Cherry Blossom Tree di Dhialya (/viewuser.php?uid=70910)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. Senza petalo. ***
Capitolo 2: *** Primo Petalo. ***
Capitolo 3: *** Secondo Petalo. ***
Capitolo 4: *** Terzo Petalo. ***
Capitolo 5: *** Quarto Petalo. ***
Capitolo 6: *** Quinto Petalo. ***
Capitolo 7: *** Sesto Petalo. ***
Capitolo 8: *** Settimo Petalo. ***
Capitolo 9: *** Ottavo Petalo. - Parte I ***
Capitolo 1 *** Prologo. Senza petalo. ***
Cherry Blossom Tree
Prologo. Senza Petalo.
«Come
stai?»
La mora seduta sul letto fece uno sbuffo, deviando lo
sguardo che le stava rivolgendo l'amico e puntandolo fuori dalla
finestra. Accennò ad un mezzo sorriso amaro, sentendosi
trapassare la mente dall'espressione angosciata che gli aveva letto in
faccia nonostante stesse cercando di mantenersi il più
possibile neutro per non farla preoccupare.
Era sempre stato un
pessimo
bugiardo e si conoscevano troppo bene per mentirsi a vicenda.
Osservò il cielo azzurro fuori dalla finestra e il sole
illuminare la stanza con una prepotenza che quasi le fece male agli
occhi, la testa ogni tanto le mandava delle fitte acute e le ferite
sotto le bende bruciavano. Faceva caldo, ma lei sentiva solo freddo.
«Beh... » si portò una mano
graffiata davanti al viso, sentendo le parole morirle sulla punta della
lingua ancor prima di poter prendere vita. Ingoiò il groppo
che le strinse prepotentemente la gola, accorgendosi del peso sul letto
solo quando percepì un altro respiro mischiarsi al suo e
l'inconfondibile sensazione di quando le veniva violato lo spazio
vitale.
Il suo profumo l'avvolse come una dolce carezza e le fece
cadere anche l'ultimo rimasuglio di compostezza.
Alzò gli
occhi angosciati notando che, come si era immaginata, si era seduto sul
bordo del letto. Le
prese la mano che si stava guardando tra le sue e la
inchiodò con lo sguardo, aggrottando la fronte in una muta
richiesta di risposte.
Sussultò davanti al suo viso,
osservando le pesanti occhiaie circondare gli occhi smeraldini, i
capelli in ricci più scompigliati del solito e i vestiti
stropicciati di chi non si cambia da giorni o infila le prime cose che
trova.
Ho perso l'Unicità, gridò dentro di
sé, ma dalla sua bocca uscì solo un lamento
strozzato che nulla aveva a che vedere con la violenza con cui quella
consapevolezza le saettò nella mente folgorandola come un
fulmine.
Tremò visibilmente e lui la strinse impulsivamente
in un abbraccio che le fece mancare il respiro, e solo in quel momento
si rese conto della gravità delle cose, perché le
volte in cui lo aveva fatto in anni di amicizia si potevano contare
sulle dita di una mano.
«Ho perso
l'Unicità.» riprovò, e il
dolore che aveva pensato di riuscire a contenere divenne terribilmente
reale insieme a quelle parole tremanti che si persero per la stanza.
Che cosa aveva fatto?
***
«Dottore,
il paziente della camera nove ha iniziato a
mostrare delle onde anomale.»
Mentre percorreva il
corridoio asettico l'uomo tese una mano verso l'infermiera, afferrando
il tablet che gli stava porgendo. Osservò i dati con sguardo
serio per lunghi attimi, riflettendo tra sé e ignorando
volutamente le occhiate che la collega gli lanciava. Non era proprio il
momento per gli sguardi languidi, quello. Prima doveva capire cosa
stava succedendo.
«Da quanto tempo?»
domandò, facendo improvvisamente dietro front e grattandosi
la nuca. La donna seguì alla perfezione quel cambio di
direzione, abituata da anni di lavoro al suo fianco alle sue
improvvisazioni ed i cambi di idee o semplicemente per i riflessi
necessari in caso di emergenze. I loro passi risuonarono per l'ambiente
bianco e silenzioso, mentre si dirigevano verso la camera.
Il
corridoio era intriso dell'odore di disinfettante, delle guardie
passeggiavano per controllare gli accessi e vicino all'ascensore c'era un piccolo gruppo di infermieri in pausa.
«Da questa notte. Il medico del turno notturno ha lasciato
appuntato che suppone si stia risvegliando
dal coma.»
Il medico tese le labbra, irrigidito. Si
passò una mano tra i capelli e sospirò ridando il
piccolo computer all'infermiera, lanciando delle occhiate veloci alle
porte che superavano fino ad arrivare di fronte a quella che gli
interessava.
Quel dettaglio avrebbe dovuto dirglielo non appena aveva iniziato il
turno, ormai tre ore prima. Colpa sua che aveva perso l'abitudine di
controllare di persona i resoconti dei colleghi, preferendo farlo fare
alle infermiere perché non c'era mai niente di particolare
da sapere e dopo anni di lavoro gli sembrava di perdere solo tempo.
Posò la mano sullo schermo appeso al muro e la
serratura scattò con un lieve bip prolungato, socchiudendosi
e mostrando il contenuto della stanza.
I due medici fecero scorrere lo
sguardo sulla figura distesa sul letto ricoperta di bende, illuminata
solo dalla luce appesa al soffitto e dal lieve sole mattutino di
febbraio che filtrava attraverso le tapparelle rigorosamente abbassate.
Le grate per impedire eventuali fughe o entrate indesiderate rendevano
il tutto ancor più geometrico e la donna si
avvicinò alla finestra per aprirla e far cambiare l'aria,
sperando
di rendere meno persistente l'odore del disinfettante che le stava
dando alla testa.
Lo schermo dell'elettroencefalogramma messo in un
angolo schizzava come impazzito disegnando picchi altissimi e il
dottore lo mutò, infastidito dal suono acuto che gli
fischiava nelle orecchie ma senza staccare gli occhi dal tracciato.
«Bisogna fare qualcosa, altrimenti potrebbe essere un
problema.»
***
«Come
mai sospettate di lui?»
L'ispettore
Reiji osservò l'uomo attraverso il vetro della sala
interrogatori, sondandolo con lo sguardo e riportando poi la sua
attenzione all'agente che aveva richiesto come supporto per quel caso.
«È l'unico erede, trarrebbe una fortuna dalla
morte dei genitori ed era risaputo litigasse spesso con
loro.» portò le mani nelle tasche dei pantaloni,
rilasciando un grosso sospiro esasperato e socchiudendo leggermente gli
occhi assonnati.
Erano settimane che brancolava nel buio senza
trovare altre piste ed iniziava ad essere profondamente frustrato di
non riuscire a trovare alcun collegamento che gli fornisse una svolta.
Appena preso in mano gli era sembrato un caso semplice, qualcosa che
avrebbe risolto nel giro di qualche giorno, invece si stava rivelando
più ostico del previsto.
Aveva esultato troppo
presto.
«Purtroppo è l'unica pista concreta che abbiamo,
signor Kujaku, e lei è piuttosto famoso nel suo
campo.» sussurrò, amareggiato.
Quello che vedeva
seduto nella piccola stanza vuota era poco più che un
ragazzo fatto e finito, dai capelli neri increspati e gli occhi blu che
spiccavano sul viso abbronzato, l'aspetto trasandato di chi ha smesso
di prendersi cura della propria persona. Teneva lo sguardo basso sul
tavolo come in trance ed era infossato nelle spalle, indifferente al
resto del mondo come se non esistesse, spento e vuoto come la stessa
espressione che aveva in viso.
Era strano accostare quella visione alla
parola assassino, ma l'esperienza che aveva sulle spalle grazie agli
anni di lavoro era troppa per farsi ammorbidire dalle apparenze.
L'ispettore Reiji fu attirato da un movimento e riportò
l'attenzione al collega al proprio fianco. Lo vide portarsi indice e
pollice al mento, pensieroso, mentre faceva scorrere gli occhi sulle
prime righe del fascicolo che gli aveva dato, e non poté
evitare di guardare le bizzarre piume che gli spuntavano tra i capelli.
«Vediamo che riesco a fargli dire qualcosa.»
***
«Avanti
Raggio di Sole, è ora di
svegliarsi.»
Avrebbe
voluto
dire qualcosa, ma dalla gola secca non uscì
alcun suono.
Forse era meglio così.
Rimase immobile,
fingendo di non aver sentito ed essere ancora svenuta. Sentiva in bocca
il sapore del sangue, i
polsi bruciavano, ogni parte del corpo le urlava dolore.
Era da troppo
tempo che non dormiva decentemente, aveva perfino smesso di contare i
giorni passati in quel buco angustio e buio ed era sicura che se non
fosse cambiato qualcosa entro breve ci avrebbe perso la vita,
lì dentro.
Chissà se la stavano cercando.
Non
chiamarmi in quel modo, avrebbe voluto ribattere,
perché era il nomignolo che aveva sempre usato suo padre.
Cercò di fare il possibile per far finta di dormire, con la
testa china in avanti e ciocche di capelli che le
coprivano parte del viso. Le labbra pulsavano, sentiva colarle lungo
una tempia qualcosa di tiepido e viscoso.
Dio, come si era ridotta
in
quello stato?
Strinse i pugni, decidendosi ad aprire gli occhi quando
percepì uno spostamento d'aria. Dovette raccogliere tutta la
motivazione che le rimaneva perché sentiva le palpebre
pesanti in modo osceno e avrebbe davvero voluto abbandonarsi alla
spossatezza, ma non riuscì a reprimere uno scatto per il
terrore.
Qualcosa strascicò sul pavimento e solo dopo
svariati tentativi mise a fuoco la figura che le stava davanti.
«Finalmente.»
L'uomo si rigirò un coltello tra le dita,
saggiando la consistenza dell'elsa come se lo avesse tra le mani per la
prima volta. Poi si grattò la nuca, pensieroso, ed
arricciò il naso. Riportò lo sguardo violetto su
di lei, sorridendole in un modo così subdolo che le diede i
brividi.
Ebbe la certezza che il tempo che le era rimasto fosse
drasticamente diminuito.
«Pronta
a dirci ciò che vogliamo sentire, Raggio
di Sole?»
***
«Come
è possibile che non si abbiano nuovi
indizi?!»
Il rumore di qualcosa che viene pestato per terra.
«Calmati, Bakugou. Le indagini sono in corso. La polizia ci
sta dando una grossa mano e molti Pro Heroes sono stati
avvisati.»
Come se fosse possibile, il tono pacato
– pacato! Come diavolo faceva a essere sempre così
posato lo sapeva solo lui – di Todoroki lo fece infuriare
ancora di più.
«Allora dovrebbero impegnarsi di
più.»
«Kacchan... »
Un grugnito di risposta.
« ...sei sicuro che non ti dice
niente?»
Silenzio.
Strinse
maggiormente il foglio, trattenendosi a stento dal
stropicciarlo a causa dell'irritazione.
Lo studiò
nuovamente, si soffermò sul modo in cui sinuosamente le
lettere andavano a formare quell'unica domanda sulla carta bianca. Non
c'era dubbio che avrebbe riconosciuto quella scrittura ovunque
– anche dopo anni senza vederla, anche se c'era stato qualche
lieve cambiamento. Troppe volte l'aveva vista riempire pagine bianche
di appunti.
Bakugou corrugò la fronte, se possibile ancora
più di quanto già non fosse, sentendo qualcosa di
estremamente importante sfuggirgli come sabbia tra le mani ogni volta
che cercava di dare un significato a quel messaggio imparato a memoria.
Odiava quella sensazione, detestava tutto ciò che sentiva
smuoversi senza controllo dentro di lui.
“È stato bello il nostro primo Hanami, vero,
Katsuki?”
Che
cazzo voleva dire?
Benvenuti a
voi! E benvenuta a me in questo fandom, lol!
Sono un paio di mesi che ho in progetto questa storia e mi ero
ripromessa di pubblicare verso agosto, quando avessi scritto almeno
fino al ventesimo capitolo - sono al decimo -, ma mi sta crescendo un
dente del giudizio, domani ho un'otturazione e sentivo la
necessità di fare qualcosa che mi distraesse.
Che dire... come si sarà forse intuito, amo l'attenzione ai
dettagli e all'introspezione, viceversa faccio davvero fatica per le
scene di azione e quelle che ho affrontato al momento mi hanno messa
non poco in difficoltà, però ho cercato di fare
del mio meglio. In ogni caso, questo è solo un prologo, ma
spero che vi abbia incuriosito abbastanza da proseguire nella lettura.
Maggiori dettagli li scriverò nelle note dei prossimi
capitoli, al momento posso dirvi che la storia seguirà due
storyline - presente ambientato in un eventuale futuro, e passato - e
che spero di aver reso i personaggi abbastanza IC da non farvi scappare
a gambe levate.
Ho provato a immaginarmeli da grandi, sapendo anche qualcosa di come
prosegue il manga, ma non ci saranno spoiler a riguardo quindi ho dato
abbastanza sfogo all'immaginazione sia per quanto riguarda
l'organizzazione del lavoro da Eroi nelle agenzie sia per come
potrebbero evolversi i loro caratteri mano a mano che crescono e con le
esperienze che affrontano nella mia storia, specialmente Bakugou
è stato quello più criptico e spero di aver reso
abbastanza le motivazioni dietro certi suoi atteggiamenti.
I personaggi
non mi appartengono tranne quelli originali che compariranno.
Insomma mi sono impegnata molto per gestire il tutto meglio che potevo
e spero si noti, qualsiasi pensiero a riguardo è sempre ben
accetto.
Stay tuned e grazie per aver letto fino a qui.
D. <3
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Capitolo 2 *** Primo Petalo. ***
Cherry Blossom Tree
Primo Petalo
Marzo.
-Grazie
Uravity!-
Ochaco si passò una mano sulla fronte sudata,
cercando di togliersi la maggior parte delle gocce che le stavano
cadendo lungo le tempie insieme a delle ciocche di capelli umidi che le
ostruivano la vista, lanciando uno sguardo alla donna che aveva appena
portato in salvo allontanarsi con un agente di polizia mentre si
sbracciava per farsi notare.
Tossì un paio di volte,
sentendosi a disagio per la nausea che le stava venendo sempre
più spesso a causa dell'uso prolungato che stava facendo del
suo Quirk e sforzandosi di mimare un sorriso rassicurante nella sua
direzione. La gola le bruciava come se avesse ingoiato della sabbia e
gli occhi pizzicavano a causa del fumo che infestava l'aria in modo
pressante, ma le espressioni sollevate delle persone attorno a lei
furono abbastanza significative per farle mettere momentaneamente quei
dettagli in un angolo della propria mente.
Non poteva ancora
lasciarsi
andare alla stanchezza.
Puntò nuovamente lo sguardo di
fronte a sé, inchiodandolo sull'edificio in fiamme che si
trovava davanti con una nota di determinazione e corrugando le
sopracciglia. Iniziava a sentirsi debole, il fumo non la faceva
respirare bene e il calore sprigionato dal fuoco le stava facendo
appiccicare la tuta da Hero alla pelle in un modo fastidioso a causa
del sudore.
Avanzò di qualche passo, saggiando le finestre
con sguardo febbrile per cercare di notare se ci fosse qualcun altro
rimasto all'interno dell'ospedale che era stato evacuato in
tutta fretta. Non avevano saputo spiegarle nei dettagli, ma sembrava
che ci fosse stato una sorta di cortocircuito che aveva causato
un'esplosione in un ala dell'edificio e lei fosse stata una delle prime
Pro
ad avere notato la cortina di fumo innalzarsi verso il cielo.
Pazienti
e medici si erano riversi in strada sotto gli sguardi allucinanti e
terrorizzati dei passanti mentre i pompieri e gli Heroes
cercavano di contenere i danni.
-Per favore state indietro,
è pericoloso!- gridò notando dei giornalisti
cercare di superare la folla di persone per poter riprendere al meglio
e mettendo in difficoltà i vari agenti che cercavano di non
farli avanzare per tenerli al sicuro. Uraraka corrugò la
fronte, limitandosi a tirare le labbra senza commentare altro.
Dannati
avvoltoi, avrebbe detto qualcuno di sua conoscenza, e non
ebbe il coraggio di pensare che
fosse un commento esagerato data la situazione.
-Oddio, sta crollando!-
Uravity voltò di scatto la testa, notando le crepe che si
stavano estendo sempre più spesso lungo una delle pareti
dell'edificio come se fossero una pianta rampicante. Le poche finestre
che ancora erano intatte si ruppero sotto la pressione della
costruzione ormai instabile e dalla folla si alzarono varie grida di
terrore nel momento in cui oltre ai vetri iniziarono a staccarsi
visibilmente dei mattoni.
Ochaco fece dardeggiare gli occhi
sull'ambiente circostante, assicurandosi che non ci fossero
più persone nei paraggi che potessero venire coinvolte.
Tornò a studiare la parete ormai rotta, la sua mente che
lavorava freneticamente per cercare d'immaginare la traiettoria che
avrebbero percorso i detriti. Fu con un sussulto di orrore che si
accorse di un gruppetto di persone intrappolato nell'angolo di un altro
edificio senza poter avere una via di fuga, alle loro spalle un camion
che gli bloccava la carreggiata.
Erano troppo vicini alla parete che si
stava rompendo. Non sarebbero mai riusciti a rimanere in quel punto
della strada uscendo indenni dall'imminente crollo.
Uraraka si morse un
labbro iniziando a correre con tutta la forza di cui era ancora capace
nella loro direzione, pregando di avere abbastanza tempo per poterli
scortare al sicuro. Perché non si era accorta prima,
dannazione?
-Dovete allontanarvi, è pericoloso restare qui.-
esalò quando gli fu arrivata di fronte, respirando
affannosamente. Sentì la gola secca e una ventata di aria le
portò del fumo negli occhi, facendole notare solo dopo vari
secondi gli sguardi spaesati che le stavano rivolgendo e le veloci
occhiate che lanciavano in alto. Strinse un pugno cercando di mantenere
la calma, imponendosi di mostrarsi più sicura che poteva di
fronte ai cittadini intuendone i pensieri.
Si dannazione, lo sapeva che
l'edificio poteva crollare da un momento all'altro, e loro avevano
paura. Ma non potevano rimanere lì.
-Forza, non
c'è tempo.- incalzò, allungando una mano per
forzarli ad alzarsi e seguirla. Rivolse un sorriso alla giovane donna
che gliela afferrò con esitazione, chinandosi leggermente
verso di lei e lanciando poi un'occhiata generale al piccolo gruppo.
-Andrà tutto bene, dobbiamo solo raggiungere quel punto
laggiù, vedete? Non è lontano.-
rassicurò, indicando loro uno spiazzo con vari agenti e
Kamui che si sbracciavano per farsi notare. Appena sarebbero stati alla
sua portata l'uomo li avrebbe afferrati e portati al sicuro,
Ochaco ne aveva intuito le intenzioni da come la stava guardando e
dagli anni passati sul campo ad osservare il modo di lavorare del Pro
Hero. Ma per farlo dovevano vincere la paura e avvicinarsi.
Con sollievo malcelato
notò la donna iniziare ad avanzare nella direzione che le
aveva indicato, gli occhi lucidi di lacrime che cercava di trattenere.
Il suo gesto fece prendere coraggio anche agli altri che la seguirono
dopo pochi secondi, correndo ed evitando i detriti per strada.
Uraraka
rilassò le spalle mentre si allontanavano e mosse un passo
per poter tornare indietro, ma si scontrò con lo sguardo
sconcertato che qualcuno le stava restituendo e delle grida. Prima che
potesse ancora solo formulare qualche domanda si ritrovò a
rotolare per terra, le orecchie che fischiarono prepotentemente.
Pestò la faccia contro l'asfalto e sentì un
profondo tonfo alle proprie spalle, le ginocchia graffiare contro il
terreno duro mentre cercava di rimettersi in piedi prima che poteva.
-Attenta!-
-Uravity!-
Uraraka si girò su se stessa,
sgranando gli occhi alla vista del grande pezzo di cemento che le era
caduto a pochi metri di distanza. Provò ad alzarsi, ma ci fu
un'altra esplosione sopra di lei che fece vibrare la terra dandole un
conato di vomito. Vari pezzi di vetro le caddero addosso come schegge
impazzite portandosi dietro pezzi di mattone e Ochaco chiuse gli occhi
d'istinto per cercare di proteggersi, il panico della consapevolezza
che probabilmente non sarebbe riuscita ad evitare di sentire dolore che
le ghiacciò il sangue nelle vene.
Erano troppo piccole, non
sarebbe riuscita a farle fluttuare, e la nausea che le attanaglia-
-Smash!-
Uraraka
sussultò, rendendosi conto di essere illesa e della figura
che le era arrivata accanto portandosi dietro una sferzata prepotente
di aria.
La figura di
Izuku era circondata da bagliori verdi che saettavano attorno a lui
come piccoli lampi. Il ragazzo tenne lo sguardo fisso sull'edificio in
fiamme fino a quando non fu circondato dal ghiaccio. Shouto non ci mise
che pochi secondi a cristallizzare la struttura facendo guadagnare del
tempo alle autorità per sgomberare l'area del tutto.
-Stai
bene?- le domandò quando non ci fu più il
pericolo del crollo, voltandosi finalmente ad osservarla. Ochaco
notò come stesse stringendo le labbra quasi fino a farle
sbiancare, il tremore che gli muoveva impercettibilmente la mano
stretta a pugno con cui aveva spazzato via i frammenti di vetro e
detriti che le stavano cadendo addosso.
Deku le aveva salvato la
vita.
Il suo sguardo non la abbandonò mai fino a che non si fu
tirata in piedi, ma apprezzò il fatto che glielo fece fare
da sola. Ochaco gli sorrise, sentendo il proprio battito accelerare
quando lui ricambiò il gesto e notando vagamente il gelo che
si era sparso per l'ambiente insieme alle grida entusiaste delle
persone attorno a loro.
Era marzo e faceva freddo, ma il sorriso di
Izuku le scaldò il cuore come il sole primaverile.
-Si,
grazie.-
***
Luglio.
-Accidenti
è tardi... io vado! Ciao mamma!-
Il salone venne invaso dal
rumore dei passi che rimbombarono per tutto l'ambiente, sovrastando
quasi quello della televisione. La donna, seduta al tavolo da pranzo
situato al fianco della grande vetrata che dava sul giardino ed
impegnata ad ascoltare le notizie mattutine, si voltò,
attirata da quel baccano che le aveva iniziato a tartassare le
orecchie, smettendo di sorseggiare il caffè.
Fece appena in
tempo a scorgere la figura della figlia girare l'angolo accanto alle
scale per dirigersi verso la porta.
-Tesoro, aspetta! E il pranzo?- scattò
in piedi come se
fosse stata pungolata da qualcosa, lasciando la tazza sul tavolo.
La ragazza si bloccò giusto
in tempo prima che si chiudesse anche l'ultimo spiraglio che le
permetteva di scorgere l'interno della casa, attirata dal richiamo
concitato della donna ed occhieggiando lo sguardo al cielo sereno con
sconsolazione. Spalancò di poco la porta, osservando sua
madre fare la sua comparsa dalla cucina con un sacchetto in mano.
Il
sole di luglio che le arrivò negli occhi la costrinse a
socchiuderli per qualche attimo mentre le si avvicinava, uscendo sul
portico. Fu investita dal cambio di temperatura e per un attimo le
mancò il fiato per l'aria calda che le seccò la
gola costringendola a tossicchiare per schiarirsi la voce.
-Ho
ventisette anni, non c'è bisogno che mi prepari ancora da
mangiare.- fu l'osservazione che le fece, sospirando leggermente.
Tuttavia, si affrettò a sorridere scorgendo lo sguardo
affranto che sua madre le aveva iniziato a rivolgere. L'azzurro dei
suoi occhi sembrò incupirsi, come un cielo sereno che
si scurisce quando il sole viene nascosto dalle nuvole. Quella donna
l'avrebbe fatta ammattire, prima o poi.
-Sono tua madre, è
naturale che lo faccia, Lume.- le spiegò quella, senza
mostrare risentimento e dandole in mano il sacchetto ripiegato con cura
che si affrettò a mettere nella borsa. Mentre era distratta
a mettere in ordine le proprie cose e controllare che avesse tutto la
donna ne approfittò per sistemarle il colletto della camicia
e lisciarle i capelli, in una serie di gesti premurosi che ricordava
l'avevano sempre accompagnata fin da quando era bambina.
Sua madre era
sempre stata presente, a volte fin troppo, tanto che Lume si era spesso
domandata in tarda adolescenza se tutti quegli accorgimenti non fossero
solo un modo per esprimere angoscia e tensione. Una donna premurosa,
amorevole, sempre disponibile e devota alla famiglia, ma con un bisogno
di fare parte della sua vita che a volte le era venuto il dubbio avesse
dietro qualcosa di patologico, un trauma irrisolto – ma si
era sempre ben guardata dal dare voce a quei discorsi.
Si
affrettò a scacciare quei pensieri, occhieggiando l'orologio
e trasalendo.
-Devo andare, è tardi!- la madre si
allontanò di scatto, spiazzata per il tono agitato della
figlia e rimanendo con le mani a mezz'aria mentre questa le dava le
spalle senza che le potesse dire nulla.
La vide voltarsi leggermente e
salutarla con una mano e si portò le mani al petto,
reprimendo l'impressione che le stessero strappando via un pezzo di
cuore. Si sforzò di sorriderle e ricambiare il gesto, gli
occhi iniziarono a pizzicarle. Ogni volta che la vedeva allontanarsi
aveva la terribile paura che le succedesse qualcosa.
-Ti voglio bene!-
le gridò dietro, non riuscendo a trattenersi.
Rimase a
fissare il punto in cui l'aveva vista scomparire per minuti interi.
***
Lume
si fece
spazio tra la gente in coda a suon di "Permesso" e "Mi scusi", sentendo
l'afa della giornata iniziare ad appiccicarle i vestiti alla pelle
già di prima mattina.
Dover superare una folla di persone
ammassate per poter entrare il prima possibile nell'edificio ebbe solo
la capacità di aumentarle il caldo che sentiva addosso
insieme all'agitazione del tempo che scorreva inesorabilmente contro di
lei. Qualcuno la guardò male e borbottò qualcosa,
ma cercò di non farci caso, salutando l'impiegata della
reception con un cenno del capo e dirigendosi verso l'area privata per
i dipendenti sentendosi addosso degli sguardi brucianti e sperando che
la scritta "Accesso
riservato" che spiccava sulla porta che stava
aprendo fosse una spiegazione abbastanza chiara.
Scosse la testa
percependo la tensione scemare lentamente mano a mano che respirava
l'aria condizionata che aleggiava per la piccola stanza con
avidità.
Ogni volta era la stessa storia. Forse avrebbe
dovuto dare ascolto al signor Fukuda e iniziare ad utilizzare
l'ingresso riservato al personale, eppure le sarebbe costato del tempo
in più girare intorno al Museo per raggiungere l'entrata
secondaria – ed era risaputo che lei fosse spesso con i
minuti contati. Molte volte era stata ripresa per quello e si
meravigliava non l'avessero ancora licenziata.
Aprì
l'armadietto, mettendovi all'interno la borsa e il pranzo,
timbrò e poi uscì, dirigendosi verso il piano
superiore, salutando garbatamente i clienti che incontrava per le varie
stanze che attraversava. Occhieggiò i corridoi che
iniziavano a riempirsi di persone e si affrettò a
raggiungere il suo ufficio, sistemandosi il colletto della camicia e
passandosi una mano tra i capelli con gesti automatici.
Fuori faceva
caldo e il sole scottava sulla pelle, ne sentiva ancora il calore
addosso ed aveva l'impressione che il passo frettoloso che aveva dovuto
tenere per non fare ritardo l'avesse solo fatta sudare maggiormente,
donandole un aspetto trasandato nonostante le recenti premure della
madre.
Per fortuna il suo luogo di lavoro era ben attrezzato per
affrontare ogni tipo di stagione e all'interno la temperatura non
superava la ventina di gradi. Il suo capo pensava in grande ed amava
ogni tipo di comfort e smaniava per fare bella impressione sugli altri,
quindi si era premurato di rendere l'ambiente del Museo il
più accogliente possibile. Sorrise tra sé,
compiaciuta, beandosi delle ventate fresche che le scorrevano sul collo
quando passava sotto un climatizzatore.
Entrò nel piccolo
ufficio che era diventata la sua postazione di lavoro da ormai quattro
anni, sedendosi e adocchiando le due porte chiuse che si trovavano di
fronte alla sua scrivania. Aggrottò le sopracciglia,
trovandole entrambe chiuse, ma non ci badò troppo, iniziando
a trafficare con i documenti che avrebbe dovuto analizzare e
mettere a posto mentre il pc si accendeva.
L'orologio appeso alla
parete segnava le otto e mezza, ma il sole che entrava dalla finestra
dava l'impressione che fosse già mattina inoltrata.
Lume
adorava la stagione estiva, la sensazione del calore sulla pelle ed i
riflessi dorati che assumevano i suoi capelli sotto la luce accecante
di quei mesi. Le metteva buon umore e avrebbe davvero voluto avere la
possibilità di sdraiarsi sotto il sole a riposare, come una
lucertola, facendo assumere alla sua pelle quel colore ambrato che
secondo sua madre – non doveva darle tutti i torti
– le donava particolarmente.
Eppure, avrebbe dovuto passare
tutti i giorni in ufficio, a mettere a posto pile di documenti e conti
bancari e rispondere al telefono e alle mail, organizzando gli incontri
del suo capo come una brava e diligente assistente. Lume non gli aveva
mai detto che a volte si scordava perfino i propri, di appuntamenti, e
che per essere sicura di non fare errori tendeva a segnarsi tutto su
un'agenda che si portava sempre dietro – altrimenti era
sicura le avrebbe riso in faccia indicandole la porta di uscita senza
nemmeno preoccuparsi di guardarla.
Si morse un labbro, rilasciando un
grande sospiro frustrato. Ed era solo lunedì. Il
fine settimana le sembrò troppo lontano, anche se quello
precedente era terminato da nemmeno quindici ore. Al piano inferiore
poteva sentire le voci ovattate del pubblico venuto ad ammirare le
opere esposte nel Museo e i messaggi di benvenuto che passavano dagli
altoparlanti. Già aveva nostalgia del suo giardino e della
piscina...
-Ho detto di no!-
Lume trasalì, facendo cadere la
penna con cui stava segnando un appunto su un post-it con uno scatto
della mano. Si guardò intorno, spaesata, domandandosi se
avesse fatto qualcosa di sbagliato per essere ripresa.
-Ma, Tobio, non
capisci il valore…-
La ragazza tese le orecchie,
riconoscendo le voci ovattate che sentiva provenire da dietro la porta
del suo capo, non riuscendo a cogliere altro se non frasi spezzate.
Rimase immobile, percependo il proprio respiro improvvisamente troppo
rumoroso.
-Non è una cosa che si può vendere,
Markus. Scordatelo.-
Lume aggrottò la fronte, piegandosi per
raccogliere la penna sul pavimento, continuando ad ascoltare. Di cosa
stavano parlando?
-Possibile che non mi dai mai retta? Ho
già degli acquirenti!-
Dall'interno della stanza provenne il
suono di qualcosa che viene pestato contro altro, seguito da un lungo
momento di silenzio che fece rimanere l'assistente con il cuore in gola
ed il respiro sospeso. Poi, dei borbottii.
-Non capisci niente, Tobio!-
La porta venne spalancata con così tanta irruenza che i
vetri delle finestre tremarono e sbatté contro il muro con
un tonfo, e Lume si affrettò a far finta di continuare a
lavorare, come se fosse totalmente estranea a quello scambio di pareri
di cui era stata involontariamente testimone. Non era la prima
volta che succedeva, ma negli ultimi mesi sembrava che i dissapori tra
i due uomini fossero aumentati.
Si morse un labbro, senza il coraggio
di alzare lo sguardo dai fogli che aveva davanti e stringendo la penna
con la mano fin troppo tesa. Le lettere che scrisse a casaccio le
vennero fuori dai bordi tremuli e quasi illeggibili come se fosse una
bambina di prima elementare che viene sgridata dalla maestra.
-Pensi
solo a te stesso e a ciò che ti fa comodo, adesso ne ho
davvero pieni i coglioni!-
Lume si strinse nelle spalle con disagio
crescente, occhieggiando la figura dell'uomo comparso sulla soglia
della porta e sentendo le sue urla trapassarle le orecchie. Si
immaginò il suo capo ribollire di rabbia dietro la grande
scrivania del suo ufficio mentre il suo collaboratore gli stava facendo
una scenata senza curarsi dei clienti che avrebbero potuto sentire.
Era
una cosa a cui Tobio teneva molto, le apparenze. E rendere pubblici le
discussioni ed i problemi era una cosa che non tollerava.
Come se lo
avesse chiamato, la figura imponente del suo datore di lavoro comparve
nella stanza mentre Markus se ne stava andando con passo infuriato
senza guardarsi indietro nemmeno per sbaglio. Lume
occhieggiò quel poco di viso che riuscì a
scorgere notando la sua espressione distorta dall'irritazione e quasi
stentò a riconoscerlo, lui che era sempre il primo a
sorridere a chiunque.
Tobio sbuffò pesantemente.
-Non
tornare finché non ti sarai dato una calmata!-
***
Agosto.
-Signorina
Swartz, mi accompagnerà lei oggi pomeriggio. Prepari la
documentazione necessaria.-
Lume alzò lo sguardo dallo
schermo del pc, puntando gli occhi azzurri sulla figura dell'uomo che
le stava davanti e sgranandoli leggermente. Lo osservò
interdetta per qualche attimo sentendo la testa pizzicare di imbarazzo
ed ebbe la certezza di stare facendo una pessima figura, mentre lo
guardava con la bocca spalancata.
-Io, signor Bushijima?-
domandò in un sussurro, trattenendosi dall'impellente voglia
di alzarsi per sfogare la tensione che sentiva esserle piovuta addosso.
Era la prima volta che Tobio le chiedeva di accompagnarlo ad un
incontro e non seppe come considerare quella richiesta. Solitamente era
sempre stato il signor Fukuda Markus, stretto collaboratore di
Bushijima da quando ancora non aveva costruito il Museo in cui esporre
le reliquie di cui era entrato in possesso, a fargli da accompagnatore,
ad aiutarlo nelle trattative e consigliarlo con le vendite.
Era
risaputo si conoscessero fin dai tempi dell'università,
periodo in cui
avevano frequentato dei corsi assieme e avevano iniziato a fantasticare
sulle loro carriere future, trovando la comune passione per tutto
ciò che aveva a che fare con la parola "antico".
Tobio
Bushijima era un uomo con le idee chiare e un ego abbastanza importante
da motivare le sue azioni, un grande amore per il denaro e
l'ammirazione altrui e si era impegnato fin da subito per costruirsi un
nome all'interno della società. Le sue origini
aristocratiche e la ricchezza della sua famiglia gli avevano spianato
la strada già alla fine degli studi, ma Lume era sicura che
se anche non avesse avuto uno spicciolo avrebbe trovato comunque il
modo di raggiungere i propri obiettivi.
Nella sua voglia indomita di
spiccare tra tutti Lume gli riconosceva l'impegno e la dedizione per
far si che ciò accadesse.
Lui le lanciò
un'occhiata che la fece sentire in soggezione, costringendola a
infossarsi nelle spalle diradando quei pensieri.
-Markus è
irraggiungibile e dall'altro ieri non si presenta a lavoro. Direi che
non posso contare sulla sua presenza nelle prossime ore.- le disse con
voce lievemente roca, come se fosse una spiegazione abbastanza chiara e
inchiodandola alla sedia con lo sguardo. Si lisciò un baffo,
schiarendo la voce e sistemandosi la giacca elegante chiudendo un paio
di bottoni nella zona del petto.
Lume non commentò,
limitandosi ad annuire senza il coraggio di dire nulla mentre osservava
distrattamente la sua corporatura imponente troneggiarle addosso.
Dopo
i primi giorni successivi alla discussione a cui aveva assistito si era
immaginata che le cose sarebbero tornare alla normalità che
conosceva da anni, ma il comportamento del signor Fukuda era solo
peggiorato in quelle settimane successive: aveva iniziato a saltare le
giornate di lavoro sempre più spesso e non sembrava
intenzionato a parlare con Tobio per chiarirsi come invece aveva sempre
fatto, trincerandosi nel suo ufficio solo lui sapeva a fare cosa, con
grande disappunto dell'uomo. Inoltre era arrivato ad avere un aspetto
sempre meno curato tanto che le era venuto il dubbio si fosse messo a
bere, se non fosse stato per il fatto che di testa sembrava lucidissimo
e le rare volte che le rivolgeva parola sembrava non fosse successo
nulla.
Lume aveva dato la colpa di quel comportamento ad una sorta di
crollo nervoso.
Sembrava che fosse giunto davvero al limite della
sopportazione di quel rapporto in cui Bushijima era sempre un gradino
più in alto di lui e la cosa lo stesse frustrando parecchio
da non riuscire più ad accettarlo. Non si sarebbe stupida se
da un momento all'altro li avrebbe informati di voler abbandonare il
lavoro per continuare le sue ricerche e farsi una carriera indipendente
e solitaria.
Non se la sentiva di dargli tutti i torti,
perché Tobio effettivamente non era una persona con cui era
sempre facile avere a che fare. Talvolta bisognava farsi forza per
ingoiare i bocconi amari che riservava, e la pazienza o la
capacità di farsi scivolare addosso i commenti erano
qualità che non potevano mancare, se si voleva tenere il
lavoro senza farsi prendere dalla voglia di prenderlo a sberle per la
supponenza che mostrava.
Lume ringraziava di avere sempre un po' la
testa tra le nuvole, perché le permetteva di evitare almeno
in parte la pressione che stare troppo a contatto con l'uomo le metteva
addosso. Aveva sempre l'impressione di non fare mai abbastanza, eppure
rispetto ai primi mesi le volte in cui la riprendeva erano diminuite
drasticamente. A volte le aveva fatto perfino dei complimenti e si era
ritrovava a pensare che avrebbe davvero voluto sentire di nuovo quelle
parole che raramente scappavano dalla bocca del suo capo per potersi
crogiolare nel suo poco orgoglio.
-Trovi il necessario nell'ufficio di
Markus.- riportò lo sguardo su Bushijima, pensando
già a dove aveva messo l'agenda perché non
ricordava quale appuntamento gli avesse fissato per quella giornata e
cosa avrebbe dovuto preparare, ma si sforzò per mostrargli
la migliore espressione che le riusciva in quel momento e si
alzò in piedi per guardarlo dritto negli occhi. Non avrebbe
sprecato quell'occasione.
-Ho capito, signore. Sarà tutto
pronto.-
***
Ispirò
profondamente una boccata di sigaretta, non distogliendo lo sguardo
dall'orizzonte. Il sole stava tramontando in uno spettacolo di bagliori
aranciati e violacei, il mare al di sotto che ne rifletteva il calore
che sprigionava quella visione in modo limpido e perfetto quasi come se
fosse un quadro o una foto. Era una serata tranquilla, la leggera
brezza estiva che quando soffiava si portava ancora dietro il calore
della giornata e increspava leggermente la superficie dell'acqua.
Fukuda saggiò il sapore del fumo che gli riempì
la bocca e la gola con calma regolata, ascoltando il proprio respiro
calmarsi repentinamente quando la nicotina iniziò a tornare
in circolo e trovando conforto in quei gesti automatici. E dire che era
riuscito a smettere per qualche mese...
Si appoggiò alla
macchina, socchiudendo gli occhi ed ascoltando il rumore delle onde
contro gli scogli, il rombo lontano di qualche auto di passaggio che
gli fischiava nelle orecchie non riuscendo a reprimere un ghigno di
disprezzo.
Tutta colpa di Tobio.
Osservò la sigaretta
bruciare lentamente tra le proprie dita, indeciso se spegnerla o
lasciarla andare in balia di se stessa e sentendosi molto vicino a
quella visione. Si passò una mano tra i capelli, portandosi
indietro i ciuffi che erano scappati dal codino mezzo sfatto in cui li
aveva legati quella mattina, percependoli stopposi al tatto. Si sentiva
sudato
e aveva l'impressione di puzzare, la camicia che indossava era piena di
pieghe e le guance gli iniziavano a prudere a causa della barba che
iniziava a crescere sempre più incolta.
Si
occhieggiò nello specchietto, distogliendo velocemente lo
sguardo dal proprio riflesso non riuscendo a sostenerne la visione.
Amarezza a risentimento si accavallarono come onde impazzite che si
infransero contro il suo animo rassegnato da giorni alla frustrazione.
Markus spense la sigaretta con un gesto stizzito, digrignando i denti
fino a sentire un ringhio nascergli in gola.
Era tutta colpa di Tobio.
Eppure glielo avevano detto, ai tempi, che era una persona da cui era
meglio stare lontani. Una persona egoista, egocentrica, concentrata
unicamente su se stessa e su ciò che avrebbe potuto
portargli più profitto. Incapace di vedere al di fuori del
proprio piccolo orto, impostata nei suoi vestiti di marca e trincerata
dietro la facciata di persona ambiziosa.
Ma Markus si era subito
trovato in sintonia e aveva scacciato quelle voci, difendendo quella
nuova conoscenza – quella nuova amicizia –
come se
ne dovesse andare della propria vita. Lo aveva fatto per mesi, anni,
finché non era più stato toccato dalla cosa,
perché persino le malelingue si erano spente, forse
ricredute sulla natura del loro rapporto che stava durando nel tempo e
che, forse, Tobio Bushijima non era poi così freddo come
appariva.
Lui lo conosceva, avevano iniziato a uscire insieme
chiacchierando dei loro studi e fantasticando sempre più
spesso su un futuro riguardante ciò che più
apprezzavano – un futuro che pensava avessero costruito
insieme, con fatica e dedizione.
Invece... non era così. Non
era mai stato così.
Bushijima negli ultimi tempi gli aveva
solo dimostrato di considerarlo l'ennesima persona che gli stava
appresso perché da solo non sapeva stare, non avrebbe saputo
che fare, o a chi appoggiarsi per emergere. Come se tutti i consigli
che gli aveva dato, i suggerimenti, le vendite o le conoscenze che gli
aveva procurato e a cui si era approcciato con dedizione fossero
piaceri che Tobio aveva concesso di fargli.
Dei contentini.
Aveva
davvero creduto che avesse iniziato ad ascoltarlo, ad assecondarlo
nelle proprie idee. Bushijima era sempre stato quello più
fisso nei propri obiettivi, con la testa sempre rivolta verso il
guadagno, verso il successo, verso ciò che era meglio per
l'attività, e Markus era consapevole di venire considerato
quello un po' tra le nuvole tra i due – la cosa gli faceva
persino piacere, perché senza sogni che vita sarebbe?
Tobio
aveva sempre funto da appoggio per non perdersi troppo nelle proprie
fantasie ma potendo raggiungere comunque il sapore dell'aspettativa che
riponeva per il futuro, la bellezza di vedere concretizzati i propri
desideri insieme a qualcuno che condivideva la propria passione e con
cui riusciva ad aprirsi senza problemi, senza che venisse guardato
con sconsolazione come se fosse un bambino che non capisce l'importanza
di
ciò che sta dicendo.
Eppure Tobio ultimamente non lo
ascoltava – lo sentiva, ma non lo ascoltava mai sul serio,
forse non lo aveva mai fatto – e Markus si era reso conto di
contare sempre meno mano a mano che il tempo passava.
Aveva iniziato a
notare difetti e crepe nel loro rapporto sempre più spesso,
forse anche dove non c'erano sul serio, probabilmente esagerando, forse
perché negli ultimi tempi si era potuto concentrare
maggiormente sulle reliquie rispetto a dover tenere in ordine l'ufficio
e gli appuntamenti dal momento che quel compito spettava ormai a Lume.
Aveva avuto più respiro ma era come se si fosse scontrato
con il duro muro che era stata la realtà in cui aveva
vissuto fino a quel momento e che mai aveva visto da un'altra
prospettiva. Che mai gli era sembrata così brutta,
così soffocante.
Bushijima non lo ascoltava e allora lui
aveva iniziato a fare le cose da solo, spinto dalla rabbia e dalla
frustrazione. E si era messo nei casini. Se solo gli avesse dato
ascolto, almeno per una volta, se solo si fosse fidato del suo giudizio
come sempre...
Markus tirò un lungo sospiro sconsolato,
mordendosi un labbro per l'irritazione e grattandosi il collo, sentendo
la stanchezza imprimersi in quei gesti e guardandosi attorno con
sospetto. Era solo questione di tempo prima che i pezzi rattoppati
della propria vita andassero tutti a quel paese.
Si staccò
dall'auto, cercando alla cieca il pacchetto di sigarette nelle tasche
dei pantaloni e avvicinandosi pericolosamente alla scogliera.
Si era
cacciato in una situazione di merda e non aveva idea di come uscirne.
Una folata di vento arrivò dal basso e ispirò
profondamente fumo misto salsedine mentre si portava alla bocca la
sigaretta appena accesa, il sole ormai quasi del tutto oltre la linea
dell'orizzonte e le prime stelle visibili in cielo.
Decise che sarebbe
stata l'ultima.
***
Lume
corse per
raggiungere il Museo abbastanza in tempo per timbrare senza accumulare
troppo ritardo. Si era ripromessa di iniziare ad alzarsi più
presto e fare le cose con calma, cominciando ad utilizzare quella
dannatissima porta di servizio stanca di farsi guardare male, ma ogni
mattina sembrava che qualcuno ce l'avesse con lei e trovava sempre un
motivo per tardare.
Sua madre che la tratteneva per salutarla fin
troppe volte, ad esempio, o la sveglia che sbagliava a schiacciare e
invece di posticiparla la annullava, finendo per riaddormentarsi. I
vestiti da lavoro che non trovava in mezzo al casino della sua camera o
la borsa che dimenticava puntualmente da qualche parte mentre girava
per casa come una disperata sotto lo sguardo esasperato di sua mamma,
perché nella borsa c'era l'agenda e senza l'agenda lei
sarebbe stata una segretaria morta nel giro di poche ore.
C'era sempre
qualcosa che le intralciava i piani.
Strinse i denti, cercando di non
fare caso alle gambe che chiedevano pietà per lo sforzo
improvviso a cui le stava sottoponendo di prima mattina.
Evitò le persone sul marciapiede e si fiondò
verso l'ala dei dipendenti quasi saltando contro la porta per accedere
agli spogliatoi. Il bip che le arrivò alle orecchie dalla
timbratrice la risollevò un pochino. 8.27.
A differenza
della giornata tranquilla che si poteva vedere dalle finestre, dove il
sole aveva fatto la sua comparsa su un cielo tanto azzurro da sembrare
dipinto e sbuffi di nuvole erano sparsi qua e là, quell'ora
e mezza passata dal suo risveglio era stata parecchio traumatica, tanto
che pur cercando di imprimersi nella mente quella visione mentre si
concedeva un minuto per riprendere fiato sentiva serpeggiarle addosso
l'agitazione in modo sempre più frenetico.
Era come se le
stesse dando l'effetto contrario e quella constatazione la
lasciò interdetta per vari secondi, cercando di prendere
grossi respiri per calmare il battito del suo cuore.
Swartz scosse la
testa, cercando di ricomporsi e concedendosi un lungo sorso di acqua
prima di uscire per salire negli uffici e iniziare a lavorare
portandosi dietro la bottiglietta. Si lasciò andare sulla
sedia non avendo la forza di reprimere un grosso sospiro di sollievo,
nascondendo gli occhi azzurri dietro le palpebre abbassate e
massaggiandosi le tempie con mani tremanti.
Prima o poi le sarebbe
venuto un infarto a continuare in quel modo, ne era certa.
Cercò la motivazione necessaria per abbandonare lo stato di
torpore che la stava assalendo, socchiudendo gli occhi ed osservando
l'ambiente che le stava intorno riservandogli uno sguardo perplesso e
confuso. Il silenzio la circondava, interrotto solo dal ronzio del pc e
dal ticchettio dell'orologio appeso alla parete, l'aria fresca che
arrivava da un angolo del soffitto togliendo l'afa estiva. Per quanto
la rilassasse avere un ambiente solo per sé, improvvisamente
le fece venire l'angoscia, tutta quella solitudine.
Tirò le
labbra, quando la sua attenzione venne attirata dalla porta dello
studio del signor Fukuda, rigorosamente chiusa. Sentì un
lungo brivido lungo la schiena e un magone in gola che le
spezzò il respiro.
Non voleva ricordare, eppure la notizia
le girava in testa senza pietà.
Congiunse le mani come in
una preghiera mentre chiudeva gli occhi sentendoli pizzicare e si
costrinse a prendere profondi respiri con la bocca.
Markus Fukuda era
morto. Suicida. Si era buttato da un dirupo.
Lume non voleva nemmeno
immaginare cosa si provasse a perdere la vita in quel modo. In
realtà non voleva immaginare cosa si provasse a perdere la
vita e basta. La sola idea le faceva contorcere lo stomaco dal terrore.
Terrore puro.
Lume
si
allontanò dalla propria scrivania con calma, muovendo il
collo per cercare di scacciare l'intorpidimento che sentiva pressarle
sulle spalle e percependo le ossa scricchiolare. Non vedeva l'ora che
arrivasse il giorno del suo massaggio settimanale, ne sentiva estremo
bisogno. Stare seduta tutto il giorno chinata su uno schermo a sforzare
la vista non era propriamente salutare.
Prese la propria borsa
dall'attaccapanni, iniziando a muoversi verso la porta per uscire
dall'area privata in modo da raggiungere lo spogliatoio e la
timbratrice. Erano quasi le cinque e mezza del pomeriggio. Forse
sarebbe riuscita a prendere del sole in giardino fino all'ora di cena
se arrivava a casa senza troppi intoppi.
Rimase imbambolata ad
osservare la segretaria della reception avvicinarsi seguita da due
uomini.
-Mikura?- domandò Lume, corrugando la fronte in una
muta domanda. Era sicura non avessero in programma nessuna visita,
nessuna riunione... possibile che il signor Bushijima avesse
organizzato da solo un incontro? Vide la donna scuotere leggermente la
testa e solo allora notò i distintivi appesi alla cintura
dei due uomini che la seguivano.
-Sono qui per il Signor Fukuda.-
annunciò, come se quella fosse una spiegazione abbastanza
plausibile. Lume rimase ferma sulla soglia, sbattendo la palpebre senza
capire.
-Il Signor Fukuda non è presente in ufficio.-
spiegò, guardandoli senza nascondere la sensazione di
disagio che le aveva attanagliato le viscere. Qualcosa non andava.
Qualcosa non andava. Cosa volevano due poliziotti da Markus? E
perché erano venuti sul suo luogo di lavoro?
-Ne siamo
consapevoli Signorina... - iniziò uno, superando la
receptionist e occhieggiando l'interno dell'ufficio come per sincerarsi
delle sue parole, prima di tornare a guardarla.
-Swartz.- lo
aiutò Lume, spostandosi per farli entrare e capendo che non
sarebbe stata una cosa da qualche minuto. C'era qualcosa nel modo in
cui stava guardando il tutto, nelle occhiate che i due colleghi si
stavano scambiando che non la lasciavano tranquilla.
-Swartz.-
ripeté quello, come saggiandone le sillabe. Lume fece finta
di nulla, aspettando ed ignorando la delusione di non potersi sdraiare
al sole tanto presto.
-Signorina Swartz, sono l'ispettore Toshinomu
Koganei. Avrei bisogno di parlare con il signor Bushijima Tobio.- Lume
alzò un sopracciglio, domandandosi se il suo capo fosse a
conoscenza di quell'intrusione e come l'avrebbe presa. Posò
la borsa su una sedia, invitando i due detective a sedersi sul
divanetto per gli ospiti.
-Al momento il signor Bushijima è
fuori per una riunione, dovrebbe rientrare più tardi. Posso
sapere cosa riguarda questa visita?- domandò, offrendogli un
bicchiere d'acqua fresca ciascuno per prendere tempo e cercando di
risultare il più imparziale possibile. L'educazione e la
discretezza che le aveva insegnato sua madre in certe circostanze
tornava utile.
Non le sfuggì lo scambio di sguardi tra i due
e strinse la bottiglietta fino a sentire la plastica stridere per il
suo gesto, in ansia, posandola sul tavolino non appena
intercettò lo sguardo stralunato che le lanciò
Mikura e tornando a fissare l'ispettore negli occhi con rinnovato
interesse.
-Siamo qui a proposito del signor Fukuda Markus.- l'uomo la
vide alzare un sopracciglio e sospirò pesantemente,
prendendo un sorso di acqua che diede tregua alla sua gola perennemente
secca. Il caldo estivo non aiutava quella sua condizione.
-Si... lo ha
detto prima. Non potete provare a cercarlo a casa?- gli fece notare
Lume, trattenendosi dall'incrociare le braccia al petto per non
mostrarsi stizzita. Non ci stava capendo niente.
