Cronache (bizzarre) di Morio-cho

di MissChiara
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Quella volta in cui Koichi trovò un cucciolo ***
Capitolo 2: *** Rohan Kishibe ha ospiti ***
Capitolo 3: *** Il frutto proibito ***
Capitolo 4: *** Se non adesso, quando? ***



Capitolo 1
*** Quella volta in cui Koichi trovò un cucciolo ***


QUELLA VOLTA IN CUI KOICHI TROVÒ UN CUCCIOLO
 
 
Prompt 1: Koichi trova un cane abbandonato. Non può prendersene cura, così lo lascia di nascosto davanti casa di Stray Cat.
 
Genere: generale, slice of life
Tipo di coppia: nessuna
Personaggi: Koichi, Stray Cat, Nuovo personaggio
Note: nessuna
Avvertimenti: nessuno
Rating: verde
 
 
 
In uno splendido pomeriggio di sole Koichi, di ritorno dal doposcuola, camminava tranquillamente godendosi la tiepida aria primaverile. Quella era decisamente la stagione che preferiva!
Superò la Roccia di Angelo rivolgendole un saluto, in un’inconsapevole imitazione di Josuke. E, a proposito di Josuke, si ricordò che la casa dell’amico si trovava proprio da quelle parti. Magari avrebbe potuto fermarsi da lui, giusto per una partita o due alla Playstation prima di tornare a casa a finire i compiti. Subito dopo però un’ombra di abbattimento mutò l’espressione del ragazzo; a pensarci bene, alla fine le partite fra loro due non si limitavano mai a un paio soltanto, e ciò avrebbe significato togliere tempo da dedicare allo studio, con conseguente pericolo di guadagnarsi una pessima valutazione al test di inglese che lo attendeva il giorno dopo. Se fosse successo… beh, Yukako non avrebbe gradito, e quello sì che rappresentava un incentivo coi fiocchi a studiare!
Tuttavia…
Mentre Koichi ponderava le due opzioni, la sua attenzione fu attirata da un uggiolare sconsolato. Si voltò verso la direzione del suono e scorse, in parte nascosto dalla base della Roccia di Angelo, quello che sembrava un cucciolo timoroso. Bianco e nero, con gli occhioni tondi e le orecchie ripiegate in avanti, un testone sproporzionato rispetto al corpicino, che lo faceva assomigliare più a un peluches che a un essere vivente, il cucciolo era indubbiamente un Boston terrier. O così concluse Koichi, che di cani se ne intendeva abbastanza.
Subito cercò di avvicinarsi al cucciolo, usando comunque una certa cautela per timore che si spaventasse e fuggisse, ma scoprì che non ce n’era nessun bisogno perché non appena si chinò l’animale gli si avvicinò di sua spontanea volontà.
«Ma che bel cucciolotto!» esclamò, accarezzando il pelo raso e morbido.
Notò che il cane non aveva il collare, nonostante sembrasse di razza. Probabilmente era scappato al padrone, o da qualche negozio di animali.
Il cucciolo giocò per un po’ con la sua mano, poi sbadigliò spalancando le fauci rosa e la pancia gli brontolò sonoramente.
«Oh, ma hai fame! Chissà da quanto tempo stai girando da solo per il parco, eh!»
Senza pensarci troppo, Koichi sollevò il cucciolo e lo infilò nella borsa a tracolla, con la testa fuori, proseguendo poi verso casa. Solo quando arrivò nel vialetto antistante la villetta in cui abitava realizzò che sua madre non gli avrebbe mai permesso di tenere un altro cane oltre a Police, la cui presenza era già un’eccezione, ottenuta dopo svariate discussioni e sfilze di bei voti a scuola.
Posò il cucciolo scodinzolante sul prato e, mentre gli riempiva una ciotola d’acqua e un’altra di cibo per cani, sulla quale l’animaletto si avventò subito famelico, pensò brevemente che forse sua madre si sarebbe arresa, vedendo quanto era carino… utopia che fu miseramente abbandonata quando vide con orrore che il cane, scacciata la fame una volta vuotata la ciotola, si lanciò come un fulmine sull’aiuola e si dedicò con entusiasmo a devastare le begonie appena sbocciate.
Decisamente, un cucciolo era un impegno ben diverso da gestire, in confronto a un cane anziano e pacifico come Police. E, del resto, il cagnolino non era un randagio; doveva essere scappato a qualcuno, che sicuramente lo stava cercando. Koichi si appuntò mentalmente di appendere degli avvisi nei dintorni, il giorno dopo. Nel frattempo, era necessario trovare un posto dove lasciare il cagnolino finché il padrone non si fosse fatto vivo per reclamarlo. Già, ma chi avrebbe potuto tenerlo a tempo indeterminato? Josuke non avrebbe saputo dire di no, pur di non rifiutare un favore a un amico, e ciò suonava un po’ come scaricargli la patata bollente facendo leva sul suo altruismo. Okuyasu sarebbe stato in grado di occuparsi di un cucciolo? A casa aveva già abbastanza grane, con quello strano padre. Di chiedere a Yukako non se la sentiva; sicuramente per lui lo avrebbe fatto, ma poi sarebbe stato in debito con lei e… beh, sul contrasto tra attrazione e timore che provava verso la ragazza, Koichi doveva ancora lavorarci un po’ per fare chiarezza nella propria testa. Per ora non era il caso di chiedere aiuto a Yukako. Rimaneva il maestro Rohan, ma c’era il rischio che nei momenti di maggior ispirazione creativa sarebbe stato capace di scordarsi completamente del cucciolo.
Alla fine, a Koichi venne una brillante idea: Hayato! Un bambino, per di più intelligente come lui, sarebbe stato entusiasta di accudire un cagnolino e giocarci assieme.
Detto fatto, prese in braccio il cucciolo e lo portò fino alla casa del ragazzino, posandolo sul marciapiede poco prima di varcare il limite del giardino.
E, a questo punto, accadde una cosa singolare: Koichi si guardò intorno disorientato, dimenticandosi del cane e del perché fosse lì. Percepì una sensazione sconosciuta, come se i pensieri gli si fossero annebbiati impedendogli di ragionare lucidamente.
Dopo il primo attimo di smarrimento, la nebbia si dissipò e il ragazzo riuscì di nuovo a fare mente locale; ma certo, stava tornando a casa dal doposcuola! Doveva studiare per bene e, dopo una buona cena, un bagno e una bella dormita, il test di inglese sarebbe stato una passeggiata!
Koichi proseguì quindi verso la propria casa, dimentico del cane e di averlo mai incontrato.
 
