Just can't get enough

di Claire Riordan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The game ( prologo ) ***
Capitolo 2: *** Our last summer ***
Capitolo 3: *** Girls like ***
Capitolo 4: *** Returns ***
Capitolo 5: *** No small talk ***
Capitolo 6: *** Doubts and convictions ***
Capitolo 7: *** If you dare ***
Capitolo 8: *** Build me up, break me down ***
Capitolo 9: *** Problems in us ***
Capitolo 10: *** What's going on ***
Capitolo 11: *** Saying weird things ***
Capitolo 12: *** Interview with the devil ***
Capitolo 13: *** Love and comprehension ***



Capitolo 1
*** The game ( prologo ) ***


L’Ufficio per i Giochi e gli Sport Magici era in subbuglio da diversi giorni. Gufi scarmigliati entravano dalle finestre a qualsiasi ora, impiegati cosparsi di Polvere Volante correvano trafelati da un camino all’altro e mai così tante Strillettere erano arrivate a quel reparto.
Il direttore dell’Ufficio, Dean Thomas, assieme al presidente della Federazione Internazionale del Quidditch, aveva avuto un’idea per l’imminente anno scolastico ad Hogwarts: dopo la cancellazione dello storico Torneo Tremaghi ormai dieci anni prima, a causa delle tragiche conseguenze che si era lasciato alle spalle, sarebbe stato indetto un nuovo torneo da svolgersi presso la scuola di magia, ma, vedendo il caos che la preparazione stava causando, già stava pensando di ritirare il progetto.
«Io la trovo un’ottima idea, signor Thomas» gli aveva detto Teddy Lupin, il giovane apprendista che, da qualche settimana, lavorava con loro «Sarà un espediente per unire studenti di case diverse e, mi creda, sarà accolto da tutti con grande entusiasmo»
Sfortunatamente Teddy, per quanto gentile fosse stato nel cercare di risollevare il morale del suo capo, complice anche la sua eccitazione all’idea di pianificare quella nuova gara, aveva torto: la neo-eletta preside di Hogwarts, Alethea Shacklebolt, che aveva sostituito Minerva McGranitt, non aveva apprezzato appieno l’idea di quel torneo. Diceva che avrebbe distratto gli studenti dalle loro normali attività, che avrebbe tolto loro le ore necessarie allo studio e che il Quidditch andava giocato solamente tra le quattro case di Hogwarts.
Ma Thomas, da grande appassionato dello sport, imperterrito nel portare avanti il suo progetto, aveva sottoposto il caso anche all’Ufficio per la Cooperazione Magica Internazionale e perfino al Ministro della Magia in persona, Hermione Granger, la quale, dopo alcuni primi tentennamenti, aveva infine asserito che sì, per quanto magari avrebbe potuto distrarre i partecipanti dallo studio – cosa a cui lei aveva sempre tenuto moltissimo -, non poteva essere pericoloso quanto il Torneo Tremaghi. Perciò, diede infine il suo consenso: quel torneo si sarebbe tenuto e il signor Thomas ebbe finalmente il permesso di inviare gufi ai Ministri delle altre nazioni europee.
Inutile dire che la preside Shacklebolt era andata su tutte le furie: «Per quanto io apprezzi lo sport del Quidditch e sia stata un’assidua sostenitrice della squadra della mia casa ad Hogwarts, non apprezzo che i miei studenti siano coinvolti in un progetto che li veda costretti ad allenarsi a livelli agonistici tali!» aveva sbraitato la sua voce da una Strillettera, una delle tante che aveva spedito all’ufficio del signor Thomas. Ne erano seguite molte altre, in cui la professoressa lamentava il fatto che Hogwarts non avrebbe mai potuto accogliere un torneo di dimensioni simili, senza contare che non avrebbe avuto stanze a sufficienza per dare alloggio agli ospiti della gara.
Questi le aveva gentilmente risposto – tramite lettera cartacea, quelle discussioni furibonde non facevano per lui – che un torneo simile avrebbe dato la possibilità agli studenti che sarebbero stati selezionati di migliorare le proprie abilità come giocatori, il che, come lui stesso sapeva, era il desiderio di molti ragazzi, compreso suo figlio. E che sicuramente un posto grande come Hogwarts aveva sufficienti posti letto anche per le squadre che sarebbero state ospitate.
La povera preside aveva infine ceduto, mossa anche dal sostegno che il vicepreside Neville Paciock aveva dato all’idea di Thomas, suo amico di vecchia data.
Tutto quell’incredibile tran-tran era il motivo per cui ora Teddy Lupin si ritrovava in un piccolo ufficio soffocante e afoso a scartabellare con centinaia di pergamene dall’aria ufficiale, marchiate con i diversi timbri dei Ministeri della Magia europei.
Era in quei momenti che non poteva far altro che maledire il giorno in cui aveva deciso di iniziare lo stage proprio in quell’ufficio al Ministero. Ce n’erano tanti altri, avrebbe potuto fare domanda all’Ufficio Auror, dove Harry e Ron l’avrebbero sicuramente aiutato e, chissà, raccomandato magari, e invece no: eccolo lì, impelagato in questioni burocratiche mille volte più grandi di lui. Non aveva mai giocato a Quidditch, ma era sempre stato interessato al celebre sport magico. Inutile dire che quando il signor Thomas gli aveva esposto la sua idea, Teddy l’aveva trovata a dir poco geniale: il Gran Galà del Quidditch prevedeva che Hogwarts mettesse in campo un'unica squadra, formata dai migliori giocatori della scuola, i quali sarebbero stati selezionati da un’apposita commissione composta dagli esponenti più importanti e competenti in materia. Questa squadra, poi, avrebbe dovuto competere con le più grandi nazionali di Quidditch del momento, tra le quali spuntavano i nomi di Inghilterra, Germania e Spagna, segnalate come le favorite per il grande torneo.
Ma come il signor Thomas aveva più volte ripetuto a Teddy, nessun team aveva ancora confermato con certezza la propria partecipazione, perciò se nessuna tra le grandi squadre europee avesse accettato, tutti i fondi impiegati per il torneo sarebbero stati spesi inutilmente.
Mentre Teddy cercava la lettera di risposta della Bulgaria come richiestogli dal signor Thomas, l’ennesimo gufo planò nell’ufficio dalla finestra aperta e piombò proprio sulla sua scrivania, mandando all’aria tutti i fogli accatastati lì sopra.
«Dovremmo adeguarci ai metodi di comunicazione babbani» si lamentò, afferrando la lettera che il gufo portava legata alla zampa «Veloci, niente piume in giro, scrivanie in ordine…»
Srotolò la pergamena e, stampato accanto all’intestazione, vi era il logo che riconobbe come quello della nazionale di Quidditch britannica:
 
Gentile signor Thomas,
a seguito della Sua richiesta concernente la nostra partecipazione al torneo denominato Gran Galà del Quidditch, siamo lieti di confermare la presenza della nazionale britannica al suddetto torneo.
Attendiamo, dunque, ulteriori informazioni riguardo data e orario di arrivo presso la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts.
 
Distinti saluti,
Aldous Bagman
Presidente della Nazionale Britannica di Quidditch
 
«Grazie a Merlino» esalò Teddy, passandosi velocemente una mano sulla fronte sudata. Si alzò, la lettera in mano, pronto per correre nell’ufficio del suo superiore, quando un fischio acuto del gufo lo costrinse a fermarsi.
«Che c’è?» sbottò, rivolto al pennuto. Quello fece schioccare il becco, sbatacchiando nervosamente le ali mentre se ne stava appollaiato sulla scrivania di Teddy.
Il ragazzo sbuffò, aprì l’armadietto nell’angolo in cui teneva i suoi effetti personali e ne estrasse alcuni Biscottini Gufici, lanciandoli al gufo senza troppi complimenti. Lo udì becchettare le briciole, probabilmente sopra tutti i documenti appoggiati malamente sul tavolo, ma non importava: li avrebbe sistemati al suo ritorno. Ora doveva dare la notizia al signor Thomas.
«Pure i gufi con le pretese, ci mandano» borbottò seccato fra sé mentre percorreva il corridoio. L’attimo successivo si ritrovò a pensare che parlare con i gufi non fosse un buon segno: il caldo stava decisamente iniziando a dargli alla testa.


[ Claire Says ]
A-hem... ciao a tutti.
Probabilmente qualcuno leggerà qualcosa di familiare in questa prefazione, ad altri sarà totalmente sconosciuta, ma sono in ogni caso felice se siete giunti fino qui - e ancora di più se arrivate al box un po' più giù, if you know what I mean.
Insomma, complice la quarantena in cui ci troviamo, la tv che manda maratone di Harry Potter e il mio cuore spezzato per non aver mai più continuato questo racconto, ho deciso di riprenderlo in mano, rivederlo e ripostarlo. E cercare di dargli una fine *Mission Impossible main theme plays in the background*.
Che altro... se vi va, fatemi sapere le vostre impressioni, che è sempre un piacere.
Much love.
C.

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Capitolo 2
*** Our last summer ***


Margaret O’Neill lanciò l’ennesima occhiata impaziente al quadrante dell’orologio che aveva al polso: Dylan, come al solito, era in ritardo.
Nel caldo pomeriggio di luglio, il parco di St. James, nel cuore di Londra, era quasi completamente deserto, eccezion fatta per qualche anatra che si rinfrescava nel lago e alcuni scoiattoli che scorrazzavano tra le diverse zone d’ombra degli alberi.
Si passò una mano tra i capelli, guardandosi in giro nervosamente: il cuore le batteva forte, sapeva che la conversazione che stava per intraprendere non sarebbe terminata nel migliore dei modi. Quante volte, del resto, dopo la lettera di Dylan, aveva pessimisticamente – o realisticamente, forse - immaginato quel momento?
Sapeva bene cosa aspettarsi. Il fatto che Dylan le avesse chiesto una pausa di riflessione già significava che si sarebbero lasciati, ma era talmente masochista che le piaceva pensare che così non sarebbe stato.
Si distese sulla panchina su cui sedeva da un po’, fissando distrattamente i raggi del sole filtrare tra le foglie verdi sopra di lei, la mente piena delle parole scritte dal suo ragazzo dopo che lei si era lamentata di sentirsi una sorta di peso, per lui. Lui le aveva detto che no, non era un peso, ma la loro relazione non stava procedendo come lui sperava. Aveva l’impressione che Margaret fosse molto… che termine aveva usato? Oh, sì: “pressappochista”. L’aveva accusata di non essere abbastanza sicura quando si trattava di prendere decisioni che riguardavano entrambi, perciò le aveva chiesto quella fantomatica pausa per schiarirsi le idee su loro due.
Maledetto rigira-frittate.
Non seppe dire quanto tempo passò - secondi, minuti, ore - prima che l’inconfondibile voce di Dylan Kirke raggiungesse il suo orecchio pronunciando il suo nome.
Margaret scattò a sedere, osservando Dylan avanzare verso di lei a bordo di una vecchia bicicletta, probabilmente rubacchiata da qualche deposito babbano incustodito. Lo vide arricciare le labbra in una parvenza di sorriso, ma non era il solito sorriso che le rivolgeva: era indubbiamente attraversato da un’ombra di tristezza.
«Sei in ritardo» gli fece notare Margaret cercando di suonare affabile, mentre lui depositava la bici poco lontano senza troppi complimenti.
«Lo so, scusa» rispose semplicemente sedendosi accanto a lei sulla panchina, sudato e affannato.
Calò il silenzio. Era chiaro che nemmeno Dylan sapesse cosa dire.
«Allora?» lo incalzò Margaret, inquieta. Se proprio doveva soffrire, voleva che fosse una cosa rapida e più indolore possibile.
«Beh, ecco» cominciò lui «Non riesco ad essere me stesso, con te. Non mi sento libero di comportarmi come mi comporterei con i miei amici»
Margaret voleva dirgli che era normale, che con lei non avrebbe mai potuto comportarsi come si comportava con i suoi amici. Era la sua ragazza, era ovvio che l’atteggiamento nei suoi confronti fosse diverso.
O forse non dovrebbe?
Attanagliata da quel nuovo dubbio, si limitò ad annuire, ascoltando tutto quello che Dylan aveva da dirle.
«Facciamo sempre le stesse cose» continuò lui «Ci chiudiamo in dormitorio e ci sbaciucchiamo per tutto il tempo, se andiamo ad Hogsmeade ci rintaniamo in un locale e non facciamo altro che baciarci. Insomma, vorrei un rapporto un po’… diverso»
«Diverso in che senso?»
«Come con un’amica a cui posso dire tutto, di cui mi posso fidare. È ovvio che però… insomma, non saresti solo un’amica»
Margaret deglutì appena, per cacciare indietro quel nodo che le stringeva la gola da che Dylan l’aveva raggiunta «Beh, posso provare a comportarmi anche da amica» mormorò, sebbene non avesse idea da dove cominciare per andare nella direzione voluta da Dylan «Solo che… insomma, non so se possiamo funzionare, così»
«No, infatti» asserì Dylan «Ma non c’è solo questo»
Margaret sentì un peso sprofondarle nello stomaco. Che altro c’era?
Guardò Dylan per esortarlo ad andare avanti.
«Insomma, se non sono io a cercarti, in qualunque modo, tu non lo fai» si lamentò il ragazzo «e ogni volta che tento di parlarti dei miei problemi, annuisci e cambi discorso. Si parla sempre e solo di te»
Margaret prese a riflettere freneticamente, nel panico: davvero non lo ascoltava e ciarlava solo di sé stessa? Eppure, di cosa le aveva parlato Dylan, in quei poco più di tre mesi? Delle sue aspettative sul viaggio che lo attendeva di lì a pochi giorni, delle cavolate che faceva a scuola assieme ai suoi amici ai danni del custode, della sua migliore amica, diceva lui, che gli chiedeva consigli per conquistare il ragazzo dei suoi sogni. Non le aveva mai accennato a problemi famigliari o scolastici. Insomma, niente di così rilevante, no?
Ma, da un lato, non poteva dargli torto: Margaret lo tormentava continuamente con le sue chiacchiere sul fatto che Dominique Weasley, la sua migliore amica, molte volte la trascurasse perché preferiva passare il tempo con il suo ragazzo, su quanto fosse insopportabile la professoressa di Incantesimi, troppo severa e pretenziosa. Di certo non poteva parlarne con i suoi genitori: erano Babbani e, per quanto avessero accettato di avere una figlia strega, non erano propensi a discorsi riguardanti la magia. Dylan non poteva biasimarla per questo.
«Tu… non mi chiedi mai di fare qualcosa assieme» gli rinfacciò.
«Beh, non posso fare tutto io» constatò Dylan.
Rimasero di nuovo in silenzio, guardando ostinatamente in direzioni diverse. Margaret era arrabbiata con lui. Lo era sempre. Dylan riusciva continuamente a darle un motivo per arrabbiarsi con lui, ma mai, mai una volta aveva osato sfogarsi e sbattergli in faccia tutto quello che pensava e per cui soffriva: il suo essere così assente, così sfuggente ma, allo stesso tempo, così dolce in quei rari momenti in cui stavano insieme, era probabilmente il motivo per cui Margaret aveva completamente perso la testa per lui.
Lo considerava superiore a lei, a volte irraggiungibile. Non si sentiva mai abbastanza al suo fianco.
«Io posso… posso provare a cambiare» disse Margaret dopo un po’, la voce tremante.
Dylan scosse la testa «Non puoi cambiare perché lo decidi» replicò, in tono baritonale.
Margaret tirò su col naso, rivolgendo gli occhi al cielo nel tentativo di cacciare indietro le lacrime che teneva dentro da due settimane, da quando Dylan le aveva chiesto quella maledetta pausa, e minacciavano di uscire proprio in quell’istante. Non voleva piangere davanti a Dylan, non l’aveva mai fatto e non sarebbe stato quello il momento in cui gli avrebbe mostrato quanto debole l’avesse fatta diventare quella questione.
Ma, evidentemente, a lui non sfuggirono i suoi occhi lucidi.
«Non ne soffri solo tu, Maggie» disse lapidario.
Certo, come no.
«Quindi finisce qui?» chiese lei, dopo qualche altro minuto di silenzio.
Dylan storse il naso «Temo di sì» sussurrò «Non credo riuscirei a convincermi che le cose potrebbero migliorare»
Margaret annuì, incapace di ribattere in qualsiasi modo.
«Prima di te, riuscivo ad uscire con una ragazza per una o due settimane al massimo. Qui si tratta di buttare al vento più di tre mesi, che non sono pochi» disse ancora lui, forse nel tentativo di difendersi «Devo ancora capire come ci si comporta quando si sta assieme ad una persona, credo»
Sicuramente, pensò Margaret irritata. E, forse, pure lei doveva ancora capirlo.
Giocherellò con un filo sfuggito da un laccio delle sue scarpe, incapace di riordinare i pensieri. L’unica cosa che si impose fu di non piangere per lui, né ora, né mai.
«Come pensi passerai l’estate?» le domandò Dylan dopo un po’, tornando al suo solito tono gentile, forse per cercare di alleggerire l’atmosfera. Margaret pensò che avrebbe anche potuto raccontare una barzelletta, ma il suo umore sarebbe comunque rimasto sottoterra e la tensione nell’aria si sarebbe potuta tagliare con un coltello.
«Ancora non lo so» rispose scrollando le spalle «Probabilmente resterò in città. Ma se Dominique mi ospita, credo andrò a casa sua, in Cornovaglia. E tu? Andrai in Francia?»
«Sì!» esclamò Dylan, contento come un bambino a Natale, come se la discussione di pochi minuti prima non fosse mai avvenuta «Non vedo l’ora!»
Ecco perché l’aveva lasciata. Solo ora capiva.
Voleva godersi il suo viaggio senza avere gufi fra i piedi a qualsiasi ora del giorno, a consegnargli lettere di una fidanzata forse un po’ troppo gelosa che gli chiedeva dove fosse, con chi e cosa stesse facendo, divertendosi con la sua famiglia ed i suoi amici e basta. Certo, avrebbe potuto dirlo chiaro e tondo piuttosto che inventarsi tutte quelle inutili e banalissime scuse. Sicuramente, ci avrebbe fatto una figura migliore rispetto a tutta quella mediocre messinscena.
«Come sono andati i G.U.F.O.?» le chiese invece Dylan, interrompendo le sue elucubrazioni.
«Oh, bene» rispose Margaret, cercando di mantenere lo stesso tono amichevole di sempre «Ho ottenuto Eccellente in Aritmanzia, Trasfigurazione, Difesa e Antiche Rune. Per il resto, Oltre Ogni Previsione»
«Non ti smentisci mai» le disse lui ridendo. Margaret sentì una fitta alla bocca dello stomaco: chissà se l’avrebbe mai più rivisto sorriderle in quel modo…
Dylan guardò l’orologio e Margaret lo imitò: le quattro e tre minuti. Erano lì da nemmeno mezz’ora. C’era voluto davvero così poco per mandare tutto in frantumi?
«Ora devo andare» disse lui «Passa una bella estate»
Lei annuì in silenzio. Era certa che, se avesse aperto bocca per dire qualcosa, sarebbe scoppiata a piangere.
Dylan le diede un rapido bacio sulla guancia e la guardò in volto.
«Non essere giù» esclamò, come se si stesse rivolgendo ad una piagnucolosa madre prima di partire per Hogwarts e non alla sua ragazza appena scaricata «Ci vedremo a scuola, no?»
«Immagino di sì» rispose Margaret, tentando di sorridere.
Dylan le rivolse un ultimo sorriso per poi afferrare la sua bici e avviarsi verso l’uscita del parco.
Margaret esitò, indecisa se rincorrerlo e dirgli che no, non poteva lasciarla così, avrebbe dovuto prendersi del tempo in più per rifletterci, perché lei lo amava come non aveva mai amato nessuno in vita sua. Ma lui? Poteva dire che Dylan fosse innamorato di lei quanto Margaret lo era di lui? Forse no. Era sempre stato abbastanza chiuso quando si trattava di esprimere in maniera esplicita i propri sentimenti.
Con un ultimo sguardo in direzione del punto in cui Dylan era scomparso, Margaret girò sui tacchi, avviandosi verso la metropolitana. Si sentiva la gola chiusa, serrata, gli occhi brucianti di lacrime.
Ma non doveva piangere.
Si scoprì fiera di sé quando rientrò nella sua abitazione deserta – i suoi genitori erano al lavoro - alla periferia della città e si rese conto di non aver versato una lacrima per Dylan. Evidentemente ne aveva versate abbastanza per tutto quello che le aveva già fatto passare.
Ma nel momento in cui mise piede nella sua stanza al piano di sopra, l’unica foto di loro due, appesa al muro proprio di fronte alla porta, la colpì con la forza di un pugno allo stomaco.
Incapace di trattenersi, Margaret scoppiò in singhiozzi, lasciando le lacrime finalmente libere di scendere.
 

 
Non appena aprì la porta della vecchia stanza dello zio Ron, Albus Potter avvertì immediatamente il profumo delle uova strapazzate. Nonostante i cinque piani che lo separavano dalla cucina, da sotto arrivava un allegro chiacchiericcio e il tintinnare delle posate contro i piatti.
Si lasciò sfuggire un sorriso mentre scendeva le scale di legno della Tana, la casa dei suoi nonni, Molly e Arthur, sfondo dei suoi ricordi di tutte le estati dal primo anno ad Hogwarts ad ora. Ogni anno, assieme a quasi tutti i suoi cugini, passava le giornate lì, in quella vecchia casa sghemba, ma che sapeva di famiglia. E del profumo dei manicaretti di Molly.
«’Giorno a tutti» mugugnò, facendo il suo ingresso in cucina stiracchiandosi.
«Oh, Albus, buongiorno!» trillò Molly, mentre dal tavolo si levarono alcuni sporadici e assonnati “Buongiorno” «Tè caldo? Spremuta d’arancia?»
Ancora piuttosto insonnolito, Albus prese posto accanto a Lucy «Una spremuta» biascicò, cercando di trattenere uno sbadiglio.
«Arriva subito»
«Sono l’ultimo?» domandò Albus ai cugini afferrando due fette di pane tostato da un vassoio in mezzo al tavolo «James dov’è?»
«È uscito presto questa mattina» rispose Rose, dietro il vapore della sua tazza colma di tè bollente «Iniziava il corso da Auror»
«Oh… giusto» ricordò Albus, incapace di distogliere lo sguardo dalla vestaglia rosa acceso della cugina. Era così poco da Rose.
Si stropicciò gli occhi prima di servirsi nel piatto un paio di salsicce. Ora capiva perché il fratello maggiore, il pomeriggio precedente, durante una delle loro partitelle a Quidditch sul prato al di là della siepe che circondava la Tana, gli aveva concesso la rivincita per il giorno successivo: non ci sarebbe stata alcuna rivincita.
James, vecchia volpe.
La cucina di casa Weasley era immersa nel silenzio più totale, rotto solamente dai suoni della colazione e, di tanto in tanto, da qualche sbadiglio, finché non fu un picchiettare meccanico e costante ad attrarre l’attenzione di tutti.
Un enorme gufo grigio e un più piccolo barbagianni sostavano sul davanzale della finestra, becchettando contro il vetro perché qualcuno aprisse.
«Sì, sì, non c’è bisogno di agitarsi» esclamò Fred, alzandosi per andare ad aprire. I due pennuti planarono dentro, appollaiandosi sulla credenza: legate alle zampe, avevano diverse buste.
«Penso siano le lettere da Hogwarts» disse Rose, liberando i gufi delle loro consegne. Dopo aver scrutato i nomi su ognuna di esse, passò le buste ai cugini.
«Sono arrivate le lettere?»
Nonna Molly riapparve di nuovo in cucina e sembrava visibilmente agitata «Qualcuno di voi ha ricevuto qualcosa?»
Albus capì che per “qualcosa”, Molly intendeva le spille di prefetto o Caposcuola. Non era un segreto che la nonna andasse tremendamente fiera di chi, in famiglia, otteneva quel piccolo riconoscimento.
Fu Rose la prima a rompere quell’attesa «Attenzione» esclamò, mentre estraeva qualcosa dalla sua busta «Caposcuola»
Mostrò agli altri la spilla: sullo stemma di Grifondoro, brillava una “C” argentata.
«Oh, Rosie!» esclamò Molly, correndo ad abbracciare la nipote «Sono così fiera di te»
«Ehi!» intervenne Hugo ad alta voce, per farsi udire sopra i toni di Molly. Alzò in alto il braccio in cui teneva una spilla uguale a quella della sorella, ma con sopra la lettera “P” «C’è un nuovo Prefetto qui!»
Ci fu uno scoppio di applausi generale al tavolo della cucina. Albus, tuttavia, rimase leggermente deluso: non essendo stato eletto prefetto due anni prima, sperava nella spilla da Caposcuola ora che si apprestava ad iniziare il suo ultimo anno, ma, evidentemente, i voti e la condotta di Rose la rendevano favorita all’incarico.
Anzi, sicuramente.
Ora che ci pensava, però, c’era ancora una piccola speranza: il posto da Capitano della squadra di Quidditch di Grifondoro era rimasto vacante dopo che Adam Baston, caposquadra fino all’anno prima, aveva concluso gli studi a giugno. Magari quella spilla sarebbe toccata a lui? O gli avrebbero preferito Derek McLaggen, il suo migliore amico?
Leggermente agitato, mentre Lucy festeggiava la sua promozione a prefetto di Tassorosso, Albus aprì la sua busta: nulla. Solo il foglio con l’ammissione al settimo anno e l’elenco dei libri da acquistare.
Sospirò, un po’ amareggiato, mentre scenari immaginari del suo migliore amico che estraeva la spilla di Capitano dalla busta prendevano forma nella sua mente. Quel pensiero gli creò una leggera fitta d’invidia.
«Un Caposcuola e tre prefetti, ma è meraviglioso!»
L’esclamazione di nonna Molly riportò Albus alla realtà: si rese conto che si stava rivolgendo a Lily.
Albus guardò la sorella tenere in mano una spilla, gli occhi puntati su di essa come se non credesse a ciò che aveva fra le dita.
«Ti hanno fatta prefetto?» le chiese Albus, cercando di mantenere un tono quantomeno neutro: non voleva far trasparire la delusione e lo sconforto per essere l’unico della sua famiglia a non aver indossato quella piccola coccarda – anche James era stato prefetto.
Lily scosse la testa, ma sembrava aver perso ogni facoltà di parola.
«No?» disse Molly «E allora…?
Lily bisbigliò qualcosa di incomprensibile.
«Come?» chiese Albus, sebbene sapesse quasi con certezza la risposta: se non era prefetto, era…
«Capitano» sputò fuori Lily, come se avesse urgenza di liberarsi di quella parola «Capitano… della squadra di Quidditch»
Passò una frazione di secondo prima che Fred scattasse in piedi ed iniziasse a gridare ed applaudire «Capitano Lily Potter, sììì!»
«Congratulazioni!» esclamò Molly, riservando a Lily lo stesso trattamento dato a Rose poco prima. Lily sembrava completamente frastornata: evidentemente non si era ancora resa conto dell’onore che le era stato concesso, pensò Albus.
Cercò di unirsi ai suoi cugini nella gioia per la promozione della sorella, ma lo scoraggiamento per quella piccola sconfitta era piuttosto invadente. Fortunatamente, non passò molto prima che ognuno finisse la propria colazione e si dedicasse ad altro. Albus sfrecciò velocemente in camera sua, assicurandosi che Fred, che condivideva la stanza con lui, non avesse bisogno né voglia di entrare.
Da una delle cassettiere, recuperò una vecchia copia de “Il Quidditch attraverso i secoli”: lo aveva già letto almeno tre volte, ma, in quel momento, aveva più che mai bisogno di distrarsi.
Distrarsi dal Quidditch col Quidditch. Geniale, Albus.
Sbuffò e richiuse il libro con un tonfo, e una nuvoletta di polvere si sollevò dalle pagine. Si buttò sul letto, passandosi più volte le mani sugli occhi, quando udì bussare.
«Non ora, Fred, sto cercando di studiare» mentì, sperando che il cugino se ne andasse in fretta. Non aveva proprio alcuna voglia di parlare, con nessuno di loro.
«Al, sono io»
Albus, preso alla sprovvista, scattò a sedere: era Lily.
«I-io… non sono vestito, scusa»
«Apri la porta»
«Ti ho detto che…»
«Apri. La. Porta»
Albus sbuffò. Lily era così maledettamente simile a Ginny, a volte.
Impossibilitato a fare altrimenti, eseguì l’ordine della sorella.
Lily sostava sulla soglia, i lunghi capelli rossi sciolti e scarmigliati, con indosso un pigiama blu di almeno due taglie più grande, i piedi scalzi. Nella mano destra, teneva ancora la spilla da Capitano, nell’altra una busta ed una pergamena arrotolata.
La guardò, come ad esortarla a dire qualcosa.
«Lo so che ci sei rimasto male» disse, in tono fermo.
«Cosa?»
«Al, sei mio fratello, ti leggo come la Gazzetta del Profeta» continuò lei, superandolo ed entrando nella stanza senza troppi complimenti «Ci sei rimasto male perché hanno scelto me… e non te»
Albus richiuse la porta, un po’ sorpreso dall’atteggiamento di Lily.
«E… quindi?» fu l’unica cosa che riuscì a dire.
«E quindi mi dispiace» rispose Lily.
«Mi stai dicendo che ti senti in colpa?»
«Ho detto di sentirmi in colpa?»
Albus sbuffò, iniziando a spazientirsi «Non rispondere ad una domanda con un’altra…»
«Sto solo dicendo» lo interruppe Lily, alzando la voce di un paio di toni e sventolando le pergamene che teneva in mano a mo’ di ammonimento «che so quanto ci tenessi, e visto che qualcuno ha deciso di dare a me questo incarico, volevo solo…»
«Sì?»
Lily si era interrotta e le sue guance avevano assunto un colorito rosato.
«Insomma, io vorrei… vorrei che tu mi facessi da “vice-Capitano”. Che mi aiutassi. Hai più esperienza di me nel Quidditch e…»
«Lily» Albus la interruppe, poggiandole le mani sulle spalle. Ora capiva: Lily, la più piccola di casa, abituata ad avere da sempre due fratelli più grandi davanti, adesso che si trovava di fronte alla responsabilità di gestire un’intera squadra, non sapeva cosa fare. Ed era terrorizzata.
«Lily, so che questo ruolo ti spaventa» le disse, calmo «ma se qualcuno ha scelto te come Capitano, significa che quel qualcuno conosce benissimo le tue potenzialità. E credimi, chiunque sia stato, ha preso una saggia decisione»
Lily s’imbronciò, ma Albus era quasi certo che i suoi occhi fossero lucidi «Dici così solo per sentirti meglio e non essere arrabbiato con me»
Albus scoppiò a ridere «Ma non sono arrabbiato con te, sciocca!»
La tirò a sé e la strinse forte in un abbraccio.
«Ti odio» mugugnò Lily, schiacciata contro il suo petto.
«Oh, sì, anch’io, ti detesto» ribatté lui, ironico. Davvero, non era arrabbiato con lei, non lo era con nessuno. Forse, solamente un poco con sé stesso, per non aver dato di più quando era il momento. Ma ormai i giochi erano fatti e non si poteva più tornare indietro. Poteva solo andare avanti. E accettare la proposta di Lily.
«Comunque d’accordo, sarò il tuo “vice-Capitano”» disse poi, sciogliendola dall’abbraccio.
Lily tirò su col naso «Bene. Queste sono tue»
Passò ad Albus la busta ed il rotolo. Lui si sedette sul letto e Lily lo imitò.
«Una è di Margaret» disse, riconoscendo immediatamente il nastro blu con cui la sua migliore amica sigillava tutte le sue lettere «e l’altra è di… oh…»
Cercò di nascondere il nome del mittente, ma Lily fu più rapida «Amanda Boot?» commentò «Quella che gioca nei Corvonero?»
«S-sì, beh… ecco…» tentò lui, avvertendo uno strano calore pervadergli il volto «Insomma, io e lei siamo usciti un paio di volte prima della fine della scuola e… lei ci teneva a rimanere in contatto e quindi eccola qui»
Albus sbuffò, scocciato.
In che cosa mi sono cacciato, accidenti a me?



[ Claire Says ]
Ciao a tutti quanti!
In tempi abbastanza rapidi, giungo a voi col secondo capitolo. O primo, se contiamo che il precedente è il prologo, ma va bene comunque.
Dunque... iniziamo a conoscere un po' di personaggi, tra cui mio figlio Albus adorato, e, con molta, ma mooolta calma, inizierà a delinearsi tutto quanto.
Un paio di piccoli appunti sul prologo, che non ho annotato in fase di pubblicazione causa ansia:
- come citato nell'introduzione della storia, non ci sono collegamenti tra questo racconto e "The Cursed Child", quindi la maggior parte delle cose non canoniche che leggerete sono di mia invenzione - anche se la Rowling ha detto che TCC è canon, ma ci potrei aprire un convegno a riguardo, e questa è un'altra storia;
- temo non ci siano altri appunti, avendo detto tutto in un punto solo.
Ok, ho finito di fare sproloqui.
No, anzi, se volete potete aggiungermi sul mio profilo Facebook - cercate Claire Daisy Riordan -, su cui posto gli aggiornamenti degli aggiornamenti (aggiornamentiception) e strippo male in generale su cose di vario genere.
Ok, stavolta davvero BASTA, solo GRAZIE a chi ha recensito il capitolo precedente dando un'altra piccola possibilità a questa storia.
Much love.
C.

 

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Capitolo 3
*** Girls like ***


Quindici anni, capelli rossi, lunghi e perennemente spettinati, pelle chiara e una spruzzata di lentiggini sul naso. Una versione in miniatura di Lily Evans, come la chiamava suo padre, ma con gli occhi nocciola di Ginny Weasley, era Lily Luna Potter.
Alta e magra, con un viso molto dolce, all’apparenza una ragazzina tranquilla, che si poteva trovare spesso in solitaria seduta ad un tavolo della biblioteca a scrivere freneticamente su una pergamena o con il naso immerso in qualche libro sul Quidditch, mentre se ne stava raggomitolata su una poltrona in sala di ritrovo. Un’immagine, per molti, che rendeva Lily una studentessa modello, complici anche i suoi voti piuttosto alti ed il suo ottimo talento nel Quidditch – qualità indubbiamente acquisita dai genitori – che, recentemente, le aveva fatto meritare la tanto ambita carica di Capitano.
Ma l’apparenza, come spesso accade, ingannava i più: nonostante la grinta sul campo da Quidditch, erano molti i momenti in cui Lily si sentiva tremendamente fragile, non all’altezza del nome del Salvatore del Mondo Magico, brillante, sì, ma non quanto suo fratello James. Non era raro che quelle pergamene scribacchiate in maniera forsennata fossero lunghi sfoghi, anziché dettagliati temi su un incantesimo di Trasfigurazione. E, per quanto la condotta scolastica fosse più che buona, Lily, dietro quella facciata per cui qualcuno la riteneva una tra i migliori studenti della scuola, era una disordinata cronica: non era insolito affatto che impiegasse minuti prima di trovare nella sua borsa il compito da consegnare, che dimenticasse qualche libro in dormitorio o che portasse il tema di Incantesimi alla lezione di Pozioni ed era altrettanto facile vederla in giro per i corridoi del castello con la camicia della divisa abbottonata in malo modo, con qualche lembo che sbucava da sotto il maglione.
Lily tendeva anche a mantenere una certa distanza dalle sue coetanee, a suo dire troppo superficiali, perché troppo impegnate a fare del pettegolezzo sui propri compagni di dormitorio o a commentare l’ultimo articolo piccante sul celebre mago belloccio di turno uscito sul Settimanale delle Streghe.
Tutto ciò che veniva considerato “da femmine” non faceva per lei, riteneva di gran lunga migliore il Quidditch, più azione e meno chiacchiere. Una filosofia che, più di una volta, si era rivelata valida anche per alcuni scontri nati da scorrettezze sul campo tra giocatori di squadre avversarie, passati dagli insulti verbali alle mani. Lily era anche finita in infermeria un paio di volte per aver cercato di dire la sua in una di quelle piccole risse.
Fortunatamente, Lily sapeva bene di poter sempre contare, nonostante il loro rapporto di amore-odio, su suo fratello Albus, specialmente quando si trattava di Quidditch – e di evitare di finire ancora in infermeria per una rissa. Inoltre, negli anni, Lily aveva instaurato un ottimo rapporto anche con l’onnipresente migliore amico di Albus, Derek McLaggen.
Battitore nella squadra di Grifondoro, Derek era celebre quasi quanto i Potter. Suo padre, Cormac, era il presidente della Federazione Internazionale del Quidditch, l’associazione che governava tutte le squadre all’attivo nel campionato, mentre suo fratello Christopher giocava come Cacciatore nel Puddlemere United, una delle migliori squadre d’Inghilterra, oltre ad essere titolare nella nazionale britannica. Probabilmente era per via della passione condivisa per il Quidditch, e della sua presenza un po’ invadente nelle loro vite, che i due andavano tanto d’accordo e, dopo una partenza un po’ in salita, potevano considerarsi ottimi amici.
Allo stesso modo, Lily sapeva benissimo che poteva considerare ottime amiche altre due persone: Alice Paciock e Jessica Jordan, sue compagne di dormitorio che, oltre ogni sua previsione, erano riuscite a rompere tutti quei pregiudizi che Lily si portava dentro circa la maggior parte delle sue coetanee in giro per la scuola.
Era il primo settembre di quello che sarebbe stato il suo quinto anno ad Hogwarts quando Lily le ritrovò, in quella che, fin dal primo mattino, era stata una giornata piuttosto grigia: nuvole che presagivano pioggia avevano coperto il cielo di Londra per tutto il giorno, e anche mentre l’Espresso per Hogwarts viaggiava verso nord, i paesaggi fuori dal finestrino erano incupiti da una luce plumbea. Era ormai tardo pomeriggio quando, nello scompartimento in cui Lily sedeva, venne accesa la lampada ad olio appesa al soffitto, che illuminò lievemente lo scomparto. All’esterno, il cielo era diventato sempre più cupo man mano che si avvicinavano ad Hogwarts, preannunciando uno degli ultimi temporali estivi, costringendo le luci a bordo ad accendersi.
«Quindi fammi capire» stava dicendo Jessica, mentre sgranocchiava delle Piume di Zucchero «mi lascerai con Alice ogni sabato mattina per gli allenamenti?»
Jessica era diventata amica di Lily fin dal loro primo giorno di scuola, quattro anni prima, quando si erano trovate nello stesso scompartimento sull’Espresso per Hogwarts e Lily, un po’ maldestramente, aveva fatto cadere il suo baule proprio sui piedi della ragazzina dalle trecce scure che sedeva di fronte a lei, nel tentativo di issarlo sulla reticella. Bizzarramente, quell’episodio fu l’inevitabile inizio della loro amicizia.
«Che cosa vorresti dire?» ribatté Alice, punta sul vivo, sbirciandola da sopra la sua copia del Cavillo.
«Lily, non puoi lasciarmi con Prefetto Perfetto tre volte a settimana!» si lamentò Jessica, aggrappandosi al braccio dell’amica con fare supplichevole.
«Jess, sono in squadra da tre anni» le ricordò «Sei sempre rimasta con Alice durante i miei allenamenti»
«Ma quest’anno è diverso» replicò Jessica «Quest’anno, la Paciock è un temibile prefetto»
Si voltò verso Alice, seduta di fronte a lei, fingendo un’espressione terrificata. Per tutta risposta, lei le fece una linguaccia.
«Non ho chiesto io questa carica» ribatté, seccata «Probabilmente mio padre ci ha messo lo zampino»
Alice era la figlia del vicepreside di Hogwarts, nonché direttore della casata Grifondoro, Neville Paciock. Lily la conosceva fin da quando erano bambine, i loro genitori erano stati compagni di scuola e avevano continuato a frequentarsi anche dopo gli studi. Alice era molto carina: aveva lunghi capelli di un bel castano chiaro e gli stessi occhi chiari di sua madre. Come Lily, essere figlia di qualcuno che fosse relativamente noto nel mondo della magia – dopotutto, anche Neville aveva preso parte alla grande battaglia di Hogwarts contro Voldemort nel lontano millenovecentonovantotto – la metteva piuttosto a disagio. Alice aveva una sorella più piccola, Augusta, che diceva di non sopportare affatto: la considerava, nonostante la sua giovane età, una piccola vipera pettegola, sempre pronta a dire la frase sbagliata nel momento meno opportuno. Ma si volevano bene, in fondo.
«Non prendertela sempre col povero Neville» le disse Lily «Forse la nuova preside ha pensato che te lo meritassi»
Alice scrollò le spalle «È che… Non lo so, sono sempre stata una studentessa nella norma, non ho mai avuto voti particolarmente alti» constatò.
«Oh sì, la tua carriera conta un milione di Troll in ogni materia» la canzonò Jessica.
«Molto divertente» rispose Alice. Il suo tono suonava paurosamente autoritario, ma Lily la conosceva troppo bene per sapere che stava scherzando.
Adorava Alice, era la sorella che non aveva mai avuto. Ma erano praticamente cresciute insieme, perciò era come se lo fossero.
«Non puoi ancora togliermi punti, Paciock» la rimbeccò giocosamente Jessica, puntandole un dito contro «E so che non lo farai nemmeno tra i corridoi della scuola»
Alice chiuse la rivista e corrucciò la fronte, unendo le mani davanti al petto «È molto grave, questa tua previsione» disse, in un’imitazione quasi perfetta della professoressa Patil, l’insegnante di Divinazione «Cosa ti porta a questa conclusione?»
«Sei una pazza» Jessica rise, lanciando all’amica una caramella dal sacchetto che teneva in mano.
Scoppiarono tutte e tre a ridere, mentre Alice si scrollava di dosso lo zucchero.
Tra le risate, Lily si prese un attimo per guardare fuori dal finestrino: in lontananza, iniziavano a spuntare le guglie del castello di Hogwarts.
«Datevi una calmata, squinternate» disse, con un’ultima risata «Stiamo arrivando»
 