-Purtroppo no,
signorina. Markus Fukuda è morto.-
-Ben
arrivata,
signorina Swartz.- Bushijima occhieggiò la ragazza seduta
dietro la scrivania intenta a battere qualcosa al pc. La vide alzare lo
sguardo verso di lui come se avesse spezzato irrimediabilmente la
profonda concentrazione in cui era immersa. Cercò di non far
caso all'espressione apprensiva che vi leggeva nei tratti mentre
distoglieva velocemente lo sguardo, i capelli raccolti in una mezza
coda disordinata, le labbra tirate e il viso smunto, schiarendosi la
voce ed avvicinandosi alla porta del suo ufficio.
-Buongiorno...- gli
mormorò lei, poco convinta, ma non commentò
quella titubanza che gli giunse intrisa tra le parole. Non ne era in
vena.
Tobio si umettò le labbra, facendo scorrere gli occhi
per l'ufficio, sul frigobar in cui erano riposte delle bevande fresche
per eventuali ospiriti e il divanetto di pelle nera per farli sedere
nel caso dovessero attendere. L'aria gli sembrò
improvvisamente troppo pesante ed occhieggiò la porta del
suo ormai ex collaboratore in modo così veloce che per un
attimo si immaginò di averlo fatto realmente.
Perché si era ucciso? Perché?
Bushijima non ne
capiva il motivo, ma non poteva fare a meno di tediarsi internamente
ogni giorno che passava.
Possibile che Markus stesse così
male da non essersene accorto? Che la loro ultima discussione gli
avesse
pesato così tanto?
Tobio ci ripensava ogni volta e non
poteva fare a meno di domandarsi se non avesse potuto fare di
più. Forse il suo amico aveva dei problemi al di fuori del
lavoro e non era mai stato abbastanza attento nei suoi confronti da
accorgersene, da dargli la possibilità di parlargliene e
sfogarsi. Un passo in più. Una parola in più. Uno
sforzo in più. Qualsiasi cosa che avrebbe potuto evitare di
fargli prendere quella decisione.
Sarebbe bastato?
Strinse i pugni,
amareggiato e tornando a guardare la sua assistente sforzandosi di
mantenere un'espressione impassibile. Sentiva il corpo teso come una
corda di violino e capì che recitare le apparenze dell'uomo
d'affari sempre posato in quel momento gli stava venendo davvero male.
Ringraziò che Lume fosse impegnata a cercare di fare
altrettanto per non distrarsi dal lavoro da intuire quanto in
realtà si sentisse sciupato, dentro di sé, stanco
di quella recita che portava avanti da troppo tempo.
-Quando hai tempo
metti a posto l'ufficio di Fukuda. Quello che serve lo ha
già portato via la polizia, ma per sicurezza metterei il
resto nel magazzino.-
Tobio Bushijima non sapeva di averli appena
condannati entrambi.
Ciao a tutti e ben ritrovati :)
Dunque, capitolo ancora un po' confusionario perché deve
mettere le basi per la trama futura, ma vi garantisco che le cose
andranno a posto. Nel prossimo capitolo faremo un salto nel passato e
spero possa essere più coinvolgente da leggere, immagino che
trovarsi molti OC e nessun personaggio di nostra conoscenza magari
faccia rimanere poco coinvolti nella lettura.
Graze di essere arrivati fin qui
Love,
D. <3
|
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Capitolo 3 *** Secondo Petalo. ***
Cherry
Blossom Tree
Secondo
Petalo
-Izuku!
Izuku!-
Corse verso il centro del parco, sentendo il fiato mancarle in
gola e una stretta allo stomaco mano a mano che si avvicinava. Si
guardò ansiosamente intorno finché il suo vagare
alla ricerca dell'amico non venne interrotto quando incontrò
delle figure. Riconobbe la scena che si stava svolgendo con una
facilità disarmante, perché troppo spesso l'aveva
vista accadere ed ogni volta le sembrava di tornare indietro nel tempo,
in una sorta di limbo senza uscita, e il cuore le saltò in
gola.
Cercò di accelerare il passo per quanto le
permettessero le sue gambe da poco più che bambina,
stravolta per la corsa ed il caldo asfissiante. Aveva tardato a fare i
compiti e sua mamma non l'aveva lasciata uscire di casa e lo sapeva che
avrebbe dovuto essere più veloce, perché Izuku
l'aspettava al parco e ogni volta che non c'era gli succedeva qualcosa.
Sentì le lacrime salirle agli occhi per la frustrazione e
l'ambiente attorno le divenne sfuocato: gli alberi in fiore, il prato,
le case, gli scivoli e le altalene del parco, tutto divenne una massa
confusa di forme e colori nel suo campo visivo mentre raccoglieva le
ultime energie che le rimanevano per raggiungere il gruppo di bambini
davanti lei.
-Stupido Deku, non impari mai la lezione! Sei una
nullità!-
Yuhiko guardò Midoriya venire spinto a
terra dall'ennesimo pugno di Katsuki senza poter fare nulla.
Si
bloccò, sgranando gli occhi e portandosi una mano sulla
bocca socchiusa per lo spavento, sentendo un paio di lacrime iniziare a
scorrerle lungo le guance e il cuore sfarfallarle come un uccellino
terrorizzato. Strinse le labbra, osservando Izuku provare a rialzarsi:
tremava visibilmente ed aveva la maglia sporca, dei graffi sul viso e
gli occhioni pieni di lacrime, ma fronteggiò nuovamente
Katsuki per proteggere il bambino che piangeva dietro la sua schiena,
con quel suo fare tenace che la sorprendeva sempre e gli occhi che
riverberavano di determinazione nonostante la sua espressione
spaventata.
Da quando lo conosceva aveva sempre fatto così,
non si era mai tirato indietro. Lo ammirava per quel suo aspetto.
-Kac__ Kacchan, non__-
Prima ancora che potesse finire la frase quello
gli lanciò contro una piccola esplosione, facendolo
indietreggiare e incespicare nei propri passi finendo a terra. La scena
strappò una risata a Bakugou e ai due ragazzini alle sue
spalle. Risate che spezzarono il silenzio teso che aleggiava per lo
spiazzo del parco come un tuono inclemente, che ebbe la forza di
provocarle solo una potente fitta di rabbia che le scavò
l'anima facendole storcere la bocca in una smorfia.
-Patetico! Sei
patetico, Deku!-
Bakugou avanzò verso Izuku
per poter infierire, e Yuhiko fremette, stringendo le labbra davanti a
quell'ingiustizia e alzando il mento guardando il viso di Katsuki che
sembrava sprizzare goduria da tutti i pori. Perché doveva
fare così? Perché era diventato così
cattivo?
Il suo corpo scattò da solo prima ancora che glielo
ordinasse la mente.
-Fermati!-
Ci mise qualche secondo, Yu, a capire
che si era frapposta tra Deku e Bakugou. Sbatté gli occhioni
spaesati, sconcertata, mettendo a fuoco la posizione in cui si trovava:
aveva portato le mani in avanti, in un gesto di protezione automatico e
pronta a ricevere il colpo. Ma non aveva sentito nulla,
perché tra lei e Katsuki si era solidificata una piccola
lastra trasparente contro cui si era infranto l'attacco del bambino.
Improvvisamente tutti i suoni sembrarono spariti, i respiri dei bambini
che le stavano attorno bloccati nelle loro gole e le bocche lievemente
socchiuse per la sorpresa.
Raccolse quel poco di coraggio che ancora
sentiva scorrerle nelle vene insieme all'adrenalina quel tanto che
bastava per poter guardare Bakugou, con la terribile sensazione che
ciò che avrebbe visto non le sarebbe piaciuto per niente.
E
non si sbagliò.
Lo sguardo che Katsuki le stava rivolgendo
la fece ghiacciare sul posto: gli occhi erano ridotti in due fessure ed
era sicura che la rabbia bruciante che vi leggeva dentro e nei tratti
tirati se avesse potuto sarebbe esplosa, facendola saltare in aria
insieme ad essa. Sentì Izuku dietro di lei sussultare quando
il sopracciglio di Katsuki scattò con un tic nervoso e il
suo viso si rabbuiò visibilmente. Dell'espressione
gongolante di poco prima non era rimasto nulla.
Yuhiko seppe di essere
nei guai e non riuscì a reprimere un brivido che le scosse
le spalle.
-Che cosa credi di fare, Mizore? Come osi?!- le
sbraitò contro, accecato dalla furia per quell'interruzione.
Sentì le braccia tendersi per la rabbia ed i nervi a fiori
di pelle. Come si era permessa, lei, di immischiarsi? Come aveva anche
solo osato pensare di potersi permettere di elevarsi al suo livello?
Sentì scorrergli nelle vene l'impellente ed irrefrenabile
voglia di darle una lezione per rimetterla al suo posto, per toglierle
quell'espressione di sgomento che vi leggeva sul viso e che gli stava
mandando in fumo il cervello.
Batté i pugni contro la
barriera masticando un ringhio tra i denti e vide i tre sussultare per
lo spavento. Se ne rallegrò internamente, affilando lo
sguardo e ghignando.
-Hai fatto un errore, Mizore! Non avresti dovuto
sottovalutarmi!- Yu non capì davvero cosa significassero
quelle parole che le stava sbraitando contro, cosa c'entrasse il valore
di una persona con il fatto di aver difeso degli amici in
difficoltà. Non capiva cosa fosse cambiato in lui, cosa
fosse successo da renderlo così...
così… le venne in mente di nuovo la parola
cattivo, ma una parte innocente dentro di lei seppe che non era la
parola adatta per descriverlo.
Indietreggiò leggermente,
notando a malapena le scintille iniziare a illuminare i palmi di
Katsuki, aggrottando le sopracciglia quel tanto che bastava per dare
sfogo ad un'espressione dubbiosa che non riuscì a reprimere.
-E non guardarmi in quel modo!- le abbaiò contro lui,
notando lo sguardo confuso che gli stava rivolgendo e sentendosi
profondamente indignato. Iniziò a sfogare la frustrazione
facendo infrangere una serie di esplosioni contro la barriera. Yuhiko
cercò di raccogliere la forza necessaria per resistere, ma
dopo pochi attacchi la protezione iniziò a creparsi, fino a
rompersi e scomparire nel nulla.
Bakugou l'afferrò per la
maglietta senza nemmeno darle il tempo di reagire, graffiandole il
collo per l'irruenza. La studiò per attimi che le sembrarono
interminabili e immaginò tutti i modi in cui avrebbe potuto
farle male.
-K_Kacchan…- Katsuki trafisse Izuku con
un'occhiataccia e il ragazzino trasalì, poi la
scaraventò a terra con uno spintone. Si ritrovò a
picchiare la schiena contro l'asfalto, percependo la pelle scoperta
delle gambe e delle braccia bruciare per l'urto e un dolore acuto
salirle lungo la colonna vertebrale. La stoffa con cui l'aveva
trattenuta puzzava di bruciato e le venne la nausea.
-Yu! Stai bene?-
Midoriya le fu subito da parte, aiutandola a tirarsi su quel tanto che
bastava per poter tornare a guardare Bakugou attraverso lo sguardo
appannato di lacrime e sconcerto. Sembrava aver ripreso il controllo,
perché se ne stava fermo in piedi senza dare alcun cenno, ma
i due percepirono nettamente il gelo che era calato tra loro. Un gelo
che aveva iniziato a insinuarsi tempo addietro e che sarebbe stato
destinato a non andarsene per parecchi anni.
Katsuki li
osservò sprezzante, dall'alto in basso, riservandogli il
più storto degli sguardi di cui era capace di fare a quasi
otto anni.
-Siete solo comparse. Non statemi tra i piedi.-
***
Midoriya
arrancò fino al cancello della scuola, stringendo
le spalline dello zaino che portava sulla schiena con una presa quasi
febbrile. Si passò una mano sulla fronte per togliersi il
sottile strato di sudore che gli appiccicava i capelli alla pelle,
prendendosi il tempo necessario per rallentare il respiro e fare in
modo di calmarsi. La schiena era lievemente bagnata per la corsa e i
raggi del primo mattino gli scaldavano la pelle sotto la divisa
scolastica.
Occhieggiò l'orologio che stava sopra il grande
portone dietro cui sparivano i vari studenti e provò
immediatamente del sollievo per non aver tardato – non
troppo, almeno. Le lezioni sarebbero incominciate nel giro di pochi
minuti.
-Si può sapere che fine avevi fatto?-
Izuku
trasalì visibilmente per lo spavento che gli fece venire la
voce squillante che gli si ficcò nelle orecchie senza tatto.
Si voltò di scatto, incespicando sul posto, impiegando
qualche secondo per focalizzare la figura che era comparsa a meno di un
metro da lui e di cui non si era minimamente accorto.
-Sc_scusami, Yu!-
Midoriya le rivolse un'espressione colpevole, ricambiando il suo
sguardo mentre lo osservava con le mani sui fianchi e un sopracciglio
alzato. Lei strinse le labbra, scuotendo la testa e schioccando la
lingua sul palato.
-Potevi avvertire. Ti stavo aspettando.- gli fece
notare, sventolandogli il telefono sotto il naso e inclinando il volto.
La vide regalargli uno sguardo lievemente offeso, gli occhi
assottigliati che gli ricordarono tanto due lame affilate.
-Scusami...-
Izuku si passò una mano dietro la testa e
ridacchiò, imbarazzato per il modo morboso con cui si
sentiva studiato. Gli metteva soggezione, anche se sapeva di non avere
motivo per sentirsi a disagio: Yuhiko non avrebbe mai fatto nulla di
male nei suoi riguardi – anzi, tutto il contrario. I lunghi
capelli neri di lei si mossero alla lieve brezza che passò
tra di loro e quella sbuffò, cercando di spostare il ciuffo
che le era caduto davanti agli occhi; fu con quel movimento distratto
che riconobbe negli occhi di Midoriya quella tipica scintilla che
prendeva vita quando assisteva a qualcosa che lo emozionava moltissimo.
Ammirazione.
Ghignò nella sua direzione senza reale
cattiveria, incuriosita.
-Dai, dimmelo. Chi hai visto oggi?- gli
domandò, chinandosi verso di lui ed ammorbidendo i tratti
del viso. Deku indietreggiò un paio di passi per la
vicinanza improvvisa, ma non poté impedirsi di stringere le
mani in due pugni trepidanti nel ricordare di essere stato in prima
fila, quella mattina, mentre osservava gli eroi in azione. Aveva avuto
la sensazione di poterli toccare solo allungando un braccio e
desiderava davvero raggiungerli, essere anche lui dall'altra parte
della staccionata, a combattere la criminalità ed aiutare le
persone come aveva sempre sognato.
Il suo volto si rilassò
mentre iniziava a parlarle, sfoggiandole un sorriso che le fece
scordare tutta l'irritazione che le era venuta per averlo dovuto
aspettare più del solito. La ragazza sorrise, intenerita
dalla sua espressione persa in chissà quali pensieri.
In
quei momenti, Izuku le ricordava il bambino che aveva conosciuto da
bambina. Provò una fitta di nostalgia che si
affrettò a scacciare.
-Dovevi vederli, Yu! I Pro Hero sono
davvero fantastici!- Yuhiko vide gli occhi di Deku illuminarsi e quello
iniziò ad investirla con un fiume di parole nell'esatto
secondo successivo. A volte da piccola aveva faticato a stare dietro ai
suoi ragionamenti, ai discorsi senza fine, alle fantasie, alle montagne
di complimenti che elargiva ogni volta che vedeva qualche intervento,
ma dopo vari anni aveva raggiunto un livello quantomeno decente di
attenzione verso l'amico.
Lo ascoltò pazientemente,
iniziando ad avanzare verso l'entrata della scuola ed annuendo di tanto
in tanto, mentre quello le metteva sotto il naso il quaderno dove
segnava gli appunti sugli eroi ed i loro poteri e la aggiornava su
ciò che aveva scritto.
-C'era Kamui dei Boschi contro questo
Villain, ma poi è arrivata Mount Lady che gli - ah, sai che
è davvero
gigante? - comunque...-
Il racconto di Izuku e lo
sventolare delle pagine la accompagnarono per tutto il tragitto fino
alla classe.
-Beh, ti ringrazio della telecronaca.-
ironizzò, una volta arrivata davanti alla porta dell'aula.
Deku si fermò al suo fianco e le sorrise, rendendosi conto
di aver fatto uno dei suoi soliti monologhi. Il suono della campana si
diffuse per i corridoi dell'edificio, innalzando mormorii di
disapprovazione, e i due si scambiarono uno sguardo. Yu
sospirò occhieggiando i dintorni, fissando poi l'attenzione
su Midoriya che stava sistemando il quaderno nello zaino mentre alcuni
studenti gli passavano da parte per affrettarsi a raggiungere le aule.
-Sarà meglio che ti sbrighi. Ci vediamo dopo?- Yuhiko sapeva
che era una domanda inutile, la sua, perché appena potevano
passavano il tempo insieme, eppure era diventata un'abitudine a cui non
riusciva a rinunciare. Izuku la salutò con un gesto veloce
della mano mentre le dava le spalle sparendo tra la folla e
riuscì a malapena a sentire la sua risposta.
-Si, a dopo!-
***
Era stata una
giornata pesante. Molto. Più di quanto si
sarebbe immaginata.
Yuhiko si permise di aspettare che i compagni se ne
andassero prima di iniziare a raccogliere le proprie cose dal banco e
mettere a posto i quaderni nella cartella con una cura quasi maniacale.
Le era venuto mal di testa. Faceva già troppo caldo per i
suoi gusti e quella notte aveva dormito poco. E, come se non bastasse,
aveva ancora un posto in cui fermarsi prima di poter tornare a casa e
infilarsi sotto le coperte fino all'indomani.
Si perse a guardare fuori
dalla grande vetrata dell'aula ormai deserta, la mano a mezz'aria che
stringeva l'astuccio e lo sguardo perso. Una lieve folata di vento
smosse le chiome verdeggianti degli alberi in cortile e degli uccellini
spiccarono il volo allontanandosi nel cielo azzurro, ma la
tranquillità di quella visione non si riflesse nel suo
sguardo come invece accadeva ogni qualvolta si trovasse rapita di
fronte a qualche panorama – quelli autunnali ricchi di
malinconia e i cieli stellati delle serate estive erano i sui
preferiti.
"Domani…"
strinse le labbra in una smorfia
frustrata e una fitta di dolore le trapassò le tempie.
Mentre si alzava mentalmente si preparò all'idea che senza
poter prendere alcun medicinale quel fastidio sarebbe peggiorato
diventando insopportabile. Ne soffriva spesso, ma ogni volta era come
se la sua testa pulsasse talmente tanto da volerle scoppiare rendendola
nervosa con se stessa ed il resto del mondo.
Come un flash si
ricordò di Izuku e si voltò verso la porta pronta
a scusarsi, aspettandosi di trovarlo in piedi sula soglia con quel suo
sorriso e lo sguardo ancora trepidante dal mattino, ad attenderla
mentre si districava tra i propri pensieri. Fu con una fitta di
delusione che i suoi occhi non incontrarono nessuno. Corrugò
la fronte, impensierita, mentre con movimenti sempre più
pesanti finiva di sistemarsi.
Che fine aveva fatto?
Uscì,
osservando con sguardo critico il corridoio deserto, indecisa.
Solitamente era lui che la raggiungeva a fine lezione, poi tornavano a
casa insieme, parlando del più e del meno o fermandosi in
qualche parco per raccontarsi le cose più disparate, fare
merenda e prendere un po' d'aria fresca dopo una giornata passata in
quelle quattro mura che era la loro scuola. A Yuhiko, quindi, il fatto
che Deku non le fosse ancora apparso davanti stava mettendo addosso una
strana sensazione che cercò di schiacciare con tutta la
volontà di cui era capace.
Sospirò passandosi una
mano tra i capelli, decidendo di raggiungere la sua aula.
Nella scuola
risuonavano solo i rumori dei banchi che venivano puliti da alcuni
studenti e la voce di qualche professore che si era fermato a parlare
con i colleghi.
Un paio di ragazzi sbucati dalla fine del corridoio le
passarono accanto evitandola giusto di qualche centimetro, ma non ebbe
la forza di gridargli dietro di guardare dove mettevano i piedi quando
per evitarli perse la presa sulla cartella. Si massaggiò le
tempie doloranti, stringendo i denti insofferente ed osservando i libri
sparsi per terra. Arricciò il naso, sentendo il nervoso
salirle fino la punta dei capelli come una scossa e la voglia di
prendere e stracciare tutto farle tremare le mani.
-Che maleducati...
hai bisogno di aiuto?- Yuhiko scosse automaticamente la testa,
occhieggiando stancamente il ragazzo che si era chinato per darle una
mano e le stava porgendo l'astuccio attendendo pazientemente che lo
prendesse. Socchiuse le labbra incuriosita di fronte al suo aspetto
bizzarro, domandandosi come avesse fatto a non accorgersi della sua
presenza e non riuscendo a collegare il volto ad un nome.
-Grazie...-
abbozzò, persa nei propri pensieri. Forse era di un altro
anno, o non l'aveva mai notato. Eppure non passava inosservato.
-Sei
stato pesante questa volta, Bakugou.-
-Non siete amici
d'infanzia?-
-Ohi, non osate mettermi
allo stesso livello di quel Nerd di merda.-
Yuhiko si bloccò, impietrita, tendendosi come una corda di
violino in mezzo al corridoio deserto. Quelle voci inconfondibili,
impietose. Quei toni da costante presa per il culo. Quell'arroganza
strascicata tra le parole. Assottigliò lo sguardo, sentendo
il respiro improvvisamente pesante.
Katsuki.
Ora si spiegava
perché Izuku non l'avesse ancora raggiunta. Che cazzo gli
aveva fatto quella volta?
-Scusami, devo andare!- raccolse il resto dei
quaderni più in fretta che poté, tremando per
l'agitazione sotto lo sguardo improvvisamente attento dello studente di
fronte a lei. Sentiva la gola secca, il cuore accelerare i battiti ad
ogni minuto che perdeva su quel pavimento di un corridoio che le
sembrò improvvisamente troppo grande. Troppo distante. Lei
era in ritardo, era sempre in ritardo.
In testa le ripassarono tutte le
volte che Izuku era stato picchiato da Bakugou, tutti gli scherzi, le
derisioni, le ingiustizie.
Con un nodo in gola si mise a correre.
***
-Non
è cibo, stupide.- Midoriya sospirò,
immergendo la mano nel piccolo stagno e raccogliendo il quaderno ormai
fradicio. Le
carpe si allontanarono, spaventate da quell'intrusione che
frastagliò il pelo dell'acqua altrimenti sempre piatta.
Come se averglielo
bruciato non fosse stato abbastanza.
Osservò con sguardo pensieroso la carta bagnata e
l'inchiostro sulla copertina dilatarsi ad ogni minuto che passava e non
ebbe il coraggio di sfogliare le pagine, consapevole che il proprio
lavoro si stesse rovinando sempre di più. Presto sarebbe
stato tutto illeggibile, una massa informe di parole sbavate in un
quaderno che, alla fine, probabilmente non gli sarebbe neppure servito.
Senza Unicità che cosa poteva fare? Se non riusciva nemmeno
a rispondere a Kacchan per le rime quando lo prendeva in giro?
Izuku
s'infossò nelle spalle, amareggiato. Si morse un labbro e si
sentì vacillare di fronte ad un'evidenza che aveva sempre
cercato di superare, di aggirare, di non accettare.
-Buttati dal tetto
e prega di rinascere con un'Unicità.-
Strinse i pugni,
affilando lo sguardo smeraldino. Katsuki era uno stupido. Uno stupido.
Non si rendeva mai conto della gravità delle cose che diceva
o faceva nei confronti altrui, sempre pronto a deridere chiunque gli
capitasse davanti.
Ma a lui non era mai importato cosa pensasse, lui e
gli altri che lo guardavano di sbieco o con compassione ogni volta che
raccontava di come avrebbe voluto fosse il proprio futuro. Voleva
diventare un Eroe, e nessuno gli avrebbe impedito quantomeno di
provarci. Lo doveva a se stesso, al proprio sogno coltivato con cura
fin da bambino. Anche se non aveva nessun dono. Che colpa aveva se era
nato così?
-Izuku!- Midoriya trasalì, voltandosi
giusto in tempo per riconoscere la figura di Yu corrergli incontro. La
ragazza gli buttò le braccia al collo e si
irrigidì, stringendo al petto il quaderno ancora umido, non
capendo.
-Scusami, scusami tanto! Avrei dovuto capire che qualcosa non
andava!- si sentì sussurrare all'orecchio, e lei
sussultò mentre rafforzava la presa colpita dal proprio
senso di colpa. Istintivamente gli venne da ricambiare la stretta, ma
per imbarazzo si limitò a metterle le mani sulle spalle,
allontanandola quel tanto che bastava per poterla guardare in faccia.
Le rivolse un'occhiata spaesata, preoccupato per quel comportamento di
cui non capiva l'origine, osservandone i tratti tesi e gli occhi lucidi
e dalle pupille dilatate.
-Cos'è successo?! Stai bene?-
s'informò, preoccupato, scandagliandola con occhiate
ansiose. La vide stringere le labbra in una smorfia e passarsi una mano
sugli occhi umidi per aciugarli. La sua espressione mutò nel
giro di pochi secondi, facendogliene assumere una che Deku conosceva
bene. Era quella che mostrava quando qualcosa la turbava profondamente.
-Cosa ti ha fatto Katsuki?- gli domandò, seria, e Izuku
sussultò sul posto, distogliendo lo sguardo. Strinse la
presa sul quaderno e la cosa attirò l'attenzione della
ragazza, che aprì la bocca in un'espressione indignata.
-Ma
che stronzo!- la sua voce risuonò fin troppo chiaramente nel
silenzio del cortile, e Midoriya temette che se fosse stata sentita da
qualche professore l'avrebbe ripresa per il linguaggio. Le si
avvicinò facendole gesto di abbassare la voce, notando lo
sguardo crucciato che stava dardeggiando tutt'attorno. Probabilmente
sperava che Bakugou si materializzasse da qualche parte per poterlo
insultare di persona.
-Dai, non è così
grave…- iniziò per dissimulare, ma la vide
fulminarlo con lo sguardo e fu una delle rare volte in cui gli fece
paura – Midoriya capì che era arrabbiata, un
sentimento che così poco si accostava alla sua figura da
lasciarlo interdetto ogni qualvolta mostrasse apertamente di provarlo.
Yuhiko sentiva dentro di sé l'inconfondibile sensazione di
qualcosa che si stava lentamente rompendo a furia di riempirlo. Un
contenitore arrivato al limite. Non seppe bene verso chi avrebbe dovuto
indirizzare quella sensazione di insofferenza che sentiva lentamente
germogliarle nell'animo indurendole i tratti altrimenti sempre pacati.
-Mamma,
perché non posso fare la neve?-
-Le
Unicità si passano tra generazioni e sua figlia…-
-Che Quirk di merda che hai! A che servirebbe una barriera di aria?-
-Nasconditi, presto!-
-Io... io voglio proteggere le
persone!-
Yuhiko si sentì sopraffatta da tutte le
emozioni che le gorgogliarono nel cuore. Insofferenza, dolore,
mancanza, speranza… tutto si stava mischiando, tutto si
stava accumulando facendole venire la nausea, dandole solo una grande
vertigine per cui fu costretta ad aggrapparsi al muretto lì
vicino.
Riportò lo sguardo su Izuku, sentendo il mal di
testa peggiorare e un pesante ronzio nelle orecchie. Lo vide tentennare
di fronte alla sua occhiata, e qualcosa dentro di lei le
suggerì che non le aveva raccontato tutto. Anzi, per la
verità, non le aveva raccontato proprio niente. Non ce
n'era
stato bisogno. Conosceva Katsuki, lo conoscevano entrambi da anni e
probabilmente non sarebbero mai riusciti ad odiarlo davvero,
perché lei si ricordava della gentilezza che le aveva
riservato al loro primo incontro e Deku l'aveva sempre ammirato fin da
quando erano all'asilo.
-E' grave, invece. Non può
continuare così.- i suoi comportamenti rabbiosi li ferivano.
Ed il fatto che fosse proprio ciò che voleva per farli
sentire delle nullità gli faceva male ancora di
più.
Rimasero in silenzio qualche attimo, pensierosi,
consapevoli dei reciproci pensieri. Izuku si domandò come
avrebbe reagito se avesse saputo la frase sul suicidio, ma non ebbe il
coraggio di dirgliela, vedendola con lo sguardo vacuo e il corpo
irrigidito per la tensione mentre si torturava un labbro.
-Andiamo?- le
domandò, sperando di farle cambiare discorso e distrarla. La
vide
portarsi una mano alla testa e fare un piccolo sbuffo.
-Si.-
***
Yuhiko si
portò al naso il mazzo di fiori che aveva appena
comprato mentre usciva dal negozio persa nei propri pensieri. Il
profumo era talmente forte che per un attimo le diede le vertigini ed
il sole riflesso contro le vetrine dei negozi le si conficcò
senza pietà negli occhi, tanto che per qualche secondo vide
tutto nero e fu costretta a fermarsi. Portò una mano alla
fronte, osservandosi intorno prima di riprendere a camminare con
lentezza.
Il mal di testa le trapassava le tempie e l'odore pungente
dei gigli freschi non stava aiutando. Forse avrebbe dovuto dare ascolto
a Midoriya e comprarli in un altro momento.
-Io
oggi vado
di qui, devo comprare i fiori per domani.-
Deku, qualche
passo avanti a lei, si fermò di botto, girandosi come se gli
avesse dato una brutta notizia. Vide la sua faccia rabbuiarsi un poco
ed addolcì lo sguardo, mentre quello stringeva la presa sul
quaderno che teneva ancora in mano. La copertina ed i bordi erano
bruciati ma sperava che facendogli prendere aria si asciugasse senza
troppi danni.
-Già... vuoi che ti accompagni? Non stai
nemmeno bene… oppure potremmo passare domani mattina prima
di scuola.- le propose, apprensivo, avvicinandosi di qualche passo. Yu
aveva la faccia cadaverica di chi avrebbe solo desiderato vomitare
l'anima e andare a dormire.
Lei negò con la testa,
occhieggiando la strada che avrebbe dovuto percorrere e muovendo una
mano per dissimulare. Gli indicò il quaderno raggrinzito con
un cenno del capo.
-Tranquillo. Vai pure a casa a sistemare i tuoi
appunti. Ti scrivo più tardi.-
Socchiuse
le
palpebre, infastidita dai rumori che sentiva attorno e
stringendo la presa sui gambi dei fiori chiusi nella carta decorata.
Fece mente locale di ciò che avrebbe dovuto fare una volta
arrivata a casa: trovare un vaso, farsi una doccia, prendere una
pastiglia, probabilmente scrivere a Izuku che era sana e
salva…
-Non ti sembra di aver
esagerato dicendogli di
buttarsi dal tetto?-
-Taci, non sono affari tuoi quello che dico a
Deku.-
-Andiamo alla sala giochi?-
Come attirata da una calamita,
Yuhiko voltò il viso verso la via traversa che stava
incrociando, puntando lo sguardo nel piccolo vicolo da cui aveva
sentito provenire quelle frasi.
Buttarsi dal tetto?
Le sue pupille si
dilatarono, fossilizzandosi sui tre ragazzi che stavano parlando tra
loro senza preoccuparsi di essere sentiti. Si portò una mano
alla bocca, inorridita, colpita da una verità più
grave di ciò che aveva immaginato.
Katsuki… A
Izuku…
Quasi i fiori le caddero dalle mani per lo sconcerto.
Gli si avvicinò con passo incerto, azzerando la distanza nel
giro di pochi secondi ed attirando la loro attenzione. Al posto del
gelo che l'aveva colta si stava risvegliando nuovamente quella
sensazione di tensione che sentiva premere da qualche parte nel suo
corpo. Cercò comunque di mantenere la calma, ignorando i
ricordi dello sguardo di Izuku, le spalle infossate, le labbra
tremanti, il sorriso tirato mentre osservava il suo quaderno bruciato e
bagnato.
Forse aveva capito male. Una parte di lei nascosta
in profondità lo sperò con tutto il cuore.
-Cosa
gli hai detto?- Katsuki le restituì uno sguardo annoiato
voltando appena il viso, come se guardasse un moscerino sul muro per
cui non vale nemmeno la pena di battere le ciglia.
-Ah?- fece, dopo un
po', infastidito che lo continuasse a fissare.
-Hai capito benissimo.-
lo riprese. Strinse la presa sul mazzo di fiori, tuttavia non distolse
lo sguardo. Era stanca di farlo. Bakugou ghignò, voltandosi
totalmente verso di lei, e roteò gli occhi.
-Ah, quello.
Visto che ci tiene tanto ad avere un'Unicità, gli ho solo
sugg___-
-Ti rendi conto delle stronzate che dici? Dovresti smetterla!-
Bakugou ammutolì qualche secondo, mascherando la confusione
che gli diede quell'uscita inaspettata con un'occhiataccia piena di
risentimento. Irrigidì i muscoli, come se dovesse prepararsi
a combattere e gonfiò il petto. Come cazzo si permetteva?
-Io non dico stronzate! Non osare dirmi quello che devo fare, Mizore!-
le ringhiò contro, avvicinandosi. Dai palmi delle sue mani
fuoriuscirono alcune scintille. Yuhiko sentì varie emozioni
condensarsi nel petto mano a mano che la figura minacciosa di Katsuki
le si avvicinava. Erano prepotenti e le graffiavano l'anima per poter
fuoriuscire, le sentiva annodarsi tra lo stomaco e la gola.
Riconobbe
la paura, l'ansia, ma anche la frustrazione e l'insofferenza. La
pazienza che si era esaurita, la speranza che un giorno tornasse il
bambino un po' cocciuto ma buono che conosceva che si affievoliva. La
rabbia. La tristezza. Soprattutto la tristezza.
-Sei cattivo, Kacchan.-
Bakugou si fermò a pochi centimetri da lei, interdetto,
congelato sul posto come se fosse stato colpito da uno sparo. Trattenne
il fiato, guardandola dall'alto della sua altezza con un'espressione
indecifrabile e Yuhiko si portò i fiori dietro la schiena,
distogliendo lo sguardo, sentendosi ferita per le sue stesse parole
senza capirne il motivo. Sentì gli occhi lucidi e
sbatté le palpebre per scacciare quella sensazione.
Ci
furono vari minuti di silenzio, respiri trattenuti come se l'aria fosse
stata risucchiata via. Poi Bakugou sbottò, facendo esplodere
un bidone della spazzatura a lato della strada e tirandola verso di
sé per la camicia della divisa.
-Cosa cazzo hai detto?!- la
mora perse la presa sul mazzo di fiori che cadde a terra ed i gigli si
sparsero in giro, finendo schiacciati dai suoi stessi piedi mentre
cercava di liberarsi.
-Lasciami!- come per farle un dispetto, Katsuki
strinse maggiormente il pugno e bruciò la stoffa, mandandole
occhiatacce di sfida, ghignando nel vederla tirare le labbra e provare
invano a fargli allentare la presa.
Non doveva dirglielo. Non doveva
proprio dirglielo che era cattivo. Lui non era un cazzo di Villain. Lui
sarebbe diventato il più forte degli Eroi.
-Ti
farò rimang__-
-Cos'è quello? Bakugou, guarda!-
-Attenti!-
Attirato dal tono concitato dei due compagni con
l'intenzione di dirgli di non rompergli le palle, Katsuki
voltò leggermente il viso, puntando lo sguardo verso i due e
successivamente verso la zona che gli stavano indicando alle sue
spalle. Incuriosita dal repentino cambiamento che aveva scorto nel viso
del biondo e sentendo la presa allentare, Yuhiko fece lo stesso.
Trattenne il fiato e tremò, quando i suoi occhi si puntarono
sulla figura informe e tentacolare che li stava osservando, ridendo, in
un angolo ombroso della via.
Un Villain.
-Bene, bene. Ho trovato un
buon contenitore! Anzi, sei perfetto, hai anche un'Unicità
interessante!-
Prima ancora di poter capire si sentì
sbalzare indietro e si ritrovò a strisciare la faccia e le
gambe per terra. Cercò di alzarsi, premendo la mano sulla
guancia dolorante e sentendo la testa tornare a scoppiarle,
accorgendosi che Katsuki l'aveva praticamente lanciata a qualche metro
di distanza senza riguardi.
-Attento!-
-Bakugou!-
Yu tornò a
fissare il punto in cui aveva visto il Villain, frastornata, sentendo
le esplosioni che avevano iniziato ad illuminare la strada assordarle
le orecchie e la figura di Katsuki cercare in tutti i modi di tenere
lontano quell'essere da lui. Il criminale non sembrava impressionato.
Se possibile il suo viso informe sembrò eccitarsi
maggiormente mentre osservava Bakugou difendersi o provare ad
attaccarlo.
-Perfetto, sei perfetto! Ora sta fermo, non
durerà tanto.-
Yuhiko gridò quando i tentacoli
bloccarono il corpo del ragazzo, impedendogli di ribellarsi mentre
cercava di inglobarsi dentro di lui. Sentì gli occhi
sgranarsi così tanto per quella visione terribile che
pensò le sarebbero saltati fuori dalle orbite. Cosa poteva
fare, cosa poteva fare? Dov'erano i Pro Heroes quando servivano?
Sentì il fuoco innalzarsi, rasparle la gola, seccarle gli
occhi, inspirò l'odore di bruciato. In un angolo della sua
mente percepì le sirene in lontananza e qualcuno gridare di
resistere, che stavano arrivando gli aiuti, e una parte di lei, ancora
semi distesa sull'asfalto sporco e rovente, si sentì
sollevata. Tornò a fissare Katsuki, di cui era ormai
visibile solo parte del viso, si scontrò con lo sguardo
fiammeggiante di rabbia del ragazzo e percepì una stretta al
cuore.
-Sei cattivo, Kacchan.-
Sarebbe finita in quel modo? Sarebbero
state quelle le ultime parole che le avrebbe sentito dire?
-Sei
cattivo, Kacchan.-
Yuhiko iniziò a piangere, frastornata dal
susseguirsi degli eventi di quella giornata.
-Sono arrivati i Pro
Heroes!-
-Resisti, ragazzo!-
-Ci sono Kamui e Desutegoro…-
-Ah, anche Backdraft!-
Come al rallentatore, Yuhiko vide gli Heroes
mettere in salvo la gente con il supporto della polizia, facendola
indietreggiare e portandola via degli edifici in fiamme, cercare di
contenere i danni, combattere per liberare Katsuki. Ma ogni volta che
provavano ad avvicinarsi al Villain questo muoveva i tentacoli per
colpirli, e se riuscivano ad essere abbastanza vicini per poterlo
attaccare la sostanza vischiosa di cui era fatto assorbiva gli urti
appiccicandoglisi addosso.
Sussultò sul posto, mentre dalla
folla che si era radunata a vedere cosa stesse succedendo si elevarono
mormorii di dissenso. Guardò i paladini della giustizia, ne
soppesò i volti contratti e riconobbe nei loro sguardi
quella stessa emozione, quelle stesse sensazioni che molte volte aveva
sentito anche lei osservando qualcosa che non poteva cambiare.
Impotenza.
La frustrazione di non poter fare nulla, la consapevolezza
di essere inutile, la preoccupazione. Gli Heroes non potevano fare
niente. Non avevano un Quirk adatto.
Yu si tirò in piedi
sulle gambe tremanti, ignorando i richiami che le dicevano di restare
lontana. Mosse qualche passo incerto, attirando l'attenzione del
Villain che si voltò nella sua direzione affilando lo
sguardo. Non poté fare a meno di provare dei brividi
sentendosi trafitta da quegli occhi senza emozioni. Senza scrupoli.
Quella cosa li avrebbe ammazzati tutti, se ne avesse avuto la
possibilità. E lei non voleva che nessun altro morisse
davanti ai suoi occhi.
-Patetico! Sei patetico, Deku!-
-Sei cattivo,
Kacchan.-
Raccattò tutto il coraggio di cui disponeva e
affilò lo sguardo, come se in quel modo avesse potuto
scavare tra la melma verdastra che stava ricoprendo Katsuki e tirarcelo
fuori solo con la forza del pensiero. Non avevano ancora finito di
parlare. Quella testa di cazzo doveva ancora sentirle su per
ciò che aveva detto a Izuku.
La risata del Villain la scosse
fin nelle ossa e strinse i pugni, in allerta. Lo vide allungare i
tentacoli, facendoli sbattere contro i bidoni ed i pezzi di edifici
crollati, mandando calcinacci, rifiuti e carta infuocati in giro.
Yuhiko
si sentì afferrare una caviglia e un dolore sordo le
trapassò la schiena e le spalle. Il fiato le si
mozzò in gola e urlò. Venne strattonata, vide
tutto confuso, il circondario le passò
troppo velocemente davanti agli occhi dandole un prepotente conato di
vomito e le urla di sgomento delle persone furono solo dei suoni
ovattati che si ammassarono nella sua mente come spilli. Tutto divenne
improvvisamente buio.
Per vari minuti non capì cosa fosse
successo, sentendosi addosso solo una grande stanchezza, mentre
guardava il mondo stranamente capovolto.
-Cosa credevi di fare con
quello sguardo, mocciosa?-
Aveva voglia di chiudere gli occhi e
dormire. Sentiva i muscoli indolenziti, la testa pesante, delle fitte
alla schiena.
-Ha preso un altro ostaggio!-
-Non avvicinatevi, altrimenti la
faccio fuori!-
La presa sulla caviglia si strinse come una
morsa ghiacciata e fu come se le venissero conficcati degli aghi nella
pelle. Chiuse gli occhi e si morse un labbro, un suono roco le
uscì dalle labbra come protesta e sentì qualcuno
in lontananza imprecare. Si rese conto di stare appesa a testa in
giù.
Intravide Bakugou dimenarsi e ringhiare, provando
nuovamente a fare esplodere il corpo del Villain che lo imprigionava
per nulla intenzionato a farsi sopraffare. Una parte di lei si
domandò dove trovasse tutta quella forza di sopportare il
dolore, di combattere e resistere. Socchiuse gli occhi, provando un
vago senso di ammirazione per la tenacia.
Così diversa,
così esplosiva, eppure la trovò talmente simile a
quella di Deku da sorprendersi da sola per quel pensiero.
Ricacciò indietro le lacrime, aggrappandosi al dolore che
sentiva come se fosse l'unico appiglio a poterla tenere ancora sveglia.
Non sarebbe stata da meno. Aveva anche lei un obbiettivo da
raggiungere.
Cercò di concentrarsi e sentì l'aria
agglomerarsi nel suo palmo, prendendo immediatamente la forma di un
piccolo pugnale trasparente. Strinse la presa sull'elsa e si diede la
spinta necessaria per riuscire a raggiungere il tentacolo che le teneva
la caviglia e tagliarlo. Sgranò gli occhi quando
realizzò di esserci riuscita dopo un paio di tentativi e
l'arma si dissolse. Vide la smorfia di dolore che distorse il viso del
suo aggressore mentre cadeva nel vuoto e un tentacolo innalzarsi
nuovamente verso di lei, ma prima che potesse cozzare con l'asfalto
Kamui dei Boschi l'afferrò con i suoi rami, portandola al
sicuro dietro gli altri Pro Heroes.
-Sei stata brava...-
-Stai bene?-
Si portò una mano alla fronte, senza rispondere. Le girava
la testa e Katsuki... Alzò lo sguardo verso il Villain,
trovandolo esattamente come l'aveva lasciato. E l'espressione di
Bakugou, lo sguardo che stava rivolgendo a tutti loro le diede un pugno
allo stomaco.
Dovevano aiutarlo,
dovevano... lui... qualcuno...
Fece
per alzarsi, ma venne trattenuta per un braccio e sentì una
fitta al piede.
-Katsuki!-
-Kacchan!-
Yuhiko vide una macchia nera e
verde dirigersi verso il Villain. Ignorando il pericolo, le urla di
protesta, i richiami, le fiamme, ignorando tutto. Spuntò
fuori improvvisamente come se fosse stata sputata fuori dal nulla e la
superò di corsa - li superò tutti. Senza esitare,
senza fermarsi.
...Izuku?
***
Il cielo era
diventato più scuro, e il sole che si trovava
sulla linea dell'orizzonte dava a tutto un bagliore aranciato che
accendeva la saturazione dei colori tutt'attorno. Si fermò
ad osservare le nuvole rosate, portandosi una mano tra i capelli per
tenerli fermi ad una folata di vento.
Le ultime ore erano trascorse
così in fretta che non si era nemmeno accorta fosse quasi
sera.
Yuhiko riprese a percorrere lentamente la via che portava verso
casa, un po' zoppicante. Occhieggiò la fasciatura che le
avevano messo intorno al piede quando l'avevano soccorsa i medici
intervenuti sul posto, pensierosa, e le venne istintivo ripercorrere
con la mente gli ultimi eventi che avevano reso quel giorno
così particolare.
Di merda,
avrebbe voluto definirlo,
perché la sua idea era sempre stata di andare a casa a
riposare e invece si era ritrovata appesa a testa in giù con
le gambe al vento davanti a una folla di sconosciuti, senza contare i
fiori andati completamente in cenere. E se "di merda" non era il
termine adatto, come l'avrebbe ripresa Midoriya per il linguaggio,
sicuramente era quello che esprimeva al meglio la sua idea.
Socchiuse
gli occhi, infastidita dal sole, e sospirò.
Tutto era
successo così velocemente che ancora faticava a capire la
dinamica delle cose. Sapeva solo che ad un certo punto qualcuno le
aveva coperto la visuale, e si era spaventata a morte perché
non aveva più visto i due ragazzi e cosa gli stava
succedendo. Poi c'erano stati delle grida, un forte vento e si era
sentita improvvisamente bagnata dalla testa ai piedi. Aveva ascoltato
la pioggia picchiettarle sul viso mischiandosi alle lacrime, e con un
nodo allo stomaco si era sporta oltre le schiene che la precedevano,
scontrandosi con la figura di All Might che si stagliava in mezzo alla
via, lì nello stesso punto dove il Villain aveva primeggiato
fino a poco prima.
Zoppicando, aveva arrancato verso i due ragazzi
svenuti e tra le lacrime aveva continuato a balbettare ringraziamenti.
All Might l'aveva guardata sempre sorridente, senza commentare la
figura patetica che, si era resa conto più tardi, sentiva di
aver fatto.
Poi c'erano stati i giornalisti, le domande dei curiosi, i
complimenti a Bakugou e i rimproveri per Deku. I medici che la
portavano via per controllarle la caviglia e darle qualcosa per il
dolore. Era stato in quel momento che aveva visto Izuku guardarla
apprensivo oltre la folla di persone e lei gli aveva scritto un
messaggio.
"Sto bene, ti raggiungo
dopo!"
Lo aveva visto andare via con
le spalle infossate, la testa bassa, mentre le porte dell'ambulanza si
chiudevano.
Ed era preoccupata.
I Pro Heroes non avevano fatto altro
che ricordargli che era nato senza Unicità e lei avrebbe
tanto voluto prenderli a sberle per il poco tatto che avevano
dimostrato.
Arrivò fino all'angolo della via e si
appoggiò al muro di cinta della casa per prendersi un
momento e far riposare il piede esalando un sospiro. Il cellulare le
vibrò in tasca e lesse distrattamente il messaggio, poi fece
per girare l'angolo.
-Sono davvero colpito.-
Yuhiko si
bloccò, come in trance, il telefono ancora stretto nella
mano. Conosceva quella voce. Aggrottò la fronte.
-È stato così anche per te, vero?-
Con chi stava
parlando All Might? Si sporse, trattenendo il fiato, vergognandosi per
stare spiando una conversazione in cui non c'entrava nulla. Le sue
pupille si dilatarono per la sorpresa. Oh.
Izuku...
La ragazza vide le
spalle dell'amico tremare di fronte all'imponente Number One e
capì che stava piangendo. Non gli diede tutti i torti,
dopotutto l'aveva sempre ammirato e trovarselo di fronte, solo loro due
da soli, immaginò dovesse essere un bel miscuglio di
emozioni specialmente dopo gli eventi di quel pomeriggio.
Fece qualche
passo indietro nascondendosi nuovamente dietro l'angolo e voltandosi
per tornare verso casa.
Quello era il momento di Izuku.
-Anche tu puoi
diventare un Eroe.-
***
-Katsuki?-
Bakugou richiuse la porta di casa con un gesto stizzito,
infossandosi nelle spalle ancor di più e sfoggiando
l'espressione più contrita che riuscisse a fare per evitare
di essere disturbato. Non aveva voglia di parlare e doveva ancora
organizzare lo studio di quel giorno. Quel maledetto Villain gli aveva
rovinato il resto della giornata. Non appena sarebbe diventato un Pro
Hero li avrebbe presi tutti a calci nel culo.
Mitsuki fece la sua
comparsa dalla sala, scandagliando con occhiate veloci la figura del
figlio avvicinarsi lentamente con le mani nelle tasche dei pantaloni e
superarla.
-Sto bene, vecchia.- rantolò, cercando d'ignorare
il suo sguardo e dirigendosi verso la camera. Aveva altro a cui pensare
e non aveva tempo da perdere con le ramanzine di sua madre. Inoltre,
doveva capire come avesse fatto quel Deku di merda a superare gli
Heroes e lanciarsi in suo aiuto come se fosse un gesto qualunque. Non
stava né in cielo né in terra che lui fosse in
debito con quel quirkless, né capiva come mai dopo tutto
quello che gli faceva da anni fosse andato in suo soccorso –
quella storia sulla persona bisognosa di aiuto non se la beveva. Lui
non aveva bisogno dell'aiuto di nessuno.
-Lo so che stai bene.- fu la
constatazione che fece sua madre, incrociando le braccia al petto.
Katsuki le lanciò un'occhiata da sopra la spalla, arrestando
il passo quel tanto che bastava per incoraggiarla a continuare a
parlare. Non che ne avesse bisogno, quella donna, in ogni caso. I loro
caratteri erano piuttosto simili e nessuno dei due riusciva a
trattenere le parole quando bruciavano per uscire.
Bakugou discuteva
con lei praticamente da sempre ed era spesso una lotta persa in
partenza, ma forse era per quello che aveva imparato a voler avere
sempre l'ultima parola su tutto gridando pur di farsi ascoltare.
-Quindi che vuoi?- fu la domanda brusca che si fece sfuggire. Mitsuki
strinse le labbra, avvicinandosi di qualche passo senza staccargli gli
occhi di dosso. Bakugou la fissava con quello sguardo sempre allerta e
acuto e per un attimo sentì una morsa stringerle il petto,
notando
quanto fosse cambiato rispetto al ragazzino sognante che le sventolava
sotto il naso le action figure di All Might.
Il suo bambino... era
così fiera del suo bambino.
Era sempre stato un ragazzo
piuttosto avanti per la sua età e anche se aveva un
caratteraccio che sicuramente andava rimesso in riga non le aveva mai
dato modo di preoccuparsi: a scuola andava bene senza bisogno che gli
corresse dietro per farlo studiare e a differenza delle marachelle che
iniziavano a combinare i figli dei suoi conoscenti Katsuki non si era
mai messo nei guai. La tenacia che aveva dimostrato quel giorno contro
quel Villain non poteva che renderla ancora più orgogliosa.
Mitsuki certo non immaginava cosa realmente passasse per la testa di
suo figlio o certi comportamenti che aveva avuto ma che si era ben
riguardato dal raccontarle e di cui non era a conoscenza.
Rilasciò un sospiro leggero
passandogli una mano tra i capelli come si permetteva di fare quando
era piccolo e Katsuki sbuffò, allontanandola con un gesto
secco e brontolando sottovoce.
-Che hai oggi, vecchia?-
-Niente, figlio
degenere. Sono solo contenta che tu sia a casa.-
Ciao e bentornati :)
Dunque, con questo capitolo si fa il primo "salto" nel passato, e
inizia la nostra storia. Come avrete notato ho cercato di non
modificare troppo gli eventi canon nonostante il mio oc, cerco sempre
di stare attenta a non creare mary sue e spero di riuscirci in modo
quantomeno decente. Mizore
vuol dire nevischio, e avrà un suo senso tra un paio di
capitoli.
Come sappiamo bene, Katsuki cerca sempre di affibbiare dei nomignoli
dispregiativi e non poteva essere di certo da meno. Ho cercato di
tenerlo il più IC possibile e penso/spero questa cosa si
noterà più avanti. Stronzo era e stronzo rimane,
ecco. Inoltre ho cercato di dargli un po' di spazio con sua madre,
anche se ammetto non è stato facile dal momento che - se non
mi sbaglio, datoche seguo più l'anime che il manga - le
reazioni dei Bakugou non vengono mai menzionate se non quando
costruiscono i dormitori dove viene detto che sperano lo mettano in
riga alla Yuuei. Insomma, tuo figlio quattordicenne viene rapito da un
Villain e tu nemmeno ti presenti sul luogo? Boh, ho trovato questa cosa
parecchio strana, non mi spiego se sia un buco di trama o semplicemente
i genitori hanno una grande fiducia in Katsuki da non preoccuparsene.
