Cherry Blossom Tree

di Dhialya
(/viewuser.php?uid=70910)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. Senza petalo. ***
Capitolo 2: *** Primo Petalo. ***
Capitolo 3: *** Secondo Petalo. ***
Capitolo 4: *** Terzo Petalo. ***
Capitolo 5: *** Quarto Petalo. ***
Capitolo 6: *** Quinto Petalo. ***
Capitolo 7: *** Sesto Petalo. ***
Capitolo 8: *** Settimo Petalo. ***
Capitolo 9: *** Ottavo Petalo. - Parte I ***



Capitolo 1
*** Prologo. Senza petalo. ***


Cherry Blossom Tree
Prologo. Senza Petalo.








«Come stai?»

La mora seduta sul letto fece uno sbuffo, deviando lo sguardo che le stava rivolgendo l'amico e puntandolo fuori dalla finestra. Accennò ad un mezzo sorriso amaro, sentendosi trapassare la mente dall'espressione angosciata che gli aveva letto in faccia nonostante stesse cercando di mantenersi il più possibile neutro per non farla preoccupare.

Era sempre stato un pessimo bugiardo e si conoscevano troppo bene per mentirsi a vicenda.

Osservò il cielo azzurro fuori dalla finestra e il sole illuminare la stanza con una prepotenza che quasi le fece male agli occhi, la testa ogni tanto le mandava delle fitte acute e le ferite sotto le bende bruciavano. Faceva caldo, ma lei sentiva solo freddo.

«Beh... »  si portò una mano graffiata davanti al viso, sentendo le parole morirle sulla punta della lingua ancor prima di poter prendere vita. Ingoiò il groppo che le strinse prepotentemente la gola, accorgendosi del peso sul letto solo quando percepì un altro respiro mischiarsi al suo e l'inconfondibile sensazione di quando le veniva violato lo spazio vitale.

Il suo profumo l'avvolse come una dolce carezza e le fece cadere anche l'ultimo rimasuglio di compostezza.

Alzò gli occhi angosciati notando che, come si era immaginata, si era seduto sul bordo del letto. Le prese la mano che si stava guardando tra le sue e la inchiodò con lo sguardo, aggrottando la fronte in una muta richiesta di risposte.

Sussultò davanti al suo viso, osservando le pesanti occhiaie circondare gli occhi smeraldini, i capelli in ricci più scompigliati del solito e i vestiti stropicciati di chi non si cambia da giorni o infila le prime cose che trova.

Ho perso l'Unicità
, gridò dentro di sé, ma dalla sua bocca uscì solo un lamento strozzato che nulla aveva a che vedere con la violenza con cui quella consapevolezza le saettò nella mente folgorandola come un fulmine.

Tremò visibilmente e lui la strinse impulsivamente in un abbraccio che le fece mancare il respiro, e solo in quel momento si rese conto della gravità delle cose, perché le volte in cui lo aveva fatto in anni di amicizia si potevano contare sulle dita di una mano.

«Ho perso l'Unicità.»  riprovò, e il dolore che aveva pensato di riuscire a contenere divenne terribilmente reale insieme a quelle parole tremanti che si persero per la stanza.

Che cosa aveva fatto?




***



«Dottore, il paziente della camera nove ha iniziato a mostrare delle onde anomale.» 

Mentre percorreva il corridoio asettico l'uomo tese una mano verso l'infermiera, afferrando il tablet che gli stava porgendo. Osservò i dati con sguardo serio per lunghi attimi, riflettendo tra sé e ignorando volutamente le occhiate che la collega gli lanciava. Non era proprio il momento per gli sguardi languidi, quello. Prima doveva capire cosa stava succedendo.

«Da quanto tempo?» domandò, facendo improvvisamente dietro front e grattandosi la nuca. La donna seguì alla perfezione quel cambio di direzione, abituata da anni di lavoro al suo fianco alle sue improvvisazioni ed i cambi di idee o semplicemente per i riflessi necessari in caso di emergenze. I loro passi risuonarono per l'ambiente bianco e silenzioso, mentre si dirigevano verso la camera.

Il corridoio era intriso dell'odore di disinfettante, delle guardie passeggiavano per controllare gli accessi e vicino all'ascensore c'era un piccolo gruppo di infermieri in pausa.

«Da questa notte. Il medico del turno notturno ha lasciato appuntato che suppone si stia risvegliando dal coma.»

Il medico tese le labbra, irrigidito. Si passò una mano tra i capelli e sospirò ridando il piccolo computer all'infermiera, lanciando delle occhiate veloci alle porte che superavano fino ad arrivare di fronte a quella che gli interessava.

Quel dettaglio avrebbe dovuto dirglielo non appena aveva iniziato il turno, ormai tre ore prima. Colpa sua che aveva perso l'abitudine di controllare di persona i resoconti dei colleghi, preferendo farlo fare alle infermiere perché non c'era mai niente di particolare da sapere e dopo anni di lavoro gli sembrava di perdere solo tempo.

Posò la mano sullo schermo appeso al muro e la serratura scattò con un lieve bip prolungato, socchiudendosi e mostrando il contenuto della stanza.

I due medici fecero scorrere lo sguardo sulla figura distesa sul letto ricoperta di bende, illuminata solo dalla luce appesa al soffitto e dal lieve sole mattutino di febbraio che filtrava attraverso le tapparelle rigorosamente abbassate. Le grate per impedire eventuali fughe o entrate indesiderate rendevano il tutto ancor più geometrico e la donna si avvicinò alla finestra per aprirla e far cambiare l'aria, sperando di rendere meno persistente l'odore del disinfettante che le stava dando alla testa.

Lo schermo dell'elettroencefalogramma messo in un angolo schizzava come impazzito disegnando picchi altissimi e il dottore lo mutò, infastidito dal suono acuto che gli fischiava nelle orecchie ma senza staccare gli occhi dal tracciato.

«Bisogna fare qualcosa, altrimenti potrebbe essere un problema.»




***



«Come mai sospettate di lui?» 

L'ispettore Reiji osservò l'uomo attraverso il vetro della sala interrogatori, sondandolo con lo sguardo e riportando poi la sua attenzione all'agente che aveva richiesto come supporto per quel caso.

«È l'unico erede, trarrebbe una fortuna dalla morte dei genitori ed era risaputo litigasse spesso con loro.» portò le mani nelle tasche dei pantaloni, rilasciando un grosso sospiro esasperato e socchiudendo leggermente gli occhi assonnati.

Erano settimane che brancolava nel buio senza trovare altre piste ed iniziava ad essere profondamente frustrato di non riuscire a trovare alcun collegamento che gli fornisse una svolta. Appena preso in mano gli era sembrato un caso semplice, qualcosa che avrebbe risolto nel giro di qualche giorno, invece si stava rivelando più ostico del previsto.

Aveva esultato troppo presto.

«Purtroppo è l'unica pista concreta che abbiamo, signor Kujaku, e lei è piuttosto famoso nel suo campo.» sussurrò, amareggiato.

Quello che vedeva seduto nella piccola stanza vuota era poco più che un ragazzo fatto e finito, dai capelli neri increspati e gli occhi blu che spiccavano sul viso abbronzato, l'aspetto trasandato di chi ha smesso di prendersi cura della propria persona. Teneva lo sguardo basso sul tavolo come in trance ed era infossato nelle spalle, indifferente al resto del mondo come se non esistesse, spento e vuoto come la stessa espressione che aveva in viso.

Era strano accostare quella visione alla parola assassino, ma l'esperienza che aveva sulle spalle grazie agli anni di lavoro era troppa per farsi ammorbidire dalle apparenze.

L'ispettore Reiji fu attirato da un movimento e riportò l'attenzione al collega al proprio fianco. Lo vide portarsi indice e pollice al mento, pensieroso, mentre faceva scorrere gli occhi sulle prime righe del fascicolo che gli aveva dato, e non poté evitare di guardare le bizzarre piume che gli spuntavano tra i capelli.

«Vediamo che riesco a fargli dire qualcosa.»




***



«Avanti Raggio di Sole, è ora di svegliarsi.»

Avrebbe voluto dire qualcosa, ma dalla gola secca non uscì alcun suono.

Forse era meglio così.

Rimase immobile, fingendo di non aver sentito ed essere ancora svenuta. Sentiva in bocca il sapore del sangue, i polsi bruciavano, ogni parte del corpo le urlava dolore.

Era da troppo tempo che non dormiva decentemente, aveva perfino smesso di contare i giorni passati in quel buco angustio e buio ed era sicura che se non fosse cambiato qualcosa entro breve ci avrebbe perso la vita, lì dentro.

Chissà se la stavano cercando.


Non chiamarmi in quel modo, avrebbe voluto ribattere, perché era il nomignolo che aveva sempre usato suo padre. Cercò di fare il possibile per far finta di dormire, con la testa china in avanti e ciocche di capelli che le coprivano parte del viso. Le labbra pulsavano, sentiva colarle lungo una tempia qualcosa di tiepido e viscoso.

Dio, come si era ridotta in quello stato?

Strinse i pugni, decidendosi ad aprire gli occhi quando percepì uno spostamento d'aria. Dovette raccogliere tutta la motivazione che le rimaneva perché sentiva le palpebre pesanti in modo osceno e avrebbe davvero voluto abbandonarsi alla spossatezza, ma non riuscì a reprimere uno scatto per il terrore.

Qualcosa strascicò sul pavimento e solo dopo svariati tentativi mise a fuoco la figura che le stava davanti.

«Finalmente.» L'uomo si rigirò un coltello tra le dita, saggiando la consistenza dell'elsa come se lo avesse tra le mani per la prima volta. Poi si grattò la nuca, pensieroso, ed arricciò il naso. Riportò lo sguardo violetto su di lei, sorridendole in un modo così subdolo che le diede i brividi.

Ebbe la certezza che il tempo che le era rimasto fosse drasticamente diminuito.


«Pronta a dirci ciò che vogliamo sentire, Raggio di Sole?»



***



«Come è possibile che non si abbiano nuovi indizi?!»

Il rumore di qualcosa che viene pestato per terra.

«Calmati, Bakugou. Le indagini sono in corso. La polizia ci sta dando una grossa mano e molti Pro Heroes sono stati avvisati.» 

Come se fosse possibile, il tono pacato – pacato! Come diavolo faceva a essere sempre così posato lo sapeva solo lui – di Todoroki lo fece infuriare ancora di più.

«Allora dovrebbero impegnarsi di più.» 

«Kacchan... »

Un grugnito di risposta.

« ...sei sicuro che non ti dice niente?»


Silenzio.

 
Strinse maggiormente il foglio, trattenendosi a stento dal stropicciarlo a causa dell'irritazione.

Lo studiò nuovamente, si soffermò sul modo in cui sinuosamente le lettere andavano a formare quell'unica domanda sulla carta bianca. Non c'era dubbio che avrebbe riconosciuto quella scrittura ovunque – anche dopo anni senza vederla, anche se c'era stato qualche lieve cambiamento. Troppe volte l'aveva vista riempire pagine bianche di appunti.

Bakugou corrugò la fronte, se possibile ancora più di quanto già non fosse, sentendo qualcosa di estremamente importante sfuggirgli come sabbia tra le mani ogni volta che cercava di dare un significato a quel messaggio imparato a memoria.

Odiava quella sensazione, detestava tutto ciò che sentiva smuoversi senza controllo dentro di lui. 

“È stato bello il nostro primo Hanami, vero, Katsuki?”  


Che cazzo voleva dire?
















































































































Benvenuti a voi! E benvenuta a me in questo fandom, lol!

Sono un paio di mesi che ho in progetto questa storia e mi ero ripromessa di pubblicare verso agosto, quando avessi scritto almeno fino al ventesimo capitolo - sono al decimo -, ma mi sta crescendo un dente del giudizio, domani ho un'otturazione e sentivo la necessità di fare qualcosa che mi distraesse.

Che dire... come si sarà forse intuito, amo l'attenzione ai dettagli e all'introspezione, viceversa faccio davvero fatica per le scene di azione e quelle che ho affrontato al momento mi hanno messa non poco in difficoltà, però ho cercato di fare del mio meglio. In ogni caso, questo è solo un prologo, ma spero che vi abbia incuriosito abbastanza da proseguire nella lettura. Maggiori dettagli li scriverò nelle note dei prossimi capitoli, al momento posso dirvi che la storia seguirà due storyline - presente ambientato in un eventuale futuro, e passato - e che spero di aver reso i personaggi abbastanza IC da non farvi scappare a gambe levate.

Ho provato a immaginarmeli da grandi, sapendo anche qualcosa di come prosegue il manga, ma non ci saranno spoiler a riguardo quindi ho dato abbastanza sfogo all'immaginazione sia per quanto riguarda l'organizzazione del lavoro da Eroi nelle agenzie sia per come potrebbero evolversi i loro caratteri mano a mano che crescono e con le esperienze che affrontano nella mia storia, specialmente Bakugou è stato quello più criptico e spero di aver reso abbastanza le motivazioni dietro certi suoi atteggiamenti.
I personaggi non mi appartengono tranne quelli originali che compariranno.

Insomma mi sono impegnata molto per gestire il tutto meglio che potevo e spero si noti, qualsiasi pensiero a riguardo è sempre ben accetto.

Stay tuned e grazie per aver letto fino a qui.
D. <3

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Primo Petalo. ***


Cherry Blossom Tree
Primo Petalo










Marzo.


-Grazie Uravity!-

Ochaco si passò una mano sulla fronte sudata, cercando di togliersi la maggior parte delle gocce che le stavano cadendo lungo le tempie insieme a delle ciocche di capelli umidi che le ostruivano la vista, lanciando uno sguardo alla donna che aveva appena portato in salvo allontanarsi con un agente di polizia mentre si sbracciava per farsi notare.

Tossì un paio di volte, sentendosi a disagio per la nausea che le stava venendo sempre più spesso a causa dell'uso prolungato che stava facendo del suo Quirk e sforzandosi di mimare un sorriso rassicurante nella sua direzione. La gola le bruciava come se avesse ingoiato della sabbia e gli occhi pizzicavano a causa del fumo che infestava l'aria in modo pressante, ma le espressioni sollevate delle persone attorno a lei furono abbastanza significative per farle mettere momentaneamente quei dettagli in un angolo della propria mente.

Non poteva ancora lasciarsi andare alla stanchezza.

Puntò nuovamente lo sguardo di fronte a sé, inchiodandolo sull'edificio in fiamme che si trovava davanti con una nota di determinazione e corrugando le sopracciglia. Iniziava a sentirsi debole, il fumo non la faceva respirare bene e il calore sprigionato dal fuoco le stava facendo appiccicare la tuta da Hero alla pelle in un modo fastidioso a causa del sudore.

Avanzò di qualche passo, saggiando le finestre con sguardo febbrile per cercare di notare se ci fosse qualcun altro rimasto all'interno dell'ospedale che era stato evacuato in tutta fretta. Non avevano saputo spiegarle nei dettagli, ma sembrava che ci fosse stato una sorta di cortocircuito che aveva causato un'esplosione in un ala dell'edificio e lei fosse stata una delle prime Pro ad avere notato la cortina di fumo innalzarsi verso il cielo.

Pazienti e medici si erano riversi in strada sotto gli sguardi allucinanti e terrorizzati dei passanti mentre i pompieri e gli Heroes cercavano di contenere i danni.

-Per favore state indietro, è pericoloso!- gridò notando dei giornalisti cercare di superare la folla di persone per poter riprendere al meglio e mettendo in difficoltà i vari agenti che cercavano di non farli avanzare per tenerli al sicuro. Uraraka corrugò la fronte, limitandosi a tirare le labbra senza commentare altro.

Dannati avvoltoi, avrebbe detto qualcuno di sua conoscenza, e non ebbe il coraggio di pensare che fosse un commento esagerato data la situazione.

-Oddio, sta crollando!-

Uravity voltò di scatto la testa, notando le crepe che si stavano estendo sempre più spesso lungo una delle pareti dell'edificio come se fossero una pianta rampicante. Le poche finestre che ancora erano intatte si ruppero sotto la pressione della costruzione ormai instabile e dalla folla si alzarono varie grida di terrore nel momento in cui oltre ai vetri iniziarono a staccarsi visibilmente dei mattoni.

Ochaco fece dardeggiare gli occhi sull'ambiente circostante, assicurandosi che non ci fossero più persone nei paraggi che potessero venire coinvolte. Tornò a studiare la parete ormai rotta, la sua mente che lavorava freneticamente per cercare d'immaginare la traiettoria che avrebbero percorso i detriti. Fu con un sussulto di orrore che si accorse di un gruppetto di persone intrappolato nell'angolo di un altro edificio senza poter avere una via di fuga, alle loro spalle un camion che gli bloccava la carreggiata.

Erano troppo vicini alla parete che si stava rompendo. Non sarebbero mai riusciti a rimanere in quel punto della strada uscendo indenni dall'imminente crollo.

Uraraka si morse un labbro iniziando a correre con tutta la forza di cui era ancora capace nella loro direzione, pregando di avere abbastanza tempo per poterli scortare al sicuro. Perché non si era accorta prima, dannazione?

-Dovete allontanarvi, è pericoloso restare qui.- esalò quando gli fu arrivata di fronte, respirando affannosamente. Sentì la gola secca e una ventata di aria le portò del fumo negli occhi, facendole notare solo dopo vari secondi gli sguardi spaesati che le stavano rivolgendo e le veloci occhiate che lanciavano in alto. Strinse un pugno cercando di mantenere la calma, imponendosi di mostrarsi più sicura che poteva di fronte ai cittadini intuendone i pensieri.

Si dannazione, lo sapeva che l'edificio poteva crollare da un momento all'altro, e loro avevano paura. Ma non potevano rimanere lì.

-Forza, non c'è tempo.- incalzò, allungando una mano per forzarli ad alzarsi e seguirla. Rivolse un sorriso alla giovane donna che gliela afferrò con esitazione, chinandosi leggermente verso di lei e lanciando poi un'occhiata generale al piccolo gruppo.

-Andrà tutto bene, dobbiamo solo raggiungere quel punto laggiù, vedete? Non è lontano.- rassicurò, indicando loro uno spiazzo con vari agenti e Kamui che si sbracciavano per farsi notare. Appena sarebbero stati alla sua portata l'uomo li avrebbe afferrati e portati al sicuro, Ochaco ne aveva intuito le intenzioni da come la stava guardando e dagli anni passati sul campo ad osservare il modo di lavorare del Pro Hero. Ma per farlo dovevano vincere la paura e avvicinarsi.

Con sollievo malcelato notò la donna iniziare ad avanzare nella direzione che le aveva indicato, gli occhi lucidi di lacrime che cercava di trattenere. Il suo gesto fece prendere coraggio anche agli altri che la seguirono dopo pochi secondi, correndo ed evitando i detriti per strada.

Uraraka rilassò le spalle mentre si allontanavano e mosse un passo per poter tornare indietro, ma si scontrò con lo sguardo sconcertato che qualcuno le stava restituendo e delle grida. Prima che potesse ancora solo formulare qualche domanda si ritrovò a rotolare per terra, le orecchie che fischiarono prepotentemente. Pestò la faccia contro l'asfalto e sentì un profondo tonfo alle proprie spalle, le ginocchia graffiare contro il terreno duro mentre cercava di rimettersi in piedi prima che poteva.

-Attenta!-

-Uravity!-

Uraraka si girò su se stessa, sgranando gli occhi alla vista del grande pezzo di cemento che le era caduto a pochi metri di distanza. Provò ad alzarsi, ma ci fu un'altra esplosione sopra di lei che fece vibrare la terra dandole un conato di vomito. Vari pezzi di vetro le caddero addosso come schegge impazzite portandosi dietro pezzi di mattone e Ochaco chiuse gli occhi d'istinto per cercare di proteggersi, il panico della consapevolezza che probabilmente non sarebbe riuscita ad evitare di sentire dolore che le ghiacciò il sangue nelle vene.

Erano troppo piccole, non sarebbe riuscita a farle fluttuare, e la nausea che le attanaglia-

-Smash!-

Uraraka sussultò, rendendosi conto di essere illesa e della figura che le era arrivata accanto portandosi dietro una sferzata prepotente di aria.

La figura di Izuku era circondata da bagliori verdi che saettavano attorno a lui come piccoli lampi. Il ragazzo tenne lo sguardo fisso sull'edificio in fiamme fino a quando non fu circondato dal ghiaccio. Shouto non ci mise che pochi secondi a cristallizzare la struttura facendo guadagnare del tempo alle autorità per sgomberare l'area del tutto.

-Stai bene?- le domandò quando non ci fu più il pericolo del crollo, voltandosi finalmente ad osservarla. Ochaco notò come stesse stringendo le labbra quasi fino a farle sbiancare, il tremore che gli muoveva impercettibilmente la mano stretta a pugno con cui aveva spazzato via i frammenti di vetro e detriti che le stavano cadendo addosso.

Deku le aveva salvato la vita.

Il suo sguardo non la abbandonò mai fino a che non si fu tirata in piedi, ma apprezzò il fatto che glielo fece fare da sola. Ochaco gli sorrise, sentendo il proprio battito accelerare quando lui ricambiò il gesto e notando vagamente il gelo che si era sparso per l'ambiente insieme alle grida entusiaste delle persone attorno a loro.

Era marzo e faceva freddo, ma il sorriso di Izuku le scaldò il cuore come il sole primaverile.

-Si, grazie.-



***


Luglio.


-Accidenti è tardi... io vado! Ciao mamma!-

Il salone venne invaso dal rumore dei passi che rimbombarono per tutto l'ambiente, sovrastando quasi quello della televisione. La donna, seduta al tavolo da pranzo situato al fianco della grande vetrata che dava sul giardino ed impegnata ad ascoltare le notizie mattutine, si voltò, attirata da quel baccano che le aveva iniziato a tartassare le orecchie, smettendo di sorseggiare il caffè.

Fece appena in tempo a scorgere la figura della figlia girare l'angolo accanto alle scale per dirigersi verso la porta.
 
-Tesoro, aspetta! E il pranzo?-
scattò in piedi come se fosse stata pungolata da qualcosa, lasciando la tazza sul tavolo.

La ragazza si bloccò giusto in tempo prima che si chiudesse anche l'ultimo spiraglio che le permetteva di scorgere l'interno della casa, attirata dal richiamo concitato della donna ed occhieggiando lo sguardo al cielo sereno con sconsolazione. Spalancò di poco la porta, osservando sua madre fare la sua comparsa dalla cucina con un sacchetto in mano.

Il sole di luglio che le arrivò negli occhi la costrinse a socchiuderli per qualche attimo mentre le si avvicinava, uscendo sul portico. Fu investita dal cambio di temperatura e per un attimo le mancò il fiato per l'aria calda che le seccò la gola costringendola a tossicchiare per schiarirsi la voce.

-Ho ventisette anni, non c'è bisogno che mi prepari ancora da mangiare.- fu l'osservazione che le fece, sospirando leggermente. Tuttavia, si affrettò a sorridere scorgendo lo sguardo affranto che sua madre le aveva iniziato a rivolgere. L'azzurro dei suoi occhi sembrò incupirsi, come un cielo sereno che si scurisce quando il sole viene nascosto dalle nuvole. Quella donna l'avrebbe fatta ammattire, prima o poi.

-Sono tua madre, è naturale che lo faccia, Lume.- le spiegò quella, senza mostrare risentimento e dandole in mano il sacchetto ripiegato con cura che si affrettò a mettere nella borsa. Mentre era distratta a mettere in ordine le proprie cose e controllare che avesse tutto la donna ne approfittò per sistemarle il colletto della camicia e lisciarle i capelli, in una serie di gesti premurosi che ricordava l'avevano sempre accompagnata fin da quando era bambina.

Sua madre era sempre stata presente, a volte fin troppo, tanto che Lume si era spesso domandata in tarda adolescenza se tutti quegli accorgimenti non fossero solo un modo per esprimere angoscia e tensione. Una donna premurosa, amorevole, sempre disponibile e devota alla famiglia, ma con un bisogno di fare parte della sua vita che a volte le era venuto il dubbio avesse dietro qualcosa di patologico, un trauma irrisolto – ma si era sempre ben guardata dal dare voce a quei discorsi.

Si affrettò a scacciare quei pensieri, occhieggiando l'orologio e trasalendo.

-Devo andare, è tardi!- la madre si allontanò di scatto, spiazzata per il tono agitato della figlia e rimanendo con le mani a mezz'aria mentre questa le dava le spalle senza che le potesse dire nulla.

La vide voltarsi leggermente e salutarla con una mano e si portò le mani al petto, reprimendo l'impressione che le stessero strappando via un pezzo di cuore. Si sforzò di sorriderle e ricambiare il gesto, gli occhi iniziarono a pizzicarle. Ogni volta che la vedeva allontanarsi aveva la terribile paura che le succedesse qualcosa.

-Ti voglio bene!- le gridò dietro, non riuscendo a trattenersi.

Rimase a fissare il punto in cui l'aveva vista scomparire per minuti interi.


***


Lume si fece spazio tra la gente in coda a suon di "Permesso" e "Mi scusi", sentendo l'afa della giornata iniziare ad appiccicarle i vestiti alla pelle già di prima mattina.

Dover superare una folla di persone ammassate per poter entrare il prima possibile nell'edificio ebbe solo la capacità di aumentarle il caldo che sentiva addosso insieme all'agitazione del tempo che scorreva inesorabilmente contro di lei. Qualcuno la guardò male e borbottò qualcosa, ma cercò di non farci caso, salutando l'impiegata della reception con un cenno del capo e dirigendosi verso l'area privata per i dipendenti sentendosi addosso degli sguardi brucianti e sperando che la scritta "Accesso riservato" che spiccava sulla porta che stava aprendo fosse una spiegazione abbastanza chiara.

Scosse la testa percependo la tensione scemare lentamente mano a mano che respirava l'aria condizionata che aleggiava per la piccola stanza con avidità.

Ogni volta era la stessa storia. Forse avrebbe dovuto dare ascolto al signor Fukuda e iniziare ad utilizzare l'ingresso riservato al personale, eppure le sarebbe costato del tempo in più girare intorno al Museo per raggiungere l'entrata secondaria – ed era risaputo che lei fosse spesso con i minuti contati. Molte volte era stata ripresa per quello e si meravigliava non l'avessero ancora licenziata.

Aprì l'armadietto, mettendovi all'interno la borsa e il pranzo, timbrò e poi uscì, dirigendosi verso il piano superiore, salutando garbatamente i clienti che incontrava per le varie stanze che attraversava. Occhieggiò i corridoi che iniziavano a riempirsi di persone e si affrettò a raggiungere il suo ufficio, sistemandosi il colletto della camicia e passandosi una mano tra i capelli con gesti automatici.

Fuori faceva caldo e il sole scottava sulla pelle, ne sentiva ancora il calore addosso ed aveva l'impressione che il passo frettoloso che aveva dovuto tenere per non fare ritardo l'avesse solo fatta sudare maggiormente, donandole un aspetto trasandato nonostante le recenti premure della madre.

Per fortuna il suo luogo di lavoro era ben attrezzato per affrontare ogni tipo di stagione e all'interno la temperatura non superava la ventina di gradi. Il suo capo pensava in grande ed amava ogni tipo di comfort e smaniava per fare bella impressione sugli altri, quindi si era premurato di rendere l'ambiente del Museo il più accogliente possibile. Sorrise tra sé, compiaciuta, beandosi delle ventate fresche che le scorrevano sul collo quando passava sotto un climatizzatore.

Entrò nel piccolo ufficio che era diventata la sua postazione di lavoro da ormai quattro anni, sedendosi e adocchiando le due porte chiuse che si trovavano di fronte alla sua scrivania. Aggrottò le sopracciglia, trovandole entrambe chiuse, ma non ci badò troppo, iniziando a trafficare con i documenti che avrebbe dovuto analizzare e mettere a posto mentre il pc si accendeva.
L'orologio appeso alla parete segnava le otto e mezza, ma il sole che entrava dalla finestra dava l'impressione che fosse già mattina inoltrata.

Lume adorava la stagione estiva, la sensazione del calore sulla pelle ed i riflessi dorati che assumevano i suoi capelli sotto la luce accecante di quei mesi. Le metteva buon umore e avrebbe davvero voluto avere la possibilità di sdraiarsi sotto il sole a riposare, come una lucertola, facendo assumere alla sua pelle quel colore ambrato che secondo sua madre – non doveva darle tutti i torti – le donava particolarmente.

Eppure, avrebbe dovuto passare tutti i giorni in ufficio, a mettere a posto pile di documenti e conti bancari e rispondere al telefono e alle mail, organizzando gli incontri del suo capo come una brava e diligente assistente. Lume non gli aveva mai detto che a volte si scordava perfino i propri, di appuntamenti, e che per essere sicura di non fare errori tendeva a segnarsi tutto su un'agenda che si portava sempre dietro – altrimenti era sicura le avrebbe riso in faccia indicandole la porta di uscita senza nemmeno preoccuparsi di guardarla.

Si morse un labbro, rilasciando un grande sospiro frustrato. Ed era solo lunedì. Il fine settimana le sembrò troppo lontano, anche se quello precedente era terminato da nemmeno quindici ore. Al piano inferiore poteva sentire le voci ovattate del pubblico venuto ad ammirare le opere esposte nel Museo e i messaggi di benvenuto che passavano dagli altoparlanti. Già aveva nostalgia del suo giardino e della piscina...

-Ho detto di no!-

Lume trasalì, facendo cadere la penna con cui stava segnando un appunto su un post-it con uno scatto della mano. Si guardò intorno, spaesata, domandandosi se avesse fatto qualcosa di sbagliato per essere ripresa.

-Ma, Tobio, non capisci il valore…-

La ragazza tese le orecchie, riconoscendo le voci ovattate che sentiva provenire da dietro la porta del suo capo, non riuscendo a cogliere altro se non frasi spezzate. Rimase immobile, percependo il proprio respiro improvvisamente troppo rumoroso.

-Non è una cosa che si può vendere, Markus. Scordatelo.-

Lume aggrottò la fronte, piegandosi per raccogliere la penna sul pavimento, continuando ad ascoltare. Di cosa stavano parlando?

-Possibile che non mi dai mai retta? Ho già degli acquirenti!-

Dall'interno della stanza provenne il suono di qualcosa che viene pestato contro altro, seguito da un lungo momento di silenzio che fece rimanere l'assistente con il cuore in gola ed il respiro sospeso. Poi, dei borbottii.

-Non capisci niente, Tobio!-

La porta venne spalancata con così tanta irruenza che i vetri delle finestre tremarono e sbatté contro il muro con un tonfo, e Lume si affrettò a far finta di continuare a lavorare, come se fosse totalmente estranea a quello scambio di pareri di cui era stata involontariamente testimone. Non era la prima volta che succedeva, ma negli ultimi mesi sembrava che i dissapori tra i due uomini fossero aumentati.

Si morse un labbro, senza il coraggio di alzare lo sguardo dai fogli che aveva davanti e stringendo la penna con la mano fin troppo tesa. Le lettere che scrisse a casaccio le vennero fuori dai bordi tremuli e quasi illeggibili come se fosse una bambina di prima elementare che viene sgridata dalla maestra.

-Pensi solo a te stesso e a ciò che ti fa comodo, adesso ne ho davvero pieni i coglioni!-

Lume si strinse nelle spalle con disagio crescente, occhieggiando la figura dell'uomo comparso sulla soglia della porta e sentendo le sue urla trapassarle le orecchie. Si immaginò il suo capo ribollire di rabbia dietro la grande scrivania del suo ufficio mentre il suo collaboratore gli stava facendo una scenata senza curarsi dei clienti che avrebbero potuto sentire.

Era una cosa a cui Tobio teneva molto, le apparenze. E rendere pubblici le discussioni ed i problemi era una cosa che non tollerava.

Come se lo avesse chiamato, la figura imponente del suo datore di lavoro comparve nella stanza mentre Markus se ne stava andando con passo infuriato senza guardarsi indietro nemmeno per sbaglio. Lume occhieggiò quel poco di viso che riuscì a scorgere notando la sua espressione distorta dall'irritazione e quasi stentò a riconoscerlo, lui che era sempre il primo a sorridere a chiunque.

Tobio sbuffò pesantemente.

-Non tornare finché non ti sarai dato una calmata!-


***


Agosto.


​-Signorina Swartz, mi accompagnerà lei oggi pomeriggio. Prepari la documentazione necessaria.-

Lume alzò lo sguardo dallo schermo del pc, puntando gli occhi azzurri sulla figura dell'uomo che le stava davanti e sgranandoli leggermente. Lo osservò interdetta per qualche attimo sentendo la testa pizzicare di imbarazzo ed ebbe la certezza di stare facendo una pessima figura, mentre lo guardava con la bocca spalancata.

-Io, signor Bushijima?- domandò in un sussurro, trattenendosi dall'impellente voglia di alzarsi per sfogare la tensione che sentiva esserle piovuta addosso. Era la prima volta che Tobio le chiedeva di accompagnarlo ad un incontro e non seppe come considerare quella richiesta. Solitamente era sempre stato il signor Fukuda Markus, stretto collaboratore di Bushijima da quando ancora non aveva costruito il Museo in cui esporre le reliquie di cui era entrato in possesso, a fargli da accompagnatore, ad aiutarlo nelle trattative e consigliarlo con le vendite.

Era risaputo si conoscessero fin dai tempi dell'università, periodo in cui avevano frequentato dei corsi assieme e avevano iniziato a fantasticare sulle loro carriere future, trovando la comune passione per tutto ciò che aveva a che fare con la parola "antico".

Tobio Bushijima era un uomo con le idee chiare e un ego abbastanza importante da motivare le sue azioni, un grande amore per il denaro e l'ammirazione altrui e si era impegnato fin da subito per costruirsi un nome all'interno della società. Le sue origini aristocratiche e la ricchezza della sua famiglia gli avevano spianato la strada già alla fine degli studi, ma Lume era sicura che se anche non avesse avuto uno spicciolo avrebbe trovato comunque il modo di raggiungere i propri obiettivi.

Nella sua voglia indomita di spiccare tra tutti Lume gli riconosceva l'impegno e la dedizione per far si che ciò accadesse.

Lui le lanciò un'occhiata che la fece sentire in soggezione, costringendola a infossarsi nelle spalle diradando quei pensieri.

-Markus è irraggiungibile e dall'altro ieri non si presenta a lavoro. Direi che non posso contare sulla sua presenza nelle prossime ore.- le disse con voce lievemente roca, come se fosse una spiegazione abbastanza chiara e inchiodandola alla sedia con lo sguardo. Si lisciò un baffo, schiarendo la voce e sistemandosi la giacca elegante chiudendo un paio di bottoni nella zona del petto.

Lume non commentò, limitandosi ad annuire senza il coraggio di dire nulla mentre osservava distrattamente la sua corporatura imponente troneggiarle addosso.

Dopo i primi giorni successivi alla discussione a cui aveva assistito si era immaginata che le cose sarebbero tornare alla normalità che conosceva da anni, ma il comportamento del signor Fukuda era solo peggiorato in quelle settimane successive: aveva iniziato a saltare le giornate di lavoro sempre più spesso e non sembrava intenzionato a parlare con Tobio per chiarirsi come invece aveva sempre fatto, trincerandosi nel suo ufficio solo lui sapeva a fare cosa, con grande disappunto dell'uomo. Inoltre era arrivato ad avere un aspetto sempre meno curato tanto che le era venuto il dubbio si fosse messo a bere, se non fosse stato per il fatto che di testa sembrava lucidissimo e le rare volte che le rivolgeva parola sembrava non fosse successo nulla.

Lume aveva dato la colpa di quel comportamento ad una sorta di crollo nervoso.

Sembrava che fosse giunto davvero al limite della sopportazione di quel rapporto in cui Bushijima era sempre un gradino più in alto di lui e la cosa lo stesse frustrando parecchio da non riuscire più ad accettarlo. Non si sarebbe stupida se da un momento all'altro li avrebbe informati di voler abbandonare il lavoro per continuare le sue ricerche e farsi una carriera indipendente e solitaria.

Non se la sentiva di dargli tutti i torti, perché Tobio effettivamente non era una persona con cui era sempre facile avere a che fare. Talvolta bisognava farsi forza per ingoiare i bocconi amari che riservava, e la pazienza o la capacità di farsi scivolare addosso i commenti erano qualità che non potevano mancare, se si voleva tenere il lavoro senza farsi prendere dalla voglia di prenderlo a sberle per la supponenza che mostrava.

Lume ringraziava di avere sempre un po' la testa tra le nuvole, perché le permetteva di evitare almeno in parte la pressione che stare troppo a contatto con l'uomo le metteva addosso. Aveva sempre l'impressione di non fare mai abbastanza, eppure rispetto ai primi mesi le volte in cui la riprendeva erano diminuite drasticamente. A volte le aveva fatto perfino dei complimenti e si era ritrovava a pensare che avrebbe davvero voluto sentire di nuovo quelle parole che raramente scappavano dalla bocca del suo capo per potersi crogiolare nel suo poco orgoglio.

-Trovi il necessario nell'ufficio di Markus.- riportò lo sguardo su Bushijima, pensando già a dove aveva messo l'agenda perché non ricordava quale appuntamento gli avesse fissato per quella giornata e cosa avrebbe dovuto preparare, ma si sforzò per mostrargli la migliore espressione che le riusciva in quel momento e si alzò in piedi per guardarlo dritto negli occhi. Non avrebbe sprecato quell'occasione.

-Ho capito, signore. Sarà tutto pronto.-


***


Ispirò profondamente una boccata di sigaretta, non distogliendo lo sguardo dall'orizzonte. Il sole stava tramontando in uno spettacolo di bagliori aranciati e violacei, il mare al di sotto che ne rifletteva il calore che sprigionava quella visione in modo limpido e perfetto quasi come se fosse un quadro o una foto. Era una serata tranquilla, la leggera brezza estiva che quando soffiava si portava ancora dietro il calore della giornata e increspava leggermente la superficie dell'acqua.

Fukuda saggiò il sapore del fumo che gli riempì la bocca e la gola con calma regolata, ascoltando il proprio respiro calmarsi repentinamente quando la nicotina iniziò a tornare in circolo e trovando conforto in quei gesti automatici. E dire che era riuscito a smettere per qualche mese...

Si appoggiò alla macchina, socchiudendo gli occhi ed ascoltando il rumore delle onde contro gli scogli, il rombo lontano di qualche auto di passaggio che gli fischiava nelle orecchie non riuscendo a reprimere un ghigno di disprezzo.

Tutta colpa di Tobio.

Osservò la sigaretta bruciare lentamente tra le proprie dita, indeciso se spegnerla o lasciarla andare in balia di se stessa e sentendosi molto vicino a quella visione. Si passò una mano tra i capelli, portandosi indietro i ciuffi che erano scappati dal codino mezzo sfatto in cui li aveva legati quella mattina, percependoli stopposi al tatto. Si sentiva sudato e aveva l'impressione di puzzare, la camicia che indossava era piena di pieghe e le guance gli iniziavano a prudere a causa della barba che iniziava a crescere sempre più incolta.

Si occhieggiò nello specchietto, distogliendo velocemente lo sguardo dal proprio riflesso non riuscendo a sostenerne la visione. Amarezza a risentimento si accavallarono come onde impazzite che si infransero contro il suo animo rassegnato da giorni alla frustrazione.

Markus spense la sigaretta con un gesto stizzito, digrignando i denti fino a sentire un ringhio nascergli in gola.

Era tutta colpa di Tobio.

Eppure glielo avevano detto, ai tempi, che era una persona da cui era meglio stare lontani. Una persona egoista, egocentrica, concentrata unicamente su se stessa e su ciò che avrebbe potuto portargli più profitto. Incapace di vedere al di fuori del proprio piccolo orto, impostata nei suoi vestiti di marca e trincerata dietro la facciata di persona ambiziosa.

Ma Markus si era subito trovato in sintonia e aveva scacciato quelle voci, difendendo quella nuova conoscenza – quella nuova amicizia – come se ne dovesse andare della propria vita. Lo aveva fatto per mesi, anni, finché non era più stato toccato dalla cosa, perché persino le malelingue si erano spente, forse ricredute sulla natura del loro rapporto che stava durando nel tempo e che, forse, Tobio Bushijima non era poi così freddo come appariva.

Lui lo conosceva, avevano iniziato a uscire insieme chiacchierando dei loro studi e fantasticando sempre più spesso su un futuro riguardante ciò che più apprezzavano – un futuro che pensava avessero costruito insieme, con fatica e dedizione.

Invece... non era così. Non era mai stato così.

Bushijima negli ultimi tempi gli aveva solo dimostrato di considerarlo l'ennesima persona che gli stava appresso perché da solo non sapeva stare, non avrebbe saputo che fare, o a chi appoggiarsi per emergere. Come se tutti i consigli che gli aveva dato, i suggerimenti, le vendite o le conoscenze che gli aveva procurato e a cui si era approcciato con dedizione fossero piaceri che Tobio aveva concesso di fargli.

Dei contentini.

Aveva davvero creduto che avesse iniziato ad ascoltarlo, ad assecondarlo nelle proprie idee. Bushijima era sempre stato quello più fisso nei propri obiettivi, con la testa sempre rivolta verso il guadagno, verso il successo, verso ciò che era meglio per l'attività, e Markus era consapevole di venire considerato quello un po' tra le nuvole tra i due – la cosa gli faceva persino piacere, perché senza sogni che vita sarebbe?

Tobio aveva sempre funto da appoggio per non perdersi troppo nelle proprie fantasie ma potendo raggiungere comunque il sapore dell'aspettativa che riponeva per il futuro, la bellezza di vedere concretizzati i propri desideri insieme a qualcuno che condivideva la propria passione e con cui riusciva ad aprirsi senza problemi, senza che venisse guardato con sconsolazione come se fosse un bambino che non capisce l'importanza di ciò che sta dicendo.

Eppure Tobio ultimamente non lo ascoltava – lo sentiva, ma non lo ascoltava mai sul serio, forse non lo aveva mai fatto – e Markus si era reso conto di contare sempre meno mano a mano che il tempo passava.

Aveva iniziato a notare difetti e crepe nel loro rapporto sempre più spesso, forse anche dove non c'erano sul serio, probabilmente esagerando, forse perché negli ultimi tempi si era potuto concentrare maggiormente sulle reliquie rispetto a dover tenere in ordine l'ufficio e gli appuntamenti dal momento che quel compito spettava ormai a Lume.

Aveva avuto più respiro ma era come se si fosse scontrato con il duro muro che era stata la realtà in cui aveva vissuto fino a quel momento e che mai aveva visto da un'altra prospettiva. Che mai gli era sembrata così brutta, così soffocante.

Bushijima non lo ascoltava e allora lui aveva iniziato a fare le cose da solo, spinto dalla rabbia e dalla frustrazione. E si era messo nei casini. Se solo gli avesse dato ascolto, almeno per una volta, se solo si fosse fidato del suo giudizio come sempre...

Markus tirò un lungo sospiro sconsolato, mordendosi un labbro per l'irritazione e grattandosi il collo, sentendo la stanchezza imprimersi in quei gesti e guardandosi attorno con sospetto. Era solo questione di tempo prima che i pezzi rattoppati della propria vita andassero tutti a quel paese.

Si staccò dall'auto, cercando alla cieca il pacchetto di sigarette nelle tasche dei pantaloni e avvicinandosi pericolosamente alla scogliera.

Si era cacciato in una situazione di merda e non aveva idea di come uscirne.

Una folata di vento arrivò dal basso e ispirò profondamente fumo misto salsedine mentre si portava alla bocca la sigaretta appena accesa, il sole ormai quasi del tutto oltre la linea dell'orizzonte e le prime stelle visibili in cielo.

Decise che sarebbe stata l'ultima.  


***


Lume corse per raggiungere il Museo abbastanza in tempo per timbrare senza accumulare troppo ritardo. Si era ripromessa di iniziare ad alzarsi più presto e fare le cose con calma, cominciando ad utilizzare quella dannatissima porta di servizio stanca di farsi guardare male, ma ogni mattina sembrava che qualcuno ce l'avesse con lei e trovava sempre un motivo per tardare.

Sua madre che la tratteneva per salutarla fin troppe volte, ad esempio, o la sveglia che sbagliava a schiacciare e invece di posticiparla la annullava, finendo per riaddormentarsi. I vestiti da lavoro che non trovava in mezzo al casino della sua camera o la borsa che dimenticava puntualmente da qualche parte mentre girava per casa come una disperata sotto lo sguardo esasperato di sua mamma, perché nella borsa c'era l'agenda e senza l'agenda lei sarebbe stata una segretaria morta nel giro di poche ore.

C'era sempre qualcosa che le intralciava i piani.

Strinse i denti, cercando di non fare caso alle gambe che chiedevano pietà per lo sforzo improvviso a cui le stava sottoponendo di prima mattina. Evitò le persone sul marciapiede e si fiondò verso l'ala dei dipendenti quasi saltando contro la porta per accedere agli spogliatoi. Il bip che le arrivò alle orecchie dalla timbratrice la risollevò un pochino. 8.27.

A differenza della giornata tranquilla che si poteva vedere dalle finestre, dove il sole aveva fatto la sua comparsa su un cielo tanto azzurro da sembrare dipinto e sbuffi di nuvole erano sparsi qua e là, quell'ora e mezza passata dal suo risveglio era stata parecchio traumatica, tanto che pur cercando di imprimersi nella mente quella visione mentre si concedeva un minuto per riprendere fiato sentiva serpeggiarle addosso l'agitazione in modo sempre più frenetico.

Era come se le stesse dando l'effetto contrario e quella constatazione la lasciò interdetta per vari secondi, cercando di prendere grossi respiri per calmare il battito del suo cuore.

Swartz scosse la testa, cercando di ricomporsi e concedendosi un lungo sorso di acqua prima di uscire per salire negli uffici e iniziare a lavorare portandosi dietro la bottiglietta. Si lasciò andare sulla sedia non avendo la forza di reprimere un grosso sospiro di sollievo, nascondendo gli occhi azzurri dietro le palpebre abbassate e massaggiandosi le tempie con mani tremanti.

Prima o poi le sarebbe venuto un infarto a continuare in quel modo, ne era certa.

Cercò la motivazione necessaria per abbandonare lo stato di torpore che la stava assalendo, socchiudendo gli occhi ed osservando l'ambiente che le stava intorno riservandogli uno sguardo perplesso e confuso. Il silenzio la circondava, interrotto solo dal ronzio del pc e dal ticchettio dell'orologio appeso alla parete, l'aria fresca che arrivava da un angolo del soffitto togliendo l'afa estiva. Per quanto la rilassasse avere un ambiente solo per sé, improvvisamente le fece venire l'angoscia, tutta quella solitudine.

Tirò le labbra, quando la sua attenzione venne attirata dalla porta dello studio del signor Fukuda, rigorosamente chiusa. Sentì un lungo brivido lungo la schiena e un magone in gola che le spezzò il respiro.

Non voleva ricordare, eppure la notizia le girava in testa senza pietà.

Congiunse le mani come in una preghiera mentre chiudeva gli occhi sentendoli pizzicare e si costrinse a prendere profondi respiri con la bocca.

Markus Fukuda era morto. Suicida. Si era buttato da un dirupo.

Lume non voleva nemmeno immaginare cosa si provasse a perdere la vita in quel modo. In realtà non voleva immaginare cosa si provasse a perdere la vita e basta. La sola idea le faceva contorcere lo stomaco dal terrore. Terrore puro.



Lume si allontanò dalla propria scrivania con calma, muovendo il collo per cercare di scacciare l'intorpidimento che sentiva pressarle sulle spalle e percependo le ossa scricchiolare. Non vedeva l'ora che arrivasse il giorno del suo massaggio settimanale, ne sentiva estremo bisogno. Stare seduta tutto il giorno chinata su uno schermo a sforzare la vista non era propriamente salutare.

Prese la propria borsa dall'attaccapanni, iniziando a muoversi verso la porta per uscire dall'area privata in modo da raggiungere lo spogliatoio e la timbratrice. Erano quasi le cinque e mezza del pomeriggio. Forse sarebbe riuscita a prendere del sole in giardino fino all'ora di cena se arrivava a casa senza troppi intoppi.

Rimase imbambolata ad osservare la segretaria della reception avvicinarsi seguita da due uomini.

-Mikura?- domandò Lume, corrugando la fronte in una muta domanda. Era sicura non avessero in programma nessuna visita, nessuna riunione... possibile che il signor Bushijima avesse organizzato da solo un incontro? Vide la donna scuotere leggermente la testa e solo allora notò i distintivi appesi alla cintura dei due uomini che la seguivano.

-Sono qui per il Signor Fukuda.- annunciò, come se quella fosse una spiegazione abbastanza plausibile. Lume rimase ferma sulla soglia, sbattendo la palpebre senza capire.

-Il Signor Fukuda non è presente in ufficio.- spiegò, guardandoli senza nascondere la sensazione di disagio che le aveva attanagliato le viscere. Qualcosa non andava. Qualcosa non andava. Cosa volevano due poliziotti da Markus? E perché erano venuti sul suo luogo di lavoro?

-Ne siamo consapevoli Signorina... - iniziò uno, superando la receptionist e occhieggiando l'interno dell'ufficio come per sincerarsi delle sue parole, prima di tornare a guardarla.

-Swartz.- lo aiutò Lume, spostandosi per farli entrare e capendo che non sarebbe stata una cosa da qualche minuto. C'era qualcosa nel modo in cui stava guardando il tutto, nelle occhiate che i due colleghi si stavano scambiando che non la lasciavano tranquilla.

-Swartz.- ripeté quello, come saggiandone le sillabe. Lume fece finta di nulla, aspettando ed ignorando la delusione di non potersi sdraiare al sole tanto presto.

-Signorina Swartz, sono l'ispettore Toshinomu Koganei. Avrei bisogno di parlare con il signor Bushijima Tobio.- Lume alzò un sopracciglio, domandandosi se il suo capo fosse a conoscenza di quell'intrusione e come l'avrebbe presa. Posò la borsa su una sedia, invitando i due detective a sedersi sul divanetto per gli ospiti.

-Al momento il signor Bushijima è fuori per una riunione, dovrebbe rientrare più tardi. Posso sapere cosa riguarda questa visita?- domandò, offrendogli un bicchiere d'acqua fresca ciascuno per prendere tempo e cercando di risultare il più imparziale possibile. L'educazione e la discretezza che le aveva insegnato sua madre in certe circostanze tornava utile.

Non le sfuggì lo scambio di sguardi tra i due e strinse la bottiglietta fino a sentire la plastica stridere per il suo gesto, in ansia, posandola sul tavolino non appena intercettò lo sguardo stralunato che le lanciò Mikura e tornando a fissare l'ispettore negli occhi con rinnovato interesse.

-Siamo qui a proposito del signor Fukuda Markus.- l'uomo la vide alzare un sopracciglio e sospirò pesantemente, prendendo un sorso di acqua che diede tregua alla sua gola perennemente secca. Il caldo estivo non aiutava quella sua condizione.

-Si... lo ha detto prima. Non potete provare a cercarlo a casa?- gli fece notare Lume, trattenendosi dall'incrociare le braccia al petto per non mostrarsi stizzita. Non ci stava capendo niente.