 
 
L’odore di pioggia aleggiava nell’aria attorno alla piccola stazione del villaggio. I cancelli in ferro battuto di Hogwarts, poco distanti, rilucevano dell’acqua che già li aveva bagnati, probabilmente non molto prima dell’arrivo dell’Espresso: il prato lì vicino luccicava ancora delle gocce lasciate dall’acquazzone.
Scendendo dal treno, Roxanne Weasley non poté essere più felice della fine di quel viaggio: per qualche disgraziata coincidenza, si era trovata a dividere lo scompartimento con suo fratello Fred e Lysander Scamandro, che avevano passato quasi tutto il tempo a sfidarsi a suon di colpi di Bacchette Trabocchetto, tirando di scherma con oggetti dalle forme più disparate. A poco era servita la compagnia della sua migliore amica, Elizabeth Baston, poiché il frastuono di quei due rendeva impossibile qualsiasi genere di conversazione.
Poco distante dalla banchina della stazione di Hogsmeade, le carrozze erano pronte per accompagnare gli studenti al banchetto, ed un paio di esse erano già partite verso il castello. Roxanne vide Elizabeth scendere dal treno e correrle incontro.
«Eccoti» esclamò quando la raggiunse «Se non fosse vietato, avrei detto che ti fossi Smaterializzata»
«Lo so, scusa se sono fuggita» rispose lei «ma il viaggio con Fred e Lysander mi ha mandato fuori di testa»
Sì, era stato un viaggio piuttosto rumoroso e fastidioso. Ma c’era un altro motivo se Roxanne era scesa dal treno con tanta fretta.
«Già» convenne Elizabeth, con un sospiro «abbastanza impegnativo. Ma non pensiamoci più e andiamo a goderci il banchetto, che ne dici?»
Le afferrò un braccio con l’intento di trascinarla verso una delle carrozze, ma Roxanne si liberò gentilmente dalla presa.
«Liz, scusa, devo… aspettare Dominique, mia cugina» disse «Deve darmi… mi ha detto che ha un regalo per me, l’ha portato dalla Francia»
Stava mentendo, spudoratamente, ed Elizabeth parve accorgersene, ma sembrò anche far finta di nulla «D’accordo» rispose «Ti tengo un posto al tavolo, ok?»
«Sei la migliore» Roxanne alzò i pollici in direzione dell’amica. Elizabeth si allontanò verso le carrozze e, non appena Roxanne fu certa che fosse a debita distanza, iniziò a scrutare con insistenza tra la ressa di studenti che scendeva dal treno.
Incrociò diversi volti, alcuni dei quali solcati da espressioni interrogative nel vedere una studentessa piantata lì, a metà strada tra il treno e le carrozze. Erano ormai pochi i ritardatari che ancora dovevano scendere dall’Espresso, quando Roxanne, con un tuffo al cuore, lo vide: un gruppetto di ragazzi procedeva verso le carrozze in un gran vociare di battute e risate. Abbassò velocemente il capo, frugando nelle tasche della divisa alla disperata ricerca di qualcosa che facesse pensare fosse impegnata a fare altro, e non ad aspettare qualcuno.
«Perso qualcosa, Weasley?»
Era una voce maschile, un tono beffardo appartenente a qualcuno di fin troppo noto a Roxanne. Iniziò a pensare che non aver seguito Elizabeth al banchetto fosse stata una pessima idea.
Alzò il capo e, immancabilmente, si trovò davanti la figura del Serpeverde Aiden Pritchard.
«No» rispose lei, cercando di mantenere un tono deciso «è tutto a posto Pritchard, ti ringrazio»
«Dai, Aiden, hai tutto l’anno per fare il cavaliere, muoviti!» lo chiamò uno dei suoi compagni, che Roxanne riconobbe essere Montgomery Flint, Serpeverde del settimo anno.
Aiden si voltò verso di loro «Carpe diem, direbbero i babbani» esclamò in risposta. I suoi amici si allontanarono ridendo e lui tornò a voltarsi verso Roxanne.
«Allora, Weasley» disse lentamente «passato una bella estate?»
«Sì, non c’è male» rispose lei, incrociando le braccia sul petto e guardando ovunque, tranne che verso Aiden: fissare di nuovo quegli occhi verdi sarebbe stata solo una pugnalata in più.
«Non ti sono mancato?» continuò lui, avvicinandosi per cercare di afferrarle una mano «Neanche un pochino?»
Certo che le era mancato, tantissimo. Ma quel che aveva fatto bruciava ancora e Roxanne non era ancora stata in grado di perdonarlo.
La delusione sembrò salirle in gola come se fosse un grumo di bile e, scacciando velocemente il pensiero fugace di poco prima, allontanò Aiden come se stesse scacciando un insetto pronto a pungerla «No, Pritchard, neanche un po’» sbottò «Mi disgusti, e lo sai benissimo»
Aiden si rabbuiò: probabilmente, l’episodio che aveva portato alla loro rottura era ancora fresco anche per lui.
L’anno precedente, durante una partita di Quidditch contro i Corvonero, l’allora battitrice dei Grifondoro, Meredith Sloper, era finita in infermeria dopo che un Bolide lanciato dalla squadra avversaria l’aveva disarcionata dalla scopa, provocandole una caduta terribile che l’aveva costretta ferma a letto per settimane. I Grifondoro si ritrovarono così con un posto vacante in squadra, e l’allora Capitano, Adam Baston, dopo una veloce selezione, scelse Fred Weasley, il fratello di Roxanne, per sostituire Meredith.
In quello stesso periodo, Roxanne, dopo mesi in cui lo aveva sognato e guardato solamente da lontano, aveva iniziato ad uscire con Aiden e le cose tra loro parvero andare a gonfie vele fin da subito. Ma la ragazza non aveva messo in conto la rivalità tra Fred, non troppo entusiasta che la sorella uscisse con un Serpeverde, il più grande avversario sul campo di Quidditch, ed Aiden, che si rivelò essere piuttosto geloso. Anche di Fred. Non fu una sorpresa, infatti, trovare i due a scontrarsi un paio volte, sia verbalmente che a suon di incantesimi lungo i corridoi della scuola. Ma fu prima dell’incontro di Quidditch tra Grifondoro e Serpeverde, quello che sarebbe valso il posto in finale, che giunse la goccia che, per Roxanne, fece traboccare il vaso.
La mattina dell’incontro, il primo per Fred, nel momento in cui il ragazzo varcò la soglia della Sala Grande, si ritrovò improvvisamente con i pantaloni calati. Tutti i presenti scoppiarono a ridere, in particolare un capannello al tavolo di Serpeverde, costituito per buona parte dai giocatori della loro squadra. Guardando meglio, Roxanne individuò Aiden tra quelli: teneva la bacchetta in mano, ancora puntata in direzione di Fred e fu inevitabile giungere alla conclusione che fosse lui il colpevole.
«Rox, io… è stato un gesto stupido, ti ho già detto che mi dispiace» mormorò, e pareva davvero vergognarsi per quel che aveva fatto: Roxanne era certa che non avesse dimenticato la sua sfuriata dopo la fine della partita, che, per inciso, aveva visto vittoriosa la squadra di Serpeverde.
«Mi hai messo in condizione di scegliere, Aiden» disse lei, la voce che s’incrinò per la rabbia e l’amarezza «Volevi dimostrare… di essere più forte? Più furbo?»
«Volevo solo che smettesse di ficcare il naso tra di noi» la voce di Aiden si alzò di qualche tono.
«Quando mai lo ha fatto?» gridò Roxanne «Quando?! È sempre stata una questione solo fra voi due!»
«Lui voleva allontanarti da me!»
«È mio fratello, stupido pallone gonfiato!» Roxanne era ormai in lacrime «Io… io mi stavo innamorando di te, e poi tu…»
«Rox?»
Una voce incerta, che Roxanne riconobbe come quella di Louis Weasley, interruppe quella brusca conversazione. Non seppe spiegarsi perché fosse ancora lì, convinta che ormai fossero già tutti quanti seduti in sala grande, ma Roxanne gliene fu immensamente grata e colse l’occasione al volo per liberarsi di Aiden.
«Louis!» esclamò, asciugandosi velocemente il viso e andando incontro al cugino «Ti stavo aspettando»
Lui la fissò interrogativo «Davvero?» domandò accigliato. Era evidente che, avendola appena colta nel bel mezzo di un’accesa discussione, non gli era chiaro come fosse possibile che lo stesse aspettando.
«Davvero» fece lei con un’eloquente alzata di sopracciglia «Andiamo al banchetto?»
Prima che potesse replicare, lo prese sottobraccio e lo trascinò con sé verso una delle ultime carrozze rimaste poco distanti, premurandosi di lanciare prima un’occhiata carica di delusione ad Aiden.
«Non so cosa facessi ancora sul treno, ma grazie, Louis» gli disse, mentre la carrozza ondeggiava da una parte all’altra sul terreno sconnesso che portava al castello «Sei arrivato giusto in tempo»
Lui sollevò un sopracciglio «Credevo… di essere arrivato al momento sbagliato» borbottò, evidentemente a disagio.
Roxanne sospirò, affranta «Ti garantisco che sei arrivato al momento giusto» ripeté.
«Ma voi… voi due, non eravate… una coppia?» chiese Louis.
«Già» rispose Roxanne, funerea «Eravamo»
Poggiò la fronte al vetro freddo del finestrino della carrozza e chiuse gli occhi: non avrebbe mai, mai più fatto tardi per aspettare Aiden Pritchard.
 
 
 
Il tavolo di Tassorosso non era certo nella posizione migliore per sbirciare chi sedeva a quello di Serpeverde, situato dalla parte opposta della sala, specialmente nel caos del banchetto inaugurale. Ma, chissà perché, il volto di Theo Higgs era sempre facile da individuare.
Essere considerata la migliore Cercatrice dai tempi di Harry Potter non poteva che essere ritenuto un privilegio. A soli tredici anni, infatti, Rachel Finch-Fletchley aveva già fatto guadagnare alla sua casa ben tre Coppe del Quidditch.
Il talento sviluppato nella caccia al Boccino tornava utile in situazioni come quella, quando gli occhi dovevano frugare lo spazio alla ricerca dell’obiettivo. Infatti, anche in quel caso, trovare Theo fu un gioco da ragazzi: sedeva quasi al centro del tavolo, circondato dai suoi immancabili amici. Sorrideva, a suo agio in mezzo a quella piccola folla che si era creata attorno a lui. Vederlo sorridere ricordava a Rachel quell’episodio da cui tutto aveva avuto inizio.
Era l’ultima partita del campionato dell’anno precedente. Lo stadio di Hogwarts vedeva in campo le squadre di Tassorosso e Serpeverde per la partita che avrebbe designato il vincitore della Coppa del Quidditch. Serpeverde era in vantaggio di soli dieci punti quando Rachel aveva avvistato il Boccino e si era lanciata immediatamente al suo inseguimento, tallonata da Scorpius Malfoy.
Più piccola e veloce, aveva seminato il Cercatore avversario grazie a qualche piroetta a mezz’aria e afferrato la piccola sfera dorata subito dopo, guadagnando centocinquanta punti e la tanto desiderata vittoria.
Scesa al suolo per festeggiare con la sua squadra, supportata dai tifosi urlanti sugli spalti, era ancora stretta nell’abbraccio entusiasta del suo capitano, Noah Shacklebolt, quando aveva visto distintamente Kyle Bletchley, uno dei Battitori di Serpeverde, ancora in aria, colpire con forza uno dei Bolidi e dirigerlo con rabbia proprio sui Tassorosso festanti. Rachel si era già liberata dalla presa di Noah ed era già a terra quando Theo le era sfrecciato davanti sulla sua scopa, scacciando il Bolide con la mazza tolta di mano all’altro Battitore.
«Bletchley, ma sei matto?» aveva gridato Malfoy al suo compagno di squadra. Nel caos generale, Rachel aveva sentito distintamente Ms. Spinnet, l’arbitro, inveire contro Kyle, minacciandolo di espellerlo dalla squadra se mai si fosse ripetuto un episodio simile. Per il momento, l’arbitro aveva deciso che sarebbe stato sospeso dal suo ruolo a tempo indeterminato.
«Stai bene?» aveva chiesto Noah a Rachel. Lei aveva annuito, vedendo un trafelato Theo Higgs scivolare giù dal suo manico di scopa e correre verso di lei.
«Tutto a posto?» le aveva domandato preoccupato «Devi scusare Kyle, è troppo competitivo, dev’essersela presa per la sconfitta»
«Sto bene, davvero» aveva risposto lei, impressionata da tutta la gentilezza di cui anche un Serpeverde disponeva. Forse era proprio vero che lo Smistamento avveniva troppo presto.
«Meno male» aveva sospirato Theo «Comunque complimenti, hai davvero un grande talento»
Le aveva dato una lieve pacca sulla spalla, rivolgendole un sorriso sincero e radioso, prima di allontanarsi e tornare dai suoi compagni di squadra.
Rachel non seppe dire esattamente cosa, ma qualcosa, in quei pochissimi minuti, era successo. Quel tocco leggero, quel sorriso, la strana sensazione di avere le farfalle nello stomaco erano segni evidenti che, in quattro e quattr’otto, si era presa una bella cotta per il Cacciatore Serpeverde.
E anche in quel momento, in attesa dell’inizio dello Smistamento, non poteva fare a meno di fissarlo in continuazione, il mento poggiato sulla mano in una classica espressione sognante nel rivivere quella bella sensazione.
«Rachel, quando pensi che ti passerà?» commentò Bobby Smith sventolandole una mano davanti agli occhi e distogliendola dai suoi pensieri.
Rachel sospirò, tornando a sedersi in posizione eretta, guardando con aria seccata il suo amico riccioluto a fianco a lei.
«Lo dici come se fossi malata» rimbeccò.
«Beh, in un certo senso lo sei» disse Bobby, con l’aria di chi la sapeva lunga.
«Oh, Bobby, smettila!» lo riprese Augusta Paciock, dall’altra parte del tavolo «Rachel è semplicemente innamorata, non c’è niente di male»
«Vorrei ricordare ad entrambe che HIggs è fidanzatissimo» continuò lui con lo stesso tono, facendo un cenno col mento verso il tavolo delle Serpi «E parlare di “essere innamorati” alla nostra età mi sembra un po’ eccessivo» aggiunse poi, più tra sé e sé che alle due amiche.
Sì, Theo aveva una ragazza e Rachel lo sapeva bene. Anzi, Isabella Nott, seduta alla sinistra del ragazzo, era proprio lì a ricordarglielo. Aveva i capelli neri, tagliati cortissimi, ed un viso duro, severo, lo sguardo carico di fierezza e determinazione, così in contrasto con quell’innocenza che sembrava trasparire dagli occhi di Theo. Lui sarebbe stato meglio al fianco di una ragazza dai lineamenti più dolci, fanciulleschi. Una ragazza come Rachel.
E se Theo avesse scelto Isabella proprio perché era il suo esatto contrario? Rachel non avrebbe avuto alcuna possibilità, non aveva assolutamente nulla in comune con la giovane Nott. Anzi, erano una l’opposto dell’altra.
«Non toglierle la possibilità di sognare» replicò Augusta «Del resto, mi pare che tu facessi lo stesso con Dominique Weasley fino a poco tempo fa, o sbaglio?»
Bobby diede in un sonoro colpo di tosse, come a voler scacciare qualcosa che gli era rimasto incastrato in gola ed arrossì violentemente, suscitando in Rachel un forte senso di rivincita.
«Uno a zero per me, Bob» cinguettò Rachel battendo il cinque con Augusta sopra il tavolo.
«Siete due vipere» brontolò Bobby, prendendo una lunga sorsata di succo di zucca per calmare la tosse.
Le risate di Rachel e Augusta furono interrotte dall’entrata del professor Paciock, seguito dagli studenti del primo anno. Un lieve brusio concitato si levò dai tavoli mentre le nuove matricole sfilavano tra i tavoli di Grifondoro e Corvonero, chi con il naso all’insù a fissare il soffitto incantato, tra l’ammirato e lo stupito, e chi più intimorito, col capo che ruotava a destra e sinistra, quasi spaventato.
Rachel, come tutti i presenti in sala grande, spostò lo sguardo verso il tavolo degli insegnanti, davanti al quale era stato posto il solito, vecchio sgabello traballante sopra cui poggiava il Cappello Parlante. E, come sempre, lo squarcio simile ad una bocca si aprì e il Cappello intonò la consueta filastrocca di benvenuto.



[ Claire Says ]
Buongiorno a tutti quanti!
Sì, non c'è ancora un gran movimento, azione, situazioni, case, libri, auto, viaggi, fogli di giornale, ma ci tenevo/tengo molto a fare una breve presentazione dei personaggi principali prima di entrare nel vivo della storia. E ci stiamo per arrivare, by the way.
Incredibilmente, non ho molto da dire - il più è nel capitolo -, se non che, come sempre, ringrazio chi segue/preferisce/ricorda/recensisce. Pochi, ma buoni, e sono contentissima di ritrovare vecchi "followers" di questa storia.
E nulla, ci vediamo al prossimo capitolo!
Much love,
C.

 

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Capitolo 4
*** Returns ***


Scorpius Malfoy aveva appena terminato la sua fetta di torta di mele quando il professor Paciock richiamò l’attenzione degli studenti, facendo tintinnare il cucchiaino contro il suo bicchiere di cristallo.
«Un attimo di attenzione, per favore» disse a voce alta per farsi udire sopra il chiacchiericcio dei quattro tavoli: il discorso d’apertura della preside stava per avere inizio.
L’intera sala si zittì quando Alethea Shacklebolt, insegnante di Trasfigurazione fino all’anno precedente, si alzò in piedi e fronteggiò gli studenti da dietro il tavolo delle autorità.
«Buonasera a tutti» disse con voce forte e chiara «Prima di tutto, vorrei dare il benvenuto ai nostri nuovi studenti del primo anno. In secondo luogo, vorrei comunicare a tutti quanti che, da quest’anno, sostituisco Minerva McGranitt alla guida di questa meravigliosa scuola»
Si levarono alcuni applausi in segno di benvenuto per la nuova preside qui e là per la sala, quindi Alethea, una donna di bassa statura, ma dall’aria decisa e autorevole, riprese la parola: «Non ringrazierò mai abbastanza Minerva per avermi concesso l’onore di prendere il suo posto. E vorrei ringraziare anche il nuovo membro del nostro corpo insegnanti, che prenderà il mio posto come insegnante di Trasfigurazione: il professor Oscar Lumacorno»
Alla destra di Alethea, al tavolo dei professori, un uomo con una veste di un bel giallo dorato ed un cappello in tinta, sul quale risaltava una piuma scura, si alzò in piedi e ringraziò la sala per l’accoglienza.
«Buona fortuna per questa nuova avventura, professor Lumacorno» gli disse Alethea, per poi tornare a rivolgersi agli studenti: «Dunque: i nuovi arrivati prendano nota fin da ora che l’accesso alla foresta attorno al parco del castello è proibito, così come l’introduzione nella scuola di qualsiasi prodotto proveniente dai Tiri Vispi Weasley. Inoltre, è assolutamente vietato trovarsi fuori dalla propria sala comune oltre l’orario consentito. Ricordo a tutti che i corridoi, durante le ore notturne, sono strettamente sorvegliati da prefetti, Caposcuola e dal nostro custode, il signor Gazza»
Scorpius non riuscì a trattenere una risata. Il povero Argus Gazza era il guardiano della scuola fin dai tempi di suo padre, almeno così gli era stato detto, perciò era certamente molto anziano. Era piuttosto malridotto, in effetti: zoppicava, e ogni suo respiro somigliava inquietantemente a un rantolo. Spesso si chiedeva come potesse essere ancora in grado di trascinarsi lungo i corridoi del castello, in quelle condizioni.
Lui, dal canto suo, si divertiva come un pazzo a prendersi gioco di Gazza durante i suoi turni di notte: lanciava qualche piccolo incantesimo innocuo, costringendo il povero custode ad arrancare instabile verso la fonte del fracasso provocato. Lo faceva ridere, almeno quelle interminabili ore noiose acquisivano un po’ di brio. E meno male che Gazza non se n’era mai accorto, o Scorpius sarebbe stato dimesso dall’incarico di prefetto – ora Caposcuola – e, probabilmente, espulso dalla squadra di Quidditch. Ma era abbastanza furbo da non farsi sorprendere.
«Passiamo, ora, ad un argomento che so che interessa a molti di voi: il Quidditch» continuò la Shacklebolt, e le orecchie di Scorpius scattarono sull’attenti «Le selezioni per i nuovi giocatori di ogni squadra avverranno durante l’intera giornata di sabato sedici settembre. Chiunque fosse interessato a partecipare, dovrà semplicemente presentarsi al campo di Quidditch nell’orario prestabilito dal Capitano della propria Casa. I direttori delle Case rimarranno a disposizione dei Capitani per definire gli orari dei provini di ogni squadra»
Un lieve brusio concitato attraversò la sala, mentre la mente di Scorpius lavorava frenetica per ricordare quali posti erano rimasti vacanti in squadra: mancavano solamente due Cacciatori. Almeno quell’anno le selezioni sarebbero state semplici.
Sbirciò verso i tre tavoli delle altre case, osservando i Capitani avversari: Noah Shacklebolt, il Capitano giallo-nero, discuteva animatamente con la Cercatrice della sua squadra, Rachel Finch-Fletchley, probabilmente snocciolandole tattiche che aveva studiato durante l’estate e che avrebbero dovuto mettere in pratica quanto prima. Al tavolo di Corvonero, Milo Thomas non sembrava affatto preoccupato: chiacchierava con i suoi amici tranquillamente, come se stessero parlando delle previsioni del tempo. Scorpius si era sempre domandato come un simile invertebrato potesse essere alla guida di una squadra. Non pensava invece lo stesso di Lily Potter: scrutandola sopra le teste dei Grifondoro, notò che gesticolava in maniera decisa mentre parlava col fratello Albus e, nei suoi occhi, brillava una determinazione tutta nuova.
«Per rimanere in tema» la preside fu costretta ad alzare la voce di un paio di toni per riuscire a sovrastare il brusio concitato «sono lieta di annunciarvi e confermarvi che Hogwarts, quest’anno, ospiterà il Gran Galà del Quidditch»
Ci fu uno scoppio di grida entusiaste, diversi applausi, alcuni studenti addirittura si alzarono in piedi per festeggiare quell’annuncio. Nessuno sapeva esattamente di cosa si trattasse, i giornali avevano dato un paio di notizie al riguardo, diverse voci erano circolate durante l’estate circa quel fantomatico torneo, ma mai nulla di certo era stato fatto trapelare. L’unica cosa sicura era che, se fosse andato in porto, sarebbe stato senz’altro grandioso. C’era chi diceva che la nazionale britannica si sarebbe recata ad Hogwarts e avrebbe tenuto dei provini per selezionare un nuovo giocatore direttamente dagli studenti, chi borbottava che le più grandi squadre europee si sarebbero sfidate sul campo della scuola. In quel momento, finalmente, avrebbero saputo la verità.
«Il Gran Galà del Quidditch» ricominciò la Shacklebolt «è un torneo organizzato dall’Ufficio per i Giochi e gli Sport Magici e dall’Ufficio per la Cooperazione Magica Internazionale, in collaborazione con la Federazione Internazionale del Quidditch. È stato indetto in sostituzione dell’antico e più pericoloso Torneo Tremaghi, allo scopo di unire maghi e streghe di ogni età mediante lo sport che tutti quanti amiamo. Questo Gran Galà prevede che Hogwarts metta in campo una squadra composta dai migliori giocatori della scuola, selezionati da un’apposita commissione. Questa squadra, dunque, sfiderà le tre squadre che hanno accettato di partecipare: Gran Bretagna, Irlanda e Francia, che saranno ospiti della scuola durante quest’anno scolastico»
Una nuova ondata di entusiasmo attraversò la sala grande: giocatori di fama internazionale nel castello non erano di certo un evento quotidiano.
Scorpius guardò verso il tavolo di Tassorosso: la minuscola Cercatrice, Rachel, si era sporta in avanti sul piano di legno e pendeva letteralmente dalle parole della preside, il volto illuminato da una determinazione quasi folle. Scorpius sapeva che, quasi certamente, stava già pensando alla sua partecipazione al Galà, e grazie tante: nemmeno un giocatore orgoglioso come lui poteva negare la bravura di quella ragazzina.  Ma anche lui si sarebbe certamente fatto avanti per le selezioni della squadra di Hogwarts, ci avrebbe provato, Rachel o non Rachel.
«Inoltre» disse ancora la Shacklebolt, ormai quasi gridando per essere udita «la squadra vincitrice otterrà un premio di diecimila Galeoni, oltre alla prestigiosa Coppa del Galà. Infine, sono tenuta ad informarvi che la commissione che giudicherà gli aspiranti giocatori ha dichiarato che, per motivi di livello agonistico, le iscrizioni al torneo sono aperte solamente agli studenti con almeno quindici anni compiuti»
Questa volta ci fu un sonoro scoppio di proteste, in particolare da parte degli studenti più giovani, che si lamentarono perché ritenevano quella decisione ingiusta ed imparziale. Scorpius fu certo di udire un ragazzino del quarto anno asserire che “non è l’età che fa un giocatore”.
E come dargli torto? La Finch-Fletchley ne era un esempio evidente. Ma lei aveva tredici anni, non avrebbe potuto partecipare al torneo.
Scorpius si voltò di nuovo verso il tavolo di Tassorosso: Rachel Finch-Fletchley aveva l’espressione di chi aveva appena ricevuto un ceffone in pieno volto. Non poté fare a meno di sogghignare tra sé, soddisfatto: l’avversario più duro era stato sconfitto a tavolino.
 
 
 
Tornare a Hogwarts, per Margaret, era un po’ come tornare a casa, perché non riusciva più a considerare casa quelle quattro fredde mura in Clarks Road, alla periferia di Londra.
Era cresciuta con dei genitori babbani, senza avere idea di chi fosse realmente, frequentando le scuole elementari, la parrocchia e vivendo come qualsiasi bambino di quel mondo. Aveva speso i primi dieci anni della sua vita vivendo giorno per giorno, attendendo un segno, un evento che cambiasse la sua esistenza, perché sapeva che, prima o poi, qualcosa sarebbe cambiato.
E finalmente, il giorno del suo undicesimo compleanno, un gufo bruno si era posato sul davanzale della finestra della sua cameretta con una lettera nel becco, quella lettera che cambiò completamente il corso delle sue giornate: la lettera dalla Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. Fu così che Margaret scoprì di essere una strega, di avere dei poteri magici, e aveva sempre saputo, nel profondo, di essere diversa dagli altri bambini.
Per i suoi genitori era stato un colpo inaspettato. Da molti anni, ormai, i Babbani erano a conoscenza del mondo della magia, ma molti di essi, come gli stessi genitori di Margaret, ancora faticavano ad accettare i maghi e le loro abitudini. E scoprire di avere una figlia strega li aveva parecchio destabilizzati. Fortunatamente, dopo lo sgomento iniziale, avevano accettato la vera natura di Margaret, del resto era la loro unica figlia e l’amavano come nient’altro al mondo, ma restavano molto scostanti quando si trattava di parlare del “suo mondo”, come lo chiamavano loro. Nonostante i suoi soli undici anni, Margaret aveva dovuto imparare fin da subito a cavarsela da sola nel mondo magico.
Scoprire la magia era stata una benedizione: aveva conosciuto posti splendidi, come Diagon Alley, dove aveva trovato tutti gli oggetti bizzarri da portare con sé nella sua scuola di magia, compresa la sua preziosa bacchetta magica, che, durante l’estate, custodiva come un tesoro; in quella piccola stradina tortuosa aveva trovato il suo luogo preferito, la libreria Il Ghirigoro, dove passava ore ed ore a sfogliare volumi che trattavano i temi più disparati. Aveva scoperto che i maghi comunicavano mandandosi la posta via gufo, che potevano viaggiare attraverso i camini e potevano addirittura teletrasportarsi - o meglio, Materializzarsi, così dicevano loro.
Aveva trovato la sua vera casa a Hogwarts, una seconda famiglia negli amici che l’avevano accettata. Ma sapere che i suoi genitori non apprezzavano a pieno le sue doti e le sue capacità la feriva, la feriva da morire.
Grazie al cielo, ad Hogwarts riusciva spesso a dimenticare i problemi che c’erano a casa. Aveva conosciuto una persona splendida come Dominique Weasley, sua compagna di dormitorio e migliore amica, una cascata di capelli rossi e un largo sorriso che infondeva serenità a chiunque le stesse vicino, una persona che avrebbe messo da parte qualunque cosa pur di dare la precedenza a coloro a cui teneva di più.
«… e giuro, non ho mai visto Louis così preso da una ragazza!» stava dicendo la Weasley mentre, assieme a Margaret, varcava la soglia della sala comune di Corvonero «L’ha vista soltanto per un paio d’ore e non ha fatto altro che parlarmi di lei per tutta l’estate!»
«Tu potevi parlargli di Montgomery, no?» rispose Margaret distrattamente, guardandosi attorno alla ricerca di quella figura che da ormai sei mesi tormentava i suoi sogni e i suoi pensieri, il profilo di quel ragazzo che credeva di vedere ovunque.
Dominique emise uno sbuffo scettico «Lo facevo» commentò «ma ora ci siamo lasciati. Di nuovo»
Margaret non poté fare a meno di scoppiare a ridere. Dominique e il fantomatico Montgomery Flint uscivano assieme da ormai un anno, ma, tra loro, era un continuo tira e molla: bastava un piccolo screzio, una parola sbagliata al momento sbagliato e la loro relazione finiva in tronco, per poi riprendere qualche ora dopo.
«Quando è successo?» ridacchiò Margaret.
«Stamattina, sul binario» fece Dominique, agitando una mano con fare noncurante.
«Come sta Albus?» chiese di nuovo Margaret «Gli ho scritto quest’estate, ma… non ho mai avuto risposta»
Dominique si strinse nelle spalle «Non l’ho visto spesso» rispose «Mamma ha deciso di restare da zia Gabrielle per quasi tutto il tempo delle vacanze. So che usciva con una certa Amanda, lo scorso trimestre»
Margaret sbuffò una risata. Albus Potter era un bravo ragazzo, un ottimo giocatore di Quidditch, uno studente nella norma, ma un totale disastro quando si trattava di avere a che fare con le ragazze. Forse era per quello che Margaret riusciva a considerarlo senza difficoltà il suo migliore amico.
Albus era un amico insostituibile. Margaret l’aveva conosciuto dopo che Dominique l’aveva invitata alla Tana per il pranzo di Natale al loro primo anno e loro due avevano trascorso un intero pomeriggio parlando di qualsiasi cosa. Da quel momento in poi, entrambi sapevano di poter contare l’uno sull’altra ed erano diventati inseparabili.
Forse per via del loro rapporto di vecchia data, Margaret era certa che il legame tra lei e Albus fosse ormai fraterno. Lui stesso le ripeteva continuamente che la considerava al pari di Lily, come una sorella. A Margaret andava bene così, perché la pensava esattamente come Albus.
«Chissà che non sia la volta buona che…» cominciò Margaret, ma si interruppe vedendo Dominique che le faceva un cenno col capo verso l’entrata della sala di ritrovo.
Lei si voltò e il suo cuore, ne era certa, perse un paio di battiti: Dylan Kirke aveva appena fatto il suo ingresso, circondato dai suoi compagni di dormitorio.
Era un ragazzo alto, con i capelli chiari e gli occhi azzurri, un viso splendido che Margaret ancora non era riuscita a togliersi dalla testa. Vederlo di nuovo, dopo aver passato l’estate senza mai incontrarlo dopo quella discussione nel parco, le provocò un’improvvisa tachicardia.
Voleva parlargli, risentire la sua voce, che tanto a lungo aveva soltanto immaginato, ma che ricordava ancora perfettamente. Come se le avesse letto nel pensiero, Dominique le afferrò con forza un braccio, riportandola bruscamente alla realtà.
«Maggie, non pensarci nemmeno» esclamò «Non merita neanche di essere guardato in faccia, dopo il modo in cui si è comportato»
«Dom, lo so» sospirò Margaret «ma mi manca. Mi ha mandato un paio di lettere quest’estate, e penso… penso che anche lui provi ancora qualcosa per me»
«Ti ha lasciata senza un vero motivo!» sbottò Dominique «Come fai a difenderlo?»
«Non puoi capire. Lui è…»
S’interruppe vedendo Dylan distogliere gli occhi dai suoi amici e guardarsi in giro. Quando il suo sguardo e quello di Margaret s’incrociarono, lei non poté fare a meno di avvertire un nodo alla bocca dello stomaco.
Dylan la salutò con un cenno della mano, sorridendole. Lasciò la sua compagnia e si incamminò verso di lei.
Il primo istinto di Margaret fu quello di fuggire a gambe levate verso il proprio dormitorio e di chiudersi dentro a doppia mandata; per qualche ragione, però, i suoi piedi parevano non voler collaborare, rimanendo piantati lì, in attesa che Dylan la raggiungesse. Nonostante il panico, non riuscì a trattenere un enorme sorriso nel vederlo avvicinarsi.
«Ciao!» la salutò lui con entusiasmo, baciandola sulla guancia.
Margaret si sentì avvampare mentre rispondeva al saluto con lo stesso impeto. Ce ne avrebbe messo anche di più se solo avesse potuto, ma non era sicura che Dylan avrebbe apprezzato.
«Stai bene» disse lui, squadrandola con interesse.
«Sì, non c’è male» rispose lei, non cogliendo l’affermazione.
«Davvero, ti trovo bene» continuò Dylan.
Alle sue spalle, Margaret udì Dominique sbuffare, ma la ignorò: era come se lei e Dylan fossero intrappolati in una bolla che racchiudeva soltanto loro due.
«Grazie» ridacchiò, nervosa «Anche tu mi sembri in forma»
Dylan scrollò le spalle «Faccio del mio meglio» sorrise.
Margaret lo guardò, imprimendo bene a mente quell’immagine, quell’espressione che amava e che riusciva sempre a riempirla di felicità, nonostante tutto.
«Beh, credo andrò a dormire, il viaggio è stato più stancante del solito. Ci vediamo in giro, ok?» disse poi, liquidandola in quattro e quattr’otto.
«Certo» fece lei, per poi osservarlo allontanarsi verso i dormitori dei ragazzi, seguendolo con lo sguardo fino a quando non scomparve dalla sua vista.
«Visto?» intervenne Dominique, rimasta in silenzio durante la conversazione «È bastato un minuto e già ti sei illusa un’altra volta»
«Non mi sono illusa, Dominique!» sbottò Margaret «So che, in fondo, lui mi ama, come io amo lui. Solo che… forse non è ancora abbastanza maturo da rendersene conto»
Le ultime parole le suonarono tremendamente forzate. Per quanto ancora avrebbe cercato di convincersi che Dylan fosse il meglio che meritava?
 