Il piccolo Boston terrier, di nome Shaggy, da dietro la staccionata guardò il ragazzo allontanarsi finché fu sicuro che non sarebbe tornato indietro a riprenderlo, poi trotterellò con noncuranza nel giardino.
Bene, ora che aveva la pancia piena era pronto per esplorare Morio-cho alla ricerca di nuove avventure, con lo stesso spirito pionieristico ereditato da suo nonno, morto in circostanze misteriose in Egitto undici anni prima. Ma l’amore per l’avventura e la libertà di fare tutto ciò che più gli aggradava non era la sola cosa che il nonno gli aveva lasciato: c’era dell’altro, un misterioso potere che Shaggy aveva imparato a padroneggiare perfettamente, sebbene fosse solo un cucciolo di appena cinque mesi. Grazie a questo potere, Shaggy era in grado di ricreare a nuovo intere porzioni del passato dei suoi bersagli, che vivevano di conseguenza il presente in funzione di quel nuovo passato posticcio.
Non appena si era reso conto delle intenzioni di Koichi che, sebbene più che buone, rischiavano di minare alla propria libertà, il cagnolino aveva preferito modificargli tutto quello che era successo nell’ultima mezz’ora, grazie al potere del proprio stand: il ragazzo non era mai passato dalla Roccia di Angelo, e loro due non si erano mai incontrati. Koichi sarebbe tornato a casa più o meno alla solita ora, e non avrebbe trovato sul prato di casa le due ciotole in più, né i fiori rovinati. E, a proposito dei fiori, Shaggy sapeva benissimo che non era educato devastare le aiuole altrui, tuttavia cercava continuamente di simulare il comportamento che le persone si sarebbero aspettate da un cucciolo come lui, onde fugare qualsiasi eventuale sospetto riguardo la sua intelligenza decisamente fuori dal comune, per un cane.
Per prima cosa Shaggy ispezionò il nuovo giardino, notando un grosso sacco di crocchette per gatti incustodito. Bene, avrebbe dovuto tenere a mente quel posto, che gli avrebbe permesso, in caso di bisogno, di fare uno spuntino senza necessità di interagire con gli umani, tipo replicare la recita del cucciolo smarrito e affamato che aveva usato con Koichi.
Anzi, già che c’era, nulla gli vietava di fare un assaggio e scoprire se quel cibo era di suo gradimento!
Ma quando Shaggy si avvicinò al sacco, udì un sonoro soffiare e si bloccò. Questa non ci voleva, lì intorno doveva esserci un gatto veramente arrabbiato, e per un cucciolo della sua taglia, portatore di stand o no, ciò poteva rappresentare un serio problema.
Ma nonostante la vicinanza del suono, Shaggy non vide nessun gatto e ciò gli parve alquanto strano. Avrebbe giurato di averlo al massimo a un metro di distanza.
Si mosse verso il sacco e il suono minaccioso si ripeté, ma questa volta fu seguito da una silenziosa quanto potente esplosione di terriccio proprio accanto alla sua zampa destra, che lo fece balzare all’indietro e accoccolarsi a terra impaurito. Cosa stava succedendo?!
Shaggy continuò a non vedere nulla accanto a sé, tranne una pianta dalla forma singolare che… che ondeggiava lo stelo scuotendo le foglie, sebbene non vi fosse un alito di vento.
Il cane osservò il curioso fenomeno. Sapeva che alcune specie di piante carnivore erano in grado di muoversi in risposta alla cattura della preda, ma quel fenomeno non aveva neanche lontanamente nulla a che fare con ciò a cui stava assistendo in quel momento. Sembrava incredibile, ma la pianta aveva gli occhi! E, a guardarla bene, la forma di quella specie di corolla con cui terminava lo stelo ricordava il muso di un gatto.
Fu a quel punto che Stray Cat sparò un altro proiettile di aria compressa, e Shaggy scappò alla velocità della luce a ripararsi dietro un cespuglio di gelsomino. Decise che aveva visto abbastanza, e sarebbe fuggito volentieri da quel giardino senza voltarsi più indietro se non fosse stato per il fatto che era chiuso sul perimetro da una fitta siepe, e quella strana pianta gli precludeva l’unico passaggio verso il vialetto che portava al marciapiede.
Forse avrebbe potuto tentare di uscire dal suo nascondiglio e camminare lentamente fino a raggirare la pianta, ma non appena provò, tremante, a sporgere un po’ di più il muso, la superficie accanto a lui esplose di nuovo in uno sbuffo di terra e radici.
E datti una calmata, maledetto gat…piant…COSA!, pensò concitatamente mentre zigzagava tra i ciuffetti di primule battendo velocemente in ritirata.
Niente da fare, l’unica era osservare bene la situazione e attendere una buona occasione. La pianta-gatto, non vedendolo più nei paraggi, intanto si era distratta e ora era intenta ad acchiappare una mosca usando un paio di foglie a mo’ di zampe. Shaggy notò che i suoi movimenti erano simili a quelli di un animale, ma l’essere rimaneva pur sempre un vegetale ancorato a terra e pareva infastidito da quella condizione.
A un tratto la porta della casetta a cui apparteneva il giardino si aprì e ne uscì un bambino. Si fermò nei pressi della pianta-gatto e fece rotolare una pallina rossa nella sua direzione, che la pianta cercò di fermare con le foglie-zampa, ma la direzione della pallina era fuori dalla sua portata e il tentativo andò a vuoto. Stray Cat emise un miagolio deluso e Shaggy a quel punto ebbe un’illuminazione: se quell’essere cercava in continuazione di compiere azioni che non gli appartenevano, forse era perché non era sempre stato in quella forma. Era possibile che quella cosa in passato fosse stata veramente un gatto, e che un potere della stessa natura di quello che possedeva lui lo avesse mutato?
Il bambino – che Shaggy in seguito avrebbe scoperto chiamarsi Hayato – accarezzò la corolla di Stray Cat, che parve apprezzare e si mise a fare le fusa. Poi riempì una ciotola di crocchette e gliela avvicinò in modo che potesse arrivarci comodamente.
«Anche stasera la mamma preparerà la cena e aspetterà fino all’ultimo che papà torni da un momento all’altro. Ma sappiamo tutti e due che non succederà mai, vero?»
Anche quel bambino sembrava immensamente triste.
Shaggy non capiva bene la situazione, ma sapeva che ogni condizione del presente era conseguenza di una passata. Se la pianta-gatto fosse già nata così com’era non avrebbe sofferto per la sua situazione attuale, tentando di ricalcare comportamenti che ormai le erano preclusi, ma sarebbe vissuta felicemente di sole, aria e pioggia.
Se la mamma di quel bambino avesse avuto una ragione per giustificare la scomparsa immotivata del marito, forse l'avrebbe accettata e sarebbe riuscita a voltare pagina.
E a quel bambino, cosa era successo di grave per avere quell’aria funerea?
Ogni membro di quella famiglia sembrava nascondere un passato difficile.
Shaggy prese una decisione. Non c'era motivo di andarsene così in fretta. Avrebbe messo da parte per un po’ la voglia di girovagare per il mondo – del resto c’era tempo per quello, era ancora così piccolo! Ora, la sua priorità era un'altra: lì c’era una famiglia a cui sicuramente il suo potere sarebbe stato di grande aiuto. Dopo tutto, pensò con rinnovato entusiasmo, anche il trovare nuovi amici poteva trasformarsi in un'eccitante avventura, no?
 
 
 
 
 
Il mio angolino
“Ma che bello questo prompt, ci scrivo subito una flash-fic, magari una drabble!”, disse quella che non riesce a esprimere neanche il più semplice dei concetti in meno di 2.000 parole…
Sinceramente, signorine scrittrici di flash-fic e drabble, ma come fate?! C’è un trucco, o è una questione genetica? No, seriamente!
A parte questo, a me Stray Cat che cerca ancora di fare il gatto dopo essere diventato una pianta fa sempre una pena tremenda! Voglio dire, il gatto è un animale dinamico, allegro, e… viene imprigionato in una pianta fino alla fine dei suoi giorni?! Ma che cattiveria!!! Q_Q
Ma parliamo d’altro. Ecco il primo capitolo, che rappresenta per me ben tre esordi in un colpo solo: l’ingresso nella challenge denominata “Slot machine”, l’inizio della presente raccolta, e il mio approdo nel fandom di Jojo, sul quale non ho mai scritto nemmeno una parola ma che in questo periodo mi prende tantotantotanto.
Cominciamo dalla challenge: è un’idea bellissima, che consiste nel scegliere un fandom e stilare una lista di dieci personaggi da abbinare a dieci numeri fissi. I prompt sono composti da brevi spunti di trama contenenti dei numeri, che indicano i personaggi che l’autore dovrà obbligatoriamente utilizzare. Per il massimo della resa, la lista dei personaggi va scritta prima di leggere i prompt, in modo da non sapere assolutamente cosa ci aspetterà: infatti, la cosa divertente e perversa è che la lista è immutabile, quindi l’autore non può scegliere liberamente il/i personaggio/i da abbinare ai prompt. Quindi, se per esempio il prompt indica che il personaggio 6 fa una gita in macchina e il mio personaggio 6 è Stray Cat, ovvero UNA PIANTA, io dovrò scervellarmi per inventare una trama credibile. Cioè, dai, è una sfida stupenda!
D’altro canto, il vincolo della lista ha la pecca che questa raccolta conterrà anche abbinamenti di personaggi totalmente inabbinabili: preparatevi a vedere Reimi che balla un tango con Jotaro, Yukako che rimane chiusa in ascensore con Tonio, o Okuyasu innamorato perso di Rohan!!!
Spero di catturare ugualmente la vostra attenzione. Fatemelo sapere con una recensione!
 
LA MIA LISTA DEI PERSONAGGI
  1. Rohan Kishibe
  2. Josuke Higashikata
  3. Yukako Yamagishi
  4. Koichi Hirose
  5. Jotaro Kujo
  6. Stray Cat
  7. Tonio Trussardi
  8. Okuyasu Nijimura
  9. Mikitaka Hazekura
  10. Reimi Sugimoto
 
Prompt originario del presente capitolo… e mie considerazioni in proposito.