-Purtroppo no, signorina. Markus Fukuda è morto.-


-Ben arrivata, signorina Swartz.- Bushijima occhieggiò la ragazza seduta dietro la scrivania intenta a battere qualcosa al pc. La vide alzare lo sguardo verso di lui come se avesse spezzato irrimediabilmente la profonda concentrazione in cui era immersa. Cercò di non far caso all'espressione apprensiva che vi leggeva nei tratti mentre distoglieva velocemente lo sguardo, i capelli raccolti in una mezza coda disordinata, le labbra tirate e il viso smunto, schiarendosi la voce ed avvicinandosi alla porta del suo ufficio.

-Buongiorno...- gli mormorò lei, poco convinta, ma non commentò quella titubanza che gli giunse intrisa tra le parole. Non ne era in vena.

Tobio si umettò le labbra, facendo scorrere gli occhi per l'ufficio, sul frigobar in cui erano riposte delle bevande fresche per eventuali ospiriti e il divanetto di pelle nera per farli sedere nel caso dovessero attendere. L'aria gli sembrò improvvisamente troppo pesante ed occhieggiò la porta del suo ormai ex collaboratore in modo così veloce che per un attimo si immaginò di averlo fatto realmente.

Perché si era ucciso? Perché?

Bushijima non ne capiva il motivo, ma non poteva fare a meno di tediarsi internamente ogni giorno che passava.

Possibile che Markus stesse così male da non essersene accorto? Che la loro ultima discussione gli avesse pesato così tanto?

Tobio ci ripensava ogni volta e non poteva fare a meno di domandarsi se non avesse potuto fare di più. Forse il suo amico aveva dei problemi al di fuori del lavoro e non era mai stato abbastanza attento nei suoi confronti da accorgersene, da dargli la possibilità di parlargliene e sfogarsi. Un passo in più. Una parola in più. Uno sforzo in più. Qualsiasi cosa che avrebbe potuto evitare di fargli prendere quella decisione.

Sarebbe bastato?

Strinse i pugni, amareggiato e tornando a guardare la sua assistente sforzandosi di mantenere un'espressione impassibile. Sentiva il corpo teso come una corda di violino e capì che recitare le apparenze dell'uomo d'affari sempre posato in quel momento gli stava venendo davvero male.

Ringraziò che Lume fosse impegnata a cercare di fare altrettanto per non distrarsi dal lavoro da intuire quanto in realtà si sentisse sciupato, dentro di sé, stanco di quella recita che portava avanti da troppo tempo.

-Quando hai tempo metti a posto l'ufficio di Fukuda. Quello che serve lo ha già portato via la polizia, ma per sicurezza metterei il resto nel magazzino.-

Tobio Bushijima non sapeva di averli appena condannati entrambi.



































































































Ciao a tutti e ben ritrovati :)
Dunque, capitolo ancora un po' confusionario perché deve mettere le basi per la trama futura, ma vi garantisco che le cose andranno a posto. Nel prossimo capitolo faremo un salto nel passato e spero possa essere più coinvolgente da leggere, immagino che trovarsi molti OC e nessun personaggio di nostra conoscenza magari faccia rimanere poco coinvolti nella lettura.
Graze di essere arrivati fin qui
Love,
D. <3


Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Secondo Petalo. ***


Cherry Blossom Tree

Secondo Petalo





























-Izuku! Izuku!-

Corse verso il centro del parco, sentendo il fiato mancarle in gola e una stretta allo stomaco mano a mano che si avvicinava. Si guardò ansiosamente intorno finché il suo vagare alla ricerca dell'amico non venne interrotto quando incontrò delle figure. Riconobbe la scena che si stava svolgendo con una facilità disarmante, perché troppo spesso l'aveva vista accadere ed ogni volta le sembrava di tornare indietro nel tempo, in una sorta di limbo senza uscita, e il cuore le saltò in gola.

Cercò di accelerare il passo per quanto le permettessero le sue gambe da poco più che bambina, stravolta per la corsa ed il caldo asfissiante. Aveva tardato a fare i compiti e sua mamma non l'aveva lasciata uscire di casa e lo sapeva che avrebbe dovuto essere più veloce, perché Izuku l'aspettava al parco e ogni volta che non c'era gli succedeva qualcosa.

Sentì le lacrime salirle agli occhi per la frustrazione e l'ambiente attorno le divenne sfuocato: gli alberi in fiore, il prato, le case, gli scivoli e le altalene del parco, tutto divenne una massa confusa di forme e colori nel suo campo visivo mentre raccoglieva le ultime energie che le rimanevano per raggiungere il gruppo di bambini davanti lei.

-Stupido Deku, non impari mai la lezione! Sei una nullità!-

Yuhiko guardò Midoriya venire spinto a terra dall'ennesimo pugno di Katsuki senza poter fare nulla.

Si bloccò, sgranando gli occhi e portandosi una mano sulla bocca socchiusa per lo spavento, sentendo un paio di lacrime iniziare a scorrerle lungo le guance e il cuore sfarfallarle come un uccellino terrorizzato. Strinse le labbra, osservando Izuku provare a rialzarsi: tremava visibilmente ed aveva la maglia sporca, dei graffi sul viso e gli occhioni pieni di lacrime, ma fronteggiò nuovamente Katsuki per proteggere il bambino che piangeva dietro la sua schiena, con quel suo fare tenace che la sorprendeva sempre e gli occhi che riverberavano di determinazione nonostante la sua espressione spaventata.

Da quando lo conosceva aveva sempre fatto così, non si era mai tirato indietro. Lo ammirava per quel suo aspetto.

-Kac__ Kacchan, non__-

Prima ancora che potesse finire la frase quello gli lanciò contro una piccola esplosione, facendolo indietreggiare e incespicare nei propri passi finendo a terra. La scena strappò una risata a Bakugou e ai due ragazzini alle sue spalle. Risate che spezzarono il silenzio teso che aleggiava per lo spiazzo del parco come un tuono inclemente, che ebbe la forza di provocarle solo una potente fitta di rabbia che le scavò l'anima facendole storcere la bocca in una smorfia.

-Patetico! Sei patetico, Deku!-

Bakugou avanzò verso Izuku per poter infierire, e Yuhiko fremette, stringendo le labbra davanti a quell'ingiustizia e alzando il mento guardando il viso di Katsuki che sembrava sprizzare goduria da tutti i pori. Perché doveva fare così? Perché era diventato così cattivo?

Il suo corpo scattò da solo prima ancora che glielo ordinasse la mente.

-Fermati!-

Ci mise qualche secondo, Yu, a capire che si era frapposta tra Deku e Bakugou. Sbatté gli occhioni spaesati, sconcertata, mettendo a fuoco la posizione in cui si trovava: aveva portato le mani in avanti, in un gesto di protezione automatico e pronta a ricevere il colpo. Ma non aveva sentito nulla, perché tra lei e Katsuki si era solidificata una piccola lastra trasparente contro cui si era infranto l'attacco del bambino.

Improvvisamente tutti i suoni sembrarono spariti, i respiri dei bambini che le stavano attorno bloccati nelle loro gole e le bocche lievemente socchiuse per la sorpresa.

Raccolse quel poco di coraggio che ancora sentiva scorrerle nelle vene insieme all'adrenalina quel tanto che bastava per poter guardare Bakugou, con la terribile sensazione che ciò che avrebbe visto non le sarebbe piaciuto per niente.

E non si sbagliò.

Lo sguardo che Katsuki le stava rivolgendo la fece ghiacciare sul posto: gli occhi erano ridotti in due fessure ed era sicura che la rabbia bruciante che vi leggeva dentro e nei tratti tirati se avesse potuto sarebbe esplosa, facendola saltare in aria insieme ad essa. Sentì Izuku dietro di lei sussultare quando il sopracciglio di Katsuki scattò con un tic nervoso e il suo viso si rabbuiò visibilmente. Dell'espressione gongolante di poco prima non era rimasto nulla.

Yuhiko seppe di essere nei guai e non riuscì a reprimere un brivido che le scosse le spalle.

-Che cosa credi di fare, Mizore? Come osi?!- le sbraitò contro, accecato dalla furia per quell'interruzione. Sentì le braccia tendersi per la rabbia ed i nervi a fiori di pelle. Come si era permessa, lei, di immischiarsi? Come aveva anche solo osato pensare di potersi permettere di elevarsi al suo livello? Sentì scorrergli nelle vene l'impellente ed irrefrenabile voglia di darle una lezione per rimetterla al suo posto, per toglierle quell'espressione di sgomento che vi leggeva sul viso e che gli stava mandando in fumo il cervello.

Batté i pugni contro la barriera masticando un ringhio tra i denti e vide i tre sussultare per lo spavento. Se ne rallegrò internamente, affilando lo sguardo e ghignando.

-Hai fatto un errore, Mizore! Non avresti dovuto sottovalutarmi!- Yu non capì davvero cosa significassero quelle parole che le stava sbraitando contro, cosa c'entrasse il valore di una persona con il fatto di aver difeso degli amici in difficoltà. Non capiva cosa fosse cambiato in lui, cosa fosse successo da renderlo così... così… le venne in mente di nuovo la parola cattivo, ma una parte innocente dentro di lei seppe che non era la parola adatta per descriverlo.

Indietreggiò leggermente, notando a malapena le scintille iniziare a illuminare i palmi di Katsuki, aggrottando le sopracciglia quel tanto che bastava per dare sfogo ad un'espressione dubbiosa che non riuscì a reprimere.

-E non guardarmi in quel modo!- le abbaiò contro lui, notando lo sguardo confuso che gli stava rivolgendo e sentendosi profondamente indignato. Iniziò a sfogare la frustrazione facendo infrangere una serie di esplosioni contro la barriera. Yuhiko cercò di raccogliere la forza necessaria per resistere, ma dopo pochi attacchi la protezione iniziò a creparsi, fino a rompersi e scomparire nel nulla.

Bakugou l'afferrò per la maglietta senza nemmeno darle il tempo di reagire, graffiandole il collo per l'irruenza. La studiò per attimi che le sembrarono interminabili e immaginò tutti i modi in cui avrebbe potuto farle male.

-K_Kacchan…- Katsuki trafisse Izuku con un'occhiataccia e il ragazzino trasalì, poi la scaraventò a terra con uno spintone. Si ritrovò a picchiare la schiena contro l'asfalto, percependo la pelle scoperta delle gambe e delle braccia bruciare per l'urto e un dolore acuto salirle lungo la colonna vertebrale. La stoffa con cui l'aveva trattenuta puzzava di bruciato e le venne la nausea.

-Yu! Stai bene?- Midoriya le fu subito da parte, aiutandola a tirarsi su quel tanto che bastava per poter tornare a guardare Bakugou attraverso lo sguardo appannato di lacrime e sconcerto. Sembrava aver ripreso il controllo, perché se ne stava fermo in piedi senza dare alcun cenno, ma i due percepirono nettamente il gelo che era calato tra loro. Un gelo che aveva iniziato a insinuarsi tempo addietro e che sarebbe stato destinato a non andarsene per parecchi anni.

Katsuki li osservò sprezzante, dall'alto in basso, riservandogli il più storto degli sguardi di cui era capace di fare a quasi otto anni.

-Siete solo comparse. Non statemi tra i piedi.- 



***


Midoriya arrancò fino al cancello della scuola, stringendo le spalline dello zaino che portava sulla schiena con una presa quasi febbrile. Si passò una mano sulla fronte per togliersi il sottile strato di sudore che gli appiccicava i capelli alla pelle, prendendosi il tempo necessario per rallentare il respiro e fare in modo di calmarsi. La schiena era lievemente bagnata per la corsa e i raggi del primo mattino gli scaldavano la pelle sotto la divisa scolastica.

Occhieggiò l'orologio che stava sopra il grande portone dietro cui sparivano i vari studenti e provò immediatamente del sollievo per non aver tardato – non troppo, almeno. Le lezioni sarebbero incominciate nel giro di pochi minuti.

-Si può sapere che fine avevi fatto?-

Izuku trasalì visibilmente per lo spavento che gli fece venire la voce squillante che gli si ficcò nelle orecchie senza tatto. Si voltò di scatto, incespicando sul posto, impiegando qualche secondo per focalizzare la figura che era comparsa a meno di un metro da lui e di cui non si era minimamente accorto.

-Sc_scusami, Yu!- Midoriya le rivolse un'espressione colpevole, ricambiando il suo sguardo mentre lo osservava con le mani sui fianchi e un sopracciglio alzato. Lei strinse le labbra, scuotendo la testa e schioccando la lingua sul palato.

-Potevi avvertire. Ti stavo aspettando.- gli fece notare, sventolandogli il telefono sotto il naso e inclinando il volto. La vide regalargli uno sguardo lievemente offeso, gli occhi assottigliati che gli ricordarono tanto due lame affilate.

-Scusami...- Izuku si passò una mano dietro la testa e ridacchiò, imbarazzato per il modo morboso con cui si sentiva studiato. Gli metteva soggezione, anche se sapeva di non avere motivo per sentirsi a disagio: Yuhiko non avrebbe mai fatto nulla di male nei suoi riguardi – anzi, tutto il contrario. I lunghi capelli neri di lei si mossero alla lieve brezza che passò tra di loro e quella sbuffò, cercando di spostare il ciuffo che le era caduto davanti agli occhi; fu con quel movimento distratto che riconobbe negli occhi di Midoriya quella tipica scintilla che prendeva vita quando assisteva a qualcosa che lo emozionava moltissimo.

Ammirazione.

Ghignò nella sua direzione senza reale cattiveria, incuriosita.

-Dai, dimmelo. Chi hai visto oggi?- gli domandò, chinandosi verso di lui ed ammorbidendo i tratti del viso. Deku indietreggiò un paio di passi per la vicinanza improvvisa, ma non poté impedirsi di stringere le mani in due pugni trepidanti nel ricordare di essere stato in prima fila, quella mattina, mentre osservava gli eroi in azione. Aveva avuto la sensazione di poterli toccare solo allungando un braccio e desiderava davvero raggiungerli, essere anche lui dall'altra parte della staccionata, a combattere la criminalità ed aiutare le persone come aveva sempre sognato.

Il suo volto si rilassò mentre iniziava a parlarle, sfoggiandole un sorriso che le fece scordare tutta l'irritazione che le era venuta per averlo dovuto aspettare più del solito. La ragazza sorrise, intenerita dalla sua espressione persa in chissà quali pensieri.

In quei momenti, Izuku le ricordava il bambino che aveva conosciuto da bambina. Provò una fitta di nostalgia che si affrettò a scacciare.

-Dovevi vederli, Yu! I Pro Hero sono davvero fantastici!- Yuhiko vide gli occhi di Deku illuminarsi e quello iniziò ad investirla con un fiume di parole nell'esatto secondo successivo. A volte da piccola aveva faticato a stare dietro ai suoi ragionamenti, ai discorsi senza fine, alle fantasie, alle montagne di complimenti che elargiva ogni volta che vedeva qualche intervento, ma dopo vari anni aveva raggiunto un livello quantomeno decente di attenzione verso l'amico.

Lo ascoltò pazientemente, iniziando ad avanzare verso l'entrata della scuola ed annuendo di tanto in tanto, mentre quello le metteva sotto il naso il quaderno dove segnava gli appunti sugli eroi ed i loro poteri e la aggiornava su ciò che aveva scritto.

-C'era Kamui dei Boschi contro questo Villain, ma poi è arrivata Mount Lady che gli - ah, sai che è davvero gigante? - comunque...-

Il racconto di Izuku e lo sventolare delle pagine la accompagnarono per tutto il tragitto fino alla classe.

-Beh, ti ringrazio della telecronaca.- ironizzò, una volta arrivata davanti alla porta dell'aula. Deku si fermò al suo fianco e le sorrise, rendendosi conto di aver fatto uno dei suoi soliti monologhi. Il suono della campana si diffuse per i corridoi dell'edificio, innalzando mormorii di disapprovazione, e i due si scambiarono uno sguardo. Yu sospirò occhieggiando i dintorni, fissando poi l'attenzione su Midoriya che stava sistemando il quaderno nello zaino mentre alcuni studenti gli passavano da parte per affrettarsi a raggiungere le aule.

-Sarà meglio che ti sbrighi. Ci vediamo dopo?- Yuhiko sapeva che era una domanda inutile, la sua, perché appena potevano passavano il tempo insieme, eppure era diventata un'abitudine a cui non riusciva a rinunciare. Izuku la salutò con un gesto veloce della mano mentre le dava le spalle sparendo tra la folla e riuscì a malapena a sentire la sua risposta.

-Si, a dopo!-



***


Era stata una giornata pesante. Molto. Più di quanto si sarebbe immaginata.

Yuhiko si permise di aspettare che i compagni se ne andassero prima di iniziare a raccogliere le proprie cose dal banco e mettere a posto i quaderni nella cartella con una cura quasi maniacale.

Le era venuto mal di testa. Faceva già troppo caldo per i suoi gusti e quella notte aveva dormito poco. E, come se non bastasse, aveva ancora un posto in cui fermarsi prima di poter tornare a casa e infilarsi sotto le coperte fino all'indomani.

Si perse a guardare fuori dalla grande vetrata dell'aula ormai deserta, la mano a mezz'aria che stringeva l'astuccio e lo sguardo perso. Una lieve folata di vento smosse le chiome verdeggianti degli alberi in cortile e degli uccellini spiccarono il volo allontanandosi nel cielo azzurro, ma la tranquillità di quella visione non si riflesse nel suo sguardo come invece accadeva ogni qualvolta si trovasse rapita di fronte a qualche panorama – quelli autunnali ricchi di malinconia e i cieli stellati delle serate estive erano i sui preferiti.

"Domani…" strinse le labbra in una smorfia frustrata e una fitta di dolore le trapassò le tempie. Mentre si alzava mentalmente si preparò all'idea che senza poter prendere alcun medicinale quel fastidio sarebbe peggiorato diventando insopportabile. Ne soffriva spesso, ma ogni volta era come se la sua testa pulsasse talmente tanto da volerle scoppiare rendendola nervosa con se stessa ed il resto del mondo.

Come un flash si ricordò di Izuku e si voltò verso la porta pronta a scusarsi, aspettandosi di trovarlo in piedi sula soglia con quel suo sorriso e lo sguardo ancora trepidante dal mattino, ad attenderla mentre si districava tra i propri pensieri. Fu con una fitta di delusione che i suoi occhi non incontrarono nessuno. Corrugò la fronte, impensierita, mentre con movimenti sempre più pesanti finiva di sistemarsi.

Che fine aveva fatto?

Uscì, osservando con sguardo critico il corridoio deserto, indecisa. Solitamente era lui che la raggiungeva a fine lezione, poi tornavano a casa insieme, parlando del più e del meno o fermandosi in qualche parco per raccontarsi le cose più disparate, fare merenda e prendere un po' d'aria fresca dopo una giornata passata in quelle quattro mura che era la loro scuola. A Yuhiko, quindi, il fatto che Deku non le fosse ancora apparso davanti stava mettendo addosso una strana sensazione che cercò di schiacciare con tutta la volontà di cui era capace.

Sospirò passandosi una mano tra i capelli, decidendo di raggiungere la sua aula.

Nella scuola risuonavano solo i rumori dei banchi che venivano puliti da alcuni studenti e la voce di qualche professore che si era fermato a parlare con i colleghi.

Un paio di ragazzi sbucati dalla fine del corridoio le passarono accanto evitandola giusto di qualche centimetro, ma non ebbe la forza di gridargli dietro di guardare dove mettevano i piedi quando per evitarli perse la presa sulla cartella. Si massaggiò le tempie doloranti, stringendo i denti insofferente ed osservando i libri sparsi per terra. Arricciò il naso, sentendo il nervoso salirle fino la punta dei capelli come una scossa e la voglia di prendere e stracciare tutto farle tremare le mani.

-Che maleducati... hai bisogno di aiuto?- Yuhiko scosse automaticamente la testa, occhieggiando stancamente il ragazzo che si era chinato per darle una mano e le stava porgendo l'astuccio attendendo pazientemente che lo prendesse. Socchiuse le labbra incuriosita di fronte al suo aspetto bizzarro, domandandosi come avesse fatto a non accorgersi della sua presenza e non riuscendo a collegare il volto ad un nome.

-Grazie...- abbozzò, persa nei propri pensieri. Forse era di un altro anno, o non l'aveva mai notato. Eppure non passava inosservato.

-Sei stato pesante questa volta, Bakugou.-

-Non siete amici d'infanzia?-

-Ohi, non osate mettermi allo stesso livello di quel Nerd di merda.-

Yuhiko si bloccò, impietrita, tendendosi come una corda di violino in mezzo al corridoio deserto. Quelle voci inconfondibili, impietose. Quei toni da costante presa per il culo. Quell'arroganza strascicata tra le parole. Assottigliò lo sguardo, sentendo il respiro improvvisamente pesante.

Katsuki.


Ora si spiegava perché Izuku non l'avesse ancora raggiunta. Che cazzo gli aveva fatto quella volta?

-Scusami, devo andare!- raccolse il resto dei quaderni più in fretta che poté, tremando per l'agitazione sotto lo sguardo improvvisamente attento dello studente di fronte a lei. Sentiva la gola secca, il cuore accelerare i battiti ad ogni minuto che perdeva su quel pavimento di un corridoio che le sembrò improvvisamente troppo grande. Troppo distante. Lei era in ritardo, era sempre in ritardo.

In testa le ripassarono tutte le volte che Izuku era stato picchiato da Bakugou, tutti gli scherzi, le derisioni, le ingiustizie.

Con un nodo in gola si mise a correre.



***


-Non è cibo, stupide.- Midoriya sospirò, immergendo la mano nel piccolo stagno e raccogliendo il quaderno ormai fradicio. Le carpe si allontanarono, spaventate da quell'intrusione che frastagliò il pelo dell'acqua altrimenti sempre piatta.

Come se averglielo bruciato non fosse stato abbastanza.

Osservò con sguardo pensieroso la carta bagnata e l'inchiostro sulla copertina dilatarsi ad ogni minuto che passava e non ebbe il coraggio di sfogliare le pagine, consapevole che il proprio lavoro si stesse rovinando sempre di più. Presto sarebbe stato tutto illeggibile, una massa informe di parole sbavate in un quaderno che, alla fine, probabilmente non gli sarebbe neppure servito.

Senza Unicità che cosa poteva fare? Se non riusciva nemmeno a rispondere a Kacchan per le rime quando lo prendeva in giro?

Izuku s'infossò nelle spalle, amareggiato. Si morse un labbro e si sentì vacillare di fronte ad un'evidenza che aveva sempre cercato di superare, di aggirare, di non accettare.

-Buttati dal tetto e prega di rinascere con un'Unicità.-

Strinse i pugni, affilando lo sguardo smeraldino. Katsuki era uno stupido. Uno stupido. Non si rendeva mai conto della gravità delle cose che diceva o faceva nei confronti altrui, sempre pronto a deridere chiunque gli capitasse davanti.

Ma a lui non era mai importato cosa pensasse, lui e gli altri che lo guardavano di sbieco o con compassione ogni volta che raccontava di come avrebbe voluto fosse il proprio futuro. Voleva diventare un Eroe, e nessuno gli avrebbe impedito quantomeno di provarci. Lo doveva a se stesso, al proprio sogno coltivato con cura fin da bambino. Anche se non aveva nessun dono. Che colpa aveva se era nato così?

-Izuku!- Midoriya trasalì, voltandosi giusto in tempo per riconoscere la figura di Yu corrergli incontro. La ragazza gli buttò le braccia al collo e si irrigidì, stringendo al petto il quaderno ancora umido, non capendo.

-Scusami, scusami tanto! Avrei dovuto capire che qualcosa non andava!- si sentì sussurrare all'orecchio, e lei sussultò mentre rafforzava la presa colpita dal proprio senso di colpa. Istintivamente gli venne da ricambiare la stretta, ma per imbarazzo si limitò a metterle le mani sulle spalle, allontanandola quel tanto che bastava per poterla guardare in faccia. Le rivolse un'occhiata spaesata, preoccupato per quel comportamento di cui non capiva l'origine, osservandone i tratti tesi e gli occhi lucidi e dalle pupille dilatate.

-Cos'è successo?! Stai bene?- s'informò, preoccupato, scandagliandola con occhiate ansiose. La vide stringere le labbra in una smorfia e passarsi una mano sugli occhi umidi per aciugarli. La sua espressione mutò nel giro di pochi secondi, facendogliene assumere una che Deku conosceva bene. Era quella che mostrava quando qualcosa la turbava profondamente.

-Cosa ti ha fatto Katsuki?- gli domandò, seria, e Izuku sussultò sul posto, distogliendo lo sguardo. Strinse la presa sul quaderno e la cosa attirò l'attenzione della ragazza, che aprì la bocca in un'espressione indignata.

-Ma che stronzo!- la sua voce risuonò fin troppo chiaramente nel silenzio del cortile, e Midoriya temette che se fosse stata sentita da qualche professore l'avrebbe ripresa per il linguaggio. Le si avvicinò facendole gesto di abbassare la voce, notando lo sguardo crucciato che stava dardeggiando tutt'attorno. Probabilmente sperava che Bakugou si materializzasse da qualche parte per poterlo insultare di persona.

-Dai, non è così grave…- iniziò per dissimulare, ma la vide fulminarlo con lo sguardo e fu una delle rare volte in cui gli fece paura – Midoriya capì che era arrabbiata, un sentimento che così poco si accostava alla sua figura da lasciarlo interdetto ogni qualvolta mostrasse apertamente di provarlo.

Yuhiko sentiva dentro di sé l'inconfondibile sensazione di qualcosa che si stava lentamente rompendo a furia di riempirlo. Un contenitore arrivato al limite. Non seppe bene verso chi avrebbe dovuto indirizzare quella sensazione di insofferenza che sentiva lentamente germogliarle nell'animo indurendole i tratti altrimenti sempre pacati.

-Mamma, perché non posso fare la neve?-

-Le Unicità si passano tra generazioni e sua figlia…-

-Che Quirk di merda che hai! A che servirebbe una barriera di aria?-

-Nasconditi, presto!-

-Io... io voglio proteggere le persone!-
 

Yuhiko si sentì sopraffatta da tutte le emozioni che le gorgogliarono nel cuore. Insofferenza, dolore, mancanza, speranza… tutto si stava mischiando, tutto si stava accumulando facendole venire la nausea, dandole solo una grande vertigine per cui fu costretta ad aggrapparsi al muretto lì vicino.

Riportò lo sguardo su Izuku, sentendo il mal di testa peggiorare e un pesante ronzio nelle orecchie. Lo vide tentennare di fronte alla sua occhiata, e qualcosa dentro di lei le suggerì che non le aveva raccontato tutto. Anzi, per la verità, non le aveva raccontato proprio niente. Non ce n'era stato bisogno. Conosceva Katsuki, lo conoscevano entrambi da anni e probabilmente non sarebbero mai riusciti ad odiarlo davvero, perché lei si ricordava della gentilezza che le aveva riservato al loro primo incontro e Deku l'aveva sempre ammirato fin da quando erano all'asilo.

-E' grave, invece. Non può continuare così.- i suoi comportamenti rabbiosi li ferivano. Ed il fatto che fosse proprio ciò che voleva per farli sentire delle nullità gli faceva male ancora di più.

Rimasero in silenzio qualche attimo, pensierosi, consapevoli dei reciproci pensieri. Izuku si domandò come avrebbe reagito se avesse saputo la frase sul suicidio, ma non ebbe il coraggio di dirgliela, vedendola con lo sguardo vacuo e il corpo irrigidito per la tensione mentre si torturava un labbro.

-Andiamo?- le domandò, sperando di farle cambiare discorso e distrarla. La vide portarsi una mano alla testa e fare un piccolo sbuffo.

-Si.-


***


Yuhiko si portò al naso il mazzo di fiori che aveva appena comprato mentre usciva dal negozio persa nei propri pensieri. Il profumo era talmente forte che per un attimo le diede le vertigini ed il sole riflesso contro le vetrine dei negozi le si conficcò senza pietà negli occhi, tanto che per qualche secondo vide tutto nero e fu costretta a fermarsi. Portò una mano alla fronte, osservandosi intorno prima di riprendere a camminare con lentezza.

Il mal di testa le trapassava le tempie e l'odore pungente dei gigli freschi non stava aiutando. Forse avrebbe dovuto dare ascolto a Midoriya e comprarli in un altro momento.
 

-Io oggi vado di qui, devo comprare i fiori per domani.-

Deku, qualche passo avanti a lei, si fermò di botto, girandosi come se gli avesse dato una brutta notizia. Vide la sua faccia rabbuiarsi un poco ed addolcì lo sguardo, mentre quello stringeva la presa sul quaderno che teneva ancora in mano. La copertina ed i bordi erano bruciati ma sperava che facendogli prendere aria si asciugasse senza troppi danni.

-Già... vuoi che ti accompagni? Non stai nemmeno bene… oppure potremmo passare domani mattina prima di scuola.- le propose, apprensivo, avvicinandosi di qualche passo. Yu aveva la faccia cadaverica di chi avrebbe solo desiderato vomitare l'anima e andare a dormire.

Lei negò con la testa, occhieggiando la strada che avrebbe dovuto percorrere e muovendo una mano per dissimulare. Gli indicò il quaderno raggrinzito con un cenno del capo.

-Tranquillo. Vai pure a casa a sistemare i tuoi appunti. Ti scrivo più tardi.-

Socchiuse le palpebre, infastidita dai rumori che sentiva attorno e stringendo la presa sui gambi dei fiori chiusi nella carta decorata. Fece mente locale di ciò che avrebbe dovuto fare una volta arrivata a casa: trovare un vaso, farsi una doccia, prendere una pastiglia, probabilmente scrivere a Izuku che era sana e salva…

-Non ti sembra di aver esagerato dicendogli di buttarsi dal tetto?-

-Taci, non sono affari tuoi quello che dico a Deku.-

-Andiamo alla sala giochi?-

Come attirata da una calamita, Yuhiko voltò il viso verso la via traversa che stava incrociando, puntando lo sguardo nel piccolo vicolo da cui aveva sentito provenire quelle frasi.

Buttarsi dal tetto?


Le sue pupille si dilatarono, fossilizzandosi sui tre ragazzi che stavano parlando tra loro senza preoccuparsi di essere sentiti. Si portò una mano alla bocca, inorridita, colpita da una verità più grave di ciò che aveva immaginato.

Katsuki… A Izuku…

Quasi i fiori le caddero dalle mani per lo sconcerto. Gli si avvicinò con passo incerto, azzerando la distanza nel giro di pochi secondi ed attirando la loro attenzione. Al posto del gelo che l'aveva colta si stava risvegliando nuovamente quella sensazione di tensione che sentiva premere da qualche parte nel suo corpo. Cercò comunque di mantenere la calma, ignorando i ricordi dello sguardo di Izuku, le spalle infossate, le labbra tremanti, il sorriso tirato mentre osservava il suo quaderno bruciato e bagnato.

Forse aveva capito male. Una parte di lei  nascosta in profondità lo sperò con tutto il cuore.

-Cosa gli hai detto?- Katsuki le restituì uno sguardo annoiato voltando appena il viso, come se guardasse un moscerino sul muro per cui non vale nemmeno la pena di battere le ciglia.

-Ah?- fece, dopo un po', infastidito che lo continuasse a fissare.

-Hai capito benissimo.- lo riprese. Strinse la presa sul mazzo di fiori, tuttavia non distolse lo sguardo. Era stanca di farlo. Bakugou ghignò, voltandosi totalmente verso di lei, e roteò gli occhi.

-Ah, quello. Visto che ci tiene tanto ad avere un'Unicità, gli ho solo sugg___-

-Ti rendi conto delle stronzate che dici? Dovresti smetterla!- Bakugou ammutolì qualche secondo, mascherando la confusione che gli diede quell'uscita inaspettata con un'occhiataccia piena di risentimento. Irrigidì i muscoli, come se dovesse prepararsi a combattere e gonfiò il petto. Come cazzo si permetteva?

-Io non dico stronzate! Non osare dirmi quello che devo fare, Mizore!- le ringhiò contro, avvicinandosi. Dai palmi delle sue mani fuoriuscirono alcune scintille. Yuhiko sentì varie emozioni condensarsi nel petto mano a mano che la figura minacciosa di Katsuki le si avvicinava. Erano prepotenti e le graffiavano l'anima per poter fuoriuscire, le sentiva annodarsi tra lo stomaco e la gola.

Riconobbe la paura, l'ansia, ma anche la frustrazione e l'insofferenza. La pazienza che si era esaurita, la speranza che un giorno tornasse il bambino un po' cocciuto ma buono che conosceva che si affievoliva. La rabbia. La tristezza. Soprattutto la tristezza.

-Sei cattivo, Kacchan.-

Bakugou si fermò a pochi centimetri da lei, interdetto, congelato sul posto come se fosse stato colpito da uno sparo. Trattenne il fiato, guardandola dall'alto della sua altezza con un'espressione indecifrabile e Yuhiko si portò i fiori dietro la schiena, distogliendo lo sguardo, sentendosi ferita per le sue stesse parole senza capirne il motivo. Sentì gli occhi lucidi e sbatté le palpebre per scacciare quella sensazione.

Ci furono vari minuti di silenzio, respiri trattenuti come se l'aria fosse stata risucchiata via. Poi Bakugou sbottò, facendo esplodere un bidone della spazzatura a lato della strada e tirandola verso di sé per la camicia della divisa.

-Cosa cazzo hai detto?!- la mora perse la presa sul mazzo di fiori che cadde a terra ed i gigli si sparsero in giro, finendo schiacciati dai suoi stessi piedi mentre cercava di liberarsi.

-Lasciami!- come per farle un dispetto, Katsuki strinse maggiormente il pugno e bruciò la stoffa, mandandole occhiatacce di sfida, ghignando nel vederla tirare le labbra e provare invano a fargli allentare la presa.

Non doveva dirglielo. Non doveva proprio dirglielo che era cattivo. Lui non era un cazzo di Villain. Lui sarebbe diventato il più forte degli Eroi.

-Ti farò rimang__-

-Cos'è quello? Bakugou, guarda!-

-Attenti!-

Attirato dal tono concitato dei due compagni con l'intenzione di dirgli di non rompergli le palle, Katsuki voltò leggermente il viso, puntando lo sguardo verso i due e successivamente verso la zona che gli stavano indicando alle sue spalle. Incuriosita dal repentino cambiamento che aveva scorto nel viso del biondo e sentendo la presa allentare, Yuhiko fece lo stesso. Trattenne il fiato e tremò, quando i suoi occhi si puntarono sulla figura informe e tentacolare che li stava osservando, ridendo, in un angolo ombroso della via.

Un Villain.

-Bene, bene. Ho trovato un buon contenitore! Anzi, sei perfetto, hai anche un'Unicità interessante!-

Prima ancora di poter capire si sentì sbalzare indietro e si ritrovò a strisciare la faccia e le gambe per terra. Cercò di alzarsi, premendo la mano sulla guancia dolorante e sentendo la testa tornare a scoppiarle, accorgendosi che Katsuki l'aveva praticamente lanciata a qualche metro di distanza senza riguardi.

-Attento!-

-Bakugou!-

Yu tornò a fissare il punto in cui aveva visto il Villain, frastornata, sentendo le esplosioni che avevano iniziato ad illuminare la strada assordarle le orecchie e la figura di Katsuki cercare in tutti i modi di tenere lontano quell'essere da lui. Il criminale non sembrava impressionato. Se possibile il suo viso informe sembrò eccitarsi maggiormente mentre osservava Bakugou difendersi o provare ad attaccarlo.

-Perfetto, sei perfetto! Ora sta fermo, non durerà tanto.-

Yuhiko gridò quando i tentacoli bloccarono il corpo del ragazzo, impedendogli di ribellarsi mentre cercava di inglobarsi dentro di lui. Sentì gli occhi sgranarsi così tanto per quella visione terribile che pensò le sarebbero saltati fuori dalle orbite. Cosa poteva fare, cosa poteva fare? Dov'erano i Pro Heroes quando servivano?

Sentì il fuoco innalzarsi, rasparle la gola, seccarle gli occhi, inspirò l'odore di bruciato. In un angolo della sua mente percepì le sirene in lontananza e qualcuno gridare di resistere, che stavano arrivando gli aiuti, e una parte di lei, ancora semi distesa sull'asfalto sporco e rovente, si sentì sollevata. Tornò a fissare Katsuki, di cui era ormai visibile solo parte del viso, si scontrò con lo sguardo fiammeggiante di rabbia del ragazzo e percepì una stretta al cuore.

-Sei cattivo, Kacchan.-


Sarebbe finita in quel modo? Sarebbero state quelle le ultime parole che le avrebbe sentito dire?

-Sei cattivo, Kacchan.-


Yuhiko iniziò a piangere, frastornata dal susseguirsi degli eventi di quella giornata.

-Sono arrivati i Pro Heroes!-

-Resisti, ragazzo!-

-Ci sono Kamui e Desutegoro…-

-Ah, anche Backdraft!-

Come al rallentatore, Yuhiko vide gli Heroes mettere in salvo la gente con il supporto della polizia, facendola indietreggiare e portandola via degli edifici in fiamme, cercare di contenere i danni, combattere per liberare Katsuki. Ma ogni volta che provavano ad avvicinarsi al Villain questo muoveva i tentacoli per colpirli, e se riuscivano ad essere abbastanza vicini per poterlo attaccare la sostanza vischiosa di cui era fatto assorbiva gli urti appiccicandoglisi addosso.

Sussultò sul posto, mentre dalla folla che si era radunata a vedere cosa stesse succedendo si elevarono mormorii di dissenso. Guardò i paladini della giustizia, ne soppesò i volti contratti e riconobbe nei loro sguardi quella stessa emozione, quelle stesse sensazioni che molte volte aveva sentito anche lei osservando qualcosa che non poteva cambiare.

Impotenza.

La frustrazione di non poter fare nulla, la consapevolezza di essere inutile, la preoccupazione. Gli Heroes non potevano fare niente. Non avevano un Quirk adatto.

Yu si tirò in piedi sulle gambe tremanti, ignorando i richiami che le dicevano di restare lontana. Mosse qualche passo incerto, attirando l'attenzione del Villain che si voltò nella sua direzione affilando lo sguardo. Non poté fare a meno di provare dei brividi sentendosi trafitta da quegli occhi senza emozioni. Senza scrupoli.

Quella cosa li avrebbe ammazzati tutti, se ne avesse avuto la possibilità. E lei non voleva che nessun altro morisse davanti ai suoi occhi.

-Patetico! Sei patetico, Deku!-

-Sei cattivo, Kacchan.-


Raccattò tutto il coraggio di cui disponeva e affilò lo sguardo, come se in quel modo avesse potuto scavare tra la melma verdastra che stava ricoprendo Katsuki e tirarcelo fuori solo con la forza del pensiero. Non avevano ancora finito di parlare. Quella testa di cazzo doveva ancora sentirle su per ciò che aveva detto a Izuku.

La risata del Villain la scosse fin nelle ossa e strinse i pugni, in allerta. Lo vide allungare i tentacoli, facendoli sbattere contro i bidoni ed i pezzi di edifici crollati, mandando calcinacci, rifiuti e carta infuocati in giro.

Yuhiko si sentì afferrare una caviglia e un dolore sordo le trapassò la schiena e le spalle. Il fiato le si mozzò in gola e urlò. Venne strattonata, vide tutto confuso, il circondario le passò troppo velocemente davanti agli occhi dandole un prepotente conato di vomito e le urla di sgomento delle persone furono solo dei suoni ovattati che si ammassarono nella sua mente come spilli. Tutto divenne improvvisamente buio.

Per vari minuti non capì cosa fosse successo, sentendosi addosso solo una grande stanchezza, mentre guardava il mondo stranamente capovolto.

-Cosa credevi di fare con quello sguardo, mocciosa?-

Aveva voglia di chiudere gli occhi e dormire. Sentiva i muscoli indolenziti, la testa pesante, delle fitte alla schiena.

-Ha preso un altro ostaggio!-

-Non avvicinatevi, altrimenti la faccio fuori!- 

La presa sulla caviglia si strinse come una morsa ghiacciata e fu come se le venissero conficcati degli aghi nella pelle. Chiuse gli occhi e si morse un labbro, un suono roco le uscì dalle labbra come protesta e sentì qualcuno in lontananza imprecare. Si rese conto di stare appesa a testa in giù.

Intravide Bakugou dimenarsi e ringhiare, provando nuovamente a fare esplodere il corpo del Villain che lo imprigionava per nulla intenzionato a farsi sopraffare. Una parte di lei si domandò dove trovasse tutta quella forza di sopportare il dolore, di combattere e resistere. Socchiuse gli occhi, provando un vago senso di ammirazione per la tenacia.

Così diversa, così esplosiva, eppure la trovò talmente simile a quella di Deku da sorprendersi da sola per quel pensiero.

Ricacciò indietro le lacrime, aggrappandosi al dolore che sentiva come se fosse l'unico appiglio a poterla tenere ancora sveglia. Non sarebbe stata da meno. Aveva anche lei un obbiettivo da raggiungere.

Cercò di concentrarsi e sentì l'aria agglomerarsi nel suo palmo, prendendo immediatamente la forma di un piccolo pugnale trasparente. Strinse la presa sull'elsa e si diede la spinta necessaria per riuscire a raggiungere il tentacolo che le teneva la caviglia e tagliarlo. Sgranò gli occhi quando realizzò di esserci riuscita dopo un paio di tentativi e l'arma si dissolse. Vide la smorfia di dolore che distorse il viso del suo aggressore mentre cadeva nel vuoto e un tentacolo innalzarsi nuovamente verso di lei, ma prima che potesse cozzare con l'asfalto Kamui dei Boschi l'afferrò con i suoi rami, portandola al sicuro dietro gli altri Pro Heroes.

-Sei stata brava...-

-Stai bene?-

Si portò una mano alla fronte, senza rispondere. Le girava la testa e Katsuki... Alzò lo sguardo verso il Villain, trovandolo esattamente come l'aveva lasciato. E l'espressione di Bakugou, lo sguardo che stava rivolgendo a tutti loro le diede un pugno allo stomaco.

Dovevano aiutarlo, dovevano... lui... qualcuno...

Fece per alzarsi, ma venne trattenuta per un braccio e sentì una fitta al piede.

-Katsuki!-

-Kacchan!-

Yuhiko vide una macchia nera e verde dirigersi verso il Villain. Ignorando il pericolo, le urla di protesta, i richiami, le fiamme, ignorando tutto. Spuntò fuori improvvisamente come se fosse stata sputata fuori dal nulla e la superò di corsa - li superò tutti. Senza esitare, senza fermarsi.

...Izuku?


***


Il cielo era diventato più scuro, e il sole che si trovava sulla linea dell'orizzonte dava a tutto un bagliore aranciato che accendeva la saturazione dei colori tutt'attorno. Si fermò ad osservare le nuvole rosate, portandosi una mano tra i capelli per tenerli fermi ad una folata di vento.

Le ultime ore erano trascorse così in fretta che non si era nemmeno accorta fosse quasi sera.

Yuhiko riprese a percorrere lentamente la via che portava verso casa, un po' zoppicante. Occhieggiò la fasciatura che le avevano messo intorno al piede quando l'avevano soccorsa i medici intervenuti sul posto, pensierosa, e le venne istintivo ripercorrere con la mente gli ultimi eventi che avevano reso quel giorno così particolare.

Di merda, avrebbe voluto definirlo, perché la sua idea era sempre stata di andare a casa a riposare e invece si era ritrovata appesa a testa in giù con le gambe al vento davanti a una folla di sconosciuti, senza contare i fiori andati completamente in cenere. E se "di merda" non era il termine adatto, come l'avrebbe ripresa Midoriya per il linguaggio, sicuramente era quello che esprimeva al meglio la sua idea.

Socchiuse gli occhi, infastidita dal sole, e sospirò.

Tutto era successo così velocemente che ancora faticava a capire la dinamica delle cose. Sapeva solo che ad un certo punto qualcuno le aveva coperto la visuale, e si era spaventata a morte perché non aveva più visto i due ragazzi e cosa gli stava succedendo. Poi c'erano stati delle grida, un forte vento e si era sentita improvvisamente bagnata dalla testa ai piedi. Aveva ascoltato la pioggia picchiettarle sul viso mischiandosi alle lacrime, e con un nodo allo stomaco si era sporta oltre le schiene che la precedevano, scontrandosi con la figura di All Might che si stagliava in mezzo alla via, lì nello stesso punto dove il Villain aveva primeggiato fino a poco prima.

Zoppicando, aveva arrancato verso i due ragazzi svenuti e tra le lacrime aveva continuato a balbettare ringraziamenti. All Might l'aveva guardata sempre sorridente, senza commentare la figura patetica che, si era resa conto più tardi, sentiva di aver fatto.

Poi c'erano stati i giornalisti, le domande dei curiosi, i complimenti a Bakugou e i rimproveri per Deku. I medici che la portavano via per controllarle la caviglia e darle qualcosa per il dolore. Era stato in quel momento che aveva visto Izuku guardarla apprensivo oltre la folla di persone e lei gli aveva scritto un messaggio.

"Sto bene, ti raggiungo dopo!"

Lo aveva visto andare via con le spalle infossate, la testa bassa, mentre le porte dell'ambulanza si chiudevano.

Ed era preoccupata. I Pro Heroes non avevano fatto altro che ricordargli che era nato senza Unicità e lei avrebbe tanto voluto prenderli a sberle per il poco tatto che avevano dimostrato.

Arrivò fino all'angolo della via e si appoggiò al muro di cinta della casa per prendersi un momento e far riposare il piede esalando un sospiro. Il cellulare le vibrò in tasca e lesse distrattamente il messaggio, poi fece per girare l'angolo.

-Sono davvero colpito.-


Yuhiko si bloccò, come in trance, il telefono ancora stretto nella mano. Conosceva quella voce. Aggrottò la fronte.

-È stato così anche per te, vero?-


Con chi stava parlando All Might? Si sporse, trattenendo il fiato, vergognandosi per stare spiando una conversazione in cui non c'entrava nulla. Le sue pupille si dilatarono per la sorpresa. Oh.

Izuku...


La ragazza vide le spalle dell'amico tremare di fronte all'imponente Number One e capì che stava piangendo. Non gli diede tutti i torti, dopotutto l'aveva sempre ammirato e trovarselo di fronte, solo loro due da soli, immaginò dovesse essere un bel miscuglio di emozioni specialmente dopo gli eventi di quel pomeriggio.

Fece qualche passo indietro nascondendosi nuovamente dietro l'angolo e voltandosi per tornare verso casa.

Quello era il momento di Izuku.

-Anche tu puoi diventare un Eroe.-



***


-Katsuki?-

Bakugou richiuse la porta di casa con un gesto stizzito, infossandosi nelle spalle ancor di più e sfoggiando l'espressione più contrita che riuscisse a fare per evitare di essere disturbato. Non aveva voglia di parlare e doveva ancora organizzare lo studio di quel giorno. Quel maledetto Villain gli aveva rovinato il resto della giornata. Non appena sarebbe diventato un Pro Hero li avrebbe presi tutti a calci nel culo.

Mitsuki fece la sua comparsa dalla sala, scandagliando con occhiate veloci la figura del figlio avvicinarsi lentamente con le mani nelle tasche dei pantaloni e superarla.

-Sto bene, vecchia.- rantolò, cercando d'ignorare il suo sguardo e dirigendosi verso la camera. Aveva altro a cui pensare e non aveva tempo da perdere con le ramanzine di sua madre. Inoltre, doveva capire come avesse fatto quel Deku di merda a superare gli Heroes e lanciarsi in suo aiuto come se fosse un gesto qualunque. Non stava né in cielo né in terra che lui fosse in debito con quel quirkless, né capiva come mai dopo tutto quello che gli faceva da anni fosse andato in suo soccorso – quella storia sulla persona bisognosa di aiuto non se la beveva. Lui non aveva bisogno dell'aiuto di nessuno.

-Lo so che stai bene.- fu la constatazione che fece sua madre, incrociando le braccia al petto. Katsuki le lanciò un'occhiata da sopra la spalla, arrestando il passo quel tanto che bastava per incoraggiarla a continuare a parlare. Non che ne avesse bisogno, quella donna, in ogni caso. I loro caratteri erano piuttosto simili e nessuno dei due riusciva a trattenere le parole quando bruciavano per uscire.

Bakugou discuteva con lei praticamente da sempre ed era spesso una lotta persa in partenza, ma forse era per quello che aveva imparato a voler avere sempre l'ultima parola su tutto gridando pur di farsi ascoltare.

-Quindi che vuoi?- fu la domanda brusca che si fece sfuggire. Mitsuki strinse le labbra, avvicinandosi di qualche passo senza staccargli gli occhi di dosso. Bakugou la fissava con quello sguardo sempre allerta e acuto e per un attimo sentì una morsa stringerle il petto, notando quanto fosse cambiato rispetto al ragazzino sognante che le sventolava sotto il naso le action figure di All Might.

Il suo bambino... era così fiera del suo bambino.

Era sempre stato un ragazzo piuttosto avanti per la sua età e anche se aveva un caratteraccio che sicuramente andava rimesso in riga non le aveva mai dato modo di preoccuparsi: a scuola andava bene senza bisogno che gli corresse dietro per farlo studiare e a differenza delle marachelle che iniziavano a combinare i figli dei suoi conoscenti Katsuki non si era mai messo nei guai. La tenacia che aveva dimostrato quel giorno contro quel Villain non poteva che renderla ancora più orgogliosa.

Mitsuki certo non immaginava cosa realmente passasse per la testa di suo figlio o certi comportamenti che aveva avuto ma che si era ben riguardato dal raccontarle e di cui non era a conoscenza.

Rilasciò un sospiro leggero passandogli una mano tra i capelli come si permetteva di fare quando era piccolo e Katsuki sbuffò, allontanandola con un gesto secco e brontolando sottovoce.

-Che hai oggi, vecchia?- 

-Niente, figlio degenere. Sono solo contenta che tu sia a casa.-

























































































































Ciao e bentornati :)
Dunque, con questo capitolo si fa il primo "salto" nel passato, e inizia la nostra storia. Come avrete notato ho cercato di non modificare troppo gli eventi canon nonostante il mio oc, cerco sempre di stare attenta a non creare mary sue e spero di riuscirci in modo quantomeno decente. Mizore vuol dire nevischio, e avrà un suo senso tra un paio di capitoli.
Come sappiamo bene, Katsuki cerca sempre di affibbiare dei nomignoli dispregiativi e non poteva essere di certo da meno. Ho cercato di tenerlo il più IC possibile e penso/spero questa cosa si noterà più avanti. Stronzo era e stronzo rimane, ecco. Inoltre ho cercato di dargli un po' di spazio con sua madre, anche se ammetto non è stato facile dal momento che - se non mi sbaglio, datoche seguo più l'anime che il manga - le reazioni dei Bakugou non vengono mai menzionate se non quando costruiscono i dormitori dove viene detto che sperano lo mettano in riga alla Yuuei. Insomma, tuo figlio quattordicenne viene rapito da un Villain e tu nemmeno ti presenti sul luogo? Boh, ho trovato questa cosa parecchio strana, non mi spiego se sia un buco di trama o semplicemente i genitori hanno una grande fiducia in Katsuki da non preoccuparsene.
Non penso di avere altro da dire, vi ringrazio per l'attenzione
D. <3 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Terzo Petalo. ***


Cherry Blossom Tree
Terzo Petalo






-Ultimamente sei strano, Izuku.-

Fu con quella frase che Yuhiko lo accolse quel mattino soleggiato di Giugno dopo che l'aveva fatta attendere davanti al cancello della scuola per una buona ventina di minuti rispetto al solito orario in cui si erano sempre trovati. Era passato un mese dall'attacco del Villain e dal suo incontro con All Might che gli aveva aperto le porte verso una nuova prospettiva futura, e progressivamente avevano smesso di andare a scuola insieme perché era sempre impegnato fino all'ultimo minuto disponibile negli allenamenti.