Non penso di avere altro da dire, vi ringrazio per l'attenzione
D. <3
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Capitolo 4 *** Terzo Petalo. ***
Cherry
Blossom Tree
Terzo
Petalo
-Ultimamente
sei strano, Izuku.-
Fu con quella frase che Yuhiko lo accolse quel
mattino soleggiato di Giugno dopo che l'aveva fatta attendere davanti
al cancello della scuola per una buona ventina di minuti rispetto al
solito orario in cui si erano sempre trovati. Era passato un mese
dall'attacco del Villain e dal suo incontro con All Might che gli aveva
aperto le porte verso una nuova prospettiva futura, e progressivamente
avevano smesso di andare a scuola insieme perché era sempre
impegnato fino all'ultimo minuto disponibile negli allenamenti.
Midoriya sentiva il tempo scorrere inclemente ed ogni volta che si
fermava a pensarci si rendeva conto di non averne abbastanza. Era anche
ben consapevole che l'impegno richiestogli da All Might per preparare
il suo fisico gli si stesse ripercuotendo sugli altri aspetti della
propria vita – primo fra tutti, oltre alla stanchezza e alla
fatica che faceva per poter incastrare studi e allenamenti, l'amicizia
con Yuhiko.
Perché ogni secondo era prezioso e doveva
sfruttarlo, e ovviamente il resto passava in secondo piano –
dopotutto, c'era in gioco il suo futuro.
Yu sapeva praticamente da
sempre che avrebbe voluto tentare di entrare alla Yuuei e che aveva
iniziato a cercare di migliorare le sue prestazioni fisiche per tentare
l'esame, ma più di quello non le aveva raccontato nulla,
accampando scuse su scuse che, sapeva, non avrebbero retto ancora per
molto. Non aveva la minima idea di come iniziare il discorso ed evitare
tutte quelle domande che, ci avrebbe scommesso ad occhi
chiusi, sarebbero arrivate.
All Might era stato chiaro sul fatto di
dover tenere segreta la faccenda di One For All ed Izuku era sicuro che
se avesse iniziato a confidarsi con Yu non sarebbe riuscito a
trattenersi, perché lei riusciva sempre a cavargli le parole
di bocca e a lui veniva fin troppo facile renderla partecipe di
ciò che lo riguardava.
La occhieggiò con sguardo
stanco da sotto i ricci increspati senza avere il reale coraggio di
mantenere il contatto, sentendo una punta di senso di colpa pungolarlo
da qualche parte nel petto nello scorgerla osservarlo con
un'espressione scettica che lo costrinse a distoglierlo subito, il dito
ancora puntato verso di lui con fare accusatorio ed i capelli lasciati
liberi che le ricadevano lungo le guance.
-Più del solito.-
precisò lei, alzando un sopracciglio e sospirando
palesemente. Si passò una mano per tirare indietro il ciuffo
dagli occhi, grattandosi la nuca e tirando le labbra in una smorfia.
Midoriya non le aveva mai parlato del suo incontro con All Might
– cosa che trovò strana, ma magari voleva tenere
quel momento privato e non poteva certo fargliene una colpa. E lei non
gli aveva mai fatto sapere di averli visti insieme, dopotutto,
perché temeva di rubargli un ricordo che sapeva essergli fin
troppo prezioso.
Eppure, il comportamento che stava tenendo il ragazzo
le iniziava a dare sui nervi. Sembrava le nascondesse qualcosa, ne era
sempre più sicura ogni volta che lo guardava e lui
dissimulava e – diavolo, perché non si confidava
come sempre? - avrebbe voluto chiedergli, senza sapere bene se avesse
poi così tanto diritto di impicciarsi.
Senza contare che di
punto in bianco si ritrovava a fare la strada da sola, a passare i
pomeriggi da sola, a rimuginare da sola e a vederlo molto
più raramente. Quella era forse ciò che la
infastidiva maggiormente di tutta quella storia che sentiva di non
riuscire ad afferrare. La consapevolezza che il suo migliore amico
fosse impegnato in qualcosa di cui non la rendeva partecipe senza
neppure uno straccio di spiegazione che fosse anche solo un dirle di
farsi gli affari propri.
L'avrebbe decisamente preferito al suo fare
sfuggente e ai momenti di silenzio in cui lo vedeva rinchiudersi nei
suoi ragionamenti, perché la stavano iniziando seriamente a
preoccupare.
-Beh s_sai, siamo all'ultimo anno, devo studiare, e
l'incontro con il Vill__- Deku ammutolì vedendo lo sguardo
offeso con cui lo fulminò Yuhiko e si congelò sul
posto, sentendo la luce del sole trapassargli gli occhi quando
indietreggiò di qualche passo uscendo dall'ombra
confortevole del grande albero dove si mettevano sempre ad aspettarsi
quando uno dei due era in ritardo.
Lei arricciò il naso e
roteò gli occhi, cacciando indietro la sensazione di
sentirsi presa in giro con quell'ennesima scusa che stava cercando di
propinarle.
-Smettila di mentirmi, Izuku. So che è una
stronzata.- Midoriya percepì distintamente il calore
dell'imbarazzo e dell'agitazione arrossargli le guance e le orecchie e
gli sembrò che la temperatura si fosse improvvisamente
alzata. Sgranò gli occhi e la guardò, stralunato.
Sentiva la bocca secca e quando provò a controbattere il
respiro gli si spezzò in gola. Aveva già intuito
nei giorni precedenti che avrebbe dovuto parlare con All Might al
più presto e Yu in quel momento gli diede solo conferma di
ciò a cui la sua testa aveva già iniziato a
ragionare da giorni.
Lei si interessava troppo agli altri per non
notare i loro cambiamenti, ed era troppo curiosa per fare finta di
nulla. Specialmente con lui.
Deku ingoiò il groppo in gola
insieme alla consapevolezza che non sarebbe riuscito a mentirle ancora
per molto, sentendo lo stomaco stringersi in una morsa sotto lo sguardo
affilato che gli stava rivolgendo l'amica.
-Per l'ennesima volta
farò finta di crederti. Ma se non me lo dirai tu,
scoprirò da sola cosa mi nascondi, Izuku.-
***
Yuhiko
rilasciò un grosso respiro esasperato e chiuse il quaderno,
mollando nello stesso istante la penna che rotolò sulla
copertina liscia. Si stropicciò gli occhi assonnati fino a
che non le iniziarono a fare male ed occhieggiò l'orario sul
display del cellulare, notando che segnava quasi le 22.00.
Sbuffò, stirandosi sulla sedia e sbadigliando, sentendo i
muscoli tendersi per quel cambio di posizione improvviso dopo ore
passate china sui libri.
La luce della luna donava all'ambiente della
sua camera un bellissimo bagliore argentato che si confondeva con
quello della lampada sulla scrivania, illuminando i mobili ed i muri.
Per vari minuti rimase ad osservare lo sprazzo di cielo visibile dalla
finestra trovando quella visione e la stasi che la circondava
particolarmente rilassanti.
Si appoggiò il volto su una
mano, facendo dardeggiare lo sguardo sul tavolo. Inevitabilmente si
ritrovò a posarlo su una delle rare foto incorniciate che ne
occupavano lo spazio. Ritraeva lei, Izuku e Katsuki da piccoli, in una
giornata di festa di… prima – o seconda, forse?
elementare. Non ricordava bene, i primi tempi in cui li aveva
conosciuti quando si era trasferita in quel quartiere aveva potuto
accumulare tanti momenti simili, in cui giocavano e si divertivano
senza cattiveria.
Bakugou era sempre stato un bambino influente sugli
altri, riusciva a farsi adorare da tutti per la facilità con
cui faceva ogni cosa e la cocciutaggine con cui affermava che sarebbe
diventato il più forte degli Eroi era ammaliante per
chiunque si ritrovasse ad ascoltarlo, specialmente tra bambini ancora
incoscienti sul mondo. Eppure, qualcosa si era come rotto in lui, ad un
certo punto, e né lei né Izuku avevano mai capito
cosa fosse.
Socchiuse le palpebre, sospirando leggermente e facendo
scorrere un dito sulla cornice che racchiudeva quel pezzo di ricordo,
quasi accarezzandola. Sentì caderle addosso tutta la
stanchezza della giornata e ci mise vari minuti prima di decidere di
alzarsi e preparare lo zaino.
Prese il cellulare e
digitò un messaggio, attendendo la risposta mentre faceva
mente locale su cosa le servisse per non dimenticare nulla.
"Ti ho
fatto gli appunti, domani passa a prenderli, ti aspetto alla fine delle
lezioni."
"Grazie mille, Yu! Mi stai davvero salvando!"
Yuhiko sorrise
allo schermo scuotendo leggermente la testa, immaginandosi gli occhi di
Izuku guardarla con una vena adorante e con le pupille dilatate per
l'emozione. Le salì una punta di irritazione e si morse un
labbro.
Come aveva anche solo pensato di poter andare avanti quasi
dieci mesi tra allenamenti estenuanti mattina e sera, lezioni e studio?
Se si fosse fatto bocciare agli esami di fine anno perché
rimaneva indietro poteva così sognare di voler tentare di
entrare alla Yuuei.
-All
Might… All Might mi sta allenando.-
Yuhiko si
voltò quel tanto che bastava per poter osservare Izuku in
faccia, il vento delle prime calure estive le smosse i capelli
facendole solleticare le guance.
Izuku aveva parlato così a
bassa voce che per un attimo pensò di esserselo sognato,
immaginando fosse stato il rumore delle foglie a darle l'impressione di
aver sentito qualcosa provenire dal ragazzo. Il modo in cui la stava
guardando, però, le diede la silenziosa conferma che invece
aveva capito bene: nei suoi occhi fiammeggiava qualcosa che non le
diede nemmeno il tempo di dare voce a quel dubbio che già lo
aveva spazzato via.
Represse un sospiro, sdraiandosi nell'erba del
prato vicino al parco giochi in cui un Midoriya dallo sguardo
palesemente teso l'aveva portata per poterle parlare. I fili verdi le
sfiorarono le gambe provocandole un misto di fastidio e solletico.
Aveva capito che Izuku doveva dirle qualcosa da quando quella mattina
l'aveva raggiunta con movimenti rigidi e l'aveva guardata, aggrottando
le sopracciglia e inchiodandola con lo sguardo sul posto prima che
iniziasse a lamentarsi nuovamente del suo comportamento. L'espressione
seria con cui la osservava le aveva fatto morire in gola qualsiasi
cosa.
-Dopo... hai tempo? Devo parlarti di una cosa importante.-
Lei si
era limitata ad annuire ricacciando indietro le domande che le si
stavano già formando nella testa. Aveva aspettato che quella
giornata scolastica passasse con un groppo in gola, sentendo
l'agitazione e l'aspettativa crescere ad ogni ora che la separava dal
suono della campana mano a mano che questa diminuiva.
-Tutto qui?-
Izuku saltò sul posto, aprendo la bocca un paio di volte per
parlare, chiaramente confuso dalla sua reazione. Probabilmente si
aspettava che avrebbe reagito in qualche altro modo.
-In che senso?-
riuscì a chiederle in un sussurro, alla fine, accomodandosi
accanto a lei, forse intuendo qualcosa. Yuhiko si grattò il
collo distogliendo lo sguardo, mordendosi un labbro.
-Lo sai che sapevo
che mi stavi nascondendo qualcosa.- iniziò a dirgli
torturandosi le dita, e Izuku alle sue parole contorte
annuì, mormorandole delle scuse e tirando la bocca in una
smorfia. Ma lei mosse una mano, schioccando la lingua sul palato e
prendendo un grosso sospiro.
-Io... ti ho visto parlare con All Might,
quel pomeriggio dopo l'attacco del Villain. Non volevo dirtelo
perché sapevo fosse… una cosa tua, diciamo.- Yu
puntò lo sguardo sul cielo azzurro, imbarazzata, sentendo
una fitta di colpevolezza darle dei brividi lungo la schiena. Deku,
accanto a lei, era sbiancato. Ma sbiancato davvero molto. Yuhiko si
preoccupò che l'avesse deluso profondamente per averglielo
tenuto nascosto.
-Ma sono andata via subito, perché sapevo
sarei stata solo un impiccio!- la sua voce le era parsa più
alta del solito e non era riuscita a comprimere l'agitazione che le
aveva stritolato il cuore davanti all'espressione ammutolita
dell'amico. Sembrava avesse visto un fantasma. Izuku la stava guardando
con gli occhi sgranati e a lei era parso di vedere addirittura del
terrore nelle sue iridi smeraldine. Si costrinse ad accantonare quel
pensiero assurdo.
Assurdo.
Izuku non aveva mai avuto paura di lei,
perché iniziare ora?
-Q_q_quindi non hai sentito nulla?- Yu
si voltò, guardando Izuku cercare di prendere profondi
respiri limitandosi ad alzare un sopracciglio.
Che razza di domanda
era?
Lo vide passarsi una mano tra i capelli e le sembrò
improvvisamente più rilassato. Fece spallucce con se stessa,
mordendosi l'interno di una guancia. Izuku era troppo emotivo, certe
volte.
-Solo che ti ha… rincuorato, diciamo così.
Non pensavo ti avesse preso sotto la sua custodia per aiutarti,
è davvero fantastico!- gli fece l'occhiolino, dandogli una
spallata improvvisa.
Deku rise, imbarazzato, aggiungendo qualche
particolare di ciò che All Might gli aveva detto durante il
loro incontro, su come avesse cambiato la sua dieta e sugli
allentamenti – e le era finalmente parso chiaro
perché le desse sempre buca.
Izuku fissò lo
sguardo emozionato verso il cielo terso, perso nei ricordi e sentendo
quella nuova fiamma di speranza che l'Hero gli aveva dato vibrargli nel
petto e a Yuhiko era sembrato che il Deku che conosceva avesse
già iniziato a percorrere quella strada a cui era sempre
stato destinato.
-Sono contenta per te, Izuku.-
Yu
si
lasciò la camera alle proprie spalle, chiudendo la porta ed
incamminandosi pensierosa lungo il corridoio. Aveva ancora il telefono
in mano e rilesse con svogliatezza il messaggio di Midoriya,
infilandoselo poi nella tasca dei pantaloni e scendendo le scale per
arrivare in sala senza soffermarsi a guardare in giro. L'ambiente buio
e leggermente freddo del piano superiore le portava alla mente ricordi
e sensazioni che non aveva voglia di affrontare e si sorprese di come
improvvisamente la sua mente sembrasse essersi riattivata per captare
ogni singolo rumore.
Arrivò in cucina guidata dalla voce
proveniente dalla piccola televisione poggiata su un mobile e la luce
che illuminava l'ambiente, che ancora tratteneva il calore sprigionato
dal forno. Si lasciò cadere su una sedia, rendendosi conto
di aver trattenuto il respiro fino a quel momento.
-Oh, cara. Hai
finito di studiare?-
La mora occhieggiò la tazza di tisana
che le era stata posata davanti, provando una fitta di tenerezza.
-Si
nonna. Grazie.- strinse con la mano la ceramica tiepida, sentendo il
calore scaldarle le dita e scioglierle i muscoli delle falangi. Dopo
tutte le ore passate a scrivere le sembrò tanto di ricevere
un massaggio.
Quando Izuku le aveva raccontato il programma che avrebbe
dovuto seguire lo aveva guardato con occhi sbarrati, immaginando
l'impegno e la voglia che doveva avere per resistere e riuscire a far
quadrare tutto e avendo la certezza che se fosse stata al suo posto
sarebbe durata al massimo tre giorni prima di crollare. Midoriya,
invece, era più di un mese che andava avanti dividendosi tra
allenamenti, compiti e studio.
Era davvero tenace.
Per Yu, dargli degli
schemi e degli appunti sulle lezioni che avevano in comune era stato
naturale per potergli far tirare un po' di respiro - anche se sarebbe
stato più facile se fossero stati in classe insieme, ma
purtroppo dovevano accontentarsi e vedendo come si stava impegnando
Deku non aveva potuto fare a meno di sentirsi contagiata dal suo
entusiasmo.
-Sei ancora convinta di voler andare alla Yuuei? Di voler
diventare una Pro Hero?- l'anziana donna le si era seduta accanto,
sorseggiando un po' di bevanda calda e guardandola con occhi pensierosi
attraverso gli occhiali e le palpebre cadenti.
Yuhiko
sospirò, mordendosi la lingua per riflettere prima
di parlare.
La sua famiglia era sempre
stata piena di studiosi, non c'era nessuno che avesse mai tentato
quella strada. E lei si ritrovava divisa tra ciò che erano i
suoi desideri e ciò che le scorreva nel sangue da
generazioni. Studiare le piaceva, il lavoro che facevano i suoi
genitori l'aveva sempre incuriosita e ai suoi parenti sarebbe piaciuto
che portasse avanti la tradizione.
Occhieggiò una foto
appesa in sala, affilando lo sguardo.
Loro, però…
Strinse le labbra sentendo la rabbia bruciarle il cuore e
ricacciò indietro il magone che le strinse lo stomaco.
Sarebbe diventata una Pro Hero. Avrebbe protetto le persone. Avrebbe
combattuto il crimine. Questa era l'unica cosa che contava per lei,
quello era un richiamo così forte da non potergli resistere.
Non poteva, non voleva, non doveva.
Puntò lo sguardo sulla
donna che le stava di fronte, trovandola, con una punta di stupore,
sogghignante. Le aveva fatto quella domanda moltissime volte e
altrettante la risposta era sempre stata una sola.
-Si.-
***
Izuku
si
permise di prendersi qualche minuto di respiro, quel pomeriggio,
avanzando verso il proprio zaino e passandosi una mano sulla fronte per
levarsi il sudore che sentiva colargli dalle tempie. Faceva caldo e il
sole era quasi sulla linea del tramonto, e neppure la brezza marina in
quel momento
sembrava voler dare un po' di conforto o frescura al suo corpo
accaldato.
Sulla superficie del mare blu ogni tanto veniva riflessa la
luce del sole e Midoriya più volte aveva dovuto socchiudere
gli occhi, infastidito. Tuttavia non aveva potuto impedire alla sua
testa di immaginare quel paesaggio che ogni giorno gli si parava
davanti una volta che sarebbe riuscito a liberare tutto il litorale dai
rifiuti.
Era sicuro che sarebbe
stato bellissimo. E lo avrebbe fatto
lui.
All Might continuava a riprenderlo più e più
volte in quello che faceva e sbagliava e ogni volta si sorprendeva di
come, invece di infossarsi sotto quelle specie rimproveri, sentiva
accenderglisi nelle vene un fortissimo senso combattivo che lo faceva
ritentare, ritentare e ritentare finché non riusciva ad
arrivare lì dove si era prefissato.
Sapeva di essere a zero,
di non avere praticamente forza fisica né le basi per
allenarsi neppure con gli esercizi più semplici. Non lo
aveva mai fatto seriamente come in quelle settimane e il suo corpo fin
troppo esile risentiva di ogni sforzo, ogni movimento, ogni respiro. I
muscoli dolevano ed erano sempre tesi, le ossa gli facevano male,
aveva sonno e riuscire a concentrarsi in classe era diventato sempre
più difficile.
Era arrivato a non riuscire a muovere un dito,
e la cosa gli aveva dato un profondo senso di frustrazione
perché sentiva di non poter perdere nemmeno un secondo del
tempo che trascorreva con All Might e sotto i suoi insegnamenti. Come
gli aveva detto, sapeva di doversi impegnare il doppio, se non il
quadruplo degli altri per raggiungerli e non poteva permettersi di
fermarsi nemmeno se era il proprio corpo a implorarglielo.
Izuku
aprì lo zaino e tirò fuori una bottiglietta
d'acqua, sedendosi con un tonfo e guardando distrattamente il disordine
che vi regnava all'interno. Ogni giorno aveva così tanta
fretta di lasciare l'aula per incontrare l'Eroe che ci buttava dentro
tutto alla rinfusa.
-Non ti facevo un tipo da acchiappasogni, giovane
Midoriya.-
Izuku trasalì sentendo la voce di All Might
improvvisamente vicina e quasi si strozzò con il sorso
d'acqua che stava buttando giù. Tossì un paio di
volte, prima di seguire lo sguardo dell'uomo e capire a cosa si
riferisse.
-Oh, non è mio. È un quaderno con gli
appunti che mi ha dato Yu.- All Might si sedette accanto a lui,
osservandolo. Un sorriso gli si dipinse sul viso scavato.
-Ti stai
aiutando a studiare?- fu la domanda retorica che gli fece, e vide il
ragazzo annuire. Ricordava quando un paio di settimane prima Midoriya
era arrivato al loro incontro trafelato e con lo sguardo di chi
sembrava aver visto la morte in faccia.
-Yu
lo sa, lo
sa!- gli urlò Izuku nelle orecchie, prendendo a torturarsi i
capelli con le mani e facendo avanti e indietro davanti a lui come un
animale in gabbia. Tra i vari discorsi, All Might era venuto a
conoscenza che l'amica di cui parlava era la stessa che lo aveva
ringraziato in lacrime sotto la pioggia il giorno del loro incontro.
Nel corso della propria carriera aveva vissuto molte scene simili,
gente che lo ringraziava e sorrideva o piangeva di sollievo quando lo
vedeva arrivare ed ogni volta non poteva che sentirsi felice. Eppure il
modo in cui quella ragazzina si era messa ad accarezzare le teste dei
due compagni svenuti lo aveva colpito profondamente. Solo in seguito
avrebbe capito il motivo di tanta riverenza.
-Di cosa stai parlando,
giovane Midoriya?- in quel momento non gli sembrava il ragazzo
intrepido che aveva visto pregarlo di renderlo più forte per
poter ricevere il suo dono o che si era buttato contro un Villain senza
pensarci. Capì che doveva esserci qualcosa di grave a
turbarlo.
Passò solo qualche secondo in silenzio, prima di
sentirsi trafitto da un sospetto.
-Non le avrai detto di___-
-No, certo
che no!- Izuku quasi saltò sul posto, portando le mani in
avanti e prendendosi poi il mento, pensieroso.
-Però lo sa
che c'è qualcosa di diverso. Insomma, stavamo sempre insieme
prima e invece ora di punto in bian__- All Might alzò un
braccio e Deku si bloccò di botto nel suo sproloquiare a
voce alta, incassandosi nelle spalle ed osservando l'Hero sorridere. Ma
nei suoi occhi c'era solo serietà, una freddezza tale che
gli diede i brividi lungo la schiena.
-Ho capito, giovane Midoriya.-
All
Might gli
aveva ricordato fin quasi alla nausea, mentre concordavano cosa potesse
dirle per appianare i sospetti, che non avrebbe mai dovuto accennare al
suo potere, ad All For One e alla sua condizione fisica, e Midoriya
aveva sempre annuito, con gli occhi lucidi di commozione per quella
concessione che gli avrebbe permesso – sperava – di
sollevargli un po' l'animo e aiutarlo a preservare il rapporto con
quella ragazza.
Aveva capito tra le righe che erano molto legati e in
fondo gli sarebbe spiaciuto se si fossero allontanati per causa sua
– non sarebbe stato Eroico restare a guardare senza fare
nulla. Inoltre, dopo vari
ragionamenti con se stesso, dovette ammettere che se il suo allievo
veniva aiutato almeno un po' nella parte dello studio almeno poteva
concentrarsi maggiormente sul migliorare il proprio fisico, che era il
loro obbiettivo principale.
L'insistenza della sua amica non era stata
totalmente a loro svantaggio.
-Beh, davvero ammirevole.-
commentò, sfogliando il quaderno pieno di schemi e leggendo
qualche parola a casaccio per poi ridarlo al suo allievo.
-Direi che
è ora di riprendere dove avevamo interrotto!- All Might
riprese la muscle form in un impeto di irruenza, mettendosi le mani sui
fianchi e indicando i rottami che ancora li circondavano. Rise un po',
osservando Izuku lanciare la bottiglia ai piedi dello zaino e imitarlo,
tirandosi in piedi e puntando un pugno in aria senza perdere
l'immancabile sorriso che lo accompagnava sempre.
-Si!-
-Bene, giovane
Midoriya…- All Might fece scorrere lo sguardo sulla
discarica, pensieroso. C'era davvero un sacco di roba, ma il fisico del
ragazzo non era ancora pronto per spostare certi rifiuti. I primi
giorni aveva provato a spingerlo al limite per testarlo e vedere
com'era messo, ma si era presto reso conto che dovevano fare dei
piccoli passi, altrimenti rischiava di esagerare com'era già
successo.
All Might avrebbe imparato presto a capire che Deku ed
esagerazione andavano di pari passo.
-Una volta finito con le ruote
voglio che provi a spostare quelle lavatrici.- ne indicò un
paio che spiccavano sopra una montagna di pezzi di acciaio e legname.
-Ti ci siederai sopra come con il frigorifero?- domandò
retoricamente Izuku, suscitando una risata che l'uomo non
riuscì a contenere. Il suono fu presto sostituito da dei
colpi di tosse e Midoriya gli si avvicinò, preoccupato,
mentre questo riprendeva le sembianze esili e raggrinzite che ormai
aveva imparato a conoscere.
-Stai bene, All Might?- l'uomo nascose la
mano sporca di sangue nella tasca dei pantaloni, allontanandola dalla
vista del suo alunno che lo osservava, angosciato. Ogni volta che
succedeva così temeva di vederselo svenire davanti agli
occhi per la preoccupazione. Era davvero un ragazzo dall'animo
sensibile.
-Si, non preoccuparti, ragazzo. Adesso ripr_-
-All... Might?-
Izuku e il
Pro Hero si scambiarono uno sguardo, completamente congelati sul posto,
leggendo nei reciproci visi lo stesso sgomento che gli aveva aperto una
voragine sotto lo stomaco, facendocelo precipitare dentro e
stritolandolo.
Midoriya saltò sul posto, iniziando a tremare
e sudare visibilmente. Si spostò davanti all'uomo in un
unico movimento come se avesse potuto, in quel modo, nasconderlo alla
vista altrui.
-Y_Y_Yu! Che c_c_ci fai qui?!- gridò, quasi
strozzandosi con la sua stessa saliva. Fece passare lo sguardo dalla
ragazza a Toshinori e viceversa in un modo così repentino da
farsi male al collo. All Might non aveva ancora detto niente e la cosa
lo preoccupava, ma ancora di più lo preoccupava il modo in
cui Yuhiko faceva passare le due fessure che erano diventati i suoi
occhi grigi con cipiglio indagatore e sospettoso dall'uno all'altro.
Che cosa poteva dirle? Cosa poteva inventarsi?
Izuku
desiderò tanto scavarsi una fossa direttamente nella
spiaggia piuttosto che doversi ritrovare ad affrontare le due persone
con cui si era trovato insieme e la situazione che si era creata.
Come
le avrebbero spiegato chi era quell'uomo pelle e ossa che si ritrovava
davanti? Lei sapeva che lo allenava All Might in persona. E poi, non le
aveva mai detto dove proprio per evitare inconvenienti o che andasse a
cercarlo. Come si era ritrovata li? L'aveva spiato?
-Mi hai seguito?-
non si trattenne dal dare voce a quel pensiero, Deku, corrugando le
sopracciglia e stringendo i pugni. Il suo sussurro si perse insieme
alle onde del mare che si scontrarono sulla spiaggia. Yuhiko gli
restituì un'occhiataccia per quell'accusa, catalizzando
tutta la sua attenzione su di lui.
-No, idiota, sono andata al
supermercato e stavo tornando a casa. Per chi mi hai preso?- Izuku la
vide arricciare il naso mentre gli sventolava il sacchetto che
stringeva davanti alla faccia. Notò il braccio della ragazza
tremare e s'infossò nelle spalle, impensierito e
colpevole. Sentiva di essere paonazzo per l'imbarazzo e le orecchie gli
fischiavano. Si passò una mano tra i capelli per sfogare la
tensione, occhieggiando timoroso All Might che ancora non aveva detto
nulla e domandandosi cosa stesse pensando.
Yu sembrò
intercettare quel gesto, perché tornò a sfoggiare
un'espressione più morbida, quasi sorpresa e di aspettativa.
Vide gli occhi dell'amica sgranarsi lievemente mentre li faceva
scorrere su ogni parte della figura che gli stava davanti e Izuku
capì che aveva collegato tutti i puntini dal modo in cui
brillarono.
-All Might?- riprovò lei, come alla ricerca di
conferme, inclinando lievemente il viso e portando le mani dietro la
schiena, torturandosi le dita. Midoriya ingoiò il groppo in
gola, pronto ad accampare qualche scusa, ma il suo maestro lo
precedette.
-Ormai penso non si possa più nascondere la
faccenda.- disse, in un sospiro stanco. Anche continuare a negare la
realtà dei fatti non avrebbe fatto altro che creare
più problemi, ed era l'ultima cosa di cui avevano bisogno se
voleva mantenere quella faccenda il più privata possibile.
Una ragazzina che andava in giro a chiedere spiegazioni ad alta voce
era la prima cosa che doveva evitare.
Sperò di stare
prendendo la decisione giusta e si affidò completamente alla
fiducia che Izuku riponeva nella ragazza, ricordando gli aneddoti che
gli aveva raccontato ogni tanto durante le loro brevi pause.
Midoriya
girò la testa in modo così improvviso che
sentì le ossa del collo scricchiolare e la bocca farsi
improvvisamente secca.
-Cosa?- domandò, non capendo. Vide
l'uomo serio, i tratti improvvisamente induriti, e gli
ricordò molto la loro prima conversazione sul tetto dopo che
lo aveva salvato. All Might era stato così semplice eppure
così cristallino con le parole da colpirlo esattamente dove
faceva più male.
A Izuku si bloccò il respiro in
gola e tornò ad osservare Yuhiko sgranando gli occhi.
-Credo
che tenerti le cose nascoste non sia più un'opzione,
giovane… ehm…- Toshinori si
bloccò a
metà frase e lo guardò in cerca di aiuto,
grattandosi una guancia.
-Come si chiama?- gli sussurrò,
piegandosi verso di lui e cercando di non farsi sentire.
-Ah,
è Yu!- sbottò Deku, indicandola, ancora
incredulo. La ragazza fece qualche passo in avanti, porgendogli una
mano e tenendosi l'altra al petto, emozionata.
-Yuhiko. Sono Yuhiko
Eira.-
***
Izuku
si
ritrovò in piedi nel viale che conduceva all'entrata
dell'Accademia Yuuei, perso ad osservare l'immensità della
struttura che aveva sempre desiderato frequentare e che in quel momento
gli si stagliava di fronte sovrastandolo in tutta la sua altezza.
Gruppi di studenti che come lui si erano presentati per l'esame lo
superarono, mentre rimaneva immobile sentendo dei brividi lungo la
schiena. Faceva freddo e lui aveva dimenticato la giacca a casa, ma
sapeva che la pelle d'oca che sentiva non gli era stata procurata
dall'aria che gli spirava sul collo.
Vista dal vivo la Yuuei era ancora
più imponente. La strada che conduceva all'ingresso era ben
tenuta e sul pianerottolo dello stesso erano stati appesi cartelli che
indicavano a coloro che dovevano sostenere l'esame dove dirigersi,
c'erano dei volantini con la mappa del percorso e la reception era
aperta per rispondere ad eventuali domande e consegnare i tesserini di
riconoscimento.
Si erano organizzati bene. Dava proprio quella
sensazione di scuola prestigiosa a cui solo l'élite tra gli
aspiranti eroi poteva accedervi. Non a caso era quella con la
percentuale di ammissioni più bassa ma da cui si diplomavano
quelli che alla fine diventavano gli eroi più famosi - All
Might ed Endeavor ne erano un esempio lampante.
Midoriya
sentì le gambe tremare di aspettativa, guardando l'edificio
con occhi trepidanti di emozione e sentendo l'irrefrenabile voglia di
urlare per la gioia. Aveva sognato così tante volte il
momento in cui ne avrebbe varcato il cancello che quello che stava
provando in quei minuti non era per niente paragonabile a come lo aveva
sempre immaginato. Il cuore gli batteva quasi in gola e tutto gli
sembrava bellissimo, come se fosse stato un bambino che arriva al parco
giochi pronto a provare tutte le giostre nuove.
Midoriya
sospirò scuotendo la testa per riprendersi da quei pensieri,
portandosi una mano davanti agli occhi e osservandola. Il suo sguardo
si fece improvvisamente serio, ed il cambiamento repentino che ebbe il
suo stato d'animo si riflesse anche sul viso, indurendogli i tratti e
facendogli perdere il sorriso che fino a quel momento non si era
preoccupato di contenere.
All Might lo aveva allenato, gli aveva dato
il suo potere, aveva riposto in lui la fiducia più assoluta.
Non poteva permettersi di deluderlo e non poteva nemmeno permettersi di
sprecare quell'occasione. Si sarebbe impegnato al massimo per
dimostrare quello che era in grado di fare. Non c'era motivo per cui
non dovesse sentirsi all'altezza della situazione.
-Izuku!- Midoriya si
sentì toccare dentro una spalla e per lo spavento
sussultò, agitato, iniziando a balbettare e muovere le mani
a casaccio.
-Calmati, sono io!- si sentì tirare una guancia
e si accorse attraverso lo sguardo spaesato che Yu lo stava pizzicando.
Bofonchiò un lamento di dolore e quella lo
lasciò, osservandosi in giro prima di chinarsi verso di lui
con le mani sui fianchi e uno sguardo indagatore.
-Allora, sei pronto?-
gli domandò, ma Izuku capì che ciò a
cui si stava riferendo la ragazza era un'altra cosa. Dopo che Eira
aveva scoperto di All Might, l'uomo aveva deciso di raccontarle tutto.
Tutto.
Midoriya per poco non era svenuto davanti a quella decisione,
percependo mancargli fiato mano a mano che le spiegava ogni cosa.
L'amica aveva ascoltato, in silenzio, poi li aveva guardati per degli
attimi che gli erano parsi infiniti e Deku aveva davvero temuto sarebbe
scappata urlando, mentre sentiva All Might al suo fianco trattenere il
respiro.
Alla fine aveva visto i suoi occhi farsi lucidi e un'ondata di
panico l'aveva attraversato come una scossa. Si era preparato ad
avvicinarsi per consolarla e scusarsi nemmeno sapeva lui per cosa, ma
lei lo aveva guardato e, sorridendo commossa, gli aveva teso la mano.
-Allora facciamo del nostro meglio, neh?-
Izuku sospirò
sollevato da quel ricordo, facendo scontrare il proprio sguardo con il
suo e tirando le labbra. Si sentiva come una corda di violino in quel
momento, ma non poté fare a meno di annuire nella sua
direzione.
-Deku, levati o ti ammazzo.-
Attirati dall'inconfondibile
voce roca di Bakugou che senza riguardi s'intromise nel loro discorso
entrambi si voltarono.
-Sempre gentile, Katsuki.- commentò
Yuhiko, vedendolo avvicinarsi e superarli senza degnarli di uno
sguardo. Lo occhieggiò mentre si allontanava seguito dai
mormorii sorpresi degli altri esaminandi. Da dopo la loro discussione
dieci mesi prima non avevano più parlato. Sembrava che tra
loro fosse scesa come una patina di gelo, ma non sapeva spiegarsi bene
quella situazione. Eppure ogni volta che ripensava all'ultima cosa che
gli aveva detto sentiva il senso di colpa bruciarle nel petto.
-Sei
cattivo, Kacchan.-
Era una frase che aveva continuato a tediarla per
parecchio tempo prima che riuscisse a farla tacere insieme alla voglia
di andare a chiedere scusa. In tutto quel tempo lei si era limitata a
salutarlo quando raggiungeva Izuku in classe per portargli gli appunti,
e lui la ignorava con degli sbuffi palesi che le facevano roteare gli
occhi. Ma dentro di sé si era sentita rincuorata ad ogni
occhiataccia che le aveva mandato, perché era ciò
a cui si era abituata a ricevere negli anni.
Anche se sapeva che c'era
qualcosa che ancora non funzionava.
-Fac_facciamo del nostro me_meglio,
Kacch__-
-E' già andato, Izuku…- Yuhiko lo
guardò con una punta di disapprovazione, scuotendo la
testa per quel comportamento. Non era il momento di essere emotivi e
farsi prendere dal panico. Osservò l'orologio e decise di
seguire l'esempio di Bakugou, iniziando a incamminarsi. Si
voltò verso Midoriya quando notò che era ancora
perso nel suo mondo e non aveva ancora fatto un passo.
-Andiamo?-
quello annuì e lei continuò a camminare,
pensierosa, cercando di non fare caso alla morsa che sentiva sullo
stomaco mano a mano che il portone dell'accademia si avvicinava. Aveva
voglia di vomitare e sentiva il cuore battere frenetico contro la cassa
toracica tanto da farle quasi male.
Si era impegnata il più
possibile per riuscire a migliorarsi, a diventare più veloce
e fluida nei movimenti. Ogni tanto lei e Izuku si erano anche trovati a
correre insieme la sera per migliorare la resistenza o lo aveva
osservato ripulire la spiaggia, cercando di carpire qualche consiglio
in base a ciò che gli veniva consigliato da All Might senza
il reale coraggio di domandare direttamente. Era una cosa in cui voleva
riuscire da sola.
Aveva fatto esercizio, utilizzato più
spesso il suo Quirk e cercato di mantenersi il più attiva
possibile per perdere peso in modo da essere più agile.
Ma se non fosse stato
abbastanza?
Eira si
morse un labbro, nervosa, ripensando alla fatica e alla frustrazione
che l'avevano assalita quando si era resa conto di non riuscire a
gestire bene la sua Unicità perché non lo aveva
mai fatto seriamente. Da bambina aveva sempre ammirato gli Eroi, ma
solo verso l'ultimo anno di elementari aveva deciso di percorrere
quella strada e aveva iniziato a testare cosa fosse in grado di fare.
Invidiò la sicurezza con cui Katsuki li aveva preceduti come
se sapesse già di essere stato ammesso e l'ambizione che
sprigionava Izuku da tutti i pori tanto che avrebbe potuto tagliarla
con un coltello.
Izuku…
Eira si osservò intorno,
accorgendosi di essere sola. Dov'era Izuku?
-Ho parlato con una
ragazza!- trasalì, voltando il viso di lato. La figura di
Midoriya le era comparsa accanto senza che ne se accorgesse e fece
d'istinto qualche passo indietro per la vicinanza.
-Cosa?-
aggrottò la fronte, non capendo. Perché, lei non
la considerava una ragazza? Si sentì un po' offesa e
gonfiò le guance.
-Ho parlato con una ragazza gentile!-
ripeté quello, sognante, raccontandole della sua caduta e di
come l'Unicità della sconosciuta gli avesse evitato di
pestare il naso a terra.
Yuhiko decise di lasciare perdere le domande,
ridacchiando e spingendolo verso l'entrata.
***
-Via!-
Eira
rimase immobile, ghiacciata sul posto con il respiro mozzato in gola e
la bocca secca. Il grido che segnava l'inizio della prova le si era
conficcato con forza nelle orecchie e la sua testa si era
improvvisamente svuotata.
Panico.
Cercò di non far caso alle
gambe tremanti e pregò intensamente al proprio corpo di
muoversi, alla sua mente di ricominciare a ragionare, ai propri muscoli
di rilassarsi. Il gruppo di ragazzi con cui era finita a fare l'esame
era già partito, perdendosi tra le vie della
città costruita per affrontare la prova per cercare i robot
da combattere. E lei era rimasta li, da sola, come un'idiota, a
guardarsi intorno in un modo che ad occhi esterni ricordavano tanto
quelli di un cucciolo spaesato.
Odiò se stessa per aver
perso così facilmente il controllo sulle sue emozioni.
-Mancano otto minuti!-
Eira si morse l'interno di una guancia,
ingoiando il groppo in gola e iniziando ad avanzare lentamente verso il
centro città.
Piccoli passi, piccoli passi...
Ogni movimento
che faceva le sembrava pesantissimo.
Qualche carcassa di robot giaceva
lungo la strada e dai pezzi di rottami sparsi in giro proveniva del
fumo che si innalzava verso il cielo. Le arrivò al naso la
puzza di bruciato e istintivamente se lo coprì con una mano,
socchiudendo gli occhi per il fastidio.
Per un brevissimo istante si
domandò che diavolo ci facesse lì, se non si
fosse sbagliata e il motivo per cui si ritrovava a fare quel test non
fosse dovuto solo ad un entusiasmo contagioso che le aveva trasmesso
Izuku negli anni finendo per farle credere che fosse proprio.
Cercò di scacciare con un movimento del capo i
pensieri angoscianti che avevano iniziato a tartassarla.
Non era il
momento. Doveva concentrarsi.
Occhieggiò i dintorni,
affilando lo sguardo. Sentiva gli altri esaminandi combattere e i
rumori metallici che facevano i robot quando provavano ad attaccarli o
venivano distrutti. Inspirò, espirò, chiuse gli
occhi solo per un attimo e li riaprì appena in tempo per
captare un movimento alle proprie spalle. Si voltò di
scatto, facendo leva sulle gambe per poter fare un salto indietro,
allontanandosi dal Villain che l'aveva raggiunta con un gesto
automatico. Il suo corpo spesso reagiva prima ancora che lei pensasse a
cosa doveva fargli fare.
Si lasciò sfuggire un piccolo
ghigno, confortata da quel pensiero, sentendo l'adrenalina iniziare a
salire e il respiro accelerare. Quella era una sensazione inebriante
che avrebbe voluto provare sempre. Le faceva scordare tutti i
dubbi.
Accumulò nelle gambe il potere necessario
per darsi la spinta e scattò in avanti. Evitò il
gancio che il Villain si stava preparando ad infliggerle, puntando un
piede nel vuoto e solidificando l'aria sotto di esso per crearsi un
appoggio invisibile con cui darsi la spinta necessaria per elevarsi
oltre la testa del suo avversario. Lo fece fino a quando non fu
soddisfatta dell'altezza a cui era arrivata. Il mondo attorno le
arrivò confuso ma aveva ben chiaro cosa volesse fare e si
sorprese della facilità con cui riusciva a spostarsi in
aria, era la prima volta che lo faceva in un vero combattimento: da
bambina aveva sempre avuto la paura di non riuscire a crearsi un
appoggio sotto i piedi abbastanza velocemente, finendo per cadere.
Fece
una capriola in avanti e concentrò l'aria nei piedi,
lasciandosi scivolare verso la testa del Villain robotico. Lo
colpì cercando di imprimerci tutta l'aria che era riuscita
ad accumulare e solidificare prima dell'impatto come se stesse
spingendo un mattone, danneggiandogli i circuiti elettrici alla base
della nuca. Il robot ebbe qualche sussulto e cadde a terra danneggiato
dalle esplosioni.
Quando si ritrovò in piedi davanti alla
carcassa immobile, Eira sorrise, infervorata dalle sue stesse azioni.
-Mancano cinque minuti!-
***
-C'è
una lettera per te, Eira.-
Yuhiko corse per le vie della
città in modo così rapido che quando si
fermò le sembrò che il respiro le avrebbe
spezzato i polmoni, tanta era la violenza con cui l'aria le entrava in
corpo. Era quasi sera, e faceva freddo, e lei aveva dimenticato la
giacca ed era uscita in pantaloncini e maglietta, ma non le importava.
Si portò le mani alle ginocchia, cercando di riprendere
fiato e un po' di contegno.
-Arriva dall'Accademia Yuuei.-
Si
passò una mano tra i capelli, cercando di sistemarseli alla
cieca per quanto poteva e prese un profondo respiro. Poi
bussò alla porta che si trovava davanti, timorosa, e attese.
Sperava di non disturbare, ma sapeva che le visite impreviste sono
sempre fonte di disturbo. Lei le odiava e mal sopportava fare lo
stesso, ma non era riuscita a trattenersi.
-Sono... sono stata presa,
nonna.-
La porta si aprì dopo qualche attimo, rivelandole
attraverso lo spiraglio il viso familiare di Inko. La donna
strabuzzò gli occhi quando la mise a fuoco, non aspettandosi
la sua visita improvvisata, ma si spostò subito per farla
entrare in casa regalandole un sorriso di quelli che aveva imparato a
conoscere fin da piccola.
-Complimenti. Sono contenta per te.-
Yuhiko ci mise qualche secondo prima di varcare la soglia di casa,
venendo accolta dall'ambiente caldo e tranquillo che regnava
nell'ambiente e dal profumo della zuppa che bolliva sul fornello. Le
sue gambe scoperte gioirono per non essere più esposte
all'aria e smise gradualmente di tremare per il freddo.
-Che piacere
vederti cara, accomodati. Come stai? Izuku è in camera,
sta... sta leggendo la lettera.- le disse, dirigendosi verso la sala.
Si fermò quando raggiunse il tavolino, su cui era posato un
bicchiere da cui prese un lungo sorso d'acqua. Eira la vide torturarsi
le dita delle mani e pulire con uno straccio le mensole già
perfette, capendo che era un modo per sfogare la tensione. In quello
assomigliava al figlio, erano sempre stati molto emotivi, e lei si era
sempre trovata bene per la semplicità con cui esprimevano i
propri stati d'animo. Lo trovava rassicurante e le ricordava la
schiettezza con cui le parlava sua madre.
-Sto bene, grazie.- le
rispose, raggiungendola vicino al divano su cui si era seduta.
Occhieggiò pensierosa la porta chiusa della camera di Deku.
-Ho fatto zero punti,
Yu. Ho fallito! Ho fallito!-
Si morse un labbro,
ricordando lo sguardo vacuo di Midoriya quando gli aveva chiesto come
fosse andato l'esame. I suoi occhi verdi sembravano aver perso tutta
quella luce speranzosa che vi aveva sempre visto dentro mentre le
spiegava cosa fosse successo e si era sentita affossare, vedendolo
trattenere le lacrime a stento, non sapendo cosa rispondergli. Izuku
era andato a casa e da quel giorno aveva evitato ogni contatto con lei.
Quindi... che diavolo ci
faceva lì?
-Ho saputo che hai
partecipato anche tu all'esame. Come è andata?- Eira si
voltò verso la signora Midoriya, smettendo di osservare la
porta chiusa capendo che non si sarebbe aperta molto presto.
-Bene, mi
è arrivata oggi la lettera di ammissione.- Inko le sorrise
istantaneamente e le venne naturale fare lo stesso, scorgendo negli
occhi della donna una felicità sincera nei suoi riguardi.
-Complimenti!- si congratulò lei, mantenendo però
sempre un tono di voce piuttosto basso e lanciando delle occhiate
angosciate verso il corridoio. Probabilmente non voleva farsi sentire
dal figlio. Yuhiko trovò quell'accortezza molto premurosa e
dopo aver preso un bicchiere dalla cucina le si sedette affianco,
aspettando con lei, domandandosi come avrebbe reagito Izuku se lui non
fosse stato preso mentre lei si. Sbatterglielo in faccia in quel modo
gli avrebbe spezzato il cuore. Forse aveva sbagliato ad andare a casa
sua proprio quel giorno.
Dopo una decina di minuti la porta si
aprì di botto, facendo tremare le pareti del vecchio
appartamento. Le due interruppero all'istante ciò di cui
stavano parlando e si voltarono quasi all'unisono verso la fonte del
rumore. Izuku arrancò verso la sala, con il cuore in gola e
le mani tremanti.
-Sono passato! Mamma! Sono passato! Sono pas__ Yu?-
-Era ora. Quanto ci hai messo a leggere un pezzo di carta e vedere un
video?- lo canzonò lei, sogghignante, mentre veniva
abbracciato da Inko che non riuscì a trattenere la
commozione. Lo vide tirare su con il naso mentre sua mamma lo riempiva
di complimenti.
-Ce l'ho fatta... ce l'ho fatta...- sussurrò
guardandola, piegando le labbra in una smorfia per non mettersi a
piangere e ricambiando l'abbraccio di sua madre quasi aggrappandosi
alla sua schiena. -Tu?- le chiese poi, in un lampo di
lucidità. Eira si limitò ad annuire,
sorridendogli e facendogli l'occhiolino divertita dalla sua faccia
stravolta. Chissà quanti pensieri lo avevano assillato in
quei giorni per fargli avere un aspetto così trasandato.
Aspettare quelle lettere era stata una tortura.
Fu a quel punto che
Inko sembrò raccogliere la forza necessaria per staccarsi
dal figlio, asciugandosi gli occhi con un fazzoletto e cercando di
smettere di tremare. Li guardò commossa, soffermandosi sul
figlio e notando quanto fosse cambiato in quegli ultimi mesi. Lo aveva
visto impegnarsi fino allo sfinimento, mangiare e crollare quasi nel
piatto durante la cena per la stanchezza, prendere ogni occasione in
cui poteva aiutarla in casa come spunto per fare un po' di
allentamento.
Era davvero fiera e non poteva che essere felice per lui.
-Complimenti ragazzi! Siete stati davvero fantastici. Festeggiamo?-
Ciao
a tutti
:)
Scusate il leggero ritardo è un periodo un po' pieno e
non trovavo il tempo per revisionare il capitolo. Non ho molto da dire,
se non che Eira dovrebbe signoficare Neve in Gallese, ma onestamente
non ne conosco l'effettiva pronuncia - per me è come si
scrive, mi piaceva il suono. Penso sia chiaro perché Katsuki
la chiami quindi Mizore, per lui è un dispregiativo.
Non ho
molto da dire, spero di avervi tenuto un po' compagnia con questo
capitolo. Entrare nei pensieri di Izuku e All Might non è
stato molto semplice, spero di averli resi bene.
Alla prossima.
D. <3
|
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Capitolo 5 *** Quarto Petalo. ***
Cherry
Blossom Tree
Quarto
Petalo
-Ma
sei impazzito?-
Yuhiko
s'infilò i pantaloncini neri della divisa da Hero notandone
all'istante la comodità. Sui glutei, nonostante il
gonnellino che aveva richiesto per cercare di camuffarne la forma,
erano al limite dell'attillato per i suoi gusti, ma a parte quel
dettaglio a cui probabilmente avrebbe dovuto trovare qualche soluzione
non poteva lamentarsene.
Ancora in reggiseno in mezzo allo spogliatoio
dove si stava cambiando con le ragazze che da pochi giorni erano
diventate le sue nuove compagne di classe azzardò a fare
qualche movimento con la gamba, simulando i movimenti di un calcio alto
e sondando con cipiglio sospettoso il tessuto restare aderente alla
pelle dell'interno coscia senza spostarsi. Le altre le lanciarono
qualche occhiata stralunata per quelle movenze fuori
contesto e Mina ridacchiò, ma era troppo impegnata a
ragionare con se stessa per accorgersene.
Gli sviluppatori con cui
aveva potuto confrontarsi per dissipare i propri dubbi e che l'avevano
aiutata a mettere su carta i suoi pensieri confusi le avevano garantito
che non avrebbe avuto problemi di quel genere, perché
proprio per evitare che in battaglia le Pro Heroes potessero essere
distratte erano sempre alla ricerca di nuovi materiali aderenti quanto
comodi e coprenti. Eira aveva la sensazione che all'interno vi fosse un
leggero strato adesivo che li appiccicava alla pelle, anche se non
avrebbe saputo spiegare se fosse un rivestimento o proprio il tessuto
ad avere quella caratteristica dal momento che la scienza non era mai
stata il suo forte.
Non poté impedirsi di provare una fitta
di sollievo mentre con mani tremanti tornava davanti all'armadietto per
prendere la parte superiore del costume.
-Dovrai
conciarti così ogni volta?-
Anche
il top
si adattava alla forma del corpo così bene da risultare
quasi imbarazzante, e provò una lieve punta di stupore,
mentre sentiva sotto i polpastrelli che lisciavano la stoffa azzurra la
stessa morbidezza percepita appena aveva afferrato i pantaloni e se li
era portati davanti al viso per poterli osservare da vicino.
Notò che il tessuto che univa la parte sotto le ascelle con
quello che le avvolgeva parte delle braccia lasciandole le spalle
scoperte sembrava tanto fine quanto elastico, per adattarsi ai
movimenti.
Lanciò uno sguardo alla porta dello spogliatoio mentre
tirava su la cerniera delle scarpe, notando
qualcuna che si stava avvicinando all'uscita e sentendo l'ansia di
essere lasciata indietro aggrovigliarle lo stomaco. Non voleva essere
l'ultima ad arrivare, non le piaceva l'idea di avere gli occhi addosso
o di essere additata come ritardataria.
Barcollò qualche
attimo quando si tirò in piedi, non aspettandosi il cambio
drastico di prospettiva a cui i suoi occhi andarono incontro. Quasi
quattro centimetri di para alta sembravano un niente visti da fuori, ma
per lei che non arrivava al metro e sessanta cambiava il mondo
– o quasi. Senza contare tutto l'insieme che le
venne sotto gli occhi quando si occhieggiò distrattamente in
uno degli specchi presenti nella stanza.