 
 
Essere un prefetto non era mai stata la sua massima aspirazione. E tantomeno lo era ritrovarsi a dover sorvegliare il corridoio del settimo piano di notte durante il proprio primo turno di ronda. Alice Paciock non aveva mai desiderato più di allora di trovarsi al caldo nel suo letto, nella Torre di Grifondoro.
Di notte, il castello era buio e freddo, illuminato soltanto da qualche sporadico raggio lunare che filtrava dalle finestre. Perfino alla luce della bacchetta le zone d’ombra delle armature stipate lungo i muri sembravano nascondere qualcosa di tremendo. Ogni singolo fruscio, ronzio o rumore le metteva una fifa mostruosa.
Che cavolo ci faccio a Grifondoro, proprio non lo so.
A che serviva fare le ronde notturne? Erano anni che i maghi vivevano nella più assoluta tranquillità, chi mai poteva attaccare Hogwarts? E se qualche studente fosse uscito dal proprio dormitorio, beh, che male c’era? Magari qualcuno soffriva di claustrofobia e sentiva la necessità di muoversi in spazi più ampi, o doveva fare quattro passi per smaltire una cena troppo pesante che rendeva difficile il sonno.
Alice sbuffò, mandando al diavolo le sue elucubrazioni, e si sedette alla base di un’armatura: nel corridoio c’era una calma piatta. Gli unici passanti erano alcuni fantasmi che svolazzavano da un piano all’altro attraverso i muri e il pavimento.
«Che barba» bisbigliò tra sé. Non solo era frustrante e angosciante trovarsi lì, ma era pure noioso. Non si preoccupò di soffocare un sonoro sbadiglio, l’ennesimo di quella notte. Appoggiò la schiena alle gambe dell’armatura, che cigolò pericolosamente minacciando di rovinare a terra. Chiuse gli occhi nel tentativo di riposarli un attimo: bruciavano da morire. Fortunatamente, erano già le undici e tre quarti: nel giro di quindici minuti, un altro prefetto le avrebbe dato il cambio e lei sarebbe finalmente potuta andare a dormire.
Improvvisamente, un rumore di passi la fece scattare sull’attenti. Si mise a sedere dritta, gli occhi che scandagliavano l’oscurità tutt’attorno e le orecchie pronte a captare il minimo rumore.
Si alzò in piedi, spostando il fascio di luce proveniente dalla sua bacchetta da una parte all’altra del corridoio: nulla. Girò sui tacchi per andare a controllare il corridoio successivo, ma si trovò il passo sbarrato.
Trasalì, trattenendo a stendo un grido, il cuore che prese a battere furiosamente per lo spavento. Sollevando la bacchetta, illuminò il volto strafottente di Aiden Pritchard.
«Pritchard!» sibilò lei. Con tutte le persone che c’erano a Hogwarts doveva incontrare proprio lui?
«Paciock» disse lui in segno di saluto, cercando di suonare disinvolto, sebbene avesse tutta l’aria di qualcuno che se la stava svignando, pensò Alice.
«Sssh!» gli intimò «Che cavolo ci fai fuori dal dormitorio?»
Lui scrollò le spalle «Non riuscivo a prendere sonno» rispose con noncuranza.
«E dai sotterranei sei arrivato fin quassù?»
«Sono sonnambulo»
Alice alzò un sopracciglio, scettica «Pritchard, venivi dalla Torre di Grifondoro» lo ammonì «Che ci fai qui?»
«E va bene» si arrese lui «Dovevo incontrare qualcuno, ok? Ma… questo qualcuno non si è presentato, quindi me ne stavo andando. Perciò, eccoci qui»
Alice aveva qualche sospetto su chi potesse essere il “qualcuno” che avrebbe dovuto incontrare Pritchard, sempre ammesso che stesse dicendo la verità, ma decise di soprassedere: non aveva la voglia e nemmeno le forze per mettersi a discutere. Non a quell’ora della notte e tantomeno con lui.
«Sai che dovrei togliere dei punti a Serpeverde per averti trovato qui, sì?» lo ammonì.
Aiden si portò una mano al petto con fare teatrale «Paciock, questo è un colpo basso!» la canzonò «Saresti davvero così spietata?»
«Sono un Prefetto, Pritchard» disse Alice con decisione «Farei solo il mio dovere»
«Pensi di spaventarmi?» fece lui con aria spavalda.
«Se non t’importa, posso farlo senza problemi»
Il Serpeverde assottigliò gli occhi: alla luce giallognola della bacchetta di Alice, aveva un’aria vagamente spettrale.
«Provaci» la provocò.
«Cinque punti in men…»
Prima che potesse proseguire, Pritchard le balzò addosso e le tappò la bocca con una mano.
«Sei matta?» esclamò in un bisbiglio.
Alice lo scansò con un gesto brusco «Ti avevo avvertito!» sbottò «E non farmi alzare la voce o prenderò un’ammonizione per non aver saputo mantenere l’ordine»
Aiden fischiò, fingendosi ammirato «Accidenti, Paciock, sei così responsabile» la sbeffeggiò.
«Va’ al diavolo» sputò lei. Pritchard, per tutta risposta, diede in una risatina divertita: era ovvio che, quella situazione, per lui fosse come un gioco. Era insopportabile. Si divertiva così, importunando chiunque gli capitasse a tiro. Piuttosto che togliergli punti, sarebbe stato più soddisfacente lanciargli addosso una bella fattura.
«Forza, Pritchard» riprese Alice, incrociando le braccia sul petto «vedi di tornare alla tua sala comune, prima che cambi idea»
«Uuuh, sono terrorizzato» rispose Aiden, col suo solito tono sfacciato. Imboccò il corridoio nella direzione opposta a quella che lo avrebbe portato ai piani di sotto, premurandosi di farlo con una lentezza a dir poco snervante.
«Bene» Alice accolse la provocazione «Cinque punti in meno a Serpeverde»
Aiden si voltò di scatto, come se lo avesse punto un insetto «Ma che cosa…?»
«Pritchard, non sono qui a giocare a nascondino con le armature» ribatté Alice, seccata «Ho un incarico preciso. Hai diciassette anni, dovresti sapere cosa fanno i prefetti»
«Sì, lo so bene» grugnì lui «Insopportabile spiona»
«Allora tornatene nel tuo dormitorio» gli ordinò lei, fingendo di non aver sentito le ultime parole «Veloce»
Aiden scosse la testa «Quanto sei petulante, Paciock» le disse. La superò sfiorandole il braccio e si avviò verso l’infinita scala a chiocciola che dal settimo piano conduceva ad un passaggio che sbucava nei sotterranei. Alice lo guardò allontanarsi, finché non scomparve nell’oscurità.
Fu soltanto quando si ritrovò di nuovo sola che si rese conto del suo cuore che batteva all’impazzata. Era ancora per lo spavento preso qualche minuto prima, quando Pritchard era sbucato dal nulla? Sicuramente, non poteva essere altrimenti. Di certo non poteva essere perché, nonostante la sua persona così insopportabile, Aiden Pritchard era maledettamente affascinante. No, perché mai? Era un pensiero che non l’aveva mai nemmeno lontanamente sfiorata. E poi, stava con Roxanne Weasley.
Lei odiava Pritchard. Era un arrogante, troppo pieno di sé e incredibilmente tedioso.
Allora come mai, anche dopo aver finito il turno di guardia, mentre s’infilava sotto le coperte del suo letto nella Torre di Grifondoro, non riusciva a smettere di pensare ai suoi sfrontati occhi verdi?



[ Claire Says ]
Good morning, everyone!
Pubblicazione in velocità prima di pranzo con, finalmente, la presentazione del tema centrale della storia: il Gran Galà del Quidditch. Un torneo che regalerà emozioni - se narrassi questa cosa a voce, mi sentirei Costantino della Gherardesca, non chiedetemi perché.
Ciancio alle bande, cominciano anche ad intravedersi alcune sottostorie amorose, che non possono mai mancare, specialmente in questi giorni in cui ci si scanna sul significato della parola "congiunti".
Whatever.
Come sempre, grazie a chi è arrivato fin qui e ha recensito, tornando anche dalle ceneri della vecchia versione di questa storia, LOL.
Much love,
C.

 

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Capitolo 5
*** No small talk ***


Albus non aveva mai risposto alla lettera che Amanda Boot gli aveva spedito quell’estate. Non avrebbe saputo cosa dire. E, di certo, non avrebbe potuto mai e poi mai confessarle che aveva acconsentito ad uscire con lei soltanto per non trovarsela alle calcagna ogni volta che girava un angolo. E perché era una sorta di trionfo personale che una ragazza gli chiedesse di uscire.
Poteva pure portare il nome di due grandi presidi di Hogwarts, come gli aveva ricordato suo padre più volte, ma avere a che fare col genere femminile, per lui, era più difficile della più ardua delle partite di Quidditch. Non era un segreto che Amanda avesse una cotta per lui dall’anno prima – chissà che non si fosse bevuta qualche fiala di pozione d’amore, aveva pensato Albus – e che non perdesse occasione per trovarsi “casualmente” negli stessi luoghi in cui si trovava lui. Capitò accidentalmente che, un giorno, Albus urtasse inavvertitamente Amanda entrando in biblioteca. Per qualche ragione, lei aveva interpretato quel gesto come un segno del destino e, il giorno seguente, aveva già un appuntamento con lui prefissato per l’uscita successiva ad Hogsmeade.
Dopo quasi una settimana dall’inizio della scuola, Albus iniziava a sentirsi un po’ in colpa per aver evitato Amanda fin da dopo la fine del trimestre precedente, ma proprio non ce la faceva: ogni volta che la incrociava per i corridoi, deviava strategicamente attraverso una via alternativa o qualche passaggio segreto pur di non doversi trovare a spiegarle perché fosse sparito all’improvviso.
Quel primo giovedì, a pranzo, seduto al tavolo di Grifondoro, Albus si guardava intorno con aria furtiva: non aveva ancora visto Amanda, quel giorno, e il solo pensiero del suo arrivo gli metteva l’ansia, perché non aveva la minima idea di come gestire la situazione con lei.
«Al, vuoi calmarti?» gli disse Derek McLaggen, seduto alla sua destra «Stai facendo tremare la panca»
Solo alle parole del suo migliore amico, Albus si rese conto che era così nervoso che la sua gamba sinistra si muoveva incontrollata, rimbalzando su e giù come se avesse una vita propria.
«Scusa, Derek» mormorò «ma non voglio incontrare Amanda»
«Prima o poi dovrai affrontarla» commentò Derek saggiamente. Imboccò un pezzo di pollo arrosto e lo masticò lentamente, aumentando ancora di più il nervosismo di Albus.
«Mc, butta giù quella roba e andiamocene di qui!» esclamò lui «Voglio essere davanti all’aula di Pozioni il prima possibile»
«Amico, rilassati!» gli disse Derek, poggiandogli una mano sulla spalla «Cerca di distrarti, ok? Pensa ad altro. Ad esempio… pensa a quanto sarà fantastico il Gran Galà del Quidditch»
Concluse la frase con un certo entusiasmo, un entusiasmo che, in quel momento, Albus non condivideva affatto.
Albus alzò le spalle «Mi sembra fico» asserì distrattamente «L’ha organizzato tuo padre, no?»
«Ha collaborato» annuì l’altro «Parteciperei molto volentieri, se solo non…»
«Oh, porca vacca!»
Con un gesto repentino che lasciò sconvolto il povero McLaggen, Albus afferrò la copia della Gazzetta del Profeta che teneva in borsa da quella mattina e vi si nascose dietro, fingendo di leggere con interesse un articolo di cui ignorava il contenuto.
«Ti senti bene?» domandò Derek, scrutandolo come se fosse un particolare caso clinico.
«C’è Amanda, non parlarmi»
La figura di Amanda Boot aveva appena fatto capolino sulla soglia della sala grande. Albus sbirciò oltre la pagina del giornale, le mani tremanti nella presa indecisa: la ragazza stava scrutando proprio verso il tavolo di Grifondoro.
Si affrettò a nascondersi nuovamente dietro la Gazzetta, ma non passò molto prima che Derek gli desse un colpetto sulla spalla.
«Che c’è?» gli chiese, nervoso.
«Non ti senti osservato?» gli domandò l’amico. Ad Albus parve di scorgere una nota divertita nella sua voce.
«Perché?»
«Amanda ti sta guardando» rispose «Credo voglia salutarti»
Albus abbassò il giornale e vide un allegro Derek fare un cenno di saluto in direzione di Amanda. Lei ricambiò timidamente. Ormai uscito allo scoperto, anche Albus sollevò la mano, in un imbarazzato saluto.
«Splendido, ora sta venendo qui» commentò Albus sarcastico, guardando Amanda trotterellare verso di loro «Questa me la paghi, McLaggen»
Derek sogghignò mentre Amanda li raggiungeva.
«Ciao, Al» lo salutò lei allegramente, scoccandogli un sonoro bacio sulla guancia. Sentendosi avvampare, Albus lanciò uno sguardo disperato a Derek oltre la spalla di Amanda, in cerca d’aiuto: il suo amico si limitò a ricambiare un’occhiata divertita.
«Mi sei mancato, quest’estate, sai?» mugolò lei, infilandosi a forza sulla panca tra Albus e Derek «Ti ho anche mandato una lettera, l’hai ricevuta?»
Albus deglutì «Io, ehm… penso… credo di sì, insomma… sai, tante lettere…»
Cercò di nuovo aiuto guardando Derek di sottecchi, ma lui si limitò a ghignare mentre finiva il suo pranzo.
Questa me la paga, oh, eccome se me la paga!
«È che… non ho mai ricevuto la tua risposta» pigolò Amanda.
Che poteva dirle? Che il gufo si era smarrito? Che aveva perso la lettera nel vento, mentre volava verso la sua destinazione?
«Non l’hai ricevuta perché… non l’ho mai scritta» disse infine. Fu certo di vedere Derek rimanere bloccato a metà nell’atto di portare il calice d’acqua alla bocca.
«Non… non ti ho risposto» continuò, improvvisamente elettrizzato da quel nuovo, inaspettato coraggio «perché… insomma, non ce la faccio, Amanda, tu sei… insomma, non sono pronto per uscire con una persona… come te»
«Come me?» ripeté lei, iniziando chiaramente a scaldarsi «Che intendi per “come me”?»
«Che sei una fanatica!» sbottò Albus, rabbioso, ritrovandosi addosso gli occhi di diversi presenti in sala «Solo perché mi chiamo Potter, ciò non fa di me un… una sorta di trofeo, o…»
«Ah, quindi è questo che pensi?» strillò Amanda, balzando in piedi «Che fossi soltanto un trofeo?»
«Mi seguivi ovunque!»
«Sai cosa ti dico, Albus Potter?» continuò lei, puntandogli contro un dito «Che dovresti imparare l’umiltà! Tu, brutto… presuntuoso…»
Senza alcun preavviso, gli tirò uno schiaffo e l’intera sala grande ammutolì. Albus si portò una mano al viso, sbigottito, la guancia colpita che formicolava, mentre Amanda gli voltava le spalle e se ne andava sotto gli occhi attoniti di tutti.
«Ma… che cosa ho detto?» esclamò Albus, vagamente sotto shock: non aveva mai preso un ceffone da una ragazza prima di allora.
«Beh, non sei stato molto carino» gli disse Derek, che aveva qualche difficoltà a rimanere serio.
«Le ho detto la verità!»
«Amico, la verità non è sempre la risposta giusta» rispose l’altro, issandosi in spalla la borsa con i libri. Guardò Albus, ancora piantato sulla panca ed immobile con la mano sul volto «Allora? Non avevi fretta di andare a Pozioni?»
 
 
 
Se c’era una cosa che Roxanne odiava, quella era senz’altro lo specchio. Era il suo nemico giurato da sempre e, sebbene sapesse che diversi ragazzi la osservavano da lontano, chi più segretamente di altri, le cose non avevano fatto altro che peggiorare da quando Aiden Pritchard
le aveva giocato quel tiro poco simpatico l’anno precedente. Non riusciva più a fare a meno di mettersi continuamente in dubbio, di chiedersi se potesse valerne la pena per qualcuno, per davvero, e non solo semplicemente per il suo aspetto.
Quel venerdì mattina, ormai una settimana dopo la chiacchierata avuta con Aiden alla stazione di Hogsmeade, la lotta con sé stessa pareva più agguerrita che mai.
«Rox?» la chiamò Elizabeth Baston «Va tutto bene?»
Roxanne stava in piedi davanti allo specchio nell’angolo del loro dormitorio, la divisa infilata per metà, lo sguardo perso. Sospirò, sconfortata «Non lo so, Liz. È che… non riesco a vedermi»
Elizabeth, che, seduta sul letto, si stava infilando le calze, alzò la testa «Che vuoi dire?» le domandò.
«Sono davvero così?» le chiese, indicando la propria immagine riflessa.
Elizabeth la raggiunse, poggiandole affettuosamente il mento su una spalla «Affatto» le disse «Sei molto meglio»
Roxanne accennò un sorriso, ma gli occhi le bruciavano da morire e stava faticando parecchio per evitare di lasciar scendere le lacrime. Giocherellò nervosamente con la cravatta rossa e oro che teneva in mano nel tentativo di temporeggiare e riuscire ad inghiottire quel nodo che le opprimeva la gola.
«Che c’è che non va?» le domandò ancora Elizabeth.
«È che…» cominciò Roxanne, asciugando con impazienza una lacrima «tu mi vedi, Liz. Vedi oltre l’apparenza d-della ragazza tosta. E avrei… avrei solo voluto che anche Aiden lo facesse»
«Oh, Roxy» sospirò Elizabeth, abbracciandola. Roxanne si lasciò andare ad un pianto liberatorio, scoppiando in singhiozzi.
«Rox, se anche l’avesse fatto, non sarebbe cambiato nulla» le disse dolcemente Elizabeth.
Roxanne si liberò dalla sua presa «Che vuoi dire?» le domandò, tirando su rumorosamente col naso.
«Voglio dire – Accio fazzoletto! – che non importa quel che ha visto lui» continuò Elizabeth, asciugandole il viso con la pezzuola che aveva svolazzato verso di lei dal cassetto del suo comodino «E non importa nemmeno quel che vedo io. È quello che vedi tu, ciò che conta»
Roxanne si voltò di nuovo verso lo specchio: era un totale disastro.
«Una scema che ha appena pianto, con i capelli sconvolti?» azzardò.
Elizabeth le diede un colpetto con la bacchetta sulla testa «A quello si può rimediare» disse «Intendo qualcosa che non si vede allo specchio. Qualcosa che sta… qui»
Terminò la frase poggiandole l’indice sul petto, al cuore.
Roxanne sorrise, un po’ amaramente «E se… se non lo vedessi nemmeno io?»
«Lo vedrai» rispose Elizabeth, con l’aria di chi la sa lunga «Devi solo… darti tempo»
Roxanne abbracciò l’amica «Grazie» le disse.
«Ora, forza» la incitò l’altra «non voglio che ci pensi più per oggi, ok? Lo sai che non hai nulla da invidiare a nessuno»
Roxanne annuì e, un po’ rincuorata, finì di prepararsi, per poi scendere con Elizabeth per la colazione.
Giunte in sala grande, Roxanne, nonostante il discorso di Elizabeth di poco prima, non poté fare a meno di lanciare un’occhiata verso il tavolo do Serpeverde, un gesto che, ormai, era diventato un’abitudine consolidata.
«Ehi» la chiamò Elizabeth, alla quale, evidentemente, non era sfuggito lo sguardo di Roxanne «va tutto bene. Passerà»
«Senz’altro» rispose Roxanne, mentre prendevano posto al tavolo di Grifondoro assieme a Fred e al suo immancabile compagno, Lysander.
«Sorellina» Fred chiamò Roxanne, scrutandola in viso «ti senti bene?»
«Benissimo» rispose lei spiccia, prendendo un po’ di uova strapazzate.
Fred e Roxanne somigliavano entrambi molto alla madre, Angelina. Ma se fisicamente si assomigliavano tanto, avevano due caratteri completamente diversi: Fred era energico, socievole, sempre positivo; Roxanne, dietro l’aria da dura che si ostinava a mostrare, era tremendamente insicura ed introversa, e la maschera che si era costruita la portava spesso ad essere scontrosa e irascibile, e non era raro sentirla dare rispostacce a chiunque, professori compresi.
«Hai l’aria di chi ha passato la notte in bianco» continuò Fred.
«Interessante come, tutto ad un tratto, t’importi di me» sputò Roxanne; non aveva alcuna voglia di scavare più a fondo in sé stessa, non quella mattina «Hai bisogno di qualcosa?»
Fred rimase impietrito «Mi sono sempre preoccupato per te, Rox» mormorò «Sei mia sorella»
Roxanne stava per rispondergli per le rime, ma Elizabeth intervenne: «Ragazzi, per favore!» esclamò, lanciando un’occhiataccia all’amica «Non risolverete nulla insultandovi a vicenda»
«Ti garantisco che, in passato, abbiamo risolto molte cose, insultandoci a vicenda» replicò Fred con fare saggio, dall’altro lato del tavolo. Roxanne grugnì la sua approvazione.
«Sai, Rox» intervenne Lysander dopo un po’ «forse non sono la persona più adatta per dirlo, ma… dovresti trovare un modo per sfogare la frustrazione»
Roxanne lo fulminò con lo sguardo ma, prima che potesse proferire parola, Elizabeth intervenne: «Lysander non ha tutti i torti» disse, mentre quest’ultimo tirava un sospiro di sollievo per non aver ricevuto alcun improperio «Magari il Quidditch potrebbe farti bene. Potresti entrare nella squadra, no?»
Roxanne emise un verso scettico «Ce ne sono già troppi della nostra famiglia, in squadra» commentò «Qualcuno potrebbe sospettare che ci siano sotto dei favoritismi»
«La nostra famiglia ha il Quidditch nel sangue, ricordalo» si pavoneggiò Fred, masticando sapientemente la sua fetta di pane tostato.
«Idea!» saltò su ancora Elizabeth, facendo sobbalzare i suoi compagni «Perché non tenti i provini per il torneo? Per la squadra di Hogwarts?»
«Manco morta!» esclamò Roxanne «Non darò ad Olivia Montague la soddisfazione di prendersi gioco di me anche sul campo»
«In effetti, Weasley, non so quanto ti convenga. Potresti spezzarti un’unghia»
Parli del diavolo…!
L’insopportabile voce stridula di Olivia Montague giunse all’orecchio di Roxanne da un punto imprecisato alle sue spalle. Si voltò, trovandosi faccia a faccia con quella che poteva definire la sua acerrima rivale in tutto, immancabilmente accompagnata dalla sua fedele seguace, Vivian Baddock, che rideva sguaiatamente alla battuta della sua amica.
«Credevo che il tavolo di Serpeverde fosse dall’altra parte della sala» osservò Roxanne.
«Lo è» rispose fastidiosamente Olivia «ma ho deciso di passare a farti un saluto»
«Grazie del pensiero, Montague» intervenne Elizabeth «Ora puoi anche evaporare»
«Chiudi quella boccaccia, Baston!» abbaiò Vivian.
«Sai che c’è, Montague?» esordì Roxanne, alzandosi per fronteggiarla, in un improvviso moto di decisione «Rischierò di rompermi un’unghia, se vuoi vederla a questo modo. E ti dirò di più: Fred ha ragione, il Quidditch, ce l’ho nel sangue. E mi prenderò il mio posto in squadra»
Roxanne udì Fred sibilare un “Sì!” prima che Olivia riprendesse: «Sei così coraggiosa, Weasley» la canzonò, col suo solito tono mellifluo «Scommetto che speri tanto che Aiden sia sugli spalti ad applaudirti. Poverina, ti si sarà spezzato il cuore quando hai scoperto che non ricambiava i tuoi sentimenti»
Roxanne avvertì un peso caderle sul fondo dello stomaco e si sentì avvampare dalla rabbia. Se avesse ricevuto una secchiata d’olio bollente in viso, probabilmente sarebbe stato meglio. Olivia sapeva bene quale fosse il suo punto debole e aveva centrato il bersaglio.
«Ma brutta…»
Elizabeth l’afferrò per un braccio appena in tempo e, da un lato, Roxanne dovette essergliene grata, o si sarebbe scagliata contro Olivia prendendola a pugni fino a quando non le avesse ridotto la faccia a una sorta di tubero bitorzoluto. Ad alcuni studenti curiosi, il gesto non sfuggì.
«Seguiremo i tuoi provini con molto interesse, Weasley» commentò Olivia, per nulla intimorita dall’essersi trovata a un passo da una zuffa «Sempre che tu non preferisca passare il tuo tempo a piagnucolare nel tentativo di attirare l’attenzione di Pritchard»
Detto ciò, le due Serpeverde si allontanarono verso il loro tavolo, sghignazzando.
Roxanne, strattonata da Elizabeth, tornò a sedersi.
Era furiosa. Era ora che qualcuno facesse tacere quell’oca. E quel qualcuno sarebbe stata lei.
«Farò quel provino, fosse l’ultima cosa che faccio!» sbraitò «Come si permette di… di…»
Emise un ringhio arrabbiato «Giuro che l’ammazzo, quella vacca
 
 
 
Lily ricordava bene i metodi che Adam Baston, il loro vecchio Capitano, utilizzava per mantenere in riga la squadra di Quidditch. Primo fra i tanti, soleva organizzare un incontro piuttosto mattiniero durante la prima giornata libera di tutti i giocatori, solitamente il sabato mattina.
La giovane Potter, complice l’inesperienza in quel ruolo, aveva deciso di conservare quella specie di tradizione, così comunicò ai membri rimasti in squadra – suo fratello Albus e Derek McLaggen - che si sarebbero ritrovati il sabato mattina in sala comune per poi scendere al campo di Quidditch, dove avrebbero iniziato a stilare alcune nuove tattiche di gioco e, se ne avessero avuta l’opportunità, le avrebbero messe in atto.
Aveva raccomandato ai due la massima puntualità e, ironia della sorte, quella mattina fu proprio la sua sveglia a non suonare. Solo quando ricevette un cuscino in faccia, si destò di soprassalto.
«CHI VA LÀ?» urlò, puntando la bacchetta a caso nella stanza. Spostando i capelli scarmigliati dal viso, con qualche difficoltà riuscì a mettere a fuoco suo fratello Albus, probabilmente artefice di quel brusco risveglio.
«Dormi con la bacchetta sotto il cuscino?» le domandò lui.
«Come sei entrato?» esclamò Lily, la bocca ancora impastata di sonno. Come o con che cosa dormisse non erano affari di nessuno, nemmeno di suo fratello.
«Lily, abbiamo la riunione di squadra» la redarguì Albus, ignorando le lamentele della sorella «L’hai dimenticato?»
«No, io…» biascicò Lily, cercando disperatamente un orologio; la sveglia sul suo comodino segnava le nove meno dieci.
«L’incontro è fra dieci minuti!» sbottò spazientita. Odiava essere svegliata, specialmente in modi così poco ortodossi. In realtà, odiava essere svegliata e basta, che fosse un cuscino, la sveglia o chi per loro.
«Hai detto tu di essere puntuali» ribadì Albus, iniziando a raccogliere alcuni dei vestiti di Lily sparsi in giro per la stanza «In quanto Capitano, dovresti dare il buon esempio. Non hai imparato nulla da Adam?»
«Se l’incontro è fra dieci minuti, sono in perfetto orario» brontolò lei. Con uno sbuffo irritato, afferrò il cuscino che l’aveva svegliata e lo scaraventò a terra «E comunque no, non ho imparato nulla, perché non pensavo che qualche pazzo mi facesse Capitano. E un’ultima cosa: questo è un dormitorio femminile, Al, quindi sciò
Albus ridacchiò «E rischiare che ti rimetta a dormire? Nossignore!» disse.
Lily sbuffò dal naso «Grazie per la fiducia» brontolò «Sei il mio vice, dovresti supportarmi, non… sgridarmi»
«Non ti sgrido, ti sprono» disse Albus, divertito.
«Lanciandomi un cuscino in faccia?» constatò Lily, contrariata.
«Se può servire…» continuò lui, sempre sulla stessa linea. Evidentemente, punzecchiare la sorella circa i suoi compiti da Capitano lo divertiva parecchio.
«Ti detesto» ringhiò Lily «Penso che andrò a dare le dimissioni»
«Tu non andrai proprio da nessuna parte» rispose Albus, appoggiandosi alla porta a braccia incrociate con un ghigno «Scenderai con noi al campo per studiare qualche nuova tattica, da buon Capitano che si rispetti, Lily Luna»
«Senti un po’, Albus Severus» cominciò Lily, balzando finalmente giù dal letto, cercando di mettere in quelle parole tutta l’autorevolezza che poteva «vedi di smetterla di sbriciolarmi le Pluffe, perché non sei né mamma, né papà, quindi non sarai di certo tu a dirmi cosa devo o non devo far- AAARGH!»
Lily maledisse per un attimo l’essere così terribilmente disordinata. Il suo baule, solitamente ai piedi del letto, era finito chissà come in mezzo alla stanza e il suo mignolo vi si era brutalmente schiantato contro.
«Porco Merlino!» strillò, saltellando sul piede sano e tenendosi quello accidentato, dando il via ad un’improbabile sfilza di imprecazioni.
Sotto gli occhi attoniti ma ancora più divertiti di Albus, Lily arrivò al bagno balzellando, lavò velocemente la faccia e indossò alcuni degli abiti che suo fratello aveva raccolto poco prima, poi, assieme a lui, scese nella sala di ritrovo, dove Derek li stava aspettando.
Lo salutò con un lungo sbadiglio, uno dei tanti che continuavano a farle lacrimare gli occhi da quando aveva abbandonato il letto. Fu solo in quel momento, ritrovandosi solamente in tre, che Lily si rese tristemente conto di quanto fosse decimata la squadra a livello di giocatori.
«Bene» disse Albus, come se toccasse a lui dirigere quella questione «Vogliamo andare?»
Lily si guardò attorno per un attimo, la fronte aggrottata «Non pensi che… dovremmo chiamare anche Fred?»
«Fred?»
«L’anno scorso era in squadra» intervenne Derek «e non se l’è nemmeno cavata male. Anzi, come coppia di Battitori andavamo alla grande»
«Era in squadra per sostituire Meredith» ribatté Albus.
«Ma Meredith si è diplomata» gli fece notare Lily «Fred potrebbe tranquillamente prendere il suo posto in squadra»
«E lo ammetteresti senza fargli fare alcun provino?» continuò Albus.
Lily scrollò le spalle «Adam era un ottimo Capitano» disse «e se ha ritenuto giusto dare fiducia a Fred, beh… lo farò anch’io»
«Non pensi che dovresti prima chiedere il consenso a Neville?»
Lily stava iniziando ad irritarsi «Scusami tanto, Al, a chi hanno mandato la spilla di Capitano quest’estate?» esclamò, stizzita.
Albus alzò le mani, in segno di resa «Come vuoi» sospirò, ma non suonava affatto convinto.
«Ok, ehm… uno di voi può andare a chiamarlo?» chiese ai suoi due compagni.
Derek e Albus si scambiarono un’occhiata, ma nessuno dei due rispose.
Lily alzò un dito, indicando i piani superiori «Fred, dormitorio maschile» disse, come se stesse spiegando un concetto semplicissimo a due bambini un po’ duri di comprendonio «Io sono una ragazza»
«E il Capitano» sottolineò Albus, aspro.
«Ho capito, vado a chiamarlo io» sbuffò Lily. Sapeva che Albus se l’era presa: chiedergli di farle da vice-Capitano doveva averlo ringalluzzito al punto tale da fargli credere di avere molto più potere decisionale di quel che Lily intendeva lasciargli.
Salì le scale che portavano ai dormitori dei ragazzi, bussando con forza alla porta di quello di Fred. Non udì nulla, se non un gran trambusto proveniente da dentro.
Si schiarì la gola «Fred?» chiamò «Sono Lily. Ho convocato una riunione di squadra giù al campo, e ci terrei che ci fossi anche tu»
Di nuovo, nulla.
«Fred?» chiamò ancora. Spazientita, decise di aprire la porta, ma se ne pentì immediatamente: non appena mise piede nella stanza, si ritrovò il sedere nudo di Fred in bella vista.
Strillò come un’ossessa, richiudendo subito la porta e coprendosi gli occhi con una mano per evitare che quello spettacolo raccapricciante le si presentasse alla vista una seconda volta.
«FREDERICK WILLIAM WEASLEY!» gridò «Razza di scostumato senza pudore!»
«Ehi, Lily» fece lui divertito, socchiudendo la porta «Che volevi dirmi?»
Lily scosse la testa nel tentativo di scacciare l’immagine di poco prima da davanti agli occhi «Riunione di squadra al campo, fra poco» gli disse «Cerca di sbrigarti. Oh, e possibilmente, cerca di venire vestito»



[ Claire Says ]
Hello, everyone!
Ordunque, capitolo 5 (o 4, se contiamo il prologo) in cui si sviluppano un altro po' le dinamiche fra i personaggi.
What else... ho deciso di titolare i capitoli, in primis perché, senza un riferimento, non mi ricordo cosa tratto in quel capitolo, secondo, perché vi garantisco che leggere una sfilza di "Capitolo 1, Capitolo 2..." and whatsoever nella pagina di gestione delle storie è assai brutto da vedere, IMHO. E quindi mi sono aiutata con titoli di canzoni che riprendono un po' quello di cui si parla nel capitolo. Come? Con la ricerca brani su Spotify. Sì, ho dei problemi.
Basta essere prolissa anche per oggi, grazie per essere stati con noi e alla prossima puntata!
Much love,
C.

 

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Capitolo 6
*** Doubts and convictions ***


Quando si trattava di studiare, Alice era irremovibile. Si spacciava spesso per una ragazza con poca voglia di fare, probabilmente per meglio amalgamarsi alle due amiche talvolta piuttosto scansafatiche che si portava dietro, diceva a chiunque di odiare l’incarico di prefetto – anche se quello lo odiava davvero –, ma i suoi voti dovevano a tutti i costi essere impeccabili. Forse complice il fatto di avere un padre insegnante, era sempre stata molto diligente e ligia ai suoi doveri di studentessa, ed è inutile dire quanto, per lei, la biblioteca scolastica fosse una sorta di luogo sacro in cui doveva regnare il silenzio più assoluto. Per questa sua peculiarità, molto nota tra i membri della sua famiglia, suo padre la paragonava spesso alla sua amica Hermione Granger; sua sorella Augusta, invece, preferiva compararla alla burbera ed anziana bibliotecaria Madama Pince.
Quel pomeriggio, Alice aveva costretto Lily e Jessica a seguirla in quello che loro chiamavano “l’antro oscuro” per una sessione di studio non-stop. Sapeva che c’era ancora tantissimo tempo prima dei G.U.F.O., ma aveva insistito perché le sue amiche cominciassero fin da subito a mettersi sui libri, onde evitare di ritrovarsi in tempo d’esami con due compagne piagnucolose che non sapevano più dove sbattere la testa per via del troppo procrastinare durante il resto dell’anno. Al loro tavolo, scelto tatticamente in fondo alla biblioteca per evitare eventuali disturbatori, regnava la calma più assoluta. Perfino Lily, che era solita perdersi a scarabocchiare gli angoli delle pagine dei libri, era pienamente concentrata sul paragrafo introduttivo sugli Animagus.
Facciamo progressi.
Ma se tra di loro andava tutto a meraviglia, ben presto una presenza un tantino scomoda per Alice fece la sua comparsa tra gli scaffali, ronzando perlopiù nei pressi della loro postazione. Da alcuni minuti, infatti, Alice non aveva potuto fare a meno di notare Aiden Pritchard che gironzolava tra le librerie poco distanti con la sua solita aria menefreghista, prendendo e sfogliando libri a caso tra le mensole.
«Lo fa apposta» bisbigliò tra sé a denti stretti.
«Cosa?» fece Lily, distogliendo l’attenzione dai libri. Era chiaro che attendesse solo un pretesto per abbandonare lo studio.
«Nulla» si affrettò a rispondere Alice, maledicendosi per aver espresso il suo peniero a voce alta mentre cercava di concentrarsi nuovamente sugli Animagus. Avvertì un lieve calore sulle guance: non stava mica arrossendo per Pritchard?!
A Lily la cosa parve non sfuggire «Alice, ti senti bene?» le domandò.
«S-sì, ho solo…»
«Ma tu guarda un po’ che coincidenza!» esclamò Pritchard spuntando accanto al loro tavolo, con un tono che sarebbe stato più consono in mezzo al caos di Diagon Alley che in una biblioteca.
«Sssh!» fece Alice con foga «Siamo in una biblioteca, cretino!»
Lui si guardò intorno con apparente interesse «Lo vedo» asserì.
«Bene» sibilò Alice «Ora, ti dispiacerebbe lasciarci in pace? Stiamo cercando di…»
«Perché questo incontenibile astio nei miei confronti, piccola Paciock?» canticchiò Aiden sedendosi nel posto vuoto accanto a lei, sotto gli sguardi perplessi di Lily e Jessica «Cos’ho fatto di male?»
«Sei venuto al mondo, ecco cos’hai fatto di male» ringhiò lei, con tutto l’astio possibile «Ti prego, vattene. Non voglio toglierti altri punti»
Gli occhi di Alice mandavano scintille: la vicinanza di Pritchard le faceva montare la rabbia come nient’altro al mondo. Lui parve decidersi a recepire il messaggio.
«E va bene, Prefetto Perfetto» sospirò rassegnato «Vorrà dire che ci rivedremo durante uno dei tuoi turni notturni. Buono studio»
Detto ciò, si alzò senza preoccuparsi di non fare rumore con la sedia, trascinandola sul pavimento di legno, per poi incamminarsi verso l’uscita della biblioteca.
Alice lo guardò allontanarsi con sguardo truce. Non appena ebbe varcato l’angolo che portava nel corridoio del secondo piano, si lasciò sfuggire uno sbuffo.
«Ok» disse lentamente Lily, con fare sospettoso «che succede?»
«Pritchard continua a tormentarmi!» sbottò Alice «Mi perseguita ovunque e durante i turni di notte mi segue in giro per i corridoi»
«Ti segue?» fece Jessica, le sopracciglia aggrottate.
«Beh, non esattamente» rispose Alice «ma fa in modo di trovarsi dove mi trovo io per potermi mettere in difficoltà»
«Metterti in difficoltà?» chiese Lily «Che vuoi dire?»
Dal suo sguardo, Alice capì che Lily doveva totalmente aver frainteso le sue parole. Credeva che le piacesse Aiden?
«Non ho alcun interesse per lui, se è questo che pensi» si affrettò a dire «Anche perché sta con tua cugina, sbaglio? Dico solo che… beh, probabilmente sa quanto poco mi piaccia il mio incarico di prefetto e cerca di farmi fare brutta figura con la preside o con mio padre»
Per Merlino, quanto suonava male! Sembrava una stupidissima scusa. Ma che altro poteva dire? Non le piaceva Pritchard, non Aiden Pritchard, lei lo odiava.
Lily arricciò le labbra «Beh, punto primo, sbagli, perché non sta più con Roxanne» disse «e se anche ti piacesse, non ci sarebbe nulla di male, io e Jess non ti giudicheremmo, no?»
«Affatto» le fece eco Jessica, scuotendo la testa.
Alice le guardò entrambe come se fossero ammattite «Non mi piace Pritchard, ok?» brontolò.
«Se lo dici tu» borbottò Lily, poi tornò incredibilmente a concentrarsi sul suo libro di Trasfigurazione. Tra loro calò di nuovo il silenzio ed Alice poté tirare un sospiro di sollievo, grata più che mai che quella conversazione spiacevole fosse finita. Ma non passò molto prima che la ritrovata quiete venisse disturbata di nuovo, questa volta da Jessica.
«Ragazze, io…» cominciò, ma Alice si affrettò a zittirla. Non voleva essere interrotta ancora, stava cominciando a perdere la concentrazione. Tuttavia, Jessica la ignorò e proseguì: «Vorrei solo sapere una cosa»
A malincuore, Alice staccò gli occhi dal libro «Jess, se non ha a che fare con gli Animagus, possiamo parlarne dopo? Vorrei…»
«Oh, ma che importa?» esclamò Lily, chiudendo il libro con un tonfo «Dobbiamo essere a Incantesimi fra un quarto d’ora, lasciala parlare»
Alice si lasciò sfuggire un sospiro stanco mentre Jessica si tormentava nervosamente una ciocca di capelli: cosa doveva dire di tanto importante?
«Beh, ehm…» sussurrò imbarazzata, mentre le sue guance assumevano un colorito rosato «Sapete se… insomma, se per caso Fred esce con qualcuna?»
«Fred… Weasley?» chiese Alice.
Jessica annuì timidamente.
Lily strabuzzò gli occhi, in preda all’entusiasmo «Oddio, Jess, vuoi dire che diventeremo parenti?» strepitò.
«Ma che stai dicendo?» s’infervorò la giovane Jordan, sempre più paonazza.
«Che vuoi uscire con Fred» continuò Lily «Quindi vuol dire che…»
«Sì, cioè, no, cioè, frena un po’!» balbettò Jessica, imbarazzata. Poggiò le braccia sul tavolo e vi nascose il viso, scoppiando a ridere.
«Sai che gli ho visto le chiappe?» la informò Lily, come se stesse comunicando di aver appena acquistato un nuovo libro.
Alice non riuscì a contenersi e scoppiò a sua volta a ridere in silenzio, mentre il viso di Jessica, rosso come un peperone maturo, si sollevò di nuovo all’altezza di quello delle amiche.
«Lily!» esclamò stizzita.
«Ho aperto la porta ed erano lì in bella vista, che ci posso fare?»
La genuinità con cui Lily riusciva a dire cose che potevano risultare imbarazzanti era disarmante. Trattenere le risa stava diventando un’impresa eroica.
«E come…» fece ancora Jessica «insomma, come… sono?»
Alice credette di soffocare. Le faceva male la pancia e non riusciva a tirare il fiato. Ormai rideva a crepapelle, senza più preoccuparsi di fare silenzio, gli occhi lacrimanti.
«Oh, per Godric!» sghignazzò «Non posso credere che tu lo abbia detto sul serio!»
«Sei una scostumata, Jessica Jordan» la sbeffeggiò Lily, poi riprese, imitando la voce tonante della preside: «Cinque punti in meno a Grifondoro per la tua sfacciataggine!»
Jessica appallottolò un foglio di pergamena e glielo lanciò addosso, unendosi alle risate delle sue compagne. Era chiaro che quel pomeriggio di studio poteva considerarsi terminato.
 