Midoriya sentiva il tempo scorrere inclemente ed ogni volta che si fermava a pensarci si rendeva conto di non averne abbastanza. Era anche ben consapevole che l'impegno richiestogli da All Might per preparare il suo fisico gli si stesse ripercuotendo sugli altri aspetti della propria vita – primo fra tutti, oltre alla stanchezza e alla fatica che faceva per poter incastrare studi e allenamenti, l'amicizia con Yuhiko.

Perché ogni secondo era prezioso e doveva sfruttarlo, e ovviamente il resto passava in secondo piano – dopotutto, c'era in gioco il suo futuro.

Yu sapeva praticamente da sempre che avrebbe voluto tentare di entrare alla Yuuei e che aveva iniziato a cercare di migliorare le sue prestazioni fisiche per tentare l'esame, ma più di quello non le aveva raccontato nulla, accampando scuse su scuse che, sapeva, non avrebbero retto ancora per molto. Non aveva la minima idea di come iniziare il discorso ed evitare tutte quelle domande che, ci avrebbe scommesso ad occhi chiusi, sarebbero arrivate.

All Might era stato chiaro sul fatto di dover tenere segreta la faccenda di One For All ed Izuku era sicuro che se avesse iniziato a confidarsi con Yu non sarebbe riuscito a trattenersi, perché lei riusciva sempre a cavargli le parole di bocca e a lui veniva fin troppo facile renderla partecipe di ciò che lo riguardava.

La occhieggiò con sguardo stanco da sotto i ricci increspati senza avere il reale coraggio di mantenere il contatto, sentendo una punta di senso di colpa pungolarlo da qualche parte nel petto nello scorgerla osservarlo con un'espressione scettica che lo costrinse a distoglierlo subito, il dito ancora puntato verso di lui con fare accusatorio ed i capelli lasciati liberi che le ricadevano lungo le guance.

-Più del solito.- precisò lei, alzando un sopracciglio e sospirando palesemente. Si passò una mano per tirare indietro il ciuffo dagli occhi, grattandosi la nuca e tirando le labbra in una smorfia. Midoriya non le aveva mai parlato del suo incontro con All Might – cosa che trovò strana, ma magari voleva tenere quel momento privato e non poteva certo fargliene una colpa. E lei non gli aveva mai fatto sapere di averli visti insieme, dopotutto, perché temeva di rubargli un ricordo che sapeva essergli fin troppo prezioso.

Eppure, il comportamento che stava tenendo il ragazzo le iniziava a dare sui nervi. Sembrava le nascondesse qualcosa, ne era sempre più sicura ogni volta che lo guardava e lui dissimulava e – diavolo, perché non si confidava come sempre? - avrebbe voluto chiedergli, senza sapere bene se avesse poi così tanto diritto di impicciarsi.

Senza contare che di punto in bianco si ritrovava a fare la strada da sola, a passare i pomeriggi da sola, a rimuginare da sola e a vederlo molto più raramente. Quella era forse ciò che la infastidiva maggiormente di tutta quella storia che sentiva di non riuscire ad afferrare. La consapevolezza che il suo migliore amico fosse impegnato in qualcosa di cui non la rendeva partecipe senza neppure uno straccio di spiegazione che fosse anche solo un dirle di farsi gli affari propri.

L'avrebbe decisamente preferito al suo fare sfuggente e ai momenti di silenzio in cui lo vedeva rinchiudersi nei suoi ragionamenti, perché la stavano iniziando seriamente a preoccupare.

-Beh s_sai, siamo all'ultimo anno, devo studiare, e l'incontro con il Vill__- Deku ammutolì vedendo lo sguardo offeso con cui lo fulminò Yuhiko e si congelò sul posto, sentendo la luce del sole trapassargli gli occhi quando indietreggiò di qualche passo uscendo dall'ombra confortevole del grande albero dove si mettevano sempre ad aspettarsi quando uno dei due era in ritardo.

Lei arricciò il naso e roteò gli occhi, cacciando indietro la sensazione di sentirsi presa in giro con quell'ennesima scusa che stava cercando di propinarle.

-Smettila di mentirmi, Izuku. So che è una stronzata.- Midoriya percepì distintamente il calore dell'imbarazzo e dell'agitazione arrossargli le guance e le orecchie e gli sembrò che la temperatura si fosse improvvisamente alzata. Sgranò gli occhi e la guardò, stralunato. Sentiva la bocca secca e quando provò a controbattere il respiro gli si spezzò in gola. Aveva già intuito nei giorni precedenti che avrebbe dovuto parlare con All Might al più presto e Yu in quel momento gli diede solo conferma di ciò a cui la sua testa aveva già iniziato a ragionare da giorni.

Lei si interessava troppo agli altri per non notare i loro cambiamenti, ed era troppo curiosa per fare finta di nulla. Specialmente con lui.

Deku ingoiò il groppo in gola insieme alla consapevolezza che non sarebbe riuscito a mentirle ancora per molto, sentendo lo stomaco stringersi in una morsa sotto lo sguardo affilato che gli stava rivolgendo l'amica.

-Per l'ennesima volta farò finta di crederti. Ma se non me lo dirai tu, scoprirò da sola cosa mi nascondi, Izuku.-


***


Yuhiko rilasciò un grosso respiro esasperato e chiuse il quaderno, mollando nello stesso istante la penna che rotolò sulla copertina liscia. Si stropicciò gli occhi assonnati fino a che non le iniziarono a fare male ed occhieggiò l'orario sul display del cellulare, notando che segnava quasi le 22.00. Sbuffò, stirandosi sulla sedia e sbadigliando, sentendo i muscoli tendersi per quel cambio di posizione improvviso dopo ore passate china sui libri.

La luce della luna donava all'ambiente della sua camera un bellissimo bagliore argentato che si confondeva con quello della lampada sulla scrivania, illuminando i mobili ed i muri. Per vari minuti rimase ad osservare lo sprazzo di cielo visibile dalla finestra trovando quella visione e la stasi che la circondava particolarmente rilassanti.

Si appoggiò il volto su una mano, facendo dardeggiare lo sguardo sul tavolo. Inevitabilmente si ritrovò a posarlo su una delle rare foto incorniciate che ne occupavano lo spazio. Ritraeva lei, Izuku e Katsuki da piccoli, in una giornata di festa di… prima – o seconda, forse? elementare. Non ricordava bene, i primi tempi in cui li aveva conosciuti quando si era trasferita in quel quartiere aveva potuto accumulare tanti momenti simili, in cui giocavano e si divertivano senza cattiveria.

Bakugou era sempre stato un bambino influente sugli altri, riusciva a farsi adorare da tutti per la facilità con cui faceva ogni cosa e la cocciutaggine con cui affermava che sarebbe diventato il più forte degli Eroi era ammaliante per chiunque si ritrovasse ad ascoltarlo, specialmente tra bambini ancora incoscienti sul mondo. Eppure, qualcosa si era come rotto in lui, ad un certo punto, e né lei né Izuku avevano mai capito cosa fosse.

Socchiuse le palpebre, sospirando leggermente e facendo scorrere un dito sulla cornice che racchiudeva quel pezzo di ricordo, quasi accarezzandola. Sentì caderle addosso tutta la stanchezza della giornata e ci mise vari minuti prima di decidere di alzarsi e preparare lo zaino.

Prese il cellulare e digitò un messaggio, attendendo la risposta mentre faceva mente locale su cosa le servisse per non dimenticare nulla.

"Ti ho fatto gli appunti, domani passa a prenderli, ti aspetto alla fine delle lezioni."

"Grazie mille, Yu! Mi stai davvero salvando!"


Yuhiko sorrise allo schermo scuotendo leggermente la testa, immaginandosi gli occhi di Izuku guardarla con una vena adorante e con le pupille dilatate per l'emozione. Le salì una punta di irritazione e si morse un labbro.

Come aveva anche solo pensato di poter andare avanti quasi dieci mesi tra allenamenti estenuanti mattina e sera, lezioni e studio? Se si fosse fatto bocciare agli esami di fine anno perché rimaneva indietro poteva così sognare di voler tentare di entrare alla Yuuei.


-All Might… All Might mi sta allenando.-

Yuhiko si voltò quel tanto che bastava per poter osservare Izuku in faccia, il vento delle prime calure estive le smosse i capelli facendole solleticare le guance.

Izuku aveva parlato così a bassa voce che per un attimo pensò di esserselo sognato, immaginando fosse stato il rumore delle foglie a darle l'impressione di aver sentito qualcosa provenire dal ragazzo. Il modo in cui la stava guardando, però, le diede la silenziosa conferma che invece aveva capito bene: nei suoi occhi fiammeggiava qualcosa che non le diede nemmeno il tempo di dare voce a quel dubbio che già lo aveva spazzato via.

Represse un sospiro, sdraiandosi nell'erba del prato vicino al parco giochi in cui un Midoriya dallo sguardo palesemente teso l'aveva portata per poterle parlare. I fili verdi le sfiorarono le gambe provocandole un misto di fastidio e solletico.

Aveva capito che Izuku doveva dirle qualcosa da quando quella mattina l'aveva raggiunta con movimenti rigidi e l'aveva guardata, aggrottando le sopracciglia e inchiodandola con lo sguardo sul posto prima che iniziasse a lamentarsi nuovamente del suo comportamento. L'espressione seria con cui la osservava le aveva fatto morire in gola qualsiasi cosa.

-Dopo... hai tempo? Devo parlarti di una cosa importante.-

Lei si era limitata ad annuire ricacciando indietro le domande che le si stavano già formando nella testa. Aveva aspettato che quella giornata scolastica passasse con un groppo in gola, sentendo l'agitazione e l'aspettativa crescere ad ogni ora che la separava dal suono della campana mano a mano che questa diminuiva.

-Tutto qui?-

Izuku saltò sul posto, aprendo la bocca un paio di volte per parlare, chiaramente confuso dalla sua reazione. Probabilmente si aspettava che avrebbe reagito in qualche altro modo.

-In che senso?- riuscì a chiederle in un sussurro, alla fine, accomodandosi accanto a lei, forse intuendo qualcosa. Yuhiko si grattò il collo distogliendo lo sguardo, mordendosi un labbro.

-Lo sai che sapevo che mi stavi nascondendo qualcosa.- iniziò a dirgli torturandosi le dita, e Izuku alle sue parole contorte annuì, mormorandole delle scuse e tirando la bocca in una smorfia. Ma lei mosse una mano, schioccando la lingua sul palato e prendendo un grosso sospiro.

-Io... ti ho visto parlare con All Might, quel pomeriggio dopo l'attacco del Villain. Non volevo dirtelo perché sapevo fosse… una cosa tua, diciamo.- Yu puntò lo sguardo sul cielo azzurro, imbarazzata, sentendo una fitta di colpevolezza darle dei brividi lungo la schiena. Deku, accanto a lei, era sbiancato. Ma sbiancato davvero molto. Yuhiko si preoccupò che l'avesse deluso profondamente per averglielo tenuto nascosto.

-Ma sono andata via subito, perché sapevo sarei stata solo un impiccio!- la sua voce le era parsa più alta del solito e non era riuscita a comprimere l'agitazione che le aveva stritolato il cuore davanti all'espressione ammutolita dell'amico. Sembrava avesse visto un fantasma. Izuku la stava guardando con gli occhi sgranati e a lei era parso di vedere addirittura del terrore nelle sue iridi smeraldine. Si costrinse ad accantonare quel pensiero assurdo.

Assurdo.

Izuku non aveva mai avuto paura di lei, perché iniziare ora?

-Q_q_quindi non hai sentito nulla?- Yu si voltò, guardando Izuku cercare di prendere profondi respiri limitandosi ad alzare un sopracciglio.

Che razza di domanda era?

Lo vide passarsi una mano tra i capelli e le sembrò improvvisamente più rilassato. Fece spallucce con se stessa, mordendosi l'interno di una guancia. Izuku era troppo emotivo, certe volte.

-Solo che ti ha… rincuorato, diciamo così. Non pensavo ti avesse preso sotto la sua custodia per aiutarti, è davvero fantastico!- gli fece l'occhiolino, dandogli una spallata improvvisa.

Deku rise, imbarazzato, aggiungendo qualche particolare di ciò che All Might gli aveva detto durante il loro incontro, su come avesse cambiato la sua dieta e sugli allentamenti – e le era finalmente parso chiaro perché le desse sempre buca.

Izuku fissò lo sguardo emozionato verso il cielo terso, perso nei ricordi e sentendo quella nuova fiamma di speranza che l'Hero gli aveva dato vibrargli nel petto e a Yuhiko era sembrato che il Deku che conosceva avesse già iniziato a percorrere quella strada a cui era sempre stato destinato.

-Sono contenta per te, Izuku.-


Yu si lasciò la camera alle proprie spalle, chiudendo la porta ed incamminandosi pensierosa lungo il corridoio. Aveva ancora il telefono in mano e rilesse con svogliatezza il messaggio di Midoriya, infilandoselo poi nella tasca dei pantaloni e scendendo le scale per arrivare in sala senza soffermarsi a guardare in giro. L'ambiente buio e leggermente freddo del piano superiore le portava alla mente ricordi e sensazioni che non aveva voglia di affrontare e si sorprese di come improvvisamente la sua mente sembrasse essersi riattivata per captare ogni singolo rumore.

Arrivò in cucina guidata dalla voce proveniente dalla piccola televisione poggiata su un mobile e la luce che illuminava l'ambiente, che ancora tratteneva il calore sprigionato dal forno. Si lasciò cadere su una sedia, rendendosi conto di aver trattenuto il respiro fino a quel momento.

-Oh, cara. Hai finito di studiare?-

La mora occhieggiò la tazza di tisana che le era stata posata davanti, provando una fitta di tenerezza.

-Si nonna. Grazie.- strinse con la mano la ceramica tiepida, sentendo il calore scaldarle le dita e scioglierle i muscoli delle falangi. Dopo tutte le ore passate a scrivere le sembrò tanto di ricevere un massaggio.

Quando Izuku le aveva raccontato il programma che avrebbe dovuto seguire lo aveva guardato con occhi sbarrati, immaginando l'impegno e la voglia che doveva avere per resistere e riuscire a far quadrare tutto e avendo la certezza che se fosse stata al suo posto sarebbe durata al massimo tre giorni prima di crollare. Midoriya, invece, era più di un mese che andava avanti dividendosi tra allenamenti, compiti e studio.

Era davvero tenace.

Per Yu, dargli degli schemi e degli appunti sulle lezioni che avevano in comune era stato naturale per potergli far tirare un po' di respiro - anche se sarebbe stato più facile se fossero stati in classe insieme, ma purtroppo dovevano accontentarsi e vedendo come si stava impegnando Deku non aveva potuto fare a meno di sentirsi contagiata dal suo entusiasmo.

-Sei ancora convinta di voler andare alla Yuuei? Di voler diventare una Pro Hero?- l'anziana donna le si era seduta accanto, sorseggiando un po' di bevanda calda e guardandola con occhi pensierosi attraverso gli occhiali e le palpebre cadenti.

Yuhiko sospirò, mordendosi la lingua per riflettere  prima di parlare.

La sua famiglia era sempre stata piena di studiosi, non c'era nessuno che avesse mai tentato quella strada. E lei si ritrovava divisa tra ciò che erano i suoi desideri e ciò che le scorreva nel sangue da generazioni. Studiare le piaceva, il lavoro che facevano i suoi genitori l'aveva sempre incuriosita e ai suoi parenti sarebbe piaciuto che portasse avanti la tradizione.

Occhieggiò una foto appesa in sala, affilando lo sguardo.

Loro, però…


Strinse le labbra sentendo la rabbia bruciarle il cuore e ricacciò indietro il magone che le strinse lo stomaco.

Sarebbe diventata una Pro Hero. Avrebbe protetto le persone. Avrebbe combattuto il crimine. Questa era l'unica cosa che contava per lei, quello era un richiamo così forte da non potergli resistere. Non poteva, non voleva, non doveva.

Puntò lo sguardo sulla donna che le stava di fronte, trovandola, con una punta di stupore, sogghignante. Le aveva fatto quella domanda moltissime volte e altrettante la risposta era sempre stata una sola.

-Si.-


***


Izuku si permise di prendersi qualche minuto di respiro, quel pomeriggio, avanzando verso il proprio zaino e passandosi una mano sulla fronte per levarsi il sudore che sentiva colargli dalle tempie. Faceva caldo e il sole era quasi sulla linea del tramonto, e neppure la brezza marina in quel momento sembrava voler dare un po' di conforto o frescura al suo corpo accaldato.

Sulla superficie del mare blu ogni tanto veniva riflessa la luce del sole e Midoriya più volte aveva dovuto socchiudere gli occhi, infastidito. Tuttavia non aveva potuto impedire alla sua testa di immaginare quel paesaggio che ogni giorno gli si parava davanti una volta che sarebbe riuscito a liberare tutto il litorale dai rifiuti.

Era sicuro che sarebbe stato bellissimo. E lo avrebbe fatto lui.

All Might continuava a riprenderlo più e più volte in quello che faceva e sbagliava e ogni volta si sorprendeva di come, invece di infossarsi sotto quelle specie rimproveri, sentiva accenderglisi nelle vene un fortissimo senso combattivo che lo faceva ritentare, ritentare e ritentare finché non riusciva ad arrivare lì dove si era prefissato.

Sapeva di essere a zero, di non avere praticamente forza fisica né le basi per allenarsi neppure con gli esercizi più semplici. Non lo aveva mai fatto seriamente come in quelle settimane e il suo corpo fin troppo esile risentiva di ogni sforzo, ogni movimento, ogni respiro. I muscoli dolevano ed erano sempre tesi, le ossa gli facevano male, aveva sonno e riuscire a concentrarsi in classe era diventato sempre più difficile.

Era arrivato a non riuscire a muovere un dito, e la cosa gli aveva dato un profondo senso di frustrazione perché sentiva di non poter perdere nemmeno un secondo del tempo che trascorreva con All Might e sotto i suoi insegnamenti. Come gli aveva detto, sapeva di doversi impegnare il doppio, se non il quadruplo degli altri per raggiungerli e non poteva permettersi di fermarsi nemmeno se era il proprio corpo a implorarglielo.

Izuku aprì lo zaino e tirò fuori una bottiglietta d'acqua, sedendosi con un tonfo e guardando distrattamente il disordine che vi regnava all'interno. Ogni giorno aveva così tanta fretta di lasciare l'aula per incontrare l'Eroe che ci buttava dentro tutto alla rinfusa.

-Non ti facevo un tipo da acchiappasogni, giovane Midoriya.-

Izuku trasalì sentendo la voce di All Might improvvisamente vicina e quasi si strozzò con il sorso d'acqua che stava buttando giù. Tossì un paio di volte, prima di seguire lo sguardo dell'uomo e capire a cosa si riferisse.

-Oh, non è mio. È un quaderno con gli appunti che mi ha dato Yu.- All Might si sedette accanto a lui, osservandolo. Un sorriso gli si dipinse sul viso scavato.

-Ti stai aiutando a studiare?- fu la domanda retorica che gli fece, e vide il ragazzo annuire. Ricordava quando un paio di settimane prima Midoriya era arrivato al loro incontro trafelato e con lo sguardo di chi sembrava aver visto la morte in faccia.


-Yu lo sa, lo sa!- gli urlò Izuku nelle orecchie, prendendo a torturarsi i capelli con le mani e facendo avanti e indietro davanti a lui come un animale in gabbia. Tra i vari discorsi, All Might era venuto a conoscenza che l'amica di cui parlava era la stessa che lo aveva ringraziato in lacrime sotto la pioggia il giorno del loro incontro.

Nel corso della propria carriera aveva vissuto molte scene simili, gente che lo ringraziava e sorrideva o piangeva di sollievo quando lo vedeva arrivare ed ogni volta non poteva che sentirsi felice. Eppure il modo in cui quella ragazzina si era messa ad accarezzare le teste dei due compagni svenuti lo aveva colpito profondamente. Solo in seguito avrebbe capito il motivo di tanta riverenza.

-Di cosa stai parlando, giovane Midoriya?- in quel momento non gli sembrava il ragazzo intrepido che aveva visto pregarlo di renderlo più forte per poter ricevere il suo dono o che si era buttato contro un Villain senza pensarci. Capì che doveva esserci qualcosa di grave a turbarlo.

Passò solo qualche secondo in silenzio, prima di sentirsi trafitto da un sospetto.

-Non le avrai detto di___-

-No, certo che no!- Izuku quasi saltò sul posto, portando le mani in avanti e prendendosi poi il mento, pensieroso.

-Però lo sa che c'è qualcosa di diverso. Insomma, stavamo sempre insieme prima e invece ora di punto in bian__- All Might alzò un braccio e Deku si bloccò di botto nel suo sproloquiare a voce alta, incassandosi nelle spalle ed osservando l'Hero sorridere. Ma nei suoi occhi c'era solo serietà, una freddezza tale che gli diede i brividi lungo la schiena.

-Ho capito, giovane Midoriya.-


All Might gli aveva ricordato fin quasi alla nausea, mentre concordavano cosa potesse dirle per appianare i sospetti, che non avrebbe mai dovuto accennare al suo potere, ad All For One e alla sua condizione fisica, e Midoriya aveva sempre annuito, con gli occhi lucidi di commozione per quella concessione che gli avrebbe permesso – sperava – di sollevargli un po' l'animo e aiutarlo a preservare il rapporto con quella ragazza.

Aveva capito tra le righe che erano molto legati e in fondo gli sarebbe spiaciuto se si fossero allontanati per causa sua – non sarebbe stato Eroico restare a guardare senza fare nulla. Inoltre, dopo vari ragionamenti con se stesso, dovette ammettere che se il suo allievo veniva aiutato almeno un po' nella parte dello studio almeno poteva concentrarsi maggiormente sul migliorare il proprio fisico, che era il loro obbiettivo principale.

L'insistenza della sua amica non era stata totalmente a loro svantaggio.

-Beh, davvero ammirevole.- commentò, sfogliando il quaderno pieno di schemi e leggendo qualche parola a casaccio per poi ridarlo al suo allievo.

-Direi che è ora di riprendere dove avevamo interrotto!- All Might riprese la muscle form in un impeto di irruenza, mettendosi le mani sui fianchi e indicando i rottami che ancora li circondavano. Rise un po', osservando Izuku lanciare la bottiglia ai piedi dello zaino e imitarlo, tirandosi in piedi e puntando un pugno in aria senza perdere l'immancabile sorriso che lo accompagnava sempre.

-Si!-

-Bene, giovane Midoriya…- All Might fece scorrere lo sguardo sulla discarica, pensieroso. C'era davvero un sacco di roba, ma il fisico del ragazzo non era ancora pronto per spostare certi rifiuti. I primi giorni aveva provato a spingerlo al limite per testarlo e vedere com'era messo, ma si era presto reso conto che dovevano fare dei piccoli passi, altrimenti rischiava di esagerare com'era già successo.

All Might avrebbe imparato presto a capire che Deku ed esagerazione andavano di pari passo.

-Una volta finito con le ruote voglio che provi a spostare quelle lavatrici.- ne indicò un paio che spiccavano sopra una montagna di pezzi di acciaio e legname.

-Ti ci siederai sopra come con il frigorifero?- domandò retoricamente Izuku, suscitando una risata che l'uomo non riuscì a contenere. Il suono fu presto sostituito da dei colpi di tosse e Midoriya gli si avvicinò, preoccupato, mentre questo riprendeva le sembianze esili e raggrinzite che ormai aveva imparato a conoscere.

-Stai bene, All Might?- l'uomo nascose la mano sporca di sangue nella tasca dei pantaloni, allontanandola dalla vista del suo alunno che lo osservava, angosciato. Ogni volta che succedeva così temeva di vederselo svenire davanti agli occhi per la preoccupazione. Era davvero un ragazzo dall'animo sensibile.

-Si, non preoccuparti, ragazzo. Adesso ripr_-

-All... Might?-

Izuku e il Pro Hero si scambiarono uno sguardo, completamente congelati sul posto, leggendo nei reciproci visi lo stesso sgomento che gli aveva aperto una voragine sotto lo stomaco, facendocelo precipitare dentro e stritolandolo.

Midoriya saltò sul posto, iniziando a tremare e sudare visibilmente. Si spostò davanti all'uomo in un unico movimento come se avesse potuto, in quel modo, nasconderlo alla vista altrui.

-Y_Y_Yu! Che c_c_ci fai qui?!- gridò, quasi strozzandosi con la sua stessa saliva. Fece passare lo sguardo dalla ragazza a Toshinori e viceversa in un modo così repentino da farsi male al collo. All Might non aveva ancora detto niente e la cosa lo preoccupava, ma ancora di più lo preoccupava il modo in cui Yuhiko faceva passare le due fessure che erano diventati i suoi occhi grigi con cipiglio indagatore e sospettoso dall'uno all'altro.

Che cosa poteva dirle? Cosa poteva inventarsi?

Izuku desiderò tanto scavarsi una fossa direttamente nella spiaggia piuttosto che doversi ritrovare ad affrontare le due persone con cui si era trovato insieme e la situazione che si era creata.

Come le avrebbero spiegato chi era quell'uomo pelle e ossa che si ritrovava davanti? Lei sapeva che lo allenava All Might in persona. E poi, non le aveva mai detto dove proprio per evitare inconvenienti o che andasse a cercarlo. Come si era ritrovata li? L'aveva spiato?

-Mi hai seguito?- non si trattenne dal dare voce a quel pensiero, Deku, corrugando le sopracciglia e stringendo i pugni. Il suo sussurro si perse insieme alle onde del mare che si scontrarono sulla spiaggia. Yuhiko gli restituì un'occhiataccia per quell'accusa, catalizzando tutta la sua attenzione su di lui.

-No, idiota, sono andata al supermercato e stavo tornando a casa. Per chi mi hai preso?- Izuku la vide arricciare il naso mentre gli sventolava il sacchetto che stringeva davanti alla faccia. Notò il braccio della ragazza tremare e s'infossò nelle spalle, impensierito e colpevole. Sentiva di essere paonazzo per l'imbarazzo e le orecchie gli fischiavano. Si passò una mano tra i capelli per sfogare la tensione, occhieggiando timoroso All Might che ancora non aveva detto nulla e domandandosi cosa stesse pensando.

Yu sembrò intercettare quel gesto, perché tornò a sfoggiare un'espressione più morbida, quasi sorpresa e di aspettativa. Vide gli occhi dell'amica sgranarsi lievemente mentre li faceva scorrere su ogni parte della figura che gli stava davanti e Izuku capì che aveva collegato tutti i puntini dal modo in cui brillarono.

-All Might?- riprovò lei, come alla ricerca di conferme, inclinando lievemente il viso e portando le mani dietro la schiena, torturandosi le dita. Midoriya ingoiò il groppo in gola, pronto ad accampare qualche scusa, ma il suo maestro lo precedette.

-Ormai penso non si possa più nascondere la faccenda.- disse, in un sospiro stanco. Anche continuare a negare la realtà dei fatti non avrebbe fatto altro che creare più problemi, ed era l'ultima cosa di cui avevano bisogno se voleva mantenere quella faccenda il più privata possibile. Una ragazzina che andava in giro a chiedere spiegazioni ad alta voce era la prima cosa che doveva evitare.

Sperò di stare prendendo la decisione giusta e si affidò completamente alla fiducia che Izuku riponeva nella ragazza, ricordando gli aneddoti che gli aveva raccontato ogni tanto durante le loro brevi pause.

Midoriya girò la testa in modo così improvviso che sentì le ossa del collo scricchiolare e la bocca farsi improvvisamente secca.

-Cosa?- domandò, non capendo. Vide l'uomo serio, i tratti improvvisamente induriti, e gli ricordò molto la loro prima conversazione sul tetto dopo che lo aveva salvato. All Might era stato così semplice eppure così cristallino con le parole da colpirlo esattamente dove faceva più male.

A Izuku si bloccò il respiro in gola e tornò ad osservare Yuhiko sgranando gli occhi.

-Credo che tenerti le cose nascoste non sia più un'opzione, giovane… ehm…- Toshinori si bloccò a metà frase e lo guardò in cerca di aiuto, grattandosi una guancia.

-Come si chiama?- gli sussurrò, piegandosi verso di lui e cercando di non farsi sentire.

-Ah, è Yu!- sbottò Deku, indicandola, ancora incredulo. La ragazza fece qualche passo in avanti, porgendogli una mano e tenendosi l'altra al petto, emozionata.

-Yuhiko. Sono Yuhiko Eira.-


***


Izuku si ritrovò in piedi nel viale che conduceva all'entrata dell'Accademia Yuuei, perso ad osservare l'immensità della struttura che aveva sempre desiderato frequentare e che in quel momento gli si stagliava di fronte sovrastandolo in tutta la sua altezza.

Gruppi di studenti che come lui si erano presentati per l'esame lo superarono, mentre rimaneva immobile sentendo dei brividi lungo la schiena. Faceva freddo e lui aveva dimenticato la giacca a casa, ma sapeva che la pelle d'oca che sentiva non gli era stata procurata dall'aria che gli spirava sul collo.

Vista dal vivo la Yuuei era ancora più imponente. La strada che conduceva all'ingresso era ben tenuta e sul pianerottolo dello stesso erano stati appesi cartelli che indicavano a coloro che dovevano sostenere l'esame dove dirigersi, c'erano dei volantini con la mappa del percorso e la reception era aperta per rispondere ad eventuali domande e consegnare i tesserini di riconoscimento.

Si erano organizzati bene. Dava proprio quella sensazione di scuola prestigiosa a cui solo l'élite tra gli aspiranti eroi poteva accedervi. Non a caso era quella con la percentuale di ammissioni più bassa ma da cui si diplomavano quelli che alla fine diventavano gli eroi più famosi - All Might ed Endeavor ne erano un esempio lampante.

Midoriya sentì le gambe tremare di aspettativa, guardando l'edificio con occhi trepidanti di emozione e sentendo l'irrefrenabile voglia di urlare per la gioia. Aveva sognato così tante volte il momento in cui ne avrebbe varcato il cancello che quello che stava provando in quei minuti non era per niente paragonabile a come lo aveva sempre immaginato. Il cuore gli batteva quasi in gola e tutto gli sembrava bellissimo, come se fosse stato un bambino che arriva al parco giochi pronto a provare tutte le giostre nuove.

Midoriya sospirò scuotendo la testa per riprendersi da quei pensieri, portandosi una mano davanti agli occhi e osservandola. Il suo sguardo si fece improvvisamente serio, ed il cambiamento repentino che ebbe il suo stato d'animo si riflesse anche sul viso, indurendogli i tratti e facendogli perdere il sorriso che fino a quel momento non si era preoccupato di contenere.

All Might lo aveva allenato, gli aveva dato il suo potere, aveva riposto in lui la fiducia più assoluta. Non poteva permettersi di deluderlo e non poteva nemmeno permettersi di sprecare quell'occasione. Si sarebbe impegnato al massimo per dimostrare quello che era in grado di fare. Non c'era motivo per cui non dovesse sentirsi all'altezza della situazione.

-Izuku!- Midoriya si sentì toccare dentro una spalla e per lo spavento sussultò, agitato, iniziando a balbettare e muovere le mani a casaccio.

-Calmati, sono io!- si sentì tirare una guancia e si accorse attraverso lo sguardo spaesato che Yu lo stava pizzicando. Bofonchiò un lamento di dolore e quella lo lasciò, osservandosi in giro prima di chinarsi verso di lui con le mani sui fianchi e uno sguardo indagatore.

-Allora, sei pronto?- gli domandò, ma Izuku capì che ciò a cui si stava riferendo la ragazza era un'altra cosa. Dopo che Eira aveva scoperto di All Might, l'uomo aveva deciso di raccontarle tutto. Tutto. Midoriya per poco non era svenuto davanti a quella decisione, percependo mancargli fiato mano a mano che le spiegava ogni cosa. L'amica aveva ascoltato, in silenzio, poi li aveva guardati per degli attimi che gli erano parsi infiniti e Deku aveva davvero temuto sarebbe scappata urlando, mentre sentiva All Might al suo fianco trattenere il respiro.

Alla fine aveva visto i suoi occhi farsi lucidi e un'ondata di panico l'aveva attraversato come una scossa. Si era preparato ad avvicinarsi per consolarla e scusarsi nemmeno sapeva lui per cosa, ma lei lo aveva guardato e, sorridendo commossa, gli aveva teso la mano.

-Allora facciamo del nostro meglio, neh?-


Izuku sospirò sollevato da quel ricordo, facendo scontrare il proprio sguardo con il suo e tirando le labbra. Si sentiva come una corda di violino in quel momento, ma non poté fare a meno di annuire nella sua direzione.

-Deku, levati o ti ammazzo.-

Attirati dall'inconfondibile voce roca di Bakugou che senza riguardi s'intromise nel loro discorso entrambi si voltarono.

-Sempre gentile, Katsuki.- commentò Yuhiko, vedendolo avvicinarsi e superarli senza degnarli di uno sguardo. Lo occhieggiò mentre si allontanava seguito dai mormorii sorpresi degli altri esaminandi. Da dopo la loro discussione dieci mesi prima non avevano più parlato. Sembrava che tra loro fosse scesa come una patina di gelo, ma non sapeva spiegarsi bene quella situazione. Eppure ogni volta che ripensava all'ultima cosa che gli aveva detto sentiva il senso di colpa bruciarle nel petto.

-Sei cattivo, Kacchan.-

Era una frase che aveva continuato a tediarla per parecchio tempo prima che riuscisse a farla tacere insieme alla voglia di andare a chiedere scusa. In tutto quel tempo lei si era limitata a salutarlo quando raggiungeva Izuku in classe per portargli gli appunti, e lui la ignorava con degli sbuffi palesi che le facevano roteare gli occhi. Ma dentro di sé si era sentita rincuorata ad ogni occhiataccia che le aveva mandato, perché era ciò a cui si era abituata a ricevere negli anni.

Anche se sapeva che c'era qualcosa che ancora non funzionava.

-Fac_facciamo del nostro me_meglio, Kacch__-

-E' già andato, Izuku…- Yuhiko lo guardò con una punta di disapprovazione, scuotendo la testa per quel comportamento. Non era il momento di essere emotivi e farsi prendere dal panico. Osservò l'orologio e decise di seguire l'esempio di Bakugou, iniziando a incamminarsi. Si voltò verso Midoriya quando notò che era ancora perso nel suo mondo e non aveva ancora fatto un passo.

-Andiamo?- quello annuì e lei continuò a camminare, pensierosa, cercando di non fare caso alla morsa che sentiva sullo stomaco mano a mano che il portone dell'accademia si avvicinava. Aveva voglia di vomitare e sentiva il cuore battere frenetico contro la cassa toracica tanto da farle quasi male.

Si era impegnata il più possibile per riuscire a migliorarsi, a diventare più veloce e fluida nei movimenti. Ogni tanto lei e Izuku si erano anche trovati a correre insieme la sera per migliorare la resistenza o lo aveva osservato ripulire la spiaggia, cercando di carpire qualche consiglio in base a ciò che gli veniva consigliato da All Might senza il reale coraggio di domandare direttamente. Era una cosa in cui voleva riuscire da sola.

Aveva fatto esercizio, utilizzato più spesso il suo Quirk e cercato di mantenersi il più attiva possibile per perdere peso in modo da essere più agile.

Ma se non fosse stato abbastanza?

Eira si morse un labbro, nervosa, ripensando alla fatica e alla frustrazione che l'avevano assalita quando si era resa conto di non riuscire a gestire bene la sua Unicità perché non lo aveva mai fatto seriamente. Da bambina aveva sempre ammirato gli Eroi, ma solo verso l'ultimo anno di elementari aveva deciso di percorrere quella strada e aveva iniziato a testare cosa fosse in grado di fare.

Invidiò la sicurezza con cui Katsuki li aveva preceduti come se sapesse già di essere stato ammesso e l'ambizione che sprigionava Izuku da tutti i pori tanto che avrebbe potuto tagliarla con un coltello.

Izuku…

Eira si osservò intorno, accorgendosi di essere sola. Dov'era Izuku?

-Ho parlato con una ragazza!- trasalì, voltando il viso di lato. La figura di Midoriya le era comparsa accanto senza che ne se accorgesse e fece d'istinto qualche passo indietro per la vicinanza.

-Cosa?- aggrottò la fronte, non capendo. Perché, lei non la considerava una ragazza? Si sentì un po' offesa e gonfiò le guance.

-Ho parlato con una ragazza gentile!- ripeté quello, sognante, raccontandole della sua caduta e di come l'Unicità della sconosciuta gli avesse evitato di pestare il naso a terra.

Yuhiko decise di lasciare perdere le domande, ridacchiando e spingendolo verso l'entrata.


***


​-Via!-

Eira rimase immobile, ghiacciata sul posto con il respiro mozzato in gola e la bocca secca. Il grido che segnava l'inizio della prova le si era conficcato con forza nelle orecchie e la sua testa si era improvvisamente svuotata.

Panico.

Cercò di non far caso alle gambe tremanti e pregò intensamente al proprio corpo di muoversi, alla sua mente di ricominciare a ragionare, ai propri muscoli di rilassarsi. Il gruppo di ragazzi con cui era finita a fare l'esame era già partito, perdendosi tra le vie della città costruita per affrontare la prova per cercare i robot da combattere. E lei era rimasta li, da sola, come un'idiota, a guardarsi intorno in un modo che ad occhi esterni ricordavano tanto quelli di un cucciolo spaesato.

Odiò se stessa per aver perso così facilmente il controllo sulle sue emozioni.

-Mancano otto minuti!-

Eira si morse l'interno di una guancia, ingoiando il groppo in gola e iniziando ad avanzare lentamente verso il centro città.

Piccoli passi, piccoli passi...


Ogni movimento che faceva le sembrava pesantissimo.

Qualche carcassa di robot giaceva lungo la strada e dai pezzi di rottami sparsi in giro proveniva del fumo che si innalzava verso il cielo. Le arrivò al naso la puzza di bruciato e istintivamente se lo coprì con una mano, socchiudendo gli occhi per il fastidio.

Per un brevissimo istante si domandò che diavolo ci facesse lì, se non si fosse sbagliata e il motivo per cui si ritrovava a fare quel test non fosse dovuto solo ad un entusiasmo contagioso che le aveva trasmesso Izuku negli anni finendo per farle credere che fosse proprio. Cercò di scacciare con un movimento del capo i pensieri angoscianti che avevano iniziato a tartassarla.

Non era il momento. Doveva concentrarsi.

Occhieggiò i dintorni, affilando lo sguardo. Sentiva gli altri esaminandi combattere e i rumori metallici che facevano i robot quando provavano ad attaccarli o venivano distrutti. Inspirò, espirò, chiuse gli occhi solo per un attimo e li riaprì appena in tempo per captare un movimento alle proprie spalle. Si voltò di scatto, facendo leva sulle gambe per poter fare un salto indietro, allontanandosi dal Villain che l'aveva raggiunta con un gesto automatico. Il suo corpo spesso reagiva prima ancora che lei pensasse a cosa doveva fargli fare.

Si lasciò sfuggire un piccolo ghigno, confortata da quel pensiero, sentendo l'adrenalina iniziare a salire e il respiro accelerare. Quella era una sensazione inebriante che avrebbe voluto provare sempre. Le faceva scordare tutti i dubbi. 

Accumulò nelle gambe il potere necessario per darsi la spinta e scattò in avanti. Evitò il gancio che il Villain si stava preparando ad infliggerle, puntando un piede nel vuoto e solidificando l'aria sotto di esso per crearsi un appoggio invisibile con cui darsi la spinta necessaria per elevarsi oltre la testa del suo avversario. Lo fece fino a quando non fu soddisfatta dell'altezza a cui era arrivata. Il mondo attorno le arrivò confuso ma aveva ben chiaro cosa volesse fare e si sorprese della facilità con cui riusciva a spostarsi in aria, era la prima volta che lo faceva in un vero combattimento: da bambina aveva sempre avuto la paura di non riuscire a crearsi un appoggio sotto i piedi abbastanza velocemente, finendo per cadere.

Fece una capriola in avanti e concentrò l'aria nei piedi, lasciandosi scivolare verso la testa del Villain robotico. Lo colpì cercando di imprimerci tutta l'aria che era riuscita ad accumulare e solidificare prima dell'impatto come se stesse spingendo un mattone, danneggiandogli i circuiti elettrici alla base della nuca. Il robot ebbe qualche sussulto e cadde a terra danneggiato dalle esplosioni.

Quando si ritrovò in piedi davanti alla carcassa immobile, Eira sorrise, infervorata dalle sue stesse azioni.

-Mancano cinque minuti!-


***


-C'è una lettera per te, Eira.-

Yuhiko corse per le vie della città in modo così rapido che quando si fermò le sembrò che il respiro le avrebbe spezzato i polmoni, tanta era la violenza con cui l'aria le entrava in corpo. Era quasi sera, e faceva freddo, e lei aveva dimenticato la giacca ed era uscita in pantaloncini e maglietta, ma non le importava. Si portò le mani alle ginocchia, cercando di riprendere fiato e un po' di contegno.

-Arriva dall'Accademia Yuuei.-


Si passò una mano tra i capelli, cercando di sistemarseli alla cieca per quanto poteva e prese un profondo respiro. Poi bussò alla porta che si trovava davanti, timorosa, e attese. Sperava di non disturbare, ma sapeva che le visite impreviste sono sempre fonte di disturbo. Lei le odiava e mal sopportava fare lo stesso, ma non era riuscita a trattenersi.

-Sono... sono stata presa, nonna.-


La porta si aprì dopo qualche attimo, rivelandole attraverso lo spiraglio il viso familiare di Inko. La donna strabuzzò gli occhi quando la mise a fuoco, non aspettandosi la sua visita improvvisata, ma si spostò subito per farla entrare in casa regalandole un sorriso di quelli che aveva imparato a conoscere fin da piccola.

-Complimenti. Sono contenta per te.-


Yuhiko ci mise qualche secondo prima di varcare la soglia di casa, venendo accolta dall'ambiente caldo e tranquillo che regnava nell'ambiente e dal profumo della zuppa che bolliva sul fornello. Le sue gambe scoperte gioirono per non essere più esposte all'aria e smise gradualmente di tremare per il freddo.

-Che piacere vederti cara, accomodati. Come stai? Izuku è in camera, sta... sta leggendo la lettera.- le disse, dirigendosi verso la sala. Si fermò quando raggiunse il tavolino, su cui era posato un bicchiere da cui prese un lungo sorso d'acqua. Eira la vide torturarsi le dita delle mani e pulire con uno straccio le mensole già perfette, capendo che era un modo per sfogare la tensione. In quello assomigliava al figlio, erano sempre stati molto emotivi, e lei si era sempre trovata bene per la semplicità con cui esprimevano i propri stati d'animo. Lo trovava rassicurante e le ricordava la schiettezza con cui le parlava sua madre.

-Sto bene, grazie.- le rispose, raggiungendola vicino al divano su cui si era seduta. Occhieggiò pensierosa la porta chiusa della camera di Deku.

-Ho fatto zero punti, Yu. Ho fallito! Ho fallito!-

Si morse un labbro, ricordando lo sguardo vacuo di Midoriya quando gli aveva chiesto come fosse andato l'esame. I suoi occhi verdi sembravano aver perso tutta quella luce speranzosa che vi aveva sempre visto dentro mentre le spiegava cosa fosse successo e si era sentita affossare, vedendolo trattenere le lacrime a stento, non sapendo cosa rispondergli. Izuku era andato a casa e da quel giorno aveva evitato ogni contatto con lei.

Quindi... che diavolo ci faceva lì?

-Ho saputo che hai partecipato anche tu all'esame. Come è andata?- Eira si voltò verso la signora Midoriya, smettendo di osservare la porta chiusa capendo che non si sarebbe aperta molto presto.

-Bene, mi è arrivata oggi la lettera di ammissione.- Inko le sorrise istantaneamente e le venne naturale fare lo stesso, scorgendo negli occhi della donna una felicità sincera nei suoi riguardi.

-Complimenti!- si congratulò lei, mantenendo però sempre un tono di voce piuttosto basso e lanciando delle occhiate angosciate verso il corridoio. Probabilmente non voleva farsi sentire dal figlio. Yuhiko trovò quell'accortezza molto premurosa e dopo aver preso un bicchiere dalla cucina le si sedette affianco, aspettando con lei, domandandosi come avrebbe reagito Izuku se lui non fosse stato preso mentre lei si. Sbatterglielo in faccia in quel modo gli avrebbe spezzato il cuore. Forse aveva sbagliato ad andare a casa sua proprio quel giorno.

Dopo una decina di minuti la porta si aprì di botto, facendo tremare le pareti del vecchio appartamento. Le due interruppero all'istante ciò di cui stavano parlando e si voltarono quasi all'unisono verso la fonte del rumore. Izuku arrancò verso la sala, con il cuore in gola e le mani tremanti.

-Sono passato! Mamma! Sono passato! Sono pas__ Yu?-

-Era ora. Quanto ci hai messo a leggere un pezzo di carta e vedere un video?- lo canzonò lei, sogghignante, mentre veniva abbracciato da Inko che non riuscì a trattenere la commozione. Lo vide tirare su con il naso mentre sua mamma lo riempiva di complimenti.

-Ce l'ho fatta... ce l'ho fatta...- sussurrò guardandola, piegando le labbra in una smorfia per non mettersi a piangere e ricambiando l'abbraccio di sua madre quasi aggrappandosi alla sua schiena. -Tu?- le chiese poi, in un lampo di lucidità. Eira si limitò ad annuire, sorridendogli e facendogli l'occhiolino divertita dalla sua faccia stravolta. Chissà quanti pensieri lo avevano assillato in quei giorni per fargli avere un aspetto così trasandato. Aspettare quelle lettere era stata una tortura.

Fu a quel punto che Inko sembrò raccogliere la forza necessaria per staccarsi dal figlio, asciugandosi gli occhi con un fazzoletto e cercando di smettere di tremare. Li guardò commossa, soffermandosi sul figlio e notando quanto fosse cambiato in quegli ultimi mesi. Lo aveva visto impegnarsi fino allo sfinimento, mangiare e crollare quasi nel piatto durante la cena per la stanchezza, prendere ogni occasione in cui poteva aiutarla in casa come spunto per fare un po' di allentamento.

Era davvero fiera e non poteva che essere felice per lui.

-Complimenti ragazzi! Siete stati davvero fantastici. Festeggiamo?-










































































































Ciao a tutti :)
Scusate il leggero ritardo è un periodo un po' pieno e non trovavo il tempo per revisionare il capitolo. Non ho molto da dire, se non che Eira dovrebbe signoficare Neve in Gallese, ma onestamente non ne conosco l'effettiva pronuncia - per me è come si scrive, mi piaceva il suono. Penso sia chiaro perché Katsuki la chiami quindi Mizore, per lui è un dispregiativo.
Non ho molto da dire, spero di avervi tenuto un po' compagnia con questo capitolo. Entrare nei pensieri di Izuku e All Might non è stato molto semplice, spero di averli resi bene.
Alla prossima.
D. <3

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Quarto Petalo. ***


Cherry Blossom Tree
Quarto Petalo

























-Ma sei impazzito?-

Yuhiko s'infilò i pantaloncini neri della divisa da Hero notandone all'istante la comodità. Sui glutei, nonostante il gonnellino che aveva richiesto per cercare di camuffarne la forma, erano al limite dell'attillato per i suoi gusti, ma a parte quel dettaglio a cui probabilmente avrebbe dovuto trovare qualche soluzione non poteva lamentarsene.

Ancora in reggiseno in mezzo allo spogliatoio dove si stava cambiando con le ragazze che da pochi giorni erano diventate le sue nuove compagne di classe azzardò a fare qualche movimento con la gamba, simulando i movimenti di un calcio alto e sondando con cipiglio sospettoso il tessuto restare aderente alla pelle dell'interno coscia senza spostarsi. Le altre le lanciarono qualche occhiata stralunata per quelle movenze fuori contesto e Mina ridacchiò, ma era troppo impegnata a ragionare con se stessa per accorgersene.

Gli sviluppatori con cui aveva potuto confrontarsi per dissipare i propri dubbi e che l'avevano aiutata a mettere su carta i suoi pensieri confusi le avevano garantito che non avrebbe avuto problemi di quel genere, perché proprio per evitare che in battaglia le Pro Heroes potessero essere distratte erano sempre alla ricerca di nuovi materiali aderenti quanto comodi e coprenti. Eira aveva la sensazione che all'interno vi fosse un leggero strato adesivo che li appiccicava alla pelle, anche se non avrebbe saputo spiegare se fosse un rivestimento o proprio il tessuto ad avere quella caratteristica dal momento che la scienza non era mai stata il suo forte.

Non poté impedirsi di provare una fitta di sollievo mentre con mani tremanti tornava davanti all'armadietto per prendere la parte superiore del costume.

-Dovrai conciarti così ogni volta?- 

Anche il top si adattava alla forma del corpo così bene da risultare quasi imbarazzante, e provò una lieve punta di stupore, mentre sentiva sotto i polpastrelli che lisciavano la stoffa azzurra la stessa morbidezza percepita appena aveva afferrato i pantaloni e se li era portati davanti al viso per poterli osservare da vicino. Notò che il tessuto che univa la parte sotto le ascelle con quello che le avvolgeva parte delle braccia lasciandole le spalle scoperte sembrava tanto fine quanto elastico, per adattarsi ai movimenti.

Lanciò uno sguardo alla porta dello spogliatoio mentre tirava su la cerniera delle scarpe, notando qualcuna che si stava avvicinando all'uscita e sentendo l'ansia di essere lasciata indietro aggrovigliarle lo stomaco. Non voleva essere l'ultima ad arrivare, non le piaceva l'idea di avere gli occhi addosso o di essere additata come ritardataria.

Barcollò qualche attimo quando si tirò in piedi, non aspettandosi il cambio drastico di prospettiva a cui i suoi occhi andarono incontro. Quasi quattro centimetri di para alta sembravano un niente visti da fuori, ma per lei che non arrivava al metro e sessanta cambiava il mondo – o quasi.  Senza contare tutto l'insieme che le venne sotto gli occhi quando si occhieggiò distrattamente in uno degli specchi presenti nella stanza.