Yuhiko rimase imbambolata a
fissarsi come se si vedesse per la prima volta, con il fiato sospeso in
gola per lo stupore e sondando con sguardo perplesso l'immagine che lo
specchio le stava restituendo.
Le gambe erano completamente scoperte e
gli anfibi la slanciavano – le avevano messo una qualche
suola irrobustita per aiutarla a proteggere i piedi –, il top
le arrivava alla vita lasciandole in vista la pancia – ma
almeno la copriva fin sopra le clavicole. L'unico accessorio erano dei
guanti senza dita che le arrivavano quasi ai gomiti. Forse avrebbe
dovuto richiedere anche degli scaldamuscoli.
Yuhiko provò
una fitta d'imbarazzo che la fece sentire tremendamente fuori luogo se
messa a confronto che i costumi più coperti delle compagne,
mentre scorreva con lo
sguardo tutta la sua figura.
Quirk di merda.
-Eira, sei pronta?-
La
ragazza occhieggiò Ochaco dal riflesso nello specchio,
notando che l'aveva affiancata. Aveva già indosso il suo
costume e teneva poggiato sul fianco il casco rosa con un braccio. Yu
le sorrise tramite il vetro, notando il suo sguardo imbarazzato che
fece scorrere per la stanza mentre le osservava la divisa attillata.
Immaginò la faccia che avrebbe fatto Izuku e
ridacchiò senza farsi vedere, fingendo di grattarsi il naso
coprendosi il viso per evitare di sembrare scortese.
-Si, solo un
attimo.- Tornò al proprio armadietto, cercando le ultime
cose che le mancavano sotto lo sguardo incuriosito della castana e di
Tsuyu. Tirò fuori dalla valigetta un paio di bacchette da
cui pendevano dei fiorellini e delle pietre ornamentali e le
infilò tra i capelli, sistemandole in mezzo alla mezza coda
scomposta in cui li aveva raccolti facendo in modo che cadessero ai
lati opposti.
Quando fu nuovamente vicino ad Ochaco si diede un'ultima
occhiata complessiva.
Sicuramente avrebbe dovuto cambiare qualcosa
perché non era totalmente soddisfatta di ciò che
vedeva, ma per essere la prima prova non poteva lamentarsi. Dopotutto,
non si era mai soffermata a pensare seriamente alla sua divisa da Hero
e all'immagine di sé che avrebbe voluto dare al resto del
mondo, né immaginava che avrebbe dovuto farlo fin dai primi
giorni alla U.A. Era una cosa che l'aveva colta abbastanza impreparata.
-Da
che
pulpito, Yu.-
-Pronte
ragazze?-
Momo
lanciò uno sguardo indagatore alle compagne, ottenendo dei
mormorii di assenso in risposta. Era stata una delle prime a cambiarsi
ed era già pronta davanti alla porta con la mano sulla
maniglia, mentre pazientemente aveva atteso che tutte si sistemassero.
Yaoyorozu era già spiccata tra tutti per la calma e la
compostezza che non l'abbandonavano mai ed era diventata un punto di
riferimento nel giro di poche ore scolastiche per le altre.
Era come
se, in un complessivo assenso silenzioso, l'avessero scelta per
guidarle.
-Allora andiamo,
non è educato fare aspettare.-
Yu seguì le
ragazze lungo il corridoio degli spogliatoi, persa nei propri pensieri
e non facendo caso agli scambi di complimenti che le altre si stavano
facendo per i costumi mentre raggiungevano All Might. Per strada
incontrarono anche i ragazzi ma restò nel suo mondo,
riflettendo, non notando neppure Mineta che provò a toccarle
una gamba e che venne fermato da un jack di Jirou. Il suono secco che
fece contro il dorso della mano del ragazzo si perse nei mormorii
concitati dei compagni attorno a lei trepidanti di aspettativa per la
lezione che avrebbero fatto quel pomeriggio.
Nessuno badò
alle lamentele di Minoru, già consapevoli dei pensieri
perversi che gli attraversavano la mente fin troppo spesso e di come la
pelle nuda di Yaoyorozu e Yuhiko fosse un invito. Kaminari scosse la
testa sconsolato facendo spallucce e Kirishima le si
affiancò, lanciandole un'occhiata incuriosito da suo
silenzio che però si guardò bene
dall'interrompere.
-Io
non mi
spacco completamente se uso troppa forza.-
Strinse
le
labbra, Eira, percorrendo il corridoio insieme ai compagni per
raggiungere il professore e sentendo la tensione attraversarla come una
scossa da capo a piedi. Le sembrò una strada infinita e non
poté evitare di accomunarla al lungo percorso che aveva
appena iniziato. Si morse una guancia per scaricare il nervoso che
sentiva addosso, occhieggiando la sua classe precederla con passo
fermo, le schiene dritte e i movimenti delle spalle che seguivano
l'andatura sicura che stavano sostenendo, i costumi che si adattavano
ai lineamenti del corpo ed i passi che rimbombavano per il corridoio
deserto.
Invidiò la sicurezza che sprigionavano,
infossandosi nelle spalle e domandandosi se anche lei apparisse in quel
modo o se l'insicurezza che sentiva annidarsi nello stomaco in modo
sempre più pressante fosse leggibile anche ad un cieco.
La figura di All Might li aspettava alla fine di quello che le
era parso un lungo tunnel senza fine con le mani sui fianchi
e il solito sorriso, mentre li sondava uno per uno. Yuhiko fece passare
lo sguardo sul paesaggio cittadino del Ground Beta che si trovava
davanti, socchiudendo le palpebre e continuando a permettere alla
propria mente di perdersi in pensieri disconnessi.
Solo il giorno prima
Aizawa li aveva sottoposti a delle prove fisiche in cui non aveva
spiccato in nessuna in particolare, mentre tutti gli altri sembravano
aver già tirato fuori il meglio dalle loro
Unicità per poterle sfruttare a loro vantaggio. Si era
sentita infossare mano a mano che vedeva i loro risultati e aveva
guardato Izuku con la stessa punta di angosciante disperazione che lui
non si preoccupava di nascondere minimamente, mentre faceva scorrere lo
sguardo sul resto dei loro compagni e si osservava le mani, in
silenzio, attendendo il turno per tirare la palla.
Solo quando aveva
visto il dito gonfio e livido aveva capito quali preoccupazioni gli
fossero passate nella testa per tutto il tempo che lo aveva sorpreso a
rimuginare con se stesso.
-Ma
sei
impazzito?-
Yuhiko aveva raggiunto l'infermeria non appena Aizawa li
aveva lasciati liberi di andarsene dichiarando la lezione conclusa.
Aveva aperto la porta ed era entrata con passo di guerra nella stanza,
individuando immediatamente la figura di Deku seduta sul letto con il
dito fasciato.
Recovery Girl aveva fatto qualche passo indietro,
tornando a sedersi e borbottando qualcosa sulla sconsideratezza dei
giovani.
-Ho dovuto, Yu! Non volevo essere espulso!- Eira
occhieggiò l'ambiente bianco candido, soffermandosi per
qualche attimo sulla vetrata che dava sul parco immenso che circondava
la scuola e sospirando per rilasciare la tensione. Scosse la testa,
grattandosi una guancia e sentendo l'angoscia lasciare spazio ai dubbi
mentre si avvicinava al fondo del letto per sedervisi sopra.
Era la
prima volta che vedeva Midoriya usare l'Unicità che gli
aveva donato All Might. Nemmeno quando avevano provato ad allenarsi
insieme o passava a trovarlo alla spiaggia ne aveva mai avuto
occasione.
-Dovrai conciarti così ogni volta?- Izuku
sussultò, scontrandosi con lo sguardo preoccupato che gli
stava rivolgendo l'amica. Strinse un pugno assottigliando leggermente
lo sguardo e Yuhiko percepì qualcosa dentro di sé
tentennare, mettendola in allerta.
-Da che pulpito, Yu.-
commentò con tono ovvio e senza cattiveria, ma la ragazza si
sentì trapassare da quelle parole come se le stesse muovendo
un'accusa tanto che restò in silenzio per vari secondi,
costretta a riflettere.
-Io non mi spacco completamente se uso troppa
forza.- sussurrò, facendo dondolare le gambe nel vuoto.
Izuku la osservò tutto il tempo mentre si mordeva un labbro
e giocherellava attorcigliandosi le dita delle mani, vedendo le parole
di Aizawa realizzarsi davanti ad i propri occhi nemmeno un paio d'ore
dopo averle ascoltate. Yuhiko era il primo esempio di persona che
sarebbe corsa in suo aiuto non appena aveva bisogno, e lui non poteva
più permetterselo.
-Per questo devo impegnarmi, Yu. Devo
imparare a controllare One For All ad ogni costo!- Eira si
lasciò andare sul materasso a peso morto, chiudendo gli
occhi e passandosi una mano tra i capelli. Lo guardò con una
punta di esasperazione dal basso della sua prospettiva un po' storta.
-Mi farai
venire un infarto, prima o poi.-
-Bene,
ragazzi! Siete uno spettacolo!-
Yuhiko si costrinse a tornare con i
piedi per terra, scossa dalla voce prorompente di All Might fin dentro
le ossa. La sentiva da mesi visto la situazione di Izuku, ma ogni volta
la sorprendeva. Era come se non conoscesse cosa fosse l'esitazione
– non nella Muscle Form, per lo meno. Nella sua forma
scheletrica quando aveva raccontato il suo segreto era un altro
discorso.
Fece qualche passo, affiancandosi a Midoriya e Uraraka che
avevano appena finito di conversare. Notò Izuku rosso
d'imbarazzo per la vicinanza della compagna e gli tirò una
gomitata senza farsi notare. Quando Deku la guardò, spaesato
da quel gesto e dall'improvvisa vicinanza dell'amica, lei gli fece
l'occhiolino, indicando con un cenno eloquente del capo Ochaco. Se
possibile, Izuku arrossì ancor di più sotto lo
sguardo soddisfatto della ragazza, ma non commentò,
impaurito dalla possibilità che avrebbe iniziato a
balbettare fin troppo attirando l'attenzione degli altri.
Yuhiko
tornò ad osservare All Might schiarirsi la voce e avvicinare
due scatole.
-Come vi avevo detto in classe, oggi ci sarà la
simulazione di una battaglia! Vi dividerò in squadre,
Villain e Heroes...- Dai ragazzi si alzarono dei mormorii di
eccitazione all'idea di poter mostrare le proprie doti mentre il Number
One spiegava brevemente in cosa consistesse l'esercitazione.
-Mi scusi,
professore!- Tenya fece calare il silenzio tra i compagni nel giro di
un secondo. Si sistemò meglio gli occhiali sul naso in
attesa di poter continuare e abbassò il braccio, mantenendo
tuttavia la posa rigida di sempre. Ogni volta sembrava che i dubbi lo
facessero tendere come una corda di violino e tale restava fino a
quando non erano dissipati. All Might non ci mise molto a dargli
l'assenso per continuare, incuriosito e ben disposto nei suoi
confronti.
-Dal momento che in classe siamo in ventuno e le squadre
saranno a coppie, ciò vuol dire che una persona
rimarrà da sola? Non sarebbe pericoloso per
l'incolumità dell'alunno in questione, anche nelle prossime
esercitazioni?-
Eira si domandò impulsivamente che razza di
problema fosse e notò vagamente Katsuki roteare gli occhi al
cielo, impaziente, mentre varie paia di sguardi perplessi saettarono
verso il Pro Hero. All Might sembrò pensieroso per qualche
attimo, poi tossì un paio di volte e assunse un'espressione
tremendamente seria.
-Il tuo dubbio è lecito, giovane Iida.
No, in realtà dovevate essere ventidue in classe, ma
c'è stato un ritiro improvviso e non c'è stato
modo di sostituirlo, almeno per ora. Tuttavia…- Il Pro Hero
fece scorrere lo sguardo su ognuno di loro, come se li stesse studiando
imprimendosi nella memoria ogni particolare che riusciva a cogliere di
quei giovani ragazzi che gli stavano di fronte. Gli alunni lo
guardavano, in silenzio, trepidanti di attesa e incuriositi, percependo
il cambio di umore del professore che come una patina iniziò
ad aleggiare intorno a loro.
-... questa volta ci sarà un
gruppo formato da tre persone. Se sia Villain o Hero non mi
è dato saperlo dal momento che è un sorteggio. Ma
è importante che
ricordiate che i Cattivi non stanno a guardare in quanti sono
né si fanno scrupoli di qualche tipo se vi trovate in
inferiorità numerica, è importante che capiate
questa cosa e impariate a sfruttare al meglio ogni situazione che vi si
potrebbe presentare davanti.- Li osservò annuire determinati
alle sue parole, sicuramente frutto di esperienze di ogni tipo.
Chissà in quante situazioni disastrate All Might era
riuscito a tirarsi fuori da solo – loro non ne avevano idea.
Midoriya trattenne il fiato ricordando la cicatrice che spiccava sul
fianco dell'Eroe.
-Ha ragione, professore. Mi scuso per la domanda,
avrei dovuto capirlo da solo!-
-Iida, sei esagerato...-
mormorò Uraraka, vedendolo inchinarsi fin quasi al
pavimento. Il resto della classe si limitò a riservargli uno
sguardo stralunato.
-Forza, ragazzi! E' il momento di formare le
squadre!-
***
-Giovane
Yuhiko, tocca a te pescare.- Eira si avvicinò alla scatola,
infilò la mano e tirò fuori il primo bigliettino
che le capitò tra le dita. C'era
scritta la lettera B. Occhieggiò All Might, mostrandoglielo
con mano rigida, e vide l'uomo annuire soddisfatto. Lei non ricordava
chi fosse la persona di team in cui era capitata, a malapena ricordava
i volti dei suoi nuovi compagni.
-Pare che tu sia finita nella squadra degli Heroes
insieme al giovane Todoroki e al giovane Shouji.- commentò
lui mentre osservava l'agenda su cui aveva appuntato i risultati delle
estrazioni, indicandole poi i due compagni situati poco
lontano. Yuhiko si voltò incontrando lo sguardo poco
amichevole di Shouto.
Ah, quindi era lei il
terzo incomodo.
Si morse un
labbro, raggiungendo i due senza staccare gli occhi dalle proprie
scarpe. Possibile che non riuscisse a dare un freno all'ansia che
sentiva? Eppure il giorno dell'esame non era andata male e le era
passata.
Prese grossi respiri, sorridendo a Deku e Uraraka mentre li
superava e occhieggiando Bakugou poco distante, soffermandosi sulle
grosse granate che portava alle braccia. Di certo non era un dettaglio
che passava inosservato, ma anche i costumi degli altri non erano meno
particolari – Iida le sembrava un cavaliere del medioevo,
per esempio. Scosse la testa, sforzandosi di sembrare disinvolta e
lasciando da parte i suoi pensieri.
-Pare che siamo noi il trio.-
commentò, una volta vicina ai due ragazzi. Fece scorrere lo
sguardo sull'ambiente intorno, a disagio, non sapendo bene come rompere
il ghiaccio e portandosi le mani dietro la schiena. Si conoscevano solo
da due giorni e non ci aveva ancora parlato. A malapena ricordava i
loro nomi.
-Già, facciamo del nostro meglio. Io sono Shouji
Mezo.- le venne in aiuto il più alto, producendo una mano da
una delle sue estremità e mettendogliela davanti al viso per
fargliela stringere. Yuhiko la guardò qualche attimo e gli
sorrise, sentendosi immediatamente più rilassata per quel
gesto cortese. Voltò poi il viso verso Todoroki, che li
continuava ad osservare indifferente.
-Tu invece sei Todo... ?-
provò, facendo qualche passo. Come aveva detto si chiamava
All Might? Il ragazzo socchiuse gli occhi, senza far trasparire se
quella sua dimenticanza lo avesse infastidito o meno.
-Todoroki
Shouto.- Eira sentì un brivido lungo la schiena. La voce del
ragazzo le era suonata gelida come il ghiaccio che copriva
metà del suo costume da Hero e le si era conficcata con la
delicatezza di uno spillo nelle orecchie. Pungente.
Decise di non dire
altro, ritornando vicino a Shouji che le sembrava ben più
amichevole, sentendo la necessità di allontanarsi dal
bicromato.
Todoroki le metteva soggezione. Non aveva niente
dell'espansività di Izuku, della gentilizza di Uraraka o
dell'esplosività di Katsuki. Eira gli lanciò
un'occhiata storta osservandolo assorto nel proprio silenzio, senza far
caso alla fatto di starsi perdendo i risultati delle altre estrazioni.
-Bene, il primo incontro sarà tra la squadra A, gli Eroi, e
la squadra D, i Villains! Gli altri mi seguino nella sala monitor per
osservare l'incontro.-
Yuhiko vide Bakugou lanciare delle occhiate di
fuoco in direzione di Deku e si portò una mano al petto,
preoccupata, mentre lo osservava dirigersi all'interno dell'edificio
indicatogli da All Might. Era da quando aveva usato One For All il
giorno prima che Katsuki sembrava sfrigolare dalla voglia di pestarlo
ed era sicura che non si sarebbe trattenuto. Non poteva nascondere di
essere angosciata dal momento che Izuku non riusciva a controllare
l'Unicità.
E lei era l'unica a saperlo.
E non avrebbe potuto
fare nulla.
Bakugou non si era mai fatto scrupoli nei loro confronti
nemmeno quando sapeva che lui era un Quirkless e non avrebbe mai potuto
difendersi allo stesso modo, e la scontrosità che gli aveva
sempre riservato era solo aumentata da quando aveva scoperto che non
era stato l'unico ad essere ammesso alla Yuuei. Con la storia che
pensava gli avesse tenuto nascosto il suo Quirk la sopportazione di
Katsuki era stata bruciata e mandata in pasto all'inferno.
La mente di
Yu si stava già preparando a vedere Bakugou infierire e
Izuku rompersi tutte le ossa delle braccia.
Lo raggiunse velocemente
mentre si stava sistemando l'auricolare insieme ad Uraraka e fece per
dirgli qualcosa, ma lo sguardo di Deku la costrinse a fermarsi,
inchiodata sul posto.
-Andrà bene, Yu. Non preoccuparti.-
Vide lo smeraldino dei suoi occhi luccicare di determinazione e non
poté fare a meno di credere alle sue parole.
***
Eira
superò All Might, avvicinandosi al lettino su cui stava
sdraiato un Izuku ancora incosciente. Per la seconda volta in nemmeno
una giornata e mezza si ritrovò ad osservare Recovery Girl
mentre gli prestava le prime cure, infilandogli una flebo per
reidratarlo e fasciandogli il braccio rotto con il gesso.
Ebbe
abbastanza sangue freddo da non avvicinarsi troppo lasciando la Pro
Hero libera di andare e venire portandosi dietro ciò che le
serviva per il proprio lavoro, percependo l'odore del sangue e del
disinfettante darle alla testa, ma non seppe dirsi se quella freddezza
nasceva dal fatto che stesse effettivamente ancora ragionando
lucidamente o semplicemente il proprio corpo si rifiutava di muovere
qualsiasi altro muscolo.
Osservò il volto pieno di
tagli dell'amico, la divisa strappata e bruciata, la polvere tra i
capelli, e quando incontrò la carne violacea del braccio
gonfio e tumefatto non poté impedirsi di sussultare, facendo
un paio di passi indietro e scontrandosi contro All Might. Si
portò le mani alla bocca sentendo gli occhi pizzicare senza
riuscire a distogliere lo sguardo. Solo quando quella vista venne
sostituita dalle candide fasciature bianche e Recovery Girl le sorrise
rassicurante porgendole delle caramelle il suo animo sembrò
quietarsi lievemente di
fronte alla pacatezza rassicurante della donna, e si accorse che il
professore le aveva appoggiato le mani sulle spalle in un tentativo di
conforto che nemmeno aveva percepito.
Si avvicinò al
lettino, portandosi dietro una sedia, ignorando i due Eroi che
parlavano oltre la tenda che aveva tirato la dottoressa per mettere un
po' di privacy.
-All Might, non può ridursi sempre in questo
stato. Se continua così non potrò più
curarlo perché sarà troppo debole.-
Yuhiko finse
di non fare caso a quanto la colpirono quelle parole, stringendo i
pugni. Sentì il proprio corpo irrigidirsi e tendere tutti i
sensi come se fosse in una situazione di allerta. Si morse un labbro
percependo una lacrima scapparle lungo la guancia bruciandole la pelle.
Il magone che sentiva in gola quasi le
toglieva il fiato e le orecchie fischiavano.
-Hai ragione, ma non sono
riuscito a fermarli. Era così appassionato...-
Recovery Girl
sospirò, lanciando uno sguardo storto all'uomo dietro di lei
e osservandolo pensierosa per vari secondi.
-Non devi viziarlo solo
perché è il tuo allievo prediletto.-
Yu smise di
ascoltare, allungandosi per sfiorare la mano di Izuku ancora svenuto e
lasciando che il ronzio nelle orecchie la escludesse dalla
realtà. Appoggiò il viso sulle braccia incrociate
sul materasso e socchiuse gli occhi, sentendo il groppo di emozioni che
l'avevano assalita sciogliersi lentamente insieme alle lacrime davanti
al volto dormiente dell'amico che spiccava tra le lenzuola candide.
Si
era spaventata da morire.
-Questo sarebbe il tuo modo di non farmi
preoccupare?-
***
Bakugou
entrò nella sala monitor insieme a Iida e Ochaco, mentre
Izuku era già stato portato in infermeria. La sua comparsa
fu seguita da alcuni mormorii che serpeggiarono tra i compagni, ancora
incapaci di capire bene ciò che era successo ed interdetti
di
fronte alle azioni del compagno.
Avevano assistito a quello che in
altre circostanze sarebbe potuto benissimo essere quasi definito un
massacro. Una cattiveria totale, oscura, gratuita. L'apice di tutti i
dispetti che per anni Katsuki aveva lasciato dietro di sé
incurante dei sentimenti altrui.
Yuhiko si costrinse a staccare gli
occhi dallo schermo che mostrava ancora l'edificio distrutto e da cui
aveva seguito il combattimento tra i due quando percepì
l'odore dolciastro che si portava sempre dietro arrivarle alle narici.
Mai come in quei pochi secondi le sembrò così
nauseante da farle girare la testa.
Provò l'irrefrenabile
voglia di cancellarlo, di non volerlo più sentire nemmeno
per sbaglio.
Scattò in piedi come colta da una scossa,
fissando gli occhi ancora stravolti di angoscia sul ragazzo che teneva
lo sguardo ostinatamente puntato in basso. Se qualcosa
cambiò nel suo atteggiamento, quando si scontrò
con la sua figura alla fine della stanza, non lo seppe, però
percepì immediatamente il gelo che l'aveva avvolta e gli
sguardi degli altri sulla sua persona, qualcuno che provò a
toccarle una spalla.
Eira sentì una rabbia cieca farle
vedere tutto nero per pochi secondi e immediatamente fece leva sulle
gambe per darsi uno slancio.
La voglia di restituire a Katsuki tutte le
ingiustizie che gli aveva fatto subire, il dolore e le lacrime, la
questione ancora in sospeso di quasi un anno prima, tutto era ritornato
a galla con la forza di un uragano così potente da lasciarla
stordita in balia delle sue stesse azioni. Tutto ciò che
credeva sopito e cancellato in realtà era ancora
lì, sotto una superficie di calma apparente che aspettava
solo di essere infranta per far esplodere ciò che
nascondeva.
Non voleva più sentire quell'odore dolciastro.
Non lo sopportava.
Fu quando All Might le si parò davanti
come se si fosse materializzato in quell'esatto punto che si rese conto
di essersi mossa mentre scariche argentee scoppiettavano attorno alla
sua figura. Lo fissò, stordita per la botta che aveva preso
contro l'addome dell'uomo, mettendolo a fuoco attraverso lo sguardo
appannato di lacrime e frustrazione, non riuscendo ad impedire alla
rabbia d'indirizzarsi anche verso di lui e portandosi una mano al naso
dolorante.
Ebbe la sensazione che le avesse dato un pugno, talmente la
sua figura era imponente e piantata a terra, e per quanto era stato
veloce a frapporsi tra lei e Katsuki intuendo
ciò che stava per fare nemmeno si era accorta di avergli
sbattuto contro.
Yuhiko lo fulminò senza riguardi,
divincolandosi dalla mano con cui le aveva affettato il braccio per non
farla cadere a causa del contraccolpo sotto gli sguardi attoniti dei
compagni. Era talmente
accecata dalle proprie emozioni che non se ne rese nemmeno conto.
Era
lui che sarebbe dovuto intervenire prima. Era colpa sua se Izuku era
nuovamente in infermeria. Era lui che aveva lasciato che Katsuki agisse
come meglio credeva. Non si era preso la responsabilità di
proteggerlo e aiutarlo a migliorare per padroneggiare Quirk che gli
aveva donato?
Il Pro Hero la congelò con un'occhiata ed Eira
si sentì istantaneamente troppo piccola anche solo per
sbattere le palpebre, improvvisamente stanca e con il fiato corto e una
strana sensazione di gelo che le correva lungo la schiena.
Bakugou
sembrava non essersi minimamente accorto di ciò che era
successo attorno a lui ed Eira lo odiò per non dare mai peso
a ciò che non lo riguardava direttamente.
-Tocca alla tua
squadra, giovane Yuhiko. Raggiungi i tuoi compagni per la prova.-
Yu
lanciò un'occhiata storta ad entrambi, dandogli la schiena
con un movimento secco e uscendo insieme a Todoroki e Shouji evitando
gli sguardi perplessi della 1 A, ancora frastornata dall'opprimente
peso al petto che la stava schiacciando. Cercò di calmare il
proprio respiro e le mani tremanti mentre seguiva i due ragazzi verso
l'edificio dove avrebbero dovuto affrontare Hagakure e Mashirao,
prendendo grandi boccate d'aria e chiudendosi nel silenzio.
L'improvvisa rabbia che le era risalita fino alla punta dei capelli
stava lasciando posto solo ad una profonda desolazione.
-Iniziate!-
Shouji fu il primo ad addentrarsi nell'edificio, fermandosi poco dopo
l'entrata e utilizzando subito la sua Unicità.
Creò un paio di orecchie e per non disturbarlo con rumori
inutili Todoroki e Yuhiko rimasero fuori ad aspettare pazientemente
fino a quando non si voltò verso di loro facendo cenno di
raggiungerlo.
-Sono all'ultimo piano. Uno sembra girare a piedi nudi e
che si stia dirigendo alle scale.- li informò, sottovoce.
Eira affilò lo sguardo verso il corridoio semi buio.
-Sarà Hagakure?- ipotizzò, non rivolgendosi a
nessuno dei due in particolare. Sentiva il cuore rimbombarle nelle
orecchie e solo in quel momento vacillò, quando i suoi occhi
si scontrarono con il nero dell'edificio e le sembrò di
venire ricatapultata a qualche minuto prima, quando non aveva capito
più nulla. Forse non era nello stato d'animo adatto per un
combattimento. Si morse un labbro, nervosa. Doveva assolutamente
cambiare quell'aspetto di lei. Non poteva lasciarsi andare alle
emozioni in quel modo.
-State indietro, è pericoloso.- Yu
fissò lo sguardo su Shouto, vedendolo poggiare una mano al
muro e sprigionare del ghiaccio. Non ebbe tempo di chiedere nulla
perché Mezo la trascinò fuori dall'edificio prima
che rimanesse coinvolta nel congelamento. Si scambiò uno
sguardo perplesso con il compagno, osservando sconvolta il ghiaccio
avvolgere tutto il condominio e non riuscendo a reprimere dei brividi
di freddo per il cambio di temperatura percepibilite tutt'attorno.
Era
incredibile. Era la prima volta che assisteva ad una cosa simile. Aveva
sempre pensato che le esplosioni di Katsuki fossero potenti, ma
quello... quello era quasi su un altro pianeta.
Todoroki
Shouto...
-La
squadra degli Heroes, vince!-
Eira sussultò sul posto,
incapace di parlare o perfino di esultare mentre il calore del vapore
spirava attorno alle sue gambe e i complimenti di All Might si
espandevano per l'aria. Sbatté le palpebre, osservando
Shouto raggiungerli con espressione indifferente, guardandolo con occhi
sgranati pieni di stupore e le parole morte in gola.
Todoroki Shouto
non le aveva dato tempo di fare nulla.
***
-Yu.-
L'aria
di prima mattina si portava dietro ancora la freschezza dell'inverno,
nonostante fosse ormai aprile. Le giornate iniziavano ad allungarsi e
le persone percepivano la bellezza del mondo che si prepara ad
accogliere la primavera, con il cielo di un azzurro sempre
più intenso e i boccioli pronti a
germogliare da un momento all'altro.
Yuhiko
occhieggiò con sguardo nostalgico i fiori di ciliegio
brillare sotto la luce del mattino su un albero a lato del marciapiede.
-Yu.-
Si prese tutto il tempo che voleva per imprimersi quell'immagine
nella mente, come se in qualche modo potesse sgomberarla dalle ombre
che di quei tempi sembravano non volerla lasciare un attimo in pace.
Riprese a camminare con movimenti lenti, il volto assorto nelle proprie
elucubrazioni.
-Yu!-
Sospirò, Eira, strappandosi
definitivamente dai propri pensieri e posando lo sguardo sul viso di
Izuku. Non le sfuggì la punta lievemente offesa con cui la
stava osservando il ragazzo, restituendogli un'espressione altrettanto
amareggiata.
-Che c'è?- domandò, alzando un
sopracciglio e riprendendo a camminare verso l'Accademia. Midoriya fece
scorrere lo sguardo sulla strada, portandosi una mano a toccare il
braccio ancora fasciato. Recovery Girl non l'aveva guarito
completamente perché temeva non si fosse ripreso del tutto,
e quel giorno sarebbe dovuto tornare in infermeria per farle finire il
lavoro.
Sua madre aveva osservato tutta sera il braccio rotto con
espressione angosciata e Izuku aveva davvero temuto che si sarebbe
messa a piangere da un momento all'altro per la preoccupazione. Non
aveva potuto fare a meno di sentirsi in colpa nei suoi confronti, ma
allo stesso tempo era più determinato che mai a superare i
propri limiti. Il combattimento con Kacchan l'aveva solo reso
più determinato.
Deku occhieggiò Yuhiko, accanto
a lui, indeciso. Quando si era svegliato in infermeria non gli aveva
detto nulla, ma non aveva potuto fare a meno di notare gli occhi
arrossati e le labbra screpolate a furia di morsicare via le pellicine
per il nervoso. Era balzato in piedi pronto a riempirla di spiegazioni,
ma si era limitata a tirare le labbra dicendogli che era stanca,
allontanandosi da lui come se fosse scottata e lasciando cadere le
braccia lungo il corpo. Non aveva tirato fuori l'argomento nemmeno
quando, dopo essere corso dietro a Kacchan per parlargli, l'aveva vista
alle finestre insieme a Ochaco, Tsuyu e Mina.
Yu si era chiusa e lui
non sapeva bene come comportarsi, perché era sempre stata
pronta a tendergli la mano, a guardarlo con fermezza, a dirgli tutto
ciò che pensava. In quella giornata, però, nelle
ore che aveva passato svenuto, sembrava che fosse successo qualcosa che
l'aveva spinta a cambiare comportamento.
Capiva fosse arrabbiata, lo
notava da come stringeva i pugni e dalla camminata rigida. Ma c'era
anche una punta di amarezza che le rendeva lo sguardo perso e lontano.
Gliela aveva già vista un'espressione simile e non gli
riportava ricordi di tempi felici.
-Non l'ho fatto apposta.-
provò a dirle, cercando di intavolare un discorso di qualche
tipo senza sapere bene dove volesse andare a parare. Voleva sapere cosa
l'avesse turbata tanto da guardarlo a malapena, perché anche
se ora non temeva più gli sguardi ed i giudizi altrui e a
scuola iniziava a farsi altri amici non avrebbe mai dimenticato che era
stata l'unica oltre alla sua famiglia ad averlo sempre trattarlo con lo
stesso rispetto che lui aveva elargito a chiunque.
Eira
esprò brevemente dal naso, come se stesse cercando di
togliersi un peso che non voleva uscire.
-Non ce l'ho con te,
Izuku…- Midoriya sospirò, provando un immediato
sollievo a quelle parole che lenirono la sua mente tormentata dai
ragionamenti come un balsamo. Poi, ebbe un'illuminazione.
Il
rispetto...
-Non essere arrabbiata con Kacchan.- disse d'impulso,
portandosi più vicino a lei e guardandola con occhi
sgranati, colpito da quella consapevolezza come da un fulmine. Yu non
aveva mai sopportato come Katsuki si comportava con gli altri e come si
divertisse a schiacciare chiunque trovasse per la propria strada.
La
vide tirare le labbra ed assottigliare lo sguardo, roteandolo al cielo.
Poi lo portò verso di lui e Izuku poté
chiaramente notare una delusione che lo lasciò
interdetto, e quasi inciampò nei suoi stessi piedi per la
sorpresa di quella visione a cui non era abituato.
-Non parliamone per
ora, va bene? Non mi va. L'importante è che tu ti riprenda.-
sentì la bocca secca e una stretta al cuore, ma non ebbe il
coraggio di dire nulla. Le
prese
una mano e gliela strinse mettendo da parte l'imbarazzo. Non gli venne
in mente nessun altro modo per farle percepire la propria vicinanza - e
il riconoscimento perché si preoccupava sempre per lui. Aveva
la sensazione che si fosse rotto
qualcosa, ma non sapeva bene cosa e come poterla sistemare.
-Va
bene…-
***
-Vai
pure da
Recovery Girl, ti aspetto in classe.- Deku annuì,
dirigendosi a passo spedito verso l'infermeria per farsi curare il
braccio prima dell'inizio delle lezioni. La lasciò
riservandole un'occhiata incerta, davanti alle macchinette in cui aveva
appena infilato delle monetine per prendersi una bottiglietta d'acqua.
Erano arrivati con anticipo in Accademia nonostante il passo lento e
svogliato a cui aveva costretto l'amico per tutto il tragitto, ma solo
quando si era ritrovata per il corridoio che portava in aula si era
resa conto di sentirsi strana. Pensò che prendersi del tempo
per stare da sola fosse la soluzione migliore e quando il suo sguardo
aveva incrociato la vetrina in cui erano esposte le bevande aveva
sentito improvvisamente la gola secca.
Yuhiko sospirò,
appoggiandosi al muro e guardandosi le scarpe come se fossero la cosa
più interessante del mondo, incurante degli studenti che le
passavano accanto per dirigersi in classe e le folate di aria fresca
che entravano dalle finestre aperte. Aveva passato tutta la notte a
pensare al giorno prima, a ricordare quello che le aveva detto Midoriya
e il modo in cui sembrava essersi chiarito con Kacchan –
chiarito era una parola grossa, forse tregua era più adatta
per descrivere la situazione? Non lo sapeva, forse non voleva nemmeno,
perché i gesti di anni non si potevano cancellare come se
nulla fosse.
Il modo in cui si erano pestati durante la simulazione
sembrava aver solo aumentato la determinazione che sentiva sprigionare
da Deku di volersi migliorare e imparare a gestire One For All. E
Yuhiko era contenta della cosa, davvero, perché non a
caso avevano scelto di frequentare la Yuuei, perché era
l'Accademia migliore in vista del futuro a cui aspiravano, e nel giro
di un anno la vita del suo amico era cambiata così tanto che
sperava fosse una sorta di ruota che finalmente aveva iniziato a girare
per il verso giusto anche per loro.
Eppure, una parte di lei non
riusciva a far tacere quella sensazione opprimente che sentiva
ribollirle tra il cuore e lo stomaco, il modo tagliente in cui le scene
che aveva visto attraverso lo schermo le continuavano a trapassare la
mente senza riguardi.
-Sei cattivo, Kacchan.-
Eira si era sempre
pentita di quella frase, si era sempre sentita in colpa per la
facilità con cui quelle parole le erano sfuggite dalle
labbra e il modo in cui aveva lasciato decadere quell'argomento senza
più ritirarlo fuori, nascondendolo dietro sorrisi e saluti
cortesi. Aveva lasciato perdere perché nonostante tutto a
Katsuki voleva ancora bene e pensava di averlo perdonato, e si era
protetta usando i ricordi come una scusante per far scemare la rabbia
che provava. Come una codarda.
Ma lo sguardo indignato con cui Bakugou
l'aveva guardata in quella via per quella che le era sembrata
un'eternità si era inciso a fuoco nella sua mente. Si era
sentita come gettata in uno spazio senza tempo e senza fine in cui
esistevano solo quelle iridi cremisi che sembravano volerla cancellare
solo guardandola, come se avesse commesso un peccato imperdonabile.
-Sei cattivo, Kacchan.-
E la sua stessa coscienza l'aveva pungolata per
vario tempo, perché non le piaceva il pensiero di avere dei
conti in sospeso con qualcuno. Ci aveva pensato e ripensato e dal
giorno prima tutto era tornato a darle fastidio fino a farle scoppiare
la testa, posandosi addosso al cuore come una patina viscosa che non
riusciva a mandare via e le arrugginiva l'animo.
Eppure, Katsuki non le
aveva mai dato modo di pensare che si fosse sbagliata, ad avergli detto
quelle parole.
***
-Avanti,
mettetevi i vostri costumi, oggi vi eserciterete nel soccorso. Vi
aspetto al pullman, vedete di muovervi.-
Aizawa li aveva lasciati
così, davanti agli spogliatoi, dirigendosi con passo
svogliato e le mani nelle tasche dopo aver lanciato loro un'ultima
occhiata indifferente. Aveva visto i suoi alunni annuire energicamente
e si era lasciato scappare un sospiro, allontanandosi ed iniziando a
contare mentalmente il tempo che scorreva da quando erano entrati nelle
stanze.
Come aspiranti Eroi non potevano permettersi ritardi ed era
importante che capissero fin da subito che dovevano sfruttare ogni
secondo, altrimenti avrebbero fatto meglio a cambiare scuola e lavoro.
Non aveva intenzione di sprecare tempo con gente che non prendeva
seriamente gli impegni e la puntualità era una buona base
per capire fin da subito le attitudini dei suoi studenti. Non si era
mai fatto problemi ad espellere per motivi simili negli anni passati
coloro che prendevano gli studi troppo superficialmente o che non
riteneva adatti per la carriera a cui li avrebbe dovuti preparare.
Si
avvicinò all'entrata del bus dando uno sguardo all'orologio,
ripensando agli incontri che aveva riguardato a casa e gli appunti che
All Might aveva condiviso con lui dopo la sua lezione il secondo giorno
di scuola, notando istantaneamente i rapporti sbilanciati tra i
ragazzi. Non che fosse una novità, dovevano imparare a
conoscersi ed erano meno di due settimane che stavano insieme, ma certi
elementi andavano sistemati prima che fosse troppo tardi.
Aizawa si
grattò una guancia, pensieroso, osservando i primi ragazzi
raggiungerlo nel parcheggio. Aveva il presentimento che quella classe
gli avrebbe dato dei bei grattacapi.
-Me
lo chiedo
dall'altro giorno, Bakugou... non sono pesanti quelle granate?-
Kirishima adocchiò la figura di Katsuki intenta a infilarsi
i bracciali, a qualche passo di distanza da lui. Osservò il
costume del ragazzo e con un gesto automatico allungò la
mano picchiettando l'indice sulla superficie verdastra, come per
saggiarne la consistenza, ma prima che potesse anche solo fare qualche
pensiero o commento a riguardo Bakugou si era già
allontanato con uno scatto.
Eijirou si ritrovò a guardare il
vuoto con espressione perplessa, il dito ancora a mezz'aria.
Cercò lo sguardo del compagno trovandolo a un paio di passi
di distanza.
-Non sono affari tuoi, Capelli di Merda.- gli
sibilò Katsuki, lanciandogli un'occhiataccia e infastidito
dalla sua vicinanza che ogni giorno sembrava essergli sempre
più appresso. Era da una manciata di giorni che quel
rompiscatole sembrava trovare ogni scusa per rompergli le palle,
testando i suoi nervi già tesi di loro. Gli ricordava una
mosca che continua a ronzarti intorno nonostante le volte in cui provi
a schiacciarla.
Gli diede le spalle per allontanarsi dai compagni
ancora intenti a cambiarsi, decidendo che non valeva la pena perdere
tempo insieme a quelle comparse che ci mettevano decenni anche solo per
infilarsi dei vestiti. Non ci teneva ad essere accomunato a loro.
Con
passo rigido si avvicinò alla porta, riservando uno sguardo
di fuoco a Deku, intendo a parlare con Iida tanto da non accorgersi di
lui e vedendolo visibilmente rilassato. Immaginò di fargli
esplodere il sorriso che aveva in faccia e automaticamente i suoi palmi
sfrigolarono d'impazienza attraverso i guanti.
Era ancora incazzato
nero.
La sconfitta gli bruciava, montando dentro di lui come una bile
oscura di frustrazione e insofferenza. L'idea di aver perso contro
quello che aveva sempre considerato un sassolino, un'inutile comparsa
nella sua vita sempre brillante, gli aveva sconvolto così
tanto le certezze a cui si era abituato che l'aveva profondamente
odiato per il potere che sembrava aver assunto su di lui. E ancor di
più aveva mal sopportato se stesso per averglielo detto in
faccia, con gli occhi brucianti di lacrime e un'insana titubanza che
aveva fatto andare il suo cervello in una sorta di blackout in cui
l'unico pensiero che riusciva a fare era che aveva perso.
Come una
nullità qualunque.
Bakugou aprì la porta con un
gesto seccato, facendola sbattere dietro di sé senza grazia
tanto che il suono rimbombò per parecchi secondi lungo il
corridoio.
Patetico. Era stato patetico e debole. Come quel pezzente di
Deku.
Non se lo sarebbe permesso un'altra volta, non gli avrebbe
permesso di guardarlo con quell'espressione vittoriosa e decisa, di
sfidarlo e sostenere il suo sguardo. Poteva provarci quanto voleva,
Midoriya, a superarlo e imparare a gestire quell'Unicità di
merda che si ritrovava. Non glielo avrebbe permesso. Non avrebbe
permesso a nessuno di superarlo. Lui era il migliore, lui non era come
gli altri.
-Bakugou, abbi rispetto per la porta dell'Accademia che
frequenti!- Katsuki finse di non sentire il richiamo di Iida,
limitandosi a lanciargli un'occhiataccia di traverso mentre il
capoclasse si affrettava a raggiungerlo con sguardo serio e a passo di
marcia.
-Sta zitto, Quattrocchi.- sibilò, cercando di non
perdere la precaria pazienza che aveva. Iniziare la carriera scolastica
con un omicidio non sembrava la soluzione adatta.
-Bakugou, fermati!-
Si costrinse a interrompere la camminata, voltandosi nella sua
direzione, sentendo il sangue iniziare a pompargli nelle vene e
l'irritazione fargli pulsare prepotentemente una vena del collo.
Katsuki irrigidì i muscoli, spazientito per quell'ordine a
cui aveva involontariamente obbedito. Notò distrattamente
Kirishima allungare il passo per raggiungerli,
frapponendosi per cercare di sedare quella che sarebbe stata
l'ennesima discussione
nel giro di pochi giorni.
Tenya era dal primo giorno che riprendeva i
comportamenti di Katsuki e prima o poi era convinto che il biondo
sarebbe scoppiato facendo esplodere qualcosa – o qualcuno.
-Dai, dai, Iida... non lo ha fatto apposta. Vero, Bakugou?- Tutto
ciò che Eijirou ottenne fu un mezzo ringhio e uno sguardo di
sufficienza a cui rispose con un sorriso forzato.
Katsuki gli diede le
spalle, irritato ancor di più, raggiungendo l'esterno e
posizionandosi di fronte al professore senza far caso al fatto che si
mise accanto a Yuhiko. Si lasciò i due dietro di
sé come se la cosa non l'avesse toccato minimamente e
sentendo solo vagamente i commenti degli altri ragazzi per i suoi
atteggiamenti scostanti. Tornò ai propri pensieri, cercando
di dare una calmata alla tormenta di sentimenti che si agitavano dentro
di lui mandandolo fuori di testa.
Agli occhi esperti di Aizawa, Bakugou
aveva l'espressione di chi non vedeva l'ora di poter esplodere per
sfogarsi, il cipiglio aggrottato come se qualunque cosa su cui posasse
gli occhi fosse un nemico e le mani che continuavano a stringersi a
pugno per la tensione. Era un lato su cui avrebbe dovuto assolutamente
lavorare, se voleva iniziare ad ottenere dei risultati.
Fece passare
gli occhi sugli altri alunni intenti a parlottare tra loro,
scandagliandoli con occhiate veloci e facendoli ammutolire nel silenzio
nel giro di pochi secondi. Si soffermò su Midoriya in tuta
da ginnastica, Todoroki in un angolo in disparte ed Eira che si era
allontanata lanciando uno sguardo di disprezzo verso Bakugou.
Nuovamente pensò che quella classe gli avrebbe dato dei bei
grattacapi.
-Basta chiacchiere, salite. Si va all'USJ.-
Ciao
a tutti!
Mi scuso
immensamente del ritardo, so che rivedere questa
storia dopo mesi magari vi farà strano, lol. In ogni caso,
non sarebbe dovuto essere questo il capitolo con cui avrei voluto
aggiornare, ma uno che riprende gli eventi del primo - solo che sono
bloccata con un paio di scene e non volevo farvi aspettare ancora
troppo dal momento che mi è tornata leggermente
l'ispirazione e questo era solo da revisionare.
Nei prossimi due capitoli torneremo sicuramente a quello che io
definisco "il presente" (cioè il futuro rispetto agli eventi
della U.A.), per recuperare un po' quella linea temporale che ho
lasciato indietro.
Altra noticina: essendo gli eventi simili al
manga/anime ho deciso di saltare alcuni dettagli che tanto conosciamo
tutti per non annoiarvi troppo, un po' come se fossero frammenti di
flashback. Yu è una personalità un po' complessa così come il suo rapporto con Katsuki
e spero di riuscire a trasmettervi un po' dei suoi pensieri.
Ringrazio chi si è fermato a leggere, chi segue e
preferisce e un ringraziamento speciale a coloro che si sono fermati a
lasciarmi un pensiero, cosa in cui ammetto non speravo dal momento che
gli OC ultimamente non catturano più molto interesse. Spero
di tornare in tempi stretti, ho anche in progetto alcune cosine che mi
farebbe piacere farvi leggere prossimamente.
Love you all,
D <3
|
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Capitolo 6 *** Quinto Petalo. ***
Cherry
Blossom Tree
Quinto Petalo
Agosto.
Erano
quasi le
nove e mezza, ma l'orizzonte ancora possedeva quella sfumatura azzurra
e
violetta tipica delle serate estive, come se durante le notti di agosto
continuasse a riflettere i raggi del sole che per tutto il giorno aveva
dominato il cielo, senza raggiungere mai il nero profondo dei mesi
più freddi.
A Uraraka piaceva l'estate, la brezza leggera
che tiepida si alzava al tramonto spazzando via l'afa univoca di quelle
giornate altrimenti impossibili da sopportare: le metteva addosso
ancora più carica, riempiendola di voglia di fare, godendo
appieno di ogni momento che le si presentava davanti come se fosse
unico.
Per lei estate era sinonimo di vita, forse complice il ricordo
di quando da piccola poteva godere di lunghi momenti passati a
divertirsi insieme ai suoi genitori.
Si rassettò la
gonna dell'abito ed entrò nel grande hotel che le
si parava davanti dopo aver lanciato un ultimo sguardo sopra di
sé, venendo subito accolta da una segretaria e seguendola,
ritrovandosi dopo pochi minuti in una sala
dedicata alla festa a cui era stata invitata: l'ambiente era luminoso
quasi da accecare gli occhi, e per un attimo si ritrovò a
sbattere le palpebre per scacciare la sensazione sgradevole di vedere
puntinato.
Grandi lampadari erano appesi al soffitto illuminando tutto
a giorno, ai lati si potevano scorgere due tavolate di buffet, i tavoli
tondi erano sparsi per la sala come pallini a pois e facevano in modo
che ognuno prendesse posto dove preferisse in quanto privi di
assegnazione.
Uraraka diede la propria giacca ad un cameriere
che le andò incontro non appena varcò la soglia e
fece dardeggiare lo
sguardo, incuriosita e un po' a disagio dalla grande
quantità di gente che non si aspettava d'incontrare:
riconobbe le figure di Nejire e FatGum in mezzo alla folla, Shoji in un
angolo insieme a Tokoyami e quelli che intuì fossero
compagni di agenzia, e in tutta la sala pullulavano altri Pro con cui
aveva avuto il piacere di collaborare sul campo o che comunque
conosceva di fama da quando era ancora alla Yuuei.
Uraraka
restò sorpresa nel vedere così tanti volti amici
riuniti per quell'occasione a cui aveva deciso di partecipare solo
perché fortemente costretta da Ryoko, con cui ormai lavorava
fissa da dopo il diploma.
Avrebbe preferito passare la serata lavorando
o ancor più rilassandosi a casa, magari davanti alla tv dopo
un bel bagno rilassante e con dei mochi da mangiare, ma il suo capo
l'aveva convinta smuovendole la coscienza e ricordandole quanto fosse
importante anche solo fingere di mostrarsi interessati anche a
ciò che scindeva dalla propria carriera.
Inoltre,
quell'occasione non si allontanava poi di molto dal mondo del suo
lavoro, in realtà: l'impresa specializzata nella creazione
di Hero Suits – tra cui la sua – aveva
organizzato una festa per il cinquantesimo anniversario dalla
fondazione, invitando tutti coloro a cui i suoi team di scienziati
avevano avuto l'onore di creare i costumi o gli attrezzi di supporto
per ringraziare della fiducia e cogliendo l'occasione per presentare
nuove tecnologie che stavano sviluppando.
Ochaco adorava il suo costume
fin da quando lo aveva indossato la prima volta e i team le erano
sempre venuti incontro accogliendo ogni sua richiesta di modifica.
Presenziare glielo doveva, in un certo senso, quantomeno come tacito
ringraziamento per l'impegno messo nel lavoro durante quegli anni in
cui aveva avuto l'occasione di confrontarsi con gli inventori.
Uraraka
si riprese da quelle considerazioni scuotendo la testa, decidendo di
prendere posto ad un tavolo a cui poco prima aveva visto seduto Katsuki
e ritrovandosi calamitata verso quella parte di sala come un automa,
confortandosi nel pensiero che fosse l'unico a cui probabilmente non
fregava davvero niente di tutto quello che gli stava intorno e con cui
non si sarebbe dovuta sforzare per mostrarsi allegra.
Si sentiva fuori
luogo, in mezzo a tutta quella gente vestita elegante, e nonostante
avesse fatto del suo meglio per sistemarsi di tutto punto aveva
appiccata addosso la sensazione terribile di essere la pecora nera del
branco, quella che dava parte del suo stipendio per aiutare i genitori
con le spese e si limitava a vivere in affitto.
Solitamente non
avrebbe nemmeno fatto quei pensieri, Ochaco, andando fiera della
sua carriera e tutte le motivazioni e gli ideali che l'avevano spinta a
dare sempre il massimo, ma il suo umore sotto i piedi di quei giorni
non aiutava, facendole vedere tutto grigio. Si sedette al
tavolo rilasciando un grosso sospiro di rassegnazione, accorgendosi,
però, che di Bakugo non c'era traccia. Non che la cosa la
sorprendesse: per lui quei tipi di incontri erano una perdita di tempo.
Chissà chi l'aveva convinto a partecipare...
La mora si
occhieggiò intorno con disinteresse, posando il volto su una
mano e rigirandosi il calice di vino tra le dita, pensierosa,
accorgendosi del fragore scatenato dal battito di mani solo
perché qualcuno accanto a lei fece un fischio di
approvazione che le vibrò nel timpano per diversi secondi.
Se avesse potuto gli avrebbe spaccato il bicchiere in testa. Sul palco
qualcuno aveva iniziato a parlare.
Si voltò giusto
per dare l'impressione di stare ascoltando, totalmente persa nella
propria mente.
***
-Scusami,
aspetti da molto?-
Ochaco alzò lo sguardo dal cellulare,
sbattendo le palpebre un paio di volte per essere sicura di non stare
avendo una visone.
Izuku era davanti a lei, vestito con una semplice
maglietta bianca e dei jeans, il volto trafelato e i capelli
scompigliati leggermente all'indietro in quell'acconciatura tipica che
assumevano quando si aiutava con il suo Quirk per muoversi tra i
palazzi per fare prima.
Anche in quelle condizioni però, che
qualcuno avrebbe definito parecchio pietose, per lei rimaneva sempre il
più bello.
L'aveva visto ferito, con il volto contuso,
ammalato, addormentato, agitato, ansioso, rilassato, felice. Izuku ai
suoi occhi era sempre bello, di quella bellezza genuina, delicata come
un fiore che sboccia senza disturbare nessuno ma che fa uno degli
spettacoli più affascinanti della natura, e ne era talmente
innamorata che in qualsiasi salsa si sarebbe fermata per ore a
osservarlo in ogni particolare.
