A friendly hand

di Pudentilla Mc Moany
(/viewuser.php?uid=79480)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Mindless self-indulgence ***
Capitolo 2: *** Satellite of love ***
Capitolo 3: *** Persona loquens ***



Capitolo 1
*** Mindless self-indulgence ***


mindlessselfindulgence DISCLAIMER: I personaggi di Naruto non sono miei, appartengono a Masashi Kishimoto, a Shonen Jump e a compagnia bella; la presente fanfiction è un’opera di fantasia prodotta senza scopo di lucro, ed è sorprendente quanto le cose siano intercambiabili.
Se fossi Kishimoto Sensei state certe che a quest’ora me ne starei a sollazzarmi ad Acapulco bevendo un Margarita, altrochè.

La fanfiction si ambienta dopo un ipotetico ritorno di Sasuke a Konoha,  e l’happy ending che ne consegue. Naruto è Hokage, Kurenai ha partorito il suo pargoletto, Shikamaru ha sconfitto il cancro ai polmoni e Sasuke ha vinto il premio di vendicatore dell’anno contro Paperinik e Batman. Fate conto che tutto vada bene, che Il Villaggio della Foglia sia piacevole come quello dei Puffi e che un giorno di primavera,  per qualche orribile scherzo del destino, a Kakashi sia stata affidata una missione di tipo A con Iruka compagno di squadra.
E’ d’obbligo ringraziare  FUYU, luce dei miei occhi, parasole nelle avversità, amatissima, blablabla, che mi ha aiutata nella stesura della trama, corretta quando scrivevo spropositi, e betata amorevolmente.
Luv iu, sis! <3          

A friendly hand
Capitolo primo: Mindless self indulgence
-


Era opinione diffusa che Umino Iruka fosse una persona pacata, gentile e affidabile.  Era piacevole e aveva un sorriso dolce, e c’era qualcosa, nel suo sguardo, che parlava di una fiducia infinita, della disponibilità generosa di vedere del buono in tutti, guizzante in barlumi dorati di occhiate fuggevoli.
Era opinione altrettanto diffusa che proprio questa fiducia innata e irragionevole fosse il miglior pregio di un ninja altrimenti mediocre, ciò che lo rendeva il maestro perfetto.
Hatake Kakashi, però, ben di rado prestava orecchio alle opinioni correnti; in cuor suo si limitava a considerare quella  bontà di Iruka fastidiosa, al limite stucchevole. In cuor suo, sentiva che tutta quella solidarietà melensa non avrebbe portato nulla di buono. E un giorno tiepido di primavera, in missione con lui, trovò che le sue ipotesi erano fondate.



- Arrenditi.
Camminava piano verso il Nukenin, i lineamenti stirati in un sorriso tremulo. Aveva perso di vista Hatake e Yamato, e in un certo modo distorto -il modo distorto di un candore idiota-, pensò che forse-forse era un’occasione. Un’occasione per salvare il Ninja traditore dai suoi compagni di squadra, fermamente risoluti a un’uccisione rapida.
- Credevo che lo scopo della missione fosse riportarmi alla Foglia vivo o morto, Iruka..
La voce raschiata del Traditore gli sferzò le orecchie insieme a un sibilo sfuggente; un frusciò di aria e foglie secche dietro di sé, e se lo sentì alle spalle.
- ..E’ questo il tuo problema, Maestro. Proprio non capisci.
Uno scatto di dita sul Kunai che portava alla coscia; si mosse rapidissimo, gli occhi puntati negli occhi del ninja. Pensò che se non l’aveva ucciso nella frazione di secondo in cui aveva abbassato la guardia, se aveva preferito sibilargli sul collo una frase amara e smozzicata.. Pensò che c’era speranza.
- Capisco cosa?
Prese tempo, l’impugnatura dell’arma stretta nella mano sudata. Un suo passo avanti ne provocò uno indietro, speculare, dell’altro ninja.
- Che alcuni di noi non vogliono essere redenti. I bravi ragazzi come te non capiscono MAI.
Le spalle contro la corteccia nodosa di un albero, in trappola e ferito, l’avversario parlava pacato, e gli chiedeva la morte. Fu allora che Iruka scattò in avanti, in un balzo rapido, inchiodandolo, la lama del kunai contro la sua gola.
Era la rabbia del giusto deluso nei suoi propositi; era la caparbia del buono disposto a riportarlo a casa a tutti i costi, minacce comprese. Era, infine, la sensazione pungente, alla bocca dello stomaco, che il dono che gli offriva -il dono della vita, il dono del perdono- fosse stato nettamente rifiutato, e quanto peggio, sbeffeggiato.
- Sono ottuso e sentimentale, che vuoi farci..
Strinse gli occhi e si prese un istante -un solo istante- per meditare sul da farsi. La risata del nukenin lo informò dell’errore appena commesso. Un attimo, e un tremolìo di aria smossa davanti a lui; doveva essere una tecnica di mimetizzazione, messa in atto in tempo record.
Ci fu un momento di panico, poi un sibilo e un bruciore feroce al braccio sinistro. Ci fu un rantolo e un ringhio, e non si sapeva di chi fosse l’uno, di chi l’altro. Ci fu un Kunai lanciato -da Iruka- e un fendente cieco. Ci fu una colluttazione breve, e l’ansia, e la rabbia di una speranza disillusa. La consapevolezza di dover uccidere il nukenin -vita tua mors mea, e tutti gli apparati del caso- lo colpì come un fiotto bilioso di odio verso se stesso. Pensò che se non si fosse distratto, forse avrebbe potuto salvarlo.
Foglie smosse e aria tremula lo informarono della seconda tecnica della mimetizzazione appena avvenuta sotto il suo naso. Sentì la morsa allo stomaco di un terrore mortale, e la lama dell’avversario che feriva l’aria, in un coagulo di sensazioni dolorose sullo sfondo del bruciore persistente della ferita al braccio.
Gli rombarono le orecchie, in quello che sentì distintamente come il momento della fine.
E poi chiuse gli occhi, che furono attraversati da un’ombra, e quando li riaprì aveva davanti il cadavere del nemico, e un bagliore di argento vivo .
Fu un istante di sollievo e una vergogna cocente, e poi non ci fu più tempo di pensare e non ci fu più tempo di provare nient’altro che non fosse una paura ben diversa, quando Kakashi gli cadde ai piedi, e aveva una lama che gli trapassava la spalla e i vestiti sporchi di sangue e le labbra bluastre.
Un desiderio tutto nuovo di morire lo colse impreparato, mentre apriva il kit medico con mani tremanti pregando che Yamato si sbrigasse.






Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Satellite of love ***


kakairunambertu
A friendly hand
capitolo secondo: satellite of love


Seduto a un tavolo solitario del Nuovo Chiosco Ichiraku Ramen, il naso o chi per lui distrattamente infilato in una zuppa di miso fumante, Hatake Kakashi  scorreva con gli occhi le Tattiche della Pomiciata.
Era il riposo del guerriero, il pasto dell’eroe, la colazione del campione, o qualsivoglia nome la pietà popolare attribuisse a quel brodino solitario e salutare, che sorbiva di tanto in tanto fra mugolii di pura delizia.
Il fatto era, che Hatake Kakashi aveva salvato una vita. E non una vita qualsiasi.
Aveva salvato la vita del maestro Iruka, incurante della sua, e si era guadagnato tre giorni tre di prognosi riservata all’ospedale del Villaggio della Foglia, e cure sollecite di Haruno Sakura e visite dell’Hokage in persona, e ovviamente la succitata pietà popolare, che appunto ne dipingeva le imprese tinteggiandole dei colori vivi di un chiacchericcio chioccio, e del resto non era la prima volta.
Tuttavia, se Hatake Kakashi avesse prestato una qualche attenzione ai discorsi estatici del villaggio, o se Hatake Kakashi fosse stato un uomo da sbandierare le sue opinioni ai quattro venti, così, senza riflettere, ecco, avrebbe avuto un’altra versione della storia del suo eroico salvataggio.
Per prima cosa, avrebbe fatto presente alla pietà popolare che il maestro Iruka era un pagliaccio.
Poi avrebbe percorso a falcate ampie la strada che dal Nuovo Ichiraku Ramen portava al palazzo dell’Hokage, e l’avrebbe rimproverato come quando aveva dodici anni, perché era un idiota e perché non si mandano i Chunin in missione A.
Infine, e si trastullò per qualche secondo con quel pensiero agrodolce,  sarebbe andato dritto a casa di Iruka e gli avrebbe fatto presente che le sue melensaggini l’avevano quasi ucciso, che se non ci fosse stato lui di lì a poco si sarebbe celebrato il suo funerale, e sarebbe passato di certo per il ninja più stupido della storia di Konoha, e -e qui sorrise suo malgrado, e quel proposito inattuabile gli galleggiava nella testa con un sentore post-operatorio di gas esilarante- , e poi si sarebbe lasciato intontire da quel sorriso quasi condiscendente che Iruka gli faceva sempre,  come un’obiezione silenziosa e disarmante. Allora gli avrebbe confessato l’inconfessabile: che se era stato ferito, la colpa era solo sua, e non di Iruka; che un nukenin qualsiasi come quello non l’avrebbe mai colpito se lui non si fosse lasciato distrarre da quella stessa infatuazione stupida che adesso lo portava ad evitare accuratamente il maestro Iruka, per vergogna, e perché era certo che l’altro glielo avrebbe letto negli occhi, quell’anelito nascosto e prezioso, e l’avrebbe ignorato con dolcezza compunta, come l’aveva ignorato per anni.
Pensava a tutte queste cose, rigirandosi  in bocca il gusto amaro di un’autocommiserazione melanconica e dolciastra, quando lo vide.
Doveva essere venuto apposta per lui, perché per una volta non si portava dietro torme di bambinetti casinari, sbavanti e tutti contenti per un ramen in regalo, e perché -constatò Kakashi con un’ovvietà che non gli faceva onore- si dirigeva verso il suo tavolo, e con passo incerto da patibolo.
Considerò l’opzione di una fuga in grande stile e la censurò; poi pensò di alzarsi e salutare Iruka e magari sorridergli, e stringergli la spalla e dirgli che era tutto a posto, e  farsi riscaldare da quello sguardo vischioso di miele e al diavolo, era sempre meglio di niente.
Aveva deciso per il piano B, e aveva già posato la scodella sul tavolo per fargli un cenno di saluto, ma qualcosa nello sguardo di Iruka, o nel suo sorriso o nel modo esitante in cui sollevò la mano, attento a non sforzare troppo il braccio ferito, dovette fargli cambiare idea.