Yuhiko rimase imbambolata a fissarsi come se si vedesse per la prima volta, con il fiato sospeso in gola per lo stupore e sondando con sguardo perplesso l'immagine che lo specchio le stava restituendo.

Le gambe erano completamente scoperte e gli anfibi la slanciavano – le avevano messo una qualche suola irrobustita per aiutarla a proteggere i piedi –, il top le arrivava alla vita lasciandole in vista la pancia – ma almeno la copriva fin sopra le clavicole. L'unico accessorio erano dei guanti senza dita che le arrivavano quasi ai gomiti. Forse avrebbe dovuto richiedere anche degli scaldamuscoli.

Yuhiko provò una fitta d'imbarazzo che la fece sentire tremendamente fuori luogo se messa a confronto che i costumi più coperti delle compagne, mentre scorreva con lo sguardo tutta la sua figura.

Quirk di merda.


​-Eira, sei pronta?-

La ragazza occhieggiò Ochaco dal riflesso nello specchio, notando che l'aveva affiancata. Aveva già indosso il suo costume e teneva poggiato sul fianco il casco rosa con un braccio. Yu le sorrise tramite il vetro, notando il suo sguardo imbarazzato che fece scorrere per la stanza mentre le osservava la divisa attillata. Immaginò la faccia che avrebbe fatto Izuku e ridacchiò senza farsi vedere, fingendo di grattarsi il naso coprendosi il viso per evitare di sembrare scortese.

-Si, solo un attimo.- Tornò al proprio armadietto, cercando le ultime cose che le mancavano sotto lo sguardo incuriosito della castana e di Tsuyu. Tirò fuori dalla valigetta un paio di bacchette da cui pendevano dei fiorellini e delle pietre ornamentali e le infilò tra i capelli, sistemandole in mezzo alla mezza coda scomposta in cui li aveva raccolti facendo in modo che cadessero ai lati opposti.

Quando fu nuovamente vicino ad Ochaco si diede un'ultima occhiata complessiva.

Sicuramente avrebbe dovuto cambiare qualcosa perché non era totalmente soddisfatta di ciò che vedeva, ma per essere la prima prova non poteva lamentarsi. Dopotutto, non si era mai soffermata a pensare seriamente alla sua divisa da Hero e all'immagine di sé che avrebbe voluto dare al resto del mondo, né immaginava che avrebbe dovuto farlo fin dai primi giorni alla U.A. Era una cosa che l'aveva colta abbastanza impreparata.

-Da che pulpito, Yu.- 

-Pronte ragazze?-

Momo lanciò uno sguardo indagatore alle compagne, ottenendo dei mormorii di assenso in risposta. Era stata una delle prime a cambiarsi ed era già pronta davanti alla porta con la mano sulla maniglia, mentre pazientemente aveva atteso che tutte si sistemassero. Yaoyorozu era già spiccata tra tutti per la calma e la compostezza che non l'abbandonavano mai ed era diventata un punto di riferimento nel giro di poche ore scolastiche per le altre.

Era come se, in un complessivo assenso silenzioso, l'avessero scelta per guidarle.

-Allora andiamo, non è educato fare aspettare.-

Yu seguì le ragazze lungo il corridoio degli spogliatoi, persa nei propri pensieri e non facendo caso agli scambi di complimenti che le altre si stavano facendo per i costumi mentre raggiungevano All Might. Per strada incontrarono anche i ragazzi ma restò nel suo mondo, riflettendo, non notando neppure Mineta che provò a toccarle una gamba e che venne fermato da un jack di Jirou. Il suono secco che fece contro il dorso della mano del ragazzo si perse nei mormorii concitati dei compagni attorno a lei trepidanti di aspettativa per la lezione che avrebbero fatto quel pomeriggio.

Nessuno badò alle lamentele di Minoru, già consapevoli dei pensieri perversi che gli attraversavano la mente fin troppo spesso e di come la pelle nuda di Yaoyorozu e Yuhiko fosse un invito. Kaminari scosse la testa sconsolato facendo spallucce e Kirishima le si affiancò, lanciandole un'occhiata incuriosito da suo silenzio che però si guardò bene dall'interrompere. 


-Io non mi spacco completamente se uso troppa forza.- 


Strinse le labbra, Eira, percorrendo il corridoio insieme ai compagni per raggiungere il professore e sentendo la tensione attraversarla come una scossa da capo a piedi. Le sembrò una strada infinita e non poté evitare di accomunarla al lungo percorso che aveva appena iniziato. Si morse una guancia per scaricare il nervoso che sentiva addosso, occhieggiando la sua classe precederla con passo fermo, le schiene dritte e i movimenti delle spalle che seguivano l'andatura sicura che stavano sostenendo, i costumi che si adattavano ai lineamenti del corpo ed i passi che rimbombavano per il corridoio deserto.

Invidiò la sicurezza che sprigionavano, infossandosi nelle spalle e domandandosi se anche lei apparisse in quel modo o se l'insicurezza che sentiva annidarsi nello stomaco in modo sempre più pressante fosse leggibile anche ad un cieco.

La figura di All Might li aspettava alla fine di quello che le era parso un lungo tunnel senza fine con le mani sui fianchi e il solito sorriso, mentre li sondava uno per uno. Yuhiko fece passare lo sguardo sul paesaggio cittadino del Ground Beta che si trovava davanti, socchiudendo le palpebre e continuando a permettere alla propria mente di perdersi in pensieri disconnessi.

Solo il giorno prima Aizawa li aveva sottoposti a delle prove fisiche in cui non aveva spiccato in nessuna in particolare, mentre tutti gli altri sembravano aver già tirato fuori il meglio dalle loro Unicità per poterle sfruttare a loro vantaggio. Si era sentita infossare mano a mano che vedeva i loro risultati e aveva guardato Izuku con la stessa punta di angosciante disperazione che lui non si preoccupava di nascondere minimamente, mentre faceva scorrere lo sguardo sul resto dei loro compagni e si osservava le mani, in silenzio, attendendo il turno per tirare la palla.

Solo quando aveva visto il dito gonfio e livido aveva capito quali preoccupazioni gli fossero passate nella testa per tutto il tempo che lo aveva sorpreso a rimuginare con se stesso. 



-Ma sei impazzito?-

Yuhiko aveva raggiunto l'infermeria non appena Aizawa li aveva lasciati liberi di andarsene dichiarando la lezione conclusa. Aveva aperto la porta ed era entrata con passo di guerra nella stanza, individuando immediatamente la figura di Deku seduta sul letto con il dito fasciato.

Recovery Girl aveva fatto qualche passo indietro, tornando a sedersi e borbottando qualcosa sulla sconsideratezza dei giovani.

-Ho dovuto, Yu! Non volevo essere espulso!- Eira occhieggiò l'ambiente bianco candido, soffermandosi per qualche attimo sulla vetrata che dava sul parco immenso che circondava la scuola e sospirando per rilasciare la tensione. Scosse la testa, grattandosi una guancia e sentendo l'angoscia lasciare spazio ai dubbi mentre si avvicinava al fondo del letto per sedervisi sopra.

Era la prima volta che vedeva Midoriya usare l'Unicità che gli aveva donato All Might. Nemmeno quando avevano provato ad allenarsi insieme o passava a trovarlo alla spiaggia ne aveva mai avuto occasione.

-Dovrai conciarti così ogni volta?- Izuku sussultò, scontrandosi con lo sguardo preoccupato che gli stava rivolgendo l'amica. Strinse un pugno assottigliando leggermente lo sguardo e Yuhiko percepì qualcosa dentro di sé tentennare, mettendola in allerta.

-Da che pulpito, Yu.- commentò con tono ovvio e senza cattiveria, ma la ragazza si sentì trapassare da quelle parole come se le stesse muovendo un'accusa tanto che restò in silenzio per vari secondi, costretta a riflettere.

-Io non mi spacco completamente se uso troppa forza.- sussurrò, facendo dondolare le gambe nel vuoto. Izuku la osservò tutto il tempo mentre si mordeva un labbro e giocherellava attorcigliandosi le dita delle mani, vedendo le parole di Aizawa realizzarsi davanti ad i propri occhi nemmeno un paio d'ore dopo averle ascoltate. Yuhiko era il primo esempio di persona che sarebbe corsa in suo aiuto non appena aveva bisogno, e lui non poteva più permetterselo.

-Per questo devo impegnarmi, Yu. Devo imparare a controllare One For All ad ogni costo!- Eira si lasciò andare sul materasso a peso morto, chiudendo gli occhi e passandosi una mano tra i capelli. Lo guardò con una punta di esasperazione dal basso della sua prospettiva un po' storta.

-Mi farai venire un infarto, prima o poi.-


-Bene, ragazzi! Siete uno spettacolo!-

Yuhiko si costrinse a tornare con i piedi per terra, scossa dalla voce prorompente di All Might fin dentro le ossa. La sentiva da mesi visto la situazione di Izuku, ma ogni volta la sorprendeva. Era come se non conoscesse cosa fosse l'esitazione – non nella Muscle Form, per lo meno. Nella sua forma scheletrica quando aveva raccontato il suo segreto era un altro discorso.

Fece qualche passo, affiancandosi a Midoriya e Uraraka che avevano appena finito di conversare. Notò Izuku rosso d'imbarazzo per la vicinanza della compagna e gli tirò una gomitata senza farsi notare. Quando Deku la guardò, spaesato da quel gesto e dall'improvvisa vicinanza dell'amica, lei gli fece l'occhiolino, indicando con un cenno eloquente del capo Ochaco. Se possibile, Izuku arrossì ancor di più sotto lo sguardo soddisfatto della ragazza, ma non commentò, impaurito dalla possibilità che avrebbe iniziato a balbettare fin troppo attirando l'attenzione degli altri.

Yuhiko tornò ad osservare All Might schiarirsi la voce e avvicinare due scatole.

-Come vi avevo detto in classe, oggi ci sarà la simulazione di una battaglia! Vi dividerò in squadre, Villain e Heroes...- Dai ragazzi si alzarono dei mormorii di eccitazione all'idea di poter mostrare le proprie doti mentre il Number One spiegava brevemente in cosa consistesse l'esercitazione.

-Mi scusi, professore!- Tenya fece calare il silenzio tra i compagni nel giro di un secondo. Si sistemò meglio gli occhiali sul naso in attesa di poter continuare e abbassò il braccio, mantenendo tuttavia la posa rigida di sempre. Ogni volta sembrava che i dubbi lo facessero tendere come una corda di violino e tale restava fino a quando non erano dissipati. All Might non ci mise molto a dargli l'assenso per continuare, incuriosito e ben disposto nei suoi confronti.

-Dal momento che in classe siamo in ventuno e le squadre saranno a coppie, ciò vuol dire che una persona rimarrà da sola? Non sarebbe pericoloso per l'incolumità dell'alunno in questione, anche nelle prossime esercitazioni?-

Eira si domandò impulsivamente che razza di problema fosse e notò vagamente Katsuki roteare gli occhi al cielo, impaziente, mentre varie paia di sguardi perplessi saettarono verso il Pro Hero. All Might sembrò pensieroso per qualche attimo, poi tossì un paio di volte e assunse un'espressione tremendamente seria.

-Il tuo dubbio è lecito, giovane Iida. No, in realtà dovevate essere ventidue in classe, ma c'è stato un ritiro improvviso e non c'è stato modo di sostituirlo, almeno per ora. Tuttavia…- Il Pro Hero fece scorrere lo sguardo su ognuno di loro, come se li stesse studiando imprimendosi nella memoria ogni particolare che riusciva a cogliere di quei giovani ragazzi che gli stavano di fronte. Gli alunni lo guardavano, in silenzio, trepidanti di attesa e incuriositi, percependo il cambio di umore del professore che come una patina iniziò ad aleggiare intorno a loro.

-... questa volta ci sarà un gruppo formato da tre persone. Se sia Villain o Hero non mi è dato saperlo dal momento che è un sorteggio. Ma è importante che ricordiate che i Cattivi non stanno a guardare in quanti sono né si fanno scrupoli di qualche tipo se vi trovate in inferiorità numerica, è importante che capiate questa cosa e impariate a sfruttare al meglio ogni situazione che vi si potrebbe presentare davanti.- Li osservò annuire determinati alle sue parole, sicuramente frutto di esperienze di ogni tipo. Chissà in quante situazioni disastrate All Might era riuscito a tirarsi fuori da solo – loro non ne avevano idea.

Midoriya trattenne il fiato ricordando la cicatrice che spiccava sul fianco dell'Eroe.

-Ha ragione, professore. Mi scuso per la domanda, avrei dovuto capirlo da solo!-

-Iida, sei esagerato...- mormorò Uraraka, vedendolo inchinarsi fin quasi al pavimento. Il resto della classe si limitò a riservargli uno sguardo stralunato.

-Forza, ragazzi! E' il momento di formare le squadre!-



***



​-Giovane Yuhiko, tocca a te pescare.- Eira si avvicinò alla scatola, infilò la mano e tirò fuori il primo bigliettino che le capitò tra le dita. C'era scritta la lettera B. Occhieggiò All Might, mostrandoglielo con mano rigida, e vide l'uomo annuire soddisfatto. Lei non ricordava chi fosse la persona di team in cui era capitata, a malapena ricordava i volti dei suoi nuovi compagni.

-Pare che tu sia finita nella squadra degli Heroes insieme al giovane Todoroki e al giovane Shouji.- commentò lui mentre osservava l'agenda su cui aveva appuntato i risultati delle estrazioni, indicandole poi i due compagni situati poco lontano. Yuhiko si voltò incontrando lo sguardo poco amichevole di Shouto.

Ah, quindi era lei il terzo incomodo.

Si morse un labbro, raggiungendo i due senza staccare gli occhi dalle proprie scarpe. Possibile che non riuscisse a dare un freno all'ansia che sentiva? Eppure il giorno dell'esame non era andata male e le era passata.

Prese grossi respiri, sorridendo a Deku e Uraraka mentre li superava e occhieggiando Bakugou poco distante, soffermandosi sulle grosse granate che portava alle braccia. Di certo non era un dettaglio che passava inosservato, ma anche i costumi degli altri non erano meno particolari – Iida le sembrava un cavaliere del medioevo, per esempio. Scosse la testa, sforzandosi di sembrare disinvolta e lasciando da parte i suoi pensieri.

-Pare che siamo noi il trio.- commentò, una volta vicina ai due ragazzi. Fece scorrere lo sguardo sull'ambiente intorno, a disagio, non sapendo bene come rompere il ghiaccio e portandosi le mani dietro la schiena. Si conoscevano solo da due giorni e non ci aveva ancora parlato. A malapena ricordava i loro nomi.

-Già, facciamo del nostro meglio. Io sono Shouji Mezo.- le venne in aiuto il più alto, producendo una mano da una delle sue estremità e mettendogliela davanti al viso per fargliela stringere. Yuhiko la guardò qualche attimo e gli sorrise, sentendosi immediatamente più rilassata per quel gesto cortese. Voltò poi il viso verso Todoroki, che li continuava ad osservare indifferente.

-Tu invece sei Todo... ?- provò, facendo qualche passo. Come aveva detto si chiamava All Might? Il ragazzo socchiuse gli occhi, senza far trasparire se quella sua dimenticanza lo avesse infastidito o meno.

-Todoroki Shouto.- Eira sentì un brivido lungo la schiena. La voce del ragazzo le era suonata gelida come il ghiaccio che copriva metà del suo costume da Hero e le si era conficcata con la delicatezza di uno spillo nelle orecchie. Pungente.

Decise di non dire altro, ritornando vicino a Shouji che le sembrava ben più amichevole, sentendo la necessità di allontanarsi dal bicromato.

Todoroki le metteva soggezione. Non aveva niente dell'espansività di Izuku, della gentilizza di Uraraka o dell'esplosività di Katsuki. Eira gli lanciò un'occhiata storta osservandolo assorto nel proprio silenzio, senza far caso alla fatto di starsi perdendo i risultati delle altre estrazioni.

-Bene, il primo incontro sarà tra la squadra A, gli Eroi, e la squadra D, i Villains! Gli altri mi seguino nella sala monitor per osservare l'incontro.-

Yuhiko vide Bakugou lanciare delle occhiate di fuoco in direzione di Deku e si portò una mano al petto, preoccupata, mentre lo osservava dirigersi all'interno dell'edificio indicatogli da All Might. Era da quando aveva usato One For All il giorno prima che Katsuki sembrava sfrigolare dalla voglia di pestarlo ed era sicura che non si sarebbe trattenuto. Non poteva nascondere di essere angosciata dal momento che Izuku non riusciva a controllare l'Unicità.

E lei era l'unica a saperlo.

E non avrebbe potuto fare nulla.

Bakugou non si era mai fatto scrupoli nei loro confronti nemmeno quando sapeva che lui era un Quirkless e non avrebbe mai potuto difendersi allo stesso modo, e la scontrosità che gli aveva sempre riservato era solo aumentata da quando aveva scoperto che non era stato l'unico ad essere ammesso alla Yuuei. Con la storia che pensava gli avesse tenuto nascosto il suo Quirk la sopportazione di Katsuki era stata bruciata e mandata in pasto all'inferno.

La mente di Yu si stava già preparando a vedere Bakugou infierire e Izuku rompersi tutte le ossa delle braccia.

Lo raggiunse velocemente mentre si stava sistemando l'auricolare insieme ad Uraraka e fece per dirgli qualcosa, ma lo sguardo di Deku la costrinse a fermarsi, inchiodata sul posto.

-Andrà bene, Yu. Non preoccuparti.-

Vide lo smeraldino dei suoi occhi luccicare di determinazione e non poté fare a meno di credere alle sue parole.



*** 



Eira superò All Might, avvicinandosi al lettino su cui stava sdraiato un Izuku ancora incosciente. Per la seconda volta in nemmeno una giornata e mezza si ritrovò ad osservare Recovery Girl mentre gli prestava le prime cure, infilandogli una flebo per reidratarlo e fasciandogli il braccio rotto con il gesso.

Ebbe abbastanza sangue freddo da non avvicinarsi troppo lasciando la Pro Hero libera di andare e venire portandosi dietro ciò che le serviva per il proprio lavoro, percependo l'odore del sangue e del disinfettante darle alla testa, ma non seppe dirsi se quella freddezza nasceva dal fatto che stesse effettivamente ancora ragionando lucidamente o semplicemente il proprio corpo si rifiutava di muovere qualsiasi altro muscolo.

Osservò il volto pieno di tagli dell'amico, la divisa strappata e bruciata, la polvere tra i capelli, e quando incontrò la carne violacea del braccio gonfio e tumefatto non poté impedirsi di sussultare, facendo un paio di passi indietro e scontrandosi contro All Might. Si portò le mani alla bocca sentendo gli occhi pizzicare senza riuscire a distogliere lo sguardo. Solo quando quella vista venne sostituita dalle candide fasciature bianche e Recovery Girl le sorrise rassicurante porgendole delle caramelle il suo animo sembrò quietarsi lievemente di fronte alla pacatezza rassicurante della donna, e si accorse che il professore le aveva appoggiato le mani sulle spalle in un tentativo di conforto che nemmeno aveva percepito.

Si avvicinò al lettino, portandosi dietro una sedia, ignorando i due Eroi che parlavano oltre la tenda che aveva tirato la dottoressa per mettere un po' di privacy.

-All Might, non può ridursi sempre in questo stato. Se continua così non potrò più curarlo perché sarà troppo debole.-

Yuhiko finse di non fare caso a quanto la colpirono quelle parole, stringendo i pugni. Sentì il proprio corpo irrigidirsi e tendere tutti i sensi come se fosse in una situazione di allerta. Si morse un labbro percependo una lacrima scapparle lungo la guancia bruciandole la pelle. Il magone che sentiva in gola quasi le toglieva il fiato e le orecchie fischiavano.

-Hai ragione, ma non sono riuscito a fermarli. Era così appassionato...-

Recovery Girl sospirò, lanciando uno sguardo storto all'uomo dietro di lei e osservandolo pensierosa per vari secondi.

-Non devi viziarlo solo perché è il tuo allievo prediletto.-

Yu smise di ascoltare, allungandosi per sfiorare la mano di Izuku ancora svenuto e lasciando che il ronzio nelle orecchie la escludesse dalla realtà. Appoggiò il viso sulle braccia incrociate sul materasso e socchiuse gli occhi, sentendo il groppo di emozioni che l'avevano assalita sciogliersi lentamente insieme alle lacrime davanti al volto dormiente dell'amico che spiccava tra le lenzuola candide.

Si era spaventata da morire.

-Questo sarebbe il tuo modo di non farmi preoccupare?-



***



Bakugou entrò nella sala monitor insieme a Iida e Ochaco, mentre Izuku era già stato portato in infermeria. La sua comparsa fu seguita da alcuni mormorii che serpeggiarono tra i compagni, ancora incapaci di capire bene ciò che era successo ed interdetti di fronte alle azioni del compagno.

Avevano assistito a quello che in altre circostanze sarebbe potuto benissimo essere quasi definito un massacro. Una cattiveria totale, oscura, gratuita. L'apice di tutti i dispetti che per anni Katsuki aveva lasciato dietro di sé incurante dei sentimenti altrui.

Yuhiko si costrinse a staccare gli occhi dallo schermo che mostrava ancora l'edificio distrutto e da cui aveva seguito il combattimento tra i due quando percepì l'odore dolciastro che si portava sempre dietro arrivarle alle narici. Mai come in quei pochi secondi le sembrò così nauseante da farle girare la testa.

Provò l'irrefrenabile voglia di cancellarlo, di non volerlo più sentire nemmeno per sbaglio.

Scattò in piedi come colta da una scossa, fissando gli occhi ancora stravolti di angoscia sul ragazzo che teneva lo sguardo ostinatamente puntato in basso. Se qualcosa cambiò nel suo atteggiamento, quando si scontrò con la sua figura alla fine della stanza, non lo seppe, però percepì immediatamente il gelo che l'aveva avvolta e gli sguardi degli altri sulla sua persona, qualcuno che provò a toccarle una spalla.

Eira sentì una rabbia cieca farle vedere tutto nero per pochi secondi e immediatamente fece leva sulle gambe per darsi uno slancio.

La voglia di restituire a Katsuki tutte le ingiustizie che gli aveva fatto subire, il dolore e le lacrime, la questione ancora in sospeso di quasi un anno prima, tutto era ritornato a galla con la forza di un uragano così potente da lasciarla stordita in balia delle sue stesse azioni. Tutto ciò che credeva sopito e cancellato in realtà era ancora lì, sotto una superficie di calma apparente che aspettava solo di essere infranta per far esplodere ciò che nascondeva.

Non voleva più sentire quell'odore dolciastro. Non lo sopportava.

Fu quando All Might le si parò davanti come se si fosse materializzato in quell'esatto punto che si rese conto di essersi mossa mentre scariche argentee scoppiettavano attorno alla sua figura. Lo fissò, stordita per la botta che aveva preso contro l'addome dell'uomo, mettendolo a fuoco attraverso lo sguardo appannato di lacrime e frustrazione, non riuscendo ad impedire alla rabbia d'indirizzarsi anche verso di lui e portandosi una mano al naso dolorante.

Ebbe la sensazione che le avesse dato un pugno, talmente la sua figura era imponente e piantata a terra, e per quanto era stato veloce a frapporsi tra lei e Katsuki intuendo ciò che stava per fare nemmeno si era accorta di avergli sbattuto contro.

Yuhiko lo fulminò senza riguardi, divincolandosi dalla mano con cui le aveva affettato il braccio per non farla cadere a causa del contraccolpo sotto gli sguardi attoniti dei compagni. Era talmente accecata dalle proprie emozioni che non se ne rese nemmeno conto.

Era lui che sarebbe dovuto intervenire prima. Era colpa sua se Izuku era nuovamente in infermeria. Era lui che aveva lasciato che Katsuki agisse come meglio credeva. Non si era preso la responsabilità di proteggerlo e aiutarlo a migliorare per padroneggiare Quirk che gli aveva donato?

Il Pro Hero la congelò con un'occhiata ed Eira si sentì istantaneamente troppo piccola anche solo per sbattere le palpebre, improvvisamente stanca e con il fiato corto e una strana sensazione di gelo che le correva lungo la schiena.

Bakugou sembrava non essersi minimamente accorto di ciò che era successo attorno a lui ed Eira lo odiò per non dare mai peso a ciò che non lo riguardava direttamente.

-Tocca alla tua squadra, giovane Yuhiko. Raggiungi i tuoi compagni per la prova.-

Yu lanciò un'occhiata storta ad entrambi, dandogli la schiena con un movimento secco e uscendo insieme a Todoroki e Shouji evitando gli sguardi perplessi della 1 A, ancora frastornata dall'opprimente peso al petto che la stava schiacciando. Cercò di calmare il proprio respiro e le mani tremanti mentre seguiva i due ragazzi verso l'edificio dove avrebbero dovuto affrontare Hagakure e Mashirao, prendendo grandi boccate d'aria e chiudendosi nel silenzio.

L'improvvisa rabbia che le era risalita fino alla punta dei capelli stava lasciando posto solo ad una profonda desolazione.

-Iniziate!-

Shouji fu il primo ad addentrarsi nell'edificio, fermandosi poco dopo l'entrata e utilizzando subito la sua Unicità. Creò un paio di orecchie e per non disturbarlo con rumori inutili Todoroki e Yuhiko rimasero fuori ad aspettare pazientemente fino a quando non si voltò verso di loro facendo cenno di raggiungerlo.

-Sono all'ultimo piano. Uno sembra girare a piedi nudi e che si stia dirigendo alle scale.- li informò, sottovoce. Eira affilò lo sguardo verso il corridoio semi buio.

-Sarà Hagakure?- ipotizzò, non rivolgendosi a nessuno dei due in particolare. Sentiva il cuore rimbombarle nelle orecchie e solo in quel momento vacillò, quando i suoi occhi si scontrarono con il nero dell'edificio e le sembrò di venire ricatapultata a qualche minuto prima, quando non aveva capito più nulla. Forse non era nello stato d'animo adatto per un combattimento. Si morse un labbro, nervosa. Doveva assolutamente cambiare quell'aspetto di lei. Non poteva lasciarsi andare alle emozioni in quel modo.

-State indietro, è pericoloso.- Yu fissò lo sguardo su Shouto, vedendolo poggiare una mano al muro e sprigionare del ghiaccio. Non ebbe tempo di chiedere nulla perché Mezo la trascinò fuori dall'edificio prima che rimanesse coinvolta nel congelamento. Si scambiò uno sguardo perplesso con il compagno, osservando sconvolta il ghiaccio avvolgere tutto il condominio e non riuscendo a reprimere dei brividi di freddo per il cambio di temperatura percepibilite tutt'attorno.

Era incredibile. Era la prima volta che assisteva ad una cosa simile. Aveva sempre pensato che le esplosioni di Katsuki fossero potenti, ma quello... quello era quasi su un altro pianeta.

Todoroki Shouto...

-La squadra degli Heroes, vince!-

Eira sussultò sul posto, incapace di parlare o perfino di esultare mentre il calore del vapore spirava attorno alle sue gambe e i complimenti di All Might si espandevano per l'aria. Sbatté le palpebre, osservando Shouto raggiungerli con espressione indifferente, guardandolo con occhi sgranati pieni di stupore e le parole morte in gola.


Todoroki Shouto non le aveva dato tempo di fare nulla.



***



​-Yu.-

L'aria di prima mattina si portava dietro ancora la freschezza dell'inverno, nonostante fosse ormai aprile. Le giornate iniziavano ad allungarsi e le persone percepivano la bellezza del mondo che si prepara ad accogliere la primavera, con il cielo di un azzurro sempre più intenso e i boccioli pronti a germogliare da un momento all'altro.

Yuhiko occhieggiò con sguardo nostalgico i fiori di ciliegio brillare sotto la luce del mattino su un albero a lato del marciapiede.

-Yu.-

Si prese tutto il tempo che voleva per imprimersi quell'immagine nella mente, come se in qualche modo potesse sgomberarla dalle ombre che di quei tempi sembravano non volerla lasciare un attimo in pace. Riprese a camminare con movimenti lenti, il volto assorto nelle proprie elucubrazioni.

-Yu!-

Sospirò, Eira, strappandosi definitivamente dai propri pensieri e posando lo sguardo sul viso di Izuku. Non le sfuggì la punta lievemente offesa con cui la stava osservando il ragazzo, restituendogli un'espressione altrettanto amareggiata.

-Che c'è?- domandò, alzando un sopracciglio e riprendendo a camminare verso l'Accademia. Midoriya fece scorrere lo sguardo sulla strada, portandosi una mano a toccare il braccio ancora fasciato. Recovery Girl non l'aveva guarito completamente perché temeva non si fosse ripreso del tutto, e quel giorno sarebbe dovuto tornare in infermeria per farle finire il lavoro.

Sua madre aveva osservato tutta sera il braccio rotto con espressione angosciata e Izuku aveva davvero temuto che si sarebbe messa a piangere da un momento all'altro per la preoccupazione. Non aveva potuto fare a meno di sentirsi in colpa nei suoi confronti, ma allo stesso tempo era più determinato che mai a superare i propri limiti. Il combattimento con Kacchan l'aveva solo reso più determinato.

Deku occhieggiò Yuhiko, accanto a lui, indeciso. Quando si era svegliato in infermeria non gli aveva detto nulla, ma non aveva potuto fare a meno di notare gli occhi arrossati e le labbra screpolate a furia di morsicare via le pellicine per il nervoso. Era balzato in piedi pronto a riempirla di spiegazioni, ma si era limitata a tirare le labbra dicendogli che era stanca, allontanandosi da lui come se fosse scottata e lasciando cadere le braccia lungo il corpo. Non aveva tirato fuori l'argomento nemmeno quando, dopo essere corso dietro a Kacchan per parlargli, l'aveva vista alle finestre insieme a Ochaco, Tsuyu e Mina.

Yu si era chiusa e lui non sapeva bene come comportarsi, perché era sempre stata pronta a tendergli la mano, a guardarlo con fermezza, a dirgli tutto ciò che pensava. In quella giornata, però, nelle ore che aveva passato svenuto, sembrava che fosse successo qualcosa che l'aveva spinta a cambiare comportamento.

Capiva fosse arrabbiata, lo notava da come stringeva i pugni e dalla camminata rigida. Ma c'era anche una punta di amarezza che le rendeva lo sguardo perso e lontano. Gliela aveva già vista un'espressione simile e non gli riportava ricordi di tempi felici.

-Non l'ho fatto apposta.- provò a dirle, cercando di intavolare un discorso di qualche tipo senza sapere bene dove volesse andare a parare. Voleva sapere cosa l'avesse turbata tanto da guardarlo a malapena, perché anche se ora non temeva più gli sguardi ed i giudizi altrui e a scuola iniziava a farsi altri amici non avrebbe mai dimenticato che era stata l'unica oltre alla sua famiglia ad averlo sempre trattarlo con lo stesso rispetto che lui aveva elargito a chiunque.

Eira esprò brevemente dal naso, come se stesse cercando di togliersi un peso che non voleva uscire.

-Non ce l'ho con te, Izuku…- Midoriya sospirò, provando un immediato sollievo a quelle parole che lenirono la sua mente tormentata dai ragionamenti come un balsamo. Poi, ebbe un'illuminazione.

Il rispetto...


-Non essere arrabbiata con Kacchan.- disse d'impulso, portandosi più vicino a lei e guardandola con occhi sgranati, colpito da quella consapevolezza come da un fulmine. Yu non aveva mai sopportato come Katsuki si comportava con gli altri e come si divertisse a schiacciare chiunque trovasse per la propria strada.

La vide tirare le labbra ed assottigliare lo sguardo, roteandolo al cielo. Poi lo portò verso di lui e Izuku poté chiaramente notare una delusione che lo lasciò interdetto, e quasi inciampò nei suoi stessi piedi per la sorpresa di quella visione a cui non era abituato.

-Non parliamone per ora, va bene? Non mi va. L'importante è che tu ti riprenda.- sentì la bocca secca e una stretta al cuore, ma non ebbe il coraggio di dire nulla.
Le prese una mano e gliela strinse mettendo da parte l'imbarazzo. Non gli venne in mente nessun altro modo per farle percepire la propria vicinanza - e il riconoscimento perché si preoccupava sempre per lui. Aveva la sensazione che si fosse rotto qualcosa, ma non sapeva bene cosa e come poterla sistemare. 

-Va bene…-



***



​-Vai pure da Recovery Girl, ti aspetto in classe.- Deku annuì, dirigendosi a passo spedito verso l'infermeria per farsi curare il braccio prima dell'inizio delle lezioni. La lasciò riservandole un'occhiata incerta, davanti alle macchinette in cui aveva appena infilato delle monetine per prendersi una bottiglietta d'acqua.

Erano arrivati con anticipo in Accademia nonostante il passo lento e svogliato a cui aveva costretto l'amico per tutto il tragitto, ma solo quando si era ritrovata per il corridoio che portava in aula si era resa conto di sentirsi strana. Pensò che prendersi del tempo per stare da sola fosse la soluzione migliore e quando il suo sguardo aveva incrociato la vetrina in cui erano esposte le bevande aveva sentito improvvisamente la gola secca.

Yuhiko sospirò, appoggiandosi al muro e guardandosi le scarpe come se fossero la cosa più interessante del mondo, incurante degli studenti che le passavano accanto per dirigersi in classe e le folate di aria fresca che entravano dalle finestre aperte. Aveva passato tutta la notte a pensare al giorno prima, a ricordare quello che le aveva detto Midoriya e il modo in cui sembrava essersi chiarito con Kacchan – chiarito era una parola grossa, forse tregua era più adatta per descrivere la situazione? Non lo sapeva, forse non voleva nemmeno, perché i gesti di anni non si potevano cancellare come se nulla fosse.

Il modo in cui si erano pestati durante la simulazione sembrava aver solo aumentato la determinazione che sentiva sprigionare da Deku di volersi migliorare e imparare a gestire One For All. E Yuhiko era contenta della cosa, davvero, perché non a caso avevano scelto di frequentare la Yuuei, perché era l'Accademia migliore in vista del futuro a cui aspiravano, e nel giro di un anno la vita del suo amico era cambiata così tanto che sperava fosse una sorta di ruota che finalmente aveva iniziato a girare per il verso giusto anche per loro.

Eppure, una parte di lei non riusciva a far tacere quella sensazione opprimente che sentiva ribollirle tra il cuore e lo stomaco, il modo tagliente in cui le scene che aveva visto attraverso lo schermo le continuavano a trapassare la mente senza riguardi.

-Sei cattivo, Kacchan.-

Eira si era sempre pentita di quella frase, si era sempre sentita in colpa per la facilità con cui quelle parole le erano sfuggite dalle labbra e il modo in cui aveva lasciato decadere quell'argomento senza più ritirarlo fuori, nascondendolo dietro sorrisi e saluti cortesi. Aveva lasciato perdere perché nonostante tutto a Katsuki voleva ancora bene e pensava di averlo perdonato, e si era protetta usando i ricordi come una scusante per far scemare la rabbia che provava. Come una codarda.

Ma lo sguardo indignato con cui Bakugou l'aveva guardata in quella via per quella che le era sembrata un'eternità si era inciso a fuoco nella sua mente. Si era sentita come gettata in uno spazio senza tempo e senza fine in cui esistevano solo quelle iridi cremisi che sembravano volerla cancellare solo guardandola, come se avesse commesso un peccato imperdonabile.

-Sei cattivo, Kacchan.-


E la sua stessa coscienza l'aveva pungolata per vario tempo, perché non le piaceva il pensiero di avere dei conti in sospeso con qualcuno. Ci aveva pensato e ripensato e dal giorno prima tutto era tornato a darle fastidio fino a farle scoppiare la testa, posandosi addosso al cuore come una patina viscosa che non riusciva a mandare via e le arrugginiva l'animo.

Eppure, Katsuki non le aveva mai dato modo di pensare che si fosse sbagliata, ad avergli detto quelle parole.



***



-Avanti, mettetevi i vostri costumi, oggi vi eserciterete nel soccorso. Vi aspetto al pullman, vedete di muovervi.-

Aizawa li aveva lasciati così, davanti agli spogliatoi, dirigendosi con passo svogliato e le mani nelle tasche dopo aver lanciato loro un'ultima occhiata indifferente. Aveva visto i suoi alunni annuire energicamente e si era lasciato scappare un sospiro, allontanandosi ed iniziando a contare mentalmente il tempo che scorreva da quando erano entrati nelle stanze.

Come aspiranti Eroi non potevano permettersi ritardi ed era importante che capissero fin da subito che dovevano sfruttare ogni secondo, altrimenti avrebbero fatto meglio a cambiare scuola e lavoro. Non aveva intenzione di sprecare tempo con gente che non prendeva seriamente gli impegni e la puntualità era una buona base per capire fin da subito le attitudini dei suoi studenti. Non si era mai fatto problemi ad espellere per motivi simili negli anni passati coloro che prendevano gli studi troppo superficialmente o che non riteneva adatti per la carriera a cui li avrebbe dovuti preparare.

Si avvicinò all'entrata del bus dando uno sguardo all'orologio, ripensando agli incontri che aveva riguardato a casa e gli appunti che All Might aveva condiviso con lui dopo la sua lezione il secondo giorno di scuola, notando istantaneamente i rapporti sbilanciati tra i ragazzi. Non che fosse una novità, dovevano imparare a conoscersi ed erano meno di due settimane che stavano insieme, ma certi elementi andavano sistemati prima che fosse troppo tardi.

Aizawa si grattò una guancia, pensieroso, osservando i primi ragazzi raggiungerlo nel parcheggio. Aveva il presentimento che quella classe gli avrebbe dato dei bei grattacapi.




-Me lo chiedo dall'altro giorno, Bakugou... non sono pesanti quelle granate?- Kirishima adocchiò la figura di Katsuki intenta a infilarsi i bracciali, a qualche passo di distanza da lui. Osservò il costume del ragazzo e con un gesto automatico allungò la mano picchiettando l'indice sulla superficie verdastra, come per saggiarne la consistenza, ma prima che potesse anche solo fare qualche pensiero o commento a riguardo Bakugou si era già allontanato con uno scatto.

Eijirou si ritrovò a guardare il vuoto con espressione perplessa, il dito ancora a mezz'aria. Cercò lo sguardo del compagno trovandolo a un paio di passi di distanza.

-Non sono affari tuoi, Capelli di Merda.- gli sibilò Katsuki, lanciandogli un'occhiataccia e infastidito dalla sua vicinanza che ogni giorno sembrava essergli sempre più appresso. Era da una manciata di giorni che quel rompiscatole sembrava trovare ogni scusa per rompergli le palle, testando i suoi nervi già tesi di loro. Gli ricordava una mosca che continua a ronzarti intorno nonostante le volte in cui provi a schiacciarla.

Gli diede le spalle per allontanarsi dai compagni ancora intenti a cambiarsi, decidendo che non valeva la pena perdere tempo insieme a quelle comparse che ci mettevano decenni anche solo per infilarsi dei vestiti. Non ci teneva ad essere accomunato a loro.

Con passo rigido si avvicinò alla porta, riservando uno sguardo di fuoco a Deku, intendo a parlare con Iida tanto da non accorgersi di lui e vedendolo visibilmente rilassato. Immaginò di fargli esplodere il sorriso che aveva in faccia e automaticamente i suoi palmi sfrigolarono d'impazienza attraverso i guanti.

Era ancora incazzato nero.

La sconfitta gli bruciava, montando dentro di lui come una bile oscura di frustrazione e insofferenza. L'idea di aver perso contro quello che aveva sempre considerato un sassolino, un'inutile comparsa nella sua vita sempre brillante, gli aveva sconvolto così tanto le certezze a cui si era abituato che l'aveva profondamente odiato per il potere che sembrava aver assunto su di lui. E ancor di più aveva mal sopportato se stesso per averglielo detto in faccia, con gli occhi brucianti di lacrime e un'insana titubanza che aveva fatto andare il suo cervello in una sorta di blackout in cui l'unico pensiero che riusciva a fare era che aveva perso.

Come una nullità qualunque.

Bakugou aprì la porta con un gesto seccato, facendola sbattere dietro di sé senza grazia tanto che il suono rimbombò per parecchi secondi lungo il corridoio.

Patetico. Era stato patetico e debole. Come quel pezzente di Deku.

Non se lo sarebbe permesso un'altra volta, non gli avrebbe permesso di guardarlo con quell'espressione vittoriosa e decisa, di sfidarlo e sostenere il suo sguardo. Poteva provarci quanto voleva, Midoriya, a superarlo e imparare a gestire quell'Unicità di merda che si ritrovava. Non glielo avrebbe permesso. Non avrebbe permesso a nessuno di superarlo. Lui era il migliore, lui non era come gli altri.

-Bakugou, abbi rispetto per la porta dell'Accademia che frequenti!- Katsuki finse di non sentire il richiamo di Iida, limitandosi a lanciargli un'occhiataccia di traverso mentre il capoclasse si affrettava a raggiungerlo con sguardo serio e a passo di marcia.

-Sta zitto, Quattrocchi.- sibilò, cercando di non perdere la precaria pazienza che aveva. Iniziare la carriera scolastica con un omicidio non sembrava la soluzione adatta.

-Bakugou, fermati!- Si costrinse a interrompere la camminata, voltandosi nella sua direzione, sentendo il sangue iniziare a pompargli nelle vene e l'irritazione fargli pulsare prepotentemente una vena del collo. Katsuki irrigidì i muscoli, spazientito per quell'ordine a cui aveva involontariamente obbedito. Notò distrattamente Kirishima allungare il passo per raggiungerli, frapponendosi per cercare di sedare quella che sarebbe stata l'ennesima discussione nel giro di pochi giorni.

Tenya era dal primo giorno che riprendeva i comportamenti di Katsuki e prima o poi era convinto che il biondo sarebbe scoppiato facendo esplodere qualcosa – o qualcuno.

-Dai, dai, Iida... non lo ha fatto apposta. Vero, Bakugou?- Tutto ciò che Eijirou ottenne fu un mezzo ringhio e uno sguardo di sufficienza a cui rispose con un sorriso forzato.

Katsuki gli diede le spalle, irritato ancor di più, raggiungendo l'esterno e posizionandosi di fronte al professore senza far caso al fatto che si mise accanto a Yuhiko. Si lasciò i due dietro di sé come se la cosa non l'avesse toccato minimamente e sentendo solo vagamente i commenti degli altri ragazzi per i suoi atteggiamenti scostanti. Tornò ai propri pensieri, cercando di dare una calmata alla tormenta di sentimenti che si agitavano dentro di lui mandandolo fuori di testa.

Agli occhi esperti di Aizawa, Bakugou aveva l'espressione di chi non vedeva l'ora di poter esplodere per sfogarsi, il cipiglio aggrottato come se qualunque cosa su cui posasse gli occhi fosse un nemico e le mani che continuavano a stringersi a pugno per la tensione. Era un lato su cui avrebbe dovuto assolutamente lavorare, se voleva iniziare ad ottenere dei risultati.

Fece passare gli occhi sugli altri alunni intenti a parlottare tra loro, scandagliandoli con occhiate veloci e facendoli ammutolire nel silenzio nel giro di pochi secondi. Si soffermò su Midoriya in tuta da ginnastica, Todoroki in un angolo in disparte ed Eira che si era allontanata lanciando uno sguardo di disprezzo verso Bakugou.

Nuovamente pensò che quella classe gli avrebbe dato dei bei grattacapi.

-Basta chiacchiere, salite. Si va all'USJ.-









































































































Ciao a tutti!
Mi scuso immensamente del ritardo, so che rivedere questa storia dopo mesi magari vi farà strano, lol. In ogni caso, non sarebbe dovuto essere questo il capitolo con cui avrei voluto aggiornare, ma uno che riprende gli eventi del primo - solo che sono bloccata con un paio di scene e non volevo farvi aspettare ancora troppo dal momento che mi è tornata leggermente l'ispirazione e questo era solo da revisionare.
Nei prossimi due capitoli torneremo sicuramente a quello che io definisco "il presente" (cioè il futuro rispetto agli eventi della U.A.), per recuperare un po' quella linea temporale che ho lasciato indietro.
Altra noticina: essendo gli eventi simili al manga/anime ho deciso di saltare alcuni dettagli che tanto conosciamo tutti per non annoiarvi troppo, un po' come se fossero frammenti di flashback. Yu è una personalità un po' complessa così come il suo rapporto con Katsuki e spero di riuscire a trasmettervi un po' dei suoi pensieri.
Ringrazio chi si è fermato a leggere, chi segue e preferisce e un ringraziamento speciale a coloro che si sono fermati a lasciarmi un pensiero, cosa in cui ammetto non speravo dal momento che gli OC ultimamente non catturano più molto interesse. Spero di tornare in tempi stretti, ho anche in progetto alcune cosine che mi farebbe piacere farvi leggere prossimamente.
Love you all,
D <3

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Quinto Petalo. ***


Cherry Blossom Tree
Quinto Petalo






Agosto.

Erano quasi le nove e mezza, ma l'orizzonte ancora possedeva quella sfumatura azzurra e violetta tipica delle serate estive, come se durante le notti di agosto continuasse a riflettere i raggi del sole che per tutto il giorno aveva dominato il cielo, senza raggiungere mai il nero profondo dei mesi più freddi.

A Uraraka piaceva l'estate, la brezza leggera che tiepida si alzava al tramonto spazzando via l'afa univoca di quelle giornate altrimenti impossibili da sopportare: le metteva addosso ancora più carica, riempiendola di voglia di fare, godendo appieno di ogni momento che le si presentava davanti come se fosse unico.

Per lei estate era sinonimo di vita, forse complice il ricordo di quando da piccola poteva godere di lunghi momenti passati a divertirsi insieme ai suoi genitori.

Si rassettò la gonna dell'abito ed entrò nel grande hotel che le si parava davanti dopo aver lanciato un ultimo sguardo sopra di sé, venendo subito accolta da una segretaria e seguendola, ritrovandosi dopo pochi minuti in una sala dedicata alla festa a cui era stata invitata: l'ambiente era luminoso quasi da accecare gli occhi, e per un attimo si ritrovò a sbattere le palpebre per scacciare la sensazione sgradevole di vedere puntinato.

Grandi lampadari erano appesi al soffitto illuminando tutto a giorno, ai lati si potevano scorgere due tavolate di buffet, i tavoli tondi erano sparsi per la sala come pallini a pois e facevano in modo che ognuno prendesse posto dove preferisse in quanto privi di assegnazione.

Uraraka diede la propria giacca ad un cameriere che le andò incontro non appena varcò la soglia e fece dardeggiare lo sguardo, incuriosita e un po' a disagio dalla grande quantità di gente che non si aspettava d'incontrare: riconobbe le figure di Nejire e FatGum in mezzo alla folla, Shoji in un angolo insieme a Tokoyami e quelli che intuì fossero compagni di agenzia, e in tutta la sala pullulavano altri Pro con cui aveva avuto il piacere di collaborare sul campo o che comunque conosceva di fama da quando era ancora alla Yuuei.

Uraraka restò sorpresa nel vedere così tanti volti amici riuniti per quell'occasione a cui aveva deciso di partecipare solo perché fortemente costretta da Ryoko, con cui ormai lavorava fissa da dopo il diploma.

Avrebbe preferito passare la serata lavorando o ancor più rilassandosi a casa, magari davanti alla tv dopo un bel bagno rilassante e con dei mochi da mangiare, ma il suo capo l'aveva convinta smuovendole la coscienza e ricordandole quanto fosse importante anche solo fingere di mostrarsi interessati anche a ciò che scindeva dalla propria carriera.

Inoltre, quell'occasione non si allontanava poi di molto dal mondo del suo lavoro, in realtà: l'impresa specializzata nella creazione di Hero Suits – tra cui la sua – aveva organizzato una festa per il cinquantesimo anniversario dalla fondazione, invitando tutti coloro a cui i suoi team di scienziati avevano avuto l'onore di creare i costumi o gli attrezzi di supporto per ringraziare della fiducia e cogliendo l'occasione per presentare nuove tecnologie che stavano sviluppando.

Ochaco adorava il suo costume fin da quando lo aveva indossato la prima volta e i team le erano sempre venuti incontro accogliendo ogni sua richiesta di modifica.

Presenziare glielo doveva, in un certo senso, quantomeno come tacito ringraziamento per l'impegno messo nel lavoro durante quegli anni in cui aveva avuto l'occasione di confrontarsi con gli inventori.

Uraraka si riprese da quelle considerazioni scuotendo la testa, decidendo di prendere posto ad un tavolo a cui poco prima aveva visto seduto Katsuki e ritrovandosi calamitata verso quella parte di sala come un automa, confortandosi nel pensiero che fosse l'unico a cui probabilmente non fregava davvero niente di tutto quello che gli stava intorno e con cui non si sarebbe dovuta sforzare per mostrarsi allegra.

Si sentiva fuori luogo, in mezzo a tutta quella gente vestita elegante, e nonostante avesse fatto del suo meglio per sistemarsi di tutto punto aveva appiccata addosso la sensazione terribile di essere la pecora nera del branco, quella che dava parte del suo stipendio per aiutare i genitori con le spese e si limitava a vivere in affitto.

Solitamente non avrebbe nemmeno fatto quei pensieri, Ochaco, andando fiera della sua carriera e tutte le motivazioni e gli ideali che l'avevano spinta a dare sempre il massimo, ma il suo umore sotto i piedi di quei giorni non aiutava, facendole vedere tutto grigio. Si sedette al tavolo rilasciando un grosso sospiro di rassegnazione, accorgendosi, però, che di Bakugo non c'era traccia. Non che la cosa la sorprendesse: per lui quei tipi di incontri erano una perdita di tempo.

Chissà chi l'aveva convinto a partecipare...


La mora si occhieggiò intorno con disinteresse, posando il volto su una mano e rigirandosi il calice di vino tra le dita, pensierosa, accorgendosi del fragore scatenato dal battito di mani solo perché qualcuno accanto a lei fece un fischio di approvazione che le vibrò nel timpano per diversi secondi. Se avesse potuto gli avrebbe spaccato il bicchiere in testa. Sul palco qualcuno aveva iniziato a parlare.

Si voltò giusto per dare l'impressione di stare ascoltando, totalmente persa nella propria mente.



***



-Scusami, aspetti da molto?-

Ochaco alzò lo sguardo dal cellulare, sbattendo le palpebre un paio di volte per essere sicura di non stare avendo una visone.

Izuku era davanti a lei, vestito con una semplice maglietta bianca e dei jeans, il volto trafelato e i capelli scompigliati leggermente all'indietro in quell'acconciatura tipica che assumevano quando si aiutava con il suo Quirk per muoversi tra i palazzi per fare prima.

Anche in quelle condizioni però, che qualcuno avrebbe definito parecchio pietose, per lei rimaneva sempre il più bello.

L'aveva visto ferito, con il volto contuso, ammalato, addormentato, agitato, ansioso, rilassato, felice. Izuku ai suoi occhi era sempre bello, di quella bellezza genuina, delicata come un fiore che sboccia senza disturbare nessuno ma che fa uno degli spettacoli più affascinanti della natura, e ne era talmente innamorata che in qualsiasi salsa si sarebbe fermata per ore a osservarlo in ogni particolare.