Si schiarì la voce e gli
indicò la sedia, ingoiando un groppo di saliva.
-No,
figurati... non più del solito.- disse, non riuscendo a
trattenersi dal dare voce alla rassegnazione che provava. Deku la
faceva aspettare spesso, quando avevano un appuntamento, e certe volte
la cosa le pesava enormemente – specialmente quando era lui
ad invitarla fuori, o quando succedeva qualcosa a lavoro che la turbava
particolarmente.
Come un paio di giorni prima, in cui durante un furto
il gestore del negozio aveva perso la vita. A nulla era valso
l'intervento degli Heroes, purtroppo la segnalazione era arrivata tardi
e i ladri erano già scappati.
Uraraka sentiva la bile
rimestarsi ogni volta che ripensava alla scena che si era trovata
davanti quando era accorsa: sangue, sangue, e ancora sangue, una
violenza inaudita contro una persona che non poteva nemmeno difendersi,
quasi... quasi come se si fossero divertiti a torturarlo.
Perché? Le indagini erano in corso, tuttavia Ochaco dubitava
che anche trovando i colpevoli avrebbero avuto una buona motivazione
per quel gesto.
Forse, semplicemente, certe persone nascevano con la
violenza nel sangue.
Ed era per situazioni come questa che non riusciva
ad avercela davvero con Deku, in fondo: era consapevole che il loro
lavoro veniva prima di tutto, e sapeva quanto per lui fosse importante
essere l'eroe migliore in circolazione e il senso del dovere che ne
seguiva, ma... avrebbe preferito che certe volte fosse sincero,
dicendole chiaramente che non sarebbe riuscito a vederla, invece di
farla aspettare. Se non altro, avrebbe potuto occupare il tempo
portandosi avanti con altre cose e magari si sarebbero visti a casa di
uno dei due una volta che l'emergenza fosse rientrata.
Lo capiva,
Ochaco, lo capiva sul serio che il loro lavoro lasciava davvero poco
spazio alla famiglia ma... non pensava in quel modo.
La ragazza si
morse l'interno di una guancia, occhieggiando Midoriya di sott'occhi e
notando come lui la stessa già osservando.
-Cosa
c'è?- domandò, e percepì chiaramente
il cuore saltarle in gola e ripiombarle nello stomaco per
l'intensità sprigionata da quelle iridi smeraldine davanti a
cui si sentiva praticamente nuda.
Deku si passò una mano tra
i capelli, allungando un braccio sul tavolo per cercare la sua mano.
-Mi dispiace davvero.- mormorò, guardandola negli occhi.
Aggrottò le sopracciglia, segno che stava iniziando a far
lavorare la mente.
-Non fa niente, tranquillo!- lo rassicurò
lei, ma la sua voce suonò troppo acuta perché
fosse naturale e si pentì per non riuscire a controllarsi
meglio. Era vero che le spiaceva, e a volte s'innervosiva, ma era anche
vero che amava Izuku e, facendo lo stesso lavoro, ed essendo
praticamente cresciuti insieme durante i tre anni alla Yuuei, non
avrebbe mai potuto avercela per troppo tempo.
Sapeva quanto lui si
fosse impegnato per migliorarsi ogni giorno, tutto ciò che
aveva affrontato per arrivare fino a lì ed era convinta che
davanti a sé avesse una carriera brillante: era adorato da
tutti ed era praticamente nella top ten della nuova generazione di
Heroes. Non sarebbe stata di certo lei a bloccargli la strada e
tarpargli le ali.
-Piuttosto, volevi dirmi qualcosa?- cercò
di cambiare discorso, prendendo il menù per scegliere cosa
mangiare. Uraraka optò per prendere direttamente un piatto
che saziasse il buco che le si era formato allo stomaco, dal momento
che l'ora per l'aperitivo per cui si erano organizzati era ormai
passata.
-Si, ma... dopo, ne parliamo dopo. Prima raccontami la tua
giornata.- Midoriya si perse ancora qualche minuto a guardare il
menù, cercando di prendere tempo e sperando che la ragazza
accogliesse la sua richiesta. Era già abbastanza agitato,
non si sentiva ancora pronto ad
affrontare il discorso che avrebbe voluto farle e su cui aveva meditato
per mesi e mesi – se non anni.
Era giunto il momento che si
togliesse un peso dallo stomaco, ma una parte di sé temeva
di stare facendo una scelta sbagliata e affrettata.
Scosse lievemente
la testa per scacciare quei pensieri.
Si, era giunto il momento... con
Ochaco era da tempo che desiderava fare il passo successivo, ma
finché non fosse riuscito ad essere del tutto sincero nei
suoi confronti la voglia di domandarle di costruire un futuro insieme
veniva annientata dal senso di colpa per averla tenuta all'oscuro da
anni di uno dei suoi segreti più importanti.
Temeva che se avesse saputo che in realtà era nato Quirkless
lo
avrebbe guardato con occhi diversi, come un oggetto nato difettoso e
che qualcuno aveva provato a riparare ma che non sarebbe mai riuscito
ad eguagliare quelli che non si erano rotti.
Sapeva che era un
ragionamento stupido, sapeva quanto Uraraka fosse di buon cuore,
sincera e leale, ma... certe volte l'angoscia di non sapere come
avrebbe potuto reagire gli bloccava il sangue nelle vene anche quando
era sul punto di rivelarle tutta la verità.
Ma quella sera
sarebbe stata diversa – forse.
Il pensiero di essere arrivato
in ritardo sicuramente non lo rassicurava, dandogli la sensazione di un
incontro iniziato già male e che si sarebbe potuto
concludere ancora peggio: capiva ormai troppo bene quando Uraraka gli
mentiva solo per non fargli sentire il peso della propria delusione e
non voleva rischiare di fare qualcosa per allontanarla.
Izuku
cercò di scacciare quei pensieri e concentrarsi sul
presente, sorridendo a quella che a tutti gli effetti considerava la
sua ragazza e chiamando il cameriere per ordinare.
Doveva stare
tranquillo. Sarebbe andato tutto bene.
***
-Hai
intenzione di andare avanti a sbuffare ancora per molto? Sembri una
locomotiva.-
-Bakugou!-
Uraraka si portò una mano alla
bocca, imbarazzata, accorgendosi di aver praticamente quasi urlato per
la sorpresa. Alcuni le lanciarono delle occhiate stralunate e si
affrettò ad infossarsi nelle spalle, a disagio, come se
potesse in quel modo confondersi con la sedia e non essere vista.
Katsuki alzò un sopracciglio, assumendo la tipica
espressione tra lo scocciato e il rassegnato.
-Brava Faccia Tonda, ti
ricordi come mi chiamo.- la prese in giro, incolore. Tuttavia
continuò ad osservarla, come se la stesse studiando. Ochaco
lo trovò un comportamento piuttosto strano dal momento che
Katsuki difficilmente mostrava qualsiasi tipo di interesse in modo
così palese.
-Scusa, mi hai spaventata.- si
giustificò, grattandosi una guancia e ridacchiando per il
disagio. Lanciò una veloce occhiata al ragazzo, accorgendosi
che aveva spostato la sua attenzione sulla persona che stava sul palco
e capendo fosse un modo per non andare avanti a parlare.
Uraraka
ascoltò giusto qualche frase per cercare di capire il
contenuto del discorso – lo studio di una nuova tipologia di
tessuto ignifugo –, ma si ritrovò subito annoiata
dalla cosa. Sicuramente Izuku, curioso e assetato di informazioni
com'era, ne sarebbe stato più entusiasta.
Izuku...
Lo
sguardo di Ochaco si adombrò, fissandosi sul telefono privo
di notifiche abbandonato da parte al piatto da buffet incolto.
Alla
fine la serata era passata piuttosto in fretta e purtroppo erano
entrambi stati richiamati per un'emergenza, dal momento che alcuni
Villain sotto stupefacenti si stavano divertendo a seminare il panico
nel centro città. Di tempo per parlare non ne era avanzato
ed erano ormai quattro giorni che lei ed Izuku non si riuscivano a
vedere.
Il desiderio di sapere cosa Deku avesse da dirle la stava
mangiando viva, ma temeva fosse qualcosa di negativo e non aveva
più avuto il coraggio di tirare fuori il discorso, troppo
spaventata all'idea che le spezzasse il cuore, magari dicendole che
aveva preso la decisione che era meglio lasciare le cose come stavano e
non valeva la pena proseguire.
Ochaco sperava da tempo che le chiedesse
di ufficializzare la loro relazione, alcune volte le era
anche quasi
sembrato
che stesse per iniziare a farle un discorso serio e ci aveva
sperato – ci aveva sperato
davvero fosse giunto il momento
che aspettava da anni – ma il ragazzo non aveva mai fatto
cenno della cosa. Si sentiva confusa dal comportamento di
Midoriya e la sola ipotesi di starsi facendo castelli in aria da sola
la faceva soffrire terribilmente.
-Faccia Tonda?-
Uraraka
sorseggiò un po' di vino, socchiudendo le palpebre ed
osservando Katsuki. Inarcò un sopracciglio, in una muta
domanda. Il biondo incrociò le braccia al petto e distolse
lo sguardo, poi scoccò la lingua, come se parlare gli
costasse una grande fatica.
-So che è successo qualcosa con
Deku. Sono tre giorni che quel dannato Nerd gira in ufficio con il muso
lungo. È ancora più insopportabile del solito.-
Ochaco percepì i brividi lungo la schiena nel sentire il
nome di colui che fino a quel momento le era ronzato fra i pensieri. Si
sentì arrossire fino la punta dei capelli e fece per aprire
bocca ma Katsuki la precedette, inchiodandola alla sedia con
l'espressione più scocciata che gli avesse visto in quel
breve
lasso di tempo in cui lo aveva avuto davanti.
-Vedi di fare qualcosa se
non vuoi ritrovarti single.-
***
Settembre.
Dlin Dlin.
Dlin Dlin.
Reiji
si
rigirò nelle coperte, tirandosi il lenzuolo fin sopra la
testa e seppellendo la faccia contro il cuscino così forte
che per qualche secondo non riuscì a respirare.
Sentiva un
fastidioso ronzio nelle orecchie che gli stava iniziando a far venire
mal di testa e, esasperato, mosse la mano a casaccio nel tentativo di
mandare via quella che credeva essere una zanzara fastidiosa che ancora
aveva il coraggio di svolazzare in giro.
Dlin Dlin.
Dlin Dlin.
Nella
stanza buia, da cui non filtravano nemmeno i raggi del sole a causa
delle tende tirate e le imposte chiuse con la sicura e il silenzio
regnava come una patina surreale, tentò di raccattare i
residui della placida sensazione di stare dormendo benissimo per
ignorare pesantemente quel suono che si era infiltrato nei suoi sogni
rovinandogli quello che già era un sonno parecchio leggero,
strappandolo dall'abbraccio rassicurante del materasso tiepido e
facendolo ripiombare nel mondo dei vivi con una delicatezza ossessiva.
Ormai non più in dormiveglia e con la mente che iniziava suo
malgrado a lavorare, l'uomo si rese conto che quello che l'aveva
svegliato era un suono, talmente basso che non sembrava provenire dalla
stanza ma persistente abbastanza da finire per rimanergli incatenato
nei timpani.
Dlin Dlin.
Dlin Dlin.
Aprì gli occhi
combattendo contro le palpebre pesanti, la consapevolezza che lo
colpiva come una doccia gelata. Era la suoneria del suo telefono.
Chi
diamine lo chiamava in piena notte?
Mettendosi seduto e focalizzando lo
schermo illuminato sulla scrivania si ringraziò mentalmente
per aver abbassato il volume la sera prima. Non immaginava altrimenti
che risveglio brusco si sarebbe dovuto subire.
Reiji
sospirò, decidendo di alzarsi per vedere chi fosse a
cercarlo – magari era un'emergenza.
Agente Miyamoto.
Hamato
corrugò le sopracciglia, accettando la chiamata,
domandandosi perché lo stesse cercando durante le sue ferie
– credeva di essere stato abbastanza chiaro sul fatto che non
volesse essere disturbato. Sicuramente doveva essere successo qualcosa.
-Pronto?- mormorò, cercando di tenere un tono di voce
controllato e tornando verso il letto. Non voleva rischiare di
svegliare suo padre, che dormiva nella stanza accanto.
-Finalmente hai
risposto, Partner!-
l'uomo si stropicciò gli occhi,
sedendosi. Si accorse che erano le otto e venti del mattino rivolgendo
un'occhiata all'orologio appeso alla parete sopra il comodino.
Quindi
non era piena notte... e probabilmente suo padre era già
sveglio.
-Cosa è successo?- domandò, incolore.
Ormai sapeva troppo bene che quando riceveva chiamate di lavoro doveva
scattare e tornare in centrale a Shizuoka. Era un aspetto che poteva
piacere come no – a lui, essendo solo, non cambiava la vita.
Per un breve attimo sperò che il collega volesse magari solo
sapere come stesse, intrattenendolo in uno dei suoi discorsi dai toni
ogni tanto troppo esaltati per i suoi gusti.
-Un'auto è
esplosa a Yaizu, sono coinvolte due persone. Vogliono che indaghi,
Detective.-
Perfino dal telefono Reiji sentiva i mormorii sommessi che
animavano il posto di lavoro in cui era praticamente cresciuto.
Miyamoto si perse qualche secondo a salutare qualcuno e l'uomo attese
pazientemente che gli desse nuovamente attenzione.
-Perché
io? Sono in ferie per altre due settimane, fino a prova contraria.- gli
fece notare, iniziando ad aprire le finestre e le tende per fare
entrare luce. La giornata era parecchio soleggiata: sicuramente avrebbe
fatto molto caldo nel pomeriggio.
-Non lo so, forse perché
sei il migliore della centrale e diventerai Ispettore?- lo
canzonò il collega, e Hamato scosse la testa, roteando gli
occhi.
Quella dannata promozione che gli avevano promesso e che
stentava ad arrivare.
I superiori pretendevano di più,
sempre di più, come se nella vita esistesse solo il lavoro.
Era vero che si era dedicato per vent'anni alla giustizia, accorrendo
ad ogni chiamata, sottostando ad ogni ordine felice di rendersi utile e
sentendo di fare ciò che riteneva più giusto...
eppure all'indecenza umana non c'era fine. Succedeva sempre qualcosa.
Dopo anni ed anni passati ad indagare sugli omicidi più
disparati iniziava a sentirsi prosciugato – ma non
così tanto da mollare il lavoro come era successo ad altri
suoi colleghi.
Lui avrebbe resistito.
Non c'era soddisfazione
più grande che dare giustizia alle vittime e un po' di
sollievo ai familiari arrestando i criminali.
Strinse le labbra,
tornando a concentrarsi.
-Va bene. Parlami del caso.- disse, mettendo
il vivavoce e iniziando a vestirsi. Le pagine degli appunti che
Miyamoto doveva aver preso grattarono tra loro producendo interferenza,
poi calò silenzio. Hamato sentì il collega
schiarirsi la gola.
-Dunque... l'auto esplosa è quella dei
coniugi Rakane. Abitano... abitavano a Yaizu. Sono gente
d'affari, ricchissimi e con parecchi agganci nel mondo imprenditoriale
e politico. Il Sig. Rakane è morto nell'esplosione, la
moglie, Genma, è in coma in ospedale, e non si sa se si
risveglierà.- l'agente si fermò un attimo e si
sentì una pagina venire sfogliata. Reiji attese
pazientemente che riprendesse a parlare, mentre raccattava le sue cose
e le riponeva nel piccolo trolley che aveva utilizzato per il viaggio e
che teneva sotto il letto.
-Il primo sospettato è il figlio.
È risaputo non avesse un buon rapporto con i genitori,
litigava spesso, a detta degli amici delle vittime, probabilmente per
questioni di soldi. L'ipotesi è che abbia manomesso l'auto
facendolo passare per incidente. Ah, cosa più importante...
non ha un alibi.-
Hamato si accigliò, prendendosi il tempo
necessario per riflettere. Afferrò il telefono e se lo
portò all'orecchio, innervosito.
-Mi pare siate a buon
punto. A che vi servo io?- domandò, alterato all'idea che
gli stessero rovinando le vacanze per un caso così semplice
e che sembrava essere già stato risolto. Miyamoto
sospirò pesantemente e Reiji allontanò
l'apparecchio, infastidito, accorgendosi di avere ancora il vivavoce
attivo. Si grattò la nuca, sentendo il bisogno di fare
colazione dalle fitte che iniziava a dargli lo stomaco.
Aveva la
sensazione che ciò che gli avrebbe detto l'agente non gli
sarebbe affatto piaciuto dal tempo che ci stava mettendo a rispondere.
-Il figlio dice di essere innocente, e non ci sono prove effettive che
lo colleghino all'auto. Vogliono che indaghi perché sei il
migliore nello scovare gli indizi più improbabili e hai
chiuso quasi tutti i casi che ti sono stati affidati.-
Reiji
soffocò una risata di ilarità, lasciandosi andare
a peso morto sul letto.
Ovviamente,
i casi spinosi sempre a lui, come
se avesse una bacchetta magica con cui fare il proprio
lavoro. A volte sembrava che gli altri detective non capissero che era
solo questione di attenzione, cercare prove, ingegnarsi per scavare
oltre la superficie e riuscire a ottenere la verità, passare
notti insonni a cercare collegamenti – e, forse, bisognava
avere anche un pizzico di fortuna.
Reiji sospirò mordendosi
il labbro e occhieggiando la valigia suo malgrado già pronta
sul lato vuoto del letto.
Non gli piaceva per niente l'idea di lasciare
suo padre da solo dopo che era arrivato da meno di una settimana, e
dopo avergli promesso che avrebbero passato del tempo assieme pescando
e andando in barca come quando era bambino: sua madre era morta da
qualche anno e suo papà era rimasto praticamente da solo.
Saperlo senza più una compagnia lo turbava profondamente,
anche se non glielo avrebbe mai confessato apertamente.
Forse, se si
fosse fatto una famiglia, avrebbe potuto almeno riempirgli le giornate
con dei nipoti... Hamato scosse la testa, rendendosi conto che la
carriera era sempre stata la sua unica aspirazione nella vita, tanto
che una parte di lui non riusciva a sottrarsi al suo dovere e
già si dibatteva per cercare di poter visionare il caso in
prima persona il prima possibile.
-Ci sei? Mi stai ascoltando?-
Reiji
si riscosse dai propri ragionamenti, tornando alla realtà.
Si alzò e andò vicino alla finestra, osservando
la figura di suo papà in giardino intento ad annaffiare
l'orto. Indossava un cappello di paglia per ripararsi dal sole, una
camicia a quadri dai colori discutibili e dei pantaloni corti, di
quelli in cui erano visibili i rattoppi che sua madre gli aveva fatto
sulle tasche dietro e che probabilmente non avrebbe mai buttato via.
Si
costrinse a non fare caso alla stretta al cuore che sentì
immaginando la sua espressione quando gli avrebbe detto che doveva
tornare a lavoro, promettendo a se stesso che avrebbe chiuso il caso il
prima possibile e sarebbe tornato per passare insieme i giorni di
vacanza che ancora gli spettavano.
-Parto appena posso. Inviami per
mail i dettagli del caso.-
***
-Sei
in
anticipo tesoro, come mai?-
Lume finì di scendere le scale
con un piccolo salto, raggiungendo la madre in sala. Stava seduta al
tavolo con la solita tazza di caffè in mano e le sorrideva,
sembrando quasi compiaciuta e sollevata di non dover vedere la figlia
girare per casa come un missile disturbandole la
tranquillità mattutina in cui si rinchiudeva ogni giorno.
"Ancora non ci sono
sviluppi riguardanti il caso della coppia coinvolta
nell'incidente d'auto…"
Lume occhieggiò la
televisione, facendo spallucce e sedendosi su una sedia. La voce del
giornalista le arrivò come un sottofondo ovattato. Fece
passare lo sguardo ancora assonnato sulle cose che si trovava davanti,
sentendo l'aria fresca di settembre infilarsi sotto la maglia leggera.
La signora Swartz ogni mattina apparecchiava il tavolo con zucchero,
una caraffa di caffè bollente, biscotti, fette biscottate,
marmellata e succhi di vario tipo, sperando che la figlia le facesse
compagnia prima che andasse a lavorare. Ma Lume non era una patita
della puntualità, e le volte in cui poteva concedersi di
bere o mangiare qualcosa chiacchierando con la donna erano davvero
poche. Nonostante tutto, la madre continuava ad apparecchiare la tavola
ogni giorno, fin da quando era piccola e ancora non sapeva allacciarsi
le scarpe da sola.
Una routine che l'aveva sempre accompagnata.
Lume si
domandava sempre cosa la spingesse a ripetere ogni giorno la stessa
azione da quando aveva iniziato a pensare sempre più per se
stessa in autonomia, ma le poche volte in cui lo aveva fatto
concretamente la donna le aveva risposto nel modo che ormai doveva
essere la spiegazione che si era data per la sua figura materna ed il
lavoro che vi stava dietro.
-Sono tua madre, Lume, è
naturale che ti prepari la colazione.-
La ragazza sospirò,
immergendo un biscotto nel caffè e stropicciandosi gli
occhi.
Non osava immaginare quale sarebbe potuta essere la sua reazione
se le avesse detto che aveva intenzione di prendere casa. Forse avrebbe
dovuto parlarne prima con suo padre, in modo che almeno, nel momento in
cui avesse fatto quel passo, avrebbe avuto la certezza di poter contare
sul
suo appoggio. Suo padre quando la guardava si scioglieva e raramente
era riuscito a negarle qualcosa.
Era il suo Raggio di
Sole, le diceva
sempre.
Lume si riteneva fortunata del rapporto che aveva con i suoi
genitori, sempre presenti in ogni istante importante della sua vita, ma
molte volte la presenza di sua madre la portava all'esasperazione,
dandole la sensazione di farle mancare il fiato per
l'ossessività con cui le stava dietro.
-Come stai?- Swartz
alzò lo sguardo dalla tazza, incrociando gli occhi seri
della donna. La stava studiando, attentamente, con l'espressione
affilata e i lineamenti rigidi tipici di quando cercava di scoprire
qualcosa ad ogni costo. Lume sentì un misto di disagio e
irritazione.
-Bene.- mormorò, ma suonò poco
convincente perfino per se stessa. Prese un lungo sorso di
caffè, stringendo il manico della tazza fino a far sbiancare
le nocche e sentendo i polpastrelli bruciare per la ceramica troppo
calda.
-Da quando è successa quella tragedia al signor
Fukuda non sei più la stessa, Lume...- occhieggiò
la madre scuotere la testa con la coda dell'occhio, abbassando poi lo
sguardo sulla tovaglia, dispiaciuta. Sentiva ancora la gola ardere per
il liquido appena ingerito e si schiarì la voce.
-Beh, non
è facile. Alla fine lo conoscevo da tre anni.- le
spiegò, cercando di dissimulare. C'erano cose che a sua
madre non poteva dire. Che non poteva dire a nessuno.
Lume strinse un
pugno sotto il tavolo, sentendo un magone bruciarle nel petto.
La morte
di Markus li aveva spiazzati tutti.
Bushijima le aveva concesso dei
giorni liberi appena avevano saputo la notizia, ma in realtà
li aveva passati parlando con la polizia e gli investigatori che si
occupavano del caso cercando di ricordare ogni particolare che potesse
essere utile per spiegare le motivazioni dietro il suo gesto.
Si morse
un labbro, fissando il vuoto davanti a sé.
Se non avesse
avuto un alibi, era sicura che dopo le sue risposte anche Tobio sarebbe
stato indagato come sospettato, proprio per il rapporto che sembrava
essersi incrinato nei mesi precedenti la sua scomparsa e
perché sembrava essere l'unico appiglio a cui si sarebbero
potuti attaccare – e probabilmente sarebbe stata proprio
colpa sua, dal momento che era quella che li vedeva insieme
più spesso e non aveva potuto negare i litigi a cui
assisteva.
Lume sospirò, stanca.
Non si sarebbe mai abituata
a vedere la porta dell'ufficio perennemente chiusa, a non sentirlo
più chiederle se volesse un caffè, o di fare una
pausa, o ironizzare che avrebbero dovuto segnare sul calendario le
volte in cui Bushijima si complimentava perché non era da
lui farlo.
Markus Fukuda era stato un po' come un esempio da seguire,
era stato il primo ad aver incontrato il giorno del colloquio e a
presentarla a Tobio con un sorriso smagliante e la convinzione che
aveva trovato la persona che stava cercando per prendere il suo posto.
Le aveva insegnato tutto ciò che che riguardava il suo
lavoro, dal momento che non aveva più tempo per stare dietro
a tutto vista l'importanza che il Museo acquisiva sempre
maggiormente e c'era sempre qualche trattativa per le opere da esporre
o rivendere a cui avrebbe dovuto partecipare con Tobio.
Era stato lui a
darle fiducia e aiutarla a costruirsi una carriera di cui andare
segretamente fiera mentre faceva piccoli passi verso un'indipendenza
che sembrava sempre più vicina. Una persona buona, sempre
sorridente, accomodante, la parte esuberante in giornate di lavoro
altrimenti troppo deprimenti e monotone e forse qualcuno con cui
ipoteticamente si sarebbe vista insieme negli anni futuri.
E lui... lui non c'era
più.
Il profondo sospiro che sfuggì a sua madre
la riscosse da quei pensieri. Lume ebbe un fremito che le fece tremare
il respiro, poi occhieggiò l'ora sullo schermo della
televisione e si alzò, sentendosi troppo costretta nelle
mura di casa. Aveva bisogno di restare sola ancora un po', con i propri
ragionamenti e ripensando agli ultimi eventi che avevano stravolto la
vita a cui era abituata.
Diede le spalle a sua madre ignorando
volutamente i suoi occhi azzurri scrutarla angosciati, sentendo l'ansia
che la donna provava nei suoi confronti e il modo in cui la stava
guardando infastidirla profondamente. Si sentiva già
abbastanza stravolta da tutto ciò che era successo, non
aveva voglia di sorbirsi costantemente anche sua mamma. Lume odiava
profondamente quel comportamento, quando le lanciava quelle occhiate
preoccupate come se stesse cadendo a pezzi senza che potesse fare
niente – quando si sarebbe accontentata semplicemente che
provasse a ridarle un po' di quotidianità.
Possibile che non
capisse che avrebbe voluto solo un po' di conforto, una parola di
coraggio, anche se era consapevole che non avrebbe di certo aggiustato
le cose?
A Lume sembrava quasi che non si preoccupasse per la sua
sofferenza o di come l'avesse sconvolta quel cambiamento nella sua vita
– la sua vita quasi sempre perfetta, a tratti monotona
–, quanto più di se stessa che si era ritrovava
improvvisamente con una figlia che non si comportava più
come era sempre stata abituata a vederla e che, quindi, la faceva
impensierire.
Afferrò la borsa cercando di mettere da parte
la stizza che stava gorgogliando nelle vene.
-Sarà meglio
che vada. Ciao mamma.-
***
L'entrata
del
Museo era stranamente deserta, quella mattina, ma Swartz non ci fece
caso mentre entrava con passi misurati e attraversava la grande hall
davanti alla biglietteria. Salutò la segretaria e la guardia
all'ingresso con un cenno del capo, dirigendosi verso la solita porta
riservata solo ai dipendenti mentre il tepore che aleggiava per
l'ambiente le riscaldava le membra intorpidite dal primo freddo
autunnale.
Per una volta tanto era in largo anticipo e voleva godersi ogni
momento che quella sensazione le lasciava addosso.
Timbrò,
si sistemò la camicia, si lisciò i pantaloni e
una volta appeso il cartellino alla giacca si diresse con gesti
automatici verso gli uffici, occhieggiando i corridoi ancora deserti.
Era raro che non incrociasse quasi nessuno mentre girava per
l'edificio, ma con l'arrivo della stagione invernale le persone
tendevano ad uscire di casa più tardi e la tragedia che si
era consumata settimane prima non si poteva dire non avesse avuto
ripercussioni sulle attività del Museo.
Per una settimana
avevano sospeso ogni tipo di visita e rimandato gli appuntamenti. La
scusa era stata che chiudevano per lutto – e in parte era
veritiero –, ma in realtà la polizia aveva
analizzato ogni stanza del museo, le telecamere e gli uffici in cerca
di qualsiasi indizio e lei e Bushijima erano stati chiamati
più volte in centrale.
Lume sospirò affrettando
il passo e scuotendo la testa per distogliere la mente da quei ricordi,
cercando di focalizzarsi sul presente: se non si ricordava male, quel
giorno avrebbero avuto un paio di scolaresche in gita e Tobio aveva in
corso un paio di trattative per tre quadri e una statua egizia.
Osservò il suo riflesso nella vetrina in cui era racchiuso
un orologio, trovando il proprio volto dimagrito e dal colorito spento,
i pantaloni dal taglio dritto che la rendevano ancora più
slanciata e snella.
Forse sua madre non aveva tutti i torti quando le
diceva che era cambiata. Ma come avrebbe potuto non farlo?
Si
torturò le dita riprendendo a camminare, persa nelle
proprie riflessioni e facendo vagare gli occhi per gli ambienti che
superava senza vedere davvero ciò su cui si posava il suo
sguardo. Sentiva le proprie gambe muoversi automaticamente e si
domandò se ad occhi esterni non sembrasse tanto un automa,
perché era esattamente come si sentiva in quei giorni.
Arrivata alla sua scrivania vi posò sopra
l'agenda, trovando la luce della stanza già accesa senza
sorprendersi: Bushijima era sempre stato un gran lavoratore, il primo
ad arrivare e l'ultimo ad andarsene e sembrava che il lavoro fosse
l'unica cosa che riuscisse a rapirlo in quelle giornate più
di quanto già non facesse. Forse era l'unico appiglio che
aveva per distrarsi.
Alzò le tapparelle per far filtrare il
sole mattutino e si chinò verso il pc per accenderlo,
iniziando a ragionare mentalmente su ciò che avrebbe dovuto
fare quel giorno. Mentre sfogliava i documenti posati sulla tastiera
occhieggiò velocemente le due porte che si trovava di
fronte, aspettandosi di trovarle entrambe chiuse come succedeva da
settimane a quella parte e pronta a sentire la fitta di nostalgia
soffocarle il cuore come succedeva ogni volta.
Restò
interdetta quando si rese conto che la porta di Fukuda era
spalancata.
Lume rimase immobile per un tempo che le
sembrò infinito, non riuscendo a capire ciò che
stavano registrando i suoi occhi, con le mani ancora attorno alla carta
stampata che stava leggendo fino a poco prima e sentendo un pizzicorio
fastidioso dietro la nuca farle venire i brividi. Istintivamente
osservò la propria scrivania cercando qualcosa di strano ma
non vi trovò nulla.
Riportando la sua attenzione sulla
stanza ingoiò un groppo di saliva e mosse qualche passo,
trattenendo il respiro e tendendo i sensi.
C'era qualcosa che non
andava. C'era qualcosa che non andava in ciò che stava
vedendo.
Osservò l'interno dello studio rimanendo sulla
soglia, senza il coraggio di fare nulla e sentendo l'angoscia marcarla
come un cacciatore. La cosa più semplice che avrebbe potuto
fare sarebbe stata correre all'ingresso e chiamare aiuto.
Ma
perché? Perché aveva quei pensieri?
Gli occhi
dardeggiarono per l'ambiente semi vuoto, in cui era rimasta solo la
scrivania con davanti un paio di poltrone, un paio di librerie e un
mobiletto che si era premurata di svuotare del suo contenuto nelle
settimane precedenti. Non c'era niente di strano.
Lume storse il naso,
allungandosi per afferrare la maniglia e chiudere la porta. Fu in quel
momento che sentì un movimento nella stanza di fianco, come
di qualcosa che cade e si rompe.
Trasalì, spaventata,
rimanendo congelata sul posto per quella che le sembrò
un'eternità. Di nuovo avrebbe voluto correre via da quella
stanza che iniziava ad angosciarla.
Lume si diede della stupida per
come si stava comportando. Si stava facendo prendere dal panico per
niente. Niente. Non
c'era niente che non andasse.
La morte di Markus
l'aveva resa sospettosa anche per le cose più stupide.
-Signor Bushijima?- provò, bussando piano alla porta. Non le
arrivò nessuna risposta. Lume si grattò la nuca,
passando lo sguardo da un entrata all'altra. Sentiva il cuore in gola.
-Signor Bushijima? Va tutto bene?- riprovò, prendendo un
lungo respiro. Le gambe le tremavano e resistette a malapena
all'impulso di tornare a sedersi facendo finta di niente. O di andare
davvero a chiamare la sicurezza. Non voleva passare per l'esaurita del
museo.
-Sto entrando, ok?- Lume si umettò le labbra,
immaginando già gli occhi furenti dell'uomo e il modo in cui
l'avrebbe cacciata in malo modo per essere entrata senza permesso.
Aprì la porta, titubante, cacciando la testa all'interno
della stanza e appoggiando la mano libera allo stipite con presa quasi
febbrile.
Ti prego, fa che non si
arrabbi...
Lume si sporse
maggiormente, facendo dardeggiare lo sguardo per l'ambiente fino a che
non incontrò la figura dell'uomo chino sulla scrivania.
Distese i muscoli, sentendosi più rilassata ed entrando
silenziosamente per osservarlo meglio.
Ah, stava dormendo...
Si
lasciò scappare un sorriso, mentre allungava una mano per
spegnere la luce dandosi mentalmente della stupida. Si era preoccupata
per niente. Si era fatta prendere dal panico come una totale idiota.
Chissà come mai... forse avrebbe fatto bene ad andare da uno
psicoterapeuta, magari la morte di Markus le stava dando alla testa
più di quanto pensava.
Lume tornò a guardare il
suo capo: avrebbe fatto meglio ad uscirsene il prima possibile,
perché se si fosse svegliato era sicura che avrebbe avuto da
ridire sulla sua presenza nel suo ufficio privato.
Gli
lanciò un'ultima occhiata, pronta a imprimersi nella mente
quella visione che sicuramente non sarebbe ricapitata molto presto.Per
addormentarsi a lavoro come minimo doveva aver passato la notte a
lavorare e facendo le ore piccole per chissà quanti giorni.
Strizzò gli occhi, notando qualcosa di scuro ai piedi della
lunga scrivania mogano, non riuscendo a capire di cosa si trattasse da
quella distanza.
Lume allungò una mano nuovamente verso
l'interruttore della luce, incuriosita, ma le sue dita non arrivarono
mai a schiacciare l'interruttore. Sentì un forte dolore alla
testa e si ritrovò a terra, tutto intorno le
arrivò sfuocato per vari secondi. Si tenne la nuca
dolorante, sentendosi improvvisamente stanca, la testa girava come una
trottola ed ebbe un conato di vomito.
Poi tutto diventò
buio.
***
Ottobre.
-Ehi,
Sweetie,
era ora ti facessi viva. Non ci sentiamo da ben...- Il ragazzo
guardò l'orologio sul display del telefono e fece un rapido
calcolo mentale, occhieggiando le indicazioni che lo avrebbero
riportato dalla stazione di polizia all'hotel in cui gli era stata
prenotata una stanza durante quel trasferimento e in cui aveva lasciato
la valigia quella mattina.
-... da ben cinque ore. Mi considero
offeso.-
Dall'altro capo del telefono arrivò una risatina e
non poté impedire di sentirsi contagiato dalla leggerezza
che sprigionava. Lo accompagnava da anni ed era abbastanza convinto che
non avrebbe potuto farne a meno per troppo tempo, tanto che spesso si
ritrovava a sentirsela risuonare nella mente senza alcun motivo. Era
qualcosa che non aveva spiegazione, un rapporto così
autentico di cui non avrebbe mai potuto fare a meno.
-Scusami Masato,
sono imperdonabile.- lo prese in giro, simulando un tono colpevole che
gli fece solo scuotere la testa con fare sconsolato anche se non poteva
vederlo. Si conoscevano così bene da potersi immaginare a
vicenda nei gesti e nelle espressione anche senza vedersi.
-Come
è andato il viaggio?-
Lui sbuffò, facendosi aria
con la mano mentre aspettava che il semaforo per i pedoni diventasse
verde. L'aria di ottobre in certe giornate era ancora carica dell'afa
di pieno agosto e camminare con pantaloni lunghi e camicia era ancora
uno strazio – ma il lavoro non gli permetteva di essere
fantasioso nel vestire tanto quanto avrebbe voluto. Non vedeva l'ora di
farsi una doccia e mettersi una di quelle magliette fiorate che adorava
tanto e si portava sempre dietro.
-È andato bene,
ho letto il fascicolo che mi hanno mandato.- commentò,
cercando di tenere moderato il tono di voce per non attirare orecchie
indiscrete. Nella mente gli scorsero davanti i momenti principali della
sua giornata e le poche ore trascorse a lavoro, ed era sicuro avrebbe
dovuto ragionarci sopra un bel po'. Ed era solo al primo giorno.
Sentì un rumore dall'altra parte e immaginò che
la ragazza stesse trafficando con qualcosa, in attesa che continuasse a
parlare. Tirò un lungo sospiro passandosi una mano tra i
capelli, sondando la strada con gli occhi dorati e cercando di
sciogliere i muscoli del collo. Quando usava il suo Quirk per troppo
tempo gli capitava ancora di avere un principio di cervicale. Uno
scotto da dover pagare per convincere le persone a lasciarsi plasmare
la mente.
-Sai che non posso rivelarti troppi dettagli, Sweetie.
Soprattutto al telefono.- la sentì sospirare, e
immaginò avesse roteato gli occhi al cielo. Lo faceva spesso
per dissimulare una punta di stizza quando non poteva ottenere
ciò che voleva e sapeva di venire tenuta all'oscuro di
qualcosa.
-Si, si, tranquillo, non ti chiederò nulla.- lo
rassicurò subito, come in una litania che si era abituata a
ripetere in automatico.
-Hai idea di quanto starai via?- gli chiese
poi, cambiando discorso. Lui ci pensò su qualche attimo,
portandosi indice e pollice al mento mentre ripensava ai suoi
programmi.
-Non molto, credo, forse tre o quattro giorni. Il mio Quirk
sembra non avere effetto quindi immagino che rientrerò in
tempi brevi, il tempo di capire come si mettono le cose e stilare i
miei rapporti sugli interrogatori.-
dall'altro capo del telefono ci fu un lungo momento di silenzio.
Aprì la bocca per fare ironia, ma lei lo precedette.
-Che
brutta situazione...- la sentì mormorare, e Masato non
poté fare a meno di annuire, sentendosi in difetto senza
apparente motivo ed immaginandosela giocherellare con i capelli mentre
rimuginava.
-Si, è abbastanza triste. Ma come questa ce ne
sono molte altre, purtroppo non è la prima e non
sarà l'ultima.- fu il suo ragionamento, e sembrò
stesse parlando più a se stesso che alla persona con cui era
al telefono. Voleva che il suo Quirk potesse aiutare scovando indizi
dove sembravano non esserci e verità nascoste, ma quando non
ci riusciva perché le cose erano davvero come sembravano
sentiva una forte frustrazione rosicargli nello stomaco insieme
all'impotenza di non poter cambiare le cose.
Non si sarebbe mai
abituato alle verità scomode che gli venivano rivelate e
alle realtà spesso molto più terribili di
ciò che apparivano che gli venivano spiattellate in faccia.
Ma forse non era questo il caso – e non sapeva se fosse una
cosa positiva o negativa.
-Capisco come ti senti.- provò a
rassicurarlo lei, forse intuendo i suoi pensieri, e lui ci credette
davvero, perché non conosceva altra persona che avesse
conosciuto il dolore del fallimento come la ragazza con cui stava
parlando al telefono.
-Scusami un attimo.-
Masato sentì
trafficare e attese pazientemente che la sua confidente tornasse in
linea, immaginando fosse entrato qualche cliente –
lo chiamava spesso nei momenti morti. Ci mise qualche minuto, e in quel
lasso di tempo si fermò ad un bar a comparsi una bottiglia
d'acqua, una bibita e degli snack da stuzzicare in hotel mentre
studiava per l'ennesima volta i file che gli erano stati mandati.
Subito dopo quel caso, avevano già richiesto la sua
consulenza altre due centrali di polizia, una a Sapporo e l'altra a
Kobe. Non poteva certo dire che gli mancasse il lavoro – pur
con tutta la storia dei Quirk e degli Heroes, la gente più
comune non aveva smesso di ammazzarsi.
-Eccomi, scusa. Ci sei?- Masato
deglutì l'acqua che stava bevendo e rimise la bottiglia nel
sacchetto.
-Ovviamente. Chi era?- s'incuriosì, notando in
lontananza la struttura di quello che sarebbe stato il suo alloggio.
-È arrivata una spedizione.-
-Qualcosa che ha ordinato il
tuo capo?- s'interessò, curioso. Dall'altra parte del
telefono provenne un prolungato suono di dubbiosità.
-Mh, si
e no... solitamente so tutto quello che viene comprato o venduto e mi
avvisa se chiude qualche affare o aspetta qualcosa di particolare, ma
sono arrivati due pacchi invece di uno. Anche il documento di trasporto
ne segna solo uno.- la sentì mormorare. Gli
sembrò che la voce arrivasse leggermente ovattata, come se
fosse lontana dal microfono. Probabilmente stava studiando
ciò che era le era stato consegnato ed aveva appoggiato il
telefono poco lontano.
-Non riesci a capire da chi proviene? Magari si
sono confusi.- Masato si passò il sacchetto da una mano
all'altra, riuscendo con lo stesso gesto a cambiare il
bracciò con cui stava tenendo il telefono. Iniziava a
sentirlo intorpidito.
-Non c'è scritto nulla a parte il
nome del negozio. Comunque ora devo andare, ho delle cose da sistemare
e poi penserò anche a questo... ci sentiamo più
tardi, dico bene?- tagliò corto lei, tornando a parlare con
il solito tono di voce di quando iniziava a lavorare mentalmente per
organizzarsi: era un po' maniaca del controllo, se doveva essere del
tutto sincero.
Lui sorrise al nulla continuando a camminare, ormai in
prossimità dell'hotel, immaginandosi il suo sguardo
colpevole trapassare il telefono mentre era sommersa da scatoloni.
-Dici bene, Sweetie.
A dopo.-
Benritrovati a tutti carissimi! Come vi vanno le cose? Spero bene.
Per chi si ricordasse di questa storia, come vi avevo promesso siamo
tornati nel presente: questo capitolo è praticamente il
diretto seguente del capitolo uno, che magari vi consiglio di rileggere
giusto per capire un attimo le tempistiche. Mi sono impegnata molto per
farle combaciare. ^^'
Nella storia ho introdotto altri OC oltre a Yuhiko, ognuno
avrà il suo posto e ogni cosa avrà la sua
spiegazione, magari qualcosa si riesce già ad ipotizzare. Vi
consiglio di stare attenti ai dettagli. ;)
Bakugo e Uraraka si ritrovano insieme alla festa perchè se
non sbaglio hanno la stessa agenzia per i loro costumi, mi sembrava
carino farci una scena insieme (anche perchè shippo
Kacchako, anche se non è questa storia il caso). Inoltre
quello che sta succedendo ora nel manga/anime in questa storia
può essere successo si come no, nel senso che non ci saranno
riferimenti a riguardo. Tutto ciò che riguarda lo sviluppo
psicologico dei personaggi ed i loro disagi mentali attuali
pensieri è
frutto della mia mente e delle mie ipotesi in base a come mi sono
immaginata la trama di questa long, spero comunque risultino IC. La
coppia IzuOcha sembra avere qualche problemino... chissà se
risolveranno?
Vi ringrazio per l'attenzione, alla prossima!
Love, D.
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Capitolo 7 *** Sesto Petalo. ***
Cherry Blossom Tree
Sesto Petalo.
Settembre.
«Ti
nomino ispettore, Hamato. Te lo meriti. Però
devi riuscire a concludere questo caso. Una volta terminate le indagini
faremo la celebrazione ufficiale con gli altri superiori.»
Reiji sfogliò con noia il fascicolo che si trovava davanti,
percependo le spalle rigide per la tensione e la schiena mandargli
delle fitte di fastidio. Era seduto alla scrivania ormai da parecchie
ore, girando e rigirando le pagine di appunti tanto da averne ormai
imparato a memoria il contenuto. Se abbassava le
palpebre, arrivava a focalizzare i fogli esattamente come se li stesse
leggendo.
Sospirò, rassegnato, sfregandosi gli occhi secchi
per la stanchezza a causa delle notti insonni che stava passando.
Non
c'era nulla.
Nulla.
Aveva letto e riletto quelle pagine come un
dannato, preso appunti, risentito ogni testimone con le proprie
orecchie per cercare di capire se i suoi colleghi avessero tralasciato
qualche dettaglio, parlato con gli analisti che si erano occupati dei
rilevamenti sulla vettura... ma non c'era nulla. Niente che collegasse
il figlio dei Rakane all'incidente in modo definitivo da poterlo
incriminare.
Nemmeno a dirlo, il ragazzo continuava a dichiararsi
innocente e alla fine si era chiuso nel mutismo, stanco di dover dare
sempre le solite spiegazioni, chiedendo l'appoggio di un avvocato tra i
più famosi del suo settore e che era riuscito a farlo
rilasciare a causa dell'insufficienza di prove.
Reiji era partito per
Shizuoka quello stesso pomeriggio in cui Miyamoto lo aveva contattato,
promettendo a suo padre che avrebbe fatto il possibile per concludere
in fretta le indagini e tornare così da lui per qualche
altro giorno
– suo papà, ovviamente, gli aveva detto di non
farsi problemi e prendersi il suo tempo per fare le cose per bene
– ed erano ormai quasi tre settimane che rimuginava su quel
caso a cui pensava avrebbe dovuto dare attenzione per massimo una
manciata di giorni.
Ottobre era alle porte e lui a un punto
morto, esattamente come lo stavano diventando le foglie sugli alberi,
senza altri indiziati o una prova cruciale che inchiodasse l'unica
persona papabile come assassino – ma lo era davvero? Ogni
tanto all'uomo veniva il dubbio che fosse effettivamente innocente.
Reiji ci aveva provato davvero, a ripercorrere gli ultimi spostamenti
dei coniugi Rakane, indagando per conto proprio e ignorando
ciò che avevano già scritto i colleghi in modo da
non venirne influenzato, prendendo nuovamente pagine di
appunti con cui confrontare ciò che già gli
avevano messo a disposizione, eppure le conclusioni erano state le
medesime: oltre al figlio, con cui a detta di alcuni vicini avevano
discusso recentemente, tutte le altre persone con cui erano venuti in
contatto non sembravano nutrire risentimento nei confronti della coppia
– anzi, ne parlavano molto bene, descrivendoli come persone a
modo, educate e riservate quanto bastava.
Gli unici momenti in cui
lasciavano trasparire qualche emozione genuina era durante i rimproveri
fatti al figlio – unico erede e fortemente voluto e amato, a
cui avevano garantito la migliore istruzione mandandolo a studiare
anche in America – e quando raccontavano, entusiasti, degli
affari che avevano concluso, vantandosi delle collezioni di oggetti
preziosi che si potevano ammirare in casa loro.
Ad un primo sguardo,
sembravano la solita famiglia ricca da potersi permettere qualsiasi
cosa, che teneva alle apparenze dovute alle pressioni sociali dell'alta
classe di cui facevano parte e con grandi aspettative sulla loro
progenie tanto da risultare, probabilmente, asfissianti quanto bastava
per far nascere il desiderio di evasione.
Hamato si
alzò dalla sedia, sbuffando sonoramente e decidendo fosse
venuto il momento di una pausa: aveva voglia di un caffè e
colse l'occasione per fare due passi, accogliendo con sollievo la
ventata di aria fredda che gli arrivò in viso,
risvegliandolo dal torpore di cui stava inesorabilmente cadendo
vittima.
Come se non fosse abbastanza il sentirsi tanto un asino che
gira a vuoto in un tondino, il suo superiore lo aveva nominato
Ispettore, ma per mantenere quella carica doveva trovare il modo di
concludere quell'ultimo caso – complice l'importanza di cui i
Rakane godevano. Praticamente lo stava ricattando perché a
sua volta aveva ricevuto pressioni da persone esterne e con una certa
potenza economica. Non importava se il figlio fosse davvero l'assassino
dei genitori, l'importante era chiudere il caso e fare contenti non
sapeva bene chi.
Reiji sorseggiò la bevanda calda per
soffocare gli insulti che altrimenti non sarebbe riuscito a mantenere
silenti.
«Arrabbiato, Detective?»
Hamato
occhieggiò al suo fianco, accorgendosi di Miyamoto che stava
inserendo a sua volta delle monetine nella macchinetta. L'agente lo
osservò con un ghigno e sbuffò, alzando gli occhi
al cielo, sicuro che il collega avrebbe intuito i suoi pensieri.
Miyamoto aveva dieci anni meno di lui e gli era stato affiancato come
novellino fin da quando era entrato in centrale, un ragazzino poco
più che ventenne senza esperienza e che vomitava appena
vedeva un cadavere, un po' esuberante e, se si impegnava, dal grande
potenziale. Con il passare del tempo avevano finito per fare coppia
fissa durante le indagini, anche se Reiji aveva sempre conservato in
certi momenti della giornata la particolarità di voler
riflettere da solo senza nessuno intorno.
Molti ex partners si erano
arrabbiati, invece il ragazzo sembrava fin da subito aver accolto quel
suo lato solitario senza offendersi, approfittandone per perdersi a
fare a sua volte le sue cose e attenendo pazientemente che lo mettesse
al corrente delle conclusioni a cui arrivava.
Reiji gli era grato per
quell'accortezza che nessun altro aveva capito e si era impegnato per
cercare di trasmettergli tutte le proprie conoscienze come
riconoscimento.
«Siamo a un punto morto.»
commentò, dopo vari attimi di silenzio. Quello che aveva
definito come un caso facile si stava rivelando il suo peggior nemico.
Non perché fosse intricato, o pieno di indiziati da non
sapere da che parte girarsi... era proprio la
semplicità di come sembravano andate le cose a lasciare
addosso a Reiji l'inconfondibile sensazione che ci fosse qualcosa di
sbagliato in tutto ciò.
Troppo facile, troppo...
«Beh, tutti dicono che è stato il
figlio. Litigi, eredità, solite storie. Si
domandano come mai tu non abbia ancora chiuso il caso.» disse
Miyamoto, aprendo la bibita che si era comprato e facendo spallucce.
Guardò il suo collega, senza dire altro: altre volte Hamato
non era stato convinto di dove avevano portato le indagini, decidendo
di prolungare le tempistiche, e alla fine il suo sesto senso si era
sempre rivelato giusto. Negli anni aveva imparato a non dubitare del
suo mentore e anche quella volta non sarebbe stato da meno.
Gli si
avvicinò leggermente, in modo da parlare senza essere
sentiti dagli altri. Il più grande non aveva ancora aperto
bocca, perso nei propri pensieri.
«Potresti provare a
contattare quella persona... quell'Hero a cui si affidano molte
centrali di polizia.» gli mormorò,
occhieggiandosi intorno. La stazione al piano sottostante brulicava di
persone, ma gli uffici di quel piano in cui i detective si rifugiavano
per indagare senza che i civili potessero vedere cose da tenere
riservate erano particolarmente silenziosi.
Reiji lo guardò
torvo per una manciata di attimi.
«Non ho mai dovuto chiedere aiuto a
nessuno.» obbiettò in un borbottio sommesso,
sentendosi colpito
nell'orgoglio per quella proposta. Strinse le labbra, buttando via il
bicchierino e tornando a fronteggiare Miyamoto. Lo vide alzare le
spalle, per nulla colpito dall'offesa malcelata nello sguardo con cui
lo stava guardando.
Aveva quasi sempre risolto tutto da solo... per quello era considerato
uno dei più bravi della centrale e gli avevano promesso la
promozione di grado.
«Era una proposta. Potrebbe interrogare il
sospettato e
aiutarti a toglierti il dubbio che sia innocente.»
ipotizzò, prendendo ancora delle monete e decidendo di
mangiare delle patatine. Erano quasi le cinque di pomeriggio e iniziava
ad avere fame.
Reiji ragionò su quella proposta,
accorgendosi di come il partner avesse imparato a conoscerlo durante
gli anni passati insieme. Ormai capiva subito quando c'era qualcosa che
non lo convinceva. Dichiarare una persona colpevole era una decisione
che non andava presa alla leggera: cambiava la vita e se si fosse
sbagliato non si sarebbe mai perdonato di aver rovinato il futuro di
qualcuno affibbiandogli per errore la parola assassino.
Conosceva
troppi casi simili, di persone con la vita ormai distrutta per colpa
dell'incompetenza di alcuni Detective a cui importava solo
dell'opinione pubblica.
Non voleva essere tra loro. Non se lo sarebbe
mai perdonato.
