavoro ma... ehm... a parte questo e quel
pochetto di disordine che c'era... a parte la casa che era un
pò da
pulire, lui era solo. Suo padre era morto come sua madre e suo
fratello, la ragazza che amava era promessa in sposa al cugino e il
suo ritorno era stato preso, da gran parte dei parenti di Trenwith,
come una scocciatura. Ora ci sei tu, siete diventati una famiglia e
lui è contento. Non negargli la gioia di una notizia del
genere, la
merita dopo tutto. E anche tu, di vivere questo momento insieme a
lui".
Demelza
le sorrise, le prese le mani e gliele strinse. Prudie era spesso
brusca, poco ortodossa nei modi ma a volte assumeva quel ruolo di
madre che mancava a Nampara e di cui forse lei e Ross avevano ancora
bisogno... "E i suoi impegni a Londra?".
"Oh,
in qualche modo si farà!".
Sembrava
tanto facile, detto da lei, riuscire a far incastrare tutto... "E
quindi, cosa dovrei fare?".
La
domestica le indicò la porta. "Vai alla miniera, portagli
del
pane caldo e diglielo! Sarà felice!".
Demelza
sorrise. "E tu? Sei felice?".
Prudie
alzò le spalle. "Oh, mi porterai un aumento di lavoro,
ragazza!
I marmocchi sono così impegnativi e
amano così tanto strillare che
impazzirò! Ma
lo tollererò! E
speriamo assomigli a te e non abbia il caratteraccio del padre".
Rise,
di cuore a quella battuta. Poi prese il pane caldo, lo mise in un
cesto e senza dire altro, si avviò alla miniera.
...
Quando
giunse alla Wheal Grace, c'era un laborioso via-vai di minatori
che andavano
e
venivano
dalla miniera carichi di materiale.
Il
giorno era ventoso e grigio, faceva freddo ma l'atmosfera sembrava
felice e movimentata e il morale era alto fra i lavoratori.
Henshawe,
assieme a Dwight, quando la vide la raggiunse con un ampio sorriso.
"Signora Poldark, è sempre bello vedervi quì.
Oggi non c'è
scuola, cosa vi porta da queste parti?".
Gli
mostrò il cesto col pane. "Ne sto cuocendo un pò,
ve ne
porterò altri nel pomeriggio. Oggi però volevo
pranzare assieme a
Ross in spiaggia".
Sentendo
la sua voce, dall'ufficio,
Ross fece capolino spuntando dalla finestra. "Demelza!".
Lo
salutò con un cenno della mano. "Sbrigati, sono affamata! Ti
va
di fare due passi in spiaggia?".
Ross
le sorrise e in un attimo fu da lei. "Sta per diluviare, che ti
è saltato in mente?" - borbottò, prendendola per
la vita e
stringendola a se mentre Henshawe e Dwight si allontanavano
ridendosela sotto i baffi per il modo in cui quel burbero cambiava
quando sua moglie era nei paraggi.
Lei,
biricchina, lo guardò divertita, chiedendosi che faccia
avrebbe
fatto quando glielo avrebbe detto... Stava per cambiare tutto, TUTTO
nella loro vita e il racconto di Prudie, la sua solitudine, il dolore
che doveva aver provato quando era tornato dalla guerra la rendevano
ancora più desiderosa di renderlo felice. "Credi che una
monella della Cornovaglia possa avere paura di un pò di
pioggia o
vento?".
Ross
si finse rammaricato. "E io che pensavo di aver sposato una
svenevole damina delicata...".
Scherzosamente,
gli diede un buffetto sul petto. "Andiamo in spiaggia a fare due
passi?". La spiaggia, dove avevano fatto l'amore per la prima
volta e dove avrebbero compiuto i loro primi passi da famiglia.
Non c'era posto migliore per dire a Ross che presto sarebbe diventato
padre.
Ross
la prese per mano. "Agli ordini, amore mio".
Si
incamminarono verso il diradamento che portava alla spiaggia e una
volta lì, fra le rocce, si trovarono un posto tranquillo e
riparato
dai venti dove sedersi. Demelza si accoccoltò accanto a suo
marito,
poggiandogli la testa sulla spalla.
Ross
le cinse la vita con un braccio e con l'altro prese una pagnotta,
addentandola di gusto. "Lo hai fatto tu, vero? Voglio dire, un
pane del genere non può essere opera di Prudie...".
Demelza
rise. "Mi ha aiutata...".
"Mi
viene difficile crederlo..." - le rispose, vago. Poi frugò
nelle sue tasche, togliendone un piccolo estratto di roccia
proveniente dalla Wheal Grace. "Guarda!".
Demelza
prese il frammento e lo analizzò con sguardo critico. "Wow,
rame! E di ottima qualità!".
Ross
annuì. "Esatto! Proviene dal filone appena scoperto e se
tutto
andrà come prevedo, a breve incrementerò non solo
gli utili ma
potrò anche assumere nuovi minatori per l'estrazione. E
pensare che
se non fosse per te, questa miniera ora sarebbe chiusa...".
Demelza
lo abbracciò. "Oh, sono certa che prima o poi l'avresti
riaperta comunque. Sei troppo testardo per lasciar perdere...".
"Ne
sei certa?".
"Oh,
ho imparato a conoscerti bene in questi mesi. In buona parte su
questa spiaggia" - concluse, maliziosa.
Ripensando
alla loro prima volta, Ross le sorrise dolcemente, baciandola sulla
fronte. "E già...".
Demelza
rispose al sorriso e capì che era giunto il momento e che
sapeva
come fare il suo annuncio. "Ricordi?
Quel
giorno dicesti che avresti raccontato ai nostri figli di noi due
quì,
di come ci siamo amati".
Ross
rise. "Oh, hai minacciato di picchiarmi per questo!".
Lo
osservò negli occhi, si avvicinò a lui e lo
baciò sulle labbra.
"Sai, credo che quest'estate in fondo, se ti concedessi il
permesso, potresti anche farlo".
Ross
spalancò gli occhi. "Cosa?".
"Raccontare
a nostro figlio di noi...".