Si schiarì la voce e gli indicò la sedia, ingoiando un groppo di saliva.

-No, figurati... non più del solito.- disse, non riuscendo a trattenersi dal dare voce alla rassegnazione che provava. Deku la faceva aspettare spesso, quando avevano un appuntamento, e certe volte la cosa le pesava enormemente – specialmente quando era lui ad invitarla fuori, o quando succedeva qualcosa a lavoro che la turbava particolarmente.

Come un paio di giorni prima, in cui durante un furto il gestore del negozio aveva perso la vita. A nulla era valso l'intervento degli Heroes, purtroppo la segnalazione era arrivata tardi e i ladri erano già scappati.

Uraraka sentiva la bile rimestarsi ogni volta che ripensava alla scena che si era trovata davanti quando era accorsa: sangue, sangue, e ancora sangue, una violenza inaudita contro una persona che non poteva nemmeno difendersi, quasi... quasi come se si fossero divertiti a torturarlo. Perché? Le indagini erano in corso, tuttavia Ochaco dubitava che anche trovando i colpevoli avrebbero avuto una buona motivazione per quel gesto.

Forse, semplicemente, certe persone nascevano con la violenza nel sangue.

Ed era per situazioni come questa che non riusciva ad avercela davvero con Deku, in fondo: era consapevole che il loro lavoro veniva prima di tutto, e sapeva quanto per lui fosse importante essere l'eroe migliore in circolazione e il senso del dovere che ne seguiva, ma... avrebbe preferito che certe volte fosse sincero, dicendole chiaramente che non sarebbe riuscito a vederla, invece di farla aspettare. Se non altro, avrebbe potuto occupare il tempo portandosi avanti con altre cose e magari si sarebbero visti a casa di uno dei due una volta che l'emergenza fosse rientrata.

Lo capiva, Ochaco, lo capiva sul serio che il loro lavoro lasciava davvero poco spazio alla famiglia ma... non pensava in quel modo.

La ragazza si morse l'interno di una guancia, occhieggiando Midoriya di sott'occhi e notando come lui la stessa già osservando.

-Cosa c'è?- domandò, e percepì chiaramente il cuore saltarle in gola e ripiombarle nello stomaco per l'intensità sprigionata da quelle iridi smeraldine davanti a cui si sentiva praticamente nuda.

Deku si passò una mano tra i capelli, allungando un braccio sul tavolo per cercare la sua mano.

-Mi dispiace davvero.- mormorò, guardandola negli occhi. Aggrottò le sopracciglia, segno che stava iniziando a far lavorare la mente.

-Non fa niente, tranquillo!- lo rassicurò lei, ma la sua voce suonò troppo acuta perché fosse naturale e si pentì per non riuscire a controllarsi meglio. Era vero che le spiaceva, e a volte s'innervosiva, ma era anche vero che amava Izuku e, facendo lo stesso lavoro, ed essendo praticamente cresciuti insieme durante i tre anni alla Yuuei, non avrebbe mai potuto avercela per troppo tempo.

Sapeva quanto lui si fosse impegnato per migliorarsi ogni giorno, tutto ciò che aveva affrontato per arrivare fino a lì ed era convinta che davanti a sé avesse una carriera brillante: era adorato da tutti ed era praticamente nella top ten della nuova generazione di Heroes. Non sarebbe stata di certo lei a bloccargli la strada e tarpargli le ali.

-Piuttosto, volevi dirmi qualcosa?- cercò di cambiare discorso, prendendo il menù per scegliere cosa mangiare. Uraraka optò per prendere direttamente un piatto che saziasse il buco che le si era formato allo stomaco, dal momento che l'ora per l'aperitivo per cui si erano organizzati era ormai passata.

-Si, ma... dopo, ne parliamo dopo. Prima raccontami la tua giornata.- Midoriya si perse ancora qualche minuto a guardare il menù, cercando di prendere tempo e sperando che la ragazza accogliesse la sua richiesta. Era già abbastanza agitato, non si sentiva ancora pronto ad affrontare il discorso che avrebbe voluto farle e su cui aveva meditato per mesi e mesi – se non anni.

Era giunto il momento che si togliesse un peso dallo stomaco, ma una parte di sé temeva di stare facendo una scelta sbagliata e affrettata.

Scosse lievemente la testa per scacciare quei pensieri.

Si, era giunto il momento... con Ochaco era da tempo che desiderava fare il passo successivo, ma finché non fosse riuscito ad essere del tutto sincero nei suoi confronti la voglia di domandarle di costruire un futuro insieme veniva annientata dal senso di colpa per averla tenuta all'oscuro da anni di uno dei suoi segreti più importanti.

Temeva che se avesse saputo che in realtà era nato Quirkless lo avrebbe guardato con occhi diversi, come un oggetto nato difettoso e che qualcuno aveva provato a riparare ma che non sarebbe mai riuscito ad eguagliare quelli che non si erano rotti.

Sapeva che era un ragionamento stupido, sapeva quanto Uraraka fosse di buon cuore, sincera e leale, ma... certe volte l'angoscia di non sapere come avrebbe potuto reagire gli bloccava il sangue nelle vene anche quando era sul punto di rivelarle tutta la verità.

Ma quella sera sarebbe stata diversa – forse.

Il pensiero di essere arrivato in ritardo sicuramente non lo rassicurava, dandogli la sensazione di un incontro iniziato già male e che si sarebbe potuto concludere ancora peggio: capiva ormai troppo bene quando Uraraka gli mentiva solo per non fargli sentire il peso della propria delusione e non voleva rischiare di fare qualcosa per allontanarla.

Izuku cercò di scacciare quei pensieri e concentrarsi sul presente, sorridendo a quella che a tutti gli effetti considerava la sua ragazza e chiamando il cameriere per ordinare.

Doveva stare tranquillo. Sarebbe andato tutto bene.




***



-Hai intenzione di andare avanti a sbuffare ancora per molto? Sembri una locomotiva.-

-Bakugou!-

Uraraka si portò una mano alla bocca, imbarazzata, accorgendosi di aver praticamente quasi urlato per la sorpresa. Alcuni le lanciarono delle occhiate stralunate e si affrettò ad infossarsi nelle spalle, a disagio, come se potesse in quel modo confondersi con la sedia e non essere vista.

Katsuki alzò un sopracciglio, assumendo la tipica espressione tra lo scocciato e il rassegnato.

-Brava Faccia Tonda, ti ricordi come mi chiamo.- la prese in giro, incolore. Tuttavia continuò ad osservarla, come se la stesse studiando. Ochaco lo trovò un comportamento piuttosto strano dal momento che Katsuki difficilmente mostrava qualsiasi tipo di interesse in modo così palese.

-Scusa, mi hai spaventata.- si giustificò, grattandosi una guancia e ridacchiando per il disagio. Lanciò una veloce occhiata al ragazzo, accorgendosi che aveva spostato la sua attenzione sulla persona che stava sul palco e capendo fosse un modo per non andare avanti a parlare.

Uraraka ascoltò giusto qualche frase per cercare di capire il contenuto del discorso – lo studio di una nuova tipologia di tessuto ignifugo –, ma si ritrovò subito annoiata dalla cosa. Sicuramente Izuku, curioso e assetato di informazioni com'era, ne sarebbe stato più entusiasta.

Izuku...


Lo sguardo di Ochaco si adombrò, fissandosi sul telefono privo di notifiche abbandonato da parte al piatto da buffet incolto.

Alla fine la serata era passata piuttosto in fretta e purtroppo erano entrambi stati richiamati per un'emergenza, dal momento che alcuni Villain sotto stupefacenti si stavano divertendo a seminare il panico nel centro città. Di tempo per parlare non ne era avanzato ed erano ormai quattro giorni che lei ed Izuku non si riuscivano a vedere.

Il desiderio di sapere cosa Deku avesse da dirle la stava mangiando viva, ma temeva fosse qualcosa di negativo e non aveva più avuto il coraggio di tirare fuori il discorso, troppo spaventata all'idea che le spezzasse il cuore, magari dicendole che aveva preso la decisione che era meglio lasciare le cose come stavano e non valeva la pena proseguire.

Ochaco sperava da tempo che le chiedesse di ufficializzare la loro relazione, alcune volte le era
anche quasi sembrato che stesse per iniziare a farle un discorso serio e ci aveva sperato – ci aveva sperato davvero fosse giunto il momento che aspettava da anni – ma il ragazzo non aveva mai fatto cenno della cosa. Si sentiva confusa dal comportamento di Midoriya e la sola ipotesi di starsi facendo castelli in aria da sola la faceva soffrire terribilmente.

-Faccia Tonda?-

Uraraka sorseggiò un po' di vino, socchiudendo le palpebre ed osservando Katsuki. Inarcò un sopracciglio, in una muta domanda. Il biondo incrociò le braccia al petto e distolse lo sguardo, poi scoccò la lingua, come se parlare gli costasse una grande fatica.

-So che è successo qualcosa con Deku. Sono tre giorni che quel dannato Nerd gira in ufficio con il muso lungo. È ancora più insopportabile del solito.-

Ochaco percepì i brividi lungo la schiena nel sentire il nome di colui che fino a quel momento le era ronzato fra i pensieri. Si sentì arrossire fino la punta dei capelli e fece per aprire bocca ma Katsuki la precedette, inchiodandola alla sedia con l'espressione più scocciata che gli avesse visto in quel breve lasso di tempo in cui lo aveva avuto davanti.

-Vedi di fare qualcosa se non vuoi ritrovarti single.-




***



Settembre.

Dlin Dlin.
Dlin Dlin.

Reiji si rigirò nelle coperte, tirandosi il lenzuolo fin sopra la testa e seppellendo la faccia contro il cuscino così forte che per qualche secondo non riuscì a respirare.

Sentiva un fastidioso ronzio nelle orecchie che gli stava iniziando a far venire mal di testa e, esasperato, mosse la mano a casaccio nel tentativo di mandare via quella che credeva essere una zanzara fastidiosa che ancora aveva il coraggio di svolazzare in giro.

Dlin Dlin.
Dlin Dlin.

Nella stanza buia, da cui non filtravano nemmeno i raggi del sole a causa delle tende tirate e le imposte chiuse con la sicura e il silenzio regnava come una patina surreale, tentò di raccattare i residui della placida sensazione di stare dormendo benissimo per ignorare pesantemente quel suono che si era infiltrato nei suoi sogni rovinandogli quello che già era un sonno parecchio leggero, strappandolo dall'abbraccio rassicurante del materasso tiepido e facendolo ripiombare nel mondo dei vivi con una delicatezza ossessiva.

Ormai non più in dormiveglia e con la mente che iniziava suo malgrado a lavorare, l'uomo si rese conto che quello che l'aveva svegliato era un suono, talmente basso che non sembrava provenire dalla stanza ma persistente abbastanza da finire per rimanergli incatenato nei timpani.

Dlin Dlin.
Dlin Dlin.


Aprì gli occhi combattendo contro le palpebre pesanti, la consapevolezza che lo colpiva come una doccia gelata. Era la suoneria del suo telefono.

Chi diamine lo chiamava in piena notte?

Mettendosi seduto e focalizzando lo schermo illuminato sulla scrivania si ringraziò mentalmente per aver abbassato il volume la sera prima. Non immaginava altrimenti che risveglio brusco si sarebbe dovuto subire.

Reiji sospirò, decidendo di alzarsi per vedere chi fosse a cercarlo – magari era un'emergenza.

Agente Miyamoto
.

Hamato corrugò le sopracciglia, accettando la chiamata, domandandosi perché lo stesse cercando durante le sue ferie – credeva di essere stato abbastanza chiaro sul fatto che non volesse essere disturbato. Sicuramente doveva essere successo qualcosa.

-Pronto?- mormorò, cercando di tenere un tono di voce controllato e tornando verso il letto. Non voleva rischiare di svegliare suo padre, che dormiva nella stanza accanto.

-Finalmente hai risposto, Partner!- l'uomo si stropicciò gli occhi, sedendosi. Si accorse che erano le otto e venti del mattino rivolgendo un'occhiata all'orologio appeso alla parete sopra il comodino.

Quindi non era piena notte... e probabilmente suo padre era già sveglio.

-Cosa è successo?- domandò, incolore. Ormai sapeva troppo bene che quando riceveva chiamate di lavoro doveva scattare e tornare in centrale a Shizuoka. Era un aspetto che poteva piacere come no – a lui, essendo solo, non cambiava la vita. Per un breve attimo sperò che il collega volesse magari solo sapere come stesse, intrattenendolo in uno dei suoi discorsi dai toni ogni tanto troppo esaltati per i suoi gusti.

-Un'auto è esplosa a Yaizu, sono coinvolte due persone. Vogliono che indaghi, Detective.-

Perfino dal telefono Reiji sentiva i mormorii sommessi che animavano il posto di lavoro in cui era praticamente cresciuto. Miyamoto si perse qualche secondo a salutare qualcuno e l'uomo attese pazientemente che gli desse nuovamente attenzione.

-Perché io? Sono in ferie per altre due settimane, fino a prova contraria.- gli fece notare, iniziando ad aprire le finestre e le tende per fare entrare luce. La giornata era parecchio soleggiata: sicuramente avrebbe fatto molto caldo nel pomeriggio.

-Non lo so, forse perché sei il migliore della centrale e diventerai Ispettore?- lo canzonò il collega, e Hamato scosse la testa, roteando gli occhi.

Quella dannata promozione che gli avevano promesso e che stentava ad arrivare.

I superiori pretendevano di più, sempre di più, come se nella vita esistesse solo il lavoro.

Era vero che si era dedicato per vent'anni alla giustizia, accorrendo ad ogni chiamata, sottostando ad ogni ordine felice di rendersi utile e sentendo di fare ciò che riteneva più giusto... eppure all'indecenza umana non c'era fine. Succedeva sempre qualcosa. Dopo anni ed anni passati ad indagare sugli omicidi più disparati iniziava a sentirsi prosciugato – ma non così tanto da mollare il lavoro come era successo ad altri suoi colleghi.

Lui avrebbe resistito.


Non c'era soddisfazione più grande che dare giustizia alle vittime e un po' di sollievo ai familiari arrestando i criminali.

Strinse le labbra, tornando a concentrarsi.

-Va bene. Parlami del caso.- disse, mettendo il vivavoce e iniziando a vestirsi. Le pagine degli appunti che Miyamoto doveva aver preso grattarono tra loro producendo interferenza, poi calò silenzio. Hamato sentì il collega schiarirsi la gola.

-Dunque... l'auto esplosa è quella dei coniugi Rakane. Abitano... abitavano a Yaizu. Sono gente d'affari, ricchissimi e con parecchi agganci nel mondo imprenditoriale e politico. Il Sig. Rakane è morto nell'esplosione, la moglie, Genma, è in coma in ospedale, e non si sa se si risveglierà.- l'agente si fermò un attimo e si sentì una pagina venire sfogliata. Reiji attese pazientemente che riprendesse a parlare, mentre raccattava le sue cose e le riponeva nel piccolo trolley che aveva utilizzato per il viaggio e che teneva sotto il letto.

-Il primo sospettato è il figlio. È risaputo non avesse un buon rapporto con i genitori, litigava spesso, a detta degli amici delle vittime, probabilmente per questioni di soldi. L'ipotesi è che abbia manomesso l'auto facendolo passare per incidente. Ah, cosa più importante... non ha un alibi.-

Hamato si accigliò, prendendosi il tempo necessario per riflettere. Afferrò il telefono e se lo portò all'orecchio, innervosito.

-Mi pare siate a buon punto. A che vi servo io?- domandò, alterato all'idea che gli stessero rovinando le vacanze per un caso così semplice e che sembrava essere già stato risolto. Miyamoto sospirò pesantemente e Reiji allontanò l'apparecchio, infastidito, accorgendosi di avere ancora il vivavoce attivo. Si grattò la nuca, sentendo il bisogno di fare colazione dalle fitte che iniziava a dargli lo stomaco.

Aveva la sensazione che ciò che gli avrebbe detto l'agente non gli sarebbe affatto piaciuto dal tempo che ci stava mettendo a rispondere.

-Il figlio dice di essere innocente, e non ci sono prove effettive che lo colleghino all'auto. Vogliono che indaghi perché sei il migliore nello scovare gli indizi più improbabili e hai chiuso quasi tutti i casi che ti sono stati affidati.-

Reiji soffocò una risata di ilarità, lasciandosi andare a peso morto sul letto.

Ovviamente, i casi spinosi sempre a lui, come se avesse una bacchetta magica con cui fare il proprio lavoro. A volte sembrava che gli altri detective non capissero che era solo questione di attenzione, cercare prove, ingegnarsi per scavare oltre la superficie e riuscire a ottenere la verità, passare notti insonni a cercare collegamenti – e, forse, bisognava avere anche un pizzico di fortuna.

Reiji sospirò mordendosi il labbro e occhieggiando la valigia suo malgrado già pronta sul lato vuoto del letto.

Non gli piaceva per niente l'idea di lasciare suo padre da solo dopo che era arrivato da meno di una settimana, e dopo avergli promesso che avrebbero passato del tempo assieme pescando e andando in barca come quando era bambino: sua madre era morta da qualche anno e suo papà era rimasto praticamente da solo. Saperlo senza più una compagnia lo turbava profondamente, anche se non glielo avrebbe mai confessato apertamente.

Forse, se si fosse fatto una famiglia, avrebbe potuto almeno riempirgli le giornate con dei nipoti... Hamato scosse la testa, rendendosi conto che la carriera era sempre stata la sua unica aspirazione nella vita, tanto che una parte di lui non riusciva a sottrarsi al suo dovere e già si dibatteva per cercare di poter visionare il caso in prima persona il prima possibile.

-Ci sei? Mi stai ascoltando?-

Reiji si riscosse dai propri ragionamenti, tornando alla realtà. Si alzò e andò vicino alla finestra, osservando la figura di suo papà in giardino intento ad annaffiare l'orto. Indossava un cappello di paglia per ripararsi dal sole, una camicia a quadri dai colori discutibili e dei pantaloni corti, di quelli in cui erano visibili i rattoppi che sua madre gli aveva fatto sulle tasche dietro e che probabilmente non avrebbe mai buttato via.

Si costrinse a non fare caso alla stretta al cuore che sentì immaginando la sua espressione quando gli avrebbe detto che doveva tornare a lavoro, promettendo a se stesso che avrebbe chiuso il caso il prima possibile e sarebbe tornato per passare insieme i giorni di vacanza che ancora gli spettavano.

-Parto appena posso. Inviami per mail i dettagli del caso.-




***



-Sei in anticipo tesoro, come mai?-

Lume finì di scendere le scale con un piccolo salto, raggiungendo la madre in sala. Stava seduta al tavolo con la solita tazza di caffè in mano e le sorrideva, sembrando quasi compiaciuta e sollevata di non dover vedere la figlia girare per casa come un missile disturbandole la tranquillità mattutina in cui si rinchiudeva ogni giorno.

"Ancora non ci sono sviluppi riguardanti il caso della coppia coinvolta nell'incidente d'auto…"

Lume occhieggiò la televisione, facendo spallucce e sedendosi su una sedia. La voce del giornalista le arrivò come un sottofondo ovattato. Fece passare lo sguardo ancora assonnato sulle cose che si trovava davanti, sentendo l'aria fresca di settembre infilarsi sotto la maglia leggera.

La signora Swartz ogni mattina apparecchiava il tavolo con zucchero, una caraffa di caffè bollente, biscotti, fette biscottate, marmellata e succhi di vario tipo, sperando che la figlia le facesse compagnia prima che andasse a lavorare. Ma Lume non era una patita della puntualità, e le volte in cui poteva concedersi di bere o mangiare qualcosa chiacchierando con la donna erano davvero poche. Nonostante tutto, la madre continuava ad apparecchiare la tavola ogni giorno, fin da quando era piccola e ancora non sapeva allacciarsi le scarpe da sola.

Una routine che l'aveva sempre accompagnata.

Lume si domandava sempre cosa la spingesse a ripetere ogni giorno la stessa azione da quando aveva iniziato a pensare sempre più per se stessa in autonomia, ma le poche volte in cui lo aveva fatto concretamente la donna le aveva risposto nel modo che ormai doveva essere la spiegazione che si era data per la sua figura materna ed il lavoro che vi stava dietro.

-Sono tua madre, Lume, è naturale che ti prepari la colazione.-


La ragazza sospirò, immergendo un biscotto nel caffè e stropicciandosi gli occhi.

Non osava immaginare quale sarebbe potuta essere la sua reazione se le avesse detto che aveva intenzione di prendere casa. Forse avrebbe dovuto parlarne prima con suo padre, in modo che almeno, nel momento in cui avesse fatto quel passo, avrebbe avuto la certezza di poter contare sul suo appoggio. Suo padre quando la guardava si scioglieva e raramente era riuscito a negarle qualcosa.

Era il suo Raggio di Sole, le diceva sempre.

Lume si riteneva fortunata del rapporto che aveva con i suoi genitori, sempre presenti in ogni istante importante della sua vita, ma molte volte la presenza di sua madre la portava all'esasperazione, dandole la sensazione di farle mancare il fiato per l'ossessività con cui le stava dietro.

-Come stai?- Swartz alzò lo sguardo dalla tazza, incrociando gli occhi seri della donna. La stava studiando, attentamente, con l'espressione affilata e i lineamenti rigidi tipici di quando cercava di scoprire qualcosa ad ogni costo. Lume sentì un misto di disagio e irritazione.

-Bene.- mormorò, ma suonò poco convincente perfino per se stessa. Prese un lungo sorso di caffè, stringendo il manico della tazza fino a far sbiancare le nocche e sentendo i polpastrelli bruciare per la ceramica troppo calda.

-Da quando è successa quella tragedia al signor Fukuda non sei più la stessa, Lume...- occhieggiò la madre scuotere la testa con la coda dell'occhio, abbassando poi lo sguardo sulla tovaglia, dispiaciuta. Sentiva ancora la gola ardere per il liquido appena ingerito e si schiarì la voce.

-Beh, non è facile. Alla fine lo conoscevo da tre anni.- le spiegò, cercando di dissimulare. C'erano cose che a sua madre non poteva dire. Che non poteva dire a nessuno.

Lume strinse un pugno sotto il tavolo, sentendo un magone bruciarle nel petto.

La morte di Markus li aveva spiazzati tutti.

Bushijima le aveva concesso dei giorni liberi appena avevano saputo la notizia, ma in realtà li aveva passati parlando con la polizia e gli investigatori che si occupavano del caso cercando di ricordare ogni particolare che potesse essere utile per spiegare le motivazioni dietro il suo gesto.

Si morse un labbro, fissando il vuoto davanti a sé.

Se non avesse avuto un alibi, era sicura che dopo le sue risposte anche Tobio sarebbe stato indagato come sospettato, proprio per il rapporto che sembrava essersi incrinato nei mesi precedenti la sua scomparsa e perché sembrava essere l'unico appiglio a cui si sarebbero potuti attaccare – e probabilmente sarebbe stata proprio colpa sua, dal momento che era quella che li vedeva insieme più spesso e non aveva potuto negare i litigi a cui assisteva.

Lume sospirò, stanca.

Non si sarebbe mai abituata a vedere la porta dell'ufficio perennemente chiusa, a non sentirlo più chiederle se volesse un caffè, o di fare una pausa, o ironizzare che avrebbero dovuto segnare sul calendario le volte in cui Bushijima si complimentava perché non era da lui farlo.

Markus Fukuda era stato un po' come un esempio da seguire, era stato il primo ad aver incontrato il giorno del colloquio e a presentarla a Tobio con un sorriso smagliante e la convinzione che aveva trovato la persona che stava cercando per prendere il suo posto. Le aveva insegnato tutto ciò che che riguardava il suo lavoro, dal momento che non aveva più tempo per stare dietro a tutto vista l'importanza che il Museo acquisiva sempre maggiormente e c'era sempre qualche trattativa per le opere da esporre o rivendere a cui avrebbe dovuto partecipare con Tobio.

Era stato lui a darle fiducia e aiutarla a costruirsi una carriera di cui andare segretamente fiera mentre faceva piccoli passi verso un'indipendenza che sembrava sempre più vicina. Una persona buona, sempre sorridente, accomodante, la parte esuberante in giornate di lavoro altrimenti troppo deprimenti e monotone e forse qualcuno con cui ipoteticamente si sarebbe vista insieme negli anni futuri.

E lui... lui non c'era più.

Il profondo sospiro che sfuggì a sua madre la riscosse da quei pensieri. Lume ebbe un fremito che le fece tremare il respiro, poi occhieggiò l'ora sullo schermo della televisione e si alzò, sentendosi troppo costretta nelle mura di casa. Aveva bisogno di restare sola ancora un po', con i propri ragionamenti e ripensando agli ultimi eventi che avevano stravolto la vita a cui era abituata.

Diede le spalle a sua madre ignorando volutamente i suoi occhi azzurri scrutarla angosciati, sentendo l'ansia che la donna provava nei suoi confronti e il modo in cui la stava guardando infastidirla profondamente. Si sentiva già abbastanza stravolta da tutto ciò che era successo, non aveva voglia di sorbirsi costantemente anche sua mamma. Lume odiava profondamente quel comportamento, quando le lanciava quelle occhiate preoccupate come se stesse cadendo a pezzi senza che potesse fare niente – quando si sarebbe accontentata semplicemente che provasse a ridarle un po' di quotidianità.

Possibile che non capisse che avrebbe voluto solo un po' di conforto, una parola di coraggio, anche se era consapevole che non avrebbe di certo aggiustato le cose?

A Lume sembrava quasi che non si preoccupasse per la sua sofferenza o di come l'avesse sconvolta quel cambiamento nella sua vita – la sua vita quasi sempre perfetta, a tratti monotona –, quanto più di se stessa che si era ritrovava improvvisamente con una figlia che non si comportava più come era sempre stata abituata a vederla e che, quindi, la faceva impensierire.

Afferrò la borsa cercando di mettere da parte la stizza che stava gorgogliando nelle vene.

-Sarà meglio che vada. Ciao mamma.-



***



L'entrata del Museo era stranamente deserta, quella mattina, ma Swartz non ci fece caso mentre entrava con passi misurati e attraversava la grande hall davanti alla biglietteria. Salutò la segretaria e la guardia all'ingresso con un cenno del capo, dirigendosi verso la solita porta riservata solo ai dipendenti mentre il tepore che aleggiava per l'ambiente le riscaldava le membra intorpidite dal primo freddo autunnale.

Per una volta tanto era in largo anticipo e voleva godersi ogni momento che quella sensazione le lasciava addosso.

Timbrò, si sistemò la camicia, si lisciò i pantaloni e una volta appeso il cartellino alla giacca si diresse con gesti automatici verso gli uffici, occhieggiando i corridoi ancora deserti. Era raro che non incrociasse quasi nessuno mentre girava per l'edificio, ma con l'arrivo della stagione invernale le persone tendevano ad uscire di casa più tardi e la tragedia che si era consumata settimane prima non si poteva dire non avesse avuto ripercussioni sulle attività del Museo.

Per una settimana avevano sospeso ogni tipo di visita e rimandato gli appuntamenti. La scusa era stata che chiudevano per lutto – e in parte era veritiero –, ma in realtà la polizia aveva analizzato ogni stanza del museo, le telecamere e gli uffici in cerca di qualsiasi indizio e lei e Bushijima erano stati chiamati più volte in centrale.

Lume sospirò affrettando il passo e scuotendo la testa per distogliere la mente da quei ricordi, cercando di focalizzarsi sul presente: se non si ricordava male, quel giorno avrebbero avuto un paio di scolaresche in gita e Tobio aveva in corso un paio di trattative per tre quadri e una statua egizia.

Osservò il suo riflesso nella vetrina in cui era racchiuso un orologio, trovando il proprio volto dimagrito e dal colorito spento, i pantaloni dal taglio dritto che la rendevano ancora più slanciata e snella.

Forse sua madre non aveva tutti i torti quando le diceva che era cambiata. Ma come avrebbe potuto non farlo?

Si torturò le dita riprendendo a camminare, persa nelle proprie riflessioni e facendo vagare gli occhi per gli ambienti che superava senza vedere davvero ciò su cui si posava il suo sguardo. Sentiva le proprie gambe muoversi automaticamente e si domandò se ad occhi esterni non sembrasse tanto un automa, perché era esattamente come si sentiva in quei giorni.

Arrivata alla sua scrivania vi posò sopra l'agenda, trovando la luce della stanza già accesa senza sorprendersi: Bushijima era sempre stato un gran lavoratore, il primo ad arrivare e l'ultimo ad andarsene e sembrava che il lavoro fosse l'unica cosa che riuscisse a rapirlo in quelle giornate più di quanto già non facesse. Forse era l'unico appiglio che aveva per distrarsi.

Alzò le tapparelle per far filtrare il sole mattutino e si chinò verso il pc per accenderlo, iniziando a ragionare mentalmente su ciò che avrebbe dovuto fare quel giorno. Mentre sfogliava i documenti posati sulla tastiera occhieggiò velocemente le due porte che si trovava di fronte, aspettandosi di trovarle entrambe chiuse come succedeva da settimane a quella parte e pronta a sentire la fitta di nostalgia soffocarle il cuore come succedeva ogni volta.

Restò interdetta quando si rese conto che la porta di Fukuda era spalancata.

Lume rimase immobile per un tempo che le sembrò infinito, non riuscendo a capire ciò che stavano registrando i suoi occhi, con le mani ancora attorno alla carta stampata che stava leggendo fino a poco prima e sentendo un pizzicorio fastidioso dietro la nuca farle venire i brividi. Istintivamente osservò la propria scrivania cercando qualcosa di strano ma non vi trovò nulla.

Riportando la sua attenzione sulla stanza ingoiò un groppo di saliva e mosse qualche passo, trattenendo il respiro e tendendo i sensi.

C'era qualcosa che non andava. C'era qualcosa che non andava in ciò che stava vedendo.

Osservò l'interno dello studio rimanendo sulla soglia, senza il coraggio di fare nulla e sentendo l'angoscia marcarla come un cacciatore. La cosa più semplice che avrebbe potuto fare sarebbe stata correre all'ingresso e chiamare aiuto.

Ma perché? Perché aveva quei pensieri?

Gli occhi dardeggiarono per l'ambiente semi vuoto, in cui era rimasta solo la scrivania con davanti un paio di poltrone, un paio di librerie e un mobiletto che si era premurata di svuotare del suo contenuto nelle settimane precedenti. Non c'era niente di strano.

Lume storse il naso, allungandosi per afferrare la maniglia e chiudere la porta. Fu in quel momento che sentì un movimento nella stanza di fianco, come di qualcosa che cade e si rompe.

Trasalì, spaventata, rimanendo congelata sul posto per quella che le sembrò un'eternità. Di nuovo avrebbe voluto correre via da quella stanza che iniziava ad angosciarla.

Lume si diede della stupida per come si stava comportando. Si stava facendo prendere dal panico per niente. Niente. Non c'era niente che non andasse. La morte di Markus l'aveva resa sospettosa anche per le cose più stupide.

-Signor Bushijima?- provò, bussando piano alla porta. Non le arrivò nessuna risposta. Lume si grattò la nuca, passando lo sguardo da un entrata all'altra. Sentiva il cuore in gola.

-Signor Bushijima? Va tutto bene?- riprovò, prendendo un lungo respiro. Le gambe le tremavano e resistette a malapena all'impulso di tornare a sedersi facendo finta di niente. O di andare davvero a chiamare la sicurezza. Non voleva passare per l'esaurita del museo.

-Sto entrando, ok?- Lume si umettò le labbra, immaginando già gli occhi furenti dell'uomo e il modo in cui l'avrebbe cacciata in malo modo per essere entrata senza permesso. Aprì la porta, titubante, cacciando la testa all'interno della stanza e appoggiando la mano libera allo stipite con presa quasi febbrile.

Ti prego, fa che non si arrabbi...

Lume si sporse maggiormente, facendo dardeggiare lo sguardo per l'ambiente fino a che non incontrò la figura dell'uomo chino sulla scrivania. Distese i muscoli, sentendosi più rilassata ed entrando silenziosamente per osservarlo meglio.

Ah, stava dormendo...

Si lasciò scappare un sorriso, mentre allungava una mano per spegnere la luce dandosi mentalmente della stupida. Si era preoccupata per niente. Si era fatta prendere dal panico come una totale idiota. Chissà come mai... forse avrebbe fatto bene ad andare da uno psicoterapeuta, magari la morte di Markus le stava dando alla testa più di quanto pensava.

Lume tornò a guardare il suo capo: avrebbe fatto meglio ad uscirsene il prima possibile, perché se si fosse svegliato era sicura che avrebbe avuto da ridire sulla sua presenza nel suo ufficio privato.

Gli lanciò un'ultima occhiata, pronta a imprimersi nella mente quella visione che sicuramente non sarebbe ricapitata molto presto.Per addormentarsi a lavoro come minimo doveva aver passato la notte a lavorare e facendo le ore piccole per chissà quanti giorni.

Strizzò gli occhi, notando qualcosa di scuro ai piedi della lunga scrivania mogano, non riuscendo a capire di cosa si trattasse da quella distanza.

Lume allungò una mano nuovamente verso l'interruttore della luce, incuriosita, ma le sue dita non arrivarono mai a schiacciare l'interruttore. Sentì un forte dolore alla testa e si ritrovò a terra, tutto intorno le arrivò sfuocato per vari secondi. Si tenne la nuca dolorante, sentendosi improvvisamente stanca, la testa girava come una trottola ed ebbe un conato di vomito.

Poi tutto diventò buio.



***



Ottobre.

-Ehi, Sweetie, era ora ti facessi viva. Non ci sentiamo da ben...- Il ragazzo guardò l'orologio sul display del telefono e fece un rapido calcolo mentale, occhieggiando le indicazioni che lo avrebbero riportato dalla stazione di polizia all'hotel in cui gli era stata prenotata una stanza durante quel trasferimento e in cui aveva lasciato la valigia quella mattina.

-... da ben cinque ore. Mi considero offeso.-

Dall'altro capo del telefono arrivò una risatina e non poté impedire di sentirsi contagiato dalla leggerezza che sprigionava. Lo accompagnava da anni ed era abbastanza convinto che non avrebbe potuto farne a meno per troppo tempo, tanto che spesso si ritrovava a sentirsela risuonare nella mente senza alcun motivo. Era qualcosa che non aveva spiegazione, un rapporto così autentico di cui non avrebbe mai potuto fare a meno.

-Scusami Masato, sono imperdonabile.- lo prese in giro, simulando un tono colpevole che gli fece solo scuotere la testa con fare sconsolato anche se non poteva vederlo. Si conoscevano così bene da potersi immaginare a vicenda nei gesti e nelle espressione anche senza vedersi.

-Come è andato il viaggio?-

Lui sbuffò, facendosi aria con la mano mentre aspettava che il semaforo per i pedoni diventasse verde. L'aria di ottobre in certe giornate era ancora carica dell'afa di pieno agosto e camminare con pantaloni lunghi e camicia era ancora uno strazio – ma il lavoro non gli permetteva di essere fantasioso nel vestire tanto quanto avrebbe voluto. Non vedeva l'ora di farsi una doccia e mettersi una di quelle magliette fiorate che adorava tanto e si portava sempre dietro.

-È andato bene, ho letto il fascicolo che mi hanno mandato.- commentò, cercando di tenere moderato il tono di voce per non attirare orecchie indiscrete. Nella mente gli scorsero davanti i momenti principali della sua giornata e le poche ore trascorse a lavoro, ed era sicuro avrebbe dovuto ragionarci sopra un bel po'. Ed era solo al primo giorno.

Sentì un rumore dall'altra parte e immaginò che la ragazza stesse trafficando con qualcosa, in attesa che continuasse a parlare. Tirò un lungo sospiro passandosi una mano tra i capelli, sondando la strada con gli occhi dorati e cercando di sciogliere i muscoli del collo. Quando usava il suo Quirk per troppo tempo gli capitava ancora di avere un principio di cervicale. Uno scotto da dover pagare per convincere le persone a lasciarsi plasmare la mente.

-Sai che non posso rivelarti troppi dettagli, Sweetie. Soprattutto al telefono.- la sentì sospirare, e immaginò avesse roteato gli occhi al cielo. Lo faceva spesso per dissimulare una punta di stizza quando non poteva ottenere ciò che voleva e sapeva di venire tenuta all'oscuro di qualcosa.

-Si, si, tranquillo, non ti chiederò nulla.- lo rassicurò subito, come in una litania che si era abituata a ripetere in automatico.

-Hai idea di quanto starai via?- gli chiese poi, cambiando discorso. Lui ci pensò su qualche attimo, portandosi indice e pollice al mento mentre ripensava ai suoi programmi.

-Non molto, credo, forse tre o quattro giorni. Il mio Quirk sembra non avere effetto quindi immagino che rientrerò in tempi brevi, il tempo di capire come si mettono le cose e stilare i miei rapporti sugli interrogatori.- dall'altro capo del telefono ci fu un lungo momento di silenzio. Aprì la bocca per fare ironia, ma lei lo precedette.

-Che brutta situazione...- la sentì mormorare, e Masato non poté fare a meno di annuire, sentendosi in difetto senza apparente motivo ed immaginandosela giocherellare con i capelli mentre rimuginava.

-Si, è abbastanza triste. Ma come questa ce ne sono molte altre, purtroppo non è la prima e non sarà l'ultima.- fu il suo ragionamento, e sembrò stesse parlando più a se stesso che alla persona con cui era al telefono. Voleva che il suo Quirk potesse aiutare scovando indizi dove sembravano non esserci e verità nascoste, ma quando non ci riusciva perché le cose erano davvero come sembravano sentiva una forte frustrazione rosicargli nello stomaco insieme all'impotenza di non poter cambiare le cose.

Non si sarebbe mai abituato alle verità scomode che gli venivano rivelate e alle realtà spesso molto più terribili di ciò che apparivano che gli venivano spiattellate in faccia. Ma forse non era questo il caso – e non sapeva se fosse una cosa positiva o negativa.

-Capisco come ti senti.- provò a rassicurarlo lei, forse intuendo i suoi pensieri, e lui ci credette davvero, perché non conosceva altra persona che avesse conosciuto il dolore del fallimento come la ragazza con cui stava parlando al telefono.

-Scusami un attimo.-

Masato sentì trafficare e attese pazientemente che la sua confidente tornasse in linea, immaginando fosse entrato qualche cliente – lo chiamava spesso nei momenti morti. Ci mise qualche minuto, e in quel lasso di tempo si fermò ad un bar a comparsi una bottiglia d'acqua, una bibita e degli snack da stuzzicare in hotel mentre studiava per l'ennesima volta i file che gli erano stati mandati.

Subito dopo quel caso, avevano già richiesto la sua consulenza altre due centrali di polizia, una a Sapporo e l'altra a Kobe. Non poteva certo dire che gli mancasse il lavoro – pur con tutta la storia dei Quirk e degli Heroes, la gente più comune non aveva smesso di ammazzarsi.

-Eccomi, scusa. Ci sei?- Masato deglutì l'acqua che stava bevendo e rimise la bottiglia nel sacchetto.

-Ovviamente. Chi era?- s'incuriosì, notando in lontananza la struttura di quello che sarebbe stato il suo alloggio.

-È arrivata una spedizione.-

-Qualcosa che ha ordinato il tuo capo?- s'interessò, curioso. Dall'altra parte del telefono provenne un prolungato suono di dubbiosità.

-Mh, si e no... solitamente so tutto quello che viene comprato o venduto e mi avvisa se chiude qualche affare o aspetta qualcosa di particolare, ma sono arrivati due pacchi invece di uno. Anche il documento di trasporto ne segna solo uno.- la sentì mormorare. Gli sembrò che la voce arrivasse leggermente ovattata, come se fosse lontana dal microfono. Probabilmente stava studiando ciò che era le era stato consegnato ed aveva appoggiato il telefono poco lontano.

-Non riesci a capire da chi proviene? Magari si sono confusi.- Masato si passò il sacchetto da una mano all'altra, riuscendo con lo stesso gesto a cambiare il bracciò con cui stava tenendo il telefono. Iniziava a sentirlo intorpidito.

-Non c'è scritto nulla a parte il nome del negozio. Comunque ora devo andare, ho delle cose da sistemare e poi penserò anche a questo... ci sentiamo più tardi, dico bene?- tagliò corto lei, tornando a parlare con il solito tono di voce di quando iniziava a lavorare mentalmente per organizzarsi: era un po' maniaca del controllo, se doveva essere del tutto sincero.

Lui sorrise al nulla continuando a camminare, ormai in prossimità dell'hotel, immaginandosi il suo sguardo colpevole trapassare il telefono mentre era sommersa da scatoloni.

-Dici bene, Sweetie. A dopo.-






















































































































Benritrovati a tutti carissimi! Come vi vanno le cose? Spero bene.
Per chi si ricordasse di questa storia, come vi avevo promesso siamo tornati nel presente: questo capitolo è praticamente il diretto seguente del capitolo uno, che magari vi consiglio di rileggere giusto per capire un attimo le tempistiche. Mi sono impegnata molto per farle combaciare. ^^'
Nella storia ho introdotto altri OC oltre a Yuhiko, ognuno avrà il suo posto e ogni cosa avrà la sua spiegazione, magari qualcosa si riesce già ad ipotizzare. Vi consiglio di stare attenti ai dettagli. ;)
Bakugo e Uraraka si ritrovano insieme alla festa perchè se non sbaglio hanno la stessa agenzia per i loro costumi, mi sembrava carino farci una scena insieme (anche perchè shippo Kacchako, anche se non è questa storia il caso). Inoltre quello che sta succedendo ora nel manga/anime in questa storia può essere successo si come no, nel senso che non ci saranno riferimenti a riguardo. Tutto ciò che riguarda lo sviluppo psicologico dei personaggi ed i loro disagi mentali attuali pensieri è frutto della mia mente e delle mie ipotesi in base a come mi sono immaginata la trama di questa long, spero comunque risultino IC. La coppia IzuOcha sembra avere qualche problemino... chissà se risolveranno?
Vi ringrazio per l'attenzione, alla prossima!
Love, D.




Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Sesto Petalo. ***


Cherry Blossom Tree
Sesto Petalo.






Settembre.

«Ti nomino ispettore, Hamato. Te lo meriti. Però devi riuscire a concludere questo caso. Una volta terminate le indagini faremo la celebrazione ufficiale con gli altri superiori.»

Reiji sfogliò con noia il fascicolo che si trovava davanti, percependo le spalle rigide per la tensione e la schiena mandargli delle fitte di fastidio. Era seduto alla scrivania ormai da parecchie ore, girando e rigirando le pagine di appunti tanto da averne ormai imparato a memoria il contenuto. Se abbassava le palpebre, arrivava a focalizzare i fogli esattamente come se li stesse leggendo.

Sospirò, rassegnato, sfregandosi gli occhi secchi per la stanchezza a causa delle notti insonni che stava passando.

Non c'era nulla.

Nulla.


Aveva letto e riletto quelle pagine come un dannato, preso appunti, risentito ogni testimone con le proprie orecchie per cercare di capire se i suoi colleghi avessero tralasciato qualche dettaglio, parlato con gli analisti che si erano occupati dei rilevamenti sulla vettura... ma non c'era nulla. Niente che collegasse il figlio dei Rakane all'incidente in modo definitivo da poterlo incriminare.

Nemmeno a dirlo, il ragazzo continuava a dichiararsi innocente e alla fine si era chiuso nel mutismo, stanco di dover dare sempre le solite spiegazioni, chiedendo l'appoggio di un avvocato tra i più famosi del suo settore e che era riuscito a farlo rilasciare a causa dell'insufficienza di prove.

Reiji era partito per Shizuoka quello stesso pomeriggio in cui Miyamoto lo aveva contattato, promettendo a suo padre che avrebbe fatto il possibile per concludere in fretta le indagini e tornare così da lui per qualche altro giorno – suo papà, ovviamente, gli aveva detto di non farsi problemi e prendersi il suo tempo per fare le cose per bene – ed erano ormai quasi tre settimane che rimuginava su quel caso a cui pensava avrebbe dovuto dare attenzione per massimo una manciata di giorni.

Ottobre era alle porte e lui a un punto morto, esattamente come lo stavano diventando le foglie sugli alberi, senza altri indiziati o una prova cruciale che inchiodasse l'unica persona papabile come assassino – ma lo era davvero? Ogni tanto all'uomo veniva il dubbio che fosse effettivamente innocente.

Reiji ci aveva provato davvero, a ripercorrere gli ultimi spostamenti dei coniugi Rakane, indagando per conto proprio e ignorando ciò che avevano già scritto i colleghi in modo da non venirne influenzato, prendendo nuovamente pagine di appunti con cui confrontare ciò che già gli avevano messo a disposizione, eppure le conclusioni erano state le medesime: oltre al figlio, con cui a detta di alcuni vicini avevano discusso recentemente, tutte le altre persone con cui erano venuti in contatto non sembravano nutrire risentimento nei confronti della coppia – anzi, ne parlavano molto bene, descrivendoli come persone a modo, educate e riservate quanto bastava.

Gli unici momenti in cui lasciavano trasparire qualche emozione genuina era durante i rimproveri fatti al figlio – unico erede e fortemente voluto e amato, a cui avevano garantito la migliore istruzione mandandolo a studiare anche in America – e quando raccontavano, entusiasti, degli affari che avevano concluso, vantandosi delle collezioni di oggetti preziosi che si potevano ammirare in casa loro.

Ad un primo sguardo, sembravano la solita famiglia ricca da potersi permettere qualsiasi cosa, che teneva alle apparenze dovute alle pressioni sociali dell'alta classe di cui facevano parte e con grandi aspettative sulla loro progenie tanto da risultare, probabilmente, asfissianti quanto bastava per far nascere il desiderio di evasione.

Hamato si alzò dalla sedia, sbuffando sonoramente e decidendo fosse venuto il momento di una pausa: aveva voglia di un caffè e colse l'occasione per fare due passi, accogliendo con sollievo la ventata di aria fredda che gli arrivò in viso, risvegliandolo dal torpore di cui stava inesorabilmente cadendo vittima.

Come se non fosse abbastanza il sentirsi tanto un asino che gira a vuoto in un tondino, il suo superiore lo aveva nominato Ispettore, ma per mantenere quella carica doveva trovare il modo di concludere quell'ultimo caso – complice l'importanza di cui i Rakane godevano. Praticamente lo stava ricattando perché a sua volta aveva ricevuto pressioni da persone esterne e con una certa potenza economica. Non importava se il figlio fosse davvero l'assassino dei genitori, l'importante era chiudere il caso e fare contenti non sapeva bene chi.

Reiji sorseggiò la bevanda calda per soffocare gli insulti che altrimenti non sarebbe riuscito a mantenere silenti.

«Arrabbiato, Detective

Hamato occhieggiò al suo fianco, accorgendosi di Miyamoto che stava inserendo a sua volta delle monetine nella macchinetta. L'agente lo osservò con un ghigno e sbuffò, alzando gli occhi al cielo, sicuro che il collega avrebbe intuito i suoi pensieri.

Miyamoto aveva dieci anni meno di lui e gli era stato affiancato come novellino fin da quando era entrato in centrale, un ragazzino poco più che ventenne senza esperienza e che vomitava appena vedeva un cadavere, un po' esuberante e, se si impegnava, dal grande potenziale. Con il passare del tempo avevano finito per fare coppia fissa durante le indagini, anche se Reiji aveva sempre conservato in certi momenti della giornata la particolarità di voler riflettere da solo senza nessuno intorno.

Molti ex partners si erano arrabbiati, invece il ragazzo sembrava fin da subito aver accolto quel suo lato solitario senza offendersi, approfittandone per perdersi a fare a sua volte le sue cose e attenendo pazientemente che lo mettesse al corrente delle conclusioni a cui arrivava.

Reiji gli era grato per quell'accortezza che nessun altro aveva capito e si era impegnato per cercare di trasmettergli tutte le proprie conoscienze come riconoscimento.

«Siamo a un punto morto.» commentò, dopo vari attimi di silenzio. Quello che aveva definito come un caso facile si stava rivelando il suo peggior nemico. Non perché fosse intricato, o pieno di indiziati da non sapere da che parte girarsi... era proprio la semplicità di come sembravano andate le cose a lasciare addosso a Reiji l'inconfondibile sensazione che ci fosse qualcosa di sbagliato in tutto ciò.

Troppo facile, troppo...

«Beh, tutti dicono che è stato il figlio. Litigi, eredità, solite storie. Si domandano come mai tu non abbia ancora chiuso il caso.» disse Miyamoto, aprendo la bibita che si era comprato e facendo spallucce. Guardò il suo collega, senza dire altro: altre volte Hamato non era stato convinto di dove avevano portato le indagini, decidendo di prolungare le tempistiche, e alla fine il suo sesto senso si era sempre rivelato giusto. Negli anni aveva imparato a non dubitare del suo mentore e anche quella volta non sarebbe stato da meno.

Gli si avvicinò leggermente, in modo da parlare senza essere sentiti dagli altri. Il più grande non aveva ancora aperto bocca, perso nei propri pensieri.

«Potresti provare a contattare quella persona... quell'Hero a cui si affidano molte centrali di polizia.» gli mormorò, occhieggiandosi intorno. La stazione al piano sottostante brulicava di persone, ma gli uffici di quel piano in cui i detective si rifugiavano per indagare senza che i civili potessero vedere cose da tenere riservate erano particolarmente silenziosi.

Reiji lo guardò torvo per una manciata di attimi.

«Non ho mai dovuto chiedere aiuto a nessuno.» obbiettò in un borbottio sommesso, sentendosi colpito nell'orgoglio per quella proposta. Strinse le labbra, buttando via il bicchierino e tornando a fronteggiare Miyamoto. Lo vide alzare le spalle, per nulla colpito dall'offesa malcelata nello sguardo con cui lo stava guardando.

Aveva quasi sempre risolto tutto da solo... per quello era considerato uno dei più bravi della centrale e gli avevano promesso la promozione di grado.

«Era una proposta. Potrebbe interrogare il sospettato e aiutarti a toglierti il dubbio che sia innocente.» ipotizzò, prendendo ancora delle monete e decidendo di mangiare delle patatine. Erano quasi le cinque di pomeriggio e iniziava ad avere fame.

Reiji ragionò su quella proposta, accorgendosi di come il partner avesse imparato a conoscerlo durante gli anni passati insieme. Ormai capiva subito quando c'era qualcosa che non lo convinceva. Dichiarare una persona colpevole era una decisione che non andava presa alla leggera: cambiava la vita e se si fosse sbagliato non si sarebbe mai perdonato di aver rovinato il futuro di qualcuno affibbiandogli per errore la parola assassino.

Conosceva troppi casi simili, di persone con la vita ormai distrutta per colpa dell'incompetenza di alcuni Detective a cui importava solo dell'opinione pubblica.

Non voleva essere tra loro. Non se lo sarebbe mai perdonato.