Improvvisamente, Hatake Kakashi si scoprì arrabbiato, arrabbiato col mondo e con se stesso, e con l’uomo che ormai era al suo tavolo, con lui soprattutto. Fu un sentore fulminante, come un gancio ben assestato sulla mascella mentre guardi un bel tramonto, e altrettanto doloroso.  Fu un misto di paura coagulata in grumi di frustrazione,  e nella gelosia assurda per un traditore a cui Iruka aveva prestato compassione, mentre a lui di quell’amore non toccava niente,  niente, e nemmeno un po’ di pietà, perché se Iruka avesse avuto pietà di lui se la sarebbe tenuta stretta, la sua vita, consapevole com’era -come doveva essere- che ogni ferita infertagli dilaniava lui, Kakashi, con il doppio della violenza. E così,quando il maestro si schiarì la gola, non lo degnò di uno sguardo.
- Kakashi-sensei, stai bene.
Aveva una voce impregnata di dolcezza, risuonante di una nota calda di genuina preoccupazione, vibrante. Ed era troppo.
Il Jonin strinse i denti fra di loro, serrò il pugno libero e resse le Tattiche della Pomiciata con quella che doveva considerare una fiera dignità, alzandosi dal tavolo e trascinandosi il suo rancore fuori dal locale, lontano da un Iruka perplesso e ferito.

-Kakashi-sensei!
La voce trafelata del ragazzo lo raggiunse come un’eco fra la pioggia, rimbalzando sulle pareti stagne della sua indifferenza ostentata.
- Kakashi-sensei!
Uno stillicidio. Dal cielo, e poi questo-questo seguirlo, quando era chiaro che non voleva parlargli, che era stanco di girargli attorno come un satellite senza speranza, che ne aveva piene le tasche di lui e delle sue menate da buon samaritano.
- Kakashi-sensei, io volevo…
Non si accorse di essersi fermato, le Tattiche chiuse al suo fianco col suo indice per segnalibro, se non quando la mano di Iruka si posò sulla sua spalla.
-..Volevo ringraziarti. Di tutto.
Aveva la voce tremolante di affanno, il  jonin. Non era capace di stargli dietro neanche per cinquanta metri, e poi gli metteva la mano sulla spalla, e pretendeva che ogni cosa-ogni cosa fosse risolta con un ringraziamento smozzicato. Di tutto, poi.
Si voltò verso di lui con un baluginare assassino in fondo allo sguardo, e l’intento di colpire.
- Non vedo quale possa esserne il motivo.
A fondo.
- Mi pare di aver svolto il mio dovere, che era quello di aiutare un compagno di squadra. D’altra parte non mi pare che tu sia stato all’altezza del tuo compito, Iruka-sensei.  
- …Non pretendo di essere all’altezza del chunin più giov-
- Non credo che tu abbia capito. Non sto parlando dell’eccellenza. Non è eccellenza che pretendo da te; è chiaro come il sole che è al di fuori della tua portata. Mi aspettavo buon senso; mi apsettavo disciplina. Sono tutte capacità  che si richiedono a un chunin meno che medriocre, e tu-tu non ne sei provvisto.
- Maestro Kakashi..
- Credi di essere al di sopra delle regole perché sei  tanto buono. Credi davvero che un sorriso possa, chessoio, redimere i cattivi, beneficiare i giusti, e dare la pace in terra agli uomini di buona volontà, o è solo una maschera? Cos’è, un bisogno irrefrenabile di suscitare pietà? E’ ancora la storia dell’orfanello Iruka che ha tanto bisogno di attenzioni? E’ di attenzioni che hai bisogno, maledizione?
Lo incalzava e tremava di rabbia, e finì per intrappolarlo contro un muro nella gabbia delle sue braccia premute contro la pietra umida.
- Una persona è quasi morta per colpa tua, Iruka. Sei uno sciocco egocentrico, e faresti meglio a rendertene conto.  Non puoi pretendere che il mondo giri attorno a te. Non puoi  pretendere che il mio mondo ti giri intorno.
- Credevo fosse il contrario, Kakashi-sensei.
La doppia sferzata di pioggia e voce calda e rotta  ebbe l’effetto stordente di un anestetico. Stesso rombo alle orecchie, ma  inadatto a sedare quell’amarezza che fu come un brivido sottopelle, quando Iruka lo spintonò, spalla su spalla, superandolo stretto in un dignitoso silenzio, le guance imperlate di pioggia  iridescente.