Quelle
parole ebbero l'effetto di un terremoto e dopo di esse calò
un lungo silenzio in cui Ross rimase immobile, quasi senza respirare
e con una espressione da ebete sul viso. Ci vollero parecchi secondi
prima che incamerasse l'informazione, la elaborasse e la facesse sua
comprendendone la portata. "De... Demelza?".
"Sì
Ross...".
Santo
cielo, pensò Ross, sta succedendo davvero? E come
avvenne per il loro primo bacio dopo la scoperta del rame nella
miniera, Ross scoppiò a ridere e poi la baciò,
appassionatamente,
stringendola a se. "Ne sei sicura?".
"Sì,
assolutamente. Da qualche giorno!".
Lui
la abbracciò di nuovo, felice come forse non era mai stato.
O come
lo era stato solo da quando conosceva lei... Lei, che gli aveva
ridato speranza, fiducia, vita... E che gli aveva insegnato cosa
fosse davvero l'amore. La sua stella, la sua rivalsa verso un mondo
che spesso nei suoi confronti si era dimostrato impietoso e cattivo.
"Stai bene?" - le chiese, appoggiando la fronte sulla sua.
"Sì,
a parte qualche nausea".
"Perché
non me lo hai detto subito?".
"Non
sapevo come dirtelo, come fare, come organizzare tutto coi tuoi
impegni a Londra".
Ross
si fece serio,
comprendendo appieno l'origine delle sue ansie.
"Non andrò a Londra senza di te. E
non
andrò a Londra lasciandoti quì da sola, incinta".
Demelza
sospirò, ecco cosa temeva! "Ross...".
"Ross,
niente!".
Gli
accarezzò la guancia, percorrendo la sottile linea della sua
cicatrice che lo rendeva ancora più affascinante. "Partirai
a
gennaio e potrai stare lì alcuni mesi con
tranquillità. Non
partorirò prima di maggio e per allora potrai tornare dopo
aver
fatto il tuo dovere. Sei un parlamentare e hai delle
responsabilità
e sono certa che Falmouth non avrà nulla in contrario se
tornerai a
tarda primavera, un pò prima del termine delle sessioni del
primo semestre dell'anno.
Un lungo viaggio a gennaio per me sarebbe sconsigliato ma tu devi
andare".
"Non
ti lascio sola!" - rispose, rendendosi conto che il discorso di
Demelza era ragionevole ma non vi voleva sottostare. Al diavolo
Westminster e il Parlamento!
Pacatamente,
lei gli prese la mano. "Ross, invece lo farai. Per me e per tuo
figlio soprattutto".
"In
che senso?".
Demelza
sorrise. "In Parlamento non si progetta il futuro? Non si
cercano soluzioni per dare a tutti una vita migliore? Non si
costruisce il mondo dove vivranno le nuove generazioni?".
"Beh,
così dovrebbe essere..." - rispose Ross, incerto. "Ma per
alcuni è solo un luogo ambito dove
ottenere
potere".
"Ma
non per te, Ross. Tu ci credi, tu lotti perché il mondo sia
un posto
migliore e nostro figlio e i bambini che nasceranno, avranno bisogno
di persone come te che combattano per il loro futuro".
Ross
abbassò lo sguardo, sconfitto dalla logica di sua moglie.
Essere padre non voleva dire soprattutto questo? E lui voleva essere
padre, un padre migliore di quello che aveva avuto e di quello
capitato in sorte a Demelza. E i genitori sanno anche sacrificarsi,
per i figli...
"Non voglio lasciarti sola".
Demelza
gli strinse la mano che teneva fra le sue. "Non sarò sola,
ci
saranno Prudie, Jud, Verity, zia Agatha e il tuo amico Dwight.
Avrò
tutto ciò di cui ho bisogno mentre sarai via e
starò bene. Giurò
che filerà tutto liscio e che a maggio avrai un bambino
forte e
sano".
"Davvero
credi che dovrei partire?" - domandò lui, ancora incerto e
disperato dall'idea di separasi da lei.
"Lo
credo".
La
baciò dolcemente sulla labbra,
sottostando alla logica e al desiderio di sua moglie.
"Lo farò, allora. Per te e per lui o lei... Ma
tornerò appena
possibile, ben prima di maggio. Falmouth se ne farà una
ragione".
"D'accordo".
Demelza sorrise e lo abbracciò. "Sono felice, era il mio
sogno
e tu lo hai realizzato".
Ross
sentì gli occhi pungergli
e raramente gli era capitato di essere commosso.
Ma dannazione, non si ricevevano tutti i giorni notizie del genere!
"E tu hai realizzato molti dei miei"
- sussurrò fra i suoi capelli.
Si
baciarono, col mare che si infrangeva sugli scogli e un cielo plumbeo
che però appariva carico di speranze per il futuro,
con la mano di Ross poggiata protettivamente sul ventre ancora piatto
della sua donna.
"Hai
freddo?" - le
chiese,
mettendole il suo mantello sulle spalle.
"Non
molto".
"Riguardati
e non stancarti! Ora e soprattutto quando non ci sarò!
Partirò
perché tu me lo stai chiedendo ma devi a tua volta
promettermi che
ti prenderai cura di te stessa e non ti stancherai".
"Prometto!
In fondo l'unica cosa che abbiamo da fare un pò impegnativa
è...".
Capendo
a cosa alludesse, Ross alzò gli occhi al cielo. "No ti
prego,
non rovinarmi questo momento ricordandomi del sarto!".
Demelza
rise, allegra. "Amore mio, tua cugina si sposa fra poco più
di
un mese e non hai un abito adatto per l'occasione. Il signor Pickitt
è un ottimo sarto e Falmouth si serve da lui da anni".
Ross
allargò le braccia. "Questi abiti non vanno bene? O quelli
che
ho a casa?".
"Ross!"
- lo rimbrottò. "Domani andremo dal sarto
a costo di portartici con la forza e
credo tu non possa avere scampo! E
poi dovrò
farmi fare un abito adatto pure io, forse fra un mese non
avrò lo
stesso fisico di ora".