Sospirò, passandosi una mano tra i capelli e occhieggiando il proprio riflesso in una delle vetrate della centrale: aveva il volto tirato e lo sguardo stanco, e bruciava dalla voglia di poter chiudere il caso per non doverci più pensare.
Ricevere una mano da qualcuno, forse, non era poi una cattiva idea.

«Va bene, non hai tutti i torti.»

Tornò ad osservare Miyamoto, trovandolo con la bocca piena di patatine e l'espressione imbarazzata di chi viene colto in flagrante. Sospirò divertito, nascondendo un risata dietro un colpo di tosse.

«Appena finisci di provare a strozzarti fammi avere il numero per contattarlo.»



***



Ottobre.

Quel giorno pioveva.

Il cielo coperto di nuvole era particolarmente scuro e grigio, quel mattino, e le previsioni dicevano che avrebbe continuato a far cadere acqua per tutta la giornata.

Arricciò il naso, rabbrividendo per la folata gelida che la investì non appena mise piede fuori casa, stringendosi maggiormente nella giaccia e tirando la cerniera fin sopra il mento. Forse era arrivato il momento dì metterne una più pesante, fu il suo ragionamento, sentendo l'umidità tipica dell'autunno appiccicarle addosso i vestiti. Odiò all'istante la sensazione di goffaggine che sicuramente le avrebbero dato i maglioni per l’inverno sotto al cappotto.

Occhieggiandosi intorno, fece dardeggiare lo sguardo sul vialetto che conduceva alla sua palazzina, percependo dietro di lei il portone del condominio chiudersi per inerzia con un cigolio sinistro. Gli lanciò uno sguardo storto. Con tutto quello che pagava per le spese avrebbero anche potuto sistemarlo. Di sicuro far venire qualcuno a mettere un po' di olio non sarebbe costato un grande sforzo – diamine, pure lei sapeva fare quei piccoli lavoretti.

Sospirò, decidendo di lasciar perdere per non farsi venire il nervoso, e con la mente corse a ripercorrere i minuti precedenti la sua uscita di casa.

Aveva chiuso le finestre? Tutte, tranne quella del bagno che lasciava aperta per non fare formare la muffa e la camera che altrimenti avrebbe odorato di chiuso fino al suo ritorno. Chiuso la porta? Ovviamente, a tripla mandata. Inserito l’allarme? Dubitò solo un attimo di aver compiuto quell’ultimo gesto, avendo poi un lampo di memoria di lei vicino allo schermo sul muro con in mano un bicchiere di succo.

Aprì l’ombrello, cercando di cullarsi tramite il rumore della pioggia che picchiettava ritmicamente sull’asfalto mentre si immetteva nella strada principale lasciandosi alle spalle il vialetto deserto.

Inspirò l’aria malinconica che sentiva attorno.

Le piaceva, la pioggia. La rilassava. Eppure, in quel momento, non poté fare a meno di trovarla solo un po’ inquietante, anche se fu un pensiero fin troppo breve per dargli realmente ascolto. Non avrebbe mai potuto trovare quel paesaggio plumbeo e triste realmente brutto.

Erano giorni – giorni, o settimane? Non ricordava quando fosse iniziato tutto quello, esattamente – che una strana inquietudine aveva iniziato ad accompagnarla. Prima in modo vago, questione di attimi – poi sempre più frequentemente.

Aveva riconosciuto quella sensazione non appena le si era presentata sottopelle, arrampicandosi come un predatore per la sua mente e dandole brividi gelidi lungo la schiena. I silenzi in cui tanto amava crogiolarsi si erano fatti più pesanti, opprimenti. Stare a casa da sola era ormai una maratona per il suo cuore che fin troppo spesso aveva sentito sobbalzare ad ogni rumore diverso dal solito.

Anche se si dava della stupida, e rideva di quelle sensazioni incontrollate che aveva, non aveva potuto fare a meno di dare ascolto alle reazioni a cui il suo corpo si abbandonava in quei momenti, facendole mancare il respiro ed accendendole in testa tutte le lampadine di attenzione.

Paura.

L'aveva riconosciuta subito, quella nuova emozione con cui aveva iniziato a convivere. Se avesse potuto in quei momenti si sarebbe rinchiusa nel negozio in cui lavorava. Almeno vedeva qualcuno. Il suo capo, qualche cliente. Si teneva occupata studiando i grandi libri racchiusi in magazzino, faceva ricerche sugli articoli nuovi che arrivavano, puliva, cambiava le vetrine, metteva a posto i documenti. Non era mai completamente sola e aveva sempre qualcosa da fare per tenere occupata la mente.

Si morse un labbro, stringendo il manico dell’ombrello mentre continuava a camminare.

Eden e Sayla la aspettavano a casa ogni giorno, però, andandole incontro quando gli apriva la porta della stanza in cui li lasciava liberi e correndole dietro mentre si recava in cucina, ansiosi di ricevere la loro reazione di verdure e coccole. Quello tanto bastava per darle la motivazione di rincasare. Quello, e la punta di orgoglio personale che l'aveva accompagnata durante tutta la vita.

Non avrebbe abbandonato tutto per della stupida paura a cui non sapeva dare un freno quando le iniziava a salire addosso.

Studiò la strada che stava percorrendo, analizzando con rapide occhiate le persone che incontrava – incrociò qualche viso familiare dato dall'abitudine, anche se in realtà non aveva idea di chi diavolo fossero.

Da quando era diventata così ansiosa? Non si adattava ad una come lei. I suoi ex compagni l’avrebbero presa in giro, dandole della matta. Un Hero non può avere paura della sua ombra, un Hero non si arrende, un Hero trova sempre la soluzione adatta.

S’immaginò un ghigno beffardo, due occhi cremisi fulminarla prima di scoppiare a ridere di scherno. E un sorriso più confortevole, le guance rotonde spruzzate di lentiggini e gli occhi pieni di speranza come il verde di cui erano colorati.

Forse fu un bene, quell’immagine che le si squarciò in testa, perché sentì qualcosa vibrare d’indignazione in fondo al cuore ed affilò lo sguardo, stringendo le labbra. Si trattenne dal ridere giusto per non sembrare una pazza, mentre il cervello lavorava, frenetico, immaginando scenari che credeva di essere riuscita a sotterrare.

Le mancò un battito, sentì il cuore chiuso nella morsa di un dolore che conosceva fin troppo bene. Il dolore della mancanza, la sensazione opprimente del fallimento, l’ansia di portare un peso troppo grande da sopportare.

Scosse la testa prima di perdersi in altri pensieri.

Non era il momento adatto.


Si occhieggiò intorno, sospettosa, girando l’angolo con un unico movimento fluido e finendo in una via piena di negozi. Alcuni addobbi erano già appesi per strada in vista del Natale e li trovò tremendamente fuori luogo. Era solo metà ottobre...

Non si voltò, nonostante morisse dalla voglia di farlo, cercando di distrarsi mentre percorreva il viale concentrandosi su ciò che la circondava. Le saracinesche erano già quasi tutte alzate e se non fosse stato per l'odore di asfalto bagnato che impregnava l'aria era sicura che avrebbe sentito quello del pane appena sfornato e delle brioches ancora tiepide come ogni mattina.

Forse avrebbe dovuto fare una colazione più abbondante, fu il suo rimprovero, eppure da giorni aveva lo stomaco chiuso per la tensione e stare da sola sicuramente non stimolava l’appetito.

Si morse l'interno di una guancia, affilando lo sguardo, sospettosa. Le nocche con cui stringeva l'ombrello sbiancarono e il tumulto che scosse il suo animo cambiò repentinamente i suoi pensieri.

Se c’era qualcuno che la stava seguendo, come pensava, che si facesse avanti. Non avrebbe avuto paura, aveva affrontato di peggio – molto peggio. Avrebbe soppresso la sensazione angosciante che sapere di essere spiata le lasciava addosso. La stressava da giorni, perché quando provava ad individuare la fonte di quel malessere non riusciva a capire chi o dove fosse nonostante gli allenamenti e le esperienze degli anni precedenti. Probabilmente utilizzava qualche Quirk per non farsi individuare, non poteva credere di essere peggiorata così tanto nella sua capacità di osservazione e analisi.

Tirò fuori le chiavi del negozio, aprì la porta, accese la luce e si preparò per iniziare a lavorare. L’odore di antico la pervase. Prese un pezzo di carta dal cassetto dietro il bancone ed occhieggiò la porta d’ingresso. Mashiro, il suo capo, quel giorno l’avrebbe raggiunta più tardi.

«Ho trovato un cimelio che, vedrai… devo solo fare un’offerta convincente domani mattina!»

Sorrise suo malgrado, ricordando gli occhi emozionati dell’uomo che le aveva permesso di ricominciare una vita senza essere costretta a cambiare completamente paese. Erano neri e piccoli, ma bruciavano come carboni ogni volta che parlava del proprio lavoro.

Andava bene, aveva bisogno di un po’ di tempo.

Aveva avuto un’idea impulsiva mentre rimuginava giorni prima, ma l’aveva scartata subito mentre ancora rifletteva su ciò che aveva appena scoperto. I suoi occhi avevano percorso l'intera sala con la stessa ansia con cui le si era bloccato il respiro in gola.

Non voleva mettere nessuno in pericolo. Eppure… eppure era l’unica cosa che le era venuta in mente di poter fare, specialmente se – come sembrava fosse – qualcuno era riuscito a risalire alla posizione di quell'oggetto. E se lei non aveva più nulla da perdere, se era disposta a non aprire minimamente la bocca, una parte ben più radicata le ricordò che tutto il resto del paese andava protetto e non poteva essere totalmente sicura che prima o poi non riuscissero a trovarlo.

Era questione di poco tempo prima che si smuovesse qualcosa, l'istinto glielo urlava disperato e lei avrebbe voluto davvero dargli ascolto e mollare tutto. Scappare e non tornare. Ma non poteva, non avrebbe voltato le spalle. Non l'avrebbe mai fatto – una vocina dentro la sua testa protestò, ricordandole che si, era già fuggita da qualcosa pur di non affrontarla – ma evitò di darle retta per non distrarsi.

In realtà, non aveva avuto modo di riflettere abbastanza sulle opzioni che aveva, a parte quell'unica idea che aveva subito rifiutato ma che le continuava a girare in testa, suonando sempre più convincente.

Non voleva metterli in pericolo, non voleva che qualcuno venisse nuovamente coinvolto per causa sua, non se lo sarebbe mai perdonato… ma se non loro, i simboli della giustizia che proteggevano le persone, chi? Chi avrebbe capito le motivazioni dietro il suo silenzio, del perché non ne aveva ancora parlato con nessuno per non rischiare di coinvolgerlo, di dove aveva nascosto quella scoperta per non farla cadere in mani sbagliate?

Nonostante tutto quello che era successo, nonostante dopo quel giorno avesse abbandonato tutto e si sentisse sempre un po' in colpa per come si era eclissata da quel mondo. Nonostante sapesse un sacco di cose che in quel momento si accavallavano dentro di lei, spaccandole l’anima a metà, dandole la nausea, in una guerra di sentimenti troppo diversi tra loro e contro cui aveva già perso.

La pioggia iniziò a scendere in modo più frenetico accompagnandole i pensieri e il battito un po’ agitato del suo cuore, mentre con mano tremante iniziava a scrivere nel nome di un passato mai sepolto davvero, una visione assopita della persona che era stata, un ricordo fragile come le foglie che si seccavano sugli alberi.

«Scusatemi, scusatemi...»

Non avrebbe saputo di chi altro fidarsi.



***



Quando ebbe modo di varcare nuovamente la porta e respirare l’aria umida della sera erano ormai quasi le sette. Aveva perso tempo a cercare informazioni sull'ultimo acquisto che il suo capo aveva portato nell'ordinato negozio di oggettistica nel primo pomeriggio ed aveva completamente perso la cognizione del tempo.


«Guarda cosa abbiamo qui!»

La porta si spalancò di botto, come la stessa voce che ruppe la quiete che regnava nel negozio. Mashiro fece il suo ingresso, avvicinandosi al bancone a grandi falcate. Il cappotto dell'uomo era fradicio di pioggia – sbadato com'era, aveva sicuramente dimenticato di prendere l'ombrello per la fretta – ed i capelli inumiditi iniziavano ad arricciarsi sulle punte.

Lei sospirò, non senza riservargli uno sguardo storto per lo spavento che le aveva fatto prendere, osservando poi l'orologio al centro dello scatolino che le poggiò davanti.

«Quanto ti è costato?»

Mashiro sussultò a quella domanda un po' impertinente, grattandosi una guancia e senza avere il coraggio di guardarla, per nulla offeso dal tono lievemente pungente intriso in quelle parole. Tra loro si era creato un bel rapporto, forse per la differenza di età per cui avrebbero potuto essere quasi padre e figlia. Lei lo aiutava con il negozio e stava dietro alle sue distrazioni, e lui non sembrava minimamente turbato dai rimproveri che ogni tanto si permetteva di fargli a causa della sua esuberanza.

Aveva sempre sperato di incontrare un dipendente di cui fidarsi e con cui costruire un bel rapporto, ma negli anni precedenti non gli era mai andata di lusso come in quegli ultimi mesi e i pochi con cui si era trovato bene per un motivo o per l'altro si erano licenziati.

«Un po'... di più di quello che pensavo.» fu la risposta sussurrata che le diede, togliendosi il cappello. Si passò una mano nei capelli, ormai quasi bianchi, e dall'espressione che gli adombrò il viso intuì che probabilmente stava rimuginando sulla trattativa. Alzò gli occhi al cielo, più sconsolata che altro, ridacchiando. Certe volte faticava a capire come portasse avanti quel negozio potendo pure permettersi di pagarla – e nemmeno poco.

L'appartamento in cui viveva era in una zona residenziale dagli affitti decisamente sopra la media, dove tutto veniva tenuto in ordine e non c'era quasi mai nulla fuori posto, in una posizione vicina ad ogni tipo di comodità senza subire però i rumori molesti del centro. L’aveva comprato quando ancora lavorava in agenzia e si era già preparata all’idea di trasferirsi, ma Mashiro le aveva fatto un’offerta maggiore di ciò che si sarebbe aspettata.

«Le informazioni erano veritiere, è davvero un pezzo unico nel suo genere. Qualche collezionista s'interesserà sicuramente, specialmente se troviamo altre informazioni a riguardo.» non poté fare a meno di notare che il suo sguardo si era fatto serio, mentre richiudeva con cura la scatola e gliela passava insieme a dei documenti riposti in una busta di plastica.

Mashiro aveva un buon intuito per gli affari e da quando lavorava con lui non si era mai sbagliato, arrivando a rivendere certi pezzi anche per il triplo di quanto li aveva comprati. Il suo Quirk sicuramente era fondamentale, dal momento che bastava toccasse un oggetto per capirne le origini e aveva richiesto la copia della certificazione della sua Unicità ai medici, in modo da poterla mostrare ai clienti più sospettosi come prova della sua abilità. In più, lui diceva che bastava far leva sulla curiosità delle persone e grazie alle sue conoscenze certe volte entrava in possesso di oggetti davvero particolari con cui tirava su delle belle somme.

Gli sorrise, accettando i fogli che le stava porgendo.

«Allora sarà meglio che mi metta al lavoro.»


«A domani, Capo. Buona serata!»

Durante il giorno aveva smesso e ricominciato di piovere svariate volte, eppure il cielo era rimasto plumbeo senza dare l'occasione ai raggi del sole di fare capolino. Era stata una giornata particolarmente fiacca, in negozio non c'erano stati nemmeno molti clienti – dopotutto, con quel tempo, chi si muoveva? Non poteva certo dal loro torto – quindi si era limitata a navigare su internet e riporre il nuovo acquisto con cura nel magazzino in attesa di reperire maggiori notizie prima di esporlo.

I documenti già attestavano la sua provenienza e antichità, ma a Mashiro piaceva accompagnare ogni articolo che vendeva con delle chicche per renderlo più appetibile agli occhi dei clienti e bisognava essere certi delle fonti da cui si reperivano. E a lei non dispiaceva doversi smazzare la cosa. Aveva imparato un sacco di curiosità in quei mesi.

«A domani, Yuhiko cara!» fu il saluto che la raggiunse mentre si chiudeva la porta alle spalle. Sospirò, incamminandosi per fare ritorno a casa con passo flemmatico, stringendosi la borsa sul fianco e portando l'ombrello chiuso in una mano. Come lei anche altri negozianti iniziavano ad abbassare le saracinesche per chiudere e rincasare e alcuni stavano pulendo le vetrine.

Era solo martedì, ma Eira già sentiva la pesantezza della giornata addosso come se lavorasse da tutta la settimana. Gli occhi le bruciavano per tutte le ore passate davanti al pc e sfogliando i libri in magazzino.

Salutò con un cenno del capo, infossandosi nelle spalle, percependo la brezza autunnale infilarsi sotto i vestiti e congelarle la punta del naso. Si, avrebbe decisamente dovuto cambiare giaccia l'indomani.

A differenza della solita strada che faceva nel percorso casa - lavoro e viceversa, quella sera decise di prendere una traversa secondaria che, sapeva, l'avrebbe portata maggiormente verso il centro città. Attraversò la via quasi deserta, osservando i lampioni già accesi che costeggiavano i lati della strada disegnare svariate ombre sui muretti delle case, e tagliò dentro un piccolo parco accorgendosi distrattamente del poco tempo che aveva impiegato per raggiungere quel luogo.

Circondata solo dal silenzio e dai rimasugli di acqua che cadevano dalle foglie degli alberi si permise di alzare lo sguardo al cielo: studiò la distesa grigiastra che spuntava tra le chiome, diventata ormai quasi completamente scura.

Non ci sarebbero state stelle, quella notte.

Leccandosi un labbro screpolato trovò quel colore particolarmente in sintonia con il proprio umore.

Si occhieggiò intorno, camminando piano per il viale deserto, inspirando l'odore di erba e terriccio bagnati che si alzava da terra ed osservando ammaliata i colori accesi che stavano prendendo le foglie in modo sempre più prepotente.

Si sentì subito più rilassata.

Le era sempre piaciuta la pioggia, l'autunno, i paesaggi solitari e malinconici: le portavano una strana sensazione di nostalgia che aveva sempre trovato particolarmente confortevole.

Arrivata dall'altra parte del parco si ritrovò lungo una delle vie principali: il traffico impazzito la investì come un treno, strappandola bruscamente dalle proprie riflessioni e facendole venire una fitta acuta alla testa.

Yuhiko ci mise qualche secondo per riprendersi, sbattendo le palpebre confusa per tutto quel casino e osservando gruppi di persone ammassarsi alle fermate dei mezzi sparse lungo i marciapiedi o infilarsi nei sottopassi per raggiungere la metro. La pioggia sembrava rendere le persone ancora più agitate, i pendolari si ammassavano per poter tornare a casa il prima possibile e le auto formavano una lunga fila serpeggiante di colori. Qualcuno le diede una spallata, qualcun altro la guardò con gli occhi sgranati – emozionati? O perplessi?

Arricciò il naso, tirando le labbra poco convinta e voltandosi. Si strinse la borsa al fianco, in un gesto inconscio di non perderla, inspirando profondamente per mantenere la calma e cercando di sgusciare via prima che qualcuno la fermasse.

Non aveva tempo da perdere.



***



​Il cielo era limpido, azzurro e con qualche sprazzo di nuvole. L'acqua del lago sembrava una superficie di vetro, immobile e cristallina, delle leggere onde lambivano la spiaggia con lentezza. E ciò che stavano registrando i suoi occhi era… era la cosa più bella che avesse mai visto.

Yuhiko ricordava di aver seguito i genitori un po' imbronciata – avrebbe preferito restare a giocare nel parco con gli altri bambini. Ricordava di essersi lamentata, quasi fino alle lacrime, strappando per esasperazione la promessa che le avrebbero comprato un gelato e assicurandole che il posto in cui stavano andando sarebbe stato davvero bellissimo. Era stata diffidente per tutto il tragitto, con la bocca un po' tirata chiusa in un silenzio ermetico, gli occhi grigi che contemplavano fuori dal finestrino annoiati, inconsapevole che ciò a cui stava andando incontro quel giorno avrebbe avuto un grandissimo impatto sulla sua vita futura.

Eppure mamma aveva avuto ragione, era davvero la cosa più bella che si fosse trovata davanti.

Yu aprì gli occhi, sbattendo le palpebre, come se fosse stata bruscamente strappata da quell'immagine calda e familiare.

Non capiva. Il posto era lo stesso, eppure… eppure c'era qualcosa che non andava. Non avrebbe saputo dirlo con certezza, era più una sensazione, ma era sicura di non sbagliarsi.

L'inconfondibile sensazione di qualcosa che non va bene.

Perché un attimo prima era immersa in un ricordo, racchiusa nel suo corpo emozionato di bambina, e invece con un battito di ciglia si era ritrovata ad essere nuovamente se stessa. Non ricordava niente, aveva sognato?

Si osservò intorno, sentendosi intontita, faticando a tenere gli occhi aperti per la luce che le arrivava dritta in faccia. Vedeva solo rosa, riconobbe qualche petalo che volteggiava in aria, dei movimenti sopra di lei che dal rumore che facevano la sua mente associò ai rami smossi dal vento. Delle forme sfuocate, dei brusii in sottofondo, sagome che le passavano da parte.

La sorpresa che aveva sentito invaderla aveva lasciato posto al sospetto. Il suo primo pensiero fu che in qualche modo l'avessero drogata. Perché vedeva tutto sfigurato?

Provò a parlare, ma dalla gola non uscì alcun suono. Una sensazione di panico la attraversò da capo a piedi come una scossa.

Dov'era? Cos'era successo?

 
«Che fai?»

Eira avrebbe voluto rispondere d’istinto, ma non fu la sua voce quella che parlò vibrandole nelle orecchie, facendole riaprire il cassetto dei ricordi.

Si guardò spasmodicamente intorno, sgranando gli occhi, cercando una scena che era sicura avrebbe riconosciuto per sempre – per sempre era un tempo davvero lungo, le avrebbe fatto notare qualcuno, ma a lei non era mai importato. Tuttavia, riuscì giusto a muovere un po' il capo, perché le gambe sembravano come congelate sul posto, pesantissime da muovere come in quei sogni in cui devi correre ma non riesci a sposarti.

Sentì una sensazione sinistra iniziare a metterle ansia ed abbassò lo sguardo verso terra, percependo il fiato spezzarsi per lo sforzo.

Che cazzo stava succedendo?


Mentre era impegnata a cercare di capire cosa non andasse dandosi dei pizzicotti per testare le reazioni del proprio corpo, tre figure le passarono davanti correndo, seguite da altre due. Eira si morse un labbro reprimendo un nodo in gola, osservandole con spasmodica attenzione confondersi in mezzo alle altre sagome fuori fuoco che la circondavano. Le risate che si erano lasciate dietro le rimbombavano nelle orecchie ininterrottamente.

Affilò lo sguardo, cercando di compiere nuovamente qualche passo, sentendosi infastidita. Una folata gelida la costrinse a coprirsi il viso. Quando ripuntò gli occhi davanti a sé, la sensazione sinistra aumentò, facendole venire un nodo allo stomaco quando si soffermarono su tre… no, quattro persone.

Sgranò gli occhi, spaventata da ciò che stava registrando la sua mente.

Era un incubo. Doveva esserlo per forza.

Si portò le mani alla bocca, reprimendo un urlo tra le dita, continuando a fissare con occhi sbarrati la scena che le si parava davanti, le figure che prendevano una forma sempre più definita. Represse un conato di vomito per la forza con cui lo stomaco le si annodò su se stesso. La sensazione di pesantezza alle gambe si era trasformata in dolore e se le guardò distrattamente, angosciata.

Graffi, lividi, tagli.


Inorridì, urlò con tutto il fiato che riuscì a raccogliere e cercò di pulirlo via, ma più lo faceva e più sembrava peggiorare, ogni tocco era una tortura e lei stava sfregando la pelle martoriata con tutta la forza che riusciva a metterci, ma era come se non cambiasse nulla. Il dolore era diventato lancinante.

Iniziò a piangere, accovacciandosi a terra, sentendosi sopraffatta da ciò che le stava succedendo intorno, dalle emozioni che sentiva scuoterle l'anima.

Il rosso era ovunque. Quel maledetto colore della morte era dappertutto. Sulle mani, sulle scarpe, in terra, sui vestiti di quelle figure che continuavano ad osservarla con sguardo compassionevole e il viso tirato in una smorfia.

Yuhiko era troppo impegnata a provare disperatamente a non annegare in ciò che stava vivendo per cercare di capire cosa potessero pensare, ma le era bastata un'occhiata per riconoscerli anche se aveva la certezza che la sua mente si era trasformata in un ingranaggio rotto.

«Eira, guardami. E' colpa tua.»

Singhiozzò, tenendo ostinatamente gli occhi chiusi senza il coraggio di voltarsi, le mani sul viso per proteggersi. Ma la testa, non poteva fuggire a ciò che le mostrava la sua mente, implacabile.

No, no. Vai via.


«Eira, per favore…»

S'incassò nelle spalle, accovacciandosi a terra sperando di sparirci attraverso. Percepì il sapore ferroso del sangue salirle alla bocca, inondarle le narici, i muscoli delle gambe spaccarsi. Boccheggiò. Tutto era dolore, tutto era sofferenza: dentro di lei, fuori di lei, attorto a lei.

Vai via.


Sentiva le presenze avvicinarsi, anche se non le vedeva. Sussurravano qualcosa che non capì. Pianse, sentendo il cuore frantumarsi. Non ce la faceva più. Le mancava il respiro. Si sentiva soffocare.

«Guarda cosa mi h__»

«Andate via!»



Boccheggiò, sentendo una strana pressione tutt'attorno. Aprì la bocca per urlare, terrorizzata, ma invece di riuscire a buttare fuori la voce si ritrovò ad ingoiare acqua.

Aria, aveva bisogno di aria.

Mosse le braccia convulsamente, sbattendole in giro, riemergendo dalla vasca con una spinta secca e facendo schizzare grosse pozze di schiuma sul pavimento del bagno. Tossì acqua e saliva, portandosi le mani alla gola e prendendo grosse boccate d'ossigeno, sentendo gli occhi lucidi. Il respiro le tagliò la gola irritata, il battito agitato del cuore le rimbombava nelle orecchie senza pietà.

Tossì ancora per vari minuti, i capelli le si erano appiccicati alle spalle e sul viso si erano mischiate tracce di lacrime e sapone che cercò di scacciare con un gesto rabbioso. Se chiudeva gli occhi le sembrava di poter sentire ancora il sapore ferroso del sangue, la pressione allo stomaco e ai polmoni. Sospirò, appoggiandosi al bordo di ceramica e ingoiando il groppo che sentiva in gola.

Si era addormentata mentre faceva il bagno.

I ricordi di quelle scene erano ancora vividi, più vividi che mai. Temeva di poter ripiombare nuovamente in quel momento non appena avesse abbassato la guardia. Quelle sensazioni, le emozioni, il dolore… era stato tutto così reale, così implacabile.

Socchiuse gli occhi, facendo riemergere una gamba dal pelo dell'acqua. La osservò criticamente, come se potesse trasformarsi esattamente come aveva sognato nel giro di pochi secondi, passandoci una mano sopra. Percepì sotto i polpastrelli tremanti di ansia la pelle morbida interrompersi in alcuni punti.

Quel dolore era stato così vero... esattamente come lo ricordava.

Rimase immobile qualche attimo, riflettendo e osservandosi intorno con sguardo vacuo, dando modo al suo animo di calmarsi – se non completamente, almeno un po'. Dalla televisione accesa in sala provenivano le voci concitate di due giornalisti e vi si aggrappò con tutta l’attenzione che riuscì a riservargli per riprendere contatto con la realtà.

«... anche oggi i Pro Hero sono riusciti a sgominare una banda di rapinatori, in particolare si sono fatti notare…»


Yuhiko non riuscì a cogliere tutta la frase, però sorrise, appigliandosi mentalmente a quel suono per ancorarsi alla realtà. Decise di aver perso già troppo tempo. Sentì le gambe tremare mentre recuperava l'asciugamano ma cercò di non farci caso, appoggiandosi al mobiletto del bagno per sostenersi e stando ben attenta a non incrociare mai la sua figura riflessa nello specchio fino a quando non ebbe sistemato tutto, cambiando stanza e dirigendosi in cucina.

Sayla ed Eden le iniziarono a girare tra i piedi, impazienti, muovendo le orecchie lunghe e pelose per ascoltare ogni rumore.

«Si, si, arrivo...» mormorò, avvolgendo in uno straccio le verdure che gli aveva preparato e dirigendosi nella stanza che aveva trasformato nella loro casa. Non le piaceva l'idea di lasciarli tutto il giorno chiusi in gabbia e lei aveva fin troppo spazio inutilizzato, quindi aveva optato per adibirgli una stanza e lasciarli in giro per tutta casa quando era presente.

Con i soldi messi da parte e lo stipendio attuale era riuscita a permettersi un appartamento più grande di quanto le servisse: l'ingresso che dava su una bella sala, la cucina, due stanze, due bagni, un piccolo studio dove si ritirava a fare le sue ricerche quando il lavoro diventava troppo pesante e in cui riponeva i documenti e le bollette,  l'ampio terrazzo con l'ombrellone, un tavolino e delle sdraio su cui si rilassava durante le serate estive mentre leggeva o ascoltava musica.

I coniglietti le saltellarono dietro ed Eira sorrise, osservandoli iniziare a mangiare. Li coccolò' un po' e scattò qualche foto, dando poi una pulita alla stanza e cambiando la lettiera.

Rimase impegnata a dare una sistemata alla casa, riflettendo sulla giornata, finché non sentì il trillo del telefono. Si osservò intorno, spaesata per quell'interruzione e dirigendosi in cucina, non trovandolo.

Erano quasi le dieci di sera.

Come se lo avesse chiamato mentre si domandava dove lo avesse lasciato l'apparecchio squillò ancora con l'inconfondibile suono della ricezione di un messaggio. Yuhiko si gettò sul divano, trovandolo sepolto sotto i cuscini. Sbloccò lo schermo, iniziando a studiare la barra delle notifiche.

Vari messaggi dalla chat che condivideva ancora con i suoi ex compagni dello Yuuei, un messaggio di Ochaco che le chiedeva come stesse e uno di Kirishima. Yu aggrottò la fronte, leggendo l'anteprima.

"Ehi Yuki, ci sei sabato vero?"


Rimase vari attimi a fissare lo schermo, perplessa, sentendo una fitta di nostalgia per il soprannome con cui si era sempre ostinato a chiamarla nonostante le sue proteste – maledetto il giorno in cui gli aveva rivelato il significato del suo nome – e che, nonostante tutto, non aveva mai smesso di usare. Alzò un sopracciglio, non capendo il significato dietro quelle parole, muovendo le dita sul cellulare per aprire la chat e, successivamente, il calendario.

Sabato era il 16 Ottobre.

Rilesse nuovamente il messaggio di Eijirou, spremendosi le meningi – perché sapeva, sapeva di stare scordando qualcosa d'importante e non poteva di certo dirglielo – fino a quando non le si accese una lampadina in testa. Scorse a ritroso la chat fino a un paio di settimane prima e le mancò il fiato per qualche secondo mentre ripercorreva il breve scambio di messaggi che avevano avuto.

Il compleanno di Kirishima.

Come aveva potuto passarle di mente? Non aveva più pensato a cosa potergli regalare.

«Merda.»



***



“Ricordati di sabato!”


Katsuki digrignò i denti, posando malamente il telefono sulla scrivania. Si trattenne dal farlo esplodere solo perché negli anni aveva acquisito un po' più – un po' poco, in realtà, ma per lui erano stati passi da gigante e le persone che gli stavano intorno avevano apprezzato lo sforzo – autocontrollo. E quel telefono l'aveva ricomprato solo un mese prima e si sapeva quanto lui fosse tirchio nonostante il buon stipendio da Hero.

Sentì un pesante tic all'occhio, maledicendo i giornalisti che gli avevano fatto solo perdere tempo quel pomeriggio con le loro domande, il freddo che non gli permetteva di sudare per bene, la pioggia che gli aveva infradiciato la tenuta da Hero e tutto ciò che gli passò nella testa in quel momento da suonargli abbastanza irritante da meritarsi di essere mandato a quel paese.

Si passò una mano tra i capelli, sentendo i nervi a fior di pelle per quella giornata che non era ancora finita, occhieggiando l'ambiente dell'agenzia e fulminando le scartoffie che lo osservavano dalla sua scrivania come per ammonirlo dall'osare a lasciarle ancora in quello stato.

Che diamine, lui era un Pro Hero, non una cavolo di segretaria. Lui combatteva e vinceva contro i criminali, non restava in ufficio a sbrigare un lavoro da persone normali come compilare le scartoffie. Non seppe cosa lo trattenne dal farle volare fuori dalla finestra in un miscuglio di cenere e fiamme. Forse l'orgoglio personale di dover fare sempre tutto alla perfezione e meglio di chiunque altro – anche le cose più noiose.

Fanculo.

Le sue priorità in quel momento erano di andare a casa, mangiare e dormire. E guardarsi bene dal rispondere a Capelli di Merda. Bakugou provò la familiare sensazione che tutto ciò su cui posasse gli occhi riusciva a dargli un motivo per perdere la pazienza.

«Kacchan, hai già preso un regalo?»

«Ah?»

Deku sussultò, sentendosi trapassare dall'occhiata brusca che gli lanciò l'amico per essersi intromesso nei suoi pensieri. Non erano più ragazzini, eppure per certi aspetti sembravano non essere cambiati affatto nel modo in cui si rapportavano tra loro nel privato o quando non avevano a che fare con qualche Villain.

Il ragazzo accennò con un gesto del capo al telefono, passandosi una mano tra i capelli per sfogare la tensione, e Bakugou capì che probabilmente Red Riot non aveva contattato solo lui. Non che la cosa lo lasciasse sorpreso, era stato sempre parecchio socievole ed aperto verso gli altri – a differenza sua – e nella stupida chat della classe da cui non si capacitava perché non fosse ancora uscito non si parlava di altro da un paio di giorni.

«Le ragazze stavano pensando di pren__»

«Io non prenderò proprio niente perché non andrò a nessuna cazzo di festa. Devo lavorare.» fu il suo commento, acido. Tuttavia, una vocina gli disse che Eijirou, per la pazienza che aveva sempre avuto nei suoi riguardi e per il rispetto che c'era tra loro, qualcosa da parte sua se la meritasse. Maledizione, non era bravo a fare i regali.

Shouto si alzò dalla scrivania, cambiando stanza, rivelando la propria presenza senza bisogno che dicesse nulla. Era rimasto ad ascoltarli in un paziente silenzio, continuando a lavorare indisturbato – la voce di Izuku e lo sbraitare di Bakugou erano diventati ormai una sorta di colonna sonora nelle sue giornate, un sottofondo familiare che gli dava la strana sensazione di sentirsi un po' come a casa, circondato da quella tranquilla serenità che per tanti anni gli era mancata e a cui si era inevitabilmente affezionato.

Deku giurò di averlo visto sorridere mentre spariva nel suo ufficio e capì immediatamente di non sbagliarsi, quando si lasciò dietro una frase detta con quel particolare mormorio pacato che aveva sempre irritato Katsuki.

«Sabato sei di riposo, Bakugou, e domenica inizi la ronda al pomeriggio. Mi sono già coordinato con gli altri Pro per tutto il mese.»

Ci fu uno scoppio che fece sussultare Izuku e per l'ufficio si sparse immediatamente odore di carta bruciata.

«Vaffanculo, Todoroki.»













































































































































Holaaa!
Questo è stato il primissimo capitolo che ho scritto, forse si intuisce che non avevo ancora molta dimestichezza con i personaggi e c'è un'atmosfera un po' strana che gli gira intorno... ho cercato di correggere più che ho potuto. Cosa sarà mai successo a Yuhiko per non lavorare come Hero? Continuate a seguirmi e lo scoprirete. :D
Non credo di avere molto da dire, spero solo di aggiornare presto! :)
Ringrazio chi si è fermato a leggere fino a qui. <3
Love, D.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Settimo Petalo. ***


Cherry Blossom Tree
Settimo Petalo.








“Ciao Eira, tutto bene? Ci sei uno di questi giorni?”

S'infilò un paio di pantaloni e un maglioncino leggero, mise delle scarpe comode e raggiunse la stanza di Eden e Sayla. Tirò su la tapparella in modo che avessero abbastanza luce e, dopo essersi appurata che non gli mancasse niente ed avergli fatto qualche carezza, si chiuse la porta alle spalle. Uscì di casa giusto qualche minuto dopo aver finito di sistemare gli ultimi dettagli ed aver inserito l'allarme - ormai era diventata un'abitudine.

Occhieggiò l'orologio mentre percorreva il vialetto di casa, chiudendo gli occhi per qualche attimo quando la luce riflessa sullo schermo la colpì in pieno viso, infastidendola. Segnava le 14.46 di giovedì pomeriggio.

Merda. Forse avrebbe dovuto avvisare che tardava.


Aveva appuntamento al centro commerciale alle tre, ma era consapevole che ci avrebbe messo una ventina di minuti a percorrere la strada dal momento che non disponeva di un'auto e non le piaceva prendere i mezzi – e in ogni caso, non aveva tempo per aspettare. Affrettò il passo, occhieggiando la strada quel tanto che bastava per non andare addosso a nessuno mentre digitava qualcosa sul cellulare.

A differenza di come fosse iniziata la settimana, con pioggia e aria fredda, quel giorno sembrava che le stagioni si fossero riavvolte, riportando un tempo settembrino. Il sole riscaldava quel tanto che bastava per non avere freddo e c'era chi addirittura era in giro in felpa, accaldato per quell'improvviso cambio di tempo e portando sottobraccio le pesanti giacche invernali. Le fresche ventate di aria s'insinuavano tra le chiome degli alberi facendo cadere qualche foglia già secca.

Yuhiko si beò della sensazione del sole sulla pelle, sentendo le membra sciogliersi sotto quel tocco delicato. Le dava la stessa sensazione di torpore di quando si svegliava nel letto in pieno inverno, raggomitolandosi sotto il piumone caldo mentre fuori pioveva o l'aria era particolarmente gelida e non aveva voglia di alzarsi.

Il suo cellulare vibrò.

“Tranquilla! Anche Mina è in ritardo.”



***

 


Yuhiko si stava ancora mordendo la lingua per la sua sbadataggine, mentre apriva la chat per leggere il messaggio di Ochaco. Ci mise poco a decidere cosa rispondere, accovacciandosi sul divano e tirandosi addosso una coperta. Fece mente locale ricordando i turni di lavoro mentre i due coniglietti le saltarono accanto, accoccolandosi sui cuscini.

“Tutto bene, grazie! Tu? Sarei libera giovedì pomeriggio e sabato mattina.”

Mentre aspettava la risposta di Uravity aprì la chat di quella che era stata la sua classe alla Yuuei.

Scorse velocemente la conversazione e si morse un labbro, pensierosa, muovendo distrattamente una mano in direzione delle orecchie nere di Eden per accarezzarle. Solitamente parlavano delle ultime missioni e notizie del mondo degli Heroes – per quanto potessero dire con il segreto professionale, per lo meno – o la usavano per mettersi d'accordo per ritrovarsi tutti insieme, anche se spesso qualcuno mancava a causa del lavoro.

A lei dispiaceva, perché non aveva più l'occasione di incrociarli sul campo, e leggere i loro messaggi era un modo per sentirsi ancora parte del gruppo. Il discorso che aveva catturato l'attenzione quel giorno piovoso, però, era il compleanno di Kirishima, che si era premurato di mandare un messaggio ricordando a tutti della sua festa. Li aveva invitati – di nuovo, perché già ne aveva parlato – nel suo appartamento per una serata senza troppe pretese, un compromesso pensato in modo che chi finiva tardi o iniziava presto a lavorare sarebbe riuscito lo stesso a passare per un saluto.

Yuhiko immaginò la conoscesse abbastanza bene per averle scritto anche in privato, sapendo che spesso perdeva la cognizione del tempo. Si premurò di rispondere anche a Red Riot prima che la iniziasse ad inondare di chiamate.

“Come potrei mancare?”

Poi si ricordò di un dettaglio e tornò alla chat di gruppo.

“Koji, riusciresti a procurarmi del fieno?”

Impensierita, gettò uno sguardo allo sgabuzzino dove teneva le scorte per Eden e Sayla. Non che l'avesse finito, ma Koda era dalle superiori che teneva animali e le aveva dato i consigli necessari quando le aveva affidato i due coniglietti, procurandole il necessario.

Il telefono le vibrò in mano e quasi le mancò la presa per quel trillo improvviso. Si diede della stupida, percependo il cuore stringersi in una morsa per lo spavento. Lanciò uno sguardo alla televisione e poi alla finestra, accorgendosi che quella sera, mentre tornava a casa, non aveva avuto la sensazione di essere seguita. Si sentì sollevata, ma non seppe se fosse un segnale positivo o meno. Forse era stato perché si era ritrovava in mezzo a tante persone e non ci aveva fatto caso.

“Giovedì andrebbe bene, sono libere anche Momo, Jirou e Mina. Volevamo prendere qualcosa per Kirishima, anche da parte dei ragazzi. Ti va di venire?”

La ragazza soppesò quella proposta per qualche attimo, ripercorrendo con la mente lo scambio di messaggi. Presa da una vaga forma di sincerità verso se stessa si rese conto che effettivamente, oltre ad avere voglia di vedere le sue amiche, si sarebbe cavata dall'impiccio di non sapere cosa regalare a Eijirou e rischiare di uscirne matta per il poco tempo a disposizione.

“Volentieri.”




***


«Eccola...»

«Finalmente... siamo qui!»

«Mina! Si può sapere dove ti eri cacciata?»

La ragazza si fece largo tra i gruppetti di persone, arrivando davanti alle ragazze che la stavano aspettando in due ultime, disperate, falcate. Mentre Momo e Ochaco abbassavano le braccia con cui si erano fatte notare da Ashido quando l'avevano vista guardarsi intorno senza riuscire ad individuarle, quest'ultima approfittò di quei secondi di stasi per prendere delle grosse boccate d'aria.


«
Sc... scusate, scusate davvero!» boccheggiò, alquanto drammatica, guadagnandosi due paia di sopracciglia alzate e delle espressioni rassegnate.

«Ho avuto un imprevisto.» congiunse le mani, abbassando il capo per dare più enfasi alle sue parole. Il respiro era ancora affannoso, aveva cercato di metterci meno tempo possibile per non tardare troppo ma cercando di conservare del contegno. Dopotutto era un personaggio pubblico, e la sola idea di farsi beccare da qualche paparazzo con il trucco sfatto ed i capelli arruffati fuori dal contesto lavorativo la faceva rabbrividire.

«Scommetto che non sapevi cosa metterti.» la punzecchiò tempestivamente Yuhiko, con un ghigno, mentre Jirou roteava gli occhi. Mina gonfiò le guance, indispettita.

«No! Cioè si… anche. Ma ho fatto tardi con la ronda!» si giustificò, andandole incontro per abbracciarla e per nulla turbata degli sguardi di esasperazione che le riservarono Yaoyorozu e Ochaco. La mora si lasciò cingere dalle braccia rosate che se la tirarono addosso con entusiasmo, ridacchiando confortata dall'esuberanza che caratterizzava Ashido da quando la conosceva. Ci aveva messo un po' a capirla: Mina era troppo entusiasta e sbarazzina, rispetto a lei dal carattere decisamente più chiuso e con altri pensieri, ma dopo mesi di accademia insieme erano riuscite a trovare un equilibrio nelle loro interazioni.

A Yu piaceva il suo lavoro al negozio, ma durante quei momenti, quando si ritrovava con quelle che erano diventate negli anni alcune delle persone più importanti della sua vita, sentiva quanto le mancassero. Le esperienze passate insieme erano ancora vivide nella sua testa, ricordi di momenti che sfarfallando tranquilli si materializzavano davanti agli occhi come se non fosse passato un singolo giorno dai tempi insieme in Accademia.

Eira ricordava quanto fosse stato difficile dover abbandonare tutto, prendere la decisione di allontanarsi dai riflettori, buttare letteralmente al vento gli anni passati ad impegnarsi e allenarsi, mettere da parte il sogno di una vita che aveva coltivato fin da quando era poco meno che ragazzina. Ricordava i notiziari, gli sguardi amareggiati e preoccupati che le erano stati rivolti per settimane, la frustrazione di essere trattata come se avesse comunicato che sarebbe morta di lì a breve.

Forse era davvero scappata. Forse era stata davvero una codarda. Forse una parte di lei era davvero morta in quelle giornate lunghe e tortuose.

Eppure non era riuscita a fare diversamente.

La pressione era troppa. La sensazione di non fare abbastanza ancora peggio. Quello che era capitato in quella che sarebbe stata poi una delle sue ultime missioni la bastonata che l'aveva spezzata definitivamente. Non si fidava più di se stessa, della sua capacità di giudizio, della sua Unicità. E se mancano tutte queste cose, se non riesci nemmeno ad aiutare te stesso, come puoi pretendere di aiutare gli altri?

«Yuhiko, ci sei?»

La ragazza puntò lo sguardo di fronte a sé, sbattendo le palpebre un paio di volte. I suoi occhi grigi incontrarono i volti delle amiche che la stavano osservando con una punta di preoccupazione.

«Come?» domandò, completamente vigile. Si morse l'interno di una guancia, maledicendosi per essersi fatta distrarre dai propri pensieri.

«Stavamo parlando del regalo per Kirishima. Ma sei sicura di stare bene? Mi sembri pallida.» le fece notare Momo, avvicinandosi con fare apprensivo. Era sempre stata quella più matura di tutti, sia nel linguaggio che nel comportamento, che nella sua capacità di osservazione ed analisi. Crescendo aveva affinato tutti quegli aspetti che l'avevano resa, ai tempi, rappresentante di classe – un ruolo che, anche se ormai non frequentavano più la scuola, era come se non avesse mai abbandonato. Yaoyorozu era rimasta quel punto fermo, quella vocina della coscienza che faceva ragionare tutti senza la durezza dei rimproveri esasperanti di Iida. Calma, acuta e comprensiva come una sorella.

Yu sorrise con poca convinzione, lanciando al gruppetto un'occhiata di scuse.

«Mi ero distratta.» confessò, e le sembrò che negli occhi di Mina fosse passato un lampo di eccitazione.

«C'entra un ragazzo? Eh? Dai, dai, confessa!» fu infatti la serie di domande che le fece a bruciapelo, dandole delle gomitate nelle costole. La mora sentì il fiato mancarle qualche secondo e scosse la testa, arrossendo leggermente per dell'imbarazzo che non aveva motivo di esistere.

«Ma che dici? Lavoro tutto il giorno, non ho tempo per queste cose.» lanciò un'occhiata implorante ad Ochaco, trovandola a torturarsi le dita delle mani. Ghignò maliziosa.

«Piuttosto...» iniziò, sgusciando via da Mina ed avvicinandosi con passo felpato. Vide Uravity sussultare leggermente, senza riuscire a guardarla per più di qualche secondo, improvvisamente attirata dalle vetrine dei negozi attorno a loro.

«Come va con Izuku?» se possibile Uraraka diventò ancora più rossa mentre cercava di sfuggire agli occhi indagatori che la stavano osservando.

«No_Non ho… Non ho niente da dire!» sputò fuori con la voce più alta di un'ottava, mettendo le mani in avanti e scuotendole in aria. Il suo sguardo, però, si fece anche vacuo, come se stesse rimuginando su qualcosa. Yuhiko alzò un sopracciglio notando quel cambio di espressione, mordicchiandosi un labbro mentre si scambiava un'occhiata con le altre in cerca di spiegazioni, ma l'alzata di spalle piena di sconsolazione che fece Jirou le diede tutte le risposte di cui aveva bisogno. Roteò gli occhi, trattenendosi a stento dallo sbuffare.

Che cazzo aspettava Izuku?

Strinse le labbra, posando una mano sulla spalla di Ochaco in un vago gesto di rassicurazione e decidendo di cambiare discorso. Era palese che qualcosa doveva turbarla e non voleva rigirare il dito nella piaga. Uravity fu internamente grata di quel gesto, portandosi le mani dietro la schiena e sorridendo leggermente verso le amiche.

«Voi, invece? Tutto bene con Todoroki e Kaminari?» la sua attenzione si rivolse a Momo e Kyoka, consapevole che non avrebbe camminato sul filo del rasoio con quella domanda. Le due, infatti, già da tempo avevano instaurato una relazione ufficiale con i due ragazzi.

«Devi vederli! Sono proprio due coppie di piccioncini!» fu invece la risposta non richiesta che le diede Ashido, precedendo le due. Momo e Jirou protestarono, imbarazzate, e Ochaco ridacchiò, rilassandosi visibilmente. Yu lanciò loro uno sguardo, comprensiva.

Mina non aveva torto, in quel caso.

«Quindi, avete qualche idea?» prese in mano la situazione Kyoka, tornando al motivo per cui si trovavano li. Le sue guance avevano ancora una spruzzata di rossore e incrociò le braccia al petto, per cercare di scrollarsi di dosso la sensazione di disagio che i punzecchiamenti di Mina le avevano provocato. Le ragazze si guardarono, indecise, abbozzando qualche ipotesi. Uraraka si portò una mano al mento, pensierosa. Cercò di immaginarsi cosa potesse piacere a uno come Eijirou e si ricordò di una conversazione che aveva avuto con Izuku qualche giorno prima. I suoi occhi brillarono, vittoriosi.

«Forse ho un'idea!»



***



Si lasciò cadere sul divano, sentendo salirle addosso tutta la stanchezza, e chiuse gli occhi per rilassarsi.

Era stata una giornata particolarmente piena, per la gioia di Mashiro. L'uomo era stato entusiasta tutto il pomeriggio, muovendosi leggiadro tra i vari scaffali e banconi dispensando consigli e informazioni a chi glieli richiedeva come se fosse un'enciclopedia vivente. Era davvero bravo a toccare i punti giusti per convincere i clienti a spendere e il bagaglio di conoscenze di cui faceva sfoggio senza ritegno non faceva altro che renderlo più affascinante. Il fatto che non frequentasse nessuna donna era un dettaglio che la lasciava basita.

“I miei unici amori sono le reliquie. Non mi possono mentire.”

Quella bella giornata con il sole aveva spinto le persone ad uscire di casa e passeggiare per la città e molte si erano fermate, incuriosite dagli articoli che vendevano. Oltre a oggetti rari, dalla provenienza antica e certificata – quelli su cui Mashiro spendeva maggior tempo e denaro per procurarseli al fine di rivenderli a clienti di un certo calibro, sempre che non gli interessassero personalmente – il negozio era tappezzato di oggettistica particolare, di quella che non trovi nelle grandi catene di distribuzione. Se volevi comprare qualcosa che non possedeva nessuno quello era il posto giusto: acchiappasogni, libri sull'astrologia, l'occulto e leggende che attiravano gli appassionati del genere, pietre e gemme, lampade dalle forme sceniche, orologi intagliati a mano… sarebbe potuta andare avanti all'infinito.