4 trova un gatto/cane abbandonato. Non può prendersene cura, così lo lascia di nascosto davanti casa di 2 o 6.

Sì, avete capito bene, avrei potuto scegliere anche il personaggio numero 2, cioè casa di Josuke. Però, per quanto mi piaccia Jojo, con lui il prompt sarebbe stato un po’ troppo facilino, vero?
Perciò Josuke lo teniamo per un’altra volta, magari gli facciamo combinare qualcosa di simpatico con Rohan, ah, ah!
 
A vostro uso e consumo, concludo con una breve descrizione inutile dello stand di Shaggy!
 
Nome Stand: Past perfect
Abilità: Creare il passato
Descrizione: il portatore può creare la storia passata di qualsiasi bersaglio, sia esso un oggetto, un essere vivente, un luogo. Da quel momento quel nuovo passato appartiene al bersaglio, che ne subisce le conseguenze.
Attivazione: tramite i peli del dorso.
Limiti: lo stand può creare solo eventi concretamente realizzabili.
Raggio d’azione: 1 m
Forza: E
Velocità: A
Raggio d’azione: E
Durata: A
Precisione: D
Potenziale di crescita: A

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Capitolo 2
*** Rohan Kishibe ha ospiti ***


ROHAN KISHIBE HA OSPITI

 
Prompt 11: Pioggia, fulmini e saette! Mikitaka non ha un ombrello, fuori impervia il diluvio universale, Rohan lo ospita a casa.
Prompt!Bonus: cioccolata calda.
 
Genere: generale, slice of life
Tipo di coppia: nessuna
Personaggi: Rohan, Mikitaka, Joseph
Note: nessuna
Avvertimenti: nessuno
Rating: verde
  
 
 