Sbuffando,
Ross la strinse a se di nuovo. "Sarai bellissima a prescindere".
"Grassa
come Prudie?".
Ross
rise. "Non fra un mese...".
Lo
colpì scherzosamente sul petto. "E fra sei mesi?".
Ross
rise di nuovo. "Forse fra sei mesi potresti chiederle in
prestito i suoi abiti e ti andrebbero a pennello".
Risero,
insieme, come spesso facevano quando scherzosamente chiacchieravano
su quella spiaggia o a letto, a casa loro.
Era il lato più bello del loro rapporto quello di scherzare,
dell'ironia, del saper ridere insieme delle piccole cose e delle
piccole schermaglie fra loro.
Il
futuro era roseo, felice. E su quella spiaggia a breve avrebbe
giocato un bambino o una bambina coi loro sguardi, colori,
espressioni. La vita vinceva, sempre, come la speranza. E loro ne
erano la dimostrazione vivente.
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Capitolo 43 *** Capitolo quarantatre ***
"Oh
Demelza, non so davvero come ringraziarti! Se non fossi quì,
ora
starei morendo d'ansia!" - esclamò Verity, vestita con il
suo
abito da sposa, davanti allo specchio, a pochi minuti dall'inizio
della cerimonia che l'avrebbe resa la signora Blamey.
Nella
sua camera da letto di Trenwith, circondata da stoffe, trine e
merletti, Demelza le finì di accomodare il velo. Era
deliziosa e il
suo abito da sposa, semplice e senza eccessivi fronzoli, sembrava
fatto apposta per esaltarne la figura gentile e i lineamenti
particolari. "Oh, non dirlo nemmeno! Sono io a dover ringraziare
te!" - esclamò, nel suo vestito color verde marino legato
alto
in vita e con una gonna morbida che correva lungo le sue gambe.
"Me?
Di cosa dovresti ringraziarmi?" - chiese Verity, stupita.
Demelza
si accarezzò il ventre che ormai stava diventando un
pò più
evidente. Da quando un mese prima aveva dato la notizia a Ross, era
come se il suo bambino avesse preso la rincorsa per crescere in
fretta e mostrarsi al mondo. "Di sposarti adesso e non fra due
mesi in modo da potermi permettere di presenziare con forme ancora
umane. In primavera sarei stata più simile a un orsa grassa
che a
una donna".
Verity
rise. "Oh, sciocchina! Sei così bella e lo sarai fino a
maggio".
"Sarò
grassa".
"Sarai
incinta, che è diverso. E Ross ti adora!". Verity
osservò
verso la porta chiusa che portava al corridoio e poi alle scale. "A
proposito, sei riuscita a fargli indossare un perfetto e austero
abito elegante! Come hai fatto? E' sempre stato restio a questo
genere di cose, odia le convenzioni e odia i vestiti troppo
elaborati".
Demelza
sospirò. "Oh, è stata una lotta, non credere! Ma
avevo dalla
mia parte un'arma segreta e ha dovuto soccombere".
"Quale
arma segreta?".
Demelza
si accarezzò il ventre,
poi fece un sorrisetto furbo.
"A una donna incinta non si dice mai di no! E poi avevo preso
appuntamento col sarto senza dirgli nulla e l'ho messo davanti al
fatto compiuto. Ha borbottato per alcuni giorni ma poi quando lo ha
trovato nel nostro salotto pronto a prendergli le misure, non ha
potuto cacciarlo via.
Ed inoltre gli ho ricordato che ti adora e che per te avrebbe dovuto
fare questo ed altro e questa motivazione ha fiaccato ogni sua
protesta residua".
Verity
rise. "Lo hai davvero cambiato! Nessuno saprebbe ottenere gli
stessi risultati con lui
con tanta grazia ed eleganza".
Demelza
le strizzò l'occhio. "Il matrimonio è fatto di
compromessi! Lo
imparerai a breve anche tu".
Quasi
ricordandosi in quell'istante di quel 'piccolo particolare',
che stava per sposarsi, Verity entrò di nuovo in agitazione
e
divenne rossa come un peperone. "Santo cielo, mi tremano le
gambe!".
"Andrà
bene".
La
sposa sospirò. "Sì, Andrew è un uomo
meraviglioso! Ma sarò
all'altezza?".
"Lo
sarai".
"E
i suoi figli? Quelli nati dal suo primo matrimonio?".
"Ti
adoreranno".
"Sicura?".
Demelza
annuì, poi riprese a sistemarle il vestito. "Sicura,
non si può non amarti alla follia".
Si
guardarono negli occhi e poi Verity la abbracciò
come si abbraccia una sorella o una migliore amica.
"Saremo una grande famiglia da oggi in poi
e sarà tutto bellissimo. Oggi il mio matrimonio, fra qualche
settimane il Natale tutti insieme e poi un nuovo promettente anno
pieno di belle novità.
Vorrei solo che Francis fosse quì
e sarebbe tutto perfetto".
Demelza
la strinse a se,
commossa.
"C'è, sono certa che da qualche parte lui c'è ed
è felice per
te".
"Speriamo"
- mormorò Verity
con gli occhi lucidi.
"E speriamo che la cerimonia sia bella e proceda senza intoppi.
Ho così paura che Ross e George...".
L'espressione
di Demelza si fece meno solare. George Warleggan ed Elizabeth avevano
accettato l'invito alle nozze e sarebbero stati in Chiesa e al
rinfresco ed in effetti aveva timore pure lei che qualche scintilla
sarebbe potuta
volare
fra suo marito e il suo eterno nemico e rivale, ma soprattutto temeva
la figura di Elizabeth che non vedeva da molto e il cui ultimo
incontro era stato infido e per nulla piacevole. Ma era un giorno di
festa e non avrebbe permesso a nulla e a nessuno di rovinare a Verity
il momento più atteso della sua vita ed era certa che lei e
Ross
sarebbero stati all'altezza di questo proponimento. "Ross non
ha motivo di attaccar briga con George e nemmeno di rivolgergli la
parola. Si ignoreranno, semplicemente...".
"Speriamo"
- disse Verity, prendendo un profondo respiro.