Sospirò, passandosi una mano tra i capelli e
occhieggiando il proprio riflesso in una delle vetrate della centrale:
aveva il volto tirato e lo sguardo stanco, e bruciava dalla voglia di
poter chiudere il caso per non doverci più pensare.
Ricevere una mano
da qualcuno, forse, non era poi una cattiva idea.
«Va bene, non hai tutti i torti.»
Tornò ad
osservare Miyamoto, trovandolo con la bocca piena di patatine e
l'espressione imbarazzata di chi viene colto in flagrante.
Sospirò divertito, nascondendo un risata dietro un colpo di
tosse.
«Appena finisci di provare a strozzarti fammi avere il
numero per contattarlo.»
***
Ottobre.
Quel
giorno
pioveva.
Il cielo coperto di nuvole era particolarmente
scuro e grigio, quel mattino, e le previsioni dicevano che
avrebbe continuato a far cadere acqua per tutta la giornata.
Arricciò il naso, rabbrividendo per la folata gelida che la
investì non appena mise piede fuori casa, stringendosi
maggiormente nella giaccia e tirando la cerniera fin sopra il mento.
Forse era arrivato il momento dì metterne una più
pesante, fu il suo ragionamento, sentendo l'umidità tipica
dell'autunno appiccicarle addosso i vestiti. Odiò
all'istante la sensazione di goffaggine che sicuramente le avrebbero
dato i maglioni per l’inverno sotto al cappotto.
Occhieggiandosi intorno, fece dardeggiare lo sguardo sul vialetto che
conduceva alla sua palazzina, percependo dietro di lei il portone del
condominio chiudersi per inerzia con un cigolio sinistro. Gli
lanciò uno sguardo storto. Con tutto quello che pagava per
le spese avrebbero anche potuto sistemarlo. Di sicuro far venire
qualcuno a mettere un po' di olio non sarebbe costato un grande sforzo
– diamine, pure lei sapeva fare quei piccoli lavoretti.
Sospirò, decidendo di lasciar perdere per non farsi venire
il nervoso, e con la mente corse a ripercorrere i minuti precedenti la
sua uscita di casa.
Aveva chiuso le finestre? Tutte, tranne quella del
bagno che lasciava aperta per non fare formare la muffa e la camera che
altrimenti avrebbe odorato di chiuso fino al suo ritorno. Chiuso la
porta? Ovviamente, a tripla mandata. Inserito l’allarme?
Dubitò solo un attimo di aver compiuto
quell’ultimo gesto, avendo poi un lampo di memoria di lei
vicino allo schermo sul muro con in mano un bicchiere di succo.
Aprì l’ombrello, cercando di cullarsi tramite il
rumore della pioggia che picchiettava ritmicamente
sull’asfalto mentre si immetteva nella strada principale
lasciandosi alle spalle il vialetto deserto.
Inspirò
l’aria malinconica che sentiva attorno.
Le piaceva, la
pioggia. La rilassava. Eppure, in quel momento, non poté
fare a meno di trovarla solo un po’ inquietante, anche se fu
un pensiero fin troppo breve per dargli realmente ascolto. Non avrebbe
mai potuto trovare quel paesaggio plumbeo e triste realmente brutto.
Erano giorni – giorni,
o settimane? Non ricordava quando
fosse iniziato tutto quello, esattamente – che una strana
inquietudine aveva iniziato ad accompagnarla. Prima in modo vago,
questione di attimi – poi sempre più
frequentemente.
Aveva riconosciuto quella sensazione non appena le si
era presentata sottopelle, arrampicandosi come un predatore per la sua
mente e dandole brividi gelidi lungo la schiena. I silenzi in cui tanto
amava crogiolarsi si erano fatti più pesanti, opprimenti.
Stare a casa da sola era ormai una maratona per il suo cuore che fin
troppo spesso aveva sentito sobbalzare ad ogni rumore diverso dal
solito.
Anche se si dava della stupida, e rideva di quelle sensazioni
incontrollate che aveva, non aveva potuto fare a meno di dare ascolto
alle reazioni a cui il suo corpo si abbandonava in quei momenti,
facendole mancare il respiro ed accendendole in testa tutte le
lampadine di attenzione.
Paura.
L'aveva riconosciuta subito, quella
nuova emozione con cui aveva iniziato a convivere. Se avesse potuto
in quei momenti si sarebbe rinchiusa nel negozio in cui lavorava.
Almeno vedeva qualcuno. Il suo capo, qualche cliente. Si teneva
occupata studiando i grandi libri racchiusi in magazzino, faceva
ricerche sugli articoli nuovi che arrivavano, puliva, cambiava le
vetrine, metteva a posto i documenti. Non era mai completamente sola e
aveva sempre qualcosa da fare per tenere occupata la mente.
Si morse un
labbro, stringendo il manico dell’ombrello mentre continuava
a camminare.
Eden e Sayla la aspettavano a casa ogni giorno,
però, andandole incontro quando gli apriva la porta della
stanza in cui li lasciava liberi e correndole dietro mentre si recava
in cucina, ansiosi di ricevere la loro reazione di verdure e coccole.
Quello tanto bastava per darle la motivazione di rincasare. Quello, e
la punta di orgoglio personale che l'aveva accompagnata durante tutta
la vita.
Non avrebbe abbandonato tutto per della stupida paura a cui
non sapeva dare un freno quando le iniziava a salire addosso.
Studiò la strada che stava percorrendo, analizzando con
rapide occhiate le persone che incontrava –
incrociò qualche viso familiare dato dall'abitudine, anche
se in realtà non aveva idea di chi diavolo fossero.
Da
quando era diventata così ansiosa? Non si adattava ad una
come lei. I suoi ex compagni l’avrebbero presa in giro,
dandole della matta. Un Hero non può avere paura della sua
ombra, un Hero non si arrende, un Hero trova sempre la soluzione
adatta.
S’immaginò un ghigno beffardo, due occhi
cremisi fulminarla prima di scoppiare a ridere di scherno. E un sorriso
più confortevole, le guance rotonde spruzzate di lentiggini
e gli occhi pieni di speranza come il verde di cui erano colorati.
Forse fu un bene, quell’immagine che le si
squarciò in testa, perché sentì
qualcosa vibrare d’indignazione in fondo al cuore ed
affilò lo sguardo, stringendo le labbra. Si trattenne dal
ridere giusto per non sembrare una pazza, mentre il cervello lavorava,
frenetico, immaginando scenari che credeva di essere riuscita a
sotterrare.
Le mancò un battito, sentì il cuore
chiuso nella morsa di un dolore che conosceva fin troppo bene. Il
dolore della mancanza, la sensazione opprimente del fallimento,
l’ansia di portare un peso troppo grande da sopportare.
Scosse la testa prima di perdersi in altri pensieri.
Non era il momento
adatto.
Si occhieggiò intorno, sospettosa, girando
l’angolo con un unico movimento fluido e finendo in una via
piena di negozi. Alcuni addobbi erano già appesi per strada
in vista del Natale e li trovò tremendamente fuori luogo.
Era solo metà ottobre...
Non si voltò, nonostante
morisse dalla voglia di farlo, cercando di distrarsi mentre percorreva
il viale concentrandosi su ciò che la circondava. Le
saracinesche erano già quasi tutte alzate e se non fosse
stato per l'odore di asfalto bagnato che impregnava l'aria era sicura
che avrebbe sentito quello del pane appena sfornato e delle brioches
ancora tiepide come ogni mattina.
Forse avrebbe dovuto fare una
colazione più abbondante, fu il suo rimprovero, eppure da
giorni aveva lo stomaco chiuso per la tensione e stare da sola
sicuramente non stimolava l’appetito.
Si morse l'interno di
una guancia, affilando lo sguardo, sospettosa. Le nocche con cui
stringeva l'ombrello sbiancarono e il tumulto che scosse il suo animo
cambiò repentinamente i suoi pensieri.
Se c’era
qualcuno che la stava seguendo, come pensava, che si facesse avanti.
Non avrebbe avuto paura, aveva affrontato di peggio – molto
peggio. Avrebbe soppresso la sensazione angosciante che sapere di
essere spiata le lasciava addosso. La stressava da giorni,
perché quando provava ad individuare la fonte di quel
malessere non riusciva a capire chi o dove fosse nonostante gli
allenamenti e le esperienze degli anni precedenti. Probabilmente
utilizzava qualche Quirk per non farsi individuare, non poteva credere
di essere peggiorata così tanto nella sua
capacità di osservazione e analisi.
Tirò fuori le chiavi del negozio,
aprì la porta, accese la luce e si preparò per
iniziare a lavorare. L’odore di antico la pervase.
Prese un pezzo di carta dal cassetto dietro il bancone
ed occhieggiò la porta d’ingresso. Mashiro, il suo
capo, quel giorno l’avrebbe raggiunta più tardi.
«Ho trovato un
cimelio che, vedrai… devo solo fare
un’offerta convincente domani mattina!»
Sorrise suo
malgrado, ricordando gli occhi emozionati dell’uomo che le
aveva permesso di ricominciare una vita senza essere costretta a
cambiare completamente paese. Erano neri e piccoli, ma bruciavano come
carboni ogni volta che parlava del proprio lavoro.
Andava bene, aveva
bisogno di un po’ di tempo.
Aveva avuto un’idea
impulsiva mentre rimuginava giorni prima, ma l’aveva scartata
subito mentre ancora rifletteva su ciò che aveva appena
scoperto. I suoi occhi avevano percorso l'intera sala con la stessa
ansia con cui le si era bloccato il respiro in gola.
Non voleva mettere
nessuno in pericolo. Eppure… eppure era l’unica
cosa che le era venuta in mente di poter fare, specialmente se
– come sembrava fosse – qualcuno era riuscito a
risalire alla posizione di quell'oggetto. E se lei non aveva
più nulla da perdere, se era disposta a non aprire
minimamente la bocca, una parte ben più radicata le
ricordò che tutto il resto del paese andava protetto e non
poteva essere totalmente sicura che prima o poi non riuscissero a
trovarlo.
Era questione di poco tempo prima che si smuovesse qualcosa,
l'istinto glielo urlava disperato e lei avrebbe voluto davvero dargli
ascolto e mollare tutto. Scappare e non tornare. Ma non poteva, non
avrebbe voltato le spalle. Non l'avrebbe mai fatto – una
vocina dentro la sua testa protestò, ricordandole che si,
era già fuggita da qualcosa pur di non affrontarla
– ma evitò di darle retta per non distrarsi.
In
realtà, non aveva avuto modo di riflettere abbastanza sulle
opzioni che aveva, a parte quell'unica idea che aveva subito rifiutato
ma che le continuava a girare in testa, suonando sempre più
convincente.
Non voleva metterli in pericolo, non voleva che qualcuno
venisse nuovamente coinvolto per causa sua, non se lo sarebbe mai
perdonato… ma se non loro, i simboli della giustizia che
proteggevano le persone, chi? Chi avrebbe capito le motivazioni dietro
il suo silenzio, del perché non ne aveva ancora parlato con
nessuno per non rischiare di coinvolgerlo, di dove aveva nascosto
quella scoperta per non farla cadere in mani sbagliate?
Nonostante tutto quello che era successo, nonostante dopo quel giorno
avesse
abbandonato tutto e si sentisse sempre un po' in colpa per come si era
eclissata da quel mondo. Nonostante sapesse un sacco di cose che in
quel momento si accavallavano dentro di lei, spaccandole
l’anima a metà, dandole la nausea, in una guerra
di sentimenti troppo diversi tra loro e contro cui aveva già
perso.
La pioggia iniziò a scendere in modo più
frenetico accompagnandole i pensieri e il battito un po’
agitato del suo cuore, mentre con mano tremante iniziava a scrivere nel
nome di un passato mai sepolto davvero, una visione assopita della
persona che era stata, un ricordo fragile come le foglie che si
seccavano sugli alberi.
«Scusatemi, scusatemi...»
Non avrebbe saputo di chi altro fidarsi.
***
Quando
ebbe
modo di varcare nuovamente la porta e respirare
l’aria umida della sera erano ormai quasi le sette. Aveva
perso tempo a cercare informazioni sull'ultimo acquisto che il suo capo
aveva portato nell'ordinato negozio di oggettistica nel primo
pomeriggio ed aveva completamente perso la cognizione del tempo.
«Guarda
cosa abbiamo qui!»
La porta si
spalancò di botto, come la stessa voce che ruppe la quiete
che regnava nel negozio. Mashiro fece il suo ingresso,
avvicinandosi al bancone a grandi falcate. Il cappotto dell'uomo era
fradicio di pioggia – sbadato com'era, aveva sicuramente
dimenticato di prendere l'ombrello per la fretta – ed i
capelli inumiditi iniziavano ad arricciarsi sulle punte.
Lei
sospirò, non senza riservargli uno sguardo storto per lo
spavento che le aveva fatto prendere, osservando poi l'orologio al
centro dello scatolino che le poggiò davanti.
«Quanto ti è costato?»
Mashiro
sussultò a quella domanda un po' impertinente, grattandosi
una guancia e senza avere il coraggio di guardarla, per nulla offeso
dal tono lievemente pungente intriso in quelle parole. Tra loro si era
creato un bel rapporto, forse per la differenza di età per
cui avrebbero potuto essere quasi padre e figlia. Lei lo aiutava con il
negozio e stava dietro alle sue distrazioni, e lui non sembrava
minimamente turbato dai rimproveri che ogni tanto si permetteva di
fargli a causa della sua esuberanza.
Aveva sempre sperato di incontrare
un dipendente di cui fidarsi e con cui costruire un bel rapporto, ma
negli anni precedenti non gli era mai andata di lusso come in quegli
ultimi mesi e i pochi con cui si era trovato bene per un motivo o per
l'altro si erano licenziati.
«Un po'... di più di quello che
pensavo.» fu la risposta sussurrata che le diede, togliendosi
il cappello. Si passò una mano nei capelli, ormai quasi
bianchi, e dall'espressione che gli adombrò il viso
intuì che probabilmente stava rimuginando sulla trattativa.
Alzò gli occhi al cielo, più sconsolata che
altro, ridacchiando. Certe volte faticava a capire come portasse avanti
quel negozio potendo pure permettersi di pagarla – e nemmeno
poco.
L'appartamento in cui viveva era in una zona residenziale dagli
affitti decisamente sopra la media, dove tutto veniva tenuto in ordine
e non c'era quasi mai nulla fuori posto, in una posizione vicina ad
ogni tipo di comodità senza subire però i rumori
molesti del centro. L’aveva comprato quando ancora lavorava
in agenzia e si era già preparata all’idea di
trasferirsi, ma Mashiro le aveva fatto un’offerta maggiore di
ciò che si sarebbe aspettata.
«Le informazioni
erano veritiere, è davvero un pezzo unico nel suo genere.
Qualche collezionista s'interesserà sicuramente,
specialmente se troviamo altre informazioni a riguardo.» non
poté fare a meno di notare che il suo sguardo si era fatto
serio, mentre richiudeva con cura la scatola e gliela passava insieme a
dei documenti riposti in una busta di plastica.
Mashiro aveva un buon
intuito per gli affari e da quando lavorava con lui non si era mai
sbagliato, arrivando a rivendere certi pezzi anche per il triplo di
quanto li aveva comprati. Il suo Quirk sicuramente era fondamentale,
dal momento che bastava toccasse
un oggetto per capirne le origini e aveva richiesto la copia della
certificazione della sua Unicità ai medici, in modo da
poterla mostrare ai
clienti più sospettosi come prova della sua
abilità. In più, lui diceva che bastava far leva
sulla curiosità delle persone e grazie alle sue conoscenze
certe volte entrava in possesso di oggetti davvero particolari con cui
tirava su delle belle somme.
Gli sorrise, accettando i fogli che le
stava porgendo.
«Allora sarà meglio che mi metta
al lavoro.»
«A
domani, Capo. Buona serata!»
Durante il giorno
aveva smesso e ricominciato di piovere svariate volte, eppure il cielo
era rimasto plumbeo senza dare l'occasione ai raggi del sole di fare
capolino. Era stata una giornata particolarmente fiacca, in negozio non
c'erano stati nemmeno molti clienti – dopotutto, con quel
tempo, chi si muoveva? Non poteva certo dal loro torto –
quindi si era limitata a navigare su internet e riporre il nuovo
acquisto con cura nel magazzino in attesa di reperire maggiori notizie
prima di esporlo.
I documenti già attestavano la sua
provenienza e antichità, ma a Mashiro piaceva accompagnare
ogni articolo che vendeva con delle chicche per renderlo più
appetibile agli occhi dei clienti e bisognava essere certi delle fonti
da cui si reperivano. E a lei non dispiaceva doversi smazzare la cosa.
Aveva imparato un sacco di curiosità in quei mesi.
«A domani, Yuhiko cara!» fu il saluto che la
raggiunse mentre si chiudeva la porta alle spalle. Sospirò,
incamminandosi per fare ritorno a casa con passo flemmatico,
stringendosi la borsa sul fianco e portando l'ombrello chiuso in una
mano. Come lei anche altri negozianti iniziavano ad abbassare le
saracinesche per chiudere e rincasare e alcuni stavano pulendo le
vetrine.
Era solo martedì, ma Eira già sentiva la
pesantezza della giornata addosso come se lavorasse da tutta la
settimana. Gli occhi le bruciavano per tutte le ore passate davanti al
pc e sfogliando i libri in magazzino.
Salutò con un cenno
del capo, infossandosi nelle spalle, percependo la brezza autunnale
infilarsi sotto i vestiti e congelarle la punta del naso. Si, avrebbe
decisamente dovuto cambiare giaccia l'indomani.
A differenza della
solita strada che faceva nel percorso casa - lavoro e viceversa, quella
sera decise di prendere una traversa secondaria che, sapeva, l'avrebbe
portata maggiormente verso il centro città.
Attraversò la via quasi deserta, osservando i lampioni
già accesi che costeggiavano i lati della strada disegnare
svariate ombre sui muretti delle case, e
tagliò dentro un piccolo parco accorgendosi distrattamente
del poco tempo che aveva impiegato per raggiungere quel luogo.
Circondata solo dal silenzio e dai rimasugli di acqua che cadevano
dalle foglie degli alberi si permise di alzare lo sguardo al cielo:
studiò la distesa grigiastra che spuntava tra le chiome,
diventata ormai quasi completamente scura.
Non ci sarebbero state
stelle, quella notte.
Leccandosi un labbro screpolato trovò
quel colore particolarmente in sintonia con il proprio umore.
Si
occhieggiò intorno, camminando piano per il viale deserto,
inspirando l'odore di erba e terriccio bagnati che si alzava da terra
ed osservando ammaliata i colori accesi che stavano prendendo le foglie
in modo sempre più prepotente.
Si sentì subito
più rilassata.
Le era sempre piaciuta la pioggia, l'autunno,
i paesaggi solitari e malinconici: le portavano una strana sensazione
di nostalgia che aveva sempre trovato particolarmente confortevole.
Arrivata dall'altra parte del parco si ritrovò lungo una
delle vie principali: il traffico impazzito la investì come
un treno, strappandola bruscamente dalle proprie riflessioni e
facendole venire una fitta acuta alla testa.
Yuhiko ci mise qualche
secondo per riprendersi, sbattendo le palpebre confusa per tutto quel
casino e osservando gruppi di persone ammassarsi alle fermate dei mezzi
sparse lungo i marciapiedi o infilarsi nei sottopassi per raggiungere
la metro. La pioggia sembrava rendere le persone ancora più
agitate, i pendolari si ammassavano per poter tornare a casa il prima
possibile e le auto formavano una lunga fila serpeggiante di colori.
Qualcuno le diede una spallata, qualcun altro la guardò con
gli occhi sgranati – emozionati? O perplessi?
Arricciò il naso, tirando le labbra poco convinta e
voltandosi. Si strinse la borsa al fianco, in un gesto inconscio di non
perderla, inspirando profondamente per mantenere la calma e cercando di
sgusciare via prima che qualcuno la fermasse.
Non aveva tempo da
perdere.
***
Il
cielo era
limpido, azzurro e con qualche sprazzo di nuvole. L'acqua
del lago sembrava una superficie di vetro, immobile e cristallina,
delle leggere onde lambivano la spiaggia con lentezza. E ciò
che stavano registrando i suoi occhi era… era la cosa
più bella che avesse mai visto.
Yuhiko ricordava di aver
seguito i genitori un po' imbronciata – avrebbe preferito
restare a giocare nel parco con gli altri bambini. Ricordava di essersi
lamentata, quasi fino alle lacrime, strappando per esasperazione la
promessa che le avrebbero comprato un gelato e assicurandole che il
posto in cui stavano andando sarebbe stato davvero bellissimo. Era
stata diffidente per tutto il tragitto, con la bocca un po' tirata
chiusa in un silenzio ermetico, gli occhi grigi che contemplavano fuori
dal finestrino annoiati, inconsapevole che ciò a cui stava
andando incontro quel giorno avrebbe avuto un grandissimo impatto sulla
sua vita futura.
Eppure mamma aveva avuto ragione, era davvero la cosa
più bella che si fosse trovata davanti.
Yu aprì
gli occhi, sbattendo le palpebre, come se fosse stata bruscamente
strappata da quell'immagine calda e familiare.
Non capiva. Il posto era
lo stesso, eppure… eppure c'era qualcosa che non andava. Non
avrebbe saputo dirlo con certezza, era più una sensazione,
ma era sicura di non sbagliarsi.
L'inconfondibile
sensazione di
qualcosa che non va bene.
Perché un attimo prima era immersa
in un ricordo, racchiusa nel suo corpo emozionato di bambina, e invece
con un battito di ciglia si era ritrovata ad essere nuovamente se
stessa. Non ricordava niente, aveva sognato?
Si osservò
intorno, sentendosi intontita, faticando a tenere gli occhi aperti per
la luce che le arrivava dritta in faccia. Vedeva solo rosa, riconobbe
qualche petalo che volteggiava in aria, dei movimenti sopra di lei che
dal rumore che facevano la sua mente associò ai rami smossi
dal vento. Delle forme sfuocate, dei brusii in sottofondo, sagome che
le passavano da parte.
La sorpresa che aveva sentito invaderla aveva
lasciato posto al sospetto. Il suo primo pensiero fu che in qualche
modo l'avessero drogata. Perché vedeva tutto sfigurato?
Provò a parlare, ma dalla gola non uscì alcun
suono. Una sensazione di panico la attraversò da capo a
piedi come una scossa.
Dov'era? Cos'era successo?
«Che
fai?»
Eira avrebbe voluto rispondere d’istinto, ma
non fu la sua voce quella che parlò vibrandole nelle
orecchie, facendole riaprire il cassetto dei ricordi.
Si
guardò spasmodicamente intorno, sgranando gli occhi,
cercando una scena che era sicura avrebbe riconosciuto per sempre
– per sempre era un tempo davvero lungo, le avrebbe fatto
notare qualcuno, ma a lei non era mai importato. Tuttavia,
riuscì giusto a muovere un po' il capo, perché le
gambe sembravano come congelate sul posto, pesantissime da muovere
come in quei sogni in cui devi correre ma non riesci a sposarti.
Sentì una sensazione sinistra iniziare a metterle ansia ed
abbassò lo sguardo verso terra, percependo il fiato
spezzarsi per lo sforzo.
Che cazzo stava succedendo?
Mentre era
impegnata a cercare di capire cosa non andasse dandosi dei pizzicotti
per testare le reazioni del proprio corpo, tre figure le passarono
davanti correndo, seguite da altre due. Eira si morse un labbro
reprimendo un nodo in gola, osservandole con spasmodica attenzione
confondersi in mezzo alle altre sagome fuori fuoco che la circondavano.
Le risate che si erano lasciate dietro le rimbombavano nelle orecchie
ininterrottamente.
Affilò lo sguardo, cercando di compiere
nuovamente qualche passo, sentendosi infastidita. Una folata gelida la
costrinse a coprirsi il viso. Quando ripuntò gli occhi
davanti a sé, la sensazione sinistra aumentò,
facendole venire un nodo allo stomaco quando si soffermarono su
tre… no, quattro persone.
Sgranò gli occhi,
spaventata da ciò che stava registrando la sua mente.
Era un
incubo. Doveva esserlo per forza.
Si portò le mani alla
bocca, reprimendo un urlo tra le dita, continuando a fissare con occhi
sbarrati la scena che le si parava davanti, le figure che prendevano
una forma sempre più definita. Represse un conato di vomito
per la forza con cui lo stomaco le si annodò su se stesso.
La sensazione di pesantezza alle gambe si era trasformata in dolore e
se le guardò distrattamente, angosciata.
Graffi, lividi,
tagli.
Inorridì, urlò con tutto il fiato che
riuscì a raccogliere e cercò di pulirlo via, ma
più lo faceva e più sembrava peggiorare, ogni
tocco era una tortura e lei stava sfregando la pelle martoriata con
tutta la forza che riusciva a metterci, ma era come se non cambiasse
nulla. Il dolore era diventato lancinante.
Iniziò a
piangere, accovacciandosi a terra, sentendosi sopraffatta da
ciò che le stava succedendo intorno, dalle emozioni che
sentiva scuoterle l'anima.
Il rosso era ovunque.
Quel maledetto colore della morte era dappertutto. Sulle mani, sulle
scarpe, in terra, sui vestiti di quelle figure che continuavano ad
osservarla con sguardo compassionevole e il viso tirato in una smorfia.
Yuhiko era troppo impegnata a provare disperatamente a non annegare in
ciò che stava vivendo per cercare di capire cosa potessero
pensare, ma le era bastata un'occhiata per riconoscerli anche se aveva
la certezza che la sua mente si era trasformata in un ingranaggio
rotto.
«Eira, guardami. E' colpa tua.»
Singhiozzò, tenendo ostinatamente gli occhi chiusi senza il
coraggio di voltarsi, le mani sul viso per proteggersi. Ma la testa,
non poteva fuggire a ciò che le mostrava la sua mente,
implacabile.
No, no. Vai via.
«Eira, per
favore…»
S'incassò nelle spalle,
accovacciandosi a terra sperando di sparirci attraverso.
Percepì il sapore ferroso del sangue salirle alla bocca,
inondarle le narici, i muscoli delle gambe spaccarsi.
Boccheggiò. Tutto era dolore, tutto era sofferenza: dentro
di lei, fuori di lei, attorto a lei.
Vai via.
Sentiva le presenze
avvicinarsi, anche se non le vedeva. Sussurravano qualcosa che non
capì. Pianse, sentendo il cuore frantumarsi. Non ce la
faceva più. Le mancava il respiro. Si sentiva soffocare.
«Guarda cosa mi h__»
«Andate
via!»
Boccheggiò,
sentendo una strana pressione tutt'attorno.
Aprì la bocca per urlare, terrorizzata, ma invece di
riuscire a buttare fuori la voce si ritrovò ad ingoiare
acqua.
Aria, aveva bisogno di
aria.
Mosse le braccia convulsamente,
sbattendole in giro, riemergendo dalla vasca con una spinta secca e
facendo schizzare grosse pozze di schiuma sul pavimento del bagno.
Tossì acqua e saliva, portandosi le mani alla gola e
prendendo grosse boccate d'ossigeno, sentendo gli occhi lucidi. Il
respiro le tagliò la gola irritata, il battito agitato del
cuore le rimbombava nelle orecchie senza pietà.
Tossì ancora per vari minuti, i capelli le si erano
appiccicati alle spalle e sul viso si erano mischiate tracce di lacrime
e sapone che cercò di scacciare con un gesto rabbioso. Se
chiudeva gli occhi le sembrava di poter sentire ancora il sapore
ferroso del sangue, la pressione allo stomaco e ai polmoni.
Sospirò, appoggiandosi al bordo di ceramica e ingoiando il
groppo che sentiva in gola.
Si era addormentata mentre faceva il bagno.
I ricordi di quelle scene erano ancora vividi, più vividi
che mai. Temeva di poter ripiombare nuovamente in quel momento non
appena avesse abbassato la guardia. Quelle sensazioni, le emozioni, il
dolore… era stato tutto così
reale,
così implacabile.
Socchiuse gli occhi, facendo riemergere
una gamba dal pelo dell'acqua. La osservò criticamente, come
se potesse trasformarsi esattamente come aveva sognato nel giro di
pochi secondi, passandoci una mano sopra. Percepì sotto i
polpastrelli tremanti di ansia la pelle morbida interrompersi in alcuni
punti.
Quel dolore era stato
così vero... esattamente come
lo ricordava.
Rimase immobile qualche attimo, riflettendo e
osservandosi intorno con sguardo vacuo, dando modo al suo animo di
calmarsi – se non completamente, almeno un po'. Dalla
televisione accesa in sala provenivano le voci concitate di due
giornalisti e vi si aggrappò con tutta
l’attenzione che riuscì a riservargli per
riprendere contatto con la realtà.
«... anche oggi
i Pro Hero sono riusciti a sgominare una banda di rapinatori, in
particolare si sono fatti notare…»
Yuhiko non
riuscì a cogliere tutta la frase, però sorrise,
appigliandosi mentalmente a quel suono per ancorarsi alla
realtà. Decise di aver perso già troppo tempo.
Sentì le gambe tremare mentre recuperava l'asciugamano ma
cercò di non farci caso, appoggiandosi al mobiletto del
bagno per sostenersi e stando ben attenta a non incrociare mai la sua
figura riflessa nello specchio fino a quando non ebbe sistemato tutto,
cambiando stanza e dirigendosi in cucina.
Sayla ed Eden le iniziarono a
girare tra i piedi, impazienti, muovendo le orecchie lunghe e pelose
per ascoltare ogni rumore.
«Si, si, arrivo...»
mormorò, avvolgendo in uno straccio le verdure che gli aveva
preparato e dirigendosi nella stanza che aveva trasformato nella loro
casa. Non le piaceva l'idea di lasciarli tutto il giorno chiusi in
gabbia e lei aveva fin troppo spazio inutilizzato, quindi aveva optato
per adibirgli una stanza e lasciarli in giro per tutta casa quando era
presente.
Con i soldi messi da parte e lo stipendio attuale era
riuscita a permettersi un appartamento più grande di quanto
le servisse: l'ingresso che dava su una bella sala, la cucina, due
stanze, due bagni, un piccolo studio dove si ritirava a
fare le sue ricerche quando il lavoro diventava troppo pesante
e in cui riponeva i documenti e le bollette, l'ampio terrazzo
con l'ombrellone, un tavolino e delle sdraio su cui si rilassava
durante le serate estive mentre leggeva o ascoltava musica.
I
coniglietti le saltellarono dietro ed Eira sorrise, osservandoli
iniziare a mangiare. Li coccolò' un po' e scattò
qualche foto, dando poi una pulita alla stanza e cambiando la lettiera.
Rimase impegnata a dare una sistemata alla casa, riflettendo sulla
giornata, finché non sentì il trillo del
telefono. Si osservò intorno, spaesata per
quell'interruzione e dirigendosi in cucina, non trovandolo.
Erano quasi
le dieci di sera.
Come se lo avesse chiamato mentre si domandava dove
lo avesse lasciato l'apparecchio squillò ancora con
l'inconfondibile suono della ricezione di un messaggio. Yuhiko si
gettò sul divano, trovandolo sepolto sotto i cuscini.
Sbloccò lo schermo, iniziando a studiare la barra delle
notifiche.
Vari messaggi dalla chat che condivideva ancora con i suoi
ex compagni dello Yuuei, un messaggio di Ochaco che le chiedeva come
stesse e uno di Kirishima. Yu aggrottò la fronte, leggendo
l'anteprima.
"Ehi Yuki, ci sei sabato vero?"
Rimase vari attimi a
fissare lo schermo, perplessa, sentendo una fitta di nostalgia per il
soprannome con cui si era sempre ostinato a chiamarla nonostante le sue
proteste – maledetto il giorno in cui gli aveva rivelato il
significato del suo nome – e che, nonostante tutto, non aveva
mai smesso di usare. Alzò un sopracciglio, non capendo il
significato dietro quelle parole, muovendo le dita sul cellulare per
aprire la chat e, successivamente, il calendario.
Sabato era il 16
Ottobre.
Rilesse nuovamente il messaggio di Eijirou, spremendosi le
meningi –
perché sapeva, sapeva di stare scordando
qualcosa d'importante e non poteva di certo dirglielo
– fino
a quando non le si accese una lampadina in testa. Scorse a ritroso la
chat fino a un paio di settimane prima e le mancò il fiato
per qualche secondo mentre ripercorreva il breve scambio di messaggi
che avevano avuto.
Il compleanno di
Kirishima.
Come aveva potuto
passarle di mente? Non aveva più pensato a cosa potergli
regalare.
«Merda.»
***
“Ricordati
di sabato!”
Katsuki digrignò
i denti, posando malamente il telefono sulla scrivania. Si trattenne
dal farlo esplodere solo perché negli anni aveva acquisito
un po' più – un po' poco, in realtà, ma
per lui erano stati passi da gigante e le persone che gli stavano
intorno avevano apprezzato lo sforzo – autocontrollo. E quel
telefono l'aveva ricomprato solo un mese prima e si sapeva quanto lui
fosse tirchio nonostante il buon stipendio da Hero.
Sentì un
pesante tic all'occhio, maledicendo i giornalisti che gli avevano fatto
solo perdere tempo quel pomeriggio con le loro domande, il freddo che
non gli permetteva di sudare per bene, la pioggia che gli aveva
infradiciato la tenuta da Hero e tutto ciò che gli
passò nella testa in quel momento da suonargli abbastanza
irritante da meritarsi di essere mandato a quel paese.
Si
passò una mano tra i capelli, sentendo i nervi a fior di
pelle per quella giornata che non era ancora finita, occhieggiando
l'ambiente dell'agenzia e fulminando le scartoffie che lo osservavano
dalla sua scrivania come per ammonirlo dall'osare a lasciarle ancora in
quello stato.
Che diamine, lui era un Pro Hero, non una cavolo di
segretaria. Lui combatteva e vinceva contro i criminali, non restava in
ufficio a sbrigare un lavoro da persone normali come compilare le
scartoffie. Non seppe cosa lo trattenne dal farle volare fuori dalla
finestra in un miscuglio di cenere e fiamme. Forse l'orgoglio personale
di dover fare sempre tutto alla perfezione e meglio di chiunque altro
– anche le cose più noiose.
Fanculo.
Le sue
priorità in quel momento erano di andare a casa, mangiare e
dormire. E guardarsi bene dal rispondere a Capelli di Merda. Bakugou
provò la familiare sensazione che tutto ciò su
cui posasse gli occhi riusciva a dargli un motivo per perdere la
pazienza.
«Kacchan, hai già preso un
regalo?»
«Ah?»
Deku sussultò,
sentendosi trapassare dall'occhiata brusca che gli lanciò
l'amico per essersi intromesso nei suoi pensieri. Non erano
più ragazzini, eppure per certi aspetti sembravano non
essere cambiati affatto nel modo in cui si rapportavano tra loro nel
privato o quando non avevano a che fare con qualche Villain.
Il ragazzo
accennò con un gesto del capo al telefono, passandosi una
mano tra i capelli per sfogare la tensione, e
Bakugou capì che probabilmente Red Riot non aveva contattato
solo lui. Non che la cosa lo lasciasse sorpreso, era stato sempre
parecchio socievole ed aperto verso gli altri – a differenza
sua – e nella stupida chat della classe da cui non si
capacitava perché non fosse ancora uscito non
si parlava di
altro da un paio di giorni.
«Le ragazze stavano pensando di
pren__»
«Io non prenderò proprio niente
perché non andrò a nessuna cazzo di festa. Devo
lavorare.» fu il suo commento, acido. Tuttavia, una vocina
gli disse che Eijirou, per la pazienza che aveva sempre avuto nei suoi
riguardi e per il rispetto che c'era tra loro, qualcosa da parte sua se
la meritasse. Maledizione, non era bravo a fare i regali.
Shouto si
alzò dalla scrivania, cambiando stanza, rivelando la propria
presenza senza bisogno che dicesse nulla. Era rimasto ad ascoltarli in
un paziente silenzio, continuando a lavorare indisturbato –
la
voce di Izuku e lo sbraitare di Bakugou erano diventati ormai una sorta
di colonna sonora nelle sue giornate, un sottofondo familiare che gli
dava la strana sensazione di sentirsi un po' come a casa, circondato da
quella tranquilla serenità che per tanti anni gli era
mancata e a cui si era inevitabilmente affezionato.
Deku
giurò di averlo visto sorridere mentre spariva nel suo
ufficio e capì immediatamente di non sbagliarsi, quando si
lasciò dietro una frase detta con quel particolare mormorio
pacato che aveva sempre irritato Katsuki.
«Sabato sei di
riposo, Bakugou, e domenica inizi la ronda al pomeriggio. Mi sono
già coordinato con gli altri Pro per tutto il
mese.»
Ci fu uno scoppio che fece sussultare Izuku e per
l'ufficio si sparse immediatamente odore di carta bruciata.
«Vaffanculo, Todoroki.»
Holaaa!
Questo è stato il primissimo capitolo che ho scritto, forse
si intuisce che non avevo ancora molta dimestichezza con i personaggi e
c'è un'atmosfera un po' strana che gli gira intorno... ho
cercato di correggere più che ho potuto. Cosa
sarà mai successo a Yuhiko per non lavorare come Hero?
Continuate a seguirmi e lo scoprirete. :D
Non credo di avere molto da dire, spero solo di aggiornare presto! :)
Ringrazio chi si è fermato a leggere fino a qui. <3
Love, D.
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Capitolo 8 *** Settimo Petalo. ***
Cherry
Blossom Tree
Settimo
Petalo.
“Ciao
Eira,
tutto bene? Ci sei uno di questi giorni?”
S'infilò
un paio di pantaloni e un maglioncino leggero, mise delle scarpe
comode e raggiunse la stanza di Eden e Sayla. Tirò su la
tapparella in modo che avessero abbastanza luce e, dopo essersi
appurata che non gli mancasse niente ed avergli fatto qualche carezza,
si chiuse la porta alle spalle. Uscì di casa giusto qualche
minuto dopo aver finito di sistemare gli ultimi dettagli ed aver
inserito l'allarme - ormai era diventata un'abitudine.
Occhieggiò l'orologio mentre percorreva il vialetto di casa,
chiudendo gli occhi per qualche attimo quando la luce riflessa sullo
schermo la colpì in pieno viso, infastidendola. Segnava le
14.46 di giovedì pomeriggio.
Merda. Forse avrebbe dovuto
avvisare che tardava.
Aveva appuntamento al centro commerciale alle
tre, ma era consapevole che ci avrebbe messo una ventina di minuti a
percorrere la strada dal momento che non disponeva di un'auto e non le
piaceva prendere i mezzi – e in ogni caso, non aveva tempo
per aspettare. Affrettò il passo, occhieggiando la strada
quel tanto che bastava per non andare addosso a nessuno mentre digitava
qualcosa sul cellulare.
A differenza di come fosse iniziata la
settimana, con pioggia e aria fredda, quel giorno sembrava che le
stagioni si fossero riavvolte, riportando un tempo settembrino. Il sole
riscaldava quel tanto che bastava per non avere freddo e c'era chi
addirittura era in giro in felpa, accaldato per quell'improvviso cambio
di tempo e portando sottobraccio le pesanti giacche invernali. Le
fresche ventate di aria s'insinuavano tra le chiome degli alberi
facendo cadere qualche foglia già secca.
Yuhiko si
beò della sensazione del sole sulla pelle, sentendo le
membra sciogliersi sotto quel tocco delicato. Le dava la stessa
sensazione di torpore di quando si svegliava nel letto in pieno
inverno, raggomitolandosi sotto il piumone caldo mentre fuori pioveva o
l'aria era particolarmente gelida e non aveva voglia di alzarsi.
Il
suo
cellulare vibrò.
“Tranquilla! Anche
Mina
è in ritardo.”
***
Yuhiko
si
stava ancora mordendo la lingua per la sua sbadataggine, mentre apriva
la chat per leggere il messaggio di Ochaco. Ci mise poco a decidere
cosa rispondere, accovacciandosi sul divano e tirandosi addosso una
coperta. Fece mente locale ricordando i turni di lavoro mentre i due
coniglietti le saltarono accanto, accoccolandosi sui cuscini.
“Tutto bene, grazie! Tu? Sarei libera giovedì
pomeriggio e sabato mattina.”
Mentre aspettava la risposta di
Uravity aprì la chat di quella che era stata la sua classe
alla Yuuei.
Scorse velocemente la conversazione e si morse un labbro,
pensierosa, muovendo distrattamente una mano in direzione delle
orecchie nere di Eden per accarezzarle. Solitamente parlavano delle
ultime missioni e notizie del mondo degli Heroes – per quanto
potessero dire con il segreto professionale, per lo meno – o
la usavano per mettersi d'accordo per ritrovarsi tutti insieme, anche
se spesso qualcuno mancava a causa del lavoro.
A lei dispiaceva,
perché non aveva più l'occasione di incrociarli
sul campo, e leggere i loro messaggi era un modo per sentirsi ancora
parte del gruppo. Il discorso che aveva catturato l'attenzione quel
giorno piovoso, però, era il compleanno di Kirishima, che si
era premurato di mandare un messaggio ricordando a tutti della sua
festa. Li aveva invitati – di nuovo, perché
già ne aveva parlato – nel suo appartamento per
una serata senza troppe pretese, un compromesso pensato in modo che chi
finiva tardi o iniziava presto a lavorare sarebbe riuscito lo stesso a
passare per un saluto.
Yuhiko immaginò la conoscesse
abbastanza bene per averle scritto anche in privato, sapendo che spesso
perdeva la cognizione del tempo. Si premurò di rispondere
anche a Red Riot prima che la iniziasse ad inondare di chiamate.
“Come potrei mancare?”
Poi si ricordò di
un dettaglio e tornò alla chat di gruppo.
“Koji,
riusciresti a procurarmi del fieno?”
Impensierita,
gettò uno sguardo allo sgabuzzino dove teneva le scorte per
Eden e Sayla. Non che l'avesse finito, ma Koda era dalle superiori che
teneva animali e le aveva dato i consigli necessari quando le aveva
affidato i due coniglietti, procurandole il necessario.
Il telefono le vibrò
in mano e quasi le mancò la presa per quel trillo
improvviso. Si diede della stupida, percependo il cuore stringersi in
una morsa per lo spavento. Lanciò uno sguardo alla
televisione e poi alla finestra, accorgendosi che quella sera, mentre
tornava a casa, non aveva avuto la sensazione di essere seguita. Si
sentì sollevata, ma non seppe se fosse un segnale positivo o
meno. Forse era stato perché si era ritrovava in mezzo a
tante persone e non ci aveva fatto caso.
“Giovedì
andrebbe bene, sono libere anche Momo, Jirou e Mina. Volevamo prendere
qualcosa per Kirishima, anche da parte dei ragazzi. Ti va di
venire?”
La ragazza soppesò quella proposta per
qualche attimo, ripercorrendo con la mente lo scambio di messaggi.
Presa da una vaga forma di sincerità verso se stessa si rese
conto che effettivamente, oltre ad avere voglia di vedere le sue
amiche, si sarebbe cavata dall'impiccio di non sapere cosa regalare a
Eijirou e rischiare di uscirne matta per il poco tempo a disposizione.
“Volentieri.”
***
«Eccola...»
«Finalmente... siamo qui!»
«Mina! Si
può sapere dove ti eri cacciata?»
La ragazza si
fece largo tra i gruppetti di persone, arrivando davanti alle ragazze
che
la stavano aspettando in due ultime, disperate, falcate. Mentre Momo e
Ochaco abbassavano le braccia con cui si erano fatte notare da Ashido
quando l'avevano vista guardarsi intorno senza riuscire ad
individuarle, quest'ultima approfittò di quei secondi di
stasi per prendere delle grosse boccate d'aria.
«Sc...
scusate,
scusate davvero!» boccheggiò, alquanto drammatica,
guadagnandosi due paia di sopracciglia alzate e delle espressioni
rassegnate.
«Ho avuto un imprevisto.» congiunse le
mani, abbassando il capo per dare più enfasi alle sue
parole. Il respiro era ancora affannoso, aveva cercato di metterci meno
tempo possibile per non tardare troppo ma cercando di conservare del
contegno. Dopotutto era un personaggio pubblico, e la sola idea di
farsi beccare da qualche paparazzo con il trucco sfatto ed i capelli
arruffati fuori dal contesto lavorativo la faceva rabbrividire.
«Scommetto che non sapevi cosa metterti.» la
punzecchiò tempestivamente Yuhiko, con un ghigno, mentre
Jirou roteava gli occhi. Mina gonfiò le guance,
indispettita.
«No! Cioè si… anche. Ma
ho fatto tardi con la ronda!» si giustificò,
andandole incontro per abbracciarla e per nulla turbata degli sguardi
di esasperazione che le riservarono Yaoyorozu e Ochaco. La mora si
lasciò cingere dalle braccia rosate che se la tirarono
addosso con entusiasmo, ridacchiando confortata dall'esuberanza che
caratterizzava Ashido da quando la conosceva. Ci aveva messo un po' a
capirla: Mina era troppo entusiasta e sbarazzina, rispetto a lei dal
carattere decisamente più chiuso e con altri pensieri, ma
dopo mesi di accademia insieme erano riuscite a trovare un equilibrio
nelle loro interazioni.
A Yu piaceva il suo lavoro al negozio, ma
durante quei momenti, quando si ritrovava con quelle che erano
diventate negli anni alcune delle persone più importanti
della sua vita, sentiva quanto le mancassero. Le esperienze passate
insieme erano ancora vivide nella sua testa, ricordi di momenti che
sfarfallando tranquilli si materializzavano davanti agli occhi come se
non fosse passato un singolo giorno dai tempi insieme in Accademia.
Eira ricordava quanto fosse stato difficile dover abbandonare tutto,
prendere la decisione di allontanarsi dai riflettori, buttare
letteralmente al vento gli anni passati ad impegnarsi e allenarsi,
mettere da parte il sogno di una vita che aveva coltivato fin da quando
era poco meno che ragazzina. Ricordava i notiziari, gli sguardi
amareggiati e preoccupati che le erano stati rivolti per settimane, la
frustrazione di essere trattata come se avesse comunicato che sarebbe
morta di lì a breve.
Forse era davvero scappata. Forse era
stata davvero una codarda. Forse una parte di lei era davvero morta in
quelle giornate lunghe e tortuose.
Eppure non era riuscita a fare
diversamente.
La pressione era troppa. La sensazione di non fare
abbastanza ancora peggio. Quello che era capitato in quella che sarebbe
stata poi una delle sue ultime missioni la bastonata che l'aveva
spezzata definitivamente. Non si fidava più di se stessa,
della sua capacità di giudizio, della sua
Unicità. E se mancano tutte queste cose, se non riesci
nemmeno ad aiutare te stesso, come puoi pretendere di aiutare gli
altri?
«Yuhiko, ci sei?»
La ragazza
puntò lo sguardo di fronte a sé, sbattendo le
palpebre un paio di volte. I suoi occhi grigi incontrarono i volti
delle amiche che la stavano osservando con una punta di preoccupazione.
«Come?» domandò, completamente vigile.
Si morse l'interno di una guancia, maledicendosi per essersi fatta
distrarre dai propri pensieri.
«Stavamo parlando del regalo
per Kirishima. Ma sei sicura di stare bene? Mi sembri
pallida.» le fece notare Momo, avvicinandosi con fare
apprensivo. Era sempre stata quella più matura di tutti, sia
nel linguaggio che nel comportamento, che nella sua capacità
di osservazione ed analisi. Crescendo aveva affinato tutti quegli
aspetti che l'avevano resa, ai tempi, rappresentante di classe
– un ruolo che, anche se ormai non frequentavano
più la scuola, era come se non avesse mai abbandonato.
Yaoyorozu era rimasta quel punto fermo, quella vocina della coscienza
che faceva ragionare tutti senza la durezza dei rimproveri esasperanti
di Iida. Calma, acuta e comprensiva come una sorella.
Yu sorrise con
poca convinzione, lanciando al gruppetto un'occhiata di scuse.
«Mi ero distratta.» confessò, e le
sembrò che negli occhi di Mina fosse passato un lampo di
eccitazione.
«C'entra un ragazzo? Eh? Dai, dai,
confessa!» fu infatti la serie di domande che le fece a
bruciapelo, dandole delle gomitate nelle costole. La mora
sentì il fiato mancarle qualche secondo e scosse la testa,
arrossendo leggermente per dell'imbarazzo che non aveva motivo di
esistere.
«Ma che dici? Lavoro tutto il giorno, non ho tempo
per queste cose.» lanciò un'occhiata implorante ad
Ochaco, trovandola a torturarsi le dita delle mani. Ghignò
maliziosa.
«Piuttosto...» iniziò,
sgusciando via da Mina ed avvicinandosi con passo felpato. Vide Uravity
sussultare leggermente, senza riuscire a guardarla per più
di qualche secondo, improvvisamente attirata dalle vetrine dei negozi
attorno a loro.
«Come va con Izuku?» se possibile
Uraraka diventò ancora più rossa mentre cercava
di sfuggire agli occhi indagatori che la stavano osservando.
«No_Non ho… Non ho niente da dire!»
sputò fuori con la voce più alta di un'ottava,
mettendo le mani in avanti e scuotendole in aria. Il suo sguardo,
però, si fece anche vacuo, come se stesse rimuginando su
qualcosa. Yuhiko alzò un sopracciglio notando quel cambio di
espressione, mordicchiandosi un labbro mentre si scambiava un'occhiata
con le altre in cerca di spiegazioni, ma l'alzata di spalle piena di
sconsolazione che fece Jirou le diede tutte le risposte di cui aveva
bisogno. Roteò gli occhi, trattenendosi a stento dallo
sbuffare.
Che cazzo aspettava Izuku?
Strinse le labbra, posando una
mano sulla spalla di Ochaco in un vago gesto di rassicurazione e
decidendo di cambiare discorso. Era palese che qualcosa doveva turbarla
e non voleva rigirare il dito nella piaga. Uravity fu internamente
grata di quel gesto, portandosi le mani dietro la schiena e sorridendo
leggermente verso le amiche.
«Voi, invece? Tutto bene con
Todoroki e Kaminari?» la sua attenzione si rivolse a Momo e
Kyoka, consapevole che non avrebbe camminato sul filo del rasoio con
quella domanda. Le due, infatti, già da tempo avevano
instaurato una relazione ufficiale con i due ragazzi.
«Devi
vederli! Sono proprio due coppie di piccioncini!» fu invece
la risposta non richiesta che le diede Ashido, precedendo le due. Momo
e Jirou protestarono, imbarazzate, e Ochaco ridacchiò,
rilassandosi visibilmente. Yu lanciò loro uno sguardo,
comprensiva.
Mina non aveva torto, in quel caso.
«Quindi,
avete qualche idea?» prese in mano la situazione Kyoka,
tornando al motivo per cui si trovavano li. Le sue guance avevano
ancora una spruzzata di rossore e incrociò le braccia al
petto, per cercare di scrollarsi di dosso la sensazione di disagio che
i punzecchiamenti di Mina le avevano provocato. Le ragazze si
guardarono, indecise, abbozzando qualche ipotesi. Uraraka si
portò una mano al mento, pensierosa. Cercò di
immaginarsi cosa potesse piacere a uno come Eijirou e si
ricordò di una conversazione che aveva avuto con Izuku
qualche giorno prima. I suoi occhi brillarono, vittoriosi.
«Forse ho un'idea!»
Si
lasciò cadere sul divano, sentendo salirle addosso tutta la
stanchezza, e chiuse gli occhi per rilassarsi.
Era stata una giornata
particolarmente piena, per la gioia di Mashiro. L'uomo era
stato entusiasta tutto il pomeriggio, muovendosi leggiadro tra i vari
scaffali e banconi dispensando consigli e informazioni a chi glieli
richiedeva come se fosse un'enciclopedia vivente. Era davvero bravo a
toccare i punti giusti per convincere i clienti a spendere e il
bagaglio di conoscenze di cui faceva sfoggio senza ritegno non faceva
altro che renderlo più affascinante. Il fatto che non
frequentasse nessuna donna era un dettaglio che la lasciava basita.
“I miei unici
amori sono le reliquie. Non mi possono
mentire.”
Quella bella giornata con il sole aveva spinto le
persone ad uscire di casa e passeggiare per la città e molte
si erano fermate, incuriosite dagli articoli che vendevano. Oltre a
oggetti rari, dalla provenienza antica e certificata – quelli
su cui Mashiro spendeva maggior tempo e denaro per procurarseli al fine
di rivenderli a clienti di un certo calibro, sempre che non gli
interessassero personalmente – il negozio era
tappezzato di oggettistica particolare, di quella che non trovi nelle
grandi catene di distribuzione. Se volevi comprare qualcosa che non
possedeva nessuno quello era il posto giusto: acchiappasogni, libri
sull'astrologia, l'occulto e leggende che attiravano
gli appassionati del genere, pietre e gemme, lampade dalle forme
sceniche, orologi intagliati a mano… sarebbe
potuta andare avanti all'infinito.