Rohan stava tamburellando nervosamente con la matita sul foglio bianco – che da lì a breve si sarebbe trasformato nella tavola conclusiva del nuovo capitolo di Pink Dark Boy, non appena gli fosse venuto in mente un colpo di scena all’altezza della sua fama – quando un lampo rischiarò la stanza di una luce improvvisa e violenta, seguito a ruota da un tuono che squarciò l’aria con la potenza di una cannonata.
Rohan sobbalzò. Era così preso dal suo lavoro che non si era accorto che l’ambiente adibito a studio, di solito illuminato vivacemente dal sole dei pomeriggi primaverili, si era gradualmente scurito, e una pioggia fitta come una foresta di aghi aveva preso a scrosciare inondando le strade di Morio-cho.
Il giovane mangaka decise di prendersi una pausa e si avvicinò alla finestra per osservare l’eccezionalità di quel fenomeno. Con quel tempaccio, i dintorni erano deserti. Nessuno sarebbe stato abbastanza folle da avventurarsi sotto quella tempesta.
Ma l’ovvia considerazione di Rohan fu smentita dall’arrivo di una figura che, trotterellando lungo il vialetto d’ingresso tentando senza molto successo di ripararsi dall’acqua tramite un ombrello dalla strana foggia, si rifugiò proprio sotto il suo portico.
Incuriosito, il mangaka scese al piano inferiore e spalancò la porta di ingresso, accogliendo l’intruso con l’abituale cipiglio stizzito che riservava a chiunque – tranne a Koichi, chiaramente.
La sua espressione si ammorbidì lievemente quando identificò il nuovo arrivato.
«Buongiorno signor Joestar, cosa posso fare per lei?»
«Oh, ciao Rohan,» rispose l’anziano con un sorriso imbarazzato, imbacuccato nel solito cappottone e cappello con paraorecchi nonostante la stagione non esattamente gelida, «stavo facendo una passeggiata e sono stato sorpreso dal temporale. Per fortuna Mikitaka è stato così gentile da offrirsi di darmi una mano e accompagnarmi fin qui al riparo.»
Rohan si chiese a chi mai si stesse riferendo, dal momento che Joseph era l’unico lì presente, quando accadde una cosa a dir poco bizzarra: il vecchio chiuse lo strano ombrello, scuotendolo un po’ per liberarlo alla bell’e meglio dalla pioggia, e lo posò contro una delle colonnine del portico; a quel punto un paio d’occhi ammiccarono tra le pieghe della tela, seguiti subito dopo da braccia e gambe che spuntarono e si allungarono velocemente, e in men che non si dica l’ombrello si trasformò in un ragazzo dai capelli lunghi e curiose orecchie a punta, un ragazzo con indosso la divisa scolastica dello stesso istituto di quel dannato moccioso di nome Josuke Higashikata.
«Eccolo qui! Rohan, conosci già Mikitaka?»
Il nuovo arrivato si piegò in un inchino un po’ incerto, cercando di imitare il saluto che aveva imparato di recente dai suoi nuovi amici terrestri.
«Piacere, mi chiamo Hazekura Mikitaka. Sono un alieno.» disse con naturalezza.
«Pia…piacere.»
Oh, ma certo, un alieno, robetta da niente insomma! Ora che ci pensava, Rohan ne aveva già sentito parlare ma aveva creduto che fosse un’altra delle fesserie che gli rifilava Josuke. Però, dopo quello che aveva appena visto, un po’ di ragione si sentì di concedergliela, anche se a malincuore.
«Comunque, sì, in effetti puoi fare qualcosa per me, Rohan.» continuò Joseph. «Potrei usare il tuo telefono per chiamare un taxi? Ho lasciato Shizuka in albergo con mio nipote Jotaro, e sono un po’ preoccupato. La piccola si agita quando non sono con lei, e allora non si sa mai cosa può succedere. Vorrei rientrare al più presto, non posso aspettare che smetta di piovere.»
Rohan si fece da parte per farli entrare, guardando con disappunto la scia d’acqua che lasciarono sul pavimento. Il signor Joestar era relativamente asciutto ma Mikitaka, avendo fatto da ombrello, era completamente zuppo e tremava dal freddo.
Rohan sospirò e decise di seguire almeno quelle che erano le regole basilari dell’educazione, quando si invitava qualcuno a varcare la soglia della propria casa.
«Posso offrirvi qualcosa di caldo? Ho finito il tè e il caffè, ma dovrei avere ancora della cioccolata.»
Joseph rifiutò, in quanto gli premeva tornare da Shizuka, ma Mikitaka accettò volentieri. Lo incuriosiva molto provare quella bevanda, di cui aveva sentito tessere le lodi da Josuke e Okuyasu.
«Mi hanno detto che i terrestri la considerano deliziosa. Purtroppo non ho avuto ancora occasione di assaggiarla, la famiglia a cui ho fatto il lavaggio del cervello e che ora mi crede suo figlio non la usa. Da attenti osservanti delle tradizioni giapponesi, i miei “genitori” bevono esclusivamente tè. Posso vedere come si prepara?»
Rohan sogghignò dentro di sé. Non poteva crederci, aveva a disposizione un autentico essere cambiaforma proveniente da un’altra galassia che in più era riuscito, con chissà quale mezzo, a plagiare un’intera famiglia. Decise che non avrebbe lasciato andar via tanto facilmente una fonte di ispirazione così promettente, almeno finché non fosse riuscito a tirargli fuori qualcosa di estremamente utile per il suo manga.
«Certo che sì.» rispose cercando di sembrare il più cordiale possibile. «E rimani pure tutto il tempo che vuoi, non puoi certo muoverti da qui finché non smette di piovere. Non hai un ombrello, e l’unico che ho a disposizione servirà al signor Joestar per raggiungere il taxi. Laggiù c’è il bagno, intanto vai a prenderti un asciugamano.»
La cioccolata non era ancora pronta che il taxi arrivò, portandosi via Joseph e il presunto unico ombrello esistente in tutta la casa e lasciando alla mercé di Heaven’s Door l’ignaro alieno.
Il mangaka non perse tempo e attivò immediatamente lo stand, ma quando si avventò su Mikitaka, pregustando già tutte le meraviglie che avrebbe potuto leggervi, scoprì che le pagine dell’alieno erano piene di nient’altro che simboli indecifrabili che rappresentavano una lingua sconosciuta.
Rohan grugnì di disappunto soffocando un’imprecazione. Heaven’s Door fino a quel giorno aveva funzionato su ogni essere vivente, umano o animale che fosse. Già, ma fino a quel giorno Rohan non aveva mai avuto l’occasione di sperimentarlo su un extraterrestre, e a quanto pareva il suo stand aveva dei limiti.
Niente da fare, non gli rimaneva che ottenere ciò che voleva agendo come tutti gli altri comuni mortali, ovvero dialogando.
Ritirò lo stand e fece quindi accomodare l’altro, che non si era reso conto di nulla, sul divano della sala, osservandolo mentre gustava la cioccolata.
«Ha un sapore strano, non assomiglia a nulla di ciò a cui sono abituato. Del resto, tutto il cibo terrestre è strano, per me. Immagino che dovrò abituarmi, è indispensabile per integrarmi.» disse l’alieno.
La sua espressione non sembrava però disgustata. Dopo aver mandato giù qualche sorsata ci inzuppò il piattino e cominciò a sgranocchiarlo, come se si fosse trattato di un biscotto anziché di un oggetto di ceramica.
«Se vuoi integrarti sul serio, tanto per cominciare dovresti evitare di mangiarti le stoviglie!» esclamò stupefatto il mangaka.
«Oh, davvero? Ma allora a cosa serve questo oggetto?»
«Per appoggiarci la tazza e il cucchiaino, in modo che non tocchino direttamente il tavolo.»
«Interessante. Ti ringrazio.»
E così dicendo, Mikitaka si alzò e fece un breve inchino.
Rohan, temendo che l’alieno stesse per andarsene, gli versò altra cioccolata.
«Prego, bevine ancora. È incredibile quello che hai fatto prima, voglio dire, diventare un ombrello. Puoi assumere qualsiasi forma?»
«Beh, quasi qualsiasi forma. Per esempio, non posso trasformarmi in qualcosa di troppo complesso, o che sia più forte o veloce di me. Ma per la maggior parte degli oggetti di uso comune non c’è problema.»
«Quindi, vuoi dire che potresti diventare una tazza di cioccolata?»
«Ecco fatto!» rispose allegramente l’alieno rimpicciolendosi fino a diventare una tazza gemella, perfino nella decorazione, a quella già presente sul tavolino, con tanto di cioccolata all’interno, se non per il fatto che dal liquido spuntavano due occhietti rotondi.
«E potresti diventare anche qualcosa di più grande, tipo un mobile?»
«Niente di più facile!»
In un batter d’occhio Rohan si ritrovò davanti un grazioso comò in stile barocco. Gli occhi questa volta erano i pomelli di uno dei cassetti.
«Accidenti! Sei davvero fantastico!»
«Grazie, ma non è nulla di che.»
Mikitaka tornò alla sua forma normale, ma... una volta in piedi cominciò a oscillare pericolosamente e subito dopo crollò seduto sul divano.
«Tutto bene?!» esclamò Rohan sorpreso.
L’alieno pareva strano. Aveva il viso rosso e sudato e lo sguardo vacuo.
«Non… hic! Non saprei…hic! Direi che shto… hic!... bene. Più che bene! Mi shento galleggiare! HIC! Ma improvvisamente ho un caldo pazzesco. HIC!»
E togliendosi la giacca della divisa scolastica la roteò per una manica per un paio di volte sopra la testa prima di lanciarla via a casaccio e scoppiare a ridere.
Rohan ci rimase di sasso. Mikitaka sembrava… sì, sembrava decisamente ubriaco! Si comportava come se avesse bevuto un bicchiere raso di grappa! Evidentemente era un effetto collaterale della cioccolata sul suo organismo.
«Yahoo, posso trasformarmi in qualsiasi cosa! Sono fantashtico, l’ha detto il maestro Rohan! Tremate terrestri, bwawawah!» cominciò a blaterare, ridendo a squarciagola.
«Shono i-n-c-r-e-d-i-b-i-l-e! Hic! Coshì ha detto Josuke, quando mi ha chiesto di fare quei cosi! Come… come si chiamano quegli affari piccoli e bianchi?! Asshidenti, non me lo ricordo!»
«COSA? Josuke? Che c’entra Josuke? Cosa ha fatto quel disgraziato ?» ruggì improvvisamente Rohan.
Il tono minaccioso bloccò lo sproloquio senza senso di Mikitaka. Tra i fumi dell’ubriachezza, l’alieno si rese marginalmente conto di aver detto qualcosa che Josuke gli aveva raccomandato di non divulgare. O così gli pareva vagamente di ricordare, in quel momento non ne era poi così sicuro.
«Quali cose piccole e bianche?» lo incalzò Rohan, che nel frattempo si era fatto pericolosamente vicino all’alieno, appoggiando entrambe le mani sullo schienale del divano ai lati delle sue spalle e imprigionandolo nel mezzo per fissarlo dritto negli occhi.
«I da…I denti! Sì! Mi ha chiesto di diventare una dentiera, ecco!»
«Denti, eh?...»
Era una balla, Rohan ne era sicuro. E sentì che era vicinissimo a scoprire qualcosa di molto interessante da utilizzare ai danni dell’individuo che considerava la causa principale di tutte le sue peggiori giornate.
«Beh, maestro Rohan, è stato un piacere, ma ora che ha smesso di piovere dovrei proprio andare…»
Mikitaka, visibilmente più lucido, si diresse verso l’ingresso ma Rohan lo afferrò per una spalla. Non sarebbe andato troppo per il sottile, pur di sapere la verità. Era sufficiente voltarlo e mostrargli il proprio stand; non avrebbe potuto leggerlo, ma trasformandolo in un libro avrebbe potuto ugualmente immobilizzarlo. Poi avrebbe pensato a un modo per farlo confessare.
Fu in quel momento che il rumore in avvicinamento, che fino a pochi istanti prima il mangaka aveva registrato solo superficialmente, crebbe d’intensità trasformandosi in un suono insopportabilmente acuto: un’ambulanza a sirene spiegate stava correndo di gran carriera lungo la via antistante l’abitazione.
L’alieno cominciò ad agitarsi come in preda alle convulsioni e Rohan notò che sul suo viso, che da quella posizione vedeva solo parzialmente, era comparsa un’eruzione cutanea simile alla conseguenza di una reazione allergica. Mollò la presa su di lui e si allontanò di qualche passo. Dove aveva già visto qualcosa di analogo? Per un attimo lo sfiorò il ricordo di un particolare, un dettaglio che aveva colto riguardo i dadi di quella famosa sfida contro Josuke, prima che Kobayashi lo distraesse starnazzandogli nelle orecchie qualcosa a proposito dell’incendio che gli stava divorando la casa, ma il ricordo era troppo labile per costituire un indizio concreto.
Se voleva veramente smascherare Josuke, doveva far cantare il lì presente alieno!
«HEAVEN’S DOOR!» gridò, evocando il proprio stand.
Ma era troppo tardi, l’attimo di incertezza gli aveva fatto perdere un’occasione irripetibile; il corpo di Mikitaka, testa esclusa, si trasformò di colpo in un volatile e l’alieno, simile a una comica arpia, fuggì su per il camino in uno sbuffo di fuliggine.
Rohan, deluso, inspirò profondamente cercando di scacciare il malumore che provava ogni volta in cui aveva a che fare con qualsiasi faccenda che riguardasse Josuke Higashikata; quando gli parve di essersi calmato a sufficienza salì le scale e si diresse verso lo studio. Non era il momento di pensare al moccioso. Lo attendeva una tavola da terminare, e aveva finalmente deciso come; se non altro, quell’assurda esperienza gli aveva suggerito un’ottima idea per concludere un nuovo, avvincente capitolo, in abbondante anticipo, come di consueto, sulla consegna settimanale.
 
 


 
 
Il mio angolino
A me Mikitaka fa morir dal ridere, sul serio! Io non mi capacito di come ha fatto Araki a inventarsi di farlo trasformare perfino in un dado che vomita! Non so se questa scena nell’anime ci sia, perché non lo seguo, ma nel manga c’è eccome e mi ha fatto rotolare!
In questo capitolo ho cercato di descrivere Rohan come compare le prime volte in DIU, ovvero egoista e privo di scrupoli. Dal momento che su Rohan ho letto TUTTO ciò che Araki ha prodotto, ho visto mutare questo personaggio negli anni. Romantico a 17 anni, bastardo-egocentrico-privodiscrupoli-mainfondotenero a 20, egoista-supponente-tuttaviaammorbidito a 27. In definitiva però rimane sempre un personaggio interessante, in tutte le salse.
Naturalmente il capitolo è incentrato sulla vicenda della sfida a dadi tra Rohan e Josuke. Naturalmente se non conoscete quella vicenda non ci avrete capito nulla! :D In questo caso cercatela, e scoprirete fin dove arriva la forza di volontà di quel folle di Rohan!
 