"So che per voi la loro presenza è complicata, ma non potevo
non invitarli.
"Non
devi giustificarti, è il tuo giorno e devi avere accanto chi
vuoi,
senza pensare agli altri". Demelza
le
sorrise, cercando così di rassicurarla.
I Warleggan partecipavano al matrimonio perché era un evento
mondano
che vedeva coinvolte due famiglie potenti e quindi di certo non
avrebbero dato scandalo, ma visti i trascorsi e i sentimenti in
gioco, sperava ardentemente che il passato non venisse a bussare alle
loro menti troppo prepotentemente. Voleva solo serenità per
gli
sposi e per se stessa e suo marito e si auspicava che soprattutto
Elizabeth desiderasse le stesse cose per l'affetto che l'aveva unita
a Verity
e per preservare la posizione sociale ed economica acquisita sposando
un Warleggan.
...
La
voce di Verity tremava mentre rispondeva alle domande di rito che il
Reverendo Halse le porgeva e anche il Capitano Blamey, impettito nel
suo elegante completo di capitano di vascello pareva parecchio
emozionato ed impacciato nel tono di voce. I suoi figli, due ragazzi
ormai quasi adulti, un maschio ed una femmina, stavano alla prima
panca dietro gli sposi, lui con gli occhi lucidi e lei forse con
l’espressione perplessa e spaventata di chi sa che
dovrà
affrontare grandi cambiamenti.
E
tutti attorno, i vari parenti degli sposi e i più intimi
amici di
famiglia.
Con
spocchia, George Warleggan aveva sgomitato per occupare i primi
banchi anche se non era parente diretto di nessuno degli sposi ed
ora, col suo elegante completo rosso porpora, accanto ad una
elegantissima e glaciale Elizabeth vestita in blu, osservava con
baldanza la cerimonia guardandosi in giro ogni tanto, di sottecchi,
per controllare che qualcuno degli invitati lo osservasse con
riverenza.
Seduto
accanto a sua moglie nelle file centrali, apparentemente annoiato,
Ross si allentò il colletto della camicia. “Mi sta
strozzando” –
borbottò, seduto fra Demelza e Lord Falmouth.
“Ross,
smettila!” – lo richiamò
all’ordine Demelza – “Non sei un
bambino”.
“Ma
mi strozza lo stesso! Quanto durerà?”.
Falmouth
sospirò. “Tutto il giorno, se comprendiamo anche
il banchetto a
Trenwith. E il mio sarto fa ottime e comode camicie, per la
cronaca”.
“Vorrei
essere del vostro stesso avviso” –
mormorò Ross, non troppo a
bassa voce.
Falmouth
alzò gli occhi al cielo chiedendosi quanto ci avrebbe messo
ad
addomesticarlo e soprattutto, se ci fosse riuscito. Fare di Ross
Poldark un lord o qualcosa di simile si stava rivelando la
più
grande sfida della sua vita… Osservò poi gli
sposi che,
impacciati, proseguivano nella loro cerimonia. “Comunque di
questo
passo, a furia di balbettìì, temo che
sarà lunga. Ma le cose vanno
come devono andare dopo tutto”.
“In
che senso?” – chiesero Ross e Demelza.
“Nemmeno
questa sposa è incinta oggi!”.
Ross
ridacchiò. “Oh, il capitano Blamey è un
signore e mia cugina una
donna dedita alle regole e alle buone maniere”.
Falmouth
scosse la testa. “Ma davanti all’amore a volte si
perde il
raziocinio” – commentò, guardando
Demelza e Ross in modo
eloquente. “Ma devo dire che anche voi vi siete comportati
bene e
vostro figlio nascerà quasi un anno dopo il sì
mettendo a tacere
sul nascere qualsiasi voce su un vostro EVENTUALE comportamento
sconsiderato”.
Ross
ridacchiò, pronto a sfidarlo in una singolar tenzone come
spesso
facevano su argomenti su cui non erano d’accordo.
“In questo caso
non si è trattato di bravura ma di fortuna”.
“ROSS!!!”
– lo richiamò Demelza, all’ordine,
fulminandolo con lo sguardo
completamente rossa in viso.
Falmouth
non gli diede spago e fece finta di non capire
quell’allusione.
“L’importante è il risultato e mi sembra
ottimo”.
Incurante
di quel simpatico battibecco, Verity e Andrew Blamey dissero il loro
sì e il Reverendo Halse li dichiarò marito e
moglie.
Ross
nella penombra della Chiesa sorrise. Era così felice per
Verity e
per la luce che il suo matrimonio e l’arrivo di Demelza
avevano
portato alla famiglia. Prese la mano di sua moglie e la strinse e
Demelza ricambiò. “Sono emozionata per
lei” – mormorò
Demelza.
Ross
la guardò. “Dopo tanto buio e disgrazie sai,
stranamente mi sento
ottimista per il futuro! Il nuovo anno porterà gioia come
non se ne
vedeva in famiglia da tanto”.
Demelza
poggiò la testa sulla sua spalla mentre gli sposi uscivano
di
Chiesa. Sentiva su di se le occhiataccie di Elizabeth ma non le
importava, quasi non le avvertiva e non avrebbe più permesso
che la
influenzassero. E nemmeno Ross che, a dirla tutta, non solo Elizabeth
non l’aveva cercata con lo sguardo ma si era anche tenuto a
distanza da qualsiasi tipo di battibecco con George. Era felice, quel
giorno ne aveva pieno motivo.
…
Il
banchetto di Trenwith, dove ogni portata era stata scelta
appositamente da zia Agatha senza che nessuno avesse potuto metterci
becco o approntare modifiche, fu luculliano. Torte di riso, faraone
ripiene, piccioni, patate e verdure di stagione, ottimo vino, salse
di ogni genere, frutta a volontà e una grande torta di crema
e
frutta invernale avevano lasciato gli ospiti a bocca aperta, tanto
che Ross fu costretto ad ammettere che non aveva mai visto tanta
ricchezza di cibo e Falmouth dovette dargli ragione. “Pensate
Ross,
tutto questo è grazie alla mia faccia tosta e alla mia
insistenza”.