Era la particolarità del negozio, i suoi mille colori, la sensazione di entrare in un altro mondo che l'aveva attirata in quel luogo la prima volta senza farglielo lasciare più.

Socchiuse gli occhi, puntando lo sguardo sul display del telefono che si portò davanti alla faccia. Segnava le 19.40. Era meglio se si preparava, altrimenti avrebbe fatto tardi.

Si recò in cucina, prese la razione di verdure per Eden e Sayla mentre l'acqua della doccia si scaldava. Non voleva rischiare di addormentarsi come poche sere prima ed era sicura che se si fosse immersa nella vasca non ne sarebbe più uscita. Il suo corpo urlava pietà per essere stato in piedi tutto il giorno e i polpacci formicolavano. Osservandosi allo specchio mentre attendeva ancora qualche attimo, notò che aveva i capelli tutti scomposti e due grosse occhiaie sotto gli occhi. Non riusciva a dormire più bene come un tempo ed era sempre tesa.

Si fece pena e si morse un labbro, sperando di non aver avuto quella faccia davanti ai clienti per tutto il pomeriggio.

Non poteva dirglielo, Mashiro, che avrebbe dovuto darsi una sistemata? Si buttò sotto la doccia, pensierosa e un po' emozionata, iniziando a lavarsi. Distrattamente sperò che il regalo che avevano scelto per Kirishima gli piacesse.




***



«Quindi siamo tutte d'accordo?»

Dal gruppetto si alzarono dei cenni di approvazione. Yuhiko sorseggiò il the freddo che aveva ordinato, accavallando le gambe ed accompagnando quel gesto con un'occhiata fintamente vaga che soppesò le persone che le circondavano, cercando di capire se ci fosse qualcosa fuori posto. Un ricordo non troppo lontano dell'attenzione che un Hero doveva riservare ad ogni particolare che lo circondava per non farsi cogliere impreparato.

Eira inspirò velocemente, grattandosi una guancia: era già da un paio di giorni che non percepiva nulla ma la cosa, invece che tranquillizzarla, la stava facendo impensierire di più. Ripuntò l'attenzione sulle ragazze, notando che non avevano fatto caso a quella serie di gesti sospettosi, troppo impegnate nello scambiarsi pareri.

«Vediamo cosa rispondono gli altri…» fu il commento pensieroso di Momo, che occhieggiò il cellulare lasciato sul tavolino dove si erano raggruppate. Eira si grattò la punta del naso mentre un cameriere serviva nuovamente da bere a Mina e Kyoka.

Ochaco si era ricordata che una sera Izuku le aveva raccontato che a Kirishima si era rotto il sacco da boxe. Prendergliene uno nuovo, accompagnandolo a dei pesi e qualche altra cosa per gli esercizi che faceva a casa, le era sembrava un'opzione carina e utile. Le altre avevano concordato, ma poi Yaoyorozu aveva fatto sorgere il dubbio che magari lo avesse già sostituito. A quel punto tutte avevano sospirato, mentre domandavano agli altri cosa ne pensassero e se qualcuno ne sapesse qualcosa. Fino a quel momento, però, a parte l'approvazione per l'idea, nessuno sapeva nulla di certo. Chiedere a Kaminari era fuori discussione perché sicuramente non avrebbe saputo fare il vago e non volevano rovinare la sorpresa a Red Riot.

«Ah, ci sono!» si esaltò Mina improvvisamente, e il modo in cui puntò gli occhi brillanti su Yuhiko le fece venire dei brividi di ansia. C'era da stare attenti alle uscite esuberanti che aveva.

«Cosa?» domandò Jirou, appoggiando il viso su una mano e sospirando. Ochaco posò entrambe le braccia sul tavolino sporgendosi in avanti, incuriosita.

«Perché non chiedi a Bakugou? Sono amici, saprà sicuramente qualcosa.»

Eira si prese tutto il tempo necessario per finire il lungo – molto, molto lungo – sorso di the che aveva preso. Mordicchiò la cannuccia ancora tra le labbra e alzò un sopracciglio, ignorando le orecchie che avevano iniziato a scaldarsi.

«Perché?» Ashido alzò gli occhi al cielo, per nulla sorpresa del luccichio di smarrimento che aveva animato lo sguardo della mora.

Perché io?

«Eddai, lo sai che sei una delle poche a cui risponde. Kaminari e Sero sono fuori discussione, non perdono la testa solo perché è attaccata al collo. Deku verrebbe sicuramente ignorato. E a Kirishima non possiamo di sicuro domandarlo, si insospettirebbe.» il tono che aveva usato le ricordò tanto quello con cui si parla a un bambino che non vuole capire l'ovvio. Yuhiko vacillò, sentendosi trapassare da otto paia di occhi trepidanti.

«Effettivamente è vero. Alla fine vi conoscete fin da bambini, avete confidenza.» intervenne Momo, in un sussurro. Gli occhi grigi di Eira soppesarono i volti delle amiche ed ebbe la sensazione che non le stessero dicendo tutto ciò che pensavano. O forse non osavano, per paura di ferirla. Il rapporto tra lei e Katsuki era sempre stato un po' particolare e dopo i primi tempi avevano smesso di commentare.

Si costrinse ad ingoiare il nodo che sentiva in gola, mentre afferrava il cellulare dalla borsa con un grosso sospiro. L'avrebbe mandata a cagare, nel migliore dei casi.

«E va bene, va bene.» cedette, facendo violenza contro se stessa. Guardò lo schermo, indecisa su cosa scrivere. Le capitava spesso, più di qanto sarebbe stata capace di ammettere a se stessa, di inviargli dei messaggi per congratularsi se veniva a sapere di qualche missione conclusa con successo, se vedeva in tv qualche servizio che lo nominava e cose simili. Katsuki raramente le rispondeva con più di una frase, ma era l'unico modo che conosceva per fargli sapere che nonostante tutto, in qualche modo contorto, gli era ancora vicina. Desiderava esserlo, perché era l'unica cosa che credeva le venisse bene. Stare vicino ai suoi amici, essere pronta ad accoglierli in caso di bisogno, come faceva con Izuku quando le si fiondava a casa per buttare fuori il tornado che erano i suoi pensieri o Uraraka la frustrazione per il lavoro e la pesantezza dei debiti da pagare per aiutare i genitori.

E l'unico appiglio che le era rimasto era la carriera, non più condivisa, da Pro Hero.

“Ciao, Katsuki.”

Posò il cellulare sul tavolo, in attesa, lanciando un'occhiata storta verso Mina che non sembrò particolarmente colpita: la ragazza, infatti, le rispose con un pollice alzato e poi si perse a commentare dei manichini esposti in una vetrina poco lontana. Non era un messaggio chiaro, ma era sicura che fosse l'unico modo per costringerlo a risponderle senza che la ignorasse.

“Cosa vuoi.”

Arricciò il naso, corrugando le sopracciglia davanti a quella risposta lapidaria. Il parlottare delle altre divenne un brusio di sottofondo.

“Sai se Eijirou ha già comprato un sacco da boxe nuovo? Ah, quali pesi potrebbero servigli? Volevamo regalarglieli per il compleanno.”

Percepì una morsa allo stomaco, ma cercò di ignorarla mentre cercava di spiegarsi. La risposta di Bakugou non si fece attendere troppo, lasciandola parecchio sorpresa per la tempistica – e non per il contenuto.

“Per chi cazzo mi hai preso, Mizore? Non sono sua madre.”

Yuhiko roteò gli occhi, immaginandoselo lanciare fuoco e fiamme mentre le rispondeva digitando nervosamente sulla tastiera. Stava per comunicare alle altre che era una causa persa, quando il telefono vibrò nuovamente illuminando lo schermo e, senza che riuscisse a nasconderlo, il suo sguardo.

“No, non l'ha ancora comprato. Lascia perdere i pesi, prendigli qualcosa per quei capelli di merda che si ritrova.”



***



Sbuffò, Katsuki, chiudendo con un gesto secco la portiera della macchina. Iniziò ad avanzare verso la porta dell'appartamento guardandola storto per tutto il tragitto come se dovesse affrontare un nemico, quando si ricordò di un particolare e tornò indietro, stizzito. Riaprì l'auto e, dopo varie imprecazioni, vi tirò fuori un sacchettino di plastica. Ripercorse la strada a grandi falcate e si piantò davanti al campanello, a cui riservò un'occhiataccia.

Mentre sentiva delle voci ovattate provenire dall'interno dell'appartamento, si prese qualche attimo per ritrovare la calma, non senza prima passare da un contorto sentiero colmo di maledizioni. Maledì Kirishima e la sua stupida festa, maledì Todoroki per averlo praticamente obbligato a partecipare senza che si trincerasse dietro la scusa del lavoro. L'aria fredda della sera gli scompigliò i capelli, dandogli la spinta necessaria per schiacciare il bottone, perché l'ultima cosa che desiderava era restare ancora fuori rischiando di congelarsi.

Il festeggiato gli comparve davanti dopo pochi secondi.

«Ehi, ciao Bakugou!» Katsuki gli piantò il sacchetto in mano, superandolo berciando un saluto tra i denti e lasciandolo sulla porta, troppo abituato a frequentare quella casa per sentirsi davvero un ospite. Non vide il sorriso che Kirishima rivolse alla sua figura quando occhieggiò il joystick nuovo che gli aveva portato per ripagargli quello che gli aveva rotto per l'incazzatura un paio di sere prima.

Bakugou percepì il calore proveniente dall'appartamento scaldargli immediatamente le dita delle mani, e notò alcuni palloncini sparsi per il pavimento. Quando fu sulla soglia della sala si accorse che Kaminari, Mineta, Jirou, Mina e Sero erano già presenti, accovacciati intorno al tavolino con davanti alcuni bicchieri e bottiglie aperte. Avrebbe dovuto immaginarlo che quegli idioti si sarebbero piazzati il prima possibile in casa altrui. Non avevano nemmeno avuto la decenza di aspettare prima di iniziare a bere: Denki aveva già lo sguardo lucido e cercava di mantenere una conversazione con Sero, Mineta faceva di tutto per accollarsi a Mina e Jirou usava i suoi jack per schiaffeggiargli le mani.

«Oh Bakugou, finalmente sei arrivato! Sei in ritardo, non è da te.»  biascicò  Kaminari nella sua direzione, facendogli cenno di unirsi a loro. Il biondo avanzò di qualche passo, infilando le mani nelle tasche dei pantaloni.

«Non rompere, Faccia da Scemo.» lo ammonì, sedendosi in un angolo. Occhieggiò la stanza con occhio critico, soffermandosi alla scritta "Buon compleanno!" appesa alla parete, i palloncini che svolazzavano in giro - sicuramente portati da Ashido -, Kirishima che andava e veniva dalla cucina per portare da bere e mangiare. Non gli aveva più detto niente, ma bastava guardarlo in faccia, con quel sorriso a mille denti, per capire che avesse gradito il suo regalo.

Bakugou pensò che, ora che non aveva più nulla da fare, avrebbe anche potuto andarsene e tanti saluti a tutti. Chiuse gli occhi, ignorando volutamente la voce di Mina che gli stava tartassando le orecchie con delle idiozie di cui non voleva saperne nulla.

Che cazzo ci faceva li?


Fu il trillo del campanello a strapparlo dal suo stato di riflessione. Sentì la porta aprirsi e la voce accogliente di Eijirou salutare qualcuno, ma a causa del baccano che stavano facendo i ragazzi che aveva da parte non capì chi fosse arrivato. Scrutò l'ambiente infastidito, prendendo poi un bicchiere per versarsi da bere, decidendo che non gli importava.

«Sato ha portato la torta!»

Dalla sala si elevarono dei brusii di approvazione, quando Red Riot fece la sua comparsa portandosi dietro un Sato leggermente imbarazzato. Alle sue spalle c'erano anche Koda, Tokoyami e Shoji. Katsuki notò di sfuggita il grosso pacco incartato che Mezo si portava sulle spalle grazie all'aiuto della sua Unicità, intuendo già cosa fosse, ma fece più attenzione al grande sacchetto ben sigillato che il primo teneva stretto al petto.

Momo e Todoroki fecero la loro comparsa una decina di minuti dopo, arrivando in contemporanea ad Asui che chiese subito di Ochaco: anche se lavoravano in agenzie diverse le due ragazze avevano sempre mantenuto un rapporto molto stretto e passavano il tempo assieme ogni volta che ne avevano occasione, tanto che per qualche tempo avevano anche affittato casa insieme.

L'appartamento di Kirishima improvvisamente sembrò troppo piccolo per contenerli tutti, dal momento che era composto giusto dalla sala, un cucinino e un paio di stanze, eppure l'atmosfera che vi aleggiava era qualcosa di così familiare e particolare che perfino Bakugou si ritrovò a sentirsi un po' nostalgico.

Che cazzate.

Roteò gli occhi, schifandosi per i suoi stessi pensieri che gli ricordarono molto quelli che avrebbe fatto quel sentimentale di Deku.

In quelle occasioni, in cui si ritrovavano insieme, a tutti sembrava di essere tornati alle serate passate al dormitorio, quando giocavano ai videogiochi, guardavano un film, le ragazze spettegolavano o si scambiavano consigli per lo studio e gli allenamenti. Erano passati vari anni, ognuno stava percorrendo la propria strada, eppure quel legame di fiducia e amicizia che si era creato ed intensificato nei tre anni di Accademia aveva resistito nel tempo. Che svolgessero tutti la stessa professione e a volte si ritrovassero a collaborare aveva sicuramente aiutato a non perdersi di vista.

«Chi manca?» Kirishima, che aveva appena indicato a Koda un angolo dove poter lasciare il sacchetto che aveva portato per Yuhiko, puntò lo sguardo verso Fumikage.

«Dovrebbero raggiungerci anche Deku, Uraraka e Yuki. Iida e gli altri invece non sono riusciti a liberarsi.» disse, occhieggiando la porta come se potessero materializzarsi in quel momento. Bakugou sbuffò, alzandosi e accendendo la playstation come se si trovasse in casa propria.

«Uraraka mi ha scritto che stava aspettando Midoriya, Yuhiko invece era per strada.» si intromise Momo. La mora lanciò uno sguardo a Todoroki, seduto accanto a lei sul divano.

«Forse avrei dovuto insistere per passare a prenderla…» Shouto lesse l'apprensione che impregnava il sussurro della ragazza mentre fissava la sua attenzione sul telefono e le prese la mano, regalandole un sorriso appena accennato. Un gesto disinvolto, ma che fece sentire Yaoyorozu un po' più sollevata.

«Lo sai com'è fatta.» fu il suo commento. Eira raramente aveva accettato aiuti e la cosa era peggiorata da quando aveva cambiato lavoro. Come se volesse dimostrare che, nonostante tutto, se la cavava ancora benissimo. La ragazza annuì, ma in fondo al suo sguardo vi aleggiava ancora una nota di malinconia, e Shouto si sentì un po' in colpa per non sapere bene cosa dirle. Non era mai stato particolarmente loquace, anche se aveva cercato di migliorarsi e dove non arrivava con le parole usava i fatti; Momo lo sapeva e non gli aveva mai detto nulla, apprezzando quelle piccole lusinghe che lui le regalava.

Eppure in momenti come quello, dove non poteva dimostrarle qualcosa perché non dipendeva da lui, Todoroki si sentiva un grosso nodo allo stomaco. Yaomomo angosciata, triste e con il sorriso forzato era qualcosa che ogni fibra di se stesso si rifiutava di sopportare. Fu con sollievo quindi che il ragazzo accolse il suono del campanello e la voce strascicata di un Eijirou che iniziava ad essere particolarmente brillo.

«Finalmente, mancavate solo voi tre!»



***



«Sato, sei sempre bravissimo a fare i dolci. Per il mio compleanno vorrei dei mochi.» Il ragazzo si portò una mano a grattarsi una guancia ed abbassò lo sguardo, imbarazzato per quel complimento.

«Grazie, Uraraka. Mi ricorderò.» Vide la ragazza prendere un altro boccone di torta, sorridente e soddisfatta. Praticamente la stessa espressione che tutte avevano messo su da quando avevano iniziato a mangiare. Con l'arrivo di Izuku, Yuhiko e Ochaco avevano potuto iniziare a festeggiare davvero.

Kirishima aveva apprezzato i regali, accogliendoli con occhi emozionati: aveva già appeso il sacco da boxe nella stanza che usava come palestra e aggiunto le confezioni di tinta e gel che le ragazze gli avevano preso nell'armadietto del bagno.

Kaminari era ubriaco tanto che sembrava avesse usato fin troppo il suo Quirk e Mineta ne stava approfittando per intavolare dei discorsi sulla bellezza delle ragazze lontano dai lobi di Jirou. Sero era impegnato a giocare alla play con Eijirou sotto lo sguardo corrucciato di Katsuki, che se ne stava a braccia e gambe incrociate poco distante come se gli avessero fatto un dispetto. I due avevano bevuto un po' troppo, quindi spesso schiacciavano tasti a casaccio e ridevano senza motivo vedendo i propri avatar morire o venire atterrati.

Stanco di starsene con le mani in mano aveva lanciato uno sguardo disinteressato alla sala, occhieggiando Yu ringraziare Koda per il fieno e mostrargli poi la miriade di foto di Eden e Sayla che teneva nella galleria del telefono non senza un pizzico di orgoglio materno.

«Quanto sono cresciuti!» commentò Mina, sporgendosi oltre la spalla della ragazza per spiare le immagini ed attirando gli sguardi di Deku e Tokoyami, impegnati in una conversazione con Shoji poco distanti. Attorno ai due si erano radunati anche Momo e Tsuyu.

«Sono bellissimi, cra. Anche io ne vorrei uno.» aggiunse Asui, sorridendole e portandosi un dito al mento, pensierosa. Eira distolse lo sguardo, puntandolo sullo schermo dove i due coniglietti spiccavano in una foto che gli aveva fatto mentre prendevano il sole in terrazzo, per mascherare la tensione che le dava essere al centro dell'attenzione.

«Grazie.» buttò fuori, sospirando. Poi decise di cambiare discorso, ricominciando a mangiare la fetta di torta lasciata a metà e rivolgendosi agli amici.

«Allora, che mi raccontate?»



***



Erano ormai le undici passate e l'appartamento si era lentamente svuotato nel corso della serata: Sato, Shoji e Mineta avevano deciso fosse meglio rincasassero a causa della stanchezza data dalla giornata lavorativa, e poco dopo anche Tokoyami, Koda e Tsuyu seguirono il loro esempio. Kaminari era definitivamente crollato sul divano sotto lo sguardo sconsolato di Kyoka, mentre Kirishima e Sero stavano cercando di mantenere una conversazione apparentemente seria con Todoroki e Mina. Cambiavano argomento con una velocità impressionante e mischiavano insieme aneddoti che non c'entravano nulla l'uno con l'altro, eppure i due sembravano essere così convinti di ciò che dicevano che nessuno aveva il coraggio di interrompere quella sequela di cavolate che usciva dalle loro bocche. Solo Bakugou, riappropriatosi del suo posto davanti alla playstation, gli aveva inveito contro svariate volte per quanto fossero molesti.

Mentre attendeva il caricamento della nuova partita il biondo puntò lo sguardo alla parte opposta della sala, osservando di sottecchi la porta finestra che dava sul balcone e le due figure che vi stavano all'esterno. Deku e Mizore erano ormai svariati minuti che parlottavano tra loro e Katsuki si chiese che diavolo avessero di così importante da dirsi tanto da restare fuori al freddo - come se non si vedessero mai, poi.

Percepì la gola secca e una punta di fastidio alla bocca dello stomaco, la fastidiosa consapevolezza che in quel quadro, la maggior parte delle volte, non ci fosse posto per lui. Non c'era mai stato, come quando era venuto a conoscenza del segreto del Quirk di Deku scoprendo che la ragazza, invece, sapeva. Sapeva tutto da sempre.

Di che cazzo parlavano quei due idioti?

«È beeella la nevee, veero?» Il biondo trasalì senza volerlo, lanciando immediatamente un'occhiata storta al braccio che Kirishima gli aveva appoggiato sulla spalla e provando l'irrefrenabile impulso di farglielo saltare in aria. L'espressione del rosso era talmente convinta di quello che aveva detto che la sua voce non era suonata nemmeno troppo strascicata, eppure l'odore di alcool che si portava dietro diceva che era ubriaco marcio. Sentì i nervi diventare improvvisamente sensibili.

«Non so di cosa parli, Capelli di Merda.» lo fulminò, lapidario, tornando ad osservare la televisione. Kirishima era ubriaco, non sapeva cosa stava dicendo. Katsuki se lo ripeté più volte nella testa come un mantra per non perdere la pazienza. Ma Eijirou non collaborò.

«Oooh andiamo, non si dicono le bugie... non al tuo migliore amico...» sentì il ragazzo ridacchiare e lo vide fargli un gesto di negazione con la testa fin troppo plateale. Katsuki grugnì un insulto tra i denti per cercare di sfogare il nervoso.

«Smettila di sparare stronzate se non vuoi morire il giorno del tuo ventiquattresimo compleanno.» Ci mancava Kirishima con le sue frasi del cazzo. Che diavolo gli girava in quella testa vuota? Molte volte aveva pensato che le tinte gli avessero bruciato qualche neurone e forse non aveva tutti i torti. Non sentendolo rispondergli nel modo idiota che si sarebbe aspettato, Bakugou gli lanciò un'occhiataccia infastidita, socchiudendo le palpebre per studiare il viso dell'altro per quanto possibile da quella distanza.

L'espressione che Red Riot aveva messo su e il ghigno che gli stava rivolgendo ebbero il potere di alterargli definitivamente i nervi già scoperti, facendolo irrigidire come punto da uno scorpione.

«E levati!» gli ringhiò, staccandoselo di dosso con poca grazia ed alzandosi di scatto. La poca pazienza che aveva raccolto si dissolse nel giro di un battito di ciglia. Improvvisamente, non riuscì più a sopportare di stare chiuso in quelle quattro mura. Era meglio se si allontanava prima di fare esplodere tutto l'appartamento e compiere un  pluriomicidio.

«Aspetta, Bakugou! Bakugou! Te ne vai?»

Katsuki decise di ignorarlo, uscendo di casa sbattendo la porta.



***



Deku mise in moto l'auto con gesti meccanici dopo essere rimasto vari minuti a fissare l'entrata dell'agenzia dietro cui era sparita Uraraka, avviandosi verso il proprio appartamento. La ragazza aveva ricevuto una chiamata di lavoro improvvisa e lui non aveva dovuto pensarci troppo su per decidere di accompagnarla. Erano arrivati insieme alla festa, e non avrebbe mai avuto il coraggio di lasciarla girare per le strade in piena notte se poteva impedirlo. 

«Mi hanno chiamato da lavoro, hanno bisogno di me per un intervento.» Ochaco era appena rientrata in sala dopo aver finito di parlare al telefono. Le mani tenevano stretto l'apparecchio come se potesse scapparle via, la sua espressione era diventata improvvisamente tirata. La ragazza aveva fatto passare lo sguardo sugli ultimi invitati, dispiaciuta per la brusca interruzione a cui li aveva involontariamente sottoposti.

«Beh il lavoro è importante, non preoccuparti!» le aveva detto Mina, affiancandola con la sua solita allegria.

«Infatti, l'importante è che stai attenta. Tra poco andiamo anche noi, vero?» si era intromessa Kyoka, seduta vicino a un Denki ormai addormentato. Momo, accanto a lei, aveva annuito reprimendo uno sbadiglio e Yuhiko si era alzata, stiracchiandosi e concordando con quell'idea. Uravity li aveva salutati tutti mentre si infilava il cappotto, fermandosi in particolare su Kirishima per ringraziarlo dell'invito, poi si era avviata verso l'uscita.

Deku l'aveva raggiunta giusto mentre stava per abbassare la maniglia, trattenendola per il polso.

«Ti accompagno.» le aveva detto, e Ochaco aveva posato lo sguardo su di lui strabuzzando appena gli occhioni castani per quel gesto improvviso.

«Non voglio rovinarti la serata, posso andare da s__»

«No, ti accompagno.» aveva insistito lui, guardandola fisso negli occhi. Uravity aveva sospirato leggermente davanti alla sua espressione decisa, donandogli poi uno di quei sorrisi pieni di vita che a lui piacevano tanto.

«Ti ringrazio, Deku.» 

Ci mise poco, Izuku, a raggiungere casa sua. L'aria fredda della notte lo colpì in pieno viso quando scese dalla macchina, facendogli venire dei brividi di freddo e risvegliandolo dallo stato di torpore che percepiva addosso. Anche se Todoroki aveva fatto in modo di far avere la serata e la mattina dopo liberi sia a lui che a Bakugou, Midoriya sentì di aver bisogno di riposare perché percepiva addosso tutta la stanchezza della settimana.

Essere un Pro Hero era tutto ciò che aveva sempre desiderato, ma alle volte era davvero faticoso. Eppure, mentre si sistemava per andare a dormire, ebbe la consapevolezza che non sarebbe riuscito a prendere sonno tanto facilmente. Il discorso con Yu lo aveva prosciugato e il pensiero di Ochaco al lavoro lo metteva sempre un po' in ansia, nonostante sapesse quanto fosse forte la ragazza…

Prese il telefono e digitò d'impulso un messaggio.

"Fammi sapere se è andato tutto bene. Buon lavoro!"

Il ragazzo rimase per vari minuti a riflettere davanti a quelle parole che illuminavano lo schermo. Si domandò se andasse davvero bene il fatto di volersi sincerare che la missione di Uravity si concludesse senza intoppi. Corrugò le sopracciglia, pensieroso.

Che diritto aveva? 


«Non capisco cosa aspetti a dichiararti per ufficializzare il tutto. State soffrendo in due, ormai siete praticamente una coppia da anni. Non ha senso continuare a tirarsi indietro.» gli aveva detto Yu, lanciandogli un'occhiata compassionevole. Izuku si era infossato nelle spalle, appoggiandosi alla ringhiera del balcone e puntando lo sguardo al cielo scuro.

«Lo sai perché…» le aveva risposto, e il suo era stato poco più che un sussurro. Eppure l'amica l'aveva sentito benissimo, perché fece un piccolo sbuffo mentre scuoteva la testa.

«È per One For All?» gli aveva chiesto, retoricamente, abbassando ancora di più la voce ed occhieggiandosi in giro per sincerarsi che fossero soli. Midoriya le aveva sempre raccontato quanto lo preoccupasse la possibilità che quel segreto venisse scoperto, mettendo in pericolo le persone che gli stavano più vicine. Lei, Kacchan, sua madre, i loro amici, gli ex professori… Ochaco…

Yuhiko aveva posato lo sguardo su di lui, improvvisamente seria. La vide scrutarlo con i suoi occhi grigi e non seppe dire cosa vi lesse precisamente, ma lo lasciò svuotato.

«Dovresti avere più fiducia in Uraraka.»


Sospirò, Midoriya, passandosi una mano tra i ricci scomposti e continuando ad osservare quel messaggio non ancora inviato. Le parole di Yu gli stavano tediando il cervello come un tarlo insistente, portandolo a rimuginare più di quanto già non facesse solitamente. Ripensò alla loro conversazione, ripensò a tutti i momenti in cui lui e Uraraka erano stati vicini negli anni, a come ci fossero sempre stati l'uno per l'altra.

Lei era stata una delle primissime persone a credere in lui, lo aveva sostenuto pazientemente mentre percorreva il suo percorso per diventare un Hero degno del dono che gli aveva fatto All Might, gli era sempre stata accanto. Erano cresciuti insieme, stavano realizzando i loro sogni, parlavano di ogni cosa, lei aveva fatto passi da gigante e Izuku l'aveva osservata migliorarsi di giorno in giorno.

Eppure, ripensandoci, Midoriya si diede dello stupido per non essersi mai soffermato seriamente a pensare, a provare a comprendere, quanto quella situazione di stallo potesse farla soffrire. Eppure, il suo era stato solo un modo per cercare di proteggerla, proprio perché ci teneva, ci teneva moltissimo a Ochaco e non avrebbe mai voluto che il suo segreto potesse influenzarla in qualche modo.

"Dovresti avere più fiducia in Uraraka."

Midoriya si diede dello stupido e inviò il messaggio.



*** 



«Avanti Capelli di Merda, è ora di andare a dormire.»

Bakugou tirò su di peso Kirishima, aiutandolo ad arrancare fino al letto giusto per non sentirsi in colpa nel caso fosse caduto procurandosi un trauma celebrale se lo avesse lasciato fare da solo. Ce lo lasciò cadere sopra, ascoltandolo biascicare qualche cosa che non si sforzò neppure di capire.

Tornando in sala occhieggiò l'ambiente con occhio critico, schifandosi per il casino che vi regnava. Se non altro prima di andarsene Coda di Cavallo e il Bastardo a Metà si erano impegnati a ripulire il tavolino almeno dai bicchieri ed i piatti di plastica, mentre Eira aiutava Jirou e Mina a caricare un Kaminari particolarmente sbronzo e molesto in macchina. Sero, invece, era rimasto a dormire sul divano perché “Tanto aveva la domenica libera”, aveva detto.

Katsuki ebbe un moto di pietà e portò in cucina il resto delle bottiglie e mise in frigo i resti della torta, spense la console, le luci e dopo aver lanciato un ultimo sguardo all'appartamento uscì per tornarsene a casa, nonostante la consapevolezza che se anche si fosse fermato a dormire Kirishima non avrebbe avuto nulla da ridire. Ma aveva bisogno dei suoi spazi, la necessità di rimanere solo con i propri pensieri.

Il freddo della notte lo aiutò a rilassare un minimo i muscoli tesi.

Era ancora nervoso per quello che Eijirou gli aveva detto e nemmeno la passeggiata in solitaria che aveva fatto lo aveva aiutato a sbollire. Continuò a rimuginare, mentre saliva in macchina e inseriva la chiave per partire. Occhieggiò il quadro elettrico: 00.17. Se non altro avrebbe avuto il tempo per farsi una bella dormita prima di ricominciare a lavorare.

I suoi pensieri si ammorbidirono, forse per la strada deserta, il silenzio che lo circondava o il paesaggio che lentamente gli scorreva davanti.

Che cavolo voleva saperne Capelli di Merda di quello che pensava? Di ciò che provava?

Bakugou assottigliò lo sguardo come se si trovasse a dover affrontare un nemico, percependo il proprio animo irrigidirsi come ogni qualvolta si ritrovava a doversi districare tra quelli che erano i propri sentimenti. Non parlava mai apertamente, mai, di ciò che sentiva o pensava, e a lui era sempre andato bene che la maggior parte delle comparse superficiali con cui veniva in contatto si fermassero a giudicarlo conoscendolo esclusivamente per ciò che decideva di mostrare.

Eppure Eijirou, così come quegli sfigati di Deku e Mizore e successivamente anche gli stramboidi della loro classe sembravano aver sempre visto qualcosa in più in lui. La facciata sprezzante che metteva su aveva mano a mano smesso di funzionare e dopo anni in cui Red Riot gli era sempre stato accanto Katsuki pensò che fosse nella merda, perché probabilmente o aveva imparato a conoscerlo più di quanto avesse mai potuto immaginarsi o lui si era rammollito iniziando a comportarsi come una persona qualunque.

Scartò la seconda ipotesi non appena smise di pensarla. Lui non era una persona qualunque. Lui era il più forte. Il migliore. Lui avrebbe superato chiunque.

Eppure, ogni volta che provava qualcosa che non aveva a che vedere con gli eccessi di rabbia, la voglia di primeggiare, la soddisfazione di aver concluso un incarico o fatto esplodere qualche criminale, Bakugou si ritrovava ad incespicare con se stesso, non potendo fare a meno di sentirsi spaesato da qualcosa a cui non aveva mai dato l'occasione di fare completamente parte del suo essere.

Deku, Kirishima, Kaminari, Sero… e Mizore. Erano stati loro ad accollarsi, non il contrario. Lui non sapeva come si facesse. Non gli era mai importato, non ne aveva mai avuto bisogno, troppo impegnato con se stesso per preoccuparsi degli altri.

Che ragionamenti di merda stava facendo? Doveva aver bevuto un bicchiere di troppo.

Il biondo strinse il volante fin quando le nocche non gli diventarono bianche, schiacciando il pedale dell'acceleratore. La strada scorreva inerme sotto il suo sguardo crucciato e notò distrattamente che aveva ricominciando a piovere.

Katsuki sbuffò, pensando che lavorare con la pioggia fosse una vera merda, e in quel momento i suoi riflessi si mossero in automatico, facendogli catturare un movimento al lato della strada. Affilò lo sguardo, puntandolo sulla figura solitaria che percorreva il marciapiede poco illuminato. Immaginò l'acqua che quella persona si sarebbe presa di li a pochi minuti quando la superò, lanciandole un'occhiata dallo specchietto. Strabuzzò gli occhi.

Ma che cazzo… Mizore?

Ingoiò il groppo in gola che gli era salito dallo stomaco mentre inchiodava e attese. La vide bloccarsi in mezzo al marciapiede, stringendo al petto il grande sacco che Koda le aveva portato e osservarsi intorno, come intimorita. Poi tornò a fissare lo sguardo sulla sua auto e Katsuki riconobbe, nella posa che aveva assunto e in come aveva messo un piede per cambiare direzione, circospezione.

Si irritò per quell'atteggiamento non seppe nemmeno bene per quale motivazione. Dopotutto, una ragazza sola, di notte… Perché diavolo non aveva chiesto un passaggio a qualcuno?

Katsuki strinse la mascella perché, se da una parte poteva provare a capire, dall'altra si sentì sprofondare, ricordando tempi migliori.

Pestò una mano sul volante, irritato, aprendo la portiera e sporgendosi quel tanto che bastava per farsi vedere. Sentì la pioggia bagnargli i capelli e digrignò i denti, infastidito dalla sensazione di pelle appiccicosa.

«Guarda che non ho tutta la notte!»

Yuhiko s'imbarazzò fino la punta dei piedi, pregando che nessuno fosse stato svegliato dal tono di voce senza riguardo che aveva utilizzato Bakugou per abbaiarle dietro. Sospirò, avvicinandosi con lentezza all'auto per permettere al proprio cuore di riprendere un ritmo normale: quando aveva visto la macchina inchiodare aveva pensato subito che fosse quel qualcuno che la stava seguendo e che aveva deciso di agire e si era sentita paralizzata dalla paura.

«Non ti avevo riconosciuto...» disse, dopo aver aperto la portiera, ritenendo quelle poche parole una spiegazione. L'odore di dolciastro che aleggiava per l'abitacolo le arrivò prepotentemente alle narici. Ebbe un attimo di esitazione prima di entrare, ma vedendo che Katsuki continuava a lanciarle occhiate di traverso picchiettando le dita sul volante decise di accettare il passaggio che le stava tacitamente offrendo.

«Ma non mi dire.» commentò lui, riprendendo a guidare, e ad Eira sembrò tanto che le avesse lanciato uno sguardo di disapprovazione. Si portò le mani in grembo, voltando il viso per osservare la strada che le scorreva davanti agli occhi e le gocce di pioggia infrangersi sul finestrino. Il silenzio che era calato tra loro non era del tutto spiacevole, perché dopotutto Katsuki non era mai stato particolarmente loquace. Le sembrò di essere tornata indietro di qualche tempo e per un attimo si sentì al sicuro.

Avrebbe voluto piangere per la nostalgia che le strinse la gola, ma scacciò rapidamente quella sensazione.

«Devo ringraziarti.» vide il ragazzo lanciarle uno sguardo veloce e ghignare, prima di tornare a concentrarsi sulla strada.

«Certo che devi, altrimenti staresti ancora su quel marciapiede di merda a farti il bagno.» Bakugou la intravide roteare gli occhi e non si sorprese di quella reazione. Lo faceva spesso.

«Si, anche per questo ti devo ringraziare.» gli diede corda lei, sorridendogli. S’infosso meglio sul sedile.

«Ma volevo ringraziarti anche per la dritta sul regalo di Eijirou. Ci hai davvero aiutato.» gli spiegò, stropicciandosi un occhio e sorridendogli riconoscente. Katsuki non commentò, limitandosi a sbuffare un mugugno tra i denti.

Tra loro calò nuovamente il silenzio e il ragazzo la studiò con rapide occhiate: non era bravo a capire le persone e non si sforzava più di tanto per essere empatico, ma aveva sempre avuto buon occhio insieme a una sana dose di giudizio e Mizore la conosceva da un tempo sufficiente perché potesse ignorare di trovarla particolarmente sbattuta, con quelle occhiaie pesanti e lo sguardo che ogni tanto sembrava perdersi chissà dove e che gli ricordò il colore del cielo quando pioveva.

Spento, grigio, e immensamente triste.


Per un breve momento avrebbe voluto chiederle se ci fosse qualcosa che non andasse, perché continuasse con quel suo comportamento, perché non si desse una cazzo di svegliata e reagisse, ma qualcosa dentro di lui lo trattenne. A Katsuki mancò il respiro per un attimo quando la consapevolezza che aveva già tutte le risposte che gli servivano lo colpì dritto allo stomaco.

Ed era anche colpa sua.

«Ohi, non permetterti di dormire. Io non ti porto di peso in casa.» la riprese poco gentilmente per scrollarsi di dosso quelle montagne russe di emozioni, notando che il suo respiro iniziava a rallentare. Lei mugugnò qualcosa, aprendo gli occhi e guardandosi intorno assonnata. Notò che la macchina si era fermata e riconobbe il breve vialetto che portava alla sua palazzina.

Fuori continuava a piovere e si era alzato del vento, che smuoveva gli alberi e faceva volare le foglie sparse in terra. Della giornata soleggiata che era appena passata non era rimasto nulla. Era stata una fortuna che avesse incrociato Bakugou per strada.

«Vuoi salire?» fu la domanda che gli fece senza malizia, mentre si chinava per raccogliere il sacco che aveva posato sul tappetino. Non lo guardò in viso, mentre raccattava le proprie cose, iniziando a scendere dall'auto dopo essersi nascosta sotto il cappuccio della giacca, intuendo già la risposta. La verità era che non voleva restare sola e la compagnia di Katsuki in quel breve lasso di tempo le aveva ricordato di quando erano ragazzini. Era un torpore piacevole a cui suo malgrado non voleva ancora rinunciare.

«È tardi, domani inizio la ronda alle undici.» Bakugou osservò l'orario sul quadro elettrico con una rapida occhiata, poi i suoi occhi cremisi tornarono a studiare il viso di Yuhiko, in piedi sotto la pioggia battente. La vide sorridere da sotto il cappuccio, ma il peso che gli era caduto sullo stomaco non se ne andò.

«Beh, immaginavo. Sarà per la prossima volta. Grazie, Katsuki. Buona notte.»

Lui si limitò a un cenno del capo, riportando lo sguardo sulla strada, stizzito. Fece per partire ma un'ennesima stretta in gola lo costrinse a riportare l'attenzione sul vialetto.

Yu era ormai davanti al portone di casa e trafficava con la borsa, probabilmente cercando le chiavi, e aveva posato il sacco a terra per facilitarsi il lavoro. La vide intenta in quella ricerca per vario tempo, occhieggiandosi intorno ogni tanto con rapide occhiate, mentre la pioggia continuava a infradiciarle il cappotto e – Cazzo, quanto ci stava mettendo quell'imbranata? – avrebbe voluto urlarle dietro.

Eira si voltò nella sua direzione, incrociando il suo sguardo crucciato attraverso il finestrino e gli mostrò le chiavi con un sorriso colpevole, arrossendo leggermente. Si sorprese di trovarlo ancora lì e il pensiero le fece sfarfallare lo stomaco.

Lo salutò con una mano e aprì il portone, facendo qualche passo incerto verso l'androne ancora buio, prima di voltarsi nuovamente indietro giusto in tempo per vedere la macchina sparire dalla sua visuale.

Mentre guidava immerso nel silenzio rotto solo dai rumori meccanici dell'auto, Bakugou cercò di scacciare indietro il nervoso che lo stava avvolgendo mano a mano che si allontanava, non riuscendo a togliersi dalla testa la sensazione sgradevole di aver sbagliato qualcosa. Si costrinse a non soffermarsi sui ricordi del suo sguardo, al modo in cui si era voltata come se avesse voluto dirgli qualcosa, all'idea opprimente che l'aveva lasciata nuovamente da sola.

Tutte stronzate.


Il giorno dopo o al massimo quello dopo ancora gli avrebbe scritto un messaggio con una delle sue solite domande idiote e lui l'avrebbe ignorata. Ghignò, convinto della cosa, accedendo la radio e facendo violenza su se stesso per far tacere i propri pensieri.

Se avesse potuto prevedere quello che sarebbe successo quella notte, Katsuki Bakugou si sarebbe fermato a casa di Eira anche fino al mattino.




















































































































































Bentornati a tutti!
Rapido aggiornamento per farvi sapere che no, non sono morta e si, mi ricordo che ho delle storie in sospeso. ^^' Purtroppo è un periodo un po' pieno di imprevisti che non mi permettono di rimanere abbastanza concentrata per scrivere.
Fortunatamente ho dei capitoli già pronti che tamponano questi mesi altrimenti completamente morti.
Passando alla storia in sé: io vi avevo avvisato che il rapporto Bakugo/Yuhiko era strano e complicato, eh. Ma anche Izuku e Ochaco non scherzano. Viva l'angst!
Non ho molto da dire, siamo ancora agli inizi ma ringrazio profondamente chi preferisce, segue, ricorda o legge in silenzio; spero di rimanere piuttosto oc con la caratterizzazione che, ripeto, potrebbe discostarsi molto da quello che potrebbe poi essere nel manga, ma in ogni caso spero di azzeccare almeno le sfaccettature generali.
Alla prossima,
D. <3

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Ottavo Petalo. - Parte I ***


Cherry Blossom Tree.
Ottavo Petalo – Parte 1











Era ormai maggio e la primavera aveva fatto la sua comparsa decisiva in un turbine di fiori colorati, polline svolazzante e un caldo che aveva costretto le persone ad abbandonare definitivamente le giacche invernali ed i maglioni a maniche lunghe. La temperatura si era alzata rispetto a un paio di settimane prima e già dal primo mattino era percepibile il diverso tepore del sole, che si sarebbe trasformato sicuramente in caldo nel pomeriggio. Era stato un cambiamento drastico, se messo a confronto con le giornate ballerine di aprile, ma ben accolto dalla popolazione, insieme all'allungarsi sempre maggiore delle ore di luce e alla ormai concreta possibilità di poter restare in giro fino a tarda sera senza gelare di freddo.

Ochaco percorse la via che conduceva all'Accademia tenendo lo sguardo basso, pensierosa, stringendo le mani attorno agli spallacci dello zaino ed ignorando il chiacchiericcio concitato degli studenti attorno a lei. Percepì la pelle delle gambe pruderle per il sudore e ipotizzò fosse giunto il momento di mettere dei collant più leggeri, come le aveva suggerito sua madre, se non voleva ritrovarsi a grattarle continuamente.

Sospirò stancamente, occhieggiando i colori vivaci dei fiori posizionati nelle aiuole ai lati del viale ben tenuto, ma tramite lo sguardo distratto che gli riservò li percepì solo come macchie indefinite che non si sforzò di mettere a fuoco, concentrata in altri pensieri ben più seri.

Si domandò come stessero il professor Aizawa e Numero Tredici. Erano passati una decina di giorni dall'attacco alla USJ da parte della Lega dei Villain, e la scuola era stata chiusa per ripristinare e potenziare i sistemi di sicurezza e far calmare le acque burrascose che la notizia dell'intrusione aveva inevitabilmente portato con sé.

In quelle giornate si era scambiata dei messaggi quotidiani con Tsuyu, scoprendo di trovarsi davvero bene nel parlare con la ragazza, e si era ritrovata a messaggiare anche con Deku e Iida, principalmente riguardo come procedessero quei giorni di vacanza obbligatoria a cui erano stati costretti e scambiandosi pareri sulle notizie che passavano ai telegiornali e le interviste che i giornalisti avevano fatto al Preside Nezu riguardo i provvedimenti che avrebbe preso per evitare altre vicende spiacevoli in futuro. I Professori interpellati erano stati tutti tranquilli ed esaurienti nel trattare con i giornali e le televisioni, mostrando una sicurezza che gli studenti si erano ritrovati ad ammirare e cogliendo l'occasione per fare tesoro di quel comportamento austero e sicuro che ogni Eroe dovrebbe mostrare per essere in grado di rassicurare la popolazione.

Trovarsi coinvolti in un attacco serio da parte dei Villain nemmeno dopo dieci giorni di scuola li aveva scossi profondamente, iniziando ad instaurare nel loro animo il primo di una lunga serie di esperienze che li avrebbe formati per il futuro che li aspettava. Inoltre, nessuno si era giustamente lasciato sfuggire notizie riguardanti le condizioni di Aizawa e Numero Tredici. Sapevano solo che erano in condizioni stabili e che erano stati subito soccorsi, ma nulla di più.

Ochaco si domandò se avrebbero avuto dei danni permanenti, - soprattutto Erased Head, che aveva riportato fratture multiple ed era quello uscito peggio dallo scontro, - ma immaginò che avrebbe saputo di più una volta entrata tra le mura scolastiche. Ricordava ancora l'insegnante incosciente in spalla ad Asui e Mineta, con il volto tumefatto pregno di sangue e lividi da cui non si riusciva nemmeno a capire quante o dove fossero le ferite, le braccia frantumate che gli pendevano mollemente verso terra come rami spezzati dopo una burrasca.

Era una scena che non avrebbe mai dimenticato e che le rimestava lo stomaco peggio del suo Quirk ogni volta che ci ripensava.

«Uraraka!»

Ochaco si costrinse a sbattere le palpebre un paio di volte per risalire dallo stato di torpore in cui si era ritrovata, voltandosi appena e rallentando il passo quel tanto che bastava per dare la possibilità a Iida di raggiungerla.

«Buongiorno, Uraraka.» la salutò il ragazzo, cortese, una volta che l'aveva affiancata. La castana gli sorrise, cercando di dissimulare i ricordi che l'avevano impensierita fino a quel momento.

«Buongiorno a te, Iida. Tutto bene?» si sforzò di dare alla propria voce la solita nota spensierata e si convinse quasi di esserci riuscita, se non fosse stata per l'occhiata penetrante che le riservò Tenya. Durò una manciata di attimi, ma furono abbastanza eloquenti per farle morire leggermente il sorriso che si era forzata di mostrare.

«Si, grazie.» Il rappresentante non commentò l'espressione che leggeva in faccia alla compagna, ma rivolse lo sguardo verso la U.A., improvvisamente serio.

«Come ci si aspettava dall'Accademia migliore del Paese, hanno fatto in fretta a sistemare e rendere la scuola ancora più protetta per garantirci la sicurezza necessaria per poter continuare le lezioni!»

Ochaco sussultò per quel cambio di atteggiamento, spaesata per quell'uscita totalmente differente rispetto a quella con cui le aveva risposto poco prima. Iida aveva alzato un braccio in direzione della Yuuei e la continuava ad indicare con l'indice, mentre l'altra mano gesticolava per aria in una strana sequenza di movimenti verticali. Uraraka lo osservò, spiazzata, sgranando appena gli occhi e stringendo maggiormente la presa delle mani sulle spalline dello zaino, la bocca aperta per lo stupore.

L'aveva fatto per distrarla.

Addolcì lo sguardo, colpita per quell'accortezza. Iida Tenya era proprio un bravo ragazzo. Forse un po' rigido sulle regole e dal linguaggio ricercato, ma aveva un animo davvero nobile e non era la prima volta che notava quanto cercasse di rendersi utile per gli altri. Ochaco si sentì immediatamente più leggera osservando le labbra del compagno inarcarsi verso l'alto e la complicità con cui la stava osservando. Si esaltò e fece istintivamente un saltello.

«Già, è proprio quello che ci si aspetterebbe dalla Yuuei, vero?»

«Uraraka! Iida!»

I due si voltarono quasi contemporaneamente, incontrando la figura di Izuku che si sbracciava poco lontano per attirare la loro attenzione.

«Ah, Deku! Ciao!» si lasciò sfuggire Ochaco, senza pensarci. Varie paia di occhi si spostarono tra i due, attirati dal tono acuto della ragazza e dal suo improvviso sbracciarsi davanti all'entrata dell'Accademia. Sia Izuku che Uraraka s'infossarono nelle spalle, sentendosi improvvisamente sondare da troppe occhiate curiose e percependo le orecchie fumare di vergogna.

«Midoriya! Buongiorno!» lo accolse Tenya, una volta che gli fu abbastanza vicino da permettergli di non urlare. Si sistemò con un gesto veloce gli occhiali e si guardò in giro, come per sondare l'ambiente circostante.

«Yuhiko non c'è?» fu la domanda di Uraraka, che continuava ad osservarsi intorno come dovesse spuntare da un momento all'altro tra la massa di coetanei che li circondava. Ochaco spostò l'attenzione su Deku non nascondendo un'espressione dubbiosa, cercando di scacciare l'imbarazzo che si sentiva addosso.

«Ah, sta arrivando. Aveva da fare.» spiegò Izuku, passandosi una mano tra i capelli, nervoso. Occhieggiò la ragazza senza avere il coraggio di mantenere il contatto visivo.

«Ma sta… sta bene?» volle sincerarsi Uraraka, e in quel momento Midoriya si sentì inchiodato dal suo sguardo preoccupato. Mosse le mani davanti al petto, agitato, capendo solo in quel momento cosa gli stesse domandando Ochaco e notando lo sguardo crucciato di Iida, rimasto in silenzio con cipiglio critico mentre avanzavano lentamente verso la classe. Si sentì uno stupido.

«Sta bene! Benissimo! Ha solo una piccola cicatrice sulla mano e una sulla gamba, ma quasi non si vedono.» Deku vide i due rilassarsi visibilmente e Uraraka non riuscì a trattenere un sospiro sollevato.

«Menomale...» commentò, portandosi una mano al petto.

«Recovery Girl l'aveva detto che non era nulla di grave.» constatò Iida, aprendo la porta dell'aula e facendola passare per prima. Izuku strinse le labbra, lasciando che i due entrassero in classe limitandosi a seguirli senza commentare.

«Però mi sono preoccupata lo stesso…» sussurrò Ochaco, poggiando lo zaino sul proprio banco e sgranchendosi le spalle.

«Tu stai bene? Il braccio? Le gambe?» domandò poi, mentre Deku le passava da parte. Il ragazzo notò che stava gli stava fissando quello che aveva rotto durante il combattimento. Lo mosse davanti al viso di Uraraka, imbarazzato per quell'accortezza, strappandole un sorriso.

«Tutto come nuovo!»

«Per fortuna c'è Recovery Girl.» sussurrò, pensierosa, e Iida annuì approvando quelle parole prima di mettersi a riprendere Kaminari e Kirishima per il baccano che stavano facendo.

Midoriya si sedette al proprio posto, ignorando le chiacchiere altrui e mettendosi ad osservare fuori dalla finestra con espressione vacua. Come prima tappa il suo pensiero corse a Yu, e non poté evitare di indurire i tratti solitamente pacati in un'espressione lievemente tesa che stonava con lo sguardo sbarazzino con cui guardava il resto del mondo. Quelle giornate di inizio Maggio erano sempre portatrici di brutti ricordi.