 
 
Nell’udire il fastidioso trillo della sveglia, Lily non poté che maledirsi per aver deciso di prenotare il campo così presto. In realtà, non l’aveva esattamente deciso: gli altri Capitani si erano scelti gli orari migliori, perciò le era rimasta l’opzione del turno delle otto di mattina. Sperò solo che Albus non le facesse di nuovo la ramanzina per la sua disorganizzazione.
Non sono disorganizzata. Sono solo… diversamente ordinata.
Un po’ controvoglia, scese nella sala grande deserta salvo Derek, Albus e alcuni aspiranti giocatori, tra cui due ragazzi del settimo anno, Sebastian Peakes e Connor Abercrombie, e una ragazzina dai capelli arancioni che non doveva avere più di quattordici anni e che, se Lily non ricordava male, aveva un nome particolare, Venice, forse.
«Ma statevene a letto, voi che potete» biascicò Lily, prendendo posto di fronte al fratello.
«Alzataccia?» le chiese lui con ironia.
«Taci o ti elimino fisicamente dalla squadra» brontolò lei, afferrando una fetta di torta al cioccolato «E, prima che tu me lo chieda, sì, anche se sei mio fratello»
«Alzataccia, eccome» intervenne Derek, facendo eco al suo amico.
«Vale anche per te, McLaggen» disse Lily, prima di addentare la sua colazione. Qualche posto più in là, un ragazzetto smilzo con un ciuffo di folti capelli castani, rispondente al nome di Morris Macmillan, non la smetteva di mangiare: Lily fu certa di vederlo servirsi una ciotola di latte e cereali, due fette di pane tostato con burro e marmellata, una tazza di caffelatte e un bicchiere di succo d’arancia, ingurgitando il tutto come se quello fosse il suo ultimo pasto. Con una risata, ricordò che anche James si abbuffava a più non posso prima delle partite.
Meno di mezz’ora dopo, Lily e i pochi superstiti della squadra erano già allo stadio, in divisa e con le scope alla mano, davanti a loro almeno una ventina di aspiranti giocatori, tra i quali spiccava la chioma bionda di Lysander Scamandro, pronti per essere sottoposti al provino. Alle loro spalle, sugli spalti, alcuni curiosi e qualche membro delle squadre avversarie erano accorsi per assistere alle selezioni. Nel vederli, il pensiero di scagliar loro contro una bella Fattura Orcovolante attraversò la mente di Lily. Non erano nemmeno le otto ed era sabato mattina, perché dovevano ficcare il naso con così tanta insistenza?
Cercò di ignorarli e, spalleggiata da Albus, fronteggiò i giocatori, immersi in un chiacchiericcio fitto e fastidioso.
«Silenzio, per favore!» gridò Lily. La folla ammutolì all’istante. Soddisfatta, la giovane Potter riprese con più calma: «Dunque, come ben vedete, la squadra è decimata: ci mancano due Cacciatori e, soprattutto, un Cercatore. Fred è stato confermato come Battitore – a Lily non sfuggì il grugnito di disapprovazione di Albus -, quindi se siete qui per tentare per il ruolo, beh… mi dispiace per voi, ma potete andare»
Come previsto, un paio di ragazzi uscirono dal gruppo dirigendosi sconsolati verso gli spogliatoi.
«Bene» proseguì Lily «Cominceremo con la selezione per i Cacciatori, perciò i Cercatori si spostino a bordo campo, gli altri si mettano in fila»
La piccola folla di candidati Cacciatori, circa una quindicina di persone, obbedì tra spintoni e spallate, mentre i restanti andavano a sedersi sul prato un po’ più in là; quando finalmente si furono disposti in linea retta, Lily continuò: «Avrete a disposizione cinque tiri a testa. Vi avverto, superare Albus agli anelli non è un compito facile, quindi se volete questo posto in squadra datevi da fare. Avanti il primo!»
Preso alla sprovvista, il primo della fila, un ragazzino con i capelli a scodella a dir poco pelle e ossa si fece avanti tutto tremante e pallidissimo, gli occhi a palla fissi su Albus che volava verso la porta. Forse per la paura, non appena montò sul suo manico di scopa scivolò all’indietro, rovinando a terra. Non appena si fu rimesso in piedi, scappò via verso gli spogliatoi.
«Ok, non è esattamente l’inizio che mi aspettavo» disse Lily, un po’ sconsolata «Il prossimo!»
Si presentò il ragazzo col ciuffo castano, Morris. Era talmente verdognolo che Lily era convinta fosse prossimo a vomitare tutto quel che aveva trangugiato a colazione. Con suo stupore, invece, volò in aria con agilità fermandosi di fronte ad Albus. Il Portiere gli lanciò la Pluffa e lui l’afferrò con decisione.
Il ragazzo tentò subito il primo lancio: scattò verso destra e, non appena vide Albus tuffarsi da quella parte, scartò e tirò la Pluffa nell’anello di sinistra. Non era male in confronto al fallimento del bambino di poco prima.
Ma Lily dovette presto ricredersi: forse per l’eccitazione di aver mandato a segno un lancio così ben calcolato, Morris sbagliò tutti gli altri.
Dopo di lui toccò a Sebastian Peakes. Era molto alto e piuttosto ben piazzato, una stazza più adatta ad un Battitore, ma Lily decise di lasciargli la possibilità di provare. Non se ne pentì: Sebastian mandò a segno quattro gol su cinque, tutti quanti studiati per fuorviare il Portiere. Una tattica del tutto personale, ma assolutamente efficace.
Seguì la ragazzina dai capelli arancioni. Sbagliò il primo, il secondo e il terzo tiro; al quarto lancio, più per una distrazione di Albus che per altro, la Pluffa passò nell’anello centrale, per poi finire dritta tra le mani del Portiere al tiro successivo.
Almeno altri sei o sette giocatori si trovarono a fronteggiare Albus, tutti con risultati molto più che scarsi. Quando finalmente toccò a Connor Abercrombie, l’ultimo della fila, Lily restò sbalordita: cinque su cinque. Non se l’aspettava, ricordava bene quanto Connor fosse stato mediocre alle selezioni durante gli anni precedenti. Probabilmente si era allenato ed era migliorato notevolmente.
Terminata la prestazione di Connor, Lily fu raggiunta a terra da Albus.
«Allora?» le domandò «Hai già un’idea?»
«Credo proprio di sì» rispose lei «ma prima voglio scegliere anche il Cercatore»
Albus annuì, quindi Lily tornò a rivolgersi ai ragazzi in campo «Grazie, Cacciatori» disse «Ora lasciate il posto ai Cercatori»
I giocatori sul campo si scambiarono di posto con i soli cinque aspiranti Cercatori: Lysander, una ragazza del sesto anno con la frangetta, due ragazzine che non dovevano avere più di tredici anni e… di nuovo il ragazzino con i capelli a scodella.
Un po’ stranita, Lily diede anche a loro le istruzioni: «Cercatori. La vostra prova consisterà nel riuscire a prendere il boccino nel minor tempo possibile. Con qualche… distrazione. Avanti il primo»
Fu una delle due tredicenni a farsi avanti per prima. Mentre montava in sella alla sua scopa, Albus liberò in aria il Boccino e i due Battitori salirono in quota. La ragazzina li guardò con aria preoccupata.
«Via!» gridò Lily. La ragazzina iniziò a volare sul campo, gettando occhiate qua e là, non con troppa decisione. Non passò molto prima che un Bolide passasse vicino a Derek, che lo colpì con forza in direzione della piccola giocatrice. Totalmente presa alla sprovvista, la ragazzina, vedendo la palla nera sfrecciare verso di lei, cacciò un urlo e, spaventata, si lanciò in picchiata verso terra, andando a cozzare rovinosamente contro la sua amica in attesa del proprio turno. Le due ruzzolarono sul prato, mentre diversi presenti sugli spalti scoppiarono a ridere.
Lily si affrettò a raggiungerle «Tutto bene?» domandò, preoccupata.
La ragazzina colpita si mise a sedere, mugugnando «Te l’avevo detto che non era roba per noi, Millie!» sbraitò contro l’amica, dandole uno spintone «Sto bene, comunque. Stiamo bene»
«N-no, io…» intervenne Millie, piagnucolando «Il polso… mi fa male il polso»
Lily trattenne a stento un’imprecazione «Meglio che tu vada in infermeria» le disse «Hai bisogno che qualcuno ti accompagni?»
«La accompagno io» disse l’altra piccoletta «Scusa per questo disastro»
«Non è successo nulla» rispose Lily, aiutando le due a rimettersi in piedi. Le due ragazzine lasciarono lo stadio e le selezioni ripresero.
Il ragazzetto dai capelli a scodella, nel frattempo, era sparito: probabilmente, l’episodio appena accaduto gli aveva fatto cambiare idea. Fu quindi la volta di Lysander. Si librò in aria con agilità, facendo subito un volo di ricognizione sopra al campo. Lily lo vide subito assottigliare gli occhi, sondando lo stadio da cima a fondo. Non ci mise molto prima di lanciarsi con decisione verso il bagliore dorato che scintillava poco sopra le teste del pubblico sugli spalti. Sfrecciò in alto, attorno agli anelli della porta, scansò con una piroetta un Bolide speditogli contro da Fred, si abbassò sul suo manico di scopa e, scattando in avanti, acchiappò la piccola palla d’oro.
«Tempo!» gridò Derek dall’alto.
A terra, Albus, accanto a Lily, stoppò il cronometro che teneva in mano: segnava un minuto e cinquantasei secondi.
«Wow» dissero i due fratelli all’unisono, sbalorditi.
«Pensi che la ragazza possa fare di meglio?» Albus chiese a Lily, guardando di sottecchi l’ultima candidata rimasta.
Lei scrollò le spalle «Lo scopriremo presto» disse «Ehm… Tracy, giusto? È il tuo turno»
Tracy, al pari di Lysander, si alzò in volo facilmente, ma temporeggiò guardandosi attorno prima di svolazzare attorno al campo. Partì in quarta verso gli anelli alla sua sinistra, adocchiando il Boccino che volava attorno ai pali della porta. Era concentratissima, un braccio già proteso in avanti pronto ad afferrare quella piccola palla, ma non si accorse affatto del Bolide speditole contro da Derek. Le sfiorò pericolosamente un orecchio, facendola barcollare e, per non perdere l’equilibrio, fu costretta ad aggrapparsi al suo manico di scopa con entrambe le mani, rallentando la sua corsa. Il Boccino le era sfuggito. Scrutò di nuovo attorno a sé e ci mise poco prima di individuarlo di nuovo, non lontano dagli aspiranti Cacciatori seduti sul prato. Come Lysander prima di lei, si gettò in picchiata, prendendo sempre più velocità, riuscendo ad afferrare il Boccino appena sopra la testa del piccolo Morris Macmillan.
«Tempo!» esclamò Albus, passando a Lily il cronometro: due minuti e trentotto secondi.
Lily guardò Albus, il cui sguardo era piuttosto eloquente: sul nuovo Cercatore v’erano ben pochi dubbi. Lily era anche piuttosto certa della scelta dei Cacciatori.
Soffiò forte nel fischietto, richiamando vicino a sé il resto della squadra e tutti i candidati, che si disposero di fronte a lei e Albus.
«Cercatori, venite avanti» disse a Lysander e Tracy. I due obbedirono, lasciandosi dietro il resto del gruppo.
«Avete fatto entrambi un’ottima prova, complimenti» disse loro Lily, mentre gli altri giocatori battevano educatamente le mani «Tuttavia, Lysander ha ottenuto un tempo migliore ed è stato più preciso, perciò… benvenuto in squadra, Lys»
Tra gli applausi contenuti, Fred non riuscì a contenere l’entusiasmo di avere il suo migliore amico in squadra e non esitò a saltargli in groppa, scompigliandogli i capelli.
«Ora, Cacciatori» proseguì Lily «siete in parecchi e diversi, tra voi, hanno fatto delle buone prove, ma… due sono state migliori. Quindi, do il benvenuto in squadra a Connor Abercrombie e Sebastian Peakes»
Gli applausi per i Cacciatori furono più sporadici. Lily congedò i presenti in campo, sbrigandosi a raccogliere la Pluffa per liberare il campo per i provini dei Corvonero. Prima di riporla, si rivolse alla squadra, finalmente al completo: «Dunque, Grifondoro… nei prossimi giorni vi comunicherò gli orari degli allenamenti, probabilmente saranno ogni mercoledì, venerdì e sabato. Penso… penso che la squadra sia buona, sì. Possiamo funzionare. Potete… potete andare»
I giocatori lasciarono il campo, Fred e Lysander tra esultanze e grida di giubilo, e Lily, mentre riponeva la Pluffa nella cassa delle palle, fu raggiunta da Albus.
«Perché non hai lasciato che provassero anche per il posto da Battitore?» le domandò con fare accusatorio.
Lily scrollò le spalle «Fred è bravo» borbottò «ne ha dato dimostrazione anche oggi. E funziona bene assieme a Derek, l’ha detto anche lui»
«E se tra quelli che hai mandato via ci fosse stato qualcuno che poteva funzionare meglio?» continuò lui, senza troppi giri di parole.
«E se non ci fosse stato?» ribatté Lily, iniziando a scaldarsi «Che c’è, ce l’hai con Fred, all’improvviso?»
«Non si tratta di Fred, è che tu…»
«Ah, quindi sarei io, il problema?»
«Non sto dicendo questo, ma…»
«Oh, lo stai dicendo eccome!» Lily ormai stava urlando «Il problema è che non hai mai mandato giù che abbiano fatto me Capitano, e non te! Quando ho ricevuto l’incarico ti ho chiesto di aiutarmi e invece continui a metterti contro di me!»
Albus era allibito «Contro… stai scherzando?»
«Nemmeno un po’» rispose lei, con le lacrime agli occhi per la rabbia «Ti comporti come… come zio Dudley nei racconti di papà!»
Albus non rispose. Essere paragonati al cugino babbano del loro padre non era esattamente un complimento, e non perché non avesse poteri magici. Lily lo guardò un’ultima volta, sbuffando sconsolata e scuotendo la testa, prima di allontanarsi con le lacrime che, ormai, le rigavano il viso.



[ Claire Says ]
Buongiorno a tutti quanti!
Come procede la Fase 2?
A tal proposito, comunico (ai pochi) che, avendo già diversi capitoli pronti, ho deciso di postare una volta a settimana dato che, IN TEORIA, dal 18 maggio dovrei riprendere le mie normali attività, quindi il tempo da dedicare alla scrittura e tutto ciò che ci gira intorno sarà nettamente ridotto. Non so ancora come riprenderò, ma, onde evitare, terrò buono il giovedì come giorno di pubblicazione.
Bene, ora che ho finito con gli sproloqui da Premio Pulitzer dei poveri, passiamo al capitolo: è un po' più corto del solito, ma ho preferito dare spazio alle selzioni di Quidditch, e aggiungere una terza parte come per tutti gli altri l'avrebbe reso chilometrico.
Aaand basta, ho finito con le comunicazioni di servizio.

Much love,
C.

 

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Capitolo 7
*** If you dare ***


Nella sala grande aleggiava la tipica aria rilassata di ogni sabato sera: il consueto brusio di voci risuonava tutt’attorno, contornato da qualche risata allegra e dal tintinnio delle posate e dei bicchieri. Al tavolo di Grifondoro, però, spirava una certa tensione, specialmente tra i membri della squadra di Quidditch.
Dopo i primi screzi che avevano seguito le selezioni di quella mattina, nel pomeriggio Lily Potter aveva avuto una nuova, accesissima discussione col fratello Albus, al quale, infine, aveva limpidamente comunicato che non aveva più intenzione di averlo come suo vice-Capitano. Inutile dire che, nella sala comune, era scoppiato il putiferio tra i due. E Derek McLaggen lo sapeva bene perché, se non fosse intervenuto, probabilmente Lily e Albus se le sarebbero date di santa ragione, e al diavolo i legami di famiglia.
Fortunatamente, quella sera, Albus non si era ancora presentato a cena. Derek ne approfittò per domandare al suo Capitano cosa l’avesse spinta a “licenziare” il fratello.
«Mette continuamente in discussione le mie decisioni» fu la breve e concisa risposta «e lo fa solo perché è… frustrato, perché il Capitano non è lui»
Derek sollevò le sopracciglia «Magari il tuo “mettere in discussione” è il suo modo per aiutarti, no?» osservò.
«No, mi mette in discussione» ribatté lei secca, cacciandosi in bocca un pezzo di pane; lo masticò con calma prima di deglutire e riprendere: «Continuava ad insistere per visionare anche dei Battitori, ma Fred è ottimo in quel ruolo, molto più di quanto lo fosse Meredith, a mio parere, e…»
«Lily» la interruppe Derek, con fare saggio «so che essere il Capitano ti mette nella posizione di prendere le decisioni più importanti per la squadra, ma… tagliare fuori Albus così? Non ti sembra un atteggiamento un po’… ecco, da ditattore?»
«Un po’… che cosa?» sbottò lei.
«Hai capito bene» tagliò corto lui «Non credi che una squadra dovrebbe fare questo? Appoggiare il Capitano nelle sue scelte?»
Derek prese un lungo sorso di succo di zucca, fissando Lily da sopra il suo calice. Nonostante i suoi quindici anni e la statura piuttosto alta per una ragazza della sua età, non aveva perso quell’aria da bambina che aveva quando la conobbe, quel sorriso apparentemente tanto dolce quanto scaltro. Ma da quando era diventata Capitano, una nuova determinazione animava quegli occhi a prima vista così innocenti.
«Può darsi» rispose Lily con calma «Ma appoggiarmi, non… contraddirmi. Suggerirmi, guidarmi»
Tra loro calò il silenzio, rotto solo dal tintinnare delle posate sui piatti. Mentre mangiava la sua porzione di pasticcio di carne, Derek avvertì la bizzarra sensazione di essere osservato. Alzando il capo, notò che effettivamente Lily lo stava fissando con uno strano interesse.
«Che c’è?» domandò stupidamente.
«Sai, Derek, pensavo» disse lei dopo un po’ «se… per ipotesi, chiaramente… ti chiedessi di supportarmi come vice-Capitano?»
Derek si sentì travolgere da un’improvvisa ondata di euforia. Se non si fosse trovato in sala grande con decine di altre persone, si sarebbe messo a saltare sulla panca. Ma non poteva reagire in maniera esagerata, soprattutto perché Lily stava parlando per idee.
«Sarei onorato» rispose lui, cercando di mantenere un tono neutrale nonostante la gioia per la proposta appena ricevuta «Tuttavia… insomma, non sarebbe il caso di chiedere all’attuale vice-Capitano se è d’accordo?»
«D’accordo su cosa?» disse Albus stancamente sopraggiungendo in quel momento, avendo udito probabilmente gli ultimi scorci di discussione. Aveva i capelli arruffati e l’aria di qualcuno che aveva dormito l’intero pomeriggio «Oh, aspetta… mia sorella mi ha sollevato dall’incarico»
«Ciao, Al» lo salutò Derek un po’ a disagio, spostandosi sulla panca per fare posto all’amico mentre, di fronte a lui, Lily non si preoccupò di lasciarsi sfuggire uno sbuffo scocciato «Beh, ecco… Lily mi stava proponendo… ipotizzando, ovviamente… di diventare il suo nuovo vice-Capitano, perciò… insomma, magari era il caso di chiederti…»
«Albus non è più il mio vice» Lily fece notare a Derek, come se suo fratello non fosse presente «o forse hai dimenticato la lite di oggi?»
Albus diede in un grugnito di disapprovazione, ma Derek finse di non accorgersene «No, affatto» tagliò corto, per nulla desideroso di rivivere il litigio che lui stesso aveva placato.
«Comunque, nessun problema» disse Albus rivolto all’amico «Andrebbe benissimo se fossi… se facessi tu da… hai capito»
Gli diede una pacca sulla spalla, con scarso entusiasmo, prima di lanciarsi sul vassoio dell’arrosto.
«Allora, credo sia deciso» disse Lily, con un ampio sorriso «Derek… vuoi essere il mio vice-Capitano?»
«Certamente» rispose, sorridendo un po’ forzatamente. Si sentì tremendamente in colpa. Era chiaro che, per il suo migliore amico, non aver ricevuto il ruolo di Capitano, ma anzi, aver visto sua sorella minore passargli davanti, doveva essere stato un boccone piuttosto amaro da mandare giù. Ma non passò molto prima che potesse provare a risollevarsi un po’ il morale.
Il tintinnio inconfondibile di un cucchiaino contro il cristallo richiamò l’attenzione degli studenti verso il tavolo delle autorità, dove la professoressa Shacklebolt si era alzata in piedi. Subito, su tutta la sala calò il silenzio: non era una cosa comune che qualcuno tenesse un discorso durante una normale cena del sabato sera.
«Vedo che siete tutti abbastanza stupiti da questo mio intervento» commentò «ma devo darvi un annuncio importante. Mi è stato comunicato che la commissione che selezionerà i giocatori per la squadra di Hogwarts giungerà al castello lunedì, e da lunedì stesso inizierà i provini»
Ci fu uno scoppio di applausi, accompagnato da grida entusiaste. Derek, dal canto suo, si passò le mani tra i capelli: nella commissione ci sarebbe stato anche suo padre. E cosa ancor peggiore, l’arrivo delle squadre internazionali, quando sarebbe avvenuto, avrebbe incluso anche suo fratello Christopher.
«Sai, Mc» saltò su Albus, apparentemente ripresosi dalla chiacchierata di poco prima «potrei farci un pensiero»
«A cosa?»
«Al Galà… per partecipare, intendo» continuò lui «Sarebbe forte, no? Giocare contro le nazionali… e magari marcare stretta Breeana Walsh»
Cercò di suonare spavaldo, ma a Derek non sfuggì il rossore sulle sue guance. Scosse la testa rassegnato, ma anche divertito: Albus aveva una cotta tremenda per la Cacciatrice irlandese sin da quando aveva iniziato ad interessarsi di Quidditch e diceva che sarebbe stata l’unica donna che avrebbe mai potuto sposare.
Lily rise «Sì, ti ci vedo proprio» gli disse.
«Ma la smetti?» brontolò lui, piccato, possibilmente arrossendo ancora di più.
Derek scosse la testa, mentre Lily non la smetteva di sghignazzare. Sperava davvero che il suo migliore amico, prima o poi, uscisse con una ragazza che gli piacesse sul serio, e non con qualcuna che gli era piombata addosso quasi per miracolo. Sospettava che avesse una cotta segreta per quella O’Neill – Margaret, doveva chiamarsi – ma era sicuramente troppo timido per ammettere che quella che definiva un’amica fosse il suo tipo ideale.
Distraendosi da quegli inappropriati sproloqui mentali sui sentimenti, si lanciò di nuovo a discutere del Gran Galà con i due Potter mentre la preside blaterava altre informazioni sul torneo.
«E tu, invece?» domandò a Lily «Pensi parteciperai a questo torneo?»
Lei scosse la testa «Non credo faccia per me» disse «Devo gestire la squadra e prepararmi per i G.U.F.O. Tu potresti, però, Derek»
«Neanche per sogno» rispose lui «Mio padre è nella commissione e mio fratello nella nazionale inglese. Penserebbero tutti che ci sono stati dei favoreggiamenti»
«Ma figurati!» esclamò Albus dandogli un’altra pacca sulla spalla, stavolta un po’ più convinta.
«Dico davvero» fece Derek serio «Poi, insomma, giocare contro mio fratello? So come gioca, non sarebbe nemmeno divertente»
Il sonoro grattare delle panche sul pavimento fu il segnale della fine della cena. I tre Grifondoro salirono le scale accodandosi ai loro compagni: Derek e Lily rimasero indietro, persi in chiacchiere.
«Dunque… sono il tuo nuovo vice-Capitano» disse, non riuscendo più a trattenere l’entusiasmo.
«A quanto pare» fece Lily.
«E, se posso… come mai hai scelto me?»
«Beh, sei un ott… un buon giocatore» fu la risposta «Poi, con una famiglia come la tua, penso che tu abbia le competenze giuste per darmi una mano»
Concluse la frase con un sorriso e Derek si sentì gonfiare d’orgoglio. Lui, Derek McLaggen, il fratello del campione Christopher, l’eterno secondo, finalmente aveva, in qualche modo, un minuscolo ruolo importante tutto suo. Per lui significava molto.
Guardando Lily precederlo su per le scale, un pensiero gli attraversò la mente: forse la giovane Potter non era così dittatrice, dopotutto.
 
 
 
Albus odiava alzarsi presto. Non lo faceva mai, specialmente il lunedì mattina. Anzi, se poteva, aspettava sempre fino all’ultimo minuto prima di mettere i piedi giù dal letto.
Ma quel lunedì mattina non era un lunedì come gli altri. Sarebbe arrivata la commissione del Gran Galà del Quidditch, il che significava che avrebbero avuto inizio i provini per prendere parte al torneo. Il solo pensiero di poter entrare in squadra lo metteva furiosamente su di giri, gli faceva venire voglia di afferrare la sua scopa e correre al campo per mostrare ai giurati che sì, lui aveva le potenzialità per partecipare al Galà.
E perché non farlo? Ho due ore buche!
Spinto dall’euforia, prese la sua scopa dal baule e s’infilò la divisa da Quidditch sotto il braccio, ben deciso a scendere subito allo stadio, certo che lì avrebbe trovato la giuria.
Come previsto, sul prato del campo, dalla parte opposta al portone che conduceva fuori dagli spogliatoi, era posto un tavolo a cui sedevano due uomini e una donna, tutti e tre intenti a scribacchiare qualcosa su delle pergamene, interrompendosi di tanto in tanto per scambiare qualche parola tra di loro. Uno lo riconobbe immediatamente: era Cormac McLaggen, il padre di Derek, il presidente della Federazione Internazionale del Quidditch. L’altro era un uomo di colore dall’aria simpatica; gli dava l’impressione di un vero patito di sport. La donna, invece, aveva un viso leggermente squadrato, labbra sottili e un collo esile; i capelli lunghi fino alle spalle che le incorniciavano perfettamente il volto e l’abito blu scuro che indossava, le davano un’aria così severa che Albus non poté fare a meno di pensare che quella donna avrebbe costituito un ostacolo non troppo facile da superare.
Esaltato e con l’adrenalina crescente si precipitò negli spogliatoi, dove si stupì nel vedere almeno una decina di altri studenti, chi già in divisa, chi intento a cambiarsi. Lo colpì in particolar modo una ragazza che, Albus dovette guardare un paio di volte per accertarsi di non essersi sbagliato, aveva i capelli rosa.
Senza esitazioni, con un coraggio che non credeva di avere, le si avvicinò.
«Anche tu qui per i provini?» le domandò, cercando di suonare amichevole.
Lei lo guardò, pronunciandosi in un’eloquente alzata di sopracciglia «Non mi sembra che distribuiscano caramelle, là fuori» rispose. Aveva una voce piuttosto stridula, molto melliflua.
Albus abbassò gli occhi, imbarazzato. Che domanda stupida! E che modo sciocco per approcciarsi! Era ovvio che fosse lì per i provini, che altro?
Cercò di rimediare e diede in una risatina, appellandosi a quel coraggio di poco prima «Scusami, è che… a prima vista sembri così fragile» mormorò, cercando di non indugiare troppo con lo sguardo sul suo corpo filiforme.
La ragazza si infilò la maglia della divisa da gioco con uno strattone prima di rispondere: «Sono tosta invece, lo sai?»
«Beh, non vedo l’ora di scoprirlo» fece Albus, staccandole a fatica gli occhi di dosso e iniziando a cambiarsi. Lei gli rivolse con un sorriso piuttosto malizioso.
Ben presto, scoprì dalla sua divisa smeraldina che la sua vicina di spogliatoio era una Serpeverde.
«Sei Albus Potter, vero?» gli chiese lei dopo un po’.
«Beccato» rispose lui «E tu?»
«Dalia Cardon» disse la ragazza, tendendogli la mano.
Albus la afferrò «Dalia… la Metamorfomagus?» domandò, esterrefatto.
«Per un quarto» precisò Dalia.
Albus annuì, continuando a stringerle la mano finché lei non gli rivolse un’occhiata piuttosto eloquente.
«Scusa» borbottò imbarazzato, lasciandola andare «Per… per che ruolo provi?»
«Battitore» disse lei.
Albus annuì di nuovo. Si sentiva come ipnotizzato.
«Beh, ci vediamo in campo, Potter» lo liquidò Dalia superandolo e dirigendosi verso il terreno di gioco.
Albus rimase lì impalato, sorridendo inebetito. Scrollò la testa, come per scacciare un insetto, finì di cambiarsi, recuperò la sua scopa ed uscì in campo, accodandosi agli altri aspiranti giocatori. La ragazza Serpeverde era tre posti avanti a lui.
Non seguì il suo provino con troppa attenzione: era ancora imbambolato dalla sensazione che aveva provato parlando con lei, tanto che, quando venne il suo turno, quasi non si rese conto della voce della donna che lo invitava a farsi avanti preso com’era dai suoi pensieri su Dalia. Ripresosi, si presentò dinanzi al tavolo della commissione.
«Nome?» gli domandò la donna, che sedeva tra Cormac e l’uomo di colore, che, solo in quel momento, realizzò essere Dean Thomas.
«Albus Potter» dichiarò con sicurezza.
«Età?»
«Diciassette anni»
«Ruolo?»
«Portiere»
«Prego»
Albus inforcò il suo manico di scopa, scalciò a terra e si librò in aria, volando verso gli anelli. Subito, di fronte a lui, apparvero tre Cacciatori grossi almeno il suo doppio. Certo che fossero giocatori professionisti, Albus strinse saldamente il legno lucido fra le dita, pronto a parare i loro colpi.
Uno dei tre volò immediatamente nella sua direzione con la Pluffa tra le mani. Stava per tirare…
Albus si preparò alla parata, ma proprio nel momento in cui credette che il suo avversario stesse lanciando la palla nell’anello alla sua sinistra, quello scartò e passò la Pluffa ad un altro Cacciatore, che tirò con precisione nell’anello alla destra di Albus, concludendo il tutto con un gol spettacolare.
Nonostante fosse ancora presto – probabilmente non erano nemmeno le nove –, diversi curiosi erano seduti sugli spalti; applaudirono alla rete del Cacciatore, facendo sentire Albus un grandissimo incapace.
Cercò di concentrarsi sui tiri successivi – aveva ancora quattro parate a disposizione – ma si rese presto conto che l’incontro con Dalia doveva averlo scosso in maniera tale da distogliere la sua attenzione dal resto. Tentò comunque di dare il meglio di sé, terminando la sua performance con due lanci persi.
Planò verso terra, atterrando accanto a Dalia che, ne era sicuro, l’aveva osservato per tutto il tempo.
«Ti credevo un giocatore migliore, Potter» lo punzecchiò.
«In condizioni normali, lo sono» rispose lui, imbarazzato.
«Ovvero?»
«Quando non… ci sono belle ragazze a distrarmi» ridacchiò lui, stupidamente.
Dalia restò apparentemente impassibile, ma i suoi occhi brillavano in maniera particolare «Ci stai provando, forse?» disse, con un sorrisetto compiaciuto.
«Assolutamente sì» Albus annuì vigorosamente, totalmente ammaliato.
Dalia sorrise, leziosa «Questo finesettimana ci sarà la prima uscita ad Hogsmeade» cinguettò «Che ne dici, mi accompagni?»
 
 
 
Roxanne si era catapultata fuori dall’aula di Aritmanzia non appena la campana che segnava la fine delle lezioni aveva suonato il primo rintocco: quel pomeriggio, avrebbe finalmente avuto il tempo libero che le sarebbe servito per tentare i provini per la squadra di Hogwarts.
Non avendo mai giocato a Quidditch, non possedeva né una divisa, né un proprio manico di scopa, ma date le centinaia di studenti che si sarebbero presentati alle selezioni pur non appartenendo alle squadre delle case, era sicura che la scuola avesse messo a loro disposizione scope e divise.
Giunta negli spogliatoi, non si stupì nel vedere mezza casata Grifondoro intenta a cambiarsi o a scambiare quattro chiacchiere con altri studenti. La sorpresa più grande, però, fu suo fratello.
«Fred!» esclamò.
«Rox!» sobbalzò lui portandosi una mano al petto «Mi hai fatto prendere un colpo! Che ci fai qui?»
Lei roteò gli occhi «Sono venuta a distribuire Cioccorane» disse sarcastica «Faccio il provino, salame»
«Cosa?!» fece Fred, esterrefatto.
«Hai capito bene» tagliò corto Roxanne, dirigendosi verso gli armadi sgangherati per cercare una vecchia divisa. Fred trotterellò al suo fianco.
«Mi stai dicendo che hai preso sul serio le parole di Lizzie?» le domandò.
«Esattamente» fece Roxanne, frugando fra i panni che puzzavano di stantio. Estrasse una divisa che apparentemente avrebbe potuto andarle bene, una vecchia tenuta di Grifondoro tutta sbiadita: sulla schiena vi era il numero cinque e, sopra di esso, il cognome “Weasley”.
«Secondo te era la divisa di zia Ginny?» domandò al fratello.
«Rox, ascoltami bene» cominciò Fred ignorandola e richiudendo con forza l’armadietto «Questo torneo non sarà come le nostre partite alla Tana. Hai talento, ti ho vista giocare, ma questo non fa per te»
«Per te invece va bene, non è vero?» sbottò, infervorandosi «Alle selezioni di Grifondoro l’anno scorso ho perso solamente per un punto! E non credere che per te sarà più facile affrontare una gara di questo livello!»
«Rox, lo dico solo perché Olivia tenterà in tutti i modi di…»
«Olivia? Siete così intimi che la chiami per nome?»
Fred sbuffò e scosse la testa, facendo dondolare i riccioli «Lascia stare, questo torneo non ti farà bene!»
«Smettila!» gridò Roxanne, attirando su di sé gli sguardi degli altri presenti in spogliatoio «In quindici anni non ti sei mai preoccupato per me, non vedo perché cominciare a farlo adesso»
«Io…» boccheggiò Fred, senza riuscire a proferire verbo.
Roxanne sospirò e passò accanto al fratello dandogli un lieve pugno sulla spalla, congedandolo con un “Ci vediamo fuori”.
Si allontanò, scegliendo un attaccapanni lontano da quello di Fred, indossò la divisa slavata e legò velocemente i capelli in una coda. Dopodiché scelse una scopa apparentemente non troppo malridotta e una mazza da Battitore dalla scorta della scuola, poi uscì in campo.
Sapeva che, proprio di fronte all’uscita degli spogliatoi, avrebbe trovato un tavolo occupato dai tre giurati. E infatti eccoli là, composti, impassibili e austeri, con piume e pergamene alla mano.
Quel pomeriggio soffiava una leggera brezza frizzantina, segnale dell’imminente arrivo dell’autunno. Mentre attendeva il suo turno in fila, Roxanne udì distintamente alcune ragazze lamentarsi del fatto che “non si possono fare provini con un freddo simile”.
Stupide oche.
La giovane Weasley sghignazzò: se soltanto una di quelle ragazzette fosse entrata a far parte della squadra di Hogwarts, probabilmente si sarebbe rifiutata di disputare un qualsiasi incontro in pieno inverno, magari a novembre o dicembre, quando il clima si faceva davvero rigido. La sua mente formulò velocemente l’idea che quelle sciocche fossero lì soltanto per poter avvicinare un po’ di più i giocatori famosi.
Dopo quella che parve un’eternità venne il suo turno. Non era agitata, non sentiva l’adrenalina scorrerle in tutto il corpo. Era tranquilla, serena, sapeva che aveva buone possibilità di farcela.
«Nome?» le domandò la donna seduta al centro, proprio di fronte a lei. I suoi occhi chiarissimi, di un azzurro glaciale, la mettevano leggermente a disagio, ma riuscì comunque a non vacillare.
«Roxanne Weasley» rispose con sicurezza.
«Età?»
«Sedici anni»
«Battitore?» chiese ancora la donna, osservando la mazza che Roxanne stringeva in mano.
«Esatto»
«Prego»
Roxanne buttò una gamba a cavalcioni della scopa, ma poco prima di librarsi in aria qualcosa la bloccò. Furono le parole di Olivia, pronunciate durante la prima settimana di scuola, che presero a rimbombarle in testa: “Scommetto che speri tanto che Aiden sia sugli spalti ad applaudirti… ti si sarà spezzato il cuore quando hai scoperto che non ricambiava i tuoi sentimenti…”
Era vero, era maledettamente vero. Aveva urlato contro Aiden davanti a tutti, nella sala d’ingresso gremita, e lui, spalleggiato dai suoi amici, le aveva riso in faccia, spavaldo. Non aveva ottenuto nulla da quella sfuriata, se non i suoi soli sentimenti feriti. E avrebbe voluto davvero che Aiden fosse lì ad applaudirla, quel giorno.
Si stava trasformando in una di quelle ragazze frivole che stavano lì, poco distanti da lei, pronte per sostenere un provino che non avrebbero mai passato, ma che almeno avrebbe dato loro un briciolo di notorietà? Era lì perché lo voleva davvero? O soltanto perché voleva farsi notare? Pritchard era sugli spalti? L’avrebbe vista? In tal caso l’avrebbe derisa, probabilmente…
«Signorina Weasley, può cominciare» la esortò l’uomo di colore alla sinistra della donna, distogliendola dalle sue elucubrazioni.
«S-sì, certo, mi scusi» balbettò. Soffiò fuori l’aria dalla bocca, ora l’agitazione pervadeva il suo corpo e la sua mente. Si dette una spinta coi piedi e la facilità con cui riuscì ad alzarsi in volo la lasciò stupefatta ed euforica al tempo stesso. Non appena raggiunse in aria i giocatori di supporto ai ragazzi che si sottoponevano ai provini, uno dei Battitori dalla stazza enorme le scagliò contro un Bolide ad una velocità impensabile. Presa alla sprovvista, Roxanne strattonò il suo manico di scopa piroettando a mezz’aria in maniera ridicola.
Così non va bene.
Si voltò velocemente e inseguì il Bolide; lo colpì con forza e sicurezza, spedendolo contro uno dei Cacciatori, sfiorando per un pelo il suo orecchio sinistro. Un Battitore alle sue spalle restituì il colpo e la palla nera sfrecciò pericolosamente verso Roxanne, la quale, senza esitazioni, rispedì il Bolide al mittente.
Un fischio proveniente da terra segnò la fine del suo provino.
Ma come?!
Un po’ delusa dal fatto che la sua prova fosse già terminata, ridiscese sul prato, atterrando davanti al tavolo dei giurati.
«Lei gioca a Quidditch, signorina Weasley?» le domandò Cormac McLaggen – Roxanne lo riconobbe grazie alle sue foto viste sulle innumerevoli riviste di Quidditch che aveva comprato nel corso degli anni.
«Non proprio» rispose, un po’ imbarazzata «Gioco… nel cortile di casa, assieme ai miei cugini»
McLaggen assunse un’espressione indecifrabile, a metà fra l’ammirato e il sorpreso. Roxanne si rese conto di quanto suonasse tremendamente ridicolo affermare di “giocare nel cortile di casa”.
«Può andare» le disse Cormac, facendo un cenno col mento verso l’uscita.
Roxanne abbozzò un sorriso e corse verso gli spogliatoi, le lacrime che iniziavano a premere insistenti contro gli occhi. Una volta dentro, le lasciò scendere, singhiozzando in silenzio.
La sua prova era stata tremenda: aveva esitato alla partenza, non aveva avuto prontezza nel colpire il primo Bolide e per poco non spediva in infermeria un giocatore. Probabilmente la domanda di McLaggen era sorta spontanea dopo aver visto una giocatrice così mediocre, anzi, terribile presentarsi alle selezioni per un torneo di tali dimensioni.
Seduta su una panca, il capo fra le mani e i gomiti poggiati sulle ginocchia, avvertì qualcuno sedersi accanto a lei. Sollevò il capo tentando di asciugare in fretta e furia le lacrime, terrorizzata all’idea di trovarsi faccia a faccia con Fred – suo fratello non l’aveva mai vista piangere, eccetto quand’erano bambini – o, peggio, qualcuno come Olivia Montague. Invece, vicino a lei, sedeva una ragazza con un caschetto di capelli castani e un viso dolce, ma determinato, una ragazza di Tassorosso che doveva chiamarsi Grace. Stava infilandosi gli stivaletti della sua divisa, ma aveva tutta l’aria di qualcuno intenzionato a cominciare una conversazione.
«Non buttarti giù» disse amabilmente a Roxanne «Ho visto il tuo provino… è stata un’ottima prova»
«Ma se mi hanno cacciata subito!» singhiozzò lei «È stato un disastro»
«Niente affatto» fece Grace «Gli hai fatto vedere quel che avevano bisogno di vedere. Sei stata veloce, precisa… hai talento»
Roxanne scosse la testa e sbuffò, per poi alzarsi e cominciare a cambiarsi.
«Immagino tu sia qui per tentare come Cacciatrice» disse a Grace, la voce ancora rotta dal pianto «Giochi nei Tassorosso»
«Esatto» rispose lei, alzandosi in piedi a sua volta, pronta per uscire.
«Beh, buona fortuna» disse Roxanne, con una punta d’ironia «Non sono molto amichevoli, là fuori»
«Non ho dubbi» disse ancora Grace, prendendo il suo manico di scopa «ma magari ci rivedremo in squadra»
«Non ci conterei troppo» sbuffò Roxanne, più a sé stessa che a Grace.
Grace, che si stava avviando fuori dagli spogliatoi, si voltò indietro un’ultima volta «Mai dire mai, Weasley!»