LA MIA LISTA DEI PERSONAGGI (vedere primo capitolo per le specifiche della challenge)
  1. Rohan Kishibe
  2. Josuke Higashikata
  3. Yukako Yamagishi
  4. Koichi Hirose
  5. Jotaro Kujo
  6. Stray Cat
  7. Tonio Trussardi
  8. Okuyasu Nijimura
  9. Mikitaka Hazekura
  10. Reimi Sugimoto
 
Prompt originario del presente capitolo… e mie considerazioni in proposito.
Pioggia, fulmini e saette! 9 non ha un ombrello, fuori impervia il diluvio universale, un personaggio a vostra scelta lo ospita a casa. Prompt!Bonus: cioccolata calda.
 
In questa challenge i bonus non sono facoltativi, ma vanno inseriti obbligatoriamente pena la fustigazione sui carboni ardenti XD. Quindi la cioccolata doveva esserci… ed è meglio così, aggiungo io!
Allora, ricapitoliamo: il fortunale che si scatena all’esterno, uno dei personaggi senza ombrello e quindi bagnato, e una casetta accogliente in cui ripararsi, in più sorseggiando cioccolata calda, fonte di ispirazione per tanti bei siparietti romantici. Vi aspettavate una Mikitaka x Rohan di fronte al caminetto, per caso? Anch’io! E chi ha letto altre mie fanfiction sa che di porcate ne scrivo! Ma purtroppo non sono pronta per inserire del romanticismo in Jojo, sono ancora in fase di rodaggio, già faccio fatica a far pronunciare ai personaggi quattro battute in croce! Il resto verrà col tempo. Forse.

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Capitolo 3
*** Il frutto proibito ***


IL FRUTTO PROIBITO

 
Prompt 16: Yukako e Tonio restano bloccati in ascensore. Yukako è claustrofobica.
 
Genere: generale, slice of life
Tipo di coppia: nessuna, ma ho dovuto inserire un bacio perché se no non dormivo tranquilla!
Personaggi: Yukako Yamagishi, Tonio Trussardi
Note: Yukako non è claustrofobica, ma in questa storia doveva esserlo necessariamente a causa del prompt. Di conseguenza anche il suo comportamento è fuori dai canoni, per il fatto che Yukako deve agire coerentemente con la sua fobia. Ma in fondo Yukako è isterica e imprevedibile, quindi si tratterà veramente di OOC?
Avvertimenti: OOC
Rating: verde
 
 
 