Leggeva all’ombra di un grosso tiglio, un braccio piegato sotto la nuca a fargli da cuscino. Reggeva le ormai ben note Tattiche a livello d’occhi, un po’ per ripararsi dal sole, un po’ per non dover prendersi la briga di prestare attenzione agli altri occupanti del giardino, bambini ululanti e mamme apprensive e chuunin adoranti inclusi.
Leggeva per non pensare all’ossessione che lo tormentava da tre giorni, e leggeva per sfuggire a un senso di colpa incalzante  pur apendo che non gli sarebbe servito a tenere a bada il desiderio impellente e surreale di applicare sul maestro Iruka le strategie della pomiciata appena apprese.
Leggeva da quarti d’ora interminabili, quando un’ombra gli si piazzò sul volto, costringendolo a sollevare lo sguardo.
- Kakashi.
La voce inconfondibile di Uchiha Sasuke. Si sollevò sui gomiti, si aggiustò il coprifronte.
- Sasuke. Non mi aspettavo di vederti qua..
Gli fece cenno di sedersi accanto a lui.
- Neanch’io, infatti.
..Cenno prontamente ignorato. Il ragazzo bruno si limitò ad accovacciarglisi  di fronte, le mani raccolte in grembo, sul volto i segni dell’incertezza.
- Cercavo te. Per un.. -E qui una schiarita di voce segnò una pausa gravida di tensione- ..un consiglio.
Kakashi non era uomo da stupirsi più di nulla, ormai. Ma -pensò mentre si sistemava seduto, con le gambe incrociate- il fatto che Uchiha Sasuke gli chiedesse un consiglio rientrava decisamente nell’ordine di cose che presagivano un cataclisma naturale di proporzioni cosmiche. Doveva essere un problema davvero serio.
- Ho un amico.. -Esordì il più giovane, l’aria greve come se fosse costretto ad assolvere a un compito spiacevole ma inevitabile- Ho un amico che ha… Una.. Storia con una ragazza. Una ragazza importante, intendiamoci. Una ragazza.. Con le palle, ecco.
- Con le palle..
Gli fece eco il Maestro, le sopracciglia aggrottate e l’aria spiazzata.
- In senso figurato, s’intenda.
- Ovviamente. Prosegui pure.
- Questa ragazza.. Lui… Ci tiene molto. Tanto. Diciamo che… Non ne è innamorato, perché.. E’ un sentimento troppo popolare per lui, insomma, non si piegherebbe mai a queste cose, fa parte di un clan famoso, anche se sterminato dal frat.. Un clan famoso, insomma. Non è innamorato. Ma diciamo che le è molto riconoscente. In fondo, lei l’ha riportato indietro. A casa. Vedi, lui.. Era scappato. Brutto equivoco. Brutta storia. Brutta storia, gli equivoci. Ad ogni modo..
Una breve pausa di Sasuke permise a Kakashi di considerare il fatto che stava parlando davvero troppo, per i suoi standard. L’ipotesi del cataclisma scemò gradualmente nella sua testa, battuta dall’opzione che una strana tecnica di sostituzione fosse stata applicata al ragazzo moro, rapito e rimpiazzato da un ninja logorroico di qualche villaggio sperduto.
- Ad ogni modo.. -Lo invitò a continuare.
- Ad ogni modo, lui vorrebbe davvero dimostrare riconoscenza a quel-a QUELLA ragazza.  Perché la stima. Anche se lei è fastidiosa, e parla a vanvera, e veste di colori improponibili, e mangia sempre lo stesso cibo, e probabilmente fra sei anni sarà più simile a un grosso rospo obeso e arancione che a un essere umano. Però, vedi. Lui-questo.. Questo mio amico, non riesce a non trattarla male. Cioè. Lui vorrebbe  sapersi controllare. Ma ogni volta che la vede, è più forte di lui, non può che ferirla. Lui vorrebbe davvero risolvere questa situazione, perché-perché ogni volta che la ferisce, è come se sentisse un dolore, qui -e si indicò il petto, all’altezza del plesso solare-, e si sentisse..
Un eloquente sospiro pose fine alla spiegazione dell’ultimo degli Uchiha. Speculare, Kakashi trasse un fiato lungo, aggiustandosi il coprifronte sull’occhio scarlatto.
- Penso che il tuo amico dovrebbe limitarsi a parlare con la ragazza.
- Ho appena detto che non ci riesce. -Incalzò quello, e sottolineò il concetto con un’occhiataccia molto Sharingan, che ebbe l’effetto, se non di intimidire Kakashi, almeno di sedare i suoi dubbi circa una possessione demoniaca dell’ex-allievo.
- Mi sembra che non ci sia molto da fare.. -Cacciò un respiro teatrale, prima di portare mano alla tasca laterale della divisa.
Quello che ne uscì era un tesoro senza precedenti, dalla collezione privata di Hatake Kakashi; qualcosa che custodiva da anni, e che difficilmente avrebbe prestato a una persona di cui non si fidasse, o a un bambino non accompagnato dai genitori.
- Il.. -Sasuke annaspava, in un imbarazzo malcelato sotto la maschera di boria.
- Sei abbastanza grande da leggerlo, adesso. Te lo affido perché sono certo che ne farai buon uso.
Poco ci mancò che cori angelici si librassero attorno a loro, nel momento in cui Sasuke si chinò a prendere il volume che Kakashi gli porgeva.
Qualche minuto dopo, chi fosse passato di lì avrebbe visto ex-maestro ed ex-allievo seduti a fianco, a gambe incrociate, leggere rispettivamente le Tattiche della Pomiciata e il Paradiso della Pomiciata, entrambi in Edizione Limitata con sovraccoperta rigida autografati personalmente dal Fu eremita porcello.