[ Claire Says ]
Ciao amici!
Lo so, avevo detto che avrei pubblicato il giovedì, ma, a quanto pare, il mio lockdown durerà ancora un po' e ho constatato di aver accumulato abbastanza capitoli da poter pubblicare con una certa regolarità, quindi eccomi qui con un po' di anticipo sulla tabella di marcia.
Non sono particolarmente entusiasta di questo capitolo, è determinante per certi versi, ma di passaggio per altri, e anche vagamente trash, ma blame it on la versione precedente di questa storia... non ho saputo fare di meglio, gli argomenti ci stavano.
Bene, ehm... vado a fare danni tentando di mettere in piedi cose nuove.
Much love,
C.

 

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Capitolo 8
*** Build me up, break me down ***


Rachel era certa che il suo cuore sarebbe esploso da un momento all’altro. Lo stadio di Quidditch non le aveva mai fatto così paura e mai prima d’allora, in due anni, si era sentita così colma d’ansia prima di scendere in campo. Di solito lo considerava un luogo che la faceva sentire tranquilla, a casa. Ora, invece, si sentiva come una condannata al patibolo.
Sapeva che stava facendo la cosa sbagliata: stava infrangendo le regole del torneo e solo ora che si trovava lì, in fila per tentare il provino, si rese conto che partecipare alle selezioni era stata una pessima idea. Se il suo Capitano, Noah, avesse saputo cosa stava facendo, non le avrebbe certo risparmiato una bella strigliata.
Più e più volte, mentre attendeva il suo turno, Rachel prese in seria considerazione l’idea di fuggire e tornare al castello. Ma era lì, a pochi passi dalla commissione che l’avrebbe giudicata e che, al cinquanta percento, avrebbe potuto ammetterla nella squadra di Hogwarts. Il Gran Galà del Quidditch poteva essere la sua occasione per farsi notare ed avere una possibilità di giocare, un giorno, in una squadra celebre, di entrare nella nazionale. E da quando la professoressa Shacklebolt aveva dato l’annuncio della competizione, Rachel non aveva atteso altro se non quel momento.
Il pensiero di avere una minuscola possibilità di far parte del Galà le provocava uno strano formicolio allo stomaco. Ma ogni volta che l’idea che l’avrebbero cacciata non appena avessero scoperto la sua età le balzava in mente, sprofondava in un mare d’amarezza.
«Avanti il prossimo!»
La voce squillante di Rowena Temple, direttrice dell’Ufficio per la Cooperazione Magica Internazionale – Rachel aveva scoperto la sua identità grazie ad alcuni studenti che chiacchieravano qualche posto più avanti di lei –, richiamò la sua attenzione. La piccola Tassorosso si rese conto con terrore che era arrivato il suo turno.
Si fece avanti a passi insicuri, piazzandosi di fronte al tavolo dei giurati, evitando accuratamente di guardarli negli occhi.
«Nome?» domandò Rowena.
«Rachel Finch-Fletchley» rispose lei, con quanta più sicurezza riuscisse a mettere in quella frase.
«Età?»
Ecco il fatidico momento, il momento della verità, quell’attimo in cui si sarebbe giocata tutto.
Deglutì impercettibilmente prima di rispondere con un balbettio: «Q-quindici anni»
Il suo sguardo saettò per un attimo in direzione di Cormac McLaggen e Dean Thomas, entrambi impegnati a scribacchiare qualcosa – probabilmente i suoi dati – su un foglio di pergamena. Rowena, invece, teneva gli occhi fissi su di lei, sospettosa.
«Sembra molto giovane, signorina Finch-Fletchley» disse, diffidente.
«Lo so, me lo dicono tutti» buttò lì Rachel, cercando di non far trasparire il nervosismo dalle sue parole.
«È sicura di avere quindici anni?» chiese ancora la donna, senza dare il minimo segnale di ammorbidirsi.
«Ovvio» esclamò Rachel stizzita, ritrovando un po’ della sua grinta.
Rowena sembrava irremovibile «Lei non ha quindici anni» continuò, fissandola al di sopra delle dita intrecciate.
«Ma sì che ce li ho!»
La Temple sospirò «Senta, facciamo così. Lasci che i suoi compagni facciano il provino, dopodiché convocheremo qualcuno che ci confermi la sua età, d’accordo?»
«No, per niente!» sbottò lei «Ho lo stesso diritto degli altri di…»
«Eventualmente» fece Rowena, alzando la voce per sovrastare le proteste di Rachel «potremmo farle sostenere un provino alla fine della giornata»
Rachel, sconfitta e imbarazzata, annuì «D’accordo» borbottò, andandosi a sedere a bordo campo assieme agli studenti che avevano già fatto il loro test. Giocherellò annoiata e delusa con un filo d’erba del prato, buttando un’occhiata di tanto in tanto alla fila di aspiranti giocatori. Fu quando una divisa color smeraldo, un ciuffo di capelli neri come la pece e un mento appuntito si presentarono davanti alla commissione che lo stelo verde perse completamente il suo interesse: Isabella Nott stava per fare il provino.
Non la prenderanno, pensò Rachel, nemmeno lei ha quindici anni.
Fissò lo sguardo sull’odiata Serpeverde, attenta a non perdersi nemmeno un frammento della conversazione fra lei e i giurati.
«Nome?» domandò Rowena.
«Isabella Nott»
«Età?»
«Quindici anni»
Isabella aveva pronunciato quelle due parole con molta più sicurezza di Rachel. Ma ora l’avrebbero smascherata, si sarebbero accorti che mentiva.
«Ruolo?»
«Cacciatore»
«Prego»
CHE COSA?!
«Ehi!» gridò Rachel, balzando in piedi «Questo non è giusto!»
Partì alla carica verso la commissione, sotto gli occhi stupiti di tutti i presenti allo stadio, fossero essi in campo o sulle tribune.
«Signorina Finch-Fletchley, mi spiega qual è il problema?» le domandò Dean Thomas con calma.
«Oh, glielo spiego eccome!» sbottò infuriata, frapponendosi fra il tavolo dei giurati ed Isabella «Il problema è che questa ragazza ha tredici anni e non può partecipare al torneo!»
Alle spalle di Rachel, Isabella scoppiò a ridere teatralmente.
«Cosa ci si inventa quando si è invidiosi, vero Finch-Fletchley?» la canzonò.
«Signorina Nott, per favore» esclamò severa Rowena, alzandosi in piedi «non si intrometta»
«Se non sbaglio, è Rachel ad essersi intromessa» cinguettò Isabella, con quella sua voce così falsa «Io stavo per fare il provino»
«Voglio solo che i giudici si comportino equamente!» le urlò in faccia la Tassorosso «Se nessuno studente sotto i quindici anni può partecipare, la regola vale sia per me che per te!»
Terminò la frase picchiando l’indice sul petto di Isabella, la quale non sembrava minimamente turbata dal fatto che la sua età fosse stata messa in dubbio da un altro studente proprio davanti alla giuria.
«Ma io ho quindici anni, posso…»
«NON HAI QUINDICI ANNI!» strillò Rachel fuori di sé. Odiava Isabella: si era accaparrata Theo e ora avrebbe pure rubato un posto in squadra. Era scorretta, viscida e crudele.
«Basta così!» tuonò McLaggen, inserendosi fra le due ragazzine «Signorina Nott, ora lei farà il provino, mentre lei, signorina Finch-Fletchley, è pregata di non presentarsi nuovamente alle selezioni o sarò costretto a rivolgermi a chi compete perché prenda provvedimenti, è chiaro?»
Rachel abbassò gli occhi, frustrata «Certo» mormorò.
«Può andare» la congedò Rowena, gli occhi freddi e impassibili. Rachel tirò su col naso, recuperò il suo manico di scopa e si diresse verso gli spogliatoi. Prima di entrare si voltò indietro: Isabella era appena decollata. Un attimo dopo, mandò a segno il suo primo, perfetto gol.
Aveva mentito. Aveva mentito e i giudici le avevano creduto, senza battere ciglio. Certo, Isabella aveva talento ed era innegabile. Probabilmente l’avrebbero pure ammessa in squadra. Rachel non ci mise molto prima di maturare un’idea di cui, mentre risaliva verso il castello, fu sempre più convinta e nulla e nessuno avrebbero potuto distoglierla da quel pensiero: nel Gran Galà del Quidditch c’era qualcosa che decisamente non andava.
 
 
 
Margaret non aveva più avuto occasioni di parlare con Dylan dopo il loro incontro in sala comune il giorno dell’arrivo a Hogwarts. Certo, l’aveva incontrato nei corridoi e più volte l’aveva visto nella sala di ritrovo dei Corvonero, ma le loro conversazioni non erano mai durate più del tempo necessario a pronunciare un semplice “ciao” di circostanza. Sebbene continuasse a ripetere quanto fosse carino quel tale Connor Abercrombie di Grifondoro, non poteva negare che i suoi pensieri continuavano ad essere abitati da Dylan e dai migliori ricordi di loro due assieme.
Non aveva detto nulla a Dominique. La sua migliore amica detestava Dylan con tutte le sue forze per come si era comportato con Margaret, e lei voleva restasse nella convinzione che lo stava pian piano dimenticando.
In realtà, Margaret nemmeno si sforzava, a dimenticarlo. Non poteva riuscirci, non con Dominique che la trascinava di forza ad Hogsmeade assieme al suo insopportabile fidanzato, Montgomery Flint, e non faceva altro che sbaciucchiarlo tutto il tempo ripetendogli che era “così adorabile” e che non poteva fare a meno di lui.
Dimenticare Dylan avendo attorno persone che trasudavano sdolcinatezza era pressoché impossibile, e trascorrere il pranzo del primo finesettimana ad Hogsmeade dell’anno nella zuccherosa saletta di Madama Piediburro era stato a dir poco vomitevole. Non solo i due piccioncini si erano sbaciucchiati con assai poco ritegno per tutto il tempo, ignorando del tutto il terzo incomodo, ma Margaret aveva rivissuto i pochi momenti passati là dentro insieme a Dylan e la cosa non le era di certo stata d’aiuto. Del resto, reggere il moccolo non era l’aspirazione di nessuno, men che meno di Margaret.
Fu quando passarono davanti all’Emporio degli scherzi di Zonko che la sua giornata sembrò risollevarsi. Dal negozio colorato, infatti, uscì Albus… in compagnia di una ragazza bellissima, ma dall’aria piuttosto annoiata.
Grazie a Merlino!
«Al!» lo chiamò Margaret, sventolando una mano per aria. Lasciò Dominique e Montgomery, impegnati come sempre a guardarsi stucchevolmente negli occhi come se non ci fosse un futuro, e raggiunse il suo migliore amico, guadagnandosi un’occhiata non troppo entusiasta dalla sua accompagnatrice.
«Ehi, Maggie!» la salutò lui «Stai bene?»
«Sì» rispose lei. Sentendosi un po’ in colpa per aver interrotto l’appuntamento, tese una mano alla ragazza di Albus «Scusami… sono Margaret» disse, cercando di suonare amichevole.
«Dalia» fece l’altra con disinteresse, la mano morta nella stretta di Margaret.
Margaret si sentì terribilmente in imbarazzo: era ovvio che quella Dalia non fosse affatto contenta che un’altra ragazza avesse interrotto il loro pomeriggio.
«Beh, ehm… è stato un piacere» disse, un po’ a disagio, vedendo che quell’incontro non avrebbe portato da nessuna parte «Vi lascio continuare la vostra passeggiata»
«Nessun problema» disse Dalia, e Margaret percepì una nota d’irritazione nella sua voce «Mi sono ricordata che ho un tema di Pozioni da finire e devo tornare al castello»
«Davvero?» le chiese Albus, confuso «Credevo avessi detto che avevi il pomeriggio libero»
«Mi sbagliavo» rispose lei, spiccia, iniziando a muovere qualche passo in direzione della scuola «È stato un piacere, Magdalen. Ciao, Albus!»
Pronunciò le ultime parole con una certa stizza, prima di voltarsi con fare teatrale e avviarsi su per la strada del villaggio.
«Comunque, si chiama Margaret» disse Albus ad un interlocutore immaginario.
Margaret scoppiò a ridere «Ma che le è preso?» esclamò.
«Che ne so!» esclamò Albus, allargando le braccia «Prima mi chiede di uscire insieme e poi mi scarica… è pazza!»
Margaret rise di nuovo «Dai, andiamo a berci una Burrobirra» disse, prendendo Albus sotto braccio ed incamminandosi verso il pub più frequentato del paese.
Percorsero la strada fino ai Tre Manici di Scopa prendendo in giro Dalia e la sua piccola sceneggiata, ridendo di gusto. Ma il sorriso di Margaret si spense non appena entrò nel locale: seduto ad un tavolo poco distante dalla porta, c’era Dylan in compagnia di una ragazza dai capelli corvini, il cui viso non era particolarmente familiare a Margaret. I due erano impegnati in una chiacchierata che doveva essere piuttosto divertente, poiché la ragazza rideva divertita alle battute di Dylan. Nonostante la sintonia che pareva esserci fra loro, sembrava che, tuttavia, si conoscessero da poco.
Margaret diede di gomito ad Albus, indicandogli il tavolo con un cenno del capo.
«E allora?» fu il suo unico commento.
«Secondo te… insomma, stanno assieme?» gli domandò lei preoccupata, dando voce al pensiero che le rimbombava in testa da quando aveva messo piede nel locale. Vedere Dylan in compagnia di un’altra era stato un colpo al cuore.
Albus li osservò per alcuni secondi – un tempo che a Margaret parve un’eternità – prima di sollevare le spalle.
«Non saprei» sospirò «Anche se fosse, la scuola è cominciata da poco…»
Poco o tanto che fosse, faceva male ugualmente. Soprattutto dopo che Dylan l’aveva lasciata dicendo che anche lui avrebbe sofferto della loro separazione.
Certo, si sta strappando i capelli per la disperazione!, pensò Margaret.
«Dai, sediamoci» disse Albus, tentando di distrarla. Margaret lo seguì fino in fondo al locale, accomodandosi ad un tavolo da cui era impossibile vedere Dylan e la misteriosa ragazza in sua compagnia.
Ordinarono due Burrobirre, trascorrendo i primi minuti in un silenzio rotto solo dal rumore dei bicchieri che, di tanto in tanto, venivano posati sul legno del tavolo. Margaret cercava in continuazione di sbirciare verso il tavolo a cui sedeva Dylan, ma la ressa crescente le impediva di vedere alcunché.
«Maggie, ti prego, smettila di perdere tempo con quello» saltò su Albus all’improvviso, seccato «Se davvero gl’importasse di te sarebbe seduto con te, non con quella»
Margaret rimase senza parole per la schiettezza spiazzante del suo migliore amico. Difficilmente Albus era così diretto: certo l’aveva sempre ascoltata, le aveva dato pareri, senza mai giudicarla o criticarla per le sue scelte, giuste o sbagliate che fossero. Ma soprattutto, era sempre stato piuttosto pacato. Ed ora eccolo lì, a sputare fuori quell’amara realtà senza troppi giri di parole, e non si poteva certo negare che avesse totalmente ragione.
Chissà se Dylan l’aveva vista in compagnia di Albus. Magari era successo e si era ingelosito, perciò aveva deciso di ripagarla con la stessa moneta. Oppure aveva visto la realtà, la semplice seppur salda amicizia che li legava. Forse, se si fosse sparsa la voce a scuola che Margaret e Albus si frequentavano, e non solo come amici…
«Voglio che lasci Dalia» disse improvvisamente Margaret.
«Ma non stiamo insieme!» ribatté Albus tossicchiando dopo che una grossa quantità di Burrobirra gli era finita di traverso.
«Uscite assieme»
«E non è affatto la stessa cosa» disse lui come se stesse parlando con una bambina un po’ dura di comprendonio «Era il nostro primo appuntamento, quello di oggi. E ti ricordo che mi ha praticamente mollato in mezzo alla strada, quindi non penso proprio che…»
«Beh, ottimo. Non voglio che tu ci esca di nuovo»
Albus tracannò un lungo sorso di Burrobirra prima di continuare: «Senti, Maggie, apprezzo che tu prenda le mie difese dopo il modo in cui Dalia si è comportata, ma… insomma, sai che non sono… non sono come mio fratello, lui era molto più spigliato e… voglio dire, mi fa molto piacere che ti stia così a cuore che…»
«Voglio che noi due usciamo assieme»
Albus aggrottò la fronte «Ma lo facciamo già» ridacchiò.
«Intendo come due persone che stanno assieme»
L’espressione sconvolta di Albus in quel momento era impagabile. Margaret sarebbe scoppiata a ridere se non fosse stata così seria e determinata nel suo obiettivo. Albus ci mise un po’ prima di ritrovare l’uso della parola.
«Temo… di non seguirti» borbottò.
«Dai, Al, sarebbe semplicissimo!» esclamò lei, saltellando sulla sedia «Dovremmo solo… andare in giro tenendoci per mano, magari sederci assieme a pranzo, essere affettuosi…»
«Affettuosi tipo… baciarci?» balbettò Albus, le guance infuocate «Perché, in quel caso, non… non credo potrei farlo»
«Perché no?» replicò lei, vagamente divertita.
«Perché sei come una sorella per me, sarebbe come… baciare Lily, bleah!» esclamò lui.
«Oh, finiscila!» rimbeccò Margaret «Non ci sarebbe nulla di così strano… Ti prego, sei l’unico che può farlo»
«Senti, Maggie» Albus rischiò d’ingozzarsi deglutendo una grossa boccata di Burrobirra «prendi da parte Dylan, parlagli di questa cosa e… falla con lui, no?»
Margaret sbuffò, spazientita «È proprio per questo che mi serve il tuo aiuto» disse «Per cercare di farlo ingelosire»
Passò qualche secondo prima che Albus scoppiasse a ridere «Lo sai che non funzionerà, vero?»
«E se invece funzionasse?»
Albus sospirò «Maggie, non voglio. Siamo amici da sei anni, rovineremmo tutto»
«Sarebbe solo per gioco, non rovineremmo niente!»
«E se uno di noi dovesse… insomma… innamorarsi?» fece Albus, bisbigliando l’ultima parola nemmeno stesse pronunciando una Maledizione Senza Perdono.
«Al, io lo faccio per riprendermi Dylan» replicò Margaret, decisa «E la nazionale irlandese sarà qui fra qualche settimana, una volta che ti troverai davanti Breeana Walsh avrai occhi solo per lei»
Albus sbuffò una risata, gli occhi bassi sul suo bicchiere ormai vuoto. Margaret attese in un agitato silenzio che dicesse qualcosa.
«E va bene» si arrese lui dopo un po’ «ma se… se qualcosa dovesse andare storto, metteremo fine a questa faccenda immediatamente» continuò poi, in un tono che non ammetteva risposte negative.
Margaret esitò qualche secondo, così Albus le tese una mano per suggellare il patto.
«O così, o niente» disse.
Non avendo altra scelta, Margaret strinse con forza la mano del suo migliore amico. Chissà cosa avrebbe detto Dominique…
 
 
 
L’atmosfera in sala grande, quella sera, era a dir poco elettrica. I piatti attendevano di essere riempiti, ma nessuno degli studenti seduti ai quattro tavoli sembrava avere fame: l’arrivo delle nazionali di Quidditch distoglieva la loro attenzione da qualunque cosa, perfino dalla cena.
Anche Scorpius, al tavolo di Serpeverde, continuava a lanciare occhiate impazienti al portone della sala, in attesa di vederlo aprirsi per lasciar entrare le tre più grandi squadre d’Europa. Nel frattempo, notò, al tavolo degli insegnanti erano stati aggiunti altri sei posti, oltre ai tre riservati ai giurati; si chiese a chi fossero destinati.
«Secondo te i giocatori siederanno con noi?» gli chiese Kyle Bletchely, il suo compagno di dormitorio.
Scorpius scrollò le spalle «Mio padre mi ha detto che quando c’è stato il Torneo Tremaghi gli studenti stranieri sedevano con loro» disse «ma qui si tratta di giocatori di fama internazionale»
«Sono solo famosi, non alieni» ribatté Montgomery Flint, dal lato opposto del tavolo.
«Beh, spero solo che si sbrighino, perché ho una fame da lupi» commentò Aiden Pritchard.
«Qualcuno di voi ha fatto il provino per la squadra?» domandò Montgomery agli amici dopo un po’ – i quattro ragazzi giocavano tutti per Serpeverde.
«Io no» disse Kyle «Le probabilità di essere scelti sono una su cento»
«Statisticamente, hai un cinquanta percento di possibilità» lo corresse Aiden.
«Beh, qualunque sia la percentuale non credo mi prenderebbero in squadra»
Scorpius smise di badare alle chiacchiere dei suoi amici. Sapevano parlare solo di Quidditch e doverli sopportare sia in dormitorio sia in squadra, oltre che, ovviamente, ai pasti e alla maggior parte delle lezioni, stava iniziando a diventare snervante. Era già abbastanza pesante dover seguire un’intera squadra, figuriamoci sentir parlare continuamente di quel che si faceva in squadra!
Poggiò stancamente il mento sul palmo della mano, puntellandosi su un gomito, lasciando scorrere lo sguardo sulla sala e soffermandosi su punti imprecisati di tanto in tanto. Al tavolo di Grifondoro individuò i capelli rossi di Rose Weasley: rispetto ai primi anni, quando aveva gli incisivi troppo sporgenti e il volto invaso dalle lentiggini, aveva subìto un netto miglioramento. Era molto carina, con quell’aria un po’ timida e l’ampio sorriso che mostrava i denti perfettamente allineati – doveva averci lavorato nel corso del tempo. Si accorse di starla fissando da alcuni secondi quando lei ricambiò un’occhiata interrogativa, e anche abbastanza seccata.
Si ridestò dai suoi pensieri, affrettandosi a distogliere lo sguardo, proprio nello stesso istante in cui udì la sala immergersi nel silenzio: davanti al tavolo delle autorità, la professoressa Shacklebolt fronteggiava l’intera scuola.
«I nostri ospiti sono arrivati» annunciò la preside, scatenando un lieve brusio eccitato fra gli studenti «So che siete tutti impazienti, perciò non attendiamo oltre e diamo il benvenuto alla Nazionale inglese»
Scorpius si voltò di scatto verso la porta, che si spalancò con lentezza esasperante, lasciando intravedere solamente il salone d’ingresso. Dopo pochi secondi di silenzio, sette scope sfrecciarono come proiettili dentro la sala grande, sette schegge bianche e luminose che vennero accolte da uno scroscio di applausi.
«Merlino, ma è davvero Isaac Jenkins!» strillò una ragazza poco distante da Scorpius.
«E quello è Monty Murray!»
«Wyatt Purs! Wyatt Purs!»
«Certo che Kathryn Broadmoor è proprio fica!» Kyle diede di gomito a Scorpius.
Scorpius si limitò ad annuire, applaudendo. A suo parere, Kathryn era meglio sulle riviste – forse per merito del magi-ritocco.
I giocatori atterrarono davanti alla Shacklebolt, la cui espressione tradiva un briciolo di disapprovazione - Scorpius era certo di averla vista sillabare qualcosa che somigliava molto a “non ci avevano avvertito di eventuali entrate ad effetto” - mentre due uomini sfilavano tra i tavoli di Grifondoro e Corvonero: Aldous Bagman e Ritchie Coote, rispettivamente presidente e allenatore della squadra.
«Ben arrivati» disse la preside, stringendo la mano prima a uno poi all’altro «E… bentornati»
«È un piacere essere di nuovo qui» commentò Aldous gioviale, fissando il soffitto incantato «Spero che la nostra presenza, e con “nostra” intendo della squadra, non sia d’intralcio»
«Non lo sarà di certo» asserì la Shacklebolt «I nostri ex studenti sono sempre ben accetti. Volete accomodarvi?»
Fece loro un cenno verso due sedie libere accanto a Dean Thomas e i due presero posto al tavolo delle autorità – i sei posti extra dovevano essere destinati ai presidenti e agli allenatori -, mentre i giocatori si voltarono verso i tavoli delle quattro case.
«Qui! Qui!» esclamò Kyle sventolando una mano in aria, ma la nazionale inglese andò a sedersi al tavolo di Grifondoro. Kyle si afflosciò deluso sulla panca.
«Merito di McLaggen» commentò Scorpius con un sospiro, osservando Christopher salutare il fratello Derek con una pacca sulla spalla prima di sedersi accanto a lui, mentre la preside tornava a rivolgersi agli studenti.
«E ora, accogliamo i nostri ospiti d’oltremanica, la Nazionale francese»
Questa volta, le scope fluttuarono in sala con molta più grazia. Cinque delle giocatrici francesi, con indosso la loro divisa celeste, sedevano sulle loro scope come se cavalcassero all’amazzone ed atterrarono con leggiadria davanti al tavolo delle autorità, attirando gli sguardi interessati della maggior parte dei ragazzi in sala; dietro di loro, sfilarono tra i tavoli gli unici due ragazzi della squadra, anche loro vestiti d’azzurro e con i loro manici di scopa in mano. Chiusero quel piccolo corteo Adèle Mitterrand, la presidentessa, e il figlio Balthazar, l’allenatore.
«Questi si siederanno al nostro tavolo» bisbigliò Kyle all’orecchio di Scorpius, mentre la preside accoglieva Adèle e Balthazar parlando fitto in francese.
«Non contarci troppo» fece lui, fissando la Cacciatrice Nymphe Rochefort – le cui foto riempivano la stanza di Scorpius a Villa Malfoy, ma lui non lo aveva mai ammesso e mai lo avrebbe fatto – dirigersi verso il tavolo di Corvonero.
Quando la sala tornò nel silenzio, la Shacklebolt terminò: «Infine, accogliamo la terza ed ultima squadra che parteciperà a questo torneo: l’Irlanda»
Gli irlandesi fecero il loro ingresso accompagnati da una musica tipica del loro Paese – trasmessa da chissà quale apparecchio magico – esibendosi in acrobazie spettacolari sui loro manici di scopa: capriole, piroette, il tutto reso ancor più eccezionale dal verde brillante delle divise. Entrarono per ultimi il presidente e l’allenatore, Finbar Quigley e Barry Doherty.
«Ben arrivati» disse loro la preside, la cui voce risuonò alta nella sala. A differenza delle precedenti squadre, tutta la scuola era ammutolita all’ingresso di Quigley: ormai oltre che sessantenne, aveva abbandonato il gioco da parecchi anni, ma qualunque appassionato di Quidditch – anche chi non lo era, a dirla tutta – lo ricordava come uno dei campioni del mondiale del novantaquattro, che aveva visto vincitrice, appunto, l’Irlanda, nonché come uno dei migliori Battitori nella storia della squadra nordirlandese dei Ballycastle Bats. Ora si dedicava alla direzione della squadra nazionale, ma il suo successo continuava ad essere ricordato nel tempo.
Quigley e Doherty si sedettero al tavolo degli insegnanti ai posti a loro designati, mentre la squadra si mescolò ai Tassorosso; la Shacklebolt, prima di raggiungerli, si rivolse agli studenti un’ultima volta: «Prima di dedicarci alla nostra squisita cena, vorrei dire alcune parole. Innanzitutto, ringrazio il signor McLaggen e il signor Thomas per aver scelto Hogwarts come cornice di questo splendido torneo. Inoltre, vorrei darvi alcune informazioni in più riguardanti il Gran Galà del Quidditch: i nostri giudici ci tengono a ricordarvi che i provini per la squadra sono aperti fino al quindici di ottobre, dopodiché le selezioni saranno sospese in modo da dare alla commissione la possibilità di valutare i giocatori che parteciperanno al Galà. La proclamazione della squadra avverrà durante il banchetto del trentuno ottobre. E ora, buon appetito!»



[ Claire Says ]
Buonasera a tutti.
Dunque... capitolo introduttivo al Galà e ad un po' della follia che si vedrà andando avanti.
E' abbastanza ovvio che il Gran Galà si rifà un pochino al Tremaghi sotto alcuni aspetti, ci sono infatti dei richiami (vedi l'amico di Scorpius che cerca di attirare l'attenzione dei giocatori, un po' come fece Ron con Viktor Krum quando ancora lo aveva in simpatia) e ce ne saranno più avanti.
Non ho granché da dire, penso ci sia abbastanza nel capitolo... e forse sto smettendo di essere tremendamente prolissa.
Alla prossima puntata!
Much love,
C.

 

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Capitolo 9
*** Problems in us ***


«Rachel, il Boccino ti è passato di fianco!» gridò Noah Shacklebolt alla piccola Cercatrice «Possibile che te lo sia lasciato sfuggire di nuovo
Rachel sbuffò guardando Noah di sotto, in piedi al centro del campo, una mano sul fianco e il fischietto ancora tra le dita dell’altra. Serrò la presa sul suo manico di scopa e lo raggiunse a terra.
«Che c’è?» sbraitò «È il secondo allenamento dell’anno, sono… un po’ arrugginita!»
«Vorrei ricordarti» ribatté lui, puntandole un dito contro «che sei considerata la miglior Cercatrice dai tempi di Harry Potter e per questo hai una grande responsabilità sulle spalle. È grazie a te se Tassorosso ha vinto la coppa del Quidditch per tre anni di fila! Che c’è, non t’importa più?»
Eccome se le importava. Noah era quasi un fratello maggiore, si preoccupava di lei più di chiunque altro, era la giocatrice a cui prestava più attenzione e Rachel non poteva che essergliene immensamente grata. Amava quel gioco, era la sua passione, ciò in cui vedeva il suo futuro. Ma la delusione per l’esito del provino per il Galà aveva demolito tutte le sue aspettative, e l’entusiasmo che metteva in ogni caccia al Boccino sembrava essersi dissolto.
«Sì che m’importa» borbottò, risentita «Te l’ho detto, sono solo arrugginita»
«Beh, io non credo proprio che tu lo sia» riprese il Capitano, severo «Sei distratta, tutto il tempo, si può sapere che c’è?»
Rachel avvertì il calore sulle guance. Sapeva che Noah si sarebbe infuriato come non mai se gli avesse confessato di aver partecipato ai provini per la squadra di Hogwarts, di aver infranto le regole perché troppo giovane per prendervi parte. Ma anche Isabella l’aveva fatto – al solo ricordo di quell’episodio, a Rachel si torsero le budella dalla rabbia – e, come loro, chissà quanti altri studenti sotto i quindici anni. Noah era un amico e una sorta di mentore… avrebbe capito?
«E va bene» confessò allora Rachel «Io… io ho… tentato il provino per la squadra di Hogwarts»
«Tu… tu che cosa?!» sbottò lui, gli occhi fuori dalle orbite.
«Lo so, è contro il regolamento» fece lei, rischiando di scoppiare in lacrime: deludere Noah era l’ultima delle sue intenzioni «ma… era troppo bello per non provarci! Ci tenevo, davvero, perché sarebbe stata un’occasione importante, per me, e se non avessi…»
«Rachel» la interruppe Noah, posandole una mano sulla spalla con un sospiro, d’un tratto calmo «non è l’età che fa un giocatore, e su questo siamo d’accordo. Cauldwell ti ha dato la possibilità di entrare in squadra al primo anno, quando di norma non sarebbe permesso, e questo perché hai innegabilmente un grande talento. Ma… parliamo di squadre nazionali, quelle che vedi giocare alla Coppa del Mondo. Saranno almeno il doppio di te e rischieresti di farti molto male. Ma sarebbe comunque… sarebbe insostenibile per chiunque»
Rachel annuì in silenzio, assorbendo quella piccola lezione che, in realtà, le sarebbe servita ben poco: la delusione l’aveva già avuta.
«Grazie per… per quello che hai detto» mormorò. Si rese conto che quelle parole suonarono vagamente scocciate quando Noah proseguì: «Rachel, lo so che tieni tanto al Quidditch, ma questo torneo… insomma, sei ancora molto giovane e…»
«Lo so, Noah, ho capito» tagliò corto lei. Quella conversazione non la stava di certo aiutando a stare meglio, anzi.
«Torno ad allenarmi» disse dopo un po’, buttando una gamba a cavalcioni del suo manico di scopa, pronta a ripartire «C’è comunque il campionato da vincere»
«Rachel» la fermò Noah «sei sicura di stare bene?»
«S-sì, io… sto bene» rispose «Devo solo… non devo pensarci più e concentrarmi sulle gare della scuola»
Abbozzò un sorriso un po’ incerto prima di scalciare a terra e rialzarsi in aria. Planò sul campo alla ricerca del Boccino, passando accanto alle tribune. Non si stupì nel riconoscere, tra i pochi presenti ficcanaso, la tronfia espressione di Isabella Nott, seduta sugli spalti accanto al suo immancabile fidanzato, Theo HIggs. Probabilmente era lì per ricordarle quanto mediocre fosse stato il suo tentativo di convincere i giudici di avere l’età giusta per partecipare al Galà, quando invece lei, Isabella, era riuscita a barare ed essere ammessa alle selezioni senza troppi giri di parole. Con uno sbuffo, Rachel si abbassò sul suo manico di scopa e prese velocità, lanciandosi in una perfetta picchiata verso il basso, nella migliore imitazione della caccia al Boccino. A pochi centimetri da terra, balzò giù dalla scopa senza alcun tentennamento, atterrando a piè pari sul prato.
Sogghignò fra sé quando, voltandosi, scoprì di aver sortito l’effetto voluto: Theo ed Isabella avevano gli occhi puntati su di lei, l’uno ammirato, l’altra astiosa e con una vaga ombra d’invidia sul volto.
Il fischio di Noah a pochi centimetri dal suo orecchio la riportò nuovamente alla realtà.
«Rachel» ringhiò «pensi di iniziare a darti da fare seriamente o…»
«Credevo di aver visto il Boccino, scusa» mentì lei.
«Non c’era nessun Boccino» sbuffò il Capitano, scaldandosi «Avresti potuto farti male! Che diavolo pensavi di fare?»
«Nulla» si affrettò a rispondere Rachel.
«Ne sei proprio sicura?» chiese Noah con fare inquisitorio, incrociando le braccia sul petto.
Per niente. Voleva dimostrare ad Isabella che lei aveva molto più talento, che meritava quel posto in squadra molto più di lei, anche se Isabella, evidentemente, era una bugiarda migliore. Il suo sguardo saettò per un momento verso le tribune, nel punto esatto in cui sedevano Theo e la Nott. A Noah non sfuggì.
«Lo sospettavo» sospirò, ammorbidendosi «Isabella Nott, eh?» constatò, seguendo lo sguardo della sua Cercatrice. Sapeva dell’astio che Rachel provava nei suoi confronti, tutta la squadra di Tassorosso lo sapeva.
«Cosa devi dimostrarle?» continuò lui «Puoi avere di meglio di quella specie di… Asticello con i capelli»
Rachel sorrise, ma non era Theo il vero problema, non in quel momento «Isabella ha mentito sull’età alle selezioni» disse Rachel «esattamente come ho fatto io. Solo che io sono stata spedita fuori, mentre lei… beh, i giudici l’hanno lasciata provare comunque»
«Quindi le hanno lasciato fare il provino anche se palesemente non ha l’età per partecipare?» fece lui, sgomento.
«Già» sospirò Rachel «E, come minimo, la ammetteranno pure in squadra»
«Parola mia che non lo faranno» ribatté Noah.
Rachel lo guardò interrogativa.
«Ne parlerò con la preside» disse Shacklebolt «Voglio dire, sono pur sempre suo nipote… e come Capitano di una squadra, credo di poter obiettare decisioni come questa»
«Direi, piuttosto, come nipote della preside» lo sbeffeggiò Rachel «E non dimentichiamo che tuo nonno è stato Ministro fino a pochi anni fa»
Noah gonfiò il petto con fare pomposo, divertito.
Rachel rise e lo abbracciò «Grazie Noah, grazie davvero»
«E per cosa?» fece lui «Voglio solo che le cose funzionino correttamente. Ma sappi che, Galà o no, io sarò sempre fiero di te»
La Cercatrice sorrise, sciogliendosi dall’abbraccio del suo Capitano. Molto più sollevata ora che sapeva che Noah avrebbe discusso con la preside dell’ammissione di Isabella, Rachel si rimise in sella alla sua scopa, pronta a ripartire a caccia del Boccino e decisa a restare concentrata per quanto le sarebbe stato possibile. Prima di levarsi in aria si rivolse un’ultima volta al suo Capitano: «Noah, perché non tenti tu i provini al posto mio?» gli disse «Potresti colpire Isabella per sbaglio con un Bolide, se foste entrambi ammessi in squadra»
«No, quel Galà non fa per me» rispose lui, con una risata amara «Devo portare avanti la squadra e quest’anno ho i M.A.G.O. Non ho tempo per il torneo»
 
 
 