Era la particolarità del
negozio, i suoi mille colori, la sensazione di entrare in un altro
mondo che l'aveva attirata in quel luogo la prima volta senza farglielo
lasciare più.
Socchiuse gli occhi, puntando lo sguardo sul
display del telefono che si portò davanti alla faccia.
Segnava le 19.40. Era meglio se si preparava, altrimenti avrebbe fatto
tardi.
Si recò in cucina, prese la razione di verdure per
Eden e Sayla mentre l'acqua della doccia si scaldava. Non voleva
rischiare di addormentarsi come poche sere prima ed era sicura che se
si fosse immersa nella vasca non ne sarebbe più uscita. Il
suo corpo urlava pietà per essere stato in piedi tutto il
giorno e i polpacci formicolavano. Osservandosi allo specchio mentre
attendeva ancora qualche attimo, notò che aveva i capelli
tutti scomposti e due grosse occhiaie sotto gli occhi. Non riusciva a
dormire più bene come un tempo ed era sempre tesa.
Si fece
pena e si morse un labbro, sperando di non aver avuto quella faccia
davanti ai clienti per tutto il pomeriggio.
Non poteva dirglielo,
Mashiro, che avrebbe dovuto darsi una sistemata? Si buttò
sotto la doccia, pensierosa e un po' emozionata, iniziando a lavarsi.
Distrattamente sperò che il regalo che avevano scelto per
Kirishima gli piacesse.
***
«Quindi
siamo tutte d'accordo?»
Dal gruppetto si
alzarono dei cenni
di approvazione. Yuhiko sorseggiò il the freddo che aveva
ordinato, accavallando le gambe ed accompagnando quel gesto con
un'occhiata fintamente vaga che soppesò le persone che le
circondavano, cercando di capire se ci fosse qualcosa fuori posto. Un
ricordo non troppo lontano dell'attenzione che un Hero doveva riservare
ad ogni particolare che lo circondava per non farsi cogliere
impreparato.
Eira inspirò velocemente, grattandosi una
guancia: era già da un paio di giorni che non percepiva
nulla ma la cosa, invece che tranquillizzarla, la stava facendo
impensierire di più. Ripuntò l'attenzione sulle
ragazze, notando che non avevano fatto caso a quella serie di gesti
sospettosi, troppo impegnate nello scambiarsi pareri.
«Vediamo cosa rispondono gli altri…» fu
il commento pensieroso di Momo, che occhieggiò il cellulare
lasciato sul tavolino dove si erano raggruppate. Eira si
grattò la punta del naso mentre un cameriere serviva
nuovamente da bere a Mina e Kyoka.
Ochaco si era ricordata che una sera
Izuku le aveva raccontato che a Kirishima si era rotto il sacco da
boxe. Prendergliene uno nuovo, accompagnandolo a dei pesi e qualche
altra cosa per gli esercizi che faceva a casa, le era sembrava
un'opzione carina e utile. Le altre avevano concordato, ma poi
Yaoyorozu aveva fatto sorgere il dubbio che magari lo avesse
già sostituito. A quel punto tutte avevano sospirato, mentre
domandavano agli altri cosa ne pensassero e se qualcuno ne sapesse
qualcosa. Fino a quel momento, però, a parte l'approvazione
per l'idea, nessuno sapeva nulla di certo. Chiedere a Kaminari era
fuori discussione perché sicuramente non avrebbe saputo fare
il vago e non volevano rovinare la sorpresa a Red Riot.
«Ah,
ci sono!» si esaltò Mina improvvisamente, e il
modo in cui puntò gli occhi brillanti su Yuhiko le fece
venire dei brividi di ansia. C'era da stare attenti alle uscite
esuberanti che aveva.
«Cosa?» domandò
Jirou, appoggiando il viso su una mano e sospirando. Ochaco
posò entrambe le braccia sul tavolino sporgendosi in avanti,
incuriosita.
«Perché non chiedi a Bakugou? Sono
amici, saprà sicuramente qualcosa.»
Eira si prese
tutto il tempo necessario per finire il lungo – molto, molto
lungo – sorso di the che aveva preso. Mordicchiò
la cannuccia ancora tra le labbra e alzò un sopracciglio,
ignorando le orecchie che avevano iniziato a scaldarsi.
«Perché?» Ashido alzò gli
occhi al cielo, per nulla sorpresa del luccichio di smarrimento che
aveva animato lo sguardo della mora.
Perché io?
«Eddai, lo sai che sei una delle poche a cui risponde.
Kaminari e Sero sono fuori discussione, non perdono la testa solo
perché è attaccata al collo. Deku verrebbe
sicuramente ignorato. E a Kirishima non possiamo di sicuro domandarlo,
si insospettirebbe.» il tono che aveva usato le
ricordò tanto quello con cui si parla a un bambino che non
vuole capire l'ovvio. Yuhiko vacillò, sentendosi trapassare
da otto paia di occhi trepidanti.
«Effettivamente
è vero. Alla fine vi conoscete fin da bambini, avete
confidenza.» intervenne Momo, in un sussurro. Gli occhi grigi
di Eira soppesarono i volti delle amiche ed ebbe la sensazione che non
le stessero dicendo tutto ciò che pensavano. O forse non
osavano, per paura di ferirla. Il rapporto tra lei e Katsuki era sempre
stato un po' particolare e dopo i primi tempi avevano smesso di
commentare.
Si costrinse ad ingoiare il nodo che sentiva in gola,
mentre afferrava il cellulare dalla borsa con un grosso sospiro.
L'avrebbe mandata a cagare, nel migliore dei casi.
«E va
bene, va bene.» cedette, facendo violenza contro se stessa.
Guardò lo schermo, indecisa su cosa scrivere. Le capitava
spesso, più di qanto sarebbe stata capace di ammettere a se
stessa, di inviargli dei messaggi per congratularsi se veniva a sapere
di qualche missione conclusa con successo, se vedeva in tv qualche
servizio che lo nominava e cose simili. Katsuki raramente le rispondeva
con più di una frase, ma era l'unico modo che conosceva per
fargli sapere che nonostante tutto, in qualche modo contorto, gli era
ancora vicina. Desiderava esserlo, perché era l'unica cosa
che credeva le venisse bene. Stare vicino ai suoi amici, essere pronta
ad accoglierli in caso di bisogno, come faceva con Izuku quando le si
fiondava a casa per buttare fuori il tornado che erano i suoi pensieri
o Uraraka la frustrazione per il lavoro e la pesantezza dei debiti da
pagare per aiutare i genitori.
E l'unico appiglio che le era rimasto era la carriera, non
più condivisa, da Pro Hero.
“Ciao, Katsuki.”
Posò il cellulare sul
tavolo, in attesa, lanciando un'occhiata storta verso Mina che non
sembrò particolarmente colpita: la ragazza, infatti, le
rispose con un pollice alzato e poi si perse a commentare dei manichini
esposti in una vetrina poco lontana. Non era un messaggio chiaro, ma
era sicura che fosse l'unico modo per costringerlo a risponderle senza
che la ignorasse.
“Cosa vuoi.”
Arricciò il naso, corrugando le sopracciglia davanti a
quella risposta lapidaria. Il parlottare
delle altre divenne un brusio di sottofondo.
“Sai se Eijirou
ha già comprato un sacco da boxe nuovo? Ah, quali pesi
potrebbero servigli? Volevamo regalarglieli per il
compleanno.”
Percepì una morsa allo stomaco, ma
cercò di ignorarla mentre cercava di spiegarsi. La risposta
di Bakugou non si fece attendere troppo, lasciandola parecchio sorpresa
per la tempistica – e non per il contenuto.
“Per
chi cazzo mi hai preso, Mizore? Non sono sua madre.”
Yuhiko
roteò gli occhi, immaginandoselo lanciare fuoco e fiamme
mentre le rispondeva digitando nervosamente sulla tastiera. Stava per
comunicare alle altre che era una causa persa, quando il telefono
vibrò nuovamente illuminando lo schermo e, senza che
riuscisse a nasconderlo, il suo sguardo.
“No, non l'ha ancora
comprato. Lascia perdere i pesi, prendigli qualcosa per quei capelli di
merda che si ritrova.”
***
Sbuffò,
Katsuki, chiudendo con un gesto secco la portiera della macchina.
Iniziò ad avanzare verso la porta dell'appartamento
guardandola storto per tutto il tragitto come se dovesse affrontare un
nemico, quando si ricordò di un particolare e
tornò indietro, stizzito. Riaprì l'auto e, dopo
varie imprecazioni, vi tirò fuori un sacchettino di
plastica. Ripercorse la strada a grandi falcate e si piantò
davanti al campanello, a cui riservò un'occhiataccia.
Mentre
sentiva delle voci ovattate provenire dall'interno dell'appartamento,
si prese qualche attimo per ritrovare la calma, non senza prima passare
da un contorto sentiero colmo di maledizioni. Maledì
Kirishima e la sua stupida festa, maledì Todoroki per averlo
praticamente obbligato a partecipare senza che si trincerasse dietro la
scusa del lavoro. L'aria fredda della sera gli scompigliò i
capelli, dandogli la spinta necessaria per schiacciare il bottone,
perché l'ultima cosa che desiderava era restare ancora fuori
rischiando di congelarsi.
Il festeggiato gli comparve davanti dopo
pochi secondi.
«Ehi, ciao Bakugou!» Katsuki gli
piantò il sacchetto in mano, superandolo berciando un saluto
tra i denti e lasciandolo sulla porta, troppo abituato a frequentare
quella casa per sentirsi davvero un ospite. Non vide il sorriso che
Kirishima rivolse alla sua figura quando occhieggiò il
joystick nuovo che gli aveva portato per ripagargli quello che gli
aveva rotto per l'incazzatura un paio di sere prima.
Bakugou
percepì il calore proveniente dall'appartamento scaldargli
immediatamente le dita delle mani, e notò alcuni palloncini
sparsi per il pavimento. Quando fu sulla soglia della sala si accorse
che Kaminari, Mineta, Jirou, Mina e Sero erano già presenti,
accovacciati intorno al tavolino con davanti alcuni bicchieri e
bottiglie aperte. Avrebbe dovuto immaginarlo che quegli idioti si
sarebbero piazzati il prima possibile in casa altrui. Non avevano
nemmeno avuto la decenza di aspettare prima di iniziare a bere: Denki
aveva già lo sguardo lucido e cercava di mantenere una
conversazione con Sero, Mineta faceva di tutto per accollarsi a Mina e
Jirou usava i suoi jack per schiaffeggiargli le mani.
«Oh
Bakugou, finalmente sei arrivato! Sei in ritardo, non è da
te.» biascicò Kaminari nella
sua direzione, facendogli cenno di unirsi a loro. Il biondo
avanzò di qualche passo, infilando le mani nelle tasche dei
pantaloni.
«Non rompere, Faccia da Scemo.» lo
ammonì, sedendosi in un angolo. Occhieggiò la
stanza con occhio critico, soffermandosi alla scritta "Buon
compleanno!" appesa alla parete, i palloncini che
svolazzavano in giro - sicuramente portati da Ashido -,
Kirishima che andava e veniva dalla cucina per portare da bere e
mangiare. Non gli aveva più detto niente, ma bastava
guardarlo in faccia, con quel sorriso a mille denti, per capire che
avesse gradito il suo regalo.
Bakugou pensò che, ora che non
aveva più nulla da fare, avrebbe anche potuto andarsene e
tanti saluti a tutti. Chiuse gli occhi, ignorando volutamente la voce
di Mina che gli stava tartassando le orecchie con delle idiozie di cui
non voleva saperne nulla.
Che cazzo ci faceva li?
Fu il trillo del
campanello a strapparlo dal suo stato di riflessione. Sentì
la porta aprirsi e la voce accogliente di Eijirou salutare qualcuno, ma
a causa del baccano che stavano facendo i ragazzi che aveva da parte
non capì chi fosse arrivato. Scrutò l'ambiente
infastidito, prendendo poi un bicchiere per versarsi da bere, decidendo
che non gli importava.
«Sato ha portato la torta!»
Dalla sala si elevarono dei brusii di approvazione, quando Red Riot
fece la sua comparsa portandosi dietro un Sato leggermente imbarazzato.
Alle sue spalle c'erano anche Koda, Tokoyami e Shoji. Katsuki
notò di sfuggita il grosso pacco incartato che Mezo si
portava sulle spalle grazie all'aiuto della sua Unicità,
intuendo già cosa fosse, ma fece più attenzione
al grande sacchetto ben sigillato che il primo teneva stretto al petto.
Momo e Todoroki fecero la loro comparsa una decina di minuti dopo,
arrivando in contemporanea ad Asui che chiese subito di Ochaco: anche
se lavoravano in agenzie diverse le due ragazze avevano sempre
mantenuto un rapporto molto stretto e passavano il tempo assieme ogni
volta che ne avevano occasione, tanto che per qualche tempo avevano
anche affittato casa insieme.
L'appartamento di Kirishima
improvvisamente sembrò troppo piccolo per contenerli tutti,
dal momento che era composto giusto dalla sala, un cucinino e un paio
di stanze, eppure l'atmosfera che vi aleggiava era qualcosa di
così familiare e particolare che perfino Bakugou si
ritrovò a sentirsi un po' nostalgico.
Che cazzate.
Roteò gli occhi, schifandosi per i suoi stessi pensieri che
gli ricordarono molto quelli che avrebbe fatto quel sentimentale di
Deku.
In quelle occasioni, in cui si ritrovavano insieme, a tutti
sembrava di essere tornati alle serate passate al dormitorio, quando
giocavano ai videogiochi, guardavano un film, le ragazze spettegolavano
o si scambiavano consigli per lo studio e gli allenamenti. Erano
passati vari anni, ognuno stava percorrendo la propria strada, eppure
quel legame di fiducia e amicizia che si era creato ed intensificato
nei tre anni di Accademia aveva resistito nel tempo. Che svolgessero
tutti la stessa professione e a volte si ritrovassero a collaborare
aveva sicuramente aiutato a non perdersi di vista.
«Chi
manca?» Kirishima, che aveva appena indicato a Koda un angolo
dove poter lasciare il sacchetto che aveva portato per Yuhiko,
puntò lo sguardo verso Fumikage.
«Dovrebbero
raggiungerci anche Deku, Uraraka e Yuki. Iida e gli altri invece non
sono riusciti a liberarsi.» disse, occhieggiando la porta
come se potessero materializzarsi in quel momento. Bakugou
sbuffò, alzandosi e accendendo la playstation come se si
trovasse in casa propria.
«Uraraka mi ha scritto che stava
aspettando Midoriya, Yuhiko invece era per strada.» si
intromise Momo. La mora lanciò uno sguardo a Todoroki,
seduto accanto a lei sul divano.
«Forse avrei dovuto
insistere per passare a prenderla…» Shouto lesse
l'apprensione che impregnava il sussurro della ragazza mentre fissava
la sua attenzione sul telefono e le prese la mano, regalandole un
sorriso appena accennato. Un gesto disinvolto, ma che fece sentire
Yaoyorozu un po' più sollevata.
«Lo sai
com'è fatta.» fu il suo commento. Eira raramente
aveva accettato aiuti e la cosa era peggiorata da quando aveva cambiato
lavoro. Come se volesse dimostrare che, nonostante tutto, se la cavava
ancora benissimo. La ragazza annuì, ma in fondo al suo
sguardo vi aleggiava ancora una nota di malinconia, e Shouto si
sentì un po' in colpa per non sapere bene cosa dirle. Non
era mai stato particolarmente loquace, anche se aveva cercato di
migliorarsi e dove non arrivava con le parole usava i fatti; Momo lo
sapeva e non gli aveva mai detto nulla, apprezzando quelle piccole
lusinghe che lui le regalava.
Eppure in momenti come quello, dove non
poteva dimostrarle qualcosa perché non dipendeva da lui,
Todoroki si sentiva un grosso nodo allo stomaco. Yaomomo angosciata,
triste e con il sorriso forzato era qualcosa che ogni fibra di se
stesso si rifiutava di sopportare. Fu con sollievo quindi che il
ragazzo accolse il suono del campanello e la voce strascicata di un
Eijirou che iniziava ad essere particolarmente brillo.
«Finalmente, mancavate solo voi tre!»
***
«Sato,
sei sempre bravissimo a fare i dolci. Per il mio compleanno vorrei dei
mochi.» Il ragazzo si portò una mano a grattarsi
una guancia ed abbassò lo sguardo, imbarazzato per quel
complimento.
«Grazie, Uraraka. Mi
ricorderò.» Vide la ragazza prendere un altro
boccone di torta, sorridente e soddisfatta. Praticamente la stessa
espressione che tutte avevano messo su da quando avevano iniziato a
mangiare. Con l'arrivo di Izuku, Yuhiko e Ochaco avevano potuto
iniziare a festeggiare davvero.
Kirishima aveva apprezzato i regali,
accogliendoli con occhi emozionati: aveva già appeso il
sacco da boxe nella stanza che usava come palestra e aggiunto le
confezioni di tinta e gel che le ragazze gli avevano preso
nell'armadietto del bagno.
Kaminari era ubriaco tanto che sembrava
avesse usato fin troppo il suo Quirk e Mineta ne stava approfittando
per intavolare dei discorsi sulla bellezza delle ragazze lontano dai
lobi di Jirou. Sero era impegnato a giocare alla play con Eijirou sotto
lo sguardo corrucciato di Katsuki, che se ne stava a braccia e gambe
incrociate poco distante come se gli avessero fatto un dispetto. I due
avevano bevuto un po' troppo, quindi spesso schiacciavano tasti a
casaccio e ridevano senza motivo vedendo i propri avatar morire o
venire atterrati.
Stanco di starsene con le mani in mano aveva lanciato
uno sguardo disinteressato alla sala, occhieggiando Yu ringraziare Koda
per il fieno e mostrargli poi la miriade di foto di Eden e Sayla che
teneva nella galleria del telefono non senza un pizzico di orgoglio
materno.
«Quanto sono cresciuti!»
commentò Mina, sporgendosi oltre la spalla della ragazza per
spiare le immagini ed attirando gli sguardi di Deku e Tokoyami,
impegnati in una conversazione con Shoji poco distanti. Attorno ai due
si erano radunati anche Momo e Tsuyu.
«Sono bellissimi, cra.
Anche io ne vorrei uno.» aggiunse Asui, sorridendole e
portandosi un dito al mento, pensierosa. Eira distolse lo sguardo,
puntandolo sullo schermo dove i due coniglietti spiccavano in una foto
che gli aveva fatto mentre prendevano il sole in terrazzo, per
mascherare la tensione che le dava essere al centro dell'attenzione.
«Grazie.» buttò fuori, sospirando. Poi
decise di cambiare discorso, ricominciando a mangiare la fetta di torta
lasciata a metà e rivolgendosi agli amici.
«Allora, che mi raccontate?»
***
Erano
ormai le
undici passate e l'appartamento si era lentamente svuotato nel corso
della serata: Sato, Shoji e Mineta avevano deciso fosse meglio
rincasassero a causa della stanchezza data dalla giornata lavorativa, e
poco dopo anche Tokoyami, Koda e Tsuyu seguirono il loro esempio.
Kaminari era definitivamente crollato sul divano sotto lo sguardo
sconsolato di Kyoka, mentre Kirishima e Sero stavano cercando di
mantenere una conversazione apparentemente seria con Todoroki e Mina.
Cambiavano argomento con una velocità impressionante e
mischiavano insieme aneddoti che non c'entravano nulla l'uno con
l'altro, eppure i due sembravano essere così convinti di
ciò che dicevano che nessuno aveva il coraggio di
interrompere quella sequela di cavolate che usciva dalle loro bocche.
Solo Bakugou, riappropriatosi del suo posto davanti alla playstation,
gli aveva inveito contro svariate volte per quanto fossero molesti.
Mentre attendeva il caricamento della nuova partita il biondo
puntò lo sguardo alla parte opposta della sala, osservando
di sottecchi la porta finestra che dava sul balcone e le due figure che
vi stavano all'esterno. Deku e Mizore erano ormai svariati minuti che
parlottavano tra loro e Katsuki si chiese che diavolo avessero di
così importante da dirsi tanto da restare fuori al freddo -
come se non si vedessero mai, poi.
Percepì la gola secca e una punta di fastidio alla bocca
dello stomaco, la fastidiosa consapevolezza che in quel quadro, la
maggior parte delle volte, non ci fosse posto per lui. Non c'era mai
stato, come quando era venuto a conoscenza del segreto del Quirk di
Deku scoprendo che la ragazza, invece, sapeva. Sapeva tutto da sempre.
Di che cazzo parlavano quei due idioti?
«È beeella la nevee, veero?» Il biondo
trasalì senza volerlo, lanciando immediatamente un'occhiata
storta al braccio che Kirishima gli aveva appoggiato sulla spalla e
provando l'irrefrenabile impulso di farglielo saltare in aria.
L'espressione del rosso era talmente convinta di quello che aveva detto
che la sua voce non era suonata nemmeno troppo strascicata, eppure
l'odore di alcool che si portava dietro diceva che era ubriaco marcio.
Sentì i nervi diventare improvvisamente sensibili.
«Non so di cosa parli, Capelli di Merda.» lo
fulminò, lapidario, tornando ad osservare la televisione.
Kirishima era ubriaco, non sapeva cosa stava dicendo. Katsuki se lo
ripeté più volte nella testa come un mantra per
non perdere la pazienza. Ma Eijirou non collaborò.
«Oooh andiamo, non si dicono le bugie... non al tuo migliore
amico...»
sentì il ragazzo ridacchiare e lo vide fargli un gesto di
negazione con la testa fin troppo plateale. Katsuki grugnì
un insulto tra i denti per cercare di sfogare il nervoso.
«Smettila di sparare stronzate se non vuoi morire il giorno
del tuo ventiquattresimo compleanno.» Ci mancava Kirishima
con le sue frasi del cazzo. Che diavolo gli girava in quella testa
vuota? Molte volte aveva pensato che le tinte gli avessero bruciato
qualche neurone e forse non aveva tutti i torti. Non sentendolo
rispondergli nel modo idiota che si sarebbe aspettato, Bakugou gli
lanciò un'occhiataccia infastidita, socchiudendo le palpebre
per studiare il viso dell'altro per quanto possibile da quella
distanza.
L'espressione che Red Riot aveva messo su e il ghigno che gli
stava rivolgendo ebbero il potere di alterargli definitivamente i nervi
già scoperti, facendolo irrigidire come punto da uno
scorpione.
«E levati!» gli
ringhiò, staccandoselo di dosso con poca grazia ed alzandosi
di scatto. La poca pazienza che aveva raccolto si dissolse nel giro di
un battito di ciglia. Improvvisamente, non riuscì
più a sopportare di stare chiuso in quelle quattro mura. Era
meglio se si allontanava prima di fare esplodere tutto l'appartamento e
compiere un pluriomicidio.
«Aspetta, Bakugou!
Bakugou! Te ne vai?»
Katsuki decise di ignorarlo, uscendo di
casa sbattendo la porta.
***
Deku
mise in
moto l'auto con gesti meccanici dopo essere rimasto vari minuti a
fissare l'entrata dell'agenzia dietro cui era sparita Uraraka,
avviandosi verso il proprio appartamento. La ragazza aveva ricevuto una
chiamata di lavoro improvvisa e lui non aveva dovuto pensarci troppo su
per decidere di accompagnarla. Erano arrivati insieme alla festa, e non
avrebbe mai avuto il coraggio di lasciarla girare per le strade in
piena notte se poteva impedirlo.
«Mi hanno chiamato
da lavoro, hanno bisogno di me per un intervento.» Ochaco era
appena rientrata in sala dopo aver finito di parlare al telefono. Le
mani tenevano stretto l'apparecchio come se potesse scapparle via, la
sua espressione era diventata improvvisamente tirata. La ragazza aveva
fatto passare lo sguardo sugli ultimi invitati, dispiaciuta per la
brusca interruzione a cui li aveva involontariamente sottoposti.
«Beh il lavoro è importante, non
preoccuparti!» le aveva detto Mina, affiancandola con la sua
solita allegria.
«Infatti, l'importante è che stai
attenta. Tra poco andiamo anche noi, vero?» si era intromessa
Kyoka, seduta vicino a un Denki ormai addormentato. Momo, accanto a
lei, aveva annuito reprimendo uno sbadiglio e Yuhiko si era alzata,
stiracchiandosi e concordando con quell'idea. Uravity li aveva salutati
tutti mentre si infilava il cappotto, fermandosi in particolare su
Kirishima per ringraziarlo dell'invito, poi si era avviata verso
l'uscita.
Deku l'aveva raggiunta giusto mentre stava per abbassare la
maniglia, trattenendola per il polso.
«Ti
accompagno.» le aveva detto, e Ochaco aveva posato lo sguardo
su di lui strabuzzando appena gli occhioni castani per quel gesto
improvviso.
«Non voglio rovinarti la serata, posso andare da
s__»
«No, ti accompagno.» aveva insistito
lui, guardandola fisso negli occhi. Uravity aveva sospirato leggermente
davanti alla sua espressione decisa, donandogli poi uno di quei sorrisi
pieni di vita che a lui piacevano tanto.
«Ti ringrazio,
Deku.»
Ci mise poco, Izuku, a raggiungere casa sua.
L'aria fredda della notte lo colpì in pieno viso quando
scese dalla macchina, facendogli venire dei brividi di freddo e
risvegliandolo dallo stato di torpore che percepiva addosso. Anche se
Todoroki aveva fatto in modo di far avere la serata e la mattina dopo
liberi sia a lui che a Bakugou, Midoriya sentì di aver
bisogno di riposare perché percepiva addosso tutta la
stanchezza della settimana.
Essere un Pro Hero era tutto ciò
che aveva sempre desiderato, ma alle volte era davvero
faticoso. Eppure, mentre si sistemava per andare a
dormire, ebbe la consapevolezza che non sarebbe riuscito a prendere
sonno tanto facilmente. Il discorso con Yu lo aveva prosciugato e il
pensiero di Ochaco al lavoro lo metteva sempre un po' in ansia,
nonostante sapesse quanto fosse forte la ragazza…
Prese il
telefono e digitò d'impulso un messaggio.
"Fammi sapere se
è andato tutto bene. Buon lavoro!"
Il ragazzo rimase per
vari minuti a riflettere davanti a quelle parole che illuminavano lo
schermo. Si domandò se andasse davvero bene il fatto di
volersi sincerare che la missione di Uravity si concludesse senza
intoppi. Corrugò le sopracciglia, pensieroso.
Che diritto
aveva?
«Non capisco
cosa aspetti a dichiararti per
ufficializzare il tutto. State soffrendo in due, ormai siete
praticamente una coppia da anni. Non ha senso continuare a tirarsi
indietro.» gli aveva detto Yu, lanciandogli un'occhiata
compassionevole. Izuku si era infossato nelle spalle, appoggiandosi
alla ringhiera del balcone e puntando lo sguardo al cielo scuro.
«Lo sai perché…» le aveva
risposto, e il suo era stato poco più che un sussurro.
Eppure l'amica l'aveva sentito benissimo, perché fece un
piccolo sbuffo mentre scuoteva la testa.
«È per
One For All?» gli aveva chiesto, retoricamente, abbassando
ancora di più la voce ed occhieggiandosi in giro per
sincerarsi che fossero soli. Midoriya le aveva sempre raccontato quanto
lo preoccupasse la possibilità che quel segreto venisse
scoperto, mettendo in pericolo le persone che gli stavano
più vicine. Lei, Kacchan, sua madre, i loro amici, gli ex
professori… Ochaco…
Yuhiko aveva posato lo
sguardo su di lui, improvvisamente seria. La vide scrutarlo con i suoi
occhi grigi e non seppe dire cosa vi lesse precisamente, ma lo
lasciò svuotato.
«Dovresti avere più
fiducia in Uraraka.»
Sospirò, Midoriya, passandosi
una mano tra i ricci scomposti e continuando ad osservare quel
messaggio non ancora inviato. Le parole di Yu gli stavano tediando il
cervello come un tarlo insistente, portandolo a rimuginare
più di quanto già non facesse solitamente.
Ripensò alla loro conversazione, ripensò a tutti
i momenti in cui lui e Uraraka erano stati vicini negli anni, a come ci
fossero sempre stati l'uno per l'altra.
Lei era stata una delle
primissime persone a credere in lui, lo aveva sostenuto pazientemente
mentre percorreva il suo percorso per diventare un Hero degno del dono
che gli aveva fatto All Might, gli era sempre stata accanto. Erano
cresciuti insieme, stavano realizzando i loro sogni, parlavano di ogni
cosa, lei aveva fatto passi da gigante e Izuku l'aveva osservata
migliorarsi di giorno in giorno.
Eppure, ripensandoci, Midoriya si
diede dello stupido per non essersi mai soffermato seriamente a
pensare, a provare a comprendere, quanto quella situazione di stallo
potesse farla soffrire. Eppure, il suo era stato solo un modo per
cercare di proteggerla, proprio perché ci teneva, ci teneva
moltissimo a Ochaco e non avrebbe mai voluto che il suo segreto potesse
influenzarla in qualche modo.
"Dovresti avere
più fiducia in
Uraraka."
Midoriya si diede dello stupido e inviò il
messaggio.
***
«Avanti
Capelli di Merda, è ora di andare a dormire.»
Bakugou tirò su di peso Kirishima, aiutandolo ad arrancare
fino al letto giusto per non sentirsi in colpa nel caso fosse caduto
procurandosi un trauma celebrale se lo avesse lasciato fare da solo. Ce
lo lasciò cadere sopra, ascoltandolo biascicare qualche cosa
che non si sforzò neppure di capire.
Tornando in sala
occhieggiò l'ambiente con occhio critico, schifandosi per il
casino che vi regnava. Se non altro prima di andarsene Coda di Cavallo
e il Bastardo a Metà si erano impegnati a ripulire il
tavolino almeno dai bicchieri ed i piatti di plastica,
mentre Eira aiutava Jirou e Mina a caricare un Kaminari
particolarmente sbronzo e molesto in macchina. Sero,
invece, era rimasto a dormire sul divano perché
“Tanto aveva la domenica libera”, aveva detto.
Katsuki ebbe un moto di pietà e portò in cucina
il resto delle bottiglie e mise in frigo i resti della torta, spense la
console, le luci e dopo aver
lanciato un ultimo sguardo all'appartamento uscì per
tornarsene a casa, nonostante la consapevolezza che se anche si fosse
fermato a dormire Kirishima non avrebbe avuto nulla da ridire. Ma aveva
bisogno dei suoi spazi, la necessità di rimanere solo con i
propri pensieri.
Il freddo della notte lo aiutò a
rilassare un minimo i muscoli tesi.
Era ancora nervoso per quello che
Eijirou gli aveva detto e nemmeno la passeggiata in solitaria che
aveva fatto lo aveva aiutato a sbollire. Continuò a
rimuginare, mentre saliva in macchina e inseriva la chiave per partire.
Occhieggiò il quadro
elettrico: 00.17. Se non altro avrebbe avuto il tempo per farsi una
bella dormita prima di ricominciare a lavorare.
I suoi pensieri si
ammorbidirono, forse per la strada deserta, il silenzio che lo
circondava o il paesaggio che lentamente gli scorreva davanti.
Che
cavolo voleva saperne Capelli di Merda di quello che pensava? Di
ciò che provava?
Bakugou assottigliò lo sguardo
come se si trovasse a dover affrontare un nemico, percependo il proprio
animo irrigidirsi come ogni qualvolta si ritrovava a doversi districare
tra quelli che erano i propri sentimenti. Non parlava mai apertamente,
mai, di
ciò che sentiva o pensava, e a lui era
sempre andato bene che la maggior parte delle comparse superficiali con
cui veniva in contatto si fermassero a giudicarlo conoscendolo
esclusivamente per ciò che decideva di mostrare.
Eppure Eijirou,
così come quegli sfigati di Deku e Mizore e successivamente
anche gli stramboidi della loro classe sembravano aver sempre visto
qualcosa in più in lui. La facciata sprezzante che metteva
su aveva mano a mano smesso di funzionare e dopo anni in cui Red Riot
gli era sempre stato accanto Katsuki pensò che fosse nella
merda, perché probabilmente o aveva imparato a conoscerlo
più di quanto avesse mai potuto immaginarsi o lui si era
rammollito iniziando a comportarsi come una persona qualunque.
Scartò la seconda ipotesi non appena smise di pensarla. Lui
non era una persona qualunque. Lui era il più forte. Il
migliore. Lui avrebbe superato chiunque.
Eppure, ogni volta
che provava qualcosa che non aveva a che vedere con gli eccessi di
rabbia, la voglia di primeggiare, la soddisfazione di aver concluso un
incarico o fatto esplodere qualche criminale, Bakugou si ritrovava ad
incespicare con se stesso, non potendo fare a meno di sentirsi spaesato
da qualcosa a cui non aveva mai dato l'occasione di fare completamente
parte del suo
essere.
Deku, Kirishima, Kaminari, Sero… e Mizore. Erano
stati loro ad accollarsi, non il contrario. Lui non sapeva come si
facesse. Non gli era mai importato, non ne aveva mai avuto bisogno,
troppo impegnato con se stesso per preoccuparsi degli altri.
Che
ragionamenti di merda stava facendo? Doveva aver bevuto un bicchiere di
troppo.
Il biondo strinse il volante fin quando le nocche non gli
diventarono bianche, schiacciando il pedale dell'acceleratore. La
strada scorreva inerme sotto il suo sguardo crucciato e notò
distrattamente che aveva ricominciando a piovere.
Katsuki
sbuffò, pensando che lavorare con la pioggia fosse una vera
merda, e in quel momento i suoi riflessi si mossero in automatico,
facendogli catturare un movimento al lato della strada.
Affilò lo sguardo, puntandolo sulla figura solitaria che
percorreva il marciapiede poco illuminato. Immaginò l'acqua
che quella persona si sarebbe presa di li a pochi minuti quando la
superò, lanciandole un'occhiata dallo specchietto.
Strabuzzò gli occhi.
Ma che cazzo… Mizore?
Ingoiò il groppo in gola che gli era salito
dallo stomaco
mentre inchiodava e attese. La vide bloccarsi in mezzo al marciapiede,
stringendo al petto il grande sacco che Koda le aveva portato e
osservarsi intorno, come intimorita. Poi tornò a fissare lo
sguardo sulla sua auto e Katsuki riconobbe, nella posa che aveva
assunto e in come aveva messo un piede per cambiare direzione,
circospezione.
Si irritò per quell'atteggiamento non seppe
nemmeno bene per quale motivazione. Dopotutto, una ragazza sola, di
notte… Perché diavolo non aveva chiesto un
passaggio a qualcuno?
Katsuki strinse la mascella perché, se
da una parte poteva provare a capire, dall'altra si sentì
sprofondare, ricordando tempi migliori.
Pestò una mano sul
volante, irritato, aprendo la portiera e sporgendosi quel tanto che
bastava per farsi vedere. Sentì la pioggia bagnargli i
capelli e digrignò i denti, infastidito dalla sensazione di
pelle appiccicosa.
«Guarda che non ho tutta la notte!»
Yuhiko s'imbarazzò fino la punta dei piedi, pregando che
nessuno fosse stato svegliato dal tono di voce senza riguardo che aveva
utilizzato Bakugou per abbaiarle dietro. Sospirò,
avvicinandosi con lentezza all'auto per permettere al proprio cuore di
riprendere un ritmo normale: quando aveva visto la macchina inchiodare
aveva pensato subito che fosse quel qualcuno che la stava seguendo e
che aveva deciso di agire e si era sentita paralizzata dalla paura.
«Non ti avevo riconosciuto...» disse, dopo aver
aperto la portiera, ritenendo quelle poche parole una spiegazione.
L'odore di dolciastro che aleggiava per l'abitacolo le
arrivò prepotentemente alle narici. Ebbe un attimo di
esitazione prima di entrare, ma vedendo che Katsuki continuava a
lanciarle occhiate di traverso picchiettando le dita sul volante decise
di accettare il passaggio che le stava tacitamente offrendo.
«Ma non mi dire.» commentò lui,
riprendendo a guidare, e ad Eira sembrò tanto che le avesse
lanciato uno sguardo di disapprovazione. Si portò le mani in
grembo, voltando il viso per osservare la strada che le scorreva
davanti agli occhi e le gocce di pioggia infrangersi sul finestrino. Il
silenzio che era calato tra loro non era del tutto spiacevole,
perché dopotutto Katsuki non era mai stato particolarmente
loquace. Le sembrò di essere tornata indietro di qualche
tempo e per un attimo si sentì al sicuro.
Avrebbe voluto
piangere per la nostalgia che le strinse la gola, ma scacciò
rapidamente quella sensazione.
«Devo ringraziarti.»
vide il ragazzo lanciarle uno sguardo veloce e ghignare, prima di
tornare a concentrarsi sulla strada.
«Certo che devi,
altrimenti staresti ancora su quel marciapiede di merda a farti il
bagno.» Bakugou la intravide roteare gli occhi e non si
sorprese di quella reazione. Lo faceva spesso.
«Si, anche per
questo ti devo ringraziare.» gli diede corda lei,
sorridendogli. S’infosso meglio sul sedile.
«Ma
volevo ringraziarti anche per la dritta sul regalo di Eijirou. Ci hai
davvero aiutato.» gli spiegò, stropicciandosi un
occhio e sorridendogli riconoscente. Katsuki non commentò,
limitandosi a sbuffare un mugugno tra i denti.
Tra loro calò
nuovamente il silenzio e il ragazzo la studiò con rapide
occhiate: non era bravo a capire le persone e non si sforzava
più di tanto per essere empatico, ma aveva sempre avuto buon
occhio insieme a una sana dose di giudizio e Mizore la conosceva da un
tempo sufficiente perché potesse ignorare di trovarla
particolarmente sbattuta, con quelle occhiaie pesanti e lo sguardo che
ogni tanto sembrava perdersi chissà dove e che gli
ricordò il colore del cielo quando pioveva.
Spento, grigio,
e immensamente triste.
Per un breve momento avrebbe voluto chiederle se
ci fosse qualcosa che non andasse, perché continuasse con
quel suo comportamento, perché non si desse una cazzo di
svegliata e reagisse, ma qualcosa dentro di lui lo trattenne. A Katsuki
mancò il respiro per un attimo quando la consapevolezza che
aveva già tutte le risposte che gli servivano lo
colpì dritto allo stomaco.
Ed era anche colpa sua.
«Ohi, non permetterti di dormire. Io non ti porto di peso in
casa.» la riprese poco gentilmente per scrollarsi di dosso
quelle montagne russe di emozioni, notando che il suo respiro iniziava
a
rallentare. Lei mugugnò qualcosa, aprendo gli occhi e
guardandosi intorno assonnata. Notò che la macchina si era
fermata e riconobbe il breve vialetto che portava alla sua palazzina.
Fuori continuava a piovere e si era alzato del vento, che smuoveva gli
alberi e faceva volare le foglie sparse in terra. Della giornata
soleggiata che era appena passata non era rimasto nulla. Era stata una
fortuna che avesse incrociato Bakugou per strada.
«Vuoi
salire?» fu la domanda che gli fece senza malizia, mentre si
chinava per raccogliere il sacco che aveva posato sul tappetino. Non lo
guardò in viso, mentre raccattava le proprie cose, iniziando
a scendere dall'auto dopo essersi nascosta sotto il cappuccio della
giacca, intuendo già la risposta. La verità era
che non voleva restare sola e la compagnia di Katsuki in quel breve
lasso di tempo le aveva ricordato di quando erano ragazzini. Era un
torpore piacevole a cui suo malgrado non voleva ancora rinunciare.
«È tardi, domani inizio la ronda alle
undici.» Bakugou osservò l'orario sul quadro
elettrico con una rapida occhiata, poi i suoi occhi cremisi tornarono a
studiare il viso di Yuhiko, in piedi sotto la pioggia battente. La vide
sorridere da sotto il cappuccio, ma il peso che gli era caduto sullo
stomaco non se ne andò.
«Beh, immaginavo.
Sarà per la prossima volta. Grazie, Katsuki. Buona
notte.»
Lui si limitò a un cenno del capo,
riportando lo sguardo sulla strada, stizzito. Fece per partire ma
un'ennesima stretta in gola lo costrinse a riportare
l'attenzione sul vialetto.
Yu era ormai davanti al portone di casa e
trafficava con la borsa, probabilmente cercando le chiavi, e aveva
posato il sacco a terra per facilitarsi il lavoro. La vide intenta in
quella ricerca per vario tempo, occhieggiandosi intorno ogni tanto con
rapide occhiate, mentre la pioggia continuava a infradiciarle il
cappotto e – Cazzo,
quanto ci stava mettendo quell'imbranata?
– avrebbe voluto urlarle dietro.
Eira si voltò
nella sua direzione, incrociando il suo sguardo crucciato attraverso il
finestrino e gli mostrò le chiavi con un sorriso colpevole,
arrossendo leggermente. Si sorprese di trovarlo ancora lì e
il pensiero le fece sfarfallare lo stomaco.
Lo salutò con
una mano e aprì il portone, facendo qualche passo incerto
verso
l'androne ancora buio, prima di voltarsi nuovamente indietro giusto in
tempo per vedere la macchina sparire dalla sua visuale.
Mentre guidava
immerso nel silenzio rotto solo dai rumori meccanici dell'auto, Bakugou
cercò di scacciare indietro il nervoso che lo stava
avvolgendo mano a mano che si allontanava, non riuscendo a togliersi
dalla testa la sensazione sgradevole di aver sbagliato qualcosa. Si
costrinse a non soffermarsi sui ricordi del suo sguardo, al modo in cui
si era voltata come se avesse voluto dirgli qualcosa, all'idea
opprimente che l'aveva lasciata nuovamente da sola.
Tutte stronzate.
Il
giorno dopo o al massimo quello dopo ancora gli avrebbe scritto un
messaggio con una delle sue solite domande idiote e lui l'avrebbe
ignorata. Ghignò, convinto della cosa, accedendo la radio e
facendo violenza su se stesso per far tacere i propri pensieri.
Se avesse potuto prevedere quello che
sarebbe successo quella notte, Katsuki Bakugou si sarebbe fermato a
casa di Eira anche fino al mattino.
Bentornati a tutti!
Rapido aggiornamento per farvi sapere che no, non sono morta e si, mi
ricordo che ho delle storie in sospeso. ^^' Purtroppo è un
periodo un po' pieno di imprevisti che non mi permettono di rimanere
abbastanza concentrata per scrivere.
Fortunatamente ho dei capitoli già pronti che tamponano
questi mesi altrimenti completamente morti.
Passando alla storia in sé: io vi avevo avvisato che il
rapporto Bakugo/Yuhiko era strano e complicato, eh. Ma anche Izuku e
Ochaco non scherzano. Viva l'angst!
Non ho molto da dire, siamo ancora agli inizi ma ringrazio
profondamente chi preferisce, segue, ricorda o legge in silenzio; spero
di rimanere piuttosto oc con la caratterizzazione che, ripeto, potrebbe
discostarsi molto da quello che potrebbe poi essere nel manga, ma in
ogni caso spero di azzeccare almeno le sfaccettature generali.
Alla prossima,
D. <3
|
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Capitolo 9 *** Ottavo Petalo. - Parte I ***
Cherry
Blossom Tree.
Ottavo
Petalo
– Parte 1
Era
ormai maggio e la
primavera aveva fatto la sua comparsa decisiva in un turbine di fiori
colorati, polline svolazzante e un caldo che aveva costretto le persone
ad abbandonare definitivamente le giacche invernali ed i maglioni a
maniche lunghe. La temperatura si era alzata rispetto a un paio di
settimane prima e già dal primo mattino era percepibile il
diverso tepore del sole, che si sarebbe trasformato sicuramente in
caldo nel pomeriggio. Era stato un cambiamento drastico, se messo a
confronto con le giornate ballerine di aprile, ma ben accolto dalla
popolazione, insieme all'allungarsi sempre maggiore delle ore di luce e
alla ormai concreta possibilità di poter restare in giro
fino a tarda sera senza gelare di freddo.
Ochaco percorse la via che
conduceva all'Accademia tenendo lo sguardo basso, pensierosa,
stringendo le mani attorno agli spallacci dello zaino ed ignorando il
chiacchiericcio concitato degli studenti attorno a lei.
Percepì la pelle delle gambe pruderle per il sudore e
ipotizzò fosse giunto il momento di mettere dei collant
più leggeri, come le aveva suggerito sua madre, se non
voleva ritrovarsi a grattarle continuamente.
Sospirò
stancamente, occhieggiando i colori vivaci dei fiori posizionati nelle
aiuole ai lati del viale ben tenuto, ma tramite lo sguardo distratto
che gli riservò li percepì solo come macchie
indefinite che non si sforzò di mettere a fuoco, concentrata
in altri pensieri ben più seri.
Si domandò come
stessero il professor Aizawa e Numero Tredici. Erano passati una decina
di giorni dall'attacco alla USJ da parte della Lega dei Villain, e la
scuola era stata chiusa per ripristinare e potenziare i sistemi di
sicurezza e far calmare le acque burrascose che la notizia
dell'intrusione aveva inevitabilmente portato con sé.
In
quelle giornate si era scambiata dei messaggi quotidiani con Tsuyu,
scoprendo di trovarsi davvero bene nel parlare con la ragazza, e si era
ritrovata a messaggiare anche con Deku e Iida, principalmente riguardo
come procedessero quei giorni di vacanza obbligatoria a cui erano stati
costretti e scambiandosi pareri sulle notizie che passavano ai
telegiornali e le interviste che i giornalisti avevano fatto al Preside
Nezu riguardo i provvedimenti che avrebbe preso per evitare altre
vicende spiacevoli in futuro. I Professori interpellati erano stati
tutti tranquilli ed esaurienti nel trattare con i giornali e le
televisioni, mostrando una sicurezza che gli studenti si erano
ritrovati ad ammirare e cogliendo l'occasione per fare tesoro di quel
comportamento austero e sicuro che ogni Eroe dovrebbe mostrare per
essere in grado di rassicurare la popolazione.
Trovarsi coinvolti in un
attacco serio da parte dei Villain nemmeno dopo dieci giorni di scuola
li aveva scossi profondamente, iniziando ad instaurare nel loro animo
il primo di una lunga serie di esperienze che li avrebbe formati per il
futuro che li aspettava. Inoltre, nessuno si era giustamente lasciato
sfuggire notizie riguardanti le condizioni di Aizawa e Numero Tredici.
Sapevano solo che erano in condizioni stabili e che erano stati subito
soccorsi, ma nulla di più.
Ochaco si domandò se
avrebbero avuto dei danni permanenti, - soprattutto Erased Head, che
aveva riportato fratture multiple ed era quello uscito peggio dallo
scontro, - ma immaginò che avrebbe saputo di più
una volta entrata tra le mura scolastiche. Ricordava ancora
l'insegnante incosciente in spalla ad Asui e Mineta, con il volto
tumefatto pregno di sangue e lividi da cui non si riusciva nemmeno a
capire quante o dove fossero le ferite, le braccia frantumate che gli
pendevano mollemente verso terra come rami spezzati dopo una burrasca.
Era una scena che non avrebbe mai dimenticato e che le rimestava lo
stomaco peggio del suo Quirk ogni volta che ci ripensava.
«Uraraka!»
Ochaco si costrinse a sbattere le
palpebre un paio di volte per risalire dallo stato di torpore in cui si
era ritrovata, voltandosi appena e rallentando il passo quel tanto che
bastava per dare la possibilità a Iida di raggiungerla.
«Buongiorno, Uraraka.» la salutò il
ragazzo, cortese, una volta che l'aveva affiancata. La castana gli
sorrise, cercando di dissimulare i ricordi che l'avevano impensierita
fino a quel momento.
«Buongiorno a te, Iida. Tutto
bene?» si sforzò di dare alla propria voce la
solita nota spensierata e si convinse quasi di esserci riuscita, se non
fosse stata per l'occhiata penetrante che le riservò Tenya.
Durò una manciata di attimi, ma furono abbastanza eloquenti
per farle morire leggermente il sorriso che si era forzata di mostrare.
«Si, grazie.» Il rappresentante non
commentò l'espressione che leggeva in faccia alla compagna,
ma rivolse lo sguardo verso la U.A., improvvisamente serio.
«Come ci si aspettava dall'Accademia migliore del Paese,
hanno fatto in fretta a sistemare e rendere la scuola ancora
più protetta per garantirci la sicurezza necessaria per
poter continuare le lezioni!»
Ochaco sussultò per
quel cambio di atteggiamento, spaesata per quell'uscita totalmente
differente rispetto a quella con cui le aveva risposto poco prima. Iida
aveva alzato un braccio in direzione della Yuuei e la continuava ad
indicare con l'indice, mentre l'altra mano gesticolava per aria in una
strana sequenza di movimenti verticali. Uraraka lo osservò,
spiazzata, sgranando appena gli occhi e stringendo maggiormente la
presa delle mani sulle spalline dello zaino, la bocca aperta per lo
stupore.
L'aveva fatto per
distrarla.
Addolcì lo sguardo,
colpita per quell'accortezza. Iida Tenya era proprio un bravo ragazzo.
Forse un po' rigido sulle regole e dal linguaggio ricercato, ma aveva
un animo davvero nobile e non era la prima volta che notava quanto
cercasse di rendersi utile per gli altri. Ochaco si sentì
immediatamente più leggera osservando le labbra del compagno
inarcarsi verso l'alto e la complicità con cui la stava
osservando. Si esaltò e fece istintivamente un saltello.
«Già, è proprio quello che ci si
aspetterebbe dalla Yuuei, vero?»
«Uraraka!
Iida!»
I due si voltarono quasi contemporaneamente,
incontrando la figura di Izuku che si sbracciava poco lontano per
attirare la loro attenzione.
«Ah, Deku! Ciao!» si
lasciò sfuggire Ochaco, senza pensarci. Varie paia di occhi
si spostarono tra i due, attirati dal tono acuto della ragazza e dal
suo improvviso sbracciarsi davanti all'entrata dell'Accademia. Sia
Izuku che Uraraka s'infossarono nelle spalle, sentendosi
improvvisamente sondare da troppe occhiate curiose e percependo le
orecchie fumare di vergogna.
«Midoriya!
Buongiorno!» lo accolse Tenya, una volta che gli fu
abbastanza vicino da permettergli di non urlare. Si sistemò
con un gesto veloce gli occhiali e si guardò in giro, come
per sondare l'ambiente circostante.
«Yuhiko non
c'è?» fu la domanda di Uraraka, che continuava ad
osservarsi intorno come dovesse spuntare da un momento all'altro tra la
massa di coetanei che li circondava. Ochaco spostò
l'attenzione su Deku non nascondendo un'espressione dubbiosa, cercando
di scacciare l'imbarazzo che si sentiva addosso.
«Ah, sta
arrivando. Aveva da fare.» spiegò Izuku,
passandosi una mano tra i capelli, nervoso. Occhieggiò la
ragazza senza avere il coraggio di mantenere il contatto visivo.
«Ma sta… sta bene?» volle sincerarsi
Uraraka, e in quel momento Midoriya si sentì inchiodato dal
suo sguardo preoccupato. Mosse le mani davanti al petto, agitato,
capendo solo in quel momento cosa gli stesse domandando Ochaco e
notando lo sguardo crucciato di Iida, rimasto in silenzio con cipiglio
critico mentre avanzavano lentamente verso la classe. Si
sentì uno stupido.
«Sta bene! Benissimo! Ha solo
una piccola cicatrice sulla mano e una sulla gamba, ma quasi non si
vedono.» Deku
vide i due rilassarsi visibilmente e Uraraka non riuscì a
trattenere un sospiro sollevato.
«Menomale...»
commentò, portandosi una mano al petto.
«Recovery Girl l'aveva detto che non era nulla di
grave.»
constatò Iida, aprendo la porta dell'aula e facendola
passare per prima. Izuku strinse le labbra, lasciando che i due
entrassero in classe limitandosi a seguirli senza commentare.
«Però mi sono preoccupata lo
stesso…» sussurrò Ochaco, poggiando lo
zaino sul proprio banco e sgranchendosi le spalle.
«Tu stai
bene? Il braccio? Le gambe?» domandò poi, mentre
Deku le
passava da parte. Il ragazzo notò che stava gli stava
fissando quello che aveva rotto durante il combattimento. Lo mosse
davanti al viso di Uraraka, imbarazzato per quell'accortezza,
strappandole un sorriso.
«Tutto come nuovo!»
«Per fortuna c'è Recovery Girl.»
sussurrò, pensierosa, e Iida annuì approvando
quelle parole prima di mettersi a riprendere Kaminari e Kirishima per
il baccano che stavano facendo.
Midoriya si sedette al proprio posto,
ignorando le chiacchiere altrui e mettendosi ad osservare fuori dalla
finestra con espressione vacua. Come prima tappa il suo pensiero corse
a Yu, e non poté evitare di indurire i tratti solitamente
pacati in un'espressione lievemente tesa che stonava con lo sguardo
sbarazzino con cui guardava il resto del mondo. Quelle giornate
di inizio Maggio erano sempre portatrici di brutti ricordi.