Tonio era decisamente troppo distante per intervenire, quando la vide inciampare. Una mela rotolatagli via dalla sporta della spesa, una piccola distrazione da parte della ragazza e… oplà, Yukako era caduta a terra. Malamente, per quel poco che Tonio ne capiva di storte.
La prima cosa che gli venne in mente fu che se solo avesse avuto a portata di mano un frutto di cherimoya, magari macinato, avrebbe potuto mescolarlo con l’acqua della fontanella lì vicino e, grazie a Pearl Jam, preparare sul posto un unguento miracoloso per dare sollievo a quel tipo di distorsione; ma siccome non era così semplice trovare lì per lì un cherimoya, a meno di abitare  sulle Ande, lo chef optò per un aiuto più concreto e corse verso la ragazza per prestarle soccorso.
«Dio mio, scusami! È colpa mia! La borsa era troppo piena e mi è scivolata!» esclamò preoccupato.
«No, si figuri signor Trussardi, sono io che avevo la testa fra le nuvole…»
«Ti fa molto male?» chiese l’uomo, guardando con preoccupazione la caviglia della ragazza che cominciava già a gonfiarsi.
«Cosa? No, non mi sono fatta nien… AHIA!»
«Come pensavo, ti sei presa una bella storta.»
«Questa non ci voleva! Devo andare a trovare mia nonna. Abita proprio in quell’edificio là, mancava così poco!»
«Intanto togliamoci da qui. Ce la fai ad alzarti?»
Yukako ci provò, ma un’altra fitta alla caviglia la fece ripiombare a terra troncando a metà un’esclamazione ben poco femminile.
«Mi sa di no…»
«Vieni, ti aiuto io.»
E così dicendo Tonio la prese in braccio, sollevandola senza apparente sforzo, se non che… Yukako cominciò a strillare come un’aquila di rimetterla giù. Lo chef, sorpreso dalla reazione e imbarazzato dalle occhiatacce che gli stavano rivolgendo i passanti, mollò immediatamente la presa con il braccio con cui la stava reggendo sotto le ginocchia e i piedi della ragazza sbatterono pesantemente sul marciapiede, strappandole un altro gridolino.
«Ehm… volevo solo aiutarti… vedi che non ce la fai da sola?»
«Mi scusi, mi scusi! Mi è venuto d’istinto.» ribattè lei. «Se Koichi venisse a sapere che un altro uomo mi ha preso in braccio, potrebbe fraintendere!»
Dopo un momento di riflessione, Yukako sospirò.
«Va bene, mi dia una mano, non posso rimanere qui tutto il giorno.»
Tonio l’aiutò nuovamente ad alzarsi, ma questa volta le passò un braccio attorno alla vita per sorreggerla, prendendo la borsa della spesa con l’altra mano, mentre la ragazza gli si aggrappò alle spalle. Lo chef notò che Yukako aveva un’espressione insofferente sul volto ed evitava di guardarlo, sbuffando seccata di tanto in tanto.
«Cosa c’è? Il dolore è troppo forte?»
«No, finché non appoggio il piede non lo sento.»
«E allora perché quella faccia?»
«Devo fare finta che ci sia costretta, altrimenti Koichi non so come la prenderebbe se vedesse che la sto abbracciando!»
Tonio non sapeva se scoppiare a ridere o sentirsi offeso. Praticamente, la ragazzina lo stava trattando alla stregua di un molestatore! Ma siccome non era tipo da arrabbiarsi, salvo quando qualcuno entrava nella sua cucina senza le dovute precauzioni, preferì la prima alternativa e scosse la testa divertito, mentre le labbra gli si incurvavano in un sorriso scoprendo parte del biancore dei denti.
«È quel palazzo con il portone rosso, vero?» chiese, tanto per cambiare discorso.
«Sì, esatto. Mia nonna ha sicuramente del ghiaccio e qualcosa per le contusioni. Mi basta che mi accompagni fin lì.»
Così, un po’ camminando un po’ saltellando, riuscirono ad arrivare all’edificio in cui viveva la nonna di Yukako.
«Bene, sei a posto. Ora non dovrebbero esserci più problemi. Vedrai che con il ghiaccio ti sentirai  meglio.» disse Tonio una volta giunti davanti all’ascensore, sorridendo per incoraggiarla.
Yukako però non parve affatto sollevata. Anzi, Tonio notò che aveva cominciato a tremare leggermente e sembrava agitata per qualche ragione che non riusciva a capire.
«A dire il vero un problema c’è eccome, e bello grosso.» rispose infatti Yukako. «È per questo che prima ho detto che questa non ci voleva! Vede… io soffro di claustrofobia, quando vengo a trovare mia nonna non prendo mai e poi mai l’ascensore.»
Tonio, che non desiderava altro che proseguire per la sua strada e terminare di fare la spesa entro l’orario di riapertura della trattoria, realizzò che quella disgraziata di una mela che aveva avuto la pessima idea di rotolare fuori dalla sporta nel momento meno opportuno gli sarebbe costata più del previsto. Però non poteva certo andarsene come se niente fosse, era chiaro che Yukako avesse bisogno di aiuto. In fondo era colpa sua se si trovava in quella situazione, non sarebbe stato gentile abbandonarla lì ad arrangiarsi da sola.
«Posso provare a portarti in braccio fino all’appartamento di tua nonna… se ritieni che Koichi non se la prenderà.»
Naturalmente l’ultima frase era stata pronunciata tanto per sdrammatizzare un po’, ma Yukako non parve cogliere l’ironia.
«No, credo che possa andar bene, qui non ci vedrà nessuno.» rispose seria.
Tonio sentì di nuovo il bisogno di ridere ma si trattenne; non sapeva come l’avrebbe presa l’altra, che sembrava avere molto a cuore l'opinione del suo amato.
«Benissimo, fino a che piano ti porto?»
«Al ventesimo.» rispose la ragazza senza battere ciglio.
Tonio realizzò di essere stato un po’ troppo precipitoso. Va bene essere cavaliere, ma qui si stava esagerando. A meno che…
«È una battuta, vero?»
«No, affatto.»
Ecco, appunto. Senza dubbio Yukako aveva un bel caratterino! Tuttavia era fuor di dubbio che occorresse trovare un’altra soluzione, era abbastanza certo che non sarebbe riuscito a trasportare una ragazza alta quasi quanto lui per venti piani senza stramazzare a terra... o senza impiegarci tutto il pomeriggio a forza di soste a metà strada.
«Senti, sono desolato ma dobbiamo trovare un altro modo.»
«Perché?» chiese lei con candore.
«Perché… perché potremmo scivolare e peggiorare la situazione.»
«D’accordo. Allora cosa proponi?»
«Dobbiamo prendere l’ascensore. Non ci metterà molto, e non sarai da sola, verrò anch’io.»
«No, questo non è proprio possibile.» tagliò corto lei. «Non ha idea di come potrei reagire. Nemmeno io so cosa potrebbe capitare se andassi nel panico.»
«Io invece credo che andrà tutto bene. Chiuderai gli occhi e ti terrò la mano, non vedrai nulla, non ti accorgerai nemmeno di essere al chiuso. E potrai perfino raccontare a Koichi di essere riuscita a prendere l’ascensore.»
Quest’ultima ragione parve motivare maggiormente Yukako, che alla fine si lasciò convincere. Tonio dentro di sé tirò un sospiro di sollievo e premette il bottone di chiamata; presto avrebbe potuto tornare a dedicarsi alla spesa.
Le porte dell’ascensore si aprirono. Yukako chiuse gli occhi e lo chef la guidò all’interno, premendo poi il bottone del ventesimo piano. Quando l’ascensore si mosse la ragazza sobbalzò, ma si impose di tenere gli occhi chiusi e di respirare regolarmente. Tonio avvertì la stretta sulle sue mani farsi più forte e notò le palpebre strizzate di Yukako, che evidentemente ce la stava mettendo tutta per non farsi prendere dal panico.
Guardò l’indicatore dei piani: bene, erano quasi a metà strada e stava andando tutto liscio!
Nemmeno il tempo di pensarlo che l’ascensore diede un forte scossone, per poi bloccarsi tra il decimo e l’undicesimo piano.
Yukako spalancò gli occhi e, trovandosi chiusa in quello spazio ristretto, questa volta non riuscì a fermare l’ansia. Si buttò addosso a Tonio nascondendo il viso contro il suo petto ed emettendo gemiti inconsulti.
«Non è nulla, si è solo fermato, vedrai che ora riparte. Basta ripremere il bottone.» disse nell’intento di tranquillizzarla, imprecando contemporaneamente dentro di sé. Quel dannato ascensore aveva scelto di fermarsi proprio nel momento sbagliato!
Provò a raggiungere la pulsantiera, ma non riuscì ad arrivarci perché Yukako lo teneva bloccato contro la parete opposta con una forza sorprendente.
«Yukako, devo premere il bottone, dovresti spostarti un po’.» provò a dire.
«NOOO! Non mi lasci qui!» strillò lei, abbarbicandoglisi ancora di più addosso.
«Lasciar…ehm…no, mi bastano venti centimetri, non vado da nessuna parte…»
Tonio provò a spostarsi, ma la ragazza lo tenne fermo sul posto e non riuscì ad avanzare nemmeno di un centimetro.
«Ok, proviamo così, allora. Fai un passo indietro, io ti seguo, così riesco ad arrivarci.»
Tonio riuscì finalmente a raggiungere la pulsantiera e provò a ripremere il bottone del ventesimo piano, ma il tentativo purtroppo si dimostrò vano, così come per tutti gli altri bottoni. L’ascensore sembrava essersi guastato definitivamente. Non gli rimaneva che premere il bottone di emergenza, e per fortuna dopo pochissimo tempo una voce rispose all’interfono chiedendo loro quale fosse il problema.
«Siamo rimasti bloccati al decimo piano, non riusciamo a far ripartire l’ascensore. Potreste mandare al più presto un tecnico?»
«In effetti quell’ascensore mi risulta scollegato dalla centralina. Provvedo immediatamente ad avvisare un tecnico,» rispose la voce, «ma ci vorrà un po’ di tempo. Nei week-end, quello di turno più vicino a voi arriva dalla città di S, a circa un’ora di macchina.»
«Sta scherzando?!» ruggì Yukako con una curiosa voce tra l’ira e la disperazione.
«Ehm… purtroppo sono le regole, signorina. Nel frattempo, niente paura! L’ascensore non è a tenuta stagna e c’è ricambio d’aria. Buona giornata!»
A quelle parole Tonio sudò freddo, già presagendo cosa sarebbe successo. Yukako infatti non prese bene la prospettiva di passare almeno un’ora in quella scatola di metallo e diede in escandescenze peggio di prima, con l’aggravante che ora al panico si era aggiunta una furia preoccupante e la ragazza prese a imprecare a voce alta battendo con i pugni sulle pareti. Mentre Tonio cercava disperatamente di trovare una soluzione per arginare la situazione la luce saltò, lasciando i due nel buio più completo.
Yukako si zittì all’istante, ma il silenzio durò poco perché dopo appena pochi secondi cominciò a chiamare aiuto urlando a gran voce.  Fu in quel momento che Tonio si sentì afferrare saldamente da qualcosa che non erano le braccia della ragazza. I suoi occhi non si erano ancora abituati all’oscurità, ma anche in quella situazione poteva capire di cosa si trattasse: erano capelli, che, simili a cavi d’acciaio, lo stavano stringendo in una morsa ferrea bloccandogli le braccia e le gambe. Yukako, a causa del panico, aveva scatenato Love Deluxe e lo stava lentamente stritolando come un serpente boa, e Pearl Jam era troppo debole per contrastarlo.
Tonio gridò di dolore ma, oltre a non essere di nessun aiuto per far tornare Yukako in sé, ebbe come conseguenza che quella massa infinita di capelli gli penetrò perfino in bocca rischiando di soffocarlo. Lo chef tirò giù mentalmente tutti i santi del paradiso, compreso San Gennaro della sua amata Napoli: non poteva crederci, stava rischiando seriamente di essere ucciso e tutto era partito da una stupida mela!
L’unica speranza era di riuscire a raggiungere la scatolina di metallo che teneva nella tasca dei pantaloni, e le caramelle calmanti preparate con Pearl Jam che vi erano contenute. In quel momento non poteva usare le mani, però il suo stand, proprio perché era così piccolo, sarebbe riuscito a intrufolarsi tra i capelli e a infilarsi nella tasca per fare il suo dovere.
E infatti, poco dopo Tonio avvertì che uno dei piccadilly che formavano Pearl Jam stava trasportando una delle preziose caramelle. Lo guidò fino alla bocca di Yukako e riuscì a infilargliela tra le labbra, ma scoprì che la ragazza aveva i denti serrati e non c’era verso di fargliela mangiare.
Tonio, allo stremo delle forze, decise di giocare il tutto per tutto e si gettò verso di lei.
«Non ti preoccupare, Koichi non lo saprà mai.» le disse subito prima di posarle le labbra sulle sue e spingerle con la lingua la caramella in bocca, facendogliela inghiottire.
Appena pochi secondi e Yukako si accasciò sul pavimento, mentre Love Deluxe, dopo un ultimo scossone che sbalzò Tonio contro la parete, si ritirò, permettendo finalmente all’uomo di ossigenare i polmoni.
Paradossalmente, la spinta rimise in moto l’ascensore, che arrivò al ventesimo piano senza ulteriori intoppi.
Lo chef si massaggiò le braccia intorpidite, e dopo essersi accertato di essere ancora tutto intero sollevò la ragazza addormentata e la trasportò fino alla porta dell’appartamento della nonna di Yukako. Suonò il campanello e quando l’anziana signora gli aprì le spiegò brevemente la situazione lasciando la ragazza alle sue cure. Poi recuperò la sporta della spesa, si sistemò il cappello da cuoco, dal quale si separava raramente, e se ne andò senza attendere che Yukako si riprendesse; considerando il suo temperamento, era più prudente non essere presente quando si sarebbe risvegliata e si fosse ricordata che era stata baciata.
Scese usando le scale e, una volta in strada, si avviò verso il negozio del suo verduriere preferito: doveva ancora comprare un chilo di friarielli prima di tornare alla trattoria e cominciare finalmente a cucinare per il menù della sera.
 