Alle dodici in punto, la campana che segnava la fine delle lezioni mattutine risuonò lungo i corridoi del castello. Seduto strategicamente in ultima fila, Albus si precipitò fuori dall’aula di Incantesimi al primo rintocco, premurandosi di uscire prima di uno qualsiasi dei Corvonero con cui i Grifondoro avevano seguito quella lezione. Aveva tenuto d’occhio la testa bionda di Dylan Kirke, seduto in seconda fila, per quasi tutto il tempo: mentre lui schizzava fuori dalla classe, il Corvonero era ancora impegnato a riporre libri e pergamene nella sua borsa. Tutto perfettamente secondo i piani.
Mentre scendeva le scale a rotta di collo, diretto nel salone d’ingresso, non riusciva a smettere di domandarsi se avesse fatto la scelta giusta decidendo di dare man forte a Margaret, nel suo tentativo di riconquistare Dylan. Ma erano amici e si sarebbe sentito troppo in colpa se le avesse detto di no.
Margaret lo aspettava in fondo alla scalinata principale, le dita che tamburellavano sulla tracolla della borsa mentre si guardava nervosamente attorno.
«Eccomi» esclamò Albus col fiato corto, raggiungendola «Credo che Dylan arriverà a momenti»
«Ottimo» rispose Margaret, che ora aveva preso a torcersi agitatamente le mani.
Albus restò in silenzio. Avevano pianificato tutto, ma, ora che era giunto il momento di passare all’azione, tra loro aleggiava un imbarazzo tale da poterlo fendere con una lama.
Improvvisamente, Margaret sobbalzò.
«Che c’è?»
«Sta arrivando Dylan» disse Margaret in tono concitato, gli occhi che saettavano a intervalli regolari verso la cima delle scale «Fai finta… fai finta che una mia battuta ti abbia fatto ridere»
«Che cosa?» esclamò Albus, confuso.
«Fai finta di ridere!» sibilò lei.
Albus tentò di emettere una risatina, ma, nel giro di pochi secondi, si rese conto che il suono che usciva dalla sua bocca somigliava più al belato di una pecora col mal di pancia piuttosto che alla risata di qualcuno che si stava divertendo. Margaret, presumibilmente, notò quanto fosse in difficoltà, quindi scoppiò in una fragorosa risata con fare teatrale. Un gruppetto di ragazzini del primo anno li oltrepassò, scrutandoli come se fossero ammattiti.
Probabilmente lo siamo, pensò Albus fra sé, mentre ululava come un’orca marina.
Dylan passò lì accanto, ma parve non notarli più di tanto. Lanciò loro un’occhiata interrogativa e un sorrisetto imbarazzato gli solcò il volto mentre entrava in sala grande assieme alla sua combriccola di amici.
«Forse eravamo troppo… normali» constatò Margaret, sconsolata, guardando verso il tavolo di Corvonero.
«Per il San Mungo saremmo stati perfetti» fece Albus.
Lei sbuffò, possibilmente ancora più demoralizzata. Ma non passò molto prima che le cose prendessero una piega del tutto inaspettata.
Improvvisamente, videro Dylan alzarsi dal tavolo e dirigersi di nuovo verso l’ingresso. Voleva parlare con Margaret? Aveva dimenticato qualcosa nell’aula di Incantesimi e stava tornando indietro a prenderla? Stava semplicemente raggiungendo qualcuno seduto qualche posto più in là?
Successe tutto in un attimo confuso: mentre guardava Dylan avvicinarsi, perso nelle sue elucubrazioni, Albus udì indistintamente la voce di Margaret bisbigliare “Sta tornando qui”; avvertì uno strattone e, prima che potesse rendersene conto, si trovò col viso incollato a quello di Margaret.
Margaret lo stava baciando.
Rimase impietrito, rigido come uno stoccafisso, incapace di fare alcunché. Non sapeva dire se fosse imbarazzato, terrorizzato o entrambe le cose.
Così com’era iniziato, il bacio finì. Margaret si separò da Albus con uno schiocco: sul suo volto, c’era un’espressione colpevole.
«Scusami, Al» disse, e sembrava davvero dispiaciuta «Mi ha preso alla sprovvista, ho pensato che… ti senti bene?»
Ora Margaret lo scrutava preoccupata. Doveva avere un colorito orribile e lo sguardo sconvolto; le gambe gli tremavano e lo stomaco gli si attorcigliava come se avesse dovuto vomitare da un momento all’altro.
«S-sì, io…» disse, non appena ritrovò l’uso della parola «è che… non avevo mai…»
«Oh, cavolo» esclamò Margaret, arrossendo «Era… era la prima volta?»
«Già» fece Albus a disagio, fissandosi i piedi. Aveva sempre tralasciato con la sua migliore amica che non aveva mai baciato nessuna di quelle poche ragazze con cui era uscito. Forse Margaret pensava che ormai, giunto al settimo anno, fosse qualcosa di… normale?
«Oddio, Albus, mi dispiace così tanto!» disse lei, la testa fra le mani «Sono un’idiota»
«Non fa nulla» bofonchiò lui «Era… faceva parte del piano»
Annuì, cercando di convincersi. Margaret lo guardò affranta «Vieni… vieni a pranzo?» gli domandò, imbarazzata.
«Sì, io… tu vai, arrivo subito»
Margaret sembrò decidere di non ribattere e sparì oltre le porte aperte della sala grande in un battibaleno. Albus, rimasto solo nell’ingresso, si sedette sull’ultimo gradino delle scale, ancora tremante.
Era scioccato. Margaret l’aveva baciato. Così, per gioco. Tuttavia, era stato… strano. Insomma, baciare una ragazza era davvero così? Non riusciva nemmeno a ripensare a cos’aveva provato in quel folle attimo fugace. L’unica cosa di cui era certo, era che l’irruenza di Margaret gli aveva spaccato un labbro.
«Al?»
La voce di Derek lo distrasse dai suoi pensieri.
«Mc!» esclamò Albus scattando in piedi, felicissimo di vedere una faccia amica in quel momento «Che ci fai qui? Perché non sei a pranzo?»
«Mi sono fermato a chiedere un chiarimento alla professoressa Chang» rispose lui, come se fosse la cosa più ovvia del mondo «Stavo per dirtelo, ma sei corso via come un pazzo, che è successo? Perché sei… seduto sulle scale?»
Albus sospirò, prendendo a passarsi nervosamente una mano fra i capelli «È… è successa una cosa» ansimò, il fiato corto per l’agitazione.
«Parla»
Albus cercò di inspirare a fondo. La testa prese a vorticargli fastidiosamente, costringendolo a sedersi di nuovo sui gradini; poggiò i gomiti sulle ginocchia e seppellì il viso fra le mani. Si accorse solo in un secondo momento che stava tremando. Ancora.
«Maggie mi ha… baciato» sussurrò.
«Scusa?» fece Derek, con tanto d’occhi.
«Io e Maggie ci siamo baciati!» ripeté, la faccia ancora nascosta dietro le dita.
«Non ci credo! Era ora! Quando è successo?» esclamò Derek, dandogli un’entusiasta pacca sulla spalla.
«Cinque minuti prima che arrivassi tu»
«Ma aspetta, lei non era persa di quel… Keith? Quello che gioca nei Corvonero?»
«Kirke» lo corresse Albus con noncuranza «Sì, ma… vuole cercare di farlo ingelosire»
Derek lo fissò, confuso «Mi sono perso qualcosa?»
Un po’ riluttante, Albus alzò il capo e raccontò all’amico della conversazione avuta con Margaret ai Tre Manici di Scopa dieci giorni prima e di quel che era successo proprio poco prima.
«Non capisco cosa ci sia di male» commentò Derek alla fine del racconto di Albus «Insomma… credo sia forte se una ragazza prende l’iniziativa, no? Dovresti esserne felice»
«Ma questo non era nei piani» sbottò lui «Io e lei… siamo amici»
«Forse no» disse Derek, con l’aria di chi la sa lunga «Non solo, intendo»
«No… no, affatto» disse Albus, alzandosi in piedi «Le sto solo facendo un favore. Dimenticheremo questa cosa e tornerà tutto come prima. Tra me e lei non ci sarà mai nulla di più di… dell’amicizia»
Detto ciò, si decise ad andare a pranzo, con Derek che lo seguiva perplesso, ben determinato a non guardare nemmeno per sbaglio verso il tavolo di Corvonero a cui sedeva Margaret. Mentre acchiappava qualche fetta d’arrosto da mettersi nel piatto, la sua mente continuava a lavorare frenetica, nel tentativo di mettere in un ordine preciso gli ultimi eventi. La cosa più difficile fu gestire quella strana sensazione che sentiva all’altezza della pancia, come se avesse le farfalle nello stomaco… che pensavano di fare nella sua pancia?
 
 
 
Se Derek aveva mai pensato che gli allenamenti di Adam Baston fossero pesanti, ben presto scoprì che quelli di Lily Potter erano, se possibile, ancor più faticosi. Sebbene ora vedesse Lily sotto una luce diversa, dopo aver ascoltato i motivi che avevano spinto la giovane Potter a nominarlo suo vice-Capitano, non le avrebbe certamente confessato che, con gli altri membri della squadra, capitava spesso che si lamentasse dei suoi metodi di direzione degli allenamenti.
Lily era così determinata da risultare perfino severa, rigida, un piccolo dittatore, come l’aveva chiamata. Pretendeva il massimo da tutti e non annunciava la fine dell’allenamento finché non era soddisfatta della prova dell’intera squadra, il che significava tornare sempre negli spogliatoi con la lingua sotto le scarpe.
Fu in uno dei rari momenti di pausa che Derek si sedette sul campo assieme a Lysander Scamandro, a sua volta sudato e stanco.
«Tosta la ragazza, eh?» ansimò Lysander, prendendo una lunga sorsata d’acqua dalla sua borraccia.
«Non me ne parlare» fece Derek col fiato corto, asciugandosi con una manica il sudore dalla fronte «È la prima volta in tre settimane che ci concede una pausa, e ho pure dovuto insistere per averla»
Sbuffò e si lasciò cadere sull’erba fredda; l’umidità serale cominciava ad appiccicarsi fastidiosamente alla pelle.
«Almeno ti ascolta» commentò Lysander «A quanto pare, hai una buona influenza su di lei»
«Lo spero» asserì McLaggen stancamente, fissando il cielo che iniziava ad imbrunire.
«Perché non provi a chiederle di terminare quest’allenamento?» mugugnò il Cercatore «Sono distrutto»
Derek scoppiò a ridere «Non siamo nemmeno a metà» rispose «Credo dovremo rimanere qui almeno un’altra ora»
Si rialzò a sedere, i muscoli indolenziti dalla testa ai piedi.
«Forza fannulloni, sulle scope! Si ricomincia!» gridò Lily dall’altra parte del campo.
«Oh, basta, pietà!» mugugnò Lysander, alzandosi in piedi con una lentezza esasperante.
«Buon lavoro, Cercatore» gli disse Derek, mentre Lysander montava in sella alla sua scopa e decollava assieme al resto della squadra. Derek afferrò la sua mazza da Battitore e seguì l’esempio dei suoi compagni, quando un fischio di Lily richiamò la loro attenzione.
«Seb e Connor, allenamento su lanci liberi e rigori» annunciò da terra «Albus, agli anelli»
A Derek parve di scorgere il suo migliore amico roteare gli occhi prima di fluttuare verso la propria postazione.
«Fred, tu con Lysander» ordinò ancora Lily «Voglio che si alleni a scartare i Bolidi in velocità. Derek a terra, devo parlarti»
Un po’ interdetto, Derek eseguì, atterrando sul prato di fronte al suo Capitano.
«Qualcosa non va?» le domandò, un po’ preoccupato «Mi pare che lo schema nella prima parte della seduta sia andato bene»
«Quello andava benissimo» tagliò corto lei «Che c’è che non va in Albus?»
Derek aggrottò le sopracciglia «Beh, chiediglielo» disse «È tuo fratello»
«Con me non ne parlerebbe» brontolò Lily incrociando le braccia sul petto, lanciando una rapida occhiata al fratello impegnato a parare i tiri dei due Cacciatori «Per caso c’è qualcosa che non gli sta bene nella tattica di gioco?»
«Non credo, mi è sembrato abbastanza sicuro» rispose Derek, scrutando Albus a sua volta. Che aveva Lily? Improvvisamente si sentiva in colpa?
«Splendido, allora che c’è che non va?» domandò di nuovo lei.
«Continuo a non capire perché tu lo stia chiedendo a me»
«Perché sei il mio vice-Capitano e prima di prendere qualsiasi tipo di decisione, voglio parlarne con te» disse Lily «O non sei stato tu a dirmi che è giusto che il Capitano accetti l’appoggio della squadra?»
Derek non riuscì a trattenere un sorriso compiaciuto.
«Bene» riprese Lily «allora, che ha Albus? Mi sembra… non lo so, come se avesse altro per la testa»
Il giovane McLaggen s’irrigidì. Era così, Albus aveva decisamente altro per la testa. Ma era stato chiaro, gli aveva esplicitamente chiesto di tenere la bocca chiusa su quel che era successo con la sua migliore amica - sebbene lei volesse che la voce circolasse per far ingelosire quel Keats, o come diavolo si chiamava -, perciò non ne avrebbe fatto parola nemmeno con Lily.
Scosse la testa «Non ne ho proprio idea» mentì «Forse… s-so che ha fatto il provino per la squadra di Hogwarts, magari è un po’ teso per il risultato»
Lily sollevò un sopracciglio, con aria scettica «Beh, non ha certo l’aria di qualcuno pronto a fare a fettine tre squadre nazionali» esclamò «se al provino si è comportato come agli ultimi due allenamenti»
Derek si sentiva sempre più in difficoltà «Beh, a me non è sembrato così… così male» buttò lì, sapendo che il suo Capitano difficilmente avrebbe abboccato: Albus aveva lasciato entrare in porta la maggior parte dei lanci, nei giorni precedenti, e lo avevano notato tutti.
«Mc» lo redarguì lei, come previsto.
«E va bene» sospirò Derek sconfitto, ciondolando un po’ per temporeggiare e farsi venire in mente una scusa plausibile «So che, ultimamente, Al è… insomma, ha un po’ di cose da fare e…»
«Cose? Quali cose
«Sì, ha… beh, lui è…»
«Non è che c’è una ragazza di mezzo?»
Bingo.
Derek soffiò fuori dal naso un’enorme quantità d’aria, rendendosi conto solo in quel momento che stava trattenendo il respiro da chissà quanto «Sì» si arrese. Lily era troppo furba.
«E, di grazia, sarebbe possibile sapere di chi si tratta?»
«Oh, nessuno d’importante» ridacchiò Derek, cercando di mascherare il nervosismo «Sai com’è fatto Albus, la deluderà in meno di uno sventolio di bacchetta, lei sparirà e…»
«Non mi sembra» lo interruppe Lily «che sia così poco importante. Se lo fosse davvero, non si distrarrebbe così»
Come avesse fatto Lily a centrare immediatamente il punto, Derek non sapeva spiegarselo. Certo, non aveva dubbi su quanto fosse intelligente e sì, Albus era suo fratello, probabilmente lo conosceva bene, ma lui non avrebbe mai afferrato tanto in fretta il vero motivo di quel disinteresse verso la squadra.
È una ragazza, si disse. Le ragazze sono molto più sveglie, in queste cose.
«Avanti, sputa il rospo»
Derek strinse le labbra: non poteva tradire Albus.
«Non dirò nulla, giuro» continuò il Capitano, poggiandosi una mano sul cuore «È mio fratello, gli vorrò bene lo stesso, anche se si dovesse trattare di… che ne so, Mirtilla Malcontenta»
Con un sospiro, Derek si decise a parlare: «Beh, Albus è… io non ti ho detto niente, eh!»
«Derek» ringhiò lei.
«Va bene, va bene!» esclamò lui, ormai consapevole di non avere più vie di scampo da quella conversazione «Albus sta uscendo con… Margaret O’Neill»
«COSA?!»
Derek fu certo di aver sentito alcuni uccelli levarsi in volo dagli alberi della Foresta Proibita, infastiditi dallo strillo di Lily. Di certo, il resto della squadra si era voltato verso di loro.
«Sssh!» intimò al suo Capitano, mentre i loro compagni tornavano all’allenamento.
«Con Maggie?» fece Lily «Ma… in che senso, cioè, perché
«Storia lunga» buttò lì Derek, cercando poi di svicolare «Posso… posso tornare ad allenarmi? Credo che Fred abbia bisogno di…»
Non fece in tempo a terminare la frase che Lily afferrò il fischietto tra le labbra e soffiò forte, trapanandogli i timpani.
«Per oggi, l’allenamento termina qui!» gridò, e Derek immaginò la gioia che in quel momento avrebbe provato Lysander «Potete andare negli spogliatoi. Tranne Albus»
Derek guardò la squadra scendere a terra, perplessa; il suo migliore amico atterrò sul campo proprio accanto a loro.
«Qualcosa non va?» domandò dubbioso, guardando prima la sorella, poi Derek.
«Derek, puoi andare» gli disse Lily, gli occhi puntati sul fratello. Derek eseguì senza battere ciglio, lanciando un’occhiata ad Albus prima di dirigersi verso gli spogliatoi: non avrebbe voluto essere al suo posto.



[ Claire Says ]
Buongiornon a tutti quanti.
Ordunque... altro capitolino di passaggio per sviluppare un po' i rapporti tra i personaggi, ma so che qualcuno apprezzerà ;)
Niente di eclatante da dire, incredibilmente, stamattina mi sento stranamente di poche parole (sarà il sonno).
Segnate questo giorno sul calendario.
Much love,
C.

 

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Capitolo 10
*** What's going on ***


La stanza sotterranea adibita ad aula di Pozioni era invasa dai vapori dei calderoni. Per la prima volta dopo anni in cui erano sempre state nei primi banchi, Margaret aveva costretto Dominique a sedersi in ultima fila.
Doveva parlarle.
Non le aveva ancora detto nulla di quel che era successo tra lei e Albus, e soprattutto perché fosse successo. Non sapeva come la sua migliore amica l’avrebbe presa e il solo pensiero di una sua reazione negativa le faceva torcere le budella. Continuava a rimandare il momento della confessione finché, quella mattina, il professor Cauldwell, l’insegnante di Pozioni che, da ormai qualche anno, aveva sostituito l’ormai anziano Horace Lumacorno, aveva dato alla classe il compito di creare un’Amortentia e uno degli odori che Margaret aveva annusato entrando l’aveva convinta a confidare il suo segreto a Dominique.
Il solo ostacolo tra lei e la sua amica era il fumo delle loro pozioni, che ribollivano nei paioli. Margaret si spostò leggermente alla sua sinistra, in modo da trovarsi di fianco a Dominique.
«Questa pozione è più difficile del previsto» brontolò la rossa all’orecchio dell’amica, spostandosi febbrilmente una ciocca di capelli dietro l’orecchio «La teoria era molto più semplice»
«Già» mormorò Margaret, spiccia «Senti, Dom, io… devo dirti una cosa»
«Spara»
Presa alla sprovvista dall’inaspettata partecipazione di Dominique, Margaret si trovò in difficoltà «Ecco, io ho… non è facile… insomma, ho… c’è stato un bacio con qualcuno…»
«Oh, Maggie, evviva!» saltellò Dominique «E con chi? Non con Dylan, spero»
«No» balbettò l’altra, sebbene quella fosse stata la sua speranza per mesi «In realtà, con… con Albus»
«CHE COSA?!»
L’esclamazione altisonante di Dominique fu accompagnata dal fracasso del mestolo che, cadendole di mano, andò a schiantarsi su alcune fiale d’ingredienti, che andarono in frantumi. Inutile dire che il suo strillo aveva attirato l’attenzione dell’intera classe e del professor Cauldwell.
«Signorina Weasley» tuonò quello, avvicinandosi «qualcosa non va?»
«No, professore» rispose lei, tranquilla «Voglio dire, veramente sì. Maggie mi ha fatto notare che ho dimenticato di aggiungere i petali di rosa, passando direttamente al peperoncino in polvere e… accidenti, sono proprio sbadata» concluse, picchiandosi una mano sulla fronte.
«Allora perché non fa in modo di sistemare la sua pozione, invece di gridare per delle sciocchezze simili?» replicò il professore, scrutandola da sopra il suo naso aquilino.
«Non è una sciocchezza, signore» cinguettò lei, sbatacchiando le ciglia «Tengo molto ai miei voti»
«Dunque, si dia una mossa e la smetta di perdere tempo» disse Cauldwell.
«È ciò che ho intenzione di fare» disse Dominique, annuendo con vigore.
Cauldwell le fece un cenno con il capo e tornò alla cattedra. Margaret si stupì ancora una volta della disinvoltura con cui Dominique riusciva sempre a districarsi da situazioni scomode quali erano i richiami di un insegnante.
«Dicevi?» la voce di Dominique, sebbene fosse uscita in un sussurro, era carica di curiosità e stupore.
«Ho baciato Albus» ripeté Margaret, cercando di suonare distaccata.
«Ma com’è possibile?» continuò la rossa, mescolando con foga la sua pozione «Voglio dire, voi siete amici, com’è successo? E quando? Eravate Confusi, forse?»
«Dom, calmati» rise Margaret «L’ho fatto solo perché… cercavo di far ingelosire Dylan»
Dominique la fissò in silenzio per alcuni secondi, rischiando di far cadere il suo mestolo una seconda volta; lo afferrò al volo prima di proferire un confuso: «Cosa?»
Margaret si ritrovò quindi a raccontare all’amica dell’incontro avuto con Albus a Hogsmeade qualche settimana prima, della ragazza assieme a cui aveva visto Dylan e della decisione forse un po’ sciocca che aveva preso per cercare di suscitare gelosia in lui.
«Lo sai che non funzionerà, vero?» fu il commento di Dominique quando l’amica terminò.
«Io sono fiduciosa» disse Margaret decisa, mentre aggiungeva il peperoncino alla pozione.
«Se lo dici tu» bisbigliò l’altra «E com’è stato?»
«Com’è stato cosa?»
«Il bacio, che altro?»
«Ma è tuo cugino, Dom!» esclamò Margaret, senza riuscire a trattenere una risata.
«Sì, lo so, ma… voglio dire, lui ha risposto? O si è tirato indietro?»
Margaret si soffermò a pensare. No, Albus non si era tirato indietro, ma probabilmente lei nemmeno gliene aveva dato la possibilità. L’aveva tirato per la tunica della divisa, quasi senza neanche ragionarci troppo, e lui era rimasto lì, impalato e indubbiamente sconvolto. Poteva dire che avesse ricambiato? E come, se non si era mosso? Eppure, aveva una sensazione strana ripensando a quell’episodio… o magari era solo una sorta di ricordo di quando accadeva con Dylan. O, meglio ancora, una speranza che con lui succedesse di nuovo?
«No, non si è tirato indietro» commentò, infine «ma… non ha nemmeno risposto. Ho agito d’istinto, per i miei motivi, e lui… credo non sia scappato per… per via del nostro accordo. Per farmi un favore»
«E perché almeno così può dire che finalmente una ragazza lo considera»
«Non dire così, Albus è un bravo ragazzo» disse Margaret.
«Assolutamente, su questo non c’è dubbio» replicò Dominique «ma… a volte è così imbranato…»
Margaret sorrise, mentre Dominique lasciava cadere la conversazione e, con uno sbuffo, tornava a concentrarsi sulla sua Amortentia: evidentemente, Albus Potter non era un argomento meritevole di troppa attenzione.
Quando la voce del professor Cauldwell annunciò la fine della lezione, Margaret ammirò con soddisfazione la sua Amortentia, di un perfetto color madreperla. Incuriosita, decise di annusarla: sentì l’odore del Ghirigoro, il profumo delle scaffalature in legno mescolato a quello dei libri nuovi, delle pagine ancora da sfogliare. Poi un odore fresco, di abiti puliti, l’odore che aveva sempre sentito quando abbracciava Dylan. Deglutì, cercando di mandare giù quel ricordo assieme alla sofferenza che ancora provava per lui. Infine, un altro aroma le solleticò il naso: era un odore familiare, di lucido per manici di scopa, che sentiva spesso quando si avvicinava a…
Beh, era normale, no? Era il suo migliore amico, che c’era di male?
 
 
 
La prima partita dell’anno era a distanza di pochi, pochissimi minuti. L’intero spogliatoio di Tassorosso era in fermento e ancora di più lo era il pubblico sugli spalti: Grifondoro metteva in campo una squadra tutta nuova e i giallo-neri, per il quarto anno di fila, puntavano alla vittoria del campionato Faceva eccezione a quell’entusiasmo un’unica, piccola figura ingobbita e silenziosa: era Rachel.
Sedeva su una panca lontana dal resto della squadra, la divisa ancora incompleta, i capelli sciolti. Non sentiva l’eccitazione per la gara imminente, non avvertiva l’adrenalina scorrerle in tutto il corpo, non aveva nessuna voglia di disputare quell’incontro. La delusione per il provino, nonostante le parole incoraggianti di Noah di qualche giorno prima, bruciava ancora.
Come avevano potuto dubitare della sua età e non di quella di Isabella? Non aveva quindici anni e si notava, si notava eccome! Quella piccola serpe doveva averci sicuramente messo lo zampino, lei e le sue maledette raccomandazioni. Già, perché non poteva essere altrimenti e, come minimo, l’avrebbero pure ammessa nella squadra di Hogwarts.
«Rachel» la chiamò la Cacciatrice Grace Finnigan «ti conviene finire di prepararti, entriamo in campo fra meno di cinque minuti»
«Sì» borbottò lei, tornando a fissare il pavimento dopo una breve occhiata alla sua compagna. Controvoglia, finì di vestirsi, si legò i capelli e afferrò la sua scopa, accodandosi al resto della squadra dietro i portoni di quercia, pronta ad entrare in campo. Neppure quando si affiancò a Noah riuscì a sentirsi meglio. Quello sarebbe stato senza dubbio il giorno in cui le aspettative di tutti sull’eccellente, giovanissima Cercatrice, Rachel Finch-Fletchley, sarebbero crollate.
«Noah» sussurrò al suo Capitano, mentre il vociare dei tifosi fuori cresceva man mano che si avvicinava l’inizio della partita «non mi sento troppo bene»
«È solo un po’ d’agitazione, è normale» disse lui, tranquillo.
No, non era normale. Non c’era agitazione, non c’era entusiasmo. La verità era che le veniva da vomitare e, in quel momento, si sarebbe volentieri ritirata dal Quidditch per il resto della sua vita.
I portoni si aprirono sullo stadio gremito di gente e il sole pallido di quella giornata d’ottobre inondò i visi dei giocatori. I Tassorosso e i Grifondoro uscirono in campo, salutati dall’applauso fragoroso del pubblico.
«Un caloroso benvenuto e un saluto a tutti dal vostro commentatore, Morris Macmillan» annunciò nel microfono il cronista «La prima partita di questo nuovo campionato vede Grifondoro contro Tassorosso»
Entrambe le fazioni esplosero in grida e applausi, mentre Noah Shacklebolt e Lily Potter si stringevano la mano sotto l’occhio attento della professoressa Alicia Spinnet, arbitro ed insegnante di volo.
«In sella alle scope» annunciò la Spinnet. I giocatori eseguirono, Rachel di malavoglia, disponendosi a cerchio a qualche metro da terra. L’arbitro aprì la cassa delle palle: subito, i Bolidi e il Boccino sfrecciarono in aria, svolazzando per il campo. Ms. Spinnet scagliò in alto la Pluffa e i Cacciatori si lanciarono immediatamente su di essa.
«Partiti!» esclamò Morris, mentre il pubblico strepitava «La palla viene presa da Connor Abercrombie, nuovo acquisto dei Grifondoro. Abercrombie vola verso la porta avversaria, Lucy Weasley cerca di intercettarlo, ma attenzione! Ottimo passaggio di Connor al Capitano Lily Potter, che sfreccia verso gli anelli di Tassorosso, tira… parata! Parata di Liam Lynch»
Il gemito deluso dei Grifondoro si perse tra gli applausi dei Tassorosso, a cui prese parte anche Rachel, che preferiva seguire passivamente il gioco dei suoi compagni piuttosto che cercare il Boccino.
«Il gioco riprende in fretta» proseguì il commentatore «Lynch passa la Pluffa a Cindy Macmillan che, tra parentesi, è mia sorella, ciao sorella!»
La folla scoppiò a ridere mentre Morris continuava: «Cindy scarta Lily Potter e Sebastian Peakes, l’altro nuovo Cacciatore dei Grifondoro, si appresta a lanciare e… uh! Quel Bolide era molto vicino, ma il colpo di Fred Weasley è bastato per distrarre Cindy e farle perdere palla…»
Rachel decise che la cronaca della partita non era poi così interessante. Cercò Lysander Scamandro, il nuovo Cercatore dei Grifondoro, in mezzo al turbinio di mantelli rossi e gialli e lo vide esattamente dalla parte opposta del campo, intento a guardarsi in giro con gli occhi ridotti a due fessure, in cerca del Boccino. Spostò quindi lo sguardo sugli spalti occupati dai Serpeverde e non si stupì quando si accorse che Isabella Nott la stava fissando con aria spavalda, quasi di superiorità. Decise di ignorarla, almeno quella volta non era accanto a Theo.
Svolazzò qui e là sul campo, lanciandosi in picchiata di tanto in tanto, cosa che faceva trattenere il fiato ai tifosi che, subito dopo, si lasciavano sfuggire un gemito generale di delusione rendendosi conto che Rachel non stava inseguendo nessun Boccino.
Non le andava proprio di giocare: si sentiva apatica, svogliata, pigra, come quando doveva fare un tema di Storia della Magia e la voglia di studiare non faceva neanche lontanamente capolino. Se ne stava lì, a cavalcioni della sua scopa sospesa a mezz’aria, ad osservare la partita come un qualsiasi spettatore. Quasi quasi avrebbe potuto lasciare il campo e sedersi sugli spalti assieme a Bobby e Augusta in attesa che il gioco terminasse…
«Rachel!»
Oh, no, proprio no, non era il momento più adatto per distrarla da quei pensieri sereni.
«Rachel, muoviti!»
Perché avrebbe dovuto muoversi? Stava bene lassù, l’aria era così fresca e piacevole a quell’altezza…
«Rachel, il Boccino! INSEGUI IL BOCCINO!»
Boccino?
Rachel parve ridestarsi, riconoscendo la voce di Noah che la stava chiamando da chissà quanti minuti e, a giudicare dal tono, sembrava piuttosto arrabbiato.
«La squadra di Grifondoro fa sognare i suoi tifosi, col neo-Cercatore, Lysander Scamandro, lanciatissimo nella caccia al Boccino d’Oro!» la voce di Morris rimbombò per tutto lo stadio. Con un sussulto, Rachel guardò verso il basso: Lysander volava vicino ai pali degli anelli di Grifondoro, davanti a lui l’inconfondibile luccichio del Boccino.
Senza perdersi in altre esitazioni, si esibì in una picchiata spettacolare che le fece raggiungere Scamandro in pochi secondi. In un attimo, si ritrovarono spalla contro spalla.
«Levati, Scamandro» gli intimò, mentre il vento le fischiava nelle orecchie.
«Neanche per sogno» esclamò lui. Le diede una gomitata sul braccio, facendola rallentare, ma Rachel non demorse: lo acchiappò nuovamente e ripagò la scorrettezza di poco prima con una spallata.
«I Cercatori non mollano, sono uno a fianco all’altro!» il commento di Macmillan giunse all’orecchio di Rachel malamente mescolato agli incitamenti degli spettatori.
«Finch, fammi spazio!» le gridò Lysander.
«Mai!»
Rachel allungò il braccio, il Boccino era a pochi centimetri dalle sue dita. Lysander la colpì lievemente alla spalla, spostandole il braccio dalla traiettoria, scattò in avanti e chiuse la mano attorno alla pallina dorata. Il pubblico ammutolì all’istante.
«È incredibile, signore e signori, l’imbattuta Rachel Finch-Fletchley si lascia sfuggire il Boccino d’Oro» annunciò un altrettanto sgomento Morris Macmillan «e la vittoria va a Grifondoro!»
Ancora immobile nel punto in cui le era stata rubata la vittoria, Rachel osservò Lysander scendere sul prato del campo mentre la parte rossa e oro dello stadio scoppiava in un’esultanza festosa.
Il suo avversario teneva alto il pugno in cui stringeva il Boccino, incredulo. Aveva vinto. Grifondoro aveva vinto.
E lei, Rachel, per la prima volta aveva perso.
 
 
 
Chiunque fosse passato per il settimo piano in quel momento, avrebbe guardato l’espressione rilassata della Signora Grassa, intenta a sorseggiare punch assieme all’amica Violet, e avrebbe pensato che, nella Torre di Grifondoro, ci fosse la calma più assoluta. In realtà, ben pochi sapevano che, nella sala di ritrovo dei rosso-oro, i festeggiamenti per la vittoria di quel giorno erano a dir poco scatenati: c’erano striscioni alle pareti, tavoli carichi di boccali di Burrobirra, bottiglie di vino elfico sgraffignato dalle cucine assieme a diversi tramezzini, un paio di fiaschette di Whisky Incendiario Ogden Stravecchio che qualcuno era riuscito clandestinamente a far entrare nel castello, piatti e bicchieri sparsi sul pavimento, gruppi di studenti che si abbracciavano urlando, saltando sulle poltrone, intonando cori e alzando i calici in onore di Lysander Scamandro, portato in trionfo dall’amico Fred e dal Cacciatore Connor Abercrombie per aver battuto l’insuperabile piccola Cercatrice di Tassorosso.
Lily, non particolarmente amante delle feste sfrenate, aveva cercato in tutti i modi di ritirarsi in un angolo libero dal caos, ma era stato impossibile: non c’era tranquillità quando si festeggiava una vittoria. Infatti, si era ritrovata più e più volte circondata da persone di cui non conosceva nemmeno il nome, che non facevano altro che complimentarsi con lei, stringerle la mano e darle pacche sulla spalla. Essere il Capitano significava anche trovarsi sotto i riflettori, in occasioni come quella.
Nonostante tutto, doveva dirsi soddisfatta della sua squadra. Li aveva massacrati e maltrattati, e ne era consapevole, ma tutti quei duri allenamenti avevano dato i loro frutti: l’intera casata Grifondoro stava festeggiando come se avessero vinto la Coppa del Quidditch.
«Si potrebbe avere un autografo?»
Ok, forse ora i tifosi cominciavano ad esagerare. Insomma, congratularsi era una cosa, ma addirittura un autografo? Non era un po’ eccessivo? Sicuramente doveva essere un ragazzino del primo anno troppo esaltato.
Voltandosi, Lily si sorprese nel ritrovarsi invece davanti il suo nuovo Cacciatore, Sebastian Peakes.
Sgranò gli occhi, poi scoppiò a ridere «Non credi che sia un po’ esagerato?» gli chiese. Lui non rispose, limitandosi a passarle uno dei due calici d’argento che teneva in mano. Lily lo afferrò, imitando Sebastian nel sollevarlo appena, mimando un brindisi.
«Ottima partita» le disse, staccando il bicchiere dalle labbra.
«Già» asserì lei, dondolando sulle punte dei piedi.
«Voleva essere un complimento» puntualizzò Sebastian.
Lily rise «Beh, grazie, ma… anche tu fai parte della squadra» gli ricordò «Se abbiamo vinto, è anche merito tuo»
«Ma è il Capitano che guida la squadra» continuò lui «Quindi, un brindisi a te»
«Se lo dici tu» fece Lily, inarcando un sopracciglio. Era un tipo strano, Sebastian. Lo vedeva spesso in sala comune e al loro tavolo in sala grande, ma non si erano mai parlati fino a che lui non era entrato in squadra. Anzi, a dirla tutta, nemmeno in squadra parlavano granché. Perlopiù, discutevano delle tattiche di gioco, degli esercizi svolti in allenamento, cose sul Quidditch, ecco.
«Oh, lo dico eccome» riprese Sebastian «Sei davvero un ottimo Capitano, Lily»
«Sì, credo di aver capito» ripeté lei, come se stesse parlando con un ragazzetto un po’ tardo «Grazie»
Sebastian sorrise e prese un’altra sorsata dal suo bicchiere, scrutando Lily con un certo interesse. Il suo sguardo le suggerì che non era lì per parlare solo di Quidditch.
«Ok, Peakes, devi dirmi qualcosa?» esclamò, decidendo di stare al gioco.
Sebastian si guardò attorno «Parli con me?» disse poi.
«No, con la poltrona lì dietro» lo canzonò lei «Certo che parlo con te!»
«Oh» fece lui, con l’aria di chi è appena stato colto da un’illuminazione «Beh, in effetti pensavo… che non mi dispiacerebbe conoscerti al di fuori del campo»
Lily nascose un sorriso prendendo un sorso dal suo calice, che scoprì essere una bevanda fruttata e frizzante, probabilmente vino degli elfi. Non si aspettava che Sebastian fosse così sfacciato. Ma nemmeno così interessante, a dirla tutta. Non si era mai soffermata troppo ad osservarlo e, ora che lo faceva, non poteva non ammettere che avesse un certo fascino. Ci sapeva fare. E poi aveva quel sorriso sfuggevole…
«Sei arrossita, Capitano?» le domandò lui, scrutandola in volto.
«No!» cinguettò Lily. Continuava a sogghignare, senza sapere bene perché. Tuttavia non le sfuggì, qualche metro alle spalle di Peakes, lo sguardo torvo di Albus, che sembrava ben intenzionato a non perderla d’occhio, e subito capì: doveva aver fatto gli occhi dolci a Sebastian senza nemmeno rendersene conto, e sapeva quanto Albus fosse protettivo nei suoi confronti. Ma non era mai uscita con un ragazzo fino a quel momento perciò, ora che se ne stava creando l’opportunità, aveva tutto il diritto di sfruttarla, e al diavolo Albus.
Tornò a concentrarsi sul Cacciatore, decisa ad ignorare suo fratello che si comportava da guardia del corpo. Notò che sorrideva, compiaciuto «Sei sicura?» ghignò «A me sembra proprio di sì»
Questa volta, Lily avvertì il calore sulle guance, e si affrettò a nascondere un sorriso dietro un’altra sorsata di vino.
«Senti, Lily» riprese Sebastian, a cui, evidentemente, non era sfuggito l’effetto sortito dalle sue lusinghe «che ne dici se molliamo la festa e… facciamo qualcosa lontano da questa bolgia?»
«Qualcosa come…?»
«Qualcosa come smetterla di importunare il proprio Capitano»
Derek era improvvisamente piombato alle spalle di Lily, interrompendo la loro conversazione.
«Derek!» esclamò Lily, colta di sorpresa.
«Buonasera, McLaggen» lo salutò Sebastian, con una punta di fastidio nella voce «A cosa dobbiamo l’onore?»
Derek si premurò di togliere il bicchiere dalle mani di Lily prima di continuare: «Che pensavi di fare, eh?»
«Seb non stava facendo niente» s’infervorò lei, sfoggiando un tono improvvisamente inacidito.
«È solo un po’ di vino elfico» si difese Sebastian, facendo un cenno al calice.
«Gli studenti minorenni non possono bere questa roba»
«Ne ho bevuto solo un sorso» cercò di difendersi Lily.
Derek la ignorò, scagliandosi di nuovo su Sebastian: «Che intenzioni avevi, si può sapere?»
«Ehi, amico, calmati» ridacchiò Peakes.
«Non c’è niente da ridere!» sbottò McLaggen.
Anche Sebastian si fece serio. Poggiò il suo bicchiere ormai vuoto su un tavolo lì vicino e fronteggiò Derek, sebbene fosse più basso di lui di un paio di centimetri.
«Senti, grande uomo» lo schernì «solo perché hai un nome e sei un Battitore non credere che abbia paura di te»
Derek gli puntò contro l’indice, minaccioso «Se ti vedo darle fastidio un’altra volta…»
«Mc, ma che cavolo ti prende?!» intervenne Lily, dandogli una pacca per nulla amichevole sulla spalla «Stavamo solo parlando! E ho visto Albus, mi stava tenendo d’occhio, quindi se non ha detto nulla lui, non vedo perché dovresti farlo tu!»
Il giovane McLaggen guardò la ragazza boccheggiando, incapace di proferire parola davanti alla sua reazione infastidita. Come gli era venuto in mente di intromettersi in quel modo?
«Sentito, ragazzone?» fece Sebastian, col suo solito tono beffardo «Sta’ fuori dai piedi»
«Non t’immischiare!»
«Che succede qui?»
Alice, che doveva aver udito alcuni stralci di quella discussione, calatasi nel suo ruolo di prefetto, intervenne all’improvviso nella lite tra Derek e Sebastian. Lily si sentì tremendamente sollevata.
«Assolutamente nulla di male, Paciock!» commentò Sebastian allegro, afferrando un altro bicchiere colmo di vino «Una chiacchierata fra amici… un sorso?»
«Sono un prefetto, Peakes» ribatté lei, incrociando le braccia sul petto con fare autoritario «E minorenne. Non posso bere»
«Oh, Paciock, andiamo, siamo ad una festa!» esclamò Sebastian.
Derek sbuffò, visibilmente irritato «Peakes, ti suggerisco di smetterla»
«Oh, altrimenti che fai?» lo sbeffeggiò l’altro «Mi prendi a pugni? O chiami il tuo paparino a difenderti? Decidi tu, non ho nessuna…»
«FINISCILA!» gridò Derek.
Successe tutto in fretta: Alice cacciò un urlo mentre Derek si lanciava contro Sebastian e lo spingeva con forza, facendolo volare all’indietro contro un tavolino carico di boccali e calici che caddero sul pavimento, in un fracasso di vetri frantumati e tonfi metallici. Lily trasalì, spaventata, mentre l’intera sala si bloccava come una sola persona ad osservare la scena.
«Mc, che succede?» gridò Albus, affrettandosi ad afferrare l’amico per un braccio, mentre Connor correva in soccorso di Sebastian, steso a terra con gli abiti zuppi di vino e Burrobirra.
«Stava importunando Lily!» urlò lui di rimando, additando Peakes.
«Import- CHE COSA?!» sbraitò lei, incapace di credere a quel che aveva appena udito «Non starai dicendo sul serio?»
«Possibile che tu sia così cieca?» sbottò Derek, trattenuto a forza da Albus «Non hai ancora capito che cosa voleva fare?»
«Ma che cavolo stai dicendo?» s’infuriò Lily «Volevamo solo uscire a chiacchierare!»
«Chiacchierare!» rise Derek, scettico, quasi isterico «Quello aveva ben altro in mente!»
«Derek, fatti i maledetti affari tuoi!» strillò Lily, esasperata «Non ho niente da spartire con te, perciò non ti deve importare di cosa faccio, né tantomeno con chi, chiaro?»
Gli tirò un pugno sul braccio senza preoccuparsi di non fargli male, per poi salire le scale dei dormitori femminili sotto gli occhi silenziosi e attoniti dei presenti, sbattendosi la porta alle spalle.
Che cavolo gli era preso, a Derek? Non era sicuramente in sé per aver detto quelle cose, probabilmente doveva aver alzato un po’ troppo il gomito. Nemmeno Albus le aveva fatto la paternale, sebbene l’avesse fissata con sguardo assassino per tutto il tempo, perciò che ragioni aveva Derek per mettersi in mezzo?