“In
che senso?”.
Il
lord sorrise, sornione. “Pensate che disastro se non avessi
insistito per farvi riaprire la miniera. Ora sareste sommerso di
debiti, la Grace potrebbe giacere chiusa ed abbandonata e Demelza
sarebbe ancora una solitaria vedova… E voi un solitario
zitello”.
Non
c’era che dire, Falmouth era dotato di uno strano senso
dell’ironia
e non aveva peli sulla lingua ed in questo erano simili! E Ross si
rese conto che stava imparando ad apprezzare i loro poco ortodossi
scambi di vedute ed anzi, a trovarli stimolanti. Gli piaceva
quell’uomo che forse solo apparentemente era diverso da lui.
Certo,
di strada da fare per raggiungere il suo acume e la sua scaltrezza ne
aveva molta da fare ma per la prima volta in vita sua – e non
gli
era successo nemmeno con suo padre – Ross percepì
di avere accanto
un maestro del saper vivere e da cui imparare. “Vi ho onorato
del
vostro aiuto facendomi vestire dal vostro diabolico sarto, non vi
basta come ringraziamento?” – chiese, ironico.
Falmouth
lo occhieggiò divertito, avvicinandosi al tavolo dei vini
mentre
tutto attorno a loro la festa si svolgeva in una allegra calca fatta
di brindisi, chiacchiere e danze.
Demelza,
che si era intrattenuta a parlare con Agatha, si avvicinò a
Ross,
prendendolo sotto braccio. “Tua zia vuole vederti ballare la
gavotta!”.
“Mia
zia e il sarto vogliono vedermi morto!”.
Falmouth
rise, lasciando gli sposi da soli per andare a chiacchierare con un
ospite. “Il ballo… Tempo perso, a meno che non sia
da viatico per
intraprendere scambi politici. Ma fate pure…”.
Ross
osservò Demelza con occhi da cucciolo. “Odio
ballare!”.
Demelza
rise. “Lo so, ho detto a tua zia che viste le mie condizioni,
sarebbe meglio evitare”.
Ross
la baciò sulle labbra. “Ti amo!”.
Lei
gli accarezzò il mento. "Ma balleremo, prima o poi? Quando
non
sarò incinta magari...".
Ross
sospirò, fingendosi affranto. "Anche se odio ballare,
balleremo... Te lo prometto".
Si
sorrisero ma una vocetta fastidiosa li raggiunse alle spalle e quando
si voltarono, si trovarono faccia a faccia con Elizabeth e George
Warleggan che li avevano seguiti fino all'angolo riparato della sala
dove si erano rifugiati per stare tranquilli.
Demelza
impallidì lievemente e d'istinto si portò la mano
sul ventre come a
voler proteggere il suo bambino, Ross serrò la mascella
chiedendosi
da quanto tempo li stessero osservando e come comportarsi in quella
strana situazione che George avrebbe potuto evitare tranquillamente,
se avesse voluto. Ma i Warleggan non erano persone che sapevano stare
al loro posto ed erano portati alla ricerca dello scontro sempre e
comunque e questo, unito al fatto che lui non era molto fortunato
quando loro erano nei paraggi, lo portava con rassegnazione a
raccogliere l'ennesima sfida anche se di suo, era preoccupato per la
presenza di Elizabeth, per quanto successo fra loro e con Demelza e
per come questo avrebbe influito su quel faccia a faccia.
"Ross..."
- iniziò George - "Siete
sfuggente oggi! Vi
rintanate
negli angoli bui della casa e questa è la dimora di
famiglia,
dovreste
essere al centro della festa" - disse, sprezzante.
Ross,
poggiando la mano sulla spalla di Demelza, esibì un grosso
sorriso.
"Il centro della festa è riservato agli sposi, io sono un
semplice astante e non amo il baccano e la mondanità. A
differenza
vostra...".
George
alzò il mento, indispettito, poi cambiò
argomento. "So che la
vostra miniera frutta rame e denaro. Dopo tanti fallimenti deve
essere un sollievo per voi non dovervi più considerare
povero.
Certo, una sola miniera attiva è poca cosa, ma d'altronde
bisogna
accontentarsi se non si hanno mezzi per ambire a miglioramenti".
"Una
sola miniera è sufficente a garantire a molti una vita
dignitosa. Ed
è un sollievo poter
dare lavoro e poter pagare stipendi decorosi ai miei minatori. Per il
resto, la povertà non mi ha mai fatto paura".
Elizabeth,
di fianco a George, sorrise freddamente a Demelza fingendo che il
loro precedente incontro non fosse mai avvenuto. "Oh mia cara,
vi trovo molto diversa da come vi ricordavo. La vostra
vita è davvero cambiata molto e vedo che avete proseguito
spedita
per raggiungere i vostri intenti"
- disse, sibillina e ancora arrabbiata per non essere riuscita a
separarla da Ross.
C'era
rabbia nel tono di voce di Elizabeth, mascherata da tante buone
maniere che però non incantavano Demelza. Quella donna aveva
fatto
molto male a Ross in passato e aveva cercato di distruggere la
felicità che con lui, lei aveva ritrovato. Non glielo
avrebbe più
permesso. "E' stato un anno intenso fatto di scelte, lacrime,
rinascita e gioia".
George
la fissò con disprezzo. "Vedo che siete in attesa... In
fondo
voi donne nate dal popolo, si dice, fate meno fatica a rimanere
incinta".
Ross,
che si era ripromesso di non rovinare la festa di Verity, lo
bloccò
cercando di mantenere le buone maniere
anche se il desiderio di prenderlo a pugni si stava facendo forte.
"Per fortuna mia, è così! Siamo molto felici e ci
aspettiamo
le vostre felicitazioni, quando il mio erede sarà nato". Lo
disse a George ma il suo sguardo si fermò brevemente anche
su
Elizabeth. Era un messaggio chiaro: aveva fatto le sue scelte, aveva
sbagliato ma ora era esattamente dove voleva essere e in fondo, anche
Elizabeth. Dovevano solo andare avanti, senza lotte e invidie
reciproche, per le loro vite. Era ancora arrabbiato per quanto lei
aveva detto a Demelza ma in fondo era stato proprio grazie a lei che
il loro amore era sbocciato diventando completo, in un giorno magico
di primavera, sulla
loro spiaggia.