In un gesto involontario il suo sguardo corse alla porta ma l'unica persona che attraversò la soglia fu Tokoyami. Deku lo salutò con un gesto della mano e un cenno del capo, tornando a rifugiarsi nei propri pensieri. Ripensò all'attacco alla USJ, a come era stato conciato il professor Aizawa proprio davanti ai suoi occhi, ma più di tutti lo preoccupava lo sforzo che aveva dovuto fare All Might per riuscire a vincere e che gli aveva drasticamente peggiorato le condizioni di salute, diminuendo il tempo in cui poteva usufruire della Muscle Form.

Non ci voleva, non ci voleva proprio.

Era da quando glielo aveva comunicato che Midoriya non riusciva a smettere di pensarci. Sentiva addosso una strana pressione, come se solo a seguito di quell'intrusione e di essere stato faccia a faccia con dei veri criminali avesse capito il peso che il One For All e l'essere il simbolo della pace si portava dietro. Avrebbe dovuto assolutamente imparare a gestirlo, capire come farlo suo senza subirne i danni – proprio come aveva promesso che avrebbe fatto a Kacchan.

Deku occhieggiò l'aula, facendo passare lo sguardo assorto su Kaminari che parlava con Sero e Yaoyorozu insieme a Jirou e Mina, Shouji che stava entrando in quel momento e Ochaco che era stata affiancata da Tsuyu. Notò che Bakugou era già seduto davanti a lui, ma non riusciva a vederlo in faccia. Dalla posizione svogliata e la testa poggiata sulla mano destra, però, immaginò che stesse guardando fuori dalla finestra, probabilmente infastidito dalle proteste moleste di Mineta poco dietro di lui. Non fece fatica ad immaginarsi i suoi occhi cremisi che sondavano l'esterno, senza osservarlo seriamente.

Per un breve attimo si domandò quali pensieri gli scorressero per la testa in quel momento e se potessero essere vagamente simili ai propri, se tra la miriade di ragionamenti riguardanti il fatto di voler diventare il migliore e far esplodere chiunque osasse guardarlo con un'espressione sbagliata si ricordasse che giorno fosse.

Midoriya scansò quei pensieri, scrollando le spalle e sospirando leggermente, facendo dardeggiare nuovamente lo sguardo per l'aula.

Incrociò il viso di Todoroki e gli sorrise istintivamente, ma il ragazzo lo raggelò con un'occhiata che lo lasciò spiazzato mentre gli passava accanto per andare al proprio posto. Izuku sentì la soggezione che gli misero addosso quegli occhi pieni di quello che lesse come rancore anche quando Shouto uscì dal proprio campo visivo. Avrebbe avuto voglia di girarsi per cercare di capire quella strana sequenza di sensazioni che gli aveva messo addosso, ma si trattenne, limitandosi a grattarsi i capelli con nervosismo.

«Oh, Eira!»

Deku alzò lo sguardo, attirato dalla voce di Kirishima, puntando lo sguardo verso la porta ed incontrando la figura di Yu avvicinarsi. Lei lo salutò con un cenno del capo.

«Ciao.» disse poi, senza rivolgersi a nessuno in particolare ma occhieggiando tutta l'aula, soffermandosi sul rosso per vari attimi. Sembrò volergli dire qualcosa.

«Come stai?» le chiese Ochaco, alzandosi dalla sedia ed avvicinandosi. Yuhiko se la ritrovò vicina prima di quanto immaginasse, cosa che la costrinse a darle la propria attenzione totale. Uraraka ebbe l'impulso di prenderle la mano, ma si trattenne per educazione e per la poca confidenza che avevano.

«Bene, grazie.»

La castana la sondò con lo sguardo, non nascondendo una nota dubbiosa di fronte alla sua risposta che trovò monocorde rispetto al solito. Le sembrava anche che avesse un'espressione particolarmente spenta, ma non la conosceva ancora così bene e preferì tenere quei pareri per sé. Forse portava ancora le conseguenze dell'attacco alla USJ. Lei stessa aveva avuto delle notti particolarmente insonni i primi giorni. L'aveva trovata una cosa molto poco eroica, specialmente trovandosi intorno ai suoi compagni che non sembravano aver cambiato atteggiamento di una virgola, ma i suoi genitori l'avevano confortata standole particolarmente vicino.

«La mano?» volle nuovamente sincerarsi, nonostante avesse già parlato con Izuku poco prima. Era una cosa stupida, probabilmente, dal momento che i due compagni stavano bene e avevano subito ricevuto le cure di Recovery Girl, ma non riuscì a trattenersi. Eira si portò il palmo davanti al viso, picchiettando un piede per terra per scaricare il disagio. Varie paia di occhi le stavano guardando e la cosa la mise in soggezione.

«Non era nulla di che…» provò a dissimulare, occhieggiando il paesaggio fuori dalla finestra. Izuku era decisamente stato conciato peggio, stessa cosa per i professori. In confronto, lei non aveva subito nulla ed ebbe l'impressione di non meritarsi quelle attenzioni, sentendosi vagamente in colpa per la sensazione di conforto che l'avere qualcuno che si preoccupasse per lei le stava procurando.

«Piantala di fare casino, Pervertito!» esplose improvvisamente Bakugou, girandosi verso Mineta con sguardo truce. Il biondo sembrò notarla solo in quel momento e la degnò di una breve occhiata stizzita che le fece istintivamente assottigliare lo sguardo.

«Chissà chi ci farà lezione oggi, cra…» mormorò Asui, pensierosa, mentre Mina si voltava verso di lei annuendo distrattamente.

«Speriamo che il Professor Aizawa stia meglio.» fu il pensiero di Yaoyorozu, che strappò degli sguardi pensierosi al resto dei compagni. Per l'aula calò un silenzio quasi innaturale che smorzò perfino i sorrisi di Kaminari, Sero e Kirishima. Katuski borbottò qualcosa ma nessuno si sforzò di capirlo né provò a chiedergli di ripetere.

«Forza ragazzi, fate silenzio e sedetevi tutti! Sta per iniziare la lezione!» fu il richiamo generale di Iida quando suonò la campanella, e Uraraka e Yuhiko si accomodarono ai loro posti dopo essersi scambiate un'occhiata mentre Tenya osservò tutta la classe con sguardo eloquente.

Eira poggiò il viso su una mano, percependo i mormorii perplessi e le supposizioni dei compagni su chi gli avrebbe fatto supplenza e i commenti sulla dimostrazione di forza di All Might accarezzarle le orecchie. Chissà se gli avrebbero comunicato a che punto erano le convalescenze dei loro professori. Represse uno sbadiglio, passandosi una mano sugli occhi e poi nei capelli per spostare il ciuffo dietro le orecchie.

«Buongiorno ragazzi.»

«Professor Aizawa!»

Come se si fossero messi d'accordo tutte le teste della classe saettarono verso la porta, incontrando la figura dell'uomo. Iida e Kirishima addirittura si alzarono in piedi per la sorpresa e l'istinto di raggiungerlo per dargli supporto, bloccandosi all'occhiata eloquente che l'uomo gli riservò costringendoli nuovamente seduti.

Con passo zoppicante Shota si trascinò lentamente verso la cattedra, osservato morbosamente da un misto di espressioni stralunate ed ammirate. Gli venne da sospirare, ma non disse nulla. Anche se cercò orgogliosamente di non darlo a vedere aveva ancora dolore dappertutto e non aveva voglia di sprecare fiato, dal momento che anche solo muovere il viso per parlare era abbastanza fastidioso a causa dei lividi non ancora guariti e i punti che tiravano la pelle.

«Professore, sta bene? Non dovrebbe stare a riposo?» si permise di domandare Momo, non nascondendo una nota di titubanza nella voce. Nonostante le cure dei medici e di Recovery Girl era sicura che la convalescenza di Aizawa sarebbe dovuta durare varie settimane.

«Cavoli, è proprio un professionista…» commentò Denki, osservandone il viso completamente fasciato in candide bende bianche e le braccia ingessate.

«Come sto io non importa.» Deku s'irrigidì sulla sedia e strinse i pugni, improvvisamente teso davanti a quella confessione: come aveva immaginato, Aizawa non si era ancora ripreso del tutto. Sperò che non avesse subito troppi danni agli occhi, dal momento che erano praticamente l'unico metodo in cui poteva utilizzare il suo Quirk.

«Devo farvi i complimenti, ragazzi, per come avete affrontato quei Villain.» continuò, non lasciando tempo a nessuno di interromperlo con domande a sproposito. Non che credeva lo avrebbero fatto, quel giorno. I ragazzi sembravano diventati improvvisamente muti, completamente concentrati su di lui e su ciò che stava dicendo. Il suo sguardo cercò in particolare quello di Midoriya, e vide il ragazzo sussultare quando gli rivolse una lunga occhiata. Poi lo fece scorrere su tutti i presenti, come se li stesse analizzando, fermandosi su Tsuyu e Mineta per alcuni secondi.

Socchiuse le palpebre, scacciando i ricordi del combattimento. Quei tre in particolare se l'erano vista davvero brutta pur di aiutarlo, ma erano stati bravi. Concordava con il pensiero degli altri insegnanti riguardo il fatto che in quella classe c'erano sicuramente elementi interessanti. Sarebbe stata una bella sfida tirarne fuori il meglio.

Aizawa non poté evitare si sentirsi esaltato, ma rimase inflessibile.

«D'ora in poi dovrete impegnarvi ancora di più.» continuò, con voce strascicata. Quel Noumu gli aveva conciato il viso per bene, se sentiva ancora il sapore ferroso del sangue in fondo alla gola. Forse gli era saltato qualche punto mentre parlava.

«La battaglia non è ancora cominciata...» lasciò volutamente la frase in sospeso, per tastare la reazione degli studenti e riprendere fiato. Con sua somma soddisfazione la maggior parte di loro si tese all'istante, affilando lo sguardo e facendosi improvvisamente più seria, come se dovesse scattare in piedi da un momento all'altro.

«Battaglia?»

«Sono tornati i Villain?»

«Di già?»

«Che vengano, li farò esplodere uno ad uno!»

Aizawa li osservò con sguardo vacuo, nascondendo il ghigno che gli nacque spontaneo dietro le bende. Era giusto così, dovevano essere sempre all'erta. Quell'assalto era stato involontariamente un bel banco di prova.

«Professore, di cosa sta parlando?» domandò Iida, alzandosi nuovamente in piedi. Shota gli fece un cenno col capo per farlo tornare a sedere, interrompendo i mormorii concitati che avevano iniziato a serpeggiare per la classe. Questa volta i suoi studenti avrebbero dovuto dare il massimo, ma non c'erano Villain, ad attenderli.

«Sto parlando del Festival Sportivo.»



***



«Ah sono così emozionata!» Uraraka mosse il bicchiere che aveva in mano con troppa enfasi, perché l'acqua che conteneva strabordò e finì per gocciolarle sulla maglia. Eira ridacchiò per l'entusiasmo della ragazza, vedendola arrossire d'imbarazzo quando anche Deku e Iida si misero ad osservarla.

«Voi no?» chiese, più tranquilla, passandosi un fazzoletto sulla cravatta umida aggrottando la fronte.

«Per il Festival Sportivo?» chiese conferma Yuhiko, finendo di mangiare. Il suo sguardo vagò per la mensa, pensieroso, mentre Ochaco le annuiva sbattendo ripetutamente le palpebre. L'idea la esaltava così tanto?

«Mh…» borbottò, poco convinta, alzando le spalle.

«È un evento importante, come ha spiegato stamattina il Professor Aizawa. Come fai a non essere emozionata nemmeno un po'?» domandò Iida, sistemandogli gli occhiali, forse intuendo le titubanze della mora dalle rughe che le incresparono la fronte e lo sguardo improvvisamente lontano. Eira si prese qualche secondo, perdendosi ad osservare la massa di studenti che le stavano intorno come se potessero darle le parole di cui necessitava.

Era una cosa che non sapeva spiegarsi, ancor meno dirla a parole. Specialmente in quei giorni l'ultima cosa a cui voleva pensare era una gara contro il resto della scuola. A lei interessava diventare una Pro Hero, e mai come quella giornata le ricordava le motivazioni dietro tale scelta, ma allo stesso tempo non le importava di scalare la vetta come desideravano Izuku o Katsuki. Lei voleva fare quel lavoro e basta, ed essere a posto con la sua coscienza, sapendo di aver dato tutto ciò che poteva per gli altri, allenandosi e migliorando fino ad essere soddisfatta. Anche se sapeva quanto fosse importante il Festival per farsi notare dalle agenzie ed introdursi in quel mondo.

Sospirò pesantemente, rendendosi conto che non c'era scappatoia. Avrebbe dovuto comunque dare il meglio di sé se voleva riuscire ad arrivare dove desiderava e il Festival Sportivo era una tappa obbligatoria. Probabilmente prima se lo ficcava in testa meglio sarebbe stato.

«Non è che non sono emozionata... solo che... boh, non saprei dire.» mugugnò, ancora pensierosa, senza riuscire a dare un ordine ai propri pensieri. Cercò lo sguardo di Deku e il ragazzo sussultò, intuendo la richiesta silenziosa dietro l'occhiata implorante che gli lanciò la ragazza che gli stava di fronte.

«Uraraka, tu perché desideri diventare una Pro Hero?» domandò, cambiando argomento. Vide Yu sospirare, rifugiandosi nuovamente nel suo mondo silenzioso e la lasciò fare. Ochaco sbatté gli occhioni, portandosi un dito al mento. Si umettò le labbra, giocherellando con le bacchette.

«I miei hanno una ditta edilizia e spesso bisogna sollevare pezzi molto grossi, i macchinari costano...» iniziò, tenendo lo sguardo sul piatto ancora mezzo pieno.

«Ah, azzereresti i costi se potessi usare liberamente il tuo Quirk!» intervenne Izuku, acuto. La ragazza annuì distrattamente, ricordando la discussione con i genitori e le parole di suo padre.

«Voglio diventare una Professionista per poter guadagnare e fargli vivere una vita tranquilla.» affermò, rialzando lo sguardo. Avevano sempre messo la sua felicità prima della loro qualsiasi fosse la condizione in cui si trovavano. Il minimo che poteva fare era ricambiare quelle attenzioni.

Tenya applaudì per quella schiettezza e Midoriya sgranò gli occhi, colpito da quella sicurezza e dall'alone di determinazione che aveva improvvisamente animato lo sguardo di Ochaco. Sentì il respiro accelerare e la bocca gli diventò improvvisamente asciutta. Le parole di Uraraka lo spinsero a riflettere meglio sul suo desiderio di voler essere come All Might. Strinse i pugni sotto il tavolo, sempre più convinto delle proprie decisioni e su ciò che avrebbe dovuto fare da quel momento in poi.

Tutti si stavano impegnando, non poteva essere da meno. Non voleva essere da meno.

«Tu invece vuoi diventare come tuo fratello, vero, Iida?» domandò la ragazza, interrompendo la sequela di complimenti che le stava facendo. Il ragazzo tornò immediatamente serio e sistemò gli occhiali.

«Si, esatto. Desidero fare del mio meglio per poter aiutare le persone.» confermò, deciso. Eira ascoltò distrattamente i loro discorsi, occhieggiando la sala mensa con sguardo spento ed individuando alcuni dei loro compagni sparpagliati per alcuni tavoli.

«Yuhiko?»

Ognuno aveva i propri motivi per entrare nel mondo dei Pro Heroes, ma pensava che ce ne fossero davvero pochi a lasciare dei segni particolari – come All Might. Forse era per quello che Bakugou era così ossessionato all'idea di superare tutti.

«Yuhiko?» Eira sussultò, colta alla sprovvista dal tocco di Ochaco sulla spalla. Rivolse ai tre uno sguardo dispiaciuto, accorgendosi delle loro espressioni preoccupate. Si era distratta.

«Dicevi?» Uraraka tornò a sedersi composta, rilassandosi visibilmente e sorridendole.

«Tu perché vuoi diventare Pro Hero?» le domandò, incuriosita. A Eira si bloccò il respiro in gola. Notò distrattamente il volto di Izuku diventare improvvisamente tirato e sbiancare.

«Io voglio proteggere le persone!»

Si morse un labbro, distogliendo lo sguardo e facendolo dardeggiare per la stanza come per cercare una scappatoia.

Giusto, lei... perché voleva diventare una Hero?

«Nasconditi, presto.»


«Beh...» iniziò, e vide Midoriya trattenere visibilmente il respiro e lanciare uno sguardo angosciato, ma rimase zitto, fissandola di sott'occhi senza il coraggio di dire nulla.

«Una barriera...»


Restò in silenzio per quella che le sembrò un'eternità, sentendosi improvvisamente confusa da troppi ricordi. Una fitta al petto la costrinse a prendere un respiro profondo per cercare di scacciare la sensazione di angoscia che aveva iniziato ad agitarsi nello stomaco.

«Per proteggere le persone.» Il suo mormorio si perse tra gli sguardi compiaciuti dei due compagni e il chiacchiericcio degli studenti. Affilò lo sguardo, consapevole del pensiero errato che la stava accompagnando ma che non la lasciava mai e che non poteva fare a meno di nutrire. Specialmente in quella giornata.

Per proteggere le persone... e per vendetta.



***



«Ohi Bakugou! È libero questo posto? Non ti dispiace se mi siedo, vero?»

Katsuki alzò lo sguardo dal proprio piatto quel tanto che bastava per osservare Kirishima sedersi di fronte a lui facendo strascicare la sedia per terra senza nemmeno aspettare una sua risposta. Il suono lo infastidì leggermente, ma ancor di più lo infastidì il sorriso sul volto del compagno e la sua espressione spensierata. Che cazzo aveva sempre da ridere lo sapeva solo lui.

«Non ho detto che potevi sederti.» commentò, secco, aggrottando la fronte. Per tutta risposta Eijirou gli riservò un'alzata di spalle, per nulla toccato dal tono piccato del ragazzo, iniziando a mangiare.

«E non ignorarmi, Capelli di Merda!» lo riprese, sporgendosi verso di lui. Katsuki sentì uno strano tic all'occhio. Sbuffò palesemente, richiudendosi nel suo silenzio dopo aver fulminato il ragazzo di fronte a lui con una lunga occhiata storta che gli strappò solo uno sguardo perplesso e una serie di mugugni a bocca piena.

Dannazione.


Bakugou incrociò le braccia al petto, indispettito, sentendo il sangue pulsargli contro le tempie in modo quasi fastidioso. Il brusio della sala mensa e le chiacchiere dei ragazzi gli tornarono prepotentemente a disturbare l'udito.

Dannato Kirishima.

Bakugou scoccò la lingua contro il palato allo stesso modo in cui gli riservò un'ennesima occhiata storta, tirando le labbra, accettando l'idea di dover abbandonare la quiete che si era costruito attorno e che il rosso gli aveva frantumato senza nessun riguardo. Restò in silenzio guardando Eijirou parlare senza ascoltarlo, pensieroso, domandandosi perché continuasse imperterrito a inondarlo di parole pur sapendo che non gli avrebbe dato corda.

Da dopo l'attacco alla USJ Capelli di Merda gli si era appioppato ancora di più e mai come in quel momento in cui ce lo aveva davanti a mangiare si rese conto che il ciarlare a cazzo di quel ragazzo gli si stava conficcando nelle orecchie in modo sempre più frequente. Katsuki non capiva davvero cosa volesse da lui e perché non se ne stesse con Faccia da Scemo, il Nano Pervertito e Salsa di Soia come i primi giorni.

Qualcosa dentro di lui ringhiò di vittoria e Bakugou increspò le labbra, in una sorta di ghigno soddisfatto appena accennato, mentre dava corda ai propri pensieri ed al proprio ego, osservando il ragazzo di fronte a lui scandagliare la sala come se stesse cercando qualcosa – o qualcuno.

Probabilmente aveva capito che era forte. Che sarebbe diventato il migliore. Se le cose stavano così, non si sorprendeva di averlo attirato come gli orsi con il miele. Tutti l'avevano sempre ammirato, fin da quando era piccolo.

Kirishima venne scandagliato dagli occhi cremisi di fronte a lui senza nemmeno accorgersi, mentre con la bocca ancora piena si sbracciava per la sala attirando l'attenzione di Sero, Kaminari e Mineta che, una volta adocchiato il ragazzo, si avvicinarono immediatamente al tavolo con i vassoi in mano.

«Cavoli, certo che se si ritarda un attimo bisogna aspettare un sacco per prendere da mangiare!» si lamentò Denki, lasciandosi andare mollemente sulla sedia e lanciando uno guardo di traverso alla lunga fila di studenti ancora in piedi.

«Coda, si… guarda quante belle gambe… un'occasione per stare appiccicato alle ragazze…» mormorò Mineta, perso nelle proprie fantasie, il segno di una mano ben visibile sulla guancia. Kaminari gli lanciò un'occhiata esasperata sperando che l'udito fine di Jirou non lo sentisse, perché quando faceva qualche commento a sproposito – non sapeva spiegarsi ancora come – finiva sempre in mezzo anche lui.

«Sei senza speranza, Mineta.» lo prese in giro Sero, strappando delle risate ai compagni.

«Ah? Sei solo invidioso del mio successo con le ragazze!» si offese il più piccolo, stringendo una mano a pugno e sventolandogliela davanti alla faccia.

«Sarò il primo Pro Hero ad avere un Harem! Sta a vedere!» continuò, vantandosi. Annuì soddisfatto, compiacendosi da solo per le sue stesse parole, dimentico di aver ricevuto uno schiaffo da una studendessa più grande giusto una decina di minuti prima.

«Se essere ignorato o picchiato lo chiami successo…» borbottò Kirishima poco convinto, nascondendo la sua espressione dubbiosa dietro il bicchiere. Sero sghignazzò lanciandogli uno sguardo veloce.

«Voi non capite!» sbottò il più piccolo, guardandoli tutti male e stanco di essere preso in giro. In risposta ottenne solo delle risate.

«Dai Mineta, non prendertela!»

«Oh, avete sentito del Festival Sportivo?»

«Non vedo l'ora che inizi!»

«Sarà una prova da veri uomini!»

«La piantate di fare baccano?!» sbottò  Bakugou, stanco delle voci concitate che gli trapanavano i timpani e con la pazienza definitivamente esaurita. I quattro si congelarono sulle sedie e varie teste si voltarono nella loro direzione, perplesse per quel casino improvviso. Nei tavoli attorno a loro calò un silenzio quasi innaturale. Kirishima si grattò la testa, gettando occhiate imbarazzate in giro ed abbassando il capo in segno di scuse verso gli studenti più grandi.

«Dai Bakugou, non c'è bisogno di alzare la voce.» lo riprese Hanta, guardando di sott'occhi la sua faccia crucciata e i palmi che ogni tanto mandavano scintille.

«Sei sempre il solito.» gli fece notare Eijirou senza giri di parole, beccandosi un'occhiata di fuoco.

Il solito? Che cazzo voleva dire il solito?

Katsuki sentì le mani sfrigolare dalla voglia di far scomparire quelle espressioni allegre che gli stavano mostrando con la stessa velocità con cui gli stavano facendo saltare i nervi uno per uno.

«Ormai abbiamo capito che hai un carattere di merda, puoi anche evitare di rimarcarlo tutte le volte.» commentò mellifluo Kaminari, facendo spallucce e arricciando le labbra in un ghigno, osservando la reazione del compagno davanti a lui con sguardo compiaciuto. Il ringhio basso che Bakugou gli restituì fu abbastanza per far capire a tutti che le parole di Denki lo avevano colpito in modo da dargli fastidio ancor di più.

Il biondo si morse un labbro, nervoso. Quegli stronzi lo facevano apposta a punzecchiarlo per farlo incazzare.

Katsuki si ritrovò a fare i conti per la prima volta con delle persone che non sembravano minimamente preoccupate delle sue reazioni eccessive ma, anzi, sembravano divertirsi. Non seppe catalogare la sensazione che gli nacque all'altezza del petto mentre li fulminava con la peggiore delle espressioni rabbiose che era capace di fare, ma gli diede immensamente fastidio vedendo che non sortivano l'effetto a cui era sempre stato abituato. E tutto era partito per colpa di Capelli di Merda, che gli si era appiccicato addosso come se avesse la colla e si era trascinato dietro anche gli altri.

Maledetto. Lo avrebbe fatto esplodere.


Bakugou sbuffò, incrociando le braccia al petto e facendo dardeggiare lo sguardo per la mensa tornando ad ignorare volutamente i ragazzi al tavolo con lui. Si scontrò con lo sguardo di Deku e non si sorprese di vederlo sussultare quando si accorse che lo stava osservando, ma la direzione verso cui era rivolto il volto di Izuku lo costrinse a seguirne la traiettoria, finendo per spostarsi sulla figura di Eira a pochi passi di distanza e facendogli morire il ghigno di compiacimento che gli era nato in viso. Bakugou ci mise qualche secondo di troppo a capire che si stava dirigendo verso di loro.

Ci mancava lei a rompergli i coglioni, quel giorno.

«Oh Yuhiko, ciao!» L'accolse Kaminari, allegro, vedendola fermarsi accanto a lui.

«Che cosa vuoi, Mizore?» l'apostrofò Katsuki senza nemmeno guardarla, prima ancora che potesse dire qualcosa. Yu tirò le labbra, dedicandogli un'occhiata indefinita che durò giusto una manciata di attimi, per poi spostare l'attenzione su Kirishima e cambiare totalmente espressione.

Bakugou si ritrovò a studiare la ragazza assottigliando lo sguardo, sentendo la soddisfazione di essere stato lasciato in pace lasciargli una strana sensazione agrodolce. Corrugò la fronte.

Lo aveva appena ignorato?


«Mizore?» commentò Mineta, pensieroso, studiandola con delle occhiate palesi che Eira fece volutamente finta di non vedere. Resistette dalla voglia di tirargli una gomitata in testa per fargli finire la faccia nel piatto e si limitò a roteare gli occhi al cielo.

«Volevo ringraziarti, non l'ho ancora fatto come si deve.» disse, rivolta al ragazzo, ed Ejirou arrossì leggermente di fronte alla sua espressione palesemente grata nei suoi confronti e al modo diretto con cui lo stava guardando.

«Ah, ma figurati! Era il minimo!» Kirishima si passò una mano tra i capelli per scaricare l'imbarazzo che sentiva impastargli la bocca e scaldargli le orecchie.

«Come stai?» le chiese poi, più serio, attirando l'attenzione di Katsuki. Al biondo non scappò lo scambio di sguardi tra i due e arricciò il naso, sentendo un vago presentimento irrigidirlo alla bocca dello stomaco. Di che diavolo stavano parlando? Non osò fiatare, limitandosi ad osservare la scena trincerato dietro il suo muro di mutismo e scontrosità aspettando di capirci qualcosa in quel discorso fatto di frasi a metà del cazzo.

Eira si morse un labbro, scoccando la lingua sul palato, ghignando e lanciando a Kirishima uno sguardo complice.

«Ah, sto bene, però mi hai proprio salvato il culo.»

«Di cosa state parlando?» s'intromise Sero, incuriosito, e Yuhiko approfittò di quella pausa per sedersi nel posto vuoto accanto a Kaminari, ignorando l'espressione contrariata con cui Bakugou accolse quel gesto. Appoggiò il volto su una mano e sospirò.

«Dell'attacco alla USJ.»



***



Eira riaprì gli occhi a fatica, sentendo una fitta trapassarle la testa non appena le sue pupille vennero nuovamente in contatto con la luce del giorno. Fu come se un'esplosione di puntini neri stesse facendo festa nel suo campo visivo appannato e ci vollero vari secondi perché scomparissero del tutto.

Si portò automaticamente una mano alla fronte, massaggiandosela per cercare di alleviare il dolore pulsante che sentiva direttamente nelle orecchie e asciugandosi il sudore che le colava lungo le tempie con il dorso coperto dal guanto.

Cosa diavolo era successo?

Le bruciava uno zigomo e i capelli sparsi le solleticavano il collo e le spalle scoperte. Deglutì, percependo in bocca il sapore della polvere misto a quello del sangue che le arrivò fino in fondo alla gola. Probabilmente era caduta e aveva battuto il viso quando il Warp Gate del Villain li aveva assorbiti. Sbatté le palpebre un paio di volte, cercando di mettere ordine nella confusione che le annebbiava i pensieri.

Dov'era finita?

Eira sospirò stancamente, prendendo grosse boccate d'aria che le trafissero la schiena e percependo il proprio corpo formicolare mentre cercava di recuperare la motivazione necessaria per alzarsi, rendendosi conto che un labbro e lo zigomo le sanguinavano e vedeva tutto doppio se girava la testa troppo in fretta. Puntò lo sguardo sull'asfalto di fronte a lei per calmare i capogiri, rimuginando.

Era caduta dall'alto, quello lo ricordava.

Ricordava la sensazione del corpo avvolto dalla massa nera, il buio che sostituiva l'ambiente della USJ che la circondava e la costrizione soffocante di non riuscire a muoversi, ogni suono sparito, le voci dei suoi compagni echi sempre più lontani. Aveva provato a tendere la mano per cercare qualche appiglio nel nulla, ma non era servito a niente se non a farle venire un attacco di panico nel rendersi conto che era completamente sola, staccata dal resto della classe.

Aveva riaperto gli occhi solo quando si era accorta dell'aria che le aveva iniziato a graffiare il viso, la pressione attorno diminuire fino a mutare nell'inconfondibile certezza di stare cadendo nel vuoto. Il grido che stava per buttare fuori era stato smorzato dal cuore saltatole direttamente in gola.

Cercando di evitare di finire spiaccicata contro la strada aveva attivato il Quirk creandosi un appoggio, ma qualcosa doveva essere andato storto, perché la conoscenza del terreno l'aveva fatta lo stesso e non era stata delle più piacevoli.

Yuhiko liberò un sospiro sconsolato, portandosi davanti al viso le mani con i polpastrelli arrossati e notando i palmi dei guanti sporchi di terriccio, qualche sassolino incastrato nel tessuto ormai scorticato.

I Villain…

Tirò le labbra, guardandosi intorno con nervosismo crescente: era finita in una parte della USJ in cui era stato predisposto lo scoppio di un terremoto, probabilmente, o qualche tipo di ordigno, a giudicare dai calcinacci per strada, gli edifici malmessi e traballanti e tutti i rottami, i pezzi di vetro e cemento sparsi lungo la via. La strada era spaccata da crepe e buchi profondi e c'erano pezzi di ferro che sporgevano dalle mura dei condomini disintegrati.

Eira mosse qualche passo studiando ciò che stavano registrando i suoi occhi, accorgendosi con un brivido lungo la schiena di essere sola – completamente sola – mano a mano che riacquistava lucidità. Si morse il labbro già martoriato, immobilizzandosi e tendendo tutti i sensi come se fosse un cervo in mezzo alla radura che sente l'arrivo del cacciatore e affilò lo sguardo, percependo una sensazione di disagio annidarsi nello stomaco ogni secondo di più.

Con gli occhi che dardeggiavano per l'ambiente alla ricerca spasmodica di un volto amico la mente di Eria iniziò a lavorare per cercare di mettere in ordine i pensieri.

La Yuuei era stata attaccata dai Villain…

La mora strinse un pugno domandandosi come avessero fatto ad eludere i sistemi di sicurezza, percependo il proprio corpo irrigidirsi per la tensione tanto da darle fastidio e provando l'inconfondibile sensazione di essere spiata.

Si voltò di scatto, saggiando ogni angolo di quegli edifici e massi distrutti con sguardo serio.

Invece di rilassarsi non vedendo niente di anomalo la cosa ebbe il potere di aumentarle l'inquietudine, mentre la propria mente ragionava in un accumulo di pensieri prima ancora che si rendesse conto degli stessi. Erano dei nascondigli perfetti per tenderle un agguato. Ed era sicura ci fosse qualcuno, nascosto lì in mezzo, magari dietro qualche masso o qualche colonna portante che aspettava solo che abbassasse la guardia per attaccarla.

Li avevano divisi apposta? Per poterli battere più facilmente?

Yuhiko storse il naso, relegando le domande in un angolo della propria mente, decidendo che non erano importanti in quel momento. L'unica cosa che contava era che riuscisse a raggiungere qualcuno dei suoi compagni e che tutti stessero bene.

Occhieggiò velocemente il tetto della palestra e il suo corpo rispose automaticamente: accumulò il potere sotto i piedi per solidificare l'aria e crearsi degli appoggi e iniziò a salire facendo dei salti. Si ritrovò sopra gli edifici e per un attimo le mancò il respiro, rendendosi conto della grandezza immensa della USJ, tanto che si infossò nelle spalle provando la sensazione inconfondibile dell'amarezza di fronte a quella visione che le bruciò nello stomaco.

L'entrata era dalla parte opposta alla sua, ma intorno a sé non vedeva nessuno. Tutto sembrava tacere in un silenzio tanto opprimente quanto inquietante – perfino le esplosioni di Katsuki sarebbero state un suono gradito in quel momento.

«Sei scoperta, mocciosa!»

Eira abbassò lo sguardo, rendendosi conto della sagoma che le stava andando contro veloce come un proiettile. Saltò indietro con una capriola, evitandola per un pelo, e la corrente d'aria che si portò dietro le scompigliò prepotentemente i capelli costringendola a portarsi le braccia davanti al viso per proteggersi gli occhi dal terriccio. Girò su se stessa, cercando la figura del Villain nel cielo attorno a lei con sguardo febbrile.

Dov'era andato?

«Sei finita!»

Eira si voltò di scatto, alzando di poco lo sguardo e portando le braccia in avanti verso il nemico che le stava piombando addosso e che si schiantò contro la lastra che si frappose tra loro. Lo osservò arretrare di vari metri in una serie di movimenti sconnessi e piume svolazzanti e si accorse che aveva le ali attaccate alle braccia. Quello scosse la testa, intontito, focalizzandosi poi sulla sua figura sospesa nell'aria e sulla barriera che le stava davanti. La fulminò con gli occhi gialli ridotti a due fessure ed Eira di contro si mise in una posizione difensiva, osservando il taglio che si era fatto sulla fronte e il sangue colargli lungo una tempia.

«Brutta mocciosa, adesso ti sistemo come si deve!» le urlò contro, accorgendosi dello sguardo compiaciuto che gli stava rivolgendo. Yuhiko increspò le labbra in un sorrisino, sentendo l'agitazione lasciare lentamente posto all'adrenalina e alla strana sensazione di poter vincere.

Poteva farcela, doveva solo restare concentrata...

Espirò, smaterializzando la barriera e allargando l'appoggio sotto i piedi per sentirsi più stabile. Accumulò potere nelle gambe e nelle mani per prepararsi e rimase ad aspettare la mossa del suo avversario, percependo l'aria serpeggiarle lungo la pelle in spire agitate mischiandosi al suo respiro.

Senza darle altro tempo per pensare il Villain le andò contro e lei fece nuovamente per proteggersi, ma pochi istanti prima che l'uomo si schiantasse nuovamente contro la barriera virò la direzione, sbattendo le ali e innalzandosi verso l'alto, piombandole addosso aiutato dalla forza di gravità.

Yuhiko seguì a fatica i suoi movimenti e le sue intenzioni, arretrando istintivamente per evitare il calcio che provò a tirarle portandosi le braccia davanti al viso. Cercò di parare la serie di attacchi accumulando l'aria e solidificandola per attenuare i colpi e proteggersi nei punti in cui il Villain stava cercando di ferirla, ma concentrarsi sia sulle braccia che sui piedi per non rischiare di cadere le riusciva difficile e la paura di perdere il sostegno sotto di sé era maggiore di prendere un pugno.

Provò a tirargli un paio di calci, ma quello li schivò senza subire grossi danni, svolazzando davanti a lei e fissandola con soddisfazione. Si era reso conto della praticamente nulla esperienza che aveva nel corpo a corpo e della sua difficoltà di impiegare il Quirk in più cose contemporaneamente.

Eira si morse un labbro, iniziando a sentire il respiro pesante e il sudore colarle lungo le tempie, ragionando: il Villain era veloce, le ali lo aiutavano nei movimenti in aria e lei iniziava a sentire le gambe poco stabili. Affilò lo sguardo, prendendo un grosso respiro e smaterializzando gli appoggi, lasciandosi cadere nel vuoto per vari metri pur di mettere un po' di distanza tra lei e il suo avversario che la fissò, interdetto.

«Dove credi di andare, mocciosa?!»

Yuhiko atterrò sul tetto di un edificio traballante, sollevata di aver rimesso i piedi su un terreno stabile e prendendo dei grossi respiri. Ancora accovacciata alzò il viso, osservando il Villan dal basso, ma quello sorrise dandole una viscida sensazione di sospetto.

«Ohi ohi, non essere egoista! Lascia giocare un po' anche noi!»

Eira istintivamente si tirò in piedi, avvicinandosi con passi misurati al bordo del tetto e seguendo la direzione verso cui si era girato a guardare il suo avversario con malcelato disaccordo per l'interruzione. Rimase spiazzata, incontrando altre quattro sagome in mezzo alla strada dove fino a poco prima era stata sdraiata.

«Merda.»

Tutte guardavano verso l'alto, puntando gli occhi verso di lei. Eira li poteva vedere ghignare anche da quell'altezza mentre si sfregavano le mani, impazienti. Anche gli altri stavano combattendo contro i Villain? Dal Warp Gate ne erano entrati, effettivamente, tantissimi, forse proprio per tenerli impegnati. Doveva assolutamente riunirsi con qualcuno, il prima possibile.

«Ti stai facendo battere da una ragazzina?» lo prese in giro una donna, strappando delle risate al resto del gruppo che attirarono l'attenzione di Yuhiko.

«Ma sta zitta, strega!» gridò l'uomo alato, serrando i pugni per l'irritazione e sbattendo le ali con nervosismo evidente.

«Allora non ti dispiacerà se mi intrometto!»

Improvvisamente, Eira si vide arrivare contro una serie di attacchi che la costrinsero a indietreggiare per evitare di essere centrata in pieno. Delle rocce lanciate dal basso colpirono l'edificio, facendolo tremare prepotentemente, andando a schiantarsi nel punto in cui era sporta fino a pochi secondi prima. Pezzi di cemento e mattoni volarono in giro e lei fu obbligata ad accovacciarsi per non perdere l'equilibrio appoggiandosi ad una sporgenza, solidificando istintivamente l'aria sopra di lei per evitare che i detriti le arrivassero addosso. Tossì, infastidita per la polvere che si era alzata attorno a lei, frastornata. Le sembrava di sentire ancora i tremori sotto i piedi.

Crack.

S'immobilizzò, facendo dardeggiare lo sguardo per il tetto e cercando di scorgere qualcosa attraverso la nube che avevano alzato i detriti, mettendosi in posizione difensiva. Ci mise pochi attimi a rendersi conto che due Villain l'avevano raggiunta sul tetto, i restanti erano nel palazzo di fronte e il primo uomo ad averla trovata li aveva raggiunti, poggiandosi elegantemente sul bordo del tetto.

«Sei finita, mocciosetta.» la prese in giro la donna di prima, occhieggiandola vittoriosamente. Aveva delle pietre sollevate intorno alla sua figura. Telecinesi?

Eira studiò le persone che la circondavano, cercando di capire che tipi di Quirk avessero.

«Shigaraki Tomura ha detto che possiamo farvi ciò che vogliamo pur di colpire All Might.» sussurrò l'uomo, facendo schioccare la lingua contro il palato e ottenendo una risatina esaltata dalla compagna.

Yu affilò lo sguardo, reprimendo la preoccupazione che le misero addosso quelle parole dietro un'espressione truce mentre lo osservava incrociare le braccia nude al petto. Che cazzo pensavano di fare? Di poter entrare alla Yuuei e fare come se fossero a casa loro? Forse non avevano capito bene la situazione.

Yuhiko si sentì irritata per il modo in cui la stavano sottovalutando. Per come stavano sottovalutando tutti loro. Dopo tutto l'impegno che lei e gli altri ci stavano mettendo per poter essere degni di quella scuola, dopo tutti gli sforzi, le lacrime, le esercitazioni che già in sole due settimane li avevano messi a dura prova. Quella gentaglia non aveva capito proprio niente di loro futuri Heroes e dei professori che li seguivano.

Eira scattò, dirigendosi verso i due Villain che le stavano di fronte, decidendo di approfittare della bassa guardia che avevano nei suoi confronti.

La donna le mandò addosso delle pietre che evitò cambiando continuamente direzione con l'aiuto del suo Quirk, esattamente come aveva fatto durante il test d'ingresso. I massi lanciati a casaccio fecero tremare nuovamente l'edificio, innalzando critiche di disapprovazione dal suo avversario e Yuhiko approfittò per nascondersi dalla Villain con la nube di polvere che aleggiava nell'aria. L'aggirò il più silenziosamente possibile e una volta che le fu arrivata alle spalle le tirò un calcio, colpendola nella schiena. La donna urlò, rotolando per vari metri con il respiro mozzato per la forza con cui venne sbalzata in avanti, schiantandosi contro un muretto.

Eira cercò di non scomporsi per non perdere la concentrazione, affrettandosi ad attaccare l'altro uomo.

Quando gli fu abbastanza vicina per tirargli un altro calcio questo portò le braccia davanti al petto e ghignò. Yuhiko non fece in tempo a spostarsi, capendo troppo tardi che il Villain non aspettava altro: fu colpita a un polpaccio dagli aculei che gli spuntarono lungo tutte le braccia. Saltò indietro con una capriola, sentendo la pelle bruciare e guardando il lungo taglio che si era procurata e da cui iniziava a colare del sangue.

«Cazzo.»

«I miei peli diventano duri e affilati come coltelli. Posso anche staccarli e lanciarli, sai? Ricrescono subito.» mormorò quello, come se fosse una spiegazione abbastanza esplicativa, osservandola con sguardo compiaciuto. Eira immaginò che appena avesse avuto l'occasione avrebbe provato a trafiggerla. Non poteva avvicinarsi. Alla minima apertura nei suoi movimenti l'avrebbe fatta fuori. Tentennò di fronte a quella certezza, percependo il calore del sangue che colava dal taglio contro la pelle divenuta improvvisamente fredda per la paura.

«Muoviti, Tokibo! Oppure levati!» lo richiamò dall'altro palazzo l'uomo alato, alzandosi nuovamente in volo per avvicinarsi. Quello sospirò, spazientito, poi si passò la lingua sulle labbra tornando a fissarla, mentre si accarezzava gli aculei con prudenza. Occhieggiò la compagna che lentamente si stava ritirando in piedi poco lontano soffermandosi per pochi attimi sul viso sporco di polvere e graffi.

«Forse ti abbiamo sottovalutato…» ipotizzò, fintamente amareggiato, venendo affiancato dall'altro Villain. Lo vide corrugare la fronte in un'espressione dubbiosa scambiandosi uno sguardo con il compagno e annuire, ma Eira intuì che fosse tutta una messa in scena. La stavano palesemente prendendo in giro.

«Basta giocare, mocciosa.» riprese l'altro, innalzandosi di qualche metro da terra. Yuhiko intuì il cambio di atteggiamento dei suoi avversari, le loro espressioni farsi più dure e di suoi sensi metterla in allerta.

Indietreggiò di qualche passo per mettere più distanza e studiare l'ambiente: la donna si era tirata in piedi e le lanciava occhiate fiammeggianti, uno di quelli sul tetto di fronte sembrava stare caricando un pugno e l'altro aveva preso un grande pezzo di ferro per lanciarglielo.

Irrigidì i muscoli, stringendo le labbra, senza avere tempo di vagliare le possibili opzioni. Ci fu un improvviso boato, una corrente pesante di aria e qualcosa le passò pericolosamente vicino alla testa schiantandosi alle sue spalle.

Eira si mosse in automatico, facendo la cosa che le veniva naturale da tutta la vita: accumulò potere creando una barriera per proteggersi dalle pietre volanti che avevano iniziato a dirigersi verso di lei, notando di striscio le piume e gli aculei unirsi come in un vortice per cercare di colpirla dall'alto mentre era impegnata. Alzò un braccio, richiamando l'aria nel palmo della mano per formare un'altra protezione.

Nel giro di pochi attimi le si infransero contro un miscuglio di pietre, aculei e piume affilate e strinse i denti, sentendo le barriere creparsi e i polsi farle male per lo sforzo, le gambe cedere per il peso da sopportare e dubitò che sarebbe riuscita a resistere per molto. Quando l'attacco fu terminato Eira mosse le mani, espirando e lanciando con un singolo gesto i resti delle barriere ormai in frammenti verso i suoi avversari.

Si sentì mancare il respiro e cadde in ginocchio, percependo un grande boato e la terra sotto di lei vibrare prepotentemente.

Per il tetto dell'edificio si crearono varie crepe profonde e una parte di soffitto cedette. La donna e l'uomo con le ali vennero sbalzati all'indietro, finendo per cadere in strada colpiti da tanti spilli invisibili, mentre l'edificio su cui stavano di fronte gli altri due Villain cadde sotto la pressione dei colpi che si conficcarono nelle mura instabili, finendo travolti dalle macerie.

Eira osservò confusa i risultati del suo gesto, prendendo grosse boccate d'ossigeno mentre passava lo sguardo davanti a sé. Si tirò in piedi, il respiro sibilante, arrancando verso il bordo per guardare l'edificio crollato e lo spiazzo improvvisamente più vuoto. Notò le figure a terra e sospirò di sollievo, sentendo la gola bruciare e il polpaccio pizzicare. Si morse un labbro, pronta a saltare per cercare di raggiungere qualcun altro.

Doveva sbrigarsi e aveva perso troppo tempo con quegli intrusi.

«Dove pensi di andare, mocciosa?»

Eira sentì qualcosa colpirla alla schiena e perse l'equilibrio, ritrovandosi a cadere nel vuoto con un urlo represso in gola. Accumulò potere per frenare la caduta, finendo per scivolare lungo dei detriti di cemento e sentendo un dolore improvviso alla mano e alla schiena. Rotolò verso terra, finendo distesa lungo l'asfalto a pancia in su. Sbatté le palpebre, confusa, faticando a mettere a fuoco la figura che troneggiava su di lei oscurandole la vista della luce. La mano le faceva male fino alla spalla e sentiva le dita intorpidite. Voltò leggermente il viso, sgranando gli occhi e rantolando per il dolore.

Aveva una cazzo di sbarra di ferro infilata nel palmo.

Provò a girarsi per togliere quel corpo estraneo, paralizzandosi, non trovando il coraggio necessario.

«No, no. Cosa pensi di fare?» domandò millefluo il Villain, fermando il suo gesto mettendole un piede sul braccio sano. Yuhiko provò a tirargli qualche calcio, ma quello si spostò quel poco che bastava per non farsi colpire, guardandola sinceramente divertito mentre annaspava per liberarsi. Come una mosca imprigionata nella tela del ragno.

«Ora lasciati infilzare per bene, anche se vedo che ci hai già provato da sola.» la prese in giro, staccandosi un aculeo e avvicinandolo pericolosamente al braccio sano.

Eira strinse i denti provando a creare una barriera per proteggersi, ma ciò che ne usci fu solo una lieve pressione che si dissolse dopo pochi secondi, lasciandola ancora più stanca. La testa le girava e il dolore non la faceva concentrare abbastanza, sentiva la gola rantolare ad ogni respiro.

Si morse un labbro, frustrata, regalando l'espressione più arrabbiata che potesse all'uomo che non smetteva di ghignare.

Sarebbe finita in quel modo? Era davvero così poco capace di combattere se non poteva utilizzare le mani e i piedi?

La frustrazione che provava si manifestò nelle lacrime che le pizzicarono gli angoli degli occhi, bloccandole il respiro in gola, il cuore palpitante come un uccellino in gabbia.

Dannazione.

«Eira!»

Yuhiko si sentì improvvisamente libera dal peso sul braccio e percepì una corrente d'aria passarle a pochi centimetri di distanza. Si rese conto di potersi alzare.

«Kirishima?» sussurrò dopo qualche attimo, riconoscendo la schiena del rosso mentre si metteva seduta, Che non fosse Izuku ad essere arrivato in suo aiuto, dopo tutti gli anni passati insieme a farsi forza contro il bullismo di Kacchan nei loro confronti, le lasciò addosso una strana sensazione di disagio.

«Stai bene?» le domandò, inginocchiandosi di fronte a lei e mettendole una mano sulla spalla. Si accorse della mano trapassata e corrugò la fronte.

«Che cosa ci fai qui?» volle sapere invece la mora, guardandosi intorno per vedere se ci fosse qualcun altro.

«Ti ho visto venire spinta dal tetto.» le spiegò brevemente, ricordando di come Katsuki lo avesse lasciato indietro, troppo impegnato a volersi dirigere verso il Warp Gate da non accorgersi di ciò che gli accadeva intorno. Era vero che si fidavano dei loro compagni e avevano deciso di dirigersi verso la via di fuga dei Villain per cercare di fermarli, ma Kirishima non era riuscito ad ignorare una compagna in evidente difficoltà. Avrebbe raggiunto Bakugou appena possibile.

Yuhiko provò ad afferrare la sbarra che le trafiggeva il palmo: la scarica di dolore che si irradiò lungo tutto il braccio non appena provò a spostarla la fece tremare completamente. Come immaginava, aveva una fottuta paura di sentire male.

Kirishima la fermò prima che ci provasse un'altra volta.

«Forse dovresti lasciar fare a Rec__»

«Mocciosi del cazzo!»

I due ragazzi trasalirono ed Eira guardò Eijirou senza preoccuparsi di nascondere l'ombra di paura che le distorse il volto. Il Villain era a vari metri di distanza e li stava guardando, rabbioso. Aveva un labbro spaccato e gli aculei sembravano essersi allungati, vibrando tra loro come la coda di un serpente a sonagli mentre puntavano nella loro direzione.

«Adesso vi sistemo per bene!» gli urlò contro, ancora intontito per il pugno che gli aveva tirato Kirishima. Quei ragazzini di merda proprio non volevano saperne di starsene buoni e lui aveva esaurito la pazienza. E come diavolo aveva fatto quel tipo a colpirlo senza venire ferito?

Eijirou si posizionò istintivamente di fronte a Yu, alzandosi agile come un gatto nonostante la mole.

«Stai attento, i suoi aculei…» lo avvertì Eira provando ad alzarsi, ma Eijirou la costrinse a rimanere seduta, attivando il suo Quirk e ricambiando il suo sguardo confuso con un grande sorriso.

«Tranquilla, non possono scalfirmi! Lascia fare a me!»































































































































Buongiorno a tutti!
Capitolo importante per iniziare a capire come funziona il Quirk di Eira (cerco sempre di non far strafare le mie oc, per evitare di renderle troppo invincibili) ma anche un po' di passaggio, alla fine ho deciso di dividerlo in due parti perché stava diventando davvero molto lungo e ho optato per il flashback perché tanto sappiamo tutti come è andato l'attacco dei Villain alla Usj.
Ringrazio coloro che hanno inserito la storia in una delle tre liste e chi legge in silenzio.
Spero che continui ad interessarvi!
Love, D <3

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3915665