[ Claire Says ]
Buongiorno a tutti quanti!
Aggiornamento settimanale aaand stavolta ho qualcosina da dire.
Come mi era stato fatto notare nella prima versione di questa storia, e come ho notato rileggendo i libri di HP, la prima partita di Quidditch dell'anno è, normalmente, contro Serpeverde, ma dopo oltre vent'anni dalle avventure di Harry & co. ho deciso di cambiare e dare un po' di gloria ai Tassorosso, ai quali voglio tanto bene e che sono troppo spesso bistrattati, quindi support i Tassi - anche se qui hanno perso, ma è la prima volta in tre anni, buuut still. E' per il bene superiore (cit.).
Ho finito con gli sproloqui (incredibile, ci ho messo poco) e vi spoilero che, nel prossimo capitolo, si parte col Galà - più esaltata io dei lettori.
Much love,
C.

 

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Capitolo 11
*** Saying weird things ***


«È tutto a posto, Mc?»
«Sto benissimo»
«Sicuro?» insistette Albus «Perché a guardarti si direbbe che…»
«Ti ho detto che sto benissimo!»
Per la seconda volta nel giro di pochi minuti, Derek alzò così tanto la voce che attirò l’attenzione dei suoi compagni di dormitorio. Sedeva sul divano della sala comune, leggermente svuotatasi dopo la lite tra lui e Sebastian, con i gomiti poggiati sulle ginocchia e il capo fra le mani. Si era mosso solamente per alzare la testa e sbraitare contro il suo migliore amico. Tremava, tremava di rabbia e non riusciva a calmarsi.
Come accidenti si era permesso Peakes di comportarsi in quel modo con Lily? Era solo una ragazzina ed il suo Capitano, per giunta! E lei, sempre così sveglia, così intelligente, come aveva potuto essere così ingenua da arrivare perfino a difenderlo?
Sbuffò, tentando di riordinare i pensieri, ricercando il motivo che l’aveva spinto ad agire in quel modo. Sicuramente, non poteva dire di essere del tutto lucido: dopo due calici di vino elfico e un paio di sorsi di Whisky Incendiario, la sua mente doveva aver cominciato a vacillare. Ma non era nemmeno lontanamente ubriaco, forse solo un po’ troppo su di giri.
Forse era quella una delle ragioni che l’avevano convinto ad intromettersi nella conversazione tra Lily e Peakes. Sebastian non gli piaceva, non gli era mai piaciuto con quella sua aria da sbruffone che ostentava di continuo, ma se non avesse esagerato con i calici, probabilmente non gli si sarebbe rivoltato contro così bruscamente. Del resto, voleva solo proteggere Lily, evitare che quello zotico le mancasse di rispetto.
Ma perché poi aveva insistito tanto per difenderla? Insomma, Lily era abbastanza tosta da gestire una squadra in cui era l’unica ragazza, liberarsi di un tipo fastidioso sarebbe stato un giochetto, no?
La verità, Derek dovette ammettere a sé stesso, era che Albus era il suo migliore amico, e Lily, essendo la sua sorellina, passava molto tempo con loro. La vedeva ogni volta che andava dai Potter e ormai erano compagni di squadra da tre anni, era normale che il suo affetto per lei fosse più profondo di quello di un semplice amico. Era una sorella minore per lui come lo era per Albus, e i fratelli maggiori sono gelosi delle proprie sorelle, si disse. Doveva essere quello il motivo scatenante della lite.
«Amico, hai un’espressione omicida, che ti prende?» intervenne Albus, interrompendo il flusso dei suoi pensieri.
Derek sollevò la testa, sbattendo più volte le palpebre «Nulla, Al» rispose con un sospiro stanco, passandosi nervosamente le mani tra i capelli «Solo… un po’ di pensieri»
«Perché ti sei scagliato contro Peakes, si può sapere?» gli chiese l’amico dopo qualche istante di silenzio.
Derek sbuffò dal naso e si alzò in piedi, nervoso «Lui stava…»
«Parlando con Lily, sì» concluse Albus, calmo «Li ho visti»
«Non stavano solo parlando» ringhiò McLaggen «Peakes aveva ben altre intenzioni, gliel’ho letto in faccia»
«Mc, l’ho tenuto d’occhio per tutto il tempo» disse paziente Albus «Non stava facendo nulla»
«Ma probabilmente l’avrebbe fatto!»
Sbuffò di nuovo, afferrando uno dei pochi bicchieri di Burrobirra rimasti su un tavolo: basta con le bevande vietate per quella sera, avevano già fatto troppi danni. Osservò Alice Paciock ed Hugo Weasley sistemare il tavolino e i boccali rotti dalla caduta di Sebastian a colpi di bacchetta, mentre Connor Abercrombie sosteneva Peakes e lo aiutava a sistemarsi su una poltrona poco distante.
«Forse dovresti scusarti» Albus fece notare a Derek, accennando a Peakes.
«Nemmeno per sogno!»
«Derek, andiamo…»
«Non doveva permettersi di comportarsi così con Lily!»
«Così come?» ribatté Albus, visibilmente spazientito «Derek, per la millesima volta, Sebastian non ha fatto nulla. E se anche l’avesse fatto, sai che Lily se la sarebbe cavata benissimo da sola. È in gamba»
«Certo, certo» disse McLaggen, spiccio «Solo che, sai, lei è… per me è…»
Cos’era? Una sorella? Sì, quello era, ma come avrebbe potuto dare quella giustificazione ad Albus dopo che lui non aveva ritenuto opportuno intervenire?
«L-lei è come una sorella, per me» disse infine «Sai, la conosco da tanti anni e… mi sono sentito in dovere di proteggerla. Mi sembrava, ecco… appropriato»
«Non mi è sembrato che la situazione richiedesse un intervento “appropriato”» commentò Albus, perplesso, virgolettando con le dita a mezz’aria.
«Beh, magari ti ho evitato il peggio» scherzò Derek, nel tentativo di svicolare.
Albus si alzò in piedi a sua volta, piazzandosi davanti all’amico a braccia conserte «Sei sicuro» gli domandò, sospettoso «di non essere geloso di Lily?»
«Gelos- chi, io?!» Derek scoppiò a ridere, la stessa risata nevrotica di poco prima, quando aveva accusato Lily di non essersi accorta dei secondi fini di Peakes  «Ma che ti salta in mente?»
Sì, Derek era geloso, ma come un fratello, l’aveva già detto ad Albus. Lily era come una sorella.
«Non lo so, ma la tua reazione alla provocazione di Peakes mi fa pensare»
«Non pensare, Al» tagliò corto Derek «Preferisco quando la tua testa è vuota»
Albus rise a sua volta, e Derek poté tirare un sospiro di sollievo. Ma perché il suo migliore amico avrebbe dovuto sospettare che avesse una cotta per sua sorella? Impossibile, Lily era un maschiaccio, poi ultimamente era così… aspra. E poi, non gli piacevano le ragazze con i capelli rossi.
Decisi a dimenticare quella serataccia, i due amici salirono al loro dormitorio per mettersi a letto, approfittando che i loro compagni fossero ancora al piano di sotto.
«E di Maggie che mi dici?» domandò Derek ad Albus, mentre si toglievano i vestiti e mettevano il pigiama.
Albus fece spallucce «Nulla di che»
«Non vi siete più visti?»
«Un paio di giorni fa» rispose Albus, infilandosi sotto le coperte.
«Quindi ora siete una coppia?»
«Perché devi sempre etichettare tutto?» brontolò Potter.
«Chiedevo» si difese Derek. Indossò il pigiama e sgattaiolò a sua volta sotto il piumone, nel letto opposto a quello di Albus.
«Sai» saltò su quest’ultimo all’improvviso «è molto strano… uscire con Maggie. In quel senso»
Derek si trovò in difficoltà. Doveva aspettarsi una dichiarazione dell’amore di Albus per la O’Neill?
«In che senso strano?» gli chiese allora.
Albus sospirò «Non lo so, è diverso… frequentare lei, rispetto alle altre ragazze» mormorò «Di quelle non m’importava nulla, hai visto cos’è successo con Amanda. Con Maggie non è così, è… ho sempre paura di ferirla»
«È soltanto perché la conosci» rispose Derek «Siete amici da anni e le stai facendo un favore. Mi sentirei a disagio anch’io se non mi sentissi all’altezza del compito»
«Non si tratta di essere all’altezza o meno» disse Potter «Lei è sempre stata come una sorella, per me. Le ho sempre raccontato tutto – beh, quasi - e lei ha sempre parlato a me dei suoi problemi. Insomma, sarebbe come… sarebbe come se tu uscissi assieme a Lily»
Derek fu colto da un improvviso accesso di colpi di tosse «C-che intendi?» esclamò.
«Sì, beh» riprese l’altro «da quello che dici, sembra che Lily sia per te quel che Maggie è per me»
«P-più o meno» balbettò Derek «Solo che… noi parliamo soltanto di Quidditch»
«E non vi sbaciucchiate»
L’unica risposta che uscì dalla bocca di Derek fu una risata forzata.
«E sarà meglio che non succeda mai» rise Albus «o potrei macchiarmi d’omicidio»
Derek avvertì un peso cadere sul fondo dello stomaco, ma cercò di non badarci «Puoi stare tranquillo» gli disse, cercando di suonare altrettanto divertito «Non ho alcuna intenzione di farti finire ad Azkaban. Lily non è affatto nei miei interessi»
E chiuse con decisione le tende del suo baldacchino, augurandosi che quella conversazione non tornasse a disturbarlo nel sonno.
 
 
 
Forse per via delle celebrità che affollavano i tavoli delle quattro case, quell’anno Hogwarts sembrava aver dato il meglio di sé per le decorazioni di Halloween. Le zucche luminose che galleggiavano a mezz’aria sopra le teste dei commensali erano di un bell’arancione acceso e grosse quanto dei paioli – dalle dimensioni si poteva sospettare che qualcuno le avesse sottoposte ad un Incantesimo Engorgio – e su ogni banco c’era una quantità immensa di pietanze a base di zucca, senza contare tutti quei piatti contenenti le specialità dei paesi di provenienza degli ospiti. Ma erano pochi gli studenti a cui importava della cena; quella sera, tutti attendevano con trepidazione la proclamazione della squadra di Hogwarts.
Roxanne aspettava con impazienza. Le parole di Grace, la Tassorosso che aveva cercato di risollevarle il morale dopo i provini, erano rimaste impresse a fuoco nella sua mente e la convinzione di essere riuscita ad entrare in squadra cresceva in lei ogni giorno di più. Ma ora che l’annuncio era ormai prossimo, tutte le sue speranze sembravano sgretolarsi man mano che si avvicinava il momento.
Con lei c’erano gli inseparabili Fred e Lysander, Albus con Derek ed Elizabeth, a loro volta curiosi di conoscere la decisione dei giudici. Poco distante, Lily se la chiacchierava allegramente con le amiche Alice e Jessica, del tutto indifferente alla faccenda del Galà.
L’eccitazione nell’aria era palpabile, il brusio di voci e posate sembrava stranamente irrequieto. Fu alla fine della cena, quando la professoressa Shacklebolt si posizionò davanti al tavolo delle autorità, che il rumore cessò all’istante, come se qualcuno avesse pigiato un interruttore.
«Il momento da noi tanto atteso è finalmente arrivato» annunciò, e persino nella sua voce si percepì una nota d’entusiasmo. Alle sue spalle, i tre giudici lasciarono le loro sedie e si disposero uno accanto all’altro dietro di lei: Rowena Temple teneva in mano un plico di piccole buste.
«I nostri giudici hanno visionato decine e decine di aspiranti giocatori» disse la preside «ma hanno deciso che solamente sette di loro sono meritevoli di prendere parte a questo torneo»
Si voltò verso la Temple, che mosse qualche passo avanti per porgerle le buste, mentre un borbottio concitato percorreva la sala.
«Ora» continuò la Shacklebolt «scopriremo assieme quali studenti sono stati selezionati per la squadra di Hogwarts. Chiamerò uno alla volta i nomi dei singoli giocatori, i quali, dopo la loro proclamazione, saranno pregati di accomodarsi nella saletta qui dietro» - fece un cenno con la mano verso una porticina situata dietro il tavolo degli insegnanti, sulla sinistra della sala - «dove li raggiungerò in seguito assieme ai giudici per le prime disposizioni sul torneo»
Senza aggiungere altro, aprì quindi la prima busta, scatenando un mormorio esaltato.
«Il Cercatore della squadra di Hogwarts» proclamò – di fronte a Roxanne, Lysander si agitò visibilmente sul posto «è Scorpius Malfoy»
Sbirciando verso il tavolo di Serpeverde, esploso in un applauso fragoroso, Roxanne vide Scorpius alzarsi e rivolgere un sorriso piuttosto incerto agli studenti festanti, per poi dirigersi verso la preside tra strette di mano e pacche sulla schiena da parte dei suoi compagni.
«Non mi risulta che abbia fatto il provino» urlò ai suoi amici, per farsi udire sopra quel frastuono.
«Credo sia stato uno degli ultimi a presentarsi» rispose Albus.
«Girava voce che non volesse nemmeno iscriversi» replicò Elizabeth.
«E sarebbe stato meglio se non l’avesse fatto» sbuffò un amareggiato Lysander.
«Andiamo, Lys!» esclamò Fred dandogli un pugno sul braccio «Non è detto che avrebbero preso te, se Malfoy non avesse partecipato»
«Beh, avrebbero potuto!» protestò lui.
«Ad ogni modo, l’ha fatto» ripeté Albus «L’ultimo giorno, credo. Ho sentito Dominique che ne parlava con quel tizio con cui esce…»
Roxanne si lasciò sfuggire una smorfia scettica e si voltò di nuovo verso Malfoy, accorgendosi che ormai era sparito oltre la soglia della piccola stanza dietro la sala grande. Dopodiché, tornò il silenzio.
La Shacklebolt aprì la seconda busta.
«Il Portiere…»
«Ti prego, ti prego, ti prego!» bisbigliò Albus, la fronte poggiata sulle mani giunte.
«… è Milo Thomas»
«Ah, maledizione!» sbottò il giovane Potter, picchiando il pugno sul piano di legno.
Al tavolo di Corvonero, Thomas balzò in piedi alzando le braccia al cielo, gridando un forte e trionfante “Sì!” per poi correre verso i giudici mentre l’intera casata lo applaudiva. Il padre Dean gli diede un’incoraggiante pacca sulla spalla e Milo entrò nella saletta. Roxanne diresse quindi la sua attenzione alla Shacklebolt.
«Il primo Battitore…» cominciò la preside.
«Oddio!» si lasciò sfuggire Roxanne, agitata e speranzosa, mentre stringeva la mano di Elizabeth.
«… è Noah Shacklebolt»
Noah si alzò di scatto dal tavolo di Tassorosso, come se uno spillo gli avesse punto il sedere, in viso un’espressione confusa. Come in trance, scavalcò la panca per raggiungere Malfoy e Thomas, camminando con una lentezza esasperante, mentre i suoi compagni lo applaudivano entusiasti.
«Non sembra se l’aspettasse» commentò Elizabeth, seguendo Noah con lo sguardo.
Roxanne scosse la testa «Pare di no» disse «Anzi, mi verrebbe da dire che… ma no…»
L’idea le pareva talmente assurda che lasciò morire la frase a metà. Noah aveva tutta l’aria di qualcuno che si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato e Roxanne non aveva potuto fare a meno di pensare, sebbene per un solo, infinitesimale secondo, che Noah fosse stato… raccomandato? D’accordo, era il nipote della preside e suo nonno era stato Ministro della Magia fino a pochi anni prima, ma non le sembrava proprio il tipo di atleta che avesse bisogno di una spinta per un torneo del genere, qualcuno che doveva essere ammesso a tavolino perché non aveva talento. Era Capitano dei Tassorosso, e se lo era c’era sicuramente un motivo.
«Che cosa?» fece Elizabeth.
«Nulla, lascia stare» rispose Roxanne con noncuranza.
«Potrebbe aver fatto il provino tanto per fare, solo per dire di averci provato» intervenne Derek «Magari non è andato bene e non si aspettava che lo ammettessero in squadra»
Prima che qualcuno potesse ribattere, Albus li zittì tutti quanti: la Shacklebolt teneva in mano la quarta busta.
«Ehi, sorellina» Fred chiamò Roxanne.
«Sì?» fece lei, le dita ancora intrecciate a quelle dell’amica.
«Vinca il migliore» disse lui. Roxanne abbozzò un sorriso prima di spostare di nuovo lo sguardo sulla Shacklebolt.
Quei minuti le sembrarono infiniti. La preside sembrava impiegarci un’eternità per aprire quella maledetta busta e l’ansia di Roxanne cresceva ogni secondo di più. Sarebbe stata lei la prescelta per quel ruolo? O Fred? O qualcun altro?
«Il secondo Battitore…»
Ti prego. Ti prego!
«… è…»
Chiama me, ti supplico, chiama me!
«… Roxanne Weasley»
Era vero? L’aveva detto davvero? Alethea Shacklebolt aveva chiamato Roxanne Weasley? I giudici l’avevano scelta? Sul serio?!
Il mondo, che sembrava essersi fermato per un attimo, riprese a muoversi. Le orecchie di Roxanne percepirono l’applauso di tutto il tavolo rosso-oro, i complimenti dei suoi cugini; il suo corpo avvertì la stretta dell’abbraccio di Elizabeth. Quando si rese conto che le sue gambe, sebbene paurosamente tremanti, l’avrebbero retta in piedi, scavalcò la panca e corse verso la preside, accertandosi prima di notare quanto disappunto esprimesse la faccia di Olivia Montague. Felice, scese nella saletta retrostante, unendosi ai suoi nuovi compagni di squadra.
 
 
 
Lily era davvero felice per Roxanne. Dopo tutte le delusioni avute dalla squadra di Grifondoro, meritava quel posto nella squadra di Hogwarts. Le dispiacque un po’ per Albus, sarebbe stato bello vedere come se la sarebbe cavata suo fratello contro quei giganti del Quidditch. Alla formazione della scuola, però, mancavano ancora i Cacciatori, uno dei ruoli più ambiti dagli aspiranti giocatori che si erano presentati ai provini.
La Shacklebolt scartò una delle ultime tre buste.
«Il primo Cacciatore» annunciò «è Grace Finnigan»
Il tavolo di Tassorosso esultò una seconda volta mentre una ragazza dai capelli scuri si alzava e si dirigeva verso le autorità, stringendo le mani ai giudici prima di raggiungere gli altri quattro giocatori sul retro della sala grande. Quando la scuola tornò nel silenzio, la preside aprì la penultima busta.
«Il secondo Cacciatore è…»
Si interruppe, aggrottando le sopracciglia nel leggere il nome del candidato sul pezzetto di pergamena. Si avvicinò ai giudici, bisbigliando loro qualcosa e scatenando un vocio nervoso tra gli studenti.
«E ora che succede?» si lamentò Jessica.
«Ci sarà sicuramente un intoppo» commentò Lily «Papà dice che si trovano sempre problemi nelle dichiarazioni ufficiali»
«Problemi? Per dei pezzi di carta?» disse Alice con aria saggia. Prima che qualcuno potesse ribattere, la Shacklebolt tornò a fronteggiare la folla, sfoggiando un tono lievemente sorpreso.
«Il secondo Cacciatore è Isabella Nott»
Diverse grida e fischi accompagnarono la nomina di Isabella come Cacciatrice. Tuttavia, la ragazzina dal viso appuntito non si fece scoraggiare, anzi, sembrò prestare attenzione solo agli sporadici applausi dei suoi compagni verde-argento.
«Bastarda!» fu il grido della Cercatrice di Tassorosso, Rachel Finch-Fletchley, che si era alzata in piedi sulla panca per sbraitare contro la Serpeverde «Non hai quindici anni! Hai corrotto i giudici!»
«Ha ragione!» urlò Lysander, a qualche posto di distanza da Lily.
«Giudici venduti! Giudici venduti!»
«Basta così!» gridò la Shacklebolt, sovrastando le proteste che risuonavano ormai in tutta la sala «Così ha deciso la commissione e così sarà!»
«Accidenti, quella piccoletta dev’essersela proprio presa» disse Jessica, facendo un cenno in direzione di Rachel.
«Quella è fuori di testa per il Quidditch» fece Lily «Spero si sbrighino comunque, sto morendo di sonno»
Mancava un solo Cacciatore. Una sola busta restava tra le mani della preside. La aprì. La tensione nella sala era a mille.
«Il terzo ed ultimo Cacciatore» disse «è Lily Potter»
Le orecchie di Lily scattarono sull’attenti quando udì la preside pronunciare il suo nome, e tutta la stanchezza parve abbandonare il suo corpo, lasciando il posto ad un’insana agitazione. Cosa significava che lei era il terzo Cacciatore? Non aveva fatto nessun provino. C’erano centinaia di altri ragazzi e ragazze che avevano faticato per avere quella possibilità e lei entrava in squadra così, senza nemmeno essere stata esaminata? Doveva esserci sicuramente un errore.
Sentì su di lei gli sguardi di diversi Grifondoro, impegnati ad applaudire entusiasti il suo ingresso in squadra, così cercò di nascondersi tra Jessica e una ragazzina del primo anno che sedeva alla sua sinistra. Non voleva partecipare a quel torneo, proprio no.
Cercò disperatamente lo sguardo di Albus, seduto all’incirca vicino a Lysander: non seppe dire se fosse più arrabbiato, deluso o confuso. Lo guardò in cerca d’aiuto, sillabando un “Non ho fatto il provino”, ma la professoressa Shacklebolt la chiamò di nuovo.
«Lily, credo proprio stia chiamando…» cominciò Jessica.
«Sssssh!» fece lei, guardando in basso.
«Lily Potter!» esclamò la preside per la terza volta.
«Lily, vai!» sibilò Alice. Tra gli applausi della sala, Lily si alzò in piedi: le sue gambe sembravano aver perso improvvisamente tutti i muscoli. Con passo incerto, sfilò tra il tavolo della sua casa e quello di Tassorosso, passò davanti alla Shacklebolt e ai giudici e superò la porta già varcata dagli altri sei giocatori. Udì qualcuno chiuderla alle sue spalle, così si costrinse a scendere i gradini che si trovò davanti.
La saletta in cui erano stati fatti accomodare i giocatori era piccola e circolare, illuminata dal fuoco di un grande camino di marmo bianco che si trovava proprio di fronte all’entrata, sovrastato da un enorme quadro che raffigurava Hogwarts durante la Seconda Guerra Magica: centinaia di piccole esplosioni colorate si muovevano sulla tela seguendo gli incantesimi dei maghi. Sul lato destro c’era un bel divano in pelle nera, su cui sedeva un pensieroso Noah e, di fianco, un tavolino di legno lucido su cui era poggiato quello che poteva sembrare un antico servizio da tè in argento; un tappeto persiano rosso si trovava proprio davanti al camino e un sacco di teche che racchiudevano oggetti non meglio identificati erano stipate lungo la parete alla sinistra di Lily.
«Lily!» esclamò Roxanne felice quando la vide entrare «Che sorpresa vederti, non credevo avessi fatto il provino!»
Lily scosse la testa «Non… non l’ho fatto, infatti» borbottò «Che… sta succedendo?»
«I giocatori scelti per il Gran Galà del Quidditch ti dice nulla?» la canzonò Isabella «Sveglia, Potter»
Quelle parole parvero ridestarla improvvisamente dallo stato di trance in cui era caduta da quando la preside aveva chiamato il suo nome «Senti, nanerottola» sibilò, fulminando Isabella con lo sguardo «chiudi quella boccaccia immediatamente. Tu hai tredici anni, non dovresti nemmeno essere qui»
Lei fece spallucce, tutta ringalluzzita «Non secondo i giudici» bisbigliò, prima di ritirarsi in un angolo a parlare con Malfoy.
«Ok, si può sapere che succede?» ripeté Lily, rivolgendosi agli altri quattro «Questa vipera in miniatura è in squadra nonostante non abbia l’età per giocare e io mi ritrovo sbattuta dentro senza aver fatto nessun provino. Perché?»
«Me lo sono chiesto anch’io» disse Noah, dalla sua postazione sul divano. All’occhiata interrogativa di Lily, aggiunse: «Nemmeno io ho fatto il provino»
Roxanne e Grace guardarono prima Lily poi Noah.
«Ma com’è possibile?» disse Grace «Insomma… non è nemmeno corretto»
«Ma che vi importa?» intervenne Milo, che trasudava un entusiasmo «Avete l’opportunità di giocare contro tre delle più grandi Nazionali europee! Non è grandioso?»
Milo sorrideva così tanto che gli si potevano contare tutti i denti. La sua gioia era così fastidiosa che Lily non riuscì a trattenere uno scoppio d’ira.
«Senti, Thomas, è davvero fantastico, ma… a me non importa un accidente di questa cosa! Non voglio sfidare nessuna Nazionale, non ne ho il tempo, non ne ho le forze e non ne ho le capacità!»
«Ma ormai ci sei dentro»
«Beh, allora voglio uscirne!»
«Non puoi, è il regolamento»
«Al diavolo il regolamento!» gridò «Scommetto che non c’è nemmeno un regolamento vero e proprio e questo torneo è tutta una farsa messa in piedi per il tornaconto di qualcuno, non è vero?»
Non sapeva perché l’avesse detto. Probabilmente neanche lo pensava. Ma mentre sbraitava contro Thomas, l’idea che due giocatori che non avevano preso parte alle selezioni e una ragazzina di tredici anni fossero stati ammessi in squadra scavalcando tutti gli altri aspiranti atleti, le sembrò piuttosto bizzarra. Contro il regolamento, ecco.
Scorpius uscì dal suo angolino buio e raggiunse Lily «Sai, Potter» le disse «forse hai un’esagerata brama di giustizia, ma… devo ammetterlo, hai ragione, qualcosa non va. Tu e Shacklebolt che venite scelti senza essere esaminati, Isabella che non ha l’età per…»
«Ma non c’è nulla che non va» si affrettò a dire Milo.
«Oh, ma davvero?» fece Scorpius sarcastico, fronteggiando il Corvonero «Perché non lo chiediamo a tuo padre? O scopriremmo che gli hai fatto fare carte false per farti ammettere in squadra?»
«Mio padre non ha fatto proprio niente!» protestò lui, infiammandosi «Ha stilato le regole del torneo assieme a McLaggen e ai consiglieri dell’Ufficio per gli Sport, è una persona onesta! E io, questo posto, me lo sono meritato per il mio talento!»
«Certo» continuò Malfoy, con lo stesso tono «il talento di essere figlio di un funzionario del Ministero, sbaglio? Lo stesso che ti ha dato la possibilità di…»
«Va bene ragazzi, basta» intervenne Lily, frapponendosi tra i due, prima che la questione degenerasse, cercando un barlume di razionalità nell’ irrequietezza che la tormentava «Thomas ha ragione, mi secca dirlo. Possiamo accusare chi ci pare, ma ormai ci siamo dentro e non possiamo farci nulla, va bene? Qualunque sia il modo in cui siamo finiti in questo macello»
«Io ho fatto il provino» saltò su Isabella.
«Tu hai barato, piccola viscida bugiarda!» sbottò Noah, scattando in piedi e puntandole il dito contro «Rachel mi ha detto tutto!»
«Oh, Rachel» fece la Serpeverde «È la tua prediletta, vero?»
«Rachel ha molto più talento di te» esclamò Grace, aspra.
«Evidentemente non abbastanza da far credere ai giudici di avere l’età per partecipare» disse Isabella, ora a sua volta sul piede di guerra.
«Non è in questo modo che si dimostra il talento!» sbraitò Shacklebolt.
«BASTA!»
Lo strillo di Roxanne riportò il silenzio.
«Ragazzi, per favore!» li supplicò, con una nota di isterismo nella voce «Dal momento in cui abbiamo varcato quella porta, siamo una squadra. E in una squadra ci si sostiene, non ci si grida contro in questo modo!»
Scorpius sospirò stancamente «Hai ragione, Weasley» commentò «Siamo una squadra. Dovremmo cercare di collaborare»
«Ti prego, Malfoy, da quando sei così sentimentale?» si lagnò Isabella.
«Sta’ zitta, Nott» sputò lui.
«Io non collaboro con dei mollaccioni di Tassorosso» continuò la ragazzina, guardando con disprezzo Noah e Grace.
«Bene, Nott» ringhiò Lily «Allora puoi benissimo accomodarti alla porta, che ne pensi?»



[ Claire Says ]
Benvenuti ad una nuova puntata di- no, niente.
Ehm, salve.
Comincia finalmente il Galà, e, un po' in tutto il capitolo, ci sono vari richiami ai film, quarto specialmente, e ai libri.
Mentre revisionavo pensavo che volevo appuntare una cosa...
Ah, sì! Sono due cose:
1) "Decisi a dimenticare quella serataccia, i due amici salirono al loro dormitorio per mettersi a letto, approfittando che i loro compagni fossero ancora al piano si sotto." I compagni sono Connor Abercrombie e, ovviamente, il buon Sebastian. I quattro sono tutti al settimo anno, quindi condividono la stanza, per la gioia di Derek;
2) la Grace di cui parla Roxanne, quella incontrata al provino, e Grace Finnigan, sono la stessa persona. O era ovvio?
Direi che anche per oggi ho finito, grazie per averci seguito, buon proseguimento di serata!
Much love,
C.

 

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Capitolo 12
*** Interview with the devil ***


Scorpius si passò stancamente una mano sugli occhi. Da quando si erano ritrovati tutti e sette in quella saletta, Lily e Isabella non avevano smesso per un attimo di lamentarsi e battibeccare. Che aspettavano la Shacklebolt e i giudici a raggiungerli? Almeno avrebbero messo fine alla sua sofferenza, la sua pazienza stava davvero arrivando al limite.
«Sentite, voi due» intervenne, frapponendosi fra le ragazze «mi sembra ovvio che non vi sopportiate, ma ora siete nella stessa squadra, che vi piaccia o no. Quindi seppellite il vostro odio reciproco e iniziate a comportarvi da persone civili»
«Non esiste la civiltà, con questi qui» commentò Isabella, guardando con spregio quelli che sarebbero stati i suoi compagni di squadra.
«Nott, ti avverto» fece Lily, e Scorpius notò allarmato che la sua mano stava scivolando lentamente verso la tasca in cui avrebbe potuto tenere la bacchetta. Prima che potesse tirarla fuori, le balzò addosso senza pensarci due volte.
«Potter, no!» gridò, afferrandole il polso «Ti giocheresti il posto!»
«Tanto meglio!» sbottò lei «Ora, Malfoy, se non ti dispiace…»
Cercò di spingerlo via, ma con risultati piuttosto scarsi: Scorpius continuava a bloccarle il passo ogni volta che tentava di scagliarsi di nuovo su Isabella.
«E levati di mezzo!» esclamò ancora Lily.
«No!»
«Malfoy, giuro su mio padre che se non ti sposti, io ti…»
Un rumore di passi frettolosi proveniente dalle scale bloccò le parole di Lily, e Scorpius non poté che ringraziare immensamente la Shacklebolt e i giudici per aver deciso di presentarsi proprio in quel momento. Un attimo dopo, i quattro si palesarono nella saletta.
«Buonasera, Campioni» disse la Shacklebolt allargando le braccia, come a volerli abbracciare tutti sebbene il suo tono, notò Scorpius, celava una nota di disappunto «Sono certa che siate tutti molto entusiasti di essere…»
«Professoressa, ho una domanda» intervenne subito Noah, alzando la mano.
«Le domande dopo, signor Shacklebolt» tagliò Rowena seccamente, alle spalle della preside. Scorpius vide il Tassorosso lanciarle un’occhiata di fuoco: era certo che avrebbe voluto esprimere le sue obiezioni per via dell’ammissione di Isabella.
«Dunque» riprese la Shackklebolt «poiché è il signor Thomas l’organizzatore di questo torneo, lascio a lui il compito di illustrarvi come si svilupperà il Gran Galà del Quidditch»
Fece un cenno a Dean, che mosse qualche passo avanti per trovarsi di fronte ai giocatori.
«Grazie, Alethea. Ora, come già sapete» esordì «in questo torneo gareggerete contro le tre squadre nazionali nostre ospiti. Gli incontri verranno sorteggiati la sera prima dell’incontro, perciò scoprirete solo al momento dell’entrata in campo contro quale squadra giocherete»
«Che cosa?» sbottò Scorpius. Quel torneo si faceva sempre più strano, ed erano appena all’inizio: l’ammissione di una ragazza che non aveva l’età giusta per partecipare, Lily e Noah selezionati senza nemmeno aver fatto il provino, e ora questo. Che cosa c’era sotto? Perché li volevano così impreparati?
«Ha capito bene, signor Malfoy» asserì McLaggen, scavalcando il collega «Ad ogni modo, nessuno di voi conosce le tattiche delle squadre avversarie, perciò per voi sarebbe comunque un’incognita»
«Potremmo assistere ai loro allenamenti, per sapere come giocano» ribatté ancora Scorpius. Lui lo faceva sempre quando i Tassorosso si allenavano.
«Gli allenamenti saranno a porte chiuse, sia per loro che per voi» intervenne Rowena severa, affiancandosi a Thomas e McLaggen «Qualunque giocatore sorpreso a spiare gli avversari verrà espulso immediatamente dal torneo»
Scorpius riscontrò il suo stesso sguardo preoccupato e perplesso sui visi dei suoi compagni.
«Avremo almeno… che so, un allenatore?» domandò Grace «Qualcuno che possa darci delle dritte per affrontare dei professionisti?»
«Starà a voi studiare le tattiche giuste» rispose Rowena, squadrando la ragazza come se avesse detto chissà quale oscenità «Vi accorderete su chi di voi sarà il Capitano della squadra, per dirigere i vostri allenamenti, ma dovrete lavorare tutti quanti per studiare insieme gli schemi di gioco adatti»
«Le nazionali ce l’hanno, un allenatore!» sbottò Noah, contrariato.
«È previsto dal regolamento della Federazione del Quidditch» commentò McLaggen, col tono di chi sembrava volersi giustificare.
«Ma è una regola imparziale!»
«Nessuna squadra di Hogwarts ha mai avuto un allenatore» gli fece notare Rowena.
«Ma questa è una competizione con squadre che giocano a livello mondiale!» esclamò Scorpius, rendendosi conto solo in un secondo momento di aver urlato. Quella faccenda del torneo stava cominciando ad infastidirlo parecchio. Forse Lily non aveva tutti i torti ad essersi infuriata tanto.
«Ne eravate al corrente» Rowena gli rispose a tono «nel momento in cui avete fatto il provino. Conoscevate benissimo il livello della competizione, avreste dovuto…»
«Ma io non ho fatto nessun provino!» strillò Lily imbestialita, facendosi spazio tra i compagni di squadra.
«Non dica stupidaggini!» la redarguì la Temple «Se si trova qui, è ovvio che ha fatto il provino!»
«No che non l’ho fatto!»
«BASTA COSÌ!» gridò la Shacklebolt, zittendo tutti. Gli occhi dei presenti si fissarono su di lei: «Non ho accettato che Hogwarts ospitasse questo torneo per vedere giudici e giocatori urlarsi contro circa le questioni riguardanti la gara» disse furiosa, le narici dilatate dall’irritazione «Quindi, vi chiedo di tenere le vostre lamentele per voi, per il momento. Sarete liberi di discuterne in separata sede da domani»
Squadrò uno per uno i sette giocatori, per poi passare in rassegna i tre giudici con lo sguardo, probabilmente per testare l’effetto delle sue parole. Scorpius avrebbe voluto volentieri ribattere, ma in quelle condizioni si sarebbe certamente ritrovato vittima di qualche incantesimo bizzarro, o peggio, espulso. Perciò decise di tacere e ascoltare ciò che la preside aveva da dire.
«Bene» riprese, tirando un profondo respiro «Giocatori: la prima gara si terrà sabato venticinque novembre. Vi verrà consegnata una divisa che vi distinguerà come squadra di Hogwarts e sarete convocati dal direttore della vostra Casa per ritirarla pochi giorni prima dell’incontro. Come già annunciato dai giudici, la squadra che sfiderete verrà sorteggiata poche ore prima della gara e vi ricordo di nuovo che spiare gli allenamenti degli avversari è severamente vietato. Vi consiglio vivamente di cominciare a collaborare tra di voi, invece di continuare a bisticciare. Non crediate che non vi abbiamo sentito, prima di entrare qui»
L’ultima frase suonò spaventosamente minacciosa. Scorpius non poté fare a meno di lanciare un’occhiata a Lily ed Isabella, una con lo sguardo basso e colpevole, l’altra, le braccia incrociate sul petto, apparentemente impassibile.
«Sarete, inoltre, intervistati nei prossimi giorni dalla Gazzetta del Profeta e Quidditch Weekly, i giornalisti saranno qui mercoledì» continuò la Shacklebolt «Vi sarà comunicato nei prossimi giorni l’orario esatto. Ci sono domande?»
Scorpius non osava aprire bocca. Aveva deciso all’ultimo momento di fare il provino, ma mai al mondo avrebbe pensato che sarebbe stato scelto, lui l’aveva fatto quasi per gioco. E, in quel momento, si stava terribilmente pentendo di averlo fatto. Quel torneo era l’evento più truccato a cui avesse mai preso parte. Sempre ammesso che lo fosse. Ma doveva esserlo, non c’erano altre spiegazioni per giustificare la miriade di stranezze capitate fino a quel momento.
Osservò gli altri giocatori: tutti quanti sembravano aver perso l’intenzione di porre domande alla preside. Era stata assolutamente cristallina.
«Se non ci sono domande, vi auguro una buonanotte» disse la Shacklebolt, guardando severa la squadra. Nessuno osò ribattere. La preside fece quindi loro un cenno col capo e imboccò le scale che portavano in sala grande, seguita dai giudici. Quando ebbero lasciato la stanza, i sette ragazzi restarono impalati dov’erano, consapevoli che amici o no, a qualsiasi Casa appartenessero, avrebbero dovuto collaborare. Ora più che mai.
 