George
deglutì, impacciato e irritato
e sicuramente all'oscuro delle trame passate fra i suoi tre
interlocutori. "Siete
quindi esattamente dove vorreste essere?".
Ross
strinse a se Demelza. "Esattamente, sì".
"La
vita è fatta di scelte, George. E io e Ross abbiamo solo ed
unicamente ciò che abbiamo desiderato e costruito con fatica
e
passione. Come voi, del resto..."
- aggiunse Demelza.
"Scelte...?"
- bisbigliò Elizabeth.
"Scelte"
- rispose Ross, guardandola in viso e chiudendo ogni discorso residuo
fra loro.
George
prese con
stizza la
moglie sotto braccio, facendole segno di allontanarsi. "Mia
cara, non abbiamo ancora salutato Sir Basset".
"E'
vero" - rispose Elizabeth, salutando Ross e Demelza con un
tirato inchino,
desiderosa quanto il marito di andare via.
E
quando i Warleggan furono a parecchi metri da loro, Demelza
tirò un
sospiro di sollievo. "Non lo hai preso a pugni, è un
successo".
Lui
le sorrise, stringendola a se. "Credo che i veri successi siano
altri e oggi lo abbiamo ampiamente dimostrato. Il passato è
passato,
il futuro è frutto unicamente delle nostre scelte e del
nostro
impegno".
"Nessun
rimpianto?" - chiese Demelza.
"No,
non ne avrò mai!".
Scelte...
Ognuno aveva fatto le sue e ora rimpiangerle non aveva senso. Demelza
e Ross non avevano alcun desiderio e motivo di farlo, George aveva di
fatto ottenuto tutto ciò che desiderava ed Elizabeth... Beh,
forse
lei non era mai stata capace di scegliere davvero e più che
dal
cuore, si era fatta guidare da motivi futili che ne avevano decretato
l'infelicità e l'invidia per gli altri ma ora era troppo
tardi per
tornare indietro. Tutti loro avrebbero avuto la vita che si erano
costruiti con le proprie mani e in quel momento Demelza
pensò che
l'unica cosa che voleva insegnare a suo figlio era credere in se
stesso e lottare per ciò che voleva davvero senza accettare
compromessi. Era l'unica ricetta per la felicità. "Ti amo"
- disse a Ross, baciandolo lievemente sulle labbra.
"E
io amo te! E lei..." - rispose lui, accarezzandola sulla pancia.
"Lei?".
"Lei,
sono certo che sarà una lei! E che sarà la tua
più grande rivale".
Demelza
rise, contenta. Era felice, era nel posto giusto con la persona
giusta. Il resto non importava più.
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Capitolo 44 *** Capitolo quarantaquattro ***
Era
stato un inverno molto umido, carico di pioggia, pieno di giornate
cupe e raramente serene ma Demelza era certa che lo avrebbe ricordato
come il più magico della sua vita. Il suo pancione cresceva
col
procedere
della stagione, il suo piccolo scalciava vivace e lei tutto sommato,
anche se si sentiva sempre più simile a Prudie, stava bene
ed era in
pace con se stessa e il mondo.
La
partenza di Ross per Londra l'aveva rattristata ma si era ripromessa
di essere forte e di aspettarlo tranquillamente a casa, sapendo che
la lontananza era giustificata da un fine più grande e
sicura che
sarebbe tornato quanto prima per accogliere il loro primo figlio.
Aveva
mantenuto le sue promesse ed era stata tranquilla a casa senza
sforzarsi, durante l'assenza di suo marito, dedicandosi al cucito e
al corredo per il bimbo, alla cucina, aveva preparato conserve con
Prudie e certe volte, nelle giornate serene, aveva insegnato ai suoi
piccoli allievi nel salotto di Nampara dove li accoglieva con una
fetta di torta e del succo d'arancia, cosa indispensabile per la
salute dei bambini in crescita, come le aveva detto Dwight che la
seguiva da medico passo dopo passo.
Quando
Ross era tornato, a metà aprile, il suo pancione era
evidente e si
sentiva più una orsa goffa che una donna. Aveva temuto che
Ross non
la trovasse più bella ma la prima notte insieme dopo mesi
aveva
fugato ogni suo dubbio facendole trovare col marito tenerezza,
passione e amore. Con sorpresa aveva saputo da Ross che era stato un
preoccupato Falmouth ad insistere perché tornasse a casa
quanto
prima ed ancora più sorprendente era stato scoprire che lo
stesso
lord aveva lasciato i lavori a Westminster per tornare in Cornovaglia
col suo pupillo per essere nelle vicinanze quando il bimbo fosse
nato. Si sentiva amata, molto. Da suo marito e anche da quello strano
ed austero padre improvvisato che era diventato parte importante
della famiglia che aveva creato prima con Hugh ed ora con Ross.
Aprile
passò veloce e anche la prima parte di maggio.
Ross
riprese subito a lavorare alla Grace anche se rincasava sempre sia
per pranzo sia al pomeriggio presto, evitando di stare fuori troppe
ore e quando era a casa ne approfittava per fare quei lavoretti di
manutenzione di cui Nampara aveva bisogno da fin troppo tempo e che
aveva sempre rimandato: aveva sistemato il tetto, aggiustato alcune
assi sconnesse nella stalla e tagliato legna facendone scorta per
tutto l'inverno successivo e anche l'estate, se fosse stata fresca,
in modo che suo figlio potesse sempre stare al caldo. Poi, con i
guadagni e il benessere che la Wheal Grace stava donando a lui e ai
suoi lavoranti, aveva comprato nuove sedie e nuova mobilia, abbellito
il salotto e aveva regalato una nuova spinetta a Demelza che amava
suonare per rilassarsi. E lui amava ascoltarla mentre lo faceva...