 
 
 
 
 
Il mio angolino
Trallallà!
Non avevo niente da dire, ma dovevo riempire questo spazio.
Pace e amore ^^
E non dimenticate di mangiare i broccoli!
 
LA MIA LISTA DEI PERSONAGGI (vedere primo capitolo per le specifiche della challenge)
  1. Rohan Kishibe
  2. Josuke Higashikata
  3. Yukako Yamagishi
  4. Koichi Hirose
  5. Jotaro Kujo
  6. Stray Cat
  7. Tonio Trussardi
  8. Okuyasu Nijimura
  9. Mikitaka Hazekura
  10. Reimi Sugimoto
 
Prompt originario del presente capitolo… e mie considerazioni in proposito
 
3 e 7 restano bloccati in ascensore. Uno dei due è claustrofobico. (Perché un claustrofobico dovrebbe prendere un ascensore? Nella mia testa l’ho giustificato dicendo che aveva preso una storta alla caviglia).
 
Io quando ho letto il prompt: “3 e 7. Fa che siano Josuke e Rohan, fa che siano Josuke e Rohan!” (Già mi immaginavo una scenetta consolatoria tutta fluff, condita da adeguata dose di battute al vetriolo da parte di Rohan indipendentemente dal ruolo ricoperto).
Leggo la lista: Yukako e Tonio.
EEEEEEEEH? E ora come faccio?! Come cavolo li faccio interagire, questi due?!
Sì, è stata dura, devo ammetterlo XD Ma indubbiamente divertente. Anch’io voglio una caramella da Tonio!

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Capitolo 4
*** Se non adesso, quando? ***


SE NON ADESSO, QUANDO?

 
Prompt: nessuno, in quanto questo capitolo è fuori challenge. Ma se proprio ne volete uno, si può riassumere così: voglia incontenibile di scrivere su Rohan e Josuke come coppia (lo so, è il crack pairing più crack del mondo, ma esiste e ha il suo discreto numero di fans. Io sono tra quelli ^^).
 
Genere: romantico
Tipo di coppia: Yaoi
Personaggi: Josuke Higashikata, Rohan Kishibe
Note: nessuna
Avvertimenti: Lime
Rating: arancione
 

«Josuke…»
La voce di Rohan è un ansito di piacere, e l’unico pensiero razionale di Josuke, in quel momento, è che è definitivamente impossibile non perdere il controllo, quando qualcuno pronuncia il tuo nome in quel modo. È inutile, sta per venire, e si morde un labbro per la frustrazione. È ancora troppo presto, vorrebbe avere la forza di volontà di opporvisi, almeno per un altro po’. Vorrebbe continuare a spingersi nel corpo dell’altro, farlo godere, ancora e ancora, sentirlo ripetere – gridare –  il suo nome in quella maniera sublime, ma l’orgasmo è imminente e, quando arriva, è semplicemente sfiancante e bellissimo.
Esattamente come Rohan, pensa il ragazzo ammirando la persona a cavalcioni su di lui: l’immancabile fascia che di solito cinge la testa del mangaka è finita chissà dove, e ora i capelli gli ricadono scomposti nascondendogli parte della fronte e del viso madidi di sudore, mentre sul lato destro della bocca una sbavatura di rossetto verde si allunga verso la mandibola, accentuando il sorriso perfido. In quel momento Rohan è un meraviglioso, irresistibile pasticcio sexy. Josuke sente che potrebbe venire di nuovo solo guardandolo, ma mentre lo pensa le fattezze del volto di Rohan si sfuocano e i contorni del sogno si sfaldano, fino a scomparire del tutto cedendo il posto alla realtà.
Josuke apre gli occhi. Non ha fatto l’amore con Rohan. Però, il letto in cui si è svegliato è effettivamente quello del mangaka, e il soggetto dei suoi sogni gli giace addormentato accanto con un’espressione distesa – almeno nel sonno, Rohan non indossa il solito cipiglio di strafottente superiorità, a quanto pare – e il respiro regolare e calmo. Il suo corpo emana un tepore invitante.
Josuke si solleva su un gomito e gli sfiora delicatamente una guancia con il dorso della mano, per poi proseguire con una carezza in punta di dita che percorre il collo, la spalla, la curva del fianco nudo e scende a solleticare la peluria alla base dell’inguine.
Rohan mugugna qualcosa di incomprensibile, poi solleva leggermente le palpebre scoprendo le iridi verdi e pianta uno sguardo tagliente sull’altro. Ecco, adesso sì che Josuke lo riconosce, ora che quell’aria da principino seduto sul trono del mondo è tornata al suo posto. Eppure il ragazzo sa bene che quella è solo la percezione più  superficiale e immediata che si ha di lui, sa bene che il mangaka – sempre che si abbia la santa pazienza di conoscerlo meglio e ci si riesca a guadagnare l’onore concesso di non essere considerati mero materiale di studio da parte sua – nasconde dentro di sé un gran cuore. Proprio quello che ha fatto innamorare Josuke, per la precisione, che dal giudicare Rohan un gran rompiscatole egoista, buono solo per fare da bersaglio ai pugni di Crazy Diamond, è passato a considerarlo un prezioso alleato contro Kira, poi qualcosa di molto simile a un amico, per trasformarsi poi in una persona con cui passare volentieri la maggior parte del proprio tempo, e infine in un amante.
 
Beh, quasi amante.
 