 
 
La mattina successiva alla proclamazione della squadra di Hogwarts, il castello era immerso in un innaturale silenzio. La sera prima, ogni sala comune aveva festeggiato i giocatori che avrebbero rappresentato la scuola contro le nazionali, e i festeggiamenti sembravano essersi protratti fino a tarda notte. Rose Weasley lo notò quando, verso le nove, scese in sala grande per fare colazione e solo pochi altri mattinieri sedevano ai tavoli delle quattro case.
Sedette al tavolo di Grifondoro, appena in tempo per vedere il gufo di casa Weasley planare verso di lei con la posta.
«Ehi, Bart» salutò il piccolo pennuto grigio, dandogli una grattatina sulla testa. Lui fischiò, sbatacchiando le ali, e Rose gli allungò un pezzetto di toast prima di sfilare dalla sua zampa la copia della Gazzetta del Profeta di quel giorno.
«Aspetta» disse al gufo. Sfilò dalla tasca dei pantaloni un foglio di pergamena piegato in quattro «Ho bisogno che porti questo a mamma»
Bart fischiò di nuovo, arruffando le penne.
Rose sbuffò «Quasi dimenticavo quanto sei pigro» borbottò, seccata «E va bene, userò uno dei gufi della scuola. Va’ a dormire, pelandrone»
Per tutta risposta, il pennuto fece schiccare il becco, risentito. Rose sollevò un sopracciglio e gli gettò un altro pezzo di pane. Bart lo becchettò tutto soddisfatto, poi allargò le ali e spiccò il volo, lasciando la sala grande.
«Mai visto un gufo tanto scansafatiche» brontolò, imboccando una cucchiaiata di fiocchi d’avena e, afferrando finalmente il giornale, notò la prima pagina: una bella foto dello stadio di Quidditch di Hogwarts occupava l’intero frontespizio, sormontata da un titolo a caratteri cubitali: “Gran Galà del Quidditch, il dado è tratto”.
Scosse la testa: quel cosiddetto torneo non la convinceva affatto. L’aveva scritto anche nella lettera che voleva mandare a sua madre: studenti dai nomi conosciuti in tutto il mondo magico, chi per discendenza da note ed antiche famiglie Purosangue e chi per essere figlio di personaggi che avevano salvato i maghi dal Signore Oscuro, ragazzine di tredici anni ammesse alla gara pur non avendo l’età per partecipare… c’erano troppi sotterfugi. Di certo, Hermione Granger, in quanto Ministro della Magia, ne sapeva di più su quella questione. E Rose voleva quelle risposte.
Finì in fretta la colazione prima di salire di nuovo al suo dormitorio, costretta dalla pigrizia di Bart a recuperare sciarpa, berretto e cappotto per recarsi alla voliera dei gufi. Stava attraversando il cortile, deserto tanto quanto l’interno del castello, quando un’inconfondibile chioma bionda, stranamente arruffata, attirò la sua attenzione: Scorpius Malfoy, nonostante la giornata cupa e fredda, se ne stava là, solo, appoggiato ad una balaustra, intento a fissare un punto imprecisato in lontananza, tutto infagottato in un brutto maglione grigio e pesante.
Immancabilmente, come ogni volta che lo incrociava da vicino, a Rose tornarono in mente le parole di suo padre Ron il suo primo giorno di scuola, quando vide per la prima volta il Serpeverde: “Non dargli troppa confidenza, Rosie. Nonno Arthur non ti perdonerebbe mai se sposassi un Purosangue.” Non si era mai spiegata il perché, ma aveva sempre preso quelle parole tremendamente sul serio. Scorpius Malfoy aveva un viso sottile, occhi chiarissimi e capelli di un biondo quasi platino, e se ne andava in giro ostentando un’insopportabile aria di superiorità. Sembrava un tipo piuttosto taciturno e serio, uno che non dava l’idea di essere esattamente un simpaticone. Perciò, stargli alla larga, come suggerito da Ron, era sempre stato estremamente facile.
Tuttavia, in quel momento, vederlo lì da solo, senza la sua solita cerchia di amici, immerso in chissà quali pensieri, lo fece apparire, agli occhi di Rose, molto più… umano. E, per la prima volta in sette anni, qualcosa la spinse ad avvicinarsi.
«Pioggia in arrivo?» lo canzonò.
Lui sobbalzò, ridestato dal suo silenzio pensieroso «Weasley?» borbottò, un po’ sorpreso e un po’ confuso «Che vuoi dire?»
Lei fece spallucce «Guardavi verso le montagne» disse «e mi chiedevo se, per oggi, dovessi aspettarmi… pioggia»
Scorpius aggrottò la fronte: Rose pensò che la sua battuta non l’avesse divertito «Che ci fai da queste parti?» disse infatti, in tono inacidito.
Rose sventolò in aria la lettera per sua madre «Devo spedire questa, stavo andando alla guferia» spiegò «Cerco di capirci qualcosa in più sul… Galà del Quidditch»
Scorpius sbuffò una risata, una risata amara, e scosse la testa «Beh, tanti auguri, allora» mormorò «Sembra che tutti sappiano qualcosa, ma che nessuno voglia parlare»
«Che intendi dire?»
«Che questo torneo è tutta una farsa» disse lui, frustrato.
«Beh, senza dubbio ci sono un sacco di falle nel regolamento» constatò Rose «ma addirittura una farsa? L’ha pur sempre organizzato un ufficio del Ministero»
«E pensi davvero che questo basti per giustificare tutte le incongruenze che ci sono?» continuò Scorpius, sempre sulla stessa linea «Avresti dovuto sentire Thomas e la Temple, ieri sera… perfino la Shacklebolt sembra aver capito che qualcosa non va»
«Ti riferisci all’ammissione di Isabella?» domandò Rose.
«Mi riferisco a tante cose» disse Scorpius stancamente, passandosi una mano fra i capelli, arruffandoli ancora di più «Questo torneo è… non lo so, è tutto sbagliato»
«Stavo andando alla guferia proprio per questo» disse ancora Rose «per mandare una lettera a mia madre. Chi meglio del Ministro della Magia in persona può dirci se c’è davvero qualcosa che non va?»
Scorpius scattò ritto in piedi, guardandola improvvisamente animato da un nuovo sentimento «Credi che possa farlo?» esclamò «Svelare la verità, intendo»
Rose si strinse nelle spalle «È quello che spero» sospirò «Non so fino a che punto possa rivelarmi certi… certi passaggi professionali»
Scorpius parve abbattersi di nuovo «È che… tutta questa faccenda mi fa così arrabbiare» ringhiò «Ci hanno messo con le spalle al muro e non abbiamo modo di dire la nostra. Dovremo fare tutto da soli, senza un allenatore, quindi saremo nettamente inferiori alle nazionali e… perderemo. Ovviamente»
«Credi che vogliano mettere in ridicolo la scuola?» gli chiese Rose, pensierosa.
Scorpius scosse la testa «No, non credo» rispose, le labbra arricciate in un’espressione che tradiva i ragionamenti che si rincorrevano nella sua mente «per quello basterebbe un articolo di Rita Skeeter. Credo ci sia sotto qualcosa di più grosso»
Rimasero in silenzio per alcuni istanti, ognuno perso nei propri pensieri. Mentre cercava di riordinare le idee, Rose si rese conto tutto a un tratto che aveva appena sostenuto una conversazione civilissima con Scorpius Malfoy, quello dall’aria spavalda e che tutto sembrava, eccetto una persona amichevole. Scoprì di essersi sbagliata fin dall’inizio: poteva essere un po’ burbero, in prima battuta, ma, tutto sommato, era quasi piacevole parlarci e fare congetture sui possibili imbrogli che si celavano dietro l’aura di grandezza di quel Gran Galà del Quidditch.
«Senti» disse Rose dopo un po’ «io non so giocare a Quidditch, e nemmeno me ne intendo troppo, ma ho intenzione di arrivare in fondo a questa faccenda. Perciò, ora spedirò questa a mia madre e…»
«Io ne parlerò con mio padre» le fece eco lui; Rose, sebbene non fosse quella la sua prima intenzione, si disse che poi non era un’idea tanto brutta.
«Sa già cos’è successo?»
«Non lo so, ma, in ogni caso, lo verrà a sapere presto» rispose Scorpius, ora più determinato che mai «So che anche lui ha diverse conoscenze al Ministero, magari potrà farmi sapere qualcosa. Gli scriverò quanto prima. Ora devo andare» sbuffò poi, guardando l’orologio al polso «mi aspetta una riunione con la squadra. Dobbiamo iniziare a stilare un paio di tattiche, decidere chi di noi sarà il Capitano… cose del genere, ecco»
«Beh, buona fortuna» ridacchiò Rose.
«Ne avremo bisogno» sospirò lui «Tienimi aggiornato, se puoi»
«Sì, e… anche tu»
«Assolutamente» disse Scorpius, deciso «Ci vediamo, Weasley»
 
 
 
Quella mattina, quando Lily aprì gli occhi, si rese conto che la sveglia non aveva suonato: probabilmente era domenica, si disse. Fu solo in un secondo momento che si rese conto che, invece, era mercoledì e, dopo aver buttato un’occhiata all’orologio sul comodino, che le lezioni sarebbero iniziate di lì a pochi minuti, ed era spaventosamente in ritardo. Stava già per precipitarsi giù dal letto quando si ricordò del perché non avesse impostato la sveglia per quel giorno: quel mercoledì era il giorno delle interviste per il Gran Galà, che si sarebbero tenute alle nove e mezza in sala professori.
«Merlino e i suoi maledetti tanga leopardati» borbottò, fissando con astio il baldacchino rosso sopra di lei. Scostò le coperte e scese dal letto, dirigendosi in bagno. Legò velocemente i capelli intricati e si sciacquò il viso, guardandosi allo specchio dopo essersi passata l’asciugamano sulla faccia umida: era pallida, con gli occhi gonfi di sonno, le lentiggini sul naso più marcate del solito.
Ci sarebbero stati fotografi quel giorno? Senza dubbio, l’articolo sul Galà sarebbe stato pubblicato sulla più famosa rivista di Quidditch del mondo magico, oltre che sul Profeta. Forse non era il caso di presentarsi in quelle condizioni, pensò Lily. Magari se avesse avuto i capelli un po’ più in ordine, la divisa meno sgualcita del solito…
Ma chi se ne frega.
Con tutta la tranquillità del mondo, Lily si vestì e scese in sala grande per mangiare qualcosa: non poteva affrontare i giornalisti a stomaco vuoto, erano sicuramente peggio della più difficile delle partite di Quidditch. Suo padre le aveva raccontato di una certa Rita Skeeter che l’aveva intervistato quando aveva partecipato al Torneo Tremaghi e aveva reso la sua vita un inferno. Erano passati più di vent’anni, ma i giornalisti non potevano essere molto più simpatici di allora. Anzi, forse erano addirittura peggio.
«Ciao, Lily» la salutò una raggiante Roxanne, sedendosi di fronte a lei; Lily notò che, per l’occasione, la cugina aveva reso morbidi e fluenti i suoi ricci solitamente crespi, puntandoli dietro l’orecchio destro «Pronta per le interviste?»
Lily scrollò le spalle, esibendo un’espressione più che mai indifferente, continuando ad ingozzarsi di uova e pancetta. Non le importava del torneo in sé, figurarsi delle interviste.
«Per Godric, Lily!» esclamò la cugina dopo un po’. Alzando la testa dal piatto, Lily notò che Roxanne la stava fissando sgomenta.
«Che c’è?» biascicò.
«I tuoi capelli»
«Che hanno?» disse tastandoli. Si accorse di averli ancora legati in quel nodo disordinato che aveva studiato per non bagnarli mentre si lavava la faccia.
«Sono tremendi» commentò Roxanne. Si sporse oltre il tavolo e glieli sciolse, ma la situazione non parve migliorare più di tanto.
«Cerca di sistemarli un po’, prima di iniziare» disse ancora Roxanne.
«Vanno bene così» fece Lily, prendendo un sorso di succo d’arancia.
«Non così tanto, veramente» continuò l’altra «Ti vedrà quasi mezzo mondo magico, su quelle riviste»
Con uno sbuffo piuttosto seccato, Lily lasciò la colazione e prese a passarsi freneticamente le dita tra i capelli, incontrando più di una volta nodi difficili da districare, quindi afferrò un cucchiaio e si specchiò nel retro: la sua immagine non era poi così terribile. Non più del solito, ecco.
Poco dopo, ignorando i rimproveri quasi da mamma chioccia di Roxanne - «Sistema meglio quei capelli!», «Metti dentro la camicia!» - Lily salì al primo piano assieme alla cugina per raggiungere gli altri giocatori nella sala riunioni degli insegnanti.
Dentro c’erano già Milo, Noah e Grace, ognuno appostato in un angolo diverso della stanza; dietro la cattedra, una donna dai capelli argentei con indosso una veste rosso carminio si grattava il mento con la punta di una piuma verde acido, fissando di tanto in tanto i giocatori già presenti da sopra gli occhiali in tinta con l’abito. Alle sue spalle, poggiato al muro e con un’aria decisamente svampita, un ragazzo che non doveva avere più di vent’anni teneva in mano una macchina fotografica professionale e portava al collo un cordino a cui era legato un cartellino che recava la scritta “Devin, Gazzetta del Profeta”. Lily lo ricordava vagamente come uno studente di Tassorosso, diplomatosi qualche anno prima.
Nel giro di dieci minuti, li raggiunsero anche Scorpius, Isabella e un altro ragazzo, meno giovane del primo, a sua volta munito di macchina fotografica. Attaccata alla giacca grigio a scacchi, aveva una targhetta con scritto “Neil, Quidditch Weekly”.
«Bene, vedo con gioia che ci siete tutti, finalmente» cinguettò la giornalista, alzandosi dalla scrivania – Lily fu certa di non aver mai udito nessuno parlare con un tono di voce che suonasse così tanto finto «Io, come ben saprete, sono Rita Skeeter, scrivo per la Gazzetta del Profeta e…»
«Rita Skeeter?» la interruppe Lily, orripilata «Quella Rita Skeeter?»
Rita posò lo sguardo su di lei, risentita per essere stata malamente interrotta e per essere stata apostrofata in quel modo «Le domande le faccio io, signorina…?»
«Lily»
«Lily come
«Lily… Potter»
Rita spalancò la bocca con fare teatrale «Santo cielo!» esclamò, portandosi una mano al petto «La figlia di Harry Potter?»
Lily chiuse per un istante gli occhi, cercando di non tradire troppo il proprio fastidio «Già, sono io» rispose a denti stretti, cercando di piegare le labbra in un sorriso più che mai tirato.
«Oh, ma è splendido!» esclamò la Skeeter «Forza, forza, mettetevi in posa per le foto, voglio iniziare subito a farvi qualche domanda!»
Rita esortò i giocatori ad avvicinarsi l’uno all’altro, e Lily non aveva alcun dubbio: tutta quella fretta era dovuta all’impazienza della giornalista di intervistare proprio lei, la figlia del famoso Harry Potter.
Che c’era di così interessante? Erano passati anni da quando suo padre aveva sconfitto il Signore Oscuro, eppure c’era ancora qualche pazzo fanatico che proprio non poteva fare a meno di idolatrare il nome di Potter.
Un po’ riluttante, Lily si sedette su una delle quattro sedie che erano state sistemate al centro della stanza per il servizio fotografico. La seguirono Roxanne, Grace ed Isabella, mentre i tre ragazzi presero posto in piedi dietro di loro. Un attimo dopo, furono bombardati da flash accecanti da parte di Neil e Devin.
Quando finalmente i due fotografi riposero quegli aggeggi infernali, Lily si stropicciò gli occhi con forza per scacciare le centinaia di lucine che puntellavano il suo campo visivo.
«Direi che le foto possono bastare» commentò Rita «Ora, le interviste. E sì, penso proprio che… sì, comincerò con la signorina Potter»
Prima che potesse ribattere, Lily si ritrovò il gomito stretto nella presa ferrea di quell’arpia, che la trascinò in un’aula vuota adiacente alla sala riunioni. Rita sedette ad un banco, ordinando a Lily di accomodarsi lì vicino. Lei obbedì, mentre osservava la giornalista estrarre un blocchetto per appunti dalla borsetta di pelle di pitone. Un colpo di bacchetta e quello parve prendere vita, sollevandosi a mezz’aria.
Rita, quindi, succhiò la punta della stessa piuma verde che Lily le aveva visto in mano qualche minuto prima: la penna si animò, appoggiandosi sul block notes, pronta ad annotare tutto.
«Allora, Lily» trillò Rita, fissandola con smodato interesse; dalla sua voce traspariva un’assai malcelata eccitazione «che emozione trovarmi qui con te. Sai, ho avuto l’onore di intervistare anche tuo padre, ormai vent’anni fa, durante il Torneo Tremaghi. E ora, guardami… nella stessa scuola a parlare proprio con sua figlia!»
Lily non rispose, in attesa che Rita la smettesse con tutte quelle lusinghe tanto false.
«Ma veniamo a noi, mia cara. Tutti sanno di chi sei figlia, ovviamente: il Prescelto, il salvatore del Mondo Magico, grande Cercatore ai tempi di Hogwarts, vincitore dell’ultimo e così tragico Torneo Tremaghi, ora stimato Auror, bla bla bla, potrei continuare all’infinito… credo sarai uno dei giocatori più seguiti di questo torneo»
Le strizzò l’occhio. Lily inarcò un sopracciglio con fare indifferente. Sbirciò per un secondo la penna verde che scorreva fluida sulla pergamena, tentando di leggere quali parole perfide stesse scrivendo quell’aggeggio infernale, prima di fissare Rita con aria di sfida, aspettando la domanda che probabilmente avrebbe scatenato il gossip. Come previsto, non tardò molto ad arrivare.
«Ma parliamo di te Lily. Dimmi, che cosa ti ha spinto ad iscriverti a questo Gran Galà del Quidditch?»
Il modo in cui quella donna calcava sul suo nome era a dir poco insopportabile. Decise di soprassedere e rispondere alla domanda con sincerità: «So che può sembrare strano, ma, in realtà, io non mi sono iscritta, mi sono…»
Rita scoppiò a ridere di gusto «Tesoro, sei proprio come tuo padre!» esclamò «Anche lui, esattamente come te, ostentava una modestia che non…»
«Non dica una parola su mio padre!» sbottò Lily scattando in piedi, quasi rovesciando la sedia dietro di sé «Non creda che solo perché non leggo i suoi stupidi articoli, non sappia chi è lei! So benissimo cos’ha fatto a mio padre durante il Torneo Tremaghi! Lo ha messo in ridicolo davanti a tutto il Mondo Magico, un mondo di cretini che credeva a tutte le sue baggianate! È per questo che sta insistendo così tanto con me, non è vero? Per ritrovare la gloria di quei tempi… e quale occasione migliore di questa? Senza qualche nome celebre con cui riempirsi la bocca, i suoi patetici articoli non venderebbero uno straccio di zellino!»
Rita sembrava aver ricevuto una secchiata d’acqua gelida dritta in faccia. Lily era disgustata. Come si permetteva di parlare in quel modo di suo padre? Come si permetteva di deriderla, proprio come aveva già fatto con Harry? Quella donna era perfida, esattamente come lo era vent’anni prima.
La giornalista allargò le narici, traendo un lungo sospiro: i suoi occhi erano fiammeggianti d’ira «Direi che ho raccolto abbastanza su di te, signorina Potter» sibilò.
«Bene» ringhiò Lily «Spero abbia materiale a sufficienza per rendermi patetica agli occhi dei suoi stupidi lettori. Del resto, è questo che fa, no?»
Detto ciò, calciò via la sedia ed uscì dall’aula senza dire altro, mentre lacrime di rabbia le scivolavano sulle guance.  



[ Claire Says ]
Bentrovati, lettori!
*rotolano balle di fieno*
Siamo nel vivo della storia, il Galà è iniziato e c'è chi comincia a nutrire qualche sospetto.
Tornano personaggi noti della saga principale, alias la carissima Rita Skeeter, che, come vedete, non è molto cambiata, se non per il fatto che sarà un po' più corretta, ovvero non si trasformerà più in uno scarabeo/scarafaggio - ho finito il libro ieri, ieri, ma già non mi ricordo più che insetto fosse, vabbuò.
Colgo l'occasione per ringraziare chi ha preferito/seguito questa storia, seppur in silenzio, grazie anche a voi!
Much love,
C.

 

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Capitolo 13
*** Love and comprehension ***


La sala grande era innaturalmente rumorosa, quella mattina. Diversi studenti, perfino i più ritardatari, erano già seduti al proprio tavolo in attesa della copia di quel giorno della Gazzetta del Profeta, su cui avrebbero trovato l’articolo di Rita Skeeter sul Gran Galà del Quidditch.
Tra una cucchiaiata di fiocchi d’avena e l’altra, Albus non poteva fare a meno di lanciare occhiate nervose al soffitto del salone, da cui sarebbero entrati i gufi con la posta mattutina da un momento all’altro. Tra le pagine del quotidiano che stava per ricevere, ci sarebbe stato certamente il nome di Lily, probabilmente attorniato da chissà quali calunnie, e la cosa lo rendeva terribilmente inquieto.
Un fischio acuto sovrastò il brusio dei commensali, anticipando l’arrivo di decine di gufi postini. Albus individuò rapidamente l’allocco bruno di famiglia, che atterrò di fronte a lui consegnandogli una copia della Gazzetta del Profeta e una lettera. Sfilò velocemente il giornale dalla zampa del pennuto, facendolo traballare e fischiare irritato, ma non vi badò: l’immagine di copertina aveva già attirato la sua attenzione.
La foto ritraeva i sette giocatori del torneo. Lily sedeva davanti assieme alle altre ragazze: a differenza delle sue compagne di squadra, l’espressione in viso di sua sorella era più scocciata che mai. Non si poteva dire lo stesso di Milo Thomas e Roxanne, i cui volti erano solcati da immensi sorrisi di gioia. Sotto l’immagine, una didascalia elencava i nomi dei componenti della squadra. Dopo il punto, recitava “Le interviste di Rita Skeeter ai giocatori a pagina 3”.
Con un po’ troppa foga – quasi rischiò di strappare la pagina – Albus sfogliò il giornale fino alla pagina tre, sovrastata dal titolo “Gran Galà del Quidditch: ecco i Campioni di Hogwarts”. Si calò immediatamente nella lettura:
 
Le squadre nazionali di Quidditch di Inghilterra, Irlanda e Francia, ospiti della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts per il più atteso torneo dell’anno, hanno finalmente i loro rivali.
Queste tre giganti del Quidditch sfideranno, una per volta, una squadra formata da sette tra i migliori giocatori che Hogwarts potesse mettere in campo. Dopo diverse settimane di provini e selezioni, la giuria, i cui componenti arbitreranno a turno le tre partite, ha finalmente scelto gli studenti che gareggeranno contro le nazionali.
La prima scelta dei giurati è Scorpius Malfoy, figlio del noto Draco, di antica e celebre discendenza Purosangue, che ha ottenuto il ruolo di Cercatore…
 
«Al diavolo Malfoy» brontolò Albus, scorrendo l’articolo alla ricerca del nome della sorella. L’intervista di Lily era l’ultima:
 
Il posto per il terzo ed ultimo Cacciatore è stato assegnato a Lily Luna Potter, quindicenne figlia del celeberrimo Prescelto e Salvatore del Mondo Magico Harry Potter, nonché vincitore dell’ultima edizione del Torneo Tremaghi (nel 1994, ndr), ora accreditato Auror presso l’Ufficio del Ministero e marito di Ginevra Weasley, ex giocatrice professionista delle Holyhead Harpies ed attualmente giornalista sportiva presso il nostro illustre quotidiano. È evidente quanto il Quidditch sia sempre stato incredibilmente presente nella vita della giovane Potter, come lei stessa ha confermato, commentando quindi la sua ammissione nella squadra di Hogwarts: “Sono sicura che mi abbiano scelta per il mio cognome, piuttosto che per il mio talento. Certo, ho ovviamente molto talento nel Quidditch, ma un cognome come il mio è un bel trampolino di lancio per occasioni come questa.”
Che determinazione, e quanta impertinenza per una ragazzina tanto giovane! Tutta suo padre! Lily ha inoltre affermato: “Mio fratello Albus (il secondogenito dei Potter, ndr) ha fatto il provino per il ruolo di Portiere, ma non è stato scelto. Probabilmente c’è spazio per un solo Potter nella squadra, e chi meglio di me per occupare quel posto?”
 
Albus avvertì il sangue andargli alla testa. Leggere le stupidaggini della Skeeter su Lily, tirando in ballo perfino suo padre, lo faceva ribollire di rabbia e vedere addirittura il suo nome buttato in malo modo in quell’articolo gli faceva venir voglia di rompere la prima cosa che gli poteva capitare a tiro.
Lily aveva parlato anche di lui? Cos’avrebbe potuto dire per farlo risultare tanto incapace, per farlo apparire come l’eterno secondo, costantemente messo in ombra dal resto della famiglia?
Fece un respiro profondo per cercare di calmarsi. Gettò da parte il giornale e aprì la busta arrivata assieme al quotidiano: era di sua madre, indirizzata a Lily:
 
Cara Lily,
ho ricevuto questa edizione della Gazzetta in anteprima e ho letto le interviste di Rita Skeeter. Purtroppo, non ho avuto la possibilità di modificare l’articolo: nonostante si tratti di argomenti sportivi, perciò di mia competenza in redazione, mi è stato vietato di seguire questo evento, poiché qualcuno ha deciso di assegnarlo a Rita.
Non so per quale ragione tu ti sia iscritta a questo torneo, sappi solo che devi moderare le parole quando Rita si trova nei paraggi. Non fidarti della sua Penna Prendiappunti, è più affilata di un coltello.
E, per favore, non nominare nessuno davanti a lei. Le daresti solo altra carne da gettare sul fuoco.
Fammi avere tue notizie presto.
Un abbraccio,
Ginny.
 
Più infuriato che mai, Albus scavalcò la panca tenendo il giornale e la lettera sottobraccio e si avvicinò alla sorella, seduta qualche posto più in là. Senza troppi complimenti, le scaraventò davanti il quotidiano, facendola sobbalzare.
«Leggi» ringhiò, puntando il dito contro la pagina.
«È l’articolo della Skeeter?» chiese lei, sfogliando le pagine con una calma che irritò Albus ancora di più.
«Sì, leggi!» ripeté lui, infervorato più che mai. Alice Paciock e Jessica Jordan lo fissavano come se fosse impazzito.
Si fece spazio accanto a sua sorella, osservando i suoi occhi scorrere le righe dell’articolo.
«La tua intervista è qui» continuò impaziente, indicandole l’ultimo trafiletto del paragrafo. Lily spostò lo sguardo in basso, l’espressione sul volto sempre più disgustata man mano che proseguiva con la lettura.
Lily imprecò, appellando Rita con un epiteto che, Albus lo sapeva, non avrebbe mai osato ripetere davanti ai suoi genitori «Non aspettava altro! Gliel’ho letto in faccia quando mi ha intervistato! Non mi sono iscritta a quel maledetto torneo, mannaggia a Salazar!» sbottò, imbestialita almeno tanto quanto Albus «E non ne posso più di questo… questo volerci fare passare come gente che usa il proprio cognome per arrivare chissà dove!»
«Rita ne sembra molto convinta» fece Albus, cupo.
«Beh, Rita farebbe meglio a tornare ad essere uno scarabeo stercorario e farsi una gita in un recinto di Ippogrifi!» ribatté lei «E vorrei proprio sapere da chi diavolo ha saputo che tu sei stato scartato»
Albus la fissò con tanto d’occhi, provando un lieve senso di colpa «Quindi non sei stata tu a dirglielo?»
«Ma certo che no!» esclamò Lily, piccata, come se fosse appena stata accusata di un furto alla Gringott «Non le ho detto proprio un bel niente di niente, ha inventato tutto quanto quel che c’è scritto qui!»
Concluse la frase con uno schiaffo stizzito al giornale. Albus sospirò, passando poi alla sorella la lettera di Ginny «Questa l’ha mandata la mamma»
Lei la lesse velocemente, poi la ripiegò e la gettò da parte sul tavolo «Arriva tardi» borbottò «ho già detto a Rita che è una fallita»
«Beh, vedi di moderare i toni, la prossima volta» le disse lui riprendendosi il giornale «Non mi va di leggere certe parole associate al nome di mia sorella»
 
 
 
Fuori da Mielandia, erano pochi gli studenti di Hogwarts che si attardavano a chiacchierare con gli amici. L’inizio di novembre aveva portato con sé aria gelida e cieli che minacciavano neve, invogliando a chiudersi al calduccio, magari ai Tre Manici di Scopa, dove abbondavano i boccali di Burrobirra fumante. Non la pensava così Roxanne, seduta su una panchina fuori dal negozio di dolci nonostante il clima: imbacuccata in un pesante cappotto e la sua immancabile sciarpa di Grifondoro, teneva una copia della Gazzetta del Profeta di tre giorni prima appoggiata sulle gambe incrociate e un sacchetto di Gelatine Tuttigusti +1 a fianco a lei.
L’articolo di Rita Skeeter l’aveva demoralizzata più che mai. La giornalista la descriveva come un’arrivista, una ragazza talmente orgogliosa e piena di sé che non ci si spiegava per quale motivo fosse stata scelta per un torneo di simile portata, dove l’egoismo non era contemplato. Inoltre, la Skeeter l’aveva definita “una sedicenne di bell’aspetto, ma dall’aria frivola, la cui unica aspirazione pare essere quella di sfruttare la propria bellezza per adescare un paio di giocatori famosi”, cosa che aveva ulteriormente contribuito a rendere il suo umore ancor più nero. Se all’inizio era così entusiasta di partecipare al Gran Galà del Quidditch, in quel momento si sarebbe volentieri ritirata.
Nonostante tutto, nonostante quella descrizione riportasse a galla dolori che aveva faticosamente spinto verso il fondo del suo cuore, non riusciva a smettere di rileggere quelle poche, maledette righe con cui Rita l’aveva presentata al Mondo Magico:
 
La seconda scelta come Battitore, o meglio, Battitrice, è ricaduta su Roxanne Weasley, che altri non è che l’avvenente figlia del proprietario del negozio Tiri Vispi Weasley di Diagon Alley, il signor George, e di Angelina Johnson, vecchia gloria delle Holyhead Harpies. L’aria dolce e innocente con cui mi si presenta dinanzi, cela in realtà un carattere ambizioso, deciso e grintoso: “Sapevo fin dal momento in cui ho fatto il provino che questo posto sarebbe stato mio” ha dichiarato Roxanne “e non posso che dire di averlo meritato. Sono una campionessa e, una volta finito questo torneo, tutti ne avranno la conferma”.
La modestia sembra proprio non essere di casa! Sono sicuri, i giudici, di voler ammettere ad un torneo studiato apposta per la collaborazione una ragazza così piena di sé da risultare quasi egoista? La scelta spetta a loro, ovviamente, ma a noi sembra proprio che Roxanne sia certamente una sedicenne di bell’aspetto, ma dall’aria frivola, la cui unica aspirazione pare essere quella di sfruttare la propria bellezza per adescare un paio di giocatori famosi. Qualcuno sostiene, addirittura, di averla vista in compagnia di uno dei Battitori inglesi poco prima della sua audizione, e che questo avrebbe contribuito a facilitarle l’ammissione in squadra… non sarebbe nemmeno così stupefacente!
Proclamati per ultimi, ma non per importanza, i tre Cacciatori: Grace Finnigan, una prima scelta assai poco convincente…
 
Ogni rilettura di quel trafiletto era come un violento pugno allo stomaco: vedeva le allusioni ad un suo affaire con uno dei giocatori della Nazionale e ogni volta il suo pensiero non poteva fare a meno di correre ad un’immagine della sua famiglia che scopriva come quella arpia aveva descritto la loro figlia. Peggio ancora, ad ogni lettura cresceva in lei il dubbio di essere realmente come la definiva Rita: una ragazza ambiziosa, ma che aspirava soltanto alla fama, che partecipava ad una competizione quale era il Galà solo per il fine di ottenere la celebrità. E ad ogni lettura, la sua voglia di partecipare andava scemando. Dopo quell’articolo, la voglia di stare in mezzo alla gente era sparita, sopraffatta dal timore di essere derisa e additata da tutti come la più mediocre del torneo, quella che era entrata in squadra da raccomandata perché, magari, si era avvicinata un po’ di più ad un atleta famoso.
Richiuse il giornale con un fruscio stizzito, pescando una gelatina di un brutto verde marcio dal sacchetto; la fissò con astio per un paio di secondi prima di cacciarsela in bocca e scoprire con disgusto che sapeva di broccoli. Ne prese un’altra, fortunatamente al gusto di fragola, e posò lo sguardo sull’immagine della prima pagina della Gazzetta, su quella foto che non poteva fare a meno di fissare di continuo con occhio critico: in mezzo a Lily, Grace e Isabella, tutte quante più piccole di lei, Roxanne continuava a vedere sé stessa come una sorta di enorme neo in quella perfezione, una nota totalmente stonata in una melodia armoniosa. Loro avevano un’aria così composta, pulita, mentre lei non riusciva a smettere di vedersi come qualcuno che fosse finito in quell’inquadratura per caso, quasi per sbaglio. Continuava a pensare ad Olivia Nott, che si era presa gioco di lei nel momento in cui l’aveva udita parlare della sua partecipazione al torneo. Sapeva di non farcela, di non avere la forza di volontà che avrebbe ardentemente voluto per rispondere a quelle battute con la più totale indifferenza, lasciandosele scivolare addosso con serenità. Si era detta che avrebbe lasciato perdere, accettato le critiche, le risa; avrebbe pianto, sofferto, ma si era promessa che, prima o poi, sarebbe riuscita ad accettarsi così com’era, e al diavolo Olivia e chiunque altro le avesse detto qualunque cosa per buttarla giù. Lei era forte, ci sarebbe passata sopra anche da sola.
Asciugò con impazienza una lacrima che minacciava di scivolare sulla sua guancia proprio mentre una voce non troppo familiare interruppe il flusso dei suoi pensieri.
«Mica darai retta agli articoli di Rita Skeeter?»
Era una voce maschile, un tono incredulo, ma venato di preoccupazione. Alzando gli occhi, Roxanne si ritrovò davanti la sagoma muscolosa del suo nuovo compagno di squadra, Noah Shacklebolt.
«Oh, Shacklebolt» lo salutò, spicciandosi a sfoggiare un tono che esprimesse sicurezza «No, affatto. I suoi articoletti da quattro soldi non mi toccano nemmeno da lontano» mentì, ben sapendo che dire bugie non era mai stato il suo forte.
«Ma davvero?» la stuzzicò lui «Sbaglio o era una lacrima quella?»
Roxanne cercò di non far trasparire il proprio disappunto per essere appena stata colta sul fatto «È l’aria fredda, mi fa lacrimare gli occhi» rispose bruscamente «Non mi metto certo a piangere per delle stupidaggini simili»
Sperò con tutta sé stessa che la freddezza della sua voce spingesse Shacklebolt ad andarsene, ma lui non si mosse di un passo. Che diavolo voleva, lì, in quel momento? Non avevano mai parlato, prima delle selezioni per il torneo. Anzi, a dirla tutta, non avevano parlato nemmeno dopo. Erano due completi estranei.
«Già… il freddo» continuò Noah, senza accennare a cambiare tono.
Roxanne, irritata, chiuse gli occhi e prese un lunghissimo respiro prima di riaprirli «Senti un po’» disse a denti stretti «se sei qui per prenderti gioco di me pure tu, puoi anche smammare. Oppure Hogsmeade non è abbastanza grande?»
Noah boccheggiò «Non ho intenzione di fare nulla del genere… scusa» mormorò, desolato «È solo che… mi sei sembrata molto sola»
«Apprezzo il tuo interessamento, sebbene non lo capisca, ma ti assicuro che so cavarmela» sbottò lei, ripetendo la frase che spesso ribadiva a sé stessa, come un mantra, per convincersi che davvero non aveva bisogno di nessuno «Grazie»
Abbassò di nuovo gli occhi sul giornale, cacciandosi in bocca una manciata di caramelle, in un mix di gusti che risultò tremendo, sperando con tutto il cuore che Shacklebolt afferrasse che quello era un congedo, ma così non fu. Il Tassorosso, anzi, si sedette a fianco a lei.
«Ci siamo finiti tutti quanti in questo casino» disse, calmo «Tutti e sette. Non è bello vedersi descritti in un modo che non ci rappresenta, lo so, lo capisco. Perciò, perché non butti quel giornale e… non ci pensi più?»
«No» rispose Roxann, secca.
«Beh, secondo me, dovresti»
«E perché mai?»
«Perché non ti fa bene per niente leggere in continuazione quelle sciocchezze» disse Noah, tentando invano di sfilarle il giornale dalle mani.
«Te l’ho già detto, queste cose non mi toccano» ribadì lei.
«Allora perché insisti tanto a tenerlo?»
Improvvisamente, Roxanne si sentì piccola piccola «P-perché… si parla di me?» tentò.
«Ma quella non sei tu!» sbottò Noah, riuscendo finalmente ad acchiappare la Gazzetta «È solo l’immagine falsa e distorta che Rita vuole che la gente abbia di Roxanne Weasley»
Roxanne restò a bocca aperta per alcuni secondi, come se avesse ricevuto una botta in testa «S-sì, io… lo so che quella non sono io» borbottò, con la gola che bruciava.
«Allora non hai nulla di cui preoccuparti, no?» fece lui «Solo pochi idioti crederanno a quel che c’è scritto qui. Chi ti conosce davvero sa che sono tutte baggianate»
Roxanne si sentì scuotere da un tremito mentre Noah fissava i propri occhi scurissimi dritti nei suoi. Che intendeva?
«Tu non mi conosci» gli fece notare, fredda.
«Vero» asserì lui «ma dubito che tu sia davvero arrivista, orgogliosa e… tutte quelle altre cose che ha scritto la Skeeter»
«Ma non prendermi in giro» ringhiò Roxanne «Devo davvero pensare che tu non abbia creduto neanche per un secondo alle parole di Rita Skeeter?»
«Non ti sto prendendo in giro!» s’infervorò Noah «Ho visto il tuo provino e hai davvero meritato il posto in squadra»
«Senti, Noah» cominciò Roxanne «discuteremo più avanti del perché tu fossi al mio provino, ma… adesso, stai per caso cercando consensi per essere, che ne so, nominato Capitano della squadra? Perché se così fosse, sappi che non m’incanti»
«Credimi, è l’ultima cosa che voglio» rispose lui, con una risata amara «Avrei preferito vederlo dagli spalti, il torneo, e invece…»
Roxanne diede un’alzata di sopracciglia piuttosto eloquente, raccolse il suo sacchetto di gelatine e si riprese il giornale, lasciando Shacklebolt sulla panchina senza proferire altro.
Le parole di Noah erano terribilmente vere, dovette ammetterlo. L’articolo di Rita non parlava neanche lontanamente di Roxanne, ma soltanto della sua immagine distorta che la giornalista voleva dare ai suoi lettori ingordi di stupidi pettegolezzi. Lei non era così, non era presuntuosa, ambiziosa o piena di sé. Era molto di più, come le aveva detto Elizabeth, ed aveva il suo posto in squadra, quello che aveva desiderato fin dall’annuncio del torneo. E Noah aveva ragione, lo aveva meritato.
Raggiunse i Tre Manici di Scopa, dove avrebbe sicuramente trovato Elizabeth e qualcun altro dei loro amici; accanto alla porta vi era un bidone dell’immondizia. Senza esitazioni, vi lanciò dentro quella copia della Gazzetta del Profeta che tanto l’aveva tormentata negli ultimi giorni, ripromettendosi di non pensarci più, liberandosi del peso di quelle parole ora gettate dove dovevano stare: nella spazzatura.



[ Claire Says ]
Buongiorno e buon giovedì!
Giungiamo alla pubblicazione delle interviste di Rita Skeeter e conseguenti reazioni. Non sono state prese proprio benissimo, but si sa com'è Rita.
Riguardo la storia non ho molto da dire,  piuttosto ci tenevo a dire che gli aggiornamenti potrebbero subire dei ritardi di qualche giorno a partire dal prossimo capitolo - tipo slittare al sabato o domenica - poiché il ritorno alla vita normale post-lockdown si sta rivelando più difficoltoso del previsto e sono costantemente cotta ( a proposito, ho revisionato questo capitolo prima di postarlo, ma ho un sonno incredibile, perciò perdonate refusi o errori di battitura, dovessero essercene ).
Di nuovo grazie a tutti i lettori silenziosi e non per continuare a seguire questo delirio *sparge cuori*
Much love,
C.

 

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