- Etchù!
Chiuso nel suo ufficio luminoso, lo Hokage starnutì violentemente, mandando all’aria una pila di relazioni su Missioni S  Supersegretissime.
- Qualcuno deve stare parlando male di me-ttebayo!






Fantastiche note di fine capitolo:

Bene bene bene.
Pare che anche questo sia andato, e, e beh, è il penultimo e personalmente penso che sia troppo breve e che avrei dovuto farne una one shot, che poi sarebbe stata troppo lunga e noiosa e blablabla.
Vorrei ringraziare tutti quelli che hanno letto il primo capitolo, anche quelli che si sono limitati a una scorsa frettolosa; è comunque un'emozione vedere che qualcuno è passato di lì.
Vorrei anche ringraziare le mie commentatrici, aw! >_<

Fuyu: Mrao! *-* E ho detto tutto, bbbella. <3
RedFraction: Mi riempie di onore che tu abbia commentato, dico davvero! °O°  Sono contenta che ti piaccia, e.. Beh, quanto ai Mindless Self Indulgence, non sono proprio una fan, nel senso che li conosco da poco, però mi piacciono, e quando ho finito di scrivere il capitolo ho pensato che il nome si addicesse proprio all'atteggiamento di Iruka, e in un certo modo anche a quello di Kakashi.
Spero ti piaccia anche questo capitolo. E' stato abbastanza veloce, l'aggiornamento? *w*


Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Persona loquens ***


a friendly hand 3
             A friendly hand:
       Persona loquens










Hatake Kakashi era un uomo di poche parole e molta azione.
Tendeva ad essere più propenso a un attacco alle spalle che a una bella chiaccherata cordiale, e la preferenza accordata a una certa letteratura di svago quale le Tattiche della Pomiciata non lasciava dubbi circa il suo approccio sentimentale. Ammesso che di approcci sentimentali ne avesse mai tentati, quel vecchio orso.
Era raro che Hatake Kakashi prendesse una decisione che fosse per sé, per sé e basta, e non per tutta Konoha, o per la sua squadra in veste di capitano; qualora l’avesse presa, tuttavia, era certo che l’avrebbe messa in atto con lo stesso metodo di tutte le altre: con rapidità ed efficienza, e un ghigno sbruffone nascosto dalla maschera.