Spesso cantava per lui, la sera, una deliziosa canzone su una donna
che si punge il dito con la spina di una rosa, una canzone inno
all'amore che era dedicata solo a lui e che era diventata la colonna
sonora del loro rapporto.
Fu
nella notte fra il 24 e 25 maggio del 1788 che Demelza
iniziò ad
avvertire le prime eloquenti avvisaglie del travaglio.
Ross
si svegliò immediatamente e nel panico fece persino fatica a
vestirsi per andare a svegliare Jud e Prudie e poi correre a chiamare
Dwight. E se non fosse stato per Demelza che si era infine alzata dal
letto per aiutarlo, sarebbe uscito di casa in mutande e senza
pantaloni...
Prudie,
in camicia da notte, fu subito da lei e con ordini precisi
mandò Jud
di sotto a scaldare dell'acqua e a prendere dei panni puliti mentre
Ross usciva a cavallo a chiamare Dwight.
Garrick
e Sun, agitati per il trambusto, facevano avanti e indietro dal
salotto alla camera da letto, facendo capolino insieme coi loro
musetti, ma Demelza sentiva sempre più forti le contrazioni
e non
riusciva a dar loro retta.
Prudie
le strinse la mano. "Sai ragazza, lo ricordo quando sei venuta
quì la prima volta. Pensavo che avresti portato molti
guai...".
Stringendo
i denti, Demelza si sistemò meglio sul cuscino per cercare
di
calmare il dolore. "Oh, perfetto! E così è
stato?".
La
domestica rise. "Quella nei guai ora sembri tu!".
"Già"
- mormorò Demelza, cercando i calmare le contrazioni con
delle
carezze sul pancione. "Ma sai, lo desideravo talmente tanto".
"Lo
desideri anche adesso, col male che ti spacca in due?".
Nonostante
tutto, Demelza sorrise. "Sì, anche adesso!".
Prudie
le tamponò la fronte bagnata. "Per domattina sarà
tutto finito
e avremo in casa un nuovo piccolo ed urlante Poldark e un grande ed
urlante Jud che griderà perché il piccolo Poldark
gli spaccherà i
timpani coi suoi strilli".
"O
una piccola Poldark...".
Prudie
alzò le spalle. "Chissà... Avete scelto un nome
per il
marmocchio?".
"Sì.
Jeremy, se sarà maschio... O Julia Grace se sarà
una bambina...
Volevo dare come secondo nome quello
dei genitori di Ross ma lui mi ha permesso di farlo solo per quello
femminile. Non vuole rischiare, dice, di avere un nuovo Joshua in
casa, che potrebbe
diventare
il nuovo seduttore del circondario
come fu suo padre dopo che rimase vedovo".
Prudie
ridacchiò. "Ricordo il signor Joshua e il signor Ross ha
ragione. Meglio non rischiare".
Demelza
la osservò incuriosita. "E Grace? Lei com'era?".
Prudie
la accarezzò la guancia. "Un angelo. E il suo nome
sarà di
buon auspicio, in caso a nascere sia una femmina".
Demelza
avrebbe voluto dire altro, ma una nuova forte contrazione la
bloccò,
facendola imprecare come quando, da bambina, viveva con suo padre.
Beh, Prudie la prendeva sul ridere ma era decisamente contenta che
Ross non fosse presente in quel momento...
Ma
il sollievo di essere sole durò poco perché in
quell'istante Dwight
entrò nella stanza.
...
Julia
Grace Poldark nacque alle sei del mattino, presentandosi al mondo con
un sonoro pianto. Era una bambina 'in carne', così la
definì Dwight
quando la vide e coi suoi quasi quattro chili di peso, i radi capelli
color miele tendenti al rosso, le manine strette a pugnetto e le
guance piene, era uno splendore.
Calde
lacrime presero a scendere dal viso di Demelza appena Dwight le mise
la piccola sul petto e stringendola a se pensò a quanta
strada
avevano fatto lei e la sua bambina per arrivare fin lì, a
quali
miracolose casualità avessero portato a quel lieto evento, a
quanto
aveva pianto pensando che quella gioia a lei fosse preclusa e alla
felicità unica che provava in quel momento. "E' sana?" -
riuscì solo a chiedere, mentre la piccola le si attaccava al
seno
con estrema facilità, come se non avesse fatto che quello da
sempre.
Dwight,
asciugandosi le mani che aveva lavato in un catino e sistemandosi le
maniche della camicia, le sorrise. "E' il ritratto della salute,
una bambina perfetta, sana come un pesciolino, forte come un leone e
con una voce potente come quella di un cantore di strada.
Congratulazioni".
Demelza
si chinò, orgogliosa, a baciare la testolina della piccola.
Dwight,
dopo averle raccomandato qualche giorno di riposo, la lasciò
sola e
poi scese di sotto dove Ross, a furia di fare avanti e indietro,
aveva fatto quasi un solco nel pavimento. "Complimenti, sei
padre di una bambina".
Ross
si sentì mancare e trattenne quasi il fiato. "Sta... Stanno
bene?".
Dwight
annuì, gli sfiorò il braccio e poi gli sorrise.
"Sono più in
forma di te, a giudicare da quanto sei pallido. Vuoi un cordiale o
pensi di farcela a non svenire?".
Ross
ridacchiò nervosamente. "Lasciamelo sul tavolo, credo che lo
berrò dopo essere andato di sopra".
"E
allora corri, ti stanno aspettando".
"Santo
cielo, Dwight stavo impazzendo nell'attesa! Quanto diavolo ci hai
messo a far nascere la mia bambina?".
Dwight
sospirò, prendendo la sua borsa. "Il tempo necessario e a
dire
il vero Demelza è stata fin troppo veloce. Cosa che non sei
tu, che
invece che correre da lei stai quì come uno stoccafisso con
me a
dire stramberie. Sbrigati o troverai tua figlia grande abbastanza per
fidanzarsi!".
Ross
non se lo fece ripetere, oltrepassò Prudie che scendeva le
scale
con le lenzuola sporche quasi investendola, corse di sopra e appena
vide Demelza seduta sul letto, con un fagottino fra le braccia,
sentì
il cuore esplodere di gioia come non mai. Coi suoi capelli sciolti,
il viso arrossato e stanco ma perfetto, Demelza era il ritratto della
salute e della felicità.