In un gesto
involontario il suo sguardo corse alla porta ma l'unica persona che
attraversò la soglia fu Tokoyami. Deku lo salutò
con un gesto della mano e un cenno del capo, tornando a rifugiarsi nei
propri pensieri. Ripensò all'attacco alla USJ, a come era
stato conciato il professor Aizawa proprio davanti ai suoi occhi, ma
più di tutti lo preoccupava lo sforzo che aveva dovuto fare
All Might per riuscire a vincere e che gli aveva drasticamente
peggiorato le condizioni di salute, diminuendo il tempo in cui poteva
usufruire della Muscle Form.
Non ci voleva, non ci voleva proprio.
Era
da quando glielo aveva comunicato che Midoriya non riusciva a smettere
di pensarci. Sentiva addosso una strana pressione, come se solo a
seguito di quell'intrusione e di essere stato faccia a faccia con dei
veri criminali avesse capito il peso che il One For All e l'essere il
simbolo della pace si portava dietro. Avrebbe dovuto assolutamente
imparare a gestirlo, capire come farlo suo senza subirne i danni
– proprio come aveva promesso che avrebbe fatto a Kacchan.
Deku occhieggiò l'aula, facendo passare lo sguardo assorto
su Kaminari che parlava con Sero e Yaoyorozu insieme a Jirou e Mina,
Shouji che stava entrando in quel momento e Ochaco che era stata
affiancata da Tsuyu. Notò che Bakugou era già
seduto davanti a lui, ma non riusciva a vederlo in faccia. Dalla
posizione svogliata e la testa poggiata sulla mano destra,
però, immaginò che stesse guardando fuori dalla
finestra, probabilmente infastidito dalle proteste moleste di Mineta
poco dietro di lui. Non fece fatica ad immaginarsi i suoi occhi cremisi
che sondavano l'esterno, senza osservarlo seriamente.
Per un breve
attimo si domandò quali pensieri gli scorressero per la
testa in quel momento e se potessero essere vagamente simili ai propri,
se tra la miriade di ragionamenti riguardanti il fatto di voler
diventare il migliore e far esplodere chiunque osasse guardarlo con
un'espressione sbagliata si ricordasse che giorno fosse.
Midoriya
scansò quei pensieri, scrollando le spalle e sospirando
leggermente, facendo dardeggiare nuovamente lo sguardo per l'aula.
Incrociò il viso di Todoroki e gli sorrise istintivamente,
ma il ragazzo lo raggelò con un'occhiata che lo
lasciò spiazzato mentre gli passava accanto per andare al
proprio posto. Izuku sentì la soggezione che gli misero
addosso quegli occhi pieni di quello che lesse come rancore anche
quando Shouto uscì dal proprio campo visivo. Avrebbe avuto
voglia di girarsi per cercare di capire quella strana sequenza di
sensazioni che gli aveva messo addosso, ma si trattenne, limitandosi a
grattarsi i capelli con nervosismo.
«Oh, Eira!»
Deku alzò lo sguardo, attirato dalla voce di Kirishima,
puntando lo sguardo verso la porta ed incontrando la figura di Yu
avvicinarsi. Lei lo salutò con un cenno del capo.
«Ciao.» disse poi, senza rivolgersi a nessuno in
particolare ma occhieggiando tutta l'aula, soffermandosi sul rosso per
vari attimi. Sembrò volergli dire qualcosa.
«Come
stai?» le chiese Ochaco, alzandosi dalla sedia ed
avvicinandosi. Yuhiko se la ritrovò vicina prima di quanto
immaginasse, cosa che la costrinse a darle la propria attenzione
totale. Uraraka ebbe l'impulso di prenderle la mano, ma si trattenne
per educazione e per la poca confidenza che avevano.
«Bene,
grazie.»
La castana la sondò con lo sguardo, non
nascondendo una nota dubbiosa di fronte alla sua risposta che
trovò monocorde rispetto al solito. Le
sembrava anche che avesse un'espressione particolarmente spenta, ma non
la conosceva ancora così bene e preferì tenere
quei pareri per sé. Forse portava ancora le conseguenze
dell'attacco alla USJ. Lei stessa aveva avuto delle notti
particolarmente insonni i primi giorni. L'aveva trovata una cosa molto
poco eroica, specialmente trovandosi intorno ai suoi compagni che non
sembravano aver cambiato atteggiamento di una virgola, ma i suoi
genitori l'avevano confortata standole particolarmente vicino.
«La mano?» volle nuovamente sincerarsi, nonostante
avesse già parlato con Izuku poco prima. Era una cosa
stupida, probabilmente, dal momento che i due compagni stavano bene e
avevano subito ricevuto le cure di Recovery Girl, ma non
riuscì a trattenersi. Eira si portò il palmo
davanti al viso, picchiettando un piede per terra per scaricare il
disagio. Varie paia di occhi le stavano guardando e la cosa la mise in
soggezione.
«Non era nulla di che…»
provò a dissimulare, occhieggiando il paesaggio fuori dalla
finestra. Izuku era decisamente stato conciato peggio, stessa cosa per
i professori. In confronto, lei non aveva subito nulla ed ebbe
l'impressione di non meritarsi quelle attenzioni, sentendosi vagamente
in colpa per la sensazione di conforto che l'avere qualcuno che si
preoccupasse per lei le stava procurando.
«Piantala di fare
casino, Pervertito!» esplose improvvisamente Bakugou,
girandosi verso Mineta con sguardo truce. Il biondo sembrò
notarla solo in quel momento e la degnò di una breve
occhiata stizzita che le fece istintivamente assottigliare lo sguardo.
«Chissà chi ci farà lezione oggi,
cra…» mormorò Asui, pensierosa, mentre
Mina si voltava verso di lei annuendo distrattamente.
«Speriamo che il Professor Aizawa stia meglio.» fu
il pensiero di Yaoyorozu, che strappò degli sguardi
pensierosi al resto dei compagni. Per l'aula calò un
silenzio quasi innaturale che smorzò perfino i sorrisi di
Kaminari, Sero e Kirishima. Katuski borbottò qualcosa ma
nessuno si sforzò di capirlo né provò
a chiedergli di ripetere.
«Forza ragazzi, fate silenzio e
sedetevi tutti! Sta per iniziare la lezione!» fu il richiamo
generale di Iida quando suonò la campanella, e Uraraka e
Yuhiko si accomodarono ai loro posti dopo
essersi scambiate un'occhiata mentre Tenya osservò tutta la
classe con sguardo eloquente.
Eira poggiò il viso su una
mano, percependo i mormorii perplessi e le supposizioni dei compagni su
chi gli avrebbe fatto supplenza e i commenti sulla dimostrazione di
forza di All Might accarezzarle le orecchie. Chissà se gli
avrebbero comunicato a che punto erano le convalescenze dei loro
professori. Represse uno sbadiglio, passandosi una mano sugli occhi e
poi nei capelli per spostare il ciuffo dietro le orecchie.
«Buongiorno ragazzi.»
«Professor
Aizawa!»
Come se si fossero messi d'accordo tutte le teste
della classe saettarono verso la porta, incontrando la figura
dell'uomo. Iida e Kirishima addirittura si alzarono in piedi per la
sorpresa e l'istinto di raggiungerlo per dargli supporto, bloccandosi
all'occhiata eloquente che l'uomo gli riservò costringendoli
nuovamente seduti.
Con passo zoppicante Shota si trascinò
lentamente verso la cattedra, osservato morbosamente da un misto di
espressioni stralunate ed ammirate. Gli venne da sospirare, ma non
disse nulla. Anche se cercò orgogliosamente di non darlo a
vedere aveva ancora dolore dappertutto e non aveva voglia di sprecare
fiato, dal momento che anche solo muovere il viso per parlare era
abbastanza fastidioso a causa dei lividi non ancora guariti e i punti
che tiravano la pelle.
«Professore, sta bene? Non dovrebbe
stare a riposo?» si permise di domandare Momo, non
nascondendo una nota di titubanza nella voce. Nonostante le cure dei
medici e di Recovery Girl era sicura che la convalescenza di Aizawa
sarebbe dovuta durare varie settimane.
«Cavoli, è
proprio un professionista…» commentò
Denki, osservandone il viso completamente fasciato in candide bende
bianche e le braccia ingessate.
«Come sto io non
importa.» Deku s'irrigidì sulla sedia e strinse i
pugni, improvvisamente teso davanti a quella confessione: come aveva
immaginato, Aizawa non si era ancora ripreso del tutto.
Sperò che non avesse subito troppi danni agli occhi, dal
momento che erano praticamente l'unico metodo in cui poteva utilizzare
il suo Quirk.
«Devo farvi i complimenti, ragazzi, per come
avete affrontato quei Villain.» continuò, non
lasciando tempo a nessuno di interromperlo con domande a sproposito.
Non che credeva lo avrebbero fatto, quel giorno. I ragazzi sembravano
diventati improvvisamente muti, completamente concentrati su di lui e
su ciò che stava dicendo. Il suo sguardo cercò in
particolare quello di Midoriya, e vide il ragazzo sussultare quando gli
rivolse una lunga occhiata. Poi lo fece scorrere su tutti i presenti,
come se li stesse analizzando, fermandosi su Tsuyu e Mineta per alcuni
secondi.
Socchiuse le palpebre, scacciando i ricordi del combattimento.
Quei tre in particolare se l'erano vista davvero brutta pur di
aiutarlo, ma erano stati bravi. Concordava con
il pensiero degli altri insegnanti riguardo il fatto che in quella
classe c'erano sicuramente elementi interessanti. Sarebbe stata una
bella sfida tirarne fuori il meglio.
Aizawa non poté evitare
si sentirsi esaltato, ma rimase inflessibile.
«D'ora in poi
dovrete impegnarvi ancora di più.»
continuò, con voce strascicata. Quel Noumu gli aveva
conciato il viso per bene, se sentiva ancora il sapore ferroso del
sangue in fondo alla gola. Forse gli era saltato qualche punto mentre
parlava.
«La battaglia non è ancora
cominciata...» lasciò volutamente la frase in
sospeso, per tastare la reazione degli studenti e riprendere fiato. Con
sua somma soddisfazione la maggior parte di loro si tese all'istante,
affilando lo sguardo e facendosi improvvisamente più seria,
come se dovesse scattare in piedi da un momento all'altro.
«Battaglia?»
«Sono tornati i
Villain?»
«Di già?»
«Che vengano, li farò esplodere uno ad
uno!»
Aizawa li osservò con sguardo vacuo,
nascondendo il ghigno che gli nacque spontaneo dietro le bende. Era
giusto così, dovevano essere sempre all'erta. Quell'assalto
era stato involontariamente un bel banco di prova.
«Professore, di cosa sta parlando?»
domandò Iida, alzandosi nuovamente in piedi. Shota gli fece
un cenno col capo per farlo tornare a sedere, interrompendo i mormorii
concitati che avevano iniziato a serpeggiare per la classe. Questa
volta i suoi studenti avrebbero dovuto dare il massimo, ma non c'erano
Villain, ad attenderli.
«Sto parlando del Festival
Sportivo.»
***
«Ah
sono così emozionata!» Uraraka mosse il bicchiere
che aveva in mano con troppa enfasi, perché l'acqua che
conteneva strabordò e finì per gocciolarle sulla
maglia. Eira ridacchiò per l'entusiasmo della ragazza,
vedendola arrossire d'imbarazzo quando anche Deku e Iida si misero ad
osservarla.
«Voi no?» chiese, più
tranquilla, passandosi un fazzoletto sulla cravatta umida aggrottando
la fronte.
«Per il Festival Sportivo?» chiese
conferma Yuhiko, finendo di mangiare. Il suo sguardo vagò
per la mensa, pensieroso, mentre Ochaco le annuiva sbattendo
ripetutamente le palpebre. L'idea la esaltava così tanto?
«Mh…» borbottò, poco
convinta, alzando le spalle.
«È un evento
importante, come ha spiegato stamattina il Professor Aizawa. Come fai a
non essere emozionata nemmeno un po'?» domandò
Iida, sistemandogli gli occhiali, forse intuendo le titubanze della
mora dalle rughe che le incresparono la fronte e lo sguardo
improvvisamente lontano. Eira si prese qualche secondo, perdendosi ad
osservare la massa di studenti che le stavano intorno come se potessero
darle le parole di cui necessitava.
Era una cosa che non sapeva
spiegarsi, ancor meno dirla a parole. Specialmente in quei giorni
l'ultima cosa a cui voleva pensare era una gara contro il resto della
scuola. A lei interessava diventare una Pro Hero, e mai come quella
giornata le ricordava le motivazioni dietro tale scelta, ma allo stesso
tempo non le importava di scalare la vetta come desideravano Izuku o
Katsuki. Lei voleva fare quel lavoro e basta, ed essere a posto con la
sua coscienza, sapendo di aver dato tutto ciò che poteva per
gli altri, allenandosi e migliorando fino ad essere soddisfatta. Anche
se sapeva quanto fosse importante il Festival per farsi notare dalle
agenzie ed introdursi in quel mondo.
Sospirò pesantemente,
rendendosi conto che non c'era scappatoia. Avrebbe dovuto comunque dare
il meglio di sé se voleva riuscire ad arrivare dove
desiderava e il Festival Sportivo era una tappa obbligatoria.
Probabilmente prima se lo ficcava in testa meglio sarebbe stato.
«Non è che non sono emozionata... solo che... boh,
non saprei dire.» mugugnò, ancora pensierosa,
senza riuscire a dare un ordine ai propri pensieri. Cercò lo
sguardo di Deku e il ragazzo sussultò, intuendo la richiesta
silenziosa dietro l'occhiata implorante che gli lanciò la
ragazza che gli stava di fronte.
«Uraraka, tu
perché desideri diventare una Pro Hero?»
domandò, cambiando argomento. Vide Yu sospirare,
rifugiandosi nuovamente nel suo mondo silenzioso e la lasciò
fare. Ochaco sbatté gli occhioni, portandosi un dito al
mento. Si umettò le labbra, giocherellando con le bacchette.
«I miei hanno una ditta edilizia e spesso bisogna sollevare
pezzi molto grossi, i macchinari costano...»
iniziò, tenendo lo sguardo sul piatto ancora mezzo pieno.
«Ah, azzereresti i costi se potessi usare liberamente il tuo
Quirk!» intervenne Izuku, acuto. La ragazza annuì
distrattamente, ricordando la discussione con i genitori e le parole di
suo padre.
«Voglio diventare una Professionista per poter
guadagnare e fargli vivere una vita tranquilla.»
affermò, rialzando lo sguardo. Avevano sempre messo la sua
felicità prima della loro qualsiasi fosse la condizione in
cui si trovavano. Il minimo che poteva fare era ricambiare quelle
attenzioni.
Tenya applaudì per quella schiettezza e Midoriya
sgranò gli occhi, colpito da quella sicurezza e dall'alone
di determinazione che aveva improvvisamente animato lo sguardo di
Ochaco. Sentì il respiro accelerare e la bocca gli
diventò improvvisamente asciutta. Le parole di Uraraka lo
spinsero a riflettere meglio sul suo desiderio di voler essere come All
Might. Strinse i pugni sotto il tavolo, sempre più convinto
delle proprie decisioni e su ciò che avrebbe dovuto fare da
quel momento in poi.
Tutti si stavano impegnando, non poteva essere da
meno. Non voleva essere da meno.
«Tu invece vuoi diventare
come tuo fratello, vero, Iida?» domandò la
ragazza, interrompendo la sequela di complimenti che le stava facendo.
Il ragazzo tornò immediatamente serio e sistemò
gli occhiali.
«Si, esatto. Desidero fare del mio meglio per
poter aiutare le persone.» confermò, deciso. Eira
ascoltò distrattamente i loro discorsi, occhieggiando la
sala mensa con sguardo spento ed individuando alcuni dei loro compagni
sparpagliati per alcuni tavoli.
«Yuhiko?»
Ognuno
aveva i propri motivi per entrare nel mondo dei Pro Heroes, ma pensava
che ce ne fossero davvero pochi a lasciare dei segni particolari
– come All Might. Forse era per quello che Bakugou era
così ossessionato all'idea di superare tutti.
«Yuhiko?» Eira sussultò, colta alla
sprovvista dal tocco di Ochaco sulla spalla. Rivolse ai tre uno sguardo
dispiaciuto, accorgendosi delle loro espressioni preoccupate. Si era
distratta.
«Dicevi?» Uraraka tornò a
sedersi composta, rilassandosi visibilmente e sorridendole.
«Tu perché vuoi diventare Pro Hero?» le
domandò, incuriosita. A Eira si bloccò il respiro
in gola. Notò distrattamente il volto di Izuku diventare
improvvisamente tirato e sbiancare.
«Io voglio
proteggere le
persone!»
Si morse un labbro, distogliendo lo sguardo e
facendolo dardeggiare per la stanza come per cercare una scappatoia.
Giusto, lei... perché voleva diventare una Hero?
«Nasconditi, presto.»
«Beh...»
iniziò, e vide Midoriya trattenere visibilmente il respiro e
lanciare uno sguardo angosciato, ma rimase zitto, fissandola di
sott'occhi senza il coraggio di dire nulla.
«Una
barriera...»
Restò in silenzio per quella che le
sembrò un'eternità, sentendosi improvvisamente
confusa da troppi ricordi. Una fitta al petto la costrinse a prendere
un respiro profondo per cercare di scacciare la sensazione di angoscia
che aveva iniziato ad agitarsi nello stomaco.
«Per proteggere
le persone.» Il suo mormorio si perse tra gli sguardi
compiaciuti dei due compagni e il chiacchiericcio degli studenti.
Affilò lo sguardo, consapevole del pensiero errato che la
stava accompagnando ma che non la lasciava mai e che non poteva fare a
meno di nutrire. Specialmente in quella giornata.
Per proteggere le
persone... e per vendetta.
***
«Ohi
Bakugou! È libero questo posto? Non ti dispiace se mi siedo,
vero?»
Katsuki alzò lo sguardo dal proprio piatto
quel tanto che bastava per osservare Kirishima sedersi di fronte a lui
facendo strascicare la sedia per terra senza nemmeno aspettare una sua
risposta. Il suono lo infastidì leggermente, ma ancor di
più lo infastidì il sorriso sul volto del
compagno e la sua espressione spensierata. Che cazzo aveva sempre da
ridere lo sapeva solo lui.
«Non ho detto che potevi
sederti.» commentò, secco, aggrottando la fronte.
Per tutta risposta Eijirou gli riservò un'alzata di spalle,
per nulla toccato dal tono piccato del ragazzo, iniziando a mangiare.
«E non ignorarmi, Capelli di Merda!» lo riprese,
sporgendosi verso di lui. Katsuki sentì uno strano tic
all'occhio. Sbuffò palesemente, richiudendosi nel suo
silenzio dopo aver fulminato il ragazzo di fronte a lui con una lunga
occhiata storta che gli strappò solo uno sguardo perplesso e
una serie di mugugni a bocca piena.
Dannazione.
Bakugou
incrociò le braccia al petto, indispettito, sentendo il
sangue pulsargli contro le tempie in modo quasi fastidioso. Il brusio
della sala mensa e le chiacchiere dei ragazzi gli tornarono
prepotentemente a disturbare l'udito.
Dannato Kirishima.
Bakugou
scoccò la lingua contro il palato allo stesso modo in cui
gli riservò un'ennesima occhiata storta, tirando le labbra,
accettando l'idea di dover abbandonare la quiete che si era costruito
attorno e che il rosso gli aveva frantumato senza nessun riguardo.
Restò in silenzio guardando Eijirou parlare senza
ascoltarlo, pensieroso, domandandosi perché continuasse
imperterrito a inondarlo di parole pur sapendo che non gli avrebbe dato
corda.
Da dopo l'attacco alla USJ Capelli di Merda gli si era
appioppato ancora di più e mai come in quel momento in cui
ce lo aveva davanti a mangiare si rese conto che il ciarlare a cazzo di
quel ragazzo gli si stava conficcando nelle orecchie in modo sempre
più frequente. Katsuki non capiva davvero cosa volesse da
lui e perché non se ne stesse con Faccia da Scemo, il Nano
Pervertito e Salsa di Soia come i primi giorni.
Qualcosa dentro di lui
ringhiò di vittoria e Bakugou increspò le labbra,
in una sorta di ghigno soddisfatto appena accennato, mentre dava corda
ai propri pensieri ed al proprio ego, osservando il ragazzo di fronte a
lui scandagliare la sala come se stesse cercando qualcosa – o
qualcuno.
Probabilmente aveva capito che era forte. Che sarebbe
diventato il migliore. Se le cose stavano così, non si
sorprendeva di averlo attirato come gli orsi con il miele. Tutti
l'avevano sempre ammirato, fin da quando era piccolo.
Kirishima venne
scandagliato dagli occhi cremisi di fronte a lui senza nemmeno
accorgersi, mentre con la bocca ancora piena si sbracciava per la sala
attirando l'attenzione di Sero, Kaminari e Mineta che, una volta
adocchiato il ragazzo, si avvicinarono immediatamente al tavolo con i
vassoi in mano.
«Cavoli, certo che se si ritarda un attimo
bisogna aspettare un sacco per prendere da mangiare!» si
lamentò Denki, lasciandosi andare mollemente sulla sedia e
lanciando uno guardo di traverso alla lunga fila di studenti ancora in
piedi.
«Coda, si… guarda quante belle
gambe… un'occasione per stare appiccicato alle
ragazze…» mormorò Mineta, perso nelle
proprie fantasie, il segno di una mano ben visibile sulla guancia.
Kaminari gli lanciò un'occhiata esasperata
sperando che l'udito fine di Jirou non lo sentisse, perché
quando faceva qualche commento a sproposito – non sapeva
spiegarsi ancora come – finiva sempre in mezzo anche lui.
«Sei senza speranza, Mineta.» lo prese in giro
Sero, strappando delle risate ai compagni.
«Ah? Sei solo
invidioso del mio successo con le ragazze!» si offese il
più piccolo, stringendo una mano a pugno e sventolandogliela
davanti alla faccia.
«Sarò il primo Pro Hero ad
avere un Harem! Sta a vedere!» continuò,
vantandosi. Annuì soddisfatto, compiacendosi da solo per le
sue stesse parole, dimentico di aver ricevuto uno schiaffo da una
studendessa più grande giusto una decina di minuti prima.
«Se essere ignorato o picchiato lo chiami
successo…» borbottò Kirishima poco
convinto, nascondendo la sua espressione dubbiosa dietro il bicchiere.
Sero sghignazzò lanciandogli uno sguardo veloce.
«Voi non capite!» sbottò il
più piccolo, guardandoli tutti male e stanco di essere preso
in giro. In risposta ottenne solo delle risate.
«Dai Mineta,
non prendertela!»
«Oh, avete sentito del Festival
Sportivo?»
«Non vedo l'ora che inizi!»
«Sarà una prova da veri uomini!»
«La piantate di fare baccano?!»
sbottò Bakugou, stanco delle voci concitate che
gli trapanavano i timpani e con la pazienza definitivamente esaurita. I
quattro si congelarono sulle sedie e varie teste si voltarono nella
loro direzione, perplesse per quel casino improvviso. Nei tavoli
attorno a loro calò un silenzio quasi innaturale. Kirishima
si grattò la testa, gettando occhiate imbarazzate in giro ed
abbassando il capo in segno di scuse verso gli studenti più
grandi.
«Dai Bakugou, non c'è bisogno di alzare la
voce.» lo riprese Hanta, guardando di sott'occhi la sua
faccia crucciata e i palmi che ogni tanto mandavano scintille.
«Sei sempre il solito.» gli fece notare Eijirou
senza giri di parole, beccandosi un'occhiata di fuoco.
Il solito? Che
cazzo voleva dire il solito?
Katsuki sentì le mani
sfrigolare dalla voglia di far scomparire quelle espressioni allegre
che gli stavano mostrando con la stessa velocità con cui gli
stavano facendo saltare i nervi uno per uno.
«Ormai abbiamo
capito che hai un carattere di merda, puoi anche evitare di rimarcarlo
tutte le volte.» commentò
mellifluo Kaminari, facendo spallucce e arricciando le labbra in un
ghigno, osservando la reazione del compagno davanti a lui con sguardo
compiaciuto. Il ringhio basso che Bakugou gli restituì fu
abbastanza per far capire a tutti che le parole di Denki lo avevano
colpito in modo da dargli fastidio ancor di più.
Il biondo
si morse un labbro, nervoso. Quegli stronzi lo facevano apposta a
punzecchiarlo per farlo incazzare.
Katsuki si ritrovò a fare
i conti per la prima volta con delle persone che non sembravano
minimamente preoccupate delle sue reazioni eccessive ma, anzi,
sembravano divertirsi. Non seppe catalogare la sensazione che gli
nacque all'altezza del petto mentre li fulminava con la peggiore delle
espressioni rabbiose che era capace di fare, ma gli diede immensamente
fastidio vedendo che non sortivano l'effetto a cui era sempre stato
abituato. E tutto era partito per colpa di Capelli di Merda, che gli si
era appiccicato addosso come se avesse la colla e si era trascinato
dietro anche gli altri.
Maledetto. Lo avrebbe fatto esplodere.
Bakugou
sbuffò, incrociando le braccia al petto e facendo
dardeggiare lo sguardo per la mensa tornando ad ignorare volutamente i
ragazzi al tavolo con lui. Si scontrò con lo sguardo di Deku
e non
si sorprese di vederlo sussultare quando si accorse che lo stava
osservando, ma la direzione verso cui era rivolto il volto di Izuku lo
costrinse a seguirne la traiettoria, finendo per spostarsi sulla figura
di Eira a pochi passi di distanza e facendogli morire il ghigno
di compiacimento che gli era nato in viso. Bakugou ci mise qualche
secondo di troppo a capire che si stava dirigendo verso di loro.
Ci mancava lei a
rompergli i coglioni, quel giorno.
«Oh Yuhiko,
ciao!» L'accolse Kaminari, allegro, vedendola fermarsi
accanto a lui.
«Che cosa vuoi, Mizore?»
l'apostrofò Katsuki senza nemmeno guardarla, prima ancora
che potesse dire qualcosa. Yu tirò le labbra, dedicandogli
un'occhiata indefinita che durò giusto una manciata di
attimi, per poi spostare l'attenzione su Kirishima e cambiare
totalmente espressione.
Bakugou si ritrovò a studiare la
ragazza assottigliando lo sguardo, sentendo la soddisfazione di essere
stato lasciato in pace lasciargli una strana sensazione agrodolce.
Corrugò la fronte.
Lo aveva appena ignorato?
«Mizore?» commentò Mineta, pensieroso,
studiandola con delle occhiate palesi che Eira fece volutamente finta
di non vedere. Resistette dalla voglia di tirargli una gomitata in
testa per fargli finire la faccia nel piatto e si limitò a
roteare gli occhi al cielo.
«Volevo ringraziarti, non l'ho
ancora fatto come si deve.» disse, rivolta al ragazzo, ed
Ejirou arrossì leggermente di fronte alla sua espressione
palesemente grata nei suoi confronti e al modo diretto con cui lo stava
guardando.
«Ah, ma figurati! Era il minimo!»
Kirishima si passò una mano tra i capelli per scaricare
l'imbarazzo che sentiva impastargli la bocca e scaldargli le orecchie.
«Come stai?» le chiese poi, più serio,
attirando l'attenzione di Katsuki. Al biondo non scappò lo
scambio di sguardi tra i due e arricciò il naso, sentendo un
vago presentimento irrigidirlo alla bocca dello stomaco. Di che diavolo
stavano parlando? Non osò fiatare, limitandosi ad osservare
la scena trincerato dietro il suo muro di mutismo e
scontrosità aspettando di capirci qualcosa in quel discorso
fatto di frasi a metà del cazzo.
Eira si morse un labbro,
scoccando la lingua sul palato, ghignando e lanciando a Kirishima uno
sguardo complice.
«Ah, sto bene, però mi hai
proprio salvato il culo.»
«Di cosa state
parlando?» s'intromise Sero, incuriosito, e Yuhiko
approfittò di quella pausa per sedersi nel posto vuoto
accanto a Kaminari, ignorando l'espressione contrariata con cui Bakugou
accolse quel gesto. Appoggiò il volto su una mano e
sospirò.
«Dell'attacco alla USJ.»
***
Eira
riaprì gli occhi a fatica, sentendo una fitta trapassarle la
testa non appena le sue pupille vennero nuovamente in contatto con la
luce del giorno. Fu come se un'esplosione di puntini neri stesse
facendo festa nel suo campo visivo appannato e ci vollero vari secondi
perché scomparissero del tutto.
Si portò
automaticamente una mano alla fronte, massaggiandosela per cercare di
alleviare il dolore pulsante che sentiva direttamente nelle orecchie e
asciugandosi il sudore che le colava lungo le tempie con il dorso
coperto dal guanto.
Cosa diavolo era successo?
Le bruciava uno zigomo e
i capelli sparsi le solleticavano il collo e le spalle scoperte.
Deglutì, percependo in bocca il sapore della polvere misto a
quello del sangue che le arrivò fino in fondo alla gola.
Probabilmente era caduta e aveva battuto il viso quando il Warp Gate
del Villain li aveva assorbiti. Sbatté le palpebre un paio
di volte, cercando di mettere ordine nella confusione che le annebbiava
i pensieri.
Dov'era finita?
Eira sospirò stancamente,
prendendo grosse boccate d'aria che le trafissero la schiena e
percependo il proprio corpo formicolare mentre cercava di recuperare la
motivazione necessaria per alzarsi, rendendosi conto che un labbro e lo
zigomo le sanguinavano e vedeva tutto doppio se girava la testa troppo
in fretta. Puntò lo sguardo sull'asfalto di fronte a lei per
calmare i capogiri, rimuginando.
Era caduta dall'alto, quello lo
ricordava.
Ricordava la sensazione del corpo avvolto dalla massa nera,
il buio che sostituiva l'ambiente della USJ che la circondava e la
costrizione soffocante di non riuscire a muoversi, ogni suono sparito,
le voci dei suoi compagni echi sempre più lontani. Aveva
provato a tendere la mano per cercare qualche appiglio nel nulla, ma
non era servito a niente se non a farle venire un attacco di panico nel
rendersi conto che era completamente sola, staccata dal resto della
classe.
Aveva riaperto gli occhi solo quando si era accorta dell'aria
che le aveva iniziato a graffiare il viso, la pressione attorno
diminuire fino a mutare nell'inconfondibile certezza di stare cadendo
nel vuoto. Il grido che stava per buttare fuori era stato smorzato dal
cuore saltatole direttamente in gola.
Cercando di evitare di finire
spiaccicata contro la strada aveva attivato il Quirk creandosi un
appoggio, ma qualcosa doveva essere andato storto, perché la
conoscenza del terreno l'aveva fatta lo stesso e non era stata delle
più piacevoli.
Yuhiko liberò un sospiro
sconsolato, portandosi davanti al viso le mani con i polpastrelli
arrossati e notando i palmi dei guanti sporchi di terriccio, qualche
sassolino incastrato nel tessuto ormai scorticato.
I
Villain…
Tirò le labbra, guardandosi intorno con
nervosismo crescente: era finita in una parte della USJ in cui era
stato predisposto lo scoppio di un terremoto, probabilmente, o qualche
tipo di ordigno, a giudicare dai calcinacci per strada, gli edifici
malmessi e traballanti e tutti i rottami, i pezzi di vetro e cemento
sparsi lungo la via. La strada era spaccata da crepe e buchi profondi e
c'erano pezzi di ferro che sporgevano dalle mura dei condomini
disintegrati.
Eira mosse qualche passo studiando ciò che
stavano registrando i suoi occhi, accorgendosi con un brivido lungo la
schiena di essere sola – completamente sola – mano
a mano che riacquistava lucidità. Si morse il labbro
già martoriato, immobilizzandosi e tendendo tutti i sensi
come se fosse un cervo in mezzo alla radura che sente l'arrivo del
cacciatore e affilò lo sguardo, percependo una sensazione di
disagio annidarsi nello stomaco ogni secondo di più.
Con gli
occhi che dardeggiavano per l'ambiente alla ricerca spasmodica di un
volto amico la mente di Eria iniziò a lavorare per cercare
di mettere in ordine i pensieri.
La Yuuei era stata attaccata dai
Villain…
La mora strinse un pugno domandandosi come avessero
fatto ad eludere i sistemi di sicurezza, percependo il proprio corpo
irrigidirsi per la tensione tanto da darle fastidio e provando
l'inconfondibile sensazione di essere spiata.
Si voltò di
scatto, saggiando ogni angolo di quegli edifici e massi distrutti con
sguardo serio.
Invece di rilassarsi non vedendo niente di anomalo la
cosa ebbe il potere di aumentarle l'inquietudine, mentre la propria
mente ragionava in un accumulo di pensieri prima ancora che si rendesse
conto degli stessi. Erano dei nascondigli perfetti per tenderle un
agguato. Ed era sicura ci fosse qualcuno, nascosto lì in
mezzo, magari dietro qualche masso o qualche colonna portante che
aspettava solo che abbassasse la guardia per attaccarla.
Li avevano
divisi apposta? Per poterli battere più facilmente?
Yuhiko
storse il naso, relegando le domande in un angolo della propria mente,
decidendo che non erano importanti in quel momento. L'unica cosa che
contava era che riuscisse a raggiungere qualcuno dei suoi compagni e
che tutti stessero bene.
Occhieggiò velocemente il tetto
della palestra e il suo corpo rispose automaticamente:
accumulò il potere sotto i piedi per solidificare l'aria e
crearsi degli appoggi e iniziò a salire facendo dei salti.
Si ritrovò sopra gli edifici e per un attimo le
mancò il respiro, rendendosi conto della grandezza immensa
della USJ, tanto che si infossò nelle spalle provando la
sensazione inconfondibile dell'amarezza di fronte a quella visione che
le bruciò nello stomaco.
L'entrata era dalla parte opposta
alla sua, ma intorno a sé non vedeva nessuno. Tutto sembrava
tacere in un silenzio tanto opprimente quanto inquietante –
perfino le esplosioni di Katsuki sarebbero state un suono gradito in
quel momento.
«Sei scoperta, mocciosa!»
Eira
abbassò lo sguardo, rendendosi conto della sagoma che le
stava andando contro veloce come un proiettile. Saltò
indietro con una capriola, evitandola per un pelo, e la corrente d'aria
che si portò dietro le scompigliò prepotentemente
i capelli costringendola a portarsi le braccia davanti al viso per
proteggersi gli occhi dal terriccio. Girò su se stessa,
cercando la figura del Villain nel cielo attorno a lei con sguardo
febbrile.
Dov'era andato?
«Sei finita!»
Eira si
voltò di scatto, alzando di poco lo sguardo e portando le
braccia in avanti verso il nemico che le stava piombando addosso e che
si schiantò contro la lastra che si frappose tra loro. Lo
osservò arretrare di vari metri in una serie di movimenti
sconnessi e piume svolazzanti e si accorse che aveva le ali attaccate
alle braccia. Quello scosse la testa, intontito, focalizzandosi poi
sulla sua figura sospesa nell'aria e sulla barriera che le stava
davanti. La fulminò con gli occhi gialli ridotti a due
fessure ed Eira di contro si mise in una posizione difensiva,
osservando il taglio che si era fatto sulla fronte e il sangue colargli
lungo una tempia.
«Brutta mocciosa, adesso ti sistemo come si
deve!» le urlò contro, accorgendosi dello sguardo
compiaciuto che gli stava rivolgendo. Yuhiko increspò le
labbra in un sorrisino, sentendo l'agitazione lasciare lentamente posto
all'adrenalina e alla strana sensazione di poter vincere.
Poteva
farcela, doveva solo restare concentrata...
Espirò,
smaterializzando la barriera e allargando l'appoggio sotto i piedi per
sentirsi più stabile. Accumulò potere nelle gambe
e nelle mani per prepararsi e rimase ad aspettare la mossa del suo
avversario, percependo l'aria serpeggiarle lungo la pelle in spire
agitate mischiandosi al suo respiro.
Senza darle altro tempo per
pensare il Villain le andò contro e lei fece nuovamente per
proteggersi, ma pochi istanti prima che l'uomo si schiantasse
nuovamente contro la barriera virò la direzione, sbattendo
le ali e innalzandosi verso l'alto, piombandole addosso aiutato dalla
forza di gravità.
Yuhiko seguì a fatica i suoi
movimenti e le sue intenzioni, arretrando istintivamente per evitare il
calcio che provò a tirarle portandosi le braccia davanti al
viso. Cercò di parare la serie di attacchi accumulando
l'aria e solidificandola per attenuare i colpi e proteggersi nei punti
in cui il Villain stava cercando di ferirla, ma concentrarsi sia sulle
braccia che sui piedi per non rischiare di cadere le riusciva difficile
e la paura di perdere il sostegno sotto di sé era maggiore
di prendere un pugno.
Provò a tirargli un paio di calci, ma
quello li schivò senza subire grossi danni, svolazzando
davanti a lei e fissandola con soddisfazione. Si era reso conto della
praticamente nulla esperienza che aveva nel corpo a corpo e della sua
difficoltà di impiegare il Quirk in più cose
contemporaneamente.
Eira si morse un labbro, iniziando a sentire il
respiro pesante e il sudore colarle lungo le tempie, ragionando: il
Villain era veloce, le ali lo aiutavano nei movimenti in aria e lei
iniziava a sentire le gambe poco stabili. Affilò lo sguardo,
prendendo un grosso respiro e smaterializzando gli appoggi, lasciandosi
cadere nel vuoto per vari metri pur di mettere un po' di distanza tra
lei e il suo avversario che la fissò, interdetto.
«Dove credi di andare, mocciosa?!»
Yuhiko
atterrò sul tetto di un edificio traballante, sollevata di
aver rimesso i piedi su un terreno stabile e prendendo dei grossi
respiri. Ancora accovacciata alzò il viso, osservando il
Villan dal basso, ma quello sorrise dandole una viscida sensazione di
sospetto.
«Ohi ohi, non essere egoista! Lascia giocare un po'
anche noi!»
Eira istintivamente si tirò in piedi,
avvicinandosi con passi misurati al bordo del tetto e seguendo la
direzione verso cui si era girato a guardare il suo avversario con
malcelato disaccordo per l'interruzione. Rimase spiazzata, incontrando
altre quattro sagome in mezzo alla strada dove fino a poco prima era
stata sdraiata.
«Merda.»
Tutte guardavano verso
l'alto, puntando gli occhi verso di lei. Eira li poteva vedere ghignare
anche da quell'altezza mentre si sfregavano le mani, impazienti. Anche
gli altri stavano combattendo contro i Villain? Dal Warp Gate ne erano
entrati, effettivamente, tantissimi, forse proprio per tenerli
impegnati. Doveva assolutamente riunirsi con qualcuno, il prima
possibile.
«Ti stai facendo battere da una
ragazzina?» lo prese in giro una donna, strappando delle
risate al resto del gruppo che attirarono l'attenzione di Yuhiko.
«Ma sta zitta, strega!» gridò l'uomo
alato, serrando i pugni per l'irritazione e sbattendo le ali con
nervosismo evidente.
«Allora non ti dispiacerà se
mi intrometto!»
Improvvisamente, Eira si vide arrivare contro
una serie di attacchi che la costrinsero a indietreggiare per evitare
di essere centrata in pieno. Delle rocce lanciate dal basso colpirono
l'edificio,
facendolo tremare prepotentemente, andando a schiantarsi nel punto in
cui era sporta fino a pochi secondi prima. Pezzi di cemento e mattoni
volarono in giro e lei fu obbligata ad accovacciarsi per non perdere
l'equilibrio appoggiandosi ad una sporgenza, solidificando
istintivamente l'aria sopra di lei per evitare che i detriti le
arrivassero addosso. Tossì, infastidita per la polvere che
si era alzata attorno a lei, frastornata. Le sembrava di sentire ancora
i tremori sotto i piedi.
Crack.
S'immobilizzò, facendo
dardeggiare lo sguardo per il tetto e cercando di scorgere qualcosa
attraverso la nube che avevano alzato i detriti, mettendosi in
posizione difensiva. Ci mise pochi attimi a rendersi conto che due
Villain l'avevano raggiunta sul tetto, i restanti erano nel palazzo di
fronte e il primo uomo ad averla trovata li aveva raggiunti,
poggiandosi elegantemente sul bordo del tetto.
«Sei finita,
mocciosetta.» la prese in giro la donna di prima,
occhieggiandola vittoriosamente. Aveva delle pietre sollevate intorno
alla sua figura. Telecinesi?
Eira studiò le persone che la
circondavano, cercando di capire che tipi di Quirk avessero.
«Shigaraki Tomura ha detto che possiamo farvi ciò
che vogliamo pur di colpire All Might.» sussurrò
l'uomo, facendo schioccare la lingua contro il palato e ottenendo una
risatina esaltata dalla compagna.
Yu affilò lo
sguardo, reprimendo la preoccupazione che le misero addosso quelle
parole dietro un'espressione truce mentre lo osservava incrociare le
braccia nude al petto. Che cazzo pensavano di fare? Di poter entrare
alla Yuuei e fare come se fossero a casa loro? Forse non avevano capito
bene la situazione.
Yuhiko si sentì irritata per il modo in
cui la stavano sottovalutando. Per come stavano sottovalutando tutti
loro. Dopo tutto l'impegno che lei e gli altri ci stavano mettendo per
poter essere degni di quella scuola, dopo tutti gli sforzi, le lacrime,
le esercitazioni che già in sole due settimane li avevano
messi a dura prova. Quella gentaglia non aveva capito proprio niente di
loro futuri Heroes e dei professori che li seguivano.
Eira
scattò, dirigendosi verso i due Villain che le stavano di
fronte, decidendo di approfittare della bassa guardia che avevano nei
suoi confronti.
La donna le mandò addosso delle pietre che
evitò cambiando continuamente direzione con l'aiuto del suo
Quirk, esattamente come aveva fatto durante il test d'ingresso. I massi
lanciati a casaccio fecero tremare nuovamente l'edificio, innalzando
critiche di disapprovazione dal suo avversario e Yuhiko
approfittò per nascondersi dalla Villain con la nube di
polvere che aleggiava nell'aria. L'aggirò il più
silenziosamente possibile e una volta che le fu arrivata alle spalle le
tirò un calcio, colpendola nella schiena. La donna
urlò, rotolando per vari metri con il respiro mozzato per la
forza con cui venne sbalzata in avanti, schiantandosi contro un
muretto.
Eira cercò di non scomporsi per non perdere la
concentrazione, affrettandosi ad attaccare l'altro uomo.
Quando gli fu
abbastanza vicina per tirargli un altro calcio questo portò
le braccia davanti al petto e ghignò. Yuhiko non fece in
tempo a spostarsi, capendo troppo tardi che il Villain non aspettava
altro: fu colpita a un polpaccio dagli aculei che gli spuntarono lungo
tutte le braccia. Saltò indietro con una capriola, sentendo
la pelle bruciare e guardando il lungo taglio che si era procurata e da
cui iniziava a colare del sangue.
«Cazzo.»
«I miei peli diventano duri e affilati come coltelli. Posso
anche staccarli e lanciarli, sai? Ricrescono subito.»
mormorò quello, come se fosse una spiegazione abbastanza
esplicativa, osservandola con sguardo compiaciuto. Eira
immaginò che appena avesse avuto l'occasione avrebbe provato
a trafiggerla. Non poteva avvicinarsi. Alla minima apertura nei suoi
movimenti l'avrebbe fatta fuori. Tentennò di fronte a quella
certezza, percependo il calore del sangue che colava dal taglio contro
la pelle divenuta improvvisamente fredda per la paura.
«Muoviti, Tokibo! Oppure levati!» lo
richiamò dall'altro palazzo l'uomo alato, alzandosi
nuovamente in volo per avvicinarsi. Quello sospirò,
spazientito, poi si passò la lingua sulle labbra tornando a
fissarla, mentre si accarezzava gli aculei con prudenza.
Occhieggiò la compagna che lentamente si stava ritirando in
piedi poco lontano soffermandosi per pochi attimi sul viso sporco di
polvere e graffi.
«Forse ti abbiamo
sottovalutato…» ipotizzò, fintamente
amareggiato, venendo affiancato dall'altro Villain. Lo vide corrugare
la fronte in un'espressione dubbiosa scambiandosi uno sguardo con il
compagno e annuire, ma Eira intuì che fosse tutta una messa
in scena. La stavano palesemente prendendo in giro.
«Basta
giocare, mocciosa.» riprese l'altro, innalzandosi di qualche
metro da terra. Yuhiko intuì il cambio di atteggiamento dei
suoi avversari, le loro espressioni farsi più dure e di suoi
sensi metterla in allerta.
Indietreggiò di qualche passo per mettere più
distanza e studiare l'ambiente: la donna si era tirata in piedi e le
lanciava occhiate fiammeggianti, uno di quelli sul tetto di fronte
sembrava stare caricando un pugno e l'altro aveva preso un grande pezzo
di ferro per lanciarglielo.
Irrigidì i muscoli, stringendo le labbra, senza
avere tempo di vagliare le possibili opzioni. Ci fu un improvviso
boato, una corrente pesante di aria e qualcosa le passò
pericolosamente vicino alla testa schiantandosi alle sue spalle.
Eira
si mosse in automatico, facendo la cosa che le veniva naturale da tutta
la vita: accumulò potere creando una barriera per
proteggersi dalle pietre volanti che avevano iniziato a dirigersi verso
di lei, notando di striscio le piume e gli aculei unirsi come in un
vortice per cercare di colpirla dall'alto mentre era impegnata.
Alzò un braccio, richiamando l'aria nel palmo della mano per
formare un'altra protezione.
Nel giro di pochi attimi le si infransero
contro un miscuglio di pietre, aculei e piume affilate e strinse i
denti, sentendo le barriere creparsi e i polsi farle male per lo
sforzo, le gambe cedere per il peso da sopportare e dubitò
che sarebbe riuscita a resistere per molto. Quando l'attacco fu
terminato Eira mosse le mani, espirando e lanciando con un singolo
gesto i resti delle barriere ormai in frammenti verso i suoi avversari.
Si sentì mancare il respiro e cadde in ginocchio, percependo
un grande boato e la terra sotto di lei
vibrare prepotentemente.
Per il tetto dell'edificio si crearono varie
crepe profonde e una parte di soffitto cedette. La donna e l'uomo con
le ali vennero sbalzati all'indietro, finendo per cadere in strada
colpiti da tanti spilli invisibili, mentre l'edificio su cui stavano di
fronte gli altri due Villain cadde sotto la pressione dei colpi che si
conficcarono nelle mura instabili, finendo travolti dalle macerie.
Eira
osservò confusa i risultati del suo gesto, prendendo grosse
boccate d'ossigeno mentre passava lo sguardo davanti a sé.
Si tirò in piedi, il respiro sibilante, arrancando verso il
bordo per guardare l'edificio crollato e lo spiazzo improvvisamente
più vuoto. Notò le figure a terra e
sospirò di sollievo, sentendo la gola bruciare e il
polpaccio pizzicare. Si morse un labbro, pronta a saltare per cercare
di raggiungere qualcun altro.
Doveva sbrigarsi e aveva perso troppo
tempo con quegli intrusi.
«Dove pensi di andare,
mocciosa?»
Eira sentì qualcosa colpirla alla
schiena e perse l'equilibrio, ritrovandosi a cadere nel vuoto con un
urlo represso in gola. Accumulò potere per frenare la
caduta, finendo per scivolare lungo dei detriti di cemento e sentendo
un dolore improvviso alla mano e alla schiena. Rotolò verso
terra, finendo distesa lungo l'asfalto a pancia in su.
Sbatté le palpebre, confusa, faticando a mettere a fuoco la
figura che troneggiava su di lei oscurandole la vista della luce. La
mano le faceva male fino alla spalla e sentiva le dita intorpidite.
Voltò leggermente il viso, sgranando gli occhi e rantolando
per il dolore.
Aveva una cazzo di sbarra di ferro infilata nel palmo.
Provò a girarsi
per togliere quel corpo estraneo, paralizzandosi, non trovando il
coraggio necessario.
«No, no. Cosa pensi di fare?»
domandò millefluo il Villain, fermando il suo gesto
mettendole un piede sul braccio sano. Yuhiko provò a
tirargli qualche calcio, ma quello si spostò quel poco che
bastava per non farsi colpire, guardandola sinceramente divertito
mentre annaspava per liberarsi. Come una mosca imprigionata nella tela
del ragno.
«Ora lasciati infilzare per bene, anche se vedo
che ci hai già provato da sola.» la prese in giro,
staccandosi un aculeo e avvicinandolo pericolosamente al braccio sano.
Eira strinse i denti provando a creare una barriera per proteggersi, ma
ciò che ne usci fu solo una lieve pressione che si dissolse
dopo pochi secondi, lasciandola ancora più stanca. La testa
le girava e il dolore non la faceva concentrare abbastanza, sentiva la
gola rantolare ad ogni respiro.
Si morse un labbro, frustrata,
regalando l'espressione più arrabbiata che potesse all'uomo
che non smetteva di ghignare.
Sarebbe finita in quel modo? Era davvero
così poco capace di combattere se non poteva utilizzare le
mani e i piedi?
La frustrazione che provava si
manifestò nelle lacrime che le pizzicarono gli angoli degli
occhi, bloccandole il respiro in gola, il cuore palpitante come un
uccellino in gabbia.
Dannazione.
«Eira!»
Yuhiko si
sentì improvvisamente libera dal peso sul braccio e
percepì una corrente d'aria passarle a pochi centimetri di
distanza. Si rese conto di potersi alzare.
«Kirishima?» sussurrò dopo qualche
attimo, riconoscendo la schiena del rosso mentre si metteva seduta, Che
non fosse Izuku ad essere arrivato in suo aiuto, dopo tutti gli anni
passati insieme a farsi forza contro il bullismo di Kacchan nei loro
confronti, le lasciò addosso una strana sensazione di
disagio.
«Stai bene?» le domandò,
inginocchiandosi di fronte a lei e mettendole una mano sulla spalla. Si
accorse della mano trapassata e corrugò la fronte.
«Che cosa ci fai qui?» volle sapere invece la mora,
guardandosi intorno per vedere se ci fosse qualcun altro.
«Ti
ho visto venire spinta dal tetto.» le spiegò
brevemente, ricordando di come Katsuki lo avesse lasciato indietro,
troppo impegnato a volersi dirigere verso il Warp Gate da non
accorgersi di ciò che gli accadeva intorno. Era vero che si
fidavano dei loro compagni e avevano deciso di dirigersi verso la via
di fuga dei Villain per cercare di fermarli, ma Kirishima non era
riuscito ad ignorare una compagna in evidente difficoltà.
Avrebbe raggiunto Bakugou appena possibile.
Yuhiko provò ad
afferrare la sbarra che le trafiggeva il palmo: la scarica di dolore
che si irradiò lungo tutto il braccio non appena
provò a spostarla la fece tremare completamente. Come
immaginava, aveva una fottuta paura di sentire male.
Kirishima la
fermò prima che ci provasse un'altra volta.
«Forse
dovresti lasciar fare a Rec__»
«Mocciosi del
cazzo!»
I due ragazzi trasalirono ed Eira guardò
Eijirou senza preoccuparsi di nascondere l'ombra di paura che le
distorse il volto. Il Villain era a vari metri di distanza e li stava
guardando, rabbioso. Aveva un labbro spaccato e gli aculei sembravano
essersi allungati, vibrando tra loro come la coda di un serpente a
sonagli mentre puntavano nella loro direzione.
«Adesso vi
sistemo per bene!» gli urlò contro, ancora
intontito per il pugno che gli aveva tirato Kirishima. Quei ragazzini
di merda proprio non volevano saperne di starsene buoni e lui aveva
esaurito la pazienza. E come diavolo aveva fatto quel tipo a colpirlo
senza venire ferito?
Eijirou si posizionò istintivamente di
fronte a Yu, alzandosi agile come un gatto nonostante la mole.
«Stai attento, i suoi aculei…» lo
avvertì Eira provando ad alzarsi, ma Eijirou la costrinse a
rimanere seduta, attivando il suo Quirk e ricambiando il suo sguardo
confuso con un grande sorriso.
«Tranquilla, non possono
scalfirmi! Lascia fare a me!»
Buongiorno a tutti!
Capitolo importante per iniziare a capire come funziona il Quirk di
Eira (cerco sempre di non far strafare le mie oc, per evitare di
renderle troppo invincibili) ma anche un po' di passaggio, alla fine ho
deciso di dividerlo in
due parti perché stava diventando davvero molto lungo e ho
optato per il flashback perché tanto sappiamo tutti come
è andato l'attacco dei Villain alla Usj.
Ringrazio coloro che hanno inserito la storia in una delle tre liste e
chi legge in silenzio.
Spero che continui ad interessarvi!
Love, D <3
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