Erano le tre, l’ora più insospettabile di un pomeriggio insospettabile, quando si diresse a casa di Umino Iruka. Sulla carta, aveva deciso di risolvere la situazione nel modo che gli era più confacente. Solleticava con affetto programmi bislacchi come apparirgli all’improvviso dalla tazza del gabinetto, o materializzarglisi sotto le coperte, o calarglisi sulla scrivania dalla plafoniera. Insomma, vaneggiava.
Hatake Kakashi era innamorato di Umino Iruka da dieci anni, ventitrè minuti e quindici secondi: più o meno da quando uno straordinario momento di serendipità gli aveva sbattuto in faccia la tremenda verità e un ribollire poco consono delle viscere, trascinato da un sorriso cauto del Chunin, allora maestro di Naruto. Quanto all’affascinante, dolce maestro, non era chiaro se una devozione di uguale portata ma infinitamente più timida o una paura innata di danneggiare un suo superiore, famoso anche, lo tenessero lontano dal concederglisi. O quantomeno, queste erano le uniche due ragioni cui Hatake Kakashi attribuisse la ritrosia dell’altro. Come in molte occasioni, tendeva semplicemente a non considerare un’opzione che gli fosse sfavorevole.
Esibiva una baldanza senza precedenti, nel tragitto assolato. Le mani in tasca,salutava bambini e cani, e aveva la testa ariosa e limpida e vacua come quel pomeriggio di Maggio, nel cuore una fede bruciante, perché cosa può succedere di male alle tre di un pomeriggio di Maggio?
Arrivò al portone del palazzo verdastro incassato fra due palazzi verdastri ugualmente malinconici, e suonò al citofono. Avrebbe volentieri cantato a squarciagola: sentiva le campane nella testa, e se avesse dovuto decidere una colonna sonora per il momento avrebbe scelto qualcosa di allegro e un po’ sfacciato, un motivetto allegro di jazz.
Il tempo che il maestro Iruka impiegava a rispondere era solo una piacevole pausa ritmica, un apostrofo rosa fra le parole.. Com’è che era?
Premette nuovamente il bottone, e questa volta si riservò di suonare a lungo, modulando quel gesto banale col ritmo trionfale di una marcetta.
Fu al terzo tentativo disatteso che lo scat si trasformò in un blues; al quarto era già una marcia funebre, con tanto di ottoni e pennacchi neri; tutti nella testa di Hatake Kakashi, ovviamente.
Chiunque altro si sarebbe stretto nelle spalle, avrebbe mugugnato qualcosa e sarebbe tornato sui suoi passi, il fagotto di una delusone cocente pesante di piombo nel cuore.
Il jonin d’élite protagonista di questa storia, però, non sarebbe stato quello che era, se fosse stato solito arrendersi al primo ostacolo. E così, decise di rispolverare i vecchi progetti di apparizioni da scarichi dei water, lampadari e materassi, e questo coincise con un curioso movimento della musica nella sua testa, che da un piano accelerò di botto a un allegro con brio mentre il direttore di quell’orchestra immaginaria si arrampicava su per la grondaia. Con brio anche lui.
Sapeva per certo –l’aveva controllato negli archivi di Konoha con la complicità un po’ malintenzionata dello Hokage- che l’affascinante maestro abitava al primo piano, secondo appartamento. Così andò a colpo sicuro, inerpicandosi gaiamente sul tubo di metallo.
Era del tutto impreparato a quello che vide. La musichetta che stava fischiettando scemò di colpo, e un’espressione di terrore confuso si tese con sempre maggiore nitidezza sui suoi lineamenti.
Improvvisamente non era più tanto sicuro che nei languidi pomeriggi di Maggio non potesse accadere nulla di brutto.
Il fatto è che-era come se un grosso ordigno fosse appena detonato nella stanza.
Biancheria e libri erano sparsi sul letto e sul tappeto, e sulla scrivania troppo piccola e su un tavolo storto, fra i poveri resti di un pranzo interrotto bruscamente. Un grammofono antiquato suonava stonato, riproducendo un pezzo sempre identico di una canzone che non riusciva a sentire da dietro lo spesso vetro. Infine, una nebbiolina di vapore denso si era come insinuata nella camera, filtrando da una fessura della prima porta a destra.
La teoria era che Umino Iruka fosse stato gasato dopo una colluttazione e rapito, o affogato nel bagno non dovette frullargli in testa per più di tre secondi; la possibilità che gli fosse stato portato via in un pomeriggio assolato di Maggio era sufficiente a ottenebrargli la ragione.
Fu così che fece ciò che ogni jonin sensato avrebbe fatto: allungò il pugno chiuso contro il vetro, che si frantumò all’istante in scintille taglienti. Poi accadde tutto molto velocemente: la sua irruzione nel monolocale, appiattirsi contro il muro, preparare una tecnica, una qualsiasi, perché c’era qualcuno in casa, e non preoccuparsi del sangue, e-
La prima porta a destra scricchiolò, poi si aprì.
- Maestro Kakashi?
La visione di un Umino Iruka terrorizzato e vestito esclusivamente di un asciugamano bianco fu sufficiente a  renderlo consapevole dell’errore di calcolo appena commesso.
- Maestro Kakashi, vorrei sapere cosa è successo alla mia finestra, se non ti dispiace. La tua mano sta sanguinando?
Oh, beh.