Perché, per quanto Rohan sia propenso a dargli e ricevere piacere usando le mani, a mangiarlo di baci quando è particolarmente ben disposto o, quando Josuke non ha scuola il giorno dopo, a dormire insieme , non vuole saperne di spingersi oltre.
Josuke ha provato a capirne la ragione ma Rohan ha sempre troncato la questione, e una volta ha perfino minacciato di cancellargli con Heaven’s Door il ricordo di averlo anche solo mai conosciuto, se non l’avesse piantata di insistere.
Chi se ne frega. Sparisci pure dalla mia testa, se è quello che vuoi, era stato il primo pensiero del liceale. Il secondo, seguito a ruota, era stato il realizzare appieno a livello razionale ciò che gli aleggiava già da parecchio tempo a livello inconscio: Rohan era diventato necessario nella sua vita. Dimenticarlo non sarebbe stato solamente triste, sarebbe stato devastante.
Per questo Josuke non insiste più per avere spiegazioni. Si limita a ricevere tutto ciò che Rohan gli concede, a godere del loro rapporto e di quel qualcosa che li lega e che cresce costantemente, a volte a piccoli passi, a volte a balzelli. E intanto sogna di fare l’amore con lui.
«Beh? Ti sei incantato?» lo apostrofa Rohan, interrompendo il flusso dei suoi pensieri.
«Sì, mi sono incantato a guardarti.»
Rohan allunga un braccio e gli passa le dita fra i capelli.
«Higashikata, la tua impalcatura è crollata.» dice incurvando le labbra in uno dei suoi rari sorrisi. «Stai bene così, perché non cambi ogni tanto?»
L’espressione di Josuke si fa torva, e il ragazzo interrompe la scia di baci che aveva cominciato a posare sul collo dell’altro.
«Stai per caso criticando la mia pettinatura?»
«Sto dicendo che sei bello, scemo! In tutti e due i modi.»
«Sbaglio o mi hai appena fatto un complimento, sensei?»
«“Scemo” non mi sembra esattamente un complimento, ma contento tu…» lo prende in giro Rohan prima di proseguire. «Perché, non lo sapevi già? Credevi che Rohan Kishibe avrebbe accettato di mettersi con qualcuno che non fosse esteticamente più che attraente?»
Josuke, troppo impegnato a lasciargli un succhiotto sul collo, non risponde immediatamente.
«A dire il vero credevo che Rohan Kishibe non avrebbe accettato di mettersi con nessuno e basta. Credevo che fossi troppo preso da te stesso per notare gli altri.»
Prima che Rohan possa ribattere, gli prende dolcemente il viso tra le mani inducendolo a guardarlo negli occhi.
«Sai una cosa? Mi sbagliavo. Su tutto. Però con l’attenuante che tu ti sei impegnato veramente tanto per farmelo credere, fin dal primo momento in cui ti ho incontrato.»
«Mi avevi massacrato di botte e demolito lo studio, era impossibile non avercela con te!»
«Ma sentitelo! Avevi insultato di proposito i miei capelli, quella volta!»
«Era solo un trucco per farti perdere le staffe e farti aprire gli occhi.»
«Rohan, la verità è che sai essere semplicemente insopp…ugh!»
Josuke si zittisce all’istante quando l’altro gli chiude la bocca con un bacio improvviso, un contatto profondo e passionale che gli fa dimenticare il motivo del loro alterco. Come può pensare ad altro che non sia la sensazione paradisiaca della lingua di Rohan che gli esplora il palato, o della pelle nuda del suo corpo contro il proprio?
«Ho imparato che è il miglior modo per farti tacere.» gli sussurra il mangaka all’orecchio, dopo un ultimo schiocco dispettoso sulle labbra.
«Sei un maledetto.» ribatte Josuke, sorridendo dentro di sé.
Eppure, non posso fare a meno di trovarti deliziosamente attraente, qualsiasi cosa tu dica o faccia. E, sai una cosa? Credo di amarti, e te lo griderei se solo fossi sicuro che anche tu provassi la stessa cosa e che per te tutto ciò non fosse solo una recita per alimentare con nuove esperienze dirette la tua dannata ricerca di perfezionismo. Perché è così, vero Rohan?
Josuke abbraccia l’altro quasi con disperazione. Non vuole pensare a queste cose, adesso. Per quanto ci rimugini non può sapere cosa nasconde veramente l’altro nella propria testa, gli unici indizi certi sono le azioni concrete, sono i baci e le carezze che Rohan ricambia con trasporto, sono i gemiti appassionati e mal trattenuti che gli sfuggono dalle labbra, sono le mani che vagano ovunque sul suo corpo indugiando sui punti che sa essere più sensibili, è l’erezione che gli preme contro la pancia, tesa e dura al pari della sua.
«Oh, Rohan…» sospira il ragazzo, prima di intrecciare nuovamente la lingua con quella dell’altro.
Fa scivolare una mano sulla schiena del mangaka, e da lì sui glutei. Insinua un dito tra di loro, accarezzando con delicatezza la rosellina di muscoli. Quando la sente rilassarsi a sufficienza la penetra lentamente, e Rohan mugola piano. Josuke adora sentire i suoi gemiti soffocati nella propria bocca, il modo in cui gli massaggia l’erezione per ricambiare il piacere, il momento in cui l’altro comincia a godere e si lascia andare ansimando più forte.
«È qui?» chiede, esplorando con il dito la parete interna cercando il punto più sensibile.
Rohan non risponde, ma uno spasmo violento che gli fa inarcare improvvisamente la schiena e un gemito molto più sonoro dei precedenti sono una replica altrettanto chiara.
«Sì, è qui.»
Josuke comincia a stimolarlo in quel punto unendo un secondo dito al primo, con l’intenzione di continuare fino a farlo venire. O, almeno, avrebbe giurato che quella era l’intenzione… se non fosse che gli strascichi del sogno di poco prima continuano a vorticargli nella mente ricordandogli la squisita sensazione provata nel penetrare Rohan e nel vederlo sciogliersi sopra di lui.
Sfila le dita dal corpo di Rohan e lo abbraccia appoggiando la fronte contro la sua. Lo bacia dolcemente una, due, tre volte. I suoi baci non hanno nulla in comune con quelli precedenti, ardenti, passionali. Ora Josuke vuole solo trasmettergli che non ha nulla da temere, che non gli farà male, ne ora né mai. Vuole solo amarlo, con tutto se stesso.
Continua a baciarlo in quel modo anche mentre si fa spazio tra le sue gambe e, trattenendo il respiro, prova a penetrarlo per la prima volta.
Le mani di Rohan puntate contro il suo petto lo respingono, delicatamente ma con decisione.
«No, non adesso.»
La sua voce è gentile, così come il suo sguardo, insolitamente carico di affetto, ma è chiaro che quella frase non ammette repliche.
Josuke si ritira senza dire una parola e si siede sul letto, deluso, sul lato più lontano dal suo quasi-amante, dandogli le spalle. Ha voglia di piangere. Perché dev’essere così, tra loro due?
Una mano gli si posa con tenerezza sulla spalla, massaggiandogliela brevemente.
«Cosa c’è? Ci sei rimasto così male?»
La voce di Rohan è una carezza sul suo cuore spezzato, ma non ha il potere di ricomporlo.
«Perché non vuoi fare l’amore con me? Devi dirmelo.»
La voce di Josuke non trema, ma non può fare a meno di incrinarsi un po’ sulle ultime parole.
«È così importante?»
«È più che importante. Voglio sapere per chi ho perso la testa. Voglio sapere a chi ho dato il mio cuore.»
Rohan ha un moto di sorpresa – è la prima volta che Josuke è così diretto riguardo i propri sentimenti – poi sorride e sospira.
«Ah, è così, dunque. Bene, vuoi proprio sapere perché?»
Il ragazzo si volta finalmente a guardarlo e il mangaka nota che ha gli occhi arrossati e l’espressione grave.
«Certo che sì!» ribatte. Il tono di voce e il suo sguardo sono carichi di determinazione. È disposto ad accettare tutto, tranne un’ennesima risposta fuorviante.
«È perché sei ancora un moccioso. Cresci!» risponde il mangaka dandogli una steccata sulla fronte prima di alzarsi dal letto e dirigersi verso la scrivania per versarsi un bicchiere d’acqua. «Contento?»
«Ehi! Io ero serissimo! Non puoi continuare a prendermi in gi...»
 
«Quindi cresci in fretta, amore mio.»
 
Le parole di Rohan sono pronunciate così piano che è difficile udirle, ma Josuke, che nel frattempo era scattato in piedi, furente e disperato, nell’intento di rincorrere il mangaka e giocarsi il tutto per tutto per farlo confessare una buona volta, le sente benissimo e ripiomba seduto a bocca aperta.
La pressione deve essergli schizzata a mille, perché sente il sangue affluire al viso e incendiarglielo, e il battito gli rimbomba nelle orecchie. Qualcosa dentro di lui, probabilmente un istinto primordiale di sopravvivenza, gli suggerisce di inspirare profondamente e calmarsi, perché il suo cuore sta viaggiando a una velocità difficilmente tollerabile per un essere umano e, se gli esplode nel petto, Crazy D non sarà in grado di curarlo.
Si può davvero morire di felicità?
Josuke raggiunge Rohan e, senza dire una parola, lo abbraccia da dietro riposando la testa sulla sua spalla. Sospira, questa volta di sollievo. È bello rimanere così, appoggiato a lui.
Sei mio?, vorrebbe domandargli.
Ma non ha più bisogno di farlo.
E, in fondo, non manca poi così tanto alla fine del liceo.
 
 
 
 
 
 
 
Il mio angolino
Come avrete letto all’inizio, questo capitolo non partecipa alla challenge. Avevo voglia di scrivere su Josuke, ma il suo numero non saltava mai fuori, così ho provveduto autonomamente!
 
Scusami Jojo, anche a me piacerebbe farti fare tanta bella roba con Rohan, ma sei minorenne e secondo le regole di EFP non puoi combinare ancora niente di completo con lui, mi dispiace. Anzi, a ben pensarci, secondo le leggi del Giappone pure Rohan sarebbe minorenne quindi, onde evitare che salti fuori anche un’ipotetica sede giapponese di EFP e mi faccia causa doppia, per ora stattene buono. Il tempo passa in fretta, anche tu diventerai grande :D
(E spero vivamente di non aver già violato abbastanza le regole con il capitolo così com’è…)

Aggiornamento del 9.11.2020:
qualcuno mi ha fatto notare che è alquanto strano che Rohan sia così gentile e remissivo come l'ho descritto. Potrei essere (non del tutto) d'accordo con voi se mi basassi esclusivamente sul manga principale, però... Signori miei, ma allora voi non avete letto "Rohan al Louvre"! Scoprirete che quando Rohan è veramente innamorato riesce a dire cose come "Voglio aiutarti". "Non hai più bisogno di fuggire. Voglio proteggerti da ogni tua paura, qualunque essa sia".
Scommetto che Rohan che vuole "aiutare" o "proteggere" qualcuno non ve lo sareste mai aspettato, eh? :D

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