Appena
lo vide, la donna si chinò sulla piccola. "Julia Grace,
credo
che sia ora che tu
saluti tuo padre".
Ross,
a piccoli passi, si avvicinò, sedendosi sul letto accanto a
loro.
Col cuore in gola guardò fra le coperte che proteggevano la
sua
bambina e appena la vide, sentì di essersene innamorato
all'istante.
E
l'orgoglio, profondo, di chi ha costruito qualcosa di perfetto ed
unico. Era
semplicemente meravigliosa,
splendida. E sua... "Julia Grace..." - disse piano, con la
voce rotta dall'emozione.
Demelza
sorrise dolcemente. "Dwight dice che è il ritratto della
salute".
Ross
prese la piccolina, stringendola delicatamente a se. "Lo vedo,
è
perfetta! Come siamo riusciti a fare qualcosa di così...".
Le
parole si spezzarono nella gola di Ross e Demelza si
rannicchiò
contro di lui. "Dwight potrebbe spiegartelo in termini
scientifici ma io preferisco che rimanga un mistero...".
"Cosa?".
"Come
possa essere che un uomo e una donna facciano l'amore e dal nulla
prenda vita tutto questo così, come per magia".
Ross
annuì, Demelza aveva ragione. Era magia e nessuna
spiegazione medica
ne avrebbe scalpito il fascino e il mistero intrinseco
che ogni nascita, ogni
vita
racchiude in se.
"Stai bene?"
- le chiese, solamente.
"Sto
bene, sono solo un pò stanca".
"Devi
riposare e stare a letto, promettimi che lo farai. Dwight si
è molto
raccomandato...".
"Lo
farò, giuro".
Rimasero
abbracciati per lunghi istanti, in un silenzio carico di emozione e
serenità dove respirarono quei primi istanti da genitori. Fu
Ross a
spezzarlo, baciando teneramente le fronti di entrambe. "Lo
ricordi? La prima volta che ci siamo incontrati?".
Demelza
annuì. "Sì, pensavo fossi davvero un soggetto...
strano...".
Ross
sorrise. "Ti ho voluta da subito! Credo di aver desiderato
baciarti per farti stare zitta persino lì, su quel balcone,
con Hugh
a pochi passi da te".
Lei
rise. "Farmi stare zitta?".
"Eri
così molesta e avevi una notevole sfacciataggine e lingua
lunga.
L'hai ancora, se devo essere onesto... E infatti ti bacio spesso
proprio per questo!".
"Buono
a sapersi! E comunque, per la cronaca, spero la abbia anche nostra
figlia la lingua lunga! Il coraggio di dire sempre ciò che
sente
senza paura è la massima espressione di forza ed
intelligenza".
Ross
strinse la bambina. "Oh, la avrà di sicuro! E' una Poldark e
noi non amiamo troppo il silenzio e le mezze misure".
Julia,
fra le sue braccia, si stiracchiò tranquilla
e poi li osservò incuriosita per quello strano
chiacchiericcio di
cui era protagonista indiscussa.
"Sai" - disse Demelza - "E' così fortunata. Ha due
genitori che la amano, uno zio che la
adora e che già pensa al suo futuro meglio di noi...".
Ross
alzò gli occhi al cielo, ricordando bene la stramba idea di
Falmouth
che tanto l'aveva fatto discutere con lui. "Odio che dia soldi
per mia figlia e che a nostra insaputa le abbia aperto un conto alla
Banca di Londra, informandoci solo a cose fatte!".
Demelza
rise di nuovo. "Vuole essere parte integrante della costituzione
della sua dote. Dice che con due genitori come noi, ci vuole uno con
un pò di cervello che pensi al futuro dei nostri eredi. In
fondo
Ross, che c'è di male? Abbiamo scelto di essere una famiglia
e lui
sarà lo zio di Julia e questo è uno dei suoi modi
per dimostrarle
il suo affetto. Non è quello che fanno gli zii?".
Ross
alzò le spalle. "Mio zio Charles non ha mai aperto alcun
conto
a mio nome".
"Ma
Julia avrà uno zio diverso che vorrà prendersi
cura di lei e
dobbiamo considerarla una fortuna. La ama e lo sai anche tu! Non ha
mai lasciato i lavori a Westminster in anticipo per nessuno, lo ha
fatto solo per lei. Più amore c'è, meglio
è. Giusto?".
Ross
pensò a quelle semplici parole che spesso, dette da sua
moglie,
racchiudevano realtà ben più profonde che a lui
sfuggivano
nell'immediato. Era vero, non aveva forse imparato che l'amore segue
tante strade, tante vie tortuose e ha mille modi di manifestarsi? Non
era forse il periodo migliore della sua vita, con una famiglia tanto
ampia e aperta al futuro? Non era bello prendersi cura l'uno
dell'altro tutti insieme, come una squadra, ognun a proprio modo? Non
era bello che sua figlia avesse attorno tante persone che pensavano a
lei? "Hai ragione, più amore c'è, meglio
è".
Garrick
e Sun comparvero ancora dalla porta e questa volta Demelza li
chiamò
a se sul letto, per fargli conoscere Julia. E loro lo fecero,
annusando il visino di quella placida e perfetta bambina e poi
rannicchiandosi sulle coperte accanto a loro.
"Devono
proprio stare quì?" - chiese Ross, borbottando.
"Più
amore c'è, meglio è" - gli ricordò
Demelza con ironia. "E
siamo una grande famiglia dove c'è spazio per tutti".
Ross
sospirò, prima di chinarsi su di lei e baciarla sulle
labbra. 'Più
amore c'è, meglio è'... Era abbastanza convinto
che da quel momento
in poi quello sarebbe diventato il mantra del suo futuro e la base di
tutto quello che la vita avrebbe riservato a lui e alla sua famiglia.
Il passato, con le sue ombre, era svanito, il futuro era a portata di
mano e con amore, sarebbe stato roseo e felice per il resto delle
loro esistenze.
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