L’espressione arrendevole e un po’ smarrita del giovane insegnante, e un tocco leggero, quasi un tentativo, sulla spalla, fecero il resto.
Hatake Kakashi pensò che al diavolo, andava bene anche così, permettergli di medicarlo e limitarsi a fissarlo, e dimenticare tutto e fare finta che non fosse successo niente.
Fu sufficiente una fitta di orgogliosa sincerità a ricordargli che doveva delle scuse a Iruka, e che era quello il motivo della sua irruzione.
Gli ci volle comunque del tempo prima di riuscire ad articolare un suono compiuto, perché Iruka gli aveva preso la mano fra le sue, e aveva l’aria attenta e calma mentre gliela puliva dal sangue, e cominciava a fasciargli il polso con movimenti innecessariamente delicati, e comunque non erano mai stati così vicini, e quella cicatrice non era tanto male,vista da vicino, e le dita di Iruka scorrevano piano sulla sua pelle, ed era pronto a giurare che lo facesse apposta, per farlo impazzire.
- C’è un mio amico… -Esordì, e la voce gli uscì involontariamente strozzata, con una sfumatura incredula. In effetti non c’era dubbio che fosse incredulo; stava per sganciare la bomba, e
La vista di Iruka che si distoglieva dal bendaggio e lo fissava con tanto d’occhi non lo aiutava ad assumere un atteggiamento più decoroso.. Sembrava dirgli, con tutta la tensione del suo corpo, e le sopracciglia appena aggrottate, sembrava chiedergli cosa gli importasse del suo amico.
Sembrava deluso.
- C’è un mio amico… -Gli ci volle tutta la sua forza per continuare, gli occhi bassi su Iruka accovacciato su uno sgabello. -..C’è un mio amico che è innamorato di una ragazza.
- Una ragazza. –L’altro lo invitò a proseguire. Probabilmente non poteva controllarla, ma aveva l’aria scocciata.
- Una ragazza tostissima; con le palle, non so se mi spiego.. –Si affrettò a continuare, prima che la voce gli morisse in gola. –Questa ragazza… Lui la ama da moltissimo tempo, davvero. Credo mi abbia detto che sono passati dieci anni, quaranta minuti e-e non sono sicuro dei secondi, ma giuro che dieci anni sono un’eternità, e lei non gli ha mai, mai permesso di avvicinarsi, e allora lui non sa come fare, perché la ama e non capisce perché lei non debba amarlo a sua volta. Lui è un uomo affascinante, un jonin d’élite, e sarebbero-sarebbero davvero una bella coppia.
Prese fiato che era cianotico, dallo sforzo e dalla preoccupazione.
- Forse… -Se Iruka sperava di potersi intrufolare in quel monologo sfruttando la fisiologia di Kakashi, la partita era persa in partenza.
- Aspetta. Aspetta, c’è dell’altro.
Annuì e sospirò, ed era bello e rassegnato, il che costrinse Kakashi ad un’altra pausa, a fiato mozzo.
- C’è che questa ragazza, un giorno, è quasi morta. Lui credeva di impazzire; pensò che-non pensò a niente, in realtà. Oh, è una storia a lieto fine, nel caso te lo stessi chiedendo. La salvò. All’ultimo minuto. Un atto molto eroico, per inciso.
C’era la possibilità remota che Iruka stesse cominciando a capire, o quantomeno a nutrire dei sospetti, sull’identità della fanciulla misteriosa che aveva rapito il cuore all’aitante jonin; glielo si leggeva in faccia, un sospetto beneducato e inespresso.
- Mi duole aggiungere che la cosa lo fece andare fuori di testa. Insomma, c’era quel nukenin, e lei-e lei stava lì a parlargli! Il mio amico è una persona comprensiva. Però-vedi, pensò che lei era disposta a morire pur di risparmiare la vita di quel traditore, che aveva tanto amore per tutti, tranne che per lui. Pensò che chi ama tutti in effetti non ama nessuno, e-suppongo che l’abbia disprezzata, per una frazione infinitesimale di tempo. Insomma, pare che l’abbia ferita, o che abbia cercato di ferirla, che poi fa lo stesso e anzi è un po’ peggio. Ma io sono sicuro che se l’ha fatto adesso si è pentito, pentito da morire. Perché non vorrebbe che lei soffrisse, per nessun motivo. Solo che si chiede se lei lo lascerebbe fare. Se lui…
Un dito sottile premuto contro la maschera, al livello delle labbra, lo zittì in modo abbastanza perentorio.
- Penso che il tuo amico dovrebbe dirgliele, queste cose. Faccia a faccia.
- C-Credi?
- Penso che lei non aspettasse altro. Da dieci anni, cinquanta minuti e sedici secondi. E non credo che lui sia stato chiaro come dice. Magari lei credeva di non avere speranze. Sai, per la posizione che lui occupa nel villaggio.
- La posizione. –Kakashi pensò che fosse molto difficile mantenere un’aria seria e rassicurante e responsabile con le dita di Iruka che scivolavano fra le sue e una mano che gli abbassava la maschera.
- ..E’ un peccato che al tuo amico piacciano i maschi.
Kakashi avrebbe voluto ritrarsi scandalizzato, e difendere l’onore del suo amico. Avrebbe voluto fare molte cose, dire molte cose; avrebbe voluto dichiarare il suo amore per Iruka faccia a faccia, per quanto gli piacesse l’idea che quello fosse un loro gioco privato.
Non ne ebbe il tempo, e quanto alla voglia, fu spazzata via ben presto.
Pensò che le labbra di Iruka erano morbide come quelle di una donna, ma questo non gliel’avrebbe mai detto.
- Ricordami di ringraziare Sasuke.
Poi smise di pensare.

- Etchù!
- Sai, teme? Dicono che solo gli idioti si prendono il raffreddore.
Lo Hokage si beccò una gomitata fra le costole, e poi rise di una risata argentina, che risuonò nel pomeriggio assolato di Maggio come un’eco di infanzia.
- Qualcuno sta parlando di me, dobe.
Naruto vide distintamente un sorriso farsi largo sui lineamenti di Sasuke. Ma non glielo fece notare, e si limitò a sorridergli di rimando.










FANTASTICHE NOTE DI FINE CAPITOLO:

Lo so, lo so, lo so.
Sono in ritardo spaventoso, e non mi sorprenderei se nessuna di voi leggesse questo capitolo, perchè insomma...
Posso scusarmi dicendo che ho avuto un calo di ispirazione?
Mille e mille cose da fare? Un temibilissimo esame?
Torme di insetti?
Comunque sia; se siete arrivate fin qui vuol dire che probabilmente avete letto tutto, e allora non posso fare a meno di ringraziarvi. Siete state stupende, mi avete supportata e resa orgogliosa di me stessa. E non è poco.
Grazie a chi ha seguito e a chi ha preferito, e grazie al quadrato a chi ha recensito!

Amrilde: Lo spero anch'io, francamente! In effetti c'è poco SasuNaru in questa fanfiction, e in effetti ci sono pochissime pomiciate, e non so come scusarmi. Va bene se ti prometto che nella prossima dovremmo vedere in azione entrambe le coppie?
Capitatapercaso: Sinceramente, io amo le tue recensioni. Lo so che potrebbe sembrare strampalato, ma amo la precisione dei tuoi commenti, mi rendono davvero felice! Acidità a parte, spero di non averti delusa. Vedrò di farmi venire un'indigestione al più presto, così magari la prossima fanfiction sarà partorita più celermente... Tu pensa a mandarmi un po' di alka seltzer! E' bello che tu non abbia trovato i personaggi troppo OOC; era una cosa che temevo, soprattutto perchè tendo molto a divagare, specie nello scrivere i dialoghi. E-e... Ooooh, sono contenta che ti sia piaciuto il dialogo! xD
Alla prossima!
Lan: Oh, triste per Iruka? ç__ç Ti capisco; io scrivendo quella scena mi detestavo, soffrivo per lui, poverino. Mi sa che l'ho massacrato un po' troppo, ma-suvvia. Direi che in questo capitolo ha la sua rivincita: Kakashi è un povero allocco u__u
Ti ringrazio per il contributo musicale! E quanto alle telecamere... °ç° Non è che poi mi passi il filmino, vero? Giusto per ispirarmi, eh!
Cecily: Waaah, davvero la trovi scorrevole? °O° Avevo paura che fosse illeggibile! E' fantastico, mi hai rassicurata un sacco: grazie!
Fuyu: Direi che ci siamo viste anche troppo, per ora xD










Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=390752